Ritorno al Paese di Cuori

di Lady Cheshire
(/viewuser.php?uid=168771)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** IL Bianconiglio ***
Capitolo 2: *** Lo Stregatto e L'Orologiaio ***
Capitolo 3: *** La Regina e il Cappellaio ***



Capitolo 1
*** IL Bianconiglio ***


 
A Ruckia_chan,
    Senza di lei non avrei mai pubblicato questa storia
Il Bianconiglio
 
Una ragazza normale. Ecco cosa pensava di essere Seira Liddell prima di quella sera in cui tutto era cambiato. Era stata una giornata tremendamente pesante, sia a casa sia fuori. Era il giorno dell’anniversario della morte di sua madre e quindi aveva fatto visita alla sua tomba, dove aveva incontrato una donna. Una bellissima donna, con un abito tutto merlettato e una mantellina, lunghi boccoli castani lasciati sciolti sulle spalle.
  «Sei tu Seira Liddell?» aveva domandato con voce gentile, dopo aver posato dei fiori sulla tomba di sua madre.
«Si, sono io, desidera qualcosa?» aveva domandato cortese.
  «Solo curiosità. Volevo conoscerti e porti qualche domanda… Anche se in realtà ci siamo già viste, ti ricordi?» le aveva chiesto, avvicinandosi a lei.
«Veramente no» aveva risposto sincera, mentre si chinava a ripulire la lapide, lucidando la foto sorridente della donna nella foto. Somigliava molto a sua mamma, gli stessi occhi color cielo. Le orecchie piene di orecchini strani, con catenelle e brillantini. I capelli corvini tenuti corti fino alle spalle, con un taglio asimmetrico e decorati da ciocche rosa acceso insieme al naso affilato e dritto e le labbra sottili però dovevano essere la somiglianza col padre che non aveva mai conosciuto, visto che lei, decisamente, non somigliava a quello che, legalmente, era suo padre. Infatti portava il cognome della madre.
  «Ma si, ci siamo incontrate al funerale di tua madre» ora che ci pensava, ricordava quel viso, incorniciato da una cuffia nera, triste e cupo, con gli occhi celesti velati di lacrime.
«Ah, già. Eravate amiche?» aveva chiesto Seira innocentemente, mentre riportava bene in vista il nome di sua madre. Elizabeth Liddell
  «Amiche? Oh, no, eravamo sorelle» aveva detto semplicemente, scioccando la ragazza
«Come sorelle? Mamma non me lo aveva mai detto! Tu sei mia zia?» aveva chiesto, rialzandosi di scatto, gli occhi sbarrati dallo stupore
   «Ci sono tante cose che tua madre non ti ha detto, come ad esempio chi fosse tuo padre, o della mia esistenza, o anche solo il suo vero nome» aveva detto la donna, posandole le mani sulle spalle «Il suo vero nome era… Alice. Alice Liddell»
«Alice… Ma perché? Perché mentirmi? Su mio padre, su di te, sul suo nome, su tutto!» era sconvolta, urlava in preda al nervoso, mentre la donna la guardava addolorata.
  «Questo non so dirtelo mia cara, posso solo dirti che nemmeno io conosco l’identità di tuo padre. So solamente che un giorno tua madre venne da me e mi disse di essere incinta, non appena gli chiesi chi fosse il padre mi rispose di non parlare assolutamente di lui, diceva: “lo amo moltissimo, ma devo andare avanti, non posso restare con lui, ho bisogno di una vita reale, non posso dirti altro” e io non le ho mai chiesto di più. Mi spiace piccola, ma sapevo che ti avrei trovata qui, e ora sei abbastanza grande per sapere la verità» aveva concluso la donna, abbassando lo sguardo.
«Scusa zia, ma ho bisogno di stare sola» aveva detto la ragazza, assaggiando quella parola nuova e sconosciuta, mentre si voltava per uscire dal cimitero, gli occhi persi nel vuoto. Ma una mano gentile le aveva bloccato il polso
  «Seira, so che sei sconvolta, lo capisco. Perciò ti prego, non fare nulla di avventato, o di stupido, te ne prego. Se vuoi, puoi venire a vivere con me e mio marito, non ci sarebbe nessun problema» aveva azzardato, mentre la giovane si divincolava dalla presa
«Non sarebbe il mio posto, non riuscirei a vivere con te dopo queste rivelazioni, ma prometto di pensarci, se ti fa stare tranquilla» aveva risposto atona, mentre continuava a camminare a testa bassa. Aveva iniziato a camminare senza meta, a testa bassa. Aveva realizzato in pochi secondi che la sua vita era basata su bugie, ma questo la portava a porsi molte domande. Chi era veramente sua madre? E suo padre? Dov’era stata prima di tornare dalla sorella incinta di lei? Era causa di suo padre se lei era strana, diversa? Se ha sempre preferito imparare a sparare con le pistole anziché imparare a suonare il piano? Se era sempre guardata male perché le piaceva vestirsi in modo strano, se si sentiva sempre fuori luogo? Aveva iniziato a piovere, e lei non se ne era nemmeno accorta, fortunatamente era a due passi dal portico di casa. Come al solito ne suo padre, ne sua sorella erano a casa, c’era solo lei, con la sua chitarra a strimpellare note soprappensiero continuando ad arrovellarsi il cervello, cercando di mettere in ordine le idee. Poi la voce di sua sorella l’aveva distratta, ma non era sola.
Kate era la sua migliore amica, l’unica che avesse mai avuto, e quando sua madre e il padre di Kate si erano innamorati, era stata ben felice di questo. Ma la voce che era con lei la conosceva, e bene anche.
-Non è possibile…- eppure era proprio così, Kate stava sotto il portico assieme a lui, il suo insegnante di chitarra, il primo ragazzo che le fosse mai piaciuto sul serio era ora sotto al portico di casa loro, mentre copriva Kate con la sua giacca e le baciava la fronte. E lei gli si era dichiarata solo due giorni prima. Aveva potuto chiaramente sentire il suo cuore incrinarsi e rompersi nell’esatto istante in cui le labbra di Kate avevano toccato quelle di lui, in quel mentre Seira, ancora con la chitarra sulle spalle, aveva spalancato la porta, cogliendoli di sorpresa.
   «Seira…» aveva detto solo Kate, mentre lui la guardava in colpa
«Mi hai tradito… Tu lo sapevi» aveva esclamato Seira
   «Non ti ho tradito, è successo e basta» aveva azzardato lei
«Eri l’unica che fosse rimasta dalla mia parte. Tuo padre non mi ha mai accettato, mia madre è morta, mio padre non so dove sia… E ora mi avete lasciato pure voi due… Vi auguro ogni bene» aveva esclamato acida, mentre correva via sotto la pioggia, a testa bassa, incurante di dove stesse andando o se andasse a colpire altre persone. Si era ritrovata in un prato, probabilmente un giardino privato, e si era rifugiata sotto un albero, a piangere. Poi si era addormentata, stanca e bagnata.
Tick Tock…. Tick Tock…
Il ticchettio di un orologio l’aveva svegliata. Sentiva ancora il rumore della pioggia battente, e a quell’insolito rumore Seira aveva aperto lentamente gli occhi, trovandosi davanti un coniglio bianco, che guardava concentrato un orologio da taschino, appuntato ad un gilet scozzese, e con un paio di occhiali buffi e rotondi sul naso.
 «Cavolo, ci mancava la pioggia! Devo assolutamente trovarla prima dell’incontro con sua Maestà, o farò tardi» aveva detto il coniglio, con tono seccato
«Scusa, cerchi qualcuno?» aveva domandato al coniglio -Sto decisamente sognando! Sto parlando ad un coniglio con panciotto- aveva pensato Seira, stropicciandosi gli occhi. L’animaletto si era, infine, voltato verso di lei, e il musetto gli si era illuminato.
 «Ti ho trovato, finalmente ti ho trovato!» aveva esultato contento, mentre le saltava in grembo, abbracciandola con le zampette pelose.
«Cercavi me? O ma che lo chiedo a fare? Come può un coniglio a parlare? Che c’è ti sei perso?» aveva domandato, osservando la bestiola che continuava ad abbracciarla.
 «Si, e non vedevo l’ora di trovarti!» aveva risposto lui energico
«Certo, wow un coniglio parlante mi cercava, che mera…» non aveva fatto in tempo a finire che era stata investita da una luce abbacinante e aveva sentito il coniglio farsi più pesante sulle sue ginocchia. Al suo posto la stava abbracciando un ragazzo, con la giacca in tartan, i capelli bianco latte e lunghe orecchie da coniglio sulla testa.
«Ma cosa? E tu chi sei?» aveva gridato Seira, cercando di divincolarsi dal ragazzo che ancora le cingeva la vita con le braccia, e la guardava dal basso, mostrando due occhi rosso sangue dietro agli occhiali tondi.
 «Non fare domande irrilevanti come queste… Ora tu devi venire con me» aveva decretato, alzandosi in piedi e porgendole la mano.
«Certo, e magari ti aspetti pure che ti segua. Sei un coniglio! E per altro frutto della mia fantasia, perché mai dovrei seguirti?» aveva chiesto, alzandosi a sua volta.
 «Sai, parli esattamente come una persona che conoscevo tanti anni fa, anche lei credeva che fosse tutto un sogno… Che cosa sciocca, non trovi?» aveva chiesto sorridendo, mentre le si faceva più vicino e le posava le mani sui fianchi.
«Ehi, che cosa stai facendo?!» aveva chiesto, mentre lui se la caricava in spalla e iniziava a correre, lei intanto continuava ad agitarsi
 «Stai ferma, insomma, non devi essere così recalcitrante, ti porto in un bel posto»
«Ma io non voglio andare da nessuna parte! Lasciami!» continuava ad urlare lei, mentre il ragazzo saltava dentro ad un buco. Al che la ragazza aveva strizzato gli occhi e si era domandata se la chitarra avrebbe attutito la caduta. Ma si era semplicemente trovata seduta su un pavimento a scacchi e il ragazzo con le orecchie da coniglio in piedi davanti a lei che, nuovamente, le tendeva la mano. Giselle aveva afferrato la mano guantata e si era sollevata.
«Si può sapere che diamine ti è preso?! Dove sono? Volevi forse uccidermi?!» aveva domandato isterica
 «Non potrei mai cercare di ucciderti Seira» aveva risposto allegro
«Come fai a sapere come mi chiamo?»
 «Semplicemente perché ti amo, so tutto di te» aveva detto lui, come se fosse una cosa normalissima, mentre la ragazza rischiava di nuovo di cadere. Lui l’aveva prontamente sorretta avvolgendole la vita con le braccia «Ah comunque mi chiamo Peter. Peter White» aveva detto sorridente, mentre prendeva una boccetta di cristallo dalla tasca «E stavolta non ti lascerò andare via così facilmente» aveva detto prima di farle bere il contenuto della boccetta, versandoglielo tra le labbra e baciandola, per impedire che la sputasse. Dopo poco aveva perduto i sensi, mentre delle parole le ronzavano in testa:
Ogni gioco ha le sue regole, lo sapevi?
 
Minori: Salve a tutti, sono Minori. Questa è la prima volta che scrivo su questo fandom, quindi spero di non aver fatto qualche disastro. questo è il primo capitolo della mia storia, grazie alla mia amica ho trovato il coraggio di pubblicarlo, infatti le dedico la storia, in tutto e per tutto. Però sono insicura, quindi se il mio capitolo riceverà almeno due recensioni, pubblicherò il seguito. Grazie per l'attenzione.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Lo Stregatto e L'Orologiaio ***


Lo Stregatto e L'Orologiaio

Si era risvegliata piano, intorpidita, seduta ai piedi di un albero ma c’era qualcosa che non andava, c’era qualcosa di diverso nel paesaggio intorno a lei. Non indossava più nemmeno i suoi vestiti, adesso indossava un abito con un non so che di fiabesco. Nonostante il colore predominante fosse il nero, rallegrato da linee rosa acceso che creavano un effetto tartan elegante, la gonna gonfia e il grembiule di pizzo, uniti alle lunghe calze a righe, le conferivano un’aria personaggio di un racconto per bambini. Era confusa e stralunata… Dove si trovava? Perché era li? E soprattutto:
«Dov’è quel dannato coniglio?! Quando lo vedo ne faccio una pelliccia, lo giuro!» esclamò furente la ragazza, mentre controllava che la sua chitarra fosse intatta e riscontrando, con enorme sollievo, che lo strumento non aveva riportato danni. Dando un’ occhiata in giro, appurò che quello non era decisamente il giardino dove si trovava fino a poco tempo prima, anzi, quello doveva essere decisamente un bosco. E trattandosi di un bosco, decise di fare la cosa più ovvia che le venne in mente: Seguire il sentiero!
«Deve pur portare da qualche parte» disse tra se, mentre cominciava a camminare. Il silenzio attorno a lei pareva irreale, quasi inquietante, al che quando la ragazza sentì un fruscio sopra alla sua testa, scattò come una molla per poi darsi della sciocca –Non c’è nulla di cui avere paura… non c’è nessuno qui, è solo un lugubre, vasto bosco silenzioso…-
 «Ehi, ti sei persa?» chiese una voce all’ improvviso, facendo voltare la ragazza di scatto. Seira si ritrovò così faccia a faccia con uno strano individuo, con i capelli rosa, orecchie da gatto viola piene di orecchini e gli occhi gialli e profondo che la fissavano curiosi… a testa in giù mentre penzolava dall’albero
«No… so esattamente dove sto andando» rispose fiera la ragazza che, in realtà, do dove stesse andando, non aveva la più pallida idea.
 «Ah si? E dimmi, dove saresti diretta?» domandò ancora il ragazzo, sdraiandosi comodamente sul ramo dell’albero, con il precario equilibrio e agitando la coda. Il viso decorato da un sorriso ironico e gli occhi divertiti di chi sa di avere ragione.
«In città» rispose lei laconica, pensando ovviamente che, alla fine del sentiero, ci dovesse essere una città, o comunque delle case «E comunque chi sei tu? Perché tutte queste domande?»
 «Mera curiosità, è difficile trovare qualcosa di veramente interessante qui… Io sono il Gatto del Cheshire» disse il ragazzo saltando giù dall’albero.
«Gatto del Cheshire?»
 «Esatto, ma tu puoi chiamarmi Boris e… il tuo nome?» domandò lui con un sorriso. Vedendolo più da vicino la ragazza si accorse che aveva del trucco sotto gli occhi e un tatuaggio sul ventre.
«Io sono Seira. Mi stai annusando?» chiese Seira, notando che effettivamente il ragazzo stava saggiando l’aria attorno a lei.
 «Ma tu sei una Straniera!» esclamò lui, ignorando la domanda della ragazza, aprendosi in un sorriso e muovendo le orecchie sul capo.
«Una che?»
 «Una Straniera, significa che non sei di questo mondo… Ѐ così?»
«Beh, penso di si» aveva risposto lei titubante
«Allora so esattamente dove portarti, seguimi… tanto ti sei persa no?» disse il ragazzo, iniziando a camminare. La ragazza decise di seguirlo in silenzio, evitando eventuali guai o peggio di essere rapita, di nuovo. Il ragazzo, Boris, l’aveva condotta fino ad una grande piazza, al cui centro svettava un’enorme torre di pietra grigia.
 «Questa, mia cara Straniera, è la Torre dell’Orologio, ed è il centro del nostro paese. Entra, e chiama Julius, sicuramente scenderà dai piani alti e saprà spiegarti ogni cosa…» disse il ragazzo con voce morbida «Non spaventarti se ti sembrerà scontroso, è innocuo. Ora vado, se hai bisogno di me, mi trovi al Parco Giochi» concluse poi, mettendole il braccio sinistro attorno alle spalle, indicando con la mano una strada che puntava verso Est, per poi dirigervisi, salutandola con un cenno della mano.
Seira si era quindi diretta verso la porta della Torre, incrociando persone senza volto che, però, non mostravano alcuna difficoltà a muoversi o ad orientarsi.
-Che strano posto…- pensò la ragazza, mentre varcava il portone di legno.
«C’è nessuno? Julius?» domandò titubante, ma comunque ad alta voce nella speranza che qualcuno la sentisse. Dall’alto, nella sua stanza, Julius Monray stava, come al solito, chino sul tavolo da lavoro, intento ad aggiustare uno dei tanti orologi che gli venivano portati giorno dopo giorno, con quell’attenzione maniacale che solo lui sapeva dimostrare, aveva sentito chiaramente, quella voce femminile che lo aveva chiamato.
  «Non è possibile…» affermò tra se, cominciando a scendere le scale sempre più velocemente e rimanendo allibito, davanti alla ragazzina dagli occhi azzurro cielo. Anche lei era rimasta perplessa, davanti all’uomo dai lunghi capelli color notte.
«Ehm.. sei Julius?» domandò di nuovo la ragazza.
  «Si, sono io, di cosa hai bisogno?» rispose il giovane, sistemandosi gli occhiali da lavoro sul naso.
«Credo.. Forse.. Oh, non lo so! Boris mi ha detto di venire qui perché mi avresti spiegato che succede e io l’ho fatto!» aveva esclamato Seira esasperata
  «Boris? Conosci lo Stregatto?» domandò l’uomo
«Si, mi ha detto di cercare te, e mi ha chiama… Estranea? No, non era così…»
  «Straniera?» l’aveva interrotta lui, bruscamente
«Proprio così»
  «Seguimi» aveva esclamato lui secco, facendole strada su per le scale. Ad un certo punto si era bloccato, fermato da un rumore insolito, e facendo scontrare Seira con la schiena dell’uomo.
«Ehi, ma che ti prende? Perché ti sei fermato?» domandò lei stizzita, mentre Julius la fissava in silenzio. Aveva sentito un rumore diverso da quello da cui era abituato a sentire, da quello che aveva sentito solo una volta ma che non avrebbe mai dimenticato. Quasi senza pensare, aveva posato la mano sul petto della ragazza, proprio all’altezza del cuore, per avere conferma.
Tu-Tum Tick Tu-Tum Tack
Un battito alternato ad un ticchettio, un cuore e un orologio… Quel suono lasciava non poco perplesso il giovane orologiaio.
«Ehm… potresti?»  chiese la ragazza, rossa di imbarazzo, alludendo alla mano di Julius
  «Ah, certo, scusami» rispose lui, riprendendo a salire, nascondendo l’imbarazzo.
La stanza di Julius non era cambiata negli anni, sempre asettica e vuota, con la scrivania piena di ingranaggi  da montare e le pareti spoglie. L’aveva fatta accomodare al tavolo e le aveva portato una tazza di caffè, per poi iniziare a parlare.
  «Gli Stranieri sono coloro che non fanno parte del nostro mondo , che vengono al di fuori del nostro paese… come te. Sono persone che vengono coinvolte nel nostro gioco, seguendo i personaggi e scoprendone i ruoli. Persone del genere sono molto rare, non capita spesso che qualcuno cada nel Gioco, quindi dati soggetti sono mira di attenzione da parte dei funzionari che ricoprono i vari ruoli del gioco» le spiegò Julius con calma.
«Va bene, e come si riconoscono funzionari e non?»
  «I funzionari hanno un volto. Tratti somatici che li differenziano e una personalità propria. Sicuramente in piazza avrai incontrato persona senza volto» aveva affermato lui, mentre annuiva attenta «Loro sono personaggi secondari, comparse, senza apparente utilità ai fini del gioco, capito?»
«Si, e io come faccio ad uscire da questo… Gioco?» domandò lei, bevendo un po’ di caffè.
  «Semplicemente non puoi» le rispose calmo, facendole quasi sputare la bevanda
«Come non posso?! Io devo rimanere bloccata qui per sempre?»
  «Dovrai rimanere qua fino a quando la boccetta che hai in tasca non sarà di nuovo piena, solo allora potrai uscire e tornare a casa tua. E prima che tu me lo chieda, per riempirla devi interagire coi vari personaggi, stringendo legami con loro, ma bada bene a prestare attenzione a come ti relazioni con loro, perché potresti scatenare reazioni piuttosto… intense ecco» concluse lui, mentre Seira estraeva dalla tasca del grembiule una piccola boccetta di cristallo, ma come faceva a sapere che si trovava li? Ma aveva ragione, parlando con lui e con Boris, essa conteneva già un po’ di liquido rosa.
«Non ho alternative?»
  «Nessuna, e ora vieni con me» la intimò Julius, dirigendosi nuovamente verso le scale, scortandola fino in cima. Da li si poteva vedere tutto il paese e Seira preferì non domandarsi a che altezza si trovassero, mentre l’uomo aveva puntato il dito verso Est «Quello è il Parco Giochi, dimora dello Stregatto, il ragazzi che hai conosciuto questa mattina da quanto ho capito. Quella invece è la Villa del Cappellaio» aggiunse indicando una grande villa a Nord della Torre «Non è esattamente un posto raccomandabile, è la residenza della Famiglia del Cappellaio, il clan mafioso del nostro paese, sono dei poco di buono, fai attenzione. Quello invece è il Castello di Cuori, dimora della Regina di Cuori. Sua Maestà la regina è una donna  irascibile e sanguinaria, tuttavia con un estremo interesse per gli stranieri. Detesta di uomini, quindi non dovresti avere difficoltà ad entrare nelle sue grazie. Li dimora anche il tizio che, con ogni probabilità, ti ha condotta qui. Sir Peter White, il Bianconiglio, primo ministro della Regina» concluse poi con tono ironico, indicando il Castello rosa, non lontano dalla Villa.
«Quindi concludendo: Parco Giochi, mafia, regina squilibrata. Ho capito!» esclamò Seira, indicando i vari luoghi
  «Si, un po’ alla larga ma ci siamo. Ti consiglio di andare al Castello, proprio oggi dovrebbe tenersi un incontro tra il Clan del Cappellaio e la Regina» disse Julius, mentre scendevano le scale e si fermavano davanti alla stanza del ragazzo. Subito la ragazza prese a correre giù per le scale, salutandolo di sfuggita, per poi ritornare sui suoi passi.
«Comunque io sono Seira, è stato un piacere Julius e grazie ancora» lo ringraziò con un sorriso, per poi correre fuori, attraversare la piazza e dirigersi verso il castello della Regina. Obbiettivo? Semplice, mettere fine alla vita di quel roditore che l’aveva trascinata in quel luogo fuori da ogni logica!

Minori: Mi scuso per l'enorme ritardo, ma ho avuto problemi di varia origine, che mi hanno impedito di pubblicare, ma mi ha consolato molto vedere quel numero 5 nelle recensioni. Credetemi mi ha reso felicissima, anche perchè non avrei mai pensato che questa storia sarebbe potuta piacere a qualcuno. Vi ringrazio ancora, e prometto di essere più costante con questa storia, sperando che continui a riscuotere successo :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** La Regina e il Cappellaio ***


La Regina e Il Cappellaio
Camminava a passo svelto e deciso, seguendo il sentiero che aveva visto dalla cima della torre e che era certa portasse al Castello di Cuori. Infatti dopo una lunga camminata, si era ritrovata davanti ad un enorme giardino, composto interamente da alte siepi… Un labirinto. Un intricato intrecciarsi di siepi che dalla torre non aveva, stranamente, notato.
-Benissimo, che meraviglia, ci mancava solo questa- pensò seccata tra se e se, sistemandosi la custodia in spalla, se l’era portata dietro per tutto quel tempo, la faceva sentire più tranquilla, le faceva ricordare che esisteva una realtà contingente, al di la di quel mondo strano in cui era stata catapultata. Aveva iniziato a camminare, cercando di trovare la fine di quel dedalo di siepi, ma nemmeno a dirlo dopo dieci minuti si era persa e si doveva anche essere fatto tardi, poiché il cielo aveva iniziato a tingersi di arancio e le nuvole di un tenue rosa pastello.
«Ma chi mai vorrebbe un giardino del genere?! Altro che siepi, questo è una trappola mortale!» esclamò esasperata Seira e, mentre finiva di parlare, un frusciare tra le siepi l’aveva fatta sobbalzare. Ad uscire dal verde, un ragazzo dall’aria bonaria e indossava una divisa rossa sgualcita e strappata sul fondo, in testa una zazzera spettinata di capelli castani.
  «Allora avevo sentito bene, c’è qualcuno qui oltre a me!» esclamò lui contento
«Si, e non vedo cosa ci trovi di divertente. Tu sai dove siamo?» chiese Seira nervosa
  «Siamo al Castello di Cuori» rispose lui semplicemente
«Intendevo in che posizione del labirinto ci trovia… lasciamo perdere! Senti io devo incontrare Peter, saresti così gentile da dirmi da che direzione prendere?» chiese esasperata la ragazza
  «Peter? Oh, so esattamente da che parte andare allora! Seguimi!» decise il ragazzo, afferrandole il polso e iniziando a correre, intraprendendo strade a casaccio, senza un’apparente motivazione o senza una logica… difatti si ritrovarono, in breve tempo, con il fiato corto e ancora più dispersi di prima
«Ma si può sapere dove siamo finiti?!» urlò lei, aggredendo il ragazzo seduto a terra
  «Beh, diciamo che ho qualche problema ad orientarmi» ammise il giovane in imbarazzo grattandosi la nuca
«Qualche? E adesso come faccio ad uscire da li?» si domandò lei, cominciando già a visionare la sua vita, da li in avanti, chiusa in quel labirinto, con la boccetta di cristallo che continuava a restare, tragicamente vuota «Ehi ma questo… è profumo di rose…» disse ad un certo punto lei, annusando l’aria
  «Si, proviene dal roseto della Regina, deve essere vicino» concordò il giovane, alzandosi in piedi
«E allora che aspettiamo? Mi fido più del mio naso che del tuo senso dell’orientamento» disse acida la giovane, iniziando a seguire l’aroma intenso delle rose e infine, dopo che il ragazzo ebbe più volte sbagliato tentato di sbagliare strada, arrivarono ad un immenso roseto, dove un grande tavolo era apparecchiato con un elegante servizio da te e una donna sedeva tranquilla.
Indossava uno splendido abito, di un rosso intenso come le rose che decoravano il tavolo, mentre i ricci scuri le incorniciavano il viso dai tratti palesemente regali. Dietro di lei Peter White controllava una pila di fogli
   «Sei di nuovo in ritardi Ace…» disse Peter glaciale, senza nemmeno alzare lo sguardo dai fogli
  «Ma avevo una buona ragione, la signorina si era persa» si giustificò il ragazzo, sospingendo Seira leggermente in avanti. Non appena Peter la vide, il suo viso s’illuminò di un sorriso.
   «Sapevo che saresti venuta a trovarmi!» esclamò gioioso, correndole incontro. Ma Seira aveva buoni riflessi, per cui lo aveva intercettato con un sonoro ceffone
«Questo è per avermi rapita…» sibilò furente la ragazza, per poi assestargli un calcio nello stinco «Questo è per avermi baciato per farmi bere una pozione contro la mia volontà! E questo» aggiunse mentre le tirava forte le lunghe orecchie bianche «E’ per avermi abbandonata in un posto a me sconosciuto!» urlo infine, mentre il ragazzo si lasciava cadere a terra dolorante, ma sorridente
   «Ah, anche la violenza è un modo per prestare attenzione» esclamò felice Peter, mentre Seria si allontanava da quello che, ormai, aveva etichettato come maniaco, andandosi a scontrare contro il ragazzo castano.
  «Ahahah, certo che sei proprio strano White… comunque molto piacere, mi chiamo Ace e sono il Cavaliere di Cuori» si presentò il ragazzo, chinandosi davanti a Seira e sfiorandole il dorso della mano con le labbra, ma subito uno sparo lo fece indietreggiare
   «Non la toccare…» sibilò minaccioso Peter, una pistola ancora fumante tra le mani
  «E se io non mi andasse, Sir White?» domandò strafottente il Cavaliere, sfoderando la spada al suo fianco. Dal canto suo Seira era impotente, cosa poteva fare contro due ragazzi armati intenzionati a farsi fuori, e per giunta decisamente più grossi di lei? Un educato battere di mani li aveva riportati all’ordine, difatti la donna che era la Regina di Cuori si era alzata in piedi e aveva richiamato all’ordine i due combattenti, richiamandoli con un semplice gesto
 «Datevi una calmata!» li rimproverò con tono che non ammetteva repliche «Molto piacere mia cara, io sono Vivaldi, la Regina di Cuori. Qual è il tuo nome?» domandò la regina, prendendo tra le mani quelle della ragazza, guardandola dritta nelle iridi celesti che, combinate ai tratti somatici, le ricordavano qualcuno, anche se non sapeva dire chi con precisione.
«Seira, mi chiamo Seira, Maestà» rispose la ragazza in tono formale. Quella donna emanava regalità e potere, come un’aura intorno a lei, che sembrava saturare l’aria, e ciò la faceva sentire molto in imbarazzo.
  «Non essere così formale mia cara, chiamami semplicemente Vivaldi. Devo dedurre che tu sia una straniera, visto lo scompiglio che il tuo arrivo ha creato»
«Esatto, sono stata mandata qui dall’Orologiaio per iniziare il gioco» disse la ragazza, stringendo la cinghia della custodia.
  «Ahhh, non serve mentire Seira so che sei venuta qui per me» esclamò convinto Peter, abbracciandola da dietro
«L’unico motivo per cui ti ho cercato era per farti pagare quello che mi hai fatto » replicò glaciale la ragazza, staccandosi bruscamente da lui e facendo ridere Ace e Vivaldi.
 «Fai bene a comportarti così mia cara, gli uomini devono essere sfruttati per i proprio scopi, nulla di più. Ma non stiamo qui in piedi, accomodati, purtroppo oggi ho degli impegni di lavoro, ma se non ti secca partecipare, gradirei molto la tua compagnia. In fondo, dovresti comunque conoscere queste persone» disse Vivaldi mentre si sedeva al tavolo con l’eleganza che solo una regina può avere e invitando Seira a fare lo stesso.
«Anche mia madre me lo ha detto, lei mi ricorda molto un’amica di cui mi parlava quando ero bambina» disse lei, mentre si accomodava e Peter le riempiva la tazzina di te con un largo sorriso. Era vero, Vivaldi ricordava a Seira una delle persone di cui sua madre le parlava, una delle tante conosciute nei suoi viaggi misteriosi di quando era ragazza. Dal canto suo la Regina aveva discretamente nascosto lo stupore dietro la tazzina.
    «Spero di non aver interrotto nulla di importante, Vivaldi» disse una voce strafottente all’ingresso del giardino
 «Nulla di trascendentale, anche se continuo a non comprendere il motivo della tua presenza qui» rispose con calma Vivaldi
    «Continuo a confidare nel tuo buonsenso, mia Regina. Dovresti cedermi delle terre, troppe preoccupazioni vi faranno venire le rughe… e pensare che le donne della tua età dovrebbero essere sagge» disse l’uomo con supponenza, portandosi alle spalle di Seira, che aveva deciso si rimanere ferma e vedere cosa sarebbe accaduto da li a poco «E questa chi è Vivaldi? Una senza volto che tieni per compagnia? Sei disperata fino a questo punto?» domandò l’uomo, con una pesante ironia nella voce, mentre Seira di voltava per guardarlo negli occhi.
Era rimasta un momento perplessa nel vedere quell’uomo, alto e affascinante, con i capelli corvini lunghi fino alle spalle, con un elegante abito bianco e un cilindro in testa. Seira lo aveva guardato attentamente, con la ferma convinzione di averlo già visto da qualche parte. Anche Blood, dal canto suo, era rimasto stupito, quando il suo sguardo aveva incrociato un paio di occhi azzurri come un cielo senza nuvole.
 «Nulla del genere, lei è una straniera Blood» disse Vivaldi, lasciando che la cosa si commentasse da sola
    «Interessante…» commentò l’uomo semplicemente «Io sono Blood Dupre, il Cappellaio» si presentò l’uomo, togliendosi il cappello, e facendo una riverenza elegante davanti a Seira.
«Ehi, tu sei il boss!» esclamò la ragazza saltando in piedi, facendo sorridere l’interessato
    «Si, molto alla larga ma sono io. E loro sono la mia… Squadra? Chiamala come ti pare» disse lui con noncuranza, indicando due bambini gemelli, armati di grandi asce, e un alto ragazzo con lunghe orecchie.
     «Noi siamo i Bloody Twins, Tweedle Dee Tweedle Dum, molto piacere sorellona» si presentarono i due, avvicinandosi a Seira con le asce, ma immediatamente fermati dal ragazzo che era insieme al Cappellaio.
      «Quante volte vi ho detto di non agitare quelle due cose come se nulla fosse?!» li rimproverò il ragazzo «A volte si dimenticano di avere in mano delle armi… Io sono Elliot March, molto pia… Ehi, cosa stai guardando?» domandò scettico Elliot, guardando Seira che osservava incantata le orecchie del ragazzo, che spuntavano dai capelli mossi e dorati.
«Scusa, non è che potresti abbassarti un po’?» domandò la ragazza, mentre lui si chinava un poco. Subito la mano di Seira era corsa alla base di una delle orecchie, e aveva iniziato ad accarezzarla, facendo avvampare Elliot e facendo ridere i presenti.
«Perdonami, ma dovevo farlo… adoro le orecchie delle lepri! Sono così soffici!» esclamò la giovane, continuando a sfiorare la pelliccia color nocciola.
  «Seira, come puoi farmi questo?!» urlò Peter indignato, avvicinandosi alla ragazza «Anche io ho lunghe orecchie, eppure mi odi» supplicò, tirandosi le orecchie lungo il viso con le mani
«Certo che ti odio, mi hai trascinato qui contro la mia volontà… e poi i conigli non mi piacciono! Sono snob» disse glaciale la ragazza, trasformando con le sue parole, il Bianconiglio, in un statua di granito.
      «Ehi, potresti piantarla?!» domandò stizzito Elliot, spostandole bruscamente la mano, lasciandola sorpresa
«Scusami, non era mia intenzione darti così fastidio…» disse lei, allontanandosi dal ragazzo.
      «Eh, no aspetta…» tentò nuovamente il biondo, ma venne interrotto da Peter
  «Visto Seira, non avvicinarti a questa gentaglia» disse il Bianconiglio, circondando le spalle ella ragazza con il braccio.
«Non toccarmi» lo ammonì lei di rimando, scacciando la mano guantata di Peter con un gesto secco, gli occhi stretti a fessura, come due lame di ghiaccio, ma lui persisteva nel cercare di stringerla a se.
  «Seira, perché non mi vuoi ascoltare?» domandò ancora lui, ma si fermò quando vide il fucile di Blood puntato verso di lui
    «Non l’hai sentita? Lasciala andare» intimò il giovane boss
  «E tu chi saresti per darmi ordini? Questa è una nuova partita Blood, non vanti nessun potere su di lei» lo schernì il ragazzo.
Risultato di quella beffa? Era scoppiata una sparatoria all’ultimo colpo tra Blood e Peter, mentre Ace teneva lontano Elliot… i gemelli si erano rintanati in un angolo in mancanza di avversari, mentre Vivaldi, seduta proprio in mezzo ai colpi di pistola, beveva il suo tè come se ciò che la circondava non la riguardasse
«ADESSO BASTA!» urlò la ragazza con tutto il fiato che aveva in corpo, facendo terminare all’istante il baccano causato dagli spari «Seira Liddell non appartiene a nessuno! Ficcatevelo in testa brutti idioti!» sputò infine lei, per agguantare la sua chitarra, salutare la Regina, e correre via, il più lontana possibile.
  «Non mi arrendo Cappellaio» disse Peter, ma Blood non lo ascoltava.. Quegli occhi, quel cognome, non c’erano più dubbi. Si voltò lentamente, gli occhi come due fessure, reso ancora più inquietante dall’espressione seria, senza il sorrisetto ironico che di solito lo accompagnava.
    «Che nessuno osi toccarla..» minacciò, per poi incamminarsi verso la Villa, mentre ripensava a quel paio d’occhi celesti che, dopo tanti anni, gli si erano ripresentati davanti più belli che mai…
-Alice…-

 
Lady CheshireBeh, cosa dire, mi scuso per il ritardo esorbitante, ma la scuola mi lascia a malapena il tempo di respirare, ma sono riuscita a lasciarvi il terzo capitolo, spero sia di vostro gradimento :) Ringrazio chi la inserito la mia storia tra una qualche categoria, chi ha recensito e chi legge e apprezza in silenzio, grazie a tutti, spero di poter aggiornare al più presto possibile :3

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2201043