Fratelli uniti nel dolore... Fratelli uniti nel destino

di Shannara_810
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vigilia di Samhain, 1992 ***
Capitolo 2: *** Witch Hunters ***
Capitolo 3: *** Mabon 1992 ***
Capitolo 4: *** The Journey ***
Capitolo 5: *** Samhain, 1992 ***



Capitolo 1
*** Vigilia di Samhain, 1992 ***


Vigilia di Samhain, 1992
C'è grande fermento in casa in questi giorni.

Samhain è alle porte... il secondo da quando i miei genitori sono scomparsi.
Sento la magia crepitare nell’aria, la sua presenza aleggiarmi intorno. Ho solo dieci anni ma posso avvertire la sua presenza distintamente.
Alle volte, la magia è gentile come la brezza d’estate; alle volte, invece, violenta come un tornado lanciato per distruggermi.
È il vento del cambiamento questo, ne ho la certezza. Ha marcato con la sua forza i momenti più importanti della mia vita: la nascita dei miei fratelli, la scomparsa di mamma e papà. Non mi ha mai ingannato il vento. È sempre stato portatore di notizie per me. 
E anche se non riesco a comprendere appieno il suo messaggio, confido nella saggezza della Dea.
Lei sa cosa è giusto per me, non mi farebbe mai del male.
Zia Shelagh me lo ripete in continuazione: tutto accade per un motivo ben preciso. Non esiste il caso nella Wicca. Ogni singolo evento fa parte del grande disegno.
Le sue parole mi sono di conforto, ma non sempre.
Non quando il pensiero dei miei genitori torna a farsi vivo più prepotente che mai. E, con esso, tutto il dolore che un bimbo della mia età non dovrebbe mai conoscere.
È una cosa strana, il dolore.
Alle volte, è quasi insopportabile. Mi sento soffocare, una morsa nel petto che mi ruba lentamente la vita.
Nei giorni seguenti la fuga misteriosa di mamma e papà, non riuscivo nemmeno a pensare. Il tormento era continuo: perché se ne erano andati così all'improvviso? Cosa gli era successo? Perché non ci contattavano?
Le mille domande di Linden ed Alwyn servivano solo a peggiorare tutto. Avrei voluto urlare, scalciare, distruggere il mondo intero. Sono solo un bambino... come avevano potuto pensare che avrei avuto la forza di crescere da solo i miei fratelli?
O Dea, perdonami. So di essere ingiusto nei confronti di Zio Beck e zia Shelagh. Loro ci hanno accolto senza esitare. Ci hanno amato e sfamato... lo so.
Però… sono una persona tanto orribile se non riesco ad apprezzare in pieno il loro aiuto?
Che cosa devo fare?
Ora, dopo due anni, il dolore mi assale a ondate. Ondate via via più rade. Tento di tenermi occupato pur di non soffrire ma, certe notti, il desiderio di ritrovare i miei genitori torna sempre più assillante.

E, a quel punto, l'unica cosa che posso fare e rannicchiarmi sotto le coperte e piangere lacrime silenziose. Non voglio che gli altri mi vedano così... sono l'uomo di casa adesso. Linden ed Alwyn contano su di me. Devo essere forte, se non per me, per loro.
Ma non è questo a farmi stare tanto male. Oh, Dea! Mi sembra di dimenticarli. I loro visi, le loro voci. Non sono più così nitidi.
Non voglio, no! Non posso, non posso dimenticarli! Dea, Dea stammi vicino!
Ecco... un’altra lacrima. La asciugo con la forza della mia disperazione. Non sono debole. Non sono debole continuo a ripetermi.
Eppure ho la sensazione che Athar sappia tutto. Lo capisco dal modo in cui mi guarda... non voglio la sua compassione.
La casa è in subbuglio. Sono tutti occupati con la preparazione della festa ed è toccato a me aiutare Linden ed Alwyn con i loro costumi. Il risultato non è stato dei migliori ma ringrazio la Dea ugualmente. I bambini non si sono lamentati e questo riesce quasi a farmi scordare il dolore che provo per le mie povere dita piene di buchi.

Eccolo.  Quello strano vento ha ripreso a soffiare. Lo percepisco nitido, fin dentro le ossa.
Che cosa stai per portarmi, vento?
Oggi, mi è successa una cosa strana. Mi stavo esercitando per affinare le mie doti di divinazione con l'acqua quando, nella ciotola che stavo utilizzando per i miei esercizi, è comparso un volto. Ma non un volto qualsiasi... era quello di un bambino... un bambino più o meno della mia età, con i capelli castani e gli occhi strani, come mai ne avevo visti. Sembravano quelli di una tigre.
Il suo volto era sudato, febbricitante, contorno in una smorfia di dolore.
Una fitta lancinante mi ha trapassato un fianco. Per un attimo, mi è parso di riuscire a percepire il suo stesso dolore.
Quando ho allungato una mano per toccare la superficie dell'acqua, l'immagine è scomparsa lasciandomi un gran vuoto dentro.
Chissà chi era quel bambino? Non ho idea di chi sia eppure...
Non so, ma ho come l'impressione di doverlo sapere... come se lui fosse importante per me... in un qualche modo misterioso che solo il Dio e la Dea possono conoscere.
Ho pregato la Dea affinché lo faccia guarire.
Quando ho raccontato l'accaduto ai miei zii, loro si sono rivolti un'espressione strana. Uno sguardo cupo e preoccupato che non sono riuscito a decifrare. Nemmeno la notizia della sparizione dei miei li aveva sconvolti fino a questo punto.

La zia Shelagh mi ha rivolto un sorriso forzato e mi ha detto di non preoccuparmi. Sicuramente mi sarò sbagliato.
So che mentiva. Ne sono certo.
E' tardi. I miei fratelli dormono già da un pezzo. Io, però, non ci riesco. Sta per succedere qualcosa, me lo sento.
I vetri delle finestre della stanza vibrano forti. Fuori, una tempesta senza precedenti si sta scatenando da ore, fin da quando il sole è andato a coricarsi dietro le montagne. Forse la festa di domani sarà cancellata.
Athar ha tentato di spaventarci, dicendo che non si tratta di una tempesta come le altre bensì di Spiriti Maligni venuti a prendere noi, bambini cattivi. Tutte sciocchezze!
Anche se Linden ha provato a nasconderlo, si vedeva che era spaventato. Alwyn l’ha preso in giro tutto il tempo.
CRASH
Uno strano rumore dal piano inferiore. È meglio andare a controllare…

 
_*_*_*_*_*_
 
Poche ore.
Sono bastate poche ore per mandare tutto il mio mondo in frantumi.
Sono qui seduto a scrivere alla luce di una piccola torcia, tentando di fare ordine, di capire cosa è successo.
Non credo di farcela, non credo di riuscire a scrivere nulla di sensato.
È quasi l’alba, la notte è ormai trascorsa.
Eppure mi sembra passata un’eternità. Una vita intera dal momento in cui ho scarabocchiato per l’ultima volta su questa pagina. Non sono più lo stesso.
Non riesco nemmeno a dare significato a queste mie parole d’inchiostro. Segni incomprensibili che si rincorrono l’uno dopo l’altro su di un foglio bianco.
La mia mente sta viaggiando a una velocità impressionante. Mille e più pensieri si stanno dando battaglia dentro di me, scontrandosi senza sosta fino a farmi male.
Non so più cosa pensare.
Poche ore, poche semplici ore e la mia curiosità di bambino.
Poche semplici ore per rivelarmi una verità che non sono sicuro di poter accettare.
Ho sentito la porta sbattere verso mezzanotte. È stato questo a mettere in moto tutto.

 Il rumore di una porta chiusa con forza e quello di passi pesanti.
Ho udito lo zio Beck imprecare e la zia Shelagh mormorare qualcosa. Che ci facevano in piedi a quell’ora, mi sono chiesto.
Poi dei singhiozzi a stento trattenuti.
Qualcuno stava piangendo.
Sono sceso a controllare, per assicurarmi che fosse tutto apposto. Avevo il cuore in gola.
Ho afferrato la torcia che avevo usato per scrivere sul mio Libro delle Ombre ed ho infilato un cuscino sotto le coperte. Per essere sicuri. Conosco fin troppo bene le punizioni di zio Beck. Non avevo la minima intenzione di ripulire i recinti delle pecore ancora una volta.

Piano piano, sono passato accanto ai letti di Linden ed Alwyn. Per fortuna loro stavano ancora dormendo.
Cercando di non far il minimo rumore, ho aperto la porta della nostra stanza e mi sono diretto verso le scale.

SCRIT SCRIT
Ogni cigolio delle travi di legno, un brivido. Strano come quando il silenzio è necessità, si riesca sempre a fare tanto baccano.
D' un tratto una mano sconosciuta mi ha afferrato una spalla.
Sono sobbalzato spaventato, trattenendo a stento un urlo. Mi sono morso un labbro con forza per trattenere quel grido che mi si è spezzato in gola.

Mi sono voltato per colpire l’aggressore, quando questi mi ha posto una mano sulla bocca e ha lasciato che la luce della torcia illuminasse i suoi lunghi capelli d’oro.
Era Athar. Anche lei è stata svegliata da quegli strani rumori.
Mia cugina si è portata un dito alle labbra, facendomi cenno di restare in silenzio. Se fossimo stati scoperti in piedi a quell’ora, sarebbero stati guai. Mi ha lasciato andare, incamminandosi dietro di me con passo felpato.
Siamo scesi al piano di sotto, tentando di fare meno rumore possibile. Le scale, come lo stretto corridoio, parevano non finire mai.

C'era qualcuno in cucina. Ci siamo nascosti dietro la porta socchiusa, tentando di sbirciare attraverso il piccolo spiraglio che era stato lasciato aperto. Ci siamo accucciati l’una addosso all’altro, un occhio attento incollato a quella piccola breccia.
Il camino della cucina era acceso e gettava ombre spettrali tutto intorno.
Potevo vedere la zia Shelagh china su di una piccola figura incappucciata mentre lo zio Beck, il viso pallido e stravolto, stava leggendo una lettera con mani tremanti.
Con loro, c'era anche un uomo che non avevo mai visto. Era alto, magro, con la barba scura e lo sguardo corrucciato.
Parlava a bassa voce con lo zio ma non riuscivo a capire cosa si stessero dicendo.
Altri singhiozzi.
La figura ammantata di nero stava tremando.
Zia Shelagh gli ha abbassato il cappuccio, asciugandogli le lacrime e mormorandogli parole di conforto.
La schiena della zia mi si parava davanti perciò non riuscivo a vedere bene. Però…

Il vento, potevo sentirlo accarezzarmi la pelle e mormorarmi strane litanie all’orecchio.
È il momento, mi pareva dicesse. È il momento.
D’un tratto la zia si è spostata di lato ed è stato allora che i nostri sguardi si sono incrociati per la prima volta.
Quegli occhi... gli occhi di tigre.

È il momento.
Senza rendermene conto ho spalancato la porta, nonostante Athar abbia cercato di fermarmi.
Ma non l’ho ascoltata. Non la vedevo.

Tutto il mondo intorno a me si era dissolto.
Vedevo solo quegli occhi. Quelli del bambino della mia visione.
Vagamente, ho sentito la zia Shelagh sobbalzare e lo zio Beck rimproverarmi.
Non ascoltavo nemmeno loro.

Tutta la mia realtà era ora concentrata in due piccoli occhi di tigre.
Con passo lento, mi sono avvicinato a quello strano bambino tutto infreddolito.

Il viso pallido e smunto. I capelli incollati sulla fronte per la pioggia e una lieve febbre.
Era tutto identico a ciò che l’acqua mi aveva mostrato.
Quando ho tentato di sfiorargli una guancia per costatare se fosse reale, o solo un altro frutto della mia immaginazione, lui si è ritratto spaventato, quasi avesse paura di essere ferito.
Non potrò mai dimenticare quel momento, nemmeno fra cento anni.
Zia Shelagh mi ha parlato piano, con dolcezza. Con una solennità che non le ho mai sentito usare.
"Giomanach" . Mi ha detto. "Questo... questo è tuo fratello Calhoun".

Giomanach

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Capitolo 2
*** Witch Hunters ***


Witch Hunters

Eccomi con il secondo capitolo! Non so con quanta frequenza riuscirò ad aggiornare ma ho approfittato di questo giorno di vacanza per mettermi all'opera. Ringrazio tutti quelli del forum che mi hanno recensito e soprattutto tutte le splendide persone che hanno risposto alle mie innumerevoli domande. Pensavo di alternare il POV dei due fratelli, ognuno dei quali sarà introdotto da un passo del loro Libro delle Ombre. Avendo iniziato la storia con Hunter, questo capitolo è narrato da lui. Perdonatemi se i personaggi non saranno proprio IC. Grazie, ancora.
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Stavamo correndo attraverso la Foresta Nera. Una foresta sempre più fitta che sembrava volerci ghermire con i suoi artigli di legno scheletrici.

Ero stanco.
Il fiato mi usciva dalle labbra come una candida nuvola d'incenso che presto si dissolveva nell'aria gelida come se non fosse mai esistita.

Era buio... era tutto buio.
Prima notte di novilunio del nuovo anno. Nuovo anno almeno secondo gli umani.
Non che questo dovesse contare qualcosa. Per un Cacciatore di streghe non esiste mai pace. Nemmeno in un giorno di festa.
Continuavo a correre nel tentativo di avvicinarmi al mio obiettivo. Rami spogli mi sferzavano sul viso come fruste oscure, graffiandomi il volto pallido. Vecchie radici mi sbarravano la strada, tentando di farmi inciampare.
Ah, il mio nome è Hunter Niall.
Sentivo il rumore di foglie calpestate, ramoscelli venire spezzati. Potevo captare il respiro leggero degli animali ancora in letargo.

Poi solo il silenzio.
La radura doveva essere vicina.
D'un tratto, ho intravisto fra la fitta vegetazione di quelle piante sempreverdi due occhi da fiera scintillare guardinghi. Hmm, doveva essersene accorto anche lui.

La mia tigre... il mio cane da guardia personale.
Mi veniva quasi da sorridere a quell'espressione. Un'espressione che sapevo mandarlo tremendamente in bestia.

Ma era meglio non distrarsi.
Eravamo partiti in quattro per quell'incarico. Un incarico fatto di pedinamenti ed indagini accurate. Ora eravamo giunti alla stretta finale. Presto sarebbe tutto finito.
Avevamo distanziato i nostri compagni già da molto. C'eravamo solo noi due.
Un fruscio sinistro. Prima ancora che potessi reagire, due palle di fuoco magico si sono scontrate a pochi metri da me, lasciando solo terra bruciata al loro passaggio.
"Di là!". Ho urlato ma il mio compagno era già scomparso.
La sfera di fuoco era arrivata da un corridoio semi nascosto dalla vegetazione. L'ultima risorsa di un animale oramai preso in trappola. Mi sono lanciato al suo inseguimento, facendomi strada a forza tra quelle foglie sempre più serrate finché non riuscii a sbucare in una piccola radura.
"Igor McBride, del clan dei Vikroth, ti chiamo a rispondere di fronte al Consiglio Internazionale delle Streghe. Vieni avanti". Il suo tono era glaciale, il suo sguardo proprio quello di una tigre pronta a compiere il balzo finale sulla propria preda.
Sgath... mio fratello.
La preda in questione era una strega dai folti e ricci capelli ramati cui avevamo dato la caccia per due mesi interi.
Igor McBride era stato ritenuto dal Consiglio colpevole di aver utilizzato la stregoneria per fini personali, eliminando ogni possibile minaccia ai suoi affari. Era un imprenditore edile molto famoso nella zona. Famoso per la sua incredibile "fortuna" negli affari.
Coloro che avevano tentato di ostacolarlo erano tutti misteriosamente passati a miglior vita: un attacco di cuore, un incidente stradale...

Le autorità umane da tempo sospettavano un suo coinvolgimento ma non c'erano mai state prove.
Per noi, invece, era tutta un'altra storia.
Igor ha emesso un gemito sconfitto ma il suo persecutore non si è lasciato intenerire.
"Vieni avanti!" Gli ha intimato nuovamente.
La strega si è inginocchiata al suolo coperto di neve mentre il rubino dell'athame di Sgath luccicava, carico di potere, tracciando un rettangolo di luce azzurrognola sul suo corpo.

Igor ha urlato e si è come piegato in due, intrappolato in quella luce.
Occhi di tigre si sono posati su di me in una muta richiesta ed io ho risposto con un lieve cenno.

Mi sono avvicinato a loro, estraendo una catena d'argento dalla tasca del mantello: il braigh.
Non appena Sgath glielo ha infilato, legandolo con le braccia dietro la schiena in modo che non potesse più fuggire, le urla di quella strega hanno sovrastato tutto. Erano agghiaccianti.

Ho sentito i peli delle braccia drizzarsi per l’orrore e diversi uccelli alzarsi in volo spaventati.
Purtroppo il nostro compito non era ancora concluso.
D'un tratto, un lieve mormorio si è levato alle nostre spalle. Gli altri due cacciatori ci avevano finalmente raggiunti.

Ma non importava. Avevo ancora un lavoro da fare.
"Igor McBride hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare tutti i tuoi rivali?".
L'uomo singhiozzava e gemeva senza sosta. A contatto con l'argento del braigh, la pelle dei suoi polsi si è riempita di terribili piaghe rosse.
Sgath ha strattonato la corda, stringendola ancora di più.
"Hai invocato dei taibhs per rafforzare i tuoi affari ed eliminare tutti i tuoi rivali?". Ho ripetuto ancora, la mia voce gelida e implacabile in un pallido tentativo di imitare quella di Sgath.
"Si". Ha risposto finalmente l’accusato con un flebile sussurro.
"Hai offerto in cambio la loro vita?".
"Sì". Ha mormorato ancora.
Mi sono voltato verso gli altri due cacciatori che ora erano fermi vicini a noi, i loro sguardi severi fissi su quella scena.
"Evan Fitzpatrick, hai bisogno di altre spiegazioni?". Era una domanda inutile ma sapevo di dover rispettare il rituale.
"No". Ha mormorato il cacciatore dai capelli fiammeggianti. Aveva poco più di vent'anni ed era sempre stato un ragazzo dal sorriso contagioso.
"Colum O'Hara, sei convinto?".
"Si". Ha sussurrato l'altro. Era un uomo piccolo e tozzo, dalla chioma corvina ed un collo quasi inesistente.
Mi sono girato per un attimo verso mio fratello, senza aggiungere altro. Sgath mi ha risposto con un semplice cenno del capo. Era abbastanza.
"Ora ce ne occupiamo noi, ragazzi".
Colum ha preso il capo del braigh dalle mani di Sgath con un lieve sorriso sul suo viso stanco. Mio fratello glielo ha porto senza mai fiatare. A quel punto si è voltato senza far rumore, avviandosi nella notte come una fiera finalmente sazia.
"Il Mastino Woodbane ha colpito ancora". Una voce ha sghignazzato in un tono abbastanza alto affinché Sgath potesse ancora sentirlo. Lui, però, non si è fermato e ha continuato per la sua strada.
Ha continuato a camminare in quel modo tutto suo, quasi come se tutto il peso del mondo gravasse sulle sue spalle.
Il Mastino Woodbane.

Era così che lo chiamavano nella comunità wicca. E questo era anche uno degli epiteti più piacevoli con il quale era definito.
Mi sono voltato di scatto verso la persona che sapevo aver fatto quella battuta idiota: Evan. Se avessi potuto incenerirlo con lo sguardo a quest'ora sarebbe già morto.
"Lascialo in pace". Ho sibilato.
"Oh, avanti, Hunter. Quel ragazzo mette i brividi a tutti. Se non fosse tuo fratello, potrei anche pensare che...".
Evan non ha avuto il tempo di completare quella frase. Senza rendermene nemmeno conto, gli ho sferrato un pugno in pieno viso, lasciandolo steso a terra e seguendo le tracce di mio fratello.
"Cazzo...". Evan si è portato una mano al viso, dove una lieve ombra violacea già cominciava a fare la sua bella comparsa.
"Sta zitto, moccioso". Lo ha rimproverato il vecchio Colum. "Hanno fatto il loro lavoro e lo hanno fatto molto bene. Quindi sta zitto e lasciali stare".
Ho sentito dei gemiti mentre Igor veniva fatto alzare. "Muoviti tu. Il Consiglio deciderà cosa fare".

_*_*_*_*_*_

Com'era previsto Athar mi stava aspettando con impazienza.

Athar, la mia biondissima e serissima cugina, se ne stava appoggiata allo stipite della porta di quella piccola cucina. Potevo già pregustarmi la sua bella ramanzina per aver fatto tardi.
Con Athar nei paraggi, non mi sono mai sentito un uomo adulto.
Il Consiglio aveva affittato per noi una piccola casetta fuori città, in un paesino quasi sconosciuto al limitare della Foresta Nera.
Mentre noi trascorrevamo le nostre giornate seguendo le tracce di Igor, Athar si occupava delle faccende domestiche, preparandoci i pasti e rammendando i nostri abiti. Qualche volta, andava giù in paese per fare delle domande in giro. Un modo come un altro per aiutarci.
"Dov'è?" Le ho chiesto, spegnendo sul nascere ogni sua lamentela.
Athar si è limitata ad indicarmi con il pollice le scale, intuendo perfettamente a chi mi stessi riferendo.
Mi sono tolto il mantello bagnato di neve e l’ho appoggiato sull'appendiabiti vicino al camino, prima di iniziare a salire le scale che conducevano al piano superiore.

Mi sentivo stanco. Tutte le emozioni di quella giornata ora tornavano prepotentemente a farsi sentire nello stesso momento. Se non mi fossi sorretto al corrimano, sarei crollato di colpo. Ne ero sicuro.
"Digli che la cena è quasi pronta. La cattura è andata bene, non dovrebbe fare così". Detto questo, Athar mi ha lanciato un asciugamano con cui ho iniziato subito a frizionarmi il capo.
Ho sospirato, prima di passarmi una mano fra i miei capelli color del grano ancora umidi. Volevo solo farmi una bella doccia calda e dormire per almeno un secolo.
Il piano superiore era completamente al buio, avvolto in un silenzio quasi spettrale.
Sgath... o meglio, Calhoun.

Mio fratello maggiore.
Sei mesi ed un universo intero a dividerci.
Per citare una frase che mia zia Shelagh soleva ripetermi da bambino, noi due siamo come l'aria e il fuoco. Per quanto io sia limpido e trasparente, Cal è un concentrato di energie che non riesce mai a trovare pace. Sempre alla ricerca di qualcosa. Sempre tormentato da uno spettro cui non riesco a dare un nome.
Cal... Cal, per me, è un mistero senza fine.

Schivo, taciturno, con quello sguardo magnetico che ti sa leggere dentro. Uno sguardo inquietante che dà l'impressione di sapere sempre cosa ti passa per la testa.
Cal.

Non ci sono parole per descriverlo bene. Non credo che siano state ancora inventate.
Da bambini, ricordo che era sempre additato come quello strano, quello diverso. L'unico Woodbane puro in una congrega di Wyndekell.
Ora sono sicuro che vi starete chiedendo come questo sia possibile. Vedete, io e Cal condividiamo solo il padre. Sua madre, la sua vera madre, era stata la prima moglie di mio padre: una donna malvagia, assetata di potere e votata all'uso della magia nera.

A nessuno è mai piaciuto parlare di lei, a mio fratello per primo. Non ha mai voluto parlarmi di com’era stato vivere con lei. E i suoi silenzi hanno sempre lasciato che la mia immaginazione galoppasse verso le torture più indicibili.
Alle volte, tremo al pensiero di come sarebbe potuto divenire se fosse rimasto con lei. Ma, grazie all'intervento della Dea, non è stato così.
Cal è venuto a noi in una notte di tempesta, due anni dopo la misteriosa scomparsa dei miei genitori. Avevo all'incirca dieci anni all’epoca e vivevo con i miei fratelli presso una congrega di Wyndekell, dal fratello di mia madre.

È stato portato dal vento il giorno di Samhain, accompagnato solo da un Cacciatore amico dei miei genitori e da una lettera indirizzata a mio zio proprio da parte di mia madre.
Avrei saputo cosa quella lettera dicesse per intero solo anni dopo. C’erano troppe cose che un bimbo di dieci anni non avrebbe mai dovuto conoscere.
Zio Beck, però, quel giorno me ne lesse l'ultimo passo. Un passo che non potrò mai e poi mai dimenticare.
"Giomanach, abbi sempre cura di questo tuo fratello perduto, di questo figlio sconosciuto che la Dea mi ha donato. Proteggilo come proteggeresti Alwyn o Linden. Prendetevi sempre cura l'uno dell'altro, figli miei".
E così è stato da allora. Ci siamo presi l'uno cura dell'altro anche se, a volte, non è stato facile. Anche se, alle volte, sono stato accecato dall'odio più oscuro nei confronti di questo mio fratello dagli occhi di tigre.
Cal, tuttavia, non me ne ha mai voluto e ha continuato a vegliare su di me in silenzio, come aveva sempre fatto.
Ho spalancato la porta della sua stanza. Lui era lì, seduto sul bordo del letto, a fasciarsi un fianco nella più completa oscurità.
La sua cicatrice. Quella che mai ha voluto mostrarmi e che lo avvertiva ogni volta di un pericolo. Il suo campanello contro il male mi ha sempre detto, scherzando.
Un campanello che sembrava sanguinare ogni volta che veniva in contatto anche con la sola aura lasciata dalla magia nera.
"Stai bene?" Gli ho chiesto, avvicinandomi piano.
"Perché non dovrei?". È stata la sua laconica risposta dopo un lungo silenzio.
"Calhoun". Calhoun, lo chiamavo così quando volevo con insistenza una risposta che lui non voleva darmi.
"Ahi, ahi. Cosa ho fatto stavolta?". Ha replicato con noncuranza, come se lo squarcio che gli sanguinava su un fianco fosse un dettaglio del tutto trascurabile.
Si è rinfilato la camicia scura, alzandosi dal letto e parandosi di fronte a me. Anche al buio, i suoi occhi scintillavano.
"Non dovresti dar peso a quello che ti ha detto Evan". Gli ho sussurrato. Quello stupido dava sui nervi anche a me. Non ho mai capito perché il Consiglio si ostinasse a mandarcelo dietro.
"Non do peso a cosa mi dicono gli idioti come Evan già da molti anni, fratellino".
Fratellino e con questo sapevo che il discorso era chiuso.
"Su, muoviti. Sto morendo di fame". Cal mi è passato davanti, dirigendosi verso il piano inferiore.
"Cal...".
"Siamo Cacciatori, Giomanach. Non c'è spazio per stupidi sentimentalismi in questo lavoro. Lo so io e lo sai tu. E poi, Evan è un idiota".
Non ha aggiunto altro.
Cal sarebbe continuato ad essere un mistero per me. Un enigma complicato di cui desideravo ardentemente possedere la chiave. Forse solo Alwyn riusciva a capirlo davvero.
Eravamo Cacciatori, i cacciatori più giovani dell'intero Consiglio.

Il mestiere più ingrato dell'intera comunità wicca. Quando ho deciso di entrarvi a far parte, Cal mi ha seguito senza esitare. A nulla sono valse discussioni e litigate e zuffe. È stato irremovibile. Nonostante abbiano cercato di fermarlo, di mettergli i bastoni tra le ruote, lui ce l'aveva fatta. Li ha battuti tutti.
Il Mastino Woodbane che non molla la presa finché non ha raggiunto il suo obiettivo.
Ancora oggi, nonostante tutto, viene additato come quello differente. Un Woodbane, come se questo possa spiegare in pieno quell'organismo complesso e chiuso che è Cal. Lui sembra non darci peso eppure io soffro per lui.
Cacciatori...

Io sapevo perché avevo voluto farlo... per Linden. Per espiare il crimine di non essere riuscito a salvarlo. Cal non doveva sacrificarsi con me.
Quando gli ho detto come la pensavo, la sua risposta mi ha gelato il sangue nelle vene. Non sono state tanto le sue parole, quanto il tono con cui le aveva pronunciate.

"Ho un debito da ripagare. La mia vita ha valore solo per saldare quel pegno. Ho già perso un fratello, Giomanach. Non ti permetterò di farmene perdere un altro".
Un debito... non ho mai saputo a cosa si riferisse e lui non ha toccato mai più quell'argomento.
Eravamo Cacciatori, eravamo partner, eravamo fratelli. Avremmo condiviso quel destino ingrato insieme. Questo era tutto ciò che dovevo sapere.
Quando zia Shelagh è venuta a conoscenza della nostra decisione, mi ha rivolto un sorriso triste. La fiamma di Sgath avrebbe continuato ad ardere senza sosta fino al giorno in cui avrebbe incontrato o l'acqua che lo avrebbe contenuto, oppure si sarebbe consumata senza via di scampo. È stato un avvertimento arcano quello della zia.
"Giomanach!". il mio nome mi ha riscosso da quelle tristi riflessioni.
Athar e Sgath erano già a tavola. Lui stava leggendo il giornale, sbocconcellando qualcosa controvoglia mentre lei lo rimproverava di continuo.
Il mio sguardo si è posato d'improvviso su di una busta sigillata con l'effige del Consiglio. Un nuovo incarico, ho letto rapido tentando di contenere i miei pensieri: una giovane strega a Widow's Vale, negli Stati Uniti. Un enorme potere.
"Cos'è quella faccia?". Mi ha chiesto Athar. Ero un  libro aperto per lei. Non aveva senso mentire.
"Preparatevi. Domani si parte per Widow's Vale". Mi sono seduto anch'io, iniziando a mangiare qualcosa.
"E dove sarebbe?". Ha domandato mia cugina, un pò acida. Detestava spostarsi da un luogo all'altro senza sosta, ma era stata una sua scelta quella di seguirci per "vegliare su di noi".

Athar non aveva un carattere facile ma quella sera era anche peggio del solito.
"Lasciala stare. E' stata piantata un'altra volta". Ohh, ecco.
Athar gli ha mollato una gomitata ma gli occhi di Cal hanno assunto quella loro strana luminosità che voleva dire che stava ridendo. Lui è fatto così: ride con gli occhi.
"USA. Pare che sia una giovane non ancora iniziata con un potere sorprendente. Un potere come non si è mai visto prima, almeno fin dai tempi di Belwicket".
Al suono di quel nome occhi di tigre si sono spalancati di colpo.

Belwicket: la Congrega Woodbane che aveva rinunciato alle forze del male. Il modello di vita che mio fratello ha scelto di adottare.
"Io ho finito".
Senza aggiungere altro, Cal si è alzato di colpo tornandosene in camera sua.
"Hunter...".
Ho scosso la testa e Athar ha taciuto. Ben altro mi stava dando pensiero in quel momento.
Una volta sentita una porta di legno sbattere, le ho rivolto un’espressione colpevole. Avevo mentito a mio fratello. O, meglio, gli avevo taciuto un particolare importante sulla nostra missione.
"Selene è a Widow's Vale". Ho detto d’un fiato, mentre lo sguardo inorridito di mia cugina passava da me a quelle scale deserte.
Selene Belltower... la madre di mio fratello.

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Capitolo 3
*** Mabon 1992 ***


Mabon 1992
Oggi la febbre è calata ancora e sono riuscito a mandar giù un pò di minestra. Sono persino riuscito a restare sveglio per più di pochi minuti.
Tutto è così confuso. Realtà, visioni, ricordi...
Incubi... orribili incubi.

Non riesco a capire cosa mi sta succedendo. Non so più cosa è vero o cosa è solo frutto della mia mente stanca e febbricitante.
Ho solo dieci anni ma mi sento tanto più vecchio. Come se avessi vissuto mille e mille vite ancora, l'una dopo l'altra. Tante vite segnate solo dal dolore e dalla disperazione.
Non so se questo sia possibile, ma ho un'unica certezza: la mia infanzia è finita, perduta per sempre.
Gli occhi continuano a bruciarmi, però, faccio di tutto per tenerli aperti. Non voglio dormire, no. Non voglio.
Ho paura di chiudere gli occhi e risvegliarmi di nuovo in quella grande casa gelida.
Ho paura di risentire quelle grida inumane e vedere la Bestia dagli occhi rossi inseguirmi ancora...

E raggiungermi...

E ghermirmi...

E strapparmi alla luce del sole, questa volta, per sempre.
Ogni notte, sempre lo stesso sogno. Ogni notte, da quando mi sono risvegliato dal lungo sonno. Ogni notte, lasciandomi alla fine spossato e debole, ancora più della febbre che non mi lascia mai libero.
Nulla intorno a me è familiare. Una stanza piccola e spoglia, sempre immersa nell'ombra.
Un piccolo raggio di luna filtra da un esile spiraglio sfuggito alle finestre serrate. Un raggio di luna. L'unico mio contatto con il mondo esterno.
E proprio sotto la luce fioca di questa pallida luna che ho deciso di scrivere su codesto mio nuovo Libro delle Ombre.
Me lo ha regalato la donna dai capelli rossi, dicendo di scriverci i miei pensieri, i miei sogni, le mie speranze. Mettendo su carta tutto ciò che mi porto dentro. Perché, in questo modo, scegliere la strada migliore per il mio futuro sarà più facile.

Un futuro libero... tutto mio.
Questo è un pensiero strano per me: una vita mia, dove sono io a scegliere cosa è giusto e cosa è sbagliato.
E' una grande responsabilità questa e mentirei se non dicessi che mi fa paura, però...

È … è bello. Così bello.

 La mia vita... mia.
Queste parole hanno un suono così dolce.
Alle volte, quando pensa che io stia dormendo, la donna dai capelli rossi si siede accanto al mio letto e mi accarezza i capelli. Mi canta una dolce nenia e prega la Dea affinché io guarisca.

Affinché cresca sano e forte... felice.
Essere felici.

Questo è un altro concetto strano per me. Le persone vivono per essere felici. Perché?
Nella mia vecchia vita, ciò che contava era il potere. Ho iniziato a studiare la Wicca quando avevo solo quattro anni e mi è stato sempre ripetuto che quello che facevo serviva a raggiungere un potere più grande.
La donna dai capelli rossi... no, Fiona.

Il suo nome è Fiona.

Invece, Fiona mi dice che devo vivere per essere felice. Non riesco a capire bene cosa vuol dire ma credo che questo un senso ce l'abbia.
Ahhh!

Una nuova fitta al fianco. E' un dolore fortissimo ma una parte di me lo accetta volentieri. Questo dolore mi ricorda che sono vivo.
Qualcosa di umido mi bagna il fianco. La ferita deve aver ripreso a sanguinare. Quando si rimarginerà, rimarrà una bella cicatrice.

L'ultimo ricordo della mia vecchia vita, del vecchio Cal Niall e... di lei.
No, non voglio più parlare di lei. Per me è scomparsa insieme all'altro Cal. Non è nulla per questo nuovo io, un'estranea.
Il raggio di luna si sposta ancora un pò su queste coperte spesse. Deve essere l'ora di cena.
Il mio stomaco già inizia a borbottare. Beh, almeno vuol dire che sto guarendo.
Ogni sera, Fiona mi cambia la fasciatura. Mi applica una salvia speciale e mi bacia la fronte.
Il suo viso è pallido e segnato dalla fatica e dalle preoccupazioni, però, lei non smette mai di sorridermi. Come chi, nonostante sia stata vittima di un grande terrore, ha trovato in sé la forza per scacciarlo via.
Ecco mi è successo di nuovo.
Cos'è questa strana sensazione che ho nel petto? Come una bolla calda sale dalla bocca dello stomaco fino alle guance, facendomi arrossire ogni volta che lei mi sfiora o mi parla con la sua voce gentile. E' ammirazione? Gratitudine? Affetto?
Non sono suo figlio. Anzi, dovrebbe avere tutti i motivi per odiarmi ma lei non lo fa. Mi ha salvato, mi ha guarito.
Fiona dice di volermi bene. Non dovrei fidarmi ma voglio crederle. Sembra una persona sincera.
Strani rumori provengono da fuori la porta di questa mia stanzetta. Dei sussurri. Devono essere tornati.
Fiona e Daniel... mio padre.
Un padre che mi ha abbandonato, dimenticato, lasciandomi nelle mani di lei.
Un padre che, anche quando tenta di parlarmi, non mi guarda mai negli occhi e fugge subito dopo.
Un padre per cui ho dato la mia vita e che, so, non mi vuole. Non prova affetto per me, ma solo senso di colpa per quello che è accaduto.
Io non sono suo figlio, non sono come Giomanach o Linden o Alwyn.
Io sono il figlio di lei.
Io sono soltanto Sgath, l'Oscurità. Quello inutile, messo da parte, senza alcun valore.
Lei spesso mi parlava di loro, urlando contro l'uomo che ci aveva abbandonati per un'altra donna, che si era rifatto una famiglia lontano da noi e aveva avuto altri figli più importanti di me.
Per molto tempo, sono stato arrabbiato con Daniel... papà, per avermi lasciato, ma una vocina dentro di me ha sempre sussurrato che lui non voleva farlo, che ci è stato costretto, che mi vuole bene nonostante tutto.
Ma allora perché se n'è andato e non mi ha portato con lui?

È stata colpa di lei?

È tutto troppo difficile da capire. Però, una cosa è evidente: papà è felice con Fiona. Anche se sono costretti a scappare. Lui è felice.
Posso quasi capirlo. Fiona è speciale.
Anche io voglio una persona che mi faccia felice come lei fa con papà. Voglio una persona dolce come Fiona.
Una persona che mi rimbocchi le coperte e mi dia il bacio della buona notte e mi abbracci e voglia leggere con me. Una persona gentile che mi sorrida sempre e sorrida sempre anche ai nostri figli.

È così che si comporta una vera mamma, vero?
Lei non mi ha mai abbracciato. Non mi ha mai detto che mi voleva bene.
Io ero solo uno strumento. Un oggetto che alla fine non le serviva più.
Prima di svenire, quella notte, le ho sentito pronunciare queste parole. Parole che non scorderò mai finché la Dea mi concederà di vivere.
Fiona e papà credono che io non ricordi nulla ma si sbagliano.
"Muori, sporco traditore. Mi libererò della tua presenza come di questo inutile moccioso bastardo. Mi vendicherò dell'affronto che ho dovuto subire!".
Un inutile bastardo. Così mi ha definito... non ho pianto per questo.
Nella Wicca esiste la Legge del Tre: tutto ciò che fai, ti ritorna indietro tre volte.
Un giorno, lei pagherà per il male che ha fatto. Sarò proprio io il braccio della Giustizia della Dea.
Le impedirò di fare altro male. Lo farò per Fiona e i miei fratelli e tutte le persone che ha fatto soffrire. Lo farò per Cal, il bambino che lei stessa ritiene di aver eliminato.
Lo farò, lo giuro.
Altri bisbigli, rumori di pentole.
Stanno discutendo.
L'altra sera, convinti che stessi ancora dormendo, li ho sentiti parlare di mandarmi dai Wyndekell, dal fratello di Fiona.
Lei non sa che sono sopravvissuto e per me è più sicuro andare lì, per crescere insieme ai miei fratelli.

È la scelta più logica, ma una parte di me vuole restare con Fiona. Al solo pensiero di separarmi da lei, calde lacrime mi segnano il viso.
Non sarà facile vivere con i Wyndekell, non mi faccio illusioni. Io sono un Woodbane puro e, anche se ho solo dieci anni, so benissimo che non siamo ben visti nella comunità wicca.
Fiona, però, durante i giorni in cui ero incosciente e che ha trascorso al mio capezzale, mi ha raccontato di una congrega speciale. Si chiamava Belwicket.

Una congrega composta interamente da Woodbane buoni che avevano rinunciato alla magia nera. Una congrega potentissima, rispettata da tutti.
Quando starò meglio, voglio saperne di più. Questa storia mi affascina.
Nonostante quello che lei mi ha detto, è possibile essere Woodbane e servire il Bene.
Oh, Dea. Accogli la mia preghiera. Questo mio impegno.
Crescerò buono e giusto, una strega degna della congrega di Belwicket.
Crescerò buono e giusto, forte e saggio, in modo che Fiona... la mia nuova mamma sia sempre fiera di me.
In modo che continui a sorridermi come ha fatto fino ad ora.
Il mio nome è Cal Blaire, Sgath, e sono morto e rinato nel sacro giorno di Imbolc. Questo è il mio giuramento più solenne.

Sgath

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Capitolo 4
*** The Journey ***


The Journey

TUM TUM TUM TUM
Il ritmo crescente dei battiti di un tamburo segnava il nostro ultimo atto come inviati del Consiglio in quella sperduta cittadina tedesca.
A quest'ora saremmo già dovuti essere in viaggio verso gli Stati Uniti, ma la nostra partenza è stata rinviata ancora di un giorno. Eravamo ancora necessari per un ultimo compito. Un compito di cui quasi nessuno, in quella congrega di Vikroth, voleva sporcarsi le mani.
TUM TUM TUM TUM
Il mio nome è Cal Blaire e sono un Cacciatore di streghe.
TUM TUM TUM TUM
Il suono di quei colpi si è fatto sempre più serrato, accompagnando nella sua ascesa il ritmo del nostro respiro ed il battito dei nostri cuori.
Igor McBride era inginocchiato al centro della stanza, dentro un pentacolo di scintillante luce azzurra. Era completamente vestito di bianco, scalzo, le mani ancora legate dietro la schiena, stavolta con una semplice corda.
Il mio nome è Cal Blaire e sono un Woodbane... il Mastino Woodbane.
TUM TUM TUM TUM
Alla mia destra, ho visto il viso di Giomanach perdere il poco colore che adornava la sua carnagione pallida. Sembrava sul serio uno spettro, irreale. Togliere i poteri a qualcuno, per quanto malvagio sia, non è mai facile.
Avrei voluto risparmiargli l'assistere a quest’orrore, ma non ho potuto.
Giomanach è un Cacciatore. Questo è uno dei suoi compiti... che mi piaccia o meno.
Infondo è un uomo, oramai.
Anche se non lo ammetterò mai... soprattutto con lui. Per me, vivesse cent'anni, resterà sempre il bambino con le nocche sbucciate che difendeva il suo fratellino muto dagli scherzi dei ragazzini Wyndekell.
Il mio fratellino.
Il mio migliore amico... il mio unico amico.
Quando glielo dico, Athar minaccia ogni volta di schiantarmi con un fulmine. Io ci scherzo su, magari un giorno lo farà davvero.
Le voglio bene, come se fossimo veramente cugini, ma lei è una donna e il rapporto di fiducia e rispetto che mi lega a mio fratello non può capirlo. E' una cosa tra uomini. Una cosa difficile da spiegare persino per me.
Forse è per il passato che ci lega.
Forse è per il sangue che condividiamo.
Non lo so. Posso solo dire che nei momenti in cui ho avuto bisogno di lui, Giomanach c'era sempre.
Quando fui portato alla Congrega di Fiona, il mio arrivo scatenò non poco clamore.
Tutti sapevano chi ero e... che cosa ero.
Crescere tra i Wyndekell non è stato per niente facile. Beck non si fidava di me e Linden mi disprezzava senza fare nulla per nasconderlo.
Solo Giomanach mi è stato vicino. Giomanach... e Alwyn.
Ma lei è un'altra storia. Alwyn fa parte di quella categoria di persone molto rare che vedono il buono in ogni cosa.
Ho sempre considerato Alwyn la mia piccola streghetta ed io il suo rude protettore.
Il suo fisico esile aiuta molto. Mi arriva a malapena ad una spalla.
Ma Hunter...
Lui... lui è il sole, non so a cos’altro paragonarlo.
Non mi riferisco solo al suo aspetto: gli occhi chiari, la carnagione pallida o i capelli quasi argentei, no.
E' per quello che si porta dentro. Sempre nel giusto, sempre corretto, sempre coraggioso. Esemplare.
Io... io sono la luna, la sua ombra silenziosa, il suo cane da guardia.
Quello che sistematicamente deve tirarlo fuori dai guai che attira ogni volta. Non voglio nemmeno pensare a cosa farebbe senza di me.
Ma è questo a che servono i fratelli maggiori, no?
TUM TUM TUM TUM
Ho osservato con attenzione le altre streghe presenti: il vecchio Colum, che è stato mio maestro, Evan e Nyall, il membro più anziano della congrega Vikroth di cui Igor faceva parte.
Man mano che il ritmo del tamburo aumentava, la nostra magia si è unita in una striscia di abbagliante luce bianca, che si è intrecciata alla luce azzurra del pentacolo, fino a divenire accecante. Tenendoci per mano, abbiamo chiamato la nostra energia interiore. Quando l'ho percepita entrare in me, mi sono sentito quasi sopraffatto.
Colum ha fatto un passo in avanti, appoggiando la punta del suo athame sul pentacolo. Il coltello si è illuminato di una luce bianca ed azzurra.
Il mio maestro ha superato i confini del pentacolo e si è avvicinato ad Igor, girandogli intorno l'athame e la sua luce in una spirale.
Tutta la vita, tutte le magie di Igor, a contatto con il nostro potere sono fluite in quella spirale che ha preso a ruotare vorticosamente intorno a lui.
Igor piangeva, gemeva ma la spirale non si arrestava. Lo ha privato di tutte le esperienze che lo avevano formato, che avevano definito la sua esistenza. Igor la strega non era più.
Le parole che Colum ha pronunciato per concludere il rito mi sono scivolate addosso senza che riuscissi ad afferrarle.
Quando tutto è finito, Igor McBride era solo un guscio vuoto.
"Stai bene, fratellino?".
Mi sono avvicinato a Giomanach, appoggiandogli una mano sulla spalla, pronto a sostenerlo se fosse stato il caso. Mio fratello era davvero stravolto. Si è limitato ad annuire.
"Ma, allora, il Mastino parla!".
Conoscevo quella voce. E detestavo il suo suono stridulo almeno quanto la faccia lentigginosa del suo proprietario.
"Cosa vuoi, Leapvaughn?". Ho sibilato, posando il mio sguardo irato su di lui.
Sono un tipo di poche parole, anzi pochissime. Non mi piace blaterare a vanvera e soprattutto sprecare le poche occasioni in cui do voce alla mia opinione con degli idioti come lui.
Ma stavolta aveva davvero oltrepassato il limite.
Con la coda dell'occhio, ho visto Giomanach irrigidirsi al mio fianco.
Non amo attaccar briga. Non mi piace battermi per delle sciocchezze. Il più delle volte tendo a soprassedere sulle cose.
Non che abbia chissà quali contatti umani. La mia vita sociale è ancora più sterile di quella di mio fratello.
Ma, sapete come si dice? Mai stuzzicare il cane che dorme... o, nel mio caso, la tigre. Se Evan Fitzpatrick voleva provocarmi, mi sarei difeso. Ero stufo di porgere l'altra guancia. Anche la mia pazienza aveva un limite.
Studiando bene il mio avversario, ho notato una tenue ombra nera che gli segnava ancora lo zigomo sinistro. E bravo il mio fratellino.
Evan, intanto, è avanzato con la sua falsa baldanza verso di noi.
Non ho mai capito se mi detestasse perché ero un bravo Cacciatore (anche se più giovane di lui); perché me l'ero sempre cavata da solo, appoggiato esclusivamente da Giomanach ed Alwyn (e, dopo la morte di Linden, Athar) mentre lui era il figlio di un Alto Sacerdote o, semplicemente... perché ero un Woodbane.
"Ora basta!".
Colum si è posto fra noi, fermando sul nascere qualsiasi accenno di rissa. Sapevo bene che mettersi contro di lui equivaleva ad una batosta certa. Aveva una certa età Colum, ma sapeva ancora colpire bene.
"Sgath, tu e Giomanach tornate a casa. Avete un volo molto presto domani". Il suo tono non ammetteva repliche. Si è rivolto quindi ad Evan. Quella luce nei suoi occhi chiari non prometteva niente di buono. "Noi dobbiamo parlare".
Hanno aiutato Igor ad alzarsi e sono scomparsi dietro una porta nascosta da una tenda.
Per quanto detestassi quel Fitzpatrick, non avrei augurato nemmeno al mio peggior nemico un incontro ravvicinato con Colum O'Hara.
"Forza, fratellino. Athar ci aspetta".
"Vado a prendere la macchina".
Hunter si è avviato verso l'uscita di quella casa, la residenza del capo della congrega, ancora molto scosso.
Io mi sono voltato verso l'anziana Nyall. Non aveva proferito parola per tutto il tempo.
"Vuole che l'aiuti a purificare?". Le ho chiesto, ora di nuovo padrone di me.
Lei ha scosso la testa, continuando a fissarmi con quei suoi grandi, sinceri occhi chiari.  Mi sentivo insignificante sotto il peso di quegli occhi.
"Tu sei un Woodbane, vero?".  Mi ha chiesto d'un tratto con la sua voce sottile.
Sì, sono proprio io. Il Woodbane! Apportatore di male e morte! Anche in quel luogo sperduto, venivo giudicato solo in base al mio Clan.
Mi sono voltato di scatto. Volevo andarmene al più presto.
"No, aspetta. Non volevo offenderti!". Mi ha richiamato, trattenendomi con la sola forza della sua mano esile. All'apparenza sembrava una donna fragile, quasi sul punto di spezzarsi, ma aveva in sé una grande forza. La forza della saggezza e dell'esperienza. Chissà se anch'io un giorno avrei raggiunto quello stato di pace.
I nostri sguardi si sono incontrati ancora e Nyall mi ha sorriso.
"Cal... è questo il tuo nome, giusto?". Mi ha chiesto. "Calhoun, il guerriero".
Ho annuito, basito. Nessuno aveva mai pronunciato il mio nome. Come poteva conoscerlo?
Lei ha scosso la sua treccia scura, chinando il viso da un lato come un cucciolo innocente che osserva qualcosa di estrememente buffo.
"La Dea mi ha concesso il dono di vedere oltre la comune concezione di tempo. Alcune cose sono già state, altre dovranno ancora venire. E' così che ho scoperto chi sei, Calhoun. Chi sei e chi diventerai".
Non c'erano parole per descrivere il turbinio di emozioni che sentivo dentro. Erano tutte schiaccianti, soffocanti. Troppo forti e confuse per poter dar loro un nome. Avrei voluto porle tante domande ma al tempo stesso temevo di conoscere le risposte che lei avrebbe potuto darmi.
Nyall ha estratto dalla tasca della sua tunica un piccolo oggetto di pietra e lo ha poggiato sul palmo della mia mano, richiudendola a pugno subito dopo.
"Il tuo è un arduo cammino. Tante sofferenze hai patito nella tua giovane vita ed altre difficili prove dovrai superare. Non posso dirti altro, solo... pregherò la Dea affinché tu trovi quello che stai cercando da sempre, Calhoun".
Mi sentivo come una statua. Incapace di muovermi, pensare, respirare.
Lei non ha aggiunto altro. Mi ha dato le spalle e ha cominciato a prepararsi per il rito di purificazione.
Non sapevo più cosa pensare. Il mio cuore era a mille e facevo persino fatica a restare in piedi.
Prima di poter aggiungere altro, Hunter è tornato indietro a chiamarmi.
I suoi capelli biondi hanno fatto capolino dalla porta. Era stanco, provato ma sorridente. Un sorriso forzato.
"Sgath hai finito? E' ora di muoversi".
Ha salutato l'anziana Nyall ed è scomparso ancora una volta. Ho fatto altrettanto.
Mentre camminavo nella gelida aria della sera verso l'auto di mio fratello, ho finalmente potuto respirare liberamente e dar sfogo a tutte le emozioni che mi portavo dentro.
Io ero il Woodbane, il Cacciatore senza cuore, senza la più minima emozione.
Nessuno sapeva quanto le persone che mi circondavano si sbagliavano. Forse solo i miei fratelli.
Anche il mio animo sanguinava, lacerato dalle sue numerose ferite che ancora non erano riuscite a rimarginarsi del tutto.
Anche se non lo davo a vedere.
Mi ero ripromesso di porre il Bene degli altri sempre davanti al mio, di fare sempre la cosa necessaria per seguire la Volontà del Dio e della Dea.
Anche se la cosa necessaria non è sempre quella giusta agli occhi degli altri.
Anche se per far questo dovevo essere deriso e odiato.
Quando avrei trovato qualcuno che capace di accettare questo mio povero cuore martoriato per quello che era?
Oh, Dea. Si può morire per questa solitudine, questo silenzio che mi sentivo dentro?
Quasi senza accorgermene, ho tracciato con la punta delle dita i contorni di quella pietra.
No, non una pietra... una runa.
Nonostante la luce scarsa, l'avrei riconosciuta tra mille...
Eolh, la runa del viaggio e del cambiamento.

_*_*_*_*_*_

La cena è stata consumata in un pesante silenzio. Sentivo che Athar voleva porci mille domande ma, ogni volta che le sue labbra si schiudevano, le richiudeva di colpo. È stata la cosa migliore. Non avrei saputo cosa risponderle.
Ora potevo solo starmene rinchiuso qui, sdraiato di traverso su questo letto scomodo, le gambe lasciate penzoloni.
Avevo lasciato la finestra aperta. Non m'importava del freddo. Dovevo sentire, percepire il vento sfiorami il viso, avvolgermi tra le sue spire e ricordarmi di esistere ancora. Dovevo ascoltare la vita continuare oltre quella finestra e rammentarmi ciò per cui combattevo ogni giorno.
Un lieve bussare. Sapevo che era Giomanach.
"Vieni pure, fratellino".
Lui è entrato senza dire altro, avvicinandosi al mio letto, la stanza sempre al buio. Mi davano pace il buio e il silenzio.
Uno stridio, il verso di un rapace.
"Cavolo!”. L’ho sentito imprecare. "Sei ancora qui, dannata bestiaccia!"
Ho riso.
Mio fratello è una persona sempre gentile, rispettosa delle altre creature viventi. Tutte... Eccetto una.
Geofu... il mio falco dalla coda rossa.
Quando ho detto che Hunter è il mio solo amico ho commesso una piccola imprecisione. Lui è il mio solo amico senza piume. Geofu è quello alato.
Il suo nome significa letteralmente "dono" e per me il suo arrivo è stato davvero un dono del Cielo.
Lo trovai una settimana esatta dopo la mia Iniziazione. Un cosetto spiumato gettato fra i giunchi del fiume e lasciato a morire.
Non ho mai saputo come ci fosse arrivato, forse portato da un venditore di ingredienti poco pulito, ma non me ne è mai importato.
Tutti mi dissero che stavo solo perdendo tempo, che sarebbe morto ugualmente nonostante tutti i miei sforzi, ma eccoci qui... quattro anni dopo e ancora insieme.
Geofu mi ha sempre seguito dappertutto, con grande dispiacere di Giomanach.  Mio fratello non perde occasione per ripetermi come quell'uccellaccio, come lo chiama lui, sia in realtà uno spirito maligno il cui unico scopo nella vita è mozzargli un dito e riempirlo di escrementi.
Alwyn, invece, lo adora.
Il suddetto spirito del male se ne stava, in quel momento, tranquillamente appollaiato sul suo trespolo. Se fosse stato possibile, avrei detto che quel suo gorgogliare roco era in realtà una risata.
"Stupido uccello!" Altra imprecazione.
"Stai bene?". Gli ho chiesto tanto per cambiare argomento. Non mi stavo riferendo solo al suo incontro ravvicinato con il mio falco.
Mio fratello si è lasciato cadere sul letto, anche lui di traverso e con le gambe penzoloni in direzione però opposta alla mia. Lo sentivo succhiarsi un dito. Geofu doveva averlo pizzicato.
"Non lo so. Quello che è successo fa parte del nostro lavoro ma non credo che mi ci abituerò mai: essere una strega e non poterlo esternare. Non poter più rendere onore alla Dea... io impazzirei".
"Sciocchezze. Tu sei più forte di quanto lo sia stato Igor. Non cederesti mai al fascino del Male".
"Come puoi esserne così sicuro?"
Mi è venuto quasi da ridere.
"Oh, avanti. Il rigido, severo, inattaccabile Hunter votato alle Forze Oscure? Non hai l'aspetto di un signore del Male!".
"Dici?". Il pensiero che uno come Giomanach potesse dubitare di sé in quel modo, era per me inconcepibile. Forse, commettevo un errore ragionando in quel modo ma non potevo scacciare la convinzione che mio fratello fosse incorruttibile.
"Già. Senza contare che te le suonerei di santa ragione se facessi un'idiozia del genere". Ho voluto precisare.
"Ohh, bella fiducia che hai!"
"Hey, è la verità".
Per un attimo nessuno dei due ha parlato.
"Anche io ti fermerei se mai dovessi cedere al male, lo sai, vero?"
"Lo so e ti ringrazio, fratellino".
Quella era stata la nostra solenne promessa quando eravamo diventati Cacciatori. Saremmo stati l'uno la zavorra dell'altro. Ci saremmo sostenuti a vicenda e... fermati, se la situazione lo avesse richiesto.
Sangue assetato di potere scorreva nelle nostre vene e non eravamo immuni dalla sua influenza. Non mi sarei fidato di nessun altro.
Altro silenzio.
"Piuttosto, hai già preparato le valigie?"
Gli indicai una sacca nell'angolo. Il mio bagaglio era tutto lì: qualche vestito, il mio Libro delle Ombre, Geofu e la mia fedele Ducati nera. Sono sempre stato un tipo piuttosto spartano.
Grazie alla mia vista notturna, ho potuto vederlo inarcare un sopracciglio.
"Tutto qui?".
"Hmm hmm".
"Porterai anche la moto, immagino".
"Hmm hmm".
"Quell'aggeggio non è sicuro".
"Così parlò il saggio Hunter". Ho risposto, rimbeccandolo. "Cielo, quanto sei inglese".
"Che vuoi dire?" Si stava scaldando. Se avesse riattaccato con quel dannato God Save the Queen, stavolta un pugno non glielo avrebbe risparmiato nessuno.
"La tua perfetta macchina inglese, il tuo perfetto cardigan inglese, il tuo perfetto accento inglese... lunga vita alla regina!". Mi sono portato una mano al petto, lanciandomi nella mia pessima imitazione di vecchio inglese.
"Ma quanto sei idiota!".
"Non idiota, più avventuroso. A differenza di te, preferisco concentrarmi sulle mie radici scozzesi. William Wallace, lui si che era un grande".
"Un grande uomo con la passione per i gonnellini a scacchi".
"Si chiamano kilt, ignorante".
Una fitta di dolore mi ha trapassato di colpo il fianco, facendomi sibilare a denti stretti.Hunter se n’è accorto subito.
"La cicatrice ti fa ancora male? Vuoi che chiami Athar?"
Il suo sguardo di smeraldo ora era fisso nel mio.
"Non c'è n'è bisogno. Il dolore viene e va. Ora mi passa. E poi non mi va di disturbarla. E' più scontrosa del solito".
"Mahoney era un idiota". Ha continuato, tentando di distrarmi.
"Mahoney è stato furbo a svignarsela prima che lei lo conciasse per le feste".
Stavamo sghignazzando entrambi a quel punto. Athar sapeva essere davvero pericolosa quando voleva.
"Sicuro di star bene?"
"Sì. Preferisco concentrarmi su cose positive".
"Tipo?" Mi ha chiesto, curioso.
"Ieri ho fatto di nuovo quel sogno". Ho iniziato.
Era un sogno che mi aveva visitato spesso in quegli anni, anche se ora tornava a tormentarmi quasi ogni notte.
Vedevo una valle stagliarsi sotto si me. Una valle qualsiasi, come ce ne sono tante in Inghilterra o in tutto il mondo. Verde a perdita d'occhi, puntellato qua e là da fiori selvatici.
Io lo sorvolavo sospinto dal vento che gonfiava forte le mie ali di falco. Ero in pace.
D'un tratto scorgevo tra tutto quel verde, un fiore...
No, non un fiore come gli altri ma un'orchidea rarissima che sbocciava lenta solo per i miei occhi. Non avevo mai visto niente di più bello.
Poi, d'un tratto, questo bellissimo sogno lasciava il posto al più orrendo degli incubi.
Di colpo, il cielo si copriva di nuvole oscure, malefiche, con lampi e tuoni sinistri.
La Bestia dagli occhi rossi compariva dal nulla, portata dal buio, pronta a distruggere la mia bella orchidea. Non potevo fare nulla per fermarla. Solo assistere impotente.
Mi svegliavo puntualmente madido di sudore.
"Cosa pensi che voglia dire?"
Non ho risposto, non lo sapevo. Potevo solo lasciarmi cullare dalla dolcezza di quel vento, cercando di scacciare tutte quelle insicurezze.
"Hey, Hunter..."
Un lieve russare è giunto alle mie orecchie. Il fratellino si era addormentato.
Mi sono alzato, coprendolo con una coperta, e soffermandomi ad osservare il paesaggio che mi circondava.
All'alba avrei lasciato quelle terre verso una nuova meta.
Ho estratto da una tasca del pantalone del mio pigiama la runa di Nyall.
Eolh.
Chissà dove mi avrebbe condotto questo mio viaggio.
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In principio, avrei voluto con questo capitolo già parlare del loro arrivo a Widow's Vale ma, non so, scrivendo mi è uscita tutt'altra cosa. Un piccolo sguardo sul rapporto tra i due ragazzi, stavolta dal punto di vista di Cal.
Un'ottima occasione per disseminare indizi sui ciò che sta per arrivare

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Capitolo 5
*** Samhain, 1992 ***


Samhain, 1992
Non sono più riuscito a dormire la scorsa notte.
E come avrei potuto?
Ho un altro fratello... un altro fratello.
Un fratello che non avevo mai visto prima e di cui ignoravo l'esistenza.
Mi sembra un incubo. Un incubo da cui non riesco a svegliarmi.
Zia Shelagh ha detto che il suo nome è Calhoun. Un nome gaelico, come il mio. Un nome che vuol dire "guerriero".
Non so più cosa pensare.
Fuori continua a piovere senza sosta. Il cielo è d’un grigio intenso… plumbeo.
La volta celeste sembra essere stata privata da una mano ignota di tutto il suo colore.
È quasi surreale. Un grigio spento che rispecchia in pieno ciò che sento nel mio cuore. È tutto così strano, assurdo.
Se penso al giorno appena trascorso, mi sembra di non star vivendo la mia vita ma quella di un’altra persona. Tutto ha perso ogni familiarità.
Subito dopo la rivelazione di zio Beck, sono stato rimandato a letto senza troppi convenevoli nonostante le mie proteste. Volevo una spiegazione, subito, ma zia Shelagh ha preferito rimandare a quando saremmo stati tutti meno scossi. Un’ora così tarda non era di certo il momento giusto per quel genere di conversazione… e poi lei doveva pensare a Calhoun.
Athar mi ha seguito, lanciando un ultimo sguardo carico di sospetto a quel bimbo così schivo. Ha iniziato a pormi domande assurde a raffica. Come potevo risponderle se nemmeno io capivo cosa stesse accadendo?
Ho trascorso il resto della notte a fissare il vecchio orologio a pendolo. Il tempo è volato in un battito di ciglia. Continuavo a fissare quel maledetto orologio con la penna stretta nel pugno. Persino scrivere i miei pensieri era impossibile.
Senza che me ne accorgessi è giunta l’alba. L’avevo attesa con ansia. Avevo così tanto da chiedere. Presto, Linden ed Alwyn sarebbero scesi per la colazione. Saremmo stati tutti insieme.
Questo mi rincuorava un pochino.
Quel bambino era davvero mio fratello?
Come avevano fatto i miei a tenercelo nascosto?
Ma il pensiero che più mi faceva male era che non riuscivo a prevedere la reazione dei miei due fratelli minori. Non avrei permesso a nessuno di farli soffrire. Avevano già sofferto abbastanza.
Zio Beck e zia Shelagh, però, non erano ancora tornati nonostante il sole fosse finalmente sorto.
Subito dopo l'arrivo di Calhoun, o Cal come il Cacciatore aveva continuato a chiamarlo, gli zii erano usciti insieme a quello strano personaggio, incuranti la tempesta.
Devo ammetterlo: mi sono sentito quasi sollevato. Quell’uomo non mi piaceva.
Gli zii mi avevano detto di dover parlare ai capi della Congrega. Un incontro speciale per tentare di salvare la festa di oggi, ma era una scusa troppo assurda perché ci potessi credere.
Il viso dello zio era tirato, strano, contorto in un’espressione che non gli avevo mai visto. Un misto di tristezza e dolore e qualcosa che non sono riuscito a capire. Forse, repulsione? Rancore?
Una sola cosa mi era chiara. Tutto quel trambusto era per lui... per Cal.
Per mio fratello.
Non appena il pesante orologio antico ha scandito le sei, sono sgattaiolato fuori dalla mia stanza verso la piccola biblioteca adiacente alla cucina che lo zio usava come studio per i suoi incontri con gli altri membri della Congrega.
Cal era lì, proprio dove la zia lo aveva lasciato. Rannicchiato vicino al fuoco, avvolto in una pesante coperta ricamata. Potevo vedere le lunghe maniche della camicia dello zio essere state risvoltate più volte per non impedire a delle piccole mani ghiacciate di tenere una fumante tazza di tisana.
Non so per quanto tempo sono rimasto a fissarlo sull’uscio.
Cal mi ha scrutato di rimando, inclinando leggermente la testa.
Mi stava invitando ad avvicinarmi.
Sono entrato in punta di piedi, circospetto.
Cal non ha detto nulla. Si è limitato a bere un piccolo sorso della sua tisana per poi tornare a rannicchiarsi nella coperta.
Fissava il liquido in quella tazza con una concentrazione quasi inumana.
Mi sono seduto sul vecchio poggiapiedi dello zio, proprio di fronte a lui.
Siamo rimasti così.
Eravamo due bambole immobili, in attesa delle mani del burattinaio per proseguire la loro recita.
Di colpo, ho sentito un brivido scendermi lungo la schiena, i corti capelli sul collo drizzarsi di colpo. Il suo sguardo, così intenso e inquietante, era ora fisso su di me.
Mi sono sempre definito un tipo coraggioso, soprattutto dalla scomparsa dei miei genitori, ma questo nostro silenzio mi metteva i brividi. Era… era innaturale! I bambini non sono fatti per restare in silenzio.
Da quando era arrivato, Cal non aveva proferito una sola sillaba. Era rimasto barricato dietro quel suo mutismo più totale, dandomi l’impressione di volere studiarmi. Quasi… quasi come se…
No, non solo un sospetto il mio.
Cal non si fidava di noi.
Quando la zia gli aveva chiesto qualcosa, offrendogli un po’ di latte caldo e asciugandogli i capelli, lui si era limitato a rispondere solo con dei cenni del capo. Per il resto il nulla.
Non potevo ancora crederci. Mio fratello… mio fratello.
Fisicamente non ci somigliamo per niente. È difficile pensare che siamo davvero fratelli.
Lui, con i capelli scuri e la sua pelle abbronzata; io, biondo e dalla carnagione nivea.
Gli occhi poi... gli occhi di tigre che avevo visto nella mia visione.
L’acqua non mi aveva mentito. Quel bambino esisteva, era reale, ed ora si trovava a poco più di un metro da me.
Un bambino della mia stessa età.
Questo mi lasciava perplesso. Com'era possibile? Sapevo che ci volevano dei mesi per avere un bambino, lo zio Beck mi aveva spiegato tutto quando la zia aveva dovuto aiutare una donna della Congrega a partorire. Me ne sarei accorto!
Non avevo molti ricordi della nascita di Linden, ma ricordavo perfettamente la mamma andare in giro con un gran pancione prima della nascita di Alwyn.
Quindi, da dove era venuto Cal?
Se fossimo stati davvero fratelli, com’era possibile essere così diversi?
Anche se io e mia sorella abbiamo capelli ed occhi di un diverso colore, i nostri tratti sono quasi identici. Chi era davvero quel bambino che sembrava aver tanto timore di me?
Però… uno strano pensiero si è fatto strada da un angolo remoto della mia mente. Un pensiero che non mi lasciava tregua. Continuava a sussurrarmi di cercare ancora, di ricordare. Ma cosa?
D’un tratto, un’immagine di me più piccolo s’è affacciata prepotente tra quel groviglio di domande.
Una volta tanto tempo fa, avrò avuto sì e no sei anni, avevo sorpreso i miei genitori discutere nel cuore della notte e mio padre ripetere spesso un nome che non avevo mai sentito prima: Selene. Non ricordo molto di quella conversazione, ero semplicemente sceso in cucina per prendere un bicchier d'acqua, però ricordo papà affermare che quella Selene era stata sua moglie.
Forse, stavano insieme prima che lui avesse conosciuto la mamma?
Dopo quell’occasione non ci avevo più pensato, troppo intontito dal sonno per avere piena coscienza di quei fatti. Ma ora?
Cal era figlio di quella donna? Di quella Selene? Com’era possibile, giacché potevamo avere la stessa età?
Perché papà non ci aveva mai parlato di lui? Ah, quante domande. Mi sta venendo proprio un bel mal di testa.
L’ombra di una donna sconosciuta gravava su di noi ma cercavo di non pensarci.
Dovevo pensare ai miei fratelli.
Dovevo proteggerli da nuove sofferenze.
Sofferenze tangibili, reali. Reali come il dolore che vedevo negli occhi di Cal.
Ore prima, quando la zia Shelagh aveva portato Cal in biblioteca a cambiarsi allestendo un giaciglio di fortuna per farlo riposare, ho notato una benda bianca avvolta stretta intorno al suo fianco, fragile ed emaciato. Quasi come il fianco di uno che non mangia da molti, moltissimi giorni.
Cal, appena si è reso conto della mia presenza, ha subito afferrato il lembo della maglia che la zia gli stava togliendo e l’ha ribassato di colpo.
I suoi occhi erano spaventati. No, spaventati sarebbe stato poco. A dir poco, terrorizzati.
Chissà cosa gli è successo? Com’è rimasto ferito? Un incidente? Era stato quello a causargli il grande dolore che avevo visto nella mia visione?
Avrei voluto porgli tutte queste domande ma lui continuava a tacere.
Quel suo ostinato silenzio mi colpiva molto. Era snervante ma al tempo stesso mi turbava. Volevo delle risposte ma nel frattempo avevo paura di chiedere, di sentirmi dire che i miei erano morti e che non sarebbero più tornati.
Cal continuava a tenere le ginocchia strette intorno al petto e a fissarmi con quel suo viso senza espressione.
Niente. Non un cenno del capo, non uno sbadiglio. Sembrava non riuscire nemmeno a sbattere le ciglia. Immobile… freddo… impassibile…
Inumano.
Qualunque cosa stesse pensando, il suo viso non tradiva niente. Non pareva nemmeno vivo.
Un fantoccio… una delle bambole di Alwyn.
Che strano bambino. Non avevo mai incontrato nessuno così. Tutti ragazzini che conosco, quelli di questa congrega, non riescono a stare fermi un istante. Per loro restare immobili è una sorta di punizione.
Ma per Cal, no.
DONG DONG DONG
Otto rintocchi del vecchio orologio.
Solo in quel momento mi sono accorto che era ufficialmente il giorno di Samhain, il capodanno delle streghe. Una delle nostre feste più importanti. Peccato che il temporale avesse rovinato tutto. Ci eravamo impegnati tanto nei preparativi!
Tuttavia, devo dire che questa ricorrenza non è stata di certo senza sorprese.
Cal continuava a fissarmi.
Finalmente, ho deciso di farmi coraggio e provare a parlargli. Non sopportavo più quel silenzio.
Mi sono avvicinato a lui e gli ho chiesto se sapesse chi ero.
Lui nulla.
Sembrava perso in un mondo tutto suo, come se non fosse nemmeno cosciente della mia presenza. Continuava a fissarmi, come se nascondessi chissà quale mistero.
Anche se lì, era lui il vero mistero.
Ho provato a porgli altre domande; quanti anni avesse, se fossimo davvero fratelli, se sapesse cosa fosse successo ai miei genitori ma lui niente. Continuava a rimanere rannicchiato lì, su quella poltrona, respirando a malapena.
Irreale.
Avrei voluto dirgli altro, scuoterlo, ma le voci di Linden e Alwyn me lo hanno impedito.
Si sono catapultati al piano inferiore, battibeccando su qualcosa che non riuscivo ad afferrare. O, più precisamente, Linden si stava prendendo gioco di nostra sorella ancora una volta.
Un borbottio assonnato e strani mugugni. Anche Athar si era svegliata.
Linden ed Alwyn hanno spalancato la porta della biblioteca, la via più rapida per la cucina, continuando con i loro screzi fino a quando si sono accorti di Cal.
"Hey, chi è lo strano tipo?". Ha detto mio fratello nel suo solito tono sfacciato.
"Lui… lui è Cal". Ho mormorato, titubante.
BUM
Una porta che sbatte, proprio come la notte scorsa.
La voce dei miei zii e di quello strano uomo. Erano tornati.
Zia Shelagh ci ha sorriso un istante, prendendo Cal da parte per dargli alcuni miei vecchi vestiti da indossare. Gli ha indicato un piccolo bagno in cui ripulirsi per poi sparire nel tinello a preparare la colazione.
Lo zio Beck insieme al Cacciatore, che in seguito ho saputo chiamarsi Sean O’Hara, ci ha ordinato di lavarci viso e mani ed accomodarci a tavola senza aggiungere altro.
Dopo mangiato, avremmo dovuto parlare di cose molto importanti, ha detto. Noi abbiamo semplicemente annuito.
Linden si è seduto alla destra di Athar, lanciando occhiate strane e quasi canzonatorie a Cal. Già Cal…
Avete mai sentito l’espressione "amore a prima vista"?
Credo di non riuscire a spiegare meglio gli sguardi di pura gioia che mia sorella e quel mio nuovo, silenzioso fratello hanno iniziato a scambiarsi durante la colazione.
Alwyn lo ha letteralmente subissando di domande e, anche se lui non ha mai risposto con parole vere, lei sembrava capire in pieno cosa gli impercettibili mutamenti del volto di Cal volevano significare.
Pazzesco! Io avevo trascorso ore senza ricavare un ragno dal buco e a lei bastavano due sorrisi per tirare le somme di quello strano rompicapo.
Assurdo!
Senza aspettare nessuno, Alwyn ha preso la mano di Cal e lo ha fatto accomodare accanto a sé, ignorandoci completamente. Gli parlava della sua bambola Lucy che faceva i capricci e non voleva mangiare la purea di patate.
Cal, d’un tratto, ha inclinato leggermente il capo e lei, fermandosi a pensare per un istante, ha annuito, affermando che aveva ragione. Se proprio a Lucy non piaceva la purea di patate, doveva provare con la farina d’avena. Buona idea.
Ma quando gliel’aveva detto?
Non potevo crederci. Cal… Cal stava sorridendo. Un sorriso pieno di gioia. Per Alwyn.
Il cucchiaio mi è caduto dalle mani per la sorpresa… ma come aveva fatto, Alwyn?
Non ero il solo ad esserne sorpreso. Anche gli zii e il Cacciatore lo erano.
Con la coda dell’occhio, ho notato quell’uomo annuire piano, come se avesse intuito una grande verità.
Fiona, ha mormorato, osservando quella scena.
Fiona… mia madre.
Il resto della colazione è stato scandito dalla voce argentina di Alwyn, dalle sue storie e dai suoi racconti.
Lo sguardo dello zio non ha mai abbandonato Cal, in nessun caso, e spesso mi è parso che lui ricambiasse quell’atteggiamento ostile attraverso i suoi occhi inquietanti. Gli occhi di chi è dovuto crescere troppo in fretta.
Lo zio è sempre stato una persona severa, dura, ma mai astioso. Non sono ancora riuscito a capire perché facesse così.
Altre domande, altri misteri. Non vedevo l’ora di ricevere le risposte a cui tanto anelavo.
Finito di mangiare, i due uomini sono spariti nello studio dello zio, chiudendo la porta di legno a doppia mandata per evitare che qualcuno di noi bambini decidesse si sbirciare ancora una volta. Zia Shelagh ha preso a lavare i piatti, canticchiando tra sé.
Io e gli altri abbiamo riposto le stoviglie sporche nell’acquaio, ognuno pronto a fare la sua parte delle nostre faccende domestiche.
CRASH
Il rumore di qualcosa che si rompeva.
"Ahi". Alwyn!
Mi sono voltato verso i miei fratelli e ho visto Alwyn china al suolo intenta a succhiarsi un dito.
"Sempre la solita!".
"Linden!" Gli ha urlato Athar.
In un batter d’occhio, Cal si è chinato accanto a mia sorella, asciugandole le lacrime e facendole una benda di fortuna con un fazzolettino ricamato che la zia gli aveva dato.
La scollatura del maglione che aveva indosso gli lasciava scoperto il collo. Quei miei abiti erano troppo larghi per lui. Bisognava comprarne altri.
Piano, piano ho visto gli occhi di Linden spalancarsi sempre di più, le sue labbra incresparsi in una muta espressione d’orrore.
"WOODBANE! WOODBANE!". Ha iniziato a gridare.
Woodbane…
Cal ha lasciato subito la mano di Alwyn e si è rannicchiato, immobile al suolo. Con una mano si è coperto un lato del collo e ha posato il suo sguardo dorato su di me.
Era come… era come se mi stesse implorando… implorando di non fargli del male. Come se si aspettasse qualcosa da me. Qualcosa che non riuscivo a capire.
Linden ha afferrato il braccio di Alwyn, scostandola da lui bruscamente mentre Athar si è parata al suo fianco.
Mia sorella ha preso ad urlare, piangere, implorando Linden di lasciarla andare, che le stava facendo male ma io rimanevo lì, immobile come una statua.
Alle lacrime di Alwyn, non so, ma qualcosa è scattato dentro Cal. I suoi occhi si sono accesi minacciosamente ed un istante dopo Linden era a terra mentre Alwyn singhiozzava piano tra le sue braccia.
"Sto bene, ora, Cal. Tranquillo". Gli sorrideva gentile, mia… nostra sorella e subito lo strano bagliore nello sguardo di quel bambino-tigre è cessato completamente.
Linden si è alzato pronto ad un nuovo attacco ma la zia gli ha urlato di smetterla e di andare tutti nello studio dello zio. Lui ha guardato me ed Alwyn con un sentimento molto simile al disprezzo e se n’è andato in silenzio.
Prima di sparire gli ho sentito mormorare una cosa: schifoso Woodbane.
Lo abbiamo seguito senza dir nulla.
Anche noi siamo Woodbane… o, almeno lo siamo per metà.
Nostro padre è un Woodbane puro mentre nostra madre è una Wyndekell. Questo ci rende degli ibridi, cosa non inusuale di questi giorni.
Oramai sono in pochi ad appartenere ad uno dei Sette Grandi Clan. La maggior parte delle streghe ereditarie sono ibridi oppure non sanno o non vogliono rivelare la verità sul loro Clan di appartenenza.
È una cosa privata. Una cosa che si può rivelare solo a chi ci si fida davvero.
Soprattutto se sei un Woodbane.
 Un Woodbane, un Oscuro, uno che per molta gente è considerato la feccia della Wicca.
Ci siamo accomodati nello studio dello zio. Il camino era stato già acceso nell’attesa del nostro arrivo ed il Cacciatore ora si scaldava le mani vicino ad esso.
Zio Beck ha continuato ad osservarci severo, crucciato. Sono sicuro che si fosse accorto del trambusto che avevamo scatenato prima.
Ci ha fatto accomodare sul piccolo divano di tessuto verde. Me, Athar, Alwyn e Cal. Linden ha preferito restare in piedi. Il suo disprezzo verso Cal non era diminuito per nulla.
Poi è sopraggiunta anche la zia. Finalmente, potevo sapere cosa stava succedendo.
Zio Beck ha tratto un profondo sospiro e si è passato una mano sul viso stanco. Zia Shelagh gli si è avvicinata serena e gli ha poggiato una mano su di una spalla. Sembrava quasi che stessero tenendo un discorso tutto loro solo con gli occhi.
"Cal…".  Un attimo di pausa mentre sentivo il cuore riuscire a martellarmi fin dentro la gola. "Cal è davvero vostro fratello… o meglio, il vostro fratellastro".
"Com’è possibile?". Ha chiesto Athar, interrompendolo bruscamente. Avrei voluto farlo io ma la mia bocca non riusciva ad articolare le parole. Era impastata, serrata.
"Daniel… Daniel prima di conoscere Fiona era sposato con un’altra donna. E questa donna è la madre di Cal".
Altro attimo di pausa. Le parole che uscivano dalla bocca dello zio erano pesate, misurate. Quasi controllate. Come se lo zio si stesse sforzando di tacere qualcosa per un motivo a me sconosciuto. Come se avesse voluto trovarsi a mille miglia da quella situazione.
"Mamma e papà stanno bene? Perché non tornano?". Nuove lacrime hanno minacciato di segnare il viso di Alwyn ma Cal le ha stretto una mano e lei ha ridacchiato un pochino, la sua tristezza dimenticata ancora una volta.
"Delle persone cattive vogliono fare loro del male e per il momento non possono tornare, piccolina". Ha continuato la zia.
Quali persone?
"Perché il Woodbane deve restare qui? Non c’è l’ha una casa?".
Linden…
Non capivo… non capivo il perché di tutto quel risentimento. Linden è sempre stato un tipo da prendere con le molle ma questo era davvero troppo.
Ho visto zia Shelagh stringere ancora di più la sua presa sulla spalla dello zio. Stava tremando.
"La madre di Calhoun è morta". Il Cacciatore ha preso la parola per la prima volta. Era chino sul fuoco, le braccia tese e poggiate sulla pietra sopra il camino. "Le stesse persone che vogliono fare del male ai vostri genitori, l’hanno uccisa e avrebbero fatto lo stesso con Daniel e Fiona se Cal non li avesse aiutati. Se i vostri genitori sono ancora vivi, lo dovete soltanto a lui".
Tutti noi ci siamo voltati verso Cal ma lui è rimasto impassibile. Alwyn si è fiondata tra le sue braccia, ringraziandolo. Lui l’ha lasciata fare.
Il Cacciatore si è girato, il suo aspetto ancora più minaccioso.
"Doveva essere affibbiato proprio a noi?" Linden…
Sean O’Hara lo ha fissato a lungo e mi è parso quasi che mio fratello si sia fatto piccolo piccolo sotto quella muta accusa. "Calhoun non ha nessun altro. Voi siete i suoi parenti più prossimi. Fiona mi ha fatto giurare di portarlo da voi sano e salvo e di chiedervi di avere cura di lui".
"Io non lo voglio qui!".  Ha continuato Linden. "Non è uno di noi. È un Woodbane! Noi non abbiamo bisogno di un altro fratello… ma di nostra madre e nostro padre! Chi cavolo lo vuole lui!".
 Con un dito ha indicato Cal ancora stretto nell’abbraccio di Alwyn. "Non è niente per me!"
"Sbaglio o anche tu sei un Woodbane per metà?".  Il Cacciatore ha inarcato un sopracciglio, scettico.
Per la prima volta potevo vedere l’ombra delle lacrime minacciare di scendere sul viso di Linden. Tutta quella sua rabbia, quella sua furia. Gli mancavano mamma e papà, solo ora lo capivo. Anch’io avrei voluto riaverli qui con me.
Linden se n’è andato via stizzito, sbattendo con forza la porta. Athar si è alzata per seguirlo, non prima di avermi lanciato un’ occhiataccia. Ha chinato il suo viso vicino al mio, le sue parole cariche di furia.
"Non scordarti chi è il tuo vero fratello. Quello con cui sei cresciuto". Ha sibilato, lasciandomi senza fiato.
Zio Beck ha scosso la testa mentre la zia tratteneva a stento i singhiozzi.
L’aria si era fatta molto pesante. Era elettrizzata, magnetica, carica di una tensione mal repressa.
Alwyn ha preso Cal per mano e lo ha trascinato fuori, incurante se quella riunione di famiglia fosse finita o no. Anche lei doveva averlo percepito. Io avrei voluto fare lo stesso.
"Giomanach". Ha detto il fratello di mia madre, richiamando la mia attenzione. "D’ora in poi, il tuo compito sarà più duro. Dovrai tenere sempre d’occhio Calhoun. So che siete fratelli e so che sei confuso. Ma gli altri membri della Congrega non saranno così ben disposti nei suoi confronti come lo siamo noi. Ciò che Linden ha detto è vero: lui è un Woodbane puro. Non dovrai mai dimenticarlo".
Non sapevo cosa rispondere a quelle parole. Dentro di me c’era e c’è ancora solo il caos.
"Mia madre mi ha chiesto di avere cura di lui. Ed è quello che ho intenzione di fare, zio Beck. Nulla di più, nulla di meno".
Per la prima volta, lo zio ha accennato un’ombra di sorriso. "Sei un bravo ragazzo, Giomanach".
Senza aggiungere altro, sono salito in camera mia. Le cose di Alwyn erano già state spostate nella stanza di Athar e i pochi effetti di Cal sistemati qua e là. Di Linden non c’era traccia.
Il resto della giornata è trascorsa placida. Una bolla confusa in cui tentavo di stare a galla.
Cal…
Linden…
Non ci capisco più niente!
Volevo parlare con Linden, spiegarmi, ma lui è come scomparso. Forse, ho continuato a pensare, se gli avessi fatto sbollire prima la rabbia, dopo sarebbe stato più incline a parlare senza ricorrere alle maniere forti. Forse…
Una risata argentina mi colpisce, fermando questa mia mano ormai stanca. Un lieve bagliore, riflesso nel vetro della finestra. Una piccola torcia.
Due figure chine su d’un libro di favole... una folta chioma rossa ed una castana.
Anche restando fermo qui, chino alla scrivania, posso scorgere nel riverbero sul vetro qualcosa...
Un cattivo auspicio o un inizio?
Alwyn che racconta una vecchia favola a questo nostro nuovo fratello.
A lei è piaciuto da subito.
Linden, invece, lo detesta spalleggiato da Athar.
Cosa devo fare? Perché mia madre mi ha fatto carico di quest'altro pesante fardello?
Cosa ha in mente per me, la Dea?
Non lo so e questo mi fa paura.
Giomanach
 
 
Vorrei ringraziare tutte le persone del mitico forum di SWEEP che mi hanno aiutato con i loro consigli, i loro incoraggiamenti e soprattutto tante notizie sue questa meravigliosa serie. Senza di voi non ce l’avrei mai fatta.
Un altro ringraziamento va a Mela_Avvelenata, Seferdi, kira988, SasuNaru83, _Dana_, che hanno recensito questa storia e l’hanno posta tra le loro preferite. Perdonatemi se non riesco ad aggiornare con molta frequenza e spero che questo capitolo sia di vostro gradimento!
Seferdi, la tua recensione è stata lunghissima e vorrei rispondere alle domande che mi hai posto (se volete spoiler sulla storia, sono a vostra disposizione!). Lo so che questo Cal è più chiuso e, come tu hai dedotto, anch’io ho pensato che molto del suo atteggiamento fosse dovuto alla magia oscura. Qui, però, il nostro boy adorato viene da un’esperienza traumatica (insomma "lei" ha tentato di disfarsi di lui, neanche suo padre lo voleva con sé e, come avrai letto, il primo impatto con la sua nuova famiglia non è di certo stato dei migliori) e mi è sembrato giusto che fosse molto sospettoso verso le altre persone.
Lui è Hunter sono molto uniti e Cal pone la sicurezza, ma soprattutto la felicità, di suo fratello sopra ogni altra cosa. Ora che incontreranno Morgan (nello stesso giorno, ma in due situazioni diverse) ne vedremo delle belle. Sarà più forte il sangue che li lega o l’amore verso quella che entrambi considerano la loro muirn beata dan?

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