Ovunque.

di Adrienne
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 (+ Prologo) ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 & 10 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 24 (+ Epilogo) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 (+ Prologo) ***


Ovunque

Ovunque.

E’ buio oramai
Non mi frega se piangi o no
Io come te
Confusione
Non mi sento più bene da un po’
Quello che fai non mi basta mai.
Ovunque sei
Ovunque sei, ci sei
Ovunque sei
Ovunque
Mi spazzi via
E mi vedo volare lontano
Che male fa,
Rivedermi in me?
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque
E’ buio ormai
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque


Verdena   Ovunque
.



Prologo.

Mi guardò. Mi guardò, dritto negli occhi. Non riuscii a decifrare il suo sguardo. Non seppi cosa voleva farmi capire. Vedevo solo quei due occhi fissarmi, così intensamente. Si avvicinò a me, con lentezza. Io d'istinto feci un passo indietro, spaventata, quasi.
"Hai paura?" mi chiese, serissimo.
Annuii, senza volerlo, con un groppo in gola.
"Dai, ci conosciamo da sempre.."
Rimase a fissarmi, e mi si avvicinò ancora, finché mi fu davanti. Era decisamente più alto di me.
"Ti chiedo solo di fidarti di me."
Arretrai ancora, mentre lui allungava una mano verso il mio viso.
"Adrienne.. ti prego." mi implorò.

Capitolo 1.

Il suono della sveglia ruppe il silenzio in cui era immersa la casa. Mi svegliai, e grugnii, dando una botta alla sveglia sul comodino, senza troppi complimenti. Quella, come se avesse capito il messaggio, si spense di botto. Il tepore che c'era sotto le coperte era piacevole: mi dava un senso di assoluta pace e sicurezza. Non volevo abbandonarlo.
Ma, pensai tristemente, avevo i miei doveri da studentessa liceale, il che comprendeva alzarsi e andare a scuola. In fondo, dovevo fare ancora tante cose: fare colazione, la doccia, vestirmi, dare una rapida ripassatina a latino. Il solo pensiero già mi fece sentire male.
Di malavoglia, mi alzai, buttando il lenzuolo e il piumone di lato. Decisamente non era la mia giornata. Senza rifletterci, mi avviai automaticamente allo specchio, accanto all'armadio. Lo specchio era di legno scuro, lungo e ovale. Lo adoravo: era semplice, come me. Ma non sempre mi portava belle notizie. Avevo sicuramente dei begli occhi. Verdi, nocciola intorno all'iride. Per il resto.. be’. Niente era come volevo, e niente mi sembrava al posto giusto. Mi fissai. I capelli arruffati, gli occhi ancora gonfi di sonno. Perché volevo farmi del male da sola? Così rinunciai, e smisi di analizzarmi: del resto, il mio aspetto non sarebbe cambiato in una sola notte. Sentii dei rumori al piano di sotto: mia madre stava già preparando la colazione. Io fuggii in bagno, per una doccia veloce. Volevo evitare il turno del dopo-colazione. Dopo dieci minuti abbondanti, uscii. Ritornai in camera e indossai i soliti jeans e una felpa scura. Scesi rapidamente di sotto, anche se la casa era praticamente deserta. Vivevo con i miei genitori e con mio fratello, due anni più grande di me. Era un idiota, e certe volte proprio non lo sopportavo. Avevo sicuramente un quoziente intellettivo più alto di lui. Entrai in cucina. Dopo il salotto, la cucina era la stanza più grande della casa. Era larga, spaziosa e luminosa: i raggi di sole neonati filtravano attraverso le tende, facendo dei buffi disegni sul pavimento. Mia madre aveva apparecchiato la tavola, ed era in piedi vicino al fornello, aspettando che il caffè fosse pronto.
C'era un aroma piacevole: un miscuglio tra biscotti, latte e caffè. Mi sedetti al mio posto, alzando le braccia in alto, stiracchiandomi. "Buongiorno, mà." esclamai, e quest'ultima sobbalzò.
"Non ti avevo sentita arrivare, tesoro. Buongiorno anche a te." rispose lei, con un sorriso gentile. Mentre afferravo un biscotto con voracità, mio fratello entrò nella stanza. La notte sicuramente non gli faceva bene. I lunghi capelli neri erano sparati da tutte le parti, aveva delle occhiaie e sbadigliava, aprendo così tanto le sue fauci che quasi riuscivo a vedergli le tonsille. Mi chiedevo se in effetti la notte dormisse; ma del resto lui era un vero dormiglione, io no. Mi fissò per qualche minuto. Forse non mi aveva ancora riconosciuta, pensai. All'improvviso il suo sguardo s'illuminò.
"Ah, sei tu." farfugliò, la voce impastata di sonno. Ecco, non mi sbagliavo. Si trascinò fino alla sedia, facendo uno sforzo enorme, per poi accasciarsi su di essa. Io scossi la testa, rassegnata, mentre mia madre mi serviva una tazza di caffellatte fumante. Non avevo molta fame, e dovevo arrivare a scuola presto. Presi la scatola dei cereali e me ne versai un po’ nella tazza, appena un po’ di più della metà. Mio fratello e mia madre facevano colazione in silenzio, come sempre. E mio padre? Chi lo sa. Non avevo mai avuto una famiglia normale. Spesso, mio padre era assente per dei giorni. Per lavoro, diceva. Era il rappresentate di un'importante ditta di computer, e altre robe elettroniche. Ma io, io sapevo che non era così. Scossi nuovamente la testa, cercando di allontanare i cattivi pensieri. Mandai giù l'ultima cucchiaiata di cereali, e poi misi la tazza dentro il lavello.
"Be’, io vado di sopra e poi esco. Ci vediamo per pranzo." Dissi a mia madre, chinandomi su di lei per darle un bacio sulla guancia. Lei sorrise. Mio fratello non si sforzò di salutarmi, e io feci lo stesso. Ritornai velocemente di sopra. Mi lavai i denti, infilai le scarpe di ginnastica e una giacca, presi lo zaino e poi uscii, nell'aria fresca del mattino che mi pungeva la faccia. La giornata si rivelava tutt'altro che rosea, per me.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Capitolo 2.

Alle otto in punto, arrivai davanti la scuola. Andavo ogni mattina a scuola a piedi, oppure prendevo l'autobus. La mia scuola non era tanto lontana da casa mia, e fare due passi la mattina era piacevole. Mio fratello frequentava il mio stesso liceo; ma di solito arrivava a scuola molto tardi. Il cortile della scuola era già gremito di ragazzi che aspettavano la campanella. Mi guardai attorno, cercando qualche faccia familiare, ma era fatica sprecata. I ragazzi chiacchieravano allegri: altri, magari destinati ad un'interrogazione, esibivano facce spaventate, e ripassavano con il libro in mano, girando febbrilmente le pagine. Io ero un'ottima studentessa: ma avevo un metodo di studio decisamente strano, poiché stavo attenta in classe, ma a casa  non facevo quasi niente. Ma possedevo un'ottima memoria fotografica, e mi bastava leggere qualcosa solo una volta, e memorizzavo tutto con facilità. Mia madre diceva che ero una ragazza che sarebbe andata lontano. Mi sedetti sopra il muretto, incrociando le gambe, e posando lo zaino accanto a me. Mi aggiustai i capelli, sbuffando. Tutti quei ragazzi sembravano mille miglia lontani da me. Io ero diversa da tutti gli altri, ero invisibile. Sì, era come se non ci fossi. A nessuno importava se stessi bene, se fossi felice, oppure se non lo fossi, solo perché ero diversa. Ero diversa, e la diversità, al giorno d'oggi, era un male.
"Ehilà." qualcuno mi chiamò, con una voce bassa. Mi voltai, e d'istinto sorrisi.
Un ragazzo alto, magro, con dei lunghi capelli neri e degli occhi nocciola, era accanto a me. Portava dei jeans sformati, una felpa nera, e vecchie e consumate scarpe da ginnastica.
"Ciao." ricambiai, guardandolo. Lui si avvicinò, e prese posto accanto a me, facendo penzolare le gambe lungo il muretto.
"Come va?" mi chiese, sorridendomi.
Mi piaceva quando sorrideva: era come se tutto il suo corpo gioisse con lui. Gli si illuminavano gli occhi, e gli spuntava una fossetta appena sotto il mento.
"Si sopravvive. E tu?"
Fece spallucce, e lasciò andare lo zaino accanto al mio. Distolse lo sguardo, poi cominciò a frugare nelle tasche dei jeans, e ne uscì un pacchetto di sigarette, e un accendino. Ne prese una e se la mise in bocca, poi l'accese riparandola con una mano. Cominciò a fumare, tenendo la sigaretta tra l'indice e il medio. Poi mi guardò.
"Pensavo avessi smesso." dissi con voce atona, guardandolo con severità, la fronte corrugata. Il mio sguardo diceva tutto. Lui guardò davanti a sé, mentre inspirava dalla sigaretta. "Non ci riesco."
"Be’, dovresti. Ogni sigaretta che fumi è un giorno in meno della tua vita."
Fece di nuovo spallucce. "Allora immagino che morirò presto."
Io sbuffai sonoramente. "Già. E vogliamo parlare del fumo passivo..?"
Lui ridacchiò. "Senti, mi hai già fatto questa ramanzina trilioni di volte; piantala." Buttò la sigaretta quasi finita a terra, e la spense, schiacciandola con un piede.
"Sei un insensibile. E se non fossi il mio migliore amico, ti avrei già scaricato tempo fa." gli dissi, incrociando le braccia al petto, mentre lui tornava finalmente a guardarmi.
Mi fece una smorfia. "Sei sempre così adorabile. Che carattere sensibile, dolce. E adesso, fammi copiare i tuoi compiti."
Lui si chiamava Alessandro. Solo per me era Alex. Non avevo molta fantasia nei soprannomi, questo dovevo ammetterlo. Ci eravamo conosciuti due anni fa, a scuola. Era l'unico amico che avevo. Con lui potevo parlare di tutto -be’, quasi- ed era diverso dalla maggior parte dei quindicenni maschi. Era intelligente, divertente, e conoscevo alcune ragazze che si sarebbero anche vendute l'anima per essere al mio posto. Alex era un ragazzo carino, sì. Aveva come un alone di mistero attorno a sé, ma tutti gli volevano bene. Riusciva a socializzare bene, a differenza di me, e mi stupiva che tra tutte le persone che avrebbe potuto farsi come amico, avesse scelto me. Insomma, era un ragazzo quasi perfetto. Peccato per quella storia del fumo, che non mi piaceva per niente.
Posò i suoi quaderni dentro lo zaino, e mi scompigliò i capelli. "Grazie, sei un angelo."
"Guarda che la prossima volta non ti faccio copiare più niente."
"Tanto so che lo farai."
Mi fece la linguaccia, e io scoppiai a ridere. Quando era rilassato prendeva tutte le cose così come gli venivano, e mi faceva ridere. Mi faceva stare bene.
"Sai una cosa?" mi chiese, sorridendomi.
"Cosa?"
"Dovresti provare a fumare anche tu."
La mia risposta venne coperta dal suono della campanella. Forse era meglio così, perché consigliai ad Alex di fare una cosa molto maleducata, e fisicamente impossibile.

***

Alex prese posto accanto a me. Nascose il pacchetto di sigarette nelle tasca dello zaino, assieme all'accendino.
"Che abbiamo a prima ora?"
Lo fissai. "Dopo tre mesi di scuola, non lo sai ancora?"
Rise, e scosse la testa.
"Latino, per nostra sfortuna." risposi in un tono triste. Alcuni nostri compagni di classe cominciarono ad entrare nell'aula, a sedersi, a chiacchierare, e a confrontare le versioni che la professoressa aveva lasciato per casa. Quando, all'improvviso, la vidi entrare.
Melissa.
Melissa era una nuova arrivata nella nostra classe. Aveva nobili origini inglesi ed era alta, magrissima, con dei lunghissimi capelli biondi, e con degli occhi azzurro cielo. Era terribilmente bella, e come se non bastasse era anche ricca. Spesso partiva per lunghi viaggi oltreoceano, e non indossava niente che non fosse firmato. Una di quelle smorfiose uscita da qualche film americano? Ebbene, no: Melissa era anche simpatica, gentile con tutti e allegra. Io le avevo parlato poche volte, forse perché era talmente perfetta che quasi mi metteva paura. E poi era così diversa da me.
Entrò in classe con una camminata da modella. Oltre allo zaino, portava tra le mani un sacchetto nero, lucido. La scritta Christian Dior esaltava in tutto il suo splendore.
Alex la fissò intensamente.
"Non capisco come possa piacerti." dissi, voltandomi verso di lui. In realtà lo capivo benissimo, non potevo biasimarlo.
"Ma infatti non mi piace."
"Seh, come no."
Lui rise. Ero sempre stata gelosa di Alex, e non mi sforzavo di nasconderlo. Avevo una paura tremenda che qualcuno me lo portasse via. E allora sì, che sarei rimasta sola. E non volevo che succedesse.
Alex mi diede una gomitata nelle costole, che mi risvegliò dai miei pensieri.
"Ma cosa..?" esclamai, voltandomi; e mi accorsi che Melissa era davanti a me.
"Ehm, scusa" mi disse, con una voce angelica. Aveva tra le mani un libro, e i capelli le scendevano morbidi lungo le spalle. "Credo che questo sia tuo. Me l'hai prestato l'altro giorno, e per sbaglio ho creduto che fosse mio e l'ho portato a casa."
Mi porse il libro, e io lo presi. Era il mio libro di scienze. "Grazie mille." dissi, guardandola, e poi guardando Alex con la coda dell'occhio. Lui la fissava.
"Non c'è di che." sorrise, e ritornò al suo posto.
Io appoggiai il libro sul banco, poi guardai Alex.
"Magari vuole fare amicizia."
"Forse."

***

"Perché quella faccia?"
Era l'una, e io correvo spedita verso i cancelli aperti, facendomi spazio tra gli altri ragazzi, che spingevano e sgomitavano. Alex era alle mie calcagna, e cercava di raggiungermi.
"Ehi, fermati!" lo sentii chiamarmi, ma non mi voltai. Finché, inevitabilmente, lui riuscì a raggiungermi e mi prese per il polso sinistro, costringendomi a fermarmi.
"Perché ce l'hai con me?"
Non volevo guardarlo, e non volevo neanche parlargli. Ma il modo in cui mi aveva inseguita per tutta la scuola, in cui aveva corso a perdifiato per le scale e per il cortile, mi faceva sorridere. Forse significava che ci teneva a me. Almeno un po'.
"Senti, preferirei non parlarti. D'accordo?" dissi, irritata, e spingendolo all'indietro, tentando inutilmente di allentare la sua presa sul mio polso. Ma lui era chiaramente più forte di me, e non si mosse di un centimetro, tanto meno mi lasciò andare il braccio. Con la mano libera, mi prese il viso dal mento, costringendomi a guardarlo. Mi fissava dritto negli occhi; e il suo sguardo arrabbiato mi fece rabbrividire. Non si era mai arrabbiato con me, e questo mi provocò una sensazione di paura, di panico.
"E invece tu mi parli, e mi ascolti, chiaro?" domandò, parlandomi con violenza. Eravamo in mezzo alla folla di ragazzi che usciva dalla scuola. Alcuni ci fissavano preoccupati, altri incuriositi. Molta gente, però, ci spingeva di qua e di là. A me mancava l'aria, mi sentivo un groppo in gola, e soprattutto sentivo le guance andarmi letteralmente in fiamme. Non aveva nessun diritto di parlarmi in quella maniera, anche se probabilmente io ero in torto marcio.
"No! E lasciami stare." esclamai, spingendolo con più forza e decisione. Questa volta mi lasciò andare. Mi aveva stretto il polso talmente forte, che mi era diventato rosso, e si era indolenzito. Me lo massaggiai con l'altra mano, sospirando. Ero incandescente di rabbia, e da lì a pochi secondi sarei scoppiata a piangere. E se c'era una cosa che odiavo, era piangere davanti alla gente, specialmente davanti agli sconosciuti. O davanti a lui, il che era ancora peggio: mi faceva sentire in imbarazzo, e totalmente ridicola.
"Sei solo.." iniziò lui, a voce bassa, infilando le mani in tasca e guardandosi i piedi.
Io strinsi gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, per quanto mi era possibile.
"..sei solo una bambina. Ecco, cosa sei." concluse lui, voltando il viso di lato, mentre sospirava profondamente, le mani ancora in tasca.
Una lacrima dispettosa mi rigò la guancia, e morì sul mio mento. Singhiozzai in silenzio, chiudendo gli occhi, e stringendo le mani a pugno. Le strinsi talmente forte che le unghie mi penetrarono nella pelle. Ma cosa si facevo ancora lì? E Alex, lui, il mio migliore amico, mi stava facendo piangere. Forse avrei dovuto odiarlo, ma non potevo. Era più forte di me; non avevo mai pensato male di lui. Lo trovavo sempre perfetto in tutto, qualsiasi cosa facesse, in qualsiasi occasione si trovasse. Persino quando fumava, anche se sapevo che era sbagliato e, soprattutto, che gli faceva maledettamente male. Ma era una sensazione strana: era come se ci fosse un'armonia perfetta tra lui e le cose che faceva. E vedevo quell'armonia perfetta anche tra lui e una sigaretta. Sì, tenevo a lui: forse un po’ troppo. Cadevo nelle illusioni, e sapevo che se anche lui mi definiva sempre la sua migliore amica, non provava quello che provavo io. Quello che provavo io per lui era una cosa a cui non avrei mai potuto rinunciare. Qualcosa che mi faceva sorridere se vedevo il suo nome, la sua calligrafia, una sua foto. Qualcosa che mi faceva avere un disperato bisogno di sentirlo, di sentire la sua voce. La sua voce. Mi rassicurava. E anche la sua voce, per me, sembrava essere in armonia con tutto il resto, con tutte le cose che appartenevano a lui. Io sentivo sempre queste sensazioni, che mi facevano impazzire. Non sapevo che nome dare a tutto questo, ma c'era, ed era davvero grande. Ed io, quando mi affezionavo troppo alle persone, ne diventavo possessiva e gelosa. Ed era per questo, per colpa mia, se mi trovavo lì in lacrime davanti a lui. Ed era per questo, che lui mi aveva chiamato 'bambina'. Sa che detesto essere chiamata così, eppure l'ha fatto. Io sentivo che se lui mi avesse abbandonata, sarei morta soffocata.
"Adri.." chiamò lui, ancora davanti a me. Aveva un tono di voce più dolce, più mansueto. Ma questo non servì a calmarmi, per niente. Piansi, più forte, quasi disperatamente. Lui rimase a qualche passo da me, scrutandomi, mentre piangevo. C'era una forza misteriosa che mi impediva di andarmene via, come se i miei piedi fossero inesorabilmente attaccati al suolo. O forse la realtà era che mi sentivo un po’ in colpa, e volevo fare qualcosa. Ma cosa?
Non ebbi il tempo di pensarci, ad ogni modo: Perché quella cosa misteriosa in me si sbloccò, e scappai via. Mi allontanai piangendo, spingendo con violenza le persone attorno a me, per farmi spazio velocemente. Perché provavo odio per me stessa. perché un pensiero si era insinuato in me, dopo quella breve riflessione, e dovevo fare di tutto, per scacciarlo via; e per uccidere l'idea sul nascere. Lui era il mio migliore amico, e sarebbe stato questo. Forse non lo sarebbe stato per sempre, ma sarebbe stato solo questo. Un mio amico. Il migliore. Niente di più.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Capitolo 3.

L'orologio del mio comodino segnò
le 23. Io ero stesa a pancia in giù sul mio letto, con le gambe all'aria, e un libro fra le mani.
"L'ultimo secolo della repubblica e l'età di Augusto corrispondono all'età classica della letteratura latina."
La storia non faceva proprio per me, era terribilmente noiosa, e per di più io non riuscivo a concentrarmi. Pensavo ancora a quella mattina, alle sue parole, e al fatto che avevo pianto davanti a lui. Non l'avevo mai fatto, prima di allora. Ero stata un'idiota completa, questo era sicuro. Mi sarebbe piaciuto poter rimediare, ma ero ancora troppo arrabbiata, sconvolta e ferita. Forse non avevo neanche tutti i motivi, o i diritti, per sentirmi in quella maniera; ma non potevo farci niente. Continuavo a sentirmi come vuota dentro, con un peso nero e indefinibile all'altezza dello stomaco.
Scossi la testa.
Mi girai su un lato, prendendo sempre il libro con me, cercando di concentrarmi su quello stupido paragrafo. Era ormai mezz'ora che rileggevo lo stesso rigo, ma senza attenzione, e senza capirne veramente il significato.
"Furono creati i più grandi capolavori di tutti i generi.."
'Sei solo una bambina.'
"..dall'epica alla lirica.."
'Invece tu mi parli..'
"..dall'oratoria alla storiografia."
'..e mi ascolti, chiaro?'
Gettai il libro per terra, disgustata. Era inutile. Finché non avessi chiarito, il pensiero di quella litigata mi avrebbe praticamente ossessionata. Sbuffai, e chiusi gli occhi, portandomi una mano alle tempie per massaggiarmele. Dopo un po’, li riaprii e afferrai il mio cellulare, che tenevo sempre sul comodino accanto a letto. La luce del display mi colpì come un faro in faccia. Strinsi un po’ gli occhi per abituarmi ad una luce così forte, e senza neanche pensarci troppo, schiacciai con violenza il tasto sinistro in alto. La rubrica mi apparve davanti agli occhi. Ammaccai la freccetta in basso, mentre una barra azzurrina evidenziava i nomi. E poi, lo fissai. Alex. Fissai il suo nome evidenziato. Alex.
Era proprio lui, che mi faceva sentire così? Che mi faceva sentire schifosamente in colpa? Che mi faceva sentire come se mi avessero strappato via il cuore, e gettato via?
Mentre scappavo via, quella mattina, una parte di me aveva desiderato che lui mi inseguisse e che mi trattenesse, provando a farmi ragionare. Ma non l'aveva fatto. E adesso io mi disperavo così tanto, per lui. Perché..?
Continuai a fissare quel nome. A leggerlo, a rileggerlo; forse sperando che mi dicesse qualcosa in più, forse sperando che leggendolo potesse in qualche modo rincuorarmi. Ma non cambiava niente, e io lo sapevo bene. Il mio dito indugiò qualche attimo sul tasto verde, con sopra disegnata una cornetta alzata. Chiamarlo? Ma per dirgli cosa poi? Magari non avrebbe più voluto sentirmi o vedermi, tra l'altro. Al solo pensiero ebbi un sussulto e il mio stomaco fece qualche capriola. ..E poi, cosa importante, non avrei saputo che dirgli. Ne ero sicura, mi sarei bloccata a metà, balbettando, e diventando rossa dalla testa ai piedi, come mi succedeva sempre quando non sapevo che dire, o quando un professore mi chiedeva qualcosa che non sapevo o non ricordavo. O quando le mie compagne di classe parlavano dei ragazzi, dei primi baci, del sesso. E io diventavo rossa, sì. Perché non ne sapevo niente, perché non ero mai stata veramente innamorata, dato che non avevo mai incontrato un ragazzo che mi facesse battere tanto forte il cuore, e che mi facesse sentire al settimo cielo. Forse sì, l'avevo incontrato, ma preferivo non ammetterlo. Mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, come un extra-terreste, come un'eccezione alla regola, e forse era anche per questo che mi sentito tanto diversa rispetto agli altri.
La luce del display si spense. Io avevo gli occhi mezzi socchiusi, e tenevo ancora il cellulare fra le mani. Quando, in quel preciso istante, il cellulare mi vibrò fra le mani. Io mi risvegliai completamente e di scatto, e mi avvicinai meglio al display per guardare. Alex. Alex. Alex, diceva il display.
'Alex, chiamata in arrivo.'
Cos'era, telepatia? Il cellulare continuava a vibrare. Mi resi conto che gli squilli erano davvero tanti, e che probabilmente chi era dall'altra parte del telefono stesse per agganciare.
"Oh, al diavolo." dissi a me stessa. Schiacciai il tasto verde, e portai il cellulare all'orecchio destro, scostando velocemente i capelli per sentire meglio.
"P-pronto?" chiesi. Mi accorsi che la voce mi tremò, che era incerta.. in quel momento, più che mai.
"Apri la tua finestra." disse velocemente quella voce bassa, che ormai conoscevo fin troppo bene.
"Cosa?" chiesi, incredula.
"Per favore, apri la tua finestra." ripeté.
E riagganciò.
Io rimasi per qualche secondo a fissare nuovamente il display, in silenzio. Ero stranita e incuriosita allo stesso tempo da quell'ordine. Dopo qualche attimo di riflessione, come facevo sempre, mi alzai velocemente dal mio letto e mi diressi verso la finestra. Scostai le tende, di un blu elettrico, per sbirciare fuori. La strada era totalmente deserta, a parte qualche auto che passava ogni tanto. La luce arancione del lampione illuminava il marciapiede, allungando le ombre, e dandogli un'aria un po’ sinistra. Adoravo la notte, e quello spettacolo mi affascinava. Avevo una fantasia un po’ troppo spiccata, forse. Ritornai alla realtà. Anche se mi sembrò una cosa stupida, aprii la mia finestra. Subito una brezza fredda, ma leggera, colpì me e le mie tende, facendole ondeggiare leggermente. Io rimasi impalata davanti alla finestra aperta, a braccia conserte, aspettando qualcosa, anche se non sapevo bene che cosa. Cominciava a fare freddino, e io mi sentivo una stupida.
Fino a che la testa di Alex spuntò dalla finestra. Per lo spavento lanciai un gridolino acuto, e arretrai di parecchio. Inciampai. Mi appoggiai con le mani sul mio letto, guardando davanti a me. Era tutto vero, era la testa di Alex. O meglio, era lui, che si stava arrampicando sulla mia finestra.
"Shhhhhh!" sussurrò, stringendo gli occhi e portandosi l'indice sulle labbra, indicandomi così di far silenzio. Si diede una spinta in avanti, e con una specie di mezza capriola balzò dentro la mia camera. Io trattenei il fiato. D'istinto feci qualche passo in avanti per aiutarlo ad alzarsi da terra, ma poi mi bloccai a metà strada. Per giustificare il mio gesto, allora, andai verso la porta e la chiusi a chiave. Mi ci appoggiai sopra, e mi voltai, guardandolo. Lui si alzò da terra da solo. Si diede una botta sulle ginocchia, per pulire i jeans, e infine se li tirò su, poiché portava sempre jeans larghissimi, almeno una o due taglie più grandi. Senza guardarmi si voltò e chiuse la finestra; poi, finalmente, si girò di nuovo e mi guardò. C'erano pochi metri di distanza tra noi, e io già mi sentivo terribilmente accaldata, senza sapere perché. Sostenni il suo sguardo.
"Le persone normali entrano dalle porte, sai?" chiesi, con una nota di sarcasmo nella voce. Lui fece una smorfia, e con una mano si levò i capelli dagli occhi, facendomi venire voglia di prendermi a schiaffi.
"I miei non sanno che sono uscito. E non credo che i tuoi mi avrebbero fatto entrare a quest'ora." si giustificò, distogliendo subito lo sguardo. Istintivamente guardai l'orologio sul comodino. Erano le 23 e 20.
"Perché sei qui?" chiesi
. Il cuore mi batteva forte forte. Tutto questo mi sembrava assurdo, e improvvisamente avevo la gola molto secca. Sospirò.
"Non sono abbastanza forte da poterti stare lontano, la verità è questa. E perché mi dispiaceva per oggi, di averti lasciata così." disse, sussurrando. Lo vidi guardarmi con la coda dell'occhio. Deglutii, sistemando meglio le mani dietro la schiena.
"Non devi preoccuparti per me." risposi, socchiudendo di un poco gli occhi.
Alex, che era rimasto vicino alla finestra, fece qualche passo verso di me. "Sei la mia migliore amica, è normale che mi preoccupi per te."
Abbassai lo sguardo, mentre i capelli mi ricoprivano il viso. Rimasi un po' silenzio, creando qualche attimo di suspence, e lui non si mosse.
"Perché sei gentile con me? Io non sono stata leale con te, non mi sono comportata bene."
"Ma
, Adri. E' stata solo una cazzata, un malinteso, non ti pare?"
"Cazzata o no, malinteso o no.. Io ci sono stata male."
"Tu non devi farti questi problemi con me. Ci conosciamo da tanto tempo, ormai." Alzai lo sguardo, e quasi con orrore mi accorsi che era a pochi centimetri da me, ma lo guardai dritto negli occhi.
"Mi dispiace. Mi dispiace di averti dato problemi, di essere troppo gelosa, troppo attaccata a te. Mi dispiace di essermi arrabbiata quando tu hai preferito fare quel maledettissimo progetto di scienze con.. Melissa, e non con me." dissi, tutto d'un fiato.
"Mi rendo conto che è stata una carognata. Me l'avevi chiesto tu parecchie settimana fa. E' solo che..io.." la sua voce si spense. Continuai a guardarlo, e aggrottai le sopracciglia.
"Allora avevo ragione. Lei ti piace.." dissi, mentre la solita stretta allo stomaco si faceva risentire.
"No! Non è che mi piace.." cominciò, sgranando gli occhi, e fissandomi. Io feci una risata.
"Non fingere con me, Alex. Ti conosco meglio della mie tasche, ormai."
Alex sbuffò, rassegnato. Si voltò e si sedette sul mio letto, socchiudendo gli occhi, dopo di che tornò a guardarmi.
".. è solo che mi piacerebbe conoscerla meglio, tutto qua." disse, con una voce un po' tremante. Cos'era, aveva paura di rivelarmi i suoi sentimenti? Perché? Improvvisamente, mi accorsi di avere paura di scoprirli.
"Me lo potevi
dire. Altrimenti, a che servono le migliori amiche?" dissi, abbassando nuovamente lo sguardo, e fissandomi le scarpe. Lui non rispose, alzò le spalle soltanto. Mi morsi il labbro inferiore molto forte, e cominciai a passeggiare per la stanza, avanti e indietro. Almeno facevo qualcosa.
'Perché non dovrebbe piacergli?' mi ripetevo, per auto convincermi, andando dalla finestra alla porta e viceversa. 'Lei è gentile, bella, ricca, femminile, simpatica..'
Non avrei mai potuto competere con lei, e forse neanche solo pensare di poter paragonarmi a lei. Ma la cosa peggiore era che non capivo perché mi comportassi così, e perché pensassi quelle cose stupide. O forse sì?
"Io sono contento di essere il tuo migliore amico, credimi. Mi dispiace di aver litigato con te, e di averti detto quelle cose orribili. Alla fine è stato solo un equivoco.."
Annuii, e lo guardai. "Forse potrei aiutarti con Melissa." dissi, senza volerlo.
'No, stupida! Che dici!' pensai.
"Dici sul serio? E come?" mi chiese, incuriosito, alzando un sopracciglio.
"Non saprei, forse potrei conoscerla meglio. E poi potrei presentartela, e il resto." osservai, con tono vago. Non era quello che veramente volevo. Ma in me c'era una voglia di rendermi utile, e di aiutare Alex. Per farmi perdonare.
"Sarebbe un'idea. Pensi di riuscirci?"
Feci spallucce. "Posso provarci. Non costa nulla, del resto." Lui annuì, poi sospirò.
"Forse è meglio che tu vada." osservai, lanciando un'occhiata all'orologio e poi ad Alex. Lui si alzò in piedi, e mi venne incontro.
"Allora ci vediamo domani, alla solita ora. Okay?" chiese.
Io feci un mezzo sorriso. "Certo."
Alex mi sorrise di rimando, e io sentii un brivido percorrermi velocemente la schiena. Abbassai lo sguardo, studiandomi nuovamente le scarpe, quando Alex mi abbracciò. Mi cinse le spalle con un braccio, e l'appoggiò l'altro sulla mia schiena. In un primo momento rimasi paralizzata dall'imbarazzo, con gli occhi sgranati.
"Alex.." sussurrai, e lui mi strinse più forte, appoggiando la testa sulla mia spalla. A me mancò il fiato, e praticamente tremavo. Avevo di nuovo la gola secca. Proprio quando decisi di abbracciarlo anch'io, lui si allontanò da me, sciogliendo l'abbraccio.
"Ho avuto paura di perderti, perché tu sei davvero importante per me e non voglio farlo. Sei l'unica vera amica che io abbia mai avuto." disse, guardandomi negli occhi. Io diventai color porpora, e sorrisi, anche perché mi accorsi che teneva entrambe le mani poggiate sui miei fianchi. Deglutì, e mi lasciò andare di scatto.
"Beh, buonanotte."
"Buonanotte." balbettai, mentre lui si avvicinava di nuovo alla finestra e l'apriva. Gli sorrisi di nuovo, con - ne ero sicura - un'aria da perfetta idiota. Si calò giù, con un ultimo sorriso, e non appena lo fece chiusi rapidamente la finestra, e rimasi a fissare la strada per un po', fino a quando fui certa che ci fosse qualche metro di distanza tra me e lui. Mi sedetti sul pavimento, e piansi lacrime dal gusto amaro, scoppiando in un pianto liberatorio. Adesso, lo sapevo perfettamente perché stavo così. Ma non volevo dirlo, né pensarlo. Sapevo che non avrei mai potuto accettarlo, né me lo sarei mai perdonata.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Capitolo 4.

La mattina seguente mi svegliai ancora vestita come il giorno prima, con il libro di storia in mano, e con un forte mal di testa. Ero piena di pensieri, e d ero confusa, terribilmente: mi sembrava che le mie uniche certezze fossero crollate in una notte sola. Rimasi qualche minuto a fissare il soffitto, massaggiandomi le tempie; dopo filai in bagno per una lunga doccia ristoratrice e, senza neanche aver fatto colazione, mi vestii e scappai a scuola. Avevo bisogno di stare un po’ da sola, e soprattutto all'aria aperta: dentro le quattro mura della mia camera, mi sembrava letteralmente di impazzire. Ero tormentata dal ricordo di ciò che mi era successo la sera precedente.. avevo avuto sempre un certo sesto senso per queste cose, e ancora una volta ci avevo visto giusto. Già non vedevo l'ora che fosse stata sera. Questo non era molto indicativo, ma avevo il disperato bisogno che ventiquattro ore passassero in fretta, e che, possibilmente, ne uscissi indolore: ma forse chiedevo troppo. Decisi di non pensarci troppo, non potevo vivere con questa ossessione per tutto il tempo. Per tutto il tragitto verso la scuola, invece, camminai velocemente, a testa bassa. Ecco cosa avrei fatto: avrei tenuto la mente occupata, in modo di cercare di non pensare troppo. Senza neanche accorgermene, arrivai a scuola. Ero arrivata troppo presto: il cortile era semi deserto e pochi ragazzi ciondolavano là davanti. Sospirando, come per farmi forza, oltrepassai il cancello e mi sedetti sulla grande scalinata, proprio davanti i portoni della scuola. Appoggiai lo zaino accanto a me, lo aprii, presi una penna e un block-notes, e cominciai a pasticciare, lasciando liberi i pensieri. Mi rilassava. Ma purtroppo, anche se volevo fermarla a tutti i costi, la mia mente cominciò a vagare.
Alex era l'unica persona di cui potevo fidarmi. Era l'unico amico che avevo, e che avevo mai avuto. Lui teneva a me, mi considerava la sua migliore amica, mi considerava come una cosa importantissima per lui. Alex sapeva tutto - o quasi - di me. Io mi fidavo di lui, e lui di me, su questo non ci pioveva. Alex era il mio migliore amico. E io ero incondizionatamente, follemente e pateticamente innamorata di lui. Possibile che me ne fossi accorta solo adesso? Sì. Quando avevo scoperto che a lui piaceva Melissa, e che voleva fare il progetto di scienze con lei, ero praticamente impazzita di gelosia. Ma forse era innamorata di lui già da prima, ma siccome era il mio migliore amico, avevo scambiato ciò che provavo per lui per amicizia. Mi sembrava che qualcuno stesse attaccando qualcosa di mio, solo mio, e che me lo stesse portando via. Forse lo sentivo perché ero innamorata di lui, e mi odiavo per questo. Che senso aveva rovinare un'amicizia che andava avanti ormai da anni? La nostra amicizia era una delle cose più belle che avevo: non potevo permettermi di rovinarla o, ancora peggio, di perderla. Avrei sofferto troppo, e probabilmente - quasi sicuramente - avrebbe sofferto anche lui. Saremmo stati male entrambi. Quindi la cosa migliore era stringere i denti, e aspettare che mi passasse, anche se non credevo sarebbe stato troppo facile.
"Ehilà!"
Sobbalzai, e la penna mi cadde dalle mani, atterrando su un gradino di marmo con un tintinnio strano. Strinsi il block-notes al petto, abbracciandolo, e poi alzai lo sguardo da dove veniva quella voce. Anche se già conoscevo perfettamente la risposta, ahimé.
Alex scoppiò a ridere. Era in piedi accanto a me, e mi guardava, ridendo.
"Ehm.." balbettai, diventando bordeaux all'istante, e chinandomi per raccogliere la penna. Lui prese posto accanto a me, sorridendomi. "Pensierosa, eh?"
Annuii, e posai la penna e il block-notes dentro il mio zaino. Non andava per niente bene: dovevo comportarmi normalmente, come se nulla fosse. Chissà se sentiva il mio cuore battere tanto forte?
"Oggi, per farti contenta, non fumo." disse lui, sempre col sorriso sulle labbra, e alzando gli occhi verso il cielo.
Io mi allontanai un po' da lui, mettendomi i capelli dietro l'orecchio destro. "Guarda che non devi fare così. E' la tua vita, e se vuoi fumare sono affari tuoi." dissi. Lui sgranò gli occhi nocciola, e mi guardò stupito.
"Ma come?! E io già che t'immaginavo al mio funerale, a dire 'Io l'avevo avvertito, eh!'" disse, ridendo un'altra volta. Risi anch'io, ma feci spallucce. Ero felice che le cose, tra di noi, fossero quelle di sempre. Lui continuò a guardarmi, serio in volto, mentre io giocherellavo nervosamente con i miei capelli. Improvvisamente mi prese il viso dal mento, e me lo voltò prima a destra, poi a sinistra, continuando a guardarmi, come se mi stesse studiando attentamente. Il cuore cominciò ad andarmi velocissimo.
"Forse oggi mi sembri diversa." disse.
Il mio cuore si arrestò.
"Più felice."
Il mio cuore riprese a battere.
Mi scansai, costringendolo a lasciarmi il mento, e alzai di nuovo le spalle.
"Sono normale." osservai, con un tono vago, non sapendo che rispondere. Il cortile, nel frattempo, aveva iniziato a riempirsi di studenti. Il suono della campanella era vicino, lo sapevo.
Alex scosse la testa.
"No, tu non sei normale." disse, sorridendomi. Dovevo prenderlo come un complimento? Lo era?  Se davvero lo era, non ebbi il tempo di ringraziarlo, perché la campanella suonò.
"Andiamo." dissi, mettendomi lo zaino in spalla, e voltandomi verso il portone aperto.

***

"L'hai saputo?"
Camminavo lentamente nel lungo corridoio, gremito di studenti, che si accalcavano per uscire. La ricreazione era una delle parti della giornata che preferivo.
"Cosa?" chiesi, appoggiandomi al muro, vicino a dei volantini appesi ordinatamente con del nastro adesivo.
"Fra due settimane è Natale." sorrideva, mentre incrociava le braccia al petto e mi guardava.
"Lo so. E quindi?" continuai. Non capivo proprio dove volesse arrivare.
"La scuola sta organizzando una festa d'istituto per Natale." concluse.
Venni invasa da una vera e propria ondata di panico. Le feste d'istituto non erano propriamente la mia prima idea di divertimento.
"E allora? Noi non ci andiamo mai." dissi, rivolgendogli uno sguardo interrogativo. Da quando ero in quel liceo, io e Alex eravamo andati ad una festa d'istituto solo per una volta. Se potevamo, preferivamo evitarle accuratamente. "Tanto lo sai come vanno a finire queste cose," continuai, imperterrita. Mi staccai dal muro e imboccai velocemente un corridoio, dirigendomi verso un distributore di merendine "..si balla, si parla, si beve. E poi vedi ragazze in lacrime che sono state mollate, o chi corre verso il bagno perché è completamente ubriaco!" conclusi, con un mezzo sorriso. Alex si appoggiò al distributore, dandogli le spalle, e guardandomi di nuovo. Io infilai alcune monetine nella fessura, e schiacciai alcuni pulsanti, componendo un numero. Con un tonfo, una merendina fece capolino nella fessura più grande, in basso. Evitavo con attenzione il suo sguardo.
"Tu non capisci." disse, serio.
"Cos'altro dovrei capire?"
"Questa è l'occasione giusta per farmi notare da lei!" esclamò.
Corrugai la fronte, e lo guardai. "Una festa non servirà a farla innamorare di te, Alex. Se vuoi farti notare da lei, puoi benissimo parlarle anche adesso."
'Ma ti prego, non farlo.'
Lui sbuffò. Scartai la merendina, e gliela porsi per offrigliela. Lui scosse la testa, così la mangiai. "Non lo so, non ci riesco." disse. "Dammi un consiglio! Tu sei una ragazza, in fondo, no?"
Mi allontanai
, lui continuò a seguirmi. "Grazie per essertene accorto solo adesso. Comunque, credo che se non le parlerai, non combinerai mai niente." dissi, un po' seccata. Doveva piacergli sul serio, allora. Alex era un po' timido, ma di solito non aveva problemi a rapportarsi con la gente. Specialmente con le ragazze, poi.
Mi fermai in mezzo al corridoio, semi vuoto perché molti studenti erano fuori per la ricreazione, e mi posizionai davanti a una finestra. Il sole era tiepido, ma alcune nuvole non propriamente candide lo minacciavano. Alex si fece sprofondare le mani in tasca, e sospirò, guardando fuori. "Ti ricordi quello che mi hai detto ieri sera? Forse dovresti provarci. Mi sentirei più sicuro, se tu ci provassi."
Oh, perfetto. Dovevo pure fargli da Cupido. Non avevo nessunissima voglia di diventare amica di Melissa: mi sembrava proprio il genere di persona che avrei dovuto evitare. La sera precedente l'avevo detto automaticamente, senza pensarci, ma adesso non potevo più tirarmi indietro. L'avevo detto, ormai.
Le mie speranze di poter piacere ad Alex erano meno di zero. Sembrava davvero interessato a Melissa; non l'avevo mai visto comportarsi così per una ragazza. E magari la mia era solo un' innocente cotta adolescenziale.. Magari ero l' intralcio di una bellissima storia d'amore. Anche se questo implicava gettare via i miei sentimenti, e soffrire in silenzio, per Alex avrei fatto questo e altro. M'importava che fosse felice.
"Dovete fare il progetto di scienze insieme, no? E' un pretesto per conoscerla, per parlarle."
Alex sorrise.
"Già, hai
ragione!" esclamò, raggiante. Io sorrisi debolmente. Accartocciai l'involucro della merendina ormai finita, e lo gettai in un cestino lì vicino.
"Quand'è la festa?" chiesi, guardandolo. Era davanti a me, guardava fuori dalla finestra.
"Il 21 dicembre. Pare che sia l'ultimo giorno di scuola prima delle vacanze Natalizie." rispose, continuando a guardare fuori, con aria distratta.
"Pochi giorni prima del mio compleanno." osservai, distogliendo rapidamente lo sguardo. Il 28 dicembre sarebbe stato il mio compleanno, avrei compiuto sedici anni. Alex li compiva il 3 gennaio. Anche se non sembrava, ero più grande di lui.
"E' vero.. Magari, quel giorno.."
Venne interrotto dal suono della campanella. Proprio quando mi stava dicendo qualcosa d'importante!
"Cosa?" chiesi.
"Niente d'importante."
Il suo sguardo vagò tra gli studenti che rientravano a scuola, dopo la ricreazione. Sospirai profondamente, e mi allontanai dalla finestra. Avevo il morale sottoterra, così come la mia autostima. Di certo non ero mai stata sicura di me stessa, ma questo serviva a scoraggiarmi sempre di più. Sospirai più e più volte. Mi sentivo come un vuoto proprio all'altezza del petto. Proprio dove prima c'era il mio cuore.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 Capitolo 5.

La testa mi girava. Di che cosa avevo realmente paura? Sì, paura era la parola giusta. Ma cos'era che mi terrorizzava così tanto? Perdere l'amicizia di Alex? Fargli del male? Il primo posto nel mio cuore era soltanto per lui: Perché negarlo, ormai? Avevo paura di scoprire che anche a Melissa lui piaceva? Avevo paura di.. vederlo felice? Mi sentivo uno schifo, era totalmente egoista da parte mia, ed io non ero assolutamente così. Era solo perché tenevo ad Alex, troppo. Cosa dovevo fare? Allontanarmi da Alex, per non farlo soffrire, e per non soffrire io stessa? No. Era un'idea stupidissima, e naturalmente impensabile. Desidererai di non essermi mai innamorata di lui: se non fosse successo, la mia vita sarebbe stata meno complicata, in quel preciso istante.
Qualcuno mi urtò, e io per poco non caddi all'indietro. Barcollai, perdendo l'equilibro, come se fossi ubriaca. Sbattei più volte le palpebre, svegliandomi in quel momento, e lasciando perdere i miei pensieri. Ero in mezzo al corridoio, immobile, in mezzo ad una folla di studenti che mi spingevano; i quali si trascinavano nelle rispettive aule. Mi guardai intorno più volte, voltandomi da tutte le parti. Non c'era traccia di Alex: In due secondi l'avevo perso di vista. Brontolando, e facendo lunghi e profondi sospiri, mi diressi verso la mia aula. Entrai, e mi sedetti compostamente al mio banco, mentre anche i miei compagni di classe ritornavano in aula. Alex non c'era. Possibile che fossi tanto idiota da averlo completamente perso d'occhio in circa due secondi netti? La mia mente cominciò a vagare. Magari era andato in bagno. Magari era successo qualcosa. Un'emergenza, forse. Sospirai di nuovo, tenendo lo sguardo basso, fino a fissarmi le scarpe.
Il professore di geografia entrò nell'aula. Ci alzammo tutti in piedi in segno di saluto, e dopo qualche secondo il professore ci fece un cenno con la mano, per indicarci di sederci. Ubbidimmo, come un sol uomo. Io ero preoccupata. Alex non c'era. Dov'era? Di solito stavamo quasi sempre insieme, quindi queste cose non accadevano mai. Presi il libro di geografia dallo zaino, e lo posai sul banco. Mi accorsi solo in quel momento che il cuore mi batteva ancora forte. Era lui che mi faceva questo effetto, o avevo davvero qualcosa al cuore? Tutto questo, per me, era completamente nuovo e quindi sconosciuto. Perché io non ero mai stata innamorata di qualcuno. Mai. E questo mi faceva una paura folle. Mentre il professore apriva il suo registro personale, la porta dell'aula si aprì. Io trattenni il respiro.
C'era Alex. Insieme a Melissa.
Insieme.
"Ci scusi, professore, ma noi.." iniziò Alex. L'uso del plurale mi sconvolse.
"Sì , poche scuse. Sono costretto a mettervi un ritardo. Sono spiacente, ma la campanella è suonata da già 10 minuti." lo interruppe il professore, con la fronte corrugata.
Alex sospirò, poi annuì. Melissa stava in piedi accanto a lui, senza aprir bocca, ma sfoderava un sorriso da pubblicità per rossetti. Nella speranza di ammorbidire il professore? Forse. Dopotutto, era abituata ad avere tutto quello che voleva, lei.
"A posto." ordinò il professore ad Alex e Melissa, facendo un altro cenno con la mano. Alex ritornò velocemente accanto a me, e anche Melissa ritornò al suo posto, con la sua solita camminata da modella. Era bella quasi da fare schifo. Scossi la testa, sentendomi diventare le guance ardenti. Poi guardai Alex, mentre il professore prendeva a spiegare la lezione del giorno, l'America Meridionale.
Alex sorrideva, e con evidente soddisfazione. allora m'incuriosii, e diedi una leggera gomitata ad Alex, che si voltò a guardarmi.
"Alex, che è successo?" bisbigliai.
Lui continuò a sorridermi, con lo sguardo basso. "Le ho parlato."
"Bene," mentii, "che vi siete detti?" chiesi, anche se non volevo sapere la risposta.
"Niente di che. Le ho chiesto se aveva qualche idea per il progetto. Lei ha detto di no, e che magari possiamo vederci qualche volta, per decidere assieme." continuava a sorridere.
"Ah." risposi, senza tono nella voce.
"Stavo pensando.." disse ancora lui, alzando di poco gli occhi e incrociando il mio sguardo. "Tu, il progetto di scienze, con chi lo farai?" chiese, sempre con quel maledetto sorriso sulla faccia. Avrei voluto staccarlo via.
"Ehm.." venni colta alla sprovvista. Ero troppo presa dal pensiero di Alex, di Melissa, e di tutto il resto. Non ci avevo completamente pensato.
"Immagino che tu non lo sappia." rispose, secco, anche se il sorriso non era ancora sparito dal suo viso.
"Immagini bene." commentai, abbassando lo sguardo. Ero ancora rossa, lo sentivo.
"Dovresti chiederlo a qualcuno. Il lavoro dev'essere fatto a coppie." Sottolineò pesantemente l'ultima parola, e ciò m'irritò profondamente.
"Che te ne frega? Tu sei con Melissa." risposi, surriscaldandomi, anche troppo.
Nel preciso istante in cui pronunciai queste parole, me ne pentii amaramente. Mi morsi forte il labbro inferiore, come quasi a volermi punire per quello che avevo appena detto. Lui si fece un po’ scuro in volto, e inarcò le sopracciglia. Lo guardai per un attimo.
"Scusa, è che io.."
'Che io, cosa?'
Lui scosse la testa. "No, non ti preoccupare. Lascia perdere." disse, con un tono di voce che mi sembrò tranquillo. Sospirò e si voltò verso il professore, come a voler dirmi che la discussione, per lui, era chiusa. Ma per me non lo era affatto.

***

"Dobbiamo parlare."
Mi afferrò per un braccio, con delicatezza, e mi fece sedere al nostro solito muretto di fronte alla scuola. Incrociò le gambe e si sedette di fronte a me, guardandomi con aria piuttosto seria.
"Mi vuoi spiegare che ti succede?" mi chiese. Il suo tono di voce non era minaccioso. Forse voleva solo sapere come stavano veramente le cose.
"Che cosa?"
"Sai a quel che mi riferisco."
Mi lanciò un'occhiata d'intesa. Io rabbrividii, poi sospirai profondamente. In fondo, qualche spiegazione gliela dovevo, anche se non avevo nessuna intenzione di raccontargli tutta la verità. E non gliel'avrei mai, mai detta.
"Davvero, Alex. Mi dispiace. Io non voglio darti problemi." dissi, torturandomi le mani.
"Perché ti comporti così? Mi pare di esser stato chiaro, ieri sera. No?"
Continuavo a tenere lo sguardo basso.
"Ho solo paura di perderti."
Seguì
una lunga pausa. Io rimasi con gli occhi bassi, non osando alzare lo sguardo di un solo centimetro. Lui rimase in silenzio. Sentivo solo i ragazzi che passavano accanto a noi, e nel frattempo mi fissavo le mani. Poi, lui si chinò un po' per guardarmi negli occhi. Io sobbalzai, e d'istinto arretrai.. Lui, finalmente, mi sorrise. Mi scostò i capelli dagli occhi con una mano, mettendomeli dietro l'orecchio. Neanche a dirlo, arrossi furiosamente.
"Adrienne, sei una scema. Credi davvero che ti abbandonerei?"
Mi pentii di averlo pensato, ma soprattutto, di averlo detto, anche se lui aveva reagito molto bene. O almeno, così sembrava. Senza neanche accorgermene, sorrisi: ero di nuovo sicura di avere un'aria da idiota.
"No. Scusami, scusami.."
Mi avvicinai a lui, e per un secondo lo abbracciai. Sciolsi subito l'abbraccio, imbarazzatissima. Lui rise e mi scompigliò i capelli.
"Non preoccuparti, e soprattutto non pensarci più. Mi raccomando! Altrimenti, la prossima volta mi arrabbio sul serio." disse, e rise di nuovo.
Questa volta risi anch'io. "E' una promessa?" chiesi.
"No, è una minaccia."
Risi ancora di gusto, sinceramente divertita. Ci fu una breve pausa, poi lui parlò di nuovo per primo.
"Senti, oggi sei libera?" mi chiese.
Riflettei per un attimo. "Sì, sono sola a casa." risposi, tranquilla.
"Ah. Allora posso venire a casa tua, che dici?" mi chiese ancora.
"Sì, certo. Se vuoi puoi restare ancora a cena, la casa sarà vuota fino a domani mattina."
Mia madre lavorava in ospedale, quindi in certe giornate era costretta a rimanere tutto il giorno a lavorare. Mio fratello in alcune giornate stava con me, in altre se ne stava a dormire da amici. Mio padre, be', era ancora fuori per lavoro. A me non dispiaceva stare da sola. Avevo sicuramente tanto tempo per me stessa.
"Accetto molto volentieri. Allora, verso le quattro vengo da te?"
Sorrisi. "Certo. Ci rivediamo più tardi. Ciao!"
Scesi dal muretto con un saltello, e feci ciao-ciao con la mano mentre mi allontanavo. Lui rimase a guardarmi, seduto sul muretto, e mi regalò uno splendido sorriso. Mentre tornavo a casa a piedi, ebbi modo di pensare. Ero preoccupata. Non era assolutamente la prima volta che passavo la serata con Alex; ma questa volta le circostanza erano diverse. Sarei riuscita a resistere, senza lasciarmi scappare nulla, per una sera intera?

***

Alle quattro meno cinque, il citofono suonò
. Io, che ero comodamente seduta sul divano, in salotto, scattai in aria. Mi alzai velocemente, quasi inciampando sul tappeto, e mi avvicinai al citofono per rispondere.
"Sì?"
"Sono Alex."
Schiacciai il pulsante sulla cornetta. Un rumore metallico mi avvisò che il portone era stato aperto, quindi mi avviai verso l'ingresso, e aprii la porta. Mi appoggiai su quest'ultima, aspettando che Alex salisse le scale. Dopo cinque minuti lo vidi spuntare sul mio pianerottolo, sfoderando ancora quel sorriso che mi piaceva tanto. Lo squadrai dalla testa ai piedi, notando perfino cosa indossava. Aveva un paio di jeans chiari, sbiaditi sulle ginocchia. Indossava anche una maglietta a righe bianche e grigie, e le solite scarpe da ginnastica. I capelli neri gli ricadevano sul viso, nascondendogli gli occhi nocciola. Portava lo zaino su una sola spalla, che sobbalzava ad ogni suo movimento. Arrossii non appena mi fu di fronte.
"Ciao." disse, a voce bassa.
Io sorrisi, e lo spinsi dolcemente dentro casa. "Entra." dissi, e poi chiusi la porta. Ormai lui era completamente a suo agio, dentro casa mia, dopo tutto quel tempo che ci conoscevamo. Sempre sorridendo andò verso il salotto, e sprofondò sul divano di pelle.
"Guarda che dobbiamo anche studiare." commentai, facendo capolino sulla porta del salotto. Lui scoppiò a ridere, mettendosi le mani dietro la testa.
"Al massimo, copierò i tuoi compiti."
Io afferrai un cuscino che era appoggiato su una poltrona lì vicino, e glielo lanciai, colpendolo dritto in faccia.
"Ehi!" protestò lui, scattando in piedi. Io scoppiai a ridere, e gli feci una linguaccia.
Lui fece una faccia scandalizzata, e mi raggiunse. Cercai di correre via, ma lui mi prese per un braccio, cercando di trattenermi. E così inciampai sul tappeto di prima, finendo a terra. Con lui, sopra di me.
Mi sentii praticamente in trappola, e naturalmente il mio viso assunse una tonalità di colore che andava sul violetto. Lui era sopra di me, sì, e rideva, tenendomi stretti i polsi per non farmi andare via. Ma in fondo, che c'era di male? Niente. Non c'era motivo di essere in imbarazzo, no, no. Eravamo solo due amici che stavano scherzando e ridendo assieme. Giusto? Così risi anch'io. Poi lui mi lasciò i polsi, e ritornammo seri. Feci per togliermi da quella scomoda posizione, ma poi ci ripensai. Mi guardava dritto negli occhi, e aveva un'espressione indecifrabile. Io sospirai, e ricambiai il suo sguardo. Mi sentivo mancare il fiato, e il pavimento era incredibilmente freddo, sotto di me. Cominciò a carezzarmi la guancia con il dorso della mano. Al contrario, le sue mani erano caldissime. Rabbrividii. Socchiusi gli occhi, perdendomi nel calore della sua mano, e nella sensazione che mi provocava sentirla sulla mia guancia. Con il pollice cominciò a sfiorarmi tutto il viso, come se stesse cercando di memorizzarlo. Le sue dita indugiarono sul mento, vicinissime alle mie labbra. Mi spostò alcuni ciuffi di capelli dal viso, lo sentii sospirare. Poi parlò, come se stesse parlando con stesso, ad alta voce.
"Lei. Se non ci fosse, io.."
La sua voce era poco più di un sussurro.
Io la sentii, dato che la casa era immersa in un silenzio assoluto, e a queste parole aprii di scatto gli occhi, ritrovando di nuovo i suoi a fissarmi. Questa volta lo spinsi di lato, con decisione, e lui si spostò. Mi alzai in piedi, e velocemente mi imitò, standomi di fronte. Il cuore mi batteva fortissimo, per l'ennesima volta. Mi schiarii la voce, ero rossa in volto, lo sapevo.
"Vado in bagno." dissi, per prendere tempo.
"Okay." rispose lui, evitando di guardarmi. Senza aspettare, mi precipitai in bagno. Appoggiai le mani sul bordo del lavandino, e guardai il mio riflesso allo specchio.
Mi studiai attentamente. Ero rossa, ancora. La coda con la qualche mi tenevo i capelli era mezza sfatta. I capelli, troppo ricci, mi ricadevano in maniera scombinata sul viso, sugli occhi. Quest'ultimi erano un po' lucidi. Smisi di fissarmi, e passeggiai avanti e indietro dentro la stanza, riflettendo. Cosa voleva dire, Alex? E chi era quella lei, che aveva pronunciato? Ero io? Tutto era molto strano, sembrava non avere nessun senso logico. E io ed Alex non ci eravamo mai comportati così. Non c'era mai stato imbarazzo fra noi. Ma da quando io ero innamorata di lui, le cose erano cambiate. E anche lui sembrava cambiato.
Ma perché..?
Al solo pensiero di quello che era successo, prima, arrossi di nuovo. La sensazione del suo corpo contro il mio.. era qualcosa di strano, ma di piacevole allo stesso tempo. Non sapevo bene come definirla, sapevo solo che in quell'attimo mi ero praticamente sentita.. euforica. Dovevo stare calma, però. In fondo c'era ancora tutto il pomeriggio, e la sera, da passare insieme a lui.
Uscii dal bagno. Sospirai, come a darmi forza, e ritornai in salotto. Come immaginavo, Alex era seduto sul divano, e aveva appoggiato il suo zaino sul tavolino di fronte. Non sorrideva, e lo interpretai come un gesto non troppo incoraggiante.
"Vado a prendere i libri." dissi.
Dopo cinque minuti ritornai in salotto. Aveva i piedi appoggiati sul tavolino, e sfogliava il libro di geografia.
"Fai come fossi a casa tua, eh." commentai, sarcastica. Lui fece un ghigno.
Presi il mio libro di geografia, e mi accomodai sull'altra estremità del divano, lontana da lui. Tenevo il libro appoggiato sulle gambe, ed esse strette al petto. Cadde un silenzio spiacevole. Vedere che lui era così lontano da me, e che non mi rivolgeva la parola, mi faceva stare malissimo: come se avessi un buco all'altezza dello stomaco. Senza fargliene accorgere, lo guardai. Aveva la bocca socchiusa e leggeva, giocherellando con un ciuffo di capelli che gli ricadeva sugli occhi. A quella scena, sorrisi, finché il suo sguardo incrociò il mio: evidentemente si era sentito troppo osservato. Sorrisi, imbarazzata, e abbassai lo sguardo. Poi posai il libro sul tavolino, e strinsi le braccia al petto.
"Non sopporto non parlarti." dissi. Lui chiuse il libro e lo appoggiò accanto al mio. "Già, neanch'io."
Poi continuò. "Se è per quello che è successo.."
Lo interruppi. "Ma non è successo niente."
Lui sembrò spiazzato dalla mia risposta. "Sì, ehm, già." farfugliò.
Ma infatti, di che mi preoccupavo? Non era successo niente. A parte quel che aveva detto, che per me era ancora un mistero. Si avvicinò un po’ a me, accorciando quella distanza che c'era fra me e lui.
"Mi dispiace, io.." disse, quando mi fu a pochi centimetri.
Gli appoggiai un dito sulle labbra, zittendolo. "Ma di che ti scusi? Non mi hai fatto niente, Alex."
Lui sorrise. Prese la mia mano e la strinse fra le sue.
"Adrienne?"
"Sì?"
"Ti voglio bene."
Gli sorrisi di rimando.
"Alessandro?"
"Sì?"
"Anch'io ti voglio bene."
'Più di quanto immagini.'
Sorrise, poi scoppiò a ridere. "Che impressione.. Alessandro. Non mi chiami mai così. Mi suona come qualcosa di troppo serio."
"Ma
è il tuo nome!"
"Io preferisco Alex."
"Anch'io lo preferisco." dissi.
'In tutti i sensi.'

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Capitolo 6.

I giorni seguenti volarono in un batter d'occhio. Le giornate proseguivano spedite tra compiti e interrogazioni, in viste delle vacanze di Natale e della chiusura del primo quadrimestre. Per le strade c'era già aria di Natale, invece. Addobbi dappertutto, abeti ornati di palline e luci nelle piazze, cori polifonici per le strade che intonavano Jingle Bells e altri canti natalizi, e infine presepi viventi che venivano organizzati la domenica. E, soprattutto, un freddo allucinante, tipico di quel periodo dell'anno. Con Alex andava una meraviglia. Non aveva più nominato Melissa, ma ero sicura che fosse ancora cotto di lei. Il suo sguardo, quando lei passava davanti a noi, non mi sfuggiva. Comunque tra di noi le cose erano come sempre: non c'erano stati più spiacevoli incidenti, equivoci o litigate. Tutto continuò su questa cresta d'onda, fino a tre giorni prima della festa d'Istituto. Era un giorno freddissimo, e le nuvole minacciavano pioggia. Io ero triste, senza nessun motivo. Ero terribilmente meteoropatica, indovinato. Mi strinsi alla mia sciarpa di lana, che portavo al collo. Quasi tremavo dal freddo. Alex era accanto a me, aveva la cerniera del giubbotto tutta chiusa, a stento gli si vedevano gli occhi. Strofinava le mani sulla sull'altra, per riscaldarle, nonostante portasse i guanti. I suoi guanti erano di lana, neri, tagliati a metà, e gli lasciavano le dita scoperte. Glieli avevo regalati io quando aveva compiuto quindici anni.
"Rientriamo, ti prego. Si gela."
Era ricreazione, e avevamo avuto la felice idea di uscire da scuola. Felice idea, si fa per dire, naturalmente.
"D'accordo, hai ragione." rispose, annuendo con convinzione.
Era ancora presto, ma c'era troppo freddo per poter stare fuori con tranquillità. Io ed Alex salimmo insieme i gradini di marmo, completamente ghiacciati per l'umidità, poi lui mi aprì gentilmente il portone e mi lasciò entrare per prima. Sospirai profondamente, levandomi la sciarpa. Dentro di stava decisamente meglio, grazie ai riscaldamenti. Alex si tolse il giubbotto e mi sorrise, seguendomi. Io, naturalmente, ero ancora cotta di lui. Più cercavo di togliermelo dalla testa, più mi tornava. E più mi piaceva, anche se prima avevo detto che avrei dovuto lasciarmela passare. Ma oramai mi sembrava impossibile. Lui era così bello, dolce, gentile, divertente, intelligente, premuroso. Ero innamorata, sì, e lui si avvicinava tantissimo alla mia idea di ragazzo ideale. Mi chiedevo spesso per quanto ancora sarebbe durata; ma essere innamorati era una sensazione fantastica, e io adoravo crogiolarmi in essa.
Finché, la mia attenzione non venne attratta da una figura, in piedi vicino la finestra del corridoio. Diedi una gomitata al Alex, non staccando gli occhi dalla figura.
"Alex, ma quella è..?"
Le parole mi morirono in gola.
"Oddio, sì. Vai a parlarle!" esclamò lui, guardandomi.
"Cosa? Io? Ma.."
"Vai!"
"Non so che dirle!"
"Che ne so, inventa!"
Alex mi diede una spinta. Mi avvicinai, maledicendolo mentalmente.
Melissa era appoggiata al muro, con il viso tra le mani. Indossava un delizioso cappellino di lana, rosa, con un pon-pon colorato in cima, e i liscissimi capelli biondi le ricadevano ordinatamente sulle spalle, come sempre.
"Ehm.. Melissa?" azzardai, standole a fianco. Mi sentivo un'idiota. Lei alzò un poco lo sguardo verso me, poi lo distolse subito.
"Ah, sei tu." borbottò.
"Sì, ehm, scusami davvero, se ti sto scocciando.. Ma forse, potevo fare qualcosa.. per te.."  Stavo davvero offrendo il mio aiuto alla mia rivale? Dovevo essere impazzita, come minimo. Lei singhiozzò. Evidentemente doveva aver pianto parecchio, infatti aveva gli occhi un po' rossi, ma era bella da far schifo lo stesso. Poi notai che tra le mani teneva un cellulare. La sentii sospirare profondamente.
"Il mio ragazzo mi ha lasciata.." biascicò.
"Oh."
Ora sì che mi sentivo un'idiota, non sapevo neanche che avesse un ragazzo. In effetti, non sapevo poi molto di lei. Però, a vederla così, in lacrime e con quella espressione triste sul volto perfetto, mi faceva pena.
"Ti prego, se hai bisogno di parlarne con qualcuno, potrei.."
Lei fece un verso a metà tra una risata e uno sbuffo. "Neanche ci conosciamo."
Il mio cervello lavorò veloce. E in un attimo, feci un pensiero diabolico. Alex voleva che io diventassi amica di Melissa, per poi avere un modo più semplice per arrivare a lei. E se io fossi diventata amica di Melissa sul serio? Ma certo. L'avrei fatto in modo da allontanare Melissa da Alex, per tenerla sotto controllo. Okay, questo era imbrogliare. E manipolare. Ma ero sicura che Melissa non fosse affatto adatta per Alex.
Io feci un sorriso. "Potremmo farlo, no?" dissi.
Lei scrollò le spalle. "Lo dici solo perché in questo momento ti faccio pena."
Scossi la testa. "No, mi piacerebbe sul serio. E non piangere, non ne vale la pena per chi non ti merita."
Il suo viso si rischiarò appena, e sorrise debolmente. "D-davvero?"
"Pensi che ti prenderei in giro?" In quel momento mi sentii uno schifo. Io, prendere in giro le persone e usarle per scopi personali? Non era assolutamente da me. Ma per una volta avevo deciso di fare la cattiva. Perché volevo Alex per me, solo per me. Ad ogni costo.
"Sai, Adrienne.. Non ho una vera amica.. specialmente a scuola.. non so se hai notato, ma mi evitano un po' tutti." Annuii. Certo che l'avevo notato. Tutti la evitavano perché avevano paura di lei.
"Non preoccuparti." le dissi. "Da ora in poi, se hai bisogno di qualcosa, io sono disponibile."
Ero un'ottima attrice.
Lei, finalmente, sorrise. Aveva dei denti bianchissimi e, naturalmente, perfetti.
"Grazie.."
"Non c'è di che, Melissa."
"Gli amici mi chiamano Mela."
Amici? Io ero una sua amica..?
Oh, merda.
"Okay.. Mela."
Mi sorrise di nuovo. "Vado in bagno. Devo mettermi un po’ in sesto prima delle lezioni."
"Certo." sorrisi anch'io.
Se ne andò, facendo ciao-ciao con la mano. E subito venni invasa dai sensi di colpa.

***

"Forse stiamo diventando amiche."
Alex sorrideva come se avesse vinto alla lotteria. "Aha, ma allora è fatta!"
Corrugai la fronte. "Sii serio, Alex. Per coltivare un'amicizia, e per farla crescere, ci vuole molto tempo."
"Sì, lo so. Ma almeno è un inizio."
"Guarda che non lo faccio per te.
"E per chi?"
'Ah, sapessi per chi e perché.'
"Perché voglio davvero diventarle amica. Magari tutti si sbagliano sul suo conto, sembra gentilissima e simpatica."
"Sì, hai ragione."
Mi morsi la lingua.
"Comunque sono contento. E fra pochi giorni c'è la festa. E' la situazione giusta."
"Hm. Sì. Ma.." indugiai un attimo, "Vi siete più parlarti, per il progetto?"
"Due altre volte, ma non per troppo tempo, a dire il vero.." rispose lui, che nel frattempo era tornato serio.
"Okay. Sono sicura che vi conoscerete meglio, dopo."
"Tu cerca di conoscerla, intanto."
"Ti ho detto che non lo faccio per te, Alex."
Sbuffò sonoramente. "Bella amica che sei, eh."
Il suo commento mi colpì nel profondo, ma mi ripresi subito. "Tu non preoccuparti."
"E chi si preoccupa?" mi rispose lui, sarcastico.

***

Nei giorni seguenti, Melissa mi stette praticamente appiccata. Ora sapevo che aveva una sorella minore, che adorava la vaniglia e andare in spiaggia a nuotare, che il suo segno zodiacale era il capricorno, che il suo compleanno era il 19 gennaio e che il suo colore preferito era, naturalmente, il rosa. Melissa era intelligente, ma un po' troppo viziata per i miei gusti. E poi, accanto a lei, io sfiguravo terribilmente. Lei, truccata, vestita benissimo e con i capelli sempre in ordine. E poi io, quasi sempre vestita di nero e con vestiti larghissimi, acqua e sapone, e con i capelli perennemente disordinati. Io mi piacevo, ma invidiavo un po' Melissa. Non c'era ragazzo che non avesse una cotta per lei. Perfino Alex ci era cascato, aveva come una sorta di fascino irresistibile. Una cosa che io e lei avevamo in comune - beh, forse l'unica - era la loquacità. Eravamo estremamente logorroiche. Per il resto, eravamo i due esatti opposti. Tra l'altro, mi sentivo malissimo perché non m'importava molto di lei: avevo organizzato tutto questo per allontanarla da Alex. Nei tre giorni che seguirono, prima della festa, mi resi conto che passai pochissimo tempo con Alex, e moltissimo con Melissa. La compagnia di quest'ultima non era poi così tanto male, ma preferivo certamente il mio migliore amico.
Il pomeriggio del giorno prima della festa, io e lei ci trovavamo sedute in una panchina delle vie del centro. Mi aveva invitato a fare compre con lei. Io, che ero al verde, mi ero limitata ad accompagnarla nei negozi e a consigliarla quando era indecisa su qualcosa. Risultato: aveva già svaligiato quattro negozi.
"Mamma mia, che freddo!" esclamò, appoggiando i numerosi pacchetti accanto a sé. Faceva veramente molto freddo. Io mi strinsi meglio alla mia solita sciarpa colorata.
"Già. Ma almeno siamo in vacanza." dissi, la voce attutita dalla sciarpa, che portavo fin sotto gli occhi.
Lei annuì. "E domani la festa. Prima non avevo molta voglia di andarci, ma adesso.."
La suoneria del mio cellulare la interruppe. Sobbalzai, e presi il mio cellulare dalla tasca dei jeans. Alex mi aveva fatto uno squillo. Sapeva che passavo del tempo con Melissa, ma non gli dispiaceva; pensava che lo facessi per lui. In realtà lo facevo per lui, ma per ben altri motivi.
"Chi è?"
Melissa si sporse verso di me prima che io potessi chiudere lo sportellino del cellulare. Quando mi accorsi che aveva letto, arrossii e lo chiusi di scatto.
"Alex?" chiese, curiosa.
"Alessandro.." precisai, irritata.
"Quel ragazzo carino con cui devo fare il progetto di scienze?"
Non apprezzai il 'carino' per niente. "E' lui, sì. E' il mio migliore amico."
Lei annuì, comprensiva. "Si vede che siete molto legati, infatti. Da quanto vi conoscete?"
"Due anni." risposi, secca.
Parlare di Alex con lei mi agitava parecchio. Cominciavo a sudare, nonostante il freddo pungente. Lei rimase in silenzio per un attimo.
"Sembra carino. Cioè, lo è. Ma oltre a questo, com'è..?"
Risposi quasi automaticamente.
"E' simpatico, intelligente. E' diverso dagli altri ragazzi. E' divertente, sai. Con lui ci sto bene."
Quando finii di pronunciare quelle parole, mi accorsi con orrore di quello che avevo appena detto. Cosa stavo facendo? Dovevo allontanarla da Alex, non parlarle di lui! Ero un'idiota, poco ma sicuro. Dovevo evitare a tutti i costi di toccare di nuovo quell'argomento. Prima che lei potesse dire qualcosa, mi alzai da quella panchina gelata.
"Ti va di andare a prendere una cioccolata calda?" chiesi, con il sorriso migliore che potessi avere.
“Certo!” accettò subito lei, entusiasta. Raccolse i vari pacchetti e si alzò. Erano troppi per lei, così mi offrii per portarne due. Camminammo insieme per il marciapiede, in silenzio. La strada era più o meno affollata: la gente acquistava gli ultimi regali Natalizi. Le vetrine dei negozi erano addobbate con ghirlande di vischio, agrifogli e campagne; e dappertutto, dominava l'accostamento del rosso e del verde. Io mi guardavo attorno, osservando la gente, e ogni tanto buttavo qualche occhiata distratta alle vetrine. Finché una di queste attirò la mia attenzione.
"Oh, guarda che bella!" esclamai, avvicinandomi. Praticamente appiccicai il naso contro la vetrina del negozio per guardare meglio, facendo un alone d'aria sul vetro con il mio respiro caldo. In vetrina era esposta una meraviglia. Una camicia di lino pesante. Aveva un taglio semplice, quasi maschile; era abbastanza lunga e larga, di un viola scurissimo, tendeva quasi al nero. Era semplice ma bella. Il mio occhio cadde sul listino dei prezzi e per poco non ebbi un infarto. Era carissima!
"Ehi, è davvero bella, hai buon gusto. Perché non entriamo?" disse Melissa, alle mie spalle. Io ero ancora appiccicata alla vetrina e guardavo incantata la camicia. Mi voltai per un attimo a guardarla, con uno sguardo triste.
"Non posso permettermela." dissi a denti stretti. Ammetterlo mi costava davvero tantissimo.
Lei mi sorrise, comprensiva. "Non c'è problema, Adrienne. Te la compro io."
Io la guardai stupita. "Cosa? Non posso proprio accettare, scusa."
"Perché?"
"Non saprei quando restituirti i soldi."
Lei fece uno sbuffo. "Ma figurati! Consideralo come un mio regalo di Natale." e poi mi sorrise, raggiante.
Io rimasi allibita. Immaginavo che, per lei, quella cifra fosse una sciocchezza, dato che era ricchissima. Era incredibile che accettasse di regalarmi qualcosa di così costoso dopo solo tre giorni che ci conoscevamo. E per di più io la stavo prendendo in giro. Mi sentii ancora più male e schifosamente in colpa.
"Sei incredibile." riuscii solo a dire.
Lei fece una risata. Mi prese per mano e mi trascinò dentro il negozio. Dieci minuti dopo, avevo tra le mani un sacchetto grigio, e dentro c'era  la mia camicia. Uscimmo dal negozio, tutte e due con un sorriso che arrivava da un orecchio all'altro. E prima che me ne accorgessi, eravamo sedute al tavolino di una cioccolateria, davanti a due tazze di cioccolata calda.
"Mela, ti devo un favore grandissimo, oltre che i soldi."
Lei continuava a sorridere. "Per il favore, puoi già rimediare da adesso."
"E come?" chiesi, bevendo quel che rimaneva della mia cioccolata.
"Domani pomeriggio vieni a casa mia. Ci prepariamo insieme per la festa."
"Hm.." riflettei, "Per te va bene?"
"Certo! Altrimenti non te l'avrei chiesto, no?"
Annuii. "Per me va benissimo."
"Bene!" sorrise, raggiante. Poi mi guardò intensamente negli occhi. "Vedrai come ti truccherò e pettinerò."
"Cosa?" esclamai, sorpresa.
Scoppiò a ridere. Sembrava divertita. O almeno, era quello che dava a vedere.
"Non ti farò del male, tranquilla."
Mi sfiorò la mano che tenevo appoggiata sul tavolino, e mi sciolsi in un sorriso. Non dissi niente, e rimanemmo in silenzio per un po'. Poi lei parlò di nuovo.
"Cosa ti metterai, con la camicia?" Feci spallucce. Non ci avevo pensato. "Non lo so. I jeans?" suggerii.
"Io avevo pensato a qualcos'altro." mi disse, guardandomi.
"A cosa?"
"Quando verrai a casa mia, lo vedrai."
Finite le cioccolate, ritornammo a casa. Quando fummo di fronte alla mia, la ringraziai di nuovo per la camicia.
"Dai, piantala. Non c'è di che, sul serio." disse lei.
"Presto ti restituirò i soldi, te lo prometto."
"Ho detto che è un regalo di Natale, Adrienne!" scoppiò a ridere.
A questo punto risi anch'io. Mi stavo rendendo conto che era impossibile odiare quella ragazza. Era disponibile e gentile, sì. I ragazzi della scuola - me compresa, forse, l' avevano giudicata un po’ troppo in fretta. Mi dimenticai che era la mia rivale, mi dimenticai che ad Alex piaceva. Non avevo mai provato la sensazione di avere un'amica. Certo, Alex era il mio migliore amico. Ma era un ragazzo, era una cosa un po’ diversa. Mi stavo davvero affezionando a Melissa? Mi chiesi se era soltanto perché mi aveva comprato quella splendida camicia e perché la invidiavo tanto. No, non era assolutamente così.
"Sono felice di essermi imbattuta in te. Di averti conosciuta." mi rivolse uno dei suoi sorrisi d'angelo. Sorrisi anch'io, come per ringraziarla.
Poi mi abbracciò stretta, poggiando la testa sulla mia spalla. Era adorabile.
"Ti voglio bene, Adri." disse.
"Anch'io." le risposi.
E stavolta, non mentivo affatto.

***

Quando fui in camera mia, da sola, mi provai la camicia. Mi stava a pennello. Mi ammirai più e più volte, studiandomi attentamente nello specchio ovale di legno. Avere quella camicia addosso mi faceva sentire un'altra, anche se non sapevo perché. Mentre appendevo con cura la camicia dentro l'armadio per evitare che si sgualcisse, il cellulare squillò. Era Alex.
"Ehilà, Adrienne! Come stai?" mi salutò allegramente.
Sentii un brivido passarmi sulla schiena quando pronunciò il mio nome.
"Tutto bene. Tu?"
"Non c'è male. Ti sei divertita con Melissa..?"
"Sì, molto." le parole mi uscirono da sole, e sorrisi. Ero sicura che anche lui stesse sorridendo. "Domani c'è la festa. Di pomeriggio ci vediamo?"
"No, scusa, non posso. Melissa mi ha invitato a casa sua."
"Ah." rispose, piatto. "Avevo voglia di vederti." aggiunse.
In quel momento mi venne voglia di disdire l'appuntamento con Melissa, ma non lo feci.
"Dai, ci vediamo là."
"Certo. A domani allora."
"Buonanotte, Alex."
"'Notte.."
Riattaccai. Aveva voglia di vedermi. Avevo la camicia. Sorrisi, buttandomi a pancia in giù sul letto.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

Capitolo 7.

Il grande giorno arrivò. Mi svegliai tardi, tranquillamente. Ero totalmente rilassata e felice. E probabilmente libera da qualsiasi pensiero intelligente, ma a me andava bene così. Anche Edoardo, il mio fratello maggiore, lo era.
Quando scesi per la colazione, lo trovai spaparanzato sul divano del salotto, che guardava la televisione.
"Buongiorno." salutai. Ero particolarmente in vena, quella mattina.
"Ciao." disse, non staccando gli occhi dalla tv, poi si voltò a guardarmi. "Stasera vieni alla festa?" mi chiese. Io feci di sì con la testa. "Ti serve un passaggio?"
Tanta gentilezza mi stupì. "No, grazie."
La madre di Melissa ci avrebbe accompagnato in auto. Invece la mia, quella mattina, era ancora in ospedale. Mi intristii un po'. Mia madre lavorava sempre, se quella sera fosse ritornata a casa mi sarebbe piaciuto darle una mano, tenerle compagnia; anche se lei mi aveva raccomandato di uscire e divertirmi, quella sera. Mentre preparavo la colazione per me e mio fratello, pensai ad Alex. Già non vedevo l'ora di rivederlo. Ero sicura che mi sarei divertita tantissimo, anche se avevo dei dubbi riguardo ad un'altra cosa. Adesso io volevo bene a Melissa.. E certo, volevo bene ad Alex. Ma cosa dovevo fare, se lui avesse davvero voluto conoscerla meglio, quella sera? Forse.. avrei dovuto mettermi sul serio da parte. Così optai per quella scelta, che in quel momento mi sembrava la migliore. E poi, pensandoci bene, era l'unica che avevo.

***

Quella che avevo davanti a me non era una casa, ma era una vera e propria reggia. Pensai che anche questo termine era poco per definirla. Una villa a tre piani, con giardino all'inglese, curatissimo, e con una piscina.
Melissa era decisamente ricca. Mi chiesi dove la sua famiglia prendesse tanti soldi, ma non sapevo ancora che lavoro facessero i suoi genitori, però. Suonai al citofono, e dopo cinque secondi, la voce di Melissa mi rispose.
"Entra!"
Il cancello di ferro battuto si aprì accanto a me. Prima di arrivare davanti casa, dovevo attraversare un lunghissimo vialetto di pietra, fra il giardino di un'erba verdissima ed estremamente curata. Cominciai ad imboccare il vialetto. C'erano un sacco di fiori bellissimi, tra cui delle rose bianche che attirarono particolarmente la mia attenzione. Adoravo le rose, specialmente quelle bianche: erano il mio fiore preferito.
Alzai lo sguardo sulla villa. Era dipinta di bianco, con le finestre di un legno scuro, come il tetto. All'ultimo piano c'era una terrazza. Provai un moto d'invidia per Melissa, ma mi passò quasi subito, anche se pensai che fosse un'ingiustizia: c'era chi aveva tutto e chi niente. A metà strada, vidi la porta d'ingresso aprirsi. Era, naturalmente, Melissa che mi salutava con la mano. Affrettai il passo, e mi avvicinai a lei.
"Ciao!" mi salutò.
"Ciao! Bella casa!" dissi con un sorriso.
"Grazie."
E già m'immaginavo l'interno. La casa di Melissa aveva all'incirca venticinque stanze. Quattro bagni, una miriade di salotti e stanze da letto. Mi sentivo come dentro la casa di una celebrità, come quelle che vengono presentate in quei show alla televisione. Quasi tutte le stanze erano decorate con eleganti arazzi persiani, quadri neorealisti, vasi pieni di mazzi di fiori e piatti con dentro vari cioccolatini. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, in mezzo a tutta quella eleganza, cosa che per me era sconosciuta. Melissa non parve accorgersene, perché con tranquillità mi trascinò dentro la sua stanza, che si trovava al primo piano. Dopo aver salito delle scale a chiocciola, aprì la porta della prima camera, a destra. La sua stanza era semplicemente bellissima.
Aveva le pareti dipinte di viola chiaro, e al soffitto c'erano attaccate una miriade di stelle fosforescenti. Le tende della finestra erano zebrate, e l'armadio, il letto e la scrivania e gli altri mobili erano neri. Sulla scrivania c'erano un sacco di libri: non sapevo che a Melissa piacesse leggere. Aveva un computer, la televisione e uno stereo, con una larghissima collezione di CD.. naturalmente tutti originali.
"Uao!" riuscii solo ad esclamare, non appena fui entrata. Lei rise per la mia reazione. "Dai! Fai come fossi a casa tua."
Ripresi un contegno. Mi levai lo zaino e lo posai sul letto, e mi sedetti tranquillamente su di esso. Lei gironzolava per la stanza, con un mega sorriso sul volto, chiacchierando amabilmente. Ero felice di essere venuta lì. E poi, chissà che aveva in mente. Melissa aprì l'armadio, io la guardai. Finché si voltò verso di me, sorridendo ancora.
"Vuoi vedere cosa avevo in programma per te?" mi chiese. Io annuii, curiosa.
Posò un indumento sul letto, accanto a me. Era una gonna di jeans, nera, a pieghe, non troppo corta. Era stupenda, anche se praticamente non portavo una gonna da quando avevo 8 anni.
"E' bella!" dissi, alzandola per poterla guardare meglio. "Ma non so se sarei capace di mettermela."
"Perché? Secondo me starai benissimo!"
Alzai le spalle. "Bah, se lo dici tu." In realtà, avevo paura di sembrare ridicola.
Lei sorrise. "Senti, mangiamo qualcosa, tanto c'è ancora tempo. Che ne pensi? E poi ci prepariamo." propose.
Lasciai andare la gonna sul letto. "Ma certo." risposi.
Quella ragazza era sorprendente. Era perfetta, sì, ma non mi faceva più paura.

***

Dopo una merenda nutriente, risalimmo in camera di Melissa.
"E adesso," disse, "ci facciamo belle."
Cominciammo a cambiarci. Prima lo fece lei: indossò un paio di jeans chiarissimi, e poi un maglioncino bianco, con delle minuscole perline qua e là, che sembravano splendere. Si raccolse i capelli in uno chignon dietro la testa, e li fermò con un piccolo fermaglio a forma di fiore, color panna. Stava benissimo, e sembrava splendere lei stessa insieme al suo maglione.
Dopo venne il mio turno. Indossai la camicia e la gonna di Melissa, poi mi ammirai nello specchio dietro la porta. La camicia mi stava benissimo, e la gonna non era niente male. Insieme, faceva un bell'effetto, e poi, ero vestita in maniera adatta per l'occasione: né troppo elegante, né troppo trasandata. E, stranamente, mi sentivo a mio agio anche se avevo un po’ di difficoltà nel camminare. Dopo di che, mi fece sedere e cominciò a lavorare sui miei capelli. Ci passò qualcosa, e li fece magicamente sgonfiare, dato che di solito i capelli ricci tendono a gonfiarsi da soli. Poi me li raccolse in un'unica, lunga treccia. Mi sentivo un'altra, e nel frattempo non smettevo più di ringraziarla. Vidi dei cosmetici, sopra la sua scrivania, e li indicai.
"Tu non hai bisogno di quelli." disse, serissima.
Io feci una faccia scandalizzata.
"Che cosa?" chiesi.
Lei ridacchiò. "Dico sul serio. Hai degli occhi stupendi.. sei bella già così."
Quasi non potevo credere alle mie orecchie. Io, bella? E detto da lei, che era considerata una delle ragazze più belle dell'intero istituto? Individuò di nuovo la mia espressione incredula, e scoppiò a ridere.
"Posso passarti qualcosa metterti in risalto il verde dei tuoi occhi." disse alla fine.
Prese una matita per gli occhi, nera. Dopo varie false partenze interrotte da molte mie risatine, riuscì a mettermi la matita negli occhi. Mi guardai allo specchio. Era vero! Avevo uno sguardo molto più intenso. E per di più, la mia autostima era a mille. Mi sentivo bellissima. E guardarsi allo specchio e vedersi belle, è una delle cose migliori per una ragazza.
"Sei pronta per la grande serata?" mi chiese Melissa, raggiungendomi al mio fianco.
Io annuii, guardando il suo riflesso. "Certamente."
Allora mi prese a braccetto, ridendo.
"Andiamo! Dai, che faremo conquiste!"
Risi anch'io. "Ma certo! Tanto che entreremo in sala e si gireranno tutti a guardarci!"
"A parte gli scherzi," continuava a ridacchiare, "magari un ragazzo ti inviterà a ballare."
Sorrisi. "E magari, lo bacerò."

***

Alle otto e mezza, ero di fronte la scuola. La festa si sarebbe svolta a quell'ora, in palestra. Io mi sentivo elettrizzata, avevo come una scarica di adrenalina in corpo. La madre di Melissa ci aveva accompagnato in auto, e ora stava raccomandando Melissa di comportarsi bene.
"E non bere alcolici!" esclamò sua madre.
Quest'ultima assomigliava moltissimo alla figlia. Aveva gli stessi occhi azzurri e gli stessi capelli biondissimi. Era solo un po' più alta di lei, e naturalmente meno giovane.
"Sì, mamma, lo so." rispose seccata Melissa, sbuffando sonoramente.
"E per qualsiasi cosa, chiamami al cellulare. Hai capito?"
Melissa annuì, sempre con un'espressione scioccata sul volto. Poi sua madre si rivolse a me.
"Beh, Adrienne, divertiti anche tu. E stà attenta a mia figlia, le piace infrangere le regole."
Io feci uno dei miei migliori sorrisi.
"Certamente," lanciai un'occhiata a Melissa, che mi guardò biecamente, "è un piacere averla conosciuta, signora. E grazie di tutto." aggiunsi, con la massima gentilezza. Sua madre mi fece un sorriso a trentadue denti. Io e Melissa scendemmo dall'auto, fermandoci sul marciapiede davanti ai cancelli. Attorno a noi c'erano altri ragazzi che andavano alla festa. L'adrenalina continuava a scorrermi nelle vene, imperterrita.
La madre di Melissa ci lanciò un'occhiata e un'ultima raccomandazione, poi se ne andò.
"Andiamo?" mi chiese, voltandosi verso i cancelli, che erano socchiusi.
"Sì!" dissi soltanto. Mi mancava il fiato.
Entrai a scuola con Melissa al mio fianco. E prima che me ne accorgessi, entrai in palestra. Per entrare nella pista da ballo - che in realtà era un campo da pallavolo con dei canestri di basket alle due estremità del campo-, era necessario attraversare degli infiniti e lunghissimi tendoni di plastica, che erano tagliati a metà per facilitare il passaggio delle persone. Poi, finalmente, io e Melissa arrivammo al centro della festa.
Il campo era completamente gremito di adolescenti esaltati: la maggior parte di loro ballava, a ritmo di una musica suonata da un gruppo, che si era sistemato su un palchetto montato alla bell'e meglio, ad un lato della sala. La band era composta da un cantante, un chitarrista, un bassista e un batterista. Tutti e quattro portavano rigorosamente una maglietta nera a maniche corte. Li osservai, attratta dal modo in cui si muovevano e dalla facilità con cui suonavano i loro strumenti; mi sembravano bravissimi. Il batterista muoveva così velocemente le due bacchette che per un attimo temetti che gli sarebbero scappate di mano e che avrebbe cavato gli occhi a qualcuno: ma fortunatamente non accadde. Mi voltai a guadare il resto della sala. Dappertutto erano appesi neon colorati, luci stroboscopiche e quelle che sembravano fili di luci per gli alberi di Natale. Erano stati messi per fare un po' di luce, dato che la sala era in penombra, e per creare una sorta di atmosfera. In un muro, invece, sotto uno striscione colorato, erano stati appesi grandi e innumerevoli specchi, che davano l'illusione che la pista fosse ancora più grande. Trovai che, chiunque avesse organizzato la festa, avesse fatto un bel lavoro. Dopo un'infinità di tempo, mi voltai verso Melissa. Lei stava guardando la folla di persone; mi sembrava che avesse uno sguardo un po' spaesato. In effetti, neanch'io avevo ancora individuato qualcuno che conoscevo. Mi chiesi dove fosse Alex, avevo paura di non beccarlo quella sera; e io volevo assolutamente vederlo. Al solo pensiero, mi sentii un groppo in gola. Anche Melissa si voltò verso di me e mi fece un timido sorriso.
"Andiamo un po’ in giro? Magari becchiamo qualcuno della nostra classe." disse.
Io annuii. Lei cominciò ad avanzare e a farsi spazio tra la folla di ragazzi. Senza dire niente, la seguii.
Cominciai a sentirmi in imbarazzo. Dappertutto c'erano ragazze bellissime che ballavano in modo aggraziato e a ritmo della musica. E io? Sarei risultata semplicemente ridicola? Certo che, per farmi mille paranoie, ero davvero molto abile. Cosa stavo facendo? Avrei dovuto sciogliermi, ballare spensierata, divertirmi. E invece scoprii di avere il viso incandescente e di sentirmi poco a mio agio. Mi odiavo per questo, ero una stupida.
"Visto qualcuno?" mi chiese all'improvviso Melissa.
"No." risposi semplicemente.
Eravamo al centro esatto della pista da ballo. Attorno a noi c'erano tantissime persone che ballavano e ci spingevano. Sembrava di essere ad un concerto, o ancora meglio, allo stadio. Le luci stroboscopiche mi andavano in faccia e mi davano fastidio
"Balliamo, allora, dai!" esclamò allegramente Melissa, prendendomi entrambe le mani.
"Ehm, Mela. C'è qualcosa che tu dovresti sapere." balbettai, stringendole a mia volta le mani.
"Cosa c'è?" mi chiese, incuriosita.
"Temo di non saper ballare.." dissi alla fine, sospirando sonoramente.
Lei scoppiò a ridere, e per un attimo ci rimasi male. "Beh, neanch'io so ballare, Adri. Il segreto è lasciarsi andare, e soprattutto divertirsi." fece una pausa, in cui mi sorrise. "Immagina di essere.. che so, ad esempio, da sola nella tua stanza. Funziona!" continuò, incoraggiandomi. Almeno adesso mi sentivo un po’ meglio, ad averlo detto a qualcuno. Sospirai, le feci un sorriso incerto, e mi diede una spinta amichevole.
"Dai! Tanto nessuno sta qui a giudicarti: non pensarci!" disse ancora.
"Ci proverò."
Melissa teneva ancora le mani strette alle mie, e io non avevo intenzione di lasciarle. Quella ragazza mi metteva allegria. E mi faceva sentire come intoccabile. Al sicuro. E le volevo bene.. era incredibile come in poco tempo il mio giudizio su di lei fosse cambiato.
"Allora balliamo!" ripeté lei.
Mi lasciò le mani e cominciò a muoversi accanto a me, portando le braccia in alto. Come immaginavo, anche lei era bravissima a ballare.  Piano piano cominciai a muovermi anch'io. Mai come in quel momento desideravo essere più spigliata, più disinvolta, proprio come Melissa. Ma ero terribilmente timida. E rossa.
Melissa mi prese di nuovo una mano, e ballammo assieme. Mi ero completamente sciolta, con lei al mio fianco, e capii davvero che con lei ero più sicura ed intoccabile. Le persone attorno a me mi spingevano, ma non m'importava: continuavo a ballare e a ridere. Mi stavo divertendo. Ballai senza fermarmi per quattro balli consecutivi, finché mi sentii accaldata e con la gola secca. Melissa era ancora nel pieno della forze, così le disse che andavo a prendere qualcosa da bere, al bancone vicino l'entrata. Dopo aver impiegato mezz'ora per uscire dalla folla di ragazzi, raggiunsi finalmente il piccolo buffet, allestito in un lungo tavolo vicino all'entrata della palestra. Presi da bere, e bevvi tutto d'un fiato. Ero troppo accaldata, mi girava la testa.
Dopo aver bevuto, decisi di ritornare da Melissa. Impiegai un'altra mezz'ora per attraversare la folla nella sala, quando vidi la mia amica ballare con un ragazzo. Il mio buonsenso mi disse che era meglio non disturbarla, così feci dietro-front. Mi sentivo un po’ abbandonata, e tra l'altro non stavo bene. Allora mi venne in mente un'idea che sicuramente mi avrebbe fatto stare un po’ meglio: decisi di uscire dalla palestra, l'aria lì dentro era troppo viziata. Stare un po’ all'aria aperta mi avrebbe fatto stare meglio, sì. Così mi diressi svelta verso le porte della palestra. Non appena appoggiai la mano alla maniglia, qualcuno appoggiò la sua mano sulla mia spalla. Mi voltai di scatto.
"Ehi!" esclamai, strattonando quel qualcuno, che aveva preso a stringermi la spalla così forte da farmi del male. Alex mi prese per entrambi i polsi, sorridendomi e guardandomi negli occhi. Il suo sguardo bastò per farmi calmare, in meno di due secondi.
"Alex!" esclamai, diventando color porpora all'instante, "mi hai fatto prendere un colpo, maledizione!"
Lui scoppiò a ridere. La sua risata era così piena di calore, così perfetta, che quasi il cuore mi schizzò fuori dal petto per l'emozione. Mi fece fare un giro su me stessa, tenendomi per il polso destro.
"Adrienne! Sei proprio tu?" chiese, allontanandosi un po' e squadrandomi dalla testa ai piedi. Mi sentivo morire dall'imbarazzo.
"E chi altro dovrei essere?" esclamai, forse con un po’ troppa violenza.
"Mamma mia, calmati!" disse, ridendo di nuovo, "volevo solo dirti che non sei niente male, sei splendida!"
Rettifico, ora morivo dall'imbarazzo.
"Grazie." bisbigliai, e lo guardai anch'io. Beh, neanche lui era niente male. Ma del resto lui stava sempre benissimo, almeno per me. Alex portava dei jeans larghi a vita bassa, strappati sulle ginocchia, e una camicia nera svoltata fino ai gomiti. E poi, i suoi capelli lunghi, che io adoravo, che gli facevano intravedere gli occhi. "Neanche tu sei tanto male." dissi, incrociando le braccia al petto e voltandomi di lato.
Sorrise. "Grazie, anche se lo sapevo già." scherzò.
Io gli feci una linguaccia, poi lui riprese a parlare.
"Allora, che stavi facendo?" chiese.
"Stavo uscendo." risposi.
"Come, perché? E poi nessun ragazzo ti ha già invitato a ballare?"
Cercai di deglutire, ma non ci riuscii.
"Non sto molto bene. Mi sento come mancare l'aria." dissi, decidendo di sorvolare sull'ultima sua domanda.
Lui annuì. "Dai, ti accompagno. Così magari mi fumo una sigaretta."
Mi venne voglia di dargli uno schiaffo, ma pensai che scherzasse. Mi spinse dolcemente verso l'uscita, mentre con una mano mi apriva la porta. Mi seguì per il corridoio, finché non uscimmo nel cortile della scuola. L'aria fresca della notte mi colpiva dritta in faccia; e come avevo immaginato, mi faceva sentire un po’ meglio. Respirai a pieni polmoni. Alex si sedette su uno scalino di marmo, così lo imitai.
Purtroppo non scherzava affatto: come al solito frugò nella tasca dei jeans, estraendone una sigaretta e un accendino. Io lo guardai severamente, mentre le forze cominciavano a ritornarmi.
"Alex, sei un idiota." gli dissi.
Mentre lui inspirava il fumo dalla sigaretta, mi guardò e mi sorrise.
"Ah, finalmente sei tornata in te."
"Che intendi?" chiesi.
Teneva la sigaretta mezza consumata tra l'indice e il medio, portandola di tanto in tanto alle labbra e rilasciando il fumo in aria.
"Ti preferisco quando mi rimproveri perché fumo." disse, continuando a sorridere.
"Meglio così, perché continuerò a farlo finché non smetterai di fumare." dissi, accigliata.
Lui scoppiò a ridere, poi gettò la sigaretta a terra e come al solito la spense schiacciandola con un piede.
"Aspettami qui." disse, alzandosi in piedi.
"D'accordo." risposi, facendo spallucce. Se ne andò, e dopo cinque minuti ritornò da me con due bottiglie di vetro in mano.
"Che cos'è?" chiesi, cominciando a preoccuparmi, quando tornò a sedersi al mio fianco.
Mi diede una bottiglia, che era ghiacciata. Sorrise, e poi bevve un sorso dalla sua bottiglia. Io annusai la mia. Riconobbi subito l'odore: birra.
"Perché quella faccia? Non ti piace?" mi chiese lui, bevendo un altro sorso.
Io lo guardai, quasi terrorizzata.
"Non.. non l'ho mai bevuta." ammisi, abbassando subito lo sguardo. Lui ridacchiò.
"Be', e allora? Assaggiala." mi invitò, alzandomi il viso verso di lui, prendendomi dal mento.
Lo guardai, e dopo aver realizzato che mi teneva per il mento, mi scostai leggermente, cercando di non arrossire. Mi schiarii la voce, poi guardai la bottiglia che ancora stringevo nella mano destra. Senza rifletterci un attimo, avvicinai la bottiglia alle labbra e bevvi anch'io un sorso. Sentii una cosa fredda e amara nella gola. Stranamente, mi piaceva. Bevvi ancora, mi sentivo la gola fresca. Dava una sensazione stranissima.
Senza accorgermene, ne feci fuori metà bottiglia. Quando mi staccai dalla bottiglia, guardai Alex. Mi guardava con occhi stupiti e divertiti allo stesso tempo. Fare un gesto insensato non era da me: ero troppo riflessiva. Ma quella sera mi andava così. Anzi, non sapevo bene quel che mi stava succedendo, e né quello che stavo facendo. Però con lui, ero al settimo cielo, ed ogni cosa era diversa ed eccitante.
"Allora?" mi chiese Alex.
"E' buona, mi piace." risposi.
Bevvi ancora.
"Vedi quante cose ti insegno? Dovresti darmi più retta. Sono sicuro che se provassi a fumare, ti piacerebbe anche quello." osservò, ridendo.
"Ne dubito, Alex."
Rimanemmo un po' in silenzio, finendo insieme le nostre bottiglie.
"Rientriamo? Mi sento meglio." dissi dopo un po'. In realtà mi girava la testa, ma di poco.
"Certo." rispose.
Ritornammo in palestra, che era sempre affollata e calda.
"Allora.. balliamo?" mi propose Alex, sussurrandomi all'orecchio. Io annuii, accettando.
Questa volta non ebbi problemi a ballare tra la folla, ma anzi trascinai Alex con me. Ballavo, ad occhi chiusi e sorridendo, accanto ad Alex, lasciandomi trasportare dalla musica. Adesso mi stavo decisamente godendo la festa. Ed ad ogni pausa tra un ballo e l'altro, bevevo una bottiglia. Ci avevo presto gusto, forse troppo, e la cosa peggiore era che non riuscivo più a fermarmi. Dopo svariati balli, ero arrivata a quota 4 bottiglie. Alex a 6. Ora la testa mi girava tantissimo, ma ero felice perché c'era Alex che ballava accanto a me, e perché avevo completamente dimenticato l'imbarazzo e l'ansia mentre ballavo, chissà perché. Ero euforica, decisamente.
Finché, barcollai e mi gettai su Alex, nel bel mezzo della pista. Non avevo più equilibro, e la stanza praticamente girava attorno a me.
"Adrienne!" esclamò lui, "cavolo, stai bene?" mi prese per entrambe le mani.
"Hm.." mormorai, "Mi gira la testa.". Mi portai una mano sulla fronte, ero caldissima.
"Vieni, andiamo a sederci." disse.
Mi mise un braccio attorno alla vita, e praticamente mi trascinò fuori dalla folla. Mi portò ad un lato della sala, dove c'erano delle sedie, che prima non avevo notato. Mi sedetti su una di queste, e lui si sedette accanto a me, poggiandomi una mano sul ginocchio e guardandomi intensamente. Sembrava preoccupato. In fondo, ero mezza svenuta fra le sue braccia.
"Non sei abituata a bere così. Non avrei dovuto.." disse, con un tono dispiaciutissimo. Forse si sentiva in colpa.
Lo guardai, scuotendo piano la testa.
"No, Alex. Non è per quello.. sto benissimo. E' solo che muoio di caldo." mentii, creandomi aria sul viso, agitando una mano.
In realtà sapevo benissimo che era esattamente per quello. Ma non volevo far capire ad Alex che non avevo mai bevuto, che non riuscivo a reggere tutte quelle bottiglie, o chissà che. Ero ubriaca? Domanda retorica.
L'alcol mi aveva dato alla testa, ma per sentirmi come lui, e forse un po' come tutti, avevo continuato a bere. In fondo, era anche divertente farlo, ma non sapevo a quel che andavo incontro.
"Va bene. Però rimaniamo un po' qui, d'accordo?" La sua mano passò dal mio ginocchio al mio viso, accarezzandomelo. Capii di aver perso il controllo di me stessa, quando appoggiai la mano sopra la sua, la presi, e la strinsi con la mia. E, cosa importante, non arrossii. Lui mi sorrise, e io ridacchiai senza motivo. Rimanemmo un po' là a chiacchierare, di tutto e di niente.  E io, persi il conto delle bottiglie che bevvi, nonostante mi sforzassi di tenerlo, ma per me in quel momento contava solo Alex. Ad un certo punto, il gruppo cominciò a suonare una canzone per me familiare. Don't cry, dei Guns'n'Roses, un gruppo rock degli anni '80.
"Uh, che bella questa!" esclamai.
Lui mi guardò intensamente, poi si alzò in piedi di fronte a me.
"Mi concederesti questo ballo?" mi chiese, con un sorriso splendido, porgendomi la mano.
Gli sorrisi anch'io, e presi la sua mano, alzandomi. "Con piacere."
L'idea di ballare con lui mi elettrizzava parecchio. Tenendomi per mano, mi portò ad un lato della pista da ballo, lontano dal palco. Mi accorsi che la sala era più in penombra di prima, e che ogni tanto qualche luce bianca e rossa veniva ad illuminarci. Adoravo quella canzone. Mia madre me la faceva ascoltare sempre, e io avevo imparato ad apprezzarla. Guardai Alex dritto negli occhi, mentre teneva ancora la mia mano stretta alla sua. Forse aveva paura che lo lasciassi, o che quasi svenissi di nuovo proprio sotto i suoi occhi.
Mi spinse verso di sé, con delicatezza, continuando a stringermi la mano.
'Talk to  me softly, there's something in your eyes.'
Il cantante della band cominciò a cantare. Io rabbrividii, quando mi cinse la vita con un braccio, mentre l'altra mano teneva ancora la mia. Appoggiai la mano libera sulla sua spalla. I nostri corpi erano vicinissimi, quasi si sfioravano. Continuava a guardarmi negli occhi, con un'espressione serissima sul volto.
'Somethin's changin' inside you, and don't you know.'
In quel momento le parole di quella canzone mi sembravano perfette. Tutti e due cominciammo a ballare, con estrema lentezza, e ondeggiando leggermente. La vicinanza con lui mi agitava tantissimo, ma allo stesso tempo mi faceva stare bene. Alex.. il mio migliore amico. Nelle ultime settimane era diventato peggio di una droga. Ed era così, io ne ero drogata. Bastava sentire o leggere il suo nome, per entrare in iperventilazione. E il suo tocco su di me, mi riempiva, mi inebriava, mi rendeva felice. Proprio come in quel momento. Ero felice, terribilmente, e mi stavo drogando sempre di più di lui. Ma la droga non faceva bene, e io lo sapevo, ma non volevo ammetterlo.
'Don't you cry tonight, I still love you, baby.'
Ero drogata dei suoi occhi, delle sue mani, dei suoi capelli. Mi piaceva tutto di lui.
Io.. io l'amavo. Non avevo amato nessuno prima di lui, e una parte di me spesso mi ripeteva che non sarei mai stata capace di amare qualcun altro, dopo di lui.
'There's a heaven above you, baby. And don't you cry, tonight.'
Io e lui continuavamo a ballare insieme, stretti l'un l'altra. A me girava ancora la testa, e avevo un fortissimo senso di nausea, ma in quel momento non me ne importava nulla. Ero tra le braccia di Alex, cos'altro avrebbe dovuto importarmi? Con lui, che sembrava un angelo venuto da chissà dove, stavo più che bene. Lui aveva le ali. Se stavo con lui, avrei potuto volare e arrivare a toccare il cielo con un dito.
'Give me a whisper..'
Appoggiai la testa sulla sua spalla, abbracciandolo. Avevo una paura tremenda di perderlo, ancora, ma più che altro avevo paura che tutto quello finisse. E sapere che era lì con me, mi rassicurava. Adesso il mio corpo era contro il suo. Sembrava aderire perfettamente, e tornai ad arrossire un po'. Si allontanò un po' da me, per guardarmi, ma subito mi abbracciò anche lui, tenendomi davvero stretta fra le sue braccia. Ed era proprio quello che volevo: che mi tenesse stretta e legata a lui, sempre.
"Adrienne.." mi sussurrò, ma non continuò, e io non avevo il coraggio di chiedergli cosa volesse dirmi.
'...and give me a sigh.'
Sospirai profondamente, lasciandolo andare. All'improvviso lui mi prese per una mano, e mi fece fare una piccola giravolta su me stessa, per poi avvicinarmi nuovamente a lui. Io sorridevo, felice e spensierata. Attorno a me non c'era più niente. C'era solo lui, e quelle note, e quelle parole, così dolci e perfette. Stavo per toccare il cielo con un dito, lo sapevo. Me lo sentivo, sì. Mi prese di nuovo una mano, cingendomi la vita, e mi fece appoggiare al suo petto. Sentivo il suo cuore battere; e la cosa mi emozionò tantissimo. Naturalmente diventai rossa, ma non me ne importava più. Il suo corpo trasmetteva calore. Alzai la testa, e incrociai il suo sguardo. Lo fissai per un secondo, finché gli sorrisi; lui ricambiò il mio sorriso. Avevo la pelle d'oca in tutto il corpo, e mi sembrava di tremare.
'Give me a kiss before you tell me goodbye.'
Mi allontanò da lui, guardandomi ancora dritto negli occhi con un'espressione ormai indecifrabile. Una sua mano s'insinuò tra i miei capelli, sciogliendomeli tutti, e lasciandoli cadere liberi sulle spalle, e prese a carezzarli. Poi si fermò, e io mi fermai con lui, standogli di fronte. Con un dito mi toccò le labbra, facendomele socchiudere leggermente al suo passaggio; e poi si avvicinò ancora a me. E da lì in poi, tutto accadde molto velocemente, come fotogrammi di un film che corrono veloci nella cinepresa, senza fermarsi mai, senza incepparsi, senza sbagliare. E toccai il cielo con un dito.
Il suono della musica mi rimbombava nelle orecchie. Mi frastornava, completamente, ma allo stesso tempo lo trovavo quasi piacevole. Socchiusi gli occhi, per non sforzarli alle luci stroboscopiche, e avevo la vista completamente annebbiata e la gola completamente secca. Mi inumidii le labbra con la lingua, e le lasciai socchiuse. Il suo corpo era sempre stretto contro il mio, e le sue braccia mi circondavano; come se volessero proteggermi, da chissà che cosa. Erano forti, e io mi sentivo al sicuro, attorno ad esse. Sospirai profondamente, tenendo perennemente gli occhi chiusi: non volevo vedere. Volevo solo godermi quel minuto, al massimo; non volevo spezzare l'incantesimo che si era creato, magari l'avrei semplicemente rotto soltanto aprendo gli occhi. Quegli attimi non sarebbero mai più tornati indietro, lo sapevo, e non volevo che scivolassero via. Non in quel momento, non adesso. Appoggiai le mie mani sul suo petto, distanziando un po' il suo corpo dal mio. Avevo le mani bollenti, e mi sembrava di sudare terribilmente: forse per l'agitazione, forse perché avevo ballato, forse perché ero fra le sue braccia. E forse perché lo desideravo da tempo. Lui mi prese un polso con una mano, stringendomelo dolcemente, quasi come per volersi assicurare che io non andassi via all'improvviso.
"Guardami."
Mi sussurrò vicinissimo all'orecchio, in modo che io potessi sentirlo anche sotto le note di quella musica assordante. Ma io non la sentivo più. Ogni suono era eliminato, ogni movimento era rallentato. C'era solo lui, con me. Aprii lentamente gli occhi, e trovai il suo viso ad un centimetro da quello mio. I suoi occhi nocciola, più chiari attorno all'iride, mi fissavano, ed eravamo talmente vicini che potevo vedere i miei occhi riflessi nei suoi. Senza dire una parola, mi strinse ancora di più a sé, tanto da lasciarmi senza fiato. Mi carezzò la guancia con la mano libera, scostandomi i capelli dalla faccia. Sentivo il suo respiro su di me. Lo guardai ancora, studiandolo, squadrandolo, e mi resi conto di quant'era terribilmente bello, non potevo non ammetterlo. Chiusi nuovamente gli occhi, lasciandomi trasportare, e lo sentii avvicinarsi al mio viso sempre di più, sentii avvicinarsi il suo respiro al mio collo.
Finché le sue labbra sfiorarono leggermente le mie.
'And please remember that I never lied, and please remember how I felt inside now, honey.
You gotta make it your own way..'
Fu come se mi avessero dato la scossa. Quasi sobbalzai in aria, ma rimasi immobile. Lui fece appoggiare di nuovo le mie labbra alle sue, ma questa volta ci rimase a contatto. Lo sentivo sorridere, anche se avevo gli occhi chiusi. Così dischiusi le labbra, pronta ad accoglierlo, a dire di sì a quella proposta, ad accettare quel meraviglioso invito, a baciarlo. E lui non si fece aspettare.
Mi baciò, mi baciò così intensamente da farmi venire le vertigini. Le sue labbra aderivano perfettamente a quelle mie, mi sembrava quasi che fossi nata per baciare solo lui. Insinuò la sua lingua fra le mie labbra, e la fece scivolare sopra quella mia, liberamente; nessuno poteva impedirglielo.
La sua mano era sotto la mia camicia, e la sentivo calda come il fuoco. Mi carezzava il ventre, e la schiena, provocandomi dei brividi che mi scuotevano tutta. Ogni tanto mi lasciava andare, solo per una frazione di secondo, e sussurrava il mio nome. Io ero completamente in balia di lui, mi lasciavo guidare, trasportare da quella sensazione. Continuavamo a cercarci, e ci trovavamo, ci intersecavamo, quasi come se fosse un gioco. Come il puzzle: ogni pezzo deve unirsi perfettamente ad un altro, e così via. Ed era così, quel bacio; ci univamo e ci intersecavamo come i tasselli del puzzle, come se fossimo una cosa sola. Erano sensazioni nuove per me, sensazioni fatte di brividi e di sospiri e di sussurri. Sussurravamo come se ci stessimo raccontando dei segreti, proprio mentre le nostre labbra si concedevano l'una all'altra, mentre si univano e partecipavano a quel gioco d'amore.
"Stai tremando. Hai freddo..?"
"No."
"E allora cos'hai?"
"E' il mio primo bacio.."
Continuammo a baciarci, non sapevo dire precisamente se per dei minuti o delle ore intere. Quelli che ci vedevano da lontano, probabilmente pensavano che avessimo fame, una fame insaziabile, e che quei baci fossero il nostro modo per nutrirci, talmente ne avevamo bisogno.
Cosa stava succedendo? Cosa mi stava capitando? Cosa ci stava capitando? Ero morta ed ero andata in paradiso? Ma se quello era il paradiso, chi aveva bisogno di vivere..?
'...but you'll be alright now sugar. You'll feel better tomorrow, come the morning light now baby.'












Salve a tutti =P Ho deciso di cominciare a lasciare una mia piccola “impronta” ad ogni capitolo. Vi ho sorpreso, eh? XD dite la verità u_u. Aspetto tante recensioni, stavolta: magari appena diventeranno di più comincerò anche a commentare le vostre recensioni. Mi raccomando, altrimenti non aggiorno =P Un bacione e grazie a tutti quelli che leggono!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8

Capitolo 8.

Un raggio di sole mi colpì
dritto in faccia, filtrando attraverso la tapparella mezza abbassata. Feci un verso incomprensibile, rimanendo immobile dov'ero. Il sole mi dava fastidio, e avevo ancora sonno. Lentamente, molto lentamente, aprii gli occhi. Mi guardai intorno, sbattendo le palpebre. Dei vestiti erano sparpagliati sul pavimento, lasciati lì alla rinfusa; una scarpa era vicino al letto, l'altra all'altro capo della stanza. Sembrava che un tornado fosse passato nella mia camera e avesse messo a soqquadro ogni cosa. Allora provai ad alzarmi a sedere, ma non ci riuscii, fui costretta a rimettermi stesa. Mi girava terribilmente la testa, e avevo  un po' di nausea. Mi sembrava come se mi avessero preso a bastonate, e lasciata lì a sanguinare, senza alcun aiuto. In poche parole, mi sentivo debolissima. Sbattei ancora più volte le palpebre, avevo anche la vista un tantino appannata. Allora ci rinunciai e chiusi gli occhi, sistemandomi meglio sul cuscino.
Cos'era successo?
Avevo un vuoto, come se avessi un enorme buco nero in testa. Mi portai una mano alla fronte, per controllare se ero calda. Lo ero, ma non troppo. Perché mi sentivo così terribilmente confusa? Facevo fatica anche solo a pensare. Sospirai più volte, come per controllarmi: mi stavo preoccupando. Dopo un po’, scivolai lentamente sotto il piumone, nascondendomi e arrotolandomi su me stessa, sotto le coperte. Mi presi il viso fra le mani, stringendo forte gli occhi. Che cosa diavolo avevo fatto..? Scossi la testa, sentendomi quasi soffocare per il troppo calore che c'era lì sotto.  La verità era che non mi ricordavo nulla, più nulla. Nonostante mi sforzassi di ricordarmi cosa avevo fatto il giorno precedente, non ci riuscivo. Nella mia mente si susseguirono varie immagini. La colazione, Edoardo, il pranzo, una tenda zebrata, un gonna nera. E poi..?
Niente. Il vuoto totale: come se qualcuno avesse risucchiato via tutti i miei ricordi, in un colpo solo.
Ma perché..?
Neanche a dirlo, mi preoccupai all'istante. Buttai il piumone di lato, tornando a respirare, finalmente. In quel preciso instante, la porta della mia camera da letto si spalancò.
"Adrienne?"
Nonostante avessi ancora gli occhi chiusi, riconobbi quella voce. Era Edoardo, mio fratello.
"Hm..?" chiesi.
Avevo la voce rauca e ancora presa di sonno, così me la schiarii.
"Stavi dormendo? Svegliati!" esclamò, con la delicatezza di un rinoceronte.
Cominciai ad innervosirmi. Spalancai gli occhi, e senza alzarmi dal letto mi voltai verso di lui, rivolgendogli uno sguardo di puro odio.
"Mi lasci in pace? Vai via!" esclamai. Lo dissi troppo forte, perché la testa sembrò scoppiarmi.
"Ero preoccupato per te. E' mezzogiorno. Tu che sei mattiniera, avresti dovuto alzarmi come minimo tre ore fa!"
Aveva ragione. Mi preoccupai ancora di più, ma non risposi. Continuai a guardarlo: sembrava veramente preoccupato. Sbuffai sonoramente.
"Be', come sta Alessandro?" chiese
.
Nel sentire questo nome, ebbi uno scatto. "Che diavolo c'entra Alex, adesso?" esclamai, cercando di massaggiarmi le tempie.
Edoardo fece una faccia stupita. "Ma, come..? Io..?" balbettò.
Alzai un sopracciglio, con aria indagatrice. "Parla!"
"Adrienne. Non ti ricordi? Be', del resto non mi hai visto, dimenticavo. Comunque, ieri sera Alessandro ti ha accompagnata a casa, no?"
Annuii, come se sapessi perfettamente di cosa stesse parlando.
"Perdonami, sorellina, ma vi ho spiati attraverso le tende. Vi siete messi assieme? A giudicare da dove stavano le vostre lingue.."
Divenni color cremisi e lanciai un urlo. Ero furiosa. Presi il cuscino e lo lanciai addosso a mio fratello, colpendolo allo stomaco. "Tu e il tuo senso dell'umorismo del cavolo! Sei un idiota!" Lui si mise le braccia davanti alla faccia per proteggersi. "Ma è vero, vi ho visti!" urlò. "No, invece no! Via!" urlai, e lui scappò via dalla mia stanza, borbottando qualcosa che non capii.
Mio fratello era un idiota. Sapeva che non stavo bene, voleva approfittare di me raccontandomi delle panzane. Se avessi veramente baciato Alex, me ne sarei ricordata.

***

Dopo una doccia, la situazione non era cambiata. Stesso senso di nausea, stesso vuoto in testa, stessa emicrania. Mi sentivo uno straccio. In casa c'eravamo solo io e mio fratello, mia madre era a lavorare come sempre. Non pranzai, ero sicura che se avessi mangiato qualcosa mi sarei sentita ancora più male. Dopo l'ora di pranzo rimasi in camera mia per leggere un libro, ma ben presto mi resi conto che era impossibile concentrarsi con il mal di testa che avevo. Cercai di pensare ad altro, ma era peggio. Dopo un po', mentre sonnecchiavo, la testa di mio fratello fece capolino alla porta.
"Adri? Hai visite."
Mi misi a sedere sul letto, mentre mio fratello spariva e dopo di lui entrava un altro ragazzo.
Alex, naturalmente.
Non appena lo vidi cominciai ad agitarmi, e sorrisi debolmente. Lui avanzò verso di me, e senza dirmi niente né senza degnarmi di uno sguardo, si sedette sul bordo del letto. Lo vidi giocherellare nervosamente con la mani, tenendo sempre lo sguardo basso.
"Alex?" chiesi, con voce incerta. Dapprima Alex non si mosse. Dopo qualche secondo, alzò lo sguardo e mi guardò dritto negli occhi. In quel momento, delle immagini mi apparvero veloci nella mente, come un flash. Due braccia che mi stringevano, due occhi come quelli che mi fissavano. Scossi rapidamente la testa per cancellare quelle immagini, non capendo a cosa appartenessero, e deglutii, mentre lui mi guardava. Esibiva un'espressione preoccupatissima, e sembrava triste. Mi dispiaceva vederlo così, e per un attimo mi chiesi il perché. "Tuo fratello mi ha detto che non stai bene. Che hai?" mi chiese.
Alzai le spalle, non smettendo di guardarlo. "Ho un po' di mal di testa, nausea. E.." Fui tentata di dirgli che avevo un vuoto di memoria d'un paio d'ore, ma mi bloccai appena in tempo. Lui s'inumidì le labbra con la lingua, e sospirò.
"Adrienne, ti prego
. Dimmi che quella di ieri sera non era la prima volta che ti ubriacavi." disse.
Lo fissai, incredula, riflettendo sulle sue parole. Cosa? Ma che diceva?
"Eh? Ma cosa...?" iniziai. Alex scoppiò in una risatina nervosa.
"Era come temevo, purtroppo."
"Non ti seguo, Alex.."
Lo fissai, con sguardo perso. Lui esibiva ancora un sorriso strano, indecifrabile. Il suo sguardo sembrava oltrepassarmi, era così profondo e serio che metteva paura. Improvvisamente si alzò dal mio letto, e cominciò ad andare avanti e indietro nella stanza. Continuai a fissarlo, mentre lo faceva. Non sorrideva, sospirava spesso, i suoi tratti erano duri e quasi marcati. L'avevo visto così poche volte, e mi metteva una paura folle. Era come se da un momento all'altra mi aspettassi che avesse una reazione, magari violenta, e che mi urlasse addosso.
"Ti prego, mi dici cos'hai? Non capisco.." sussurrai.
Alex si fermò davanti al mio letto. Strinse gli occhi e strinse anche forte i pugni. Io istintivamente rabbrividii. Si voltò di scatto verso di me, e velocemente mi raggiunse sul letto, stando a pochi centimetri di distanza da me.
"Mi dispiace, Adrienne. Mi dispiace da morire.."
Abbassò lo sguardo, scuotendo la testa. Io lo guardai, mordendomi il labbro inferiore così forte da farmelo sanguinare. "Maledizione, Alex! Vuoi dirmi che diavolo succede?" esclamai, perdendo la pazienza. Lui mi guardò, e il suo sguardo ancora una volta mi oltrepassò e mi fece calmare, almeno un po'. Ma oramai tremavo.
"Ieri sera. Ti ricordi, almeno.. la festa? La festa d'istituto." disse.
"Sì, me lo ricordo." risposi. Di quello avevo qualche ricordo, più o meno chiaro.
"Be’, durante la festa.. io e te.. ci siamo ubriacati. Abbiamo bevuto. E poi.."
"E poi?" lo incalzai.
"Ci siamo baciati."
Seguirono dei secondi di gelo assoluto, in cui io lo fissai, con la bocca socchiusa per lo stupore. Scossi la testa. Istintivamente pensai a ciò che mi aveva detto Edoardo, poche ore prima. Era vero? Non lo era?
"Ma che dici.." iniziai.
In fondo, io avevo un vuoto terribile d'un paio d'ore, non mi ricordavo nulla della sera precedente, della festa. Mio fratello mi aveva raccontato ciò che aveva visto davvero? Mi rifiutavo di credere che, ad esempio, Edoardo ed Alex si erano messi d'accordo per farmi uno scherzo. E, tra l'altro, sembravano tutti e due terribilmente preoccupati, Alex soprattutto. Era così serio.
"E'
tutto vero, Adrienne. E non ti ricordi niente, vero?" mi chiese.
Cercai di calmarmi, mentre il mio cervello lavorava veloce, e il cuore andava a tremila. Mi sentivo un groppo in gola, le parole mi mancavano. Ero un'idiota.
"Non.. non mi ricordo nulla.." ammisi, guardandolo.
Lui sospirò, e si alzò di nuovo, rimanendo immobile e impassibile con lo stesso guardo. Ero un'idiota, sì, e molto anche. Avevo veramente baciato Alex, allora. La cosa che desideravo di più si era finalmente avverata. Desideravo da tempo di stringerlo tra le mie braccia, baciare le sue labbra, ed averlo solo per me. Era accaduto. E io non me lo ricordavo, accidenti.
"E' tutta colpa mia. Ti ho fatto ubriacare, ho bevuto anch'io. Abbiamo perso il controllo entrambi, e poi ti sono praticamente saltato addosso." disse tutto d'un fiato. "Non riuscirò mai a perdonarmelo. Vorrei solo che la nostra amicizia non si rovinasse. E.. vorrei che tu non mi odiassi. Ne soffrirei troppo." concluse.
Scossi la testa. Avevo gli occhi lucidi, chissà perché. "Io non ti odio, Alex. E anche se volessi, non ci riuscirei. Sei una parte importante di me e ti voglio troppo bene per farlo."
Fece spallucce. "La nostra amicizia è troppo importante, sì. E poi ho rovinato tutto!" esclamò, alzando la voce.
"Ma
cos'è che hai rovinato? E' tutto a posto!" esclamai.
Lui scosse la testa, come se non avesse una risposta. "Sai, io non riesco più a guardarti.. come prima. Non so perché."
"Quello che è successo non cambia niente fra noi due.."
"Sì, invece! Lo cambia. Non doveva succedere, la nostra amicizia era perfetta così.. non c'era bisogno di complicarla ulteriormente. Forse è perché tu non ti ricordi niente, mentre io mi ricordo ogni singolo istante.."
Alzai un sopracciglio, e la voce iniziò a tremarmi. "Cos'è, è stato così terribile?"
Mi rivolse un'occhiata di fuoco, come se avessi detto un'incredibile cavolata. "Ma no.. non è così.. cioè.. solo che.."
"Che?"
"Melissa.."
Ebbi un altro scatto. Melissa. Il problema era lei, allora. Non era tra noi due, ma nasceva perché c'era lei. Per quanto potessi volerle bene, la odiai. E divenni incredibilmente furiosa.
"M-melissa..?" Avevo le lacrime agli occhi, e mi sforzai per ricacciarle indietro. Tremavo.
"Adrienne. Io sono innamorato di lei.."
Non risposi. "..e non di te."
Socchiusi gli occhi. Fu come se mi avessero colpito al cuore con un coltello. La testa cominciava a rifarmi brutti scherzi. E lui non era innamorato di me.
"Mi hai un po' confuso, forse. Ma io e te siamo amici da un sacco, mi puoi capire, vero? Quel bacio, non era niente. Non posso dire che non mi sia piaciuto, però noi due siamo solo amici. Per te provo un affetto infinito. Io non voglio rovinare tutto con Melis.."
"Scusami, Alex!" urlai, scattando in piedi di fronte a lui. "Scusami se ho mandato tutto a puttane con la tua Melissa!"
Alex mi guardò, scandalizzato. "Ma.. Adri?"
"Cazzo, Alex! Cos'è, non te n'è mai importato di me o dei miei sentimenti? T' interessa solo di arrivare a Melissa? Ti è importato solo che io, con quel bacio che neanche ricordo e che per te non è niente, ti abbia scombinato i piani che avevi per lei?"
Alex rimase senza parole. "Ma, allora.."
"Sì. Perdonami. Perdonami se mi piaci tanto, Alex."
Lui prima mi guardò, con occhi grandi. Poi li chiuse e, sedendosi sul letto, si portò la testa fra le mani. "Io.. non pensavo.. non credevo.."
"Mi dispiace, non te l'avevo mai detto. Non volevo che lo sapessi così."
Sembrava ammutolito, spiazzato, incredulo. Boccheggiava, probabilmente non sapeva che cosa dire. Avevo rovinato tutto, e lo sapevo bene. Ma a lui importava solo di Melissa, no? Io contavo meno di zero, così come i miei sentimenti per lui. Quindi non avevo nient'altro da perdere. Provai un moto di rabbia per lui, ma che in realtà nascondeva una tremenda delusione. Non me lo sarei mai aspettato un comportamento così, non da lui, non da quello che si definiva il mio migliore amico, che diceva che per lui era uno delle cose più importanti.
Alex si passò le mani fra i capelli, scombinandoseli, e sospirò forte.
"Perché non me l'hai mai detto?" chiese.
"Secondo te? Eri così cotto di Melissa. Non avrei mai avuto nessuna speranza contro di lei. E infatti è così."
Rimase immobile. "Questo cambia tutto, lo sai?"
Non risposi. Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. Cominciai a sentirmi così vuota. E in cuor mio, sapevo che niente sarebbe stato più lo stesso. Sapevo che la mia incondizionata paura di perdere Alex, si stava avverando. Era tutto vero, non era un sogno. O meglio, non era un incubo. Ma allo stesso tempo, mi sembrava tutto così assurdamente irreale. Perché? Perché io non mi ricordavo nulla, e per me era come se non fosse successo. Per me non c'era un motivo concreto. Davo le spalle ad Alex, ma sentivo il suo respiro, che era quasi affannoso.
"Adrienne.. Ti prego, guardami."
Mi voltai, e lo guardai. I nostri sguardi s'incrociarono, e subito i miei occhi si riempirono di lacrime. Ma esse decisero di non saltare, di non uscir fuori. Non ancora.
"C'è.. c'è solo una cosa che posso fare, adesso."
"E qual’è?"
Alex fece quello che sembrò l'ombra di un sorriso. Si alzò dal letto, e mi venne di fronte, a cinque centimetri da me.
"Devo uscire dalla tua vita. Per non farti più del male."
Chiusi gli occhi. Quelle parole facevano più male di una frustata.
"Non mi hai mai fatto del male."
"Non mentire. Te ne ho fatto. E devo allontanarmi da te. Per tanti motivi.."
"Cioè? Per Melissa. E perché mi piaci. No?"
Riaprii gli occhi, lo trovai a fissarmi. Non rispose, continuò solo a guardarmi in silenzio. Mi faceva male persino il suo sguardo, adesso. Le lacrime cominciarono a scendere, finalmente, trattenerle era diventato troppo difficile. Mi bagnarono il viso, scendendo verso le mie guance incandescenti. Una mi arrivò alle labbra, e la sentii salata.
"Forse dovrei odiarti per questo?" dissi, distogliendo lo sguardo da lui.
"Odiami. E forse, sarà tutto più semplice." rispose.
Scossi la testa, lentamente. Alex mi prese il viso per il mento, guardandomi ancora. Mi asciugò le lacrime con il pollice, non smettendo un attimo di guardarmi.
"Ti prego
smettila. Non toccarmi." dissi. Alex parve sorpreso dalle mie parole, ma mi lasciò andare di scatto.
Poi si avvicinò a me. I suoi capelli scuri sfiorarono la mia guancia bagnata, provocandomi una sensazione di solletico, mentre si avvicinava al mio orecchio.
"Sarà come se non fossi mai esistito, vedrai."
Io tremai, e mi strinsi le braccia attorno al petto, abbracciandomi quasi. Piansi disperatamente, singhiozzando ogni tanto.
"Non ti dimenticherò mai, Alex." dissi tra le lacrime. Non vedevo più niente, le lacrime me lo impedivano.
"Sii felice. Con qualcun altro che sappia farti sorridere. E non cambiare, mai, perché sei una persona perfetta già così."
E se ne andò. Così come la mia lucidità, la mia voglia di vivere, il senso delle cose. Non c'era altra ragione per me. Non c'era altro che dolore nel mio cuore.  Che stupido luogo comune, quello di dire che il cuore è il custode dei nostri segreti, e quello in cui custodiamo lì dentro le persone a cui teniamo di più. Cos'altro è, il cuore, se non l'organo più importante del corpo umano? Per quanto odiassi farlo, mi abbandonai a quel luogo comune. Alex era andato via, e aveva rubato e portato via con sé il mio cuore. Io, in quel giorno, morii. Non c'era vita senza di lui, non c'era altra ragione di vivere senza di lui.












Ed eccoci arrivati anche a questo *doloroso* capitolo. Volevo ringraziarvi moltissimo per i commenti che m’avete lasciato, e che adesso non posso commentare perché sono troppo pigra xD Ma davvero mi fa molto piacere, e se avete anche qualche critica da farmi.. sono ben accette! Allora, mi raccomando continuate a recensire, ci si sente al prossimo aggiornamento. La prossima volta posterò insieme i capitoli 9 e 10. Un abbraccio! (:

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 & 10 ***


Ritorno dopo secoli, lo so.. ma purtroppo il mio pc mi ha abbandonato e adesso mi ritrovo ad aggiornare dal pc dei miei genitori! Come avevo già detto, posterò i capitolo 9 e 10 assieme. Il cap 9 è quasi come un flusso di coscienza, mentre il capitolo 10 è un capitolo piuttosto drammatico xD ma dolce.
Spero di ricevere altri vostri commenti.. mi fanno davvero piacere! Ma siate clementi con i tempi di “postaggio”, purtroppo non sono nelle condizioni ideali, adesso xD
Un bacio.





Capitolo 9.

Le ore passavano lente. Ogni minuto che l'orologio batteva sembrava scandire un'eternità. La mia mente era offuscata, completamente disinteressata da qualsiasi cosa che mi circondava. Il mondo sembrava esser stato messo lì solo per farmi del male, niente di più. Desiderai con tutte le mie forze che all'improvviso smettessi di respirare, ma non accadde. Io non ero così. Io ero quella ragazza solare, che sorrideva, cercava di vedere il lato positivo di ogni cosa. Ma qualcuno aveva rubato quella luce che un tempo era imprigionata dentro i miei occhi.
Il dolore. Come può essere così tanto subdolo, un sentimento così infinito e astratto? Il dolore. Il dolore che ti offusca tutto, copre ciò che prima riuscivi a vedere chiaramente. Il dolore che ti fa avere quella orribile sensazione, che non si può spiegare ma che senti dentro, sempre, come un coltello conficcato nella carne. E più cerchi di estrarre via il coltello, più quello si conficca, facendo uscire più sangue di prima. Io facevo la parte della carne. Lui era come un veleno dentro le mie vene, e ora non stava facendo altro che avvelenarmi. E io, inerte, rimanevo a guardare che mi rovinasse la vita, che m'intossicasse il sangue con ogni sua minima particella. Avrei dato qualsiasi cosa.. Avrei dato la pelle, il fiato, le ossa, pur di aver avuto anche solo una briciola di coraggio e avergli urlato "Non mi lasciare!", quando lui si era voltato verso la porta della mia camera ed era andato via. Avrei dato qualsiasi cosa pur di non vederlo andare via, senza voltarsi, senza degnarmi di uno sguardo e senza concedermi un ultimo saluto. Mi ritornavano in mente tutte le cose che avevamo fatto insieme. Perché io amavo Alex con tutta l'anima, ma lui era solo il mio migliore amico.
Mi tornavano in mente le sere passate a casa mia, seduti su quel divano di pelle che gli piaceva tanto a guardare la tv e a sgranocchiare biscotti. E come m'arrabbiavo perché faceva tante briciole e poi dovevo pulire io. Mi ritornavano in mente i pomeriggi in cui io stavo male e mi sembrava di morire, bastava uno squillo e lui veniva da me, passando per la finestra e arrampicandosi dentro la mia stanza. Io piangevo e lui mi teneva stretta fra le sue braccia dicendomi che dovevo stare tranquilla perché tutto si sarebbe aggiustato e perché finché stavamo insieme, dovevo essere felice. Ovunque tu andrai, io ci sarò, mi ripetevi sempre. E io ci credevo Alex, ci credevo e pensavo veramente che mi avessi seguita ovunque fossi andata. E se chiudo gli occhi e guardo indietro vedo solo il tu viso. E, per dio Alex, quanto adoravo il tuo viso non lo so, certe volte mi sembrava non fosse reale. Quant'erano belli i tuoi occhi Alex, erano caldi come l'estate e quando li guardavo era come se viaggiassi nelle profondità della tua anima, così pulita e vera. Gli occhi sono lo specchio dell'anima, no? Adoravo le tue labbra e le fissavo senza fartene accorgere, adoravo i tuoi capelli neri che erano quasi sempre scombinati e ti ricadevano sugli occhi e tu sbuffavi perché ti davano fastidio. Adoravo il modo in cui ti spostavi i capelli dalla fronte con aria scocciata, mi facevi ridere. Io avrei voluto stringerlo tra le mie dita, quel viso. Spesso si dice che non bisogna amare ciò che è perfetto, ma si deve rendere perfetto ciò che si ama. Con Alex non c'era bisogno, la sua era una perfezione che pochi vedevano e io, sì, la vedevo. Vedevo la sua perfezione sotto quella pelle chiara e gli occhi scuri, e mi chiedevo come mai tutto quello che era potesse semplicemente rinchiudersi in una sola persona. Quel che era per me, era difficile da spiegare. Forse in due anni non l'avevo capito nemmeno io. Era di più di un semplice amico, di più di un semplice migliore amico. Lui era Alex, lui era la mia ragione di vita. E adesso ero nella mia stanza a piangere tante lacrime, sperando di avere la facoltà di poter piangerle tutte per poi stare finalmente in pace.
Non vedevo più niente, non sentivo più niente. Mia mamma mi chiamava, mi scuoteva, io aprivo la bocca ma le parole restavano lì, in mezzo alla gola, decidendo all'ultimo minuto di non voler uscire. E la sentivo piangere e singhiozzare perché non rispondevo ma mi sembrava lontana mille miglia e più volevo raggiungerla più si allontanava. Non sapevo che fare per raggiungerla e piangevo ancora di più per questo e non sapevo cos'altro fare. E vedevo anche mio fratello, che abbracciava mia madre e le dava pacche sulla spalla per farla calmare. E poi, com'era possibile? C'era anche mio padre. Mio padre stava fuori mesi interi, era impossibile che fosse là senza averci avvisato con un po' d'anticipo. Mio padre, che aveva i miei stessi occhi verdi e gli stessi capelli ricci, di cui sapevo probabilmente uno dei suoi segreti più importanti e allo stesso tempo uno dei suoi peccati più grandi che chissà se qualcuno gli avrebbe mai perdonato; io no di certo. E poi c'era anche lui, c'era Alex, che si avvicinava a quel trio e mi guardava fisso fisso, con espressione seria sul volto. Si spostò i capelli dagli occhi con una mano. Dio, mi faceva impazzire.
Mi vedi, Alex? Magari riesci a sentirmi, da questo mio luogo di solitudine? Riesci a vedermi e a sentirmi, Alex? Guarda, guarda un po’ cosa sono diventata a causa tua, perché tu adesso non ci sei più e io piano piano mi sto appassendo come una rosa, il mio fiore preferito. Cosa succederà quando tutti i petali cadranno giù? Ci sarà solo quel brutto stelo, che verrà buttato via, perché inutile e senza vita. Guardami, Alex, per l'ultima volta. Guarda come sto sanguinando. Ti prego ascolta le mie urla mute, e salvami dal baratro nero in cui sto cadendo, e in cui cadrò per l'eternità se tu non ci sarai più. Ti prego Alex fammi morire, adesso, uccidimi con un tuo bacio. E finalmente sembri ascoltarmi, vieni verso di me senza smettere di guardarmi. Quanto mi fai male Alex con il tuo sguardo, ma io sono masochista e continuo a guardarti e a perdermi nei tuoi occhi.
Mi dai dolore e questo dolore è come acqua dissetante. Ti avvicini e ti abbassi accanto a me, io che sono sdraiata per terra, raggomitolata su me stessa. Mi carezzi il viso con mano decisa e sicura. Mi guardi e il fiato sembra mancarmi. Mi prendi per mano e mi fai alzare da terra, facendomi inginocchiare davanti a te. Anche tu t'inginocchi e adesso siamo alti uguali. Mi tieni una mano sulla spalla mentre l'altra mi carezza ovunque, come a tranquillizzarmi e a farmi venire i brividi. Poi l'appoggi sulla mia schiena e mi sembra quasi di sentirla su di me anche attraverso la maglietta. T'avvicini Alex, e io comincio a morire. Sprofondo fra le tue labbra perfette e dolci, le succhio e le assaporo come se fossero un dolce fiele. E tu mi baci, ricambi i miei baci e li rendi perfetti. Io ti trasmetto tutto l'amore che ho per te e ti bacio lentamente, e ho quasi un collasso quando le nostre lingue s'incontrano e tu mi stringi forte, sempre più forte. E sono costretta a lasciarti perché, maledetto, mi hai rubato tutto il mio fiato. Allora mi baci il collo stringendomi a te e nelle mie orecchie si diffonde una musica dal volume assordante, una musica familiare. Ma sì, la riconosco.
Non piangere stanotte, c'è il paradiso sopra di te. Le nostri mani si uniscono e intrecci le tue dita con le mie, ma io già so che è ora di morire e andare via, volar via da tutto. E così com'eri venuto te ne vai, e io mi ritrovo semplicemente ad abbracciare il nulla. Grazie, grazie per avermi uccisa con le tue labbra. Adesso seppelliscimi nel profondo del tuo cuore e non tirarmi più fuori. Io ti amo Alex, scusa se non te l'ho mai detto quando ero viva. Così, proprio con un bacio, addio.

Capitolo 10.

Il sole tramontò. Il cielo cominciò a colorarsi di quella magnifica tonalità di rosa e violetto, mentre la stella polare spiccava già nel cielo vellutato, in tutta la sua luminosità e in tutto il suo splendore. L'erba era gelida sotto le mie mani. Sembrava accarezzarmi e farmi il solletico, così smisi di toccarla. Incrociai le braccia al petto, rimanendo col naso all'insù per continuare a guardare il cielo, il quale si faceva sempre più scuro e pieno di stelle, man mano che i minuti passavano. Presi il cellulare dalla tasca e controllai l'orario. Erano le sette di sera del 24 dicembre.
Sbuffai sonoramente, e mi alzai. Stava cominciando a fare buio e a far freddo. Mi strinsi meglio nella mia sciarpa di lana, tirandola su fino alle labbra. Camminai per un po', la mente svuotata, le braccia strette attorno al corpo per sentire meno freddo. Imboccai una strada, e finalmente da lontano vidi casa mia. La strada era vuota; passavano solo alcune auto ogni tanto. Le luci di tutte le case erano accese e in alcune finestre si notavano alcuni alberi di Natale che scintillavano. Adoravo il Natale. Dicembre era, tra l'altro, il mio mese preferito. Lo sentivo incredibilmente mio, e anche se non avevo una spiegazione plausibile. Mi piaceva il freddo che si attaccava alla pelle e ti faceva tremare. Però, adesso odiavo tutto questo. Tutto ciò che prima adoravo mi dava terribilmente fastidio e bastava anche una sola parola in proposito per farmi irritare profondamente. Sospirai. Non sentivo più l'aria di Natale mentre camminavo per strada. Semplicemente, tutte le cose mi scivolavano addosso, sfiorandomi ma non riuscendomi a toccarmi completamente, o a farmi sentire qualcosa. Qualcosa di speciale, magari, forse.
Forse, magari.
La mia vita era diventata come un gigantesco punto di domanda, e io ero la frase interrogativa. Ero cambiata.
Anche se erano passati solo tre giorni, da quando.. No, non riuscivo a pronunciarlo. Solo vedere il suo nome o sentirlo pronunciare da qualcun altro riusciva a farmi piangere. Eppure mi aveva cambiata; ciò che era successo era riuscito a marchiarmi a fuoco, e in quel momento io avevo una terribile ferita proprio all'altezza del cuore. Ma chissà quanto ci sarebbe voluto per rimarginarsi, ora che il mio disinfettante non c'era più. Una lacrima fuggì dai miei occhi e corse veloce lungo la mia guancia. Prima che potesse finire la sua corsa, l'ammazzai con il dorso della mia mano. Non volevo piangere, ma ogni volta era sempre peggio. Ero come ferma a metà. Interrotta. Una poesia non completata. Un bicchiere di vino lasciato a metà. C'era un grande vuoto dentro di me, e lo sapevo bene.. Perché lui non c'era più. Cercai di pensare ad altro, e sbattei le palpebre più volte, come se volessi svegliarmi proprio in quel momento. Mi ritrovai di fronte a casa mia, sotto il lampione che vedevo sempre dalla finestra della mia camera. Proprio mentre guardavo la facciata di casa mia, il lampione si accese. Dopo strani rumori e varie false partenze, una luce arancione mi cadde addosso come della pioggia fredda. Di nuovo sbattei le palpebre per abituarmi ad una luce così forte. Infilai le mani in tasca e sospirai, quasi a farmi coraggio, e attraversai la strada. Imboccai un breve vialetto, poi davanti la porta presi le chiavi di casa dalla tasca del giubbotto, infilandole dentro la toppa, feci due giri alla mia sinistra, e così entrai. Mi aspettavo di trovare mia madre e mio fratello ad aspettarmi, ma non fu così.
La casa era immersa nel silenzio, tutte le luci erano spente. Tra un'ora e mezza i miei parenti sarebbero stati là, e la casa era vuota e pronta per niente. Ma non entrai nel panico, assolutamente. Mi tolsi il giubbotto e lo posai delicatamente nell'appendiabiti all'ingresso, e mollai le chiavi sul tavolino accanto all'appendiabiti. Se nessuno si preoccupava che fosse Natale e che una cena e una tavola apparecchiata non fossero pronte, perché avrei dovuto farlo io? La cosa, in quel momento, non mi riguardava. Entrai nel salotto e, dopo essermi tolta le scarpe, sprofondai nel divano di pelle. Era freddo e si appiccicava al contatto con la mia pelle.
Rimasi a pancia in su, con occhi spalancati a fissare il soffitto bianco. Quel divano di pelle, e quel pomeriggio. Le sue parole, che mi risuonavano in testa dolci e cristalline.
'Ti voglio bene.'
Ma allora, se mi voleva bene, perché mi aveva lasciata, così..? La stretta al petto tornò a farsi risentire. Rabbrividii e mi raggomitolai su me stessa, cerando di non sprofondare nel baratro nero. Non ancora, non di nuovo.
Ma ero sola, orribilmente sola, e Dio solo sa cosa avrei dato per sentire il calore di un altro corpo, proprio accanto a me. Ma non c'era niente. Il labbro inferiore mi tremò, e feci di tutto per ricacciare indietro le lacrime, che avevano nuovamente fatto capolino nei miei occhi. Strinsi forte i pugni, sentendomi mancare il fiato, mentre altre immagini si susseguivano nella mia mente, facendomi un male atroce e impedendomi di pensare.

24 dicembre, un anno fa.
Lei, quattordici anni, quasi quindici. Capelli ricci castano scuro, un po’ più corti, proprio sulle spalle. Una riga di lato faceva nascere un ciuffo che le ricadeva sull'occhio destro. Gli occhi verdi, e quell'inarrestabile voglia di vivere che aveva troppo bisogno di espandersi. Corporatura giusta per la sua età, né troppo alta né troppo bassa. Troppa fretta di esser grande. Quel lucida labbra alla fragola che le colorava leggermente di rosa le labbra morbide e sottili. Era bella, ma non se ne accorgeva. Era come una rosa che stava sbocciando. Era bella, così, nella sua semplicità, e non aveva bisogno del trucco per esserlo.
E poi, Lui. Quattordici anni, quasi quindici, ma ne dimostrava di più. Capelli color corvino, lunghi, lisci e sugli occhi. Capelli sparpagliati un po’ ovunque: sembrava ci avesse litigato furiosamente. Occhi nocciola, grandi e curiosi, ambrati attorno all'iride. Era più alto per la sua età e dimostrava un atteggiamento quasi spavaldo con quelle mani sprofondate nelle tasche. Ma bastava il suo sorriso per rassicurarsi. Era caldo, e trasmetteva armonia. Un parco giochi abbandonato, con vecchie giostre ormai consumate dal tempo, rotte e arrugginite. Lui scavalcò il cancello chiuso da un lucchetto, e poi aiutò lei a fare lo stesso, tenendola prudentemente per mano. Quando furono dentro e l'erba frusciò sotto i loro piedi, lei gliela lasciò. Lui rimase deluso.
"Be’, perché mi hai portato qua?" chiese lei.
"Che volevi fare, la sera di Natale? Non potevamo certo andare in giro per la città come se niente fosse." rispose lui, paziente.
"Si, hai ragione." ammise lei, guardandosi un po’ intorno.
Erano in penombra, soltanto un lampione all'altro lato della strada illuminava ogni cosa con la sua luce arancione. In quel vecchio parco giochi, c'era solo uno scivolo pericolante, due altalene e alcune panchine.
Lui la guardò, in silenzio. Sotto il giubbotto, lei portava un maglioncino rosso, un paio di jeans e degli anfibi neri. Quel ciuffo le nascondeva metà viso, e lui lo odiava. La luce arancione rifletteva sul lucida labbra di lei, facendo assumere strani colori fluorescenti alle sue labbra.
Erano come minimo migliori amici. Lei gli arrivava alle spalle, e lui la guardava, la ammirava, e soffriva per amore. Soffriva perché lei non si accorgeva quanto il suo migliore amico vivesse per lei, quando la amasse, e quanto soffrisse ogni volta che lei nominava qualche altro ragazzo che le piaceva tanto. Ma continuava così, ad amarla in silenzio, avendo una paura folle di rovinare la loro amicizia, che era diventata una delle cose più belle e preziose per lui. Lei si strinse le braccia al petto, il sole era già tramontato e cominciava a far freddo. Lui continuava a guardarla, come in estasi; come quando si guarda qualcosa di meraviglioso e si voleva che non finisse mai. Improvvisamente si risvegliò dalle sue fantasie e lentamente si avvicinò a una delle due altalene, e prese posto su una seggiolina di legno. Le altalene cigolavano parecchio e sembravano cadere giù da un momento all'altro, ma a lui non importava di questo. Si diede una spinta con i piedi, e la seggiolina cominciò a muoversi velocemente avanti e indietro. Richiamata dal rumore, lei si voltò e gli sorrise.
"Dai, fammi compagnia." la invitò lui, con la massima gentilezza e con un sorriso a trentadue denti.
Lei sorrise di nuovo e velocemente lo raggiunse, accomodandosi sulla seggiolina di legno accanto a lui.
I loro movimenti erano coordinati, andavano giù e su assieme.
"Mi sento una bambina.." disse lei, ridendo.
"Capirai! Parli manco avessi trent'anni." la schernì lui, lanciandole una rapida linguaccia.
Lei scoppiò a ridere. "Sì, è vero, ho esagerato. Però era tantissimo tempo che non andavo su un'altalena."
Lui sorrise, beato, rendendosi conto di quanto fosse felice di essere lì insieme a lei. Dopo una decina di minuti, entrambi si fermarono e scesero, sedendosi sull'erba gelida. A lei dava fastidio il contatto dell'erba sulle mani, le sembrava che le stessero facendo il solletico.
"Che ore sono?" chiese lei, a gambe incrociate.
"Le sette." rispose lui, guardandosi l'orologio che portava sul polso sinistro. Cadde il silenzio.
Lui si morse le labbra, cercando di trovare un argomento di conversazione, o qualsiasi cosa che potesse farli discutere. Si accorse di avere entrambe le mani incredibilmente fredde, perché aveva tenuto in mano per tanto tempo la catena d'acciaio che reggeva la seggiolina all'altalena. Le strofinò l'una sull'altra, cercando di poterle riscaldare.
"Che hai? Le mani fredde?" chiese lei, guardandolo.
"Sono gelide."
Lei si avvicinò un poco, e le prese fra le sue. "Magari posso riscaldartele un po’ io, le ho calde."
Lui arrossì di colpo, e fece per ritirare le sue mani. "No, altrimenti poi diventano fredde pure a te."
Ma lei gliele bloccò e le unì di nuovo alle sue, stringendole forte.
"Stà tranquillo."
Lui deglutì e s'inumidì le labbra, e poi la guardò. Erano a pochi centimetri di distanza, entrambi seduti sull'erba fredda; lei era tranquilla, e gli sorrideva. Lui strinse di più le mani alle sue: non perché sentisse così tanto freddo, ma perché voleva sentire la sua pelle contro quella di lei. Le sue mani erano lisce, morbide e intensamente calde. Lei si avvicinò di più a lui, e fece intrecciare le loro dita. Lui si sentì mancare il fiato e, al contrario, cominciò a sentire veramente caldo.
"Hm.." commentò lui, con aria pensierosa. Lei era appoggiata di schiena alla sua spalla, e si voltò leggermente per guardarlo in viso.
"Che c'è?" chiese.
La guardò. "Pensavo: perché non ti levi quella roba dalla bocca?"
"Cosa, il lucida labbra?" chiese lei, incuriosita.
"Beh, sì, come diavolo si chiama."
"Perché?"
"Trovo che tu stia benissimo senza."
Lei alzò un sopracciglio con aria interrogativa. "Non te n'è mai importato di queste cose."
Lui fece spallucce. "Hai delle labbra così belle, al naturale. Così ti si rovinano."
Si rese conto di ciò che aveva detto e si morse la lingua.
'Perfetto! Ora penserà che sono un maniaco che sta tutto il giorno a guardarle le labbra perché muore dalla voglia di baciarle!'
Gli venne voglia di prendersi a pugni, ma in quel momento non era possibile, aveva ancora le mani strette a quelle di lei. Invece, lei scoppiò a ridere. "Nessuno mi aveva mai detto qualcosa del genere." Lui alzò le spalle, di nuovo. "C'è sempre una prima volta, sai?" Ringraziò Dio per averlo fatto con la risposta sempre pronta. Lei continuò a sorridere, sembrava divertita. Poi lui le lasciò le mani, non smettendo di fissarla.
"Posso?" chiese. Senza aspettare una risposta, con il pollice destro le toccò le labbra, togliendole il lucido.
Lei rimase senza fiato, diventando viola di botto, poi decise di buttarla sul ridere. "Guarda, adesso hai le mani tutte appiccicose!" Scoppiarono entrambi a ridere, e le loro risate sembrarono echeggiare attorno a loro. Prendendo il coraggio a due mani, lui le mise il ciuffo dietro l'orecchio.
"Altrimenti, come faccio a guardarti negli occhi..?"
Era così felice. Vederla ridere, arrossire, e star lì con lui, gli apriva qualche possibilità di poterle piacere. Ma in ogni caso, lo sapeva, sarebbe stata solo la sua migliore amica. Lentamente, si alzarono e uscirono fuori. L'aria ormai era gelida, sembrava attaccarsi alla pelle e alle ossa. Le stelle erano chiare sopra di loro, la stella polare sembrava risplendere come non mai, anche se era insignificante accanto alla luna, così bella e luminosa. Sembrava che sorridesse.
"Devo ritornare a casa, mia madre mi ucciderà."
"Dai, ti accompagno."
La strada era completamente deserta, solo la luce dei lampioni illuminava i due ragazzi. Lui rimuginava. Camminava al suo fianco, il silenzio, le mani sprofondate nelle tasche, come sempre. Avrebbe dovuto rivelarle i suoi sentimenti? Eppure era così evidente, ma solo lei sembrava non averlo ancora capito, ed era questa la cosa che lo faceva impazzire. Lei, che guardava gli altri ragazzi e sospirava d'amore, non riusciva a vedere, a sentire, a percepire quanto lui pazzamente fosse innamorato di lei. Senza accorgersene, arrivarono davanti casa sua.
"Beh, eccomi. Grazie di tutto.." disse lei, con un grande sospiro.
All'improvviso a lui venne un colpo di genio. "Aspetta! Quasi dimenticavo."
La prese per un braccio, portandola sotto il lampione di fronte casa sua, sperando che nessuno potesse disturbarli. Con aria seccata, scacciò via con una mano vari moscerini, poi si rivolse nuovamente a lei. "Volevo.. volevo darti una cosa." disse.
"Avevamo detto niente regali! Solo per i nostri compleanni." ribatté lei, ma sorrise.
Lui frugò nella tasca del suo giubbotto, finché ne estrasse un piccolo pacchettino incartato con della carta scozzese. Lei lo prese e poi guardò lui.
"Cos'è?"
"Aprilo."
Lentamente, lei lo aprì. Gli faceva venire i nervi, perché lei apriva tutto lentamente per evitare che la carta si strappasse, mentre lui solitamente strappava via ogni cosa, divorato dalla curiosità. Finalmente, lo aprì. Un piccolo oggetto scivolò sulle sue mani. Un fermaglio rosso, lungo e lucido.
"Che bello! Io adoro i fermagli!" esclamò lei, raggiante.
Lui sorrise, sospirando di sollievo. Era una sciocchezza, e temeva che lei glie l' avesse lanciato in testa, come minimo. Lo prese di nuovo, e glielo infilò tra i capelli ricci, tirandole sopra il ciuffo e facendole vedere tutti e due gli occhi.
"Ho pensato che il rosso ti risaltasse il verde degli occhi. E poi, guarda! Manco a farlo apposta, è dello stesso colore del tuo maglione."
Lei lo guardò, aveva gli occhi lucidi. Prima che lui potesse aggiungere altro, gli buttò le braccia al collo e lo strinse forte.
"Ma.." lui rimase senza fiato, ma la strinse a sua volta.
"Sei.. davvero troppo." disse lei, la voce attutita.
Lui sorrise dolcemente, socchiudendo di un poco gli occhi e quasi cullandola fra le sue braccia. Era più alto di lei, e in quei momenti le sembrava una bambina piccola e indifesa.
"Ti prego, non lasciarmi. Mai. Rimani il mio migliore amico, per sempre." continuò lei, il cuore che le andava a tredicimila. Lui deglutì. Sentiva ancora le sue braccia stringerlo, e il suo respiro contro il suo petto. "Per sempre. Te lo prometto." rispose.
Lei sciolse l'abbraccio. Gli sorrise dolcemente, forse come non aveva mai fatto. Lui si sciolse completamente, guardandola nei suoi grandi occhi verdi. Dio, quanto la amava a quanto la voleva. Ma erano solo amici. Per sempre.
"Adesso devo veramente andare. Grazie, di tutto."
"Non c'è di che."
"Buon Natale, Alex."
"Buon Natale, Adrienne."
Gli regalò un ultimo sorriso. Attraversò la strada, e poi scomparve dietro una porta.

24 dicembre, un anno dopo.
La stanza era ancora più buia. Mi asciugai le lacrime residue sulle guance, sospirando e singhiozzando in modo incontrollabile. Forse non riusciva a mantenere le promesse, o forse mi ero solo persa nelle mie illusioni. Mentre riflettevo su questo e il mio cuore si sgretolava in mille pezzettini, sentii un rumore. Un tonfo sordo. All'inizio non ci feci caso, ma allungando l'orecchio per sentire meglio, avvertii un altro rumore. Lo stesso, solo un po’ più forte. Più vicino. Avvertii subito un groppo in gola. Se fossero stati mia madre o mio fratello, avrebbero sicuramente acceso la luce e mi avrebbero chiamato. Entrai nel panico, ma decisi di stare calma e riflettere. Senza fare alcun rumore, scivolai dal divano, accucciandomi sul pavimento.
Nel frattempo sentii altri rumori, dei passi, ed ero quasi sicura che fosse un ladro. Mi guardai attorno, e afferrai la prima cosa tagliente o potenzialmente pericolosa che trovai, in caso avessi dovuto difendermi: un ombrello. Per fortuna riuscivo a vedere anche al buio. Mi alzai, un po' di più, con il cuore che mi tamburellava contro il petto per lo spavento. Mi appiattii contro il muro, a due centimetri dalla porta del salotto, che dava sulle altre stanze. Decisi di irrompere nell'altra stanza, accendendo la luce per cogliere il ladro di sorpresa, al mio tre.
1..
E se mi fosse successo qualcosa? Non avrei più rivisto mia madre, Edoardo.
2..
E non avrei più rivisto..
3.
Alex.
Mi fiondai nell'altra stanza, cliccando sul pulsante per accendere la luce, urlando e brandendo l'ombrello in aria. La luce travolse la stanza. Mi fermai, e l'ombrello mi cadde dalle mani. Un uomo sulla quarantina, con dei capelli ricci sul castano scuro e con dei grandi occhi verdi, era di fronte a me. Lo vidi scattare in aria per lo spavento, e poi mi guardò fisso.
"Adrienne..? Sono ritornato."
Non volevo pronunciare quella parola, ma senza volerlo la vomitai.
"P-papà...?"

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Capitolo 10
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11.

Le fiamme danzavano, e i bicchieri di vetro del servizio buono scintillavano, come se fossero composti da mille e mille diamanti preziosi. Mia madre esibiva un sorriso entusiasta. Un allegro chiacchiericcio era diffuso nella cucina, mischiato al rumore di stoviglie sbattute l'una sull'altra. Strinsi i pugni e mi morsi il labbro inferiore. Un gusto amaro mi avvertì che l'avevo morso troppo forte, e smisi subito. Mi leccai le labbra, cercando un po' di autocontrollo.
La situazione era questa.
Mio padre era ritornato dal suo viaggio di lavoro, e naturalmente tutta la mia famiglia lo stava accogliendo con gioia: tutti, tranne me. Me ne stavo in disparte su un lato della cucina, non aprendo minimamente bocca. Parlavo solo se qualcuno mi chiedeva qualcosa, e non rispondevo neanche con troppa allegria. Era inutile negarlo, comunque. Odiavo mio padre con tutto il cuore. La cosa che mi faceva più male e che mi dava più fastidio, era che io ero la sua fotocopia, eravamo uguali, e tutti i miei parenti adoravano farmelo notare. Io, sicuramente, non avevo lo stesso carattere suo. Mio padre era stato via due mesi interi, e io on avevo più visto mia madre sorridere da due mesi a quella parte. Anche mio fratello era contento e lo riempiva di domande. I miei nonni e i miei zii partecipavano con allegria alla discussione. Odiavo tutto questo.
In quel momento mi sentii più sola che mai, anche se attorno a me c'erano una decina di persone. Ero diventata invisibile, nessuno mi prestava attenzioni, proprio in quel momento in cui io avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse. Ma in quei tre, infiniti, lunghi giorni, né mia madre né mio fratello si erano chiesti perché non sorridessi più, perché mangiassi poco, perché stavo tutto il tempo rinchiusa in camera mia e non riuscissi più di casa. Io non ero così, non era quello il mio modo di fare, e pensavo lo sapessero bene, che mi conoscessero. Io mettevo le persone che amavo prima di me stessa, ma evidentemente per loro non era così. Se mi fossi uccisa, a nessuno sarebbe importato niente. Non sarebbe cambiato assolutamente niente, per nessuno.
Questo pensiero mi fece venire una profonda e dolorosa fitta allo stomaco; forse perché sapevo perfettamente che era la verità. Però faceva quasi impressione: stavo affrontando l'idea di essere veramente sola con una lucidità impressionante. Mi sarebbe piaciuto urlare e spaccare qualsiasi cosa avessi sotto mano, ma allo stesso tempo c'era qualcosa che me lo impediva, e m'imponeva di rimanere lucida e calma. Tutti i miei buoni propositi erano andati a farsi friggere, e adesso ero anche obbligata a vivere con una persona che detestavo profondamente. Al peggio non c'era fine, pensai tristemente.
"Adrienne?"
"Eh?"
Mi risvegliai. Edoardo mi stava schioccando le dita davanti al viso. Non appena individuò il mio sguardo atroce, smise.
"La cena è pronta, siediti." mi disse.
"Non ho molta fame." risposi.
"Temo che la mamma non ti lascerà andare via, è Natale. Dai, vieni."
Mi trascinai vicino al tavolo. Mio padre era a capotavola, così scelsi il posto più lontano da lui. Mia madre invece si accomodò alla destra di mio padre, e mio fratello la seguì a ruota. Feci una smorfia: non vedevo l'ora che finisse tutto quanto, mi sentivo come un grande peso sullo stomaco. Avrei voluto morire. I miei parenti mi lanciavano occhiate e larghi sorrisi, ma non risposi a nessuno di questi. Non m'importava di essere scortese. Non m'importava più di nulla. All'improvviso avvertii una grande voglia di piangere. Il naso cominciò a bruciarmi, così come le guance, e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Avvertii anche un groppo in gola, e non riuscii a scioglierlo. Le prime portate furono servite, ma io non mangiai quasi nulla. Ultimamente, mangiavo pochissimo, non avevo più fame. Piluccai tutto, portando di tanto in tanto la forchetta alla bocca. Il tavolo era pieno di chiacchiere allegre, che stavano sulla bocca di tutti. Del vino rosso sangue veniva versato in grandi bicchieri di vetro fragile. Mi sentii fuori luogo, e terribilmente frivola e ridicola; ma purtroppo dovetti sorbirmi tutta la cena, naturalmente. Durante la cena, non mi sfuggirono le occhiate insistenti di mio padre. Pensavo che temesse che sarei scoppiata all'improvviso e avrei rovinato l'allegria della serata. No, papà, non posso farlo non sono così egoista, come te.

***

Mezzanotte.
Entrambe le lancette dell'orologio in salotto erano puntate sul numero 12. Era il 25 dicembre, Natale.
Ci fu un giro di baci e di auguri generali, che evitai dicendo di dover assolutamente andare in bagno. Lì mi lavai la faccia, studiando attentamente il mio riflesso allo specchio. Gli occhi erano più verdi del solito, alterati dal rossore che affliggeva i miei occhi, tormentati dal mio pianto continuo degli ultimi giorni. Erano anche un po' gonfi. Mi sentivo già debole, stanca. Allungai una mano verso le specchio, e mi accorsi di tremare parecchio. Subito la ritirai, spaventata da me stessa. No, no, non era possibile. Non ero io quella là, non potevo essere io. Scesi giù come una furia, la testa che mi scoppiava. Ritornando in salotto, la prima cosa che notai furono altre bottiglie di vino che passavano dalle mani di mio padre, a quelle dei miei zii. Il vino non aveva effetto su di loro, e per un attimo desiderai bere così tanto da potermi ubriacare. Di nuovo. L'avevo già fatto, a quanto pare, ma nessuno mi aveva detto con cosa. E poi, beh, forse non era una grande idea, l'ultima volta non aveva avuto degli effetti magnifici. Ma dicevano che bere riusciva a farti dimenticare per un po' di tempo di tutto e tutti, a rilassarti. In quel momento mi sarebbe piaciuto dimenticare, sì. Mi piacerebbe piaciuto cullarmi nella dolce ubriachezza dell'alcol, per poter soffrire di meno, per dimenticare tutto il male che avevo dentro. Ma non era possibile. Mi risvegliai di nuovo, i rumori mi riportarono alla realtà. La scena era cambiata: I miei parenti adesso si scambiavano vari pacchetti e scatole incartate. Qualcuno mi invitò a sedermi, io ubbidii. All'improvviso vari pacchetti si materializzarono attorno a me, erano i regali dei miei parenti.. chissà cosa mi avevano comprato. D'istinto allungai la mano verso uno dei pacchetti, ma una mano afferrò il mio polso. Alzai lo sguardo di scatto, e trovai gli occhi di mio padre e fissarmi. Quando mi resi conto di tutto ciò, lo allontanai dal mio braccio con un po' troppa violenza. Mi lasciò andare. "Tieni. Questo è il mio regalo." Mi consegnò un pacchetto di una dimensione media, dorato, con un grande fiocchetto bianco in cima. Dovevo ammettere che la confezione era carina. Presi il pacchetto fra due mani. Lui continuò a guardarmi, e io immaginai che volesse che lo aprissi davanti a lui. Sospirando, e con una lentezza infinita, levai la carta e uscii una scatola nera. La aprii. Una macchina fotografica.
Rimasi senza parole. Come faceva a sapere che ne volevo una? L'avevo chiesta alla mamma, per Natale, ed evidentemente lei glielo aveva detto. Venni invasa da un moto di rabbia e frustrazione, avevo bisogno di urlare. Non ce la facevo più.
"Grazie.." dissi invece, simulando un sorriso stentato. Volevo essere educata, ma non ero sicura di riuscirci troppo bene. Forse mio padre voleva la mia gratitudine; ma ancora non capiva che l'odiavo con tutto il cuore? Chiusi la scatola.
Lui mi scompigliò i capelli, sorridendomi, poi se ne andò. Subito gli occhi mi si riempirono di lacrime. Mi scompigliava sempre i capelli, quando ero più piccola, dicendomi che li avevo ricci e ribelli proprio come i suoi. Sbuffai, riprendendo un contegno. Era proprio vero, al peggio non c'era mai fine.

***

Un'ora più tardi, ritornai in camera mia. Avevo tra le braccia i numerosi regali dei miei parenti. Chiusi la porta spingendola con un piede, poi con estrema difficoltà, avanzai e gettai tutti i doni sul letto. Libri, profumi, magliette. Sapevo che la maggior parte di questi non erano fatti col cuore, ma erano solo regali di circostanza: Perché eravamo parenti e tra parenti ci si deve fare regali, per le occasioni importanti, la regola era questa. Tra i tanti regali, individuai la scatola nera, la quale conteneva la macchina fotografica regalatomi da mio padre. La presi, e la guardai fisso per un minuto. Mi venne voglia di scagliarla contro il muro, ma naturalmente non lo feci. Mi accovacciai sul pavimento, alzai il piumone che lo sfiorava, e nascosi la scatola sotto al letto. Sarebbe stata lì, a prendere la polvere. Mi sarei rifiutata di usarla, per qualsiasi motivo al mondo. Come se stessi boicottando in maniera silenziosa il comportamento di mio padre. Ero stanchissima e avevo voglia di stendermi e dormire un po' I miei parenti erano ancora giù, dopo i regali stavano giocando a carte e chiacchierando. Pensai che, se fossi andata a dormire, nessuno avrebbe sentito la mia mancanza, comunque. Il mio sguardo vagò sui mobili della mia stanza, finché, ebbi un'idea. Sospirai profondamente, poi mi avvicinai al mobile vicino la scrivania. Aveva tanti cassetti, e ci tenevo dentro vestiti e alcune cianfrusaglie. Aprii il primo cassetto. Rovistai un po' dentro, vedendo perfettamente, anche se non avevo acceso la luce. Presi il mio portagioie di legno scuro. Dentro c'erano alcune collane e braccialetti, che non usavo praticamente mai. Tenendolo stretto e fermo tra le mani, mi sedetti sul pavimento, appoggiando la schiena all'estremità del letto. Respirai profondamente, poi l'aprii. Dentro c'erano alcune collane, braccialetti di quand'ero più piccola che non avevo avuto il coraggio di buttare via. Infine, lo trovai. Mollai accanto a me il portagioie. Strinsi forte al petto quel piccolo fermaglio rosso e lucido, tenendolo con entrambe la mani. Chiusi gli occhi. Ero patetica, vivevo di ricordi. Ma, in quel momento, erano le uniche cose che avevo.
E non riuscivo a rassegnarmi sul fatto che lui non era lì con me e non ci sarebbe stato mai più.

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Capitolo 11
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12.

Tre giorni passarono, in un modo o nell'altro. La magia di Natale se n'era completamente andata; non che ce ne fosse stata poi molta.
28 dicembre.
Un giorno che aspettavo con ansia da mesi, e che ora avrei preferito evitare: Il mio sedicesimo compleanno.
La mattina era fredda, quasi ghiacciata. Naturalmente mi svegliai di cattivo umore, nonostante la colazione a letto portata da mio fratello Edoardo, che sembrava aver subito un trapianto di personalità, almeno per quel giorno. Rimase con me per tutto il tempo in cui cercai di mandare giù qualcosa, cercando di strapparmi un sorriso con qualche battuta idiota e parlando del tempo, argomento banale ma piuttosto efficace.
"Beh, come ci si sente ad avere finalmente sedici anni?" mi chiese infine, quando stava per riportare il vassoio quasi intatto giù, in cucina. Pensai che una schifezza non fosse la risposta giusta, così mi limitai a dire: "Lo stesso di averne quindici." Edoardo fece spallucce e se ne andò. In effetti era vero: avevo compiuto sedici anni, ma non mi sentivo per niente diversa. In fondo, che cos'era? Solo un numero. Con orrore, pensai che tutta la mia famiglia, in quel giorno, mi sarebbe stata addosso e mi avrebbe ricoperto d'attenzioni.
Era terribile, non lo volevo. Pensai anche che, siccome mi avevano già fatto il regalo per Natale, non me ne avrebbero fatto ancora un altro. Almeno non avrei dovuto fingere altra gentilezza, specialmente nei confronti di mio padre: mi sentivo male a farlo. Non perché nutrissi dei sensi di colpa nei suoi confronti; ma perché io ero fondamentalmente una persona onesta e sincera, e sentivo di imbrogliare me stessa; ma era inevitabile, ormai. Mi alzai dal letto e andai in bagno, tuffandomi sotto la doccia; dopo di che, scesi in salotto. Mia madre e mio padre erano seduti sul divano, guardavano la televisione.
"Buon compleanno, Adrienne." disse mio padre.
Mia madre si alzò e venne a baciarmi sulla guancia. Ringraziai timidamente, diventando rossa, come sempre in quelle occasioni. Mio fratello ci raggiunse, mi sorrise. Cercai di ricambiare, sperando con in realtà non mi fosse venuta fuori una specie di brutta smorfia. Non mi sentivo per niente a mio agio; mi sentivo gli occhi di tutti addosso, e non riuscivo a muovermi con naturalezza.
"Hai fatto colazione?" mi chiese mia madre.

Mi voltai verso di lei, guardandola. Mio padre mi fissava. "Sì, Edoardo me l'ha portata a letto." risposi.
"Ho notato che non hai mangiato poi tanto.." osservò ancora mia madre, con un tono che sembrava dispiaciuto.
Alzai le spalle. "Non ho molta fame."
"Be', allora non hai mai molta fame, ultimamente.." disse mio padre. Il commento mi colpì nel profondo. Che ne sapeva lui? Era in quella casa solamente da tre giorni.
"C'è qualcosa che ti affligge, tesoro?" chiese dolcemente mia madre. "Non mangi quasi niente.."
Rimasi accanto alla porta, pronta a svignarmela. Mio fratello si sistemò in una poltrona, lanciando occhiate dai miei a me. Sbuffai, irritata da quell'intromissione. Ero incontentabile. Prima mi lamentavo perché non ricevevo attenzioni da loro, poi mi lamentavo perché me ne davano troppe.
"Non ho niente.." risposi, rimanendo sul vago e alzando nuovamente le spalle. Mentivo.
"Sicura? Non.." iniziò mia madre, ma mio padre la interruppe.
"Non sarà mica per un ragazzo?" domandò, alzando un sopracciglio e guardandomi con aria sospettosa.
Deglutii sonoramente, portando le mani dietro la schiena.
"Un ragazzo? Ma no.." iniziai.
"E allora cos'è successo?" incalzò lui.
"Perché non esci più? Stai sempre in casa! Che fine ha fatto Alessandro?" continuò mia madre.
A quel nome, ebbi uno scatto. Saltai in aria, avvampando e diventando color porpora.
"Alessandro? Chi è?" chiese mio padre, voltandosi verso mia madre.
Sentire ancora quel nome mi faceva del male. Troppo. Barcollai, temetti di cadere e mi appoggiai al muro alle mie spalle.
"E' il suo migliore amico. Non si fa più vedere, né sentire." spiegò rapidamente mia madre a mio padre.
"Allora è per lui, eh? Per un ragazzo!" disse quest'ultimo.
No, no, no.
"Ti reputavo più intelligente, sai?" continuò.
No, basta. Non aveva nessun diritto di parlarmi così.
"Hai sedici anni! Non mangiare non servirà a nulla."
Basta. Non sapeva niente di me, lui.
"E poi, che sarà mai quest'Alessandro! Manco fosse la tua ragione di vita!"
NO.
Scoppiai.
Ero rossissima, furiosa, tremavo. Tenevo i pugni così stretti che le unghia si conficcarono nella carne delle mie mani. "Basta!" urlai, con tutto il fiato che avevo nei polmoni. Tutti e tre sobbalzarono, guardandomi fisso. Vidi lo sguardo mio padre indurirsi improvvisamente, ma non smise di guardarmi. Io non avevo più controllo. Oramai che avevo iniziato, perché smettere? Non ce la facevo più, erano tre giorni che sopportavo senza lamentarmene mai.
"Che cosa ve ne importa?" urlai ai miei genitori, "La vita è mia, decido io, maledizione!"
Mio padre aprì la bocca per ribattere, ma io lo fermai.
"Sono grande abbastanza! So decidere da sola cos'è giusto o cos'è sbagliato!" continuai.
Mi accorsi di avere quasi il respiro affannoso.
Silenzio.
Mio padre era scuro in volto.
Mia madre era allibita.
Mio fratello era sorpreso.
"Sei ancora una bambina. Non hai il diritto di parlare così." proferì mio padre.
Bambina. Bambina.
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. E per quanto fosse possibile, mi arrabbiai ancora di più. Allora mi scagliai contro di lui, urlandogli addosso.
"Io, una bambina? Quello che non si prende le proprie responsabilità, sei tu!" dissi.
Notai che mio padre si agitò parecchio, a quella affermazione.
"Basta! Lasciami in pace, esci dalla mia vita!" continuai, scaricando tutta la rabbia e la frustrazione che avevo accumulato in corpo in quei giorni, "..nessuno ti ha chiesto di tornare qui." E conclusi con ciò che tenevo sulla punta della lingua in quei tre giorni: "Ti odio!"
Senza aspettare una risposta, una reazione, mi voltai di scatto e ritornai in camera mia, sbattendo la porta con tutta la forza che avevo.

***

Mi fermai, arrivando a destinazione. Conoscevo quel posto fin troppo bene, oramai. Presi il cellulare dalla tasca destra dei miei jeans, aprii lo sportellino e composi un numero, schiacciando con forza i tasti.
Era sera. Il cielo era già scuro, nero, e le stelle e la luna risplendevano bianche, in mezzo a quel velluto elegante.
Erano le undici. Non avrei dovuto trovarmi fuori di casa a quell'ora, da sola, ma non me ne importava più niente.
Uno, due, tre, infiniti squilli. La persona all'altro capo della linea non rispondeva. Esattamente come avevo immaginato, pensavo. In effetti, era abbastanza naturale che facesse così, ma non mi arrendevo mica.
Posai nuovamente il cellulare in tasca. Rimasi un attimo lì, incerta sul da farsi. Poi decisi di prendere in mano la situazione.
Ero davanti ad un edificio, una casa che oramai conoscevo bene, ci ero stata sì e no migliaia di volte. Feci il giro della casa, trovandomi sul retro. C'erano poche luci che filtravano attraverso le tende, e riconobbi la luce del salotto e della cucina. Cercai con lo sguardo la finestra che mi interessava. Nessuna luce. All'improvviso venni pervasa da mille pensieri. Era in casa? Sperai ardentemente di sì. E comunque, tentare non nuoceva. Avanzai rapidamente verso la finestra, con passo felpato, manco stessi per fare una rapina. Le tende mi impedivano di vedere, e la tapparella era mezza abbassata. Pensai che fosse una fortuna che si trovasse al pianterreno. Bussai violentemente contro il vetro, in modo che sentisse.
Rimasi a guardare. Non appena notai il movimento della tenda, mi accovacciai subito sul terreno.
Pensavo che se mi avesse visto subito, mi avrebbe sbattuto la finestra in faccia, come minimo. Socchiusi gli occhi. Sentii la finestra aprirsi sopra di me. Lo sentii posare le mani sul davanzale, sbuffare, e guardarsi intorno. Stava per chiudere la finestra, quando mi alzai e mi arrampicai dentro la stanza, spingendolo di lato.
Mi ritrovai per terra, vicino alla finestra, nella camera. Chiusi ed aprii più volte gli occhi.
Era per terra anche lui, ma si alzò di scatto. Non lo vedevo bene, era buio, ma mi guardava fisso. Appoggiò le mani sui fianchi.
"Adrienne!" esclamò, "che.. che diavolo ci fai qui?"
La sua voce, così bassa ed intensa, bastò a farmi sciogliere come neve al sole. Erano sei giorni che non la sentivo, mi mancava; mi era sempre piaciuta. Lui mi mancava, troppo. Mi inginocchiai e, senza guardarlo, scoppiai a piangere. Mi portai le mani sul viso, provavo vergogna, ma nonostante questo le lacrime non accennavano a scendere. Lui rimase in silenzio, immobile. Dopo qualche minuto, si avvicinò. Pensavo lo stesse facendo per consolarmi, invece lo sentii chiudere la finestra. Ci rimasi malissimo, e singhiozzai ancora più forte. Dopo di ciò, lo sentii inginocchiarsi accanto a me, finalmente.
"Adrienne.." iniziò.
Non risposi. Respirai profondamente per calmarmi.
"Adri.. che è successo..?"
Mi levai le mani dal viso, ma tenendo ancora lo sguardo basso. Mi asciugai rapidamente le lacrime dalle guance, poi lo guardai. Il bagliore argentato della luna, filtrando attraverso le tende, illuminava d'argento solamente i profili delle cose e delle persone. Guardai il suo profilo, i suoi capelli, le labbra socchiuse, che risaltavano grazie alla luce della luna di un colore brillantinato, sul grigio.
"Posso sapere come stai, per favore?" mi chiese, con gentilezza.
"Non.. non bene." risposi. "Quella che mi fai è una domanda retorica." osservai. Ero razionale e precisa, come sempre. Annuì.
"Che ti è successo?" mi chiese nuovamente.
Sospirai, prendendo coraggio. "Mio padre. E' venuto qui, qualche giorno fa."
Lessi nel suo sguardo della sorpresa.
"Cosa? Ma non era già due mesi che non si faceva vedere?" chiese.
Alzai le spalle. "Già."
Rimase un attimo in silenzio. "Non ho ancora capito cos'hai contro tuo padre. Non me l'hai mai detto perché lo odi così tanto." osservò.
Era vero, nessuno sapeva del mio segreto. Forse era il momento di dirglielo, oppure no?
"Ho.. ho bisogno di te, Alex. Non ho più nessuno." dissi, con voce tremante.
"Adrienne.. sai già come la penso. Non dovremmo parlarci. Non dovresti essere qui. Io dovrei uscire dalla tua vita." disse. Lo guardai dritto negli occhi, per quanto l'oscurità me lo permetteva, e lui si morse un labbro.
"Alex. Ti supplico, ti imploro.. ho bisogno di te, ho bisogno del mio migliore amico.. e di nessun altro.."
Non rispose, rimase in silenzio per qualche minuto. Poi si avvicinò al mio orecchio, e mi sussurrò. Proprio come l'ultima volta.
"E' solo per stanotte."
Le sue parole mi rimbombarono in testa. Solo per stanotte. Non mi bastava, certo. Ma avevo bisogno di lui, in quel preciso momento. Non sapevo perché accettasse, perché lo facesse. Ma io in quel momento decisi di essere egoista, non m'importava. Per una notte avrei ripreso a vivere. Sarei rimasta tutta la notte lì, se necessario. Mi alzai in piedi. "Senti.. posso stendermi?" chiesi, indicando il letto al centro della stanza. Avevo le gambe molli, e la testa mi girava violentemente.
"Certo." si alzò, mi prese per mano. A quel contatto, rabbrividii. Come se avessi preso la scossa, la mollai di scatto. Mi avvicinai al letto, e mi ci distesi sopra. Socchiusi un po' gli occhi. Mi sentivo morire. E allo stesso tempo, non mi ero mai sentita così viva. Pensavo di non aver più potuto vedere Alex, e invece lui era lì, insieme a me, anche se solo per una notte. Ma magari, avrebbe cambiato idea. Lo guardai, era in piedi davanti al letto. Quanto lo amavo, quanto lo volevo. Alex si avvicinò a me. Con lentezza snervante, si avvicinò al letto e si distese accanto a me, lasciando tra me e lui pochi centimetri di distanza.
Era troppo vicino. Sentivo il suo respiro sul mio collo, i suoi occhi dentro ai miei. Avrei voluto rubare quell'attimo, metterlo dentro una bottiglia e berne quando ne avevo più bisogno. Mi sarebbe anche bastato che il tempo si fosse fermato, proprio in quell'istante esatto. Avevo una voglia tremenda di abbracciarlo, ma non sapevo se potevo farlo. Così mi avvicinai, chiudendo gli occhi. Lo abbracciai, poggiando la testa sulla sua spalla e tenendo le mani sulla sua schiena. I nostri corpi ormai si sfioravano, erano pericolosamente e deliziosamente vicini.
"Ti voglio, Alex. Ti voglio, ti voglio," gli sussurrai ripetutamente all'orecchio, stringendo fra le mani la stoffa della sua maglietta. "..con me." precisai, arrossendo terribilmente. Ma tanto c'era troppo buio, non poteva vedermi arrossire. Lui non rispose, solo mi poggiò una mano dietro la schiena, come se volesse carezzarmi, ma non lo fece.
Deglutii, mi sentivo un'idiota. Continuai a stringere la sua maglietta e ad abbracciarlo; poi mi allontanai, ritornando alla mia posizione originale. Avevo bisogno di sfogarmi. E, soprattutto, di fargli capire quanto lo amavo: in fondo, era solo per una notte. E poi? Vuoto totale. Piansi di nuovo. Lui mi toccò le guance e molte delle mie lacrime si riversarono nelle sue dita. Quel silenzio mi faceva impazzire. Finché, come se avesse letto nei miei pensieri, parlò.
"Mi dici perché stai così? Come faccio ad aiutarti?" chiese.
Sospirai. Avevo paura, avevo paura di raccontargli il mio segreto. Mi sarei sentita meglio, dopo averlo fatto, o sarebbe solo stato l'ennesimo sbaglio?
"Se mantieni il segreto, te lo racconterò." dissi, con lentezza.
Lo vidi annuire. "Certo. Ti dispiace se.. fumo?" chiese, titubante.
"No." risposi sinceramente. Non mi dispiaceva affatto. Avevo bisogno di memorizzare ogni piccolo particolare, ogni azione, ogni movimento. In modo tale che, quando la notte fosse finita, avrei potuto cibarmi meglio dei ricordi. Si alzò a sedere sul letto, poggiandosi allo schienale. Adesso vedevo veramente poco di lui. Io d'istinto mi sedetti meglio davanti a lui, incrociando le gambe e guardandolo fisso. Prese qualcosa dal comodino accanto a lui. Ci furono dei rumori, e vidi una fiamma color arancio materializzarsi davanti a me. Avvicinò l'accendino alla sigaretta che teneva fra le labbra, e per un attimo gli vidi chiaramente il viso, illuminato da quella luce arancione. Accese la sigaretta, e cominciò a fumare. Un odore di fumo mi arrivò al naso, e provai una sensazione di solletico: non lo sopportavo, ma mi ci stavo abituando. La sigaretta accesa era ben visibile al buio, ma di lui non vedevo quasi niente. Ogni tanto gli illuminava il viso perfetto, quando la avvicinava ad esso per fare un tiro. Fu una delizia, anche se non approvavo il fumo, lui era spaventosamente bello, così, mentre fumava. E il suo viso era proprio come me lo ricordavo.
"Dai, spara. Hai tutta la mia attenzione." disse dopo un po'.
Sospirai, cercando il coraggio necessario. "Stà tranquilla, okay?" continuò. Annuii.
"Avevo tredici anni," dissi, "quando scoprii il piccolo, grande segreto di mio padre."
Deglutii. Ricordarlo mi faceva male, e anche se erano già passati quasi tre anni, le immagini di quel momento erano ancora vive nella mia mente.
"Mio padre era sempre il rappresentante della ditta di computer," dissi, "e ci raccontava di fare lunghi viaggi per tutto il paese, per i clienti." Alex annuì. "E' quello che fa adesso, no?"
"Esatto. Era l'11 aprile di tre anni fa, me lo ricordo ancora. Sai, come si dice.. Ci sono molte cose che non si dimenticano facilmente, e questa è una di quelle. Quella mattina mio padre ci aveva chiamato, dicendoci che nel pomeriggio sarebbe tornato a casa, dopo un mese e passa. Io ero felicissima: adoravo mio padre. Portava a me e a mio fratello dei bellissimi regali."
"Il pomeriggio, dopo i compiti, mia madre diede a me e a mio fratello dei soldi per un gelato, dicendoci che potevamo andare a fare una passeggiata, al parco. Naturalmente accettammo: aspettavamo con ansia il ritorno di mio padre e, magari, se ci fossimo distratti per qualche ora, il tempo sarebbe passato più velocemente." Alex spense la sigaretta, poi mi guardò. "Continua, dai."
Continuai con il mio racconto. "Dopo un gelato, io e mio fratello andammo al parco. Era grandissimo e pieno di spazi verdi, di aiuole; ma non era molto frequentato, se non dai ragazzi. Passammo un'oretta a chiacchierare, a prendere il sole distesi sull'erba. Poi, mio fratello incontrò un gruppo di suoi amici."
"Lui era più grande di me, quindi era chiaro che non mi volesse fra i piedi mentre stava con i suoi amici. Allora andai, da sola, a spasso per il parco, fra le varie aiuole. Speravo che mio fratello finisse presto, perché mi annoiavo senza di lui. Finché, mentre ero dietro un cespuglio a raccogliere delle margherite, sentii la voce di due adulti, molto attutita." La voce mi tremò, eravamo nella parte cruciale. Alex lo capì, e mi prese una mano. Io la strinsi, forte, come per farmi coraggio.
"Mi avvicinai per vedere meglio." iniziai. "Vidi.. vidi mio padre, disteso sull'erba, abbracciato ad una donna." Sentii Alex trattenere il respiro, e stringermi la mano più forte. Deglutii. Dovevo essere forte, e non piangere di nuovo.
"Cosa.. cosa successe?" chiese Alex, "vuoi raccontarmelo?"
Annuii, e mi schiarii la voce. "Urlai. Avevo paura. Ero terribilmente sconvolta, tutte le mie certezze erano crollate. Mio padre mi sentì, mi vide, venne preso dal panico. Lasciò la donna, e venne verso di me, aggiustandosi i vestiti. All'inizio non mi disse niente, mi fissò mentre piangevo disperata. Non mi ricordo bene cosa dicessi, ma mi lamentavo fra le lacrime e imprecavo. Stavo soffrendo tantissimo."
Feci una pausa, ricacciai le lacrime indietro. Mi inumidii le labbra, e Alex mi strinse anche l'altra mano.
"Poi, dissi qualcosa come: 'Lascia che non lo sappia la mamma' , facendogli capire che ciò che avevo visto non sarebbe rimasto un segreto. A quel punto mio padre divenne una furia. Mi prese per le spalle e mi sussurrò minacciosamente. 'Fanne parola con qualcuno, e io ti ammazzo', mi disse. Non ho mai capito se dicesse sul serio. Ma capiscimi: ero sola, impaurita. In quell'attimo gli credetti. Poi continuò e aggiunse: 'Non me ne importa più niente di voi, presto lascerò te, tuo madre e tuo fratello, e questa città.'"
Mi fermai, guardandolo. "Non sai quante volte ho desiderato che lo facesse.." confessai.
Alex annuì, e intrecciò le mie dita con le sue. Era evidentemente ammutolito e sconvolto anche lui. Aveva visto mio padre poche volte, ma pensavo che non si immaginasse una cosa del genere. E in effetti, neanch'io me la sarei mai immaginata. Certe volte mi chiedevo: perché a me? Perché non a qualcun altro? Il destino era stato troppo crudele con me.
"Sono.. sono il primo a saperlo?" chiese.
"Sì. E temo che per ora sarai l'unico." risposi.
Sospirò. "E' successo qualcos'altro, vero?"
Annuii. "Io e lui abbiamo litigato. Mi ha accusato di essere una bambina.."
"Odi essere chiamata così." osservò lui.
"Esatto, tu lo sai bene. Gli ho detto delle cose orribili, ma era ciò che pensavo, alla fin fine." continuai.
"E sei scappata via, per venire da me?" chiese.
"Sì. Alex, forse non capisci. Per mia madre e mio fratello, mio padre è Dio sceso in terra, quando in realtà è tutt'altro. Non mi crederebbero mai, non mi darebbero mai ragione. Pensa che da quando è ritornato a casa, io sono stata male, e loro non mi hanno neanche calcolato."
Prima Alex non rispose, poi ci ripensò. "Sei.. sei stata male?" Sospirai, mordendomi le labbra. "Io.." iniziai.
"Per me." concluse lui, precedendomi, con un tono rassegnato.
Gli strinsi le mani sempre più forte. "Patetico, vero?" chiesi.
"Il mio obiettivo era non farti soffrire più, Adrienne. Soffrire per me, non ne vale assolutamente la pena. Volevo allontanarmi da te in modo che tu fossi felice." spiegò.
"Tutto questo non mi fa bene per niente, Alex!" esclamai, "mi spieghi come farei ad essere felice senza te accanto?"
"Niente è infinito. Prima o poi dovremmo separarci, non ti pare?" ribatté.
Alzai le spalle, stritolandogli praticamente le mani. "Ma io non ci riesco. Non riesco a non parlarti, a non pensarti. Non sono abbastanza forte da poterti stare lontano." dissi, citando una sua frase di parecchie settimane fa. Sospirò, e mi lasciò le mani. Pensavo di averlo irritato, o fatto arrabbiare. Invece, si avvicinò e mi prese fra le sue braccia, come a volermi cullare. Io mi lasciai andare, socchiudendo gli occhi. Sentivo un calore diffuso in corpo, come se delle piccole scariche elettriche mi attraversassero dappertutto. Arrossii.
Mi avvicinò a sé, io stesa sopra di lui, fra le sue braccia. Ero in imbarazzo, ma felice. Stetti in silenzio, senza nulla da dirgli.
"Ti ricordi.." sussurrai all'improvviso, "Natale di un anno fa? Me l'hai promesso, Alex. Per sempre."
Prese a carezzarmi i capelli, a farmi i ricci con le dita. Mi guardava fisso, facendomi arrossire.
"Alex.." iniziai, ma mi poggiò un dito sulle labbra, per zittirmi.
"Shhh.." disse, avvicinandosi al mio viso. Rabbrividii.
Si avvicinò al mio orecchio. "Buon compleanno, Adrienne." Rialzò il viso, mi guardò. Mi scostò i capelli dal viso, e mi baciò delicatamente sulla guancia. Io ero paralizzata, non sapevo né cosa fare, né cosa dire. Trattenevo il fiato, guardandolo con occhi grandi. Perché faceva così?
"Cosa ti sto facendo, Adrienne?" mi chiese, sussurrandomi. "Sto diventando peggio di una droga. Per questo non possiamo stare assieme. E perché io non potrò mai amarti, non come mi ami tu."
Rimasi in silenzio, un groppo in gola.
"Non posso provare amore, per te. Ma l'affetto, quello c'è. Troppo." disse.
"Peccato che l'amore sia un'altra cosa," osservai, con un tono infelice e deluso. Mi veniva di nuovo da piangere, "ma non capisco perché non possiamo stare insieme come amici. Come prima."
Mi carezzò i capelli, continuava a sussurrarmi. "Perché continueresti ad amarmi, standomi vicino. Ti deve passare. E perché.. non posso permettermi un errore come quello dell'altra volta."
"Il.. il bacio?" la voce mi tremò. "Neanche me lo ricordo, Alex.."
"Non avrei dovuto farti ubriacare. Non avrei dovuto baciarti. Era tutto così perfetto, fra noi. E ho rovinato ogni cosa, mannaggia a me." Scosse la testa. Sembrava dispiaciuto, come se si tormentasse tanto per tutta quella storia. Il suo ragionamento mi sembrava comunque assurdo, e non riuscivo a concepirlo, nonostante mi sforzassi di farlo. No, ogni sforzo era inutile.
"Ho disperatamente bisogno di te, Alex. Non puoi lasciarmi così, come se niente fosse. Sto soffrendo tanto.." insistetti. Alex mi appoggiò di nuovo un dito sulle labbra, indicandomi di stare in silenzio. "Lo so, Adrienne. Lo so." Mi strinse di più a sé, togliendomi il respiro. "Perdonami ti prego.." disse.
Piansi ancora. Mi sentivo svenire: la testa mi scoppiava e le gambe mi tremavano. Stavo diventando un po' troppo piagnucolona, ma dovevo scaricare tutto ciò che avevo provato in quei sei giorni, in un modo o nell'altro. Ero tra le braccia di Alex, ma avrei preferito morire.
Sarebbe durato una notte. Una notte. Mi meritavo davvero di stare così male? Volevo solo qualcuno che ricambiasse i miei sentimenti. Volevo solo che lui ricambiasse i miei sentimenti, che mi amasse esattamente come lo amavo io. Volevo solo che fosse lui a cercarmi fra la gente, che fosse lui a sentire il cuore battere veloce, che fosse lui a morire per un mio sorriso, un mio abbraccio. E invece questo ero ciò che facevo io, da troppo tempo ormai. Cominciai a sentirmi male, ad avvertire conati di vomito, per la paura di tutto questo. La testa era pesante, non la sentivo più. Cominciai a straparlare.
"Alex, Alex. Ti prego salvami.."
"Da cosa?"
"Da te."
No.
Avrei voluto morire fra le sue braccia.

***

Dei movimenti accanto a me disturbarono il mio sonno. Aprii in maniera impercettibile gli occhi, ma non vedevo lo stesso niente. Avevo ancora la vista appannata dal sonno, ed ero ancora troppo stanca per provare a fare chiarezza. Era come se non avessi praticamente dormito. Mi sentivo la testa pesante come la sera precedente e di nuovo le gambe molli. Il movimento accanto a me era cessato, ma nonostante questo, non riuscivo a prendere di nuovo sonno: ormai ero sveglia.
Provai a riaprire nuovamente gli occhi, facendo uno sforzo che mi parve praticamente immane. Ci riuscii, ma allo stesso tempo non riuscivo bene a capire dove mi trovassi.
Nella stanza regnava una semi-oscurità, mentre una luce appena color azzurro e giallo filtrava attraverso la finestra. Questa luce illuminava i mobili dentro la stanza. Una scrivania, una sedia, un armadio. Ma quella non era la mia camera da letto, e lo sapevo bene. Mi accorsi solo in quel momento della persona accanto a me. Alex era appoggiato sulla mia spalla, e dormiva beatamente. I suoi capelli neri mi sfioravano leggermente il collo, mettendomi i brividi. Mi incantai a guardare il suo petto alzarsi ed abbassarsi. Il suo respiro. Aveva le labbra leggermente socchiuse, m'incantai a fissare anche quelle.
Era bello, troppo bello. Troppo perfetto per essere vero, e forse la verità era che io ero troppo imperfetta per lui. Sarei stata tutta la vita a guardarlo dormire: dava una totale sensazione di benessere e pace interiore, tanto che per quegli attimi mi dimenticai della dura realtà che mi aspettava. Dovevano essere le cinque del mattino, se l'intuito non mi ingannava. Ciò doveva significare che la notte, quella notte, era finita.
Sì, quella notte il tempo sembrava essersi fermato, dentro quelle quattro mura. Ero rimasta con Alex per tutto il tempo, senza lasciarlo per neanche un secondo. Avevamo parlato di tutto e niente, io avevo pianto molto, lui aveva cercato di consolarmi abbracciandomi e carezzandomi i capelli, e zittendomi quando cercavo di prendere 'quell'argomento', che mi stava troppo a cuore. L'ultima volta che avevo dato un'occhiata all'orologio, quando Alex si era acceso la quarta sigaretta, erano le tre e mezza del mattino. Non mi ero neanche accorta di essermi addormentata. Solo una notte, aveva detto. E adesso, tutto sarebbe tornato come prima. Anzi, non ci sarebbe stato proprio più niente. E come se questo non bastasse, a casa mia mi aspettava l'allegra convivenza con mio padre. Non credevo che avessero scoperto che ero scappata di casa; avevo chiuso la porta della mia camera a chiave. Ma se mi avevano anche scoperta, allora erano veramente cavoli amari. Appoggiai meglio il mento sopra la testa di Alex, poi piegai la testa di lato e mi ci appoggiai la guancia. Avevo paura, e non riuscivo più neanche a prendere sonno, né nient'altro. Cosa sarebbe successo, quando Alex si sarebbe risvegliato? Mi avrebbe sbattuto fuori a calci senza neanche rivolgermi la parola? No, era impossibile che si comportasse in questa maniera. Ma era altrettanto impossibile che decidesse di lasciarmi anche dopo quello che gli avevo detto nella notte, dopo che avevo aperto il mio cuore a lui. Perché doveva farmi soffrire così tanto? Non era giusto. Non credevo che lui stesse bene a vedermi così male, ma allora perché continuava a rimanere nella sua idea? Per un attimo mi chiesi se fosse un po' troppo egoista. Ma oramai conoscevo benissimo Alex, e lui non era così. Non avrei dovuto avere di questi dubbi, e per un attimo mi rimproverai. Però sapevo che nonostante tutto, non avrebbe cambiato idea e, sì, mi avrebbe lasciato di nuovo sola. E io non avrei neanche potuto farci niente, avrei ancora sofferto.
Ci furono di nuovo dei movimenti. Lo fissai, trattenendo il fiato, in attesa. Alex alzò la testa, svegliandosi, i miei occhi incrociarono i suoi color nocciola. Sospirai, con aria triste, fissandolo. Poi mi sorrise. "Buongiorno." sussurrò, la voce presa ancora dal sonno.
No dai Alex, ti prego, non mi illudere.
Cercai di ricambiare il sorriso, mi sembrò di riuscirci. "'Giorno."
"Vieni qua."
Mi prese per una mano, e mi fece scivolare sul copriletto, in modo che ritornassi alla sua altezza e potesse guardarmi e parlarmi meglio. Rabbrividii violentemente e gli lasciai subito la mano. Mi scostò i capelli dal viso, continuando a sorridere. Perché mi faceva questo? Magari pensava di stare ancora dormendo, non era in sé. Riflettei velocemente. Non avevo più niente da perdere, così glielo chiesi. "Perché ti comporti così?" sussurrai. Alex smise. Si sporse di lato, prese un orologio che stava appoggiato sul comodino accanto al letto. Lo guardò, riaprendo e chiudendo gli occhi, poi lo rimise al suo posto e guardò me. "Sono le cinque e mezza del mattino," rispose, "per me la notte finisce come minimo alle sette."
Per un attimo mi ero illusa che avesse cambiato improvvisamente idea, e ci rimasi malissimo. Sarebbe stata troppo bello per essere vero, in effetti. Avrei dovuto aspettarmelo. Se ne accorse, e sorrise.
"Perdonami, Adrienne. Ma sai già come la penso."
"E anche tu sai come la penso io." ribattei.
Mi guardò. "Troverai qualcuno che prenderà il mio posto."
Mi arrabbiai. "Che cazzata, Alex!" esclamai, alzando la voce, "hai detto una cazzata abnorme. Nessuno potrà mai prendere il tuo posto, lo capisci? E fidati che niente potrà mai anche solo lontanamente assomigliare a te." Scosse piano la testa. "Ne abbiamo già parlato stanotte."
"Non mi sembra. Tu non volevi parlarne, mi pare." dissi, distogliendo lo sguardo. Mi alzai a sedere, lui rimase a guardarmi, stando al mio fianco.
"Non litighiamo, ti prego. Non lo sopporto." disse, con tono dispiaciuto. Ritornai a guardarlo, continuava a fissarmi dritto negli occhi. "D'accordo, ma le cose non cambiano." Non rispose, smise anche di fissarmi. Parlai di nuovo. "Credo di dover tornare a casa, sai? I miei potrebbero accorgersi della mia assenza da un momento all'altro." dissi.
Lui si alzò a sedere, accanto a me, appoggiando le mani sulle ginocchia, e mi guardò, forse risollevato dal fatto che mi fossi calmata un po'.
"Certo. Vuoi che ti accompagni?" chiese.
"No." risposi quasi automaticamente, e me ne pentii subito. Se mi avesse accompagnato a casa, avremmo passato almeno venti minuti in più assieme. Ma mi aveva davvero irritato, con quell'affermazione di prima.
"Va bene," disse, sospirando, "ma non avercela con me."
"Pensavo volessi che ti odiassi." osservai.
"Non avercela con me per quello che ho detto." precisò.
"D'accordo. Ti chiedo scusa per il mio comportamento." dissi.
"Figurati."
Ero impazzita? Non ero io a dover chiedere scusa, eppure l'avevo fatto. Forse era perché neanch'io volevo litigare con lui, farlo non mi faceva stare bene per niente. Ci fu qualche minuto di silenzio. Lui mi guardò fisso per l'eternità, poi si stiracchiò, portando le braccia in alto e facendo versi incomprensibili. Fece per prendere un'altra sigaretta, ma l'obbligai a non farlo. Nel frattempo, la luce nella stanza si faceva sempre più forte. Alcuni chiari raggi di sole filtrarono attraverso la tapparella. Guardai l'orologio sul comodino, si erano già fatte le sei e mezza. Il sole stava sorgendo, e io sarei tramontata ancora una volta.
"Devo andare.." dissi, con voce tremante.
Alex alzò le spalle. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma non uscì niente. Mi sentivo malissimo.
Mi alzai dal letto, mi avvicinai lentamente alla finestra. Lui mi imitò, aprì la finestra e poi mi guardò, infilandosi le mani in tasca. Lo guardai, e rimasi in silenzio, provando a trovare le parole giuste.
"Ritornerai?" chiesi.
"Adrienne.." esclamò lui, a mò di rimprovero.
"Ti ho fatto una domanda, rispondimi." dissi, col tono più serio che potessi avere. Lui fece una pausa, non mi mollò un attimo con lo sguardo. "Io.. io non lo so.." sussurrò, abbassando lo sguardo e sprofondando ancora di più le mani dentro le tasche. Portai le braccia al petto, fissandolo. "Adesso hai intenzione di ritornare?" chiesi ancora, con più precisione.
"Adri, questa è una domanda sleale.." mi guardò.
"Domandare è lecito, rispondere è cortesia." ribattei, sarcastica.
Mi sorrise. Si avvicinò, con una mano mi carezzò lievemente il viso. "Sii felice. Ma non dimenticarmi." sussurrò. M'incantai nell'immensità dei suoi occhi color nocciola, e delle sue sfumature ambra. Deglutii, e poi mi lasciò andare. Non risposi, avevo la gola secca. Però non era come la prima volta. Quel non lo so aveva riacceso qualche speranza in me, così come il fatto che mi aveva detto di non dimenticarlo. Qualsiasi cosa fosse successa, sarebbe stato comunque il mio migliore amico, anche se mi stava lasciando ancora. Non avrei mai potuto odiarlo, mai. Mai. L'avrei amato, più della mia vita, di un amore così puro vero e sincero che nessun altro avrebbe mai potuto capire, che nessun altro avrebbe mai potuto concepire e pensare di provare.

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Capitolo 12
*** Capitolo 13 ***


Questo capitolo sarà un poco forte. Prego ai deboli di stomaco di scusarmi.
Oh, e alla fine del capitolo farò un bel commento.


Capitolo 13.

Nella stanza regnava solamente il rumore delle sedie che grattavano sul pavimento. Quando anch'esso cessò, il silenzio tornò sovrano. Ma quanto pesava quel silenzio? Era troppo pesante e sembrava veramente soffocare. Nessuno, in quella stanza, aveva il coraggio necessario per poterlo spezzare. C'erano quelle volte in cui il silenzio valeva più di mille parole; e la situazione in cui mi trovavo, era praticamente una di quelle. Il mio sguardo era basso, non volevo incrociare quello degli altri, ero sicura che non sarei mai stata capace di sostenerlo.
Un anno nuovo era arrivato, un altro anno nella mia vita. La prima settimana del mio primo mese dell'anno, gennaio, era già passata. Quel giorno era il 9 gennaio, quel giorno ricominciava la scuola, dopo le vacanze Natalizie. Era mattina, dovevano essere le sette e mezzo. Cosa mi avrebbe rivelato, quel giorno? Era per me un giorno importante, forse decisivo.
Mi trovavo nella cucina della mia casa, e il silenzio regnava nella stanza. Non era sola, ma mi trovavo con la mia famiglia al completo. Dal giorno del mio compleanno, le cose erano cambiate parecchio. I miei genitori non mi parlavano più, mi scambiavano alcune parole solo per chiedermi se a cena preferissi le patate o le carote. Non avevo mai visto mia madre così fredda nei miei confronti, e ciò mi provocava davvero moltissimo dispiacere e dolore. Per quanto riguardava mio padre, ero contenta che non mi rivolgesse più la parola e non mi stesse addosso. Fu quasi una benedizione. In parole povere, ciò che avevo detto quella famosa mattina non era passato per niente inosservato. I miei dovevano aver discusso sull'argomento, ma avrei scommesso qualsiasi cosa che mio padre non aveva avuto il coraggio di rivelare il suo piccolo segretuccio. E avrei anche scommesso che avevano deciso che l'indifferenza fosse l'arma migliore e che mi avrebbe indotto a chiedere scusa o a ritornare da loro. Ma si sbagliavano di grosso: non avevo assolutamente bisogno di loro e non avrei mai fatto nulla del genere. Perché anche se mia madre non lo sapeva, io avevo tutte le ragioni del mondo per odiare mio padre; era lui ad essere in torto, e non io. Io avevo l'anima in pace. L'unico che in quel periodo sembrava starmi vicino, invece, era mio fratello Edoardo. Doveva veramente aver subito un trapianto di personalità. Scoprii un lato di lui che non conoscevo, e che mi stupì parecchio. Diventò gentile e premuroso, con me. S'interessava delle cose che facevo, mi chiedeva come stavo, spesso saliva con me in camera per costringermi a mangiare qualcosa. Si rivelò un ottimo fratello maggiore. Fui quasi tentata di rivelargli il perché del mio comportamento, dato che nei giorni in cui ero più serena me lo chiedeva spesso, ma alla fine pensai che fosse meglio di no, avrebbe solo complicato le cose. Certe volte mi invitò anche ad uscire con lui e i suoi amici, pensava che avessi accettato dopo tutte le volte che gliel'avevo chiesto e lui aveva rifiutato; ma non lo feci. La situazione dei miei genitori, e anche quella del mio migliore amico, mi facevano impazzire. In senso stretto.
Per tutte le vacanze Natalizie ero rimasta in casa, chiusa nella mia camera da letto, a non far nulla. Mi dava decisamente sui nervi quando, ad esempio, andavo in bagno e incrociavo mio padre: rivedevo il suo sguardo sprezzante che mi aveva rivolto tre anni prima. Mi dava sui nervi quando mia madre mi rivolgeva dei grandi sguardi delusi, come a volermi rimproverare, ma non apriva bocca. Diventavo terribilmente nervosa e irritabile. Quando rimanevo a casa da sola, mi succedeva di urlare a pieni polmoni per potermi sfogare, o di prendere a pugni il muro fino a farmi diventare le nocche rosse e fino a farmi indolenzire la mano. Mi dava fastidio parlare con qualcun altro, preferivo semplicemente stare sola nella mia camera a fissare il soffitto bianco, non pensando a niente. Tutto ciò era molto deprimente.
Tra l'altro, non avevo più sentito né rivisto Alex, dall'ultima volta. In me si era riaccesa una flebile speranza, la speranza che lui potesse ritornare da me. Ero nervosa, sì, ma non vedevo l'ora che iniziasse la scuola per poterlo rivedere, e soprattutto per vedere il suo comportamento nei miei confronti. In fondo eravamo anche compagni di banco; anche se avesse voluto ignorarmi sarebbe stato obbligato a rivolgermi la parola.
L'idea mi elettrizzava parecchio ed ero sicura che questa volta l'avrei vinta io. Ero sicura che Alex sarebbe tornato da me. Avrei riavuto con me il mio migliore amico, e io a quel punto avrei fatto qualsiasi cosa pur di disinnamorarmi di lui, anche se ci avessi messo mesi. L'unica cosa che m'importava era che fosse al mio fianco; il resto non aveva senso. Lui era sempre più importante.
Il tempo scorreva e il silenzio persisteva nella stanza. Mio fratello mi lanciò un'occhiata eloquente. Si era offerto di andare a scuola assieme a me, e io avevo accettato volentieri; in fondo mio fratello riusciva sempre a strapparmi un sorriso con le sue battute, e ciò mi faceva un piacere immenso. Trangugiai in tutta fretta quel che rimaneva dei miei cereali, ingoiando tutto senza masticare, e poi io ed Edoardo ci alzammo insieme. Nessuno salutò quando uscimmo dalla cucina. Quell'indifferenza molto spesso mi metteva una paura folle. In quel momento, invece, non me ne importava più nulla.
Salii un attimo in camera mia. Mi infilai il giubbotto e mi sistemai al collo la mia cara sciarpa colorata; fuori faceva freddo e il cielo era ricoperto da nuvole grigie. Nonostante questo, mi sembrava di essere di buon umore, dopo praticamente secoli. Lanciai un altro sguardo alla finestra, per controllare la condizione del tempo. Decisi che forse avrei dovuto munirmi per bene, e infilai un ombrello dentro la borsa dei libri, in caso avesse piovuto. Prima di uscire, controllai la mia condizione nello specchio ovale di legno. Scossi la testa al mio riflesso, sperando che i miei capelli oscillassero armoniosamente come quelli di Melissa; ma non avevo speranze. Allora lasciai i capelli sciolti: avrei voluto farmi una treccia, ma non c'era più tempo. Scesi le scale, incontrai mio fratello all'ingresso, che già mi aspettava per uscire insieme.
Finalmente, uscimmo. La strada era vuota, fatta eccezione per alcune auto e qualche ragazzo con lo zaino sulle spalle. Come avevo immaginato, l'aria era gelida; delle nuvolette di vapore uscivano già dalla mia bocca. Gli edifici erano coperti di brina, a causa dell'intensa umidità. Io e mio fratello camminavamo in silenzio. Lo vidi calarsi meglio sugli occhi il cappello nero con la scritta NYC, e sbuffare. Non era di buonumore, con l'inizio della scuola. Probabilmente, adesso toccava a me fare la mia parte da sorella minore, speravo solo di riuscirci.
"Oggi pomeriggio facciamo qualcosa?" chiesi all'improvviso.
"Ad esempio?" mi chiese.
Mi sistemai meglio lo zaino sulle spalle. "Non so, ad esempio possiamo vederci un film e mangiare qualcosa." rispose, cercando di sembrare entusiasta. Edoardo alzò le spalle. "Va bene, per me non c'è problema. Spero solo di non aver troppi compiti per domani."
"E' il primo giorno, non penso ci caricheranno già da subito."
"Speriamo."
Camminammo ancora per una manciata di minuti, finché vidi un edificio ormai familiare fare capolino tra gli edifici e gli alberi spogli. La mia scuola. Automaticamente, accelerai il passo.
"Hai tutta questa fretta di entrare?" mi chiese Edoardo, prendendomi per un polso e sorridendo. Io ricambiai il sorriso, ridacchiando. "Figurati."
Edoardo continuò a sorridere. "Finalmente un sorriso, Adrienne. Non sorridevi da settimane ormai."
Non risposi, solo lo guardai, sorridendo come un'ebete. Mi lasciò il polso. "Cerca di non deprimerti troppo, sorellina. Non vale assolutamente la pena stare male per qualcuno che non ti merita per niente, okay?" Annuii con convinzione, e proseguimmo verso i cancelli. Il cortile era pieno di persone, come al solito. Mi guardai attorno, facendomi spazio tra quella folla di ragazzi e ragazze. Allungai il collo per vedere meglio sopra tutte quelle teste. Mio fratello individuò un gruppo di suoi amici e mi picchiettò sulla spalla con le dita. "Adrienne? Senti, io vado. Ci rivediamo all'uscita per tornare a casa assieme?" mi chiese.
"No, non preoccuparti. Ci becchiamo direttamente a casa." risposi.
"D'accordo. Casomai, fammi uno squillo al cellulare."
Annuii. Non era mai stato così gentile con me. E quella gentilezza, quell'affetto sincero, era proprio ciò che mi era mancato in quei giorni. Fui contenta che lui fosse mio fratello e che potessi contare su di lui quando ne avevo più bisogno. Dopo di che, Edoardo mi diede un pugno scherzoso sulla spalla, e si diresse verso il gruppo dei suoi compagni di classe. Rimasi da sola, continuando a guardarmi attorno; dopo poco ci rinunciai, e mi avvicinai verso il solito muretto di fronte la scuola. Era vuoto: quello era territorio mio e di Alex.
Ci saltai su, mollando lo zaino accanto a me. Feci penzolare le gambe lungo il muretto, tormentandomi nervosamente le mani. Dov'era? Non stavo più nella pelle a vederlo. Continuai a farmi penzolare la gambe, in una sorta di tic nervoso. Alex, Alex. Dove sei? Mi aspettavo di vederlo spuntare da un momento all'altro, magari con la sigaretta fra le labbra, i jeans troppo bassi, i capelli sugli occhi e quell'irresistibile sorriso che mi faceva impazzire.
Il panico cominciò a insinuarsi dentro di me. Controllai l'orologio sul cellulare una decina di volte, perché ancora non veniva? Era quello l'orario in cui, di solito, si presentava a scuola. Forse aveva avuto qualche contrattempo. Un incidente. Oppure gli era successo qualcosa durante le vacanze e io non ne sapevo nulla. Presi a mordermi le labbra e a toccarmi freneticamente i capelli, anziché farmi penzolare la gambe lungo il muretto. Magari gli era venuta la febbre ed era a casa, malato. Oppure mi stava evitando appositamente, nella peggiore delle ipotesi. Decisi che stare lì, seduta in quel muretto ad aspettarlo con le mani in mano, era un atto troppo masochista per i miei gusti. Balzai giù, prendendo nuovamente lo zaino in spalla, e dirigendomi ancora una volta verso la folla dei ragazzi. Mi fermai vicino ai robusti gradini di marmo, osservando con attenzione le persone attorno a me. Finché, una massa di capelli biondi mi travolse.
Melissa mi stava stringendo in un abbraccio mozzafiato.
"Oddio, Melissa, basta! Mi soffochi!" esclamai, spingendola per sciogliere l'abbraccio e allontanarla da me.
Adesso quella ragazza mi dava sui nervi. Aveva un'energia e una vitalità impressionante, quasi snervante. Anzi, senza il quasi. Melissa mi prese per le spalle, guardandomi negli occhi e rivolgendomi il suo solito sorriso da pubblicità per rossetti.
"Adrienne! Non ci vediamo da troooppo tempo! Che fine hai fatto?" mi chiese.
Alzai le spalle. Non ci eravamo sentite dal giorno della festa, non che me ne ricordassi troppo bene. Durante le vacanze non mi ero curata di chiamarla per sapere come stava o per farle gli auguri; non m'importava di lei, viste le recenti circostanze. Era lei, solamente lei, ciò che mi separava da Alex. Mi venne veramente voglia di darle un pugno in faccia e cancellarle quello stupido sorriso dal viso.
"Che fine hai fatto tu." ribattei, decisa a non darle nessuna spiegazione o informazione sulle mie vacanze.
"Mi dispiace non avertelo detto prima," iniziò lei, lasciandomi le spalle e gesticolando con le mani con aria sofisticata, "ma dopo la festa, ti ho completamente persa di vista! Be', comunque ho passato le vacanze in Inghilterra.. non te ne avevo parlato?"
Rimasi ammutolita. Inghilterra? Sicuramente era andata a far visita a qualche suo parente. Per un attimo me l'immaginai alle cinque del pomeriggio, mentre beveva del tè, comodamente seduta in un giardino verdissimo e con addosso uno straccetto firmato. Risi tra me e me.
"No, non me ne hai parlato." risposi, secca.
Sorrise. "Sono stata a Liverpool, a Manchester, a Leeds.." elencò, segnandoli con le dita e guardando in alto.
Sperai che non fosse un patetico tentativo per farmi ingelosire o essere invidiosa di lei. In fondo, Melissa era fatta così: adorava stare al centro dell'attenzione e vantarsi delle cose che aveva o faceva. Infatti, partì in quarta con un racconto dettagliato di quei giorni nel Regno Unito e di quanto il clima fosse diverso. Ascoltai, annoiata. Chi se ne importava? Ero stufa di stare con lei, dopo quello che era successo. Naturalmente non aveva direttamente delle colpe, era ignara di quello che era successo e stava succedendo, proprio per causa sua. Ma di certo non avrei mai più potuto parlare o stare tranquillamente con lei, non me la sentivo proprio. In fondo, era la mia rivale nel cuore di Alex. Che, a proposito, non vedevo ancora da nessuna parte.
"Ti avevo anche mandato una cartolina." la sentii dire.
"Non mi è arrivato nulla." dissi, guardandola.
"Avevo detto alla mamma che sarei arrivata prima io della cartolina. Vabeh, pazienza.."
Incrociai le braccia al petto. Adesso non vedevo l'ora che la campanella suonasse, almeno in classe non avrei dovuto sorbirmi i racconti di Melissa.
"Ah, e poi c'è la novità più importante." disse, avvicinandosi a me e sorridendomi in una maniera che mi sembrò maliziosa.
"Ah, sì? Sarebbe?" domandai, alzando un sopracciglio con aria interrogativa.
"Ho conosciuto un ragazzo." cominciò. "E' carinissimo. E' simpatico, divertente, intelligente! E' davvero dolce e premuroso. Sembra perfetto, credo che lo sia!" esclamò. Mi sembrò di vederle dei cuoricini al posto delle iridi. Tutto quello era molto interessante. Se Melissa stava con un altro ragazzo, Alex non avrebbe potuto frequentarla. "Hm. Buon per te. Dovresti presentarmelo, così vedo chi è." le rivolsi un sorriso un po' falso. Melissa fece un grande sorriso. "Non credo ce ne sia bisogno."
Non capii la sua affermazione. "Quindi state assieme?"
Annuì. "Sì, da quasi due settimane. Sono davvero innamorata di lui." rispose, aggiustandosi i capelli.
"E lui di te?" chiesi.
"Da quel che mi dice, direi proprio di sì."
Le sorrisi. Bene, Melissa era fuori gioco. Bastava solo che Alex lo sapesse.. ero ancora più sicura che sarebbe tornato da me.
"Guarda!" esclamò Melissa, lanciando un gridolino, "eccolo lì, sta arrivando!"
Melissa sfrecciò e corse verso il suo ragazzo. Mi voltai, sorridendo per la sua gioia quasi infantile, e subito il sorriso si cancellò dal mio viso.
Melissa buttò le braccia al collo di Alex, baciandolo sulla guancia, troppo vicino alle labbra.
Mi pietrificai davanti a quella scena, sentendomi improvvisamente il terreno mancare sotto i piedi, e il sangue gelare nelle vene. Melissa e Alex stavano assieme.
Alex le sorrise, cingendole la vita. Poi si accorse di me. Nessuna emozione attraversò il suo volto, rimase impassibile, guardandomi dritto negli occhi con espressione gelida, come se davanti a sé avesse un pezzo di ghiaccio. I miei incubi più sfrenati avevano assunto una consistenza reale.. Fin troppo reale. Deglutii, cominciando a sentirmi male. Sudavo freddo e tremavo leggermente. Strinsi le braccia lungo al corpo, sentivo nuovamente quel terribile baratro nero aprirsi dentro di me. Tutte le mie speranze erano state soffocate, così come i miei sogni. Melissa si voltò verso di me, ancora stretta tra le braccia di Alex.
"Hai visto? Sorpresa! I tuoi due migliori amici, insieme." e scoppiò a ridere, come se fosse la cosa più divertente del mondo.
Non risposi. Rimasi immobile ed inerte a fissarli. Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma mi morsi la lingua per trattenerle, per intrappolarle dentro i miei occhi. Alex mi fissava, con la stessa espressione indecifrabile e indefinibile di prima. Io guardavo lui, poi Melissa, che lo guardava con un'espressione che mi sembrò adorante, o comunque giù di lì. Ero senza parole. Il dolore stava cominciando nuovamente a infettare le mie vene, come nelle ultime settimane; ma in quel momento stavo facendo e sopportando di tutto per sembrare forte, come se non me importasse niente. Ma non era così. Io amavo Alex e mi faceva soffrire sapere che stava con Melissa. Persino dopo tutte le cose che mi aveva detto, e che io gli avevo detto.. aveva scelto lei, a me. Era tutto vero, io contavo meno di zero, allora? Ero fragile, fragile come un bicchiere di cristallo, altro che forte. Non sapevo più cosa fare, né cos'altro dire. Ero vuota. E sola, più che mai.
"Che fine avevi fatto, Alex? Non ti vedevo da nessuna parte!" esclamò lei, raggiante, aggiustandogli i capelli e mettendosi di fronte a lui, dandomi le spalle. Ebbi uno scatto. "Come.. come l'hai chiamato?" sussurrai.
Un'ondata di rabbia ceca mi travolse. Un miscuglio di sensazioni tra gelosia, rabbia, delusione, dolore.
"Alex," sussurrò finalmente lui, guardandomi ancora negli occhi, "mi ha chiamato Alex."
Strinsi le braccia al petto, mentre il labbro inferiore mi tremava. Solo io lo chiamavo Alex. Io l'avevo inventato, io soltanto potevo chiamarlo così, e nessun altro poteva permettersi. Mi sentii tradita. Ferita, pugnalata. Avevo definitivamente perso tutto quanto, tutto ciò che avevo. E tutto andava a farsi fottere. Come me, del resto.
Melissa mi ignorò. Alex tornò a guardarla, serio, poi le sorrise.
"Sta tranquilla. Sono qua, adesso." le disse, cercando di rassicurarla con le sue parole, sorridendo dolcemente. Melissa sospirò, la vidi sorridere. Lo abbracciò, e si alzò sulla punta dei piedi per sussurrargli qualcosa all'orecchio, che naturalmente non sentii. Mi sentivo veramente morire. Avrei voluto farlo settimane prima, pur di non vedere tutto questo: era uno spettacolo a dir poco atroce.
Alex s'inumidì le labbra con la lingua, poi tornò a guardarmi dritto negli occhi. Per la prima volta, non riuscii a decifrare il suo sguardo. Non mi diceva più nulla, non trasmetteva nulla. Eppure avevo sempre adorato quegli occhi nocciola, mi avevano sempre parlato, anche se Alex stava in silenzio. Riuscivo a leggere nel suo sguardo.. un tempo. Invece adesso mi sembrava di avere un estraneo davanti a me.
Senza smettere di guardarmi, cinse le spalle di Melissa con un braccio. Si chinò su di lei, avvicinando il viso al suo, e la baciò con un impeto tale che mi sconvolse e mi fece tremare. Lei ricambiò il suo bacio, chiudendo gli occhi e appoggiandogli le mani sul petto. Lui invece mi fissava sopra la sua spalla mentre la baciava, scostandole i capelli biondi per potermi guardare meglio. Volevo scappare, ma mi sembrava di aver i piedi di piombo e di essere inchiodata al suolo. Continuavo a guardarlo, ricambiando il suo sguardo, non riuscendo a smettere e sperando che mi dicesse qualcosa. Qualsiasi cosa.
Il suono della campanella squarciò l'aria. Gemetti di dolore, scoppiando a piangere, e come un fulmine salii gli scalini ed entrai a scuola, spingendo qualsiasi persona che mi capitasse sotto tiro e che sbarrasse la mia strada. Era finita, io ero finita. Dovevo mettere fine a tutto questo. E sapevo che finché avessi vissuto, non avrei mai più dimenticato l'immagine di Alex che baciava Melissa. Per farlo, c'era solo un'unica, pericolosa, ma dolcissima soluzione. L'idea mi attraversò la mente. Sorridendo fra le lacrime, pensai che fosse le migliore idea che avevo avuto da alcune settimane a quella parte.

***

La giornata finì, finalmente.
Senza perdere altro tempo, con passo svelto ritornai a casa mia, e per tutto il tragitto da scuola fino a casa, piansi. Le lacrime scendevano incontrollabili, rigandomi il viso e facendomi singhiozzare e gemere dal dolore. Era la prima volta che il dolore era così vero e intenso. Pioveva, mi stavo bagnando dalla testa ai piedi, ma non me ne importava: ogni cosa, adesso, mi sembrava che non avesse più importanza. Sentivo l'acqua gelida che mi colpiva forte in testa, bagnandomi i capelli e facendomeli diventare più ricci e più scuri. L'acqua s'insinuava anche sui miei vestiti: la sciarpa si era inzuppata ed era diventata troppo pesante.
La sensazione di quell'acqua ghiacciata contro il mio corpo intorpidiva lentamente i miei sensi, mi rallentava, mi stancava. Desiderai solamente che quel diluvio, quel raduno di migliaia di stelle d'argento che cadevano giù dal cielo, mi facesse affogare.
Imboccai il vialetto di casa mia. Affondai il piede in una pozzanghera che non avevo visto, e l'acqua mi inzuppo' completamente le scarpe, entrando nei due piccoli buchetti laterali. Mi risollevai, feci alcuni passi verso il portone, ma poi scivolai. Ero stanca e stavo soffrendo troppo. Finii in ginocchio per terra, con l'acqua che colpiva forte sulla schiena, nonostante indossassi il giubbotto. Alzai il viso verso il cielo, socchiudendo gli occhi. Le lacrime si mescolarono alla pioggia, non riuscii più a distinguerle. Tremavo dal freddo, avevo i muscoli intorpiditi, e quell'acqua sul mio viso sembrava bruciare più di gocce di limone su una ferita aperta.
Tremando in maniera incontrollabile, mi rialzai da terra e, incespicando, mi avvicinai alla porta. Reggendomi su essa, presi le chiavi e poi l'aprii. Mi fiondai dentro, gocciolando acqua da tutte le parti. Rimasi ferma all'ingresso, bagnando il pavimento. Allungai l'orecchio, in attesa di un rumore, di qualsiasi cosa.
"C'è nessuno?" esclamai, la voce strozzata.
Nessuna risposta.
Allora decisi di non perdere altro tempo, sarebbe stato inutile. Speravo solo di aver il coraggio per farlo.
Mi levai il giubbotto e la sciarpa bagnati, e senza curarmene li mollai lì sul pavimento, assieme al mio zaino.
Quasi correndo, salii in tutta fretta le scale che portavano al piano superiore, scostandomi i capelli bagnati che si appiccicavano sul viso. La maglietta completamente bagnata si appiccicava alla pelle, e mi dava fastidio. Avevo un groppo in gola e non riuscivo più a deglutire normalmente. Arrivai al piano superiore. Sbattendo le porte con violenza, feci irruzione dentro il bagno. La stanza era immersa in una semi-oscurità, ma non accesi la luce. Mi accorsi di lasciare delle piccole pozzanghere d'acqua sul pavimento, e potevo vedere diverse goccioline sospese sui miei capelli. Cercando di non scivolare, aprii rapidamente la mensola dentro la quale tenevamo alcuni medicinali. Rovistai dappertutto, freneticamente, lasciando anche cadere qualche confezione per terra, sul pavimento.
E dopo una ricerca estenuante, la trovai. Quasi sorrisi per il sollievo di averla trovata, finalmente. Barcollai, trascinandomi fino al grande specchio rettangolare, che stava appena sopra il lavandino. Mi guardai attentamente, deglutendo; ero quasi schifata di ciò che ero. O meglio, di ciò che ero diventata. Mi sistemai un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. Respirai profondamente, cercando di richiamare a me tutto il mio coraggio che possedevo. Sapevo di non averne abbastanza, ma ormai dovevo farlo, era fatta. O quasi. Appoggiai un pugno sullo specchio, come a voler coprire e a distruggere la mia immagine riflessa. Ma era diverso: io, io mi stavo distruggendo, non stavo facendo nulla al mio riflesso. Mi voltai, dando le spalle allo specchio, poiché non volevo più vedermi. Mi inumidii le labbra, me le morsi, tormentandole per la tensione.
La stringevo delicatamente in una mano, titubante, e tormentandomi. Chiusi gli occhi, sospirando, come se quello che stavo per fare richiedesse una grande concentrazione. Non era così: era solo una punizione.. no, anzi, era solo una soluzione, niente di più. Dopo sarei stata meglio.
Finché, un'immagine mi tornò in mente. Alex e Melissa, stretti in un abbraccio, lui che la baciava e mi guardava fisso. Poi, la mia fantasia navigò. Vidi lui, nel suo letto, con lei.
Scossi la testa, ripresi a piangere. Non vedevo più niente, la vista era appannata dalle lacrime. Con la mano libera, mi asciugai le guance bagnate, singhiozzando. Ero decisa, dovevo farlo. Mi alzai la manica destra della maglietta, fermandola al gomito. Mi guardai il braccio. La mia pelle era fredda, bianca come la carta. Le vene risaltavano, e sembravano aver assunto una tonalità di colore tra il verde e il blu.
Strinsi gli occhi, mordendomi ancora le labbra.
Solo per te, Alex. Solo per te, pensai.
Affondai la lama nel polso destro, facendola sprofondare bene nella pelle, incidendo un taglio in orizzontale.
Il sangue cominciò a scorrere a fiotti, come acqua fresca in una fontana. Levai la lama dal mio polso. Cadde sul pavimento con un tintinnio, sporcando anche il pavimento col mio sangue. Osservai il liquido denso color rubino venire fuori dal taglio, scolare sul mio braccio, sporcare il pavimento. Feci un sorriso malsano, scoppiando in una risata quasi isterica. Premetti ancora di più il polso con le dita, e ancora più sangue ne uscì: un gesto che quasi andava contro la natura umana. Stavo sporcando tutto il pavimento, la mia maglietta, ma naturalmente non me ne importava. Cominciai a sentirmi la testa leggera; il sangue non accennava più a smettere di uscire, scorreva incontrollabile.
Caddi in ginocchio sul pavimento, quasi senza forze. Troppo sangue, c'era troppo sangue.
Mi resi conto che quello non era il modo migliore per uccidersi: si soffriva troppo. Avrei dovuto sceglierne un altro, un modo che metteva fine alla mia vita subito. Avrei preferito morire di colpo, piuttosto che soffrire così. Stupidamente, mi rimproverai persino di questo.
Il taglio bruciava in maniera incredibile, e la vista del sangue mi dava alla testa. Tremavo. Sorridevo, ero felice: ero felice perché ero riuscita a farlo, e perché non avrei mai più sofferto. Mai più. E poi perché mi stavo punendo, in qualche maniera. Punendo per essermi innamorata così tanto di Alex. Era una ragione sufficiente per punirsi? Non lo sapevo, non m'importava. Stavo morendo. Sentii pian piano le forze abbandonarmi. Mi accasciai sul pavimento, in un miscuglio di tra acqua fredda e sangue caldo.
Chiusi gli occhi. E così, improvvisamente, come per magia.. Non sentii più alcun dolore.


Adrienne si taglia, ebbene sì. Con questo capitolo non intendo assolutamente sminuire il problema dell'autolesionismo: è un problema purtroppo diffuso fra i giovani, e qualche sconsiderato arriva perfino a farlo per gioco. Io voglio solo denunciare il problema e dire: non fatelo. Non fate lo stesso errore di Adrienne che, presa dallo sconforto e dalla situazione disastrosa con Alex ed i suoi genitori, è arrivata a farlo.
Molti, leggendo il mio romanzo e sapendo che Adrienne è il mio alter-ego, hanno pensato che anch'io l'avessi fatto. La risposta è no, ma conosco qualche altra persona che è arrivata a questo punto. E anche se non direttamente, posso sapere come sia brutto e quanto ci si stia male.

E adesso passiamo ai commentucci. Ehi, ci sono 22 persone che hanno la mia storia fra i preferiti! Aspetto altri commenti la prossima volta!

soad:
grazie mille (: spero che continuerai a leggermi!

curix:
addirittura commossa? Grazie *_* Beh, per il resto.. continua a seguirmi!

Betty O_o:
hmm.. ho apprezzato molto queste tue riflessioni. Sai, fa piacere che delle persone si mettano a riflettere così su quello che tu scrivi! =P Ma anche a te do la stessa risposta: continua a seguirmi! Nel frattempo ti ringrazio immensamente!

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Capitolo 13
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14.

Aprii gli occhi. Attorno a me, solo un calore intenso e una luce bianca, che accecava. Sbattei più volte gli occhi per abituarmi alla luce che c'era attorno a me. Dopo di che, sentii dei mormorii indistinti e delle immagini colorate, piuttosto informi, davanti a me. Non riuscivo a capire bene cosa fossero, e non riuscivo a sentire; avevo come un ronzio nelle orecchie e una grande confusione in testa. Un'immagine più o meno chiara si materializzò davanti a me, anche se mi sembrava che girasse e tremasse un po'.
Mi parve di riconoscere i tratti del viso di mio fratello.
"Sai che cosa sei? Una cretina! Sei una cretina!" esclamò quest'ultimo. Non sorrideva, e la sua voce era stridula. E io ero viva.
"Non ho mai visto tanta scemenza in vita mia!" continuò.
Cominciai a vedere e a sentire meglio; a tornare in me. Riacquistai la consapevolezza di avere un corpo, di essere stesa sul letto della mia camera e che mio fratello Edoardo era seduto sul letto accanto a me, e mi guardava mentre si lamentava e imprecava sotto voce. Aveva qualcosa in mano, che non riuscii a capire.
"E-edo..?" mormorai.
Mi sentivo ancora debole, vedevo sfocato. La testa mi faceva male e mi girava. E avvertivo un bruciore al polso destro. Edoardo mi guardò, serissimo in volto.
"Adrienne?" chiese, "allora mi senti."
Socchiusi di un poco gli occhi, e annuii impercettibilmente.
"Vorrei proprio sapere che cosa cazzo ti è saltato in mente," disse, rimanendo impassibile, "tagliarti, per.. per.." La voce gli tremò e non riuscì a continuare.
Sospirai, cercando di deglutire. "Non.. non lo so.."
Anche Edoardo sospirò. "Quando vorrai, e se vorrai.. dovrai spiegarmi un po' di cosette, non ti pare?" chiese.
"Forse lo farò. Adesso non me la sento proprio.." risposi.
Annuì. "Certo." Chiusi gli occhi, sentendomi sfinita. Edoardo mi afferrò per il gomito destro. Lo sentii maneggiare per dei minuti con qualcosa, forse con quel che aveva in mano. Lo sentii girarmi il braccio, e appoggiarmelo sulle sue gambe. E poi, un bruciore fortissimo sul polso.
"Ahia!" urlai, aprendo gli occhi e alzandomi a sedere di scatto, ritraendo il braccio.
Lo guardai. Aveva in mano un batuffolo e una bottiglietta d'alcool etilico.
"Scusami," disse, "ma devo disinfettarti."
Il mio sguardo cadde sul mio polso. Era tutto arrossato, e aveva un taglio proprio al centro, di un rosso intenso. Sembrava essersi rimarginato, ma era ancora rosso e bruciava. Mi riprese il braccio. Io strinsi con l'altra mano il cuscino, per aver qualcosa da tormentare mentre operava, anziché urlare. Dopo qualche minuto di sofferenza, finì.
"Ecco fatto," disse, sembrava quasi soddisfatto di sé stesso, "però dovresti coprirlo con qualcosa. Se qualcuno lo vede, comincerà a farsi domande." Chiuse la bottiglietta e mi guardò. Riflettei.
"Senti, nel mio armadio dovrebbero esserci delle bandane e dei foulard. Prendine uno, no?" chiesi. Stavo riprendendo decisamente coscienza. Edoardo si alzò, andò verso l'armadio. Ci rovistò dentro, e poi ne uscì una bandana nera con dei piccoli disegnini celesti. Di solito le usavo d'estate, tenendole fra i capelli. Tornò a sedersi accanto a me, mi passò la bandana. Con lentezza, e sforzandomi immensamente, la legai al polso destro, a mò di abbellimento. Mi sentivo veramente uno straccio.
"Mi hai fatto prendere un colpo, lo sai?" disse all'improvviso, sfiorandomi il viso con il dorso della mano, "quando ti ho vista lì, sul pavimento del bagno, quasi in un lago di sangue.. Ho temuto il peggio. Ho perso la testa. Non ti ho portato in ospedale perché non volevo che i nostri genitori lo sapessero, sai. Ma avrei dovuto farlo, immagino." continuò, guardandomi con rimprovero, ma con aria rassegnata.
Sospirai. Ero stata un'idiota, e ora mi sentivo terribilmente in colpa. Il mio obiettivo non era far preoccupare mio fratello, l'unica persona che ormai mi era rimasta. Non dissi nulla, solamente abbassai lo sguardo fissandomi le mani. Edoardo sospirò. "Mangiamo qualcosa?" chiese.
"Non ho fame.." risposi, piano.
"Adrienne, dovresti mangiare qualcosa. Stai diventando davvero magra." insistette lui.
"Tu che ne sai?" chiesi, irritata. Perché erano tutti fissati con questa storia del mangiare? Stavo benissimo.
Edoardo mi afferrò il polso sinistro. "Riesco a prenderti tranquillamente il il polso, e hai il braccio magro, non vedi? Fra poco ti si vedranno le ossa. Guarda da te come ti sei ridotta." rispose.
Scossi la testa. "Sto bene."
"No, tu non stai bene." ribatté.
Arricciai le labbra. "Non devi preoccuparti così per me, Edo.."
Appoggiai la testa alla spalliera del letto, e lui mi guardò severamente. "Come puoi dire cose del genere? Sei mia sorella. Ultimamente non ti riconosco più. Cosa ti è successo? Sei diventata un'altra persona... che fine ha fatto quella luce che vedevo nei tuoi occhi?" Rabbrividii e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Ero davvero triste, e non sapevo come rispondere. "Mi.. mi dispiace.." mormorai soltanto.
Mio fratello mi sorrise, come se volesse rincuorarmi. "Io sono qui, e scommetto che passerà presto." disse.
Alzai le spalle, corrugando la fronte in un'espressione triste. Non ci credevo per niente. In quel momento quella situazione mi sembrava totalmente priva di vie d'uscita. Come quando si percorre una galleria infinita, e non riesci a scorgere la luce che segnala l'uscita, e rimani col fiato sospeso fin quando non la vedi. Io stavo trattenendo il fiato da settimane, ormai.
"Lo spero." dissi, cercando di sorridere.
"Vedrai."

***

Alla fine Edoardo mi costrinse a mangiare qualcosa assieme a lui. I nostri genitori non erano in casa, ma non gli chiesi dove fossero. C'era troppa pace in casa, per poterla rovinare con una domanda del genere. Come promesso, guardammo un film assieme. Servì davvero a distrarmi da ciò che era successo e da ciò che avevo fatto.
Mio fratello era uno zuccherino.
E io mi sentivo un mostro per aver pensato di voler morire, non mi meritavo tutte quelle attenzioni.
Verso le sei del pomeriggio, entrambi ci ritirammo nelle nostre stanze per svolgere i compiti per casa. Io non mi ricordavo se ne avessi e comunque non avevo intenzione di farli. Rimasi un'infinità di tempo a guardare il soffitto bianco con della musica nelle orecchie, poi lessi un po’, cercando di pensare di meno.
Finché, dopo un'oretta, sentii delle voci al piano di sotto. Arrivavano un po’ attutite, perché avevo la porta chiusa.
Pensai che i miei genitori fossero ritornati. Invece, notai che le due voci si facevano sempre più vicine, e che erano due voci che quasi urlavano. Voci maschili.
Il mio secondo pensiero fu che qualche amico di mio fratello era venuto a fargli visita e che stavano discutendo abbastanza animatamente, per chissà cosa.
Finché la porta della mia camera non si spalancò. Spalancai anche io gli occhi, alzandomi a sedere sul letto.
Edoardo ed Alex erano in piedi uno di fronte all'altro, si urlavano addosso. Mio fratello spingeva via violentemente Alex, cercando di spostarlo; e Alex faceva altrettanto. Sembravano che fossero sull'atto di ammazzarsi a botte, da come urlavano e anche da come si guardavano in cagnesco.
Non appena individuai Alex, venni invasa da un'ondata di panico, dalla testa ai piedi.
"Lasciala perdere, vattene via!" urlò mio fratello.
"Non prima non di averle parlato!" ribatté Alex.
Edoardo era più alto e chiaramente più forte di Alex. Perse la pazienza e lo spinse forte per le spalle. Alex cadde a terra. Io guardavo la scena, terrorizzata ed inerme. Mio fratello all'improvviso si accorse di me e mi guardò, rivolgendomi uno sguardo a occhi sgranati. Avevo un groppo in gola, ma riuscii a dirgli qualcosa.
"Mandalo via," dissi, "..non voglio parlargli."
Approfittando di quell'attimo di distrazione di mio fratello, Alex si rialzò in piedi, spinse Edoardo con tutta la forza che aveva. Edoardo barcollò soltanto, ma non ebbe i riflessi pronti per fermare Alex, che s'infilò nella mia stanza e chiuse la porta a chiave, ansimando. Ero in trappola. Sentii mio fratello che gli urlava di uscire, e poi il silenzio. Alex mi guardava negli occhi, mi sembrò di scorgere un velo di preoccupazione e ansia nel suo sguardo. Si appoggiò la porta alla schiena, riprendendo fiato, le guance rosse. Deglutì.
"Non guardarmi," dissi all'improvviso, rivolgendogli uno sguardo truce, "non parlarmi, e soprattutto non toccarmi."
"Se solo tu mi lasciassi spiegare.." iniziò.
M'infiammai di rabbia. "Non c'è niente da spiegare! Quel che ho visto mi è bastato."
Mi ritornò in mente l'immagine di Alex e Melissa che si baciavano. Sentii una stretta al petto, e scossi la testa per cancellare quell'immagine che oramai mi ossessionava. Sapevo che comunque Alex non avrebbe mollato così facilmente.
"Io invece credo proprio che ci sia, sai?" ribatté, continuando a guardarmi e stando immobile dov'era.
"Non m'importa," dissi, "non ho intenzione di sentire ancora una tua sola parola."
Tremavo, e neanche mi accorsi di avere i pugni chiusi. Continuavo a guardarlo con rabbia, come se volessi incenerirlo con lo sguardo. I tratti di Alex s'indurirono. "Adrienne, per favore, non fare così adesso.. non fare la bambina." A quelle parole, persi la pazienza. Scattai in piedi, raggiungendolo. Mi sentivo rossa in viso. Vedendomi avvicinare, fece qualche passo verso di me.
"Lo sai che cosa sei? Sei uno stronzo!" urlai, in preda al furore, spingendolo indietro, "Non hai mai capito un cazzo.. e di me non te n'è mai importato! Alla faccia della migliore amica, della cosa a cui tenevi di più..! Ma fammi il piacere!" Lo spinsi ancora una volta. Alex rimase senza parole, mi guardò negli occhi con un'espressione spaesata. Ma oramai che avevo iniziato, non volevo più fermarmi.
"Di che cosa che te n'è importato, alla fin fine, me lo dici? Solo dei tuoi sentimenti e di raggiungere i tuoi scopi! Di me, e che ti amassi tanto, troppo, chi se ne frega? Ma vaffanculo, Alex! Tu e la tua ipocrisia, la tua falsità, tutte le cose che mi hai detto! Tutte bugie, tutte stronzate!" urlai ancora.
Sentii le lacrime arrivarmi agli occhi, ma richiamai a me tutto il mio autocontrollo per non piangere davanti a lui. Mi guardò ancora, serio, dopo mi parve di vederlo sorridere. Ricominciai ad arrabbiarmi. Allora presi a tempestarlo di pugni sul petto, e scoppiai a piangere. "Ti odio!" gli urlai addosso. Ma, Dio, quanto lo amavo, allo stesso tempo. Alex mi prese per entrambi i polsi, per fermarmi. Strinsi gli occhi per il dolore al polso destro, ma non dissi niente. Si avvicinò al mio viso e mi sussurrò. "Davvero?"
Annuii. "Sì, davvero."
"Allora ridimmelo." disse.
Il suo sguardo mi oltrepassò da parte a parte, mi fece rabbrividire. Lo odiavo sì, ma solo per quello che mi aveva fatto: per il resto, continuavo ad amarlo, in una maniera folle e sconsiderata.
"Ti odio, ti odio." dissi all'improvviso, ancora una volta. Gemetti di dolore per il bruciore al polso, e chiusi gli occhi. Si avvicinò ancora, poggiò la sua guancia contro la mia, e per l'ennesima volta mi sussurrò all'orecchio. Mi strinse forte i polsi e il dolore sembrò diventare ancora più forte, atroce, insopportabile.
"Vedi, Adrienne? Ho raggiunto un altro mio scopo, e hai fatto tutto da sola." sussurrò.
Spalancai gli occhi, trattenendo il fiato. Mi dava sui nervi vederlo così freddo e calcolatore nei miei confronti, e mi faceva male ciò che aveva detto. Deglutii; il bruciore al polso mi faceva lacrimare gli occhi.
Così lo strattonai violentemente, allontanandolo da me e costringendolo a lasciarmi i polsi. Ritornai a respirare.
Fu un attimo.
Il nodo della mia bandana si sciolse, e quest'ultima cadde a terra, scoprendo il mio taglio sul polso. Era rosso rubino, e sembrava che da un punto all'altro stesse per riaprirsi. Tenni lo sguardo basso, deglutendo sonoramente. Alex guardò me, avvicinandosi lentamente, poi lo vidi guardare il mio polso tagliato.
"Che.. che cos'è quel taglio?" chiese, con voce seria. Alzai lo sguardo verso di lui, guardandolo negli occhi. Non dissi niente, ma forse fu proprio il mio sguardo colpevole a tradirmi, o il fatto che ripresi a piangere.
"Cazzo, Adrienne.. non è possibile.. ti ho spinta al suicidio.. sono.. un mostro.." balbettò, la voce gli tremava in maniera incontrollabile. Le guance gli si colorarono leggermente di rosa, e si tormentò le labbra.
"Lo sei." mormorai, asciugandomi le lacrime sulle guancia con le dita. Mi chinai per terra, riprendendo la bandana, e la riallacciai al polso, sperando che non uscisse di nuovo sangue. Sospirai sentendomi di nuovo debole, ora che tutta la rabbia che avevo in corpo era sparita.
"Adri.. ti giuro io non volevo.. non credevo.. ti prego, perdonami.." mormorò, portandosi una mano sulla fronte e guardandomi. Scossi la testa. "Ormai non importa più se mi hai fatto del male. E' finita." dissi.
Alex tremò. Lo vidi chiudere gli occhi e passeggiare avanti e indietro per la stanza. "Che casino.. non avrei mai.. è tutta colpa mia.."
Lasciava le frasi a metà, e parlava a voce bassa; ma oramai quel suo sentirsi in colpa non serviva più a niente. Se solo avessi potuto portare indietro il tempo..
"Vorrei solamente non essermi mai innamorata di te. Anzi, non avrei mai voluto incontrarti e conoscerti. Mi hai fatto così tanto male, che non puoi nemmeno immaginare.."
Alex sprofondò le mani nelle tasche, voltandosi a guardarmi. "Riesco solo a farti del male, sì, adesso ne ho la conferma." disse.
"Cosa dovrei dirti, Alex? Lascia Melissa e ritorna da me? Hai scelto lei, hai preferito lei. Hai preferito il suo amore piuttosto che la mia amicizia. Naturalmente non riesci a fare convivere le due cose, e forse credo che non ci riuscirei neanch'io. Quindi, è andata così. Non ho più niente da dirti." Mi stupii da sola per il mio autocontrollo e per la mia maturità, soprattutto dopo quella sfuriata a dir poco imbarazzante di prima.
In realtà stavo morendo dentro, ma non volevo darlo a vedere. Aveva deciso di lasciarmi definitivamente?
Benissimo: non avrei fatto la parte dell'egoista, assolutamente no; se lui era felice, andava bene, mi bastava semplicemente questo. Chissà se lo sarei stata anch'io, senza di lui. Alex mi guardò fisso per alcuni minuti, con uno sguardo vuoto, rimanendo con le labbra socchiuse. Si fermò a mezz'aria come se volesse dire qualcosa, ma non lo fece. Continuò a guardarmi per un po', dopo di che, con lo sguardo fisso per terra, si avvicinò alla porta della mia camera. Senza guardarmi, l'aprì, e dandomi le spalle, uscì, andandosene.
Ecco che Alex, il mio migliore amico, usciva di scena.




Eccomi qui ad aggiornare! Sì, lo so, anche questo capitolo è triste.. ma vi prometto che dal prossimo cap le cose cambieranno, ed in meglio (:
Passiamo ai commenti. Mi raccomando, voi che leggete ma non commentate.. fatelo =P

Gocciolina: g
razie mille (: mi fa piacere che anche tu leggi la mia storia.. non avevi mai commentato, se non erro. Riuscire a descrivere le emozioni e farle sembrare reali è molto difficile; ma se ci riesco non posso che esserne contenta!
curix:
LoL, la definizione di 'essere squallido' per Alex mi piace X° povero amore :°D beh, mi fa piacere che questo capitolo ti sia piaciuto e che ti abbia emozionato. (L)
birri: ciao, come Gocciolina mi fa piacere che anche tu mi leggi! Mi raccomando sconfiggi la pigrizia e continua a commentarmi *_* ti ringrazio per i complimenti.

Betty O_o:
lo ammetto. Sei la mia commentatrice preferita! ADORO questi commenti così lunghi. Sul serio. Ti ho accontentato? Ho postato il capitolo 14 prima che potevo.. Sappi che, in tutto, i capitoli sono 25, più l'epilogo. Okay? (: ti ringrazio ancora una volta e ti auguro buon viaggio (gggr, che invidia!) (L)
Ecco, ho finito.
Alla prossima, gente (: e continuate a seguirmi!



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Capitolo 14
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15.

Il tempo passava nella maniera più lenta che potessi immaginare. Nonostante mi imposi di perdere il senso del tempo, ma non mi era possibile. Guardavo il calendario ogni mattina, e i giorni in questa maniera passavano ancora più lentamente.
Le cose cambiarono radicalmente; ed ero talmente abituata ad avere un groppo in gola, che non mi accorsi di essermi presa la tonsillite, a causa delle doccia fuori programma che avevo fatto qualche giorno prima. Rimasi due settimane a casa.
La mia vita era cambiata di parecchio, sì. Parlavo poco, mi chiusi molto in me stessa; spesso rispondevo soltanto facendo sì o no con la testa. La mia vita diventò senza colori: si sbiadì lentamente, diventando un triste spettacolo in bianco e nero.
Anche a scuola le cose erano cambiate.
Io e lui non eravamo più compagni di banco, naturalmente. Mi trasferii al primo banco, mentre lui rimaneva al penultimo, insieme alla sua nuova ragazza. I miei voti si alzarono vertiginosamente, dato che al primo banco ero costretta a seguire tutte le lezioni e che il pomeriggio avevo molto tempo libero. Cercai di mostrarmi forte, ma dietro quella maschera che mi andavo costruendo ogni giorno, continuavo a soffrire.
Mi veniva una stretta allo stomaco tutte le volte che incrociavo lui e Melissa per il corridoio. Tutte le volte che li vedevo baciarsi, abbracciarsi, camminare mano per mano, sussurrarsi parole all'orecchio. Mi sentii morire quando il 19 gennaio, lui le fece trovare un mazzo di rose rosse sul banco. Al suo posto avrei potuto esserci io, pensavo con una punta d'invidia.
Melissa, naturalmente, mi ignorava. Non credevo che lui le avesse raccontato come stavano le cose veramente, ma pensai che avesse capito che quello che provavo per lui non era semplice affetto. Comunque adesso lei aveva un ragazzo, e non aveva più bisogno di me.
E Alex era innamorato di lei, perché non ammetterlo ormai?
Be', avrei potuto conoscere altre persone, farmi nuovi amici; ma ormai tutti i gruppetti si erano formati, e io ne ero rimasta fuori. Certe volte passavo ore seduta davanti l'armadio aperto, fissando quella gonna e quella camicia, chiedendomi come fosse stato baciarlo. Cercai di sforzarmi per ricordarmi qualcosa, ma era fatica sprecata.
A casa mia la situazione era sempre la stessa, quindi solo mio fratello mi stava vicino. Non gli avevo ancora spiegato niente, e non sapevo ancora se l'avrei fatto: in effetti, la situazione era piuttosto imbarazzante. Avrebbe potuto darmi della scema, per aver sofferto così tanto per un ragazzo. E poi c'era tutta quella faccenda di mio padre, che ancora rimaneva un segreto. Lui continuava a trattenersi a casa mia, il che era strano, non era stato in quella casa per così tanto tempo.
Mi sentivo quasi in trappola. Avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse, che mi occupasse la mente e che, possibilmente, mi facesse stare bene con me stessa. Rimasi con questo punto interrogativo per settimane.
Una sera, ero seduta sul divano di casa mia, con Edoardo accanto. I miei erano in cucina a bere un caffè. Avrei avuto voglia di berne uno anch'io, ma se potevo evitavo accuratamente di stare nella stessa stanza con loro. Facevo zapping, guardando distrattamente e con aria annoiata lo schermo della televisione, io e mio fratello eravamo in silenzio.
"Fra un mesetto sarà il mio compleanno," disse all'improvviso mio fratello, con un grande sorriso sul volto.
Mi voltai verso di lui, sorridendo vagamente. "Festeggerai?"
Continuava a sorridere con aria trionfante. "Penso proprio di sì, anche se non so dove. Vabeh, in fondo c'è ancora tempo."
Mio fratello avrebbe compiuto diciotto anni. Quanto lo invidiavo, avrei dato qualsiasi cosa pur di averli anch'io.
"Quindi, pensavo che dovrei cominciare a prendere la patente.. Cioè, a studiare per prenderla.." disse ancora.
Continuai a schiacciare il bottone del telecomando, con aria assente. "Ti ci vuole un mese?" chiesi.
"Beh, sorellina, non sono un secchione come te.." mi punzecchiò mio fratello, ridendo. Io gli feci una smorfia.
"Almeno avrai qualcosa da fare, tu. Io sono annoiatissima e non so che fare tutto il giorno.." dissi, appoggiandomi la testa sul divano e sbuffando.
Edoardo assunse un'aria pensierosa, guardandomi negli occhi. "Perché non fai qualche corso pomeridiano?"
Alzai un sopracciglio con aria interrogativa, guardandolo. "Ad esempio?"
"Ma a scuola non guardi la bacheca degli avvisi?"
"Abbiamo una bacheca degli avvisi?"
"..Sei incorreggibile, Adrienne."
Sbuffai. "Va bene, lo so. Ma c'è qualcosa d'interessante?"
"Hm. Allora, vediamo.. tennis? Ti piace il tennis? Ci sono vari annunci per libri e ripetizioni, però. E poi.. vorresti suonare qualche strumento? Ad esempio, la chitarra, che ne so?"
A quelle parole m'illuminai. Suonare la chitarra era sempre stato uno dei miei sogni. Mi sarebbe piaciuto enormemente poter imparare a suonare quello strumento, poiché mi affascinava terribilmente.
"La chitarra? Oh, sì. Non sarebbe per niente male." risposi, alzandomi e appoggiandomi meglio allo schienale, sorridendo.
Mio fratello sorrise, poi seguirono degli attimi di silenzio. La mia mente vagò pericolosamente.
"E' un corso, giusto?"
"Sì."
"Quanto si paga?"
"Non lo so, sinceramente. Dovresti controllare tu stessa in quei foglietti nella bacheca."
"Sai per caso se affittano lo strumento?"
Edoardo scosse la testa. "Non so poi molto, non gli ho dato importanza. L'ho letto distrattamente."
Annuii. "Be', domani sarà la prima cosa che farò."
"Vedo che t'interessa molto.." osservò lui.
Sorrisi. "Sì, moltissimo."
Quella era un'occasione perfetta, non potevo lasciarmela scappare via.

***

Camminavo rapidamente per il corridoio, lo zaino in spalla, stringendo fra le mani un block-notes e una penna. Schivavo in maniera abile qualche studente che non guardava dove andava e stava per finirmi addosso. Mordendomi le labbra, mi avvicinai meglio ad una parte del corridoio. Un enorme tabellone di sughero con su appesi dei volantini e dei foglietti mi si presentò davanti. La fantomatica bacheca degli avvisi, che in quegli anni non avevo neanche notato una volta.
Cercai con lo sguardo ciò che mi interessava, leggendo rapidamente dei vari foglietti e qualche scritta in maiuscolo. Finché trovai ciò che mi cercavo. Mi avvicinai meglio per guardare un foglietto celeste, e lessi.
"Lezioni pomeridiane di chitarra classica, elettrica, acustica, basso e altri strumenti a corda. Per maggior informazioni chiamare il numero che segue. Quota mensile + strumento musicale personale richiesti. No affitti di strumenti e/o perditempo."
Il mio cuore fece un tuffo.. Non si affittavano strumenti. Avrei dovuto avere una chitarra mia, e non l'avevo.
E se avessi voluto comprarla, non avevo un centesimo in tasca, come sempre, del resto. E chiedere dei soldi ai miei genitori per una chitarra era impensabile e impossibile. Non ci parlavamo più: se l'avessi fatto per chiedere del denaro, come minimo mi avrebbero tirato qualcosa in testa. Che ingiustizia, pensai.
Ricopiai il numero sul mio block-notes giusto per fare qualcosa. Ci ero rimasta malissimo, perché ormai mi ero aggrappata - e anche abbastanza disperatamente - a quella opportunità, che per motivi ovvi mi era scivolata dalle mani. Improvvisamente ritornai a quello stato d'apatia della sera precedente. E adesso, cos'altro avrei potuto fare? Posai il tutto dentro lo zaino, e lentamente, con una faccia delusissima, camminai per il corridoio. Sperai ardentemente di non incontrare qualcuno, ci mancava solamente questo per darmi il colpo di grazia. Camminavo a sguardo basso, cercando di evitare gli occhi delle persone attorno a me. Finché mi sentii raggiungere alle spalle da qualcuno che mi chiamò; lentamente mi voltai, e sospirai di sollievo nel vedere mio fratello venirmi accanto.
"Ciao! Allora, hai visto nella bacheca per il corso?" mi chiese, stando di fronte a me e sorridendomi.
Sospirai. "Sì, ma purtroppo non affittano strumenti. Dovrei averne uno tutto mio.." risposi, guardandolo.
Arricciò le labbra, guardandosi intorno. "Quindi ci vogliono un po' di soldi, giusto?" chiese ancora.
"Decisamente sì, e io non ne ho." risposi, sconsolata.
Edoardo stette un attimo zitto, poi tornò a guardarmi. "Be', e allora?"
"Come allora? Edo, non posso chiederne a mamma e papà.."
Mi sorrise. "Adrienne, c'è una cosa che si chiama lavoro."
Lavoro. M'illuminai. In effetti, l'idea non mi aveva neanche sfiorato il cervello. Avrebbe potuto essere una buona idea, sì. Avrei lavorato un po', giusto per avere i soldi necessari, e poi non avrei avuto problemi a licenziarmi.
"E i nostri genitori?" chiesi d'istinto.
Edoardo rise. "Non c'è per forza il bisogno che tu dica tutto a loro, sai? E poi sei già matura da decidere, no?"
"Beh, sì," risposi, anche se titubante, "..il problema è solo trovarlo e farlo conciliare con la scuola."
Edoardo annuì. "Ce la puoi fare. Se vuoi posso darti una mano."
"D'accordo, grazie." risposi sorridendo.
Ciò riuscì a risollevarmi l'umore. Anche se avrebbe significato sgobbare per ottenere quel che volevo, non m'importava. Ero decisa a farlo, fino in fondo.

***

"Sì.. Grazie lo stesso. D'accordo. Arrivederci."
Misi giù la cornetta. Con un pennarello rosso tracciai una grossa X su una pagina di giornale. Un altro buco nell'acqua. Sbuffai, ero stanca e annoiata. Mi alzai dalla sedia, raggiunsi la dispensa e afferrai il pacco di biscotti al cioccolato. Stavo già sgranocchiando il terzo quando entrò mio fratello nella stanza. Mi guardò ridendo.
"E così che cerchi un lavoro?" mi chiese.
Cercai di ribattere, ma dalla bocca mi uscirono solo delle briciole. Deglutii e poi cercai di parlare.
"Sto facendo una pausa." spiegai.
Mio fratello prese posto accanto alla sedia dov'ero seduta prima, e lo raggiunsi portando con me la scatola dei biscotti. Guardò il giornale, aperto sulla pagine degli annunci, e tutti i miei segnali rossi che indicavano i lavori che avevo scartato.
"Quanti lavori ti hanno respinto per ora?"
"Otto. Non accettano nessuno che non abbia esperienza."
Edoardo fece una smorfia, i suoi occhi vagarono sulla pagina.
"C'è qualcosa che vorresti fare in particolare?"
"Mi va bene tutto, basta che lo trovi!" esclamai, facendo fuori il quarto biscotto. Sbuffai, non pensavo che fosse stato così difficile. E poi, era davvero un problema non avere esperienza da nessuna parte; ma non era colpa mia se non avevo mai lavorato prima d'ora!
"D'accordo, vediamo." fece una pausa, lesse qualcosa. "Prova questa qua. Non credo che richiedano esperienza."
Avvicinò il giornale a me. "Tutto fare in una pizzeria?" chiesi.
Alzò le spalle. "O questo, o non vedo nient'altro."
"D'accordo," dissi, "chiamo. Non ho niente da perdere."
"Ecco, brava." spinse il telefono verso di me, con un grande sorriso stampato sul volto. Lo presi e composi il numero. Avevo bisogno di un'abbondante dose di fortuna, sperai che mio fratello fosse servito anche da talismano. E nel frattempo stavo pensando sempre di meno a lui. Mi sorprendevo quando mi rendevo conto di pensarlo per due minuti e di scordarmene per tre ore. In classe lo evitavo, persino con lo sguardo. Spesso mi chiedevo come un bacio, una delle cose più lievi e dolci di questo mondo, avesse distrutto un'amicizia solida che andava avanti nel tempo. Non si potevano cancellare i sentimenti all'improvviso, come se niente fosse. Mi chiesi se ciò che mi diceva erano solo bugie o se quel bacio, in qualche maniera, avesse cambiato ogni cosa. Ma che senso aveva? E perché mettersi con Melissa..? Avevo capito una cosa, però. La vita continuava, e a sedici anni non potevo permettermi di rovinarmi la vita per una persona, nonostante fosse davvero importante e.. vitale, per me. Avevo perso lui, ma non avevo perso me. Stavo solamente cercando di rialzarmi, tutto qua. Quella ferita sarebbe stata dentro di me, per sempre. Lo avrei sempre amato, e considerato il mio migliore amico, il migliore che si potesse desiderare. Ma dovevo reagire, non dovevo lasciarmi andare giù.



Ecco un altro capitolo. Vedete? Le cose cominciano a girare per il verso giusto, per la nostra Adrienne! *_* Ah, povera, ha sofferto così tanto.. XD
Vi prego, COMMENTATE, COMMENTATE! Non può che farmi piacere.

gloria85:
grazie per aver recensito e per i complimenti! Mi piace il tuo modo di pensare.. chissà, magari Alex si ridesterà.. =P Un abbraccio!
Gocciolina:
perché trai conclusioni affrettate? (: alla fine della storia mancano ancora un bel po' di capitoli.. nulla è perduto! Grazie sempre eh *_*
curix:
come vedi l'essere squallido non è comparso in questo capitolo, lol. Ah, l'adoro :°D mi fa proprio piacere che ti piaccia Edoardo! Non lo credevo possibile ma lui sta riscuotendo molto successo =P Grazie anche a te!

Al prossimo capitolo, gente (:
RECENSITE DX



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Capitolo 15
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16

Capitolo 16.

Lasciai il mio numero di cellulare in tre locali che avevo trovato, i quali richiedevano un lavoro senza esperienza. Aspettai cinque giorni, ma nessuno mi chiamò. Piano piano cominciai a perdere le speranza, anche se mio fratello mi incitava a non mollare e a continuare a sperare. Sta di fatto che sobbalzavo ogni volta che sentivo un cellulare squillare e diventai piuttosto ansiosa e nervosa. Volevo un lavoro, mi serviva, e se nessuno mi avesse chiamato avrei dovuto inventarmi qualcosa.
Così, in un giorno in cui ormai avevo perso ogni speranza e avevo smesso di portare il cellulare con me ovunque andassi, stavo comodamente seduta sul divano del salotto, a fare i compiti. Tenevo le gambe vicino al corpo, il quaderno appoggiato su esse e una matita in mano. Mi fermai, riflettendo. Avvicinai la matita alle labbra, la mordicchiai e poi sbuffai. Ero stufata di tutto e avrei voluto uscire un po', ma da sola non mi andava assolutamente. Edoardo stava studiando, in camera sua. L'indomani aveva un compito in classe e non potevo - volevo - disturbarlo solo perché avevo voglia di una boccata d'aria. Era ancora presto, appena le sette del pomeriggio,e quindi i miei erano ancora al lavoro. Ne avevo abbastanza, così mollai il quaderno e la matita sul tavolino davanti al divano. Chiusi gli occhi, mettendo le mani intrecciate dietro le testa e stendendomi meglio sul divano. Avevo un terribile mal di testa. Quando stavo cominciando a rilassarmi un po', sentii dei rumori non propriamente leggeri che provenivano dalle scale. Spalancai gli occhi, mettendomi a sedere.
Mio fratello Edoardo spuntò sulla soglia della porta; esibiva un'espressione scocciata e aveva tra le mani il mio cellulare.
"Adrienne, non sono il tuo segretario. Perché se così fosse, vorrei essere pagato, sai com'è. Tieni." disse, avvicinandosi al divano. Lo raggiunsi, prendendo il cellulare fra le mani e guardandolo.
"Ma chi è?"
La sua espressione scocciata fece posto ad un sorriso. "Lavoro."
Scattai in aria, diventando rossa. Edoardo rise piano, mi fece un cenno con la mano e se ne andò.
Rimasi di sola, in preda al mio destino. Avvicinai il cellulare all'orecchio, dopo essermi schiarita la voce e aver deglutito sonoramente.
"P- pronto?" chiesi.
"Mi scusi, è lei la ragazzina che cercava un lavoro?" mi chiese la voce di una donna.
"Sì, sono io." risposi, anche se non apprezzai del tutto il ragazzina.
"Sarei interessata ad averla nel mio locale come tutto fare."
Il cuore mi andò a tremila. Ce l'avevo fatta, sì, sì, ce l'avevo fatta.
"Cosa intende per tutto fare?" chiesi.
La donna rimase un attimo in silenzio. "Stare al bancone, prendere ordinazioni, servire ai tavoli, pulire." elencò.
"Ottimo." commentai, mi andava più che bene.
"La paga è di cinquanta a settimana." aggiunse.
Perfetto. Non sapevo quanto costava una chitarra, ma pensavo che due settimane di lavoro mi sarebbero bastate. Poi avrei deciso se continuare o meno a lavorare.
"Per me va benissimo. Quando posso cominciare?" chiesi.
"Se per lei va bene, anche questo sabato." rispose la donna.
Feci mente locale. Eravamo a giovedì, se non sbagliavo. "Certamente." risposi.
La proprietaria del locale mi ribadì l'indirizzo e mi disse di presentarmi lì alle sei del pomeriggio. La ringraziai infinitamente e poi riattaccai. Dopo averlo fatto, rimasi qualche minuto immobile a fissare il display del cellulare, con un sorriso soddisfatto sulle labbra. Dopo di che improvvisai un balletto di vittoria, saltando giù dal divano e ballando davanti alla televisione.
Ero contenta, sì, decisamente. Stavo prendendo in mano la mia vita, senza che gli eventi mi soffocassero.
Ed era un passo avanti.

***

Sabato mattina mi svegliai piuttosto elettrizzata. Non vedevo l'ora che la scuola finisse, che pranzassi, e che le sei arrivassero. Però mancava praticamente mezza giornata, e dovevo stare tranquilla: o almeno, provarci.
Arrivai a scuola in perfetto orario, con mio fratello, esattamente nel momento in cui la campanella segnò l'inizio delle lezioni. Ultimamente preferivo arrivare tardi, perché se fossi arrivata prima del suono della campanella avrei dovuto aspettare, da sola, e se potevo lo evitavo accuratamente. Stare da sola era la mia più grande paura, nelle ultime settimane lo ero stata, sul serio.
Comunque, entrai in classe; facendo una grande fatica a camminare per il corridoio con tutta la folla di ragazzi che si era riversata in esso. Non rivolgendo occhiate e saluti a nessuno, per evitare di incontrare qualcuno che volevo evitare, mi sedetti al mio banco.
Feci menti locale. Avevamo due ore di scienze. Poco male, avrebbe spiegato il nuovo argomento, e prendendo appunti le ore sarebbero passate più velocemente. Presi dallo zaino il quaderno e la penna, e li appoggiai sul banco. Diligentemente stetti in silenzio, aspettando l'arrivo della professoressa.
Il mio sguardo scivolò sulla porta della classe, la quale era aperta. Me ne pentii all'istante.
Melissa e lui entrarono nell'aula, sorridevano entrambi. Lui la spinse dolcemente dentro, e lei rise. Notai che avevano fra le mani vari raccoglitori di plastica e alcune cartellette. Mi chiesi a cosa servissero. Lo fissai, come se ne fossi incantata, e notai un pacchetto di sigarette fare capolino dalla tasca dei suoi jeans. Quando io ero con lui, gli consigliavo sempre di metterlo dentro la zaino, in modo che nessuno lo vedesse e si facesse domande. Naturalmente quest'immagine non mi fece restare impassibile. Ero invidiosa, ma soprattutto ero gelosissima. E, naturalmente, triste.
Ormai l'avevo perso, e tutto quello che era stato era solo un ricordo. Melissa non si meritava di stare con un ragazzo così meraviglioso, anche se cominciavo a dubitare che fosse tanto meraviglioso. Scossi la testa per impedire alla mia mente di vagare e di fare brutti pensieri. Nel frattempo loro due erano andati al loro posto, e la professoressa stava chiamando l'appello. Mi risvegliai appena in tempo per borbottare un presente quando chiamò il mio nome. Seguirono la consegna di alcune giustificazioni da parte di studenti assenti qualche giorno prima; poi la professoressa chiuse il registro di classe e ci guardò, unendo le mani sopra la cattedra e sorridendo. Così sembrava.
"Bene," iniziò l'insegnante, "come avevo accennato qualche giorno prima, oggi assisterò - e assisterete - alle presentazioni del progetto di scienze che vi ho assegnato settimane fa."
All'inizio pensai di non aver capito bene. Poi cominciai a guardarmi intorno. Tutti i miei compagni erano divisi in gruppetti, e in mano tenevano fogli, schermi, diagrammi e appunti. Venni presa dal panico. Non avevo nessun progetto, non avevo fatto niente. Mi avrebbe messo un' insufficienza. Desiderai materializzarmi in un posto che non fosse lì: una scuola di Mosca, ad esempio, ma ciò non accadde. Con i nervi a fior di pelle, fissai il mio banco verde.
Avevo un vuoto in mente. Improvvisare qualcosa? Era impossibile, mi avrebbe chiamato da un momento all'altro e mi sembrava che non ricordassi più un accidente. Una scusa? Sì, e quale? Aveva lasciato il progetto cinque settimane fa. E raccontare la verità, cioè che me l'ero scordato, era fuori discussione.
Sudai freddo, attendendo che il mio destino facesse il suo corso. Deglutii, mentre la professoressa decideva di chiamare qualcuno.
"Alessandro e Melissa? Sarei curiosa di vedere ciò che avete fatto." disse.
Al peggio non c'era fine e la sfortuna mi aveva preso fra le sue braccia. Mi teneva bella stretta, a quanto sembrava. Avevo una voglia pazzesca di sbattere la testa contro qualcosa di duro. Dopo un grattare di sedie, vidi lui e Melissa avanzare verso la cattedra, carichi di foglietti. Si posizionarono davanti alla lavagna, uno accanto all'altra. Vidi Melissa rivolgergli un sorriso incoraggiante e sfiorargli leggermente la mano con la sua. Diventai viola all'istante, e li fissai cercando di assumere un'aria indifferente.
Lui parlò per primo.
"La nostra ricerca riguarda lo studio dei corpi celesti, l'Astronomia."
"Astronomia è una parola che deriva dal greco. E' formata da due termini: 'astron', ovvero stella, e 'nomos', leggi. Quindi letteralmente significa 'leggi delle stelle'."
Ma
chi se ne frega? Partirono in quarta parlando dei pianeti del Sistema Solare, del sole, e delle teorie di Galilei e Keplero: presto mi resi conto che il loro non era un lavoro fatto male; ma non volevo ammetterlo perché ero ancora piena di gelosia ed invidia. E per di più, ero senza progetto e avevo guadagnato un'insufficienza a scienze. La mia prima insufficienza dell'anno.
Dopo una buona ventina di minuti, la professoressa li fermò dicendo che bastava. Sembrava soddisfatta. Melissa e lui tornarono ai loro posti. La prof. segnò un numero nel suo registro personale, poi lo consultò.
"Okay. Vediamo adesso chi viene.." disse.
Con un movimento della mano buttai la penna a terra, e mi chinai per prenderla. Trucco vecchio come il mondo, ma che dovevo fare? Riemersi da terra, sperando di essere in salvo. Invece la professoressa mi guardò e sorrise.
"Adrienne! Allora, vuoi mostrarci il tuo progetto?" Rimasi senza fiato
. Deglutii, e cercai di sorridere, a di scusa.
"Non credo di poterlo fare, professoressa." risposi. Sentii la classe trattenere il respiro, come un sol uomo.
"E perché mai?" mi chiese, alzando tutte e due le sopracciglia, così tanto che temetti che si unissero ai capelli.
"Perché non l'ho fatto." risposi, con un tono dispiaciutissimo. Nella classe si diffuse un mormorio e un 'oooh.'
Certo, era strano con una delle studentesse più brave della classe non facesse un compito, che per giunta era stato assegnato un mese prima. Diventai rossa per l'imbarazzo. La professoressa mi rivolse uno sguardo indecifrabile.
"Mi sa dare una spiegazione?" chiese.
"L'ho dimenticato."
I sussurri si fecero
più intensi. Ero rossissima e mi tormentavo le mani, deglutendo sonoramente.
La vidi aprire il registro personale. "La legge è uguale per tutti. Sono costretta.."
Strinsi gli occhi.
"..a metterle un'insufficienza." concluse.
Mi sentii una stretta allo stomaco. Be', almeno avrei potuto recuperare, l'anno era ancora lungo, no?
La professoressa fece un altro segnale sul registro e poi lo chiuse. Ah, quant'ero idiota. Mi sentii gli occhi di tutti addosso, avrei voluto sprofondare.
Sospirai profondamente. Dopo qualche minuto di silenzio, la professoressa chiamò qualcun altro, che si avvicinò alla cattedra. Gli sguardi di tutti si spostarono da me al mio compagno di classe. Mi rilassai meglio sulla sedia, sospirando. Cercai di aggrapparmi al pensiero di quel pomeriggio, ma ero dispiaciuta e un po' triste; e anche quel pensiero sembrava non avere più importanza. Di certo quello non era un buon modo per iniziare la giornata. Mi sentii di nuovo osservata. Mi voltai, e incrociai il suo sguardo. Mi stava guardando fisso. Il suo sguardo prese il mio e lo incollò al suo. Mi fece un cenno con la testa. Io la scossi, poi mi voltai di nuovo, stringendo gli occhi. Persino guardarlo mi faceva del male.

***

Alle cinque e mezza uscii di casa. Edoardo mi accompagnava, voleva anche assicurarsi che tutto fosse stato a posto. Mi sentivo parecchio elettrizzata e continuavo a stringere fra le mani la mia borsa a tracolla, che nel frattempo mi stava soffocando; sentivo la cinghia che mi doleva sul petto. Rimasi in silenzio per tutto il tempo. Chissà come sarebbe stato, se avessi sgobbato troppo, se mi fossi trovata bene. Il pensiero che comunque dopo due settimane avrei avuto i soldi necessari per la chitarra, mi rincuorava parecchio. Dopo una ventina di minuti, io e mio fratello arrivammo a destinazione.
Il locale era al centro di una via piuttosto frequentata. L'insegna, un neon celeste, recitava 'The Guilt'. Subito sotto c'era un portone massiccio, scuro, con alcune finestrelle di vetro intagliate sopra, che facevano intravedere l'interno del locale. Mi avvicinai velocemente.
"E' questo?" chiese Edoardo.
Appoggiai una mano sul portone. "Sì, esattamente."
"Vuoi che entri?" chiese ancora.
"No, non preoccuparti. Se c'è qualche problema ti chiamo." dissi.
"Okay. Buona fortuna." Sorrise, mi scompigliò i capelli e se ne andò. Io rimasi qualche minuto fuori, respirando profondamente, poi presi coraggio e spinsi la porta, entrando.
Anche l'interno del locale era molto carino.
Ogni parete era dipinta con un colore diverso. C'erano appesi diversi poster, un po' vintage, e delle copertine di vecchie dischi. C'erano molti lampadari con luci diverse, lievemente soffuse, che davano un aspetto allegro ma quasi misterioso al locale. I tavoli e le sedie erano anch'essi di legno massiccio, con quello della porta. Mi voltai. A destra c'era il bancone di legno, dove si poteva pagare; e all'estremità del bancone c'erano alcuni sgabelli e dei distributori di bibite.
Il locale era ancora vuoto. Alcuni ragazzi, che dovevano essere camerieri perché portavano la stessa maglietta nera a maniche corte con una grossa 'G' stampata sulla schiena, mi guardarono incuriositi. Avanzai verso la cassa, dove c'era una donna che - sperai - doveva essere la proprietaria con cui avevo parlato al telefono. La donna si voltò a guardarmi non appena fui davanti a lei.
"Ehm, mi scusi," dissi, "Io sarei.. la ragazza che ha chiamato l'altro giorno per il lavoro.."
La signoria si alzò, illuminandosi, e mi venne incontro stringendomi la mano. "Oh, eccoti! Ti stavo proprio aspettando. Piacere, io sono Rosa."
Riconobbi
immediatamente la voce dalla signora. Rosa doveva essere una donna sulla cinquantina. Era altina, con dei capelli castano-grigio e degli occhi celesti. Portava un paio di pantaloni grigi e una maglietta rossa. Stringendole le mano, notai una grossa fede d'oro all'anulare destro. Portava anche tantissimi braccialetti al braccio sinistro. Le feci il migliore dei sorrisi. "Lieta di conoscerla. Mi chiamo Adrienne."
Rosa mi lasciò
andare. Portandosi una mano sul mento, si allontanò un poco e mi squadrò dalla testa ai piedi.
"Quanti anni hai?" chiese.
"Sedici, signora."
"Hm. Sei veramente una bella ragazza. E sei la più giovane qui dentro." fece una pausa, guardando i camerieri dietro di me.
Arrossii di brutto. "Molte grazie, davvero."
Rosa sorrise. "E anche ben educata. Sei proprio ciò che cercavo."
Continuai ad arrossire. Prima che potessi raggiungere qualcosa e ringraziarla di nuovo, però, Rosa ritornò dietro il bancone. Rovistò qualcosa, poi tornò da me e mi consegnò una maglietta come quella degli altri camerieri.
"Tieni, prendila. Dovrebbe essere della tua misura." disse.
Sorrisi, prendendola. "Grazie. Dove posso cambiarmi..?"
Rosa mi indicò col dito una piccola porta dall'altro lato della sala, con su una grande immagine di un divieto d'accesso.
"Lì, sono gli spogliatoi. Puoi posare le tue cose, e se c'è bisogno c'è anche il bagno."
"Grazie." Non facevo altro che ringraziare. Prendendo la maglietta, mi avviai verso quella porta. Dopo essermi cambiata e aver posato la borsa, uscii. Speravo che Rosa mi avesse spiegato come dovevo muovermi e cosa avrei dovuto fare, perché mi sentivo completamente spaesata. Intanto si erano fatte le sette e le prime persone cominciavano ad entrare. Gli altri ragazzi, che ancora non conoscevo, cominciarono a muoversi. Notai anche un paio di ragazze.
Comunque Rosa aveva ragione: erano tutti più grandi di me. Mentre cercavo di trovare il coraggio necessario per avanzare e chiedere aiuto a qualcuno, sentii picchiettarmi sulla spalla. Sobbalzai e mi voltai di scatto.
"Scusa, sei tu quella nuova?" mi chiese un ragazzo.
Quest’ultimo era alto, magro, con un bel fisico. Aveva dei capelli corti, ma non troppo, fra il biondo e il castano e dei profondi occhi azzurro-grigi. Portava un orecchino d'argento all'orecchio sinistro. E poi, notai i muscoli delle braccia che risaltavano con la maglietta a maniche corte. Deglutii, fissandolo: era veramente un bel ragazzo.
"Sì, ciao, sono io." risposi, sorridendo.
Anche lui mi sorrise. Aveva dei denti bianchi e perfetti. Mi pose la mano, e io la strinsi. "Piacere, sono Eric."
"Piacere, Adrienne." La sua stretta di mano era forte e decisa.
Mi lasciò la mano e mi guardò negli occhi. "Hai sedici anni?"
"Sì, esatto." Evidentemente le voci circolavano in fretta, ma non mi dava fastidio.
"Io ne compio diciannove fra qualche mese. E comunque, sembri più grande, lo sai?" disse.
Arrossii, senza sapere perché. "Non me l'ha mai detto nessuno."
Rise. "C'è sempre una prima volta, sai?"
Rimasi sconvolta per un attimo dall'uso di quelle parole, ma cercai di non pensarci. Eric parlò ancora, guardandomi. "Rosa è andata via per un po', ogni tanto ci lascia da soli a gestire tutto.. si fida di noi. Comunque, mi ha chiesto si spiegarti un po' di cose, per orientarti."
Annuii. "Ottimo. Se Rosa non te l'avesse detto, avrei chiesto comunque aiuto a qualcuno."
Eric sorrise. "E io ti avrei aiutato. Lo faccio volentieri." disse.
Arrossii di nuovo. Eric mi spiegò come prendere le ordinazioni e passarle in cucina, come servire correttamente ai tavoli, e come stare al bancone, mostrandomi il funzionamento della cassa. Fu gentilissimo e chiarissimo con me, in una mezz'oretta mi sembrò di aver imparato tutto, almeno nell'atto teorico.
"E se hai bisogno di qualcosa, non farti problemi a chiedere a me o a qualcun altro dei ragazzi." concluse.
"Grazie, davvero. Mi sei stato utilissimo. Comunque oltre a te non conosco ancora nessuno." dissi, un po' imbarazzata.
Sorrise. "Allora provvederò a farti conoscere gli altri, anche. E adesso al lavoro!" esclamò, e mi spinse leggermente in avanti. Si allontanò, e rimasi da sola. Dopo un attimo di indecisione, decisi di buttarmi nella mischia, e allora cominciai a prendere le prime ordinazioni. Mi avvicinavo ad un tavolo, block-notes e penna alla mano, e chiedevo nella maniera più gentile ai clienti cosa gradissero. Poi mi avvicinavo alle porte della cucina, appiccicavo il fogliettino ad una piccola finestrella di vetro alla porta e i cuochi eseguivano. Quando i piatti erano pronti i cuochi suonavano un campanello e appoggiavano i piatti su una specie di davanzale sempre sulla porta. Io li prendevo e li servivo. Qualche volta rimasi al bancone a pagare i vari conti della gente, facendo attenzione a non sbagliare. Era sabato sera, c'era molta confusione, e non mi fermai neanche un attimo. Ogni tanto individuavo Rosa che mi guardava mentre servivo ai tavoli, come se stesse studiando ogni mia mossa, ed Eric che mi rivolgeva grandi sorrisi incoraggianti. Ma non ebbi bisogno di chiedergli niente, fui in grado di cavarmela da sola. Verso mezzanotte meno dieci, Rosa mi fermò.
"Adrienne, è meglio che tu stacchi. Sei minorenne e non posso lasciarti lavorare fino a tardi." mi disse.
"No, guardi, se vuole finisco di servire quei tavoli là e.."
Scosse la testa, sorridendo. "Non è necessario. Vieni domani, allo stesso orario. Hai fatto davvero un ottimo lavoro." Mi fece un sorriso a trentadue denti. Io ricambiai. "Grazie mille. Allora a domani, signora. Buonanotte." dissi.
Rosa annuì. Stanchissima, mi trascinai allo spogliatoio per cambiarmi e prendere la mia borsa. Dopo una decina di minuti uscii, con il cellulare in mano dopo aver chiamato Edoardo per farmi venire a prendere.
Vidi Eric venirmi incontro, con un vassoio vuoto fra le mani.
"Vai via?" mi chiese, venendomi di fronte.
"Sì. Rosa non vuole farmi lavorare fino a tardi." spiegai.
Annuì. "Ha ragione, infatti. Sei minorenne." fece una breve pausa. "Allora domani ci sei?"
"Sì, non mi hanno ancora licenziato." dissi, con un sorriso.
Rise. Aveva una risata meravigliosa. "Impressioni del primo giorno?" chiese.
"Stancante!" esclamai.
Rise di nuovo. L'avevo fatto ridere, e per ben due volte. Ero estremamente soddisfatta. "Be', io vado."
"A domani, allora. Buonanotte." mi diede un pugno scherzoso sul mento, e poi si allontanò sorridendomi. Io lo seguii con lo sguardo finché non scomparve fra la folla. Col sorriso fra le labbra, uscii dal locale. L'aria gelida della notte mi colpì in viso, e mi strinsi meglio la sciarpa al collo. Fortunatamente non aspettai molto, mio fratello era già arrivato. Mi venne incontro, sorridendomi.
"Allora? Com'è andata?" chiese, avvicinandosi.
"Benissimo. Mi sono divertita un sacco." dissi, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro.
"Sono sorpreso del fatto che una persona si possa divertire a  lavoro, ma sembra ti abbia fatto bene.. Si vede dal tuo sorriso." disse, sembrava contento, "Raccontami, dai!" mi incitò.
Presi a raccontagli tutto nei minimi particolari. Mio fratello mi ascoltò, interessato, annuendo o ridendo nei momenti giusti. Nel frattempo, eravamo già arrivati a casa.
"E brava la mia sorellina. Stai diventando grande!" esclamò, ridendo. Io sbuffai, ma poi sorrisi. "Sono fiero di te." disse.
Ero stanchissima, non mi sentivo più i piedi, le braccia. Partii per il bagno, per una lunga doccia. Per delle ore, non avevo più pensato a lui. E mi accorsi che, frequentando altre persone, mi sentivo meno sola, e pensarlo mi faceva meno male, anche. Mi sentivo decisamente meglio: di buon umore, dopo tantissimo tempo. Mi guardai allo specchio, sorridendo, e senza accorgermene ripensai alla risata di Eric.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

a volte ritornano.
dopo vi commenterò (:

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Capitolo 16
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17

Capitolo 17.

La settimana passò
in un batter d'occhio. Di mattina andavo a scuola, dopo di che pranzavo, facevo i compiti e alle sei del pomeriggio ero già al locale. Anche se era piuttosto faticoso, mi divertivo parecchio. Conobbi tutti i miei colleghi. Erano sempre gentilissimi con me, scherzavano, ed erano simpatici. Temevo che m'avessero trattato come una bambina, dato che non c'era una persona della mia età: Invece, fu il contrario. Mi trattavano esattamente come una di loro, facendomi partecipare alle loro discussioni e scherzando tranquillamente con me.
Ogni tanto scambiavo qualche chiacchiera con Eric, ma di rado, e ciò mi dispiaceva perché avrei voluto conoscerlo meglio. Di certo ero un po' attratta dal suo aspetto fisico, era sicuramente un bel ragazzo e m'intrigava. Ma del resto, era stato tanto gentile con me, mi aveva aiutato, ed era simpatico. Naturalmente non ero così superficiale ma dimenticare in due secondi il ragazzo che amavo, non appena ne conoscevo un altro; ma mi capitava sempre più frequentemente di non pensarci più, specialmente quando lavoravo. E mi faceva indubbiamente bene.
Una settimana dopo che lavoravo ogni giorno senza sosta, avevo finalmente diritto ad uno stipendio. Verso mezzanotte, che era il mio orario di stacco dopo un'estenuante pomeriggio e serata di lavoro, Rosa mi chiamò.
"Bene bene." disse Rosa, con un grande sorriso, vicino al bancone, "Oggi riceviamo il nostro primo stipendio, eh?" Annuii, con un grande sorriso sul volto. "Oh, sì."
Rosa rise, mi guardò. Si frugò in tasca, dopo di che ne uscì cinquanta bigliettoni e me li consegnò. Li presi, guardandoli con mani quasi tremanti. Meraviglioso: sentivo già di avere una ricchezza fra le mani. Un'altra settimana, e avrei ottenuto ciò che volevo. L'idea mi elettrizzava e un'altra settimana di lavoro non mi spaventava.
"Grazie, grazie." mormorai, infilando il mio primo stipendio in assoluto in una tasca della borsa, al sicuro.
"Grazie a te." rispose lei, sorridendo. Mi sentivo felice. Sorridendo ancora a Rosa, presi il cellulare e composi il numero di Edoardo.
"Adrienne?" chiese subito.
"Sì. Dovresti venirmi a prendere." risposi.
"Ah! Come faccio? Sono uscito con gli amici! Non so se riesco a liberarmi presto e a venire.."
Venni presa dal panico. "Cosa? E io come ritorno a casa?" esclamai, con voce un tantino stridula. Rosa mi guardò, preoccupata. E come se fosse una benedizione, Eric mi passò davanti proprio mentre lo dicevo. "Che succede?" chiese. Sbuffai, bloccando la chiamata e infilando il cellulare nella borsa, con tanta violenza e rabbia. "Non so come ritornare a casa. Mio fratello non può venire a prendermi."
Eric mi guardò fisso, con la bocca socchiusa, e poi guardò Rosa.
"Rosa, non è che potresti darmi un permesso? L'accompagno io a casa." le chiese. Cosa? Forse non avevo sentito bene. Voleva accompagnarmi a casa? Rosa annuì, poi mi guardò. "Se per Adrienne va bene.."
Sia Eric che Rosa mi fissavano. Diventai rossa all'istante, poi guardai Eric. La mia mente lavorò veloce. Mio fratello sarebbe venuto a prendermi al locale come minimo verso l'una, conoscendolo. In fondo Eric mi stava solamente offrendo il suo aiuto.
"D'accordo.." mormorai, sorridendo timidamente. Eric sorrise. Fece un cenno con la testa a Rosa per ringraziarla, poi si avvicinò a me. "Ci metto due secondi a cambiarmi. Okay?"
"Certo." dissi, ed Eric mi sorrise di nuovo e scomparve oltre la porta degli spogliatoi. Rimasi dieci minuti ad aspettare, seduta su uno degli sgabelli del bancone. Il locale era un po' meno pieno, cominciava a farsi tardi. Io ero un preoccupata, e mi sembrava di non avere più una briciola di sonno o stanchezza. Poi vidi Eric uscire dagli spogliatoi, e mi alzai di scatto. Notai che aveva cambiato maglietta e jeans. Non c'era niente da fare: stava bene con qualsiasi cosa addosso.
"Andiamo?" mi chiese non appena mi fu vicino.
Annuii, e stringendo la cinghia della borsa e salutando Rosa, lo seguii fuori dal locale. Eric camminava al mio fianco, e ciò mi faceva innervosire parecchio. Mi strinsi meglio alla sciarpa. Mi aspettavo che mi domandasse dove si trovava casa mia, ma non lo fece, e la cosa m'insospettì parecchio. Invece camminò per una via per un po'. Dopo di che si fermò, e mi guardò. Sorridendomi, si frugò in tasca e ne uscì un mazzo di chiavi. Riconobbi la chiave di un'auto. Infatti la prese, e schiacciò il bottone. Le luci di una Lancia Ypsilon nera s'illuminarono d'arancione.
"Woah." dissi
, guardandola e avvicinandomi all'auto. Eric scoppiò a ridere. "Frutto dei miei risparmi, eh." disse. Eric mi raggiunse e mi aprì gentilmente lo sportello, invitandomi a salire. "Prego, signorina." disse, ridacchiando, e accompagnando il tutto con un gesto della mano. Io gli sorrisi, divertita, e salii in auto, chiudendo lo sportello dietro di me.
Lui fece il giro dell'auto e poi salì, prendendo il posto del conducente. Lo guardai fisso mentre infilava la chiava nell'apposita fessura e accendeva il motore. Avevo fatto bene a fidarmi? In fondo lo conoscevo appena. E se avesse avuto cattive intenzioni..? Un brivido mi passò per la schiena. Eppure sembrava tanto carino e gentile.. ma magari era solo una tattica. Già, e magari io ci ero completamente cascata. Mi pentii all'istante di aver accettato un passaggio da lui, ma mi augurai vivamente di sbagliarmi.
Eric si voltò un attimo a guardarmi.
"Sei
pensierosa. Qualcosa non va?"
Mi risvegliai dai miei pensieri e arrossii di botto. "No, no, va tutto bene!" dissi, forse con un sorriso un po' troppo falso e nervoso.
Continuò a guardarmi per un po', poi alzò le spalle e uscì dal parcheggio, controllando per bene gli specchietti e scalando le marce. Con estrema facilità, entrò in strada. Ci furono degli attimi di silenzio imbarazzante. Mi sistemai meglio sul sedile, che sentivo stranamente freddo sotto di me.
Avevo freddo ed ero preoccupata, e soprattutto continuavo a guardarlo con la coda dell'occhio.
Guidava a velocità moderata, tenendo entrambe le mani sul volante e tenendo sempre lo sguardo sulla strada. Poi parlò.
"Adrienne?" chiese.
"Sì?"
"Devo confessarti una cosa. In realtà," fece una pausa, "..quella del passaggio è solamente una scusa."
Deglutii sonoramente. Allora avevo ragione. Tremai leggermente.
"Volevo.. volevo stare un po' con te, per conoscerti meglio. Ma non sapevo come dirtelo.. in fondo, neanche ci conosciamo."
"Conoscermi meglio..?" balbettai.
"Sì." Lo vidi sorridere. "Sembri simpatica e vorrei conoscerti un po' di più. In fondo dei l'unica mia collega che non conosco come le mie tasche." Sorrisi, neanche accorgendomi di sospirare di sollievo.
"Devo fidarmi?" chiesi
.
Il suo sguardo si fece serio. "Sì. Ti giuro che non c'è niente sotto. Voglio solo passare del tempo con un'amica." e sorrise.
"D'accordo, d'accordo." dissi.
Mi aveva definito un'amica, e ciò mi fece piacere. Mi rilassai, poggiando la testa su un lato del sedile.
"Quindi.. ti andrebbe di fare un giro?" chiese.
"E dove?"
"Non so. Andiamo a bere qualcosa."
Alzai
un sopracciglio. "Che genere di cose?"
Mi guardò per un attimo, poi rise. "Niente di alcolico, stà tranquilla."
Sorrisi, guardando la strada. Dopo di che, Eric cominciò a tempestarmi di domande. Mi chiese che scuola facessi, quali erano le mie materie preferite e i professori che odiavo. Mi raccontò degli aneddoti divertenti di quando andava a scuola e mi fece ridere. Discutemmo dei nostri gusti musicali e persino di politica. Mi disse che frequentava l'università, che era iscritto alla facoltà di Scienze dell'Educazione, e che gli piaceva tantissimo scrivere e anche dipingere. Eric cominciò a piacermi anche caratterialmente. Era simpatico, divertente, e soprattutto intelligente e colto. Mi resi conto che trovavo estremamente facile discutere con lui, mi piaceva stare ad ascoltarlo e confrontare le mie idee con le sue. Decisi di fidarmi sul serio di Eric. O almeno, provarci.
Dopo una mezz'oretta d'auto, Eric si fermò e posteggiò in una via.
"Dove andiamo?" chiesi, mentre scendevo dall'auto.
"Ti porto in un posto carino." rispose, sorridendomi.
Scese, mise la sicura all'auto e infilandosi la chiave nella tasca, mi raggiunse. "Dai, seguimi." disse, sorridendo, come sempre. Si infilò entrambe le mani in tasca, e camminammo una accanto all'altro; io lasciandomi guidare da lui e guardandolo di tanto in tanto. Sembrava così tranquillo e spensierato. Io ero un po' nervosa, la sua vicinanza mi rendeva tale, e non sapevo ancora se ero completamente felice di essere là con lui. Certo, io ed Eric avevamo molte cose in comune e lui era una bella persona, o almeno così sembrava. Ma avrei tirato le somme solo a fine serata. Decisi di fare così, era inutile parlare prima del tempo.
"Dove vai? Siamo arrivati." disse Eric, prendendomi per il polso e fermandomi. Mi ero persa come sempre tra i miei pensieri e non mi ero accorta che si era fermato, e che io stavo continuando a camminare. Quando mi prese per il polso arrossii violentemente; lui se ne accorse, perché ridacchiò e mi lasciò andare. Eravamo davanti l'entrata di un piccolo bar. Sembrava arredato in stile moderno, con mobili colorati di plastica e luci un po' psichedeliche. Lui avanzò per primo, e aprì gentilmente la porta per lasciarmi entrare prima. Così entrammo, e mi guardai attorno.
Avevo ragione. C'erano tantissimi tavolini rotondi d'acciaio con alte sedie, anch'esse dello stesso materiale dei tavolini, e come il bancone per le ordinazioni. Il pavimento era dipinto di blu scuro, e lo stesso colore della porta. E proprio sopra il bancone, una scritta gigantesca blu e gialla recitava 'The Donut Hole.' Ciambella bucata. Dedussi che fosse il nome del bar.
Mi voltai verso Eric. "Davvero carino." dissi, con un sorriso. Eric ricambiò. "Che t'avevo detto?" fece una pausa e si guardò attorno, il locale era molto pieno nonostante fosse già passata la mezzanotte. "Vieni, andiamo a sederci." Ci spostammo verso i vari tavolini d'acciaio, schivando qualche persona in piedi, finché trovammo un tavolino per due, vuoto. Mi sedetti dando le spalle al bancone, mentre lui mi stava di fronte. Appoggiò una mano sul mento e l'altra sul tavolino rotondo, e mi guardò. Arrossi furiosamente, e mi chiesi il motivo per cui voleva sempre farmi sentire in imbarazzo. Voleva ridere di me? Ciò m'infastidì un po', ma continuai ad arrossire.
Mi appoggiai meglio i piedi alle gambe della sedia, e ricambiai il suo sguardo, cercando di riprendere un contegno. Aveva degli stupendi occhi azzurri, con sfumature grigie un po' dappertutto. Notai anche che aveva un piccolo nero appena sopra il labbro superiore.
"Sai qual’è la specialità di questo posto?" mi chiese, sorridendomi per la miliardesima volta.
"Hm. Sinceramente non saprei." risposi, con aria pensierosa e curiosa.
"Indovina.." disse ancora.
"Non lo so. Le ciambelle?" azzardai, lanciando un'occhiata proprio all'insegna. Scosse la testa e s'avvicinò a me come se volesse rivelarmi un segreto.
"I cornetti caldi dopo la mezzanotte." sussurrò, e poi s'allontanò guardandomi con espressione soddisfatta.
"Veramente? Allora facciamocene portare due, no?" osservai, sorridendo, "Sono curiosa di assaggiarli."
Dato che c'era tutta quella gente, dovevano essere ottimi. Annuì con convinzione, poi individuò una ragazza che serviva ai tavoli, e le chiese di portarci due cornetti al cioccolato. Quando la ragazza se ne andò, lui riprese a guardarmi, come se volesse studiarmi. Io però avevo voglia di parlare, poiché ero ancora più decisa a conoscerlo meglio. Gli chiesi dove abitasse, se riuscisse a vedere i suoi amici dato che era impegnato tutto il giorno con il lavoro. Scoprii che abitavamo a poche vie di distanza.
"Riguardo alle uscite con gli amici.. be', non ho molti problemi, dato che sono un tipo molto solitario e le persone di cui mi posso fidare si contano sulle dita di una mano.." mi spiegò, disegnando qualcosa d'immaginario col dito sulla superficie del tavolo.
"Quanto ti capisco." dissi, con un grande sospiro. Alzò lo sguardo dal tavolo e sorrise. "E poi, ho più amiche che amici, non è un problema."
Gli rivolsi uno sguardo acido, ma arrossii. "Ah, sì?" Scoppiò a ridere sonoramente. "Scherzavo, dai."
Sbuffai, sorridendo, e rimanendo in silenzio per un po'. "Non hai la ragazza?" chiesi, temendo di osare troppo. Ritornò improvvisamente serio. "No, non più. Ci siamo lasciati un mesetto fa." rispose.
Mi pentii amaramente di averglielo chiesto. "Oddio, scusami, io non pensavo di.."
Scosse la testa, interrompendomi e sorridendo. "Macché, non dirlo neanche per scherzo. Chi ci pensa più, ormai." disse. Sospirai profondamente. "D'accordo, ma ti chiedo scusa lo stesso."
Aprì la bocca per ribattere, ma fu bloccato dalla ragazza che ci servì i cornetti fumanti.
"Ottimo!" esclamò Eric, guardando il suo e strofinandosi le mani. "Buon appetito!"
"Buon appetito." ripetei, ridendo.
Mangiare quel cornetto si rivelò più difficile del previsto. Dovetti prenderlo con un fazzolettino dopo che mi scottai la mano, e dopo il primo morso combinai un disastro con il cioccolato che usciva da tutte le parti. Usai tantissimi fazzolettini per evitare di sporcarmi. Mi sentivo un'impedita, e naturalmente Eric quasi non respirò più dal ridere. Per lui era tutto facile, e soprattutto sembrava un esperto nel mangiare quella roba.

Dopo che i nostri cornetti erano quasi finiti e avevo cominciato a prenderci la mano e a non combinare più pasticci, io e Eric ricominciammo a parlare.
"Ti piace qualcuno?" mi chiese all'improvviso. Un pezzo di cornetto che stavo mangiando mi andò di traverso e tossicchiai, spargendo dello zucchero a velo dappertutto. Eric cercò di non ridere, e mi guardò.
"Scusami, vedo che ho toccato un tasto dolente." disse, mettendosi le mani davanti.
"No, no. Ma perché me lo chiedi?" chiesi.
"Perché ti ho osservato al locale, certe volte
. Se vedi qualche coppietta, o se qualcuno dice qualcosa che ti colpisce.. Prendi a sospirare, e cambi umore in una rapidità impressionante." disse.
Rimasi senza parole, ma cercai di reagire. "In effetti mi piace qualcuno.. ma è una storia lunga." dissi, abbassando lo sguardo.
"La notte è giovane." esclamò lui.
Risi, ma scossi leggermente la testa. "Per adesso non mi va di parlarne, scusa." dissi.
Lui annuì. "Certo, non voglio insistere. Scusa." Gli risposi con un grande sorriso, provando un moto di gratitudine per lui; e mi stupii che avesse intuito qualcosa solamente dal mio comportamento. Comunque finimmo di mangiare i nostri cornetti, continuando a chiacchierare allegramente su argomenti banali. Dopo averlo fatto, ci alzammo per andare a pagare. Litigammo perché voleva offrirmi il cornetto, alla fine fui costretta ad arrendermi e pagò anche per me.
Fuori faceva un freddo cane, ma neanche me ne accorsi. Velocemente, quasi correndo per sentire meno freddo, salimmo in macchina. Non appena Eric mise in moto, accese il riscaldamento e un dolce tepore si diffuse nell'abitacolo. Mi levai la sciarpa, appoggiandola sul sedile, e poi lanciai un'occhiata distratta all'orologio dell'auto.
"Cavolo! E' l'una e mezza!" esclamai, sgranando gli occhi e dandomi uno schiaffo sulla fronte.
"Quand'era il tuo coprifuoco?" mi chiese, scalando la marcia.
"Veramente i miei non sanno neanche sanno che sono uscita.." mormorai, voltandomi a guardarlo.
"Ah, bene! Incoraggiante!" disse, scoppiando a ridere.
Risi anch'io, cercando di non pensarci troppo. "L'importante è che non mi scoprino, tutto qua." osservai.
"Giusto. Allora, mi spieghi dov'è casa tua?"
Dopo varie spiegazioni, finalmente capì dov'era casa mia. Avendo esaurito gli argomenti a nostra disposizione, calò rapidamente il silenzio.
"Ti va di ascoltare un po’ di musica?" chiese, dopo un po'.
"Certo." risposi.
Accese le stereo. Ammaccò un bottone, cambiando stazione radiofonica ogni cinque secondi. Sembrava che nessuna canzone lo soddisfacesse, potevo capirlo perché anch'io avevo dei gusti un po' difficili. Nel frattempo io tenevo d'occhio la strada, avevo paura che qualche auto sbucasse fuori all'improvviso e ci finisse addosso; invece la strada era completamente deserta. Poi si fermò su una canzone che conoscevo. Love is the drug.
"Stupenda, lasciala qua!" esclamai.
"La conosci?" chiese, guardandomi quasi stupito.
"Certo."
Sorrise, poi tornò a guardare la strada. "Vuoi fare una pazzia?"
"Sì." risposi, sorridendo, senza esitare.
Eric mi guardò, sembrava malizioso. "Ti ho avvertita, eh."
Accelerò bruscamente. Poi tirò giù tutti e due i finestrini, sia quello accanto a lui che quello accanto a me. Un vento gelido di avvolse, facendoci morire di freddo e scombinandoci i capelli.
Il conta-chilometri segnava 120.
"Love is the drug, and I need to score.." cominciò a cantare lui, a voce altissima, guardandomi e rivolgendomi un sorriso a trentadue denti. Lo guardai attraverso i capelli che mi andavano davanti al viso.
"Showing out, showing out, hit and run. Boy meets girl where the beat goes on." continuai, ridendo.
Continua ad andare sempre più veloce, come se schizzassimo sull'asfalto. Ma c'era solo la musica, le parole, e la sua voce bellissima. Mi ammaliava. Cantammo il ritornello assieme, urlando.
"Love is the drug, got a hook on me..
Love is the drug I'm thinking of, oh, can't you see? Love is the drug for me."
Qualcosa si sbloccò in me. Mi sentivo libera, capace di far tutto e di conquistare l'universo. Mi serviva fare una pazzia per sfogarmi, per liberarmi, per far scivolare via da me tutte quelle sensazioni orrende che avevo provato in quei mesi. Ero in auto con un ragazzo che era praticamente uno sconosciuto. Andavamo a 150 chilometri orari, nella città deserta, all'una di notte, cantando a squarciagola una canzone, con i finestrini abbassati.. e io mi sentivo benissimo. Io, Adrienne, quella ragazza che andava sempre alla ricerca delle perfezione in ogni cosa, che obbediva sempre a sua madre, che era così tanto riflessiva da risultare noiosa.
Con una mano mi tenevo i capelli indietro, perché mi davano fastidio davanti al viso e mi finivano vicino alla bocca. Poi si voltò a guardarmi fisso, tenendo le mani sul volante, e mi cantò il reso della canzone.
"Late, that night, I park my car. Stoke my place in the singles bar. Face to face, toe to toe, heart to heart as we hit the floor."
Risi di gusto, mentre la canzone continuava, e io e lui muovevamo all'unisono la testa, in una sorta di ballo.
"I say go, she says yes." continuò. "Dim the lights.." Si avvicinò tantissimo al mio viso. "..you can guess the rest." mi disse.
Rabbrividii, arrossendo e guardandolo negli occhi. Lui mi sorrise.
"Oh oh, can't you see? Love, the drug for me."
La canzone terminò. Eric rallentò, e alzò entrambi i finestrini. Poi ci guardammo entrambi negli occhi, in silenzio, e scoppiammo a ridere. Mi appoggiai meglio sul sedile, ridendo con lui. Ero felice, non mi divertivo così tanto e non facevo una risata così da mesi, ormai, non ricordavo neanche l'ultima volta.
"Se vuoi fare altre pazzie come queste, eh, avvisami!" esclamai, ridendo ancora.
Rideva anche lui. "Divertente, eh?" disse.
"Decisamente! Non mi sentivo così da mesi." osservai.
"Neanch'io." disse lui, con un sorriso.
Con dispiacere, mi accorsi che eravamo nei pressi di casa mia: Infatti, dopo cinque minuti si fermò davanti al mio palazzo. "E' qui, giusto?" chiese. Io annuii e scesi dall'auto.
Tutte le luci delle abitazioni erano spente; c'era solamente la luce arancione del solito lampione di fronte casa mia. Dava un certo non so che, la strada immersa nella semi oscurità.  Lui fece il giro, e mi venne di fronte. Io rimasi in piedi a guardarlo, sul marciapiede, con l'auto alle spalle. Eric mi guardò dalla testa ai piedi, e poi sorrise.
"Se non fossi così piccola, in questo momento ci proverei con te." disse, ridendo.
"Ah, sì?" scoppiai a ridere, guardandolo, "e che faresti?"
"Ti bacerei." rispose.
Risi ancora. "Non ne saresti capace." dissi.
Eric prima si sorprese, poi mi lanciò un'occhiata di sfida, tra l'arrabbiato e il malizioso. "Sai? Adoro le sfide. E comunque, nessuna ragazza può resistermi." Ricambiai il suo sguardo. "Anch'io adoro lo sfide."
Continuò a guardarmi in quella maniera, poi fece un sorriso sadico e si avvicinò a me. "L'hai voluto tu. Mai, e dico mai, provocarmi." Si avvicinò tantissimo. Era più alto di me, la mia testa gli sfiorava il mento.
Mi passò un braccio attorno alla vita, e mi attirò a sé. Rabbrividii immediatamente.
Con una mano mi prese il mento, e mi alzò la testa in alto, in modo che potessi guardarlo in viso. Si chinò un po', abbassando la testa, e guardandomi negli occhi.
"Vedi? Faccio così. Prima l'abbraccio e stabilisco un contatto visivo."
"E poi?" chiesi, con un filo di voce, rossa in viso. No, no, accidenti, che stavo facendo?
"Poi comincio a carezzarla." disse, non mollandomi un attimo con lo sguardo.
Levò la mano dalla mia vita. Con quella sfiorò il mio collo, e poi mi afferrò lievemente i capelli, nell'attaccatura dietro la nuca, facendoseli passare fra le dita. Deglutii, guardandogli gli occhi azzurri.
"Dopo comincio a sussurrarle qualcosa all'orecchio." mormorai, lo vidi deglutire. Mi dominava completamente.
"Ad esempio?" incalzai.
"Ad esempio.."
Si chinò sul mio orecchio, non lasciandomi, e io chiusi gli occhi.
"Sei davvero bella, ed è un peccato che ci siano tre anni di differenza fra noi." mi sussurrò con voce suadente.
Rabbrividii ancora. Alzò di nuovo la testa, ritornando come prima e guardandomi. Non capivo più niente, vedevo solo i suoi occhi e sentivo solo lui accanto a me, che mi stringeva forte. La mia mente era svuotata.
"E poi, la bacio."
Mi spinse
leggermente indietro, facendomi appoggiare di schiena all'auto. Mi prese il viso con entrambe le mani, incorniciandomelo, e si chinò su di me, con la bocca socchiusa e inclinando la testa di lato. Mi sentivo le guance in fiamme. Avrei dovuto reagire, invece lo presi per i polsi e mi avvicinai al suo viso, chiudendo gli occhi. Sentivo il suo respiro caldo sul viso, e il cuore mi batteva all'impazzata: Mi alzai leggermente sulla punta dei piedi, per arrivare più velocemente alle sue labbra. Il mio mento sfiorò il suo, e fu un attimo.
Eric mi lasciò andare di scatto, e scoppiò a ridere. Io rimasi ferma e mezz'aria, con le labbra socchiuse e gli occhi completamente chiusi. Poi mi resi conto di ciò che era successo, e cercai di riprendermi, riaprendo gli occhi e fissandolo con aria persa.
Eric era piegato in due dalle risate. Io diventai color porpora per la vergogna, imbarazzatissima.
"Non sei per niente brava nelle sfide!" disse
fra le risate, guardandomi.
Mi staccai dall'auto, venendogli un po' incontro. "Ma..!" cercai di dire.
"Niente ma!" disse lui, ridendo, "Mi stavi per baciare! Quindi, ho vinto io!"
Non sapevo come rispondere. In effetti, era vero. Lo stavo per baciare. Se lui non mi avesse lasciato, l'avrei fatto. Ma che cosa diavolo mi era preso?
"Ho vinto la sfida. Ho diritto ad un premio." disse, sorridendo.
"Ad esempio? Basta che non mi prendi più in giro.." ribattei.
Lui ridacchiò. "Scusa, dai. E poi è una cosa positiva. Significa che non sono tanto male, se volevi baciarmi. Non pensavo di avere tutto questo.. savoir-faire!"
Arrossii, e cercai di ignorarlo. Lui continuò a guardarmi, con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra.
"Posso ricevere il mio premio?" chiese.
"Spara."
"Un'altra serata come questa, ti prego
. Non mi sono mai sentito così bene." disse.
"Oh, pensavo peggio." dissi, ridendo. "Ci sto. Mi sono divertita molto anch'io, sono stata bene. Grazie di tutto." sorrisi.
"Macché, grazie a te." ribatté, sempre col sorriso sulle labbra. Si avvicinò di nuovo. Mi scostò i capelli dal viso, e mi baciò lievemente sulla guancia. "Buonanotte, Adrienne."
"B-buonanotte.."
Mi allontanai, prendendo le chiavi dalla borsa e avvicinandomi al vialetto. Infilai velocemente la chiave nella toppa, e poi mi voltai a guardarlo. Era già salito in auto e aveva chiuso lo sportello. Lo salutai con la mano, e lui mi ricambiò, sorridendo. Aspettò che aprissi la porta ed entrassi dentro casa, e poi partì.
Non appena fui da sola, dentro casa, al buio, una grande confusione s'impadronì della mia testa.
Cosa stavo combinando? Mi appoggiai alla porta, e lentamente scivolai lungo essa, e finii seduta sul pavimento. Mi levai la borsa e l'appoggiai al mio fianco. Mi presi la testa fra le mani, mordendomi il labbro inferiore. L'avevo quasi baciato, mi ero divertita un mondo, avevo fatto bene a fidarmi di lui. Pensai nuovamente a quando mi aveva stretto a sé, e alle cose che mi aveva detto, e sentii il cuore andarmi di nuovo all'impazzata, come se schizzasse fuori dal petto.
Non era possibile che mi piacesse Eric, non poteva succedere, non a me.
..Alex, dove sei..?

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Capitolo 17
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18

Capitolo 18.

Il lunedì successivo fu
terribile. Ritornai di cattivo umore, e a scuola non riuscivo più a concentrarmi. Nella mia mente si susseguirono varie immagini di Eric che stava per baciarmi, e delle immagini che stranamente non riuscii a comprendere: una folla di ragazzi, luci psichedeliche, e dei ragazzi con delle magliette nere tutte uguali. Forse avevo delle allucinazioni, forse ero impazzita.
O forse, ero solamente confusa. Avevo il cuore diviso in due, letteralmente. Cercai di analizzare la situazione, facendo mente locale.
Eric era carino - beh, bello -, simpatico, intelligente, originale. Era un mio amico anche se lo conoscevo da poco, lo vedevo tutti i giorni, e.. forse, avevo una remota possibilità di piacergli.
Lui, invece, era carino - beh, anche lui era bello, tremendamente -, simpatico, intelligente, diverso. Era il mio migliore amico e lo conoscevo da due anni ormai. Ma eravamo come sconosciuti, adesso, non ci parlavamo più, e per di più lui era fidanzato e io non gli piacevo per niente. Forse non contavo niente per lui. Da come si era comportato, avrebbe potuto essere così.
Mi tormentai, e temetti di perdere la testa. Però, cominciavo a pensare ad Eric molto più spesso. Era una specie di droga. Non vedevo l'ora di rivederlo, di sentire la sua voce, di rivedere i suoi occhi azzurri. Mi chiedevo cosa facesse, dove si trovasse. Mi riempiva la mente, mi impediva di pensare o di concentrarmi su altro. Tutto ciò non era un bene. Era follia, la follia più pura e assurda. Niente era come avrebbe dovuto essere. Io amavo lui, perché avrebbe dovuto piacermi un altro ragazzo? ..Ma ero ancora sicura di amarlo? Lo dicevo solo per auto-convincermi, ma quella che era stata la mia certezza per mesi cominciò a vacillare bruscamente. Non potevo fuggire, era solamente il mio cuore. L'avrei seguito, e mi avrebbe condotto dalla parte giusta. O almeno, lo speravo.
Verso l'una uscii da scuola. Avevo mal di testa, non avevo voglia di fare niente, di lavorare, quel pomeriggio. Ma pur di rivedere Eric, l'avrei fatto. Mi sistemai lo zaino sulle spalle, e scesi rapidamente i gradini di marmo. C'erano un sacco di ragazzi attorno a me, cercai di farmi spazio, velocemente. M'aggiustai meglio il ciuffo di capelli che tenevo davanti al viso. Quel giorno avevo i capelli raccolti in una treccia, e fu un bene perché nonostante fosse una giornata di inizio febbraio, il sole era caldo. Deglutii, e uscii da scuola per avviarmi a casa, di tutta fretta. Dovevo pranzare velocemente, per avere più tempo per eseguire i compiti, che quel giorno erano veramente tanti. Quando già cominciavo a disperarmi, sentii urlare il mio nome, alle mie spalle.
"Adrienne! Ehi, Adrienne!" Mi fermai, e poi mi voltai, molto lentamente.
Eric correva verso di me, il suo solito sorriso sulle labbra. Non appena lo vidi, il mio stomaco spiccò in un triplo salto mortale e il cuore schizzò verso la gola. Mi arrivò ad un metro di distanza e poi si fermò. Aveva il fiatone, ansimava. Mi fece cenno di aspettare un attimo con la mano, e si appoggiò le mani alle gambe, piegandosi un po' e respirando profondamente. Io risi, e lui fece una smorfia a metà tra un sorriso e un ghigno. Dopo un po' si rialzò, schiarendosi la voce. Lo guardai. Portava una maglietta grigia e maniche lunghe, un jeans scuro piuttosto a vita bassa e ai piedi aveva un paio di All Star nere.. proprio come le mie.
M'impressionai per quanto il suo modo di vestire fosse simile a quello di un'altra persona che conoscevo bene.
S'avvicinò, sorridendo. "Ciao." disse.
"Che ci fai qui?" chiesi, sorridendo.
Lui rise. "Avresti dovuto dire: 'Sono contenta di vederti!'" disse. Scoppiai a ridere, e il mio battito cardiaco accelerò. Lui sorrise. Notai che aveva uno zaino alle spalle, e lo prese. Lo aprì, ci rovistò dentro e poi ne uscì la mia sciarpa di lana colorata, accuratamente piegata.
"Tieni, l'hai dimenticata l'altra sera, in auto." disse.
Sorrisi, raggiante. "Oh, grazie mille! Pensavo di averla lasciata chissà dove!" La presi, stringendola fra le mani. C'era troppo caldo per indossarla, così la infilai nello zaino, fra i libri.
"Di niente." rispose.
Poi ci pensai un attimo su. "Scusa, ma non potevi darmela oggi pomeriggio?" chiesi, con aria curiosa, guardandolo.
Sorrise timidamente, e mi parve di vederlo arrossire. "Lo confesso, avevo voglia di vederti."
Arrossi furiosamente. "Oh, beh.. Come facevi a sapere che studio qua?" chiesi.
"Mi sono informato." sorrise. Rimasi in silenzio, sorridendo e guardandolo.
"Beh, potrei portarti fuori a pranzo?" chiese, facendo finta di nulla, "Meno male che il lunedì mattina il locale è chiuso, eh."
Continuai ad arrossire. Mi stava invitando a pranzo fuori. Mi sentii la gola molto secca. "Mi aspettano a casa, Eric.." dissi con un filo di voce, amareggiata. Eric si morse le labbra. "Non hai neanche il tempo per una passeggiata?"
Sospirai. Presi il cellulare dalla tasca, e controllai l'orario. Avrei dovuto essere a casa per le due, ed erano l'una e un quarto.
"Per quella sì. Devo essere a casa per le due." risposi, con un sorriso. La sua espressione preoccupata fece spazio ad un sorriso raggiante.
"Perfetto. Vieni con me."
Mi raggiunse
, al mio fianco. Camminammo assieme, parlando allegramente come al solito. Ci dirigevamo verso le vie del centro. I negozi erano chiusi e la strada era quasi vuota, perché era ora di pranzo, ma a me non importava assolutamente di nient'altro. Senza accorgermene, ci sedemmo in una panchina di ferro, all'ombra di un piccolo albero. Parlavamo, solo questo, e io mi perdevo nelle sue frasi, in ciò che diceva, e nei suoi occhi. Ero felice, tutte le preoccupazioni che avevo erano svanite.
"Lo sai? Non mi hai ancora detto perché lavori." disse all'improvviso.
Lo guardai. Eravamo vicinissimi, i nostri corpi si sfioravano. Eravamo lontani di qualche centimetro. "Tu perché lo fai?"
"Vivo da solo in un appartamento. Mi servono dei soldi per pagare l'affitto, l'acqua, la luce, e per le tasse dell'università." mi rispose, con tono serio. Annuii. Mi sentii un verme. Il motivo per cui lavoravo io mi sembrava una sciocchezza, in confronto. Arrossii, e lui mi guardò. "E tu?"
"Oh, ecco.." balbettai. Lui ridacchiò per la mia reazione. "Non può essere peggio del mio."
Lo guardai anch'io. "Lavoro per comprarmi una chitarra." confessai.
Lui sorrise. "Be', che c'è di male? Sei anche una musicista, e non me l'hai detto."
Scossi piano la testa. "No, non so suonare. Devo fare un corso per imparare, e mi serve uno strumento per poter iscrivermi." spiegai.
"Ah!" disse lui, fece una pausa. "Io so strimpellarla. Un giorno posso darti qualche lezione, che dici?"
M'illuminai. "E' una bellissima idea! Grazie."
Sorrise ancora, e calò il silenzio. Lo vidi giocherellare con uno strappo che aveva sul jeans. Poi si alzò di scatto.
"Vieni, ti faccio vedere una cosa." disse, voltandosi verso di me.
"Che cosa?" chiesi, rimanendo sulla panchina e guardandolo.
"Vedrai." sorrise, e mi porse una mano per aiutarmi ad alzarmi. Io alzai le spalle, e poi la presi.
Quando fui in piedi, però, non la lasciò più.
Camminavamo tenendoci per mano. Lui la stringeva forte, sembrava che non volesse lasciarla per niente al mondo. Non mi diede fastidio, la sua mano non era sudata o cose de genere; però mi chiesi se due amici potessero andare in giro tenendosi per mano, come se stessero assieme. La cosa mi fece arrossire ed emozionare terribilmente, ma non lasciai la sua mano neanche io. Poi si fermò di scatto davanti ad una vetrina. Mi fermai anch'io, alzando lo sguardo. L'insegna era una gigantesca croma nera.
E poi riabbassai lo sguardo.
Era un negozio di musica. Vendeva vari CD e.. strumenti musicali. Le pareti erano tappezzate di chitarre di tutti i generi e colori, così come i bassi. Al fondo del negozio stava anche una batteria. Deglutii, avvicinandomi meglio alla vetrina e guardando. Gli lasciai la mano, ero incantata.
"Woah." esclamai. Individuai una chitarra classica di legno chiaro tra le tante.
Lui rise, e si avvicinò a me. "Se vuoi, quando avrai i soldi necessari, potrei accompagnarti qua. Ci vado sempre." Guardai il suo riflesso sulla vetrina, vidi che mi guardava. "Certo, mi andrebbe tantissimo. Adoro già questo negozio." risposi. Scoppiammo entrambi a ridere. Con difficoltà, mi levai dalla vetrina, e lo guardai. "Devo ritornare a casa, però, adesso." dissi, ritornando seria.
Lui annuì. "Sì, certo, ti accompagno." Mi prese di nuovo la mano. E così, ci avviammo verso casa mia.
Non mi lamentai. Tutto ciò era piacevole, ma continuavo a chiedermi se fosse giusto o sbagliato.
In silenzio, arrivammo di nuovo davanti al mio palazzo. Ci voltammo entrambi, trovandoci uno di fronte all'altra. Sorrise, mi guardò dritto negli occhi. Intrecciò le sue dita con le mie, stringendomi forte la mano; poi se la portò alle labbra e la baciò delicatamente.
"Non vedo l'ora di rivederti." mormorò.
Tremai di piacere, e arrossii, sentendomi svenire. "Mi fai venire i brividi.." dissi d'istinto, senza pensarci, e me ne pentii amaramente
Lui rise piano, e mi lasciò andare. "E' un buon segno."
Avevo le guance in fiamme, me lo sentivo. Non riuscivo a dire più niente d'intelligente, e mi tormentai le labbra e le mani. "Ci vediamo più tardi, allora." disse. "Certo. A più tardi. Buon pranzo.", "Anche a te."
Riattraversò il vialetto. Si voltò un attimo, mi sorrise, e se ne andò.
Si, era chiaro. Avevo perso la testa. Per lui, però.
E non sapevo se odiarmi per questo.

***

Il rapporto tra me ed Eric diventò stretto ed intimo in pochissimo tempo. Veniva a prendermi a scuola ogni giorno, dato che era riuscito a farsi strappare un permesso di mezz'ora da Rosa. Parlavamo, bevevamo qualcosa, mi riaccompagnava a casa, per poi tornare al locale. I primi giorni che succedeva gli chiedevo sempre perché lo facesse: lui rispondeva sempre che voleva stare con me per più tempo possibile. Poi, però, smisi: era piacevole, ed era diventato un deliziosa abitudine. Mi sembrava di conoscerlo da sempre, e conoscevo ogni minimo particolare della sua vita, e lui della mia.. più o meno. Non gli avevo più raccontato del ragazzo che mi piaceva, ma del resto neanche lui aveva più toccato l'argomento.
Le altre cose o persone mi scivolavano addosso, ancora una volta. Al centro della mia testa c'era solo lui, Eric. Era l'unico pensiero che mi soffocava e mi faceva vivere, mi avvelenava e mi faceva risorgere.  Ed ero felice, più che mai. Ripresi a mangiare di più, ad avere un colorito più sano. Studiavo, lavoravo senza sosta, non avevo quasi un minuto per guardare la tv o leggere; quando la sera ritornavo a casa ero troppo stanca e dopo una doccia filavo subito a letto. I miei genitori lo notavano, ma non mi chiesero niente. Erano ancora freddi con me, ma il mio comportamento con loro non cambiò assolutamente. Mio fratello era felice per me, lui invece notò il mio cambiamento. Certe volte gli parlai di Eric, omettendo tanti particolari ovviamente, e forse aveva inteso qualcosa.
Eric continuava a ripetermi quanto fossi bella e quando fossi speciale per lui, ma non mi disse mai che gli piacevo. Questo mi faceva impazzire, poiché a me piaceva, e tanto, e avevo bisogno di saperlo. Anche se naturalmente, da parte sua, non mancavano alcune battute allusive o cose del genere. Era sempre così carino con me, e quindi pensavo di piacergli. Ma avevo imparato a fidarmi poco dei ragazzi, e quindi aspettavo che me lo dicesse.. o me lo dimostrasse con qualcosa. Ma i giorni passavano, il nostro rapporto - e lui - passarono in cima alle mie priorità, e non succedeva niente. Mi chiesi seriamente se dovessi essere io a fare la prima mossa, ma forse era meglio aspettare. Già, ma quanto avrei dovuto aspettare? Una settimana, un mese? Il tempo necessario in modo che incontrasse un'altra ragazza e s'invaghisse di lei?
L'ultima volta avevo già sbagliato, e non potevo più permettere che succedesse un'altra volta. Non potevo più permettermi di soffrire ancora per un ragazzo. Egoisticamente, lo facevo per me.
Però, ero ancora piuttosto confusa. Eric mi piaceva, e lui sembrava solamente un ricordo lontano. Ma allora perché mi sentivo quella familiare stretta allo stomaco se lo vedevo a scuola, se era con Melissa? Perché era come se mi sentissi in colpa quando stavo con Eric, quando lui mi teneva per mano? Era come se mentissi, ingannassi - o tutte e due le cose assieme - a me stessa, in qualsiasi maniera.
Non sapevo chi mi piacesse di più, di chi avevo più bisogno: spesso dipendeva dalle situazioni o con chi mi trovavo, e mi disprezzavo profondamente per questo. Avevo il piede in due staffe. Pregai il mio cuore, affinché si decidesse di condurmi sulla via giusta.
Dipendeva tutto da lui, sì, dal mio cuore. E non sapevo neanche se poi mi sarei rassegnata ad esso, se avessi concordato con la sua scelta, o mi fossi ribellata. Tutto era possibile, ma tutto era relativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

eccomi qui a commentare! ci sono 35 persone che hanno questa storia nei preferiti.. io VOGLIO più commenti xD vi prego!
willun10: ehilà! Grazie per aver commentato. Come vedi ho già continuato a postare i capitoli.. per sapere di più su Eric.. continua a seguirmi =P
Nanako: eccomi qua invece! La Geografia è pressoché inutile, credimi.. meno male che io l’ho abbandonata dopo il secondo anno xD aspetto un commento più lungo!
Oasis: è vero, forse Adrienne ha proprio bisogno di godersi la vita. e concordo per il carpe diem. I latini la sapevano lunga..
giulietta_cullen: mi piacciono i commenti lunghi. Che dire.. sono onoratissima del fatto che la mia storia ti abbia fatto emozionare così tanto, addirittura piangere! Grazie mille davvero, non saprei come ringraziarmi. Come vedi ho già postato.. spero che continuerai a seguirmi e a commentarmi.. chissà se magari riuscirò a farti cambiare idea, lol.
alla prossima gente (:

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Capitolo 18
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19

Capitolo 19.

Era
un giorno freddo, forse uno dei più freddi di quel periodo. L’ultimo giorno di caldo non aveva anticipato la primavera come dicevano le previsioni meteorologiche in televisione; anzi: L’inverno sembrava prolungarsi sempre di più. Magari la primavera sarebbe saltata, come invece dicevano altre previsioni: saremmo passati dall’inverno all’estate direttamente, senza mezze stagioni.
Meno male che avevo la mia sciarpa di lana, mi aveva salvato dall’assideramento un paio di volte. Per le mani, non era un problema: le avevo sempre terribilmente calde.
Quel giorno, però, non rientrava tra la mia lista dei preferiti. Era il 14 febbraio, giorno riconosciuto nella maggior parte dei paesi del mondo come San Valentino, la festa degli Innamorati.
Odiavo profondamente quella festa, con tutto il cuore. Perché dovevano commercializzare anche l'amore? E poi, perché solo quel giorno? Gli innamorati erano liberissimi di scambiarsi cioccolatini e regali ogni santo giorno. Certo, forse se io avessi avuto qualcuno con cui condividere questo giorno l'avrei pensata un po' diversamente; ma era difficile farmi cambiare idea su qualcosa. Ero terribilmente testarda, questo era risaputo.
Tra l'altro, quell'anno San Valentino cadeva di sabato. Rosa ci aveva ordinato di venire al locale una mezz'oretta prima, per poter addobbare il locale per la festività. Immaginavo già che il locale si sarebbe riempito di coppiette che festeggiavano, e la cosa mi diede subito il voltastomaco. In poche parole, volevo che quella giornata finisse il più presto possibile.
Verso le cinque e mezza, arrivai al locale. Quando entrai, un dolce calore mi avvolse e respirai di sollievo. Mentre mi levavo la sciarpa e il giubbotto, Rosa mi sorrise, passandomi davanti. Una cosa buona, in tutto quello, c'era ancora: era la mia seconda settimana di lavoro, il che significava un secondo stipendio. E, a sua volta, significava che avrei potuto finalmente acquistare una chitarra. Avevo riflettuto molto sulla mia decisione di licenziarmi non appena avessi ottenuto i soldi necessari, ma alla fine decisi di no.  Sperai solo che non intralciasse i miei impegni col corso pomeridiano di chitarra, quando mi sarei iscritta. Lavorare lì mi piaceva e c'era Eric. Il lavoro era anche una scusa per passare sei ore accanto a lui.
In fondo al mio cuore, il mio animo maledettamente romantico aveva preso il sopravvento. Era San Valentino, il giorno degli innamorati: magari Eric avrebbe finalmente deciso di fare il primo passo.
Tra l'altro era un sollievo stare per qualche ora lì. A scuola la situazione era diventata insostenibile, almeno per me. Temetti di impazzire quando lui si presentò con un mazzo infinito di rose rosse per la sua ragazza. Cercai di soffocare tutto all'instante, ma sapevo bene quel che avevo provato in quegli attimi. Gelosia, frustrazione, tristezza. In quel modo continuavo a mentire a me stessa, ma era più forte di me. Sperai di non continuare a peggiorare, ed arrivare a mentire anche agli altri. Era come se dentro di me ci fosse un’altra io, che però non la pensava come me e oscurava le mie vere sensazioni, emozioni, pensieri. Non riuscivo a reagire, semplicemente mi rassegnavo alla realtà, accettando le cose così come erano.
Deglutii. Ero rimasta impalata davanti la porta del locale, con la sciarpa e il giubbotto fra le mani e la borsa a tracolla che mi spezzava la spalla. Scossi la testa per risvegliarmi, e andai verso gli spogliatoi per posare le mie cose. Indossavo già la maglietta del locale, e sotto avevo una maglietta bianca a maniche lunghe. La maggior parte dei miei colleghi mi aveva imitato, indossando sotto la maglietta nera diverse maglie colorate.
Dopo di che uscii e salutai Rosa; poi Simona, una collega alla quale mi ero affezionata parecchio. Era bionda, con dei capelli lunghi e mossi, due grandi occhi color cioccolato e un paio d'occhiali neri con la montatura quadrata. Aveva diciott'anni, era simpatica e mi aveva aiutato quando mi assegnarono una ricerca sui miti greci. Era fermamente convinta che io ed Eric non eravamo fatti per stare assieme. Lei era l'unica a sapere che mi piaceva. Dopo averla salutata, mi guardai attorno, ispezionando il locale.
"No, lui non c'è." mi sussurrò Simona all'orecchio, con un ghigno antipatico.
Io sbuffai. "Chi ti dice che io stia guardando per vedere se c'è?"
Alzò le spalle e continuò a fare quel ghigno. "Stai dicendo tutto tu, mi pare."
Le feci una linguaccia e Simona si dileguò lontano, dicendo che una voce - immaginaria, suppongo - l'aveva chiamata. Mi voltai, e vidi Eric entrare. Aveva le guance rosse e il giubbotto tutto chiuso. Evidentemente fuori c'era ancora freddo. Non appena entrò sospirò di sollievo, come me. I riscaldamenti quasi al massimo facevano miracoli, sì.
Sì allontanò dalla porta e individuando il mio sguardo sorrise, raggiungendomi.
"Ciao, Adrienne." disse, rivolgendomi il suo sorriso e vendendo accanto a me.
"Ehi. Fa freddo, eh?" chiesi, sorridendo.
Lui fece un ghigno. "Tu dici?" Si tolse il giubbotto. "Per fortuna qui si sta bene. Vado a posare questo e vengo.", "Okay." risposi.
Sotto la maglietta nera portava una maglia a maniche lunghe celeste. Si allontanò, e nel frattempo Simona mi passò davanti facendomi una linguaccia. Passarono cinque minuti, ed Eric tornò da me.
"Hm, Adrienne. Ascolta." disse, avvicinandosi e assumendo un'espressione seria.
"Sì? Dimmi." dissi, incuriosita. Lui giocherellò nervosamente con le mani, guardandomi. Arrossì pochissimo.
"Ti ricordi
la sfida? Che, tra l'altro, ho gloriosamente vinto?" chiese.
Sentii le guance diventarmi incandescenti. Come avrei potuto dimenticarlo? "Sì, mi ricordo."
"Ti avevo chiesto una serata come quella." Fece una pausa. "Mi chiedevo se.."
"Ehi, voi due! Sempre a parlare! Al lavoro!" Rosa si mise in mezzo, quasi urlando. Ci mise tra le braccia dei festoni rosa e rossi, con dei grandi cuori pieni di brillantini; orinandoci di appenderli. Eric rise di gusto alla vista di quei cosi, come li definì. Prendemmo delle scale d'acciaio dal ripostiglio, per poter appendere le decorazioni al soffitto. Tutto lo staff del locale venne impegnato nell'abbellimento del locale per dei buoni tre quarti d'ora. Alla fine, era così sgargiante, brillantinato e romantico che perfino un ceco col cuore di ghiaccio l'avrebbe notato.
Ammirai il lavoro, allontanandomi un po' dai tavoli, col naso all'insù e appoggiandomi le mani sui fianchi.
"Non ti sembra un po'.. come dire?" sussurrò Eric, scivolando al mio fianco. Lo guardai con la coda dell'occhio. "..esagerato?" conclusi. "Beh, sì, forse un po'. Tutta quest’agitazione per S.Valentino.." osservò.
Annuii, e smisi di guardare. Poi lui si girò verso di me, e io feci lo stesso. "..senti, riguardo quel che stavo dicendo prima.."
Deglutii. Eric mi prese una mano, stringendola fra le sue. "D-dimmi.." La strinse più forte.
"Stasera vuoi uscire con me?" Spalancai la bocca e lo guardai. "Cosa?"
Lui rise e mi carezzò la mano con il pollice. "Hai capito bene."
Arrossii. "Sì , certo." risposi, forse con un po' troppo entusiasmo, e mi rimproverai per questo.
Mi lasciò la mano e mi sorrise a trentadue denti. "Magnifico."
"Dove andiamo?" chiesi, sorridendo anch'io, sentendomi ancora terribilmente rossa.
Lui rise. "Non lo so. Facciamo un giro, e vediamo. Come minimo tornerai a casa verso le tre."
"Non importa."
Ci guardammo e ci sorridemmo entrambi. Il pensiero che poi avrei passato alcune ore da sola con Eric - il giorno di S.Valentino - mi rendeva felice: forse era la volta buona. Parlammo ancora un po', poi fummo costretti a dividerci perché i primi clienti entrarono. Verso le otto i posti a sedere erano quasi esauriti. Il locale era pieno, c'era confusione, e per tutta la sala era sparso un allegro chiacchiericcio. Quando incrociavo Eric, mi toccava i capelli o mi sfiorava il braccio, ridendo. Sembrava davvero che si divertisse a vedermi in imbarazzo per qualcosa che lui mi faceva. Naturalmente la maggior parte dei clienti erano delle coppiette: ma ero troppo occupata nel mio lavoro per dare di stomaco. I cuochi sfornavano pizze a forma di cuore, solo per quel giorno. La trovai una cosa carina, ma Eric scoppiò a ridere come un matto.
"Sì, dai, magari ce ne facciamo fare una e poi ce la mangiamo in macchina." scherzò.
Comunque non ebbi neanche un attimo di respiro, fui occupata per tutta la serata. Verso le undici mi fermai un attimo. Mi avvicinai al bancone, notai Eric e Rosa che parlavano. Rosa si voltò a guardarmi, quando m'avvicinai.
"Sei stanca, Adrienne? Hai un'aria distrutta." chiese.
Alzai le spalle. "No, non.." e buttai un'occhiata alla sala.
Spalancai la bocca, alquanto sconvolta, guardando verso la porta dove i clienti uscivano ed entravano. Una coppia in particolare attirò la mia attenzione. Lui, vestito con un jeans e una maglietta scura, i capelli sugli occhi, una mano sprofondata nella tasca; e l'altra a tenere quella della ragazza che gli stava accanto. Lei, biondissima, con un vestito grigio che le arrivava alle ginocchia, nonostante il freddo pungente. I capelli raccolti elegantemente in una specie di chignon, il sorriso sicuro. Non loro, non , non adesso.
Mi pietrificai all'instante, con un'espressione di puro orrore sul volto.
"Adrienne..?" chiese Rosa, appoggiandomi una mano sulla spalla. Sembrava preoccupata. E anch'io lo ero, molto. Era come se il mio peggior nemico avesse invaso il mio territorio che finora era stata una terra proibita; e che dovessi arrendermi e guardare la mia distruzione, impassibile. Deglutii e mi voltai verso Rosa. "Non.. non mi sento tanto bene.." mormorai.
Poi guardai Eric. Nel frattempo aveva cambiato posizione. Era appoggiato al muro, con le braccia saldamente strette al petto, e guardava verso loro con uno sguardo truce, come se li scrutasse. Era immobile. Pensai con terrore che avesse intuito qualcosa solamente dal mio comportamento; del resto non era la prima volta che lo faceva. Cominciavo a sudare, adesso i riscaldamenti accesi mi davano terribilmente fastidio; mi sembrava che il tessuto della maglietta s'appiccicasse continuamente alla pelle.
"Sei piuttosto pallida, infatti." osservò Rosa, guardandomi intensamente. Poi si voltò verso Eric.
"Vai
a servire, Eric. Per adesso Adrienne non può." gli ordinò. Ero tesa come una corda di violino, e rimasi in silenzio, aspettando una sua risposta.
"Rosa, non posso. Aspetto le pizze di altri quattro tavoli." ribatté Eric, levandosi dal muro e guardandola. Mi sembrava che evitasse accuratamente il mio sguardo. Poi Rosa tornò a guardarmi. "Adrienne, puoi farlo tu? Un tavolo solo, e poi ti mando subito a casa.." Eric mi guardò, io fissai Rosa. Non volevo, non ero in grado di sopportarlo.
"D'accordo.." dissi invece, sentendomi debole e distrutta. Rosa mi sorrise. Mi armai di block-notes e penna per le ordinazioni e sfrecciando davanti a Eric, mi buttai nuovamente nella mischia. C'erano due coppie da servire. Mi buttai a capofitto in quella che non conoscevo: ma Marie, una mia collega di origini Francesi, mi disse che doveva prendere lei le ordinazioni. 
Mi rassegnai al mio destino.
Camminando lentamente, mi diressi verso il tavolo dove lui e la sua ragazza si erano seduti. Mi avvicinai, e aprii il block-notes davanti al viso, con la penna in mano. Fissai i quadratini grigi del foglietto, costringendomi a non guardarli in faccia.
"Buonasera," dissi, con il tono più tranquillo che potessi simulare, "..avete già deciso che cosa ordinare?"
Con la coda dell'occhio notai Melissa che spulciava il menù, il quale era stato già precedentemente consegnato al loro tavolo.
"Sì." rispose quella familiare - e fantastica - voce bassa, che naturalmente apparteneva a lui. Non potevo vederlo a causa - o grazie? - del block-notes che tenevo di proposito davanti al viso. Dopo essersi brevemente consultato con Melissa, mi disse ciò che volevano mangiare. Io scrissi tutto, forse calcando un po' troppo la penna sul foglietto. Dopo di che, tenendo lo guardo un po' troppo basso, posai il block-notes e la penna nella tasca dei jeans. Rialzai lo sguardo sulla tavola per riprendermi i menù - ma solo in quel momento notai che lui li aveva presi e me li stava porgendo, sorridendomi cordialmente. Il suo sorriso, così pieno di calore, solare, rassicurante, mi fece battere forte il cuore. Arrossii furiosamente, e bofonchiai un grazie. Presi i menù con una mano e per un attimo il mio sguardo incrociò il suo. Sorrise ancora, e io diventai color pomodoro. Ritornai verso il bancone, dando loro le spalle e stringendomi i menù al petto. Emanavo calore dal viso e mi sentivo le gambe tremare. Rosa era sparita, stessa cosa per Eric. Dopo aver dato le ordinazioni ai cuochi, ritornai al bancone. Mi sedetti su uno sgabello, appoggiando il gomito sul tavolo e una mano sulla fronte; le tempie sembravano pulsarmi. Possibile che mi facesse quest'effetto a dir poco devastante? Mi sentii un'idiota, con una grande voglia di prendermi a pugni. Dovevo stare tranquilla, solo questo. Mi imposi un respiro regolare, socchiudendo un po' gli occhi, ma la confusione di quel sabato sera mi faceva intorpidire ancora di più. Avevo bisogno di uscire e di prendere un po' d' aria fresca.
Riaprii di nuovo gli occhi, la gente si materializzò davanti a me. Nonostante sapessi che mi facesse male, e che non avrei dovuto farlo, il mio sguardo vagò velocemente sulla sala, per poi fermarsi a quel tavolo lì. Li osservavo, ma soprattutto guardavo lui. Si aggiustava freneticamente i capelli con una mano, provocandomi dei brividi sulla schiena; e tamburellava le dita sul tavolo. Melissa parlava, ma lui sembrava non ascoltarla. Si guardava attorno, incuriosito, studiando il locale e guardando la gente. Melissa ad un certo punto sembrò richiamarlo alla sua attenzione, e lui si voltò di scatto, inumidendosi le labbra con la lingua. Lei sembrò arrabbiarsi, perché cominciò a parlargli addosso, con le sopracciglia alzate e la fronte un po' corrugata. Lui ascoltò, poi ribatté qualcosa, sbuffando. C'erano problemi in paradiso? Una parte di me sembrò gioire di fronte a quella scena, ma poi si sentì immediatamente in colpa. Sarei stata contenta se si fossero lasciati?

Molto probabilmente sì. Mentre riflettevo e cercavo di spostare la mia attenzione altrove, Eric arrivò alle mie spalle.
"Adrienne?" chiese, avvicinandosi. Mise entrambe le mani sulle mie spalle, e mi sussurrò in un orecchio. "Stai bene?"
Cercai di annuire, di fare qualcosa, ma i miei sensi erano come bloccati e intorpiditi. No, non stavo per niente bene, mi sentivo morire. Melissa si allungò sul tavolo e prese il suo viso fra le mani, e lo baciò leggermente sulle labbra. Lui non si mosse, e rimase pietrificato con gli occhi spalancati.  Melissa lo baciò ancora, di più.
Lui chiuse gli occhi e si lasciò baciare, non muovendo un solo muscolo e sospirando. Cominciai a sentirmi male, quella scena era troppo per me. Forse stavo svenendo, forse avevo perso conoscenza, perché mi ritrovai le braccia di Eric attorno alla vita, che mi abbracciava da dietro, come per sorreggermi.
"Eric.." sussurrai, appoggiando la testa sul suo petto. Lo vidi deglutire e guardarmi.
Era serissimo.
"Vieni
, usciamo da qui." disse.












ed ecco postato anche questo capitolo.. le cose cominciano a farsi interessanti.
passiamo ai ringraziamenti.. devo proprio ringraziarvi per il 45 preferiti - vi adoro - e per tutte le recensioni che ora passo a commentare.
giulietta_cullen
: hmm! forse potresti anche avere ragione, chi lo sa? sicuramente, adrienne è molto confusa e non sa bene quel che vuole. il capitolo appena postato lo dimostra. ma alex? continua a seguirmi :P grazie per il commento, davvero!
Nanako: spero che i compiti non ti riempiano troppo, questa settimana! purtroppo penso che se arrivi in farmacia e chiedi: “un eric, per favore”.. non funziona xD mi fa piacere che ti piaccia eric.. di solito è alex il più quotato! XD ahah. spero che al tuo ritorno mi lascerai un commentane! grazie!
Gingerly: salve, una nuova commentatrice! davvero la stai facendo leggere a tutte le tue amiche? o.o mi sento onorata! per il resto, chissà se adrienne ed alex potranno stare assieme.. continua a seguirmi e grazie per i complimenti *_*
Cry90: anche tu nuova lettrice e commentatrice! mi fa sempre piacere e – si sa – adoro i commenti lunghi. mi fa anche piacere che la mia storia ti sia piaciuta così tanto (: io adesso non posso dirti se i tuoi desideri verranno avverati.. ma posso dirti di continuare a leggermi perché solo così lo saprai xD ma comunque penso tu abbia ragione. è sempre doloroso quando ci si allontana da qualcuno che si vuole bene, no? ti ringrazio infinitamente per tutto! *_*
Troue_xxx: nuova lettrice! grazie mille per il commento ed i complimenti.. è vero che la speranza è l’ultima a morire.. ma chi visse di speranza morì disperato! lol! a presto :P
Oasis: chi lo sa o.o a presto, continua a seguirmi (:
S chan: non so se mai leggerai qui, hai commentato fino al quarto capitolo.. che dire, mi dispiace che il mio romanzo ti abbia fatto sentire così. non so, forse dovrebbe essere una sensazione positiva perché almeno adesso so che riesco ad emozionare la gente, ma far sentire “male” delle persone per quello che scrivo non è esattamente una sensazione.. come dire? piacevole. mi sento vagamente in colpa. non negherò, però, che il tuo commento mi ha colpito.. mi piacerebbe che provassi a leggere tutta la storia, ma naturalmente non chiederei mai tanto. solo, grazie per averci almeno provato e per i complimenti. non so se mi merito così tanto.
al prossimo capitolo, gente.. siamo quasi alla fine. mancano cinque capitoli e l’epilogo.
a presto!



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Capitolo 19
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20

Capitolo 20.

Dopo dieci minuti all'incirca mi ritrovai dentro la Lancia Ypsilon nera di Eric. Sfrecciavamo sulla strada, veloci e sicuri. Ogni semaforo diventava verde al nostro passaggio, sembrava quasi una specie di magia. Avevo la testa appoggiata ad un lato del sedile, e guardavo fuori, con il viso rivolto al finestrino. Mi sentivo scoraggiata, debole, e sentivo di avere le lacrime agli occhi. Richiamai tutte le forze che mi erano rimaste per non piangere, sentendomi una vera schifezza. Non potevo ingannare le persone - e neanche me stessa. Ero confusa, non sapevo quel che provavo. Quando ero con Eric ero felice con lui, quando ero con lui ero triste, ma desideravo terribilmente averlo di nuovo al mio fianco. E quando entrambi erano nello stesso posto, non sapevo più quel che desideravo, e le mie certezze svanivano all’improvviso. Era possibile amare due persone, contemporaneamente?  Per me, era impensabile. Se amavo lui, avrei illuso Eric. E se amavo Eric, avrei illuso me stessa?
In auto c’era un silenzio spiacevole ed imbarazzante. Eric era serio, nessuna emozione traspariva sul suo volto. Anzi, sembrava fosse arrabbiato e deluso. Mi voltai, guardandolo. Teneva le mani molto strette sul volante. Aveva le maniche della maglietta alzate e potevo notarlo dai muscoli delle braccia, che teneva in tensione; e ogni tanto cambiava marcia con così tanta violenza che temetti spaccasse il cambio. Mi faceva paura, non l’avevo mai visto così furioso e pensai che da un momento all’altro mi urlasse addosso qualcosa.
”Dove stiamo andando?” azzardai, parlando a voce bassa. Da quando eravamo usciti dal locale, non gli avevo detto niente. Pensavo mi stesse portando a casa mia, ma non era possibile, dato che non conoscevo la strada che stavamo percorrendo. Mi preoccupai un po', e per giunta non ottenni risposta. Lo vidi deglutire, lo sguardo fisso sulla strada. Quel comportamento mi faceva stare ancora più male. Non sapevo che fare, come comportarmi.  Ad un certo punto frenò, all’improvviso.
Io sobbalzai, e misi le mani sui lati del sedile, per tenermi. Fece retro marcia, e posteggiò. Non appena spese il motore, mi guardò.
”Siamo arrivati. Dai, scendi.” mi disse. Il suo sguardo era ancora serio e freddo. Obbedii, e dopo aver annuito aprii lo sportello e scesi per strada. Lui fece lo stesso e dopo esser sceso schiacciò il bottone della chiave dell’auto e mise l'antifurto. Poi mi raggiunse e mi prese per mano. Io lo guardai; dovevo avere un’espressione terrorizzata, perché mi sorrise e mi strinse la mano più forte.
”Adrienne, sta tranquilla. Non ce l’ho con te, sono solo un po’ nervoso. Vieni, dai.” mi disse.
Annuii di nuovo, sospirando, e mi lasciai guardare da lui, tenendolo per mano. Eravamo in una via piuttosto isolata, con tanti palazzi, e molte auto posteggiate accanto ai marciapiedi. Camminavamo sul marciapiede. Intrecciò lentamente le mie dita con le sue, e mi strinse la mano molto forte. Trattenei il respiro, tutto quello non faceva altro che farmi confondere ancora di più.
Dopo cinque minuti si fermò davanti ad un portone d’acciaio, piuttosto massiccio, con alcune finestrelle di vetro. Senza dire una parola mi lasciò la mano, riprese il mazzo di chiavi che aveva messo in tasca poco prima e con una chiave aprì il portone. Venni invasa da un’ondata di panico: quella doveva essere casa sua.
Avanzò e mi invitò ad entrare, dopo aver acceso la luce. Entrai, e d'istinto chiusi il portone alle mie spalle. Lui mi raggiunse per chiuderlo a chiave, e mi guardai attorno. Le scale erano di marmo bianco, con alcune striature grigie. Il passamano era scuro, quasi nero, di metallo; mentre le porte dei vari appartamenti erano di legno, con la toppa in ottone.
Eric mi rivolse un vago sorriso, sperando che lo facessi anch'io, ma non ci riuscii. Cominciò a salire le scale, e lo seguii. I nostri passi rimbombarono nel silenzio, e lentamente salimmo due rampe di scale. Al secondo piano, si fermò e aprì la porta. Notai una targhetta, anch'essa di ottone, che recitava: 'Eric Myers.'
Myers. Non mi aveva mai detto il suo cognome. Era inglese, pensai; magari aveva delle origini in Inghilterra, ma non me ne aveva mai parlato.
Comunque, entrai nell'appartamento di Eric. All'inizio era buio, ma quest'ultimo accese una lampada e la luce immerse la stanza. Mi guardai attorno, trovando che l'appartamento fosse molto carino.
Dopo un piccolo ingresso, si aveva una stanza molto larga che faceva da sala da pranzo e salotto. Accanto al muro, a destra, c'era un divano a due posti, sul marrone scuro. Ai muri erano appesi vari poster e quadri astratti. C'era un tavolo quadrato, quattro sedie, una televisione e un enorme stereo con degli altoparlanti. Sul pavimento era messo un enorme tappeto che richiamava il colore del divano, con delle lunghe frange bianche all'estremità. In fondo alla stanza era anche posizionata una finestra abbastanza larga, con una tenda sul rossiccio e sul marrone. Dopo di che l'appartamento disponeva di una piccola cucina, e altre porte che erano chiuse: dovevano trattarsi della camera da letto e del bagno. Mi guardò, e gli sorrisi, finalmente.
“E' molto carino.” commentai. Mi piaceva davvero, e avrei pagato oro per avere un appartamento solo per me. Lui sorrise come per ringraziarmi. “Accomodati. Io ti porto qualcosa da bere; che vuoi?” chiese, avviandosi verso la cucina.  “Un bicchiere d'acqua andrà benissimo, grazie.” dissi.
Lui sparì nella cucina, io rimasi da sola. Deglutii sonoramente, ero ancora tesa e nervosa. Perché mi aveva portato lì? Avanzai e mi sedetti sul divano. Appoggiai le mani sulle gambe, aspettando che lui ritornasse. Mi sentivo ancora spaesata.
Lui ritornò, sorridendomi gentilmente. Aveva in mano un bicchiere di vetro, d'acqua, e una lattina di metallo che mi sembrò della Sprite. Si avvicinò, mi porse il bicchiere, e poi si sedette sul divano, un po' lontano da me.
“Grazie.” dissi, bevendo.
Lui alzò le spalle. Si appoggiò allo schienale del divano, e aprì la sua lattina infilando l'indice nella fessura della linguetta, e abbassandola. Un rumore mi disse che l'aveva aperta, e bevve.
Cadde ancora quello spiacevole silenzio. Era terribilmente snervante, ma allo stesso tempo avevo paura di dire qualcosa. Qualcosa di sbagliato. Eric finì la sua lattina quasi immediatamente, bevendola tutta d'un fiato. Prese il mio bicchiere, che era ormai vuoto, e li appoggiò su un tavolino accanto al divano, dove c'erano alcune foto di persone che non conoscevo. Mi guardò fisso.  Prima o poi avrei dovuto parlare, lo sapevo. Mi sedetti meglio, verso di lui, e tenendo una gamba sotto di me.
“Allora,” iniziò, guardandomi dritto negli occhi, “..mi spieghi che diavolo ti è successo?”
Mi accorsi di stringere forte i pugni. “In realtà, temo di aver capito. Ma potrei sbagliarmi. Perciò dimmelo tu..” Distolsi lo sguardo, sospirando, e lo fissai su un ghirigoro del tappeto.
“Adrienne, ti prego, guardami..” sussurrò.
Senza accorgermene, mi avvicinai. Gli buttai le braccia al collo, e l'abbracciai forte. Lui rimase un attimo immobile, ma dopo mi cinse tutta con le braccia, stringendomi al suo corpo, che ormai sentivo contro il mio. Scoppiai a piangere, incontrollabilmente, erano mesi che non lo facevo più. Lui appoggiò la testa sulla mia spalle e con una mano mi carezzò i capelli, come a volermi rassicurare.
“Eric, oh, Eric..” dissi fra le lacrime, “Mi dispiace, scusami..”
Lui non disse niente, continuò a carezzarmi. Non sapevo neanche perché mi stessi scusando, ma sapevo che dovevo farlo, perché in qualche modo l'avevo ferito. “Non odiarmi per il mio comportamento..” aggiunsi.
Eric mi lasciò andare, sciogliendo l'abbraccio, e allontanandosi di poco da me.
“Non dire cazzate, Adrienne..” Mi guardò severamente. Io tirai su col naso, e mi asciugai le lacrime residue sulle guance col dorso della mano. “Sta tranquilla, okay? Calmati un po' e non piangere..” disse.
Annuii e distolsi di nuovo lo sguardo. Che stavo facendo? Non lo sapevo neanch'io, era come se seguissi l'istinto, non riflettendo.  “Vado a posare questi..” disse lui, prendendo il bicchiere e la lattina vuote.
“Sì, okay.” risposi. Le prese, si alzò in piedi e andò di nuovo verso la cucina. Rimasi nuovamente sola, tormentandomi un po' le mani, che tenevo ancora poggiate sulle gambe, e cercando di non piangere più. Dopo una decina di minuti, ritornò. Si sedette accanto a me, non dicendo una sola parola. Mi voltai, e ci fissammo negli occhi per vari instanti. Deglutì, e poi socchiuse la bocca, fissandomi.
“Adrienne..” sussurrò, avvicinandosi.
Prese le mie mani fra le sue. Fece per intrecciarle, ma poi si fermò, in modo che le nostre dita si sfiorassero leggermente. S'avvicinò sempre di più, e mi baciò delicatamente il collo, per poi sfiorare le sue labbra su di esso. Tremai in maniera incontrollabile. Eric mi spinse leggermente indietro, facendomi stendere sul divano. Lui si sistemò a cavalcioni sopra di me, guardandomi e continuando a tenermi le mani, dominandomi; ero praticamente incastrata fra il suo corpo e il divano sotto di me.
Avevo la testa appoggiata al bracciolo, e ricambiavo il suo sguardo, con occhi sgranati. Mi lasciò, e si sostenne sulle mani, appoggiandole entrambe accanto alla mia testa, ai lati. Appoggiai le mani sul suo petto, e lo sentii rabbrividire.
"Adrienne.." ripeté lui, mormorando, e guardandomi, squadrandomi. "Lo so, avrei dovuto dirtelo prima. Ho.. ho perso la testa per te.." disse, deglutendo.
Le parole mi mancarono, così come il respiro; e lo fissai, incredula.
"Mi piaci, da impazzire." Lo fissai negli occhi, e lui fece lo stesso. S'inumidì le labbra, e socchiuse gli occhi, respirando leggermente. "Ti amo, Adrienne."
La mente mi si svuotò completamente. Mi amava. Era davvero così. Ti amo, quanto potere possono avere queste due piccole, insignificanti paroline? Possono distruggere, o costruire. Possono far gioire, possono far soffrire. Possono spaventare, possono emozionare. Possono far mancare il fiato e terrorizzare terribilmente, proprio come stava accadendo a me in quel momento. Avrei dovuto essere felice, perché aspettavo quelle parole da tempo, ma non lo ero, non potevo esserlo più. Eric aprì gli occhi e mi guardò, mordendosi le labbra. "Avrei anche voluto dirtelo in un momento migliore, o in un posto migliore. Più.. romantico. Stasera, magari. Ma mi tenevo tutto questo da troppo tempo dentro, ormai, ed era necessario che tu lo sapessi." continuò. Si chinò su di me, il suo petto sfiorò il mio.
"Adrienne, ti voglio, terribilmente." disse, soffermandosi sull'ultima parola. Non aspettò una risposta da parte mia, né nient'altro. Si chinò ancora su di me, facendo appoggiare la mia fronte sulla sua e facendo appoggiare i nostri corpi l'uno sull'altro. Socchiusi le labbra, il fiato corto. Non sapevo cosa dire, come reagire. I suoi occhi azzurri mi scrutarono e mi oltrepassarono.
Le sue mani si spostarono giù. Scivolarono sulla stoffa del divano, e poi s'insinuarono lentamente sotto la mia maglietta. Le sue mani erano bollenti. Mi carezzò lievemente il ventre, e poi salì più su. Arrossii all'instante, e deglutendo lo raggiunsi con la mia mano; lo fermai con delicatezza, facendolo scostare.
"Eric.." sussurrai.
Chiusi gli occhi. Mi scostò i capelli dal viso con una mano. S'avvicinò tantissimo, sempre di più, muovendosi sopra di me. Ad ogni suo movimento, mi paralizzavo sempre di più dal terrore, chiedendomi dove fossi finita, chiedendomi cosa stessi facendo, chiedendomi cosa volesse farmi. Eric mi prese il viso con entrambe le mani, e mi diede un bacio leggerissimo vicino al labbro inferiore.
Venni invasa da delle vere e proprie scariche elettriche. Il tempo si fermò, e cominciai a vedere delle immagini nella mia mente, come dei flash, dei flash infiniti e ripetuti. Le immagini erano chiare, nitide, a colori. Erano degli attimi che avevo già vissuto, erano dei ricordi che conservavo nella mia mente. Li tenevo stretti, perché non volevo perdere il ricordo di ciò che era stato - e di ciò che non sarebbe più tornato indietro.
Riguardavano lui, solo lui. Lui. Lui che era la mia ragione di vita, lui che senza non avrei potuto stare, lui che mi aveva spinto a morire d'amore. C'era lui che si mangiava l'ultimo biscotto al cioccolato, e spargeva le briciole sul divano di pelle. C'era lui che mi prendeva in giro per la mia mania di essere troppo perfezionista. C'era  lui che copiava i miei compiti perché non era arrivato a farli. C'era lui che si aggiustava i capelli e poi se li rimetteva davanti al viso. C'era lui che avevo visto un po' crescere. C'era lui che ascoltava la musica a volume talmente alto che temevo che le cuffie si spaccassero. C'era lui che si accendeva una sigaretta e fumava. C'era lui che si aggiustava i jeans che cadevano, alzandoseli su. C'era lui che si arrampicava sulla finestra della mia camera. C'era lui disteso sul mio letto a fissarmi. C'era lui che mi ripeteva che ero la sua migliore amica. C'era lui con le sue chiamate all'una di notte, gli sms alle tre. C'era lui e c'erano le sue mani gelate, sempre. C'era lui e quegli adorabili occhi nocciola. C'era lui e i suoi capelli color corvino, lunghi. C'era lui e le sue labbra un po' sottili. C'era lui. Divertimento, musica, adolescenti. Una festa. C'era lui con la camicia nera svoltata ai gomiti, una bottiglia di birra. Una? Troppe. C'era lui e l'euforia di qualcosa di nuovo e bellissimo. C'era lui, delle note e delle parole. C'erano le sue braccia che mi stringevano, le sue mani stranamente calde che mi toccavano, e c'erano le sue labbra che mi baciavano. C'era un bacio. Il primo, perfetto, bacio. Un bacio così, al sapore di birra, al sapore di qualcosa di desiderato e finalmente ottenuto.
C'era lui. E c'era il mio amore. Vero, puro, assoluto, dolce, magico, inaspettato, desiderato, unico, speciale.
Alex. Alex, Alex. Alex.. Io l'amavo, più della mia vita.
Spinsi con decisione Eric, dalle spalle, allontanandolo da me. Eric scattò a sedere sul divano, guardandomi con gli occhi spalancati. Mi alzai di scatto, rossa in viso, deglutendo.
"Adri..?" chiese, titubante.
Respirai velocemente, cercando di calmarmi. Sapevo tutto, ricordavo tutto. E improvvisamente, il mio vero amore si era riacceso come un fiammifero acceso gettato in della benzina. Ero sicura, il mio cuore aveva scelto. E aveva scelto Alex, comunque fosse andata. E anch'io lo sceglievo, mille e mille volte, l'avrei riscelto per l'eternità, anche se lui non mi amava. Lo sceglievo perché io l'amavo, tanto, e avevo ragione quando pensavo di essere in grado di amare solo lui. Arretrai, e mi appoggiai al tavolo, spostando leggermente una sedia. Eric continuava a guardarmi, tra lo spaesato, il confuso e lo spaventato. Deglutì, rimanendo sul divano a fissarmi.
"..che ti è preso?" chiese ancora. Non risposi, lo fissai soltanto. Adesso mi appariva sotto una luce diversa.
"Ho capito tutto." disse lui, con un tono triste e stringendo un pugno. "..Non ti piaccio."
Scossi la testa rapidamente, e finalmente parlai. "No, Eric. Tu mi piaci..", '..ma io non ti amo.'
"..ma sei ancora innamorata di quello lì." concluse lui, serissimo.
Sì, era vero, ma non risposi.
"Ho visto l'effetto che ti fa, Adrienne. Non fa per niente bene, e io lo so. Posso capirlo, te lo giuro." disse, abbassando lo sguardo. Si alzò in piedi, e rimase fermo davanti il divano, a fissarsi le scarpe. Poi tornò a guardarmi. "Lo so, perché la ragazza che stava con quello e lo baciava, era la ragazza di cui ero innamorato." disse lentamente. Spalancai la bocca. Ero sconvolta. "Cosa? Melissa.."
"..Melissa era la mia ragazza, sì." Era sorpreso e spaventato, e anch'io.
"L'hai lasciata prima di Natale." dissi, senza pensarci. Riflettei sulle sue parole, quando eravamo al bar. Annuì, poi ci ripensò. "Ma aspetta.. come fai a sapere tutto questo?"
"Io la conosco, Melissa. L'ho vista piangere per te, tempo fa, e me l'ha detto." risposi.
Eric fece un sorriso triste, e poi s'illuminò. "I nostri destini sono intrecciati, Adrienne. Devi raccontarmi tutto quello che ti è successo."
"No." risposi subito, secca. "Portami a casa, Eric." aggiunsi.
"Devi dirmelo, ti prego." insistette lui, avvicinandosi a me, lentamente.
"Non adesso." risposi, con decisione. Ero troppo allibita, le cose erano successe così velocemente che stentavo a crederci. Sospirò. "Tu non capisci. Devo sapere." fece una pausa. "Io potrei renderti felice, Adrienne. Potrei farti completamente dimenticare di lui. Perché ti a.." Lo ignorai, e spingendolo via mi avviai verso la porta d'ingresso. "Per piacere, portami a casa." insistetti ancora. Mi guardò. Dopo qualche minuto, prese le chiavi dalla tasca e mi raggiunse.

grazie a tutti per i favoriti e i commenti! (: shockati, neh?
Cry90: soddisfatta di questo capitolo, immagino! ti ringrazio ancora per i tuoi bellissimi commenti e per i complimenti.. davvero tanto!
writerprincess: grazie mille (: passerò sicuramente..
DarkAngel90: grazie a te per aver letto, piuttosto! come vedi, ho postato quasi subito.. spero di averti soddisfatto!
willun10: ahi ahi XD allora mi sa ne rimarrai un po' delusa :P
Gingerly: chissà come reagirai a questo capitolo.. sono curiosa hmm! scusa per il ritardo xD
giulietta_cullen: ahah mi piace il tuo modo di ragionare, davvero! è molto simile al mio, e mi piacciono anche i tuoi commenti. voglio un bel resoconto su questo capitolo e su alex.. susu :P
Oasis: ti ho dato tutte le risposte che ti servivano.. adesso voglio sapere che ne pensi tu! XD
vero15star: nuova lettrice.. meraviglioso! i tuoi commenti mi lusingano troppo. ecco a te il nuovo capitolo.. spero ti sia piaciuto anche questo (:
Nanako: naturalmente non mi offendo assolutamente per l'appunto.. provvederò a correggere, grazie mille *_* sono contenta che sei riuscita a leggere.. ed in tempo di record ho postato anche l'altro capitolo! naturalmente voglio sapere che ne pensi :P
a presto, gentaglia! manca poco, davvero poco, alla fine. vi ringrazio ancora..

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Capitolo 20
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21

Capitolo 21.

Arrivammo
di fronte casa mia. Era l'una. Il viaggio in macchina era stato silenziosissimo e molto, molto teso. Scesi velocemente dall'auto. Lui fece lo stesso, e mi raggiunse. Individuai il suo sguardo, e misi le mani avanti. "Eric, ti prego, non insistere. Non ti dirò niente." Eric perse la pazienza. "Quando, allora? Quando me lo dirai?" esclamò, a voce piuttosto alta. "Adesso non posso." dissi, seria. "Ma.."
"Ma..?" incalzò lui, alzando un sopracciglio. Riflettei velocemente. "Domani, all'ora di pranzo.. vieni a casa mia. Mangiamo qualcosa assieme, e ti racconterò tutto." dissi. L'indomani i miei genitori non ci sarebbero stati, andavano a fare un breve gita in campagna. Mio fratello sarebbe stato in casa, ma non era un problema, e non si sarebbe lamentato se gli avessi chiesto di sparire dalla circolazione per qualche ora. Lui mi guardò, e annuì. "D'accordo, verrò. Adrienne, ti avverto. Non me ne andrò prima che tu non mi abbia detto tutto quello che sai su Melissa, su quel ragazzo, e.." deglutì, "..su quel che provi per me."
Annuii. "Non preoccuparti. Sarò sincera e ti dirò tutto." dissi.
"Okay. Verso l'una sono da te."
"Perfetto." Calò il silenzio per un attimo. "Buonanotte, Adrienne." e si chinò, come se volesse baciarmi. Lo fermai, e scossi la testa.  "Buonanotte." dissi soltanto. Lui sospirò e si allontanò velocemente, tornando in auto. Altrettanto velocemente presi le chiavi e le infilai nella toppa, ed entrai in casa senza guardarlo. Quella notte non avrei dormito, lo sapevo. Ero agitata, e mi chiesi dove fossi finita. E solo in quel momento, mi resi conto di non aver neanche preso lo stipendio.

***

Come avevo pensato, la mia notte fu quasi insonne. Non sognai, e continuavo a pensare a tutto quello che era successo la sera precedente. Mi svegliai di buon' ora, alle otto; avevo dormito sì e no quattro ore. In casa c'eravamo solo io e mio fratello, i miei erano andavi via verso lei sei: li avevo sentiti prepararsi e scambiarsi qualche parola mentre si preparavano. Mi alzai dal letto, senza neanche una briciola di stanchezza o di sonno. Passai davanti la stanza di mio fratello: la porta era socchiusa; sicuramente stava ancora dormendo. Camminai il più piano possibile, per evitare di fare rumore e di svegliarlo. Scesi le scale, la casa era vuota e naturalmente silenziosissima. Entrai in cucina, per preparare la colazione a me e ad Edoardo. Alzai un po' la tapparella della finestra della cucina e notai un cielo plumbeo e minaccioso, pieno di nuvole grigie. Ciò mi mise un po' di cattivo umore, ma cercai di non pensarci. Così cominciai a preparare il latte e il caffè e ad apparecchiare la tavola.
Il mio pensiero era rivolto al pranzo di quel giorno, quando Eric sarebbe venuto a casa mia per sapere la verità. La verità, già. Qual era?
Ero perdutamente innamorata del mio migliore amico, che però aveva deciso di lasciarmi per poter avere l'amore di un'altra ragazza, la qualche era una mia cara amica. Dopo di che, mi ero infatuata del mio collega di lavoro, il quale diceva di amarmi e il quale era l'ex ragazzo della mia cara amica; quindi lui aveva ben due motivi per poter odiare il mio migliore amico. Però adesso non ero più sicura che mi piacesse il mio collega di lavoro, perché l'amore per il mio migliore amico cresceva ogni giorno di più. Bel casino, veramente.
Avevo promesso a Eric di dirgli tutta la verità. Questo implicava raccontargli tutto quello che mi era successo negli ultimi mesi: persino che avevo tentato di suicidarmi. Era imbarazzante, terribilmente. Ma del resto non potevo neanche mentirgli.. non ero capace di dire bugie. E in più, cosa provavo per Eric? Nelle ultime settimane mi ero affezionata tantissimo a lui; e sì, mi piaceva. Ma non mi ero innamorata di lui, non l'amavo. E quindi, di conseguenza, non avremmo potuto stare assieme, l'avrei solamente illuso. Speravo solo che la prendesse bene, anche se ne dubitavo. Mi sembrava ancora stranissimo il fatto che piacessi così tanto ad una persona: sicuramente mi dava piacere e soddisfazione, anche perché non mi era mai successo prima. Ma Eric non era quello che volevo; io volevo Alex. Dubitavo che l'avrei ottenuto, ormai era troppo tardi, ma non volevo più fingere o mentire, specialmente ad Eric, era pur sempre un mio caro amico. Dovevo stare bene attenta ad avere tatto e diplomazia, e ad usare le parole giuste. Non volevo ferire Eric, e sperai che poi lui non mi odiasse.
I miei pensieri vennero interrotti dal rumore di alcuni passi, che provenivano dalle scale. Dopo qualche minuto Edoardo entrò in cucina, con una faccia stravolta, i capelli arruffatissimi. Però, non appena mi vide, sorrise. Si trascinò fino al suo posto e si sedette. Nel frattempo il latte e il caffè erano pronti. Li versai entrambi in due tazze, ne diedi una ad Edoardo, poi presi la mia e mi sedetti di fronte a lui.
"Buongiorno." dissi, prendendo un biscotto dalla scatola di latta accanto a me. Lui bevve, poi posò la tazza davanti a sé e mi guardò. "Buongiorno. Come stai?" "Bene." risposi automaticamente.
Mentre sgranocchiavo il biscotto, mi chiesi se quella fosse la verità o solamente una bugia. "Edo, ascolta, devo chiederti una cosa.."
"Dimmi."
"Oggi a pranzo viene Eric. E' un problema?" Fece una pausa, guardandomi.
"Certo che no. Vedrò di stare fuori."
"No, no, no. Rimani in casa." Lo dicevo anche perché non volevo stare completamente sola in casa, con Eric. "Solo che.. devo parlargli di una cosa importante, e.." Edoardo sorrise. "Non preoccuparti, per me va bene."
Gli sorrisi di rimando, per ringraziarlo. Ci furono degli attimi di silenzio in cui facemmo tranquillamente colazione. Quando le nostre tazze erano quasi vuote, parlò di nuovo. "State insieme?" chiese.
Mi venne un groppo in gola. "Assolutamente no." risposi.
"Hm." commentò. "Mi nascondi qualcosa."
Sorrisi con aria innocente e deglutii. "Ti spiegherò quando le cose si sistemeranno."
"D'accordo, d'accordo." disse lui, alzandosi dal tavolo e posando la sua tazza nel lavello. Fui contenta che non s'impicciasse troppo e che rispettasse le mie scelte, e continuai a sorridergli. In fondo, dovevo solamente stare tranquilla, e tutto sarebbe andato a meraviglia.

***

Dopo colazione, feci una lunga doccia bollente e mi lavai i capelli. M'infilai un paio di jeans e una larga felpa blu col cappuccio, e poi lasciai i capelli sciolti, un po' bagnati. Non volevo prendermi una polmonite, ma l'ora X si stava avvicinando e io cominciavo ad agitarmi. Mi sembrava di non avere più pazienza per le altre cose, e continuavo a lanciare occhiate nervose all'orologio.
L'una arrivò. Rimasi seduta sul divano ad aspettare che il citofono suonasse, mentre mio fratello si era chiuso in camera sua, in compagnia di un panino che gli sarebbe servito da pranzo. All'una e dieci, il citofonò suonò ed io scattai in aria come un grillo. Mi fiondai all'ingesso, col cuore che andava a quattordici mila, e risposi.
"Sì..?"
"Adrienne, sono Eric."
Deglutii e schiacciai il pulsante. Il solito rumore metallico mi disse che il portone era stato aperto, così aprii la porta d'ingresso, e aspettai che salisse. Dopo cinque minuti, fece capolino dalle scale. Sorrideva. Portava un pantalone nero, e sotto il giubbotto potevo vedere un maglione grigio e bianco. Entrò in casa, e non appena mi fu di fronte mi prese una mano e mi baciò delicatamente sulla guancia. Io lasciai che lo facesse, poi senza dire una parola, ma sorridendogli, chiusi la porta d'ingresso. Si tolse il giubbotto e lo appese nell'appendiabiti. Si guardò intorno, ispezionando la stanza, poi tornò a guardarmi e mi sorrise. "Casa tua è più bella della mia."
Risi, e lo guardai. "Ma figurati. Almeno tu vivi da solo, puoi fare quel che vuoi." Alzò le spalle. "Ogni tanto una compagnia non guasterebbe." Sorrisi, e cercai di pensare a qualcosa da dire, per prendere tempo. Lui s'avvicinò a me, e mi passò una mano fra i capelli mezzi bagnati, guardandomi negli occhi.
"Quando
sei bella.." sussurrò. Arrossii in maniera assurda, e lo spinsi via, allontanandolo da me. "Eric, finiscila.." gli dissi. Sospirò, rimanendo immobile. Decisi di cambiare discorso.
"Vuoi mangiare?" chiesi.
"Devo essere sincero?" chiese lui a sua volta. Lo guardai, e annuii. "Non ho neanche una briciola di fame.." disse. Sospirai. Pensavo che volesse dirmi chissà cosa, e quasi quasi mi sentii sollevata. Del resto, neanch'io avevo fame, ero troppo agitata. Riflettei un attimo. "Neanch'io. Andiamo in salotto, vieni, così stiamo tranquilli.." Lui annuì, quindi io gli feci strada per il salotto, e lui mi seguì a ruota. Entrammo nella stanza, e gli dissi di accomodarsi dove preferiva. Lui sprofondò nel divano di pelle, e mi sedetti anch'io, poco distante da lui. Lo guardai negli occhi, e lui fece lo stesso.
"Allora.." iniziò lui, guardandosi le mani e appoggiandosi meglio allo schienale del divano.
"Già, allora." Sospirai. Le parole mi mancavano, e quasi tremavo. Nessuno sapeva quel che mi era successo negli ultimi mesi, ed ero sul punto di rivelare tutto al ragazzo che diceva di amarmi, e che probabilmente si sarebbe aspettato che sarei rimasta con lui. Ma la verità era un'altra - ed avevo una paura terribile di fargli del male. Cercai di trovare il coraggio necessario, e mi schiarii la voce, brevemente.
"Sta tranquilla, Adrienne. Non ti mangio mica." disse Eric, sorridendomi in maniera rassicurante.
"Lo so." dissi, irritata da quella affermazione. Ci fu un'altra pausa, poi socchiusi gli occhi e parlai.
"Tutto iniziò a dicembre, quasi due mesi fa. Era la metà di dicembre, prima di Natale. Io avevo ancora quindici anni. E c'era lui, che era già entrato nella mia vita due anni prima, quando ne avevo tredici.." dissi, d'un fiato. Ci fu silenzio, Eric non si mosse. Riaprii un po' gli occhi, guardandolo.
"..era il mio migliore amico. Era perfetto, era tutto ciò che volevo in una persona da definire amica," mi fermai. "..ma allo stesso tempo, era tutto ciò che volevo in una persona da amare, nel senso stretto della parola." Eric mi guardò, serissimo. "Come si chiama..?" Deglutii e mi inumidii le labbra. Non pronunciavo il suo nome da un mese, ormai. "Il suo nome è.."
Il citofono mi interruppe bruscamente. Spalancai gli occhi, con aria stupita. "Ma.." balbettai.
"Aspetti qualcuno?" chiese Eric, alzando un sopracciglio.
"Assolutamente no." risposi.
Mi alzai dal divano e uscii dal salotto, dirigendomi verso l'ingresso. Mi chiesi chi potesse essere, incuriosita, e anche un po' irritata per l'interruzione. Alzai la cornetta del citofono, mentre Eric usciva dal salotto e mi raggiungeva.
"Sì, chi è?" chiesi.
"Sono Elena." mi rispose la voce di una donna. Elena? Non conoscevo nessuna Elena.
"Mi scusi, credo che lei abbia sba.." iniziai.
Eric avanzò, rosso in volto, e mi strappò la cornetta dalle mani.
"Sono io, Eric. Puoi salire." disse, non guardandomi, e schiacciò il pulsante della cornetta. Non appena bloccò, m'infiammai. "Che diavolo stai facendo? E' casa mia!" esclamai, lanciandogli un'occhiata di fuoco.
Lui rise alla mia reazione, e questo m'irritò ancora di più. "Ma che cosa ridi?" Eric si avviò verso la porta d'ingresso, aprendola. Mi arrabbiai ancora. "Ma la vuoi smettere?" esclamai, afferrandogli un braccio.
Lui continuò a ridere, poi mi guardò sorridendo. "Chi è quella donna?" chiesi.
Mi guardò. "Adrienne, stai calma."
"No che non sto calma! Hai invitato un'estranea a salire a casa mia!" Mi sentivo rossa in viso.
Rise di nuovo. "Adrienne.. quella donna.."
"Chi è?"
"..sua madre." disse una terza voce.
Mi voltai di scatto. Davanti la porta d'ingresso stava in piedi una bella donna, sulla quarantina, con dei lunghi capelli tra il biondo e il castano, come quelli di Eric, e un paio di occhi marroni. Aveva un bel portamento, e indossava un completo formato da una giacca e da un pantalone di un grigio scuro. Diventai rossa per l'imbarazzo, e lasciai il braccio di Eric. La donna, Elena, mi guardò e sorrise.
"Tu devi essere la famosa Adrienne." disse, avanzando.
"Sì.. sono io.." balbettai, cercando di riprendere un minimo di contegno.
Le strinsi la mano che mi offrì.
"Elena, la madre di Eric."
Fissai il viso della donna, che era davvero molto bella. All'improvviso mi sembrò familiare, e mi sforzai per ricordare dove o quando l'avevo già visto, ma immaginai che fosse solo un'impressione.
"Piacere." dissi, e le lasciai la mano. Mi chiesi che ci facesse lì, poi si rivolse ad Eric.
"Eric, perché non devi dirmi mai niente? Lo sai che oggi dovevamo pranzare dalla nonna.."
Fissai Eric, e mi sentii in colpa. Lui abbassò lo sguardo, poi lo rialzò su Elena.
"Ma avevo già preso un impegno con lei.."
"Meno male che almeno mi hai lasciato quel biglietto, scrivendomi dove andavi!"
Eric sospirò.  Poco dopo vidi Edoardo scendere dalle scale, con un'espressione veramente confusa sul volto. Spostò lo sguardo da Eric a Elena, poi lo posò su di me. Io gli sorrisi cercando di essere incoraggiante e ci raggiunse.
"Edoardo, questi sono Eric.." glielo indicai, "..e sua madre, Elena. Eric, Elena, questo è mio fratello Edoardo."
Ci fu
un breve giro di strette di mano. Mio fratello fece un ghigno e si chinò verso di me, sussurrandomi in maniera impercettibile. "Facciamo le cose in maniera seria, eh?" chiese, in tono sarcastico. Io gli diedi una botta sullo stinco col piede, arrossendo.
"Eric, dobbiamo andare." disse Elena. Eric fece segno di diniego. "No, scusa mamma, ma per una volta la nonna farà a meno della mia presenza." disse, con tono deciso, e si avvicinò a me.
"E' veramente così tanto importante?" chiese lei, sbuffando.
"Sì, lo è." affermò Eric.
Io avevo la gola secchissima. Eric mi sfiorò la mano con la sua, e io guardai sua madre. Non sapevo se ero felice oppure no. Certo, se Eric sarebbe andato a pranzo da sua nonna io avrei rimandato tutto; ma era davvero meglio rimandare?
"Per favore, signora." dissi alla fine.
Elena si sciolse in un sorriso di comprensione. "E va bene, e va bene." disse, rassegnata, e stringendosi meglio la cinghia della borsa che teneva sottobraccio. Eric sorrise, raggiante. Io deglutii e cercai di sorridere. Edoardo stava in silenzio, guardando la scena.
"Allora, io.."
Il citofono suonò ancora. Scattai nuovamente in aria. Ancora? Chi altro poteva essere? Feci per andare a rispondere, ma Edoardo mi precedette. "Pronto?" chiese. Non ci fu nessuna risposta. Mio fratello insistette per qualche minuto, poi richiuse la cornetta. Fece spallucce, guardandoci.
"E' meglio che io vada." disse Elena, sembrava piuttosto di fretta. Fece un altro giro di strette di mano, poi strinse la mia per più tempo, guardandomi. "Mi spiace per questa intromissione. E sta attenta a mio figlio."
Mi fece l'occhiolino, sorridendomi, o almeno così mi sembrò. Io risposi facendo un sorriso incerto, poi dissi: "Si figuri." La madre di Eric si voltò per andarsene, e all'improvviso vidi i miei genitori fare capolino sul pianerottolo.
Mi sentii morire. Cercai di pensare a qualcosa, ma era troppo tardi, ormai i miei genitori avevano individuato Elena che stava uscendo dall'appartamento. Arrivarono sull'uscio, inchiodando la donna, che li fissava. Mio padre lanciò un'occhiata a me e a mio fratello, poi a Eric e ad Elena. Mia madre rimaneva accanto a mio padre, osservando anche lei la scena. Deglutii, aspettando una reazione furiosa. Poi vidi mio padre fissare intensamente la donna, e quest'ultima che lo ricambiava. Il viso di mio padre si tinse di rosso, e sgranò gli occhi, socchiudendo un po' la bocca.
All'improvviso, come in preda ad un'improvvisa genialata, realizzai. Elena, era lei. Era lei la donna che tre anni fa avevo beccato insieme a mio padre, nel parco. Era lei la donna bionda che stava distesa sul prato ad aggiustarsi la camicetta, e che mi guardò per un instante con uno sguardo sprezzante, mentre piangevo. Elena era l'amante di mio padre, e ora si trovavano nella stessa stanza, e solo io lo sapevo.
Sentii delle ondate di rabbia invadermi, e tremai leggermente.
"Adrienne?" chiese interrogativa mia madre, ma con delicatezza. La reazione di mio padre fu diversa, decisamente. "Adrienne, che ci fanno questi due estranei a casa nostra?" sbottò.
La rabbia aumentò. "Lui è un mio amico.." dissi con voce un po' tremante, indicando verso Eric e guardando fisso mio padre. Eric, Edoardo, Elena e mia madre stavano immobili, in silenzio.
"E questa donna?" chiese ancora mio padre, riferendosi ad Elena.
Un sorriso malvagio mi attraversò il viso. "Ma come, papà, non ti ricordi? Dovresti saperlo." dissi, senza pensarci.
Non m'importava più niente, sentivo una sorta di gioia vendicativa insinuarsi in me, e continuavo a sorridere in quella maniera, e continuando a fissare mio padre. Avevo sopportato per tutto quel tempo, avevo sofferto; ed ero veramente stanca. Volevo fargliela pagare, a tutti i costi.
Il viso di quest'ultimo si trasformò, venne invaso dal terrore puro.
"Io non la conosco, che dici?" esclamò nuovamente mio padre, con un tono per niente convincente.
Continuai a sorridere, e mi spostai, girando intorno alla donna e squadrandola. Quest'ultima mi guardava, sembrava impaurita.
"Questa donna.." iniziai, guardando mio padre, "..è colei che mi ha rovinato la vita, tre anni fa, insieme a te."
Il silenzio riempì la stanza, e c'era un aria molto tesa. Ma io non volevo più soffrire, avevo sopportato tutto per troppo tempo. Era l'ora della verità.
Mio padre lanciò un'occhiata a mia madre.
"Perché non glielo racconti, eh?" sbottai contro mio padre, avanzando, "..perché non le racconti che lei è la donna che tre anni fa ti facevi sul prato di quel parco, quando invece avresti dovuto essere in giro per il lavoro"?
Mio padre ed Elena spalancarono entrambi la bocca per la sorpresa. Non era da me usare quelle parole, ma quando ero arrabbiata ero capace di tutto.
"Perché non le racconti che andare in giro per il Paese era solo una viscida scusa per andare da lei?"
Ero davanti a mio padre, sempre col sorriso sulle labbra. Gli altri erano lontani mille miglia, m'interessava soltanto restituire a mio padre tutto il dolore che aveva dato a me, e magari pagargli anche gli interessi. E sapevo che ormai non avrei più potuto tirarmi indietro, la frittata era fatta. Lo vidi deglutire sonoramente, ma continuava a rimanere immobile. Continuai ad urlargli contro, mentre nel frattempo sentii le lacrime farmi capolino agli occhi.
"Perché non le racconti che le hai mentito per tutto il tempo? Perché non le racconti che hai minacciato di uccidermi se lo avessi detto a qualcuno? Che volevi andartene da casa?" continuai, la voce che mi diventava un pochino stridula.
Mio padre guardò prima me, poi spostò lo sguardo altrove. Io lo fissavo, non potevo vedere gli altri, che erano tutti alle mie spalle. Nessuno si muoveva, nessuno emetteva un fiato. Feci un'espressione schifata. "Mi fai veramente schifo, e pena anche."
Poi mi spostai, e guardai un attimo mia madre; era sconvolta, con un'espressione indefinibile sul volto, e sembrava tremare. Mi sentii un attimo in colpa per aver rivelato tutto in quel modo. Mi dispiaceva enormemente per mia madre: lei lo amava, e davvero. Ma durò un attimo, per l'appunto.
Mi rivolsi di nuovo a mio padre, con un groppo in gola.
"E pensare che la mamma si preoccupava tanto quando non ti facevi vivo per dei mesi, e invece eri chissà dove a sbatterti questa stronza tutte le volte che volevi!"
Scoppiai a piangere in maniera incontrollabile. Mi inginocchiai per terra, nascondendo il viso fra le mani, e piangendo disperatamente. Nessuno mi consolò o mi abbracciò, mi lasciarono piangere. Nella stanza c'era solo il rumore dei miei singhiozzi e gemiti di dolore. Ero sola, contro tutti.
Sentii la voce di mio padre dire: "Delira."
Stavo soffrendo in maniera esagerata, proprio come tre anni prima. Sentii altri voci - mio padre che mandava via Eric ed Elena in malo modo. Non appena sentii la porta sbattersi mi alzai in piedi, ancora in lacrime, e avanzai verso mio padre, come a volerlo aggredire. Mio fratello si mise tra me e lui e mi cinse la vita con le braccia, tenendomi stretta e fermandomi. Piangevo, tremavo, mi appoggiai alla spalla di Edoardo.
"Sparisci, sparisci dalla mia vita, vattene!" urlai contro mio padre, che mi guardava con uno sguardo serissimo e duro, senza dir nulla. Edoardo mi portò via di peso, continuando a tenermi nella stessa maniera in cui mi aveva preso, e mi accasciai su di lui mentre mi trasportava su per le scale. Arrivammo davanti la mia camera, e mi mise giù.
"Edoardo ti prego.. Aiutami.." gli sussurrai, piangendo ancora. Non rispose, soltanto mi guardò. Era sconvolto. Aprì la porta della mia camera, e praticamente mi spinse dentro, e poi richiuse la porta, senza dirmi niente. Ripresi a piangere, forte. Chiusi la porta a chiave, e mi buttai sul letto, stringendo il cuscino e inondandolo di lacrime. Singhiozzavo, e temetti di avere un attacco di panico, ma non accadde nulla.
Per calmarmi, caddi in un sonno senza sogni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

questo è un capitolo importante. mi dispiace se turberò la sensibilità di qualcuno..
povera, povera Adrienne u_u. vi dirò: questa scelta mi ha addolorato, ma è così che doveva andare. purtroppo.
vorrei ringraziare tutte le persone che mi stanno commentando e che hanno inserito la storia nei preferiti (58! oddìo!), ed anche chi si limita a leggermi e basta.. grazie, vi adoro!

passiamo ai commenti.


Oasis: ahaha esatto! sono collegati.. e anche un po’ sfigati =P contenta che ti sia piaciuto il capitolo!
Gingerly: è stato una sorpresa, eh? c’avrei scommesso! eheh le mie doti da scrittrice xD certo.. xD alla fine dobbiamo ringraziare Eric comunque, hai ragione. e grazie a te (:
willun10: già.. ma lo sai come si dice? il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce.
95_angy_95: grazie mille per i complimenti! (:
conci: una nuova lettrice, benvenuta! mi fa piacere che la storia di piaccia. continua a seguirmi per sapere come finirà!
apple92: devo ringraziarti per tutti i commenti che mi hai lasciato.. mi rendono davvero felice ed orgogliosa, e sono davvero lieta che la storia ti piaccia così tanto. DEVI continuare a leggere.. il bello deve arrivare XD lol
DarkAngel90: postato anche questo capitolo, olè! un’altra beniamina di alex.. ottimo! =P
Troue_xxx: ahahaha ecco un’altra che tifa adrienne/alex XD mi fate morire.. comunque ebbene sì siamo quasi alla fine! grazie per il commento!
ery_94: ciao! , mi sa che sei una delle poche a preferire Eric.. ma fa lo stesso, ahaha! XD mi fa piacere che la storia ti piaccia.. grazie mille!
Cry90: io ti adoro, e adoro i tuoi commenti lunghi.. XD mi sembra di avertelo già detto – non ricordo – comunque sia, mi piace il tuo modo di ragionare e le supposizioni che ti fai che, a proposito, scoprirai se rispondono alla verità solo alla fine di tutto.. io non ti dico niente! mi rende davvero felice che ti sei affezionata al mio piccolo mondo e che la storia t’abbia appassionato così tanto.. e sappi che Adrienne è il mio alter-ego, la pensiamo in maniera identica, quindi molte sue idee e scelte le condivido, naturalmente. è come mi sarei comportata io. Adrienne ha scelto Alex, già.. l’amore più difficile. ma come ho già scritto su: il cuore conosce ragioni che la ragione non conosce. a presto, spero davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! (: un bacio!


stiamo finendoooo! al prossimo capitolo!


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Capitolo 21
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22

Capitolo 22.

La pioggia batteva
incessantemente sulle finestre, riempendole di piccole goccioline d'acqua. Il ticchettio della pioggia sul soffitto non accennava a smettere, e ciò non contribuiva assolutamente al mio pessimo umore, il quale era sottoterra.
Mi ero svegliata tre ore dopo, nel bel mezzo del diluvio universale, con le guance bagnate. Per un attimo desiderai che la pioggia mi lavasse via; ma decisi che auto-commiserarsi non era la scelta migliore. Oltre la mia porta, non sentivo nessun altro rumore, niente di niente. Mi chiesi cosa fosse successo. Mi sentivo malissimo, e tremendamente in colpa per le mie parole. Pensai di esser stata troppo dura: mio padre se lo meritava? In fondo era sempre mio padre.. e sentirsi in colpa per una delle due persone che mi aveva messo al mondo, era inevitabile. Avrei voluto tornare indietro nel tempo, tornare in quell'attimo, mordermi la lingua per trattenermi e star zitta.
E ora, cosa avrei dovuto fare? Non avrei potuto rimanere dentro la mia stanza per sempre.. Ma il solo pensiero di incrociare i miei familiari mi metteva addosso l'angoscia. Ero sicura che pensassero che fossi una bugiarda visionaria, e che mi odiassero.  Mentre socchiudevo leggermente gli occhi per cercare di rilassarmi un po', sentii dei rumori alla mia porta, come se qualcuno stesse sforzando la serratura.
Lo fissa, con aria terrorizzata. La chiave che stava dentro la toppa cadde a terra, e prima che potessi alzarmi, la porta si aprì.
Mio padre entrò nella stanza, con un sorriso rassicurante sul volto. Mi spaventai e mi paralizzai dal terrore e della sorpresa, deglutendo, e alzandomi a sedere sul letto. Lui chiuse la porta alle sue spalle e mi guardò. Io lo ricambiai.
"Adrienne.." iniziò lui, facendo qualche passo verso di me. Scossi la testa. "Non voglio parlare.."
Fece uno sguardo piuttosto serio. "Non devi avere paura di me." Invece sì, avevo paura. Mi avrebbe ucciso, come minimo.
"Per favore, alzati." aggiunse. Non sapevo che fare, ero terrorizzata. Non capivo perché si comportasse in quella maniera così tanto calma e gentile. La pioggia sembrava battere sempre più forte e incessantemente.
Scossi di nuovo la testa. Mi guardò, molto intensamente, e alla fine mi rialzai, rimanendo accanto al letto. S'avvicinò, e io feci un piccolo passo indietro, d'istinto.
"Hai paura?"
Annuii, incapace di parlare.  "Dai, che ci conosciamo da sempre.." Sì, papà, da una vita.
S'avvicinò e mi arrivò davanti, con uno sguardo molto serio.
"Ti chiedo solo di fidarti di me.." Arretrai più che potevo, e sprofondai di nuovo sul letto, alzando lo sguardo su di lui. Allungò una mano verso di me, e lo fissai.
"Adrienne ti prego.."
Sembrava dispiaciuto. Dopo degli attimi di indecisione e silenzio assoluto, afferrai la sua mano, e lui mi fece rialzare. Sorrise, e mi venne molto vicino, il suo respiro era caldo.
"Ti avevo detto di non dirlo a nessuno." sussurrò. Non dissi niente, lo fissai. Mi lasciò la mano continuando a guardarmi. "Pensavo fosse il nostro segreto, Adrienne," Mi guardò minacciosamente. Io rimasi immobile, e trattenei il fiato. "E invece tu mi hai tradito. Non avresti dovuto farlo.. ti avevo avvertito."
Mi diede un colpo sul viso, spingendomi all'indietro. Caddi per terra di schiena, e sentii un bruciore fortissimo sul viso. Un sapore amaro e caldo, quasi metallico, mi disse che perdevo sangue dal labbro inferiore. Mio padre avanzò verso di me, ma io non dissi niente, né cercai di proteggermi in qualche maniera.
Mi ero arresa.
Chiusi gli occhi, e sentii altri colpi, forti. Poi non capii più niente, forse persi conoscenza. Urla, voci, una donna che piangeva, qualcuno che mi prendeva e mi stendeva su qualcosa di morbido, il sangue che m'arrivava al mento, sbattersi di porte. Forse ero morta - forse ero in una specie di limbo, il che era peggio di essere morti. Cos'altro sarebbe successo..? Avrei sofferto ancora? Forse era meglio che tutto cessasse, piuttosto che soffrire ancora, ancora un'altra volta.

***

"Adri.. sei sveglia?"
Edoardo mi chiamò. Aprii di pochissimo gli occhi, e vidi due forme indistinte davanti a me. Sbattei le palpebre più volte, socchiudendo un po' le labbra.
"Hm.." feci un verso strano, portandomi una mano sulla fronte.
"E' sveglia." disse la voce di mia madre.
Cercai di aprirli di nuovo. Ero nella mia stanza, stesa sul mio letto, e accanto a me c'erano mio fratello e mia madre, che mi fissavano. Li guardai. "Che è successo..?"
Mia madre arricciò le labbra. Aveva gli occhi rossi e gonfi, immaginai che avesse pianto.
"Non preoccuparti, dopo ti.." iniziò Edoardo.
"No." lo interruppi. "Ditemi adesso." Avevo preso conoscenza immediatamente. Li vidi scambiarsi un'occhiata. Mia madre sembrava ammutolita.
"Quelle cose che hai detto su papà.."
Abbassai lo sguardo.
"Adrienne, non sentirti in colpa. E' vero, l'ha ammesso."
Rialzai lo sguardo, illuminandomi quasi. "Cosa..?"
"A parte che ti avremmo creduto lo stesso. Non sei una bugiarda, né sei pazza, e dopo una reazione come quella era impossibile che ti stessi inventando tutto, ad esempio.." continuò Edoardo.
Annuii brevemente e feci una smorfia triste. Sentii un dolore alle labbra e me le toccai, sotto le dita sentii un taglio in verticale, sul labbro inferiore.
"Questo.." iniziai, a voce bassa, guardandoli. Edoardo annuì. "Sì, Adrienne. L'abbiamo trovato qui qualche ora fa, che ti.."
Mia madre scoppiò a piangere, all'improvviso. La guardai allibita, e poi mi allungai per abbracciarla. La strinsi forte, mentre singhiozzava sulla mia spalla.
"Mamma, sta tranquilla. E' tutto a posto adesso.." le dissi. Lei scosse la testa. "No! E' tutta colpa mia.. e tu avresti dovuto dirmelo.. ti avrei creduto.." La lasciai andare e la presi per le spalle, guardandola. "Non pensarci più, ti prego.. è finita.."
Mia madre annuì, asciugandosi le lacrime con la mano. Poi si alzò dal letto. "Scusate, vado giù a preparare la cena, dato che nessuno ha mangiato oggi."
Le sorrisi, e lei andò via, chiudendosi la porta alle spalle. Sospirai, poi mi voltai verso mio fratello. "Raccontami tutto quello che è successo.."
Annuì, e mi guardò. Mi prese la mano che tenevo appoggiata sulle gambe e l'accarezzò, tenendola fra le sue.
"Dopo qualche ora da tutto quello che è successo.. Cercavamo papà per la casa, dopo che lui era sparito. Finché abbiamo trovato la porta della tua camera socchiusa.."
Mi guardò, fermandosi.
"E c' eri tu, per terra, che tremavi, piangevi, e lo imploravi di lasciarti.. E lui che ti colpiva, sulle braccia, sulle gambe, sul viso.."
Mi lasciò la mano e mi prese il viso, carezzandomelo piano.
"Allora mi sono praticamente gettato su di lui e l'ho allontanato da te, lui ha cercato di spingermi via, cercando di colpirmi," Notai alcuni graffi sulle sue mani e il cuore mi si fece piccolo piccolo.
"..Era impazzito, non lo riconoscevo più. Comunque l'ho allontanato, e tu sembravi aver perso conoscenza, eri immobile con gli occhi chiusi."
Deglutì, continuando a carezzarmi. La voce gli tremava, ed era impaurito e sconvolto.
"Allora poi la mamma ti ha preso e ti ha messo sul letto, e abbracciandoti è scoppiata a piangere. Ha minacciato mio padre di chiamare la polizia e gli ha consigliato di sparire immediatamente e non farsi più vedere.."
Fece una lunga paura. "E lui?" chiesi.
"Lui è rimasto in silenzio. Come se si svegliasse da una specie di trance, non so, aveva uno sguardo vacuo. Senza dirci più niente, ha preso una valigia, ci ha messo dentro qualche vestito ed è andato via."
Deglutii, guardandolo. "E'.. è vero?"
Sorrise. "Certo, Adrienne. Perché non l'hai detto prima?" Sospirai. "Mamma lo ama tanto. E pensavo non mi avreste creduto." Scosse la testa. "Siamo la tua famiglia. Devi avere un po' più di fiducia in noi." disse.
Lo guardai. "Lo so, sono stata un'idiota."
"Beh, forse un po'." Rise, per alleggerire la pesante atmosfera. "Ma non devi giustificarti, immagino che tu fossi impaurita e sconvolta, anche dopo tutto quel tempo."
"Sì. Mi è dispiaciuto solo sconvolgere tutto.. la nostra famiglia..."
"Non è colpa tua, ma sua. E' lui nel torto, è lui che l'ha voluta sconvolgere. Tu.. è come se fossi stata una specie di vittima, tu hai dovuto pagare per tutti noi, è questo è terribile.."
Cercai di annuire e lo guardai. "E adesso?" chiesi.
"E adesso.. ricominciamo daccapo. Insieme, ce la faremo. L'importante è che tu non soffra più."
Annuii. Edoardo mi abbracciò stretta, carezzandomi la schiena, io lo strinsi a mia volta, appoggiando la testa sulla sua spalla. Ero tutta dolori, non riuscivo a muovermi senza che un muscolo mi facesse male. Mi lasciai cullare da mio fratello.
"Immagino che tu non ti sia tagliata per questo." disse, sciogliendo l'abbraccio e guardandomi negli occhi.
Feci segno di diniego. "No, il motivo è ben altro." Mi guardò con aria interrogativa. "Posso sapere perché..?"
Deglutii. "Per Alex." Solo dopo averlo detto, mi resi conto di aver pronunciato il suo nome.
"Alessandro..?"
"Edoardo, io lo amo, lo amo così tanto che morirei per lui." dissi tutto d'un fiato.
Mi guardò con espressione serissima. "E lui ti ama?"
"Non credo." risposi.
"Sa che tu lo ami?" chiese ancora.
"Non così. Non gliel'ho mai detto con tono tranquillo, né gli ho fatto capire quanto. Penso che non sappia quanto conti per me."
Sospirò, guardandomi. "Non t'aspettare che tutte le cose t'arrivino da sole come manna dal cielo. Devi lottare. E anche se perderai, potrai dire di aver lottato."
Il suo ragionamento, in effetti, non faceva una piega. "Io l'ho perso."
"E allora riprenditelo, Adrienne. In nome dell'amore che dici di provare per lui."
Lo fissai intensamente e dopo un'infinità di tempo, annuii. Sorrise, e mi diede un bacio sulla fronte.
"Riposati, sorellina. Ti chiamo quando è pronto." Si alzò dal letto, e gli sorrisi con aria dolce.
Mi sembrava di essere di nuovo piena di speranza, dopo quella chiacchierata. Se volevo una cosa, avrei dovuto lottare. Potevo farlo, in effetti. E io volevo Alex. Anche solo per riacquistare la sua amicizia, per riacquistare la voglia di vivere, perché.. perché avevo un terribile bisogno di lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

e anche questo è un capitolo forte.. ripeto, mi spiace se continuo a turbare la sensibilità di qualcuno..  ma purtroppo queste cose accadono REALMENTE e la povera Adrienne ha subito, sì, questo è vero.. ma la felicità che le è stata tolta le tornerà indietro?
siamo quasi alla fine, davvero, tutti i vostri dubbi verranno sciolti.
ringrazio tutte le persone che mi hanno seguito fin’ora e che apprezzano la mia storia, nonché quelle che l’hanno aggiunta nei propri preferiti (72!) (: grazie, davvero.

Oasis: ebbene sì! ci voleva una bella scossa alla storia.. non poteva rimanere tutto uguale ehehe!
Cry90: sì, anch’io sono d’accordo con la citazione di Pascal. è molto veritiera ed anch’io ci convivo quasi ogni giorno. Passando al resto del tuo commento: sì, il padre di Adrienne è davvero un uomo viscido.. ma come ho già ripetuto, purtroppo persone così ne esistono davvero. e ringrazio che a me non sia assolutamente capitato qualcosa del genere. Penso che anche Eric si sia trovato in una bruttissima situazione, è vero, ma quella che ha sofferto di più in tutto questo è stata la nostra Adrienne. beh, comunque sia mi piacciono sempre le tue riflessioni e spero che anche questo capitolo abbia suscitato qualcosa in te! (:
giulietta_cullen:
allora! ti ho sconvolto.. lo immaginavo xD i colpi di scena riducono sempre le persone così! ahah! Edoardo è davvero un ragazzo d’oro, sì (come si vede anche in questo capitolo) e la nostra povera Adrienne, nonostante tutto, adesso ha addosso una corazza di acciaio, dopo tutti questi brutti avvenimenti. forse questa è l’unica cosa positiva! la storia è quasi giunta al termine, mi dispiace.. però.. =P
bribry85:
nuova lettrice e commentatrice! ne sono lusingata! allora.. forse ho un po’ esagerato sì, ma qui non si parla di una semplice cotta ma di un amore che va molto più a fondo, al di là di queste cose.. pensavo d’averlo reso bene, come concetto xD Eric e Melissa sono sicuramente due personaggi fondamentali e molto interessanti nella storia.. anche perché – non so se l’avete notato – sono praticamente uguali! =P Beautiful manco me lo vedo io, lol! Mi fa piacere che anche tu tifi per Adrienne/Alex (:
Gingerly:
sono d’accordo
! Adrienne mi fa pena, ma le cose dovevano per forza andare così. al prossimo commento (:
Nanako: ehi! spero ti collegherai in tempo per leggere il nuovo capitolo! ahaha come ho già detto Beautiful io manco me lo vedo! l’idea della sorella di Eric non era neanche niente male ahaha.. ma poi si rasentava il ridicolo! XD Tu sei una delle poche che tifa Adrienne/Eric.. vedrai come andrà a finire!
utopia_B612:
ciao, e “benvenuta”! mi fa davvero molto piacere che la mia storia ti sia piaciuta così tanto e ti ringrazio per i complimenti. naturalmente sono sempre ben accetti! continua a seguirmi allora (:
DarkAngel90:
ahaha no purtroppo no.. se c’era anche lui, diventava davvero un bel casino, temo XD al prossimo capitolo *_*
Ethlinn:
onestamente? non ci ho pensato molto, a tutti questi intrecci.. mi è venuto tutto così, di getto, mentre scrivevo.. ed è questa la cosa davvero bella xD l’idea della fine da far fare al padre di Adrienne o a Melissa mi piacciono.. ma poi la storia sarebbe stata troppo sconclusionata! XD naaaah.. continua a seguirmi per sapere come va a finire, manca poco (:

vi ringrazio.. al prossimo capitolo!


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Capitolo 22
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23

Capitolo 23.

L'indomani mi sembrò
di riprendermi appena. In realtà mi sembrava solamente che l'orribile esperienza del giorno precedente fosse un sogno, o meglio, un incubo. Spesso lo sognavo, sì, dato che liberarmi di mio padre per sempre era diventato uno dei miei desideri più sfrenati, e svegliandomi credevo che fosse tutto vero. Ma poi scendevo per la colazione e trovavo mio padre seduto a capotavola, in cucina. Quella mattina accadde la stessa identica cosa; con l'unica differenza che quando scesi in cucina trovai ad aspettarmi solo mio fratello e mia madre. Non avrei dovuto essere felice, no. Mio padre mi aveva picchiata, era andato via di casa senza lasciare dietro di sé un numero di telefono o un indirizzo. Il consumo di fazzoletti in casa mia era alle stelle: mia madre piangeva spesso, anche se solo vedeva qualche sua foto nei soprammobili o qualche sua camicia nella roba da lavare. Spesso veniva da me e mi abbracciava all'improvviso, carezzandomi la testa e mormorando che le dispiaceva infinitamente. Mi sentivo malissimo per lei, era una donna splendida e non si meritava di stare così male, in modo particolare per uno come lui, mio padre. Edoardo mi ripeteva sempre che prima o poi le sarebbe passata, e che dopo la gioia c'era  il dolore e viceversa. Lui e la sua mania di riportarmi alla ragione.
Durante quei mesi mi accorsi di essere cambiata in maniera irriconoscibile. Non sono fisicamente  - ero cresciuta di qualche centimetro, raggiungendo un misero 1.67, e i miei ormoni sembravano essersi dati una svegliata-, ma in maniera evidente e radicale, come carattere e modi di fare. Ne avevo passate talmente tante, ormai, che mi sembrava di essere più matura, più responsabile, più consapevole delle cose che succedevano e di quello che volevo fare. Mi ritrovai a pensare a cosa voler fare nel mio futuro, anche se mi mancavano un paio d'anni per diplomarmi e uscire dal liceo. Mi sarebbe piaciuto viaggiare. Fare la giornalista? No, m'imbarazzavo facilmente. L'unica cosa che mi sarebbe piaciuta fare era intraprendere la carriera di scrittrice. In fondo, ero io quella che alle elementari scriveva senza fare errori e stupiva le maestre. Scrivere mi piaceva, anche troppo. Era mettere a nudo le proprie emozioni, aprire sé stessi a chiunque leggesse quel che scrivi. Era come aprire una ferita ricucita e lasciare uscire il sangue, e osservarlo scivolare via.
Avrei dovuto esercitarmi, se era quel che avrei voluto fare nella vita. Ma scrivere cosa poi? L'inventiva mi mancava decisamente; ma qualche parte avevo letto che spesso alcuni scrittori prendevano spunto da vite reali, anche dalle proprie. Io non avrei potuto farlo, ero sicura che ne sarebbe venuto fuori un polpettone pesante, impossibile da leggere. No, in realtà sembrava una di quelle telenovelas spagnole scadenti.
Questo pensiero mi rese enormemente triste.
Ma in fondo, una parte di me continuava a gioire perché mio padre era finalmente sparito dalla mia vita. Bastava solo che passasse un po' di tempo, e tutto avrebbe magicamente preso il suo equilibrio, come prima.
Dopo una doccia e una colazione veloce, io ed Edoardo ci incamminammo insieme verso la scuola. Era elettrizzato: fra due settimane sarebbe stato il suo diciottesimo compleanno. Stava organizzando tutto a puntino: il posto, il rinfresco, la musica, gli invitati. Io lo aiutavo a chiamare la gente per invitarla e a scegliere qualche decorazione originale.
“Non vedo l'ora che arrivi quel giorno. disse, con un grande sorriso sul volto.
Sorrisi. “Beh, ci credo. Tra l'altro devo ancora trovare un vestito adatto. osservai.
Ero decisa a fare bella figura.
Starai bene comunque. Io invece devo ancora decidere il mio regalo!”
Lo guardai, aveva gli occhi che gli brillavano. Scoppiai a ridere e gli misi un braccio attorno alle spalle, e camminammo l'ultimo pezzo di strada per la scuola ridendo come due cretini. Mio fratello era una delle poche persone che riusciva a farmi ridere, sempre, e io l'adoravo per questo.
Al suono della campanella, fummo costretti a dividerci. Entrai in classe. Ero serena, ma il pensiero che avrei rivisto Alex mi metteva parecchio su di giri. Lo amavo più di prima, se era possibile amarlo più di quanto non lo facessi già, e avevo veramente bisogno di rivederlo.
Di tanto in tanto lanciavo delle occhiate alla porta dell'aula, sperando che entrasse. Aspettai, sussultando ogni volta che vedevo con la coda dell'occhio qualcuno entrare.  Aspettai, aspettai. Finché Melissa entrò in aula, da sola, con un'espressione furibonda sul volto e con passo veloce.
Rimasi spiazzata. Perché non era Alex con lei? Che fine aveva fatto? Ma, mi ripetevo, sarebbe arrivato. La mia felicità e la mia speranza si trasformarono in delusione quando la professoressa entrò in classe, verso le nove meno venti, e chiuse la porta dell'aula. Alex non era venuto, non c'era.
Melissa era profondamente arrabbiata, irritata, urtata; o almeno così sembrava. Mi chiesi se questo suo atteggiamento implicasse l'assenza di Alex, o qualcosa che lui le aveva detto o fatto. Magari avevano litigato. Magari, pensai con una punta di malizia, si erano lasciati.. O magari era tutta una coincidenza.
Non seguii bene la lezione, troppo impegnata a pensarci su e a chiedermi perché diavolo Alex non fosse lì, era strano che mancasse. Ero di nuovo triste e sconsolata. Ma in un modo o nell'altro, con questo pensiero che mi ossessionava, la giornata passò. Dopo cinque ore rinchiusa in quella prigione che era la mia aula, presi lo zaino in spalla e al suono della campanella uscii all'aria aperta, riversandomi nel cortile insieme a tutti gli altri studenti del liceo.
Stare all'aria aperta mi faceva bene ed ero contenta di poter tornare a casa per rilassarmi un po', anche se avrei dovuto aspettare l'indomani per rivedere Alex. Sempre se sarebbe venuto. Mentre camminavo verso i cancelli dell'uscita, vidi Melissa sfrecciarmi davanti, i capelli biondi che ondeggiavano dietro di lei. Non riuscii a guardarla in viso, e lei non mi degnò di uno sguardo. Mi fermai un attimo per lasciarla passare, e fra le tante persone che passavano davanti a me, individuai un volto familiare seduto sul solito muretto al di là della strada.
Il cuore mi schizzò in gola. Mi feci rapidamente spazio fra la gente, spingendola quasi, e arrivai davanti ai cancelli di ferro aperti. Guardai meglio, sempre col cuore in gola.
Alex era seduto sul muretto di pietra. Portava una felpa pesante a righine grigie e verde militare, col cappuccio, e un paio di jeans sbiaditi sulle ginocchia. Aveva una gamba sotto di sé, e l'altra lasciata a penzolare lungo il muretto. A fargli compagnia c'era una delle sue migliori amiche, una sigaretta. La teneva fra l'indice e il medio, con il gomito appoggiato sul suo ginocchio. Aveva le labbra un po' socchiuse e un ciuffo di capelli sugli occhi, mentre l'altro occhio era scoperto e guardava altrove, di lato. Portò la sigaretta alle labbra e inspirò lentamente. Mentre lo faceva, il suo sguardo cambiò direzione e si posò su di me. Mi fissò.
Rilasciò il fumo in aria, e mi sorrise a trentadue denti. D'istinto, gli sorrisi anch'io, raggiante, e con una voglia pazzesca di mollare tutto e correre verso di lui, e abbracciarlo fino a spezzargli le costole. Del resto, questa volta non c'era Melissa fra me e lui, e nessun altro. Il cuore ridiscese giù e prese a tamburellarmi sul petto. Alex gettò la sigaretta a terra come se niente fosse, si ripulì le mani sbattendosele sui jeans, e poi tornò a guardarmi.
Sorrideva, e molto lentamente fece quella mossa che mi faceva impazzire: si spostò i capelli dagli occhi con una mano, scoprendo l'altro occhio. Mi guardò ancora sorridendomi con un'aria che mi sembrò soddisfatta.
Mi morsi il labbro inferiore, e deglutii, mentre il cuore batteva sempre più forte, all'impazzata.
Alex si alzò e avanzò verso di me, sorridendomi. Avanzai anch'io, e quasi lo raggiunsi, sorridendo dolcemente e fissandolo. Ero a dieci centimetri da lui, sul marciapiede. Rimanemmo in silenzio per un'infinità di tempo, guardandoci soltanto. Attorno a noi c'era quel vociare di ragazzi e ragazze che uscivano da scuola, allegri; c'era qualche rumore di clacson d'auto o di marmitte, di motorini truccati: ma come sempre, come quando ero con lui, quando stavo di fronte a lui o gli stavo vicino, non sentivo più nient'altro, se non il suo respiro, e il mio. Vedevo praticamente i miei occhi verdi riflessi nei suoi occhi nocciola.
Sprofondò le mani nelle tasche, squadrandomi. Cercai di trovare qualcosa d'intelligente da dire, ma avevo un groppo in gola e un blocco mentale. Deglutì, e sorridendo aprì la bocca per parlare.
Adrie..” iniziò, ma qualcuno mi picchiettò bruscamente sulle spalle.
Alex si zittì all'improvviso e la sua espressione cambiò radicalmente, diventando seria. Mi voltai, e la professoressa di scienze mi guardò in cagnesco. La guardai interrogativa. Che voleva? Proprio in quel momento, maledizione!
“Signorina, posso parlarle un attimo?”  Fece una pausa, guardò Alex. “In privato.” aggiunse.
Deglutii e guardai Alex voltandomi un po' verso di lui. “Ma io..iniziai.
“Ci vorrà solo un attimo!” continuò la professoressa, con aria insistente.
Mi prese per un braccio, trascinandomi via da Alex. Io mi voltai a guardarlo completamente. Era serissimo. Gli feci cenno d'aspettare con la mano, ma lui sorridendomi alzò le spalle come a dirmi 'Non importa'. Si voltò e dandomi le spalle, fece per andarsene. Ci rimasi malissimo e sospirai triste; poi invece mi arrabbiai, specialmente nei confronti della mia professoressa. Mi portò al lato dei cancelli e mi guardò severamente.
“Adrienne, non ho ancora avuto il suo progetto di scienze. esordì.
Trattenei il respiro. “Mi scusi, ma ho avuto dei problemi in famiglia e non ho po..”
Scosse la testa, interrompendomi. “Niente scuse, signorina. Ho lasciato quel progetto due mesi fa e non intendevo richiamarla più..” Non ascoltavo. Ripensai alle parole di Edoardo, che mi diceva che dovevo lottare e riprendermi Alex. Non credevo moltissimo nelle sue parole, ma in quel momento decisi di farlo, sì. Più tardi l'avrei richiamato e gli avrei chiesto se potevamo rivederci.. ero sicura che non avrebbe potuto rifiutare, e non stavo più nella pelle. Alex si era avvicinato per parlarmi, e mi aveva sorriso. Non potevo quasi crederci, per quanto questa cosa potesse risultare banale o patetica.
..non intendo neanche lasciarle quell'insufficienza che potrebbe rovinarle la sua media quasi perfetta. Quando pensa di potermelo fare avere?”
Mi risvegliai dai miei pensieri, e la fissai. “Ehm. Due settimane? Non ho ancora idea su che cosa farlo. Mi guardò anche lei con aria ancora severa, poi cedette. “D'accordo. Ma l'avverto, è l'ultima chance.”
Annuii. “Sì, grazie mille.”
Grazie, ma di che? Mi aveva lasciato sfuggire Alex. Non m'importava niente di quello stupido progetto che già mi aveva procurato tanti guai. Mi perseguitava. La professoressa mi salutò e andò via. Rimasi a guardarla sparire fra la folla, mentre ancora altri ragazzi mi passavano davanti. Dopo qualche minuto in contemplazione, mi risvegliai di nuovo e mi mossi, avviandomi verso casa, con la testa leggermente fra le nuvole.

***

Spinsi la pesante porta ed entrai. Un rumore di voci, stoviglie sbattute, e un calore diffuso mi avvolsero, accogliendomi. Chiusi la porta dietro di me e poi mi avviai verso il bancone. Come sempre, Rosa mi accolse con un grande sorriso a trentadue denti. Io sorrisi a mia volta, ma con meno convinzione.
“Scusa il ritardo, Rosa, ma mi sono accorta che erano le sei quando sono uscita da casa e..”
“Ma non preoccuparti, hai solo venti minuti di ritardo.” mi interruppe. Mi pare di scovare una punta di sarcasmo in ciò che aveva appena detto, ma decisi di sorvolare. Sorrisi ancora cercando di sempre gentile come sempre, e poi rimasi in silenzio giocherellando con le mani, nervosamente.
“Ascolta, Rosa..
“Dimmi.” rispose lei, guardandomi interrogativa.
“Credo di avere i soldi necessari per quello che mi serviva, sai.. Ho avuto dei problemi in famiglia e adesso il pomeriggio avrò altri impegni. Quindi devo licenziarmi..dissi d'un fiato, e fissandola.
Rosa rimase un attimo in silenzio, fissandomi, poi annuì.
“D'accordo. Ti direi una bugia se ti dicessi che non mi dispiace: eri davvero perfetta.” disse.
“Purtroppo ne sono stata costretta.”
Il che era vero, ma solo in parte. Mi stavo licenziando anche perché non volevo più vedere Eric. Rosa annuì di nuovo. Io rovistai dentro la borsa a tracolla che indossavo, e ne uscii la maglietta nera del locale. Gliela porsi per restituirgliela, ma lei scosse la testa e la rifiutò.
“Tienila se vuoi.. ne ho a centinaia.”
Risi e poi riposai la maglietta dentro la borsa, ringraziandola. Non mi dava fastidio tenerla con me, anche se non volevo più indossarla. Pensai che fosse il momento giusto per andarmene, prima di incontrare qualcuno che non volevo. Ringraziai Rosa ancora una volta, “E' stato un piacere per me..
Rosa s'illuminò all'improvviso e si sbatté una mano sulla fronte.
“Ah! Quasi dimenticavo!”
Si frugò in tasca e dopo un po' mi consegnò una banconota da cinquanta. “Il tuo stipendio della scorsa settimana. Spalancai gli occhi. “Ma io mi sono appena licenziata..” Rosa fece una smorfia. “E io sono una persona onesta..ribatté, con una punta di irritazione nella voce. Capii di essere stata scortese e mi scusai.
Lei sorrise, come se non fosse successo niente. “Figurati. Dai, prendili, ti spettano di diritto.”
Ringraziandola per l'ennesima volta li presi e li infilai nella tasca dei jeans. Allora mi voltai per andarmene, con il sorriso fra le labbra, e inchiodai Eric, che stava dietro di me e mi guardava. Sussultai e arretrai, sbattendo la schiena contro il bancone di legno.
“Eric!” esclamai.
Eric fede una specie di mezzo sorriso. “Ti stavo aspettando, Adrienne..
Io non risposi, lui mi guardò. “Perché non hai addosso la maglietta del locale?” chiese, indicando il mio maglione rosso a costine che portavo sotto la giacca.
“Io non lavoro più qui.” risposi, con aria seria.
Lui sgranò gli occhi, guardandomi. “Come sarebbe a dire..” mormorò. Continuò a guardarmi, poi fece una smorfia. “Adrienne, se è per quello che è successo, io..
“Tu cosa?”
“Io non c'entro niente con quello che ha fatto mia madre..”
Alzai le spalle. “Soltanto sapere che tu sei suo figlio mi fa male. Quella donna mi ha rovinato la vita.”
Mi fissò
con aria seria. “Quindi, vuoi evitare me..
Sospirai. “Avevi ragione, Eric. In un modo o nell'altro, i nostri destini sono intrecciati, come abbiamo potuto vedere con i nostri occhi. Melissa, lui, e poi tua madre.. Ma personalmente non voglio che si scontrino ancora e s'intreccino ancora di più.”
Eric continuò a fissarmi, socchiudendo le labbra, con espressione persa, poi corrugò la fronte in un'espressione triste. “Vuoi dire che è tutto.. finito? Basta? Non c'incontreremo più?”
Annuii
. Eric continuava imperterrito a fissarmi, senza parole, con sguardo ancora assente, vacuo.
“Lo so che ti sta facendo del male, Eric..
“No, ti sbagli. Non mi sta facendo del male. Mi sta uccidendo..
Abbassai lo sguardo, sentendomi una schifezza e deglutendo. Eric mi prese il viso dal mento e me lo rialzò.
“Cazzo Adrienne, non può finire così. Io ti amo..
Lo costrinsi a lasciarmi, scostandomi di scatto, e lo fissai negli occhi. “..ma io no.” dissi, con decisione.
Eric rimase sconvolto un'altra volta, poi però assunse un'espressione acida e s'incrociò le braccia attorno al petto. “Ma certo, certo. Come ho potuto essere così illuso da pensare di avere anche una sola possibilità con te?”
Lo guardai, stringendo le braccia lungo il corpo. “Non avrebbe mai potuto realmente funzionare, fra noi. dissi. Quella era una frase banalissima, scontata, ma in quel momento era l'unica cosa che mi veniva in mente. Sapevo solo che, se qualcuno me l'avesse detta, si sarebbe guadagnato un bel ceffone. Eric sbuffò, continuando a guardarmi. “Ovvio. Troppa differenza di età, eh. In fondo sono sicuro che quel ragazzo là saprà amarti più di me. Quel commento acido su Alex m'irritò. Che ne sapeva lui? Come si permetteva di parlarmi in quel modo su cose che ignorava?
“Ti stai comportando come un bambino.” esclamai.
“Non sono io che uso i sentimenti della gente, però.”
Gli rivolsi uno sguardo acido anch'io, alzando entrambe le sopracciglia. “Ma per favore, Eric. Non facciamo una sceneggiata.”
Sospirò. “D'accordo, Adrienne. Ma le cose non cambiano, almeno non per me.”
“Mi odi?” chiesi, dopo un attimo di pausa.
Ci pensò su un secondo. “No. Lo vorrei, ma non posso farlo: è più forte di me.”
“Dimenticami.. questa è la fine.”
“A questo punto, spero di poterlo fare presto.”
Mi sentivo terribilmente in colpa. Forse ora capivo meglio come si sentiva Alex quando mi diceva cose simili.. sperando che anche lui provasse sensi di colpa nei miei confronti.
Mi calmai un po', respirando profondamente. “Ciao, Eric.”
Lui mi guardò fisso, con aria terribilmente seria. “Ciao. Grazie di tutto, Adrienne..
Avrei voluto chiedergli il motivo per cui mi ringraziava, dato che lo stavo facendo soffrire, ma decisi che era meglio non andare più a fondo, e farla finita una volta per tutte. Sarebbe stato meglio per tutti e due, soprattutto per lui. Senza rispondergli, me ne andai, dandogli le spalle e scomparendo oltre quella porta massiccia.

 

 

 

penultimo capitolo. ecco la comparsa di Alex. vi è piaciuta? so che molti lo odiano, ma ammettetelo, ha il suo fascino!
ci tengo a precisare per l’ennesima volta – dato che molte di voi me l’hanno chiesto nelle recensioni – che Adrienne è il alter-ego, sì, ma la storia NON è autobiografica.
passiamo ai ringraziamenti.

Gingerly: sì, finalmente si è levato dalle palle, almeno questo! quella frase di Edoardo è davvero importante, e mi fa piacere che tu la prendi alla lettera =P chissà che non ne esca qualcosa di buono!
bribry85: è forte, ma hai ragione, adesso tutta la verità è venuta a galla. che dire? spero che questo capitolo ti sia piaciuto, allora!
Oasis:
lol! lo è XD ma adesso, guardiamo il lato positivo =P
Nanako: ehi ehi! mi sa che ti ho delusa, vero? la coppia Adrienne/Eric è ufficialmente affondata. adesso lui è tutto tuo! =P
giulietta_cullen: ho dovuto concludere il rapporto Adrienne/Eric così. era impossibile che nascesse qualcosa, o che rimanessero buoni amici. o almeno io, non ce l’avrei mai fatta, e quindi ho riversato il tutto su Adrienne. mi fa piacere che il capitolo ti sia piaciuto, anche se ti ha sorpreso di meno. Era necessario che succedesse qualcosa del genere, altrimenti il padre non si sarebbe mai tolto di mezzo.

DarkAngel90: ecco Alex! =P e grazie per i complimenti!
Troue_xxx: ahaha! speriamo che si risvegli qualcosa nella sua testolina bacata! grazie! XD
utopia_B612: ehi ciao! grazie mille per l’amicizia su netlog (: mi ha fatto piacere! per il resto: ti piacciono i lieto fine? non so se questa storia l’avrà.. continua a leggermi, naturalmente, e grazie di tutto!

apple92: devo ringraziarti per tutti i tuoi numerosi commenti, davvero. grazie! dovrai dividerti Edo con qualcun’altra mi sa.. =P per il resto: no, Adrienne non dimentica, ma almeno adesso sa come si è sentito Alex. e lui, beh, che dire, E’ un maschio stupido XD continua a seguirmi!
Aika_chan:
ciao! allora: anch’io sono siciliana, quindi tranquilla per la “traduzione”, l’avrei capita =P secondo: complimenti per l’esame e scusa se ti ho tenuta incollata allo schermo fino a tardi! i tuoi complimenti mi hanno fatto tantissimo piacere e li apprezzo moltissimo, non puoi capire quanto. Adrienne ed Eric sono i personaggi più quotati, sai XD vanno forte! mentre Alex.. c’è chi lo odia, c’è chi lo ama. mi piace il fatto che dici che non sono banale nel trasmettere le emozioni. per me è una cosa importantissima, anche perché – come hai giustamente detto tu – si è trattato di argomenti molto importanti e abbastanza delicati. grazie, ancora!

 

volevo ringraziare tutti quelli che leggono e non commentano e chi inserisce la storia nei preferiti (86!).. GRAZIE!

mi duole dirlo, ma siamo quasi al capolinea.
la prossima volta posterò l’ultimo capitolo, e l’epilogo.
vi terrò sulle spine un bel po’.. =P
a presto!


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Capitolo 23
*** Capitolo 24 (+ Epilogo) ***


Capitolo 24

Capitolo 24.

Era
esattamente passata una settimana da quel pomeriggio infernale. Il freddo pungeva sulle pelle, provocando la pelle d'oca e i brividi; ma dava dolore e piacere, perché rinfrescava come un temporale in un'afosa giornata d'agosto. La luna era piena, grande e maestosa, sorrideva in maniera affascinante e un po' misteriosa. Attorno a lei le sue piccole figlie, le stelle, brillavano e danzavano, scintillando in mille colori.
Osservai il cielo blu notte, rimanendo col naso all'insù. Era sera, forse notte, non volevo controllare l'orologio per paura di scoprire che fosse troppo tardi; dovevano essere quasi le undici. Non avrei dovuto essere fuori di casa a quell'ora, da sola, seduta su una panchina di un parco buio, dove qualche maniaco avrebbe potuto nascondersi dietro un cespuglio, pronto ad aggredirmi. Ma non m'importava: proprio da quel pomeriggio vivevo tutto all'attimo. E poi quel parco era quello che tre anni prima aveva segnato la mia vita, e stare lì mi aiutava terribilmente a riflettere.
La panchina di ferro era gelida nonostante ci fossi già seduta da una ventina di minuta. Ma forse ero io, che oltre ad una felpa pesante e i jeans, indossavo soltanto la mia sciarpa colorata. Avevo avuto bisogno di tempo per riflettere, per stare un po' con me stessa e con la mia famiglia, e infine per curarmi le ferite - in senso letterale e non.
Alex non si era fatto più vedere. O meglio, a scuola lo incontravo, incrociavo il suo sguardo, ma non ci parlavamo. Ogni volta che prendevo il coraggio a due mani e mi avvicinavo a lui per potergli parlare, si allontanava via. Mi evitava. Nonostante mio fratello mi avesse detto di combattere per riprendermelo, ci rinunciai, convinta di averlo perso in maniera definitiva. Magari quel giorno non era in sé, magari si era pentito di aver cercato di parlarmi, magari non voleva più riallacciare i contatti con me, essere ancora mio amico. Mi faceva ancora soffrire, ma dopo tutti quei mesi mi ero quasi abituata a quel silenzio, e al fatto che fosse ormai troppo irraggiungibile, e impossibile da riprendere.
Giocherellai nervosamente con le frange della mia sciarpa, guardandomi attorno. Ero avvolta dal silenzio, si sentiva soltanto qualche clacson in lontananza, e ad illuminarmi c'era un lampione con la luce bianca a diversi metri da me; ero nella semi oscurità. La sensazione di essere lì, da sola, esposta ad ogni pericolo, azionava in me un meccanismo strano, fatto di sensazioni contrastanti: pericolo, adrenalina, felicità. Dovevo aver sbattuto la testa da qualche parte.
Mi appoggiai meglio alla panchina, sospirando, cercando di rilassarmi; ma capii subito che era impossibile: sentii dei rumori dietro di me. Cercai di capire meglio, sforzando l'udito. Sembravano dei passi, ma magari era solo una stupida sensazione. Cercai di pensare ad altro, ma i rumori erano sempre più forti e quindi, vicini. Ero stanca di altri guai, e mi preparai a scappare via in caso di pericolo.
La causa del rumore spuntò accanto a me, e per poco non ebbi un collasso. Lo guardai, trattenendo il respiro.
Alex. Alex era accanto a me, e mi guardava.
"Adrienne?" chiese.
Il cuore mi andò all'impazzata. Annuii, con un nodo in gola, incapace di emettere un singolo suono.
Alex scivolò sulla panchina, poco distante da me, continuando a fissarmi.
"Ciao." disse
, con nonchalance.
Avevo aspettato tanto questo momento, il momento in cui finalmente sarei ritornata a parlargli. Avevo riflettuto molto su cosa dirgli, come 'Mi sei mancato', 'Non vedevo l'ora che mi parlassi', 'Ho aspettato tanto questo momento', ma alla fine dissi soltanto: "Ciao."
Avevo la voce che mi tremava, e mi sentivo le farfalle dentro lo stomaco. In quel momento mi sembrò di essere felice. Mi voltai a guardarlo, e notai i suoi occhi nocciola attraverso i capelli neri. Deglutii, poi chiesi: "Che ci fai qui?"
Mi guardava anche lui. "Sono passato da casa tua, tuo fratello mi ha detto che eri qui, e sono venuto a cercarti."
Fui tentata di chiedergli il perché, ma all'ultimo mi fermai. Non sapevo cosa dire, dove iniziare - i pensieri e le sensazioni erano troppe e si accavallavano dentro di me; e pensandoci bene, mi mancava anche il fiato.
"Mi ha detto anche quel che è successo." aggiunse, quasi ripensandoci.
Deglutii. "Ah, sì?"
Sperai che Edoardo non gli avesse detto tutto quello che avevo detto io a lui. Arrossii al solo pensiero, ma continuai a guardarlo, decisa a non volermi perdere neanche un suo solo movimento.
"Sì." Alex assunse uno sguardo triste e dispiaciuto. "E avrei voluto saperlo prima per aiutarti.. Perché non mi hai detto niente?"
Sospirai. Cosa avrei dovuto dirgli? Non ci parlavamo più, non avrei potuto rispuntare all'improvviso da lui ed esordire con un 'Sai, Alex, mio padre mi ha picchiata perché ho detto tutta la verità'. Così non risposi, e alzai le spalle, e cadde il silenzio.
Alex non mi tolse gli occhi di dosso, io invece abbassai lo sguardo, arrossendo. Si frugò in tasca, e ne estrasse un pacchetto di sigarette e un accendino. Ne prese una, la mise fra le labbra, e l'accese. Non gli dissi di spegnerla, e rimasi un'infinità di tempo a guardarlo fumare, mentre lui mi guardava fisso, e mentre il fumo disegnava strani ghirigori nell'aria. Quando la sigaretta fu quasi finita, parlò di nuovo.
"C'è una cosa che devo dirti da tempo, Adrienne." disse.
Lo guardai ancora. "Cosa?" dissi con aria incuriosita.
Alex buttò la sigaretta a terra, e come al solito, la spense schiacciandola con un piede.
"E' molto semplice." Rialzò lo sguardo su di me, e mi guardò dritto negli occhi, con aria serissima.
"Io ti amo."
Spalancai un po' la bocca, guardandolo. Avevo sentito bene? Il mio primo pensiero fu quello di gettargli le braccia al collo, il secondo che mi stesse prendendo in giro. Non capii più niente, e allora scoppiai a ridere.
Lui sorrise con aria stupita, e mi guardò mentre ridevo. Incrociò le braccia al petto. "Così mi offendi. Ho appena detto che ti amo, e ridi?"
Mi calmai, però continuando a sorridere. "Puoi davvero amarmi dopo tutto quello che mi hai fatto..?" chiesi.
Alex tornò serio. "Lo so, è difficile crederlo. Sono stato un perfetto idiota." disse.
Annuii. "Un po'."
Sorrise. "Avrei dovuto farlo due anni fa."
Deglutii, fissandolo. "Cosa intendi..?"
Sorrise ancora, poggiando le mani sulla panchina. "Sono innamorato di te da sempre. Praticamente dal primo momento che ti ho vista. Non l'hai capito da come ti ignoravo?"
Il respiro mi mancò e arrossii. "E.. e Melissa..?"
Alex sorrise ancora. "Ti ho detto una bugia grandissima, Adrienne, quando ti dissi che ero innamorato di lei e non di te. Di Melissa ci si può invaghire.. di te, ci si può innamorare."
Temetti di morire in quell'istante. "Ti ha lasciato?" chiesi.
Scosse la testa. "L'ho lasciata io."
Deglutii. "Per me..?"
Annuì. "Solo per te. Non potevo più sopportare di mentire a me stesso, a lei, e soprattutto a te. Ti prego di perdonarmi, per tutto il male che ti ho fatto.."
L'avevo già perdonato. Irradiavo felicità da tutti i pori, ed ero talmente felice che non sapevo che dire. Non avrei mai pensato una cosa del genere, mai più. Era un sogno.
Alex s'avvicinò a me, fissandomi. Mi passò una mano attorno alla vita, e l' appoggiò sulla mia schiena. Con la mano libera mi sfiorò leggermente il viso, con le dita. Rabbrividii, e lo guardai, respirando leggermente. Aveva le mani freddissime.
"Hai le mani gelide." osservai, e lo guardai negli occhi.
"Mi succede sempre quando sono nervoso." disse.
"Non c'è niente da essere nervosi."
"Sì, invece. Sto per baciarti.."
Si avvicinò ancora a me, fissandomi le labbra, e inumidendosi le sue con la lingua. Socchiusi gli occhi, e prima che realizzassi, premette le labbra contro le mie. Mi baciò leggermente, con delicatezza. Io passai entrambe le braccia attorno al suo collo, abbracciandolo, mentre lui teneva le mani sui miei fianchi. Mi baciava lentamente, come se avesse paura di correre troppo. Dischiusi leggermente le labbra, e lui fece lo stesso. Mi bacio di più, facendo passare la lingua fra le mie labbra. Quando la mia incontrò la sua, sentii rabbrividire il suo corpo contro il mio.
Non si staccò dalle mie labbra mentre mi faceva stendere lentamente sulla panchina ghiacciata; lui sopra di me, che si reggeva sulle mani per continuare a baciarmi.
Lo lasciai andare, essendo rimasta senza fiato. Riaprii un po' gli occhi, e incontrai il suo sguardo. Mi sorrise, e lo feci anch'io. Aveva ancora il viso vicinissimo al mio, e stava ancora a cavalcioni su di me, con le mani vicino alla mia testa.
"Esattamente come mi ricordavo." sussurrai.
Spalancò un attimo gli occhi. "Vuoi dire che.."
Annuii, fissandolo. "Ricordo il nostro primo bacio. Il mio primo bacio."
Arrossì furiosamente. "Sono stato un idiota, quella volta." ammise.
Io scossi la testa. "E' stato un bacio perfetto."
Rise, e mi baciò di nuovo, ripetutamente, dandomi tanti piccoli baci a labbra socchiuse.
"Ti amo.." mi sussurrò a fior di labbra.
Presi fiato e aprii di nuovo gli occhi, guardandolo. "Ti amo anch'io.." dissi, con un filo di voce, diventando rossa.
Alex spalancò gli occhi mi guardò. "Puoi davvero amarmi potuto tutto quello che ti ho fatto..?"
Ricambiai il suo sguardo e sorridendo annuii. "Non ho mai smesso di amarti. Non l'hai capito da come ti evitavo?"
Alex mi sorrise, poi ci ripensò e mi guardò con espressione seria. "..e quel ragazzo?" chiese.
Alzai un sopracciglio, guardandolo. "Che ragazzo?"
Continuò a guardarmi con aria seria. "Quello con cui stavi sempre.. Alto, con i capelli biondi.. Che veniva a prenderti a scuola ed era con te in quella pizzeria.." elencò lui.
Mi stupii che si ricordasse tutte queste cose. "Era solo un disperato tentativo di poterti dimenticare." dissi.
"Non.. non l'ami? Non l'amavi?" chiese, titubante.
"No. Io amo te, Alex., in maniera folle. L'ho sempre fatto, ogni giorno della mia vita, anche se ci ignoravamo e facevamo finta di niente a vicenda.."
Quest'ultimo sorrise, sereno. Si spostò, ritornando a sedersi sulla panchina. Io lo imitai, e non appena lo feci, lui s'avvicinò ancora e mi prese fra le sue braccia, cullandomi, abbracciandomi, e facendomi appoggiare su di lui di schiena mentre lui era appoggiato allo schienale della panchina.
Appoggiò il mento sulla mia testa, cingendomi la vita con le braccia. "E' assurdo il fatto che siamo rimasti tutti questi mesi ad amarci, ma senza farlo sapere all'altro. E sai, nonostante ci provassi, non riuscivo a smettere di pensare a te.." disse.
Deglutii e socchiusi gli occhi, stringendolo. "Mi dici perché ti sei messo con lei?" chiesi.
"Per paura di compromettere quello che c'era fra noi, la nostra splendida amicizia, e di perderti definitivamente. Sono stato egoista, direi. Avevo troppa paura, e questa mia paura ti ha portato a farti soffrire, a farti del male.. per causa mia.. e perché speravo che tu mi odiassi e mi dimenticassi." rispose, d'un fiato.
"Sì, è vero. Ma non hai neanche la minima idea di quanto tu mi stia rendendo felice in questo momento.." sussurrai.
Alex mi strinse più forte e lo sentii chinarsi un po' in basso. "Mi sei mancata, lo sai questo?" mi sussurrò all'orecchio. Rabbrividi e sorrisi. Avevo voglia di baciarlo. Mi spostai, e mi voltai a guardarlo. Poi lui parlò.
"Andiamo.." disse.
Si alzò dalla panchina, venendo davanti a me. Lo guardai interrogativa, e lui mi sorrise. Gli presi la mano che mi offriva, alzandomi dalla panchina, e non gliela lasciai più. La sua mano era ancora terribilmente fredda. Intrecciai le dita con le sue e gli strinsi forte la mano per riscaldarla, per quanto potevo. Camminammo un po' per il parco, mano nella mano, in silenzio.
Era tutto buio, ad illuminarci c'erano degli sporadici lampioni accesi per le aiuole, e la luce della luna piena.
Entrammo in un'aiuola e ci stendemmo entrambi sull'erba gelida, vicino ad un albero, l'uno accanto all'altra. Cercai di non appoggiare le mani sull'erba per evitare quella spiacevole sensazione di solletico. Con una mano mi scostò i capelli che tenevo davanti agli occhi, mettendomeli dietro l'orecchio.
"Lo sai che lo odio.." disse con un sorriso.
Io risi, e mi avvicinai a lui. Lo guardai negli occhi, e poi appoggiandogli una mano sulla spalla, lo baciai sulle labbra. Persi il conto dei baci. Pagine di baci. Letteralmente: pagine.
Avevo dimenticato cosa significava essere veramente felici. Avevo dimenticato cosa significava avere qualcosa per cui avevo sofferto e lottato tanto tempo. Ma di una cosa era certa: volevo che non finisse mai.
Mi abbracciava, mi baciava dolcemente, mi carezzava il ventre e il petto, sotto la maglietta. Mentre ero distesa sul prato e lui era sospeso sopra di me, fece un gesto strano, forse involontario, come a volermi sfilare la maglietta. Spalancai gli occhi e gli presi le mani. Lui mi fissò.
"Alex," dissi, "..atti osceni in luogo pubblico."
Lui scoppiò a ridere. "Perché, hai veramente intenzione di spingerti oltre i baci, adesso?"
Continuai a guardarlo e diventai color porpora. Lui rise divertito, e si stese accanto a me sull'erba, intrecciando le mani dietro la testa. Ero felice, felice che nonostante adesso stessimo assieme, potevamo ancora scherzare come ai vecchi tempi. Sorrisi timidamente con aria imbarazzata, e poi guardai in alto.
Il cielo, nero, era coperto di piccoli diamanti bianchi, le stelle. Guardarlo era uno spettacolo a dire poco mozzafiato: ti faceva sentire piccolissimo, una minuscolo particella al centro dell'universo. Ti faceva dimenticare tutto il male che c'era, che avevi fatto o subito, ricordandoti che al mondo c'erano cose meravigliose come quella. E un'altra cosa meravigliosa era proprio al mio fianco, in quel momento.
Guardai le costellazioni, sembrava quasi che le stelle potessero unirsi tra di loro con una linea immaginaria.
Mi feci più vicina ad Alex, poggiandomi leggermente al suo fianco e poggiando una mano sul suo petto. Lui mi cinse le spalle con un braccio e cominciò a intrecciare qualche ciocca dei miei capelli fra le sue dita, mentre posò l'altra mano sopra la mia.
"Vorrei tanto che tu venissi con me, Adrienne." disse Alex all'improvviso.
Spostai lo sguardo dal cielo e lo guardai con la coda dell'occhio. "Dove?" chiesi.
Fece una pausa e deglutì. "Ovunque. Non importa dove."
"Ovunque tu andrai, io ci sarò." gli dissi. "Ricordi?"
Annuì, sorridendo. "Prometti.. ovunque."
"Lo giuro. Ovunque."
Intrecciò forte la mano con la mia, e si chinò verso di me, inclinando la testa. Lo baciai leggermente, socchiudendo gli occhi, mentre una brezza leggera ci carezzava , ci abbracciava, e ci scompigliava i capelli.
Non avrei potuto immaginare un migliore lieto fine.
E il finale, questo finale, appartiene solamente a te e a me.
E' solo tuo e mio.

Epilogo.

Mi osservai nel solito specchio ovale di legno.
Il vestito nero mi arrivava alle caviglie, e mi faceva veramente molto magra. Probabilmente era l'effetto del nero, pensai, e in fondo il risultato finale non era niente male. Mi voltai e girai un po' la testa per guardarmi meglio. Mi sembrava appena di avere delle sembianze femminili, quella sera. Era il compleanno di Edoardo, e quella sera c'era la sua festa. Mi ero vestita con l'abito che avevo comprato qualche giorno prima, e ora mi studiavo allo specchio.
L'abito era rigorosamente nero, piuttosto lungo, con uno scollo quadrato e le spalline larghe. Non aveva niente, era terribilmente semplice e mi piaceva proprio per questo. Ai piedi indossavo un paio di ballerine  - anch'esse nere - che mia madre mi aveva costretto a comprare, dopo che aveva categoricamente respinto la mia idea di indossare le solite All Star. Avevo i capelli sciolti, i riccioli mi cadevano su tutte le spalle e avevo preferito non toccarli minimamente, sarebbe stato peggio. Indossavo anche un piccola catena al collo e un braccialetto uguale, al polso sinistro.
Sospirai. Non mi sentivo completamente a mio agio con quell'abito lungo, e avevo paura di sfigurare; ero sicura che tutte le altre ragazze alla festa sarebbero state elegantissime e bellissime. Il posto scelto da mio fratello era una piccola villetta all'aperto, con un ristorante e una sala da ballo. Improvvisamente sentii la suoneria del cellulare squillare e la vibrazione fare un rumore assordate sul mobile in cui l'avevo appoggiato. Mi fiondai a prenderlo e dopo aver velocemente controllare il display, risposi.
“Scendi, sono di fronte casa tua.”
Mi infilai la mia giacca nera, mi diedi un'ultima controllatina allo specchio e poi scesi rapidamente le scale e aprendo la porta d'ingresso, uscii.
Alex era appoggiato al lampione di fronte casa mia. La luce arancione gli pioveva addosso e alterava i suoi colori, facendogli risplendere i capelli scuri con dei riflessi rossicci. Non appena uscii, mi sorrise. Attraversai la strada e lo raggiunsi sotto al lampione, unendomi a quella strana luce arancione. Quando gli fui vicina mi prese per mano e mi baciò leggermente sulle labbra, poi mi guardò fisso, allontanandosi un po' e squadrandomi.
“Sei stupenda.” disse. Arrossi furiosamente, e contemporaneamente feci una faccia scettica, lui rise. “Dico davvero..” Continuai ad arrossire. “Grazie..
Lo guardai anch'io. Aveva addosso un paio di jeans larghi, neri, con una catena sul lato destro. Poi sotto il giubbotto aveva una camicia grigio scuro e una cravatta nera. Stava bene, era nel suo stile, anche se con aria divertita pensai che tutti e due eravamo praticamente vestiti a lutto.
“Anche tu stai bene.” osservai, sorridendo.
Lui mi fece una linguaccia. “Come sempre, del resto.”
Scoppiò a ridere quando individuò il mio sguardo acido. Tenendoci per mano e parlando del più e del meno, c'incamminammo verso il luogo della festa, che fortunatamente non distava troppo lontano da casa mia.
Dopo una mezz'oretta arrivammo. Entrammo nel giardino, e individuai mia madre, in un grazioso completo blu, e la raggiunsi. La villa era grande, con un immenso giardino curato in cui la festa si svolgeva. Da una parte c'erano i vari tavoli per gli invitati, e un po' più in là una pista da ballo con il pavimento in pietra, con luci psichedeliche e una consolle per il dj. C'erano tantissime aiuole verdi con un'infinità di rose bianche, i miei fiori preferiti in assoluto.
“Ciao mamma!” esclamai, avvicinandomi a lei.
Lei sorrise. Adesso stava decisamente meglio, si era ripresa, e i preparativi per la festa l'avevano aiutata a distrarsi parecchio. Anche se non sorrideva molto spesso, e per me quando lo faceva era una gioia immensa.
Mia madre mi baciò sulla guancia e fece lo stesso con Alex.
“Ciao, ragazzi.”
Sapeva che stavamo assieme, anche se io non le avevo detto niente. Intuito, credo. In fondo le mamme riescono sempre a capire queste cose. Alex sorrise con aria timida e io ridacchiai. “Dov'è Edoardo?” chiesi.
Mia madre alzò le spalle e fece un'espressione perplessa. “L'ho perso di vista. Sarà impegnato con gli invitati, credo.” Tra parenti e suoi amici, eravamo quasi una sessantina di persone. Sì, mio fratello aveva deciso di fare le cose in grande.
“Vabeh, lo beccherò dopo allora.”
Salutai mia madre e io ed Alex girammo per il giardino, passeggiando, allontanandoci dagli altri.
“Mi pare che l'ultima volta che siamo andati ad una festa assieme non sia andata troppo bene.” osservò lui, ridendo.
Risi anch'io e lo guardai. “Tranquillo, con mia madre nei paraggi non potrò ubriacarmi..
S'unì alla mia risata e mi guardò. Mi prese per mano e passeggiammo, stando in silenzio, l'unico rumore era il vociare di persone, una musica di sottofondo molto lontana, e.. dell'acqua. Svoltammo all'angolo di un'aiuola e inchiodammo in una fontana di marmo bianco, con acqua che sgorgava e zampillava dal centro e con dei fari sott'acqua che la illuminavano.
“Ma quanto ha pagato tua mamma per questo posto? Pure la fontana!” scherzò Alex, facendomi ridere. Poi lo guardai.
“Non è romantico?” dissi sorridendo. Alle mie parole, nelle aiuole si accesero un sacco di lucine bianche incastonate in esse, sembravano quelle degli alberi di Natale.
Alex mi fissò e rise piano. “Perfetto, pure gli effetti speciali a comando.”
Mi prese per un polso e mi attirò a sé. Facendomi camminare all'indietro, mi fece appoggiare al bordo della fontana, che era un po' più bassa di me. Standomi di fronte, mi prese il viso fra le mani e cominciò a baciarmi. Chiusi gli occhi e appoggiai entrambe le mani sui suoi polsi e lasciai che mi baciasse, ricambiandolo, e avendo una paura pazzesca di fare un bagno fuori programma. Passò una mano sulla mia schiena, reggendomi, e mentre continuava a baciarmi si inclinò apposta all'indietro, facendomi sporgere di schiena all'acqua. Sentii le sue labbra inclinarsi all'insù in un sorriso sotto le mie. Lo lasciai andare, e riaprendo gli occhi lo guardai.
“E se ti lasciassi andare?” disse ridendo, con un'aria di sfida.
“Non lo faresti..” ribattei fissandolo negli occhi, sorridendo.
“Proviamo? Potrei anche farlo..” e rise ancora, facendomi chinare di più. Gli poggiai entrambe le mani sul petto e lo presi per la camicia, stringendo la stoffa fra le mani e afferrandolo.
“Se vado giù, tu vieni giù con me.” dissi, sorridendo con aria diabolica.
Lui scoppiò a ridere. Mi fece raddrizzare e mi lasciò andare, lasciandomi appoggiata sul bordo della fontana.
“Così mi stropicci la camicia!” esclamò, ridendo, e passandosi una mano sul punto in cui l'avevo afferrato.
Io gli feci una smorfia e lo raggiunsi. Lui mi baciò rapidamente e insieme, prendendoci in giro e ridendo, ritornammo ad unirci con gli altri invitati. Non appena ritornammo verso i tavoli, per la cena, Edoardo ci raggiunse.  Mi salutò abbracciandomi, e poi strinse la mano ad Alex, che con aria sicura gli fece gli auguri. Edoardo ricambiò sorridendo e ci disse di accomodarci ad un tavolo.
C'erano una decina di tavoli, tutti pieni di persone allegre e sorridenti, che chiacchieravano con aria tranquilla. Mi sedetti alla tavolata più lunga, quella dei miei parenti. Ero tra mia madre e mio fratello, e avevo Alex di fronte.
Mi guardava, sorridendo con aria rassicurante. Durante la cena, parlò con i miei parenti in modo assolutamente sicuro e tranquillo, e ogni tanto mi urtava le gambe con le sue, quando s'allungava sulla sedia o faceva per dondolarsi su di essa. Io mi sentivo gli occhi di tutto addosso e sapevo di essere color cremisi.
La cena finì, e mio fratello si alzò dal tavolo per dare inizio alle danze. La maggior parte dei suoi amici si riversò verso la sala da ballo, mentre la musica partiva.
Ero imbarazzatissima. Mi alzai dal tavolo, salutando mia madre e qualche parente, ed Alex mi seguì. Quest'ultimo aveva un'aria divertita, sorrideva e aveva le mani sprofondate nelle tasche, come al solito.
“Allora, Adrienne,” si avvicinò a me e mi mise un braccio attorno alle spalle, voltando il viso per guardarmi, “..ti va di ballare?” Deglutii e lo guardai. “Io non so ballare..dissi senza pensarci.
Alex rise e mi punzecchiò sulla guancia con un dito. “Bugia. E anche se fosse, che t'importa?”
Alzai le spalle per tutta risposta. Lui continuò a ridere. “Allora non vuoi?” chiese ancora.
“Lo voglio lo stesso.” risposi sorridendo. Sorrise di più e mi prese entrambe le mani. “Ottimo. Andiamo allora.”
Alex mi portò
alla pista da ballo facendomi camminare all'indietro. I ragazzi si stavano già scatenando. Edoardo mi individuò fra la folla dei suoi amici e mi sorrise, facendomi l'occhiolino.
Alex aveva un'aria pensierosa. “Hm. Aspetta un attimo. mi disse.
Mi lasciò ad un lato della pista e si allontanò. Io lo guardai allontanarsi, alzando un sopracciglio con aria piuttosto interrogativa. Si avvicinò alla consolle del dj, un ragazzo che indossava una maglia gialla larghissima, una pesante catena d'oro al collo e una cuffia alle orecchie, e si muoveva a ritmo di musica.
Alex richiamò la sua attenzione appoggiandosi alla consolle. Il tizio lo guardò, si tolse le cuffie, e s'avvicinò a lui. Alex gli disse qualcosa sorridendo, e il ragazzo annuì. Ringraziò dandogli una botta sul braccio e andò via sorridendomi con aria trionfante.
Cosa hai combinato?” gli chiesi quando mi fu vicino.
Sorrise e mi fissò. “Ora vedrai.”
Mi prese per una mano e me la strinse. Improvvisamente la musica si staccò, nel bel mezzo della canzone. I ragazzi che stavano ballando protestarono, lamentandosi, come un solo uomo. Ma le note di un'altra canzone partirono quasi immediatamente.
“Q-questa canzone..sussurrai, guardando Alex.
Don't cry.
Alex annuì sorridendo. “Sì. La nostra canzone, Adrienne.”
Tremai leggermente. Alex strinse entrambe le mie mani e mi portò più in là nella pista, quasi al centro, attorno agli altri ragazzi. Le luci si abbassarono, tutto diventò in penombra e ci illuminava solo una luce rossa e bianca. Proprio come quella sera, che per me fu croce e delizia.
Il suo sorriso sembrava risplendere. Lo guardai, mentre mi passava un braccio attorno alla vita e mi stringeva a sé. Tremavo, ero emozionata, e soprattutto enormemente felice. Eravamo vicinissimi. Mi prese una mano e la strinse con la sua, e poggiò l'altra sul mio fianco. Di conseguenza, una mia mano stringeva la sua e l'altra era posata sulla sua spalla. Mi sentivo morire dall'imbarazzo, ma sorridevo, un po' rossa in viso. Ballavamo assieme, ondeggiando leggermente. Il resto non era più nulla, c'era solamente lui e quella bellissima canzone.
Alex s'avvicinò al mio orecchio e prese a cantarmi le parole della canzone, sorridendo in maniera quasi impercettibile, in modo che potessi sentire solamente io.
Andava perfettamente a tempo.
'
Talk to me softly, there's something in your eyes. Don't hang your head in sorrow, and please don't cry. I know how you feel inside, I've been there before.. Somethin's chagin' inside you, and don't you know.'
Lo strinsi forte, sempre più forte, socchiudendo gli occhi e appoggiando la testa sulla sua spalla.
'Don't you cry tonight, I still love you baby. Don't you cry tonight, there's a heaven above you baby.. and don't you cry, tonight.'
Alex mi abbracciò forte, e io e lui rimanemmo così, abbracciati, e immobili in mezzo alla pista. Lo amavo, lo adoravo, in maniera assoluta e sconsiderata. Le note e le parole correvano, s'insinuavano nella mia testa attraverso l'orecchio; facendomi avere sempre di più la convinzione che quella canzone, prima di Natale, ci aveva segnato in qualche modo.
'Give me a whisper, and give me a sigh. Give me a kiss before you tell me goodbye. Don't take it so hard now and please don't take it sto bad.. I'll still be thinkin' of you and the times we had..'
Era lui, Alex. Il mio migliore amico, il mio primo amore. Non avrei mai pensato, quando a scuola c'incontrammo in quel corridoio – lui che armeggiava con un accendino vicino alle scale e io che inciampai davanti a lui facendo cadere tutti i miei libri, che sarebbe andata così. Che mi sarei innamorata così tanto di lui, e lui di me.
'And please remember that I never lied, and please remember how I felt inside now, honey. You gotta make it in your own way, but you'll be alright know sugar. You'll feel better tomorrow.. come the morning light now, baby.'
Aveva segnato la mia vita in maniera indelebile e indicibile. Era come un tatuaggio, un buco all'orecchio. I primi giorni forse faceva un po' male, ma dopo t'abituavi e lo ammiravi felice e gonfia d'orgoglio. E io non avrei mai potuto descrivere quello che mi dava, neanche se avessi scritto mille e mille pagine su di lui.
Mi faceva rabbrividire sentire le sue labbra sulle mie, proprio come in quel momento, e sentire le sue mani, sempre gelide, che mi sfioravano, per poi stringermi, stringermi così forte da lasciarmi senza fiato.
Lo amavo, lo amavo, lo amavo, e volevo che durasse per sempre. E forse era solo uno stupido sogno di una sedicenne, ma ero sicura che prima o poi me lo sarei trasportata fino all'altare.
“Alex..?”
Riaprì gli occhi, e mi guardò. “Sì?”
“Ti amo..
Sorrise, e passandomi le braccia attorno al collo per abbracciarmi mi sussurrò di nuovo all'orecchio.
“Anch'io, con ogni fibra del mio corpo..”
Arrossii furiosamente e mi lasciai abbracciare.
'..baby maybe someday.. don't you cry, don't you ever cry, don't you cry tonight.'
Per sempre sarà, ovunque sarà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

fine, ecco fatto. mi dispiace per l’attesa, ma tra impegni personali e suspance è passato davvero tanto tempo. non ne ho molto, comunque, per commentarvi tutti ma vorrei solo dirvi GRAZIE, di tutto. per avermi seguito, per i commenti, per i preferiti. e spero che la mia storia vi sia piaciuta, e sia riuscita ad emozionarvi.
stavo anche scrivendo il sequel, ma non credo che riuscirò mai a finirlo.
ma
tornerò, presto, col mio secondo romanzo.
Un abbraccio e un bacio,
Adrienne.

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