Dark Passion

di FALLEN99
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


L’acqua si agitava come fosse posseduta da uno spirito arcano volenteroso di afferrare qualsiasi cosa e portarla a largo via con sé. Con violenza inaudita, lingue d’acqua si alzarono dal mare, dirigendosi come serpi acquamarina verso la costa.
Amalia osservava la scena con il terrore che le impregnava le iridi chiare, i piedi piantati saldamente a terra e la consapevolezza che doveva agire che le continuava a pulsare nelle vene.
 Il mare stava impazzendo, tutta la natura lo stava facendo, e se Amalia non agiva in fretta, ogni cosa sarebbe stata solo un mero ricordo.
Strinse i pugni fino a far diventare le nocche bianche. Come una rivale accanita, Amalia sfidava con lo sguardo il mare, in attesa di fargli vedere di cosa era capace.
A passo deciso, avanzò sulla sabbia, lasciandovi impresse le orme dei suoi piedi nudi.
“Amalia Jones, tu sei la prescelta, non puoi sottrarti al tuo destino” quelle parole tanto odiate le rimbombavano senza sosta nella testa come un continuo avvertimento che le impediva di fuggire.
Perché era toccato a lei? Proprio a lei che di quella cospirazione apocalittica ignorava l’esistenza?
Sbatté le palpebre, impedendo alle lacrime di riversarsi fuori dalle iridi.
“Come un ago sulla bilancia, il tuo potere è in grado di favorire la luce o le tenebre. Sta solo a te decidere. Se sceglierai il bene, potrai salvare il mondo. Se sceglierai il male, distruggerlo”.
Un brivido le vibrò intensamente sulla pelle, marchiandole sulla carne il suo dolore. Amalia sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma non pensava così in fretta.
La sua vita negli ultimi mesi era stata un susseguirsi di scoperte sconcertanti; segreti oscuri erano venuti a galla, e lei aveva dovuto accettarli senza farsi inghiottire dal peso che conoscerli comportava.
Il mare ruggì con vigore, mordendole l’anima con il suo fragore.
“Sto arrivando” si disse la ragazza, il tono deciso quanto vacillante.
Fletté le gambe e compì un salto verso l’alto, l’aria che le soffiava accanto e le smuoveva i lunghi capelli come onde di velluto.
Un’onda improvvisa si levò dal mare, precipitandosi rapida verso di lei e gelandole il sangue.
Amalia, sospesa in aria, protese le braccia avanti, aspettando l’impatto con l’acqua. Quando il liquido le sfiorò la carne, un’onda di sfavillante energia esplose dalle sue mani, diramandosi sull’onda e sopprimendola come una stretta che tutto prende e niente dà.
L’onda ricadde sconfitta nel mare, sollevando un tappeto di gocce iridescenti, che Amalia fece evaporare con un solo sguardo.
Dopodiché, il suo corpo, vincolato dalla forza di gravità, prese a cadere verso il terreno.
Mentre l’aria le sfilava gelida accanto, Amalia realizzò che non le importava di morire in quella impresa se era ciò che lui voleva.
Un lacrima, infida, le rigò la guancia come un proiettile di cristallo.
Amalia la scacciò e atterrò sulla spiaggia piegando le gambe e aspettando che la prossima onda si presentasse al suo cospetto.
E quando accadde e Amalia fece convergere il suo sguardo verso di essa, una freccia immaginaria le trafisse il petto.
Su quell’onda c’era lui. La persona che amava e di cui credeva di potersi fidare. E che invece l’aveva tradita, sopprimendo i ricordi del loro amore come se non ci fossero mai stati.
Una sensazione di oppressione le serrò le viscere in una morsa latente che si stringeva mano a mano che l’onda avanzava.
Alec, in piedi sulla cresta dell’onda, era oppresso da un dolore lancinante che dal suo cuore si irradiava in tutto il suo corpo.
“Perché Amalia? Perché ci hanno messi l’uno contro l’altra in questa lotta perversa? Perché ti amo ancora, nonostante tu non abbia scelto la mia fazione? Perché ora sono qui davanti a te, e non ho il coraggio di incontrare il tuo sguardo?” si chiese in un monologo sordo e doloroso come lava che si insinua fra le ferite più profonde.
 
Amalia compì un altro balzo verso l’onda, avvicinandosi ad essa più che poteva non tanto per poterla distruggere meglio, quanto perché l’attrazione che la vincolava ad Alec era impossibile da sopprimere.
Con una smorfia, connetté il suo sguardo con quello di lui, e una sensazione inebriante quando gelida le pulsò nelle vene. Tentò di ignorarla, ma era così intensa che per un attimo temette di ricadere al suolo.
Alec, che aveva percepito la stessa sensazione, deglutì, sostenendo lo sguardo di Amalia.
- Ti amo- sussurrò, mentre l’onda su cui si ergeva travolgeva la sua amata.
Amalia, l’acqua che l’avvolgeva, decise di reagire a quella sensazione. Sbarrò gli occhi e fece scorrere il suo potere dal cuore verso l’esterno. L’energia che si liberò dalle sue mani eclissò per un attimo ogni cosa, facendo evaporare l’onda e costringendo Alec a chiudere gli occhi.
Il corpo del ragazzo precipitò verso il basso, verso il mare, da cui proveniva, come stava facendo quella di Amalia.
Quando i loro corpi furono inghiottiti dal mare, fu come un profondo silenzio avvolgesse ogni cosa.
Amalia, le lacrime che si confondevano nell’acqua salata, non ebbe la prontezza di fare quello che invece fece il suo amato antagonista.
Alec  aprì le braccia e creò una breccia nell’acqua, che al suo volere si divise. Attorno a lui e Amalia si era creato una sorta di squarcio dell’acqua, una bolla d’aria che impediva alle fauci del mare di divorarli.
Amalia recuperò stabilita e fissò intensamente Alec. Davvero stava per combattere contro di lui, cancellando la promessa di amore eterno che si erano incisi sulla carne?
- Amalia, dobbiamo affrontarci. Non possiamo opporci.- fu Alec a parlare, la sua voce raggiunse i timpani di Amalia come tentacoli di una piovra.
- Lo so. – disse lei, il potere che le dardeggiava sulla punta delle dita.
Prima ancora che potesse rendersene conto, Alec si era gettato verso di lei. Inorridita dalla velocità con cui si era mosso, Amalia si gettò a sua volta verso di lui. 
Quando i loro corpi furono vicini, Alec fece emergere dalle sue mani un lampo di tenebre, che raggiunse rapidamente e selvaggiamente Amalia.
La ragazza lo soppresse con un dardo di luce, che fu seguito da altri, che, come uno sciame di lucciole, si gettarono su Alec, circondandolo.
Il ragazzo fece un lungo sospiro, imprigionando nei polmoni più aria possibile. Poi, con voce roca e distrutta, cacciò un grido. Un grido che veniva dal suo cuore, e che si diramò tutto attorno a loro come un tornado oscuro, spazzando via i dardi di Amelia. Tutti tranne uno, che si infilzò nella carne di Alec, mettendolo in ginocchio.
E allora un altro urlo uscì dalle sue labbra, raggiungendo Amalia e trapassandole il petto come una stiletta di gelido acciaio.
Amalia, con il cuore in gola per il dolore che aveva provocato ad Alec, avanzò rapida verso di lui, una spada luminescente che si formava nella sua mano.
- Non ti permetterò di uccidermi, Amalia. -  disse Alec interrompendo il grido e impartendo all’acqua che li circondava un fatale ordine.
Colpire il cuore di Amalia, come lei aveva fatto con il suo. Senza pietà, spezzandolo fra le sue grinfie.
L’acqua la travolse prima ancora che potesse rendersene conto, ma quando successe, la spada di luce che reggeva in mano l’aiutò a difendersi da quelle acque torbide che da sempre aveva odiato.
I bagliori lanciati dalla spada si dipanavo per il mare, infrangendo la sua superficie in miliardi di schizzi iridescenti.
Alec si lanciò verso Amalia per farla smettere, il suo grido che si levava assieme alla sua disperazione.
- Zitto! – gli intimò Amalia, devastata dalla sua voce.
Ma quando  Alec le giunse accanto, pronto a fronteggiarla in un corpo a corpo fra le fauci del mare, Amalia capì che il dolore più profondo non era quella provocato dal taglio che le segnava lo sterno, bensì da quello che le lacerava il cuore.
- Amalia, non posso farlo
Amalia annuì, devastata. – Invece devi. Uno di noi deve morire, lo sai bene.
Detto quello si gettò contro di lui, la spada protesa in avanti.
Alec inghiottì un groppo di saliva e fermò con le mani la lama della spada, che gli bruciò la carne come metallo incandescente.
Il suo gemito fu soffocato dalle sue labbra, che si chiusero per non farlo giungere ad Amalia.
La ragazza spinse vigorosamente la spada in avanti, ma la forza con cui Alec la teneva ferma era molto superiore alla sua.
Sconfitta nel profondo, lasciò l’impugnatura della spada e si gettò verso di lui. Ma appena si sfiorarono, ciò che entrambi temevano si manifestò.  
Come ghiaccio rovente, i loro corpi a contatto liberarono una carica magnetica che fece aderire l’uno all’altra, circondati da una catena indissolubile.
Alec cinse la vita di Amalia, attirandola, vittima della passione, a sé. Gli sguardi che seguirono vibrarono nei cuori come melodie sommerse dal dolore.
- Ti amo.- dissero nello stesso istante, mentre le loro labbra combaciavano in un bacio struggente e pericoloso. Il bacio che segnò la fine del mondo.
Perché?
Per il semplice motivo che luce e tenebra non possono amarsi. Sono due opposti.
Come lo erano Amalia e Alec.  

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1. ***


Capitolo Uno



L’uomo incappucciato sollevò fulmineo un braccio verso di lei. La lunga manica scura rivelò una mano ossuta e lattiginosa, il cui dito indice si alzò, come a condannarla.
– Sei tu la prescelta, Amalia Jones. – disse una voce metallica e fredda, che sembrò provenire dall’enorme cappuccio che celava il volto dell’uomo.
Amalia, impaurita, indietreggiò, il sudore gelido che le scivolava come una lama sulla schiena.
Sentiva dentro di sé un terrore così nero da corrodere ogni parte di lei e ridurla in stato di trance.
Ma non avrebbe ceduto a quel terrore. Doveva resistere.
Si morse la lingua con vigore e sollevò la testa, lanciando uno sguardo all’uomo che aveva davanti.
–No, ti sbagli.– disse, il tono vacillante.
Dal cappuccio dell’uomo sembrò emergere la luce sinistra di un sorriso.
– Credimi, se c’è una cosa che i Veggenti non fanno, quella è sbagliare.
Detto questo l’uomo avanzò improvvisamente verso di lei, non dandole il tempo di ritrarsi. Le sfiorò con una mano il viso, facendola trasalire.
I suoi occhi dardeggiarono, illuminati da una luce che agli occhi di Amalia apparve scarlatta come sangue.
– So che sei tu. Lo sento. – riprese lo sconosciuto, muovendole una carezza sulla guancia.
Un brivido freddo come l’acciaio si dipanò dentro Amalia da dove la pelle dell’uomo la toccava, gelandole il sangue nelle vene.
Avrebbe voluto urlare, ma una forza arcana le serrava la bocca in una stretta da cui le era impossibile sottrarsi.
Poi un fulmine improvviso s’infranse al suolo poco distante da loro, eclissando con il suo bagliore ogni cosa.
Amalia si svegliò di soprassalto, la confusione che le ottundeva la testa. Il suo petto si muoveva al ritmo di un respiro affannoso e spaventato.
La ragazza si tirò a sedere, gli occhi sgranati, come se l’uomo incappucciato fosse ancora lì davanti a lei, pronto a toccarla di nuovo.
Rabbrividì, mentre i dettagli dell’incubo si facevano sempre più sfocati, lasciandole libera la mente.
Restò in quella posizione; i denti serrati e il corpo rigido, per minuti che le parvero infiniti.
– Tesoro, tutto bene? – la voce di una donna irruppe con dolcezza nella stanza, carezzandole le orecchie.
Amalia sobbalzò quando la mano della madre le sfiorò il braccio. Era fredda come quella di un cadavere.
Si sottrasse a quel tocco, incrociando gli occhi preoccupati della madre.
– Un altro incubo?– le chiese gentile la donna, lo sguardo comprensivo.
Annuì, e la madre si sedette nella sedia in vimini accanto al suo letto.
– Vuoi che ti porti un bicchiere d’acqua?
– Sì– la voce di Amalia era ridotta ad un flebile sussurro.
Eureka si alzò e uscì dalla stanza per poi rientrarvi con un mano un bicchiere colmo fino all’orlo d’acqua, in cui la luce della luna dipingeva scaglie argentate.
Amalia bevve avidamente il liquido, non lasciandone nemmeno una goccia.
Mentre la figlia beveva, Eureka continuava a far scattare lo sguardo da una parte all’altra della stanza, come ad esaminarne ogni angolo, paurosa che lì si potesse annidare un mostro famelico.
– Grazie, mamma. – Amalia le porse il bicchiere vuoto, ed Eureka, senza mai incontrare i suoi occhi, lo afferrò, appoggiandolo sul comodino.
Amalia rimase inquietata da quell’ambiguo atteggiamento della madre, che, dal suo metro e ottanta ed avvolta nella sua candida camicia da notte, sembrava un fantasma.
– Ora dormi, tesoro, o domattina sarai troppo stanca.
 Cullata dalla sua voce, Amalia si addormentò, mentre le labbra della madre le baciavano delicate la fronte.
 
La lingua bavosa di un cane le leccò la mano destra, che ciondolava fuori dal letto.
Amalia si riscosse al contatto con il suo cane, Cracker, che continuava imperterrito a imbrattarle di saliva la mano.
 – Buon giorno, cucciolotto – disse Amalia incontrando gli occhi di Cracker, che la fissavano guizzanti e gioiosi del suo risveglio.
Amalia sorrise all’animale. Quel beagle aveva la capacità di metterla di buon umore, anche appena alzata dopo una notte infestata da incubi terribili.
Gli mosse una carezza sul pelo lucido, che lui ricambiò acciambellandosi ai piedi del letto.
– Quanto vorrei stare a casa con te a coccolarti, ma sappiamo entrambi che è una cosa impossibile – brontolò, più a se stessa che a Cracker.
Poi, con violenza, la sveglia esplose in un trillo insopportabile che fece venire ad Amalia un’immensa voglia di schiacciarsi il cuscino sulla testa.
Con una ruga di fastidio che le segnava la fronte, si tirò a sedere. Cracker abbaiò alla sveglia, la coda dritta come un palo.
Il rumore della voce del cane e quello della sveglia si mischiarono in un suono irritante che riempì tutta la casa.
Amalia, gli occhi ridotti a due fessure, lanciò uno sguardo truce alle due fonti.
Cracker recepì il messaggio e, intimorito, uscì dalla stanza, mentre la sveglia veniva bruscamente spenta dalla mano della ragazza, che la schiacciò contro il muro.
– Tesoro, è pronta la colazione! – la voce di Maxus, il padre, le giunse alle orecchie come un timido richiamo.
Attirata dall’inebriante odore di pancake che sentiva dipanarsi nell’aria, Amalia scese dal letto e si diresse, infilate le pantofole, in cucina, dove il padre la stava aspettando.
– Ben alzata, principessa. – l’uomo le schiccò un dolce bacio sulle fronte, a cui Amalia reagì con una smorfia imbronciata. Odiava quando il padre la trattava come una bambina nonostante avesse ben diciassette anni.
Ogni volta glielo diceva, ma il padre sembrava non sentirla.
Così si era rassegnata, e come tutte le altre volte, si rassegnò anche quella.
Prese posto sulla sedia di legno disposta davanti al tavolo, che troneggiava al centro della cucina.
Inconsapevolmente, fece correre lo sguardo sull’arredamento. I muri bianchi delimitavano una stanza non molto grande, in cui il verde faceva da padrone indiscusso. Gli utensili, il piano cottura, il tappeto, ogni cosa al di fuori dei muri era verde.
Come se non bastasse quello che c’è fuori…si disse Amalia, stringendo le labbra. Sembrava che in Irlanda ogni cosa dovesse essere di quel colore, come se quell’isola fosse stata scolpita in uno smeraldo.
Non che non le piacesse, ma quando qualcosa era troppo, lo ammetteva senza troppi giri di parole.
La sua attenzione fu attirata dalla pila di pancake che il padre le stava posizionando davanti.
Affamata, ne afferrò uno, portandolo in un gesto automatico alla bocca.
 – A quanto pare la tua voracità non è cambiata
La frase del padre la lasciò sbigottita per qualche istante.
– E con questo cosa vorresti dire? – chiese, stranita.
Maxus si portò alle sue spalle, facendo aderire le sue labbra all’orecchio di Amalia.
– Che i luoghi cambiano, le persone, no.
Il boccone le andò di traverso. Si alzò senza pensare dalla sedia e si erse in piedi, inchiodando il padre con uno sguardo.
– Non credere che dicendo queste frasi poetiche cambierò idea su questo trasloco.  Io qui non ci voglio stare. Punto. – affermò, prima di dirigersi nella sua stanza, lasciandosi dietro un Maxus deluso.
Sbuffando, si chiuse la porta alle spalle. Si diresse rapida verso l’armadio, aprendolo con uno scatto.
Cominciò a provare un vestito dopo l’altro, senza mai fermarsi. Era la cosa che faceva sempre quando era arrabbiata, la aiutava a rilassarsi, e per quanto fosse strana, Amalia non ne poteva fare a meno. Sarebbe esplosa. Quando finalmente trovò un completo che le piaceva, fermò la sua follia. Guardò la sua immagine riflessa allo specchio, quella di una ragazza magra e discretamente alta. I capelli, ricci e neri, le cadevano disordinatamente sulle spalle, mentre gli occhi, chiari come diamanti, sembravano stanchi e appesantiti.
– Amalia, tesoro, ricordati che le scuole qui impongono di mettere la divisa! – la voce di sua madre la fece imbestialire ancora di più.
Con una furia inaudita, si spogliò di nuovo, gettando i vestiti sopra il letto.
–  E dove sarebbe questa divisa?! – domandò Amalia, stringendo i pugni.
La porta della sua stanza si aprì, e, in risposta, una divisa stirata e profumata venne posata sul pavimento.
Amalia l’afferrò e la indossò, sentendosi un’idiota per non averci pensato.
Decidono anche come mi devo vestire? Fantastico!
Da quando si era trasferita in Irlanda, quasi una settimana prima, ogni cosa era andata storta. Ed anche il primo giorno in quella nuova scuola lo sarebbe stato, se lo sentiva.
Raccolse i ricci in una coda di cavallo e, reprimendo i pensieri, prese la borsa a tracolla che giaceva accanto al comodino.
Se la portò alla spalla e uscì dalla sua stanza, dirigendosi verso  l’ingresso della casa.
– Io vado!  – gridò ai genitori.
Eureka, prima che la figlia potesse varcare la porta di casa, le fu davanti. L’abbracciò con dolcezza, confortando Amalia con il suo profumo.
– Vedrai che andrà tutto bene.
Amalia la strinse di più.
– Lo so che è difficile ricominciare, soprattutto perché questo trasloco te l’abbiamo imposto. Papà vuole solo che tu lo accetti, i suoi continui tentativi sono solo per il tuo bene.
Al sentire quelle parole, Amalia si sottrasse a quell’abbraccio.
– Il suo, di bene. Ci siamo trasferiti solo per il suo stupido lavoro!
A quelle urla, Cracker accorse. Amalia lo accarezzò e senza degnare la madre di un saluto, uscì di casa, buttandosi nell’aria gelida dell’autunno, che le punse la pelle come uno spillo.
Prese a camminare, nera di rabbia, in direzione della fermata dall’autobus, che si intravedeva pochi metri più avanti.
Mentre osservava silenziosa il verde che la circondava, Amalia si trovò a pensare che forse era stata un po’ esagerata  con i suoi genitori.
Sapeva che anche per loro era stato difficile abbandonare la California, e si stava comportando da egoista facendo pesare loro questa decisione più di quanto già non succedesse.
Decise così che si sarebbe scusata, una cosa che non rientrava nel suo stile, ma che quella volta era disposta a fare.
Il rumore di un motore vibrò fino a lei, ridestandola dalla trance in cui i suoi pensieri l’avevano gettata.
Con gli occhi sgranati, si accorse che l’autobus stava partendo senza di lei.
Cominciò a correre  seguendo la vettura gialla, mentre l’ansia di perderlo si faceva sempre più intensa.  
Aumentò la velocità della sua corsa, le gambe che si muovevano veloci sull’asfalto.
Il paesaggio le sfilava accanto troppo rapido perché potesse vederne i particolari, ma Amalia sapeva che non avrebbe visto altro se non quell’interminabile verde.
La coda ondeggiava sulla sua testa, mentre il bus si allontanava sempre più, scomparendo dietro la collina senza di lei.
Pestò i piedi a terra quando realizzò di averlo definitamente perso. Lo sapevo!
Piegò le gambe e si sostenne con le mani sulle ginocchia, recuperando il fiato che quella corsa disperata le aveva strappato dalla gola.
Quella mattina le cose non sembravano voler girare per il verso giusto nemmeno a costringerle.
Spaesata, si accorse di non avere la minima idea di dove fosse la scuola.
Si guardò attorno, scoprendo che il posto in cui si trovava le risultava sconosciuto. Aveva corso talmente tanto che la sua casa era scomparsa alla sua vista.
Come fare ora, che si era persa?
Lanciò uno sguardo alle sue spalle, considerando l’opzione di tornare a casa ripercorrendo la strada, ma la scartò subito dopo.
L’improvviso rombo di un motore dietro di lei la fece sobbalzare.
Si voltò di scatto,  incontrando con lo sguardo una moto nera fiammante, ferma sul ciglio della strada.
Il guidatore, avvolto in una tuta di pelle, sembrava fissarla. E quando si tolse il casco, ne ebbe la conferma.
Due occhi verdi come le chiome degli alberi che li circondavano si posarono su quelli Amalia, e una scossa di energia la trapassò da parte a parte.
Il paesaggio attorno a lei cominciò a scomparire, oscurato dalla potenza di quello sguardo, che sembrava far convergere ogni cosa a sé. Amalia compresa.
Una forza sconosciuta la teneva ferma a fissarlo, impedendole di opporsi alla sua intensità di fuoco.
Il ragazzo mosse la testa, facendo ondeggiare la sua zazzera biondo cenere al vento, che, inspiegabilmente, aveva iniziato a soffiare con vigore, sibilando fra la fronde.
Aveva un viso bellissimo. Labbra carnose si allungavano sotto un naso sottile, contornato da alti zigomi.
Amalia rimase senza fiato quando gli occhi del ragazzo  perforarono nuovamente i suoi. Un brivido gelido come la notte le vibrò sopra e dentro la pelle.
Si strinse della giacchetta della divisa, in cerca di calore. Ma nessun calore arrivò a visitarla, come se il ragazzo avesse fatto calare su di lei un freddo impenetrabile.
Inquietata, indietreggiò, distogliendo lo sguardo.
–  Vuoi stare lì impalata o vuoi un passaggio? – la bocca scarlatta del ragazzo si mosse, ed una voce suadente le giunse alle orecchie.
Risvegliata bruscamente dalla trance in cui era caduta fissandolo, Amalia si riscosse.
– Come scusa?
– Ti ho chiesto se vuoi un passaggio, ragazzina.
Amalia strinse i pugni. – Non sono una ragazzina
Il ragazzo sorrise, scrutandole le forme. – Lo so bene.
Amalia arrossì, cercando di nasconderlo.
– Allora, lo vuoi il passaggio o no?
– A dire il vero non parlo con gli estranei. – ribatté, gelida.
 Il ragazzo le si avvicinò, un bagliore malizioso negli occhi. – Io sì. E per tua fortuna sto proprio andando a scuola. Quindi –  le rivolse uno sguardo di fuoco – prendere o lasciare.
Amalia, combattuta, si morse la lingua; il dubbio che la torturava.
Trasse un lungo respiro. Il ragazzo, seppur in modo molto ambiguo, le stava offrendo la possibilità di riparare alla sua sfortuna, ed Amalia si disse che valeva la pena rischiare di essere rapita, piuttosto che sorbirsi una ramanzina del padre
– Accetto – disse infine, non sapendo a cosa andava incontro.
 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


~Capitolo 2.

La moto sfrecciava ad una velocità altissima nelle strade, sollevando folate di vento ogni volta che cambiava direzio-ne. Le sue gomme, nere e lucide, mordevano l’asfalto  come felini a digiuno da mesi, la cui fame era diventata insostenibile.
Il rombo del motore si disperdeva nelle strade quasi ad in-timorire gli altri guidatori con la propria prepotenza.
Il paesaggio correva attorno ad Amalia troppo velocemente perché la ragazza potesse apprezzarlo, risultando una cen-trifuga di colori confusi e odori selvatici.
L’aria le si insinuava fin dentro le ossa tanta era velocità a cui la vettura viaggiava; le sembrò quasi di volare quando la lancetta segnò i centoventi chilometri orari.
Ma non obbiettò, primo perché aveva timore della reazione del ragazzo, secondo perché erano già in ritardo per l’inizio delle lezioni, cominciate già cinque minuti prima. 
Si morse la labbra e represse il grido che le stava nascendo in gola. Davanti a loro spiccava un enorme berlina nera, capovolta al centro della strada. Dal motore si espandevano scarlatte e voraci fiamme, che avevano fatto sciogliere gli pneumatici e stavano per divorare l’intera macchina. un odore nauseante di benzina le si insinuò prepotentemente nelle narici, dandole la nausea.
– Tieniti forte – fu quello che sentì dire dal ragazzo prima che la moto impennasse e compisse un perfetto arco nell’aria, superando come una pantera la berlina e atter-rando sull’asfalto.
Amalia non ebbe nemmeno il tempo di respirare che fu sbalzata in avanti, finendo contro la schiena del ragazzo e sentendo un brivido incandescente diramarsi dentro di lei al contatto.
– Fermati! – gridò, ma l’aria inghiottì la sua voce.
– Quella macchina ha bisogno d’aiuto! Ferma la moto! – riprovò a urlare, ma il ragazzo la fece tacere sterzando im-provvisamente a destra in una stradina che serpeggiava fra gli alberi.
– Ho detto ferm..!– non fece in tempo a finire. Il ragazzo aveva già frenato ed il suo corpo era già in volo, pronto per un doloroso attrito con il terreno, che l’aspettava umido e fangoso.
Amalia chiuse gli occhi e si maledisse per non aver chiuso la bocca, mentre il suo corpo veniva trascinato dalla forza di gravità verso terra.
Atterrò in una pozzanghera, sporcandosi la divisa e sen-tendo le gocce d’acqua stagnante impregnarle le gote.
– Merda! –  disse tirandosi in piedi.
Furibonda, lanciò uno sguardo di fuoco al ragazzo, che la fissava divertito dalla moto.
– Cosa diavolo ti salta in mente?! Quella macchina aveva bisogno d’aiuto! – alle sue parole, un guizzo malizioso il-luminò gli occhi verdi del giovane.
– Non c’era nessuno dentro la macchina. – disse, la voce ferma.
Amalia affilò gli occhi e strinse i pugni. – E tu come fai a saperlo?! Viaggiavamo talmente veloci che non si riusciva a vedere nemmeno la strada!
Le nocche le diventarono bianche da quanto stringeva i pu-gni e, se avessero potuto, i capelli avrebbero preso a vorti-care nell’aria come serpi.
– Chiamalo stesso senso.– ribatté lui, sfidandola con lo sguardo.
Amalia pestò i piedi a terra. – Guarda dove ci ha portati il tuo sesto senso! – mentre parlava, si guardò attorno, con-statando di trovarsi nel bel mezzo della foresta. Sola.
Un brivido gelido come il ghiaccio le graffiò la pelle, facen-dola sobbalzare.
– Senti, ragazzina isterica, se ti dico che non c’era nessuno nella macchina, è così.– il ragazzo sembrava divertito.
Contemplò Amalia trafiggerlo con uno sguardo truce, sor-ridendo. – E, un’altra cosa, hai almeno idea di cosa hai alle spalle?– chiese, il tono saccente e irritato allo stesso tempo.
Amalia si voltò e, boccheggiante, osservò l’enorme edificio secolare che si ergeva davanti a lei.
L’insegna “Saint Gabriel Hight School” trovava posto sul cancello argentato che delimitava l’edificio, e Amalia desi-derò aver chiuso la bocca al momento giusto.
– Dove pensi che siamo? – la voce del ragazzo le arrivò co-me un ceffone da dietro, ma lei decise di ignorarlo e di var-care il cancello, stufa di sentire i suoi rimproveri.
Camminò rapida fra l’erba alta, arrivando quasi incolume davanti al portone d’entrata, dove una ragazza dai vivaci capelli rossi la stava aspettando.
Continuava a picchiettare il piede sugli scalini polverosi, scadendo i secondi con una precisione esasperante. Aveva gli occhi stretti in due fessure, ed Amalia capì subito quale emozioni li colmava: rabbia.
Intimorita, le si avvicinò, dando una stretta alla coda.
 – Scusi io sono…
La ragazza la fulminò con lo sguardo. – In ritardo. Ecco co-sa sei.– disse, secca, scrutandola con diffidenza.
Amalia indietreggiò di un passo, reprimendo la rispostaccia che le stava crescendo in gola.
– Veramente io sono…
– Amalia Lizbeth Jones, sì, lo so chi sei. Sei la nuova stu-dentessa appena trasferitasi dalla splendente California.– la ragazza si sistemò gli occhiali sul naso e consultò il registro che teneva stretto in mano.
– Amalia, ho una spiacevole notizia per te: qui il sole non splende mai e i ritardi sono puniti rigorosamente. Mi di-spiace informarti che tu ne hai appena collezionato uno.– mentre parlava, appuntò qualcosa su un foglio dove Amalia poté vedere incorniciata la sua foto.
– Ho una scusa… – provò a balbettare.
– Non mi interessano le tue scuse, Amalia.– ribatté, chiu-dendo di scatto il registro.
Amalia vide una targhetta fermata da una spilla sulla ma-glietta della ragazza. Diceva : Shannon Stevenson, coordi-natrice degli studenti.
– Ti prego…– indugiò un istante sul nome –… Shannon, è il mio primo giorno e sono un po’ disorientata…
Shannon sorrise. – Oltre ad arrivare in ritardo sai anche leggere vedo.– disse, il tono pungente come uno spillo.
– Ora che ci siamo presentate ti mostrerò rapidamente la struttura della Saint Gabriel e poi ti condurrò verso la tua prima lezione, iniziata circa– consultò l’orologio da polso argentato – venti minuti fa.
Shannon si voltò e la invitò con uno sguardo di fuoco a fare lo stesso. Amalia, stordita dalla rapidità con lui la ragazza l’aveva messa in riga, fece per seguirla, ma una mano calda la trattenne per la spalla.
Quando si voltò, il ragazzo era a qualche spanna da lei, gli occhi verdi fissi come lame nei suoi.
– Ora che vuoi?
– Augurarti buona fortuna, Amalia.
Amalia strabuzzò gli occhi, constatando primo che il ragaz-zo si doveva essere mosso davvero rapidamente per non  essere visto da Shannon, e secondo che non poteva sapere il suo nome.
Prima che potesse respirare lui le sorrise e il richiamo di Shannon la riportò alla realtà, facendola voltare.
Quando lo fece, la coordinatrice sbuffò, seccata.
– Non farmi perdere altro tempo parlando da sola.
Amalia si girò di scatto, mossa dall’istinto di verificare l’affermazione di Shannon.
Boccheggiò quando vide che dietro di lei non  c’era nessu-no, esclusi le chiome degli alberi, che la guardavano beffar-de. Verdi come i suoi occhi.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


~Capitolo 3.

– E per terminare il nostro giro questo è il laboratorio di chimica della scuola, dove passerai circa la metà delle ore settimanali data la tua scarsa attinenza alle scienze. – Shannon sembrava cambiare tono ad ogni stanza che mo-strava ad Amalia, tanto che la ragazza cominciò a pensare che oltre la sua pungente ironia Shannon possedesse anche seri problemi di bipolarismo.
La coordinatrice chiuse la porta del laboratorio con un tonfo, ridestandola dai suoi pensieri.
– Bene, ed ora che abbiamo finito, puoi anche iniziare le le-zioni.– disse, frugando nella borsa a tracolla, da cui estras-se un foglio con sopra appuntati vari orari in una calligrafia elegante.
Lo porse ad Amalia, che lo guardò disorientata.
– Qui hai segnato l’orario delle lezioni di questa settimana con di fianco la rispettiva ubicazione nell’edificio. Mi augu-ro che tutto ti sia chiaro – con un colpo d’anca scansò Amalia, ignorando l’espressione perplessa della ragazza, che la  fissava, timorosa di rivolgerle la domanda che aveva sulla labbra.
– In caso contrario, te la dovrai cavare da sola.– fu l’ultima cosa che disse la rossa prima che il trillo della campanella vibrasse nell’aria, scatenando nel corridoio un afflusso in-credibile di persone.
L’orda di studenti inghiottì Shannon in pochi istanti, fa-cendo diventare l’immagine della ragazza una fra le tante; una macchia d’inchiostro in un calamaio enorme.
Amalia strinse il foglio fra la meni, tentando di restare in piedi alla corrente di magliette e spalle, che cercava di farla cadere a terra.
“Amalia, sei davvero fortunata oggi. Prima ti fai quasi vio-lentare da uno sconosciuto che scompare nel nulla e poi ti fai mettere in riga da una schizzata bipolare. Fantastico!” si disse, il nervosismo che le segnava le gote di rosso.
Recuperò il briciolo di dignità che le restava riuscendo a raggiungere la porta che si ricordava essere quella del ba-gno delle ragazze.
Appena la sua immagine fu riflessa sullo specchio, Amalia fece una smorfia. Si era completamente dimenticata del fango che le impregnava la divisa e i capelli.
Tentando di mantenere la calma si sciacquò il viso, senten-do le gocce fredde accarezzarle la pelle e risanarla.
Dopodiché slego i capelli e li raccolse nuovamente, questa volta in una treccia approssimata che nascondeva i milioni di nodi che li stringevano.
Trasse un lungo sospiro e guardò il foglio.
Storia; Professor Anderson, aula 34, piano terzo.
Uscì dal bagno e cercò di orientarsi seguendo i numeri se-gnati in oro sulle porte. Si trascinò per i corridoi e dopo cinque minuti si ritrovò davanti all’entrata dell’aula che presumeva essere quella giusta.
Inspirò con decisione tutta l’aria possibile.
“Coraggio Amalia.” Pensò prima di girare la maniglia e var-care la soglia della stanza, trovandosi addosso venti paia di occhi che la scrutavano come le spie di telecamere scanda-listiche, pronte a rilevare la minima imperfezione.
Amalia fece scivolare lo sguardo sul pavimento e proseguì a testa bassa verso la cattedra, dove un uomo sulla quarantina, mascella squadrata a capelli brizzolati, la stava aspettando.
– Ben arrivata Amalia. Ti stavamo spettando.– l’uomo le sorrise e la fece firmare sul registro di classe.
– Ti avranno spiegato che questa scuola è molto rigida, ma non ti preoccupare, se segui con attenzione ce la farai. Sei una ragazza intelligente Amalia, i tuoi occhi me lo dicono.– disse ed Amalia desiderò non averceli, gli occhi.
L’uomo le strinse poi la mano e lei, su suo ordine, prese posto su una sedia all’ultimo banco, di fianco ad una figura avvolta da una pesante felpa nera.
Sistemò  i libri che servivano per la lezione sul banco, cer-cando di evitare le continue occhiate che i compagni le ri-volgevano. “Ma non avete altro da fare?” avrebbe voluto di-re, ma si trattenne; non voleva farsi riconoscere subito.
Il professor Anderson iniziò a esporre l’argomento della le-zione, che riguardava fatti accaduti troppi anni orsono per-ché potessero catturare l’attenzione della ragazza, il cui sguardo converse fuori dalla finestra, dove la pioggia cade-va fitta, formando un muro d’acqua che impedì ad Amalia di scorgere l’orizzonte.
D’un tratto il suo compagno di banco si mosse, muovendo un braccio verso di lei e facendola sobbalzare.
Il cappuccio gli copriva il volto, rendendolo inquietante-mente simile all’uomo che Amalia aveva sognato la notte prima.
Stranamente, però, quando il ragazzo la toccò, le sensazioni che la pervasero non furono come quelle destate dell’incappucciato. L’esatto contrario. Fu come sfiorare il sole ed essere inondata dal suo calore per poi precipitare nelle profondità più oscure della terra, da cui non vi era ri-torno.
Amalia scacciò la sensazione ma quando gli occhi del gio-vane conversero nei suoi, essa si intensificò fino a diventare insopportabile, costringendola ad interrompere il contatto.
– Ci si rivede, ragazzina.– quella voce le vibrò nei timpani qualche istanti prima che lei la riconoscesse ed un brivido le marcasse la pelle.
Sobbalzò, suscitando l’attenzione del professore, che inter-ruppe la spiegazione per guardarla.
– Qualche problema, Amalia?– le chiese, il libro aperto in mano e lo sguardo che indagava prepotentemente nel suo.
Amalia deglutì e rispose, esitante. – No, tutto a meraviglia.
Raymond sorrise. – Magari se apri il libro riuscirai a seguire meglio, che dici?
La ragazza, rossa in volto, eseguì l’ordine e si gettò nelle righe del testo nel vano tentativo di scomparire.
– Sei davvero carina quando ti imbarazzi, sai?
Amalia ignorò quella stupida provocazione e tentò di seguire le date che il professore scriveva senza un apparente connessione logica alla lavagna.
– Taci. – disse, laconica.
– Oh–oh la ragazzina tira fuori le unghie. Sei davvero irri-conoscente, Amalia. – pronunciò il suo nome a un centimetro dal suo orecchio, destandole una lingua di fuoco sulla guancia. – Non mi hai nemmeno ringraziato per il passaggio che ti ha salvata dall’oblio.
Amalia strinse i pugni e si morse la lingua.
– Grazie. Ora zitto.
Il ragazzo sorrise, divertito. – Non è così che si ringrazia le gente, lo sai?
– No. Come non so quanto sono carina quando mi imba-razzo e come non so come tu faccia ad apparire e scomparire così all’improvviso.– disse le parole con vigore, quasi le vomitò da quanto venivano dal profondo.
– C’è un’altra cosa che non sai. – asserì lui.
Amalia incrociò il suo sguardo con uno di fuoco. – Ah sì? Quale?
– Il mio nome.
– Non credo mi possa interessare.
Gli occhi del ragazzo furono attraversati da un guizzo mali-zioso e la pioggia fuori dalla finestra sembrò rallentare la sua forsennata discesa.
– Se ti ritroverai ancora nei guai ti servirà sapere il nome del tuo salvatore.
Amalia ridacchiò. – Non penso proprio.
– Sei carina quando ostenti sicurezza.
–E tu sei inquietante quando appari all’improvviso e tenti di rifilarmi informazioni di cui non mi importa un fico sec-co. – ribatté, trovando una lugubre conferma nelle sue pa-role.
 
L’autobus sembrava procedere a passo d’uomo da quanto andava lento, ed Amalia rimpianse la velocità con cui lo sconosciuto l’aveva portata a scuola, mordendosi la lingua per aver anche solo pensato a lui.
Appoggiò la testa al finestrino per distrarsi dai suoi occhi verdi, il cui colore però continuava a comparire fra le chiome degli alberi, scosse dalla pioggia e dal vento cre-scenti. Sbuffò e tirò i capelli di lato per non sentire il freddo contatto con il vetro.
Quella giornata l’aveva travolta e privata delle già poche energie che aveva in corpo, lasciandola inerte come un gu-scio vuoto da cui si ha attinto fino all’ultima goccia.
Shannon e il motociclista erano stati due personaggi davvero strani con cui fare i conti; entrambi irritanti e sicuri sé, i due giovani erano stati capaci di fare una cosa che nemmeno i suoi genitori riuscivano a fare: tenerla in riga.
Sin da piccola Amalia era stata uno spirito ribelle, tanto che Erureka e Maxus avevano minacciato più volte di mandarla in un collegio, non portando a termine la promessa solo per l’attaccamento viscerale che nutrivano nei suoi confronti.
Se c’era una cosa che non le stava bene, Amalia lo diceva esplicitamente, senza curarsi delle conseguenze che le sue parole scatenavano attorno a lei. Questo non le era mai giocato a favore, molte delle sue ex compagne la evitavano proprio perché temevano il suo giudizio e le sue parole ta-glienti come lame, che riuscivano a ridurre in lacrime chiunque.
Era come se Amalia possedesse dentro di sé qualcosa che la induceva a ribellarsi a qualsiasi cosa le venisse imposta; che fosse un nuovo vestitino o un trasloco improvviso, lei doveva sempre dire la sua.
Il colore dei suoi capelli avrebbe dovuto essere rosso come il fuoco che le ardeva dentro ogni volta che apriva la bocca, ma per qualche strano motivo la sua chioma di ricci era nera come ossidiana, uguale a quella di sua nonna, che aveva lasciato in California.
Scacciò una lacrima che, infida, le stava per scivolare sulla guancia. La nostalgia che aveva della donna era profonda come una voragine, ed ogni volta che ad Amalia tornavano in mente i suoi occhi di ghiaccio una fitta le lacerava lo stomaco, inducendola a reprimere l’immagine di Emily.
Lo fece anche in quella circostanza, cercando di pensare a qualsiasi altra cosa che non fossero le onde cristalline della California che s’infrangevano in spumeggianti risacche sul-la costa.
L’autobus frenò all’improvviso ed Amalia per poco non cadde in avanti.
– La signorina Jones è pregata di scendere – gracchiò l’altoparlante che stava sopra la sua testa, facendola sob-balzare. Amalia afferrò la borsa e, sotto gli occhi di tutti, scese dalla vettura.
Mentre l’autobus riprendeva la sua corsa, la ragazza si ri-trovò addosso due occhi verdi che conosceva fin troppo be-ne. La fissavano dal sedile del passeggero, freddi e affilati come coltelli che ti penetrano per poi non uscire più.
Amalia avrebbe voluto non provare quelle sensazioni in-crociandoli, ma essi sembravano possedere un languido fa-scino su di lei, tanto che la ragazza sentì un scarica di geli-da energia percuoterla.
“Per oggi ne hai avuto abbastanza, Amalia” si disse voltando le spalle a quegli occhi, che avvertì pesarle sulle spalle per tutto il tragitto che la separava da casa.

Qualcuno la seguiva. Sentiva il suo respiro sulla schiena come una lama di gelido ghiaccio che le torturava la pelle.
Ma non si girò; troppa era la paura che l’attanagliava, rendendola simile ad una bambina timorosa dei mostri sotto il letto.
Il suo corpo era come congelato, un blocco di pietra in balìa di una pioggia così rabbiosa da eroderlo dall’interno.
– Amalia…– sentì il suo nome ed un brivido la vibrò nelle viscere.
– Chi…chi sei?– chiese flebilmente, la voce ridotta ad un sussurro.
Una mano le sfiorò i fianchi. – Tu chi vuoi che io sia?
Quella domanda la spiazzò. Quale assassino interagiva con la sua vittima?
– Rispondi, Amalia, il tempo scorre e la tua fine è sempre più vicina…– la pioggia prese a scendere con vigore, fru-standole il volto e entrandole fin dentro vestiti, facendola tremare.
Amalia rifletté, ma il terrore le impediva di esternare ciò che la sua mente formulava, lasciandola senza fiato.
Due occhi rossi come braci sfavillarono nel buio, illuminando davanti a lei una strada sconnessa e tortuosa.
– Tic–tac–tic–tac…– l’aggressore fece aderire le sue labbra al collo della ragazza. – il tempo è vita, Amalia,  e tu lo stai sprecando...– dopo quella frase due mani forti l’afferrarono e la sbatterono con forza contro un albero, immobilizzandola.
Amalia cacciò un grido, che fu però inghiottito dal rombo assordante dei tuoni, che avevano preso a risuonare nella valle privi di controllo.
– Lasciami! – riuscì a balbettare, ma lo sconosciuto sembrò non sentirla.
– Non hai ancora risposto alla mia domanda, Amalia.– dis-se, gli occhi che fendevano quelli della ragazza come pu-gnali acuminati.
Lacrime amare le rigarono le guance, mentre singhiozzi incontrollati la scuotevano, facendole inarcare la schiena contro la ruvida corteccia dell’albero.
– Tempo scaduto.– disse l’aggressore, ed un fulmine cadde a qualche metro da loro, inondandola di luce.
L’uomo sorrise e una lama le perforò lo sterno, mentre rivoli scarlatti si diramavano sulle sue gambe.
L’aggressore indagò con un dito la sua carne, bagnandolo di sangue e portandolo al naso, inebriato da quella sostanza che sembrava bramare come nettare.
– Tu non immagini nemmeno lontanamente cosa nascondi dentro di te.– disse, misterioso, leccando il suo sangue.
Un conato di vomito la risalì la gola ed un’altra lama la colpì al volto.
Poi tutto fu buio.

Si svegliò urlando, il sudore che le impregnava la fronte.
Eureka era già accanto a lei, le mani unite a quelle del ma-rito, che la guardava con sospetto.
– Amalia…– cominciò la madre – un altro incubo?
La ragazza annuì, trafelata. I genitori presero a bisbigliare troppo debolmente perché Amalia riuscisse a sentirli. Il cuore le pompava il suo rapido battito nelle orecchie, rendendole impossibile percepire  qualsiasi suono.
La madre le porse uno strano liquido che Amalia bevve senza fare domande. Sentì un intenso calore pervaderla e appesantirle le palpebre.
Si addormentò di nuovo, non sapendo che quello era solo l’inizio del suo incubo peggiore.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


~Capitolo 4
Ogni mensa in cui era stata sembrava servire il peggior cibo del Paese, ma quella in cui si trovava seduta Amalia in quel momento superava di gran lunga le sue peggiori aspettative.
La poltiglia che ribolliva nel pentolone davanti ai suoi occhi le destò un conato di disgusto che le risalì repentino la gola. La sua mascella si serrò ed Amalia ebbe il presentimento che sarebbe stato molto difficile riaprirla di nuovo.
Si costrinse ad allungare il piatto crepato che reggeva in mano alla cuoca, una donna sulla cinquantina il cui buon gusto doveva essersi estinto con i dinosauri.
Portava i capelli raccolti in un crocchio orribile, che lascia-va penzolare alcune ciocche più unte dell’olio con cui Ama-lia vedeva il padre friggere le patatine nel suo vecchio risto-rante in California. Gli occhi erano marcati da una spessa linea di eyeliner, che li rendeva inquietantemente simili a quelli di un membro della banda bassotti. Le labbra, già carnose, erano messe erroneamente in risalto da un rosset-to che Amalia avrebbe sicuramente scambiato per un evi-denziatore. 
– Cosa ti do, tesoro? – asserì la donna, facendola riaffiorare dalla trance in cui la ragazza era caduta fissandola.
Amalia ci pensò qualche istante, decidendo di non usare mezzi termini come suo solito.
– Qualunque cosa di cui possa indentificare i componenti con certezza – rispose, gelida, fissando la donna negli oc-chi.
Wanda, così si chiamava la cuoca, annuì, facendo scivolare lo sguardo via da quello di Amalia, troppo intenso ed inqui-sitore.
Si affannò dietro il bancone, impallidendo mentre consta-tava con disgusto che niente in quella cucina aveva la caratteristiche elencate da Amalia.
La guardò timorosa, ed Amalia sorrise, soddisfatta.
– Starò volentieri a digiuno – disse avviandosi, teatrale, verso i tavoli della mensa, sistemati, equidistanti, dietro di lei. 
Si sedette ad uno che dava sul giardino, ridotto dal rigido autunno irlandese ad un ammasso d’erba gelida e arbusti secchi e disidratati.
Restò a guardarlo per alcuni minuti, fino a che la pancia non le borbottò, riportandole alla mente la sua mancata colazione. Gettò uno sguardo alle pietanze esposte sul bancone, scartando completamente l’ipotesi di attingerne per placare la sua fame.
Valutò le diverse ipotesi che le affollarono la mente, deci-dendo di dar retta all’ultima: uscire dalla scuola e mangiare qualcosa alla prima tavola calda che avrebbe trovato nel raggio di un kilometro.
Si alzò facendo stridere la sedia sul vecchio pavimento in linoleum ed indesideratamente si ritrovò addosso gli occhi di tutti i presenti, che oscillavano da lei al suo piatto vuoto.
“Penseranno che sia un’anoressica, fantastico!” si disse prima di uscire dalla stanza, attraversandola a grandi e studiate falcate.
Non appena se la lasciò alle spalle, si sentì inondare le membra di sollievo. Era sola.
Appoggiò la schiena al muro e accese il cellulare, control-lando su di esso la posizione del bar più vicino.
Ma mentre lo faceva, si accorse che un paio di occhi indesi-derati la stavano fissando dalla fine del corridoio, divorando la distanza che li divideva da lei in pochi istanti.
Rabbrividì e tentò di non dar loro troppe attenzioni, ma es-si si avvicinavano sempre più rapidi, inondando l’ombra in cui era immerso il corridoio di riflessi verdastri.
Sentì una tenaglia stringersi attorno alla sua gola quando li incrociò, constatando amaramente chi ne era il proprieta-rio.
– Mi spii per caso?– disse, scocciata, distogliendo lo sguar-do dal cellulare.
Una mano guantata si poggiò sul muro alle sue spalle, fa-cendola irrigidire.
– No, ma che ti salta in mente? – la sua voce le vibrò nei timpani, ed una risposta pronta le uscì in simultanea dalle labbra. – Beh, mi chiedevo come fai a incrociarmi sempre. –rispose, gli occhi indagatori come lame.
Il ragazzo sorrise ed aprì la bocca per parlare, ma Amalia lo precedette.
– Fammi indovinare, sesto senso?
La risata di lui si espanse cristallina nel corridoio. – Indo-vinato. Vedo che stai imparando.
– Imparando cosa?
– Molte informazioni sul mio conto che ti risulteranno utili in futuro.
Amalia rise di gusto. – Ovvio, perché il tuo sesto senso esi-ste veramente.
– Hai per caso dei dubbi? – domandò lui, facendo leva sul suo braccio per avvicinare la sua bocca all’orecchio di Amalia, che sussultò a quell’avvicinamento inaspettato.
Imbarazzata, cercò di allontanarsi, ma qualcosa nel modo in cui il ragazzo si muoveva le rendeva impossibile riuscire nel suo intento.
– Sì, e molti.– trovò il fiato di parlare, sottrattole dalla te-naglia che le cingeva energicamente lo stomaco da quando lui era arrivato.
Lo sconosciuto rifletté qualche istante facendo appello ai ricordi dei giorni precedenti in cui Amalia si trovasse.
Vittorioso, attinse a quello giusto. – Secondo te come ho fatto a scoprire il tuo nome, Amalia Lizbeth Jones?
Il rossore prese possesso delle sue guance. – Forse perché sai leggerei cartellini? – ribatté, divertita dall’ovvietà e sen-satezza della sua risposta.
Le labbra del ragazzo s’incurvarono di nuovo e una luce maliziosa sembrò avvolgerle.
– Mmm…allora come credi che sappia anche il nome di tua nonna?
Sbiancò ma riprese subito colore, sicura che fosse tutto un bluff.
– E quale sarebbe?
Il ragazzo la guardò dritta negli occhi, e le sue pupille si in-grandirono, come a divorare quelle di Amalia.
– Emily Katherine Rosemberg.
“Okay, Amalia, respira…” si disse nel constatare che i pol-moni non avevano la minima intenzione di lasciare libera l’aria imprigionata dentro di essi.
Strinse i pugni, sconvolta, fissando qualsiasi cosa che non le ricordasse il colore nauseante di quegli occhi.
– Ora credi nel mio sesto senso?
Amalia non avrebbe voluto, ma quel monosillabo sfuggì al-le sue labbra. – Sì…
La sua prima reazione fu quella di scappare, ma la voce del ragazza la trattenne.
– Il gatto ti ha mangiato la lingua, Amalia?
– No, ma qualcos’altro mangerà la tua!– disse, gettandosi a peso morto verso di lui, mossa dall’inquietudine che quell’informazione le aveva destato nel cuore.
Il ragazzo, colto di sorpresa, non riuscì ad evitare il corpo di Amalia, che sia abbatté sul suo, facendolo sbilanciare e poi cadere all’indietro.
L’attrito con il vecchio linoleum che ricopriva il pavimento rimbombò nel corridoio, risultando lugubre come l’incrociarsi di due spade.
– Come fai a sapere il nome di mia nonna!?– gridò Amalia allungando un pugno sull’addome del giovane, che trovò muscoloso al contatto.
– Rispondi!– ribadì, sferrando un altro pugno, che questa volta fu però fermato dal ragazzo, sorridente più che mai.
– Dimmi, cosa ti diverte tanto? Eh, brutto stalker!? – stril-lò, furente dentro e fuori.
– Vuoi davvero saperlo?
– Sì. Come voglio sapere il tuo nome per denunciarti alla polizia!– ruggì, la lingua che colpiva i suoi denti come una frusta sibilante.
La risata inaspettata del ragazzo la colse impreparata, la-sciandola senza parole.
– Sapevo che prima o poi avresti voluto conoscere il nome.
Amalia si morse la lingua, desiderando di essere stata zitta.
L’atmosfera fra i due si fece ancora più tesa quando una folla di curiosi, richiamati dalle urla, si dispose attorno a loro, quasi a formare le pareti una gabbia. 
Gli occhi degli studenti oscillavano rapidi dal corpo dello sconosciuto riverso a terra a quello di Amalia, che lo sovra-stava. La scena poteva risultare piuttosto equivoca, e quan-do Amalia se ne rese conto, decise di reagire.
Raccolse la dignità che le restava – rimasta relativamente poca – e si tirò in piedi, mentre lo sguardo dl giovane scat-tava come un dardo nel suo, come a trattenerla.
“Col cavolo che resto qui con te a far credere a tutta la scuola che stavamo pomiciando sul pavimento!” si disse, desiderando che quel tacito messaggio giungesse alle sue orecchie, imprimendosi a fuoco in esse.
Girò i tacchi e, con gli occhi di tutti puntati sulla schiena, procedette fino a dove il corridoio trovava culmine.
Quando sentì di essersi lasciata alle spalle quell’imbarazzante situazione – studenti e sconosciuto compresi – corse dritta al bagno delle ragazze.
Prima che potesse varcarne la soglia, una mano forte la strattonò in un altro corridoio di cui Amalia ignorava l’esistenza.
Priva di fiato per la corsa, si ritrovò davanti al volto quello di Shannon, che la scrutava, severo.
– Tu non hai nemmeno idea del mare di guai in cui ti sei cacciata.
Amalia, sbigottita, la fissò per qualche istante prima di tro-vare la forza di risponderle. – Perché..?
Gli occhi Shannon sembrarono trafiggerla da parte a parte.
– Perché quello era Alek Bás ed è l’incarnazione di tutto ciò da cui è meglio stare alla larga.


 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


~Capitolo 5.

– Perché quello era Alek Bás ed è l’incarnazione di tutto ciò da cui è meglio stare alla larga.
Le parole di Shannon continuavano a rimbombarle senza sosta nella testa, rimbalzandole nel cranio come una cantilena lugubre e inquietante.
Amalia tremò e sentì un brivido scavarle a fondo nella carne, privandola del tepore del piumone, a cui era avvinghiata dalla sera precedente.
“Stargli alla larga. È quello che ho provato a fare finora, ma sembra che lui...Alek…o come diavolo si chiama, spunti sempre fuori nei momenti meno prevedibili, cogliendomi di sorpresa e innescando nella mia testa un’esplosione di ceca ira.” Rifletté Amalia, il cuore che le pompava a mille nelle orecchie, aggiungendo il suono dei suoi battiti a quello della frase di Shannon.
I pensieri le affollavano la mente come corsi d’acqua impazziti, ed Amalia rischiava di annegare dentro di essi se non li avesse confinati in una spessa diga, chiamata sonno.
Si premette il cuscino sulla testa ed eliminò – o almeno ci provò – Alek e Shannon dai suoi pensieri.
Sentiva i grilli cantare in lontananza e i rombi delle auto sfrecciare fuori dalla finestra, che inondavano ogni dieci secondi la sua stanza con la luce dei loro fanali.
Frustrata, Amalia si tirò a sedere, constatando anche senza uno specchio di non aver mai avuto aspetto peggiore. I ricci erano un grumo scuro e appiccicoso sulla sua schiena, mentre gli occhi erano segnati di profonde occhiaie.
“Tanto non mi deve vedere nessuno…” si disse, mandando al diavolo l’idea di sua madre si essere sempre impeccabili. A qualsiasi ora del giorno o della notte, la donna sembrava conservare un aspetto fresco e riposato, quasi passasse tutto il suo tempo seduta su una sedia, isolata da qualsiasi cosa potesse intaccare la sua immacolata perfezione.
Eureka, sin da quando Amalia era piccola, le aveva insegnato l’arte di prendersi cura di se stessa.
Amalia ricordava ancora quando la madre le pettinava i lunghi capelli davanti allo specchio della loro vecchia casa, in California, districando i nodi che li stringevano.
Ogni notte, prima di andare a letto, Eureka ripeteva quel rituale prima sulla figlia e poi su se stessa. Quasi morbosamente.
Amalia rammentò di una sera in cui le aveva chiesto il motivo di quella strana usanza, ed Eureka le aveva risposto  che non ci si deve mai far trovare vulnerabili. La cura di se stessi è la prima arma per difendersi. Curare se stessi vuol dire rendersi più belli e forti, creare una barriera col mondo esterno. Bellezza vuol dire difesa.
Eureka aveva poi interrotto la frase a metà, suscitando la curiosità di un’Amalia di appena sette anni.
“Altrimenti che succede?”  aveva chiesto , girandosi e fissandola nei grandi occhi di ghiaccio, uguali ai suoi.
Eureka non aveva risposto ed  aveva continuato a pettinarle i capelli, guardando la propria immagine riflessa nello specchio.
“Sei ancora troppo piccola per sapere queste cose, Amalia” le aveva quindi risposto, non tirando mai più fuori l’argomento.
Amalia riemerse dai ricordi e si ficcò quasi con violenza le cuffie dell’iPod nelle orecchie, mentre la musica di Let her go dei Passenger confinava i suoi pensieri e li eliminava, assorbendoli dentro di sé.
 
Amalia varcò la soglia del laboratorio di chimica più assonnata di quanto non lo fosse il vecchio bidello che ogni mattina spolverava stancamente i corridoi.
Nelle orecchie aveva ancora la musica dei Passenger, che le pulsava nelle testa a mille decibel, frastornandola più di quanto non lo era già.
Si trascinò stancamente verso uno dei banconi posti a scacchiera per il laboratorio. Ne scelse uno nell’angolo a destra, coperto parzialmente dalla cappa di quello davanti; doveva risultare il meno visibile possibile al professore, almeno non l’avrebbe richiamata se schiacciava un innocuo pisolino.
Sbatté la borsa sul piano di lavoro del bancone e prese posto svogliatamente sullo sgabello metallico, talmente gelido che Amalia sobbalzò al contatto.
Il suo sguardo vagava per il laboratorio nel vano tentativo di identificare il contenuto all’interno delle ampolle trasparenti disposte sui banconi. Amalia non era mai stata una cima in chimica, eppure si aspettava di riconoscere almeno una delle sostanze presenti in quella stanza, cosa che non accadde.
Sbuffando  si accasciò sul bancone, utilizzando la borsa come cuscino improvvisato. Il buio calò sui suoi occhi e ne prese possesso, vincolando Amalia ad uno stato di dormiveglia da cui uscì nell’esatto istante in cui sentì qualcuno sedersi allo sgabello a fianco al suo.
Si irrigidì e, con la bocca ancora impastata dal sonno, tentò di non risultare un invertebrato agli occhi della ragazza che la stava fissando dall’alto del suo metro e settanta.
– Amalia Lizbeth Jones, ci si rincontra. – disse, la voce acuta e irritante.
Amalia si sentì trapassare da quello sguardo, che la trafiggeva come una spada affilatissima.
– Quale onore…– ironizzò Amalia, distogliendo gli occhi da quelli di Shannon, che sembrava aver ignorato la sua
La coordinatrice dispose sul bancone un raccoglitore lindo e ordinato, suddiviso in diverse categorie contrassegnate da un’etichetta di un colore diverso per ciascuna.
Amalia si sentì ancora più insignificante. La sicurezza di Shannon eclissava di gran lunga la sua, facendola risultare una bambina di quattro anni al suo primo giorno d’asilo.
Sembrava che la ragazza possedesse in sé una spavalderia tale da far sì che tutto che le stava  attorno risultasse facile e sempre alla sua portata.
L’entrata di una donna sulla sessantina interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendo i suoi occhi a convergere verso quella che sembrava una cattedra, su cui la donna aveva disposto la sua borsa a tracolla.
Un sorriso tirato le incurvò le labbra. – Buon giorno ragazzi. Quest’oggi procederemo con un nuovo esperimento, di cui voglio la relazione scritta. – esordì, gli occhi che scattavano come dardi da ragazzo a ragazzo, senza trovare alcuna differenza.
Ma quando le sue iridi castane arrivarono a Shannon, si fermarono, puntandola come due spilli.
– Shannon, cara, come mai non ti sei seduta ai primi banchi come sempre?–  le chiese, stupita.
Shannon prese un lungo sospiro. – Oggi volevo aiutare la nuova studentessa, Amalia Jones, che, a quanto dice il suo curriculum scolastico, non era molto brillante in questa materia. – rispose, una luce strana negli occhi.
Tutti i presenti guardarono Amalia per istanti che le parvero eterni, ma poi la loro attenzione fu attirata dalla voce della professoressa, che alzò il pollice ossuto a Shannon.
–  Sei sempre una studentessa modello, anche quando si tratta di tendere una mano agli altri.– le sorrise e passò rapidamente alla spiegazione dell’esperimento de giorno.
– Vedo che oltre la coordinatrice degli studenti sei anche la cocca dei prof. – asserì Amalia qualche istante più tardi.
Shannon non sembrò per niente infastidita, anzi, addirittura sorride. – Giusta osservazione, Jones.– rispose senza guardarla; i suoi occhi erano fissi sulla professoressa, avidi della sua spiegazione, di cui non volevano perdersi nemmeno un dettaglio.
– In questa scuola quei ruoli qualcuno se li deve pur prendere.– disse poi, suscitando nella lingua tagliente di Amalia una rapida risposta.
– Infatti in ogni scuola c’è sempre una rompi palle di turno.
Shannon represse con violenza la risatina sarcastica che le stava crescendo in gola.
–E anche una disadattata.
Quell’ultima frecciatina velenosa la lasciò senza parole, congelandole la lingua in una prigione in  cui le era impossibile emettere alcun suono.
– Ragazzi ora è meglio indossare le maschere, la reazione chimica che si creerà potrebbe danneggiare i vostri occhi. –  disse la professoressa, indossando anch’essa la sua.
Shannon eseguì l’ordine e legò anche i lunghi capelli rossi in una coda di cavallo che ondeggiava ad ogni suo movimento.
Amali guardò titubante l’oggetto bianco che aveva davanti, riuscendo ad indossarlo solo qualche minuto più tardi, spinta dalle occhiatacce di Shannon.
– Versate lentamente il bicarbonato. Mi raccomando, non troppo velocemente altrimenti la reazione risulterà incontrollabile.– li redarguì la Clarks.
Shannon fece scivolare la polvere bianco all’interno dell’ampolla con la sostanza azzurra che Amalia non era stata in grado di riconoscere prima.
– Vedi, Amalia, in questa scuola oltre alle rompi palle ci sono anche delle regole– asserì Shannon, catturando la sua attenzione – E queste regole vanno rispettate. A qualsiasi costo. – il tono che stava usando risultava inquietante ogni istante di più.
–  Vuoi sapere la prima, Amalia?– chiese, ma quella domanda non aveva per niente l’aria di necessitare una conferma.
Amalia deglutì, tentando di scacciare il nodo opprimente che si era formato attorno alla sua gola da quando Shannon aveva preso a parlare.
Annuì senza nemmeno rendersene conto, mentre sentiva la viscerale esigenza di conoscere la risposta.
– Non entrare in contatto con persone che potrebbero scatenare reazioni incontrollabili. Persone  che sono l’emblema di ciò da cui è meglio stare alla larga.
Mentre parlava, il bicarbonato scivolava sempre più velocemente nell’ampolla, formando una leggera nebbiolina che si stava gonfiando a dismisura.
– Sai benissimo di chi sto parlando. Alek Bás è il solito figo con il sorriso sexy, ma non hai nemmeno la vaga idea di cosa si nasconde dietro di esso.
Amalia indietreggiò, allertata: la nebbiolina era diventata delle dimensioni di un pallone da calcio, e i suoi rami candidi avevano cominciato a espandersi sul bancone, divorando qualsiasi cosa capitasse loro davanti.
– Tu e lui dovete stare divisi.
Amalia trasse un lungo sospiro e provò a contrabettere, fermando quel monologo che stava generando.
– Ma Shannon, io ne avevo tutta l’intenzione. Solamente che quel fantoccio spunta fuori quando meno me lo aspetto...
Shannon la zittì con un colpo secco della mano.
– Se entrate in collisione, questo è quello che succederà.
Non appena Shannon finì di proferire parola, la bolla di nebbia esplose, inonando il laboratorio con i suoi tentacoli lattiginosi e facendo arrivare ad Amalia quel messaggio molto più chiaramente del previsto.
Amalia + Alek = boom.

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6. ***


~Capitolo  6.


La pioggia scendeva incessante, battendo sul terreno e trasformandolo in una distesa fangosa su cui le povere All–Star di Amalia lasciavano profonde orme.
La ragazza stava tornando a casa dopo l’ennesima giornata scolastica, monotona come tutte quelle che aveva trascorso nelle ultime due settimane. Le ore di lezione sembravano farsi a gara per risultare il più noioso possibile, ed Amalia si disse che quella che ormai si era aggiudicata la vittoria apparteneva alla Signorina Givens, docente di Francese, che era riuscita perfino a  farla appisolare nonostante la notte prima l’avesse passata priva di incubi.
“Strano” rifletté Amalia “di solito i brutti sogni sono i più assidui frequentatori nella mia testa.”
Una folata di vento le portò una ciocca di capelli alla bocca, facendola innervosire e interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Amalia sbuffò e maledisse l’Irlanda e il suo brutto tempo, che arrivava e come un predatore prendeva possesso del cielo, facendola calare un freddo glaciale che le entrava sin dentro le ossa.
La pioggia si intensificò e un masso sembrò piombare sul suo ombrello, suscitando in Amalia un grido di frustrazione.
“Maledetto il giorno in cui mio padre ha deciso di venire qui!” urlò nella sua mente, intensificando la sua camminata per arrivare il prima possibile a casa e asciugarsi.
Quel giorno il guidatore dell’autobus scolastico era a casa ammalato, e Amalia e i suoi compagni erano stati costretti a tornare a casa a piedi sotto un temporale imminente.
– Bello il tempo oggi, eh? – una voce gentile le giunse alle orecchie, ridestandola dai suoi pensieri.
Catherine, una studentessa che frequentava il suo stesso corso di Francese, le si fece accanto, sorridendole.
Amalia rimase stupita da quel gesto. Lei e Catherine non si erano mai parlate e nemmeno salutate. Decise di mettere da parte i pensieri e richiamo la voce a sé.
– Lo era fino a dieci minuti fa!– rispose, destando un altro sorriso sul volto di Catherine.
– Si vede che non sei di qui. – disse Catherine.
Amalia si irrigidì, sulla difensiva. – Cosa vorresti dire?
L’altra piantò il suo sguardo sul cielo e, senza guardarla, rispose: – Per noi irlandesi ogni singola variazione del tempo è preziosa. Amiamo il cielo e tutto ciò che ci manda, che sia un temporale o i caldi raggi del sole, li apprezziamo. Tutto quello che il cielo ci manda serve alla nostra terra e la mantiene verde e rigogliosa.
Amalia provò a vederla da quel punto di vista ma la sua mente si ostinava a pensarla diversamente da quella ragazza dai modi gentili ed aggraziati; l’esatto opposto di Amalia.
Per lei pioggia era uguale a vestiti bagnati, e vestiti bagnati erano sinonimo di brutto tempo.
– Scommetto che in California non eri abituata al nostro tempo così variabile.
Amalia annuì.– Già. Dove vivevo io il sole persisteva per tutta la giornata, figurati che non avevamo nemmeno gli ombrelli.
Catherine ridacchiò. – Allora avrete dovuto fare la scorta quando siete arrivati qui.
– Esattamente.
Passò qualche istante di silenzio, on cui Amalia pensò a cosa dire per far andare avanti la conversazione, improvvisamente volenterosa di continuare a parlare con Catherine.
Ma la ragazza la precedette. – Tu dove abiti?
– In cima alla collina. Tu?
– Vicino al cimitero – Rispose Catherine.
– Posto molto tranquillo, scommetto. – commentò Amalia.
Catherine ridacchiò. – E inquietante. Ma non perché sia un cimitero, bensì perché di fianco a me vive la Givens.
Amalia rabbrividì  al solo pensiero di abitare di fianco alla propria professoressa di Francese.
– Dev’essere imbarazzante incontrarla sul pianerottolo.
Catherine fece una smorfia, annuendo. – Specialmente se sono le sette di mattina e cerca a tutti i costi di farti accarezzare il suo stupido Chihuahua, che abbia al solo sentire un odore diverso da quello della sua padrona!
Amalia sorrise. – Ovvero naftalina e tè allo zenzero.
– Un’accoppiata da voltastomaco!
Le due scoppiarono a ridere all’unisono, e ad Amalia sembrò che la pioggia rallentasse e la borsa si facesse più leggera, come se condividere quel calvario che era il ritorno a scuola con Catherine rendesse tutto meno pesante e stressante. Anche a due gradi e sotto una pioggia incessante.
– Però anche avere a che fare con Shannon Stevenson non dev’essere facile.
Amalia sbiancò non appena dalle labbra di Catherine uscì quel nome, giungendo alle sue orecchie come il fastidioso suono delle unghie grattate sulla lavagna.
– Non farmici neanche pensare.
– E non dev’essere divertente nemmeno farsi accompagnare a scuola da quello scapolo di Alek Bás.
– Vedo che sei un’attenta osservatrice.
Catherine arrossì. – Quando qualcuno di nuovo arriva nel nostro piccolo paesino di quattro gatti,  l’occhio mi cade subito. Specialmente se questo qualcuno viene in contatto con le personalità più stravaganti del Saint Gabriel.
– Più che ‘in contatto’ direi ‘ in constrasto’
Catherine le lanciò un’occhiata preoccupata. – Ho saputo dei tuoi ‘constrasti’ con Alek. – esitò un attimo nel continuare – sembra che qualcuno qui gli sia caduta addosso.
– Oppure lanciata.– ribatté Amalia, sarcastica. 
Catherine sbarrò gli occhi. – Cosa vuoi dire?
– Che mi aveva stufata !
– Amalia, sei la prima persona che consoco che gli abbia tenuto testa. A parte Shannon ovviamente...
Amalia si paralizzò nella posizione in cui era.
– Come come?
– Non sapevi che lui e Shannon sono stati fidanzati per un paio di mesi?
 – No, questa mi mancava.
– Alla fine lui la scaricò tradendola con un’altra, e da allora Shannon non fa che minacciare chiunque si avvicini ad Alek, credendo di riuscire a riconquistarlo.
– Ecco perchè fa tanto la stronza con me.
– Mistero svelato.– Catherine si fermò e fece cenno ad Amalia di essere arrivata a casa.
Amalia seguì la traiettoria del capo della ragazza e vide l’enroem statua di una angelo ergersi imponente dal cancello metalicco che recintava il cimitero.
– Beh, grazie di avermi fatto compagnia.
Catherine le sorrise con i dolci occhi castani. – Non c’è di che. Spero di non averti importunata...pensavo che un po’ di chiacchiere ti avrebbero fatto star meglio. So cosa vuol dire adattarsi in un mondo tutto nuovo.
– Pensavi bene. –  confermò Amalia.
– Allora a domani, Carhetine.
– A domani, Amalia.– disse, poi la pioggia la inghiottì.

Davanti allo specchio della sua camera, Amalia ripensava alla camminata avuta con Catherine.
Le era sembrato che la ragazza fosse molto spontanea e che niente l’avesse forzata nel cercare un contatto con lei, una cosa a cui Amalia none era abituata per via del suo carattere.
Aveva avuto esperienze molto diverse in passato. Le sue compagnie di classe le si avvicinavano solo quando gli serviva qualche favore, trattandola come Google, che si cerca solo quando si ha bisogno di qualcosa.
Da allora Amalia era diventata molto diffidente nei confronti delle persone, facendo fatica a legare con gli altri, oltre che per il suo carattere focoso, anche per la prevenzione che aveva nei loro confronti.
Ma con Catherine quel pomeriggio era stato diverso. Amalia aveva provato piacere nel chiacchierare con lei. anzi, aveva persino voglia di rivederla il giorno dopo a scuola per continuare a parlare.
Scosse la testa e indossò la camicia da notte, buttandosi sul letto qualche istante dopo.
Avrebbe lasciato i pensieri per la mattina seguente, in quel momento l’unica cosa che desiderava era dormire.
Ma qualcuno aveva altri piani.

Correva, un alito gelido che costantemente le accarezzava il collo. “ Avrà mai fine questo incubo?” si chiese, gli occhi che tentavano inutilmente di scorgere una casa ospitale all’orizzonte, infestato solo dal buio della notte.
Urtò qualcosa e cadde a peso morto a terra; l’impatto le strappò il respiro dai polmoni. Sentì il terriccio penetrarle nei vestiti e cacciò un grido di disgusto. Il respiro che avvertiva sul collo si intensificò fino a farsi insopportabile. Una mano gelida la strattonò  all’indietro, tirandola in piedi davanti ad una figura ammantata, che sorrise, inquietante più che mani.
Amalia, nonostante fosse all’aperto, sentì l’irrazionale bisogno di aria fresca, come se quella attorno a lei fosse contaminata da qualcosa. Qualcuno.
La figura la accarezzò la guancia e un brivido le scavò rapido nella carne, suscitandole un grido che esplose dalla sua bocca come l’ultimo richiamo prima che la falce della morte la portasse via. – Nessuno può sentirti. Siamo soli.–
– Non mentire, Arthur. – una voce vellutata alle sue spalle attirò la sua attenzione, ed il sguardo converse verso la fonte parlante nel vano tentativo di essere liberata.
– Cosa ci fai qui?
A quella domanda una figura lucente uscì dall’oscurità, rivelandosi ad Amalia e il suo aggressore. Aveva il volto illuminato talmente intensamente da non permettere ai due di scorgere i suoi lineamenti.
– Lasciala.
L’aggressore sorrise sulla nuca di Amalia. – Mai.
– Deve decidere da sola. Senza costrizioni, ricordi?
L’aggressore rise. – Sono leggi scritte milioni di anni fa. Da allora molti le hanno infrante.
Il lucente scosse la testa. – A quale prezzo…
– Il prezzo che deve essere pagato per far regnare di nuovo le tenebre.
– Basta con questi discorsi! – gridò Amalia, la testa che straripava di quelle parole insensate alle sue orecchie.
– Sono stanca di tutto questo!
L’aggressore esplose in una roca risata.
– Peccato, perché il gioco è appena cominciato. – disse, tirando Amalia nel buio.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


~Capitolo  7.


In ritardo. Come sempre. Amalia sembrava dover rispettare quel cliché in cui gli altri l’avevano confinata per sentirsi se stessa.
Ancora una volta il corso del tempo era diventato troppo veloce, e lei era rimasta indietro, non riuscendo a stare al suo passo. I secondi erano gocce d’acqua che lei non riusciva a trattenere, troppo effimeri perché una ragazza trafelata e distratta come lei potesse apprezzarli.
Correva a perdifiato nella foresta, sperando che la scuola decidesse di farsi finalmente più vicina e non solo una macchia scura all’orizzonte. Gli alberi e le loro fronde la costringevano a cambiare continuamente direzione, ostacolando il suo avanzare come voragini pronte a condurla nelle loro fauci.
Una nebbia lattiginosa lambiva il paesaggio tutto attorno a lei, distaccando dal monotono verde che Amalia tanto non sopportava. Lo stesso verde che riempiva gli occhi di Alek, rendendoli magnetici e irritanti allo stesso tempo.
Sbuffò ed evitò per un soffio una pozzanghera, sollevando sporche gocce di pantano.
La lancetta dell’orologio da polso che si era costretta ad indossare avanzava senza sosta, stringendosi attorno al suo stomaco come un laccio che la opprimeva mano a mano che il tempo passava.
Quando finalmente si affrettò sulle scale della Saint Gabriel, le parve che l’ossigeno avesse deciso di renderla di nuovo partecipe del suo dono. E non solo
Avvertì un forte spostamento d’aria alle sue spalle e il rumore delle foglie secche che si sgretolavano le giunse alle orecchie, facendole storcere il naso. Improvvisamente si ritrovò circondata da un vortice di foglie dai colori spenti, che le continuavano a vorticare attorno, quasi mosse da  un burattinaio che le trainava con fili invisibili.
Amalia, innervosita, si guardò attorno, in cerca di uno spiraglio in quella fortezza in cui qualcuno sembrava averla imprigionata.
“Ora anche il vento oltre a Shannon è impazzito!” si disse, rievocando alla mente le immagini del suo libro di testo di Geografia delle medie, che diceva che in Irlanda fenomeno fisici come piccoli tornado erano molto frequenti.
Represse quei pensieri e sbuffò, muovendo un passo in avanti e superando il muro di foglie.
Ma appenalo fece, una mano afferrò la sua, tirandola indietro.
Amalia percepì il calore di un altro corpo dietro il suo, ed una lingua di fuoco le corse lungo la schiena, facendola sobbalzare.
– Ti faccio ancora questo effetto?– la voce di Alek a due centimetri dal suo orecchio la colse impreparata, facendo breccia nella sua mente e rimbalzando in essa come una palla da pin–pong impazzita.
Amalia fece appello a tutto il suo autocontrollo e inspirò piano, chiamando a sé tutta la voce che riusciva a racimolare in quella snervante circostanza.
–Q–quale effetto?– balbettò, non muovendo il capo nemmeno di un centimetro, timorosa di incrociare lo sguardo di Alek, che aspettava il suo come un predatore pronto ad avventarsi sulla preda. 
Senza darle una risposta, Alek mosse una carezza sul suo collo, che si accapponò al contatto, attraversato da una scarica gelida come il ghiaccio, opposta a quella che Amalia aveva sentito quando la sua mano l’aveva toccato pochi istanti prima.
Inarcò la schiena da quanto era il freddo che sentiva, destando sul volto di Alek un sorriso compiaciuto.
– Ora capisci cosa intendo? – le chiese, ed il vortice di foglie accellerò il suo movimento, diventando impenetrabile da chiunque ne fosse all’esterno.
La labbra di Alek sfiorarono il suo collo.
– Giuro che se non ti allontani subito grido– gli intimò, la voce vacillante.
Alek sorrise sulla sua nuca. –Fallo, perchè io non ho la minima intenzione di muovermi.
Amalia si sentì una stupida per averlo minacciato con delle conseguenze così idiote, ma decise di portarle fino in fondo.
Aprì le labbra ed un grido assordante esplose da esse, diffondendosi nell’aria e attirando gli sguqrdi perplessi di alcuni alunni che come lei avevano fatto tardi.
Amalia sorrise, soddisfatta di aver rispettato le sue promesse, ma le labbra di Alek non accennavano a spostarsi, così decise di reagire diversamente.
Inclinò piano il capo in avanti e poi, in un movimento rapidissimo, lo buttò indietro, sentendo un rumore simile a quello delle ossa rotte. Agghiacciante.
Si voltò di scatto e guardò il volto di Alek, impregnato da del sangue che continuava a sgorgare dal naso.
Amalia sentì un conato di vomito salirle la gola e un dolore lancinante avvolgerle la testa, esattamente nel punto in cui aveva trovato collisione con il naso di Alek. Con gli occhi ridotti a due fessure per la repulsione che aveva sempre provato nel vedere il sangue, si accorse che il vortice di foglie si era interrotto,.
Improvvisamente uno strillo partì da una ragazza che, arrivata proprio in quel momento, osservava Alek con gli occhi fuori dalle orbite.
– Cosa sta succedendo qui?– la voce gracchiante del vecchio bidello riempì l’aria, ridestando Amalia dalla trance in cui era caduta fissando Alek.
Poi accadde tutto velocemente.
Il bidello soccorse Alek, i curiosi si radunarono in un cerchio attorno a lui e una mano tirò vigorosamente Amalia da parte prima che il bidello potesse accorgersi del sangue che le impregnava i capelli.
** L’acqua scorreva gelida dal vecchio rubinetto del bagno delle ragazze, bagnando i capelli di Amalia e eliminando le tracce residue di sangue.
Delle mani candide chiusero il rubinetto e le spazzolarono i capelli, raccogliendoli in una coda di cavallo ancora umida.
Amalia si massaggiò la nuca. Anche se il dolore si era affievolito, la sua morsa continuava a gravare sulla sua carne.
– Grazie. Ti sono debitrice.- disse Amalia, fissando la ragazza mora e magra che aveva davanti come si guarda il proprio salvatore.
Catherine scosse la testa, afferrando il suo zaino.
– No, odio i debiti.
– Perchè?– chiese Amalia.
– Perchè fanno sentire la persona che li deve estinguere inferiore.
Amalia sbattè la palpebre. Non aveva mai sentito una risposta così sincera uscire dalle labbra di qualcuno – un’adolescente soprattutto.
– Non se ne parla. Voglio ricompensarti per avermi salvato da una punizione sicura – disse, lo sguardo che tentava inutilmente di convincere quello di Catherine, fermo e deciso nel suo.
– No. L’ho fatto volentieri; la risate che mi sono fatta vedendo gli occhi premurosi di Shannon mentre asciugava il sangue dal naso di Alek e l’aria spaventata di quel fantoccio sono stati una ricompensa più che sufficente.
Amalia sorrise nell’immaginare quella scena assurda, nella quale era stata parte senza esserne cosciente. Si immaginò un Alek tremante che urlava aiuto e una Shannon passione infermiera che lo soccorreva, con tanto di divisa da infermiera.
– Peccato che fossi troppo shoccata per gustarmi anche io la scena.
Catherine le si avvicinò. – Non ti preoccupare, questa sera su Facebook i nostri compagni metteranno talmente tante  foto sull’accaduto che per i prossimi giorni non si parlerà d’altro.
– Anche se siete un piccolo paesino le notizie sembrano viaggiare in fretta – disse Amalia ripensando a come Catherine sapesse dei suoi scontri con Shannon e Alek.
 – Più veloci di quanto sia stata la tua testa nel rompere il naso al ragazzo più sexy e proibito della scuola.– asserì Catherine, sorridendo ad Amalia. – Da quando sei arrivata sono successe così tante così che prima reputavo impossibili che comincio a pensare che sei la novità che tutti stavamo aspettando.
Amalia arrossì. – ma che dici. Sono solo una stupida Californiana con un innata propensione a mettersi nei guai.
Catherine rise. – Sembra che Alek si assenterà per i prossimi giorni. Dopo la frattura che gli hai provocato non credo voglia venire a scuola per sfoggiare il suo naso ammaccato.
– Ma che ha detto il bidello? Mi ha vista? Qualcuno ha fatto il mio nome?
– Per fortuna nessuno ti ha vista, sembra che la ragazza che abbia urlato e attirato il bidello non ti abbia notato, cosa molto strana visto che avevi del sangue sui capelli. – Catherine aggrottò le sopracciglia, nel tentativo di dare a se stessa una spiegazione a quel fatto davvero impensabile.
– Alek ha parlato di me al bidello?– domandò Amalia, preoccupata.
–No, stranamente.– rispose Catherine, sistemandosi una ciocca castana dietro l’orecchio.
Passò qualche istante di silenzio e il rombò assordante di un tuono risuonò in lontananza, facendo sobbalzare le due giovani.
– Ci mancava solo il brutto tempo per rendere la mia giornata ancora più frustrante!– sbottò Amalia, esasperata da tutti gli avvenimenti della mattinata, che l’avevano travolta senza darle possibilità di sfuggire alla loro morsa.
– Eddai, guarda il lato positivo: ti sei tolta Alek dalle scatole per un po’.
Amalia rifletté sull’affermazione dell’amica. – Hai ragione, e poi scampare a quello che è successo senza riportare nemmeno una nota non è da poco.
– Visto che la fortuna ti sorride!?– scherzò Catherine, strizzandole un occhio.
*** – Oh, credimi, se fosse così sarebbe morta da molto tempo – disse una figura appostata fuori dalal finestra del  bagno, che scomparve non appena l’ennesimo tuono squarciò l’aria.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8. ***


~Capitolo 8.


Un lampo fendette la notte e il suo bagliore giallastro si diffuse nella valle, illuminando una scena che Amalia aveva imparato a conoscere fin troppo bene.
Una figura, il volto coperto, si stagliava imponente dal terreno lastricato di pietre aguzze e fango ancora umido per la precedente tempesta.
La ragazza si era nascosta dietro un albero nel vano tentativo di sfuggire a quell’uomo, che ogni notte da quando era arrivata in Irlanda tentava di ucciderla, bramando il suo sangue come oro colato dal cielo.
La fronde dell’abete le graffiavano ripetutamente le guance, smosse dal vento che aveva preso a soffiare e ululare senza il minimo preavviso, scusitando in Amalia un inquietudine così forte da lasciarla priva di fiato.
– E’ inutile che cerchi di nasconderti.– la voce della figura risuonò roca e minacciosa, rimbombando nella  orecchie di Amalia come un graffio di gelido ghiaccio.
– Dovunque tu sia, con chiunque tu sia, io ti troverò. Non importa quanto sei determinata. Tu sei mia.– un fulmine cadde sul terreno, trasformandolo in un ammasso di cenere grigiastra.
Amalia si appiattì sulla corteccia dell’albero, e nel preciso istante in cui la voce della figura tornò a tormentarla, ad essa si aggiunse il rumore di alcuni passi che non appartenevano nè a lei nè al suo consueto aggressore.
Un brivido le corse lungo la schiena, accapponandole la pelle come un vento artico.
– O meglio dire, nostra. – scandì un’altra voce, sopraggiunta all’improvviso.
La pioggia cominciò a scendere così violentemente da far sembrare le sue gocce letali come pugnali acuminati pronti a lacerare ogni cosa si sovrapponesse alla loro ascesa.
– Il tuo destino è segnato, Amalia. Inutle fuggire quando il fato stesso è contro di te– Amalia si paralizzò a quelle parole, non tanto per il loro significato, quanto perchè la fonte parlante si trovava a qualche centimetro da lei.
Dilaniata da un cieco terrore, si girò di scatto, trovandosi davanti due paia di occhi neri come scaglie d’ossidiana.
– Chi...chi sei?– domandò la giovane in un flebile sussurro, mentre un sorriso di sinistra luce brillava sul volto dell’uomo.
La sua mano si allungò verso di lei ed Amalia non trovò il coraggio di opporsi da quanto il suo corpo era attraversato da continue scariche di panico.
La mano dell’uomo le scostò una ciocca di capelli dagli occhi per poterli ammirare meglio.
– Di ghiaccio saranno i suoi occhi e di pece i capelli, neri come la morte che la cercherà. La pelle sarà di neve e la bocca di velluto, scarlatta come il sangue che per lei verrà sacrificato. Ed il suo cuore palpiterà nel suo petto veloce come una preda che scappa dal suo aggressore.– recitò con una voce che sembrava non appartenere a questo mondo, quasi si servisse del corpo dell’uomo per mandarle quell’inquietante messaggio.
– Non sai da quanto aspettavamo questo momento, Amalia.– disse e le sue labbra stridettero su quelle di lei, destandole una tenaglia che si strinse repentina attorno alla sua gola.
Quella volta non si svegliò urlando. Non voleva speventare di nuovo i suoi genitori, che già per troppo tempo erano stati al suo capezzale, vegliandola per tutta la notte. 
Dunque quando lasciò il mondo dei suoi incubi, serrò la bocca e impedì al suono di uscirne, riducendolo ad un debole sussurro le
vibrava nelle corde vocali.
Ma il dolore provato per le labbra dell’aggressore sulle sue doveva in qualche modo uscire dal suo corpo, e lo fece sottoforma di un fiotto di lacrime, che dal cuore le si riversò sulla guance.
I singhiozzi arrivarono a scuoterla, ed Amalia si rannicchiò in posizione fetale, aspettando che il ricordo di quell’incubo sfumasse, scomparendo come anche le stelle avevano fatto quella notte, inghiottite dal buio, che oltre nel cielo, sembrava risiedere dentro di lei.

Strinse i capelli in una coda e, con le occhiaie più mostruose che avesse mai avuto, si diresse verso l’uscita degli spogliatoi.  
La palestra che aveva davanti era ampia e la luce del sole entrava dalle grandi vetrate, rischiarando l’ambiente.
La professoressa Winston fece posizionare i suoi alunni in una fila compatta, lunga quanto il perimetro della palestra.
– Bene ragazzi, cominciamo con trenta giri di corsa e poi vi aspetto in giardino per il salto in lungo. Uno alla volta mi raccomando.– disse, dando una stretta al suo orribile crocchio e uscendo nel giardino che circondava tutto l’istituto e dove erano posizionati gli strumenti di atletica.
Amalia cominciò a correre, concentrandosi solo sul rumore costante dei suoi passi e tentando di sincronizzarlo con quello del suo cuore, che continuava ad accellerare poco a poco il suo battito.
Sin da piccola sua nonna, Emilie, le aveva insegnato quella pratica, che aiutava il corpo a rispettare i ritmi del cuore, senza sottoporlo a sforzi troppo intensi.
“Amalia, è importante che vadano d’accordo, perché spesso il cuore trasmette al corpo i propri istinti, e bisogna imparare a non farlo cedere ad essi, che ci possono cacciare in un mare di guai.” La voce della nonna le deliziò le orecchie, rapendo la sua mente e vincolandola ad un viaggio che andava a ritroso negli anni, riportandola a quando Amalia aveva solo quattordici anni.
“Che tipo di guai, nonna?” le aveva chiesto Amalia.
“Oh, tesoro, guai molto pericolosi. Come la passione.”
Amalia era rimasta interdetta. “Come può la passione essere pericolosa?”
Emilie l’aveva guardata seriamente negli occhi e, a differenza di Eureka, che alle domande di Amalia non rispondeva, Emilie le aveva dato la risposta che aveva bisogno.
“La passione è una tentatizione che vincola il tuo corpo a fare cose di cui potresti pentirti, cose che in circostanze normali reputeresti irraionali. La passione è un profumo inebriante che cerca di avvolgerti e farti perdere il controllo di te stessa, facendoti abbondare agli istinti del tuo corpo. Ai suoi desideri.
Questo significa che la tua mente è annebbiata e tu non sai più qual è il confine fra il giusto e lo sbagliato.
La passione è oscura, un elemento di cui gli umani abusano, accorgendosi del loro errore troppo tardi...”
– Qualcuno qui è ancora nel mondo dei sogni– Amalia sobbalzò quando la voce di Catherine la giunse alle orecchie, facendola uscire dalla trance in cui i ricordi l’avevano gettata.
– O degli incubi– rispose sarcasticamente, senza l’ombra di ironia.
Catherine stette qualche istante in silenzio, lasciando che il rumore affannato dei respiri dei ragazzi si sovrapponesse fra lei e Amalia, che quella mattina non aveva la minima voglia di interagire con nessuno. Catherine inclusa.
– Ho recepito l’antifona. I lascio sola. Ma non ho intenzione di lasciarti in questo per tutta la giornata. Dopo la scuola sei a casa mia per un pomeriggio a base ti Tv e pigiama.
Amalia abbozzò un mezzo sorriso e annuì senza nemmeno rendersene conto.
Catherine, trionfante per essere riuscita a non farla arrabbiare e non aver scatenato l’Amalia che tre giorni prima aveva spaccato il naso ad Alek, rellentò e si mescolò con la centrifuga di magliette sudate che erano i loro compagni.
Amalia inspirò con decisione e lasciò che l’aria inalata dal suo naso le ritemprasse le membra come un balsamo, nel vano tentativo di essere inghiottita di nuovo dai ricordi della nonna e non affrontare quella esasperante lezione, che qualcuno stava per rendere ancora più movimentata.
Due occhi verdi e felini la puntarono da un angolo della palestra, trafiggendola come lame la schiena e destandole sulla pelle un brivido che le corse rapido lungo tutto il corpo, rendendole impossibile ritornare nei ricordi.
Era come se quegli occhi la trattenessero nella realtà, non permettendole di perdersi o di smarrire la strada.
Amalia quando sentì il peso di quelle iridi capì subito chi ne era il proprietario, arricciando frustrata il naso.
Perchè non la poteva lasciare in pace? Quale strana ragione lo spingeva a comparire così all’improvviso e provocarla?
Amalia si accorse di aver completato i trenta giri di corsa e uscì esultando dalla palestra, che quella mattina simboleggiava la prigione in cui i suoi incubi stavano cercando di confinarla.
L’aria pungente del mattino le sollecitò la pelle, e la luce del sole le accarezzò il volto, quasi a voler brillare nei suoi occhi e riaccendere la luce che l’incubo della notte prima aveva spento.
– Jones, fatti avanti.– la voce gracchiante della professoressa Winston indusse le sue gambe a trascinarsi ubbedienti davanti alla distesa di sabbia su cui Amalia avrebbe dovuto saltare non appenail fischietto della donne avrebbe squarciato l’aria con il suo suon o stridulo.
Quando successe, Amalia prese la rincorsa e saltà in avanti, tentendo le sue gambe fino allo stremo e sentendo il sangue scorrerle veloce nelle vene.
Un tuono ululò in lontananza e il peso di quegli occhi le piombò di nuovo sulla schiena, strappandole con violenza il fiato dalla gola.
Amalia atterrò sulla sabbia ed avvertì una fitta lancinanete alla caviglia, che presto prese a pulsarle di dolore.
Non potendo fare affidamento su quell’appoggio, la ragazza scivolò, non sentendo più la terra sotto ai piedi.
Furono attimi eterni quelli che precedettero la sua caduta, ed Amalia giurò a se stessa che se mai Alek avesse assistito alla sua clamorosa caduta, gli avrebbe strappato gli occhi e impedito alla sua risata di vibrare nell’aria e striderle nei timpani.
Prima che la forza di gravità schiacciasse il suo corpo al terreno, due mani forti la afferrarono e la sorressero.
Amalia riaprì gli occhi solo quando fu sicura di non essersi rotta niente, ma quando lo fece, il cuore le tremò nel petto.
Un sorriso scarlatto deformò quelle labbra e Amalia desiderò essere abbastanza forte per sottrarsi alla presa di quelle mani calde e fredde allo stesso tempo.
Lo sguardo del ragazzo scattò come un dardo nel suo, non lasciandole il tempo di ritrarsi.
Amalia aprì le labbra ma una frustata d’aria gelida gliele richiuse.
– Sei davvero unica, Amalia Libeth Jones– disse Alek scavando nei suoi occhi.
Amalia sentì il rossore impadronirsi delle sue guance, ma non si oppose.
– Riesci sempre a metterti nei guai.– le sussurrò all’orecchio, ignorando i passi rapidi della professoressa Winston che avanzavano verso di lui e Amalia.
– Ti sbagli– gli rispose Amalia, diventando concorrente nella tacita sfida dei loro occhi.
– Perchè?
– Perchè sei tu che mi metti nei guai. TU sei i miei guai.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9. ***


~Capitolo 9.

La camera di Catherine la rispecchiava pienamente in ogni piccolo dettaglio.
Amalia se ne accorse nel preciso istante in cui ne varcò la soglia, trovandosi davanti una stanza ampia e luminosa, in cui i colori dominanti erano il lilla e il bianco, che mischiati nei mobili creavano un’armonia che sembrò accarezzarle gli occhi.
Il letto era a due piazze e trovava posto al centro della stanza, mentre alle pareti erano appesi quadri di vario genere, circondati da cornici dorate che li risaltavano ancor di più.
Una grande porta–finestra dietro il letto forniva all’ambiente un’intensa illuminazione, amplificata dal bianco alle pareti, che faceva risultare il tutto ancor più candido e lindo di quanto già non fosse. 
Ad Amalia parve che una ventata d’aria fresca le sferzasse il volto, nonostante sapesse che la finestra era chiusa.
Una sensazione di completa calma la pervase, diffondendosi dal suo cuore a tutto il suo corpo e facendole distendere i nervi, quasi che qualcuno le stesse massaggiando con energia le zone dove si anniadava lo stress. Lo stesso stress che da quando aveva incontrato Alek le entrato nelle vene senza più uscirne.
– Metti pure la cartella sul letto.– la voce vellututata di Catherine precedette di qualche istante la sua entrata.
La ragazza superò Amalia e si posizionò davanti a lei, aprendo le lunghe braccia. – Benvenuta nel mio regno! Non fare caso al disordine, la mia casa ne è infestata!– disse, allegra, fissandola negli occhi.
Ad Amalia parve di essere presa in giro: da quando era entrata in quella casa non aveva mai visto nemmeno un granello di polvere ricoprire il pavimento o vestiti buttati a terra, tanto che l’assurda idea che la famiglia di Catherine abitasse da un’altra parte le aveva visitato le mente.
Se l’amica reputava in disordine quella casa, appena avrebbe visto la sua la sua soglia del disordine si sarebbe alzata repentinamente.
Amalia si decise a ignorare quella stranezza e prese posto sul letto dell’amica, nel punto dove Catherine le aveva fatto cenno di sedersi.
–Pronta per una maratona di Pritty Little Liars?– le chiese, con un radioso sorriso che le illuminava il volto.
Amalia aggrottò la fronte; non aveva la minima idea di cosa fosse il nome da Catherine appena pronunciato
– Cos’è?– chiese quindi, sperando di non risultare idiota agli occhi dell’amica. 
Catherine la inchiodò inaspettatamentecon uno sguardo truce.
– Come hai osato entrare in questa casa senza sapere cos’è “Pritty Little Liars”?– la domandò, gli occhi ridotti a due fessure per la finta rabbia che provava.
Amalia si accorse di come il viso di Catherine avesse cambiato espressione in pochi attimi, di come i suoi lineamenti ci avessero impiegato un battito di ciglia per trasformarsi da dolci a taglienti.
Indietreggiò nel letto, fingendosi spaventata, ma a bloccarla trovò la grande spalliera in legno.
Catherine avanzò a gattoni verso di lei, pugnalandola con un’occhiata truce.
– E’ inutile che tenti di scappare! In questa casa l’ignoranza è punita!– le gridò, saltandole addosso.
Amalia riuscì ad evitarla ma Catherine le afferrò le gambe, bloccandole sotto il peso del suo torace.
Amalia cercò di divincolarsi, ma Catherine la prese per i fianchi e la tirò verso di sé, suscitandole gridolini divertiti.
– Non punitemi, regina! Non succederà più!– disse Amalia ridendo, mentre l’altra si lanciava sopra di lei, portandole le labbra alle orecchie.
– Sarà meglio per lei, blasfema ignorante!– dopo quella frase entrambe scoppiarono a ridere, e le loro risate si diffusero cristalline per la stanza, rendendo l’atmosfera rilassata e intima.
– Prigioniera, ora alzati, che altrimenti non riusciamo a finire la stagione di Pritty Little Liars in un solo pomeriggio!
Amalia eseguì quell’ordine e Catherine scese dal letto, dirigendosi a passi felpati verso il portatile bianco che trovava posto sulla raffinata scrivania in ebano davanti a loro.
Amalia si sedette a gambe incrociate sul piumone, osservando l’amica dilettarsi nella ricerca del primo sito internet che fornisse loro la stagione completa in streaming.
– Quindi è un programma?– domandò Amalia, sollevando le sopracciglia nella speranza di non essere di nuovo fulminata.
Catherine rise. – Sì, una serie Tv americana. È il mio vangelo!– strillò, esaltata.
– Purtroppo sì...– una voce che Amalia non aveva mai sentito prima le giunse alle orecchie, facendo convergere il suo sguardo verso la porta della camera, che nessuna delle due ragazza si era presa la briga di chiudere.
Il suo sguardo incrociò quello di un giovane ragazzo la cui sagoma si stagliava sulla soglia della stanza, le braccia muscolose appoggiate allo stipite della porta e gli occhi scuro che ricambiavano quelli di Amalia.
La ragazza sentì una scossa di calore attraversarla e sussultò tanta era l’energia con cui quella sensazione l’aveva travolta. O meglio, con cui quegli occhi l’avevano travolta.
Erano di un blu così scuro che tendeva al viola, ed Amalia li comparò istintivamente al mare in tempesta, la cui immagine le visitò repentina la testa. Vedeva  le sue onde impetuose infrangersi sulla costa e graffiare gli scogli con la potenza di cui il mare le animava, rendendole letali come gli artigli di un felino minaccioso.
La sua mente fu catturata da quella scena surreale, vivendola così intensamente da farle sembrare di esserne realmente all’interno.
D’un tratto un raggio di sole accarezò il mare, tuffandosi dentro di esso e illuminandolo di una luce sfavillante, che la fece riemergere dalla trance in cui era caduta incontrando quegli occhi.
– Caleb, non rompere!– il tono di voce che Catherine utilizzò con il nuovo arrivato le fece capire che i due non dovevano essere in ottimi rapporti.
Caleb sorrise e le sue labbra si incurvarono, formando una linea curva perfetta.
– E dai Cath, volevo solo conoscere la tua nuova amica.– rispose il ragazzo, senza mai distogliere lo sguardo da quello di Amalia che, priva di qualsiasi tipo di resistenza, faceva altrettanto.
– Non credo che lei voglia fare altrettanto.– ribattè Catherine, il tono acido come veleno.
– Perchè non lasci rispondere lei? – chiese divertito Caleb.
Catherine sbuffò e lanciò un’occhiata ad Amalia, nel disperato tentativo che la ragazza recepisse il messaggioe le desse ragione, cacciando Caleb.
Ma visto che Amalia non sembrava reagire, Catherine prese iniziativa da sola e si alzò dalla sedia, mettendosi fra suo fratello e la sua amica.
Nel preciso istante in cui successe, Amalia sembrò riacquistare la capacità di intendere e volere; testimoni di questo i suoi occhi, che da persi in quelli di Caleb passarono a confusi. 
– Lei è Amalia e frequenta il mio corso di Francese.– disse Catherine presentando la ragazza e indicandola con il dito.
Amalia si accorse di cosa stava succedendo e si affrettò e ribattere, ma prima che potesse farlo Caleb la precedette, parlando al suo posto.
– Molto piacere, Amalia. – disse, alzando di poco il capo e facendo ricadere una ciocca di ricci castani a coprirgli gli occhi.
– Piacere mio– rispose Amalia, intontita.
– E lui è il mio rompipalle fratello Caleb, che cerca in tutti i modi possibili di rendermi la vita impossibile.– continuò Catherine, lanciando uno sguardo irritato a quest’ultimo.
Caleb rise, scuotendo la testa. – Devi sapere, Amalia, che mia sorella tende sempre a esagerare.– disse, arruffando i capelli della sorella con fare giocoso, cosa che Catherine non apprezzò per niente.
Amalia ebbe un fremito quando il suo nome uscì dalle labbra di Caleb, e avvertì dentro di sé la strana sensazione di calore che l’aveva pervasa qualche istante prima.
Sbigottita, tentò in tutti i modi possibili di riprendere le redini della situazione e di non risultare un vegetale privo di emozioni.
Raddrizzò la schiena e si portò i capelli di lato, cercando di evitare in tutti i modi possibili gli occhi di Caleb, che sembravano attrarre i suoi come magneti.
– Bene, ora che le presentazioni sono state fatte, ti dispiacerebbe girare i tacchi? Sai, qui staremmo studiando– riprese Catherine, la voce carica di fastidio.
Caleb ridacchiò. – Scusa sorellina, non sapevo che nel vostro corso di Francese si studiasse con i libri in cartella e il portatile aperto– disse, tendendo ulteriormente un’atmosfera già tesa fino allo stremo.
Alle parole del fratello, Catherine arrosì violentemente e, fra strilli e spintoni, riuscì a spingerlo fuori dalla porta, sbattendola per lasciarlo all’esterno.
Le risate del giovane si sentirono arrivare da dietro il muro ed Amalia provò imbarazzo per Catherine, che non aveva mai visto così adirata.
– Mi dispiace Amalia, giuro che la prossima volta lo incateno al suo lett...– ma Catherine non riuscì a finire la frase che qualcuno bussò alla porta.
– Avanti– disse Catherine, lo sguardo pronto a pugnalare chiunque fosse stato dietro quella porta.
E si da il caso che fosse di nuovo Caleb che, con uno sguardo ferino e accattivante, raggiunse Amalia.
Prima che Catherine potesse lamentarsi, il giovane parlò.
– Volevo solo salutare Amalia. Scusa mia sorella, è davvero immatura. Senza la sua presenza avremo modo di presentarci come si deve.– disse, ed Amalia ebbe la ferma convinzione che ciò che il giovane aveva detto si sarebbe avverato.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10. ***


~Capitolo 10.


La nebbia lambiva il paesaggio nel suo mantello opaco, non rendendo possibile allo sguardo di Amalia scorgere qualsiasi inganno si celasse al suo interno.
La ragazza giaceva immersa in una pozza di sangue, il corpo riverso a terra e la mente offuscata da ricordi che non sapeva le appartenessero. Ricordi di una battaglia violenta e sanguinosa, in cui vittime innocenti cadevano prede sotto il potere di un uomo dagli occhi freddi e impenetrabili. Quelle immagini le invadevano senza permesso la testa, irrompendo nella sua mente ed eliminando i suoi pensieri per farsi spazio e non lasciare che niente potesse distrarla dalla loro morsa.
Lei doveva rivivere quegli istanti. Riviverli finchè non le fossero entrati nella carne, penetrandola come artigli di gelido ghiaccio.
Una lacrima di cristallo le rigò le gote, andando a riversarsi nel mare di sangue in cui giaceva e scomparendo dentro di esso come una goccia in un oceano di male e distruzione.
Amalia rantolò spostandosi su un fianco, mossa dalle ultime forze che era riuscita e raccogliere dagli angoli più recogniti del suo corpo.
–Perchè?– chiese, sussurrando. – Perchè questi incubi? Perchè questi ricordi? Cosa ho fatto per meritarli?– in risposta il vento prese a soffiare in tutte le direzione, smuovendole i capelli ed entrandole fin dentro le vesti lacere.
Altri ricordi vividi non le permisero di chiedere altro al suo interlocutore immaginario, e la ragazza ebbe l’impressione che un cappio le si fosse stretto attorno alla gola perchè di colpo l’ossigeno scappò dai suoi polmoni.
Si portò lentamente le mani al collo e sentì qualcosa di viscido al contatto, mentre un brivido le scavava a fondo la carne.
Capì subito che quello che serrava la sua gola bloccandole il respiro era un serpente, le cui spire stavano per strangolarla senza alcuna pietà.
Intanto i ricordi continuavano a travolgerla ed il vento a ululare, come se anche la natura riflettesse ciò che Amalia provava.
Un lampo fendette il cielo e la sua luce l’avvolse. Nello stesso istante in cui successe, una mano calda le accarezzò dolcemente la guancia, destandole una lingua di fuoco che le scaldò il cuore, ormai diventato di ghiaccio da tempo.
– Tu non meriti tutto questo.– un sussurro impercettibile le vibrò nelle orecchie ed Amalia fu strappata con forza dal turbine di ricordi strazianti.
– Ti porterò via di qui. Lo prometto– le bisbigliò il proprietario della mano che prima l’aveva accarezzata.
– Chi...chi sei?– domandò Amalia in un rantolo, tentando di individuarlo con gli occhi ma non riuscendo a causa della fitta nebbia.
– Credimi, questo è l’ultimo dei tuoi problemi ora.– le disse, prendendole la testa fra le mani e adagiandola premurosamente sul terreno, che le sembrò stranamente morbido al contatto con la nuca.
– Ora dormi. Tornerò presto...
–No!– gridò di scatto Amalia, tirandosi seduta e afferrandolo per un braccio con vigore.
–Non te ne andare, sei la prima persona che cerca di aiutarmi in questo dannato limbo di cui cado preda ogni notte, e non ho la minima intenzione di lasciarti andare via a meno che non mi porti con te.
Anche se Amalia non poteva vederlo, percepì le sue labbra incurvarsi in un sorriso.
– E dove vuoi che ti porti, principessa?– le chiese, la voce piena di senso di colpa pechè sapeva di non poter esaudire il desiderio della ragazza.
Qualunque esso fosse stato.


Mentre il corpo di Amalia era scosso da spasmi incontralliti, una figura appostata fuori dalla sua finestra la fissava, catturando ogni suo movimento e facendolo proprio come fosse una pepita d’oro.
Una pepita che da tempo quella figura attendeva, tramando nell’ombra e aspettando il momento in cui avesse potuto rubarla con una brama intensa come fuoco ardente. Lo stesso fuoco che sembrava animare il corpo di Amalia e che lo percuoteva sotto il proprio potere, prosciugandolo di ogni energia e lasciandolo inerte come una sorgente da cui si ha attinto fino all’ultima goccia.
– Oh, Amalia, se solo sapessi quanto sei speciale...– sussurrò al vento, che afferrò la sua voce e la portò nelle orecchie della giovane.
Quando la figura la vide aprire gli occhi e guardarsi in giro con aria terrorizzata capì che se non fosse scappato probabilmente sarebbe andato a rassicurarla, e questo non rientrava minimamente nei suoi piani.
In una leggiadra acrobazia fu a terra, ormai lontano dalla tentazione di correre da lei e abbracciarla.
“Devi resistere ai tuoi istinti o la tua ricompensa non potrà essere riscattata” si disse, reprimendo anche l’ultimo briciolo di uminaità che era rimasto nel suo cuore, ormai consumato da molto tempo.
Con una bianca falce di luna a guardargli le spalle, il ragazzo attraversò la strada e si immerse nei boschi, dove capì con certezza che i veri incubi Amalia li doveva ancora incontrare.


Quella mattina andare a scuola e farsi travolgere dal corso delle lezioni  fu un mattone in pieno stomaco, tanto che Amalia considerò buona l’ipotesi di prendere in ostaggio il bidello e costringerlo a darle il permesso di dormire almeno per un’ora nello stanzino dove riponeva le sue scope.
Nell’ora di Storia il professor Harrison si accorse delle pesanti occhiaie che le marcavano gli occhi e, finita la lezione, la avvicinò nei corridoi, afferandole gentilmente il braccio.
– Amalia, ti dispiace scambiare due parole?– le domandò, trasmettendo nella voce tutta la sua autorità.
La ragazza, stupita, si girò e quando incontrò lo sguardo dello stesso uomo che il suo primo giorno di scuola l’aveva accolta, non esitò a chinare il capo in un cenno d’assenso.
L’uomo sorrise e le fece strada verso la mensa che, deserta, offriva ai due la possibilità di parlare senza inutili interferenze.
Una volta seduti il professor Harrison esitò qualche istante prima di parlarle, come se le motivazioni che lo avevano spinto a prendere da parte Amalia d’un tratto gli fossero risultate  futili.
Così fu Amalia a cominciare a esporre i suoi problemi, e le parole cominciarono a fluirle dalle labbra in un fiume che non riuscì ad arginare e da cui il Professore attinse.
Gli raccontò dei suoi incubi e di quanto fosse stato difficile trasferirsi e cambiare completamente vita, di quanto avesse fatto fatica a trovarsi un’amica, Cahterine, e di come le risultasse inconcepibile superare l’anno senza nemmeno una materia insufficiente.
Non seppe il motivo, ma quell’uomo dai capelli brizzolati e gli occhi verde–acqua le ispirava fiducia, inducendola a pensare che qualsiasi cosa gli avesse confidato  non sarebbe uscita da quelle quattro mura.
Quando ebbe finito di raccontare, il professor Harrison la guardò negli occhi e le sorrise.
–Sai Amalia, sono davvero contento che ti sia aperta con me, e ricordati che qualsiasi problema tu abbia, puoi sempre ricorrere a me. Alle volte i professori sono molto più utili degli amici, perchè problemi come i tuoi li hanno già vissuti.–
Quella frase le destò un’ambigua sensazione che le graffiò  prepotentemente la schiena, penetrandole fino al cuore.
– Problemi...problemi come i miei incubi?– gli chiese, titubante.
Il professore non rispose subito, limitandosi a fissarla con i suoi occhi in cui Amalia scorgeva rincorrersi diverse e contrastanti emozioni.
–Non credo la cosa ti riguardi– disse infine l’uomo, alzandosi dalla sedia e uscendo dalla stanza, lasciandola sola con un dubbio che la avrebbe divorata per il resto della sua vita.


In quelle giornate in cui sentiva le forze abbandonarla, Amalia sapeva che c’era un’unica cosa in grado di rinvigorirla e ridarle le energie necessarie per sopravvivere, e non si trattava di una maratona di Pritty Little Liars come quella che Catherine le aveva nuovamente proposto quella mattina, sfruttando l’assenza del fratello.
Amalia aveva gentilmente declinato l’invito, promettendo all’amica che ci sarebbe stata sicuramente un’altra occasione nelle settimane seguenti.
Così quel pomeriggio, armata di costume da bagno e cuffia, si decise a fronteggiare il rigido inverno irlandese e camminare fino all’unica piscina di cui Swords, quel minuscolo peasino ai pressi di Dublino, era dotato.
Le strade erano deserte, tutti gli abitanti erano rintanati in casa a causa dell’imminente temporala che stava per riversarsi sul terreno, testimoni di ciò le nere e pesanti nuvole che si stavano raggrupando come magneti nell’alto del cielo e che la squadravano minacciose.
Amalia ignorò il tempo e camminò svelta fino al municipio, che aveva imparato a riconoscere per il suo tetto aguzzo che emergeva rispetto a quelli delle altre abitazioni.
L’insegna “Swimming Pool”, posta proprio sull’edificio al fianco del municipio, attirò subito la sua attenzione, e la ragazza ne varcò la soglia senza nemmeno riflettere.
Una volta entrata si trovò in una stanza rivestita interamente di piastrelle bianche, il cui colore era talmente intenso da farle chiudere le palpebre qualche istante per potersi abituare.
Quando li riaprì si trovò davanti una donna sulla sessantina che la squadrava da capo a piedi, soffermandosi sui suoi capelli che, stretti approssimatamente in una coda di cavallo, minacciavano di esplodere da un momento all’altro.
– Buon giorno, signorina. Desidera per caso iscriversi alla nostra piscina comunale?– le chiese con voce nasale.
Amalia annuì e la donna le fece firmare una serie di moduli, rassicurandola sul pagamento, che avrebbe potuto pagare alla fine del mese.
La ragazza le sorrise e si avviò rapida verso gli spogliatoi, passando per le vasche, e alla sola vista dell’acqua la voglia di sentirla sulla pelle si fece insopportabile.
Mentre si cambiava nell’angusto spogliatoio, ripensò alla prima volta che la nonna le aveva insegnato a nuotare, risalente a quando Amalia aveva appena cinque anni.
L’immagine di una Emilie sorridente che la incitava a sbattere i piedini più forte le giunse alla mente, colmandola di ricordi che Amalia sentì propri, non come quelli che di cui era stata vittima nel suo incubo.
Bramando che l’acqua l’avvolgesse nelle sue braccia, la ragazza si diresse più veloce che poté verso l’unica vasca di cui era dotata la struttura.
Era lunga e stretta, con appena tre corsie di cui due già occupate dai bambini che quel giorno avevano il corso di nuoto.
Amalia ignorò le loro urla e si apprestò sul trampolino, saltellando un paio di volte per darsi lo slancio necessario a tuffarsi.
Quando finalmente lo trovò, fletté le gambe e spiccò un salto in avanti, sentendo l’aria sfilarle rapida accanto e accarezzarle la pelle come una mano gelida. 
Nel preciso istante in cui l’acqua le lambì la fronte, i pensieri si congelarono ed Amalia fu liberata dalla loro morsa, potendo finalmente respirare senza che essi la tormentassero.
La continua e persistente domanda del perchè il Professor Harrison si fosse comportato in modo così ambiguo, le strane sensazioni che aveva provato nell’incrociare lo sguardo di Caleb, la pressione per i suoi strani incubi, tutto questo restò fuori dall’acqua, che li separava da Amalia come una barriera indistruttibile.
La ragazza si fece accarezzare dall’acqua e sentì una sensazione di calma avvolgerla e distenderle i nervi, tesi ormai da troppo tempo.
Nuotò sempre più a fondo, senza però sentire il peso della pressione gravare sul suo corpo, e continuando a scendere fino a sfiorare con la mano il fondo della piscina.
Vi si sedette sopra, ammirando dal basso come tutto le apparisse da quella posizione, in cui nessun rumore o inutile preoccupazione poteva turbarla.
Vedeva i suoi capelli neri ondeggiare, mossi dalle onde che i bambini destavano sull’acqua quando si tuffavano, e percepiva un silenzio in cui mai le sembrò di essere stata immersa, almeno fino a quando una mano le toccò la schiena.
Amalia sobbalzò e si voltò di scatto, trovandosi davanti il volto di Caleb, che la fissava con aria severa.
Il ragazzo mosse le labbra scarlatte e piccole bollicine uscirono dalla sua bocca, accompagniate da un suono che Amalia non riuscì a decifrare. Caleb, accorgendosene, la invitò con un gesto a risalire in superficie.
Amalia lo assecondò e pochi istanti dopo i due si trovarono appoggiati alla scaletta di metallo che permetteva di entrare e uscire dall’acqua.
– Che c’è?– chiese Amalia, seccata per quell’inutile interruzione.
Caleb in risposta le indicò qualcosa alle sue spalle. Amalia seguì la traiettoria del suo dito e vide un grande cartellone sul quale una donna magra e alta spiccava un elegante tuffo. Sul momento non capì cosa avesse spinto Caleb a farglielo vedere, ma quando notò che i capelli della donna erano stretti una cuffia, capì a cosa il ragazzo si riferiva.
– Pardòn– si scusò allora, rossa in viso per non aver rispettato la prima norma igenica delle piscine ed essere entrata in acqua con i lunghi capelli sciolti.
Caleb sorrise. –Non preoccuparti, sono certo che non sei portatrice di nessuna malattia mortale.– disse con tono scherzoso, ed Amalia identificò nella sua voce lo stesso timbro della sorella, gentile e cristallino.
– Invece tu pensi che io la abbia, una malattia mortale, vero?– le chiese d’un tratto, ed Amalia restò senza parole a quella domanda di cui non comprese il senso.
Caleb la vide perplessa e riprese: – Da come mi ha descritto mia sorella devo esserti sembrato il peggiore degli aguzzini.
Amalia ridacchiò, annuendo. – E io devo esserti sembrata un’ebete che non sa spiccicare nemmeno una parola.
Caleb le sorrise, lo sguardo divertito. – Penso che le nostre prime impressioni siano state entrambe errate e troppo affrettate.– disse, e quando lo fece alcune goccioline gli scivolarono dalla cuffia bianca agli occhi, che sembrarono brillare.
–Lo penso anch’io, ma nemmeno questa è la circostanza migliore del mondo per presentarsi– rispose Amalia, d’un tratto catturata da quello sguardo, che la stava lentamente riportando nel suo vortice.
All’improvviso un bambino si tuffò a qualche metro da loro, schizzandoli e suscitando il nervosismo di Caleb.
– Johnatan, quante volte ti ho detto che devi rispettare le distanze di sicurezza quando ti tuffi!?– gridò, ed il bambino sbiancò, chinando la testa con aria spaventata.
–Ed ora vai a cambiarti, che l’allentamento è finito.– continuò Caleb, trovando ubbedienza da parte di Johnatan, che nuotò fino al bordo della vasca e uscì da essa.
– Catherine mi aveva parlato della tua attitudine quasi maniacale a far rispettare le regole– asserì Amalia, osservando come il ragazzo reagiva.
Caleb rise. – E scometto che ti ha anche raccontato di quando da piccoli la obbligavo a mangiare le verdure anche quando mamma non era a casa.– disse, trovando da parte di Amalia una conferma.
– Sì, e anche di quando le hai fatto rifare gli esercizi di matematica cinque volte perchè aveva scritto a troppi quadretti dal margine!
Caleb sorrise, rammentando quei momenti, che erano successi più di sei anna prima.
– Dovrei supporre dunque di essere ormai un libro aperto per te?– le chiese, mentre il suo guardo scavava in quello di Amalia con un’intensità di fuoco.
– No, credo che le presentazioni siano ancora necessarie. Preferisco sapere le informazioni riguardanti una persona dal diretto interessato piuttosto che da una fonte  che so potrebbe distorcerle.– rispose, compiacendosi della scaltrezza con cui aveva aggirato quella domanda, uscendone illesa.
– Mi sembra un ragionamento che regge. Propongo quindi di rimandare queste attese presentazioni alla prima volta che ci vedremo e saremo senza la pressante presenza di mia sorella e completamente vestiti e non in una piscina comunale–
Amalia fece caso a quell’ultimo dettaglio e arrossì violentemente, mentre notava di trovarsi solo a qualche centimetro dal petto muscolo e tonico del ragazzo.
Indietreggiò, nuotando. – Allora alla prossima volta– gli sorrise e, quando lui ricambiò, Amalia sentì la presenza di occhi che conosceva fin troppio bene sulla schiena. 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


~Capitolo 11.


Il sasso rimbalzò cinque volte sull’acqua e, prima che potesse farlo una sesta, annegò dentro di essa con un rumore simile a quello che si ottiene stappando una bottiglia di cola.
Amalia battè le mani e guardò stupita Catherine che, trionfante, si erse in piedi e sollevò le mani in segno di vittoria.
–Devi proprio umiliarmi in modo così esplicito?– le chiese Amalia, seccata ed ironica.
Dei sassi che aveva lanciato, nemmeno uno era riuscito a superare la soglia dei due rimbalzi, venendo inghiottito dall’acqua del lago di Swords quasi con violenza. La ragazza si era infuriata a tal punto da gettarsi più volte alla ricerca dei sassi maggiormente lisci presenti sulle rive per poter sfruttare al meglio la loro particolare struttura, ma neanche con quelli era riuscita a battere Catherine e quello stupido numero, il due, che ininterrottamente le rimbombava in testa, tormentandola.
Catherine sbuffò. – Andiamo, Amalia, non ti sarai mica offesa?– le chiese, quasi ridendo, cosa che ad Amalia istillò non poca frustrazione.
Odiava quando qualcuno la derideva, anche per sbaglio. Ogni volta che succedeva dentro di lei scattava qualcosa che cancellava tutta la sua calma, liberando la bestia furiosa che sin da quando era bambina aveva imparato ad addomesticare. Una bestia fatta di rabbia e dolore, che era stata in grado solo di nascondere e mai di far estinguere.
In quel momento l’animale aveva cominciato ad agitarsi ed Amalia avvertiva il suo ringhio rimbalzare nelle pareti incorporee della sua mente.
– Terra chiama Amalia. C’è qualcuno?– la voce di Catherine la ridestò, facendo accorgere la ragazza che la mano dell’amica continuava ad agitarsi davanti ai suoi occhi senza che lei se ne accorgesse.
–Sì, scusa. Stavo solo pensando a quanto io sia incapace di eccellere anche in un gioco così banale...– rispose, facendo tacere la bestia con la consapevolezza che Catherine non stava ridendo di lei, bensì con lei.
Catherine scosse la testa, e la cascata di lunghi capelli castani le ondeggiò sulle spalle.
–Ti sbagli. Questo gioco non è per niente facile, anzi, tutto il contrario. Ci vuole calma e concentrazione, ogni fibra del tuo corpo deve essere in sintonia con la natura che ti circonda e prendere coscienza di essa, senza considerarla un’estranea.
Solo quando senti il vento accarezzarti le guancie e fischiarti con dolcezza nelle orecchie e fra i capelli, solo allora puoi considerarti pronta.
Amalia restò zitta, priva della capacità di comprendere quelle parole che, per una abituata ad agire impulsivamente come lei, risultavano troppo teoriche per poterle mettere in pratica.
D’un tratto una consapevolezza ovvia le balenò nella mente, spingendola ad esternarla anche a Catherine.
– Ma oggi non c’è vento.
L’amica la guardò intensamente negli occhi, sorridendo.
– Infatti. Ora capisci cosa intendo?
Amalia rise. – Che è impossibile fare questo gioco quando non c’è vento?
Catherine espresse il suo disappunto zittendola bruscamente con la mano. – No, che la sintonia con la natura è qualcosa di più profondo che il tempo.
Amalia aggrottò la fronte, perplessa. – Cosa vuoi dire?
– Che a volte la natura non è fuori, ma dentro di te.
 

Amalia guardò distratta l’orario delle lezioni e rabbrividì quando la scritta “Laboratorio di Chimica” le pizzicò le pupille. Ricordi non molto piacevoli le affiorarono alla mente, assieme all’immagine di una Shannon fuori di sé e di un denso fumo bianco che avvolgeva ogni cosa, terrorizzandola.
L’idea di passare un’altra ora con quella pazza psicopatica non le sembrava il migliore dei modi per completare il già stressante venerdì, eppure sapeva che non c’era alternativa.
Ripose quindi il foglio nell’armadietto e lo chiuse in un tonfo, attirando l’attenzione di una ragazza che le dava le spalle alla fine del corridoio e che si riscosse al sentire quel brusco rumore.
Amalia sperò di non essersi fatta odiare dall’ennesima persona e si avviò, di fretta, verso il laboratorio di Chimica, che la aspettava come un predatore ansioso di esercitare la tortura quotidiana sulla preda.
Ma quando la ragazza fece per svoltare l’angolo, una mano forte afferrò la sua e la girò verso di sé.
Amalia trattenne un grido quando gli occhi dardeggianti di Alek irruppero nei suoi, e la mano del ragazzo sulla propria non l’aiutò di certo a calmarsi.
– Devi sempre farti notare, eh, Jones?– le disse, rafforzando la presa su di lei e bloccando per un attimo il corso del suo sangue.
Amalia aspettò qualche istante prima di pestare con forza il piede contro quello di Alek, portando a termine il gesto solo quando fu certa della reazione che avrebbe destato nel giovane.
Ma quella volta non aveva fatto i conti con la sua rapidità, tanto che Alek spostò il suo piede e fece trovare sotto la suola di quello di Amalia solamente il freddo pavimento. Poi, in una frazione di secondo, lasciò la presa sul suo polso e la afferrò per la vita, portandola a stretto contatto col suo petto e schiacciandola simultaneamente al muro dietro le sue esili spalle.
Amalia ingoiò il boccone amaro che era la sconfitta e intrecciò nuovamente il suo sguardo con quello di Alek, non ancora pronta a darsi pervinta.
– Questo non è un gioco, Amalia– le disse, il tono ammonitorio.
Amalia ridacchiò, confusa. – Scusami tanto, Alek, pensavo che spiarmi mentre sono in piscina rientrasse nelle tue missioni di Risiko.– gli rispose, e la sua frecciatina velenosa destò sul volto del giovane volto il consueto sorriso che Amalia inconsciamente tanto attendeva.
– Noto che hai uno sguardo davvero affilato
– E tu un senso del gioco molto dilatato– aggiunse lei, sfidandolo nuovamente.
–  Infatti non stavo giocando. Stavo solo facendo il mio lavoro, ma la cosa non deve interessarti.– la pressione delle mani di Alek sulla sua vita si fece più intensa e, anche senza volerlo, la pelle di Amalia cominciò ad essere assalita da brividi caldi e freddi allo stesso tempo.
La ragazza tentò di ignorarlo e caricò una nuova freccia, pronta a colpirlo dritto al cuore.
– Così mi spaventa, agente Bond
Alek avvicinò repentinamente il volto al suo, ed il respiro sembrò scomparire dai suoi polmoni.
– Taci– le disse solamente, ed il suo sguardo bastò ad Amalia per farle eseguire quell’ordine a cui mai avrebbe pensato di obbedire.
Passarono diversi istanti dove regnò il silenzio quando, d’un tratto, il rumore di alcuni passi irruppe nell’aria.
Erano passi rapidi e concitati, passi che potevano appartenere solo ad una persona sicura di sé e della direzione che doveva prendere per trovare ciò che stava cercando.
E quando Amalia realizzò chi doveva essere il proprietario, lo stomaco le si strinse fine a farle male.
Alek la fissò intensamente e le sue labbra mormorarono parole che ad Amalia arrivarono come amplificate.
– Non seguirla. Mai– poi, in un lieve spostamento d’aria che le accarezzò le guance, Alek scomaparve, la sua sagoma che spariva dietro l’angolo come un’ombra risucchiata nella notte.
Amalia, ancora priva di fiato, si appiattì contro la parete, condizionata fino alle ossa dall’ultima frase di Alek, che le rimbombava nella testa lasciandola frastornata.
– Amalia? Dove sei?– la voce di Shannon contribuì a farle accellerare ulteriormente il battito del cuore.
–Coraggio, salta fuori. La lezione è iniziata e Miss Winston vuole tutte le coppie a rapporto.– disse la ragazza, ed Amalia fu sicura di scorgere la sua sagoma stagliarsi autoritaria davanti a lei per una frazione di secondo per poi scomparire.
– Non seguirla. Mai– quella frase le diede l’impulso di  muovere alcuni rapidi passi verso l’aula di Astronomia, vuota in quell’ora perchè la lezione era stata rinviata per l’improvvisa mancanza della professoressa.
Quando Amalia vi entrò, fu grata alle luci di essere guaste.
Si infilò veloce nell’oscurità che regnava nella stanza, confondendosi con essa e riuscendo a sfuggire allo sguardo di Shannon  che, quando ispezionò l’ambiente, non la trovò, accovacciata com’era sotto la cattedra.
Lì, immersa nel buio più totale, restò per la successiva ora, e solo nel momento in cui suonò la campanella  riuscì a esorcizzare l’ansia di quelle parole e uscire, avventandosi verso l’ingresso della scuola, dove un’orda informe di studenti aveva già trovato posto.
La ragazza si fece largo e, fra spintoni e insulti, arrivò nel cortile, traendo un lungo e rilassante sospiro, che le diede la capacità di ragionare lucidamente e senza quelle parole impresse a fuoco nel cranio.
Si guardò attorno e quando vide gli occhi scuri di Shannon fissarla colmi di rabbia desiderò trovarsi ovunque tranne che lì.
Si voltò e prese a correre in direzione dei pullman, ma qualcosa fra gli alberi catturò la sua attenzione.
Anzi, non qualcosa. Qualcuno.
Amalia restò senza fiato. Lui. Ancora.
– Ora che mi hai spaventata a morte sei tornato per finire l’opera?– sussurrò, consapevole che Alek non poteva nemmeno lontanamente udirla.
Il ragazzo, in risposta, sollevò il pollice e chinò il capo, facendole capire che era fiero di lei.
Amalia distolse lo sguardo e quando fissò di nuovo nello stesso punto, si accorse che Alek non c’era più.
In un amaro sorriso, ammise a se stessa che quando lo incontrava la sua vita diventava ancora più incasinata di quanto già non fosse




Angolo autore:
ho deciso di avere anche io un p'iccolo angolino dove dire la mia :)
Allora che dire a parte il fatto che questo capitolo è stato una vera impresa da partorire?
Non sapevo se avrei reso la storia troppo ricca d'azione già all'undicesimo capitolo, ma ho preferito rischiare.
Non pensate che per questo gli eventi importanti siano anticipati, anzi, ho tutta l'intenzione di approfondire prima il rapporto fra i personaggi.  ;)
VI è piaciuto il primo pezzo? Dite che è troppo misterioso o confuso?
fatemi sapere i vostri pareri, ve ne sarò grato.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


IMPORTANTE:
Scusante per l'assenza di questo ultimo (e lunghissimo) periodo. Diciamo che è non è stato un periodo molto profiquo per la scrittura e che mi sono dedicato completamente ad altre cose, trascurandola totalmente. Eppure eccomi qui, preso dall'ispirazione ancora una volta.
Questa storia mi sta molto a cuore e spero vogliate perdonarmi :) 
Il capitolo introduce un nuovo personaggio, di cui finora si era solo parlato. Spero sia di vostro gradimento.
lasciate pure i vostri commenti, sono tutti bene accetti
buona lettura






Capitolo 12


Seduta sulla poltrona, le braccia che pendevano stancamente dai braccioli e le gambe appoggiate al tavolino di cristallo davanti a lei, Amalia osservava assonnata lo schermo della televisione.
Quella sera la stanchezza accumulata nell’ultimo periodo sembrava essersi riversata su di lei tutta insieme, privando il suo corpo della capacità di portare attenzione a qualsiasi cosa che non fossero le immagini che si stavano susseguendo sulla Tv.
“Strani fenomeni atmosferici stanno sconvolgendo la California. Tornado improvvisi e piogge scroscianti sono ormai all’ordine del giorno a Los Angeles, ed il freddo costringe i suoi abitanti a non uscire di casa se non per cose strettamente necessarie. Osservate queste immagini; la foga con cui i vortici d’aria si avventano sul mare è così tanta che ha fatto precipitare i cavi dell’alta tensione.  I crolli di edifici, inoltre, causati dal tempo, hanno provocato alcune vittime” la voce preoccupata con cui la giornalista parlava terrorizzò Amalia. Di solito, infatti, quando i giornalisti riportavano notizie tragiche, la loro voce risultava atona, ed Amalia pensò che la gravità della situazione a Los Angeles doveva essere così intensa da far dimenticare alla giornalista di assumere il solito tono apatico.
Un brivido le scavò rapido la carne, ricordandole che la nonna viveva proprio nella meta di quei disastri atmosferici.
Quando le immagini dei tornado riempirono lo schermo, Amalia ebbe un sussulto. La violenza con cui l’aria spazzava via tutto era sconcertante, tanto che la lasciò senza fiato.
Doveva assolutamente chiamare sua nonna e sapere come stava, seppur questo la avrebbe costato alzarsi dalla sedia e sollevare la cornetta, vincendo la stanchezza.
Spense con un movimento brusco la televisione, alzandosi in piedi e dirigendosi verso il telefono. Portò la cornetta all’orecchio e digitò sul tastierino il numero di casa della nonna, che dopo così tanti anni ricordava a memoria. Il telefono squillò diverse volte a vuoto, così Amalia provò a ricomporre la sequenza numerica. Il risultato, tuttavia, non cambiò di una virgola, facendo pervadere Amalia da una brutta sensazione che le serrò lo stomaco. L’ansia che cresceva ad ogni squillo mentre la ragazza stringeva spasmodicamente il filo dell’apparecchio, cercando invano di sfogare la tensione accumulata. Emilie era tutto tranne quello che poteva dirsi una vecchietta ferma nei suoi anni e imbranata. Seppure la sua avanzata età, la donna usava perfettamente qualsiasi tipo di apparecchio elettronico e badava a se stessa in modo del tutto autosufficiente, non facendo mai venire ad Eureka e Maxus il dubbio di assumere una badante affinché si occupasse di lei. Inoltre, era sempre solita portarsi dietro il telefono cellulare, a cui venivano segnalate le chiamate perse su quello di casa. Per questo Amalia cominciò ad agitarsi, sapendo che la donna si faceva trovare reperibile in ogni occasione, persino anche quando si trovava nelle più strane situazioni come in vasca da bagno oppure in bicicletta.
Mai avrebbe potuto sopportare se fosse accaduto qualcosa all’amata nonna, l’unica figura, oltre a quella dei suoi genitori, che rappresentava per lei un punto fisso e su cui sapeva di poter sempre contare, qualsiasi cosa fosse accaduta.
Già cominciava a immaginarsi la figura minuta di Emilie riversa a terra sotto le macerie provocate da un tornado quando, dall’altra parte del globo, la donna rispose. –Pronto?
Ad Amalia sembrò che il sangue avesse ripreso a scorrerle di nuovo nelle vene. –Nonna, tutto bene? – chiese, quasi aggredendola con la sua voce concitata.
–Tesoro, faccio io a te la stessa domanda! Hai una voce così tesa che si potrebbe affettare – le rispose Emilie, preoccupata per la nipote almeno quanto Amalia ella lo era per lei.
La ragazza sorrise, constatando che se la nonna rispondeva con così tanta spontaneità significava che era tutto in ordine.
–Si, è che non rispondevi più
–Incanto, è passato nemmeno mezzo minuto da quando il telefono ha iniziato a suonare fino a che ho risposto. Non è che stai diventando paranoica come tua madre? – azzardò Emilie, suscitando sul viso di Amalia il consueto sorriso che le veniva quando la nonna parlava della maniacale abitudine della madre ad essere sempre perfetta e avere tutto sotto controllo.
–Non mi sembra proprio il caso che ti preoccupi, anzi, qui quella preoccupata dovrei essere io, che non ti fai sentire da almeno tre settimane! – continuò, mentre il suo tono assumeva un tono lievemente più grave.
Amalia rifletté su quell’affermazione e riconobbe che nelle ultime settimane era stata così assorbita tra la scuola e le nuove conoscenze da aver trascurato le solite chiamate alla nonna, che le permettevano di sfogarsi e sentirla sempre vicina.
Si morse la lingua nel constatare che alle parole ‘nuove conoscenze’ il viso provocatorio di Alek le era apparso nella mente. Lui era decisamente da mettere nel gruppo di conoscenze che oltre a nuove, erano da descriversi irritanti. E assillanti. E idiote. E inquietanti. E affascinanti…
Stupida! Si schernì a quel solo pensiero. Sulle più di mille pagine del vocabolario di lingua inglese che aveva nella libreria di suo padre avrebbe potuto trovare milioni di aggettivi che gli si addicevano senza utilizzare quello.
–Incanto, ci sei ancora?– la voce di Emilie la riportò alla realtà e tolse il sorriso sarcastico di Alek Bàs dalla sua testa.
–Sì nonna, scusa, ero sovrappensiero
–Allora? Sto aspettando una motivazione per le tue mancate chiamate. Sai benissimo che non voglio essere assillante con te, che secondo il nostro patto sei tu che mi devi chiamare dato che sai che voglio ti senta libera di sentirmi solo quando lo desideri. Ma dal passare a chiamarmi un giorno si e uno no, al non farlo per un periodo di tempo così lungo! Sei sicura vada tutto bene?
Amalia ascoltò attentamente le parole della nonna e, in simultanea, fu come se tutto ciò che aveva vissuto in quell’ultimo mese e mezzo le fluisse dalle labbra senza che potesse controllarlo. Raccontò alla nonna della scuola, della bella compagna che aveva trovato in Catherine, del tempo irlandese che poco le andava giù, del rapporto di alti e bassi coi suoi genitori, del gentile e al contempo enigmatico professor Harrison…insomma di ogni cosa. Ogni cosa tranne gli occhi smeraldo il Alek e i suoi incubi.
Parlò per più di un’ora, non facendo caso alla lancetta laccata dell’orologio della cucina che ormai segnava le dieci e mezzo di sera. Sapeva, purtroppo, che se avesse aperto il capitolo sul ragazzo il tempo che avrebbe dovuto spendere per descrivere la situazione si sarebbe dilatato a dismisura.
–Sono proprio contenta che ti sia aperta, percepisco da come ne parli che ti stai poco a poco adattando al nuovo ambiente. Ho sempre detto a Maxus e a tua madre che sei una ragazza forte e che il trasloco non ti avrebbe turbata più tanto. Vedrai che d’ora in poi tutto comincerà a diventare normale e tra poco ti chiederai se non hai sempre vissuto lì! – la rassicurò, cercando di considerare ogni lato positivo dal racconto di Amalia, evitando accuratamente di parlare di quanto sentisse una mancanza viscerale nei suoi confronti e di quanto le mancasse averla sempre intorno nelle lunghe passeggiate che facevano di fronte all’oceano.
–Sento, però, che c’è qualcosa di cui ancora non mi hai raccontato. – asserì Emilie, che troppo bene conosceva Amalia per non capire che le stava nascondendo qualcosa. E quel qualcosa era proprio ciò su cui voleva essere informata.
Un groppo si formò in gola ad Amalia, rendendole difficile deglutire. Dannazione, come fa a sapere sempre tutto?
–No, niente, perché?– disse, pronunciando le parole con tutta la sicurezza e disinvoltura di cui era capace.
Emilie rincarò la dose. – Non venire a mentire proprio a me, Incanto
Il tono con cui la donna pronunciò il soprannome con cui da sempre chiamava Amalia inquietò la ragazza. Di solito quella parola era detta in modo dolce, soave e non con quella durezza.
Si fece forza – davvero nonna, non so di cosa parli...
Emilie sbuffò. – Va bene che sono anziana, ma mi ricordo ancora come è avere diciassette anni. È un ragazzo, non è vero?
Amalia trasalì. Tentò di negare ma non trovava né la forza per dissuadere la nonna del fatto che non ci fosse altro, né per inventare una palla in modo da sviare il discorso.
Restò così senza parole, priva della minima idea di come proseguire la conversazione e farle riprendere il giusto binario.
–Come pensavo...dimmi, come si chiama?
–Alek – disse Amalia senza nemmeno pensarci e maledicendosi non appena si accorse dell’errore che aveva commesso.
–E poi?– insistette la donna.
A questo punto tanto valeva giocare a carte scoperte. –Sono perseguitata da strani incubi
A questo punto accadde qualcosa che mai Amalia avesse pensato potesse succedere: anche la nonna non disse nulla. Era la prima volta che Emilie taceva da quanto Amalia la conosceva – diciassette anni, e non erano di certo pochi. Aveva sempre qualcosa da dire, persino nelle situazioni più spinose dove vi era il buon costume di tacere. Se c’era una cosa che Amalia mai aveva associato alla nonna, quella era di certo il silenzio.
La ragazza sentì il respiro della nonna farsi più rapido dall’altro lato della cornetta e giurò di averla anche udita deglutire.
Passarono attimi che sembrarono eterni, in cui restò del tutto spiazzata mentre silenzio gravava come una coperta di catrame.
–Scusa Amalia, hanno suonato alla porta. Deve essere il postino, mi dovevano recapitare un oggetto piuttosto importante che ho ordinato su ebay la scorsa settimana. È un sacco che lo aspetto. Ti richiamo io appena posso. – disse quelle parole così rapidamente che Amalia stentò a capirle, dovendo riportarle alla mente per capirle appieno.
Too too…la ragazza agganciò a sua volta e, non appena ebbe posato la cornetta all’apparecchio, sentì un brivido correrle rapido e gelido lungo la schiena. Si accorse che la sensazione di ansia che aveva addosso prima di aprire quella telefonata non era cambiata e la opprimeva allo stesso modo, rendendola a dir poco inquieta.
Perché Emilie si era comportata in modo così strano? Di solito era lei quella dalle reazioni poco prevedibili.
Si sedette sul tavolo della cucina e stette a pensare a quello che era appena successo. Lo trovava così irreale che per poco non pensò che fosse solo un sogno, il frutto della sua mente troppo stanca e volenterosa di riposo. Decise che aveva bisogno di una boccata d’aria e, infilatasi il piumino e le Dr Martins, uscì di casa. Non dovette nemmeno preoccuparsi di avvisare i genitori che, quella sera, erano fuori con alcuni colleghi di suo padre.
Prese a camminare lungo la via rischiarata dai lampioni, che sembravano sfidare il buio della notte con la loro flebile luce, opponendosi all’immensità di nero velluto che era la notte.
Mai come in quel momento avrebbe desiderato tuffarsi in piscina, ne sentiva proprio il bisogno. Si ripromise che il giorno dopo sarebbe assolutamente andata, nonostante fosse domenica e avesse una caterva di compiti ancora da fare.
Espirò ed il fiato le uscì in una nuvola bianca che si dissolse qualche istante più tardi. Camminò per un quarto d’ora buono prima di tornare in casa e aprire il frigo, constatando che le era passata la fame.
Andò quindi a letto, tentando in tutti i modi di non pensare a quell’insolita serata. Tuttavia, prima che riuscisse a prendere sonno, un’inquietante particolare le balenò in testa.
Sua nonna non aveva mai avuto alcun citofono. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13. ***


Capitolo 13


La vecchia biblioteca della scuola era decisamente l’ultimo luogo dove Amalia avrebbe voluto trovarsi in quel momento. La sua scarsa propensione al silenzio era uno dei motivi principali assieme al fatto che odiasse ripassare per un test accanto ad altre persone, specialmente se esse avevano l’aria di sapientini appena assemblati che si scrutano attorno per eliminare la possibile concorrenza. Tuttavia, sapeva benissimo che quello era l’unico posto che era quasi del tutto sicura che Alek Bàs non frequentasse e, inoltre, l’ultima F in chimica le aveva decisamente dato la prova che studiare a casa con tutte le distrazioni che la sua stanza comportava non le giovasse.
Sbuffò e sollevò gli occhi dal libro, fissando il suo sguardo su Catherine che, seduta davanti a lei, era intenta a ripetere a bassa voce. Avrebbe voluto distrarre l’amica con l’ennesima pallina di carta, ma pensò che forse l’avrebbe distolta dalla sua concentrazione, come già aveva fatto appena dieci minuti prima. Catherine si era irrigidita e, seppur con un sorriso benigno sulle labbra, le aveva intimato di tacere e così aveva fatto.
Lanciò occhiate all’ambiente che la circondava. Le mura, scolorite e logorate dal tempo, circondavano una stanza rettangolare completamente divisa da file di scaffali stracolmi di libri equidistanti l’uno dall’altro. I tavoli dedicati allo studio erano disposti al lato del bancone della bibliotecaria, appena a fianco dell’ingresso. La polvere sembrava regnare incontrastata sulle mensole e fra le copertine, ricoperte di quella patina grigiastra come se nessuno osasse rimuoverla da secoli. Le finestre erano ampie e davano sul giardino interno dell’istituto, ridotto a un cumulo di foglie secche con sfumature che andavano dall’arancione cupo al rosso scuro. Il cielo di quel pomeriggio di fine autunno era grigio e grossi nuvoloni neri pieni di pioggia si raggruppavano all’orizzonte, dando ad Amalia il presentimento che forse sarebbe stato opportuno rubare uno degli ombrelli riposti nel portaombrelli dell’entrata per sfuggire all’imminente scroscio di pioggia.
“Lo restituirò proprio come ho fatto con gli altri tr…ehm sei” si disse, autoconvincendosi che il suo era un po’ come il comportamento di Robin Hood, che rubava ai ricchi per dare ai meno fortunati. Meno fortunati che nonostante fossero ormai quasi abituati al piovoso tempo irlandese ancora non si ricordavano di mettere l’ombrello in borsa, proprio come lei.
L’aprirsi della porta risvegliò Amalia dai propri pensieri ed i suoi occhi, curiosi, conversero verso l’ingresso. Nel momento stesso in cui si rese conto che il ragazzo appena entrato era Alek Bàs, il suo volto assunse un’espressione corrucciata ed infastidita e la sua mano strinse repentinamente l’evidenziatore fucsia che reggeva.
Alek, divertito dalla reazione che la sua apparizione aveva destato, avanzò a lunghe falcate nella stanza e si diresse verso di lei. Se lo sguardo di Amalia avesse potuto fulminare, i brandelli del corpo elettrificato del ragazzo si sarebbero trovati fumanti sul pavimento già da qualche secondo. Tuttavia, lui sembrò non darci troppo peso e si posizionò esattamente dietro la sedia di Amalia, dandole le spalle e fingendo di rovistare tra i tomi nello scaffale.
Amalia sospirò con stizza, tentando di trovare conforto in Catherine che, per sua sfortuna, era così presa dallo studio che nemmeno aveva notato quell’ultimo avvenimento.
–Cosa diavolo ci fa qui, Alek?– sussurrò Amalia innervosita, sforzandosi di non alzare il tono di voce.
–Potrei farti la stessa domanda; non mi sembri certo un topo di biblioteca che studia qui tutti i pomeriggi. Io le cose false le riconosco, Amalia– ribatté il ragazzo senza girarsi, enfatizzando le ultime parole.
–Molto interessante, vedo che il tuo sesto senso è davvero acuto. Ora, sei fortemente pregato di portare il tuo sedere fuori da qui e lasciarmi studiare in santa pace.
–Credo ti sfugga che questo è un ambiente dedicato agli studenti della Saint Gabriel e, sfortunatamente per te, io sono uno di loro e posso posare il mio sedere dove mi piace e pare
Amalia si morse il labbro per il fastidio che provava nel trovare sempre una risposta pronta da parte di Alek. Era incredibile come riuscisse a tenerle testa anche in un semplice battibecco come quello, dove normalmente Amalia riusciva a sopraffare chiunque con la sua acidità.
–Questo, però, non ti autorizza a infastidirmi come hai fatto l’altro con giorno con la storia di Shannon
–Oh, questa in realtà è la parte migliore – disse urtando con un piede la sedia di Amalia e facendola stridere sul pavimento. In meno di dieci secondi gli occhi di tutti i presenti furono su di lei come spilli e risvegliarono sulle sue guance un intenso rossore. Avrebbe voluto sprofondare dieci metri sotto terra e restare lì fino a che la biblioteca non si fosse completamente svuotata. Dannazione, era almeno la terza volta che Alek le faceva fare una figuraccia passandola quasi del tutto liscia – naso rotto a parte.
–Che diavolo succede…? – la voce di Catherine le arrivò alle orecchie come un’ancora di salvezza.
–Questo cretino non la vuole sapere di lasciarmi in pace
Non appena Catherine vide Alek sgranò gli occhi.
–Sì Cat, non sei l’unica ad essere sorpresa del fatto che un coglione del genere si trovi qui.
Alek, in risposta, tirò un ulteriore calcio alla sedia.
–Vuoi stare fermo?– sibilò Amalia, schivando nuovamente le occhiate di tutti come fossero lame.
–E tu vuoi smettere di fare l’acida?
–Ne ho tutto il motivo di farlo, qui sono io la vittima del tuo comportamento da stalker psicopatico.
Alek rise di gusto. –Credo che non ti sia ben chiara la differenza tra vittima e carnefice, potresti cercarla in uno di questo libri che fingi ti interessino
Amalia fece per ribattere ma restò boccheggiante prima che le parole potessero uscirle dalla bocca.
–Voi due– il tono squillante della bibliotecaria li interruppe. La donna indicò con l’indice smaltato di rosso la porta e fece loro capire in modo non del tutto velato che la loro presenza non era più gradita.
–Mi scusi, non volevo disturbare– tentò di scusarsi Amalia, senza però ottenere alcun successo. La donna, infatti, sembrava guardarla con una maschera di ghiaccio sul volto, non facendo trasparire nessuna emozione che non fosse nervosismo.
–Fuori– proferì, impassibile.
–Ma… – questa volta fu Catherine a parlare, ma nemmeno il suo tono calmo e dolce riuscì a risolvere le cose.
–Non ce l’ho con lei signorina, ma con i suoi due amici. –
Gli occhi della donna si strinsero in due fessure ed Amalia capì che ogni tipo di protesta sarebbe risultata inutile, chiunque fosse stato a farla. Se poi ci avesse provato Alek, sapeva che le cose sarebbero andate di male in peggio, meglio dunque lasciare la stanza il più in fretta possibile e senza rimediare alcun richiamo disciplinare.
Ripose mestamente i libri nella cartella e uscì urtando appositamente Alek con la cartella mentre se la metteva in spalla, suscitando un’espressione ilare da parte quest’ultimo.
Non appena si ritrovò nel corridoio un moto di rabbia la pervase, facendole stringere i pugni fino a che le nocche non le diventarono bianche.
Possibile che quel ragazzo dovesse sempre metterle i bastoni tra le ruote e apparire nei momento meno opportuni?
Una mano le toccò la vita, strappandola dalla sua riflessione. Si voltò di scatto e si ritrovò il volto di Alek a qualche centimetro dal suo.
Sostenne il suo sguardo ed evitò di annegare in quelle iridi color smeraldo con così tanta forza che dovette saldamente piantare i piedi a terra.
–Interessante come passi dall’insultarmi a perderti nei miei occhi in pochi minuti
Amalia ridacchiò. –L’unica cosa che si sta perdendo è decisamente il tuo buon senso e la tua normalità. Provi davvero così tanto gusto a infastidirmi in ogni momento, a pedinarmi o spaventarmi a morte?
Alek alzò un sopracciglio. – Già dal primo giorno ti avevo detto che sei carina quando ti arrabbi, non ti ricordi?
Amalia lo spinse via in un moto di fastidio, dandogli una manata sul petto in modo da frapporre più spazio possibile tra i loro corpi.
–Sei proprio un idiota, Alek– disse, girandosi e prendendo a camminare lungo il corridoio. Ormai le appariva chiaro come il sole che era inutile parlare con lui, non sarebbe mai arrivata a una conclusione. Era fastidioso continuare a fare domande a qualcuno che le ignorava abilmente e rigirava la situazione dalla sua parte, che essa fosse un passaggio in moto o terrorizzare Amalia con frasi enigmatiche.
–E tu sei davvero un Incanto – nello stesso istante in cui udì quelle parole un brivido la scosse, costringendola a smettere di camminare tanta era la sua intensità. Quell’ultima parole le scavò nel cranio e le si impresse a fuoco nella testa, facendole sorgere repentini alcuni interrogativi.
Come diavolo faceva Alek a conoscere il soprannome che la nonna le aveva affibbiato fin da quando era piccola? Era impossibile, non aveva alcun senso. Nessuno oltre lei, Emilie e i suoi genitori lo sapeva e non c’era alcun modo col quale il ragazzo poteva esserne venuto a conoscenza.
Una sensazione opprimente prese a serrarle la gola, facendole provare l’impulso di uscire dall’edificio per respirare a pieni polmoni aria fresca. Nonostante questo bisogno, era come se tutti i suoi muscoli fossero pietrificati e non le fosse possibile nemmeno muoverli di un centimetro.
Sentì Alek muovere rapidi passi nella sua direzione.
–Non avvicinarti.
I passi si arrestarono e Amalia, quasi stupida che Alek l’avesse ascoltata, fu pervasa da un forte sollievo.
–Qualcosa non va, Amalia?– le chiese, sorridendo.
Era così facile tenerla sotto controllo che il ragazzo si compiacque della scaltrezza delle proprie, accuratamente scelte per fare andare Amalia in tilt.
La ragazza inspirò con decisione, non voleva dargli la soddisfazione di vederla andare in crisi. –Finché ti sto di fianco le cose c’è sempre qualcosa che non va.
In quello stesso istante, altri passi rimbombarono per il corridoio. Erano meno veloci rispetto a quelli di Alek ma non per questo più calmi.
–Andiamo – Catherine prese Amalia per mano e la tirò in avanti, fino a raggiungere l’uscita della scuola. Le due si diressero senza dirsi una parola alla fermata dell’autobus e vi arrivarono appena prima che iniziasse a piovere.
Solo quando ebbero entrambe preso posto sui sedili posteriori della vettura Catherine osò rompere il silenzio.
–Non se sia più strano il fatto che Alek Bàs ti abbia chiamato Incanto, facendoti un complimento, oppure il fatto che a te non abbia dispiaciuto.
Amalia arrossì. – Che diavolo ti salta in mente? Non hai sentito come gli ho risposto dopo?– disse quasi saltando in piedi tanta era l’enfasi che mise in quelle parole.
Catherine le rivolse uno sguardo sospettoso e si tirò una ciocca di capelli scuri dietro l’orecchio.
–Amalia sono una ragazza anche io, nel caso in cui te lo sia dimenticata. Anche a me avrebbe dato piacere ricevere un simile commento da un ragazzo, indipendentemente dal fatto che quello fosse Alek Bàs– rispose, non distogliendo gli occhi da Amalia nemmeno per un secondo – inoltre, ormai ti conosco. So che sei fin troppo orgogliosa per ammettere che qualsiasi cosa ti incanti.
Amalia avrebbe voluto urlare. Voleva cancellare quello stupido complimento di Alek dalla sua testa il primo possibile, e Catherine non la stava aiutando di certo a farlo.
La coincidenza che il ragazzo l’avesse chiamata come faceva Emilie era fin troppo inquietante e, d’altra parte, lo era anche il fatto che Alek sapesse il nome della nonna, cosa che Amalia ricordò le aveva confidato tempo in prima durante uno dei loro incontri, se così si potevano chiamare.
Tutto questo metteva assolutamente in secondo piano che Alek avesse fatto un apprezzamento nei suoi confronti, solo che Amalia che non sapeva se era il caso di confidarlo all’amica.
Nel dubbio, non disse nulla e proseguì il resto del viaggio a rispondere a monosillabi alle continue domande di Catherine che, dal canto suo, non sembrava voler mollare la presa sull’argomento.
Una volta arrivata a casa si buttò subito a letto, declinando la cena che Eureka aveva appena preparato.
Si addormentò di botto, senza nemmeno essersi tolta la divisa umida.
Ingenuamente credette che il sonno potesse confortarla, ignorando che da ormai troppo tempo non lo facesse più. 

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