Just can't let her go

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'è n'hai messo di tempo. ***
Capitolo 2: *** Chi è lui? ***
Capitolo 3: *** Scintille bianche. Scintille nere. ***
Capitolo 4: *** Come puoi guardarla morire? ***
Capitolo 5: *** Affare fatto? ***
Capitolo 6: *** Fatti distruggere. ***
Capitolo 7: *** Luce e ombra. ***
Capitolo 8: *** Cosa vuoi dire? ***
Capitolo 9: *** L'inferno. ***
Capitolo 10: *** Lei, sta perdendo il controllo. ***
Capitolo 11: *** Devo averti amata allora. ***
Capitolo 12: *** In ogni caso, c'è la dobbiamo cavare da soli. ***
Capitolo 13: *** Bianca come il latte. Nera come la morte. ***
Capitolo 14: *** Custode. ***
Capitolo 15: *** La ragazza del drago. ***
Capitolo 16: *** Tutto quello che tocchi muore. ***
Capitolo 17: *** Non lasciarmi, di nuovo. ***
Capitolo 18: *** La guerra incombe. ***
Capitolo 19: *** Di drago, ansia e battaglia. ***
Capitolo 20: *** Sorpresa. ***
Capitolo 21: *** E tutto andava bene. ***



Capitolo 1
*** C'è n'hai messo di tempo. ***


When you let her go. ( Oops ho sbagliato, scusate l’abitudine. )
 
Just can’t let her go.   
 
 
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Quando Titano atterrò bruscamente sul suolo verde, Gring alzò il capo. Una nube di terra lo investì talmente forte che finì con i piedi a terra, imprecando. Quando riaprì gli occhi, sbattendo furiosamente le palpebre, il cielo azzurro sopra la sua testa era stato rimpiazzato dal muso gigante del dragone. Gridò, colto alla sprovvista, e poi allontanò l’essere con le mani, dandogli una spinta forzata. « Che diavolo fai, essere? Che vuoi? » strillò. Il possente Titano alzò il collo, e la sua ombra coprì l’uomo e un abbondante pezzo di prato. Non ti ho mai chiesto nulla, allevatore. Ringhiò ferocemente nei suoi pensieri il lucertolone. Ma ora è arrivato il momento di farlo: salvala. « Salvare chi? » s’incuriosì Gring. Allora il possente guardiano sbuffò una nube di fumo, densa e nera che si dissolse pian piano nell’aria e si voltò. Dal suo ventre salivano varie scie di sangue, rosso vivo come lo smalto e una mano pendeva, parendo morta. Quell’arto apparteneva a un corpo coperto da un mantello verde foglia. Capelli castani, come noci sfioravano le spalle esili di una ragazza che respirava a fatica. Gring accorse vicino all’essere, che intanto si era abbassato e prese tra le braccia la giovane. Non appena i capelli le scivolarono dal volto, l’uomo impietrì. La sua bocca si socchiuse in una muta domanda, mentre camminava velocemente verso il suo cavallo nero. Da quanto è così? Domandò con impeto Gring. Tre giorni. Non ho potuto volare più veloce, mormorò Titano. L’uomo montò in sella, e lei con lui. Poi spronò al galoppo l’animale. Una volta imboccata la strada, aver galoppato più velocemente possibile contro la pioggia che aveva cominciato a cadere fitta, e aver salito i gradini del palazzo con il fiatone Grim giunse davanti al re. Il corpo di Eleonora fra le braccia, stretto come quello di una figlia. « Mio signore! » gridò quasi, e la nipote Eowyn, dall’altro capo della sala sobbalzò. Il fratello Eomer, con ancora indosso l’armatura per la battaglia, si avvicinò frettolosamente all’allevatore e gli levò la ragazza dalle spalle, per non farlo stancare. « Aiutate questa giovane, ve ne prego » implorò, cadendo in ginocchio. Il vecchio re, reso fragile e corrotto dalla magia di Saruman lo fissò, pigramente. La barba gli adornava il viso, bianca e scomposta come le ragnatele, e gli occhi si erano talmente incavati sotto la vecchia pelle, di un bianco malaticcio, che ormai non erano altro che due fessure. « Perché dovrei? » disse questo infine. L’allevatore si torturò le mani in cerca di una scusa e poi mormorò, tentando di essere credibile: « E’ la figlia di mia sorella Frida. Vi prego, è mia nipote. Aiutatela. E’ così da tre giorni, nessun’altro guaritore è riuscito a fare nulla. » « Non vedo come il nostro re potrebbe aiutarla, allevatore. Lui non è un guaritore » s’intromise nel discorso un viscido essere. Aveva anch’esso la pelle bianca, di un bianco malaticcio che faceva impressione, e i capelli neri come l’inchiostro, e unti. Gli occhi azzurri sorridevano maligni. Era un uomo spregevole, antipatico e corrotto. Era Grimar.  « Tu non hai parola, traditore della corona » sibilò fra i denti Gring. Allora l’uomo dai capelli neri si avviò verso di lui, con una smorfia in viso e alzò la mano pronto a colpirlo in faccia. Ma Eomer lo bloccò frapponendosi frai i sue corpi. Il volto del giovane capitano della guardia, non che nipote del re, lo guardò truce. Gli occhi severi e inflessibili fecero rimpicciolire di colpo quell’uomo scettico e corrosivo per la società, e lo fecero allontanare. Quando fu lontano, Eomer invitò l’allevatore ad alzarsi e lo rassicurò sul fatto che avrebbe salvato la ragazza lui stesso. Avrebbe vegliato su di lei finché non si sarebbe risvegliata.
Quando Gring fu uscito dalla corte imperiale Eowyn e il fratello portarono la ragazza in infermeria. La guaritrice tagliò i vestiti con un coltellaccio e sbatté le palpebre sorpresa. Le ferite erano molto profonde: trapassavano la pelle da un lembo all’altro, ma non usciva più sangue. Portò una mano al polso della ragazza e aspettò: il cuore batteva regolare. « Gli dei hanno graziato questa giovane » annunciò ai due regnanti quando uscì dalla camera di Isil. « Ferite gravi, nulla da ribattere, ma messe talmente bene che ci vorranno pochi giorni perché guarisca. Ha solo bisogno di riposo. » « Grazie » avevano detto all’unisono I due fratelli, prima che la donna si congedasse.  « Dimmi, come credi di mantenere fede alla promessa data all’allevatore, se nostro zio ti ha cacciato da Rohan? » s’incuriosì Eowyn sbirciando nella sala. La voce triste per la cruda verità uscita dalle sue labbra. Eomer se ne doveva andare, e lei non poteva seguirlo. Era rinchiusa in quell’inferno. Sola. « Non lo so, sorella. Ho promesso che sarei rimasto finché non si sarebbe risvegliata ma non posso disubbidire al sovrano. Questa sarà la prima promessa che non manterrò. » gli occhi azzurri della ragazza si offuscarono: erano bastate quelle poche parole a farla piangere. « Mi mancherai » singhiozzò abbracciandolo. « Tornerò a prenderti, Eowyn. E’ una promessa » la tranquillizzò lui accarezzandole i lunghi capelli biondi.
 


°  °
 


Legolas galoppava da giorni. Galoppava accanto a Aragorn, Gimli e Gandalf il bianco. Galoppava sotto il sole cocente, nelle radure brune delle terre dei signori dei cavalli. L’aria gli sferzava il viso, e i capelli schioccavano nel vento come fruste. Il povero Gimli imprecava lievemente, sputando i fili d’oro dalla bocca mentre saltava malamente sulla groppa del destriero. « I cavalli sono stanchi! » ululò il nano. « Questa sera dovremmo fare una sosta, Gandalf! » Il mago bianco fermò Ombromanto e li guardò tutti e tre. Il re rimase muto, in attesa di una risposta, mentre l’elfo sembrava assente. Gandalf li esaminò, a uno a uno e trovò la stanchezza nei loro lineamenti, e la tristezza celata negli occhi blu del principe di Bosco Atro. Lo stregone sapeva cosa il giovane stava attraversando: quanto la perdita di una persona amata lo distruggesse a tal punto da corroderlo dentro, ma non dimostrare nulla fuori. Legolas aveva il portamento fiero di un nobile: le spalle larghe in su, la schiena diritta, braccia e gambe forti. Cuore valoroso, e distrutto. « Hai ragione, mastro nano. Per questa sera sarebbe meglio fermarsi » e lanciò un’occhiata al principe. Quando fece buio, e ebbero trovato un riparo adeguato sistemarono i cavalli e accesero un fuoco. Il nano crollò pochi minuti dopo aver cenato mentre il giovane elfo si sedette in disparte.
Poggiò la schiena contro una roccia e cominciò a raccogliere dei sassolini, per poi lanciarli lontano. Nella sua mente si susseguivano le vicende accadute giorni prima: dalla partenza a Gran Burrone, al modo in cui lei si era rannicchiata contro di lui quando l’aveva salvata sulla montagna, al loro unico bacio e alle loro litigate frequenti.
 
« Ma sei pazzo? » le gridò lei contro. Lui socchiuse le labbra ma Eleonora riprese: Come ti viene in mente di giocare  con queste cose » e gli mise la freccia sotto il naso. Sebbene Legolas non fosse sorpreso dal suo comportamento lo trovò alquanto intimidatorio. Gli occhi scuri di lei ancora lo fissavano, e lui ne era come catturato. Era splendidi: sebbene a detta di qualcun altro potessero sembrare semplici occhi. Ma i suoi non erano semplici: erano castani chiari e avevano dei riflessi verdi, visibili solo da una breve distanza come quella. Ed erano ricchi di ricordi, speranze e… dolori. Si, dolori. Gli parve di poter scorgere l’anima della ragazza muoversi dentro essi come un serpente, e danzare. Ma non sola: assieme ne intravide un’altra. Li per li sbatté le palpebre sorpreso, poi si convinse che fosse tutto frutto della sua immaginazione. « Qui a Gran Burrone?! Potresti ferire qualcuno, c’è mancato poco che ferissi me, stupido essere! » e comunque ci pensò lei a distrarlo.
 
Sorrise a quel ricordo e sferrò l’ultimo sasso talmente lontano che si perse nel buio della notte. Gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi: aveva uno strano sentimento dentro, adesso. Un sentimento contrastante: la voleva trovare, ma per qualche strana ragione sapeva che quando l’avrebbe ritrovata lei non sarebbe stata sola, e questa cosa lo allarmava. Dov’era lei, ora? Dove l’aveva portata il suo drago? Stava bene, e se si: con chi era?  Queste domande non lo lasciarono dormire per tutta la notte.
 

 
°  °
 


Attorno a me vedevo nero. Tirava un vento gelido, quando finalmente riuscii a scorgere qualcosa. Una figura si stava avvicinando talmente velocemente che non potevo scorgere nulla se non l’aura bianca che la circondava. Quando mi fu davanti socchiusi la bocca. Lunghi capelli biondi le scendevano sulle spalle, la mascella dai tratti gentili era rilassata e le labbra rosse come una rosa piegate all’insù. La pelle più abbronzata della mia risaltava sotto la camicia bianca, e i pantaloni di pelle scura che portava.      Ma la cosa più spiazzante che vidi furono i suoi occhi. Uno era scuro, come il cioccolato, mentre l’altro era chiaro come il ghiaccio. E lei era simile a me. « Chi sei? » riuscii a dire. « Io sono Isil » m’informò fieramente quella. I capelli d’argento volarono con l’aria alle sue spalle. « No, aspetta. Io sono Isil! » ribattei confusamente. « Esatto. Ma io sono te, quella parte di te che racchiude la guerriera, e sono qui perché è arrivato il momento che io viva» sorrise. « Che cavolo vuoi dire? » sputai aggressivamente. « Se tu sei me, vivi. » « Mi spigo meglio, Eleonora: è ora che io prenda in mano le redini di questa situazione » e si avvicinò ancora prendendomi la mano nella sua. Strinse, e da quel contatto scaturì una scintilla bianca, poi una nera che brillò nell’oscurità. « Ti indebolisci ogni minuto che passa. Sei in questo stato da tre giorni e tre notti. Quando arriverà il momento, finalmente, tornerò in vita. » Un fiume di scintille fuoriuscì dalle nostre mani e ci avvolse come nebbia, poi tutto scomparve. Quando mi svegliai un forte conato di vomito mi attanagliò il ventre. Alzai il busto e vomitai sulle coperte: sangue. Sbattei le palpebre ma prima che potessi pensare ad altro rivomitai rosso. Un senso di malessere mi circondò il collo, come se mi stessero strozzando ma lo ignorai e mi alzai più velocemente che potevo. Indossavo dei pantaloni e una blusa bella larga. Prima di domandarmi dove fossi, pensai: dove sono gli altri? Come sta Boromir? Che mi è capitato? Corsi freneticamente per lunghi corridoio: vuoti come il deserto e macabri come cimiteri. Vari arazzi e stemmi pendevano sui muri: alcuni ritraevano guerrieri ma la maggior parte dei cavalli che correvano. Avevo già visto quei disegni, non ricordavo dove però. Rohna, dimora dei signori dei cavalli. Non so come lo capii, ma mi venne naturale pensarlo. Quando svoltai in un corridoio più largo, una porta mi si aprì davanti. Corsi in quella direzione e la spalancai con tanto impeto che le sentii le fasciature sul mio torace scricchiolare per protesta. Un forte dolore mi lasciò senza fiato, ma mai come quello che mi ritrovai davanti agli occhi. Una grande sala si apriva davanti a me: pilastri intarsiati di splendide decorazioni si issavano ai lati di essa, creando un corridoio nel mezzo. Un braciere spento era al centro di questo, e attorno a esso, rivolti verso il trono stavano varie guardie e persone. Il re prese la propria spada e l’osservò. Accanto a lui una giovane ragazza dai capelli biondi sorrise. Poi, d’un tratto tutti uscirono inseguendo un uomo. Ne approfittai per esaminare il luogo. Era luminoso, e meno macabro delle altre sale del castello ed era caldo. « Eleonora » mormorò una voce fievole. Un fremito scosse il mio corpo e io mi voltai. Legolas mi fissò con i suoi occhi azzurri e le labbra socchiuse. Era bellissimo, ed era li in piedi di fronte a me… ma doveva essere tutto un sogno. Perché lui mi odiava, io l’avevo tradito e lui me l’aveva ricordato, gridandomi contro. « Legolas » mi uscì dalla bocca. « C’è n’hai messo di tempo a trovarmi. »  




EHYY :3
Isil is back, bitchesss XD. 
Siamo ripartiti subito con un capitoluzzo un pò... strano, no? 
Spero che vi sia piaciuto almeno :3
Xoxo
Likeapanda (Isil)

 

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Capitolo 2
*** Chi è lui? ***


 
Just can’t let her go.   
 


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Rimanemmo immobili a guardarci. Attorno a noi l’unico rumore proveniva da fuori. Sentivo il mio cuore battere talmente forte che pensai sarebbe uscito dal petto, e si sarebbe fiondato in quello di lui. La voglia di stringerlo era tanta, ma sapevo che non dovevo farlo. Lui non mi voleva più, o se mi voleva in qualche modo era per mandarmi lontana. E poi le fasciature che mi stringevano tutto il petto non mi lasciavano gestione del movimento, ogni mossa era un loro stridio e una mia smorfia. Ingoiai un fiotto d’aria e presi coraggio. « C-come stai? » mormorai, balbettante. « Io bene. Tu, come stai? » si accarezzò i capelli. Mi sembrò che avesse l’intenzione di fare un passo avanti, ma rimase fermo. « Bhe, non c’è male. Qualche ammaccatura qua e là… Dov’è Boromir? » L’elfo sussultò appena e mi schioccò un occhiata eloquente. Socchiusi le labbra e abbassai lo sguardo. Mi strinsi nelle braccia e mi dissi: « Vuoi dire che io non… non l’ho salvato? E’ stato tutto inutile? » « Non è stata colpa tua » cercò di rincuorarmi. « Ero li, e non ho potuto salvarlo. Se solo fossi rimasta sveglia, se solo. »  Prima che potessi completare la frase sentii dei passi e un vociare insistente. Poi tutto si placò quando alzai la testa. Aragorn mi fissò, e mi sentii piccola, piccola in confronto a lui. Poggiò una mano sulla spalla dell’elfo, si guardarono e poi venne verso di me. Mi ritrovai stretta dalle sue braccia ancora prima di poter capire cosa stesse succedendo. « Stai bene » sorrise prendendomi il volto tra le mani, per esaminarlo. Quella scena mi fece ridacchiare, quindi annuii. « Sono forte, io » gli ricordai, rifilandogli un pugno sul petto amichevolmente. La fasciatura che portavo strofinò le ferite, e io repressi una smorfia. « Sarete affamati » intervenne una terza voce. « Parlerete davanti a del buon cibo. »  Aragorn si mise di fianco e, continuando a tenermi stretta a se come un fratello, sorrise con un cenno del capo a un uomo. Questo indossava una lunga tonaca bianca, teneva in mano un bastone dello stesso colore e sul suo volto coperto da una barba folta e dei capelli color latte risaltavano duo occhi azzurri. Mi morsi il labbro per non urlare e annuii.
 

 
°  °


 
Dopo il funerale del principe di Rohan, tutti si sederono a tavola. Legolas non mangiò praticamente nulla e si rifugiò con le spalle contro un pilastro della sala. Gimli e Aragorn mangiarono in abbondanza, assieme ai due piccoli forestieri ritrovati da Gandalf. La giovane Eowyn aveva deciso di prendersi cura di loro, e il nano pensò che non ci fosse donna più coraggiosa e dolce di lei, sebbene Eleonora fosse una guerriera. Ma la giovane compagna d’avventure tutto era fuorché dolce, o almeno così pensava. Ogni volta che la guardava, come in quel momento, leggeva nei suoi occhi freddezza e convinzione. Se fosse stata un uomo, tutti l’avrebbero seguita ammaliati dalla sua prodezza. Pensò. Da quando l’aveva rivista, qualche ora prima, però sembrava diversa. Quella diversità visibile solo dopo un po’ di tempo che non si vede una persona. Le era sembrata leggermente più magra, e malconcia: sotto gli occhi scuri erano apparse due occhiaie marcate e sembrava che le forze la stessero abbandonando. Sapeva delle brutte ferite che aveva riportato, delle fasciature che la costringevano a stare seduta e calma, ma none era quello che lo preoccupava. Lei non sembrava più lei, in tutti gli aspetti. E poi c’era un’altra cosa che non era mai riuscito a capire: cosa ci fosse tra la guerriera e il principe. Ogni tanto quando si voltava scorgeva lui a fissarla, e gli occhi azzurri gli brillavano di malinconia. Altre volte, gli era capitato, di trovare lei di sera a guardare Legolas in lontananza, mentre faceva la guardia e si era chiesto il perché di quel gesto. Non riusciva a capire se i due si amavano, o no. Era un bel rompicapo, ma almeno aveva qualcosa a cui pensare durante il viaggio: oltre a uccisioni, anelli da distruggere ecc… « E’ stato all’improvviso, erano disarmati » lo distrasse Lady Eowyn, alzandosi dal posto in cui era. Continuò a parlare, ma Gimli era troppo indaffarato a mangiare per darle molto retta. Erano giorni che non metteva nulla sotto i denti, tranne quello stupido pane elfico, e aveva bisogno di succulenta carne. Invece udii chiaramente le parole di Gandalf, il bianco: « Questo è solo un assaggio del terrore che Saruman scatenerà. Sarà sempre più spietato, perché ora è spinto dalla paura di Sauron: monta a cavallo e affrontalo. Allontanalo dalle donne e dai bambini. Devi combattere » disse solennemente Gandalf al re.  Il nano vide Eleonora muoversi scompostamente sul suo posto, quasi come quelle parole e avessero dato fastidio. Gimli la fissò, ma rimase muto ad osservarla. « Hai duemila bravi soldati che vanno a nord, mentre parliamo. Eomer ti è fedele, i suoi uomini torneranno e combatteranno per il loro re » intervenne Aragorn, la pipa in mano. « Saranno a trecento leghe da qui, ormai » lo informò il Theoden, avvicinandosi alla tavola dei bambini. « Bhe, io potrei raggiungerli » annunciò con forza la guerriera, rigirando una porzione di pollo nel suo piatto. Tutti la fissarono sorpresi da quell’intervento. « Eomer non può più aiutarci » l’ammonì il re. « Ma io posso, mio signore. Lo raggiungerei in poche ore, se non di meno. » si alzò bruscamente battendo un pugno sul tavolo, talmente forte da rovesciare le bottiglie di vino e i bicchieri. Poi, sul suo volto sicuro si dipinse una leggera smorfia di dolore. Con la coda dell’occhio il nano vide Legolas irrigidirsi, e voltare la testa verso la ragazza. I muscoli tesi e pronti a guizzare, gli occhi colmi d’ansia.  Gandalf si alzò repentinamente, dirigendosi da lei per aiutarla a sedersi. Mentre questa si portava una mano al ventre dolorante per lo sforzo, il mago guardò il sovrano. « Lo so, cosa vuoi da me » si affrettò a zittirlo il regnante. « Ma non arrecherò ulteriore morte al mio popolo. Non rischierò una guerra aperta. » Il nano guardò Theoden, e poi Aragorn che in un solo sguardo riuscì a capire le parole silenziose del piccolo uomo. « La guerra aperta incombe. Che tu la rischi, o no. » « Se ricordo bene: Theoden, non Aragorn è il re di Rohan ».
 

°   °
 
 
Legolas riportò le braccia al petto, strette fra loro. Con la coda dell’occhio teneva sotto controllo Isil, mentre cercava di seguire la discussione fra il regnante di Rohan e la compagnia. Era bello sapere che lei stava bene: certo aveva un po’ d’acciacchi, ma era viva al contrario di… Boromir. A ripensare all’amico scomparso gli si formò un nodo in gola. Sebbene fosse stato arrogante, e avesse turbato leggermente l’equilibrio durante i mesi della spedizione la sua mancanza si sentiva. « Allora qual è la decisione del re? » domandò Gandalf, staccandosi dal capezzale della ragazza che ancora si teneva le mani sul ventre. « C’è ne andremo. Partiremo questo pomeriggio, non sarà troppo tardi. » Il silenzio regnò nella stanza per molto dopo quella risposta. L’unico rumore era quello delle posate dei bambi, che facevano quando sbattevano contro le scodelle. « Qualcuno porti quella ragazza da suo zio » ordinò poi il sovrano indicando la guerriera. Legolas si voltò immediatamente e sgranò gli occhi. Suo zio? Da quando lei aveva qualche parente nella Terra di Mezzo? Eleonora sembrò pensare lo stesso, perché quando i loro occhi si incrociarono per qualche secondo vi lesse le stesse domande. Due guardie si avvicinarono a lei e la sollevarono per le spalle, malamente. Il giovane elfo allora si staccò dal pilastro su cui era e le andò incontro. Allontanò le guardie e la guardò. Lei sorrise, o almeno accennò a farlo poi gli voltò le spalle e si diresse verso l’uscio. « Posso andare da sola, Sire. Non c’era bisogno dei cani da guardia. Io non sono lei. » e uscì. Legolas rimase impalato, imbarazzato e colpito dalla sfacciataggine di lei.  Quando la porta si richiuse alle sue spalle, lui esplose in un piccolo ringhio frustrato. Perché ogni volta che faceva qualcosa di gentile per lei, o ci provava almeno, Eleonora lo respingeva? Cosa poteva aver fatto di tanto male al mondo per meritarsi quello? Proprio non riusciva a capirlo.
 

 
°  °
 
 
Fuori dal palazzo l’aria era calda, e umida. La poca gente che stava fuori sulle verande mi osservava curiosa e sospettosa al tempo stesso. Tutto era così triste li: come doveva essere vivere sperduti nel nulla? Mi mancavano città Italiane, mi mancavano i miei amici, mi mancava persino mia sorella. Li dove in quella radura, in quei dintorni non c’erano altro che lande desolate e montagne. Sospirai, scocciata. Prosegui dritta sul tuo cammino, guerriera. Poi volta a destra: li una sorpresa ti aspetta. Un uomo che ha significato amicizia per te. Che ha finto per te.  Sussultai appena. Titano! Gridai dentro di me, la voce che aveva ripreso colore. Sono contento di sapere che stai bene, custode. Ho temuto per la tua vita. Ho la pellaccia dura, io. Scherzai mentre svoltavo, come lui mi aveva consigliato. Quando ti rivedrò? Presto, vero? Mia cara Eleonora. Io sono il tuo guardiano, arriverò quando avrai bisogno di me. Ma, Titano io… Quando avrai bisogno di me. Ripeté il dragone, e poi il contatto con la sua mente scomparve. Alzai gli occhi al cielo, e lo fissai sospirante. Il mio dragone, mi mancava davvero molto. Feci ancora qualche passo quando, a un certo punto, venni attirata da un manto nero. Sbattei violentemente le palpebre, per accertarmi che fosse chi credevo essere e quando me ne resi conto cominciai a correre. Correvo: con il vento fra i capelli. Correvo: fregandomene delle ferite. Correvo: come se quella corsa mi avesse potuto salvare la vita. Correvo. Saltai, prima di pensare a qualunque altra cosa, sulle spalle dell’uomo e strinsi le mie gambe sul suo bacino. Gring. In quel momento non pensavo a nient’altro. Era vivo, e stava bene. « Sei vivo! » stillai stringendolo ancora. Lui rise di gusto a annuì. « E anche tu stai bene, a quanto posso sentire. » « Ti devo la vita, Gring. Mi hai portato dal re, ti sei fatto scambiare per mio zio… » « Come l’hai capito? » mormorò sorpreso lui. « Titano. Titano mi ha fatto intuire tutto. » « Quel dragone » sbuffò. « Mi fa sempre venire i colpi al cuore. » « Già. Ma ora non importa. Sono felice di sapere che stai bene  » risi, quando lui fece un giro su se stesso e poi mi mise giù, voltandosi. Esaminai i lineamenti del suo volto stanco: i capelli erano leggermente grigi rispetto all’ultima volta che ci eravamo visti. La barba più curata, e portava un orecchino all’orecchio sinistro. Per il resto indossava un grembiule di pelle chiara rovinata sopra i pantaloni, e una camicia nera. La faccia leggermente sporca di nero, a causa della fuliggine del camino. Sorrisi e gli accarezzai una guancia, pulendolo. Era come un padre per me, gliel’avevo sempre ripetuto, e lui mi aveva sempre ripetuto che io ero come una figlia. E ora finalmente ci rincontravamo dopo tanto. « Sono felice di rivederti » mormorai. « Anche io » mi strinse in un abbraccio degno di quel nome.
 


°  °
 


Legolas si nascose dietro una casa, e assieme a lui anche Gimli fece lo stesso. I due avevano deciso di seguire la ragazza per tutta Rohan se fosse stato necessario, per assicurarsi che stesse bene e non facesse stupidaggini. « Cosa fa? » chiese il nano, sporgendosi leggermente. « Si è messa a correre… e va sempre più veloce » lo informò l’elfo. « E, ora è saltata a cavalluccio su un uomo. E lo abbraccia stretto » il cuore del giovane batté più lentamente, chiuso in una morsa di ghiaccio. Ingoiò un fiotto di saliva, che gli scivolò per la gola sembrando ferro: graffiando tutto fino a spezzettarsi nel cuore. « E ora lui la fa girare, e lei ride. » « Lei sa ridere? » si stupì Gimli. Legolas gli riservò uno sguardo di fuoco, che il piccolo guerriero ignorò. Gli occhi di ghiaccio del principe non lasciarono neanche per un momento la figura di lei: che ora accarezzava il volto dell’uomo sorridente. Il fabbro le accarezzava le braccia protettivamente e entrambi parlavano, ridevano e annuivano. Poi scomparvero nella casa, e scomparirono dalla sua vista. Legolas tirò un pugno alla casa li vicina, ferendosi le nocche che cominciarono a sanguinare, per la frustrazione. Chi era quell’uomo? Pensò. Che diamine aveva a che fare con lei, e perché sembravano così intimi? Quella situazione gli dava alla testa. Lo faceva impazzire, davvero. « Che ti prende, ragazzo? » chiese il nano, raggiungendo a corsa l’elfo che si era già allontanato dall’abitazione. Sto’ male. Lei è con un altro. Io so che non mi ha mai amato, che era un gioco insignificante il nostro, come allora. Dovevo saperlo che era rimasta uguale. Avrei dovuto ricordarmi chi era. E ora ho il cuore che grida, che supplica pietà. Che mi urla di riaverla, di stringerla fra le mie braccia e baciarla, come allora. E invece sto’ male: piango su me stesso, come se tutto fosse perduto per sempre. Eppure la guerra non è perduta, il mio regno non è perduto, la mia vita non è perduta. Ma io si. Io sono perso. Avrebbe voluto gridare. Ma non lo fece, rimase muto ad autocommiserarsi. « Tutto bene? Stai bene? » tentò di nuovo l’amico. « Non lo so » fu l’unica risposta dell’elfo.

 
 
 
Holaaa! Come suggerito da una fan ho provato a fare il punto di vista dalla parte di Gimli. Che ne pensate? Prima di fare i miei discorsi, volevo ringraziare: TUTTE VOI CHE RECENSITE LA MIA SOTRIA, oppure l’avete messa fra le seguite/preferite/da ricordare ecc…
A voi, lettrici silenziose chiedo di esporvi: lasciate recensioni. Ditemi che ne pensate della storia. Mi farebbe molto piacere.
P.s: ho trovato una splendida foto che ritrae il mio stereotipo per Eleonora. La splendida Crystal Reed ( dalla serie Teen Wolf, che io adoro) :


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Spoiler!!!!! Attenzione: Se NON volete rovinarvi  i prossimi capitoli non leggete.
 
Nei prossimi capitoli conosceremo REALMENTE Isil: che sarà “interpretata” da Zara Larsson ( la cui foto era in uno dei capitoli della scorsa FF), una splendida cantante:

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Capitolo 3
*** Scintille bianche. Scintille nere. ***


 
Just can’t let her go. 
 
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Dalle finestrelle della casa di Gring, il sole entrava prepotentemente. L’arredamento spartano dell’abitacolo non mi drammatizzò, come invece credeva avrebbe fatto l’allevatore. Mi accomodai su una sedia, che cigolò sotto il mio peso ma non smisi mai di sorridere. Gring era li, vicino a me, con me e soprattutto vivo. Avevo così tante domande da fargli, così tanto da chiedergli. « Forza, lo so che stai aspettando il mio consenso… parti pure » rise lui versandosi del vino in un bicchiere. « Ah » battei le mani, per poi sfregarle fra loro. « Come sei sfuggito agli orchi? Come hai conosciuto Titano? Sapevi chi ero, non è così? Ma come? Chi te l’ha detto, da chi l’hai saputo? » « Frena, frena » mise una mano sulle mie labbra, per zittirmi. Chiusi la bocca e attesi, agitando il piede. Lui prese una sedia, la girò mettendocisi a cavalluccio e disse: « Mi prendo cura di Titano da quando era un uovo. Re Thranduil me lo comprò parecchi anni fa, e quando lo portai alla sua corte e tu lo prendesti fra le mani, questo si schiuse. Oh, non so se te lo ricordi, non credo, ma era un piccolo ammasso di squame azzurre come l’acqua al tempo,  e i suoi occhi erano come fari » sospirò rapito dai pensieri. « Me lo affidasti poco prima di partire per la battaglia… mi ricordo che piangesti quando me lo porgesti e dovetti dirgli addio… Gli giurasti che saresti tornata a prenderlo. Non l’hai mai fatto » gli occhi scuri dell’uomo erano fissi nei miei. Sembravano due buchi neri in procinto di inghiottirmi. « Se tu lo portasti a Thranduil sessant’anni fa, come mai sembri un quarantenne? » la domanda mi sorse spontanea. « Vedi, mia cara guerriera, non sei l’unica ad avere dei segreti » batté giocosamente la mano sul tavolo. « Ti rivelerò il mio, quando vorrò. » « E’ ingiusto! » protestai, piagnucolando. « Non fare così, bambina » mi rimproverò, agitando l’indice della mano destra verso di me. « Piuttosto, dimmi hai fame? Sete? » « Oh, no Gring, grazie » congedai la sua offerta. « Ma come facevi ad avere un uovo di drago, Gring? » « Posso? » ci voltammo all’unisono. Gandal era sulla soglia dell’abitazione: la tunica bianca sollevata con una mano, il bastone tenuto in un’altra. « Ah, Gandalf » l’allevatore allargò le braccia in segno di saluto, e si alzò. « Quanto tempo, amico mio. » Si abbracciarono e poi lo stregone entrò. M’issai anch’io sulle gambe e lo salutai, visto che prima non avevo potuto farlo. Era bello risentire il suo buon odore, e la sua stretta su di me. « Come vi conoscete? » chiesi, tornando ad accomodarmi. Accanto a me l’allevatore sorrise e fissò l’anziano. « E’ mio fratello » chiarì a un tratto il mago. Per poco non mi stozzai con la mia saliva. Battei il pugno sul petto diverse volte, prima di riprendere a respirare. « Sul serio? » la mia voce suonò stridula, quando lo domandai. I due annuirono, e solo allora mi accorsi che avevano gli stessi lineamenti. « Non l’avrei mai detto » ammisi, accavallando le gambe. « Già, non lo direbbe nessuno » scherzò Gring. « Ma ora veniamo al dunque: Gandalf, tu non sei qui per me, vero? » Lo stregone sospirò. « Mi conosci ancora così bene » si congratulò col fratello. « Allora io vado dai cavalli, ho saputo che partiremo, questo pomeriggio. » « Esattamente » confermò Gandalf. Quando Gring ci ebbe abbandonati, lo stregone bianco mi osservò. Lo sguardo azzurro serio, la bocca piegata in una linea sottile. « La tua ferita » si affrettò a dire. « Sta guarendo? La mia magia ha effetto? » Boccheggiai impreparata. « No. Insomma, non credo. Fa sempre molto male. » « No buono. » « Ah, davvero? » ironizzai io. Lui mi colpì in testa col suo bastone nuovo e borbottò qualcosa in una strana lingua, forse elfico. « Così non vale! » Protestai, accarezzandomi la cute dolorante. « Sopporteresti di peggio, e ora piantala di fare la bambina » mi rimproverò. « Ora dimmi: hai fatto sogni strani, ultimamente? » Ci pensai su, scavando nella mia memoria e scossi il capo. Poi, d’un tratto, battei le mani sul legno del tavolo gridando: « Si! » Lo stregone sobbalzò, colto alla sprovvista e fece per colpirmi ancora, se io non l’avessi fermato. « C’ero io. O meglio: c’era il mio “io” guerriera. Insomma, Isil. Mi ha detto che ormai è giunta per lei l’ora di tornare in vita. » Lo sguardo attento di Gandalf non smise di fissarmi, curioso. Un lampo balenò nei suoi occhi. « E’ come credevo. La profezia si avvera. » « Cosa? Che profezia? » « Quella di Elrond. » « Wo, bloccati capo. Elrond mi aveva detto solo che la profezia diceva che io » m’indicai con un gesto teatrale. « Sarei tornata. Non diceva altro. » « C’erto, perché una parte di essa fu strappata, da me. » Ridussi le palpebre a due fessure, e inarcai le sopracciglia. « Cosa. Diceva. L’altra. Parte. Della. Profezia, Gandalf? » sibilai, più impaurita da quello che potevano aver predetto per me gli elfi antichi, che per altro. L’uomo frugò nelle grandi maniche della tunica e ne estrasse un foglio, spiegazzato e tagliato in malo modo. Lo aprì e lo poggiò sul tavolo d’innanzi a lui. Le lettere elfiche erano state scritte con un inchiostro azzurro, sbiadito sulla pergamena ormai vecchia. « Isil tornerà » cominciò a leggere con voce solenne il mago. « Il suo guardiano la proteggerà, ma nulla essa potrà contro le tenebre che vivono in lei. L’io guerriera si ribellerà. La lotta per la sopravvivenza sarà cruenta. Ma attenzione, o una delle due muore o il destino sceglierà chi portarsi via. Se il male resta, la luce perisce. E allora sarà la fine. Ma un amore può salvarla. Prima che la grande battaglia sia conclusa, una deve morire o sarà la fine » chiuse la pergamena con forza. Chiusi gli occhi e mi gettai con la schiena contro lo schienale di legno della sedia. Ripiegai la testa all’indietro e chiusi gli occhi. « Come saremo chi è il male e chi è il bene? » sussurrai, avvilita. « Non lo so. Hai avuto qualche segno premonitore, durante il tuo sogno? Qualche indizio, che potrebbe aiutarci? » « Scintille » mormorai. « Scintille? » ripeté Gandalf, ansioso. « Si, scintille. Dalla mano di Isil uscivano scintille bianche, come diamanti, dalla mia nere, come il carbone. » « Per tutti i Valar » lo stregone si prese il viso tra le mani. Solo allora capii, il perché di quel gesto. « Io sarò il male. Io dovrò perire. » La verità nuda e cruda mi colpì come la folata di un incendio. Io sarei morta, lei sarebbe sopravvissuta.
 
 
E’ corto ma ho scritto di fretta. Spero almeno che vi piaccia J
Copiate l’indirizzo link e guardatevi il trailer ;) http://www.youtube.com/watch?v=f5rbFIkpu28

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Capitolo 4
*** Come puoi guardarla morire? ***


 
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Morirò. Tutto questo, tutto quello che ho passato, per poi morire. Pensai, mentre il mio stomaco si chiudeva in una morsa di ferro e ruggine. Gandalf, accanto a me, se ne stava con lo sguardo perso nel vuoto: come se un’illuminazione potesse raggiungerlo da un momento all’altro. Sospirai, ancora una volta e poi mi decisi a parlare. « Se io sono il male: farò quello che bisognerà fare. Mi ucciderò io stessa. » Lo stregone alzò per un attimo gli occhi, puntandoli nei miei e arricciò le labbra in una smorfia. « Quando la spaccatura sarà avvenuta, tu non potrai ucciderti da sola: qualcun altro deve farlo. » « Perché? » « Perché è così. Tu non puoi ucciderti, perché il male non muore mai. Deve ucciderti qualcuno che ha il cuore puro, e l’animo nobile. » « Ma io non conosco ness… » mi bloccai, stringendo i pugni. « Legolas. » Gli occhi chiari del vecchio tornarono al tavolo di legno. « Esattamente. » La stretta allo stomaco si fece talmente forte che pensai l’avrebbe distrutto. « Ma lui non vorrà mai farlo. Devi trovare un modo, devi riuscire a farti odiare e fargli amare Isil. » Tutte quelle informazioni, arrivate così all’improvviso dalle labbra di un vecchio amico mi fecero sussultare. « Non ci metterò molto a farmi odiare, Gandalf. E lo sai meglio di me: sono sempre stata brava in queste cose. » « Piccola, bambina mia » sussurrò il vecchio stringendomi la mano. « So quanto dolore provi, lo so. » « Non è vero » abbassai il capo tristemente. « E invece si, Eleonora. E sai perché? Perché io e mio fratello, una volta, eravamo la stessa persona. Poi è avvenuta la frattura, e lui è uscito dal mio petto: l’ha letteralmente squarciato. » Mentre mi raccontava quella verità scomoda, i suoi occhi corsero all’entrata posteriore della piccola casa. Da fuori giungevano i nitriti dei cavalli di Gring, e le sue parole sussurrate al vento, per farli calmare. « Io dovrò ucciderlo. Perciò, lo so cosa significa. » Sbattei le palpebre, e una lacrima scivolò sulle mie ciglia, per poi macchiare il legno del tavolo. Asciugai velocemente le altre e ripresi il mio solito portamento, fiero. « Tu sai cosa si prova a dover uccidere qualcuno che ti è caro, Gandalf il bianco. Non a essere uccisi da qualcuno che ami » e mi alzai. La mia sedia strisciò con vigore sul pavimento, per poi cadere sullo schienale e alzare una piccola nube di polvere illuminata dal sole. Fuori dalle finestre giunse un urlo. « Per ordine del re, la città va abbandonata. » Mi affrettai a scendere in strada, per controllare con i miei occhi. Tutti i contadini di Rohan erano in procinto di andarsene. « Troveremo rifugio al fosso di Helm » continuò la guardia. « Oh cielo » esclamò Gandalf. E prima che me ne accorgessi mi aveva presa per un polso, e camminavamo in mezzo alla gente in cerca della compagnia. O meglio: di quel che restava della compagnia. Quando finalmente riuscimmo a trovarli, lo stregone riprese a camminare con veemenza. « Non caricatevi di tesori: portate solo le provviste necessarie » avvertì ancora l’uomo. Evitai un bambino e mi affrettai dietro gli uomini.  « Il fosso di Helm! Fuggono sulle montagne quando dovrebbero farsi avanti e combattere! » Esclamò indignato il mago. « Chi li difenderà, se non il re? » continuò una volta entrato nelle stalle. « Ognuno sceglie il destino che più l’aggrada » m’intromisi io, sebbene fossi persa nei miei pensieri. « Ed, evidentemente, loro preferiscono la morte alla vita. O almeno: il loro re preferisce così. »  « Fa solo ciò che ritiene meglio per la sua gente. Il fossi di Helm li ha salvati in passato » disse Aragorn, al suo fianco. « Non c’è via di scampo da quella gola. Theoden si dirige verso la trappola. E’ convinto di condurli alla salvezza, ma andranno incontro ad un massacro » ci avvisò Gandalf. Mi distrassi quando un’ombra oscurò per qualche secondo la luce del sole. Lasciai il fianco di Aragorn e m’intrufolai in un box. La paglia era sparsa ovunque, ricopriva il terreno duro su cui sarebbe dovuto stare l’animale ospitato. Ma invece di un animale, vi trovai un bambino. Era rannicchiato in un angolino, e indossava vestiti poveri. I capelli chiari erano corti e scompigliati, e gli occhi scuri mi fissavano curiosi e impauriti. Tremava, dal freddo credo. Mi avvicinai, con cautela e tolsi il mantello che mi copriva dalle spalle. Lo poggiai su di lui, che per la prima volta sorrise. « Come ti chiami? » sussurrai, accarezzandogli i capelli. « Duncan » rispose timido. La sua vocina era stanca, ma stabile. « E tu? » domandò lui, curioso. « Eleonora » sorrisi. « Quanti anni hai, Duncan? » « Tre » mi mostrò il numero con le dita. Accentuai il sorriso e lo presi in braccio, mentre lui legava le braccia piccole al mio collo. « Dov’è la tua mamma? » « Fuori » indicò l’uscita della stalla. Distribuii meglio il suo peso e uscii dal box. Aragorn e Gandalf mi fissarono, sorpresi. « Tornate ai vostri affari » ordinai io, con un cenno del capo. Loro parvero ridestarsi, e mi ignorarono.
 
 
°  °
 
 
Gimli fissò Legolas. L’elfo era poggiato a un barile, strapieno di tuberi e aveva incrociato le braccia al petto. Erano usciti dalla stalla poco pirma, mentre Aragorn e Eleonora erano rimasti al fianco di Gandalf. Ora, il nano si domandava se fosse il momento giusto per chiedere ad orecchie a punta spiegazioni riguardo lui e la guerriera. Dopo tutto: ne aveva il diritto. « Allora, principino » cominciò Gimli, attirando l’attenzione dell’elfo. « Hai qualche innamorata che aspetta il tuo ritorno a casuccia? » cercò di sbattere gli occhi con più femminilità possibile, ma lui non era femminile. Legolas rise e scosse il capo. « Nessuna, mastro nano. Tu, invece? » « Sto bene solo » annunciò il piccolo guerriero. Il principe annuì e ritornò a fissare l’entrata della stalla. « E con la ragazza? Si, insomma Eleonora » sputò fuori, in fretta e furia l’amico. Il biondo per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. Si rifilò due piccole pacche al petto e si voltò verso il nano. « Con chi? » la sua voce era cresciuta di varie ottave. « Andiamo Legolas: sappiamo tutti che provi qualcosa per lei, lo vediamo dal modo in cui la guardi. O tenti di proteggerla. » « Io non… non è vero » le guance gli si colorarono leggermente di rosso. « Oh, andiamo! » ridacchiò il nano, divertito dal fatto di aver messo alle strette l’amico. « Anche oggi gli sei praticamente saltato addosso quando quelle guardie l’hanno sollevata. » « Non… ho solo… volevo proteggere un’amica. » « Certo. Certo. “Un’amica”. » Il nano rise di gusto spostando gli occhi verso l’entrata delle stalle. Gandalf era uscito a cavallo, galoppando come un forsennato e dietro la sua scia era apparsa una figura più magra, con un bambino in braccio. Gimli si strofinò gli occhi quando la figura li raggiunse. Eleonora sorrideva, e assieme a lei il bambino che l’abbracciava. « Forza Duncan, saluta » mormorò con dolcezza al piccolo. L’esserino nascose il voltò nell’incavo del suo collo, imbarazzato, e strinse le manine sulla stoffa dei vestiti di lei. « Dove? » la domanda di Legolas si perse nel vento, mentre si avvicinava al piccolo uomo. « Nelle stalle. Voleva vedere i cavalli del re » rispose pronta lei. « Oh, bhe. Ciao piccoletto » sorrise l’elfo, accarezzandogli la manina. Gimli rimase a osservare la scena, incuriosito. Quando il bambino alzò il volto dal collo della guerriera, un lampo attraversò la mente del nano. Sembra loro figlio. Pensò, sbattendo le palpebre. Il piccoletto aveva i capelli biondi, come il principe, e gli occhi scuri come lei. « Duncan » il bambino riprese l’elfo, sorprendendo tutti. « Il mio nome è Duncan, non piccoletto. » Eleonora rise divertita. « Scusami » rispose Legolas, con un sorriso dolce disegnato sulle labbra. Il bambino ricambiò, poi prese un ciuffo di capelli biondi e l’analizzò. Gimli poggiò il mento su un pugno chiuso e sbatté ancora le palpebre. Ora l’elfo era più vicino alla ragazza e il bambino, e li sovrastava. Duncan giocava con i capelli biondi del principe, mentre Eleonora lanciava occhiate al ragazzo che sorrideva. In quel momento, uno strano bagliore l’assorbì e poi si spense immediatamente. « Tieni il bambino! Trova sua madre! » esclamò lei, poggiando Duncan fra le braccia dell’elfo, in tutta fretta. « Eleonora » gli gridò dietro il biondo, ma lei era già corsa lontana, vero le porte della città. « Dannazzione! » soffiò tra i denti. Posò il bambino a terra e lo condusse da Gimli. Il nano lo fissò, senza capire e poi si ritrovò la manina del piccolo nella propria. « Trova sua madre » gli ordinò il principe e si mise a correre nella direzione di lei. I due rimasti si guardarono e sospirarono all’unisono. « Forza, cerchiamo tua madre » si ritrovò a dire il nano.
 
 
°  °
 
 
Il mio cuore. Pensavo mentre correvo. Ero quasi fuori da Rohan ormai, e non avevo intenzione di fermarmi. L’anello aveva preso a brillare a intermittenza e io dovevo nascondermi. « Di qua! Da questa parte! » la voce di Gring mi scalfì l’orecchio. Non mi ero neanche accorta che mi aveva raggiunta. Prese la mia mano nella sua e svoltammo a destra. Rohan era più grande di quello che pensavo. Ci inoltrammo nelle stradine, per poi finire dentro una casa. L’interno era spoglio,  c’era solo un letto e qualche finestra. « Gandalf mi aveva avvertito » disse con rimprovero, a se stesso, l’allevatore. Sia avvicinò alle finestre, e una a una le coprì tutte con le tende in modo che nessuno potesse sbirciare all’interno. Un'altra fitta s’impossessò di me. Sto diventando troppo donnicciola. Mi attaccai da sola. Dov’è finita la guerriera impavida che non ha paura di nulla? E dov’è il mio sarcasmo, per la miseria?! « Cos’hai visto? Durante la tua visione. Cos’hai visto?  » l’uomo mi raggiunse con furia, e poggiò le mani sulle mie spalle. « Sauron » sussurrai, mentre l’anello placava la luce. Gring chiuse gli occhi, e respirò rumorosamente. « L’occhio di Sauron » ringhiò a voce alta. Avrei voluto dirgli che non avevo visto solo l’occhio, ma tutto il corpo di Sauron, ma lui non mi lasciò parlare. Vagai con la mente a pochi minuti prima, quando l’elfo era al mio fianco e il bambino tra le mie braccia. L’anello mi aveva fatto più male del solito, e io l’avevo visto: Sauron era in piedi in una stanza oscura e con una sola grande finestra. Da  fuori arrivavano lamenti strazianti, urla grottesche e tanto, tanto rumore infernale. L’uomo se ne stava affacciato li, le mani congiunte dietro la schiena e il portamento fiero. Sulle spalle larghe scendevano capelli corvini, lunghi quanto quelli di Legolas, e da essi spuntavano le punte appuntite delle orecchie. Li per li non riuscivo a crederci: mi aspettavo che l’oscuro signore fosse umano, o per lo meno uno strano mostro. Invece era un elfo, o una specie. Poi, si era voltato e mi aveva mostrato i suoi lineamenti: aveva una mascella rigida e regale, labbra piene e occhi rossi, come il sangue che mi scorreva nelle vene. Aveva sorriso, allungando una mano verso di me e poi tutto era finito. Ero corsa via scossa, e dolorante. Ma soprattutto spaventata.  « Lui sa della frattura imminente! Maledizione! » Gring urlò, riportandomi alla realtà dei fatti. Tirò un calcio a un piede di legno che sorreggeva il letto: questo cigolò, scoccò e poi si ruppe con un tonfo. « Dobbiamo tirarla fuori da te! Subito! » pensò lui a voce alta. « E come facciamo, eh? E’ lei che deciderà quando uscire. Io non sono ancora forte come qualche mese fa. La ferita di quel maledettismo orco mi fa ancora male, neppure Gandalf è riuscito a guarirla! » sbraitai frustrata. « Sto perdendo tutto: le forze, la voglia di combattere, le speranze… la vita. » Il piccolo cerchio d’argento al mio dito tornò a fremere. Poggiai la mano buona su quella e bloccai il flussò di dolore, o almeno ci provai. Gring lanciò un’occhiata alla luce bianca, che filtrava dagli spazi delle mie dita, e un lampo attraversò i suoi occhi. « Richiama tutto il potere che l’anello ha su di te, Eleonora. Lei sentirà la tua forza, e uscirà. » « Come fai a esserne sicuro? » « Perché io ho fatto lo stesso con mio fratello. » Presi un bel respiro e liberai la mano dalla mia stessa stretta. L’anello brillò, e le incisioni sopra risplendettero di luce nera, in contrasto con l’altra bianca. « Come faccio? » « Chiudi gli occhi, concentrati. Farà male. » « Non ho paura del dolore » ammisi. « Lo so » sorrise per un istante. « Sei una guerriera, dopo tutto. » « Gia » accennai un sorriso, mentre dentro morivo e chiusi gli occhi. Sono una guerriera, ora. Ma dopo? Cosa accadrà quando lei sarà libera? Resterò forte come ora, c’è la farò ad affrontare i nemici… riuscirò a morire senza ripensamenti? Mi chiesi. No, certo che no. Ma almeno morirò guardando qualcuno che amo negli occhi. Morirò sapendo di avergli salvato la vita. Cominciai a concentrarmi.
 
 
°   °
 
 
Legolas virò con prepotenza a un angolo. Poteva sentirli parlare grazie al suo udito fine. Poi il silenzio. L’elfò si bloccò, sollevando una nube di polvere che l’avvolse completamente. Dannazione! Pensò. Merda. Merda. Merda! Si rendeva conto che il suo pensiero non usava un linguaggio consono, ma poco gli importava. Riprese a correre, mentre il suo respiro si faceva più corto, finché non giunse vicino alle mura della città. C’erano poche case li intorno, e già tutte erano state abbandonate: ma una sembrava occupata. Le flebili tende blu svolazzavano mosse dal vento. Si avvicinò lentamente e sbirciò incuriosito. Un uomo alto gli oscurava la vista su una buona porzione di spazio, ma un’ombra più esile si allungava oltre la sua. La ragazza gridò e si piegò su se stessa, tenendosi la testa fra le mani. Un rumore raccapricciante, di ossa rotte invase la stanza, e subito dopo il silenzio. Legolas chiuse gli occhi, prese un bel respiro e salì le scale che portavano alla casa di fretta. Quando spalancò la porta i suoi occhi si spalancarono. « Eleonora » esclamò gettandosi sul corpo della ragazza. « No! No, ragazzo fermati! » lo bloccò l’allevatore, fiondandoglisi addosso. I due rotolarono sul pavimento: Legolas cercando di disfarsi del peso di Gring, l’uomo cercando di trattenere l’elfo. « Ragazzo è la sua battaglia! » sbraitò l’umano. « Come puoi restare impassibile mentre lei cerca di uccidersi?! » rispose con ira il principe, tirando un pugno in faccia al contendente. « Perché tengo alla sua vita! Stupido elfo! » « Sta morendo! » Ormai la voce di Legolas era rotta dalla preoccupazione. Mentre l’uomo lo mise al tappeto, lui si voltò. Per qualche istante gli occhi dei due giovani si incrociarono, mentre sul petto e sul ventre di lei scendevano sangue rosso e nero. « Scusa » sussurrò lei, prima che una strana luce l’avvolgesse. Poi tutto calò nel buio.
 
 
 
 
Ok. Ecco un capitolo di passaggio, staccato dalla trama originale. Che ne dite? Troppo gne gne gne? Comunque: avrei piacere che recensiste ( anche perché mi piace sapere la vostra J ) Stò male, perciò ne ho approfittato per scrivere il mio “tessssoro”. Vabbé, mi dileguo. Love you :3 

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Capitolo 5
*** Affare fatto? ***


 
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Quando la luce tornò a illuminare la piccolo stanza normalmente, Legolas aveva le lacrime agli occhi. Davanti a lui, stesa a terra in un lago di sangue, scuro e rosso, c’era lei. Le braccia a poca distanza dalla testa. Un piccolo cerchio dorato continuò a rotolare preciso sul pavimento di legno, poi tentennò un poco e infine si accasciò a terra, a pochi centimetri dal naso dell’elfo. L’uomo sopra di lui sospirò esausto, e lo lasciò andare: gettandosi a pancia in su al suo fianco. Il principe non perse tempo e si sollevò sui gomiti, strisciando fino alla ragazza. « Ele, ehy » sussurrò, smuovendola un poco. La paura l’assalì. E se fosse morta? Lui non se lo sarebbe mai perdonato. « Eleonora » ritentò. Lei tossì debolmente, e un altro fiotto di sangue nero le uscì dalle labbra. Il cuore del principe riprese a battere normalmente. Non si era neanche accorto che aveva smesso di farlo: era stato troppo impegnato a lottare contro l’allevatore e gridare il nome di lei per accorgersi d’altro. « Siano ringraziati i Valar. » Il biondo si lasciò sfuggire un sospiro leggero. « Oh, eccolo » ridacchiò una voce vellutata, distraendolo. I due uomini voltarono la testa di scatto e si ritrovarono a fissare un paio di stivali neri. Salendo con lo sguardo Legolas studiò i pantaloni di tessuto chiaro, coperti da una giubba azzurra e bianca. Arrivò infine al volto: lei aveva i capelli lunghi fino alle spalle, di un biondo chiaro e leggermente mossi. La mascella era incorniciata dalle loro onde, ma orecchie a punta riusciva a vedere la sua linea dolce e al contempo marcata, come quella di Eleonora. Le labbra erano piene e rosse come rubini, il naso era all’insù e posizionato perfettamente sotto gli occhi azzurri come lapislazzuli. Si rigirava fra le mani il piccolo cerchio d’argento, appartenuto alla ragazza che ora continuava a sputare sangue. Come risvegliatosi da un sogno il giovane s’inginocchiò lesto e fece fare lo stesso alla sua compagna della compagnia. « Chi sei? » ringhiò allora alla bionda, che ancora non aveva prestato loro attenzione. Lei sobbalzò leggermente voltandosi e sgranò gli occhi. Le sue labbra si piegarono ancora un po’ verso l’alto, mentre esaminava il corpo del principe, i suoi lineamenti e la stretta che aveva sul ventre di Eleonora. Piegò leggermente la testa e i corti capelli biondi le scivolarono tutti su una spalla. Solo allora Legolas venne travolto da una scintilla. I suoi modi di fare, il suo sorriso, gli ricordavano Eleonora. « Sono sua sorella » disse radiosa la bionda, indicando il corpo della mora. « Non si direbbe, vero? » « Sua sorella? » ripeté stranito lui. Eleonora, a suo sapere, non aveva sorelle: almeno, non li nella Terra di Mezzo. « Lei non ha… sorelle. » « Non hai visto come si veste? E’ per forza mia sorella » ribatté Eleonora, passandosi la mano sulle labbra per pulirsi dal sangue. Staccò le mani di Legolas con poca delicatezza e si alzò in piedi, traballante. « Non ho bisogni di te » bloccò subito l’elfo, con un cenno sgarbato della mano, che stava correndo a sorreggerla. Lui si bloccò, allibito dalla freddezza della voce di lei: che ora sembrava ghiaccio scheggiato, e rimase fermo. Si domandò come mai non gli avesse mai parlato di quella ragazza. Si domandò come mai non l’avesse mai vista. Si chiese perché ora Eleonora era così fredda: più fredda del solito. « Legolas ti presento Isil » li presentò la castana, come se gli avesse letto nel pensiero. Il giovane rimase muto, ad osservarle. « Cos’è nel pacchetto “escodalpettodimiasorellasquarciandolo” erano inclusi anche i vestiti? » domandò ironica Eleonora. La bionda lanciò una mano in aria, dietro la sua testa e l’anello le luccicò sul dito. « Sai, l’originalità non è fatta per tutti. Non è così, sorella? » Isil fece schioccare la lingua. I suoi occhi da felino balenarono con la luce. « Cosa vuol dire che ti è uscita dal petto? E perché l’hai chiamata Isil? Tu sei Isil! » si incuriosì il biondo. « E’ una storia lunga, principino » risposero all’unisono le due. Gring, dietro la ragazza bionda alzò un sopracciglio, incrociando le braccia al petto divertito. I segni della lotta cominciavano a essere evidenti, sul suo viso e sulle sue braccia. « Ascolta, ragazzo » intervenne l’uomo. « Ti ricordi la storia di Isil la guerriera, no? Quella che diceva che sarebbe risorta e blablabla? Ecco, lei ora è qui, in vita, e sta per compiere il suo destino, da bravo ero che è. E ancora blalabla » indicò la stanza con un ampio gesto delle braccia, che poi finì sulla figura della giovane donna. « Impossibile. Isil è Eleonora. » « Tutto è possibile » rispose duramente la castana, sentendosi chiamata in causa. « Ascolta, Legolas » aggiunse poi, poggiandosi una mano sulla fronte. « Tutto questo è strano, lo so. Ma… Oh, al diavolo. Legolas Verdefoglia occupati di lei, ok? E accertati di starne fuori il più possibile, da questa faccenda » gli indicò sgarbatamente la sorella. « Io vado a cambiarmi. Ah! Dimenticavo, non una parla su questa storia » lo minacciò uscendo dalla casa. Lui fece per rincorrerla ma l’umano lo bloccò, sbarrandogli la porta. « Come ti ho detto prima, ragazzo: è la sua battaglia, non intrometterti. » « Invece tu puoi? Perché? » ringhiò frustrato Legolas. « Perché so cosa prova, ragazzo! E tu farai meglio a starne fuori. » « Come posso capirla se tutti mi allontanate da lei? » una vena sul collo gli pulsò. Gring fece per rispondere, ma Isil si parò fra loro: poggiando una mano sul volto del biondo. Lui la fissò negli occhi, e per uno strano motivo si rilassò: come se dentro di essi potesse leggervi tutto quello che voleva. E in quel momento vi leggeva sincerità e calma, che si ripercuotevano su di lui. « Va da lei, Giring » mormorò all’uomo, che annuì con un cenno della testa e uscì dalla casa. I due rimasero soli, a fissarsi. « Ti spiegherò tutto durante il viaggio verso Helm , Legolas » poggiò anche l’altra mano sulle guance accaldate dell’elfo. « Ma devi stare calmo, e non agitarti. » Poi piegò un poco la testa per guardarlo negli occhi, che lui aveva abbassato. « Va bene? » « Si » alzò le spalle, accompagnando quel gesto con un sospiro marcato carico di apprensione.
 
 
°    °
 
 
 
Quando fui davanti alla casa di Gring, vi trovai attaccati allo steccato due cavalli: un giovane castrone baio: con tutte e quattro le zampe fasciate da balzane bianche, e con una grossa lista sul muso, che gli copriva anche il naso, che sarebbe stato la mia cavalcatura. E uno stallone nero, di Gring. Mi affrettai a sfare i nodi che lo tenevano fermo e lo feci voltare, indirizzandolo verso l’uscita della città. Gring si avvicinò a corsa, e fece lo stesso. « Sei stata dura, con lui » mi disse, come a congratularsi con me quando montammo in sella. « Lo so. Dovevo » mi limitai a rispondere. Mi sentivo distrutta: sapevo che non era solo a causa della separazione da Isil. Era colpa dell’elfo. Era sempre colpa sua. Dannazione! Aveva voluto salvarmi, senza neanche sapere da cosa. Mi era venuta accanto, cercando di sapere se ero viva. Mi aveva stretto a lui, e io non ero mai stata più felice, o protetta. Ma lui doveva odiarmi, quella era la mia missione. E, sebbene credessi che fosse stupido tutto quello, che almeno un po’ di felicità la meritavo anche io, dovevo portarla a termine. « E continuerò a trattarlo così, finché non arriverà a uccidermi. » « Allora dovrai fare molto di più di quello, Eleonora. » Ci unimmo alla folla di contadini fuori dalle mura. Davanti a noi si apriva una distesa sconfinata di erbaccia secca e sabbia. « E allora cosa dovrei fare, Gring? » Chiesi retoricamente. « Feriscilo. Feriscilo dove gli farà più male. Lasciagli una cicatrice interna: una di quelle che non si dimenticano facilmente, mai. Feriscilo nel profondo dell’animo… » « Mi stai dicendo che devo ferirlo… al cuore? Dovrei ferire i suoi sentimenti? » Sussultai alla verità di quella frase. « Esatto, bambina » mi lodò. Voltò la testa verso di me, sorridendo compiaciuto dal mio ragionamento. « Ma » esitai. Non mi sembrava giusto ferirlo dove era più fragile. A quanto ne sapevo l’avevo già ferito in passato, e non volevo farlo di nuovo. « Pensala così, Eleonora: dopo avrà accanto Isil, per sempre. Non sarà mai più solo, il bene regnerà con lui in eterno. » E di me che ne sarà? Sarò costretta a vagare per le terre dei morti alla ricerca di un po’ di carità, per tirare avanti? Mentre quello che rimarrà del mio cuore, e della mia anima, verrà risucchiato in un baratro senza ritorno di dolore e tristezza? « Hai ragione » annuii. « Ma diciamocelo… chi mi vorrebbe come ragazza? Seriamente, Gring. Tutti si aspettano di trovare mogli ubbidienti, che si occupino dei figli e della casa. Io non sono così. Sebbene Isil era il mio “io” guerriera, e ora se n’è andata da dentro di me, sento ancora la voglia di combattere dentro le vene. Non sono fatta per un ragazzo che mi voglia tranquilla… insomma, potrei staccargli le dita della mano. » « Allora magari ti servirebbe un vecchio amico. Uno di quelli nella tua stessa situazione, che non voglia una donna tutto fare, ma una con carattere… » « Si? » risi. « E chi sarebbe lo stupido che ci cascherebbe? » « Io. Io lo farei perché so cosa ti aspetta, e ti capisco Eleonora. » Smisi di ridere e bloccai il cavallo paralizzata da quella risposta. « Tu? Ok, andiamo Gring. Vedi di non scherzare. » « Ma io non sto scherzando » rispose serio. « Ma se sembri mio nonno! » esclamai sotto voce, turbata. Poi mi allungai verso di lui e mormorai: « Voglio ferire Legolas, e lo so che fra voi due non scorre buon sangue, ma non voglio ucciderlo. » Oh meglio, non voglio baciarti! Mi escludo da questo! Col cavolo che ti bacerò o farò la dolce con te. No. No. No e poi NOOO! « Lo so. Ma è lui che deve uccidere te. E pensa quale sarà la cosa bella: questo viaggio sarà movimentato e divertente » rise. Io non ci trovo nulla da ridere. Pensai, scocciata. Tornai a issarmi in sella e feci avanzare il mio cavallo al passo, con la gente. « Allora, giovane? Affare fatto? » Tentennai un poco e poi, mentre dentro di me l’ultimo briciolo di intelligenza veniva schiacciato dal senso del dovere, risposi con un cenno affermativo del capo. Non ci credo, l’ho fatto davvero! Stupida, stupida, stupida! « Quando… si comincia? » Il mio cuore batteva lento, quasi si stesse strascicando a stento su un sentiero arido e deserto. Era, dunque, quello che si provava a tradire una persona che ami? Una Sensazione di aridità, debolezza e tristezza che si andava propagando dal cuore a tutto il resto del corpo? Una morsa letale di ghiaccio e fuoco che trasformavano la bocca dello stomaco in pietra? « Subito, Eleonora. Vieni, raggiungiamo gli altri cavalieri in testa alla colonna » e detto questo spronò il cavallo al galoppo. Lo guardai allontanarsi e, dopo aver alzato gli occhi al cielo e essermi offesa, gli andai dietro. Sorpassai di gran carriera quasi tutta la fila, per poi affiancare Aragorn, ed essere affiancata a mia volta da Gring. Qualche ora dopo eravamo ancora in viaggio, e il sole ci colpiva come faceva con le pietre. Era snervante, specialmente perché Legolas ci fissava, oppure si metteva a parlare sorridente con Isil ( che si era già fatta conoscere da tutti, o quasi ). « E’ vero, non si vedono molte donne fra i nani » stava dicendo Gimli. Eowyn l’ascoltava, e io non potevo pensare ad altro ( in quell’istante raro in cui mi distraevo ) al fatto che la stesse sfinendo.  « In effetti: sono talmente simili nella voce e nell’aspetto, che spesso vengono scambiate per uomini nani! » continuò il piccolo guerriero, uscendosene con una risata. « Hanno la barba » disse Aragorn a Eowyn per farla sorridere, e con un cenno della mano mimò la lunghezza di una di queste. Io e la principessa sorridemmo assieme, trattenendo una piccola risata. « Questo, a sua volta, ha dato origine alla credenza che non esistono donne fra i nani. E che i nani, ecco, spuntino dalle buche del terreno » concluse Gimli, e Eowyn rise divertita a voce alta. Io fissai per un attimo i due, e poi diedi un colpetto di gomito al re di Gondor. Aragorn mi guardò sorridendo e mi fece l’occhiolino. Io ricambiai divertita. « Il che naturalmente è ridicolo » il nano mosse l’ascia e il cavallo nitrì, spaventato. La ragazza si lasciò sfuggire un sospiro sorpreso, quando l’animale le scappò di mano, con il nano ancora sopra che dopo pochi metri si ritrovò a terra. « Primo strike! » gridai, mentre dalla mia bocca usciva una sonora risata. « Vado a recuperarlo » dissi spronando il cavallo. Quando arrivai accanto ai due, la nipote del re rideva ancora, mentre Gimli si metteva a sedere. « Dai Gimli, salta su » allungai la mano nella sua direzione, ma un’altra fece lo stesso. Alzai gli occhi verso la figura difronte a me. Isil sorrideva, quasi beffandosi di me. Eravamo così diverse, noi due: io vestivo con colori scuri come la notte, e portavo capelli corti e castani raccolti sempre. Lei, invece, indossava abiti chiari, aveva capelli mossi e biondi e i suoi occhi, al contrario dei miei, erano come ghiaccio. Ma le nostre idee erano le stesse. Il nano ci fissò, quasi fosse sconvolto e aprì la bocca. « Gimli, ti presento mia sorella: Isil. Isil, lui è Gimli » borbottai rizzandomi in sella. Barba rossa, il soprannome del nano, rimase incantato a osservare gli occhi azzurri della giovane, che sorrideva dolcemente. Avevo trovato un’altra discordanza fra me e “mia” sorella: lei era adorabile… Legolas l’avrebbe adorata. Scossi il capo, sentendo il mal umore penetrarmi nelle ossa e ripresi il mio cammino, da sola. Non mi importava di Gring, del piano o di qualsiasi altra cosa. Dovevo schiarirmi le idee. Mentre procedevo cauta e silenziosa un cavaliere si mise al mio fianco. Non mi voltai nemmeno per guardarlo negli occhi: mi era bastato scorgere il manto del suo cavallo per riconoscerlo. « Solo, perché? Eleonora, dimmi perché? » mi implorò a bassa voce. Il mio cuore si arrotolò su se stesso. « Non ho niente da dirti » risposi acidamente.  «  Stai facendo la bambina » mi attaccò. « Perché non vuoi lasciarmi avvicinare a te? Ho sbagliato, è vero, hai ragione. Ma se tu non mi dai la pos… » « E’ questo il punto, Legolas » sussurrai io, impotente. Dio, mi sentivo così fragile e scoperta al suo fianco. « I-io » radunai il poco coraggio che avevo, e anche il fiato. « Io sto con Gring, Legolas. E tu non puoi farci nulla. » Vidi le sue pupille farsi piccole, e la vena sul collo pulsare. « Dimmi che scherzi! Con quello? » si voltò indietro per esaminare l’uomo. Quindi tornò a guardarmi, sbattendo le palpebre. « Scherzi, non è così? E’ uno scherzo di cattivo gusto, lo sai, no? » « Non è uno scherzo » continuai imperterrita a mentire, senza riuscire a guardarlo. « Ti prego, dimmi che invece lo è: quello potrebbe essere… il tuo bis bis nonno! » « E invece non lo è! » replicò Gring, per se stesso. Alzai la testa di scatto, sorpresa di trovarmelo accanto e di sentire la sua mano attorno al mio fianco. Mi sentivo così violata, come quando Boromir mi aveva baciata contro il mio volere. Oh, Boromir. Mi ritrovai a pensare, e il mio umore venne calpestato definitivamente dagli zoccoli del mio cavallo. « Tu, al contrario, invece potresti esserlo, principino » lo schernì. Mi morsi il labbro per non rispondergli male. Gring stava prendendo troppo la mano con quella storia, ed era cominciata solo da poche ore. « Non hai il diritto di rispondergli così, allevatore » sputò velenosa Isil, spuntando al fianco del principe. « Scusami, Isil » abbassò la voce Gring. Lei lo ghiacciò con uno sguardo e aggiunse: « La tua ora non è lontana Gring. Pochi giorni ancora, se continui di questo passo. E rivolgiti al principe e a me dandoci del “lei”. » Pur sapendo che non avrei dovuto, sentii il cuore alleggerirsi. « Scusatemi, mia signora » strascicò tra i denti l’uomo. « Così va meglio. » La bionda, anch’essa su un cavallo dal bianco manto rivolse un’occhiata al giovane principe di Bosco Atro: « Torniamo dagli altri, Legolas? » Il modo in cui lo disse mi fece salire la collera. Era così… mieloso. Com’era possibile che la mia “io” guerriera fosse mielosa?! Tzé. Forse era dovuto al fatto che lei fosse il bene, e io il male. Non potevo saperlo. Legolas mi rivolse un’altra occhiata, poi scostò il viso verso la giovane nuova arrivata e annuì seguendola. Il mio cuore smise, letteralmente, di battere. Trattenni il respiro e poggiai una mano sopra la stoffa, proprio dove il cuore e la strinsi. « E’ normale » disse ad un’tratto Gring, staccandosi da me. « Stai ripudiando l’amore che provi nei suoi confronti, stai uccidendo tutti i tuoi sentimenti e perciò, essendo tu la parte “malvagia” di Isil, il tuo cuore si ferma. Se fossi stata il bene avresti provato dolore, sentimentalmente parlando, logico. Invece sei capitata nella squadra sbagliata, e ti tocca soffrire il doppio. » « Riprenderà mai a battere? » chiesi. « E chi lo sa. Il mio non l’ha ancora fatto: ed è fermo da quasi 270 anni » alzò le spalle.  Stai sbagliando, Eleonora. E tu lo sai. La voce di Titano si dissolse nella mia mente. Strozzai le lacrime, sul nascere, e guardai fisso davanti a me. Ero pentita. Ero stata stupida ad accettare: ma solo così avrei portato Legolas ad odiarmi. E più mi odiava, prima mi avrebbe uccisa. Dopo tutto era quello lo scopo della missione: essere uccisa. Lui deve uccidermi, se non mi odia non lo farà mai. Risposi. Potrà odiarti in eterno: ma tu sai benissimo che lui non accetterà mai di fare una cosa simile. E chiuse la comunicazione.
 
 
Eccomi, solo per voi. Beeene. Siamo in viaggio verso il fosso di Helm e iniziano le peripezie. Che ne pensate della soluzione che ha preso Ele nei confronti di Legolas? E di Gring che mi dite: vi piace, o il suo comportamento è sospetto? Aspetto con asia le vostre recensioni ^.^ ( Per chi se lo chiedesse sto meglio J ). P.s: avete visto che “When you let her go” è arrivata a 98 recensioni *-* Grazie mille a tutti|e ( c’è qualche buon anima che non ha mai lasciato una recensione li, e che la vorrebbe lasciare ora per arrivare alle 100 :3 ).


P.s: Ecco una foto del nostro Titano.


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Capitolo 6
*** Fatti distruggere. ***


 
Just can’t let her go.  
 

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Dopo qualche giorno ci accampammo, sfiniti. La gente si era riunita attorno a falò e tende costruite a casaccio: create per scampare dal caldo del sole e successivamente dal freddo notturno. Io era ancora a cavallo, girovagando per accertarmi che tutti fossero provvisti di viveri. I bambini si fermavano a sorridermi, oppure ad accarezzare il mio animale. Alcuni mi dicevano che: di esemplari così forti e belli non ne avevano mai visti. Altri lodavano l’animale chiamandolo “Mearas”, mancato. Io sorridevo, annuivo, ringraziavo e procedevo persa nei miei pensieri. Eowyn, passatami davanti con un gran calderone di stufato si diresse verso la “mia” compagnia. « Gimli? » chiese la bionda, allungando la pentola nella direzione del nano. Lui ci sbirciò dentro di sottecchi e si allontanò, dicendo: « Oh, no. Non potrei. Proprio no. » E scappò. La giovane nipote del re abbassò il capo e procedette. « Saggia decisione » mormorai io al mio amico, quando mi ebbe raggiunto. Lui alzò i pollici verso l’alto e annuì: « Lo so. Ci tengo alla vita, io. » E indicò con un cenno del capo Aragorn che si portava alla bocca un cucchiaio di quel veleno. Ridemmo ancora, finché il nano non si congedò per trovare Legolas. « Sorella! » Isil mi corse accanto con la sua cavalcatura. Una grossa nube di polvere inabissò la gente attorno a noi, facendola tossire. La guardai sconcertata. « Ma dico » cominciai. « Volevi intossicarli?  » « Non l’ho fatta apposta » si difese lei, roteando gli occhi. « Come ti pare. Che vuoi, Isil? » « Mi chiedevo se volessi venire a fare una passeggiata con me: volevo mostrarti una cosa. » « E’ lontana, questa cosa? » chiesi annoiata. « Fooorse. » « Allora non vengo. Non ne ho voglia » riportai il mio cavallo al passo. « Dai! Ti piacerà! » continuò imperterrita lei, seguendomi. I bambini, e la gente ora ci fissavano come se fossimo uno scherzo della natura. « No, Isil. Non ne ho voglia » sbuffai su una ciocca di capelli che mi era ricaduta in fronte. « Ti preeego » belò lei, sbattendo le palpebre. Non so perché, ma quella scena mi ricordò quando sulla Terra la mia sorellina tentava di estorcermi caramelle. « Sono stanca » sussurrai, guardandola. « E per cosa? E’ il cavallo che ha camminato fin ora, non tu. Lui dovrebbe dirti che è stanco » borbottò lei, delusa. Ora capivo perché tutti ci fissavano più insistentemente, rispetto a quando eravamo a sorvegliare la coda diretta al fosso di Helm: era perché ci stavamo comportando come reali sorelle. Stavamo discutendo come famigliari. « Ci andiamo tra poco, ok? » mi arresi io. « Grande! Ti vengo a cercare io, a dopo » rilanciò il cavallo al galoppo, uscendo dall’accampamento per controllare che non ci fossero pericoli. Scossi il capo riprendendo la perlustrazione.
 
 


°   °
 
 


Legolas affidò il proprio cavallo a un ragazzo, che si offrì volontario, e si andò a sedere accanto a Aragorn. L’uomo si stava sciacquando la bocca con dell’acqua, cercando di non farsi vedere da Eowyn. Sulle labbra del giovane si dipinse un sorriso divertito, smorzato da un’occhiataccia del sovrano. « Sei ridicolo » disse Legolas. « Disse colui: che non è stato ancora in grado di dichiararsi alla propria amata » lo spense Aragorn, rivolgendo lo sguardo verso Eleonora che era di ronda. Anche l’elfo seguì lo sguardo del re, e trovò lei. Sorrideva, e il sole che le batteva sulla pelle pallida sembrava farla risplendere come marmo. I capelli castani racchiusi in un treccia le poggiavano sulla spalla, risaltando sui vestiti neri, come faceva la pelle. Le labbra rosee: di quel rosa chiaro come i boccioli di margherite che devono ancora nascere, avevano accanto delle adorabili fossette che il giovane non aveva mai notato. Sospirò, e senza rendersene conto aprì la sua mente: la allargò, plasmò e modellò segretamente assieme a quella di lei per capire che pensava. Forse Titano ha ragione. Si stava dicendo Eleonora. Forse è meglio che mi allontani realmente da Legolas. Forse è meglio se io me ne vada… ma ora no. Prima scorterò la popolazione al fosso di Helm, poi deciderò il da farsi. In questi giorni mi dedicherò alla lontananza che devo tenere da “orecchie a punta”. Legolas ritirò il suo pensiero, tristemente. Il principe di Bosco Atro si sentì pervadere dalla vergogna, e dalla verità di quella frase. Il suo amico aveva ragione. Però, in un certo senso, lui si era dichiarato, ma successivamente avevano litigato e ora lei l’odiava. L’odiava. Lui lo poteva leggere nei suoi movimenti, poteva capirlo dal tono della voce che usava quando si parlavano, dalle occhiate minacciose che gli lanciava quando si avvicinava troppo. « Legolas, mi ascolti? » Gimli, comparsogli davanti all’improvviso schioccò le dita. L’elfo trasalì, per un istante sorpreso poi sorrise all’amico. « Dimmi, mastro nano. » « La sorella della tua sig… Isil, ha domandato di te, poco fa: voleva vederti. » « E perché non è venuta lei stessa a dirmelo? » « Non sei facile da trovare, ragazzo. Scatti da una parte all’altra come se avessi delle tenaglie a pizzicarti le chiappe » borbottò l’omuncolo. Il giovane alzò gli occhi al cielo e si alzò, cercando con lo sguardo la ragazza. La vide poco lontano, che parlava dolcemente con un gruppo di bambini: appena i loro occhi s’incontrarono, per qualche strano motivo Legolas si sentì più sereno e calmo. Si andarono incontro. Quando furono vicini, lei lo abbracciò stretto come mai nessun’altro aveva fatto. Sorpreso l’elfo ricambiò labbraccio, mentre i suoi occhi vagavano oltre la schiena di lei e si posavano in un paio castani. Le sue orecchie da elfo non udivano il rumore del cuore di Eleonora in lontananza, come invece avevano sempre fatto nei mesi precedenti e ciò lo rabbuiò nuovamente. Non leggermi nel pensiero, stupido elfo. Gli ringhiò lei, dopo che ebbe capito il trucchetto che Legolas stava utilizzando. Dopo qualche secondo ancora il loro contatto visivo fu strappato dall’arrivo di Gring, che la prese sotto braccio e la portò via, lontano da lui che rimase a osservarli. Lui era fiero nella sua postura, sebbene fosse un semplice allevatore, e lei anche: ma qualcosa nei suoi gesti la tradiva. Non guardava mai l’uomo che diceva d’amare, non gli teneva la mano
 
 

°   °
 
 


Il cielo si tingeva di colori brillanti come l’arancione e il rosa, e alcune nuvole bianche creavano sfumature più chiare. Una leggera brezza stava soffiando su tutti, abbracciandoli con il suo clima tiepido che non dispiaceva a nessuno. In lontananza i falò ancora accessi venivano ravvivati, e altri viveri posti sulle loro fiamme rosse, ardenti per sfamare chi ne aveva bisogno. Girovagavo con Isil da qualche minuto, lontano dall’accampamento e dagli altri, fidandomi delle strade che prendeva: sebbene queste ci distanziavano di gran lunga da tutti gli altri, e la cosa non mi piaceva per nulla. « E’ ancora lontano questo posto dove vuoi portarmi? No, perché se è così, sorella, spero che ne valga la pena » sbuffai, scavalcando un tronco caduto. Non so come, ci eravamo ritrovate in un piccolo boschetto molto fisso e che puzzava di marcio. « No » rispose lei, il sorriso sulle labbra. Si fermò poco dopo. « Ehy, perché ti sei ferm… » le mie labbra si bloccarono. Davanti a noi, si estendeva un’enorme radura attraversata da un fiume che scorreva silenzioso e fluiva in un piccolo lago ai nostri piedi. L’acqua scura brillava nella notte, riflettendo le stelle ora sorte. Il vento notturno mi investì il volto e accompagnò vicino ai nostri piedi le sponde del complesso acquatico. I pini che ci circondavano cantavano melodie sconosciute alle mie orecchie, ma pur sempre bellissime. In lontananza si ergevano le grandi montagne, che parevano fatte d’ombra e carbone innevate. « Allora, ne valeva la pena? » ridacchiò Isil, cominciando a togliersi gli stivali. Annuii, senza riuscire ad aprir bocca. « E’ bellissimo, no? » continuò, e questa volta si tolse i pantaloni e la camicia, rimanendo in intimo. « Ma che fai, sei diventata pazza? » riuscii a dire.     « Fa un freddo cane, rivestiti » le ordinai. Isil scosse il capo, divertita e si gettò nelle acque nere del lago. Raccolsi velocemente i suoi indumenti e li appesi al ramo più basso e vicino che avevo. La figura di mia sorella era un’ombra nella notte e si muoveva lentamente nell’acqua scura, creando increspature e milioni di cerchi concentrici. « E dai, Ele! Vieni a farti un bagno » mi incitò, muovendo il braccio con foga. « No, grazie. Magari la prossima volta » congedai la sua proposta. « Fifonaaa! Non vorrai mica puzzare, quando Legolas ti bacerà » fece schioccare le labbra, ridendo. Arrossii imbarazzata, e alzai il capo verso il cielo. Per fortuna che era buio e non mi vedeva.  « Oh, smettila Isil. E esci, che ti ammalerai!» mi accarezzai il capo. Dopo tutto non aveva torto, erano giorni che nessuno di noi si lavava e cominciavamo a puzzare… Ma non potevo farmi il bagno li: qualcuno ci avrebbe potuto seguire e coglierci in un “agguato”. Però. « Se tu non entri io non esco! » Esclamò, e sulla sfonda atterrarono anche le fasce che usava come biancheria. Impallidii e mi diedi un colpo con la mano in fronte. « Hai intenzione di restare li tutta la notte, allora. Perché io non entro. » Si immerse, e io la persi di vista. Aspettai che risalisse, per prendere aria ma lei non si fece rivedere. Il mio cervello, allora, cominciò a elaborare varie teorie: se fosse annegata? Se fosse rimasta incastrata? « Isil! Isil non è divertente » urlai, avvicinandomi alla riva. « Detesto questo scherzo, sorella » nessuno rispose. Digrignai i denti e cominciai a spogliarmi, ripiegando tutte le mie cose con cura, poggiandole su un masso li accanto. Slegai i capelli e entrai con un tuffo, non ben identificabile, in acqua. Quando riemersi, qualcuno mi schizzò. « A quanto pare, l’attesa non era così lunga » se la rise di gusto la bionda, spuntando da sotto una rientranza che prima non avevo notato. Sentii la rabbia defluirmi nel sangue, ma scivolare via quando constatai che nell’acqua si stava bene e ci si rilassava. « Stupida » borbottai, incrociando le braccia al petto. « Mi hai fatta spaventare, lo sai? » « Ti sei preoccupata… per me? » la sua voce s’incrinò verso la fine, come se ne fosse stupita. « Certo. Sei mia sorella, è logico che mi preoccupi per te. Mi sono spaventata quando non rispondevi  » risposi con naturalezza, accompagnando il tutto con un’alzata di spalle. « I-io credevo che tu… si, insomma essendo la parte “malvagia”  » mimò l’ultima parola facendo le virgolette con le dita, e una smorfia buffa. « Non provassi sentimenti di paura o roba del genere. » « Perché, non dovrei? » « Bhe, sai. Il tuo cuore » inceppò nelle ultime parole, indicando il mio petto coperto dall’acqua. Sembrava in agitazione, anzi no: era intimidita. « Il mio cuore, cosa? » Alzai le sopracciglia, incuriosita. « Non batte più. » Sbarrai le palpebre: allora lei sapeva. L’acqua sembrò diventare gelida all’improvviso e io venni percorsa da vari brividi. « Come fai a saperlo? » « Lo avverto » disse soltanto. « L’ho sentito giorni fa: dopo la discussione con Gring. L’anello mi ha fatto sentire ciò che provavi. » « L’anello ti ha fatto sentire i… miei sentimenti? » « Quello che ne restava. O meglio: quello che restava dei pochi sentimenti felici. » « Pff. Io ho ancora dei sentimenti… felici » cercai di convincere più me che lei, mentre gli voltavo le spalle, per non farle notare che mi tremavano le labbra. « Eleonora: il tuo cuore è fermo. E’ diventato di cenere compressa: una bomba innescata pronta a esplodere, nel caso tu voglia davvero saperlo. Gli basta un sentimento come l’amore, quello vero, quello che provi per Legolas, per sgretolarsi e evaporare. E quando questo accadrà tu morirai. Immaginati come sarebbe morire per mano di una spada: noi due lo sappiamo bene, l’abbiamo vissuto assieme. Ma morire per amore. Credo che non ci sia morte peggiore, e al contempo migliore di quella. Lasciare la vita tra le braccia di qualcuno che ami talmente tanto da riuscire a lasciar andare: perché sia felice, perché non si abbatta se stesso… perché non abbandoni la missione » sussurrò alla fine, poggiando una mano sulla mia spalla. « Amalo, come vorresti fare e muori per amore. Lo vedo nei tuoi occhi che hai bisogno di lui. Lo sento nel profondo dei tuoi pensieri che ti stai abbattendo. Ogni giorno una lotta contro te stessa per stargli lontano, non è così? » Con forza mi voltò, in modo che i nostri visi e i nostri occhi s’incontrassero nel buio della notte. « Amalo, dannazione! Amalo, una volta per tutte amalo, e rendilo felice: renditi felice. Credo che non ci sarà morte più bella per te se non quella di baciare le sue labbra, e essere stretta fra le sue labbra. Sorella mia, per una volta: ama liberamente » mi scosse un poco. « Non voglio vederti morire a causa di una spada, so già come sarebbe. Spariresti da questo mondo, ma ogni tot d’anni torneresti per rivivere la stessa storia: un amore che ti ucciderà, letteralmente. » « Ho paura, di amarlo » confessai, e quella confessione mi tolse dallo stomaco molti dubbi e complessi. « Mi odia, Isil, lui mi odia. Sto facendo di tutto per riuscire a farmi odiare, ma più ci provo più lui si avvicina. E io non c’è la faccio più: ho solo 17 anni. » « In teoria ne abbiamo 77, sorella. E anche di più. Siamo della stirpe dei Dunedain. » Mi corresse lei. « Non importa. Anche se io l’amassi, se potessi stare con lui, il mio tempo finirebbe, la mia bellezza evaporerebbe e lui si stancherebbe. Cerco di distaccarlo da me il prima possibile, ma lui non vuole saperne, e io ne sono distrutta. Non capisce che se mi sta così vicino: io sto male. Non posso toccarlo, non posso sfiorarlo, Isil. E questo è peggio della morte, e me ne rendo conto solo ora. » Senza volerlo un fiume di lacrime mi rigò le guance accaldate, unendosi all’acqua che scorreva tranquilla. « Lo so, sorella, lo so » mormorò dolcemente lei. Poi, con ancora più zucchero nelle corde vocali aggiunse: « Ma proprio perché ti fa male, devi stargli vicino. Fatti distruggere dall’amore, non da una spada. »
 
 
 
Che ve ne pare di questo capitolo easy easy? E’ un capitoletto di passaggio, nulla di che, ma non riuscivo a levarmi dalla testa la scena delle due sorelle al fiume che parlano e così l’ho voluto mettere. Mi rendo conto che è un’oscenità… mi dispiace. 

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Capitolo 7
*** Luce e ombra. ***


 
Just can’t let her go.   
 


“Dicono che in ogni paio d’occhi ci sia un mondo. Nei suoi occhi c’era il mio.”
 
— yourpersonalbambi, tumblr
 
 
 
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Sauron camminava. Camminava continuamente avanti e indietro per la sua stanza. Il volto di quella ragazza gli tornava alla mente ogni volta che la sua mente andava a quel momento. Lui l’aveva vista, l’aveva sfiorata, e poi tutto era finito. In un battito di ciglia. Lei, il suo volto, il suo profumo erano evaporati sotto quegli occhi rossi come il sangue, e vuoti. « Padrone » ghignò un orco, entrato di soppiatto nella stanza senza bussare. « Che diamine c’è, ora? » tuonò Sauron. Il fatto che fosse continuamente disturbato, mentre pensava a quella ragazza, gli dava sui nervi. « Saruman, ha deciso di mandare i suoi mannari alla ricerca del gruppo diretto al fosso di Helm. » « Lui, ha fatto cosa? » Gli occhi dell’oscuro signore si ridussero a due fessure, e l’orco indietreggiò spaventato. I lunghi capelli neri del suo padrone, frusciavano sulle sue spalle coperte da una casacca nera come l’inchiostro. « H-ha incaricato i mannari di attaccare la gente diretta a Helm, mio signore. » « E che vadano, allora! Che facciano ciò che vogliono! Ma, bada » puntò un indice contro l’essere mostruoso. « Che mi portino una ragazza: una delle due uniche ragazze che combatteranno. Ha capelli scuri come le cortecce degli alberi, e occhi castani come noci. Il suo cuore è cenere, e si può fiutare a miglia di distanza. Portatemela viva, e io vi risparmierò la vita. In caso contrario » l’elfo oscuro prese a giocare con un coltellaccio, sfilandolo brutalmente dalla parete. Lo girava con maestria tra le dita, come se fosse stato un pezzo di stoffa leggera e inesistente. « Le vostre teste saranno i miei prossimi trofei. Sono… stato abbastanza chiaro? » « Si, mio signore » l’orco s’inchinò e scomparve dalla vista dell’elfo. Finalmente! Pensò. Finalmente la potrò vedere, toccare. Finalmente la potrò tenere per me. Finalmente. Si appoggiò con un gomito alla finestra che si affacciava su Mordor, e pensò ancora a lei. Sotto di lui: desolazione, grida acute e fuoco era il segno indistinguibile che il suo esercito si stava formando, ed era pronto a combattere. Quella sarebbe stata la sua ultima guerra, e l’avrebbe vinta. L’avrebbe vinta per quella ragazza, con quella ragazza che come lui era caduta per caso dalla parte sbagliata della medaglia. Che come lui non aveva più cuore. Che come lui portava dentro di se dolore e disperazione. Fuoco e fiamme. Finalmente, qualcuno come lui.
 
 
°   °
 
 
Legolas aguzzò la vista. Due uomini a cavallo gli galopparono al fianco, ma tutta via lui non si fece distrarre più di tanto. Osservava. Guardava la radura sotto di lui: verde e rigogliosa come tutto del resto e tendeva le orecchie in ascolto. Il vento soffiava leggero, accarezzando la pelle marmorea dell’elfo e facendo si che i suoi capelli svolazzassero un poco. « Possiamo continuare? » domandò una voce a lui conosciuta. Eleonora gli comparve affianco: le redini del cavallo strette in una mano. « Tu cosa ne dici? » chiese retoricamente lui. Intanto l’animale di lei aveva fatto qualche passo indietro, e si muoveva agitato. « Ho una brutta sensazione, Legolas. E’ come una scena già vista. C’è troppa calma » affermò. « Lo credo anche io » ammise l’elfo, votando la testa nella direzione dei due soldati. « Legolas, in alto! La! » gridò a un tratto la ragazza, indicandogli con foga il punto di una roccia. In cima a essa, stava un grosso lupo bruno, montato da un orco. L’orrida creatura, anche da quella distanza Legolas poteva vederlo, sorrideva divertita. Poi accadde tutto molto in fretta: il mostro spronò il suo destriero, che saltò letteralmente giù dalla roccia e attaccò i due poveri soldati. Il principe incoccò una freccia e si mosse il più rapidamente possibile. Ma lei lo precedette: spronò il suo cavallo talmente forte che l’animale s’impennò prima di iniziare a correre come una scheggia e fiondarsi sul mannaro. La vide saltare e atterrare sulla groppa del grosso lupo gobbo, mentre nella sua mente si creavano una serie di immagini che facevano accapponare la pelle. E milioni di idee gli correvano nell’anticamera del cervello. Prima che l’orco potesse voltarsi e attaccarla, Legolas schioccò la sua freccia. Un sibilo tagliò l’aria come una frusta, e colpì in pieno l’animale, che cadde a terra sotterrando anche il suo cavaliere. « Questo è per aver spaventato il mio cavallo » ringhiò lei, porgendo fine alla vita dell’orco. « Un esploratore » urlò lui, ad Aragorn. Poi guardò la ragazza che era corsa su una sporgenza di roggia, e aveva lo sguardo fisso sull’orizzonte. « Arrivano » mormorò, come se fosse stata in una specie di limbo. La sua voce era persa, veniva abbandonata al vento e i suoi occhi erano vitrei, vuoti. « Stanno arrivando » ridisse. « La tua spada, Ele. Prendi la tua spada » le ordinò l’elfo, porgendole il manico della lunga lama. Come risvegliatasi dal sonno, lei scosse il capo e afferrò saldamente l’impugnatura. « Qualsiasi cosa accada, sia oggi, sia quando arriverà il momento della battaglia a Helm, perché sappiamo entrambi che ci sarà una guerra » gli disse a un tratto, fissandolo con i suoi occhi scuri. « Non osare morire, intesi? Oppure ti farò tornare in vita per strozzarti. » Tornò indietro, cercando il suo cavallo. “Non osare morire, intesi?” era quello che lui avrebbe dovuto dire a lei. Ma, il solo fatto che Eleonora l’avesse fatto lo metteva di buon umore, sebbene la situazione non fosse delle migliori. In lontananza vedeva già lorda di mannari avvicinarsi in gran carriera, mentre alle sue spalle sentiva la popolazione preoccuparsi. « Eleonora » gridò, voltandosi per un secondo. Lei, che era montata in sella alla sua cavalcatura lo raggiunse e osservò allibita la scena. « Non osare morire » ripeté lei. « Non pensare di andartene » le disse lui, e scoccò la prima freccia con precisione. In lontananza, il primo mannaro cadde. « Che i giochi abbiano inizio! » la sentì sussurrare, prima di partire alla carica.
 
 
°    °
 
 
Lanciai il cavallo al galoppo. Era un animale forte, il mio, e di certo non aveva paura di correre. Strinsi saldamente l’impugnatura della spada e gridai: fu più forte di me. Lo scontro fra le due frazioni fu devastante. Cavalli caddero e uomini volarono, letteralmente, a terra. Io evitai un gigante di pelo e gli tranciai di netto una gamba. Questo ruzzolò, con ancora in sella il suo cavaliere e cominciò a dimenarsi, finché un altro uomo non lo finì.  « Eleonora, dietro di te! » gridò Isil, muovendo con foga la sua lancia. Il suo cavallo era caduto al primo schianto, e lei si era ritrovata a dover combattere a terra. Voltai la mia cavalcatura velocemente, affondando la lama dell’arma nel collo di un mostro dalla perde grigia bluastra. Lui rantolò, appoggiandosi a me e, prima di cadere a terra, macchiò la mia casacca con una striscia di polvere rossa e puzzolente: che pareva una ferita. Lo lasciai, interdetta. « La ragazza! Quella è la ragazza!  Prendetela!!! » Udii strillare. Non ci capivo più nulla, tutto era così confuso. Dunque erano realmente così, le battaglie? Non erano come nei libri di storia: dove leggevi e basta. Ti mandavano fuori di testa, pronta a difenderti anche dai tuoi stessi amici, se non riuscivi a controllarti. Le battaglie ti facevano confusione in testa, e rendevano gli ultimi attimi di una vita… inutili. « Gimli » la mia voce uscì dalla gola con volere proprio. Il nano era caduta da cavallo, e verso di lui si dirigeva un enorme bestione. « Corri bello, corri » incitai il mio cavallo in quella direzione. Quando fui abbastanza vicina, colpii il mannaro alla testa spaccandogliela in due: mentre Legolas allo stesso tempo gli piantava una freccia nello stesso punto. « Questo conta come mio! » abbaiò il nano,  indignato dal nostro arrivo. Per un attimo mi dimenticai della morte e risi, divertita. « Come ti pare! » urlai. Combattemmo ancora, uccidemmo e venimmo uccisi, ma nessuno fermò la carneficina. Smontai da cavallo e corsi verso Gimli, tirandolo fuori da sotto tre cadaveri, per poi riprendere a correre. Avevo un così brutto sentimento addosso, me lo sentivo nelle ossa: le sentivo tremare, mentre al loro interno si insediava la paura. Poi, accadde: in lontananza i miei occhi scorsero Aragorn. Era alle prese con un mannaro: era incastrato. Non riuscii nemmeno a gridare: mi misi subito a correre. L’odore di quella dannata polvere mi stava salendo al naso: e mi provocava giramenti di testa. Ma non potevo fermarmi, non ora. Corsi finché le mie gambe me lo permisero e alla fine mi bloccai sull’inizio del precipizio, cadendo di petto e allungando una mano. Troppo tardi. Vidi Aragorn cadere, mentre urlava il mio nome e muoveva le braccia. Non capivo nulla a causa del forte ruggito del fiume sotto di lui, e della battaglia che era giunta al termine. Il fiume! Pensai poi. Se fossi riuscita a cadere su Aragorn, e spingerlo nell’acqua si sarebbe salvato. Issai le mie gambe e presi la rincorsa: avevo una paura tremenda. Quando feci per saltare, due braccia mi circondarono il bacino: stringendomi forti contro un petto muscoloso. Mi dibattei, come un pesce nelle reti, e gridai: « Lasciami! Lasciami, posso ancora salvarlo! Lasciami! » Ma fu tutto inutile. Alla fine, arresami all’idea che tutto fosse perduto, che la vita di un fratello fosse persa mi accasciai sulle ginocchia, in un pianto muto. « Calmati, bambina. Calmati » Gring mi accarezzò i capelli. « Potevo salvarlo! » urlai, dandogli uno strattone che lo catapultò a terra. Dietro di noi vidi l’ultimo orco con cui Aragorn aveva combattuto, ancora in vita. Risfoderai la spada e strinsi talmente forte che sentii il metallo surriscaldarsi. Al mio interno fuoco e ghiaccio stavano combattendo, intrecciandosi e uccidendosi come prima io avevo fatto con tutti quelli che erano stesi a terra. « Ha fatto un piccolo capitombolo giù dal dirupo » disse questo, ridendo. Chiusi gli occhi, affrettando il passo. L’odio cresceva in me, ramificandosi come edera. « Io ti ammazzo, lurido bastardo! » Strillai, gettandomi sul corpo di quell’essere. Lui rantolò, colto alla sprovvista e alzò le mani per difendersi. Gliele tranciai e affondai la lama nella sua gola, uccidendolo definitivamente. « Stupido! Stupido! Orrendo orco! Muori! » la mia voce tremò, mentre continuavo a infilzare il suo corpo senza vita. « Come hai potuto?! Orrenda creatura! Dio, come ti odio! » Qualcuno mi alzò, portandomi via dal corpo senza vita. Riconobbi il calore del corpo di Legolas, ma non smisi di dimenarmi. Il mio dolore era troppo: perché racchiudeva anche quello per Boromir, per i quattro piccoli hobbit che non sapevo più se fossero vivi o no. « L’ha ucciso! L’ha ucciso! » strilla, mentre l’elfo mi voltava verso il suo viso. Anche i suoi occhi grigi erano lucidi, ma comunque non dava a vedere il suo sconforto. « L-l’ha ucciso. Lui non c’è più » per la prima volta l’odio lasciò spazio al dolore, e presi a singhiozzare. « Shhh. Shhh. » Le mani di Legolas mi accarezzarono i capelli, sciolti. Le lacrime presero a scendere dal mio viso, gelide come ghiaccio e taglienti come lame. L’orgoglio sparì definitivamente dal mio corpo, e io mi abbandonai contro il suo petto: singhiozzando come mai. Lo strinsi a me, prendendo la stoffa dei suoi vestiti nei miei pugni e piansi. « Potevo salvarlo. Avrei potuto salvarlo. E invece ho fallito, come con Boromir. Ho fallito » ripetevo incessantemente. « Non, non dire così » tentava di tranquillizzarmi lui. « Non hai fallito: mi avevi promesso che non te ne saresti andata, e ora sei qui. Quindi, non hai fallito. » Alzai il capo incontrando ancora una volta i suoi occhi. Non erano rossi di pianto, ma racchiudevano così tanti dispiaceri, e dolori. Lo strinsi di più in un abbraccio morbido e caldo e affondai il volto nei suoi capelli, per quanto la sua elevata altezza me lo permettesse. « Ma io. » « Niente ma, Eleonora. Se Aragorn fosse ancora qui ti proibirebbe di piangere, perciò basta. » Asciugò le lacrime con le sue dita, e sorrise rincuorante. « Sei una guerriera, te lo diceva sempre anche lui. Immaginati come ci sarebbe rimasto male nel vederti così. » « Ok, hai ragione. Contegno. Devo avere contegno. » presi fiato e mi ridiedi un contegno. Passai il palmo della mano destra sotto gli occhi e eliminai definitivamente anche le ultime lacrime, poi presi un bel respiro e mi voltai.
 
 
°     °
 
 
 
Gimli osservò i due giovani stringersi. Vedeva le spalle di lei muoversi frequentemente, segno che stava piangendo e osservava come lui le accarezzava i capelli, cercando di calmarla. Si voltò verso il corpo esanime dell’orco e cominciò a contare le ferite che lei gli aveva provocato in quel momento di rabbia ceca. Una, due…. Dodici, tredici, quattordici, quindici… « Sebbene sia situazione sia triste e sconsolata, non li trovi un’ adorabile quadretto, Gimli? » Chiese sorridente Isil, affiancando il nano. Lui la guardò, e poi tornò ai due ragazzi che stavano parlando. Legolas muoveva la bocca velocemente e lei annuiva, sebbene le sue spalle tremassero ancora. « Si… hai ragione. » « Lo so » sorrise lei. « Io ho sempre ragione. » « Convinta, la ragazza » scherzò il piccolo uomo. « Non sai quanto » s’intromise nel gruppo Gring. I suoi occhi scuri puntati sui due giovani. Gimli sapeva che l’allevatore aveva una “storia” con la guerriera, ma ancora non voleva crederci. Quell’uomo non gli piaceva, per nulla: aveva qualcosa nei suoi modi di fare che lo rendeva sospetto. E poi, a dirla tutta, lui tifava per “orecchie a punta” dall’inizio dell’avventura, e non avrebbe lasciato che uno comparso dal nulla, all’improvviso, portasse via l’amore al suo amico. « Che sta succedendo laggiù? » « Legolas la sta solo aiutando a superare l’episodio di Aragorn » rispose rudemente il nano. « Quello che dovresti fare tu, Gring » aggiunse Isil, puntandogli contro l’indice con fare minaccioso. « Ma non mi meraviglio se preferisce lui a te. Insomma, l’hai visto bene? E’… è perfetto. » « Si, un perfetto idiota » ringhiò l’uomo, dirigendosi in gran carriera verso i due. « Finisce una battaglia, ne inizia un’altra » sospirò Gimli, appoggiandosi all’ascia. « E questa sarà ben peggiore, e distruttiva di quelle che abbiamo visto fino ad ora » mormorò Isil. « Che cosa intendi, donna? » « Sai cosa sono i gemelli di luce e ombra, Gimli? » « Oh, si mia signora. Due anime racchiuse in uno stesso corpo: una di luce, ovvero il bene, e una di ombra, ovvero il male. Quando l’anima ospite decide che è ora di vivere con un corpo suo si… distacca e prende vita. Ma il male va ucciso immediatamente, prima che la sua anima diventi immortale. » « Ottima spiegazione, mastro nano. » « Ma questo cosa c’entra con Eleonora, Legolas e Gring? » s’incuriosì Gimli, non riuscendo a capire quel ragionamento. « Io sono la gemella di luce di Eleonora » spiegò Isil. Lasciò che quelle parole girovagassero nella mente del nano, finché lui non sembrò illuminarsi. « Vuoi dirmi che lei… c-cioè tu: sei uscita da lei. Quindi sei una parte della sua anima, e lei è l’ombra? Insomma… lei va uccisa? » si trattenne dall’urlare e indicare la ragazza. « Esattamente » la giovane bionda abbassò lo sguardo. Cominciò a torturarsi le mani, sporche di sangue nero degli orchi e continuò: « Gring è la parte oscura di Gandalf. Lui crede di dover proteggere Eleonora dall’elfo, perché lui è l’unico che può ucciderla, Gimli. Lei lo ama così tanto, da così a lungo che il suo cuore, a furia di reprimere i sentimenti che prova, è diventato di cenere. » « Ma, ma, ma, ma, ma, ma… E’ impossible! » borbottò il nano, gli occhi rivolti al trio. « La nostra Eleonora non può essere il male. L-lei non può. » « Ma è così, e non l’ha scelto nessuna delle due da che parte stare. » « Quando Legolas lo saprà, gli si afflosceranno quelle orecchie a punta che si ritrova » constatò il nano. « No. Gimli lui non deve saperlo. La natura deve fare il suo corso. E se ha deciso che è lei che deve morire, lascia che sia. Legolas ha tante pretendenti a casa, la dimenticherà presto » scattò sulla difensiva Isil. « Lui non potrà dimenticarla, Isil. Lo sai cos ami ha detto quando pensava che fosse morta? “ Non la rivedrò più, e non le ho neanche detto che l’amavo. Siamo stati così orgogliosi che i nostri sentimenti sono passati in secondo piano. Le ho detto che mi aveva deluso, che la odiavo. Le ho gridato contro che non la volevo più vedere. Mi sento così a terra, che se potessi diverrei un albero” . » La giovane ragazza socchiuse le labbra, e tornò a guardare il nano. « Non importa, quello che ha detto. Importa quello che dirà, quello che farà. Lascia che si amino liberamente, che per una volta lei sia felice, pur sapendo che morirà per amore. » « Dovrei lasciare che il mio migliore amico sanguini a causa del male? Per un po’ d’amore? No, no, no, no, no. Non se ne parla proprio » il nano incrociò le braccia al petto. « Anzi rimango solo. » « Lo sei già, se non capisci che distruggeresti la vita a quei due. »
 
 
 
 
 
 
Ehm…. Ok, è osceno. E’ un capitolo di passaggio, visto da molti punti punti di vista. Ora, vi faccio qualche domanda: Qual è il vostro punto di vista preferito? Quale dei tanti vorreste che fosse più presente nei capitoli? Che ne pensate dell’entrata in scena di Sauron? E sopra tutto del ragionamento di Gimli? Mi piacerebbe sapere la vostra.
 
P.s: avete visto la frase all’inizio del capitolo? Ho deciso che ne metterò una diversa per ogni capitolo ^-^ che ne dite?

XOXO

Likeapanda ( Isil )

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Capitolo 8
*** Cosa vuoi dire? ***


Just can’t let her go.


Cosa vuoi fare? Cosa voi dire? Come ci si sente a fingere di stare bene?


Little Mix



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« Ti prego, andiamocene » Gring mi prese per mano. Lo guardai negli occhi, quegli occhi neri come il carbone e poi soffermai le pupille sulla sua presa calda e rigida, che a me pareva fredda. Non so perché, ma la mia mente in quel momento mi gridò di stargli lontano, di stare lontano da tutti. « Io… » Mi guardai attorno, cercando una buona scusa da usare, ma sembrava non essercene. Alle mie spalle sentivo la presenza di Legolas, la sua ombra oscurava la mia figura e il suo calore mi riscaldava la schiena, ardendo come fuoco. Presi un bel respiro, ritrassi la mano e dissi: « Devo cercare il mio cavallo, con permesso. » Mentre mi allontanavo percepii la rabbia di Gring. Non so come ci riuscii, ma la mia mente sembrò incollarsi alla sua e fondersi, tanto che i suoi pensieri presero il sopravvento sui miei. Maledetto elfo, ti faccio vedere io cosa vuol dire mettersi sulla mia strada. Rabbrividii e affrettai il passo: magari più lontana ci stavo meglio era. Com’era possibile una cosa del genere? Certo, qualche volta avevo instaurato conversazioni mentali con Titano, Legolas o Gandalf ma mai con Gring, e non lo credevo possibile. Lui non aveva nulla di magico. E poi mi sentivo strana, come se qualcosa non andasse, senza contare quella tremenda polvere rossastra puzzolente che saliva al mio naso e m’infettava le narici. Camminai fra i cadaveri, sebbene fossi sempre stata una impressionabile quella vista non mi scalfì minimamente. Ero troppo impegnata a cercare il mio cavallo, o per meglio dire: ero persa nella mia mente. Non mi accorsi nemmeno che Re Theoden mi aveva affiancata, e camminava al mio fianco. « Non ho mai visto due donne così sanguinarie » sorrise, alludendo anche a Isil. « Ne sono esterrefatto, davvero. Dove avete imparato a combattere così bene? » « Alla corte di re Thranduil, il padre di Legolas, credo. Deve sapere, mio signore, che io e mia sorella non veniamo da questa terra, bensì. » « Venite realmente da una paese chiamato Terra, lo so. Il principe di Bosco Atro non ha fatto altro che parlare di te e della tua vita mia signora » sorrise, e i suoi occhi si illuminarono. « Sul serio? » La mia voce risultò più alta di alcune ottave, e sentii le guance andarmi a fuoco. Sorrisi inconsciamente. « Devo domandarle una cosa, mia signora » la voce del sovrano era diventata seria e rigida. « Voi conoscete la storia dei gemelli di luce e ombra? » Impallidii. Il mio stomaco si contrasse su se stesso, il mio cuore di cenere parve tornare a battere per pochi secondi, e io impallidii. La mia pelle marmorea divenne come neve: congelata e trasparente, tanto che riuscii a vedere le vene più del dovuto e sentire il mio sangue d’inchiostro scorrere nelle orecchie, come un fiume in piena. Deglutii a fatica, d’un tratto la mia gola era diventata secca e la saliva la raschiò come un coltello affilato. « Certo sire, perché? » « Nulla, mia signora. Insomma… Diciamo che qualcuno non sa tenere la bocca chiusa, e mi ha riferito che voi fate parte di questa storia: purtroppo siete capitata dalla parte sbagliata » m’informò, e gettò un’occhiata nella direzione in cui Isil parlava animatamente con Gimli. « Mia…. Sorella? » « Non vi è dato saperlo. » Voltai il capo verso la bionda e la trafissi con un’occhiata piena di rammarico. Persino mia sorella, quella di cui mi ero fidata, con cui mi ero confidata mi aveva tradita. « So che ora mi odierà, mia signora. Ma spero che capisca che lo faccio per la protezione della mia gente. » « Fare…. Cosa, sire? » « Rivelare tutto al giovane principe di bosco atro. Voi mi capite, non è vero? » « C-cosa? Non potete farlo, vi prego » implorai a bassa voce, poggiando una mano sul suo avambraccio. I miei occhi imploranti parvero non scalfirlo minimamente. « Capite, Eleonora, che lo faccio solo per il mio popolo. Voi potreste dimostrarvi davvero crudele, sebbene ora non lo siete. » « Avete… paura che il mio cuore di cenere si dissolva del tutto? Avete paura che io diventi… eterna? »« Ho paura che il male che portiate dentro possa essere eterno. » « Non vi lascerò distruggere la mia vita » annunciai. « E come intendete fermarmi, mia signora: usando delle belle parole? Vi prego di non farmi ridere. » Si sta prendendo gioco di me, sul serio? Questa non la passerà liscia. Soffocai un urlo frustrato fra i denti e sguainai la spada. La lama fendette l’aria con un sibilo simile a quello di un serpente e si fermò sulla gola dell’uomo. Un piccolo rivolo di sangue scarlatto prese a macchiarne il filo, e la pelle rosea. « La decapiterò, se servirà a qualcosa » ringhiai. « Così vi rovinereste la vita da sola » osservò. « Sempre meglio che farsela rovinare da uno come voi: un vigliacco che ha paura di combattere » sputai fuori, con rammarico. Alcune nubi grigie cominciarono a coprire il cielo azzurro, ingoiando senza pietà la luce calda del sole. In lontananza un tuono squarciò il silenzio creatosi sul campo.


 
°     °



Un urlo divertito rimbombò fra le pareti della montagna di Mordor, seguito da una risata agghiacciante. Sauron prese ad applaudire mentre davanti ai suoi occhi si svolgeva una scena disarmante per chiunque altro la stesse guardando dal vivo. Su un lungo tavolo di ossidiana nera e lucida era steso un grosso foglio bianco, o almeno ne aveva le sembianze. In realtà si trattava di un portale: una specie di porta tra i mondi, o le regioni della Terra di Mezzo da cui l’Oscuro Signore osservava tutto. Agli altri appariva come un grande occhio di fuoco, mentre lui era solamente un elfo eremita: cacciato dal suo stesso popolo. « Mi piace lei » sorrise, battendo le mani come un bambino. I lunghi capelli neri erano liberi sulle spalle e la punta delle orecchie, ornate di anelli d’argento, si intravedeva brillare spigolosa. L’orco che stava al suo fianco annuì, senza dire una parola. Sapeva bene che la squadra precedente, quella incaricata di prelevare la guerriera e portarla a Mordor, aveva fallito e ai suoi membri era stata tagliata la testa perciò preferiva non parlare a meno che non fosse interpellato. Il suo padrone poteva pure sorridere, ma quello non significava che fosse felice o gratificato. « Cosa ne pensi, orco? Quella polvere creata da Saruman secondo te sta facendo un buon effetto? » L’essere allungò il collo verso il portale e inclinò leggermente la testa. Ai suoi occhi veniva proiettata l’immagine di una giovane vestita di nero che puntava la lama di una spada alla gola del re di Rohan. I cavalieri l’avevano accerchiata, minacciandola, mentre una ragazza bionda cercava di calmarla. Il cielo sopra le loro teste si stava rannuvolando sempre di più, e aveva cominciato a tirare un forte vento mentre l’aria era diventata elettrica per la tensione. « Di cerrrrrrrrrto, mio sssignore Sauron, il lato aggresssssivo sta uscendo dai suoi pori come un fiume » sibilò. « Ah, come ne sono felice » Sauron parve sospirare, con il solito ghigno divertito sulle labbra carnose. « E sai qual è la cosa migliore, Orco? Lei verrà da me comunque. Il male non attende a nascere, e crescere negli ambienti più aridi. » Gli occhi di fuoco dell’oscuro si ridussero a due fessure quando fra i soldati riconobbe la testa bionda del principe di Bosco Atro. « Ma perché ovunque vado questo… questo elfo è sempre fra i piedi?! » La domanda uscì dalle labbra silenziosamente per poi tramutarsi in un urlo. Il male colpì con forza il tavolo di ossidiana, che si venò a causa dell’impatto e gridò adirato. « Maledetto elfo! Non intralcerai i miei piani, ancora una volta! » Furioso, Sauron si alzò facendo stridere la propria sedia sul pavimento di pietra e voltò i tacchi. Il lungo mantello di pelo nero che portava disegnò un arco nell’aria pesante e ricca di zolfo, poi si afflosciò fino a strisciare sul pavimento. Da esso, ovunque il mantello camminava, uscivano serpenti neri e viscidi che sibilavano creando suoni simi al vento. Sauron ne accarezzò uno e sorrise malevolo. « Ho un compito per voi, amici miei » poi lanciò un’occhiata all’orco che ancora lo fissava. « E anche per te » aggiunse.


 
°     °



Urla si innalzarono ai miei timpani.

Il rumore delle spade sguainate.

Un forte dolore al capo.

L’era soffice e intrisa di sangue, fredda contro la mia guancia.

Il ritmico rumore dell’acqua che cala prepotente sulle armature.

Poi il vuoto per alcuni secondi.

Quando il calore avvolse il mio corpo, boccheggiai. Aprii gli occhi all’improvviso, come risvegliatami da un incubo e tossì. Portai una mano al cuore e accarezzai, senza volerlo, la cicatrice che avevo appena sopra il cuore. Ormai lo facevo ogni sera, o quasi. Era un modo per sapere che dopo tutto io un cuore c’è l’avevo, aveva perso la vitalità certo, ma almeno c’è l’avevo. La cenere dentro di me era la prova vivente che i sentimenti non vanno respinti, nemmeno se sei la reincarnazione del male. Sbattei le palpebre e mi guardai in giro. La luce della luna splendeva debolmente, miseramente, sulle pareti di roccia che mi circondavano passando da una misera grata nel muro. Mi misi a sedere, accorgendomi di essere su un “letto” di pietra, dietro a delle sbarre. I vestiti laceri, la testa dolorante. Imprecai alzandomi e afferrando le sbarre della finestra per vedere cosa succedeva all’esterno. Potevo vedere le mura circondare una grande piazza piena di gente addormentata. Soldati stavano su di esse a controllarne il perimetro ma due ombre si muovevano più velocemente seguite da un’altra più minuta. « Gring, possiamo parlarne da persone normali e razionali » disse quella che riconobbi come Isil. Si aggrappò a una delle grosse braccia dell’allevatore e lo tirò verso il basso, in modo che non potesse afferrare l’elfo per il colletto della casacca. « Persone normali? Razionali? Questo… questo coso ha permesso che Eleonora venisse rinchiusa in cella! » sbraitò l’omone. « Io non volevo, ma ho dovuto lasciare che lo facessero. Siamo in guerra, se non l’avessi notato Gring. E non abbiamo alcuna possibilità di vincerla senza un dono dei Valar! » « Se vuoi un dono, lascia che sia io a fartelo » ringhiò l’uomo, stringendo la mano a pugno per poi mettersi ad agitarla davanti all’elfo assieme a una sfilza d’imprecazioni. Sospirai, uno di quei sospiri rotti e mi gettai a terra con il volto fra le mani. Soffocai un grido fra di esse e pure le lacrime. Quando alla fine rialzai il viso una persona mi sorrise da dietro le sbarre. « Dama Galdriel » mormorai sorpresa.

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Capitolo 9
*** L'inferno. ***


Just can’t let her go
 
“Onestamente, non ho bisogno di qualcuno che vede il buono in me. Ho bisogno di qualcuno che vede il male e mi vuole ancora.”
 
— (via kidamas)

 
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La luna spiccava nel cielo come una grossa perla, silenziosa e sola. Le nubi grigie le si paravano davanti di tanto in tanto, oscurandola e colorandosi di un velo d’argento. Era tutto molto silenzioso li intorno, nelle vicinanze della prigione. Legolas camminava solo, voleva schiarirsi le idee e far evaporare la rabbia per l’incontro con Gring di poco prima. Per fortuna era intervenuta Isil, che aveva stretto il braccio dell’allevatore nella sua morsa e se l’era portato via. Aveva evitato una rissa.
« Legolas… Leg… Elfo! » Il richiamo di quella voce cristallina lo fece voltare. Isil correva verso di lui, un braccio in aria che si muoveva come una bandiera nel tentativo di attirare la sua attenzione. I capelli biondi erano stati raccolti e sul suo viso, incorniciato dalla fievole luce lunare, si erano formate ombre delicate che e conferivano un aspetto ancora più giovane. Quando lo raggiunse, aveva il fiatone. « Corri veloce, è? » scherzò lei.
« Cosa c’è? » Il principe corse dritto al punto. Non gli piaceva aspettare, anzi lo detestava a dire il vero. Lo detestava da quando aveva scoperto che la ragazza che amava andava rinchiusa in una cella, e successivamente uccisa da lui. L’avrebbe dovuta uccidere, e questo gli spezzava il cuore. E non c’è l’aveva solo con se stesso, perché era a causa dei suoi sentimenti che si doveva accollare questo peso, ma anche con tutto il resto della compagnia: specialmente di Isil. Lei sarebbe dovuta essere la parte malvagia, non la sua compagna.
« Uhm… sei un po’ alterato, non è così? »
« Mi hanno riferito troppe cose importanti, in troppo poco tempo. Credimi, anche tu saresti alterata. » La sua voce era simile allo stridio che faceva una punta di una lama passata su una pietra. Insopportabilmente, straordinariamente fredda e antipatica.
« Lo so. Ma sono qui appunto per questo. » Le rivelò lei, guardandolo con quei suoi occhi che variavano dall’azzurro al grigio. Lui vi guardò dentro per un lungo istante, studiando il suo stesso riflesso. « Volevo dirti che quando dovrai fare… quella cosa, io sarò li con te. Ok? » continuò la giovane, prendendogli la mano e stringendola nella propria. Il calore della sua pelle si fuse con la propria. A Legolas sembrò strano, perché non era fredda e pallida come quella di Eleonora, bensì calda e abbronzata. Non era leggermente più ruvida sui polpastrelli, era liscia. Forse si sentiva a disagio proprio perché la stava confrontando con quella della ragazza che amava.
Non devo pensare a lei. Devo darci un taglio, dannazione.
« Perciò, se vuoi sfogarti io sono qui. » Concluse Isil, sorridendogli con le sue labbra rosse e piene. Lui non poté fare a meno di fissarle.
Eleonora le ha più sottili, e rosee.
Chiuse gli occhi per un istante, prese un bel respiro e lasciò la mano della ragazza. Probabilmente si era perso una buona parte del discorso che aveva fatto, ma non gli importava. Ora voleva stare solo, oppure, lui lo sapeva bene che sarebbe andata a finire così, scendere nelle prigioni per vederla. Anche solo guardarla dormire. Almeno guardarla gli era permesso, ma non poteva toccarla, o baciarla. Non che non volesse, ma non credeva che sarebbe riuscito a farlo dopo tutto quello che aveva saputo. Perciò salutò la sorella di lei, e le diede le spalle incamminandosi. Un vento Leggero gli accarezzò il viso, facendo volare i suoi capelli biondi nell’aria.
« Ah, Legolas, un’ultima cosa. » Gridò la bionda. Lui si voltò a fissarla, erano già distanti uno dall’altra. « Lei voleva dirtelo, non pensare che non l’avrebbe fatto. Aspettava solo il momento migliore. » E se ne andò.
 
 
 
°   °
 
 
 
Sbattei le palpebre, incredula.
Non può essere.
Lei era davanti a me, il lucente vestito bianco che strusciava sul pavimento consumato e nero della prigione, i mossi capelli d’argento le ricadevano sulle spalle come una coperta e gli occhi azzurri mi osservavano attenti. Le orecchie a punta si intravedevano lievemente.
Che io stia dormendo? Se è così, dove sono? Sono in prigione realmente?
L’elfa mi guardò e appoggio le mani alle sbarre, voltando la testa leggermente di lato.
« Mia povera, innocente guerriera. » Sussurrò, e la sua voce arrivò alle mie orecchie come un canto. Mi alzai in fretta, ignorando il giramento di testa e le corsi incontro. Strinsi il freddo metallo delle sbarre con forza, talmente tanta che le mie mani già pallide proiettarono l’immagine delle vene blu.
« Dama Galdriel. » Quasi sull’orlo del pianto le sorrisi, allo stremo delle forze. « Sto sognando, non è così? Mi dica che è così, la prego. »
« Bambina mia, lo verrei tanto. Ma, non è così. » Mi accarezzò una guancia e la sua pelle morbida mi riscaldò. Lasciò come una scia infuocata. Spostai lo sguardo sulle sue unghie e intravidi qualcosa di rosso.
« Dama Galadriel, state sanguinando? » Per poco non gridai, colta all’improvviso. Com’era possibile che sanguinasse. Lei, che era praticamente intoccabile, vista la sua scorta e il suo potere.
« No, guerriera. Ma ora devo andare, a presto. » E spari dalla mia vista.
 
 
°  °
 
 
Legolas sussultò un poco. Vederla sdraiata su quel pavimento mal ridotto, dietro delle sbarre era uno strazio. Si avvicinò alla parete divisoria e strinse i pugni.
« Eleonora. » Pronunciò il suo nome in un sussurrò.
Lei si alzò di scatto, si voltò e lui rimase scioccato. Gli occhi della sua compagna era l’inferno fatto a persona.

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Capitolo 10
*** Lei, sta perdendo il controllo. ***


( Prima di cominciare volevo ringraziare tutte voi lettrici, sia silenziose che non, che apprezzate la mia storia. E vorrei ringraziare Sara_Scrive per la splendida immagine che mi ha fatto. Grazie mille, lo apprezzo davvero molto. Ps: ci tengo a precisare che Eleonora può sembrare un vampiro, ma per l'amore del cielo non lo è. )
 
 
Just can’t let her go.
 

Lei ha perso il controllo.
 

 

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Con il fiato sospeso Legolas indietreggiò. Appena in tempo, prima che la ragazza dagli occhi di rubino si avventasse sulle sbarre e tentasse di staccarle da terra. Con il cuore che batteva a mille, guardò a destra e a sinistra temendo che qualcuno la potesse vedere in quello stato e avvertire il re. Sebbene e avesse paura, e ne aveva molta, non voleva che nessun altro tentasse di ammonirla sparandogli contro frecce. Non l’avrebbe sopportato. Solo il fatto di dover ucciderla lui stesso era una tale agonia. Chiuse gli occhi e tentò di calmarsi. Tutto inutile, quando li apriva la trovava a fissarlo. La mascella tesa, gli occhi iniettati di sangue  e la guancia ressa rigata di rosso. Che si fosse ferita?
« Eleonora, sei ferita. » Rizzò le spalle e le si avvicinò con cautela. Doveva superare la paura che lei gli potesse fare del male. Con attenzione allungò una mano, ma quando fece per toccargli la guancia lei si tirò indietro, digrignando i denti come un animale in trappola. Gli occhi del ragazzo esaminarono per un decimo di secondo i denti di lei, e si accorse che i camini erano molto più appuntiti del normale. Quasi lei fosse stata un drago. Come poteva essere diventata così? Come? Una fitta gli strinse lo stomaco. Da fuori, la luce della luna piena le illuminò il volto rendendola quasi di porcellana. Gli occhi rossi brillarono di sangue.
 
 
°   °
 
 
Lo sentivo scorrere dentro di me. Il sangue di cenere mi percorreva il corpo, dandomi un’adrenalina che non pensavo potessi provare mai. L’eccitazione che sentivo era quasi palpabile. L’elfo non aveva smesso un secondo di guardarmi, le palpebre sbarrate. Persino dal punto in cui mi trovavo potevo vedere il mio riflesso nei suoi occhi blu, come il cielo quella notte. Sentii accendere in me qualcosa, come una scintilla e scattai, come un puma. Quando, però, arrivai ancora una volta alle sbarre strizzai le palpebre e scossi il capo.
No, questa non sono io. Devo calmarmi.
Portai le mani al volto e lo rinchiusi in una stretta ferrea. La testa mi pulsava così forte che pensai sarebbe esplosa da un momento all’altro. Una lacrima cadde, scivolando sul mio braccio e macchiandolo di nero. Persino quelle erano diventate di cenere. Il dolore si intensificò. Gridai, indietreggiando il più possibile lontano da Legolas, per proteggerlo da me, e caddi in ginocchio. Piegai la schiena in modo che potessi chiudermi a riccio, e non abbandonai mai la stretta. Mentre chiudevo gli occhi un volto mi apparve davanti.
Sauron sorrideva, le mani protese verso di me a sfiorarmi il volto. I suoi occhi erano di un intenso arancio tendente al rosso, e le sue labbra erano piene e colorite, in contrasto con i lunghi capelli corvini. Era bello, nulla da obbiettare, ma non volevo che mi sfiorasse ancora. E poi i suoi polpastrelli erano sporchi di una polvere rossa maleodorante. Alzai il volto all’improvviso e vidi rosso, letteralmente. Tutto quello che mi circondava non aveva altro colore se non quello. Strinsi di più la presa sui capelli, tanto che pensai si sarebbero saccati dalla mia testa.
« No, no, no. Basta! » strillai. Chiusi gli occhi e presi a tremare. Nel mio copro era ancora presente l’adrenalina, l’eccitazione per il sangue, ma le mie lacrime nere dicevano silenziosamente che io stavo soffrendo. Che non ero padrona del mio corpo. Che avevo perso il controllo.
Basta. Basta. Basta. Basta, ti prego, basta. Più mi ripetevo queste due parole, più il dolore aumentava. Poi due braccia mi strinsero le spalle e una voce leggera prese a sussurrare parole calmanti. Legolas. Il suo profumo dolce mi inebriò le narici, ma invece di tranquillizzarmi come faceva sempre mi ampliò il dolore. Non potei fare a meno di sentire l’adrenalina nelle mie ossa, e allora la paura s’impossessò di me ancora una volta. Se gli avessi fatto del male, non me lo sarei mai perdonata. Lo allontanai da me, mi alzai  corsi nell’angolo più buio e lontano, avvolta nelle tenebre. Non potevo permettermi di ferirlo, non volevo.
« Vai via. » Raccolsi le ginocchia al petto e vi affondai il volto. Anche solo guardarlo alzarsi nella penombra era un colpo al cuore.
« Ele. »  Il mio soprannome era così dolce e cristallino quando usciva dalle sue labbra. Sentii i suoi passi avvicinarsi e perciò tentai di rifarmi piccola, piccola. « Ele, se sei ferita, io… »
« Stai indietro. » Gli intimai, alzando il capo con ferocia. Le gengive mi facevano male. Passando distrattamente la lingua su un canino lo sentii più affilato del solito. « D       -E-V-I andare via, Legolas. Io non sono in grado di controllarmi, vai via. Ti prego, vai via. » Le lacrime intanto scendevano copiose, imbrattandomi il volto di nero.
« Non posso abbandonarti. Anche se lo volessi, non posso. » Fece per chinarsi su di me, quando poi ci ripensò e mi alzò di peso. Non pensavo avesse tutta quella forza in corpo. Arrivai contro il suo petto come un cannone, simile a una palla demolitrice ma lui mi resse sebbene incerto. Potevo sentire la sua paura, il suo timore crescere mentre io non dicevo nulla e piangevo solamente. Aveva il terrore che da un momento all’altro io potessi ritornare il mostro di prima, quello che gli aveva soffiato contro.
« Lasciami stare. » Protestai debolmente, senza credere nelle mie stesse parole. Ormai anche io ero stufa di portare quella maschera fatta d’odio, freddo e ghiaccio. « Lasciamo stare, Legolas. Uccidimi subito e facciamola finita. » Poggiai le mani sul suo petto allontanandolo da me quel tanco che bastava per guardarlo negli occhi. Nel mentre sfilai dai miei stivali un piccolo pugnale e glielo feci stringere fra le dita, puntandolo al mio petto. I suoi occhi corsero dalla lama scintillante, al mio torace coperto dalla camicia sporca di sangue di orco, ai miei occhi. Non osai immaginare quello che provò quando premetti io stessa sulla mia pelle la punta della lama e un piccolo rivolo di sangue color pece macchiò la stoffa bianca della camicia. Oppose resistenza quasi subito, dopo aver capito le mie intenzioni.
« No, non te lo lascerò fare. » Abbaiò, stupito del mio gesto. Strinse forte l’impugnatura del coltello, scacciò la mia mano e lo gettò al di la delle sbarre. Vidi la mia unica arma rimasta allontanarsi da me.
« Dovrai uccidermi comunque. » Obbiettai, correndo verso l’entrata. Lui fu più veloce e mi sbarrò la strada.
« Non vorrei, non voglio farlo. Sebbene tu mi faccia paura, ora: perché i tuoi occhi cambiano continuamente, e non mi sembri più la guerriera che conosco. Sebbene tu abbia provato a uccidermi poco fa, e io abbia scoperto chi sei realmente. Io non posso ucciderti Eleonora, hai capito? Non c’è la faccio, è più forte di me. » Ammise, guardandomi negli occhi. Per qualche istante rividi rosso, risentii il richiamo del suo sangue in me, poi tutto svanì quando lui poggiò una mano sulle mie guance. Fu come se la pelle stesse andando a fuoco e io mi stessi sciogliendo. Non riuscivo a gridare, o forse non volevo per riuscire a preservare il mio onore, o quello che ne rimaneva. Poggiò la sua fronte sulla mia e respirò silenziosamente. Potevo sentire il cuore battergli nel petto, veloce mentre pompava sangue. Chiusi a mia volta le palpebre, e con titubanza legai le mani dietro il suo collo, accarezzando la pelle morbida.
« Dovrai farlo. » Sussurrai. Lui fece scivolare le mani sulle mie spalle, poi le braccia e il profilo del mio torace fino ai fianchi, che strinse con leggerezza.
« Non posso. » Rispose flebilmente.
« Re Theoden ha detto così. Sai che dovrai farlo, per il bene di tutti. »
« Ma non il mio, ne il tuo. » Le nostre parole erano un sussurrò nell’oscurità. Solo qualche raggio di luna, praticamente inesistente riluceva sul pavimento nero di pietra consumata.
« Io… » provai a dire qualcosa ma nulla uscì dalle mie labbra. Non ci riuscivo, ero come bloccata sull’orlo di un abisso colossale, su una fune e sotto di me si estendeva il vuoto in tutta la sua tristezza.
« Non posso vivere senza di te. Anche se sei testarda, antipatica e acida. » Mi avvicinò a lui, tirandomi per i fianchi. Non ribattei, sapendo che doveva ancora finire di parlare. « E mi hai fatto dannare, sparendo di qua e di la con chissà chi. »
« Sono una brava ragazza, alla fine. » Tentai di sdrammatizzare.
« No, non lo sei. » Mi riprese, accarezzandomi il tessuto della maglia con i pollici. Un lieve solletico mi fece sorridere, non permettendomi di ribattere. « Sei la ragazza che ho amato. » Il suo naso sfiorò il mio e io rabbrividii al contatto con la sua pelle calda. « E che continuo ad amare sebbene sia costretto ad uccidere, e amerò anche quando non ci sarà più, o non mi vorrà. Sei la ragazza che amerò finché avrò vita. »
« Sei immortale. » Gli ricordai. « Sicuro di volerti prendere questo impegno? »
« Non sai quanto. »
« Hai appena firmato un contratto eterno, con una testarda, antipatica e acida guerriera. »
« Ne pagherò le conseguenze. » Non aprii gli occhi per vedere cosa succedeva, ma mi immaginai che sorrise, siccome la pelle del collo si tirò leggermente. Presi un breve respiro e mi feci coraggio. Intrufolai le mani fra i capelli biondi e lo tirai a me, baciandolo. La sua bocca si poggiò sulla mia , calda e morbida come ricordavo. Sorrise, e strinse la presa sui miei fianchi facendomi indietreggiare finché non scontrai la parete di roccia della cella. Allora si spinse contro di me, con tutto il corpo, allargò le mie gambe e ne mise una sua in mezzo. I nostri corpi aderirono perfettamente. Qualche secondo dopo, le nostre lingue si assaporavano in una danza frenetica e nessuno dei due pareva voler smettere. Se il primo bacio era stato romantico e gentile, al chiaro di luna in  uno splendido bosco, questo era passionale e voglioso. Dopo tutto, poteva essere l’ultima sera che avremmo passato assieme, tanto valeva che lo amassi in tutto. Cominciai a sfilargli i cordoncini che tenevano chiusa la sua divisa, che calò a terra con un tonfo leggero, mentre lui faceva lo stesso. Era imbarazzante, era la prima volta per me, credo. Non potevo sapere se 60 anni fa, durante la prima apparizione avessimo concluso qualcosa. Quando entrambi i nostri corpi furono a contatto, non potei fare a meno di stringere le sue spalle nelle mani, e affondare le unghie nella sua pelle pallida. Lui poggiò la guancia contro la mia tempia e la baciò, quasi come se nulla stesse succedendo.

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Capitolo 11
*** Devo averti amata allora. ***


Just can’t let her go.
 
 
“«Sono rimasto sveglio per ore a guardarti dormire» mormora. «Devo averti amata da allora.»”
 
— 50 sfumature di nero.
 

 
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« Leg… Leg-olas. » Il suo nome uscì dalle mie labbra a scatti. L’elfo alzò il volto dall’incavo del mio collo e mi baciò con trasporto. Le sue mani erano ovunque su di me, e il suo corpo si muoveva ritmicamente. Dalla  piccola finestra in alto soffiava un fievole vento che rinfrescava i nostri corpi accaldati. Feci scendere le mani dalle sue spalle alla sua schiena e gettai la testa all’indietro, per quanto il muro mi permettesse di farlo. Inarcai la spina dorsale e lasciai che le labbra morbide del ragazzo tornassero a torturarmi la pelle del collo. Mi accarezzò le cosce e poi le strinse, costringendomi a stringere le gambe attorno al suo bacino. Si mosse, dirigendosi verso l’unico letto di pietra che era presente nella cella. Quando mi ci poggiò sopra, rabbrividii. La roccia era fredda, e io accaldata come non mai. Strinsi le gambe, e mi godetti il momento che stavamo consumando. Probabilmente sarebbe stato l’unico, l’ultimo, e lo volevo vivere a pieno. Per un secondo la vista mi si annebbiò, tornando rossa, e allora con un colpo portai il principe sotto di me. Lui sbatté le palpebre sorpreso, ma quando ricominciai a muovermi sembrò gradire. Era così strano. Insomma, prima ci odiavamo, poi ci amavamo, cercavamo di ucciderci e infine ci ritrovavamo a fare… beh, non sapevo neanche io se chiamarlo sesso o amore. Alzai il volto al soffitto nero, e mi morsi le labbra a sangue. La vista si stava facendo rossa anche sotto esse. Avevo una paura matta, quella paura che ti nasce dentro quando sai che potresti fare del male alla persona che ami. Stavo avendo paura, e il mio corpo s’irrigidì. Legolas mi guardò per un secondo, poi allungò una mano verso il mio viso e la poggiò sulla mia guancia, riportandomi in direzione del suo volto. Il suo calore mi fece sospirare più forte del previsto.
« Non voglio che tu ti trattenga. » Sussurrò. Io aprii le palpebre e restai a guardarlo, per quelle che sembrarono ore mentre invece erano pochi secondi. Le sue iridi erano di un azzurro chiaro, quasi grigie in quel momento. Ma i colori si confondevano con i piccoli flash rossi che mi accecavano di tanto in tanto.
« N-no so s-se… ho paura di farti del male. »
« Non potrai mai farmi del male. » Mi tranquillizzò, e le sue mani furono sul mio bacino e lo muovevano. Gemetti, non sapevo neanche io come feci a fare quel verso. Ma lo feci, e l’elfo sembrò gradirlo. Certo, non volevo che non si divertisse, o non gli piacesse mandarmi in estasi ma almeno speravo potesse essere così geniale da non farmelo notare, o almeno da provare lo stesso. Mi allungai su di lui e gli accarezzai il petto, mentre baciavo il suo collo e mi attingevo a succhiare un lembo di pelle.
« Mi farai impazzire. » Sospirò, col fiato corto.
« Perché? » Mormorai, cercando di essere il più provocante possibile. Mi muovevo piano, cercando di far crescere la voglia in lui.
« Sei tu. Non c’è un perché. E’ quello che fai, e come lo fai… non solo in questo momento, ma sempre. » Rizzai la schiena e piantai i palmi ai lati della sua testa. Mi accigliai perplessa, fermandomi. « Anche le smorfie che fai, mi mandano in subbuglio. O il modo in cui ti muovi mentre facciamo l’amore, quello si che mi manda completamente in orbita. » Ridacchiai, e lasciai un bacio sulle sue labbra.
« Allora… potremmo ricominciare, che ne pensi? »
« Non poteri mai deluderti. » Scherzò lui.
 
 
 
°   °
 
 

La luna ormai era nascosta da nubi spesse e nere. La camera in cui si trovava Legolas era buia, tetra. Si sarebbe persino spaventato se non avesse avuto al suo fianco la propria compagna. Eleonora se ne stava rannicchiata contro il suo petto, qualche volta, nel sonno, mormorava qualcosa di incomprensibile e stringeva la camicia del ragazzo. La camicia che gli aveva dato per dormire le stava grande, e si alzava sui suoi fianchi ogni volta che l’elfo muoveva le gambe incrociate con le sue. Si erano vestiti dopo che avevano concluso, e lui le aveva negato di rimanere in cella un’altra notte. La voleva affianco a se, nel proprio letto. Non gli importava quello che Theoden avrebbe detto l’indomani: lei era la sua compagna, e mai e poi mai avrebbe permesso ancora che la trattassero così. Non l’avrebbe neanche uccisa. Non avrebbe permesso a nessuno di farle del male, tanto meno a se stesso. Lei era il male; ok, l’avrebbe accettato. L’avrebbe amata anche così. Anche se questo significava andare contro tutti. Le accarezzò i capelli, come se farlo fosse la cosa più naturale e abitudinaria di sempre. Come se lo facesse ogni notte.
« Non dormi? » Domandò una voce flebile. L’elfo alzò gli occhi in direzione della porta, che ora era semi aperta, e fisso la sagoma scura di Isil. La ragazza indossava una lunga camicia da notte che frusciava a terra e i capelli erano slegati sulle spalle. Non riusciva a vederle bene il volto, ma gli sembrava che stesse analizzando il letto con gli occhi.
« Non c’è la faccio, no. » Ammise lui, senza smettere di accarezzare la spalla di Eleonora, che dormiva ignara di tutto.
« Lei è con te? » La bionda fece un passo avanti, entrando. « Non ci credo, Legolas. C-come…? » Si portò le mani davanti alle labbra e trattenne un sospiro.
« L’ho portata su prima. E non intendo vederla nuovamente in una cella. » Con attenzione staccò le braccia di lei dal suo petto, districò le loro gambe e si alzò in piedi. Prese per le spalle Isil e la condusse in corridoio, lasciando la stanza silenziosa. Fuori dalla camera, le fiamme bruciavano nelle torce e lanciavano ombre sui muri di pietra grigia. Fuori dalle grosse finestre a volta uscivano i rumori della notte: soldati in marcia, armature che sferragliavano, il vento che fischiava debolmente.
« Sei uscito di testa? » Isil gridò silenziosamente, le mani che si muovevano animatamente. « Quando Theoden lo scoprirà, ti farà tagliare la testa. » Le si avvicinò e incrociò le braccia al petto, guardandolo con i suoi occhi grigi. « Prima, quando sono andata a trovarla. »
« Prima quando? » Nel petto di Legolas crebbe la vergogna. Se li avesse visti mentre facevano l’amore?
« Ore fa. Dopo aver portato Gring nelle sue stanze. Si, sono stata più veloce di te. E non dirmi che è una bugia perché so che sei andato a trovarla. Ti ho vista da lontano. Solo... solo che non ti ho chiamato. »
« Davvero? E perché? »
« Volevo lasciarvi in pace, volevo… »
« Che io la vedessi nello stato in cui era ridotta. Volevi che avessi paura di lei, e che decidessi di ucciderla. » Le riservò uno sguardo furioso. « Volevi che io la uccidessi? Ma che diamine ti è preso?! » Quasi gridò, ma si trattenne. Poggiò le mani sulle spalle di lei e la spinse indietro, contro il muro. Lei sussultò un poco ma non smise di fissarlo. Sembrava spaventata, ma al contempo non lo era.
« Lo dovrai fare comunque. Tanto meglio se l’avessi fatto quando l’avessi vista per quello che era davvero: il male, fatto a persona. » La sua voce era un sibilo.
« Sei uscita pazza? Isil, è tua sorella. »
« E’ il mio demone. Come posso andare avanti se i miei demoni mi perseguitano? »
« Lei non è un demone, ok? Lei non è un mostro. » L’elfo strinse la presa sulle spalle di lei.
« Oh mio Dio, Legolas. Tu la ami. » Isil sembrava sull’orlo del pianto. Si portò le mani al volto e lo coprì. Poco dopo, singhiozzi sommessi si dispersero nell’aria. Il principe sentì una stretta al cuore. Perché piangeva?
« I-Isil ho fatto... scusa, non volevo essere così irascibile. Isil stai bene? » Si allontanò da lei e la guardò, addolcendo lo sguardo. Era brutto sentirla singhiozzare così. Sembrava fragile e non la guerriera che aveva combattuto contro gli orchi. Sembrava Eleonora poco prima.
« Perché, perché non capisci? » Cominciò a brontolare.
« Isil, cosa dovrei capire? »
« Che io ti amo! Dannazione, Legolas persino i bambini se ne accorgono! Perché tu no? »
 
 
Dedico questo capitolo a FiammaNera (non so se è venuto bene, ma ho provato a fare quello che mi hai chiesto). E’ la prima volta che scrivo una cosa del genere, e mi rendo conto che è davvero orrida, cercate di capirmi.

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Capitolo 12
*** In ogni caso, c'è la dobbiamo cavare da soli. ***


Just can’t let her go.
 

 
 
Dio forse esiste, Clary, o forse no, ma non credo che abbia importanza. In ogni caso ce la dobbiamo cavare da soli.
 
(Jace-Città di ossa)
 

 
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« Ti prego, Isil. Dimmi che stai scherzando. » Dal corridoio proveniva la voce sussurrata di Legolas. Mugugnai assonnata, muovendo la bocca intorpidita e passai le mani sul volto un paio di volte. Quando fui abbastanza sveglia, mi alzai sui gomiti e rimasi in ascolto. La porta era socchiusa, la luce delle fiaccole era fievole, mentre dall’enorme finestra della stanza entrava il vento che mi costringeva a restare rintanata sotto le coperte. Sebbene la mia voglia di rintanarmi dietro la porta e origliare fosse molta, non potevo fare questo all’elfo. Se era uscito in corridoio e aveva deciso di parlare con Isil da solo, un valido motivo doveva esserci. E forse non necessitava della mia intromissione. E poi, le voci erano leggere nella camera, ma c’erano.
« No. Non sto scherzando, Legolas. » Silenzio. « Sono innamorata di te. » Sobbalzai all’improvviso, scalciando con forza le coperte via da me. Mi alzai e corsi alla porta, ma prima di spalancarla ci ripensai. Cosa avrebbe risposto Legolas?
« Isil, io non so che dire. Insomma. »
« E allora non dire nulla, Legolas. Di solo che vuoi baciarmi, come io voglio baciare te. » Serrai le palpebre e abbandonai le mie mani sul legno della porta, graffiandolo con le dita. Quanto ancora avrei resistito, sapendo che mia sorella ci provava con il ragazzo che amavo, davanti alla porta della camera in cui dormivo e senza ritegno?
« No, Isil. Non posso, e lo sai anche tu. » Lanciai un sospiro di sollievo. Per fortuna Legolas mi era fedele, come io lo ero a lui. « Io amo lei. »
« Ma lei è un mostro. » Protestò la voce della bionda. Sembrava il sibilo di un serpente furioso.
« Non mi importa, lo sai. »
« E’ una bugia, Legolas. E lo sai bene anche tu. Lo leggo nei tuoi occhi che hai paura. Paura di quello che potrebbe scattare nella sua mente da un momento all’altro. Paura del fatto che potrebbe ucciderti. »
« N-no. » La voce dell’elfo era esitante. Spinsi la fronte contro la porta e scorticai il legno con tanto impeto che le mie dita sanguinarono.
« Legolas. » Riprese la ragazza, sicuramente avvicinandosi alla figura dell’elfo. « Io posso distruggerla, se solo tu me lo chiedi. » Li potevo immaginare nella mia testa. Lei che si alzava sulle punte, poggiava le mani sulle sue spalle forti e larghe e gli sussurrava all’orecchio quelle parole. Una rabbia cieca s’impossessò di me, e per qualche istante temetti di esplodere e fare una carneficina. Ma l’unica cosa che grondò di sangue furono i palmi delle mie mani, nelle quali infilai le unghie. « Posso ucciderla, e finire questa storia per sempre. Posso. »
« No, smettila Isil. Non so che ti è preso, ma io non posso farlo. E tu tanto meno, è tua sorella. »
Santi i Valar. Appena Legolas torna in camera avrà un premio. Lo giuro.
« Come ti ho detto poco fa, Legolas Verdefoglia, lei è un mio demone. E se non posso avere il tuo aiuto, allora farò le cose con la forza. »
« Che vuoi fare? » La voce dell’elfo si tese come la corda di un violino. Ora, dovevo intervenire. Aprii la porta d’impulso e mi avvicinai a grandi passi a Isil. Era troppo vicina al mio ragazzo, e persi il controllo. Non aveva il diritto di fare quello che stava per fare o dire quello che aveva detto. Lei non doveva decidere per me, nessuno doveva farlo.
Con un ringhio animale rinchiusi la sua gola nella mia mano e l’alzai da terra, gettandola con il muro di pietra. Cadde sul pavimento con un tonfo. Prima che si rialzasse mi ci rigettai accanto e la feci sbattere ancora, e ancora e ancora. Finché dopo l’ennesima caduta, e presa, lei sputò del sangue sulla camicia che indossavo. Solo allora mi accorsi che avevo solo quella addosso, e la biancheria. Poco mi importava, nella mia mente avevo furia cieca per il tradimento di mia sorella.
« El-Eleonora. » Borbottò, portando le sua mani sulla mia che la teneva in alto. I suoi occhi grigi si muovevano a scatti. Sapeva di non avere scelta, di essere in trappola.
« Dammi un solo motivo per cui non dovrei ucciderti, ora, qui, con le mie mani. » Amplificai la presa e lei gorgogliò. Piegai la testa di lato e abbozzai un sorrisetto « Ah già, non puoi. Non ne hai, sorellina. » La sbattei contro la parete di roccia e c’è la risbattei con forza ancora e ancora, e ancora. Lei strillò rauca, guardando verso Legolas in cerca d’aiuto.
« Eleonora, ti prego. » Una lacrima, cristallina, le solcò la guancia. In quel momento non solo provai rabbia, ma anche invidia. Perché lei doveva essere il bene e io il male? Che diavolo avevo fatto di male in questo mondo per meritarmi tanto? Dannazione. Perché ero io a dover soffrire, sempre?
« Va al diavolo Isil. » ringhiai, letteralmente. Il suono rimbombò contro le pareti fino ad estinguersi. Sembrava quello di un leone inferocito. I miei occhi cambiarono colore, lo vidi nel riflesso che emanavano i suoi.
«Legolas! Fallo ora, ti prego fallo ora! Sta perdendo il controllo. » Isil gridò. Il mio volto divenne una maschera d’acciaio, mentre mi voltavo a guardarlo. Aveva gli occhi lucidi, e le ombre delle fiamme danzavano sul suo volto.
« Legolas. » Mormorai, non capendo cosa lei volesse intendere con quella frase.
« I-io non posso farci nulla, El. Stai perdendo il controllo. »
« Legolas. » Non avevo voce, mentre pronunciavo il suo nome. Il cuore di cenere che avevo nel petto mi parve diventare ustionante, bruciarmi dentro. Una lacrima solcò la mia guancia. Legolas mi aveva usato, e il mio amore per lui mi stava uccidendo.
« Mi dispiace Ele. Ma sei incontrollabile. » Gring, comparso dal nulla, si parò vicino a lui e gli porse un arco. Lui incoccò la freccia e piegò la corda, che stridette.
« No. Non farlo, ti prego Legolas. Ti prego. » La punta di metallo della freccia scintillò contro la luce delle fiamme. « Io ti amo. » Mormorai.
« Ti amo anche io. Ma non posso permetterti di mettere in pericolo le persone della compagnia. La missione va portata a termine, e tu sei la mia distrazione. Non posso avere distrazioni, non ora che se n’è andato anche Aragorn. »
« Legolas, ti prego. »  Feci un passo avanti e non staccai gli occhi dai suoi. La vista era tornata normale e potevo scorgere il blu dei suoi occhi diventare nero.
« Non posso, non posso non farlo. Mi dispiace. » Una lacrima gli rigò la guancia. La freccia venne scoccata, e si conficcò nel mio petto. Il cuore mi parve sgretolarsi, come sabbia. Socchiusi le labbra, lasciai Isil e mi accasciai a terra. Un manto freddo s’impossessò all’improvviso di me, mentre la figura sfocata di Legolas si avvicinava. Chiusi gli occhi. Poi una luce improvvisa e per l’ennesima volta il buio.
 
 
°   °
 
 


Sauron raccolse la ragazza fra le braccia. La sua pelle era fredda come il ghiaccio, e tanto pallida che si potevano intravedere le vene, nere. I capelli castani erano scompigliati e penzolavano oltre il braccio dell’oscuro signore, mentre una mano penzolava come morta. Indossava solo una misera camicia bianca, con una sgargiante macchia nera all’altezza del cuore. Per fortuna il suo era fatto di cenere, e quel colpo non era stato mortale. Come invece avrebbe potuto esserlo l’impatto con la realtà. Con il fatto che l’uomo che amava l’aveva tradita, condannandola a morte.
« To, orco! » Gridò, attirando l’attenzione di una fetida creatura. L’essere dalla pelle col verde palude si avvicinò e lanciò una leggera occhiata alla ragazza. Una fitta di gelosa s’impossessò dell’elfo, che la coprì con il proprio mantello. « Riferisci a Saruman che la polvere che ci ha dato ha funzionato, lo spirito animale dentro di lei ha fatto il resto, e sarà ricompensato per questo. »
« Si, padrone. » Un altro sguardo al corpo della giovane. « Devo anche avvertirlo che avremo bisogno del suo aiuto per guarire la ragazza? » Sauron rimase stupito dal ragionamento del suo servo. Come poteva una creatura così stupida essere così intelligente.
« Mh, si. Ora vattene. » lo osservò andare via, e sparire dietro la porta della sala d’ossidiana. Socchiuse le palpebre, come un gatto, e poi tornò sui suoi passi. « Quando quello torna, uccidilo. » Mormorò a una guardia. Meglio non avere servi intelligenti attorno.
 
 
« Allora? » Il ringhio di Sauron echeggiò per le pareti della stanza da letto. Lo stregone bianco si voltò a guardarlo, con quel suo volto lungo e magro gli faceva rivoltare lo stomaco. Le lunghe dita che indugiavano sulla ferita di lei. Saruman stava scherzando col fuoco, stava sfidando la pazienza del suo signore. « Mi dici se sta bene, o devo estorcerti le risposte con le maniere cattive? »
« Padrone. » Persino la sua voce strascicata gli dava sui nervi. Lo stregone era troppo calmo, andava troppo lento per i gusti di Sauron. « Siediti, e rilassati. Poche ore e la ragazza si riprenderà. » Saruman indicò a suo signore una sedia di velluto nera con ricami d’oro, posta accanto al letto. L’elfo lo fissò di sbieco mentre ci si accomodava.
« Ti sono grato dei tuoi servigi, Saruman il bianco. » Borbottò. Non gli piaceva scusarsi, per niente, e neppure ringraziare. Lo faceva come sentire in debito. Ma lui non doveva nulla a nessuno. « Ora vattene. Torna nella tua torre e organizza il mio esercito. Attaccate il fosso di Helm, domani notte. » Si coprì gli occhi con una mano, sfinito.
« Mio signore, se posso fare qualcosa per voi… »
« Vattene, Saruman. Questa è l’unica cosa che puoi fare per me, ora. »
« Come desiderate, mio signore. Il mago si vaporizzò, lasciando il re di Mordor nella sua solitudine. Sauron sospirò, accarezzandosi il volto stancamente e poi guardò la ragazza stesa sul suo letto. Le coperte tirate fino al collo, il volto cereo. Provò l’impulso improvviso di prenderle la mano e baciarla, pensando che così avrebbe sentito il suo calore e la sua voglia di dirle quello che provava per lei, sebbene lei non lo conoscesse. Almeno, non del tutto.
« Sei così bella. Una macchina da guerra creata appositamente per stare al mio fianco. » Pensò a voce alta, accarezzandole il volto. Aveva la pelle soffice, con striature leggermente più scure sulle guance. Aveva pianto. « Una persona come me. »

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Capitolo 13
*** Bianca come il latte. Nera come la morte. ***


Just can’t let her go.
 
 
 
Bianca come il latte. Nera come la morte.
 
 
 
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« Eleonora. » La voce di Dama Galadriel era limpida nella mia testa. Strinsi forte le palpebre prima di aprirle, e una luce accecante le fece richiudere. « Eleonora. Alzati. »
« Se ne vada. Io non mi fido di lei, non più. » Mi girai dandole la schiena, o almeno credevo di darle la schiena. Portai le mani agli occhi e mi raggomitolai su me stessa, come un riccio. Mi sentivo strana, male. Come se un pezzo enorme di me se ne fosse andato, perso nel nulla. La testa mi doleva. I muscoli mi dolevano.
« Ma ragazza mia, che dici? Perché non dovresti più fidarti di me? » Sentii il calore del suo corpo contro il mio petto, le sue braccia che mi stringevano maternamente. Come diavolo aveva fatto ad abbracciarmi se ero sdraiata? Come diamine poteva anche solo abbracciarmi dopo quello che mi aveva fatto?
« Mi lasci andare, ora. Lei… lei non ha il diritto di farmi questo. » La spinsi via. Lei indietreggiò. Forse si sentiva tradita, ma io che avrei dovuto dire? « Mi ha ingannato. E’ apparsa dal nulla quando ero dietro le sbarre e mi ha fatto qualcosa! Le sue dita erano rosse, ma non era sangue. Mi ha trasformato in un mostro! » Strillai. Gli occhi grigi dell’elfa mi esaminarono, fermandosi sul mio volto teso, e stanco. Dovevo avere delle occhiaie molto marcate a giudicare il modo in cui si soffermava sugli occhi.
« Io… non sono mai venuta a cercarti quando eri dietro le sbarre. Io non posso raggiungerti concretamente, lo ricordi? Solo in sogno, come adesso » , sussurrò. Rimasi muta, lo sguardo perso nel vuoto. Non mi ero mai ricordata al fatto che fosse realmente così; che lei non potesse raggiungermi concretamente. Eppure l’avevo vista. Mi aveva toccata.
« M-ma lei. Si, insomma… era davanti a me. » Mi accarezzai la testa dolorante.
« Puoi spiegarmi quello che è successo? »
« I-io ho aggredito il re. Mi hanno colpita, e mi sono svegliata in una cella. Poi Lei… scusi, l’altra lei, la sua doppelgänger, mi ha toccato il viso e aveva le mani sporche di rosso. All’inizio ho creduto fosse sangue, ma poi ho ragionato sul fatto che voi siete intoccabile, Dama Galadriel. »  
« Ma non è tutto, vero? » Poggiò le mani sul ventre e aspettò una risposta.
« Esatto. Legolas, è venuto a trovarmi. » Senza volerlo la mia voce assunse una tonalità bassa. « L’ho quasi attaccato, se non avessi avuto un briciolo di auto controllo io… avrei potuto staccargli una mano. » Quello che stavo dicendo, tutto quello che avevo pensato potesse rimanere solo un ricordo, un illusione della mente, stava diventando terribilmente reale. Quello che avrei voluto non fosse mai successo, in realtà era accaduto e parlarne lo rendeva solamente più vero. Abbassai lo sguardo.
« Va avanti. »
« Noi… noi siamo andati oltre il bacio, successivamente. Poi l’ho scoperto a parlare con Isil, lei tentava di convincerlo a uccidermi. Sono esplosa: l’ho quasi uccisa. Legolas mi ha scagliato una freccia contro per proteggerla… », guardai le mie mani e le strinsi a pugno. « Ero fuori controllo. Ha dovuto farlo, perché sono un mostro. » Quella frase completò il ciclo di emozioni contrastanti che erano nate in me. Mi portai le mani al petto e cominciai a respirare affannosamente. Dove prima c’era il cuore mancava il battito, e una grossa cicatrice scendeva in verticale. Sulle dita scendeva sabbia nera che si fermava sul pavimento bianco.
No. Dimmi di no. Non sono morta. Non sono morta.
« La prego, mi dica che non sono morta. La prego. » Rivolsi una supplica a Dama Galadriel, che si era avvicinata. L’elfa mi fissò, chiudendo le mie mani nelle sue e scosse il capo.
Mi lasciai uscire dalle labbra un sospiro liberatorio e sorrisi, per la prima volta.
« Ora io devo andare, guerriera. Ma tu promettimi che quando ti sveglierai non parlerai con nessuno. Se mai dovessi farlo: cercherai di essere furba. Come all’inizio dell’avventura. Non dirai nulla a nessuno della compagnia. Non ti fiderai di nessuno. E soprattutto: non tenterai di sfuggire al tuo destino. » Mi baciò sulla fronte.
« Ok. Lo prometto. » La guardai sparire nel nulla, nel bianco di quel sogno.
 
 
 
Quando aprii gli occhi, la prima cosa che vidi furono delle coperte di pelo nero che mi ero stretta attorno al corpo. Sbadigliai e mi voltai sulla pancia, osservando un soffitto di quella che doveva essere pietra arenaria.
Ma che diavolo?
M’issai sui gomiti, tutto il mio corpo ebbe una fitta. Ringhiai e mi portai un braccio sugli occhi, sbuffando. Ovunque fossi finita, dall’enorme finestra che dava sull’esterno entrava un puzza incredibile di zolfo e grida, urli angosciosi. E il cielo non era azzurro, o nero; era di un intenso arancio rossastro, come se mi fossi trovata al centro esatto dell’inferno. Con tutte le forze che avevo mi misi seduta, con i piedi che penzolavano oltre il materasso e mi guardai attorno. Pareti di arenaria, ventata da quelli che sembravano cristalli neri, componevano il quadrato della stanza. C’era un armadio nell’angolo lontano dalla finestra, una grossa porta di pietra nera e lucida, il mio letto, una cassapanca di mogano e una sedia di velluto nero e oro, somigliante a quelle dello stile barocco. Che poi, cosa ci faceva una sedia come quella li? Alzai le spalle e m’issai sulle gambe, cominciando a zampettare per il perimetro delle quattro mura. I muscoli erano indolenziti, ma non avevo voglia di starmene ferma. Magari ero ancora nelle terre di Rohan, in una parte diversa del fosso di Helm. Magari…
« Oh, sei sveglia, finalmente. » Una voce irruppe nei miei pensieri. Bloccai la mano sulla maniglia dell’armadio e mi voltai di tre quarti. Davanti alla porta era apparso un uomo. No, non un uomo: un elfo. Vestiva di nero, lo stesso colore dei suoi capelli che si differenziavano dalla pelle candida e gli occhi rossi. Era strano, ma mi sembrava di aver già visto quel colore altrove. Ma non ricordavo dove. Lasciai la maniglia fredda voltandomi del tutto.
Magari se gli do sui nervi se ne andrà. Non ho voglia di vedere nessuno, ora.
« Con chi ho il piacere di parlare? » Mossi le mani davanti leggermente.
« Io, sono… »
« Ah, si. Ehm, non mi interessa realmente. » Gli sorrisi leggermente. « Ora vattene, devo vestirmi. Perché, se non l’avessi notato, indosso solo una camicia nera e non voglio farmi vedere così da uno sconosciuto con cattivi gusti in fatto di guardaroba. » Spostai gli occhi sul suo volto. « O lenti a contatto. » Storsi il naso e tornai all’armadio. Lo aprii e un forte odore di lavanda m’investì. Tossii, agitando la mano davanti al viso per allontanarlo. « Dio mio, ma che diamine ci hanno messo dentro questo coso? Dannazione, che puzza. » Cominciai a spostare i vestiti, a uno a uno. Niente pantaloni, o camicie, o bluse. Nulla, solo vestiti neri. Beh, almeno il colore era azzeccato. Persi interesse per gli abiti e quando mi voltai l’elfo era ancora davanti alla porta, ora chiusa.
« Sei ancora qui? »
« Non ci siamo ancora presentati. » Fece un passo verso di me, allungando una mano sulla schiena per sganciarsi l’enorme, e sicuramente pesante, mantello di pelo nero. Quando fu abbastanza vicino l’avvolse attorno al mio corpo e sorrise a distanza di un centimetro dalle mie labbra. « Il tuo nome? »
« Perché dovrei dirtelo? Sei piombato nella mia stanza, mentre ero mezza nuda e non ne sei uscito. Dammi un solo motivo per cui dovrei dirtelo. »
« Magari… perché ti ho salvata da una morte certa? E mi sono preso cura di te mentre eri fuori gioco? E ti ho procurato i vestiti che “puzzano”. » Ridacchiò leggermente, stringendo il mantello per portarmi più vicino al suo volto. Non sapevo il suo nome, non sapevo chi fosse, dove fossi o cosa volesse; e già tentava di baciarmi? Ok, era carino. Lo ammetto. Ma non mi sarei fatta baciare così, non da un perfetto sconosciuto come lui. Non dopo quello che era successo con Legolas.
« Mi chiamo Eleonora. Alcuni mi chiamavano Isil, prima della divisione, altri Ránië.  E non ho alcuna intenzione di baciarti, se queste sono le tue intenzioni. » Misi subito in chiaro.
« Non ancora, ho capito. » Si allontanò e sorrise. « Io sono… Vëon. E, si, avevo notato che eri mezza nuda. » E scomparve dietro la porta.
 
 
 
 
Ciao splendori <3
Allora che ne dite di questo capitolo? Recensite in tanti, ok? Ele ha finalmente incontrato Sauron, che dice di chiamarsi Vëon ( Andrea, in Italiano. ) Vi piace come personaggio? E come coppia, preferite El&Legolas o El&Suron? Sono curiosa. Recensite, recensite, recensite.

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Capitolo 14
*** Custode. ***


Just can’t let her go.
 



“E adesso dimmi come cazzo faccio a fidarmi ancora delle persone.”
 
— (via nessunocombatteperme)

 



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« E’ stato nel dormiveglia per quattro giorni, mio signore. Si è svegliato ieri, e gli abbiamo raccontato quello che lei ci ha chiesto: è stato colpito alla testa, io l’ho preso al volo e ho lottato contro mia sorella, che cercava di ucciderci dopo aver perso il controllo. Gring ha sentito il frastuono ed è corso ad aiutarci. Lei è fuggita a Mordor. »
« Ottimo, Isil. » La voce di Sauron echeggiò rigidamente fra le pareti. La giovane ragazza sorrise attraverso il portale all’elfo dai capelli di pece, e sospirò. « Qualcosa non va, ragazza? Non  che ti stai pentendo delle tue scelte? »
« Oh, no, no. Assolutamente », si affrettò a rispondere lei, « Solo che, quando lei ha provato ad uccidermi ho notato che i suoi occhi… insomma, non erano rossi come sempre quando perde il controllo; cioè, lo ono stati per qualche minuto, ma successivamente sono diventati neri come la pece. Intendo: tutti neri. Niente iride, niente pupilla; solo tenebre e disperazione. »
« E vorresti sapere il perché, non è così? » L’oscuro signore si rigirò fra le mani un coltellaccio appuntito.
« Se voi poteste spiegarmelo, mio signore, ne sarei felice. »
« I grandi maghi della Terra di Mezzo chiamano i gemelli come voi “ di luce & di ombra”. Quando avviene la “rottura” e i due corpi uniti si separano, vengono divisi in frazioni e con essi anche i poteri. La “luce” nasce col potere del sole, e solo in quel caso può essere utilizzato. L’ “ombra” controlla la notte. » Sauron si accomodò su un trono di ossidiana, e prese a battere i polpastrelli della mano destra su un bracciolo. « Il gemello “buono” possiede inoltre la capacità delle visioni, cosa molto utile, e della soggiogazione. Può far credere a chiunque quello che vuole, come tu hai fatto con il principe Legolas, o tua sorella. L’ombra, dal canto suo, può controllare i quattro elementi fondamentali: terra, aria, acqua e fuoco. In più, quando il cuore dell’ombra è evaporato, ridotto in cenere, o come ti pare, e non si può più salvare: colui che controlla i quattro elementi diviene uno di essi. »
« U-uno di essi? Ma mia sorella si stava trasformando in un mostro! » Le dita di Isil si strinsero formando dei pugni. « Non era un essere appartenente alla terra quello, mio signore! E’ impensabile! » Sbatté i piedi a terra con tanta forza che il terreno attorno a essi si crepò pesantemente. Molte volte era difficile controllare la rabbia, anche per Isil che era solita non alterarsi.
« Lei non si stava trasformando in un mostro, stava divenendo: un custode. »
« Un… custode? »
« Si, una custode. Eleonora si è affezionata così tanto a quel… principe », Sauron sputò fuori quell’aggettivo con rabbia e ribrezzo, « che proteggerlo sembra essere diventato lo scopo primario per lei. »
« Uccidila, per carità uccidila. Non voglio che lei si avvicini ancora a Legolas. »
« Stai pure certa che io voglio la stessa cosa, Isil. » Il signore di Mordor batté i pugni sul suo trono, dopo di che ringhiò frustrato. « Non lascerò che la chiave della mia vittoria scappi da me, perché vuole ricongiungersi con un elfo strampalato. »
« Lui… lui non è strampalato. »
« Oh, hai ragione: lui è viziato, corroso dalla curiosità, convinto di essere perfetto e bravo in tutto, credulone, soggiogabile. Devo continuare? » Isil si morse la lingua per non rispondere male a Sauron. Dopo tutto lei sapeva che Mordor avrebbe vinto la guerra, se lo sentiva dentro. Si era alleato con lui solo per essere libera. Gli aveva dato sua sorella solo per guadagnarsi la sua fiducia e levarsela dai piedi in modo da avere Legolas tutto per se. E, la cosa strana era che lei, non si sentiva in colpa.
 
 



°    °
 
 



La porta della mia camera si aprì gentilmente, e un Vëon sorridente si fece largo fra gli ammassi di vestiti neri gettati a terra. I suoi occhi arancioni sorrisero divertiti, quando gli comparvi davanti con un goffo tentativo di pettinarmi i capelli. La stoffa del vestito che indossavo era leggera; da fuori provenivano sempre le stesse grida, e lo stesso rumore di ferro battuto.
« Lo so che siamo a Mordor », cominciai, sedendomi sul materasso, « ma non potrebbero fare meno chiasso? Insomma, vanno avanti anche la notte e io non riesco a prendere sonno. Quando conoscerò Sauron giuro che gliene canterò quattro. »
« A si? » l’elfo rise divertito dal mio tono di voce e mi raggiunse.
« Esattamente. »
« E come credi di riuscirci, a incontrarlo? ? » Mormorò, mi prese la spazzola di mano e cominciò a lisciare i miei capelli. Si erano allungati dall’ultima volta che ci avevo fatto caso. Le sue mani correvano leggere e decise, e la spazzola sfaceva i pochi nodi.
« Non lo so. » A questo non ci avevo proprio pensato. Ero prigioniera in quella torre da quattro giorni e ancora Sauron non si era fatto vivo. Che razza di nemesi non si vanta con gli ostaggi delle proprio vittorie? Inoltre, avevo passato le ultime giornate con l’elfo a scherzare e ridere, mentre nella mia testa si susseguivano le immagini di Legolas quando scagliava la freccia. Ogni volta era dolorosa, e quel momento non faceva eccezione.
« Tutto bene, Eleonora? » La voce dolce e calma di Vëon mi riportò alla realtà.
« Si. Si, sono solo molto stanca. » Di vivere. Di essere dalla parte sbagliata, prigioniera di un maniaco del controllo. « Come ti ho detto: la sera non dormo molto. »
« A me non la racconti giusta. Che hai, realmente? » Il giovane si alzò solo per venirmi di fronte e si accucciò, poggiando il mento sulle mie ginocchia. Fissai i suoi occhi rossi e alzai le spalle, abbozzando un sorriso. Rimanemmo a guardarci. Era strano come un perfetto sconosciuto riuscisse a capire quando stavo male, mentre persone che conoscevo da mesi non si erano mai accorte del mio stato d’animo. Che fosse un veggente? Ne dubitavo. Forse era solo attento alle cose, oppure mi aveva sentita piangere durante le scorsi notti; quando la luna era oscurata dalle nubi nere, le urla non cessavano e io mi nascondevo sotto le coperte di pesante pelo nero. Tutto per colpa del dolore fisico e sentimentale.
Quando ero sulla terra mi rifiutavo di amare. Era cominciato tutto quando la mia migliore amica, Jasmine, si era fidanzata e aveva cominciato a dimenticarmi. Col tempo le liti erano diventate frequenti, tutte riguardanti il tempo che passava con il suo ragazzo, e io ero finita nel cestino dei ricordi usati. Da quel momento avevo chiuso l’amore in una cassaforte blindata e non avevo più amato nessuno che non fosse della famiglia. Poi avevo incontrato Legolas, e sebbene odiassi ammetterlo, lui era riuscito a scheggiare la mia corazza di piombo. Infine, era anche arrivato al punto da farmi rinforzare i chiodi. Ora, l’unica cosa che riuscissi a domandarmi era: perché, diamine, perdo tutti quelli che amo?
« Voglio solo andarmene. » Sussurrai, fissando le mie stesse mani come se fossero state la cosa più preziosa del mondo.
« Andartene, perché mai? » C’era allarme nella sua voce. Le sue mani corsero alle mie, e le strinsero protettivamente.
« Perché… »
« Non sei felice a Mordor? Tu sei il “gemello d’ombra”: dovresti essere felice qui, fra le tenebre. »
« Mi trovo bene qui, hai ragione. L’unico problema è che… »
« Ti manca qualcuno, non è così? » I suoi occhi erano pozzi di fuoco.
« Si. Ma più di tutto, ho un rimorso dentro e lo devo espellere con la persona che mi manca. »
« E chi sarebbe? » Feci sgusciare una mia mano fuori dalla sua presa, seguita dall’altra, e strinsi la sua mano conducendola al petto. Le sue dita percorsero la cicatrice che avevo.
« Quello che mi ha fatto questa. »
« Come puoi… lo ami ancora? » Si alzò, e mai come allora mi parve di leggere sgomento e rabbia nei suoi occhi. Che gli prendeva? Non ci conoscevamo nemmeno bene e lui si arrabbiava se rispondevo a una sua domanda.
« Certo che lo amo ancora, che domande. Mi ha offesa, abbiamo litigato, combattuto e ci siamo feriti a vicenda. Ma dopo tutto, è questo che fanno le persone innamorate: si punzecchiano. » Tentai di riassumere i mesi passati con l’elfo in quella frase. Certo, i nostri mesi non erano stati rose e fiori ma ci avevano fatti innamorare.
« Ti ha quasi uccisa. »
« Avevo perso il controllo. Stavo per uccidere mia sorella. Ha agito prima che l’errore della natura facesse del male. »
« Potevi morire! » Sbraitò, e dalle sue mani scaturirono scintille rosse. « Ti rendi conto che lo stai giustificando, si? Stai giustificando il ragazzo che nel reame boscoso ti ha gridato contro insulti; che ti ha dato della traditrice; che ti ha colpita alla testa; che ti ha scoccato contro una freccia. Come puoi dire di amarlo, eh? Anzi, rettifico: come puoi pensare che lui ti ami, se ha fatto tutto questo? Credi sul serio che gliene importi qualcosa di te? Certo che no! A lui interessa solo l’esito della missione. »
Feci per ribattere ma mi bloccai un’istante. Stavo cercando di proteggere il ragazzo per cui piangevo da quattro notti, che occupava la mia mente da giorni e che mi aveva “sparato” contro. Forse, dopo tutto, Vëon  non aveva tutti i torti. Forse Legolas mi aveva usata.
« Perché non lo capisci, eh? Tu non appartieni a quel mondo: tu appartieni a questo. » Con gl’indici. indicò il terreno attorno a noi. « E nessuno ha il diritto di farti sentire una nullità, o un errore. Perché tu non lo sei. » Affievolì la voce e ritornò accanto a me. 







Se sei arrivata a questo punto: recensisci.


Ciao belle. 
Chiedo scusa per questo obbrobrio, ma l'ho scritto tardi. Vi informo che ne avevo scritti altri 2 (migliori), ma al computer stavano antipatici e li ha cancellati. Perciò, per la prossima volta contate su un capitolo da bacio. Mi farò perdonare con una sorpresa.
Intanto parliamo di El&Sauron: commenti, idee e pensieri su questi due nelle recensioni :)


Xoxo
Likeapanda (Isil)

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Capitolo 15
*** La ragazza del drago. ***


Just can’t let her go.
 



“Ogni cosa lascia il segno, ma le persone lasciano il vuoto.”
 
— Federica Maneli (via stobeneanchesetuttovamale)

 
 
 
 
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« Mio signore! Mio signore! » Un orco arrivò di fretta nella sala, dove Sauron osservava l’operato dei suoi collaboratori. L’oscuro signore chiuse con un gesto della mano il portale e si rivolse al mostro, gli occhi rossi come fiamme appena accese.
« Dimmi. » Ultimamente, da quando era riuscito a prendere e portare la ragazza nella sua torre, il signore di Mordor era diventato più tranquillo. Era come se tutto quello per cui aveva aspettato da anni, finalmente, fosse arrivato. Eleonora era in una delle sue stanze, a riposarsi probabilmente, e la cosa lo metteva di buon umore. Sebbene non fosse un sonno naturale, ma forzato dalla magia di Saruman. Aveva dovuto farlo: perché voleva espellere dall’organismo di lei tutta l’altra magia che gli era servita per far scattare il suo lato di custode. Non gli era servito molto tempo per capire come e quando avrebbe preso il sopravvento, e ora non gli restava altro da fare che aspettare che il “custode” uscisse da solo, per proteggere il corpo che l’ospitava.
« Mio signore, la trasformazione è avvenuta. Il fuoco è l’elemento e il drago è l’animale. Saruman c’è l’ha fatta. » Un largo sorriso affiorò sulle labbra piene dell’elfo.
« Ma certo: il drago! Perché non ci ho pensato prima? Il suo custode è un drago, perciò lei è parte di esso. » Si alzò velocemente e si diresse verso la porta. « Dov’è ora? Dove l’ha portata Saruman? »
« Ecco… Saruman ha deciso di portarla a Isengard, mio signore. »
Il sorriso scomparve dalla bocca dell’elfo. Fece un passo indietro, e si ritrovò a poca distanza dal suo schiavo.
« Dimmi quando se n’è andato e chi gli ha dato il permesso. » Ordinò con voce fredda.
« Mentre io venivo da voi, mio signore. Il permesso non l’ha chiesto a nessuno. »
« Risposta sbagliata. » Sauron sorrise per un secondo e poi allungò una mano verso il torace del mostro. Il palmo splendette per un secondo, poi le dita affondarono nella carne e si strinsero attorno al cuore pulsante dell’orco. Questo non gridò; rimase impietrito sul posto, gli occhi fissi su colui a cui aveva giurato fedeltà. Quando la mano si ritrasse, nel palmo di Sauron batteva flebilmente il muscolo; sangue gocciolava dalla pelle fino al pavimento, scarlatto come rubini.
« Risposta, decisamente, sbagliata. » Sauron fece cadere il cuore a terra, e poco dopo anche il suo proprietario lo seguì. « E ora torniamo al mio stregone. »
 
 
 
°     °
 
 
Mi sentivo così maledettamente strana. La testa mi girava leggermente, le gengive pulsavano e i palmi bruciavano: come ustionati, in un certo senso. Tentai di muovermi, ma delle manette ancorate alla parete me lo impedirono. Tentai ancora, con più forza, ma nulla. Tutti i muscoli mi dolevano e non riuscivo a capire il perché. Ricordavo solo Vëon che si metteva accanto a me, mi abbracciava e basta. C’era come un vuoto nella mia testa.
 « Sei sveglia. Era ora, ragazza del drago. » Uno stregone uscì dall’ombra. Indossava una lunga tunica bianca, che gli strusciava a terra; e portava capelli e barba del medesimo colore. Gli occhi scuri erano due piccole fessure sotto la pelle bianchiccia del viso lungo. « Pensavo ci avresti messo di più a far uscire il custode, invece », portò le lunghe dita al mio mento e lo alzò, voltandolo in varie direzioni, « sei stata più veloce del previsto. Qualche ora, nulla di più. Ammetto che quando la trasformazione è avvenuta sono rimasto alquanto… impressionato. » Si abbassò col volto fino a raggiungere il mio e rimase fermo, a osservarmi. Sputai sul sui viso e lui si allontanò. Tirai d’istinto indietro il capo e presi un colpo contro il muro. Feci una smorfia e rimasi ferma. Lo stregone fece uno strano verso, poi si voltò e scomparve dalla scura cella, lasciandomi sola. Allora, mi permisi di guardarmi attorno: quattro mura di marmo bianco mi avvolgevano. Nulla di più di quelle quattro cose.
Eleonora. Non ero mai stata più felice di sentire quella voce.
Titano.
Finalmente mi ascolti. Sono giorni che provo a parlarti.
Io, non ti ho sentito. Ma ora, dimmi come mai questo tizio mi ha incatenat? Perché tutti vogliono sapere che mi accade dentro? Che diamine è un custode?!
Anche io sono felice di sentirti, ragazza. Mi era mancato la tua parlantina. La sua voce si era fatta più limpida nella mia testa. Ma ora non abbiamo tempo.
Anche a me sei mancato ma ora dimm… Interruppi la comunicazione con Titano.
Il rumore delle catene che venivano strappate dal muro mi fece sobbalzare un poco. Quando i miei piedi toccarono terra, le gambe diedero segno di un cedimento momentaneo: nulla che a cui non potessi resistere aggrappandomi al muro.
« Ehy. Ehy, guardami. » Due mani mi circondarono il volto, costringendomi ad alzare lo sguardo. « Elenora, guardami. » Continuava a ripetere l’elfo. Gli occhi rossi spaventati. « Ti senti male? Ti ha fatto del male? Saruman, ti ha fatto del male? »
Allontanati da lui, Ele! E’ Sauron, allontanati da lui!
Non è Sauron. Lui si chiama Vëon, è un mio amico.
E’ quello che ti ha fatto credere per tutto questo tempo. Lui si chiama Sauron; è il signore di Mordor.
Titano interruppe il contatto. Rimasi muta per qualche istante, incapace di spiccicare una parola; messa davanti a una scomoda verità. Eppure, sebbene quell’elfo mi avesse mentito, non potevo fare a meno di sentirmi felice nel sapere che lui era accanto a me. Che era venuto a “salvarmi”. Ero felice di vedere il male che teneva a me.
Questo è sbagliato. Mi dissi. E lo era; era sbagliato sentire la felicità inondarmi il petto, sapendo che l’oscuro signore si preoccupava per me. Che per lui ero importante.
« Sauron. » La mia voce uscì in un sussurro. La presa del ragazzo si congelò, rimase in stallo. Le sue labbra si socchiusero leggermente mentre i suoi occhi vagavano per il mio viso.  « I-io non ricordo. Mi ero appena svegliata e lui era li. » Non feci più tanto caso al suo “raffreddamento” improvviso, e con una mano tremante gli indicai l’angolo da cui era spuntato lo stregone.
« Come… come mi hai chiamato? »
« Sauron », tornai a guardarlo, « è il tuo nome, no? »
« Come facevi a saperlo? »
« Una donna sa sempre tutto. Specialmente se fa parte del lato oscuro. » Ironizzai io. Scansai le sue mani e cominciai a guardarmi attorno, spinta da un’improvvisa voglia di curiosità. Presi a osservare tutto: dalle cose più grandi a ogni singola venatura presente nel marmo. Mi avvicinai alla parete che puntava a ovest, credo ( tutto dentro quella stanza non era ben comprensibile ), e passai una mano su una ventura più scavata dal resto delle altre. Sorrisi inconsciamente.
Ho trovato un punto debole.
Titano? Sei nella mia testa? Alzai un sopracciglio, interdetta. Cosa diavolo fai nella mia testa?
Ti spiegherò tutto durante il volo. Ora, vai più lontano possibile dal punto in cui ti trovi.
Perché?
Ti spiegherò tutto dopo. Ora, fa come ti dico.
Contro voglia feci come mi aveva chiesto.
 
 
 
°    °
 
 


« Che brutto aspetto. » Aragorn sorrise a Legolas. Non era cambiato dall’ultima volta che l’aveva visto, prima di cadere giù da quel dirupo e salvarsi per un pelo; tuttavia, c’era qualcosa che rendeva il suo aspetto triste. Raccolse la collana di Arwen dalle sue mani, e abbozzò un sorriso. L’aveva conservata per lui.
« Qualcosa ti turba, mastro elfo? »
« A parte Gimli che ha minacciato di piantarmi la sua ascia nella schiena se non bevevo almeno un boccale di birra? Nah, nulla. » Mosse velocemente la mano, enfatizzando quella risposta ironica. Aragorn sorrise.
« Dove sono gli altri? Isil, Gring… Eleonora? » Il corpo del principe ebbe un sussulto, all’ultimo nome.
« Sono nel castello a parlare con il re. »
« Tutti? »
« Tutti… tranne una. » Il re capì al volo. Il sangue nelle sue vene si congelò, e i suoi occhi azzurri divenne ghiaccio.
« Lei è… caduta? Mi stai dicendo che lei è morta? »
« No, le non è… » Legolas ebbe un altro sussurro, e abbassò il capo velocemente. « non è morta. Avrei preferito che lo fosse, sinceramente. »
« Cosa le è capitato, Legolas? »
« Lei è… Isil dice che lei è diventata un custode. Che si è fusa con Titano, che non riesce a controllare gli istinti animali, e… e, che è scappata a Mordor, dopo aver tentato di ucciderci. »
« Non può essere vero. » Le labbra di Aragorn si socchiusero in un muto urlo di terrore. Proprio in quell’istante una donna, poco lontana dai due, gridò realmente. Un’ombra gigantesca oscurò la fortezza e vi rimase sopra. Quando Aragorn alzò il capo, distinse fra le grigie nubi due possenti ali cristalline, che battevano velocemente. Una figura atterrò davanti a loro con un tonfo; cont anta forza che il terrendo sotto i loro piedi si crepò profondamente. Quando la ragazza rizzò le spalle, due rubini si accesero nei suoi occhi, per poi scomparire e lasciare posto al tanto noto castano.
« E infatti non è così. Abbiamo molte cose di cui parlare. »

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Capitolo 16
*** Tutto quello che tocchi muore. ***


Just can’t let her go.  
 
 
 
Forse un giorno capirai, perché ogni cosa che tocchi muore.
 
-Let her go, Passenger

 
 
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Il volto di Aragorn mi fece sorridere. Certo, nessuno si aspettava il mio ritorno; e anche se così fosse stato, nessuno si aspettava un ritorno in grande stile. Titano ancora sbatteva le ali sopra il fosso di Helm. Alzai lo sguardo e mi concentrai per un attimo sull’azzurro perlaceo delle sue ali.
Spiegherò tutto loro, ora vai. Ci rivedremo prima che la guerra inizi.
E con quelle parole, lo congedai. Le sue ali diedero un ultimo potente battito, che sollevò una folata di polvere, e il mio drago sparì. Quando tornai a guardare quelli che un tempo erano i miei compagni d’avventura, le mie labbra si piegarono in una linea sottile.
« Vi spiegherò tutto, non appena leverete le mani dall’elsa delle vostre spade. » I miei occhi individuarono tutti i soldati presenti. Nessuno dava segno di voler cedere alla mia proposta. « Non vi farò del male, Aragorn », mi rivolsi direttamente al re, « sai che non ne farò a nessuno di voi. Siete miei alleati. » Gli occhi azzurri del sovrano si fecero più dolci, sapeva che non mentivo.
« Riponete le armi, soldati. » Lui fu il primo a farlo. Ci fu un rumore di metallo, che durò per qualche minuto, poi silenzio. Le donne strinsero i figli al grembo e li portarono lontano, da me. Era brutto vedere quelle cose; vedere che la gente che tentavi di proteggere scappava solo notando la tua ombra. Era triste. Era la triste verità. Se per loro prima ero una specie di eroe: “Isil la guerriera, tornata per proteggere i popoli della Terra di Mezzo”, ora non ero altro che una parte, la peggiore, di Isil. La sorella riuscita male, quella che, a prescindere dai sacrifici che faceva, da quello che provava, rimaneva sempre l’oscura. Ma dopo tutto che potevo aspettarmi d agente così? Erano contadini, e nei tempi che correvano, ero sicura, si sarebbero spaventati persino della loro stessa ombra. Scrocchiai le dita, guardai Legolas. Lui ripose l’arco e rimanemmo a fissarci. I suoi occhi blu, come il cielo senza stelle, erano spaventati ma al contempo mi sembravano sollevati. Le sue spalle erano rilassate, adesso. Socchiusi le labbra per dire qualcosa, qualsiasi cosa pur di sentire la sua voce, ma mi bloccai. Cosa mai potevo chiedere a colui che mi aveva quasi uccisa?
“Perché l’hai fatto?”, oppure avrei potuto semplicemente tenergli il muso. Forse… no. Come potevo andare avanti tenendogli il broncio? Quanti anni avevo? 7? No. Avrei aspettato e gli avrei chiesto spiegazioni in privato. Avevo il diritto di sapere il perché, reale, di quel gesto.
« Mia signora. Mia… signora? » Un bambino mi tirò per la blusa. Sbattei le palpebre e staccai le iridi da quelle di Legolas. Fissai il bambino.
« Duncan. » Gli occhi scuri del bimbo si illuminarono. « Ciao, ometto. » Mi chinai e accarezzai con gentilezza i suoi capelli color grano maturo, scompigliandoli. Lui ridacchiò e prese a giocare con una ciocca dei miei capelli scuri. « Quanto tempo che non ci vediamo, è? Guarda come ti sei fatto grande. » Lo lodai.
Il bambino si crogiolò nei complimenti e poi mi toccò il volto, gli occhi brillanti di curiosità.
« Mi fai vedere il gioco degli occhi? » Chiese tutto eccitato. Dietro di lui, una mano si protese trascinandolo indietro. Alzai di scatto il viso, pronta a attaccare chiunque avesse avuto il coraggio di trascinarlo via così da me, ma quando vidi il volto di una donna impaurita lasciai perdere la mia sete di sangue. La signora aveva i capelli biondi, che contro sole le formavano un’aureola candida attorno al viso, e gli occhi grigi cerchiati da occhiaie visibili. Indossava un vestito da contadina verde smeraldo, con sopra un grembiule bianco sgualcito. Strinse le spalle di Duncan fra le mani, e lo getto contro la sua gonna.
« Diavolo », sibilò. Poi voltandosi portò via il bambino, che non smise di voltarsi a guardarmi. Accennai un sorriso per tranquillizzarlo, e quando alla fine scomparve dentro le grotte strizzai le palpebre, strinsi i pugni e feci una smorfia per smaltire la rabbia.
Non farci caso, Ele. Passerà. In un modo o nell’altro, ma tu c’è la farai, come sempre. Passerà anche questo periodo.
« Possiamo andare in un posto appartato, per parlare? » Domandai gentilmente ad Aragorn.
« La sala del trono sarà più che ottima, per noi. » Fece qualche passo avanti e mi tese la mano, in segno di amicizia. « Credevo fossi morta », mormorò.
« Anche io lo pensavo di te. » Ammisi, e strinsi le sue dita con le mie.
Ci incamminammo per le mura, Legolas al fianco di Aragorn continuava a lanciarmi frecciatine con lo sguardo. Non potevo non notarlo, e non tornare con la mente a quello che mi aveva detto prima di scoccare quella dannata freccia.
 
 
« Io ti amo. » Mormorai.
« Ti amo anche io. Ma non posso permetterti di mettere in pericolo le persone della compagnia. La missione va portata a termine, e tu sei la mia distrazione. Non posso avere distrazioni, non ora che se n’è andato anche Aragorn. »
« Legolas, ti prego. »  Feci un passo avanti e non staccai gli occhi dai suoi. La vista era tornata normale e potevo scorgere il blu dei suoi occhi diventare nero.
« Non posso, non posso non farlo. Mi dispiace. » Una lacrima gli rigò la guancia.
 
Allora, non avevo avuto l’opportunità di pensare vividamente, ma tornando a quella scena l’unica cosa che mi girava in testa era: come poteva dispiacergli? Gli avevo detto “ti amo” superando tutto l’orgoglio che avevo in corpo, per sentirmi poi dire “mi dispiace”, e ritrovarmi una freccia nel petto. Grazie a quella freccia, però, avevo conosciuto V… Sauron, che si era dimostrato, dopo tutto,  un buon amico e ascoltatore. Lui era corso a salvarmi da una morte certa. Era venuto in mio aiuto quando quello stregone da strapazzo mi aveva incatenata. I suoi occhi rossi, quando aveva scoperto che sapevo chi era, non avevano fatto altro che accrescere la mia convinzione che nonostante tutto in lui ci fosse ancora del bene.
 
 
« Stai indietro », ordinai all’elfo dai capelli scuri. Lui mi guardò per un momento, gli occhi di fuoco ancora in stallo. « Sauron, dannazione, stai indietro. »
« Cosa, perché? » Si era ripreso, e ora sbatteva le palpebre mentre faceva ciò che gli avevo chiesto. Quando scontrammo la parete di marmo che delimitava la cella, ci guardammo. Feci correre i miei occhi sul suo copro, coperto dai soliti abiti di pelle nera, e poi ancora al suo volto. Lui fece lo stesso.
« Io… ti devo dei ringraziamenti, signore di Mordor », cominciai.
« Non capisco. » Le sue labbra piene si mossero velocemente. Chiusi gli occhi tentando di non distrarmi. Da quando l’avevo visto per la prima volta non avevo potuto fare che immaginare come sarebbe stato baciare quelle labbra. E non ne andavo fiera. Sentivo di essere innamorata di Legolas, nonostante tutto quello che mi aveva fatto; ma non potevo non pensare anche all’elfo che avevo di fronte.
« Devo ringraziarti, Sauron, per tutto quello che hai fatto per me. Mi hai presa quando stavo per morire, hai chiamato uno stregone pazzo per curare le mie ferite », d’istinto mi portai una mano sul petto, seguendo l’ormai nota linea verticale che lo tagliava, « per vermi sopportato quando ti parlavo di Legolas, e di quello che provavo per lui nonostante tutto. »
« Tu non mi devi nulla. » Lo bloccai con un cenno della mano. Lui si ammutolì all’istante.
« Per essere stato così protettivo con me. » Lo guardai piegando la testa leggermente, e scorsi delle sfumature nei suoi occhi che non avevo mai visto. I capelli, da quell’angolazione, sembravano di un intenso blu scuro. « L’ho apprezzato davvero molto. Mi piacerebbe stare in tua compagnia ancora per molto tempo. »
« Eppure sembra che tu me lo stia dicendo perché sai che non sarà così. » Irrigidì le spalle e io raddrizzai il volto. Staccai le spalle dalla parete, facendo qualche passo in avanti. Mi serviva spazio vitale, in quel momento mi sentivo come intrappolata in un discorso senza fine.
Per fortuna non ho più un cuore, sennò a quest’ora scoppierebbe, pensai.
« Ascolta, se ho fatto qualcosa... » La voce dell’oscuro signore era tagliente e triste al tempo stesso, e io sapevo il perché, o almeno credevo di saperlo. Non c’era persona da temere di più di una con il cuore spezzato; e io stavo per spezzare il suo, o così credevo.
Stò arrivando! Crea una barriera con la mente; e prima che tu lo chieda: devi solo immaginartela.
Il grido nella mia testa mi fece scattare in avanti. Poggiai le mani sulle spalle di Sauron tirandolo verso il basso, poi spostai i palmi sul marmo coprendo come meglio potevo la sua grande figura con la mia. Chiusi gli occhi e sperai che tutto andasse per il meglio. Immaginai una barriera attorno ai nostri corpi, e all’improvviso i miei pami presero a bruciare. Mi morsi le labbra a sangue pur di non mostrarmi debole, e non spostai lo sguardo dagli occhi dell’elfo.
« Cosa fai? » La sua testa si volse verso i miei palmi. « No, Elenora, smettila. Non sei abbastanza forte! Il tuo custode non lo è! Ti farai del male! » Tentò di bloccarmi, ma si bruciò.
« Lasciami fare », ringhiai. Una vampata d’aria calda ci investì e dopo qualche momento, prima che potessi ragionare, uno scudo di fuoco ci avvolgeva. Qualche minuto dopo, questo, non permise al marmo che in quel momento stava saltando in aria di colpirci. Una grande ombra scivolò sul pavimento lucido e si rimise in piedi.
Muoviti ragazza, c’è poco tempo, disse Titano.
« Grazie di tutto », sussurrai io a Sauron, sorridendogli lievemente. « Ma, non posso restare al tuo fianco, però. La mia gente ha bisogno di me. » Richiusi i palmi, e lo schermo di fuoco scomparve. Ora eravamo vulnerabili, in tutti i sensi. Avevo messo a repentaglio i pochi sentimenti, veri, che sentivo per quell’elfo e adesso stavo per pentirmene.
Ma, perché devo sempre soffrire e far soffrire? Mi maledissi mentalmente.
Issai di fretta le gambe e corsi verso il mio drago, che era già pronto a volare. Dispiegò un’ala verso il basso, in modo che potessi arrampicarmi, e attese. Presi a correre nella sua direzione, decisa a non guardarmi indietro, ma qualcun altro me lo fece fare. Strinse il mio poso nella sua mano, una presa dolce ma possessiva, che mi fece venire la pelle d’oca. Legolas l’aveva identica, ma più calda. E la pelle era più rosea, con qualche callo accennato sulle dita che stava a indicare l’uso dell’arco.
« Ti troverò », mi disse con il fiatone, « e giuro, qui, adesso, che farò di tutto per tenerti al mio fianco. Qualunque cosa accada. Contro chiunque deva battermi. A qualunque modo. » Ecco, l’aveva detto. Ora sarebbe stato ancora più difficile andarsene da lui, combattere contro le sue armate. Scordarsi di lui.
« Maledizione », mi passai distrattamente una mano sul labbro sanguinante, « Dovevi proprio dirlo? »
Tic Toc Tic Toc, il tempo scorre tesoro, e il signore oscuro non è il migliore con cui passarlo. E poi credi che sia facile fuggire da Isengard?! Datti una mossa, dannazione.
Si, Titano, hai ragione, arrivo.
« Si, si dovevo. » Si avvicinò, e riuscii a sentire il calore che il suo corpo irradiava dietro i vestiti. Mi sentii avvampare, ma mi trattenni. « Ti troverò. » Spostò i miei capelli oltre le spalle e mi sorrise, senza distogliere lo sguardo.
« L’hai già detto », balbettai imbarazzata. Le mie iridi si muovevano come trottole, passando dalle sue labbra ai suoi occhi.
E io ti ho già detto di muoverti.
« Lo so », si avvicinò ancora, e il suo naso sfiorò il mio.
« Devo andare », sussurrai a mezza voce.
« L’hai già detto », mi prese in giro.
« Lo so. »
« Non andare… » fece scendere le sue mani sulla mie spalle, accarezzandole e facendomi venire la pelle d’oca.
Andiamo?!
Zitta, lucertola troppo cresciuta! Sto cercando di non svenire come un’oca!
Antipatica.
Guasta feste.
« Devo. » Lasciai perdere Titano e i suoi discorsi e tornai a concentrarmi su Sauron. Poggiai le mani sul suo petto, tentando di allontanarlo, e rimasi in attesa di una sua risposta.
Lui socchiuse le labbra, come pronto a dire qualcosa, ma ci ripensò e fece risalire le mani al mio volto. Le passò dietro i miei capelli, piegandola leggermente e si avvicinò col suo volto. Le sue labbra piene si poggiarono sulle mie e premettero con dolcezza. Sussultai un poco, sorpresa e lo guardai chiudere gli occhi, mentre io ero incapace di farlo. Le sue palpebre tremavano leggermente, segno che stava cercando di trattenersi il più possibile. Allora chiusi gli occhi, e socchiusi le labbra. Le nostre lingue si trovarono e io lo strinsi di più a me, legando le mie braccia attorno alla sua schiena.
Puah.
Il mio momento di dolcezza si era andato a far fottere, dopo il delizioso commento del mio adorato custode, e dopo l’apparizione momentanea del volto di Legolas. Strizzai le palpebre, all’improvviso percossa da dei sensi di colpa acuti. Mi allontanai leggermente da Sauron, e gli battei un piccolo pugno sul petto.
« Ora devo davvero andare. »
« Ti troverò », ripeté, e rilasciò un altro bacio sulle mie labbra.
 
 
 
Aragorn aprì le immense porte della sala del trono e i suoi capelli ricaddero in avanti. Il re, seduto su un trono che mi pareva di pietra alzò il busto, irrigidendosi. Accanto a lui Isil e Gring sorrisero sollevati.
« Sei vivo. » Le sue labbra formavano una perfetta “O”. Era ridicolo.
« Siamo vivi. » Lo corressi io entrando, sorpassando il mio compagno e oscurandolo, per quanto mi fosse possibile vista la sua statura.
« O santo cielo. » Parlò tutto d’un tratto mia sorella, portando d’istinto una mano all’elsa della sua spada.
Oh, credimi Isil, ti servirà a poco quella spada quando avrò finito con te, pensai.
« Chiudi quella bocca, sorella. E’ fatta per ingoiare uccelli, non aria, la tua. » La freddai io. Lei sbiancò e poi assunse un colorito rosso, era imbarazzata. Le guardie attorno a me trattennero una risata, mentre Gimli si lasciò liberamente andare.
Sono felice che tu sia tornata. Legolas sospirò, non accorgendosi che potevo leggere i suoi pensieri.
Anche tu, ma non glielo dissi. Avrei aspettato il momento giusto.
Restammo a discutere con il sovrano per molto tempo. Aragorn gli fece capire che io non ero una minaccia, e gli dimostrammo che riuscivo a tenere sotto controllo i miei poteri. Lo convincemmo del fatto che io potevo essere l’ago della bilancia in questa guerra, sebbene lui sostenesse che nessuno avrebbe mai oltrepassato le mura del fosso di Helm. Era un uomo cocciuto.
« Un grande esercito, dici? » Theoden voltò le spalle a tutti e si mise a fissare il fuoco che briciava nel braciere.
« Isengard è stata svuotata del tutto. »
Isengard, così si chiamava il luogo da cui Titano mia aveva salvata. Quando l’avevo sorvolato, migliaia di orchi e Uruk-ai si stavano radunando in attesa di ordini.
« Quanti sono? » Chiese il re.
« 10.000 come minimo. » Intervenni io. Tutti si voltarono a fissarmi, sorpresi che avessi preso parola.
« 10.000? » La voce del sovrano si era abbassata paurosamente, e quando si voltò a guardarmi colsi nel suo sguardo un lampo di terrore.
« E’ un esercito creato per un unico scopo: distruggere il mondo degli uomini. » Affermai.
Theoden si fece avanti e poggiò le mani sulle mie spalle.
« Ne sei sicura? »
« Purtroppo si, vostra maestà. Saranno qui al calar della notte. » Regnò il silenzio per un attimo.
« Bazzecole, vuoi solo spaventarci! » Scattò in avanti Isil. Il tono più glaciale e fermo che le avessi mai sentito usare.
« Credi sul serio che ne sarei capace? Che sarei capace di mentire su una cosa del genere? » Ringhiai.
« Non so più di cosa sei capace, sinceramente. » Affermò, gli occhi freddi. « Hai tentato di uccidermi! »
« Stavi per baciare il ragazzo che amo. Lo hai convinto a scoccarmi una freccia dritta nel petto! »
« Te la meritavi: sei un mostro. » Strillò. « E perirai in battaglia, come perirà il tuo drago. »
« Ehy, ehy, ehy. » Legolas si intromise nella conversazione. « Qualcuno mi vuole spiegare la storia della freccia? »
« Bella scusa, fare finta di niente quando sai esattamente cos’è successo. » Borbottai io avvilita. Ferita dalle parole uscite dalle labbra di mia sorella. Ormai non mi sarei dovuta più meravigliare dei suoi comportamenti, ma non era così.
« Io non ho schioccato nessuna freccia, contro nessuno di voi. » Protestò il principe. Ora tutti ci fissavano per davvero. Eravamo un triangolo, incasinato.
« E invece l’hai fatto: la stessa sera in cui è successa quella cosa… » Abbassai lo sguardo imbarazzata e ferita. La sua messa in scena mi dava sui nervi, ma non avevo nessuna voglia di attaccare lite: perciò stavo tentando di mantenere un tono calmo.
« Quando è successa quella cosa », le sue guance si imporporarono, « io ho discusso con Isil, è vero, ma qualcuno mi ha colpito in testa e sono svenuto. Mi sono svegliato quattro giorni dopo, su un letto, con tua sorella che mi medicava e mi diceva che eri stata tu a farmi del male, dopo che avevi perso il controllo, e poi era scappata a Mordor. »
« Mh, la trama si infittisce. » Borbottò, tutto preso da quella conversazione, Gimli.
« Ma, io ti ho visto… tu… tu hai parlato con lei, e poi mi hai schioccato la freccia in petto. Mi hai uccisa. » Portai una mano sulla cicatrice coperta dalla blusa bianca.
« Io non l’avrei mai fatto. » Socchiuse le labbra l’elfo.
« Eppure, è successo. » Mi avvicinai a lui, presi la sua mano e le feci percorrere il profilo della cicatrice. La fermai proprio sul cuore. « Mi hai colpita qui, ricordi? » Alzai il volto e incontrai i suoi occhi, ora di un azzurro chiaro, ricchi di domande. Sembrava non ricordarsi di niente sul serio.
« Bhe, io me lo ricordo », Isil dondolò sui talloni, per poi piegare le braccia al petto e alzare il mento, « e non è stata una bella scena, principe. »
« Io non l’avrei mai colpita! » Ululò Legolas, mettendo d’istinto un braccio attorno alle mie spalle per trascinarmi contro di lui. Avvampai e poi mi scostai. Avevo una reputazione da orgogliosa da mantenere.
« E infatti non sei stato tu, è stato uno dei tirapiedi di Sauron, che si è presentato, grazie ad un incantesimo di Saruman, sotto tue sembianze. » Strillò, perdendo le staffe. « Sapevamo benissimo che tu non le avresti fatto del male, anzi, al contrario l’avresti protetta. E così abbiamo dovuto mettere questa stupida messa in scena in atto. Mi è dispiaciuto quando Gring ti ha colpito così forte dietro la testa, ma andava fatto. » Si fermò per riprendere fiato, e ricomporsi.
Sentii i miei muscoli farsi leggeri dopo quelle rivelazioni.
« Isil. » Gring la richiamò, approfittando dei suoi minuti di silenzio.
« Che c’è?! » Lo incenerì con uno sguardo di fuoco vivo.
« Ci sei appena costata la vita. »
« Oh, puoi ben dirlo. » Ringhiai io, e con uno scatto aprii le mani, prima chiuse a pugno. Dai palmi scaturirono due fiammate di rubino. Gli occhi grigi di Isil, resasi conto di quello che aveva appena fatto, si allargarono fino allo stremo. La pura era nata al loro interno.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Yeah!
Questo  è uno dei miei capitoli più lunghi. Come potete vedere è scritto diversamente dagli altri, perché avevo promesso a una ragazza che l’avrei fatto così per lei.

Elanoriel, spero sia di tuo gradimento. C’è l’ho fatta, sono sette pagine di formato Times New Roman n° 11, solo per te. Che ne dici? Ti è piaciuto questo capitolo?

Un altro GRAZIE enorme va a LilyOok­_ che mi fa sempre delle recensioni lunghissime, che io adoro leggere. Mi fai fare sempre mille risate.

Un grazie anche ad AnnaLove: le tue recensioni mi fanno morire, sul serio.
Esempio: “Amo tutti e due gli elfetti alla follia T.T non puoi farle abbandonare Sauryyyyyyyyyy!!!!!!!!!!! NON PUOINONPUOINONPUOINOOONPUOOOOIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!”
Ahahahahah. Grazie mille a tutte le altre. Continuate a recensire numerose. 

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Capitolo 17
*** Non lasciarmi, di nuovo. ***


Just can’t let her go.
 


Non lasciarmi di nuovo.
 
-My Happy Ending. Avril Lavigne.

 
 


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« Eleonora, ti prego ferma. » Isil allungò le mani davanti a se e le mosse velocemente. Fece un passo indietro e inciampò nel braciere, che cadde a terra con un tonfo seguito da lei. La legna in fiamme si sparse sul pavimento e morì, immersa nelle ceneri. Mia sorella si alzò e tornò a indietreggiare. Feci scattare i palmi in avanti e due fiammate fuoriuscirono da essi. Il fuoco le sfiorò la pelle e lei gridò di dolore, inginocchiandosi e abbracciandosi con le braccia.
« Isil! » Gring strillò, precipitandosi verso la bionda. Circondò il suo esile corpo con le braccia forti e mi rivolse un’occhiata tagliente. Feci per muovermi ma due mani mi trattennero. Voltandomi vidi gli occhi blu del re tentare di calmarmi. Tentai di liberarmi da quella stretta, ma il re era forte e non si decideva a lasciarmi.
« Stai per fare una cavolata, Eleonora », mi sibilò all’orecchio, « C’è ne occuperemo noi, ok? » E lanciò un occhiata di sfuggita alle guardie che ci circondavano.
Titano, che devo fare?
Quello che ti dicono, ragazza. Aragorn sa quello che fa.
« Come ti pare », sibilai. Fissai ancora una volta i due traditori e poi, sospirando, me ne andai. La luce del tardo pomeriggio mi colpì in volto, costringendomi a camminare il più velocemente possibile per la noia che mi dava. Varcai il grande portone d'entrata e me ne andai dalla sala del trono. L’aria fredda mi fece rizzare i peli sulla nuca, ma i raggi del sole riscaldarono la mia pelle. Mi appoggiai a una colonna vicina e stetti ad osservare la grande radura che si estendeva oltre le mura del fosso di Helm: era costellata di colline verdeggianti, e il cielo sopra di esse era azzurro. Poche nubi si avvicinavano da lontano. Tra poche ore quel terreno prosperoso avrebbe assorbito sangue, morte e disperazione. Al solo pensiero chiusi gli occhi e mi concentrai sui rumori. Ora che ero divenuta una custode i miei sensi erano triplicati, riuscivo a sentire suoni che prima non percepivo nemmeno.
« Non capisco. Ogni essere vuole comandare, ma a nessuno basta il territorio che ha. » Parlai, quando un noto suono arrivò ai miei timpani. « Tutti vogliono vivere in pace, ma non si può avere la pace se prima non si fa la guerra, vero? » Aprii le palpebre e voltai leggermente il volto verso le porte.
Una figura snella era ferma avanti a esse, che ora erano chiuse. I vestiti verdi e marroni rilucevano alla luce, e i capelli biondi creavano un aura attorno al volto dai lineamenti regali. Gli occhi di ghiaccio di Legolas si soffermarono sui miei, finché non tornai a guardare la pianura.
« Dobbiamo combattere, lo sai benissimo. » Disse, e la sua voce si fece più vicina a ogni sillaba. Quando si fermò, gli lanciai uno sguardo di sottecchi. Odiavo il fatto che fosse così convinto che bisognasse combattere. Forse ero così ripugnante alla cosa, adesso, perché avevo conosciuto l’altra parte della medaglia e non volevo danneggiarla. Ti troverò, mi aveva detto, e la sua voce non era più uscita dalla mia testa. Persino in quel momento, che ero vicina a Legolas, il volto di Sauron mi compariva davanti agli occhi.
Come potevo lasciare che le sue truppe fossero sconfitte? Come potevo anche solo pensare di lasciarle perire? Eppure, era sbagliato credere una cosa così.
« Legolas, forse dovremmo… Non lo so, insomma, perché non chiediamo la pace e basta? »
« Non si può. Sauron ha dichiarato guerra, e guerra avrà. » Rispose duramente l’elfo. Poi si mise davanti a me, e lessi nei suoi occhi infelicità, tristezza e dolore. D’istinto gli accarezzai una guancia, e a quel contatto lui chiuse gli occhi. « Mi dispiace, mi dispiace per tutto El. » Sussurrò, accarezzandomi le braccia.
Il cuore che non avevo più, se ci fosse stato ancora, in quel momento avrebbe battuto come un martello pneumatico. Poggiai la schiena al pilastro e lasciai che il corpo del giovane elfo si avvicinasse al mio quel tanto che bastava per schiacciarmici.
« Io, davvero, non credevo che Isil fosse capace di tanto. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. » Abbassò il capo e poggiò la fronte sulla mia. Respirai il suo profumo di muschio e erba fresca, stringendo la sua casacca nei miei pugni. « Eleonora, mi dispiace così tanto. »
« Legolas, non è colpa tua », sussurrai. Avevo pronunciato quella frase talmente piano che non ero sicura che Legolas l’avesse sentita. « Non è mai stata colpa tua, ok? Tu mi sei sempre stato vicino, anche quando il legame con Titano si era appena creato, ed ero incontrollabile. » Alzai il viso incontrando i suoi occhi azzurri. « Tu ci sei sempre stato, per me. Mi hai salvata quando ero svenuta su quella montagna, in mezzo alla neve. Non devi assolutamente scusarti, ok? »
« Non sono neanche stato in grado di riuscire a capire che tua sorella ci stava ingannando. Sono un fesso. »
« Sei un fesso, è vero. » Scherzai io, cercando di farlo sorridere, e ci riuscii. « Ma non importa. Sei un fesso che mi ha salvato la vita più volte di quanto mi piaccia ammettere, e non hai nulla da rammaricarti. Ok? »
« Ok », annuì. « Ti amo. »
Avrei tanto voluto rispondergli “anche io” ma non ci riuscii. Qualcosa dentro di me lo impediva.
Le sue mani ripercorsero ancora le mie braccia, e i pollici si soffermarono sulle spalle; creavano piccoli cerchi concentrici e mi facevano venire la pelle d’oca. Il suo respiro s’infrangeva sul mio volto, mentre le nostre labbra si toccavano. Strinsi di più la stoffa dei suoi abiti fra le mie mani e mi alzai in punta di piedi, mentre lui mi stringeva del tutto. Le nostre lingue si incontrarono e una piccola scossa di piacere mi percorse. Lui rafforzò la presa e mi spinse contro il proprio copro, possessivo.
« Non rinuncerai comunque alla guerra, vero? » Domandai dopo che si fu staccato.
« Non posso, Eleonora. E nemmeno tu. Abbiamo un compito, datoci da Re Elrond, da portare a termine. »
« Ma è sbagliato! » Ringhiai io, staccandomelo di dosso e percorrendo a grandi passi il piazzale davanti a me. Finito, tornai indietro. « Queste persone », indicai la gente che si vedeva da sotto il muro, « soffriranno. Moriranno. Vittime innocenti che nulla centrano. »
« Ci sono sempre vittime in una guerra, El. Sono danni collaterali. » Strinse la mia mano nella sua, e non la lasciò.
« Ma se noi parlassimo con Sauron, magari potrebbe esserci una tregua, magari… »
« Quel… mostro, non ci concederà una tregue El. » Era serio, e non accettava risposte da me. Quella non era un’ipotesi, per lui quella era la verità. Ma io conoscevo Sauron, lui mi  avrebbe ascoltata. Mi avrebbe capita. Avrebbe accettato la pace.
« Sauron non è un mostro », e lo pensavo davvero. Si era preso cura di me quando tutto andava male, e ero sull’orlo dell’abisso del non ritorno. Non poteva essere un mostro.
« Cos’è, non ti sarai mica innamorata di lui vero? » Scherzò l’elfo biondo. Vedendo che non rispondevo divenne serio. « Eleonora, non ti sarai realmente innamorata di lui, durante la tua prigionia, vero? »
Esitai. Non mi ero innamorata di Sauron, ma non si poteva certo dire che ne ero indifferente. O forse provavo per lui qualcosa e non volevo ammetterlo?
« Legolas, io… », sospirai gettando il mio sguardo oltre la sua spalla destra. Non c’è la facevo a guardarlo negli occhi, sapendo a che cosa sarei potuta andare incontro. « Oddio, Legolas, non lo so. » Ammisi. Mi coprii la fronte con una mano e chiusi gli occhi. La figura dell’elfo s’irrigidì.
« Mi stai dicendo che quello che c’è fra noi… quello che è successo quella sera, per te non vale più niente? » La sua voce era tagliente come un rasoio. Rabbrividii al solo pensiero di averlo ferito, di nuovo, e quando tentai di dirgli qualunque cosa le porte del palazzo si spalancarono e ne uscì Re Theoden seguito dagli altri. Io e l’elfo li guardammo. Il biondo si voltò, pronto a seguirli.
« Legolas », strinsi il suo polso in una presa flebile. Avevo paura di quello che avrebbe potuto fare, dire. Se si fosse messo a gridare davanti a tutti? Ma non fece nulla di tutto ciò. Il principe di Bosco Atro non tornò da me per parlare a quattr’occhi, voltò leggermente il capo e mi gettò un’occhiataccia. « Io. »
« Ne riparleremo dopo la battaglia, se mai saremo ancora vivi. » Mi bloccò tagliente. « Tu lo sarai di certo, visto che Sauron non ti vuole morta. » E diede uno strattone al braccio, liberandosi dal contatto che ci legava.
 
« Voglio che gli uomini e i ragazzi forti, in grado di reggere le armi, siano pronti alla battaglia entro stasera. » Ordino Theoden a una guardia. Scambiai un’occhiata frettolosa ad Aragor, che pareva pesare la mia stessa cose, ovvero: “ Questa è una follia ”.
Senza che nessuno dicesse nulla, seguimmo l’uomo oltre i cancelli e io mi appoggiai al muro di pietra. Lanciavo occhiate all’elfo, nella speranza che lui se ne accorgesse e venisse, almeno, a chiedermene il motivo. Dovevo spiegargli il malinteso di poco prima. Tutta via, le uniche occhiate che mi venivano rivolte erano quelle di Gimli, che mi sorrideva sempre. Non avevo nulla contro quel nano, ma non era la sua attenzione che cercavo.
« Noi sorveglieremo la strada rialzata e il cancello dall’alto. Nessun’esercito ha mai creato una breccia nelle mura fossato. O messo piede nel tromba torrione. » Gridò fiero il re.
All’udire l’ultimo nome, mi scappò una risata sommessa che Gimli mi placò dandomi gomitate alle costole.
« Questa non è una marmaglia di stupidi orchi. Questi sono Uruk-ai; hanno armature spesse e scuri imponenti. » Il nano era serio, e il suo sguardo non lasciava trapelare paura.
« Io ho combattuto molte guerre, mastro nano. So come difendere il mio bastione. » Fu la risposta arida di Theoden. Se non fosse stato il re, e io non fossi stata nella posizione in bilico in cui mi trovavo, l’avrei preso a botte. Il re se ne andò, seguito da Aragorn e Legolas.
« Non te la prendere », dissi a Gimli quando rimanemmo soli, « quello è tutto fumo e niente arrosto. Vedra: come comincerà la guerra scapperà dentro il suo adorato !palazzo” con le sottane all’aria. » Il nano rise divertito e mi fece l’occhiolino. « Ah, Gimli. Mi puoi dire che fine hanno fatto fare a Isil e Gring? »
« Per ora sono nelle celle, sotto le grotte. Non sono stati toccati. »
« Ah, ho capito. Grazie, mastro nano. Ora sarà meglio correre, li stiamo perdendo. » Corremmo a riprendere il passo del trio.
« Irromperanno su questa fortezza, come l’acqua sulle rocce. Le orde di Saruman attaccheranno e appiccheranno il fuoco: una cosa già vista. Le colture si possono riseminare, le case ricostruire. All’interno di queste mura, noi sopravivremmo. » Theoden sembrava così sicuro di se, che per un secondo mi diede come l’impressione di sapere quello che stava facendo. Ma io, come i miei compagni, sapevamo che sebbene parlasse tanto delle strategie di guerra e il futuro dentro tremava di terrore.
« Non vengono a distruggere le colture o i villaggi di Rohan, ma la popolazione: fino all’ultimo bambino. » Aragorn parlò chiaramente.
« Che cosa dovrei fare io? Guarda i miei uomini, il loro coraggio è appeso a un filo. Se dev’essere la nostra fine, allora farò fare loro una grande fine. Che venga ricordata per sempre. » Ringhiò in faccia ad Aragorn il re, le mani strette attorno alla stoffa della casacca dell’uomo.
« Invia messaggeri mio signore, tu devi chiedere aiuto. » Intervenne Aragorn.
« E chi verrà? Gli elfi, i nani? Non siamo fortunati come te nelle amicizie. Le vecchie alleanze sono finite. » Ammise amaramente il re.
« Gondor? Dov’era Gondor quando cadde l’ovest-falda? Dov’era Gondor quando i nostri vicini ci hanno circondato? Dov’era Gond… No mio signore Aragorn: noi siamo soli. »
« Ma se chiedessimo una tregua, miei signori? » Intervenni io, facendomi largo fra i due uomini. Entrambi mi fissarono accigliati, e confusi. « Magari, Sauron richiamerà Saruman e… »
« Sauron non richiamerà proprio nessuno, mia signora. Non l’avrebbe fatto prima, figuriamoci ora che sei qui. Vorrà riaverti al suo fianco a tutti i costi, senza contare il prezzo da pagare. E se questo prezzo fossero le vite di uomini e donne umani allora, se potesse, li avrebbe già uccisi tutti », mi rispose Legolas duramente. Quando lo guardai negli occhi rimasi distrutta.
L’avevo fatto ancora una volta: l’avevo ferito.
 « Il principe ha ragione. Non ci sarà nessuna pace, nemmeno se lo volessimo. » Così dicendo Theoden se ne andò.
 
Ormai era sera, e io mi ritrovavo a seguire Aragorn  che continuava  a indicare cose e dire frasi, mentre la mia testa non  lo ascoltava neanche io. In più avevo una strana nausea, e non mi sentivo bene.
« Aragorn, tu devi riposare. Non ci sei utile vivo a metà. » Quando l’elfo parlò, mi riattivai  come una molla. Facendo un passo in avanti lo affiancai.
« Legolas ha ragione », mormorai stancamente, « dovresti riposare. »
« Mio signore! » La voce di Eowyn mi risuonò nelle orecchie come un martello pneumatico. Se solo fossi stata a casa, nell’era moderna, nella mia terra, avrei supplicato mia madre per un’aspirina o un oki.
Oh no, lei no. Ti prego lei no!
« Aragorn! » Ci raggiunse. « Sarò mandata insieme alle donne nelle grotte. » Si lamentò.
« E’ un incarico onorabile », affermò il re.
« Per badare ai bambini, e trovare cibo e letti quando gli uomini tornano? Che rinomanza c’è in questo? » L’ultima frase mi arrivò ottavata alle orecchie. Le figure davanti a me presero a offuscarsi, e la testa a dolere. D’istinto portai una mano alla pancia, ma cercai di non crollare.
« Mia signora, c’è un momento per il valore senza rinomanza. A chi si rivolgerà la tua gente durante l’ultima difesa? »
« Lasciami stare al tuo fianco », pregò lei.
« Non è mio potere imporre questo. »
« E poi, non saresti utile a nulla in battaglia », borbottai. Ma la voce non uscì dalle mie labbra, bensì fu solo un piccolo, fievole sospiro. Le figure ora volteggiavano davanti a me, e tutti i colori si mescolavano.
Non posso svenire ora. Non devo.
« Ragazza, tutto bene? » Chiese Gimli. Forse mi vedeva strana, forse doveva imparare a farsi i fatti suoi. Tutta via la sua domanda attirò l’attenzione di Legolas, che mi rifilò un’occhiata lunga.
« Sto », non feci in tempo a concludere la frase che Eowyn irruppe nelle nostre fila e mi venne contro senza accorgersene. Mi aggrappai alla spalla dell’elfo per resistere e lui, contro ogni logica, mi sostenne.
« Sei bianca cadaverica, e non ti reggi in piedi. Non stai bene », soffiò preoccupato al mio orecchio.
« Invece, sto benissimo », presi un bel respiro. Chiusi gli occhi per un’istante e un pesante senso di nausea mi assalì. « Ok, hai ragione. Sto da schifo. » Lo allontanai e tenendomi le mani sulla pancia mi diressi verso il castello di pietra, dove sapevo esserci un medico.
« Vuoi che ti accompagni? » Gridò Legolas.
Mi voltai facendo segno di “no” con la testa e gridai: “Vedrete che non è nulla, solo un po’ di nausea. Continuate pure il… tour”.
Quando li vidi sparire, mi misi a correre il più in fretta possibile e non appena fui abbastanza lontana da tutto e tutti mi accasciai a terra e vomitai. Qualcuno mi tirò su i capelli e mi accarezzò la schiena.
« Lo sapevo che non stavi bene. Non puoi mentirmi su tutto, El. »

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Capitolo 18
*** La guerra incombe. ***


Just can’t let her go.
 



“Perché è sempre così: le cose belle, mica si trovano.
Le cose belle arrivano. Arrivano e basta.”
 
— scrivoquelchevivo, tumblr.

 
 

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Mi accasciai contro il muro alle mie spalle e trassi un respiro profondo. Legolas vicino a me fece lo stesso.
« Va meglio? » Chiese.
Volti la testa nella sua direzione e accennai un “si” con la testa. Non era vero che stavo meglio, ma non volevo farlo distrarre dall’obiettivo che si era prefissato: vincere questa guerra. Sebbene io fossi riluttante al fatto di combattere contro le truppe di Sauron, con Legolas non c’era verso di metterci parola.
« Non avresti dovuto seguirmi, principino. »
« Lo so, ma sei corsa via e ho pensato che non stessi davvero bene. E poi ho visto i tuoi occhi. »
« I miei occhi? » Arricciai il naso, non capendo cosa volesse intendere.
« Prima che tu te ne andassi, mi hai guardata. L’ho visto che mentivi Eleonora, perché? » Guardai immediatamente le mie mani, che avevano preso a torturarsi da sole. Era un mio vizio: io non mi mordevo le labbra e non mi arricciavo i capelli come le altre ragazze, io mi torturavo le mani quando ero nervosa.
 « Mi dava fastidio, ok? » Ammisi con riluttanza. « Lo sai quanto io detesti sembrare debole, Legolas, non negarlo. Ho sempre detestato dover chiedere aiuto a chiunque. Mi da fastidio; mi fa sentire come una principessa. »
« E che male c’è nell’essere una principessa? » Le sue iridi azzurre brillarono di curiosità e divertimento.
« Le principesse sono sempre bisognose d’aiuto. Hanno sempre la necessità che qualcuno venga a salvare, e d’incanto tutto si trasformi nel “vissero felici e contenti”. Ma io non sono così: ho sempre preferito i guerrieri alle principesse. Mi è sempre piaciuta l’idea di riuscire a cavarmela da sola, di vincere le mie battaglie con le forze che ho, senza l’aiuto di nessuno. Mi sono sempre rialzata da sola in tutte le occasioni sin da bambina, e non volevo che proprio oggi, oppure quando mi hai salvato quel giorno sulla montagna, tu pensassi che io fossi debole.  »
« Ma io non lo credo; penso che nessuno lo creda. Non ci passa neanche per l’anticamera del cervello un idea così. » Ridacchiò leggermente, poi mi accarezzò una guancia e avvicinò le labbra alla mia guancia. « Tu sei la ragazza più agguerrita che abbia mai conosciuto; e credimi, di certo nessuno penserà che tu sia debole se chiedi aiuto una volta tanto, perché anche i più forti chiedono aiuto. » Sentivo il suo fiato contro la mia pelle, e la stretta delle sue mani attorno alle mie. Trassi un profondo respiro e spostai lo sguardo nel suo, senza voltarmi però.
« Riguardo al discorso di prima. Quando ci hanno interrotti, Legolas. » La mia voce era flebile, forse perché non riuscivo a credere a quello che dicevo, oppure perché ancora non stavo bene. « Non mi hai fatto finire la frase: Io non lo so se amo Sauron, non credo. Ma di per certo so una cosa, ed è che amo te. » Questa volta girai la testa nella sua direzione e non potei faro a meno che perdermi nei suoi occhi grigi. Guardandoli da così vicino scorsi delle leggere sfumature di verde cristallo e viola, che prima non avevo mai notato. « E non so come tutto questo finirà, davvero non lo so. » Insomma, in teoria dovrei saperlo visto che conosco questo film a memoria ma non riesco più a ricordare nulla della mia vita sulla Terra, a parte qualche spiraglio ogni tanto. « Ma ti prego, promettimi che non ti farai uccidere questa sera. » Strinsi forte la sua mano nella mia e attesi la sua risposta. Era così strano parlare così con lui, come se tutto dovesse realmente giungere al termine. Magari sarebbe finito tutto sul serio, forse avevamo corso troppo, forse… Eppure io non volevo finisse, sebbene non potessi fare a meno di pensare a Sauron. Gli avevo permesso di baciarmi, stringermi, l’avevo salvato dal crollo della cella. Lui aveva salvato me.
« Lo prometto. » Baciò la mia fronte, strizzando le palpebre come se gli costasse fatica quel gesto. Come se volesse fare di più ma fosse indotto dalla sua stessa coscienza a non spingersi troppo oltre.
 
 
« Questa è pura follia », mormorai accanto all’elfo quando giungemmo all’esercito improvvisato di Theoden. Gli uomini, i ragazzi, i veri e propri soldati si guardavano gli uni con gli altri girando confusamente fra loro in cerca d’armi e armature. « Questi uomini non sono guerrieri.  »
« Già. Lo credo anche io. » Fu la risposta spiccia di Legolas. Ci disperdemmo fra la folla. Mi feci largo a spallate finché non intravidi la testa rossa di Gimli e lo raggiunsi. La spada che avevo recuperato da una delle guardie mi pendeva sul fianco, tintinnando contro le fibbie di metallo dei  miei vestiti. Poggiai la spalla destra a una trave li accanto e successivamente anche il fianco, incrociai le caviglie e attesi che qualcuno facesse qualcosa.
« Stallieri, maniscalchi, coltivatori; questi non sono soldati. » Sospirò amareggiato Aragorn. Io e il nano ci scambiammo un’occhiata veloce, carica di angoscia, poi tornammo al re.
« Molti hanno visto troppi inversi. » Affermò Gimli.
« O troppo pochi », ribatté l’elfo. Gli rifilai una breve occhiata e serrai le palpebre. Avevano entrambi ragione, tutti e tre.
« Non possiamo farci nulla, Theoden non farà nulla. » Dissi rassegnata.
« Guardateli, sono spaventati, glielo si legge negli occhi. » Continuò il principe.
« Cosa ti aspettavi? Che fossero pronti e felici di andare in guerra, principe? Lo sanno tutti che nessuno vedrà la luce di un altro giorno, ma combatteranno perché così vuole il loro re. » Sibilai. Nello stesso momento Legolas diede le spalle ad Aragorn e prese a parlare in elfico, per poi trucidarlo con un’occhiata.
Aragorn rispose, e i due presero a urlarsi contro attirando l’attenzione di tutti.
« Allora io morirò come uno di loro! » Attaccò il re, faccia a faccia con l’elfo. « E lo stesso vale per te, ragazza del drago. » M’indicò poi.
« Non ho mai detto che non darei la mia vita per proteggere questa gente, Aragorn. Al contrario ho messo a loro disposizione anche me stessa e il mio custode. » Ribattei seccata. L’uomo mi rivolse un’occhiata in tralice e se ne andò. Rilasciai un sospiro e scossi il capo.
« Lascialo andare. Lascialo stare. » Consigliò Gimli a Legolas.
Quando tutti ebbero ripreso ad affilare le lame,  cercare armature e disperarsi era ormai sera. Mi avviai verso l’uscita dell’armeria e mi diressi verso il castello. Passai davanti alla sala del trono, dove vidi il re parlare con un suo fedele soldato, tirai dritta e mi inoltrai nei sotterranei. Prima di combattere, rischiare la mia vita e morire di nuovo dovevo fare una cosa. Giunsi alle prigioni: un lungo corridoio tetro, con celle scavate nella roccia umida. Li sotto c’era un forte odore di muffa e stantio che mi dava la nausea. Camminai velocemente, finché non raggiunsi le ultime due dove risiedevano ospiti Isil e Gring, l’uno di fronte all’altra.
« Ciao sorella », sibilai. La bionda alzò lo sguardo e mi guardò con i suoi grandi occhi celesti. Erano carichi di tristezza, paura e delusione; ma sfortunatamente per lei non provai compassione. Non quella volta. « Sono venuta a farti un regalino. » Poggiai le mani sulle sbarre e queste si fusero, colando a terra come gelato al sole. Con un lungo passo ero dentro la cella e con un altro avevo imprigionato Isil all’angolo. Strinsi una mano sotto il suo collo, costringendola ad alzarsi e la tirai su finché i suoi piedi non toccarono più terra. Portò le sue dita alle mie, cercando di allentare la mia presa come un topo in trappola.
« Eleonora, ti prego. Sono tua sorella. » Implorò pietà.
« Anche io lo ero, ma mi hai fatto scoccare una freccia addosso comunque. » Ribattei.
« Ma così non avresti incontrato Sauron, e non saresti stata in grado di capire come controllare il tuo potere. » La sua voce era un rantolo.
« Esatto. Ma ora so come usarlo. » Strinsi ancora la stretta e sentii il palmo ustionante. Isil gridò di dolore. Tirò la testa verso l’alto e strillò ancora. Gring mi ululò contro di asciarla andare perché l’avrei uccisa, ma era quello che volevo.
« Ciao, sorellina. » Non potei evitare di dipingermi un ghigno sul volto mentre lei si dimenava. La pelle del suo corpo era incandescente. I suoi occhi azzurri divennero d’un tratto bianchi e i capelli biondi presero lo stesso colore. La sua pelle assunse un tono chiaro, simile a quello del sale, e prese a creparsi come porcellana. Poi, le gambe smisero di dimenarsi e le dita di stringere. Il collo si frantumò nelle mie mani con un sonoro rumore da far accapponare la pelle, come quello di un piatto che si spacca con furia per terra. Feci un passo indietro e la lasciai andare. Quello che restava di lei si frantumò al suolo in un migliaio di pezzi rotti. Battei le mani per liberarmi delle ultime schegge di quel copro finto e schiccai le nocche. Prima che potessi fare altro un intensa luce bianca nacque sul pavimento, e si alzò fino ad incontrare i miei occhi. Era una pallina lucente, i piccoli raggi luminosi creavano ombre inquietanti sulle pareti buie e muffose della cella.
« E questo che è? » Domandai ad alta voce. Avvicinai la mano alla luce e la sfiorai: era fredda e liscia, come una palla da golf.
« Io sono la luce », la voce che parlò era candida e rimbombante, « io sono colei con cui hai combattuto, e predominato. Io sono te, e lo sarò per sempre. E ora, grazie a te sono libera. » Si avvicinò al mio petto e provai un intenso calore. Quel calore che si prova quando si ha un cuore pulsante, che batte per un emozione forte. « E se lo vorrai, potrò donarti il cuore che tanto desideri. » Portai direttamente la mano sinistra sul petto e strinsi forte la stoffa dei miei vestiti. Il leggero rialzamento della cicatrice sfiorò i polpastrelli. « Ma bada, se io ti dono il cuore, non sarà il tuo: perché è già stato distrutto, ma quello di Isil. »
« Credo che rifiuterò l’offerta, con tutto il dovuto rispetto. » Abbozzai un sorriso e indietreggiai.
« Allora ti dono l’anello, di cui il copro che possedevo era diventato proprietario. » Al centro del piccolo cerchio apparve l’anello che Isil mi aveva preso al momento del suo arrivo. « Prendilo, è di nuovo tuo, guerriera della luce e dell’ombra. » Lo depositò sulla mia mano e poi scomparve.
Tutto ripiombò nel buio della sera, nel silenzio, nella paura. Infilai l’anello nel medio della mano destra e lo guardai per qualche secondo. Non sapevo quanto mi era mancato, finche non era stato nuovamente al suo posto.
« Ringrazia di non esserci stato tu al posto di Isil, Gring. » Sorrisi verso l’uomo, mentre uscivo dalla cella. Lui mi fulminò con lo sguardo dall’angolino in cui si era coricato e sibilò.
« Spero che la tua morte sia dolorosa e lenta, ragazza del drago. »
« Oh, la tua lo sarà. » Gli mostrai un sorriso ironico e alzai il palmo nella sua direzione. La mia pelle divenne rossa, e prese a bruciare. « Bye, bye, Gring. Sei stato un buon amico, ma non il migliore. »
« No, ehy, aspetta. Che vuoi fare? » Si lanciò verso le sbarre con gli occhi iniettati di paura. « No Eleonora no. Lo sai che se mi uccidi tu io non potrò essere liberato e resterò negli inferi in eterno, ti prego non farlo. »
« C’est la vie. » Alzai le spalle e sparai la palla di fuoco. L’uomo si accasciò a terra e bruciò con le sue pene, le sue paure e i suoi tradimenti. Io ripercorsi la strada dell’andata e mi andai a mettere l’armatura.
 
Infilai la maglia di ferro, e ci misi sopra una giubba di pelle. Indossai dei lunghi affari da mettere alle braccia di pelle rigida, con sopra disegnate delle foglie che Legolas mi aveva dato prima, strinsi i lacci e infilai la spada nel fodero.  Legai i capelli in una coda alta e uscii in piazza. Ancora non avevo visto Aragorn, Legolas o Gimli, ma dall’lato riuscii a scorgere le loro teste, e moltissime altre.
Elfi. Elfi inviati da Dama Galadriel e Sire Celeborn. Haldir!
Corsi velocemente giù per la discesa e mi precipitai fra le braccia di Haldir, a cui ci vollero dei minuti per riprendersi dalla sorpresa. Le nostre armature si scontrarono fra loro creando un rumore sordo, ma poco ci importava. Quando le sue braccia mi strinsero, mi alzai sulle punte per rinforzare la presa. Ero felice di rivederlo, era passato così tanto maledetto tempo. Il suo corpo caldo riscaldava anche il mio, infreddolito dalla notte. E il suo odore dolce m’inebriava le narici. Qualche ciuffo bionda era finito sul mio volto, ma ci feci poco caso.
« Sono felice di verti, Haldir. » Mormorai infine all’orecchio appuntito, che mi lasciò libera e in grado di muovermi. « Sembri in forma. »
« Anche voi, mia signora. » Sorrise il capo delle guardie, gli occhi azzurri contenti.
« Come stanno Dama Galadriel e Sire Celeborn? E hai notizie di Elrond da Gran Burrone? Dimmi tutto, caro amico. » Mi affrettai a chiedere. La mia curiosità in quell’istate non conosceva limite. La voglia di sapere come stavano le persone che mi avevano aiutato era un fardello che mi accompagnava ovunque fossi.
« Re Elrond sta bene. Ha inviato quello che rimane della sua stirpe alle Terre Immortali. I sovrani ti porgono i loro saluti,  tutti e tre, e ti mandano questa. » Scostò il mantello rosso che possedeva e tirò fuori un involucro di pelle marrone. Me la porse e io  la presi con incertezza e meraviglia. All’estremità aperta di questo stava un elsa d’argento, finemente lavorata: i piccoli e preziosi fili erano come onde e tutti andavano a intrecciarsi fra loro creando una linea orizzontale e una verticale. Al centro di essi stava un cerchio di pietre nere, che circondavano una dal colore rosso fuoco. Questa splendeva come viva. « E’ una lama elfica. Sire Elrond l’ha fatta fare per voi. » Sguainò la spada e la lama splendette contro la luce di una fiaccola. La lama era liscia e affilata come un rasoio, sul piatto di essa erano incise delle frasi in elfico.
« Cosa c’è scritto? »
« C’è scritto: “possa tu vincere e avere fortuna, ragazza drago”. » Recitò.
« Ringrazia Re Elrond da parte mia », sorrisi sinceramente. Poi sradicai la spada vecchia dal fodero, porgendola ad Aragorn e vi infilai quella nuova.
« Ogni spada importante ha un nome… » Mi sugger’ Aragorn. « Come chiamerai la tua? »
« Non lo so ancora », ammisi rivolgendogli un largo sorriso.
« Eleonora. » Mi voltai a guardare Theoden, che mi fissava severamente. « E’ ora che tu vada. »
« Si, mio signore. » Lanciai un ultimo sguardo al capitano degli elfi, i quali occhi grigi domandavano molte cose e poi alzai il volto verso il cielo nero. Mi sarebbe piaciuto restare a parlare con Aldir di tante cose, ma il dovere mi chiamava. Come chiamava lui.
Titano, aspetto solo te.
Arrivo. La risposta del custode non tardò ad arrivare, così come lui. Qualche istante dopo la sua grande figura oscurava la notte e man mano che scendeva anche la luce delle fiaccole sembrava venire meno.
« State attenti. » Raccomandai ai miei compagni. « Se sopravvivo e scopro che uno di voi non c’è la fatta giuro che vi faccio rinsavire e poi vi uccido con le mie stesse mani. » Scherzai.
« Anche tu. » Borbottò Gimli, guardandomi triste. Poi, prima che riuscissi ad aggrapparmi alla coda di Titano per essere portata su, mi sentii stringere il fianco. Il nano si era aggrappato a me, per la prima volta dopo mesi mi stava mostrando un segno d’affetto. Quando finalmente mi lasciò potei sorridergli e aggrapparmi alla coda del grosso lucertolone volante sopra di noi.
« Non oserai andartene prima di avermi salutato come si deve, spero? » Con delicatezza Legolas mi strinse il poso e mi fece voltare repentinamente. Mi ritrovai con le labbra appiccicate alle sue e le nostre lingue che si rincorrevano. Sospirai lasciando la coda dell’animale e poggiai le mani sulle sue guance, portando il mio corpo a incollarsi al suo. I suoi palmi corsero sulla mia schiena provocandomi brividi di piacere, e mugolii di protesta quando si allontanò. Non avrei saputo immaginare un “arrivederci” migliore di quello; non mi era venuta nemmeno in mente il volto di Sauron.
« Oook. Ora devo andare, sul serio. » Mormorai imbarazzata, attaccandomi alla coda di Titano e lasciandomi trascinare verso l’alto. Quando fui in alto sulla sua groppa, lontana da sguardi indiscreti, mi schiaffeggiai imbarazzata. Tutti ci avevano guardati.
 
 

°   °
 
 

Il drago scomparve dietro il torrione, come previsto da Theoden e tutto tornò alla normalità, per così dire. Legolas si voltò verso i suoi compagni e rimase in attesa di ordini da parte di Theoden, ma nessuno fiatava. Tutti lo guardavano in silenzio.
« Che cos’ho fatto? » Borbottò imbarazzato, accarezzandosi la nuca.
« Tu l’hai baciata davvero? » Gimli batté le mani sulle ginocchia e lanciò un grido divertito. « Era ora, ragazzo! »
Gli uomini scoppiarono in un forte applauso, che fece impallidire il principe. Nessuno prima di allora, in una situazione come quella, con una guerra imminente, gli aveva mai fatto un applauso. Ma c’è sempre una prima volta, no?
« Bhe, si… » Ancora non credeva alle sue orecchie e ai suoi occhi. O alla sua mente, che gli ripeteva “l’hai baciata davanti a tutti. L’hai fatto davvero”.
« Beh, era ora, amico mio. » Dissero Aldir e Argorn all’unisono.
 
 
 
 


Ehy gente: com’è?

Ci stiamo avvicinando alla fine di anche quest’avventura. Che ne dite di questo capitolo?
Colgo l’occasione per ringraziare Elanoriel, che mi ha fatto una sorpresa stupenda. Una magnifica immagine della coppia EleonoraxSauron, solo per me. Queste cose, voi non sapete quanto mi rendono felci; e sapere che arriveranno le immagini LegolasxEleonora, e GringxIsil mi fa ancora più contenta. Sapere che le mie FF vi piacciano così tanto è gratificante in una maniera incredibile.

Ecco il suo lavoro: (Ancora grazie, davvero).

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Capitolo 19
*** Di drago, ansia e battaglia. ***


Just can’t let her go.
 




“Un giorno, qualcuno ti stringerà così forte, da farti sentire salva da tutte quelle macerie che avevi sul cuore.”
 
— lamanocelastringiamofortenoi, Tumblr.

 



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Titano si mimetizzò con le montagne che delimitavano la parte posteriore del fosso di Helm.  Richiuse le sue grandi ali e entrambi restammo in attesa. La luna sopra di noi non era sorta, e il cielo era di un blu inquietante. Un colore che si avvicinava al nero dei capelli di Sauron, e il fumo che saliva dalle fiaccole dei soldati, a metri di distanza in basso, pareva essere quello dell’inferno. A pensarci bene tutta quella storia si stava trasformando in un inferno, sempre che non l’avesse già fatto e io non me n’ero resa conto.
« Ci siamo », sospirai  quando vidi le truppe di Sauron avvicinarsi. Le mie mani si strinsero sulla sella di Titano e i miei occhi saltarono dalla cima alla cosa dell’immensa fila. Le luci di migliaia di fiaccole illuminavano il loro cammino.
Hai paura? Il drago voltò l’enorme testa nella mia direzione e sbatté le palpebre, osservandomi con le sue pupille affilate. Mi allungai ad accarezzargli le lucenti squame azzurre e non distolsi mai lo sguardo.
« Non ho paura, Titano. Sono in ansia, è diverso. »
In ansia, per cosa?
« Tutti quegli uomini laggiù contano su di noi. Se io non riuscissi a fare… a fare questo? » Allontanai la mano dal suo collo e voltai il palmo verso l’alto. Una piccola fiammella si accese al centro di essa e morì velocemente.
Ci riuscirai.
« Lo spero. » L’animale tornò a guardare i due eserciti e pure io. « Cosa dobbiamo fare, ora? »
Aspettiamo.
Un tuono squarciò l’aria umida e carica di tensione, rimbombando nello spazio come il rullo di un tamburo. Sembrava che persino la natura volesse essere ricordata quella notte. Una goccia di pioggia i depositò sulla mia armatura, seguita da molte altre. Il loro tintinnio era stressante, mi ricordava quanto fossi impotente. Ogni goccia che cadeva era come una pugnalata al cuore; io ero ferma immobile, gli uomini nel fosso pronti a combattere. Riuscivo a scorgere Legolas da lontano, e Gimli, che sicuramente si stava lamentando della scarsa visuale che aveva. Chissà cosa pensava in quel momento l’elfo.
 
 

°   °
 
 


Legolas chiuse gli occhi, tentando di concentrarsi sulla battaglia, ma tutti i suoi pensieri erano per una sola persona: lei. Sarebbe sopravvissuta? L’avrebbe amato come prima? Cosa provava realmente per il signore di Mordor? Che cosa l’aveva spinta a invaghirsi di quel mostro?
« Io non lo so se amo Sauron, non credo. » Gli aveva detto quel pomeriggio. « Ma di per certo so una cosa, ed è che amo te. » La cosa l’aveva tranquillizzato, ma poi non era riuscito a dimenticare la prima parte della frase, quella che includeva il nome “Sauron”, e non era riuscito a baciarla come avrebbe voluto. E ora si ritrovava col rimorso di non averle chiesto cosa provasse davvero. Perché se uno è innamorato, come lui lo era di lei, non poteva non sentire il sangue nelle vene che scivolava con più forza, il cuore che correva come un cavallo imbizzarrito. Perché se uno era innamorato, lo sentiva.
« Non potevi scegliere un posto migliore? » Gimli lo riportò alla realtà. Legolas sorrise, dopo tutto quella scena lo divertiva, e l’aiutava a distrarsi. « Beh, qualunque sia la tua fortuna, che superi questa notte. » Gli augurò poi, con quel suo tono rude da nano che era.
« I tuoi amici sono con te, Aragorn. » Si affrettò a dire l’elfo.
« Che anche loro superino questa notte », borbottò Gimli. Il re fece un cenno col capo e sparì tra le fila di elfi. Le truppe di Mordor avanzavano senza paura. Le grandi e interminabili fila di uruk-ai si muovevano ordinate, le lunghe lance alzate verso il cielo, le fiaccole accese che brillavano nonostante la pioggia. Legolas strinse più saldamente l’arco fra le mani e attese. Gimli vicino a lui stava borbottando, ancora infastidito dal fatto che non riuscisse a vedere nulla. Al ringhio di un mostro, tutti i guerrieri si fermarono. Gli uruk-ai presero a ruggire, spaventando come volevano gli esseri umani dietro le mura. Aragorn gridò qualcosa in elfico che Legolas non riuscì a capire e poi tutto tacque di nuovo.
« Che sta succedendo? » Il nano si mise a saltare per vedere.
« Vuoi che te lo descriva? » Chiese l’elfo, un ghigno sulla faccia. Il mastro nano si voltò a guardarlo stupito. « O preferisci avere un rialzo? » Lo prese in giro. Gimli si ammutolì per qualche secondo, poi rise. Ma Legolas non capì mai se per ironia o divertimento.
 
 
 


°    °
 
 
 
« Cosa succede, Titano? » Domandai sentendo il rumore delle armi. Il possente collo del drago mi impediva la visuale di una buona parte dell’esercito di Sauron, e tutto quello che riuscivo a vedere si confondeva con la pioggia fitta.
Le armi smuovono il terreno. I ringhi vengono innalzati al cielo. Gli archi degli elfi sono tesi. Una di esse è stata scoccata.
Il silenzio calò nella valle. Una goccia d’acqua riuscì a infilarsi nell’armatura, e la mia pelle divenne d’oca.
« Titano, che accade? » Ridomandai, ansiosa. L’urlo dato in una strana lingua mi fece mettere all’erta. Rizzai la schiena rigidamente e attesi una risposta.
La battaglia è cominciata.
« Titano, dobbiamo intervenire! » Strillai.
Non ancora, guerriera. Dobbiamo aspettare.
Le urla che mi giungevano ai timpani non erano solo quelle dei mostri, ma anche quelle degli elfi e degli uomini.
« Titano non c’è tempo! Dobbiamo intervenire! » Le mie grida erano cariche d’ansia. Sapevo che Legolas era bravo a combattere, ma anche i migliori a volte sbagliano, e se avesse sbagliato questa volta non l’avrei più rivisto. Continuavo a muovermi sulla sella del drago, torturandomi le mani e restando immobile a guardare la gente torturata e uccisa. « Titano, ti scongiuro dobbiamo intervenire. » Strattonai i finimenti della sella e lui si voltò. Le iridi di ghiaccio si ridussero a due fessure taglienti, mi mostrò le lunghe zanne appuntite.
Calma, ragazza. Ci sarà tempo per noi.
« Noi non abbiamo tempo! » Strillai. « Loro non hanno tempo! Li stanno massacrando! Dobbiamo muoverci! Titano! » Poggiai le mani sul suo collo e sentii i palmi ustionare. Il drago alzò il capo verso l’alto e ruggì di dolore, mentre anche io gridavo sentendo la parte di corpo vicino alle spalle prendere fuoco. Sapevo che eravamo legati: lui veniva ferito, io venivo ferita; ma non m’importava. Quello era il momento in cui intervenire, e non avrei mai permesso ad un drago , sebbene mio custode, di ostacolare le mie decisioni.
Smettila, Eleonora.
Girò la testa nella mia direzione e schioccò le zanne, che si richiusero con un rumore sordo e secco. Convinta delle mie azioni, continuai imperterrita a far uscire il fuoco dal mio corpo per riversarlo nel suo.
« Dobbiamo andare, hanno bisogno di noi! »
In tutta risposta Titano aprì le grandi ali e la pioggia prese a batterci sopra, rimbalzando sulla membrana in piccole gocce. Corse verso la fine della montagna e si buttò giù. Lasciai il suo collo per reggermi alla sella, scendeva in picchiata talmente velocemente che le gocce d’acqua sembravano coltelli sulla mia faccia. Quando riacquistò quota, eravamo ormai vicini al fosso.
Bravo drago, così si fa. Lo lodai mentalmente.
Ti sto odiando con tutto me stesso. Fu la sua risposta.
Passammo sopra il fosso di Helm, e per un attimo tutto tacque e i volti dei soldati, nessuno escluso, si alzarono su di noi, poi quando il drago lanciò la prima vampata di fuoco su un gruppo di hurk-ai tutto tornò a muoversi.
Dobbiamo andare al canale di scolo, l’hanno fatto esplodere! Ordinai, e il Titano virò. Con un possente battito atterrò nel buco creato dall’esplosione e allargò le ali impedendo ai nemici di entrare. I suoi respiri di fuoco però non gli permettevano di tenere lontani tutti i mostri, infatti molti riuscivano ad entrare quando lui attaccava diversi gruppi. Sganciai i lacci che mi tenevano stretta alla sella e scivolai lungo la spina dorsale del drago. Appena i miei stivali toccarono terra un uruk-ai mi si parò davanti; sfoderai la spada e gliela conficcai nel petto. Quello cadde morto al suolo.
Legolas. Trova Legolas, ragazza! Dopo tutto è per lui che sei qui!
Mi ordinò il drago, senza voltarsi. Corsi in direzione di Aragorn, intendo a lottare e tagliai di netto la testa all’orco con cui si confrontava.
« Hai deciso di arrivare? Era ora. » Borbottò, senza togliersi un ghigno dalla faccia.
« Sta zitto. » Mi abbassai e lui trapassò un altro nemico. « Dov’è Legolas? »
« A destra! » Mi avvisò lui. Spostammo il corpo a sinistra, e l’uruk-ai che aveva tentato di uccidermi venne trafitto da un suo simile. « Sulle scale, in alto. » Mi disse poi il re. Gli sorrisi e corsi verso le mura. Vidi una figura a me ben nota raccogliere uno scudo da terra, gettarlo sulle scale in discesa, per poi farci surf nel mentre trapassava i nemici con le frecce. Quando arrivò infondo alzai un sopracciglio.
« Esibizionista! » Gridai, per sovrastare il frastuono. Lui mi sorrise sotto la pioggia e fece l’occhiolino. I capelli biondi bagnati gli si erano attaccati al volto, alle tempie, alle spalle, e le sue labbra si erano colorate di un intenso rosa causato dal freddo. I suoi occhi di ghiaccio brillarono per un secondo, poi mi spinse di lato e trapassò con una freccia che teneva in mano un Uruk-ai. La mia schiena urtò contro il muro e la punta di una lama, appartenente a un uomo morto, mi graffiò il collo. Non potei trattenere un urlo, più di sorpresa che di dolore. In lontananza, udii Titano ringhiare e alzare il viso verso l’alto: sulle squame del suo collo colava un liquido rosso rubino. Portai una mano alla ferita e mi allontanai dal morto, cominciando a salire le scale. Una mano afferrò la mia e mi trascinò giù.
« Stai attenta. Voglio averti al mio fianco quando tutto questo sarà finito », mi ordinò Legolas, poi sparì fra gli orchi. Strinsi l’impugnatura della spada e ripresi a salire i gradini. Man mano che andavo avanti, i  nemici cadevano ai miei piedi come le foglie in autunno. Non avevo pietà. Non potevo averne, mi ripetevo in continuazione. Quegli affari, quei mostri erano senz’anima, senza ritegno, senza ideali e per quanto odiassi ammetterlo, Legolas aveva ragione. Armata di Sauron o no, andavano distrutti tutti, fino all’ultimo. Quando arrivai in cima, finalmente sulle mura, vidi Aldir lottare con furia e non potei fare a meno di raggiungerlo. Gli diedi la schiena e bloccai un orco intenzionato ad ucciderlo.
« Non oggi, bello. » Gli dissi prima di infilzarlo, e con un calcio lo gettai di sotto.
« Aldir! Eleonora! Venite giù! » L’urlo di Aragorn ci fece voltare entrambi, ma dopo poco io ripresi a combattere. Poi i due si gridarono qualcosa in elfico e tutti gli elfi presenti sulle mura saltarono giù.
« Andiamo, guerriera, dobbiamo andare via. » Il capo delle guardie mi spinse in avanti. Obbedii agli ordini e presi a correre e mietere vittime, ogni tanto mi voltavo verso il mio amico per vedere se stava bene. Quando lo feci, per l’ennesima volta, un uruk-ai oscurava la sua figura. Sopra la testa del mostro riuscivo a vedere la sua lama ricurva, pronta a uccidere l’elfo che era di spalle. In pochi secondi, la lama fendette l’aria con un sibilo.
« Aldir! » Il mio urlo si unì a quello di Aragorn. Il mio braccio sinistro si mosse da solo, e dal palmo scaturì una fiammata talmente potente da incenerire all’istante l’orco. Corsi dal mio amico e mi inginocchiai accanto a lui. Guardai negli occhi Aragorn, e il re li chiuse per un istante. La sua mano sporca di sangue poggiata sul petto del guerriero elfico. Rimasi per un attimo paralizzata, incapace di comprendere quello che era successo. O meglio: non volendo comprendere quello che era successo.
« Aragor », mormorai scossa. Lui mi guardò con i suoi occhi azzurri, poggiò le sue mani sulla mia armatura e si alzò.
« Va dentro, va via! » Gridò, per poi voltarsi e rifilare un pugno in pinea faccia a uno dei mostri. Lo vidi aggrapparsi a una scala e scomparire oltre le mura.
 
 


°    °
 
 


 
« Legolas », riconobbe quella voce. Il principe di bosco atro si voltò e la vide. Era ferita, dall’armatura le colava in rivoli il sangue scarlatto, e i capelli erano zuppi e appicciati al suo volto, sporco di terra. Zoppicava un poco e arrancava in salita. L’elfo ripose il suo arco e le andò incontro. La prese per i fianchi e la trascinò verso l’entrata della reggia di pietra, dietro la fortezza. L’osservò da vicino e, notò che i suoi occhi erano rossi e gonfi. La pelle più pallida del solito. « No, no lasciami. Sto bene. » Lo precedette lei, togliendogli le mani dai fianchi.
« Non è vero tu non stai bene. » Ribatté.
« Beh, neanche tu sei uno spettacolo. » Lo rimbeccò lei. « Sei ferito », constatò poggiandogli una mano sul palmo.
« ANCHE TU », affermò lui preoccupato.
« Si, ma io non ho nulla da temere. Finché Titano è in vita, e protegge quell’entrata io starò bene. »
« Che… che diamine vuoi dire? »
« C’è un prezzo che i custodi devono pagare, dopo una trasformazione. Legano la propria vita a quella del guardiano che gli è stato affidato. » Spiegò alla svelta lei.
« Mi stai dicendo che se il drago muore, o viene ferito, anche tu subisci quello che succede a lui? » Ululò l’elfo. Che razza di prezzo era quello, per una trasformazione del genere?
« Si, esatto. Ma ora non c’è tempo, Legolas. Dobbiamo tornare a combattere. » Lo spinese via e gli rimise in mano l’arco. Tornarono dagli altri guerrieri e ripresero a lottare. L’elfo riuscì a sconfiggere nemici, ma ogni tanto la preoccupazione aveva il sopravento e le sue iridi passavano dall’enorme drago azzurro che uccideva tutto coloro sulla propria strada, e la creatura che amava: bella e pericolosa. Eppure più la guardava, più gli sembrava debole; sebbene dalle sue mani uscissero fiammate che distruggevano chiunque sulla sua strada.
« Legolas, Aragorn e Gimli! Lanciagli questa! » Lo risvegliò Eleonora, lanciandogli una fune.





Hola, peipeeee.
Allora, premetto che ho scelto di divere la battaglia in 2 capitoli per comodità. Premetto anche che la frase iniziale del capito allude alla parte finale di esso. Ovvero il punto in cui Leg prende El e la porta al sicuro, per quanto lei voglia esserci portata sebbene per breve tempo.
Detto questo che ve ne pare di questo (etcìoscenoetcì) coso che ho scritto, quì?

 

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Capitolo 20
*** Sorpresa. ***


Just can’t let her go
 



« L’oscurità è la nostra casa, in cui ci sentiamo al sicuro. »
 
-Bella Ferraro. Set me on fire.

 


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« Eleonora, un aiutino? » Il richiamo di Legolas mi fece volate. Stava tirando su la corda, a cui Aragorn e Gimli erano appesi e sembrava sull’orlo di farli cadere. Tagliai di netto la testa di un Uruk-ai e presi la fune fra le mie mani; tirammo finché i nostri amici non furono in salvo.
 « Sono entrati, hanno aperto una breccia nel tromba torrione. Ripiegare! » Una delle guardie di Theoden ci comparve alle spalle, mi spinse verso un enorme portone e riprese a correre, gridando “ripiegare” incessantemente.
« Presto, fateli entrare! » Ordinò Aragorn. Mi bloccai al suo fianco e l’aiutai a far si che tutti entrassero e si mettessero in salvo. Da lontano sentivo i ruggiti di Titano, che si era alzato in volo e sputava fuoco sulle fila nemiche. Le fiaccole umane gridavano e si disperavano, correndo da una parte all’altra.
« Aragorn, dobbiamo entrare! » Strillai. Mi ero accertata che Legolas e Gimli fossero entrati prima di gridare.
« Muoviti, allora! » Rispose lui, prendendomi per mano e trascinandomi oltre il portone. Le porte si chiusero con un tonfo alle nostre spalle, ma non era ancora finita. Corremmo all’interno della grande fortezza e finalmente ci fermammo. Poggiai le mani sulle mie ginocchia e l’armatura tintinnò.
Il mio corpo era stanco, le mie braccia erano pesanti e prive di forza. Tremavo per lo sforzo della battaglia, e l’adrenalina nelle mie vene. Quando mi fui ripresa leggermente, caddi in ginocchio e presi ad osservarmi le mani. Rigirai più volte i palmi verso l’alto, e poi verso il basso, domandandomi perché diamine ci avevo messo tanto a lanciare quella fiammata per salvare Aldir. Che cosa diamine mi aveva trattenuto? Perché non ero intervenuta prima? Sospirai trattenendo le lacrime e tornai ad alzarmi. Non potevo farmi vedere debole davanti a tutti quegli uomini; tutti coloro che mi credevano priva di sentimenti e fredda più del ghiaccio. A spallate, mi feci largo fra gli uomini finche non raggiunsi Gimli. Il nano si stava lamentando del fatto che l’avessero trascinato lontano dalla battaglia, e come mi vide prese a borbottare anche a me.
 
Il sole stava sorgendo quando Theoden e Aragorn si misero a litigare. Io e gli altri li ignorammo, continuando a portare oggetti davanti alla porta per impedire l’entrata ai mostri.
« Non è finita, non può essere finita », mi ripetevo corrosa dai sensi di colpa. Centinaia di uomini erano morti, centinaia di elfi erano deceduti, Aldir era caduto davanti a me. « Non è finita, non è finita, non è finita… »
Due mani mi trascinarono lontane dagli uomini e mi incollarono al muro. Gli occhi di Legolas  mi osservarono, e il dorso della sua mano sinistra si poggiò sulla mia fronte. Disse qualcosa in elfico, sicuramente una qualche imprecazione, e poi riportò la stretta sulle mie spalle.
« Devi riposare, Ele. Scotti, hai la febbre. » Mi consigliò.
« Non posso riposare, non ora. Titano è fuori che combatte da ore, noi siamo qui dentro e tentiamo di tenere quei mostri fuori da ore. Non posso riposarmi, non durante la guerra, no. » Parlai velocemente. Come poteva anche pensare che io avrei anche solo preso in considerazione la sua idea? Ok, mi sentivo male, era vero, e non avevo più forze: ma non potevo abbandonare i miei compagni. « I-io devo combattere, per Aldir. Perché gliela devo questa vittoria, io… io », mi portai le mani a coprire il volto e mi maledissi da sola. Non potevo avere una crisi di nervi proprio ora, non dovevo averla.
« Eleonora, stai male. Vai con le donne e i bambini e conducili in salvo. » Poggiò i suoi palmi sulle mie guance. Lo guardai negli occhi e scossi il capo.
« Voglio combattere al tuo fianco. Posso far… » Un dolore acuto mi squarciò il petto. Non gridai, non avevo fiato. Chiusi solo gli occhi e rimasi in silenzio, come tutti adesso, ad ascoltare il ruggito del mio custode perdersi nel vento. Il rumore della pietra che si sgretolava mi fece capire che il corpo del mio drago era caduto, morto.
« Oh, no. » Mormorò Legolas, alzando il capo verso le finestre. Il sole era sorto. « E-ele, come stai? Dimmi che non stai per morire, ti prego. »
Sto bene. Avrei voluto dirgli, ma riuscii solo a pensarlo.
« Forse hai ragione », sussurrai, « porterò le donne in salvo. » E scappai via letteralmente. Mi persi nei corridoi del torrione e attesi il silenzio. Dentro di me stava divampando un fuoco, che mi bruciava gli organi e l’anima. Poggiai la schiena a un muro di pietra e rabbrividii. Titano era morto, e io non gli avevo detto addio. Al contrario l’avevo ferito. Mi lasciai scivolare a terra e chiusi gli occhi. Portai una mano al ventre caddi su un fianco.
 


Ero tornata fra le mura di Mordor. La solita grande finestra, il solito frastuono assordante, il solito cielo rosso, la solita stanza con gli stessi mobili. Mi mossi verso l’armadio accanto alla porta e lo aprii: i soliti abiti neri. No. C’è n’era uno nuovo: di uno splendido nero lucido, diverso da tutti gli altri. Tolsi il vestito che indossavo e misi quello, andando poi davanti alla parete lucida per specchiarmi. Slegai i capelli sistemandoli su una spalla e lisciai con le mani la gonna stretta dell’abito. Questa ricadeva gentilmente a terra. Mi voltai e ammirai la scollatura sulla schiena, sorridendo felicemente. Dalla fine di quella partiva, disegnando la curva della spina dorsale, una cordicella leggera, che terminava con una pietra simile a un diamante.
« Vedo che hai trovato il tuo regalo. Lo conservavo in attesa del tuo ritorno », la voce risuonò fra le pareti della stanza. Girai il viso verso l’entrata e osservai il viso di Sauron. I lineamenti regali non erano rigidi come al solito, bensì erano rilassati. Le labbra piegate in un sorriso dolce. « Spero ti piaccia. »
Abbassai lo sguardo sulla stoffa lucida e poi lo rialzai sul suo. Le mi guance si colorarono di un rossi intenso quando lui percorse a grandi passi la stanza e, non permettendomi di rispondere alla sua domanda, mi strinse a se. Il suo odore si propagò per tutto il mio corpo, mandandomi in ebollizione il sangue.
« Pensavo che non saresti tornata, mai più. » Rafforzò la presa, e io poggiai la testa sul suo petto. Non l’avevo mai abbracciato così prima d’ora, mi dissi.
« Come faccio a essere qui? » Domandai ad alta voce. « Ero al fosso di Helm, e ora sono qui. Com’è possibile? »
Sauron si staccò da me e mi prese il volto fra le mani, i suoi occhi rossi si fissarono nei miei.
« Ha davvero importanza? » Chiese. « Ha davvero importanza sapere il “come” e non il “perché”? »
« Perché, sono qui? » Rettificai, incantata dalla sua voce.
« Perché la tua mente ti ha portata qui. Perché tu volevi tornare qui. » Era talmente vicino che i nostri nasi si sfioravano e i respiri si univano. Spostai l’attenzione sulle sue labbra e  non riuscii più a distogliere lo sguardo. Mi avvicinai premendoci sopra le mie e lo sentii stringermi. Il suo tocco caldo mi accarezzò la schiena, provocandomi la pelle d’oca. Le mie mani si fermarono sul suo collo e staccarono il gancio del mantello dell’oscuro signore, che cadde a terra con un tonfo. « Ti ho aspettata per così tanto. »
« Qualche ora, non è molto. » Borbottai allontanandolo leggermente.
« Forse non per te, ma per me lo è. » Rise leggermente e mi baciò ancora. Un senso di nausea mi impose ad allontanarlo e correre in bagno. Chiusi la porta e mi afflosciai sul pavimento, chiudendo gli occhi.


Ma che diamine ti succede, Eleonora?!
 
 

°   °
 




« Conto finale », l’elfo guardò il suo arco e l’accarezzò, « quarantadue. »
« Quarantadue? » Chiese meravigliato il nano. « Oooh, non è niente male per un principino elfico dalle orecchie a punta. Eheheh: IO sono seduto comodo sul QUARANTATRE. » Gimli diede una tirata alla pipa, soddisfatto di aver lasciato di stucco l’amico. Ma proprio mentre credeva che Legolas se ne sarebbe andato con la coda fra le gambe, l’elfo estrasse dal fodero una freccia e la conficcò nel fianco dell’uruk-ai su cui il nano giaceva, infilandola a pochi centimetri dal corpo di esso.
« QUARANTATRE », si beffeggiò di lui l’elfo.
« Questo era già morto », battibeccò Gimli.
« Si contorceva. » Fu la risposta divertita del principe.
« Si contorceva perché lui ha la mia ascia conficcata nel suo sistema nervoso! » Ululò il nano, muovendo l’ascia conficcata nella testa del mostro.
« Dicono tutti così », rise Legolas. Poi voltò le spalle all’amico e si diresse verso il torrione.
« E ora dove vai? » Gli gridò dietro il mastro nano.
« Ho una signora che mi aspetta, se non te lo ricordi, mastro nano. » Alzò la mano in segno di saluto, senza voltarsi. Sebbene il campo di battaglia attorno a lui fosse gremito dei corpi di chi aveva partecipato alla battaglia ed era perito, Legolas non poteva fare a meno che ignorarli e pensare alla vittoria, e alla sua compagna. L’aveva lasciata nel torrione, guardandola correre verso le grotte  per salvare le donne e i bambini, e mai come allora aveva pensato che fosse più al sicuro sebbene la situazione fosse pericolosa. Fece i gradini a due a due e quando arrivò all’entrata delle grotte, girò varie volte fra la gente, ma non la vide.
« Legolas! » Gandalf il bianco gli si parò davanti. « Legolas, amico mio », il tono del mago non sembrava preannunciare nulla di buono, « devi venire con me. » Si misero in cammino, e successivamente si unì a loro anche Aragorn, seguito da Eowyn. Entrarono nel torrione e percorsero l’enorme sala dal trono di pietra, ora illuminata a giorno dal sole, e imboccarono uno stretto corridoio. Alcune finestrelle in alto lasciano trapelare la luce, disegnando lame d’oro nel buio. Al centro del lungo cunicolo stavano due figure, e parlavano; o almeno una tentava di far parlare l’altra. Socchiudendo gli occhi Legolas distinse l’armatura decorata di rosso della sua compagna e il volto del fratello della principessa di Rohan, Eomer. Lasciò cadere l’arco e corse dalla sua compagna.
« Ciao, principino », sorrise lei con la voce stanca. Sul pavimento c’era un pozza di sangue d’inchiostro, che colava da sotto la corazza che lei indossava. Sotto gli occhi scuri aveva delle occhiaie, causate dalla battaglia e da altro. « Ehi, prima che tu possa parlare voglio dirti che sto bene. Ok? » Lo avvisò, prevedendo la domanda che gravava sul cuore del reale. Con i muscoli in tensione la ragazza slegò i lacci che tenevano l’armatura legata e sa la sfilò dal braccio destro. Sulla blusa bianca che indossava c’era tanto, troppo sangue.
« Legolas », una mano rugosa si poggiò sulla spalla del giovane, « stai tranquillo. Lei sta bene, la ferita è già stata rimarginata. Non è in pericolo di vita, nessuno dei due lo è più. » Il cuore del principe ebbe un sussulto e successivamente si rilassò. Poi, un altro sussulto.
« Nessuno dei due? » Per poco non si strozzò con la propria saliva.
 
 

°   °
 
 
 


M’irrigidii all’istante e Legolas fece lo stesso. Gli altri presenti nel corridoio rimasero muti, mentre Gandalf ci osservava appoggiato al suo bastone.
« Tutti e due stiamo bene? » Ingoiai un fiotto di saliva. « Cosa intendi dire, Gandalf? » Rizzai la schiena fino a scontrarla contro il muro. Il sangue nelle mie vene scorreva talmente veloce, che persino il cuore che non avevo sembrava pomparlo così di fretta, che, pensai, da un momento all’altro sarebbe uscito dal petto. Strinsi forte la mano dell’elfo e rimasi in attesa.
« Ah… non lo sapevate? » Borbottò l’anziano, ma nei suoi occhi guizzò un sorriso divertito. Forse erano le nostre espressioni o i nostri movimenti a divertirlo, oppure il fatto che ci aveva presi alla sprovvista.
« Gandalf, non credo di aver capito bene. » S’intromise Aragorn.
« E’ incinta », mormorò Eowyn. La trafissi con lo sguardo e lei, invece di indietreggiare, si avvicinò poggiando una mano sulla mia fronte. « Questo spiega lo svenimento, le nausee al suo risveglio di poco prima, la febbre, e i cambi d’umore. »
« Ma com’è possibile? Insomma quando… » Le mie guance si colorarono di porpora alla domanda di Aragorn.
« Hai capito il principino. » Rise Gimli, comparendo da dietro la sagoma del re. Tutti guardarono noi, senza badare al nano e io mi coprii il volto con le mani.
« Io. Incinta? No. No, deve essere uno scherzo. » Mi alzai con uno scatto e scappai letteralmente dalla piccola “riunione di famiglia”. Avevo bisogno d’aria. Aria fresca e pulita, aria per i miei polmoni e per il cervello, per riuscire a carburare quell’informazione. Come potevo essere rimasta incinta? Come potevo proprio ora, che la mia vita era divisa in due: fra un elfo di bosco atro che amavo, e ne ero certa, e un signore oscuro che riusciva a mandarmi su di giri? Perché proprio ora? Gridai frustrata, facendo girare qualche soldato che poi, capendo il mio umore, si affrettò a scomparire dalla mia vista.
« Perché proprio adesso?! » Sibilai a me stessa. « Maledizione. Perché, perché, perché?! »         
« Eleonora. »
« No, Legolas, vai via. Va, via. » fermai la conversazione sul nascere. « Non, non voglio parlarne ok? » Portai un’altra volta le mani al viso e le strofinai. Non potevo credere che quella era arrivata proprio in un momento drastico come quello. Non era possibile che succedessero tutte a me, dannazione! Magari era tutto un sogno. Magari ero ancora svenuta sul pavimento di una stanza di Mordor. Magari… magari le labbra del mio elfo erano sulle mie, più leggere rispetto a quelle di Sauron. E le sue mani si muovevano con più delicatezza sul mio corpo. Il suo calore penetrava oltre la maglia che indossavo con mena facilità di quello di Sauron, ma questo non significava che non lo sentissi, o desiderassi.
« Un figlio », sussurrò lui a fior di labbra. « Un figlio, nostro. »




I love you, peipeeeee :3

Premetto: Ho bisogno di voi. Come tutte sapete, stiamo giungendo al termine e io non ho ancora un nome per l'ultimo capitolo della trilogia. Se vi va, nelle recensioni potreste mettere l'idea per uno di questi, magari una frase che contenga il verbo "go", andare ( go, went, gone ), siccome la trilogia si basa su quello anche. 

Ora, passiamo ai ringraziamenti:

- Lol_lola: le tue recensioni sono dolcissime.

-LilyOok_: io ti adoro, ma questo gia lo sapevi. Le tue sono le recensioni più lunghe di tutte (OwO), ci perdo delle ore a leggere e rileggerle. Le adoro.

-Anna Love: mi fai moriredal ridere con le tue recensioni :3. 

-Elanoriel: sei dolcissima. Senza contare le immagini che mi stai facendo, grazie :3

A proprosito di immagini, ecco la coppia LegolasxEleonora fatta da Elanoriel: (io l'adoro)


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Capitolo 21
*** E tutto andava bene. ***


Just can’t let her go.

 
“ E tutto andava bene.”
 
— Harry Potter e I doni della morte.
 




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Strinsi forte le braccia attorno alla schiena di Legolas e poggiai la testa sotto il collo, lui mise il mento su di essa e mi accarezzò la schiena. Chiusi gli occhi e mi rilassai.
« Legolas », sussurrai.
« El. »
« Non chiamarmi El, mi da fastidio. » Lo avvisai borbottando.
« Non sai neanche che vuol dire », ribatté divertito lui.
« Ah, perché “El” ha un significato? » Allontanai il volto dal suo corpo per guardalo. « Non è solo un abbreviativo del mio nome? » Sbattei le palpebre.
« Anche. Ma in Sindarin “El” significa “stella”. » Rimasi un attimo in silenzio, concentrata sul suo volto.
« Mi hai sempre chiamato “stella”? » Per un attimo ebbi la voglia di strangolarmi, e strangolarlo: quante volte mi aveva chiamato così, e io come un stupida che credevo fosse un nomignolo? Dannazione, chissà cosa avevano pensato per tutto quel tempo Aragorn e Gandalf conoscitori delle lingue elfiche. Chissà per quanto tempo ero passata come un creatura fragile ai loro occhi, a causa di quel nomignolo. Tutta via, non potevo non pensare che fosse dolce.
« Si. » Sorrise, tenendomi stretta a se. Alzò poi il capo verso l’alto e con aria meditativa disse: « In Sindarin c’è un nome che assomiglia al tuo: “Elanor”. »
« Sul serio? » Abbozzai un sorriso. « E cosa significa? » La luce proiettò sulla mascella del ragazzo un’ombra dolce e delicata. Le nostre ombre, alle sue spalle, cominciavano a fondersi mentre alle mie spalle si sentiva il rumore dei soldati sopravvissuti che si ricongiungevano alle famiglie.
« “El” vuol dire “stella” e “Anor” significa “Sole”. » Abbassò il viso e il sorriso delle sue labbra mi fece rimanere stupita. Era aperto e sincero, bello come lui in quel momento. « Sai, prende il nome da un fiore doro di forma stellata, perciò Elanor. » Si avvicinò ancora un poco. « Credo che potremmo chiamare nostra figlia così. »
« Cosa ti fa credere che sarà femmina? » Scherzai io. A dire la verità ero terrorizzata all’idea di diventare madre, ma non potevo farlo sapere a Legolas. O forse avrei dovuto farglielo presente? Ma non potevo. Non c’è la facevo, era più forte di me. C’era qualcosa nel mio corpo che mi diceva di non permettere a nessuno di vedermi debole, stanca o distrutta; era una cosa chiamata orgoglio, e aveva sempre la meglio – la maggior parte delle volte - .
« Non lo so. Ma mi piacerebbe avere una femmina, immagina mio padre con una piccoletta che gironzola per il castello… » Rise divertito all’idea.
« Mi piacerebbe conoscerlo, tuo padre. » Ammisi. Lui si rabbuiò all’istante, ma poi si sforzò di fare l’indifferente. Capii al volo quello che gli passava per la mente e così gli presi il viso fra le mani: « Ehi, Legolas, devi stare tranquillo ok? Io non ricordo nulla della mia vita passata, ma da quello che mi hanno detto ho avuto una specie di “flirt” con tuo padre. »
« Ti ha baciata, davanti a me », ringhiò lui stringendo i pugni.
« Primo: è stato più di sessant’anni fa. Secondo: io ho comunque scelto te, no? Cosa ti fa credere che non lo rifarei? » Parve rilassarsi un attimo, poi divenne serio.
« Perché… ora hai conosciuto un altro. » Sapevo che alludeva a Sauron, ma anche lui era troppo orgoglioso per ammettere che aveva paura che io scegliessi l’altro e non lui. « E anche se non è mio padre, è comunque una minaccia, per me. Senza contare che vuole distruggere la Terra si Mezzo. » Chiuse le palpebre e le riaprì. L’azzurro dei suoi occhi mi fece sciogliere, erano più chiari che mai. « Ma trovartene uno che sia una via di mezzo no, è? » Rise, tentando di alleviare la tensione.
« Lo sai che non sono brava a mettermi dei limiti », mi giustificai con un alzata di spalle. Poi, volendo cambiare argomento – non potevo starmene buona a parlare di Sauron con Legolas – mi misi ad aggiustare il colletto della sua casacca e mormorai: « Se il bambino fosse maschio… » L’elfo rimase in silenzio a guardarmi, attendendo la fine della frase. « Potremmo chiamarlo, si, insomma pensavo… potremmo chiamarlo Haldir? » Le mie guance si colorarono di rosso. Sentii gli occhi pizzicare leggermente al ricordo dell’amico che avevamo perduto perciò abbassai lo sguardo e fissai i miei piedi. Qualcosa sembrò battermi nel petto, ma non ci feci caso più di tanto. Non avevo più un cuore, e ormai il dolore al petto era frequente, perciò non mi preoccupavo molto di quei piccoli colpi; per non parlare del fatto che il mio custode non c’era più.
« Oh El… » Si abbassò per raggiungere la mia altezza. « Certo. » Mi accarezzò una guancia e senza accorgermene asciugò una lacrima. Quella era la prima lacrima che mi scendeva in sua presenza.
 « Spero che non abbia il mio carattere », scherzai, asciugando tutte le altre lacrime.
« Già, lo spero anche io. » Lo fulminai con un’occhiataccia e tentai di dargli uno schiaffo. Lui rise divertito facendo un salto indietro. Lo guardai scuotendo la testa e sorrisi. In quel momento non pensavo a nient’altro che noi due, e il nostro bambino.
E tutta andava bene.
 
 
 
 
« La collera di Sauron sarà terribile. La sua rappresaglia immediata. » Fermammo tutti i cavali su una collina, da cui si scorgeva Mordor. Grandi nubi di zolfo rosso e nero pitturavano quello che era stato il cielo una volta, fulmini e tuoni rimbombavano nella conca di pietra. Accarezzai il collo del mio cavallo e non fiatai. Un tuono più forte schioccò nell’aria. Mi domandai se Sauron sapesse cos’era accaduto. Se era venuto a sapere della morte del mio custode, e del fatto che fossi incinta. Mi domandava come l’aveva presa, come stava.
Lanciai un’occhiata all’elfo di fianco  a me, ma lui non se ne accorse. Gli occhi azzurri erano troppo concentrati su Mordor. Chissà cosa pensava?
« Ora che la battaglia per il Fosso di Helm è conclusa, la battaglia per la Terra di Mezzo sta per cominciare. » Gandalf aveva lo sguardo perso nel vuoto, e sembrava in una specie di trans. Scambiò uno sguardo con Aragorn e tornò al nero cupo di Mordor. « Le nostre speranze sono ora riposte nella mani di due piccoli hobbit. Sperduti nelle terre desolate. »
« Speriamo riescano nell’impresa. » Mi sfuggì un sospiro, che fece voltare tutti gli uomini verso di me. Aragorn sorrise leggermente, Gandalf non trattenne le labbra e le lasciò andare verso l’alto.
« Hai poca fiducia nei nostri amici, ragazza », affermò il mago, negli occhi una scintilla divertita.
« Non è quello, Gandalf. Ho fiducia in Frodo e Sam; i loro cuori sono forti. » Gli rivolsi un’occhiata diretta. « E’ di voi che non mi fido. Gli uomini sono esseri mutevoli. Non si sa mai che vi passa per la testa. » Alzai il mento in alto per poi voltare il cavallo.
« Perché “voi” e non “noi”?  Anche tu fai parte della congrega. » Chiese Gimli.
« Si. Ma io sono donna, e sono più intelligente! » Spronai il cavallo in una corsa sfrenata, seguita da tutti gli altri.
 
 
 
Ehy peipe.
 
Questo è l’ultimo capitolo T.T Pensavo che c’è ne fosse qualcun altro, ma mi sono dimenticata che il film finisce con Frodo e Sam, e mi sono fregata da sola. Anyway, che ne pensate? Mi rendo conto che è orrendo, e mi scuso XD.
Comunque sia un grazie a tutte quelle che hanno seguito questa ff, e resteranno anche per la prossima che inizierò tra qualche giorno e chiamerò “ You must go. ‘Cause it’s time to chose”.


P.s: ancora grazie. Voi non sapete cosa significhi per me che la mia ff vi piaccia. La scrittura è un modo di sfogo per me, che faccio fatica ad essere apprezzata ( non perché non ho una bella famiglia -la mia famiglia è perfetta, per me -) perché mi piacciono cose diverse da quelle dei ragazzi di "adesso". Mi rendete davvero felice. 
Grazie.

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Mucho love


Likeapanda.

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