Black Orchid

di Mrs_Snape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Childhood. ***
Capitolo 2: *** You are not alone ***
Capitolo 3: *** Mind is the magic ***
Capitolo 4: *** Speechless ***
Capitolo 5: *** Helena ***



Capitolo 1
*** Childhood. ***


Sei anni in uno schifoso manicomio o, come preferivano chiamarla loro, la Villa del Sole.
Una stanza singola, arredata con mobili in legno di ciliegio che affacciava sui giardini. Stampe di quadri famosi alle pareti, fiori finti nei vasi, peluche dall’aspetto fin troppo gioioso. In questo posto ho passato la mia adolescenza... Quasi nessun contatto con il mondo esterno. La mia vita si svolgeva fra quelle mura, non avevo la possibilità di andarmene nemmeno nei giorni di festa.
Il primo anno i miei amici mi scrivevano lettere, in cui mi raccontavano cosa succedeva nel mondo esterno, poi a poco a poco smisero di farlo. La mia unica compagnia erano i libri e la musica, in particolar modo quella di Michael Jackson. Era come un raggio di sole, che portava colore e vita nella mia grigia e monotona esistenza fatta di pillole colorate, per curare la mia presunta schizofrenia, e dottori dal viso sorridente.
Tutto era iniziato quando, a 12 anni, vidi il fantasma di mia nonna. Mi spaventai tantissimo e lo raccontai ai miei genitori, che si spaventarono ancora di più e decisero di mandarmi da uno psicanalista. Ma ciò non mi aiutò, anzi la situazione peggiorava sempre di più. Non vedevo solo lei, ma anche persone estranee e spesso parlavo con loro. Fin quando, un giorno, i miei decisero di mandarmi qui.
Non ho mai dubitato di ciò che vedevo. Io non sono pazza, sono loro ad essere “ciechi”. Siccome non volevo passare tutta la mia vita in quella clinica decisi di fingere, di accontentarli: affermai di non vedere ne sentire più i morti. Rimasi un altro anno e fui dimessa. Mi prescrissero dei farmaci da prendere per evitare la ricomparsa dei sintomi.
I miei genitori erano al settimo cielo. Nella clinica mi ero diplomata e adesso programmavano di mandarmi al college, mi presentavano i figli dei loro amici sperando che mi fidanzassi con uno di loro. Ma nessuno di loro mi attirava, erano abituati ad avere tutto quello che volevano dalla vita. La loro esistenza era fatta da discoteche, feste e auto costose. Non avevano passato ciò che avevo passato io, non erano in grado di capirmi. Decisi che non volevo andare al college, volevo trasferirmi nella Grande Mela e ricominciare la mia vita. E così delusi di nuovo i miei genitori.
Con i soldi per il college presi un appartamento e trovai lavoro in una tavola calda. Le città grandi sono il posto perfetto per ricominciare la propria vita: nessuno ti conosce, sei solo uno fra i tanti che incontri la mattina nella metro.
Ma la mia vita continuava ad essere vuota. A volte uscivo con le ragazze che lavoravano con me, ma erano amicizie vuote e senza futuro. A volte mi frequentavo con dei ragazzi. Uscivamo insieme, andavamo al cinema o in qualche ristorantino. Erano dolci con me e, per qualche ora, riuscivano a farmi sentire meglio. Dalle dolci parole si passava alle carezze, ai baci e poi facevamo l’amore. Queste storie non duravano mai più di una notte. Eravamo solo estranei che si incontravano in quell’immensa città fatta da volti senza nome, che per una notte sentivano di appartenersi. Al mattino ci salutavamo, promettendoci di risentirci. Ma non lo facevamo mai.
Quelle storie di una sola notte non erano che promemoria del fatto che alla fine veniamo lasciati completamente soli.
Non avevo smesso di vedere i morti e decisi di sfruttare questo dono, o maledizione, a seconda del punto di vista. Appesi il cartello Medium alla porta di casa mia e sperai che, almeno per una volta nella mia vita, la fortuna venisse a bussare alla porta di casa mia.

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Capitolo 2
*** You are not alone ***


Erano passati quattro anni da allora. Avevo lasciato la tavola calda e facevo solo la medium. Mi ero fatta un nome in quel settore e la gente veniva spesso da me e ciò mi bastava per vivere. Le persone erano in cerca di rassicurazioni sui loro cari, che li avevano lasciati prima del dovuto o con cui non avevano mai chiarito in seguito a litigi. Cari che non sempre si presentavano. Potevo vedere, infatti, solo coloro avevano questioni irrisolte o erano ancora troppo attaccato al mondo terreno. Ma la maggior parte andava oltre, andava verso la luce. In quei casi dicevo a quelle persone solo ciò che volevano sentirsi dire, ovvero che i loro amati defunti li perdonavano e che erano felici nell’aldilà. Ciò  li faceva stare meglio, e se ne andavano con il sorriso sulle labbra. E vederli così faceva stare meglio me. Avevo trovato il mio posto nel mondo, anche se non era ciò che i miei genitori volevano da me. Da quando avevano scoperto che lavoro avevo deciso di fare avevano smesso di chiamarmi e poco mi importava.
Quando la mia vita stava andando al meglio arrivò un'altra lieta notizia: Michael aveva deciso di fare un nuovo tour, in giro per il mondo. Era un sogno che diventava realtà! Da anni sognavo di vederlo sul palco e fra pochi mesi ne avrei avuto la possibilità. Iniziai a risparmiare per poter comprare il biglietto ma poi arrivò una notizia che infranse tutti i miei sogni: Michael era morto. Quel giorno non lavorai e rimasi chiusa in casa. La mia luce nel buio se n’era andata, il raggio di sole nella mia vita. Mi aveva permesso di superare quegli anni bui nella clinica e ora che lui non c’era mi sentivo svuotata e niente sembrava avere più senso. Non riuscì a dormire bene e al mattino ero con la testa altrove. Avevo solo una cliente quella mattina, una signora che aveva da poco perso il marito. Il pomeriggio decisi di distrarmi un po’ e andai a fare una passeggiata al parco. Mi sedetti ad una panchina, con le cuffie nelle orecchie, facendomi cullare dal tiepido sole di ottobre e dalle note di You’re not alone.
Another day has gone
I'm still all alone
How could this be
You're not here with me
You never said goodbye
Someone tell me why
Did you have to go
And leave my world so cold
Sospirai, immersa nei miei pensieri.. Quella strofa mi faceva ripensare a come mi sentivo io, e tutti i jacksoniani, ora che Michael se n’era andato…
Everyday I sit and ask myself
How did love slip away
Something whispers in my ear and says
That you are not alone
For I am here with you
Though you're far away
I am here to stay
Inclinai all’indietro la testa e mi sbottonai la giacca, chiusi gli occhi e mi lasciai accarezzare il volto da una lieve brezza autunnale.
You are not alone
I am here with you
Though we're far apart
You're always in my heart
You are not alone
Mi sembrò di sentire qualcuno vicino a me, sentì nel aria un odore di bergamotto, ribes nero, cioccolato fondente e orchidea nera… Black Orchid! Il profumo di Michael!
Spalancai di colpo gli occhi.
All alone
Why, alone
Vicino a me sedeva Michael, che mi guardava con dolcezza.
Just the other night
I thought I heard you cry
Asking me to come
And hold you in my arms
I can hear your prayers
Your burdens I will bear
But first I need your hand
Then forever can begin
Lo guardai senza riuscire a pensare, ne a mettere insieme due parole di senso compiuto. Sentivo il cuore martellarmi nelle orecchie, ero circondata dal suo profumo e avevo paura di essere in un sogno e di svegliarmi da un momento all’altro.  La canzone era passata in secondo piano, tutto era passato in secondo piano. Lui intanto continuava a guardarmi, quasi intenerito per la mia reazione. Poi mi sorrise e il mondo intorno sembrò illuminarsi. Non avevo mai visto un sorriso così bello, così sincero.
Appena provai ad aprire bocca per dirgli qualcosa lui scomparve,all’improvviso, così com’era venuto.
Whisper three words and I'll come runnin'
And girl you know that
I'll be there
I'll be there
Ero sicura che se mi fossi alzata in quel momento, le mie gambe non avrebbero sostenuto il mio peso. Cercai di calmarmi ed aspettai che il mio cuore riprendesse a battere normalmente. Non riuscivo a capire se era un sogno, o era reale. Mi alzai e mi incamminai lungo il sentiero attorno al lago, sperando di schiarirmi le idee… 

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Capitolo 3
*** Mind is the magic ***


Le settimane scivolarono via come olio, diventando mesi. Eravamo quasi ad ottobre e mi ero ormai convinta che era stato tutto un sogno. Avevo iniziato a frequentarmi con un ragazzo. Si chiamava Qemuel; ci eravamo conosciuti nella biblioteca e da allora ci vedevamo quasi tutti i giorni. Non sapevo come definire il nostro rapporto.. Tecnicamente eravamo amici ma sapevo, così come lo sapeva lui, che iniziavamo a provare qualcosa di diverso l’uno per l’altro.. Qualcosa che andava ben oltre la semplice amicizia. Quel giorno dovevamo vederci in biblioteca, era ormai diventata il nostro punto di incontro abituale. Mi aspettava seduto al “nostro” tavolino. Era vicino ad una finestra, tra il reparto fantasy e i romanzi rosa. I lunghi capelli biondo platino legati in una coda di cavallo, indossava una t-shirt nera che faceva risaltare ancora di più il suo colorito bianco, quasi etereo. Ma la cosa più strabiliante del suo aspetto erano gli occhi: non avevo mai visto occhi così… Erano come lapislazzuli, blu intenso con venature dorate.
Appena mi sentì arrivare alzò gli occhi verso di me e mi sorrise – Helena – disse con dolcezza. Amavamo passare i pomeriggi lì. Stare con lui mi faceva stare bene; ogni preoccupazione, brutto pensiero o timore svaniva. Parlavamo di tutto e di niente, mi raccontava della sua vita e di suo padre. Era un uomo veramente crudele; una sera litigarono e lui picchiò Qemuel e i fratelli, per poi cacciarli di casa. A volte parlavamo di cose banali, come film o musica. A volte restavamo semplicemente in silenzio a leggere, seduti per terra in un angolo dimenticato da tutti della New York Public Library. Quel pomeriggio non fu diverso. Prendemmo due libri a caso, come facevamo sempre. Con gli occhi chiusi facevamo scorrere le dita lungo i dorsi dei libri, pensando di sentirli sussurrare le loro storie.
In un libro del mio scrittore preferito, Carlos Zafon, avevo letto che “Ogni libro, ogni volume che vedi possiede un'anima, l'anima di chi l'ha scritto e di coloro che l'hanno letto, di chi ha vissuto e di chi ha sognato grazie ad esso. Ogni volta che un libro cambia proprietario, ogni volta che un nuovo sguardo ne sfiora le pagine, il suo spirito acquista forza.” Ci piaceva pensare che leggendoli, o anche solo sfogliandoli, le loro anime diventassero più forti grazie a noi. Presi uno libro dall’aspetto antico da uno scaffale, che scoprì essere quello dei testi religiosi e, sotto lo sguardo divertito di Qemuel, che invece aveva preso un libro di favole, mi sedetti per terra a leggere. Lui si mise vicino a me, e non so come, dopo un po’ mi ritrovai appoggiata a lui. Mi faceva sentire al sicuro, anche solo essere poggiata a lui. Era come se, ovunque fossi, bastava sfiorarlo per sentirmi a casa. Iniziai la lettura avvolta dal suo dolce odore… Odorava di mare, di gioia, di serenità… Sembra strano, ma era questo ciò che mi trasmetteva il suo odore. Non so come, ma ad un certo punto mi addormentai. Mi risvegliai ore dopo, appoggiata sulle ginocchia di Qemuel, quando ormai erano le sette e la biblioteca stava per chiudere. Lo guardai ancora assonnata e lui mi restituì un occhiata divertita.
- So che mi stavi sognando – disse lui malizioso – Spiega la bava.-
Appena capii dove mi trovassi, mi alzai imbarazzata e presi il libro.
– Non l’ho finito… Non l’ho nemmeno iniziato. – gli dissi arrabbiata con me stessa.Lui ridacchiò.
– Vorrà dire che dovrai fare i compiti a casa. - disse mentre posava il suo.
Per un istante sembrò sul punto di prendermi per mano, sentii le sue dita cercare le mie ma poi sembrò ripensarci. Segnai il libro sul registro e lo infilai nella borsa.
- Andiamo a prendere qualcosa al bar? – mi disse con un sorriso.
- Volentieri – risposi – ho proprio bisogno di un caffè.-
Prendemmo dei caffè da portare e delle ciambelle al cioccolato e poi andammo a sederci al parco. Parlammo di tante cose e quando tornai a casa ormai erano le 2 di notte passate. Andai nel bagno, accesi la doccia e lentamente mi spogliai. Prima di entrare nella doccia aspettai che si formasse una nube di vapore nel bagno, che appannò i vetri e gli specchi. Mi infilai sotto il getto dell’acqua calda, ripensando a quel pomeriggio con Qemuel… Non avevamo fatto niente di eccezionale eppure io mi sentivo.. Felice. È così che lui mi faceva sentire ed era una cosa nuova per me. Dopo un po’ chiusi il getto dell’acqua, mi avvolsi in un asciugamano e con i capelli ancora gocciolanti mi infilai sotto le coperte. Ma mi sentivo osservata, sapevo di non essere sola. E poi la sentii, quella ventata di profumo, del SUO profumo… Quella ventata di Black Orchid.

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Capitolo 4
*** Speechless ***


 

Mi alzai di scatto, mi infilai la vestaglia che giaceva abbandonata su una sedia e accesi la luce. Lui era lì, in tutto il suo angelico splendore. Era Michael, era lì, a due passi da me, e io non riuscivo a pensare, avevo gli occhi lucidi e sentivo che a breve avrei pianto.
Indossava una camicia bianca sbottonata a metà e infilata in un pantalone grigio. Ilunghi ricci neri gli incorniciavano il volto  sul quale splendevano i suoi enormi occhi neri. Nulla in quel momento aveva importanza, era come se esistessimo solo noi sul pianeta: lui mi stava guardando e sorridendo, di cos’altro avevo bisogno per essere felice?
 Tutto quello che riuscii a fare fu sussurrare –Sei qui…-
E poi, da brava fan, mi quasi lanciai addosso a lui per abbracciarlo, dimenticandomi che lui era pur sempre un fantasma, e per poco non andai a sbattere contro le ante dell’armadio.
Lui ridacchiò e poi mi guardò con il sorriso ancora sulle labbra e la stanza sembrò illuminarsi. Sentivo che le mie gambe stavano cedendo, mi sedetti sul letto e lui vicino a me.
Sapevo che avrei dovuto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma avevo perso il controllo del mio corpo e soprattutto non riuscivo a formulare una frase di senso compiuto. Persino pensare in quel momento risultava complicato.
 Sapevo che se lui era venuto da me non era di certo per il piacere della mia compagnia ma perché, come tutti i morti che vedevo, aveva bisogno di aiuto.
- Ciao – disse lui dolcemente.
- Michael... - risposi stralunata e cercai di diventare più professionale  - Sei qui perché vuoi che mandi un messaggio ai tuoi figli? –
- No.. Non so perché sono ancora ancorato alla terra. Vorrei andare avanti ma qualcosa mi trattiene e mi porta qui, da te.-
Sentii che il mio cuore aveva appena perso qualche battito. Lui era trattenuto e trascinato verso ME? Sapevo che non avrei dovuto, che era sbagliato ma ero contenta del fatto che lui fosse ancora sulla terra.
- Secondo te cosa mi trattiene? –
- Non lo so…- sussurrai.
- Mi dispiace causarti fastidio, non vorrei essere d’intralcio con la mia presenza alla tua vita.-
Come avrei potuto dirgli che non era un intralcio? Che in quel momento ero la persona più felice del mondo? Volevo quasi darmi un pizzicotto per accertarmi che non fosse tutto un bellissimo sogno. E allo stesso tempo avevo paura di svegliarmi.
- Troverò il modo di farti andare avanti. – gli promisi con una stretta al cuore perché avevo paura di non vederlo più. Mi sentivo una persona orribile ma non potevo farci nulla.
Lui mi sorrise e sembrò che volesse quasi farmi una carezza ma poi sembrò ripensarci.
Si alzò dal letto.
- Ora purtroppo devo andare via, ma ti prometto che tornerò presto.-
E poi com’era venuto così andò via, all’improvviso e senza che io avessi la possibilità di capire cosa stesse succedendo lasciandosi dietro una ventata di profumo.
Io non avevo abbastanza forza per alzarmi e appena fui certa di essere sola scoppiai a piangere e allo stesso tempo ridevo come una matta. Mi sentivo una stupida ma non potevo farci nulla.
Mi pizzicai il braccio e chiusi gli occhi. Quando li riaprì non era cambiato nulla e sentivo ancora quell’odore nell’aria. A quanto pare era tutto reale e lui era veramente stato lì con me!

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Capitolo 5
*** Helena ***


Quel giorno dovevo di nuovo vedermi con Qemuel; era da tempo che volevamo andare ad un faro fuori città ma non ne avevamo mai avuto il tempo. Mi misi abiti comodi e scarpe da ginnastica, visto che il luogo era abbastanza fuori mano e non volevo fare la figura dell’imbranata, anche se probabilmente l’avrei fatta comunque. Mentre mi preparavo stavo attenta ad eventuali cambi di odore nell’aria e scrutavo ogni angolo nella speranza di vedere Michael spuntare all’improvviso.
Alle 10 scesi e Qemuel era già sotto casa mia con l’Harley Davidson parcheggiata sul marciapiede. Reggeva un casco in mano e l’altro era appoggiato sul sediolino della moto. Persi qualche attimo a guardarlo. Era proprio… Divino. Non c’erano altri termini per descriverlo. Sembrava quasi un angelo. I lunghi capelli biondi risplendevano alla luce e contrastavano con il suo abbigliamento scuro da bad boy (canotta di qualche gruppo rock e jeans stracciati con borchie e catene).
- Helena, Helena you've given love and massive pain. Helena, Helena your words are burning like black rain - Mi salutò canticchiando una canzone, probabilmente degli Axxis. E poi mi porse il casco sulla moto mentre si infilava il suo.
- Buongiorno anche a te.- gli dissi sorridendo e lui mi rispose con un occhiolino.
Mise in moto sempre continuando a canticchiare - Helena, Helena you set my soul in ecstasy. Helena, Helena you were my saint my sanctuary. –
Mi sedetti dietro e, non sapendo dove mettere le mani, le misi intorno ai suoi fianchi, appoggiandomi a lui, mentre partiva sgommando da casa mia.
Dopo un’ora di viaggio lungo al costa arrivammo al faro, circondato da tanti alberi ed erba altissima.
- Ed eccoci qua.- disse togliendosi il casco e sistemandosi i lunghi capelli che risplendevano alla luce.
- E’ bellissimo qui.- dissi stupefatta osservando il panorama.
- Devi vedere in cima al faro.- disse lui ammiccante. Poi mi prese la mano e ci dirigemmo verso il faro.
Mi sentii pervadere quasi da una scossa che partiva dalle nostre mani e si irradiava in tutto il mio corpo; quasi sicuramente ero arrossita ma fortunatamente lui non me lo fece notare. Armeggiò con la serratura e la porta si aprì cigolando. Dentro la luce filtrava da delle finestrelle rotte e la polvere turbinava nell’aria. Iniziammo a salire le scale in ferro, io titubante lui divertito. Chissà da quanti anni non salivano persone lì. In cima c’era il vecchio appartamento del custode, di cui restava un vecchio divano mangiato dalle tarme, un tavolo in legno e lo scheletro di un letto. Sugli scaffali c’erano ancora dei libri di navigazione impolverati. Al centro della stanza c’era una scala a chiocciola che portava in cima. Qemuel aveva ragione, lo spettacolo da lassù era stupendo. Mi appoggiai alla ringhiera guardando l’oceano che si prostrava infinito davanti a me. Improvvisamente lui mi cinse da dietro e mi diede un delicato bacio sul collo, che mi fece scorrere dei brividi di piacere dal collo fino al ventre. Mi girai verso di lui e incrociai i suoi occhi blu, persino più blu del mare, che mi fissavano. Avevano un qualcosa di sovrannaturale in quel momento, con le pagliuzze dorate che splendevano per i raggi del sole. Non sapevo cosa mi stesse succedendo ma avevo una voglia matta di baciarlo; così lo feci. Gli infilai la mano fra i capelli e lo tirai a me, baciandolo con passione. Un bacio a cui lui rispose con entusiasmo e in men che non si dica eravamo sul polveroso divano del custode, io in braccio a lui, lui con le mani sul mio sedere a baciarci con passione.
Sapevo che non era il momento adatto ne il luogo però sentivo che volevo andare oltre i baci così gli sfilai la maglietta e nel farlo sentii delle profonde cicatrici sulle sue scapole. Mi fermai di colpo e le osservai da vicino. Erano veramente profonde e dai bordi rosei e regolari.
- Come te le sei fatte? – gli chiesi
- Te l’ho detto, mio padre era molto dolce con noi.- disse con un filo di voce – scusa non ho voglia di parlarne.-
- Va bene.-
Ormai il momento era perso e ci guardammo imbarazzati. Poi lui sorrise e si rimise la maglia. Io mi alzai cercando di aggiustarmi i capelli.
- Torniamo a casa?-
- Sì- sussurrai.
Il viaggio di ritorno non parlammo molto. Almeno per quel che mi riguardava, ero troppo occupata a pensare a ciò che era appena successo; e troppo occupata ad imprimermi nella mente il suo sapore e la sensazione delle sue mani sul mio corpo.
Parcheggiò sotto al mio portone. Smontai goffamente dalla moto e gli porsi il casco. Lui però afferrò la mia mano e mi tirò a sé, baciandomi.
- Ci sentiamo.- mi sussurrò ad un centimetro dalle mie labbra. Ma io avevo momentaneamente perso la capacità di parlare.
Lui ridacchiò e ripartì, lasciandomi lì a fissarlo imbambolata. 
 

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