Un mondo tanto particolare

di ness6_27
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Libero Arbitrio ***
Capitolo 3: *** Normalità Terrestre e Opere di Fantasia ***
Capitolo 4: *** Incomprensioni, (e) Cose Che Capitano ***
Capitolo 5: *** Morte e Attrazione ***
Capitolo 6: *** Amore (non) contraccambiato ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Io sono un’assassina. Niente potrà cambiare questo dato. O almeno credo. Io sono stata la assassina più temuta dell'universo, e penso di poter essere ancora definita tale. Vengo chiamata Oscurità d'Oro, perché io porto con me la lucerna dell'oscurità. O almeno, la portavo, prima che la stella di questo pianeta, che qui chiamano sole, me la spegnesse. Questa stella è piccola e poco lucente, ma la sua luminosità così miseramente debole ha aperto i meandri del mio animo, nei quali vagavo senza nemmeno averli mai visti.

Era un semplicemente un lavoro come un altro quello che mi portava qui, su questo pianeta definito da tutti primitivo. Ve l'ho detto, io sono un'assassina, sono un mercenario, mi chiedono di uccidere e io semplicemente rispondo di darmi più informazioni possibili sull'individuo e la mia paga. Paga molto salata, visto il nome che porto. Non m'interessa chi esso sia. Ho vissuto nella solitudine più totale fin da quando sono stata creata. Può darsi che chi mi ha dato la paga ieri, oggi sia ucciso dalla sottoscritta, solo perché un altro mandante mi ha ordinato di fare questo. Le persone mi parlano solo quando devo uccidergli qualcuno, sono indifferenti quando non hanno niente a che fare con me, e passano sulla difensiva, cioè combattono o scappano, se sanno che è venuta la loro ora. Per quanto possa servire mettersi sulla difensiva. Visti quali sono i rapporti degli altri nei miei confronti, ecco spiegato per quale motivo non m'interessa affatto delle sorti degli altri.

Come dicevo prima, era semplicemente un lavoro, un obiettivo da compiere, un obiettivo da eliminare. Eppure la visita di questo pianeta mi cambiò per sempre. Mi era stato dato l'ordine di eliminare un certo Yuki Rito, considerato un grande malvagio che aveva in mente di sposare la principessa Lala per conquistare la galassia. Conosco la famiglia imperiale di Deviluke, conosco la sua importanza e la sua grandezza, potevo solo immaginare cosa sarebbe successo se un tipo losco fosse divenuto re di Deviluke. Ero più che intenta a portare a termine il compito assegnatomi. Ma, arrivata sulla terra, incontrai un tipo debole, incapace e incompetente che avrei potuto uccidere mille volte se non fosse stato per la protezione della Principessa Lala. Questo fu il primo punto che mi fece riflettere. La terra è abitata da esseri infinitamente deboli, con delle conoscenze limitatissime, eppure non è mai stata conquistata da nessuno. Com'è possibile una cosa simile, se non supponendo che gli umani si basino sull'aiuto reciproco? Questa è una cosa straordinaria: in tutto il resto dell'universo cose simili avvengono solo all'interno di un nucleo familiare. Qui addirittura gli umani si aiutano anche se sconosciuti gli uni agli altri. E poi il caso di Rito: è stato difeso con le unghie e con i denti dalla principessa Lala, come se, per lei, lui fosse la cosa più importante di questo universo. Per quale motivo la principessa Lala ha agito così? Quel Rito è un essere così inutile. Eppure lei è così legata a lui. Riuscì addirittura a convincermi che Rito non fosse la persona che pensavo, che fosse una persona che desiderava ottenere il controllo dell'universo. A parte che non ci sarebbe mai riuscito, se ce l'avesse fatta non sarebbe riuscito a governare l'universo nemmeno mezzo secolo secondo me. Ma in ogni caso, mi hanno dato informazioni false su questo tizio solo perché lui era il favorito di Lala e qualche pervertito nell'universo era invidioso. Io odio i pervertiti. E Rito non è da meno.

 

Anche se non capisco cosa lo ha portato a farmi conoscere l'esistenza dei taiyaki. Li aveva appena comprati quando mi vide persa nei miei pensieri e me ne offrì uno. Era la cosa più buona che avevo mai mangiato in vita mia. Mi ricordava Tearju che cercava di farmi da mangiare cose buone, finendo per bruciare tutto. Perché collego il cibo offertomi da Rito a quello di Tearju? Perché lui si comportò così? La prima e unica volta che ci eravamo visti lo stavo per uccidere. E poi mi offrì questo cibo. Sapevo che non poteva uccidere avvelenandomi, i veleni terrestri non sono niente in confronto a quelli con cui ho avuto a che fare in questi anni. E inoltre lo avevo osservato mentre se li faceva preparare. Forse Rito avevo capito che non ero persa nei miei pensieri, ma che lo stavo osservando. O forse lui è solamente un'idiota e io sto pensando troppo. Non ne sono sicura. Non sono sicura più di niente da quella volta, da quando Rito mi ha offerto quel taiyaki.

 

Quel gesto mi sembrò così...inconsueto.

 

Da troppi anni non avevo relazioni con nessuno, al di fuori del lavoro. Nessuno mi donava niente dai tempi di Tearju. Forse questo mi ha stregato della terra. Forse questo mi ha spinto a restare qui. Quel pervertito è rimasto il mio obiettivo, ancora la sua ora è molto lontana. Prima voglio studiare da vicino questo pianeta con le sue tradizioni, i suoi modi, e tutte quelle cose che lo rendono un pianeta tanto particolare da colpirmi così. Rito sarà la mia giustificazione."


Commento dell'autore: questa fanfiction è venuta fuori in maniera del tutto spontanea(come, direi purtroppo, tutte le fanfiction che creo e puntualmente cestino) e non posso assicurare né la decenza di tale fanfiction ( xD ) né la sua continuità. Ho pronto il primo capitolo che metterò fra un po' di tempo, ma per la scrittura degli altri rimando tutto alla fine di luglio, a causa dei miei esami di stato. Spero di portare felicemente a termine questo "lavoro"(chiamiamolo così) oltre per mia soddisfazione personale, per la felicità di quegli eventuali lettori a cui piacerà questa fanfiction.

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Capitolo 2
*** Libero Arbitrio ***


"È un pianeta talmente primitivo. Il loro progresso è giunto ancora a quello che loro chiamano “particella di Dio”. Perché chiamarlo così? Ho scoperto cosa intendono loro per Dio. Un essere superiore che ha generato il tutto. Per quanto già questa concezione sia strana oltre che antiquata, ci sono anche diverse concezioni di Dio. Questi umani sono così creativi, ma anche complicati, per quale motivo devono creare tutti questi Dei? C'è chi non ci crede, c'è chi pensa che lui sia venuto tra gli umani per farli comportare secondo i suoi dettami. C'è chi dice che la figura umana di questo Dio sia stata però uccisa attraverso un metodo “doloroso”. Doloroso. Per provare tutta la quantità di dolore che ho provato io durante le mie missioni, dovrei essere crocefissa non so quante volte. Comunque, questo Dio ha lasciato i suoi dettami e il libero arbitrio per seguirli o meno. A me venne imposto di diventare l'arma che sono. Comunque il libero arbitrio forse è qualcosa di originale in questo mondo. Negli altri pianeti non è così. Gli extra-terrestri non andrebbero mai contro i dettami che gli sono stati imposti. Su quasi tutti i pianeti vi è un imperatore che detta tutto: i modi di vestire, cosa mangiare, come si ci deve comportare, chi deve lavorare e come distribuire il lavoro e le ricchezze. Invece qui sulla terra gli umani si sono divisi. C'è chi ha preferito stare in una monarchia, chi in una democrazia. In Giappone ancora c'è un imperatore, più o meno il centoventicinquesimo. E se a qualcuno qui non piace il paese di provenienza ha la possibilità di andarsene in un altro paese. È una cosa mai vista da nessun'altra parte. Questa è una cosa che ha reso particolare questo mondo. In questo i terresti sono molto più avanti. Per esempio, è per questo m'interesso molto alla letteratura terrestre: è molto complessa, vengono messi in luci vari aspetti di qualsiasi cosa. Ognuno di questi scrittori dice la sua su tutto quello che vuole, e lo fa nella sua maniera personale. È una libertà assoluta. Certo, questa libertà ha portato a degli aspetti negativi. È proprio la libertà di rimanere legati alle tradizioni che bloccano per esempio il progresso scientifico. La libertà di regolare tutte le relazioni umane attraverso un mezzo subdolo come il denaro impone paradossalmente miliardi di limitazioni. Se tu hai soldi puoi fare tutto quello che desideri. Questo è un dogma al quale per esempio i terrestri non sanno rinunciare. Per carità, c'è chi è povero ma è una personalità di spicco, un intellettuale. C'è chi ha detto no ai soldi e ha vissuto una vita lontano da essi. Ma, per quanto questi uomini possano essere encomiabili, questi si sono persi qualcosa dalla vita, si sono persi molte cose che l'uomo ha creato. Un vero peccato."

 

Cosa fai?”

Yami alzò gli occhi, fissando chi ha parlato e rimase sul vago.

Yami: “Appunto delle informazioni.”

In quella biblioteca l'aria era carica di polvere, come succede in tutte le biblioteche. La sala di lettura in cui si trovava Yami era la meno polverosa solo perché di tanto in tanto qualcuno, sedendosi lì, smuoveva la polvere.

È una cosa nuova, di solito ti vedo solo leggere.”

Yami: “La letteratura terrestre è molto interessante e spazia in tutti i campi. Dovresti leggere, ti apre la mente. E ti rende meno idiota di quanto non lo sei già.”

Eh, avrai sicuramente ragione. Ma non sono portato per la lettura. Sono più per i videogiochi.”

Yami: “Non dico che non servano a niente, allenano i riflessi e l'attenzione. Ma per il resto non ti fanno pensare un po' più in grande come può fare un buon libro. In ogni caso ti servirà un aumento dei riflessi. Se sto appuntando delle cose, è solo per studiare meglio il mio obiettivo.”

"...”

Yami fissò Rito col solito sguardo freddo di chi sa che deve avere che fare con qualcuno solo per cose noiose e irritanti.

Rito: “Come te la stai passando qui sulla terra?”

Yami: “Bene, voi terrestri avete degli animali da compagnia che sono molto amichevoli, e questo mi aiuta a passare il tempo qui, oltre ai libri.”

Rito: “Come riesci a comprarti da mangiare qui?”

Yami: “I soldi non sono un problema, colui che mi ha ordinato di ucciderti mi ha dato un acconto che posso convertire tranquillamente in yen giapponesi.”

Rito: “S-sono diventato anche un mezzo di sostentamento per te.”

I capelli biondi di Yami si alzarono, si arricciarono, si trasformarono e si strinsero intorno al collo di Rito.

Yami: “Io sono l'unica cosa che ti tiene in vita in questo momento, idiota.”

Finalmente Rito riuscì di nuovo a respirare, cercando a tentoni una sedia per riprendersi dalla mancanza di ossigeno. Yami chiuse il quaderno che aveva davanti a lei e riaprì “Cavalli in fuga”.

Rito: “Ma per quale motivo ti interessi tanto alla lettura, ai gatti, ma t'interessano poco gli umani in sé? Non fai nulla per conoscere qualcuno.”

Yami: “Interessarsi agli umani non vuol dire conoscere qualcuno. Vuol dire comprendere le loro azioni e capire perché agiscano in questo modo. In questo senso, leggendo, m'interesso agli umani molto più di te.”

Rito rifletté sulle parole di Yami, e col suo sorriso da imbarazzato risponde che aveva ragione.

Yami: “Però c'è una cosa che non comprendo.”

Rito: “Cosa?”

Yami: “Per quale motivo mi hai offerto quel taiyaki quella volta?”

Rito: “Che intendi?”

Yami si chiese come quel tizio poteva essere così duro di comprendonio. Pensò ad una risposta.

Yami: “La prima volta che ci siamo incontrati ho attentato alla tua vita. Se non fosse stato per Lala ti avrei pure ucciso. Eppure tu dopo quello che avevo fatto mi hai offerto del taiyaki la seconda volta che ci siamo visti. Tu mi hai parlato e me lo hai offerto. Perché?”

Rito: “Perché...”

Rito capì che non ci aveva mai pensato al perché di quel gesto.

Rito: “Anche se tu avevi cercato di uccidermi, non lo avevi fatto per un motivo personale. Ti avevano parlato male di me, e ti eri fatta una brutta idea.”

Yami: “Come non ti può venire l'odio nei confronti di una persona che ti ha fatto del male? Qualunque siano le giustificazioni?”

Rito: “Non credo che con l'odio si risolva tanto. Voglio dire, se ti avessi odiato cosa sarebbe successo?”

Yami: “Mi avresti dato una valida ragione per ucciderti.”

Rito: “E Mikan? Non avresti conosciuto Mikan, anzi le avresti fatto del male uccidendo suo fratello.”

Yami ripensò un attimo a Mikan, provò a immaginare la sua sofferenza se quell'ipotesi si fosse avverata. Un nodo le strinse lo stomaco. No, Mikan no. Non doveva soffrire così, è una ragazza così cara e simpatica. Ha solo la sfortuna di avere un fratello così, al quale vuole comunque bene. È così dolce. È un'amica. Rito aveva fin troppa ragione. L'odio non porta mai a cose buone. E, per quanto lei abbia sempre lavorato con totale indifferenza alle sorti di chi le capitava a tiro, lei ha fomentato molto, troppo odio. Grazie a lei l'odio ha avuto ragione di esistere. Grazie a lei, chi odiava una persona l'ha fatta uccidere e si è potuto sentire vincitore, un sentimento affabile quanto inutile. Lei, ora che ci pensa, ha sempre visto il volto vittorioso degli altri, mai il suo. Perché lei, facendo questo lavoro, non ha vinto mai. Ha sempre perso, nella peggiore delle maniere. Ora Yami capisce tutto questo parlando con un incapace terrestre pervertito dagli occhi marroni e dai capelli castani.

Yami alzò gli occhi a Rito e abbozzò un sorriso.

Yami: “Hai da fare?”

Rito: “Sì, ho consegnato un libro che serviva a Mikan e ora devo andare con Saruyama a far...”

Il sorriso di Yami si trasformo in uno sguardo di rabbia. Si rifiutò di sentire altro e trasformo una ciocca dei suoi capelli in un tanto* e lo mise vicino al ventre di Rito. Rito sbiancò in viso e strabuzzò gli occhi. Mostrò a Rito il libro di Mishima.

Yami: “Questo autore parla molto spesso di morte e del rituale giapponese per il suicidio, il seppuku. È anche l'ultima persona al mondo che ha fatto pubblicamente harakiri. Ha descritto anche come si esegue. Si fa un taglio da sinistra verso destra – mentre diceva ciò poggiò il tanto sul ventre di Rito e lo fece strisciare nel verso tipico – e poi se ne fa uno verso l'alto. Per voi giapponesi è qui che risiede l'anima, nel ventre. E vi tagliate il ventre per mostrare onorevolmente la vostra anima ai testimoni del seppuku. Inoltre, ci può essere un amico fedele e abile con la spada che decapita chi sta facendo harakiri.”

Detto questo un'altra ciocca di capelli si trasformò in una katana* e si avvicinò pericolosamente al collo di Rito, fermandosi sulla pelle senza però tagliarla.

Yami: “Le sapevi tutte queste cose?”

Rito, paonazzo, fece furiosamente cenno di no con la testa.

Yami: “Se non vuoi provare di persona, non osare dire che vai da Saruyama a fare cose pervertite. Resta seduto qui e aspettami. Oggi ti offro dei taiyaki.”

Rito ancora bianco in faccia si mise sulla sedia riprendendosi. Yami rimise a posto i suoi capelli biondi e riaprì il quaderno.

 

"È la dimostrazione di quello che dicevo prima, le persone decidono liberamente se seguire le tradizioni o meno. Rito con tutte le azioni pervertite che ha compiuto avrebbe dovuto fare harakiri infinite volte. E invece sa appena cos'è."

 

Yami alzò gli occhi e li pose sullo sguardo perso nel vuoto di Rito.

 

"Forse sono troppo cattiva con lui. È anche vero che quando vuole è gentile e cerca di fare il suo meglio senza pensare a fini egoisti. Forse, se tutti fossero un pochettino come lui, tanti difetti di questo mondo non ci sarebbero. Sarebbe un mondo migliore, un po' più pervertito, ma migliore. Rito fa buon uso del suo libero arbitrio."

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* Il tanto è una spada con lama corta(più simile ad un pugnale) usata appositamente per il seppuku(o harakiri), mentre la katana è una spada con lama più o meno lunga, usata in battaglia e non pensata apposta per il seppuku.


Commento dell'autore. Ed eccoci arrivati al primo capitolo vero e proprio. Sono preso da un gran timore, perché non ho molte idee di come questo lavoro finirà. ( xD ) In ogni caso, come detto nel prologo, a causa di tutta una serie d'impegni, tra i quali i miei esami di stato, potrò continuare la fanfiction solo verso la fine di luglio. Chiedo comunque a tutti di lasciare un commento riguardo questa fanfiction, giusto per sapere se sbaglio in qualcosa, qualche elemento possa essere migliorato o semplicemente per sapere se la storia vi piace o meno. A presto! ( :D )

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Capitolo 3
*** Normalità Terrestre e Opere di Fantasia ***


Usciti fuori dalla biblioteca, li colse un gran freddo. Era inverno e un grandissimo vento batteva da qualche giorno. Né Rito né Yami sembrarono però infastiditi da questo vento. Rito portava infatti una felpa piuttosto pesante e una giacca, Yami portava la sua solita tenuta ma non accusava comunque freddo, sicuramente abituata a temperature molto più basse. Prima di partire, Rito si alzò la zip della giacca per proteggersi dal freddo. Abituatosi al clima, guardò in faccia Yami e le disse che potevano partire.

Yami: “Ti porto al solito venditore di taiyaki.”

Rito, memore di una serie di mal di pancia, la fermò.

Rito: “Ho un'idea migliore, ti porto in un izakaya.”

Yami: “Cos'è?”

Rito: “Fidati.”

Yami non rispose e incominciò a camminare senza una meta ben precisa, aspettando che Rito gli indicasse dove andare. Camminava con in braccio il libro preso in prestito alla biblioteca.

Rito: “Che libro è?”

Yami gli mostrò la copertina: Cavalli in fuga di Mishima.

Rito: “Conosco solo per sentito dire questo autore.”

Yami: “Credo dovresti conoscerlo meglio: è un autore molto legato alle tematiche sociali e politiche del Giappone, e racconta in una maniera del tutto personale.”

Rito: “Sembra tratti anche di temi tristi, mi piace poco anche per questo...”

Yami con aria seccata si girò verso Rito e incominciò a parlare, quando fu fermata da Rito. Erano arrivati. La faccia di Yami diceva espressamente che non era finita lì la loro discussione.

Yami: “Non sapevo ci fosse questa specie di ristorante qui.”

Rito: “Forse perché non vieni mai in biblioteca a piedi, ma passando per i tetti.”

Yami: “Non che la cosa m'importi: dopo aver scoperto il taiyaki non ho trovato molti motivi per scendere. A parte certe rare volte.”

Rito osservò accigliato e incuriosito.

Rito: “In che senso?”

Yami non rispose alla domanda. Semplicemente ammutolì. Non c'era ragione precisa per quel comportamento. Rito pensò che lei avesse percepito una situazione di pericolo, ma non era così. In quel caso lei avrebbe assunto una particolare postura, il suo viso sarebbe diventato accigliato, i suoi capelli si sarebbero alzati, pronti a difendere lei, sé stessi. Invece il suo sguardo era a disagio, ed esprimeva sgomento. Rito non sapeva che Yami in quel momento era pervasa da un sentimento strano. Cosa che le accadeva spesso, del quale aveva appuntato qualcosa sul quel quaderno.


 

È una brutta sensazione. È qualcosa che mi pervade e mi angoscia. È un sentimento nuovo, che solo questo mondo riesce a causarmi. È quasi come un virus contenuto in queste schifose molecole di ossigeno, come se tutto qui fosse infettato da un batterio che si trasmette per via epidermica. È qualcosa a cui gli umani sono immuni? O alla quale si sono abituati? È una una cosa con la quale convivono da sempre? Magari è una delle loro antiquate invenzioni. Avevo sentito di una specie di libro, chiamato film, che va avanti per immagini animate, che si possono vedere attraverso i televisori e simili(diavolo, in pochi pianeti si usano dispositivi così rumorosi in ambito “domestico”). In questo film la razza umana veniva attaccata da alieni, ma vinceva in quanto la terra porta in sé, radicata nell'aria, un agente patogeno, mortale per i più, ma non per le forme di vita terrestre. Ecco, questa sensazione vale per me ora. Questa sensazione è reale. C'è un agente patogeno che mi uccide, non fisicamente parlando. Mi uccide dentro, mi distrugge l'animo, lo analizza e lo lascia in mille pezzi. Mi sento come se il mio animo venisse studiato, distrutto e riposto nuovamente nel mio corpo. Quasi fossi il soggetto di un quadro di quel pittore del quale ho letto ieri. Come si chiamava? Kokoska1, credo, qualcosa di simile. Il punto è che certe volte mi chiedo cosa ho fatto di buono nella mia vita. Il punto è che ho iniziato a chiedermelo solo quando sono arrivata sulla Terra. Ho viaggiato anni e anni nell'universo per cosa? Per soddisfare i risentimenti altrui. Per darla vinta agli altri. Ho affrontato tanti pericoli e tante sfide nella mia vita, al solo scopo di campare, facendo di volta in volta felice un gruppo di persone e distruggendone uno, normalmente molto più grande del primo. Solo che io non distruggo l'anima delle persone involontariamente, come fa un agente patogeno terrestre senza un briciolo di coscienza. Lo facevo apposta. E, cazzo, me ne pento. Me ne pento solo ora.

Ecco, ecco, quando quel virus, o qualunque cosa esso sia, agisce. Ormai scrivo in giapponese, penso in giapponese, uso espressioni volgari giapponesi. Questa Terra è una trappola, mi attira in maniera del tutto subdola a sé col suo agente patogeno. Desidera che io mi adatti ai suoi modi, che io diventi parte integrante di essa. Desidera che io viva una vita normale come tutti i terrestri, che io apprezzi le altre forme di vita. E allora che posso fare? Cerco di vivere come le persone normali. Compro più taiyaki del solito, cerco di stare con Mikan, faccio con lei le cose più abitudinarie...per i terrestri s'intende. Ma soprattutto, cammino, cammino. Per i terrestri il mio sarebbe “passeggiare”, ma per me è camminare. I terrestri ormai sono troppo abituati a questa parola, l'hanno addirittura sostituita con “passeggiare”, che da troppo l'idea di un qualcosa di inutile e superfluo. Ma è qualcosa della quale i terrestri non dovrebbero scordarsi, in quanto è qualcosa marchiata nel loro DNA. E nel mio DNA, o il mio omologo a quello terrestre? Non c'è marchiato a fuoco l'istinto di uccidere?”


 

Tutte quelle parole, scritte un mesetto prima, erano la risposta alla domanda di Rito. Ma Yami non rispose. Yami non confessò nulla di tutto ciò a Rito, e provò vergogna per questo. Forse un giorno lo avrebbe fatto. Per sviare il discorso, mentì.

Yami: “Entriamo, che incomincio a sentire freddo.”

Rito: “Ok.”

I due trovarono subito ristoro nel calore dell'izakaya. Si ritrovavano all'ingresso del ristorante, una stanza di dimensioni modeste col parquet e le pareti in legno. Ad illuminare la stanza ci pensavano dei faretti puntati principalmente sulle due opere poste sulle pareti laterali della stanza, due stampe di Hokusai. Una era la Grande Onda, l'altra il Fuji Rosso. In fondo alla stanza vi era un tavolo piuttosto rialzato, dalla quale spuntò un uomo sulla sessantina non appena i campanellini della porta d'ingresso suonarono. Il tavolo era alto tanto da far vedere dell'uomo solo la zona che va dal torace in su. L'uomo salutò e invitò ad avvicinarsi.

Siete solo voi due o verrà un gruppo di persone?”

Rito: “Siamo soli.”

Yami, un po' imbarazzata da questa affermazione, fissò con un po' titubante Rito. L'uomo, intuendo la situazione, studiò i due con un sorriso.

Allora una saletta singola andrà benissimo per voi. Desiderate una saletta all'occidentale?”

Rito rispose negativamente. L'uomo abbassò la testa e incominciò a frugare in un piano del tavolo non visibile da dove si trovavano i due. Aveva un'aria un po' rattristita. Forse pensava che gli occidentali strizzassero un po' l'occhio a certi elementi dell'arredamento durante le cene romantiche. Candele rosse, cose così. L'uomo prese dal nulla presente sotto il tavolo un telefono e, premendo un tasto, chiamò un cameriere. Yami stava per lamentarsi con Rito della stanza singola, con tanto di sorriso sotto i baffi dell'uomo al tavolo, quando arrivò un ragazzo sulla trentina che li invitò a seguirlo. L'uomo al tavolo, sporgendosi, se la rise e gli augurò buon pasto. Rito e Yami furono condotti in una stanza dal tipico arredamento giapponese. Il tetto della stanza era in legno mentre le pareti erano le tipiche pareti rimovibili fatte con la carta. Di fronte a loro vi stava l'armadio a muro. Al centro della stanza vi stava un tavolo dai piedi molto bassi e, sulla destra, l'irori, il tipico focolare domestico, in questo caso usato solo per riscaldare la stanza. Il cameriere si avvicinò all'armadio a muro e uscì tutta una serie di oggetti per allestire il tavolo centrale. Fatto questo, invitò i ragazzi ad accovacciarsi per sedersi al tavolo. I due ragazzi si sedettero in modo di avere l'irori di lato. Il cameriere diede i menù e lasciò un telecomando per chiamarlo quando pronti ordinare. Il cameriere lì lasciò soli. Yami fissava Rito da quando lasciarono l'uomo all'ingresso e il suo sguardo interdetto non era cambiato. Rito, del resto, si stava pentendo della scelta fatta, quella di un izakaya, aveva capito che Yami non era abituata a questo modo di mangiare, e capì che Yami sospettava che questo modo di fare nascondeva qualcosa in più di oltre la semplice cordialità e gentilezza. E il fato volle che l'izakaya in questione disponesse di stanzette appartate oltre che di grandi saloni per i gruppi più numerosi di persone.

Yami: “Cosa significa tutto questo?”

Rito: “Semplicemente non volevo che ti rimpizassi di nuovo di taiyaki.”

Yami: “E c'era bisogno di finire qui soli?!”

Scusate, ma vi pregherei di non urlare, le pareti qui sono sottili e potreste disturbare, anche se non sono presenti altri clienti in questa ala del ristorante.”

Rispuntò il cameriere, che aveva silenziosamente riaperto la porta della stanza. Scusandosi di nuovo per l'intrusione, il cameriere avanzo verso l'irori con un incensiere e un piattino in mano. Si accovacciò davanti all'irori e lì posò incensiere e piattino. Dal piattino uscì un fiammifero che posò sul focolare per farlo prendere a fuoco. Con quel fiammifero fece bruciare i carboncini dell'incensiere. Spense il fiammifero e versò sull'incensiere il contenuto del piattino, che si scoprì essere incenso a grani. Posò l'incensiere sul tavolo, prese l'altro piattino e se ne andò inchinandosi. Un fresco odore riempì l'aria. Ciò calmò un po' gli animi di Yami. Rito invece si chiese come mai questo incenso arrivò dopo. Forse era stata un'idea dell'uomo all'ingresso.

Rito: “Comunque, che mi stavi per dire fuori?”

Yami si ricordò dello sgomento causato da quella spinta alla ricerca della normalità terrestre.

Yami: “Semplicemente certe volte mi chiedo come sia fare azioni tipiche dei terrestri.”

Rito: “Curioso, io invece sono troppo annoiato da quella che è la normale vita.”

Yami lo guardò con una punta di rancore per quelle parole.

Rito: “Per questo mi piacciono i videogiochi. Lì vieni trasportato in un mondo tutto tuo e fai cose che vanno ben oltre la normalità.”

A Yami la risposta venne più che spontanea, data la sua passione per la letteratura terrestre.

Yami: “Questo può succedere anche nei libri.”

Rito: “Beh, non leggo quindi non ti saprei dire. So che però esistono molti generi che vanno oltre quella che può essere la normalità della vita. I fantasy per esempio. I fantasy possono essere tutto, tranne che normali. Lì è sempre in ballo la vita della terra o anche di un mondo immaginario.”

Yami: “Quindi anche voi immaginate forme di vita aliena?”

Rito: “Beh, si le immaginiamo, ma normalmente gli alieni sono presenti in un altro genere, l'horror.”

Yami: “Perché? L'horror è qualcosa di totalmente finto e inutile, non riesce a mettermi minimamente paura.”

Rito: “Come mai?”

Yami: “Forse perché molti dei pericoli che voi immaginate io li ho conosciuti realmente.”

Rito: “...Può essere. Può essere che l'uomo è intimorito da quello che non conosce, dalle cose paranormali e spaventose.”

Yami: “Paranormali...non normali.”

Assunse un'espressione seccata, ma vogliosa di comprendere.

Yami: “Voi create delle opere di fantasia per fuggire dalla normalità e poi date vita ad un genere che mette volontariamente paura perché parla di cose, appunto, non normali?”

Rito non l'aveva mai messa su questo piano.

Rito: “...Sì.”

Yami non capiva. Gli uomini rifuggono la propria normalità? Non la sopportano, cercano di allontanarsene ma esprimono ansia quando una situazione non è normale? Perché? A Yami mette molta più ansia questa spinta a vivere una vita normale che la sua solita vita fatta di pericoli.

Yami: “Comunque questa è un'eccezione. Gli altri generi non sono così.”

Rito: “No, gli altri generi possono variare. O parlano di cose abitudinarie o no.”

Yami: “Non è vero, la normalità è un qualcosa che viene sempre messo da parte. Nel romanzo che sto leggendo io si parla di rivolte, di ideali, di seppuku. Tutte queste cose sono lontane dalla normalità.”

Rito: “Ma c'è il genere della narrativa per esempio. Jiro-san2 alla tv ieri parlava di tutta una serie di romanzi italiani dove si parla solo della normalità, di esperienze normali. Tornando in Giappone, mi vengono in mente una serie di anime che trattano di vite normalissime: Oreimo e Toradora per esempio.”

Yami: “Si chiamano “opere di fantasia”, ma parlano di cose non fantastiche. È strano.”

Rito: “C'è chi evidentemente gradisce molto la normalità della vita, non trovandola noiosa.”

Yami: “Tu perché la trovi noiosa?”

Rito: “Perché è identica sempre a sé stessa. Le azioni che faccio non hanno altro scopo che farmi continuare a vivere per ripeterle in un vicino futuro. Per esempio, l'ultimo gioco che ho comprato è bellissimo, vorrei vivere la vita del protagonista, dell'agente quarant...”

Yami stava sfogliando senza molta attenzione il menù, quando quelle parole la colpirono. Sembrò un colpo pesantissimo sulla testa, un macigno. Alzò la testa verso Rito e sbatté le mani sul tavolo.

Yami: “Stai parlando di quel gioco?!”

Rito all'inizio non capiva il perché della reazione di Yami. Poi, un misto di vergogna e sconforto lo colpì al ricordo di una scena successa due settimane prima.
 

 

Yami buttò a terrà il controller. Guardò fissa lo schermo senza dire una parola, con la bocca spalancata e con gli occhi lucidi. Si passò le mani in faccia per riprendersi e si alzò chiedendo a Mikan se potesse andare in bagno. Rito guardò stupefatto la scena, chiedendosi il perché di tutto ciò. Riprese il controller e continuò quanto lasciato in sospeso da Yami. Finendo la missione del protagonista, quella di uccidere una persona, Rito urlò dalla felicità. Si distese all'indietro per stiracchiarsi, quando notò la figura pallida di Yami che lo guardò con disgusto. Si girò per chiederle che è successo, ma lei gli volse le spalle, salutò velocemente Mikan e se ne andò. Rito più tardi seppe da Mikan che quel videogioco le rispecchiò troppo sé stessa e che provò disgusto e tristezza per questo.


 

Rito capì subito che la sua frase aveva ferito Yami. Lei inizio a guardarlo con più disprezzo. Le si alzarono i capelli.

Rito: “Scusami Yami.”

Yami: “È così? Rinneghi tanto la tua vita normale che ti metteresti a ucciderne altre?! Lo sai cosa significa?! Lo sai cosa si prova?! Sarebbe sicuramente più difficile per te che vivi qui e hai vissuto una vita tranquilla! Ma io no, e ora questa parte di me è un veleno che mi porto dentro! Io che faccio questo mestiere da sempre l'ho sempre visto come dicevi tu prima, una cosa che si ripeteva all'infinito solo per vivere, ma ora mi faccio schifo da sola, anche se non avevo scelte!”

Una ciocca dei capelli di Yami si stava trasformando in un pugno. Rito, spaventato, poteva scegliere di allontanarsi o di cercare di calmarla. Scelse la seconda opzione. Si avvicinò a Yami a gattoni. Un attimo prima che Yami potesse sferrare un pugno Rito mise dolcemente una mano sul quel pugno. Il pugno restò fermo sospeso nell'aria. Rito si avvicinò ancora di più a una Yami in lacrime e l'abbracciò.

Rito: “Scusa. Scusa. Scusa.”

Yami: “Perché...lo hai d-detto?”

Rito: “È l'ebrezza, il desiderio di provare qualcosa di nuovo che mi ha fatto dire queste parole.”

Yami: “Fai la mia vita e, come ho fatto io, ti accorgeresti che anche questa vita è sempre uguale a sé stessa e noiosa, oltre che molto più dannosa della vostra.”

Rito: “Hai ragione. Già. Provandola veramente tornerei a volere la mia vita. Solo un pazzo può davvero voler vivere così, uccidendo la gente.”

Yami: “E io quindi?”

Rito: “Tu non avevi altre scelte, ma non sei un'assassina. Il fatto che adesso hai provato disgusto per quel videogioco lo dimostra. Ricordalo, non sei un'assassina.”

Ciò fece cadere completamente le difese di Yami, le tolse un peso dallo stomaco, un dubbio che la attanagliava da quando era venuta sulla Terra. Fece finalmente scendere delle lacrime che fino a quel momento erano rimaste orgogliose dentro i suoi occhi e rispose all'abbraccio di Rito stringendolo a lei. Yami pensò che avrebbe annotato sicuramente qualcosa sul quaderno.


 

Le opere di fantasia terrestri non sono altro che un'altra espressione del male che mi lacera. Alcune di queste opere tendono semplicemente a parlare di questo male, magari a studiarlo meglio. Altre invece parlano di avventure prive di questo male, avventure quindi non normali che sarebbero intraprese da molte persone, primo fra tutti quel demente di Rito. Ma una parte di quelle opere stesse mettono l'uomo sulla difensiva, fanno sì che lui si spaventi per tutto quello che non è normale. Perché solo dopo un analisi più attenta l'uomo capisce che in realtà non può fare altro che desiderare la vita che ha. Mi sembra adatta la frase di una scrittrice3: 'Sono milioni quelli che desiderano l'immortalità, e poi non sanno che fare la domenica pomeriggio se piove.'

I Terrestri aspirano a qualcosa che non potranno mai essere e al quale, in fondo in fondo, non vogliono aspirare.

E tutto questo l'ho capito solo ora, ora ho capito perché mi sono appassionata alla letteratura terrestre. La Terra è subdola anche in questo. Almeno un terrestre, con tutte le sue contraddizioni esistenziali, mi ha dato un supporto incredibile, un appiglio per un'esistenza diversa, migliore.”



Non è possibile, ancora che gridano! Si sentono dalle cucine!” pensò il cameriere avviandosi a passo deciso verso la stanza dove si trovavano Yami e Rito. Quando fu vicino alla loro porta camminò in maniera molto più cauta, in quanto al posto di urla adesso si sentivano bisbigli e pianti sommessi.

Hanno litigato, eh?” pensò il cameriere.

Aprì la porta della stanza. Questa porta era talmente silenziosa che Rito e Yami non si accorsero della presenza del cameriere. Il cameriere, di per sé, vedendo i due teneramente abbracciati, non fece nulla per farsi notare. Semplicemente chiuse la porta e fece per andarsene.

Hanno già fatto la pace. L'amore non è bello se non è litigarello. Intanto per i loro bisticci d'amore ho dovuto di nuovo interrompere 'La guerra dei mondi'. Ho comprato il tablet apposta per vedermi film al lavoro nei momenti di noia come questo, che ci sono così pochi clienti. Speriamo il capo mi faccia finire presto di lavorare, così torno a casa e gioco un po' a Hitman: Absolution.”

Tornando verso la cucina si senti un rumore molto forte e secco provenire da quella stanza. Il cameriere, col timore che i due ragazzi non avessero affatto fatto pace ma che invece stessero iniziando a darsele di santa ragione, tornò precipitosamente davanti la stanza e aprì la porta. Ritrovò i due ragazzi composti, seduti al tavolo. Rito si girò verso il cameriere, mostrando una guancia rossa per uno schiaffo.

Rito: “Vorremmo ordinare.”
 

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1 Il pittore si chiama Oskar Kokoschka, famosissimo per i suoi quadri caratterizzati dall'analisi psicologica. Il suo cognome è qui scritto volutamente in maniera errata.

2 Jiro-san è l'appellativo dato dai giapponesi a Girolamo Panzetta, personaggio italiano famoso nelle tv giapponesi fin dagli anni 90.

3 La scrittrice in questione è Susan Ertz.
 

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Commento dell'autore. Beh, alla fine sono riuscito a mantenere la parola data. Ho fatto di tutto per far uscire questo capitolo alla fine di luglio e non il primo di agosto xD oggi è ancora il 31 luglio, quindi sono soddisfatto. Spero di non aver fatto troppi errori nella fretta di scrivere questo capitolo. Ho iniziato la stesura di questo capitolo solo qualche giorno fa e in una maniera del tutto particolare. Alcuni amici volevano andare in una località costiera dove c'era una festa e io ero l'unico con la macchina ma non volevo andarci. Li ho accompagnati fino alla festa, poi ho cercato lungo la costa vicino a questa località un angolo di paradiso affacciato sul mare apposta per scrivere. Per fortuna ci sono riuscito. :D Spero che il risultato sia quantomeno decente. Come sempre, richiedo critiche e commenti da parte di tutti voi lettori. Non lascio alcun tipo di avviso riguardo l'uscita del prossimo capitolo stavolta. Penso solo di riuscire a scriverlo in agosto. Ci si vede, a presto!

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Capitolo 4
*** Incomprensioni, (e) Cose Che Capitano ***


Si era fatto piuttosto tardi. Era ormai calata la sera. I due ragazzi uscirono dall'izakaya pieni, avendo mangiato le prelibatezze di quel ristorante. Rito non si era accorto di averci messo così tanto tempo.
Rito: «Cavolo, è notte. Ci siamo attardati assai.»
A dire il vero non avevano mangiato per tutto il tempo. Semplicemente dopo il pasto stesero molto tempo a parlare, avendo avuto il consenso dei proprietari del locale, praticamente vuoto quella sera. Parlarono di un sacco di cose più o meno frivole, continuarono il discorso su Mishima...Rito non si scordò delle parole dette da Yami fuori dal ristorante, quelle parole che causarono in lei tutto quello sgomento. Cercò di saperne di più da lei. Lei negò, sviò, disse fandonie. Non voleva dirgli tutte quelle cose. Non in quel momento almeno. Ma Rito non mollò di certo. Anche fuori dal ristorante si chiese che le era successo. Decise però di lasciarle un attimo di pace e incominciò un altro discorso.
Rito: «Tu che devi fare ora?»
Yami: «Nulla in particolare.»
Rito: «Non dormi?»
Yami: «Non dormo ormai da un bel po' di anni. Se mi addormento, divento vulnerabile, posso essere uccisa in qualsiasi momento, o peggio, posso essere controllata, perché anche la mente si addormenta.»
Rito: «Non mi sembra un buon motivo per non dormire.»
Yami: «Io non ne ho bisogno, punto.»
Lei disse queste parole, ma in realtà era da un bel po' che nelle ore notturne lei provava una certa sensazione di spossatezza che le rendeva gli occhi pesanti. Succedeva quando lei rimaneva fuori dalla sua navicella durante la notte. Dentro la sua nave spaziale, lei, colpita da tutte quelle luci che il veicolo possiede, rimaneva desta e si buttava in tutta una serie di scartoffie, o in racconti, o in resoconti delle sue missioni. Cominciava a provare rabbia per quei resoconti. Nella sua scrittura vedeva l'odio. Tra le righe di un testo scritto in caratteri non comprensibili all'uomo, lei intravedeva l'indifferenza e il suo astio nei confronti di tutto, di tutti, dell'universo intero. Quando invece restava fuori nelle ore notturne il cielo buio, e le luci di una città metà assonnata e metà scatenata dalla movida giovanile la facevano perdere nei suoi pensieri, una cosa che lei non aveva mai fatto prima di venire qui. Non le era mai capitato di passare al vaglio della sua memoria un ricordo per analizzarlo. La cosa la trovò insolita, ma all'inizio la ritenne solo una inutilità, una perdita di tempo e anche di energia. Si sforzava nel fare questa cosa. Come se non fosse una cosa normale. Poi notò che nel fare questa azione lei poteva osservare un ricordo da più punti di vista, soppesare pro e contro di un gesto passato, stabilire se questo fosse giusto o meno. Scoprì che poteva pure ipotizzare se un evento fosse andato in un altro modo, e scoprì che poteva immaginare tutto quello che voleva. Una cosa simile, ma con limiti ben più ampi, la sapeva fare, ed era un'arte che aveva affinato da più e più tempo: l'arte di prevedere gli avversari. Usare l'immaginazione però la affaticava, era una cosa che davvero non era solita fare. E quando lo faceva di notte la testa le si faceva pesante, gli occhi piano piano si chiudevano soli e lei finiva in un dormiveglia tormentato. Se lei rimaneva fuori con Rito, quella sera non sarebbe stata diversa.
Rito: «Beh, io dovrei passare dal konbini. Ma posso andarci quando voglio, facciamoci una passeggiata invece.»
Yami: «Preferirei di no.»
Rito: «Come mai?»
Come mai? Forse la paura di provare quella forma di stanchezza davanti a Rito la impauriva? La prendeva come una debolezza e non voleva sentirsi debole davanti a lui. Rito cercò di scuoterla punzecchiando l'orgoglio.
Rito: «Non avrai certo paura di andare in giro di notte qui. O forse hai paura del  buio?»
Yami sapeva che tutte queste cose non erano vere, e non c'era bisogno che le dimostrasse a Rito. Ma perché non appena udii quelle parole si mosse immediatamente accettando la proposta di Rito?
Yami: «Andiamo.»
Incominciarono a passeggiare e arrivarono ben presto in riva ad un fiume, quello dove Rito e Sairenji si ritrovavano spesso. A tutti e due li colpì lo stesso bisogno. Quello di pensare. Rito pensò ai suoi incontri con Sairenji. Quanto quegli incontri erano colmi di dolcezza, fiducia e intesa? Lui era lì solo per lei, solo per cercare di portarle il sorriso, di comprendere cosa le piacesse o meno. Lei era lì solo per Rito, far sì che lui riuscisse finalmente a dichiararsi e per  spronarlo nei suoi obiettivi. Quegli incontri volevano dire tanto, ma tanto. Yami invece rifletteva su quella passeggiata che stava compiendo con Rito e della sua stanchezza. Quella stanchezza diventava un impedimento sempre più forte in lei, giorno dopo giorno, incominciava a non svanire più, e Yami pensava che questa stanchezza non sarebbe passata a meno che lei non avesse dormito. Ma lei non voleva dormire. La parte più atavica di lei le diceva che non doveva dormire. Ad un certo punto nemmeno si accorse di aver messo male un piede e di essere sul punto di cadere. Rito riuscì ad accorgersi in tempo della cosa e riuscì a sorreggerla.
Rito: «Stai bene?»
Yami: «Sì, sto bene...»
Ma Yami non stava bene, o almeno così credeva. Magari era solo senza forze.
Rito fece accomodare Yami su una panchina e la lasciò riposare lì.
Yami: «Vai a prendere quello che devi al konbini nel mentre.»
Rito: «Non ce n'è bisogno. Aspetto qui mentre tu ti riprendi.»
Yami: «Io sto bene!»
Yami sì alzò indispettita. Rito le fece cenno di sedersi.
Rito: «Ma almeno siediti!»
Yami: «Ma a te cosa interessa di quello che ho?!»
Rito: «È..è da un po' che sei strana. Certe volte non ti fai sentire per giorni e certe volte vai da Mikan come se non la vedessi da un secolo. Certe volte ti vedo in biblioteca leggere, ma hai uno sguardo talmente preoccupato che mi sembra tu stia pensando completamente ad altro.»
Yami: «Sono affari tuoi quello che penso o faccio?»
Rito: «No, ma io mi preoccupo...e poi, mi sembri sempre più...»
Yami: «Più che?!»
Rito: «Stanca.»
Yami spalancò gli occhi fissando Rito. I suoi capelli librarono in aria, e ci volle un secondo perché arrivasse un pugno in faccia a Rito. Ma Rito riuscì a opporsi leggermente e non cadde come capitava di solito, semplicemente barcollò un po' più indietro.
Rito: «Non riesci più a darmi un pugno decente? Non hai più forza?»
Yami: «Non sono cazzi tuoi! L'ho fatto apposta, e se vuoi te lo do seriamente un pugno, che ti farà rimangiare la stronzata che hai appena detto!»
Il viso di Rito si riempì di un misto di preoccupazione e di stupore. Yami senza forza? Yami che parla in questo modo? Yami...che Yami è questa? Di certo Rito non riconosceva Yami nella ragazza bionda che aveva davanti, e perse la pazienza.
Rito: «Me ne vado. E non intendo dire al konbini. Me ne vado e basta. 'Notte.»
Rito, con la testa bassa, girò i tacchi e si avviò verso il konbini. Voleva ancora fare la spesa, ma dopo voleva semplicemente tornare a casa. Cosa aveva fatto per meritarsi tutto questo? Lui si preoccupava e riceveva solo scortesia. Non capiva che con quella sua preoccupazione metteva a disagio le persone, ad un certo punto. O forse questo lo capiva, ma era confuso, perché questa non era semplice scortesia.
Yami: «Ma tu che cazzo devi capire?!»
Yami urlò contro la figura ormai lontana di un ragazzo moro che con passo silenzioso si allontanava deluso. Yami sapeva della delusione di Rito, ma questa è nata dalla sua incapacità di comprendere quello che lei prova in questo momento. «È semplicemente - pensava - un umano di merda.» Yami cercò di calmarsi. Era stanca. Tanto, troppo stanca. Si sedette sulla panchina di prima e incominciò a respirare profondamente. Cos'era quella sensazione? Qualcosa  le stava riempiendo gli occhi, e voleva uscire. Voleva rigargli le guance. Lei cercava di calmarsi, voleva che tutto questo non accadesse. Non sapeva precisamente perché, qualcosa le diceva fosse sbagliato. Ma lei non riusciva a trattenere quelle che già sapeva si chiamassero lacrime. Incominciarono a rigarle il viso. Prima una, solitaria sulla guancia destra, poi una compagna sulla sinistra. Non scoppio proprio a piangere. Singhiozzò. Fece scendere alcune lacrime successive alle prime due e poi riuscì a calmarsi. Restò sdraiata su quella panchina per un bel po'. 
 
Rito aveva appena finito di fare la spesa. Uscì dal konbini con l'umore più nero di prima. Si avviò rapidamente verso casa. La notte era annuvolata fin da quando lui e Yami uscirono dall'izakaya. Ma il tempo di entrare al konbini e uscire il tempo era decisamente peggiorato. Aveva incominciato a piovere talmente forte che il livello dell'acqua del fiume era salito sopra una certa soglia, e, benché distante dai livelli di guardia e lontanissimo da rompere gli argini, poteva destare una certa preoccupazione. Lui era senza alcuna protezione dall'acqua, e cercò di velocizzare per arrivare subito a casa. Salì su uno dei ponti che sovrasta il fiume. Si trovava su quello che per lui era il lato destro, quando un'arancia cadde a terra e piano piano si diresse verso il centro. «Ci voleva anche questa sfiga.» pensò Rito mentre si avviò per raccogliere il frutto. Era piuttosto buio e non si accorse che nel prendere l'arancia la stava per schiacciare. Per evitare di fare ciò, spostò il piede, ma perse l'equilibrio. L'altro piede cercò un punto di appoggio nell'asfalto bagnato e sporco, e scivolò. Il sacchetto della spesa fece il resto, attorcigliandosi tra le sue gambe. Cadde all'indietro. La salvezza fu il muro di protezione che si trovava alle sue spalle. Ma quel muro era in pietra, ed era ormai rovinato dalle intemperie di chissà quanti anni. Lo sorresse un attimo, per poi sfracellarsi sotto di lui. Restò in equilibrio tra il ponte e il vuoto. Ma l'equilibrio era molto precario, Rito sapeva che se non faceva qualcosa sarebbe caduto di sotto. Mise una mano su quello che rimaneva del muro di protezione, tentando di tirarsi su. Il ponte in cambio gli restituiva macerie, ma nessun supporto. Ad un certo punto Rito cedette. Non che cadde di sotto. Era stanco, infreddolito e deluso, e Rito non era mai stato particolarmente coraggioso. Semplicemente la situazione divenne insostenibile per lui e perse conoscenza. Allora, il suo corpo apparentemente senza vita incominciò a scivolare di sotto. E più il baricentro si spostava, più velocemente lui si avvicinava alla caduta, secondo una maledetta legge fisica. Non poteva più far nulla, era incosciente, e come tale cadde nel fiume. La corrente era molto forte, e in pochi secondi lui si allontanò di molto dal ponte. Era finito a pancia in giù e incominciò a inghiottire, fino a quando il bisogno di aria non gli aprì i polmoni, che si riempirono di acqua. Ciò causò la sua morte. Lo avrebbero ritrovato qualche tempo dopo, freddo, col viso smorto e pallido. Lo avrebbero ritrovato senza vita, avrebbero ritrovato un cadavere, magari immobile nel suo rigor mortis. Mikan avrebbe pianto per giorni, e Yami le sarebbe stata vicino, probabilmente. Le avrebbe raccontato di quando da bambini lui la supportava nei momenti di tristezza, di come si divertivano a fare le ragazzate, di come cercavano di passare il tempo nei lunghi periodi in cui i genitori non vi erano, di come lei provasse qualcosa per suo fratello, forse non biologico, che non era probabilmente semplice affetto fraterno. Avrebbe fatto tutto questo con le lacrime agli occhi. Le lacrime sarebbero finite sulla tuta di Yami, e si sarebbero sporcate di un liquido corporeo dopo chissà quanto tempo. Questa sarebbe stata la sua fine.
 
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Note dell'autore.
Questo capitolo non doveva originariamente finire così. Doveva essere molto più ampio e trattare temi diversi. Mi sono accorto nella scrittura che incominciavo a incentrarmi sempre su "altro" e che per trattare i temi originali del capitolo avevo parlato di "cose che capitano", come le incomprensioni, o le cadute da un ponte. E mi sono detto:"Ma perché non far finire il capitolo così, con queste cose che capitano?" Ecco qui, un capitolo molto più snello dei precedenti, un po' più frivolo, tolta la morte di Rito. Non vi lascio a dire molto sul prossimo capitolo, dico solo che è probabilmente quello finale, e che credo ci impiegherò molto a scriverlo. Per il resto, lasciate un commento se vi va(anche se finora non ce n'è stato uno, non mi stancherò mai di ripeterlo), e stay tuned! A presto! 
P.S. La formattazione di questo capitolo è un po' differente da quella dei capitoli precedenti. Questo perché ho usato un altro editor di testi. Desidererei sapere se è più gradita questa formattazione o quella precedente.

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Capitolo 5
*** Morte e Attrazione ***


«E anche l'ultimo piatto è stato sistemato.»
«Grazie mille per il pranzo.»
«Grazie a te per essere venuta...g-grazie per essere venuta spesso in questo...periodo.»
Cadde il silenzio nella stanza. C'era qualcosa nell'aria, tutto e tutti sapevano cosa. Perfino i piatti che Mikan aveva un secondo prima sistemato lo sapevano. Ormai erano abituati al continuo andirivieni quasi giornaliero in quella casa. Sapevano che anche oggi la scena sarebbe sempre stata la stessa a quella degli altri giorni da un mesetto a questa parte, e si erano, come dire, abituati.  Sapevano cosa sarebbe successo ora e non si lamentavano più. Rimanevano più silenziosi del solito. In tutti gli oggetti di quella casa sembrava ormai essere caduto uno strano silenzio, rispettoso dei sentimenti provati dalla ragazzina in questo momento. I sentimenti ambivalenti di una ragazza nei confronti di suo fratello. Sentimenti che il fratello sicuramente non poteva riconoscere, non poteva nemmeno lontanamente immaginare, e che ricambiava malamente, con un più semplice affetto amorevole tipico tra fratello e sorella abituati a contare solo sulle proprie forze. Ora, per quanto si mostrasse forte e matura, Mikan non era abbastanza matura per affrontare la morte del fratello. Era un punto di forza, un supporto, un sostegno che le venne a mancare da un momento ad un altro. Lei non era pronta per questo. Non osava nemmeno immaginare di passare una vita da sola, senza di lui. Cioè, sapeva che le loro vite prima o poi si sarebbero separate, che si sarebbero messi insieme con altre persone, si sarebbero sposati e si sarebbero visti solo per eventi importanti. Ma in questi casi ipotetici, se lei aveva bisogno di lui, lui ci sarebbe stato. Come era sempre stato. Questo ora non era più possibile. E lei ora cosa poteva fare? Su chi poteva contare? Sui suoi genitori, sempre assenti? Poteva contare su Yami. Ma forse nemmeno lei sarebbe potuta rimanere per sempre.
Yami si alzò dalla sedia. Fece il giro del tavolo e si piazzò davanti a Mikan, diventata rossa e muta.
Yami: «Mikan...»
Mikan non ce la fece più. Abbracciò Yami talmente forte da sospettare che le stesse facendo male. Ma Yami non si lamentava. Difficilmente poteva sentire dolore per una semplice stretta. Lei ricambiò l'abbraccio. Girò le braccia intorno al collo di Mikan, inclinò la testa in avanti e aspettò.
Mikan: «Non è giusto...per quale motivo lui...non se lo meritava...era un ragazzo semplice...non aveva fatto mai niente di male...era sempre gentile...era mio fratello.»
Mikan scoppiò a piangere.
Mikan: «Che cosa aveva fatto per meritarsi questo?! Sì che in questo periodo era per i fatti suoi. Va bene che quella volta si trovava in un posto che nemmeno io potevo immaginare, visto che lo sapevo con Saruyama da tutt'altra parte. Ma perché?! Avrà avuto i suoi motivi a trovarsi lì, ma non questo! Io qui resto sola! Perché?!»
Yami non aveva mai confidato a Mikan che era lei la causa del cambiamento dei piani di Rito quel pomeriggio. Aveva paura di poter essere incolpata. Yami sapeva che Mikan non l'avrebbe mai accusata. Ma il punto è che Yami stessa si sentiva colpevole della morte di Rito. Era stata causa sua se Rito si era ritrovato a passare su quel ponte, da solo. Per il tribunale del suo animo lei era colpevole di omicidio. Aveva ucciso un'altra vita. Lei non poteva fare a meno di uccidere più o meno volontariamente tutti. Ma basta. Non più, non poteva succedere. Ora lei doveva badare a Mikan. Non poteva rischiare di perdere anche lei. Non sapeva come fare, ma non sarebbe successo.
Yami: «Tranquilla, tu non resterai mai sola. Ci sarò io qui.»
Mikan: «Tu prima o poi dovrai andartene, no? Vorresti restare qui, abituarti ai modi di fare terrestri? Trovarti un lavoro e passare una vita fatta solo di questo? Di questa vita insignificante?»
Yami fissò per un istante Mikan, rea di non aver dato giusto peso a quelle parole. Incominciò a singhiozzare.
Yami: «Non che quella che facevo prima fosse diversa...»
Ormai Yami si era abituata a piangere. Non la vedeva più come una debolezza. Era piuttosto un modo per sfogarsi. Il momento del pianto in sè è brutto, ma dopo un pianto si ritrova un attimo quella serenità che prima non c'era. Un'altra cosa che Yami aveva scoperto stando qui. Certo, c'è voluta la morte di Rito per scoprirlo. Ci sono voluti i giorni passati a confortare Mikan e asciugare le sue lacrime. Per fortuna Yami con lei aveva le spalle larghe e stava sempre ad ascoltarla, anche se spesso ripeteva gli stessi angosciosi e tristi discorsi per giorni.
Ora tutti e due si sfogavano. Una si sfogava di un dolore che l'attanagliava da tempo e che per un altro lungo periodo l'avrebbe tormentata. L'altra piangeva per la situazione in cui si ritrovava dopo la morte del fratello. Passato il culmine della crisi di pianto per tutte e due, le ragazze si guardarono in faccia. Yami prese perfino il viso di Mikan tra le sue mani. Era la prima volta che agivano così dopo queste crisi. Si videro rosse per i singhiozzi, con le guance rigate dalle lacrime. Finirono in una confusione mentale, a causa della tenerezza di quella visione, legata anche al dolore che l'una cercava di placare nell'altra.
Forse, per aiutarsi, dovevano diminuire ancora di più le distanze...
Yami inclinò leggermente la testa verso il basso, e cercò di capire se Mikan si opponesse alla spinta delle sue mani, che avvicinavano le due labbra. Non gli sembrò trovare alcuna opposizione in Mikan a quel gesto. Magari era dovuto tutto alla confusione delle due, ma a Yami la cosa non dispiaceva. Yami socchiuse gli occhi.
Quindi provò ad accorciare ancora quella già piccola distanza...
Il telefono squillò. Fu quello che arrestò la confusione mentale delle due e il loro inconsueto gesto. Mikan fissò Yami per una manciata di secondi, andando poi a rispondere. Nel mentre Yami si asciugava il viso, e si chiedeva come le fosse passata per la testa l'idea di quella azione. Mikan finì di parlare e posò il telefono.
Yami: «Ancora quei pezzi di merda?»
Mikan: «Esattamente.»
Yami: «Hanno finalmente concesso il loculo?»
Mikan: «Sì. Finalmente dopo un mese posso far riposare mio fratello. Le forze dell'ordine avevano messo le basi per un esaurimento nervoso tenendosi il corpo. Gli hanno voluto fare l'autopsia. Che ci devono fare con un'autopsia? È stato un incidente, e basta. Poi ovviamente l'agenzia funebre ha prolungato i tempi della cremazione per manutenzione dei forni. Al cimitero hanno avuto problemi con questo loculo e ho dovuto...»
Necessitò di un attimo per riprendere fiato.
Mikan: «...e ho dovuto passare altro tempo con le ceneri di mio fratello in casa. Per di più i bastardi dei...»
Si fermò nel mezzo della frase e sbattè la testa contro il muro ricominciando a piangere.
Mikan: «...dei miei genitori non si sono interessati più di tanto...impegnati come sono, e c'ho dovuto pensare io. Mah...basta che ora l'anima di Rito possa vegliarci in pace.»
Yami fece per avvicinarsi a Mikan e abbracciarla, ma questa si divincolò e si sedette su una sedia e si buttò sul tavolo, stremata. Yami si chiese se fosse scossa per quel tentato bacio di prima. Da dove cavolo le venne quel gesto? Provò a cambiare discorso. Era interessata alle ultime parole di Mikan, voleva vedere come la sua maturità affrontasse questo discorso.
Yami: «Quindi per te dopo la morte la nostra anima veglia sui nostri cari?»
Mikan alzò la testa dal tavolo e sbuffò.
Mikan: «Comunemente qui si crede questo.»
Yami: «Ma tu che pensi?»
Mikan: «Che penso? Non lo so mica che dovrei pensare. Cosa ci può essere dopo la morte? Possono avere ragione tutti quelli che ipotizzano vari aldilà, come possono in realtà essere degli illusi, tutti quanti. In questo momento io spero solo che dopo aver posato quelle ceneri in un loculo dentro al quale un giorno finirò pure io un qualcosa di lui rimanga e mi protegga. Anche se, razionalmente parlando, questa è un'idea stupida. Quando una persona muore, muore e basta, non si può fare altro.»
Yami: «Voi umani cercate modi per legare un defunto ad un'esistenza alla quale non appartiene. Siete così legati ai vostri cari...»
Mikan ridacchiò.
Mikan: «Questa è la facciata buona degli umani. Ma c'è il risvolto della medaglia: cercare di tenere legati i cari morti al nostro mondo non è un modo per alleviare la loro sofferenza, ma per rassicurare noi stessi. Siamo dei grandi egoisti. Non vorremmo mai smettere di vivere. Vorremmo sempre trovare un modo per rimanere qui, per vivere ancora e ancora. Sento i giovani criticare la vecchiaia, dire che quello è un periodo durante il quale tu sei incatenato nel tuo corpo ormai debole e fiacco, magari malato. Ma i giovani sono, appunto, ragazzi. Sono ancora lontani dal pensare che potrebbero morire, solo perché il corso naturale li vuole ancora distanti dalla morte. Incominciando a invecchiare, incominciando a immobilizzarsi nel peso della vecchiaia, iniziano a sentire la morte. La sentono sghignazzare. La vedono sorridere. Percepiscono l'alone freddo che la circonda. Cominciano a sentirne il fetore nelle narici, e come questo tanfo s'insedia nel loro naso, loro iniziano a comprendere quanto la morte possa essere brutta. Nel nulla non possono più sentire niente, neanche i mali ai quali sono soggetti nella loro anzianità. E questo a loro non va. Anche se i mali della vecchiaia restano l'unica ancora di salvezza, l'unica fiamma vitale che tiene il loro cervello ancora ben sveglio e ossigenato, gli anziani rifuggono dalla morte, e cercano di vivere. E non importa di quanti mali possa portare l'esistenza in sè, l'uomo cerca di vivere e vivere e vivere.»
Yami ripensò alla frase scritta sul suo quaderno, quella legata al desiderio umano dell'immortalità. Pensò a quanto può essere stupido questo desiderio.
Yami: «Secondo te è esatto desiderare l'immortalità?»
Mikan: «So che è umano, ma non so se giusto. No, non credo lo sia.»
Yami: «No, non lo è.»
Ripensò ad altri suoi pensieri attinenti a questa discussione, scritti prontamente sul quaderno.

«Questo è uno dei problemi degli umani. Un loro difetto. Il desidero dell'immortalità. È qualcosa di stupido e assurdo. Per quale motivo si deve poter desiderare l'immortalità, per cosa? Sono consapevole, come ormai tantissimi extraterrestri, che nemmeno l'universo è immortale. Morirà, non si sa precisamente, ma morirà. Potrebbe morire espandendosi all'infinito, perdendo tutto il calore sprigionato dal big bang e divenendo roccia inerte e fredda. Potrebbe morire ritornando nel suo punto originale, riattirando a sé tutta la materia creata, rimpicciolendosi ed esplodere per rinascere in un altro universo. Ma l'universo precedente e tutte le forme di vita in esso moriranno. Anzi, le forme di vita saranno già morte molto tempo prima dell'universo stesso. In sostanza, niente è immortale. Basandoci su questo concetto, perché gli umani devono desiderare l'immortalità? Supponendo che si diventi immortali, cosa succederebbe? Si vedrebbe morire gli altri. Tutti, tutti morirebbero: amici, conoscenti, cari, parenti, mogli, mariti, figli, nipoti, fidanzati, superiori, dipendenti, papi, i baristi di fiducia...perfino il tanto odiato vicino. Dopo che muoiono tutti gli uomini vedresti morire qualsiasi altra forma vivente sulla Terra(o se si riesce, su qualsiasi altro pianeta), e poi morirebbe l'universo. Magari l'immortale in questione esploderebbe con esso, sarebbe soggetto a tutta l'energia sprigionata dai futuri big bang, e nel mentre penserebbe a tutti i big bang in cui ha sofferto e a tutti quelli in cui soffrirà. O magari, inizierebbe a vagare nell'universo sempre e sempre più grande, freddo e vuoto. Tutto questo ha un senso?
 
Un saggio terrestre di tanto tempo fa diceva che è inutile desiderare l'immortalità, perché se si ha vissuto una vita infelice, perché desiderare di soffrire ancora? E se si ha vissuto invece una vita felice, si immagini semplicemente di tornare sazi da un convivio e andare a dormire.»

Siamo qualcosa di passaggio, abbiamo un inizio, un viaggio, una meta e una fine. Siamo degli impulsi fuggevoli. Siamo la disperazione, l'amore, l'orgoglio, l'odio, il risentimento, e tutti gli altri i sentimenti umani messi insieme. Fusi e magari riposti nelle emozioni di qualcuno. O forse nel sogno di un Dio. Non siamo fatti per l'eternità, ma per vivere per un periodo. Per tutta la durata di quell'emozione, di quel sogno. Ma quel sogno dobbiamo farlo finire felice.»

Quel pomeriggio triste passò. Yami quella sera restò con Mikan. Nel tentativo di rassicurarla lei le rivelò tutti quei suoi pensieri scritti dentro quel quaderno. E Mikan si rassicurò, per fortuna. Non ci mise molto per tranquillizzarsi. Yami si era riseduta sul divano e ben presto venne a farle compagnia anche Mikan, tornata con uno sguardo non proprio sereno ma almeno non triste e sofferente.
Mikan: «Ecco...»
Yami: «Cosa?»
Mikan: «Desideravo ringraziarti, per tutto quello che hai fatto per me.»
Yami: «Ma figurati, non ho fatto niente!»
Yami, nel tentativo di farle tornare il sorriso le fece una linguaccia. Mikan si mise a ridere di gusto e le rispose prendendo un cuscino e tirandole una cuscinata in faccia. Una volta Yami avrebbe reagito: si sarebbe difesa dall'attacco di un oggetto tanto soffice e morbido, per paura di farsi male, per istinto di difesa. Ormai sapeva che non era un attacco quello, ma un gioco. Sapeva che quel colpo di cuscino non voleva essere una offesa, ma una manifestazione di affetto.
Mikan: «Ma che scherzi?! Non hai fatto niente?! Mi hai rasserenato ogni cacchio di volta io fossi in crisi, ogni santa volta piangessi, ti sembra nulla?!»
Yami: «Ho le spalle larghe, specie per te. Tu in questo momento ne hai bisogno.»
Mikan: «Specie per me...beh anche io ti aiuterei se dovessi, lo sai. È normale, tra amiche!»
Mikan le sorrise, e poi le strizzò l'occhiolino. Yami perse un attimo lo sguardo nei vuoto, pensierosa, poi le rispose con un sorriso.
Mikan: «Il punto è: avrai mai bisogno del mio aiuto? Ci sarà mai qualcosa sulla quale tu sentirai il bisogno di sfogarti?»
A quel punto Yami non riuscì più a nascondere quella sua preoccupazione: il suo volto si fece per l'ennesima volta pensieroso, pieno di sgomento. Mikan si allarmò per questo, e tentò di calmarla.
Mikan: «Ehi ehi ehi! Cosa c'è?»
Mikan posò dolcemente una mano sulla guancia divenuta rossa di Yami. Lei per tutta risposta chiuse gli occhi è abbozzò una smorfia di pianto. Mikan la richiamò un'altra volta, poi cinse la sua testa con le braccia. Abbracciò Yami e questa poggio la testa sul petto di Mikan. Lei le chiese se davvero qualcosa la tormentasse e Yami, a mò di risposta positiva, incominciò a piangere. Pianse sul seno acerbo di Mikan. Lei la accarezzò e le diede dolcemente una serie di baci sui capelli, per farla smettere.
Yami: «Sì che c'è una cosa che mi angoscia e mi tormenta, era incominciata poco dopo il mio arrivo qui sulla Terra, ma dopo la morte di tuo fratello questo macigno è triplicato! Non ce la faccio più!»
Yami si liberò di tutte le sue ansie quel pomeriggio grazie a Mikan. Si sentì molto più sollevata. Soltanto una cosa ormai le pesava sul cuore: una cosa che non avrebbe mai più potuto sistemare. In seguito, quasi con intento masochista decise di appuntare sul suo quaderno quell'errore, forse nella speranza di rendere meno deciso il segno che quello sbaglio aveva impresso nel suo animo.

«Ho ucciso ancora. Ho ucciso un altro ragazzo. Forse involontariamente ma l'ho fatto.
...
Una volta andai in un pianeta: la Terra. Un posto periferico nell'universo, piuttosto primitivo, ma abbastanza ospitale e tranquillo. Ero lì per compiere una missione. Era il mio lavoro. Un lavoro di merda. Il mio era decisamente un lavoro di merda. Dovevo uccidere un uomo. Wow. Ero comunque più che intenzionata a finire il mio lavoro. Dovevo togliere di mezzo un ragazzino, un pervertito schifoso. Un'altra extraterrestre era con lui, e se lo difendeva con gli artigli e con i denti. Una seccatura insomma. Ma questa mi fece capire quanto grande fosse l'errore che stavo facendo. Innanzitutto perché stavo cercando di uccidere una persona ben diversa da come me l'avevano descritta. Poi perché questa persona mi ha introdotto le bellezze di questo mondo, le sue stranezze e le sue particolarità. Quella persona mi ha offerto un assaggio di Terra e di Terrestri, e io sono rimasta inebriata da tutto ciò. Per quanto la Terra fosse primitiva, questa mi ha aperto la mente grazie a tante piccole cose, e se sono venuta a conoscenza di queste ultime lo devo solo grazie a quel ragazzino. Ma questo ragazzino qualche tempo fa è morto. Il ragazzino a cui devo tutto o quasi non c'è più. E se è morto triste e amareggiato, è colpa mia. Io lo ridussi così quella sera. Ero stanca, nervosa e lui insisteva pesantemente, pretendendo di sapere per quale motivo ero diversa in quei giorni, irritandomi ancora di più. Lo mandai affanculo, credo. Se non lo feci a parole lo feci col pensiero. E lui se ne andò via deluso. Poi il fattaccio: un incidente. Nulla della quale io avessi colpa.
...
Mannaggia a un qualsiasi Dio ancora esistente nella mente di qualsiasi essere credente! Terrestre o meno non importa, mannaggia a Lui! Io ho tutte le colpe! Avrei potuto far andare le cose diversamente! Avrei potuto chiarire, continuare a passeggiare con lui, parlare con quel ragazzo. La cosa in fondo non dispiaceva a me, né a lui. Se dopo quell'uscita l'incidente fosse avvenuto comunque, almeno Rito sarebbe morto felice. Così non fu, a causa mia.
Ora mi porterò questo fardello per tutta la vita.»


«Ti sbagli.»
Yami: «In cosa sbaglio, Mikan?»
Mikan: «Tu non hai nessuna colpa. Questi tormenti sono una parte di te, se una persona ci rimane male perché tu non glie li hai voluti rivelare non è colpa tua. So che sto parlando di mio fratello, ma era tipico che la sua ingenuità diventasse troppo spesso maleducazione. Al tuo posto, lo avrei fatto andar via anche io, anche se fosse stato mio fratello.»
Yami: «Ma che dici, Mikan?! Metti caso che tu potevi anche solo lontanamente sospettare che sarebbe successo quell'incidente sul ponte, lo avresti mandato via comunque?!»
Mikan: «Sbagli fin dall'inizio del discorso: non si può immaginare nessuno che succeda una cosa del genere, Yami! È capitato, è stato un incidente, basta, stop, punto!»
Yami: «Spero che riuscirò ad accettarlo.»
Mikan afferrò il viso di Yami con entrambe le mani e avvicinò i due visi.
Mikan: «Promettimelo. Promettimi che cambierai idea e ti convincerai di non essere l'assassina di Rito.»
Yami chiuse gli occhi, non riuscì a sopportare una tale vicinanza del viso di Mikan preoccupato.
Yami: «Lo prometto!»
Riuscì a non piangere una seconda volta volta. Mikan non sapeva se ciò fosse un bene o un male. Nel dubbio la riabbracciò di nuovo. Dopo un po', gli animi si rasserenarono. Le due ragazze si scoprirono sfinite da tutte quelle discussioni e tutti quei pianti. Ancora abbracciate si lasciarono andare e si distesero sul divano. Adesso stavano tutte e due bene.
Talmente bene che Mikan decise di provare a terminare ciò che Yami aveva iniziato dieci minuti prima e che una telefonata aveva interrotto.
Non era difficile riuscirci, i loro volti erano così vicini...
E Mikan non voleva più solo provare ad annullare quella distanza tra i loro due volti, tra le loro due bocche. Aveva avuto in quel momento preciso il desiderio di conoscere Yami. Già la conosceva, ma adesso voleva conoscerla un po' di più. Giusto un po'. Ed ecco che la sua mano dai capelli incominciò a scendere inesorabilmente sul braccio, poi cercò l'incavo tra questo e i fianchi di Yami. Forse era chiaro anche a Yami che la mano sinistra di Mikan stava puntando al suo seno. A lei questa cosa non dispiacque più di tanto. Perciò aprì gli occhi e cercò di far capire a Mikan che aveva campo libero. Cercò le sue labbra con le proprie. Un bacio, e quelle benedette distanze furono finalmente annullate.

Forse però, tutte queste scene e queste discussioni erano successe solo nella mente di un ragazzino delirante e vicino alla morte, non nella realtà.

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Commento dell'autore: Avevo detto che sarebbe stato l'ultimo capitolo. E invece così non è stato. Anche se il prossimo e ultimo capitolo(già scritto a dire la verità) sarà molto più breve, non potevo fare a meno di dividerlo da questo, in quanto i temi sono completamente diversi, e sarebbe venuto un capitolo decisamente più grande rispetto agli altri.
Per quanto riguarda la citazione del saggio sulla morte, ricordo perfettamente di aver letto questa frase da qualche parte, ma non riesco a ricordare chi abbia detto queste parole. Come ho gia detto, il prossimo capitolo è già bello e scritto, semplicemente aspetterò un altro po' per pubblicarlo e concludere quest'opera. Come sempre, invito a lasciare una recensione sia positiva che negativa e invito allo "stay tuned"! A presto!
P.S. Spero che nessuno se la prendi troppo a male per quella che potrebbe sembrare una bestemmia messa in bocca a Yami verso la fine del capitolo, in quanto io non la considero affatto tale.

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Capitolo 6
*** Amore (non) contraccambiato ***


La stanza era ben arieggiata. L'ingresso della stanza era aperto, e le finestre erano lasciate socchiuse per non fare entrare la brezza troppo fredda che vi era fuori. Filtrava dalle tapparelle una luce oziosa e spenta. Era quella tipica luce che la domenica pomeriggio colpisce le persone che rimangono a casa senza avere un qualcosa di preciso da fare. Era una luce infida, che porta un sopore maledetto, e che ti porta a pensare, a pensare troppo. Ti costringe a ricordare tutta la tua vita, a scandire tutti i tuoi ricordi, a fare un bilancio della tua vita insomma. Normalmente questo bilancio è negativo. Il ragazzo che si ritrovava però disteso nel letto di quella stanza non era sotto effetto di quella luce, perché il da fare lo aveva. Non stava facendo un bilancio della sua vita, semplicemente pensava. Ora aveva capito che in punto di morte c'era stato, ma non era morto. Si trovava invece vivo e vegeto in un letto di ospedale in un sonnacchioso pomeriggio di domenica. Aveva ormai compreso che qualche ora prima vi era stato un momento in cui era diventato incosciente mentre cadeva da un ponte che e tutto quello che ha visto dopo per un po' era stato frutto della sua mente delirante. Raccontò tutto quello che aveva immaginato dopo lo svenimento a sua sorella e alla sua migliore amica. Alla fine del racconto, quest'ultima uscì schifata dalla stanza, e la sorella guardò stupita il fratello.
«E questo è quanto, Mikan.»
La smorfia di incomprensione di Mikan cambiò. Gli occhi di Mikan si chiusero e la bocca formò un sorriso. Ben presto Mikan scoppiò a ridere per la storia raccontata dal fratello.
Mikan: «Rito, non so cosa tu abbia dentro quella testa per aver pensato a me e Yami messi insieme, ma questa è stata troppo...
Non riuscì a concludere la frase, bloccata dalle risate.
Mikan: «...conoscendoti magari nella tua mente il sogno è continuato e non ce lo hai detto!»
Reclinò la testa all'indietro e continuò a ridere di gusto. La faccia le divenne rossa, e incominciò a lacrimare per le risate. Rito la guardò perplesso, e si chiese se Mikan non stesse sfogando in questo modo la tensione accumulata nelle ultime ore per ciò che gli era capitato. Aspettò che Mikan terminasse di ridere e di piangere.
Rito: «Mikan...»
Ma Mikan non lo fece finire, si alzò e si buttò sul letto per abbracciare suo fratello. Tremava. Rito aveva il braccio sinistro bloccato da un ago, perciò ricambio l'abbraccio col destro.
Mikan: «Bastardo! Mi hai fatto venire un ansia per una notte e una mattinata intera!»
Rito poggiò la sua testa su quella di Mikan.
Rito: «Scusa, scusami tanto.»
Mikan: «L'importante è che ora è tutto a posto. Stasera ti dimettono e ce ne andiamo a casa.»
Rito: «Come mi sono salvato?»
Mikan alzò la testa e sorrise.
Mikan: «Chiedilo alla diretta interessata! Te la vado a chiamare.»
La ragazza si alzò dal letto e si precipitò fuori dalla stanza. Rientrò al suo posto, un pochettino controvoglia, Yami.
Rito la guardò aspettandosi una faccia contrariata, a causa del racconto di prima. Invece Yami si era calmata, aveva uno sguardo sereno e tranquillo, e un leggero sorriso stampato in faccia.
Yami: «Sono felice che tu ora stia bene.»
Mikan: «Mi sembra che ciò lo debba a te.»
Yami: «Beh, sì, sono stata io a ripescarti da quel fiume.»
Rito: «Cosa è successo? Come hai fatto?»
Yami: «Dopo che te ne sei andato, sono rimasta un po' su quella panchina. Mi ero convinta a...scusarmi per come mi sono comportata. Mi sono diretta verso il konbini di cui parlavi ieri sera. Ero entrata lì dentro per cercarti, convinta che ancora non fossi uscito. Il gestore mi aiutò e mi indicò la strada che avevi preso appena uscito dal konbini. Arrivata su quel ponte notai subito che una parte di esso era franata e nell'acqua del fiume scura per la notte riuscì a vedere che qualcosa in acqua che andava lontano. Non ci feci caso, ma dopo aver visto dei sacchi della spesa mi venne il dubbio e corsi a vedere se quella cosa nel fiume fossi tu.»
Rito cercò di seguire Yami nelle sue parole, ma la stanchezza stava prendendo di nuovo il sopravvento.
Rito: «Capito...beh, ti ringrazio davvero tanto.»
Yami non seppe come reagire a quel ringraziamento, perciò continuò la storia.
Yami: «Ti ho trovato, ho provato a rianimarti, ma non volevi riprendere coscienza. E ci credo che non volevi risvegliarti.»
Sicuramente si riferiva al sogno di Rito. Quest'ultimo, ripensando al sogno, capì che doveva scusarsi con Yami per l'insistenza della sera prima.
Rito: «Scusami per ieri sera. Per la pressione che ti devo aver messo...»
Yami si sedette vicino a Rito sul letto e gli accarezzò la fronte.
Yami: «Tranquillo, sei scusato. Per quanto riguarda me...anche io mi devo scusare.»
Rito: «Perché?»
Yami: «Ti ho mentito ieri. In biblioteca, non ti ho detto la verità. Quel quaderno che tenevo era in realtà una specie di...diario, voi terrestri lo chiamate così. Là dentro tenevo tutti i miei dubbi e insicurezze su questo mondo...e anche su di te. Puoi stare tranquillo che un giorno ti racconterò tutto quello che vuoi e che devi sapere, perché mentre ti salvavo ieri ho perso quel diario in acqua. A dire il vero, potevo recuperarlo, ma non lo feci. Se continuavo a scrivere cose lì dentro ho paura che le avrei sigillate lì per sempre.»
Gli occhi di Rito si chiuserò da soli per il sonno.
Rito: «Anche io avrei...una cosa da...dirti...»
Yami mise un dito sulla bocca di Rito per farlo stare in silenzio.
Yami: «Per il momento riposa.»
Si avvicinò al viso di Rito e, dolcemente, gli diede un bacio. Rito, a causa dello stupore e della stanchezza, non riuscì a rispondere a parole a quel gesto. Riaprì gli occhi e la guardò. Lei era diventata un po' rossa. Gli fece nuovamente un sorriso e Rito ricambiò. Yami parlò sottovoce.
Yami: «Ora dormi.»
Uscì dalla stanza lasciando Rito a riposare. Trovò Mikan che tornava dal bar con varie cose da mangiare. Non appena Mikan vide l'amica incominciò a frugare in un sacchetto e le porse un taiyaki.
Mikan: «Sono andata nel bar dell'ospedale perché avevo una fame da lupi. È da stamattina che sto in pensiero per Rito, non ho mangiato niente, da ieri sera!»
Yami ringraziò per il taiyaki e si accomodò nelle sedie del corridoio dell'ospedale. Mikan la seguì a ruota.
Mikan: «Ma quanto tempo sei stata senza fare niente ieri sera dopo che Rito era andato via.»
Yami: «Saranno passati una ventina di minuti. Mi ero messa a scrivere nel mio quaderno. Ce l'hai presente quale, no?»
Mikan fece cenno di sì con la testa.
Mikan: «Cosa c'avevi scritto?»
Yami provò a ricordarlo. Non riuscì a ricordare le parole precise.
Yami: «C'avevo scritto qualcosa legato a questo pianeta. Questo è stato uno dei pochi pianeti che è riuscito a colpirmi così tanto. Mi ha completamente cambiata, mi ha fatto capire che posso essere diversa, posso essere Yami e non l'Oscurità d'Oro. La Yami normale, e non la Yami assassina. Non so come questo pianeta ci sia riuscito, sarà perché qui le persone sono strane, per quanto primitive, hanno desideri ed emozioni mai esistite negli altri pianeti. E la scoperta di tutto questo la devo a Rito. Rito mi ha fatto aprire gli occhi. Rito mi ha fatto conoscere questo mondo con tutte le sue bellezze, con le sue contraddizioni e le sue stranezze, le sue emozioni...e credo che avrò la possibilità di condividere con Rito una dei sentimenti più belli di questo mondo.»
Mikan capì cosa intendeva Yami. Aveva sospettato da un po' che Rito avesse tolto gli occhi dai Sairenji per metterli su Yami, ed era felice del fatto che lei ricambiasse questo sentimento nei suoi confronti. Viene difficile pensare che Yami era venuta sulla terra apposta per uccidere il ragazzo del quale adesso è infatuata. Questo mondo porta a fare anche questo.
Mikan sorrise a Yami, e le augurò tutto il meglio con suo fratello Rito.
Yami: «Ma tu?»
Mikan: «Io cosa?»
Yami: «Mikan, lo sai meglio di me a cosa mi riferisco. Io lo so che pure tu provi qualcosa per Rito, anche se è tuo fratello. E la cosa è normalissima, visto che non siete veramente fratello e sorella.»
Mikan: «Su questo punto hai ragione, ma...»
Il suo viso divenne pensieroso, nel tentativo di cercare una risposta. Guardò una famiglia che usciva da una stanza verso la fine del corridoio.
Mikan: «Non potrò stare sempre accanto a lui. Me lo posso ancora permettere, ma prima o poi ci divideremo. Lui non mi vede assolutamente come una ragazza con la quale mettersi insieme, ma semplicemente come una sorella che deve proteggere e supportare. Io non lo vedo come un fratello, non sempre almeno, ma troppe cose vanno contro un rapporto amoroso con lui.»
Yami: «Tipo?»
Mikan: «I pensieri della gente. Tutti guarderebbero male una relazione tra me e Rito.»
Yami: «Ma non dovrebbe importartene dell'opinione della gente, o sbaglio?»
Mikan: «Non sbagli, ma devi capire è una cosa controproducente e che non porterebbe a niente, visto che come ti ho detto non mi ama, se non come sorella.»
Yami: «Sei sicura di questa scelta?»
Mikan: «Yami, se c'è una cosa che sanno fare solo alcuni umani è pensare. Scegliere la cosa migliore pensandoci attentamente non è affatto da tutti, sappilo. Io sono sicurissima della mia scelta, perché così sarete felici voi due. Io sono a posto e, chissà, prima o poi potrei trovare qualcuno che mi faccia dimenticare Rito e me lo faccia vedere solo come quella figura che dovrebbe essere per me. Credimi, è molto meglio che lui si metta con te.»
Tutte e due le ragazze distolsero lo sguardo e fissarono il pavimento.
Mikan: «Alla fine penso anche che sia giusto che Rito ti mostri cosa vuol dire su questo mondo la parola "amore".»
Yami: «È una parola che, insieme a tutti i suoi sinonimi, ho letto moltissime volte, e che ha destato troppe volte la mia curiosità. Si possono fare pazzie per quella parola? Soffrire per giorni nell'attesa di un momento di felicità o viceversa? Accettare il rischio che questo forte legame si spezzi definitivamente? Io non lo so.»
Mikan: «L'amore è una cosa che toccherai con mano molto presto, grazie a Rito. E fidati che, conoscendo mio fratello, la vostra relazione andrà a gonfie vele per tanto, tantissimo tempo, magari per sempre.»
Yami: «Per sempre? L'amore potrebbe essere una cosa che dura per sempre?»
Mikan: «No, abbiamo discusso su questo, ma...»
Mikan si alzò dalla sedia e si avvicinò ad una finestra, da dove si poteva vedere benissimo il tramonto. Fece cenno a Yami di venire accanto a lei e di guardare il tramonto. Yami si mise a fianco di Mikan e fece un gesto che aveva fatto molte volte da quando era sulla terra e che mai aveva smesso di affascinarla. Il tramonto si faceva vedere in tutta la sua bellezza. Era un bello spettacolo, anche se il sole stava morendo su questa parte di mondo, sembrava morire con un sospiro di serenità e di sollievo, con quel suo colore rossiccio circondato dal blu della sera che avanzava e che, mescolandosi con la morente vivacità dell'astro, diventava viola in certi tratti del cielo.
Mikan: «Il sole tramonta, un altro giorno finisce. Eppure, oggi a tante persone potrebbe essere capitato qualcosa di memorabile, qualcosa che ricorderanno con felicità per tutta la loro vita. Come quello che è capitato a te e a Rito. Beh, queste cose non possono durare per sempre...»
Yami: «...però?»
Mikan: «Però rimarranno sempre nell'animo di quelle persone e probabilmente nel loro gruppo di amici e parenti, e tanto basta agli umani per considerare queste cose immortali.»
Yami comprese tutto quanto. Le diede un abbraccio.
Yami: «Grazie Mikan, grazie di tutto. Mi hai motivata ancora di più. La mia vita è cambiata con Rito, e con te ho la spinta necessaria a vivere appieno questa mia nuova vita con lui. Grazie.»
Tornarono indietro ed entrarono nuovamente nella stanza di Rito, che si era addormentato e dormiva profondamente. Le due ragazze si sedettero una per lato accanto il capezzale del ragazzo e si distesero su di lui. Provate per quanto era successo a Rito, si assopirono anche loro accanto a lui. Incominciarono a fare bei sogni, quando il sole smise di illuminare quella parte della Terra, un mondo tanto particolare.
Finito il 16 settembre 2013
Finito di pubblicare il 6 ottobre 2013
 
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Commento.
Ora che ho finito questa storia, credo di avere più dubbi di quanti non ne avevo prima. Chissà se questa storia possa essere considerata "buona" o almeno decente, all'inizio lo speravo, adesso non so nemmeno se valga la pena farlo. Sto considerando l'idea di trarci una piccola specie di "spin off", la valuterò meglio in avanti. Come al solito, se volete recensite tanto tanto per farmi sapere se questa storia vi abbia fatto schifo o meno.
Bah, che altro dire, la storia è finita, andate in pace. Amen.
 

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