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Ho
sempre avuto un’alta considerazione di mio figlio Francis. È sempre stato un
ragazzo intelligente, dotato di acuto spirito di osservazione, diligente e
serio.
Sapendolo
così straordinariamente dotato, ho fatto in modo che ricevesse la migliore
istruzione che l’Inghilterra poteva offrirgli, sicuro che i miei sacrifici non
sarebbero stati vani.
Terminati
gli studi, è entrato a far parte della compagnia di famiglia, mostrando subito
un buon senso degli affari.
Frequentando
le scuole delle migliori aveva compagni che provenivano da ottime famiglie ed
il buon carattere di mio figlio gli ha permesso di instaurare buone relazioni
con molti dei suoi compagni, con cui intratteneva una fitta corrispondenza.
Talvolta qualcuno di loro ci onorava della sua presenza a cena, o invitava
Francis a passare il tempo libero in compagnia.
Di
tutti loro quello a cui Francis era più legato era il suo caro amico Roderick
Usher, che, stranamente, era anche l’unico che non avevo mai visto. Dai suoi
racconti trapelava che si trattava di un giovane ricco e malinconico, che
abitava in un'antica dimora dispersa nelle brughiere del Leicestershire
amministrando i beni di famiglia dopo la morte del padre. La fortuna che aveva
ereditato, purtroppo, non compensava la sua salute cagionevole, motivo per cui
il giovane raramente lasciava la sua tenuta.
Un
giorno, a colazione, mio figlio ricevette una lettera dal suo amico con cui gli
comunicava la perdita della sua amata madre, malata da tempo. Francis se ne
dispiacque molto: “Povero Roderick!” sospirò, con una costernazione tale che
travolse anche me e il resto della famiglia “E povera Madeline!” aggiunse poi,
riferendosi alla sorella.
Fu
triste e pensieroso per tutto il giorno e quello seguente, e solo a cena che
espresse un suo desiderio: “Vorrei tanto, padre, andare a trovarlo e porgli le
mie condoglianze. Dev’essere un tale brutto periodo per lui! Non oso pensare
come potrei essere, nei suoi panni, privato dei propri cari genitori e con
l’angoscia di una tenuta a cui badare, insieme alla propria sorella. Anche
nell’ultima lettera scritta trapela tutta la tristezza in cui è sprofondato,
Vorrei davvero aiutarlo.”
Non
avevo motivo per proibirglielo: lo trovai davvero accorato: Gli diedi il mio
permesso e mi ringraziò riconoscente.
Mi
stupì il giorno dopo, quando mi propose di accompagnarlo: il suo spostamento
poteva trasformarsi in un viaggio d’affari, approfittanrne per gettare le basi
del nostro commercio a Leicester, che distava a poche ore dalla Casa degli
Usher.
Fui
piacevolmente colpito da questa sua proposta, oltre che pienamente d’accordo.
La
risposta di Roderick non tardò ad arrivare: era lieto ed impaziente di poterci
ospitare presso la sua magione, ospiti graditi che avrebbero portato un po’ di
luce nella sua casa.
Impiegammo
un giorno intero per arrivare a Leicester. Esauriti i nostri incontri d’affari,
organizzati egregiamente da mio figlio, ci dirigemmo verso la tenuta degli
Usher.
Il
viaggio da Leicester durò quasi quattro ore, in cui attraversammo la brughiera
pregna dei mille colori autunnali; Francis ne era estasiato:“Oh, sì, Roderick
me ne ha parlato tanto, e aveva ragione! Questo posto è così pittoresco!”
Tuttavia
il paesaggio cambiò quasi quando al crepuscolo attraversammo il cancello di
ferro battuto della tenuta Usher.
La
stradina passava in mezzo ad una galleria di alberi talmente fitti ed alti da
non lasciare trapelare la
luce. Vi erano un paio di statue cadute a terra e divorate
dal muschio e dalle foglie, rami spezzati e morti ed erba incolta: rimanemmo
colpiti dall'incuria di quel giardino che sembrava aver vissuto un fastoso
passato, e la penombra ci fece perdere la serenità che aveva contraddistinto il
nostro viaggio sino a quel momento, come se fossimo entrati in una dimensione
diversa, un mondo grigio e decadente.
Anche
il clima sembrava più freddo che sulla strada che avevamo appena percorso, e
una leggera foschia si alzava tra gli alberi e i rami bianchi abbandonati a
terra. Venni pervaso da un insistente stato d’angoscia, un senso di squallore e
abbandono. Non sembrava esserci nulla di vivo, pittoresco o colorato in quel
giardino e la quiete ovattata era la stessa di un cimitero.
L’ampia
ed oscura dimora era preceduta da uno stagno artificiale, una pozza d'acqua
nera e che emanava un forte odore putrescente, circondata da giunchi secchi e
spezzati e cespugli informi e privi di foglie.
Mentre
la carrozza si fermava per farci scendere, un giovane varcò la soglia
dell’ingresso vendendoci incontro.
Era
alto e pallido, la sua magrezza sottolineata dagli abiti scuri del lutto. I
capelli castani, striati di grigio, incorniciavano un volto pallido e stanco
dai grandi occhi, liquidi e luminosi, e le guance glabre si increspavano in un
lieve sorriso delle sottili labbra incolori.
Povero
ragazzo! Pensai, guardando quel bel volto già così provato, mentre Francis
si avvicinava salutandolo calorosamente. “Roderick! Mio buon amico! Quanto
tempo…”
Lord
Usher sembrava pervaso da un’agitazione quasi fuori luogo. Stringeva
freneticamente la mano di Francis, sgranando gli occhi bruni sino quasi a farli
uscire dalle orbite. “Mio caro, carissimo amico! La gioia che provo a vederti
non la riesco a descrivere!”Si rivolse
dunque verso di me, senza calmare la sua agitazione:“Voi dovete essere il Signor Anderson. Suo
figlio mi ha parlato tanto spesso di voi, sono davvero onorato di conoscervi.
Permettetevi di presentarvi mia sorella Madeline.”
Lady
Madeline Usher era comparsa sulla porta senza che nessuno di noi se ne fosse
accorto. Assomigliava al fratello nei lineamenti così pallidi e affilati, e
nella sua altezza e magrezza; avanzò verso di noi in un modo così leggero che
pareva trasportata dalla stessa brezza che aveva fatto alzare la nebbia.
"È
un piacere conoscere un amico così caro a mio fratello, e suo padre” disse con
voce bassa, mentre le presentavamo i nostri convenevoli e le nostre più sentite
condoglianze.
“Accomodatevi
pure, ho dato disposizioni alla governante di preparare il the.” Francis le
sorrise e la ringraziò con quasi troppa vivacità per il suo carattere. La graziosa Madeline Usher
doveva averlo colpito davvero, così come a me erano rimasti impressi i suoi
occhi scuri screziati d'ombra.
La
malinconia di Roderick per i tempi passati ci fece compagnia nel thè. Mentre
mio figlio si premurava di ricordare all’amico episodi piacevoli dei loro
trascorsi accademici, lui sospirava, volgendo gli argomenti verso il loro lato
più tetro. Una cosa insopportabilmente incomprensibile: le ultimi tristi
vicende, unite all’abitare in quella casa così opprimente non potevano che
logorare un fisico e una mente già corrosi da una salute cagionevole.
Imbarazzato
dal silenzio in cui mi ero immerso, cercai di trovare un argomento di
conversazione guardandomi attorno:Il
mobilio del salotto era così sfarzoso ed eccessivo da risultare quasi stonato:
Non vi era angolo disadorno da un’armatura, né una superficie chiara e priva di
numerosi soprammobili di diversa fattura – vasi di ceramica, argenteria,
cristalleria- posti in ordine quasi maniacale.
Il
tutto era illuminato da un ampio camino, che gettava ombre guizzanti sulle
pareti tapezzate e coperte di quadri e stemmi di famiglia.
Lady
Usher osservava il fratello in silenzio, sorseggiando il suo thé; forse erano
le ombre del camino, ma mi pareva molto stanca: “Milady, permettete una
domanda?”
“Certamente,
Signor Anderson” mi rispose con un tenue sorriso.
“Vivete
in questa casa per i mesi estivi o è anche la vostra dimora invernale?”
Lei
appoggiò la tazza sul tavolino di cristallo tra il canapè dove sedeva e la mia
poltrona: “Da qualche anno a questa parte è diventata anche la nostra residenza
fissa. Sia mia madre che mio fratello preferiscono la quiete di questa tenuta
che la casa che abbiamo in città.” Spiegò.
Roderick
asserì: “Questa casa ha un’anima” mormorò guardandosi attorno, un sorrisetto
nervoso ad attraversargli il volto ed un lampo quasi folle gli occhi. “Ogni
oggetto, ogni quadro, ogni mobile possiede un alito di vita che solo pochi
possono percepire.”
Sia
io che Francis rimanemmo per qualche istante interdetti a quella frase. Non
riuscii –o non volli- coglierne il senso.
Tuttavia,
dopo questa strana uscita, l’umore di Roderick parve migliorare di un colpo,
tanto che invitò mio figlio ad una partita a biliardo.
Preferii
ritirarmi nella stanza a me concessa, per prepararmi alla cena. Anche Lady Usher
si ritirò nelle sue stanze. Mi soffermai a guardare di sottecchi la sua figura
scura attraversare il corridoio silenziosamente. Senza apparente motivo,
rabbrividii.
Scesi
a cena rinfrancato dal lungo viaggio, per scoprire Lord Usher e Francis parlare
seduti sul divano. Roderick sembrava sprofondato nuovamente nella più bigia
malinconia, il volto tra le dita lunghe, mentre mio figlio tentava di
rincuorarlo. Lo vidi molto preoccupato, ma non indagai oltre.
Lady
Madeline mangiò poco o nulla, partecipando poco alla conversazione. Notai che
era sempre Francis a tentare di coinvolgerla, cosa che la giovane donna pareva
timidamente apprezzare e di cui sembrava esserne riconoscente. Mi sembrò
improvvisamente una farfalla tenuta prigioniera, e non feci in tempo a
formulare questo pensiero che posò i suoi occhi neri su di me, rivolgendomi
anche un debole sorriso.
Come
quando la vidi nel corridoio da sola, venni pervaso da un brivido
sconosciuto.Poco dopo si accomiatò,
ritirandosi nelle sue stanze. Rimasi anche io per poco in compagnia di Roderick
e Francis: ora il primo sembrava di nuovo pervaso dalla frenesia, raccontava di
battute di caccia memorabili in compagnia di suo padre, mentre Francis lo
ascoltava, annuendo con veemenza, quasi lo volesse incoraggiare a continuare a
dimostrare il rinnovato buonumore.
Tornato
nella mia camera mi ritrovai intorpidito, assonnato. Feci appena in tempo a
sistemarmi nel letto che mi addormentai.
E
successe una cosa per me impensabile.
Sognai
Lady Madeline Usher.
Cavalcava
a pelo nella brughiera colorata che avevamo attraversato, spronando al galoppo
un destriero nero. La semplice veste bianca ed i lunghi capelli sciolti la
facevano assomigliare ad una libera amazzone, o una baccante in preda alla
mistica frenesia della sua fede appena uscita da un dipinto d'arte classica. Mi
passò vicina ridendo e mi gettò uno sguardo gioioso.
La
guardavo estatico incitare il cavallo, farlo voltare, disegnare salti e
movimenti eleganti, le gambe bianche e nude che spuntavano dall'orlo della
gonna strette al ventre dell'animale. E poi, improvvisamente, eravamo sulla
sponda dello stagno nero della tenuta, che era però un grande lago d'acqua
marcia.
Inizialmente
lady Madeline ne parve impaurita, facendo retrocedere l'animale. Poi mi gettò
uno sguardo determinato e lo spronò nuovamente, facendolo correre verso il lago
e tuffarsi dentro.
Questa
Fanfiction ha una storia un po' particolare. I primi due capitoli erano già
stati pubblicati ed abbandonati, sotto al titolo 'The Ushers', un po' di tempo
fa. Riprendendoli in mano li avevo trovati scritti in modo molto pesante e poco
coinvolgente, così li avevo eliminati.
E
poi li ho ripresi in mano. Perché? Perché ho fatto un sogno in cui leggevo Poe
e lo commentavo ad alta voce davanti ad un gruppo di persone. Cosa strana, che
anche se comunque i racconti di Edgar Allan Poe mi siano sempre piaciuti non è
di certo il mio autore preferito. E svegliandomi mi sono ricordata che anche
questa fic era nata da un sogno: un sogno generato probabilmente dalla visione
di 'Profumo' in cui recitava Alan Rickman, e che appunto alla sua figura mi
sono ispirata per il narrante Signor Anderson.
Quindi
l'ho ripresa in mano e l'ho sistemata e finita, ed ora che ho tutti e quattro i
capitoli nero su bianco ho deciso di riprovare a pubblicarla.
Spero
che possa suscitare un qualche interesse.
Vi
ringrazio in anticipo se vorrete passare di qui leggere e commentare, ma vi
ringrazio comunque per aver solo aperto questa pagina ed essere arrivati alle
note.
Sbarrai gli occhi nell’oscurità, il fiato corto
e il cuore in gola e rotolai nel groviglio di coperte mettendomi a sedere per
respirare meglio; il turbamento per il sogno di Lady Usher che non voleva
scomparire neppure quando ebbi la certezza che fosse irreale. Mi appoggiai alla
testiera del letto domandandomi il perché di quella bizzarra visione; avevo
sempre escluso che un uomo della mia età, pacato e reazionale, potesse avere
reazioni simili ad un adolescente, tanto più con una dama così giovane
conosciuta solamente da poche ore.
Il flusso dei miei pensieri fu interrotto dal
rumore del vento: lo sentivo fischiare furiosamente tra i tronchi e i coppi del
tetto, e i rami secchi degli alberi ticchettare contro i muri e le finestre
della casa.
Fu in quel momento che vidi filtrare la fievole
luce di una lampada da sotto la porta passare lentamente da sinistra verso
destra come se stesse percorrendo il corridoio. Restai inchiodato nel letto per
qualche istante, ma il bisogno di sapere chi vi era al di là del legno della
porta ebbe il sopravvento sull’inquietudine che i rumori della notte e il mio
sogno mi avevano infuso.L'uscio si aprì al mio tocco indeciso
e fu con timore che mi sporsi nel corridoio.
Lady Usher si voltò di scatto, stringendosi
nella vestaglia da camera bianca: "Signor Anderson! Vi ho svegliato,
perdonatemi!" mormorò, facendo tremare la lampada ad olio accesa che
teneva in mano.
"Non preoccupatevi, milady, ero
già sveglio."
"Il vento?"
"Sì" mentii. "Non sono
abituato a sentirlo con questa forza."
"Di notte si alza spesso." Spiegò,
volgendosi nuovamente verso la finestra. "Da qui si vede un
albero pericolante del nostro giardino, proprio vicino alla casa. Quando ho
udito il vento ho avuto l'istinto di alzarmi e controllare che non
fosse caduto."
Mi avvicinai a lei, il turbamento che
provavo prima era ormai del tutto scemato, il raziocinio aveva ripreso
controllo della mia mente. Bastava la tremula luce della lampada a dissolvere
il mio sogno, non era altro che una sciocchezza, uno strano scherzo prodotto
dalla mente di un vecchio. Probabilmente la stanchezza del viaggio,
il letto sconosciuto, i rumori al di là delle pareti e l'inquietudine
che tutta la casa mi infondeva gli avevano dato adito. Appoggiai una
mano al vetro, facendomi schermo e avvicinai gli occhi per tentare
di guardar fuori, mi sembrava di vedere qualcosa muoversi nell'oscurità.
"L'albero di cui state parlando è proprio di fronte
alla finestra?" Domandai, ricevendo una risposta affermativa.
"Credo sia ancora al suo posto, milady."
Parve sollevata. "Non avevo quasi
dubbi. È stato solo un timore da sciocca quale sono."
"Suvvia, non dite così. Simili rumori
nel cuore della notte angustierebbero chiunque."
"Come ha ragione, Signor
Anderson." Sussurrò facendosi scura in volto: "Questo posto, da
quando anche mia madre è deceduta, non è più lo stesso. Abbiamo sempre
avvertito suoni, cigolii nel cuore della notte. Ma ora... è tutto così strano e
cupo... Roderick ama questa casa, ma non vuole curarla. Sostiene che
rinnovare l'arredamento o far lavorare il giardino minerebbe l'essenza della
casa stessa, ne distruggerebbe la storia, l’anima." Sospirò
e le labbra tremarono quasi impercettibilmente. "Vi domando scusa, se
vi ho tediato con questa mia confidenza nel cuore della notte."
"Non avete nulla di cui scusarvi per aver
espresso questo vostro turbamento. Mio figlio e vostro fratello sono molto
amici, permettetemi di considerare anche me come tale."
Lady Madeline mi ringraziò, fissandomi a lungo
con i suoi occhi screziati. Poi si incamminò, come sempre leggera, verso la sua
camera da letto, augurandomi la buona notte.
Alla luce bigia del giorno ogni mia inquietudine
sembrava essersi chetata. Francis entrò nella mia camera prima di colazione, il
volto teso e dispiaciuto. “Vi devo domandare scusa, padre” furono le prime
parole che mi rivolse e gli domandai perché. “Mi sento in colpa per avervi
chiesto di accompagnarmi in questo posto, in questa imbarazzante e scomoda
situazione. Roderick non è l’amico che ricordavo e questo luogo…”
“Figliolo, i lutti e i dispiaceri della vita
possono cambiare l’animo di un uomo a tal punto da renderlo irriconoscibile
anche al più caro e intimo degli amici.” Lo rassicurai. “Sono certo che a Lord
Usher la tua visita non potrà che giovare, e sono fiero di te per essere
accorso al capezzale di un amico in preda a questa apatica tristezza. Non mi
pesa averti accompagnato: come hai potuto vedere solamente ieri, abbiamo anche
avuto ottimi incontri di affari in città.”
Francis non sembrò rincuorato dalle mie parole
eppure mi ringraziò lo stesso prima di accompagnarmi al piano di sotto per la
colazione.
Quel mattino Roderick Usher era ancora più
pallido del giorno precedente. Due occhiaie scure cerchiavano gli occhi quasi
ad esaltarne la luminosità, mentre posava una mano dalle lunghe dita affusolate
su quella di Lady Madeline, che anche lei non pareva aver trascorso una nottata
riposante.
Trascorremmo la giornata nel suo studio. Ancora
più stipato di oggetti, armature, quadri e stemmi risultava claustrofobico
nonostante fosse un'ampia stanza dal soffitto altissimo. Roderick si stava
dilettando nella pittura, arte in cui mostrava un grande interesse e una notevole
abilità. Eppure trovai i suoi bozzetti e disegni estremamente cupi: abbondava
di toni scuri, carboncino ed inchiostro nero, ed i soggetti erano sempre corpi
umani longilinei ed inespressivi, che fissavano un punto indefinito dello
spazio quasi incantati.
“Notevoli” fu il mio solo commento, cercando di
assumere un’aria interessata e positiva.
L’ultimo disegno che mi capitò in mano fu quello
che mi colpì più di tutti:Ritraeva il
particolare di una mano che reggeva una lampada ad olio.
Era perfetto, disegnato nei più piccoli
dettagli, con le dita magre e lunghe, inscurite nelle punte che stringevano la
lampada nervosamente.Un disegno
talmente vivo che mi fece tornare immediatamente alla mente il mio incontro con
lady Madeline della notte precedente. Pervaso da un senso d'ansia, lo appoggiai
alla scrivania e con una scusa uscii, lasciando Francis e il suo amico davanti
ad una tela.
Mi ritrovai in giardino senza quasi volerlo,
respirando a pieni polmoni l’aria satura di odore di muffa e umidità prima di
incamminarmi nel parco cercando di riacquistare lucidità nella foschia che
ancora non si era abbassata dalla sera precedente. Calpestai foglie secche e
rami, mi feci a volte largo tra cespugli sformati e tronchi abbandonati, finché
non mi ritrovai in una radura, davanti a quelle che potevo solo identificare
come rovine annerite di un antico edificio.
"È l’antica dimora della mia casata, un
castello medievale.” Spiegò una voce alle mie spalle che mi fece trasalire:
Lady Usher, avvolta nel suo mantello nero, attraversò i pochi metri che
separavano il sentiero da dove proveniva per avvicinarsi. "Abbandonata in
seguito ad un misterioso incendio: la dimora attuale fu costruita poco dopo,
mentre queste mura sono state lasciate all’incuria. È andato tutto distrutto, ad eccezione del sotterraneo.”
Mi sorpresi rapito dal suo racconto e dalle sue movenze aggraziate, mentre
avanzava verso le mura, invitandomi a seguirla con un solo sguardo. Domandai
come mai i sotterranei si fossero salvati.
“Perché una pesante porta di ferro ne sbarra
tutt'ora l’entrata” spiegò lei, addentrandosi tra le rovine, passando indenne
tra i rovi. “Il sepolcro era ben chiuso.”
“Il sepolcro?”
Annuì, spiegando di come il sepolcro custodisse
le ossa dei propri avi. L’ultimo ad avervi trovato l’eterno riposo era stato
suo nonno, dopodiché la tumulazione del resto della famiglia – compresi i suoi
genitori - era avvenuta in una cappella nel cimitero del paese vicino. Lady
Madeline si fermò davanti a quello che pareva un minuscolo oratorio divorato
dai rampicanti rinsecchiti e ne aprì con facilità la porta di legno scrostato.
La seguii attraverso i due banchi impolverati sino ad una porta di ferro che
lei solamente accarezzò. “Spesso vengo qui per riflettere” disse nuovamente.
“Da solo questa semplice porta traggo ispirazione per affrontare ogni
difficoltà.” Ancora rivolse lo sguardo dritto su di me. “La morte di mio padre.
Quella di mia madre. Ed ora un fratello debole e malato, che necessita di un
conforto continuo.”
“Capisco, lady Usher. Non deve essere semplice
per voi, così giovane…”provavo per lei
una pena infinta, ed allo stesso tempo si faceva strada dentro di me un
trasporto di tale magnetica e inquietante intensità che mi portava quasi a
sperare che la conversazione con Lady Madeline fosse interrotta al più presto
da qualcuno. La sua voce, il suo pallore e i fili castani dei suoi capelli che
spuntavano dalla cuffietta nera emanavano un fascino fatale a cui mi sentivo
sempre più avvinto. Volevo che continuasse a parlarmi, ad elencarmi i segreti
del giardino e della sua famiglia, che mi indicasse spoglie mortali e mi
conducesse nei meandri più oscuri, tra i rami più irti e la nebbia più fitta.
Eppure quelle mura spoglie e ingrigite sembravano spiarmi, giudicarmi,
opprimermi. Il piccolo rosone sopra l’altare pareva improvvisamente l’occhio
vuoto di un morto che mi osservava insistente.
Lei rabbrividì nel suo mantello nero,
stringendoselo al collo: “Mio caro e buon Signor Anderson. Sono ancora qui a
tediarvi con le mie inopportune confidenze. Perdonatemi.” Sussurrò.
“Come dicevo ieri sera, milady, non avete nulla
di cui chiedere scusa.” Le appoggiai la mano sulla spalla, e mi rivolse uno
sguardo carico di gratitudine.
“Siete davvero un buon amico.” Mormorò. “Ora
forse è meglio che rincasiamo: la nebbia inizia ad essere fredda ed io
necessito di riposo.”
Ci incamminammo di nuovo verso la casa,
percorrendo un sentiero diverso da quello in cui mi ero incamminato all’andata,
che costeggiava lo stagno accanto ad una fila di irti cespugli.
Dopo cena, mentre stavo per ritirarmi nella mia
camera, ebbi un imprevisto incontro con Lord Usher. Lo trovai davanti alla
finestra del corridoio, nell’esatta posizione che la sorella aveva assunto solo
la sera precedente.
Nuovamente, la gelida lama dell'inquietudine si
fece strada nel mio petto.
“Immagino che mia sorella vi abbia fatto
visitare il parco e le nostre rovine. Le nostre reliquie” disse, senza rivolgermi lo sguardo.
Annuii: “Mi ha raccontato la storia dell’antico
maniero.”
“E della cripta.”
“Sì, anche della cripta.”
Si lasciò andare ad un sospiro pesante:
“Madeline è certa che quella porta di pesante ferro tagli il mondo dei mortI da
quello dei vivi, così come il fuoco è stato tagliato fuori dai sotterranei
durante l’incendio.” Si voltò verso di me, gli occhi luminosi spalancati e
quasi isterici. “Mia sorella si sbaglia! Tutta questa tenuta è pregna di morte!
Eppure, questa casa palpita di vita, in ogni suo oggetto, soprammobile,
dipinto! Ciò che resta in questa casa non muore mai.” Un lieve sorriso si fece
largo tra le labbra bianche, prima di augurarmi una buona notte e di
incamminarsi nella direzione opposta del corridoio, lasciandomi ammutolito per
la sorpresa delle sue parole a cui cercavo di trovare il giusto significato.
La luce del camino del salotto illuminava Lady
Usher nella sua camicia da notte candida e pareva quasi incendiarla, mentre
fissava le fiamme guizzare tra nel camino intarsiato.
Per quanto desiderassi guardarla mi sforzai di distogliere
lo sguardo, posandolo su una consolle a me vicino, piena di soprammobili e
statuine di marmo poste su un vassoio d’argento: una di esse, un piccolo fauno
dall'aria impertinente, era riversa con il volto sul vassoio. Rialzandola per
rimetterla al suo posto notai sulla superficie lucida un minuscolo alone di
condensa, come se fosse stato a contatto con il respiro della statua.
Le strane parole di Roderick Usher mi tornarono
in mente, ed il sangue mi si gelò nelle vene: lasciai cadere la statuina a
terra e questa si frantumò in più parti. Mi voltai verso lady Madeline, per
domandarle scusa o spiegazioni, o forse entrambe le cose, ma lei non sembrava
minimamente turbata dall’accaduto e continuava a fissare il fuoco nel camino.“Milady - ”
“Caro Signor Anderson, mi rendo conto di non
conoscere neppure il vostro nome di battesimo.” Disse inaspettatamente.
“Geoffrey.” Risposi. “Geoffrey Francis
Anderson.”
Mosse un paio di passi nella mia direzione, un piccolo
sorriso stanco sul volto tirato ed emaciato: “Oh! Avete chiamato vostro figlio
con il vostro secondo nome!” constatò “Piuttosto inusuale, solitamente è il
primo nome di battesimo ad essere tramandato.”
C’era qualcosa in lei, qualcosa di splendido e
terribile nello stesso momento, che avvinceva e mi intorpidiva i sensi.
Qualcosa che invitava la mia lingua a sciogliere ogni reticenza e rispondere ad
ogni sua sottointesa domanda e richiesta quasi fosse un ordine.
“Io…” iniziai, con un suo passo scalzo ad
incalzarmi “Io e mia moglie battezzammo il nostro primo figlio con il mio nome.
Morì ancora in fasce, nel sonno della culla.”
Lady Usher singhiozzò e si coprì il volto con le
mani, scusandosi con la voce rotta dal pianto. “Non immaginavo! Perdonatemi, perdonatemi!
Non immaginavo che anche voi foste stato colpito da un terribile lutto!”
“Oh no, milady, non dovete angustiarvi!” Le
cinsi i polsi con le dita e le scostai delicatamente i palmi. Sul viso umido di
lacrime, gli occhi brillavano tristi. “Fu duro, non lo nego. Ma Francis arrivò
presto e ci restituì la felicità che la morte del piccolo Geoffrey ci aveva
strappato. Ringrazio Iddio ogni giorno per questo dono.”
“Fu come scorgere la luna dopo una notte di
tempesta, vero?”
“Sì, fu proprio così.” E subito dopo mi accorsi
che il vento, fuori dalle vetrate del salotto, aveva ripreso a soffiare e che
gli spifferi passavano dalle fessure delle finestre, spostando le tende come se
fossero aliti di fantasmi nascosti. Quando tornai a guardarla, Lady Usher aveva
gli occhi chiusi e le labbra contratte nello sforzo di trattenere nuovi
singhiozzi.
“Vorrei tanto vederla anche io. Qui vi è sempre
e solo tempesta. Mai, mai la luce della luna fende le tenebre.”
Ciò che accadde dopo prevarica ogni spiegazione
logica. Lady Usher riaprì gli occhi e avvicinò il volto e senza che riuscissi
ad impedirlo premette la bocca sulla mia. Le lasciai andare i polsi, le presi
il viso tra le mani e lo tenni fermo, mentre le mie labbra si staccavano dalle
sue per poi cercarle di nuovo, freneticamente, suggendone il tepore ed il sale.
Le mani fremevano al contatto con la mia giacca per poi farsi strada, prima
incerte poi sempre più bisognose, tra i bottoni dei vestiti. Lasciai che me li
facesse scivolare dalle spalle, lei lasciò che la guidassi sul canapè.
Fu disperata, folle necessità.
Mentre inarcava la schiena soffocando un gemito,
il cigolio della porta d’entrata mi fece voltare di scatto.
Non vi era nessuno, eppure percepivo troppi
testimoni scrutarci.
“Padre, vi vedo molto turbato stamani. Avete
passato una brutta nottata?” L’espressione di Francis, dall’altra parte del
tavolo era mortificata e cercai di fare il possibile per esprimere almeno la
pallida imitazione di un sorriso.
“Non è niente, mi ha solo tenuto sveglio il
vento.”
“Solo quello?”
Era una domanda innocente ed interessata, eppure
non riuscii a dissimulare il mio smarrimento, nella mente l’immagine della
porta del salotto aperta sul corridoio vuoto mentre avevo Madeline tra le
braccia. Scossi appena la testa, cercando di recuperare il controllo: “Un paio
di pensieri sui nostri affari a Leicester. Vorrei recarmi in città per
sincerarmi di un paio di evenienze.”
“Sicuro. Chiedo che ci venga preparata una
carrozza.”
“Puoi restare qui, se vuoi.”
“Vorrei partecipare e…” sospirò, gettando
un'occhiata furtiva attorno, il coltello con cui imburrava il pane fermo a
mezz'aria: “Prendere una boccata d’aria. Questo posto…”
“Comprendo” annuii. “Domani mattina partiremo
verso casa, ci lasceremo alle spalle questo buio.”
“Va bene. Anche se ammetto che mi dispiace per
Roderick. A proposito, non è ancora sceso per la colazione.”
Lord Usher si presentò nel salotto mentre ci
accingevamo a partire, gli occhi cerchiati di scuro ed un’espressione terrea in
volto, mentre ci porgeva le sue scuse per non essersi presentato prima: “Mia
sorella questa mattina si è svegliata in preda alla febbre” spiegò con una voce
angosciata che mi fece stringere lo stomaco in una morsa. “Ho mandato la
governante a chiamare il medico, sarà qui a breve.”
Francis si prodigò per rassicurarlo ed io lo
invitai a restare al suo fianco, impaziente come non mai di recarmi fuori dal
cancello di Casa Usher. Ma anche mio figlio sembrava dello stesso avviso, e
complice una stretta di mano e una frase rassicurante di Roderick, mi seguì
fuori nel cortile e poi sulla carrozza.
Oltre i cancelli, le colline erano illuminate da
una manciata di raggi di sole.
Troppo pochi per rischiarare i nostri animi;
restammo entrambi in silenzio per tutto il tempo.
A mano a mano che la carrozza si riavvicinava
alla tenuta Usher il temporale aumentava di intensità, come se stesse
preannunciando una tragedia in corso in quel nero teatro.
La governante ci accolse sulla porta d'ingresso
aggiornandoci subito con notizie funeste: "Le condizioni di milady si sono
ulteriormente aggravate" spiegò torcendosi le mani dall'ansia "Il
dottore è ancora qui, sta tentando di tutto, ma la febbre è molto alta e preda
di deliri."
Fu come un pugno allo stomaco per entrambi:
Francis sbiancò in viso e si appoggiò allo stipite della porta, prima di farsi
coraggio ed entrare in casa alla ricerca di Roderick, mentre io seguivo la
governante nella penombra del salotto per accasciarmi su una poltrona.
Non riuscivo a staccare gli occhi dal canapè:
nei cuscini, nello scialle abbandonato sul bracciolo, rivedevo la sua forma del
suo pallido corpo. Sullo schienale vi era ancora il filo nero e sottile di un
suo capello.
Come poteva essere possibile? Era stato un
sogno, incredibilmente realistico, ma pur sempre irreale. Era tutto frutto
della mia immaginazione, di una fantasia perversa spuntata fuori da chissà dove
e per chissà quale motivo.
Una fantasia pericolosa che prosperava nella mia
testa.
Una malattia, forse. I primi segni di demenza
senile, senz'ombra di dubbio.
Sentendo la governante tornare mi tersi
velocemente il sudore dalla fronte con il fazzoletto, mentre lei appoggiava il
vassoio del the sul tavolino tra me e il canapè per poi uscire dalla stanza nel
più mesto e meditabondo dei silenzi.
Mi versai una tazza e mescolai lo zucchero senza
riuscire realmente a concentrarmi.
Dal piano superiore arrivò un singhiozzo
sommesso, e poi un altro ancora. Supposi fosse Roderick ed il cuore mi si
appesantì. Abbandonai la tazza di the e mi alzai dirigendomi verso la scalinata
di mogano scuro.
Faceva freddo, molto più che nel resto della
casa: probabilmente qualcuno aveva lasciato una finestra aperta e trovai ciò
alquanto deprecabile, vista la presenza di una malata.
Poi sentii bisbigliare.
Non una voce sola e non una parola in
particolare; man mano che salivo i gradini i mormorii aumentavano di numero.
Erano più voci, più persone, più entità che parlavano a voce bassissima, in
tono concitato.
Pensai alla goverante ed al resto della servitù,
ma quando arrivai al piano superiore non vi era nessuno e le voci si erano
ammutolite.
Guardai istintivamente le pareti, i quadri
anneriti dal tempo e dall'incuria della famiglia Usher: volti dai lineamenti
spigolosi, fronti ampie e sguardi solenni o malinconici alternati da nature
morte di selvagginia e trofei di caccia.
Infine, ad attirare la mia attenzione e farmi
mancare il cuore di un battito fu la statuina sopra uno dei mobili che opprimevano
il corridoio angusto e buio.
Era il fauno che avevo visto nel salotto, quello
che era mi era caduto e si era frantumato dopo che ne avevo visto il respiro.
Nel
mio sogno in cui c'era anche Lady Madeline.
Era ancora appoggiato su un fianco, ancora con
il piccolo viso appoggiato sul mobile, il corpo bianco percorso da una
ragnatela di crepe, come se fosse stato ridotto in cocci ed incollato in fretta
e furia.
E anche qui, sulla superfice di cristallo del
mobile si allargava e si restringeva l'alone umido di condensa.
Mi allontanai tremando, finendo per sbattere
contro un altro mobile, facendo cadere una piccola collezione di pastorelli di
ceramica, che colpirono il tappeto sul pavimento senza rompersi. Percorsi a
ritroso il corridoio, arrivando al bivio che conduceva alle stanze da letto, ma
invece di dirigermi verso la mia, mi cadde lo sguardo nella direzione opposta.
La luce filtrava dalla porta socchiusa, da dove
proveniva un debole lamento.
I sussurri e i bisbigli erano tornati.
Ora parevano tutti all'unisono, quasi la litania
di una preghiera.
Sudavo e tremavo e non riuscivo a fermarmi:
andavo nella direzione della porta con la vista offuscata ed i piedi fuori dal
mio controllo.
Si aprì quando quasi potevo sfiorarne la
maniglia, facendo uscire la cameriera con un fagotto di lenzuola sporche in
mano e l'aria stravolta. "Signor Anderson, mi perdoni. La Signorina non è
stata bene ed io..."
"Resto io con lei, finché non
tornerete." La rassicurai, sentendo le guance in fiamme e la mia voce
aliena.
Lady Madeline aveva gli occhi chiusi, pallida
come i cuscini sui quali era sprofondata, le coperte che arrivavano sotto il
petto ansante ed un velo di sudore freddo sul viso e sulle mani.
"Roderick?" mormorò sentendomi entrare
e sedere, stordito, nella sedia a lei vicina. Aprì gli occhi, liquidi e scuri
come la notte. Mi sentii raggelare, quando li posò su di me pronunciando il mio
nome con un sospiro accorato: "Geoffrey..." Strinse la mano sulla
manica della mia giacca. "Son bella ancora, Geoffrey?"
"Lady Madeline..."
"No... no... solo Madeline, ti prego.
Rispondimi, Geoffrey, son bella ancora? Come ieri notte?" Non riuscivo a
frenare il mio tremore, il cuore che batteva furiosamente quasi a volersi
staccare dal petto: "Come ieri notte nel tuo sogno?"
"Come...?"
Rise, un colpo di tosse a scuoterle il petto
ansante: "Io so tutto, ora, Geoffrey. Perché questa casa mi ha parlato. E
mi parla ancora, continuamente. Sento l'anima di questa casa, esattamente come
dice mio fratello. Sento l'anima di questa casa in me, Geoffrey, come ti
sentivo in me ieri notte, senza essere davvero tua. E mai lo sarò, per tua
fortuna: presto farò anch'io parte di questa casa, sarò anch'io un brandello
della sua anima... " Iniziò a tossire violentemente, piegandosi su se stessa.
Mentre cercavo di aiutarla a sistemarsi
nuovamente sui cuscini la porta si aprì e la cameriera entrò trafelata seguita
da Roderick e dal medico.
Mi allontanai per lasciare che il dottore
prestasse le sue cure a Madeline, e solo allora mi resi conto del fiotto di
liquido nero che aveva vomitato imbrattandomi le lenzuola e la manica della
giacca: era scuro e odorava di marcio, tanto da ricordarmi le acque nere e
putrescenti dello stagno della tenuta.
Uscii a ritroso, quasi inciampando su una sedia
e trovando le braccia di Francis a sorreggermi. Mi riaccompagnò nella mia
stanza senza dire nulla, atterrito.
Vi restammo per tutta la sera, nessuno chiamò
per la cena e noi non la cercammo.
Non uscimmo finché la governante non ci venne ad
avvisare, con le lacrime agli occhi, della morte di Lady Madeline Usher.
La pioggia che non aveva smesso di cadere
leggera per tutto il giorno aveva aumentato di intensità e il vento ululava
nella brughiera, sibilava tra i rami secchi e faceva vibrare i vetri delle
finestre.
Roderick Usher sedeva sulla sedia a dondolo del
suo studio fissando con lo sguardo spento e perso le fiamme morenti del
focolare. Da quando sua sorella aveva esalato l'ultimo respiro era stato
percorso da una frenesia isterica, allontanando con vigore e rabbia il medico
che faceva domande troppo pressanti sulla malattia della defunta e che
proponeva di esaminarne il corpo per il bene della scienza. All'arrivo del
parroco dal paese vicino recitò le preghiere con fervore, ma non accettò il
conforto che il sacerdote cercava di dargli mostrandosi anche riluttante ad
organizzare le esequie.
"Benedite questa salma ora, padre, non
occorrono messe ed incensi. Beneditela, e le farò prendere posto nella vecchia
cappella di famiglia."
Non riuscimmo a dissuaderlo, e dopo una piccola
funzione il sacerdote se ne andò mormorando qualcosa sulla follia in cui si
poteva cadere a causa di un simile dolore e sulle preghiere che avrebbe
comunque rivolto allo sventurato Lord Usher.
Dopodiché Francis gli fece compagnia nella
penosa veglia sino all'alba, mentre io ero tornato nella mia stanza, a rimanere
sul letto vestito e con gli occhi sbarrati in preda alla più angosciosa delle
ansie.
Pregai e farneticai, mi lavai il viso più volte
tremando; caddi in una sorta di torpore agitato dove mi sorpresi a chiamare il
nome di Madeline e sperare di udire ancora i sussurri nell'aria che avevano
preceduto la sua morte.
All'alba lo stalliere andò a chiamare un
becchino, e tornò accompagnato da un piccolo carro funebre disadorno, come per
volontà di Lord Usher, e con una semplcie cassa foderata di raso.
Lady Madeline vi fu posta vestita di una
semplice veste bianca ed avvolta in un sudario. La fissai a lungo assistendo a
quell'operazione, sperando di trovare su quel viso emaciato una parvenza di
vita che potesse darmi la possibilità di urlare a gran voce di fermare tutto.
Ed invece le guance erano diventate ancora più
scavate, le labbra pallide abbandonate a formare un sorriso indistinto e la
punta delle dita sottili che andava illividendosi.
"La somiglianza fra voi è
impressionante" mormorò Francis, ed il suo amico annuì, spiegando che
erano gemelli, poi passò molto tempo a sistemarle le ciocche dei capelli
corvini e ad accarezzarle gli zigomi gelidi, prima di recitare un'ultima
preghiera coprendole il viso di porcellana con il sudario. Mi arresi e uscii
dalla stanza tra i colpi di martello che chiudevano il coperchio.
Poi, sempre dietro l'insistenza di Roderick, lo
sparuto corteo funebre composto da noi e dalla servitù seguì il piccolo carro
attraverso il parco, costeggiando lo stagno sino ad arrivare alle rovine
dell'antica chiesa.
Lì lo stalliere aprì la pesante porta con non
poca difficoltà, e la cassa venne deposta al suo interno, appoggiata per terra
tra due ali di vecchie e polverose casse ammonticchiate l'una sopra l'altra tra
le nicchie.
Quando la porta venne chiusa, il tonfo pesante
mi fece pensare che davvero separasse il mondo dei vivi da quello dei morti.
"Ti rammenti, Francis, di quando passavamo
le serate nella biblioteca della scuola a leggere ad alta voce? Rammenti il
nostro piccolo circolino di letteratura?" Roderick aveva gli occhi tristi
rivolti verso la libreria che prendeva parete intera dello studio, ma un
piccolo sorriso ad illuminargli il viso. Francis annuì, sollevato di vederlo
reagire. "Eri il più bravo, il più espressivo a leggere. Rendevi reali i
racconti, mi facevi sognare. Signor Anderson, sa di avere un figlio portato per
la recitazione?" Ammisi la mia lacuna e Roderick si concesse un piccolo
risolino nervoso. "Ti prego, Francis, mostra a tuo padre di cosa sei capace.
Prendi un libro, e leggilo ad alta voce come facevamo a scuola."
Mentre parlava si era alzato ed era andato verso
la finestra e aveva scostato le tende. Francis, dopo avermi gettato uno sguardo
penoso, si era invece avvicinato alla libreria per studiare i titoli dei volumi
facendosi luce con la lampada ad olio.
"OH!" Esclamò improvvisamente Roderick
indicando fuori dalla finestra "Che bellezza, che spettacolo
terribile!"
Mi avvicinai e così fece Francis: il parco era
spazzato dal vento impetuoso, le nubi nere così basse da sembrare che si
aggrappassero alle torri della casa per strappare il tetto e servirne gli
interni alla pioggia che cadeva violenta. Non vi erano lampi o tuoni, ma
riuscivamo a vedere tutto chiaramente, come se la pioggia stessa potesse
mostraci costa stava colpendo.
Da un angolo della finestra si vedeva una parte
dello stagno: l'acqua nera increspata sotto le sferzate creava giochi di forme
che Roderick, gli occhi follemente sgranati, indicava con il dito tremante
battendolo sul vetro. "Avete visto? Avete visto, vero?" rideva e
singhiozzava contemporaneamente.
"Vieni via, Roderick, non devi vedere
queste cose." Francis lo prese per le spalle e lo trascinò con fermezza
sulla poltrona. Mi affrettai a tirare le tende, senza prima poter evitare di
gettare uno sguardo di nuovo al parco, cercando invano nelle tenebre le rovine
della vecchia magione e pensando alla cripta gelida che conservava il corpo
esanime di Madeline.
Francis era tornato alla libreria, e dopo aver
trovato un libro aveva abbandonato la lampada ad olio su un tavolo vicino alla
porta e aveva preso posto nella poltrona di fronte a Roderick dichiarando, con
la dolcezza che si riserva agli infermi, di aver scelto uno dei sui classici
preferiti: Mad Trist; sul viso dello
sventurato si riaccese il sorriso triste e lo incoraggiò nuovamente a leggere.
"Ed
Ethelred, che era di natura di valoroso cuore, e si sentiva ora piu' che mai
vigoroso,causa la potenza del vino che egli aveva bevuto, non attese di
parlamentare oltre con l'eremita, il quale invero era di una natura maligna e
ostinata, ma sentendo la pioggia cadergli sulle spalle etemendo lo scatenarsi
della tempesta, sollevo' alta la sua mazza e a suon di colpi si apri' rapidamente
una breccia sulle assi dell'uscio per farvi passare la sua mano guantata di
ferro; ed ecco che tirando con questa energicamente spezzo' e lacero' e divelse
ogni cosa sinche' il rumore del legno secco e cavo rimbombo' e si ripercosse
per tutta la foresta".
Francis si interruppe
bruscamente, alzando gli occhi dal libro per guardarsi intorno come se avesse
udito improvvisamente qualcosa. Fissò me e poi il suo amico che, pallido come
un cencio, aveva chiuso gli occhi e artigliati i braccioli della poltrona.
"Non avete
sentito?" Mi domandò "Quel rumore, come di legno spezzato."
Scossi la testa, ed impensierito dalla sua agitazione, tentai di dargli la
spiegazione logica dell'albero secco del giardino che tanto aveva impensierito
lady Madeline. Lui annuì pur non sembrando convinto, e pervaso dal rinnovato
timore mi diressi verso un tavolino che reggeva una bottiglia di brandy e ne
presi un piccolo bicchiere, porgendone un altro a mio figlio per aiuitarlo a
distendersi i nervi. Dopo averne bevuto un piccolo sorso, sempre fissando
l'amico immobile, riprese la lettura.
"Ma il
prode campione Ethelred nell'entrare di la' dalla soglia si adiro' e si stupi'
di non scorgere alcun segno del maligno eremita; ma invece di costui un drago
di aspetto squamoso e prodigioso, dalla lingua di fiamma, che sedeva a guardia
di un palazzo d'oro dal pavimento d'argento; e sul muro era appeso uno scudo di
scintillante bronzo adorno del seguente motto: Colui che quivi entra,
conquistatore e' stato;chi il drago uccide lo scudo otterra'."Ed Ethelred
sollevo' la sua mazza e colpi' al capo il drago che cadde ai suoi piedi
esalando il suo fiato pestilenziale con un urlo cosi' orrido e aspro e al tempo
stesso cosi' penetrante, che Ethelred fu costretto a turarsi le orecchie con le
mani contro quello spaventoso rumore di cui mai aveva inteso prima
l'uguale"
E questa volta il
rumore lo sentii anch'io e pure Roderick spalancò gli occhi stringendo
convulsamente le mani sui braccioli con più nervosismo. Tuttavia non era il
rumore di legno secco spaccato, bensì un urlo. Un lamento cupo e alto che
pareva arrivare da lontano, dal profondo delle viscere della terra ed arrivare
a noi attraverso il vento, seguito dal tonfo sordo di qualcosa di pesante che
cadeva a terra.
Francis era pallido
dalla paura, ed io - dopo un ulteriore sorso di brandy - nuovamente mi
preoccupai di rincuorarlo: "Il vento che ulula" spiegai brevemente,
gettando comunque uno sguardo fuori dalla finestra.
Con la coda
dell'occhio, nella breve e fuggente frazione di un attimo, catturai un
ondeggiare bianco nei pressi dello stagno. Mio figlio riprese a leggere
cercando di mantenere ferma la voce:
"E ora il
campione sfuggito alla terribile furia del drago e pensando allo scudo di
bronzo e alla rottura dell'incantesimo che incombeva su di esso, scosto' dal
suo cammino la carogna del mostro e avanzo' valorosamente sul pavimento
argenteo del castello verso il punto in cui lo scudo pendeva dalla parete"
Mi feci schermo con la
mano ed avvicinai ulteriormente il volto al vetro per guardare meglio
nell'oscurità.
Se la tempesta era
stata sino a quel momento priva di fulmini, ora lampi e saette si alternavano,
illuminando i rami piegati e degli alberi e le increspature dell'acqua.
Tra i cespugli che
delimitavano il sentiero che passava a fianco dello stagno vi era impigliato
qualcosa, sferzato dal vento e dalla pioggia. Un cencio strappato, quasi una
bandiera.
Quasi il brandello di un sudario.
"... ed
esso in verita' non attese il suo giungere, ma cadde ai suoi piedi sul
pavimento d'argento, con un fragore possente, spaventosamente
rimbombante".
E mentre realizzavo
ciò che i miei occhi vedevano, le gambe mi cedettero e la voce di Francis
smetteva di leggere sentimmo distintamente una vibrazione metallica,
prolungata, gelida attraversare i corridoi e salire le scale.
Ed insieme, basse ma
distinte, le voci mormoranti che parevano uscire dalle pareti, dai
suppellettili, dai quadri. Voci concitate, quasi eccitate, nitide in mezzo allo
scrosciare della pioggia e ai lampi.
"Padre... le
sentite anche voi, vero? Roderick!"
Il giovane Usher si
era alzato in piedi, i capelli spettinati e gli occhi spalancati a rendere
ancora più folle l'aspetto, pervaso da un continuo tremore che gli faceva
contrarre la mascella. "Ciò che vive... in questa casa... ciò che resta...
in questa casa... non muore... non muore mai!" mormorarava, avvicinandosi
alla porta. "Desideravo che mia sorella mai fosse più separata da me! Che
potesse essere mia compagna, come lo era stata nella nascita, anche nella vita!
E' osceno a dirsi, vero Francis? Ho visto come la guardavi quella sera a cena!
Ti aveva già colpito la nostra somiglianza, è per questo che la desideravi, era
perché ti ricordava me. Cosa speravi,
che ti dessi la mia benedizione per portarla via? Da questa casa? Da me?" Francis lo guardava terrorizzato, gli occhi fissi
spalancati, cercando di indietreggiare per allontanarsi dal folle. "E' il
motivo per cui ho lasciato che i miei genitori fossero inumati fuori da queste
terre: così non sarebbero potuti tornare, non avrebbero potuto separarci, né
opporsi alla nostra unione. Ma invece mia sorella è qui, qui di nuovo!"
Invano Francis tentò di richiamarlo alla ragione, ma lui scuoteva la testa,
piangendo e ridendo nello stesso momento: "Ed io ti dico, davvero, che la
troverai fuori da quest'uscio!"
Quello che successe
immediatamente dopo lo ricordo con un senso di estraniamento, come se stessi
assistendo ad una rappresentazione teatrale, seduto tra il pubblico, tale il
susseguiresi degli eventi fu veloce e drammaticamente assurdo.
La porta si spalancò
violentemente, come se colpita da una delle sferzate di vento che picchiavano
le pareti esterne, facendo vibrare e cadere a terra la lampada d'olio dal
tavolino.
E tra i guzzi delle
fiamme che attecchivano al tappeto, comparve la visione più terrificante a cui
mai avrei pensato di assistere in vita.
Con le mani rosse di
sangue, consumate sino all'osso dalla disperata lotta, protese in avanti, lady
Madeline Usher varcò l'uscio, l'abito bianco zuppo di pioggia e fango che
aderiva al corpo livido ed i capelli sciolti che coprivano buona parte del
volto sfigurato da una furia ultraterrena. Passò sopra il tappeto incendiato
senza curarsi delle fiamme avvicinandosi a Roderick, che era crollato sulle
ginocchia e la fissava boccheggiando tendendosi una mano premuta sul petto e
con gli occhi fuori dalle orbite. Francis si precipitò verso me, afferrandomi
per il bavero della giacca e forzandomi ad alzarmi, spingendomi verso la porta
urlando ed invocando soccorso, mentre le fiamme iniziavano ad attaccarsi al
legno dei mobili e alle tende ed il fumo diveniva più acre.
L'ultima immagine
terribile che ho dei fratelli Usher è quella di Madeline china sul fratello, i
capelli grondanti acqua scura e putrida che sembravano avvolgerlo e stritolarlo
come i tentacoli fatali d'un mostro marino.
Fuggimo fuori, subito
raggiunti dagli altri domestici, che altro non poterono fare che aggrapparsi
l'uno con l'altro urlando sotto la pioggia, inorriditi davanti alle fiamme che
divoravano velocemente la tenuta della caduta famiglia Usher.
Bene, così avete a disposizione il quadro
completo di questa assurdità.
Le parti di Mad Trist sono proprio quelle
del racconto originale.
Grazie per averla letta e ringrazio in
particolar modo Efy per essere sempre così puntuale, gentile e 'fedele' e
Thyla, per aver commentato questa storia.