Il Sesto Guardiano

di DarkshielD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il tradimento degli Incubi ***
Capitolo 2: *** Una strana sabbia chiara ***
Capitolo 3: *** Spiegazioni e gratitudine ***
Capitolo 4: *** In cui Dentolina trova una risposta ***
Capitolo 5: *** Un incursione e una gabbia mentale ***
Capitolo 6: *** Un posto nel mondo ***
Capitolo 7: *** In cui il nemico è svanito nel nulla ***
Capitolo 8: *** Vecchie ombre e spirito di vendetta ***
Capitolo 9: *** Un prigioniero di guerra e troppi pensieri ***
Capitolo 10: *** In cui non si arriva ad una conclusione ***
Capitolo 11: *** Echi ***
Capitolo 12: *** Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero ***
Capitolo 13: *** In cui va tutto all’Inferno ***
Capitolo 14: *** Un rifugio ***



Capitolo 1
*** Il tradimento degli Incubi ***


Il Sesto Guardiano

I: Il tradimento degli Incubi.

 

 

Il mio nome è Pitch Black.

Io sono la Paura.

 

Oscurità.

Da lungo tempo Pitch aveva smesso di cercare l’uscita da quella oscurità totale. I suoi stessi incubi l’avevano incatenato nel suo stesso elemento, privandolo del potere e delle forze di ribellarsi. Da lungo tempo aveva smesso di combattere.

Si era reso conto che era meglio così.

Era meglio sprofondare.

Non aveva più potere, non aveva più forza, ma nemmeno soffriva più. E nessuno era a conoscenza del suo destino, a parte i suoi aguzzini.

Andava bene così.

Finché si rese conto che le catene si erano allentate. Nessun peso che lo bloccava.  

Poi un raggio di luce, tagliente come una lama, squarciò l’oscurità. E la Luna, il freddo satellite si alzò a dissipare il nero.

La Luna, e il suo abitante, l’acerrimo Nemico.

L’Uomo Nero alzò lo sguardo verso quell’unica, odiosa fonte di luce che invadeva il suo regno.

- Cosa vuoi? – chiese con un sorriso amaro. – Farti beffe di me? Prego allora, ho tutto il tempo dell’universo. -  allargò le braccia alla Luna, senza distogliere lo sguardo.

Era cosciente di aver perso tutto.

Gli Incubi l’avevano abbandonato.

Non aveva più nulla per cui valeva la pena combattere, e nulla con cui difendersi.  Solo l’oscurità era rimasta lì per lui come una serva fedele, come un velo per celare la sua presenza. Nient’altro.

E ora, il suo più grande nemico si era presentato al suo cospetto.

Con la sua luce fredda e odiosamente rassicurante, e una domanda.

 La più crudele che Pitch potesse immaginare.

*

Il mio nome è Crysis.

Io sono la Discordia.

 

La donna cadde in ginocchio, stremata. Aveva corso a lungo, senza fermarsi, nel disperato tentativo di sfuggire ad un inseguitore  invisibile.

Aveva paura.

Paura, perché non poteva difendersi. Paura, perché non poteva dare una forma, ferire ciò che la minacciava. 

Non ne aveva il potere.

Alzò lo sguardo al cielo: solo la Luna era lì, ad osservare il suo terrore, la sua rabbia crescente.

- …PERCHE’?! – urlò. Da quant’è che fuggiva? Non lo sapeva. Non ricordava. Sapeva solo chi era il colpevole della sua paura e della sua sofferenza.

Era la Luna, la fredda luna che da lassù sembrava deriderla. E lei odiava essere derisa.

- Perché-perché- PERCHE’?! – urlò con tutta la voce che aveva in gola.

- Perché mi fai questo? PERCHE’ MI HAI ABBANDONATO QUI?! -  i polmoni erano in fiamme, il cuore le scoppiava, non sentiva più né le mani né i piedi dal gelo che si stava lentamente insinuando dentro lei.

Ma nulla di ciò era forte quanto l’odio che sentiva crescere dentro.

La Luna non le rispose. Fluttuava nel cielo di velluto nero, silenziosa.

La donna abbassò lo sguardo solo per vedersi le ginocchia nude, violacee a causa del gelo e graffiate. Si alzò lentamente.

La foresta intorno a lei non era altro che una massa contorta di rami nero e argento e davanti a lei si stagliava un piccolo laghetto che rifletteva la luce lunare.

La donna si avvicinò all’acqua e vi si specchiò.

Una giovane le restituì uno sguardo spaventato. Alta e  pallida, era avvolta soltanto in un leggero e largo vestito di seta blu scuro, strappato in più punti. Le braccia nude erano graffiate, così come lo era il bel viso incorniciato di capelli grigio cenere, fluidi come acqua. Gli occhi sembravano due pozze nere, in cui non si specchiava nulla. Sussultò nel rendersi conto del suo aspetto: il suo viso, i suoi capelli non erano così. Non sapeva spiegarselo, ma sapeva che lei non era così. 

Diversa.

Bella.

E con una corda che le penzolava al collo.

Indietreggiò spaventata, afferrando il pesante oggetto che le pendeva sul petto, rendendosi conto solo in quell’istante della sua presenza.

In quello stesso istante, uno scricchiolio dietro di lei la fece sussultare. La donna tremò.

…non devi avere paura…

Non era una voce. Per lo meno, non era una sola voce. Erano decine, centinaia di voci, che sussurravano all’unisono.

Non devi aver paura... non aver paura…

La donna si voltò: le voci provenivano dagli alberi. All’improvviso, centinaia di occhi gialli si spalancarono nell’oscurità, e osservarono la giovane. E avanzarono.

Decine, centinai di cavalli neri emersero dall’oscurità.

Non devi aver paura, perché tu sei la paura.

Si avvicinarono lentamente alla donna con le fiere teste chine, come timorosi di ricevere una punizione. La donna tese una mano tremante verso una delle creature, che si lasciò accarezzare, quieta. Era lucente come polvere di diamanti neri, ma al tatto sembrava fatta di seta e di fumo.

…La più profonda e la più umana. Il veleno.

Sei tu la vera Regina.

Fu allora che le creature la chiamarono  per nome. Il suo nome.

Crysis.

Discordia.

 

-+-

Ooops. Fandom sbagliato. Che ci faccio io qua?

Eeeeee sono tornata a scrivere. E no, non ho intenzione di mettere nemmeno un po’ di impegno in questa ficcy.

Piuttosto, ho deciso di fare una scommessa con me stessa.

Voglio vedere se riesco ad uploadare più frequentemente di quanto faccio con le mie altre store, il che significa prima di ogni morte di papa. Ok, perdonate i mie deliri, ora vi lascio.

Già mi vergogno di quest’obbrobrio… :|

 

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Capitolo 2
*** Una strana sabbia chiara ***


 

II: Una strana sabbia chiara.

 

Notte.

Il lavoro di Sandman iniziava col tramonto, per terminare all’alba, così era sempre stato. Non che non conoscesse il giorno e la luce del sole, perché la Luce era parte di lui.  

Sandman era il Custode dei Sogni.

Il suo compito era di vegliare sul sonno di tutti i bambini del mondo, e di assicurare sogni d’oro ad ognuno di loro.

Anche quella notte Sandman, comodamente seduto sulla sua nuvola dorata che galleggiava piano parecchi metri sopra la città, stava svolgendo il suo usuale lavoro. Il cielo nero e punteggiato di stelle e nubi leggere era attraversato da migliaia di leggere scie dorate, ognuna delle quali entrava in ogni casa che in cui c’era un bambino che dorme, oppure si perdevano lontano, oltre l’orizzonte, verso altri continenti.

Era una bella notte per il Guardiano, finché non si accorse che alcune delle scie di sogni da lui create si stavano affievolendo.

Sandman aggrottò la fronte, osservando la scia che ondeggiava nell’aria, sempre più rada e pallida, fino a scomparire in un lievissimo scintillio d’oro.  

Strano si disse. 

Incerto su cosa potesse mai essere successo, decise di indagare. Rimpicciolì la sua nuvola, e seguì lo scintillio che scompariva fino ad arrivare ad una casa, nella periferia della città.

Era più grande delle altre, aveva un giardino meglio tenuto e persino una piccola fontana. Sandman la osservò per un istante dall’esterno, prima di entrare grazie alla sua sabbia magica.

Anche dentro la casa era molto bella: ordinata, pulita, nel salotto c’era un grande televisore all’apparenza molto costoso, e una gran quantità di altri oggetti che Sandman non ricordava d’aver visto molto di frequente in altre abitazioni.

Ma tutto questo non gli interessava.

Fluttuò piano al piano di sopra, alla ricerca della stanza del bambino i cui sogni erano spariti. Quando trovò la porta chiusa, sentì dei singhiozzi dall’altra parte. Qualcuno piangeva.

Spinse piano la porta, ed entrò in una camera da letto grande e piena di giocattoli e oggetti dall’aspetto costoso, proprio come il resto della casa. A differenza del resto dell’abitazione però, la stanza era disordinata, e appariva più piccola di quello che era. Una lucina notturna di colore giallastro donava al tutto un’aria leggermente claustrofobica.

Il piccolo era raggomitolato nel suo letto, sotto uno spesso strato di coperte, e tremava scosso dai singhiozzi.

Sandman si avvicinò per osservarlo. Era grassottello, un po’ cresciuto –quasi un adolescente- e aveva il viso e gli occhi chiusi arrossati dal pianto.

Sopra la sua testa vorticava un sogno. Un piccolo pugno di sabbia che si componeva e scomponeva, si agitava come in un barattolo pieno d’acqua.

 Un pugno di sabbia nera.

Sandman si piegò verso l’incubo, osservandolo incredulo.

C’era un solo essere capace di trasformare il sogni più belli negli incubi più terribili.

Pitch.

Era tornato? Impossibile, si disse il Custode. È passato così poco dalla sua sconfitta. Non poteva avere una pellaccia così dura e un carattere così ostinato da tornare in azione così in fretta.

Né poteva averne le forze. Era stato sconfitto, i suoi Incubi gli si erano rivoltati contro e… non sapeva cos’era successo dopo. Non se l’era chiesto.

Intanto, l’incubo continuava a vorticare, assumendo di tanto in tanto forme sfocate: due adulti, forse i genitori del piccolo, dei fogli, una valigia, di nuovo i due adulti che litigavano.

Deciso a porre fine al brutto sogno, Sandman tese una mano verso l’incubo e lo dissipò. La sabbia nera sbiadì a contatto con la sua piccola mano, fino a diventare gialla, e tornare a vorticare assumendo forme più allegre.

Sandman osservò il nuovo sogno con aria critica: non lo convinceva. La sabbia non era gialla e lucente come al solito. Era più chiara, e luccicava meno. Il dettaglio lo turbò.

Dissipò di nuovo il sogno e lo riformò, infondendogli più potere. Nulla. La sabbia magica continuava a sembrargli più chiara del solito. Allungò la mano, prese un po’ della strana sabbia e decise di tornare al lavoro: avrebbe trovato una soluzione al più presto. E se non l’avrebbe trovata, avrebbe informato i Guardiani.

Alla fine di quella notte aveva contato tredici di quei strani sogni sparsi per tutto il mondo. Né aveva trovato una soluzione o una risposta che lo convincesse.

C’erano due sole possibili opzioni, concluse. O  non sapeva più fare il suo lavoro bene come una volta, o stava succedendo qualcosa di cui non solo lui, ma tutti i Guardiani dell’infanzia dovevano preoccuparsi.

Sperò ardentemente di essere un incapace.

 

 

 

-+-

Capitolo corto, lo so. E con nessun personaggio che piace a tutti. Scusate, ma sto cavalcando l’onda dell’ispirazione, ne approfitto finche dura! XD

In verità spero ardentemente che ci siano dei fan di Sandy qua fuori. Voglio dire, sono la sola a trovarlo adorabile?

Okey, ci vediamo. Presto, spero.

/*sparisce*

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Capitolo 3
*** Spiegazioni e gratitudine ***


III: Spiegazioni e gratitudine

 

 

- Eh.. e quindi? – Jack Frost alzò un sopracciglio in attesa di delucidazioni.

Sandman si lasciò cadere le braccia e sospirò, esasperato. Aveva appena passato l’ultima mezz’ora a spiegare la ragione per cui sembrava così preoccupato negli ultimi tre giorni. E siccome a chiederglielo era stato proprio Jack, il Custode dei Sogni si era aspettato un minimo di partecipazione alla conversazione che aveva cercato di iniziare. Lo Spirito del Gelo, tuttavia, si era rivelato uno scarso interprete e un consigliere ancor meno capace.

L’intenzione di Sandman era di informare i Guardiani uno alla volta dell’anomalia in cui si era imbattuto e che si era rassegnato a considerare ‘problema che non posso risolvere da solo’. Tuttavia sapeva bene quanto erano tutti –eccezion fatta per Jack, il cui lavoro principale sembrava essere il far nulla- impegnati nei loro doveri di Guardiani, perciò aveva scelto di esporre il problema a tutti senza causare più agitazione del necessario. In fondo, nemmeno lui stesso era sicuro di ciò che stava succedendo: poteva essere uno scherzo di cattivo gusto di qualche Spirito minore, e non sarebbe la prima volta.

Aveva solo avuto la pessima idea di informare Jack per primo, solo perché è stato il primo disposto ad ascoltare che Sandman aveva incontrato.

…E quindi credo che la cosa non riguardi solo me. Formulò con la sua sabbia, in conclusione.

Frost impiegò diversi minuti per interpretare l’ultima stringa di figure, ma alla fine comprese anche l’ultima frase: - Avvertiamo gli altri, allora! – esclamò fra l’agitato e l’entusiasta, richiamò il gelido vento invernale sotto i suoi piedi e partì.

Il Custode dei Sogni non fece in tempo ad alzare la mano a mo’ di ‘Ma…’ che il giovane era già schizzato via gridando – Sbrigati! – ed ora non era altro che un puntino all’orizzonte.

…Veramente volevo avvertire gli altri di persona concluse fra sé Sandman, e si rassegnò a seguire il ragazzo.

*

Nell’istante in cui arrivò al palazzo di Babbo Natale, al Polo Nord, Sandman si accorse subito che Jack, nel giro del solo quarto d’ora che aveva di vantaggio, aveva scatenato un putiferio.

E capì che Frost doveva aver ingigantito la faccenda di parecchio quando vide un Nicholas North dall’espressione ansiosa correre trafelato verso di lui, afferrarlo con le sue manone, scuoterlo energicamente ed esclamare: - Pitch è tornato?! –

Sandman, stordito sia dalla domanda che dall’energica accoglienza, per un istante fissò North con un’espressione stranita, chiedendosi cosa c’entrasse l’Uomo Nero. Poi capì.

No. Disse formando una grossa ‘X’ con la sua sabbia. O almeno, non credo.

Ringraziò il fatto che Babbo Natale lo conoscesse da molto più tempo di Jack, e quindi comprendesse meglio il linguaggio della sabbia, anche se raccontare la storia daccapo si rivelò non meno impegnativo di quanto lo era stato con Frost.

North seguì tutte le figure con la fronte corrugata dalla concentrazione, ma alla fine comprese senza dover far ripetere troppe parole.

- Trenta… trentadue sogni in tre giorni? – disse infine North. Sandman annuì, e formò un globo terrestre con la sabbia

In tutto il mondo.

- Beh, se riguarda tutto il mondo la cosa non dovrebbe essere così terrificante. – disse una voce dall’ombra. I tre si voltarono, allarmati.

Dalla penombra uscì un grosso coniglio dal pelo tatuato e un’espressione seria dipinta sul muso – Anche se in effetti dovremmo preoccuparci. –

- Calmoniglio! – esclamò North con espressione affabile. – Ah, hai risposto alla mia chiamata! -

- Sono felice di vederti, come sempre, North. – Sorrise Calmoniglio. Si voltò verso Jack. – E tu, peste. –

- Sono felice di vedere anche te, Coda di Cotone. – ghignò Jack con espressione divertita, appoggiandosi al suo bastone.

- Non dovresti. – concluse l’altro. Si voltò verso Sandman, tornado serio – Ho sentito che sei nei guai, Sanderson. - 

Non so neanche se definirli ‘guai’. Rispose Sandman con un’alzata di spalle, Scusa se ti disturbiamo, eh.

- Non si nega una mano ad un amico. Piuttosto, ci fai vedere la sabbia di cui parlavi? –

Il Custode dei Sogni tirò fuori un sacchettino fatto di sabbia, che si dissolse rivelando il suo contenuto: altra sabbia.

Era molto più chiara di quando l’aveva raccolta: aveva assunto un colorito biancastro e vorticava molto meno.

Eccola.

Anche il sogno che rappresentava era molto più sbiadito. Si alzava in volute, si contorceva formando figure incomprensibili e ricadeva quasi inerme.

I tre Guardiani la osservarono con interesse, ma nessuno sembrava intenzionato ad avanzare ipotesi. Alla fine, i tre si guardarono con aria interrogativa: evidentemente nessuno ne aveva capito più di prima.

- Forse Dentolina…? – azzardò Jack. – Dentolina è la Custode dei Ricordi, non dei Sogni. – disse Calmoniglio – Senza offesa, ma il massimo che potrebbe fare sarebbe vederci un dente. E non credo questa sia la risposta. –

- Potrei vederci solo un dente, ma ti assicuro che un dentino può offrire molte più risposte di quanto tu creda. – disse un’irritata voce femminile alle spalle del coniglio, che sussultò.

- Da… da quando… - cominciò Calmoniglio, ma la Fatina dei Denti lo interruppe: -  Da quando ho avuto un minuto libero per rispondere alla chiamata di North. Mi hai chiamata  dicendo che Sandy era nei guai e che Pitch era tornato… - disse, rivolta a North. Jack arrossi lievemente, e distolse lo sguardo, imbarazzato – Ma sembra la situazione sia un po’ diversa. Sareste così gentili da spiegare? –

Anche Babbo Natale distolse lo sguardo fischiettando, imbarazzato per la gaffe fatta, e né il Coniglio di Pasqua né Jack sembravano intenzionati a fornire alcuna spiegazione.

Sandman si portò una mano al volto, esasperato: gli toccava ripetere tutto daccapo, per la terza volta.

*

In tutti questi secoli la tua unica preoccupazione è stata seminare paura e terrore nei cuori più innocenti.

Non ti ho mai visto fermarti a pensare, a considerare e cercare un'altra strada.

Per questa ragione, lascia che sia io a farti una domanda.

Qual è il tuo Centro?

A quella domanda dell’Uomo sulla Luna, Pitch non aveva risposto.

La domanda gli era sembrata così stupida, e la risposta così evidente, così ovvia… che non era riuscito a rispondere.

Paura ed Oscurità.

Ecco cos’è il mio Centro. Io sono la Paura, di Paura mi nutro, e gli anfratti più tetri ed oscuri sono la mia casa.

Paura è l’unico sentimento che evoco… l’unico che provo.

Quelle parole le aveva pensate decine e decine di volte quella notte, ma non era riuscito a pronunciarle. Qualcosa lo bloccava.

Un’incertezza, un ostacolo che non riusciva a definire.

Paura forse? Vergogna? E per cosa?

Perché anch’io sono capace di provare paura? O perché lo ammetto apertamente?

La luna, per quella notte, era calata. Il suo Abitante non riuscì ad ottenere una risposta, ma sembrò aver ottenuto qualcosa: Pitch era agitato, scosso da un dubbio che nemmeno lui comprendeva.

il cielo ora era completamente coperto da candide e spesse nubi , che oscuravano le stelle come una spessa coperta che prometteva neve.

Ed infatti la neve arrivò.

Piccoli, leggeri fiocchi scesero lentamente dalle nubi dello stesso colore per andare ad ingentilire il paesaggio nero e selvaggio che si stagliava di fronte all’entrata della caverna di Pitch.

Black amava quella foresta. Di notte tutto diventava nero, e nemmeno di giorno i più potenti raggi riuscivano a penetrare fin nelle profondità, e arrivare a terra.

Ora, il nero si stava vestendo di bianco.

Pitch alzò lo sguardo al cielo. Quel bianco gli ricordava Jack Frost, quando aveva cercato di convincerlo a passare dalla sua parte. A dominare il mondo, insieme.

Nulla si sposa meglio col gelo dell’oscurità. Quanto era vero.

Tese una mano, e alcuni fiocchi caddero sul palmo.

Si accorse che non erano freddi. Li guardò: nemmeno si scioglievano. Alzò nuovamente lo sguardo al cielo: non era più bianco candido, ma un grigio chiaro, e i fiocchi scendevano sempre più radi, sempre più scuri.

Abbassò nuovamente lo sguardo alla foresta: il bianco candido ora era tinto di grigio.

Grigio come la cenere.

- Sei dunque tu, il Re caduto? – rise una voce femminile, che si disperse, echeggiando,  nell’oscurità.

Pitch Black alzò nuovamente lo sguardo al cielo.

Dalle nubi grigie si generò una massa scura simile a fumo, che volteggiò elegantemente nell’aria gelida e si avvicinò, fino a posarsi di fronte all’Uomo Nero.

Ondeggiò e si contorse come un drappo di seta nera, fino ad assumere le sembianze di una bellissima donna, alta e pallida, dagli occhi impenetrabili come due pozze nere, e i capelli color cenere che fluttuavano nell’aria, come se fossero immersi nell’acqua. Era avvolta in un largo mantello blu notte ed aveva un espressione altezzosa sul bel viso candido, decorato da una piccola coroncina d’oro.

Attorno a lei il drappo d’ombra si divise e assunse la forma di due cavalli di fumo, i cui occhi d’oro rilucevano nell’oscurità.

Pitch li fissò. Li riconosceva. Come poteva non riconoscere coloro che fino a poco tempo fa l’avevano servito fedelmente?

Con quale coraggio i suoi Incubi si ripresentavano al suo cospetto?

La donna sorrise nel notare lo sguardo dell’Uomo Nero. Sotto lo sguardo sempre più astioso di Pitch, accarezzò leggermente il collo di uno degli Incubi, che chinò la bella testa verso la giovane.

- Sono bellissimi, non trovi? – sorrise. Pitch spostò gli occhi dall’Incubo per puntarli sulla donna, che sorrideva beffarda. 

- Mi chiedo perché li hai abbandonati. Ti erano così fedeli. Così felici di portarti ogni paura, ogni dolore. E tu? Li hai abbandonati. –

- Sono loro che hanno abbandonato me. – sibilò Pitch a mezza voce.

- Se un re è abbandonato dai suoi sudditi, significa che non è un degno re. – Sorrise la donna.

- Chi sei? –

- La nuova Regina. – calò il silenzio. Pitch sfoderò un sorriso di scherno.

- Regina degli Incubi? Tu? Hah, non farmi ridere. – fu un istante. La donna si dissolse sotto gli occhi dell’Uomo Nero, trasformandosi in fumo chiaro.

Pitch non fece in tempo a voltarsi, o anche solo guardarsi intorno, che sentì una mano rovente afferrargli la gola, e lunghe, affilate unghie piantarsi nella giugulare.

Si sentì mancare il respiro, mentre il dolore e un terrore profondo, irrazionale, si impossessò di lui. Non riuscì a muoversi, mentre la donna sussurrava piano al suo orecchio.

- Il mio nome è Crysis, e non ho intenzione di farti ridere, proprio no. Ti ringrazio per essere stato un re così indegno da meritare di essere abbandonato, perché ora mi hai donato dei seguaci. Me ne ricorderò. –

Pitch si sentì mancare le forze. Non respirava, ma sapeva che non era la mancanza d’aria. Era il terrore che provava.

Chiuse gli occhi.

Che vergogna. Si disse.

- Ed è proprio a causa di questa riconoscenza che ti lascio vivere. Striscia nelle ombre, Pitch Black. È quello il tuo posto. –

Come fiamme nere, l’oscurità avvolse Pitch Black, riportandolo al suo elemento.

 

 

 

-+-

Oh, guardate, c’è Jacky! *punta il dito verso lo schermo*

Ehm… altro capitolo? Va bene che ho detto che non ho intenzione di impegnarmi in questa fiction, ma spero di non star peggiorando. Ah ah.

Si, qua si parla tanto e si fa poco o nulla. E Pitch si ritrova a fare qualcosa che ha le sembianze di un esame di coscienza.

Oh, e incontra il suo ‘successore’ se così vogliamo definire Crysis.

Spero di non essere noiosa. Un grazie dal più profondo del cuore a chi mi ha recensito: Sweet Witch, Calamitas e Birbabirba. Non avete idea di quanto i vostri commenti mi facciano felice. Spero di essere all’altezza XD/*scappa via*

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Capitolo 4
*** In cui Dentolina trova una risposta ***


IV: In cui Dentolina trova una risposta

 

 

Sapeva che il mondo era suo.

Lo sapeva, ma non ha mai avuto il coraggio di tendere la mano per afferrarlo.

Era rimasta molto, molto a lungo immobile ad osservarlo, rodendosi. Non sapeva cosa la fermava, perché non c’era nessuna catena ad immobilizzarla, nessuna sbarra a fermarle il passo.

Eppure respirava piano, tremando al pensiero che qualcuno potesse scoprire il suo desiderio più segreto.

E taceva, mentre sentiva il suo cuore urlare di rabbia al cielo.

Di rabbia e di odio.

*

Crysis non aveva grandi ricordi della sua vita.

Aveva vagato per centinaia di anni per la Terra, senza meta. Gli umani di ogni continente, dal più grande impero al più piccolo villaggio, dalla notte dei tempi all’istante più immediato le sono sempre sembrati uguali.

Ha visto il ripetersi degli stessi errori milioni di volte. A nulla serviva la lezione della storia, né i sacrifici dei singoli.

Gli umani più vedono più sono ciechi. Più sentono, più sono sordi. Più sanno, più sono ignoranti. Più sono liberi, più desiderano la schiavitù.

Più cercano amore, più danno odio.

Per lei era un dato di fatto. Quante volte aveva cercato di comprenderli? Ne aveva perso il conto, e col tempo aveva smesso.

Conosceva le dinamiche del mondo ormai.

C’era solo una nota stonata nel mondo grigio in cui si era persa: i Guardiani. I Protettori dell’Infanzia, spiriti, come lei, invisibili a tutti tranne che ai bambini, che da sempre hanno portato felicità e speranza ai più piccoli. Crysis da sempre si era chiesta perché non facevano la stessa cosa con gli adulti, perché non provavano a dare colore al grigio del mondo che, secolo dopo secolo, continuava a sprofondare nel nero.

Forse, pensò, nemmeno i Guardiani vedevano quello che vedeva lei.  Non vedevano la luce negli sguardi dei piccoli che lentamente si spegneva, i dolci ricordi d’infanzia coperti da uno strato di odio e di cinismo, i progetti che svanivano, infrangendosi contro la fredda pietra della realtà. I Guardiani non si curavano più dei bambini quando questi smettevano di credere e sperare.

Nessun adulto ricordava la piccola, felice lezione di ottimismo che impartivano.

Si chiese perché. Poi capì.

Perché era il destino del mondo sprofondare nel nero, nel nulla. E ognuno stava dando il suo generoso contributo.

Era sua intenzione dare una mano. L’odio degli umani la fortificava, affinava i suoi sensi, illuminava i suoi pensieri. Era come le chiedessero di ergersi in tutta la sua potenza, e dominarli fin nel profondo.

Come se volessero vederla regnare. E lei non voleva certo tirarsi indietro.

Ma i Guardiani continuavano a rappresentare un ostacolo. Per quanto minuscole, gioia e speranza potevano alleviare, addirittura cancellare l’odio. Rallentare la corsa del mondo verso il baratro.

Era una cosa che Discordia non voleva.

Era sua intenzione di fare qualsiasi cosa per abbattere quei piccoli ma pericolosi ostacoli.

*

I giorni successivi alla scoperta del problema di Sandman furono caratterizzati da un lavoro ancora più fervente da parte dei Guardiani. Non potendo accantonare i propri doveri, ognuno si impegnò al massimo per portare a termine i compiti del giorno il prima possibile, ed utilizzare il tempo rimasto per fare ricerche riguardo la misteriosa sabbia chiara. Perfino Jack Frost passò ore intere nell’enorme biblioteca di North –mentre quest’ultimo era impegnato a gestire la produzione di giocattoli- in caccia di ogni informazione potenzialmente utile ma nulla, nonostante gli eroici sforzi, fu trovato. Tuttavia nessuno dei Guardiani parve scoraggiato o esitante di fronte alla mancanza di informazioni. I sogni pallidi infatti continuavano ad espandersi a macchia d’olio e Sandy, nonostante l’impegno sempre maggiore, sembrava fare sempre più fatica a fare il suo lavoro, costantemente contrastato da quei bizzarri sogni sempre più insensibili al suo potere.

- La descrizione non corrisponde a nessuna, nessuna definizione di Incubo. Mi sa che Pitch non c’entra davvero niente stavolta. – sbuffò una mattina il Guardiano del Divertimento, poggiandosi in testa a mo’ di cappello l’ennesimo pesante libro e stravaccandosi su una delle enormi poltrone di velluto rosso della biblioteca di North.

Non aveva mai letto così tanto negli ultimi trecento anni, e forse nemmeno prima. In effetti alle prime pagine aveva fatto una gran fatica a leggere anche solo le prime righe e aveva passato gran parte del tempo ad interrompere il lavoro di North per chiedergli il significato di questa e di quella parola. La lettura si era fatta poi sempre più scorrevole, ma ancora Jack faticava a capire qualche espressione.

- Sei sicuro che è qualcosa che non puoi risolvere? – chiese a Sandman, seduto su una grossa sedia imbottita accanto, completamente nascosto da un’antica pergamena che non proveniva dalla biblioteca. Sandy abbassò la pergamena e scosse la testa sconsolato.

No. Formò con la sua sabbia, Ho provato tutti i trucchi che conoscevo, ma non ho ottenuto niente. Forse tra gli incantesimi antichi ci sarà qualcosa, che ne pensi? E alzò uno sguardo speranzoso verso Jack.

Lo Spirito del Gelo cercò di mascherare al meglio l’espressione da ‘non ho capito niente’ che si accorse tendeva ad assumere ogni volta che Sandy gli rivolgeva la parola e annuì: - Sono sicuro che una soluzione c’è, non ti preoccupare. – disse.

Ma, che esistesse o meno, la soluzione non fu trovata. Si propose quindi di estendere le ricerche ad un campo decisamente più ampio.

- Per esempio, chiedere ad alcuni Spiriti Minori. – propose North alla fine di un’altra, infruttuosa giornata.

- Non credo che possiedano informazioni migliori delle nostre. – obiettò Calmoniglio.

- Però noi siamo solo in cinque, e loro molti di più. – lo corresse Babbo Natale – Se cerchiamo, qualcosa troveremo di sicuro. –

Il Pooka alzò le spalle: - D’accordo, proviamo. – si arrese.

 – Innanzitutto, a chi potremmo chiedere? – continuò North.

- …Non alla Marmotta. – intervenne di nuovo Calmoniglio.

- April Fool? – propose Dentolina. – Potrebbe anche sapere qualcosa che noi non ignoriamo –

- Lo Spirito del Solstizio d’Estate? – continuò il Pooka.

I Lepricani? Propose Sandman

- Le Sirene?... perché mi fissate tutti? – chiese Jack quando quattro paia d’occhi si posarono su di lui.

- Perché sono subdole e decisamente pericolose, Jack. – spiegò North con espressione seria – anche per noi Guardiani, si. –

Il ragazzo tuttavia sorrise, incredulo: - Suvvia, non dire stupidaggini. Ne ho addirittura invitato una a cena. Anche se credo invitare una sirena a cena significhi un insulto, perché mi ha schiaffeggiato con la coda… - tacque, pensieroso.

 – Però uno schiaffo non è niente di pericoloso, no? –

Gli altri Guardiani lo fissavano ancora. Infine Calmoniglio sbuffò: -E naturalmente portarle dei fiori significa letteralmente ‘e tua madre è un pesce palla’, Jack. –

- Hey… –

- Parlo io alle Sirene. Ne conosco una. – Intervenne Dentolina prima che cominciassero a volare parole grosse. Jack e il coniglio tacquero, North la fissò preoccupato: - E voi quattro parlate agli altri. – continuò decisa, per poi voltarsi e sfrecciare fuori dalla finestra, lontano.

- Ehm… si è arrabbiata? – Chiese Jack. North alzò le spalle.

 – Non credo. –

*

Tra indecisioni e lamentele, il chi deve parlare con chi venne infine deciso.

Calmoniglio, nonostante le proteste appassionate, si ritrovò costretto a far visita alla Marmotta della Cioccolata. La scusa con cui era stato costretto era che nessun altro capiva cosa diceva, e nessuno aveva ancora avuto l’idea di scrivere un dizionario Umano-Marmottese/Marmottese-Umano, di conseguenza nessuno all’infuori di Calmoniglio sarebbe riuscito nell’impresa. Alla fine il coniglio se n’era andato, fumante, sparendo in una delle sue buche alla ricerca del vecchio avversario.

North e Sandman sarebbero andati a far visita agli Spiriti del Pesce d’Aprile e del Carnevale, due gemelli pestiferi e fannulloni il cui unico scopo nell’esistenza sembrava essere portare caos, ridicolo e baldoria sfrenata, nella speranza di ottenere qualcosa di più di stelle filanti, coriandoli e panna montata in testa.

A Jack  era toccato far visita allo Spirito del Solstizio d’Estate. La conosceva da circa duecento anni  e poteva dire con certezza che, se c’era un marmocchio sulla Terra che poteva anche solo lontanamente stargli antipatico, era proprio lei.

June Warmwind incarnava il caldo e l’estate, ma anche la voglia di rilassarsi e di uscire di casa, di fare amicizia e quella felice confusione emotiva che pervadeva gli esseri umani con l’arrivo della stagione delle vacanze. Aveva le sembianze di una ragazzina poco più che tredicenne, con una carnagione rosea e lentigginosa, bei riccioli biondo oro che le incorniciavano il visetto tondo e grandi occhi del colore chiaro dei mari tropicali. Indossava sempre una piccola coroncina di spighe di grano e un leggero abitino di cotone bianco, e come Jack girava sempre a piedi nudi. Spesso portava con sé un piccolo arco e una faretra di frecce che Jack sospettava fossero avvelenate, perché spingevano gli umani colpiti a comportarsi in modo molto strano. Dicevano di essere ‘innamorati’.

June aveva anche un carattere impaziente e lunatico, fatto di sbalzi d’umore e capricci, e spesso, per soddisfare la sua noia, si metteva a sparare le sue frecce al cielo, senza curarsi di chi potessero colpire. Aveva anche una strana ossessione per Jack, che la portava a tentare di scioglierlo ogni volta che si incontravano. A causa di quel carattere così imprevedibile, Jack aveva imparato a tenersi sempre molto lontano dallo Spirito dell’Estate. Non moriva dalla voglia di fare una sauna o farsi male con una freccia.

Ma stavolta gli toccava.

Mentre si avvicinava al sud della Terra, indirizzò il vento gelido che lo trasportava contro la corrente d’aria più calda che riuscì a trovare, seguendola. Sorvolò decine di paesaggi, dal più arido al più rigoglioso, finché non atterrò in qualche città di costa del Brasile. Non poteva essere certo di trovare June esattamente dove la cercava, ma si fidava del suo istinto, che raramente l’aveva tradito.

Guidato dalla calura sempre più opprimente, non impiegò molto a trovarla.

June era seduta su una solitaria spiaggia di sabbia chiarissima, percorsa da un vento forte e macchiata a tratti da rade gocce di pioggia. Sul mare, all’orizzonte, grossi cumulonembi e onde alte minacciavano tempesta imminente.

- Sapevo che stavi arrivando. Tutti quei nuvoloni si sono accumulati per colpa del tuo vento freddo. – disse lo Spirito dell’Estate, sorridendo e voltandosi verso Jack.

Il ragazzo, dal canto suo, era già un bagno di sudore e poco propenso ad iniziare una conversazione educata, complice il potere di June che sembrava aver alzato di parecchio la temperatura.

- Me ne sono accorto. – disse, asciugandosi la fronte.

- Sei venuto a farti una vacanza in Brasile? Dovresti, non c’è nulla di più rilassante che sdraiarsi sulla sabbia con una bella fetta di cocomero. E ammirare il mare, ovviamente. – continuò, divertita. Jack si chiese se per caso non lo stesse prendendo per il fondelli. Nonostante la vaga frescura portata dal vento, lui si sentiva sciogliere come un cubetto di ghiaccio al sole estivo.

- Oh, certo. Dipende dai punti di vista, immagino. – disse, sedendosi sulla sabbia. Calda. June si inclinò leggermente di lato, verso il giovane.  - Veramente sono venuto a chiederti una cosa, June. – continuò Jack, e senza preamboli si sfilò dalla tasca della felpa un piccolo sacchetto e ne rivelò la sabbia chiara contenuta. La ragazzina la osservò con interesse quando Jack spiegò: - E’ un pezzo di un sogno che Sandman ha raccolto. È più chiaro del normale e Sandy non riesce manipolarlo con il suo potere. Abbiamo provato a scoprire se c’era una soluzione, ma non abbiamo trovato niente. – spiegò. – E ci chiedevamo se tu potessi aiutarci in qualche modo. – June continuò ad osservare lo strano sogno per un po’: ormai aveva perso quasi tutta la sua vitalità, e si distingueva dalla sabbia della spiaggia solo grazie a lievi volute che si contorcevano un poco prima di ricadere.

- Posso dire di averlo visto. – disse June. Jack alzò un sopracciglio: - Quando? –

- Non solo di recente… - spiegò la ragazzina – ma anche prima. 100, o 80 anni fa. Ho visto una manciata di adulti fare sogni fatti di una sabbia così. –

- Adulti? Questi sono i sogni di un bambino… – June alzò le mani. – Ah, non so che dirti, Ghiacciolino – rispose.

- L’Omino dei Sogni non è l’unico ad avere dei problemi, qua. Anche a me qualcuno ha dato delle gatte da pelare. – Jack corrugò la fronte: - Cioè? –

- I miei poteri. E le mie frecce, soprattutto quelle. – continuò la ragazzina, in tono serio – Qualcuno sa come distruggere il loro effetti. Gli esseri umani che colpisco non si innamorano più. –

A quel punto, Jack si bloccò. Non sapeva se gioire o preoccuparsi: non amava le frecce si June, ma la ragazzina non era uno Spirito cattivo o particolarmente dannoso… il che significava che qualunque cosa la ostacolasse probabilmente lo era.

- Chi? Puoi dirmelo? – June fissò il ragazzo. La temperatura attorno ai due si era abbassata, segno del fatto che lo Spirito dell’Estate doveva essere arrabbiato.

- Non lo so. – borbottò – Degli Incubi, credo. Ne ho visti in giro parecchi ultimamente. Sono cambiati un sacco dall’ultima volta che Pitch si è visto in giro. Mi domando se per caso quel pipistrello troppo cresciuto non abbia deciso di cambiar stile. Il grigio non dona a quei mostri. –

Jack sbarrò gli occhi a quelle parole, mentre vecchie paure tornavano a riaffiorare.

Incubi?

Si era sbagliato.

L’Uomo Nero era tornato.

*

Alla fine di quella lunga ed estenuante giornata tutti i Guardiani, esclusa Dentolina, si riunirono al palazzo di Babbo Natale con notizie di vari livelli.

North e Sandy furono i primi a tornare, entrambi ricoperti di panna e coriandoli in egual misura, il primo divertito dagli scherzi ideati dai Gemelli del Carnevale e del Pesce d’Aprile, il secondo decisamente abbattuto dal fatto di non essere riuscito a raccogliere nessuna informazione utile. Entrambi i Gemelli, tuttavia dissero di aver visto strane creature grigie aggirarsi per le varie città che i due avevano visitato.

- La stessa cosa che mi ha detto June! – esclamò Jack, che era arrivato poco dopo, completamente coperto di neve dopo essersi letteralmente buttato in una tempesta al Polo Nord per riprendersi dal caldo brasiliano. Sandman, che si stava togliendo i residui di panna dai capelli, fissò preoccupato il ragazzo.

- E la sabbia? – chiese North. Jack alzò le spalle : - Nulla di nulla. Mi ha detto di aver visto sogni simili in alcuni adulti, ma non credo la cosa ci preoccupi, no? –

- Quindi invece di trovare una soluzione a un problema abbiamo scoperto di averne due? –

- Indubbiamente. – confermò una voce irritata alle spalle di North. Calmoniglio avanzò con passo pesante e un’espressione truce verso i tre, fino a fermarsi ad un passo da North. Aveva una guancia leggermente gonfia e il naso spaccato, con la ferita disinfettata e ben messa in evidenza da un’abbondante dose di tintura di iodio.

- Peggior. Discussione. Della mia vita. – puntò il dito verso la ferita sul naso – E questa è tutta colpa tua, North. Sei tu che mi hai costretto a parlarci, con quello stupido. Te lo rinfaccerò fino alla fine dei miei giorni. –

North si limitò a mostrare un sorriso imbarazzato: - Ma è vero… nessun altro capisce cosa dice la Marmotta, a parte te. –

- Beh, una cosa l’ho capita di sicuro. – ringhiò il coniglio – Che mi ha pregato di cambiargli i connotati. Ovviamente l’ho accontentato. E ho capito che ha visto in giro degli strani Incubi grigi, ma probabilmente quello era lo sporco che c’era a casa sua. Da incubo, indubbiamente. –

 I tre Guardiani si scambiarono un’occhiata preoccupata: era la terza volta che sentivano parlare di Incubi grigi quel giorno, e la cosa cominciava a farsi molto preoccupante.

- Che c’è? – chiese Calmoniglio.

- Ecco… -

- In verità anche noi. – Concluse Natale. Il coniglio alzò un sopracciglio: - Non starete scherzando? –

- Niente affatto! – ma prima che Jack avesse il tempo di spiegare gli esiti della missione degli altri tre Guardiani, Dentolina irruppe con un frullo d’ali, trafelata.

- Buone notizie! – esclamò la fata entusiasta, col volto arrossato dal freddo e dalla fatica del volo. Ma alla vista dei volti incupiti dei suoi compagni si affrettò ad aggiungere: - In senso lato ovviamente… Calmoniglio, cos’è successo? – esclamò, nel notare in naso rotto del Coniglietto di Pasqua.

- Niente, niente… - borbottò lui, imbarazzato – un vecchio conto che ho saldato. –

- Oh. –

- Che notizie porti? – la interruppe lui, deciso a chiudere la questione.

- Oh, si. Certo. Le Sirene. – esitò Dentolina. – Sanno cos’è quella sabbia. – aprì un piccolo sacchetto che si era portata dietro, rivelandone in contenuto: un minuscolo libretto giallo e ammuffito dalla copertina rilegata in pelle e decorata da simboli e lettere del linguaggio Sirenese.

- I sogni trovati da Sandy in teoria non avrebbero nulla che non va. – spiegò, aprendo il libretto e sfogliandolo fino alla metà. Gli altri si avvicinarono alla fata, osservando con interesse la pagina che aveva aperto. Rappresentava un Incubo che combatteva contro un Sogno con le sembianze di una bella Sirena armata di tridente  – Il problema è che sono stati colpiti da un incantesimo risalente all’Era Oscura. Uno di quelli che rientrano nella categoria delle Maledizioni della Penombra. –

Jack corrugò la fronte. Maledizioni della Penombra. Il nome gli suonava terribilmente familiare.

- …E cosa sarebbero? – chiese lo Spirito del  Gelo, incerto. Dentolina si morse un labbro. – Ammetto che a questo punto ho fatto parecchia fatica a capire la spiegazione. Gwendoline mi ha raccontato che è uno degli incantesimi originari delle Antiche Sirene, quelle risalenti all’Età dell’Oro. Gli Incantesimi della Penombra sarebbero delle fatture molto potenti, ma che non si possono classificare né come Magia Nera né come Magia Bianca. Piuttosto, qualcosa nel mezzo, che dipende da chi ne fa uso. Anche se suppongo che, essendo una maledizione, sia decisamente Magia Oscura. –

C’è un modo per spezzarli? Chiese Sandman con la sua sabbia. Dentolina gli rivolse uno sguardo affranto.

- Oh, mi dispiace, Sandy. – disse. – Gwendoline dice che l’Incantesimo a cui sono stati sottoposti i tuoi sogni non può essere spezzato da nessuno all’infuori di chi l’ha posto. E noi non sappiamo chi può essere stato. –

- Si che lo sappiamo. – intervenne Jack, con espressione decisa. – Pitch Black. Ultimamente si sono visti in giro parecchi Incubi, probabilmente li ha inviati lui a seminare il panico e recuperare potere. –

- Sono tentato a crederti, Frost. – commentò Calmoniglio, serio.

- E io sono tentata a rompergli un altro dente. – aggiunse Dentolina.

- Mi deve un altro paio di molari. E anche un canino, dopo quello che mi ha fatto. –

Jack sorrise. Gli piaceva quell’aria agguerrita.

*

Notte.

Pitch scivolò agile nell’oscurità della strada, silenzioso ed invisibile come solo un’ombra poteva essere. Le parole di scherno di Crysis echeggiavano ancora nella sua mente, dolorose per il suo orgoglio come una lama poteva esserlo per una ferita aperta.

Re caduto, ecco come l’aveva definito. Aveva ragione.

Pitch era un re caduto.  Senza corona, senza trono, senza sudditi e senza regno. Ridotto ad una misera ombra che vagava nell’oscurità totale.

Ma era ancora un Re. Caduto, ma ben deciso a rialzarsi. Non si era arreso, non voleva scomparire. Voleva dominare, essere creduto come ai vecchi tempi.

E ancor più di quello voleva continuare ad esistere. Voleva essere cosciente di sé stesso, delle sue azioni e dei suoi pensieri.

Diventare il nulla era ciò che lo terrorizzava sopra ogni altra cosa. Ed era ciò che minacciava di diventare, debole com’era.

Essere il Re deli Incubi ed esistere erano la stessa cosa per Pitch. Una cosa era la conseguenza dell’altra.

E se la posta in gioco era la sua esistenza, non si sarebbe fatto problemi a ricorrere a qualunque trucco per vincere.

L’Uomo sulla Luna gli aveva chiesto qual era il suo Centro, di pensare.

Richiesta insensata.

Io so cosa sono. So cosa voglio.

Conosco la mia strada e il mio destino.

Non credere di essere superiore a me.

Notò una leggera scia dorata scintillare in alto, a poche case di distanza: un sogno inviato da Sandman a rallegrare il sonno di un bimbo. Pitch sorrise: proprio quello che cercava.

Scivolò sinuoso nell’oscurità, evitando accuratamente la luce di lampioni e quella della luna, e si infilò in una fessura della finestra della casa, entrando direttamente nella camera del bambino.

La stanzetta in cu si ritrovò era piccola e buia, resa accogliente da un tappeto rosa e peloso, giocattoli sparsi un po’ dappertutto e disegni appesi ai muri, talmente numerosi da coprire la carta da parati sottostante.

Nel lettino dalle coperte fucsia dormiva una bambinetta bionda. Il sogno sopra di lei mutava e vorticava, trasformandosi costantemente sotto gli occhi di Pitch. L’Uomo Nero lo osservò: non era di quel colore vivido e rallegrante che era abituato a vedere, tipico di Sandman.

Era più pallido.

Esattamente ciò che Pitch stava cercando.

Sfiorò il sogno che si contorse agonizzante sotto le sue dita, trasformandosi. Assunse le sembianze di un cavallo e crebbe in dimensioni. Anche il vello della creatura mutò, prima impallidì, andando da giallo chiaro ad un bianco malsano, e poi scurì, assumendo i toni del grigio carbonizzato. 

La bambina gemette nel sonno, spaventata dall’evoluzione repentina del sogno, e si agitò.

Sopra di lei, l’incubo digrignò, scoprendo le zanne verso Pitch, e gli soffiò addosso il suo alito caldo.

Pitch non si lascio spaventare. Tese invece la mano ferma verso l’Incubo che si lasciò toccare, ancora ringhiante.

- Non sono qui per sottometterti al mio volere… - sussurrò Pitch, deciso. – Portami dalla tua padrona, piuttosto. –

Come ad annuire, l’Incubo emise un ringhio più basso, avvolse l’Uomo Nero nella sabbia scura e si lanciò verso la finestra, dileguandosi nell’oscurità della notte.

*

 Avvolta com’era nel gelo e nella neve, la foresta pareva pietrificata.

Gli alberi spogli erano neri e immobili nell’oscurità del luogo, il terreno coperto di neve sembrava fatto di cotone grigio, e radi uccelli notturni lanciavano rauche grida di avvertimento a chi osava addentrarsi nella foresta a quell’ora di notte.

Pitch seguì silenzioso l’Incubo grigio che gli faceva da guida. Non si guardò intorno, ma seppe immediatamente che centinaia e centinaia di occhi lo osservavano, minacciosi. Sentiva il peso dei loro sguardi sulla nuca.

Gli Incubi lo fissavano, nascosti tra gli alberi. E piano piano, lo seguirono nella sua avanzata.

Traditori.

L’Incubo guida si fermò poco dopo al centro di una radura e alzò lo sguardo, in attesa. Anche Pitch alzò lo sguardo.

- Qual vento infausto ti porta qui, Re caduto? – chiese una serica voce alle spalle di Pitch. L’Uomo Nero sperò di non aver sussultato un maniera troppo evidente e si voltò. Tuttavia, colse negli sguardi degli Incubi che lo circondavano qualcosa di feroce quando si voltò a fronteggiare Discordia.

Crysis sorrideva, osservando Pitch con uno sguardo vagamente divertito. Era sinceramente sorpresa. Non si aspettava che l’uomo avesse il coraggio di venire direttamente da lei.

- Strano che tu te lo chieda. – disse Pitch, sorridendo. Era deciso. Tutto o nulla.

- Non sono onnisciente, Re. E non credo che lo diventerò presto, per quanto lo desideri. –

Pitch allargò le braccia: - Ma credo che tu lo possa immaginare. Hai una grande corte. – disse – Ed io personalmente sono venuto a porgerti i miei omaggi, Sovrana. Anzi, qualcosa di più. –  

Abbassò lentamente le braccia e, altrettanto lentamente, col cuore a mille, si inginocchiò di fronte alla donna.

- Sono venuto ad implorarti. Implorarti di diventare anche la mia Regina. Che le Tenebre e la Paura siano di nuovo alleate. –

Si sentiva tremare, ma non sapeva se era perché tratteneva il respiro da troppo tempo o per la tensione. Entrambe, decise.

Crysis inspirò leggermente. – Vieni a chinare la testa? Davvero? – chiese, mentre un leggero sorriso le increspava le labbra.

- Certamente, Regina. – Rispose Pitch semplicemente.

Passò un solo minuto, ma parvero secoli. Infine, Crysis si inginocchiò di fronte all’Uomo Nero, in modo che gli occhi profondi di lei potessero esaminare quelli chiari e dorati di lui.

- Sia. – disse la donna, con quel leggero sorriso.

- Non porto odio verso coloro che desiderano schierarsi dalla mia parte. Anche tu assisterai alla nascita del Nuovo Regno, e dalla parte dei vittoriosi. –

 

 

-+-

Buon Natale?

È il 24 dicembre, ahoy. E sto scrivendo fanfictions. Vita sociale, dove sei?

Comunque eccovi un altro capitoletto. In cui c’è una svolta nelle indagini dei Guardiani, il mistero si dis-infittisce (??) e Pitch ne combina una delle sue. Spero sia buono, e che non abbia commesso troppi strafalcioni di varia natura qui e là.

Grazie ancora a chi legge e soprattutto a coloro che recensiscono, vi amo. Tanto tanto tanto tanto <3    >///////<

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Capitolo 5
*** Un incursione e una gabbia mentale ***


V: Un incursione e una gabbia mentale

 

 

- Jack…  Io non ho trovato niente. – la voce di Dentolina echeggiò in modo strano tra le pareti della caverna, assumendo un tono tra lo spaventato e il lamentoso. Lo Spirito del Gelo si voltò: la fata continuava a guardarsi intorno, sospesa parecchi metri sopra di lui. Aveva sorvolato tutta l’immensa caverna, e ora osservava il terreno sottostante con sguardo attento, come alla ricerca di un dettaglio che le era sfuggito. Jack non rispose, continuando a guardarsi intorno.

Erano nel nascondiglio di Pitch. Una caverna posta in profondità nella terra, umida e fredda, in cui il nero e il grigio erano gli unici colori e il fischio proveniente dagli spifferi e un lento sgocciolio lontano gli unici suoni.

Jack aveva fatto molta fatica ritrovare quel posto. Si era costretto a ricordare almeno vagamente dove aveva trovato per la prima volta quel letto arrugginito e sgangherato, che chiudeva come un cancello quel buco nella terra che formava l’entrata nel nascondiglio dell’Uomo Nero. Si era aspettato di trovare Pitch lì, con il suo esercito di Incubi, pronto a dar battaglia.

Si era aspettato di combattere, anche da solo se necessario, non di trovare una caverna abbandonata.

E ora era lì, con Dentolina, che gli dava una mano ad esplorare quel posto sconosciuto.

La Fata del Dentino aveva esaminato tutto il soffitto, soffermandosi con particolare attenzione sulle grandi e pesanti gabbie di ferro arrugginito che pendevano sinistre dal soffitto, e sul grande globo di metallo al centro della caverna, illuminato da fioche luci giallastre che rappresentavano i bambini che credevano nei Guardiani.

Jack invece aveva esaminato il terreno. La pietra umida era scivolosa e annerita, con numerose stalagmiti che si ergevano dal terreno, e anelli e catene arrugginite erano sparsi qua e là. A parte quello, non c’era nulla che catturasse la sua attenzione.

Il Guardiano prese a dare leggeri colpetti alla parete col suo bastone, nella speranza di trovare qualcosa che era sfuggito anche agli esami più attenti. Non poteva essere tutto lì. Pitch non poteva avere per base un luogo così misero e spoglio, quando tutti i Guardiani, escluso Jack, avevano a disposizione interi palazzi labirintici, impregnati di magia in ogni singolo mattone.

Doveva pur nascondere i suoi progetti e le prove delle sue malefatte da qualche parte, no?

- Jack…. È meglio che andiamo via. Non c’è niente qui. – Insisté Dentolina, avvicinandosi a Jack. Anche lei sembrava delusa dalla mancanza di dettagli e segreti nella base dell’Uomo Nero. – E’ probabile che abbia deciso di trasferirsi, in fondo noi conoscevamo questo posto già da prima, no? - 

Lo Spirito del Gelo non poté negare che la fata avesse ragione: era stupido continuare a nascondersi in un luogo di cui i nemici erano a conoscenza. Ma se era così, allora le possibilità di trovare Pitch si riducevano a zero, a meno che i Guardiani non fossero così fortunati da imbattersi nel suo nuovo nascondiglio.

E il mondo era troppo grande per cercarlo, anche per cinque Spiriti immortali come loro.

Il bastone del giovane colpì di nuovo la pietra della parete, emettendo un toc! così singolare da attirare l’attenzione dei due Guardiani. Vibrante, come se ad essere colpita fosse una lastra, e non un’intera parete.

- Aha! – esclamò Jack. Lo sapeva che non poteva essere tutto lì. Che ci doveva essere qualcos’altro.

- Indietro, Dentolina. Stiamo per scoprire i segreti più sporchi di Pitch Black! – rise entusiasta, balzando all’indietro e puntando il suo bastone contro la parete. Dentolina si allontanò in un batter d’occhio, e Frost scaricò sulla parete il suo raggio congelante migliore, che coprì buona parte della caverna con un sottile e fumante strato di ghiaccio, donando alla pietra annerita un vago riflesso azzurrino. Jack si avvicinò nuovamente alla parete e le diede un forte colpo di bastone, mandandola in frantumi come se fosse vetro. Dentolina gli si avvicinò di nuovo, ed entrambi sbirciarono ciò che si nascondeva oltre la lastra.

Buio. Un corridoio naturale decorato di stalattiti, umido, spoglio, buio come il resto della caverna. I due esitarono: non sembrava invitante.

- Beh, siamo venuti qui per questo. – disse Jack, e Dentolina annuì intimorita.

Jack entrò per primo, aguzzando la vista nell’oscurità e tenendo alto il bastone, pronto a congelare qualsiasi cosa gli si parasse davanti. Avanzò piano, seguito da Dentolina.

Il corridoio pareva lunghissimo. Jack si ritrovò costretto ad appoggiare una mano alla parete umida per avanzare, perché non vedeva assolutamente nulla. Sentiva solamente il rumore del suo stesso respiro, dei suoi passi, quelli incerti di Dentolina e la mano della fata che si era aggrappata alla sua felpa. Il resto era il buio totale.

- Aspetta! – sussurrò Dentolina. Jack la sentì lasciare la presa sulla felpa e il rumore di un ciottolo smosso, seguito da un fischio appena udibile. Le pareti basse del corridoio si illuminarono di una fioca luce verde, che proveniva dalla mano della fata: aveva raccolto un sassolino che ora brillava di luce propria, e si sfaldava lentamente: - Incantesimo di Luminescenza – spiegò lei – Non credevo che mi sarebbe mai tornato utile. –

Il corridoio si rivelò più breve di quanto sembrava, ed infine sfociò in un’altra caverna. Era molto più larga di quella precedente, ma aveva un soffitto più basso ed era occupata interamente da un lago sotterraneo.

Al centro, in mezzo all’acqua nera e immobile si ergeva un’ampia piattaforma di pietra scura al centro della quale, simile ad una gigantesca lapide, si trovava un’alta e spessa lastra di marmo color ebano.

Jack e Dentolina si avvicinarono in volo per esaminarla. Non presentava nessun decoro né segno di essere stata in qualche modo lavorata, ad eccezione di una grossa crepa al centro, simile ad un colpo di piccone.

- Mi domando cosa sia… - disse Jack. Allungò una mano a toccare la pietra, e seguì con i polpastrelli la forma irregolare della crepa. Già, chissà cos’era? Perché Pitch la teneva nascosta?

- Jack! Il corridoio continua! – lo chiamò la fata, che nel frattempo si era allontanata, portando con sé la luce. Aveva trovato un’altra entrata. Jack la seguì.

Il corridoio stavolta parve decisamente più lungo, e terminò in qualcosa alla cui costruzione la natura non sembrava aver collaborato.

Una prigione sotterranea.

Dentolina raccolse un altro ciottolo a cui infuse la Luminescenza e lo consegnò a Jack per permettergli di esplorare il luogo.

Sembrava sfidare ogni legge della fisica e dell’architettura. Le celle, dalle sbarre arrugginite e coperte di glifi magici, erano distribuite a cerchio, impilate in piani a formare torri storte e traballanti, alcune parzialmente incastrate nei muri, oppure semisprofondate nella pietra e nell’acqua, o ancora appese al soffitto, tenute su da catenacci talmente arrugginiti da minacciare di cedere da un istante all’altro. Catene, corde e scale dai pioli marcescenti pendevano ovunque, alcune simili a cappi mal annodati.

Jack non poté trattenere un brivido. Era una visione talmente inquietante e lontana dalla realtà che a ogni angolo aveva l’impressione di vedere qualcuno –un prigioniero, una vittima- contorcersi agonizzante nell’oscurità, tendere una mano consumata dalla sofferenza e dalla fame, implorare silenziosamente pietà, respirare piano, a fatica. Eppure, per quanto cercasse, per quanto si guardasse intorno, ogni cella rimase ostinatamente vuota.

- Questo posto fa venire i brividi. – Dentolina, poco distante, non rispose. Tuttavia non riuscì ad essere più d’accordo. Sentiva l’oscurità strisciare alle sue spalle come un serpente affamato, accarezzarle le ali, sibilare piano.

Aveva paura.

Jack continuò ad esplorare. Quel luogo era immenso, labirintico. Scese a terra. La pietra non era più umida ma semplicemente bagnata, e l’umidità e l’odore marcio di quel luogo sembravano entrargli nelle ossa.

Aveva visto qualcosa. – Dentolina! – chiamò. La fata lo raggiunse immediatamente.

- Cos’è? – chiese.

C’era una porta nella parete. Era piccola e bassa, riccamente decorata di glifi e simboli antichi. Sembrava antica e fatta di mogano, ma il legno impolverato era intatto nonostante l’umidità del luogo.

- Sembra protetta da un incantesimo… - disse la fata, incerta. Jack, incuriosito, allungò la mano libera verso la porta.

Nonostante il freddo del luogo, nonostante avesse l’aspetto di non essere stata toccata per decine, forse centinaia di anni, era tiepida.

Jack approfondì il contatto, premendo fermamente il palmo contro il legno. Non poteva essere.

La porta, il legno, aveva qualcosa di vivo, come se toccasse il torace di una creatura dormiente. Una creatura con un cuore.

Un cuore che pulsava.

Ciò che seguì la scoperta avvenne troppo in fretta per permettere ai due Guardiani di raccogliere i pensieri e reagire al meglio.

Le pareti della prigione furono scosse da un urlo inumano, che rimbalzò da pietra a pietra e fece ondeggiare pericolosamente sia le celle-torre che le gabbie appese al soffitto, e stordì i Guardiani. Da tre grandi pareti libere emersero gigantesche creature nere, che sembravano ibridi fa cane e lucertola, con piccoli, minacciosi occhi gialli che squadrarono per in istante gli intrusi.

Poi, si lanciarono contro i due con le fauci bavose spalancate, intenzionati a divorarli in un sol boccone.

- REGGITI! – urlò Jack, afferrando una Dentolina terrorizzata per la vita e lanciandosi a tutta velocità contro una delle creature. Si abbassò di quel tanto necessario a non finire nelle sue fauci e sgusciò fra le sue zampe, lanciandosi in volo verso l’uscita. Aveva ancora in mano il sassolino luminoso, e sembrava che quei strani mostri fossero attratti dalla sua luce. Ma non poteva permettersi di buttarlo via, altrimenti sarebbero rimasti al buio, in trappola. I mostri avanzarono a goffe, pesanti falcate, abbattendo tutto ciò che si trovava sotto le zampe deformate, le teste squamose e piene di pieghe tese verso quelli che sembravano aver scambiato per lucciole.

Jack si infilò nel primo tunnel senza accennare a rallentare il suo volo. Era certo che i mostri non sarebbero passati per una galleria così piccola, ma era anche certo che sia lui che Dentolina sarebbero rimasti sepolti vivi se non si fossero dati una mossa ad uscire da quel girone infernale. I ciottoli, sassi e stalattiti che crollavano rallentando la loro fuga erano un chiaro segno. Quel luogo stava per essere inghiottito dalla terra.

La Fata del Dentino strillò, costringendo Jack a voltarsi per un istante. Per poco non urlò anche lui.

Tre ombre, di un nero fumoso illuminato da piccoli, malvagi occhi gialli li inseguivano, inghiottendo ogni forma di luce al loro passaggio e guadagnando rapidamente terreno. Jack accelerò.

Il tunnel terminò di colpo, e i Guardiani e i mostri si ritrovarono nella grotta del lago sotterraneo. Anche lì crollava tutto. Jack approfittò della frazione di secondo di libera manovra per lanciare un raggio congelante verso le creature.

Inutilmente.

I mostri, approfittando per un istante dello spazio tornarono nella forma originale emettendo un altro dei loro urli disumani, per poi ritrasformarsi in fumo e accelerare ulteriormente quando i cinque si infilarono nel secondo tunnel.

Stavolta, oltre agli occhi, i mostri avevano conservato una bocca zannuta, che si spalancò pronta ad ingoiare i due.

Jack accelerò ulteriormente, ma senza riuscire a distanziarsi di molto dagli inseguitori. Ormai era più impegnato ad evitare gli ostacoli che a guardarsi indietro.

Anche il secondo tunnel finì. E i due Guardiani finalmente videro la salvezza.

Luce.

La piccola uscita della caverna si stava allargando a vista d’occhio, mentre tutto intorno crollava con un rombo assordante.

In quei pochi, terrificanti istanti Jack non sentì più nulla. Né l’assordante fischio nelle sue orecchie, né la stretta soffocante di Dentolina, né il cuore che, Jack ne era certo, doveva essersi fermato.

Un’ultima, disperata accelerata e la luce esterna li avvolse, accecandoli.

Si udì un’esplosione. Frost rallentò, e sia lui che Dentolina guardarono in basso. In piena luce diurna, lunghe ombre si contorsero diversi metri sotto di loro, emettendo uno strano sibilo. Poi, come nastri, si riavvolsero e si arrotolarono, ritirandosi nel buco da cui erano uscite, sotto il letto sgangherato.

Jack osò a malapena respirare, sentendo i polmoni infiammati e il cuore riprendere freneticamente a battere. Dentolina, viva ma sconvolta, tremante più di paura che di freddo, era ancora aggrappata a lui.

I due scesero a terra.

La fata scivolò lentamente sull’erba morbida, e rimase immobile, col respiro affannoso. Anche Jack sentiva le gambe parecchio instabili. Ma si fece coraggio, e avanzò cauto verso il buco sotto il letto.

L’entrata della caverna di Pitch era lì, inquietante come sempre, intera proprio come lo era prima che i due vi fossero entrati.

- Non… Non so t-tu… - disse Dentolina con voce debole – Ma io non ho voglia di scendere di nuovo a controllare… - Jack si voltò a guardarla: aveva un colorito vagamente verdognolo, e tutte le piume arruffate e bagnate da schizzi d’acqua. Improvvisamente si pentì di non aver insistito per andare da solo. Scosse la testa: - No. Non ne ho voglia neanch’io. –

*

- Cosa. Avete. Combinato. -  Nicholas St. North era un tipo che tendeva ad arrabbiarsi molto di rado. Quel giorno, tuttavia, Jack Frost ebbe il privilegio di sorbirsi una delle sue sfuriate. E, fatto ancor più singolare, anche Dentolina si ritrovò nella sua stessa situazione.

- Posso capire Jack-ed è inutile che fai quel muso ragazzo. Sei e rimani uno scavezzacollo- ma tu, Dentolina… Perché l’hai seguito senza avvertire gli altri? –

Dentolina tacque, rossa in viso. In realtà non lo sapeva nemmeno lei: forse era per spirito di vendetta contro Pitch, forse per desiderio di tornare utile, o forse perché voleva semplicemente stare vicina a Jack. Non riusciva a scegliere quale delle tre.

- Non... non lo so. Mi dispiace. – sussurrò appena. North sospirò, e ogni traccia di rabbia abbandonò il suo volto barbuto.

- Sieste stati degli incoscienti. – li rimproverò – Sono felice che vi diate tanto da fare per cercare Black, ma questo è troppo. La prossima volta, almeno consultatevi prima con gli altri, intesi? –

Jack si sentì come un bambino che aveva commesso una bravata per niente divertente: in colpa.

*

La verità era che morivi dalla voglia di voglia di buttarti in una mischia, non è vero?

Se c’era una cosa che Jack aveva realizzato appieno nei pochi mesi dopo che era diventato Guardiano, era che le espressioni facciali di Sandy a volte sapevano essere molto più chiare della sua sabbia.

Dopo il -dettagliato- racconto di Jack sull’avventurosa escursione nel nascondiglio dell’Uomo Nero, anche Sandman aveva mostrato grande interesse nei confronti della misteriosa porta scoperta da lui e Dentolina. Ma, prima ancora di mostrarsi interessato, aveva fatto sentire il ragazzo nuovamente in colpa con la migliore delle sue espressioni di rimprovero.

Resta il fatto che poteva finire molto, molto male. Pitch è imprevedibile.

- Oh, avanti! Non è proprio grazie a me che trovate sempre soluzioni ai problemi più gravi? – sorrise Jack.

Il tuo grande aiuto è compensato dalla tua capacità di causarli, i guai. Completò tranquillo Sandy con la sua sabbia. Frost ci mise qualche secondo a decifrare il messaggio: - Hey! –

Era una notte tranquilla, fredda e senza nubi, illuminata da una grande luna piena. Jack non ricordava di aver mai visto una notte così chiara, in quella parte del mondo.

Il cielo era percorso da centinaia e centinaia di fili di sabbia d’oro che ondeggiavano lenti nell’aria immobile. Jack si sedette su un palo della luce ad osservarli, mentre Sandy continuava il suo usuale lavoro, inviando altre scie lontano, dirette verso altre case. La loro vista non rallegrava più Jack come un tempo.

Quelle belle scie erano molte meno del solito. Molte, troppe erano scomparse, senza lasciare traccia.

Sandy non l’aveva dato a vedere, ma Jack sapeva quanto la cosa l’avesse sconfortato. Il vedere il proprio lavoro distrutto, il non poter riaggiustare il danno fatto, e il vedere la tristezza sui visi dei bambini, cosciente di averli delusi pur avendo provato a trovare una soluzione con tutte le proprie forze, e sapere che una soluzione c’era. Il tutto sommato alla minaccia di scomparire, perché nelle poche settimane in cui il fenomeno dei Sogni Pallidi si era manifestato molte delle lucine che credevano in Sandy erano scomparse…

Deve essere mostruosamente frustrante.

Una gabbia con un’uscita che non si riesce a trovare.

Qualcosa, anzi, qualcuno, stava lentamente strappando i poteri a Sandman, ne approfittava per infierire senza esporsi. E aspettava, nascondendosi nelle tenebre.

Non ti credevo così spietato, Pitch Black. Né così codardo. E dire che credevo di aver visto tutto.

Era quello il motivo principale per cui aveva osato addirittura piombare nella tana del suo nemico, da solo. Era così arrabbiato, così desideroso di fargliela pagare che non gli importava di ritrovarsi ad affrontare cento, mille, un milione di Incubi. La sua rabbia era più che abbastanza per distruggerli uno ad uno, con le proprie mani.

Jack! Lo chiamò Sandman, formando un grosso punto esclamativo sopra la propria testa.

Ma lo Spirito del Gelo l’aveva già visto. E non poteva crederci.

Balzò in piedi, allungando il collo per osservare la scena che si stava formando in lontananza.

Ombre, lunghe ed alte ombre nere si stavano formando rapidamente all’orizzonte, sopra i palazzi, inghiottendo ogni luce che trovavano sul loro cammino, simili ad enormi nubi temporalesche.

Tutto, la luce di lampioni, della luna, le scie di sogni  di Sandy scompariva al loro passaggio, mentre mostruose, gigantesche creature si ergevano dalla neoformata oscurità, con grandi occhi gialli e rossi puntati verso i due Guardiani, enormi fauci spalancate pronte ad ingoiarli e a distruggere tutto ciò che si sarebbe parato sul loro cammino.

Jack abbassò lo sguardo e infine lo vide. Li osservava dal tetto di un alto palazzo, immobile, inespressivo.

Come se osservasse degli insignificanti moscerini.

Pitch Black.

Il Re degli Incubi.

 

 

-+-

Capitolo di ‘pausa’, definiamolo così.

Ci ho ficcato dentro un po’ di tutto. Dall’esplorazione all’inseguimento all’angst (forse), e il ritorno in grande stile di Pitch, anche se ad accoglierlo ci sono solo Sandy e Frosty. A proposito, indovinate che cos’è quella caverna col lago sotterraneo ^^

Spero il cap non sia troppo incasinato, perché non me lo sono pianificato a tavolino. Mi devo preparare per bene il prossimo, si, si.

Grazie ancora, ancora e ancora a tutti i recensori, sono noiosa ma vi amo. Sono così felice che ad alcuni di voi piacciano i miei OC!

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Capitolo 6
*** Un posto nel mondo ***


VI: Un posto nel mondo

 

 

Ero destinato a grandi cose.

Avevo tempo e potere.

Avevo un esercito e la volontà di dominare.

Avevo un regno da conquistare.

Questo finché non mi accorsi che il mondo non aveva più bisogno di me.

*

- Sono dunque loro? – chiese Discordia. Le gigantesche nubi-Incubo erano talmente basse da sfiorare i tetti dei palazzi più alti. Come nata dal loro fumo, Crysis emerse dal nero e si avvicinò a Pitch.

- Si. – rispose l’Uomo Nero, atono. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere che la donna sorrideva.

- Rilassati. Disorganizzati. Con la guardia bassa. Sono contenta che abbiano preso la situazione così sottogamba. –

Non hanno idea di cosa stanno per affrontare.

- Ma sono certa che sapranno intrattenerci. Divertiamoci, stanotte. –

Si dissolse di nuovo in fumo e si lanciò nel vuoto, contro i Guardiani, affiancata dai giganteschi Incubi come una regina dai suoi cavalieri.

*

Come ubbidendo ad un segnale, l’esercito di mostri si mosse.

Ululati lontani, simili a grida di guerra si diffusero in lontananza, diventando sempre più forti.

- Ammetto che credevo di esserci abituato a cose del genere. – disse Jack, stringendo il bastone. – Però si dice che c’è sempre spazio per l’esperienza. –

Sandman, al suo fianco, radunò tutta sua la sabbia magica, dandole la forma di piattaforma sotto i suoi piedi e di lunghe fruste dorate nelle sue mani.

Esperienza o non esperienza, era ora di combattere. E sia il Custode dei Sogni che il Guardiano del Divertimento avrebbero venduto la propria pelle a caro prezzo.

I primi Incubi che li assalirono erano piccoli, rapidi e letali come frecce di balestra. Jack, non riuscendo a prenderli di mira né a congelarli, si trovò costretto ad affidarsi al vento e alla sua capacità di schivare per non lasciarsi colpire, lasciando tutta l’offensiva a Sandy, che trasformò parte della sua piattaforma in un’enorme mano-scudo che si estese a proteggere anche lo Spirito del Gelo, costringendo i piccoli Incubi a sterzare o schiantarsi contro il muro di sabbia.

Jack non gli lasciò tutto il divertimento. Sgusciò dalla protezione e, continuando a zigzagare, sfrecciò in avanti, puntando agli Incubi più grossi, più lenti e quindi più facili da colpire. Nel superare un gruppo di quei mostri tese il bastone davanti a sé e tracciò un semicerchio, rilasciando il proprio potere congelante: le creature emisero un guaito soffocato prima di rimanere paralizzate dallo spesso strato di ghiaccio che le ricoprì. Frost tuttavia non ebbe il tempo di godersi il perfetto risultato della sua manovra: qualcosa, forse un altro degli Incubi-freccia, gli sfiorò il braccio, tracciando una sottile linea di dolore che esplose, costringendo Jack ad afferrarsi il braccio e rallentare. Sapeva che non poteva distrarsi, ma bruciava così tanto che non riuscì a non gettargli un’occhiata: la manica destra, appena sopra il gomito, era tagliata così perfettamente da sembrare opera di un bisturi. La pelle, sotto la stoffa, si stava rapidamente tingendo di rosso scuro.

- TSK! – Jack si lanciò contro un altro gruppo di Incubi, che lo circondarono e minacciarono di trafiggerlo con punte ed artigli affilati come spade e lunghi come lance, prima di finire anch’essi congelati.

Ma reagirono. Nell’istante in cui Jack partì in volo alla ricerca del prossimo avversario si scrollarono di dosso lo spesso strato di ghiaccio, lanciandosi all’inseguimento del giovane. Jack, tuttavia, non ebbe il tempo di accorgersi di non aver saldato i conti coi suoi avversari. Qualcosa, simile ad una nube di fumo grigio gli sfrecciò incontro e per poco non lo colpì, oltrepassandolo e trascinandosi dietro una folle risata femminile.

- Cos… - Non ebbe il tempo di finire la frase, che sentì un brivido familiare percorrergli la schiena. L’aveva sentito molte, troppe volte nell’ultimo periodo. Non poteva non riconoscerlo. Si voltò.

Pitch era davanti a lui, con un’espressione altera contaminata dalla rabbia.

- Ci rivediamo, Frost. –

*

Sembrava un muro a muro.

Sandy, dopo che Jack era sfuggito alla sua protezione e alla sua vista, si era trovato assediato dagli Incubi-freccia e mostri di medie dimensioni che gli dettero parecchio filo da torcere.

Arrivavano da dovunque, numerosi e veloci come proiettili, difficilissimi da tenere a bada. Formò un’altra mano-scudo, costringendo un gruppo di aggressori a indietreggiare. Gli Incubi-freccia erano diventati più rapidi a schivare, più veloci a colpire. Una di quelle creature gli sfrecciò a pochi centimetri dal naso, costringendolo ad abbassarsi e facendogli perdere l’equilibrio.

D’accordo. Se guerra volete…

La sabbia dorata si scompose nuovamente, assumendo le sembianze di un grande drago cinese, che si avventò sugli Incubi a fauci spalancate.

…Guerra avrete.

Il drago si distaccò dalla piattaforma di Sandy, e prese a volteggiare elegantemente nella nube di Incubi e mostri che si avventarono su di lui, attaccando con tutte le proprie forze. La creatura non si lasciò distruggere facilmente: colpiva con zanne e artigli qualunque cosa riuscisse ad afferrare, e disperdeva i nemici restanti con grandi fiammate d’oro lucente.

Sandy non lo lasciò al suo destino. Mentre il Custode dei Sogni combatteva, altre creature si generavano dalla piattaforma: pegasi, squali, tigri, rinoceronti, renne, dinosauri, aquile, qualunque creatura capace di apportare un minimo di danno al nemico e formare un’efficace linea di difesa.

I nuovi, agguerriti avversari si lanciarono contro l’esercito di Incubi, ognuno di loro ingaggiando battaglia contro diversi avversari insieme e alleggerendo di parecchio il lavoro di Sandy.

L’unica cosa che rimase da fare, in quel momento, era trovare Jack e dargli manforte. Ma Sandman non ne ebbe il tempo.

Qualcosa, simile ad un proiettile ma più grande degli Incubi-freccia sfondò la linea di difesa del Custode dei Sogni, trascinandosi dietro un nutrito gruppo di Incubi dall’aria decisamente letale. Sandy ebbe appena il tempo di trasformare una delle sue fruste in scudo che qualcosa di grosso e scuro lo colpì, con un rumore metallico.

- Hai dei riflessi eccellenti, Sandman. – rise una voce femminile.

Sandy scostò di poco lo scudo per squadrare il suo avversario: non era Pitch.

Era una donna. Pallida e vestita di blu scuro, con i capelli grigio fumo che fluttuavano piano nell’aria. Brandiva una grossa e pesante spada di cristallo nero, che nella foga dell’attacco era riuscita a scalfire lo scudo dorato di Sandy.

Il Custode dei Sogni non si perse in tentennamenti. L’aveva attaccato, il che voleva dire che era un nemico. Con un colpo di frusta la costrinse ad allontanarsi, e seguendo i suoi passi si lanciò all’attacco. Doveva liberarsi di lei, e doveva farlo in fretta.

Aveva perso di vista Pitch fin dalla carica degli Incubi, e se l’Uomo Nero non l’aveva ancora attaccato voleva dire due sole cose: o era rimasto nelle retrovie a godersi lo spettacolo o aveva ingaggiato battaglia con Jack Frost.

E per quanto il giovane Guardiano fosse bravo e forte, rischiava comunque parecchio. Era qualcosa che Sandman non poteva permettere.

Alzò nuovamente lo scudo in alto sopra di sé, in tempo per parare un altro fendente della spada di cristallo.

- Non ti distrarre! – lo canzonò la donna, dissolvendosi nuovamente in fumo quando Sandy cercò di colpirla con la frusta. Era un’avversaria paziente. Sandy aveva già capito la sua tecnica: preferiva non rischiare e puntare più sulla difesa che sull’attacco. Schivava quando il nemico attaccava, faceva largo uso di finte, puntava sulla distrazione e sull’esaurimento. Non aveva fretta.

Il che era già una pecca tattica.

*

Nei suoi trecento anni di vita, Jack Frost era stato coinvolto in un numero sorprendentemente piccolo di battaglie. Certo aveva assistito a molte di esse, alcune erano addirittura guerre a cui aveva partecipato indirettamente, causando bufere e inverni rigidi che avevano favorito questo o quell’esercito, ma di scontri fisici, in cui rischiava la sua stessa pelle, ne poteva contare sulla punta delle dita.

E lo scontro di quella notte veniva ad allungare la lista e forse stroncargli la vita.

Pitch combatteva in maniera molto diversa dall’ultima volta che Jack l’aveva affrontato. Non lasciava che gli Incubi attaccassero: attaccava lui, con pesanti fendenti di falce che avevano ferito Jack già due volte, sfruttava l’oscurità per mimetizzarsi e proteggersi, colpiva dalle angolazioni più inaspettate, senza dar respiro all’avversario.

Jack non era riuscito ancora a congelarlo, ma non riusciva a trovarne né il tempo né il coraggio. La vista dell’avversario, del suo volto, lo disturbava.

Molto più di quanto potesse credere.

- …Cosa ti è successo? –

Pitch si fermò per un istante e fissò Jack, dando tempo al ragazzo di scrutarlo più attentamente.

Il volto di Black era deturpato da una ferita che somigliava ad un ustione. Partiva dallo zigomo sinistro e si estendeva su tutta la guancia, per finire giù per il collo. La pelle in quel punto sembrava essere stata strappata via, e lasciava la carne sottostante in vista. L’occhio sinistro era arrossato, come se vi fosse scoppiata una vena.

Pitch alzò lentamente una mano e sfiorò la ferita.

- Oh, nulla di particolarmente interessante, Frost. Solo un piccolo prezzo per la mia scelta. – sorrise – L’unica che avevo. –  

Non dette a Jack altro tempo: attaccò. Frost gli scagliò contro un altro raggio congelante, approfittandone per indietreggiare, ma la distanza non fu sufficiente: il fendente calò proprio sulla sua testa, costringendolo ad alzare il bastone e bloccare l’attacco con un vibrante clang!

Jack desiderò essere stato più veloce: la punta della falce si trovò così a pochi millimetri dal suo volto. Inarcò all’indietro il collo e la schiena, e spostò la falce d’ombra dell’avversario con un calcio.

Di nuovo, non fu abbastanza veloce: sentì la mano di Pitch afferrargli la caviglia per impedirgli di allontanarsi, mano che si spostò fulminea al polso della mano che stringeva il bastone, mentre l’altra si strinse al collo in una presa soffocante.

Jack sentì le vertebre del collo scricchiolare in modo sinistro, mentre la trachea veniva lentamente schiacciata, occludendo ogni via respiratoria. Era forte. Di una forza brutale, probabilmente non solo era capace di strangolarlo, ma anche di frantumargli le ossa del collo con una sola mano.

Jack se ne accorse solo in quel momento.

Pitch combatteva per uccidere, ed era intenzionato a farlo con le sue stesse mani.

Non se lo ricordava così.

Spietato, certo, ma non così. Non così incurante delle sue azioni, del rischio che correva in battaglia, di spargere sangue.

- Per…che…? -

Pitch sorrise, aumentando la stretta.

- Per… -

- Semplice, Frost. Perché sono venuto a riprendermi il mio posto nel mondo. –

Jack sentì come se qualcuno gli avesse scollegato il cervello. La mano libera lasciò il polso di Pitch e ricadde, priva di forze. La vista si offuscò, partendo dagli angoli del campo visivo, mentre i suoni della battaglia che ancora infuriava intorno si fecero sempre più ovattati, sostituiti da uno strano ronzio.

Sentì la mano che lo strangolava allentare la presa e infine lasciarlo andare, ma non ebbe la forza di reagire. Il fischio del vento che accompagnò la sua caduta libera fu l’unica cosa che sentì.

All’improvviso, due forti braccia lo afferrarono, poggiandolo sul suolo morbido. Sentì i polmoni e la gola bruciare, costringendolo a tossire, piegandosi e inalare aria a bocca aperta. Non era piacevole. Non lo era per niente.

- Svegliati, Frostbite. – una mano lo scrollò, costringendo Jack ad aprire gli occhi di scatto, rizzandosi a sedere. Tutto, dal suono della battaglia che ancora infuriava, al gelo dell’aria che gli pungeva i polmoni, al dolore bruciante delle ferite gli piombò addosso. Il ragazzo si voltò, trovando Calmoniglio al suo fianco.

Il coniglio aveva un’espressione crucciata, e il boomerang in mano: - Ti consiglio di rimetterti in piedi, e in fretta, Frostbite. È una guerra in piena regola, qua. Ti conviene difenderti da solo, quei mostri sono troppi perché possa proteggere anche te. –

Un gruppo di Incubi già puntava nella direzione dei due. Il coniglio si alzò e, quasi senza guardare in quanti fossero e da dove provenissero estrasse tre uova esplosive che lanciò in sequenza contro i nemici.

- E avrei bisogno anch’io di una mano! – gridò, lanciando il boomerang contro un altro Incubo di medie dimensioni che puntava dritto contro di lui ed estraendo altre uova esplosive.

Jack non si fece pregare. Raccolse il bastone, che era caduto poco lontano, e si lanciò in volo contro l’orda di mostri che avanzava nella loro direzione, come a chiedergli di essere congelata, e gli esplose contro tutto il suo potere.

Lo circondarono, separandolo nuovamente da Calmoniglio, il quale era rimasto più giù a combattere qualunque cosa lo attaccasse. Jack notò che il coniglio si trovava su un’enorme piattaforma dorata, probabilmente un’estensione della nuvoletta che Sandman usava per spostarsi. Quella vista lo rassicurò; voleva dire che Sandy stava bene e soprattutto che aveva ancora energie da vendere. Ma non fu la sola cosa a rallegrarlo.

- Jack! – gridò una voce femminile. Era Dentolina, che sfrecciò verso di lui a mani tese, protetta da qualcosa che sembrava uno scudo al plasma di un pallido colore rosa. La fata sterzò a pochi metri dal giovane, lanciandosi contro un grosso incubo dotato di lunghi tentacoli che vennero carbonizzati a contatto con lo scudo e cambiando direzione subito dopo, gridando – Tutto tuo! – prima di perdersi nella mischia e lasciare a Jack il piacere di finire l’avversario.  

La fata non era sola. Jack scoprì che anche North era arrivato a dare manforte, e si era portato dietro un piccolo gruppo di Yeti in assetto da guerra, che attaccarono gli Incubi più grandi dalla piattaforma, abbattendoli con frecce incantate per poi finirli, una volta a terra, con spade e asce.

Voleva unirsi agli altri ma, nella mischia, tra grida soffocate, clangore di armi e ululati lontani non riusciva ad individuarli né tantomeno a vederli.

Ciò che vedeva intorno a sé era solo un immenso caos nero e grigio, con lampi gialli e rossi di occhi malvagi che sembravano osservarlo, studiarlo. Persino la luna non si vedeva più.

E all’improvviso, la lama di una falce d’ombra sfiorò il suo collo.

*

Sandman era un combattente molto aggressivo. Si lanciava a testa bassa contro il nemico, non dava respiro, attaccava piuttosto che schivare o parare, infieriva quado il nemico scopriva il fianco, e non importa se ciò avveniva solo per un millesimo di secondo.

Eppure sulle prime era stato costretto a mettersi sulla difensiva. Non poteva attaccare un nemico che non si  faceva vedere, capace di avvicinarsi come un’ombra e prendere alla sprovvista.

La donna-Ombra gli aveva lanciato contro tutti i suoi Incubi, in modo che lo distraessero attaccandolo da più parti. Costretto a difendersi prima ancora di attaccare, Sandman era stato ferito diverse volte dalla spada di cristallo.

Ma poi erano arrivati gli altri Guardiani ad aiutarlo. North, Calmoniglio e Dentolina, seguiti da una truppa di Yeti armati fino ai denti, tutti agguerritissimi e intenzionati a ricacciare gli Incubi da dove erano usciti.

A quella vista così rassicurante Sandy aveva raddoppiato il suo impegno, e con lui i Sogni dorati si erano lanciati all’attacco contro l’esercito di nemici. Avevano puntato tutti contro la donna, perché sembrava essere lei che comandava i mostri.

- Ah, tutti i Guardiani riuniti qui, eh? – rise lei, lasciando che altri incubi facessero da scudo contro le frecce lanciate dagli Yeti e le uova-bomba di Calmoniglio.

Non vide Dentolina arrivare da dietro. La fata riuscì a ferirla al braccio destro con una sottile e lunga lama permeata di magia, che crepitava come percorsa da una corrente elettrica, distraendola. Crysis ricambiò, passando la spada di cristallo nell’altra mano e lanciandosi contro la fata, mentre gli Incubi dietro di lei impegnarono in battaglia gli altri Guardiani.

Tuttavia, la difesa formata dagli incubi si fece sempre più debole, e i Guardiani poterono partire all’attacco insieme, costringendo Crysis ad indietreggiare.

- DOV’E’ JACK? – chiese North dalla sua slitta passando accanto a Sandy. Aveva una mano sulle redini e l’altra armata di sciabola, con la quale aveva già abbattuto un gran numero di Incubi. Sandy scosse la testa. Ora che aveva un istante per fermarsi a pensare, si accorse che il ragazzo era sparito dall’inizio della battaglia e non l’aveva ancora visto, proprio come Pitch.

- IO L’HO VISTO! – esclamò Dentolina, prendendo le distanze da Crysis, che si era accanita su di lei

- NON TI DISTRARRE! – gridò la donna lanciando una stoccata che ferì al fianco la fata. Dentolina si allontanò ancora, lasciando l’offensiva a North, che approfittò della distrazione dell’avversaria per ingaggiare un corpo a corpo partendo in vantaggio.

Le cose si mettevano male per gli Incubi.

*

Jack non aveva mai temuto così tanto per la sua vita.

L’offensiva di Pitch si era fatta ancor più aggressiva, costringendolo praticamente alla fuga, senza più nemmeno accennare a contrattaccare. L’Uomo Nero l’aveva ferito altre cinque volte, i tagli erano sempre più profondi e dolorosi, e le forze di scansare altri colpi sempre meno. Il taglio sulla gola, quello che doveva staccargli la testa dal resto del corpo, sanguinava più di tutti.

Ora che ci pensava, non poteva biasimare Pitch se stava per morire. Aveva ragione. Doveva aspettarsi una vendetta del genere.

La verità era che semplicemente non riusciva a crederci.

Tutto stava per finire, proprio ora che era diventato Guardiano, ora che i bambini credevano in lui.

A ben pensarci, fin dall’inizio Pitch voleva la stessa cosa.

Lo trovava quasi buffo. Talmente buffo che gli venne da ridere.

- Lo trovi divertente, Jack? Non ti facevo così masochista. –

Pitch si era fermato, aveva abbassato la sua falce e ora sorrideva tranquillo. A differenza di Jack, non aveva nemmeno un graffio. Solo un lembo della tunica e una piccola porzione di stoffa sulla schiena erano congelati, ma lo strato di ghiaccio si stava lentamente staccando.

Jack non seppe come spiegargli perché quella situazione gli faceva ridere.  

Semplicemente, la trovava assurda.

Assurda e insieme terribilmente ovvia.

Smise di ridere quasi di colpo e strinse il bastone, incanalando tutto il potere di cui era capace in esso.

- Non è divertente, Pitch. È semplicemente assurdo. –

*

Stavano contrattaccando.

Insieme, uniti, senza ostacolarsi, con zanne ed artigli.

La stavano costringendo ad indietreggiare.

Crysis con credeva di poter provare tanto dolore nella sua vita. Eppure era tutto lì, pulsava all’unisono insieme ai battiti frenetici del suo cuore, ricordandole continuamente tutte le ferite che le sono state inferte.

 E non era abbastanza.

I Guardiani continuavano la loro offensiva da tutte le angolazioni da cui riuscivano ad arrivare, isolandola, senza lasciare intervenire gli Incubi.

Pitch era occupato, lo sapeva. L’aveva lasciato agire liberamente, aveva una ragione per farlo e non avrebbe cambiato idea fino alla fine.

Ma ora era in difficoltà.

Sola, con solo una spada di cristallo con cui difendersi. Non importava.

Non avrebbe ceduto, fino alla fine.

Era qualcosa di cui aveva bisogno.

*

Pitch era scoppiato a ridere, per poi ricambiare l’attacco lanciatogli contro dal ragazzo.

- Assurdo! Che parola magnifica, Jack! – Frost si era allontanato di nuovo. Aveva bisogno di aiuto, non poteva sperare di farcela da solo. Non poteva nemmeno nascondersi o fuggire, perché era circondato da Incubi. Era, letteralmente, nell’elemento di Pitch.

- Una definizione universale! – continuò l’Uomo Nero, senza dandogli tregua, inseguendolo veloce e silenzioso come un’ombra nel caos e nel frastuono della battaglia.

All’improvviso Jack sentì qualcosa artigliargli la caviglia, fermando la sua fuga con uno strattone violento. Un brivido di disgusto e di terrore puro gli attraversò la schiena quando sentì qualcosa di caldo e viscido risalirgli su per la gamba, e andarsi ad infilare nella felpa macchiata di sangue. Si voltò di scatto, puntando il bastone per congelare qualsiasi cosa l’avesse afferrato, ma anche la mano armata venne improvvisamente intrappolata un una viscida morsa stritolatrice, impedendogli di difendersi. Era un altro Incubo. Jack non riuscì a decidere a cosa assomigliasse esattamente: aveva un aspetto chimerico, con lunghi, spessi tentacoli coperti di muco e sei minuscoli, inespressivi occhietti liquidi color ambra che si avvicinarono al suo viso, come a volerlo osservare meglio.

Per quanto sapesse che non era il momento, il ragazzo si sentì sul punto di svenire dalla paura.

- Una parola chiave, quasi… Per definire il funzionamento di questa realtà. – disse la voce di Pitch al suo orecchio, costringendo Jack a voltarsi di scatto.

Pitch si era allontanato di poco dal giovane, lasciando all’Incubo tentacolato il compito di tenerlo fermo, e aveva lasciato la sua falce d’ombra dissolversi nel nulla.

Alzò il braccio sinistro e lo puntò contro Jack, seguito subito dal destro che tese lentamente indietro.

Una sottile, appuntita freccia di sabbia nera si formò seguendo il percorso formato dalle dita della mano destra, tenuta in posizione di tiro da un arco invisibile.

Jack la riconosceva.

 Era la stessa freccia d’ombra che aveva ucciso Sandy.

Sentì l’aria sparire dai polmoni e il cuore balzargli in gola quando prese a divincolarsi furiosamente, nel disperato tentativo di sfuggire alla presa d’acciaio dell’Incubo, nel tentativo di sfuggire alla morte certa.

Non poteva crederci.

Pitch aveva passato il tempo a torturarlo solo per riservargli la morte peggiore.

- Perché… PERCHE’?? –

Non riuscì a liberarsi, indifferentemente da quanto combattesse. Le forze lo stavano definitivamente abbandonando, la vista si offuscava.

Chiuse gli occhi, combattendo contro le lacrime che minacciavano di salire.

Era la fine.

All’improvviso, qualcosa di gelido come il ghiaccio gli sfiorò la guancia.

*

Fu un istante.

Crysis sentì il cuore fermarsi in petto, il respiro arrestarsi, i muscoli smettere di contrarsi, abbandonandosi inerti contro la sua volontà.

Un istante dopo, un dolore atroce le esplose in petto, partendo dalla spina dorsale e finendo con lo sterno.

A fatica tenne gli occhi aperti, e guardò giù.

Sotto di lei, i Guardiani avevano mutato espressione, passando da concentrazione e rabbia a stupore,  orrore e sconcerto.

Infine abbassò lo sguardo su di sé.

Una freccia nera come la notte le spuntava dal petto, e sangue nero come la pece macchiava l’abito blu scuro.

A malapena alzò la testa, mentre sentì il suo esercito di Incubi dissolversi intorno a sé come fili d fumo nel vento.

Ebbe appena il tempo di formulare una parola, senza voce

Traditore…

Poi, il suo mondo sprofondò nel nero.

*

Jack socchiuse le palpebre.

Una forte brezza prese a spirare attorno a lui.

Un vento che alternava caldo e freddo, aria pura e odore di plastica bruciata.

La presa dell’Incubo che lo immobilizzava si allentò gentilmente, dissolvendosi.

Aprì gli occhi.

Pitch era ancora davanti a lui, con la stessa espressione divertita e rancorosa insieme, lo stesso vago sorriso di scherno.

Intorno a loro, gli Incubi si dissolvevano in un turbinoso vorticare di grigio e nero, che infine permise di intravedere, da lontano, la luce della luna.

- Te l’ho detto, Jack Frost. – Disse Pitch con un sorriso amaro.

- Voglio riprendermi il mio posto nel mondo.

Il turbinio di Incubi avvolse anche lui.

Come un incubo all’alba, Pitch Black si dissolse, lasciando solo una vaga sensazione di insicurezza dietro di sé.

 

 

-+-

Cambiato rating causa presenza di scene violente… ho esagerato?

Uuuuh… un altro.

Non sono sicura di come è uscito questo capitolo, non mi sono mai cimentata in scene di combattimento come questa prima d’ora.

Che dite? È accettabile?

Comunque, se vi state chiedendo se per caso Pitch è impazzito, la mia risposta è ‘si, è più fuori di in balcone’.  Forse.

Volevo anche spiegare perché lo è in questo capitolo, ma forse avrei rallentato troppo la narrazione.

Comunque, ditemi voi.

E ricordatevi che vi amo. Si, lanciatemi pure pomodori marci e quel che vi pare.

VI AMO TUTTI, PERCHE’ DEDICATE UN PO’ DI TEMPO ALLA MIA STORIA. E perché alcuni di voi scrivono delle ficcyne fantastiche  <3<3 grazie per allietare il fandom <3

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Capitolo 7
*** In cui il nemico è svanito nel nulla ***


VII: In cui il nemico è svanito nel nulla

 

 

- E’ ufficiale, amici mei. Pitch Black è tornato. E con potenti alleanze! –

Il tono lugubre dell’annuncio di North suonò molto adatto all’occasione.

Dopo lo scontro con l’esercito degli Incubi, il morale dei Guardiani era decisamente basso: tutti sapevano che stava succedendo qualcosa, che il male tramava alle loro spalle e di conseguenza a quelle di tutti i bambini del mondo. Ma credevano di essere preparati, di poter affrontare al meglio le difficoltà che si potevano presentare.

Invece, Pitch era tornato potente, crudele, deciso come non mai, e li aveva presi in contropiede. Ovviamente, non ebbero bisogno di avanzare ipotesi su cosa volesse: già lo sapevano.

La lezione, tuttavia, era davvero demoralizzante. Nessuno aveva mai temuto tanto per l’equilibrio del mondo.

La situazione, tuttavia, durò poco più di due giorni: il tempo necessario a rimettere in piedi i feriti e i Guardiani, sebbene ancora contusi e pieni di cerotti, si riunirono nuovamente per studiare un nuovo piano e avanzare ipotesi e contromosse per i prossimi movimenti di Pitch.

- Il suo obiettivo finale è sempre lo stesso, suppongo: essere creduto, e cancellare la nostra esistenza. – aveva esordito North alla prima riunione dopo il combattimento contro l’esercito di Incubi. – Abbiamo visto tutti in cosa si sono evoluti gli scagnozzi di Pitch. Abbiamo anche saggiato la loro forza. Dobbiamo assolutamente scoprire cosa li ha resi così potenti, per sapere come distruggerli. E, ovviamente, dobbiamo anche scoprire chi era l’alleata di Pitch. Forse gli ha fornito nuovi poteri che nemmeno immaginiamo! –

Jack aveva scoperto dell’esistenza della donna dai capelli color cenere solo dopo lo scontro. L’alleata aveva attaccato direttamente Sandy, mentre Jack era impegnato contro Pitch. L’informazione l’aveva fatto sentire in colpa come non mai: aveva letteralmente abbandonato Sandy al suo destino all’inizio del combattimento, convinto che se la sarebbe cavata benissimo da solo, mentre il Custode dei Sogni aveva rischiato di soccombere. Jack si rese conto che avrebbe dovuto rimanergli vicino, e non andarsene a combattere per conto suo. Avrebbe dovuto rimanere con gli altri Guardiani quando erano arrivati a dare manforte. Non riusciva a perdonarselo.

- Tuttavia, c’è una cosa che non mi quadra… - continuò North: - Chi è che l’ha abbattuta, esattamente? –

- Probabilmente Pitch. – disse Calmoniglio con un’alzata di spalle: - In fondo, non si è fatto vedere con nessuno di noi durante tutto lo scontro. Inoltre, era Capelli di Cenere a comandare gli Incubi. Probabilmente Pitch l’ha ritenuta troppo pericolosa per lui. O forse solo inutile.  – concluse. Posò lo sguardo su Jack, che sembrava assorto nei suoi pensieri: - Era con te, giusto, Frostbite? –

Jack annuì: - Si. L’ho visto scoccare una delle sue frecce d’ombra nella mischia. Ma non sapevo a cosa a aveva mirato esattamente. –

Nella sua versione dello scontro, Jack aveva raccontato una storia leggermente diversa dalla realtà. Per sua fortuna nessuno l’aveva visto se non per pochi secondi, quindi nessuno poteva contraddire ciò che aveva raccontato. Jack aveva taciuto su molte parti: sulla strana ferita sul volto dell’Uomo Nero, e anche su quando era stato intrappolato dall’Incubo coi tentacoli, quando Pitch gli aveva puntato contro quella freccia.

La realtà era che non capiva perché Pitch non l’avesse ucciso. Aveva avuto l’occasione perfetta e tutte le ragioni per farlo. Anche se avesse voluto eliminare solo Capelli di Cenere, anche Jack ai suoi occhi meritava di morire.

Non capiva perché.

Forse è solo impazzito. pensò.

- Pericolosa. Ecco il punto, Calmoniglio. Probabilmente è lei al centro di tutto, dai Sogni Pallidi all’evoluzione deli Incubi…  ha aiutato Pitch. L’ha reso più potente. Non capisco per quale ragione, ma suppongo che prima o poi lo scopriremo. E infine lui l’ha tradita. –

- E fin qui ci siamo. – aveva concluso il Coniglietto di Pasqua. – Proposte, North? –

- Scoprire chi era. Cosa sapeva fare. Fare delle ricerche. Chiedere in giro.  – all’ultima frase Calmoniglio abbassò leggermente le orecchie: - Io mi tiro indietro stavolta. Se volete provare a chiedere di nuovo qualcosa agli Spiriti Minori, io mi tiro indietro. –

- Non chiederemo alla Marmotta, lo prometto. –

- Mi tiro indietro lo stesso. –

- Se volete, possiamo chiedere l’aiuto di June per cercare informazioni. È una tale ficcanaso. – propose Dentolina, attirandosi lo sguardo incredulo di Jack.

- Beh, lo dice lei stessa di esserlo. – aggiunse la fata, arrossendo leggermente

*

Nonostante i nuovi propositi e i rinnovati sforzi, nessuno scoprì nulla.

Pitch era nuovamente sparito, e gli Incubi Grigi erano più sfuggenti che mai. Le lucine continuavano a spegnersi a ritmo allarmante, senza che nessuno riuscisse a trovare una soluzione, rallentare il fenomeno.

In compenso, sorsero altri problemi: Sandman aveva cominciato ad indebolirsi. Il numero di bambini che credevano in lui era diventato davvero esiguo, e la cosa aveva influenzato parecchio i suoi poteri. Lentamente, la sua capacità di manipolare i sogni stava venendo meno, e con essa la sua capacità di rimediare ai danni causati dagli Incubi Grigi.

Era un circolo vizioso.

La cosa fece stare Jack ancora peggio.

E più di quello, lo rese ancor più deciso a saldare i conti rimasti in sospeso con l’Uomo Nero.

 

 

 

 

-+-

Altro capitolo di ‘pausa’, spiegazioni varie ed eventuali sono rimandate al prossimo.

Scusate se è breve.

A proposito, pensate che io scriva male? Ogni tanto ho delle cadute di stile. Anche se spesso non me ne rendo conto. Scusatemi.

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Capitolo 8
*** Vecchie ombre e spirito di vendetta ***


VIII: Vecchie ombre e spirito di vendetta

 

 

Sembrava sorto dal nulla.

Eppure aveva radici antiche, più profonde della Paura stessa.

Era il marcio che cresceva lentamente sotto l’ingannevole scintillio del metallo prezioso e lo splendore delle grandi idee, preannunciando la fine di quella meraviglia.

Era il figlio della perduta Età dell’Oro.

L’Incubo che camminava alla luce del Sole.

*

In millenni di vita, molte creature avevano accompagnato il cammino di Pitch. Molti, moltissimi erano semplici umani. Creature mortali, inerti, le cui vite terminavano in un batter d’occhio. Altri erano Fantasmi, esseri senza potere e senza voce, silenziosi osservatori delle azioni altrui. Altri ancora erano Spiriti amici, che spianavano il passo al Re degli Incubi e traevano vantaggio dalle sue malefatte.

Molti erano i nemici. Creature insignificanti o Spiriti potenti, erano in tanti a non apprezzare, a combattere il suo pur necessario operato. Erano così in pochi a comprendere il profondo significato della Paura.

Paura come istinto primordiale, come spirito di autoconservazione. Come voce interiore che costringe a riflettere meglio sulle scelte da fare.

 A suo modo, una testimonianza di vita.

Ma vi erano alcuni, tra i suoi nemici, a cui non importava nulla del suo lavoro, dell’impronta che lasciava sul mondo.

Erano creature senza nome, nate dall’oscurità e dal terrore, ma che camminavano alla luce del sole, avvelenando col loro tocco ogni cuore che sfioravano.

Il loro era un potere molto particolare: non turbava i pensieri, non faceva rabbrividire, né fuggire dalla minaccia. Semplicemente divorava ogni cosa: gioia, speranza, ricordi, progetti, sogni… perfino la Paura stessa, lasciando un guscio vuoto.

Erano loro stessi dei gusci vuoti, rare entità prive di coscienza, indistruttibili, potenti e pericolose come pochi.

All’epoca Pitch fu l’unico a vederli per quello che erano: una minaccia.

Per la sua stessa sopravvivenza, per assicurarsi il suo potere sul mondo, decise di combatterli.

E mentre l’Età dell’Oro, splendida epoca in cui idee, genio e magia avevano brillato di luce propria, soccombeva divorata dall’esercito del Re degli Incubi, mentre ogni angolo della Terra sprofondava nei Tempi Bui, in cui il Terrore ed Oscurità dominavano i cieli e i cuori, Pitch sigillò molte di quelle creature. Impiegò molto del suo potere, ma era un sacrificio necessario per assicurargli un tranquillo e lungo dominio sul mondo, in cui solo la Paura sarebbe stata la vera regina.

Ma il suo lungo regno non era destinato ad essere eterno come sperava, e presto conobbe la fine: con l’ascesa dei Guardiani, le notti vennero illuminate da Stelle e Sogni, i giorni di speranze e gioia, il passato di ricordi luminosi e il futuro di progetti ambiziosi.

Nicholas North, Calmoniglio, Dentolina e Sandman, giovani Spiriti scelti dall’Uomo sulla Luna, fecero dell’infanzia e del mondo qualcosa di luminoso, di migliore.

Sgretolarono tutto ciò che Pitch aveva faticosamente costruito, per cui aveva combattuto, privandolo infine del suo grande e antico potere.

Lo ridussero ad una misera ombra carica di rancore.

E con la caduta del Re degli Incubi, venne meno la sua singolare protezione sul mondo.

Le Creature Senza Nome sigillate da Pitch erano le più potenti tra quelle che all’epoca gli avevano sbarrato il passo, ma non erano tutte. Non poche rimasero libere, e continuarono a vagare per il mondo, tingendo gli animi del loro colore.

Nel corso dei secoli, acquisirono sempre più potere, si moltiplicarono, invisibili ed onnipresenti come spettri. Crearono un loro regno personale nei cuori degli umani, invisibile a tutti, perfino al Re degli Incubi.

C’era una ragione per cui Pitch preferiva avvelenare i sogni e nutrirsi delle paure dei bambini, piuttosto che di quelle degli adulti.

Perché non erano ancora impregnati del veleno di quelle creature. Ed era un veleno mortale, il peggiore che avesse mai visto.

Si chiamava Odio.

- Ti restituirò tutto il tuo antico potere nell’istante in cui mi diventerai fedele. –

La promessa di Discordia era un patto semplice, chiaro.

Pitch era certo che anche lei sapeva. Sapeva che il Re Caduto non le sarebbe mai stato veramente fedele, che non l’avrebbe mai seguita ciecamente come prometteva.

In fondo era così che funzionava. La fiducia, la verità e l’amore erano chimere, pronte a svanire come fili di fumo al più esile soffio di vento. Erano tutte menzogne, castelli di carta costruiti per essere abbattuti al momento opportuno.

Sapeva che si sarebbe vendicata. Ma non credeva che le cose sarebbero andate così.

Crysis gli aveva concesso un po’ di potere. Un po’ di forza, di controllo sugli Incubi, sufficienti a permettergli di combattere al suo fianco da alleato.

Concedendogli la forza, gli aveva iniettato quel veleno mortale.

Pitch se n’era accorto troppo tardi. L’aveva fatto quando quel veleno aveva cominciato a fare male, a manifestarsi sotto forma di ferite fisiche.

Aveva combattuto le Creature Senza Nome millenni addietro. All’epoca era convinto di poterle tenere a bada, di avere sufficiente potere per schiacciarle, e poi di potergli sfuggire quando i Guardiani l’avevano sconfitto.

Ma anch’esse, come gli Incubi all’alba, con la sconfitta di Pitch erano semplicemente scomparse.

Si era accorto troppo tardi che per tutto quel tempo quelle creature erano rimaste semplicemente nascoste, per poi tornare sotto un’altra forma. Quella forma così familiare…

Gli Incubi Grigi.

Il veleno con una forma tangibile.

Discordia stessa ne era impregnata fin nelle ossa. Era lei che fortificava gli incubi, gli donava nuove forme, e attraverso essi guadagnava potere. Non le importava se Pitch strisciava sotto la sua ala protettrice con intenzioni malevole.

Perché il Re Caduto era destinato a morire, ucciso da quello stesso veleno.

L’ombra era destinata a scomparire, inghiottita dal nero.

Così come tutto il resto.

*

Erano passati cinque giorni dalla battaglia contro i Guardiani.

Gli Incubi si erano nuovamente dissipati, nascosti. Dopo la scomparsa di Discordia erano fuggiti, tornando a strisciare nell’oscurità, silenziosi e letali come serpi.

Sembrava finita.

Ma Pitch sapeva che non era così. Stavano semplicemente aspettando.

Aspettavano il ritorno della loro Regina.

Aspettavano nuovi ordini, nuova organizzazione, nuove prede su cui avventarsi.

Non che non avessero già fatto danni. Pitch era certo che i Guardiani, essendo i protettori dei bambini, non avessero rivolto nemmeno un minimo della loro attenzione a cosa stava succedendo tra gli adulti. Non avevano visto il veleno delle armate di Discordia spargersi nei loro cuori, contaminare a macchia d’olio tutto ciò che li circondava. Ma l’Uomo Nero aveva assistito a quello scempio. Aveva sentito odio e paura diffondersi per il mondo come un vento venefico, rafforzandolo e insieme avvicinandolo alla sua stessa fine.

Anche lui aspettava.

Aspettava Discordia.

Voleva distruggerla, perché stava per portargli via l’ultima cosa che gli era rimasta.

Era quello il messaggio contenuto nella freccia con cui aveva trafitto Crysis.

Se lei aveva intenzione di farla finita in quel modo, uccidendo chi le aveva chiesto alleanza e protezione, andava bene. Era logico, per creature malvage come loro due.

Semplicemente, si sarebbe vendicato prima di morire. E l’avrebbe fatto con le sue sole mani.

Dopo aver vagato per quasi una settimana, Pitch aveva deciso di tornare alla sua caverna. Sapeva che era inutile anche solo pensare di nascondersi, perché era certo che, ovunque fosse andato, la Regina l’avrebbe trovato. D’altra parte, non voleva nemmeno farlo. Non voleva fare la figura del codardo.

Non gli rimaneva nulla, a parte sé stesso. Sentiva la paura crescente degli umani continuare a scorrere nelle sue vene, continuare a fornirgli sufficiente potere da permettergli sostenere uno scontro. Forse l’ultimo della sua vita.

La caverna  di Pitch era, in molti versi, simile ai palazzi dei Guardiani. Le fredde mura spoglie e la pietra erano impregnate in ogni angolo di magia, un misto di antichi incantesimi e scudi magici, echi di vecchie battaglie e di nuove, piccole paure serpeggianti, che trovavano in quel luogo buio ed oscuro la loro casa.

Pitch era rimasto rinchiuso in quel luogo per secoli, consumato dal desiderio di vendicarsi dei Guardiani. I suoi piani di vendetta gli avevano portato via molto tempo e molte energie. L’avevano distratto completamente da ciò che avveniva nel mondo. Ora, sentiva come se quella rabbia fosse scomparsa, schiacciata dalla consapevolezza, quel tempo passato a meditare vendetta come sprecato.

Sorrise tra sé. Era così strano.

I Guardiani stavano per perdere il loro nemico storico. Ma se sapessero cosa stava per prendere il suo posto, probabilmente si sarebbero fatti in quattro per salvarlo. Ma forse era meglio lasciarli all’oscuro di ciò che stava accadendo nelle tenebre, così la realtà dei fatti gli sarebbe crollata addosso con tutto il suo peso, schiacciando loro e tutto ciò che rappresentavano.

 Alla fine, Pitch avrebbe ottenuto comunque la sua tanto agognata vendetta, anche se per mano di qualcuno che voleva eliminare con le sue stesse mani.

Si passò una mano sul volto, ricordando di nuovo le parole di Jack, quelle pronunciate durante il loro ultimo scontro.

Non è divertente, Pitch. È semplicemente assurdo. Aveva ragione.

Era davvero qualcosa di assurdo. Illogico sotto ogni punto di vista. Nulla lo era nella sua vita, di questo ne era certo.

All’improvviso, l’Uomo Nero si bloccò. Qualcosa, un rumore, l’aveva distratto dai suoi pensieri.

Un suono vago, lontano, che si mescolava al fioco cigolio delle catene che sorreggevano le gabbie appese al soffitto. Un fischio che si poteva confondere con quello del vento, se non fosse per il fatto che stava aumentando di intensità.

Poi, all’improvviso, creature simili a fili di fumo grigio si formarono sul soffitto, attraversando rapide le centinaia di gabbie appese e aumentando in dimensioni, per poi scendere silenziosi ed assumere forma solida, circondando Pitch.

Gli Incubi Grigi rimasero immobili, osservando coi malvagi occhi rossi l’Uomo Nero, che sorrise.

- Quanti invitati alla festa, Discordia. – rise – suppongo che sei venuta per divertirti, no? –

- Oh, non proprio. – disse la voce di Crysis, seria. La donna apparve alle spalle di Pitch, e ricevette una violenta accoglienza: fulmineo, l’Uomo Nero aveva evocato la sua falce d’ombra, che aveva scagliato con tutta la sua forza sulla testa dell’avversaria. Crysis però fu altrettanto veloce a reagire: evocò la sua spada di cristallo e la alzò sopra la sua testa, parando con facilità la lama nemica.   

Sorrise: - Sono ancora convalescente. Quanti sforzi mi fai fare… - ma Pitch non l’ascoltò nemmeno: ruotò la lama e tirò la falce a sé, intenzionato a strappare la spada di mano a Crysis. La donna reagì lasciando la pesante spada e impugnandola con una sola mano, in modo da non perdere la stretta sull’elsa. Tuttavia, la forza della manovra dell’Uomo Nero la sbilanciò in avanti: in quell’unico istante, Pitch mosse un passo avanti e trasformò la sua falce in una lancia, ma l’unica cosa che trafisse fu una leggera nuvola di fumo grigio.

- …Non è mia intenzione combattere. – rise la voce della donna alle sue spalle. Pitch si voltò, squadrandola con odio da capo a piedi. Crysis si avvicinò, piano: - Sono venuta qui per… ringraziarti. Dal profondo del cuore. Soltanto questo. – sorrise, quando lo vide stringere gli occhi, ancora in guardia, pronto ad attaccare come un animale feroce. – Ringraziarti per aver combattuto con me contro i Guardiani. Per avermi spezzato il cuore. – posò una mano sul petto, sullo stesso punto in cui la freccia di Pitch l’aveva trafitta.

Aveva percepito chiaramente i sentimenti, oltre che il potere, di cui era caricata. Li sentiva ancora sulla pelle, come un marchio.

Rabbia. Disperazione. Vendetta. Odio.

Era qualcosa di molto più prezioso della semplice paura.

- Ti ringrazio per avermi ceduto una parte di te. Ora mi hai aperto più porte di quante speravo di raggiungere. –

Vide Pitch abbassare lentamente la lancia d’ombra, con le spalle leggermente tremanti.

Crysis sorrise.

Fu un istante.

Con un urlo di rabbia, Pitch si scagliò contro la donna. Erano quelli, i suoi ultimi istanti.

Sarebbe stato un sacrificio inutile, ma vedere quel viso deformato dal dolore sarebbe stata la sua ultima, immensa soddisfazione. Ne sarebbe valsa la pena.

Lanciando quasi all’unisono il loro richiamo inumano, gli Incubi Grigi si gettarono contro il Re Caduto, artigliando la mano armata con zampe forti come l’acciaio, costringendolo a lasciare la presa, e affondando nella sua carne zanne e artigli roventi come il metallo fuso, costringendolo a cadere in ginocchio sotto il loro peso.

Pitch sentì il suo stesso grido morirgli in gola, sostituito da un dolore talmente atroce da offuscargli la vista, e minacciare di trascinarlo nell’incoscienza. Poi, la mano di  Crysis gli sfiorò leggera la ferita sulla guancia sinistra, causandogli altro dolore.

La donna si inginocchiò, in modo da fissare Pitch negli occhi velati di sofferenza, e gli prese il viso tra le mani - I tuoi vecchi Incubi mi hanno riferito un’informazione davvero interessante. So che hai sigillato delle creature incredibilmente potenti, molto tempo fa. Non sapevi cosa fossero. E avevi il terrore di non poterle controllare. –

Lo sguardo della donna si fece quasi dispiaciuto: probabilmente l’Uomo Nero non era nemmeno più capace di ascoltarla. Ma non importava. Non aveva più la forza di fare nulla.

Forse nemmeno di esistere.

- Ti ringrazio per averli lasciati dormire, Pitch Black. Saranno grandi alleati per me. –

Gli Incubi lasciarono andare Pitch, che cadde sulla pietra e vi rimase immobile, respirando faticosamente. Era a malapena cosciente. Le ferite pulsavano dolorosamente, e il sangue che sgorgava da esse gli stava sottraendo le ultime forze rimaste.

Era finita.

Non aveva nemmeno avuto la sua ultima soddisfazione.

Peccato…

Crysis si alzò, senza distogliere lo sguardo dal ferito. – Il primo è qui, mi è stato detto. – sussurrò – Proprio a casa tua. Trovatelo. –

Ubbidendo all’ordine, gli Incubi Grigi si trasformarono in fumo, disperdendosi in direzioni differenti e lasciando la loro regina da sola.

Il pavimento della caverna prese a tremare, e nelle ampie, alte pareti si formarono lunghe crepe che rivelarono una gran quantità di passaggi segreti e porte invisibili senza un esame attento.

Gli incubi si dispersero per quei passaggi, esplorandoli alla ricerca di ciò che cercava Crysis. Infine, un lungo urlo inumano proruppe dalle pareti, attirando l’attenzione della donna.

Gli Incubi avevano trovato qualcosa. Anche Crysis si dissolse, seguendo il richiamo dei suoi mostri. Seguì le loro voci per due lunghi corridoi, fino ad arrivare alla prigione sotterranea.

 I suoi Incubi era tutti riuniti lì, ed alcuni combattevano contro gli ibridi cane-lucertola a guardia della piccola, polverosa porta di mogano. Crysis sorrise quando vide le gigantesche creature, che pur avendo opposto una strenua resistenza, crollare e dissolversi, abbattute dalla forza dei suoi seguaci.

Il vincitori lanciarono altri ululati, avvicinandosi alla Regina, circondandola come a chiedere un ringraziamento. Crysis li accarezzò, con un leggero sorriso sulle labbra. Poi, accompagnata dalle creature, si avvicinò alla porticina di mogano.

Non era più intera e ben tenuta, né calda al tatto.

Era fredda e marcia, distrutta da secoli di incuria e umidità, coi cardini prossimi a staccarsi, tanto erano arrugginiti. Crysis la toccò, aprendola con una semplice spinta. Si abbassò di quel poco necessario a non battere la testa contro lo stipite ed entrò.

All’interno si apriva una sala gigantesca. Non vi era nulla, a parte la parete opposta all’entrata, completamente occupata da una lunghissima serie di luminosi glifi concentrici, che si contorcevano a formare simboli sempre più grandi, come gli anelli che segnavano l’età di un albero, ed illuminando il luogo con un chiarore rossastro.

Sorrise, avvicinando la mano alla parete. Era calda.

Pulsante di vita propria.

*

Il terremoto che scuoteva la caverna era diventato talmente forte da staccare alcune gabbie dal soffitto, che caddero con un fracasso assordante, scuotendo finalmente Pitch dalla semi-incoscienza in cui era scivolato. Non fece troppa fatica a capire cosa stava succedendo.

Sta crollando tutto.

Non era sicuro di avere le forze di alzarsi. Aveva fallito nel ferire Discordia, ma in compenso lei l’aveva ridotto in fin di vita.

Tuttavia, il pensiero di morire lì, schiacciato dai massi che crollavano ovunque, non lo allettava. Senza perdersi in altri pensieri, spostò lentamente le braccia davanti a sé, e fece forza sulle spalle ferite, cercando di rialzarsi. Il dolore minacciò di ritrascinarlo nuovamente nell’abisso dell’incoscienza, ma non era il momento.

Doveva andarsene da lì. E doveva farlo in fretta.

Si alzò con uno sforzo eroico, e cercò un appoggio per avanzare più in fretta. Non ce n’erano. Digrignò i denti, cercando di reprimere il dolore e costringere le gambe a muoversi.

Non morirai qui. Non lo farai. Non ti sei ancora vendicato.

In lontananza, simile ad un’allucinazione uditiva, una folle risata femminile si perse nel boato della caverna prossima a crollare.

*

Discordia venne trascinata via dagli Incubi quasi contro la sua stessa volontà. La caverna, il palazzo del Re Caduto le crollava intorno, minacciando di schiacciarla sotto i pesanti massi, ma a lei non importava.

Rideva.

Era una sensazione talmente inebriante da farle girare la testa.

Alzò la mano davanti a sé, la osservò e la strinse in un pugno, poi la distese. Sentiva il potere agitarsi nelle sue vene, come a pregare di essere liberato, mentre il boato della caverna che crollava veniva sostituito dal fischio gelido e tagliente del vento notturno.

Non riusciva a smettere di sorridere.

Il mondo era davvero suo, ora.

*

In trecento anni, l’Uomo sulla Luna aveva parlato a Jack una sola volta.

Jack si era sempre chiesto perché. Perché parlava così di rado. Forse era la paura di interferire con il corso naturale degli eventi. Forse era una qualche legge superiore. O forse, pensò, era semplicemente un tipo molto taciturno.

La verità era per Jack un mistero.

Eppure, quella notte, aveva la netta impressione che la Luna volesse dirgli qualcosa di importante. Qualcosa che solo il giovane doveva sapere.

Jack si era allontanato dal palazzo di North senza avvisare nessuno, e aveva seguito la Luna per tutta la notte, come se quest’ultima avesse tracciato un percorso di luce solo per lui, oscurando tutto il resto con grandi, spesse nubi.

Non era sicuro di ciò che stava facendo. Ciò di cui era certo era che quella notte avrebbe trovato qualcosa. Risposte a uno dei tanti misteri in cui i Guardiani si erano imbattuti nell’ultimo periodo? Una persona che avrebbe aiutato lui e i suoi amici? Un luogo speciale?

Non ne era sicuro.

Non si rese nemmeno conto di dove stava andando finché non riconobbe, in lontananza, alcune case vicine ad un luogo a lui familiare. Sbarrò gli occhi, volgendo uno sguardo incredulo alla Luna, per poi rivolgerlo nuovamente al paesaggio, alla ricerca di quello strano, storto percorso di luce che la Luna aveva creato per lui, deciso a seguirlo fino alla fine.

Lo portò esattamente dove immaginava che arrivasse.

Osservò il luogo dall’alto, incredulo dello spettacolo che gli si era parato davanti.

Sotto di lui, un grande bosco si estendeva vicino ad un laghetto ghiacciato. Tuttavia, ad un certo punto molti alberi erano stati divelti dalle loro radici, e alcuni erano letteralmente sprofondati e inghiottiti dalla terra, che aveva formato un’enorme depressione, devastando tutto ciò che era compreso nel suo raggio.

Jack non poté credere ai suoi occhi, riconoscendo quello che un tempo era stato un normale pezzo di bosco e che ospitava l’entrata di un luogo che conosceva bene e detestava col cuore.

La caverna di Pitch era completamente crollata.

 

 

 

-+-

ASDFGGHJL, altra violenza. Però stavolta è il turno di Pitch di soffrire. Ho paura di averlo ammazzato. (Pfft, ma anche no.) Non sono sicura di come è uscito questo capitolo. Ho l’impressione che sia un po’ incasinato. (O forse devo soltanto smetterla di scrivere fino a tardi.) Giuro che al prossimo tornerò a toni più allegri. Lo farò. Sul serio.

Comunque, eccone un altro. Voglio ringraziare tutti coloro che recensiscono, e coloro che mi seguono, in particolare Chibis, MadAme_MadNess, Iryael, Olguzzi e Sweet Witch. Siete la benzina per la mia ispirazione, sul serio. Quando leggo i vostri commenti, l’unica cosa che riesco a pensare è ‘Non perdiamo tempo, mettiamoci a scrivere!’ sul serio. Siete voi a mandare avanti la storia, non io. Per niente. 8D

E a proposito, vorrei anche lasciare una piccola immagine che la bravissima Lombaxlover ha disegnato: un’immagine della mia OC June (che penso di ripescare nei prossimi capitoli.)

http://lombaxlover.deviantart.com/art/gift-June-345661250

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Capitolo 9
*** Un prigioniero di guerra e troppi pensieri ***


IX: Un prigioniero di guerra e troppi pensieri

 

 

- Che… disastro… - Jack non riuscì a pronunciare altro.

Sotto di lui, la depressione formatasi dal crollo della caverna di Pitch si estendeva per diverse centinaia di metri quadri, ampliandosi a formare una figura allungata, simile ad alla mastodontica impronta lasciata da una creatura gigantesca.

La parte di bosco sprofondata era percorsa da una gran quantità di fratture molto larghe, che avevano inghiottito una gran quantità di alberi. Molti erano stati spezzati come ramoscelli e rivoltati completamente fino a mostrare le radici, mentre altri erano stati seppelliti da tonnellate di terra, oppure trascinati via dalla loro posizione originale e lasciati a pendere sull’orlo dei baratri formati dalle crepe, prossimi a cadere dentro di essi.

Jack rimase a fissare quello scenario per diversi minuti, sconcertato. Continuando a guardarsi intorno, scese lentamente, attento a non fare il minimo rumore. Aveva la sensazione che, se avesse anche solo fiatato, altra terra sarebbe crollata aumentando i danni.

I piedi nudi del giovane sfiorarono appena il terreno e i massi sparsi in giro, mentre Jack continuava ad osservare il disastro che ora lo circondava: da quella posizione l’avvallamento sembrava ancora più grande. Jack intravide alcuni pilastri spezzati spuntare dalle crepe, ed immaginò che, qualunque cosa vi fosse sotto, qualunque mistero, o segreto, o arma Pitch aveva nascosto in quella caverna, ora era persa per sempre, seppellita nelle profondità della terra.

A quel pensiero il ragazzo si fermò, quasi trattenendo il fiato.

Misteri, armi, segreti.

Poco più di una settimana addietro, Jack era entrato di soppiatto proprio nella caverna dell’Uomo Nero assieme a Dentolina, alla ricerca di quei misteri, di quelle armi che credeva vi fossero nascoste, con l’unico risultato di esserne fuggito inseguito da quegli strani Incubi che vivevano nascosti nella prigione sotterranea, mentre tutto gli crollava intorno…

Jack abbassò lo sguardo a terra, mentre sentiva lo stomaco stingersi in un nodo.

Dopo la sua fuga, l’entrata gli era sembrata stranamente intera, il terreno intorno stranamente solido, ma non era sceso di nuovo giù a controllare. Non si era minimamente preoccupato dei danni che aveva causato con la sua incursione.

Deglutì, alzando di nuovo lo sguardo e osservando di nuovo la depressione in cui si trovava.

È colpa mia?...

L’Uomo sulla Luna l’aveva condotto fin lì per questo? Per mostrargli l’entità dei danni che può causare l’incoscienza di certe azioni? Magari per convincerlo a pensarci due volte la prossima volta che decideva di fare qualcosa di avventato?

Jack scosse la testa. No, non può essere si disse. Ci doveva essere dell’altro. Doveva esserci.

Con i piedi sollevati a pochi centimetri da terra, il giovane sorvolò tutto il perimetro della depressione, alla ricerca di qualcosa di diverso da terra, rocce, alberi divelti, pilastri rotti e radi pezzi di metallo deformato.

Infine, a metà del suo giro, nel punto in cui la depressione era meno profonda e la terra sembrava essersi semplicemente staccata dalla posizione originaria per crollare in basso, notò qualcosa.

Un’ombra.

Non sapeva se era causata semplicemente dall’oscurità notturna, o dalla strana angolazione che la depressione aveva assunto in quel punto, oppure da uno strano gioco di luce, ma si avvicinò piano, in guardia. La Luna splendeva alta quella notte, e la luce diffusa era sufficientemente intensa da illuminare anche gli angoli più storti ed oscuri.

Quell’ombra, così scura in quel punto, gli sembrava sospetta.

Jack scese a terra, ed avanzò più piano che poteva. I pochi, radi sassolini e i rametti mescolati alla terra sembravano fare un rumore terribile, sotto i suoi piedi.

Tuttavia, nell’oscurità di quell’angolo, nulla si mosse.

Quando arrivò sufficientemente vicino da poterla toccare allungò la mano, scoprendo qualcosa di solido.

Quell’ombra era solida.

Jack si avvicinò ancora, poggiandovi entrambe le mani, esaminandola: aveva un aspetto granuloso, come se fosse fatta di sabbia, e il riverbero dei minuscoli granelli le donavano un debole luccichio, ma al tatto sembrava seta.

La riconosceva. Era una delle ombre di Pitch.

Che significa? Jack venne colto da un terribile presentimento e, guidato da esso, si appoggiò all’ombra e vi schiacciò contro il naso, nella speranza di vedere qualcosa oltre essa.

All’inizio non vide assolutamente nulla.

Poi, l’ombra si assottigliò lentamente, fino a lasciar passare un po’ di luce, quel poco sufficiente da permettere a Jack di vedere oltre essa.

La zona protetta era profonda circa tre metri e all'esterno era quasi del tutto seppellita da terra e detriti. Racchiudeva uno spazio vuoto, circolare.

E lì, sulla pietra nuda, appoggiata alla parete di pietra e seminascosta dal buio, si intravedeva una figura accasciata.

Jack sentì il nodo allo stomaco stringersi in modo doloroso. La riconosceva.

- PITCH! – urlò. Artigliò con le dita lo scudo d’ombra, sentendo il panico salire, inesorabile.

Era tutta colpa sua, lo sapeva. Tutto quel che era successo era colpa sua.

Devo aiutarlo!

Alzò un pugno, talmente stretto da sentire le unghie affondare nella pelle, e lo abbatté sullo scudo: - PITCH! – gridò più forte.

L’altro non reagì. Jack non riusciva a capire cosa gli era successo esattamente. Il buio era troppo fitto per vedere in che condizioni era.

Era svenuto? Ferito? Morto?

Il ragazzo, spaventato, si staccò dallo scudo, impugnò il bastone e lo puntò dritto contro l’ombra solida. Doveva tirarlo fuori da lì.

Sparò un raggio congelante contro lo scudo d’ombra, che venne completamente ricoperto da un sottile strato di ghiaccio. Esattamente come aveva fatto con la lastra che copriva il passaggio segreto scoperto nella ormai crollata dimora dell’Uomo Nero, ruppe lo scudo reso fragile dal ghiaccio col bastone e si calò dentro.

I raggi lunari non arrivavano al fondo, tuttavia il buco creato da Jack permise alla luce diretta di entrare, diffondendo un vago chiarore azzurrognolo tra le pareti nere ed  illuminando un poco l’ambiente. 

Jack atterrò silenziosamente sulla pietra fredda. Si accorse che era umida e stranamente viscida sotto i suoi piedi.

- Pitch! –

L’uomo era steso su un fianco, a poca distanza da lui. Si era cinto la vita con un braccio, mentre l’altro era abbandonato a pochi centimetri dal volto. Entrambe le mani, e con esse il viso, erano sporche di una strana sostanza scura.

Il giovane si avvicinò e si inginocchiò accanto all’Uomo Nero, scuotendolo leggermente. 

Nessuna reazione.

Jack notò che aveva le spalle bagnate, e il tessuto della tunica era squarciato in diversi punti, lasciando la pelle scoperta, anch’essa sporca della strana sostanza nerastra. Frost alzò la mano con cui l’aveva toccato e l’annusò.

Aveva un odore penetrante, metallico.

Sangue.

No!

- Pitch! Svegliati! Sono io, Jack! – il giovane lo scosse più forte. Non poteva crederci. Non era possibile.

L’ho ucciso? L’ho davvero ucciso?!

- DIMMI CHE NON SEI MORTO! –

All’improvviso, il ferito sussultò, e aprì lentamente gli occhi appannati. Jack sospirò di sollievo.

- Pitch!... –

L’altro emise un sospiro spezzato.

– Mancavi… solo tu… - rantolò, appena udibile, piegando leggermente le dita della mano libera. Jack quasi non lo ascoltò: il sollievo di vederlo ancora vivo e cosciente era immenso. Tutto resto non importava.

- Ascolta… adesso ti porto via di qua ok? Andrà tutto bene… ti rimetteremo a posto, capito?... – disse Jack, cercando di rassicurarlo. In verità, non era nemmeno certo se era necessario. Sembrava che a Pitch non importasse assolutamente nulla di cosa Jack stesse per fare di lui.

L’Uomo Nero si limitò a richiudere gli occhi, emettendo un altro respiro, più debole del primo.

- Ah… ok… - continuò Jack. Si rialzò appena, tirando fuori dalla tasca della felpa una piccola sfera di cristallo. Era una delle palle di neve che North usava per teletrasportarsi da un luogo all’altro: l’aveva rubata dalla sua scrivania poco prima di partire, pensando che magari sarebbe tornata utile.

Non ne aveva mai usata una.

Jack agitò con mani tremanti l’oggetto di vetro: - Palazzo di North. – scandì.

Nel paesaggio innevato racchiuso dalla sferetta di cristallo si formò il luogo familiare. Jack mise la palla a terra, e la lasciò rotolare: dopo circa un metro e mezzo, con un esplosione di sola luce si formò il portale, mostrando il paesaggio innevato del Polo Nord con il palazzo ben visibile, poco lontano.

Il ragazzo rivolse nuovamente lo sguardo verso Pitch, e alla nuova luce si rese finalmente conto delle sue reali condizioni: i –numerosi- punti in cui la tunica dell’uomo era tagliata e strappata rivelava delle ferite profonde, alcune larghe diversi centimetri, e il sangue fuoriuscito aveva macchiato di rosso scuro sia i vestiti che buona parte del pavimento.

Oh no.

 Jack si chinò nuovamente su Pitch e, cercando di muoverlo il meno possibile, gli fece passare un braccio sopra il suo collo e gli cinse la vita, sollevandolo. Era più leggero di quello che pensava.

- Resisti! I soccorsi stanno arrivando! –

E, con quello, attraversò il portale.

*

La giornata di North non era iniziata nel migliore dei modi.

Già all’alba si era ritrovato con dei fastidiosi grattacapi di cui occuparsi: in uno dei depositi della fabbrica alcuni barattoli di vernice destinati alla colorazione dei giocattoli erano misteriosamente esplosi. Non avevano fatto vittime, ma diversi elfi si erano ritrovati con i vestiti improvvisamente zuppi e tinti di color malva misto a giallo canarino invece del solito rosso scuro, ed erano scappati in preda al panico fuori dal deposito, lasciando una scia di impronte colorate dietro di sé ed aumentando di conseguenza i danni.

North aveva accuratamente evitato di chiedersi come ciò potesse essere successo e per mano di chi, ed aveva ordinato ad un gruppetto di yeti di ripulire il disastro.

A peggiorare l’inizio di giornata, aveva scoperto che Jack era sparito. Non aveva lasciato né messaggi né biglietti. North sapeva che non c’era ragione di preoccuparsi: il giovane Guardiano aveva l’abitudine di andarsene senza mai dire dove o perché, facendo delle sue improvvise e spesso prolungate sparizioni una norma, inoltre sapeva benissimo badare a sé stesso.

Eppure North era preoccupato.

Aveva la netta impressione che stava per succedere qualcosa di grosso, quella mattina.

E che, forse, era meglio se il ragazzo fosse rimasto a palazzo.

La conferma ai suoi sospetti arrivò prima di quanto si aspettasse.

Dopo l’incidente dei barattoli, North optò per un lungo giro di controllo della fabbrica, in cui tenne d’occhio le puntute teste scampanellanti degli elfi che correvano più o meno indaffarati nelle direzioni più svariate, spesso ostacolando il lavoro degli yeti, per assicurarsi che i piccoli aiutanti combinaguai non causassero più danni dello stretto necessario per quel giorno.

Dopo il giro, decise infine di tornare in ufficio quando proprio un gruppo di yeti lo rincorse per fermarsi a poca distanza da lui, parlando tutti insieme, agitatissimi.

Sulle prime, alla vista di quei musi pelosi storti dallo spavento e dallo sconcerto, pensò che gli elfi avevano combinato un guaio ancora più grosso di quello dei barattoli. Ma infine, tra mozziconi di frasi quasi urlate e gesti agitatissimi, colse il punto della questione.

- …Jack Frost!

- …e ha sconfitto Pitch… !

- L’ha portato qui!

- …A palazzo! …A palazzo!?

North corrugò la fronte, fissando incredulo gli yeti: - Cosa…? – ma non ebbe il tempo di dire altro.

- North… - disse una voce incerta. Gli yeti si spostarono, e fissarono le due figure dietro di loro. Anche North spalancò gli occhi alla scena che gli si parò davanti.

Jack era a pochi passi dietro il gruppetto, seguito da altri tre yeti armati di lance che lo fissavano guardinghi e sospettosi. Galleggiava a pochi centimetri da terra, curvo sotto il peso del corpo esanime che trasportava.

North rimase a bocca aperta nel riconoscerlo.

Era Pitch Black, privo di sensi, ferito.

North, incapace di dire alcunché di fronte a quell’inatteso spettacolo, spostò nuovamente lo sguardo incredulo sul giovane Spirito del Gelo: quest’ultimo aveva un’espressione da cucciolo spaventato, ma North non riuscì a capire se era per le pietose condizioni in cui versava il peso morto che il giovane sembrava trattenere a viva forza dal cadere a terra o per gli sguardi di spavento e orrore frammisti a sospetto con cui gli yeti lo fissavano.

Qualunque era la verità, non era quello il momento per perdersi in tentennamenti.

North attraversò deciso il gruppo di yeti e si chinò sul giovane, prendendo Pitch fra le braccia. Gli bastò un’occhiata per constatare le condizioni in cui versava: era bianco come un cencio, impolverato e sporco di sangue. Aveva numerosi tagli e ferite su tutto il corpo, molte delle quali sembravano molto profonde. Jack non gli aveva fatto nessuna fasciatura per fermare almeno parte delle emorragie, ma a quel punto non importava.

Ci avrebbe pensato North.

- Vanya. Shura. – chiamò. Due yeti del gruppetto, uno dal pelo acciaio e l’altro color caramello sbiadito, si fecero avanti e guardarono North interrogativi.

- Preparate l’infermeria. E una stanza, avremo degli ospiti in più per un po’. – i due yeti guardarono North sconcertati, prima di abbassare gli sguardi su Pitch.

Persino Jack non fece fatica a capire cosa pensavano: è impazzito. Ma North non sembrava in vena di discutere.

- Muovetevi. – ordinò, cupo – E voialtri, tornate al lavoro. –

Vanya e Shura si allontanarono di corsa, diretti verso un’ala laterale dell’edificio, mentre il gruppetto restante, compresi gli yeti armati, si allontanò lentamente, senza smettere di lanciare occhiate furtive ai tre.

Infine, North posò uno sguardo preoccupato anche su Jack, esaminando anche lui: nonostante il pallore e l’aria spaventata, sembrava illeso.

- Fai meglio a cambiarti, ragazzo. – disse, voltandosi nella stessa direzione intrapresa dai due yeti Vanya e Shura - …E buttare via quei vestiti. Non credo che quel sangue se ne andrà via così facilmente, anche se li lavi. –

Jack abbassò lo sguardo su di sé: la felpa azzurra che indossava, che con tanta fatica aveva reso simile alla precedente –resa irreparabile dopo lo scontro con Pitch e il suo esercito di Incubi- era macchiata in diversi punti di rosso scuro, e il fianco sinistro era completamente zuppo. Anche i pantaloni erano macchiati, anche se in minor misura. Mani e piedi non erano da meno.

- Oh… accidenti. –

*

North non si fece rivedere per il resto della giornata.

Jack era riuscito a recuperare una vecchia camicia e un paio di jeans neri decisamente troppo larghi per lui come ricambio, promettendosi di andare più tardi alla ricerca di qualcosa della sua misura –e di suo gusto.

Tuttavia, per quel giorno rimase al palazzo di North, nascondendosi da possibili compagnie. Si rifugiò in una delle soffitte, in cui tutto era coperto da uno spesso strato di polvere e aveva l’aspetto di non aver avuto visite da secoli. Non c’erano fonti di luce, a parte una piccola finestrella sporca, da cui i raggi di luna penetravano per illuminare la polvere che danzava a pochi centimetri dal suolo, lenta.

Jack non sapeva come comportarsi.

Non sapeva cosa pensare.

Gli avvenimenti delle ultime ore l’avevano lasciato confuso. Confuso, e con un terribile senso di colpa che pesava sullo stomaco come un macigno.

Ricordava ancora la sua incursione nella caverna di Pitch. Ricordava la strana porticina di mogano, e della corsa al cardiopalma fatta per sfuggire agli Incubi che montavano la guardia in quella prigione, mentre tutto gli crollava intorno.

La sua intenzione originaria era stata quella di penetrare nella base del nemico, silenzioso ed invisibile come un’ombra, scoprire i suoi piani, e poi andare via lasciando tutto com’era.

Invece era entrato, aveva causato dei gran danni, ed era fuggito senza ottenere nulla.

Nulla, a parte rischiare di ritrovarsi con una morte sulla coscienza.

Eppure… Aveva anche l’impressione che non era tutto lì.

Che mancava qualcosa.

Ma non sapeva cosa.

Uno scricchiolio distolse lo Spirito del Gelo dai suoi pensieri. Si voltò in tempo per vedere North che si affacciava sorridente dalla botola che fungeva da entrata alla soffitta.

- Ah, eccoti qua! – disse, salendo e chiudendo goffamente la porticina dietro di sé. Jack notò che aveva un vassoio con una teiera fumante, due grosse tazze bianche e un minuscolo piatto con dei biscotti impilati uno sull’altro in una torre traballante.

- Ti ho cercato dappertutto… credevo che fossi sparito di nuovo! –

- Oh, scusami. – disse Jack a mezza voce. North posò il vassoio davanti al giovane e gli si sedette accanto. Per almeno un minuto nessuno dei due parlò. Infine, North decise di iniziare la conversazione.

- Pitch si riprenderà. Beh, conciato com’era credo che rimarrà fuori gioco per qualche giorno. Ma ha una pellaccia resistente, sono sicuro che tenterà di fuggire di soppiatto abbastanza presto. Hai fatto bene a portarlo qui, stavo giusto pensando a qualche domandina a cui potrebbe rispondere. –

Sorrise, aspettandosi di vedere Jack sorridere a sua volta.

Ma il giovane non aveva alzato lo sguardo, che era rimasto ostinatamente fissato sulle tazze del vassoio. Aveva un’espressione stranamente cupa sul volto.

- Vuoi del tè? – azzardò Babbo Natale, inclinando un poco la testa.

- Sono stato un idiota. – disse Jack all’improvviso. North alzò un sopracciglio. Da dove veniva quell’accusa?

- Un idiota a fare cosa, esattamente? – chiese. Jack per un po’ non rispose.

- Ti… ti ricordi di quando mi hai rimproverato per essere entrato nella caverna di Pitch? – chiese con enfasi. North fece finta di ricordare.

- Abbastanza. In effetti, quel gesto era stato abbastanza idiota, c’è poco da dire. Come mai tiri fuori un argomento del genere, Jack? – era sinceramente curioso: non riusciva a spiegarsi il collegamento mentale del giovane. Ma il ragazzo lo fissò per un istante con aria quasi sconcertata, come se l’altro non comprendesse qualcosa di ovvio e chiaro come il sole. Frost abbassò nuovamente lo sguardo, cercando di trovare le parole.

- Ecco… è la caverna. Quando io e Dentolina siamo usciti, quella volta, abbiamo fatto dei danni, ma non abbiamo controllato quanti e quanto gravi. L’ho scoperto stanotte. E-era crollata. Ho tirato fuori Pitch dalle macerie. Dev’essere rimasto là sotto per un sacco di tempo. È colpa mia se è rimasto ferito. –

North inclinò leggermente la testa, continuando ad osservare il giovane, il cui sguardo era rimasto ostinatamente fissato sulle tazze di ceramica per tutta la durata della conversazione. North trovava strano vederlo così.

Sospirò, poi allungò la mano verso la teiera e versò il tè ormai tiepido nelle due tazze, e ne porse una al ragazzo.

- Non so quanto la cosa ti possa interessare Jack, ma se il crollo della caverna può essere stata colpa tua, le ferite di Pitch non lo sono. –

Jack spalancò gli occhi e fissò North, prendendo la tazza in mano: - Che vuoi dire? –

- Esattamente quello che ho detto. – sorrise North – Che se Pitch è rimasto ferito, beh, quella non è colpa tua. –

- Ma allora di… di chi? – chiese Jack, ancora incredulo. Cosa significava?

- Le sue erano ferite da aggressione. Tagli, per la maggioranza. Ti risparmio i dettagli. Qualunque cosa ha affrontato, era decisamente più forte e più armata di lui, e forse anche in numero nettamente superiore. Se fosse rimasto ferito dal crollo, beh… non ne sarebbe uscito vivo, tutto qui. Nemmeno con il tuo aiuto. –

Jack continuò a fissare North con occhi sbarrati. Pitch era stato aggredito… ma da chi? Perché? Abbassò lo sguardo e rimase a fissare il liquido ambrato nella tazza, mentre quest’ultimo si raffreddava rapidamente nelle sue mani.

- Ovviamente mi domando chi sia stato. Comunque, non capisco una cosa... – continuò North, accarezzandosi i folti baffi bianchi e riflettendo: - …Perché sei andato da Pitch?

La domanda pungolò Jack come un ago. Ecco che emergeva un’altra delle ragioni per cui si sentiva tanto confuso.

- Non lo so. – disse, sincero. – Io… credevo che l’Uomo sulla Luna volesse indicarmi qualcosa. – interessato com’era al tè ormai congelato nella sua tazza, Jack non vide North spalancare gli occhi e ritrarsi leggermente, incredulo.

- Non ne sono sicuro, forse era solo una mia impressione. È che… aveva creato una specie di strada, con la sua luce. Tutto era coperto da enormi nubi, e solo un pezzo di terra era illuminato. Sembrava quasi una strada, che partiva dal palazzo e andava… beh, avevo deciso di scoprirlo. – sollevò di nuovo lo sguardo – E mi sono ritrovato di fronte alla caverna, completamente crollata. –

A quel punto North distolse lo sguardo, e fissò la parete di fronte a lui. Il pavimento era illuminato dalla luce lunare proveniente dalla finestrella. I raggi dell’astro sembravano più potenti che mai.

La rivelazione di Jack aveva del sensazionale. Pitch aveva forse un ruolo più importante di quello che tutti credevano negli avvenimenti che avevano sconvolto il mondo dei Guardiani?

Era qualcosa di più di un nemico?

- Manny… - mormorò tra sé.

- North? – Jack fissò l’altro, interrogativo. North si riscosse e saltò improvvisamente in piedi, mascherando la vaga preoccupazione frammista a speranza con un’espressione di entusiasmo un po’ forzato.

- Se è l’Uomo sulla Luna che ti ha guidato, significa che siamo sulla buona strada. Dobbiamo parlare agli altri di ciò che è successo. Sono sicuro che presto avremo delle risposte. –

Jack sorrise di fronte a quell’entusiasmo: non sapeva esattamente perché, ma si sentiva improvvisamente sollevato.

*

Ci vollero tre giorni per riunire i tre restanti Guardiani al palazzo di North.

Babbo Natale aveva accuratamente evitato di riunire tutti all’istante con l’Aurora Boreale, temendo che dopo il falso allarme gli altri avrebbero smesso di prendere la chiamata d’emergenza sul serio e di conseguenza ignorarla nel momento di vera necessità. In fondo erano tutti occupati col loro lavoro non meno di North, e ogni interruzione non portava altro che ritardi e, di conseguenza, problemi e molto fastidio.

Inoltre, Pitch non si era ancora ripreso, quindi non avrebbero avuto la possibilità di interrogarlo come North sperava.

North aveva deciso di prendere le cose con calma: spiegare tutto nei particolari senza causare panico e fraintendimenti e, soprattutto, pianificare insieme le prossime mosse. Tuttavia, le cose non andarono lisce come aveva sperato.

  - Tu. Stai. Scherzando. –  il commento di Calmoniglio, sommato alla sua espressione scettica e le sue braccia incrociate, parlava chiaro e per tutti.

Anche Dentolina e Sandman, anch’essi riuniti nell’ingombro ufficio di North, entrambi a pochi passi dal Coniglietto di Pasqua, fissavano North con un’espressione cupa. Apparentemente, le spiegazioni e le ipotesi di Babbo Natale sul salvataggio di Pitch e la sua probabile utilità nella guerra contro le tenebre non soddisfacevano nessuno.

- La tua idea è una stupidaggine. Non hai fatto altro che guarire un nemico e lasciarlo nella tua dimora, libero di andarsene dove gli pare. Hai la più pallida idea di cosa potrà mai fare adesso?! Magari se l’è fatto apposta per entrare qua indisturbato, e dalla porta principale! –

North corrugò la fronte a quelle parole: non ci credeva. Non si era spiegato bene o era Calmoniglio che non si rendeva conto di quello che stava dicendo?

- Rischiare di morire soltanto per spiare le nostre mosse da una posizione comoda? Stai scherzando? –

- Stiamo parlando di Pitch! –

- Appunto! –

- E’ imprevedibile! –

- E non stupido come tu credi. – ribatté North, sentendo montare l’irritazione. Comprendeva appieno la rabbia di Calmoniglio, così come il tacito dissenso di Dentolina e di Sandy. Ma davvero i tre erano così maldisposti nei confronti dell’Uomo Nero, al punto da non voler nemmeno ascoltare?

- Tu sei troppo buono. – sibilò il coniglio – E questo è il tuo peggior difetto. Ti impegni così tanto nel cercare del bene nei cuori più marci da non vedere che spesso non ce n’è affatto! –

La stoccata offese North nel profondo, ma l’uomo si sforzò di incassare il colpo senza mostrarsi offeso. E, soprattutto, di non ribattere con i pugni. Chiuse gli occhi, sospirando, alla silenziosa ricerca di un argomento convincente.

Jack, accanto a lui, non aveva ancora aperto bocca. L’espressione abbattuta di due giorni prima era di nuovo sul suo viso, e sembrava più giù che mai. Avrebbe voluto intervenire nella discussione che stava lentamente scivolando nel litigio e chiarire le cose una volta per tutte, ma non sapeva nemmeno con quali parole.

Gli era sembrato tutto straordinariamente chiaro, due giorni prima.

Ora, dopo le accuse rabbiose di Calmoniglio, tutto era tornato ad essere un confuso groviglio su cui il senso di colpa dominava indisturbato.

- E poi non capisco quest’ultima stupidaggine, - continuò Calmoniglio, ignorando l’esasperazione di North: - Cosa accidenti c’entra l’Uomo sulla Luna?

A quella frase lo Spirito del Gelo rialzò lo sguardo, che vagò agitato tra i quattro Guardiani, come a voler parlare senza aprire bocca. Tuttavia, solo Sandy notò la sua improvvisa agitazione. Il Custode dei Sogni, che era il più in disparte del gruppo, corrugò la fronte fissando il giovane di sottecchi, incuriosito dallo strano comportamento di quest’ultimo.

- C’entra. – disse North con tono calmo. Si era reso conto che non era necessario trattenersi. Se Calmoniglio aveva intenzione di fare lo stupido, Babbo Natale avrebbe reagito trattandolo da tale. – C’entra, perché ha indicato a Jack la via verso la dimora di Pitch, e di conseguenza gli ha salvato la vita. E se hai ancora intenzione di sostenere la tua opinione insinuando che Manny potrebbe essere dalla parte di Pitch, allora… - alzò il pugno destro, e lo piazzò a pochi centimetri dal muso del Coniglietto di Pasqua - …credo proprio che ti farò cambiare idea con le cattive maniere. -  

Calmoniglio, spiazzato dalla ben poco celata minaccia, allontanò il muso dal pugno alzato, e fissò North con gli occhi sbarrati. E, ancor più della minaccia, era l’informazione a lasciarlo senza parole.

- Vuoi dire che Pitch… l’Uomo sulla Luna… Jack… - il coniglio, ammutolito, abbassò lo sguardo sul giovane, imitato da Dentolina e da Sandy, gli unici che non avevano ancora proferito parola. Tuttavia, i loro sguardi erano incredibilmente eloquenti in quel momento. Fissavano il giovane con qualcosa a metà fra l’incredulità e il sospetto.

Jack desiderò poter tornare invisibile, almeno per quell’istante. Aveva la netta impressione che tutto, in quel momento, fosse profondamente sbagliato. Di aver frainteso tutto, e di aver combinato un disastro.

- Non so se l’Uomo sulla Luna ci dirà altro, né so se lo farà presto o meno. – continuò North, calmo – Ma ora abbiamo Pitch, e so che si rivelerà un’ottima fonte di informazioni. E ovviamente farò in modo che non ci danneggi, né che scappi. Abbiamo solo fatto un passo in avanti, statene certi. –

Calmoniglio sbuffò ed incrociò nuovamente le braccia, esasperato dall’ottimismo di Babbo Natale.

- Hah. Se lo dici tu. –

*

Buio.

Buio, e un piacevole calore.

Pitch aveva perso la nozione del tempo, lasciandosi avvolgere da quelle uniche due sensazioni. Non ricordava come mai si trovava avvolto in quell’oscurità, non gliene importava particolarmente.

Si sentiva bene, e non aveva fretta di lasciare quel posto, ovunque fosse. Ma, apparentemente, la sua coscienza la pensava diversamente.

A quel buio e a quel calore si era lentamente aggiunto il dolore. Un dolore sordo, pulsante, che non accennava a cessare e richiamava altre sensazioni.

Era fastidioso.

Stava emergendo fuori da quel buio diretto verso una fioca luce, e non riusciva a tornare indietro, per quanto lo desiderasse.

Infine, il buio venne definitivamente sostituito dalla penombra. E con essa, il tatto.

Pitch curvò lentamente le dita della mano, scoprendo di toccare del tessuto. Tessuto morbido ed abbondante, che lo avvolgeva completamente, simile a una coperta.

Aprì lentamente gli occhi, solo per richiuderli immediatamente con un grugnito di dolore.

La luce era accecante, talmente forte da causargli una fitta di dolore alla testa.

L’Uomo Nero alzò lentamente un braccio, accorgendosi che gli faceva male anche quello, e si compresse le tempie con due dita, con gli occhi chiusi. Il dolore diminuì un poco.

Azzardò a riaprire gli occhi. La luce era ancora troppo chiara e la vista leggermente sfocata, ma gli permise di vedere qualcosa.

Una parete, completamente bianca. E, al lati della sua visuale, due strane parrucche spettinate.

Cosa…?

Batté gli occhi un paio di volte, e la vista si fece un po’ più nitida. Si accorse che le parrucche, oltre ad essere spettinate e di colori davvero strani per essere delle parrucche –una color acciaio, l’altra caramello sbiadito- avevano anche delle grosse striature chiare simili a baffi.

E poco sopra i baffi, nascosto da quelle che somigliavano a folte sopracciglia pelose, uno strano luccichio segnalava la presenza di quelli che sembravano piccoli, eloquenti occhi chiari che ricambiavano con sguardi minacciosi.

Pitch ebbe appena il tempo di formulare il pensiero ‘che strano che il suo cervello, ancora dolorante, riuscì ad elaborare tutte le informazioni raccolte in quei pochi secondi di veglia e presentare una risposta.

Yeti. Armati di grosse, pesanti lance dall’aria letale.

Pitch rimase immobile, impietrito. Perché era circondato da yeti, per di più armati?

Inoltre quel luogo, così chiaro e caldo, non somigliava affatto alla sua caverna.

Dove mi trovo? Pensò, ancora immobile. Non ricordava cos’era successo esattamente: il suo ultimo ricordo era il volto pallido di Crysis che gli sorrideva beffarda, e poi il frastuono della caverna che crollava. Il resto era momentaneamente avvolto in una fitta nebbia grigia che non riusciva a dissipare.

…Come ci sono finito qua?

Lo yeti grigio, constatando che Pitch era sveglio, distolse lo sguardo astioso e si rivolse al suo simile color caramello, comunicandogli qualcosa nella lingua degli yeti. L’altro si limitò a grugnire ed allontanarsi dalla visuale di Pitch, che lo seguì con lo sguardo. Lo yeti si allontanò verso una porta di legno dai caldi riflessi rossastri, riccamente decorata da complesse figure geometriche, che aprì e richiuse immediatamente dietro di se.

Pitch osservò attentamente quelle figure intagliate nel bel legno scuro. Erano stranamente familiari, ma non riusciva a ricordare perché. Sentiva il cervello lavorare a ritmo troppo lento per la situazione in cui si era risvegliato.

Poi, dopo pochi minuti, una grossa voce dal tono allegro risuonò oltre la porta, sempre più vicina.

- Ah, non ti preoccupare, Calmoniglio. Te l’ho detto, non andrà da nessuna parte. E poi conciato com’è, sfido il contrario! – rise.

Pitch sbarrò gli occhi alzandosi di poco, atterrito. Quella voce la riconosceva. E quell’accento russo era fin troppo familiare.

La porta si spalancò con un tonfo, e un grosso omone con una lunga e folta barba bianca entrò a passo pesante e con un espressione allegra sul volto.

North.

Era seguito da un Calmoniglio dall’espressione tetra ed irritata sul muso, e da Sandy, il cui broncio non prometteva niente di buono. A chiudere la fila, Dentolina e Jack, la prima con un’espressione insieme decisa e minacciosa, e il secondo alquanto abbacchiato.

Pitch, alla vista di tutti i Guardiani riuniti nella stanza, si rizzò improvvisamente a sedere, ritraendosi. Tutti i muscoli protestarono al movimento improvviso con delle fitte atroci e un capogiro lo colse, offuscandogli del tutto la vista, ma il malore momentaneo non impedì Pitch di bloccarsi fissando gli avversari, immobile e guardingo come un come un topo di fronte a un gatto.

Oh. No.

Con quella combriccola riunita di fronte a lui, Pitch non ebbe più dubbi su dove si trovava.

Il palazzo di North. In fondo, c’era una sola dimora di Guardiano in cui le porte erano di legno scuro, intagliate con quei motivi geometrici così particolari.

- Ah, ben svegliato Pitch! – esclamò North affabile – Riposato bene? –

- Splendidamente. – rispose Pitch, freddo. Non aveva ancora idea del perché si trovava lì, ma era certo di una cosa: era nei guai. Doveva trovare un modo di andarsene da lì, e in fretta. Tuttavia, la confusione e la sensazione di avere il cervello che lavorava al rallentatore gli impediva di pensare lucidamente e in fretta come sperava.

Doveva temporeggiare, distrarre i cinque.

- …Cos’è questo, un comitato di benvenuto? – chiese, sospettoso, con lo sguardo che saettava da un viso all’altro. Nei pochi secondi in cui si era concentrato soltanto su North, Calmoniglio aveva cambiato espressione, passando da cupo e minaccioso a qualcosa di indecifrabile. Sembrava congestionato, poi un angolo della sua bocca salì leggermente verso l’alto, a formare uno strano ghigno storto che mise l’Uomo Nero sul chi vive.

Anche Sandman e Dentolina avevano cambiato espressione. Il primo si era limitato a sorridere con espressione saputa, la seconda aveva leggermente strabuzzato gli occhi. Anche Jack non era da meno: aveva corrugato le sopracciglia, con la bocca leggermente aperta in un espressione di incredula sorpresa.

- Oh, diciamo di si. Anche se, in verità, oltre a quello siamo qui perché vorremmo farti qualche domandina, a cui speriamo tu risponda... – l’omone intrecciò distrattamente le dita delle mani, come a sottolineare la sua intenzione – E speriamo tutti che non ci negherai la tua collaborazione, visto che ti abbiamo aiutato. E poi, in caso contrario ricorreremo a modi meno gentili… -

- Aiutato…? - nonostante la minaccia ben più che evidente di North, Pitch non riuscì a prestargli la dovuta attenzione.

A distrarlo erano le espressioni facciali degli altri Guardiani.

Lo fissavano come un fenomeno da baraccone.

- Si può sapere cosa avete da guardare? – Pitch fece appena in tempo a completare la frase che Calmoniglio, con un grugnito che aveva ben poco di serio, scoppiò fragorosamente a ridere, piegandosi in due e aggrappandosi al maglione di North per non cadere.

- Cosa accidenti… - Pitch lo guardò scivolare lentamente verso terra, sconcertato, mentre il coniglio continuava sguaiatamente a ridere senza riuscire a riprendere fiato. North sembrava imbarazzato.

- Hai parlato di metodi estremi… - ansimò Calmoniglio, asciugandosi gli occhi, senza riuscire a smettere - …però questo supera tutte le mie aspettative! –

Babbo Natale si passò una mano sulla nuca, lanciando una strana occhiata all’Uomo Nero: - Beh , non è di quello che parlavo… - Si interruppe, rivolto al coniglio - E poi non c’entra niente! Ci sarà anche un buon riscaldamento a casa mia, ma, ehm… -

Pitch lanciò un occhiata anche a Sandy, Jack e Dentolina. La fata si era coperta la bocca soffocando una risatina, mentre il sorriso del Custode dei Sogni si era allargato ulteriormente, assumendo una vaga espressione di compassione. Solo Jack non aveva cambiato espressione, anche se il suo sconcerto era più evidente che mai.

Guidato da un’orribile presentimento, abbassò lo sguardo su di sé.

Non indossava più la sua tunica nera.

Al suo posto c’era un vecchio, largo maglione di lana spelacchiata, di un rosso acceso, decorato da bianche renne stilizzate.

Inoltre, indossava un paio di pantaloni larghi, dello stesso tessuto e colore.

Fuori dalla sua visuale Calmoniglio scoppiò nuovamente a ridere accompagnato da Dentolina, che nonostante gli sforzi non riuscì a trattenere una risatina leggermente isterica.

Pitch non osò rialzare lo sguardo, mentre sentiva il volto scaldarsi in maniera molto fastidiosa.

- Beh, mi dispiace, Pitch. – disse North, cercando di limitare i danni accampando quella che alle orecchie dell’Uomo Nero suonò come una scusa ben poco credibile – E’ che, nelle condizioni in cui sei, se non ti metti qualcosa di pesante rischi di prenderti un bel malanno. E sarebbe molto peggio. –

Pitch preferì non rispondere, lo sguardo ancora fisso sull’orrore di lana che stava indossando.

Non poteva esserci niente di peggiore di quello.

Assolutamente niente.

 

 

 

-+-

Oh, mi arrendo *FLIPTABLE*

Confuso Jack è confuso.

Gli altri sono semplicemente molto arrabbiati. E credo che North abbia trovato un modo veramente subdolo e malvagio per vendicarsi(??) COS’HO CHE NON VA ARGH.

Comunque, se qualcuno ha da obiettare riguardo al periodo di tempo sorprendentemente breve che Pitch ha impiegato per riprendersi, sappiate che ho la mia scusa. Voglio dire, stiamo parlando dei Guardiani, no? Gente che può far uso di magia, o comunque metodi di guarigione davvero efficaci. Solo che le ferite di Pitch si riveleranno una vera rogna in futuro, questo posso già dirlo. In fondo, gliele ha fatte Crysis. Ho. Ho.

Okkei, forse è meglio che sparisca ora. GHEH. SCUSATEMI!

UGGGHHHH *AJASDJSAJCBASLCB* *delira*

*scappa*

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Capitolo 10
*** In cui non si arriva ad una conclusione ***


Ugghh, questo capitolo è orribile, lo so. *si nasconde sotto la scrivania*

 

X: In cui non si arriva ad una conclusione

 

 

- …Che cosa è questa roba? –

La voce di Pitch tremò appena quando l’uomo rialzò lo sguardo verso i cinque Guardiani. Sentiva il volto bruciargli per la vergogna.

Calmoniglio smise di ridere, anche se un largo ghigno beffardo continuò ad aleggiargli sul muso. Si portò una zampa al mento, facendo finta di riflettere, osservando l’Uomo Nero con finta serietà:- Ad occhio e croce, somiglia ad un bel maglioncino natalizio. – lo pungolò, divertito – che c’è, non ne hai mai indossato uno? -  

Nonostante la provocazione, Pitch non degnò al coniglio più di un’occhiata torva.

Continuò a fissare North con sguardo omicida. Di tutti i colpi bassi che si sarebbe mai potuto immaginare da parte dei Guardiani, quello tiratogli da North era assolutamente il peggiore.

- Cosa. Cavolo. È. Questa. Roba. – ripeté, ringhiante, lo sguardo ancora fisso sull’uomo. L’altro corrugò la fronte, con un’espressione tutt’altro che divertita: - Un… maglione di lana? – chiese, con un tono vagamente preoccupato.

Alle orecchie di Pitch, tuttavia, quel tono stranamente apprensivo suonò come un’ulteriore presa in giro.

- TU… - ringhiò, alzandosi dal letto. Il cambiamento di posizione gli causò altre fitte di dolore, che si concentrarono con particolare intensità sulle gambe e sulla schiena, accompagnate da un capogiro ancora più forte, che lo costrinse a cercare a tentoni la testata del letto su cui si era risvegliato ed appoggiarvisi per impedirsi di cadere.

- Anzi… tutti voi! – disse, sentendosi già mancare il fiato. – A che gioco state giocando?... Che volete da me!? – tacque all’improvviso, inspirando e stringendo la presa sul legno della testata. La vista gli si era offuscata nuovamente, e aveva l’impressione che anche l’equilibrio gli stesse tirando qualche strano scherzo, dandogli l’impressione di essere prossimo a cadere.

- Pitch… - North azzardò un passo verso il ferito: era sinceramente preoccupato per lui. Già al risveglio non aveva una bella cera, e dopo la sfuriata era impallidito di parecchio.

- NON MI TOCCARE! – l’Uomo Nero evocò un pugno della sua sabbia nera, che si trasformò in una lunga lama che puntò contro North.

Alla minaccia improvvisa, gli altri reagirono: Calmoniglio estrasse il boomerang, pronto a lanciarlo alla prima mossa falsa di Pitch, Dentolina scattò in avanti, e le sue mani si ricoprirono di magia crepitante dai vaghi riflessi rosati, e persino Jack gli puntò contro il bastone, pronto a colpire con il suo potere congelante.

Infine, Sandman si portò davanti all’Uomo Nero, interponendosi tra North e la lama di sabbia.

Con un vago sorriso divertito sul volto paffuto, Sandy mimò ‘no, no’ con l’indice della piccola mano, e sfiorò la lama.

La sabbia mutò rapidamente colore, passando dal nero dell’incubo all’oro lucente del sogno, dissolvendo l’arma.

Quando la sabbia dorata sfiorò le sue dita, Pitch lasciò la presa ritraendo il braccio e il nuovo, piccolo sogno fluttuò fra le mani di Sandman, che sorrise soddisfatto. Pitch guardò il neoformato sogno avvolgersi su se stesso in eleganti volute nelle mani del Custode, fino ad assumere la forma di un gattino con un grosso nastro al collo, che miagolò silenzioso. Dentolina, all’allontanarsi di Sandy col gattino, si fece avanti: - Ti consiglio di non provarci, Pitch. – disse, seria – Non avresti la meglio. –

- Esattamente. – aggiunse Calmoniglio, abbandonando la sua posizione d’attacco: - Ovviamente, se vuoi farti dell’altro male non hai che da dirlo. Ti assicuro che saremo tutti molto felici di accontentarti. – ghignò.

Pitch alzò nuovamente lo sguardo, che corse di nuovo per i volti dei cinque Guardiani.

I suoi nemici.

All’improvviso, si rese conto che avevano ragione. Non aveva la forza di combatterli, non nelle condizioni in cui si trovava in quel momento. Sentiva dolore solo a stare in piedi, figurarsi se avrebbe tentato di dar battaglia contro i cinque. Gliel’avrebbero fatta pagare con gli interessi, quello era poco ma sicuro.

Per quanto gli facesse male ammetterlo, era del tutto indifeso, ed era nelle loro mani.

Inoltre, pensò, che ragione precisa aveva per opporsi?

Pitch sospirò stancamente e, reggendosi ancora alla testata, si risedette lentamente sul letto con una smorfia.

- …Cosa volete da me? – chiese, col tono più calmo che riuscì a trovare. Non era sicuro di come comportarsi, ma di una cosa era certo: si trovava in una posizione davvero spinosa, e doveva trovare il modo di uscirne, possibilmente illeso.

O perlomeno, non più dolorante di quanto lo era già.

North corrugò la fronte: non si era aspettato un atteggiamento così docile. Ma, pensò, era quasi sicuramente una facciata.

- Vogliamo soltanto farti delle domande. – disse – E, soprattutto, vogliamo delle risposte sincere. Vogliamo sapere che cosa stai combinando nell’ombra, Pitch. –

L’Uomo Nero inarcò un sopracciglio, lo sguardo fisso su North.

Tutto questo per un interrogatorio. Di bene in meglio pensò, sarcastico.

- E perché dovrei rispondervi? –

- Forse perché altrimenti potresti finire con qualche frattura ossea? – si intromise nuovamente il coniglio. Pitch gli rivolse uno sguardo astioso, ma non fu l’unico: anche i restanti quattro Guardiani, tra cui soprattutto North, lo fissarono con un’aria po’ incerta.

 - Calmoniglio… - Intervenne North, posando uno sguardo di rimprovero sul Guardiano. L’altro distolse lo sguardo dall’Uomo Nero, posandone uno serio su North.

- No, North. È meglio mettere le carte in tavola, e subito. – si giustificò, calmo – Non credo che con lui ci siano metodi più efficaci. –  

- North ti ha curato. – continuò, avvicinandosi a Pitch, fino a ritrovarsi con il muso a pochi centimetri dal viso dell’altro – E, conciato com’eri, si può tranquillamente dire che ti ha salvato la vita, e che faresti bene a ricambiare. Ma, conoscendoti, di questo dettaglio non t’importerà nulla, perciò ti consiglio di cominciare a preoccuparti della situazione in cui ti sei adesso. Sei in trappola, non puoi combattere né difenderti, e non te ne andrai finché noi non lo vorremo. Comincia a farti venire in mente tutte le informazioni che possiedi, perché tirarle fuori con la forza non sarà piacevole, Black. –

Pitch, rimasto impassibile di fronte a quelle minacce, non rispose. Si limitò a fissare Calmoniglio in silenzio, con il migliore dei suoi sguardi torvi.

No, si disse, la situazione non può essere peggiore.

Sospirò, cercando di prepararsi mentalmente alla tempesta che già intravedeva. Sentiva ancora il cervello in pappa. Raccontare qualunque informazione i Guardiani volessero sentire non sarebbe stata una passeggiata.

- Bene. – disse, simulando un tono annoiato, e inclinando di poco la testa. – A quanto pare non ho molta scelta, eh? –

Sandman, che si era ritirato al fianco di North e stava ancora giocando con il gattino di sabbia, strinse gli occhi, studiando Pitch. Era certo che avrebbe mentito, o comunque raccontato qualcosa che li avrebbe messi sulla strada sbagliata.

E Sandman era molto bravo a capire quando qualcuno mentiva. 

- Bene… - disse North, intrecciando le dita delle mani con fare nervoso. Non gli piaceva l’aria tesa che si era creata tutto d’un tratto. Non era quello che voleva. Inoltre anche Pitch, nonostante la situazione di svantaggio in cui si trovava, sembrava sul piede di guerra, e la cosa lo metteva ancor più a disagio.

Solo che era troppo tardi per ritrattare.

- Come ho detto prima… vogliamo sapere cosa stai facendo, Pitch. E, ancor più di quello, vogliamo tanto sapere chi ti ha aiutato. – sottolineò deciso l’ultima frase - Quella donna dai capelli grigi, chi era? –

Pitch distolse lo sguardo, prendendosi qualche istante per ragionare. La spessa nebbia che offuscava i suoi ricordi degli avvenimenti recenti si era in parte dissipata quasi senza che l’Uomo Nero se ne fosse accorto, anche se aveva lasciato alcuni dettagli un po’ offuscati.

Ma una cosa, la più recente, era rimasta impressa nella sua memoria come un marchio a fuoco.

So che hai sigillato delle creature incredibilmente potenti, molto tempo fa. Non sapevi cosa fossero. E avevi il terrore di non poterle controllare.

Crysis aveva scoperto qualcosa che Pitch avrebbe preferito lasciare nascosta, dimenticata da tutti.

Le Creature Senza Nome.

I sigilli.

Aveva abbastanza potere da liberare quei mostri. Mostri che nemmeno il Re degli Incubi, al culmine del suo potere, era riuscito a schiacciare, né sottomettere.

- Si chiama Crysis. – disse lentamente Pitch – E non so chi sia esattamente. È uno Spirito che non ho mai visto in giro prima, probabilmente è molto giovane. Anche se non posso negare che sia molto potente, abbastanza da assumere il controllo dei miei Incubi quando questi si sono rivoltati contro di me. – rialzò di nuovo lo sguardo, e notò una serie di piccoli cenni di disagio da parte degli altri, immediatamente celati da una vaga rigidità ed espressioni intimidatorie.

In fondo, il tradimento degli Incubi era proprio colpa dei Guardiani. Privando Pitch dei suoi poteri, l’avevano reso incapace di tenere sotto controllo quelle creature.

- Sembrava intenzionata a dare il via ad una nuova epoca di terrore. Da quanto mi è parso di capire, voleva far rivivere i Tempi Bui, inoltre era capace di rendere più forti i miei Incubi. – l’Uomo Nero sorrise: - E’ per questo che avevo deciso di allearmi con lei, nonostante tutto. – 

Crysis era indubbiamente un’alleata perfetta. Un’alleata potente.

Forse troppo potente.

North annuì. Tuttavia aveva ancora un’espressione dubbiosa, la stessa dipinta sui volti degli altri: - Un alleato perfetto, tutto sommato. Ma allora dimmi, perché l’hai uccisa? – L’interrogato tacque. A North parve di scorgere uno strano lampo nei suoi occhi.

Qualcosa che sembrava rabbia.  

Perché lei sta uccidendo me pensò Pitch.

 Si trattenne dall’alzare la mano e sfiorare la strana ferita sul volto: il dolore costante che causava era ormai diventato un’abitudine per lui. Un abitudine ed un insulto. Ma quello era un dettaglio, sebbene tutt’altro che irrilevante, che preferì tenersi per sé.

- Eravamo in disaccordo su troppe cose. E stava diventando troppo potente per i miei gusti. – mentì, senza guardare nessun volto in particolare. Sandy notò lo sguardo di Pitch, e strinse gli occhi, studiandolo.

Uno. Annotò mentalmente.

- E comunque, non è morta. Apparentemente, la mia freccia non era abbastanza da farla sparire da questo mondo. E si è vendicata, come vedete. – allargò appena le braccia, sentendo altre fitte di dolore attraversargli i bicipiti e le spalle. Ci stava facendo l’abitudine, ormai.

Jack, dal suo angolo, sgranò gli occhi all’affermazione. Ecco chi è stato pensò. Ecco chi aveva ridotto l’Uomo Nero in fin di vita. Crysis doveva essere incredibilmente potente, per essere capace di sopravvivere a qualcosa che aveva ucciso Sandy, e tornare così in fretta per vendicarsi.

E riuscirci.

- Troppo potente, eh? – disse Calmoniglio con un sorrisino.

- Troppo. – ripeté Pitch, posando uno sguardo serio sul coniglio – Inoltre, ha trovato altri alleati, decisamente più utili per i suoi gusti. Dei mostri. –

- Che tipo di mostri? –

- Non lo so. – mentì Pitch. Non aveva senso rivelargli tutta la storia delle Creature Senza Nome. I Guardiani non avrebbero mai avuto abbastanza potere per affrontarli con successo, né distruggerli. Non esisteva nessun metodo efficace.

Niente era più potente della Paura. Né gioia, né meraviglia, né speranza, né sogni.

E laddove la Paura aveva fallito, non c’erano soluzioni alternative. Non c’era via d’uscita.

Inoltre, Pitch sentiva che era qualcosa di cui doveva occuparsi da solo.

- Non lo sai? Oh davvero? – insisté Calmoniglio con un tono nervoso: - Non è che per caso non te lo ricordi? Ricordi quello che ti ho detto all’inizio? –

- Calmoniglio! – intervenne North. Pitch alzò gli occhi al cielo: - Ho una buona memoria, a differenza di te, sacco di pulci. Se una cosa non la so, non la so. Vuoi che me la inventi? –

Sandy continuava ad osservare, in disparte. Dall’inizio dell’interrogatorio non aveva distolto lo sguardo dall’Uomo Nero, dai suoi gesti, dalle sue espressioni nemmeno per un istante.

Due. Si disse.

Calmoniglio ridusse gli occhi chiari a due fessure minacciose. Aveva l’impressione che Pitch lo pregasse per un giro di botte. E gli prudevano le zampe dalla voglia di accontentarlo.

North, sentendo la tensione crescere, si schiarì la gola.

- Bene, ehm… Calmoniglio, lascia perdere per adesso. - disse, attirando l’attenzione sia del coniglio che dell’Uomo Nero su di sé. Calmoniglio sbuffò, allontanandosi di pochi passi. North annuì.

C’erano altre informazioni di cui i Guardiani avevano bisogno.

- C’è un ultima cosa che abbiamo bisogno di sapere… - Babbo Natale frugò nelle tasche dei pantaloni, estraendone un sacchetto e versandone il contenuto nella mano: era uno dei Sogni Pallidi di Sandy. North mostrò la sabbia a Pitch.

- Sai cos’è? –

Pitch alzò un sopracciglio, lanciando a North un occhiata scettica: - Sabbia? -

- E’ uno dei Sogni di Sandman. – lo corresse North – E’ stato ridotto così da una Maledizione della Penombra, e vogliamo sapere se l’hai posta tu. Se puoi spezzarla. –

Lo sguardo di Pitch corse dalla sabbia a North. Pitch non seppe se era il caso di mettersi a ridere dell’ingenuità della domanda o meno, perché la risposta, per lui, era fin troppo ovvia. Preferì evitare.

- Conosco le Maledizioni della Penombra, North. Non possono essere spezzate da nessuno all’infuori di chi le ha poste. E io non ne ho poste. – disse, senza distogliere lo sguardo: - Probabilmente è stata Crysis. – 

North corrugò la fronte, dubbioso. – Bene… -

Rimise la sabbia nel sacchetto, che chiuse e rimise in tasca.

- Bene. – ripeté con un sorriso: - Suppongo che, per adesso, tu non abbia nient’altro da dirci. –

Attese una possibile risposta dall’Uomo Nero, ma quest’ultimo si limitò a fissarlo con astio.

- Allora… per ora noi ce ne andiamo. –

Pitch osservò tutti i cinque Guardiani, e con essi i due Yeti armati, voltarsi ed uscire lentamente dalla stanza, non senza prima fermarsi almeno per un istante e lanciare a Pitch occhiate cariche di vari gradi di avversione e sospetto. North fu l’ultimo ad uscire.

- Ah, e un ultima cosa… - disse, con la mano sulla maniglia della porta – Temo che rimarrai con noi per un po’. Se hai bisogno di qualcosa, o se hai qualcos’altro da raccontarci riguardo Crysis… non hai che da chiedere di me agli Yeti qua fuori. Per il resto… buon riposo. –

E chiuse la porta.

Pitch rimase immobile per qualche istante, intento a raccogliere le risposte e le domande date e fatte durante quella conversazione e riordinarle.

Alla fine non aveva raccontato tutto, né i Guardiani gli avevano chiesto tutto. Ora sapevano soltanto che c’era un altro nemico, più forte dell’Uomo Nero, anche se con gli stessi scopi.

Un nemico con nuovi alleati.

Alleati perfettamente capaci di schiacciare i Guardiani.

Perfettamente capaci di schiacciare il mondo intero sotto i loro artigli.

Esattamente come lo era stato Pitch e i suoi Incubi molto, troppo tempo fa.

L’Uomo Nero scosse appena la testa, distogliendo l’attenzione da quei pensieri di secondaria importanza.

Basta. Non è questo il momento. Te ne devi andare da qui.

Doveva approfittare dell’occasione finché c’era. Finché era solo, finché i Guardiani conservavano un minimo di riguardo nei suoi confronti. Pitch immaginava che non ci erano andati pesante durante l’interrogatorio solo a causa delle sue condizioni. Ma, era sicuro, l’avrebbero interrogato di nuovo in futuro, e allora parlare non sarebbe stata una passeggiata, anzi.

Era una cosa che preferiva evitare.

Con una smorfia di dolore, sfidando l’ennesimo capogiro, si rialzò lentamente dal letto e si diresse a passi incerti verso la porta.

Sapeva già che c’erano degli Yeti di guardia fuori dalla porta, ma voleva controllare lo stato della stessa.

C’era quasi sicuramente un Incantesimo di Imprigionamento o una barriera molto potente ad impedirgli l’uscita, ne era certo. Voleva scoprire in cosa consistesse esattamente.

Si avvicinò con circospezione alla bella porta di mogano intarsiato, ed allungò lentamente una mano. Non riuscì nemmeno a sfiorare il legno dello stipite.

Una sferzata di dolore, simile ad una scossa elettrica gli attraversò il braccio, costringendo Pitch a ritirarlo con uno scatto che gli causò altro dolore, provocato dalle ferite. Con un sibilo, Pitch indietreggiò di qualche passo, stringendosi al petto la mano e il braccio dolorante, osservando con attenzione la porta. Nell’istante impiegato ad allontanarsi aveva notato con la coda dell’occhio uno strano scintillio. Non osò allungare di nuovo la mano, ma rimase immobile ad esaminare la porta, concentrandosi sullo scintillio intravisto, cercando di capire quale tipo di incantesimo la bloccava.

Poi, voltò lo sguardo verso la finestra, stringendo gli occhi con una smorfia di dolore.

Il pensiero di controllarla non lo sfiorò nemmeno: probabilmente era protetta anch’essa dallo stesso incantesimo. Oltre i piccoli vetri si intravedeva un immenso paesaggio bianco e azzurro, al cui confine cielo e neve si fondevano in un’unica cosa, illuminati dal sole, la cui luce si rifletteva sulla neve ed accecava l’Uomo Nero.

Tsk.

Con passo un po’ zoppicante, Pitch si avvicinò alla finestra e tirò le lunghe tende rosso scuro, ricamate di verde smeraldo. La penombra calò improvvisa nella camera, dando un po’ di sollievo ai suoi occhi.

Pitch sospirò stancamente, prima di tornare a sedersi sul letto. Appoggiò i gomiti alle ginocchia e si nascose il volto fra le mani, sentendo le ferite sulla schiena tendere in maniera molto dolorosa, riflettendo.

Era, almeno per il momento, in trappola, in balia dei suoi nemici.

Nemici da cui doveva fuggire, altrimenti le cose si sarebbero messe molto male per lui.

All’improvviso sentì tutta la sua decisione scivolare via con le sue ultime forze, come se qualcuno gliel’avesse lavata via.

Si massaggiò le tempie, sentendo il dolore alla testa tornare, più forte di prima.

Forse è meglio riposarsi, per il momento si disse.

Non riesci neanche a mettere due pensieri in fila.

Forse poteva negarlo a chiunque altro, ma non riuscì a negarlo a se stesso.

Si sentiva un rottame.

*

Ha mentito.  

North osservò la piccola stringa di figure di sabbia formate da Sandy, per poi concentrarsi sulla sua espressione incupita e annuire.

- Lo so, Sandy. Immagino anche che non ci abbia detto tutto. –

- Allora perché non gli hai chiesto altro? – intervenne Dentolina, infilandosi nella conversazione – Perché non hai lasciato fare a Calmoniglio? – aggiunse, lanciando un’occhiata al Guardiano, che annuì.  

- Alla fine, abbiamo soltanto perso tempo. –

La conclusione di Calmoniglio era arrivata puntuale e insoddisfatta, esattamente come North se l’era aspettata.

Apparentemente nessuno dei Guardiani aveva apprezzato il trattamento di favore che North sembrava aver riservato a Pitch, anche se il Coniglietto di Pasqua era stato l’unico ad ammetterlo. Jack era rimasto rigorosamente in silenzio per tutto il tempo. Sembrava stranamente isolato.

- Dovevamo torchiarlo. Dovevi lasciarmi fare. È il minimo che si merita, dopo tutto quello che ha fatto passare a noi. –

North non poté negare che Calmoniglio aveva ragione, ma non poté nemmeno negare a se stesso che non aveva il coraggio di alzare le mani su un ferito.

Anche se il ferito in questione era Pitch.

- Non capisco cosa ti mette fretta, Calmoniglio. –

- E io non capisco cosa ti passa per quella testa, North! Gli stiamo solo dando tempo. Tempo per recuperare, metter su una bella storiella, magari anche strappalacrime, e addio verità! Continueremo a brancolare nel buio mentre quella… quella Crysis combina chissà quali disastri in giro per il mondo! –

- Bene! – sbottò North esasperato, e alzò un braccio nella direzione dai cui erano venuti: - Se non ti vanno bene i miei metodi, allora vai tu a interrogarlo! –

Calmoniglio, soddisfatto della vittoria, arricciò il labbro superiore e si voltò, diretto verso la camera dell’Uomo Nero.

Un istante dopo, la mano di North gli artigliò la custodia del boomerang allacciata sulla schiena con una presa ferrea, bloccandolo sul posto con uno strattone.

- Hey! –

- Cambiato idea. – borbottò North deciso, attirandosi gli sguardi di sconcerto di tutti. – Pitch è mio prigioniero, e nessuno lo tocca finché non lo decido io. –

Il Coniglietto di Pasqua, che in quel momento stava seriamente considerando l’idea di liberarsi con un colpo di arti marziali ed approfittarne per rinculcare un po’ di buonsenso in North con una zampata, abbandonò il proposito e sbuffò.

- Tu sei fuori di testa, North. –

*

A giornata terminata, i Guardiani si erano lasciati in rapporti piuttosto tesi.

Calmoniglio fu il primo ad andarsene, furioso con North perché non gli aveva permesso di continuare l’interrogatorio. Sia Dentolina che Sandman lo seguirono da lì a poco, limitandosi a riservare a North quelle che sembravano essere le loro migliori occhiate di rimprovero. Anche Jack era sparito, di nuovo.

North li capiva benissimo, ma sentiva che usare le maniere forti non avrebbe funzionato, anzi: forse avrebbe avuto addirittura un effetto controproducente. Probabilmente, pensò North, gli altri, arrabbiati com’erano, semplicemente non se ne rendevano conto.

North conosceva Pitch molto bene.

Sapeva che il Re degli Incubi era testardo oltre ogni limite. Se non voleva parlare, non aveva senso cercare di costringerlo. Avrebbe continuato a tacere, avrebbe mentito, avrebbe tentato di guadagnare tempo, ma non avrebbe parlato. Infierire non avrebbe avuto alcun senso. Si poteva solo tentare di convincerlo, anche se North non sapeva con quali argomenti.

Inoltre, c’erano due cose che lo bloccavano. Due dubbi, due tarli che lo consumavano, tanto ci pensava sopra.

Il primo, era il conflitto fra Pitch e quella misteriosa donna, Crysis.

Pitch non era stupido. Sapeva come ingannare il prossimo, come corrompere chi era più potente di lui, renderlo lentamente sempre più fragile, fino a farlo crollare come un castello di carte al minimo tocco della sua mano, e schiacciarlo sotto il proprio piede fino a renderlo incapace di rialzarsi, annientandolo per sempre. Per Pitch, doveva essere quello il destino di Crysis.

Eppure aveva cercato di ucciderla quando lui era più debole, e lei al massimo dei suo potere.

Perché? Quale motivazione si nascondeva dietro un’azione così avventata?

Un’azione a dir poco folle, agli occhi di North.

Non riusciva a darsi una risposta che avesse senso, ma sperava.

In cosa, non lo sapeva nemmeno lui.

Il secondo dubbio riguardava Jack. E, ancor più del ragazzo, le indicazioni ricevute dall’Uomo sulla Luna.

Manny non salva nessuno che non abbia un’utilità per il mondo, che non lo possa rendere migliore. E Pitch, che in secoli di vita non aveva mai fatto altro che distruggere e terrorizzare, spezzare i sogni più belli ed uccidere le più grandi speranze, che utilità poteva mai avere?

North abbassò lo sguardo sul pavimento, concentrandosi su quell’ultimo pensiero.

Alla fine era tornato nel suo ufficio. Lì, circondato da giocattoli costruiti con le sue stesse mani e piccoli trenini di ghiaccio magico, che non si scioglieva nonostante la temperatura superiore allo zero, riusciva a pensare meglio.

Ancora immerso nelle sue riflessioni, North alzò lo sguardo verso la grande finestra, scrutando la notte buia oltre i vetri.

La Luna crescente si vedeva bene da lì, e i suoi raggi argentati danzavano luminosi tra la polvere e le cristalline trasparenze dei trenini di ghiaccio e illuminavano il piccolo, ingombro, accogliente ufficio di Babbo Natale.

- Dimmi amico mio… come può l’oscurità e la paura aiutarci a proteggere i bambini? –

North non ottenne alcuna risposta. Solo il silenzio, mescolato al vago scricchiolio degli scaffali ingombri e del pavimento di legno, mescolati ai deboli suoni prodotti dai giocattoli incantati.

La Luna rimase lì, immobile e silenziosa.

All’improvviso, mescolato agli scricchiolii e ai rumorini, in sincronia con i piccoli, danzanti giochi di luce dei raggi lunari, a North parve di udire qualcosa di nuovo.

Somigliava a una fioca risatina, sincera e gentile.

Come un invito a trovare la risposta giusta da solo.

 

 

 

-+-

*Esce da sotto la scrivania e, ancora giustamente titubante, continua il commento*

Credo che North si immagini le cose. O forse è l’Uomo sulla Luna che comunica con la telepatia. Probabilmente quest’ultima.

E Pitch è davvero una zucca di legno a volte. E Jack è ancora in modalità emo. (Tranquille, si riprenderà <3)

Okay, mi sento una cacca ad aver scritto questo capitolo. Per scusarmi (?), vi farò un po’ di spam(?!) di altre avventure che seguo sporadicamente qui e là. Non in ordine:

L’altra faccia della Luna di Naty McQueen [Le 5 Leggende]: Alexia è una ragazza sfortunata, odiata dalla madre, e ogni notte rimpiange la scomparsa del padre. Questo finché una notte non scappa di casa. Finché i Guardiani non scoprono che lei è molto più di una semplice umana. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1496627&i=1 )

Scontro di Destini di MadAme_MadNess [Lupin III]: Maria Bienbella, una giovane appena licenziata dall’hotel di New York in cui lavorava, si ritrova coinvolta in una rapina. Curiosamente, finisce con l’aiutare i ladri, permettendogli di fuggire proprio quando stavano per essere catturati. Questa piccola, azzardata scelta le cambierà per sempre la vita. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1498548&i=1 )

Fool's Revenge di Danielle_Lady of Blue Roses [Le 5 Leggende]: Gli elfi di North saranno anche buoni e carini, ma sono anche dei combinaguai capaci di causare disastri di portata epica. Ed è proprio questo loro talento per i guai che spinge Karol, la moglie di North, a piantare in asso il marito ed andarsene. E, ovviamente, non è finita lì. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1551727 )

Le storie di Pitch Black: Su, su, non siate tirchi/e di recensioni e andate a leggere le storie del nostro Omino Nero incompreso! <3 (http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=296218 )

Neve e inchiostro di Lombaxlover [Le 5 Leggende]: Jack è stanco. In trecento anni di solitudine, il primo a credere veramente in lui è stato Pitch. E se decidesse di lasciar perdere, di lasciare che le candide notti di neve si tingano del colore della Paura? (http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=1558417 )

Door to Fastoon - L'Impero, i Ribelli e la Creatrice di Iryael [Ratchet&Clank/spin-off della mia storia Endless Empire]: Silver è una ragazza che passa la sua estate tra scarabocchi, videogiochi e internet. Questo finché, il giorno del suo diciottesimo compleanno, qualcuno non decide di farle uno scherzetto e di catapultarla nel suo stesso universo immaginario. Si ritroverà nel bel mezzo di una guerra segreta fra Ribelli ed Imperiali, e la posta in gioco sarà ben più alta di quel che immagina. (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=815141&i=1 )

Per ora non me ne vengono in mente altre. Eventualmente, farò un altro po’ di spam nei prossimi capitoli, si si  U_____U

*scappa a gambe levate*

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Capitolo 11
*** Echi ***


XI: Echi

 

 

Vi invito a ballare

Sulla mia tomba.

*

Nei quattro giorni seguenti la distruzione della dimora del Re degli Incubi, Crysis era riuscita a spezzare altri due sigilli.

Gli incantesimi che imprigionavano gli Incubi Grigi nelle loro antiche gabbie richiesero molta energia a Discordia, energia ampiamente ripagata dalle Creature che liberava.

Una volta svincolati dal loro giogo, quegli esseri diventavano un tutt’uno con Discordia, donandole la loro forza, i loro poteri, le loro conoscenze e i loro ricordi.

Ricordi di prigionia.

Una prigionia secolare, a volte millenaria.

E gridavano. La donna sentiva le loro voci lamentose sospirare, sussurrare, a volte urlare, incessanti come le onde del mare.

Gridavano di rabbia e di odio.

Volevano annientare tutto ciò che si sarebbe parato sul loro cammino.

Discordia sapeva che c’erano migliaia di quei sigilli, sparsi per tutto il territorio un tempo occupato dagli antichi regni dell’Età dell’Oro.

Le costellazioni e i pianeti che poteva osservare da quel minuscolo granello di sabbia che era la Terra erano solo una piccola parte di quegli immensi territori. Quante Creature senza Nome dormivano, intrappolate nei sigilli di Pitch? Quanti di quei prigionieri aspettavano il giorno in cui la loro gabbia sarebbe stata finalmente aperta, per poter divorare tutto ciò che si trovava al suo esterno?

Discordia non lo sapeva, ma non le importava. Prima o poi, li avrebbe liberati tutti. Li avrebbe lasciati fare, gli avrebbe permesso di trascinare il tutto nel niente.

Gli Incubi di Pitch le avevano definite Creature Senza Nome, ma Crysis si era presto resa conto che non poteva esserci definizione più sbagliata.

Quegli esseri un nome ce l’avevano. Anzi, ne avevano molti.

Il nome era l’ultima traccia della loro passata esistenza. Perché loro erano stati qualcosa prima di tramutarsi in ciò che erano attualmente. Avevano avuto una vita, un identità, avevano fatto delle scelte.

Avevano avuto un’anima. Anima che col tempo si era persa, lasciandosi dietro tutto il resto.

E, sopra a tutto ciò che era rimasto, avevano lasciato che le loro emozioni continuassero a vagare.

Ed erano emozioni estreme, più durature e più potenti di qualsiasi Incantesimo. Emozioni negative, rimaste a marcire sulla terra, a vagare senza meta, infettando con la loro energia tutto ciò che incontravano.

Ecco cos’erano quegli esseri.

Erano energia negativa.

Anche gli Incubi di Pitch erano fatti di emozioni. Emozioni anch’esse negative, originariamente nate per artigliare come un arpione chi le provava e trascinarlo verso la luce, rendendolo incapace di sopportare l’oscurità che lo minacciava. La Paura del Re degli Incubi era nata come un sentimento costruttivo.

Ma, per qualche ragione, quella paura positiva aveva cominciato lentamente a marcire, contaminata dall’odio.

E ciò che era nato per spingere verso la vita, si era trasformato in un artiglio the trascina verso la morte.

Un artiglio che bloccava sul posto, impedendo ogni fuga, occludendo ogni via d’uscita.

Non lasciando scampo.

Per questo gli Incubi avevano abbandonato il loro Re, ed erano venuti da lei. Il marcio dentro di loro aveva fiutato uno spirito più affine, qualcuno capace di renderli completi.

Capace di tingerli dell’Oscurità più totale, quando ancora oscillavano tra buio e luce.

Gli Incubi di Pitch le avevano riferito la posizione del quarto sigillo. Si trovava lontano da lì, nel nord dell’Inghilterra.

Discordia si era affrettata a raggiungere il luogo esatto, ansiosa di liberare un'altra Creatura.

Gli Incubi l’avevano guidata fin nei pressi di una foresta. Era una zona selvaggia, senza la più vaga traccia di civiltà, eccezion fatta per un antico castello in rovina, il cui profilo diroccato si stagliava su una collina, in lontananza, simile ad un dente spezzato.

Crysis inspirò l’aria gelida e pungente e osservò attentamente i grandi alberi che si stagliavano di fronte a lei.

Erano altissimi, perlopiù conifere, e i loro rami, vestiti del candore della neve, erano talmente fitti da impedire il passaggio dei raggi solari.

Quel giorno, tuttavia, non c’era nessuna luce da oscurare. Il cielo era grigio, percorso com’era da grandi, scure nubi temporalesche che minacciavano tempesta imminente. Il vento era gelido, e  soffiava forte.

Oltre i primi alberi della foresta, imbiancati di neve e brina, c’era solo il buio.

Un buio strano, serpeggiante.

Crysis sorrise nel sentire gli Incubi dietro di lei innervosirsi, fiutando l’aria e scoprendo le lunghe zanne affilate, pronti ad attaccare. Anche lei lo sentiva.

C’era qualcosa, oltre quegli alberi. Qualcosa che sembrava sfidare la Regina a compiere un altro passo, a violare il territorio delle ombre. Una sfida che Discordia non temeva di accettare.

Avanzò a passo rapido, guidata dagli Incubi. Il terreno sotto i suoi piedi era nero e un po’ molle, formato da ramoscelli secchi e foglie marce. La neve non arrivava fin laggiù: rimaneva sugli alberi, bloccata dai fitti rami.

Il silenzio era pressoché totale, appena rotto dal suono dei suoi passi e dai deboli, rochi sospiri emessi dagli Incubi Grigi. La luce che arrivava fin lì, sfidando metri e metri di fitti rami spinosi era talmente scarsa da dare a quel luogo un’aria onirica, surreale, accentuata dalla presenza di un vago pulviscolo formato da qualcosa che sembrava polline, che danzava lenta a pochi centimetri da terra.

Tutto aveva un’aria familiare.

Crysis continuò a scrutare quei tronchi, quel terreno marcio, quell’oscurità, impensierita. Non era mai stata lì, lo sapeva. Non amava molto le foreste. Aveva sempre preferito vivere in mezzo agli umani, per nutrirsi del loro odio, per vederli agitarsi disperatamente come formichine, lasciando scorrere via le loro brevi vite.

In mezzo agli alberi, circondata da quelle forme di vita così antiche e così inerti, si sentiva… sola.

Come se qualcuno, tanto tempo fa, l’avesse abbandonata lì, lasciandola al suo destino.

Distolse lo sguardo, scacciando via quei pensieri, e lo volse davanti a sé.

Gli Incubi non la guidarono molto lontano.

Discordia sentì che erano arrivati alla loro meta quando notò che la luce proveniente dall’esterno era scomparsa pressoché del tutto, lasciando solo qualche vaga colonna qui e là, prossima ad essere inghiottita dalle tenebre. A illuminare il luogo erano rimasti gli occhi degli Incubi, il cui fioco chiarore rossastro aveva distorto l'aria del luogo, donandole le soffocanti tonalità dell’incubo.

Con quale coraggio violi il mio regno, creatura immortale…?

Crysis voltò lentamente la testa, seguendo con gli occhi un punto preciso nell’oscurità, sentendo i suoi Incubi innervosirsi e sibilare, pronti ad attaccare al primo ordine.

Discordia non vedeva al buio. Poteva soltanto percepire. Il suo sguardo seguiva ciò che sentiva nascondersi nell’ombra, e il suo udito si concentrò su quella voce, che sembrava provenire da più parti, come sciolta nell’oscurità.

All’improvviso, qualcosa si mosse dietro di lei. Crysis si voltò.

Un enorme serpente piumato, alto quasi come gli alberi circostanti e nero come la notte si srotolò, ergendosi di fronte a lei e, dondolando appena la bella testa, fissò la donna con tre paia di lucenti occhi color oro, percorsi da sbiadite pupille verticali.

Era cieco.

Sei venuta perché desideri scomparire del tutto, immortale? Anche la voce del mostro aveva preso consistenza, trasformandosi in un basso sibilo minaccioso.

Discordia sorrise appena alla minaccia, lo sguardo fisso su quello vacuo della creatura. Quel serpente era il guardiano del sigillo che stava cercando. E non era un Incubo comune.

 Crysis l’aveva scoperto quando aveva spezzato il secondo sigillo: ne aveva approfittato per corrompere l’essere che lo custodiva, per trasformarlo in uno dei suoi seguaci. 

Non ci era riuscita.

Quell’Incubo si era limitato a contorcersi avvelenato dal suo potere, agonizzante, e scomparire trasformato in fumo che si era disperso nella notte. L’evento aveva lasciato Crysis confusa, ma i suoi dubbi vennero presto dissipati.

Quello era un frammento dell’antico potere di Pitch, della sua essenza.

Un potere che, come lui, non poteva essere corrotto, né domato.

Poteva solo essere ucciso.

Per Crysis era davvero un peccato non poter avere creature simili sotto il suo comando, ma non le importava.

Quei frammenti erano consumati da secoli di guardia, sgretolati pezzo per pezzo dal potere dei sigilli che custodivano. Non avevano più forza per combattere.

- Qual è il nome del tuo prigioniero, guardiano? – chiese Discordia, rivolta al serpente. La creatura ondeggiò ancora, poi si piegò a sinistra, e scivolò più vicino alla donna.

Essa non ha più nome disse, con la sua bassa voce sibilante, ha corrotto molte anime nel corso della sua esistenza, e continua a farlo…  il suo nome e quello delle sue vittime.

Il serpente si raccolse, continuando a fiutare l’aria con la lunga lingua biforcuta, gli occhi ciechi fissi su Discordia.

Dimmi immortale… tu ce l’hai un nome?... sibilò piano. Crysis sorrise.

Gli Incubi dietro di lei scalpitavano.

Con un guizzo appena visibile il serpente scattò, spalancando le grandi fauci pronte ad ingoiare la donna, ma l’unica cosa che riuscirono ad azzannare fu un leggero fumo color cenere.

Il serpente piumato non ebbe nemmeno il tempo di voltarsi. L’unica cosa che sentì fu un leggero peso posarsi sulla sua spina dorsale, seguito da un dolore acuto, atroce, che gli attraversò la nuca fino a perforargli la gola, simile alla punta di una lancia.

La creatura emise un sibilo acuto e spalancò le fauci, agonizzante. Crysis fece in tempo ad estrarre la lunga spada di cristallo nero dal suo cranio e saltare giù che il serpente prese ad agitarsi, dissolvendosi, trascinato via da un leggero, gelido vento che aveva preso a spirare fra gli alberi.

Discordia non sentiva nessun’altra presenza.

Gli Incubi, rimasti immobili dopo il suo silenzioso ordine di non intervenire, si stavano calmando. Non c’era nient’altro lì.

Peccato.

Uno di essi si mosse e si avvicinò a Crysis, annusandole con fare affettuoso la mano, e la guidò verso il sigillo. Era un albero, a pochi passi da lì.

Era una quercia vecchissima, e sembrava che il gelo, il buio e il tempo l’avessero pietrificata. Sul largo, rugoso tronco era incisa una lunga serie di luminosi glifi rossastri, che si muovevano lentamente. L’intorno, immerso in un buio pressoché totale, non era altro che terra spoglia ed indurita dal gelo, morta.

Discordia si avvicinò, e tese una mano, aspettandosi di sentire le grida di pietà della creatura rimbombare nella sua testa, e la sua fame risucchiare le sue energie.

Si sentiva tremare.

All’improvviso qualcosa, simile a una moltitudine di lunghi, invisibili nastri di seta strisciò sui suoi polsi e sulle sue caviglie, stringendoli in una morsa stritolatrice, bloccandola sul posto. Discordia sentì qualcosa di morbido e gelido come il ghiaccio percorrerle la schiena, causandole un brivido.

Infine, altri nastri le accarezzarono il collo, per poi avvinghiarvisi con forza, soffocandola.

Poi, una voce parlò. Una voce profonda, maschile.

Non è una maledizione…

Arrivava da ovunque. Echeggiava fra gli alberi, ripetuta dall’eco, suonava lontanissima e contemporaneamente gridava nella sua testa.

Non è una maledizione, è qualcosa che hai richiamato tu.

Suonava distorta, familiare, come l’ombra di un ricordo rimosso.

Eppure Crysis non la riconosceva.

- Cosa…? – non respirava. Tentò di sottrarsi alla stretta, ma non ci riuscì. La sua forza aumentava lentamente, strangolando la giovane.

Poi, all’improvviso, sentì freddo.

Ci hai creduto con l’anima… l’hai inseguito con tutte le tue forze. L’hai desiderato.

Le si gelò il sangue. Era un gelo fisico, palpabile.

Era ghiaccio liquido che si propagava nelle vene, partendo dalle funi invisibili che la immobilizzavano, e si diffondeva sottraendo vita e calore, sostituendoli con il freddo marcio della cancrena. Poi, all’improvviso, un sentimento la invase.

Paura.

Terrore. Così intenso, così assoluto da non essere il suo.

Spalancò gli occhi appannati, fissi sul sigillo. Nonostante la vista offuscata dalla mancanza di ossigeno, vide qualcosa.

Una grande mano spettrale, dalle lunghe dita magre, appena visibile, emerse dal tronco, tesa verso Discordia.

Come se volesse trascinarla con lei, nella sua prigione.

La donna tentò di usare il suo potere, ma non servì a nulla. La creatura imprigionata nel sigillo non allentò la sua stretta mortale, anzi. Come un guinzaglio, la forza che strangolava Crysis la tirò in basso, a terra, costringendola in ginocchio.  Sentì gli incubi sibilare dietro di lei, azzardare qualche passo, nervosi. Fiutavano la sua paura.

- No… - Discordia, alla vista della mano che si avvicinava si tirò indietro. Cercò nuovamente di liberarsi con il suo potere.

Non cercare i colpevoli…

Nessuno dei suoi tentativi sortì alcun effetto.

- …Basta… -

Non cercare i mostri…

Sentì quel ghiaccio liquido percorrerle i polmoni, ghiacciandole il respiro. Le toccò il cuore, pungendolo come la lama di una spada. Pronta a porre fine a quel battito frenetico.

…Urleresti di orrore nel guardarti allo specchio!

- FA’ SILENZIO! – Crysis urlò quelle due parole con quanto fiato aveva in gola, sentendo il panico raggiungere l’apice.

Esattamente com’era iniziato, tutto finì.

I nastri si sciolsero di colpo, contemporaneamente, come se qualcuno li avesse tagliati. Anche la mano spettrale svanì, come un’allucinazione.

Il sigillo prese a brillare.

Crysis rimase a terra, in ginocchio, la testa ed i gomiti a contatto col terreno duro, gli occhi chiusi, nel disperato tentativo di riprendere fiato, e soprattutto di calmarsi. Di scacciare quella paura che non le apparteneva.

Sentiva la presenza degli Incubi attorno a lei. L’avevano circondata, frementi, fiutando quella paura che si stava lentamente dissolvendo, scalpitando nell’attesa di assalirla al primo segno di debolezza.

Crysis sapeva di non poter scoprire il fianco. In fondo, erano Incubi. Era nella loro natura nutrirsi di paura, dilaniare l’animo di chi la provava, fino a non lasciarne che tracce. Ed era una caratteristica che non poteva né voleva cambiare.

Inspirò piano, ancora tremante, sentendo finalmente il cuore rallentare i battiti. Alzò lo sguardo verso il sigillo.

Il bagliore rossastro emesso dai glifi magici incisi sul tronco era aumentato, illuminando una zona più ampia della radura, scacciando un po’ dell’oscurità quasi assoluta che regnava in quel luogo.

Crysis si alzò, senza staccare lo sguardo da quello spettacolo inatteso.

Alla luce si era aggiunto una strano sibilo, che era aumentato di intensità, trasformandosi, fino a diventare un urlo inumano.

Crysis indietreggiò, senza riuscire a staccare lo sguardo da quella luce, che si era fatta accecante. Quella voce, quel grido le suonavano familiari.

…Perché?

All’improvviso, il sigillo parve esplodere.

- AH! - Discordia, accecata, si coprì gli occhi col braccio ed indietreggiò di qualche passo. Cosa stava succedendo? Si chiese. La creatura che aveva appena tentato di liberare non solo le aveva opposto resistenza, ma aveva addirittura tentato di ucciderla.

Anzi… aveva tentato di trascinarla con sé. Di intrappolarla.

Perché?...

Un forte vento prese a spirare nella foresta, e avvolse la grande quercia pietrificata in un turbinio di neve e foglie secche, come a voler proteggere il sigillo e la creatura ivi intrappolata, tenerli lontani da Discordia.

Crysis si allontanò di qualche altro passo, il braccio ancora alzato, troppo sconcertata dallo spettacolo che le si era formato davanti.

All’improvviso, la luce dei glifi magici venne risucchiata dalle venature del tronco, e corse verso i rami, concentrandosi lì, dando forma a qualcosa che sembrava una figura umana fatta di luce rossastra.

Con un altro grido, l’essere prese il volo, verso il cielo, rapido come la freccia di una balestra, e sparì lasciandosi dietro soltanto l’eco della sua voce e il suono del vento.

Poi, più nulla.

Il vento tacque e rallentò, lasciando cadere la neve e le foglie che si era trascinato dietro nella sua corsa, e riportando così la calma e il silenzio fra gli alberi.

Crysis, ancora semiaccecata dall’intensa luce, abbassò lo sguardo verso l’albero su cui era stato impresso il sigillo.

Sul tronco pietrificato non era rimasto nulla, a parte una lunga serie di segni carbonizzati, illeggibili.

Era scomparso.

Il sigillo, la creatura… perfino la magia che permeava quel luogo e lo rendeva così inquietante.

Era scomparso tutto, portato via da quella strana luce.

Che significa…?

Discordia si avvicinò piano alla grande quercia, fino a sfiorarne il tronco con una mano.

Era freddo, vuoto, morto. Come se quell’antico albero non avesse mai custodito niente dentro di sé.

Discordia si chiese se quello non fosse stato per caso uno degli scherzi di Pitch, o forse un inganno degli Incubi. La prima ipotesi era probabile. La seconda molto meno: gli Incubi erano creature troppo primitive per poter manipolare la magia di loro volontà. Potevano farlo soltanto per ordine di un padrone.

E la padrona degli Incubi era Crysis.

Con la mano ancora poggiata sul tronco, Discordia si concentrò su quel che era successo pochi istanti prima che il sigillo scomparisse.

Quelle strane funi, su cui il potere dell’Odio non aveva avuto effetto.

Quella spettrale mano tesa, bramosa di trascinarla con sé.

Quella voce.

La paura provata. Quella paura, che non sentiva come sua.

E, ancor prima, quella sensazione tanto aliena. Discordia alzò lo sguardo verso gli altri alberi, osservandoli con attenzione, desiderosa di ricevere risposta ad una domanda che non sapeva formulare.

È come se fossi già stata qui.

Era fastidioso.

La sensazione di aver dimenticato qualcosa, e di non poter dire cosa.

Crysis abbassò lo sguardo a terra, pensierosa. Non le piaceva.

Ma, in fondo, non importava.

Se l’aveva dimenticato, significava che non era fondamentale come sembrava. Ciò che realmente importava in quel momento era ciò che era appena avvenuto.

Il sigillo era letteralmente sparito, senza lasciare traccia. Qualunque creatura vi fosse intrappolata, non ha gradito l’idea di poter riassaporare la libertà.

Perché?

Non riusciva a spiegarselo, ma avrebbe ottenuto delle risposte soddisfacenti molto presto, di questo ne era certa.

Non poteva certo distrarsi.

Aveva già tre Creature Senza Nome sotto il suo comando, e aveva piani per loro.

Piani che sarebbero andati in porto molto presto.

 

 

 

-+-

*Si ri-butta sotto la scrivania* orrificoquestocapitoloéorrifico.

Geh, mi dispiace per questo cap. Non è bello come volevo che fosse, e poi c’è solo Crysis. Tra parentesi, sembra che Discordia si sia dimenticata di qualcosa. O è solo una sua impressione? Chissà. Forse lo scopriremo. E dico forse perché mi conosco, e so che niente di quel che progetto di fare va come voglio. XD

Comunque, rallegratevi: nel prossimo capitolo rivedrete i nostri cari Guardiani. E Pitch (non ho finito di torturarlo, no no). E ci sarà anche June <3

Ok, ho finito. VI AMO, MA SUL SERIOOOOOO <3<3<3 *scappa*

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Capitolo 12
*** Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero ***


Ultimo aggiornamento? 31/01/13. SONO UN MOSTRO UGGHH. E questo capitolo è assolutamente un orrore e io… io… io… vado. *striscia in un buco e ci rimane a piangere*

 

XII: Un accordo, un aggressione e un piccolo mistero

 

 

Erano passati quattro  giorni dal risveglio di Pitch e dal suo interrogatorio.

I Guardiani, di fronte alla ferma decisione di North, avevano desistito dall’intenzione di torchiare l’Uomo Nero e strappargli con le cattive maniere quante più informazioni possibili, lasciando il compito al Guardiano della Meraviglia.

Dopo quella decisione nessuno dei Guardiani si era più fatto rivedere al Polo Nord, e la cosa aveva sconfortato North: comprendeva benissimo quanto fossero tutti impegnati e, ancor più di quello, quanto fossero arrabbiati con lui e lo strano trattamento di riguardo che aveva riservato a Pitch. Il Guardiano sapeva benissimo che la soluzione in quel caso era una sola: lasciar sbollire la rabbia. Tuttavia, c’era una situazione spinosa da risolvere, e riguardava proprio Pitch.

L’Uomo Nero era vivo per una ragione. L’Uomo sulla Luna gli aveva salvato la vita, il che voleva dire che il suo acerrimo nemico doveva avere un’utilità per i Guardiani, per i bambini di tutto il mondo, un’utilità che non poteva consistere soltanto nell’essere una fonte di informazioni, era una cosa di cui North era sicuro.

Ma i segnali di Manny, i dubbi degli altri Guardiani e le sue stesse supposizioni non potevano risolvere la strana situazione di stallo in cui North si trovava: voleva parlare con Pitch, e soprattutto voleva che l’altro lo ascoltasse, e lo considerasse non come un Guardiano né come un nemico, ma come un suo pari. Ma era pur sempre Pitch, e prenderlo per il verso giusto sembrava impossibile.

Serviva un idea.

E in quei quattro giorni North ne aveva maturata una, una potenziale soluzione a una buona parte dei problemi dei Guardiani, che possedeva tuttavia una vistosa pecca: poteva benissimo non funzionare. Tuttavia, non aveva nulla da perdere nel provare a metterla in pratica.

North si alzò dalla grande poltrona del suo ufficio, impugnò le sue due fidate sciabole, una per mano, e uscì dal suo ufficio.

Gli yeti che lo incrociarono strada facendo si scansarono rapidamente alla vista della sua espressione, né fecero domande su dove andasse così armato e minaccioso: lo intuivano.

Una volta arrivato di fronte alla camera degli ospiti che fungeva da prigione, ordinò agli yeti di guardia di aprire. Gli Abominevoli Uomini delle Nevi, di fonte alle sciabole sfoderate ed impugnate e all’espressione battagliera di North si scambiarono delle occhiate ansiose, ma ubbidirono senza fiatare e aprirono la porta.

Oltre la soglia, nonostante l’abbondanza di luce esterna, la camera era immersa in una penombra fitta, sebbene non abbastanza da permettere la fuga al suo prigioniero. North esaminò attentamente la camera apparentemente vuota e, nonostante i richiami preoccupati degli yeti, azzardò qualche passo all’interno.

- Vedo che hai dato un tocco di personalità alla tua nuova dimora eh, Pitch? – chiese, e un vago sorriso gli solcò le labbra. Inizialmente, ad accogliere la domanda vi fu solo il silenzio. Poi, una voce parlò:

- La tua mancanza di gusto in fatto di arredamento è un autentica tortura per i miei occhi, North. Il non fare qualcosa al riguardo mi avrebbe ucciso. Almeno per quel che riguarda l’illuminazione… – North si voltò, e il suo sguardo incontrò quello irritato dell’Uomo Nero, nascosto dietro la porta, a pochi passi dietro di lui. - …Hai scelto il peggio del peggio per apposta per me, immagino. –

Pitch era riuscito a sbarazzarsi del maglione natalizio. Al suo posto, indossava una tunica nera, simile a quella che indossava di solito ma meno scollata, in modo da nascondere le fasciature che ancora portava. Gli yeti dovevano aver sudato sette camice prima di riuscire a trovarne una così simile, pensò North. Gli abiti che Pitch indossava quando Jack l’aveva portato al Polo Nord avevano degli squarci così ampi da non risultare riparabili e trovare qualcosa di rassomigliante si era rivelata un impresa molto ardua per i pelosi aiutanti di Babbo Natale.

- Cosa vuoi, North? – chiese Pitch con fare sospettoso, allontanandosi di poco dal suo aguzzino, gli occhi che guizzavano dal suo viso barbuto alle sciabole impugnate, e un’espressione sospettosa dipinta sul volto magro.

- Sono venuto a fare due chiacchiere. Solo questo. – disse North in tono tranquillo, avanzando ancora nell’oscurità, le sciabole impugnate solo con i pollici, come a dimostrare all’altro che, nonostante fosse armato, non era venuto con cattive intenzioni. Pitch assottigliò gli occhi, notando l’impugnatura sulle sciabole ed intuendo un ‘ma’ nel discorso.

- Anzi… - con un movimento fulmineo, North serrò la presa sull’impugnatura di una delle spade, e puntò la lama contro Pitch che indietreggiò con la stessa rapidità, gli occhi sbarrati dalla sorpresa e un po’ dalla paura, la punta dell’arma a pochi centimetri dal suo naso – …Sono venuto a fare molte chiacchiere, Pitch. – disse, deciso.

- Mettiti comodo. Abbiamo un bel po’ di argomenti su cui discutere. –

*

Silenzio.

Dopo aver pronunciato quella parola, nella stanza avvolta nella semioscurità era calato il silenzio più assoluto. Dopo aver pronunciato quella fatidica parola che da cinque giorni gli frullava nella testa, North si era ritrovato a trattenere il fiato.

Alleanza.

Lui, Nicholas St. North, aveva appena chiesto alleanza a Pitch Black.

Devo essere fuori di testa. Si disse in quell’interminabile istante …Forse.

Proprio in quel momento si ritrovò a pensare che forse la sua idea non era poi così geniale come credeva. Come a conferma del suo sospetto, Pitch era rimasto in silenzio, un espressione imperscrutabile a nascondere possibili emozioni, lo sguardo che continuava ad andare dal volto ansioso di North alla sua mano tesa, desiderosa di suggellare l’accordo. North aveva decine di argomenti a suo favore. In quei cinque giorni ci aveva pensato e ripensato, li aveva formulati sotto forma di discorsi centinaia di volte, cercando di immaginare le possibili reazioni di Pitch, ogni sua possibile obiezione, e si era preparato ad aggirarle tutte, a convincerlo.

Ma non aveva calcolato quel silenzio. In quell’istante, tutti i suoi argomenti più forti gli sembrarono meno validi di una scusa infantile.

Non accetterà mai. Pensò di nuovo, sconfortato.

Gli occhi di Pitch continuarono ad andare da quella mano tesa a quel volto tanto odiato, ed infine si fermarono su quest’ultimo. Ispirò impercettibilmente.

- Che ragioni avrei per allearmi con voi? – chiese a mezza voce. North non riuscì a percepire sarcasmo, o astio, o qualunque altro sentimento celato dietro quella domanda. Pitch l’aveva posta senza alcuna inflessione nella voce, inespressiva come il suo volto.

Come se non si aspettasse nulla.

North abbassò la mano, gli occhi ancora fissi su quelli del suo prigioniero, un espressione grave sul volto. Di argomenti ne aveva a palate, ma in quell’esatto istante, di nuovo, non sembrarono abbastanza.

Perché abbiamo un nemico in comune. Perché Manny ti ha lasciato vivere, e Manny sa sempre cosa fa. Perché sei debole, e non ce la farai mai senza di noi. Perché per quanto forti e determinati, siamo ancora impreparati. Perché non siamo coscienti di cosa stiamo affrontando, ma tu forse si. 

Perché puoi sicuramente aiutarci.

Perché voglio sapere cosa ti ha realmente spinto a tradire Crysis. Cosa ti ha spinto a fare qualcosa che non avresti mai fatto.

Perché…

Perché voglio credere che ci sia ancora del bene nel tuo cuore. E lo voglio trovare.

- ‘Il nemico del mio nemico è mio amico’, dicono. – disse North lentamente. Fece una pausa, e abbassò per un istante lo sguardo sulla mano destra, intenta a giocherellare nervosamente con l’impugnatura intarsiata della sciabola, che dal ruolo di arma era passata a quello di giocattolo antistress – Non posso dire di poter vedere le cose dal tuo punto di vista, né di sapere le tue ragioni, ma credo di poter immaginare i tuoi sentimenti. – non rialzò gli occhi, ma sapeva che Pitch lo stava ancora osservando con quello sguardo inespressivo.

- Hai scelto un nemico. Ti sei schierato contro Crysis, e, come ha detto tu, lei te l’ha fatta pagare. Non voglio suonare arrogante, ma… posso immaginare come la cosa ti faccia sentire. Posso immaginare che tu… desideri vendetta. –

L’omone rialzò lo sguardo, incontrando nuovamente quello dell’Uomo Nero: - Giusto? –

- Vendetta?... – la voce di Pitch tremò nel pronunciare quella parola.

Vendetta.

North vide le sottili labbra dell’uomo stirarsi in un sorriso forzato. Pitch rimase a fissare l’uomo di fronte a sé per qualche altro istante, senza muoversi. Poi distolse lo sguardo e con un gesto nervoso si passò una mano tremante sul volto, prorompendo in una risatina acida.

- Sei divertente, North. – disse, e quel sorriso forzato si allargò, diventando un ghigno inquietante. North rimase in silenzio, incerto. Pitch continuò: – Davvero. Sei divertente. Adesso ti interessa se io voglia vendicarmi o meno. Fammi indovinare, volete aiutarmi? – disse, allargando appena le braccia.

North alzò un sopracciglio: - Si? – azzardò con una nota di speranza nella voce.

Per tutta risposta Pitch scoppiò a ridere: gli ci volle un po’ a calmarsi, ma il Guardiano non fece una piega. - Oh, e come mai tutto questo interesse? – continuò, continuando a sghignazzare. North finse di riflettere, accarezzandosi la barba candida.

- Perché abbiamo un nemico in comune, ora. – cominciò, cercando di scegliere le parole migliori. Non era la più facile delle imprese: - Onestamente, ti conosco da diverse centinaia di anni, non mi sei mai sembrato il tipo che ignora le offese, e né mi sei mai sembrato particolarmente pacifico. E poi Crysis ti ha portato via i tuoi Incubi. Quindi perché no? – mentre parlava, le labbra di Pitch si erano stirate in un sorriso ancor più largo. Non sicuro se quella fosse una reazione positiva o negativa, North sorrise speranzoso in risposta.

- E perché si? –

- …Cosa? – North rimase interdetto.

- Ho chiesto, perché si? – ripeté Pitch, continuando a sorridere in modo irritante: - Perché allearmi con voi? Io voglio la vostra distruzione. Oh, certo, vorrei farlo con le mie mani, ma sai, sono tempi duri per me e mi devo arrangiare come posso, quindi va bene che sia Discordia a farlo al posto mio. Lei ha un potere immenso, molto più grande di quanto possiate immaginare, e vi vuole abbattere. L’unica cosa che ho da fare è rimanere qui nel mio angolino e guardarvi cadere uno dopo l’altro. –

La risposta lasciò North a bocca aperta. Aveva considerato quella reazione. Aveva anche sperato che l’ostinatezza e la voglia di rivalsa avrebbero sopraffatto quel lato del suo carattere. Forse, si disse, maledicendosi per la sua ingenuità, era stato troppo ottimista nel sperare che le cose avrebbero preso la strada migliore per i Guardiani.

Strinse le grandi mani in pugni: - E se noi le dicessimo che sei ancora vivo? Vorrà sicuramente finire il lavoro, non credi? –

La minaccia non sembrò sfiorare Pitch quanto North aveva sperato. Ma forse quella, si disse il Guardiano, era solo una facciata. L’Uomo Nero si limitò ad alzare le spalle ed incrociare le braccia: - Oh, certo. Mai lasciare le cose a metà, è una regola d’oro per andare avanti. –

Tra i due calò un silenzio che durò diversi istanti, istanti che North cercò di impiegare al meglio per cercare di raccogliere altri argomenti a suo favore. Certo, poteva ancora cercare di costringerlo. In fondo, l’Uomo Nero era suo prigioniero…

Poi Pitch, dopo un attimo di riflessione, disse:

- Dì la verità, tu e i tuoi compagni non avete idea di cosa state affrontando, eh? –

North corrugò le sopracciglia folte: - Dì la verità, non te l’aspettavi, eh? – scherzò, sentendo un moto di nervosismo sul fondo dello stomaco. L’altro non aveva idea di quanto perfettamente avesse colpito nel segno.

- L’informazione non mi sa di nuovo. – disse l’Uomo Nero in tono sarcastico, esaminandosi le unghie: - Ho saputo che l’Uomo sulla Luna ha nominato il quinto Guardiano praticamente subito dopo aver saputo del mio ritorno. E il vostro caro, prezioso Frost non mi è proprio sembrato mister professionalità. A volte mi domando dove trova voi svitati, perché sembrate venire tutti dallo stesso posto. –

Sorrise quando North ribatté, offeso: - Non siamo noi gli svitati, lo sei tu! –

- Indubbiamente. – asserì l’altro, atono.

Di nuovo silenzio, più lungo e pesante di prima. La cosa cominciò ad irritare North. Sapeva di dover essere cauto, ma…

- Allora, vuoi allearti con noi o no? – sbottò, riportando l’attenzione dell’altro su di sé.

Pitch corrugò le sopracciglia: - …No. –

North, che in un rinnovato moto di speranza aveva nuovamente teso la mano, lasciò cadere il braccio, e tutta la delusione che provava e che finora aveva cercato di reprimere trasparì di colpo dal suo viso. Si concesse qualche altro secondo di pausa, nella disperata speranza che l’Uomo Nero cambi idea all’ultimo istante, ma non ottenne nulla.

Avvilito, si voltò e fece per andarsene, quando la voce di Pitch lo bloccò sul posto.

- No, non voglio allearmi con voi. No, non voglio neanche lontanamente considerare l’idea di potervi fornire una qualsivoglia forma di sostegno, né che voi possiate fare altrettanto. Non voglio neanche starvi vicino, e ovviamente aiutarvi in una battaglia da cui spero usciate sconfitti è l’ultimo dei miei pensieri. Ma. –

North lo sentì prendere fiato, come stesse per dire qualcosa di incredibilmente imbarazzante e avesse bisogno di un momento per prepararsi mentalmente: - Ma Crysis è la fuori, e ha il controllo su ciò che fino a poco fa era il mio esercito. L’ha reso più potente, e ti assicuro che quello che vedi adesso non sarà comparabile a quello che vedrai tra poco. E non mi importa assolutamente niente se le dici che sono vivo perché tanto, presto o tardi, lo scoprirà lo stesso, e si muoverà per finire il lavoro. – Forse penserà che ho rivelato ai Guardiani delle Creature senza Nome… non che quell’informazione sia essenziale. Niente può distruggerle. - E ovviamente vi schiaccerà come delle formiche. –

A quell’ultima affermazione North si voltò, un’espressione decisa negli occhi chiari: - Siamo formiche rosse, Pitch. I nostri morsi sanno fare male. Noi non ci arrenderemo, non importa quanto grande sia il nemico. –

- Ha. Ha. Ha. Che bei paroloni, North. – Pitch alzò gli occhi al cielo con fare irritato: - Degni di un Guardiano. –

North strinse i pugni, studiando l’altro con un’espressione irritata. Dove voleva arrivare Pitch con quelle provocazioni?

- Oh non mi guardare così, mi fai paura. – disse l’Uomo Nero, fingendosi spaventato e mettendo le mani avanti a mo’ di difesa. Poi tornò serio, e intrecciò le dita dietro la schiena. Sempre seguito dallo sguardo di North, fece qualche passo, poi continuò: - Normalmente la scelta migliore da fare per me sarebbe rimanermene qui buono e tranquillo e aspettare l’inevitabile. È la soluzione più semplice, magari anche la meno dolorosa. E si, so benissimo perché mi tenete prigioniero qui, e francamente considerando il caratteraccio di quel sacco di pulci di Calmoniglio non fatico a immaginare cosa teniate in serbo per me. È per questo che lo dico. Ma ci sono due problemi. Primo: io non ho intenzione di morire senza fare niente per evitarlo. –

La durezza che Pitch mise in quell’ultima affermazione colpì North. Forse era la sua immaginazione, ma ebbe l’impressione che fosse ben più di quello.

- Secondo: ho delle faccende rimaste in sospeso con Crysis, e non sto parlando soltanto di vendetta. Faccende che voglio sistemare il prima possibile. –

- Ma senza i tuoi Incubi e con i poteri indeboliti, non ce la puoi fare giusto? – continuò North. Forse non avrebbe dovuto sorridere considerando l’occhiata truce con cui Pitch lo ricambiò, ma non riuscì a farne a meno.

- …E al momento non riesco a pensare a un modo ottimale per raggiungere i miei obiettivi, giusto. – completò l’altro.

- E quindi?... – Pitch storse il naso. Avrebbe voluto tagliarsi la lingua per quello che stava per dire.

- Chiamala tregua, chiamala patto di non aggressione, chiamala ‘momentanea svista da parte di entrambi visto che siamo nemici giurati e lo saremo sempre’, o quello che ti pare, ma non chiamarla alleanza. Non siamo alleati. Abbiamo un obiettivo comune, tutto qui. –

North non trattenne un sorriso: - D’accordo. Non è un’alleanza. ‘Accordo’ va bene? –

- Accordo di non intralciarsi- -

- …Aiutarsi. – lo corresse North. Pitch alzò gli occhi al cielo.

- …Va bene. Aiutarsi a vicenda. Se strettamente necessario. –  per tutta risposta, North sfoderò il migliore dei suoi sorrisi.

- Anche in battaglia. Se noi ti aiuteremo, tu combatterai al nostro fianco. – North vide Pitch storcere gli angoli della bocca in un’espressione di disgusto, ma non denegare: - Se ci ritroveremo coinvolti in uno scontro con Crysis non penso che riuscirò a sgattaiolare via tanto facilmente, quindi non credo di avere scelta. –

- E quindi… - per la terza volta quel giorno, North tese la mano verso Pitch. L’Uomo Nero la fissò con un’espressione fra l’inquieto e il dubbioso, come se si aspettasse di vederla trasformarsi in una tagliola se l’avesse afferrata. Timore non infondato, considerando l’energia con cui North gli afferrò e gli scosse la destra esitante in una stretta decisamente energica.

- Suppongo che possiamo definirci d’accordo ora? – sorrise l’omone, entusiasta.

- Suppongo di si... – disse Pitch, cercando di mascherare la nota d’incertezza nella voce. Un accordo verbale poteva anche andare, per il momento.

North, dal canto suo, non si pose dubbi né si fece domande. Forse non era il caso di sentirsi così su di morale, pensò, considerando che aveva appena stretto alleanza con qualcuno che avrebbe probabilmente tradito lui e i suoi compagni alla prima buona occasione, ma non riuscì a soffocare l’ottimismo.

Pitch distolse lo sguardo: - Può andare. – concluse semplicemente, nascondendo la vaga sensazione di disagio che provò nel sentirsi quello sguardo fin troppo speranzoso puntato addosso. In fondo, era abituato ad essere guardato con paura o riverenza, non con entusiastica aspettativa.

North avrebbe voluto abbracciarlo. Rimase in silenzio per qualche secondo, stavolta troppo eccitato per rimanere serio ed immobile, spostando il peso da un piede all’altro e guardandosi attorno con finta curiosità. Pitch alzò gli occhi al cielo: evidentemente l’omone di fronte a lui voleva qualcos’altro.

- Hai qualcosa da aggiungere? – chiese, senza nascondere la sua irritazione di fronte a quell’atteggiamento tanto infantile.

North smise di dondolare sul posto, ma non smise di sorridere.

- Uh… in verità si. – disse in tono improvvisamente leggero, strofinandosi energicamente i palmi delle mani. – Ho un favore da chiederti. Se ti va di ascoltarmi, ovviamente. –

Pitch alzò un sopracciglio, annuendo sospettoso. Forse, pensò, la sua idea di accettare quell’accordo non era stata poi così brillante come credeva, ma almeno adesso aveva la certezza di non essere tenuto prigioniero per essere torturato –o peggio- soltanto per ottenere informazioni.

Forse.

*

In quattro giorni passati lontano dal palazzo di North, Jack aveva alacremente svolto il suo doppio lavoro di combinadisastri e di Guardiano.

Aveva speso la maggior parte del suo tempo in Europa e dintorni, approfittandone per farsi sporadicamente vedere dai bambini, perché nel vecchio continente erano ancora davvero in pochi a credere nella sua esistenza. Ovunque era andato, neve e correnti fredde l’avevano accompagnato come amici fidati, coprendo di bianco interi paesi come la Germania, la Francia e la Spagna.

Nonostante la tentazione onnipresente, Jack non era più tornato al palazzo di North, nemmeno per sapere come vanno le cose. Qualcosa gli diceva continuamente di non avvicinarsi a quel luogo, e di rimanere fuori dai piedi finché la sua presenza non fosse stata richiesta. Non era sicuro se era il caso di ascoltare quella strana vocina nella sua testa che continuava a ripetergli quel concetto come un mantra, ma aveva ubbidito. In fondo, aveva trovato anche delle ragioni per farlo.

Il divertimento dei bambini prima di tutto, no?

Alla fine, si era sforzato di convincersi del fatto che non era necessario preoccuparsi di nulla che non fosse un problema visibile e materiale, anche se Pitch era un ‘problema’ che rientrava benissimo in entrambe le categorie. Nonostante ciò, Jack si era ostinato ad ignorare al situazione, segretamente fiducioso del fatto che le cose si sarebbero sistemate per il meglio in sua assenza. Insomma, stiamo parlando di North, no? E’ un Guardiano, e lo è da molto, molto più di me. Sa cosa sta facendo. Anche se non sempre sembra che sia così. O forse dovrei davvero smetterla di perdere tempo e rendermi utile…

Tuttavia, nessuna delle sue congetture risultò sufficiente a convincerlo a tornare al Polo Nord.

Nei suoi raid di neve e gelo, Jack si spinse fino al sud Italia, arrivando fino in Sicilia, territorio in cui sapeva che non doveva mettere piede in quel periodo dell’anno per evitare incontri spiacevoli con un certo petulante Spirito dell’Estate che aveva l’abitudine di prendersela comoda nell’andarsene dai territori che presiedeva. Tuttavia, quel giorno si sentiva abbastanza fortunato da tentare.

Fu solo dalle parti di Siracusa che si accorse di quanto disgraziata era stata la sua scelta.

- Jaaaack… -

Il Guardiano del Divertimento sentì un brivido gelido risalirgli su per la schiena. C’era un solo essere capace di farglielo provare, escludendo Pitch e i suoi Incubi. Si voltò lentamente e sorrise nervoso ad una ragazzina poco più che tredicenne che sedeva su un grosso ramo di un albero secco, pochi metri dietro di lui. Dietro di loro si estendeva una spiaggia di sabbia bianchissima bagnata dalle deboli onde di un mare color acquamarina. Il cielo, che fino a poche ore prima era stato terso e illuminato dal bel sole di metà novembre ora era più scuro, ingrigito da lontane nuvole che promettevano pioggia, freddo e, da lì a qualche settimana, neve.

June era sempre la stessa. Piccola, bionda e riccioluta, abbronzata dal quel sole che picchiava forte ovunque lei andasse, portava sempre lo stesso abitino di cotone bianco, la solita coroncina di spighe di grano in testa, la solita faretra di frecce e il micidiale arco allacciati sulla schiena e il solito, inquietante –almeno per Jack-, sorrisino sul volto lentigginoso.

- Ehilà, June… - Jack deglutì. Ma guarda chi si vede…

Il sorriso di June si allargò, svelando due file di denti bianchissimi e un piccolo diastema al centro: - Ti stavo cercando! – esclamò entusiasta: - Ho sentito il vento raffreddarsi un sacco e tutti quei nuvoloni e ho pensato: il Ghiacciolino si degna di farmi visita! E ho visto giusto! – rise, saltando giù dall’albero e avvicinandosi a saltelli al Guardiano, che rimase immobile, irrigidendosi.

- Behhh… - iniziò Jack per poi interrompersi, cercando di riflettere. Oh cavoli, ma perché mi sono dimenticato che lei è qui?! - …Non è che sono venuto proprio a fare visita. Diciamo che è per lavoro. Sai, è ora di prepararsi per l’autunno! – In realtà sarebbe ora di prepararsi per l’inverno, ma fa niente…

Fu un solo istante, ma lo Spirito del Gelo comprese immediatamente di aver fatto un passo falso quando vide il sorrisino della ragazzina affievolirsi. A June non piaceva il cosiddetto ‘autunno’. Ella infatti ci teneva parecchio a quelli che amava definire ‘gli ultimi malinconici giorni d’estate’ durante i quali influenzava il tempo con tutto il potere di cui era capace, donando gli ultimi sprazzi di luce e calore alle terre che visitava prima di lasciare spazio al freddo, rigido inverno. Difficilmente perdonava coloro che rovinavano quei momenti.

- Aha. In effetti quei nuvoloni… – asserì June e sollevò lo sguardo al cielo, gli occhi chiari rivolti verso le grandi, scure nubi in lontananza, un sorriso dubbioso sul viso tondo. – Jack? –

- Si? –

- Lo sai dove siamo ora? – Jack parve rifletterci seriamente: - Vicino ad una spiaggia? – azzardò. June abbassò lo sguardo.

- Intendo geograficamente. Sai, città, regione, Stato, posizione rispetto all’Equatore? – Lo Spirito dell’Inverno già conosceva la risposta.

- …’Non è il mio territorio, non adesso’, d’accordo. – Alzò le mani in segno di resa: - Scusa, non lo faccio più. –

- In verità non l’hai fatto più neanche tre anni fa. – lo corresse June, una nota pericolosa nella voce. – E ne abbiamo parlato a proposito, all’epoca. –

- Uuuh, davvero? – chiese Jack. Poi, senza pensare, aggiunse: - Non sapevo che le tue frecce sapessero parlare. –

- Oh, cantano come degli usignoli, Gelatino. –

Sarebbe meglio dire che fischiano. Ma se preferisci dire così, cara la mia assassina nata, d’accordo... Jack vide la piccola mano dello Spirito dell’Estate spostarsi casualmente sulla nuca, pericolosamente vicino al bottoncino che teneva l’arco allacciato alla sua schiena. Cominciò a richiamare mentalmente il vento.

Tre…

- …Scommetto che ti sono mancate, perché altrimenti non saresti qui. –

…Due... uno…

Un forte vento freddo prese a spirare, scompigliando energicamente i capelli di entrambi e agitando l’orlo dell’abito della ragazzina. Ciò che seguì avvenne in poco più di un batter d’occhio.

…Via!

- D’accordo, ciao! – disse Jack sollevandosi da terra e lasciandosi trasportare in alto, sempre più veloce, sospinto dal vento che ringhiava furioso nelle sue orecchie e affievoliva lo strillo arrabbiato che June gli lanciò: - JACKSON OVERLAND FROST, STAVOLTA SEI FINITO! –

Una freccia dalle penne rossastre gli passò pericolosamente vicino all’orecchio sinistro, e una strana ondata d’aria tiepida gli sfiorò i piedi, informandolo che lo Spirito dell’Estate era partito al suo inseguimento.

- QUESTO L’HAI DETTO ANCHE TRE ANNI FA! – gridò Jack in risposta, accelerando. Quel pomeriggio prometteva di essere parecchio movimentato, si disse.

*

L’assurda caccia allo Spirito del Gelo si era estesa per tutto il continente europeo, per poi spostarsi lentamente verso est. Più di una volta Jack aveva rischiato di essere colpito (- Oh avanti, Frosty! Sto solo cercando di farti provare l’ebbrezza dell’amore a prima vista! – aveva gridato June in una di quelle occasioni.) e aveva colto ogni buona occasione per scagliarle contro correnti gelide e neve per distrarla, riuscendo così a farsi perdere di vista diverse volte (- Mi dispiace davvero, ma non mi sono mai piaciute le piovre! –). Ma, sfortunatamente per Jack, June era sempre riuscita a scovarlo prima che il giovane avesse il tempo di dileguarsi.

Nella sua fuga Jack aveva finito col trascinare lo Spirito dell’Estate su un terreno a lei sfavorevole: la Russia, terra di cui l’inverno e il gelo erano i sovrani incontrastati in quel periodo dell’anno.

Tuttavia, nonostante il clima avverso June non si era arresa, e l’inseguimento era continuato sempre più in direzione nord-est.

Ed era solo verso pomeriggio, e solo in Siberia, che aveva finalmente ceduto.

Jack lo capì subito quando, dopo essere riuscito a farsi perdere di vista ed essersi letteralmente buttato nella neve della foresta che stavano attraversando nel disperato tentativo di non farsi trovare, aveva udito un improvviso, sonoro starnuto da parte della ragazzina.

June tirò su col naso, borbottando tra sé qualcosa che Jack non riuscì a sentire nonostante fosse a pochi alberi di distanza, e si guardò intorno con un’espressione indispettita. Poi, dopo una pausa che a Jack sembrò un’eternità, rimise le frecce nella faretra, riallacciò l’arco sulla schiena e volò via.

Jack esalò un lungo, lento sospiro di sollievo. Salvo. Scivolò lentamente a terra e affondò nella neve candida, assaporando la gioia di non avere più marmocchi armati alle calcagna.

Almeno per il momento.

Rimase immobile per molti minuti, godendosi il silenzio assoluto di quel luogo e scrutando attentamente il cielo e gli alberi attorno a lui in cerca di altre forme di vita. Non era sicuro se June avesse effettivamente abbandonato il proposito di dargli la caccia, perciò aveva preferito essere prudente e non muoversi dall’improvvisato nascondiglio per un po’.

Fu allora che si accorse della fitta oscurità in cui era avvolta la foresta, rischiarata a malapena da un fiume di stelle che splendevano nel cielo terso. Anche la neve col suo candore aiutava a scacciare un po’ di quelle ombre.

Cavoli, mi hai tenuto occupato per tutto il giorno, eh? Si disse, rivolto a June. Chissà dov’era in quel momento. Jack sperò ardentemente che se ne fosse tornata nel suo amato Brasile.

Corrugò la fronte osservando quel paesaggio: era bellissimo, ma gli aveva fatto tornare in mente qualcos’altro. Qualcosa che si era ripromesso di fare quel giorno, prima che i suoi piani fossero sconvolti. Qualcosa di veramente importante.

Era la neve. Ah!

Si passò una mano sul volto, maledicendosi per la sua stupidità. Non ci aveva più pensato…

Chiuso per neve.

Si era ripromesso di andare a trovare un amico importante, quel giorno.

Chissà come sta Jamie.

*

Era già sera quando Jack arrivò a Burgess. Il giovane Guardiano aveva sperato di arrivare prima, magari di pomeriggio, per poter parlare con Jamie e magari uscire con lui e i suoi amici a fare a palle di neve. Ma a quell’ora probabilmente il ragazzino era già a letto.

Jack atterrò con un movimento fluido sul tetto coperto di neve di casa Bennett.

Era passato circa un anno da quando tutti i bambini del mondo erano tornati a credere nei Guardiani: un anno molto freddo in cui, sebbene fosse soltanto metà novembre, uno spesso strato di neve e ghiaccio già campeggiava sui tetti e sulle strade della cittadina, rifiutandosi di andarsene per settimane e causando così disagi e, per la gioia dei più piccoli, chiusura precauzionale delle scuole della zona.

Jack si avvicinò a passi felpati alla finestra della cameretta di Jamie, e si chinò a testa in giù a guardare oltre i vetri. Come si aspettava, le luci erano spente, e la camera era avvolta nel buio. Jack si sporse un po’ di più, cercando con lo sguardo la piccola figura del suo amico addormentato nel letto.

- Jack! – senza preavviso, la spettinata testa di Jamie sbucò dalla montagnola di piumini e coperte di lana, rivolgendo uno sguardo sorpreso verso la finestra. Il ragazzino saltò giù dal letto e si avvicinò alla finestra, emergendo dalla fitta penombra. Jack, sorpreso dal fatto che il bambino fosse sveglio, si limitò ad alzare entrambe le sopracciglia mentre Jamie armeggiava con la maniglia della finestra e aprirla per lasciar entrare il Guardiano.

- Hey, ancora sveglio a quest’ora? – Jack sorrise: - E’ tardi, sai? –

- Qui ha nevicato un sacco ultimamente, ti stavo aspettando. Entra! – rispose Jamie con un sorriso, e si fece da parte. Jack entrò nella stanza e si guardò intorno: non era cambiato niente dall’ultima volta che era stato lì. La cameretta era ancora piccola e accogliente come sempre, col soffitto basso, i poster sulle pareti e il fido robot giocattolo che faceva la guardia sul comodino accanto al letto.

- Sei sparito per settimane. – continuò Jamie, tentando di metter su un broncio offeso senza riuscirci: - Sei mancato a tutti, dov’eri finito? –

Jack si sentì un po’ in colpa: erano settimane che non si faceva vedere a Burgess e dintorni, anche se aveva inviato il freddo in sua vece.

- Mi dispiace tantissimo, è che abbiamo avuto un po’ di problemi. Niente di che. – mentì Jack con un’alzata di spalle. Il sorriso di Jamie si spense di colpo, e il bambino corrugò la fronte.

- Pitch? – chiese preoccupato. Il sorriso di Jack si fece un po’ incerto.

Colpito e quasi affondato. Pensò.

Jack si passò una mano sulla nuca, imbarazzato: non sapeva come spiegare la strana situazione in cui lui e i Guardiani si erano ritrovati. – Si, anche lui. – rispose lentamente con un mezzo sorriso, e alzò le mani quando vide lo sguardo di Jamie farsi più preoccupato: - Ma, ti dico, non è niente di che. Ci sono solo un mucchio di grattacapi da risolvere. – fece una pausa, poi scosse la testa: - Sarò onesto, quel tipo non smetterà mai di essere una fonte di guai. –

- Ma… è tornato? –

Jack scosse la testa: - No. –

Per un terribile istante Jack temette che il bambino non aveva creduto alla bugia. Più di una volta Jamie si era dimostrato incredibilmente bravo a capire quando qualcuno mentiva.

Perlomeno, questo valeva ogni qualvolta era Jack a mentire.

Per la gioia del Guardiano, Jamie sospirò di sollievo, poi continuò: - Senti, io e gli altri ci siamo messi d’accordo di uscire a fare a palle di neve quando saresti tornato. Vogliamo te come ospite d’onore. Hai abbastanza tempo anche per noi? – sorrise innocente, sfoderando i suoi migliori occhi dolci per cercare di convincerlo. Jack scosse appena le testa, ridendo: - Ovvio, che domande. Dimmi solo che abito devo indossare per l’occasione. –

Jamie rise, e si ributtò sul letto: - Oh, quello che hai addosso va benissimo. O qualunque altra cosa deciderai di mettere. – sorrise al soffitto.

I due rimasero in silenzio per qualche istante, ognuno sorridendo per conto suo, entrambi felici di essersi rivisti dopo tanto tempo. Poi Jack rialzò lo sguardo: non gli aveva ancora chiesto come stava. In fondo, era venuto lì soprattutto per quello.

- Tu, piuttosto. È quasi un mese che non ti vedo. Come te la passi? – il sorriso entusiasta di Jamie durò per qualche altro istante, prima di spegnersi di colpo. Con lo sguardo ancora fisso sul soffitto, convinto che il Guardiano non lo stesse guardando, Jamie corrugò leggermente le sopracciglia.

- Bene. – disse semplicemente. Rimase in silenzio per qualche istante, prima di risollevarsi ed accorgersi del fatto che Jack in realtà lo stava osservando attentamente, e che anche la sua espressione era cambiata, assumendo una sfumatura preoccupata.

Cercò di tornare a sorridere, ma la facciata non servì a nulla.

- Jamie… è successo qualcosa ultimamente? – chiese Jack con la fronte corrugata, alzandosi dal comodino su cui si era seduto e si avvicinò al bambino, sedendosi sul letto con lui. Jamie scosse la testa: - No, nulla. –

- Brutti voti a scuola? Qualche insegnante ti ha sgridato? – Jamie scosse di nuovo la testa – Hai litigato con qualcuno? –

Jack serrò le labbra, poi continuò: - Qualcuno ti maltratta?... –

A quella domanda spalancò leggermente gli occhi e si tirò indietro, scuotendo la testa con un’espressione di sconcerto così sincera che Jack si tranquillizzò un poco.

Tuttavia, ancora non capiva cosa non andava. Jamie parve capire i sentimenti contrastanti dell’amico, perché si affrettò a tranquillizzarlo: - Jack, non ti preoccupare. Non c’è nulla che non va. – esitò un attimo, poi alla vista dell’espressione un po’ dubbiosa dell’amico gli mise una mano sul braccio. – Davvero. – Insisté.

- E allora perché…? – Jamie sorrise, scuotendo appena la testa.

- Mi sei mancato, tutto qui. Avevo paura che ti fossi dimenticato di me! – scherzò. Jack sorrise: - Ah! Impossibile. –

Di nuovo silenzio.

- Jack. –

- Si, Jamie? –

Il ragazzino distolse lo sguardo dall’amico, esitando: - Senti… so che ora che sei un Guardiano sei sempre impegnato con tutti gli affari da Guardiani e col chiudere tutte le scuole per neve ma… posso chiederti un favore? –

Prima che il Guardiano avesse anche soltanto il tempo di rispondere, Jamie continuò: - Puoi rimanere qui per stanotte? –

Jack si bloccò.

- Ma certo. – sorrise.

Chissà cos’aveva Jamie, al punto da non volerlo confessare nemmeno a Jack, che era uno dei suoi migliori amici.

*

La notte era fredda a Burgess, e l’umidità proveniente dal bosco vicino la rendeva nebbiosa. Persino il vento, che per Jack era un amico, fischiava sinistro. Quella notte, le ombre nella cameretta di Jamie erano talmente dense da sembrare solide, quasi serpeggianti, come dotate di vita propria.

Quella notte Jack aveva paura. Aveva paura persino a chiudere gli occhi, nel timore irrazionale che una volta riaperti si sarebbe ritrovato di fronte a qualcosa di orribile.

Il giovane alzò lo sguardo e lo puntò oltre la finestra. Là, oltre la nebbia, il cielo nero era coperto di grandi nubi grigie, compatte e pesanti come una coperta di lana.

La notte era buia e là fuori, nascosti alla sua vista, gli parve di sentire le grida inumane degli Incubi che correvano liberi.

*

Ogni giorno al palazzo di Dentolina era un giorno di duro ed incessante lavoro.

Era impossibile trovare un istante di pace o silenzio tra le incantevoli mura dorate e gli ampi spazi ariosi del complesso di edifici che formava la dimora della Regina delle Fate. In ogni istante ogni camera, sala e corridoio erano percorsi da centinaia di minuscole fatine dei dentini indaffarate nel portare monete ai bambini e riportare indietro canini, incisivi e molari da catalogare e mettere accuratamente nel posto che gli spetta, in modo da trasformarli da semplici denti in preziosi custodi dei ricordi dei bimbi che li hanno persi. Era un lavoro molto importante, a cui Dentolina e tutte le sue fate avevano dedicato ogni istante della loro esistenza. Eccezion fatta per gli straordinari avvenimenti che hanno sconvolto il costante lavoro delle fate durante il più recente tentativo di conquista del mondo da parte dell’Uomo Nero, nessuna fatina aveva mai fatto errori, mancanze o ritardi sulla raccolta dei denti.

Mai, fino a quel giorno.

Quel pomeriggio, Dente da Latte era tornata in ritardo, portando con sé brutte notizie: aveva perso Molare Sinistro, con cui era uscita a prelevare i dentini. Era rimasta ad aspettarla per interminabili minuti prima di essere andata a cercarla, ma era già in ritardo e, sperando che la piccola amica in un vuoto di memoria si fosse semplicemente dimenticata dell’appuntamento che le due si erano fissate, che fosse tornata a palazzo senza di lei. Ad accoglierla aveva trovato una Dentolina con un’espressione ansiosa, che tuttavia aveva cercato di rassicurarla dicendo che era sicuramente in ritardo, e consigliandole di rimanere a palazzo senza tuttavia spiegarle la ragione. Preoccupata dallo strano comportamento di Dentolina, Dente da Latte si era limitata ad ubbidire.

La notizia di Dente da Latte non era stata l’unica di quel giorno per Dentolina. Ne aveva ricevute altre, portate da altre fatine che avevano notato l’inspiegabile assenza di alcune compagne.

Una, due, tre, quattro… dodici. Dodici fatine, forse di più, assenti da ore, scomparse nel nulla.

Il ricordo del loro rapimento, quello ad opera di Pitch, aleggiava ancora nitido nella memoria di Dentolina. Le loro grida terrorizzate ancora infestavano i suoi sogni le rare volte che si addormentava.

Dentolina si tormentò nervosamente le belle mani e le sottili braccia piumate, cercando di contenere l’ansia che saliva incontrollabile.

Sono in ritardo. Sono soltanto in ritardo. Magari si sono perse. Cercò di zittire i suoi stessi pensieri, perché quel ‘magari si sono perse’ aveva immediatamente seguito altre ipotesi, una più macabra dell’altra.

Torneranno. Ma in cuor suo sentiva che non era così.

Forse doveva calmarsi, ragionare, forse il suo presentimento non era altro che un’inutile preoccupazione. Forse era meglio concentrarsi sul suo lavoro. O forse era meglio fare qualcos’altro.

Avvisare gli altri.

Si.

Avrebbe causato dell’agitazione inutile, lo sapeva, ma il pensiero non era abbastanza da costringerla a fermarsi e cercare di calmarsi. All’improvviso sussultò, e gonfiò tutte le piume.

Aveva sentito qualcosa.

Trattenne il respiro, e gli occhi ametista saettarono in alto, soffermandosi sulle belle cupole d’oro e madreperla che formavano i tetti del suo palazzo e poi più in alto, verso la spoglia pietra della grande caverna aperta che ospitava il suo palazzo.

Quella era l’unica parte della sua dimora dove la luce del tardo pomeriggio non arrivava, tuttavia l’oro delle cupole ne rifletteva abbastanza da illuminare a sufficienza anche quella zona.

Dentolina esaminò nervosamente le vaghe ombre che venavano il soffitto e si intersecavano con la luce riflessa che le sbiadiva, ma non notò nulla di sospetto.

Forse è solo una mia impressione. Mi sto immaginando le cose, si. Si disse, ma quel pensiero non riuscì a convincerla. Aveva ancora la pelle d’oca.

All’improvviso qualcos’altro si mosse appena fuori dalla sua visuale, costringendola a guardarsi di nuovo nervosamente intorno. Sopra di lei non c’era nulla. Ma c’era qualcosa sotto.

Abbassò lo sguardo.

Diversi metri sotto i suoi piedi, sotto i basamenti degli edifici dorati, in corrispondenza del lago con la parete affrescata che rappresentava la Regina delle Fate e le sue piccole assistenti intente a raccogliere i dentini di tutti i bimbi della terra, le parve di vedere qualcosa di insolitamente scuro che si muoveva. Decise di scendere a controllare.

Il sole del tardo pomeriggio inondava di calda luce dorata quel piccolo angolo di paradiso che era il giardino del palazzo. I raggi illuminavano l’aria resa polverosa dalla polline dei grandi e coloratissimi fiori del posto, donando al luogo un’aria calda ed accogliente, poi rimbalzavano sulle verdi foglie degli alberi e si tuffavano nell’acqua cristallina del laghetto, andando infine ad illuminare, dal basso, il grande affresco sulla parete di granito giallastro con chiari riflessi azzurrognoli.

Dentolina, sollevata in aria a una decina di centimetri dall’acqua, si guardò attentamente attorno: non c’era nulla nemmeno lì. Forse si era davvero immaginata tutto.

- Buon pomeriggio, Guardiana. – disse una voce femminile.

Dentolina si bloccò, e si voltò di colpo.

A pochi metri da lei, sulla sponda del laghetto, una donna dal viso pallido e i lunghi capelli color cenere la osservava con pacifico, genuino interesse.

Sebbene l’avesse incontrata una sola volta nella sua vita, e per giunta in circostanze tutt’altro che tranquille, Dentolina la riconobbe all’istante.

Crysis.

La fata serrò le mani, pronta ad evocare le sue spade cariche di magia, ma alla vista del suo atteggiamento improvvisamente ostile Discordia si limitò a scuotere appena le testa e sorridere leggermente: - Non sono venuta per combattere, Guardiana. Solo per chiedere il tuo aiuto. –

Dentolina strinse gli occhi, evocando le sue spade: - E cosa ti fa credere che io te lo voglia dare? –

- Perché è il tuo compito aiutare le persone quando devono fare delle scelte difficili. – prima di dare alla Fata del Dentino il tempo di fare alcunché, Crysis indicò con un vago gesto sopra di sé.

In alto, molti metri sopra le loro teste, qualcosa esplose. Dentolina sentì una serie di boati avvolgere in pochi istanti il palazzo e, con esso, le lontane grida terrorizzate delle sue fatine. Il rumore si fece più intenso, talmente forte da costringere la fata a portarsi entrambe le mani alle orecchie per evitare danni all’udito, e guardarsi attorno spaventata.

Il tutto durò pochi secondi. Il rumore scemò di poco, trasformandosi nelle urla degli Incubi, e tutta la calda, bella luce solare venne risucchiata da un’orda di esseri mostruosi dai luminescenti, piccoli occhi rossi.

E sul bel giardino del palazzo, che fino ad un istante prima era illuminato dalla calda ed accogliente luce del tardo pomeriggio, calò improvvisamente una notte illuminata da inquietanti stelle color cremisi. Ad un cenno di Crysis gli strilli acuti delle creature scemarono rapidamente, lasciando solo un fioco fruscio di sottofondo.

La fata abbassò lentamente le mani armate, e si guardò attorno, spaventata e confusa. Il suo primo pensiero andò alle sue fatine.

Per favore per favore per favore, ditemi che state tutte bene…

- Che cosa hai fatto?! –

- Nulla di particolare. – rispose Crysis: - Ho ordinato di isolare la tua dimora e di catturare eventuali fuggiaschi. Voglio parlare con calma e, se possibile, farlo a quattr’occhi. Senza l’intervento degli altri Guardiani. –

La fata non impiegò molto a capire che era in trappola. In trappola e –almeno a giudicare dal numero di Incubi che presenziava quel loro colloquio, abbastanza da arrivare ad oscurare la luce del sole- in netta inferiorità numerica e senza nemmeno la possibilità di lanciare l’allarme, anche se forse l’ultima opzione non era da escludere. Il problema restava come riuscirci senza far andare il tentativo a vuoto ed esporsi –lei e tutte le sue piccole aiutanti- ad un pericolo maggiore.

Dentolina ispirò e chiuse per un istante gli occhi, cercando di ritrovare la calma. Crysis non voleva combattere. Non si doveva arrivare a uno scontro. Ma non si poteva nemmeno lasciar correre. Impiegò quel poco tempo a disposizione per cercare di percepire tutte le presenze delle fatine intrappolate nel palazzo: nonostante la paura che provavano in quel momento, erano tutte sane e salve. Riaprì gli occhi, tornando a concentrarsi sull’avversaria.

- Che cosa vuoi da me? –

Ad un cenno impercettibile di Crysis, uno degli Incubi si staccò dall’orda che serpeggiava nell’aria e si posò accanto a lei: era grosso, e somigliava vagamente ad un varano gigante. Aveva una testa larga e piatta e il lungo collo presentava un enorme gozzo semitrasparente, attraverso la cui pelle smagliata e parzialmente coperta di scaglie si intravedeva un gran numero di puntini color acquamarina che si agitavano disperati, emettendo degli squittii familiari.

Dentolina sbarrò gli occhi.

Quelle erano le sue fatine scomparse.

Crysis sorrise di fronte alla reazione della fata: - Le avevo prese come assicurazione, nel caso la mia visita non fosse andata a buon fine. Ovviamente, se mi ascolterai e farai ciò che ti dico, farò la brava e ti restituirò le tue aiutanti, vive e vegete. –

Certo, come no. avrebbe voluto urlare Dentolina. Voleva lanciarsi sulla donna, farle più male possibile.

Ma non poteva. Aumentò la stretta sull’impugnatura delle sue spade, sforzandosi di apparire più calma possibile.

- Voglio le mie memorie. –

Dentolina strinse gli occhi: - Perché? –

L’altra inclinò di poco la testa, e mosse qualche passo verso la sponda del laghetto: - Ci sono cose che devo sapere. – rispose semplicemente.

Non ricordi il tuo passato? Dentolina non si azzardò a fare quella domanda. Tuttavia quella era l’ipotesi più probabile.

Il compito di Dentolina era conservare i ricordi più felici dell’infanzia. Quei ricordi che permettevano, da adulti, di fare le scelte migliori.

Che significa?...

Ma la fata al momento non aveva altra scelta che ubbidire, e così fece. Seguita dallo sguardo attento di Crysis e degli Incubi, si alzò in volo diretta verso una della zone del palazzo in cui custodiva gli scrigni. Nel breve tragitto si assicurò che ogni fatina che incontrava fosse effettivamente sana e salva, e rispose con uno sguardo di avvertimento ai loro fiochi cinguettii e alle loro domande inespresse.

State buone, non date a nessuno una scusa sufficientemente valida per attaccare, tenetevi pronte ad un’eventuale fuga appena trovate il modo. Dobbiamo assolutamente avvertire gli altri.

Seguita anche dagli sguardi delle sue piccole aiutanti, si diresse verso la parte inferiore di uno degli edifici, dove venivano custoditi alcuni degli scrigni più vecchi e, dopo una breve ricerca, ne estrasse uno. Al suo ritorno nessuna fata vide a chi apparteneva quella piccola scatolina dorata che Dentolina teneva stretta al petto, ma il mistero venne risolto quando la videro porgere con mani esitanti a Crysis.

Discordia prese il piccolo manufatto contenete i suoi dentini e lo osservò attentamente. Dentolina rimase rigida ed immobile di fronte alla donna, le labbra strette in una sottile linea preoccupata.

Ti prego vai via, vai via vai via!

- Hai le tue memorie, ora. – disse, trattenendo a stento un tremito nella voce e lanciando l’ennesima occhiata preoccupata alle fatine intrappolate nel gozzo dell’Incubo, che ora sedeva tranquillo accanto a Crysis: - Ora libera le mie fate e vattene. - 

Crysis alzò lo sguardo sulla Guardiana.

- Oh, non credo proprio. – mormorò a mezza voce.

- Cos...? – ma Dentolina non ebbe il tempo di reagire che l’Incubo con il gozzo emise un basso ululato stonato, causando così la reazione di tutti gli altri. Centinaia di mostri fatti d’ombra e fumo emersero dal muro nero che isolava il palazzo dal resto del mondo, e molti di essi si gettarono su Dentolina.

- NO! – prima ancora di rendersi conto di ciò che stava succedendo la fata si ritrovò spinta indietro, il braccio armato -aveva a malapena avuto il tempo di richiamare nuovamente le sue spade- teso in avanti e la sottile spada magica affondata fino all’elsa nella gola del primo Incubo che si era gettato contro di lei, e che nonostante ciò la spinse in avanti di diversi metri prima di indebolirsi, permettendo a Dentolina di estrarre la lama e sfuggire dalla presa dell’essere prima che questi si schiantasse contro il muro affrescato, dissolvendosi.

Dentolina non ebbe il tempo di vedere cos’era successo all’Incubo che già un altro l’aveva attaccata con successo, graffiandole il braccio e costringendola alla difesa.

Ma non era il solo. Un’altra ventina di mostri circondarono la fata, costringendola a formare uno scudo di energia magica attorno a sé. Era un tipo di magia che richiedeva molta forza, e Dentolina sapeva benissimo che non poteva usarla spesso. Approfittando della capacità elettrificanti dello scudo sfuggì dall’orda che l’aveva circondata, ma questa la seguì senza darle tregua. Dentolina sapeva che combatterli era una follia: l’avrebbero sopraffatta. Doveva trovare Crysis, e ingaggiare battaglia direttamente con lei. Se avesse costretto il capo alla ritirata, gli altri l’avrebbero seguita.

Ma Discordia era sparita.

Dove sei?

Nella sua testa, mescolate alle urla degli Incubi, al cuore che sembrava pulsarle direttamente nelle orecchie e il suo stesso panico, sentiva anche le grida e la paura delle sue fatine, impegnate a sfuggire o contrastare l’esercito di mostri che le aveva attaccate senza preavviso. Molte erano già sfuggite dal suo radar mentale.

Le stanno catturando?! Pregò che fosse solo quello. Il pensiero che la loro improvvisa scomparsa significasse qualcos’altro la terrorizzava. Doveva trovare un modo per salvarle, e doveva farlo in fretta.

Non poté distrarsi ulteriormente: lo scudo esaurì il suo effetto protettivo e si dissolse, e Dentolina si ritrovò di nuovo indifesa.

Stavolta non ebbe nemmeno il tempo di alzare la guardia che una delle creature le era già addosso con le fauci spalancate, e strinse le mascelle d’acciaio sul suo esile braccio. Dentolina urlò di dolore, e cercò di liberarsi affondando la spada libera nel corpo d’ombra e fumo della creatura. Non seppe dire se l’attacco fosse andato a buon fine o meno: nel giro di quei pochi secondi di distrazione venne sopraffatta da un’altra decina di Incubi che la immobilizzarono completamente con le loro forti zampe e i loro corpi roventi, accecandola con quello che sembrava essere un velo d’ombra.

Dentolina si accorse con qualche secondo di ritardo di essere completamente immobilizzata e privata della vista, e che da quel momento l’unica cosa rimasta a dirle che era ancora nel suo palazzo e non in qualche anfratto del mondo delle tenebre era l’udito, che le rimandava gli echi del caos della battaglia che infuriava.

Dopo un istante, la fata si lasciò sopraffare dal panico.

Calmati. Cerca di calmarti. Devi pensare. Ma non si riusciva. Non nella situazione in cui si trovava.

- CHE COSA HAI FATTO? – urlò al buio che la circondava, senza riuscire a reprimere il panico. Gli Incubi fremettero al suono della sua voce tremante, e strinsero Dentolina in una presa ancora più soffocante, sentendo in risposta il suo panico aumentare ulteriormente.

Sebbene appena sussurrata, la voce di Crysis arrivò chiara alle sue orecchie. Non riuscì a capire esattamente da dove provenisse, probabilmente dal basso, forse esattamente dove Dentolina l’aveva lasciata.

- Mi servi anche tu, Guardiana. – disse Discordia. - Il tuo potere è pericoloso. Non posso lasciarti libera. –

Dentolina tentò di divincolarsi, ma non riuscì a muoversi di un millimetro. La forza della presa degli Incubi aumentò. E all’improvviso, nonostante l’adrenalina, il panico e i muscoli tesi, si sentì mancare le forze. Il suo corpo si afflosciò contro la sua volontà contro i mostri che la tenevano ferma, mentre uno strano dolore sordo si insinuò nel suo petto. Anche l’udito si affievolì rapidamente, trascinandola nel silenzio. L’ultima cosa che sentì fu la gentile, rassicurante carezza di una mano calda.

Poi la sua coscienza venne trascinata in un abisso nero.

*

Akron, Ohio.

Il lavoro di Sandman era cominciato da poche ore in quella zona. Centinaia di scie di sabbia magica percorrevano i cieli della città portando bei sogni a tutti i bambini, o almeno tutti quelli i cui Sogni non sono ancora stati Maledetti.

Sottili, lunghissime scie di scintillante sabbia magica ondeggiavano lentamente simili a giganteschi, pacifici serpenti. Alcune erano larghe e lunghe, altre più sottili, altre ancora si biforcavano o contorcevano in mille spirali, e tutte insieme tracciavano infiniti disegni, ghirigori ed arabeschi sullo sfondo del cielo nero, punteggiato qui e là da rade nuvolette e minuscole stelle della notte senza luna.

Quella sera Sandy non era solo. Si era ritrovato a svolgere il suo lavoro in compagnia dell’essere più improbabile di quella metà di globo, considerando lo spesso strato di candida neve che copriva la città: June Warmwind. La giovane aveva indossato un piumino azzurro sopra il solito abito estivo per coprirsi dalle temperature quasi polari, aggiungendovi dei leggings di lana rossa e degli stivaletti pelosi. A giudicare dall’abbigliamento, pensò Sandy, era un po’ che girava da quelle parti.

Guarda che se cerchi Jack, Burgess è nello Stato accanto. Aveva detto all’improvviso il Guardiano, intuendo la ragione per cui June si era avventurata in un luogo del genere in un periodo che non fosse estate.

Per tutta risposta, lo Spirito aveva alzato le spalle: - Oh, lo so. L’ho cercato lì infatti. Ma dopo la Siberia Ghiacciolo-Man è letteralmente evaporato e io mi sono stancata di giocare ad acchiapparello. – aveva poi distolto lo sguardo, improvvisamente interessata alle luci della città dormiente e le eleganti scie di sabbia magica ed evitando così l’occhiata tra il rimprovero e l’interesse che Sandy gli lanciò, combattuto tra il Ah, quindi sei davvero tornata a tormentare quel poveretto? E il Che c’entra la Siberia adesso?

I due non si dissero molto. June sembrava stranamente pensierosa, e si limitò a seguire Sandy e osservarlo svolgere il proprio lavoro. Ma, dopo un’ora e mezza di silenzio, qualcosa giù in città catturò l’attenzione del giovane Spirito.

- Sandy. Hey, Sandy! – Sandman distolse lo sguardo dalle sue scie e, seguendo il gesticolare agitato di June, aveva abbassato lo sguardo verso gli edifici, diversi metri sotto di loro. All’inizio non notò nulla di particolare, ma poi li vide. Due figure scure, così tanto da potere essere scambiate per ombre. Si muovevano rapide e leggere, come se non avessero un corpo solido.

Incubi.

- Che… che dici, li seguiamo? – chiese June titubante, seguendo con lo sguardo gli esseri che apparivano e scomparivano nel buio delle strade, strisciando sui muri. Eccoli, si disse Sandy, sempre a rovinare il mio lavoro. Corrugò la fronte, arrabbiato. Ovvio che li seguiamo. disse e, prima di dare a June il tempo di comprendere il messaggio, scese con la sua nuvoletta, fruste pronte per ogni evenienza.

Nonostante l’illuminazione dei lampioni, l’oscurità sembrava più fitta del normale. Era un effetto secondario dato dal passaggio degli ex scagnozzi di Pitch, Sandy lo sapeva bene. Ma i due Incubi erano scomparsi, e Sandy non sapeva nemmeno dove fossero andati. June era a pochi passi dietro di lui, e aveva sfoderato arco e frecce e si guardava nervosamente attorno.

Tuttavia, nulla emerse dal buio per attaccarli.

- Forse se ne sono andati? – disse la ragazzina, rilassandosi appena. Sandy non sapeva come risponderle. Poteva essere vero, poteva non esserlo.

Ma i nemici erano comunque spariti. Forse avevano semplicemente finito il loro lavoro.

Sandman fece un cenno a June. Vieni con me.

I due si ritrovarono ad entrare in diverse case, controllando che i sogni di tutti fossero a posto, e Sandy scoprì che non c’erano incubi in quella zona. Strano, si disse, che ragione avevano degli Incubi per girare furtivi in mezzo alle case se non per portare paura e brutti sogni?

Entrarono in un’ultima casa per accertarsi che fosse veramente tutto a posto, e fu lì che Sandy si accorse di qualcosa di insolito.

- Wow, guarda che roba. Scommetto che questo qui crede nell’esistenza di mister Pipistrello. – disse June, chinandosi ad osservare un’enorme tarantola rinchiusa in una teca di vetro, comodamente seppellita sotto un sottile strato di ghiaia, con le sole quattro paia di occhietti neri a segnalarne la presenza. Poi si rialzò, e rivolse lo sguardo al letto occupato da un ragazzino da corti capelli castani e le lentiggini che non dimostrava più di quattordici anni, e infine lo spostò sulla stanza: - Voglio dire, guarda un po’ questa stanza. Sembra gridare ‘Hey, Pitch, sono qui. Se ti capita di passare da queste parti fermati da me che ci facciamo una partitina a Dead Space e magari mi chiarisci una volta per tutte se i marziani stanno veramente preparando un piano per la distruzione della terra perché sai, col mio mini telescopio da qui non riesco a capirlo. E lasciami un incubo di quelli tosti, magari sugli alieni, così ho qualcosa di superspaventoso da raccontare domani ai miei amici’. No? – si mise le mani sui fianchi e alzò un sopracciglio, percorrendo la cameretta con lo sguardo.

Era tappezzata di poster di film su alieni, zombie, Godzilla e altri mostri, interrotti qui e là da disegni di costellazioni, ufo e simboli che June non comprese. I tre alti scaffali di legno scuro erano pieni di quaderni, libri di scuola scarabocchiati e alte pile di fumetti e videogiochi. Non tutti però avevano come protagonisti gli alieni, notò la ragazzina.

- …Ma Alien VS Predator non è un film vietato ai minori di diciotto anni? – chiese June, notando un poster nascosto dietro una pila di libri: - Sandy? –

Ma il Guardiano non la ascoltava. Sembrava stranamente interessato al sogno che il piccolo stava facendo. June si chinò ad osservare: nemmeno quello aveva a che fare con gli alieni. Volteggiava e si contorceva in spirali incomprensibili, per poi trasformarsi in draghi e cavalieri in armatura e mantello e castelli e sconfinate terre di sabbia dorata.

- Hey Sandy, qua sembra tutto a posto. – insisté June, facendo sussultare l’altro. Per una qualche ragione che la ragazzina non comprese, Sandy si voltò e la fissò per un istante, poi sul suo viso paffuto si allargò un sorriso radioso e lo Spirito dei Sogni strinse June in un abbraccio spaccaossa. – Whoa! – esclamò lei senza comprendere, sentendo tutta l’aria uscire dai polmoni compressi: - Calmo, calmino. Non è poi un sogno così speciale, eh. – ma Sandy scosse la testa, cercando di spiegare. Quel sogno era speciale, eccome. Era uno dei sogni Maledetti, ma non era più pallido e spento come al solito. Era luminoso, pieno di energia, e ubbidiva alla volontà del Guardiano. Era tornato normale. La domanda ora era scoprire come era tornato normale, ma sentiva che avrebbe trovato la risposta presto. Ne era certo.

June osservò il susseguirsi di forme di sabbia sulla testa di Sandy senza capire né la spiegazione né il suo improvviso entusiasmo. Ma, intuì, forse la cosa aveva a che fare con lo strano problema con cui i Guardiani sembravano avere a che fare da un po’ di tempo a questa parte.

- Uuh, c’entrano gli Incubi Grigi? – azzardò, una volta libera dalla presa di Sandy. L’altro corrugò le sopracciglia, formando un punto interrogativo sopra la sua testa: come lo sapeva?

- Dentolina. E il Ghiacciolino. Mi avete chiesto informazioni su certe anomalie che avete incrociato ultimamente, ricordate? – Sandy annuì: già, ricordava che Dentolina aveva nominato June l’ultima volta che avevano deciso di andare a caccia di informazioni presso gli Spiriti Minori.

- Ma alla fine l’Uomo Pipistrello centra qualcosa? – aveva continuato lei con un cenno della testa, riferendosi a Pitch.

Sandy annuì. Abbastanza.

June annuì: - Hm. Beh, qualunque cosa abbia scoperto, meglio avvertire i Guardiani, giusto? – sorrise.

Giusto.

Uscirono insieme dalla casa, e lì trovarono una nuova, assai meno piacevole sorpresa: il cielo stellato era percorso la lunghissime scie di eterea luce verde, dalle belle sfumature cangianti, che solcavano l’aria simili a onde spettrali.

Era l’Aurora Boreale.

Emergenza.

Senza riflettere, Sandy richiamò una gran quantità di sabbia attorno a sé e, con pochi fluidi gesti, formò un ufo dorato e saltò a bordo.

- Posso venire anch’io? – chiese June, eccitata dall’improvvisa iperattività del Custode dei Sogni. Ma, con sua immensa delusione, Sandy scosse la testa con espressione grave.

No. disse. È meglio che torni a casa, e ti metti al sicuro. È la cosa migliore da fare.

- Uffa. – Il Brasile era sicuramente un posto più tranquillo del Polo Nord. Troppo, per i gusti di June.

La ragazzina vide Sandy chiudere il portellone del mini-ufo e partire, più silenzioso e rapido di qualunque altro oggetto volante non identificato, sparendo in breve tempo oltre la linea dell’orizzonte.

June rimase per qualche secondo sospesa a mezz’aria, con lo stesso broncio offeso con cui Sandy l’aveva lasciata.

Poi sorrise.

Certo che i Guardiani avevano una gran faccia tosta a chiedere il suo aiuto e poi non permetterle di renderla partecipe di qualunque cosa stesse succedendo in quel momento. Seppur in minima parte, la giovane era stata coinvolta, e aveva il diritto di sapere.

Richiamò i venti più potenti che era capace di comandare.

Hah. Non mi lasci certo qui, caro il mio Omino dei Sogni.

*

Jack si ritrovò ad osservare il lento oscillare della spettrale luce dell’Aurora Boreale con le mani poggiate sui vetri della finestra della cameretta di Jamie, le dita leggermente tremanti e un nodo alla gola che non riusciva a sciogliere.

Era successo qualcosa.

Piegò le dita e le strinse in pugni, combattuto. Non voleva andarsene. Jamie dormiva tranquillo, e apparentemente  –nonostante i presentimenti di Jack- a Burgess era tutto a posto. Non c’erano Incubi in città.

Ma aveva anche promesso a Jamie di rimanere per la notte, e anche il giorno dopo. Si era promesso di rimanere e giocare a palle di neve con lui e i suoi amici, e anche di scoprire perché Jamie era così giù.

Strinse le labbra in una linea sottile.

Non poteva certo ignorare il suo dovere di Guardiano, soprattutto quando questo chiamava. Poi, senza realmente comprendere cosa stava facendo, aprì piano la finestra e uscì. Rimase ancora un secondo ad osservare il bambino che dormiva serenamente nel suo letto, ignaro di ciò che stava succedendo.

- Tranquillo, Jamie. Tornerò prima dell’alba. –

Poi, con un movimento fluido di buttò nel vuoto e si lasciò prendere dal vento, che lo trasportò in alto, leggero come una foglia, diretto verso il Polo Nord.

 

 

 

-+-

HOLD ON RIGHT THERE SON *modalità coach Oleander attivata. Possibili cambiamenti di personalità inclusi* Ehm. In teoria dovrei scusarmi di esistere prima, ma a quello ci pensiamo dopo, yes?

GUARDATE QUESTI:

http://lombaxlover.deviantart.com/art/Dance-with-the-Devil-351665067

http://lombaxlover.deviantart.com/art/Echoes-364141589

LI HA FATTI LOMBAXLOVER. DELLE FANART DI CRYSIS. PER ME. DELLE FANART DI CRYSIS.

OMG. *muore di nuovo* donna, io non merito così tanto. No sul serio. No, non io.

SE AVERE UN ACCOUNT SU DEVIANTART, ANDATELA AD ADORARE, OKIE? E anche se non ce l’avete, andatela ad adorare un casino lo stesso. Non me ne frega. AASKANDSNFAKMISENTOTROPPOAMATANONMERITOTUTTAQUESTAFELICITAAAA*delirio totale*

Uhm.

Tornando sul mio pentimento di essere nata, si. Torno nella mia buca della vergogna. Se avete una pala e passate dalle mie parti seppellitemi pure, se vi va.

Ecco, ho finito. Adieu! *sighsobsniff*

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Capitolo 13
*** In cui va tutto all’Inferno ***


Yuk yuk (?) guardatemi, son tornata alla carica con le mie cavolate. Perdonatemi infinitamente per il ritardo e per questo capitolo (ugh, ma perché niente di quel che faccio mi va bene ultimamente…) ma sono sommersa da studio, esami, blocchi di scrittore, artista e varie ed eventuali. Buona lettura ma in verità anche no (??)

 

XIII: In cui va tutto all’Inferno

 

 

Suppongo

Che questa sia stata la peggiore delle cose che tu abbia mai fatto

Vecchio amico mio.

*

In millenni di vita ed esperienza, Calmoniglio aveva imparato a credere ciecamente in una cosa soltanto: il suo istinto.

Non che non si fidasse dei propri compagni, ma aveva sempre preferito dare la priorità a quella vocina nella sua testa che gli consigliava sempre quella che era sempre sembrata la soluzione migliore.

Quella mattina Calmoniglio si era risvegliato con un orribile presentimento.

Sentiva fin nelle viscere che stava per succedere –o forse era già successo- qualcosa di terribile. Voleva controllare, assicurarsi che gli altri stessero bene, ma il suo orgoglio e la ragione l’avevano tenuto a freno. In fondo, quella giornata si era svolta come tutte le altre: noiosa, piena di impegni –da quando era diventato uno di loro, Jack Frost aveva preso l’abitudine di fargli qualche improvvisata e aiutarlo con la pittura delle uova. Per quanto le sue opere finissero sempre inevitabilmente con l’assomigliare con qualche orribile dipinto di qualche artista post moderno, Calmoniglio aveva sempre apprezzato le sue visite, la sua compagnia e il suo aiuto-, con nessuna visita da parte di nessun collega Guardiano e soprattutto non era arrivato alcun tipo di comunicazione alla Tana che richiedesse la sua presenza, e l’ultima cosa che il Pooka voleva era fare la figura dell’ansioso o dello stupido.

Solo alla fine della giornata aveva finalmente deciso di dare ascolto ai suoi presentimenti, anche se aveva continuato a trattenersi. Aveva scelto il Guardiano che meno di tutti si sarebbe accorto della sua preoccupazione, questo in parte a causa del suo carattere troppo distratto ed entusiasta, e in parte a causa del suo lavoro, che richiedeva troppa attenzione per notare altro, e quindi gli avrebbe permesso di controllare che tutto fosse a posto senza fare domande potenzialmente imbarazzanti: Dentolina.

Il palazzo della regina delle fate era buio e silenzioso, e sembrava ancora più grande del solito. Calmoniglio attraversò a passi lenti e felpati una delle grandi sale, boomerang in una zampa e uova esplosive nell’altra, entrambi pronti ad essere lanciati contro potenziali aggressori nascosti nell’oscurità, troppo fitta per convincere l’istinto del Pooka che fosse tutto a posto. Ma Calmoniglio sapeva che in quel buio non c’era nulla.

I nemici se n’erano andati da un bel pezzo.

Aveva capito tutto nell’istante in cui, ancora dentro le sue gallerie, si stava avvicinando al palazzo, in cui aveva dato una prima annusata all’aria e aveva percepito l’oscurità accarezzare le sue vibrisse, in cui il suo fine udito aveva sondato per la prima volta l’avvolgente, anomalo silenzio di quel luogo, che era sempre stato immerso nella luce del sole e nel musicale brusio di migliaia di piccole, indaffarate fatine. Lo sapeva, anche quando si era precipitato a chiamare la Guardiana a gran voce, a cercare lei o almeno una delle sue aiutanti in giro per il palazzo, solo per scoprire scrigni di dentini mancanti, alcuni spezzati e dal contenuto sparso per terra, pochissimi ancora a posto, e i segni di battaglia, al cui tocco aveva sentito tutti i peli della nuca rizzarsi in modo fastidioso.

Lo sapeva.

L’hanno presa. Hanno preso tutto. Questo luogo puzza di oscurità fin nei ripostigli.

Perché non aveva ascoltato prima il suo istinto?

Oh Dentolina, ti prego, dimmi che sei ancora viva, dimmi che stai bene ti prego ti prego ti prego. Ma era ovvio che non era così. Gli Incubi avevano preso lei, le sue fate, i dentini, e nessuno si era accorto di nulla.

Sapeva di dover correre più veloce di quanto le sue stesse zampe erano in grado di andare, avvertire i suoi compagni, perché non poteva lasciar correre.

Così fece.

Digrignò i denti, aumentò la presa sui boomerang e batté due volte la zampa per terra.

Il suo istinto gridava ancora al pericolo, e fu solo quando una delle sue gallerie si aprì al suo comando che comprese il perché: dal tunnel provenivano dei guaiti lontani, parzialmente distorti dall’eco. E l’odore di terra era mescolato a qualcos’altro, un odore che il Guardiano della Speranza detestava.

Odore di Incubi. Odore di pericolo.

Erano lì, nelle sue gallerie, ed erano in molti, li percepiva chiaramente dispersi a macchia di leopardo per i tunnel, pronti a ricevere il segnale per attaccare. Aspettavano lui.

Quando sono arrivati? Avrei dovuto percepirli. Sono troppi per poter passare inosservati…

Niente poteva entrare o uscire dalle gallerie senza che Calmoniglio se ne accorgesse.

Ma allora come…?

Ma quella domanda era destinata a rimanere senza risposta. Calmoniglio si sporse ad osservare oltre il buio del tunnel, sentendo gli ululati e la sua stessa adrenalina salire di pari passo. I suoi tunnel, suo unico mezzo di trasporto, sono stati invasi.

Era in trappola.

Ma doveva avvertire i suoi compagni, farlo subito, si disse, e apparentemente Dentolina non sembrava avere altri metodi di comunicazione a parte lei stessa e le sue fatine. Realizzò di non avere altra scelta.

Fece un piccolo passo indietro, un respiro profondo, e con un movimento fluido saltò dentro.

Non importava quanto e quanto forti fossero i nemici. Avrebbe combattuto, li avrebbe sbaragliati tutti.

I suoi compagni Guardiani erano in pericolo, e non poteva abbandonarli.

*

Sandy si poté godere soltanto qualche minuto di viaggio sul suo mini ufo, prima che il silenzio –interrotto soltanto da qualche bip della consolle dei comandi- dell’abitacolo venisse interrotto da un tonfo sordo.

Il Custode dei Sogni sobbalzò e si voltò, solo per ritrovarsi a fissare un’agitatissima June che, schiacciata contro il vetro giallastro del mezzo, gesticolava freneticamente.

Accelera. AcceleraacceleraACCELERA!

Guidato da uno strano sospetto, Sandy lanciò un rapido sguardo oltre lo Spirito sdraiato a mo’ di mosca spiaccicata sul parabrezza e comprese subito la ragione del suo panico.

Incubi.

Erano piuttosto lontani, ma si stavano avvicinando rapidamente, estendendosi sulla linea dell’orizzonte e formando una fila compatta. Puntavano tutti al piccolo ufo dorato.

Sandy non avrebbe saputo dire quanti fossero esattamente, ma sembrava essere un gruppo abbastanza nutrito da dargli del filo da torcere: forse un centinaio, forse un po’ di più. Premette un pulsante sulla consolle e aprì il portellone dell’ufo, e June saltò dentro.

Ti avevo detto di tornare a casa! Fu la prima cosa che le disse. Sapeva che era inutile rimproverarla, visto che la ragazzina non ascoltava mai nessuno, spesso nemmeno il suo istinto di autoconservazione. June, comunque, sembrava troppo agitata per prendere il suo rimprovero sul serio.

Perché non sei scappata?

- Sono nei guai, vero? Oh si, si lo sono. – esclamò June, con voce acuta dall’agitazione: – Oh e non mi guardare così, è esattamente quello che stavo cercando. Guai. Guai grossi, eeeesattamente quello, si. –

A quella frase Sandy le lanciò un’occhiata stranita. - …Ora. Dimmi che hai dei cannoni al laser o qualcosa del genere su questo ufo, perché io ho già sprecato metà faretra e dubito seriamente di averne beccato almeno uno. –

Sandy non perse tempo ad accertarsi della veridicità delle parole della giovane: guidata dalla sua volontà, una manciata di sabbia magica si distaccò dal pavimento del mini ufo e assunse una forma affusolata, trasformandosi un fascio di frecce che volarono fra le mani di June: - Grazie! – esclamò lei, affrettandosi ad incoccarne una.

Sandy le aprì un piccolo varco nel vetro del veicolo e usò la sua sabbia per alterare la conformazione dello stesso, in modo da creare un’ideale piattaforma di tiro per il giovane Spirito e permettendole così di scoccare le sue frecce, e poter intanto continuare a guidare il suo ufo senza fastidiose incursioni di aria gelida proveniente dall’esterno, e dalla consolle dei comandi sbloccò i cannoni laser che agganciarono automaticamente i loro bersagli sull’orda che li inseguiva.

Sandy non aveva davvero tempo per fermarsi e combattere i nemici, doveva arrangiarsi e continuare a fuggire, e sperare che questi fossero abbastanza stupidi da continuare ad inseguirlo finché, nella sua corsa, non li avesse abbattuti tutti. Proiettili ed energie per combattere erano due cose che non gli mancavano.

Tuttavia, il Custode dei Sogni non aveva calcolato una possibilità.

Che quello che sembrava una banale aggressione ad opera di un gruppo di Incubi dalla testa calda, in realtà non fosse altro che un’imboscata.

Un pensiero vagamente simile a tale idea attraversò la sua mente in un lampo quando, senza nemmeno avere un istante per poter comprendere cosa stesse succedendo, si sentì improvvisamente sbalzato in aria, ed un boato assordante gli perforò i timpani.

Quello che avvenne nel paio di istanti che seguì fu un miscuglio incomprensibile di confusione, luce, dolore e panico. Sentì June, da qualche parte vicino a lui, strillare terrorizzata, e la sabbia magica, guidata probabilmente più dell’inconscio che dalla diretta volontà di Sandman avvolse sia lei che il Guardiano in un rigido guscio protettivo, e il suo senso dell’equilibrio registrò la fastidiosa sensazione di mancanza di gravità data dalla caduta libera.

Sandy sentì l’impatto violento col suolo e un altro grido della ragazzina. La sabbia si sciolse quasi immediatamente, lasciando i due liberi di muoversi. Sandy balzò al fianco di June e, vedendola raccolta a riccio su sé stessa, immobile, la scosse debolmente temendo il peggio.

…Stai bene?!

June reagì immediatamente, scattando a sedere come attivata da una molla: – Si! – gridò quasi in faccia a Sandy, pallida, e con un’espressione di puro panico dipinta sul viso. Aveva i capelli scompigliati e quasi ritti, un buon orlo dell’abito era bruciacchiato e un piccolo taglietto sulla tempia sinistra dal quale erano prontamente uscite alcune goccioline di sangue. Sandy intuì di non essere in condizioni molto diverse, a giudicare dal dolore sordo che aveva cominciato a martoriargli la schiena dopo la caduta: - Cos’è successo?! – esclamò lei, senza fiato.

Non lo-

Sandy si bloccò e si voltò. Il suo sguardo non percorse il nutrito gruppo di Incubi che ora stava scendendo a terra, senza fretta alcuna, i respiri pesanti subito condensati in nuvolette nella gelida aria novembrina. Non si soffermò sul loro numero, sul fatto che avanzassero a passo tranquillo e li stessero circondando, sui loro denti digrignati e gli occhi famelici puntati su June, perché percepivano chiaramente la paura e la confusione della ragazzina, ancora sconvolta, dolorante e senza fiato dopo la caduta.

…so.

Lo sguardo di Sandy era corso sulla sua sabbia magica, che si agitava violentemente di fronte alle creature nemiche che avanzavano, alle fiamme che bruciavano in alcuni punti isolati sull’asfalto della strada su cui erano atterrati, alle lamiere di sabbia -resti del suo ufo- sparse qui e là e al buio troppo fitto, quasi soffocante, che li circondava. Ed infine era corso in alto sui tetti, alla ricerca di un bagliore di luce, un segno.

Qualcuno ha abbattuto il suo ufo.

E Sandy, che aveva una vaga idea di chi fosse l’autore di quel gesto, desiderò che uscisse allo scoperto.

Senza ordine alcuno, sabbia dorata accarezzò dolcemente i palmi delle sue mani, tramutandosi nelle sue fidate e letali fruste.

E con un fluido movimento delle braccia e un secco crack, Sandy spedì le propaggini di sabbia contro i primi due incubi che si ritrovò davanti.

Le creature non ebbero nemmeno il tempo di reagire al colpo che il colore del loro manto sbiadì, ed i loro corpi mutarono, perdendo consistenza e dissolvendosi, lasciando uno spazio vuoto nel cerchio che li circondava.

June, ancora parzialmente sotto shock dopo la caduta, sussultò nel notare l’espressione quasi feroce che si dipinse sul volto di Sandman.

C’era una ragione precisa per cui, chiunque conoscesse anche solo vagamente il Custode dei Sogni, stava sempre bene attento a non rovinare il suo lavoro, far male a suoi amici, ai bambini e con tutto questo a non farlo arrabbiare.

Perché quando Sandy era infuriato, nessuno poteva dirsi al sicuro.

- S-Sandy…? – al sentire la voce leggermente tremante di June, Sandy si voltò.

June, giusto. La ragazzina doveva andarsene, allontanarsi dallo scontro. Ma la cosa che li aveva abbattuti era ancora là fuori, probabilmente aspettava nelle tenebre fitte il momento buono per attaccare. June doveva rimanere sotto la sua protezione fino a cessato allarme. La sua espressione si ammorbidì, e le lanciò uno scherzoso occhiolino per rassicurarla.

Oh, non ti preoccupare. Dammi il tempo di prenderli a calci, e goditi lo spettacolo.

June annuì debolmente, e si strinse l’arco, miracolosamente rimasto intatto dopo la botta presa contro l’asfalto, al petto.

La maggior parte degli Incubi si avventò su Sandy in gruppo, circondandolo. Il Custode dei Sogni sfoderò un piccolo ghigno combattivo, prima di rispondere alla violenza con la violenza.

June dal canto suo non era intenzionata a lasciar correre. Dopo un primo spavento preso a causa di un secondo gruppo di Incubi –notevolmente più piccolo di quello che aveva attaccato Sandy- che aveva cercato di aggredire anche lei, e l’aver così scoperto che la sabbia che pochi istanti prima le aveva impedito di morire schiantandosi al suolo ora la stava proteggendo dalle feroci zampate degli esseri come una specie di scudo, decise di andare a dar manforte.

Si alzò in aria leggera come una foglia, e caricò il suo arco.

Sandy si ritrovò ad aver problemi tenere a bada le creature. Erano relativamente deboli, ma il loro numero compensava la loro forza, e lo velocità con cui si muovevano e colpivano era notevole. Erano troppo rapidi.

Aveva evocato la sua sabbia fin da subito, trasformandola in pesci, falchi ed altri animali sia acquatici che aerei capaci di grandi velocità, un autentico esercito in miniatura di creature del Sogno con le stesse capacità degli Incubi freccia. Sandy spedì i nuovi rinforzi contro il nutrito gruppo che si accaniva da ogni parte, ottenendo l’effetto di disperderli.

Ma non durò a lungo.

Dopo il primo momento di panico, nel quale gli Incubi si erano separati come un branco di pesci di fronte ad un predatore, il gruppo nero e grigio si era riformato e, nonostante l’impietoso assalto dei piccoli Sogni, aveva ripreso l’aggressione con ferocia duplicata.

Ci sapevano fare, concesse Sandy.

Meglio andarci pesante subito, altrimenti qua si fa mattina. E non gli piaceva perdere tempo.

In quel uno degli Incubi prese coraggio e approfittò della distrazione del Custode dei Sogni.

Sandy ebbe appena il tempo di voltarsi.

Non riuscì nemmeno ad alzare le sue fruste per proteggersi che l’essere gli esplose davanti, spargendo scintillante sabbia nera ovunque.

Sandy strabuzzò gli occhi, poi alzò lo sguardo.

- Hah. Non crederai davvero di potermi lasciare lì a fare da tappezzeria, vero? – ghignò June abbassando l’arco ed estraendo un’altra freccia. Sandy alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, poi sorrise.

Tu non ascolti mai quello che i grandi ti dicono di fare, vero?

June fece finta di pensarci su: - Hmm.. no, non credo. Non puoi dare ordini agli spiriti liberi come la sottoscritta! – ghignò.

‘Alle teste di legno come la sottoscritta’ volevi dire.

June, che aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per scoccare altre due frecce, non vide la battuta di Sandy: - Eh? –

Lascia perdere.

Gli Incubi ripartirono alla carica. Anche Sandy aveva approfittato dei pochi secondi di pausa per evocare altre creature dei Sogni, che avevano prontamente formato un’efficace linea di difesa.

Il pensiero di Sandy tornò per un istante alla cosa che aveva abbattuto il suo ufo.

E se…

Non ebbe il tempo di pensarci, che sentì June gridare. Di nuovo.

E, prima ancora di voltarsi, sentì un dolore lancinante penetrargli la spalla destra. Un dolore che si insinuò in profondità nella carne. Colse con la coda dell’occhio il riflesso di una fredda lama nera, e percepì il fruscio di un pesante mantello blu notte bordato d’oro, il lampo di due file di denti scoperti in un sorriso decisamente sadico.

Gli bastò una sola occhiata dietro di sé, per comprendere che era nei guai.

E che, forse, non ne sarebbe uscito vivo.

*

 

‘Signori, questo non è un allarme. Non è nulla di terribile, nessuna minaccia così imminente da aver bisogno di un pronto intervento. Diciamo piuttosto che è una chiamata a raccolta. Ho bisogno del vostro consiglio e sostegno, amici Guardiani. Dobbiamo organizzarci, non lo stiamo facendo bene come dovremmo. Abbiamo nuove alleanze, ora, dobbiamo saperle sfruttare, pensare ad un piano migliore… ‘

Questo era quel che North avrebbe voluto dire per accogliere i suoi colleghi di lavoro a palazzo. Avrebbe voluto sorbirsi i borbottii e le lamentele dei suoi cari amici, rassicurarli con fare bonario, mostrarsi comprensivo e leggermente pentito di fronte al fatto che in realtà quel che faceva, richiamandoli con l’Aurora Boreale, non era altro che disturbare e ritardare il loro fin troppo impegnativo lavoro e irritare i già fragili nervi di tutti.

Avrebbe preferito tutto ciò, ma quello non era il caso.

Stavolta l’Aurora Boreale significava allarme nel vero senso della parola.

Gli Incubi avevano attaccato il suo palazzo.

Un autentico esercito nero e grigio era emerso dalle ombre improvvisamente dense e serpeggianti, vive, del Laboratorio del palazzo, ed era atterrato su ogni superficie libera riuscisse a raggiungere con le sue miriadi di zampe multiformi ed artigliate, silenzioso, ordinato e in attesa di ordini come un esercito di freddi automi.

Erano atterrati con eleganza tra lo sgomento e le urla degli yeti e lo scampanellio terrorizzato degli elfi in fuga, passeggiando tra i tavoli ingombri di colori, attrezzi e giocattoli in costruzione. Pochi, non trovando dove posarsi, erano rimasti in aria, galleggiando pigramente assieme ai piccoli Incubi freccia che saettavano nervosamente da una parte all’altra della del Laboratorio, incapaci di rimanere fermi. Alcuni, meglio distinguibili dal resto del chimerico, multiforme esercito a causa delle loro sembianze vagamente rettili e delle curiose mandibole che sembravano fatte di lucido metallo nero, avevano avuto l’audacia di salire sul grande globo al centro del Laboratorio, calpestando le lucine con le grandi, lucide zampe artigliate, le fauci nervose che emettevano suoni ticchettanti simili a ingranaggi di un orologio.

North era rimasto senza parole.

Aveva posto delle speciali barriere anti-Incubo attorno al palazzo e molte altre in camere e zone particolarmente sensibili della sua dimora, tra cui il Laboratorio stesso.

Era impossibile per quelle creature penetrare quelle protezioni magiche, si era detto. Era impossibile, perché aveva studiato quei speciali scudi per secoli, li aveva perfezionati, li aveva testati, e sapeva che funzionavano quando venivano posti a protezione di qualcosa.  Erano impenetrabili.

Ma Pitch gli aveva assicurato che quegli Incubi erano molto diversi da quelli che conosceva.

Peccato che North non aveva avuto il tempo di chiedergli delucidazioni.

La battaglia nel Laboratorio e scoppiata come un’esplosione.

Letteralmente.

Come ubbidendo ad un ordine silenzioso, gli Incubi dalle mandibole ticchettanti avevano spalancato le fauci in contemporanea, puntandole in direzioni diverse, sputando una serie di piccole sfere di fuoco ceruleo, che al contatto con le superfici erano esplose con violenza, spargendo detriti, schegge di legno e pezzi di giocattoli ed attrezzi che si erano disintegrati nell’esplosione e coinvolgendo qualche sfortunato yeti nella detonazione.

I sottoposti di North reagirono con rapidità non minore.

North sfoderò entrambe le spade e fermò il primo yeti che gli capitò a tiro: - Mettete in salvo elfi e attrezzature. Usate le palle di neve. – ordinò a voce alta per sovrastare il caos e le urla dei mostri partiti alla carica, cupo in volto: - Dobbiamo spostare il combattimento all’esterno, o qua ci distruggono tutto. Diffondi gli ordini. –

Lo yeti gridò qualcosa in assenso nella sua lingua, e si affrettò a correre all’armeria del palazzo, spargendo la voce a tutti coloro che incrociava strada facendo. Pitch, che si trovava a pochi passi dietro North, si fece da parte, allontanandosi dallo yeti che gli rivolse una mera occhiata astiosa, troppo preoccupato per dedicargli più di un briciolo della sua attenzione. L’Uomo Nero si mordicchiò il labbro inferiore e il suo sguardo percorse rapidamente il soffitto, i vari piani di cui era composto il Laboratorio, il globo su cui gli Incubi sputafuoco si erano tranquillamente seduti, osservando il caos scatenato come degli spettatori annoiati, la nuvola di mostri che si era improvvisamente alzata in aria ed era partita all’attacco e l’altrettanto rapido ed organizzato contrattacco mosso dagli yeti che oltre a frecce, balestre, lance, daghe, spade tirate improvvisamente fuori da chissà dove e qualche catapulta di dimensioni ridotte di ignota origine stavano facendo un ampio uso di incantesimi sia di attacco che di protezione, rispondendo al fuoco con tutto il loro impegno e coprendo i compagni intenti a mettere in salvo elfi e attrezzature oppure far scomparire alcuni Incubi attraverso i luminosi portali creati dalle sfere di neve.

Evocò la sua falce, pronto più a difendersi che ad attaccare, la mente momentaneamente occupata da un solo pensiero: data la situazione, era decisamente il caso di svignarsela, con buona pace degli accordi stretti solo poche ore prima con il padrone di casa.

*

Nonostante il caos più totale, gli Incubi sapevano esattamente a chi dare la priorità.

Molti infatti avevano individuato e attaccato North senza troppi preamboli, coinvolgendo anche Pitch nella battaglia.

E l’Uomo Nero si ritrovò così a dover parare fendenti di artigli provenienti da dovunque, e schivare fauci zannute che nel giro di pochi secondi avevano provato ad assaggiarlo almeno tre volte. Quando si ritrovò a sbattere con la schiena contro una superficie dura per un istante temette di essere già stato messo al muro.

- Hoi, Pitch! Sono felice che tu abbia deciso di tenere fede all’accordo! – esclamò il muro con accento russo. Pitch impiegò un solo istante per guardare dietro di sé –il che gli costò una zampata da parte dell’Incubo aggressore, due conseguenti tagli sull’avambraccio e un imprecazione a denti stretti- e scoprire che quello che credeva essere un muro era in realtà soltanto la schiena di North.

- Non vedevo l’ora. – ringhiò, riuscendo finalmente ad abbattere l’avversario con un pesante fendente dall’alto che l’Incubo non vide arrivare. Ne vide un altro raggiungerli: non sembrava puntare verso di lui, ma volava rasente al suolo, rappresentando così un bersaglio perfetto per la sua arma.

Facendo perno con il polso della destra ruotò nuovamente la falce, facendola passare dietro di sé e guadagnandosi un grido spaventato di North, e lasciò che le sua arma mutasse, assumendo una forma più sottile e allungata, con una lama più affilata che tagliò l’essere a metà, i cui pezzi precipitarono diversi metri dietro di lui per poi ritrasformarsi in scintillante sabbia nera sul pavimento danneggiato dai colpi e dal fuoco.

- …Volevi tagliare anche me?! – esclamò la voce di North dietro di lui. Pitch si voltò, un sopracciglio alzato: - Si. – disse secco, senza scomporsi. – Non mi stare tra i piedi. –

 - Non ci contare troppo. – ghignò l’altro, per poi alzare una delle sciabole e compiere con essa un perfetto semicerchio in aria e lasciare che la lama si abbattesse sul fianco dell’avversario che aveva tentato di colpirlo alle spalle. – Shurik! – gridò poi a uno yeti poco distante, non meno impegnato dei suoi compagni e del suo capo nella difesa del palazzo:

- …Quanto ci vuole a mettere tutti al sicuro?!

Lo yeti rispose a gesti, ma il messaggio fu chiaro lo stesso.

Avevano dei problemi.

*

Quando Calmoniglio tirò fuori il muso dalle sue gallerie per poter finalmente annusare la gelida aria aperta del Polo Nord, era già malconcio. Come aveva intuito, gli Incubi lo stavano aspettando giù per le gallerie, e lui si era ritrovato costretto a sigillarne molte, aprirne altre e compiere un giro lunghissimo per evitare l’ululante orda nera che lo inseguiva. E si era ritrovato a combattere in spazi ristretti, troppo per i suoi gusti, al punto che in molti punti aveva temuto di rimanere ucciso, o catturato, o che la galleria crollasse addosso a lui e ai suoi nemici a causa delle vibrazioni della battaglia. Ma le gallerie, forti della magia di Calmoniglio, avevano resistito, e il Pooka, grazie alle sue doti combattive, il fatto che i suoi nemici raggiungevano al massimo la taglia media e parecchia fortuna, era sempre riuscito a sfuggire.

E quando era finalmente riuscito a sfuggire a quell’inferno sotterraneo, il passaggio si era chiuso dietro di lui senza lasciar uscire nessuno, e le sue zampe avevano finalmente percepito il morbido, pungente gelo della neve, Calmoniglio aveva sperato che i suoi guai fossero finiti lì.

Non era così.

L’illusione di essere finalmente al sicuro era durata appena qualche secondo.

Poi al suo fine udito erano giunti gli echi della vicina battaglia, e il suo pelo si era rizzato al percepire lo spostamento d’aria causato dagli enormi mostri neri che volavano alti e rapidi sopra di lui, diretti nella sua stessa identica direzione.

Calmoniglio alzò lo sguardo.

Il cielo azzurro era solcato dalle spettrali onde cangianti dell’Aurora Boreale e punteggiato da centinaia, migliaia di grossi Incubi che volavano in cerchio intorno al palazzo, sempre più bassi, simili a condor che circondavano una carcassa abbandonata.

- Oh, ma voi state scherzando! – ringhiò ancora senza fiato, estraendo di nuovo i suoi boomerang e preparandosi ad andare a dare manforte.

*

Appena fuori dal palazzo, il già stanco Pooka aveva avuto la fortuna di trovare un valido compagno di rissa: Jack Frost. Pur non mostrandolo apertamente, Calmoniglio non si era mai sentito più felice di vedere lo Spirito del Gelo.

- Quanto tempo, Coda di cotone! Mi sei mancato! – rise Jack, continuando a parare la schiena del compagno a suon di raggi congelanti. Dovevano entrare nel palazzo e raggiungere gli altri, ma gli Incubi li avevano inchiodati sul posto, e li stavano costringendo a rimanere sulla difesa.

- Beh, tu nemmeno un po’, peste. – gridò Calmoniglio in risposta. Frost rise - Oh, certo. Lo sai che le bugie hanno le gambe corte, Puffoniglio? E comunque... – Calmoniglio percepì le gelide dita del suo compare intrecciarsi sul pelo della sua schiena e tirare con forza il porta-boomerang di pelle, il tutto seguito da un violento strattone e un sottile e gelido braccio che gli cinse la vita, sollevandolo da terra.

- …Vedi quei grossi bestioni laggiù che corrono a darci il benvenuto? Ci useranno come stuzzicadenti se restiamo qua a perdere tempo. -

Calmoniglio si trattenne all’ultimo secondo dall’emettere un grido molto poco virile e afferrò con forza il polso del braccio che lo teneva stretto, lasciandolo a penzolare a un paio di metri da terra. Jack ghignò, e si lanciò a rotta di collo in volo all’interno del palazzo.

La cavalleria sta arrivando, ragazzi!

*

Il caos presente all’esterno del palazzo sembrava raddoppiare all’interno agli occhi di Jack e Calmoniglio. Ovunque si andasse, non sembrava mai esserci abbastanza spazio anche solo per riuscire ad abbattere gli Incubi che li inseguivano spuntando da ogni dove, e i due si ritrovarono a cercare di scansare e sfuggire alla meno peggio i nemici che li tallonavano.

Incrociarono North per puro caso in una delle sale secondarie al Laboratorio: gli Incubi sputafuoco, dopo aver passato un gran quantità di tempo ad osservare lo spettacolo che si svolgeva sotto i loro occhi, erano finalmente entrati in azione appiccando il fuoco al Globo e scatenando numerosi incendi ed esplosioni nel Laboratorio, facendo crollare un paio di piani dello stesso, per poi alzarsi in volo e dividersi, diretti verso gli edifici secondari del palazzo. Gli yeti avevano cercato di limitare i danni con scudi ed incantesimi di assorbimento delle fiamme, ma erano stati respinti dai nemici in altre zone, ed infine messi alle strette.

Era ora di ritirarsi.

Dovevano fuggire tutti, perché quel luogo si era trasformato in una trappola, con fiamme cerulee e fumo nero che si alzava da ogni dove, rendendo l’aria calda e irrespirabile ed indebolendo parecchie travi.

Fu allora che Jack si accorse che qualcosa non andava.

- Dove sono Dentolina e Sandy? – gridò all’improvviso a North, il primo a portata d’orecchio. Ma la sua voce, sommersa dal frastuono e dalle grida, non raggiunse l’uomo.

- NORTH! – gridò il giovane, ottenendo stavolta l’effetto desiderato.

- …COSA? –

- DOVE SONO DENTOLINA E SANDY?! – North si bloccò, colpito dalla domanda. Jack lo guardò con fare interrogativo.

Dentolina e Sandy.

Ora che l’omone ci pensava, finora non aveva colto il rassicurante scintillio dorato della sabbia di Sandman e delle sue creature oniriche, né le grida di battaglia e il bagliore rosato dei colpi magici scagliati dalla fata dei dentini. Né gli yeti avevano accennato ad alcuna forma di rinforzo da parte degli altri Guardiani, prima dell’arrivo di Jack e Calmoniglio.

E gli era sembrato che ci fosse qualcosa di strano. Che mancasse qualcosa.

Che mancasse qualcuno all’appello.

North abbassò uno sguardo sconvolto su Jack, forzando la bocca a muoversi. Come aveva fatto a non accorgersene?

- Non li ho visti… - disse. Jack notò lo sgomento dell’uomo e, preoccupato dalla risposta, volò a porre la stessa domanda a Calmoniglio e gli yeti.

Poi, approfittando del momento di pausa dato dagli sforzi congiunti di Calmoniglio, di Jack e degli yeti, impegnati a mantenere un momentaneo scudo con la parvenza della capacità di tenere lontani gli aggressori mentre North era rimasto impegnato ad abbattere chi era rimasto intrappolato all’interno e stava ancora tentando di attaccarli, l’omone venne colpito da un altro pensiero, e si guardò rapidamente attorno, corrugando la fronte:

…e dove accidenti è finito Pitch?

*

Filerà tutto liscio. Certo. È un piano perfetto. Certo. Niente può andare storto. Oh, c’è da scommetterci.

Pitch digrignò i denti, furioso, maledicendo per l’ennesima volta l’Uomo sulla Luna, i Guardiani e tutto ciò che rappresentavano.

Aveva tentato di fuggire.

Gli era sembrato un obiettivo tutt’altro che difficile da raggiungere, la libertà, considerando il fatto che sia il suo aguzzino, North, che i suoi scagnozzi yeti erano tutti occupati da faccende ben più pressanti quali il salvataggio del palazzo e delle proprie pellicce, impegnati nel sempre più disperato tentativo di respingere un nemico che non accennava a cedere di un passo. Non era stato affatto difficile tramutarsi in ombra e sgusciare via attraverso una delle crepe createsi nei muri dei corridoi, approfittando del momento di confusione causato dal parziale crollo del Laboratorio, quando gli Incubi, ampiamente soddisfatti del danno fatto, erano nuovamente partiti alla carica alla ricerca di qualcos’altro da demolire, travolgendo tutto quello che incontravano nella loro corsa, avversari in fuga compresi.

Pitch era scivolato nelle fitte ombre presenti tra le sottili fessure delle crepe senza che nessuno se ne fosse accorto, per poi emergere e ritornare in forma solida in uno degli stretti corridoi laterali, non troppo lontano da dove si trovavano North e gli altri.

Quel corridoio era deserto, e presentava una quantità preoccupante di crepe. Probabilmente una palla di fuoco o due sparate dagli Incubi sputafuoco avrebbero causato abbastanza vibrazioni da far crollare quella parte di palazzo, pensò l’uomo. Ma non se ne curò più di molto, aveva altro di cui preoccuparsi: stava per andarsene da quel girone infernale.

O almeno così aveva sperato.

Sebbene quello dell’Oscurità fosse un territorio al momento popolato di nemici, aveva deciso di correre il rischio e tentare di smaterializzarsi dal palazzo attraverso il suo elemento.

Non ci era riuscito.

Appena scivolato nel limbo nero che era il regno delle Ombre e che gli permetteva di raggiungere ogni luogo in cui vi fosse oscurità, aveva trovato qualcosa che aveva ostacolato il suo cammino.

Una barriera. Un muro.

La scoperta gli aveva causato un brivido freddo lungo la schiena.

Che cos’è? Si era chiesto l’Uomo Nero, tirando un pugno rabbioso alla barriera misteriosa, sentendo un’indesiderata scintilla di paura accenderglisi dentro.

Chi aveva bloccato le sue ombre? E come aveva fatto?

Non ebbe il tempo di provare a sbloccare il passaggio con qualche contro incantesimo o la sua falce che il filo dei suoi pensieri venne bruscamente interrotto da lontane grida strozzate, probabilmente appartenenti ad Incubi che si stavano spostando da un punto all’altro del mondo. Barriera o non barriera, Incubi o non Incubi, non era una saggia idea rimanere lì, perciò Pitch decise di girare sui tacchi e riemergere.

Almeno ora non era più tra le grinfie di North, pensò quando alle sue orecchie giunse nuovamente il frastuono dei combattimenti che ancora infuriavano, reso ovattato dallo strano silenzio che aleggiava nel corridoio deserto, e alle sue narici arrivò l’acre odore di fumo e legno bruciato, mescolato al vaghissimo sentore di spezie e sangue, e i suoi occhi registrarono nuovamente la fastidiosa luce serale che filtrava ancora dalle finestre del palazzo, rimbalzando tra le pareti e illuminando il corridoio. E sebbene fosse ancora bloccato nella dimora di North, adesso poteva cercare di risparmiarsi ulteriori combattimenti e ferite evitando i nemici…

Poi Pitch si bloccò, corrugando la fronte. Gli era tornata in mente un cosa che North stesso gli aveva detto, nemmeno molto tempo fa:

Lo scudo anti-Incubi. Black storse il naso in espressione disgustata, ricordando le parole dell’uomo, una per una.

‘Non è possibile! Quello scudo l’ho creato apposta! I tuoi Incubi non lo possono attraversare!’ ecco cos’aveva detto. Pitch si sentì bruciare dentro dalla rabbia.

…Quel babbeo si era stupito del perché gli Incubi sono riusciti ad entrare nonostante la sua barriera… ecco chi ha bloccato l’uscita da qui! North, questa me la paghi con gli interessi!

Doveva tornare dal Guardiano della Meraviglia e costringerlo a spezzare l’incantesimo, e poi spaccargli il cranio come ringraziamento.

Tuttavia, si ritrovò costretto a mettere tutti i suoi pensieri di gratitudine da parte quando sentì un tonfo sospetto fuori da corridoio, seguito da una strana serie di gorgoglii rochi di quattro Incubi piuttosto grossi che fecero capolino nel corridoio, prima di decidersi ad entrare. Apparentemente il destino ha deciso recidere definitivamente il già sottile filo della sua pazienza, si disse Pitch. Digrignò i denti ed evocò la sua sabbia nera, pronto a ritramutarsi in ombra e tornare da dove era venuto.

O, pensò evocando anche la falce, se le cose si fossero messe proprio male, a massacrare chiunque avrebbe osato intralciare il suo cammino.

Poi, qualcosa di piccolo e freddo gli pungolò la schiena, costringendolo a voltarsi di scatto.

Qualunque espressione Pitch Black stesse indossando in quel momento, venne lavata via, sostituita da un espressione leggermente basita. Davanti a lui, una Crysis dall’espressione vagamente sorpresa gli stava puntando contro la sua spada di cristallo nero.

- Sei vivo… - mormorò a mezza voce.

Pitch a malapena vide il labiale delle parole pronunciate dalla donna, così come a malapena vide il fluido movimento della stoccata che lo seguì.

Diritto al cuore.

*

La sabbia nera, guidata più dall’istino di autoconservazione che dalla coscienza vera e propria, reagì prima di tutti gli altri sensi di Pitch. Rapida come un lampo si portò al suo petto, interponendosi tra la lama e la pelle scoperta dello sterno, come uno scudo. Pitch non riuscì a comprendere cosa stesse succedendo quando sentì il colpo affondare, la sua mente non aveva il tempo di processare le informazioni che riceveva. Quando, a causa del colpo incassato finì a terra come una bambola di pezza, si aspettò soltanto di percepire un dolore lancinante, e le forze che rapidamente venivano meno.

E infatti sentì dolore. Ma era il dolore dei polmoni schiacciati dalla pressione del colpo e della schiena che batteva violentemente contro il pavimento di legno scheggiato, non della lama che affondava nella cassa toracica.

La falce gli sfuggì di mano, atterrò poco lontano. Pitch rimase a terra, senza fiato e senza riuscire a capire, ma il suo cervello riprese a lavorare a scatti quando sentì il piede dell’avversaria schiacciargli la cassa toracica, e i suoi occhi colsero lo scintillio della lama nera puntata alla sua gola.

La sua mente si permise di rimanere vuota per un altro istante soltanto, il necessario a rendersi conto si essere stato mandato a terra da Crysis. Rendersi conto del fatto che in quello stesso attimo la donna stava nuovamente alzando la spada, stavolta per staccagli la testa dal resto del corpo.

Poi, la rabbia esplose incontrollabile.

- …Io ti ammazzo! – ringhiò, evocando fulmineo una lunga lama nera che usò per deviare quella che stava per abbattersi sulla sua gola. In un lampo, altra sabbia nera comparse in un flusso magico attorno a lui, buttandosi sull’avversaria, ma Pitch non ebbe il tempo di ordinarle di avvolgere e bloccare Crysis che quest’ultima di dissolse, lasciando solo un leggero fumo ad aleggiare nell’aria.

Pitch saltò in piedi, ed evocò altra sabbia a coprirlo, fluttuandogli intorno in continue volute multiformi, simile ad un’armatura mobile. Si guardò rapidamente intorno alla ricerca dell’avversaria, richiamando la falce. Fece appena in tempo a ricomporre l’arma che percepì un leggero movimento dietro di sé e, voltandosi di scatto, parò il fendente che quasi si abbatté sulla sua testa.

- Ammetto che ti credevo più forte, re… - sibilò Crysis; - Il fatto che tu sia vivo e sia qui significa che ti sei alleato con i tuoi nemici giurati, o sbaglio?… credevo che avessi ancora un po’ di onore. – ruotò la spada, in modo che la punta ricurva dell’arma si incastrasse sull’asta della falce e tirò, ma Pitch, che aveva riconosciuto la sua stessa mossa, lasciò dissolvere la parte incastrata in modo da non perdere la presa.

La mossa non prese minimamente Crysis di sorpresa. Approfittando della forza cinetica accumulata dalla pesante spada di cristallo, Crysis tentò un’altra stoccata, ma questa venne nuovamente evitata.

Pitch saltò spasmodicamente all’indietro, evitando i continui e sempre più rapidi fendenti. Sapeva che era stupido combatterla, soprattutto ora che era circondata dai suoi Incubi. E doveva ucciderla, ma il problema era riuscirci senza venire a sua volta ucciso nel tentativo.

Doveva lavorare di testa. Approfittò del buio per cercare di guadagnare un po’ di terreno sull’avversaria, allontanarsi ulteriormente da lei.

Ma dissolversi in ombra e tentare la semplice fuga non sarebbe servito, perché anche Crysis aveva l’abilità di smaterializzarsi, e non era ostacolata né da luce, né da ombra, né da scudi magici. E aveva Incubi che si sarebbero prontamente gettati all’inseguimento di Pitch, se avesse provato a scappare.

Era meglio tentare di confonderla, decise, continuando ad indietreggiare, senza tentare un contrattacco vero e proprio.

A corridoio finito, con la coda nell’occhio colse l’ambiente che lo circondava. Alla fine era tornato nel Laboratorio, solo per trovarlo ridotto ad un campo di battaglia più devastato di come lo aveva lasciato. L’enorme ringhiera che circondava quel piano era stata buttata giù, e buona parte del piano stesso era crollata, causando danni ai piani sottostanti. Giocattoli, detriti e qualche daga spezzata giacevano a terra, il fuoco bruciava un po’ dappertutto, allargandosi, rendendo l’aria calda e irrespirabile, e le grida degli Incubi –ormai lontani da quel luogo, dispersi in altre zone del grande palazzo- echeggiavano ovunque in una cacofonia assordante, dandogli la soffocante sensazione di essere circondato, cosa non molto lontana dalla realtà.

Crysis avanzò di nuovo. Si smaterializzò, riapparendo al suo fianco e tirò un altro fendente dal basso con il piatto della spada.

Pitch, preso in contropiede, poté fare ben poco a parte incassare il colpo, piegandosi in due dal dolore. Ma era ancora all’erta, e riuscì ad evitare il secondo fendente che andò a segno esattamente dove meno di una frazione di secondo prima c’era la sua testa.

Inciampò quasi nei suoi stessi piedi nel tentativo di allontanarsi dalla donna, una mano stretta sull’addome dolorante, imprecando a denti stretti. Almeno aveva avuto la prontezza di riflessi per schivare.

Sarebbe stato difficile pensare ad un efficace piano di fuga con il cranio fracassato, altrimenti.

Osò guardarsi rapidamente intorno e, nel notare il cerchio di nulla che accoglieva la struttura di ferro e legno che componeva la base del Globo, ormai crollato e ridotto ad una carcassa semidemolita, gli venne in mente un’idea che a mente più lucida avrebbe escluso a priori.

Ma la sua mente non era affatto lucida in quel momento, e non aveva né forza per combattere come avrebbe voluto, né Incubi a sostenerlo nella sua battaglia, e nemmeno altre possibilità.

Perciò, in quel momento il pensiero gli parve quasi logico.

È ora di tornare all’elemento, ora di fare scempiaggini come ai bei vecchi tempi. Disse una vocina sarcastica nella sua testa. 

…Cioè come sempre.

Pitch digrignò i denti, evitando l’ennesimo fendente, continuando ad indietreggiare ad ampi passi. Il suo piccolo piano doveva funzionare.

Quando, poco prima, si era immerso nelle Ombre, non aveva controllato le limitazioni imposte dal muro creato da North. Non sapeva se quello scudo gli impediva semplicemente di uscire dal palazzo, permettendogli però di trasportarsi da un parte all’altra dello stesso, oppure gli precludeva persino quest’ultima possibilità.

E, mentre contava mentalmente i metri rimanenti al baratro oltre la ringhiera crollata, schivando alla meno peggio e parando i restanti fendenti, si ritrovò segretamente a pregare nella prima delle due.

Crysis sorrideva in maniera quasi maniacale, notò. Aveva anche una gran quantità di graffi sul volto e, per quanto gli dispiacesse, non era stato Pitch a procurarglieli. C’era anche qualche taglio e strappo sul pesante mantello e sull’abito blu notte, di cui uno sottile ma evidenziato da un’ampia macchia di sangue scuro. Chissà chi aveva avuto il piacere di ferirla, si chiese vagamente.

Sembrava quasi che si stesse divertendo. Che tutto quello fosse una sorta di gioco. Non l’aveva mai notata, quella strana luce nei suoi occhi.

Persino gli Incubi che avevano bloccato la sua strada si erano fatti indietro, come a lasciare tutto il divertimento alla loro regina. E li circondavano e li seguivano come ad osservare lo spettacolo, silenziosi.

Un altro passo, e Pitch sentì un freddo vento proveniente dal basso accarezzargli la schiena sudata e solleticargli il tallone teso, come se stesse sfiorando una sorta di limite.

Crysis sorrise, fermandosi. Quel riflesso sanguinario fece nuovamente capolino sulle sue iridi nere.

Anche Pitch sorrise, e fece forza sul piede teso.

La corrente ghiacciata che lo accolse nella caduta libera gli sferzò la spina dorsale in maniera quasi dolorosa, ma a Pitch dette una gioia immensa.

Era quasi fatta. Doveva solo sciogliersi nelle ombre, ed era finita…

Concentrato com’era nel suo piano di fuga, l’Uomo Nero non notò Crysis dissolversi nuovamente in nebbia, né badò agli Incubi che si erano buttati in caduta libera al suo inseguimento. Questo finché la mano pallida della donna non gli afferrò il polso sinistro fasciato di tessuto nero, strattonandolo con violenza, e un dolore orribile gli penetrò nella spalla sinistra, in fondo, troppo in fondo, tra il muscolo trapezio e l’ascella, accompagnato da un sinistro crack in corrispondenza della clavicola.

Pitch urlò, e Crysis diede un altro strattone al polso intrappolato, piantando la larga lama della pesante spada ancora più in profondità.

Ma apparentemente non riuscì a fare altro, perché il sottile posto tra le sue dita perse rapidamente consistenza, tramutandosi in ombra, così come fece il suo proprietario. L’ultima cosa che le rimase impressa prima di vedere l’oscurità quasi totale della base del Globo fu l’espressione di Pitch, contratta dalla sofferenza.

E le piaceva.

*

Pitch batté violentemente la spalla destra contro la barriera magica, e cercò di rialzarsi più in fretta possibile reggendosi ad essa, disorientato. Il muro, notò distrattamente, era stranamente inclinato in quel punto.

Il movimento improvviso gli causò un leggero capogiro, ma non vi badò. Un dolore intenso irradiava dalla spalla sinistra, e non sentiva più il braccio. Ma non aveva tempo per pensarci.

Gli Incubi erano già dietro di lui, troppo vicini per permettergli di perdere tempo.

Doveva tornare da North.

Concentrati…

Evocati dalla sua stessa volontà, tentacoli di sabbia nera si arrampicarono lungo le sue caviglie, prima di trascinarlo in basso, diretto verso il corridoio da cui era inizialmente fuggito.

Funzionava, gioì l’Uomo Nero. Ma non era finita, non era quella la sua destinazione.

In nel regno delle Ombre Pitch non era in grado di vedere, nessuna creatura né della Luce né delle Ombre poteva, ma poteva percepire ogni cosa l’Oscurità fosse in grado di toccare.

Individuare quella voce rimbombante e quell’accento russo fu questione di un attimo.

…Non fate gli stupidi e andatevene! Io sistemerò tutto in fretta e vi raggiungerò subito!

Te lo scordi, North, non possiamo lasciarti da solo, non dopo questo! Si era aggiunta la voce di Jack, e un frammento di panico raggiunse i sensi di Pitch. Il Guardiano era spaventato, e molto. Lo erano tutti in quel punto del palazzo.

Riemerse, seguito a ruota dagli Incubi, appena un passo dietro di lui.

Non fu la più teatrale delle sue apparizioni: non riuscì nemmeno ad atterrare in piedi, finendo malamente faccia a terra, mente i suoi inseguitori, nello slancio della corsa, erano letteralmente saltati fuori dalle ombre, causando più di un grido spaventato.

- …Pitch! – lo raggiunse il grido di North. L’interessato non si preoccupò nemmeno di alzare la testa per rispondere.

Sentì le grida e i colpi di Jack, Calmoniglio e forse qualche yeti poco lontano che stavano abbattendo i nemici, poi un’ombra oscurò la luce sopra di lui, accompagnata da un ringhio. Rialzò di poco la testa, e il ringhio venne sostituito da un breve guaito e un tonfo sordo che fece vibrare il pavimento di legno, e la voce di North parlò di nuovo: - Pitch! –

La grossa mano dall’omone si strinse attorno al suo braccio destro, tirandolo su a sedere contro una fredda parete e strappandogli un gemito.

- Stai bene?! –

Pitch fu costretto a sbattere le palpebre parecchie volte prima che la sua vista riuscisse a mettere a fuoco il volto -peraltro troppo vicino per i suoi gusti- barbuto di North che lo fissava, sudaticcio, pallido e tirato in una smorfia preoccupata. Aveva qualche macchietta si sangue sulla barba candida

- …A meraviglia. – disse l’altro in tono sarcastico. Da quando parlare era diventato così difficile, si chiese. – Me la sono cavata soltanto con due fratture scomposte, credo, non ti preoccupare. –

- Che ti è successo? Dov’eri finito? – continuò l’altro, notando la ferita alla spalla e posizione anomala del braccio sinistro.

Pitch scosse debolmente la testa, prima di tirarsi via dalla stretta dell’omone con un piccolo strattone.

- Togli lo scudo. – disse soltanto, senza fiato. North lo guardò  confuso.

- …Che? –

A quella risposta, Pitch rialzò lentamente lo sguardo e lo puntò sul Guardiano, sentendo la rabbia salire di nuovo, rapida come la marea.

- Lo scudo magico. Quello che hai posto a protezione del palazzo. – ripeté a scatti – Toglilo. –

North corrugò le sopracciglia, confuso, mentre Jack e Calmoniglio, dietro di lui, si scambiarono un’occhiata. Poi capì, e scosse la testa: - Non adesso. Tu te ne vai con noi. –

- Perché?! – l’altro lo ricambiò con una strana occhiata, il che mise al limite estremo la già sottile pazienza di Pitch, e poi gli puntò un dito sulla spalla ferita.

- Tu vuoi scappare adesso. – disse, serio - Ma se lo fai, voglio sapere come riuscirai a mettere a posto quella. Aspetta un attimo, dobbiamo recuperare alcuni dei miei ragazzi che sono rimasti bloccati, e ce ne andremo tutti insiem-  – ma le sue parole vennero interrotte da una mano cinerea che gli agguatò il bavero del cappotto, strattonandolo con sorprendente forza.

- TUTTO QUESTO È COLPA TUA! –  gli urlò in faccia Pitch, sentendosi esplodere. Non sapeva nemmeno per cosa esattamente. Se era per la rabbia, per il panico, per le forze che lo stavano abbandonando, per l’ossigeno che sembrava essere improvvisamente troppo poco indifferentemente da quanto profondi fossero i respiri che tirava, per il fatto che Crysis fosse là fuori e che in questione di minuti avrebbe trovato sia lui che North che Jack e tutti gli altri e li avrebbe massacrati a colpi di spada, o semplicemente per quello stupido, zuccheroso altruismo tipico dei Guardiani che conosceva fin troppo bene e che aveva sempre odiato con l’anima.

Non lo sapeva, ma sicuramente era molto efficace sui suoi nervi.

- …TUTTO.  Da questo stupido attacco al fatto che la tua casa ora stia bruciando e che probabilmente avrai perso metà dei tuoi compagni. – ringhiò, il viso a pochi centimetri dal volto dell’altro – Ora. Togli quel dannato scudo prima che decida di fare quello che hanno cercato di fare tutti quegli Incubi là fuori nelle due ore precedenti: strapparti a morsi la giugulare. –

North sbarrò gli occhi a quella minaccia, tirandosi leggermente indietro. Qualcosa, probabilmente l’espressione quasi animalesca dell’Uomo Nero, gli diceva che quella non era una minaccia a vuoto. Poi, dietro di lui, intervenne la voce di Calmoniglio.

- Fa’ come dice. – disse il Pooka avanzando di due passi zoppicanti, i lineamenti induriti in un’espressione di disgusto, lo sguardo puntato su Pitch: – Lascialo andare, il codardo. – disse sprezzante. North esitò, il suo sguardo corse tra il Guardiano e l’Uomo Nero, ma decise di fare come detto. Ormai c’era poco da fare.

Jack lo vide alzarsi lentamente, poi allontanarsi di qualche passo e avvicinarsi ad un muro verso il quale tese una mano e mormorare qualcosa sottovoce. Sulla parete percorsa da qualche crepa, evocate dalla formula, comparve un gran numero di cerchi magici verdi e dorati, dagli intricati, ondulati disegni mobili, che si espansero rapidamente e spedirono sottilissimi fili bicromici lungo il muro ed oltre, estendendosi per tutto il palazzo e in una porzione dello spazio aereo circostante. Al contrario di Jack, Calmoniglio non si lasciò distrarre dall’opera di North.

- Ti direi di tornartene a casa, Black… – disse all’improvviso il Pooka, una nota pericolosa nella voce. Jack, intuendo la tempesta imminente, si avvicinò al compagno e gli posò una mano sulla spalla, stringendola in segno d’avvertimento. Aveva visto davvero troppa violenza per quel giorno per dover assistere anche alle esplosioni di rabbia di Calmoniglio.

- Calmoniglio… stai. Tranquillo. – disse in tono d’avvertimento, sbarrandogli il passo in modo che l’altro fosse costretto a fissare lo Spirito del Gelo dritto negli occhi. E Calmoniglio fissò quelle iridi color ghiaccio con rabbia, senza realmente vedere, poi posò una zampa sul petto del ragazzo e lo spinse rudemente di lato.

– …Ma non ce l’hai più. – continuò, come se non fosse stato interrotto. - Quindi scappa più in fretta che puoi e scegliti un letto comodo sotto il quale crepare. Magari uno col tappeto sotto, per stare più comodi. – sputò, rabbioso. Per un terribile istante Jack temette che l’altro stesse per buttarlo a terra e andare a suonarle all’avversario già al tappeto, ma i suoi timori si rivelarono infondati. Calmoniglio si limitò a ghignare con disprezzo, poi alzò le zampe e si fece indietro, lo sguardo puntato dritto sul giovane. – È tutto quel che avevo da dire. Tranquillo, Jack. –

- Grazie, sacco di pulci. – disse Pitch, incolore – Belle parole, sono toccato. –

- Prego, ti voglio bene anch’io. Oh, non sai quanto. – rispose il Pooka in tono sarcastico. Notò North voltarsi e tornare verso i tre con espressione cupa. Lo scudo era stato disattivato.

- Ora, visto che avevi tutta questa fretta, facci un favore: sparisci. –

Pitch ghignò, poi scosse la testa e chiuse gli occhi, allungò lentamente una mano verso le ombre, sentendosi sprofondare lentamente in esse come in sabbie mobili, e cercò.

Cercò lampi di paura, il panico e l’adrenalina del combattimento, e poi cercò i loro proprietari. Alcuni combattevano, altri erano intenti a mantenere scudi magici, altri ancora erano a terra, feriti, protetti fino all’ultimo respiro dai loro compagni esausti. La quasi totalità era composta da yeti, ma c’era anche qualche elfo disperso, nascosto sotto un vaso rovesciato o blindato in qualche piccolo ripostiglio polveroso. Sentì una nuova ondata di terrore attraversare tutti, causata dall’irruzione di altri Incubi che avevano approfittato del crollo dello scudo.

Ne approfittò.

La sua sabbia strisciò infida attorno alle caviglie di tutti coloro che aveva rintracciato e strinse in una morsa ferrea, trascinando in basso.

Gli arrivarono anche le grida dei Guardiani e i due yeti che si trovavano con lui.

- PITCH, TU, VERME! – urlò Calmoniglio. Ma Pitch si limitò a riaprire gli occhi e ghignare, sentendo il panico del Pooka aumentare più di quello di tutti gli altri.

- Reggetevi. Quando c’è traffico le ombre sono sempre turbolente. –

Si sentì sprofondare del tutto, accompagnato dalle urla di sorpresa e spavento degli altri.

*

Andati.

Quando Crysis ricevette la notizia del fatto che i Guardiani, e gli yeti, e qualunque altra forma di vita se n’era improvvisamente andata dal palazzo, risucchiata in un misterioso vortice di sabbia nera, Crysis si era limitata a fare un mezzo sorriso.

Aveva scatenato tutto quel putiferio per niente.

Era arrivata fino al Polo Nord per niente. Aveva scatenato quella guerra per uccidere North e schiacciare i suoi sottoposti e il suo palazzo, e aveva fallito.

O no.

In fondo, pensò vagamente, si era divertita, e aveva scoperto che Pitch è vivo, il che era qualcosa di decisamente controproducente: probabilmente i Guardiani ora sapevano delle Creature Senza Nome.

Ovviamente gliel’ha detto. Si disse, pensierosa.

Ma, aggiunse, nonostante questo aveva comunque da festeggiare.

Aveva catturato due Guardiani quel giorno, aveva trovato le sue memorie, e aveva conquistato il palazzo di North, anche se non i suoi abitanti.

Alzò lo sguardo, e venne accolta dalla visione della grande, luminosa Luna, che con la sua luce sembrava quasi sfidarla. Le sorrise.

- Mi hanno detto che ti chiami Manny, è così? – le chiese, senza ricevere risposta - Non ti crucciare. Arriverò anche da loro. E arriverò anche a te, tranquillo. -  

Poi riabbassò lo sguardo: – Rubate armi, libri, e qualunque oggetto utile o prezioso riusciate a trovare. – ordinò all’Incubo che le aveva portato la notizia.

- …Poi bruciate tutto. Voglio vedere questo luogo ridotto in cenere. –

 

 

 

-+-

Sarò onesta: non so voi, ma francamente io, quando Pitch usa le sue ombre per spostarsi, immagino che abbia una specie di quarta dimensione tutta per sé. Una dimensione in cui il nostro omino nero non può vivere ma solo usare come specie di taxi, ed eventualmente buttarci qualche oggetto caro a qualcuno che poi non viene mai ritrovato. Cioè, sapete le borsette di noi fanciulle, che se vogliamo ci ficchiamo l’impossibile? Ecco, la teoria di base è (forse) la stessa. O almeno credo.

Tornado al capitolo, ammetto di non essere soddisfatta. Il blocco dello scrittore ha fatto un ottimo lavoro, cioè mi ha fatto scrivere un pessimo capitolo.

Ugh.

Okai, la pianto con le lamentele, so di essere noiosa. Ho un sacco di storie/capitoli/one shots che aspettano di essere recensite. All’incirca 45673920346539[…]098776. Spero che siano tutte.

*Silver out, dandosi all’ippica come raccomandato da tutti*

(Tra parentesi, si, Crysis è una piromane.)

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Capitolo 14
*** Un rifugio ***


Credo di essere tornata. Scusate per essere sparita per mesi interi senza avviso alcuno ed essere tornata con un capitoletto così misero (ahimè, cinque paginine scarse) ma ho avuto parecchie grane a cui badare, inclusi esami, morte di Microsoft Word e blocchi vari, per cui posso solo dire che mi dispiace molto, ma di più non sono riuscita a fare. Ovviamente questa storia non è stata abbandonata, ormai l'ho iniziata e la mia cara sempai Iryael mi ha convinto a portarla a termine costi quel che costi. Ho ancora una manciatina di capitoli già progettati, l'unico problema ora è scriverli, e per quello posso solo fare appoggio a un ispirazione che va e viene come le pare. Vorrei anche dirvi che ho iniziato in parallelo un altra storia, si chiama Gli Eredi, scritta a quattro mani con ChantyBlack98. Sarei felice se vi fermaste a dare un'occhiata anche a questa storia.

Bene, bando alle ciance. Gustatevi questo nuovo (talmente corto da rasentare il ridicolo) capitolo. ^^

PS: sul serio, mi dispiace per essere sparita e tutto. Il prossimo cap sarà parecchio più lungo di questo, quindi... spero siate ancora interessati alla storia ^^ (??)

Buona lettura!


XIV: Un rifugio



Era di nuovo buio.

Per Sandman, il mondo intero era affogato nelle tenebre.

Ogni qualvolta allungava le mani nell’oscurità, non percepiva nulla. Più si sforzava di vedere, più il buio si faceva fitto, se ciò era possibile.

Faceva fatica a ricordare, la testa dolorante -aveva ancora una testa attaccata al collo? Perché aveva l'impressione che non fosse così- gli impediva di processare le vaghe informazioni che riceveva.

Da quando si era risvegliato, l’oscurità era diventata il suo mondo. E in quel mondo, lui non sapeva. Non sapeva dov’era, se poteva uscire da lì, in che condizioni era, se in quel luogo misterioso aveva ancora potere, visto si sentiva troppo debole. Non sapeva nemmeno se era ancora vivo o meno. Strinse le mani e se le portò lentamente al petto. Serrò gli occhi: non faceva differenza che li tenesse aperti o meno, perché quell’oscurità pareva divorare persino il lieve bagliore che usualmente emanava. In quel momento provò paura, si sentì solo e impotente. E alla sua mente salì un solo pensiero.

Un unico, piccolo desiderio.

Spero stiate tutti bene, ragazzi…

*

La coscienza di June venne lentamente riportata alla realtà da un lieve rollio accompagnato e da un altrettanto debole scricchiolio, come se si trovasse a bordo di una barca.

Aprì gli occhi, la vista si rivelò un po' sfocata. Si sentiva coperta da qualcosa di caldo e avvolgente, e il suo sguardo era rivolto verso quello che intuì fosse il soffitto. Era di legno chiaro, squisitamente intarsiato. June strizzò gli occhi, costringendosi a concentrasi sui dettagli minuti di quell'inatteso spettacolo: le decorazioni rappresentavano onde, nuvole, paesaggi. Riconobbe anche stelle, pianeti, pesci e uccelli dalle forme così bizzarre da sembrare aliene, con piume e scaglie decorate con pietre, mogano e oro, che splendevano nella penombra.

June si alzò lentamente, guardandosi attorno, un po’ incantata e un po’ confusa: si trovava in una stanza di medie dimensioni dal soffitto alto, le pareti di legno chiaro e oro, lavorato in modo da sembrare sabbia incrostata fra i pannelli. L’unica fonte di luce della stanza era composta da una lampada dai pannelli di madreperla, situata su un abat-jour in stile rococò. A June venne quasi da sorridere da quanto tutto quell’insieme appariva pacchiano. Infine abbassò lo sguardo su di sé: si accorse di essere seduta su uno scintillante cumulo di sabbia dorata. Indossava il suo piumino azzurro ghiaccio, che ora era strappato in alcuni punti e macchiato di fango sul fianco e sui gomiti, e si chiese come mai. Come mai fosse ridotto così, visto che trattava quel piumino sempre con il massimo riguardo, visto che era il suo preferito. Le ricordava gli occhi di Jack.

Alzò una mano e si tastò cautamente il volto: il lato sinistro era dolente e un po’ gonfio, la tempia aveva un taglio. Un paio di ciocche erano sporche, incrostate di una sostanza nerastra e friabile.

Sangue?

June si tirò i riccioli scuri con una sensazione di disgusto misto a orrore mentre qualcosa, nella sua testa, parve punzecchiarla. Una memoria in attesa di essere richiamata dall’abisso.

Le ci volle qualche secondo per capire.

Poi trattenne il fiato, e sentì lo stomaco stringersi in una morsa dolorosissima.

Sandy!

Ora ricordava.

Gli Incubi, la fuga, la battaglia… quella donna. Si portò entrambe le mani al volto. Si lasciò sfuggire un singhiozzo, e le lacrime le pizzicarono gli occhi, minacciando di uscire. Sandy l’aveva difesa, protetta, le aveva detto di fuggire, e lei invece era rimasta ad intralciarlo. Non era nemmeno riuscita ad aiutarlo quando ne aveva bisogno, quando quella donna l’aveva aggredito. A malapena era riuscita a difendere sé stessa…

E ora cosa gli era successo? Che fine aveva fatto? Dov’era? Era vivo, stava bene? Oppure…

June non riuscì nemmeno a formulare l’ultima frase che aleggiava minacciosa nella sua mente, e si prese la testa fra le mani, affondando le unghie nello scalpo.

Oppure era morto.

Si sforzò di respirare. Non doveva farsi prendere dal panico, non poteva farlo. Non le era permesso, non dopo quello che aveva fatto, e il cui prezzo Sandy si era ritrovato a pagare per la sua stupidità, ma le risultò estremamente difficile mantenere una almeno vaga parvenza di calma.

Questa è tutta colpa tua.

Doveva fare qualcosa.

Dirlo agli altri. Subito.

Con un balzo, June saltò in piedi, e cercò freneticamente fra la sabbia il suo arco e la sua faretra -miracolosamente rimasti intatti dopo quanto passato- e corse fuori dalla stanza, alla ricerca di una via d’uscita da quel luogo misterioso.

Non si accorse del largo nastro si sabbia che si staccò pigramente dal cumulo su cui si era risvegliata, e la seguì nella sua corsa disperata.

*

Il luogo misterioso in cui si ritrovava si rivelò essere un’enorme imbarcazione –se gli oblò erano una qualche indicazione- dalla quale non era possibile uscire.

O meglio, si corresse June, era possibile uscire da lì. L’ostacolo più grosso era costituito da quello che somigliava a un’enorme nastro di sabbia che le bloccava l’uscita ogni volta che ne trovava una.

- Per FAVORE! – gridò la giovane, quasi sull’orlo dell’isteria; - Io devo andare ad aiutare! Lasciami andare! – tuttavia, le sue preghiere si dimostrarono inutili.

*

Quando si ritrovò bloccata una quinta volta, fu quando aveva notato l’ennesima porta che apparentemente dava verso l’esterno. Si era lanciata verso la libertà, solo per ritrovarsi invischiata fino al collo nella sabbia.

Letteralmente.

Alla fine si arrese, esausta sia fisicamente che mentalmente. La sua 'gabbia' parve accorgersene, e dopo pochi secondi si allentò.

June, accorgendosi in tempo del dettaglio, colse la palla al balzo: balzò fuori dalla sua trappola con un'agilità di cui si sorprese lei stessa, e si lanciò verso la maniglia, afferrandola e spalancando la porta, e saltando nel vuoto.

...Libera!

Poi, in pieno salto, si accorse del fatto che la sabbia era proprio sopra di lei. Poté far poco a parte lanciare un urlo soffocato quando gli cadde addosso con tutto il suo peso. Quando riuscì a tirare fuori la testa e pulirsi gli occhi dai granelli si accorse di non essere più in trappola. Il nastro di sabbia si era sciolto, e ora le stava fluttuando pigramente intorno, tracciando morbide volute dorate.

June non capì.

Alzò lo sguardo, notando un luccichio dorato dietro di sé, e scoprì di essere appena fuggita da...

- Woah! -

Sembrava un galeone, ma diverso da tutti quelli che aveva visto ed immaginato in tutta la sua millenaria vita. Era immenso, June non riuscì a decidere quanto era lungo, ed era tutto dorato. Sui tre altissimi alberi erano spiegate enormi vele di tessuto semitrasparente, finemente decorato, mosso da un debole vento. Ogni superficie era finemente decorata e caratterizzata da linee gonfie ed eleganti. Le solcava accanto procedendo a passo d'uomo, pacifico e silenzioso, simile ad una gigantesca balena.

June non poté far altro che rimanere ad ammirare quello spettacolo a bocca aperta, sbalordita. Poi la sua attenzione venne catalizzata da qualcosa che proveniva dal basso, sotto di lei. Guardò sotto di sé: il galeone in quel momento stava solcando il cielo sopra un immensa distesa di alti alberi, perlopiù conifere, ed era giunto in prossimità di una radura. E, proprio sulla radura, June intravide delle figure nere agitarsi, impossibili da distinguere con quel buio. Ma alla giovane la poca luce fornita dal galeone bastò.

Sbarrò gli occhi nel riconoscerle.

*

Le spaventose correnti che dominavano il regno delle Ombre si permisero un ultimo, violento scossone prima di ributtare i suoi viaggiatori nella dimensione da cui erano venuti.

Pitch riuscì con molta fortuna ad atterrare in piedi, anche se il suo intero corpo protestò lo stesso per l'atterraggio violento, ma i suoi compagni di disavventura non furono altrettanto fortunati, finendo col cadere, per la maggior parte, malamente di faccia. Pitch si voltò, una mano stretta sulla spalla ferita che continuava impietosamente a sanguinare, e osservò gli altri: sembravano tutti a posto, chi più chi meno.

North lo era di sicuro. Jack e Calmoniglio avevano entrambi un bel po' di tagli e lividi addosso, e il sacco di pulci sembrava lì lì per rimettere a causa del viaggetto scomodo, ma le loro condizioni in generale erano normali.

Tra gli yeti c'era un ferito che necessitava di cure immediate.

Pitch si voltò, digrignando i denti e cercando di pensare più rapidamente e lucidamente possibile: dovevano trovare immediatamente un rifugio.

La sua amata caverna era inagibile, al palazzo di North non si poteva tornare -in quel momento stava probabilmente bruciando, consumato dagli incendi appiccati dagli Sputafuoco-, di Sandy non se ne parlava -e a Pitch parve strano il fatto che quella peste gialla non si fosse ancora presentata.

Nella lista rimaneva Dentolina, e fu allora che l'Uomo Nero si accorse anche della sua assenza. Rumorosa e appariscente com'era, era impossibile per lui non averla notata. La fatina era parecchio impegnata, certo, ma quando si trattava di combattere l'aveva sempre vista in prima fila nell'eterna lotta contro gli Incubi...

Non ebbe il tempo di portare a termine quel ragionamento, che il filo dei suoi pensieri venne interrotto da un grido proveniente dall'alto.

Alzò lo guardo e vide una luce chiara. Sulle prime l'aveva scambiata per la luna, perciò non le aveva prestato più attenzione del dovuto. Ad una seconda occhiata comprese di essersi sbagliato, e anche di parecchio. Quella luce, dorata e calda anziché bianca e asettica, non era affatto la luna.

Era un galeone. Uno galeone dorato per giunta, che solcava pigramente l'aria sopra di loro, sospinto da un vento inesistente che gonfiava le sue vele semitrasparenti, e che ricordava in maniera raccapricciante le creazioni di Sandman. E, davanti ad esso, volando a tutta velocità verso di loro e seguita da quello che somigliava ad un nastro di sabbia dorata, c'era...

- June?! - esclamò Jack alle spalle di Pitch.

All'udire la voce del giovane Guardiano, June si fermò di colpo, e rimase a galleggiare a mezz'aria a un paio di metri da loro. Jack vide lo sguardo di June spostarsi freneticamente su tutti i presenti, sui loro lividi e sulle loro ferite, e vide il suo labbro inferiore tremare.

I suoi occhi si riempirono improvvisamente di lacrime. Poi, nel silenzio di tomba della radura, proruppe in un singhiozzo soffocato.

- June?... - Jack non poté crederci. L'aveva sempre, sempre vista sorridere, e la conosceva da centinaia di anni. E, quando vide quel viso lentigginoso storcersi in una smorfia di dolore e rigarsi di lacrime, semplicemente non poté credere ai suoi occhi. Ignorando le esclamazioni di sorpresa degli altri a quello spettacolo inatteso, Jack fece qualche passo avanti, muovendosi come un'automa. Si librò in aria andando a raggiungere June e, senza proferire parola, la strinse in un abbraccio.

June sussultò a quel contatto improvviso, rimanendo paralizzata per qualche istante, il fiato sospeso.

Poi si riscosse, e cercò di liberarsi da quella stretta.

- J-Jack! - esclamò all'improvviso, quasi urlando, e riuscendo finalmente a spingere via lo spirito, allontanandosi da lui. Anche Jack si allontanò di poco dalla giovane, scioccato dalla sua reazione. Calmoniglio e North si scambiarono un occhiata incredula, così come fece una coppia di yeti un metro dietro di loro. Pitch corrugò la fronte, fissando la ragazzina, percependo la sua paura.

- Jack, hanno preso Sandy! - gridò lei, il respiro reso irregolare fra i singhiozzi. Era prossima all'isteria.

Jack sgranò gli occhi.

- Cos...? -

Hanno preso Sandy.

Non credeva alle sue orecchie. Certo, Jack non aveva visto Sandy intervenire nella battaglia a palazzo, ma questo non significava assolutamente nulla...

- Stai... stai scherzando, vero? Chi è stato? -

June fissò Jack, che ora la guardava con un espressione di shock misto a spavento, e si mise le mani fra i capelli.

Non riusciva più a controllare il respiro.

- QUELLA DONNA! - gridò – E' stata lei! Ci ha attaccati all'improvviso, assieme a degli Incubi grigi. È tutta colpa mia se hanno preso Sandy, se l'hanno ferito, sono stata d'intralcio Jack, non sono riuscita ad aiutarlo, io... - il resto della frase si perse nella felpa di Jack: lo spirito del Gelo la tirò a sé e la strinse di nuovo in un abbraccio a cui stavolta June non riuscì a sfuggire. Jack sentì i singhiozzi scuotere violentemente le sue esili spalle, rendendola incapace di respirare regolarmente. Le accarezzò leggermente la testa riccia e la schiena. Sempre continuando a stringerla la guidò dolcemente verso terra, dove i due vennero immediatamente raggiunti da North, Calmoniglio e gli yeti. June non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere, stringendosi finalmente all'amico. Jack, continuando ad accarezzarla, alzò lo sguardo verso gli altri, trovando le sue stesse emozioni riflesse sulle facce degli altri: confusione, disperazione, dolore, e uno schiacciante senso di impotenza.

E, sopra a tutto, coscienza del fatto che stavano perdendo una guerra contro le tenebre.

Pitch non mosse un muscolo, rimanendo in disparte, limitandosi ad osservare quello spettacolo. Era scosso non meno degli altri, soprattutto per quella notizia. L'aveva compresa appieno, meglio di quanto avevano fatto Guardiani in quell'istante.

Sandy è nelle grinfie di Crysis, e il suo destino è ignoto. Potrebbe essere morto.

Il pensiero non gli portò gioia come aveva sempre immaginato. La sua nemesi era probabilmente morta. Ma l'informazione non causò nessuna emozione in lui. Solo... vuoto.

Aveva creduto di aver ucciso Sandy una volta, e ancora ricordava la folle esaltazione provata nel prevalere su quel potere che aveva da sempre rappresentato il suo opposto e suo nemico. E ricordava lo sgomento e l'orrore nel vederlo risorgere, più potente di prima.

All'epoca, quando aveva trionfato, aveva vagamente considerato l'ipotesi che Sandman potesse tornare, ma l'aveva scacciata: errore che in seguito era risultato fatale ai suoi piani. Ora la storia si ripeteva, solo con una piccola variazione.

Stavolta Sandy era caduto sotto i colpi di un nemico molto più potente e spietato di Pitch. Un nemico che poteva corrompere da dentro, e al cui potere non era ancora sfuggito nessuno.

Il re degli Incubi strinse le labbra sottili ed alzò lo sguardo al cielo, posandolo sul galeone dorato che li sovrastava, simile a un gigante silenzioso.

Tu non puoi morire per così poco. E soprattutto, non puoi morire per mano sua.

*

Dopo diverse ore che parvero un eternità, all'orizzonte nero, seguendo il profilo delle vicine montagne, comparve una linea sottile di un blu sbiadito, giunta a preannunciare l'alba. June non era sicura di quanto tempo aveva passato sul ponte del galeone, seduta su uno dei barili, lo sguardo fisso nel vuoto. Non doveva essere passato poi molto: si era offerta di dare una mano a medicare gli yeti feriti, e il suo corpo cominciava solo adesso ad accusare la stanchezza data dal movimento e dalle emozioni della giornata. Sospirò, chiudendo gli occhi.

Poi qualcosa di morbido e leggero di posò sulle sue spalle. Riaprì gli occhi sorpresa, scoprendo di avere sulle spalle una coperta di piles gialla, e vide un Jack non meno stanco sedersi su una cassa accanto a lei. Guardava anch'egli l'orizzonte ancora scuro, e aveva sulle labbra un lieve sorriso, che svanì subito. June non proferì parola, distogliendo lo sguardo e tornando a fissare l'orizzonte. Nessuno dei due disse nulla.

Poi Jack parlò: - Sono felice che tu stia bene. - disse piano. - Io... mi dispiace per quello che hai passato. Avrei voluto essere lì ad aiutarvi tutti e due. Mi... dispiace. - disse con voce esitante.

La verità era che non sapeva che dire. Si sentiva devastato, non solo per quello che era successo, ma anche per quello che aveva visto. Per Sandy, per gli altri Guardiani, per June. Era la prima volta che la vedeva piangere, l'aveva sempre creduta troppo forte per queste cose.

June non sorrise, sentiva che persino i suoi muscoli facciali erano troppo stanchi e congelati per compiere un qualche movimento, il so cuore troppo pesante per battere ancora. Tuttavia, al sapere che Jack era accanto a lei, che non la odiava dopo le notizie che lei gli aveva portato, dopo i fastidi e i guai che gli aveva causato, sentì che un po' del peso che le schiacciava l'anima svanire.

Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime minacciare di scendere per l'ennesima volta.

Poi, si sentì stretta da due braccia forti e gelide come il ghiaccio dell'Antartico, e un mento un po' appuntito poggiarsi sul suo scalpo.

Fu allora che le lacrime tornarono a scorrere sulle sue guance.

Per quanto si sentisse un mostro ad ammetterlo, stava un po' meglio, ora.

*

La notte era calata da poco sulla foresta. Era un luogo cupo, silenzioso, con alberi altissimi dai rami così fitti che la luce non era in grado di penetrarli ed arrivare a terra.

Una figura chiara vagava tra quei tronchi secolari. Aveva una pelle di un pallore cadaverico, quasi grigiastro, i capelli erano neri, lunghi e scompigliati, con qualche ciocca grigia. Indossava un abito lungo, largo e scuro, talmente sporco e rovinato da aver perso il suo colore originario, arrivando ad assumere una tonalità simile ad un nero verdastro, dagli orli marcescenti. Dal suo collo pendeva un bizzarro cappio di corda nera, spessa e pesante, che sembrava infinito, o almeno così la figura credeva.

Aveva provato a togliersi quel pesante accessorio, ma per qualche ragione non ci era riuscita. Ogni volta che ci provava, la corda si stringeva al suo collo, impedendole di rimuoverlo, per tornare alla sua larghezza originale quando abbandonava tale intento. La figurina lo aveva trovato un fenomeno assai curioso. Si era poi guardata intorno e, incuriosita dal cappio e dalla sua spropositata lunghezza, aveva deciso di trovarne la fine. Prese a tirarlo, ma la corda non finiva mai. Allora decise di seguirla per scoprirne l'origine, ma questa dopo un po' spariva e, dopo essersi persa più volte tra gli alberi, abbandonò anche quest'ultima intenzione.

Dopo aver lasciato perdere le indagini sul cappio, la figurina decise di fare una passeggiata e di esplorare il luogo. Era tanto, tantissimo che non aveva l'occasione di uscire fuori, vagare in un oscurità che credeva essere la sua casa, ma che non aveva mai visitato perché aveva trascorso tutta la sua lunga -era lunga? Non era in grado di calcolare il trascorrere del tempo in fondo, e le tenebre eterne della foresta non glielo permettevano- esistenza intrappolata in una grande quercia maledetta da un sigillo.

Si era chiesta molte volte perché era stata intrappolata -o forse ci era direttamente nata? Si chiese- in quell'albero, ma ora che era libera tutte quelle domande non avevano più importanza.

Una fanciulla era arrivata, una fanciulla bella come un fiore e terrificante come il guardiano posto a difesa del sigillo, e l'aveva liberata.

La figurina, libera e terrorizzata dalla sconosciuta, era fuggita quando aveva scoperto che le sue catene erano state misteriosamente spezzate, e non aveva avuto il coraggio di tornare finché non aveva scoperto che la sua misteriosa liberatrice se n'era andata.

Ora che era più calma, si rese conto che non l'aveva ringraziata, e se ne rammaricò. Ma non sapeva dov'era andata, e non poteva di conseguenza seguirla. L'unica cosa che le rimase da fare era vagare senza meta, esplorando quel luogo grande e silenzioso con la meraviglia di una bambina.

Infine giunse sulle sponde di una grande distesa d'acqua. Sapeva cos'era: un lago.

Non ricordava di aver mai visto l'acqua, se non quando pioveva e le gocce cadevano sulle foglie e poi sul suolo con un ticchettio ritmico, aiutando la terra a far crescere l'erba e le piantine nuove, però per qualche ragione sapeva com'era fatto un lago, e forse anche un mare.

Non aveva mai visto il mare.

Si avvicinò piano all'acqua, affascinata da quella distesa liscia e nera, parzialmente distratta dal biancore candido e soffice della neve che giaceva per terra. Anche la neve era uno spettacolo assai raro per lei.

I suoi passi erano leggeri e non lasciavano impronta alcuna, ma lei sentiva il freddo e il bagnato su cui stava camminando. Giunta alla sponda, si sporse a guardare.

Una forte luce inondò i suoi occhi, e la costrinse a coprirsi il viso con le mani cianotiche.

Quando le abbassò, un nuovo spettacolo si parò davanti a lei: sul lago nero c'era della luce. Alzò lo sguardo al cielo, e vide delle nuvole grigie, oltre le quali faceva capolino la luna. Era grande e bianca, e la figurina rimase ad ammirarla, meravigliata.

Quando era ancora intrappolata nell'albero, certe notti aveva l'impressione che la luna le parlasse, ma lei non aveva mai capito cosa le dicesse. La sentiva sussurrare parole inintelligibili, e aveva una voce calma e rassicurante. Quelle rare volte, lei era felice, e cercava di ricambiare parlandole a sua volta, ma senza ricevere risposta.

Si portò entrambe le mani alle orecchie, e cercò di aguzzare l'udito: magari ora che era libera la luna le avrebbe parlato di nuovo, e stavolta lei l'avrebbe capita.

Ma la luna non parlò.

La figurina abbassò le mani e lo sguardo, delusa. La luna era un po' come un amica per lei, e il suo silenzio la rendeva triste. Ma non ebbe tempo di imbronciarsi, che vide qualcos'altro. C'era qualcosa, anzi qualcuno, sulla sponda opposta del lago. La figurina dall'abito scuro strizzò gli occhi, osservandola: sembrava un ragazzo.

Un ragazzo alto e magro, dimostrava non più di sedici anni, o almeno così lei credeva, ed indossava una bella armatura che sembrava fatta d'argento e platino, decorata con motivi sinuosi e impreziosita da perle, opali e diamanti. Il ragazzo stesso sembrava fatto di nebbia, simile a un respiro nella notte, o alla nebbia mattutina. Il suo viso era bianco e magro, incorniciato da corti capelli candidi come la neve, i suoi occhi erano di un azzurro chiarissimo, e somigliavano a zaffiri. Guardava la figurina con un sorriso gentile.

La figurina fece un piccolo passo indietro, sorpresa, ma sorrise anche lei. Per qualche ragione quel ragazzo le ricordava tanto la luna, e questa cosa la rallegrava.

Poi, con un balzo leggero, il ragazzo si librò in cielo ed atterrò al centro del lago, e con un altro salto arrivò vicino alla figurina dalla chioma nera.

Sempre con quel sorriso, le fece un piccolo inchino, e si posò una mano sul cuore.

Io mi chiamo Nightlight.

La sua voce era un sussurro gentile. La figurina lo trovò un nome meraviglioso.

Anche lei si portò una mano sul cuore, e aprì la bocca.

Ma non ne uscì nessun suono.

La richiuse, e si guardò la mano cadaverica che aveva posato sul petto, rendendosi conto di una cosa: non ricordava il suo nome. Non riusciva nemmeno a parlare.

Rialzò lentamente lo sguardo, disperata, e vide Nightlight in piedi di fronte a lei. Sorrideva ancora. La figurina si tolse la mano dal cuore, e se la portò ai capelli, rendendosi conto di quanto erano in disordine.

Chissà cosa starà pensando di lei...

Nightlight tese una mano verso di lei. La figurina la guardò interrogativa. Nightlight le fece un piccolo cenno con la testa, indicando la luna.

Lei non capì, ma non si fece troppe domande. Titubante, allungò una mano esile, che lui strinse con dolcezza. Sembrava grigia tra le sue dita, che erano bianche come la neve. Si sentì imbarazzata, ma anche curiosa.

Si sentì sollevare, farsi più leggera, e guardò giù: si stava alzando in aria. Non credeva di esserne capace.

Nightlight le prese anche l'altra mano, e tirò la figurina a sé.

La Luna mi ha detto che volevi parlarle.

Io sono qui per portarti da lei.





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