La vera storia di Bocca di Rosa di deniefn (/viewuser.php?uid=474265)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
boccadirosa
Confusione.
Ecco cosa si trovava nella testa della Signorina Sofia.
Quella
sensazione di essersi smarriti, di non trovare il cammino. Anzi,
più che non trovarlo.. non sapere proprio qual'è.
Trovarsi
in un bivio, dove ogni strada ne offre altre più piccole, magari
più facili ma forse.. non più felici.
Ebbene
si. Sofia, sui 26 anni, aveva dei folti, lunghi,voluminosi e mossi
capelli castani. Gli occhi erano di un marrone scuro, ornate da belle
ciglia, e lo sguardo era simile ad un felino. Forse per questo quasi
tutti gli uomini impazzivano per lei. Le labbra, molto spesso tinte da
un rossetto rosso acceso, erano abbastanza carnose ed i denti erano un
pò sporgenti: ma questo non era mai stato un problema, il suo
sorriso era comunque uno dei più belli del suo paesino.
Ma quello non era il suo paesino, lei era lì per un motivo: lei era lì per portare l'amore.
Essendo
innamorata della vita, non l'era difficile portarlo con sé e
donarlo a chi ne aveva più bisogno. E quella sua bella bocca
aiutava nel suo intento tanto che dalla gente fu chiamata "Bocca di
Rosa". E perciò da questo momento in poi così la
chiamerò, in quanto se domandassi per strada di "Sofia" nessuno
ne rammenterebbe il nome.
Tutto
iniziò un anno prima, circa nel 1956, quando Bocca di Rosa
arrivò nel paesino di Sant'Ilario con un semplice borsone, i
capelli raccolti di lato da una molletta a forma di fiore ed un vestito
bianco che faceva risaltare le forme. Il contrasto tra la purezza del
suo vestito e il rosso desiderio del suo rossetto, creava confusione
sulla personalità della ragazza. Sorrideva e i suoi occhi
brillavano, sembrava portasse con sé la felicità.
Camminava con un foglietto in mano e ora no.. non ricordo se
andò verso il centro o verso la periferia.
Fatto stà che scomparve da sotto i miei occhi.
Chi
sono io? Nessuno. Sono solo una povera vittima del suo amore, il
narratore della storia, colui che vuole ricordarla e farla ricordare
alla gente scrivendo di lei su fogli di carta.
Lei,
che con la sua camminata impacciata ma seducente si allontanò
dalla stazione e dalla mia vista e non riapparve per ben 2 giorni.
Ma
già passando per le quiete strade di Sant'Ilario, si sentivano
le donne spettegolare di lei -" Ha i capelli troppo crespi" -
"Sicuramente ha il seno rifatto".
Racchie
invidiose che non avevano di meglio da fare, ma una cosa era certa:
Bocca di Rosa aveva attirato l'attenzione di tutti quanti.. del
fruttivendolo, dello spazzino, del pescivendolo e perfino del vedovo
fornaio, che non guardava donne da tempi immemorabili.
Come lo so? Ogni giorno sono solito andare a fare la spesa e comprare le
pietanze che avrei consumato a pranzo e a cena. Adoro i cibi freschi e
in più non mi dispiace nemmeno fare una passeggiata per il
villaggio e scambiare qualche chiacchiera.
Non
nascondo che quel giorno scesi più nella speranza di rivedere
quell'incantevole ragazza che mi aveva rubato i pensieri.
Camminando,
camminando notai che molti parlavano di una ragazza apparsa
improvvisamente per le strade del paese in vestito bianco che donava
sorrisi e buongiorno a tutti.
Quanto avrei dato per poterci essere, per ricevere anche io quella piccola attenzione da parte di quell'angelo incarnato.
Sapevo
da subito che parlavano di lei, di solito gli uomini quì si
limitavano a parlare del lato B sproporzionato della signora Rossi ( la
donna più facile del villaggio). Ma da quel giorno..c'era magia
negli occhi di tutti quanti.
Tornai
a casa pregando fino all'ultimo di incontrarla, con scarso risultato, e
mi misi a cucinare. Perso nei miei pensieri coperti di rosso e di un
sorriso, mi tagliai un dito tagliando il pane. Che idiota.
Ed
è poco dire che passai tutto il giorno come se fossi sotto
"pilota automatico": il mio corpo si muoveva ma la mia mente era sempre
a lei.
Il
giorno dopo mi svegliai di buon ora, euforico di poterla incontrare.
Feci un giro per la zona, scrutando ovunque, e sembrava che tutti
tenessero attenzione alla strada in attesa della sua comparsa. Dopo
aver fatto tre volte il giro per la cittadina, sfinito e sopratutto
fallito, mi diressi verso casa tenendo due buste, abbastanza pesanti,
della spesa. E nell'arco di un secondo, voltandomi con distrazione
verso destra, mi sembrò di vedere una chioma castana voltare
dietro un angolo.
Il
cuore mi salì in gola, mollai con violenza le buste per
raggiungerla avendo giusto il tempo di vedere, di sfuggita, lo sguardo
sorpreso dalla mia reazione del meccanico. La speranza mi stava
travolgendo il corpo, il cuore batteva all'impazzata: non so se per la
corsa o per l'emozione. E quando finalmente raggiunsi l'angolo che mi
separava da lei.. quest'ultima non c'era. Dov'era?! No, l'avevo persa..
Tornai
al posto dove feci quella scenata pietosa qualche momento prima e
trovai il meccanico che mi porgeva le buste con un ampio sorriso
divertito << Ha fatto impazzire anche te >>. Lo risposi
guardandolo in silenzio: non c'era niente da obbiettare, era vero e si
vedeva.
Durante
tutto il giorno non feci che avercela con me stesso per la mia mancata
atleticità " Potevi correre più veloce, cretino".
Quasi
tutti nel villaggio l'avevano incontrata, conoscita, contemplata.. io a
malapena l'avevo vista. Perché cootanta sfortuna? Perché
proprio a me?
La
notte non dormì sogni tranquilli e la mattina non mi svegliai di
buon ora come il giorno prima, ma più tardi e più
goffamente.. come se fossi stanco della vita.
Verso
mezzo giorno feci un salto dal salumiere e mi feci preparare un paio di
panini. Ero in voglia di fare un pic nic.. di stare all'aria aperta e
distrarmi un pò.
Dopo
aver camminato una buona mezz'ora, raggiunsi il boschetto e decisi di
stabilirmi nel mio posto preferito: a 10 minuti dall'entrata del bosco,
andando sempre a sinistra, si trova uno stagno accintato da tanti
piccoli alberi che rilasciavano un buonissimo odore.
Mi
sedetti su un tronco ed iniziai ad assaporare il mio pasto. Mi ricordo
che gli uccelli cinguettavano, gli alberi quasi parlavano, le ranocchie
saltellavano di quà e di là ed io mi perdevo in quella
calma, nella mia privacy: io, lo stagno e la foresta. Quasi mi
dispiaceva mangiare poiché il mio masticare distruggeva la
melodia della foresta.
Eppure improvvisamente quella sinfonia fu interrotta dal rumore di risate.
Le risate erano due: un uomo ed una donna.
Non riuscivo a vederli eppure l'istinto mi diceva che erano vicini e che mi dovevo nascondere.
Trovato un cespuglio vicino ad un grosso masso, mi ci fiondai dentro e cominciai ad ascoltare.
<< Perché hai scelto proprio questo posto? >> una voce maschile chiedeva, divertita.
<< Mmmh.. adoro la pelle al contatto con l'erba fresca >> rispondeva la donna cn tono spassoso ma.. seducente.
<<
Ma per avere la pelle al contatto con l'erba dovresti stenderti..
completamente nuda >> continuava l'uomo lo strano discorso.
<< E' un problema? >> domandava la donna stando al passo.
Essendosi
la conversazione scaldata, la curiosità di sbirciare e vedere
chi fosse, era troppo forte. Ero in un misto di emozioni: adrenalina,
divertimento, vergogna ma sopratutto curiosità, curiosità
di sapere chi fossero e come finisse la conversazione.
Improvvisamente sentì solo una risata, quella femminile, e poi.. silenzio.
Non ce la feci più: mi affacciai. Ed ecco che mi crollò il mondo addosso.
Lei.
Avvolta dalle braccia del proprietario del ristorante "L'Aragosta". Quel viscido verme! E' pure sposato!
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai loro visi: come lui la baciava e le succhiava il labbro inferiore.
Lei
sembrava un angelo corrotto da un demone, il latte macchiato dal
caffé, il cielo coperto da nuvole. E tutto ciò che
sentivo era rabbiae delusione, mentre lui piano piano gli sfilava il
suo vestito floreato, scoprendo una spalla, poi scoprendo l'altra e
infine facendo uscire i seni..troppo perfetti per essere toccati.
E poi.. poi non ce la feci più a guardare. Strisciando via penso di aver fatto rumore, ma non m'importava.
Il mio cuore era come stritolato, soffocatoe forse questo era il motivo
per il quale non riuscivo a respirare. Davo calci a tutti gli alberi
che incontravo per la via, non riuscivo a capire il motivo per il quale
stessi così male. Chi era lei? Cos'aveva dentro che mi facesse
così tanto impazzire?
Per tornare a casa ci misi la metà del tempo.
Ero così furioso.
Eppure la verità era che.. non conoscevo nemmeno il suono della sua voce. Chi ero io per intrattenermi nella sua vita?
Non conoscevo nemmeno il suo nome..
Mi fermai davanti alla mia penosa immagine dello specchio: io non ero
quell'uomo, tutto sudato, rosso di rabbia e di desiderio, occhi gonfi
per la tristezza.
No, quell'uomo non ero io.
Ferito dentro, mi diressisubito verso il letto e, per evitare di
pensare, mi addormentai verso le cinque del pomeriggio. Ma naturalmente
mi svegliai durante la notte, forse verso le tre.
Non avevo cenato ma il mio stomaco rifiutava cibo. Volevo solo un po d'aria fresca. Aprii la finestra.
Scorsi un'ombra astratta che correva.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
boccadirosa new
L'ombra era avvolta da un lungo mantello e quindi mi era impossibille scoprirne il sesso.
Ma
quell'ombra, allo stesso tempo, era l'unica luce nelle piccole strade
di Sant'Ilario in quanto si orientava grazie ad un piccolo lume.
Incutendomi molta curiosità e non avendo più sonno, decisi di seguirla.
Scesi di fretta e furia per non perdere il bagliore di quella luce e iniziai a camminare velocemente.
Le
stradine erano veramente buie ed io camminavo senza sapere cosa ci
fosse davanti a me. Ed ecco che improvvisamente inciampai addosso a
qualcosa che sembravava vivo.
<<
Grr chi diavolo è a quest'ora?! >> brontolava una voce
anziana. Mi allontanai di colpo e cercai di scorgere il volto.
Intanto
il vecchio, un po goffamente, accese un fiammifero. Inizialmente non lo
riconobbi, poi vedendolo meglio capì che era Don Maurizio,
l'ubriacone della città.
<< Don Maurizio, cosa ci fa qui a quest'ora della notte? >>
Gli
porsi una mano per aiutarlo ad alzare ma fui colto alla sprovvista dal
suo peso e, invece di sollevarlo, caddi a mia volta insieme a lui.
<< Ah mio caro, sei proprio fatto di marzapane >> borbottava Don Maurizio.
Sapevo
che era un insulto, ma in quel momento mi veniva da ridere: sia per la
situazione, sia per il suo tono di voce, privo di razionalità.
<< Dove abita Don Maurizio? >>
<< Eee Giovincello, non iniziamo a fare un interrogatorio >>
<< Vabbene.. >> risposi cercando di soffocare le risate.
Dopo
20 minuti di camminata, ascoltando le frasi e i racconti senza senso di
Don Maurizio, rangiungemmo una locanda che aveva come proprietaria una
donna, sulla 40ina, al quale ero molto affezionato.
Il
perché? Semplice. Era un'amica molto affiatata di mia madre. Si
volevano molto bene e passavano quasi tutte le giornate insieme; quindi
durante la mia infanzia fu quasi come la mia seconda mamma.
Poi la mia prima.. ci lasciò per andare in un posto migliore. Avevo solo 15 anni.
Facendo
troppo male il suo ricordo, io e questa signora ci distaccammo. Ma
comunque il mio affetto nei suoi confronti c'era sempre.
Alla
vista di me e Don Maurizio scoppiò in una risata rumorosa:
<< Figliulello mio, esci con Don Maurizio adesso? >>
Le raccontai tutto e le chiesi se per la notte avrebbe potuto pernottare lì.
Lasciata la locanda, mi avviai verso casa.
Niente luce, ma non importava: almeno ero riuscito un po a distrarmi da.. quel pensiero.
Arrivato a casa, mi preparai una camomilla e verso le 5 ero di nuovo a letto.
Perdendo
la cognizione del tempo, fui svegliato dall'uomo che ogni giorni,
all'ora di pranzo, si veniva a prendere i sacchetti della spazzatura.
Passava sotto le case con un piccolo carro trainato da un povero asino.
Maledizione,
avevo saltato il lavoro. Si, lavoro. Presso un contadino che coltiva la
maggior parte delle verdure che vengono consumate nel paese.
Ma siamo molto legati quindi mi perdonerà. Si, sono una persona abbastanza amata eppure sono un tipo solitario.
Decisi
di pranzare fuori: scelsi un piccolo ristorante all'angolo tra Via S,
Lorenzo e Via Chiabrera. Il proprietario era mio cugino.
Fu
solo quando mi sedetti al tavolo che notai che era proprio difronte al
"RISTORANTE L'ARAGOSTA". Mi si gonfiò una vena sulla fronte.
E in più, ecco lei seduta. Mi si gonfiò una seconda vena.
L'unico
posto, l'unica persona che non volevo vedere. Che ironia della sorte:
in quel momento mi sentivo molto preso in giro dal destino.
Cercai di calmarmi e di distrarmi leggendo il menù:
PRIMO
Spaghetti con Aragosta
SECONDO
Aragosta con frutti di mare
Ecco
una terza vena. Mi sentivo come una formica presa di mira da tanti
bambini: io ero la formica e il destino, la sorte, la sfortuna e tutte
le cose brutte erano i bambini.
Presi solo la pasta al sugo e un po di vino.
Sebbene
continuassi a guardare il vaso di fiori difronte a me, era come se
riuscissi a scrutare ogni suo movimento, ogni suo sorriso, ogni suo
sospiro. Ma la voglia di contemplarla era troppo forte. Allungai lo
sguardo verso di lei: nell'arco di un secondo riuscii solo a vedere che
i lunghi capelli erano raccolti da una treccia.
Feci
passare un altro minuto ed allungai un altro piccolo sguardo.. durato
questa volta due secondi. Il suo rossetto rosso, il suo vestito color
porpora. Guardava la strada e il venticello le accarezzava la pelle. Un
altro minuto, uno dei più lunghi della mia vita. Quando mi
voltai per guardarla, il suo sguardo era rivolto verso me. Fu
così che notai una piccola cicatrice sotto l'occhio sinistro.
Quando
distolsi lo sguardo da quella piccola imperfezione che forse la rendeva
ancora più perfetta, fui colpito dal suo sorriso.
Proprio
in quell'istate arrivò mio cugino con il piatto di pasta in
mano. Preso dalla vergogna per quella impercettibile attenzione, rosso
in viso, presi subito il piatto di pasta, ignorando completamente mio
cugino. Presi una forchettata della pietanza.
<<
Ma da quando non si saluta più, cuginetto mio? >> Un
secondo dopo, cominciai a dimenarmi dal dolore: la pasta scottava. Un
dolore atroce. Sputai.
<< Cosa c'è? Non è di tuo gradimento? >>
Con
la bocca dolorante, riempì velocemente un bicchiere di vino e
bevvi tutto d'un fiato. Mentre bevevo, posai i miei occhi su di lei e..
rideva. Rideva di me. Che vergogna. Altro che formica, ora ero proprio
un moscerino. Tutte le sfortune del mondo mi avevano preso di mira.
Chi figura di niente.
<< Dovresti chiamarlo INFERNO di Sugo! Non Pasta al Sugo! >>
<< Suvvia cuginetto, da quando in quà si serve la pasta fredda? Ahahah >>
Mio
cugino si addiceva proprio a quel lavoro: oltre ad essere il
proprietario era anche il cuoco e infatti era cicciottello con le
guancie e il naso rosso. Lunghi baffetti neri e capelli coperti da un
malconcio cappello bianco da chef.
Consumai il mio pasto, soffiando almeno una 20ina di volte prima di ingerire.
Lei
era sempre lì e scambiava delle chiacchiere con un signore
seduto al tavolo affianco. Provai un sentimento da poco conosciuto.
Una
specie di rabbia, di fastidio, di invidia.. gelosia, ecco. Come
facevano gli altri ad essere così tranquilli spensierati
difronte ad un angelo.. o ad un demonio?
Ferito
ancora una volta, lasciai i soldi sul tavolo, salutai da lontano mio
cugino e, con molta freddezza e distaccamento, mi allontanai da quel
luogo. Ancora una volta i nostri occhi s'incontrarono e giuro che, come
per magia, il sentimento di poco prima era svanito. Completamente
scomparso. Dio.. ma come faceva?
Una
volta calmatomi, raggiunsi la terra dove lavoravo. Mi aspettavo di
trovare il contadino arrabbiato, almeno un po, invece si rilevò
preoccupato. Lo rassicurai inventando di non aver sentito il gallo
cantare e mi scusai.
Ormai
per le strade si erano fatte due opinioni diverse riguardo a Bocca di
Rosa: quella maschile, altamente positiva; quella femminile,
sorprendentemente negativa.
Girava voce che avesse passato la notte con due uomini diversi, ma i nomi erano ancora ignoti.
Eppure
io non riuscivo ad odiarla. Da quando era arrivata lei, il paese era
come se fosse sempre in fiore. Si, con lei era arrivata la primavera.
Tornato
a casa, non pensai altro che al suo sorriso rivolto a me. Quei denti
impercettibilmente sporgenti. Le sue forme.. tutto il mio io la bramava.
I
giorni successivi, ebbi sue notizie tramite i pettegolezzi e le
novità degli altri. Si diceva che avesse camminato per le strade
di Sant'Ilario con il sindaco Vittorio Pertusio; che avesse innaugurato
un nuovo negozio; che fosse stata ospite d'onore in un matrimonio.
Tutti l'adoravano. Con lei tutti erano felici. Non so com'era possibile, ma era così.
Donne e mogli erano un altro paio di maniche: la odiavano, la disprezzavano e l'ignoravano.
Infatti
Bocca di Rosa, da quanto sentito, non aveva amiche eccetto la S. Rossi
( la donna più facile della città) ma quest'amicizia non
faceva che rovinare ancor di più la sua reputazione.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Capitolo 4 ***
bdr
Sentendomi
abbastanza non gradito in quel momento, me ne andai. Non mi aspettavo
questa reazione. "Quella sgualdrinella".. non l'avrei mai chiamata
così, eppure forse le si addiceva. La cosa incredibile era che,
sebbene involontariamente mi facesse del male e a volte la odissi, non
riuscivo a non proteggerla da qualsiasi "malparliere". Non avevo
mangiato, ormai erano le 4. Non avevo molto da fare, né la
voglia. La gente per strada parlava, parlava e sembrava dicessero "
Guarda quello sfigato innamorato!" Ma era impossibile, nessuno.. a
parte Imma ed Il pescatore Fred, sapeva dei miei sentimenti. Della
tempesta che nascondevo dietro al bagliore di un sorriso.
Tornai
a casa, afflitto, e mi misi ad ascoltare un po la radio. Sotte le note
di "Fantastica" di Fred Buscaglione, facevo cullare la mia tristezza e
la mia solitudine. Cenai solo con un po di frutta fresca: in effetti
ero dimagrito ma questo non mi toccava più di tanto.
Il
giorno dopo era domenica ed io sentivo la necessità di stare un
po fuori casa. Visto che tutte le famiglie di Sant'Ilario e dintorni,
ogni domenica, occupavano ogni angolo del bosco per mangiare ogni tipo
di pietanza esistente nel mondo.. optai per il mare. Di solito questo
giorno festivo lo passavo o nel ristorante di mio cugino o con Imma ma
con il primo non ne avevo voglia (brutti ricordi), con la seconda non
mi pareva il caso. Avevo sentito che Fred, tutte le domeniche, metteva
a disposizione la sua barca per fare giri sulla costa a poco prezzo.
Raggiunsi la barca verso le 11:00 : il mare non era molto calmo, il
tempo non così bello e non c'era quasi nessuno a parte Fred, il
figlio ed una famiglia composta da un uomo calvo e panciuto, una donna
in carne con troppe rughe e almeno 4 bambini da i 3 ai 10 anni. Dopo
varie insistenze, Fred mi convisse a non pagare la gita in quanto me la
offriva lui. Mi misi a prua ad assaporare il salato vento di mare. La
famiglia si sedette su delle panche e, tra vari strilli della donna per
colpa dell'irrequietezza dei bambini, Fred mise in moto. Mi stavo
rilassando, davvero, ero in pace con me stesso e riuscivo a non
pensare. Mi ci voleva proprio un po di serenità. Ed ecco che ad
un tratto spuntò "lei" dalla cabina di comando. Ricordo che
pensai "Oh, merda." Non avevo via di uscita, non potevo mica buttarmi
dalla barca.. la costa era troppo lontana! Il panico mi invadeva il
corpo, il battito cardiaco aumentava. L'uomo calvo e panciuto, alla sua
vista, spalancò la bocca. Ci mancava poco che gli andassi a
spaccare la faccia. Poggiai la testa sulla ringhiera e cercai in tutti
i modi di ritrovare la calma che avevo perso un minuto prima.
<<
E tu chi sei?>> una voce femminile mi fece sobbalzare. Era la
signora in carne che vedendomi da solo mi invitò ad unirsi a
loro. Ammetto che nella mia mente gliele mandai di tutti i colori. Ma
una volta girato per dirigermi verso le panche, mancava poco che ci
restavo secco. Lei era seduta, con loro. Il posto affianco a lei,
libero. Forse non uno.. ma più infarti insieme stavo avendo in
quel momento. Aveva un vestito più sobrio color begie, i capelli
legati da una cosa di lato, il solito rossetto rosso e dei tacchi, non
troppo alti, neri. Camminavo come se stessi andando al patibolo, lo
sguardo basso. Le imprecazioni mi uscivano dale orecchie. Mi sedetti,
abbastanza lontano da lei. Fui accolto dal suo profumo.. aveva ragione
Peppino il fruttivendolo: era del fiore più profumato.
Timidamente alzai lo sguardo, che lei ricambiò con un dolce
sorriso.
<<
Piacere.. Sono Sofia >> mi disse porgendomi la mano. Quella frase
mi fece saltare. Non ero pronto a parlare con lei, non mi ero preparato
nessun doscorso. Il tocco della sua mano con la mia fu quasi magico: la
pelle era delicata e soffice.
<<
Piacere Fabrizio >> Ora, avrete sicuramente notato che questa
è la prima volta ( e forse anche l'ultima) che dico il mio nome.
Il perché? La risposta è semplice: non è
importante, è lei il soggetto della storia, non io. Ripeto, io
sono solo uno dei tanti e se l'ho scritto è solo perché
sto scrivendo il vero discorso che c'è stato tra me e lei.
<<
Mi mancavi solo tu da conoscere! >> io la guardavo in silenzio
con un mezzo sorriso dal tono amaro. Lei continuò: << Sei
un tipo solitario, sei sempre solo >> L'aveva notato? Si era
accorta di me?
<<
Si.. mi piace la solitudine >> ammisi. Le parole mi uscivano con
molta difficoltà dalla bocca: mi si era creato una specie di
nodulo che mi bloccava la voce e la saliva.
<<
Spero solo di non darti fastidio >> mi disse sorridendo. No.. era
ovvio che non mi dava fastidio, anzi.. quella felicità quasi mi
uccideva.
<<
No.. certo che no.. >> Notai che mi diede subito il "tu", come se
ci conoscessimo da tempo. Ma la cosa non mi dispiaceva, tutt'altro.
<< Lavori? >> chiese con curiosità.
<< Si, presso un contadino.. >>
<< Ah, coltivi? >>
<<
Si >> Quando le parlavo, dovevo per forza guardarla per non
essere scortese. Ma io avevo paura che se avessi rivolto lo sguardo su
di lei, non sarei più riuscito a distoglierlo. Da vicino, la
cicatrice sotto l'occhio sinistro era ancora più evidente.
<<
Cosa l'è successo sotto l'occhio sinistro? >> maledetto
impulso e maledetta lingua mia. Ma come mi era venuto di fare una
domanda così personale dopo solo un paio di minuti di
conoscenza?!
<< E' una storia lunga, un giorno, se vuoi, te la racconterò >> mi rispose senza mai smettere di sorridere.
<< No, no.. non si preoccupi.. era solo curiosità, non è importante.. >> Scoppiò a ridere.
<< Sei diventato tutto rosso! Comunque non mi dare del lei, mi fai sentire una vecchia >> gli occhi le brillavano.
<< Ah, giusto. Mi scusi.. >>
<< Fabriziooo >>
<<
Ah, già ma non lo faccio apposta >> bel cretino. Non
riuscivo proprio a riflettere in sua presenza. Il viaggio sulla costa
fu troppo breve. Non riuscì nemmeno per un secondo a rilassarmi.
Ero troppo emozionato, era da troppo tempo che sognavo questo momento.
Avevo bramato un'attenzione, anche piccola, da giorni e giorni e il
destino aveva finalmente ricompensato la mia pazienza con, addirittura,
un dialogo durato un paio di ore. Di cosa parlavamo? Non lo so con
precisione. Ero troppo in fibbrillazione in quel momento. Ma
sicuramente erano sciocchezze. Era così spensierata, così
bella, così felice.. ma allo stesso tempo così
misteriosa. Io riuscivo a vedere il suo animo. Stando sempre solo,
impari ad osservare. Dietro a quella maschera di risate e di amore, si
nascondeva qualcos'altro. Qualcosa di triste, non saprei dire con
precisione. Finita l'escursione, per la tristezza quasi piangevo.
Perché sebbene avessimo preso abbastanza confidenza, ero
terrorizzato dall'idea che tutto sarebbe tornato come prima. Che magari
c'incontrassimo per strada e ci limitassimo ad un semplice saluto o
peggio.. nemmeno quello. Il mio piede toccò il molo con
malavoglia e con tristezza. Poi aiutai lei a scendere, porgendole la
mia mano. " Per la sbadata che sono, sicuramente cadrò". Questa
frase mi fece sorridere. Una volta che fummo occhi negli occhi, lei
concluse:
<<
E' stato davvero bello conoscerti, è un piacere parlare con te.
Sei una persona davvero cara >> Che.. cosa? No, no sicuramente
stavo sognando. Era inverosimile che tutte le mie preghiere si fossero
esaudite. Era impossibile che lei fosse davanti a me, a guardarmi, che
sapesse il mio nome, il mio lavoro.. che sapesse di me. Ed io di lei.
Le sue parole furono come un abbraccio al cuore, come un dolce bacio,
come una stretta di mano. Poi mi avvolse fra le sue braccia ed io ero
così leggero. Il suo odore mi entrò nelle narici, fino ai
polmoni. I suoi capelli mi solleticavano il naso (era più bassa
di me). Poi, troppo velocemente, appoggiò le sue labbra sulla
mia guancia e sorridendo mi disse un "grazie". La vidi allontanarsi. La
famiglia e i bambini mi salutarono e a malapena me ne accorsi. Ero
sotto la sua ipnosi, come sempre. Uscii da quell'incantesimo grazie
alle risate di Fred. Sentì un tono di complicità in
quelle risate, mi girai di scatto, come fanno i cani da caccia appena
sentono un piccolo rumore. Lo guardai con gli occhi trasformati in
fessure. Lui, sempre sghigniazzando, silenziosamente, stava fissando la
barca al molo. Mi avvicinai.
<< Beh Fred.. è stata una bella giornata no? >> Ero di fronte a lui con le braccia incrociate.
<< Sicuramente per te lo è stato di più.. >> soffocava le risate.
<< E perchè mai, le coste erano sempre le stesse >>
<< Si ma lei MIE coste avevano diverse FORME.. >> Non ce la fece più e cominciò a ridere.
<<
Io ti ammazzooo >> iniziai a rincorrerlo. Fred, continuando a
ridere, scappava dal mio sfogo momentaneo. Intanto il piccolo Marco,
figlio illeggittimo di Fred, era seduto su un muretto a godersi la
scena, facendo il tifo per il padre. Fred scappava come un'antilope e
la mia mancata atleticità mi proibiva di raggiungerlo. Rideva e
mi faceva la linguaccia mentre io sorridendo dicevo, con tono di
vendetta " Me la pagherai" Naturalmente, tutto si concluse con un
abbraccio.
Fui
invitato a mangiare un po di frittura di pesce e a bere del vino. Gli
raccontai tutti i sentimenti che provai durante la gita. Mi prese per
pazzo. Forse lo ero, davvero. Pazzo, pazzo di lei.. Per tutto il
giorno, non feci altro che rivivere dentro di me ogni piccolo
particolare di quell'escursione. I suoi bellissimi occhi da gatta, con
le sue lunghissime ciglia.I suoi capelli morbidi e profumati. Il tocco
delicato delle sue dita sulle mie, il dolce e innoquo abbraccio
rivoltomi e infine.. l'inaspettato bacio sulla guancia. Durato troppo
poco per essere così bello. Quando mi misi a letto, senza cena
anche quella sera, fui cullato da dolci sogni profumati che mi fecero
dormire come un bambino.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Capitolo 3 ***
jjjjjjjj
Un giorno passai per il fruttivendolo e notai una gran folla. Curioso
mi avvicinai: Peppino il fruttivendolo era intento a raccontare un
avvenimento che interessava parecchi di loro.
<< ...Poi l'ho portata sul terrazzo di casa mia. E si è
spogliata tutta quanta. Non potete immaginare! Due menne così..
>> mentre parlava, gesticolava rendendo ancora di più
l'idea.
<< Ha un bel culo?! >> chiedeva un
ragazzo.
<< Figliuolo, e che te lo dico a fare!
>>
<< Un buon profumo? >> domandava un altro nella
folla.
<< Del fiore più profumato! >> esclamò il
fruttivendolo baciandosi le dita della
mano.
Avvicinandomi a qualcuno, impaurito dalla mia intuizione, chiesi
conferma su chi fosse il soggetto della
storia.
<< Bocca di Rosa
>>
Essendo la prima volta che ascoltavo questo soprannome, inizialmente
non capii. Però ripensandoci.. prima dell'arrivo di "colei", non
avevo mai sentito questo nomignolo. Oltre lei, nuove persone non erano
arrivate.. quindi era lei.
Il tono del fruttivendolo mi fece uscire fuori dal mio
ragionamento: <>
<< Non credi siano fatti personali? >> la mia voce
uscì senza preavvisarmi. Si girarono tutti a guardarmi,
sparavo fulmini da tutti i
pori.
<< Come hai detto scusa?
>>
<< Ho detto "Non credi siano fatti personali tra te e lei?"
>>
<< Perché non dovrei raccontare una notte
così bella? >> scoppiò in una risata rumorosa,
seguita da quella di tutti gli
altri.
Mi iniziarono a prudere le mani, il mio respiro si fece sempre
più pesante. Come si permettevano?! Lei non lo
meritava!
Peppino il fruttivendolo, notando la mia espressione, cercò di
rassicurarmi: << E' solo una puttana >>.. non ci
riuscì, anzi peggiorò la
situazione.
Guidato dalla rabbia, feci uno scatto e lo colpì sul naso,
così forte che mi facevano male le nocche. Lui sbatté
contro il muro e cominciò a sanguinare. Ero davanti a lui, lo
guardavo soffrire. Lo volevo colpire ancora e ancora, quasi fino ad
ammazzarlo.
Ma perché lei aveva scelto lui? Perché si contornava di
persone tanto sgradevoli? Perché si comportava
così?
Con le mani che ancora mi prudevano, diedi un ultimo sguardo al
fruttivendolo, poi alla folla che era rimasta in silenzio, e infine mi
allontanai.
<< Scappa, scappa >> ripeteva Peppino con la bocca coperta
dalla mano e dal sangue. Non tornai solo perché non mi volevo
mettere nei casini per colpa di un omicidio.
Una cosa era certa: dovevo cambiare
fruttivendolo.
La cosa meno chiara era la mia reazione: ogni volta che si trattava di
lei, io non ci vedevo più. "Povero me! Il demonio m'insegue"
pensavo.
Una parte di me non voleva vederla più, non sopportava
più di essere sotto incantesimo, di essere vittima e servitrice
di un qualcosa a lei sconosciuta. Ma.. la parte più grande di
me.. soffriva. Soffriva per la sua lontananza, per non riuscire a
proteggerla abbastanza, per non averla tra le mie
braccia.
Basta, avevo solo bisogno di rilassarmi un
pò.
Nel posto magico del bosconon riuscivo più ad andare: mi
ricordava troppo una colomba chiusa in gabbia. La mia colomba chiusa in
gabbia.
Magari la costringevano, non
so..
Decisi di passare per la spiaggia. Vi rimasi fino a
sera.
Il venticello, dal sapore del mare, di metà Settembre mi
riempiva i polmoni. Il rumore delle onde, suonava come un carillon
nelle mie orecchie, mi rilassava e mi
tranquillizzava.
Incontrai anche Fred il "pescatore", a cui parlai dei miei sentimenti.
La sua conclusione fu: " Le donne, caro mio, sono come il mare aperto:
imprevedibili e
sconosciute".
Non che questa frase mi abbia molto rassicurato, ma comunque fui
attratto dal
paragone.
La mia infantile paura del buio mi convinse ad avviarmi verso
casa.
Ma allungai la strada.. perché, senza nemmeno accorgermene,
imboccai la stradina che passava davanti alla locanda dove alloggiava
Bocca di Rosa.
Con poche aspettative, allungai lo sguardo verso quelle finestre.
Mai vidi stella più bella.
Era lì, ignara della luce che emanava, intenta a sprimacciare
dei tappeti. Alzò lo sguardo, mi vide. D'altronde era facile
notarmi, ero l'unica figura nel paesaggio che non assomigliava ad un
albero.
E penso che anche nel buio si notava il rossore del mio viso. Il suo
volto era illuminato dalla luce fioca di una lampadina fuori alla
finestra.
Ero paralizzato: il suo sguardo era come un
ipnosi.
Mi fece l'occhiolino, sorrise e chiuse la
finestra.
Mi ci vollero almeno 5 minuti per riprendermi. Camminavo come un
ubriaco, sorridevo come un ebete e canticchiavo come un
bambino.
Non esisteva buona notte migliore in quel
momento.
Sapevo che non aveva visto il mio volto quindi probabilmente lo fece
solo per educazione, ma io cercavo di scacciare questo pensiero. Ero
veramente in paradiso, volevo godermi questa sensazione prima che
scomparisse e tornasse il mio desiderio
tormentoso.
Fortunatamente quella notte mi addormentai subito.
La mattina dopo mi svegliai positivo e, fischiettando, raggiunsi la mia
postazione di
lavoro.
Avendo la testa tra le nuvole, feci un paio di pasticci con l'aratro e
dimenticai di annaffiare delle piante. Ma non importava, a meno che
Fausto il contadino non se ne
accorgeva.
Verso l'ora di pranzo, mi diressi verso il salumiere per decidere del
mio pasto. Nello sguardo del salumiere però c'era qualcosa di
strano, come sovrapensiero, sempre incantato a guardare da qualche
parte.
<< Tutto bene? >> chiesi
d'istinto.
<< Si.. >> accortosi del mio interesse nei suoi
confronti, mi
studiò.
<< Sembri una persona fidata
>>
<< Ehm.. si, più o meno >> si avvicinò
di
colpo.
<< Devo parlarne con qualcuno sennò impazzisco!
>>
Si.. il salumiere, si sapeva, era un tipo abbastanza solo. Per colpa di
un torto commesso in passato, ora nessuno lo degnava di un
sguardo.
Ma visto che a me questo torto non mi toccò in passato e in
più non sarei mai stato così crudele da non parlargli, lo
ascoltai.
<< Dimmi tutto >> Il salumiere spalancò gli
occhi.
<< Io non ce la faccio più a tenermelo dentro. Lo devo
dire a qualcuno. Tu lo sai che non ho amici.. >> Parlava senza
respirare, con aria tormentata e sfinita. Provai
compassione.
<< Calmati, siediti.. dimmi tutto >> fui trascinato dal suo
stato
d'animo.
<< Tu non puoi capire, lei mi fa impazzire! E' bastata una
notte.. >> Lei.. mica era
"lei"?
<< Una notte dove.. oh, tutto è cambiato. Ora sono felice,
ora vado a lavoro con piacere.. >> Il dubbio era troppo
forte.
<< Ma lei chi?
>>
<< Mmh.. la chiamano Bocca di Rosa qui
>>
Ecco, era lei. Un altro fortunato che aveva ricevuto le sue attenzioni.
Ma non capivo.. non capivo
perché.
Perché faceva così? Che bisogno
aveva?
La odiavo, ora provavo solo odio per lei. Odiavo la sua mancata
serietà, la sua nominata e la sua serenità. Odiavo tutti
quelli che l'avevano toccata e che con i loro desideri mondani
l'avevano allontanata dal cielo. E poi odiavo me. Me, che non riuscivo
a non rimanerci male, a non importarmene, a non pensarla. Odiavo la mia
debolezza. E.. me ne dovevo
andare.
Intanto lui studiava la mia espressione.. afflitta e
delusa.
<< Senti mi dispiace, io non posso farci niente >> conclusi
con tono
duro.
<< Ma come.. non vuoi aiutarmi?
>>
<< Non posso aiutare te, se non riesco ad aiutare prima me
>> Il salumiere non capiva. Accennai un sorriso forzato ma i miei
occhi erano umidi. Uscii.
Mi accorsi che era nuvoloso. Forse il mio stato d'animo portò ad
accorgermi della cupezza di quella giornata. Eppure qualche minuto
prima non me ne accorsi nemmeno, mi sembrava di aver visto il sole a
dir la verità.. o forse ero ciecato dalla mia
felicità.
La odiavo. Odiavo il suo modo di padroneggiarmi. Ormai era un mesetto
che mi sentivo come un burattino. Ero il suo burattino, il burattino
che non aveva mai conosciuto. Non sopportavo più questa
situazione.
Avevo voglia di sfogarmi, era da troppo che mi tenevo tutto dentro. Quindi feci un salto dalla mia migliore amica.
Il suo nome era Immacolata ma io ero uno dei pochi che si permetteva di
chiamarla Imma. Aveva i capelli corti, rossi e ricci. Gli occhi verde
acqua con guancie macchiate da piccole lentiggini. Aveva origini
americane: il padre fu un soldato della Seconda Guerra Mondiale e,
incontrando la madre, nacque l'amore e solo dopo pochi mesi aspettavano
Immacolata.
La conobbi a scuola e, anche se io abbandonai gli studi abbastanza
presto, la nostra amicizia non era mai cessata. Era una delle poche
persone che avevo veramente piacere di vedere, essendo un tipo
solitario come già
accennato.
Abitava in una casetta vicino al bosco. Da piccolo andavo sempre a
giocare da lei; c'inventavamo tante avventure che nemmeno i più
valorosi avrebbero affrontato. Ovviamente crescendo quei momenti magici
non c'erano più, ma comunque la nostra "amicizia" era troppo
forte.
Specie di amicizia, in realtà.. lei mi
amava.
In più di un occasione mi aprì il suo cuore.. ma era
più forte di me. Oltre a sentimenti quasi fraterni non riuscivo
a
provare.
State pensando che sono crudele eh? Ora andrò da lei e con tutto
che so i suoi sentimenti, le parlerò comunque di.. Bocca di
Rosa. Invece dovete sapere che fu proprio lei a dirmi di raggiungerla
quando avevo bisogno di aiuto e sottolineò anche qualsiasi
aiuto. Era pur sempre la mia migliore amica. Ad essere sincero.. mi
sentivo un pò imbarazzato a parlare di queste cose con lei.. ma
veramente ne avevo bisogno.
Imma era intenta a lavorare a maglia sul prato. Le nuvole non se
n'erano andate e il vento si era alzato. Ma lei, non curante,
continuava il suo lavoro. Aveva un vestito grigiastro e azzurrino, i
piedi nudi. Alla mia vista divenne tutta rossa, infatti sembrò
mimetizzarsi con i capelli, e mi accolse con un ampio sorriso.
Posò l'uncinetto e venne verso di
me.
<< Ciao.. non mi aspettavo la tua visita >> ammise
portandosi i riccioli dietro alle
orecchie.
<< Lo so mi dispiace se hai da fare tolgo..
>>
<< Ma non dire sciocchezze, vieni accomodati >> mi
aprì il recinto che circondava la casa. Ci posammo
sull'erba.
Per il mio imbarazzo, non riuscivo a guardarla negli occhi: sono un
tipo introverso, odio raccontare i fatti miei e i miei stati d'animo...
ma in quel momento mi resi conto che ne avevo davvero
bisogno.
Lei studiava il mio volto e sopratutto cercava i miei occhi che ormai
erano un libro aperto per
lei.
<< Cosa ti tormenta? >> mi chiese
curiosa.
<< Il demonio. >> Spalancò gli occhi e portò
le mani sulla bocca. Mi venne da
ridere.
<< Ma non il demonio.. ahahah >> Fece un sospiro di
sollievo poggiando la mano destra sul
petto.
<< Diciamo lo è per me.. ma non in senso negativo, in
senso positivo.. ceh non proprio positivo.. >> cominciai a
balbettare tra me e
me.
<< Sembra una cosa seria >> affermò lei con la
faccia stranita. Bisogna dire che nella mi vita io abbia resistito bene
al fascino delle ragazze quindi Imma non era abituata a questo mio
comportamento.
<< Eh già.. >> non staccai lo sguardo dalle
mie
dita.
<< ..Si tratta di una ragazza per caso? >> Molto lentamente
annuii.
Ci furono 30 secondi di silenzio, ero curioso di vedere la sua
espressione ma non ebbi la forza di alzare lo
sguardo.
Fu lei a spezzare il silenzio: << E chi sarebbe?
>>
<< La chiamano..mmh.. Bocca di Rosa
>>
Di botto, si sollevò da terra. Quando la guardai, quasi mi
spaventai: era così arrabbiata da contrarre la mascella. Non
l'avevo mai vista così
furiosa.
<< Quella sgualdrinella?!? >> La sua frase fu un pò
come un colpo allo
stomaco.
<< Non chiamarla così
>>
<< Fammi indovinare.. ha portato a letto anche te?!? >> Non
ebbi nemmeno il tempo di
rispondere.
<< Lo sapevo! Sei come tutti gli altri ragazzi: ragioni solo con
quello! Sono così delusa da.. >> La frase fu soffocata
dalle sue lacrime che però non vidi in quanto si rifugiò
a casa.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
oplà
Il giorno dopo, fresco e pimpante, mi svegliai felice di iniziare
una nuova settimana. La mia allegria mi fece credere che l'avrei subito
rincontrata, che avremo parlato e scherzato ancora. E invece grande
delusione.
Per tutta la
giornata, di lei, nessuna traccia a parte, naturalmente, i soliti
commenti degli uomini e i pettegolezzi delle donne. La giornata
cominciò con tutto l'entusiasmo che avevo in corpo. A lavoro
diedi il meglio di me tanto che ebbi un piccolo aumento. Ma gia verso
il pomeriggio la mia speranza cominciò ad abbattersi fino a
perderla completamente la sera. Come si fa in un paesino così
piccolo a non riuscire ad incontrare, per tutto il giorno, una persona
tanto ricercata?! Ah, dimenticavo: ero sempre il bersaglio del destino
e della sfortuna.
Tornai malcontento nel mio
"formicaio" e dopo un paio di ore, con malavoglia, mangiai un pò
di minestrone. L'appartamento, quella sera, era più silenzioso
del solito: oltre al mio deglutire e allo sgocciolio lento e fastidioso
del rubbinetto, non volava nemmeno una mosca, non si sentiva nemmeno
uno spiffero di vento. Stavo bene.. ma in realtà questo non
faceva che evidenziare ancora di più la mia delusione.
Sobbalzai, bussarono alla porta.
Il mio salto per lo spavento fece accellerare il mio battito cardiaco..
in realtà fu un piccolo infarto, ma non vorrei sembrare troppo
esagerato. E poi un dubbio: "chi è? e se fosse lei?" Non
riuscivo a muovermi dalla sedia. Bussarono di nuovo. " Alzati idiota"
mi ripeteva il mio subconscio. ' Non può essere lei no?' lo
rispondevo. " Se non apri, non lo scoprirai mai imbecille" mi alzai di
scatto, offeso da un subconscio troppo duro. Tremavo e non sentivo
forza nelle gambe. Aprii la porta molto lentamente.. Dei boccoli rossi
prevalsero sulla soglia della porta. A occhi bassi, Imma intrecciava i
piedi con aria imbarazzata. Sapevo ch prima o poi sarebbe tornata, era
da quando ci promettemmo amicizia eterna con il mignolino macchiato di
sangue che non riuscivamo a stare litigati. La discussione più
duratura accadde 5 anni fa e durò una settimana allincirca: dopo
quella settimana Imma si dichiarò. Infatti la discussione nacque
per un accento di gelosia troppo marcato su un mio apprezzamento nei
riguardi di una ragazza. Non sapendo cosa provasse per me, il suo
atteggiamento mi sembrò esagerato e fastidioso. Ma dopo una
settimana tornò, si mise sulla soglia della porta e cominciando
a piangere mi chiese scusa. Mi fece tanta tenerezza.
Era davanti a me, in
silenzio, con un vestito che le arrivava fino metà polpaccio
color verde militare. Le spalle erano coperte da un maglioncino di lana
color begie. Alzò leggermente lo sguardo, i suoi occhi azzurri
adesso erano di un grigio cenere. Le bastò intrecciare un attimo
i suoi occhi inumiditi con i miei per buttarsi subito tra le mie
braccia. Mi stringeva forte.
<< Scusami.. >> mi disse con il
volto nascosto nel mio petto. Intanto io affondavo le mie dita in quei
morbidi ricci ribelli. Ci tenevo davvero a lei. Era praticamente tutta
la mia vita. Ma non in senso metaforico! Io vivevo proprio grazie a
lei. Si occupava sempre di me: una volta ebbi una febbre così
alta, 40 circa, che sarei morto se non avessi avuto sempre lei 24 ore
su 24 vicino. Quando sa che sono triste, si assicura che mangi sempre e
che mi prenda cura di me. Ma questa volta era stato diverso, questa
volta centrava una ragazza, una ragazza che non fosse lei. E lei la
rifiutava come le forze immunitarie nel corpo rifiutano qualsiasi cosa
non centri con l'organismo.
Le presi la
mano e la condussi nel soggiorno ad accomodarsi. Di sfuggita guardai
l'orario, erano le 22.
<< Lo sai che non mi fa piacere
quando mi vieni a trovare così tardi, la strada è buia..
>> ero abbastanza infastidito ma sopratutto preoccupato.
<< Non potevo far passare un secondo di più! Odio
discutere con te.. >> parlava trattenendo le lacrime.
<< Guarda che hai fatto
tutto tu >> Era vero.
<< Lo so.. ma io, io cerco
solo di proteg.. >> aveva lo sguardo basso, giocava con le dita e
balbettava con un filo di voce.
<< Imma, per me lei è importante! >> Dopo
questa frase, susseguì un profondo silenzio e le gocce del
rubbinetto ricominciarono a tamburellare nel mio timpano. Dopo un paio
di minuti, cominciai a notare delle piccole macchie sferiche
sulla sua gonna, lo sguardo basso.. 2+2 fa 4.. stava piangendo.
Corsì subito ad abbracciarla.
<< Smettila, ssh.. ti prego >> ero in panico. Mi
sentivo male al pensiero di farle del male.
<< Perché piangi? Cosa
c'è?! >> le scuotevo le spalle, cercavo i suoi occhi ma in
tutta risposta lei tentava di girare il capo in tutti i modi pur di non
guardarmi.
<< Parlami Imma! >> mi spinse
via ma continuava a stare seduta.
<< Ti è così difficile capire.. ? >> mi
chiese mettendosi qualche riccio dietro alle orecchie. Parlando
però con voce strozzata, inizialmente non capì.
<< Come?
>>
<< Ho detto.. TI E' COSì
DIFFICILE CAPIRE?? >> mi richiese con tono troppo alto.
A
questa domanda mi sedetti sospirando: no.. in realtà avevo
capito e in questo momento provavo tanta compassione per lei. Trovatevi
voi nei suoi panni: la persona che amate vi dice che ama un'altra
persona. E' struggente, ti lesiona dentro.
Ma di
certo non potevo mentirle.. non potevo fingere un amore nei suoi
confronti e non potevo nemmeno fingere di non provare niente per..
Bocca di Rosa. Come potevo uscirne?
<< .. Vuoi che ti menta? >> il suo pianto divenne
più forte.
<< Ho bisogno di aria >> si alzò
di scatto, lo sguardo sempre basso. << Ci sentiamo in questi
giorni >> mi passò di fianco ma non tentai di fermarla:
era inutile.. o lei accettava i miei sentimenti.. o niente. Sentivo il
mio cuore come ferito.. ma il mio amore per Bocca di Rosa mi opponeva
di alzarmi da quella sedia e seguirla.
Una volta che lei chiuse la
porta, corsi verso il balcone e per vederla allontanarsi nel buio, la
mano destra sul volto, la sinistra sullo stomaco.
Mi sentì un mostro. Ma.. chi ero io? Chi era quest'uomo privo di
libero arbitrio? Quest'uomo incatenato da un amore improvviso. Ero un
cane, un cane fedele al suo padrone, "lei" teneva il guinzaglio. Eppure
era impossibile, insomma.. ci sono persone che impiegano anni per
innamorarsi di qualcuno, a me era bastato vederla uscire dalla
stazione, l'aria smarrita, gli occhi che brillavano.
E tutto divenne più caldo, più colorato. Ogni suo
sorriso, era come una sfumatura diversa nel mio cuore. L'unica cosa che
mi allontanava da lei, a parte la mia timidezza (fattore abbastanza
importante) erano i pettegolezzi che sentivo uscire come fiale velenose
dalla bocca della gente. Cose vere.. per
carità, ne ebbi la prova nel bosco qualche settimana prima.
Mi
feriva. Ma non riuscivo ad odiarla. Si, forse a volte avevo anche
nascosto i miei sentimenti dietro all'odio, ma si trattava solo di
rabbia. Io ero sicuro che lei poteva essere una persona migliore, lo
vedevo dai suoi occhi, dai suoi movimenti. E quindi non sopportavo i
suoi atteggiamenti, non li capivo, non li tolleravo. Non comprendevo
perché saltasse da un uomo all'altro, così come se fosse
niente.
" Oh Luna.. tu che sei lassù nel
cielo, che da quando ero bambino sempre hai illuminato la mia vita,
perché ora nella mia testa c'è solo buio? Perché
l'unica luce che vedo nella mia esistenza è quella emanata da
lei? Qual'è il motivo per il quale hai smesso di aiutarmi e te
ne stai lassù a burlarti di me? Proprio adesso che invoco il tuo
aiuto.. "
L'aria era fredda, la notte era buia
ed io ero solo. Poi il mio letto fu rimepito dalla mia stenchezza e
tutto scomparve.
I giorni passarono lenti e pesanti. Di lei niente. Si diceva avesse
passato qualche giorno in compagnia del S.Bianchi, scapolo abbastanza
ricco, della città ma che però lei avesse rifiutato la
sua proposta di matrimonio. Ovviamente non posso dire che ero triste
all'idea anzi appena lo seppi, quasi feci i salti di gioia. L'euforia
di quella giornata passata insieme mi stava abbandonando del tuttoe man
mano si trosformava in una malinconia che mi toglieva il sorriso.
Un martedì mattina, cupo e noioso come al solito, mi diressi a
lavoro come ogni tantissimo giorno. Ormai erano passati 5 o 6 giorni
che non la vedevo e pensavo che quasi lo facesse apposta a non farsi
trovare. Magari mi aveva mentito e aveva trovato quella giornata
abbastanza noiosa tanto da decidere di evitarmi completamente. Sarebbe
stata una cosa che mi avrebbe totalmente distrutto.
Ero intento a raccogliere i
grappoli d'uva bianca, ogni chicco rappresentava un grado in più
di tristezza.
C'era un pò di luce fioca del sole nascosta dietro ad un velo di
nuvole bianche. Nel campo c'era abbastanza umidità, quindi i
miei capelli neri si trasformarono in minuscoli boccoli. L'aria pesante
mista con l'odore di terra bagnata mi riempiva i polmoni e le mie mani,
bagnate dalla rugiada, erano congelate. L'atmosfera era tranquilla e..
noiosa.
La sua mancanza quasi mi struggeva.
Non facevo che prendere un grappolo e metterlo nella cesta..
Chissà ora che stava facendo..
Prendere la cesta e spostarla vicino un altro albero
Stava bene?
Buttare a terra i grappoli marci per trasformarli in concime.
Quell'atmosfera, così tranquilla e cupa, accentuava un tono di
solitudine.. Mi sentivo così solo, così incompreso.. mi
sentivo scoppiare! Ma naturalmente il mio essere introverso mi imponeva
di esplodere e di gridare al mondo come mi sentivo e cosa provavo.
Improvvisamente dei passi marcati dal suono delle foglie secche stese
sul terreno. Il suono si faceva sempre più vicino e io mi
guardavo intorno per cercare di scorgere l'artefice di quel rumore. Ma
la piantagione d'uva mi rovinava la vista.
Qualcuno mi toccò la spalla destra. Feci un salto.
Mi girai di scatto. Fausto il contadino, con in mano la sua cesta di
raccolto.
<< Bravo giovinotto, bravo >> mi dava delle pacche sulla
spalla. Poi prese la mia cesta e concluse << Te ne porto una
vuota >>
Lo vidi allontanarsi. Dovevo smetterla di pensare che fosse lei, mi
veniva un infarto ogni volta. Tanto lei già si sarà
dimenticata di me..
All'ora di pranzo, salutai Fausto e mi diressi a comprar le mie
pietanze. Camminavo lentamente, lo sguardo vuoto, i passi pesanti. Quel
giorno faceva più freschetto del solito: ormai era la
metà di Ottobre.
Incredibile come in un mese e mezzo erano cambiate così tante
cose, almeno nella mia vita. Prima tutto sembrava una routine
immutabile e senza fine, ora invece vivevo grazie ad un sentimento
caldo e doloroso. Mi si strinse il cuore.
Durante la strada per raggiungere il supermercato, mi venne voglia di
"atmosfera familiare". Volevo sentirmi protetto e al sicuro. Ma,
essendo orfano, o quasi ( mio padre qualche anno dopo la morte di mamma
partì per un lungo viaggio senza fare mai più ritorno)
non potevo approfittare di questo amore.
Poi mi venne in mente la Signora della locanda, l'amica stretta di
mamma.. la mia seconda mamma.. Ora che avevo perso Imma, mi sentivo
davvero solo e avevo bisogno di tranquillizzazioni. Voltai verso
sinistra e mi diressi verso la collinetta.
L'aria era pura e fresca ed era raro scorgere qualche macchina: il
paesino era piccolo e modesto e la gente si spostava o in bicicletta o,
sopratutto a piedi.
Mentre camminavo, con le mani in tasca e i capelli ricci al vento,
udì delle donne urlare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
uhhlalala2
Ne
erano 3: due sulla 30ina e una sulla 40ina. Quest'ultima piangeva.
La mia dannata curiosità mi portò a
nascondermi dietro un muretto e ad origliare. Dopo qualche
secondo riconobbi la donna più matura: era la moglie del
proprietario del ristorante "L'Aragosta". Piangeva
disperatamente ma era arrabbiata e furiosa. Le altre due donne, due
sarte mi pare, cercavano di calmarla.
<< Non fa altro che passare del
tempo con lei! Le fà mille regali! No riesco più a sopportare
questa situazione! >> urlava la moglie ferita.
<< Viene a casa e mi
sorride, mangia e se ne va a dormire >> disse con un sorriso
finto, le guance bagnate dalle lacrime.
<<
Poi appena ha un pò di tempo libero, invece di stare con sua MOGLIE,
se ne esce a fare passeggiate nel bosco con quella! >>
continuava ad urlare disperata. <<
"Ma Edna, non capisci? E' una mia cara cliente, la ripago con
gentilezza facendole compagnia" >> disse imitando il
marito.
Naturalmente
io avevo capito di chi stava parlando.. e più che sorpreso, ero
felice che finalmente quel verme avrebbe avuto una batosta esagerata
dalla moglie che, tra l'altro, non era una brutta donna: capelli
corti castano chiaro, occhi abbastanza piccoli colorati do qualche
macchietta di verde, un corpo formoso e una grande classe. Al
contrario di lui che era sulla 50ina, capelli quasi tutti bianchi,
non proprio magro ma con un gran carisma. Per questo era un uomo
abbastanza apprezzato ma, per quanto riguardava me, l'odiavo. Era una
persona falsa ed ingiusta e, sopratutto, aveva toccato Bocca di
Rosa..
<<
Non posso lasciarlo Maria! Non capisci?? >> si sedette su una
panchina di pietra, il fazzoletto di stoffa color rosa confetto
stretto tra le dita.
<< Lui è tutto il mio appoggio, senza di lui.. dove vado
a finire, per la strada?! Ma poi sono anche una donna innamorata, per
non parlare di quello che potrebbe pensare la gente di me.. Ah,
quella maledetta! >>
<< Suvvia Tesoro,
riprenditi e vai avanti. Pensa ai tuoi figli e a che bella donna sei
ancora>> la consolò quella che penso sia Maria. Questa frase
fece uscire un piccolo sorriso sul viso di Edna.
<< Sùsù cammina avanti a testa alta, mostra
indifferenza e vivi la vita di tutti i giorni. Non ci pensare, non ne
vale la pena >> l'altra donna consigliava la povera moglie.
Detto questo, silenziosamente si avviarono verso la mia direzione.
Con aria disinvolta, le passai davanti e rimboccai il sentiero per la
locanda.
Quante
cose le avrei voluto dire, quante spiegazioni avrei voluto avere..
dov'era lei? Dov'era il mio piccolo angelo con la bocca rossa come
l'inferno?
Raggiunsi
la locanda e trovai la locandiera, alias la mia seconda mamma,
intenta a leggere un libro. Appena mi vide sciupato, mi portò nelle
cucine e mi riempì di squisitezze, al quale non riuscì a dire no.
Le parlai del lavoro, della mia vita ma.. non riuscì a parlare
di lei, della mia tortura e della mia tristezza. Era come se ci fosse
una timidezza, come a volte si ha tra figlio e genitore. Eppure lei
aveva notato qualcosa di insolito in me, infatti ad un certo punto mi
chiese se ci fosse qualcosa che non andava ma io, con il cuore a
mille, avevo dissentito. Mi regalò un paio di maglioni, una
coperta molto calda e m'imbustò un paio di cosce di pollo con patate
e un piatto di pasta e fagioli. Alla fine, ne uscì come se avessi
appena fatto la spesa.
Il dolore nel rivederla, il ricordo di mamma insomma.. faceva
ancora male, però in quel momento mi serviva un pò di affetto
materno.
Non nascondo che durante il mio rientroa casa non ho sperato fino
all'ultimo di incontrarla ma non ero molto simpatico alla mia
Fortuna.
Tornai
a casa sconfitto e deluso e mi stavo per abbandonare alla mia
tristezza buttandomi sul letto ma, raggiungendo la stanza, qualcosa
di impercettibilmente caldo toccò il dorso della mia mano. Subito la
sollevai per capire cosa fosse stato, ma non vi trovai niente. Allora
decisi di ripercorrere lo stesso tratto al contrario per vedere se
cambiava qualcosa. Ed ecco che qualcosa di giallo si poggiò sulla
mia mano destra: un piccolo raggio di sole, fioco ma caldo, era
riuscito ad intrufolarsi tra le persiane nere e cupe. Qualcosa..
forse lo stesso raggio mi portò ad aprire la finestra. E quando
l'aprì.. fui accolto da una luce nuova.
Un tramonto spettacolare, mai visto sulla terra.
Il cielo e le
nuvole erano dipinti da un color arancio chiaro emanato da
ragginascosti dietro una collina. Altre nuvole più in là, avevano
il colore rosa confetto.. il rosa che ricorda tanto i neonati. E
quella luce, quell'atmosfera, quel tramonto fecero rinascere un
qualcosa in me. Una speranza nel domani. Come se quel tramonto
segnasse la morte, la fine di tutte le angosce che percorrevano il
mio corpo e la mia anima. Rimasi incantato, chiedendomi com'era
possobile che nessuno oltre me non si fosse accorto di tale
spettacolo, com'era possibile che continuavano a camminare diffidenti
senza nemmeno accorgersi di ciò che li circondava.
Quando il colore del cielo divenne di nuovo del suo colore,
solo a quel punto, con il sorriso sulle labbra, mi diressi a mangiare
le pietanze regalate e poi mi addormentai di un sonno tranquillo e
dolce.
Il
giorno dopo mi svegliai con la voglia di buttare tutto alle spalle.
Ormai erano un paio di mesi, o forse più, che laceravo questo dolore
dentro me. Era ora di andare avanti. Una volta qualcuno mi disse
che bisognava amare le persone che ci facevano del bene. Beh, quel
qualcuno aveva ragione! Basta, era il momento di tornare a vivere e
a.. mangiare sopratutto. Feci colazione e mi diressi verso il mio
lavoro. Carico di energia e positività. Ed eccomi nel mio campo con
Fausto il contadino a coltivare tutto quello che la terra ci offriva.
<<
Oggi hai un'aria diversa, ragazzo mio >> mi disse con tono
strano ma compassionevole. Io lo guardai stranito.
<<
Sembri più sereno >> Il mio viso fu riempito da un sorriso.
<< Forse lo sono
>>
<< Bene,
bene >> mi pizzicò la guancia dolcemente poi continuò <<
Vado a cambiarti cesto, torno subito >>
Continuavo
a prendere i grappoli d'uva, la testa leggera, il cuore in ferie.
Improvvisamente la mia attenzione cadde su un verme che strisciava
vicino al tronchetto. Lungo, viscido, di color grigiastro: veramente
rivoltante. Mi chiedevo se stesse pensando a qualcosa, se mi aveva
notato, se aveva paura. Il rumore del cesto posato a terra, mi fece
tornare sulla terra ferma. Mi girai e trovai solo una parete color
porpora davanti a me.
<<
Ciao >> alzai lo sguardo di soprassalto.
Bocca di
Rosa. Impossibile, stavo dormendo.
<< Sei vera? >>
chiesi d'impulso.
Lei si chinò davanti a me,
sorridendomi, e mi accarezzò la guancia. I nostri visi erano massimo
10 centimetri di distanza. Il mio cuore si era fermato.
<< Ti sembro ancora finta? >>
Ero paralizzato.
<< N..no >> mi rialzai porgendole la
mano.
Aveva i capelli legati da una coda di lato, i suoi occhi
penetranti erano poco truccati, le labbra sempre rosse. La pelle pura
e liscia, l'unica imprecisione era la cicatrice. Portava un cappotto
color porpora che le arrivava fino a metà coscia. Le gambe nude e i
piedi scalzi.
<< Come va? >> mi domandò entusiasta ma, come
sempre, il mio impulso prevalse su tutto.
<< Che fine avevi fatto?
>> Lei rimase quasi scioccata dalla mia domanda.
<< Non credo t'interessi.. >> cercava
i miei occhi.
<< E invece m'interessa.. >> la vergogna mi fece
abbassare lo sguardo senza mai, però, far sembrare di perdere
sicurezza. Lei ancora più sorpresa mi rispose con tono stranito: <<
Ho avuto delle cose da fare.. e poi sono caduta malata >>
<< Sei caduta malata
e stai a piedi nudi in pieno Novembre? >> Ma cosa stavo
facendo? Finalmente l'avevo davanti, vicino a me, e l'unica cosa che
riuscivo a farle era una ramanzina?
<< Beh.. ho perso le scarpe >>
sorrise imbarazzata.
Al suo sorriso, il mio cuore s'intenerì. Fausto
arrivò circa un minuto dopo e, appena vide Bocca di Rosa, fece
cadere la cesta a terra dallo shock. Lei salutò educatamente mentre
io rimasi immobile. Fausto, essendo oltre che al mio capo un amico,
capì dalla mia rigidezza dell'importanza di quella ragazza e, con
tono divertito, m'invitò a tornare domani e a godermi il
proseguimento della giornata.
Lo salutai con uno sguardo allarmato e proseguì,
seguito da lei, verso l'uscita del campo. La vedevo tremare.
<< Non hai un altro paio di
scarpe? >> La mia domanda attese qualche secondo prima di avere
una risposta.
<<
In realtà.. ho un pò di problemi economici >> mi girai
preoccupato e lei, vedendo la mia reazione, cercò di rassicurarmi:
<< ..no, no ma va bene. Me la caverò, come sempre>> Mi
sorrise.
Volevo crederci,
ma non ci riuscì. Il mio istinto nel proteggerla era troppo forte.
Era così fragile. Sambrava tanto forte e sicura di sé, ma si vedeva
che aveva bisogno di protezione.
<< Vieni qua >> feci per prenderla.
<< Cos..? >> fece per allontanarsi.
<< Vieni qua >> le presi la mano e la
portai dietro la mia schiena. Pesava, ma riuscivo a sopportare.
<< Cosa
fai? >> mi chiese perplessa.
<< Andiamo a
comprare altre scarpe >> Non so da dove fosse uscito questo
nuovo me. Sembravamo due cose indirettamente proporzionali: quando
lei sembrava forte, io ero debole; quando sembrava debole, il forte
ero io.
Lei non rispose ma sentì le sue braccia stringermi di più.
Mentre camminavo, sentivo il suo calore, il suo respiro, il suo
odore. Poi, per non restare in silenzio, le ricordai: << Una
volta mi dicesti che mi avresti raccontato della cicatrice.. >>
Lei, sentendo nella mia voce un pò di fiatone, mi disse: <<
Ok, sediamoci su quella panchina e ti racconterò >>. Scese
dalla mia schiena e si sedette con le gambe accavallate, mi guardò
con sguardo dolce e serio allo stesso tempo.
Era così bella. Mai avevo vista ragazza più bella e mai ne vedrò
altre. Fece un sospiro e cominciò: << Beh.. io vengo da un
paesino del sud. Non abbiamo mai vissuto in gran ricchezza e per
questo, quando avevo 6 anni, mamma abbandonò me e mio padre per
seguire un ricco signore Tedesco. Fu da quel momento che mio padre si
diedeall'alcol >> piccola pausa. Io la contemplavo, incantato
da ogni piccolo gesto e attento alla sua triste storia.
<< Diciamo
che.. non ho vissuto proprio un'infanzia felice.. Mio padre non
faceva che picchiarmi, urlandomi che ero " troppo simile a mia
madre e quindi ero il demonio" e cose così.. Poi un giorno
tornò a casa più ubriaco del solito.. e mentre stavo dormendo mi
svegliò prendendomi per i capelli e cominciando a sbattermi la testa
contro lo spigolo del tavolo >> Prese un'altra pausa, lo
sguardo basso nascosto da ciuffi di capelli. Tremando, mi prese la
mano.
<< Se non fosse stato per la
vicina.. io ora avrei peggio che una cicatrice.. >>
Al sol pensiero di cosa poteva accadere, il
pensiero che lei non esistesse più su questo mondo, che qualcuno le
facesse del male.. mi gelava il sangue e mi toglieva la capacità di
controllo.
<<
CHE MOSTRO >> Affermai, lei sorrise. Io invece ero tutt'altro
che sorridente. << Non ti devi
preoccupare, è successo tanto tempo fa.. >> continuava a
stringermi la mano ma scostò lo sguardo da me verso la campagna.
<<
Perciò faccio quello che faccio! Io di amore non ne ho mai avuto
davvero e ti assicuro che non c'è cosa più brutta! Quindi ora
riempo la mia vita e quella altrui di amore e di passione.. Sono viva
per miracolo, devo ringraziare Dio seguendo una delle sue regole
principali " Aiutare il prossimo ". Sono così felice della
vita che faccio.. >> Ecco,
finalmente avevo avuto la risposta che stavo aspettando da mesi. Il
motivo del suo atteggiamento. Beh, tutto sommato era una bella
giustificazione, non dico giusta.. ma bella, dolce.
<< Ah ecco perché..
insomma.. >> Scoppiò a ridere.
<< Mi comporto da prostituta dici
tu? >> chiese continuando a ridere. Rimasi a guardarla
incantato, domandandomi cosa ci fosse da ridere.
<< Beh in realtà
sono tipo una prostituta, con la differenza che non chiedo soldi in
cambio, ma amore >>
Avrei voluto abbracciarla e dirle che fosse stato per me l'avrei
seguita fino in capo al mondo, che le avrei donato tutto l'amore che
avevo in corpo per vederla felice, che le avrei comprato pure 100
scarpe pur di non vederla soffrire.. ma rimasi in silenzio,
continuando a lacerare i miei sentimenti dietro una maschera.
<< Vieni, andiamo >>
mi alzai. Sul suo viso, c'era un'espressione smarrita, come se si
aspettasse un'altra mia reazione.
<< Cosa
c'è? >> Alla mia domanda si animò.
<< No, no nulla
andiamo >> risalì sulla mia schiena.
Per tutto il traggitto, fino
al calzolaio, non facevamo che prenderci in giro a vicenda. Lei
iniziava a farmi il solletico, io facevo finta di farla cadere a
terra, allora lei mi tirava i capelli, io facevo finta di farla
sbattere contro qualcosa ecc.
Era così bello stare insieme a lei, ero davvero
felice, spensierato e anche lei sembrava lo stesso. Raggiungemmo il
calzolaio dopo una decina di minuti. Appena arrivammo la feci
scendere e,con un saluto formale, salutai il calzolaio mentre lei
urlò "Gigiii" e corse ad abbracciarlo. Rimasi scioccato,
io a malapena lo conoscevo, lei dopo un paio di mesi già lo trattava
come un vecchio amico. Incredibile. Dopo si provò alcune scarpe e ne
scelse un paio nere: degli stivaletti molto graziosi.
<<
Grazieee >> mi disse sorridendo.
Camminavamo
per la via, braccio sotto braccio, e tutta la gente del paese ci
guardava sconvolta. Guardavano sopratutto me, come se fosse
impossibile che un ragazzo come me potesse essere accompagnato da una
tale figura. Io, da una parte ero imbarazzato ma dall'altra ero così
felice di suscitare invidia aglia altri. Finalmente il ragazzo
silenzioso era uscito allo scoperto! Ero io il fortunato adesso!
Avevo lei che mi sorrideva e scherzava dolcemente, felice del suo
nuovo paio di scarpe.
Guardando poi l'orario, però, cioè l'una e mezza, si allarmò:
<< Oh perdonami, ho un appuntamento.. sono in ritardo.. >>
Si allontanò velocemente di qualche passo da me ma improvvisamente
si voltò, mi guardò e tornò verso di me. Il cuore mi batteva a
mille. Mi abbracciò e mi sussurrò un "grazie", poi
scomparve dientro ad un angolo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
capitolo7niv
Mi
dovetti sedere su un muretto per riprendere conoscenza. "No,
no.. sto sognando" mi ripetevo.
'
Certo che non stai sognando,
stupido! ' il mio simpatico subconscio si fece risentire.
Era l'ora di pranzo e dovevo decidere cosa farne di me. Optai per il ristorante di mio cugino ma, non avendo molta fame, presi solo una bistecca. Vi rimasi per poco tempo in quanto mio cugino, quel giorno,
non c'era. Anche di Imma non avevo più notizie e i miei pensieri andavano molte volte verso lei.
Ma la mia testa era sopratutto riempita dal ricordo di quei momenti, del tocco delle sue
mani e della dolcezza della sua voce. Avevo conosciuto una parte di lei che mi era sempre stata oscura, una parte vulnerabile e quasi malinconica causata da un'infanzia piena di odio e di violenza. Il disprezzo che provavo per quell'uomo non aveva limiti e avevo tutte
le ragioni di questo mondo. Dio avrebbe dovuto punirlo come meglio meritava, avrebbe dovuto soffrire, soffrire così tanto da vedere il dolore in faccia, avere una morte
atroce e lasciare il corpo marcire mentre i corvi finiscono il servizio.
Improvvisamente, però, mi resi conto di quello che
stavo pensando e feci il segno della croce, scusandomi con il Signore. Mi vergognavo dei miei pensieri ma questo fa notare e comprendere di più i miei sentimenti verso quell'animale.
Non ne avrei mai avuto abbastanza.
Era sera e vedevo il cielo oscurarsi sempre più. Non so da quanto tempo ero affacciato alla finestra, fatto sta che sembravo una statua con una faccia da ebete
che si muoveva solo quando qualcuno allungava la mano per salutarla: allora cadevo dalle nuvole, salutavo cordialmente con aria trasognante e poi ritornavo ai miei pensieri. Poteva anche essere una.. prostituta, ma era una prostituta speciale. Lei non lo faceva per soldi, lei amava quello che faceva. Lei, più di tutti,
riconosceva l'importanza di donare amore al prossimo al fine di fare bene sia agli altri, sia a se stessa. Forse era davvero un angelo, dopotutto seguiva uno dei canoni principali della Bibbia: "aiutare il prossimo".
No, non avrei mai trovato un difetto in lei, ero così vittima di Amore che proprio non riuscivo a trovare cose sbagliate in lei. Eppure avevo ancora paura, e se fosse riscomparsa? Se per giorni non
l'avessi più rivista? Oh povero me! Lei è così imprevedibile!
Quante donne si presenterebbero in un orto a piedi nudi in pieno novembre? Contatele.. penso davvero poche, e per lo più, aggiungerei, pazze psicopatiche.
Ma lei, anche con un gesto così strano, riusciva ad avere classe.
E il sorriso, non le mancava mai quello. Oh povero me! Sebbene lei fosse tutt'altro che pura, io non riuscivo proprio a trattarla se non come un oggetto prezioso. Non mi sarei mai sognato di toccarla, non potrei mai meritarmi una cosa del genere. Sebbene tutto il mio "io"
la desiderava da impazzire, proprio non ci riuscivo.
Non cenai, ma ormai c'ero abituato. Ero così entusiasto che mi addormentai col cuore che mi batteva all'impazzata.
Il giorno dopo, il suono del gallo non mi sembrò la solita martellata di primo mattino ma, piuttosto, un dolce inno alla vita. Sembrava
dicesse "Svegliati, è un altro giorno! "
Penso non si possa iniziare giornata meglio di
così. Era quasi la fine di Novembre, in lontananza le montagne erano innevate.
Cominciava ad arrivare il vero freddo, infatti dovetti vestirmi molto pesante. A Sant'Ilario succedeva sempre così: l'inverno arrivava improvvisamente. Era raro che però venisse a nevicare, al massimo un pò di ghiaccio la mattina sul marciapiede.
Mentre respiravo, vedevo l'aria uscire dalle mie narici come fumo di sigaretta. Faceva davvero troppo freddo, avevo bisogno di energia: decisi di fare colazione. Passai per un bar dove presi un bel THE caldo con abbondante zucchero e poi via, di nuovo per la mia strada. Entrai dall'ingresso posteriore del campo e vi trovai una brutta sorpresa: erano appassiti gli ultimi grappoli d'uva che dovevamo coltivare. Fausto guardava i
detriti mentre fumava la Pipa.
<< Ragazzo mio, questa volta non abbiamo fatto in tempo >> era pensieroso, la sua mente era
totalmente altrove. Dopo un paio di minuti si rianimò: <<
Eh vabé, sarà per la prossima stagione.. ora dobbiamo
iniziare a dedicarci ai meli e ad i peri >> mi serrò un gran sorriso da gentiluomo.
<< Ma per oggi c'è poco da fare.. Torna a casa che fa freddo oggi >> mi diede una pacca sulla spalla. Lo salutai e mi diressi verso l'entrata principale. Mi dispiaceva per la perdita di materiale: perdere uva significava perdere soldi. No che il raccolto stesse andando male però.. è una questione di
principio. Totalmente immerso nei miei pensieri, non mi accorsi
di quello che stava accadendo.
<< Non mi saluti? >>
Mi fermai, la voce proveniva da dietro di me. Era rivolta a me? Me l'ero immaginata?
Mi girai. Non era possibile, stava quasi diventando un'abitudine. Me la ritrovai davanti. Un grande cappello nero le copriva il capo, gli occhi senza trucco
facevano contrasto con la bocca sempre rossa e dannatamente desiderabile. Una sciarpa color grigio perla, un cappotto nero lucido, dei guanti neri, un vestito lungo e abbastanza attillato con sotto le scarpe che le avevo regalato io.
Fui ferito fortemente.
<< Quelle scarpe sfigurano con tutto il resto >> La sua reazione fu più che sorpresa.
<< Che intendi dire? >>
<< Se volevi un paio di scarpe nuove, bastava chiedere invece di inventarti tutta la storia del "io non ho soldi" >> Dapprima, mi guardò con gli occhi semi-spalancati, poi scoppiò in una piccola risata.
Ancora più ferito, con aria indifferente, mi girai e feci per
allontanarmi.
<< No, fermo fermo! >> mi sentì tirare per un braccio. Non capivo questa parte di me: non
facevo che pensarla da mattina a sera, ferendomi e autodistruggendomi, ma una volta averla davanti,
diventavo la persona più antipatica del mondo.
<< Non è come credi.. >> continuò.
<>
<< No Fabri.. devi credermi >> . La guardavo impassibile. Alla mia reazione, sembrò imbarazzarsi e quindi, balbettando, cercò di continuare il discorso: << Anzi ti devo ringraziare >> Ora il mio viso aveva un'espressione interrogativa.
<< Facendomi il regalo delle scarpe, si è aperta una specie di "gara" nel paese a chi mi facesse il dono più bello. Hanno partecipato almeno una 40ina.. >>
Sentì, gelosia. Ma fui bloccato dalle sue parole: << Ma questi regali per me non hanno alcun valore.. solo il tuo
lo ha.. >> mi raggiunse lentamente. Mi guardava negli occhi, com'era bella..
<< Tu sei l'unico che mi abbia fatto il regalo senza chiedere nulla in cambio.. senza dimostrare niente a nessuno. L'ho apprezzato molto.. >> E
così, il mio cuore si sciolse.. non avrebbe resistito
un secondo di più. Era così innocua.. vulnerabile. Ma
solo con me lo era, con gli altri sembrava così sicura e fiera di sé.
Non la capivo, ma in quel momento poco importava.
Avevo lei affianco a me, ora andava tutto bene: il freddo non era più così freddo, il brutto tempo non era più così
brutto. Tutto era magico con lei, tutto si trasformava in meglio.
Si mise a braccetto e camminavamo lentamente e in silenzio. Mi venne da pensare " Ma non ha qualche appuntamento con qualche
d'uno? " Ero curioso, di solito era sempre impegnata in quel genere di cose.. Il problema era se chiederglielo o no. Lei continuava a stare in silenzio, aveva i pensieri altrove... io lo percepivo. Non ce la feci più.
<< E dimmi.. oggi non hai nessuno dei tuoi.. diciamo.. appuntamenti? >> A questa domanda, il suo sguardo s'incupì.
<< Ecco vedi.. le cose non stanno andando molto bene >>
<< Come mai? >>
<< Beh.. diciamo che le donne del paese stanno
incominciando a sospettare.. Forse ho sbagliato a venire in un paese così piccolo.. >> No! No che non hai sbagliato! Grazie a te ora
so a pieno cosa vuol dire la parola "AMORE", grazie a te so cos'è la felicità, ora le mie giornate le vivo mentre
prima sembrava sopravivessi e basta.
<< Sono solo gelose >> la rassicurai con tono impassibile ma con un filo di tenerezza.
<< Si lo so.. ma che ci posso fare.. io lo faccio per gli altri.. >> Rimasi in silenzio, ripensando alla conversazione avuta il giorno prima. << Ora sono costretta a vedermi con due tre a
notte, di nascosto da tutti, in posti scomodissimi.. E' molto difficile >>
Quando parlava di queste cose in maniera più approfondita, non mi faceva mai piacere. Non so se lei aveva notato quello che provavo per lei. Come mi venivano i brividi al sol respirare il dolce profumo
emanato dai suoi lunghi capelli.. Mi venne una domanda.
<< Di solito quanto ci metti a far cadere ai tuoi piedi gli uomini? >> Lei si girò di scatto, con gli occhi spalancati, e poi scoppiò in una bella risata. La risata fece sorridere anche me.
<< Beh.. di solito.. non per vantarmi, ovviamente ma... in media basta guardarmi e già cercano di possedermi.. >> mi sorrise.
Era ovvio. Ero come tanti altri, era bastato vederla per farmi impazzire. Come a tutti penso. Mi venne
un'altra domanda.
<< E di solito.. mmh... dopo quanto riesci a portarteli a
letto? >> la sua espressione era stranita ma anche divertita.
<< Di solito.. il giorno stesso >> aveva lo sguardo basso ma si vedeva che era imbarazzata.
Però c'era qualcosa che non quadrava.
Tra tutte queste persone, c'era un'eccezione.
Mi fermai e le presi la mano per bloccarla. Lei si girò di scatto e mi guardò. Attendeva cosa le dovessi dire ma io ero totalmente paralizzato, non sapevo se dirglielo oppure no. Eppure il mio ragionamento aveva un senso. Feci un gran respiro e parlai: << Perché vieni da me? Cioè.. perché proprio io? >> Lei mi guardò per qualche secondo come se cercasse di leggermi nel
pensiero, poi sorrise e abbassò lo sguardo.
<< Te lo dico stasera >>
<< Stasera? >> ero confuso.
<< Si >> rimasi in silenzio, interrogandola con
il viso.
<< Ci vediamo vicino al porto, quando cala il sole.. d'accordo? >>
Non era possibile, un appuntamento.. io e lei.
<< Va bene.. >> balbettai.
<< Perfetto >> sorrise imbarazzata. Poi continuò: << Alloraa stasera >> si allontanò sorridendomi.
Io riuscì a malapena ad alzare il braccio per salutare.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
asdsfdsf
Quella
volta ero sicuro di rimanerci secco. Il battito cardiaco dal momento
della separazione (se non prima) era accelerato e non dava segni di
tranquillizzazioni. Era più o meno mezzogiorno: mancavano ancora
circa 6 ore al tramonto. 6 ore. 6 ore di tortura. “ Perché
ho accettato?” pensavo. ‘ Perché sennò ti
saresti lamentato più di quanto stai facendo adesso!’ mi
fece notare il mio “simpatico” subconscio che ogni tanto
ricompariva. Dovevo parlare con qualcuno! Stavo impazzendo. Pensai
subito a Fred, il mio amico pescatore. (Tra l’altro si trovava
anche nei pressi del porto quindi sarebbe stato facile, in seguito,
raggiungere il luogo di ritrovo). Avrei avuto tutto il tempo per
calmarmi. Con passo accelerato arrivai al porto e con sguardo allarmato
cominciai a cercare Fred. Il vento marino era congelato e forte, le
barche oscillavano tra le onde. Iniziai a dubitare di trovarlo li quel
giorno. Diedi un ultimo sguardo al paesaggio: il cielo era grigio
chiaro, il mare un grigio piombo, le onde erano alte e al contatto con
gli scogli si trasformavano in minuscole gocce che mi bagnavano il
viso. La sua barca sembrava vuota. No, non l’avrei trovato li
quel giorno, avrei dovuto provare a casa sua. Feci per allontanarmi
quando improvvisamente un urlo mi fece trasalire. Proveniva dal mare.
Mi girai di scatto e cercai di scorgere da dove provenisse quel rumore.
Ma non vedevo nessuno.
<< Aiuto! >> di nuovo quella voce soffocata. Mi sembrava di
conoscerla. Ma no.. non era possibile. Cominciai a correre verso la
barca di Fred. Nessuno. Ma notai la pedana abbandonata sull’orlo
del molo. Fred non avrebbe mai lasciato la pedana là.
<< Freeed!! >> ero spaventato. Feci un salto e salì
sulla barca che oscillava tanto da farmi perdere l’equilibrio.
Più volte stavo rischiando di scivolare in quanto il suolo era
molto bagnato. Pregavo in un altro piccolo rumore per cercare di capire
dove fosse. Nella cabina non c’era, né sul ponte,
né ai lati.. non c’era, non c’era! Pensai che forse
mi ero impressionato, me l’ero immaginato. Improvvisamente,
però, vidi delle corde fuori posto tendersi verso
l’esterno della barca.
Mi avvicinai lentamente. Porsi lo sguardo verso la direzione delle
corde e vi trovai.. un paio di gambe. “ Oddio! “ la
metà del corpo si trovava nell’acqua. Non si muoveva,
oddio non si muoveva! Cercai di tirare le corde con tutta la forza che
avevo in corpo. Lo sforzo che facevo era immane, le corde quasi mi
tagliavano le dita, il cuore mi batteva, la paura mi bloccava il
respiro! Non ce la facevo, ero troppo debole, non ero uno di quei tipi
palestrati e muscolosi! Io ero magrolino, esile! Ma lottavo contro
tutto me stesso. Avvolsi la corda ad un piolo per semplificarmi il
lavoro e diminuire il peso. Tirai, non ci riuscì. Tirai ancora,
feci uscire il bacino. Feci un respiro, tirai e tirai. Le vene quasi mi
esplodevano per lo sforzo, i denti erano serrati. Non riuscivo a
respirare. Tirai ancora, uscì metà petto. Pregai dio di
aiutarmi, tirai. Ora il corpo era più pesante, l’acqua sui
suoi indumenti non aiutava. Tirai fino ad urlare, pian piano uscirono
prima le spalle, poi il collo ed infine la testa. FRED! Era proprio
lui! Non si muoveva, era diventato bianco. Io non ce l’avrei
fatta oltre. Avvolsi quanto potevo la corda intorno al piolo e
cominciai a correre per chiedere aiuto. Arrivato quasi alla fine della
barca, il mio piede scivolò ed io sbattei la testa contro una
panca. Ebbi qualche secondo di smarrimento. Che dolore, la testa mi
faceva malissimo ed una parte di stava gonfiando. “ Fred,
Fab!” Mi ricordò la mia coscienza. Senza nemmeno capire
quello che stava succedendo, d’impulso, mi alzai e cominciai a
correre per cercare aiuto. Ci vedevo sfocato, ma le mie gambe mi
reggevano. Alzai lo sguardo, un’ombra. Qualcuno! Cercai di
correre più veloce. L’ombra mi aveva notato. Era un
marinaio.
<< Aiutami ti prego! C’è un uomo che ha bisogno di
aiuto! >> riuscì a vedere lo sguardo allarmato
dell’uomo.
<< Chi? Dove? >> mentre mi chiedeva, già stava
avanzando seguendomi. Non capivo molto, la testa davvero mi girava e
continuavo a tamponarmi la botta con le mani congelate per evitare che
si gonfiasse ancora di più. Raggiungemmo la barca correndo,
subito gli indicai la corda dov’era appeso il mio povero amico.
Riuscì a vedere il marinaio sollevare la corda con abbastanza
forza. Respiravo velocemente anzi mi era quasi diventato impossibile
farlo. Mentre guardavo la scena sentì le mie mani come bagnate,
le scostai e le osservai: sangue. Ovunque. Svenni al momento.
Mi
svegliai su un letto dell’ospedale. La testa mi scoppiava, le mie
narici permettevano ad uno strano odore di entrare nei miei polmoni.
Ero in una camera con altri 3 uomini. Ma ero solo. Cosa era successo?
Perché ero li? Cercai di ricordare e subito nella mia mente
risuonò un nome “Fred!” .. Dio mio! Che fine aveva
fatto?! Che era successo? Stavo per alzarmi e raggiungere il corridoio,
quando un dottore entrò e mi bloccò.
<< No, no non ci siamo! Deve rimanere sul letto.. è ancora
debole.. >>
<< Ma io devo andare ad informarmi su una questione importante.. >>
Il dottore mi bloccò nuovamente. << Le consiglio vivamente
di rimanere a letto >>
<< Va bene.. posso avere solo un informazione? >>
<< Certo, mi dica >>
<< Fred.. il pescatore, lo conosce giusto? Ecco.. come sta?
>> Susseguirono un paio di secondi di silenzio.
<< Purtroppo non ce l’ha fatta. >> Fu una notizia
shock. Non ci potevo credere. No, non era vero. Il mio amico.. uno dei
pochi veri amici della mia vita.. non c’era più. Era
morto. La mia mente cercava una risposta all’unica domanda che in
quel momento percorreva il mio cervello: Perché? Perché
ora? Perché a lui? Perché, perché.. Pretendevo da
Dio una risposta e ,mentre dentro di me mi contorcevo in questo
conflitto interiore, vedevo gli occhi degli uomini, con cui condividevo
la stanza, guardarmi straniti. Ero sudato, spaventato e spaesato.
Volevo una risposta! Lui non aveva fatto niente di male nella sua vita,
mai e poi mai! C’è sempre stato per tutti e per quei pochi
errori che aveva commesso, sempre si era pentito e aveva chiesto il
perdono. Era una persona pulita, una delle poche nel mondo.. Mi
scendevano le lacrime. La ferita che avevo in testa cominciò a
farmi ancora più male. E capì tutto: era stata colpa mia.
Era tutta colpa mia.. avevo sbagliato tutto, non ci avevo messo tutta
la forza, non avevo dato il meglio di me. Lo sapevo, me lo sentivo. Non
riuscivo a perdonarmi. Mi odiavo, iniziai a tirarmi i capelli, a
prendermi a schiaffi, a dimenarmi. Ma che diavolo, io lo volevo bene!
Intanto, un paio di infermieri cercarono di farmi ragionare ma io ero
proprio partito. Non riuscendomi a frenare, infine, m’iniettarono
qualcosa e man mano mi calmai sempre più fino a rimanere
disteso, immobile: stanco di muovermi e perfino di pensare.
Verso
sera, entrò un signore vestito di nero.
<< Buonasera. Sono il dottor Enrico Menotti, sono un giudice..
>> Riuscì a malapena a muovere il capo in segno di saluto.
<< Ho qui il testamento del Signor Fred Wolfgang ed il suo nome
è stato menzionato. Non vi ha lasciato granché.. a parte
una cosa.. >> Mi guardò cambiando espressione, da seria a
compassionevole.
<< A mio parere, penso sia la cosa più importante che
possedeva questo povero uomo..>> Rimasi ad ascoltare con il fiato
sospeso.
<< Suo figlio. >> E così, mi aveva lasciato il suo
unico tesoro, il suo piccolo Marco. Non sapevo come reagire. Troppe
notizie insieme. Uno dei migliori amici che abbia mai avuto era appena
morto e in più ora mi trovavo responsabile di un bambino.. e poi
c’è lei.. Lei! ‘Che ore sono?’ mi chiese il
mio subconscio. Guardai il Dottor Menotti con aria allarmata e
interrogativa, come se avesse sentito la domanda. Il Dottore sorrise
scherzoso e disse:
<< Suvvia, non è poi la fine del mondo un bambino>>
Non aspettandomi quella risposta, lo guardai con fare interrogativo. Il
Dottore copiò la mia espressione:
<< Va tutto bene? >> mi chiese. In quel momento il mio
cervello ragionò e si ricordò che il mio subconscio non
era un essere vivente e che lo potevo sentire solo io. Cercai di
fingermi tranquillo:
<< No, no mi scusi..sa comunque è una notizia che tocca un
po’, sa.. dopo questa giornata.. >>
<< Si, si.. capisco perfettamente. Oibò, ci vedremo in
questi giorni per scambiarci ulteriori documenti.. >> Si stava
allontanando:
<< Dottore! Sa per caso l’ora? >> Il Dottore prese
l’orologio tascabile dal suo taschino della giacca e poi rispose:
<< Sono le 8 e mezza >> Poi, con un cenno del capo mi
salutò e se ne andò. Le 8 e mezza! Avevo perso
l’appuntamento che avevo desiderato fino ad autodistruggermi
interiormente! Ma ormai ero distrutto per tutto, niente scorreva dalla
mia parte! Mi sentivo solo e privo di forze, non mi ero mai occupato di
un bambino, non sapevo come comportarmi. Avevo bisogno di una mano, ma
a chi potevo chiedere? Ritornò il pensiero alla mia solitudine..
Per carità, gente ne conoscevo ma non possedevo quel rapporto di
fiducia così profondo da chiedere aiuto. Una mano. Un supporto.
Qualcosa. “ Oh Luna.. perché continui a burlarti di me?
Perché ti sei dimenticata di me..?” Ora volevo solo una
persona vicino, volevo Lei. Solo Lei sarebbe riuscita a tirarmi su il
morale, sarebbe bastata la sua presenza. Il silenzio nella camera si
era interrotto, due dei tre pazienti nella camera incominciarono a
discutere su quale partito dovesse salire al potere. Cose che per me,
in quel momento, non avevano senso. Li guardavo, ma non li ascoltavo.
Ero completamente assente mentalmente. Incantato nel mio mondo di
casini e sconfitte. Improvvisamente si aprì la porta, tutti si
girarono di scatto, io lo feci più lentamente. Mi venne da
piangere, davanti a me il bambino che avrei dovuto crescere e
proteggere. Marco non era lo stesso di sempre: il corpicino , la
statura magari potevano sembrare di un bambino ma.. quegli occhi, gonfi
per le lacrime.. nessun bambino dovrebbe avere quello sguardo, come se
la sua voglia di vivere fosse stata distrutta sul nascere. Lo sguardo
di un uomo che ne ha viste e passate.. Aveva 9 anni, ma dentro era
già maturo. Corse verso di me e mi abbracciò, ricambiai
l’affetto senza pensarci.
<< Mi dispiace.. >> riuscì a dire con voce
strozzata. Lo scostai guardandolo in faccia e asciugandogli le lacrime
con le dita, poi cercai di sorridere:
<< Non ti preoccupare, ci divertiremo un mondo insieme>>
Lui non ricambiò il sorriso, ma con aria triste e malinconia si
sedette sul divanetto e poco dopo si addormentò.
In fondo anche Fred era solo.. anche lui aveva solo me.. ed io non l’avrei mai abbandonato, nemmeno dopo la morte.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2200118
|