Mare, custode dei ricordi.

di giu91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il sapore del mare ***
Capitolo 2: *** Ossessione. ***
Capitolo 3: *** Mai più! ***
Capitolo 4: *** .:|Oltre l’apparenza|:. ***
Capitolo 5: *** _.:[filo rosso]:._ ***
Capitolo 6: *** Quello che desidera il cuore ***



Capitolo 1
*** Il sapore del mare ***


˜IL SAPORE DEL MARE˜

Il mare è salato.
Affermazione piuttosto ovvia e certezza assoluta di tutti i marinai, potreste chiedere a ognuno di loro qual è il sapore del mare e otterreste sempre la stessa risposta: il mare è salato!
Se aveste fatto questa domanda a un giovane marinaio di nome Davy Jones appena qualche mese fa non avrebbe certo esitato a rispondere, ma da qualche tempo tutte le sue convinzioni stavano svanendo.
Da quando aveva conosciuto quella donna…no, un momento forse donna non è proprio il termine adatto.
Certo l’aspetto è di una giovane donna ma chiunque sia dotato di un minimo di sesto senso avvertirebbe brividi gelati lungo la schiena al solo incrociare il suo sguardo.
E lui aveva fatto ben più che incrociarne gli occhi…

…dopo il loro primo incontro non l’aveva più vista per molti mesi, l’aveva cercata ma sembrava che fosse scomparsa insieme all’alta marea.
Fu lei a rifarsi viva e con una proposta, “Servimi” non era un ordine ma il tono con cui lo disse lo avrebbe convinto anche buttarsi dal pennone di una  nave.
“Servimi” ripete avvicinandosi lentamente con passo ipnotico “Avrai una nave, una ciurma, sarai capitano e potrai solcare tutte le acque di questo mondo e non solo di questo...”.
Ormai era così vicina che poteva vedere negli abissi dei suoi occhi, abissi da cui era difficile riemergere.
“Pensaci” gli sussurrò nell’orecchio “Sarai temuto e rispettato da tutti, sarai il signore dei mari”.
La sua vicinanza lo mandava totalmente in tilt, era ormai in completa balia di quegli occhi e il suo cuore non batteva come avrebbe dovuto, ma riuscì ancora a formulare una frase coerente “Chi sei? Come puoi offrirmi tutte queste cose?”.
Un sorriso divertito spuntò sul suo viso “Chi sono, mi chiedi? Ho molti nomi, e molti sono i miei poteri, io sono la signora del mare e delle creature che vivono in esso, Io sono la tua signora marinaio, io sono il mare” e mentre parlava le onde si alzavano e si avvolgevano intorno al suo corpo formando elaborati arabeschi e mitologiche figure.
“Io sono Calipso!”
E con queste parole avvicino le sue labbra a quelle del marinaio e le unì con un bacio.
Jones non sapeva come descrivere le emozioni che stava provando, gli sembrava di affogare e di sentire una melodia intrisa di dolci promesse e profonda tristezza.
 Quando capì ciò che stava succedendo pensò che se quella donna era realmente ciò che diceva di essere, forse il mare non era affatto salato come pensava
Era dolce, almeno inizialmente, con una punta di amaro sul fondo e anche molti altri sapori che non seppe distinguere in tempo, perché quel bacio finì proprio come era iniziato, senza che se ne accorgesse.
Riaprì gli occhi e riempì i polmoni d’aria ma Calipso non era più là, “Pensaci” un ultimo sussurro portato dal vento…

...Provate ora a chiedere a quel marinaio qual è il sapore del mare e non sorprendetevi se lo vedrete riflettere, perché adesso non è più così sicuro che il mare sia salato.



So che è un’assurdità oltre che una schifezza ma io provo lo stesso a pubblicarla.
A essere sincera non è che Calipso e Davy Jones siano i miei personaggi preferiti ma trovo che su di loro ci sia ancora parecchio da dire e che abbiano caratteri molto complessi su cui mi piace provare ad indagare.

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Capitolo 2
*** Ossessione. ***


«¤Ossessione¤»

Tutto di te mi attrae, il tuo aspetto, il tuo profumo cosi simile a quello del mio adorato mare, il tuo carattere così coraggioso e terribilmente testardo, e il tuo cuore, che batte energico dentro il petto, calmo e ritmato anche in mezzo alla peggiore delle tempeste.
Un battito che mi ricorda il suono delle burrasche che io stessa scateno, il tuo cuore batte proprio come il mio.
Provo una strana sensazione, ancora non capisco bene di che cosa si tratti, so solo che ti desidero, ti voglio, devi essere mio, quel cuore deve essere mio, voglio che batta solo per me.
E da tanto che ti osservo, tu non te ne sei mai accorto ma in ogni tuo viaggio io sono con te, sono il vento che accompagna dolcemente la tua nave e l’onda tempestosa che si abbatte sui tuoi nemici.
Sei diverso dagli altri, non temi l’idea di finire negli abissi, non temi me!
Prima di ogni viaggio quei vigliacchi opportunisti mi fanno delle offerte perché io conceda loro i miei favori, ma tu no, tu preferisci rischiare la tempesta e dimostrare di essere più forte del mare, più forte della dea!
Io non permetto a nessuno di sfidarmi, non in mare, non nei miei domini; sulle acque io sono regina incontrastata.
Sarebbe facile ucciderti, per quanto forte tu sia non puoi vincere sugli elementi, ma io non voglio la tua scomparsa, tu non sei un pericolo per me ma una sfida; sfida che intendo ovviamente accettare.
Sarai mio! Mio servo, mio prezioso capitano, mio amante… se lo vorrò.
Sei la mia ossessione, Davy Jones.
Anche adesso ti sto osservando sai? Gli ultimi raggi infuocati di sole stanno sparendo dietro l’orizzonte e un pallido spicchio di luna inizia ad apparire in cielo.
Tu sei lì, ritto sul ponte scruti pensieroso l’orizzonte, a cosa pensi? A me forse?
Non riesco a vedere il tuo viso, stanotte sono poche le stelle a illuminarti la via, attento, potresti perderti.
Tutti gli altri marinai son andati a riposarsi (o forse dovrei dire ubriacarsi fino a svenire?) ma tu sembri deciso a passare una solitaria notte sul ponte.
Ti vedo dirigerti lentamente verso il timone, appari calmo e serio, i tuoi passi sono lenti ma decisi.
Ho capito, finche non spunterà l’alba sarai tu il capitano e intendi godere di questi momenti in solitudine.
Sembri amare quella nave: il modo in cui accarezzi il timone, il tuo sguardo profondo e ammirato e la cura con cui ti occupi di lei mi colpiscono, mi fanno provare strane sensazioni, desidero prendere il posto di quel veliero.
Il mare fino a questo momento piatto si scuote a questi miei pensieri, sembra volermi dire che non sono adatti a una dea.
Perché no? In fondo proprio essendo dea, dovrei poter avere tutto ciò che desidero.
Ti appoggi stancamente al timone, la battaglia che avete affrontato oggi deve proprio averti sfinito; a quanto pare sei anche ferito, poche gocce di sangue cadono sul ponte.
Provoco un’onda che fa inclinare la nave e una piccola gemma, liquida e scarlatta cade in mare.
Ora posso sentirti, in questa lacrima cremisi scorre la tua vita, finalmente mia, questo è solo un piccolo assaggio di te, presto avrò molto di più, aspettami, Davy Jones, perché presto soddisferò la mia ossessione.



Questa volta o voluto provare a descrivere i sentimenti di Calipso dato che nel film non si capisce mai se lo ami o se faccia solo finta.
Scusate la mia mania per il sangue ma troppi libri sui vampiri fanno questo effetto >.< ditemi se ho esagerato.
Kela, mi metto subito al lavoro per quello che mia chiesto, sono ai tuoi ordini Capitana;) grazie per la tua recensione non pensavo di farti così felice!
Grazie anche a Laura Sparrow, spero che ti sia piaciuta anche questa one-shot, altrimenti accetto volentieri critiche.

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Capitolo 3
*** Mai più! ***


mai più!
∞Mai più!∞

Finalmente il sole sta sorgendo, l’alba è arrivata, sono dieci anni che aspetto questo giorno.
Finalmente potrò rivederti, durante questo periodo mi è sembrato che il tempo si fosse fermato, come per un crudele scherzo.
Il mio corpo non è invecchiato, è lo stesso di quando ci siamo conosciuti, ma la mia mente no: sono stanco, provato dal mio compito, spossato dalla tua mancanza.
Spesso ti ho sentita vicino a me, accompagnavi con le tue correnti la mia nave fino al confine con l’altro mondo per poi farla veleggiare in acque in cui i mortali non sono ammessi.
Tu hai molte forme Calipso e quando sono in mare sei sempre accanto a me, ma io sono umano e ho bisogno di sentire la tua voce e perdermi nel tuo sguardo.
Ora finalmente potremo stare insieme per un intero giorno, sulla spiaggia in cui mi hai parlato per la prima volta.
Ecco, vedo la terra, lascio la nave al comando dei miei marinai e sbarco, dove sei Calipso?
È questo il luogo in cui dieci anni fa mi hai chiesto di traghettare per te le anime perse e confuse di coloro che sono morti in mare, è questo il luogo che scegliemmo per il nostro incontro, ma tu “dove sei Calipso?”.
Sussurro appena queste parole, non averti trovata ad aspettarmi mi ha tolto il fiato, trafiggermi con una spada sarebbe stato meno doloroso. “Arriverai vero?! Sei solo in ritardo, non puoi non venire!”, ma mentre pronuncio queste parole mi accorgo di quanto siano false e sciocche.
Non posso credere che tu non sia qui, lacrime amare mi scendono dagli occhi, ma non mi arrendo, ho deciso: ti aspetterò, per tutto il tempo che ho a mia disposizione, tu devi arrivare!


“Basta!”, grido disperato al vento, sono sfinito, ho atteso a lungo, ho passato tutto il giorno, l’unico giorno che potevo trascorrere a terra, ad attenderti, ora basta!
Provo un dolore insopportabile all’altezza del petto, perche Calipso, “Dimmi perché!”, un altro urlo che si perde nelle prime ombre della sera.
Ormai è tardi, sento il richiamo del mare, il mio tempo è scaduto non posso più stare qui.
Un’altra fitta mi trapassa il cuore come mille aghi ghiacciati, cado in ginocchio.
“È questo che volevi Calipso, ingannarmi, farmi credere nel tuo amore, usarmi come servo, ti sei divertita con me? Sono stato il tuo giocattolo?”, gocce di rabbia cadono dai miei occhi.
Fatico a respirare, la testa mi gira, troppi pensieri la affollano: odio, dolore, amore tutto si fonde, sono confuso, non ho più una meta.
Questo cuore che batte è diventato un peso troppo grande da portare, è inutile ormai, senza più uno scopo, senza nessuna da amare porta solo sofferenza.
Estraggo il mio coltello dalla sua fodera e lo osservo, ho preso la mia decisione, perché tenere qualcosa che arreca solo dolore? Non morirò comunque, continuerà a battere, ma lontano da me.


Risalgo sull’Olandese Volante, i miei uomini sembrano spaventati dal mio sguardo, ordino di staccare qualche pezzo di legno dalla nave, questo veliero può viaggiare anche nella terra dei morti, sarà lui a fare da tramite tra me e il mio cuore.
Eseguendo i miei comandi alcuni marinai costruiscono un rudimentale scrigno, lo strappo dalle loro mani e mi reco nella mia cabina.
Mi siedo, estraggo nuovamente il mio pugnale, lucido e affilato sta per svolgere il suo compito.
Appoggio la punta sul mio petto e comincio a conficcarlo nella carne, inizialmente il dolore è così intenso che mi blocco, ma io non torno mai sulle mie decisioni, macchie scarlatte che sembrano fiori cadono sul pavimento, riprendo fiato e affondo la lama in profondità, è strano ma più aumenta il dolore fisico e più tutto mi sembra chiaro.
Ora lo so, ero solo un gioco per te, la rabbia mi sommerge e ogni rimasuglio di dolore sparisce dal mio corpo.
Ho sprecato dieci anni della mia vita a servirti, mi sono torturato trasportando anime sofferenti, ma adesso basta, ora ho l’eternità per vendicarmi.
Noto che non sono solo i miei pensieri a mutare, è come se il corpo si adatti ai miei nuovi sentimenti.
Il colore della pelle sta cambiando, diventa prima lattescente per poi scurirsi, tentacoli iniziano a crescermi dal mento, il mio rancore mi travolge di nuovo e faccio un giuramento “ Mai più, Calipso, mi lascerò usare, mai più permetterò a uno stupido sentimento di privarmi della ragione, nessuno si prenderà ancora gioco del mio orgoglio e mai più svolgerò il compito da te assegnatomi!”
L’unica cosa in cui ancora credo è il mare, proprio da lì il mio corpo sta prendendo nuovi elementi: lentamente il mio braccio  sinistro s’irrigidisce e assume l’aspetto di una pericolosa chela, la gamba sinistra, che era rimasta lesa durante uno scontro, inizia ad assomigliare a un arto artificiale, simile a una zampa di granchio.
Per un attimo il mio fisico sembra assumere la consistenza dell’acqua, poi lentamente inizia a riprendere densità ed io sono assalito da un forte senso di torpore.


Con il mio nuovo aspetto esco dalla cabina passandoci attraverso, il cuore è al sicuro nello scrigno, dovrò trovare una serratura e un posto adatto per nasconderlo, non voglio certo morire adesso, non prima di aver avuto la mia vendetta!
A quanto pare non solo le mie sembianze a essere cambiate, anche la ciurma sta subendo dei mutamenti, c’è chi ha dei molluschi che iniziano a nascere dal corpo, chi invece sembra assomigliare un pesce.
Osservo la nave, nemmeno lei non sfugge a questa sorte, il legno non sembra più tale, assume un colorito biancastro, rigido, molto simile a delle ossa.
La bella polena che adornava la nave è sparita, al suo posto appaiono zanne di coccodrillo che si aprono in un ghigno.
Ora sì che la nave è adatta al suo capitano!
Mi avvicino al parapetto e osservo nell’acqua la mia immagine riflessa, ho ancora appeso al collo quello stupido medaglione, lo apro e una triste melodia si diffonde nell’aria, ma io non provo niente se non rabbia.
Torno a guardare l’acqua ma non trovo più la mia immagine, vedo invece la figura evanescente di un giovane, un altro di quei pivelli morti in mare.
L’anima del ragazzo inizia a fluttuare e avvicinandosi mi guarda con occhi imploranti, vorrebbe che lo aiutassi a trovare la via; un sorriso crudele nasce sul mio volto, faccio schioccare avanti la chela e dissolvo quella pallida ombra, chiudendo contemporaneamente il medaglione che aveva continuato a diffondere le sue note.
“Mai più!”, sussurro minaccioso al vento.




Ho fatto fatica a scrivere  questo storia e non so se sia venuta molto bene.
La dedico comunque a DJ Kela visto che è stata lei a volerla, a incoraggiarmi e a darmi le informazioni sulla nave.
Spero di essere riuscita a esprimere bene i sentimenti del capitano, ma anche a dare un senso a come poteva essere accaduta la trasformazione.
Grazie a tutti quelli che vorranno lasciare un commento.

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Capitolo 4
*** .:|Oltre l’apparenza|:. ***


oltre
.:|Oltre l’apparenza|:.


Tutti indossano una maschera, anche quando a prima vista non sembrerebbe, colorati travestimenti ricoprono la nostra vera sembianza .
Con sfavillanti colori proiettano ombre che nascondono l’autentica natura di ogni essere, dinamiche e cangianti queste maschere cambiano aspetto a seconda delle situazioni.
Spesso è il destino che ti obbliga ad indossarle e altre volte la paura di mostrare la propria  anima ad un mondo crudele, travestimenti screziati e allegorici per nascondere la verità.
Se volete far finire questo infinito carnevale provate a cercare i veri cuori dietro alle maschere della dea del mare e del demone senza pietà; rimarrete sorpresi...





Piccola drabble di 100 parole esatte ispirata al carnevale.
Scusate per la mia lunga assenza causa scuola che mi portato via tutto il tempo ma spero di riprendermi finito il quadrimestre e tornare a scrivere un po’.

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Capitolo 5
*** _.:[filo rosso]:._ ***


filo
_.:[Filo rosso]:._

In una casa di un piccolo paese affacciato sulle cristalline acque del mar dei Caraibi, il sole si infiltra dalla tende di una finestra, illuminando con i suoi raggi l’intera stanza e  interrompendo i sogni agitati di un bambino.
“Svegliati, pigrone, la colazione è pronta!”,  la  voce briosa della madre gli arriva dalla camera accanto.
Con un salto il piccolo è subito giù dal letto, si tratta di un bambino di all’incirca cinque anni, capelli castani e spettinati, sguardo vispo che rivela una certa cocciutaggine e un sorrisetto appena accennato che spunta sul viso.
Subito si fionda in cucina e divora la sua colazione in pochi bocconi iniziando poi a guardare ansioso la porta.
“Posso andare in riva al mare a giocare e fare una nuotata?”, chiede alla madre sfoderando il suo migliore sguardo da angioletto “Ti preeego” aggiunge poi accennando un sorriso.
La donna alza gli occhi al cielo e risponde “Lo sai che non sono contenta che tu vada, ma se non ne puoi fare a meno fai pure”, preferisce non fare discussioni, sa che sarebbe inutile, non è mai riuscita a tenerlo lontano dal mare e tutte le mattine iniziavano la stessa discussione, quel giorno però non aveva il tempo di litigare, doveva rassettare la casa prima di andare al mercato.
“Stai attento però a non allontanarti troppo dalla riva !” gli ricorda mentre vola fuori, “E cerca di tornare per pranzo!”, aggiunge quando ormai è già lontano.
Sospirando la madre si avvicina alla porta e la chiude tornando poi a riordinare la casa.
Mentre lavora la donna pensa alla passione di suo figlio per il mare, non è affatto contenta, ha già perso il marito a causa di una tempesta e non vuole certo rinunciare anche al figlio.
Con un sospiro si dirige verso la sua camera per prepararsi ad uscire.
Nel frattempo il ragazzino è arrivato alla sua meta, si ferma a riprendere fiato dopo la corsa e alzo lo sguardo: non si stuferà mai di quella visione, una immensa distesa color zaffiro che arriva fino all’orizzonte, piccole onde si infrangono regolarmente sulla candida sabbia che assume in alcuni punti una tonalità rosata.
Inizia a passeggiare pensieroso e le sue orme rimangono impresse nella sabbia bagnata, con lo sguardo scruta il mare alla ricerca di qualcosa.
SI leva la maglietta e la getta a terra, iniziando a entrare in acqua, quando è abbastanza profonda perché non tocchi si immerge di colpo.
Ama la sensazione di tranquillità che prova quando è immerso, i rumori sono attutiti e tutto sembra muoversi con più calma che in superficie, apre gli occhi, per lui non è un problema trattenere a lungo il respiro, ha imparato a nuotare prima che ha camminare.
È in cerca di alcune conchiglie che ancora mancano alla sua collezione, ogni volta che tornava da uno dei suoi viaggi il padre gli portava qualche conchiglia tipica delle zone in cui era stato, poi un giorno il mare decise di reclamarne la vita… ma lui non aveva abbandonato la ricerca di quei trofei del mare.
Continua a nuotare per tutta la mattina senza, però, riuscire a trovare quello che voleva.
Non importa, pensa, una ragione in più per tornare un altro giorno.
I brontolii del suo stomaco gli fanno capire che è orma ora di tornare a casa per il pranzo, ma mentre si incammina una voce lo distoglie dai suoi pensieri “Guarda un po’ chi si vede, il piccolo scontroso Davy, cosa ci fai qui da solo, non sai che il mare potrebbe mangiarti”.
A parlare era stato un ragazzino di dieci dagli occhi  scuri ed affilati attorniato da tre bambinetti più giovani che gli stanno dietro come bravi cagnolini ridendo per la battuta.
“E tu non sai” risponde girandosi di scatto “che è meglio non infastidirmi” ribatte secco. “L’ultima volta, se non sbaglio, sei tornato dalla mamma lagnandoti che un bimbetto con la metà dei tuoi anni ti aveva lanciato addosso un’alga urticante” prosegue con tono serafico sorridendogli falsamente.
“Zitto, brutto sgorbio! Mi hai giusto ricordato che abbiamo un conticino in sospeso” ringhia minaccioso mentre i tre bimbetti canticchiano provocanti:
Davy, Davy solo e scontroso,
senza più padre cosa farai.
Forse in un giorno un po’ burrascoso,
dentro al mare affogherai
“Già, se continui a cacciarti nei guai a tua madre non basteranno più le strade di questo paese per pagare i danni” sibila velenoso tra i denti.
“Non osare offendere mia madre!” sussurra appena, per poi lanciarsi contro con tutta l’intenzione di lasciarli un occhio nero come ricordo, ma la sua azione viene annullata da due dei tre mocciosi che lo bloccano a terra.
“Bravi ragazzi, e ora tiratelo su e tenetelo ben fermo!” ordina soddisfatto il capo prima di distorcere la bocca in un ghigno e caricare un pugno…

”Ah, sei tornato finalmente, e pensare che ti avevo detto di essere puntuale” lo accoglie la voce seccata della madre prima di cambiare rapidamente tono “Ma santo cielo, che cosa ti è successo tesoro!?”
 “Niente!” esclama seccato, “Come niente! Sei pieno di graffi e hai lividi ovunque!” “TI HO DETTO CHE NON E’ NIENTE, MALEDIZIONE!” Gli urla contro irato.
SCIAF!
Senza che nemmeno se ne renda conto si ritrova con una guancia in fiamme e gli occhi lucidi di sua madre che lo osservano mentre riabbassa lentamente la mano per poi chinarsi ad abbracciarlo con forza.
“Io mi preoccupo solo per te” gli sussurra gentilmente all’orecchio, “Sei sempre così solitario, non hai stretto amicizia con nessuno dei bambini del villaggio, e poi torni sempre a casa pieno di ferite”, si allontana un poco da lui per guardarlo dritto negli occhi, “Non so più cosa fare con te” confessa mentre un triste sorriso gli appare sulle labbra.
Tenendo lo sguardo fisso sul terreno Davy si dirige mestamente verso la sua stanza per potersi buttare stancamente sul letto.
Sa già che entro poco tempo sua madre verrà a curargli le lesioni, non si diranno una parola, come sempre, come in una tregua segretamente prestabilita.
Gira la testa verso la luce del sole, socchiude gli occhi per non rimanere abbagliato e pensa a domani, quando potrà di nuovo annullarsi nel rilassante ondeggiare del mare.

Ancora risentito per il litigio del giorno precedente Davy cammina malinconicamente sulla pallida sabbia, calciando con irritazione alcuni sassi finiti alla portata dei suoi piedi.
Alzando lo sguardo una piccola figura attira la sua attenzione:
si tratta di una bambine che, seduta sulla spiaggia, osserva il mare con aria corrucciata.
Avvicinandosi può notare qualche particolare in più, la bambina sembra avere circa la sua età, ha la pelle più scura della sua, con vivaci riflessi bronzati, i capelli, anche essi scuri, le ricadono scompigliati sulle spalle.
Si avvicina incuriosito, “Ciao, tu chi sei? Non ti ho mai vista da queste da parti, non sei del villaggio, vero?” ma non riceve nessuna risposta, come se non l’avesse sentito.
“Ehi, perché non rispondi?” domanda inclinando un po’ la testa in una buffa espressione e toccando la spalla della bambina, di colpo si ritrova con due occhi neri come la pece e profondi come baratri piantati nei suoi.
“Non sono affari tuoi!” esclama altezzosa e scorbutica.
 “Uffa, guarda che io volevo solo essere gentile!” ribatte deluso, ma allo stesso tempo si accorge che gli occhi della piccola sono lucidi ed arrossati, come se avesse pianto da poco.
Circospetto si allontana ma girandosi a guardarla ancora una volta non riesce a provare tenerezza per quella ragazzina dallo sguardo fulminante, c’è qualcosa in lei che gli sembra famigliare, attraverso la nebbia dei ricordi vede se stesso, poco dopo la morte del padre, seduto a guardare il mare, unendo le sue lacrime alle infinite gocce presenti nel mare.
Con cautela si porta alle sue spalle e la stringe in un abbraccio, sua madre fa sempre così quando lo vede triste, sente il corpo della bambina irrigidirsi per la sorpresa, ma non può fare a meno di notare il tepore che quel piccolo corpo riesce ad emanare.
“Che, che stai facendo?” chiede sospettosa e con tono leggermente allarmato.
“Ti abbraccio, scusa ma cosa c’è di strano? Mi sembravi triste, mia madre mi abbraccia sempre quando sono triste” la lascia andare e sente subito la mancanza del suo calore, le si siede vicino e le sorride timidamente “Allora, ti va di dirmi chi sei?”
Lei lo scruta dubbiosa, esita un attimo per poi annuire col capo e iniziare a parlare: “Mi chiamo Calipso e hai ragione non sono di questo villaggio, vengo da molto lontano, ma non voglio parlare di me, piuttosto, quello che hai fatto prima hai detto che si chiama abbraccio? E’ strano, non avevo mai provato un abbraccio!” conclude con tono perplesso.
“Come sarebbe a dire che nessuno ti ha mai abbracciata?! Neanche tua madre?”  sgrana gli occhi incredulo.
“Io non ho una madre” obbietta lei
“Ma è impossibile! Tutti hanno una madre!”

“Forse ce l’ho, ma nessuno me lo ha mai detto” prova a ipotizzare lei.
“Sì, sicuramente e così, ma allora chi si occupa di te?”
“Ma le ninfe ovviamente!”
 Davy è sempre più confuso “Ninfe? E cosa sarebbero?”
“Non lo sai? E’ difficile da spiegare, considerale come delle domestiche!” annuisce soddisfatta della sua aspiegazione.
Stupito la osserva e pensa che quella bambina è proprio strana, a partire dal nome: Calipso, non aveva mai sentito un nome del genere, e poi quella storia delle ninfe gli sembrava poco chiara.
Decise di lasciar perdere e cambiare argomento “Senti, ma se vieni da lontano cosa ci fai qui?”
“Mi annoiavo, sono stufa di essere controllata a vista, voglio fare qualcosa di interessante, tu hai qualche idea?” gli domanda guardandolo speranzosa.
“Uhm, potremmo costruire dei castelli di sabbia, che ne dici?”
“Castelli di sabbia?”
  ripete lei scandendo bene le parole “E come si fa a costruirli?”
“Non sai nemmeno questo, ma in che mondo vi… HAIII!” un dolore improvviso alla mano gli provoca un urlo, si guarda in torno alla ricerca della fonte che lo ha provocato e il suo sguardo cade su di un piccolo granchio che lo scruta in posizione d’attacco.
“Mi spiace, ti ha fatto molto male!” si informa un po’ preoccupata Calipso “Lui è Arek, è un mio amico, si è offeso perché non ti sei accorto di lui” spiega poi tranquilla accortasi che non si era fatto niente di grave.
“Hai per amico un granchio nano con manie di protagonismo?!” sbotta chiaramente irritato “Uff, lasciamo perdere ma vedi di tenerlo lontano da me, e ora ti mostro come costruire un castello di sabbia! Vedrai, lo faremo degno di una principessa!” e sorridendosi a vicenda iniziano il loro lavoro.

Sono passati diversi giorni dal suo incontro con quella strana bambina e qualcosa era cambiato nella sua vita: finalmente aveva una amica con cui parlare e giocare, con lei non si sentiva a disagio (beh, a parte quando lo scrutava con i suoi occhi di tenebra), e non doveva fingere di essere allegro se non lo era, se non aveva voglia di parlare lei non lo obbliga, si sedevano vicini e osservavano l’immensa distesa di cobalto che riesce a ipnotizzare i loro cuori.
Anche sua madre aveva notato il cambiamento: Davy non tornava più a casa carico di lividi e con l’aria imbronciata ma allegro e sorridente.
Più volte gli ha chiesto di questo suo mutamento, ma lui elude sempre le domande dicendo che il mare gli aveva portato un regalo.
Calipso non aveva mai più parlato delle sue origini e lui aveva evitato di indagare per paura di spezzare il loro giovane legame, l’unica volta che aveva provato ad accennare l’argomento lei si era incupita e gli aveva aspramente risposto che “Non sono affari tuoi!”, per poi fargli promettere di non raccontare mai a nessuno di lei, secondo lui c’è qualcosa di selvatico in quella bambina che sfugge alla sua comprensione.
Come tutti i giorni la trova seduta sulla sabbia, è sempre lì come se apparisse dal nulla, mai una volta la vista arrivare, si ritrova a pensare che provenga dalle onde del mare ma ricaccia indietro quello stupido pensiero.
Avvicinandosi si accorge che c’è qualcosa di diverso dal solito, non gli sorride, non gli corre in contro, evita persino di guardarlo negli occhi; si limita ad aspettare che lui si avvini a sufficienza per sentire le sue parole.
“Non posso mai più venire qui” il suo è appena un sussurro ma provoca nel bambino una violenta reazione, come una fulmine paralizzante.
“Co, cosa vuoi dire con questo?” la voce fatica ad uscirgli dalla gola è solo con grande sforzo che riesce a pronunciare quelle poche parole.
“Voglio dire che non ci vedremo mai più!” ripete, questa volta con un tono più alto ma sempre tenendo lo sguardo fisso sulla sabbia.
L’espressione di Davy è quella di un cucciolo bastonato, nemmeno la rabbia riesce a prendere il sopravvento sullo sconforto che lo ha invaso, gli sembra di essere distaccato dalla realtà come in un incubo “Ma perché! DIMMI ALMENO PERCHE’!” l’urlo liberatorio riesce a riportalo del tutto del cosciente della situazione, ancora prima che lei parli sa che non riceverà spiegazioni.
E’ sempre stato così tra di loro: nessuno dei due indagava sulla vita dell’altro, come in una zona franca ,in cui non importa di quale esercito fai parte, anche lì su quella spiaggia loro riposavano i cuori e custodivano i segreti.
Come si aspettava ricevette in replica solo “Perché devo prendermi le mie responsabilità, devo assumere il ruolo per cui sono stata preparata” il tono era piatto, come se non provasse niente, ma lui sapeva che era solo un modo per mascherare i suoi veri sentimenti, sapeva che se avesse potuto vedere i suoi occhi li avrebbe trovati lucidi come il primo giorno in cui l’aveva incontrata.
“E’ inutile che io tenti di farti cambiare idea, vero?”  ha un groppo in gola, sente che se continua a parlare non potrà fare a meno di piangere, si volta, deciso a correre a casa ma prima le dice “Torna almeno domani, voglio darti una cosa” e senza aspettare una risposta si lancia di corsa verso casa.
In realtà non ha nessuna voglia di sopportare gli sguardi interrogativi della madre, cammina lungo l’interminabile distesa di sabbia, svuotato da ogni emozione, il suo cuore è troppo piccolo per sopportare tutto quel dolore e la sua mente gli impedisce di provarlo, come in una sorta di meccanismo di difesa.
Col tempo i suoi passi lo riportano verso casa, alza gli occhi e si accorge che una pallida luna inizia a rubare il cielo al sole, entra in casa silenzioso come un ladro e si dirige in camera sua, in un angolo del letto trova il regalo che stava preparando per Calipso: una bellissima conchiglia bivalve che risplende di madreperla, indubbiamente la più bella della sua collezione, sopra con un coltello aveva inciso l’effige di un granchio, come ricordo del loro primo incontro.
Seduto sul bordo del letto prende in mano il suo lavoro e l’osserva, è grande quanto la sua mano e brilla alla luce fioca della luna, ha un piccolo foro destinato a far passare una catenella, voleva che lei potesse indossare il suo regalo.
Una lacrima cade solitaria dai suoi occhi e le troppe emozioni provate lo fanno cadere in un sonno senza sogni.

Un cielo tempestoso si presente ai suoi occhi appena fuori dalla porta, le onde sono più alte del solito, non è una giornata adatta per andare in spiaggia ma Davy non ascolta i consigli della madre e si dirige nel luogo in cui si era sempre incontrato con Calipso, ma ancora prima di raggiungerlo un onda dalla forza dirompente lo trascina in acqua.
Senza nemmeno accorgersene si ritrova in mare aperto, inutili risultano i suoi sforzi per restare a galla, la forza del mare ha la meglio e lui sprofonda inerte negli abissi.
La sua coscienza sta venendo meno, e gli occhi iniziano a socchiudersi quando tutto in torno a lui si calma: il mare interrompe il suo moto tempestoso e un raggio di solo trapassa le acque illuminando il suo piccolo corpo, tende verso l’alto la mano che ancora stringe il ciondolo e gli sembra di vedere calipso che gli si avvicina sorridendogli, poi tutto si oscura.

Verrà ritrovato dalla madre svenuto sulla spiaggia, curato amorevolmente e si risveglierà dopo alcuni giorni.
Una botta alla testa gli ha fatto dimenticare le ultime settimane e lui non ha nessun ricordo della bambina con cui ha trascorso il suo tempo, ma non molto lontano, vicino alla spiaggia, la nuova dea del mare sorride impugnando il ciondolo intagliato, prima di voltarsi e sparire.
Il destino a legato le loro vite, i loro cuori conservano i ricordi e il tempo intreccerà di nuovo le loro esistenze.







E’ un po’ diversa dalle altre che ho scritto, che ne dite?
So che ho ancora molta pratica da fare (ma davvero moooolta), comunque aspetto recensioni.
Come sempre una marea di grazie alla Capitana Kela che mi sostiene con le sue recensioni dandomi anche nuovi spunti :)
Grazie anche a nekomi e lemnia che hanno recensito.
Per il titolo mi sono ispirata alla leggenda cinese secondo la quale si è legati alla proprio anima gemella attraverso un filo rosso dal dio dei matrimoni.
Per il ciondolo pensavo invece a quello che entrambi hanno nel film, quello non è certo fatto di conchiglia, ma considerate il mio come una specie di suo antenato.
Grazie in anticipo a chi anche solo la leggerà! 

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Capitolo 6
*** Quello che desidera il cuore ***


Quello che il cuore
=:.Quello che desidera il cuore.:=

Plic… plic… plic…

Gocce di pioggia cadono tranquille mentre il cielo assume cupe tonalità di colore, un lampo illumina il tetro paesaggio: ombre di antichi alberi appaiono formando minacciosi ghigni per poi scomparire nuovamente avvolte dalle tenebre da cui sono nate.
Un uomo si dirige con prudenza verso una costruzione diroccata e seminascosta dal groviglio di rami.
Una parte del tetto è crollata e l’edera abbraccia le alte colonne soffocandole, i resti di un portale d’ingresso sono sparsi al suolo, un tempo era adornato da preziose decorazioni, avvicinandosi la figura ammantata ne raccoglie un frammento che nonostante gli anni ha conservato la vivida immagine di due occhi che lo scrutano minacciosi.
Un altro lampo spacca in due il cielo e in quella luce accecante un cupo bagliore s’irradia dagli occhi di pietra, vivi sembrano ammonire lo sconosciuto visitatore che, irritato, li getta via, rivolgendo nuovamente la sua attenzione alla costruzione.
Sembrano le rovine di una chiesa, ma sono diverse da qualunque chiesa avesse mai visto, un tempo di un bianco immacolato file di colonne sorreggono la costruzione, testimoni del passare del tempo.
Ciò che resta del fastoso tempio di un’antica civiltà si staglia tra le ombre resistendo con ostinazione all’avanzata delle piante.
La pioggia s’intensifica e l’uomo entra in quello che il santuario di un dio morto, l’oscurità lo avvolge e prima che i suoi occhi si abituino ha il tempo di ripensare al motivo per cui si trova in quel lugubre luogo, è li per lei ovviamente, per un suo desiderio.


Pochi giorni prima Calipso, la volubile dea del mare gli era apparsa in sogno, la sognava spesso dal giorno di quasi due anni prima in cui lei lo aveva insignito del ruolo di traghettatore di anime, quasi due anni in cui aveva potuto vederla soltanto nei sogni, consapevole che solo dopo un decennio avrebbe potuto rimettere piede sulla terra.
Ma quella notte il sogno era diverso, lei era troppo vera per essere solo fantasia, gli si avvicinava con quel suo passo suadente, senza mai staccare lo sguardo ammaliante e deciso da quello stupito di lui.
Arrivatagli davanti gli aveva preso le mani e lui aveva potuto sentire il calore che emanava la sua pelle ambrata, “Sei davvero qui?”, appena un sussurro uscitogli dalle labbra.
Calipso sorridendo gli avvicina ancora come per baciarlo ma quando lui socchiude un poco gli occhi lei annulla la distanza tra loro con un piccolo morso.
Si stacca da lui per contemplarne l’espressione sorpresa, le piaceva sempre stupirlo “Tu che dici? Credi che io sia vera o vuoi anche un pizzicotto?”, deve ammettere che anche provocarlo la diverte molto.
“Ma… ma com’è possibile che tu sia qui? Io non capis…” ma lei lo aveva zittito unendo le loro labbra, in un bacio vero questa volta!
Davy Jones percepì la sensazione di soffocamento, la stessa che provava tutte le volte che baciava la sua signora, come annullarsi nell’immensità dell’oceano.
Staccandosi da lui disse “Tu devi fare una cosa per me, una cosa che io non posso fare da sola, devi andare in tempio abbandonato e portarmi un oggetto.” , ma prima che potesse aggiungere altro Davy Jones la interruppe “Non posso recarmi sulla terra ferma per altri otto anni, e tu lo sai.”
Lei scosse un poco la testa “Non preoccuparti, il mare sarà sempre con te, lo guiderò io.”, non avendo altre obbiezioni le chiese “Che cosa devo fare?” “La rotta per te è già stata tracciata” disse lei indicando una mappa che fluttuava nell’aria “Devi solo seguirla. Ti porterà dove non sei mai stato, su un’isola vicino alle coste del Peloponneso, cammina verso l’entroterra e quando gli alberi si faranno più folti cerca le rovine di un tempio” il suo sguardo si perde per un attimo nel vuoto, pensieroso.
“Perché hai detto che tu non puoi farlo?” lei sospira prima di rispondere “Perché quel territorio appartiene a colui che è venuto prima di me, ed è a me proibito.” la sua espressione rivela il fastidio che le provoca avere delle catene.
“Ho capito, ma qual è l’oggetto che devo portarti?” “Entrato nel tempio vedrai in fondo una grande statua, incastonata troverai una bussola, il contenitore è nero e di forma quadrata, non ti sarà difficile trovarla. È un oggetto molto antico e prezioso, quando l’avrai trovata torna in mare aperto e gettala tra le onde, la porteranno a me.”.
A queste parole un’espressione un po’ delusa adombra il volto del capitano, sperava di potergliela portare lui stesso e incontrarla di nuovo.
“Segui la rotta Davy Jones!” ripete lei e tutto inizia a sfocare.
Poco dopo si risveglia, confuso e ideciso se fosse stato un sogno o no, sulla scrivania dove si era addormentato c’è una nuova mappa, con una lunga linea rossa a segnare il suo percorso; dieci minuti dopo la nave è già sulla rotta per arrivare alla meta.
Era stato un viaggio lungo, lontano dalle acque in cui era solito navigare, ma il mare voleva il loro viaggio e li accompagna servizievole a destinazione.
Dopo tre settimane di navigazione avevano potuto osservare le colonne d’ercole per poi proseguire lungo quei litorali abitati da strane genti, bizzarre per le loro abitudini e i loro costumi.
Era curioso di sapere più cose su di loro ma non aveva tempo da perdere, la sua signora gli aveva affidato un compito, come aveva detto ai suoi marinai quando gli avevano chiesto la ragione di quell’improvvisi cambio di rotta.
Grazie alla mappa non aveva faticato a trovare l’isola ed era sceso a terra da solo, ben presto aveva capito cosa intendeva Calipso con “Il mare sarà sempre con te”, infatti le onde si allungavano sulla risacca accompagnando i suoi passi e formando come una barriera tra i suoi piedi e la terra.
Quando poi la distanza dalla costa si era fatta troppo grande il mare si era riversato dal cielo per non abbandonare il suo protetto, lo stesso che ora ha raggiunto la sua meta e pensa al passato nell’attesa di abituarsi al buio.


Finalmente inizia a distinguere qualcosa del luogo in cui è entrato: si tratta di un ampio spazio rettangolare con vari oggetti rotti sparsi per il pavimento (ciò che rimane di un barbarico saccheggio).
Le pareti sono cosparse di nicchie, un tempo dovevano ospitare meravigliose statue e sacre effigi, ora adornano il tempio come orbite prive di occhi; alzando lo sguardo si accorge che l’unica statua rimasta è quella sul fondo della navata, vicino all’altare ancora macchiato dal sangue dei sacerdoti che l’avevano difeso fino all’ultimo.
Si tratta di una statua molto grande, alte due volte un uomo e di puro marmo e troppo pesante per essere trasportata via, il capitano dell’Olandese Volante si avvicina per distinguere meglio i dettagli.
Davanti ai suoi occhi si erge in tutta la sua potenza l’antico signore del mare, una lunga tunica che sembra fatta d’acqua ne ricopre il corpo, una corona adorna il suo capo, simbolo della sua sovranità sull’oceano, la barba gli da un’aria di estrema solennità e gli occhi sembrano racchiudere il potere della tempesta: Poseidone, signore del mare.
Nella poca luce che permea l’ambiente la statua sembra quasi soffrire alla vista di ciò che rimane del suo potere.
Quando la gente aveva smesso di praticare il culto degli antichi dei solo pochi eletti erano rimasti a difesa dei luoghi sacri, gli invasori stranieri avevano profanato il loro credo e il tempo aveva fatto in modo che il popolo si dimenticasse dei suoi signori.
“Anche chi governa la natura non invincibile allora” sussurra pensando all’espressione offesa di Calipso se potesse sentire quelle parole.
Riportando la sua attenzione alla statua si concentra sul grande tridente che sorregge, un arma spettacolare, degna di un dio, si chiede se grazie a quella riusciva a scatenare terribili maremoti.
Decise di smetterla di fare stupidi pensieri e iniziare la sua ricerca, prima se ne andava da quel posto e meglio sarebbe stato, Calipso gli aveva detto che la bussola si trovava incastonata nella statua perciò inizia ad ispezionarla con cura.
Mentre cerca di trovare il prezioso oggetto il sibilo del vento sembra intonare una litania, a metà tra una preghiera e un ammonimento, “Maledizione sembra che i fantasmi dei sacerdoti stasera siano tornati su questa terra per farmi sentire in colpa”.
Osservando con più attenzione si accorge che la mano sinistra della statua non è chiusa a pugno come gli era sembrato prima, ma è chiusa a protezione di un piccolo oggetto “La bussola!”, tenta di toglierla a quella ferrea presa, ma è tutto inutile ed è costretto a prendere il fodero della sua spada ed abbatterlo con violenza sul pugno chiuso che, già indebolito dal tempo, si spezza e lascia cadere il suo contenuto.
L’ululato del vento si alza forte e gli occhi di Poseidone sembrano bruciare d’ira per il sacrilegio che è stato compiuto, la terra stessa sembra tremare, ma è forse, pensa, è solo una sua impressione a causa dei rumori che la tempesta scatenatasi fuori provoca.
Raccoglie la bussola da terra e si incammina verso l’uscita, ansioso di lasciare quel  luogo, arrivato sulla soglia si guarda in dietro ancora una volta, ma non vede più niente di strano: solo un tempio abbandonato e la statua di un vecchio dio decaduto.
Uscendo gli venne da pensare che i saccheggiatori avevano portato via tutto tranne la cosa più preziosa, o almeno così gli aveva detto Calipso, che cos’avrà mai di tanto speciale?
La spiaggia non è lontana, in poco tempo potrà tornare sulla sua amata nave, ma quardandosi attorno si accorge che su un lato del tempio i bassorilievi che lo decoravano sono ancora quasi intatti e sembrano chiamarlo come se volessero raccontargli una storia.
Incuriosito si avvicina per vedere meglio: sono tutte scene di vita di Poseidone impresse su quelle pareti per glorificarne le gesta, il Dio che scatena maremoti o salva benevolo le navi di coloro che gli sono devoti distruggendo quelle nemiche, oppure ritratto mentre doma furiosi mostri marini.
Una scena lo colpisce più delle altre: ritrae il dio in mezzo a numerose belle ragazze, ninfe probabilmente, che lo guardano con occhi adoranti, tutte tranne una, una ninfa lo guarda con invidia e si tiene in disparte dalle compagne, ai sui piedi le acque si increspano turbate.
L’iscrizione con i nomi dei personaggi è cancellata ma Davy Jones riconosce subito in quella ninfa l’attuale signora delle acque.
Ora sapeva perché lei non poteva recarsi in quel luogo, Poseidone non le aveva perdonato l’affronto si usurparlo.
Pensando a tutte le cose bizzarre che aveva visto quel giorno ritorna alla sua nave, dove i marinai sono pronti e ansiosi di levare l’ancora “Perché tutta questa fretta?” sbotta irritato.
Un marinaio gli si avvicina intimidito e gli spiega nervosamente “Ehm, Capitano forse voi non ve ne siete accorto ma mentre eravate via la terra ha tremato e nell’aria è rimbombato un gemito che fatto rabbrividire anche il più temprato dei marinai”.
Allora non se l’era immaginato, con gli occhi cerca un ultima volta l’intrico di alberi che nasconde il tempio prima di dare l’ordine “Se avete tanta fretta datevi da fare ammasso di piattole, levate l’ancora!”.
Dopo qualche ora di viaggio finalmente il tempo comincia a rasserenarsi e il capitano può lasciar vagare lo sguardo sull’immensa distesa d’acqua salata, per la prima volta si sofferma a osservare la bussola che ha recuperato, sembra non avere niente di strano …  a parte il fatto che non punta a nord.
Mentre l’osserva l’ago oscilla tra due direzioni come se fosse indeciso, “Chissà perché Calipso ci tiene tanto ad averla?”, a questo pensiero l’ago si blocca puntando verso la prua della nave, in lontananza gli sembra di intravvedere una figura umana che fluttua nell’aria con le onde del mare che le lambiscono il corpo tenendola sospesa come su di un trono.
Lui spera che si avvicini per poterla vedere meglio ma quando vede che non si muove capisce che la dea non ha nessuna intenzione di incontralo, deluso lascia cadere la bussola nei flutti, che subito la conducono verso la nuova proprietaria.
Davy Jones si chiede perché continua a servire una dea che lo fa soffrire, una signora che lo cerca solo quando a bisogno dei suoi servigi, una padrona che lo ritiene solo un giocattolo.
Ma questi pensieri vengono subito cancellati dal battito del suo cuore, un cuore che ad ogni battito dichiara tutta la fedeltà e l’amore per la sua regina.
[Anche il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce, Blaise Pascal]



Prima di tutto voglio precisare che so che la bussola non esisteva ancora ai tempi dei greci ma non sapevo che altro oggetto mettere, secondo scusate se non ho dato una buona descrizione del tempio ma non me ne intendo molto di arte :P poi visto che nella mitologia era Poseidone il dio del mare mentre Calipso era solo una ninfa (quella che si era innamorata di Ulisse) ho pensato che lei abbia preso il suo posto.
Per finere ringranzio tantissimo la Capitana, vedi che non mi sono arresa? Comunque per ora sarà meglio che chiuda quà la raccolta per mancanza di tempo ed idee.
Ringrazio chi la leggerà e ancora di più chi lascierà un commentino ;)

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