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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Il tradimento degli Incubi *** Capitolo 2: *** Una strana sabbia chiara *** Capitolo 3: *** Spiegazioni e gratitudine *** Capitolo 4: *** In cui Dentolina trova una risposta *** Capitolo 5: *** Un incursione e una gabbia mentale *** Capitolo 6: *** Un posto nel mondo *** Capitolo 7: *** In cui il nemico è svanito nel nulla *** Capitolo 8: *** Vecchie ombre e spirito di vendetta *** Capitolo 9: *** Un prigioniero di guerra e troppi pensieri *** Capitolo 10: *** In cui non si arriva ad una conclusione *** Capitolo 11: *** Echi *** Capitolo 12: *** Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero *** Capitolo 13: *** In cui va tutto all’Inferno *** Capitolo 14: *** Un rifugio ***
Da lungo
tempo Pitch aveva smesso di cercare l’uscita da quella oscurità totale. I suoi
stessi incubi l’avevano incatenato nel suo stesso elemento, privandolo del
potere e delle forze di ribellarsi. Da lungo tempo aveva smesso di combattere.
Si era
reso conto che era meglio così.
Era
meglio sprofondare.
Non
aveva più potere, non aveva più forza, ma nemmeno soffriva più. E nessuno era a
conoscenza del suo destino, a parte i suoi aguzzini.
Andava
bene così.
Finché
si rese conto che le catene si erano allentate. Nessun peso che lo bloccava.
Poi un
raggio di luce, tagliente come una lama, squarciò l’oscurità. E la Luna, il
freddo satellite si alzò a dissipare il nero.
La Luna,
e il suo abitante, l’acerrimo Nemico.
L’Uomo
Nero alzò lo sguardo verso quell’unica, odiosa fonte di luce che invadeva il
suo regno.
- Cosa
vuoi? – chiese con un sorriso amaro. – Farti beffe di me? Prego allora, ho
tutto il tempo dell’universo. -allargò
le braccia alla Luna, senza distogliere lo sguardo.
Era
cosciente di aver perso tutto.
Gli
Incubi l’avevano abbandonato.
Non
aveva più nulla per cui valeva la pena combattere, e nulla con cui
difendersi.Solo l’oscurità era rimasta
lì per lui come una serva fedele, come un velo per celare la sua presenza.
Nient’altro.
E ora,
il suo più grande nemico si era presentato al suo cospetto.
Con la
sua luce fredda e odiosamente rassicurante, e una domanda.
La più crudele che Pitch potesse immaginare.
*
Il mio nome è Crysis.
Io sono la Discordia.
La donna
cadde in ginocchio, stremata. Aveva corso a lungo, senza fermarsi, nel
disperato tentativo di sfuggire ad un inseguitore invisibile.
Aveva paura.
Paura,
perché non poteva difendersi. Paura, perché non poteva dare una forma, ferire ciò che la minacciava.
Non ne
aveva il potere.
Alzò lo
sguardo al cielo: solo la Luna era lì, ad osservare il suo terrore, la sua
rabbia crescente.
-
…PERCHE’?! – urlò. Da quant’è che fuggiva? Non lo sapeva. Non ricordava. Sapeva
solo chi era il colpevole della sua paura e della sua sofferenza.
Era la
Luna, la fredda luna che da lassù sembrava deriderla. E lei odiava essere
derisa.
- Perché-perché-
PERCHE’?! – urlò con tutta la voce che aveva in gola.
- Perché
mi fai questo? PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO QUI?! -i polmoni erano in fiamme, il cuore le
scoppiava, non sentiva più né le mani né i piedi dal gelo che si stava
lentamente insinuando dentro lei.
Ma nulla
di ciò era forte quanto l’odio che sentiva crescere dentro.
La Luna
non le rispose. Fluttuava nel cielo di velluto nero, silenziosa.
La donna
abbassò lo sguardo solo per vedersi le ginocchia nude, violacee a causa del
gelo e graffiate. Si alzò lentamente.
La
foresta intorno a lei non era altro che una massa contorta di rami nero e
argento e davanti a lei si stagliava un piccolo laghetto che rifletteva la luce
lunare.
La donna
si avvicinò all’acqua e vi si specchiò.
Una
giovane le restituì uno sguardo spaventato. Alta epallida, era avvolta soltanto in un leggero e
largo vestito di seta blu scuro, strappato in più punti. Le braccia nude erano
graffiate, così come lo era il bel viso incorniciato di capelli grigio cenere,
fluidi come acqua. Gli occhi sembravano due pozze nere, in cui non si
specchiava nulla. Sussultò nel rendersi conto del suo aspetto: il suo viso, i
suoi capelli non erano così. Non sapeva spiegarselo, ma sapeva che lei non era così.
Diversa.
Bella.
E con
una corda che le penzolava al collo.
Indietreggiò
spaventata, afferrando il pesante oggetto che le pendeva sul petto, rendendosi
conto solo in quell’istante della sua presenza.
In
quello stesso istante, uno scricchiolio dietro di lei la fece sussultare. La
donna tremò.
…non devi avere paura…
Non era
una voce. Per lo meno, non era una sola
voce. Erano decine, centinaia di voci, che sussurravano all’unisono.
Non devi aver paura... non aver
paura…
La donna
si voltò: le voci provenivano dagli alberi. All’improvviso, centinaia di occhi
gialli si spalancarono nell’oscurità, e osservarono la giovane. E avanzarono.
Decine,
centinai di cavalli neri emersero dall’oscurità.
Non devi aver paura, perché tu
sei la paura.
Si
avvicinarono lentamente alla donna con le fiere teste chine, come timorosi di
ricevere una punizione. La donna tese una mano tremante verso una delle
creature, che si lasciò accarezzare, quieta. Era lucente come polvere di
diamanti neri, ma al tatto sembrava fatta di seta e di fumo.
…La più profonda e la più umana. Il
veleno.
Sei tu la vera Regina.
Fu
allora che le creature la chiamaronoper
nome. Il suo nome.
Crysis.
Discordia.
-+-
Ooops. Fandom sbagliato. Che ci
faccio io qua?
Eeeeee sono tornata a scrivere. E no,
non ho intenzione di mettere nemmeno un po’ di impegno in questa ficcy.
Piuttosto,
ho deciso di fare una scommessa con me stessa.
Voglio
vedere se riesco ad uploadare più frequentemente di
quanto faccio con le mie altre store, il che
significa prima di ogni morte di papa. Ok, perdonate i mie deliri, ora vi lascio.
Il lavoro
di Sandman iniziava col tramonto, per terminare all’alba, così era sempre stato.
Non che non conoscesse il giorno e la luce del sole, perché la Luce era parte
di lui.
Sandman
era il Custode dei Sogni.
Il suo
compito era di vegliare sul sonno di tutti i bambini del mondo, e di assicurare
sogni d’oro ad ognuno di loro.
Anche quella
notte Sandman, comodamente seduto sulla sua nuvola dorata che galleggiava piano
parecchi metri sopra la città, stava svolgendo il suo usuale lavoro. Il cielo
nero e punteggiato di stelle e nubi leggere era attraversato da migliaia di
leggere scie dorate, ognuna delle quali entrava in ogni casa che in cui c’era
un bambino che dorme, oppure si perdevano lontano, oltre l’orizzonte, verso
altri continenti.
Era una
bella notte per il Guardiano, finché non si accorse che alcune delle scie di
sogni da lui create si stavano affievolendo.
Sandman aggrottò
la fronte, osservando la scia che ondeggiava nell’aria, sempre più rada e
pallida, fino a scomparire in un lievissimo scintillio d’oro.
Strano si disse.
Incerto su
cosa potesse mai essere successo, decise di indagare. Rimpicciolì la sua
nuvola, e seguì lo scintillio che scompariva fino ad arrivare ad una casa, nella
periferia della città.
Era più
grande delle altre, aveva un giardino meglio tenuto e persino una piccola
fontana. Sandman la osservò per un istante dall’esterno, prima di entrare
grazie alla sua sabbia magica.
Anche dentro
la casa era molto bella: ordinata, pulita, nel salotto c’era un grande
televisore all’apparenza molto costoso, e una gran quantità di altri oggetti
che Sandman non ricordava d’aver visto molto di frequente in altre abitazioni.
Ma tutto
questo non gli interessava.
Fluttuò piano
al piano di sopra, alla ricerca della stanza del bambino i cui sogni erano
spariti. Quando trovò la porta chiusa, sentì dei singhiozzi dall’altra parte. Qualcuno
piangeva.
Spinse piano
la porta, ed entrò in una camera da letto grande e piena di giocattoli e
oggetti dall’aspetto costoso, proprio come il resto della casa. A differenza
del resto dell’abitazione però, la stanza era disordinata, e appariva più
piccola di quello che era. Una lucina notturna di colore giallastro donava al
tutto un’aria leggermente claustrofobica.
Il piccolo
era raggomitolato nel suo letto, sotto uno spesso strato di coperte, e tremava
scosso dai singhiozzi.
Sandman si
avvicinò per osservarlo. Era grassottello, un po’ cresciuto –quasi un
adolescente- e aveva il viso e gli occhi chiusi arrossati dal pianto.
Sopra la
sua testa vorticava un sogno. Un piccolo pugno di sabbia che si componeva e
scomponeva, si agitava come in un barattolo pieno d’acqua.
Un pugno di sabbia nera.
Sandman si
piegò verso l’incubo, osservandolo incredulo.
C’era un
solo essere capace di trasformare il sogni più belli negli incubi più
terribili.
Pitch.
Era tornato?
Impossibile, si disse il Custode. È passato così poco dalla sua sconfitta. Non poteva
avere una pellaccia così dura e un carattere così ostinato da tornare in azione
così in fretta.
Né poteva
averne le forze. Era stato sconfitto,
i suoi Incubi gli si erano rivoltati contro e… non sapeva cos’era successo
dopo. Non se l’era chiesto.
Intanto,
l’incubo continuava a vorticare, assumendo di tanto in tanto forme sfocate: due
adulti, forse i genitori del piccolo, dei fogli, una valigia, di nuovo i due
adulti che litigavano.
Deciso a
porre fine al brutto sogno, Sandman tese una mano verso l’incubo e lo dissipò. La
sabbia nera sbiadì a contatto con la sua piccola mano, fino a diventare gialla,
e tornare a vorticare assumendo forme più allegre.
Sandman osservò
il nuovo sogno con aria critica: non lo convinceva. La sabbia non era gialla e
lucente come al solito. Era più chiara, e luccicava meno. Il dettaglio lo turbò.
Dissipò di
nuovo il sogno e lo riformò, infondendogli più potere. Nulla. La sabbia magica
continuava a sembrargli più chiara del solito. Allungò la mano, prese un po’ della
strana sabbia e decise di tornare al lavoro: avrebbe trovato una soluzione al
più presto. E se non l’avrebbe trovata, avrebbe informato i Guardiani.
Alla fine
di quella notte aveva contato tredici di quei strani sogni sparsi per tutto il
mondo. Né aveva trovato una soluzione o una risposta che lo convincesse.
C’erano
due sole possibili opzioni, concluse. O non
sapeva più fare il suo lavoro bene come una volta, o stava succedendo qualcosa
di cui non solo lui, ma tutti i Guardiani dell’infanzia dovevano preoccuparsi.
Sperò ardentemente
di essere un incapace.
-+-
Capitolo
corto, lo so. E con nessun personaggio che piace a tutti. Scusate, ma sto cavalcando
l’onda dell’ispirazione, ne approfitto finche dura! XD
In verità
spero ardentemente che ci siano dei fan di Sandy qua fuori. Voglio dire, sono
la sola a trovarlo adorabile?
- Eh.. e
quindi? – Jack Frost alzò un sopracciglio in attesa di delucidazioni.
Sandman
si lasciò cadere le braccia e sospirò, esasperato. Aveva appena passato
l’ultima mezz’ora a spiegare la ragione per cui sembrava così preoccupato negli
ultimi tre giorni. E siccome a chiederglielo era stato proprio Jack, il Custode
dei Sogni si era aspettato un minimo di partecipazione alla conversazione che
aveva cercato di iniziare. Lo Spirito del Gelo, tuttavia, si era rivelato uno
scarso interprete e un consigliere ancor meno capace.
L’intenzione
di Sandman era di informare i Guardiani uno alla volta dell’anomalia in cui si
era imbattuto e che si era rassegnato a considerare ‘problema che non posso
risolvere da solo’. Tuttavia sapeva bene quanto erano
tutti –eccezion fatta per Jack, il cui lavoro principale sembrava essere il far
nulla- impegnati nei loro doveri di Guardiani, perciò aveva scelto di esporre
il problema a tutti senza causare più agitazione del necessario. In fondo,
nemmeno lui stesso era sicuro di ciò che stava succedendo: poteva essere uno
scherzo di cattivo gusto di qualche Spirito minore, e non sarebbe la prima
volta.
Aveva
solo avuto la pessima idea di
informare Jack per primo, solo perché è stato il primo disposto ad ascoltare che
Sandman aveva incontrato.
…E quindi credo che la cosa non
riguardi solo me. Formulò
con la sua sabbia, in conclusione.
Frost
impiegò diversi minuti per interpretare l’ultima stringa di figure, ma alla
fine comprese anche l’ultima frase: - Avvertiamo gli altri, allora! – esclamò
fra l’agitato e l’entusiasta, richiamò il gelido vento invernale sotto i suoi
piedi e partì.
Il
Custode dei Sogni non fece in tempo ad alzare la mano a mo’ di ‘Ma…’ che il
giovane era già schizzato via gridando – Sbrigati! – ed ora non era altro che
un puntino all’orizzonte.
…Veramente volevo avvertire gli
altri di persona
concluse fra sé Sandman, e si rassegnò a seguire il ragazzo.
*
Nell’istante
in cui arrivò al palazzo di Babbo Natale, al Polo Nord, Sandman si accorse
subito che Jack, nel giro del solo quarto d’ora che aveva di vantaggio, aveva
scatenato un putiferio.
E capì
che Frost doveva aver ingigantito la faccenda di parecchio quando vide un
Nicholas North dall’espressione ansiosa correre trafelato verso di lui,
afferrarlo con le sue manone, scuoterlo energicamente ed esclamare: - Pitch è tornato?! –
Sandman,
stordito sia dalla domanda che dall’energica accoglienza, per un istante fissò
North con un’espressione stranita, chiedendosi cosa c’entrasse l’Uomo Nero. Poi
capì.
No. Disse formando una grossa ‘X’
con la sua sabbia. O almeno, non credo.
Ringraziò
il fatto che Babbo Natale lo conoscesse da molto più tempo di Jack, e quindi
comprendesse meglio il linguaggio della sabbia, anche se raccontare la storia
daccapo si rivelò non meno impegnativo di quanto lo era stato con Frost.
North
seguì tutte le figure con la fronte corrugata dalla concentrazione, ma alla
fine comprese senza dover far ripetere troppe parole.
-
Trenta… trentadue sogni in tre giorni? – disse infine North. Sandman annuì, e
formò un globo terrestre con la sabbia
In tutto il mondo.
- Beh,
se riguarda tutto il mondo la cosa non dovrebbe essere così terrificante. –
disse una voce dall’ombra. I tre si voltarono, allarmati.
Dalla
penombra uscì un grosso coniglio dal pelo tatuato e un’espressione seria
dipinta sul muso – Anche se in effetti dovremmo
preoccuparci. –
-
Calmoniglio! – esclamò North con espressione affabile. – Ah, hai risposto alla
mia chiamata! -
- Sono
felice di vederti, come sempre, North. – Sorrise Calmoniglio. Si voltò verso
Jack. – E tu, peste. –
- Sono
felice di vedere anche te, Coda di Cotone. – ghignò Jack con espressione
divertita, appoggiandosi al suo bastone.
- Non
dovresti. – concluse l’altro. Si voltò verso Sandman, tornado serio – Ho sentito
che sei nei guai, Sanderson. -
Non so neanche se definirli
‘guai’. Rispose
Sandman con un’alzata di spalle, Scusa se
ti disturbiamo, eh.
- Non si
nega una mano ad un amico. Piuttosto, ci fai vedere la sabbia di cui parlavi? –
Il
Custode dei Sogni tirò fuori un sacchettino fatto di sabbia, che si dissolse
rivelando il suo contenuto: altra sabbia.
Era
molto più chiara di quando l’aveva raccolta: aveva assunto un colorito
biancastro e vorticava molto meno.
Eccola.
Anche il
sogno che rappresentava era molto più sbiadito. Si alzava in volute, si
contorceva formando figure incomprensibili e ricadeva quasi inerme.
I tre
Guardiani la osservarono con interesse, ma nessuno sembrava intenzionato ad
avanzare ipotesi. Alla fine, i tre si guardarono con aria interrogativa:
evidentemente nessuno ne aveva capito più di prima.
- Forse
Dentolina…? – azzardò Jack. – Dentolina è la Custode dei Ricordi, non dei
Sogni. – disse Calmoniglio – Senza offesa, ma il massimo che potrebbe fare
sarebbe vederci un dente. E non credo questa sia la risposta. –
- Potrei
vederci solo un dente, ma ti assicuro
che un dentino può offrire molte più risposte di quanto tu creda. – disse
un’irritata voce femminile alle spalle del coniglio, che sussultò.
- Da… da
quando… - cominciò Calmoniglio, ma la Fatina dei Denti lo interruppe: -Da quando ho avuto un minuto libero per rispondere
alla chiamata di North. Mi hai chiamata dicendo
che Sandy era nei guai e che Pitch era tornato… - disse, rivolta a North. Jack
arrossi lievemente, e distolse lo sguardo, imbarazzato – Ma sembra la
situazione sia un po’ diversa.
Sareste così gentili da spiegare? –
Anche Babbo
Natale distolse lo sguardo fischiettando, imbarazzato per la gaffe fatta, e né
il Coniglio di Pasqua né Jack sembravano intenzionati a fornire alcuna
spiegazione.
Sandman
si portò una mano al volto, esasperato: gli toccava ripetere tutto daccapo, per
la terza volta.
*
In tutti questi secoli la tua
unica preoccupazione è stata seminare paura e terrore nei cuori più innocenti.
Non ti ho mai visto fermarti a
pensare, a considerare e cercare un'altra strada.
Per questa ragione, lascia che
sia io a farti una domanda.
Qual è il tuo Centro?
A quella
domanda dell’Uomo sulla Luna, Pitch non aveva risposto.
La
domanda gli era sembrata così stupida, e la risposta così evidente, così ovvia…
che non era riuscito a rispondere.
Paura ed Oscurità.
Ecco cos’è il mio Centro. Io sono
la Paura, di Paura mi nutro, e gli anfratti più tetri ed oscuri sono la mia
casa.
Paura è l’unico sentimento che
evoco… l’unico che provo.
Quelle
parole le aveva pensate decine e decine di volte quella notte, ma non era
riuscito a pronunciarle. Qualcosa lo bloccava.
Un’incertezza,
un ostacolo che non riusciva a definire.
Paura forse? Vergogna? E per cosa?
Perché anch’io sono capace di
provare paura? O perché lo ammetto apertamente?
La luna,
per quella notte, era calata. Il suo Abitante non riuscì ad ottenere una
risposta, ma sembrò aver ottenuto qualcosa: Pitch era agitato, scosso da un
dubbio che nemmeno lui comprendeva.
il cielo
ora era completamente coperto da candide e spesse nubi , che oscuravano le
stelle come una spessa coperta che prometteva neve.
Ed
infatti la neve arrivò.
Piccoli,
leggeri fiocchi scesero lentamente dalle nubi dello stesso colore per andare ad
ingentilire il paesaggio nero e selvaggio che si stagliava di fronte
all’entrata della caverna di Pitch.
Black
amava quella foresta. Di notte tutto diventava nero, e nemmeno di giorno i più
potenti raggi riuscivano a penetrare fin nelle profondità, e arrivare a terra.
Ora, il
nero si stava vestendo di bianco.
Pitch alzò
lo sguardo al cielo. Quel bianco gli ricordava Jack Frost, quando aveva cercato
di convincerlo a passare dalla sua parte. A dominare il mondo, insieme.
Nulla si sposa meglio col gelo
dell’oscurità. Quanto
era vero.
Tese una
mano, e alcuni fiocchi caddero sul palmo.
Si
accorse che non erano freddi. Li guardò: nemmeno si scioglievano. Alzò
nuovamente lo sguardo al cielo: non era più bianco candido, ma un grigio
chiaro, e i fiocchi scendevano sempre più radi, sempre più scuri.
Abbassò
nuovamente lo sguardo alla foresta: il bianco candido ora era tinto di grigio.
Grigio come la cenere.
- Sei dunque tu, il Re caduto? – rise una
voce femminile, che si disperse, echeggiando,nell’oscurità.
Pitch
Black alzò nuovamente lo sguardo al cielo.
Dalle
nubi grigie si generò una massa scura simile a fumo, che volteggiò
elegantemente nell’aria gelida e si avvicinò, fino a posarsi di fronte all’Uomo
Nero.
Ondeggiò
e si contorse come un drappo di seta nera, fino ad assumere le sembianze di una
bellissima donna, alta e pallida, dagli occhi impenetrabili come due pozze
nere, e i capelli color cenere che fluttuavano nell’aria, come se fossero
immersi nell’acqua. Era avvolta in un largo mantello blu notte ed aveva un
espressione altezzosa sul bel viso candido, decorato da una piccola coroncina
d’oro.
Attorno
a lei il drappo d’ombra si divise e assunse la forma di due cavalli di fumo, i
cui occhi d’oro rilucevano nell’oscurità.
Pitch li
fissò. Li riconosceva. Come poteva non riconoscere coloro che fino a poco tempo
fa l’avevano servito fedelmente?
Con quale
coraggio i suoi Incubi si ripresentavano
al suo cospetto?
La donna
sorrise nel notare lo sguardo dell’Uomo Nero. Sotto lo sguardo sempre più
astioso di Pitch, accarezzò leggermente il collo di uno degli Incubi, che chinò
la bella testa verso la giovane.
- Sono
bellissimi, non trovi? – sorrise. Pitch spostò gli occhi dall’Incubo per
puntarli sulla donna, che sorrideva beffarda.
- Mi
chiedo perché li hai abbandonati. Ti erano così fedeli. Così felici di portarti
ogni paura, ogni dolore. E tu? Li hai abbandonati. –
- Sono loro che hanno abbandonato me. – sibilò
Pitch a mezza voce.
- Se un
re è abbandonato dai suoi sudditi, significa che non è un degno re. – Sorrise
la donna.
- Chi
sei? –
- La
nuova Regina. – calò il silenzio. Pitch sfoderò un sorriso di scherno.
- Regina
degli Incubi? Tu? Hah, non farmi ridere. – fu un
istante. La donna si dissolse sotto gli occhi dell’Uomo Nero, trasformandosi in
fumo chiaro.
Pitch
non fece in tempo a voltarsi, o anche solo guardarsi intorno, che sentì una
mano rovente afferrargli la gola, e lunghe, affilate unghie piantarsi nella
giugulare.
Si sentì
mancare il respiro, mentre il dolore e un terrore profondo, irrazionale, si impossessò
di lui. Non riuscì a muoversi, mentre la donna sussurrava piano al suo
orecchio.
- Il mio
nome è Crysis, e non ho intenzione di farti ridere,
proprio no. Ti ringrazio per essere stato un re così indegno da meritare di
essere abbandonato, perché ora mi hai donato dei seguaci. Me ne ricorderò. –
Pitch si
sentì mancare le forze. Non respirava, ma sapeva che non era la mancanza
d’aria. Era il terrore che provava.
Chiuse
gli occhi.
Che vergogna. Si disse.
- Ed è proprio
a causa di questa riconoscenza che ti lascio vivere. Striscia nelle ombre,
Pitch Black. È quello il tuo posto. –
Come
fiamme nere, l’oscurità avvolse Pitch Black, riportandolo al suo elemento.
-+-
Oh, guardate, c’è Jacky!
*punta il dito verso lo schermo*
Ehm… altro capitolo? Va bene che ho detto che non ho
intenzione di impegnarmi in questa fiction, ma spero di non star peggiorando.
Ah ah.
Si, qua
si parla tanto e si fa poco o nulla. E Pitch si ritrova a fare qualcosa che ha
le sembianze di un esame di coscienza.
Oh, e
incontra il suo ‘successore’ se così vogliamo definire Crysis.
Spero di
non essere noiosa. Un grazie dal più profondo del cuore a chi mi ha recensito: SweetWitch, Calamitas
e Birbabirba. Non avete idea di quanto i vostri
commenti mi facciano felice. Spero di essere all’altezza XD/*scappa via*
Capitolo 4 *** In cui Dentolina trova una risposta ***
IV: In cui
Dentolina trova una risposta
Sapeva che il mondo era suo.
Lo sapeva, ma non ha mai avuto il
coraggio di tendere la mano per afferrarlo.
Era rimasta molto, molto a lungo
immobile ad osservarlo, rodendosi. Non sapeva cosa la fermava, perché non c’era
nessuna catena ad immobilizzarla, nessuna sbarra a fermarle il passo.
Eppure respirava piano, tremando
al pensiero che qualcuno potesse scoprire il suo desiderio più segreto.
E taceva, mentre sentiva il suo
cuore urlare di rabbia al cielo.
Di rabbia e di odio.
*
Crysis
non aveva grandi ricordi della sua vita.
Aveva
vagato per centinaia di anni per la Terra, senza meta. Gli umani di ogni
continente, dal più grande impero al più piccolo villaggio, dalla notte dei
tempi all’istante più immediato le sono sempre sembrati uguali.
Ha visto
il ripetersi degli stessi errori milioni di volte. A nulla serviva la lezione
della storia, né i sacrifici dei singoli.
Gli umani più vedono più sono
ciechi. Più sentono, più sono sordi. Più sanno, più sono ignoranti. Più sono
liberi, più desiderano la schiavitù.
Più cercano amore, più danno
odio.
Per lei
era un dato di fatto. Quante volte aveva cercato di comprenderli? Ne aveva
perso il conto, e col tempo aveva smesso.
Conosceva
le dinamiche del mondo ormai.
C’era
solo una nota stonata nel mondo grigio in cui si era persa: i Guardiani. I
Protettori dell’Infanzia, spiriti, come lei, invisibili a tutti tranne che ai
bambini, che da sempre hanno portato felicità e speranza ai più piccoli. Crysis
da sempre si era chiesta perché non facevano la stessa cosa con gli adulti,
perché non provavano a dare colore al grigio del mondo che, secolo dopo secolo,
continuava a sprofondare nel nero.
Forse,
pensò, nemmeno i Guardiani vedevano quello che vedeva lei.Non vedevano la luce negli sguardi dei
piccoli che lentamente si spegneva, i dolci ricordi d’infanzia coperti da uno
strato di odio e di cinismo, i progetti che svanivano, infrangendosi contro la
fredda pietra della realtà. I Guardiani non si curavano più dei bambini quando
questi smettevano di credere e sperare.
Nessun
adulto ricordava la piccola, felice lezione di ottimismo che impartivano.
Si
chiese perché. Poi capì.
Perché era il destino del mondo
sprofondare nel nero, nel nulla. E ognuno stava dando il suo generoso
contributo.
Era sua
intenzione dare una mano. L’odio degli umani la fortificava, affinava i suoi
sensi, illuminava i suoi pensieri. Era come le chiedessero di ergersi in tutta
la sua potenza, e dominarli fin nel profondo.
Come se
volessero vederla regnare. E lei non voleva certo tirarsi indietro.
Ma i
Guardiani continuavano a rappresentare un ostacolo. Per quanto minuscole, gioia
e speranza potevano alleviare, addirittura cancellare l’odio. Rallentare la
corsa del mondo verso il baratro.
Era una
cosa che Discordia non voleva.
Era sua
intenzione di fare qualsiasi cosa per
abbattere quei piccoli ma pericolosi ostacoli.
*
I giorni
successivi alla scoperta del problema di Sandman furono caratterizzati da un
lavoro ancora più fervente da parte dei Guardiani. Non potendo accantonare i
propri doveri, ognuno si impegnò al massimo per portare a termine i compiti del
giorno il prima possibile, ed utilizzare il tempo rimasto per fare ricerche
riguardo la misteriosa sabbia chiara. Perfino Jack Frost passò ore intere
nell’enorme biblioteca di North –mentre quest’ultimo era impegnato a gestire la
produzione di giocattoli- in caccia di ogni informazione potenzialmente utile
ma nulla, nonostante gli eroici sforzi, fu trovato. Tuttavia nessuno dei
Guardiani parve scoraggiato o esitante di fronte alla mancanza di informazioni.
I sogni pallidi infatti continuavano
ad espandersi a macchia d’olio e Sandy, nonostante l’impegno sempre maggiore,
sembrava fare sempre più fatica a fare il suo lavoro, costantemente contrastato
da quei bizzarri sogni sempre più insensibili al suo potere.
- La
descrizione non corrisponde a nessuna, nessuna
definizione di Incubo. Mi sa che Pitch non c’entra davvero niente stavolta. –
sbuffò una mattina il Guardiano del Divertimento, poggiandosi in testa a mo’ di
cappello l’ennesimo pesante libro e stravaccandosi su una delle enormi poltrone
di velluto rosso della biblioteca di North.
Non
aveva mai letto così tanto negli ultimi trecento anni, e forse nemmeno prima. In
effetti alle prime pagine aveva fatto una gran fatica a leggere anche solo le
prime righe e aveva passato gran parte del tempo ad interrompere il lavoro di
North per chiedergli il significato di questa e di quella parola. La lettura si
era fatta poi sempre più scorrevole, ma ancora Jack faticava a capire qualche
espressione.
- Sei sicuro che è qualcosa che non puoi
risolvere? – chiese a Sandman, seduto su una grossa sedia imbottita accanto,
completamente nascosto da un’antica pergamena che non proveniva dalla
biblioteca. Sandy abbassò la pergamena e scosse la testa sconsolato.
No. Formò con la sua sabbia, Ho provato tutti i trucchi che conoscevo, ma
non ho ottenuto niente. Forse tra gli incantesimi antichi ci sarà qualcosa, che
ne pensi? E alzò uno sguardo speranzoso verso Jack.
Lo
Spirito del Gelo cercò di mascherare al meglio l’espressione da ‘non ho capito
niente’ che si accorse tendeva ad assumere ogni volta che Sandy gli rivolgeva
la parola e annuì: - Sono sicuro che una soluzione c’è, non ti preoccupare. –
disse.
Ma, che
esistesse o meno, la soluzione non fu trovata. Si propose quindi di estendere
le ricerche ad un campo decisamente più ampio.
- Per
esempio, chiedere ad alcuni Spiriti Minori. – propose North alla fine di
un’altra, infruttuosa giornata.
- Non
credo che possiedano informazioni migliori delle nostre. – obiettò Calmoniglio.
- Però
noi siamo solo in cinque, e loro molti di più. – lo corresse Babbo Natale – Se
cerchiamo, qualcosa troveremo di sicuro. –
Il Pooka
alzò le spalle: - D’accordo, proviamo. – si arrese.
– Innanzitutto, a chi potremmo chiedere? –
continuò North.
- …Non
alla Marmotta. – intervenne di nuovo Calmoniglio.
- April Fool? – propose Dentolina. – Potrebbe anche sapere qualcosa
che noi non ignoriamo –
- Lo
Spirito del Solstizio d’Estate? – continuò il Pooka.
I Lepricani? Propose Sandman
- Le
Sirene?... perché mi fissate tutti? – chiese Jack quando quattro paia d’occhi
si posarono su di lui.
- Perché
sono subdole e decisamente pericolose, Jack. – spiegò North con espressione
seria – anche per noi Guardiani, si. –
Il
ragazzo tuttavia sorrise, incredulo: - Suvvia, non dire stupidaggini. Ne ho
addirittura invitato una a cena. Anche se credo invitare una sirena a cena
significhi un insulto, perché mi ha schiaffeggiato con la coda… - tacque,
pensieroso.
– Però uno schiaffo non è niente di pericoloso,
no? –
Gli
altri Guardiani lo fissavano ancora. Infine Calmoniglio sbuffò: -E naturalmente
portarle dei fiori significa letteralmente ‘e tua madre è un pesce palla’,
Jack. –
- Hey… –
- Parlo
io alle Sirene. Ne conosco una. – Intervenne Dentolina prima che cominciassero
a volare parole grosse. Jack e il coniglio tacquero, North la fissò
preoccupato: - E voi quattro parlate agli altri. – continuò decisa, per poi
voltarsi e sfrecciare fuori dalla finestra, lontano.
- Ehm…
si è arrabbiata? – Chiese Jack. North alzò le spalle.
– Non credo. –
*
Tra
indecisioni e lamentele, il chi deve parlare con chi venne infine deciso.
Calmoniglio,
nonostante le proteste appassionate, si ritrovò costretto a far visita alla
Marmotta della Cioccolata. La scusa con cui era stato costretto era che nessun
altro capiva cosa diceva, e nessuno aveva ancora avuto l’idea di scrivere un
dizionario Umano-Marmottese/Marmottese-Umano, di conseguenza nessuno
all’infuori di Calmoniglio sarebbe riuscito nell’impresa. Alla fine il coniglio
se n’era andato, fumante, sparendo in una delle sue buche alla ricerca del
vecchio avversario.
North e
Sandman sarebbero andati a far visita agli Spiriti del Pesce d’Aprile e del
Carnevale, due gemelli pestiferi e fannulloni il cui unico scopo nell’esistenza
sembrava essere portare caos, ridicolo e baldoria sfrenata, nella speranza di
ottenere qualcosa di più di stelle filanti, coriandoli e panna montata in
testa.
A
Jackera toccato far visita allo Spirito
del Solstizio d’Estate. La conosceva da circa duecento annie poteva dire con certezza che, se c’era un
marmocchio sulla Terra che poteva anche solo lontanamente stargli antipatico,
era proprio lei.
June
Warmwind incarnava il caldo e l’estate, ma anche la voglia di rilassarsi e di
uscire di casa, di fare amicizia e quella felice confusione emotiva che
pervadeva gli esseri umani con l’arrivo della stagione delle vacanze. Aveva le
sembianze di una ragazzina poco più che tredicenne, con una carnagione rosea e
lentigginosa, bei riccioli biondo oro che le incorniciavano il visetto tondo e
grandi occhi del colore chiaro dei mari tropicali. Indossava sempre una piccola
coroncina di spighe di grano e un leggero abitino di cotone bianco, e come Jack
girava sempre a piedi nudi. Spesso portava con sé un piccolo arco e una faretra
di frecce che Jack sospettava fossero avvelenate, perché spingevano gli umani
colpiti a comportarsi in modo molto strano. Dicevano di essere ‘innamorati’.
June
aveva anche un carattere impaziente e lunatico, fatto di sbalzi d’umore e capricci,
e spesso, per soddisfare la sua noia, si metteva a sparare le sue frecce al
cielo, senza curarsi di chi potessero colpire. Aveva anche una strana
ossessione per Jack, che la portava a tentare di scioglierlo ogni volta che si
incontravano. A causa di quel carattere così imprevedibile, Jack aveva imparato
a tenersi sempre molto lontano dallo Spirito dell’Estate. Non moriva dalla
voglia di fare una sauna o farsi male con una freccia.
Ma
stavolta gli toccava.
Mentre
si avvicinava al sud della Terra, indirizzò il vento gelido che lo trasportava
contro la corrente d’aria più calda che riuscì a trovare, seguendola. Sorvolò
decine di paesaggi, dal più arido al più rigoglioso, finché non atterrò in
qualche città di costa del Brasile. Non poteva essere certo di trovare June
esattamente dove la cercava, ma si fidava del suo istinto, che raramente
l’aveva tradito.
Guidato
dalla calura sempre più opprimente, non impiegò molto a trovarla.
June era
seduta su una solitaria spiaggia di sabbia chiarissima, percorsa da un vento
forte e macchiata a tratti da rade gocce di pioggia. Sul mare, all’orizzonte,
grossi cumulonembi e onde alte minacciavano tempesta imminente.
- Sapevo
che stavi arrivando. Tutti quei nuvoloni si sono accumulati per colpa del tuo
vento freddo. – disse lo Spirito dell’Estate, sorridendo e voltandosi verso
Jack.
Il
ragazzo, dal canto suo, era già un bagno di sudore e poco propenso ad iniziare
una conversazione educata, complice il potere di June che sembrava aver alzato
di parecchio la temperatura.
- Me ne
sono accorto. – disse, asciugandosi la fronte.
- Sei
venuto a farti una vacanza in Brasile? Dovresti, non c’è nulla di più
rilassante che sdraiarsi sulla sabbia con una bella fetta di cocomero. E
ammirare il mare, ovviamente. – continuò, divertita. Jack si chiese se per caso
non lo stesse prendendo per il fondelli. Nonostante la vaga frescura portata
dal vento, lui si sentiva sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole estivo.
- Oh,
certo. Dipende dai punti di vista, immagino. – disse, sedendosi sulla sabbia.
Calda. June si inclinò leggermente di lato, verso il giovane.- Veramente sono venuto a chiederti una cosa,
June. – continuò Jack, e senza preamboli si sfilò dalla tasca della felpa un piccolo
sacchetto e ne rivelò la sabbia chiara contenuta. La ragazzina la osservò con
interesse quando Jack spiegò: - E’ un pezzo di un sogno che Sandman ha
raccolto. È più chiaro del normale e Sandy non riesce manipolarlo con il suo
potere. Abbiamo provato a scoprire se c’era una soluzione, ma non abbiamo trovato
niente. – spiegò. – E ci chiedevamo se tu potessi aiutarci in qualche modo. –
June continuò ad osservare lo strano sogno per un po’: ormai aveva perso quasi
tutta la sua vitalità, e si distingueva dalla sabbia della spiaggia solo grazie
a lievi volute che si contorcevano un poco prima di ricadere.
- Posso
dire di averlo visto. – disse June. Jack alzò un sopracciglio: - Quando? –
- Non
solo di recente… - spiegò la ragazzina – ma anche prima. 100, o 80 anni fa. Ho
visto una manciata di adulti fare sogni fatti di una sabbia così. –
-
Adulti? Questi sono i sogni di un bambino… – June alzò le mani. – Ah, non so
che dirti, Ghiacciolino – rispose.
-
L’Omino dei Sogni non è l’unico ad avere dei problemi, qua. Anche a me qualcuno
ha dato delle gatte da pelare. – Jack corrugò la fronte: - Cioè? –
- I miei
poteri. E le mie frecce, soprattutto quelle. – continuò la ragazzina, in tono
serio – Qualcuno sa come distruggere il loro effetti. Gli esseri umani che
colpisco non si innamorano più. –
A quel
punto, Jack si bloccò. Non sapeva se gioire o preoccuparsi: non amava le frecce
si June, ma la ragazzina non era uno Spirito cattivo o particolarmente dannoso…
il che significava che qualunque cosa la ostacolasse probabilmente lo era.
- Chi?
Puoi dirmelo? – June fissò il ragazzo. La temperatura attorno ai due si era
abbassata, segno del fatto che lo Spirito dell’Estate doveva essere arrabbiato.
- Non lo
so. – borbottò – Degli Incubi, credo. Ne ho visti in giro parecchi ultimamente.
Sono cambiati un sacco dall’ultima volta che Pitch si è visto in giro. Mi
domando se per caso quel pipistrello troppo cresciuto non abbia deciso di
cambiar stile. Il grigio non dona a
quei mostri. –
Jack
sbarrò gli occhi a quelle parole, mentre vecchie paure tornavano a riaffiorare.
Incubi?
Si era
sbagliato.
L’Uomo
Nero era tornato.
*
Alla
fine di quella lunga ed estenuante giornata tutti i Guardiani, esclusa
Dentolina, si riunirono al palazzo di Babbo Natale con notizie di vari livelli.
North e
Sandy furono i primi a tornare, entrambi ricoperti di panna e coriandoli in
egual misura, il primo divertito dagli scherzi ideati dai Gemelli del Carnevale
e del Pesce d’Aprile, il secondo decisamente abbattuto dal fatto di non essere
riuscito a raccogliere nessuna informazione utile. Entrambi i Gemelli, tuttavia
dissero di aver visto strane creature grigie aggirarsi per le varie città che i
due avevano visitato.
- La
stessa cosa che mi ha detto June! – esclamò Jack, che era arrivato poco dopo,
completamente coperto di neve dopo essersi letteralmente buttato in una
tempesta al Polo Nord per riprendersi dal caldo brasiliano. Sandman, che si
stava togliendo i residui di panna dai capelli, fissò preoccupato il ragazzo.
- E la
sabbia? – chiese North. Jack alzò le spalle : - Nulla di nulla. Mi ha detto di
aver visto sogni simili in alcuni adulti, ma non credo la cosa ci preoccupi,
no? –
- Quindi
invece di trovare una soluzione a un problema abbiamo scoperto di averne due? –
- Indubbiamente. – confermò una voce
irritata alle spalle di North. Calmoniglio avanzò con passo pesante e
un’espressione truce verso i tre, fino a fermarsi ad un passo da North. Aveva
una guancia leggermente gonfia e il naso spaccato, con la ferita disinfettata e
ben messa in evidenza da un’abbondante dose di tintura di iodio.
- Peggior.
Discussione. Della mia vita. – puntò
il dito verso la ferita sul naso – E questa è tutta colpa tua, North. Sei tu che mi hai costretto a parlarci, con quello
stupido. Te lo rinfaccerò fino alla fine dei miei giorni. –
North si
limitò a mostrare un sorriso imbarazzato: - Ma è vero… nessun altro capisce
cosa dice la Marmotta, a parte te. –
- Beh,
una cosa l’ho capita di sicuro. – ringhiò il coniglio – Che mi ha pregato di
cambiargli i connotati. Ovviamente l’ho accontentato. E ho capito che ha visto
in giro degli strani Incubi grigi, ma probabilmente quello era lo sporco che
c’era a casa sua. Da incubo, indubbiamente. –
I tre Guardiani si scambiarono un’occhiata
preoccupata: era la terza volta che sentivano parlare di Incubi grigi quel giorno, e la cosa cominciava a farsi molto
preoccupante.
- Che
c’è? – chiese Calmoniglio.
- Ecco…
-
- In
verità anche noi. – Concluse Natale. Il coniglio alzò un sopracciglio: - Non
starete scherzando? –
- Niente
affatto! – ma prima che Jack avesse il tempo di spiegare gli esiti della
missione degli altri tre Guardiani, Dentolina irruppe con un frullo d’ali,
trafelata.
- Buone
notizie! – esclamò la fata entusiasta, col volto arrossato dal freddo e dalla
fatica del volo. Ma alla vista dei volti incupiti dei suoi compagni si affrettò
ad aggiungere: - In senso lato ovviamente… Calmoniglio, cos’è successo? –
esclamò, nel notare in naso rotto del Coniglietto di Pasqua.
-
Niente, niente… - borbottò lui, imbarazzato – un vecchio conto che ho saldato.
–
- Oh. –
- Che notizie
porti? – la interruppe lui, deciso a chiudere la questione.
- Oh,
si. Certo. Le Sirene. – esitò Dentolina. – Sanno cos’è quella sabbia. – aprì un
piccolo sacchetto che si era portata dietro, rivelandone in contenuto: un
minuscolo libretto giallo e ammuffito dalla copertina rilegata in pelle e
decorata da simboli e lettere del linguaggio Sirenese.
- I
sogni trovati da Sandy in teoria non avrebbero nulla che non va. – spiegò,
aprendo il libretto e sfogliandolo fino alla metà. Gli altri si avvicinarono
alla fata, osservando con interesse la pagina che aveva aperto. Rappresentava
un Incubo che combatteva contro un Sogno con le sembianze di una bella Sirena
armata di tridente– Il problema è che
sono stati colpiti da un incantesimo risalente all’Era Oscura. Uno di quelli
che rientrano nella categoria delle Maledizioni della Penombra. –
Jack
corrugò la fronte. Maledizioni della
Penombra. Il nome gli suonava terribilmente familiare.
- …E
cosa sarebbero? – chiese lo Spirito delGelo, incerto. Dentolina si morse un labbro. – Ammetto che a questo
punto ho fatto parecchia fatica a capire la spiegazione. Gwendoline mi ha
raccontato che è uno degli incantesimi originari delle Antiche Sirene, quelle
risalenti all’Età dell’Oro. Gli Incantesimi della Penombra sarebbero delle
fatture molto potenti, ma che non si possono classificare né come Magia Nera né
come Magia Bianca. Piuttosto, qualcosa nel mezzo, che dipende da chi ne fa uso.
Anche se suppongo che, essendo una maledizione, sia decisamente Magia Oscura. –
C’è un modo per spezzarli? Chiese Sandman con la sua sabbia.
Dentolina gli rivolse uno sguardo affranto.
- Oh, mi
dispiace, Sandy. – disse. – Gwendoline dice che l’Incantesimo a cui sono stati
sottoposti i tuoi sogni non può essere spezzato da nessuno all’infuori di chi
l’ha posto. E noi non sappiamo chi può essere stato. –
- Si che
lo sappiamo. – intervenne Jack, con espressione decisa. – Pitch Black.
Ultimamente si sono visti in giro parecchi Incubi, probabilmente li ha inviati
lui a seminare il panico e recuperare potere. –
- Sono
tentato a crederti, Frost. – commentò Calmoniglio, serio.
- E io
sono tentata a rompergli un altro dente. – aggiunse Dentolina.
- Mi
deve un altro paio di molari. E anche un canino, dopo quello che mi ha fatto. –
Jack
sorrise. Gli piaceva quell’aria agguerrita.
*
Notte.
Pitch
scivolò agile nell’oscurità della strada, silenzioso ed invisibile come solo
un’ombra poteva essere. Le parole di scherno di Crysis echeggiavano ancora
nella sua mente, dolorose per il suo orgoglio come una lama poteva esserlo per
una ferita aperta.
Re caduto, ecco come l’aveva definito.
Aveva ragione.
Pitch
era un re caduto.Senza corona, senza
trono, senza sudditi e senza regno. Ridotto ad una misera ombra che vagava
nell’oscurità totale.
Ma era ancora
un Re. Caduto, ma ben deciso a
rialzarsi. Non si era arreso, non voleva scomparire. Voleva dominare, essere
creduto come ai vecchi tempi.
E ancor
più di quello voleva continuare ad esistere.
Voleva essere cosciente di sé stesso, delle sue azioni e dei suoi pensieri.
Diventare
il nulla era ciò che lo terrorizzava
sopra ogni altra cosa. Ed era ciò che minacciava di diventare, debole com’era.
Essere
il Re deli Incubi ed esistere erano la stessa cosa per Pitch. Una cosa era la
conseguenza dell’altra.
E se la
posta in gioco era la sua esistenza, non si sarebbe fatto problemi a ricorrere
a qualunque trucco per vincere.
L’Uomo
sulla Luna gli aveva chiesto qual era il suo Centro, di pensare.
Richiesta insensata.
Io so cosa sono. So cosa voglio.
Conosco la mia strada e il mio
destino.
Non credere di essere superiore a
me.
Notò una
leggera scia dorata scintillare in alto, a poche case di distanza: un sogno
inviato da Sandman a rallegrare il sonno di un bimbo. Pitch sorrise: proprio
quello che cercava.
Scivolò
sinuoso nell’oscurità, evitando accuratamente la luce di lampioni e quella
della luna, e si infilò in una fessura della finestra della casa, entrando
direttamente nella camera del bambino.
La
stanzetta in cu si ritrovò era piccola e buia, resa accogliente da un tappeto
rosa e peloso, giocattoli sparsi un po’ dappertutto e disegni appesi ai muri,
talmente numerosi da coprire la carta da parati sottostante.
Nel
lettino dalle coperte fucsia dormiva una bambinetta bionda. Il sogno sopra di
lei mutava e vorticava, trasformandosi costantemente sotto gli occhi di Pitch.
L’Uomo Nero lo osservò: non era di quel colore vivido e rallegrante che era
abituato a vedere, tipico di Sandman.
Era più
pallido.
Esattamente ciò che Pitch stava
cercando.
Sfiorò
il sogno che si contorse agonizzante sotto le sue dita, trasformandosi. Assunse
le sembianze di un cavallo e crebbe in dimensioni. Anche il vello della
creatura mutò, prima impallidì, andando da giallo chiaro ad un bianco malsano,
e poi scurì, assumendo i toni del grigio carbonizzato.
La
bambina gemette nel sonno, spaventata dall’evoluzione repentina del sogno, e si
agitò.
Sopra di
lei, l’incubo digrignò, scoprendo le zanne verso Pitch, e gli soffiò addosso il
suo alito caldo.
Pitch
non si lascio spaventare. Tese invece la mano ferma verso l’Incubo che si
lasciò toccare, ancora ringhiante.
- Non
sono qui per sottometterti al mio volere… - sussurrò Pitch, deciso. – Portami
dalla tua padrona, piuttosto. –
Come ad
annuire, l’Incubo emise un ringhio più basso, avvolse l’Uomo Nero nella sabbia
scura e si lanciò verso la finestra, dileguandosi nell’oscurità della notte.
*
Avvolta com’era nel gelo e nella neve, la
foresta pareva pietrificata.
Gli
alberi spogli erano neri e immobili nell’oscurità del luogo, il terreno coperto
di neve sembrava fatto di cotone grigio, e radi uccelli notturni lanciavano
rauche grida di avvertimento a chi osava addentrarsi nella foresta a quell’ora
di notte.
Pitch
seguì silenzioso l’Incubo grigio che gli faceva da guida. Non si guardò
intorno, ma seppe immediatamente che centinaia e centinaia di occhi lo
osservavano, minacciosi. Sentiva il peso dei loro sguardi sulla nuca.
Gli
Incubi lo fissavano, nascosti tra gli alberi. E piano piano, lo seguirono nella
sua avanzata.
Traditori.
L’Incubo
guida si fermò poco dopo al centro di una radura e alzò lo sguardo, in attesa.
Anche Pitch alzò lo sguardo.
- Qual
vento infausto ti porta qui, Re caduto?
– chiese una serica voce alle spalle di Pitch. L’Uomo Nero sperò di non aver
sussultato un maniera troppo evidente e si voltò. Tuttavia, colse negli sguardi
degli Incubi che lo circondavano qualcosa di feroce quando si voltò a
fronteggiare Discordia.
Crysis
sorrideva, osservando Pitch con uno sguardo vagamente divertito. Era sinceramente
sorpresa. Non si aspettava che l’uomo avesse il coraggio di venire direttamente
da lei.
- Strano
che tu te lo chieda. – disse Pitch, sorridendo. Era deciso. Tutto o nulla.
- Non
sono onnisciente, Re. E non credo che lo diventerò presto, per quanto lo
desideri. –
Pitch allargò
le braccia: - Ma credo che tu lo possa immaginare. Hai una grande corte. –
disse – Ed io personalmente sono venuto a porgerti i miei omaggi, Sovrana. Anzi,
qualcosa di più. –
Abbassò lentamente
le braccia e, altrettanto lentamente, col cuore a mille, si inginocchiò di
fronte alla donna.
- Sono
venuto ad implorarti. Implorarti di diventare anche la mia Regina. Che le Tenebre e la Paura siano di nuovo alleate. –
Si sentiva
tremare, ma non sapeva se era perché tratteneva il respiro da troppo tempo o
per la tensione. Entrambe, decise.
Crysis
inspirò leggermente. – Vieni a chinare la testa? Davvero? – chiese, mentre un
leggero sorriso le increspava le labbra.
Passò un
solo minuto, ma parvero secoli. Infine, Crysis si inginocchiò di fronte all’Uomo
Nero, in modo che gli occhi profondi di lei potessero esaminare quelli chiari e
dorati di lui.
- Sia. –
disse la donna, con quel leggero sorriso.
- Non
porto odio verso coloro che desiderano schierarsi dalla mia parte. Anche tu
assisterai alla nascita del Nuovo Regno, e dalla parte dei vittoriosi. –
-+-
Buon Natale?
È il 24
dicembre, ahoy. E sto scrivendo fanfictions.
Vita sociale, dove sei?
Comunque
eccovi un altro capitoletto. In cui c’è una svolta nelle indagini dei Guardiani,
il mistero si dis-infittisce (??) e Pitch ne combina
una delle sue. Spero sia buono, e che non abbia commesso troppi strafalcioni di
varia natura qui e là.
Grazie
ancora a chi legge e soprattutto a coloro che recensiscono, vi amo. Tanto tanto tanto tanto <3>///////<
Capitolo 5 *** Un incursione e una gabbia mentale ***
V: Un incursione e
una gabbia mentale
- Jack…Io non ho trovato niente. – la voce di
Dentolina echeggiò in modo strano tra le pareti della caverna, assumendo un tono
tra lo spaventato e il lamentoso. Lo Spirito del Gelo si voltò: la fata
continuava a guardarsi intorno, sospesa parecchi metri sopra di lui. Aveva
sorvolato tutta l’immensa caverna, e ora osservava il terreno sottostante con
sguardo attento, come alla ricerca di un dettaglio che le era sfuggito. Jack
non rispose, continuando a guardarsi intorno.
Erano
nel nascondiglio di Pitch. Una caverna posta in profondità nella terra, umida e
fredda, in cui il nero e il grigio erano gli unici colori e il fischio proveniente
dagli spifferi e un lento sgocciolio lontano gli unici suoni.
Jack
aveva fatto molta fatica ritrovare quel posto. Si era costretto a ricordare
almeno vagamente dove aveva trovato per la prima volta quel letto arrugginito e
sgangherato, che chiudeva come un cancello quel buco nella terra che formava
l’entrata nel nascondiglio dell’Uomo Nero. Si era aspettato di trovare Pitch
lì, con il suo esercito di Incubi, pronto a dar battaglia.
Si era
aspettato di combattere, anche da solo se necessario, non di trovare una
caverna abbandonata.
E ora
era lì, con Dentolina, che gli dava una mano ad esplorare quel posto
sconosciuto.
La Fata
del Dentino aveva esaminato tutto il soffitto, soffermandosi con particolare
attenzione sulle grandi e pesanti gabbie di ferro arrugginito che pendevano
sinistre dal soffitto, e sul grande globo di metallo al centro della caverna,
illuminato da fioche luci giallastre che rappresentavano i bambini che
credevano nei Guardiani.
Jack
invece aveva esaminato il terreno. La pietra umida era scivolosa e annerita,
con numerose stalagmiti che si ergevano dal terreno, e anelli e catene
arrugginite erano sparsi qua e là. A parte quello, non c’era nulla che
catturasse la sua attenzione.
Il
Guardiano prese a dare leggeri colpetti alla parete col suo bastone, nella
speranza di trovare qualcosa che era sfuggito anche agli esami più attenti. Non
poteva essere tutto lì. Pitch non poteva avere per base un luogo così misero e
spoglio, quando tutti i Guardiani, escluso Jack, avevano a disposizione interi
palazzi labirintici, impregnati di magia in ogni singolo mattone.
Doveva
pur nascondere i suoi progetti e le prove delle sue malefatte da qualche parte,
no?
- Jack….
È meglio che andiamo via. Non c’è niente qui. – Insisté Dentolina, avvicinandosi
a Jack. Anche lei sembrava delusa dalla mancanza di dettagli e segreti nella
base dell’Uomo Nero. – E’ probabile che abbia deciso di trasferirsi, in fondo
noi conoscevamo questo posto già da prima, no? -
Lo
Spirito del Gelo non poté negare che la fata avesse ragione: era stupido
continuare a nascondersi in un luogo di cui i nemici erano a conoscenza. Ma se
era così, allora le possibilità di trovare Pitch si riducevano a zero, a meno
che i Guardiani non fossero così fortunati da imbattersi nel suo nuovo
nascondiglio.
E il
mondo era troppo grande per cercarlo, anche per cinque Spiriti immortali come
loro.
Il
bastone del giovane colpì di nuovo la pietra della parete, emettendo un toc! così singolare da attirare
l’attenzione dei due Guardiani. Vibrante, come se ad essere colpita fosse una
lastra, e non un’intera parete.
- Aha! –
esclamò Jack. Lo sapeva che non poteva essere tutto lì. Che ci doveva essere qualcos’altro.
-
Indietro, Dentolina. Stiamo per scoprire i segreti più sporchi di Pitch Black!
– rise entusiasta, balzando all’indietro e puntando il suo bastone contro la
parete. Dentolina si allontanò in un batter d’occhio, e Frost scaricò sulla
parete il suo raggio congelante migliore, che coprì buona parte della caverna
con un sottile e fumante strato di ghiaccio, donando alla pietra annerita un
vago riflesso azzurrino. Jack si avvicinò nuovamente alla parete e le diede un
forte colpo di bastone, mandandola in frantumi come se fosse vetro. Dentolina
gli si avvicinò di nuovo, ed entrambi sbirciarono ciò che si nascondeva oltre
la lastra.
Buio. Un
corridoio naturale decorato di stalattiti, umido, spoglio, buio come il resto
della caverna. I due esitarono: non sembrava invitante.
- Beh,
siamo venuti qui per questo. – disse Jack, e Dentolina annuì intimorita.
Jack
entrò per primo, aguzzando la vista nell’oscurità e tenendo alto il bastone,
pronto a congelare qualsiasi cosa gli si parasse davanti. Avanzò piano, seguito
da Dentolina.
Il
corridoio pareva lunghissimo. Jack si ritrovò costretto ad appoggiare una mano
alla parete umida per avanzare, perché non vedeva assolutamente nulla. Sentiva
solamente il rumore del suo stesso respiro, dei suoi passi, quelli incerti di
Dentolina e la mano della fata che si era aggrappata alla sua felpa. Il resto
era il buio totale.
-
Aspetta! – sussurrò Dentolina. Jack la sentì lasciare la presa sulla felpa e il
rumore di un ciottolo smosso, seguito da un fischio appena udibile. Le pareti
basse del corridoio si illuminarono di una fioca luce verde, che proveniva
dalla mano della fata: aveva raccolto un sassolino che ora brillava di luce
propria, e si sfaldava lentamente: - Incantesimo di Luminescenza – spiegò lei –
Non credevo che mi sarebbe mai tornato utile. –
Il
corridoio si rivelò più breve di quanto sembrava, ed infine sfociò in un’altra
caverna. Era molto più larga di quella precedente, ma aveva un soffitto più
basso ed era occupata interamente da un lago sotterraneo.
Al
centro, in mezzo all’acqua nera e immobile si ergeva un’ampia piattaforma di
pietra scura al centro della quale, simile ad una gigantesca lapide, si trovava
un’alta e spessa lastra di marmo color ebano.
Jack e
Dentolina si avvicinarono in volo per esaminarla. Non presentava nessun decoro
né segno di essere stata in qualche modo lavorata, ad eccezione di una grossa
crepa al centro, simile ad un colpo di piccone.
- Mi
domando cosa sia… - disse Jack. Allungò una mano a toccare la pietra, e seguì
con i polpastrelli la forma irregolare della crepa. Già, chissà cos’era? Perché
Pitch la teneva nascosta?
- Jack!
Il corridoio continua! – lo chiamò la fata, che nel frattempo si era
allontanata, portando con sé la luce. Aveva trovato un’altra entrata. Jack la
seguì.
Il
corridoio stavolta parve decisamente più lungo, e terminò in qualcosa alla cui
costruzione la natura non sembrava aver collaborato.
Una prigione sotterranea.
Dentolina
raccolse un altro ciottolo a cui infuse la Luminescenza e lo consegnò a Jack
per permettergli di esplorare il luogo.
Sembrava
sfidare ogni legge della fisica e dell’architettura. Le celle, dalle sbarre
arrugginite e coperte di glifi magici, erano distribuite a cerchio, impilate in
piani a formare torri storte e traballanti, alcune parzialmente incastrate nei
muri, oppure semisprofondate nella pietra e
nell’acqua, o ancora appese al soffitto, tenute su da catenacci talmente
arrugginiti da minacciare di cedere da un istante all’altro. Catene, corde e
scale dai pioli marcescenti pendevano ovunque, alcune simili a cappi mal
annodati.
Jack non
poté trattenere un brivido. Era una visione talmente inquietante e lontana
dalla realtà che a ogni angolo aveva l’impressione di vedere qualcuno –un
prigioniero, una vittima- contorcersi agonizzante nell’oscurità, tendere una
mano consumata dalla sofferenza e dalla fame, implorare silenziosamente pietà,
respirare piano, a fatica. Eppure, per quanto cercasse, per quanto si guardasse
intorno, ogni cella rimase ostinatamente vuota.
- Questo
posto fa venire i brividi. – Dentolina, poco distante, non rispose. Tuttavia
non riuscì ad essere più d’accordo. Sentiva l’oscurità strisciare alle sue
spalle come un serpente affamato, accarezzarle le ali, sibilare piano.
Aveva paura.
Jack
continuò ad esplorare. Quel luogo era immenso, labirintico. Scese a terra. La
pietra non era più umida ma semplicemente bagnata, e l’umidità e l’odore marcio
di quel luogo sembravano entrargli nelle ossa.
Aveva
visto qualcosa. – Dentolina! – chiamò. La fata lo raggiunse immediatamente.
- Cos’è?
– chiese.
C’era
una porta nella parete. Era piccola e bassa, riccamente decorata di glifi e
simboli antichi. Sembrava antica e fatta di mogano, ma il legno impolverato era
intatto nonostante l’umidità del luogo.
- Sembra
protetta da un incantesimo… - disse la fata, incerta. Jack, incuriosito,
allungò la mano libera verso la porta.
Nonostante
il freddo del luogo, nonostante avesse l’aspetto di non essere stata toccata
per decine, forse centinaia di anni, era tiepida.
Jack
approfondì il contatto, premendo fermamente il palmo contro il legno. Non
poteva essere.
La
porta, il legno, aveva qualcosa di vivo, come se toccasse il torace di una
creatura dormiente. Una creatura con un cuore.
Un cuore
che pulsava.
Ciò che
seguì la scoperta avvenne troppo in fretta per permettere ai due Guardiani di
raccogliere i pensieri e reagire al meglio.
Le
pareti della prigione furono scosse da un urlo inumano, che rimbalzò da pietra
a pietra e fece ondeggiare pericolosamente sia le celle-torre che le gabbie
appese al soffitto, e stordì i Guardiani. Da tre grandi pareti libere emersero
gigantesche creature nere, che sembravano ibridi fa cane e lucertola, con
piccoli, minacciosi occhi gialli che squadrarono per in istante gli intrusi.
Poi, si lanciarono
contro i due con le fauci bavose spalancate, intenzionati a divorarli in un sol
boccone.
-
REGGITI! – urlò Jack, afferrando una Dentolina terrorizzata per la vita e
lanciandosi a tutta velocità contro una delle creature. Si abbassò di quel
tanto necessario a non finire nelle sue fauci e sgusciò fra le sue zampe,
lanciandosi in volo verso l’uscita. Aveva ancora in mano il sassolino luminoso,
e sembrava che quei strani mostri fossero attratti dalla sua luce. Ma non
poteva permettersi di buttarlo via, altrimenti sarebbero rimasti al buio, in trappola.
I mostri avanzarono a goffe, pesanti falcate, abbattendo tutto ciò che si
trovava sotto le zampe deformate, le teste squamose e piene di pieghe tese
verso quelli che sembravano aver scambiato per lucciole.
Jack si
infilò nel primo tunnel senza accennare a rallentare il suo volo. Era certo che
i mostri non sarebbero passati per una galleria così piccola, ma era anche
certo che sia lui che Dentolina sarebbero rimasti sepolti vivi se non si
fossero dati una mossa ad uscire da quel girone infernale. I ciottoli, sassi e
stalattiti che crollavano rallentando la loro fuga erano un chiaro segno. Quel
luogo stava per essere inghiottito dalla terra.
La Fata
del Dentino strillò, costringendo Jack a voltarsi per un istante. Per poco non
urlò anche lui.
Tre
ombre, di un nero fumoso illuminato da piccoli, malvagi occhi gialli li
inseguivano, inghiottendo ogni forma di luce al loro passaggio e guadagnando
rapidamente terreno. Jack accelerò.
Il
tunnel terminò di colpo, e i Guardiani e i mostri si ritrovarono nella grotta
del lago sotterraneo. Anche lì crollava tutto. Jack approfittò della frazione
di secondo di libera manovra per lanciare un raggio congelante verso le
creature.
Inutilmente.
I
mostri, approfittando per un istante dello spazio tornarono nella forma
originale emettendo un altro dei loro urli disumani, per poi ritrasformarsi in
fumo e accelerare ulteriormente quando i cinque si infilarono nel secondo
tunnel.
Stavolta,
oltre agli occhi, i mostri avevano conservato una bocca zannuta, che si
spalancò pronta ad ingoiare i due.
Jack
accelerò ulteriormente, ma senza riuscire a distanziarsi di molto dagli
inseguitori. Ormai era più impegnato ad evitare gli ostacoli che a guardarsi indietro.
Anche il
secondo tunnel finì. E i due Guardiani finalmente videro la salvezza.
Luce.
La
piccola uscita della caverna si stava allargando a vista d’occhio, mentre tutto
intorno crollava con un rombo assordante.
In quei
pochi, terrificanti istanti Jack non sentì più nulla. Né l’assordante fischio
nelle sue orecchie, né la stretta soffocante di Dentolina, né il cuore che,
Jack ne era certo, doveva essersi fermato.
Un’ultima,
disperata accelerata e la luce esterna li avvolse, accecandoli.
Si udì
un’esplosione. Frost rallentò, e sia lui che Dentolina guardarono in basso. In
piena luce diurna, lunghe ombre si contorsero diversi metri sotto di loro,
emettendo uno strano sibilo. Poi, come nastri, si riavvolsero e si
arrotolarono, ritirandosi nel buco da cui erano uscite, sotto il letto
sgangherato.
Jack osò
a malapena respirare, sentendo i polmoni infiammati e il cuore riprendere
freneticamente a battere. Dentolina, viva ma sconvolta, tremante più di paura
che di freddo, era ancora aggrappata a lui.
I due
scesero a terra.
La fata
scivolò lentamente sull’erba morbida, e rimase immobile, col respiro affannoso.
Anche Jack sentiva le gambe parecchio instabili. Ma si fece coraggio, e avanzò
cauto verso il buco sotto il letto.
L’entrata
della caverna di Pitch era lì, inquietante come sempre, intera proprio come lo
era prima che i due vi fossero entrati.
- Non…
Non so t-tu… - disse Dentolina con voce debole – Ma io non ho voglia di
scendere di nuovo a controllare… - Jack si voltò a guardarla: aveva un colorito
vagamente verdognolo, e tutte le piume arruffate e bagnate da schizzi d’acqua.
Improvvisamente si pentì di non aver insistito per andare da solo. Scosse la
testa: - No. Non ne ho voglia neanch’io. –
*
- Cosa.
Avete. Combinato. -Nicholas St. North era
un tipo che tendeva ad arrabbiarsi molto di rado. Quel giorno, tuttavia, Jack
Frost ebbe il privilegio di sorbirsi una delle sue sfuriate. E, fatto ancor più
singolare, anche Dentolina si ritrovò nella sua stessa situazione.
- Posso
capire Jack-ed è inutile che fai quel muso ragazzo. Sei e rimani uno
scavezzacollo- ma tu, Dentolina… Perché l’hai seguito senza avvertire gli altri?
–
Dentolina
tacque, rossa in viso. In realtà non lo sapeva nemmeno lei: forse era per
spirito di vendetta contro Pitch, forse per desiderio di tornare utile, o forse
perché voleva semplicemente stare vicina a Jack. Non riusciva a scegliere quale
delle tre.
- Non...
non lo so. Mi dispiace. – sussurrò appena. North sospirò, e ogni traccia di
rabbia abbandonò il suo volto barbuto.
- Sieste
stati degli incoscienti. – li rimproverò – Sono felice che vi diate tanto da
fare per cercare Black, ma questo è troppo. La prossima volta, almeno
consultatevi prima con gli altri, intesi? –
Jack si
sentì come un bambino che aveva commesso una bravata per niente divertente: in
colpa.
*
La verità era che morivi dalla
voglia di voglia di buttarti in una mischia, non è vero?
Se c’era
una cosa che Jack aveva realizzato appieno nei pochi mesi dopo che era
diventato Guardiano, era che le espressioni facciali di Sandy a volte sapevano
essere molto più chiare della sua sabbia.
Dopo il
-dettagliato- racconto di Jack sull’avventurosa escursione nel nascondiglio
dell’Uomo Nero, anche Sandman aveva mostrato grande interesse nei confronti
della misteriosa porta scoperta da lui e Dentolina. Ma, prima ancora di
mostrarsi interessato, aveva fatto sentire il ragazzo nuovamente in colpa con
la migliore delle sue espressioni di rimprovero.
Resta il fatto che poteva finire
molto, molto male. Pitch è imprevedibile.
- Oh,
avanti! Non è proprio grazie a me che trovate sempre soluzioni ai problemi più
gravi? – sorrise Jack.
Il tuo grande aiuto è compensato
dalla tua capacità di causarli, i guai. Completò tranquillo Sandy con la sua sabbia. Frost
ci mise qualche secondo a decifrare il messaggio: - Hey!
–
Era una
notte tranquilla, fredda e senza nubi, illuminata da una grande luna piena.
Jack non ricordava di aver mai visto una notte così chiara, in quella parte del
mondo.
Il cielo
era percorso da centinaia e centinaia di fili di sabbia d’oro che ondeggiavano
lenti nell’aria immobile. Jack si sedette su un palo della luce ad osservarli,
mentre Sandy continuava il suo usuale lavoro, inviando altre scie lontano,
dirette verso altre case. La loro vista non rallegrava più Jack come un tempo.
Quelle
belle scie erano molte meno del solito. Molte, troppe erano scomparse, senza
lasciare traccia.
Sandy
non l’aveva dato a vedere, ma Jack sapeva quanto la cosa l’avesse sconfortato. Il
vedere il proprio lavoro distrutto, il non poter riaggiustare il danno fatto, e
il vedere la tristezza sui visi dei bambini, cosciente di averli delusi pur
avendo provato a trovare una soluzione con tutte le proprie forze, e sapere che
una soluzione c’era. Il tutto sommato
alla minaccia di scomparire, perché nelle poche settimane in cui il fenomeno
dei Sogni Pallidi si era manifestato
molte delle lucine che credevano in Sandy erano scomparse…
Deve essere mostruosamente
frustrante.
Una
gabbia con un’uscita che non si riesce a trovare.
Qualcosa,
anzi, qualcuno, stava lentamente strappando i poteri a Sandman, ne approfittava
per infierire senza esporsi. E aspettava, nascondendosi nelle tenebre.
Non ti credevo così spietato,
Pitch Black. Né così codardo. E dire che credevo di aver visto tutto.
Era
quello il motivo principale per cui aveva osato addirittura piombare nella tana
del suo nemico, da solo. Era così arrabbiato, così desideroso di fargliela
pagare che non gli importava di ritrovarsi ad affrontare cento, mille, un
milione di Incubi. La sua rabbia era più che abbastanza per distruggerli uno ad
uno, con le proprie mani.
Jack! Lo chiamò Sandman, formando un
grosso punto esclamativo sopra la propria testa.
Ma lo
Spirito del Gelo l’aveva già visto. E non poteva crederci.
Balzò in
piedi, allungando il collo per osservare la scena che si stava formando in
lontananza.
Ombre,
lunghe ed alte ombre nere si stavano formando rapidamente all’orizzonte, sopra
i palazzi, inghiottendo ogni luce che trovavano sul loro cammino, simili ad
enormi nubi temporalesche.
Tutto,
la luce di lampioni, della luna, le scie di sogni di Sandy scompariva al loro passaggio, mentre
mostruose, gigantesche creature si ergevano dalla neoformata oscurità, con
grandi occhi gialli e rossi puntati verso i due Guardiani, enormi fauci spalancate
pronte ad ingoiarli e a distruggere tutto ciò che si sarebbe parato sul loro
cammino.
Jack
abbassò lo sguardo e infine lo vide. Li osservava dal tetto di un alto palazzo,
immobile, inespressivo.
Come se
osservasse degli insignificanti moscerini.
Pitch
Black.
Il Re degli Incubi.
-+-
Capitolo di ‘pausa’,
definiamolo così.
Ci ho ficcato dentro un
po’ di tutto. Dall’esplorazione all’inseguimento all’angst
(forse), e il ritorno in grande stile di Pitch, anche se ad accoglierlo ci sono
solo Sandy e Frosty. A proposito, indovinate che cos’è
quella caverna col lago sotterraneo ^^
Spero il cap non sia troppo incasinato, perché non me lo sono
pianificato a tavolino. Mi devo preparare per bene il prossimo, si, si.
Grazie ancora, ancora e
ancora a tutti i recensori, sono noiosa ma vi
amo. Sono così felice che ad alcuni di voi piacciano i miei OC!
Questo finché non mi accorsi che
il mondo non aveva più bisogno di me.
*
- Sono
dunque loro? – chiese Discordia. Le gigantesche nubi-Incubo erano talmente
basse da sfiorare i tetti dei palazzi più alti. Come nata dal loro fumo, Crysis
emerse dal nero e si avvicinò a Pitch.
- Si. –
rispose l’Uomo Nero, atono. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che la
donna sorrideva.
-
Rilassati. Disorganizzati. Con la guardia
bassa. Sono contenta che abbiano preso la situazione così sottogamba. –
Non hanno idea di cosa stanno per
affrontare.
- Ma
sono certa che sapranno intrattenerci. Divertiamoci, stanotte. –
Si
dissolse di nuovo in fumo e si lanciò nel vuoto, contro i Guardiani, affiancata
dai giganteschi Incubi come una regina dai suoi cavalieri.
*
Come
ubbidendo ad un segnale, l’esercito di mostri si mosse.
Ululati
lontani, simili a grida di guerra si diffusero in lontananza, diventando sempre
più forti.
-
Ammetto che credevo di esserci abituato a cose del genere. – disse Jack,
stringendo il bastone. – Però si dice che c’è sempre spazio per l’esperienza. –
Sandman,
al suo fianco, radunò tutta sua la sabbia magica, dandole la forma di
piattaforma sotto i suoi piedi e di lunghe fruste dorate nelle sue mani.
Esperienza
o non esperienza, era ora di combattere. E sia il Custode dei Sogni che il
Guardiano del Divertimento avrebbero venduto la propria pelle a caro prezzo.
I primi
Incubi che li assalirono erano piccoli, rapidi e letali come frecce di
balestra. Jack, non riuscendo a prenderli di mira né a congelarli, si trovò
costretto ad affidarsi al vento e alla sua capacità di schivare per non
lasciarsi colpire, lasciando tutta l’offensiva a Sandy, che trasformò parte
della sua piattaforma in un’enorme mano-scudo che si estese a proteggere anche
lo Spirito del Gelo, costringendo i piccoli Incubi a sterzare o schiantarsi
contro il muro di sabbia.
Jack non
gli lasciò tutto il divertimento. Sgusciò dalla protezione e, continuando a
zigzagare, sfrecciò in avanti, puntando agli Incubi più grossi, più lenti e
quindi più facili da colpire. Nel superare un gruppo di quei mostri tese il
bastone davanti a sé e tracciò un semicerchio, rilasciando il proprio potere congelante:
le creature emisero un guaito soffocato prima di rimanere paralizzate dallo
spesso strato di ghiaccio che le ricoprì. Frost tuttavia non ebbe il tempo di
godersi il perfetto risultato della sua manovra: qualcosa, forse un altro degli
Incubi-freccia, gli sfiorò il braccio, tracciando una sottile linea di dolore
che esplose, costringendo Jack ad afferrarsi il braccio e rallentare. Sapeva
che non poteva distrarsi, ma bruciava così tanto che non riuscì a non gettargli
un’occhiata: la manica destra, appena sopra il gomito, era tagliata così
perfettamente da sembrare opera di un bisturi. La pelle, sotto la stoffa, si
stava rapidamente tingendo di rosso scuro.
- TSK! –
Jack si lanciò contro un altro gruppo di Incubi, che lo circondarono e
minacciarono di trafiggerlo con punte ed artigli affilati come spade e lunghi
come lance, prima di finire anch’essi congelati.
Ma
reagirono. Nell’istante in cui Jack partì in volo alla ricerca del prossimo
avversario si scrollarono di dosso lo spesso strato di ghiaccio, lanciandosi
all’inseguimento del giovane. Jack, tuttavia, non ebbe il tempo di accorgersi
di non aver saldato i conti coi suoi avversari. Qualcosa, simile ad una nube di
fumo grigio gli sfrecciò incontro e per poco non lo colpì, oltrepassandolo e
trascinandosi dietro una folle risata femminile.
- Cos… -
Non ebbe il tempo di finire la frase, che sentì un brivido familiare
percorrergli la schiena. L’aveva sentito molte, troppe volte nell’ultimo
periodo. Non poteva non riconoscerlo. Si voltò.
Pitch
era davanti a lui, con un’espressione altera contaminata dalla rabbia.
- Ci
rivediamo, Frost. –
*
Sembrava
un muro a muro.
Sandy,
dopo che Jack era sfuggito alla sua protezione e alla sua vista, si era trovato
assediato dagli Incubi-freccia e mostri di medie dimensioni che gli dettero
parecchio filo da torcere.
Arrivavano
da dovunque, numerosi e veloci come proiettili, difficilissimi da tenere a bada.
Formò un’altra mano-scudo, costringendo un gruppo di aggressori a indietreggiare.
Gli Incubi-freccia erano diventati più rapidi a schivare, più veloci a colpire.
Una di quelle creature gli sfrecciò a pochi centimetri dal naso, costringendolo
ad abbassarsi e facendogli perdere l’equilibrio.
D’accordo. Se guerra volete…
La
sabbia dorata si scompose nuovamente, assumendo le sembianze di un grande drago
cinese, che si avventò sugli Incubi a fauci spalancate.
…Guerra avrete.
Il drago
si distaccò dalla piattaforma di Sandy, e prese a volteggiare elegantemente
nella nube di Incubi e mostri che si avventarono su di lui, attaccando con
tutte le proprie forze. La creatura non si lasciò distruggere facilmente:
colpiva con zanne e artigli qualunque cosa riuscisse ad afferrare, e disperdeva
i nemici restanti con grandi fiammate d’oro lucente.
Sandy
non lo lasciò al suo destino. Mentre il Custode dei Sogni combatteva, altre
creature si generavano dalla piattaforma: pegasi, squali, tigri, rinoceronti,
renne, dinosauri, aquile, qualunque creatura capace di apportare un minimo di
danno al nemico e formare un’efficace linea di difesa.
I nuovi,
agguerriti avversari si lanciarono contro l’esercito di Incubi, ognuno di loro
ingaggiando battaglia contro diversi avversari insieme e alleggerendo di
parecchio il lavoro di Sandy.
L’unica
cosa che rimase da fare, in quel momento, era trovare Jack e dargli manforte.
Ma Sandman non ne ebbe il tempo.
Qualcosa,
simile ad un proiettile ma più grande degli Incubi-freccia sfondò la linea di
difesa del Custode dei Sogni, trascinandosi dietro un nutrito gruppo di Incubi
dall’aria decisamente letale. Sandy ebbe appena il tempo di trasformare una
delle sue fruste in scudo che qualcosa di grosso e scuro lo colpì, con un
rumore metallico.
- Hai
dei riflessi eccellenti, Sandman. – rise una voce femminile.
Sandy
scostò di poco lo scudo per squadrare il suo avversario: non era Pitch.
Era una
donna. Pallida e vestita di blu scuro, con i capelli grigio fumo che
fluttuavano piano nell’aria. Brandiva una grossa e pesante spada di cristallo
nero, che nella foga dell’attacco era riuscita a scalfire lo scudo dorato di
Sandy.
Il
Custode dei Sogni non si perse in tentennamenti. L’aveva attaccato, il che
voleva dire che era un nemico. Con un colpo di frusta la costrinse ad
allontanarsi, e seguendo i suoi passi si lanciò all’attacco. Doveva liberarsi
di lei, e doveva farlo in fretta.
Aveva
perso di vista Pitch fin dalla carica degli Incubi, e se l’Uomo Nero non
l’aveva ancora attaccato voleva dire due sole cose: o era rimasto nelle
retrovie a godersi lo spettacolo o aveva ingaggiato battaglia con Jack Frost.
E per
quanto il giovane Guardiano fosse bravo e forte, rischiava comunque parecchio.
Era qualcosa che Sandman non poteva permettere.
Alzò
nuovamente lo scudo in alto sopra di sé, in tempo per parare un altro fendente
della spada di cristallo.
- Non ti
distrarre! – lo canzonò la donna, dissolvendosi nuovamente in fumo quando Sandy
cercò di colpirla con la frusta. Era un’avversaria paziente. Sandy aveva già
capito la sua tecnica: preferiva non rischiare e puntare più sulla difesa che
sull’attacco. Schivava quando il nemico attaccava, faceva largo uso di finte,
puntava sulla distrazione e sull’esaurimento. Non aveva fretta.
Il che
era già una pecca tattica.
*
Nei suoi
trecento anni di vita, Jack Frost era stato coinvolto in un numero
sorprendentemente piccolo di battaglie. Certo aveva assistito a molte di esse,
alcune erano addirittura guerre a cui aveva partecipato indirettamente,
causando bufere e inverni rigidi che avevano favorito questo o quell’esercito,
ma di scontri fisici, in cui rischiava la sua stessa pelle, ne poteva contare
sulla punta delle dita.
E lo
scontro di quella notte veniva ad allungare la lista e forse stroncargli la
vita.
Pitch
combatteva in maniera molto diversa dall’ultima volta che Jack l’aveva
affrontato. Non lasciava che gli Incubi attaccassero: attaccava lui, con
pesanti fendenti di falce che avevano ferito Jack già due volte, sfruttava
l’oscurità per mimetizzarsi e proteggersi, colpiva dalle angolazioni più
inaspettate, senza dar respiro all’avversario.
Jack non
era riuscito ancora a congelarlo, ma non riusciva a trovarne né il tempo né il
coraggio. La vista dell’avversario, del suo volto, lo disturbava.
Molto
più di quanto potesse credere.
- …Cosa
ti è successo? –
Pitch si
fermò per un istante e fissò Jack, dando tempo al ragazzo di scrutarlo più
attentamente.
Il volto
di Black era deturpato da una ferita che somigliava ad un ustione. Partiva
dallo zigomo sinistro e si estendeva su tutta la guancia, per finire giù per il
collo. La pelle in quel punto sembrava essere stata strappata via, e lasciava
la carne sottostante in vista. L’occhio sinistro era arrossato, come se vi
fosse scoppiata una vena.
Pitch
alzò lentamente una mano e sfiorò la ferita.
- Oh,
nulla di particolarmente interessante, Frost. Solo un piccolo prezzo per la mia
scelta. – sorrise – L’unica che avevo. –
Non dette
a Jack altro tempo: attaccò. Frost gli scagliò contro un altro raggio
congelante, approfittandone per indietreggiare, ma la distanza non fu
sufficiente: il fendente calò proprio sulla sua testa, costringendolo ad alzare
il bastone e bloccare l’attacco con un vibrante clang!
Jack
desiderò essere stato più veloce: la punta della falce si trovò così a pochi
millimetri dal suo volto. Inarcò all’indietro il collo e la schiena, e spostò
la falce d’ombra dell’avversario con un calcio.
Di
nuovo, non fu abbastanza veloce: sentì la mano di Pitch afferrargli la caviglia
per impedirgli di allontanarsi, mano che si spostò fulminea al polso della mano
che stringeva il bastone, mentre l’altra si strinse al collo in una presa
soffocante.
Jack
sentì le vertebre del collo scricchiolare in modo sinistro, mentre la trachea
veniva lentamente schiacciata, occludendo ogni via respiratoria. Era forte. Di una forza brutale,
probabilmente non solo era capace di strangolarlo, ma anche di frantumargli le
ossa del collo con una sola mano.
Jack se
ne accorse solo in quel momento.
Pitch
combatteva per uccidere, ed era
intenzionato a farlo con le sue stesse mani.
Non se
lo ricordava così.
Spietato,
certo, ma non così. Non così
incurante delle sue azioni, del rischio che correva in battaglia, di spargere sangue.
-
Per…che…? -
Pitch
sorrise, aumentando la stretta.
- Per… -
-
Semplice, Frost. Perché sono venuto a riprendermi il mio posto nel mondo. –
Jack
sentì come se qualcuno gli avesse scollegato il cervello. La mano libera lasciò
il polso di Pitch e ricadde, priva di forze. La vista si offuscò, partendo
dagli angoli del campo visivo, mentre i suoni della battaglia che ancora
infuriava intorno si fecero sempre più ovattati, sostituiti da uno strano
ronzio.
Sentì la
mano che lo strangolava allentare la presa e infine lasciarlo andare, ma non
ebbe la forza di reagire. Il fischio del vento che accompagnò la sua caduta
libera fu l’unica cosa che sentì.
All’improvviso,
due forti braccia lo afferrarono, poggiandolo sul suolo morbido. Sentì i
polmoni e la gola bruciare, costringendolo a tossire, piegandosi e inalare aria
a bocca aperta. Non era piacevole. Non lo era per niente.
-
Svegliati, Frostbite. – una mano lo scrollò, costringendo Jack ad aprire gli
occhi di scatto, rizzandosi a sedere. Tutto, dal suono della battaglia che
ancora infuriava, al gelo dell’aria che gli pungeva i polmoni, al dolore
bruciante delle ferite gli piombò addosso. Il ragazzo si voltò, trovando
Calmoniglio al suo fianco.
Il
coniglio aveva un’espressione crucciata, e il boomerang in mano: - Ti consiglio
di rimetterti in piedi, e in fretta, Frostbite. È una guerra in piena regola,
qua. Ti conviene difenderti da solo, quei mostri sono troppi perché possa
proteggere anche te. –
Un
gruppo di Incubi già puntava nella direzione dei due. Il coniglio si alzò e,
quasi senza guardare in quanti fossero e da dove provenissero estrasse tre uova
esplosive che lanciò in sequenza contro i nemici.
- E
avrei bisogno anch’io di una mano! – gridò, lanciando il boomerang contro un
altro Incubo di medie dimensioni che puntava dritto contro di lui ed estraendo
altre uova esplosive.
Jack non
si fece pregare. Raccolse il bastone, che era caduto poco lontano, e si lanciò
in volo contro l’orda di mostri che avanzava nella loro direzione, come a
chiedergli di essere congelata, e gli esplose contro tutto il suo potere.
Lo
circondarono, separandolo nuovamente da Calmoniglio, il quale era rimasto più
giù a combattere qualunque cosa lo attaccasse. Jack notò che il coniglio si
trovava su un’enorme piattaforma dorata, probabilmente un’estensione della
nuvoletta che Sandman usava per spostarsi. Quella vista lo rassicurò; voleva
dire che Sandy stava bene e soprattutto che aveva ancora energie da vendere. Ma
non fu la sola cosa a rallegrarlo.
- Jack!
– gridò una voce femminile. Era Dentolina, che sfrecciò verso di lui a mani
tese, protetta da qualcosa che sembrava uno scudo al plasma di un pallido
colore rosa. La fata sterzò a pochi metri dal giovane, lanciandosi contro un
grosso incubo dotato di lunghi tentacoli che vennero carbonizzati a contatto
con lo scudo e cambiando direzione subito dopo, gridando – Tutto tuo! – prima
di perdersi nella mischia e lasciare a Jack il piacere di finire l’avversario.
La fata
non era sola. Jack scoprì che anche North era arrivato a dare manforte, e si
era portato dietro un piccolo gruppo di Yeti in assetto da guerra, che
attaccarono gli Incubi più grandi dalla piattaforma, abbattendoli con frecce
incantate per poi finirli, una volta a terra, con spade e asce.
Voleva unirsi
agli altri ma, nella mischia, tra grida soffocate, clangore di armi e ululati
lontani non riusciva ad individuarli né tantomeno a vederli.
Ciò che
vedeva intorno a sé era solo un immenso caos nero e grigio, con lampi gialli e
rossi di occhi malvagi che sembravano osservarlo, studiarlo. Persino la luna
non si vedeva più.
E all’improvviso,
la lama di una falce d’ombra sfiorò il suo collo.
*
Sandman
era un combattente molto aggressivo. Si lanciava a testa bassa contro il
nemico, non dava respiro, attaccava piuttosto che schivare o parare, infieriva
quado il nemico scopriva il fianco, e non importa se ciò avveniva solo per un
millesimo di secondo.
Eppure
sulle prime era stato costretto a mettersi sulla difensiva. Non poteva
attaccare un nemico che non sifaceva
vedere, capace di avvicinarsi come un’ombra e prendere alla sprovvista.
La donna-Ombra
gli aveva lanciato contro tutti i suoi Incubi, in modo che lo distraessero
attaccandolo da più parti. Costretto a difendersi prima ancora di attaccare,
Sandman era stato ferito diverse volte dalla spada di cristallo.
Ma poi
erano arrivati gli altri Guardiani ad aiutarlo. North, Calmoniglio e Dentolina,
seguiti da una truppa di Yeti armati fino ai denti, tutti agguerritissimi e
intenzionati a ricacciare gli Incubi da dove erano usciti.
A quella
vista così rassicurante Sandy aveva raddoppiato il suo impegno, e con lui i
Sogni dorati si erano lanciati all’attacco contro l’esercito di nemici. Avevano
puntato tutti contro la donna, perché sembrava essere lei che comandava i
mostri.
- Ah,
tutti i Guardiani riuniti qui, eh? – rise lei, lasciando che altri incubi
facessero da scudo contro le frecce lanciate dagli Yeti e le uova-bomba di
Calmoniglio.
Non vide
Dentolina arrivare da dietro. La fata riuscì a ferirla al braccio destro con
una sottile e lunga lama permeata di magia, che crepitava come percorsa da una
corrente elettrica, distraendola. Crysis ricambiò, passando la spada di
cristallo nell’altra mano e lanciandosi contro la fata, mentre gli Incubi
dietro di lei impegnarono in battaglia gli altri Guardiani.
Tuttavia,
la difesa formata dagli incubi si fece sempre più debole, e i Guardiani
poterono partire all’attacco insieme, costringendo Crysis ad indietreggiare.
- DOV’E’
JACK? – chiese North dalla sua slitta passando accanto a Sandy. Aveva una mano
sulle redini e l’altra armata di sciabola, con la quale aveva già abbattuto un
gran numero di Incubi. Sandy scosse la testa. Ora che aveva un istante per
fermarsi a pensare, si accorse che il ragazzo era sparito dall’inizio della
battaglia e non l’aveva ancora visto, proprio come Pitch.
- IO L’HO
VISTO! – esclamò Dentolina, prendendo le distanze da Crysis, che si era
accanita su di lei
- NON TI
DISTRARRE! – gridò la donna lanciando una stoccata che ferì al fianco la fata.
Dentolina si allontanò ancora, lasciando l’offensiva a North, che approfittò
della distrazione dell’avversaria per ingaggiare un corpo a corpo partendo in
vantaggio.
Le cose
si mettevano male per gli Incubi.
*
Jack non
aveva mai temuto così tanto per la sua vita.
L’offensiva
di Pitch si era fatta ancor più aggressiva, costringendolo praticamente alla
fuga, senza più nemmeno accennare a contrattaccare. L’Uomo Nero l’aveva ferito
altre cinque volte, i tagli erano sempre più profondi e dolorosi, e le forze di
scansare altri colpi sempre meno. Il taglio sulla gola, quello che doveva
staccargli la testa dal resto del corpo, sanguinava più di tutti.
Ora che
ci pensava, non poteva biasimare Pitch se stava per morire. Aveva ragione. Doveva
aspettarsi una vendetta del genere.
La verità
era che semplicemente non riusciva a crederci.
Tutto stava
per finire, proprio ora che era diventato Guardiano, ora che i bambini credevano in lui.
A ben
pensarci, fin dall’inizio Pitch voleva la stessa cosa.
Lo trovava
quasi buffo. Talmente buffo che gli venne da ridere.
- Lo
trovi divertente, Jack? Non ti facevo così masochista. –
Pitch si
era fermato, aveva abbassato la sua falce e ora sorrideva tranquillo. A differenza
di Jack, non aveva nemmeno un graffio. Solo un lembo della tunica e una piccola
porzione di stoffa sulla schiena erano congelati, ma lo strato di ghiaccio si
stava lentamente staccando.
Jack non
seppe come spiegargli perché quella situazione gli faceva ridere.
Semplicemente,
la trovava assurda.
Assurda e
insieme terribilmente ovvia.
Smise di
ridere quasi di colpo e strinse il bastone, incanalando tutto il potere di cui
era capace in esso.
- Non è divertente, Pitch. È semplicemente assurdo. –
*
Stavano contrattaccando.
Insieme,
uniti, senza ostacolarsi, con zanne ed artigli.
La stavano
costringendo ad indietreggiare.
Crysis
con credeva di poter provare tanto dolore nella sua vita. Eppure era tutto lì,
pulsava all’unisono insieme ai battiti frenetici del suo cuore, ricordandole
continuamente tutte le ferite che le sono state inferte.
E non era abbastanza.
I Guardiani
continuavano la loro offensiva da tutte le angolazioni da cui riuscivano ad
arrivare, isolandola, senza lasciare intervenire gli Incubi.
Pitch
era occupato, lo sapeva. L’aveva lasciato agire liberamente, aveva una ragione
per farlo e non avrebbe cambiato idea fino alla fine.
Ma ora
era in difficoltà.
Sola,
con solo una spada di cristallo con cui difendersi. Non importava.
Non avrebbe
ceduto, fino alla fine.
Era qualcosa
di cui aveva bisogno.
*
Pitch era
scoppiato a ridere, per poi ricambiare l’attacco lanciatogli contro dal
ragazzo.
- Assurdo! Che parola magnifica, Jack! – Frost si era allontanato di nuovo. Aveva bisogno
di aiuto, non poteva sperare di farcela da solo. Non poteva nemmeno nascondersi
o fuggire, perché era circondato da Incubi. Era, letteralmente, nell’elemento
di Pitch.
- Una definizione
universale! – continuò l’Uomo Nero, senza
dandogli tregua, inseguendolo veloce e silenzioso come un’ombra nel caos e nel
frastuono della battaglia.
All’improvviso
Jack sentì qualcosa artigliargli la caviglia, fermando la sua fuga con uno
strattone violento. Un brivido di disgusto e di terrore puro gli attraversò la
schiena quando sentì qualcosa di caldo e viscido risalirgli su per la gamba, e
andarsi ad infilare nella felpa macchiata di sangue. Si voltò di scatto,
puntando il bastone per congelare qualsiasi cosa l’avesse afferrato, ma anche
la mano armata venne improvvisamente intrappolata un una viscida morsa
stritolatrice, impedendogli di difendersi. Era un altro Incubo. Jack non riuscì
a decidere a cosa assomigliasse esattamente: aveva un aspetto chimerico, con
lunghi, spessi tentacoli coperti di muco e sei minuscoli, inespressivi
occhietti liquidi color ambra che si avvicinarono al suo viso, come a volerlo
osservare meglio.
Per quanto
sapesse che non era il momento, il ragazzo si sentì sul punto di svenire dalla
paura.
- Una
parola chiave, quasi… Per definire il
funzionamento di questa realtà. – disse
la voce di Pitch al suo orecchio, costringendo Jack a voltarsi di scatto.
Pitch si
era allontanato di poco dal giovane, lasciando all’Incubo tentacolato il
compito di tenerlo fermo, e aveva lasciato la sua falce d’ombra dissolversi nel
nulla.
Alzò il
braccio sinistro e lo puntò contro Jack, seguito subito dal destro che tese
lentamente indietro.
Una sottile,
appuntita freccia di sabbia nera si formò seguendo il percorso formato dalle
dita della mano destra, tenuta in posizione di tiro da un arco invisibile.
Jack la
riconosceva.
Era la stessa freccia d’ombra che aveva ucciso
Sandy.
Sentì l’aria
sparire dai polmoni e il cuore balzargli in gola quando prese a divincolarsi
furiosamente, nel disperato tentativo di sfuggire alla presa d’acciaio dell’Incubo,
nel tentativo di sfuggire alla morte
certa.
Non poteva
crederci.
Pitch aveva
passato il tempo a torturarlo solo per riservargli la morte peggiore.
- Perché…
PERCHE’?? –
Non riuscì
a liberarsi, indifferentemente da quanto combattesse. Le forze lo stavano
definitivamente abbandonando, la vista si offuscava.
Chiuse gli
occhi, combattendo contro le lacrime che minacciavano di salire.
Era la fine.
All’improvviso,
qualcosa di gelido come il ghiaccio gli sfiorò la guancia.
*
Fu un
istante.
Crysis sentì
il cuore fermarsi in petto, il respiro arrestarsi, i muscoli smettere di
contrarsi, abbandonandosi inerti contro la sua volontà.
Un istante
dopo, un dolore atroce le esplose in petto, partendo dalla spina dorsale e
finendo con lo sterno.
A fatica
tenne gli occhi aperti, e guardò giù.
Sotto di
lei, i Guardiani avevano mutato espressione, passando da concentrazione e rabbia
a stupore, orrore e sconcerto.
Infine abbassò
lo sguardo su di sé.
Una freccia
nera come la notte le spuntava dal petto, e sangue nero come la pece macchiava
l’abito blu scuro.
A malapena
alzò la testa, mentre sentì il suo esercito di Incubi dissolversi intorno a sé
come fili d fumo nel vento.
Ebbe
appena il tempo di formulare una parola, senza voce
Traditore…
Poi, il
suo mondo sprofondò nel nero.
*
Jack socchiuse
le palpebre.
Una
forte brezza prese a spirare attorno a lui.
Un vento
che alternava caldo e freddo, aria pura e odore di plastica bruciata.
La presa
dell’Incubo che lo immobilizzava si allentò gentilmente, dissolvendosi.
Aprì gli
occhi.
Pitch era
ancora davanti a lui, con la stessa espressione divertita e rancorosa insieme,
lo stesso vago sorriso di scherno.
Intorno a
loro, gli Incubi si dissolvevano in un turbinoso vorticare di grigio e nero,
che infine permise di intravedere, da lontano, la luce della luna.
- Te l’ho
detto, Jack Frost. – Disse Pitch con un sorriso amaro.
- Voglio riprendermi il mio posto nel mondo.
–
Il
turbinio di Incubi avvolse anche lui.
Come un incubo
all’alba, Pitch Black si dissolse, lasciando solo una vaga sensazione di
insicurezza dietro di sé.
-+-
Cambiato rating causa presenza
di scene violente… ho esagerato?
Uuuuh… un altro.
Non sono sicura di come
è uscito questo capitolo, non mi sono mai cimentata in scene di combattimento
come questa prima d’ora.
Che dite? È accettabile?
Comunque, se vi state
chiedendo se per caso Pitch è impazzito, la mia risposta è ‘si, è più fuori di
in balcone’. Forse.
Volevo anche spiegare perché lo è in questo capitolo, ma forse
avrei rallentato troppo la narrazione.
Comunque, ditemi voi.
E ricordatevi che vi
amo. Si, lanciatemi pure pomodori marci e quel che vi pare.
VI AMO TUTTI, PERCHE’
DEDICATE UN PO’ DI TEMPO ALLA MIA STORIA. E perché alcuni di voi scrivono delle
ficcyne
fantastiche <3<3 grazie per
allietare il fandom <3
Capitolo 7 *** In cui il nemico è svanito nel nulla ***
VII: In cui il
nemico è svanito nel nulla
- E’
ufficiale, amici mei. Pitch Black è tornato. E con potenti alleanze! –
Il tono
lugubre dell’annuncio di North suonò molto adatto all’occasione.
Dopo lo
scontro con l’esercito degli Incubi, il morale dei Guardiani era decisamente
basso: tutti sapevano che stava succedendo qualcosa, che il male tramava alle
loro spalle e di conseguenza a quelle di tutti i bambini del mondo. Ma credevano
di essere preparati, di poter affrontare al meglio le difficoltà che si potevano
presentare.
Invece,
Pitch era tornato potente, crudele, deciso come non mai, e li aveva presi in
contropiede. Ovviamente, non ebbero bisogno di avanzare ipotesi su cosa
volesse: già lo sapevano.
La lezione,
tuttavia, era davvero demoralizzante. Nessuno aveva mai temuto tanto per l’equilibrio
del mondo.
La situazione,
tuttavia, durò poco più di due giorni: il tempo necessario a rimettere in piedi
i feriti e i Guardiani, sebbene ancora contusi e pieni di cerotti, si riunirono
nuovamente per studiare un nuovo piano e avanzare ipotesi e contromosse per i
prossimi movimenti di Pitch.
- Il suo
obiettivo finale è sempre lo stesso, suppongo: essere creduto, e cancellare la
nostra esistenza. – aveva esordito North alla prima riunione dopo il
combattimento contro l’esercito di Incubi. – Abbiamo visto tutti in cosa si
sono evoluti gli scagnozzi di Pitch. Abbiamo anche saggiato la loro forza. Dobbiamo
assolutamente scoprire cosa li ha resi così potenti, per sapere come distruggerli.
E, ovviamente, dobbiamo anche scoprire chi era l’alleata di Pitch. Forse gli ha
fornito nuovi poteri che nemmeno immaginiamo! –
Jack aveva
scoperto dell’esistenza della donna dai capelli color cenere solo dopo lo
scontro. L’alleata aveva attaccato
direttamente Sandy, mentre Jack era impegnato contro Pitch. L’informazione l’aveva
fatto sentire in colpa come non mai: aveva letteralmente abbandonato Sandy al
suo destino all’inizio del combattimento, convinto che se la sarebbe cavata
benissimo da solo, mentre il Custode dei Sogni aveva rischiato di soccombere. Jack
si rese conto che avrebbe dovuto rimanergli vicino, e non andarsene a combattere
per conto suo. Avrebbe dovuto rimanere con gli altri Guardiani quando erano
arrivati a dare manforte. Non riusciva a perdonarselo.
-
Tuttavia, c’è una cosa che non mi quadra… - continuò North: - Chi è che l’ha
abbattuta, esattamente? –
- Probabilmente
Pitch. – disse Calmoniglio con un’alzata di spalle: - In fondo, non si è fatto
vedere con nessuno di noi durante tutto lo scontro. Inoltre, era Capelli di
Cenere a comandare gli Incubi. Probabilmente Pitch l’ha ritenuta troppo
pericolosa per lui. O forse solo inutile. – concluse. Posò lo sguardo su Jack, che
sembrava assorto nei suoi pensieri: - Era con te, giusto, Frostbite? –
Jack
annuì: - Si. L’ho visto scoccare una delle sue frecce d’ombra nella mischia. Ma
non sapevo a cosa a aveva mirato esattamente. –
Nella sua
versione dello scontro, Jack aveva raccontato una storia leggermente diversa
dalla realtà. Per sua fortuna nessuno l’aveva visto se non per pochi secondi,
quindi nessuno poteva contraddire ciò che aveva raccontato. Jack aveva taciuto su
molte parti: sulla strana ferita sul volto dell’Uomo Nero, e anche su quando
era stato intrappolato dall’Incubo coi tentacoli, quando Pitch gli aveva
puntato contro quella freccia.
La realtà
era che non capiva perché Pitch non l’avesse ucciso. Aveva avuto l’occasione
perfetta e tutte le ragioni per farlo. Anche se avesse voluto eliminare solo Capelli di Cenere, anche Jack ai suoi
occhi meritava di morire.
Non capiva
perché.
Forse è solo impazzito. pensò.
- Pericolosa. Ecco il punto, Calmoniglio. Probabilmente
è lei al centro di tutto, dai Sogni Pallidi all’evoluzione deli Incubi… ha aiutato Pitch. L’ha reso più potente. Non capisco
per quale ragione, ma suppongo che prima o poi lo scopriremo. E infine lui l’ha
tradita. –
- E fin
qui ci siamo. – aveva concluso il Coniglietto di Pasqua. – Proposte, North? –
- Scoprire
chi era. Cosa sapeva fare. Fare delle ricerche. Chiedere in giro. – all’ultima
frase Calmoniglio abbassò leggermente le orecchie: - Io mi tiro indietro stavolta.
Se volete provare a chiedere di nuovo qualcosa agli Spiriti Minori, io mi tiro indietro. –
- Non
chiederemo alla Marmotta, lo prometto. –
- Mi
tiro indietro lo stesso. –
- Se
volete, possiamo chiedere l’aiuto di June per cercare informazioni. È una tale
ficcanaso. – propose Dentolina, attirandosi lo sguardo incredulo di Jack.
- Beh,
lo dice lei stessa di esserlo. – aggiunse la fata, arrossendo leggermente
*
Nonostante
i nuovi propositi e i rinnovati sforzi, nessuno scoprì nulla.
Pitch era
nuovamente sparito, e gli Incubi Grigi erano più sfuggenti che mai. Le lucine
continuavano a spegnersi a ritmo allarmante, senza che nessuno riuscisse a
trovare una soluzione, rallentare il fenomeno.
In compenso,
sorsero altri problemi: Sandman aveva cominciato ad indebolirsi. Il numero di
bambini che credevano in lui era diventato davvero esiguo, e la cosa aveva
influenzato parecchio i suoi poteri. Lentamente, la sua capacità di manipolare
i sogni stava venendo meno, e con essa la sua capacità di rimediare ai danni
causati dagli Incubi Grigi.
Era un
circolo vizioso.
La cosa
fece stare Jack ancora peggio.
E più di
quello, lo rese ancor più deciso a saldare i conti rimasti in sospeso con l’Uomo
Nero.
-+-
Altro capitolo di ‘pausa’,
spiegazioni varie ed eventuali sono rimandate al prossimo.
Scusate se è breve.
A proposito, pensate
che io scriva male? Ogni tanto ho delle cadute di stile. Anche se spesso non me
ne rendo conto. Scusatemi.
Capitolo 8 *** Vecchie ombre e spirito di vendetta ***
VIII: Vecchie ombre
e spirito di vendetta
Sembrava sorto dal nulla.
Eppure aveva radici antiche, più
profonde della Paura stessa.
Era il marcio che cresceva
lentamente sotto l’ingannevole scintillio del metallo prezioso e lo splendore
delle grandi idee, preannunciando la fine di quella meraviglia.
Era il figlio della perduta Età
dell’Oro.
L’Incubo che camminava alla luce
del Sole.
*
In
millenni di vita, molte creature avevano accompagnato il cammino di Pitch.
Molti, moltissimi erano semplici umani. Creature mortali, inerti, le cui vite
terminavano in un batter d’occhio. Altri erano Fantasmi, esseri senza potere e
senza voce, silenziosi osservatori delle azioni altrui. Altri ancora erano
Spiriti amici, che spianavano il passo al Re degli Incubi e traevano vantaggio
dalle sue malefatte.
Molti
erano i nemici. Creature insignificanti o Spiriti potenti, erano in tanti a non
apprezzare, a combattere il suo pur necessario operato. Erano così in pochi a
comprendere il profondo significato della Paura.
Paura
come istinto primordiale, come spirito di autoconservazione. Come voce
interiore che costringe a riflettere meglio sulle scelte da fare.
A suo modo, una testimonianza di vita.
Ma vi
erano alcuni, tra i suoi nemici, a cui non importava nulla del suo lavoro,
dell’impronta che lasciava sul mondo.
Erano
creature senza nome, nate dall’oscurità e dal terrore, ma che camminavano alla
luce del sole, avvelenando col loro tocco ogni cuore che sfioravano.
Il loro
era un potere molto particolare: non turbava i pensieri, non faceva
rabbrividire, né fuggire dalla minaccia. Semplicemente divorava ogni cosa:
gioia, speranza, ricordi, progetti, sogni… perfino la Paura stessa, lasciando un guscio vuoto.
Erano
loro stessi dei gusci vuoti, rare entità prive di coscienza, indistruttibili,
potenti e pericolose come pochi.
All’epoca
Pitch fu l’unico a vederli per quello che erano: una minaccia.
Per la
sua stessa sopravvivenza, per assicurarsi il suo potere sul mondo, decise di
combatterli.
E mentre
l’Età dell’Oro, splendida epoca in cui idee, genio e magia avevano brillato di
luce propria, soccombeva divorata dall’esercito del Re degli Incubi, mentre ogni
angolo della Terra sprofondava nei Tempi Bui, in cui il Terrore ed Oscurità
dominavano i cieli e i cuori, Pitch sigillò molte di quelle creature. Impiegò
molto del suo potere, ma era un sacrificio necessario per assicurargli un
tranquillo e lungo dominio sul mondo, in cui solo la Paura sarebbe stata la
vera regina.
Ma il
suo lungo regno non era destinato ad essere eterno come sperava, e presto
conobbe la fine: con l’ascesa dei Guardiani, le notti vennero illuminate da
Stelle e Sogni, i giorni di speranze e gioia, il passato di ricordi luminosi e
il futuro di progetti ambiziosi.
Nicholas
North, Calmoniglio, Dentolina e Sandman, giovani Spiriti scelti dall’Uomo sulla
Luna, fecero dell’infanzia e del mondo qualcosa di luminoso, di migliore.
Sgretolarono
tutto ciò che Pitch aveva faticosamente costruito, per cui aveva combattuto,
privandolo infine del suo grande e antico potere.
Lo
ridussero ad una misera ombra carica
di rancore.
E con la caduta del Re degli
Incubi, venne meno la sua singolare protezione sul mondo.
Le
Creature Senza Nome sigillate da Pitch erano le più potenti tra quelle che
all’epoca gli avevano sbarrato il passo, ma non erano tutte. Non poche rimasero libere, e continuarono a vagare per il
mondo, tingendo gli animi del loro colore.
Nel
corso dei secoli, acquisirono sempre più potere, si moltiplicarono, invisibili
ed onnipresenti come spettri. Crearono un loro regno personalenei cuori
degli umani, invisibile a tutti, perfino al Re degli Incubi.
C’era
una ragione per cui Pitch preferiva avvelenare i sogni e nutrirsi delle paure
dei bambini, piuttosto che di quelle degli adulti.
Perché non erano ancora
impregnati del veleno di quelle creature. Ed era un veleno mortale, il peggiore che avesse
mai visto.
Si
chiamava Odio.
- Ti restituirò tutto il tuo
antico potere nell’istante in cui mi diventerai fedele. –
La
promessa di Discordia era un patto semplice, chiaro.
Pitch
era certo che anche lei sapeva. Sapeva che il Re Caduto non le sarebbe mai stato veramente fedele, che non
l’avrebbe mai seguita ciecamente come prometteva.
In fondo
era così che funzionava. La fiducia, la verità e l’amore erano chimere, pronte
a svanire come fili di fumo al più esile soffio di vento. Erano tutte menzogne, castelli di carta costruiti
per essere abbattuti al momento opportuno.
Sapeva
che si sarebbe vendicata. Ma non credeva che le cose sarebbero andate così.
Crysis
gli aveva concesso un po’ di potere. Un po’ di forza, di controllo sugli
Incubi, sufficienti a permettergli di combattere al suo fianco da alleato.
Concedendogli la forza, gli aveva
iniettato quel veleno mortale.
Pitch se
n’era accorto troppo tardi. L’aveva fatto quando quel veleno aveva cominciato a
fare male, a manifestarsi sotto forma di ferite fisiche.
Aveva
combattuto le Creature Senza Nome millenni addietro. All’epoca era convinto di
poterle tenere a bada, di avere sufficiente potere per schiacciarle, e poi di
potergli sfuggire quando i Guardiani l’avevano sconfitto.
Ma
anch’esse, come gli Incubi all’alba, con la sconfitta di Pitch erano
semplicemente scomparse.
Si era
accorto troppo tardi che per tutto quel tempo quelle creature erano rimaste
semplicemente nascoste, per poi tornare sotto un’altra forma. Quella forma così
familiare…
Gli Incubi Grigi.
Il veleno con una forma tangibile.
Discordia
stessa ne era impregnata fin nelle ossa. Era lei che fortificava gli incubi,
gli donava nuove forme, e attraverso essi guadagnava potere. Non le importava
se Pitch strisciava sotto la sua ala protettrice con intenzioni malevole.
Perché il Re Caduto era destinato
a morire, ucciso da quello stesso veleno.
L’ombra
era destinata a scomparire, inghiottita dal nero.
Così come tutto il resto.
*
Erano
passati cinque giorni dalla battaglia contro i Guardiani.
Gli
Incubi si erano nuovamente dissipati, nascosti. Dopo la scomparsa di Discordia
erano fuggiti, tornando a strisciare nell’oscurità, silenziosi e letali come
serpi.
Sembrava
finita.
Ma Pitch
sapeva che non era così. Stavano semplicemente aspettando.
Aspettavano
il ritorno della loro Regina.
Aspettavano
nuovi ordini, nuova organizzazione, nuove prede su cui avventarsi.
Non che
non avessero già fatto danni. Pitch era certo che i Guardiani, essendo i
protettori dei bambini, non avessero rivolto nemmeno un minimo della loro
attenzione a cosa stava succedendo tra gli adulti. Non avevano visto il veleno
delle armate di Discordia spargersi nei loro cuori, contaminare a macchia
d’olio tutto ciò che li circondava. Ma l’Uomo Nero aveva assistito a quello
scempio. Aveva sentito odio e paura diffondersi per il mondo come un vento
venefico, rafforzandolo e insieme avvicinandolo alla sua stessa fine.
Anche
lui aspettava.
Aspettava
Discordia.
Voleva distruggerla, perché stava per portargli
via l’ultima cosa che gli era rimasta.
Era
quello il messaggio contenuto nella freccia con cui aveva trafitto Crysis.
Se lei
aveva intenzione di farla finita in quel modo, uccidendo chi le aveva chiesto
alleanza e protezione, andava bene. Era logico,
per creature malvage come loro due.
Semplicemente,
si sarebbe vendicato prima di morire. E l’avrebbe fatto con le sue sole mani.
Dopo
aver vagato per quasi una settimana, Pitch aveva deciso di tornare alla sua
caverna. Sapeva che era inutile anche solo pensare di nascondersi, perché era
certo che, ovunque fosse andato, la Regina l’avrebbe trovato. D’altra parte,
non voleva nemmeno farlo. Non voleva fare la figura del codardo.
Non gli
rimaneva nulla, a parte sé stesso. Sentiva la paura crescente degli umani
continuare a scorrere nelle sue vene, continuare a fornirgli sufficiente potere
da permettergli sostenere uno scontro. Forse l’ultimo della sua vita.
La
cavernadi Pitch era, in molti versi,
simile ai palazzi dei Guardiani. Le fredde mura spoglie e la pietra erano
impregnate in ogni angolo di magia, un misto di antichi incantesimi e scudi
magici, echi di vecchie battaglie e di nuove, piccole paure serpeggianti, che
trovavano in quel luogo buio ed oscuro la loro casa.
Pitch
era rimasto rinchiuso in quel luogo per secoli, consumato dal desiderio di
vendicarsi dei Guardiani. I suoi piani di vendetta gli avevano portato via
molto tempo e molte energie. L’avevano distratto completamente da ciò che
avveniva nel mondo. Ora, sentiva come se quella rabbia fosse scomparsa, schiacciata
dalla consapevolezza, quel tempo passato a meditare vendetta come sprecato.
Sorrise
tra sé. Era così strano.
I
Guardiani stavano per perdere il loro nemico storico. Ma se sapessero cosa
stava per prendere il suo posto, probabilmente si sarebbero fatti in quattro
per salvarlo. Ma forse era meglio lasciarli all’oscuro di ciò che stava
accadendo nelle tenebre, così la realtà dei fatti gli sarebbe crollata addosso
con tutto il suo peso, schiacciando loro e tutto ciò che rappresentavano.
Alla fine, Pitch avrebbe ottenuto comunque la
sua tanto agognata vendetta, anche se per mano di qualcuno che voleva eliminare
con le sue stesse mani.
Si passò
una mano sul volto, ricordando di nuovo le parole di Jack, quelle pronunciate
durante il loro ultimo scontro.
Non è divertente, Pitch. È
semplicemente assurdo. Aveva
ragione.
Era
davvero qualcosa di assurdo. Illogico
sotto ogni punto di vista. Nulla lo era nella sua vita, di questo ne era certo.
All’improvviso,
l’Uomo Nero si bloccò. Qualcosa, un rumore, l’aveva distratto dai suoi pensieri.
Un suono
vago, lontano, che si mescolava al fioco cigolio delle catene che sorreggevano
le gabbie appese al soffitto. Un fischio che si poteva confondere con quello
del vento, se non fosse per il fatto che stava aumentando di intensità.
Poi,
all’improvviso, creature simili a fili di fumo grigio si formarono sul
soffitto, attraversando rapide le centinaia di gabbie appese e aumentando in
dimensioni, per poi scendere silenziosi ed assumere forma solida, circondando
Pitch.
Gli
Incubi Grigi rimasero immobili, osservando coi malvagi occhi rossi l’Uomo Nero,
che sorrise.
- Quanti
invitati alla festa, Discordia. –
rise – suppongo che sei venuta per divertirti, no? –
- Oh,
non proprio. – disse la voce di Crysis, seria. La donna apparve alle spalle di
Pitch, e ricevette una violenta accoglienza: fulmineo, l’Uomo Nero aveva evocato
la sua falce d’ombra, che aveva scagliato con tutta la sua forza sulla testa dell’avversaria.
Crysis però fu altrettanto veloce a reagire: evocò la sua spada di cristallo e
la alzò sopra la sua testa, parando con facilità la lama nemica.
Sorrise:
- Sono ancora convalescente. Quanti sforzi mi fai fare… - ma Pitch non
l’ascoltò nemmeno: ruotò la lama e tirò la falce a sé, intenzionato a strappare
la spada di mano a Crysis. La donna reagì lasciando la pesante spada e
impugnandola con una sola mano, in modo da non perdere la stretta sull’elsa.
Tuttavia, la forza della manovra dell’Uomo Nero la sbilanciò in avanti: in
quell’unico istante, Pitch mosse un passo avanti e trasformò la sua falce in
una lancia, ma l’unica cosa che trafisse fu una leggera nuvola di fumo grigio.
- …Non è
mia intenzione combattere. – rise la voce della donna alle sue spalle. Pitch si
voltò, squadrandola con odio da capo a piedi. Crysis si avvicinò, piano: - Sono
venuta qui per… ringraziarti. Dal profondo del cuore. Soltanto questo. –
sorrise, quando lo vide stringere gli occhi, ancora in guardia, pronto ad
attaccare come un animale feroce. – Ringraziarti per aver combattuto con me
contro i Guardiani. Per avermi spezzato
il cuore. – posò una mano sul petto, sullo stesso punto in cui la freccia
di Pitch l’aveva trafitta.
Aveva percepito
chiaramente i sentimenti, oltre che il potere, di cui era caricata. Li sentiva
ancora sulla pelle, come un marchio.
Rabbia.
Disperazione. Vendetta. Odio.
Era qualcosa
di molto più prezioso della semplice paura.
- Ti
ringrazio per avermi ceduto una parte di
te. Ora mi hai aperto più porte di quante speravo di raggiungere. –
Vide
Pitch abbassare lentamente la lancia d’ombra, con le spalle leggermente
tremanti.
Crysis sorrise.
Fu un
istante.
Con un
urlo di rabbia, Pitch si scagliò contro la donna. Erano quelli, i suoi ultimi
istanti.
Sarebbe
stato un sacrificio inutile, ma vedere quel viso deformato dal dolore sarebbe
stata la sua ultima, immensa soddisfazione. Ne sarebbe valsa la pena.
Lanciando
quasi all’unisono il loro richiamo inumano, gli Incubi Grigi si gettarono
contro il Re Caduto, artigliando la mano armata con zampe forti come l’acciaio,
costringendolo a lasciare la presa, e affondando nella sua carne zanne e
artigli roventi come il metallo fuso, costringendolo a cadere in ginocchio
sotto il loro peso.
Pitch
sentì il suo stesso grido morirgli in gola, sostituito da un dolore talmente
atroce da offuscargli la vista, e minacciare di trascinarlo nell’incoscienza.
Poi, la mano diCrysis gli sfiorò
leggera la ferita sulla guancia sinistra, causandogli altro dolore.
La donna
si inginocchiò, in modo da fissare Pitch negli occhi velati di sofferenza, e
gli prese il viso tra le mani - I tuoi vecchi Incubi mi hanno riferito
un’informazione davvero interessante. So che hai sigillato delle creature
incredibilmente potenti, molto tempo fa. Non sapevi cosa fossero. E avevi il
terrore di non poterle controllare. –
Lo
sguardo della donna si fece quasi dispiaciuto: probabilmente l’Uomo Nero non
era nemmeno più capace di ascoltarla. Ma non importava. Non aveva più la forza
di fare nulla.
Forse
nemmeno di esistere.
- Ti
ringrazio per averli lasciati dormire, Pitch Black. Saranno grandi alleati per
me. –
Gli
Incubi lasciarono andare Pitch, che cadde sulla pietra e vi rimase immobile, respirando
faticosamente. Era a malapena cosciente. Le ferite pulsavano dolorosamente, e
il sangue che sgorgava da esse gli stava sottraendo le ultime forze rimaste.
Era
finita.
Non
aveva nemmeno avuto la sua ultima soddisfazione.
Peccato…
Crysis
si alzò, senza distogliere lo sguardo dal ferito. – Il primo è qui, mi è stato detto. – sussurrò – Proprio a casa tua. Trovatelo. –
Ubbidendo
all’ordine, gli Incubi Grigi si trasformarono in fumo, disperdendosi in
direzioni differenti e lasciando la loro regina da sola.
Il
pavimento della caverna prese a tremare, e nelle ampie, alte pareti si
formarono lunghe crepe che rivelarono una gran quantità di passaggi segreti e
porte invisibili senza un esame attento.
Gli
incubi si dispersero per quei passaggi, esplorandoli alla ricerca di ciò che
cercava Crysis. Infine, un lungo urlo inumano proruppe dalle pareti, attirando
l’attenzione della donna.
Gli
Incubi avevano trovato qualcosa. Anche Crysis si dissolse, seguendo il richiamo
dei suoi mostri. Seguì le loro voci per due lunghi corridoi, fino ad arrivare
alla prigione sotterranea.
I suoi Incubi era tutti riuniti lì, ed alcuni
combattevano contro gli ibridi cane-lucertola a guardia della piccola,
polverosa porta di mogano. Crysis sorrise quando vide le gigantesche creature,
che pur avendo opposto una strenua resistenza, crollare e dissolversi,
abbattute dalla forza dei suoi seguaci.
Il
vincitori lanciarono altri ululati, avvicinandosi alla Regina, circondandola
come a chiedere un ringraziamento. Crysis li accarezzò, con un leggero sorriso
sulle labbra. Poi, accompagnata dalle creature, si avvicinò alla porticina di
mogano.
Non era
più intera e ben tenuta, né calda al tatto.
Era
fredda e marcia, distrutta da secoli di incuria e umidità, coi cardini prossimi
a staccarsi, tanto erano arrugginiti. Crysis la toccò, aprendola con una
semplice spinta. Si abbassò di quel poco necessario a non battere la testa
contro lo stipite ed entrò.
All’interno
si apriva una sala gigantesca. Non vi era nulla, a parte la parete opposta
all’entrata, completamente occupata da una lunghissima serie di luminosi glifi
concentrici, che si contorcevano a formare simboli sempre più grandi, come gli
anelli che segnavano l’età di un albero, ed illuminando il luogo con un
chiarore rossastro.
Sorrise,
avvicinando la mano alla parete. Era calda.
Pulsante di vita propria.
*
Il
terremoto che scuoteva la caverna era diventato talmente forte da staccare
alcune gabbie dal soffitto, che caddero con un fracasso assordante, scuotendo
finalmente Pitch dalla semi-incoscienza in cui era scivolato. Non fece troppa
fatica a capire cosa stava succedendo.
Sta crollando tutto.
Non era
sicuro di avere le forze di alzarsi. Aveva fallito nel ferire Discordia, ma in
compenso lei l’aveva ridotto in fin di vita.
Tuttavia,
il pensiero di morire lì, schiacciato dai massi che crollavano ovunque, non lo
allettava. Senza perdersi in altri pensieri, spostò lentamente le braccia
davanti a sé, e fece forza sulle spalle ferite, cercando di rialzarsi. Il
dolore minacciò di ritrascinarlo nuovamente nell’abisso dell’incoscienza, ma
non era il momento.
Doveva
andarsene da lì. E doveva farlo in fretta.
Si alzò
con uno sforzo eroico, e cercò un appoggio per avanzare più in fretta. Non ce
n’erano. Digrignò i denti, cercando di reprimere il dolore e costringere le
gambe a muoversi.
Non morirai qui. Non lo farai.
Non ti sei ancora vendicato.
In
lontananza, simile ad un’allucinazione uditiva, una folle risata femminile si
perse nel boato della caverna prossima a crollare.
*
Discordia
venne trascinata via dagli Incubi quasi contro la sua stessa volontà. La caverna,
il palazzo del Re Caduto le crollava
intorno, minacciando di schiacciarla sotto i pesanti massi, ma a lei non
importava.
Rideva.
Era una
sensazione talmente inebriante da farle girare la testa.
Alzò la
mano davanti a sé, la osservò e la strinse in un pugno, poi la distese. Sentiva
il potere agitarsi nelle sue vene, come a pregare di essere liberato, mentre il
boato della caverna che crollava veniva sostituito dal fischio gelido e
tagliente del vento notturno.
Non
riusciva a smettere di sorridere.
Il mondo era davvero suo, ora.
*
In
trecento anni, l’Uomo sulla Luna aveva parlato a Jack una sola volta.
Jack si
era sempre chiesto perché. Perché parlava così di rado. Forse era la paura di
interferire con il corso naturale degli eventi. Forse era una qualche legge
superiore. O forse, pensò, era semplicemente un tipo molto taciturno.
La
verità era per Jack un mistero.
Eppure,
quella notte, aveva la netta impressione che la Luna volesse dirgli qualcosa di
importante. Qualcosa che solo il giovane doveva sapere.
Jack si
era allontanato dal palazzo di North senza avvisare nessuno, e aveva seguito la
Luna per tutta la notte, come se quest’ultima avesse tracciato un percorso di
luce solo per lui, oscurando tutto il resto con grandi, spesse nubi.
Non era
sicuro di ciò che stava facendo. Ciò di cui era certo era che quella notte
avrebbe trovato qualcosa. Risposte a uno dei tanti misteri in cui i Guardiani
si erano imbattuti nell’ultimo periodo? Una persona che avrebbe aiutato lui e i
suoi amici? Un luogo speciale?
Non ne
era sicuro.
Non si
rese nemmeno conto di dove stava andando finché non riconobbe, in lontananza,
alcune case vicine ad un luogo a lui familiare. Sbarrò gli occhi, volgendo uno
sguardo incredulo alla Luna, per poi rivolgerlo nuovamente al paesaggio, alla
ricerca di quello strano, storto percorso di luce che la Luna aveva creato per
lui, deciso a seguirlo fino alla fine.
Lo portò
esattamente dove immaginava che arrivasse.
Osservò
il luogo dall’alto, incredulo dello spettacolo che gli si era parato davanti.
Sotto di
lui, un grande bosco si estendeva vicino ad un laghetto ghiacciato. Tuttavia,
ad un certo punto molti alberi erano stati divelti dalle loro radici, e alcuni
erano letteralmente sprofondati e inghiottiti dalla terra, che aveva formato
un’enorme depressione, devastando tutto ciò che era compreso nel suo raggio.
Jack non
poté credere ai suoi occhi, riconoscendo quello che un tempo era stato un
normale pezzo di bosco e che ospitava l’entrata di un luogo che conosceva bene
e detestava col cuore.
La caverna di Pitch era
completamente crollata.
-+-
ASDFGGHJL, altra
violenza. Però stavolta è il turno di Pitch di soffrire. Ho paura di averlo
ammazzato. (Pfft, ma anche no.) Non sono sicura di
come è uscito questo capitolo. Ho l’impressione che sia un po’ incasinato. (O forse devo soltanto smetterla di scrivere fino a
tardi.) Giuro che al prossimo tornerò a
toni più allegri. Lo farò. Sul serio.
Comunque, eccone un
altro. Voglio ringraziare tutti coloro che recensiscono, e coloro che mi seguono,
in particolare Chibis, MadAme_MadNess,
Iryael, Olguzzi e SweetWitch. Siete la benzina per
la mia ispirazione, sul serio. Quando leggo i vostri commenti, l’unica cosa che
riesco a pensare è ‘Non perdiamo tempo, mettiamoci a scrivere!’ sul serio. Siete
voi a mandare avanti la storia, non io. Per niente. 8D
E a proposito, vorrei
anche lasciare una piccola immagine che la bravissima Lombaxlover ha disegnato: un’immagine
della mia OC June (che penso di ripescare nei prossimi capitoli.)
Capitolo 9 *** Un prigioniero di guerra e troppi pensieri ***
IX: Un prigioniero
di guerra e troppi pensieri
- Che… disastro… - Jack non riuscì a
pronunciare altro.
Sotto di
lui, la depressione formatasi dal crollo della caverna di Pitch si estendeva
per diverse centinaia di metri quadri, ampliandosi a formare una figura
allungata, simile ad alla mastodontica impronta lasciata da una creatura
gigantesca.
La parte
di bosco sprofondata era percorsa da una gran quantità di fratture molto
larghe, che avevano inghiottito una gran quantità di alberi. Molti erano stati
spezzati come ramoscelli e rivoltati completamente fino a mostrare le radici,
mentre altri erano stati seppelliti da tonnellate di terra, oppure trascinati
via dalla loro posizione originale e lasciati a pendere sull’orlo dei baratri
formati dalle crepe, prossimi a cadere dentro di essi.
Jack
rimase a fissare quello scenario per diversi minuti, sconcertato. Continuando a
guardarsi intorno, scese lentamente, attento a non fare il minimo rumore. Aveva
la sensazione che, se avesse anche solo fiatato, altra terra sarebbe crollata aumentando
i danni.
I piedi
nudi del giovane sfiorarono appena il terreno e i massi sparsi in giro, mentre
Jack continuava ad osservare il disastro che ora lo circondava: da quella
posizione l’avvallamento sembrava ancora più grande. Jack intravide alcuni
pilastri spezzati spuntare dalle crepe, ed immaginò che, qualunque cosa vi
fosse sotto, qualunque mistero, o segreto, o arma Pitch aveva nascosto in
quella caverna, ora era persa per sempre, seppellita nelle profondità della
terra.
A quel
pensiero il ragazzo si fermò, quasi trattenendo il fiato.
Misteri, armi, segreti.
Poco più
di una settimana addietro, Jack era entrato di soppiatto proprio nella caverna
dell’Uomo Nero assieme a Dentolina, alla ricerca di quei misteri, di quelle
armi che credeva vi fossero nascoste, con l’unico risultato di esserne fuggito inseguito
da quegli strani Incubi che vivevano nascosti nella prigione sotterranea,
mentre tutto gli crollava intorno…
Jack
abbassò lo sguardo a terra, mentre sentiva lo stomaco stingersi in un nodo.
Dopo la
sua fuga, l’entrata gli era sembrata stranamente intera, il terreno intorno
stranamente solido, ma non era sceso di nuovo giù a controllare. Non si era
minimamente preoccupato dei danni che aveva causato con la sua incursione.
Deglutì,
alzando di nuovo lo sguardo e osservando di nuovo la depressione in cui si
trovava.
È colpa mia?...
L’Uomo
sulla Luna l’aveva condotto fin lì per questo? Per mostrargli l’entità dei
danni che può causare l’incoscienza di certe azioni? Magari per convincerlo a
pensarci due volte la prossima volta che decideva di fare qualcosa di avventato?
Jack
scosse la testa. No, non può essere
si disse. Ci doveva essere dell’altro. Doveva
esserci.
Con i
piedi sollevati a pochi centimetri da terra, il giovane sorvolò tutto il
perimetro della depressione, alla ricerca di qualcosa di diverso da terra,
rocce, alberi divelti, pilastri rotti e radi pezzi di metallo deformato.
Infine,
a metà del suo giro, nel punto in cui la depressione era meno profonda e la
terra sembrava essersi semplicemente staccata dalla posizione originaria per crollare
in basso, notò qualcosa.
Un’ombra.
Non
sapeva se era causata semplicemente dall’oscurità notturna, o dalla strana
angolazione che la depressione aveva assunto in quel punto, oppure da uno
strano gioco di luce, ma si avvicinò piano, in guardia. La Luna splendeva alta
quella notte, e la luce diffusa era sufficientemente intensa da illuminare
anche gli angoli più storti ed oscuri.
Quell’ombra,
così scura in quel punto, gli sembrava sospetta.
Jack
scese a terra, ed avanzò più piano che poteva. I pochi, radi sassolini e i
rametti mescolati alla terra sembravano fare un rumore terribile, sotto i suoi
piedi.
Tuttavia,
nell’oscurità di quell’angolo, nulla si mosse.
Quando
arrivò sufficientemente vicino da poterla toccare allungò la mano, scoprendo
qualcosa di solido.
Quell’ombra era solida.
Jack si
avvicinò ancora, poggiandovi entrambe le mani, esaminandola: aveva un aspetto
granuloso, come se fosse fatta di sabbia, e il riverbero dei minuscoli granelli
le donavano un debole luccichio, ma al tatto sembrava seta.
La
riconosceva. Era una delle ombre di Pitch.
Che significa? Jack venne colto da un terribile
presentimento e, guidato da esso, si appoggiò all’ombra e vi schiacciò contro
il naso, nella speranza di vedere qualcosa oltre essa.
All’inizio
non vide assolutamente nulla.
Poi,
l’ombra si assottigliò lentamente, fino a lasciar passare un po’ di luce, quel
poco sufficiente da permettere a Jack di vedere oltre essa.
La zona
protetta era profonda circa tre metri e all'esterno era quasi del tutto
seppellita da terra e detriti. Racchiudeva uno spazio vuoto, circolare.
E lì,
sulla pietra nuda, appoggiata alla parete di pietra e seminascosta dal buio, si
intravedeva una figura accasciata.
Jack
sentì il nodo allo stomaco stringersi in modo doloroso. La riconosceva.
- PITCH! – urlò. Artigliò con le dita lo
scudo d’ombra, sentendo il panico salire, inesorabile.
Era tutta colpa sua, lo sapeva. Tutto quel che era successo era colpa sua.
Devo aiutarlo!
Alzò un
pugno, talmente stretto da sentire le unghie affondare nella pelle, e lo
abbatté sullo scudo: - PITCH! – gridò più forte.
L’altro
non reagì. Jack non riusciva a capire cosa gli era successo esattamente. Il
buio era troppo fitto per vedere in che condizioni era.
Era
svenuto? Ferito? Morto?
Il
ragazzo, spaventato, si staccò dallo scudo, impugnò il bastone e lo puntò
dritto contro l’ombra solida. Doveva tirarlo fuori da lì.
Sparò un
raggio congelante contro lo scudo d’ombra, che venne completamente ricoperto da
un sottile strato di ghiaccio. Esattamente come aveva fatto con la lastra che
copriva il passaggio segreto scoperto nella ormai crollata dimora dell’Uomo
Nero, ruppe lo scudo reso fragile dal ghiaccio col bastone e si calò dentro.
I raggi
lunari non arrivavano al fondo, tuttavia il buco creato da Jack permise alla
luce diretta di entrare, diffondendo un vago chiarore azzurrognolo tra le
pareti nere ed illuminando un poco
l’ambiente.
Jack
atterrò silenziosamente sulla pietra fredda. Si accorse che era umida e
stranamente viscida sotto i suoi
piedi.
- Pitch!
–
L’uomo
era steso su un fianco, a poca distanza da lui. Si era cinto la vita con un
braccio, mentre l’altro era abbandonato a pochi centimetri dal volto. Entrambe
le mani, e con esse il viso, erano sporche di una strana sostanza scura.
Il
giovane si avvicinò e si inginocchiò accanto all’Uomo Nero, scuotendolo
leggermente.
Nessuna
reazione.
Jack
notò che aveva le spalle bagnate, e il tessuto della tunica era squarciato in
diversi punti, lasciando la pelle scoperta, anch’essa sporca della strana
sostanza nerastra. Frost alzò la mano con cui l’aveva toccato e l’annusò.
Aveva un
odore penetrante, metallico.
Sangue.
No!
- Pitch!
Svegliati! Sono io, Jack! – il giovane lo scosse più forte. Non poteva
crederci. Non era possibile.
L’ho ucciso? L’ho davvero
ucciso?!
- DIMMI
CHE NON SEI MORTO! –
All’improvviso,
il ferito sussultò, e aprì lentamente gli occhi appannati. Jack sospirò di
sollievo.
-
Pitch!... –
L’altro
emise un sospiro spezzato.
–
Mancavi… solo tu… - rantolò, appena
udibile, piegando leggermente le dita della mano libera. Jack quasi non lo
ascoltò: il sollievo di vederlo ancora vivo e cosciente era immenso. Tutto
resto non importava.
-
Ascolta… adesso ti porto via di qua ok? Andrà tutto bene… ti rimetteremo a
posto, capito?... – disse Jack, cercando di rassicurarlo. In verità, non era
nemmeno certo se era necessario. Sembrava che a Pitch non importasse
assolutamente nulla di cosa Jack stesse per fare di lui.
L’Uomo
Nero si limitò a richiudere gli occhi, emettendo un altro respiro, più debole
del primo.
- Ah…
ok… - continuò Jack. Si rialzò appena, tirando fuori dalla tasca della felpa
una piccola sfera di cristallo. Era una delle palle di neve che North usava per
teletrasportarsi da un luogo all’altro: l’aveva rubata dalla sua scrivania poco
prima di partire, pensando che magari sarebbe tornata utile.
Non ne
aveva mai usata una.
Jack
agitò con mani tremanti l’oggetto di vetro: - Palazzo di North. – scandì.
Nel
paesaggio innevato racchiuso dalla sferetta di cristallo si formò il luogo
familiare. Jack mise la palla a terra, e la lasciò rotolare: dopo circa un
metro e mezzo, con un esplosione di sola luce si formò il portale, mostrando il
paesaggio innevato del Polo Nord con il palazzo ben visibile, poco lontano.
Il
ragazzo rivolse nuovamente lo sguardo verso Pitch, e alla nuova luce si rese
finalmente conto delle sue reali condizioni: i –numerosi- punti in cui la
tunica dell’uomo era tagliata e strappata rivelava delle ferite profonde,
alcune larghe diversi centimetri, e il sangue fuoriuscito aveva macchiato di
rosso scuro sia i vestiti che buona parte del pavimento.
Oh no.
Jack si chinò nuovamente su Pitch e, cercando
di muoverlo il meno possibile, gli fece passare un braccio sopra il suo collo e
gli cinse la vita, sollevandolo. Era più leggero di quello che pensava.
-
Resisti! I soccorsi stanno arrivando! –
E, con
quello, attraversò il portale.
*
La
giornata di North non era iniziata nel migliore dei modi.
Già
all’alba si era ritrovato con dei fastidiosi grattacapi di cui occuparsi: in
uno dei depositi della fabbrica alcuni barattoli di vernice destinati alla
colorazione dei giocattoli erano misteriosamente esplosi. Non avevano fatto
vittime, ma diversi elfi si erano ritrovati con i vestiti improvvisamente zuppi
e tinti di color malva misto a giallo canarino invece del solito rosso scuro,
ed erano scappati in preda al panico fuori dal deposito, lasciando una scia di
impronte colorate dietro di sé ed aumentando di conseguenza i danni.
North
aveva accuratamente evitato di chiedersi come ciò potesse essere successo e per
mano di chi, ed aveva ordinato ad un gruppetto di yeti di ripulire il disastro.
A
peggiorare l’inizio di giornata, aveva scoperto che Jack era sparito. Non aveva
lasciato né messaggi né biglietti. North sapeva che non c’era ragione di
preoccuparsi: il giovane Guardiano aveva l’abitudine di andarsene senza mai
dire dove o perché, facendo delle sue improvvise e spesso prolungate sparizioni
una norma, inoltre sapeva benissimo badare a sé stesso.
Eppure
North era preoccupato.
Aveva la
netta impressione che stava per succedere qualcosa di grosso, quella mattina.
E che,
forse, era meglio se il ragazzo fosse rimasto a palazzo.
La
conferma ai suoi sospetti arrivò prima di quanto si aspettasse.
Dopo
l’incidente dei barattoli, North optò per un lungo giro di controllo della
fabbrica, in cui tenne d’occhio le puntute teste scampanellanti degli elfi che
correvano più o meno indaffarati nelle direzioni più svariate, spesso
ostacolando il lavoro degli yeti, per assicurarsi che i piccoli aiutanti
combinaguai non causassero più danni dello stretto necessario per quel giorno.
Dopo il
giro, decise infine di tornare in ufficio quando proprio un gruppo di yeti lo
rincorse per fermarsi a poca distanza da lui, parlando tutti insieme,
agitatissimi.
Sulle
prime, alla vista di quei musi pelosi storti dallo spavento e dallo sconcerto,
pensò che gli elfi avevano combinato un guaio ancora più grosso di quello dei
barattoli. Ma infine, tra mozziconi di frasi quasi urlate e gesti agitatissimi,
colse il punto della questione.
- …Jack Frost! –
- …e ha sconfitto Pitch… ! –
- L’ha portato qui! –
- …A palazzo! …A palazzo!? –
North
corrugò la fronte, fissando incredulo gli yeti: - Cosa…? – ma non ebbe il tempo
di dire altro.
- North…
- disse una voce incerta. Gli yeti si spostarono, e fissarono le due figure
dietro di loro. Anche North spalancò gli occhi alla scena che gli si parò
davanti.
Jack era
a pochi passi dietro il gruppetto, seguito da altri tre yeti armati di lance
che lo fissavano guardinghi e sospettosi. Galleggiava a pochi centimetri da
terra, curvo sotto il peso del corpo esanime che trasportava.
North
rimase a bocca aperta nel riconoscerlo.
Era Pitch
Black, privo di sensi, ferito.
North,
incapace di dire alcunché di fronte a quell’inatteso spettacolo, spostò
nuovamente lo sguardo incredulo sul giovane Spirito del Gelo: quest’ultimo aveva
un’espressione da cucciolo spaventato, ma North non riuscì a capire se era per le
pietose condizioni in cui versava il peso morto che il giovane sembrava
trattenere a viva forza dal cadere a terra o per gli sguardi di spavento e
orrore frammisti a sospetto con cui gli yeti lo fissavano.
Qualunque
era la verità, non era quello il momento per perdersi in tentennamenti.
North
attraversò deciso il gruppo di yeti e si chinò sul giovane, prendendo Pitch fra
le braccia. Gli bastò un’occhiata per constatare le condizioni in cui versava: era
bianco come un cencio, impolverato e sporco di sangue. Aveva numerosi tagli e
ferite su tutto il corpo, molte delle quali sembravano molto profonde. Jack non
gli aveva fatto nessuna fasciatura per fermare almeno parte delle emorragie, ma
a quel punto non importava.
Ci
avrebbe pensato North.
- Vanya. Shura. – chiamò. Due yeti
del gruppetto, uno dal pelo acciaio e l’altro color caramello sbiadito, si
fecero avanti e guardarono North interrogativi.
-
Preparate l’infermeria. E una stanza, avremo degli ospiti in più per un po’. – i
due yeti guardarono North sconcertati, prima di abbassare gli sguardi su Pitch.
Persino
Jack non fece fatica a capire cosa pensavano: è impazzito. Ma North non sembrava in vena di discutere.
-
Muovetevi. – ordinò, cupo – E voialtri, tornate al lavoro. –
Vanya e Shura
si allontanarono di corsa, diretti verso un’ala laterale dell’edificio, mentre
il gruppetto restante, compresi gli yeti armati, si allontanò lentamente, senza
smettere di lanciare occhiate furtive ai tre.
Infine,
North posò uno sguardo preoccupato anche su Jack, esaminando anche lui:
nonostante il pallore e l’aria spaventata, sembrava illeso.
- Fai
meglio a cambiarti, ragazzo. – disse, voltandosi nella stessa direzione
intrapresa dai due yeti Vanya e Shura
- …E buttare via quei vestiti. Non credo che quel sangue se ne andrà via così
facilmente, anche se li lavi. –
Jack
abbassò lo sguardo su di sé: la felpa azzurra che indossava, che con tanta
fatica aveva reso simile alla precedente –resa irreparabile dopo lo scontro con
Pitch e il suo esercito di Incubi- era macchiata in diversi punti di rosso
scuro, e il fianco sinistro era completamente zuppo. Anche i pantaloni erano
macchiati, anche se in minor misura. Mani e piedi non erano da meno.
- Oh…
accidenti. –
*
North
non si fece rivedere per il resto della giornata.
Jack era
riuscito a recuperare una vecchia camicia e un paio di jeans neri decisamente
troppo larghi per lui come ricambio, promettendosi di andare più tardi alla
ricerca di qualcosa della sua misura –e di suo gusto.
Tuttavia,
per quel giorno rimase al palazzo di North, nascondendosi da possibili
compagnie. Si rifugiò in una delle soffitte, in cui tutto era coperto da uno
spesso strato di polvere e aveva l’aspetto di non aver avuto visite da secoli.
Non c’erano fonti di luce, a parte una piccola finestrella sporca, da cui i
raggi di luna penetravano per illuminare la polvere che danzava a pochi
centimetri dal suolo, lenta.
Jack non
sapeva come comportarsi.
Non
sapeva cosa pensare.
Gli
avvenimenti delle ultime ore l’avevano lasciato confuso. Confuso, e con un
terribile senso di colpa che pesava sullo stomaco come un macigno.
Ricordava
ancora la sua incursione nella caverna di Pitch. Ricordava la strana porticina
di mogano, e della corsa al cardiopalma fatta per sfuggire agli Incubi che
montavano la guardia in quella prigione, mentre tutto gli crollava intorno.
La sua
intenzione originaria era stata quella di penetrare nella base del nemico,
silenzioso ed invisibile come un’ombra, scoprire i suoi piani, e poi andare via
lasciando tutto com’era.
Invece
era entrato, aveva causato dei gran danni, ed era fuggito senza ottenere nulla.
Nulla, a
parte rischiare di ritrovarsi con una morte sulla coscienza.
Eppure…
Aveva anche l’impressione che non era tutto lì.
Che
mancava qualcosa.
Ma non
sapeva cosa.
Uno
scricchiolio distolse lo Spirito del Gelo dai suoi pensieri. Si voltò in tempo
per vedere North che si affacciava sorridente dalla botola che fungeva da
entrata alla soffitta.
- Ah,
eccoti qua! – disse, salendo e chiudendo goffamente la porticina dietro di sé.
Jack notò che aveva un vassoio con una teiera fumante, due grosse tazze bianche
e un minuscolo piatto con dei biscotti impilati uno sull’altro in una torre
traballante.
- Ti ho
cercato dappertutto… credevo che fossi sparito di nuovo! –
- Oh,
scusami. – disse Jack a mezza voce. North posò il vassoio davanti al giovane e
gli si sedette accanto. Per almeno un minuto nessuno dei due parlò. Infine, North
decise di iniziare la conversazione.
- Pitch
si riprenderà. Beh, conciato com’era credo che rimarrà fuori gioco per qualche
giorno. Ma ha una pellaccia resistente, sono sicuro che tenterà di fuggire di
soppiatto abbastanza presto. Hai fatto bene a portarlo qui, stavo giusto
pensando a qualche domandina a cui potrebbe rispondere. –
Sorrise,
aspettandosi di vedere Jack sorridere a sua volta.
Ma il
giovane non aveva alzato lo sguardo, che era rimasto ostinatamente fissato sulle
tazze del vassoio. Aveva un’espressione stranamente cupa sul volto.
- Vuoi
del tè? – azzardò Babbo Natale, inclinando un poco la testa.
- Sono
stato un idiota. – disse Jack all’improvviso. North alzò un sopracciglio. Da
dove veniva quell’accusa?
- Un
idiota a fare cosa, esattamente? – chiese. Jack per un po’ non rispose.
- Ti… ti
ricordi di quando mi hai rimproverato per essere entrato nella caverna di Pitch?
– chiese con enfasi. North fece finta di ricordare.
-
Abbastanza. In effetti, quel gesto era stato abbastanza idiota, c’è poco da dire. Come mai tiri fuori un argomento del
genere, Jack? – era sinceramente curioso: non riusciva a spiegarsi il
collegamento mentale del giovane. Ma il ragazzo lo fissò per un istante con
aria quasi sconcertata, come se l’altro non comprendesse qualcosa di ovvio e
chiaro come il sole. Frost abbassò nuovamente lo sguardo, cercando di trovare
le parole.
- Ecco…
è la caverna. Quando io e Dentolina siamo usciti, quella volta, abbiamo fatto
dei danni, ma non abbiamo controllato quanti e quanto gravi. L’ho scoperto
stanotte. E-era crollata. Ho tirato fuori Pitch dalle macerie. Dev’essere
rimasto là sotto per un sacco di tempo. È
colpa mia se è rimasto ferito. –
North
inclinò leggermente la testa, continuando ad osservare il giovane, il cui
sguardo era rimasto ostinatamente fissato sulle tazze di ceramica per tutta la
durata della conversazione. North trovava strano vederlo così.
Sospirò,
poi allungò la mano verso la teiera e versò il tè ormai tiepido nelle due
tazze, e ne porse una al ragazzo.
- Non so
quanto la cosa ti possa interessare Jack, ma se il crollo della caverna può
essere stata colpa tua, le ferite di Pitch non lo sono. –
Jack
spalancò gli occhi e fissò North, prendendo la tazza in mano: - Che vuoi dire?
–
-
Esattamente quello che ho detto. – sorrise North – Che se Pitch è rimasto
ferito, beh, quella non è colpa tua. –
- Ma
allora di… di chi? – chiese Jack, ancora incredulo. Cosa significava?
- Le sue
erano ferite da aggressione. Tagli,
per la maggioranza. Ti risparmio i dettagli. Qualunque cosa ha affrontato, era
decisamente più forte e più armata di lui, e forse anche in numero nettamente
superiore. Se fosse rimasto ferito dal crollo, beh… non ne sarebbe uscito vivo,
tutto qui. Nemmeno con il tuo aiuto. –
Jack
continuò a fissare North con occhi sbarrati. Pitch era stato aggredito… ma da
chi? Perché? Abbassò lo sguardo e rimase a fissare il liquido ambrato nella
tazza, mentre quest’ultimo si raffreddava rapidamente nelle sue mani.
- Ovviamente
mi domando chi sia stato. Comunque, non capisco una cosa... – continuò North,
accarezzandosi i folti baffi bianchi e riflettendo: - …Perché sei andato da Pitch? –
La
domanda pungolò Jack come un ago. Ecco che emergeva un’altra delle ragioni per
cui si sentiva tanto confuso.
- Non lo
so. – disse, sincero. – Io… credevo che l’Uomo sulla Luna volesse indicarmi
qualcosa. – interessato com’era al tè ormai congelato nella sua tazza, Jack non
vide North spalancare gli occhi e ritrarsi leggermente, incredulo.
- Non ne
sono sicuro, forse era solo una mia impressione. È che… aveva creato una specie
di strada, con la sua luce. Tutto era coperto da enormi nubi, e solo un pezzo
di terra era illuminato. Sembrava quasi una strada, che partiva dal palazzo e
andava… beh, avevo deciso di scoprirlo. – sollevò di nuovo lo sguardo – E mi
sono ritrovato di fronte alla caverna, completamente crollata. –
A quel
punto North distolse lo sguardo, e fissò la parete di fronte a lui. Il
pavimento era illuminato dalla luce lunare proveniente dalla finestrella. I
raggi dell’astro sembravano più potenti che mai.
La
rivelazione di Jack aveva del sensazionale. Pitch aveva forse un ruolo più
importante di quello che tutti credevano negli avvenimenti che avevano
sconvolto il mondo dei Guardiani?
Era
qualcosa di più di un nemico?
- Manny…
- mormorò tra sé.
- North?
– Jack fissò l’altro, interrogativo. North si riscosse e saltò improvvisamente
in piedi, mascherando la vaga preoccupazione frammista a speranza con
un’espressione di entusiasmo un po’ forzato.
- Se è
l’Uomo sulla Luna che ti ha guidato, significa che siamo sulla buona strada.
Dobbiamo parlare agli altri di ciò che è successo. Sono sicuro che presto
avremo delle risposte. –
Jack
sorrise di fronte a quell’entusiasmo: non sapeva esattamente perché, ma si
sentiva improvvisamente sollevato.
*
Ci
vollero tre giorni per riunire i tre restanti Guardiani al palazzo di North.
Babbo
Natale aveva accuratamente evitato di riunire tutti all’istante con l’Aurora
Boreale, temendo che dopo il falso allarme gli altri avrebbero smesso di
prendere la chiamata d’emergenza sul serio e di conseguenza ignorarla nel
momento di vera necessità. In fondo erano tutti occupati col loro lavoro non
meno di North, e ogni interruzione non portava altro che ritardi e, di
conseguenza, problemi e molto fastidio.
Inoltre,
Pitch non si era ancora ripreso, quindi non avrebbero avuto la possibilità di
interrogarlo come North sperava.
North aveva
deciso di prendere le cose con calma: spiegare tutto nei particolari senza
causare panico e fraintendimenti e, soprattutto, pianificare insieme le
prossime mosse. Tuttavia, le cose non andarono lisce come aveva sperato.
- Tu. Stai. Scherzando. –il commento di
Calmoniglio, sommato alla sua espressione scettica e le sue braccia incrociate,
parlava chiaro e per tutti.
Anche
Dentolina e Sandman, anch’essi riuniti nell’ingombro ufficio di North, entrambi
a pochi passi dal Coniglietto di Pasqua, fissavano North con un’espressione
cupa. Apparentemente, le spiegazioni e le ipotesi di Babbo Natale sul
salvataggio di Pitch e la sua probabile utilità nella guerra contro le tenebre
non soddisfacevano nessuno.
- La tua
idea è una stupidaggine. Non hai fatto altro che guarire un nemico e lasciarlo nella tua dimora, libero di andarsene dove gli pare. Hai
la più pallida idea di cosa potrà mai fare adesso?! Magari se l’è fatto apposta
per entrare qua indisturbato, e dalla porta principale! –
North
corrugò la fronte a quelle parole: non ci credeva. Non si era spiegato bene o
era Calmoniglio che non si rendeva conto di quello che stava dicendo?
-
Rischiare di morire soltanto per spiare le nostre mosse da una posizione comoda?
Stai scherzando? –
- Stiamo
parlando di Pitch! –
-
Appunto! –
- E’ imprevedibile! –
- E non stupido come tu credi. – ribatté North,
sentendo montare l’irritazione. Comprendeva appieno la rabbia di Calmoniglio,
così come il tacito dissenso di Dentolina e di Sandy. Ma davvero i tre erano
così maldisposti nei confronti dell’Uomo Nero, al punto da non voler nemmeno ascoltare?
- Tu sei
troppo buono. – sibilò il coniglio – E
questo è il tuo peggior difetto. Ti
impegni così tanto nel cercare del bene nei cuori più marci da non vedere che
spesso non ce n’è affatto! –
La
stoccata offese North nel profondo, ma l’uomo si sforzò di incassare il colpo
senza mostrarsi offeso. E, soprattutto, di non ribattere con i pugni. Chiuse
gli occhi, sospirando, alla silenziosa ricerca di un argomento convincente.
Jack,
accanto a lui, non aveva ancora aperto bocca. L’espressione abbattuta di due
giorni prima era di nuovo sul suo viso, e sembrava più giù che mai. Avrebbe
voluto intervenire nella discussione che stava lentamente scivolando nel
litigio e chiarire le cose una volta per tutte, ma non sapeva nemmeno con quali
parole.
Gli era
sembrato tutto straordinariamente chiaro, due giorni prima.
Ora,
dopo le accuse rabbiose di Calmoniglio, tutto era tornato ad essere un confuso
groviglio su cui il senso di colpa dominava indisturbato.
- E poi
non capisco quest’ultima stupidaggine, - continuò Calmoniglio, ignorando
l’esasperazione di North: - Cosa
accidenti c’entra l’Uomo sulla Luna? –
A quella
frase lo Spirito del Gelo rialzò lo sguardo, che vagò agitato tra i quattro
Guardiani, come a voler parlare senza aprire bocca. Tuttavia, solo Sandy notò
la sua improvvisa agitazione. Il Custode dei Sogni, che era il più in disparte
del gruppo, corrugò la fronte fissando il giovane di sottecchi, incuriosito
dallo strano comportamento di quest’ultimo.
-
C’entra. – disse North con tono calmo. Si era reso conto che non era necessario
trattenersi. Se Calmoniglio aveva intenzione di fare lo stupido, Babbo Natale
avrebbe reagito trattandolo da tale. – C’entra, perché ha indicato a Jack la
via verso la dimora di Pitch, e di conseguenza gli ha salvato la vita. E se hai
ancora intenzione di sostenere la tua opinione insinuando che Manny potrebbe
essere dalla parte di Pitch, allora… - alzò il pugno destro, e lo piazzò a
pochi centimetri dal muso del Coniglietto di Pasqua - …credo proprio che ti
farò cambiare idea con le cattive maniere.
-
Calmoniglio,
spiazzato dalla ben poco celata minaccia, allontanò il muso dal pugno alzato, e
fissò North con gli occhi sbarrati. E, ancor più della minaccia, era
l’informazione a lasciarlo senza parole.
- Vuoi
dire che Pitch… l’Uomo sulla Luna… Jack… - il coniglio, ammutolito, abbassò lo
sguardo sul giovane, imitato da Dentolina e da Sandy, gli unici che non avevano
ancora proferito parola. Tuttavia, i loro sguardi erano incredibilmente
eloquenti in quel momento. Fissavano il giovane con qualcosa a metà fra
l’incredulità e il sospetto.
Jack
desiderò poter tornare invisibile, almeno per quell’istante. Aveva la netta
impressione che tutto, in quel momento, fosse profondamente sbagliato. Di aver
frainteso tutto, e di aver combinato un disastro.
- Non so
se l’Uomo sulla Luna ci dirà altro, né so se lo farà presto o meno. – continuò
North, calmo – Ma ora abbiamo Pitch, e so che si rivelerà un’ottima fonte di
informazioni. E ovviamente farò in modo che non ci danneggi, né che scappi.
Abbiamo solo fatto un passo in avanti, statene certi. –
Calmoniglio
sbuffò ed incrociò nuovamente le braccia, esasperato dall’ottimismo di Babbo
Natale.
- Hah.
Se lo dici tu. –
*
Buio.
Buio, e
un piacevole calore.
Pitch
aveva perso la nozione del tempo, lasciandosi avvolgere da quelle uniche due
sensazioni. Non ricordava come mai si trovava avvolto in quell’oscurità, non
gliene importava particolarmente.
Si
sentiva bene, e non aveva fretta di lasciare quel posto, ovunque fosse. Ma,
apparentemente, la sua coscienza la pensava diversamente.
A quel
buio e a quel calore si era lentamente aggiunto il dolore. Un dolore sordo, pulsante, che non accennava a cessare e
richiamava altre sensazioni.
Era fastidioso.
Stava emergendo
fuori da quel buio diretto verso una fioca luce, e non riusciva a tornare
indietro, per quanto lo desiderasse.
Infine,
il buio venne definitivamente sostituito dalla penombra. E con essa, il tatto.
Pitch
curvò lentamente le dita della mano, scoprendo di toccare del tessuto. Tessuto
morbido ed abbondante, che lo avvolgeva completamente, simile a una coperta.
Aprì
lentamente gli occhi, solo per richiuderli immediatamente con un grugnito di
dolore.
La luce
era accecante, talmente forte da
causargli una fitta di dolore alla testa.
L’Uomo
Nero alzò lentamente un braccio, accorgendosi che gli faceva male anche quello,
e si compresse le tempie con due dita, con gli occhi chiusi. Il dolore diminuì un
poco.
Azzardò
a riaprire gli occhi. La luce era ancora troppo chiara e la vista leggermente
sfocata, ma gli permise di vedere qualcosa.
Una
parete, completamente bianca. E, al lati della sua visuale, due strane
parrucche spettinate.
Cosa…?
Batté
gli occhi un paio di volte, e la vista si fece un po’ più nitida. Si accorse
che le parrucche, oltre ad essere spettinate e di colori davvero strani per
essere delle parrucche –una color acciaio, l’altra caramello sbiadito- avevano
anche delle grosse striature chiare simili a baffi.
E poco
sopra i baffi, nascosto da quelle che somigliavano a folte sopracciglia pelose, uno strano luccichio segnalava la presenza di
quelli che sembravano piccoli, eloquenti occhi
chiari che ricambiavano con sguardi minacciosi.
Pitch
ebbe appena il tempo di formulare il pensiero ‘che strano’
che il suo cervello, ancora dolorante, riuscì ad elaborare tutte le
informazioni raccolte in quei pochi secondi di veglia e presentare una
risposta.
Yeti. Armati di grosse, pesanti lance
dall’aria letale.
Pitch
rimase immobile, impietrito. Perché era circondato da yeti, per di più armati?
Inoltre
quel luogo, così chiaro e caldo, non somigliava affatto alla sua caverna.
Dove mi trovo? Pensò, ancora immobile. Non
ricordava cos’era successo esattamente: il suo ultimo ricordo era il volto
pallido di Crysis che gli sorrideva beffarda, e poi il frastuono della caverna
che crollava. Il resto era momentaneamente avvolto in una fitta nebbia grigia
che non riusciva a dissipare.
…Come ci sono finito qua?
Lo yeti grigio,
constatando che Pitch era sveglio, distolse lo sguardo astioso e si rivolse al
suo simile color caramello, comunicandogli qualcosa nella lingua degli yeti.
L’altro si limitò a grugnire ed allontanarsi dalla visuale di Pitch, che lo
seguì con lo sguardo. Lo yeti si allontanò verso una porta di legno dai caldi
riflessi rossastri, riccamente decorata da complesse figure geometriche, che
aprì e richiuse immediatamente dietro di se.
Pitch
osservò attentamente quelle figure intagliate nel bel legno scuro. Erano stranamente
familiari, ma non riusciva a
ricordare perché. Sentiva il cervello lavorare a ritmo troppo lento per la
situazione in cui si era risvegliato.
Poi,
dopo pochi minuti, una grossa voce dal tono allegro risuonò oltre la porta,
sempre più vicina.
- Ah,
non ti preoccupare, Calmoniglio. Te l’ho detto, non andrà da nessuna parte. E poi conciato com’è,
sfido il contrario! – rise.
Pitch
sbarrò gli occhi alzandosi di poco, atterrito. Quella voce la riconosceva. E
quell’accento russo era fin troppo
familiare.
La porta
si spalancò con un tonfo, e un grosso omone con una lunga e folta barba bianca
entrò a passo pesante e con un espressione allegra sul volto.
North.
Era
seguito da un Calmoniglio dall’espressione tetra ed irritata sul muso, e da
Sandy, il cui broncio non prometteva niente di buono. A chiudere la fila,
Dentolina e Jack, la prima con un’espressione insieme decisa e minacciosa, e il
secondo alquanto abbacchiato.
Pitch,
alla vista di tutti i Guardiani riuniti nella stanza, si rizzò improvvisamente
a sedere, ritraendosi. Tutti i muscoli protestarono al movimento improvviso con
delle fitte atroci e un capogiro lo colse, offuscandogli del tutto la vista, ma
il malore momentaneo non impedì Pitch di bloccarsi fissando gli avversari,
immobile e guardingo come un come un topo di fronte a un gatto.
Oh. No.
Con
quella combriccola riunita di fronte a lui, Pitch non ebbe più dubbi su dove si
trovava.
Il palazzo di North. In fondo, c’era una sola dimora
di Guardiano in cui le porte erano di legno scuro, intagliate con quei motivi
geometrici così particolari.
- Ah,
ben svegliato Pitch! – esclamò North affabile – Riposato bene? –
-
Splendidamente. – rispose Pitch, freddo. Non aveva ancora idea del perché si
trovava lì, ma era certo di una cosa: era nei guai. Doveva trovare un modo di
andarsene da lì, e in fretta. Tuttavia, la confusione e la sensazione di avere
il cervello che lavorava al rallentatore gli impediva di pensare lucidamente e
in fretta come sperava.
Doveva
temporeggiare, distrarre i cinque.
- …Cos’è
questo, un comitato di benvenuto? – chiese, sospettoso, con lo sguardo che
saettava da un viso all’altro. Nei pochi secondi in cui si era concentrato
soltanto su North, Calmoniglio aveva cambiato espressione, passando da cupo e
minaccioso a qualcosa di indecifrabile. Sembrava congestionato, poi un angolo
della sua bocca salì leggermente verso l’alto, a formare uno strano ghigno
storto che mise l’Uomo Nero sul chi vive.
Anche
Sandman e Dentolina avevano cambiato espressione. Il primo si era limitato a
sorridere con espressione saputa, la seconda aveva leggermente strabuzzato gli
occhi. Anche Jack non era da meno: aveva corrugato le sopracciglia, con la
bocca leggermente aperta in un espressione di incredula sorpresa.
- Oh,
diciamo di si. Anche se, in verità, oltre a quello siamo qui perché vorremmo
farti qualche domandina, a cui
speriamo tu risponda... – l’omone intrecciò distrattamente le dita delle mani,
come a sottolineare la sua intenzione – E speriamo tutti che non ci negherai la
tua collaborazione, visto che ti abbiamo aiutato.
E poi, in caso contrario ricorreremo a modi meno gentili… -
- Aiutato…?
- nonostante la minaccia ben più che evidente di North, Pitch non riuscì a
prestargli la dovuta attenzione.
A
distrarlo erano le espressioni facciali degli altri Guardiani.
Lo
fissavano come un fenomeno da baraccone.
- Si può
sapere cosa avete da guardare? –
Pitch fece appena in tempo a completare la frase che Calmoniglio, con un
grugnito che aveva ben poco di serio, scoppiò fragorosamente a ridere,
piegandosi in due e aggrappandosi al maglione di North per non cadere.
- Cosa
accidenti… - Pitch lo guardò scivolare lentamente verso terra, sconcertato,
mentre il coniglio continuava sguaiatamente a ridere senza riuscire a
riprendere fiato. North sembrava imbarazzato.
- Hai
parlato di metodi estremi… - ansimò Calmoniglio, asciugandosi gli occhi, senza
riuscire a smettere - …però questo supera tutte
le mie aspettative! –
Babbo
Natale si passò una mano sulla nuca, lanciando una strana occhiata all’Uomo
Nero: - Beh , non è di quello che parlavo… - Si interruppe, rivolto al coniglio
- E poi non c’entra niente! Ci sarà anche un buon riscaldamento a casa mia, ma,
ehm… -
Pitch
lanciò un occhiata anche a Sandy, Jack e Dentolina. La fata si era coperta la
bocca soffocando una risatina, mentre il sorriso del Custode dei Sogni si era
allargato ulteriormente, assumendo una vaga espressione di compassione. Solo
Jack non aveva cambiato espressione, anche se il suo sconcerto era più evidente
che mai.
Guidato
da un’orribile presentimento, abbassò lo sguardo su di sé.
Non
indossava più la sua tunica nera.
Al suo
posto c’era un vecchio, largo maglione di lana spelacchiata, di un rosso
acceso, decorato da bianche renne stilizzate.
Inoltre,
indossava un paio di pantaloni larghi, dello stesso tessuto e colore.
Fuori
dalla sua visuale Calmoniglio scoppiò nuovamente a ridere accompagnato da
Dentolina, che nonostante gli sforzi non riuscì a trattenere una risatina
leggermente isterica.
Pitch non
osò rialzare lo sguardo, mentre sentiva il volto scaldarsi in maniera molto
fastidiosa.
- Beh,
mi dispiace, Pitch. – disse North, cercando di limitare i danni accampando
quella che alle orecchie dell’Uomo Nero suonò come una scusa ben poco credibile
– E’ che, nelle condizioni in cui sei, se non ti metti qualcosa di pesante
rischi di prenderti un bel malanno. E sarebbe molto peggio. –
Pitch
preferì non rispondere, lo sguardo ancora fisso sull’orrore di lana che stava
indossando.
Non
poteva esserci niente di peggiore di quello.
Assolutamente
niente.
-+-
Oh, mi arrendo *FLIPTABLE*
Confuso Jack è confuso.
Gli altri sono
semplicemente molto arrabbiati. E credo
che North abbia trovato un modo veramente subdolo e malvagio per vendicarsi(??)
COS’HO CHE NON VA ARGH.
Comunque, se qualcuno
ha da obiettare riguardo al periodo di tempo sorprendentemente breve che Pitch
ha impiegato per riprendersi, sappiate che ho la mia scusa. Voglio dire, stiamo
parlando dei Guardiani, no? Gente che può far uso di magia, o comunque metodi
di guarigione davvero efficaci. Solo che le ferite di Pitch si riveleranno una
vera rogna in futuro, questo posso già dirlo. In fondo, gliele ha fatte Crysis.
Ho. Ho.
Okkei, forse è meglio che sparisca ora. GHEH. SCUSATEMI!
Capitolo 10 *** In cui non si arriva ad una conclusione ***
Ugghh, questo capitolo è orribile, lo so. *si nasconde
sotto la scrivania*
X: In cui non si
arriva ad una conclusione
- …Che
cosa è questa roba? –
La voce
di Pitch tremò appena quando l’uomo rialzò lo sguardo verso i cinque Guardiani.
Sentiva il volto bruciargli per la vergogna.
Calmoniglio
smise di ridere, anche se un largo ghigno beffardo continuò ad aleggiargli sul
muso. Si portò una zampa al mento, facendo finta di riflettere, osservando
l’Uomo Nero con finta serietà:- Ad occhio e croce, somiglia ad un bel maglioncino natalizio. – lo pungolò,
divertito – che c’è, non ne hai mai indossato
uno? -
Nonostante
la provocazione, Pitch non degnò al coniglio più di un’occhiata torva.
Continuò
a fissare North con sguardo omicida. Di tutti i colpi bassi che si sarebbe mai
potuto immaginare da parte dei Guardiani, quello tiratogli da North era
assolutamente il peggiore.
- Cosa.
Cavolo. È. Questa. Roba. – ripeté, ringhiante, lo sguardo ancora fisso
sull’uomo. L’altro corrugò la fronte, con un’espressione tutt’altro che
divertita: - Un… maglione di lana? – chiese, con un tono vagamente preoccupato.
Alle
orecchie di Pitch, tuttavia, quel tono stranamente apprensivo suonò come
un’ulteriore presa in giro.
- TU… - ringhiò,
alzandosi dal letto. Il cambiamento di posizione gli causò altre fitte di
dolore, che si concentrarono con particolare intensità sulle gambe e sulla
schiena, accompagnate da un capogiro ancora più forte, che lo costrinse a
cercare a tentoni la testata del letto su cui si era risvegliato ed
appoggiarvisi per impedirsi di cadere.
- Anzi…
tutti voi! – disse, sentendosi già
mancare il fiato. – A che gioco state giocando?... Che volete da me!? – tacque all’improvviso, inspirando e stringendo
la presa sul legno della testata. La vista gli si era offuscata nuovamente, e
aveva l’impressione che anche l’equilibrio gli stesse tirando qualche strano
scherzo, dandogli l’impressione di essere prossimo a cadere.
- Pitch…
- North azzardò un passo verso il ferito: era sinceramente preoccupato per lui.
Già al risveglio non aveva una bella cera, e dopo la sfuriata era impallidito
di parecchio.
- NON MI
TOCCARE! – l’Uomo Nero evocò un pugno della sua sabbia nera, che si trasformò
in una lunga lama che puntò contro North.
Alla
minaccia improvvisa, gli altri reagirono: Calmoniglio estrasse il boomerang,
pronto a lanciarlo alla prima mossa falsa di Pitch, Dentolina scattò in avanti,
e le sue mani si ricoprirono di magia crepitante dai vaghi riflessi rosati, e
persino Jack gli puntò contro il bastone, pronto a colpire con il suo potere
congelante.
Infine, Sandman
si portò davanti all’Uomo Nero, interponendosi tra North e la lama di sabbia.
Con un
vago sorriso divertito sul volto paffuto, Sandy mimò ‘no, no’ con l’indice della piccola mano, e sfiorò la lama.
La
sabbia mutò rapidamente colore, passando dal nero dell’incubo all’oro lucente
del sogno, dissolvendo l’arma.
Quando
la sabbia dorata sfiorò le sue dita, Pitch lasciò la presa ritraendo il braccio
e il nuovo, piccolo sogno fluttuò fra le mani di Sandman, che sorrise
soddisfatto. Pitch guardò il neoformato sogno avvolgersi su se stesso in
eleganti volute nelle mani del Custode, fino ad assumere la forma di un gattino
con un grosso nastro al collo, che miagolò silenzioso. Dentolina,
all’allontanarsi di Sandy col gattino, si fece avanti: - Ti consiglio di non
provarci, Pitch. – disse, seria – Non avresti la meglio. –
-
Esattamente. – aggiunse Calmoniglio, abbandonando la sua posizione d’attacco: -
Ovviamente, se vuoi farti dell’altro male non hai che da dirlo. Ti assicuro che
saremo tutti molto felici di accontentarti.
– ghignò.
Pitch
alzò nuovamente lo sguardo, che corse di nuovo per i volti dei cinque
Guardiani.
I suoi nemici.
All’improvviso,
si rese conto che avevano ragione.
Non aveva la forza di combatterli, non nelle condizioni in cui si trovava in
quel momento. Sentiva dolore solo a stare in piedi, figurarsi se avrebbe
tentato di dar battaglia contro i cinque. Gliel’avrebbero fatta pagare con gli
interessi, quello era poco ma sicuro.
Per
quanto gli facesse male ammetterlo, era del tutto indifeso, ed era nelle loro
mani.
Inoltre,
pensò, che ragione precisa aveva per
opporsi?
Pitch
sospirò stancamente e, reggendosi ancora alla testata, si risedette lentamente
sul letto con una smorfia.
- …Cosa
volete da me? – chiese, col tono più calmo che riuscì a trovare. Non era sicuro
di come comportarsi, ma di una cosa era certo: si trovava in una posizione
davvero spinosa, e doveva trovare il modo di uscirne, possibilmente illeso.
O
perlomeno, non più dolorante di quanto lo era già.
North corrugò
la fronte: non si era aspettato un atteggiamento così docile. Ma, pensò, era
quasi sicuramente una facciata.
-
Vogliamo soltanto farti delle domande. – disse – E, soprattutto, vogliamo delle
risposte sincere. Vogliamo sapere che
cosa stai combinando nell’ombra, Pitch. –
L’Uomo Nero
inarcò un sopracciglio, lo sguardo fisso su North.
Tutto questo per un interrogatorio. Di bene in meglio pensò, sarcastico.
- E
perché dovrei rispondervi? –
- Forse
perché altrimenti potresti finire con qualche frattura ossea? – si intromise nuovamente il coniglio. Pitch gli
rivolse uno sguardo astioso, ma non fu l’unico: anche i restanti quattro
Guardiani, tra cui soprattutto North, lo fissarono con un’aria po’ incerta.
- Calmoniglio… - Intervenne North, posando uno
sguardo di rimprovero sul Guardiano. L’altro distolse lo sguardo dall’Uomo
Nero, posandone uno serio su North.
- No,
North. È meglio mettere le carte in tavola, e subito. – si giustificò, calmo –
Non credo che con lui ci siano metodi più efficaci.
–
- North
ti ha curato. – continuò,
avvicinandosi a Pitch, fino a ritrovarsi con il muso a pochi centimetri dal
viso dell’altro – E, conciato com’eri, si può tranquillamente dire che ti ha salvato la vita, e che faresti bene a
ricambiare. Ma, conoscendoti, di questo dettaglio non t’importerà nulla, perciò
ti consiglio di cominciare a preoccuparti della situazione in cui ti sei adesso. Sei in trappola, non puoi
combattere né difenderti, e non te ne andrai finché noi non lo vorremo. Comincia a farti venire in mente tutte le
informazioni che possiedi, perché tirarle fuori con la forza non sarà piacevole, Black. –
Pitch,
rimasto impassibile di fronte a quelle minacce, non rispose. Si limitò a
fissare Calmoniglio in silenzio, con il migliore dei suoi sguardi torvi.
No, si disse, la situazione non può essere peggiore.
Sospirò,
cercando di prepararsi mentalmente alla tempesta che già intravedeva. Sentiva ancora
il cervello in pappa. Raccontare qualunque informazione i Guardiani volessero
sentire non sarebbe stata una passeggiata.
- Bene.
– disse, simulando un tono annoiato, e inclinando di poco la testa. – A quanto
pare non ho molta scelta, eh? –
Sandman,
che si era ritirato al fianco di North e stava ancora giocando con il gattino
di sabbia, strinse gli occhi, studiando Pitch. Era certo che avrebbe mentito, o
comunque raccontato qualcosa che li avrebbe messi sulla strada sbagliata.
E
Sandman era molto bravo a capire quando qualcuno mentiva.
- Bene…
- disse North, intrecciando le dita delle mani con fare nervoso. Non gli
piaceva l’aria tesa che si era creata tutto d’un tratto. Non era quello che
voleva. Inoltre anche Pitch, nonostante la situazione di svantaggio in cui si
trovava, sembrava sul piede di guerra, e la cosa lo metteva ancor più a
disagio.
Solo che
era troppo tardi per ritrattare.
- Come
ho detto prima… vogliamo sapere cosa stai facendo, Pitch. E, ancor più di
quello, vogliamo tanto sapere chi ti ha aiutato.
– sottolineò deciso l’ultima frase - Quella donna dai capelli grigi, chi era? –
Pitch
distolse lo sguardo, prendendosi qualche istante per ragionare. La spessa
nebbia che offuscava i suoi ricordi degli avvenimenti recenti si era in parte
dissipata quasi senza che l’Uomo Nero se ne fosse accorto, anche se aveva
lasciato alcuni dettagli un po’ offuscati.
Ma una
cosa, la più recente, era rimasta impressa nella sua memoria come un marchio a
fuoco.
So che hai sigillato delle
creature incredibilmente potenti, molto tempo fa. Non sapevi cosa fossero. E
avevi il terrore di non poterle controllare.
Crysis
aveva scoperto qualcosa che Pitch avrebbe preferito lasciare nascosta,
dimenticata da tutti.
Le
Creature Senza Nome.
I sigilli.
Aveva
abbastanza potere da liberare quei mostri. Mostri che nemmeno il Re degli
Incubi, al culmine del suo potere, era riuscito a schiacciare, né sottomettere.
- Si
chiama Crysis. – disse lentamente Pitch – E non so chi sia esattamente. È uno
Spirito che non ho mai visto in giro prima, probabilmente è molto giovane.
Anche se non posso negare che sia molto potente, abbastanza da assumere il
controllo dei miei Incubi quando questi si sono rivoltati contro di me. –
rialzò di nuovo lo sguardo, e notò una serie di piccoli cenni di disagio da
parte degli altri, immediatamente celati da una vaga rigidità ed espressioni
intimidatorie.
In
fondo, il tradimento degli Incubi era proprio colpa dei Guardiani. Privando
Pitch dei suoi poteri, l’avevano reso incapace di tenere sotto controllo quelle
creature.
-
Sembrava intenzionata a dare il via ad una nuova epoca di terrore. Da quanto mi
è parso di capire, voleva far rivivere i Tempi Bui, inoltre era capace di
rendere più forti i miei Incubi. – l’Uomo Nero sorrise: - E’ per questo che
avevo deciso di allearmi con lei, nonostante tutto. –
Crysis
era indubbiamente un’alleata perfetta. Un’alleata potente.
Forse troppo potente.
North
annuì. Tuttavia aveva ancora un’espressione dubbiosa, la stessa dipinta sui
volti degli altri: - Un alleato perfetto, tutto sommato. Ma allora dimmi,
perché l’hai uccisa? – L’interrogato
tacque. A North parve di scorgere uno strano lampo nei suoi occhi.
Qualcosa
che sembrava rabbia.
Perché lei sta uccidendo me pensò Pitch.
Si trattenne dall’alzare la mano e sfiorare la
strana ferita sul volto: il dolore costante che causava era ormai diventato
un’abitudine per lui. Un abitudine ed un insulto.
Ma quello era un dettaglio, sebbene tutt’altro che irrilevante, che preferì
tenersi per sé.
-
Eravamo in disaccordo su troppe cose. E stava diventando troppo potente per i
miei gusti. – mentì, senza guardare nessun volto in particolare. Sandy notò lo
sguardo di Pitch, e strinse gli occhi, studiandolo.
Uno. Annotò mentalmente.
- E comunque,
non è morta. Apparentemente, la mia
freccia non era abbastanza da farla sparire da questo mondo. E si è vendicata,
come vedete. – allargò appena le braccia, sentendo altre fitte di dolore
attraversargli i bicipiti e le spalle. Ci stava facendo l’abitudine, ormai.
Jack, dal
suo angolo, sgranò gli occhi all’affermazione. Ecco chi è stato pensò. Ecco chi aveva ridotto l’Uomo Nero in fin
di vita. Crysis doveva essere incredibilmente potente, per essere capace di
sopravvivere a qualcosa che aveva ucciso Sandy,
e tornare così in fretta per vendicarsi.
E riuscirci.
- Troppo potente, eh? – disse Calmoniglio
con un sorrisino.
-
Troppo. – ripeté Pitch, posando uno sguardo serio sul coniglio – Inoltre, ha
trovato altri alleati, decisamente più utili per i suoi gusti. Dei mostri. –
- Che
tipo di mostri? –
- Non lo
so. – mentì Pitch. Non aveva senso rivelargli tutta la storia delle Creature
Senza Nome. I Guardiani non avrebbero mai avuto abbastanza potere per
affrontarli con successo, né distruggerli. Non esisteva nessun metodo efficace.
Niente
era più potente della Paura. Né gioia, né meraviglia, né speranza, né sogni.
E
laddove la Paura aveva fallito, non c’erano soluzioni alternative. Non c’era
via d’uscita.
Inoltre,
Pitch sentiva che era qualcosa di cui doveva occuparsi da solo.
- Non lo
sai? Oh davvero? – insisté Calmoniglio con un tono nervoso: - Non è che per
caso non te lo ricordi? Ricordi
quello che ti ho detto all’inizio? –
-
Calmoniglio! – intervenne North. Pitch alzò gli occhi al cielo: - Ho una buona
memoria, a differenza di te, sacco di
pulci. Se una cosa non la so, non la so. Vuoi che me la inventi? –
Sandy
continuava ad osservare, in disparte. Dall’inizio dell’interrogatorio non aveva
distolto lo sguardo dall’Uomo Nero, dai suoi gesti, dalle sue espressioni
nemmeno per un istante.
Due. Si disse.
Calmoniglio
ridusse gli occhi chiari a due fessure minacciose. Aveva l’impressione che
Pitch lo pregasse per un giro di
botte. E gli prudevano le zampe dalla voglia di accontentarlo.
North,
sentendo la tensione crescere, si schiarì la gola.
- Bene,
ehm… Calmoniglio, lascia perdere per
adesso. - disse, attirando l’attenzione sia del coniglio che dell’Uomo Nero
su di sé. Calmoniglio sbuffò, allontanandosi di pochi passi. North annuì.
C’erano
altre informazioni di cui i Guardiani avevano bisogno.
- C’è un
ultima cosa che abbiamo bisogno di sapere… - Babbo Natale frugò nelle tasche
dei pantaloni, estraendone un sacchetto e versandone il contenuto nella mano:
era uno dei Sogni Pallidi di Sandy. North mostrò la sabbia a Pitch.
- Sai
cos’è? –
Pitch
alzò un sopracciglio, lanciando a North un occhiata scettica: - Sabbia? -
- E’ uno
dei Sogni di Sandman. – lo corresse North – E’ stato ridotto così da una
Maledizione della Penombra, e vogliamo sapere se l’hai posta tu. Se puoi
spezzarla. –
Lo sguardo
di Pitch corse dalla sabbia a North. Pitch non seppe se era il caso di mettersi
a ridere dell’ingenuità della domanda o meno, perché la risposta, per lui, era
fin troppo ovvia. Preferì evitare.
-
Conosco le Maledizioni della Penombra, North. Non possono essere spezzate da
nessuno all’infuori di chi le ha poste. E io
non ne ho poste. – disse, senza distogliere lo sguardo: - Probabilmente è stata
Crysis. –
North
corrugò la fronte, dubbioso. – Bene… -
Rimise
la sabbia nel sacchetto, che chiuse e rimise in tasca.
- Bene.
– ripeté con un sorriso: - Suppongo che, per adesso, tu non abbia nient’altro
da dirci. –
Attese
una possibile risposta dall’Uomo Nero, ma quest’ultimo si limitò a fissarlo con
astio.
-
Allora… per ora noi ce ne andiamo. –
Pitch
osservò tutti i cinque Guardiani, e con essi i due Yeti armati, voltarsi ed
uscire lentamente dalla stanza, non senza prima fermarsi almeno per un istante e
lanciare a Pitch occhiate cariche di vari gradi di avversione e sospetto. North
fu l’ultimo ad uscire.
- Ah, e
un ultima cosa… - disse, con la mano sulla maniglia della porta – Temo che
rimarrai con noi per un po’. Se hai bisogno di qualcosa, o se hai qualcos’altro
da raccontarci riguardo Crysis… non hai che da chiedere di me
agli Yeti qua fuori. Per il resto… buon riposo. –
E chiuse
la porta.
Pitch
rimase immobile per qualche istante, intento a raccogliere le risposte e le
domande date e fatte durante quella conversazione e riordinarle.
Alla
fine non aveva raccontato tutto, né i Guardiani gli avevano chiesto tutto. Ora
sapevano soltanto che c’era un altro nemico, più forte dell’Uomo Nero, anche se
con gli stessi scopi.
Un
nemico con nuovi alleati.
Alleati
perfettamente capaci di schiacciare i Guardiani.
Perfettamente capaci di
schiacciare il mondo intero sotto i loro artigli.
Esattamente
come lo era stato Pitch e i suoi Incubi molto, troppo tempo fa.
L’Uomo
Nero scosse appena la testa, distogliendo l’attenzione da quei pensieri di
secondaria importanza.
Basta. Non è questo il momento.
Te ne devi andare da qui.
Doveva
approfittare dell’occasione finché c’era. Finché era solo, finché i Guardiani
conservavano un minimo di riguardo nei suoi confronti. Pitch immaginava che non
ci erano andati pesante durante l’interrogatorio solo a causa delle sue
condizioni. Ma, era sicuro, l’avrebbero interrogato di nuovo in futuro, e
allora parlare non sarebbe stata una passeggiata, anzi.
Era una
cosa che preferiva evitare.
Con una
smorfia di dolore, sfidando l’ennesimo capogiro, si rialzò lentamente dal letto
e si diresse a passi incerti verso la porta.
Sapeva
già che c’erano degli Yeti di guardia fuori dalla porta, ma voleva controllare
lo stato della stessa.
C’era
quasi sicuramente un Incantesimo di Imprigionamento o una barriera molto
potente ad impedirgli l’uscita, ne era certo. Voleva scoprire in cosa
consistesse esattamente.
Si
avvicinò con circospezione alla bella porta di mogano intarsiato, ed allungò
lentamente una mano. Non riuscì nemmeno a sfiorare il legno dello stipite.
Una
sferzata di dolore, simile ad una scossa elettrica gli attraversò il braccio,
costringendo Pitch a ritirarlo con uno scatto che gli causò altro dolore,
provocato dalle ferite. Con un sibilo, Pitch indietreggiò di qualche passo,
stringendosi al petto la mano e il braccio dolorante, osservando con attenzione
la porta. Nell’istante impiegato ad allontanarsi aveva notato con la coda dell’occhio
uno strano scintillio. Non osò allungare di nuovo la mano, ma rimase immobile
ad esaminare la porta, concentrandosi sullo scintillio intravisto, cercando di
capire quale tipo di incantesimo la bloccava.
Poi, voltò
lo sguardo verso la finestra, stringendo gli occhi con una smorfia di dolore.
Il
pensiero di controllarla non lo sfiorò nemmeno: probabilmente era protetta
anch’essa dallo stesso incantesimo. Oltre i piccoli vetri si intravedeva un
immenso paesaggio bianco e azzurro, al cui confine cielo e neve si fondevano in
un’unica cosa, illuminati dal sole, la cui luce si rifletteva sulla neve ed
accecava l’Uomo Nero.
Tsk.
Con
passo un po’ zoppicante, Pitch si avvicinò alla finestra e tirò le lunghe tende
rosso scuro, ricamate di verde smeraldo. La penombra calò improvvisa nella
camera, dando un po’ di sollievo ai suoi occhi.
Pitch
sospirò stancamente, prima di tornare a sedersi sul letto. Appoggiò i gomiti
alle ginocchia e si nascose il volto fra le mani, sentendo le ferite sulla
schiena tendere in maniera molto dolorosa, riflettendo.
Era,
almeno per il momento, in trappola, in balia dei suoi nemici.
Nemici
da cui doveva fuggire, altrimenti le cose si sarebbero messe molto male per
lui.
All’improvviso
sentì tutta la sua decisione scivolare via con le sue ultime forze, come se
qualcuno gliel’avesse lavata via.
Si
massaggiò le tempie, sentendo il dolore alla testa tornare, più forte di prima.
Forse è meglio riposarsi, per il
momento si
disse.
Non riesci neanche a mettere due
pensieri in fila.
Forse
poteva negarlo a chiunque altro, ma non riuscì a negarlo a se stesso.
Si
sentiva un rottame.
*
Ha mentito.
North
osservò la piccola stringa di figure di sabbia formate da Sandy, per poi
concentrarsi sulla sua espressione incupita e annuire.
- Lo so,
Sandy. Immagino anche che non ci abbia detto tutto. –
- Allora
perché non gli hai chiesto altro? – intervenne Dentolina, infilandosi nella
conversazione – Perché non hai lasciato fare a Calmoniglio? – aggiunse, lanciando
un’occhiata al Guardiano, che annuì.
- Alla
fine, abbiamo soltanto perso tempo. –
La
conclusione di Calmoniglio era arrivata puntuale e insoddisfatta, esattamente
come North se l’era aspettata.
Apparentemente
nessuno dei Guardiani aveva apprezzato il trattamento di favore che North
sembrava aver riservato a Pitch, anche se il Coniglietto di Pasqua era stato
l’unico ad ammetterlo. Jack era rimasto rigorosamente in silenzio per tutto il
tempo. Sembrava stranamente isolato.
-
Dovevamo torchiarlo. Dovevi lasciarmi fare. È il minimo che si merita, dopo
tutto quello che ha fatto passare a noi.
–
North
non poté negare che Calmoniglio aveva ragione, ma non poté nemmeno negare a se
stesso che non aveva il coraggio di alzare le mani su un ferito.
Anche se
il ferito in questione era Pitch.
- Non
capisco cosa ti mette fretta, Calmoniglio. –
- E io
non capisco cosa ti passa per quella testa, North! Gli stiamo solo dando tempo. Tempo per recuperare, metter su
una bella storiella, magari anche strappalacrime, e addio verità! Continueremo a brancolare nel buio mentre quella… quella Crysis combina chissà quali disastri in
giro per il mondo! –
- Bene!
– sbottò North esasperato, e alzò un braccio nella direzione dai cui erano
venuti: - Se non ti vanno bene i miei metodi, allora vai tu a interrogarlo! –
Calmoniglio,
soddisfatto della vittoria, arricciò il labbro superiore e si voltò, diretto
verso la camera dell’Uomo Nero.
Un
istante dopo, la mano di North gli artigliò la custodia del boomerang
allacciata sulla schiena con una presa ferrea, bloccandolo sul posto con uno
strattone.
- Hey! –
- Cambiato idea. – borbottò North deciso,
attirandosi gli sguardi di sconcerto di tutti. – Pitch è mio prigioniero, e
nessuno lo tocca finché non lo decido io. –
Il
Coniglietto di Pasqua, che in quel momento stava seriamente considerando l’idea
di liberarsi con un colpo di arti marziali ed approfittarne per rinculcare un
po’ di buonsenso in North con una zampata, abbandonò il proposito e sbuffò.
- Tu sei
fuori di testa, North. –
*
A
giornata terminata, i Guardiani si erano lasciati in rapporti piuttosto tesi.
Calmoniglio
fu il primo ad andarsene, furioso con North perché non gli aveva permesso di
continuare l’interrogatorio. Sia Dentolina che Sandman lo seguirono da lì a
poco, limitandosi a riservare a North quelle che sembravano essere le loro
migliori occhiate di rimprovero. Anche Jack era sparito, di nuovo.
North li
capiva benissimo, ma sentiva che usare le maniere forti non avrebbe funzionato,
anzi: forse avrebbe avuto addirittura un effetto controproducente.
Probabilmente, pensò North, gli altri, arrabbiati com’erano, semplicemente non
se ne rendevano conto.
North
conosceva Pitch molto bene.
Sapeva
che il Re degli Incubi era testardo oltre ogni limite. Se non voleva parlare,
non aveva senso cercare di costringerlo. Avrebbe continuato a tacere, avrebbe
mentito, avrebbe tentato di guadagnare tempo, ma non avrebbe parlato. Infierire
non avrebbe avuto alcun senso. Si poteva solo tentare di convincerlo, anche se North non sapeva con quali argomenti.
Inoltre,
c’erano due cose che lo bloccavano. Due dubbi, due tarli che lo consumavano, tanto ci pensava sopra.
Il
primo, era il conflitto fra Pitch e
quella misteriosa donna, Crysis.
Pitch
non era stupido. Sapeva come ingannare il prossimo, come corrompere chi era più
potente di lui, renderlo lentamente sempre più fragile, fino a farlo crollare
come un castello di carte al minimo tocco della sua mano, e schiacciarlo sotto
il proprio piede fino a renderlo incapace di rialzarsi, annientandolo per
sempre. Per Pitch, doveva essere quello il destino di Crysis.
Eppure aveva cercato di ucciderla
quando lui era più debole, e lei al massimo dei suo potere.
Perché?
Quale motivazione si nascondeva dietro un’azione così avventata?
Un’azione
a dir poco folle, agli occhi di
North.
Non
riusciva a darsi una risposta che avesse senso, ma sperava.
In cosa, non lo sapeva nemmeno lui.
Il
secondo dubbio riguardava Jack. E, ancor più del ragazzo, le indicazioni
ricevute dall’Uomo sulla Luna.
Manny
non salva nessuno che non abbia un’utilità per il mondo, che non lo possa
rendere migliore. E Pitch, che in secoli di vita non aveva mai fatto altro che
distruggere e terrorizzare, spezzare i sogni più belli ed uccidere le più
grandi speranze, che utilità poteva mai avere?
North
abbassò lo sguardo sul pavimento, concentrandosi su quell’ultimo pensiero.
Alla
fine era tornato nel suo ufficio. Lì, circondato da giocattoli costruiti con le
sue stesse mani e piccoli trenini di ghiaccio magico, che non si scioglieva
nonostante la temperatura superiore allo zero, riusciva a pensare meglio.
Ancora
immerso nelle sue riflessioni, North alzò lo sguardo verso la grande finestra,
scrutando la notte buia oltre i vetri.
La Luna
crescente si vedeva bene da lì, e i suoi raggi argentati danzavano luminosi tra
la polvere e le cristalline trasparenze dei trenini di ghiaccio e illuminavano
il piccolo, ingombro, accogliente ufficio di Babbo Natale.
- Dimmi
amico mio… come può l’oscurità e la paura aiutarci a proteggere i bambini? –
North
non ottenne alcuna risposta. Solo il silenzio, mescolato al vago scricchiolio
degli scaffali ingombri e del pavimento di legno, mescolati ai deboli suoni prodotti
dai giocattoli incantati.
La Luna
rimase lì, immobile e silenziosa.
All’improvviso,
mescolato agli scricchiolii e ai rumorini, in sincronia con i piccoli, danzanti
giochi di luce dei raggi lunari, a North parve di udire qualcosa di nuovo.
Somigliava
a una fioca risatina, sincera e gentile.
Come un invito a trovare la
risposta giusta da solo.
-+-
*Esce da sotto la scrivania e, ancora giustamente
titubante, continua il commento*
Credo che North si immagini le cose. O forse è
l’Uomo sulla Luna che comunica con la telepatia. Probabilmente
quest’ultima.
E Pitch è davvero una zucca di legno a volte. E Jack
è ancora in modalità emo.
(Tranquille, si riprenderà <3)
Okay, mi sento una cacca ad aver scritto questo
capitolo. Per scusarmi (?), vi farò un po’ di spam(?!) di altre avventure che
seguo sporadicamente qui e là. Non in ordine:
L’altra
faccia della Luna di NatyMcQueen[Le 5 Leggende]: Alexia è una
ragazza sfortunata, odiata dalla madre, e ogni notte rimpiange la scomparsa del
padre. Questo finché una notte non scappa di casa. Finché i Guardiani non
scoprono che lei è molto più di una semplice umana. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1496627&i=1
)
Scontro
di Destini di MadAme_MadNess[Lupin
III]: Maria Bienbella, una giovane appena licenziata
dall’hotel di New York in cui lavorava, si ritrova coinvolta in una rapina.
Curiosamente, finisce con l’aiutare i ladri, permettendogli di fuggire proprio
quando stavano per essere catturati. Questa piccola, azzardata scelta le
cambierà per sempre la vita. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1498548&i=1
)
Fool's Revenge
di Danielle_Lady of Blue Roses
[Le 5 Leggende]: Gli elfi di North saranno anche buoni e carini, ma sono anche
dei combinaguai capaci di causare disastri di portata epica. Ed è proprio
questo loro talento per i guai che spinge Karol, la moglie di North, a piantare
in asso il marito ed andarsene. E, ovviamente, non è finita lì. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1551727
)
Neve
e inchiostro di Lombaxlover [Le 5 Leggende]: Jack
è stanco. In trecento anni di solitudine, il primo a credere veramente in lui è
stato Pitch. E se decidesse di lasciar perdere, di lasciare che le candide
notti di neve si tingano del colore della Paura? (http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1558417
)
Door
to Fastoon - L'Impero, i Ribelli e la Creatrice
di Iryael [Ratchet&Clank/spin-off della mia storia Endless Empire]: Silver è una ragazza che passa la sua
estate tra scarabocchi, videogiochi e internet. Questo finché, il giorno del
suo diciottesimo compleanno, qualcuno non decide di farle uno scherzetto e di catapultarla
nel suo stesso universo immaginario. Si ritroverà nel bel mezzo di una guerra
segreta fra Ribelli ed Imperiali, e la posta in gioco sarà ben più alta di quel
che immagina. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=815141&i=1
)
Per ora non me ne vengono in mente altre.
Eventualmente, farò un altro po’ di spam nei prossimi capitoli, si siU_____U
Nei
quattro giorni seguenti la distruzione della dimora del Re degli Incubi, Crysis
era riuscita a spezzare altri due sigilli.
Gli
incantesimi che imprigionavano gli Incubi Grigi nelle loro antiche gabbie
richiesero molta energia a Discordia, energia ampiamente ripagata dalle
Creature che liberava.
Una
volta svincolati dal loro giogo, quegli esseri diventavano un tutt’uno con
Discordia, donandole la loro forza, i loro poteri, le loro conoscenze e i loro
ricordi.
Ricordi
di prigionia.
Una
prigionia secolare, a volte millenaria.
E
gridavano. La donna sentiva le loro voci lamentose sospirare, sussurrare, a
volte urlare, incessanti come le onde del mare.
Gridavano
di rabbia e di odio.
Volevano
annientare tutto ciò che si sarebbe parato sul loro cammino.
Discordia
sapeva che c’erano migliaia di quei sigilli, sparsi per tutto il territorio un
tempo occupato dagli antichi regni dell’Età dell’Oro.
Le
costellazioni e i pianeti che poteva osservare da quel minuscolo granello di
sabbia che era la Terra erano solo una piccola parte di quegli immensi
territori. Quante Creature senza Nome dormivano, intrappolate nei sigilli di
Pitch? Quanti di quei prigionieri aspettavano il giorno in cui la loro gabbia
sarebbe stata finalmente aperta, per poter divorare tutto ciò che si trovava al
suo esterno?
Discordia
non lo sapeva, ma non le importava. Prima o poi, li avrebbe liberati tutti. Li
avrebbe lasciati fare, gli avrebbe permesso di trascinare il tutto nel niente.
Gli
Incubi di Pitch le avevano definite Creature Senza Nome, ma Crysis si era
presto resa conto che non poteva esserci definizione più sbagliata.
Quegli
esseri un nome ce l’avevano. Anzi, ne avevano molti.
Il nome era l’ultima traccia della loro
passata esistenza. Perché loro erano
stati qualcosa prima di tramutarsi in ciò che erano attualmente. Avevano avuto
una vita, un identità, avevano fatto delle scelte.
Avevano
avuto un’anima. Anima che col tempo
si era persa, lasciandosi dietro tutto il resto.
E, sopra
a tutto ciò che era rimasto, avevano lasciato che le loro emozioni continuassero a vagare.
Ed erano
emozioni estreme, più durature e più potenti di qualsiasi Incantesimo. Emozioni
negative, rimaste a marcire sulla terra, a vagare senza meta, infettando con la
loro energia tutto ciò che incontravano.
Ecco
cos’erano quegli esseri.
Erano energia negativa.
Anche
gli Incubi di Pitch erano fatti di emozioni. Emozioni anch’esse negative,
originariamente nate per artigliare come un arpione chi le provava e
trascinarlo verso la luce, rendendolo
incapace di sopportare l’oscurità che lo minacciava. La Paura del Re degli
Incubi era nata come un sentimento costruttivo.
Ma, per qualche ragione, quella
paura positiva aveva cominciato lentamente a marcire, contaminata dall’odio.
E ciò che era nato per spingere
verso la vita, si era trasformato in un artiglio the trascina verso la morte.
Un
artiglio che bloccava sul posto, impedendo ogni fuga, occludendo ogni via
d’uscita.
Non lasciando scampo.
Per
questo gli Incubi avevano abbandonato il loro Re, ed erano venuti da lei. Il
marcio dentro di loro aveva fiutato uno spirito più affine, qualcuno capace di
renderli completi.
Capace di tingerli dell’Oscurità
più totale, quando ancora oscillavano tra buio e luce.
Gli
Incubi di Pitch le avevano riferito la posizione del quarto sigillo. Si trovava
lontano da lì, nel nord dell’Inghilterra.
Discordia
si era affrettata a raggiungere il luogo esatto, ansiosa di liberare un'altra Creatura.
Gli
Incubi l’avevano guidata fin nei pressi di una foresta. Era una zona selvaggia,
senza la più vaga traccia di civiltà, eccezion fatta per un antico castello in
rovina, il cui profilo diroccato si stagliava su una collina, in lontananza, simile
ad un dente spezzato.
Crysis
inspirò l’aria gelida e pungente e osservò attentamente i grandi alberi che si
stagliavano di fronte a lei.
Erano
altissimi, perlopiù conifere, e i loro rami, vestiti del candore della neve,
erano talmente fitti da impedire il passaggio dei raggi solari.
Quel
giorno, tuttavia, non c’era nessuna luce da oscurare. Il cielo era grigio,
percorso com’era da grandi, scure nubi temporalesche che minacciavano tempesta
imminente. Il vento era gelido, esoffiava forte.
Oltre i
primi alberi della foresta, imbiancati di neve e brina, c’era solo il buio.
Un buio
strano, serpeggiante.
Crysis
sorrise nel sentire gli Incubi dietro di lei innervosirsi, fiutando l’aria e
scoprendo le lunghe zanne affilate, pronti ad attaccare. Anche lei lo sentiva.
C’era
qualcosa, oltre quegli alberi. Qualcosa che sembrava sfidare la Regina a
compiere un altro passo, a violare il territorio delle ombre. Una sfida che Discordia
non temeva di accettare.
Avanzò a
passo rapido, guidata dagli Incubi. Il terreno sotto i suoi piedi era nero e un
po’ molle, formato da ramoscelli secchi e foglie marce. La neve non arrivava
fin laggiù: rimaneva sugli alberi, bloccata dai fitti rami.
Il
silenzio era pressoché totale, appena rotto dal suono dei suoi passi e dai
deboli, rochi sospiri emessi dagli Incubi Grigi. La luce che arrivava fin lì,
sfidando metri e metri di fitti rami spinosi era talmente scarsa da dare a quel
luogo un’aria onirica, surreale, accentuata dalla presenza di un vago
pulviscolo formato da qualcosa che sembrava polline, che danzava lenta a pochi
centimetri da terra.
Tutto aveva un’aria familiare.
Crysis
continuò a scrutare quei tronchi, quel terreno marcio, quell’oscurità,
impensierita. Non era mai stata lì, lo sapeva. Non amava molto le foreste.
Aveva sempre preferito vivere in mezzo agli umani, per nutrirsi del loro odio,
per vederli agitarsi disperatamente come formichine, lasciando scorrere via le
loro brevi vite.
In mezzo
agli alberi, circondata da quelle forme di vita così antiche e così inerti, si
sentiva… sola.
Come se qualcuno, tanto tempo fa,
l’avesse abbandonata lì, lasciandola al suo destino.
Distolse
lo sguardo, scacciando via quei pensieri, e lo volse davanti a sé.
Gli
Incubi non la guidarono molto lontano.
Discordia
sentì che erano arrivati alla loro meta quando notò che la luce proveniente
dall’esterno era scomparsa pressoché del tutto, lasciando solo qualche vaga colonna
qui e là, prossima ad essere inghiottita dalle tenebre. A illuminare il luogo
erano rimasti gli occhi degli Incubi, il cui fioco chiarore rossastro aveva
distorto l'aria del luogo, donandole le soffocanti tonalità dell’incubo.
Con quale coraggio violi il mio
regno, creatura immortale…?
Crysis
voltò lentamente la testa, seguendo con gli occhi un punto preciso
nell’oscurità, sentendo i suoi Incubi innervosirsi e sibilare, pronti ad
attaccare al primo ordine.
Discordia
non vedeva al buio. Poteva soltanto percepire.
Il suo sguardo seguiva ciò che sentiva nascondersi nell’ombra, e il suo udito
si concentrò su quella voce, che sembrava provenire da più parti, come sciolta
nell’oscurità.
All’improvviso,
qualcosa si mosse dietro di lei. Crysis si voltò.
Un
enorme serpente piumato, alto quasi come gli alberi circostanti e nero come la
notte si srotolò, ergendosi di fronte a lei e, dondolando appena la bella
testa, fissò la donna con tre paia di lucenti occhi color oro, percorsi da sbiadite
pupille verticali.
Era
cieco.
Sei venuta perché desideri
scomparire del tutto, immortale?
Anche la voce del mostro aveva preso consistenza, trasformandosi in un basso
sibilo minaccioso.
Discordia
sorrise appena alla minaccia, lo sguardo fisso su quello vacuo della creatura.
Quel serpente era il guardiano del sigillo che stava cercando. E non era un
Incubo comune.
Crysis l’aveva scoperto quando aveva spezzato
il secondo sigillo: ne aveva approfittato per corrompere l’essere che lo
custodiva, per trasformarlo in uno dei suoi seguaci.
Non ci era riuscita.
Quell’Incubo
si era limitato a contorcersi avvelenato dal suo potere, agonizzante, e
scomparire trasformato in fumo che si era disperso nella notte. L’evento aveva
lasciato Crysis confusa, ma i suoi dubbi vennero presto dissipati.
Quello era
un frammento dell’antico potere di Pitch, della sua essenza.
Un
potere che, come lui, non poteva essere corrotto, né domato.
Poteva solo essere ucciso.
Per
Crysis era davvero un peccato non poter avere creature simili sotto il suo
comando, ma non le importava.
Quei
frammenti erano consumati da secoli di guardia, sgretolati pezzo per pezzo dal
potere dei sigilli che custodivano. Non avevano più forza per combattere.
- Qual è
il nome del tuo prigioniero, guardiano? – chiese Discordia, rivolta al
serpente. La creatura ondeggiò ancora, poi si piegò a sinistra, e scivolò più
vicino alla donna.
Essa non ha più nome disse, con la sua bassa voce
sibilante, ha corrotto molte anime nel
corso della sua esistenza, e continua a farlo…il suo nome e quello delle sue vittime.
Il
serpente si raccolse, continuando a fiutare l’aria con la lunga lingua
biforcuta, gli occhi ciechi fissi su Discordia.
Dimmi immortale… tu ce l’hai un
nome?... sibilò
piano. Crysis sorrise.
Gli
Incubi dietro di lei scalpitavano.
Con un
guizzo appena visibile il serpente scattò, spalancando le grandi fauci pronte
ad ingoiare la donna, ma l’unica cosa che riuscirono ad azzannare fu un leggero
fumo color cenere.
Il
serpente piumato non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi. L’unica cosa che sentì
fu un leggero peso posarsi sulla sua spina dorsale, seguito da un dolore acuto,
atroce, che gli attraversò la nuca fino a perforargli la gola, simile alla
punta di una lancia.
La
creatura emise un sibilo acuto e spalancò le fauci, agonizzante. Crysis fece in
tempo ad estrarre la lunga spada di cristallo nero dal suo cranio e saltare giù
che il serpente prese ad agitarsi, dissolvendosi, trascinato via da un leggero,
gelido vento che aveva preso a spirare fra gli alberi.
Discordia
non sentiva nessun’altra presenza.
Gli
Incubi, rimasti immobili dopo il suo silenzioso ordine di non intervenire, si
stavano calmando. Non c’era nient’altro lì.
Peccato.
Uno di
essi si mosse e si avvicinò a Crysis, annusandole con fare affettuoso la mano,
e la guidò verso il sigillo. Era un albero, a pochi passi da lì.
Era una
quercia vecchissima, e sembrava che il gelo, il buio e il tempo l’avessero
pietrificata. Sul largo, rugoso tronco era incisa una lunga serie di luminosi glifi
rossastri, che si muovevano lentamente. L’intorno, immerso in un buio pressoché
totale, non era altro che terra spoglia ed indurita dal gelo, morta.
Discordia
si avvicinò, e tese una mano, aspettandosi di sentire le grida di pietà della
creatura rimbombare nella sua testa, e la sua fame risucchiare le sue energie.
Si
sentiva tremare.
All’improvviso
qualcosa, simile a una moltitudine di lunghi, invisibili nastri di seta
strisciò sui suoi polsi e sulle sue caviglie, stringendoli in una morsa
stritolatrice, bloccandola sul posto. Discordia sentì qualcosa di morbido e
gelido come il ghiaccio percorrerle la schiena, causandole un brivido.
Infine,
altri nastri le accarezzarono il collo, per poi avvinghiarvisi con forza,
soffocandola.
Poi, una
voce parlò. Una voce profonda, maschile.
Non è una maledizione…
Arrivava
da ovunque. Echeggiava fra gli alberi, ripetuta dall’eco, suonava lontanissima
e contemporaneamente gridava nella sua testa.
Non è una maledizione, è qualcosa
che hai richiamato tu.
Suonava
distorta, familiare, come l’ombra di
un ricordo rimosso.
Eppure
Crysis non la riconosceva.
- Cosa…?
– non respirava. Tentò di sottrarsi alla stretta, ma non ci riuscì. La sua
forza aumentava lentamente, strangolando la giovane.
Poi,
all’improvviso, sentì freddo.
Ci hai creduto con l’anima… l’hai
inseguito con tutte le tue forze. L’hai desiderato.
Le si
gelò il sangue. Era un gelo fisico, palpabile.
Era
ghiaccio liquido che si propagava nelle vene, partendo dalle funi invisibili
che la immobilizzavano, e si diffondeva sottraendo vita e calore, sostituendoli
con il freddo marcio della cancrena. Poi,
all’improvviso, un sentimento la invase.
Paura.
Terrore. Così intenso, così assoluto da non essere il suo.
Spalancò
gli occhi appannati, fissi sul sigillo. Nonostante la vista offuscata dalla
mancanza di ossigeno, vide qualcosa.
Una
grande mano spettrale, dalle lunghe dita magre, appena visibile, emerse dal
tronco, tesa verso Discordia.
Come se volesse
trascinarla con lei, nella sua
prigione.
La donna
tentò di usare il suo potere, ma non servì a nulla. La creatura imprigionata nel
sigillo non allentò la sua stretta mortale, anzi. Come un guinzaglio, la forza
che strangolava Crysis la tirò in basso, a terra, costringendola in ginocchio. Sentì gli incubi sibilare dietro di lei,
azzardare qualche passo, nervosi. Fiutavano la sua paura.
- No… -
Discordia, alla vista della mano che si avvicinava si tirò indietro. Cercò
nuovamente di liberarsi con il suo potere.
Non cercare i colpevoli…
Nessuno
dei suoi tentativi sortì alcun effetto.
-
…Basta… -
Non cercare i mostri…
Sentì
quel ghiaccio liquido percorrerle i polmoni, ghiacciandole il respiro. Le toccò
il cuore, pungendolo come la lama di una spada. Pronta a porre fine a quel
battito frenetico.
…Urleresti di orrore nel
guardarti allo specchio!
- FA’
SILENZIO! – Crysis urlò quelle due parole con quanto fiato aveva in gola,
sentendo il panico raggiungere l’apice.
Esattamente
com’era iniziato, tutto finì.
I nastri
si sciolsero di colpo, contemporaneamente, come se qualcuno li avesse tagliati.
Anche la mano spettrale svanì, come un’allucinazione.
Il
sigillo prese a brillare.
Crysis
rimase a terra, in ginocchio, la testa ed i gomiti a contatto col terreno duro,
gli occhi chiusi, nel disperato tentativo di riprendere fiato, e soprattutto di
calmarsi. Di scacciare quella paura
che non le apparteneva.
Sentiva
la presenza degli Incubi attorno a lei. L’avevano circondata, frementi,
fiutando quella paura che si stava lentamente dissolvendo, scalpitando
nell’attesa di assalirla al primo segno di debolezza.
Crysis
sapeva di non poter scoprire il fianco. In fondo, erano Incubi. Era nella loro natura nutrirsi di paura, dilaniare l’animo
di chi la provava, fino a non lasciarne che tracce. Ed era una caratteristica
che non poteva né voleva cambiare.
Inspirò
piano, ancora tremante, sentendo finalmente il cuore rallentare i battiti. Alzò
lo sguardo verso il sigillo.
Il
bagliore rossastro emesso dai glifi magici incisi sul tronco era aumentato,
illuminando una zona più ampia della radura, scacciando un po’ dell’oscurità
quasi assoluta che regnava in quel luogo.
Crysis
si alzò, senza staccare lo sguardo da quello spettacolo inatteso.
Alla
luce si era aggiunto una strano sibilo, che era aumentato di intensità,
trasformandosi, fino a diventare un urlo inumano.
Crysis
indietreggiò, senza riuscire a staccare lo sguardo da quella luce, che si era
fatta accecante. Quella voce, quel grido le suonavano familiari.
…Perché?
All’improvviso,
il sigillo parve esplodere.
- AH! -
Discordia, accecata, si coprì gli occhi col braccio ed indietreggiò di qualche
passo. Cosa stava succedendo? Si chiese. La creatura che aveva appena tentato
di liberare non solo le aveva opposto resistenza, ma aveva addirittura tentato
di ucciderla.
Anzi…
aveva tentato di trascinarla con sé. Di intrappolarla.
Perché?...
Un forte
vento prese a spirare nella foresta, e avvolse la grande quercia pietrificata
in un turbinio di neve e foglie secche, come a voler proteggere il sigillo e la
creatura ivi intrappolata, tenerli lontani da Discordia.
Crysis
si allontanò di qualche altro passo, il braccio ancora alzato, troppo sconcertata
dallo spettacolo che le si era formato davanti.
All’improvviso,
la luce dei glifi magici venne risucchiata dalle venature del tronco, e corse
verso i rami, concentrandosi lì, dando forma a qualcosa che sembrava una figura
umana fatta di luce rossastra.
Con un
altro grido, l’essere prese il volo, verso il cielo, rapido come la freccia di
una balestra, e sparì lasciandosi dietro soltanto l’eco della sua voce e il
suono del vento.
Poi, più
nulla.
Il vento
tacque e rallentò, lasciando cadere la neve e le foglie che si era trascinato
dietro nella sua corsa, e riportando così la calma e il silenzio fra gli
alberi.
Crysis,
ancora semiaccecata dall’intensa luce, abbassò lo sguardo verso l’albero su cui
era stato impresso il sigillo.
Sul
tronco pietrificato non era rimasto nulla, a parte una lunga serie di segni
carbonizzati, illeggibili.
Era scomparso.
Il
sigillo, la creatura… perfino la magia che permeava quel luogo e lo rendeva
così inquietante.
Era
scomparso tutto, portato via da
quella strana luce.
Che significa…?
Discordia
si avvicinò piano alla grande quercia, fino a sfiorarne il tronco con una mano.
Era
freddo, vuoto, morto. Come se
quell’antico albero non avesse mai custodito niente dentro di sé.
Discordia
si chiese se quello non fosse stato per caso uno degli scherzi di Pitch, o
forse un inganno degli Incubi. La prima ipotesi era probabile. La seconda molto
meno: gli Incubi erano creature troppo primitive per poter manipolare la magia
di loro volontà. Potevano farlo soltanto per ordine di un padrone.
E la
padrona degli Incubi era Crysis.
Con la
mano ancora poggiata sul tronco, Discordia si concentrò su quel che era
successo pochi istanti prima che il sigillo scomparisse.
Quelle
strane funi, su cui il potere dell’Odio non aveva avuto effetto.
Quella
spettrale mano tesa, bramosa di trascinarla con sé.
Quella voce.
La paura provata. Quella paura, che non
sentiva come sua.
E, ancor
prima, quella sensazione tanto
aliena. Discordia alzò lo sguardo verso gli altri alberi, osservandoli con
attenzione, desiderosa di ricevere risposta ad una domanda che non sapeva
formulare.
È come se fossi già stata qui.
Era
fastidioso.
La
sensazione di aver dimenticato qualcosa,
e di non poter dire cosa.
Crysis
abbassò lo sguardo a terra, pensierosa. Non le piaceva.
Ma, in
fondo, non importava.
Se
l’aveva dimenticato, significava che non era fondamentale come sembrava. Ciò
che realmente importava in quel momento era ciò che era appena avvenuto.
Il
sigillo era letteralmente sparito, senza lasciare traccia. Qualunque creatura
vi fosse intrappolata, non ha gradito l’idea di poter riassaporare la libertà.
Perché?
Non
riusciva a spiegarselo, ma avrebbe ottenuto delle risposte soddisfacenti molto
presto, di questo ne era certa.
Non
poteva certo distrarsi.
Aveva
già tre Creature Senza Nome sotto il suo comando, e aveva piani per loro.
Piani
che sarebbero andati in porto molto presto.
-+-
*Si ri-butta
sotto la scrivania* orrificoquestocapitoloéorrifico.
Geh, mi dispiace per questo cap. Non è bello come
volevo che fosse, e poi c’è solo
Crysis. Tra parentesi, sembra che Discordia si sia dimenticata di qualcosa. O è
solo una sua impressione? Chissà. Forse lo scopriremo. E dico forse perché mi conosco, e so che niente
di quel che progetto di fare va come voglio. XD
Comunque, rallegratevi:
nel prossimo capitolo rivedrete i nostri cari Guardiani. E Pitch (non ho finito
di torturarlo, no no). E ci sarà anche June <3
Ok, ho finito. VI AMO,
MA SUL SERIOOOOOO <3<3<3 *scappa*
Capitolo 12 *** Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero ***
Ultimo aggiornamento? 31/01/13.
SONO UN MOSTRO UGGHH. E questo capitolo è assolutamente un orrore e io… io… io…
vado. *striscia in un buco e ci rimane a piangere*
XII: Un accordo, un
aggressione e un piccolo mistero
Erano
passati quattro giorni dal risveglio di
Pitch e dal suo interrogatorio.
I
Guardiani, di fronte alla ferma decisione di North, avevano desistito
dall’intenzione di torchiare l’Uomo Nero e strappargli con le cattive maniere
quante più informazioni possibili, lasciando il compito al Guardiano della
Meraviglia.
Dopo quella
decisione nessuno dei Guardiani si era più fatto rivedere al Polo Nord, e la
cosa aveva sconfortato North: comprendeva benissimo quanto fossero tutti
impegnati e, ancor più di quello, quanto fossero arrabbiati con lui e lo strano
trattamento di riguardo che aveva riservato a Pitch. Il Guardiano sapeva
benissimo che la soluzione in quel caso era una sola: lasciar sbollire la
rabbia. Tuttavia, c’era una situazione spinosa da risolvere, e riguardava
proprio Pitch.
L’Uomo
Nero era vivo per una ragione. L’Uomo sulla Luna gli aveva salvato la vita, il
che voleva dire che il suo acerrimo nemico doveva avere un’utilità per i
Guardiani, per i bambini di tutto il mondo, un’utilità che non poteva
consistere soltanto nell’essere una fonte di informazioni, era una cosa di cui
North era sicuro.
Ma i
segnali di Manny, i dubbi degli altri Guardiani e le sue stesse supposizioni
non potevano risolvere la strana situazione di stallo in cui North si trovava:
voleva parlare con Pitch, e soprattutto voleva che l’altro lo ascoltasse, e lo
considerasse non come un Guardiano né come un nemico, ma come un suo pari. Ma
era pur sempre Pitch, e prenderlo per il verso giusto sembrava impossibile.
Serviva un
idea.
E in
quei quattro giorni North ne aveva maturata una, una potenziale soluzione a una
buona parte dei problemi dei Guardiani, che possedeva tuttavia una vistosa
pecca: poteva benissimo non funzionare. Tuttavia, non aveva nulla da perdere
nel provare a metterla in pratica.
North si
alzò dalla grande poltrona del suo ufficio, impugnò le sue due fidate sciabole,
una per mano, e uscì dal suo ufficio.
Gli yeti
che lo incrociarono strada facendo si scansarono rapidamente alla vista della
sua espressione, né fecero domande su dove andasse così armato e minaccioso: lo
intuivano.
Una
volta arrivato di fronte alla camera degli ospiti che fungeva da prigione,
ordinò agli yeti di guardia di aprire. Gli Abominevoli Uomini delle Nevi, di
fonte alle sciabole sfoderate ed impugnate e all’espressione battagliera di
North si scambiarono delle occhiate ansiose, ma ubbidirono senza fiatare e
aprirono la porta.
Oltre la
soglia, nonostante l’abbondanza di luce esterna, la camera era immersa in una
penombra fitta, sebbene non abbastanza da permettere la fuga al suo prigioniero.
North esaminò attentamente la camera apparentemente vuota e, nonostante i
richiami preoccupati degli yeti, azzardò qualche passo all’interno.
- Vedo
che hai dato un tocco di personalità alla tua nuova dimora eh, Pitch? – chiese,
e un vago sorriso gli solcò le labbra. Inizialmente, ad accogliere la domanda
vi fu solo il silenzio. Poi, una voce parlò:
- La tua
mancanza di gusto in fatto di arredamento è un autentica tortura per i miei
occhi, North. Il non fare qualcosa al riguardo mi avrebbe ucciso. Almeno per
quel che riguarda l’illuminazione… – North
si voltò, e il suo sguardo incontrò quello irritato dell’Uomo Nero, nascosto
dietro la porta, a pochi passi dietro di lui. - …Hai scelto il peggio del
peggio per apposta per me, immagino. –
Pitch
era riuscito a sbarazzarsi del maglione natalizio. Al suo posto, indossava una
tunica nera, simile a quella che indossava di solito ma meno scollata, in modo
da nascondere le fasciature che ancora portava. Gli yeti dovevano aver sudato
sette camice prima di riuscire a trovarne una così simile, pensò North. Gli
abiti che Pitch indossava quando Jack l’aveva portato al Polo Nord avevano
degli squarci così ampi da non risultare riparabili e trovare qualcosa di
rassomigliante si era rivelata un impresa molto ardua per i pelosi aiutanti di
Babbo Natale.
- Cosa
vuoi, North? – chiese Pitch con fare sospettoso, allontanandosi di poco dal suo
aguzzino, gli occhi che guizzavano dal suo viso barbuto alle sciabole
impugnate, e un’espressione sospettosa dipinta sul volto magro.
- Sono
venuto a fare due chiacchiere. Solo questo. – disse North in tono tranquillo,
avanzando ancora nell’oscurità, le sciabole impugnate solo con i pollici, come
a dimostrare all’altro che, nonostante fosse armato, non era venuto con cattive
intenzioni. Pitch assottigliò gli occhi, notando l’impugnatura sulle sciabole
ed intuendo un ‘ma’ nel discorso.
- Anzi…
- con un movimento fulmineo, North serrò la presa sull’impugnatura di una delle
spade, e puntò la lama contro Pitch che indietreggiò con la stessa rapidità,
gli occhi sbarrati dalla sorpresa e un po’ dalla paura, la punta dell’arma a
pochi centimetri dal suo naso – …Sono venuto a fare molte chiacchiere, Pitch. – disse, deciso.
-
Mettiti comodo. Abbiamo un bel po’ di argomenti su cui discutere. –
*
Silenzio.
Dopo
aver pronunciato quella parola, nella stanza avvolta nella semioscurità era
calato il silenzio più assoluto. Dopo aver pronunciato quella fatidica parola
che da cinque giorni gli frullava nella testa, North si era ritrovato a
trattenere il fiato.
Alleanza.
Lui,
Nicholas St. North, aveva appena chiesto alleanza a Pitch Black.
Devo essere fuori di testa. Si disse in quell’interminabile
istante …Forse.
Proprio
in quel momento si ritrovò a pensare che forse la sua idea non era poi così
geniale come credeva. Come a conferma del suo sospetto, Pitch era rimasto in
silenzio, un espressione imperscrutabile a nascondere possibili emozioni, lo
sguardo che continuava ad andare dal volto ansioso di North alla sua mano tesa,
desiderosa di suggellare l’accordo. North aveva decine di argomenti a suo
favore. In quei cinque giorni ci aveva pensato e ripensato, li aveva formulati
sotto forma di discorsi centinaia di volte, cercando di immaginare le possibili
reazioni di Pitch, ogni sua possibile obiezione, e si era preparato ad
aggirarle tutte, a convincerlo.
Ma non
aveva calcolato quel silenzio. In quell’istante, tutti i suoi argomenti più
forti gli sembrarono meno validi di una scusa infantile.
Non accetterà mai. Pensò di nuovo, sconfortato.
Gli
occhi di Pitch continuarono ad andare da quella mano tesa a quel volto tanto
odiato, ed infine si fermarono su quest’ultimo. Ispirò impercettibilmente.
- Che
ragioni avrei per allearmi con voi? – chiese a mezza voce. North non riuscì a
percepire sarcasmo, o astio, o qualunque altro sentimento celato dietro quella
domanda. Pitch l’aveva posta senza alcuna inflessione nella voce, inespressiva
come il suo volto.
Come se
non si aspettasse nulla.
North
abbassò la mano, gli occhi ancora fissi su quelli del suo prigioniero, un
espressione grave sul volto. Di argomenti ne aveva a palate, ma in quell’esatto
istante, di nuovo, non sembrarono abbastanza.
Perché abbiamo un nemico in
comune. Perché Manny ti ha lasciato vivere, e Manny sa sempre cosa fa. Perché
sei debole, e non ce la farai mai senza di noi. Perché per quanto forti e
determinati, siamo ancora impreparati. Perché non siamo coscienti di cosa
stiamo affrontando, ma tu forse si.
Perché puoi sicuramente aiutarci.
Perché voglio sapere cosa ti ha
realmente spinto a tradire Crysis. Cosa ti ha spinto a fare qualcosa che non
avresti mai fatto.
Perché…
Perché voglio credere che ci sia
ancora del bene nel tuo cuore. E lo voglio trovare.
- ‘Il
nemico del mio nemico è mio amico’, dicono. – disse
North lentamente. Fece una pausa, e abbassò per un istante lo sguardo sulla
mano destra, intenta a giocherellare nervosamente con l’impugnatura intarsiata
della sciabola, che dal ruolo di arma era passata a quello di giocattolo
antistress – Non posso dire di poter vedere le cose dal tuo punto di vista, né
di sapere le tue ragioni, ma credo di poter immaginare i tuoi sentimenti. – non
rialzò gli occhi, ma sapeva che Pitch lo stava ancora osservando con quello
sguardo inespressivo.
- Hai
scelto un nemico. Ti sei schierato contro Crysis, e, come ha detto tu, lei te
l’ha fatta pagare. Non voglio suonare arrogante, ma… posso immaginare come la
cosa ti faccia sentire. Posso immaginare che tu… desideri vendetta. –
L’omone
rialzò lo sguardo, incontrando nuovamente quello dell’Uomo Nero: - Giusto? –
-
Vendetta?... – la voce di Pitch tremò nel pronunciare quella parola.
Vendetta.
North
vide le sottili labbra dell’uomo stirarsi in un sorriso forzato. Pitch rimase a
fissare l’uomo di fronte a sé per qualche altro istante, senza muoversi. Poi
distolse lo sguardo e con un gesto nervoso si passò una mano tremante sul
volto, prorompendo in una risatina acida.
- Sei
divertente, North. – disse, e quel sorriso forzato si allargò, diventando un
ghigno inquietante. North rimase in silenzio, incerto. Pitch continuò: –
Davvero. Sei divertente. Adesso ti interessa se io voglia vendicarmi o meno.
Fammi indovinare, volete aiutarmi? –
disse, allargando appena le braccia.
North alzò
un sopracciglio: - Si? – azzardò con una nota di speranza nella voce.
Per
tutta risposta Pitch scoppiò a ridere: gli ci volle un po’ a calmarsi, ma il
Guardiano non fece una piega. - Oh, e come mai tutto questo interesse? –
continuò, continuando a sghignazzare. North finse di riflettere, accarezzandosi
la barba candida.
- Perché
abbiamo un nemico in comune, ora. – cominciò, cercando di scegliere le parole
migliori. Non era la più facile delle imprese: - Onestamente, ti conosco da
diverse centinaia di anni, non mi sei mai sembrato il tipo che ignora le offese,
e né mi sei mai sembrato particolarmente pacifico. E poi Crysis ti ha portato
via i tuoi Incubi. Quindi perché no? – mentre parlava, le labbra di Pitch si
erano stirate in un sorriso ancor più largo. Non sicuro se quella fosse una
reazione positiva o negativa, North sorrise speranzoso in risposta.
- E
perché si? –
- …Cosa?
– North rimase interdetto.
- Ho
chiesto, perché si? – ripeté Pitch,
continuando a sorridere in modo irritante: - Perché allearmi con voi? Io voglio
la vostra distruzione. Oh, certo, vorrei farlo con le mie mani, ma sai, sono
tempi duri per me e mi devo arrangiare come posso, quindi va bene che sia
Discordia a farlo al posto mio. Lei ha un potere immenso, molto più grande di
quanto possiate immaginare, e vi vuole abbattere. L’unica cosa che ho da fare è
rimanere qui nel mio angolino e guardarvi cadere uno dopo l’altro. –
La
risposta lasciò North a bocca aperta. Aveva considerato quella reazione. Aveva
anche sperato che l’ostinatezza e la voglia di rivalsa avrebbero sopraffatto
quel lato del suo carattere. Forse, si disse, maledicendosi per la sua
ingenuità, era stato troppo ottimista nel sperare che le cose avrebbero preso
la strada migliore per i Guardiani.
Strinse
le grandi mani in pugni: - E se noi le dicessimo che sei ancora vivo? Vorrà sicuramente finire il
lavoro, non credi? –
La
minaccia non sembrò sfiorare Pitch quanto North aveva sperato. Ma forse quella,
si disse il Guardiano, era solo una facciata. L’Uomo Nero si limitò ad alzare
le spalle ed incrociare le braccia: - Oh, certo. Mai lasciare le cose a metà, è
una regola d’oro per andare avanti. –
Tra i
due calò un silenzio che durò diversi istanti, istanti che North cercò di
impiegare al meglio per cercare di raccogliere altri argomenti a suo favore.
Certo, poteva ancora cercare di costringerlo. In fondo, l’Uomo Nero era suo
prigioniero…
Poi
Pitch, dopo un attimo di riflessione, disse:
- Dì la
verità, tu e i tuoi compagni non avete idea di cosa state affrontando, eh? –
North
corrugò le sopracciglia folte: - Dì la verità, non te l’aspettavi, eh? –
scherzò, sentendo un moto di nervosismo sul fondo dello stomaco. L’altro non
aveva idea di quanto perfettamente avesse colpito nel segno.
-
L’informazione non mi sa di nuovo. – disse l’Uomo Nero in tono sarcastico,
esaminandosi le unghie: - Ho saputo che l’Uomo sulla Luna ha nominato il quinto
Guardiano praticamente subito dopo aver saputo del mio ritorno. E il vostro caro,
prezioso Frost non mi è proprio
sembrato mister professionalità. A volte mi domando dove trova voi svitati,
perché sembrate venire tutti dallo stesso posto. –
Sorrise
quando North ribatté, offeso: - Non siamo noi gli svitati, lo sei tu! –
-
Indubbiamente. – asserì l’altro, atono.
Di nuovo
silenzio, più lungo e pesante di prima. La cosa cominciò ad irritare North.
Sapeva di dover essere cauto, ma…
-
Allora, vuoi allearti con noi o no? – sbottò, riportando l’attenzione
dell’altro su di sé.
Pitch corrugò
le sopracciglia: - …No. –
North,
che in un rinnovato moto di speranza aveva nuovamente teso la mano, lasciò
cadere il braccio, e tutta la delusione che provava e che finora aveva cercato
di reprimere trasparì di colpo dal suo viso. Si concesse qualche altro secondo
di pausa, nella disperata speranza che l’Uomo Nero cambi idea all’ultimo
istante, ma non ottenne nulla.
Avvilito,
si voltò e fece per andarsene, quando la voce di Pitch lo bloccò sul posto.
- No,
non voglio allearmi con voi. No, non
voglio neanche lontanamente considerare l’idea di potervi fornire una
qualsivoglia forma di sostegno, né che voi possiate fare altrettanto. Non
voglio neanche starvi vicino, e ovviamente aiutarviin una battaglia da cui spero usciate sconfitti è l’ultimo dei miei pensieri. Ma. –
North lo
sentì prendere fiato, come stesse per dire qualcosa di incredibilmente
imbarazzante e avesse bisogno di un momento per prepararsi mentalmente: - Ma
Crysis è la fuori, e ha il controllo su ciò che fino a poco fa era il mio
esercito. L’ha reso più potente, e ti assicuro che quello che vedi adesso non
sarà comparabile a quello che vedrai tra poco. E non mi importa assolutamente niente
se le dici che sono vivo perché tanto, presto o tardi, lo scoprirà lo stesso, e
si muoverà per finire il lavoro. – Forse
penserà che ho rivelato ai Guardiani delle Creature senza Nome… non che
quell’informazione sia essenziale. Niente può distruggerle. - E ovviamente
vi schiaccerà come delle formiche. –
A
quell’ultima affermazione North si voltò, un’espressione decisa negli occhi
chiari: - Siamo formiche rosse,
Pitch. I nostri morsi sanno fare male. Noi non ci arrenderemo, non importa
quanto grande sia il nemico. –
- Ha.
Ha. Ha. Che bei paroloni, North. – Pitch alzò gli occhi al cielo con fare
irritato: - Degni di un Guardiano. –
North strinse
i pugni, studiando l’altro con un’espressione irritata. Dove voleva arrivare
Pitch con quelle provocazioni?
- Oh non
mi guardare così, mi fai paura. – disse l’Uomo Nero, fingendosi spaventato e mettendo
le mani avanti a mo’ di difesa. Poi tornò serio, e intrecciò le dita dietro la
schiena. Sempre seguito dallo sguardo di North, fece qualche passo, poi
continuò: - Normalmente la scelta migliore da fare per me sarebbe rimanermene
qui buono e tranquillo e aspettare l’inevitabile. È la soluzione più semplice,
magari anche la meno dolorosa. E si, so benissimo perché mi tenete prigioniero qui,
e francamente considerando il caratteraccio di quel sacco di pulci di
Calmoniglio non fatico a immaginare cosa teniate in serbo per me. È per questo
che lo dico. Ma ci sono due problemi. Primo: io non ho intenzione di morire
senza fare niente per evitarlo. –
La
durezza che Pitch mise in quell’ultima affermazione colpì North. Forse era la
sua immaginazione, ma ebbe l’impressione che fosse ben più di quello.
-
Secondo: ho delle faccende rimaste in sospeso con Crysis, e non sto parlando
soltanto di vendetta. Faccende che voglio sistemare il prima possibile. –
- Ma
senza i tuoi Incubi e con i poteri indeboliti, non ce la puoi fare giusto? –
continuò North. Forse non avrebbe dovuto sorridere considerando l’occhiata
truce con cui Pitch lo ricambiò, ma non riuscì a farne a meno.
- …E al
momento non riesco a pensare a un modo ottimale per raggiungere i miei obiettivi,
giusto. – completò l’altro.
- E
quindi?... – Pitch storse il naso. Avrebbe voluto tagliarsi la lingua per
quello che stava per dire.
-
Chiamala tregua, chiamala patto di non aggressione, chiamala ‘momentanea svista
da parte di entrambi visto che siamo nemici giurati e lo saremo sempre’, o quello che ti pare, ma non
chiamarla alleanza. Non siamo
alleati. Abbiamo un obiettivo comune, tutto qui. –
North
non trattenne un sorriso: - D’accordo. Non è un’alleanza. ‘Accordo’ va bene? –
-
Accordo di non intralciarsi- -
-
…Aiutarsi. – lo corresse North. Pitch alzò gli occhi al cielo.
- …Va bene. Aiutarsi a vicenda. Se
strettamente necessario. – per tutta
risposta, North sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.
- Anche
in battaglia. Se noi ti aiuteremo, tu combatterai al nostro fianco. – North
vide Pitch storcere gli angoli della bocca in un’espressione di disgusto, ma
non denegare: - Se ci ritroveremo coinvolti in uno scontro con Crysis non penso
che riuscirò a sgattaiolare via tanto facilmente, quindi non credo di avere
scelta. –
- E
quindi… - per la terza volta quel giorno, North tese la mano verso Pitch.
L’Uomo Nero la fissò con un’espressione fra l’inquieto e il dubbioso, come se
si aspettasse di vederla trasformarsi in una tagliola se l’avesse afferrata.
Timore non infondato, considerando l’energia con cui North gli afferrò e gli
scosse la destra esitante in una stretta decisamente energica.
-
Suppongo di si... – disse Pitch, cercando di mascherare la nota d’incertezza
nella voce. Un accordo verbale poteva anche andare, per il momento.
North,
dal canto suo, non si pose dubbi né si fece domande. Forse non era il caso di
sentirsi così su di morale, pensò, considerando che aveva appena stretto alleanza con qualcuno che avrebbe
probabilmente tradito lui e i suoi compagni alla prima buona occasione, ma non
riuscì a soffocare l’ottimismo.
Pitch
distolse lo sguardo: - Può andare. – concluse semplicemente, nascondendo la
vaga sensazione di disagio che provò nel sentirsi quello sguardo fin troppo
speranzoso puntato addosso. In fondo, era abituato ad essere guardato con paura
o riverenza, non con entusiastica aspettativa.
North
avrebbe voluto abbracciarlo. Rimase in silenzio per qualche secondo, stavolta
troppo eccitato per rimanere serio ed immobile, spostando il peso da un piede
all’altro e guardandosi attorno con finta curiosità. Pitch alzò gli occhi al
cielo: evidentemente l’omone di fronte a lui voleva qualcos’altro.
- Hai qualcosa da aggiungere? – chiese, senza
nascondere la sua irritazione di fronte a quell’atteggiamento tanto infantile.
North
smise di dondolare sul posto, ma non smise di sorridere.
- Uh… in
verità si. – disse in tono improvvisamente leggero, strofinandosi energicamente
i palmi delle mani. – Ho un favore da chiederti. Se ti va di ascoltarmi,
ovviamente. –
Pitch
alzò un sopracciglio, annuendo sospettoso. Forse, pensò, la sua idea di
accettare quell’accordo non era stata
poi così brillante come credeva, ma almeno adesso aveva la certezza di non
essere tenuto prigioniero per essere torturato –o peggio- soltanto per ottenere
informazioni.
Forse.
*
In
quattro giorni passati lontano dal palazzo di North, Jack aveva alacremente
svolto il suo doppio lavoro di combinadisastri e di Guardiano.
Aveva
speso la maggior parte del suo tempo in Europa e dintorni, approfittandone per
farsi sporadicamente vedere dai bambini, perché nel vecchio continente erano
ancora davvero in pochi a credere nella sua esistenza. Ovunque era andato, neve
e correnti fredde l’avevano accompagnato come amici fidati, coprendo di bianco
interi paesi come la Germania, la Francia e la Spagna.
Nonostante
la tentazione onnipresente, Jack non era più tornato al palazzo di North,
nemmeno per sapere come vanno le cose. Qualcosa gli diceva continuamente di non
avvicinarsi a quel luogo, e di rimanere fuori dai piedi finché la sua presenza
non fosse stata richiesta. Non era sicuro se era il caso di ascoltare quella strana
vocina nella sua testa che continuava a ripetergli quel concetto come un
mantra, ma aveva ubbidito. In fondo, aveva trovato anche delle ragioni per
farlo.
Il divertimento dei bambini prima
di tutto, no?
Alla
fine, si era sforzato di convincersi del fatto che non era necessario
preoccuparsi di nulla che non fosse un problema visibile e materiale, anche se
Pitch era un ‘problema’ che rientrava benissimo in entrambe le categorie. Nonostante
ciò, Jack si era ostinato ad ignorare al situazione, segretamente fiducioso del
fatto che le cose si sarebbero sistemate per il meglio in sua assenza. Insomma, stiamo parlando di North, no? E’ un
Guardiano, e lo è da molto, molto più di me. Sa cosa sta facendo. Anche se non
sempre sembra che sia così. O forse dovrei davvero smetterla di perdere tempo e
rendermi utile…
Tuttavia,
nessuna delle sue congetture risultò sufficiente a convincerlo a tornare al
Polo Nord.
Nei suoi
raid di neve e gelo, Jack si spinse fino al sud Italia, arrivando fino in
Sicilia, territorio in cui sapeva che non doveva mettere piede in quel periodo
dell’anno per evitare incontri spiacevoli con un certo petulante Spirito
dell’Estate che aveva l’abitudine di prendersela comoda nell’andarsene dai
territori che presiedeva. Tuttavia, quel giorno si sentiva abbastanza fortunato
da tentare.
Fu solo
dalle parti di Siracusa che si accorse di quanto disgraziata era stata la sua
scelta.
- Jaaaack… -
Il
Guardiano del Divertimento sentì un brivido gelido risalirgli su per la
schiena. C’era un solo essere capace di farglielo provare, escludendo Pitch e i
suoi Incubi. Si voltò lentamente e sorrise nervoso ad una ragazzina poco più
che tredicenne che sedeva su un grosso ramo di un albero secco, pochi metri
dietro di lui. Dietro di loro si estendeva una spiaggia di sabbia bianchissima
bagnata dalle deboli onde di un mare color acquamarina. Il cielo, che fino a
poche ore prima era stato terso e illuminato dal bel sole di metà novembre ora
era più scuro, ingrigito da lontane nuvole che promettevano pioggia, freddo e,
da lì a qualche settimana, neve.
June era
sempre la stessa. Piccola, bionda e riccioluta, abbronzata dal quel sole che
picchiava forte ovunque lei andasse, portava sempre lo stesso abitino di cotone
bianco, la solita coroncina di spighe di grano in testa, la solita faretra di
frecce e il micidiale arco allacciati sulla schiena e il solito, inquietante
–almeno per Jack-, sorrisino sul volto lentigginoso.
- Ehilà,
June… - Jack deglutì. Ma guarda chi si
vede…
Il
sorriso di June si allargò, svelando due file di denti bianchissimi e un
piccolo diastema al centro: - Ti stavo cercando! – esclamò entusiasta: - Ho
sentito il vento raffreddarsi un sacco e tutti quei nuvoloni e ho pensato: il Ghiacciolino si degna di farmi visita! E ho visto giusto! –
rise, saltando giù dall’albero e avvicinandosi a saltelli al Guardiano, che
rimase immobile, irrigidendosi.
- Behhh… - iniziò Jack per poi interrompersi, cercando di
riflettere. Oh cavoli, ma perché mi sono
dimenticato che lei è qui?! - …Non è che sono venuto proprio a fare visita. Diciamo che è per lavoro. Sai, è ora di
prepararsi per l’autunno! – In realtà
sarebbe ora di prepararsi per l’inverno, ma fa niente…
Fu un
solo istante, ma lo Spirito del Gelo comprese immediatamente di aver fatto un
passo falso quando vide il sorrisino della ragazzina affievolirsi. A June non
piaceva il cosiddetto ‘autunno’. Ella infatti ci teneva parecchio a quelli che
amava definire ‘gli ultimi malinconici giorni d’estate’ durante i quali
influenzava il tempo con tutto il potere di cui era capace, donando gli ultimi
sprazzi di luce e calore alle terre che visitava prima di lasciare spazio al
freddo, rigido inverno. Difficilmente perdonava coloro che rovinavano quei
momenti.
- Aha. In effetti quei nuvoloni… – asserì June e sollevò lo
sguardo al cielo, gli occhi chiari rivolti verso le grandi, scure nubi in
lontananza, un sorriso dubbioso sul viso tondo. – Jack? –
- Si? –
- Lo sai
dove siamo ora? – Jack parve rifletterci seriamente: - Vicino ad una spiaggia?
– azzardò. June abbassò lo sguardo.
-
Intendo geograficamente. Sai, città, regione, Stato, posizione rispetto
all’Equatore? – Lo Spirito dell’Inverno già conosceva la risposta.
- …’Non è il mio territorio, non adesso’,
d’accordo. – Alzò le mani in segno di resa: - Scusa, non lo faccio più. –
- In
verità non l’hai fatto più neanche tre anni fa. – lo corresse June, una nota
pericolosa nella voce. – E ne abbiamo parlato a proposito, all’epoca. –
- Uuuh, davvero? – chiese Jack. Poi, senza pensare, aggiunse:
- Non sapevo che le tue frecce sapessero parlare.
–
- Oh,
cantano come degli usignoli, Gelatino. –
Sarebbe meglio dire che
fischiano. Ma se preferisci dire così, cara la mia assassina nata, d’accordo...
Jack vide la
piccola mano dello Spirito dell’Estate spostarsi casualmente sulla nuca,
pericolosamente vicino al bottoncino che teneva l’arco allacciato alla sua
schiena. Cominciò a richiamare mentalmente il vento.
Tre…
-
…Scommetto che ti sono mancate, perché altrimenti non saresti qui. –
…Due... uno…
Un forte
vento freddo prese a spirare, scompigliando energicamente i capelli di entrambi
e agitando l’orlo dell’abito della ragazzina. Ciò che seguì avvenne in poco più
di un batter d’occhio.
…Via!
- D’accordo,
ciao! – disse Jack sollevandosi da terra e lasciandosi trasportare in alto,
sempre più veloce, sospinto dal vento che ringhiava furioso nelle sue orecchie
e affievoliva lo strillo arrabbiato che June gli lanciò: - JACKSON OVERLAND
FROST, STAVOLTA SEI FINITO! –
Una
freccia dalle penne rossastre gli passò pericolosamente vicino all’orecchio
sinistro, e una strana ondata d’aria tiepida gli sfiorò i piedi, informandolo
che lo Spirito dell’Estate era partito al suo inseguimento.
- QUESTO
L’HAI DETTO ANCHE TRE ANNI FA! – gridò Jack in risposta, accelerando. Quel
pomeriggio prometteva di essere parecchio movimentato, si disse.
*
L’assurda
caccia allo Spirito del Gelo si era estesa per tutto il continente europeo, per
poi spostarsi lentamente verso est. Più di una volta Jack aveva rischiato di
essere colpito (- Oh avanti, Frosty! Sto solo cercando di farti provare l’ebbrezza
dell’amore a prima vista! – aveva gridato June in una di quelle occasioni.) e
aveva colto ogni buona occasione per scagliarle contro correnti gelide e neve
per distrarla, riuscendo così a farsi perdere di vista diverse volte (- Mi
dispiace davvero, ma non mi sono mai piaciute le piovre! –). Ma, sfortunatamente per Jack, June era sempre riuscita
a scovarlo prima che il giovane avesse il tempo di dileguarsi.
Nella
sua fuga Jack aveva finito col trascinare lo Spirito dell’Estate su un terreno
a lei sfavorevole: la Russia, terra di cui l’inverno e il gelo erano i sovrani
incontrastati in quel periodo dell’anno.
Tuttavia,
nonostante il clima avverso June non si era arresa, e l’inseguimento era
continuato sempre più in direzione nord-est.
Ed era
solo verso pomeriggio, e solo in Siberia, che aveva finalmente ceduto.
Jack lo
capì subito quando, dopo essere riuscito a farsi perdere di vista ed essersi
letteralmente buttato nella neve della foresta che stavano attraversando nel
disperato tentativo di non farsi trovare, aveva udito un improvviso, sonoro
starnuto da parte della ragazzina.
June
tirò su col naso, borbottando tra sé qualcosa che Jack non riuscì a sentire
nonostante fosse a pochi alberi di distanza, e si guardò intorno con
un’espressione indispettita. Poi, dopo una pausa che a Jack sembrò un’eternità,
rimise le frecce nella faretra, riallacciò l’arco sulla schiena e volò via.
Jack
esalò un lungo, lento sospiro di sollievo.
Salvo. Scivolò lentamente a terra e affondò nella neve candida, assaporando
la gioia di non avere più marmocchi armati alle calcagna.
Almeno per il momento.
Rimase
immobile per molti minuti, godendosi il silenzio assoluto di quel luogo e
scrutando attentamente il cielo e gli alberi attorno a lui in cerca di altre
forme di vita. Non era sicuro se June avesse effettivamente abbandonato il
proposito di dargli la caccia, perciò aveva preferito essere prudente e non
muoversi dall’improvvisato nascondiglio per un po’.
Fu
allora che si accorse della fitta oscurità in cui era avvolta la foresta, rischiarata
a malapena da un fiume di stelle che splendevano nel cielo terso. Anche la neve
col suo candore aiutava a scacciare un po’ di quelle ombre.
Cavoli, mi hai tenuto occupato
per tutto il giorno, eh?
Si disse, rivolto a June. Chissà dov’era in quel momento. Jack sperò
ardentemente che se ne fosse tornata nel suo amato Brasile.
Corrugò
la fronte osservando quel paesaggio: era bellissimo, ma gli aveva fatto tornare
in mente qualcos’altro. Qualcosa che si era ripromesso di fare quel giorno,
prima che i suoi piani fossero sconvolti. Qualcosa di veramente importante.
Era la
neve. Ah!
Si passò
una mano sul volto, maledicendosi per la sua stupidità. Non ci aveva più
pensato…
Chiuso per neve.
Si era
ripromesso di andare a trovare un amico importante, quel giorno.
Chissà come sta Jamie.
*
Era già
sera quando Jack arrivò a Burgess. Il giovane Guardiano aveva sperato di
arrivare prima, magari di pomeriggio, per poter parlare con Jamie e magari
uscire con lui e i suoi amici a fare a palle di neve. Ma a quell’ora
probabilmente il ragazzino era già a letto.
Jack
atterrò con un movimento fluido sul tetto coperto di neve di casa Bennett.
Era
passato circa un anno da quando tutti i bambini del mondo erano tornati a
credere nei Guardiani: un anno molto freddo in cui, sebbene fosse soltanto metà
novembre, uno spesso strato di neve e ghiaccio già campeggiava sui tetti e
sulle strade della cittadina, rifiutandosi di andarsene per settimane e
causando così disagi e, per la gioia dei più piccoli, chiusura precauzionale
delle scuole della zona.
Jack si
avvicinò a passi felpati alla finestra della cameretta di Jamie, e si chinò a
testa in giù a guardare oltre i vetri. Come si aspettava, le luci erano spente,
e la camera era avvolta nel buio. Jack si sporse un po’ di più, cercando con lo
sguardo la piccola figura del suo amico addormentato nel letto.
- Jack!
– senza preavviso, la spettinata testa di Jamie sbucò dalla montagnola di
piumini e coperte di lana, rivolgendo uno sguardo sorpreso verso la finestra.
Il ragazzino saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra, emergendo dalla
fitta penombra. Jack, sorpreso dal fatto che il bambino fosse sveglio, si
limitò ad alzare entrambe le sopracciglia mentre Jamie armeggiava con la
maniglia della finestra e aprirla per lasciar entrare il Guardiano.
- Hey, ancora sveglio a quest’ora? – Jack sorrise: - E’
tardi, sai? –
- Qui ha
nevicato un sacco ultimamente, ti stavo aspettando. Entra! – rispose Jamie con
un sorriso, e si fece da parte. Jack entrò nella stanza e si guardò intorno:
non era cambiato niente dall’ultima volta che era stato lì. La cameretta era
ancora piccola e accogliente come sempre, col soffitto basso, i poster sulle
pareti e il fido robot giocattolo che faceva la guardia sul comodino accanto al
letto.
- Sei
sparito per settimane. – continuò Jamie, tentando di metter su un broncio
offeso senza riuscirci: - Sei mancato a tutti, dov’eri finito? –
Jack si
sentì un po’ in colpa: erano settimane che non si faceva vedere a Burgess e
dintorni, anche se aveva inviato il freddo in sua vece.
- Mi
dispiace tantissimo, è che abbiamo avuto un po’ di problemi. Niente di che. –
mentì Jack con un’alzata di spalle. Il sorriso di Jamie si spense di colpo, e
il bambino corrugò la fronte.
- Pitch?
– chiese preoccupato. Il sorriso di Jack si fece un po’ incerto.
Colpito e quasi affondato. Pensò.
Jack si
passò una mano sulla nuca, imbarazzato: non sapeva come spiegare la strana
situazione in cui lui e i Guardiani si erano ritrovati. – Si, anche lui. – rispose lentamente con un
mezzo sorriso, e alzò le mani quando vide lo sguardo di Jamie farsi più
preoccupato: - Ma, ti dico, non è niente di che. Ci sono solo un mucchio di
grattacapi da risolvere. – fece una pausa, poi scosse la testa: - Sarò onesto,
quel tipo non smetterà mai di essere una fonte di guai. –
- Ma… è
tornato? –
Jack
scosse la testa: - No. –
Per un
terribile istante Jack temette che il bambino non aveva creduto alla bugia. Più
di una volta Jamie si era dimostrato incredibilmente bravo a capire quando
qualcuno mentiva.
Perlomeno,
questo valeva ogni qualvolta era Jack a mentire.
Per la
gioia del Guardiano, Jamie sospirò di sollievo, poi continuò: - Senti, io e gli
altri ci siamo messi d’accordo di uscire a fare a palle di neve quando saresti
tornato. Vogliamo te come ospite d’onore. Hai abbastanza tempo anche per noi? –
sorrise innocente, sfoderando i suoi migliori occhi dolci per cercare di
convincerlo. Jack scosse appena le testa, ridendo: - Ovvio, che domande. Dimmi
solo che abito devo indossare per l’occasione. –
Jamie
rise, e si ributtò sul letto: - Oh, quello che hai addosso va benissimo. O
qualunque altra cosa deciderai di mettere. – sorrise al soffitto.
I due
rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno sorridendo per conto suo,
entrambi felici di essersi rivisti dopo tanto tempo. Poi Jack rialzò lo
sguardo: non gli aveva ancora chiesto come stava. In fondo, era venuto lì
soprattutto per quello.
- Tu,
piuttosto. È quasi un mese che non ti vedo. Come te la passi? – il sorriso entusiasta
di Jamie durò per qualche altro istante, prima di spegnersi di colpo. Con lo
sguardo ancora fisso sul soffitto, convinto che il Guardiano non lo stesse
guardando, Jamie corrugò leggermente le sopracciglia.
- Bene.
– disse semplicemente. Rimase in silenzio per qualche istante, prima di
risollevarsi ed accorgersi del fatto che Jack in realtà lo stava osservando
attentamente, e che anche la sua espressione era cambiata, assumendo una
sfumatura preoccupata.
Cercò di
tornare a sorridere, ma la facciata non servì a nulla.
- Jamie…
è successo qualcosa ultimamente? – chiese Jack con la fronte corrugata,
alzandosi dal comodino su cui si era seduto e si avvicinò al bambino, sedendosi
sul letto con lui. Jamie scosse la testa: - No, nulla. –
- Brutti
voti a scuola? Qualche insegnante ti ha sgridato? – Jamie scosse di nuovo la
testa – Hai litigato con qualcuno? –
Jack serrò
le labbra, poi continuò: - Qualcuno ti maltratta?... –
A quella
domanda spalancò leggermente gli occhi e si tirò indietro, scuotendo la testa
con un’espressione di sconcerto così sincera che Jack si tranquillizzò un poco.
Tuttavia,
ancora non capiva cosa non andava. Jamie parve capire i sentimenti contrastanti
dell’amico, perché si affrettò a tranquillizzarlo: - Jack, non ti preoccupare.
Non c’è nulla che non va. – esitò un attimo, poi alla vista dell’espressione un
po’ dubbiosa dell’amico gli mise una mano sul braccio. – Davvero. – Insisté.
- E
allora perché…? – Jamie sorrise, scuotendo appena la testa.
- Mi sei
mancato, tutto qui. Avevo paura che ti fossi dimenticato di me! – scherzò. Jack
sorrise: - Ah! Impossibile. –
Di nuovo
silenzio.
- Jack.
–
- Si,
Jamie? –
Il
ragazzino distolse lo sguardo dall’amico, esitando: - Senti… so che ora che sei
un Guardiano sei sempre impegnato con tutti gli affari da Guardiani e col
chiudere tutte le scuole per neve ma… posso chiederti un favore? –
Prima che
il Guardiano avesse anche soltanto il tempo di rispondere, Jamie continuò: -
Puoi rimanere qui per stanotte? –
Jack si
bloccò.
- Ma
certo. – sorrise.
Chissà
cos’aveva Jamie, al punto da non volerlo confessare nemmeno a Jack, che era uno
dei suoi migliori amici.
*
La notte
era fredda a Burgess, e l’umidità proveniente dal bosco vicino la rendeva
nebbiosa. Persino il vento, che per Jack era un amico, fischiava sinistro.
Quella notte, le ombre nella cameretta di Jamie erano talmente dense da
sembrare solide, quasi serpeggianti, come dotate di vita propria.
Quella
notte Jack aveva paura. Aveva paura persino a chiudere gli occhi, nel timore
irrazionale che una volta riaperti si sarebbe ritrovato di fronte a qualcosa di
orribile.
Il
giovane alzò lo sguardo e lo puntò oltre la finestra. Là, oltre la nebbia, il
cielo nero era coperto di grandi nubi grigie, compatte e pesanti come una
coperta di lana.
La notte
era buia e là fuori, nascosti alla sua vista, gli parve di sentire le grida
inumane degli Incubi che correvano liberi.
*
Ogni
giorno al palazzo di Dentolina era un giorno di duro ed incessante lavoro.
Era
impossibile trovare un istante di pace o silenzio tra le incantevoli mura
dorate e gli ampi spazi ariosi del complesso di edifici che formava la dimora
della Regina delle Fate. In ogni istante ogni camera, sala e corridoio erano
percorsi da centinaia di minuscole fatine dei dentini indaffarate nel portare
monete ai bambini e riportare indietro canini, incisivi e molari da catalogare
e mettere accuratamente nel posto che gli spetta, in modo da trasformarli da
semplici denti in preziosi custodi dei ricordi dei bimbi che li hanno persi.
Era un lavoro molto importante, a cui Dentolina e tutte le sue fate avevano dedicato
ogni istante della loro esistenza. Eccezion fatta per gli straordinari
avvenimenti che hanno sconvolto il costante lavoro delle fate durante il più recente
tentativo di conquista del mondo da parte dell’Uomo Nero, nessuna fatina aveva
mai fatto errori, mancanze o ritardi sulla raccolta dei denti.
Mai,
fino a quel giorno.
Quel
pomeriggio, Dente da Latte era tornata in ritardo, portando con sé brutte notizie:
aveva perso Molare Sinistro, con cui era uscita a prelevare i dentini. Era
rimasta ad aspettarla per interminabili minuti prima di essere andata a
cercarla, ma era già in ritardo e, sperando che la piccola amica in un vuoto di
memoria si fosse semplicemente dimenticata dell’appuntamento che le due si
erano fissate, che fosse tornata a palazzo senza di lei. Ad accoglierla aveva
trovato una Dentolina con un’espressione ansiosa, che tuttavia aveva cercato di
rassicurarla dicendo che era sicuramente in ritardo, e consigliandole di
rimanere a palazzo senza tuttavia spiegarle la ragione. Preoccupata dallo
strano comportamento di Dentolina, Dente da Latte si era limitata ad ubbidire.
La
notizia di Dente da Latte non era stata l’unica di quel giorno per Dentolina.
Ne aveva ricevute altre, portate da altre fatine che avevano notato
l’inspiegabile assenza di alcune compagne.
Una,
due, tre, quattro… dodici. Dodici fatine, forse di più, assenti da ore,
scomparse nel nulla.
Il
ricordo del loro rapimento, quello ad opera di Pitch, aleggiava ancora nitido
nella memoria di Dentolina. Le loro grida terrorizzate ancora infestavano i
suoi sogni le rare volte che si addormentava.
Dentolina
si tormentò nervosamente le belle mani e le sottili braccia piumate, cercando
di contenere l’ansia che saliva incontrollabile.
Sono in ritardo. Sono soltanto in
ritardo. Magari si sono perse. Cercò
di zittire i suoi stessi pensieri, perché quel ‘magari si sono perse’ aveva
immediatamente seguito altre ipotesi, una più macabra dell’altra.
Torneranno. Ma in cuor suo sentiva che non
era così.
Forse
doveva calmarsi, ragionare, forse il suo presentimento non era altro che
un’inutile preoccupazione. Forse era meglio concentrarsi sul suo lavoro. O forse
era meglio fare qualcos’altro.
Avvisare
gli altri.
Si.
Avrebbe
causato dell’agitazione inutile, lo sapeva, ma il pensiero non era abbastanza
da costringerla a fermarsi e cercare di calmarsi. All’improvviso sussultò, e gonfiò
tutte le piume.
Aveva
sentito qualcosa.
Trattenne
il respiro, e gli occhi ametista saettarono in alto, soffermandosi sulle belle
cupole d’oro e madreperla che formavano i tetti del suo palazzo e poi più in
alto, verso la spoglia pietra della grande caverna aperta che ospitava il suo
palazzo.
Quella
era l’unica parte della sua dimora dove la luce del tardo pomeriggio non
arrivava, tuttavia l’oro delle cupole ne rifletteva abbastanza da illuminare a
sufficienza anche quella zona.
Dentolina
esaminò nervosamente le vaghe ombre che venavano il soffitto e si intersecavano
con la luce riflessa che le sbiadiva, ma non notò nulla di sospetto.
Forse è solo una mia impressione.
Mi sto immaginando le cose, si.
Si disse, ma quel pensiero non riuscì a convincerla. Aveva ancora la pelle
d’oca.
All’improvviso
qualcos’altro si mosse appena fuori dalla sua visuale, costringendola a
guardarsi di nuovo nervosamente intorno. Sopra di lei non c’era nulla. Ma c’era
qualcosa sotto.
Abbassò
lo sguardo.
Diversi
metri sotto i suoi piedi, sotto i basamenti degli edifici dorati, in
corrispondenza del lago con la parete affrescata che rappresentava la Regina
delle Fate e le sue piccole assistenti intente a raccogliere i dentini di tutti
i bimbi della terra, le parve di vedere qualcosa di insolitamente scuro che si
muoveva. Decise di scendere a controllare.
Il sole
del tardo pomeriggio inondava di calda luce dorata quel piccolo angolo di
paradiso che era il giardino del palazzo. I raggi illuminavano l’aria resa
polverosa dalla polline dei grandi e coloratissimi fiori del posto, donando al
luogo un’aria calda ed accogliente, poi rimbalzavano sulle verdi foglie degli
alberi e si tuffavano nell’acqua cristallina del laghetto, andando infine ad
illuminare, dal basso, il grande affresco sulla parete di granito giallastro
con chiari riflessi azzurrognoli.
Dentolina,
sollevata in aria a una decina di centimetri dall’acqua, si guardò attentamente
attorno: non c’era nulla nemmeno lì. Forse si era davvero immaginata tutto.
- Buon
pomeriggio, Guardiana. – disse una voce femminile.
Dentolina
si bloccò, e si voltò di colpo.
A pochi
metri da lei, sulla sponda del laghetto, una donna dal viso pallido e i lunghi
capelli color cenere la osservava con pacifico, genuino interesse.
Sebbene
l’avesse incontrata una sola volta nella sua vita, e per giunta in circostanze
tutt’altro che tranquille, Dentolina la riconobbe all’istante.
Crysis.
La fata
serrò le mani, pronta ad evocare le sue spade cariche di magia, ma alla vista
del suo atteggiamento improvvisamente ostile Discordia si limitò a scuotere
appena le testa e sorridere leggermente: - Non sono venuta per combattere,
Guardiana. Solo per chiedere il tuo aiuto. –
Dentolina
strinse gli occhi, evocando le sue spade: - E cosa ti fa credere che io te lo
voglia dare? –
- Perché è il tuo compito aiutare le persone
quando devono fare delle scelte difficili. – prima di dare alla Fata del
Dentino il tempo di fare alcunché, Crysis indicò con un vago gesto sopra di sé.
In alto,
molti metri sopra le loro teste, qualcosa esplose. Dentolina sentì una serie di
boati avvolgere in pochi istanti il palazzo e, con esso, le lontane grida
terrorizzate delle sue fatine. Il rumore si fece più intenso, talmente forte da
costringere la fata a portarsi entrambe le mani alle orecchie per evitare danni
all’udito, e guardarsi attorno spaventata.
Il tutto
durò pochi secondi. Il rumore scemò di poco, trasformandosi nelle urla degli
Incubi, e tutta la calda, bella luce solare venne risucchiata da un’orda di
esseri mostruosi dai luminescenti, piccoli occhi rossi.
E sul
bel giardino del palazzo, che fino ad un istante prima era illuminato dalla
calda ed accogliente luce del tardo pomeriggio, calò improvvisamente una notte
illuminata da inquietanti stelle color cremisi. Ad un cenno di Crysis gli
strilli acuti delle creature scemarono rapidamente, lasciando solo un fioco
fruscio di sottofondo.
La fata
abbassò lentamente le mani armate, e si guardò attorno, spaventata e confusa. Il
suo primo pensiero andò alle sue fatine.
Per favore per favore per favore,
ditemi che state tutte bene…
- Che
cosa hai fatto?! –
- Nulla
di particolare. – rispose Crysis: - Ho ordinato di isolare la tua dimora e di
catturare eventuali fuggiaschi. Voglio parlare con calma e, se possibile, farlo
a quattr’occhi. Senza l’intervento degli altri Guardiani. –
La fata
non impiegò molto a capire che era in trappola. In trappola e –almeno a
giudicare dal numero di Incubi che presenziava quel loro colloquio, abbastanza
da arrivare ad oscurare la luce del sole-
in netta inferiorità numerica e senza nemmeno la possibilità di lanciare
l’allarme, anche se forse l’ultima opzione non era da escludere. Il problema
restava come riuscirci senza far andare il tentativo a vuoto ed esporsi –lei e
tutte le sue piccole aiutanti- ad un pericolo maggiore.
Dentolina
ispirò e chiuse per un istante gli occhi, cercando di ritrovare la calma.
Crysis non voleva combattere. Non si doveva arrivare a uno scontro. Ma non si
poteva nemmeno lasciar correre. Impiegò quel poco tempo a disposizione per
cercare di percepire tutte le presenze delle fatine intrappolate nel palazzo:
nonostante la paura che provavano in quel momento, erano tutte sane e salve.
Riaprì gli occhi, tornando a concentrarsi sull’avversaria.
- Che
cosa vuoi da me? –
Ad un
cenno impercettibile di Crysis, uno degli Incubi si staccò dall’orda che
serpeggiava nell’aria e si posò accanto a lei: era grosso, e somigliava
vagamente ad un varano gigante. Aveva una testa larga e piatta e il lungo collo
presentava un enorme gozzo semitrasparente, attraverso la cui pelle smagliata e
parzialmente coperta di scaglie si intravedeva un gran numero di puntini color
acquamarina che si agitavano disperati, emettendo degli squittii familiari.
Dentolina
sbarrò gli occhi.
Quelle erano le sue fatine
scomparse.
Crysis
sorrise di fronte alla reazione della fata: - Le avevo prese come assicurazione,
nel caso la mia visita non fosse andata a buon fine. Ovviamente, se mi
ascolterai e farai ciò che ti dico, farò la brava e ti restituirò le tue
aiutanti, vive e vegete. –
Certo, come no. avrebbe voluto urlare Dentolina.
Voleva lanciarsi sulla donna, farle più male possibile.
Ma non
poteva. Aumentò la stretta sull’impugnatura delle sue spade, sforzandosi di
apparire più calma possibile.
- Voglio
le mie memorie. –
Dentolina
strinse gli occhi: - Perché? –
L’altra
inclinò di poco la testa, e mosse qualche passo verso la sponda del laghetto: -
Ci sono cose che devo sapere. – rispose semplicemente.
Non ricordi il tuo passato? Dentolina non si azzardò a fare
quella domanda. Tuttavia quella era l’ipotesi più probabile.
Il
compito di Dentolina era conservare i ricordi più felici dell’infanzia. Quei
ricordi che permettevano, da adulti, di fare le scelte migliori.
Che significa?...
Ma la
fata al momento non aveva altra scelta che ubbidire, e così fece. Seguita dallo
sguardo attento di Crysis e degli Incubi, si alzò in volo diretta verso una
della zone del palazzo in cui custodiva gli scrigni. Nel breve tragitto si
assicurò che ogni fatina che incontrava fosse effettivamente sana e salva, e
rispose con uno sguardo di avvertimento ai loro fiochi cinguettii e alle loro
domande inespresse.
State buone, non date a nessuno
una scusa sufficientemente valida per attaccare, tenetevi pronte ad
un’eventuale fuga appena trovate il modo. Dobbiamo assolutamente avvertire gli
altri.
Seguita
anche dagli sguardi delle sue piccole aiutanti, si diresse verso la parte
inferiore di uno degli edifici, dove venivano custoditi alcuni degli scrigni
più vecchi e, dopo una breve ricerca, ne estrasse uno. Al suo ritorno nessuna
fata vide a chi apparteneva quella piccola scatolina dorata che Dentolina
teneva stretta al petto, ma il mistero venne risolto quando la videro porgere
con mani esitanti a Crysis.
Discordia
prese il piccolo manufatto contenete i suoi dentini e lo osservò attentamente. Dentolina
rimase rigida ed immobile di fronte alla donna, le labbra strette in una
sottile linea preoccupata.
Ti prego vai via, vai via vai
via!
- Hai le
tue memorie, ora. – disse, trattenendo a stento un tremito nella voce e
lanciando l’ennesima occhiata preoccupata alle fatine intrappolate nel gozzo
dell’Incubo, che ora sedeva tranquillo accanto a Crysis: - Ora libera le mie
fate e vattene. -
Crysis alzò
lo sguardo sulla Guardiana.
- Oh,
non credo proprio. – mormorò a mezza voce.
- Cos...?
– ma Dentolina non ebbe il tempo di reagire che l’Incubo con il gozzo emise un
basso ululato stonato, causando così la reazione di tutti gli altri. Centinaia
di mostri fatti d’ombra e fumo emersero dal muro nero che isolava il palazzo
dal resto del mondo, e molti di essi si gettarono su Dentolina.
- NO! – prima ancora di rendersi conto di
ciò che stava succedendo la fata si ritrovò spinta indietro, il braccio armato -aveva
a malapena avuto il tempo di richiamare nuovamente le sue spade- teso in avanti
e la sottile spada magica affondata fino all’elsa nella gola del primo Incubo
che si era gettato contro di lei, e che nonostante ciò la spinse in avanti di
diversi metri prima di indebolirsi, permettendo a Dentolina di estrarre la lama
e sfuggire dalla presa dell’essere prima che questi si schiantasse contro il
muro affrescato, dissolvendosi.
Dentolina
non ebbe il tempo di vedere cos’era successo all’Incubo che già un altro
l’aveva attaccata con successo, graffiandole il braccio e costringendola alla
difesa.
Ma non
era il solo. Un’altra ventina di mostri circondarono la fata, costringendola a
formare uno scudo di energia magica attorno a sé. Era un tipo di magia che
richiedeva molta forza, e Dentolina sapeva benissimo che non poteva usarla
spesso. Approfittando della capacità elettrificanti dello scudo sfuggì
dall’orda che l’aveva circondata, ma questa la seguì senza darle tregua.
Dentolina sapeva che combatterli era una follia: l’avrebbero sopraffatta.
Doveva trovare Crysis, e ingaggiare battaglia direttamente con lei. Se avesse
costretto il capo alla ritirata, gli altri l’avrebbero seguita.
Ma
Discordia era sparita.
Dove sei?
Nella
sua testa, mescolate alle urla degli Incubi, al cuore che sembrava pulsarle
direttamente nelle orecchie e il suo stesso panico, sentiva anche le grida e la
paura delle sue fatine, impegnate a sfuggire o contrastare l’esercito di mostri
che le aveva attaccate senza preavviso. Molte erano già sfuggite dal suo radar
mentale.
Le stanno catturando?! Pregò che fosse solo quello. Il
pensiero che la loro improvvisa scomparsa significasse qualcos’altro la
terrorizzava. Doveva trovare un modo per salvarle, e doveva farlo in fretta.
Non poté
distrarsi ulteriormente: lo scudo esaurì il suo effetto protettivo e si
dissolse, e Dentolina si ritrovò di nuovo indifesa.
Stavolta
non ebbe nemmeno il tempo di alzare la guardia che una delle creature le era
già addosso con le fauci spalancate, e strinse le mascelle d’acciaio sul suo
esile braccio. Dentolina urlò di dolore, e cercò di liberarsi affondando la
spada libera nel corpo d’ombra e fumo della creatura. Non seppe dire se
l’attacco fosse andato a buon fine o meno: nel giro di quei pochi secondi di
distrazione venne sopraffatta da un’altra decina di Incubi che la
immobilizzarono completamente con le loro forti zampe e i loro corpi roventi,
accecandola con quello che sembrava essere un velo d’ombra.
Dentolina
si accorse con qualche secondo di ritardo di essere completamente immobilizzata
e privata della vista, e che da quel momento l’unica cosa rimasta a dirle che
era ancora nel suo palazzo e non in qualche anfratto del mondo delle tenebre
era l’udito, che le rimandava gli echi del caos della battaglia che infuriava.
Dopo un
istante, la fata si lasciò sopraffare dal panico.
Calmati. Cerca di calmarti. Devi
pensare. Ma non
si riusciva. Non nella situazione in cui si trovava.
- CHE
COSA HAI FATTO? – urlò al buio che la circondava, senza riuscire a reprimere il
panico. Gli Incubi fremettero al suono della sua voce tremante, e strinsero
Dentolina in una presa ancora più soffocante, sentendo in risposta il suo
panico aumentare ulteriormente.
Sebbene
appena sussurrata, la voce di Crysis arrivò chiara alle sue orecchie. Non
riuscì a capire esattamente da dove provenisse, probabilmente dal basso, forse
esattamente dove Dentolina l’aveva lasciata.
- Mi
servi anche tu, Guardiana. – disse Discordia. - Il tuo potere è pericoloso. Non
posso lasciarti libera. –
Dentolina
tentò di divincolarsi, ma non riuscì a muoversi di un millimetro. La forza
della presa degli Incubi aumentò. E all’improvviso, nonostante l’adrenalina, il
panico e i muscoli tesi, si sentì mancare le forze. Il suo corpo si afflosciò contro
la sua volontà contro i mostri che la tenevano ferma, mentre uno strano dolore
sordo si insinuò nel suo petto. Anche l’udito si affievolì rapidamente,
trascinandola nel silenzio. L’ultima cosa che sentì fu la gentile, rassicurante
carezza di una mano calda.
Poi la
sua coscienza venne trascinata in un abisso nero.
*
Akron,
Ohio.
Il
lavoro di Sandman era cominciato da poche ore in quella zona. Centinaia di scie
di sabbia magica percorrevano i cieli della città portando bei sogni a tutti i
bambini, o almeno tutti quelli i cui Sogni non sono ancora stati Maledetti.
Sottili,
lunghissime scie di scintillante sabbia magica ondeggiavano lentamente simili a
giganteschi, pacifici serpenti. Alcune erano larghe e lunghe, altre più
sottili, altre ancora si biforcavano o contorcevano in mille spirali, e tutte
insieme tracciavano infiniti disegni, ghirigori ed arabeschi sullo sfondo del
cielo nero, punteggiato qui e là da rade nuvolette e minuscole stelle della notte
senza luna.
Quella
sera Sandy non era solo. Si era ritrovato a svolgere il suo lavoro in compagnia
dell’essere più improbabile di quella metà di globo, considerando lo spesso
strato di candida neve che copriva la città: June Warmwind. La giovane aveva
indossato un piumino azzurro sopra il solito abito estivo per coprirsi dalle
temperature quasi polari, aggiungendovi dei leggings
di lana rossa e degli stivaletti pelosi. A giudicare dall’abbigliamento, pensò
Sandy, era un po’ che girava da quelle parti.
Guarda che se cerchi Jack,
Burgess è nello Stato accanto. Aveva
detto all’improvviso il Guardiano, intuendo la ragione per cui June si era
avventurata in un luogo del genere in un periodo che non fosse estate.
Per
tutta risposta, lo Spirito aveva alzato le spalle: - Oh, lo so. L’ho cercato lì
infatti. Ma dopo la Siberia Ghiacciolo-Man
è letteralmente evaporato e io mi sono stancata di giocare ad acchiapparello. –
aveva poi distolto lo sguardo, improvvisamente interessata alle luci della
città dormiente e le eleganti scie di sabbia magica ed evitando così l’occhiata
tra il rimprovero e l’interesse che Sandy gli lanciò, combattuto tra il Ah, quindi sei davvero tornata a tormentare
quel poveretto? E il Che c’entra la
Siberia adesso?
I due
non si dissero molto. June sembrava stranamente pensierosa, e si limitò a
seguire Sandy e osservarlo svolgere il proprio lavoro. Ma, dopo un’ora e mezza
di silenzio, qualcosa giù in città catturò l’attenzione del giovane Spirito.
- Sandy.
Hey, Sandy! – Sandman distolse lo sguardo dalle sue
scie e, seguendo il gesticolare agitato di June, aveva abbassato lo sguardo
verso gli edifici, diversi metri sotto di loro. All’inizio non notò nulla di
particolare, ma poi li vide. Due figure scure, così tanto da potere essere
scambiate per ombre. Si muovevano rapide e leggere, come se non avessero un
corpo solido.
Incubi.
- Che…
che dici, li seguiamo? – chiese June titubante, seguendo con lo sguardo gli
esseri che apparivano e scomparivano nel buio delle strade, strisciando sui
muri. Eccoli, si disse Sandy, sempre a rovinare il mio lavoro. Corrugò la
fronte, arrabbiato. Ovvio che li
seguiamo. disse e, prima di dare a June il tempo di comprendere il
messaggio, scese con la sua nuvoletta, fruste pronte per ogni evenienza.
Nonostante
l’illuminazione dei lampioni, l’oscurità sembrava più fitta del normale. Era un
effetto secondario dato dal passaggio degli ex scagnozzi di Pitch, Sandy lo
sapeva bene. Ma i due Incubi erano scomparsi, e Sandy non sapeva nemmeno dove
fossero andati. June era a pochi passi dietro di lui, e aveva sfoderato arco e
frecce e si guardava nervosamente attorno.
Tuttavia,
nulla emerse dal buio per attaccarli.
- Forse
se ne sono andati? – disse la ragazzina, rilassandosi appena. Sandy non sapeva
come risponderle. Poteva essere vero, poteva non esserlo.
Ma i
nemici erano comunque spariti. Forse avevano semplicemente finito il loro
lavoro.
Sandman
fece un cenno a June. Vieni con me.
I due si
ritrovarono ad entrare in diverse case, controllando che i sogni di tutti
fossero a posto, e Sandy scoprì che non c’erano incubi in quella zona. Strano,
si disse, che ragione avevano degli Incubi per girare furtivi in mezzo alle
case se non per portare paura e brutti sogni?
Entrarono
in un’ultima casa per accertarsi che fosse veramente tutto a posto, e fu lì che
Sandy si accorse di qualcosa di insolito.
- Wow,
guarda che roba. Scommetto che questo qui crede nell’esistenza di mister
Pipistrello. – disse June, chinandosi ad osservare un’enorme tarantola
rinchiusa in una teca di vetro, comodamente seppellita sotto un sottile strato
di ghiaia, con le sole quattro paia di occhietti neri a segnalarne la presenza.
Poi si rialzò, e rivolse lo sguardo al letto occupato da un ragazzino da corti
capelli castani e le lentiggini che non dimostrava più di quattordici anni, e
infine lo spostò sulla stanza: - Voglio dire, guarda un po’ questa stanza.
Sembra gridare ‘Hey, Pitch, sono qui. Se ti capita di
passare da queste parti fermati da me che ci facciamo una partitina a Dead
Space e magari mi chiarisci una volta per tutte se i marziani stanno veramente preparando
un piano per la distruzione della terra perché sai, col mio mini telescopio da
qui non riesco a capirlo. E lasciami un incubo di quelli tosti, magari sugli
alieni, così ho qualcosa di superspaventoso da
raccontare domani ai miei amici’. No? – si mise le mani sui fianchi e alzò un
sopracciglio, percorrendo la cameretta con lo sguardo.
Era
tappezzata di poster di film su alieni, zombie, Godzilla e altri mostri,
interrotti qui e là da disegni di costellazioni, ufo e simboli che June non
comprese. I tre alti scaffali di legno scuro erano pieni di quaderni, libri di
scuola scarabocchiati e alte pile di fumetti e videogiochi. Non tutti però
avevano come protagonisti gli alieni, notò la ragazzina.
- …Ma
Alien VS Predator non è un film vietato ai minori di diciotto anni? – chiese
June, notando un poster nascosto dietro una pila di libri: - Sandy? –
Ma il
Guardiano non la ascoltava. Sembrava stranamente interessato al sogno che il
piccolo stava facendo. June si chinò ad osservare: nemmeno quello aveva a che
fare con gli alieni. Volteggiava e si contorceva in spirali incomprensibili,
per poi trasformarsi in draghi e cavalieri in armatura e mantello e castelli e
sconfinate terre di sabbia dorata.
- Hey Sandy, qua sembra tutto a posto. – insisté June,
facendo sussultare l’altro. Per una qualche ragione che la ragazzina non
comprese, Sandy si voltò e la fissò per un istante, poi sul suo viso paffuto si
allargò un sorriso radioso e lo Spirito dei Sogni strinse June in un abbraccio
spaccaossa. – Whoa! – esclamò lei senza comprendere,
sentendo tutta l’aria uscire dai polmoni compressi: - Calmo, calmino. Non è poi
un sogno così speciale, eh. – ma Sandy scosse la testa, cercando di spiegare.
Quel sogno era speciale, eccome. Era uno dei sogni Maledetti, ma non era più
pallido e spento come al solito. Era luminoso, pieno di energia, e ubbidiva
alla volontà del Guardiano. Era tornato normale.
La domanda ora era scoprire come era
tornato normale, ma sentiva che avrebbe trovato la risposta presto. Ne era
certo.
June osservò
il susseguirsi di forme di sabbia sulla testa di Sandy senza capire né la
spiegazione né il suo improvviso entusiasmo. Ma, intuì, forse la cosa aveva a
che fare con lo strano problema con cui i Guardiani sembravano avere a che fare
da un po’ di tempo a questa parte.
- Uuh, c’entrano gli Incubi Grigi? – azzardò, una volta
libera dalla presa di Sandy. L’altro corrugò le sopracciglia, formando un punto
interrogativo sopra la sua testa: come lo sapeva?
-
Dentolina. E il Ghiacciolino. Mi avete chiesto informazioni
su certe anomalie che avete incrociato ultimamente, ricordate? – Sandy annuì:
già, ricordava che Dentolina aveva nominato June l’ultima volta che avevano
deciso di andare a caccia di informazioni presso gli Spiriti Minori.
- Ma
alla fine l’Uomo Pipistrello centra qualcosa? – aveva continuato lei con un
cenno della testa, riferendosi a Pitch.
Sandy
annuì. Abbastanza.
June
annuì: - Hm. Beh, qualunque cosa abbia scoperto, meglio avvertire i Guardiani,
giusto? – sorrise.
Giusto.
Uscirono
insieme dalla casa, e lì trovarono una nuova, assai meno piacevole sorpresa: il
cielo stellato era percorso la lunghissime scie di eterea luce verde, dalle
belle sfumature cangianti, che solcavano l’aria simili a onde spettrali.
Era
l’Aurora Boreale.
Emergenza.
Senza
riflettere, Sandy richiamò una gran quantità di sabbia attorno a sé e, con
pochi fluidi gesti, formò un ufo dorato e saltò a bordo.
- Posso
venire anch’io? – chiese June, eccitata dall’improvvisa iperattività del
Custode dei Sogni. Ma, con sua immensa delusione, Sandy scosse la testa con
espressione grave.
No. disse. È meglio che torni a casa, e ti metti al sicuro. È la cosa migliore da
fare.
- Uffa.
– Il Brasile era sicuramente un posto più tranquillo del Polo Nord. Troppo, per
i gusti di June.
La
ragazzina vide Sandy chiudere il portellone del mini-ufo e partire, più
silenzioso e rapido di qualunque altro oggetto volante non identificato, sparendo
in breve tempo oltre la linea dell’orizzonte.
June rimase
per qualche secondo sospesa a mezz’aria, con lo stesso broncio offeso con cui
Sandy l’aveva lasciata.
Poi
sorrise.
Certo
che i Guardiani avevano una gran faccia tosta a chiedere il suo aiuto e poi non
permetterle di renderla partecipe di qualunque cosa stesse succedendo in quel
momento. Seppur in minima parte, la giovane era stata coinvolta, e aveva il
diritto di sapere.
Richiamò
i venti più potenti che era capace di comandare.
Hah.
Non mi lasci certo qui, caro il mio Omino dei Sogni.
*
Jack si
ritrovò ad osservare il lento oscillare della spettrale luce dell’Aurora
Boreale con le mani poggiate sui vetri della finestra della cameretta di Jamie,
le dita leggermente tremanti e un nodo alla gola che non riusciva a sciogliere.
Era successo qualcosa.
Piegò le
dita e le strinse in pugni, combattuto. Non voleva andarsene. Jamie dormiva
tranquillo, e apparentemente –nonostante
i presentimenti di Jack- a Burgess era tutto a posto. Non c’erano Incubi in
città.
Ma aveva
anche promesso a Jamie di rimanere per la notte, e anche il giorno dopo. Si era
promesso di rimanere e giocare a palle di neve con lui e i suoi amici, e anche
di scoprire perché Jamie era così giù.
Strinse
le labbra in una linea sottile.
Non
poteva certo ignorare il suo dovere di Guardiano, soprattutto quando questo
chiamava. Poi, senza realmente comprendere cosa stava facendo, aprì piano la
finestra e uscì. Rimase ancora un secondo ad osservare il bambino che dormiva serenamente
nel suo letto, ignaro di ciò che stava succedendo.
-
Tranquillo, Jamie. Tornerò prima dell’alba. –
Poi, con
un movimento fluido di buttò nel vuoto e si lasciò prendere dal vento, che lo
trasportò in alto, leggero come una foglia, diretto verso il Polo Nord.
-+-
HOLD ON RIGHT THERE SON *modalità
coach
Oleander attivata. Possibili cambiamenti di personalità inclusi* Ehm. In
teoria dovrei scusarmi di esistere prima, ma a quello ci pensiamo dopo, yes?
LI HA FATTI
LOMBAXLOVER. DELLE FANART DI CRYSIS. PER ME. DELLE FANART DI CRYSIS.
OMG. *muore di nuovo*
donna, io non merito così tanto. No sul serio. No, non io.
SE AVERE UN ACCOUNT SU
DEVIANTART, ANDATELA AD ADORARE, OKIE? E anche se non ce l’avete, andatela ad adorare un casino lo stesso. Non me ne frega. AASKANDSNFAKMISENTOTROPPOAMATANONMERITOTUTTAQUESTAFELICITAAAA*delirio
totale*
Uhm.
Tornando sul mio
pentimento di essere nata, si. Torno nella mia buca della vergogna. Se avete
una pala e passate dalle mie parti seppellitemi pure, se vi va.
Yukyuk (?) guardatemi, son
tornata alla carica con le mie cavolate. Perdonatemi infinitamente per il
ritardo e per questo capitolo (ugh, ma perché niente
di quel che faccio mi va bene ultimamente…) ma sono sommersa da studio, esami,
blocchi di scrittore, artista e varie ed eventuali. Buona lettura ma in verità
anche no (??)
XIII: In cui va
tutto all’Inferno
Suppongo
Che questa sia stata la peggiore
delle cose che tu abbia mai fatto
Vecchio amico mio.
*
In
millenni di vita ed esperienza, Calmoniglio aveva imparato a credere ciecamente
in una cosa soltanto: il suo istinto.
Non che
non si fidasse dei propri compagni, ma aveva sempre preferito dare la priorità
a quella vocina nella sua testa che gli consigliava sempre quella che era
sempre sembrata la soluzione migliore.
Quella
mattina Calmoniglio si era risvegliato con un orribile presentimento.
Sentiva
fin nelle viscere che stava per succedere –o forse era già successo- qualcosa di terribile. Voleva controllare, assicurarsi
che gli altri stessero bene, ma il suo orgoglio e la ragione l’avevano tenuto a
freno. In fondo, quella giornata si era svolta come tutte le altre: noiosa,
piena di impegni –da quando era diventato uno di loro, Jack Frost aveva preso
l’abitudine di fargli qualche improvvisata e aiutarlo con la pittura delle
uova. Per quanto le sue opere finissero sempre inevitabilmente con l’assomigliare
con qualche orribile dipinto di qualche artista post moderno, Calmoniglio aveva
sempre apprezzato le sue visite, la sua compagnia e il suo aiuto-, con nessuna
visita da parte di nessun collega Guardiano e soprattutto non era arrivato
alcun tipo di comunicazione alla Tana che richiedesse la sua presenza, e
l’ultima cosa che il Pooka voleva era fare la figura dell’ansioso o dello
stupido.
Solo
alla fine della giornata aveva finalmente deciso di dare ascolto ai suoi presentimenti,
anche se aveva continuato a trattenersi. Aveva scelto il Guardiano che meno di
tutti si sarebbe accorto della sua preoccupazione, questo in parte a causa del
suo carattere troppo distratto ed entusiasta, e in parte a causa del suo
lavoro, che richiedeva troppa attenzione per notare altro, e quindi gli avrebbe
permesso di controllare che tutto fosse a posto senza fare domande
potenzialmente imbarazzanti: Dentolina.
Il
palazzo della regina delle fate era buio e silenzioso, e sembrava ancora più grande
del solito. Calmoniglio attraversò a passi lenti e felpati una delle grandi
sale, boomerang in una zampa e uova esplosive nell’altra, entrambi pronti ad
essere lanciati contro potenziali aggressori nascosti nell’oscurità, troppo
fitta per convincere l’istinto del Pooka che fosse tutto a posto. Ma
Calmoniglio sapeva che in quel buio non c’era nulla.
I nemici se n’erano andati da un
bel pezzo.
Aveva
capito tutto nell’istante in cui, ancora dentro le sue gallerie, si stava
avvicinando al palazzo, in cui aveva dato una prima annusata all’aria e aveva
percepito l’oscurità accarezzare le sue vibrisse, in cui il suo fine udito
aveva sondato per la prima volta l’avvolgente, anomalo silenzio di quel luogo,
che era sempre stato immerso nella luce del sole e nel musicale brusio di
migliaia di piccole, indaffarate fatine. Lo sapeva, anche quando si era
precipitato a chiamare la Guardiana a gran voce, a cercare lei o almeno una
delle sue aiutanti in giro per il palazzo, solo per scoprire scrigni di dentini
mancanti, alcuni spezzati e dal contenuto sparso per terra, pochissimi ancora a
posto, e i segni di battaglia, al cui
tocco aveva sentito tutti i peli della nuca rizzarsi in modo fastidioso.
Lo
sapeva.
L’hanno presa. Hanno preso tutto.
Questo luogo puzza di oscurità fin nei ripostigli.
Perché
non aveva ascoltato prima il suo istinto?
Oh Dentolina, ti prego, dimmi che
sei ancora viva, dimmi che stai bene ti prego ti prego ti prego. Ma era ovvio che non era così. Gli
Incubi avevano preso lei, le sue fate, i dentini, e nessuno si era accorto di nulla.
Sapeva
di dover correre più veloce di quanto le sue stesse zampe erano in grado di
andare, avvertire i suoi compagni, perché non poteva lasciar correre.
Così
fece.
Digrignò
i denti, aumentò la presa sui boomerang e batté due volte la zampa per terra.
Il suo
istinto gridava ancora al pericolo, e fu solo quando una delle sue gallerie si
aprì al suo comando che comprese il perché: dal tunnel provenivano dei guaiti
lontani, parzialmente distorti dall’eco. E l’odore di terra era mescolato a
qualcos’altro, un odore che il Guardiano della Speranza detestava.
Odore di
Incubi. Odore di pericolo.
Erano
lì, nelle sue gallerie, ed erano in molti, li percepiva chiaramente dispersi a
macchia di leopardo per i tunnel, pronti a ricevere il segnale per attaccare.
Aspettavano lui.
Quando sono arrivati? Avrei
dovuto percepirli. Sono troppi per poter passare inosservati…
Niente
poteva entrare o uscire dalle gallerie senza che Calmoniglio se ne accorgesse.
Ma allora come…?
Ma
quella domanda era destinata a rimanere senza risposta. Calmoniglio si sporse
ad osservare oltre il buio del tunnel, sentendo gli ululati e la sua stessa
adrenalina salire di pari passo. I suoi tunnel, suo unico mezzo di trasporto,
sono stati invasi.
Era in
trappola.
Ma
doveva avvertire i suoi compagni, farlo subito,
si disse, e apparentemente Dentolina non sembrava avere altri metodi di
comunicazione a parte lei stessa e le sue fatine. Realizzò di non avere altra
scelta.
Fece un
piccolo passo indietro, un respiro profondo, e con un movimento fluido saltò
dentro.
Non
importava quanto e quanto forti fossero i nemici. Avrebbe combattuto, li
avrebbe sbaragliati tutti.
I suoi
compagni Guardiani erano in pericolo, e non poteva abbandonarli.
*
Sandy si
poté godere soltanto qualche minuto di viaggio sul suo mini ufo, prima che il
silenzio –interrotto soltanto da qualche bip della consolle dei comandi- dell’abitacolo
venisse interrotto da un tonfo sordo.
Il
Custode dei Sogni sobbalzò e si voltò, solo per ritrovarsi a fissare
un’agitatissima June che, schiacciata contro il vetro giallastro del mezzo,
gesticolava freneticamente.
Accelera. AcceleraacceleraACCELERA!
Guidato
da uno strano sospetto, Sandy lanciò un rapido sguardo oltre lo Spirito sdraiato
a mo’ di mosca spiaccicata sul parabrezza e comprese subito la ragione del suo
panico.
Incubi.
Erano
piuttosto lontani, ma si stavano avvicinando rapidamente, estendendosi sulla
linea dell’orizzonte e formando una fila compatta. Puntavano tutti al piccolo
ufo dorato.
Sandy non
avrebbe saputo dire quanti fossero esattamente, ma sembrava essere un gruppo
abbastanza nutrito da dargli del filo da torcere: forse un centinaio, forse un
po’ di più. Premette un pulsante sulla consolle e aprì il portellone dell’ufo,
e June saltò dentro.
Ti avevo detto di tornare a casa! Fu la prima cosa che le disse.
Sapeva che era inutile rimproverarla, visto che la ragazzina non ascoltava mai
nessuno, spesso nemmeno il suo istinto di autoconservazione. June, comunque,
sembrava troppo agitata per prendere il suo rimprovero sul serio.
Perché non sei scappata?
- Sono
nei guai, vero? Oh si, si lo sono. – esclamò June, con voce acuta
dall’agitazione: – Oh e non mi guardare così, è esattamente quello che stavo
cercando. Guai. Guai grossi, eeeesattamente quello, si. –
A quella
frase Sandy le lanciò un’occhiata stranita. - …Ora. Dimmi che hai dei cannoni al laser o qualcosa del genere su
questo ufo, perché io ho già sprecato metà faretra e dubito seriamente di
averne beccato almeno uno. –
Sandy
non perse tempo ad accertarsi della veridicità delle parole della giovane:
guidata dalla sua volontà, una manciata di sabbia magica si distaccò dal
pavimento del mini ufo e assunse una forma affusolata, trasformandosi un fascio
di frecce che volarono fra le mani di June: - Grazie! – esclamò lei,
affrettandosi ad incoccarne una.
Sandy le
aprì un piccolo varco nel vetro del veicolo e usò la sua sabbia per alterare la
conformazione dello stesso, in modo da creare un’ideale piattaforma di tiro per
il giovane Spirito e permettendole così di scoccare le sue frecce, e poter intanto
continuare a guidare il suo ufo senza fastidiose incursioni di aria gelida
proveniente dall’esterno, e dalla consolle dei comandi sbloccò i cannoni laser
che agganciarono automaticamente i loro bersagli sull’orda che li inseguiva.
Sandy
non aveva davvero tempo per fermarsi e combattere i nemici, doveva arrangiarsi
e continuare a fuggire, e sperare che questi fossero abbastanza stupidi da
continuare ad inseguirlo finché, nella sua corsa, non li avesse abbattuti
tutti. Proiettili ed energie per combattere erano due cose che non gli
mancavano.
Tuttavia,
il Custode dei Sogni non aveva calcolato una possibilità.
Che quello che sembrava una
banale aggressione ad opera di un gruppo di Incubi dalla testa calda, in realtà
non fosse altro che un’imboscata.
Un
pensiero vagamente simile a tale idea attraversò la sua mente in un lampo
quando, senza nemmeno avere un istante per poter comprendere cosa stesse
succedendo, si sentì improvvisamente sbalzato
in aria, ed un boato assordante gli perforò i timpani.
Quello
che avvenne nel paio di istanti che seguì fu un miscuglio incomprensibile di
confusione, luce, dolore e panico.
Sentì June, da qualche parte vicino a lui, strillare terrorizzata, e la sabbia magica,
guidata probabilmente più dell’inconscio che dalla diretta volontà di Sandman
avvolse sia lei che il Guardiano in un rigido guscio protettivo, e il suo senso
dell’equilibrio registrò la fastidiosa sensazione di mancanza di gravità data
dalla caduta libera.
Sandy
sentì l’impatto violento col suolo e un altro grido della ragazzina. La sabbia si
sciolse quasi immediatamente, lasciando i due liberi di muoversi. Sandy balzò
al fianco di June e, vedendola raccolta a riccio su sé stessa, immobile, la
scosse debolmente temendo il peggio.
…Stai bene?!
June
reagì immediatamente, scattando a sedere come attivata da una molla: – Si! – gridò quasi in faccia a Sandy,
pallida, e con un’espressione di puro panico dipinta sul viso. Aveva i capelli
scompigliati e quasi ritti, un buon orlo dell’abito era bruciacchiato e un
piccolo taglietto sulla tempia sinistra dal quale erano prontamente uscite alcune
goccioline di sangue. Sandy intuì di non essere in condizioni molto diverse, a
giudicare dal dolore sordo che aveva cominciato a martoriargli la schiena dopo
la caduta: - Cos’è successo?! – esclamò lei, senza fiato.
Non lo-
Sandy si
bloccò e si voltò. Il suo sguardo non percorse il nutrito gruppo di Incubi che
ora stava scendendo a terra, senza fretta alcuna, i respiri pesanti subito
condensati in nuvolette nella gelida aria novembrina. Non si soffermò sul loro
numero, sul fatto che avanzassero a passo tranquillo e li stessero circondando,
sui loro denti digrignati e gli occhi famelici puntati su June, perché
percepivano chiaramente la paura e la confusione della ragazzina, ancora
sconvolta, dolorante e senza fiato dopo la caduta.
…so.
Lo
sguardo di Sandy era corso sulla sua sabbia magica, che si agitava
violentemente di fronte alle creature nemiche che avanzavano, alle fiamme che bruciavano in alcuni punti
isolati sull’asfalto della strada su cui erano atterrati, alle lamiere di
sabbia -resti del suo ufo- sparse qui e là e al buio troppo fitto, quasi
soffocante, che li circondava. Ed infine era corso in alto sui tetti, alla
ricerca di un bagliore di luce, un segno.
Qualcuno ha abbattuto il suo ufo.
E Sandy,
che aveva una vaga idea di chi fosse l’autore di quel gesto, desiderò che
uscisse allo scoperto.
Senza
ordine alcuno, sabbia dorata accarezzò dolcemente i palmi delle sue mani,
tramutandosi nelle sue fidate e letali fruste.
E con un
fluido movimento delle braccia e un secco crack,
Sandy spedì le propaggini di sabbia contro i primi due incubi che si ritrovò
davanti.
Le
creature non ebbero nemmeno il tempo di reagire al colpo che il colore del loro
manto sbiadì, ed i loro corpi mutarono, perdendo consistenza e dissolvendosi,
lasciando uno spazio vuoto nel cerchio che li circondava.
June,
ancora parzialmente sotto shock dopo la caduta, sussultò nel notare
l’espressione quasi feroce che si dipinse sul volto di Sandman.
C’era
una ragione precisa per cui, chiunque conoscesse anche solo vagamente il
Custode dei Sogni, stava sempre bene attento a non rovinare il suo lavoro, far
male a suoi amici, ai bambini e con tutto questo a non farlo arrabbiare.
Perché
quando Sandy era infuriato, nessuno
poteva dirsi al sicuro.
-
S-Sandy…? – al sentire la voce leggermente tremante di June, Sandy si voltò.
June, giusto. La ragazzina doveva andarsene,
allontanarsi dallo scontro. Ma la cosa
che li aveva abbattuti era ancora là fuori, probabilmente aspettava nelle
tenebre fitte il momento buono per attaccare. June doveva rimanere sotto la sua
protezione fino a cessato allarme. La sua espressione si ammorbidì, e le lanciò
uno scherzoso occhiolino per rassicurarla.
Oh, non ti preoccupare. Dammi il
tempo di prenderli a calci, e goditi lo spettacolo.
June annuì
debolmente, e si strinse l’arco, miracolosamente rimasto intatto dopo la botta
presa contro l’asfalto, al petto.
La
maggior parte degli Incubi si avventò su Sandy in gruppo, circondandolo. Il
Custode dei Sogni sfoderò un piccolo ghigno combattivo, prima di rispondere alla
violenza con la violenza.
June dal
canto suo non era intenzionata a lasciar correre. Dopo un primo spavento preso
a causa di un secondo gruppo di Incubi –notevolmente più piccolo di quello che
aveva attaccato Sandy- che aveva cercato di aggredire anche lei, e l’aver così
scoperto che la sabbia che pochi istanti prima le aveva impedito di morire schiantandosi
al suolo ora la stava proteggendo dalle feroci zampate degli esseri come una
specie di scudo, decise di andare a dar manforte.
Si alzò
in aria leggera come una foglia, e caricò il suo arco.
Sandy si
ritrovò ad aver problemi tenere a bada le creature. Erano relativamente deboli,
ma il loro numero compensava la loro forza, e lo velocità con cui si muovevano
e colpivano era notevole. Erano troppo rapidi.
Aveva
evocato la sua sabbia fin da subito, trasformandola in pesci, falchi ed altri
animali sia acquatici che aerei capaci di grandi velocità, un autentico
esercito in miniatura di creature del Sogno con le stesse capacità degli Incubi
freccia. Sandy spedì i nuovi rinforzi contro il nutrito gruppo che si accaniva
da ogni parte, ottenendo l’effetto di disperderli.
Ma non
durò a lungo.
Dopo il
primo momento di panico, nel quale gli Incubi si erano separati come un branco
di pesci di fronte ad un predatore, il gruppo nero e grigio si era riformato e,
nonostante l’impietoso assalto dei piccoli Sogni, aveva ripreso l’aggressione
con ferocia duplicata.
Ci
sapevano fare, concesse Sandy.
Meglio andarci pesante subito,
altrimenti qua si fa mattina. E
non gli piaceva perdere tempo.
In quel
uno degli Incubi prese coraggio e approfittò della distrazione del Custode dei
Sogni.
Sandy
ebbe appena il tempo di voltarsi.
Non
riuscì nemmeno ad alzare le sue fruste per proteggersi che l’essere gli esplose
davanti, spargendo scintillante sabbia nera ovunque.
Sandy
strabuzzò gli occhi, poi alzò lo sguardo.
- Hah. Non crederai
davvero di potermi lasciare lì a fare da tappezzeria, vero? – ghignò June
abbassando l’arco ed estraendo un’altra freccia. Sandy alzò gli occhi al cielo
e scosse la testa, poi sorrise.
Tu non ascolti mai quello che i
grandi ti dicono di fare, vero?
June
fece finta di pensarci su: - Hmm.. no, non credo. Non
puoi dare ordini agli spiriti liberi come la sottoscritta! – ghignò.
‘Alle teste di legno come la
sottoscritta’ volevi dire.
June,
che aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per scoccare altre due
frecce, non vide la battuta di Sandy: - Eh? –
Lascia perdere.
Gli
Incubi ripartirono alla carica. Anche Sandy aveva approfittato dei pochi
secondi di pausa per evocare altre creature dei Sogni, che avevano prontamente
formato un’efficace linea di difesa.
Il
pensiero di Sandy tornò per un istante alla cosa che aveva abbattuto il suo
ufo.
E se…
Non ebbe
il tempo di pensarci, che sentì June gridare. Di nuovo.
E, prima
ancora di voltarsi, sentì un dolore lancinante penetrargli la spalla destra. Un
dolore che si insinuò in profondità nella carne. Colse con la coda dell’occhio
il riflesso di una fredda lama nera, e percepì il fruscio di un pesante
mantello blu notte bordato d’oro, il lampo di due file di denti scoperti in un
sorriso decisamente sadico.
Gli
bastò una sola occhiata dietro di sé, per comprendere che era nei guai.
E che,
forse, non ne sarebbe uscito vivo.
*
‘Signori, questo non è un
allarme. Non è nulla di terribile, nessuna minaccia così imminente da aver
bisogno di un pronto intervento. Diciamo piuttosto che è una chiamata a
raccolta. Ho bisogno del vostro consiglio e sostegno, amici Guardiani. Dobbiamo
organizzarci, non lo stiamo facendo bene come dovremmo. Abbiamo nuove alleanze,
ora, dobbiamo saperle sfruttare, pensare ad un piano migliore… ‘
Questo era
quel che North avrebbe voluto dire per accogliere i suoi colleghi di lavoro a
palazzo. Avrebbe voluto sorbirsi i borbottii e le lamentele dei suoi cari
amici, rassicurarli con fare bonario, mostrarsi comprensivo e leggermente
pentito di fronte al fatto che in realtà quel che faceva, richiamandoli con
l’Aurora Boreale, non era altro che disturbare e ritardare il loro fin troppo
impegnativo lavoro e irritare i già fragili nervi di tutti.
Avrebbe
preferito tutto ciò, ma quello non era il caso.
Stavolta
l’Aurora Boreale significava allarme
nel vero senso della parola.
Gli Incubi avevano attaccato il
suo palazzo.
Un autentico
esercito nero e grigio era emerso dalle ombre improvvisamente dense e
serpeggianti, vive, del Laboratorio del
palazzo, ed era atterrato su ogni superficie libera riuscisse a raggiungere con
le sue miriadi di zampe multiformi ed artigliate, silenzioso, ordinato e in
attesa di ordini come un esercito di freddi automi.
Erano
atterrati con eleganza tra lo sgomento e le urla degli yeti e lo scampanellio
terrorizzato degli elfi in fuga, passeggiando tra i tavoli ingombri di colori,
attrezzi e giocattoli in costruzione. Pochi, non trovando dove posarsi, erano
rimasti in aria, galleggiando pigramente assieme ai piccoli Incubi freccia che
saettavano nervosamente da una parte all’altra della del Laboratorio, incapaci
di rimanere fermi. Alcuni, meglio distinguibili dal resto del chimerico,
multiforme esercito a causa delle loro sembianze vagamente rettili e delle
curiose mandibole che sembravano fatte di lucido metallo nero, avevano avuto
l’audacia di salire sul grande globo al centro del Laboratorio, calpestando le lucine
con le grandi, lucide zampe artigliate, le fauci nervose che emettevano suoni
ticchettanti simili a ingranaggi di un orologio.
North
era rimasto senza parole.
Aveva
posto delle speciali barriere anti-Incubo attorno al palazzo e molte altre in
camere e zone particolarmente sensibili della sua dimora, tra cui il
Laboratorio stesso.
Era
impossibile per quelle creature penetrare quelle protezioni magiche, si era
detto. Era impossibile, perché aveva studiato quei speciali scudi per secoli,
li aveva perfezionati, li aveva testati, e sapeva
che funzionavano quando venivano posti a protezione di qualcosa.Erano impenetrabili.
Ma Pitch
gli aveva assicurato che quegli
Incubi erano molto diversi da quelli che conosceva.
Peccato che
North non aveva avuto il tempo di chiedergli delucidazioni.
La
battaglia nel Laboratorio e scoppiata come un’esplosione.
Letteralmente.
Come ubbidendo
ad un ordine silenzioso, gli Incubi dalle mandibole ticchettanti avevano
spalancato le fauci in contemporanea, puntandole in direzioni diverse, sputando
una serie di piccole sfere di fuoco ceruleo, che al contatto con le superfici
erano esplose con violenza, spargendo detriti, schegge di legno e pezzi di
giocattoli ed attrezzi che si erano disintegrati nell’esplosione e coinvolgendo
qualche sfortunato yeti nella detonazione.
I
sottoposti di North reagirono con rapidità non minore.
North
sfoderò entrambe le spade e fermò il primo yeti che gli capitò a tiro: -
Mettete in salvo elfi e attrezzature. Usate le palle di neve. – ordinò a voce
alta per sovrastare il caos e le urla dei mostri partiti alla carica, cupo in
volto: - Dobbiamo spostare il combattimento all’esterno, o qua ci distruggono
tutto. Diffondi gli ordini. –
Lo yeti
gridò qualcosa in assenso nella sua lingua, e si affrettò a correre all’armeria
del palazzo, spargendo la voce a tutti coloro che incrociava strada facendo. Pitch,
che si trovava a pochi passi dietro North, si fece da parte, allontanandosi
dallo yeti che gli rivolse una mera occhiata astiosa, troppo preoccupato per
dedicargli più di un briciolo della sua attenzione. L’Uomo Nero si mordicchiò
il labbro inferiore e il suo sguardo percorse rapidamente il soffitto, i vari
piani di cui era composto il Laboratorio, il globo su cui gli Incubi sputafuoco
si erano tranquillamente seduti, osservando il caos scatenato come degli
spettatori annoiati, la nuvola di mostri che si era improvvisamente alzata in
aria ed era partita all’attacco e l’altrettanto rapido ed organizzato contrattacco
mosso dagli yeti che oltre a frecce, balestre, lance, daghe, spade tirate
improvvisamente fuori da chissà dove e qualche catapulta di dimensioni ridotte
di ignota origine stavano facendo un ampio uso di incantesimi sia di attacco
che di protezione, rispondendo al fuoco con tutto il loro impegno e coprendo i
compagni intenti a mettere in salvo elfi e attrezzature oppure far scomparire alcuni
Incubi attraverso i luminosi portali creati dalle sfere di neve.
Evocò la
sua falce, pronto più a difendersi che ad attaccare, la mente momentaneamente
occupata da un solo pensiero: data la situazione, era decisamente il caso di
svignarsela, con buona pace degli accordi stretti solo poche ore prima con il
padrone di casa.
*
Nonostante
il caos più totale, gli Incubi sapevano esattamente a chi dare la priorità.
Molti
infatti avevano individuato e attaccato North senza troppi preamboli,
coinvolgendo anche Pitch nella battaglia.
E l’Uomo
Nero si ritrovò così a dover parare fendenti di artigli provenienti da
dovunque, e schivare fauci zannute che nel giro di pochi secondi avevano
provato ad assaggiarlo almeno tre volte. Quando si ritrovò a sbattere con la
schiena contro una superficie dura per un istante temette di essere già stato
messo al muro.
- Hoi, Pitch! Sono felice che tu abbia deciso di tenere fede all’accordo!
– esclamò il muro con accento russo. Pitch impiegò un solo istante per guardare
dietro di sé –il che gli costò una zampata da parte dell’Incubo aggressore, due
conseguenti tagli sull’avambraccio e un imprecazione a denti stretti- e
scoprire che quello che credeva essere un muro era in realtà soltanto la
schiena di North.
- Non vedevo l’ora. – ringhiò, riuscendo
finalmente ad abbattere l’avversario con un pesante fendente dall’alto che l’Incubo
non vide arrivare. Ne vide un altro raggiungerli: non sembrava puntare verso di
lui, ma volava rasente al suolo, rappresentando così un bersaglio perfetto per la
sua arma.
Facendo
perno con il polso della destra ruotò nuovamente la falce, facendola passare
dietro di sé e guadagnandosi un grido spaventato di North, e lasciò che le sua
arma mutasse, assumendo una forma più sottile e allungata, con una lama più
affilata che tagliò l’essere a metà, i cui pezzi precipitarono diversi metri
dietro di lui per poi ritrasformarsi in scintillante sabbia nera sul pavimento
danneggiato dai colpi e dal fuoco.
- …Volevi
tagliare anche me?! – esclamò la voce di North dietro di lui. Pitch si voltò,
un sopracciglio alzato: - Si. – disse secco, senza scomporsi. – Non mi stare
tra i piedi. –
- Non ci contare troppo. – ghignò l’altro, per
poi alzare una delle sciabole e compiere con essa un perfetto semicerchio in
aria e lasciare che la lama si abbattesse sul fianco dell’avversario che aveva
tentato di colpirlo alle spalle. – Shurik! – gridò poi
a uno yeti poco distante, non meno impegnato dei suoi compagni e del suo capo
nella difesa del palazzo:
- …Quanto ci vuole a mettere tutti al sicuro?!
–
Lo yeti
rispose a gesti, ma il messaggio fu chiaro lo stesso.
Avevano
dei problemi.
*
Quando
Calmoniglio tirò fuori il muso dalle sue gallerie per poter finalmente annusare
la gelida aria aperta del Polo Nord, era già malconcio. Come aveva intuito, gli
Incubi lo stavano aspettando giù per le gallerie, e lui si era ritrovato
costretto a sigillarne molte, aprirne altre e compiere un giro lunghissimo per
evitare l’ululante orda nera che lo inseguiva. E si era ritrovato a combattere
in spazi ristretti, troppo per i suoi gusti, al punto che in molti punti aveva
temuto di rimanere ucciso, o catturato, o che la galleria crollasse addosso a
lui e ai suoi nemici a causa delle vibrazioni della battaglia. Ma le gallerie,
forti della magia di Calmoniglio, avevano resistito, e il Pooka, grazie alle
sue doti combattive, il fatto che i suoi nemici raggiungevano al massimo la
taglia media e parecchia fortuna, era sempre riuscito a sfuggire.
E quando
era finalmente riuscito a sfuggire a quell’inferno sotterraneo, il passaggio si
era chiuso dietro di lui senza lasciar uscire nessuno, e le sue zampe avevano
finalmente percepito il morbido, pungente gelo della neve, Calmoniglio aveva
sperato che i suoi guai fossero finiti lì.
Non era
così.
L’illusione
di essere finalmente al sicuro era durata appena qualche secondo.
Poi al
suo fine udito erano giunti gli echi della vicina battaglia, e il suo pelo si
era rizzato al percepire lo spostamento d’aria causato dagli enormi mostri neri
che volavano alti e rapidi sopra di lui, diretti nella sua stessa identica
direzione.
Calmoniglio
alzò lo sguardo.
Il cielo
azzurro era solcato dalle spettrali onde cangianti dell’Aurora Boreale e
punteggiato da centinaia, migliaia di grossi Incubi che volavano in cerchio
intorno al palazzo, sempre più bassi, simili a condor che circondavano una
carcassa abbandonata.
- Oh, ma
voi state scherzando! – ringhiò
ancora senza fiato, estraendo di nuovo i suoi boomerang e preparandosi ad
andare a dare manforte.
*
Appena fuori
dal palazzo, il già stanco Pooka aveva avuto la fortuna di trovare un valido
compagno di rissa: Jack Frost. Pur non mostrandolo apertamente, Calmoniglio non
si era mai sentito più felice di vedere lo Spirito del Gelo.
- Quanto
tempo, Coda di cotone! Mi sei mancato! – rise Jack, continuando a parare la
schiena del compagno a suon di raggi congelanti. Dovevano entrare nel palazzo e
raggiungere gli altri, ma gli Incubi li avevano inchiodati sul posto, e li stavano
costringendo a rimanere sulla difesa.
- Beh,
tu nemmeno un po’, peste. – gridò Calmoniglio in risposta. Frost rise - Oh, certo. Lo sai che le bugie hanno le
gambe corte, Puffoniglio?
E comunque... – Calmoniglio percepì le gelide dita del suo compare intrecciarsi
sul pelo della sua schiena e tirare con forza il porta-boomerang di pelle, il
tutto seguito da un violento strattone e un sottile e gelido braccio che gli
cinse la vita, sollevandolo da terra.
- …Vedi
quei grossi bestioni laggiù che corrono a darci il benvenuto? Ci useranno come
stuzzicadenti se restiamo qua a perdere tempo. -
Calmoniglio
si trattenne all’ultimo secondo dall’emettere un grido molto poco virile e
afferrò con forza il polso del braccio che lo teneva stretto, lasciandolo a
penzolare a un paio di metri da terra. Jack ghignò, e si lanciò a rotta di
collo in volo all’interno del palazzo.
La cavalleria sta arrivando, ragazzi!
*
Il caos
presente all’esterno del palazzo sembrava raddoppiare all’interno agli occhi di
Jack e Calmoniglio. Ovunque si andasse, non sembrava mai esserci abbastanza
spazio anche solo per riuscire ad abbattere gli Incubi che li inseguivano
spuntando da ogni dove, e i due si ritrovarono a cercare di scansare e sfuggire
alla meno peggio i nemici che li tallonavano.
Incrociarono
North per puro caso in una delle sale secondarie al Laboratorio: gli Incubi
sputafuoco, dopo aver passato un gran quantità di tempo ad osservare lo
spettacolo che si svolgeva sotto i loro occhi, erano finalmente entrati in
azione appiccando il fuoco al Globo e scatenando numerosi incendi ed esplosioni
nel Laboratorio, facendo crollare un paio di piani dello stesso, per poi
alzarsi in volo e dividersi, diretti verso gli edifici secondari del palazzo.
Gli yeti avevano cercato di limitare i danni con scudi ed incantesimi di
assorbimento delle fiamme, ma erano stati respinti dai nemici in altre zone, ed
infine messi alle strette.
Era ora
di ritirarsi.
Dovevano
fuggire tutti, perché quel luogo si era trasformato in una trappola, con fiamme
cerulee e fumo nero che si alzava da ogni dove, rendendo l’aria calda e
irrespirabile ed indebolendo parecchie travi.
Fu
allora che Jack si accorse che qualcosa non andava.
- Dove
sono Dentolina e Sandy? – gridò all’improvviso a North, il primo a portata d’orecchio.
Ma la sua voce, sommersa dal frastuono e dalle grida, non raggiunse l’uomo.
- NORTH! – gridò il giovane, ottenendo
stavolta l’effetto desiderato.
- …COSA?
–
- DOVE
SONO DENTOLINA E SANDY?! – North si bloccò, colpito dalla domanda. Jack lo
guardò con fare interrogativo.
Dentolina e Sandy.
Ora che
l’omone ci pensava, finora non aveva colto il rassicurante scintillio dorato
della sabbia di Sandman e delle sue creature oniriche, né le grida di battaglia
e il bagliore rosato dei colpi magici scagliati dalla fata dei dentini. Né gli
yeti avevano accennato ad alcuna forma di rinforzo da parte degli altri Guardiani,
prima dell’arrivo di Jack e Calmoniglio.
E gli
era sembrato che ci fosse qualcosa di strano. Che mancasse qualcosa.
Che mancasse qualcuno
all’appello.
North
abbassò uno sguardo sconvolto su Jack, forzando la bocca a muoversi. Come aveva
fatto a non accorgersene?
- Non li
ho visti… - disse. Jack notò lo sgomento dell’uomo e, preoccupato dalla
risposta, volò a porre la stessa domanda a Calmoniglio e gli yeti.
Poi,
approfittando del momento di pausa dato dagli sforzi congiunti di Calmoniglio,
di Jack e degli yeti, impegnati a mantenere un momentaneo scudo con la parvenza
della capacità di tenere lontani gli aggressori mentre North era rimasto
impegnato ad abbattere chi era rimasto intrappolato all’interno e stava ancora
tentando di attaccarli, l’omone venne colpito da un altro pensiero, e si guardò
rapidamente attorno, corrugando la fronte:
…e dove accidenti è finito Pitch?
*
Filerà tutto liscio. Certo. È un
piano perfetto. Certo. Niente può andare storto. Oh, c’è da scommetterci.
Pitch
digrignò i denti, furioso, maledicendo per l’ennesima volta l’Uomo sulla Luna,
i Guardiani e tutto ciò che rappresentavano.
Aveva
tentato di fuggire.
Gli era
sembrato un obiettivo tutt’altro che difficile da raggiungere, la libertà,
considerando il fatto che sia il suo aguzzino, North, che i suoi scagnozzi yeti
erano tutti occupati da faccende ben più pressanti quali il salvataggio del
palazzo e delle proprie pellicce, impegnati nel sempre più disperato tentativo
di respingere un nemico che non accennava a cedere di un passo. Non era stato
affatto difficile tramutarsi in ombra e sgusciare via attraverso una delle
crepe createsi nei muri dei corridoi, approfittando del momento di confusione
causato dal parziale crollo del Laboratorio, quando gli Incubi, ampiamente
soddisfatti del danno fatto, erano nuovamente partiti alla carica alla ricerca
di qualcos’altro da demolire, travolgendo tutto quello che incontravano nella loro
corsa, avversari in fuga compresi.
Pitch
era scivolato nelle fitte ombre presenti tra le sottili fessure delle crepe
senza che nessuno se ne fosse accorto, per poi emergere e ritornare in forma
solida in uno degli stretti corridoi laterali, non troppo lontano da dove si
trovavano North e gli altri.
Quel
corridoio era deserto, e presentava una quantità preoccupante di crepe.
Probabilmente una palla di fuoco o due sparate dagli Incubi sputafuoco
avrebbero causato abbastanza vibrazioni da far crollare quella parte di
palazzo, pensò l’uomo. Ma non se ne curò più di molto, aveva altro di cui
preoccuparsi: stava per andarsene da quel girone infernale.
O almeno
così aveva sperato.
Sebbene
quello dell’Oscurità fosse un territorio al momento popolato di nemici, aveva
deciso di correre il rischio e tentare di smaterializzarsi dal palazzo attraverso
il suo elemento.
Non ci era riuscito.
Appena
scivolato nel limbo nero che era il regno delle Ombre e che gli permetteva di
raggiungere ogni luogo in cui vi fosse oscurità, aveva trovato qualcosa che
aveva ostacolato il suo cammino.
Una
barriera. Un muro.
La
scoperta gli aveva causato un brivido freddo lungo la schiena.
Che cos’è? Si era chiesto l’Uomo Nero, tirando
un pugno rabbioso alla barriera misteriosa, sentendo un’indesiderata scintilla
di paura accenderglisi dentro.
Chi
aveva bloccato le sue ombre? E come aveva fatto?
Non ebbe
il tempo di provare a sbloccare il passaggio con qualche contro incantesimo o
la sua falce che il filo dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da
lontane grida strozzate, probabilmente appartenenti ad Incubi che si stavano
spostando da un punto all’altro del mondo. Barriera o non barriera, Incubi o
non Incubi, non era una saggia idea rimanere lì, perciò Pitch decise di girare
sui tacchi e riemergere.
Almeno
ora non era più tra le grinfie di North, pensò quando alle sue orecchie giunse
nuovamente il frastuono dei combattimenti che ancora infuriavano, reso ovattato
dallo strano silenzio che aleggiava nel corridoio deserto, e alle sue narici
arrivò l’acre odore di fumo e legno bruciato, mescolato al vaghissimo sentore
di spezie e sangue, e i suoi occhi registrarono nuovamente la fastidiosa luce
serale che filtrava ancora dalle finestre del palazzo, rimbalzando tra le
pareti e illuminando il corridoio. E sebbene fosse ancora bloccato nella dimora
di North, adesso poteva cercare di risparmiarsi ulteriori combattimenti e
ferite evitando i nemici…
Poi
Pitch si bloccò, corrugando la fronte. Gli era tornata in mente un cosa che
North stesso gli aveva detto, nemmeno molto tempo fa:
Lo scudo anti-Incubi. Black storse il naso in
espressione disgustata, ricordando le parole dell’uomo, una per una.
‘Non è possibile! Quello scudo
l’ho creato apposta! I tuoi Incubi non lo possono attraversare!’ ecco cos’aveva detto. Pitch si
sentì bruciare dentro dalla rabbia.
…Quel babbeo si era stupito del
perché gli Incubi sono riusciti ad entrare nonostante la sua barriera… ecco chi ha bloccato l’uscita da qui! North, questa me la paghi con
gli interessi!
Doveva
tornare dal Guardiano della Meraviglia e costringerlo a spezzare l’incantesimo,
e poi spaccargli il cranio come ringraziamento.
Tuttavia,
si ritrovò costretto a mettere tutti i suoi pensieri di gratitudine da parte
quando sentì un tonfo sospetto fuori da corridoio, seguito da una strana serie
di gorgoglii rochi di quattro Incubi piuttosto grossi che fecero capolino nel
corridoio, prima di decidersi ad entrare. Apparentemente il destino ha deciso recidere
definitivamente il già sottile filo della sua pazienza, si disse Pitch. Digrignò
i denti ed evocò la sua sabbia nera, pronto a ritramutarsi in ombra e tornare
da dove era venuto.
O, pensò
evocando anche la falce, se le cose si fossero messe proprio male, a massacrare
chiunque avrebbe osato intralciare il suo cammino.
Poi,
qualcosa di piccolo e freddo gli pungolò la schiena, costringendolo a voltarsi
di scatto.
Qualunque
espressione Pitch Black stesse indossando in quel momento, venne lavata via,
sostituita da un espressione leggermente basita. Davanti a lui, una Crysis
dall’espressione vagamente sorpresa gli stava puntando contro la sua spada di
cristallo nero.
- Sei vivo… - mormorò a mezza voce.
Pitch a
malapena vide il labiale delle parole pronunciate dalla donna, così come a
malapena vide il fluido movimento della stoccata che lo seguì.
Diritto
al cuore.
*
La
sabbia nera, guidata più dall’istino di autoconservazione che dalla coscienza
vera e propria, reagì prima di tutti gli altri sensi di Pitch. Rapida come un
lampo si portò al suo petto, interponendosi tra la lama e la pelle scoperta
dello sterno, come uno scudo. Pitch non riuscì a comprendere cosa stesse
succedendo quando sentì il colpo affondare, la sua mente non aveva il tempo di
processare le informazioni che riceveva. Quando, a causa del colpo incassato
finì a terra come una bambola di pezza, si aspettò soltanto di percepire un
dolore lancinante, e le forze che rapidamente venivano meno.
E
infatti sentì dolore. Ma era il dolore dei polmoni schiacciati dalla pressione
del colpo e della schiena che batteva violentemente contro il pavimento di
legno scheggiato, non della lama che affondava nella cassa toracica.
La falce
gli sfuggì di mano, atterrò poco lontano. Pitch rimase a terra, senza fiato e
senza riuscire a capire, ma il suo cervello riprese a lavorare a scatti quando
sentì il piede dell’avversaria schiacciargli la cassa toracica, e i suoi occhi
colsero lo scintillio della lama nera puntata alla sua gola.
La sua
mente si permise di rimanere vuota per un altro istante soltanto, il necessario
a rendersi conto si essere stato mandato a terra da Crysis. Rendersi conto del
fatto che in quello stesso attimo la donna stava nuovamente alzando la spada,
stavolta per staccagli la testa dal resto del corpo.
Poi, la
rabbia esplose incontrollabile.
- …Io ti
ammazzo! – ringhiò, evocando fulmineo
una lunga lama nera che usò per deviare quella che stava per abbattersi sulla
sua gola. In un lampo, altra sabbia nera comparse in un flusso magico attorno a
lui, buttandosi sull’avversaria, ma Pitch non ebbe il tempo di ordinarle di
avvolgere e bloccare Crysis che quest’ultima di dissolse, lasciando solo un
leggero fumo ad aleggiare nell’aria.
Pitch
saltò in piedi, ed evocò altra sabbia a coprirlo, fluttuandogli intorno in
continue volute multiformi, simile ad un’armatura mobile. Si guardò rapidamente
intorno alla ricerca dell’avversaria, richiamando la falce. Fece appena in tempo
a ricomporre l’arma che percepì un leggero movimento dietro di sé e, voltandosi
di scatto, parò il fendente che quasi si abbatté sulla sua testa.
-
Ammetto che ti credevo più forte, re…
- sibilò Crysis; - Il fatto che tu sia vivo e sia qui significa che ti sei
alleato con i tuoi nemici giurati, o sbaglio?… credevo che avessi ancora un po’
di onore. – ruotò la spada, in modo che la punta ricurva dell’arma si
incastrasse sull’asta della falce e tirò, ma Pitch, che aveva riconosciuto la
sua stessa mossa, lasciò dissolvere la parte incastrata in modo da non perdere
la presa.
La mossa
non prese minimamente Crysis di sorpresa. Approfittando della forza cinetica
accumulata dalla pesante spada di cristallo, Crysis tentò un’altra stoccata, ma
questa venne nuovamente evitata.
Pitch
saltò spasmodicamente all’indietro, evitando i continui e sempre più rapidi
fendenti. Sapeva che era stupido combatterla, soprattutto ora che era
circondata dai suoi Incubi. E doveva
ucciderla, ma il problema era riuscirci senza venire a sua volta ucciso nel
tentativo.
Doveva
lavorare di testa. Approfittò del buio per cercare di guadagnare un po’ di
terreno sull’avversaria, allontanarsi ulteriormente da lei.
Ma
dissolversi in ombra e tentare la semplice fuga non sarebbe servito, perché
anche Crysis aveva l’abilità di smaterializzarsi, e non era ostacolata né da
luce, né da ombra, né da scudi magici.
E aveva Incubi che si sarebbero prontamente gettati all’inseguimento di Pitch,
se avesse provato a scappare.
Era
meglio tentare di confonderla, decise, continuando ad indietreggiare, senza
tentare un contrattacco vero e proprio.
A
corridoio finito, con la coda nell’occhio colse l’ambiente che lo circondava.
Alla fine era tornato nel Laboratorio, solo per trovarlo ridotto ad un campo di
battaglia più devastato di come lo aveva lasciato. L’enorme ringhiera che
circondava quel piano era stata buttata giù, e buona parte del piano stesso era
crollata, causando danni ai piani sottostanti. Giocattoli, detriti e qualche
daga spezzata giacevano a terra, il fuoco bruciava un po’ dappertutto, allargandosi,
rendendo l’aria calda e irrespirabile, e le grida degli Incubi –ormai lontani
da quel luogo, dispersi in altre zone del grande palazzo- echeggiavano ovunque
in una cacofonia assordante, dandogli la soffocante sensazione di essere
circondato, cosa non molto lontana dalla realtà.
Crysis
avanzò di nuovo. Si smaterializzò, riapparendo al suo fianco e tirò un altro
fendente dal basso con il piatto della spada.
Pitch,
preso in contropiede, poté fare ben poco a parte incassare il colpo, piegandosi
in due dal dolore. Ma era ancora all’erta, e riuscì ad evitare il secondo fendente
che andò a segno esattamente dove meno di una frazione di secondo prima c’era
la sua testa.
Inciampò
quasi nei suoi stessi piedi nel tentativo di allontanarsi dalla donna, una mano
stretta sull’addome dolorante, imprecando a denti stretti. Almeno aveva avuto
la prontezza di riflessi per schivare.
Sarebbe
stato difficile pensare ad un efficace piano di fuga con il cranio fracassato, altrimenti.
Osò
guardarsi rapidamente intorno e, nel notare il cerchio di nulla che accoglieva
la struttura di ferro e legno che componeva la base del Globo, ormai crollato e
ridotto ad una carcassa semidemolita, gli venne in mente un’idea che a mente
più lucida avrebbe escluso a priori.
Ma la
sua mente non era affatto lucida in quel momento, e non aveva né forza per
combattere come avrebbe voluto, né Incubi a sostenerlo nella sua battaglia, e
nemmeno altre possibilità.
Perciò,
in quel momento il pensiero gli parve quasi logico.
È ora di tornare all’elemento, ora
di fare scempiaggini come ai bei vecchi tempi. Disse una vocina sarcastica
nella sua testa.
…Cioè come sempre.
Pitch
digrignò i denti, evitando l’ennesimo fendente, continuando ad indietreggiare
ad ampi passi. Il suo piccolo piano doveva
funzionare.
Quando,
poco prima, si era immerso nelle Ombre, non aveva controllato le limitazioni
imposte dal muro creato da North. Non sapeva se quello scudo gli impediva
semplicemente di uscire dal palazzo, permettendogli però di trasportarsi da un
parte all’altra dello stesso, oppure gli precludeva persino quest’ultima possibilità.
E, mentre
contava mentalmente i metri rimanenti al baratro oltre la ringhiera crollata,
schivando alla meno peggio e parando i restanti fendenti, si ritrovò segretamente
a pregare nella prima delle due.
Crysis
sorrideva in maniera quasi maniacale, notò. Aveva anche una gran quantità di
graffi sul volto e, per quanto gli dispiacesse, non era stato Pitch a
procurarglieli. C’era anche qualche taglio e strappo sul pesante mantello e
sull’abito blu notte, di cui uno sottile ma evidenziato da un’ampia macchia di
sangue scuro. Chissà chi aveva avuto il piacere di ferirla, si chiese
vagamente.
Sembrava
quasi che si stesse divertendo. Che tutto quello fosse una sorta di gioco. Non l’aveva mai notata, quella
strana luce nei suoi occhi.
Persino
gli Incubi che avevano bloccato la sua strada si erano fatti indietro, come a
lasciare tutto il divertimento alla loro regina. E li circondavano e li
seguivano come ad osservare lo spettacolo, silenziosi.
Un altro
passo, e Pitch sentì un freddo vento proveniente dal basso accarezzargli la
schiena sudata e solleticargli il tallone teso, come se stesse sfiorando una sorta
di limite.
Crysis sorrise,
fermandosi. Quel riflesso sanguinario fece nuovamente capolino sulle sue iridi
nere.
Anche
Pitch sorrise, e fece forza sul piede teso.
La
corrente ghiacciata che lo accolse nella caduta libera gli sferzò la spina
dorsale in maniera quasi dolorosa, ma a Pitch dette una gioia immensa.
Era
quasi fatta. Doveva solo sciogliersi nelle ombre, ed era finita…
Concentrato
com’era nel suo piano di fuga, l’Uomo Nero non notò Crysis dissolversi
nuovamente in nebbia, né badò agli Incubi che si erano buttati in caduta libera
al suo inseguimento. Questo finché la mano pallida della donna non gli afferrò
il polso sinistro fasciato di tessuto nero, strattonandolo con violenza, e un
dolore orribile gli penetrò nella spalla sinistra, in fondo, troppo in fondo, tra il muscolo trapezio
e l’ascella, accompagnato da un sinistro crack
in corrispondenza della clavicola.
Pitch
urlò, e Crysis diede un altro strattone al polso intrappolato, piantando la
larga lama della pesante spada ancora più in profondità.
Ma
apparentemente non riuscì a fare altro, perché il sottile posto tra le sue dita
perse rapidamente consistenza, tramutandosi in ombra, così come fece il suo
proprietario. L’ultima cosa che le rimase impressa prima di vedere l’oscurità quasi
totale della base del Globo fu l’espressione di Pitch, contratta dalla
sofferenza.
E le
piaceva.
*
Pitch
batté violentemente la spalla destra contro la barriera magica, e cercò di
rialzarsi più in fretta possibile reggendosi ad essa, disorientato. Il muro, notò distrattamente, era
stranamente inclinato in quel punto.
Il
movimento improvviso gli causò un leggero capogiro, ma non vi badò. Un dolore
intenso irradiava dalla spalla sinistra, e non sentiva più il braccio. Ma non
aveva tempo per pensarci.
Gli
Incubi erano già dietro di lui, troppo vicini per permettergli di perdere
tempo.
Doveva
tornare da North.
Concentrati…
Evocati
dalla sua stessa volontà, tentacoli di sabbia nera si arrampicarono lungo le
sue caviglie, prima di trascinarlo in basso, diretto verso il corridoio da cui
era inizialmente fuggito.
Funzionava, gioì l’Uomo Nero. Ma non era
finita, non era quella la sua destinazione.
In nel
regno delle Ombre Pitch non era in grado di vedere, nessuna creatura né della
Luce né delle Ombre poteva, ma poteva percepire ogni cosa l’Oscurità fosse in
grado di toccare.
Individuare
quella voce rimbombante e quell’accento russo fu questione di un attimo.
…Non fate gli stupidi e
andatevene! Io sistemerò tutto in fretta e vi raggiungerò subito!
Te lo scordi, North, non possiamo
lasciarti da solo, non dopo questo! Si
era aggiunta la voce di Jack, e un frammento di panico raggiunse i sensi di
Pitch. Il Guardiano era spaventato, e molto. Lo erano tutti in quel punto del
palazzo.
Riemerse,
seguito a ruota dagli Incubi, appena un passo dietro di lui.
Non fu la
più teatrale delle sue apparizioni: non riuscì nemmeno ad atterrare in piedi,
finendo malamente faccia a terra, mente i suoi inseguitori, nello slancio della
corsa, erano letteralmente saltati fuori dalle ombre, causando più di un grido spaventato.
- …Pitch!
– lo raggiunse il grido di North. L’interessato non si preoccupò nemmeno di
alzare la testa per rispondere.
Sentì le
grida e i colpi di Jack, Calmoniglio e forse qualche yeti poco lontano che
stavano abbattendo i nemici, poi un’ombra oscurò la luce sopra di lui,
accompagnata da un ringhio. Rialzò di poco la testa, e il ringhio venne
sostituito da un breve guaito e un tonfo sordo che fece vibrare il pavimento di
legno, e la voce di North parlò di nuovo: - Pitch! –
La
grossa mano dall’omone si strinse attorno al suo braccio destro, tirandolo su a
sedere contro una fredda parete e strappandogli un gemito.
- Stai
bene?! –
Pitch fu
costretto a sbattere le palpebre parecchie volte prima che la sua vista
riuscisse a mettere a fuoco il volto -peraltro troppo vicino per i suoi gusti-
barbuto di North che lo fissava, sudaticcio, pallido e tirato in una smorfia
preoccupata. Aveva qualche macchietta si sangue sulla barba candida
- …A
meraviglia. – disse l’altro in tono sarcastico. Da quando parlare era diventato
così difficile, si chiese. – Me la sono cavata soltanto con due fratture
scomposte, credo, non ti preoccupare. –
- Che ti
è successo? Dov’eri finito? – continuò l’altro, notando la ferita alla spalla e
posizione anomala del braccio sinistro.
Pitch
scosse debolmente la testa, prima di tirarsi via dalla stretta dell’omone con
un piccolo strattone.
- Togli
lo scudo. – disse soltanto, senza fiato. North lo guardòconfuso.
- …Che? –
A quella
risposta, Pitch rialzò lentamente lo sguardo e lo puntò sul Guardiano, sentendo
la rabbia salire di nuovo, rapida come la marea.
- Lo
scudo magico. Quello che hai posto a protezione del palazzo. – ripeté a scatti
– Toglilo. –
North
corrugò le sopracciglia, confuso, mentre Jack e Calmoniglio, dietro di lui, si
scambiarono un’occhiata. Poi capì, e scosse la testa: - Non adesso. Tu te ne
vai con noi. –
-
Perché?! – l’altro lo ricambiò con una strana occhiata, il che mise al limite
estremo la già sottile pazienza di Pitch, e poi gli puntò un dito sulla spalla
ferita.
- Tu
vuoi scappare adesso. – disse, serio
- Ma se lo fai, voglio sapere come riuscirai a mettere a posto quella. Aspetta un attimo, dobbiamo
recuperare alcuni dei miei ragazzi che sono rimasti bloccati, e ce ne andremo
tutti insiem-– ma le sue parole vennero interrotte da una mano cinerea che gli
agguatò il bavero del cappotto, strattonandolo con sorprendente forza.
- TUTTO
QUESTO È COLPA TUA! – gli urlò in faccia
Pitch, sentendosi esplodere. Non sapeva nemmeno per cosa esattamente. Se era
per la rabbia, per il panico, per le forze che lo stavano abbandonando, per
l’ossigeno che sembrava essere improvvisamente troppo poco indifferentemente da
quanto profondi fossero i respiri che tirava, per il fatto che Crysis fosse là
fuori e che in questione di minuti avrebbe trovato sia lui che North che Jack e
tutti gli altri e li avrebbe massacrati
a colpi di spada, o semplicemente per quello stupido, zuccheroso altruismo
tipico dei Guardiani che conosceva fin troppo bene e che aveva sempre odiato con l’anima.
Non lo
sapeva, ma sicuramente era molto efficace sui suoi nervi.
- …TUTTO.Da questo stupido attacco al fatto che la tua casa ora stia bruciando e che probabilmente avrai
perso metà dei tuoi compagni. – ringhiò, il viso a pochi centimetri dal volto
dell’altro – Ora. Togli quel dannato
scudo prima che decida di fare quello che hanno cercato di fare tutti quegli
Incubi là fuori nelle due ore precedenti: strapparti
a morsi la giugulare. –
North
sbarrò gli occhi a quella minaccia, tirandosi leggermente indietro. Qualcosa,
probabilmente l’espressione quasi animalesca dell’Uomo Nero, gli diceva che
quella non era una minaccia a vuoto. Poi, dietro di lui, intervenne la voce di
Calmoniglio.
- Fa’
come dice. – disse il Pooka avanzando di due passi zoppicanti, i lineamenti
induriti in un’espressione di disgusto, lo sguardo puntato su Pitch: – Lascialo
andare, il codardo. – disse sprezzante. North esitò, il suo sguardo corse tra
il Guardiano e l’Uomo Nero, ma decise di fare come detto. Ormai c’era poco da
fare.
Jack lo
vide alzarsi lentamente, poi allontanarsi di qualche passo e avvicinarsi ad un
muro verso il quale tese una mano e mormorare qualcosa sottovoce. Sulla parete
percorsa da qualche crepa, evocate dalla formula, comparve un gran numero di
cerchi magici verdi e dorati, dagli intricati, ondulati disegni mobili, che si
espansero rapidamente e spedirono sottilissimi fili bicromici lungo il muro ed
oltre, estendendosi per tutto il palazzo e in una porzione dello spazio aereo
circostante. Al contrario di Jack, Calmoniglio non si lasciò distrarre
dall’opera di North.
- Ti
direi di tornartene a casa, Black… – disse all’improvviso il Pooka, una nota
pericolosa nella voce. Jack, intuendo la tempesta imminente, si avvicinò al compagno
e gli posò una mano sulla spalla, stringendola in segno d’avvertimento. Aveva
visto davvero troppa violenza per quel giorno per dover assistere anche alle
esplosioni di rabbia di Calmoniglio.
-
Calmoniglio… stai. Tranquillo. – disse
in tono d’avvertimento, sbarrandogli il passo in modo che l’altro fosse
costretto a fissare lo Spirito del Gelo dritto negli occhi. E Calmoniglio fissò
quelle iridi color ghiaccio con rabbia, senza realmente vedere, poi posò una
zampa sul petto del ragazzo e lo spinse rudemente di lato.
– …Ma
non ce l’hai più. – continuò, come se non fosse stato interrotto. - Quindi scappa
più in fretta che puoi e scegliti un letto comodo sotto il quale crepare.
Magari uno col tappeto sotto, per stare più comodi. – sputò, rabbioso. Per un
terribile istante Jack temette che l’altro stesse per buttarlo a terra e andare
a suonarle all’avversario già al tappeto, ma i suoi timori si rivelarono
infondati. Calmoniglio si limitò a ghignare con disprezzo, poi alzò le zampe e
si fece indietro, lo sguardo puntato dritto sul giovane. – È tutto quel che avevo
da dire. Tranquillo, Jack. –
-
Grazie, sacco di pulci. – disse Pitch, incolore – Belle parole, sono toccato. –
- Prego,
ti voglio bene anch’io. Oh, non sai quanto.
– rispose il Pooka in tono sarcastico. Notò North voltarsi e tornare verso i
tre con espressione cupa. Lo scudo era stato disattivato.
- Ora,
visto che avevi tutta questa fretta, facci un favore: sparisci. –
Pitch
ghignò, poi scosse la testa e chiuse gli occhi, allungò lentamente una mano
verso le ombre, sentendosi sprofondare lentamente in esse come in sabbie
mobili, e cercò.
Cercò
lampi di paura, il panico e l’adrenalina del combattimento, e poi cercò i loro
proprietari. Alcuni combattevano, altri erano intenti a mantenere scudi magici,
altri ancora erano a terra, feriti, protetti fino all’ultimo respiro dai loro
compagni esausti. La quasi totalità era composta da yeti, ma c’era anche
qualche elfo disperso, nascosto sotto un vaso rovesciato o blindato in qualche
piccolo ripostiglio polveroso. Sentì una nuova ondata di terrore attraversare
tutti, causata dall’irruzione di altri Incubi che avevano approfittato del
crollo dello scudo.
Ne
approfittò.
La sua
sabbia strisciò infida attorno alle caviglie di tutti coloro che aveva
rintracciato e strinse in una morsa ferrea, trascinando in basso.
Gli
arrivarono anche le grida dei Guardiani e i due yeti che si trovavano con lui.
- PITCH,
TU, VERME! – urlò Calmoniglio. Ma Pitch si limitò a riaprire gli occhi e
ghignare, sentendo il panico del Pooka aumentare più di quello di tutti gli
altri.
-
Reggetevi. Quando c’è traffico le ombre sono sempre turbolente. –
Si sentì
sprofondare del tutto, accompagnato dalle urla di sorpresa e spavento degli
altri.
*
Andati.
Quando
Crysis ricevette la notizia del fatto che i Guardiani, e gli yeti, e qualunque
altra forma di vita se n’era improvvisamente andata dal palazzo, risucchiata in un misterioso vortice di sabbia
nera, Crysis si era limitata a fare un mezzo sorriso.
Aveva
scatenato tutto quel putiferio per niente.
Era
arrivata fino al Polo Nord per niente. Aveva scatenato quella guerra per
uccidere North e schiacciare i suoi sottoposti e il suo palazzo, e aveva fallito.
O no.
In
fondo, pensò vagamente, si era divertita, e aveva scoperto che Pitch è vivo, il
che era qualcosa di decisamente controproducente: probabilmente i Guardiani ora
sapevano delle Creature Senza Nome.
Ovviamente gliel’ha detto. Si disse, pensierosa.
Ma,
aggiunse, nonostante questo aveva comunque da festeggiare.
Aveva
catturato due Guardiani quel giorno, aveva trovato le sue memorie, e aveva
conquistato il palazzo di North, anche se non i suoi abitanti.
Alzò lo
sguardo, e venne accolta dalla visione della grande, luminosa Luna, che con la
sua luce sembrava quasi sfidarla. Le sorrise.
- Mi
hanno detto che ti chiami Manny, è così? – le chiese, senza ricevere risposta -
Non ti crucciare. Arriverò anche da loro. E arriverò anche a te, tranquillo. -
Poi riabbassò
lo sguardo: – Rubate armi, libri, e qualunque oggetto utile o prezioso
riusciate a trovare. – ordinò all’Incubo che le aveva portato la notizia.
- …Poi
bruciate tutto. Voglio vedere questo luogo ridotto in cenere. –
-+-
Sarò onesta: non so
voi, ma francamente io, quando Pitch usa le sue ombre per spostarsi, immagino
che abbia una specie di quarta dimensione tutta per sé. Una dimensione in cui
il nostro omino nero non può vivere ma solo usare come specie di taxi, ed
eventualmente buttarci qualche oggetto caro a qualcuno che poi non viene mai
ritrovato. Cioè, sapete le borsette di noi fanciulle, che se vogliamo ci
ficchiamo l’impossibile? Ecco, la teoria di base è (forse) la stessa. O almeno
credo.
Tornado al capitolo,
ammetto di non essere soddisfatta. Il blocco dello scrittore ha fatto un ottimo
lavoro, cioè mi ha fatto scrivere un pessimo capitolo.
Ugh.
Okai, la pianto con le lamentele, so di essere noiosa.
Ho un sacco di storie/capitoli/oneshots che aspettano di essere recensite. All’incirca
45673920346539[…]098776. Spero che siano tutte.
*Silver out, dandosi
all’ippica come raccomandato da tutti*
Credo
di essere tornata. Scusate per essere sparita per mesi interi senza
avviso alcuno ed essere tornata con un capitoletto così misero
(ahimè, cinque paginine scarse) ma ho avuto parecchie grane a
cui badare, inclusi esami, morte di Microsoft Word e blocchi vari,
per cui posso solo dire che mi dispiace molto, ma di più non
sono riuscita a fare. Ovviamente questa storia non è stata
abbandonata, ormai l'ho iniziata e la mia cara sempai Iryael mi ha
convinto a portarla a termine costi quel che costi. Ho ancora una
manciatina di capitoli già progettati, l'unico problema ora è
scriverli, e per quello posso solo fare appoggio a un ispirazione che
va e viene come le pare. Vorrei anche dirvi che ho iniziato in
parallelo un altra storia, si chiama Gli Eredi, scritta a
quattro mani con ChantyBlack98. Sarei felice se vi fermaste a dare
un'occhiata anche a questa storia.
Bene,
bando alle ciance. Gustatevi questo nuovo (talmente corto da
rasentare il ridicolo) capitolo. ^^
PS:
sul serio, mi dispiace per essere sparita e tutto. Il prossimo cap
sarà parecchio più lungo di questo, quindi... spero
siate ancora interessati alla storia ^^ (??)
Buona
lettura!
XIV: Un rifugio
Era di nuovo buio.
Per Sandman, il mondo intero era
affogato nelle tenebre.
Ogni qualvolta allungava le mani
nell’oscurità, non percepiva nulla. Più si
sforzava di vedere, più il buio si faceva fitto, se ciò
era possibile.
Faceva fatica a ricordare, la testa
dolorante -aveva ancora una testa attaccata al collo? Perché
aveva l'impressione che non fosse così- gli impediva di
processare le vaghe informazioni che riceveva.
Da quando si era risvegliato,
l’oscurità era diventata il suo mondo. E in quel mondo,
lui non sapeva. Non sapeva dov’era, se poteva uscire da
lì, in che condizioni era, se in quel luogo misterioso aveva
ancora potere, visto si sentiva troppo debole. Non sapeva nemmeno se
era ancora vivo o meno. Strinse le mani e se le portò
lentamente al petto. Serrò gli occhi: non faceva differenza
che li tenesse aperti o meno, perché quell’oscurità
pareva divorare persino il lieve bagliore che usualmente emanava. In
quel momento provò paura, si sentì solo e impotente. E
alla sua mente salì un solo pensiero.
Un unico, piccolo desiderio.
Spero stiate tutti bene, ragazzi…
*
La coscienza di June venne lentamente
riportata alla realtà da un lieve rollio accompagnato e da un
altrettanto debole scricchiolio, come se si trovasse a bordo di una
barca.
Aprì gli occhi, la vista si
rivelò un po' sfocata. Si sentiva coperta da qualcosa di caldo
e avvolgente, e il suo sguardo era rivolto verso quello che intuì
fosse il soffitto. Era di legno chiaro, squisitamente intarsiato.
June strizzò gli occhi, costringendosi a concentrasi sui
dettagli minuti di quell'inatteso spettacolo: le decorazioni
rappresentavano onde, nuvole, paesaggi. Riconobbe anche stelle,
pianeti, pesci e uccelli dalle forme così bizzarre da sembrare
aliene, con piume e scaglie decorate con pietre, mogano e oro, che
splendevano nella penombra.
June si alzò lentamente,
guardandosi attorno, un po’ incantata e un po’ confusa:
si trovava in una stanza di medie dimensioni dal soffitto alto, le
pareti di legno chiaro e oro, lavorato in modo da sembrare sabbia
incrostata fra i pannelli. L’unica fonte di luce della stanza
era composta da una lampada dai pannelli di madreperla, situata su un
abat-jour in stile rococò. A June venne quasi da sorridere da
quanto tutto quell’insieme appariva pacchiano. Infine abbassò
lo sguardo su di sé: si accorse di essere seduta su uno
scintillante cumulo di sabbia dorata. Indossava il suo piumino
azzurro ghiaccio, che ora era strappato in alcuni punti e macchiato
di fango sul fianco e sui gomiti, e si chiese come mai. Come mai
fosse ridotto così, visto che trattava quel piumino sempre con
il massimo riguardo, visto che era il suo preferito. Le ricordava gli
occhi di Jack.
Alzò una mano e si tastò
cautamente il volto: il lato sinistro era dolente e un po’
gonfio, la tempia aveva un taglio. Un paio di ciocche erano sporche,
incrostate di una sostanza nerastra e friabile.
…Sangue?
June si tirò i riccioli scuri
con una sensazione di disgusto misto a orrore mentre qualcosa, nella
sua testa, parve punzecchiarla. Una memoria in attesa di essere
richiamata dall’abisso.
Le ci volle qualche secondo per capire.
Poi trattenne il fiato, e sentì
lo stomaco stringersi in una morsa dolorosissima.
…Sandy!
Ora ricordava.
Gli Incubi, la fuga, la battaglia…
quella donna. Si portò entrambe le mani al volto. Si lasciò
sfuggire un singhiozzo, e le lacrime le pizzicarono gli occhi,
minacciando di uscire. Sandy l’aveva difesa, protetta, le aveva
detto di fuggire, e lei invece era rimasta ad intralciarlo. Non era
nemmeno riuscita ad aiutarlo quando ne aveva bisogno, quando quella
donna l’aveva aggredito. A malapena era riuscita a difendere sé
stessa…
E ora cosa gli era successo? Che fine
aveva fatto? Dov’era? Era vivo, stava bene? Oppure…
June non riuscì nemmeno a
formulare l’ultima frase che aleggiava minacciosa nella sua
mente, e si prese la testa fra le mani, affondando le unghie nello
scalpo.
…Oppure era morto.
Si sforzò di respirare. Non
doveva farsi prendere dal panico, non poteva farlo. Non le era
permesso, non dopo quello che aveva fatto, e il cui prezzo Sandy si
era ritrovato a pagare per la sua stupidità, ma le risultò
estremamente difficile mantenere una almeno vaga parvenza di calma.
Questa è tutta colpa tua.
Doveva fare qualcosa.
Dirlo agli altri. Subito.
Con un balzo, June saltò in
piedi, e cercò freneticamente fra la sabbia il suo arco e la
sua faretra -miracolosamente rimasti intatti dopo quanto passato- e
corse fuori dalla stanza, alla ricerca di una via d’uscita da
quel luogo misterioso.
Non si accorse del largo nastro si
sabbia che si staccò pigramente dal cumulo su cui si era
risvegliata, e la seguì nella sua corsa disperata.
*
Il luogo misterioso in cui si ritrovava
si rivelò essere un’enorme imbarcazione –se gli
oblò erano una qualche indicazione- dalla quale non era
possibile uscire.
O meglio, si corresse June, era
possibile uscire da lì. L’ostacolo più grosso
era costituito da quello che somigliava a un’enorme nastro di
sabbia che le bloccava l’uscita ogni volta che ne trovava una.
- Per FAVORE! – gridò la
giovane, quasi sull’orlo dell’isteria; - Io devo andare
ad aiutare! Lasciami andare! – tuttavia, le sue
preghiere si dimostrarono inutili.
*
Quando si ritrovò bloccata una
quinta volta, fu quando aveva notato l’ennesima porta che
apparentemente dava verso l’esterno. Si era lanciata verso la
libertà, solo per ritrovarsi invischiata fino al collo nella
sabbia.
Letteralmente.
Alla fine si arrese, esausta sia
fisicamente che mentalmente. La sua 'gabbia' parve accorgersene, e
dopo pochi secondi si allentò.
June, accorgendosi in tempo del
dettaglio, colse la palla al balzo: balzò fuori dalla sua
trappola con un'agilità di cui si sorprese lei stessa, e si
lanciò verso la maniglia, afferrandola e spalancando la porta,
e saltando nel vuoto.
...Libera!
Poi, in pieno salto, si accorse del
fatto che la sabbia era proprio sopra di lei. Poté far poco a
parte lanciare un urlo soffocato quando gli cadde addosso con tutto
il suo peso. Quando riuscì a tirare fuori la testa e pulirsi
gli occhi dai granelli si accorse di non essere più in
trappola. Il nastro di sabbia si era sciolto, e ora le stava
fluttuando pigramente intorno, tracciando morbide volute dorate.
June non capì.
Alzò lo sguardo, notando un
luccichio dorato dietro di sé, e scoprì di essere
appena fuggita da...
- Woah! -
Sembrava un galeone, ma diverso da
tutti quelli che aveva visto ed immaginato in tutta la sua millenaria
vita. Era immenso, June non riuscì a decidere quanto era
lungo, ed era tutto dorato. Sui tre altissimi alberi erano spiegate
enormi vele di tessuto semitrasparente, finemente decorato, mosso da
un debole vento. Ogni superficie era finemente decorata e
caratterizzata da linee gonfie ed eleganti. Le solcava accanto
procedendo a passo d'uomo, pacifico e silenzioso, simile ad una
gigantesca balena.
June non poté far altro che
rimanere ad ammirare quello spettacolo a bocca aperta, sbalordita.
Poi la sua attenzione venne catalizzata da qualcosa che proveniva dal
basso, sotto di lei. Guardò sotto di sé: il galeone in
quel momento stava solcando il cielo sopra un immensa distesa di alti
alberi, perlopiù conifere, ed era giunto in prossimità
di una radura. E, proprio sulla radura, June intravide delle figure
nere agitarsi, impossibili da distinguere con quel buio. Ma alla
giovane la poca luce fornita dal galeone bastò.
Sbarrò gli occhi nel
riconoscerle.
*
Le spaventose correnti che dominavano
il regno delle Ombre si permisero un ultimo, violento scossone prima
di ributtare i suoi viaggiatori nella dimensione da cui erano venuti.
Pitch riuscì con molta fortuna
ad atterrare in piedi, anche se il suo intero corpo protestò
lo stesso per l'atterraggio violento, ma i suoi compagni di
disavventura non furono altrettanto fortunati, finendo col cadere,
per la maggior parte, malamente di faccia. Pitch si voltò, una
mano stretta sulla spalla ferita che continuava impietosamente a
sanguinare, e osservò gli altri: sembravano tutti a posto, chi
più chi meno.
North lo era di sicuro. Jack e
Calmoniglio avevano entrambi un bel po' di tagli e lividi addosso, e
il sacco di pulci sembrava lì lì per rimettere a causa
del viaggetto scomodo, ma le loro condizioni in generale erano
normali.
Tra gli yeti c'era un ferito che
necessitava di cure immediate.
Pitch si voltò, digrignando i
denti e cercando di pensare più rapidamente e lucidamente
possibile: dovevano trovare immediatamente un rifugio.
La sua amata caverna era inagibile, al
palazzo di North non si poteva tornare -in quel momento stava
probabilmente bruciando, consumato dagli incendi appiccati dagli
Sputafuoco-, di Sandy non se ne parlava -e a Pitch parve strano il
fatto che quella peste gialla non si fosse ancora presentata.
Nella lista rimaneva Dentolina, e fu
allora che l'Uomo Nero si accorse anche della sua assenza. Rumorosa e
appariscente com'era, era impossibile per lui non averla notata. La
fatina era parecchio impegnata, certo, ma quando si trattava di
combattere l'aveva sempre vista in prima fila nell'eterna
lotta contro gli Incubi...
Non ebbe il tempo di portare a termine
quel ragionamento, che il filo dei suoi pensieri venne interrotto da
un grido proveniente dall'alto.
Alzò lo guardo e vide una luce
chiara. Sulle prime l'aveva scambiata per la luna, perciò non
le aveva prestato più attenzione del dovuto. Ad una seconda
occhiata comprese di essersi sbagliato, e anche di parecchio. Quella
luce, dorata e calda anziché bianca e asettica, non era
affatto la luna.
Era un galeone. Uno galeone
dorato per giunta, che
solcava pigramente l'aria sopra di loro, sospinto da un vento
inesistente che gonfiava le sue vele semitrasparenti, e che ricordava
in maniera raccapricciante le creazioni di Sandman. E, davanti ad
esso, volando a tutta velocità verso di loro e seguita da
quello che somigliava ad un nastro di sabbia dorata, c'era...
- June?! - esclamò Jack
alle spalle di Pitch.
All'udire la voce del giovane
Guardiano, June si fermò di colpo, e rimase a galleggiare a
mezz'aria a un paio di metri da loro. Jack vide lo sguardo di June
spostarsi freneticamente su tutti i presenti, sui loro lividi e sulle
loro ferite, e vide il suo labbro inferiore tremare.
I suoi occhi si riempirono
improvvisamente di lacrime. Poi, nel silenzio di tomba della radura,
proruppe in un singhiozzo soffocato.
- June?... - Jack non poté
crederci. L'aveva sempre, sempre vista sorridere, e la
conosceva da centinaia di anni. E, quando vide quel viso lentigginoso
storcersi in una smorfia di dolore e rigarsi di lacrime,
semplicemente non poté credere ai suoi occhi. Ignorando le
esclamazioni di sorpresa degli altri a quello spettacolo inatteso,
Jack fece qualche passo avanti, muovendosi come un'automa. Si librò
in aria andando a raggiungere June e, senza proferire parola, la
strinse in un abbraccio.
June sussultò a quel contatto
improvviso, rimanendo paralizzata per qualche istante, il fiato
sospeso.
Poi si riscosse, e cercò di
liberarsi da quella stretta.
- J-Jack! - esclamò
all'improvviso, quasi urlando, e riuscendo finalmente a spingere via
lo spirito, allontanandosi da lui. Anche Jack si allontanò di
poco dalla giovane, scioccato dalla sua reazione. Calmoniglio e North
si scambiarono un occhiata incredula, così come fece una
coppia di yeti un metro dietro di loro. Pitch corrugò la
fronte, fissando la ragazzina, percependo la sua paura.
- Jack, hanno preso Sandy! - gridò
lei, il respiro reso irregolare fra i singhiozzi. Era prossima
all'isteria.
Jack sgranò gli occhi.
- Cos...? -
Hanno preso Sandy.
Non credeva alle
sue orecchie. Certo, Jack non aveva visto Sandy intervenire nella
battaglia a palazzo, ma questo non significava assolutamente nulla...
- Stai...
stai scherzando, vero? Chi è stato? -
June fissò Jack, che ora la
guardava con un espressione di shock misto a spavento, e si mise le
mani fra i capelli.
Non riusciva più a controllare
il respiro.
- QUELLA DONNA! - gridò –
E' stata lei! Ci ha attaccati all'improvviso, assieme a degli
Incubi grigi. È tutta
colpa mia se hanno preso Sandy, se l'hanno ferito, sono
stata d'intralcio Jack, non sono riuscita ad aiutarlo, io... - il
resto della frase si perse nella felpa di Jack: lo spirito del Gelo
la tirò a sé e la strinse di nuovo in un abbraccio a
cui stavolta June non riuscì a sfuggire. Jack sentì i
singhiozzi scuotere violentemente le sue esili spalle, rendendola
incapace di respirare regolarmente. Le accarezzò leggermente
la testa riccia e la schiena. Sempre continuando a stringerla la
guidò dolcemente verso terra, dove i due vennero
immediatamente raggiunti da North, Calmoniglio e gli yeti. June non
riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere,
stringendosi finalmente all'amico. Jack, continuando ad accarezzarla,
alzò lo sguardo verso gli altri, trovando le sue stesse
emozioni riflesse sulle facce degli altri: confusione, disperazione,
dolore, e uno schiacciante senso di impotenza.
E, sopra a tutto, coscienza del fatto
che stavano perdendo una guerra contro le tenebre.
Pitch non mosse un muscolo, rimanendo
in disparte, limitandosi ad osservare quello spettacolo. Era scosso
non meno degli altri, soprattutto per quella notizia. L'aveva
compresa appieno, meglio di quanto avevano fatto Guardiani in
quell'istante.
Sandy è nelle grinfie di
Crysis, e il suo destino è ignoto. Potrebbe essere morto.
Il pensiero non gli portò gioia
come aveva sempre immaginato. La sua nemesi era probabilmente morta.
Ma l'informazione non causò nessuna emozione in lui. Solo...
vuoto.
Aveva creduto di aver ucciso Sandy una
volta, e ancora ricordava la folle esaltazione provata nel prevalere
su quel potere che aveva da sempre rappresentato il suo opposto e suo
nemico. E ricordava lo sgomento e l'orrore nel vederlo risorgere, più
potente di prima.
All'epoca, quando aveva trionfato,
aveva vagamente considerato l'ipotesi che Sandman potesse tornare, ma
l'aveva scacciata: errore che in seguito era risultato fatale ai suoi
piani. Ora la storia si ripeteva, solo con una piccola variazione.
Stavolta Sandy era caduto sotto i colpi
di un nemico molto più potente e spietato di Pitch. Un nemico
che poteva corrompere da dentro, e al cui potere non era ancora
sfuggito nessuno.
Il re degli Incubi strinse le labbra
sottili ed alzò lo sguardo al cielo, posandolo sul galeone
dorato che li sovrastava, simile a un gigante silenzioso.
Tu non puoi morire per così
poco. E soprattutto, non puoi morire per mano sua.
*
Dopo diverse ore che parvero un
eternità, all'orizzonte nero, seguendo il profilo delle vicine
montagne, comparve una linea sottile di un blu sbiadito, giunta a
preannunciare l'alba. June non era sicura di quanto tempo aveva
passato sul ponte del galeone, seduta su uno dei barili, lo sguardo
fisso nel vuoto. Non doveva essere passato poi molto: si era offerta
di dare una mano a medicare gli yeti feriti, e il suo corpo
cominciava solo adesso ad accusare la stanchezza data dal movimento e
dalle emozioni della giornata. Sospirò, chiudendo gli occhi.
Poi qualcosa di morbido e leggero di
posò sulle sue spalle. Riaprì gli occhi sorpresa,
scoprendo di avere sulle spalle una coperta di piles gialla, e vide
un Jack non meno stanco sedersi su una cassa accanto a lei. Guardava
anch'egli l'orizzonte ancora scuro, e aveva sulle labbra un lieve
sorriso, che svanì subito. June non proferì parola,
distogliendo lo sguardo e tornando a fissare l'orizzonte. Nessuno dei
due disse nulla.
Poi Jack parlò: - Sono felice
che tu stia bene. - disse piano. - Io... mi dispiace per quello che
hai passato. Avrei voluto essere lì ad aiutarvi tutti e due.
Mi... dispiace. - disse con voce esitante.
La verità era che non sapeva che
dire. Si sentiva devastato, non solo per quello che era successo, ma
anche per quello che aveva visto. Per Sandy, per gli altri Guardiani,
per June. Era la prima volta che la vedeva piangere, l'aveva sempre
creduta troppo forte per queste cose.
June non sorrise, sentiva che persino i
suoi muscoli facciali erano troppo stanchi e congelati per compiere
un qualche movimento, il so cuore troppo pesante per battere ancora.
Tuttavia, al sapere che Jack era accanto a lei, che non la odiava
dopo le notizie che lei gli aveva portato, dopo i fastidi e i guai
che gli aveva causato, sentì che un po' del peso che le
schiacciava l'anima svanire.
Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime
minacciare di scendere per l'ennesima volta.
Poi, si sentì stretta da due
braccia forti e gelide come il ghiaccio dell'Antartico, e un mento un
po' appuntito poggiarsi sul suo scalpo.
Fu allora che le lacrime tornarono a
scorrere sulle sue guance.
Per quanto si sentisse un mostro ad
ammetterlo, stava un po' meglio, ora.
*
La notte era calata da poco sulla
foresta. Era un luogo cupo, silenzioso, con alberi altissimi dai rami
così fitti che la luce non era in grado di penetrarli ed
arrivare a terra.
Una figura chiara vagava tra quei
tronchi secolari. Aveva una pelle di un pallore cadaverico, quasi
grigiastro, i capelli erano neri, lunghi e scompigliati, con qualche
ciocca grigia. Indossava un abito lungo, largo e scuro, talmente
sporco e rovinato da aver perso il suo colore originario, arrivando
ad assumere una tonalità simile ad un nero verdastro, dagli
orli marcescenti. Dal suo collo pendeva un bizzarro cappio di corda
nera, spessa e pesante, che sembrava infinito, o almeno così
la figura credeva.
Aveva provato a togliersi quel pesante
accessorio, ma per qualche ragione non ci era riuscita. Ogni volta
che ci provava, la corda si stringeva al suo collo, impedendole di
rimuoverlo, per tornare alla sua larghezza originale quando
abbandonava tale intento. La figurina lo aveva trovato un fenomeno
assai curioso. Si era poi guardata intorno e, incuriosita dal cappio
e dalla sua spropositata lunghezza, aveva deciso di trovarne la fine.
Prese a tirarlo, ma la corda non finiva mai. Allora decise di
seguirla per scoprirne l'origine, ma questa dopo un po' spariva e,
dopo essersi persa più volte tra gli alberi, abbandonò
anche quest'ultima intenzione.
Dopo aver lasciato perdere le indagini
sul cappio, la figurina decise di fare una passeggiata e di esplorare
il luogo. Era tanto, tantissimo che non aveva l'occasione di uscire
fuori, vagare in un oscurità che credeva essere la sua casa,
ma che non aveva mai visitato perché aveva trascorso tutta la
sua lunga -era lunga? Non era in grado di calcolare il
trascorrere del tempo in fondo, e le tenebre eterne della foresta non
glielo permettevano- esistenza intrappolata in una grande quercia
maledetta da un sigillo.
Si era chiesta molte volte perché
era stata intrappolata -o forse ci era direttamente nata? Si chiese-
in quell'albero, ma ora che era libera tutte quelle domande non
avevano più importanza.
Una fanciulla era arrivata, una
fanciulla bella come un fiore e terrificante come il guardiano posto
a difesa del sigillo, e l'aveva liberata.
La figurina, libera e terrorizzata
dalla sconosciuta, era fuggita quando aveva scoperto che le sue
catene erano state misteriosamente spezzate, e non aveva avuto il
coraggio di tornare finché non aveva scoperto che la sua
misteriosa liberatrice se n'era andata.
Ora che era più calma, si rese
conto che non l'aveva ringraziata, e se ne rammaricò. Ma non
sapeva dov'era andata, e non poteva di conseguenza seguirla. L'unica
cosa che le rimase da fare era vagare senza meta, esplorando quel
luogo grande e silenzioso con la meraviglia di una bambina.
Infine giunse sulle sponde di una
grande distesa d'acqua. Sapeva cos'era: un lago.
Non ricordava di aver mai visto
l'acqua, se non quando pioveva e le gocce cadevano sulle foglie e poi
sul suolo con un ticchettio ritmico, aiutando la terra a far crescere
l'erba e le piantine nuove, però per qualche ragione sapeva
com'era fatto un lago, e forse anche un mare.
Non aveva mai visto il mare.
Si avvicinò piano all'acqua,
affascinata da quella distesa liscia e nera, parzialmente distratta
dal biancore candido e soffice della neve che giaceva per terra.
Anche la neve era uno spettacolo assai raro per lei.
I suoi passi erano leggeri e non
lasciavano impronta alcuna, ma lei sentiva il freddo e il bagnato su
cui stava camminando. Giunta alla sponda, si sporse a guardare.
Una forte luce inondò i suoi
occhi, e la costrinse a coprirsi il viso con le mani cianotiche.
Quando le abbassò, un nuovo
spettacolo si parò davanti a lei: sul lago nero c'era della
luce. Alzò lo sguardo al cielo, e vide delle nuvole grigie,
oltre le quali faceva capolino la luna. Era grande e bianca, e la
figurina rimase ad ammirarla, meravigliata.
Quando era ancora intrappolata
nell'albero, certe notti aveva l'impressione che la luna le parlasse,
ma lei non aveva mai capito cosa le dicesse. La sentiva sussurrare
parole inintelligibili, e aveva una voce calma e rassicurante. Quelle
rare volte, lei era felice, e cercava di ricambiare parlandole a sua
volta, ma senza ricevere risposta.
Si portò entrambe le mani alle
orecchie, e cercò di aguzzare l'udito: magari ora che era
libera la luna le avrebbe parlato di nuovo, e stavolta lei l'avrebbe
capita.
Ma la luna non parlò.
La figurina abbassò le mani e lo
sguardo, delusa. La luna era un po' come un amica per lei, e il suo
silenzio la rendeva triste. Ma non ebbe tempo di imbronciarsi, che
vide qualcos'altro. C'era qualcosa, anzi qualcuno, sulla sponda
opposta del lago. La figurina dall'abito scuro strizzò gli
occhi, osservandola: sembrava un ragazzo.
Un ragazzo alto e magro, dimostrava non
più di sedici anni, o almeno così lei credeva, ed
indossava una bella armatura che sembrava fatta d'argento e platino,
decorata con motivi sinuosi e impreziosita da perle, opali e
diamanti. Il ragazzo stesso sembrava fatto di nebbia, simile a un
respiro nella notte, o alla nebbia mattutina. Il suo viso era bianco
e magro, incorniciato da corti capelli candidi come la neve, i suoi
occhi erano di un azzurro chiarissimo, e somigliavano a zaffiri.
Guardava la figurina con un sorriso gentile.
La figurina fece un piccolo passo
indietro, sorpresa, ma sorrise anche lei. Per qualche ragione quel
ragazzo le ricordava tanto la luna, e questa cosa la rallegrava.
Poi, con un balzo leggero, il ragazzo
si librò in cielo ed atterrò al centro del lago, e con
un altro salto arrivò vicino alla figurina dalla chioma nera.
Sempre con quel sorriso, le fece un
piccolo inchino, e si posò una mano sul cuore.
Io mi chiamo Nightlight.
La sua voce era un sussurro gentile. La
figurina lo trovò un nome meraviglioso.
Anche lei si portò una mano sul
cuore, e aprì la bocca.
Ma non ne uscì nessun suono.
La richiuse, e si guardò la mano
cadaverica che aveva posato sul petto, rendendosi conto di una cosa:
non ricordava il suo nome. Non riusciva nemmeno a parlare.
Rialzò lentamente lo sguardo,
disperata, e vide Nightlight in piedi di fronte a lei. Sorrideva
ancora. La figurina si tolse la mano dal cuore, e se la portò
ai capelli, rendendosi conto di quanto erano in disordine.
Chissà cosa starà
pensando di lei...
Nightlight tese una mano verso di lei.
La figurina la guardò interrogativa. Nightlight le fece un
piccolo cenno con la testa, indicando la luna.
Lei non capì, ma non si fece
troppe domande. Titubante, allungò una mano esile, che lui
strinse con dolcezza. Sembrava grigia tra le sue dita, che erano
bianche come la neve. Si sentì imbarazzata, ma anche curiosa.
Si sentì sollevare, farsi più
leggera, e guardò giù: si stava alzando in aria. Non
credeva di esserne capace.
Nightlight le prese anche l'altra mano,
e tirò la figurina a sé.