Dampyr – Not Only Pureblood & Noble Vampires di Yunalesca Valentine (/viewuser.php?uid=72037)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A New Beginning ***
Capitolo 2: *** Inside & Outside the Moon Dorm ***
Capitolo 3: *** Her First Night ***
Capitolo 4: *** Is She a Friend or a Foe? ***
Capitolo 5: *** The Escape from the Golden Cage ***
Capitolo 6: *** Revelations ***
Capitolo 7: *** Level E ***
Capitolo 8: *** Smile at Me with your Fangs ***
Capitolo 9: *** The Ice Trap ***
Capitolo 10: *** A non-poisonous and poisonous Blood ***
Capitolo 11: *** The Infirmary ***
Capitolo 12: *** Aunt ***
Capitolo 13: *** Another Town: Roseight ***
Capitolo 14: *** Brother ***
Capitolo 15: *** Crowe & Thanatos ***
Capitolo 16: *** Alexander & Zephyr ***
Capitolo 17: *** Lengthy Night: First One ***
Capitolo 18: *** Lengthy Night: Second One ***
Capitolo 19: *** Lengthy Night: Third One ***
Capitolo 20: *** The Guilty Vampire Hunter ***
Capitolo 21: *** The True Culprit ***
Capitolo 22: *** The Devil's Advocate ***
Capitolo 23: *** The True Intentions Of The Devil's Advocate ***
Capitolo 24: *** The Judicial Process ***
Capitolo 25: *** The Condemnation ***
Capitolo 26: *** A Vampire inside a Vampire Hunter Family ***
Capitolo 27: *** A Temporary Farewell ***
Capitolo 28: *** A Bloody Affair ***
Capitolo 29: *** A Love Affair: First Part ***
Capitolo 30: *** A Love Affair: Second Part ***
Capitolo 31: *** Sinister Smile ***
Capitolo 32: *** Cursed Bite ***
Capitolo 33: *** The Unchangeable Fate ***
Capitolo 1 *** A New Beginning ***
vk
Capitolo
I
A
New Beginning
Una
giornata alquanto uggiosa e, a giudicare dal cielo, propensa ad un
acquazzone
coi fiocchi. Mentre una lumachina solitaria attraversava la strada, una
macchina nera sfrecciava sulla strada silenziosamente, in direzione
dell’enorme
cancello che si poteva scorgere in lontananza. Al suo interno vi era,
oltre al
conducente, una donna sulla trentina, una ragazza, probabilmente sui
sedici-diciassette anni, intenta a guardare il paesaggio attraverso il
finestrino con un misto di svogliatezza e preoccupazione nel suo
sguardo.
La
macchina, giunta nei pressi del cancello, si fermò di fronte ad esso;
le due
persone a bordo scesero, per poi guardarsi intorno.
«Spero
di aver preso la strada giusta...» disse la donna, continuando a
guardarsi
intorno.
«Zia...
non dirmi che per tutto questo tempo hai seguito una strada scelta a
caso!»
esclamò la ragazza che, a quanto pareva, era la nipote della trentenne.
«No,
no, non l’ho scelta a caso! Solo che ho la netta sensazione che questo
cancello
non sia quello principale, ma uno secondario, molto probabilmente
utilizzato
per le emergenze...» replicò la donna, avvicinandosi al suddetto
cancello e
seguita a ruota dalla nipote.
«Di
una cosa sono sicura, però: siamo arrivate a destinazione» continuò,
appoggiando le mani sull’inferriata. «Lo vedi quel palazzo laggiù?»
chiese alla
nipote, che si avvicinò per vedere meglio e che le rispose con un cenno
del
capo «È lì che andrai».
«Wow...
Che culo» replicò la ragazza,
ironica.
La
zia si limitò a sospirare: sapeva perfettamente che la sua adorata
nipotina,
con quell’atteggiamento, avrebbe sicuramente causato qualche problema;
ma non
ci poteva fare, praticamente, nulla.
«Ma... per esempio... non
potevo rimanere
dov’ero? Non vedo nessuna differenza tra questo posto e quello dove
stavo
prima, a parte il fatto che sia... completamente
isolato dal mondo!» esclamò la ragazza, tornando verso l’auto
ed attirando –
involontariamente – l’attenzione di qualcuno.
«Ho
capito, ma non urlare!» le disse la zia, una volta raggiunta.
«Avete
bisogno d’aiuto...?» domandò loro una voce proveniente alle loro spalle.
Le
due si voltarono e videro una ragazza dai capelli castano scuro, lunghi
fino
alle spalle, con gli occhi marroni e vestita con quella che doveva
essere,
molto probabilmente, una divisa scolastica. Non molto distante da lei,
con le
spalle poggiate contro il muro, vi era un ragazzo, vestito anch’esso
con la
suddetta divisa, e con i capelli – vero ma strano – argentati e gli
occhi viola
chiaro.
«Voi
sareste...?» chiese la trentenne, leggermente sospettosa.
«Io
sono Yuuki Cross, mentre lui» indicò il ragazzo «è Zero Kiryu» disse la
ragazza, Yuuki.
Stava
per chiedere chi fossero, quando la zia della giovane l’anticipò,
dicendo: «Il
mio nome è Angela Cecil e questa qui» indicò la ragazza al suo fianco
«è mia
nipote: Aura Thanatos. Dai vostri abiti deduco che siate degli studenti
della
Cross Academy, giusto?» disse Angela.
«Sì,
esatto» le rispose Yuuki.
«Bene.
Allora siamo davvero nel posto
giusto» disse Angela, attirando l’attenzione di Aura, che le si
avvicinò e le
disse: «Allora, prima, quando hai detto che eri sicura di esser nel
posto
giusto, hai mentito!».
«No,
non avevo mentito; solo che non ero sicura!» ribatté la donna,
nonostante
sapesse perfettamente di essere nel torto.
Aura
si passò una mano sulla faccia e commentò, sarcastica: «Che
culo...». E così iniziò un botta e risposta tra la zia e la
nipote.
Intanto
il ragazzo, che non si era minimamente mosso da dove era, Zero,
scrutava le due
con sospetto: Angela era sicuramente umana,
visto che non aveva nessuna caratteristica riconducibile a loro, mentre sua nipote, Aura, non lo
convinceva affatto. C’era
qualcosa di strano in quella ragazza... innanzitutto il colore degli
occhi lo
metteva in guardia, visto che erano rossi. Non erano di quel rosso
acceso a lui
ben noto, ma questo non escludeva il fatto che potesse essere una di loro. A parte la piccola questione sul
colore degli occhi, Zero non riscontrò nessun’altra caratteristica non
umana,
visto che i capelli neri e la carnagione rosea
erano perfettamente normali.
Nell’esatto
momento in cui finì la sua analisi “scientifica”, Aura ed Angela
avevano finito
il loro battibecco, e quest’ultima aveva preso nuovamente la parola:
«Saresti
così gentile da condurci da Kaien Cross? Ho una questione da discutere
con lui»
disse rivolgendosi a Yuuki, la quale annuì e prese a camminare verso
l’edificio
scolastico, seguita da Zero e le altre due.
Una
volta giunti a destinazione, Yuuki e Zero si congedarono, dicendo che
avevano
un compito da fare.
Angela
bussò alla porta, dopodiché l’aprì ed entrò, seguita da una riluttante
Aura. Dietro
la scrivania, sommerso da una catasta di pratiche, documenti e
quant’altro, vi
era il Preside, Kaien Cross. Non appena si rese conto di avere
compagnia si
alzò di scatto, facendo volare alcuni fogli e sistemandosi gli occhiali.
«Kaien
Cross...?» domandò titubante Angela.
L’uomo,
mentre raccoglieva i vari fogli volanti, disse: «Sì, sì, sono io! Un
attimo che
sistemo queste carte...». Peccato che, mentre afferrava l’ultimo, mise
male un
piede e cadde, facendo cadere a terra tutte le carte che aveva in mano.
Aura
guardò sua zia, come per dire “Ma siamo sicuri che questo qui sia
veramente il
Preside, e non il sostituto, oppure il bidello?”, ricevendo come
risposta un
sospiro. Nel frattempo l’uomo si era alzato ed aveva sistemato
velocemente le
carte, ed Angela colse la palla al balzo, chiedendogli: «Sono Angela
Cecil,
colei che ha firmato i documenti per l’iscrizione di mia nipote in
questa
scuola».
«Ah,
sì, sì! È tutto pronto, non resta altro che vostra nipote prenda le sue
cose e
si trasferisca nel dormitorio in cui è stata assegnata» rispose Kaien,
allegro
come una pasqua.
«Bene,
allora posso anche andare. Un’ultima cosa: è stata assegnata alla Night Class, giusto?» chiese Angela,
dopo aver messo la mano sulla maniglia della porta.
«Sì.
Inoltre, non ci sono stati problemi dall’altra parte.
Potete stare tranquilla».
«Perfetto.
Allora posso andare in pace» disse scherzosamente Angela, aprendo la
porta.
«Ah,
Aura» si voltò verso sua nipote «mi raccomando, vedi di farti
riconoscere
subito, ok?» le disse, prendendola in giro come solo lei sapeva fare, e
ricevendo come riposta un “Vai nel culo, zia”.
«Sì,
sì, certo; ti voglio bene anch’io, nipotina» replicò; dopodiché uscì
dalla
stanza, chiudendo dietro di sé la porta e tornando verso la macchina,
che aveva
lasciato molto lontano.
Non
molto tempo dopo l’uscita di scena della zia di Aura, qualcun altro
bussò alla
porta ed entrò, rivelando un ragazzo vestito con lo stesso abito
indossato da
Zero ma bianco, e dai lunghi capelli castano scuro e dagli occhi del
medesimo
colore.
«Kaname-kun,
ben arrivato. Com’è la situazione?» gli chiese il Preside, con un tono quasi confidenziale.
«Tranquilla,
come al solito. Noto che la nuova ragazza è finalmente arrivata» disse
il
ragazzo che, da quanto detto pochi istanti prima dal Preside, si
chiamava
Kaname.
«Sì,
è finalmente arrivata. Non resta che accompagnarla al dormitorio; ormai
le
lezioni sono già iniziate, e non mi pare il caso di interromperle».
Aura,
non appena sentì che per quel giorno non avrebbe fatto praticamente
niente, si
sentì invadere da un’immensa gioia. Lei e lo studio non andavano molto
d’accordo.
«Portarla
in classe adesso equivarrebbe a mandare in fermento tutti gli altri, e
non è il
caso, visto che in questi ultimi giorni sono stati piuttosto
irrequieti; ma
adesso non è il momento di parlare di questo...» disse Kaname, per poi
voltarsi
verso Aura «Vogliamo andare?» le chiese. Aura si limitò ad annuire, per
poi
seguirlo fuori dalla stanza.
Percorsero
i vari corridoi e scesero diverse rampe di scale, prima che il ragazzo
si
fermasse davanti ad una porta, presumibilmente di una classe: «Le
lezioni si
tengono qui, ogni giorno». Aura si limitò ad annuire nuovamente: aveva
perso la
lingua, oltre al suo “Che culo...”.
Stavano
per andare avanti, quando una serie di schiamazzi provenne proprio da
dietro la
porta, costringendo Kaname a chiedere ad Aura di aspettare un attimo e
ad
entrare nell’aula, facendo cessare, con la sua sola presenza, gli
strepiti. Quando
uscì, riprese a camminare come se nulla fosse successo: evidentemente
doveva
aver pietrificato i presenti con il suo sguardo.
Raggiunto
il Dormitorio, il Moon Dorm, Kaname
condusse Aura fino alla stanza assegnatale e, prima di congedarsi, le
disse: «Tutti
i tuoi effetti personali sono stati portati qui in anticipo, da vostra
zia. Per
qualsiasi cosa, ti prego di rivolgerti a me. A domani». E se ne andò.
Aura,
rimasta sola, si decise ad entrare in quella che sarebbe stata, d’ora
in poi,
la sua nuova “residenza”; la stanza aveva le pareti bianche e due
finestre: una
di fronte alla porta, la più grande, esattamente dall’altra parte della
stanza,
e l’altra, di medie dimensioni, sulla sinistra. Il pavimento era
composto da
semplici mattonelle bianche con un singolo rombo nero al centro. Come
arredamento vi erano un divano color crema sotto la finestra grande, un
cassettone bianco con le maniglie color oro sulla destra, uno specchio
rettangolare con dei fiori di rubino sulla cornice a destra, sopra il
mobile;
ed infine, vi era il letto ad una piazza e mezzo, le cui coperte erano
rosso scuro.
Sopra la testata vi era l’altra finestra.
Alla
sinistra del letto, proprio alla sinistra di Aura, vi era una scrivania
semplice ma allo stesso tempo raffinata: bianca con le finiture color
oro, e
con dei motivi floreali lungo il bordo. Ad accompagnare tale struttura,
vi era
una sedia dello stesso colore e con le stesse finiture e motivi. E se
sulla
sinistra vi era la scrivania e la sedia, alla destra vi era un piccolo
comodino
color perla con tanto di lampadina a forma di rosa. Come ciliegina
sulla torta,
sul suddetto letto c’erano sei rose: rossa, arancione, gialla, blu,
viola e
bianca.
«Devo
dire che non si sono sprecati per il “servizio” in camera... Che culo» si ritrovò a dire ad alta voce
Aura, davanti a tale visuale.
Senza
aggiungere altro iniziò a disfare la valigia, smistando il contenuto
nei vari
cassetti del cassettone, e scovando, con suo orrore, la sua divisa:
anch’essa
bianca e con tanto di gonna.
Cercando
di evitare il contatto visivo con quell’indumento, richiuse velocemente
il
cassetto in cui era e si tolse le scarpe, per poi sedersi sul letto,
proprio di
fronte alle rose.
«Ed
ora di queste, cosa me ne faccio? Le sniffo? Le mangio? Le faccio
appassire? Uffa...
ma un bel cioccolatino come negli alberghi no, eh? Almeno quello
l’avrei potuto
mangiare...» si lamentò, squadrando i fiori.
Fortuna
volle che, sopra il comodino, accanto alla lampada, ci fosse un vaso
con lo
stemma della scuola. Immediatamente prese le rose, facendo attenzione a
non
bucarsi con le spine, e le mise al suo interno.
«Risolto
il problema delle piante... menomale!».
Aura
incrociò le gambe per poi mettersi a testa in giù ed osservare la
camera dalla
nuova visuale; ben presto si annoiò e fece l’unica cosa che, al
momento, poteva
fare: dormire.
Con
qualche giorno d'anticipo, approdo nel fandom di Vampire Knight! :3
Al
momento non ho nulla da aggiungere, a parte questa piccola avvertenza:
vi prego di non plagiare/copiare/prendere ispirazione dai miei scritti,
perché, per quanto possano essere delle semplici storielle scritte per
piacere e via dicendo, hanno comunque richiesto tempo e fatica; non mi
piacerebbe vedere uno dei miei personaggi, (leggasi anche: OC;
Original Character) girellare in una storia che non è la mia, così come
vedere una determinata scena messa da un'altra parte. Potrei continuare
a fare esempi, ma mi fermo qui, visto che si tratta solo di un avviso e
non di un'accusa :)
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Capitolo 2 *** Inside & Outside the Moon Dorm ***
vk
Capitolo II
Inside & Outside the
Moon Dorm
Il
Sole era sorto da un bel pezzo, quando la new entry della Cross Academy si
svegliò. Ma non si svegliò di sua spontanea volontà, purtroppo: fu la luce che
entrava dalla finestra sopra il letto, a svegliarla. Certo, non la colpiva
direttamente in faccia, ma era sufficiente a darle noia: quando dormiva,
esigeva il buio più totale.
Biascicò
qualche parola disconnessa e si tirò su, stropicciando l’occhio sinistro con il
dorso della mano e guardandosi intorno leggermente confusa: doveva ancora
collegare il cervello al resto del corpo.
Ma,
nonostante non fosse ancora connessa, si accorse di un piccolo particolare che stonava; strizzò gli occhi per vedere
meglio e, non appena si voltò verso il divano, scoprì che sopra di esso,
sdraiato, vi era un ragazzo. Alla faccia del piccolo particolare!
Chi
era? Da dove veniva? Ma
soprattutto... come era entrato?
Queste
erano le domande che, in quel momento, giravano vorticosamente nella mente di
Aura.
Cercando
di fare meno rumore possibile, scese dal letto e si avvicinò al suddetto
ragazzo sconosciuto, osservandolo da vicino: biondo e di carnagione chiara.
Nell’esatto momento in cui si stava domandando di che colore fossero gli occhi,
quello si svegliò, ed Aura scoprì che erano azzurri. Il Principe Azzurro,
quello tanto agognato da tutte quelle ragazze che si credevano principesse,
anche se non lo erano – e non lo sarebbero mai state – era di fronte a lei!
C’era
qualcosa che non le tornava: o stava ancora dormendo, e di conseguenza
sognando, oppure nelle rose era stata messa un po’ di “polverina magica”. Lo
guardò con tanto d’occhi ma, non appena il biondo si voltò verso di lei, la sua
reazione fu quella di balzare all’indietro, finendo, però, a gambe all’aria.
Nonostante
fosse a conoscenza di aver fatto una bellissima
figura, si alzò di scatto, solo per rimanere con un piede intricato nel
lenzuolo e cadere di nuovo. Oggi non era affatto la sua giornata.
«Oggi
è la mia giornata... Che culo...»
mormorò Aura, mentre liberava il piede.
Il
biondo, dal canto suo, aveva osservato tutto lo svolgimento di quella specie di
teatrino senza fiatare, ma al sentir il commento sarcastico della ragazza, non poté
fare a meno di ridere: trovava la situazione piuttosto divertente.
Aura,
liberato il piede, si alzò e, tolta una ciocca di capelli che le copriva
l’occhio sinistro, si diresse verso il ragazzo per poi, sul più bello,
pestargli un piede, facendo cessare le risate di quest’ultimo.
«Mi
hai fatto male!» si lamentò il biondo, con tanto di finta lacrimuccia agli
angoli degli occhi.
«Se
non fossi entrato senza il mio permesso, e se non mi avessi fatto spaventare al
punto tale da cadere, non ti avrei mai pestato il piede» replicò Aura, seria
come non mai. «Ora» continuò «ti consiglio di levarti di torno, prima che passi
anche all’altro piede. La porta è quella» disse indicando alle sue spalle.
Però,
visto che lo sconosciuto non mostrò il minimo segno di volersi levare dalle
scatole, Aura fece per pestare anche l’altro piede ma, all’ultimo minuto,
quello si alzò e si diresse velocemente verso la porta e, prima di uscire, si
voltò e le disse: «Hanabusa Aidou». Ma vedendo che Aura non aveva capito quel
che aveva detto, aggiunse: «Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!». E se ne
andò.
Hanabusa
era uscito, ma era rimasto dietro alla porta per sentire eventuali commenti
della nuova arrivata, che aveva già prontamente preso di mira per la sua –
temporanea – vicinanza con Kaname.
«Il mio nome. Vedi di ricordartelo bene!»
fece Aura, scimmiottando la voce del biondo. «Ma chi si crede? Uno di quei stra-fighi
dei manga? Beh, mi dispiace per lui, ma non lo è affatto, e non lo sarà mai».
Quel
piccolo momento di gioia che Hanabusa già si pregustava, andò in frantumi; e per
completare il tutto, ci pensò Kaname, che era alle sue spalle con le braccia
incrociate al petto. «Aidou» lo chiamò, costringendolo a voltarsi.
«K-Kaname-sama»
mormorò l’altro, ben consapevole di quello che sarebbe successo.
«Avrei
bisogno di parlarti».
Hanabusa
deglutì a vuoto e, con grande riluttanza, seguì Kaname; ma, ovviamente, Aura
era all’oscuro di tutto questo... non si era minimamente accorta di quello che
era successo a pochi metri da lei.
E
mentre il biondo era a scambiare due
parole con Kaname, Aura si era cambiata: dal pigiama di pile con le zucche
e le ciabattine rosso scuro, era passata ad un semplice paio di jeans con
scarpe da ginnastica bianche, ed una maglietta nera a maniche lunghe con una
maglia di jeans smanicata disegnata sopra. E per completare l’opera, decise di
legarsi i capelli nell’unico modo che conosceva ed usava dalle elementari: la
classica coda di cavallo bassa.
«Bene,
adesso posso anche scendere giù ed uscire a prendere una boccata d’aria» disse,
prendendo il blocco note che era sulla scrivania; ma poi si fermò: «No, ma
aspetta... Perché sto parlando da sola!?» esclamò. «Lo sapevo che venire qua mi
avrebbe fatto male... Adesso ci mancherebbe solo la comparsa della Sadica con
una delle sue solite uscite, tipo “A te fa male tutto, dovrebbero ripararti il
cervello”, e sarei pronta per iniziare la giornata con la giusta carica di
sprint!» concluse il suo monologo ancora più perplessa di prima, uscendo dalla
camera.
Arrivata
nell’atrio, vi trovò Hanabusa, seduto su uno dei divani, intento a
giocherellare con un bicchiere ed il suo contenuto. Aura scese velocemente le
scale e senza degnare di un’ulteriore sguardo il biondo, si diresse verso il portone,
con il chiaro intento di aprirlo ed uscire. Mossa sbagliata.
Infatti,
non appena poggiò le mani sulla maniglia, Hanabusa si alzò di scatto e la
raggiunse, impedendole di uscire.
«Non
puoi uscire» proferì lui, guadagnandosi un’occhiata stralunata.
«E
perché non posso? Illuminami» ribatté lei, guardandolo storto. La sua giornata
era iniziata male, e sembrava voler continuare male.
«Perché
da sola non puoi. Decisione di Kaname».
«Aspetta,
aspetta, aspetta! Questa “decisione” è basata sul fatto che sono arrivata da
nemmeno un giorno, per caso?».
«Sì
e no» fu la risposta.
«O
è sì, o è no. Deciditi. Se non lo fai, niente mi impedisce, ed impedirà, di
varcare questa porta» fece Aura, leggermente seccata. Stava iniziando ad
innervosirsi.
«È
un sì. Contenta?» replicò l’altro. «Quindi» continuò lui «a meno che tu non trovi
qualcuno disposto a portarti “a passeggio”, starai qui» concluse, tornandosene
sul divano e prendendo nuovamente in mano il bicchiere, ricominciando a
giocherellarci.
Aura
rimase lì dov’era, indecisa sul da farsi: aprire di scatto il portone ed uscire
– infischiandosene della “regola” – oppure restare lì – rispettando la “regola”
– ed annoiarsi?
Alla
fine decise di rimanere: non voleva avere problemi, soprattutto ora che non
conosceva nessuno e sapeva a malapena dove fosse la sua stanza. Con una
lentezza tale da far invidia ad un bradipo, si diresse verso la poltrona vicina
al divano di Hanabusa, e si sedette sbuffando.
“Alla faccia della boccata
d’aria! Non posso uscire se non c’è un qualche povero beota a farmi da
baby-sitter! Ma che se ne vadano al diavolo tutti quanti!”
pensò, mentre scriveva ripetutamente la parola “Noia” sul suo blocco.
Dopo
aver consumato quasi tre pagine, si alzò e fece per tornare in camera sua,
venendo interrotta dal biondo, che le chiese: «Dove vai?».
«Adesso,
anche per andare nella mia stanza, ho bisogno di qualcuno che mi accompagni?»
rispose lei alquanto seccata, e lasciando Hanabusa senza alcuna possibilità di
replicare.
Era
nuovamente in camera sua. Che noia. Guardò l’ora sulla sveglia che aveva messo
sul comodino: le 17.30
Sospirò,
al solo pensiero di dover uscire per andare a scuola tra una mezz’ora. Ma la
cosa che le dava più fastidio, era il dover indossare la divisa, con quella
stramaledetta gonna. Avrebbe preferito indossare quella maschile, senza alcun
dubbio.
Purtroppo,
non aveva altra scelta; pertanto, con grande riluttanza, indossò quella cosa
mostruosa e si sciolse i capelli, in modo da poter nascondere il viso – in
particolar modo gli occhi – sotto di essi.
Quando
uscì fuori per avviarsi verso l’edificio scolastico, non solo trovò tutti gli
altri “coinquilini” già fuori e pronti per avviarsi, ma vide anche Yuuki sulle
mura che gridava a qualcuno e sembrava piuttosto disperata: evidentemente
questo “qualcuno” la ignorava bellamente.
Non
appena il cancello che separava l’ingresso del Dormitorio dal resto – se così
vogliamo chiamarlo – del “mondo”, si aprì, Aura capì a chi stava urlando Yuuki
poco prima: ai lati della strada vi era un’enorme massa di ragazzine che
gridavano come delle ossesse. Aura, tale “spettacolo”, l’aveva visto solo nei concerti
live in tv, ma mai in una scuola. Dove caspita era finita?
Il
suo istinto, da perenne vigliacca, le diceva di far dietrofront e chiudersi
nella sua stanza, anche a costo di murarsi viva, ma decise di far vedere che
aveva le palle – come diceva sua nonna – e si avviò, passando davanti a quella
marea di gente, che si ammutolì al suo passaggio.
“E adesso cos’è successo? Perché
si sono chetate di botto? E perché... Oh no. No, no, no. Dimmi che non è come
penso!” si ritrovò a rimuginare, mentre si guardava
intorno con sospetto.
Avvenne
tutto in un istante: le ragazze, che fino ad un nanosecondo prima erano mute ed
immobili, l’accerchiarono, sommergendola di domande e quant’altro; Zero ne
allontanò diverse con il suo solo sguardo, ma non fu sufficiente; Yuuki cercò
di rendersi utile, ma fallì miseramente. Alla fine fu solo con l’intervento di
Kaname, che venne riportato l’ordine, “liberando”Aura dalla cerchia di serpi.
Ristabilito
l’ordine, quelli della Night Class ripresero il loro cammino verso la scuola:
avevano perso tempo, e questo non andava affatto bene.
Aura,
con sommo disagio, camminava guardandosi i piedi; ma l’unica volta che alzò il
suo viso, vide, appoggiata con la schiena ad un albero e con le braccia
conserte, una ragazza dai capelli rossi e gli occhi verdi. Per qualche strano
motivo le era familiare, ma non aveva tempo per mettersi a cercare nei meandri
della sua mente il dove ed il quando l’avesse già vista: avrebbe rimandato il
tuffo nei ricordi ad un altro momento. Ora, ciò che più le premeva, era questa
prima maledetta lezione, in una classe dove non conosceva nessuno – escluso il
biondo, che aveva già segnato sulla lista nera – e con quella dannata divisa
bianca addosso che detestava con tutta sé stessa.
Uno
di questi giorni le avrebbe dato fuoco.
|
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Capitolo 3 *** Her First Night ***
vk
Capitolo III
Her
First Night
Era
da almeno una buona mezz’ora che era lì, seduta al primo banco libero che aveva
trovato, a... girarsi i pollici. Ognuno faceva i propri comodi; ed il
professore dove cavolo era? A prendersi un caffè? Oppure si era addormentato?
La
cosa non le dispiaceva affatto, però avrebbe preferito restarsene nella sua
stanza a fare i suoi comodi, ecco. Magari in pigiama e stravaccata sopra il
letto.
Nonostante
ognuno fosse intento a fare i cavoli propri, regnava un silenzio da cimitero.
Sembrava di essere in una biblioteca, ma dire “biblioteca” era dir poco. Si era
talmente immersa nello scrivere cose senza senso sul suo fedele blocco, quando
qualcuno glielo tolse di mano.
«Vediamo
un po’ cosa scrivi...» disse il ladro, che si scoprì essere Hanabusa, o
Idol-senpai, come lo avevano chiamato le ragazze che l’avevano assalita.
Aura
allungò una mano con il chiaro intento di riprendersi il maltolto, quando il
biondo si spostò, come se l’avesse anticipata, mandando a far benedire il suo
tentativo. Ma Aura era una che, se stuzzicata, poteva diventare il tuo peggior
incubo. Infatti, visto che con le buone era andata male, decise di passare alle
cattive: si alzò, si portò di fronte ad Hanabusa e, con un sorrisetto tirato
stampato in faccia, gli pestò un piede con tutta la rabbia che aveva. L’altro
mollò il blocco, che venne prontamente afferrato dalla sua proprietaria.
«Hanabusa»
lo richiamò un ragazzo dai capelli color arancio e gli occhi marrone scuro:
Akatsuki Kain era il suo nome.
«Sì,
arrivo...» fece Hanabusa, leggermente seccato. Era appena stato allontanato
dalla sua nuova fonte di “divertimento”, come biasimarlo? Povero, piccolo Aidou.
Aura,
dopo esser tornata al suo posto, lanciò una rapida occhiata nella direzione in
cui si trovava il suo “salvatore” e rimase sorpresa da ciò che vide: oltre al
biondo di sua conoscenza e Kaname, vi erano altre cinque persone, tre ragazzi e
due ragazze. Distolse lo sguardo da quel gruppetto, che sembrava essere
piuttosto affiatato, e cercò di concentrarsi sulla frase che aveva iniziato a
scrivere prima che il blocco le venisse tolto di mano; ma non riuscendo a concludere
nulla, volse il suo sguardo verso la finestra, intravedendo un qualcosa di
rosso.
Immediatamente
si alzò ed uscì dall’aula, dirigendosi all’esterno, solo per trovarsi di fronte,
a metà strada, Hanabusa e mister pel di carota.
«Dove
vai di bello?» le chiese il biondo.
«Dove
mi pare».
«Capisco.
Ma dovresti sapere che è pericoloso girare di notte...».
«Certo
che lo so. Piuttosto sei tu che dovresti fare attenzione... Sai, hai l’aria di
un povero fesso in mezzo ad altrettanti fessi» replicò Aura, superandolo.
«Direi
che ti ha colpito ed affondato» fece Akatsuki, guardando il cugino, mentre
quest’ultimo ribolliva per l’insulto ricevuto.
Nel
frattempo, Aura era arrivata nel posto in cui aveva intravisto quella “cosa”
rossa. Si guardò intorno attentamente, quando la intravide di nuovo, ma
stavolta ne ebbe la conferma: era una persona. Che fosse quella ragazza dai
capelli rossi? Doveva scoprirlo.
Saltò
giù dal terrazzo su cui si trovava, e si diresse verso gli alberi, certa che
avrebbe trovato qualcosa. Infatti, dopo aver superato alcuni alberi, appoggiata
ad uno di essi, con le braccia conserte e gli occhi chiusi, vi era la stessa
ragazza che aveva incontrato nel pomeriggio. Cercando di fare meno rumore
possibile, si nascose dietro l’albero di fronte a lei, affacciandosi
leggermente per vedere cosa stesse facendo.
«Vieni
fuori, chiunque tu sia» disse la rossa, senza aprire gli occhi.
Aura
sussultò e si nascose, poggiando la sua schiena contro il tronco dell’albero:
come aveva fatto ad accorgersi che era lì?
«Non
lo ripeterò un’altra volta: vieni fuori».
Visto
che non aveva molta scelta, decise di uscire allo scoperto, incrociando il suo
sguardo rosso fuoco con quello verde foglia della sconosciuta.
«Allora
eri tu, il nuovo membro della Night Class, a spiarmi».
«Veramente
non ti stavo spiando. Ci mancherebbe altro. Sai, mi dispiace per te, ma non
provo alcun interesse per le ragazze» replicò Aura, incrociando le braccia al
petto.
«Interessata
alle ragazze o no, non cambia il fatto che tu mi stavi spiando».
«Vedila
come ti pare. Ciò che mi interessa è solo il tuo nome. Fai un po’ te».
«Per
educazione, dovresti essere tu a presentarti per prima, lo sai?» disse la
rossa, ghignando.
«Se
ci tieni così tanto... Aura Thanatos. Adesso è il tuo turno».
La
ragazza si staccò dall’albero e si mise di fronte ad Aura, rimanendo, però,
dov’era: «Rossana Crowe. Adesso che hai ottenuto quel che volevi, sei pregata
di andartene».
I
sospetti che Aura aveva su di lei, si accentuarono ancora di più, non appena
sentì il suo nome: l’aveva già vista da qualche parte. Adesso ne aveva avuto la
conferma.
«E
perché dovrei andarmene, scusa? Casomai, sei tu che dovresti andartene.
Sbaglio, o quelli della Day Class, a quest’ora, dovrebbero essere a letto?»
fece Aura, sorridendo leggermente per il fatto di aver guadagnato un punto.
«Non
avevo sonno, quindi ho deciso di prendere una boccata d’aria. Ecco perché sono
qui» replicò Rossana, smontando ciò che Aura aveva appena detto.
Rossana
voleva togliersela dalle palle. Aura voleva togliersi il dubbio che
l’assillava. Nessuna delle due sembrava voler mollare. A sbloccare la
situazione ci pensò l’arrivo dei due cugini diversi.
«Ti
ho trovata! E noto che sei in compagnia... peccato che sia quella sbagliata»
disse Hanabusa, notando Rossana.
«Hanabusa»
lo richiamò Akatsuki.
«Semmai
siete voi, a non essere la compagnia ideale...» disse Rossana, assottigliando
lo sguardo.
Aura,
che non riusciva a capire di cosa stessero parlando, li guardava confusa, come
per dire “Ma cosa state dicendo?”.
E
se la situazione era già instabile di suo, a renderla ancora più instabile ci
pensarono due ragazze della Day Class che, non appena videro i due ragazzi
della Night Class, esclamarono insieme: «Idol-senpai! Wild-senpai!».
Hanabusa
sorrise allegro, mentre l’altro si limitò a passare una mano sulla faccia:
sapeva perfettamente che questo non avrebbe portato niente di buono. Ma quelle
due svampite non arrivarono mai vicino ai loro idoli, visto che Rossana le
agguantò per una spalla e le portò via con sé. Non appena aveva visto che c’era
una possibilità di andarsene, l’aveva colta al volo.
«Andiamo»
disse Akatsuki, prendendo per i fianchi Aura e sollevandola, visto che – per la
cronaca – era rimasta imbambolata a fissare il punto in cui era scomparsa
Rossana.
Solo
quando furono vicini alla scuola, Aura uscì dal suo stato catatonico, incominciando
a dimenarsi per esser messa giù. Senza aspettar oltre, Akatsuki la posò in
terra e percorsero quei pochi metri che li separavano dalla loro meta in
silenzio, che venne rotto non appena arrivarono a destinazione da un altro
ragazzo biondo, che aveva gli occhi verdi, a differenza di Hanabusa.
«Ma
dov’eravate finiti?» chiese.
«Eravamo
andati a recuperare la nuova arrivata» rispose Hanabusa. «Inoltre, abbiamo
incontrato quell’odiosa di Crowe» aggiunse, con una nota quasi di stizza nella
voce.
«Questa
volta si è resa utile, però» aggiunse Akatsuki, facendo sospirare il cugino.
«Cosa
intendi dire?» chiese l’altro biondo.
«Due
ragazze della Day Class ci avevano visti, e lei le ha portate via, evitando... incidenti» concluse, per poi andarsene.
Il
“nuovo” biondo si portò una mano sotto il mento, assumendo un’espressione
pensierosa, per poi rivolgere la sua attenzione ad Aura, chiedendole: «Tutto a
posto?».
Lei,
continuando a tenere il viso basso, in risposta alla domanda mormorò qualcosa,
ma quello non la sentì. «Eh?».
«Sei
troppo alto».
«Alto?»
chiese l’altro confuso, piegando leggermente di lato la testa.
«Sei
troppo alto. Mi sento a disagio» disse Aura, prima di tornare in classe a
prendere le sue cose.
Hanabusa,
all’uscita della corvina ed alla faccia che fece l’altro biondo, prese a
ridere, per poi dire, prima di tornare in classe: «Ichijo-san, sei troppo alto,
dovresti fare qualcosa per la tua... eccessiva altezza!».
Takuma,
dal canto suo, era rimasto sorpreso da tale uscita: fino ad ora nessuno aveva
avuto qualcosa da ridire riguardo alla sua altezza, che non era poi così
eccessiva.
E
mentre Aura era in classe a prendere le sue cose in modo da poter tornar al Moon
Dorm, in una stanza del Sun Dorm, Rossana stava ripensando al suo incontro con
la new entry della Night Class.
“Sicuramente è una di loro, ma
perché ho la netta sensazione che ci sia di più? E poi la sua faccia da culo mi
è familiare... mi ricorda tanto quella nana che avevo nella mia ex-scuola
l’anno scorso...” pensò, mentre fissava il soffitto,
sdraiata sul suo letto. “Ma cosa vado a
pensare? Lei non era una di loro, anche se era un po’ pallidina e con quei
lunghi capelli neri poteva trarre in inganno...”. E si girò su un fianco,
decidendo che per quella sera avrebbe chiuso lì la questione.
E
se Rossana aveva chiuso la questione, per Aura era appena iniziata, visto che
era appena tornata al Moon Dorm.
“Se il mio intuito non mi
inganna, quella era proprio la “Sadica”! Ma cosa ci fa qui? Aspetta... se n’era
andata dalla vecchia scuola perché si trasferiva in un’altra, quindi... no, non
dirmi che con un’altra scuola, intendeva proprio questa!”
pensò Aura, sdraiata anche lei sul suo letto. “Fisicamente è lei, su questo non ci piove. Come carattere un po’ si
assomigliano, ma è presto per dire che è lei al cento per cento”. Prima di
staccare la spina, si promise di rincontrare Rossana Crowe e di chiarire la
“questione”.
Rossana Crowe © Shana Flame Haze
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Capitolo 4 *** Is She a Friend or a Foe? ***
Vamp
Capitolo IV
Is She a Friend or a Foe?
Non
erano passati molti giorni dall’incontro di Aura e Rossana, ma le due non
avevano avuto ancora modo di incontrarsi nuovamente, e la prima stava
incominciando a mostrare i primi segni di impazienza: le lunghe attese non le
piacevano. Questo era il punto. Peccato che venisse prontamente fermata da
qualcuno, ogni volta che provava ad uscire dal Moon Dorm, Kaname escluso. E questo non faceva altro che
far aumentare la sua voglia di uscire.
E
Mentre Aura escogitava un piano per uscire da quella che era diventata una
sorta di prigione dorata, Rossana se ne stava placidamente seduta al suo banco,
facendo di tutto, tranne che seguire la lezione. Era nella stessa classe di
Zero e Yuuki, ma questo le importava poco: non sopportava Yuuki perché la
trovava insulsa. Per quanto riguardava Kiryu, la cosa era un po’ diversa: da
una parte c’era la totale indifferenza, mentre dall’altra c’era l’occhio critico
di una che conosce e sa distinguere un umano da un vampiro.
Rossana,
provenendo da una famiglia di Vampire Hunter, era a conoscenza
dell’esistenza dei vampiri, e sapeva anche chi, alla Cross Academy, lo era o no.
Suo padre, col quale condivideva l’aspetto fisico ma non il carattere, se non
in parte, era piuttosto noto nella cerchia dei Vampire Hunters, anche se non ai
livelli di Toga Yagari, il quale rimaneva non solo il più forte, ma anche il
più noto.
Certo,
la giovane Crowe conosceva la tragedia dei Kiryu, ma non per questo trattava
Zero coi guanti. Poteva avere anche tutto il classico fascino del ragazzo
tormentato dal passato, che avrebbe trovato la pace solo con il vero amore, ma lei
non era tipa da bersi tale solfa; non si chiamava Yuuki Cross, lei.
Lanciò
una rapida occhiata per vedere a che punto della spiegazione fosse il
professore, quando, voltandosi nuovamente verso la finestra, vide un paio di
occhi rossi che la fissavano: Aura era tornata. Sospirò e, senza compiere
azioni che avrebbero potuto far insospettire Zero, si alzò ed uscì con l’ormai
nota scusa dell’andare in bagno, dirigendosi all’esterno della scuola ed arrivando
alle spalle della sua “amica”.
«Cosa
ci fai qui, in pieno giorno? Sbaglio, o quelli della Night Class, a quest’ora,
dovrebbero essere a dormire?» la canzonò, utilizzando la stessa battuta che le
era stata detta.
L’altra
si voltò e, sostenendo il suo sguardo, le rispose con altrettanto sarcasmo:
«Non riuscivo a prendere sonno. Sono venuta qui per prendere una boccata
d’aria».
Dopodiché
le due si fissarono senza dire nulla per svariati minuti, fino a che Rossana
non abbozzò un sorrisetto piuttosto ambiguo, facendo venire la pelle d’oca ad
Aura, che fece un passo indietro.
«È
strano che tu possa andare in giro di giorno, ma fa niente. Anzi, meglio per
me: sarà più facile eliminarti»
disse, avanzando verso Aura.
Aura
spalancò gli occhi, incredula a ciò che aveva appena sentito, ed indietreggiò
ancora di più, arrivando con le spalle al muro: si era fregata con le sue
stesse mani.
«Devo
dire che sei piuttosto patetica, come avversario, sai?» esordì Rossana,
fermandosi. «Se finisci con le spalle al muro prima ancora di iniziare, rovini
tutto il divertimento! Forza, allontanati da quella parete e sii seria, così mi
diverto un altro po’, prima di dirti addio» continuò, prendendola per un polso
ed allontanandola dalla parete, portandola di fronte a sé.
«Cosa
vuoi da me? Che ti ho fatto?» le chiese Aura.
«Ma
ci sei o ci fai? Devo dire che per essere una di “loro”, sei piuttosto stupida, sai?» fece la rossa, posando le mani
sui fianchi e scuotendo leggermente la testa, come per dire “è una causa
persa”.
«Loro? Ma a chi ti riferisci? Ah, per tua
informazione: esserci, ci sono, e stupida non sono! Chiaro?» disse Aura,
incrociando le braccia al petto.
Rossana,
in risposta all’uscita dell’altra, alzò un sopracciglio, squadrandola dalla
testa ai piedi: aveva indubbiamente delle caratteristiche riconducibili a
quelle creature ma, al contempo,
qualcosa stonava. Visto che voleva vederci chiaro, allungò una mano verso il
piccolo fodero che teneva alla coscia sinistra, estraendo una pistola e
puntandola contro Aura, la quale spalancò gli occhi e si irrigidì: da dove
arrivava quella pistola? Ma soprattutto... perché ne aveva una e la stava
puntando contro di lei?
Rossana
sapeva quel che stava facendo, ma Aura no!
«Non
ti agitare. Se non sei una di loro,
non ti succederà nulla; se invece lo sei...». Non completò nemmeno la frase,
lasciandola in sospeso.
«Ancora
con questa storia!? Mi spieghi cosa sono “loro”, eh?» esclamò Aura, cercando di
nascondere la crescente sensazione di panico che la stava attanagliando.
«Fai
silenzio».
Avvenne
in un istante: Rossana che premeva il grilletto; qualcuno che rapidamente le afferrava
il suo polso, deviando il colpo; Aura che scompariva dalla sua visuale; e Zero
che faceva fuoco contro il suo sabotatore, liberandola dalla presa ferrea ma
mancando il bersaglio.
«Kiryu,
sparisci. Non ho bisogno del tuo aiuto» proferì Rossana, stringendo la sua
presa sulla pistola.
«A
giudicare dalla situazione, direi che il mio aiuto sia necessario» ribatté lui, atono come sempre ma con una punta di
rabbia: avere a che fare con i suoi “migliori amici” non lo rendeva tanto
felice.
«Nessuno
ti ha invitato. Era, ed è, una questione privata».
«Veramente
il mio invito è qui» fece Zero, indicando con un cenno del capo i due membri
della Night Class venuti in soccorso di Aura: Takuma Ichijo e Senri Shiki.
«Forza,
non mi pare il caso di essere così aggressivi! Non è successo nulla» disse Takuma,
il biondo, rimanendo davanti ad Aura, con fare protettivo.
«Tanto
non ti ascoltano» disse l’altro, Senri, il ragazzo castano-rossiccio e dagli
occhi grigio-azzurri inespressivi. Era stato proprio lui a far deviare il colpo
di Rossana, mentre Takuma si era occupato di far uscire Aura dal mirino sia
della rossa che di Zero.
«Allora
quel che pensavo era vero: è una di voi!»
esclamò Rossana.
«Non
proprio» le rispose Takuma.
«Ah
no? Ed allora cos’è?» replicò Rossana, riducendo gli occhi a due fessure.
«Dovete
sempre mentire, vero?» aggiunse Zero.
«Ichijo,
Shiki, andate pure: me ne occupo io» proferì una terza voce, alle spalle dei
due membri della Night Class che, senza aggiungere altro, se ne andarono,
portando via anche Aura.
«Kuran»
disse Zero a denti stretti.
«Kiryu,
Crowe» disse quello, uscendo allo scoperto.
«Dicci
quello che sai, altrimenti ti riduciamo in polvere» fece Rossana, puntando la
sua pistola contro Kaname, seguita a ruota da Zero: non scherzavano.
«Bene.
Dovete sapere che lei è...». Il resto della frase, ovvero la parte più
importante, non venne udito, visto che la campanella suonò, segnando la fine
delle lezioni ed impedendo ai due interessati di sentire.
Kaname
sorrise leggermente, prima dileguarsi.
«Se
n’è andato... dannazione!» dissero sia Rossana che Zero, rinfoderando le
proprie armi.
«Direi
che l’atmosfera si stia scaldando» disse un uomo dai capelli neri mossi, lunghi
fino alle spalle, e dagli occhi azzurro chiaro, di cui uno – il destro –
coperto da una benda, guardando attraverso la finestra.
«I
giovani d’oggi... sempre a litigare!» replicò Kaien, facendo una sorta di
piroetta e causando le ire dell’uomo.
«È
una questione seria, questa! La pace che desideri tanto potrebbe andarsi a far
benedire in un istante, se qualcuno non prende in mano la situazione. Certo,
potrebbe anche avvenire il contrario, vista la situazione “speciale”, ma non è
il cas… Ma mi stai ascoltando?».
Voltandosi,
aveva trovato il Preside intento nella nobile arte del taglia e cuci. Allora
sbatté violentemente la mano sulla scrivania – che per qualche strano motivo
aveva i segni di una precedente distruzione – facendo sussultare Kaien.
«Lo
so che la situazione è instabile, al momento. Ma vediamo ed aspettiamo. Se la
cosa degenera, interveniamo, altrimenti lasciamo che se la sbrighino tra di
loro» gli rispose Kaien, interrompendo quello che stava facendo e riprendendo
non appena l’uomo dall’occhio bendato – Toga Yagari – uscì dalla stanza.
Intanto
nel Moon Dorm, dopo che Aura, privata della memoria, era stata portata nella
sua stanza con il “consiglio” di rilassarsi, magari facendo un bel bagno caldo,
Takuma e Senri erano tornati nell’atrio.
«Ci
sono stati problemi, Ichijo?» chiese Kaname.
«No,
nessun problema. È tutto sottocontrollo: non ricorda nulla».
«Però
c’è mancato poco che saltasse tutto» aggiunse Senri, prendendo la parola, per
poi sedersi sul divano, con Rima seduta sul bracciolo.
«Bene.
Per il momento occupiamoci di Crowe e Kiryu: dobbiamo far sviare i loro
sospetti» proferì Kaname.
«Va
bene, ma riguardo Thanatos? Per quanto possiamo girarci intorno, prima o poi la
verità verrà a galla. È solo una questione di tempo» aggiunse Takuma.
«Lo
so. Ma non è ancora il momento di dirle la verità, a meno che non ci arrivi da
sola. Dobbiamo aspettare».
«Aspettare
cosa?» chiese Hanabusa, facendo sospirare il cugino. Mentre tutti gli altri
avevano afferrato il concetto, lui doveva sempre arrivare qualche secondo dopo;
infatti, non appena collegò la parola “momento” al verbo “aspettare”, capì.
«Ma
perché non assegnarla alla Day Class? A differenza di Kiryu, non ha problemi...» aggiunse, subito dopo il
collegamento mentale e la comprensione di quel che aveva detto Kaname.
A
questa domanda, però, Kaname non rispose e si alzò, salendo la scalinata con il
chiaro intento di ritirarsi nella sua stanza. Arrivato in cima, si fermò, voltandosi
leggermente indietro e dicendo: «Per qualche giorno eviteremo di farla uscire
sia di giorno che di notte. Meno incontra Kiryu e Crowe, meglio è». Avanzò di
qualche passo, ma poi si fermò, aggiungendo: «Ah, Aidou...».
«Sì,
Kaname-sama?».
«D’ora
in poi avrai il compito di controllare ed impedire che Thanatos esca». E
stavolta si diresse verso la sua stanza senza aggiungere altro.
«A
quanto pare Aidou dovrà fare il baby-sitter» esordì Senri, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte del diretto interessato, che replicò con un “Fa’
silenzio”.
Nel
frattempo, Aura, dopo aver fatto un bel bagno caldo – più perché ne aveva
voglia, che per seguire il consiglio datole – si trovava sul letto, sdraiata.
Aveva la netta sensazione che qualcosa fosse fuoriposto, ma non riusciva a
capire cosa. Più si arrovellava, e meno ne veniva a capo. Provò a fare mente
locale, ma non servì a niente, se non a farla innervosire.
Aveva
iniziato un nuovo ragionamento – campato in aria, ovviamente – quando qualcuno
bussò alla porta, interrompendo il flusso dei suoi pensieri e mandando il suo
ragionamento contorto a farsi benedire; e ciò non fece altro che aumentare il
suo nervoso. Difatti, si alzò con il chiaro intento di sbraitare contro il
povero, o la povera, che si trovava dietro la porta.
«Cosa
dia… Tu?!» esclamò, una volta aperta la porta. La persona che aveva bussato altri
non era che il mitico Idol-senpai, proprio la persona che Aura non avrebbe voluto vedere.
Si
schiarì la voce e, cercando di essere più calma e ragionevole possibile, disse:
«Cosa vuoi? Se sei venuto per disturbarmi, puoi anche andartene: non ho tempo
da perdere. Se invece sei venuto per dire qualcosa di sensato, prego: ho i
canali uditivi aperti».
«Sì,
una cosa sensata da dire ce l’ho: per decisione del Dorm Leader, da oggi in
poi, fino a data da destinarsi, rimarrai qui; sia di giorno che di notte. Ed il
sottoscritto» pronunciò la parola “sottoscritto” con una sorta di lamento di
sottofondo «è stato incaricato di impedirti di uscire».
«Oh,
quindi salto le lezioni fino a non si sa quando, ma non posso mettere piede
fuori da codesto edificio, esatto?». Hanabusa si limitò ad annuire. «Che culo... davvero. Mi domando perché
proprio a te sia stato affidato questo “compito”. Chissà, chissà» replicò Aura,
con una leggera punta d’ironia.
Aveva
intuito che Hanabusa era stato scelto perché aveva fatto qualcosa. Dopotutto
era un piantagrane. Lo aveva capito sin dalla prima volta che l’aveva visto,
ovvero quando lo aveva trovato sdraiato sul divano della sua camera.
«Non
ho fatto nulla!» esclamò il biondo, andandosene piuttosto indispettito.
La
ragazza rimase affacciata fuori dalla stanza fino a che Hanabusa non girò
dietro l’angolo del corridoio, uscendo dal suo raggio visivo; dopodiché chiuse
la porta, andando a sedersi sul divano e puntando i suoi occhi cremisi verso la
finestra.
Se
non ci fossero stati quei maledetti alberi, avrebbe potuto vedere la massa
uniforme di ragazzine della Day Class venute a “salutare” il resto della Night
Class. Inoltre, avrebbe potuto rivedere, forse, la rossa.
Ed
era proprio sotto uno di quegli alberi, che si trovava Rossana, con le braccia
conserte come al suo solito. Ma lei, così come Zero, non sapeva che Aura non si
sarebbe fatta vedere, per il momento.
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Capitolo 5 *** The Escape from the Golden Cage ***
chappy
Capitolo V
The Escape from the Golden
Cage
Era
ormai da cinque giorni che Aura non usciva. Non poteva nemmeno mettere un dito
od il naso fuori dalla porta, che Hanabusa appariva dal nulla e le impediva di
uscire. Ogni volta il biondo cambiava il metodo con cui la bloccava, in modo
che non avesse la possibilità di “contrattaccare” e di sfuggirgli. Ma lei si
era stufata, e non poco, di stare tutto il tempo in camera sua, a guardare
fuori dalla finestra. Certo, poteva girare per tutto il Dormitorio, ma
preferiva non farlo, visto che, come metteva piede fuori dalla stanza, Hanabusa
entrava in modalità “Pedina la ragazza ed impedisci la sua fuga, pena tante
sberle da Kaname-sama”. Questo giochino non era affatto divertente né per Aura,
costretta agli “arresti domiciliari”, né per Hanabusa, costretto a controllare
la suddetta ragazza per evitare ripercussioni da parte di Kaname.
Ma
doveva finire, in un modo o nell’altro.
«La
vuoi smettere con questo pedinamento? Tanto non vado da nessuna parte» esclamò
Aura, continuando a camminare lungo il corridoio.
«Non
posso: ordini dall’alto. E poi non mi fido. Non appena abbasserò la guardia o
mi distrarrò un attimo, tu ne approfitterai» le rispose Hanabusa, a pochi passi
da lei.
Aura
roteò gli occhi, per poi voltarsi di scatto, facendolo fermare. «Ammettilo:
preferiresti uscire e fare l’idiota davanti a quelle mocciose eccitate».
«A
chi hai dato dell’idiota!?».
Aura
sorrise tra sé e sé: «A te. Per caso, oltre a noi due, vedi qualcun altro?».
Il
biondo strinse i denti, pur di non torcerle un capello: sapeva benissimo che,
se lo avesse fatto, avrebbe ricevuto il benservito da Kaname.
«No,
non c’è nessun altro; ed il motivo è piuttosto semplice: sono tutti a lezione».
«Uh!
Adesso siamo passati al dire cose ovvie! Ma bravo, ma bravo!» esclamò Aura,
facendo finta di battere le mani. Stava mettendo a dura prova i nervi e la
pazienza di Hanabusa, ma le importava poco: voleva raggiungere il suo
obbiettivo.
Questa
volta il biondo non replicò, ed Aura ne approfittò per riprendere la sua
“passeggiata”, dirigendosi verso la sua stanza, dalla quale era uscita una
mezz’ora prima.
Tutto
il tragitto verso la sua meta avvenne in totale silenzio; ma Hanabusa era
comunque dietro di lei, anche se non parlava. Arrivata a destinazione, prima di
chiudersi tra quelle quattro mura che ormai conosceva benissimo, disse ad
Hanabusa: «Se domani mattina ti troverò sul divano come l’altra volta, giuro
che te la faccio pagare. E non poco. A domani».
Chiuse
la porta e si appoggiò con le spalle contro di essa, in attesa di sentire i
passi di Hanabusa riecheggiare per il corridoio, cosa che avvenne una manciata
di secondi dopo. Ora aveva due opzioni: tentare le fuga adesso, con il
vantaggio di avere il Dormitorio quasi deserto, oppure domani mattina, con il
vantaggio-svantaggio di avere gli altri studenti sotto le coperte.
La
scelta era piuttosto difficile, visto che entrambe le opzioni avevano sia degli
svantaggi che dei vantaggi. Inoltre, se voleva uscire ora, doveva sbrigarsi,
visto che tra non molto gli altri studenti sarebbero tornati. Non avendo tempo,
fece come l’istinto le suggeriva: ovvero calarsi giù dalla finestra utilizzando
il lenzuolo come corda. Idea non molto originale ma piuttosto fattibile, vista
la mancanza di attrezzi necessari.
Per
prima cosa aprì la finestra, affacciandosi per vedere più o meno quanti metri
la separassero dal suolo; dopodiché sfece il letto, prese il lenzuolo e, dopo
aver fatto un bel nodo ad una zampa del divano, prontamente spostato nella
posizione ideale, calò la “fune”. Non le restava altro che scendere giù.
Afferrando
e stringendo saldamente il lenzuolo-fune, iniziò la sua “discesa” verso la
libertà. Arrivata a più di metà, si accorse che il lenzuolo non era lungo
abbastanza da poter arrivare al suolo senza dover saltare giù, nella speranza
di non rompersi qualcosa. Ed ora cosa avrebbe fatto? Sarebbe tornata su,
sistemando tutto come se niente fosse successo ed andando a dormire, oppure
avrebbe mollato la presa, buttandosi nel vuoto e sperando di uscirne viva?
Ormai
era arrivata fin lì, e tanto valeva arrivare fino in fondo: si lasciò cadere.
Le parve di rimanere sospesa per aria per svariati minuti, fino a che non sentì
l’impatto che il suo fondoschiena ebbe con le dure mattonelle di pietra che
costituivano il selciato: era atterrata di culo.
“Che culo”, pensò proprio in quel momento
Aura, massaggiandosi la parte lesa. Alzò lo sguardo verso la finestra della sua
camera e constatò che al suo ritorno ci sarebbero stati problemi, visto che di
tornare in camera attraverso la finestra non se ne parlava; e poi era
impossibile: nemmeno saltando sarebbe riuscita ad aggrapparsi al lenzuolo-fune.
Ma al come tornare nella sua stanza ci avrebbe pensato dopo. Adesso doveva
occuparsi di un’altra faccenda, quella che aveva dato inizio a questa “fuga
dalla cella dorata”.
Cercando
di non fare troppo rumore, raggiunse il cancello che separava il Dormitorio dal
viale che conduceva alla scuola; una volta superato, prese a correre in
direzione dell’altro Dormitorio, quello degli studenti della Day Class. Lungo
la strada non incontrò nessuno, segno che gli altri membri della Night Class
erano ancora all’interno dell’edificio scolastico.
Aveva
appena iniziato a percorrere la strada per il Sun Dorm, quando vide un’ombra
passare attraverso gli alberi alla sua sinistra; un brivido non poté fare a
meno di scenderle lungo la spina dorsale. Forse non era stata una buona idea,
quella di fuggire durante la notte... forse sarebbe stato meglio se l’avesse
fatto di giorno.
Ad
un tratto, i lampioni, che fino a quel momento avevano illuminato la strada, si
spensero, come se le lampadine si fossero bruciate; l’unica fonte di luce rimasta
era quella proveniente dall’alto, dalla Luna. Era piuttosto lugubre, lo
scenario che si era venuto a creare. Per qualcun altro sarebbe stato anche quasi romantico, ma per Aura non era
affatto così: si stava maledicendo per aver lasciato il Moon Dorm e per aver
avuto la grande idea di andarsene in giro a notte fonda.
Da
quando i lampioni si erano spenti, Aura era rimasta ferma dov’era. Si guardava
intorno, come se da un momento all’altro qualcuno sarebbe apparso di fronte a
lei. E su questo, anche se non poteva saperlo, non si sbagliava affatto: c’era
veramente qualcuno.
«Allora
allora... cosa abbiamo qui?».
Aura
sussultò, non appena sentì tale voce, ma soprattutto quando vide, a pochi metri
di distanza, una figura vestita completamente di nero. E per rendere tale
figura ancora più spaventosa e spettrale, ci pensò la luce lunare. Aura
inghiottì a vuoto, rendendosi conto di aver fatto una gran cazzata ad uscire.
«Oh...?
Ma tu sei... Bene. Stasera deve essere la mia serata fortunata. Due mostri in
un colpo solo. Meglio di così, non mi potrebbe andare» disse la misteriosa
figura, avanzando di qualche passo, giusto giusto per esser vista meglio: indossava
un paio di stivali neri; un paio di pantaloni in pelle nera senza tasche; una
cintura di cuoio grigia con tanto di fondine, nelle quali si potevano scorgere
due pistole, e di fianco ad esse vi era il fodero di quello che era,
presumibilmente, uno stocco; una maglia nera di cotone, probabilmente a maniche
lunghe, leggermente sbottonata. E per completare il tutto, un cappotto lungo
fino a metà cosce, anch’esso in pelle nera, con il cappuccio, che impediva di
vedere la sua faccia.
Aura,
a giudicare dal suo abbigliamento, dedusse che era un assassino. E questo la
fece paralizzare sul posto, impedendo quello che, nella sua mente, sarebbe
stato un tentativo di fuga.
«Hm?
Sbaglio o quella che avverto provenire da te è... paura?» fece l’incappucciato, ghignando da sotto il cappuccio.
«N-no.
Ti sbagli» rispose Aura, cercando di ridurre al minimo il suo tremolio.
«Allora...»
iniziò la misteriosa figura «cosa ci fa una creatura
come te qui, a quest’ora della notte? In cerca di uno spuntino?».
«S-sono
in cerca di una p-persona. M-ma la stessa domanda che mi hai fatto, p-potrei
farla anche a te» dichiarò Aura, facendo un passo avanti.
«Oh,
la piccola creatura che cerca qualcuno... il tuo fidanzatino, per caso? No,
aspetta... so chi stai cercando... peccato che non vivrai abbastanza per
trovarla!» proferì l’incappucciato, estraendo una delle due pistole, e
puntandola contro Aura.
Aura
se lo sentiva: questa volta nessuno sarebbe corso in suo aiuto. Era sola, con
un assassino che le puntava contro, a tre metri di distanza, una pistola; e lei
era paralizzata dalla paura. Peggio di così non le poteva andare, davvero. Ma
poi qualcosa, vuoi per la paura o per chissà cosa, scattò nella sua mente, e
lei, correndo il più veloce possibile, caricò l’incappucciato, riuscendo, con
questo suo “attacco” a sorpresa, a buttarlo a terra. Peccato che si fosse
dimenticata di un piccolo particolare chiamato “pistola” e, quando se ne
accorse era un po’ troppo tardi: l’incappucciato premette il grilletto.
Fortuna
volle che il proiettile le prendesse di striscio la spalla sinistra. Aura si
lasciò sfuggire un lamento di dolore, per poi stringere i denti, causando
nell’altro un piccolo sorrisetto compiaciuto.
«Devo
ammettere che hai avuto fegato. Ma ora, se non ti dispiace, dovresti alzarti».
L’incappucciato
ripose velocemente la pistola per estrarre lo stocco, un’intera lama fatta
d’argento con una gemma verde incastonata nell’elsa, ed invertì le posizioni,
puntando alla gola della ragazza la lama.
«Sai»
iniziò «vista la tua natura, credevo
che sarebbe stato un po’ più divertente. Invece mi hai delusa».
«D-delusa?
Quindi sei una donna... Ma c-cosa intendevi con “natura”? Non capisco...» mormorò
Aura, con gli occhi spalancati che passavano dal guardare la lama al volto
coperto della misteriosa donna, e viceversa.
«Non
fare finta di nulla... Sai perfettamente di cosa parlo, vampiro» pronunciò l’ultima parola con sdegno.
«V-vampiro?
Ma cosa dici? Primo: i vampiri non esistono; secondo: non lo sono, visto che sono
umana; e terzo: chi diavolo sei tu?» disse una contrariata Aura. Aveva
accantonato un attimo la paura per far prevalere quel che pensava, qualche
volta l’assassina la lasciasse andare. Ma la sua era una mera illusione.
«Primo:
i vampiri esistono; secondo: tu sei un vampiro; e terzo...» fece
l’assassina, per poi togliersi il cappuccio, rivelando la sua identità «sono
Rossana Crowe, Vampire Hunter e... la persona che stavi cercando».
Hanabusa
aveva la netta sensazione che ci fosse qualcosa di strano, così, una sensazione
a pelle, senza motivo ma presente. Allora, la lampadina che aveva nella sua
zucca, un po’ polverosa ed in disuso, si accese, e si diresse verso la camera
di Aura. Bussò alla porta, senza ottenere alcuna risposta: probabilmente la
ragazza stava dormendo. Ma la sua lampadina, che a quanto pare aveva intenzione
di fare gli straordinari quella sera, si accese nuovamente; allora entrò nella
stanza, scoprendo, con suo orrore, soprattutto al pensiero della reazione di
Kaname, che la ragazza se l’era svignata attraverso la finestra. Lo sapeva che
non doveva assolutamente lasciarla sola e che doveva tenerla sott’occhio anche
nella propria stanza. Ed ora come avrebbe fatto, se Kaname-sama l’avesse
scoperto?
A
quel pensiero, Hanabusa impallidì e scosse la testa per liberarsene.
Senza
aspettare oltre, scavalcò la finestra e si buttò di sotto, atterrando senza
tanti problemi, per poi uscire dal perimetro del Moon Dorm tutto trafelato:
doveva trovare quella ragazzina prima che la trovasse Kaname o qualcun altro.
Ed anche alla svelta.
L’unico
luogo dove potesse essersi diretta, era sicuramente il Sun Dorm, proprio dove
si trovava una certa ragazza di nome Rossana Crowe. Hanabusa la detestava ma,
dato che Kaname non sembrava preoccuparsi affatto del suo atteggiamento,
ignorava la cosa; ma ora, dopo l’episodio in cui Aura aveva quasi rischiato di farsi riempire di
proiettili – con possibili punizioni per lui da parte di Kaname – Hanabusa
aveva un motivo in più per detestarla.
Stava
percorrendo il viale che lo avrebbe condotto verso il Sun Dorm, quando un grido
femminile squarciò il silenzio della notte.
«Cosa?
Eri tu tutto questo tempo?» chiese una sorpresa Aura.
«Certo.
Non mi avevi riconosciuta, eh? Comunque, visto che sei un vampiro, sai cosa ti
aspetta» fece Rossana, poggiando la lama sul collo della corvina. Però qualcosa
non le tornava: la lama, essendo d’argento, avrebbe dovuto sortire un qualche
effetto al contatto con la sua pelle, ma non accadde nulla. Com’era possibile
tutto ciò? Che spiegazione poteva mai avere questo strano “caso”?
Immersa
com’era nell’analisi di questa sua nuova – se così vogliamo chiamarla –
difficoltà, Rossana non si accorse della figura maschile che arrivò alla sua
sinistra. In un istante, venne colpita da una frusta, venendo scaraventata
lontano da Aura, che dalla sorpresa si lasciò scappare un urlo, per poi
tapparsi la bocca con entrambe le mani.
Rossana,
dal canto suo, incassato il colpo, si portò una mano sulla parte colpita,
constatando che aveva avuto fortuna: non aveva nessuna ferita, anche se il
fianco sinistro del suo cappotto e della sua maglia presentavano un bello
squarcio. Solo un membro della Night Class possedeva una frusta, una frusta di
sangue per l’esattezza: Senri Shiki.
«Crowe,
questa è la seconda volta che tenti di fare “giustizia”» constatò Senri, con la
sua solita espressione stampata in faccia.
«E
se anche fosse? Per caso vuoi prendere il posto suo? Per me non cambia niente»
replicò Rossana, alzandosi.
Anche
Aura si era alzata, e guardava i due, indecisa se andarsene o rimanere. Se
fosse rimasta, avrebbe sicuramente sentito qualcosa che le avrebbe,
probabilmente, chiarito il perché la rossa, ogni volta che la vedeva, cercasse
di eliminarla; se, invece, se ne fosse andata, si sarebbe persa sicuramente
tutti i fatti sopracitati. Fortunatamente ci pensò l’arrivo di Hanabusa a
decidere per lei: infatti il biondo, fermata la sua corsa folle, la prese per
un polso e la trascinò via con sé, partendo alla volta del Moon Dorm. Peccato
che la loro uscita di scena venne interrotta dal mitico Kaname Kuran, amato e temuto da tutti, in particolar modo da
Hanabusa.
«Aidou»
disse quello, facendo venire i brividi lungo la schiena al biondo.
«S-sì,
Kaname-sama?».
«Noto
che la situazione ti è sfuggita di mano. Dopo voglio parlarti. In privato».
«Oh,
bene, perfetto: è arrivato anche il Leader! Fate venire anche tutti gli altri,
mi raccomando, così possiamo dare inizio allo spettacolo!» esclamò Rossana, non appena si accorse della presenza
di Kaname.
Il
ragazzo chiamato in causa avanzò, fermandosi soltanto quando fu di fronte alla
rossa, dicendole: «Rossana Crowe, se vuoi chiarire la faccenda, vieni al Moon
Dorm. Domani sera».
«Un
invito diretto nella tana dei lupi... Dov’è il trucco?» replicò Rossana,
guardando di sbieco Kaname.
«Non
c’è alcun trucco. Puoi fidarti» rispose Kuran, serio. «Ora, con permesso»
aggiunse, dando le spalle a Rossana e dirigendosi verso Hanabusa, Aura e Senri,
il quale si era aggregato agli altri due mentre Kaname parlava con Rossana.
Prima
di uscire di scena insieme agli altri tre, si voltò lievemente per ribadire il
discorso: «Se sei interessata, sai dove e quando venire».
I
quattro membri della Night Class si dileguarono. Subito dopo la loro dipartita,
i lampioni ripresero a diffondere luce lungo il selciato, illuminando una
Rossana a dir poco basita ed arrabbiata: oltre ad aver perso l’occasione per
eliminare un altro vampiro, aveva ricevuto “l’invito” a recarsi nella tana di
alcuni di essi.
L’indomani
sera si preannunciava alquanto interessante.
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Capitolo 6 *** Revelations ***
vk
Capitolo
VI
Revelations
La
notte tanto attesa era finalmente giunta.
Rossana
si trovava di fronte al cancello del Moon Dorm, irrequieta. Indossava gli
stessi abiti della serata precedente, ed aveva con sé anche le armi: si sentiva più sicura, sentendo il loro peso
addosso. Alla fine, dopo aver osservato per svariati minuti l’ingresso, si
decise: entrò.
«È
venuta veramente... non me lo aspettavo» disse Akatsuki, osservando la figura
di Rossana varcare il cancello da una finestra del secondo piano. «Sarà meglio
scendere».
Il
pel di carota avanzò di qualche passo, prima di fermarsi e voltarsi: suo cugino
era ancora fermo davanti alla finestra, pensieroso.
«Hanabusa»
lo chiamò, attirando la sua attenzione. Il biondo si voltò, ma mantenne la sua
espressione pensierosa: qualcosa lo preoccupava.
«Avviati
pure. Io ti raggiungo tra poco» rispose, prima di tornare a guardare fuori
dalla finestra.
Akatsuki
si limitò a guardarlo per qualche istante, prima di scendere giù nell’atrio,
dove vi erano giù tutti, Kaname compreso.
Rossana,
una volta entrata e trovatasi al cospetto dei “Vip”, istintivamente portò una
mano sul calcio di una delle due pistole, venendo bloccata dall’arrivo di
Hanabusa.
«L’idiota
biondo è un po’ in ritardo» esclamò lei, osservando i movimenti del suddetto
ragazzo fino a che non si sedette accanto ad Akatsuki. Stranamente la battutina
non lo aveva fatto scattare come al solito, e Rossana se n’era accorta; ma
dopotutto il biondo non era un tipo molto sveglio ed intelligente... non c’era
da meravigliarsi, se l’insulto velato
non era arrivato al suo cervello.
«Crowe?»
disse qualcuno alle sue spalle. Rossana si voltò solo per vedere la faccia
smorta di Zero.
«Pure
Kiryu-kun qui, eh? Allora la cosa deve essere piuttosto scottante... Ma
quell’altra dov’è? Per caso c’è anche lei?» chiese Rossana, guardando Zero
annoiata. Meno aveva intorno sia lui che Yuuki, meglio era: non sopportava
nessun dei due. Ed il fatto di essere a stretto
contatto con quelli della Night Class le rendevano le cose ancora più
difficili da sopportare.
«No,
Yuuki non verrà. Le riferirò tutto domani» fu la risposta di Zero, mentre
andava ad appoggiarsi con la schiena contro la colonna vicino alla porta.
«Fai
come ti pare. Ma parliamo d’altro adesso...» fece Rossana, voltandosi a
malincuore verso il resto dei presenti.
Kaname,
che fino a quel momento guardava fuori dalla finestra, si voltò verso il
“pubblico”, dichiarando: «Aura Thanatos è una Dampyr».
A
quel punto molte cose divennero chiare sia per Rossana e Zero, che per alcuni
della Night Class.
«Svelato
il mistero degli occhi rossi ed il perché la mia lama d’argento, così come la
ferita da arma da fuoco, le avevano fatto poco: è una mezzosangue. Non sta né
di qui, né di qua» proferì Rossana.
«La
sua presenza qui porterà solo altri problemi» fu l’opinione di Zero.
«Non
c’è bisogno di essere così apocalittici, Kiryu-kun. Dopotutto non ha bisogno né
delle blood tablets né del ripararsi
dal sole. Fra tutti noi, quella che vive meglio, è proprio lei» asserì Takuma,
con il suo solito sorriso stampato in faccia.
«Concordo
con Ichijo-san» disse Senri, portando le braccia dietro al collo. Il ragazzo
era molto interessato alla faccenda,
davvero.
«Uh,
ha parlato quello che l’altra sera ha rovinato un capo pregiato» esordì
Rossana, guardando il giovane che, per nulla toccato da quel che aveva appena
detto, le rispose: «Vedo che è già stato accomodato».
«Ne
ho un’altra uguale. Quindi, la questione tra me e te è ancora aperta.
Ricordatelo» fece la rossa, puntando un dito in direzione di Senri.
«Ma
riguardo alla famiglia si sa qualcosa?» intervenne Akatsuki. Domanda piuttosto
attinente, visto il verso che la conversazione aveva preso, dopo lo scambio di
battute tra Rossana e Senri.
«La
madre è umana. È il padre ad essere un vampiro. Se è nobile o purosangue, non
mi è dato sapere: in Europa sono presenti alcuni purosangue, ma vivono
nascosti. Senza alcun punto d’appoggio, è difficile trovarli» fu la risposta di
Kaname.
«E
cosa cambia, se il padre è nobile o purosangue? Rimane comunque il fatto che è
una mezzosangue» aggiunse Hanabusa.
«L’unica
cosa che cambia, nel caso in cui fosse un purosangue, è il fatto che potrebbe
venire qui in seguito alla notizia degli attentati alla vita di sua figlia»
replicò Kaname con il suo solito tono, ma lanciando un’occhiata a Rossana,
chiaro segno che forse doveva lasciar
perdere il suo intento di eliminare Aura od anche solo di ferirla in qualche
modo: Kaname Kuran non voleva problemi.
«Se
abbiamo finito, io me ne vado» disse Zero.
«Sì,
abbiamo finito... Kiryu-kun».
“La tortura è finita. Andate in
pace” pensò Rossana, mentre assieme a Zero si dirigeva
verso l’ingresso. «Un’ultima cosa» aggiunse Kaname, costringendo i due a
fermarsi ed a voltarsi «La ragazza non dovrà sapere. Almeno per il momento».
Zero
prese e se ne andò: era il suo modo di dire “Sì, ho capito”; mentre Rossana,
prima di andar via anche lei, disse: «A proposito... adesso dov’è?».
«Nella
sua stanza. E stavolta ne sono sicuro» affermò Hanabusa, alzandosi.
«Detto
da te, mi preoccupo. Anche l’ultima volta ne eri sicuro... e guarda i
risultati» replicò la rossa, sghignazzando ed uscendo.
Ma
nessuno si era accorto che l’oggetto del loro “incontro” aveva sentito tutto.
La
mattina dopo, ad Aura venne comunicato che avrebbe potuto riprendere a seguire le
lezioni e ad uscire dal Dormitorio, ma solo se accompagnata. L’avere una sorta
di balia dietro non la rendeva molto entusiasta, ma era sempre meglio quello di
niente. Purtroppo, nonostante il ripristino di quasi tutti i suoi “privilegi”,
non si dava pace per quello che aveva sentito su di sé. Kaname aveva detto la
verità oppure una marea di menzogne? E perché tale “segreto” era stato svelato
anche a Rossana e Zero?
Doveva
indagare, e voleva delle risposte.
Nel
pomeriggio, prima che iniziassero le lezioni e davanti all’entrata Night Dorm
si formasse il solito agglomerato di ragazzine urlanti, Aura, con Senri come “baby-sitter”,
si recò nella biblioteca della scuola per cercare informazioni sui “Dampyr”. Le
costava ammetterlo, ma non sapeva nemmeno cosa o chi fossero. E sentirsi, in un
certo senso, ignorante, le dava un po’ fastidio. Fortunatamente Senri era un
tipo che non avrebbe fiatato nemmeno se gli avessero dato un calcio ben
assestato nei gioielli di famiglia, quindi sapeva che non le avrebbe fatto
domande, anche se mentalmente se le poneva di sicuro.
Una
volta all’interno della biblioteca, Senri si stravaccò sulla prima sedia che
trovò, mettendosi nella sua solita posizione, con le braccia dietro la nuca,
mentre Aura prese a girovagare per le varie sezioni ed a controllare scaffali
su scaffali, alla ricerca di libri sui cosiddetti Dampyr.
Dopo
un’attenta ricerca, trovò quel che cercava; ma un problema le si parò dinanzi:
sulla copertina del libro vi era scritto a caratteri cubitali la parola “Dampyr”.
Se sarebbe passata davanti a Senri, nonostante la sua aria da bello
addormentato, quest’ultimo si sarebbe sicuramente accorto che aveva sentito quella conversazione. Questo era,
almeno, ciò che pensava Aura.
Per
ovviare a tale problema, afferrò un altro libro e scambiò le due copertine,
risolvendo il problema. Con questa sua sicurezza, si diresse verso lo stesso
tavolo al quale era seduto il bello addormentato e si sedette, per poi iniziare
a sfogliare il libro.
La
prima parte, circa una ventina di pagine, trattava dell’origine dei cosiddetti
Dampyr: dall’origine del loro nome all’origine di sé per sé di quegli esseri
viventi chiamati con tale nome. Ma il pezzo più importante era il seguente: “La capacità di sedurre dei vampiri li
aiutava nell’attirare la loro ignara vittima; ma la loro capacità riproduttiva,
però, era praticamente inesistente: se erano morti, com’era possibile che
producessero spermatozoi od ovuli vivi per la fecondazione? Siccome da due non-morti
era impossibile creare la vita, perché non trovare un vivo? Fu proprio questo a
dare origine al processo di creazione dei Dampyr; la progenie di un umano ed un
vampiro.”.
Ma
non era nemmeno a metà del volume. La seconda parte, costituita da almeno una
quarantina di pagine, trattava delle Caratteristiche: “A causa delle straordinarie condizioni di concepimento, il dampyr era
ritenuto possessore di abilità nettamente superiori a quelle dei vampiri e
degli umani. Tuttavia, tale fatto era impossibile, dato che questi esseri
viventi, in quanto incroci, o mezzosangue, possedevano solo una misera parte
della forza e dell’agilità dei vampiri.”.
Infine,
la terza, ed ultima parte, riguardava la loro capacità di poter camminare
durante il giorno e di esporsi ai raggi del sole; ma non vi era niente di nuovo
o di interessante che non fosse già stato detto precedentemente.
Finita
la lettura, comprese finalmente tutto quel che Kaname aveva detto, ed il perché
Rossana l’avesse attaccata; ma, nonostante tutte le informazioni raccolte,
continuava a non crederci. L’unica che poteva far luce veramente su tutto
questo, era sua zia: Angela Cecil. Fin da quando era piccola, lei aveva sempre
avuto una risposta per tutto: era il suo mito!
Sua
madre, Aurora Cecil, per quanto fosse presente nella sua vita, non sapeva
rispondere a tutto come sua zia, e pertanto era un gradino sotto Angela, in
quanto livello affettivo; mentre suo padre... Suo padre, Vincent Thanatos, era
sempre all’estero per lavoro, a detta della madre. Ora che ci pensava, solo una
volta l’aveva visto a casa, quando aveva sette anni; per il resto, lo poteva
“vedere” attraverso le tre foto che Aurora teneva sul comodino nella camera da
letto: fisicamente, aveva preso quasi tutto dal padre, mentre per il carattere era
una via di mezzo fra i suoi genitori, anche se ogni tanto poteva avere degli
atteggiamenti più simili a quelli di Vincent o di Aurora in base alla
situazione. Un po’ come tutti, no?
Però,
se doveva contattare sua zia, come avrebbe fatto? Di mandare una lettera non se
ne parlava nemmeno, visto che il messaggio poteva essere aperto e letto da chiunque.
L’unico modo sicuro consisteva nell’aspettare le vacanze di Natale. Una volta
iniziate, sarebbe andata a trovarla e le avrebbe chiesto chiarimenti: ciò che
Kaname Kuran – che da quanto aveva capito era un vampiro così come il resto dei
membri della Night Class – aveva detto, era la verità?
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Capitolo 7 *** Level E ***
vk
Capitolo
VII
Level
E
Le
vacanze natalizie si avvicinavano ogni giorno sempre di più e, con esse, anche
la tanto agognata visita alla zia. Se da una parte Aura desiderava conoscere il
possibile segreto che la riguardava, dall’altra non lo voleva conoscere
affatto. Nonostante questo “voglio-non voglio” interiore, era riuscita a non
far capire agli altri della Night Class, in particolar modo a coloro che erano
presenti alla “riunione”, di essere a conoscenza della loro vera natura. Non
osava immaginare cosa sarebbe successo, se l’avessero scoperta.
Quel
giorno, che stranamente non c’erano lezioni né per la Night Class né per la Day
Class, stava camminando per la strada dell’unica zona abitata vicino alla Cross
Academy. Ed era proprio in quella cittadella che tutti gli studenti andavano
quando non c’erano lezioni, a meno che non ci fossero delle vacanze: in quel
caso, la maggior parte tornava dalla propria famiglia per passare del tempo assieme
ai propri parenti.
Aura
camminava lentamente, guardando ogni tanto le vetrine con l’aria di chi non sapeva
cosa fare ed annoiata. Questa volta non aveva l’accompagnatore, visto che era
pieno giorno. Almeno una nota positiva c’era, alla fine!
Per
quell’occasione si era vestita con il suo unico
ed inimitabile stile: jeans, scarpe
da ginnastica nere, maglietta a maniche lunghe rossa ed un’enorme felpa
grigia. Come dicevano sempre sua madre e sua zia: “A sacco di patate”.
Ben
presto ne ebbe abbastanza di fissare quelle vetrine che le sembravano tutte
uguali, e decise di tornare sui suoi passi, in direzione della Cross Academy:
voleva andare in camera sua e mettersi in pigiama. E così fece: girò i tacchi e
percorse tutta la strada che aveva fatto. Sfortunatamente, non conoscendo molto
bene le varie strade ed i vari vicoli, finì col perdersi e, guarda caso, si
stava facendo buio; questo poteva significare solo una cosa: vampiri in giro
per le strade.
«Forse
era meglio se restavo all’interno del Moon Dorm, in camera mia, col mio adorato
pigiama, al caldo, nel letto» mormorò tra sé e sé Aura, stringendosi le braccia
al petto, mentre camminava lungo il vicolo in cui era finita. Ma non sapeva che
una misteriosa figura la stesse pedinando, in attesa che finisse in un vicolo
cieco.
Aura
camminava, e la figura misteriosa la seguiva. Andarono avanti così per un bel
po’, fino a che, proprio come lo sconosciuto desiderava, Aura non si ritrovò in
un vicolo cieco.
«Accidenti,
adesso mi toccherà tornare indietro... e non so nemmeno dove sono!» si lamentò
Aura, sempre tra sé e sé. Si voltò per tornare indietro, quando andò a sbattere
contro qualcuno, rischiando di cadere a terra, se quest’ultimo non l’avesse
afferrata per un polso ed attirata a sé.
«Uhm...
grazie» mormorò Aura.
«La
prossima volta fai più attenzione... questi vicoli non sono molto sicuri...»
disse lo sconosciuto che, dal timbro della voce, era sicuramente un uomo.
«Uh...
sì, ok, farò più attenzione. Però ora dovrei andare...» fece Aura, cercando di
liberarsi dalla presa dell’uomo.
Invece
di lasciarla andare, l’uomo aumentò la presa sul suo polso, fino a farle male:
«Pensi davvero che io, ora, ti lasci andare così?» replicò lui, sussurrandole
ciò nell’orecchio e piegandole la testa di lato, avvicinando le labbra al suo
collo.
In
quel momento Aura si convinse dell’esistenza dei vampiri, e pregò con tutta sé
stessa affinché non le succedesse niente e che qualcuno la... salvasse. Chiuse e strinse forte gli
occhi, in attesa della prossima mossa del vampiro, ma non accadde nulla: la
presa sul suo polso scomparve, ed al posto del vampiro vi era della cenere. Lentamente
aprì un occhio, poi l’altro; di fronte a sé, oltre al mucchietto di cenere, vi
era una pistola, una chioma rossa ed un paio di occhi verdi: Rossana.
«Ma
cosa…».
«Shh!
Ce ne sono altri. Vieni con me» disse Rossana, facendole cenno di seguirla,
mentre estraeva l’altra pistola.
Aura
la seguì fuori dal vicolo, guardandosi intorno con sospetto e timore, mentre
l’altra strinse la presa sul calcio delle pistole. Poco dopo, una volta giunte
ad un incrocio, vennero accerchiate da altri quattro vampiri: tre uomini ed una
donna. Tutti e quattro avevano gli occhi di un rosso acceso che scintillava di
una luce sinistra, ed avevano uno strano sorriso – se così poteva essere
definito – dipinto in faccia.
«Abbassati»
ordinò Rossana ad Aura, la quale eseguì immediatamente.
Ora
che la rossa aveva il campo libero, senza attendere la mossa dei nemici, fece
fuoco. I primi a diventare cenere furono quelli di fronte e dietro di lei. Fece
fuoco ancora, questa volta contro gli altri due vampiri, che si erano già
attivati per attaccare; con un solo proiettile a testa, eliminò anche questi
ultimi, riprendendo la corsa fuori da quella zona infestata e raggiungendo la
piazza centrale. Peccato che fosse deserta.
«Dannazione!
È una trappola!» esclamò Rossana a denti stretti, assumendo una posa difensiva.
«Trappola...?».
Il
tempo di far finire di parlare Aura, che una decina di vampiri comparve.
Anch’essi, come i quattro di prima, presentavano gli occhi rossi col bagliore sinistro
ed il sorrisetto inquietante. E per renderli ancora più sinistri, alcuni di
loro sghignazzavano senza alcun motivo. Rossana sapeva perfettamente che il
loro bersaglio principale era Aura, ma non doveva prendere la situazione alla
leggera solo perché era in secondo piano: un minimo errore e ne sarebbero
uscite malridotte, visto il numero dei nemici. Ma come avrebbe fatto a
combattere ed a proteggere quella buona a nulla che aveva dietro di sé? Erano
circondate, quindi non poteva nemmeno parcheggiarla vicino ad una parete e
limitarsi a far avvicinare i vampiri, eliminandoli senza dover proteggersi da
tutte le direzioni. Tuttavia non aveva molte opzioni, ormai: o combatteva, o
combatteva. La fuga non era inclusa nella lista.
«Fatevi
sotto, sanguisughe!» esclamò, pronta per lo scontro.
I
succhiasangue non aspettavano altro: si scaraventarono in massa contro di lei,
che fece fuoco seduta stante, eliminandone tre. Gli altri, che si erano
lanciati all’attacco, non appena videro la fine che avevano fatto i loro
compagni, si fermarono all’istante, come se si fossero spaventati.
«Huh?
Adesso che vi prende? Appena avete visto i vostri amichetti ridotti in cenere,
ve la siete fatta sotto?» li canzonò Rossana, ghignando. Se si erano spaventati
veramente, c’era la possibilità che potessero tornare all’Accademia senza
ulteriori scontri. Ma quelli non erano spaventati, o meglio: erano spaventati,
sì, ma a causa della presenza di un loro simile, leggermente più in alto di
loro nella gerarchia vampirica. E di chi si trattava, se non di un Level C?
La
nuova recluta della fazione nemica scese dal tetto su cui si trovava,
portandosi al centro del gruppetto di Level D e mostrando la sua faccia: oltre
al rosso acceso degli occhi, non presentava nessun’altra caratteristica
particolare. Certo, il suo aspetto era leggermente più “curato” dei suoi
compari, ma questo era un mero dettaglio per Rossana.
«Allora...
vediamo un po’ cosa abbiamo vinto stasera» disse quello, osservando le due
ragazze. «Dunque, abbiamo una misera umana che ci sta creando qualche problema
e...» si prese una piccola pausa per osservare meglio Aura. «Oh, abbiamo vinto
anche una... dampyr!». Alla parola “dampyr”, gli altri vampiri si agitarono. «State
buoni, voi. Non vorrete mica spaventarle, vero? Lo sapete che il sangue con il
retrogusto di terrore non è un granché. Quindi vedete di esser…».
Il
Level C non riuscì a completare la frase, visto che si ritrovò un proiettile
nel bel mezzo della fronte, finendo col cadere a terra e ridursi in un
mucchietto di cenere, che venne portato via da una leggera brezza. Sia Rossana
che Aura, istintivamente, si voltarono verso la direzione da cui avevano udito
la provenienza dello sparo; a pochi metri da loro, videro un uomo con un fucile
in mano, la sigaretta in bocca ed un look simile a quello dei cowboy: Toga
Yagari. E non molto distanti da lui, come a completare il quadretto, vi erano
Zero e Yuuki.
«Come
hanno fatto a trovarci?» chiese con un filo di voce Aura, ricevendo come
risposta, da parte di Rossana: «Non vuoi che non abbiano sentito gli spari, se
erano nelle vicinanze, idiota? E comunque, meglio tardi che mai».
«Credevo
che occuparti di questi qui per te fosse una passeggiata» disse Toga, dopo averle
raggiunte, seguito a ruota dagli altri due.
«La
sarebbe stata, se voi non foste entrato in scena, Maestro» gli rispose Rossana,
sostenendo lo sguardo dell’uomo.
«Noto
che non sei cambiata d’una virgola, così come Zero...» proferì Toga, mentre,
senza guardare minimamente alla sua sinistra, centrò in pieno uno dei Level D
che si era lanciato in quello che sarebbe stato un attacco a sorpresa.
«Neanche
voi siete cambiato» replicò Rossana.
«Cosa
ti aspettavi? In ogni caso, ora voglio che tu e la tua amica ve ne torniate
all’Accademia: Cross Yuuki verrà con voi. Ci pensiamo io e Zero qui».
«Lei
non è una mia amica» replicò Rossana, leggermente indispettita.
«Non
importa: dovete andarvene» fu l’ultima cosa che disse Toga, prima di dirigersi
verso i Level D affiancato da Zero, che non aveva degnato d’uno sguardo
nessuno, a parte i vampiri, ovviamente.
Allora
Yuuki trotterellò verso Rossana ed Aura, facendo loro cenno di andare.
«Sana»
chiamò una voce, senza ottenere risposta.
«Sana.
Sana». Un altro richiamo.
«Sana.
Sana. Sana!».
«Allora?!
Hai finito di fracassarmi l’anima, se non qualcos’altro?» esclamò Rossana,
leggermente irritata. Era da dopo l’episodio in cui l’aveva salvata dai vampiri
in paese, che la chiamava in continuazione. Inoltre, come se il solo fatto di
chiamarla e di non ottenere risposta non le bastasse, le chiedeva in
continuazione di spiegarle il discorso “Level E, D, X, Y e Z”. Rossana si
malediceva di continuazione, per essersi fatta sfuggire quelle due dannate
parole.
«Finirò
di fracassarti l’anima solo quando parlerai» fece Aura, sedendosi sul letto di
fronte al suo con le gambe incrociate, in attesa che le dicesse quello che
voleva sentirsi dire.
«Adesso
sto parlando, perciò puoi anche andartene, no?».
La
corvina sbuffò: «Guarda che con “parlare” non intendevo il semplice fatto di
aprire la bocca! Intendevo il fatto di parlarmi
di questo Lev... leve... Level che hai citato, ecco!».
Rossana
alzò un sopracciglio: voleva che parlasse di quell’argomento, ma non sapeva
nemmeno dire il titolo del suddetto. Non sapeva se compatirla o sfotterla.
«Certo
che non sei cambiata d’una virgola, eh?».
«No»
rispose Aura, sorridendo come un ebete. «Ma se è per questo, nemmeno tu sei
cambiata».
«Dici?».
«Sì,
sì! Dico dico! Comunque non cambiare argomento!».
Rossana
chiuse gli occhi, si passò una mano fra i capelli, e li riaprì: «Senti, perché
non te ne torni al Moon Dorm e ne riparliamo la prossima volta?» proferì,
cercando di convincere la corvina a levarsi di torno. Mai una mossa fu più
sbagliata di quella.
Infatti,
Aura, all’udire “Moon Dorm”, si irrigidì; e Rossana si passò una mano sulla
faccia: si era dimenticata che Aura non voleva più mettere piede in quello che
lei stessa aveva definito “covo di sanguisughe”. Ed era per questo che adesso
aveva dimora fissa in camera sua, occupando l’altro letto che, prima del suo
arrivo, era sempre stato deserto. Se all’inizio era felice perché c’era qualcun
altro che aveva iniziato a detestare e ad evitare quelli della Night Class,
adesso non più; se la situazione fosse andata avanti così, sarebbe andata dai
vampiri e si sarebbe inginocchiata dinanzi loro, chiedendogli di riprendersela.
«No!
Io in quel covo di sanguisughe non ci torno! Scordatelo!». Ecco, si era appena giocata
l’ultima possibilità di levarsela dalle scatole.
«Ok...
Allora facciamo così: io, ora, ti dico tutto quello che vuoi, ma a condizione
che dopo tu mi lasci in pace» disse
Rossana, spinta dalla disperazione. Aveva appena incominciato a prendere
veramente sul serio l’idea di andare ad inginocchiarsi davanti a quelli della
Night Class, in particolar modo allo spocchioso, Kaname, chiedendogli di
riprendersi quella piaga vivente. Come aveva fatto a sopportarla quando era in
quell’altra scuola? Non se ne capacitava.
«Ok!
Dai, dai, narrami» le rispose Aura, allegra. Era allegra, sì: aveva appena
ottenuto quel che voleva!
Rossana
inspirò ed iniziò a “narrare”, partendo dalla “gerarchia” dei vampiri, fino ad
arrivare agli esempi, in modo che Aura potesse capire al primo tentativo e
senza che lei dovesse star a ripetere: sapeva perfettamente che, se Aura non
capiva alla prima, avrebbe dovuto ripeterglielo almeno altre tre volte, prima
che capisse.
«Quindi...
il number one qui è Kaname, mentre tutti gli altri sono dei Nobili, dei Level
B, giusto?» fece Aura, portandosi un dito sotto al mento.
«Esatto.
L’unico che non fa parte del loro gruppo è Zero, che è un Level D».
«E
perché non è nella Night Class?».
Rossana
sospirò: «Perché, se si trovasse in mezzo a loro, farebbe una strage, visto che
li detesta. E comunque la farei anch’io una strage: non li sopporto».
«Però,
se quell’uomo che hai chiamato “Maestro”, di cui non so il nome, ti chiedesse
di sterminarli tutti dal primo all’ultimo, tu lo faresti senza lamentarti,
vero?» chiese Aura, sorridendo maliziosa.
«Primo:
il suo nome è Toga Yagari; secondo: è il più forte fra tutti i vampire hunters,
quindi, oltre ad esser stato il mio maestro, è anche il mio superiore, in un
certo senso. Ovviamente non comanda tutti gli Hunters, ma quello che fa o dice
è raramente messo in discussione, quindi è come se fosse il capo. Ma...
probabilmente non hai capito niente di quello che ho appena detto, pertanto
cancella quel poco che ti è arrivato al cervello».
«Guarda
che ho capito. Dovresti smetterla di trattarmi come una ritardata» replicò Aura.
«Smetterò
di farlo solo quando capirai le cose al volo. Sempre che arrivi tale
momento...».
«Per
caso, staresti insinuando che sono un caso disperato?».
Rossana
si sdraiò. «Sì. Ora, però, se non ti dispiace, vorrei dormire. Sai, sono le tre
del mattino e la sottoscritta, a differenza di qualcun altro, deve essere in
classe tra nemmeno quattro ore. Buonanotte».
Aura
fece per dire qualcosa, ma Rossana si voltò dall’altro lato, sperando che la
corvina non dicesse altro: sopportarla ventiquattro ore su ventiquattro era più
stancante dell’affrontare un gruppo di Level E assetati.
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Capitolo 8 *** Smile at Me with your Fangs ***
vk8
Capitolo VIII
Smile at Me with your Fangs
Quando
quella mattina Aura le aveva sorriso, Rossana era rimasta sconvolta da un
piccolo particolare, che fino a quel momento – ne era sicura – non c’era mai
stato: i suoi canini erano appuntiti. Però, visto che Aura sembrava non esserne
a conoscenza, decise di non dirle nulla. Meglio il silenzio, che avere un’altra
persona depressa a causa della sua natura, come Zero: un depresso era più che
sufficiente.
«Vedi
di non andare in giro a combinare guai. Non voglio altre rotture, visto che ne
ho già una vivente» fece Rossana,
uscendo fuori dalla stanza, mentre Aura la osservava con la mano sulla maniglia
della porta.
«Mi
tocca restare chiusa qui, come quando ero di là?». La rossa annuì. «Che culo...».
Rossana
stava per dirle che al termine delle lezioni della Day Class poteva uscire,
quando venne chiamata da qualcuno: «Crowe».
Si
voltò alla sua sinistra, solo per incontrare il depresso della Cross Academy,
nonché vampire hunter e Level D, quasi E: Zero. Immediatamente chiuse la porta
della sua camera, in modo che Zero non vedesse la sua “ospite”; dopotutto
sapeva che il ragazzo avrebbe preso male quella specie di pigiama party a lungo
termine, nonostante sapesse che Aura non era come il resto dei membri della
Night Class. Peccato che il suo tentativo di non far scoprire a Zero la ragazza
andò a farsi benedire, visto che Aura si lasciò scappare un lamento di dolore: chiudendo
la porta, gliel’aveva sbattuta in faccia.
A
Zero non sfuggì tale lamento ed aprì di scatto la porta, scansando Rossana e trovandosi
di fronte un’Aura coi capelli scompigliati ed in pigiama, con tanto di spalla
leggermente scoperta. Quest’ultima, sapendo di esser stata beccata, sorrise
nervosa a trentadue denti; Rossana si passò una mano sulla faccia: adesso chi avrebbe
tenuto Zero?
Infatti,
il ragazzo si irrigidì, chiaro segno che anche lui aveva visto quel particolare. «Il Preside ne è a
conoscenza della sua presenza qui?» fu tutto quel che riuscì a dire.
Rossana
si voltò verso Aura. «Smettila di sorridere». Poi si voltò verso Zero: «Sì, ne
è a conoscenza, così come Kuran-senpai. Questa faccenda, però, non ti riguarda:
dopotutto non sei tu che la deve sopportare né tantomeno averla nella propria
camera».
«Mi
riguarda eccome, invece. La sua presenza qui sarà solo fonte di guai. Inoltre
c’è il rischio che possa mordere qualcuno».
«Puoi
dire tutto su di me, ma che mordo, proprio no! Qui, se c’è qualcuno che
potrebbe assalire il prossimo che svolta l’angolo, sei tu, Kiryu Zero» si
intromise Aura, con tono serio.
«Ne
sei sicura?» proferì Zero, prima di dare le spalle alle due ed andarsene.
Rossana,
vista l’espressione stupita che era comparsa sul volto di Aura, disse:
«Lascialo perdere: è una causa persa. Comunque, adesso, la sottoscritta deve proprio
andare. Altrimenti chi lo sente il professore di matematica? A dopo... nana».
Rimasta
sola, Aura chiuse la porta e si portò di fronte allo specchio del piccolo bagno
sulla destra, per darsi un’occhiata; aprì la bocca e si accorse di quel piccolo
particolare di cui Rossana e Zero, a sua insaputa, si erano già accorti: i suoi
canini presentavano la tipica forma di quelli dei vampiri. Scioccata da questa
sua nuova scoperta, indietreggiò, allontanandosi dallo specchio fino a finire
con le spalle contro la parete. Per fortuna la bocca l’aveva chiusa, altrimenti
sarebbe sembrata veramente una pazza.
Il
motivo per cui non si era accorta di ciò, era dovuto al semplice fatto che i
suoi canini, prima, non erano così. Sul manoscritto
sui Dampyr, in una piccola nota a piè di pagina, c’era qualcosa riguardo ai
denti: “I canini sviluppati dei dampyr
sono tutt’ora argomento di studio ma, da quanto scoperto, il loro sviluppo
avviene in due modi differenti: nel primo, sono già sviluppati; nel secondo,
quello sul quale vi sono ancora molti dubbi, sembrerebbe che si sviluppino
raggiunta una certa età o certi requisiti. In ogni caso, è stata riscontrata la
mancanza della sostanza che tramuta gli esseri viventi in vampiri.”. Se
soltanto Aura avesse letto ciò, avrebbe capito.
Hanabusa,
ora che Aura non era più nei paraggi, si annoiava, però questo non gli impediva
di dare spettacolo ogni volta che usciva dal Moon Dorm. Ultimamente, aveva
preso a girellare nei dintorni della camera di Aura, irritando gli altri
vampiri, ai quali veniva il nervoso al solo vederlo girare lì e stare fermo
davanti a quella porta per svariati minuti. Povero, piccolo Hanabusa... aveva
perso il suo nuovo giocattolo, portato via da quella dannata Rossana Crowe.
Ma
il fissare a vuoto la porta, ben presto non gli bastò più: dalla porta, passò
alla camera stessa. Durante il giorno passava tutto il suo tempo sul divano
color crema all’interno della suddetta camera, nella speranza che Aura entrasse
all’improvviso e lo vedesse. Quanto adorava avere l’attenzione su di sé, da uno
a dieci? Undici.
«Hanabusa,
dovresti uscire di lì» disse Akatsuki, da dietro la porta.
«No,
scordatelo».
Il
ragazzo dai capelli arancioni entrò, portandosi davanti al biondo. «Hai trovato
qualcosa?» gli chiese il bello sdraiato sul divano.
«Niente
che non sapessimo di già, anche se...».
«Anche
se...?».
«Anche
se ho scoperto che ha sviluppato i canini. Inoltre, nel caso in cui bevesse
anche una singola goccia di sangue, ne diventerebbe dipendente, portando, nei
peggiori dei casi, alla follia. Si vede proprio che i dampyr sono l’unione dei
vampiri e degli umani...».
«Dipendenza, hai detto?».
Akatsuki
si mise una mano tra i capelli: Hanabusa aveva fatto una selezione di quello
che aveva detto, accantonando da una parte il resto. E ciò non avrebbe portato
a niente di buono, lo sapeva.
«Non
crearle problemi, Hanabusa. Sai cosa potrebbe succedere se lo fai, vero?».
Il
biondo portò le mani dietro la nuca ed accavallò le gambe, rimanendo sdraiato,
e disse: «Tranquillo: non farò nulla».
Akatsuki
sospirò, dopodiché se ne andò, lasciando solo il cugino, che iniziò a tessere
le sue trame mentali.
«Dacci
un taglio, Kiryu: sei palloso».
«Sei
tu, Crowe, che ti ostini a non capire».
«Dai,
smettetela...».
«Cross,
non ti intromettere» fece Rossana, voltandosi brevemente verso la ragazza per
guardarla in malo modo.
«Yuuki,
lascia perdere: se non capisce, lasciamo che lo veda con i suoi stessi occhi»
disse lapidario Zero, prima di girare i tacchi ed andarsene, seguito da una
Yuuki che gli chiedeva di aspettarla.
«Non
capisci nulla, Kiryu. Sarai tu a vedere
con i tuoi occhi; non la sottoscritta» mormorò Rossana, mentre percorreva i
corridoi del Sun Dorm. Tornata nella propria camera per vedere come se la
passava Aura, Rossana trovò quest’ultima accucciata in terra, con la testa tra
le gambe.
«Sai»
iniziò Aura «Credo proprio che Kiryu avesse ragione...».
«Hmph.
Invece di credere alle parole di uno che detesta persino sé stesso, credi a
questo» disse Rossana, gettando ai piedi della corvina un quaderno.
«Cos’è?».
«È
un quaderno, non lo vedi?» sospirò. «Invece di stare a fare queste domande
stupide, perché non lo apri e leggi quello che vi è scritto al suo interno?».
Aura
lo raccolse e lo aprì, leggendo ciò che, a giudicare dalla calligrafia, era
stato scritto da Rossana.
«Prima
che tu mi faccia domande… primo: quel testo che stai leggendo l’ho preso da un
volume sui Dampyr giù in biblioteca prima di venire qui; secondo: è più
credibile di quel che ha detto Kiryu, che non capisce nulla; terzo: se non
credi nemmeno a questo, arrangiati» l’anticipò Rossana, prima che aprisse
bocca.
«Hai
detto di averlo copiato da un volume in biblioteca?».
«Sì,
ho detto proprio così. Perché?».
«Per
caso sulla copertina c’era scritto…».
Rossana
la interruppe: «...a caratteri cubitali la parola “Dampyr”? Sì. Dunque l’avevi
già letto».
Aura
abbassò la testa: «Uh... sì, l’avevo già letto, ma di questo breve testo
proprio non mi ricordo».
«Le
note a piè di pagina non si usa leggerle dalle tue parti, vero?» dichiarò
Rossana, sospirando.
«Perché,
per caso, erano in fondo ad una pagina?». Rossana annuì. «Non ci posso
credere».
«Invece
dovrai crederci. Comunque adesso alzati, che usciamo da qui. Prendere un po’
d’aria e luce non ti farà male. Oppure preferisci restare qui a fare il
vegetale?» chiese Rossana, afferrando Aura per un polso e tirandola su. «Forza,
andiamo».
Le
due, Rossana ed Aura, con l’aiuto della prima, erano salite su un albero nei
pressi del Moon Dorm; ora si divertivano ad osservare quell’ammasso di
ragazzine urlanti della Day Class, accalcate di fronte al cancello del Moon
Dorm, in attesa della “sfilata” dei loro divi. A far divertire ancora di più le
due, ci pensavano Zero e Yuuki: mentre il primo faceva allontanare le ragazze
solo con il suo sguardo di pietra, la seconda finiva con l’essere calpestata.
«Cross
dovrebbe darsi all’ippica: ce la vedo meglio» esclamò Rossana.
«E
Kiryu, allora? Altro che ippica!». Le due scoppiarono a ridere, rendendo, così,
nota la loro presenza al ragazzo citato.
Passato
il momento di risate sguaiate, il cancello del Moon Dorm si aprì, e gli
studenti della Night Class fecero la loro comparsa, ovviamente senza far mancare
i vari spettacolini tipici, quelli di Hanabusa Aidou in particolar modo.
«Ed
ecco che gli studenti belli e dannati della Cross Academy passeggiano sulla
passerella, dando sfoggia della loro innaturale bellezza» fece Rossana,
cercando di fare da telecronista.
Visto
che la trovata della rossa era geniale, anche Aura decise di partecipare al
gioco: «In prima fila, potete osservare il classico esempio di fratello scemo
del Principe Azzurro: Hanabusa Aidou. Alle sue spalle, in seconda fila, potete
ammirare il classico Wild Guy e Dream Guy, alias Akatsuki Kain e Takuma
Ichijo».
Ma
non era finita lì: «E dietro i tre appena citati, vi è il capo dell’intera
combriccola, lo Spocchioso degli Spocchiosi, ovvero Kaname Kuran. E per
concludere in bellezza, vi sono Ruka Souen, Miss Bellezza Rifatta; Rima Touya, l’Inespressività
in Persona; Seiren, il Cane da Guardia personale dello Spocchioso. A chiudere
il gruppo di Vip, vi è Senri Shiki, il Morto che non Parla» fece Rossana,
chiudendo la lista.
«Tutti
gli altri sono solo polvere» aggiunse Aura, facendo voltare la rossa, che le
chiese: «E questa uscita così “poetica” da dove arriva?».
«Mi
è venuta così!» replicò Aura, sorridendo, e mostrando di conseguenza, per
l’ennesima volta, i canini, per poi ridere.
«Che
ti era venuta così sul momento mi era chiaro, neh. Comunque dovresti smetterla
con quel sorriso, sai? È meglio se non lo fai di fronte a quei tipi là od a
Kiryu: meglio evitare possibili sceneggiate o tragedie greche».
Finalmente
quelli della Night Class se n’erano andati, così come tutte le ragazze della
Day Class, compresa Yuuki: l’unico ad esser rimasto era Zero. Se il ragazzo non
scaricava un po’ della sua depressione su qualcuno al di fuori di Yuuki, non
era contento.
Avvicinatosi
silenziosamente all’albero sul quale si trovavano Aura e Rossana, Zero alzò lo
sguardo, riuscendo ad intravedere la chioma rossa di Rossana attraverso i vari
rami e le varie foglie; sapeva perfettamente che non era sola: con lei c’era anche la dampyr.
«Crowe,
so che sei lì: scendi» disse con tono perentorio.
Udì
uno sbuffo ed il fruscio delle foglie, dopodiché Rossana scese giù, atterrando
senza tanti problemi, e chiedendogli: «Cosa vuoi, Kiryu? Se sei venuto per dare
mostra della tua depressione, puoi anche andartene: non sono interessata».
Lui
la ignorò e, puntando il suo sguardo nuovamente verso l’alto, disse: «Scendi, dampyr».
A quanto pare la gentilezza non era di casa.
Invece
di sentire un altro sbuffo, sentì un lamento, seguito dalla caduta di un po’ di
fogliame: che diamine stava facendo quella lì? Mentre Zero si toglieva alcune
foglie che erano finite sulle sue spalle, improvvisamente si ritrovò a terra,
con uno strano peso sullo stomaco ed un forte mal di testa. Superato il momento
di rintronamento dovuto alla caduta improvvisa ed all’aver battuto la testa
contro il suolo, Zero aprì gli occhi, constatando che il peso che sentiva era
quello di Aura: la ragazza, scendendo dall’albero, gli era finita addosso, a
meno che non lo avesse fatto di proposito.
«Ehi
Rossana, sono atterrata sul morbido!» esclamò Aura, completamente ignara della
presenza di Zero sotto di sé.
«Lo
vedo. Però, se fossi in te, guarderei dove
sono atterrata» puntualizzò Rossana, indicando con un cenno della testa la
“superficie” su cui la corvina era atterrata.
Aura
si voltò per vedere la sua base d’atterraggio, scoprendo che era atterrata
sopra il famoso Zero Kiryu, che in
quel momento la stava fissando truce. Lei, ben conscia dell’aver fatto una
bella figuretta, oltre ad essersi appena inimicata ancora di più il ragazzo, sorrise
nervosa, facendo più una smorfia che un sorriso. Peccato che, sorridendo, avesse
dato sfoggia, nuovamente, dei suoi canini appuntiti; questo non fece che far
alterare ancora di più l’argenteo, che aggrottò le sopracciglia.
«Levati»
le ordinò, con un tono e con un’espressione che non ammettevano repliche. Come
punta da una vespa, Aura si alzò di scatto, permettendogli di alzarsi.
«Non
avevo proprio messo in conto che tu fossi proprio sotto di me, sia quando sono
atterrata che quando sono saltata giù dal ramo. Comunque la colpa è solamente
tua: non dovevi essere lì» esclamò Aura, puntando un dito contro Zero, il quale
guardò prima il dito e poi il suo volto.
«Non
incolpare gli altri di una colpa che è prettamente tua: sei stata tu a gettarti
senza pensare» replicò lui.
«No,
la colpa è tua, visto che ti trovavi in una zona a “rischio”: sei tu che non
hai pensato» fece lei, battendo un piede sull’erba.
Rossana,
accortasi che quei due sarebbero andati avanti così per chissà quanto, decise
di interromperli: «La colpa è di entrambi: cinquanta e cinquanta. Fine del
discorso».
«Sarà
anche così, ma per me la colpa resta solo ed unicamente sua» disse Aura,
incrociando le braccia al petto.
«Sei
ottusa» le disse Zero, prima di voltarsi con il chiaro intento di andarsene: ne
aveva avuto abbastanza di quelle due. Ma Rossana era di un altro avviso e lo
fermò: «Ehi, Kiryu, cosa fai? Corri via per andare a disinfettarti perché sei
entrato in contatto con lei?». Lui incassò la frecciatina e proseguì per la sua
strada.
«Sana».
«Dimmi».
«Perché
non andiamo al Moon Dorm, visto che è deserto, ora? Così ti faccio vedere la
mia “cella” e, già che ci sono, ne approfitto per vedere se la mia roba non è
stata toccata o rubata» propose Aura.
«Non
mi pare un’idea geniale ma, visto che pochi metri ci separano, tanto vale
andarci. Che sia chiara una cosa, però: questa è la prima ed ultima volta che
ci metto piede. Se mai dovrò rimetterci piede, sarà solo perché mi è stato
ordinato da Yagari-sensei o da Cross».
Detto
questo, le due si incamminarono verso la loro meta, mentre il Sole, lentamente,
lasciava il suo posto alla Luna.
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Capitolo 9 *** The Ice Trap ***
vk09
Capitolo
IX
The
Ice Trap
Rossana
di quell’edificio aveva visto solo l’esterno e l’atrio, ma mai il secondo
piano, dove si trovavano le camere dei vampiri. L’androne era già sontuoso di
suo, ma anche il secondo piano non scherzava!
Mentre
seguiva Aura lungo il corridoio che le avrebbe condotte alla camera di
quest’ultima, non poté fare a meno di chiedersi com’era possibile che quello
fosse un dormitorio, data la sua magnificenza. Il Sun Dorm, paragonato al Moon
Dorm, era una bettola: alla faccia dell’esser studenti! Superato il piccolo
momento di invidia e stupore, si accorse di esser arrivata in fondo al
corridoio, ed Aura aveva già aperto la porta della sua camera. Varcata la
porta, si ritrovò di fronte a quella che poteva essere paragonata ad una camera
reale, visto lo stile, ma Aura distrusse la magia che aleggiava, dicendo: «Non
farti abbagliare dalla sua “bellezza”. Per quanto possa essere lussuosa e tutto
quel che pensi, quando sei costretta a passarci giornate intere, e senza far
nulla, diventa una prigione. Una prigione
dorata, per l’esattezza».
Registrato
ciò che le era appena stato detto, Rossana continuò a guardarsi intorno, ed il
suo sguardo finì sul vaso contenente delle rose, due delle quali erano
appassite: quella gialla e quella blu.
«E
queste da dove arrivano? Da qualche ammiratore segreto, per caso?» chiese ad
Aura, la quale, senza voltarsi, le rispose: «Ma quale ammiratore ed ammiratore!
Le ho trovate sul letto il giorno del mio arrivo qui. Credo che facessero parte
del “pacchetto di benvenuto”. Se vuoi te ne do una più che volentieri: io non
me ne faccio nulla. Però mi sa tanto che ora non sia il momento adatto...».
«Già,
non è il momento adatto: se i vampiri si accorgono che siamo state qui, non so
cosa potrebbe succedere; meglio andarsene lasciando tutto inalterato, anche se
credo proprio che si accorgeranno lo stesso della nostra “visita”».
Finito
il controllo, le due uscirono dalla camera lasciandola così come l’avevano
trovata. Stavano ripercorrendo a ritroso il corridoio, quando a Rossana venne
la grande idea di andare a mettere il
naso nella camera di Hanabusa, od Idiot-senpai, come lo chiamava lei.
«La
camera di Aidou, dici? Mmm... credo che sia una delle prime, ma nell’altro
corridoio; e poi, credo che la divida con Kain» fece Aura, fermandosi nel bel
mezzo del corridoio, davanti al piano rialzato che dava sull’atrio. «Ma perché
vuoi andare proprio nella sua? Non sarebbe meglio andare in quella di qualcun
altro, tipo Ichijo e Shiki? Almeno loro due non ci perseguiterebbero, come
farebbe, molto probabilmente, Aidou».
«E
poi? Già che ci siamo, perché non fare un salto anche in quella dello
spocchioso? Così le abbiamo visitate tutte e possiamo considerarci dei miti viventi! Ma secondo te, perché ho
proposto di andare in quella del biondo? Te lo dico io, altrimenti ci facciamo
giorno qui: perché è un idiota» fece Rossana, scoppiando a ridere. Prendere in
giro il cosiddetto “Idol-senpai” la divertiva molto.
Aura,
sospirando, le fece cenno di seguirla, conducendola nella camera designata;
anche quella era lussuosa, nonostante vi fosse una piccola nota che stonava:
nella zona che doveva appartenere al biondo, all’interno di una specie di
vetrinetta, c’era un mucchio di oggetti rotti.
«Guarda,
guarda... “l’Idolo” nasconde un debole per gli oggetti frantumati... Allora è
proprio vero che è malato di testa» disse Rossana, avvicinandosi al mobile,
seguita a ruota dall’altra.
«Si
diverte piuttosto male» aggiunse Aura, posando in seguito il suo sguardo sul
letto del biondo, dove qualcosa attirò la sua attenzione molto di più di quanto
avessero fatto le cianfrusaglie nella vetrinetta. Allora, lentamente, mentre
Rossana era ancora intenta ad osservare la “natura morta”, si avvicinò al
letto, senza staccare gli occhi di dosso dall’oggetto scintillante. Rossana,
non sentendola più, si voltò e la raggiunse, osservando ciò che aveva attirato
l’attenzione della corvina: una biglia blu.
«Ma
guarda: nel mezzo delle mostruosità c’è qualcosa di carino. È strano. Troppo,
direi. Secondo me, è una trappola» esclamò la rossa.
«Effettivamente
è strano, e ciò che lo rende ancora
di più, è il fatto che sia qui sul letto in bella mostra. Probabilmente è il
pezzo più prezioso della collezione, ma perché non metterlo in un luogo più
sicuro?» domandò Aura più a sé stessa che a Rossana, che disse: «Importante o
no, è meglio lasciarla stare dov’è e senza
toccarla: per me è, e rimane, una trappola. Hanabusa potrà anche essere scemo
quanto vogliamo, ma è pur sempre un vampiro: ricordiamocelo».
Aura
annuì, ma non appena Rossana le dette le spalle, con la mano sinistra afferrò
la biglia. L’avesse mai fatto! Il tempo di far aderire la superficie di vetro
del suddetto oggetto al palmo di lei, che la mano venne congelata; e così Aura
si ritrovò la mano sinistra congelata fino al polso con tanto di biglia
incollata al suo palmo. Accortasi di quanto accaduto, emise un lamento,
attirando l’attenzione di Rossana, che si precipitò da lei: «Lo sapevo, che era
una dannata trappola! E tu cosa fai? Ci caschi in pieno!» esclamò, arrabbiata e
preoccupata allo stesso tempo. «Forza, andiamocene da qui alla svelta e
torniamo al Sun Dorm, prima che accada qualche altro incidente».
Afferrò
Aura per il braccio il destro e la trascinò fuori dall’edificio in fretta e
furia, come se l’aver toccato la biglia, in qualche modo, avesse fatto partire
un conto alla rovescia entro il quale dovevano essere fuori dal perimetro del Moon
Dorm.
La
loro folle corsa terminò solo quando furono nella stanza della rossa, con la
porta chiusa a chiave e le finestre sprangate. Aura, seduta sul suo letto,
stava cercando in tutti i modi di staccare la biglia dalla sua mano, ma
inutilmente: il ghiaccio che la teneva unita alla sua mano era, praticamente,
una colla. Nel frattempo, Rossana camminava in circolo, intenta nel pensare a
come uscire da quella nuova situazione in cui erano finite, senza venirne a
capo, però.
«Basta,
mi arrendo! Arrangiati!» esclamò, gettandosi sul letto, esausta.
«M-ma...!»
iniziò Aura, venendo interrotta dalla rossa prim’ancora che potesse dare un
senso compiuto alla frase: «Senti, ne riparliamo domani mattina, quando saremo
riposate e potremo ragionare con la mente lucida. Buonanotte».
Spense
la luce e si coricò sotto le coperte, lasciando la corvina al buio e con quella
dannata sfera blu attaccata al palmo della mano; ma poco dopo anche
quest’ultima si mise sotto le coperte, addormentandosi in breve tempo.
Hanabusa
Aidou in quel momento stava gioendo come una pasqua, sotto lo sguardo stranito
del cugino, che non capiva il motivo di questa sua improvvisa gioia. Erano
appena tornati dall’ennesima lezione, e quell’altro era energico come se avesse
bevuto del sangue umano. Va bene che era un tipo estroverso e quant’altro, ma
questa volta era decisamente caricato a molla. Troppo per i gusti e la
tollerabilità di Akatsuki.
«Hanabusa,
cos’hai da essere così...».
«...
così allegro?» concluse Hanabusa, voltandosi verso di lui.
«Esatto.
Qual è il motivo?».
Sulla
faccia di Hanabusa comparve un enorme sorriso, poi disse: «Sai, Akatsuki, qui
sul letto avevo lasciato una cosa molto importante... ed ora non c’è più».
«E
saresti allegro per il semplice fatto che è stata rubata?» puntualizzò
Akatsuki.
«Non
solo. È perché so chi l’ha presa»
aggiunse il biondo, fiero di sé.
Vista
la “ragione” dell’allegria del cugino, Akatsuki si limitò a portare una mano
sulla faccia, sospirare, e dire: «Hanabusa, ti diverti male».
Ma
ormai il biondo era troppo immerso nella sua eccessiva gioia, per sentire quel
che aveva detto.
«Aura, svegliati! Forza!» esclamò
Rossana, scuotendo la corvina per l’ennesima volta.
«Ho freddo» mormorò quella, corrugando
la fronte ma senza aprire gli occhi, causando nella rossa un moto di rabbia.
«Se mi avessi ascoltata, a quest’ora
non avresti freddo e non ci saremmo trovate – la sottoscritta in particolar
modo – in questa situazione. Quindi, ora ti alzi, ti vesti, ed andiamo a parlare con chi ha causato tutto questo;
anche se, in parte, la colpa è anche tua, mia cara».
Emettendo un lamento di protesta, Aura
si alzò, rimuovendo le coperte e scoprendo il braccio congelato; sia lei che
Rossana spalancarono gli occhi, non appena videro le condizioni in cui versava:
il ghiaccio si era espanso, fino ad arrivare al gomito.
Alla vista di ciò, Aura si svegliò
completamente e chiese: «Com’è possibile che in meno di ventiquattr’ore sia
successo tutto questo? Non ha senso!».
Rossana si sedette sul letto e prese tra
le mani il braccio in questione, sollevandolo e guardandolo meglio: «Tieni
conto che qui stiamo parlando di vampiri, e che questo non è ghiaccio normale»
fece lei, ammirando la parte ghiacciata. «Comunque è questa dannata biglia, il centro
di tutto. Tolta questa, tolti tutti i problemi. Peccato che né io né te
possiamo rimuoverla» aggiunse, osservando il fulcro da cui proveniva il
ghiaccio.
«E ora come facciamo? Io non andrò mai
da Aidou a chiedergli di rimuoverla. Nemmeno morta!» esclamò Aura.
Allora Rossana si portò due dita alla
fronte, assumendo un’espressione pensierosa; dopo qualche minuto comunicò i
suoi pensieri: «Senti, abbiamo tre
opzioni, ma tutte e tre coinvolgono i vampiri, visto che nessuno dalla nostra
parte è in grado di aiutarci».
«E quali sarebbero? Illuminami» replicò
Aura, piuttosto cupa in volto: non le andava a genio il dover affidarsi ad un
vampiro.
«La prima consiste nell’andare da Aidou
stesso, risolvendo il problema alla radice, ma so già che non la prenderai
minimamente in considerazione; la seconda consisterebbe nel chiedere aiuto a
Kain, che, con la sua capacità di manipolare il fuoco, potrebbe essere d’aiuto;
mentre la terza, ed ultima, ci vedrebbe andare da Kuran. Per lui, rimuovere il
ghiaccio e la biglia, sarebbe una passeggiata» fece Rossana, illustrando le tre
possibilità.
Aura rimase in silenzio per un po’,
valutando i pro ed i contro delle tre opzioni, ed alla fine disse: «Nessuna
delle tre mi va a genio. Mi tengo sia il ghiaccio che la biglia, anche se
questo mi costerà il braccio sinistro».
Rossana sospirò, visto che se
l’aspettava una risposta del genere, ma qualcosa andava fatto ed anche al più
presto. Senza dire ad Aura cosa l’era appena passato per la mente, si alzò,
prese le sue armi e si diresse verso la porta. Una volta aperta, si voltò verso
Aura, dicendole: «Resta qui. Torno subito».
Aveva percorso con estrema calma i
corridoi del Sun Dorm fino all’uscita, così come il viale che conduceva al Moon
Dorm fino all’ingresso. Ora si trovava di fronte al portone: non le restava che
entrare.
“Se
qualcuno oserà attaccarmi non appena avrò varcato questa porta, giuro che
niente e nessuno mi fermerà” pensò, mentre afferrava la maniglia e spalancava le porte,
allungando un piede verso l’interno dell’edificio.
«Hanabusa Aidou, vieni fuori
immediatamente!» gridò con tutta la rabbia che aveva. Rabbia derivata dal fatto
di occuparsi di una questione che non la riguardava minimamente. “Se tutto torna a posto, pretendo da Aura
una ricompensa... e con tanto di interessi” disse a sé stessa, mentre
attendeva che i residenti del Moon Dorm si facessero vivi.
L’oggetto, o meglio la persona da lei
chiamata, si fece vedere: sulla sua faccia vi si poteva leggere un leggero
stato di confusione. Il povero vampiro biondo non riusciva a capire come mai Rossana
Crowe fosse entrata sbraitando il suo nome con tanta foga. Poverino... non
sapeva ancora cosa lo attendesse.
Infatti, una volta sceso e portatosi di
fronte alla ragazza, quella, con la massima
gentilezza di cui era armata, lo afferrò per un orecchio, trascinandolo
fuori dal Moon Dorm e portandolo al Sun Dorm con una rapidità tale da fare
invidia persino ad un vampiro nobile assetato. Forse era il caso che Hanabusa
si facesse un esame di coscienza... forse l’avrebbe aiutato a comprendere il
perché di tutto ciò; peccato che fosse giorno e che lui fosse in pigiama. Ma
l’essere in pigiama era il minimo, vista la situazione.
Evitate quelle due o tre ragazze della
Day Class lungo i corridoi del Sun Dorm, Rossana condusse il biondo nella
propria stanza, dove si trovava un’addormentata Aura.
“Non
appena volto le spalle un secondo, lei ne approfitta subito per tornare a
dormire... Adesso mi sentirà!” pensò Rossana, mentre, con un ghigno a dir poco sadico, si
avvicinò all’addormentata. Senza tante cerimonie le tolse le coperte di dosso;
ma quella, continuando a dormire, senza alcuno sforzo le riprese, coprendosi di
nuovo. Rossana le tolse nuovamente, solo per veder ripetersi la stessa scena di
prima. Questo giochino del “leva-metti” andò avanti per almeno una decina di
minuti, fino a che Rossana, al limite della sopportazione, non solo rimosse le
coperte, ma tirò fuori dal letto anche Aura, con la stessa grazia con cui aveva portato Hanabusa lì.
«Hm? Ma che ti è preso?» chiese
un’assonnata Aura, stropicciandosi gli occhi.
«Cosa mi è preso?! Dico, ma ti sei
dimenticata della questione urgente di cui dovevamo – in realtà dovevi
– occuparci?» le rispose una Rossana alquanto irritata.
«Sì, che me ne ricordo... Ma adesso non
vedo cosa c’entri…». Aura si bloccò. Muovendo solo gli occhi, andò ad
incrociare il suo sguardo cremisi con quello azzurro di Hanabusa. Poi lo spostò
su Rossana, come per aver conferma che non stesse sognando.
«No, non stai sognando» le disse la
rossa, come se le avesse letto nel pensiero.
«Cosa ci fa lui qui? Credevo di aver espresso chiaramente il mio parere
riguardo al “parlare” con lui» proferì Aura, seria.
«Senti, non avevamo molta scelta, e
poi...».
«E poi, cosa?».
«E poi, volevi veramente perdere il
braccio? Seriamente... chi credevi di prendere in giro, dicendo “Mi tengo sia il ghiaccio che la biglia,
anche se questo mi costerà il braccio sinistro”? Sicuramente non me, visto
che non me la sono bevuta fin dall’inizio. Ed ora, che ti vada o no, sistemiamo
questa faccenda, così posso tornare a dormire tranquillamente la notte, senza
sentire i tuoi denti che battono per il freddo» fece Rossana, incrociando le braccia
al petto e guardando Aura con uno sguardo che non ammetteva repliche.
Aura sospirò, e volse nuovamente il suo
sguardo verso Hanabusa, che fino a quel momento aveva osservato lo scambio di
battute tra le due in assoluto silenzio, come se fosse stato al cinema.
«Ora tu levi questa dannata “palla”
dalla mia mano e chiudiamo questa questione. E senza tante cerimonie, che la
sottoscritta vuole tornare a dormire» fece Aura, distendendo il braccio
sinistro verso Hanabusa, mettendo in bella mostra le condizioni in cui si
trovava.
Hanabusa, stranamente, si avvicinò e
prese l’arto congelato tra le mani senza fiatare, osservandolo, ed un
sorrisetto compiaciuto si fece largo sulla sua faccia.
«Ehi, Idiot-senpai, vedi di darti una
mossa, se non vuoi ritrovarti con un arto in meno» disse Rossana, afferrando il
suo stocco.
«Isterica anche di giorno, Crowe?»
disse lui, mentre si accingeva a rimuovere la biglia dal palmo di Aura.
«Hmph. Pensa a te, piuttosto» fu la
replica della rossa, che aumentò la presa sull’impugnatura dello stocco.
Poco dopo Hanabusa si era alzato ed
aveva in mano la biglia, o trappola, come l’aveva chiamata Rossana; finalmente
il braccio di Aura era stato liberato dalla morsa di ghiaccio, anche se avrebbe
impiegato un po’ di tempo, prima di poterlo usare normalmente. Dopotutto quel freddo
non le aveva fatto bene.
«Finalmente posso muovere di nuovo le
dita!» esclamò Aura, muovendo le dita della mano.
«E finalmente io potrò dormire in
pace!» fu l’uscita di Rossana, accompagnata da un sospiro di sollievo.
Hanabusa guardò prima l’una e poi
l’altra, ridendo: «Se sapevo che questo giochino vi avrebbe causato così tanti
problemi, l’avrei fatto prima!». Ma venne immediatamente fulminato dagli
sguardi irritati delle due ragazze, costringendolo ad evitare di aggiungere
altro, se non voleva rischiare di essere massacrato da Rossana.
«Bene. Ora che abbiamo sistemato tutto,
te ne puoi anche andare» disse Rossana ad Hanabusa, indicando con un cenno del
capo la porta.
Il biondo emise un debole sospiro,
prima di afferrare la maniglia ed aprire la porta, uscendo dalla camera.
Rossana si affacciò fuori, in modo tale da controllarlo, nel caso in cui
qualche ragazza, che aveva saltato le lezioni, lo vedesse: voleva evitare di
sentire quei gridolini stupidi anche la mattina.
Non appena uscì dal suo raggio visivo,
chiuse la porta e si voltò verso Aura, trovandola di nuovo addormentata. «T-tu...»
iniziò, trattenendo a stento la sua voglia di urlare. La mancanza di sonno, più
la breve “visita” di Hanabusa ed il comportamento di Aura, l’avevano spinta al
limite della sopportazione. “Adesso ci
manca solo che bussi o Cross o Kiryu, e posso dire, con assoluta certezza, che
sono veramente arrivata al limite!” pensò, corrugando la fronte e
gettandosi sul letto. “Per oggi niente
scuola né vampiri: ne ho piene le palle”. E seguì l’esempio di Aura,
tornando a dormire, nella speranza di non esser disturbata da niente e nessuno.
Zero Kiryu in quel momento si trovava
fuori dal Sun Dorm, vicino all’ingresso, quando sentì due ragazze parlare di un
argomento piuttosto interessante.
«Ma lo sai che stamani Yukari ha visto
Idol-senpai, in pigiama, uscire dalla camera di Rossana Crowe?» disse la prima.
«Davvero?! Ma è impossibile!» esclamò
la seconda.
«Invece è possibile eccome! Quanto
pagherei per sapere cosa è successo!».
«Ma io pagherei volentieri più per
avere Idol-senpai in camera mia, che per sapere cos’è successo!» esclamò la
seconda, scoppiando a ridere insieme all’altra.
Qualcosa non tornava a Zero, ed allora,
per vederci chiaro, rientrò nel dormitorio, in direzione della camera di Crowe,
nella sezione femminile.
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Capitolo 10 *** A non-poisonous and poisonous Blood ***
vk10mod
Capitolo X
A non-poisonous and poisonous Blood
Rossana ed Aura stavano dormendo
beatamente e pacificamente, quando un improvviso bussare alla porta le svegliò
di soprassalto, facendo tornare il malumore alla rossa. E fu proprio
quest’ultima ad alzarsi e ad aprire la porta, trovandosi davanti Zero.
«Spero che tu abbia un buon motivo per
averci svegliate, Kiryu. Altrimenti non uscirai vivo di qui» disse lei,
guardando storta il ragazzo. Povera Rossana... dopo aver avuto a che fare con
l’Idiot-senpai, adesso si ritrovava anche ad aver a che fare con “l’Emo-senpai”.
“Peggio di così, la giornata non mi può
andare” era il suo pensiero.
«Cosa ci faceva qui Aidou-senpai?».
«Da chi lo hai sentito?».
«Non c’è nessuna ragazza della Day
Class che non sappia che è stato qui» disse Zero, leggermente annoiato. Anche a
lui dava fastidio quella massa di ragazzine petulanti.
Rossana, sapendo che con Zero c’era ben
poco da fare, si spostò, poggiandosi con la schiena contro la parete e
facendolo entrare. Mossa sbagliata.
Zero, non appena vide Aura, impugnò la
Bloody Rose, puntandola contro di lei. Rossana, dal canto suo, sapeva
perfettamente che avrebbe reagito così: aveva fatto in modo che tutto questo accadesse
per puro divertimento. Però, per evitare problemi, aveva puntato la lama del
suo stocco al collo di Zero.
«Azzardati a premere il grilletto, ed
io ti faccio saltare la testa» disse, stringendo saldamente l’impugnatura.
«Cosa ci fa lei qui?» chiese Zero, incurante della lama pressata contro la sua gola.
Aura, dato che non voleva che fosse
Rossana a rispondere al posto suo, si alzò e si portò di fronte a Zero, anche
se dire “di fronte” era un’esagerazione, vista la sua altezza.
«Potrai avere mille e più motivi per
detestare i vampiri, ma non capisco perché tu ce l’abbia anche con la
sottoscritta, che non è classificata come tale. Comunque, tolto questo tuo
strano risentimento nei miei confronti – di cui prima o poi scoprirò il motivo
– l’idiota biondo era qui per porre rimedio a qualcosa che aveva fatto. Contento? Se sì, te ne puoi anche andare.
Sai, detesto essere svegliata per delle stupidaggini...» gli sbatté in faccia
Aura, guardandolo torva nonostante il suo sguardo assonnato.
A Zero quella specie di sceneggiata
fece più pena che altro, visto che la ragazza aveva gli occhi a mezz’asta per
il sonno ed aveva pure freddo, a giudicare dal leggero tremolio che aveva, a
meno che non tremasse per la paura. Ripose la Bloody Rose, così come Rossana
fece con il suo stocco, e disse: «Non avrai bisogno di nutrirti come loro, ma i tuoi canini parlano da soli. In ogni cas…».
Si interruppe: un improvviso attacco di sete lo aveva colto. Doveva andarsene,
ed anche alla svelta.
«Kiryu?» lo chiamò Rossana, sospettosa
di questo suo improvviso blocco, ma lui uscì di corsa dalla stanza. Peccato che
quest’ultima fosse riuscita a scorgere il tipico rossore degli occhi che
avevano i vampiri assetati.
Allarmata da tale visione – ma soprattutto
dal perché a Zero fosse venuta una crisi proprio di fronte a loro – si vestì
velocemente e, prima di precipitarsi fuori dalla stanza anche lei, disse ad
Aura: «Tu resta qui. Vado a cercare Yagari-sensei. Non ti avvicinare per nessun
motivo a Kiryu, ok? Nemmeno se lo trovassi dietro alla porta implorandoti di
farlo entrare».
Una volta che Rossana chiuse la porta
dietro di sé e se ne andò correndo, Aura, nonostante le fosse stato detto chiaramente di rimanere lì e di non
muoversi, decise di fare di testa sua; dopotutto Rossana non era mica sua
sorella! Si mise le ciabatte ed uscì, percorrendo i vari corridoi e le varie
rampe di scale cercando di non esser vista da quei pochi studenti in giro.
Arrivata nella sezione maschile, si ricordò
improvvisamente che non sapeva dove si trovasse la camera di Kiryu, tantomeno
se lui si trovasse lì. Ed ora come avrebbe fatto?
Si morse un labbro e si nascose dietro
ad una porta aperta, dietro alla quale sentì due ragazzi parlare: «Ma dove
andava così di fretta Kiryu? Tu lo sai?».
«Sicuramente in camera sua, beota! Dove
volevi che andasse? A fare bungee jumping da una delle finestre del dormitorio,
per caso?» disse il secondo. «A volte mi domando dove tu abbia la testa...»
aggiunse.
«La mia era solo una domanda! Comunque
la sua camera non è quella sulla destra, in fondo al corridoio del secondo
piano?» chiese il primo.
«Sì, perché? No, aspetta! Non dirmelo:
ti piace».
«Ma cosa vai a pensare! Lo sai che a me
piace solo Ruka-chan!» esclamò il secondo, squagliandosi nel solo pronunciare
il nome della vampira, seguito a ruota dall’altro.
“Secondo
piano. Ultima stanza sulla destra in fondo. Trovate le coordinate! Via, si
riparte!” si disse
Aura, dirigendosi silenziosamente verso la rampa di scale che l’avrebbe
condotta al secondo piano. Vagò per un bel po’ e, prima di lasciarsi prendere
dallo sconforto, riuscì a trovare quella dannata stanza che, stranamente, non
era nemmeno chiusa ma socchiusa.
Aveva raggiunto la sua destinazione, ma
perché adesso non era capace di aprire la porta? Cos’è che la bloccava? Che
fosse l’aver infranto il “divieto” impostatole da Rossana? No, non era
quello... e lo sapeva. Sapeva perfettamente cos’era: era la paura di vedere coi
suoi occhi un vampiro vero, non uno di quelli dei libri o dei film. Uno Vero
con la V maiuscola e con tanto di canini appuntiti e desiderio di sangue.
Aveva
paura di scontrarsi con la Realtà. Quella stessa Realtà di cui lei, per metà,
faceva parte.
Strinse i pugni, conficcandosi le
unghie nella pelle, prima di spingere leggermente con un piede la porta,
aprendola. La stanza era interamente al buio ma, grazie alla luce che entrava
dalla porta, poté scorgere la figura di Zero seduta in fondo, contro la parete.
Ciò che lo rese ben visibile, furono proprio i suoi occhi rosso sangue, messi
in risalto dal buio presente.
Continuando a tenere i pugni chiusi,
Aura fece un passo avanti, chiudendo dietro di sé la porta. Poi fece un altro
passo, ed un altro ancora. Alla fine si trovò di fronte al ragazzo che, per
qualche strano motivo, non le aveva impedito di avvicinarsi. Alla luce di ciò,
Aura si chiese cosa avesse ottenuto, ora che era di fronte a lui: “Davvero, Aura, cosa pensavi di ottenere o
fare, venendo qui? Per caso vuoi vedere all’opera un vampiro?”. Scosse la
testa, facendo cessare quel pensiero che le aveva dato i brividi. Si
inginocchiò di fronte a Zero, guardandolo: si vedeva che stava combattendo
contro la sete.
Fece per allungare una mano verso la
sua spalla, quando lui, con la voce roca, le gridò: «Non avvicinarti!
Vattene!».
Immediatamente ritirò la mano,
spaventata da tale reazione; ma la sua testardaggine prevalse sulla paura, ed
allora l’avvicinò nuovamente, stavolta in direzione della fronte. “Se devo fare una cosa, fammela fare almeno
con il mio stile” si rivolse mentalmente a Zero, mentre compiva tale
azione. Ma le sue dita non sfiorarono mai la fronte: senza che se ne
accorgesse, il ragazzo l’aveva stesa a terra, stringendo saldamente i suoi
polsi.
Adesso Zero si trovava sopra Aura,
ansimando, mentre lei era in suo potere, senza alcuna via di fuga e con la
testa voltata verso sinistra, grazie all’impatto che aveva avuto con il
pavimento. Rimanendo ferma nella posizione in cui si trovava, spostò
semplicemente i suoi occhi, andando ad incontrare quelli rosso sangue di Zero,
che sembrava aver perso la battaglia contro la sua parte vampirica. A
confermare ciò, ci pensarono proprio le azioni del ragazzo stesso, che si chinò
su Aura, iniziando a leccarle il collo. Poi accadde l’inevitabile: la morse.
Aura spalancò gli occhi dal dolore ed
anche dal terrore che l’aveva invasa, mentre Zero beveva il suo sangue, senza
voler accennare a smettere. Il silenzio che regnava nella stanza ben presto
venne sostituito dai battiti accelerati del cuore di lei e dalla sete di lui,
fino a che quest’ultimo non ebbe finito di dissetarsi e si staccò dal collo,
con un rivolo di sangue che gli colava da un lato della bocca e gli occhi non
più rossi.
Immediatamente lasciò la presa sui polsi,
e si alzò, permettendole di alzarsi a sua volta. Nessun dei due disse nulla,
troppo intenti a maledirsi: chi per la propria stupidità, chi per la propria
debolezza. E fu proprio in quelle posizioni, che Rossana li trovò, arrivando
sulla “scena del delitto” prima di Toga.
«Bene, semplicemente perfetto! Avete
appena alzato un bel polverone, tutti e due! Complimenti!» esclamò lei,
applaudendo ai due per canzonarli.
Stava per aggiungere altro, quando entrò
Toga, afferrando Zero per una spalla e trascinandolo fuori, dicendole: «Tu
pensa a Thanatos. A lui ci penso io».
Seguendo l’esempio del maestro, anche
lei afferrò Aura per una spalla, ma non con la sua stessa foga, ed uscirono
dalla stanza del delitto, andando nella sua. Fortunatamente Aura aveva i
capelli lunghi, quindi i segni del morso non erano visibili, a meno che i
suddetti non venissero spostati. Ma che i segni fossero coperti o no, faceva
differenza solo per gli esseri umani: tutti quelli della Night Class si
sarebbero accorti di tutto indipendentemente, a meno che non se ne fossero già accorti. In quel caso, i problemi si
sarebbero solo moltiplicati.
Adesso si trovavano nella loro camera,
e Rossana fece sedere sul letto Aura, che non aveva aperto bocca per tutto il
tempo. La lasciò lì sul letto per dirigersi in bagno ed uscirne con un
batuffolo di cotone imbevuto nel disinfettante, col quale prese a disinfettare
il morso e ad asciugare il sangue che era colato lungo il collo. Una volta
finito, buttò via il suddetto batuffolo, che non era più bianco ma
completamente rosso.
Yagari-sensei le aveva detto di
occuparsi di Aura, ma cosa avrebbe fatto? Come poteva aiutarla? Il consolarla
era fuori discussione, visto che la colpa era sia di Zero che sua. Stesso discorso per la paternale.
Ma se non poteva né consolarla né farle la paternale, due modi di fare e
reagire piuttosto comuni in quella situazione, cosa avrebbe potuto fare?
Si
sentiva inutile, e da una parte anche colpevole.
Colpevole perché sapeva di averla, in
un certo senso, istigata ad andare da Zero, facendola finire in quella
situazione. Il sapere che era stata colpa di entrambi, sia di lei che del
vampiro, non la sollevava affatto. Però era anche vero che non era morto
nessuno, anche se su Zero aveva qualche dubbio, vista l’allegria con cui Yagari-sensei lo aveva portato via; ma era anche
vero che non poteva capire cosa stesse provando e pensando Aura in quel
momento, visto che lei non era mai finita in una situazione del genere. Così decise
di non dire e fare nulla: che senso avrebbe avuto compatirla o consolarla?
L’avrebbe fatta sentire, probabilmente, solo peggio. Questo era ciò che Rossana
credeva.
Aura si rannicchiò sul letto,
stringendosi le gambe al petto ed abbracciandole. Per quanto tempo sarebbero
rimaste così, una a fissare il soffitto e l’altra a fissare i propri piedi?
Nessuno avrebbe potuto rispondere a tale quesito.
«Neh, Akatsuki...».
«Hm? Cosa c’è, Hanabusa?».
«L’hai sentito anche tu, vero?».
«Certo, così come tutti gli altri».
Hanabusa tacque per un attimo, prima di
aprir bocca nuovamente: «Hai notato che Kiryu oggi non si è fatto vedere?».
«Sì, l’ho notato».
«A quanto pare si è fatto riconoscere un’altra volta...». Sul
volto di Hanabusa comparve un sorrisetto compiaciuto. Si vedeva quanto stravedesse per Zero...
«A quanto pare... Oh, Hanabusa!»
esclamò Akatsuki, richiamando il cugino, che si era alzato. «Dove vai?».
Il biondo si voltò e, sorridendo,
disse: «A fare un giro. Vuoi venire
anche tu?».
Akatsuki si mise una mano tra i capelli
e sospirò, prima di seguirlo fuori dall’aula. Kaname si limitò a dare una
rapida occhiata ai due, riportando, in seguito, il suo sguardo sul libro che
teneva in mano.
«Hanabusa!».
«Lo so, Akatsuki, lo so. Questo è il
Sun Dorm, e noi non dovremmo trovarci qui...» replicò
Hanabusa, leggermente annoiato. «Ma c’è un motivo per cui ho deciso di venirci»
aggiunse, sorridendo.
I due proseguirono la loro
“passeggiata” in silenzio, fino a che non arrivarono di fronte ad una porta
nella sezione femminile. Hanabusa, senza tanti problemi, aprì la suddetta
porta, sorridendo compiaciuto, ed entrò, seguito dal cugino.
Nessuna delle due ragazze dormienti si
era accorta della loro presenza, anche se una aveva la sensazione di essere
osservata.
«Hanabusa!».
«Shh! Abbassa la voce, o le
sveglierai!» sussurrò Hanabusa.
Ma ormai era troppo tardi: una delle
due si era svegliata.
«Presto, bloccala!».
Akatsuki non se lo fece ripetere una
seconda volta: l’afferrò per la vita, tappandole la bocca con una mano. Hanabusa
emise un sospiro di sollievo e si rilassò, sedendosi sul letto dell’altra
ragazza, che continuava a dormire tranquillamente, sfiorandole la testa.
«Sei sorpresa... Crowe?».
Un altro sorriso si fece largo sulla
faccia di Hanabusa, mettendo in bella mostra i suoi canini appuntiti.
Rossana mugugnò qualcosa, visibilmente
contrariata, dimenandosi con tutte le sue forze, ma Akatsuki rese ancora più
salda la sua presa su di lei, impedendole ulteriori movimenti.
Il sorriso di Hanabusa si allargò
ancora di più, compiaciuto da tale spettacolo. Ma il meglio doveva ancora
venire, purtroppo: delicatamente prese l’altra ragazza, la povera Aura, tra le
braccia, percorrendo il profilo del suo viso con un dito.
I suoi occhi si accesero di rosso,
causando in Rossana un altro moto di rabbia, seguito da un’altra serie di
mugugni, che non fecero altro che farlo divertire ancora di più.
«Adesso rilassati e goditi lo
spettacolo» disse rivolto alla rossa, prima di spostare i capelli che coprivano
il collo di Aura ed introdurre i canini nel lato sinistro, dalla parte opposta
dei segni lasciati da Zero.
Aura si svegliò di soprassalto, non
appena sentì il dolore causatole dalla penetrazione dei canini; e, come aveva
fatto in precedenza, si limitò a spalancare gli occhi dalla paura e dal dolore,
senza fiatare o provare a ribellarsi.
Akatsuki, che osservava la scena, visto
che questa volta aveva l’opportunità di non fare solo da spettatore, decise di
attivarsi: con la mano che copriva la bocca di Rossana, l’avvicinò a sé ancora
di più, fino a far aderire la schiena di lei con il suo torace, e con l’altra
scostò i capelli; poi affondò i canini nella sua gola.
Il tempo parve fermarsi per le due
vittime, e riprese a scorrere solo quando i due carnefici smisero di bere,
facendole scontrare con la dura realtà dei fatti: due vampiri nobili si erano
appena nutriti con il loro sangue.
Fortunatamente, i due non le avevano
spolpate fino al midollo, anche se entrambe avevano perso colorito ed erano
prossime allo svenimento, in particolar modo Aura, che durante la giornata
aveva subito ben due “prelievi” di sangue. E non per farla apparire come il
cucciolo abbandonato in un cartone sul ciglio della strada durante una tempesta
– quindi una figura piuttosto pietosa –, ma non era stata trattata coi guanti. Però,
al momento, chi attirava l’attenzione maggiormente era Hanabusa, che, poco dopo
aver posato una semi-svenuta Aura sul letto, era collassato a terra, in un
visibile stato di paralisi.
Immediatamente Akatsuki corse in suo
aiuto, sorpreso e sconvolto da tale reazione del cugino. Alla fine, vista la
situazione di emergenza, decise di fare la cosa più rapida che potesse fare:
portare via di lì Hanabusa e farlo vedere da qualcuno ed anche alla svelta.
Senza alcuna fatica lo sollevò e si
diresse velocemente verso la porta, con il chiaro intento di uscire, andare
via; Rossana, nonostante le condizioni in cui si trovasse, afferrò una delle
sue pistole con l’intenzione di sparargli ma, quando arrivò a premere il
grilletto, non ce la fece: la vista le si era appannata.
Mentre i due vampiri battevano in
ritirata, la presa sulla pistola si fece sempre più debole, fino a che non cadde
sul pavimento, e con essa anche la sua proprietaria, che perse completamente i
sensi, così come Aura prima di lei.
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Capitolo 11 *** The Infirmary ***
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Capitolo XI
The Infirmary
Quanto tempo era passato? Erano
entrambe collassate all’improvviso, come potevano saperlo? Dal silenzio che le
avvolgeva, nonostante il loro quasi
stato di dormiveglia, credettero di essere ancora nella loro camera. Ma si
sbagliavano.
«Quali sono le loro condizioni? Stanno
bene, vero?» chiese un uomo, piuttosto agitato e preoccupato.
«Stia tranquillo: stanno bene. Le loro
condizioni non sono critiche, anche se hanno perso una notevole quantità di
sangue, soprattutto la prima» rispose una donna con tono pacato.
«Menomale!» esclamò l’uomo,
incominciando ad emettere degli strani versi, riconducibili a dei singhiozzi o
ad un pianto isterico.
Il baccano da lui causato venne
interrotto dall’arrivo di un’altra persona, che attirò la sua attenzione: «Toga!».
«Smettila con queste sceneggiate. E staccati!»
replicò Toga, cercando di staccare dalle sue caviglie il suddetto uomo, che vi
si era avvinghiato e non voleva più staccarsi.
«Vi prego di fare silenzio» disse la
donna, con lo stesso tono di prima.
I due, in particolar modo quello
spalmato a terra, cessarono la sceneggiata che avevano messo su; poi Toga
disse: «Anche lei è stata colpita, nonostante le sue abilità... Credi ancora
nella convivenza con quei mostri, dopo questo?».
«Sì, ci credo ancora. Gli “aggressori”
sono già stati puniti. Ora non ci resta che attendere il loro ricovero» disse
l’uomo dopo essersi alzato, scoprendo che altri non era che il preside, Kaien
Cross.
«Hmph. Tu continuerai anche a credere
in quell’impossibile convivenza, ma io ho appena aggiunto un altro motivo per
eliminarli».
«Suvvia, non è successo nulla di che!»
disse Kaien, cercando di rendere meno pesante la situazione; peccato che sortì
l’effetto opposto: «Ed il fatto che siano state ridotte in questo stato, per
te, è “nulla di che”?!» esclamò Toga ad alta voce, quasi urlando. Poi aggiunse:
«Hai la testa troppo imbottita di ottimismo e fiducia nei loro confronti.
Dovresti incominciare ad essere un po’ più realista».
Kaien non replicò, mentre lui si
sedette, arrabbiato come non mai: uno dei suoi allievi era uno dei colpevoli,
mentre l’altro era una delle vittime. Era preoccupato, giustamente.
«Ora dovete andare. Vi farò chiamare
non appena si sveglieranno» disse la donna, invitandoli ad andarsene.
Toga e Kaien annuirono ed uscirono,
dirigendosi nell’ufficio di quest’ultimo. Nel frattempo, i tre colpevoli erano
rinchiusi in un’aula, attualmente inutilizzata, insieme.
Hanabusa ed Akatsuki erano da una
parte; Zero dall’altra. Il solo fatto che fossero a stretto contatto più del
solito li metteva in tensione, soprattutto Hanabusa e Zero. Nessuno dei tre
fiatava e, se avessero potuto, si sarebbero scannati a vicenda; ma Zero era
senza la sua Bloody Rose, mentre agli altri due era stato vietato, da parte di
Kaname, ovviamente, di usare i loro poteri.
Avevano già incassato la loro
rispettiva punizione, ma dovevano restare lì fino al risveglio delle loro
vittime, poi sarebbero potuti tornare in libertà. Ma per far pesar loro ancora
di più la situazione, erano stati presi altri provvedimenti: Zero era stato
sollevato dal ruolo di guardian e di vampire hunter per un certo periodo; i due
vampiri nobili, se avessero sgarrato ancora, avrebbero ricevuto il ben servito
da Kaname.
Tutto sommato, la loro punizione non
era così terribile... erano stati un po’ graziati. Dovevano ritenersi fortunati,
ma, a giudicare dalle loro facce in quel momento, si poteva dire il contrario.
Il primo a tornare in libertà, dunque
al proprio dormitorio, fu Akatsuki, visto che Rossana si era svegliata. Gli
altri due avrebbero dovuto aspettare ancora.
Al suo risveglio, Rossana credette di
essere all’ospedale invece che nell’infermeria della scuola. Si sentiva stanca
e debole, e le sembrava di avere la vista appannata, ma era solo il bianco
della stanza e delle tende intorno al letto a darle quella sensazione.
La sua attenzione venne attirata dalla
tenda che lentamente si spostò, rivelando una figura femminile che aveva visto
talmente di rado che era già tanto se aveva capito che era la “residente”
dell’infermeria. Quella donna, da quel poco che sapeva, si era laureata in
medicina, ma aveva preferito lavorare in una scuola, piuttosto che in un
ospedale.
«Come ti senti?» le chiese.
«Mai
stata meglio».
La donna sorrise, alla sua uscita
ironica, e, prima che potesse dirle altro, Rossana le chiese: «Aura come sta?».
Il sorriso si spense.
«Non dovrei dirti niente per via della
privacy, ma, visto che sei una sua amica e siete sulla stessa barca, farò
un’eccezione». Si sedette sullo sgabello, anch’esso bianco, lì vicino, e disse:
«Sarò sincera: le sue condizioni non sono delle migliori».
«Cosa intendi dire?» chiese Rossana,
spaventata dalla risposta che le avrebbe dato.
Un lungo ed interminabile minuto di
silenzio precedette la risposta, che fu: «Abbiamo dovuto farle delle
trasfusioni: aveva perso troppo
sangue. Ha rischiato la vita».
Hanabusa, sotto lo sguardo indagatore
di Zero, si stava domandando cosa gli fosse successo dopo aver bevuto il sangue
di Aura Thanatos. Il sangue non era velenoso ed era delizioso; ma allora perché
era finito paralizzato fino all’alba?
Akatsuki gli aveva raccontato la
dinamica dei fatti e, analizzando tutto quel che sapeva, era giunto ad un’unica
conclusione: nel sangue di Aura Thanatos vi era una sostanza velenosa per i
vampiri. Ma allora perché a Zero non era
successo nulla? Bevendo il sangue di Aura, aveva visto nei suoi ricordi, seppur
in piccoli frammenti, il momento in cui Zero l’aveva morsa: ne era uscito senza
alcuna “reazione”, a differenza sua.
Sicuramente la ragazza non sapeva nulla
riguardo a questo suo “potere”, così come Zero; ma anche se quest’ultimo avesse
saputo qualcosa, non gliel’avrebbe detto di sicuro, quindi avrebbe dovuto
indagare da solo. Non appena sarebbe uscito da lì, ovvio.
“Ha
rischiato la vita”.
Quelle quattro parole l’avevano appena
sotterrata viva. Improvvisamente Rossana si sentì peggio di quanto stesse in
realtà. Maledì sia Zero che Hanabusa e, già che c’era, anche Kaname e tutti i
vampiri presenti sulla faccia della Terra.
«Ma non ti preoccupare» la richiamò la
donna. «Ora sta meglio. Molto meglio» sorrise.
«Detto da un vampiro, non mi fido poi
così molto» proferì Rossana.
Poteva anche non esser in forma, ma non
era scema: si era accorta fin dall’inizio che la “dottoressa” fosse una
vampira.
«Si vede che sei stata un’allieva di Toga
Yagari» specificò la vampira, continuando a sorridere.
«Hmph. E si vede che tu non sei stata
molto furba nel venire qui» rispose Rossana, irritata.
«Adesso ti lascio riposare. Se hai
bisogno di qualcosa, non esitare a chiamarmi, intesi?» aggiunse la dottoressa,
prima di sparire dietro le stesse tende da cui era arrivata.
“Col
cavolo che ti chiamo... Preferisco di gran lunga arrangiarmi, piuttosto che
farmi mettere le mani addosso da una come te!” le rispose mentalmente Rossana.
Nel frattempo Aura stava dormendo, o
meglio ci stava provando.
Era sveglia da almeno una decina di
minuti, ma tutto quel bianco intorno le dava noia; ecco perché aveva deciso di
provare a riprendere sonno. E poi c’era un altro motivo: se qualcuno avesse
visto che era sveglia, sarebbe venuto a romperle le scatole e quella era
l’ultima cosa che voleva, dopo l’aggressione da parte dei due cugini diversi.
Si sentiva svuotata, ma quel lieve dolore acuto, che avvertiva nei pressi
dell’avambraccio sinistro, non le dava pace. Si sforzò di aprire gli occhi e si
guardò: sull’avambraccio c’era inserito uno strano tubicino. Lì per lì non capì
cosa fosse, ma poi comprese: era una flebo.
Non volle vedere a cosa fosse attaccata.
Con le braccia impossibili da muovere,
causa flebo e stanchezza, si guardò intorno. Tentativo inutile. Era completamente
avvolta dal bianco e non era affatto una bella vista: era un “paesaggio”
monotono e noioso. Meglio di così,
non le poteva proprio andare...
Rimase lì, immobile e sola, per chissà
quanto tempo, poi qualcuno entrò nel suo campo visivo: una donna.
Nonostante i suoi vari “incontri” con
alcuni esponenti della fazione vampirica, non era ancora in grado di
distinguerli dai comuni esseri umani, come sapeva fare Rossana. Eppure i suoi
incontri costituivano un’esperienza
diretta.
La suddetta donna controllò la sacca
che Aura non aveva guardato e, visto che si era completamente svuotata, decise
di toglierla e rimuoverla, mettendo fine a quella mini agonia che accompagnava
Aura fin dal suo risveglio.
«Dimmi, come ti senti?» chiese.
«Potrei stare peggio» fu la risposta di Aura, con un tono quasi ironico.
Un sorriso leggermente pronunciato si
fece largo sulle labbra della donna, ma scomparve subito.
«Hai perso molto sangue... Dovrai stare
qui per un po’» dichiarò, portandosi ai piedi del letto, in modo da essere di
fronte ad Aura.
«Perso? Semmai rubato...!» replicò quest’ultima.
La vampira ignorò la sua uscita ed
aggiunse, prima di andarsene: «Se la cosa ti può far stare meglio, sappi che
coloro che ti hanno ridotta così hanno pagato. Ma, in ogni caso, resterai qui
fino a che non ti sarai ripresa».
Ora che era nuovamente sola e senza
quella dannata flebo a darle fastidio, si tirò su, senza guardare l’avambraccio
sinistro; dopodiché portò due dita sulle zone morse, constatando che i segni
dei morsi erano ancora presenti. A giudicare da quel che riusciva a sentire col
tatto, dedusse che quello di Zero era più largo, mentre quello di Hanabusa più
piccolo; e forse erano diversi anche per quanto riguardava la profondità.
Grazie ad un piccolo specchio che trovò
sul comodino accanto al letto, fu capace di vedere i morsi e, come c’era da
aspettarsi, se osservati con attenzione, si poteva notare che quello sulla
destra era profondo, mentre quello sulla sinistra era quasi superficiale.
Mentre era lì che si osservava, qualcun
altro si fece vedere, ma non era un vampiro: questa volta era Rossana.
“Se
quella tizia viene a dirmi che dovevo stare a riposo, non appena riavrò le mie
pistole, nulla mi impedirà di riempirla di proiettili fino a non far rimanere
nemmeno le ceneri!”
si disse mentre scostava le tende e le richiudeva dietro di sé.
«Ehi... come va?» chiese ad Aura, che
la guardò sorpresa.
«Anche tu qui, eh?» rise. «In ogni
caso, posso dire di non esser mai stata
così bene in tutta la mia vita!». Poi aggiunse un’altra cosa, impedendo a
Rossana di aprire bocca: «Ho come l’impressione che i due morsi siano diversi.
Non so se mi spiego...».
«Fai vedere un po’».
Rossana si sporse in avanti, scostando
un po’ i capelli che le coprivano la visuale, ed osservò i quattro fori:
effettivamente, proprio come aveva detto Aura, i segni dei morsi erano un po’
diversi.
«Hai ragione» disse. «Sono strani. Ma
questo non cambia il fatto che ti abbiano morsa, senza porsi tante domande e
riducendoti in questo stato. Ho sentito che sono stati puniti, ma...».
«Ma...?» fece Aura, piegando
leggermente di lato la testa, confusa: cosa voleva dire Rossana?
«Ma non li riterrò puniti veramente
finché non sarò io stessa a punirli. E nemmeno Kaname mi fermerà» concluse Rossana,
chiudendo una mano a pugno e stringendo fino a far diventare le nocche bianche.
Aura sospirò e le disse: «Fossi in te,
lascerei perdere. Hanno già intascato quel che dovevano. E poi... anche se
Kiryu, in un certo senso, è dalla nostra “parte” – non so se mi spiego – rimane
pur sempre un vampiro. E non credo che affrontare tre vampiri
contemporaneamente, senza alcun aiuto, sia un’impresa facile, anche se tu sai
come muoverti e compagnia bella. Lascia perdere».
L’arrendevolezza di Aura, invece che
farla desistere dalla sua vendetta, non fece altro che farle venire ancora più
voglia di far del male – e nemmeno poco – ai tre vampiri in questione.
Senza replicare, voltò le spalle e se
ne andò, sparendo dietro le tende. Aveva capito che Aura non voleva altri conflitti,
che avrebbero sicuramente portato ad altri episodi del genere, ma lei non ci
stava: non appena si sarebbe ripresa, sarebbe andata a sistemare la faccenda a
modo suo, ma non ne avrebbe fatto parola con nessuno.
Aura era definitivamente sola, in
quella dannata parte dell’infermeria total white, visto che Rossana aveva
finito il suo periodo di “convalescenza”. Va bene che il bianco era uno dei
suoi colori preferiti, ma adesso stava diventando nauseante!
Ora che ci pensava, le vacanze di
Natale erano quasi alle porte, e con esse anche la tanto attesa visita a sua
zia. Quante domande aveva da porle...
Per un momento la nostalgia di casa
s’impadronì di lei, facendole venire la voglia di scappare da lì, ma scappare
non era da lei, nonostante la sua natura di vigliacca – ma solo quando le
faceva comodo!
Yagari-sensei ed il preside Cross erano
venuti a visitarla lo stesso giorno in cui Rossana venne dimessa. I due uomini
in questione, dopo aver salutato la rossa, si erano recati da lei: mentre il
secondo parlava a manetta, il primo stava in assoluto silenzio, parlando ogni
tanto solo per mettere un freno a Kaien, e scrutandola come se quella non fosse
stata una visita ma un esame.
Dopo la suddetta visita, Aura si mise a
pensare sul perché lei fosse ancora
lì, nell’infermeria, nonostante stesse visibilmente bene. Ed allora dette
inizio ad uno dei suoi soliti ragionamenti contorti, di quelli che, se perdeva
il filo o si distraeva, andava tutto a farsi benedire.
“Sembra
quasi che mi tengano qui per impedire la mia partenza prefissata per le vacanze
di Natale” rifletté. “Ma, nel caso in cui fosse veramente così,
perché fare tutto ciò?” si domandò, senza trovarvi, come c’era da
aspettarsi, risposta.
Alla fine concluse che, se fosse
rimasta lì per il resto dei suoi giorni, sarebbe scappata come aveva fatto in
precedenza, dopotutto si trovava al piano terra! Meglio di così, non le sarebbe
potuta andare.
Mancavano tre giorni esatti alle
vacanze di Natale, ed Aura era ancora “segregata” nell’infermeria. Visto che
non c’era nessuno nei paraggi, si alzò dal letto ed uscì da quella stanza in
cui vi era stata per troppo tempo, a suo dire.
“È
stato fin troppo facile...”
pensò, mentre percorreva il corridoio che portava verso l’ingresso della
scuola. A farle compagnia ci pensava il suono prodotto dai suoi piedi ogni
volta che entravano in contatto con il pavimento; ma, contemporaneamente,
rendeva il tutto... innaturale. Era
strano quel silenzio. Va bene che era mattina e tutti gli altri ragazzi –
compresa Rossana – fossero in classe, ma che fossero così silenziosi era davvero
strano. Troppo, per i suoi gusti e la sua pelle d’oca.
Continuò a camminare, cercando di
uscire dall’edificio, ma non vi riuscì: a metà strada andò a sbattere contro
qualcuno. E non era Rossana.
Si portò una mano sul naso, l’unica
parte ad aver ricevuto un po’ di dolore dall’impatto, mugugnando quello che
doveva essere un lieve lamento di dolore; poi alzò lo sguardo, sempre tenendo
il naso coperto, e vide il muro contro il quale si era scontrata: Toga Yagari.
“Avrei
preferito Hanabusa o Zero, piuttosto che lui. Perché, fra tutti, proprio contro
quest’uomo dovevo andare a scontrarmi? Ora sono fregata, addio libertà!” fu il suo pensiero, in quel momento. Ma il vampire hunter non disse nulla,
limitandosi a squadrarla un po’, prima di voltare le spalle ed andarsene per i
fatti suoi, dicendole però: «La prossima volta fai più attenzione. E vedi di
non fare arrabbiare quella donna: non
voglio avere altri problemi tra le mani».
Ma ad Aura importava poco di
quell’infermiera vampira o qualunque cosa fosse. Lei se ne sarebbe andata di
lì, autorizzata o no. Svoltò l’angolo e se
ne andò in un altro corridoio, in modo da evitare altri incontri spiacevoli. Però,
non aveva calcolato che di lì a poco ci sarebbe stato l’intervallo e che tutti
gli studenti della Day Class sarebbero stati in giro per i corridoi della
scuola. L’unico posto dove sarebbe potuta andare, senza essere disturbata, era
il Sun Dorm, che al momento era completamente vuoto; ma lei faceva le cose
secondo il suo cosiddetto “stile”, pertanto sarebbe andata avanti lungo la sua
strada indipendentemente dagli ostacoli.
Come c’era da aspettarsi, la campanella
che segnava l’intervallo suonò. Una fiumana di ragazzi e ragazze uscì dalle
varie aule, riversandosi nei corridoi: la maggior parte di essi aveva come meta
la mensa, mentre il resto dipendeva dai bisogni attuali.
Aura, come era logico che fosse, si
trovò davanti a quello scenario; adesso non poteva più girare indisturbata fino
all’uscita, e l’intervallo era appena iniziato: non aveva più vie di fuga.
“Adesso
mi manca solo di imbattermi in Zero, e posso ritenermi veramente, ma veramente,
fortunata!”
si disse, mentre osservava, da dietro l’angolo del corridoio in cui si trovava,
quella massa di esseri umani che creava una confusione infernale.
«Accidenti, ed ora come faccio?»
mormorò mordendosi un labbro dal nervoso. «Se esco fuori dal mio nascondiglio,
nello stato in cui sono ora...» mise in avanti le braccia, guardando le maniche
del suo pigiama grigio con le stelle e le ciabatte arancione papera. «Perché
nel cervello bacato che mi ritrovo non è passata l’idea di vestirmi, prima di
andare fuori dall’infermeria? Perché?!» esclamò a bassa voce.
Poi, ad un tratto, si sentì osservata.
Chissà chi è il misterioso osservatore…
si accettano scommesse! (Però, potrebbe anche essere scontato .-.)
Oh beh, alla prossima.
Yuna.
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Capitolo 12 *** Aunt ***
cap12
Capitolo
XII
Aunt
Si voltò verso destra, trovandovi Zero. La stava fissando.
Ingoiò a vuoto, cercando di non mostrarsi minimamente turbata
dalla sua presenza, ma il suo lento indietreggiare fece trasparire l’esatto
opposto di quello che voleva mostrare. Bel modo per far vedere che
quell’infelice episodio del morso era acqua passata, davvero. Dopotutto aveva
seguito il suo “stile”, no?
Non appena smise di indietreggiare, passò ad una reazione più
tipica: prese a correre.
Nel giro di poco si era dileguata dal corridoio in cui si trovava,
con Zero alle calcagna, ovviamente. Correva alla cieca, senza guardare dove
mettesse i piedi e dove stesse andando, dato che non aveva il tempo materiale
per controllare la strada che stava percorrendo: se avesse perso anche un
singolo secondo, Zero l’avrebbe raggiunta, e non poteva permetterselo.
Essendo al piano terra, non le fu molto difficile trovare una
delle uscite d’emergenza e, di conseguenza, riuscì a mettere piede fuori
dall’edificio scolastico, per giunta senza scontrarsi con gli altri ragazzi in
giro per via dell’intervallo.
Sembrava filare tutto liscio, quando si voltò e notò che dietro di
sé vi era il suo inseguitore che... camminava; e questo la lasciò sconvolta.
“Com’è possibile?!” si chiese. “Per
tutto questo tempo ho corso come una dannata, e lui cammina tranquillo?! No,
non è possibile! Ha sicuramente usato qualche scorciatoia, dev’essere per forza
così, altrimenti non vi sono altre spiegazioni!” concluse voltandosi
nuovamente, giusto per evitare l’impatto con uno dei lampioni della zona.
«Thanatos, fermati!» le intimò, ma lei non ascoltò minimamente ed
accelerò il passo, nonostante fosse a corto di fiato. Sapeva perfettamente che
non avrebbe resistito ancora per molto.
Attraversò la piazzetta formata da ponti, sotto la quale vi era
l’acqua, e si diresse a tutta velocità verso il cancello da cui era arrivata il
primo giorno, quello dove la sua adorata zia era arrivata con la sua macchina
nuova, dato che la precedente era andata distrutta a causa di una caduta in un
fosso.
L’inseguimento proseguì fino a che Aura non si ritrovò con le
spalle contro l’inferriata del suddetto cancello, con Zero a qualche metro da
lei.
“Vai, sono spacciata! Lo sapevo che dovevo rimanere dov’ero!” fu
il pensiero della dampyr, mentre il giovane vampiro avanzava lentamente verso
di lei.
Poi, però, accadde qualcosa di inaspettato: le porte del cancello
si aprirono.
Aura cadde all’indietro, riuscendo, proprio all’ultimo, ad evitare
di precipitare a terra, mentre Zero arrestò la sua marcia funebre. Dietro
l’enorme struttura d’acciaio che costituiva le porte del suddetto cancello, vi
era una macchina nera piuttosto familiare ai due e, non molto distante dal
veicolo, c’era una donna dalle forme piuttosto notevoli e dai capelli castano
scuro lunghi fino alle spalle: Angela Cecil.
Ad Aura si illuminarono gli occhi non appena la vide, mentre Zero,
nonostante la sua aria di indifferenza, provò un leggero fastidio. La donna
osservò le facce dei due, leggermente confusa, prima di avvicinarsi ad Aura e
metterle una mano sulla testa, scompigliandole un po’ i capelli.
«Ti sono mancata?» chiese senza smettere di portare caos nei
capelli della nipote.
«Secondo te?».
«Mmm, direi di sì» fece fingendosi pensierosa, quando in realtà
sapeva benissimo cosa stesse passando per la mente di Aura. Poi la sua
attenzione cadde per un attimo su Zero, che era rimasto fermo dove era, e
chiese a bassa voce alla nipote: «È il tuo ragazzo?».
«Zia, smettila di irritarmi con questo tipo di domande!» gridò
Aura. «Sai perfettamente che io non voglio nessuno!».
Angela sospirò e smise di arruffarle i capelli, per poi dire:
«Sempre con questa storia del voler rimanere zitella, eh? Vedrai che quando
troverai qualcuno che ti interesserà, cambierai idea».
«Scordatelo. Sai perfettamente che quando decido di fare una cosa,
indipendentemente da cosa si tratti, la faccio senza mai cambiare idea» replicò
Aura punta sul vivo. Sua zia la punzecchiava sempre riguardo al discorso
“ragazzi”, visto che le sue reazioni la divertivano molto, ma lo stesso non si
poteva dire per lei: era stanca di sentirsi chiedere quando si sarebbe trovata
un ragazzo e simile; lei non voleva nessuno, voleva stare da sola.
«Certo, certo. Ma, come ho detto poco fa, prima o poi cambierai
idea. Ognuno di noi è destinato ad incontrare l’altra sua metà,
prima o poi. Ma adesso vai a salutare i tuoi amici e prendere le tue cose, che
sono venuta a prenderti».
«Prendermi...? Ma la scuola chiude per le vacanze di Natale tra
due giorni!» esclamò Aura, sorpresa da tale notizia.
«Sono venuta un po’ prima, ma non credo che la cosa ti dispiaccia,
vero?». Dall’espressione che fece Aura, capì perfettamente di aver ragione.
«Comunque» continuò. «adesso vai, altrimenti non riusciremo a partire entro
oggi».
Aura annuì e si diresse verso il Sun Dorm in modo da prendere
quelle due o tre cose che aveva là, visto che il grosso dei suoi effetti
personali era nel Moon Dorm; e non degnò d’uno sguardo Zero che, nonostante lei
e sua zia lo avessero completamente ignorato per tutto il tempo, era ancora lì.
«Allora» iniziò Angela avvicinandosi verso di lui, non appena la
nipote era ormai lontana. «Tu sei uno di quelli che è a conoscenza della sua
vera natura e che, per giunta, ha avuto il coraggio di bere il suo sangue. Devo
dire che non mi aspettavo proprio di incontrare un Vampire Hunter che allo
stesso tempo è un vampiro: sei una contraddizione vivente».
«Se sono così, non è per mia scelta. Comunque lo stesso si può
dire di vostra nipote: un’altra contraddizione vivente» replicò Zero senza
scomporsi, nonostante Angela avesse toccato un tasto dolente della sua vita.
Lei sorrise a quel suo tentativo di tenerle testa, poi gli disse:
«Anche lei, come te, non è così per una sua scelta. Ma la questione qui non è
su di lei, ma su di te».
Zero si ritrovò spiazzato da quell’affermazione: a cosa stava
mirando quella donna?
«Cosa vuoi da me?» le chiese.
«Per il momento niente, ma sappi che ti tengo d’occhio. Ho occhi
ed orecchie ovunque, non credere di passare inosservato o di poterti rilassare
non appena me ne andrò» proferì Angela, mentre gli passava accanto,
lasciandogli addosso uno strano senso d’inquietudine.
Erano partite già da due ore ed avevano appena lasciato alle
spalle la cittadella vicina alla Cross Academy, quando sua zia la colse di
sorpresa, chiedendole se avesse salutato Rossana.
“Come fa a conoscerla?” si chiese. “Credo
che mia zia sappia più di quanto voglia far credere”.
«Sì, l’ho salutata... Ma come fai a conoscerla?» rispose,
aggiungendo poi una domanda.
«Non ti ricordi?».
«Secondo te, se ti faccio una domanda, vuol dire che tale cosa o
non l’ho presente o non la so, non ti pare?» replicò seccata Aura, volgendo il
suo sguardo verso il finestrino, osservando il paesaggio che scorreva veloce,
con le orecchie pronte a recepire qualsiasi suono che sarebbe stato emesso da
sua zia.
«Prima che lei si trasferisse qui, se ti ricordi, eravate in
classe insieme, quindi la vedevo ogni volta che usciva alla fine delle lezioni.
E poi...».
“E poi cosa? Dai, zia, dillo, non farmi perdere tempo!”.
«Mi stai ascoltando?».
«Sì...».
“Non tergiversare!”.
«Bene. Credevo che avessi chiuso i canali uditivi. Comunque, a
parte il fatto che eravate compagne di classe, conoscevo, e conosco tutt’ora,
sia i suoi genitori che suo fratello».
«Fratello...? Non sapevo che ne avesse uno!» esclamò Aura,
voltandosi di scatto verso la zia, che per qualche strano motivo pareva
divertita.
«Non te ne ha parlato? Ah, evidentemente il loro rapporto non è
ancora amichevole...».
Dopo quella sua ultima uscita, Angela smise di parlare riguardo
Rossana ed iniziò a parlare del fratello, dicendo un mucchio di fatti e
dettagli che ad Aura in quel momento non interessavano.
“Quindi Sana aveva, o meglio ha un fratello... e chi lo sapeva,
non me ne aveva mai parlato! Oh beh, non che la cosa mi interessi, ma ora che
ci penso, non l’ho mai visto, questo fantomatico fratello. Sicuramente avrà
avuto dei buoni motivi per non citarlo, oppure lo detesta talmente tanto da non
essere nemmeno tra i suoi ultimi pensieri... valla a capire!”.
Aura mise su un’espressione imbronciata, chiaro segno che era
intenta a pensare intensamente. Angela, vedendo la nipotina così presa da una
semplice questione risolvibile a parole, non poté non lasciarsi sfuggire un
sorriso per la natura riflessiva della figlia di sua sorella. Già, sua
sorella...
Le immagini dell’ultima volta che l’aveva vista le tornarono in
mente sotto forma di filmato a rallentatore, e la stessa sensazione che aveva
provato quella volta si fece risentire: rabbia. Ma non solo quella, anche
impotenza, tristezza e... tormento.
Le era stato chiesto di mantenere un altro segreto che riguardava
Aura, seppur non molto direttamente, ed aveva dovuto attingere da tutta la sua
forza di volontà pur di mantenerlo. Ma ora, indipendentemente dalla richiesta
fatta da sua sorella maggiore, avrebbe svelato tutto ad Aura, dalla sua vera
natura a... l’altro segreto che riguardava la sua famiglia.
“I vampiri sono solo una fonte di problemi per gli esseri umani,
sotto qualsiasi aspetto. Non importa se alcuni di loro sono schierati dalla
nostra parte... sono soltanto causa di problemi e tragedie, e meno li hai
intorno, meglio è” fu il pensiero di Angela, dopo aver scacciato il ricordo
dell’incontro con Aurora, sua sorella e madre di Aura.
Per evitare di fossilizzarsi su quell’argomento, si concentrò
sulla strada, intravedendo un cartello che indicava le direzioni per il
cimitero, altri due paesini a lei sconosciuti e l’aeroporto: non mancava molto
alla loro meta.
Aura ancora non poteva saperlo, visto che non glielo aveva ancora
detto, ma aveva cambiato casa e si era trasferita in un altro paese, dove aveva
comprato una villa in cui attualmente risiedeva insieme al marito, Simon Lorin,
che Aura conosceva.
Lanciando una rapida occhiata a sua nipote, la vide addormentata
con la testa poggiata contro il vetro del finestrino, una scena piuttosto buffa
ma tipica di sua nipote. Sorrise e riprese a concentrarsi sulla strada:
dovevano arrivare all’aeroporto e prendere il primo volo per la città in cui si
era trasferita, dove suo marito le stava aspettando.
Il parcheggio dell’aeroporto era trafficato come sempre e non
sembrava esserci disponibile nemmeno un buco dove lasciare la vettura; ma di
tutto questo ad Angela non importava: la macchina era a noleggio, e quelli da
cui l’aveva presa se la sarebbero ripresa da soli.
Trovato un posto in extremis, scese e tirò fuori le valigie dal
bagagliaio; chiamò Aura, ma lei non rispose. Si portò di fronte alla portiera e
bussò al finestrino, e la nipote sussultò: stava dormendo.
«Esci, siamo arrivate».
Dopo essersi stropicciata gli occhi, Aura aprì lo sportello e
scese, guardandosi intorno confusa e guardando la zia.
«Dove siamo?» chiese.
«Davanti all’aeroporto che ci porterà a Roseight».
Roseight? Aveva sentito bene? Non era possibile.
«Cosa...?» farfugliò, cercando di riprendersi da quel velo di
sonno che ancora le avvolgeva la mente.
«Dobbiamo prendere un aereo per Roseight, dove ci aspetta Simon»
disse Angela. «Ci sei o stai ancora dormendo?» la canzonò, notando il suo
sguardo assonnato.
«Ci sono, ci sono! Ma perché dobbiamo andare là? Se non ricordo
male, abiti da tutt’altra parte. Per caso hai cambiato casa?!».
«Sì, esatto. È proprio così» annuì Angela. «Ma adesso dobbiamo
muoverci, perderemo il volo!» esclamò afferrando il manico di una delle due
valigie, quella del trolley, lasciando ad Aura lo sgradevole compito di portare
quella a mano.
“Così imparo a non portarmi dietro un trolley dove metto tutto,
invece che una a mano!” si lamentò dentro di
sé, rimpiangendo il fatto di aver deciso di portare anche una
valigia a mano.
Percorse in assoluto silenzio la strada dal parcheggio fino al
terminal dell’aeroporto, spostando di tanto in tanto la valigia da una mano
all’altra e rimanendo dietro la zia. Una volta dentro l’enorme sala affollata
da un numero spropositato di persone, le due si diressero immediatamente verso
il check-in. Aura non si pose alcuna domanda riguardo a cosa fare: si limitava
a seguire le mosse della zia, della quale aveva la più piena fiducia.
Completate tutte le procedure necessarie, delle quali Aura non
sapeva nulla, si ritrovarono sedute ai loro posti, in attesa che l’aereo
decollasse. Mentre Angela sfogliava le pagine di un giornale che aveva con sé,
Aura guardava fuori dal finestrino alla sua destra: il cielo era grigio,
esattamente come la distesa asfaltata che costituiva la pista di decollo e di
atterraggio. Il tempo non era uno dei migliori; si preannunciava un Natale
sotto la pioggia... o sotto la neve.
Quando anche gli ultimi passeggeri furono seduti, finalmente
l’aereo iniziò a muoversi per poi decollare; a quel punto Aura mise una mano
nella tasca dei suoi jeans e tirò fuori il suo lettore mp3, accendendolo e
mettendosi le cuffie, isolandosi dal mondo.
Sarebbe stato un viaggio piuttosto lungo e noioso.
Ho solo una cosa da dire, anche se dovrebbe essere scontata: Roseight è
una città inventata, che nell'universo di Vampire Knight non esiste. Non ha
alcun significato particolare, anche se nasce dall'unione di Rose (Rosa)
ed Eight (Otto). Beh, se poi voi ci vedete un qualcosa, anche
meglio! ;)
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Capitolo 13 *** Another Town: Roseight ***
vk13
Capitolo XIII
Another Town: Roseight
Il viaggio, come c’era da aspettarsi,
fu lungo e veramente noioso; ed Aura aveva quasi consumato del tutto la
batteria del suo lettore mp3, da quanto lo aveva usato: aveva ascoltato la
musica per tutto il tempo, tranne durante i pisolini nati dalla noia e dallo
sfondamento dei timpani e del cervello con la musica ad alto volume.
Lei e sua zia, adesso, si trovavano
fuori dall’aeroporto di Roseight, in attesa che Simon arrivasse a prenderle.
Non vedendolo arrivare all’orario pattuito, Angela prese il cellulare e compose
un numero, probabilmente quello del suddetto uomo, e, quando dall’altra parte
vi fu una risposta, esclamò: «Amore, dove sei? Lo sai che devi – dovevi semmai
– venire a prenderci all’aeroporto, vero?».
Si udirono dei versi indistinti
dall’apparecchio, poi Angela disse: «Tesoro, te l’avevo detto che oggi saremmo
arrivate con quel volo ed a quell’orario, quindi tu non dovevi
prendere l’impegno di andare alla battuta di caccia con Tom, semplice» e
sorrise un po’ malignamente, facendo sgranare gli occhi ad Aura dalla sorpresa:
raramente aveva visto sua zia così. «Smetti di fare quello che stai facendo e
vieni a prenderci» fu l’ultima cosa che disse prima di chiudere la telefonata.
«Dunque ci tocca rimanere qui ad
aspettare. Ancora» disse Aura posando a terra la valigia a mano, permettendo
alle sue povere mani di prendersi una pausa.
«Esatto» rispose Angela con un sospiro,
mentre riponeva il cellulare nella sua borsa. «Spero solo che non sbuchi
qualche imprevisto e che Simon non faccia tardi: non potrei tollerarlo.
Comunque non ha senso stare qui al freddo; torniamo dentro ed aspettiamo lì».
Aura annuì e la seguì, riprendendo in
mano con molta riluttanza la valigia. Una volta all’interno dell’edificio, si
sedettero sulle scomode sedie in plastica della sala d’attesa, posando le
valigie davanti ai loro piedi. L’unica nota positiva era che si trovavano al
riparo dal gelo che imperversava fuori.
Angela accavallò le gambe ed incrociò
le braccia sul petto, battendo ritmicamente il tacco del suo stivale destro;
Aura, invece, con la schiena si era appoggiata completamente allo schienale
della sedia, fissando il soffitto e, di tanto in tanto, anche le persone che
entravano ed uscivano dall’aeroporto. Donne, uomini, bambini e vecchi di
qualsiasi etnia ed età le passavano davanti, incuranti di ciò intorno a loro e
con gli sguardi sempre fissi sul tabellone degli orari; passavano dall’entrata
al check-in e viceversa, sempre incuranti di ciò che li circondava. “Una fiumana di esseri umani” pensò Aura.
“ognuno con la propria vita ed ignari
delle bestie che si annidano tra di loro”. Anche lei, prima che scoprisse
la sua vera natura, faceva parte della massa di ignari, ma ora non più: era
anche fin troppo consapevole.
Poi, ad un tratto, qualcosa di rosso,
che vide con la coda dell’occhio, attirò la sua attenzione; si drizzò
immediatamente, cercandolo con lo sguardo tra la calca di gente presente, ma
senza alcun risultato. “Che sia Rossana?”
si chiese. “No, non è possibile... lei è
ancora laggiù, alla Cross Academy”. Stava per lasciar perdere, quando lo
intravide di nuovo, ed allora decise che voleva togliersi il dubbio; si alzò
dalla sedia e fece per inseguire quella testa rossa – l’unica presente al
momento, tra l’altro –, ma la zia la fermò.
«Dove vai?» le chiese.
«In bagno» le rispose senza nemmeno
pensarci. Non voleva essere fermata, non ora.
Angela la guardò leggermente dubbiosa,
prima di lasciarla andare, sperando che non si perdesse. Ricevuto il permesso
silenzioso dalla zia, si diresse a passo veloce verso quell’agglomerato di
persone al di sotto del tabellone con il naso all’insù e gli occhi incollati al
suddetto, prima di curvare a destra, ritrovandosi di fronte ad un corridoio
immenso e con altrettante persone che lo infestavano; ma era sicura che la
persona dai capelli rossi che aveva visto avesse preso quella direzione.
Si guardò intorno velocemente e, non
potendo permettersi di fare con calma né di perdere altro tempo, iniziò a
camminare lungo il corridoio, guardando a destra e poi a sinistra freneticamente.
Alla fine, dopo aver quasi rischiato di farsi venire il torcicollo, lo vide di
nuovo, e stavolta era più vicino: se si fosse lanciata di corsa, l’avrebbe
potuto raggiungere prima che svoltasse l’angolo di un altro corridoio. E fu
proprio quello che fece.
Una volta che fu alle spalle del suo
obiettivo, non ebbe nemmeno il bisogno di passargli davanti per capire che non
era Rossana: l’uomo si era voltato e lei aveva potuto constatare che fisicamente assomigliava alla sua amica,
ma che, in realtà, non aveva niente a che fare con lei e che era anche più alto.
O forse sì?
«Hai bisogno di qualcosa?» le chiese,
voltandosi verso di lei e guardandola dall’alto del suo metro ed ottanta.
«Ah, ehm… no» rispose lei quasi
farfugliando.
Fece per tornare sui suoi passi, quando
lui le afferrò delicatamente il mento, facendo incontrare i loro sguardi: il
rosso di lei ed il verde di lui.
«Sei carina, sai?» le disse,
continuando a guardarla dritta negli occhi.
Aura, per uscire da quell’assurda
situazione in cui era finita – con le sue stesse mani, tanto per ricordarlo –,
istintivamente indietreggiò, ed il rosso lasciò la presa sul suo mento,
permettendole di allontanarsi, ed anche alla svelta. Andandosene, però, non
sentì ciò che il ragazzo mormorò: «Una Thanatos, eh…?».
Non si era voltata nemmeno un secondo,
dopo la sua “fuga” dal rosso senza nome, ed aveva raggiunto il punto dove lei e
sua zia, prima che decidesse di seguire quel tizio, stavano attendendo che
Simon arrivasse a prenderle; ma di sua zia nessuna traccia: dov’era finita?
Guardandosi intorno si accorse che
c’era più gente di prima, segno che trovare sua zia non sarebbe stata
un’impresa tanto facile, e stava per essere assalita dal panico vero e proprio,
quando qualcuno le mise una mano sulla spalla destra; si voltò e vide suo zio
Simon, e non poté fare a meno di rilassarsi.
«Zia Angela dov’è?» gli chiese, alzando
la testa. Anche suo zio era un tipo piuttosto alto; l’unica della sua famiglia,
ad esser alta di soli dieci centimetri più del metro e mezzo, era lei, almeno
per il momento. Suo zio Simon, oltre ad essere alto, aveva i capelli rasati – i
suoi gusti erano un po’ strani –, e portava sempre la barba, ma solo nell’area
che interessava la bocca ed il mento; inoltre, come si poteva notare dagli
stivali neri e dal giubbotto, era un tipo fissato con la caccia. Ed al
completare il tutto, cosa non molto importante ma pur sempre presente, era più
giovane di Angela: aveva cinque anni di meno, ovvero ne aveva trentaquattro.
«È in macchina che ci aspetta».
«Ah, ok. Ma perché non è venuta lei a
cercarmi?».
«Sai com’è fatta, no?» le rispose
scherzosamente lo zio, spostando la mano dalla spalla ai capelli,
scompigliandoli.
«Sì, lo so perfettamente…» replicò Aura
seccata.
«Bene, allora andiamo. Vi ho fatto
aspettare anche fin troppo» disse Simon, mentre si avviava verso l’uscita
seguito subito dopo da Aura.
«Ma le mie valigie dove sono?» chiese
ad un tratto la ragazza, quando ormai erano quasi vicini al parcheggio e, di
conseguenza, anche alla vettura con cui Simon era venute a prenderle.
«Quando sono arrivato, sono state le
prime cose che ho portato e messo nel bagagliaio della macchina» le rispose lo
zio rassicurandola.
Raggiunto il veicolo, Aura aprì lo
sportello posteriore destro, sedendosi sul sedile dietro a quello della zia, la
quale era al telefono con una collega di lavoro, che si trovava attualmente
nell’ufficio; Simon prese il posto del guidatore e mise in moto, per poi
allontanarsi dall’aeroporto rapidamente. Superati vari semafori, rotonde ed
incroci, dopo quasi quarantacinque minuti erano giunti alla loro destinazione
finale, la casa di Simon ed Angela, che si trovava in una zona alquanto
tranquilla, a giudicare dal livello del traffico e dal numero di persone che
camminavano lungo il viale.
Aura dette una rapida occhiata
all’edificio in stile georgiano con una piccola fetta di giardino, nel quale
Simon aveva costruito la casetta per i suoi due cani da caccia, due femmine di
nome Laika e Sasha, e qualche pianta alquanto anonima.
“Tutto
sommato non è affatto male”
pensò Aura, mentre scendeva dalla vettura assieme alla zia.
«Ti piace?» le chiese quest’ultima.
«Uh, sì, anche se mi sorprende un po’
che tu abbia preso una casa del genere… sbaglio, oppure eri una che puntava più
sul risparmio che la bellezza?» rispose Aura, guardando meglio l’abitazione,
ora che le era di fronte.
«Sono ancora a quel modo: infatti, il
prezzo della casa e le varie spese erano giusti, ed è anche bella. Il rapporto
bellezza-prezzo era equo» annuì convinta Angela, soddisfatta della propria scelta.
Mentre Simon portava le valigie di Aura
al secondo piano, nella stanza in cui avrebbe alloggiato per il resto delle
vacanze di Natale, lei e sua zia erano sedute una sul divano rosso e l’altra
sulla poltrona del medesimo colore, entrambi di velluto, in attesa che
quest’ultimo scendesse giù nel salotto. Dovevano dire ad Aura alcune cose,
visto che si era presentata l’occasione. Quando anche Simon fu con loro,
sull’altra poltrona rossa accanto a quella di Angela, quest’ultima prese la
parola: «Probabilmente non mi crederai, ma… sei figlia di un vampiro e di un
essere umano: sei una dampyr».
La donna attese la possibile risposta
incredula od ironica, od entrambe, della nipote, ma, invece, ricevette una
risposta che non si sarebbe mai aspettata: «Lo sapevo di già. Lì, alla Cross
Academy, l’ho scoperto di persona. Sei arrivata un po’ in ritardo, zia».
Angela si trovò spiazzata da questa
affermazione, ma, dato che sua nipote era già al corrente della sua vera
natura, non c’era più bisogno di stare a fare giri di parole o quant’altro:
sarebbe andata dritto al sodo, sperando che la cosa non le sfuggisse di mano.
«Bene, allora posso anche saltare la
spiegazione di questo punto e passare al prossimo» fece. «Simon, potresti
prendere…?» chiese al marito, il quale non disse nulla e si limitò solo a prendere
una lunga scatola rettangolare di legno da dietro la poltrona. «Questo»
continuò Angela. «è un regalo da parte dei tuoi genitori, in particolar modo da
tuo padre».
Simon porse la scatola ad Aura, la
quale la guardò incuriosita ma sospettosa allo stesso tempo. Nonostante fosse
leggermente preoccupata per il suo contenuto, l’aprì, trovando al suo interno
due spade dalla lunghezza uguale, ovviamente dentro i rispettivi foderi, anche
quelli identici. Le tirò fuori dalla scatola e le poggiò sulle proprie gambe,
guardandole con sorpresa: mai si sarebbe aspettata un regalo simile.
«C’è un perché dietro questo regalo
inaspettato oppure no?» chiese agli zii, i quali fecero cenno di no.
«Adesso che è stata sistemata anche
questa faccenda, passiamo all’argomento più pesante» disse Angela leggermente
preoccupata, ricevendo uno sguardo confuso da parte di Aura. «Sicuramente non
lo ricorderai, dato che eri piccola e, forse, la memoria ti è stata cancellata,
ma, quando avevi un anno, tua madre decise che era giunto il momento di
diventare come tuo padre, e lui acconsentì, dato che c’eravamo io e tua nonna a
starti dietro».
«Io… non me ne sono mai accorta, in
tutto questo tempo» proferì Aura quasi a bassa voce.
«Non te ne sei mai accorta per il
semplice fatto che, quando eri a casa, mia sorella faceva sempre in modo di
mantenere sottocontrollo la sua sete, prendendo le blood tablets o ricevendo il
sangue da tuo padre quando c’era, ovviamente» le spiegò Angela. «In ogni caso,
questa è solo la prima parte» aggiunse.
«Cosa intendi dire?» le chiese Aura.
«Poco dopo il cambiamento di tua madre,
un anno dopo, se non mi sbaglio, diede inizio ad una nuova gravidanza».
«Ma… ma non si dice che i vampiri non
possano riprodursi tra di loro?» chiese alquanto perplessa Aura.
«Quella è solo una leggenda. Hai visto
che i vampiri presenti alla Cross Academy non seguono proprio in tutto e per
tutto le leggende su di loro, no? E lo stesso è per la loro capacità
riproduttiva» le disse Angela.
«Zia… come fai ad essere a conoscenza
dell’esistenza dei vampiri? Per caso tu, ed anche Simon, fate parte dei vampire
hunters o simile?» chiese Aura, la quale, fino a quel momento, non si era posta
minimamente quella domanda.
«Sì, Aura, siamo entrambi dei vampire hunters,
anche se io, a differenza di tuo zio, non sono una che va sul campo, nonostante
sappia usare le pistole: mi occupo di più della parte “teorica”. Quando ti
dicevo che lavoravo in un ufficio come avvocato, non ti stavo mentendo affatto:
principalmente sono un avvocato dei vampire hunters, più che una vampire hunter
effettiva».
«Quindi, quando al telefono avevi detto
a Simon di lasciar perdere la caccia, per caso ti riferivi alla caccia ad un
vampiro ricercato o simile?».
Angela rise e scosse la testa: «No, in
quel caso mi riferivo ad una caccia classica, tipo quella al cinghiale od alla
volpe, tanto per fare degli esempi. Tesoro» si voltò verso il marito.
«spiegaglielo tu cosa fai».
«Come ha già detto tua zia, sono un vampire
hunter, ma di professione faccio anche il cacciatore normale: i vampiri non
sono le mie uniche prede. Ed i fucili sono le mie armi predilette» disse Simon.
«Se vuoi, dopo ti faccio vedere lo stanzino dove li tengo assieme alle varie
munizioni».
«Uh… magari domani o dopodomani, tanto
di tempo ne ho» gli rispose Aura, praticamente rimandando – anche se stava più
declinando che altro – l’offerta dello zio. «Zia, per favore, arriva al
nocciolo della questione» aggiunse poi, guardando dritto negli occhi Angela.
«Va bene, andrò dritta al sodo: in
poche parole hai un fratello più piccolo di un anno, solo che è un vampiro. Un
Level B, un nobile, per l’esattezza, dato che tuo padre è un purosangue, anche
se della sua famiglia sono rimasti veramente in pochi» proferì Angela, mettendo
in luce il tutto e non rispettando la richiesta che sua sorella le aveva fatto.
Aura non credette a ciò che aveva
appena udito. Lei aveva un fratello? E per di più vampiro? Sua zia doveva aver
visto troppi film. Poteva credere al fatto che sua madre fosse stata
trasformata, ma che avesse un fratello… proprio no. Se mai gliel’avessero fatto
vedere, forse, in quel caso, avrebbe creduto veramente di avere un fratello
vampiro, altrimenti non avrebbe creduto a nulla, a tal riguardo.
Angela, come se avesse previsto
l’incredulità della nipote, accavallò le gambe e le disse: «Prenditi del tempo
e riflettici su. Perché non vai a sdraiarti due minuti sul letto e ti riposi un
po’? Dopotutto il viaggio è stato stressante, e tutte queste rivelazioni sono
state pesanti…».
E, come se fosse stata un automa, Aura
si limitò ad annuire e salire su per le scale, recandosi al secondo piano e
dirigendosi verso la prima porta a sinistra, aprendola e chiudendola dietro di
sé, una volta entrata. Si lasciò scivolare lungo la porta, fino a ritrovarsi
seduta per terra, troppo sorpresa e troppo intenta ad analizzare quest’ultima
rivelazione.
«Io
non ho un fratello. Mai avuto, e mai l’avrò» sussurrò, nel buio della
camera.
Visto che starò in Puglia per qualche giorno,
auguro Buona Pasqua a tutti, seppur con un po’ d'anticipo! :)
Alla prossima.
Yuna.
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Capitolo 14 *** Brother ***
14
Capitolo
XIV
Brother
Le sue vacanze natalizie stavano
passando velocemente, ma questo non preoccupava affatto Aura: si stava
divertendo con sua zia, e questo le bastava.
Ogni tanto si ritrovava ad arrovellarsi
su quella faccenda del fratello, ma poi si perdeva in altre cose, tipo il
leggere il libro fantasy, il suo genere preferito, che sua zia le aveva
regalato per natale; oppure allenarsi con lo zio nel tiro al bersaglio con
alcune pistole che lui usava al posto del fucile quando si trovava in luoghi
abitati. In compenso non aveva ancora toccato le doppie lame che aveva ricevuto
in dono dal padre: preferiva lasciarle dov’erano, per il momento.
E, come se non bastasse, di tanto in
tanto le tornava alla mente quel ragazzo dai capelli rossi e dagli occhi verdi
che tanto somigliava a Rossana. Data la somiglianza tra i due, inizialmente
aveva pensato che fossero parenti, magari lui era il fratello di Rossana, ma
non aveva prove a sufficienza – tipo il nome del ragazzo – per poter dire che
fossero effettivamente parenti. A sua zia non avrebbe mai chiesto nulla, data
la sua perspicacia: si sarebbe accorta subito che lei, quella volta
all’aeroporto quando le aveva detto di andare in bagno, in realtà era andata
alla ricerca di una persona che aveva scambiato per Rossana. Non ci teneva
proprio a subire una paternale.
Fu la mattina dell’anno nuovo, dopo il
capodanno, che sua zia le comunicò che avrebbe incontrato una persona quel pomeriggio.
«E chi sarebbe?» le chiese.
«Una persona che hai il diritto di
conoscere» le rispose seria Angela.
Angela prese quella che ad Aura sembrò
una fondina di una pistola, e le fece cenno di seguirla; le scale conducevano
verso il basso, probabilmente o in un’altra stanza, tipo sgabuzzino, od in un
qualche garage. Ad illuminare ci pensavano delle lampadine che penzolavano dal
soffitto, emettendo una luce fioca, ma sufficiente a rendere visibili i gradini
delle scale. A mano a mano che scendeva, incominciava a fare freddo, ma non
così tanto come si poteva immaginare.
Alla fine di quell’unica rampa di scale
mezze illuminate, c’era una porta di legno scuro, ma forse il suo colore era
dovuto alla mancanza di luce; Angela la aprì ed entrò nella stanza che vi era
dietro di essa, seguita da Aura, la quale si stava domandando perché mai
dovesse incontrare una persona in quello che doveva essere il basamento della
casa. La stanza in cui adesso si trovavano, oltre ad essere illuminata da una
lampada che oscillava dal soffitto, era priva di qualsiasi mobile o semplice
decoro, creando un’atmosfera un po’ lugubre.
«Aspetta un attimo qui» disse Angela ad
Aura, prima di dirigersi verso un angolo completamente avvolto dal buio.
Quando tornò, con sé aveva portato,
grazie ad un piano con delle ruote, una bara sigillata con delle catene; la
fece scivolare sul pavimento, mettendola sdraiata in orizzontale, guardandola
con sguardo neutro. Cosa poteva mai esserci là dentro da richiedere le catene?
«Ora la aprirò, dopodiché sarai da
sola: sarò qui presente, ma non potrò aiutarti» disse Angela.
«Ma cosa stai dicendo? Sola…?
Aiutarmi…? Non parlare per enigmi, che non si capisce nulla!» esclamò Aura
confusa.
«Non sto parlando per enigmi» disse
Angela mentre rimuoveva le catene.
«Ma si può sapere cosa c’è all’interno
di questa bara? Non mi piace…» fece Aura stringendosi le braccia al petto.
Angela non le rispose e finì di
rimuovere tutte le catene, aprendo in seguito la bara; si allontanò
indietreggiando e tenendo una mano sulla fondina che adesso si trovava sul suo
fianco sinistro, come se di lì a poco avrebbe dovuto far fuoco contro la
creatura che sarebbe uscita dalla bara.
«Adesso sei sola, Aura. Io sono qui, ma
posso solo guardare. Il perché lo capirai a momenti» disse indietreggiando
ancora, fino a finire in uno degli angoli oscuri della sala, sparendo dalla
vista della nipote.
Aura volse il suo sguardo verso la
bara, dalla quale spuntò una mano pallida che si aggrappò al bordo; un ragazzo
si tirò su, e con l’altra mano si afferrò il lato destro della testa, come se
avesse avuto l’emicrania. Alzando lo sguardo, incrociò il suo con quello di
Aura, ed entrambi scoprirono che il colore dei loro occhi era uguale, se non
identico in tutto e per tutto.
Il ragazzo della bara si alzò e mise i
piedi sul pavimento, sistemandosi i vestiti un po’ spiegazzati. Aura lo osservò
di sottecchi, intuendo che non era per niente umano ma che era come suo padre:
un vampiro. Il ragazzo, probabilmente intorno ai sedici-quindici anni, non di
più, era alto un metro e settantasette e, oltre a presentare lo stesso colore
dei suoi occhi, presentava anche lo stesso nero di capelli, i quali erano
sciolti e lunghi fino alla base del collo, solo che erano più ondulati rispetto
ai suoi, dato che apparivano ondulati solo verso le punte. Se non fosse stato
così stranamente simile a lei, gli
avrebbe detto che era bello, ma quella somiglianza quasi spaventosa glielo
impediva.
«Mi presento: sono Zephyr Thanatos»
disse Zephyr con voce sicura. «Tu devi essere Aura, vero?» chiese guardandola
dritta negli occhi.
«Sì. E cosa vuoi da me?».
«Dovresti mostrare un po' di rispetto
per il tuo fratellino, sai?» disse lui, mentre un sorrisetto furbo gli si
dipingeva sulle labbra.
Aura credette di aver sentito male, e
si ritrovò a pensare: "Fratello...?
Ma, dico, si è bevuto il cervello questo tipo? Che io sappia, non ho nessun
fratello, più grande o piccolo che sia. Sono figlia unica!".
«Credo che tu mi stia confondendo con
qualcun altro: io non ho nessun fratello» gli disse.
«Oh sì, invece. Lo hai eccome» replicò Zephyr,
avanzando di qualche passo. «Ed è proprio qui, davanti a te. Nostra madre Aurora
e nostro padre Vincent non ti hanno detto nulla?».
«Smettila di citare i miei genitori. Te
lo ripeto per la seconda ed ultima volta: Io. Non. Ho. Un. Fratello» proferì
Aura, iniziando ad innervosirsi, data la cocciutaggine di questo Zephyr, che di
cognome faceva Thanatos proprio come lei.
«Uffa, ma come devo fartelo capire che
siamo fratello e sorella?» chiese Zephyr, passandosi una mano tra i capelli e
sospirando.
«Ed io come devo fartelo capire, che
non siamo fratello e sorella?» replicò Aura alzando un sopracciglio.
"Certo
che è dura di comprendonio! Guardandola ora, non ha niente di quello che mia
madre mi ha raccontato, però, sul fatto che è veramente mia sorella, non ci
piove sopra: è lei. Ma, se non vuole capire, glielo farò capire io!" rifletté Zephyr.
Il ragazzo, attingendo alla rapidità
dovuta alla sua natura, arrivò alle spalle di Aura, cingendole le spalle e la
vita con le braccia e sussurrandole nell'orecchio: «So tutto di te... Peccato
che tu di me non sappia nulla...».
Ad Aura vennero i brividi, ma non per
questo si lasciò mettere con le spalle al muro: «Mh. Supponendo per un momento
che siamo veramente sorella e fratello, come dici tu, cos'è che vuoi da me? E
cosa ci fai qui? Rispondi!».
Zephyr sorrise, mettendo in bella
mostra i suoi canini belli appuntiti, e le disse: «Da te voglio... questo».
Approfittando del momento, si avventò
sul suo collo, piegandolo in avanti, data la differenza d’altezza tra di loro,
e la strinse ancora di più a sé, bevendo il suo sangue, quello dalla parte non
velenosa del collo.
Angela, dall’oscurità dell’angolo in
cui si trovava, fremeva; la mano si muoveva nervosa sulla pistola che ora aveva
estratto e che impugnava con un dito vicino al grilletto, ma sapeva che, anche
se avesse centrato il vampiro, non sarebbe servito a nulla, ora che stava
riacquisendo le forze grazie al sangue. Se gli avesse sparato appena uscito
dalla bara, con molte probabilità lo avrebbe eliminato seduta stante, ma
sarebbe incappata in seri guai con Vincent.
Zephyr non la stava mordendo con
delicatezza come avevano fatto Hanabusa e Zero, bensì con foga e fretta, ed
Aura se n’era accorta, dato il dolore che in quel momento stava provando. Se le
prime due volte non era riuscita a parlare per la paura, adesso era per il
dolore, e la consapevolezza di non potersi opporre la faceva sentire una
nullità, oltre che debole e patetica. E lei, che era una dampyr, doveva essere
più resistente e forte degli esseri umani? Stupide leggende e stupidi miti che
narravano menzogne.
Si lasciò scappare un lamento di
dolore, quando Zephyr affondò ancora di più i denti, e lui ovviamente la sentì,
ma si staccò subito, dato che non voleva farle perdere i sensi: era sua
sorella, ma in primis era la sua fonte di nutrimento; dopotutto la zia paterna
gli aveva insegnato e spiegato che le fonti di nutrimento, soprattutto se di
ottima qualità e durature, andavano trattate con riguardo.
Anche se aveva smesso di stare
attaccato al collo di Aura come una piovra, Zephyr continuò a cingerle la vita
e le spalle con le braccia: non le avrebbe permesso di allontanarsi. Non ora
che aveva saputo che ben altri due vampiri erano arrivati prima di lui nel
morderla.
«Chi sono loro?» le chiese riferendosi a quei due che l’avevano morsa tempo
prima.
«A chi… ti riferisci?».
«A quei due vampiri che ti hanno morso
prima di me. Cosa ti lega a loro?».
«… Niente».
Zephyr sorrise. «Stai mentendo».
«Non è vero!».
«Invece sì. Altrimenti come mi spieghi
l’accelerazione del tuo battito cardiaco?».
Non c’era alcun modo col quale Aura
potesse vincerla contro Zephyr. Perché sua zia non interveniva e lo rinchiudeva
nella bara da cui lo aveva fatto uscire?
«Sono… sono solo due vampiri che si
trovano alla scuola a cui sono iscritta, la Cross Academy… nulla di più. E tra
l’altro sono stati pure puniti, per aver morso me ed una mia amica» si ritrovò
a dire Aura, nella speranza che il fratello – ormai non aveva più dubbi sulla
loro parentela – la lasciasse andare.
«Cross Academy, hai detto?». La liberò
dalle sue grinfie e si portò di fronte a lei, ma vicino alla bara. «Bene, ho
deciso: verrò anch’io a questa Cross Academy, così potrò dare una lezione a
quei due che hanno osato arrivare prima di me».
Detto questo, Zephyr si riaccomodò
dentro la bara e si chiuse da solo; Angela immediatamente prese le catene e le
rimise al loro posto, sigillando nuovamente il tutto, poi si voltò verso Aura,
la quale, piano piano, era scivolata verso il pavimento e che ora si trovava
seduta con la testa china, i capelli che le coprivano il volto come una tenda e
con le mani poggiate sulle mattonelle grigie.
Angela si avvicinò e l’afferrò per le
spalle, tirandola su gentilmente, per poi accompagnarla su per le scale e
condurla infine in salotto, dove le mise una coperta di lana rossa addosso,
pulendole e disinfettandole i segni del morso ed il relativo sangue che era
rimasto sul collo.
«Come ti senti?» le chiese.
«Perché? Perché mi hai fatto incontrare
quell’essere e ti sei limitata solo a guardare?» disse solamente Aura, fissando
il tappeto coi gatti che si trovava sul pavimento di fronte al divano.
Sul volto di Angela comparve
un’espressione cupa e seria, poi le disse: «Perché era così che doveva essere.
Sarebbe andata così in ogni caso, che tu lo avessi incontrato qui o da un’altra
parte».
Vedendo che Aura non rispondeva, cambiò
leggermente argomento: «Ma… cos’è questa storia dei morsi e di quei due vampiri
della Cross Academy? Per caso, uno dei due è quello che ho visto quando sono
arrivata?».
Aura sussultò, visto che sua zia aveva
indovinato l’identità di uno dei due vampiri, e la donna se ne accorse.
«Mmm… qualcosa mi dice che ho
indovinato. Dimmi un po’ il suo nome».
«Zero» disse Aura. «Zero Kiryu».
«Ah, quindi, quel bel ragazzo sarebbe
l’ultimo della famiglia Kiryu… Ed il nome dell’altro vampiro qual è?».
«Hanabusa Aidou».
«Aidou… Aidou… ho già sentito questo
nome, ma al momento non mi viene in mente nulla» disse Angela con un dito sotto
il mento. «Ah! Mi stavo dimenticando di chiederti chi fosse quella tua amica
che è stata morsa insieme a te. Da chi è stata morsa, a proposito? Sempre da
uno dei due sopracitati?».
«No, Rossana non è stata morsa né da
Zero né da Hanabusa, ma dal cugino di quest’ultimo: Akatsuki Kain» rispose
Aura, sempre con lo sguardo puntato sul tappeto.
Angela, al nome Rossana, sgranò gli
occhi. Non poteva essere la figlia di Thomas Crowe, si disse, non poteva
essere.
«Aura, per caso, la tua amica Rossana
di cognome fa Crowe?».
«Sì, perché?» le chiese la nipote,
alzando finalmente lo sguardo per guardarla, confusa.
«Perché mi sa tanto che suo padre e suo
fratello non prenderanno molto bene il fatto che sia stata morsa. Credo che la
tua scuola, tra non molto, diventerà un campo di battaglia».
«Perché tutto questo pessimismo
pre-apocalisse?» chiese Aura perplessa. «Va bene che, da quanto ho capito,
l’intera famiglia di Rossana è di Vampire Hunters, ma non vedo il motivo di
tutto questo allarmismo. Mica metteranno a ferro e fuoco la scuola o tutti i
vampiri lì presenti per stanare l’artefice del morso di Rossana!».
«Fossi in te, nipotina cara, mi
preparerei al peggio. I Crowe, in particolar modo il padre ed il fratello di
Rossana, odiano fino al midollo i vampiri; non mi sorprenderei se eliminassero
tutti quelli presenti alla Cross Academy».
In quel momento, Aura si rese conto di
un dettaglio che fino a quel momento non aveva preso in considerazione:
l’elemento “fratello”.
“Dunque
Rossana ha veramente un fratello” pensò. “Possibile che
sia…? No, dai, cosa vado a pensare! È impossibile che quel tizio dell’aeroporto
sia questo fantomatico fratello!”.
«Uhm… zia, che aspetto ha il fratello
di Rossana? E come si chiama?».
«Si chiama Alexander. Diciamo che
fisicamente è uguale alla tua amica, dato che ha i capelli rossi e gli occhi
verdi come lei, ha vent’anni, però il carattere non saprei… non ci ho mai
parlato. Non dirmi che sei interessata a lui!».
«No! Nemmeno per sogno! Volevo solo
sapere come fosse… tutto qui» esclamò Aura.
“Per
la descrizione fisica, direi che ci siamo, però… accidenti! Se solo gli avessi
chiesto il nome, a quest’ora sarei fornita di tutte le carte giuste per avere
la conferma dei miei sospetti! Dannazione!”.
In un’altra parte della città, intanto,
una certa ragazza dai capelli rossi stava sostenendo un’accesa discussione con
due dei suoi familiari: il padre ed il fratello.
«Te lo chiedo per l’ultima volta,
Rossana: dimmi il nome del vampiro che ti ha morso» disse il padre, Thomas
Crowe, dando le spalle al camino acceso e guardando dritto negli occhi la
figlia. L’uomo, il quale presentava gli stessi occhi di quelli di Rossana e di
Alexander, aveva quarantacinque anni, era alto un metro ed ottanta e, a differenza
dei figli, aveva i capelli neri. Chi gli assomigliava di più era senz’altro
Alexander: Rossana assomigliava di più alla madre, e non era solo per i capelli
rossi.
«No, non c’è motivo per cui io debba
dirtelo. Ah, che sia chiaro: non lo sto proteggendo; non è nei miei interessi,
ma, come ti ho detto fino ad ora, non c’è alcun motivo per cui adesso tu debba
recarti alla Cross Academy per dargli la caccia! Dopotutto, il vampiro in
questione ha già pagato per la sua azione» esclamò Rossana, in piedi di fronte
a Thomas.
Thomas stava per aggiungere altro,
anche se aveva ben capito che non era necessario il suo intervento, ma
nonostante ciò una cosa la disse: «Se mai un altro episodio del genere dovesse
ripetersi, non esiterò a mettere piede nella Cross Academy e sterminare tutti i
vampiri presenti».
«Ho capito. D’ora in poi farò più
attenzione» gli disse Rossana.
«Cambiando argomento…» iniziò
Alexander, il quale si trovava seduto su una poltrona non molto distante dalla
sorella e dal padre. «All’aeroporto, mentre aspettavo che Rossana arrivasse, ho
incontrato una Thanatos».
Anche questa volta, mi tocca aggiornare
prima perché verrò a mancare per qualche giorno… -.-” Anyway, finalmente è comparso il mio primo OC maschile: Zephyr!
(Staresti insinuando che sono arrivato in ritardo? *ndZephyr* No, ma dai? Sei
arrivato in perfetto orario! *ndAutrice*)
Se non è chiedere troppo, cosa ne pensate
di lui? (Guarda che non sono un animaletto od un oggetto da vendere, eh!
*ndZephyr* Ah, no? Pensavo di sì! *ndAutrice*)
Comunque, i personaggi Rossana Crowe, Alexander Crowe e Thomas
Crowe appartengono a Shana Flame Haze. (Oh, quindi è lei la creatrice di
quella che… *ndZephyr* Zitto! Muto! *ndAutrice, che mette una mano sulla bocca
dell’altro*)
Bene, detto questo e parentesi a parte,
vi saluto!
Alla prossima!
Yuna.
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Capitolo 15 *** Crowe & Thanatos ***
15
Capitolo XV
Crowe & Thanatos
Thomas e Rossana guardavano Alexander,
sorpresi. Sbagliavano, o quest’ultimo aveva detto di aver incontrato una Thanatos? Rossana pensò
immediatamente ad Aura, ed il suo pensiero non era affatto sbagliato; ma non
disse nulla: avrebbe aspettato che il fratello dicesse altro.
«Spiegati meglio, Alexander» proferì
Thomas.
Alexander si appoggiò contro lo
schienale della poltrona su cui si trovava, e disse: «Stavo aspettando l’arrivo
della ritardataria, quando mi sono accorto di esser osservato e seguito da
qualcuno. Ho fatto finta di non accorgermene e sono andato avanti, ma la
presenza continuava a seguirmi; alla fine mi sono fermato e mi sono voltato,
trovandomi di fronte una ragazza che… indovinate un po’? Aveva gli occhi
rossi!».
Rossana, a quel punto, capì che la
persona di cui suo fratello stava parlando era proprio Aura: non c’erano dubbi.
Alexander, resosi conto che lei non si stava comportando come al suo solito,
ovvero smontare tutto quello che aveva raccontato o dargli dell’idiota, le
chiese: «Come mai non hai nulla da dire, Rossana? Per caso conosci quella
ragazza?».
Rossana sobbalzò e si affrettò a
negare, facendo per andarsene.
«Aspetta» le disse il fratello. «Non
vuoi sapere cos’ho intenzione di fare?» si alzò dalla poltrona ghignando.
Rossana si fermò dov’era, con la mano
destra sulla maniglia della porta, e si voltò, dicendo: «Fammi pensare… Hai
intenzione di stanarla ed eliminarla, giusto? Dopotutto fai sempre così».
«Mh, ci sei andata vicino. Ma per
questa volta farò un’eccezione».
«Cosa intendi dire?» gli chiese
Rossana, che ormai aveva lasciato la maniglia della porta.
Alexander ghignò e tirò fuori da una
tasca dei pantaloni un foglietto di carta.
«Sai cosa c’è scritto?» chiese.
«Secondo te?».
«C’è scritto l’indirizzo della zia –
umana – di quella Thanatos. E, guarda caso, è qui, in questa città disse
Alexander dopo aver aperto il foglietto.
«Stai bleffando» proferì Rossana.
«No, affatto» le rispose sorridendo.
Thomas, che fino a quel momento aveva
sentito ed osservato tutto, data la piega che la conversazione tra i suoi figli
stava prendendo, prese la parola: «Smettetela di perdere tempo ed andate a controllare l’abitazione di quella donna.
Ora».
I due, Alexander e Rossana, il primo
con immensa gioia e la seconda con immenso dispiacere, annuirono e, prese due
pistole a testa tanto per precauzione, uscirono dall’abitazione e salirono su
una delle due macchine che possedevano, dirigendosi verso l’indirizzo segnato
sul foglietto.
Giunti a destinazione, si sorpresero
nel trovare la zia di Aura fuori, davanti al cancello. Non era una coincidenza:
Angela sapeva che prima o poi qualcuno sarebbe arrivato; non si aspettava che
fossero proprio i figli di Thomas a venire, ma che fosse un Crowe sì.
«A quanto pare qualcuno sapeva del
nostro arrivo» disse Alexander, prima di scendere dall’auto.
«Pensavi che ci avrebbero fatto entrare
per poi prendere una tazza di tè a base di proiettili e cenere di vampiro?»
replicò Rossana atona, mentre scendeva anche lei.
«Come idea non era male, sai?».
«Non pensavo che Thomas Crowe avrebbe
mandato i suoi figli, invece che venire lui di persona… strano. Ma ormai non ha
più importanza» disse Angela una volta che Alexander e Rossana furono di fronte
a lei, a qualche passo di distanza. «Deduco che la vostra presenza qui sia per
via di mia nipote. È così, giovani hunters della famiglia Crowe?» aggiunse.
«Esatto» le disse Alexander. «Spero che
si faccia da parte, signora, dato che non eliminiamo esseri umani».
«Fate anche un solo passo, e vi
ritroverete a vedervela con me in un tribunale» disse Angela seria, mentre
dietro i due Crowe comparve Simon col fucile in spalla.
«Ora ti arrangi, Alexander» disse
Rossana, mentre estraeva le pistole e le lasciava cadere a terra, avvicinandosi
verso l’ingresso dell’abitazione.
Passando di fianco ad Angela,
quest’ultima le disse che poteva entrare e che la porta era aperta, e così
fece: aprì la porta ed entrò, chiudendosela alle spalle e lasciando – sperando
– che suo fratello si rovinasse con le
proprie mani.
Trovatasi nel corridoio, svoltò a
sinistra, finendo nel salotto, dove trovò Aura seduta sul divano, così come
l’aveva lasciata la zia dopo l’incontro amichevole con il fratello vampiro. Avanzò
lentamente verso il divano, si sedette e le mise una mano sulla testa,
scuotendola un po’.
«Ehi, vengo a trovarti, e non mi saluti
nemmeno?» le chiese scherzosamente.
«Se con venirmi a trovare intendi “sono
qui per ucciderti”, beh, scusa tanto se non ti saluto, allora!» fu la risposta
di Aura.
«Guarda che non sono io quella che ha
quell’intenzione! Vai a lamentarti da mio fratello e mio padre, che sono loro
quelli intenzionati ad eliminarti».
«No, aspetta un attimo…».
«Cosa c’è?» chiese Rossana confusa.
«Sicura che vogliano eliminare me, e
non mio fratello?».
«Fratello…? Ma tu non ne hai!» esclamò
Rossana. «Oppure sì…?».
Aura si tolse la coperta di dosso e si
alzò dal divano, facendo cenno a Rossana di seguirla. Le due, così, si
ritrovarono a scendere le scale semibuie che conducevano nella sala sotterranea
in cui si trovava la bara in cui Zephyr era rinchiuso.
«Se non hai nessun’arma con te, cerca
qualcosa qui che possa esserlo» disse Aura a Rossana una volta arrivate nella
stanza.
«Perché?» chiese quest’ultima, non
capendo il motivo per cui dovesse cercare qualcosa con cui attaccare qualcuno o
qualcosa.
«Tu cerca qualcosa che possa svolgere
tale compito, poi il perché lo capirai. Anzi, lo vedrai» le rispose Aura, mentre si dirigeva verso l’altra parte
della stanza.
E mentre Aura era scomparsa nel buio,
Rossana si era messa alla ricerca di un oggetto che avrebbe potuto fungere come
arma, riuscendo a trovare un’asta di ferro divorata dalla ruggine. “Sempre meglio di niente” si disse.
Quando tornò dove aveva visto Aura per l’ultima volta, la vide chinata su una
bara, intenta a rimuovere le catene che la tenevano chiusa.
«Cosa stai facendo?» le chiese
avvicinandosi.
«Apro la bara. Dopotutto, quello che
devi vedere si trova al suo interno» rispose Aura, mentre continuava ad
armeggiare con le catene.
«Mi stai dicendo che al suo interno c’è
un vampiro?».
«Esattamente».
Quando l’ultima catena finì a terra,
Aura si alzò e si allontanò, seguita da Rossana, la quale teneva stretta saldamente
nella mano destra l’asta rugginosa. Poco dopo, il coperchio della bara si aprì,
ed una figura, che la rossa non aveva mai visto, uscì da essa, guardando prima
Aura e poi lei.
«Chi è?» chiese Rossana sottovoce ad
Aura.
«Mio fratello».
«Com’è possibile…? È un vampiro!».
«Vallo a chiedere a mia madre, che è
diventata una di loro».
«Cosa?! Stai scherzando, vero?» chiese
Rossana perplessa.
«No, mia sorella non sta scherzando. Mi
dispiace doverti contraddire» le rispose Zephyr sorridendole e mettendo in
mostra i canini appuntiti, con gli occhi rossi che brillavano nel buio.
«Ed io dovrei credere alle parole di
uno che è appena uscito da una bara, e per di più incatenata? Puoi scordartelo,
vampiro» fu la replica di Rossana, indicando Zephyr con l’asta arrugginita che
teneva con la mano destra.
«Sei piuttosto cocciuta, cacciatrice.
Ma da un patetico essere umano non posso aspettarmi tanto… patetici e deboli
siete, e tali rimanete. Ecco perché molti della vostra specie cercano qualcuno
della nostra per diventare come noi, così da ottenere l’immortalità ed il
potere. Anche tu, quando ti troverai con le spalle al muro, vorrai essere
trasformata: patetici e deboli siete da umani, e patetici e deboli sarete da
vampiri» disse lui calmo, sostenendo lo sguardo di Rossana che, a mano a mano
che lui parlava, si faceva sempre più furente.
«Vedremo se ripeterai quello che hai
detto ora, dopo che ti avrò trafitto il cuore con quest’asta!» esclamò lei,
scagliandosi contro Zephyr.
«No, lascia perdere, Rossana!» tentò invano
di fermarla Aura.
Il vampiro la lasciò fare, ma solo per
poi bloccarle il polso con cui impugnava “l’arma” e poi anche l’altro, in una
morsa ben salda.
«Lasciami!» gridò lei divincolandosi.
«Oltre ad essere cocciuta, sei anche rumorosa,
cacciatrice» disse lui, guardandola con un sopracciglio inarcato.
Rossana continuò a divincolarsi, non
accorgendosi dello sguardo malizioso con cui Zephyr la stava osservando. Lui le
lasciò andare il polso sinistro e portò la mano ormai libera dietro la sua
nuca, avvicinando ed unendo le labbra a quelle di lei.
L’asta arrugginita cadde a terra,
rompendo il silenzio presente nella sala, mentre Zephyr approfondiva il bacio e
stringeva di più a sé Rossana, tutto sotto lo sguardo incredulo e confuso di Aura,
che era rimasta impalata dov’era, non sapendo cosa fare.
All’improvviso Zephyr allontanò Rossana
da sé e si spostò velocemente, schivando un proiettile che era indirizzato a
lui. Aura si voltò e dietro di sé vide Alexander, il fratello di Rossana, con
la pistola puntata in direzione di Zephyr e con un bossolo a terra. Era stato
lui a sparare, e dalla sua espressione sembrava che fosse intenzionato a dare
fondo a tutti i proiettili rimasti nella pistola, pur di eliminare il vampiro.
«Non mi aspettavo proprio di trovare un
altro vampiro qua sotto…» disse Alexander, riferendosi alla presenza del
fratello di Aura. «Bene, vorrà dire che oggi eliminerò solo lui».
«Cos’è tutta questa fretta, mh?» chiese
Zephyr con le braccia incrociate e con il piede destro dietro il sinistro.
«Tu…! Dannato succhiasangue!» imprecò
Alexander, prima di prendere la mira e fare fuoco nuovamente su Zephyr, ma solo
per vederlo schivare i suoi proiettili con agilità.
Il primogenito dei Crowe, vedendo che
il vampiro era nel pieno delle sue forze e che avrebbe schivato tutti i suoi
colpi, non si fece scrupoli ed agguantò Aura, stringendola a sé e puntandole la
pistola alla tempia destra. Zephyr, alla vista di ciò, perse immediatamente la
sua espressione sicura e sprezzante, e si fermò.
Alexander ghignò soddisfatto: aveva
trovato il suo punto debole.
«Direi che tu tenga molto alla vita di
questa succhiansangue…» iniziò lui.
«Lei… Lei non è quello che tu credi!»
replicò l’altro.
«Ah no? Allora cos’è… mh?» chiese
l’altro facendo aderire la pistola alla tempia di Aura, che piegò il collo di
lato per allontanarsi dall’arma. «Se nascondi qualcosa e non me lo dici ora,
puoi considerarla morta».
Zephyr distese le braccia lungo i
fianchi e disse: «Lei è mia sorella e… è una dampyr».
Alexander rimase sorpreso da tale
affermazione. «Mi staresti dicendo che è figlia di un umano ed un vampiro?!
Stronzate. L’esistenza dei dampyr è pura leggenda» esclamò.
«È la verità» gli disse Aura; ma le sue
furono parole sprecate, in quanto il ragazzo non ci credette.
«Alexander» lo chiamò Rossana,
ripresasi dopo “l’assalto” da parte di Zephyr. «Anche se so che non credi alle
parole dei vampiri, questa volta ha ragione. Puoi anche chiedere alla zia di
Aura, se vuoi una conferma: lei lo sa, così come Aura ed il qui presente
vampiro nobile».
Se lo diceva persino sua sorella, a
quel punto doveva essere vero, a meno che… lei non fosse manipolata dal
vampiro. Alexander proprio non voleva saperne di capire, e cercava qualsiasi
appiglio pur di non ammettere che Zephyr avesse ragione.
«State mentendo tutti quanti!» ringhiò.
«Ragiona un attimo, Alexander: se lei
fosse veramente un vampiro, come dici tu, come mai non si è già liberata dalla
tua presa? Anzi, perché non ti ha evitato, quando hai cercato di prenderla? Se
fosse stata quello che tu supponi e credi, non pensi che a quest’ora ti avrebbe
dato del filo da torcere, almeno per poco?» gli disse Rossana, cercando di
fargli capire come le cose stessero in realtà.
Alexander parve, finalmente, usare il
cervello che si ritrovava e, anche se non riusciva a capacitarsi del fatto che
i dampyr potessero esistere realmente, lasciò andare Aura, che si allontanò
immediatamente da lui.
«Per una volta hai detto qualcosa di
sensato, sorellina» disse mentre puntava nuovamente la pistola contro Zephyr.
«Però non me ne andrò fino a che non avrò eliminato lui».
«Tuo fratello è molto cocciuto, Sana»
disse Aura.
«E non solo quello, purtroppo…».
Sembrava che di lì a poco Alexander e
Zephyr avrebbero ricominciato ad affrontarsi, quando il vampiro fece un rapido
inchino sorridendo furbo, e tornò dentro la sua bara, chiudendola con uno
schiocco di dita; ma non prima di aver salutato Rossana: «Al nostro prossimo
incontro, Lady».
Alexander, vista la ritirata strategica
del vampiro, decise di lasciarlo perdere, in attesa di una futura occasione in
cui lo avrebbe sicuramente eliminato. Ripose la pistola nella fondina sul
fianco destro e girò i tacchi, tornando su, seguito poco dopo da Rossana ed
Aura.
I tre, che adesso erano in salotto sul
divano, si trovavano di fronte ad Angela e Simon che, mentre loro si trovavano
nella stanza sotterranea, si erano occupati di alcuni Level E che stavano
girellando per la via, e che ora non lo facevano più.
«Dalle vostre facce» disse Angela riferendosi
a Rossana ed Alexander. «credo proprio che abbiate incontrato Zephyr, il
fratello di Aura».
I due interpellati annuirono, poi
Angela li chiese: «Per caso è successo qualcosa? Se sì, ditelo, così farò a
sapere a Vincent che il figlio non è in grado di vivere fuori da casa e che
crea problemi. Almeno eviteremo che vada alla Cross Academy…».
«Cosa?! Lui alla Cross Academy!?»
esclamarono Aura e Rossana.
Angela si portò una mano sulla faccia.
«Sì, purtroppo anche lui verrà lì… sempre che non faccia qualcosa che annulli
il suo trasferimento» disse lei.
«Mhm… se anche lui va lì, allora andrò
anch’io» disse Alexander, ghignando malefico.
«C’è qualcosa che dovete dirci?» chiese
Simon.
Aura e Rossana si guardarono, non
sapendo se dire qualcosa o no, ma fu Alexander a parlare, togliendo loro
l’impaccio di narrare quello che era successo: anche se non era lì fin
dall’inizio, aveva visto una buona parte di quanto era successo. Alla fine del
suo racconto, Angela e Simon si guardarono, poi sospirarono.
«Purtroppo quello che è successo, per
quanto non dovesse accadere, non farà muovere nemmeno un dito a Vincent…» disse
lei.
«Quindi, nulla impedirà che Zephyr
venga alla Cross Academy… e le vacanze di Natale sono quasi finite…» proferì
Aura.
«Esatto».
«Avrei una cosa da chiedere» disse
Alexander. «È vero che vostra nipote è una dampyr e non un vampiro? Continuo
ancora a non crederci».
Simon a quella domanda sorrise: il
figlio di Thomas, per quanto potesse essere abile e tutto quello che voleva,
non riusciva a capacitarsi dell’esistenza di quelle creature; se fosse nato
prima ed avesse avuto la sua età, a quest’ora non si sarebbe posto domande.
«Probabilmente sei a conoscenza che la
caratteristica dei membri della famiglia Thanatos è il rosso dei loro occhi, lo
stesso che anche Aura ha, ma, oltre a quello, ti sembra che lei possegga altre
abilità che solo i vampiri hanno?» gli disse Simon.
Il rosso scrutò Aura dalla testa ai
piedi, poi esclamò: «I denti. Se i suoi canini sono belli vistosi, voglio
proprio vedere se non è una vampira».
Aura e Rossana si guardarono di nuovo,
ben consce che, se Alexander avesse visto i denti avrebbe etichettato Aura come
vampiro, senza cambiare più il suo pensiero. Ad arrivare in loro soccorso fu il
cellulare del rosso, che lasciò stare la questione per rispondere alla
chiamata, che si rivelò essere da parte del padre.
«No, non ci siamo persi. Ok… Torniamo».
«Era nostro padre, vero?» gli chiese
Rossana.
«Sì. Non ha detto cosa vuole, ma
dobbiamo tornare a casa» disse Alexander alzandosi in piedi.
«Bene, allora andiamo. È meglio non
farlo aspettare: non voglio sorbirmi le sue lamentele perché abbiamo tardato di
un singolo nanosecondo!» esclamò Rossana, alzandosi anche lei in piedi. «Ci
vediamo, nana» disse mettendo una mano sulla testa ad Aura, prima di uscire.
«Spero che la vostra prossima visita sarà
senza armi» disse scherzando Angela, mentre li accompagnava all’ingresso.
«Potete starne certa» le disse
Alexander sorridendo ed uscendo, avviandosi verso l’auto seguito da Rossana,
che disse: «Ed io spero che sia senza fratelli ingombranti».
Angela rise. «Oh sì, senza fratelli. Ed
anche senza marito. Solo le donne e del tè coi biscotti».
Aura, in quel momento, si passò una
mano sulla faccia: sua zia aveva tirato fuori una di quelle frasi che anche sua
madre era solita dire.
Se pensavate che Zephyr non sarebbe
ricomparso, beh, penso che con questo capitolo abbiate potuto vedere il
contrario! (Beh, onestamente, sono troppo figo per non poter comparire!
*ndZephyr*. Non farmi alterare, che sai dove potrei mandarti, vero? *ndAutrice*)
Ancora una volta, se non vi scoccia,
vorrei sapere cosa pensate di Zephyr, soprattutto dopo quel che ha fatto in
questo capitolo! (Stai parlando di me come se fossi un mostro! *ndZephyr*. Beh,
dopo quel che hai fatto, come dovrei
vederti, scusa? Come un Santo? Un dongiovanni? Un cavaliere? Hahaha! Ma anche
no! *ndAutrice*)
Parentesi a parte ancora una volta (ormai
sono diventate un vizio, maledetto Zephyr -.-"), al prossimo capitolo!
Yuna.
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Capitolo 16 *** Alexander & Zephyr ***
cap
Capitolo XVI
Alexander & Zephyr
Le vacanze erano finite così com’erano
arrivate, e la Cross Academy era tornata alla sua solita routine: lezioni,
compiti, interrogazioni e masse di ragazzine petulanti ammassate davanti ai
cancelli del Moon Dorm.
Ma quel giorno l’attenzione delle
ragazze era attirata dal nuovo acquisto della Night Class: Zephyr Thanatos. Il
vampiro in questione aveva appena fatto aumentare il lavoro dei due Guardian,
oltre alle grida del reparto femminile della Day Class, ed aveva anche rubato
la scena al cosiddetto Idol-senpai, il quale lo aveva già decretato come suo
rivale.
«Ehi, nuovo arrivato» lo chiamò il
biondo, avvicinandosi. «Per caso hai intenzione di rubarmi la scena?».
Zephyr, continuando a camminare e
facendo svenire le ragazze con il suo sguardo, gli rispose: «No, non è nei miei
interessi. Non amo dare spettacolo come fai tu. Solo gli idioti amano dare
spettacolo».
Hanabusa, punto sul vivo e ferito nel
suo orgoglio da Idol-senpai, non rispose, visto che non poteva rovinare la sua
figura, ma promise di fargliela pagare.
Mentre l’élite della Night Class sfilava
per il viale in direzione dell’edificio scolastico, dove avrebbero fatto un
cavolo per tutta la notte, Aura e Rossana si trovavano su uno degli alberi
vicini e guardavano.
«Mio fratello ha già iniziato ad andare
“d’accordo” con Aidou-senpai… fantastico» disse Aura mentre guardava i due da
lei citati.
«Aspetta di vedere quando il mio avrà
il piacere di incontrare lo spocchioso e la sua ciurma» replicò Rossana
guardando tutto il gruppo di Kaname, partendo da Zephyr per arrivare a Senri,
sul quale posò lo sguardo per alcuni minuti.
Aura, notato ciò, le diede una spinta e
la fece risvegliare dal suo quasi stato catatonico.
«Sei interessata al morto che non
parla?» le chiese a tradimento.
«Seh, ma anche no. Mi sono solo
ricordata che la questione della giacca non è stata ancora chiusa» replicò lei
stizzita.
«Eh…? Ancora con quella storia? E dacci
un taglio, Sana! Come se quello lì sapesse cucire!» esclamò Aura scoppiando a
ridere.
«Mmm, in effetti, non credo che i
vampiri sappiano cucire, tantomeno cucinare. L’unico che fa eccezione, da
quanto ne so, è Zero!» esclamò Rossana, scoppiando a ridere anche lei. «Dai,
adesso scendiamo, che la sfilata è finita».
«No, aspetta» disse Aura afferrandola
per il braccio. «Se quelle due o tre oche che sono rimaste ci vedessero,
incomincerebbero a dire che anche noi siamo interessate a quelli lì e bla, bla,
bla. Lo sai come andrebbe, no?» roteò gli occhi.
Rossana sospirò. «Su questo hai ragione…
Allora aspettiamo che le ultime rimaste se ne vadano».
E così rimasero sull’albero ad
aspettare che alcune ragazze della Day Class se ne andassero, e quando,
finalmente, se ne furono andate e la via fu libera, le due scesero, ma non
senza complicanze.
«Dai, Aura! Non è la prima volta che
sali e poi scendi da uno stupido albero!» esclamò Rossana, che era già coi
piedi a terra da un bel po’.
«Arrivo! Dammi solo il tempo di
scegliere la traiettoria giusta!».
«Ma quale traiettoria e traiettoria!
Scendi e basta».
Rossana, voltandosi un attimo alla sua
sinistra, vide Zero che si avvicinava, e la scena le sembrò alquanto familiare.
Allora gridò ad Aura: «Aspetta a scendere!». Ma ormai lei si era già lanciata,
così come Zero si trovava già sotto l’albero. Rossana non poté non passarsi una
mano sulla faccia, quando Aura atterrò, per la seconda volta, sopra Zero,
facendolo diventare quasi un tutt’uno col suolo.
«Sono atterrata sul morbido anche
questa volta!» esclamò allegra Aura. «Eh…? Sul morbido? Aspetta un attimo…».
Abbassò lo sguardo ed incontrò quello di uno Zero irritato. Fece una smorfia,
che doveva essere un sorriso, e si alzò di scatto, andando accanto a Rossana e
pregando che Zero non la mettesse nella lista di quelli da eliminare,
soprattutto non sotto Kaname, che era il primo della lista.
«Questa volta è colpa tua» dissero
entrambi: lei gridandolo e lui col suo tono morto.
«Finitela con l’accusarvi a vicenda,
soprattutto quando la colpa è di entrambi. State diventando ripetitivi e
noiosi» fece Rossana guardando prima l’uno e poi l’altra.
Aura, ricordandosi all’improvviso la
volta in cui Zero l’aveva inseguita fino ai cancelli, disse a Rossana:
«Andiamo. Tanto la marea di ragazzine petulanti se n’è andata da un bel pezzo,
ormai».
«Sì, andiamo allora. Abbiamo perso del
tempo».
«Ma dai?».
Le due si voltarono e fecero per
andarsene, quando Zero disse: «Aspettate un attimo».
Aura e Rossana si voltarono, e lui,
guardando la prima dalla testa ai piedi, disse: «Perché indossa la divisa della
Day Class? Non faceva parte della Night Class?».
Fu Rossana a rispondergli: «Siccome
adesso suo fratello fa parte della Night Class, lei ha deciso di cambiare, dato
che lei con quelli della Night c’entra poco. Quindi, caro Kiryu-kun, da domani
lei sarà in classe insieme a noi. Non sei contento?».
«No» tagliò corto lui, girando i tacchi
e andandosene.
«Uno di questi giorni, il suo lato emo
schiaccerà persino quello vampirico. Alla faccia dei Level E!» esclamò Rossana.
Dopodiché lei ed Aura se ne andarono,
lasciando i cancelli del Moon Dorm per raggiungere il Sun Dorm.
Adesso che Aura faceva parte a tutti
gli effetti della Day Class, oltre a risiedere nel Sun Dorm e ad indossare la
divisa della Day Class, d’ora in poi avrebbe seguito le lezioni, e questo
significava solo una cosa, anzi più d’una: spiegazioni, interrogazioni, compiti
e gite. Essendo iniziato il secondo quadrimestre e, dato che tra qualche mese
la temperatura ed il tempo sarebbero stati migliori, con molte probabilità la
scuola avrebbe organizzato qualche uscita, sperando che il Preside usasse quel
briciolo di materia grigia che si ritrovava…
Il sole era già tramontato ed aveva
lasciato il posto alla luna, senza che Aura e Rossana se ne accorgessero. Le
due ragazze in questione al momento si trovavano nella loro stanza, sopra i
rispettivi letti, in pigiama; mentre la rossa voleva dormire, l’altra, un po’
per noia, un po’ per mancanza di sonno, la teneva sveglia parlando.
«Aura, fammi un singolo e piccolissimo
favore: chetati» disse Rossana sul punto di prendere una delle sue pistole e
chetarla con un proiettile.
«E dai! Altri due minuti! Per favore…»
piagnucolò lei.
«No» rispose secca la rossa, dandole le
spalle. «È quello che hai detto anche mezz’ora fa, e guarda un po’ che ore
sono».
«Dai! Questa volta saranno davvero due
minuti. Gli ultimi, prometto!».
Rossana sospirò. «Se vai oltre anche di
un solo secondo, ti sbatto fuori». Si voltò e guardò Aura, in attesa che
dicesse quello che voleva dire, e sperando che il sonno arrivasse prima,
facendola addormentare mentre l’altra parlava. Almeno non avrebbe sentito le
sue scemenze più del dovuto.
«Guarda che il tempo scorre. Se vuoi
dire qualcosa, dillo, invece di startene lì muta. Mi hai rotto le scatole fino
a che non ti ho concesso un altro po’ di tempo, e tu lo sprechi standotene
zitta».
Aura abbassò la testa ed i suoi capelli
le coprirono la faccia come una tenda. «Volevo… volevo chiederti scusa per
l’altra volta» farfugliò.
«L’altra volta? A cosa ti riferisci?
Parla chiaro, invece di girarci intorno, che il fatto di essere mezza
addormentata non mi aiuta molto a capire» disse Rossana confusa.
«Uhm… mi riferisco a quello che è
successo a casa della mia zia con… ehm… Zephyr».
Lo sguardo di Rossana si fece serio.
«Ah, quello. Non è colpa tua».
«Invece lo è! Se non avessi avuto la
grande idea di fartelo incontrare…!».
«Ho già detto che non è colpa tua.
Quante altre volte dovrò ripeterlo?» disse Rossana roteando gli occhi.
«Comunque, se non l’avessi attaccato, a quest’ora non sarebbe successo nulla,
quindi la colpa è mia».
«Ma…!» fece per dire Aura.
«La. Colpa. È. Mia. Fine della
questione. Piuttosto… quei segni che avevi sul collo… li aveva fatti lui?»
disse Rossana cambiando discorso.
«Huh? Li avevi visti?» chiese Aura
sorpresa.
«Sì».
«Comunque sì, me li ha fatti lui.
Zephyr mi ha morsa» disse Aura mettendosi una mano sul lato destro del collo,
dove vi erano stati i segni del morso.
«Prima Zero, poi Hanabusa ed ora anche
tuo fratello… Sei una calamita per i morsi di vampiro!» esclamò Rossana.
«Che culo…».
«Il prossimo chi sarà? Ichijo? Kain?
Shiki? Kuran? Mmm… no, quest’ultimo direi proprio di no. Se ti mordesse lui,
chissà cosa ti succederebbe!».
«Mhm… forse diventerei un vampiro a
tutti gli effetti?» esordì Aura.
«A rigor di logica… sì, ma, siccome non
succederà – e non dovrà succedere – mai, non potremo saperlo con certezza. Ed è
meglio così. Non mi piacerebbe ridurti in cenere…» disse Rossana girandosi
nuovamente e dando le spalle ad Aura. «Ma ora, dato che i due minuti sono
passati da un bel pezzo, io dormo e tu sei pregata di non aprir più bocca fino
a domani mattina. Buonanotte».
Rossana spense la lampada del suo
comodino, facendo sprofondare la camera nell’oscurità, mentre Aura si sdraiò e
rimase a fissare il soffitto, non avendo ancora sonno.
La mattina giunse velocemente, come se
la notte fosse durata un secondo, e, con sommo rammarico da parte di Aura, era
l’ora di alzarsi e di andare a seguire le lezioni. Dieci ore intense e piene di
spiegazioni. In compenso, la vita come “studentessa” della Night Class era
decisamente più facile; molti ragazzi, escludendo l’elemento “only vampires”,
avrebbero fatto di tutto, persino pagare cifre esorbitanti o fare patti col
diavolo, pur di andare là, e non solo per la presenza di personaggi di bell’aspetto.
Però, Aura aveva rinunciato a quella che tempo addietro aveva chiamato
“prigione dorata” ed ora era “libera”. Ma
la libertà aveva un prezzo…
Lei e Rossana erano appena entrate
nella classe, quando scoprirono che Alexander, oltre a trovarsi stranamente lì,
aveva preso il posto di Toga, il quale adesso si dedicava solo ed
esclusivamente alla Night Class, dato che voleva tenere sott’occhio il nuovo
arrivato, il fratello di Aura. Il rosso avrebbe insegnato etica, visto che la
materia di Toga era quella.
Sorridendo, o meglio, ghignando in
direzione delle due ragazze, fece cenno ad Aura di avvicinarsi, visto che
doveva presentarsi. Aura lanciò uno sguardo preoccupato a Rossana, ma lei le
fece capire che suo fratello non avrebbe potuto farle nulla, dato che al
momento era nei panni d’insegnante e non di vampire hunter. Quindi, Aura cercò
di non preoccuparsi e si avvicinò alla cattedra, sperando che il fratello di
Rossana non le sparasse o la infilzasse a tradimento.
«Io sono Alexander Crowe e sarò il vostro
insegnante di etica. Sostituisco il professor Yagari perché lui, per tutto il
resto dell’anno, si occuperà della Night Class» si presentò il rosso. «E lei»
disse voltandosi verso Aura. «è la vostra nuova compagna di classe».
«Piacere di conoscervi. Mi chiamo Aura
Thanatos» disse una tesa Aura, concludendo il suo mini discorso con un rapido
inchino.
«Bene, Thanatos, puoi andarti a sedere
accanto a... Vediamo…» disse Alexander, facendo finta di cercare una possibile
collocazione per Aura tanto per far scena, anche se aveva già in mente dove metterla. «Ecco, puoi
andare accanto a Kiryu-kun» disse dopo aver terminato la sua finta ricerca.
Tutti gli studenti presenti guardarono
allibiti Alexander e poi Zero, il quale era palesemente irritato – semmai
incazzato nero –, ed infine un’incredula Aura, che guardava con una leggera
nota di disperazione negli occhi Rossana, la quale non si aspettava una mossa
del genere da parte del fratello.
Visto che se fosse rimasta impalata
dov’era avrebbe fatto una bella figuretta, Aura si avviò verso il suo posto,
mentre tutti gli sguardi dei ragazzi e delle ragazze, Yuuki compresa, erano
puntati su di lei. Rossana, invece, aveva il suo sguardo puntato su Alexander,
il quale stava sorridendo compiaciuto.
Una volta che Aura fu seduta accanto a
Zero, i ragazzi ripresero a guardare Alexander, che disse: «Poiché le
presentazioni sono state fatte, direi che possiamo dare inizio alla lezione».
Alla fine delle prime cinque ore di
lezione, all’una, mentre tutti erano presi dal pranzo e si trovavano più o meno
nello stesso posto – l’aula di un’amica, la propria od il bar – Aura e Rossana
si trovavano in un’aula attualmente in disuso e, mentre mangiavano, stavano
discutendo riguardo agli avvenimenti dell’inizio della mattinata.
«Mio fratello ha in mente qualcosa»
disse Rossana, dopo aver ingoiato un boccone del suo panino.
«Ma dai? Fin lì ci arrivavo da sola!»
esclamò Aura.
«Forse ha intenzione di eliminare sia
te che Zero. Dopotutto lui, anche se è un vampire hunter, è anche un vampiro, e
per giunta un Level D che rischia di diventare un Level E».
«Ma perché dovrebbe eliminare anche me,
se non sono un vampiro?!».
«Evidentemente lui ti classifica come
tale, dato che sei metà umana e metà vampiro. Non c’è altra spiegazione».
«Ah, e così tu liquidi il discorso in
questo modo, della serie “facciamocene una ragione”!» esclamò Aura stringendo
il brick del succo di frutta all’albicocca che aveva finito.
Rossana sospirò e scosse la testa. «No,
non ho detto questo! Solo che quella mi sembra l’unica spiegazione plausibile
alle possibili motivazioni di Alexander! Lui potrebbe avere in mente anche ben
altro che noi in questo momento non stiamo prendendo in considerazione. Chi lo
sa!».
Aura stava per aggiungere altro, quando
la campanella che segnava la fine della pausa pranzo suonò; lei e Rossana si
videro costrette a tornare in classe, prima che il professore arrivasse,
altrimenti avrebbero ricevuto una predica sia da lui sia dal rappresentante di
classe, che, oltre ad essere il classico secchione con tanto di occhiali stile
fondo di bottiglia, era d’una pallosità immane.
Durante le rimanenti ore di lezione,
mentre Rossana prendeva appunti e di tanto in tanto si voltava per vedere se
Aura fosse ancora viva, quest’ultima, nonostante cercasse di concentrarsi nel
prendere appunti, qualche volta lanciava delle rapide occhiate a Zero, che era
voltato ed aveva lo sguardo puntato verso la finestra accanto a lui, sperando
che non stesse tramando di ucciderla alla prima occasione. Ma forse stava
pensando a come eliminare prima Alexander, dato che gli aveva fatto quello
scherzetto di pessimo gusto. Il suo essere così dannatamente emo rendeva
difficile capire quello che poteva pensare.
Le tenebre erano calate, e con esse i
membri della Night Class si erano già trasferiti all’interno della scuola per
il solito rituale in cui fingevano di essere studenti, anche se, in realtà,
facevano di tutto, tranne cose attinenti alla vita scolastica.
Zephyr, che si trovava seduto nello
stesso posto in cui solitamente Aura stava, si stava chiedendo come mai non
avesse visto sua sorella all’uscita dal Moon Dorm. Peccato che ad Hanabusa non
importasse quello che il giovane Thanatos stesse pensando: dato che lo
ignorava, si avvicinò, mettendosi di fronte a lui.
«Cosa vuoi, idiota biondo?» gli chiese
l’altro con tono ed aria seccata.
«Prima dimmi cosa vuoi tu, moccioso».
Zephyr ghignò. «Sai, fossi in te,
cercherei di non attirarti le mie ire… mio padre non sa che tu hai morso la mia
cara sorellina. Non vorrei che un soffio di vento arrivasse alle sue orecchie e
glielo dicesse…».
Hanabusa indietreggiò di un passo,
sconvolto. «Non avrai mica intenzione di…» esclamò.
«Mhm… per ora no, ma… sai, tendo a
cambiare idea piuttosto velocemente, quando si tratta di mia sorella» disse
Zephyr guardando il biondo con uno sguardo duro.
Hanabusa rimase muto per qualche
attimo, prima di dirgli: «Ti lamenti tanto che io l’abbia morsa, ma anche tu lo
hai fatto».
«E quindi? Tra te ed Aura non c’è alcun
legame di nessun tipo. E poi tu, biondo idiota, hai bevuto proprio dalla parte
velenosa. Quel vampire hunter che è vicino al cadere nel triste destino di
Level E, però, a differenza di te, ha azzeccato la parte buona… E sai questo
cosa vuol dire? Che tu sei veramente un idiota. Altro che “Idol-senpai”, tu sei
“Idiot-senpai”!» esclamò Zephyr sorridendogli maligno.
Hanabusa stava per fare qualcosa,
quando ricevette un’occhiata trafiggente da parte di Kaname; inoltre, l’arrivo
di Toga impedì ulteriori scambi di battute.
Alla vista del vampire hunter, tutti i
vampiri presenti si diedero un contegno, anche se molti avrebbero preferito
eliminare l’uomo, il quale li squadrava tutti, dal primo all’ultimo. Nessuno
escluso. Quando lo sguardo di Toga si posò su Zephyr, alzando un sopracciglio,
disse: «Un altro Thanatos».
«Ottima deduzione, Sherlock» disse
Zephyr inespressivo.
Sapeva che con Hanabusa e gli altri
vampiri, tranne Kaname ovviamente, poteva fare come voleva, ma con Toga, per il
momento, avrebbe assunto un basso profilo: non voleva un terzo hunter alle
calcagna, dopo Alexander e Zero.
Toga alzò un sopracciglio, ignorò la
replica ironica del vampiro e prese a fare quello che doveva fare, anche se
insegnare etica a dei succhiasangue non aveva molto senso, visto che avrebbero
potuto studiarsi ciò per i fatti loro. Il tempo per farlo non mancava di
sicuro.
*
Finalmente era giunto sabato, l’ultimo
giorno in cui ci sarebbero state lezioni. Tutti i ragazzi della Day Class erano
caricati a molla, poiché la domenica, il giorno dopo, avrebbero dormito più del
solito e sarebbero stati liberi di fare quello che volevano nel pomeriggio.
Durante la pausa per il pranzo, mentre
Aura stava tornando in classe da sola, si sentì chiamare da una voce femminile
proveniente alle sue spalle.
«Aura-chan, aspetta!».
Aura si voltò solo per trovarsi di
fronte un’affannata Yuuki. Roteò gli occhi e si chiese se aveva fatto qualcosa
di male per esser chiamata da quella lì. “Cosa
vorrà mai?” si chiese mentre la osservava riprendere fiato.
«Cosa vuoi?» le chiese, non appena lei
sembrò essersi ripresa completamente.
«Volevo chiederti se avevi qualche
problema con Zero» disse, finalmente, Yuuki.
Aura alzò un sopracciglio: si aspettava
di tutto, ma non quello. «Come mai questa domanda? Comunque non ho nessun
problema con lui: ci parliamo a malapena».
«Ecco, a proposito di questo… Uhm…»
disse Yuuki iniziando a gesticolare e facendo innervosire Aura.
«Se hai qualcosa da dire, dimmelo,
altrimenti io vado. Voglio tornare in classe prima che la campanella suoni. Non
ci tengo a rimanere nel corridoio quando sarà affollato» disse seccata
quest’ultima.
Yuuki smise di gesticolare e si passò
una mano sulla nuca, poi disse: «Beh, vedi… Zero è dispiaciuto per quello che
successe l’altra volta».
«A cosa ti riferisci?» le chiese Aura
confusa, alzando un sopracciglio.
«A quando… quando…».
«Quando… cosa?» chiese spazientita
Aura. «Veloce, che la campanella sta per suonare».
«Quando ti ha morso» tirò fuori,
finalmente, Yuuki.
Poi guardò Aura, la quale la stava fissando
con un’espressione indecifrabile. Alla fine la corvina disse: «Tutte queste
seghe mentali per dirmi questo? Comunque, grazie per avermelo detto, ma, d’ora
in poi, risolverò i problemi da sola. Quindi, Yuuki, mi sa tanto che il tuo
lavoro come messaggera finisce qui».
Lasciando una Yuuki allibita e senza
parole, Aura si voltò e tornò a passo marziale nella classe, che, per sua
fortuna, era ancora vuota. Si sedette al suo posto ed attese che il resto della
ciurma tornasse, in particolar modo Zero, col quale avrebbe scambiato due
paroline alla fine delle lezioni.
Se c’era una cosa che detestava, erano
le persone che ricorrevano ad altre per dire qualcosa.
Al termine dell’ultim’ore di lezione,
mentre il resto degli studenti stava raccogliendo e mettendo via la propria
roba, Zero schizzò fuori dall’aula come se avesse preso fuoco, ed Aura, pur di
non perderlo di vista e di non perdere l’occasione per parlargli, lo seguì
immediatamente, schizzando fuori dall’aula anche lei sotto gli sguardi di
Rossana e Yuuki; se alla rossa tale scena sembrava alquanto sospetta, per
l’altra, invece, era una scena che si aspettava.
Aura seguì Zero fino a che lui non si
fermò davanti a quella che doveva essere una stalla, che lei non aveva mai
visto. Inoltre, non sapeva nemmeno che ci fosse! Ma, dopotutto, era normale che
non fosse a conoscenza dell’esistenza di quella costruzione: era in una zona
costituita praticamente da sola vegetazione.
Zero si voltò e guardò Aura con uno
sguardo gelido, poi le chiese: «Perché mi hai seguito?».
«Per chiarire quella questione del
morso. Potevi anche risparmiarti di mandare Yuuki a parlare al tuo posto. È da
vigliacchi tale comportamento, lo sai?» disse Aura sostenendo il suo sguardo.
«Non ho nulla da dirti. E Yuuki non
avrebbe dovuto dire nulla» fece brusco lui, con l’intento di farla desistere e
di vederla andare via.
Aura alzò un sopracciglio ed incrociò
le braccia. «Hai parlato a Yuuki di una cosa che riguardava noi due, anche se
non era nulla di che, e non ne vuoi parlare con me? Oltre ad essere un
vigliacco, sei pure contorto».
«Non è questo il punto».
«Ah no? Allora qual è? Su, dimmelo, che
non riesco a comprenderti, dato che sei di natura contorta. E non c’entra nulla
il tuo essere vampiro, fidati…».
Zero non disse nulla ed entrò dentro la
stalla, seguito a ruota da Aura, che non aveva la minima intenzione di lasciar
perdere il discorso: se ne sarebbe andata soltanto se la questione sarebbe
stata chiusa e sepolta. Non era da nascondere – in fin dei conti si era
trattato solo di un morso –, ma era meglio archiviarlo subito e possibilmente
farlo diventare un ricordo, uno di quelli che finiva negli angoli remoti della
mente.
Aura continuò a camminare, finché non
andò a sbattere contro la schiena di Zero, che si voltò. Alzando lo sguardo ed
incontrando quello del vampiro, per un istante si dimenticò quello che stava
per dire, e questo diede l’opportunità a Zero di compiere un’azione
inaspettata: infilò le dita tra i capelli di Aura e, mentre lei portava lo
sguardo sulle sue dita, ormai intrecciate con la ciocca di capelli, lui ne
approfittò per chinarsi su di lei e darle un rapido bacio, prima di leccarle il
collo. Infine, per completare l’opera, mentre lei era rimasta sorpresa e
confusa dal bacio, fece penetrare gentilmente i suoi canini nel collo per bere
il suo sangue, attirandola a sé con entrambe le braccia, che mise intorno ai
suoi fianchi.
A quanto parve, la fortuna era dalla
parte di Zero, in quanto morse il lato destro del collo e non quello sinistro,
dove vi scorrevano le stesse tossine che avevano creato problemi ad Hanabusa
tempo addietro.
Aura, seppur con un po’ di timore,
lentamente allungò le mani verso la schiena di Zero, fino a che non ve le posò
sopra, afferrando la divisa; il ragazzo, a quel contatto inaspettato, si liberò
dalla sua presa, lasciandole i fianchi ed indietreggiando di scatto.
Si guardarono dritti negli occhi ed
Aura fece per dire qualcosa, quando all’improvviso qualcuno la colpì, facendole
perdere i sensi: era stato Zephyr.
Il vampiro, che aveva sentito l’odore del
sangue della sorella, anziché seguire gli altri della Night Class, si era
inoltrato nel mezzo degli alberi per andare nel luogo da cui proveniva l’odore
di Aura. Non si sarebbe mai aspettato, né immaginato, di incontrare uno dei due
vampiri che in precedenza avevano morso la sorella.
«E così, Zero Kiryu, tu saresti il
primo che osò mordere mia sorella» disse il giovane Thanatos.
«Siete fratello e sorella?» chiese Zero
sorpreso.
Zephyr, che teneva fra le braccia Aura,
sorrise a quella domanda. «Sì, proprio così. Sono nato un anno dopo di lei, non
appena nostro padre ritenne che nostra madre avesse raggiunto un livello
stabile di autocontrollo. Lo sai come sono i primi tempi dopo il tuo risveglio
come vampiro… no?».
«Stai dicendo che…».
«Sì, sto dicendo che nostro padre è un
purosangue e che ha trasformato nostra madre» disse Zephyr come se avesse letto
nel pensiero di Zero. «Comunque, tornando a noi… Sta’ lontano da mia sorella.
Non tollererò un altro episodio del genere» proferì assottigliando lo sguardo,
che divenne d’un rosso brillante.
«Non prendo ordini dai vampiri come
te!» esclamò Zero estraendo la Bloody Rose e puntandogliela contro.
«Doveva essere buono, vero?».
«Cosa?» chiese Zero, aggrottando la
fronte.
«Il sangue di Aura. L’hai baciata
apposta per farglielo ribollire, vero?» proferì Zephyr passando un dito sulle
labbra di Aura.
Vedendo che il vampire hunter-level D
non rispondeva ma continuava a tenergli puntata contro la pistola, il giovane
Thanatos lo fissò dritto negli occhi e, prima di andarsene con la sorella
ancora priva di sensi tra le braccia, gli disse: «Sei patetico, Zero Kiryu. Ti
nutri col sangue di ben due ragazze, ma i tuoi sentimenti nei loro confronti
sono confusi. Dovresti sapere che non si gioca con le persone, tantomeno con il
cibo. Sei patetico».
Zephyr sparì così com’era venuto, in un
istante, lasciando, come segno della sua presenza, una lieve folata di vento.
Autrice: «Ok, dopo quel che è successo
nella parte finale, vado a suicidarmi» *si avvia*
Zephyr: «Eh no, non puoi andartene sul
più bello, cara ♥» *la ferma*
Autrice: «Se non mi lasci subito, penso
proprio che sarò costretta a rinchiuderti nella bara in cui eri fino ad ora…»
Zephyr: «…»*ammutolito*
Autrice: «Va bene, vuoi tornare là
dentro, ho capito» *sorride maligna*
Zephyr: «No! Manco morto voglio esser
rinchiuso di nuovo là dentro!» *lascia la presa*
Autrice: «Vedi? Bastava poco» *sorride
e schiocca le dita, facendo apparire due figure incappucciate* «Rinchiudetelo
lo stesso».
*Zephyr viene trascinato via mentre maledice
l’Autrice (rima esclusa)*
Siparietto random a parte, spero che il
capitolo non sia stato troppo pesante! In fin dei conti, è di dodici pagine…
^^”
Anyway, alla prossima!
Yuna.
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Capitolo 17 *** Lengthy Night: First One ***
cap 17
Capitolo XVII
Lengthy Night: First One
Quella mattina, stranamente, il cielo
era di un buio pesto ed il sole era totalmente assente; tutte le luci, persino
i lampioni, erano accese, come se fosse piena notte.
Lo strano fenomeno fu spiegato dai
professori non appena i ragazzi furono in classe: per tre giorni il Sole sarebbe
stato oscurato dalla Luna e di conseguenza sarebbe stato buio, come se fosse
notte; infatti, questo raro fenomeno, il cui periodo di avvenimento era
casuale, aveva il nome di “Lunga Notte”.
Ma questa era la spiegazione che era
stata data agli studenti umani; quella data ai vampiri, seppur fosse uguale,
aveva una parte in più, che era a vantaggio loro: durante i tre giorni di
oscurità sarebbero stati più forti ed avrebbero potuto girare liberi ed
indisturbati.
E come se ciò non bastasse, Kaien, in
accordo con Kaname, decretò che durante quel periodo di oscurità gli studenti
della Night Class avrebbero frequentato le lezioni assieme a quelli della Day.
Quest’ultima novità, se si poteva definire tale, mandò su di giri tutte le
ragazze della Day Class, escluse Rossana ed Aura, mentre i ragazzi vennero
circondati da un’aura di depressione che avrebbe potuto far invidia a quella di
Zero, il quale non aveva preso molto bene la notizia che in classe, ma anche
solo per i corridoi, avrebbe avuto dei vampiri.
Per i membri della Night Class, invece,
poco cambiava, a parte il fatto che avrebbero dovuto trattenere di più i loro
istinti, visto e considerato che sarebbero stati a stretto contatto con del
sangue che aveva delle gambe, delle braccia e che camminava. Chiunque avrebbe
osato anche solo causare il più piccolo graffio ad uno degli studenti della Day
Class sarebbe andato incontro alla possibile furia di Kaname, e non era per
niente una cosa di cui vantarsi – eccetto per Hanabusa, il quale sembrava
incorrere nelle ire del purosangue per puro diletto o masochismo. Nessuno,
però, avrebbe potuto confermare se si divertiva male o se era veramente un
masochista.
Molte delle ragazze della classe in cui
si trovavano Rossana ed Aura, quella mattina, erano assenti, e la causa era una
sola: la vicinanza eccessiva con i loro miti le aveva stese a terra. Se fosse
stato un manga, probabilmente sarebbero state rinvenute in una pozza di bava o
di sangue, anche se quest’ultimo sarebbe stato meno probabile, data la presenza
di vampiri. A causa di queste assenze non strategiche, alcuni vampiri si
ritrovarono ad occupare i posti vuoti, in particolar modo Zephyr, il quale si
era seduto accanto a Rossana più per tener d’occhio sua sorella e Zero che per
altro. Inoltre, c’erano anche Hanabusa e Senri, il quale si era ritrovato
seduto di fronte a Rossana, mentre il biondo era finito dall’altra parte
dell’aula, anche se questo non gli impedì affatto di osservare con insistenza i
due Thanatos.
Zero, ora che si ritrovava Zephyr più vicino
del solito, dopo il loro scambio di battute riguardanti Aura, era intento a
cercare di ricostruire cosa avesse fatto il vampiro, dopo essersene andato con
la sorella tra le braccia ma, a giudicare dal fatto che Aura si comportasse
come se nulla fosse successo, solo una cosa gli venne in mente: manipolazione
dei ricordi. Dopotutto era un’abilità comune tra i vampiri nobili e purosangue.
Zephyr, mentre giocherellava con una
matita che teneva tra le dita, sghignazzava felice: non solo aveva cancellato i
ricordi della sorella riguardante il suo ultimo incontro col vampire hunter dai
capelli argentati – creando fastidio, se non problemi, al suddetto –, ma adesso
stava facendo agitare ed anche un po’ preoccupare Rossana, il suo giocattolino
preferito. Ciò che le aveva fatto, e che avrebbe fatto, paragonato a
quell’unico morso dato alla sorella, sarebbe stato diverso: se la prima volta l’aveva
baciata per farla chetare, non era detto che la prossima sarebbe stata per lo
stesso motivo. Ma forse si sarebbe limitato solo a morderla e bere il suo
sangue, cosa che non aveva ancora fatto, se ci pensava.
Mantenendo sempre la sua espressione
allegra, sospirò, attirando l’attenzione di Rossana, la quale gli rivolse
un’occhiata seccata.
«Cosa vuoi?» gli chiese acida.
«Secondo te?» le sorrise.
«Smettila con questi giochetti,
vampiro, che non mi ci vuole tanto a prendere una pistola e centrarti il cuore
con un solo proiettile».
«Oh, ma tu il mio cuore l’hai già
centrato» disse lui mantenendo il suo sorriso.
Lo sguardo di Rossana si assottigliò e
la sua mano destra si chiuse a pugno fino a far diventare bianche le nocche. Se
non si fosse trovata in classe, non avrebbe esitato a prendere la prima arma
che le sarebbe capitata a tiro e fare a pezzi quel vampiro che provava gusto
nel farla irritare.
«E vedrai come lo centrerò, non appena
potrò riempirti di proiettili» sibilò, prima di tornare a fissare il quaderno
nell’esatto momento in cui il professore di lettere si voltò.
Aura, che aveva assistito a quel tenero scambio di battute da dietro il
quaderno che aveva leggermente sollevato, osservò prima il fratello e poi
l’amica, chiedendosi quale dei due sarebbe riuscito a causare danno all’altro.
Avrebbe voluto tanto scommettere ma, data la sua sfortuna nelle scommesse,
preferì non farlo e limitarsi a fare da spettatrice allo scontro dell’anno
scolastico.
Dall’altra parte dell’aula, intanto,
Hanabusa osservava i quattro, in particolar modo Zephyr, che non sopportava fin
dal primo momento in cui l’aveva visto, perché era in attesa di un suo minimo
errore. Inoltre, il fatto che con il suo arrivo Aura avesse chiesto il
trasferimento nella Day Class e di conseguenza anche nel Sun Dorm, più
l’occupazione di quest’ultimo della camera che era appartenuta alla ragazza,
irritavano alquanto il biondo.
Zephyr gli aveva portato via il suo
giocattolino: era questo il problema principale, che Hanabusa, ovviamente, non
avrebbe mai rivelato.
Alla fine delle lezioni, come al suo
solito Zero schizzò fuori dall’aula, come se l’aria ad un tratto fosse diventata
veleno, seguito da Yuuki, la quale, però, si ritrovò davanti Kaname a sbarrarle
– intenzionalmente – la strada.
Stessa scena accadde anche per Rossana
ed Aura: le due uscirono dall’aula e, proprio quando si ritrovarono nel
corridoio, davanti a loro si parò Zephyr, con il chiaro intento di
“trascorrere” del tempo assieme a sua sorella ed alla sua amica.
«Aura, non ti dispiace se elimino tuo fratello, vero?» chiese Rossana
sorridendo, mentre faceva scrocchiare le nocche delle mani.
«Ah, guarda, per me puoi fare come
vuoi. Tutto quello che gli succede o che lo riguarda non m’interessa» replicò
Aura facendo spallucce e facendo vacillare la sicurezza di Zephyr.
Peccato che, non appena il suddetto
vampiro provò a muovere un dito, un branco di ragazzine con la bava alla bocca
lo circondò completamente, tempestandolo di domande di ogni sorta e lanciando,
di tanto in tanto, degli sguardi assassini rivolti a Rossana e degli sguardi
invidiosi ad Aura.
«Vieni, andiamocene prima che la
situazione degeneri» disse Rossana prendendo a camminare lungo il corridoio che
conduceva all’ingresso dell’edificio scolastico, seguita immediatamente da
Aura.
Le due ragazze, una volta lasciata alle
spalle la scuola e quell’oceano di ormoni sballati e saliva, si chiusero nella
propria camera, nel Sun Dorm, il quale, data la presenza prolungata dei
vampiri, era attualmente deserto.
«Neh, Sana».
«Cosa vuoi, Aura?».
«Mi insegni a combattere con le spade?
Per Natale, non so se te lo avevo già detto, ne ho ricevute due da parte di mio
padre» proferì Aura dondolandosi avanti ed indietro sul letto.
Rossana la guardò con un sopracciglio
inarcato, scettica e sorpresa allo stesso tempo: Aura, quella stessa Aura che
si trovava di fronte a lei e che, a rigor di logica, doveva essere leggermente
più forte di lei data la sua natura, le chiedeva di insegnarle ad usare le
spade? Il mondo sarebbe finito presto, se lo sentiva.
«Cioè, fammi capire un attimo: tu
vorresti che io ti facessi da maestra? Non potevi chiedere a tua zia od al tuo
zio? Loro di sicuro…».
«No, loro due usano solo ed
esclusivamente armi da fuoco. Pistole e fucili, tanto per specificare» la
interruppe Aura.
«Mh, allora perché non lo chiedi a tuo
fratello? Essendo un vampiro, una cosa del genere per lui è una bazzecola!».
Aura rimase con la bocca spalancata,
dopo aver sentito l’ultima affermazione della sua amica, poi disse: «Chiedo una
cosa a te, e poi passi la palla ad un altro? Che grande aiuto che mi dai!».
Aura si alzò e scese dal letto, afferrò
i foderi delle due spade ed uscì dalla camera sbattendo la porta, per poi
andarsene dal Sun Dorm e rifugiarsi sotto un albero nei pressi del lago lì
vicino, passando davanti all’abitazione del Preside Cross.
Rimase seduta ai piedi dell’albero, con
lo sguardo fisso sull’erba e la schiena poggiata contro il tronco, fino a che
non si annoiò e s’irritò ancora di più; distese le gambe e vi poggiò i foderi
delle spade, poi afferrò l’elsa di una delle due e la tirò fuori, impugnandola
e tenendola di fronte a sé: la lama era violacea e di media lunghezza, liscia e
con il filo su entrambi i lati; la scanalatura non era molto visibile, dato il
colore; l’impugnatura era di cuoio nero ed il pomolo era di forma circolare.
Era bella ed anche di buona fattura, ma Aura non poteva essere sicura
sull’ultimo punto, dato che di spade, ma anche di armi in generale, se ne
intendeva davvero poco.
«Ora cosa me ne faccio di queste? Tanto
non le so usare…» si lamentò.
A quel punto, un’idea malsana si fece
strada nella sua mente: e se avesse gettato le due spade, con tanto di foderi,
nel lago? Ma se suo padre se ne fosse accorto, poi?
Abbandonò la sua idea con la stessa
velocità con cui era venuta, continuando a fissare con insistenza l’acqua,
finché un paio di gambe non si pararono davanti ai suoi occhi, interrompendo il
suo contatto visivo con il lago. Alzando la testa, vide che davanti a lei c’era
Rossana e che la stava guardando. Con sé non aveva né le pistole né lo stocco,
segno che si era gettata fuori dal Sun Dorm di fretta.
«Lo sai che, così facendo, è come se tu
avessi una freccia sopra la testa che indica ai vampiri: “Sangue Gratis!
Correte, che è l’offerta del giorno. Non perdetela!”.
«Lo stesso si può dire di te, Sana. Non
hai nessun’arma con te. E se mio fratello o quell’idiota di Hanabusa si facesse
vivo? Saresti, anzi saremmo fregate. E nemmeno poco» replicò Aura.
«Hmph. Ci sono sempre le tue spade. Se
arrivasse qualche esponente dei vampiri, potrei sempre usare quelle per
attaccarli».
«Dici? Non è che non riuscirai nemmeno
a prenderle in mano? Dopotutto sono un regalo di mio padre… non mi stupirei se
fossero, come dire, fatte su misura per me…».
Rossana alzò un sopracciglio. «Vogliamo
fare una prova? Io non mi tiro di certo indietro. Tu?».
«Ah, guarda, nemmeno io mi tiro
indietro. Tanto, se qualcosa andasse male, saresti solamente tu a rimetterci,
non io».
Aura sorrise e conficcò la spada
nell’erba, in modo da lasciare l’impugnatura libera; Rossana allungò la mano
verso l’impugnatura e l’afferrò saldamente, cercando di estrarla dal suolo, ma
senza riuscirvi.
«Cos’è? Una specie di copia della spada
nella roccia? Non riesco a tirarla fuori!» esclamò lei continuando a tirare.
Aura si alzò e le fece cenno di
spostarsi, poi afferrò l’impugnatura ed estrasse la spada come se niente fosse,
com’era normale che fosse.
«Te l’avevo detto che era fatta su
misura… così come, credo, l’altra».
«Ma come “credi”?» chiese perplessa
Rossana.
«Ehm… non l’ho neanche tirata fuori dal
fodero…» disse Aura guardando di lato.
La rossa si passò una mano sulla faccia
ed afferrò il suddetto fodero, cercando di estrarre l’altra lama, ma senza
riuscirvi per l’ennesima volta.
«E nemmeno questa volta posso tirarla
fuori… Vuoi vedere che, come minimo, solo i vampiri possono usarle» esclamò
lei.
«Infatti è così» le rispose una voce
nota.
Aura e Rossana si voltarono di scatto
verso la direzione da cui avevano sentito la voce, scoprendo che a parlare era
stato il loro incubo personale: Zephyr Thanatos. Le due ragazze presero molto
male l’apparizione del vampiro dagli occhi rossi, e le loro facce, così come i
loro movimenti nervosi, lo resero molto palese; infatti il vampiro, alzato un
sopracciglio, chiese loro: «Vi sto davvero così tanto antipatico?».
Le due si scambiarono un’occhiata eloquente
e Rossana fu la prima a rispondergli: «Devo essere sincera? Sì, mi stai
antipatico, anzi direttamente sulle palle. Fossi in te, me ne farei una
ragione».
Poi fu il turno di Aura, che con la sua
uscita lo colpì duramente: «Evito di star a ripetere quello che Rossana ha già
detto, dato che la penso alla stessa maniera. E poi, continuo ancora a non accettarti come fratello. È più
forte di me».
Nessuno lo sapeva, ma l’autostima e la
spavalderia di Zephyr traevano la loro “forza” dalla presenza della sorella ma,
se quest’ultima continuava a distruggerlo con quello che diceva, la sola
presenza non bastava. Ma Zephyr era un tipo tenace e testardo quanto la
sorella, quindi non si lasciò buttare giù da quello che aveva appena sentito,
anche se era stato ferito, e disse: «Allora, se vi sto così tanto sulle palle
come dite, perché non approfondire di
più la nostra conoscenza? Potrei rivelarmi, così come voi, diverso da come
appaio…».
«Ma anche no» fu la risposta immediata
delle due.
«Siete voi le vere antipatiche, qui!»
replicò lui stizzito e mettendo il broncio.
Dopo l’attimo di silenzio che ne seguì,
Aura, estraendo l’altra spada ed impugnando anche l’altra, gli chiese: «Senti…
prima avevi detto qualcosa riguardo a queste due spade…».
«Oh sì, stavo dicendo qualcosa,
effettivamente».
«Ecco, vedi di dire quello che sai e
poi sparisci» gli disse Rossana, mettendosi sulla difensiva non appena lui
avanzò verso di loro di due passi.
«Puoi rilassarti… non ho alcuna
intenzione di toccarti… oggi. Comunque» il vampiro si voltò verso Aura. «queste
due spade, da quanto ne so, appartengono ai Thanatos da anni e generazioni.
Però, c’è una cosa che non mi torna».
«Cosa?» gli chiese Aura guardandolo
confusa.
«Solitamente, venivano date al primo
figlio nato, indipendentemente dal sesso, ma solo alla morte del padre o della
madre. E che io sappia, nostro padre è ancora vivo, quindi non capisco proprio
il perché ti abbia dato le Scarlet».
«Scarlet…?»
ripeterono Aura e Rossana.
«È il nome delle spade. Comunque,
riprendendo il discorso di prima, le Scarlet possono essere impugnate solo da
vampiri e, entrando più nello specifico, solo dai Thanatos. La mia cara
sorellina può impugnarle solo grazie alla sua natura mista, altrimenti non
avrebbe potuto farlo, esattamente come succede per la mia cara rossa».
Non appena Zephyr finì di parlare, Aura
si passò una mano sulla faccia e disse: «Ora sono cavoli amari! Eccome, se lo
sono!».
Se il giovane Thanatos si fosse voltato
anche solo per un istante, avrebbe potuto vedere lo sguardo omicida di Rossana,
la quale non aveva preso molto bene quel “la mia cara rossa”. E come a
dimostrazione di ciò, scattò in direzione di Zephyr, riuscendo a colpirlo in
pieno volto, sul naso.
«Ripeti anche solo un’altra volta “la mia
cara rossa”, ed io ti massacrerò fino a che non preferirai essere cenere» disse
lei con il pugno ancora serrato.
Il ragazzo si massaggiò il naso,
lamentandosi un po’, poi disse: «Picchi anche bene, oltre ad essere
confusionaria. Ti avevo sottovalutato».
«Mi avevi pure sottovalutato…!» fece lei,
pronta a scagliarsi contro Zephyr di nuovo.
«Cosa vuoi fare, eh? Vuoi colpirmi
ancora? Fatti sotto, se vuoi. Io non scappo né mi tiro indietro di sicuro».
Di lì a poco ci sarebbe stato uno
scontro, data l’incazzatura di Rossana e la spavalderia di Zepyhr, ed Aura lo sapeva
benissimo; non appena l’amica fece per scagliarsi contro il fratello, lei, con
le Scarlet in mano, si parò tra i due, puntando alla gola di entrambi la punta
delle due lame.
«Smettetela immediatamente, se non
volete causare problemi» disse guardando prima l’uno e poi l’altra.
I due si rilassarono, anche se Rossana
rimase sulla difensiva, mentre Aura abbassò le spade ed aggiunse: «Vieni, Sana,
torniamocene al dormitorio, è meglio».
«Se volete, vi accompagno volentieri»
propose Zephyr sorridendo.
L’occhiataccia che gli rivolse la
sorella fu sufficiente a fargli lasciar perdere il suo intento e costringerlo a
tornare al proprio dormitorio.
Aura e Rossana, finalmente rimaste
senza compagnia indesiderata, dopo che la prima ebbe rinfoderato le spade, se
ne tornarono tranquillamente al Sun Dorm in camera loro, approfittando del
silenzio che ancora vi regnava per mettersi in pigiama e dare una ripassata
agli argomenti spiegati la mattina.
«Neh, Aura» chiamò Rossana, una volta
chiuso il libro d’inglese.
«Dimmi» replicò l’altra, senza staccare
gli occhi dal quaderno sul quale vi aveva scritto a malincuore la spiegazione
di etica di Alexander. Quel ragazzo, tassativamente, dopo ogni sua spiegazione
interrogava com’era giusto che fosse, peccato che prendesse sempre di mira lei
e Zero. Alla fine, era giunta alla conclusione che il ragazzo fosse sadico come
la sorella e che le sue vittime preferite fossero proprio lei e Zero. Infatti, li
aveva messi accanto apposta, guarda caso…
«Ho deciso».
«Cosa?».
«T’insegnerò ad usare le spade».
Dopo questo capitolo, come si può
dedurre dal titolo, i prossimi due saranno strettamente collegati ad esso. Avevo
intenzione di farne un unico sulle tre notti d’oscurità, ma è risultato
impossibile, perché alla fine il capitolo di oggi è venuto di otto pagine… Se
fossi andata avanti, sarebbe venuto fuori un capitolo di chissà quante pagine!
O.o Quindi, ecco da qui la decisione di fare tre capitoli!
Che la Lenghty Night abbia inizio!
Alla prossima.
Yuna.
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Capitolo 18 *** Lengthy Night: Second One ***
cap 18
Capitolo XVIII
Lengthy Night: Second One
Un’altra giornata scolastica era
iniziata, e non poteva mancare la solita interrogazione di routine di Alexander
Crowe, professore temporaneo di etica, il quale aveva già iniziato a
tartassare, o meglio torturare, le due povere vittime sacrificali di quel
giorno, che, com’era d’abitudine, erano Aura Thanatos e Zero Kiryu. Alla fine
dell’anno i due ragazzi si sarebbero trovati più voti degli altri: ormai era un
dato di fatto.
Rossana, alla quale non dispiaceva
affatto non essere interrogata, soprattutto dal fratello che mal sopportava, se
ne stava beatamente spalmata con la testa sopra il banco sonnecchiando, mentre
Zephyr, il suo temporaneo compagno di banco nonché fratello della povera
interrogata, stava trafiggendo con lo sguardo Alexander, il quale lo ignorava
tranquillamente e continuava a tartassare di domande le due povere vittime del
giorno.
«Ehi, Rossana».
La rossa girò la testa verso di lui,
dicendogli: «Non chiamarmi per nome, succhiasangue».
Zephyr fece un sorriso sghembo. «Allora
preferisci che io ti chiami “mia cara rossa”…?».
Al solo sentire quelle tre parole,
Rossana sollevò di scatto la testa ed esclamò, guardando malissimo il vampiro:
«Azzardati a chiamarmi così di nuovo, e ti pesto anche se sono in classe davanti
a tutti, professori e bidelli compresi».
«Sapevo che avresti reagito così!»
replicò lui divertito.
«T-Tu, maledetto…!».
«Rossana-chan, Zephyr-kun, siete
pregati di fare silenzio: sto interrogando» li richiamò Alexander, dovendo
interrompere per qualche istante la sua tortura verbale.
Rossana lanciò uno sguardo omicida al
suo “compagno di banco”, prima di mettersi a guardare fuori dalla finestra,
escludendosi dal mondo fino alla fine dell’ora del fratello.
Al suono della campanella, Aura si
accasciò esausta sul banco con la testa sopra di esso, molto vicina diventarne
un tutt’uno.
«Oh, Zero» chiamò. «Secondo te, quanti
voti abbiamo ad etica?».
«Anche fin troppi» fu la risposta di un
altrettanto distrutto Zero: non era abituato a parlare così tanto.
«Quell’hunter ha bisogno di capire qual
è il suo posto» mormorò Zephyr, venendo sentito sia da Zero ed Aura, sia da
Rossana.
«Anche se detesto ammetterlo, questa
volta hai ragione, vampiro» replicò quest’ultima.
«Concordo anch’io» disse Aura alzando
una mano e scuotendola con poco vigore.
«Come se voi tre potreste riuscire a
fargli qualcosa…» disse Zero.
A quel punto, Rossana si voltò verso di
lui con un sorriso a dir poco inquietante e gli disse: «Allora aiutaci anche
tu, Kiryu-kun».
Zero la fissò inespressivo e non le
rispose e, nemmeno a farlo apposta, il professore dell’ora successiva entrò in
classe, interrompendo la loro piccola chiacchierata. Ma Rossana, prima di
voltarsi, gli disse: «Alla fine delle lezioni mi aspetto una risposta».
«Fossi in te» gli disse Aura. «le direi
di sì. Meglio non trovarsela in camera la notte con quel sorriso inquietante.
Fidati, lo so per esperienza» concluse rabbrividendo.
Alla fine dell’ennesima giornata
scolastica, Rossana, pur di allontanarsi da Zephyr il più velocemente
possibile, afferrò Aura per un polso e la trascinò fuori dall’edificio
scolastico, dirigendosi con altrettanta velocità al Sun Dorm per lasciare i
libri e le divise e prendere le spade: da quando aveva detto che l’avrebbe
allenata, ogni volta che non avevano altri impegni, prendeva Aura e la
trascinava nella foresta dietro il dormitorio, dove, con tanta pazienza, le
insegnava come usare e combattere quelle lame fatte per lei.
«Forza, sfaticata che non sei altro!
Devi essere meno rigida, dannazione! Non puoi mica stare in piedi come un pezzo
di legno, quando affronterai qualcuno!» esclamò Rossana, mentre Aura attaccava
un nemico immaginario.
«La fai facile tu che combatti con una
sola! Mai combattuto con due?» replicò ansimante Aura, mentre eseguiva un
affondo.
«Mai usate due spade insieme: non è il
mio stile. Ma la difficoltà non cambia, quindi datti da fare!».
Con uno sbuffo ed un lamento, Aura
riprese a seguire le direttive di Rossana, mentre da dietro gli alberi, una
figura, raggiunta poco dopo da altre due, le stava fissando intensamente.
Rossana, avvertendo dei brividi lungo
la schiena, scagliò il suo stocco vicino al tronco dell’albero alle sue spalle,
non sentendo il rumore della lama che si conficcava da qualche parte nel
terreno; ed allora gridò: «Chiunque vi sia là dietro, esca fuori
immediatamente!».
Quando vide chi si nascondeva dietro
l’albero, preferì aver finto di non essersi accorta della sua presenza,
piuttosto che ordinargli di uscire allo scoperto: Zephyr, con il suo stocco in
mano, comparve da dietro l’albero, ghignando.
«Adesso sei in grado anche di
accorgerti della mia presenza…? Quand’è che saprai distinguerla da quella degli
altri?» chiese scherzoso lui, mentre le lanciava lo stocco, afferrato al volo.
«Oh sì, mi accorgo della tua presenza
grazie ai brividi e alla pelle d’oca. Una cosa di cui andare davvero fieri. Non c’è che dire» replicò
lei, rinfoderando lo stocco ed incrociando le braccia sul petto. «Cosa sei
venuto a fare qui, vampiro? Se sei venuto solo per dare noia, allora puoi anche
andartene a ‘fanculo».
«Oh…? Adesso siamo passati all’essere
rozzi? Peccato che io nella “località” in cui tu mi hai gentilmente mandato non possa andarci, altrimenti ti avrei portata
con me» replicò Zephyr, ignorando la finezza con cui la rossa gli aveva
risposto.
«Piantatela di fare così» esclamò Aura,
avvicinandosi ai due. «Sana, se vuoi spaccargli la faccia, per me puoi farlo
pure: ti do il mio permesso. Zephyr, se tu vuoi dirle o fare qualcosa, vedi di
non girarci intorno, che sei noioso. Non so voi, ma io di questa specie di tira
e molla ne ho fin sopra i capelli, per non dire altro. E voi due» si voltò
verso due alberi tra di loro abbastanza vicini. «venite fuori. Non siete
invisibili!».
Si udirono dei fruscii e poco dopo
comparvero anche Zero e, incredibilmente, Alexander.
«Adesso ci manca solo tutta la Night
Class al completo, e poi direi che gli attori di questa soap opera ci sono
tutti!» esordì Aura, visibilmente irritata dalla presenza del rosso.
Zephyr, una volta che Zero fu vicino a
loro, sussurrò ai tre: «Ehi, che ne dite se proviamo ad attaccarlo? Siamo in
quattro, di cui due di noi sono armati. Tanto, anche se lui è disarmato,
costituisce comunque un problema».
«Sai, è vero quello che il
succhiasangue ha appena detto: mio fratello, con o senza armi, picchia bene lo
stesso» esclamò Rossana.
«Quindi cosa facciamo?» chiese Aura,
che non aveva ancora capito se avrebbero attaccato o no.
«Semplice» disse il fratello. «lo
attacchiamo. Kiryu-kun, sei dei nostri o no?».
«No» fu la risposta secca di Zero. «E
nemmeno Aura».
«Ehi, chi ti ha dato il permesso di
decidere per me!?» replicò la ragazza tirata in causa, guardando in malo modo
il vampiro.
«Io» rispose Zero afferrandola per un
polso e trascinandola via, ma non prima che lei lanciasse le Scarlet al
fratello, ben conscia del fatto che lui sarebbe stato in grado di impugnarle ed
utilizzarle meglio di lei nel combattimento che di lì a poco ci sarebbe stato.
«Cos’ha in mente Kiryu?» chiese Zephyr
a Rossana, facendo roteare i polsi per sciogliere i muscoli.
«Mhm… non lo so, ma di sicuro l’ha
fatto per evitare che Aura rimanga ferita: nonostante l’impegno, non sa ancora
combattere ad un livello sufficiente nemmeno per eliminare i Level E.
Figuriamoci se può tenere testa a mio fratello».
«In effetti… Comunque, alla fine siamo
rimasti noi due, eh?» sghignazzò Zephyr.
«Sì, ma, se fossi in te, mi preparerei:
Alexander non è un tipo che aspetta» gli rispose Rossana ignorando l’ultimo
pezzo di quel che il vampiro aveva detto.
I due, scambiato uno sguardo d’intesa
con tanto di cenno col capo, con le spade in mano si gettarono contro
Alexander: uno sulla sua sinistra e l’altra sulla sua destra. Come tattica non
era affatto male, ma il rosso non era un vampire hunter alle prime armi, e
schivò i loro attacchi con un semplice balzo all’indietro.
«Non male il vostro piano d’attacco»
disse. «Peccato che fosse anche un po’ scontato. Gli attacchi frontali non sono
mai il massimo… dovreste saperlo».
«Come facevi a sapere che avevamo in
mente di attaccarti?» gli chiese Rossana, approfittando di quel momento in cui
tutti e tre erano in fase di stallo.
«Semplice: vi ho visti confabulare, e
voi quattro non vi siete mai parlati a quel modo. Anche un vampiro appena nato
sarebbe stato capace di intuire una cosa del genere» rispose lui facendo
spallucce.
«Saprai anche del nostro attacco ormai
non più a sorpresa, ma vedo che non hai nessun’arma con te» esclamò Zephyr.
«Ne sei sicuro… vampiro pivello?» gli
disse Alexander ghignando un attimo prima che un proiettile gli sfiorasse una
tempia, lasciandogli, come segno del suo passaggio, un lieve taglietto che
riuscì a rimarginarsi subito, nonostante la pallottola fosse d’argento.
«Adesso ho capito perché Kiryu-kun ha
portato via mia sorella. È stato furbo, non c’è che dire».
«Hmph. Non pensare che poi io, dopo
aver finito con te, non passi anche a lei…» fece Alexander stringendo di più il
dito sul grilletto, pronto a sparare di nuovo.
«E tu non pensare che io ti permetta di
fare quello che vuoi!» gli rispose Zephyr, mettendosi con le Scarlet incrociate
davanti.
«Ehi, non vi sarete dimenticati di me,
vero?» disse Rossana annoiata, visto che era stata messa in disparte dai due
contendenti, troppo presi l’uno dall’altro per accorgersi di lei.
Ma, come volevasi dimostrare, suo fratello
e quello di Aura la ignorarono ed iniziarono il loro scontro, senza esclusioni
di colpi: il vampiro ed il vampire hunter, oltre ad esser dannatamente seri, ci
andavano pesanti. Se ad un principiante sarebbe parso Zephyr quello in
vantaggio date le spade, un esperto avrebbe detto il contrario: Alexander,
grazie alla pistola, poteva non far avvicinare il vampiro, il quale, nonostante
fosse più agile, non poteva avvicinarsi, a meno che non decidesse di correre il
rischio di beccarsi qualche proiettile.
«Sì, a quanto pare si sono dimenticati
di me…» si disse da sola Rossana. «Ma ora glielo faccio vedere io, cosa succede
quando vengo lasciata in disparte!».
L’hunter dai capelli rossi si avvicinò
con fare minaccioso verso il fratello ed il vampiro, i quali continuavano ad
affrontarsi, ignari del suo arrivo, e, dato che continuava ad essere ignorata,
sparò ai piedi dei due combattenti, attirando, finalmente, le loro attenzioni.
«Rossana, ma cosa stai facendo!?» le
urlò il fratello.
«Due salti nel prato. Ma secondo te,
beota?» gli rispose lei seccata.
«Ehi, non vorrei interrompere questo
bellissimo ed interessante scambio di battute tra parenti, ma abbiamo
compagnia» disse Zephyr indicando gli alberi alla loro sinistra, da quali si
potevano intravedere dei bagliori rossi e si potevano udire degli sghignazzi.
«Level E» dissero insieme Rossana ed
Alexander, preparandosi all’imminente scontro.
Non molto lontano da loro, nei pressi
della residenza del Preside Cross, Zero stava continuando a trascinare con sé
una ricalcitrante Aura, che voleva affrontare Alexander assieme a Rossana e Zephyr.
«E lasciami andare!» gridò, cercando di
opporre resistenza.
«No» fu la risposta secca di Zero, che
continuò ad avanzare come se niente fosse.
«Lasciami!».
Il ragazzo si fermò di botto e la tirò
a sé, mentre con l’altra mano impugnò la Bloody Rose e la puntò di fronte a sé.
«Ma cos…?» fece per dire Aura.
«Level E» rispose breve lui.
«Ma come hanno fatto ad entrare?!».
«Ci penseremo dopo».
Il tempo di far finire la frase a Zero,
che due Level E, entrambi uomini, si gettarono su di loro, o meglio ci
provarono, venendo ridotti in polvere dai proiettili della Bloody Rose; dopo di
loro, altri ne arrivarono, accerchiandoli, esattamente come era successo ad
Alexander, Rossana e Zephyr, solo che loro erano in tre, mentre Zero era da
solo, visto che Aura non sarebbe potuta essergli di alcun aiuto.
Alla fine i due si ritrovarono con le
spalle contro la porta d’ingresso della residenza, col gruppo di Level E di
fronte, che sghignazzavano ripetutamente. La situazione era completamente a
sfavore di Zero, che, per quanto potesse combattere, non sarebbe mai riuscito
ad eliminarli tutti, dato che, come ne eliminava due, ne arrivavano subito
altri tre. Di questo passo, i Level E lo avrebbero sopraffatto e, insieme a
lui, anche Aura.
“Ci
sarà qualcosa che posso fare…” stava pensando la dampyr in quel momento, fino a quando la
sua attenzione non cadde sulla cannella ed il tubo ad essa attaccato alla sua
sinistra.
«Ehi, Zero» chiamò. «secondo te, un po’
d’acqua risolverebbe la situazione?».
«Cosa?».
«Aspetta».
Correndo il rischio di esser agguantata
da uno dei vampiri, Aura si gettò verso la cannella, aprendola il più
velocemente possibile e piegandosi per raccogliere il tubo, dal quale uscì un
forte getto d’acqua che indirizzò contro i Level E che si erano avvicinati,
spazzandoli via grazie alla potenza del getto.
Zero, vedendo che i vampiri di fronte a
lui furono colpiti da altri, si voltò verso la direzione da cui li aveva visti
volare, notando Aura con il tubo in mano.
«Non abbassare la guardia!» gli gridò,
puntando il getto d’acqua sopra la sua testa, spazzando via due Level E che
avevano tentato di attaccarlo dall’alto.
E così i due, uno armato di pistola e
l’altra con l’acqua, riuscirono a tener testa e ad eliminare il gruppo di
vampiri che li aveva attaccati, venendo raggiunti, poco dopo, anche dai due
Crowe e Zephyr, il quale smise di tormentare Rossana per vedere se la sorella
stesse bene.
«Sì, sto bene, Zephyr, ma ora
staccati!» esclamò esasperata Aura, che si era ritrovata il fratello
appiccicato ad un braccio.
«E lui sarebbe un vampiro?» disse
scettico Alexander, indicandolo.
Rossana sbuffò. «Ma non l’avete ancora
capito che quello lì è solo un moccioso che vuole le attenzioni della sorella
maggiore?».
Alexander ghignò e le mise una mano
sulla testa: «Mi ricorda tanto qualcuno di mia conoscenza quando si aggrappava
alle gambe altrui».
«Alexander, falla finita!».
I due Crowe iniziarono a punzecchiarsi
a vicenda, mentre i due Thanatos avevano appena finito di battibeccare; e fu
proprio Zephyr a parlare, non appena i due rossi si diedero un contegno:
«Questa comparsa di Level E in massa non mi piace…».
«Dev’essere per via di questi tre
giorni d’oscurità» disse Zero. «Non coinvolge solo i vampiri presenti
nell’Accademia».
«Per una volta, Kiryu-kun ha detto
qualcosa di sensato» disse Alexander annuendo, beccandosi un’occhiataccia da
parte del ragazzo citato.
«Menomale che domani è l’ultimo giorno!»
esclamò Aura.
«Già. Spero che il prossimo anno, se
proprio deve ripetersi, avvenga durante un qualsiasi periodo di vacanza, in
modo da essere lontani da qui. Come campo di battaglia, la Cross Academy non è
molto adatta…» disse Rossana.
«Bene, visto che è tutto finito, ognuno
può anche tornarsene al proprio dormitorio» fece Alexander, prendendo a
dirigersi verso l’edificio dove risiedevano tutti gli insegnanti della Day
Class. «Ah, un’ultima cosa» disse voltandosi. «domani, visto l’attentato di
oggi, interrogherò Zephyr-kun e la mia cara sorellina. A domani!».
E mentre il rosso andava via, Aura si
stava piegando in quattro dalle risate.
«Adesso è il vostro turno!» esclamò
indicando Rossana e Zephyr, ai quali la nuova situazione non andava giù.
«Ridi, ridi, che poi riderò io» le disse
Rossana arrabbiata.
«Per una volta non tocca a noi, vero,
Zero?» disse Aura rivolgendosi all’argenteo.
«A quanto pare…» replicò lui, prima di
avviarsi verso il Sun Dorm.
I tre rimasero a guardarlo mentre
andava via, poi anche loro si separarono, ma non prima che Zephyr, mentre Aura
era voltata, afferrasse Rossana e le mordicchiasse rapidamente il collo,
lasciandole il segno, dileguandosi prima che la rossa potesse reagire.
Quando Aura si voltò verso l’amica, la
vide ancora più arrabbiata di prima e con una mano sul lato destro del collo.
«Cos’hai, Rossana?» le chiese.
«Ho una voglia matta di uccidere tuo
fratello. Ecco cos’ho» replicò dura la rossa, mentre a grandi passi si dirigeva
verso il Sun Dorm, seguita da un’Aura confusa per la sua affermazione.
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Capitolo 19 *** Lengthy Night: Third One ***
cap 19
Capitolo XIX
Lengthy Night: Third One
Finalmente il terzo, ed ultimo, giorno
di oscurità era cominciato, con sommo rammarico da parte di tutte le ragazze
della Day Class e con estrema gioia da parte dei ragazzi. Anche Rossana avrebbe
esultato, se non fosse stata impegnata a ripassare etica per l’interrogazione e
contemporaneamente a maledire il fratello.
Zephyr, invece, faceva di tutto tranne
che guardare il libro aperto davanti a sé; ma alla fine, dopo aver ricevuto il
diario della sorella sul capo, si mise a leggere – per la prima volta – il
libro di etica.
«Che soddisfazione!» esclamò contenta
Aura, rigirandosi tra le dita la matita.
«Ti diverti con poco» le disse Zero.
«Eh, Zero, dici così perché non hai
provato a colpirlo con qualcosa! Se vuoi, puoi tirargli addosso il mio
astuccio… tanto Zephyr come bersaglio è perfetto!».
«Come sei crudele, sorella mia…» si
lamentò il povero ragazzo tirato in causa, voltandosi per guardarla in faccia e
ricevendo il suo astuccio dritto dritto sul naso.
«Riporta i tuoi occhi sul libro,
scansafatiche. Se ti volterai di nuovo, ti lancerò contro direttamente tutti i
libri che ho con me. E dopo li raccatterai, assieme al diario e l’astuccio».
Il povero Zephyr si vide costretto a
tornare con gli occhi sopra il libro, ma senza prendere in considerazione
quello che vi era scritto, perdendosi nelle sue varie macchinazioni ed
arrovellandosi sul perché Aura fosse diventata così crudele nei suoi confronti
di punto in bianco. Cosa le aveva mai fatto?
Le ore passarono con estrema rapidità
quel giorno e, con rammarico da parte di Rossana e Zephyr, arrivò l’ora del
professor Crowe, che i due avevano tentato di metter K.O. il giorno prima, non
riuscendovi a causa dei Level E.
Il rosso, appena arrivato, decise di
non perdere tempo ma, prima di iniziare con lo spennare le sue vittime del
giorno, prese delle piccole precauzioni, ben conscio che la sorella od il vampiro,
oppure entrambi, avrebbero potuto ricorrere a qualche stratagemma per avere la
risposta pronta: infatti, tolse loro i libri di etica; e mentre stava per
tornare alla cattedra, notò delle scritte sul palmo della mano della sorella,
che dovevano sparire subito.
«Thanatos-chan, potresti accompagnare
un attimo la tua compagna in bagno per togliersi quelle scritte carine che ha
sulle mani?» disse ghignando in direzione di Rossana, la quale aveva appena
perso il suo unico jolly per l’interrogazione-tortura.
Aura si alzò in piedi e rispose con un
classico «Sì, professore», mentre Rossana si alzava e la seguiva fuori
dall’aula, in direzione del bagno femminile, dove prese a strusciarsi le mani
con rabbia, oltre che con il sapone.
«Ma come ha fatto a beccarti?» le
chiese sconvolta Aura. «Nemmeno avesse la vista bionica!».
«Non lo so, ma so che ho perso la mia
unica possibilità di uscire viva dalla sua interrogazione!».
Aura rimase in silenzio fino a che
Rossana non finì di consumarsi le mani, poi, mentre quest’ultima le asciugava,
esclamò: «E se non tornassimo in classe?».
La rossa si voltò verso di lei con gli
occhi sgranati. «Ma stai scherzando, vero? Sai cosa succederebbe, se lo
facessimo!».
«Certo che lo so, ma si dà il caso che la
sottoscritta sia abituata ad essere costantemente interrogata da Alexander,
quindi il problema non si pone» replicò lei annuendo convinta.
«Eh, peccato che la sottoscritta subirà un’interrogazione doppia come punizione,
poi».
«Pazienza» disse Aura facendo
spallucce. «Dopotutto etica è una materia che non serve a nulla!».
«Su questo hai ragione».
Le due si guardarono un istante, prima
di scoppiare a ridere.
«Dai, allora andiamo: stiamo perdendo
tempo!» fece Aura portando una mano sulla maniglia della porta, intenzionata ad
andarsene.
«Aspetta! Come faremo ad uscire? Per
raggiungere l’entrata principale, dobbiamo passare per forza davanti alla
nostra classe…» disse Rossana fermandola.
«E noi non passeremo di lì, semplice!
Passeremo da una delle tante finestre! Dopotutto siamo al piano terra…».
Rossana si passò una mano sulla faccia.
«E tu vorresti gettarti da una finestra?».
Aura sghignazzò, facendole venire un
po’ di pelle d’oca. «Non è mica la prima volta che mi butto di sotto da una
finestra, neh. E poi, l’altezza che separa il suolo dalle finestre, rispetto a
quella del secondo piano del Moon Dorm, è nettamente inferiore, fidati».
«Per caso vuoi suicidarti?».
La corvina rise. «No. Prima di farlo,
sai, vorrei capire come mai tu, di punto in bianco, ti sia messa un cerotto sul
collo, quando so perfettamente che non hai né segni di morso né altro».
Rossana istintivamente coprì la parte
del collo interessata, assumendo una leggera tonalità di rosso ed aggrottando
la fronte. «Non te lo dico».
«Bah, fai come vuoi: tanto lo scoprirò
lo stesso» disse Aura facendo spallucce ed uscendo dal bagno, dirigendosi verso
la prima finestra che ritenne adatta.
Rossana rimase un attimo ferma dov’era
con la mano sempre sul collo, imprecando tra sé e sé contro il fatto che il
segno del succhiotto di Zephyr fosse ancora ben vistoso; poi uscì dal bagno e
raggiunse Aura, che aveva già spalancato la finestra nel frattempo e si stava
preparando al “lancio”.
«Ti davo per dispersa» le disse mentre
continuava a guardare verso il basso.
«Nemmeno due secondi sai aspettare».
«Non è vero! Ci hai messo più di due
secondi».
«Due minuti…?».
Aura sbuffò. «Adesso non importa: io
vado».
La dampyr si gettò giù dalla finestra,
atterrando con le mani in avanti, che poggiò a terra; si alzò lentamente,
controllando di non aver riportato danni e scuotendo le mani, ed alzò la testa
verso la finestra, da dove una sconcertata Rossana la stava fissando.
“Ma
come diavolo ha fatto?!”
si chiese quest’ultima, ancora più perplessa.
«Forza, Sana, datti una mossa! Se
Alexander manderà Zero a cercarci, sarà la fine! Quello ci beccherebbe subito…»
le urlò Aura.
«Arrivo!».
Cercando di non preoccuparsi
dell’altezza, Rossana saltò di sotto, atterrando allo stesso modo di Aura ed
alzandosi poco dopo, sentendosi le gambe un po’ scombussolate per
l’atterraggio.
«Ma come fai tu?» chiese ad Aura.
«A fare cosa?» le chiese lei confusa.
«A gettarti di sotto così, e senza
sentirti distrutta».
La dampyr fece spallucce. «Beh, tieni
conto che, la prima volta che mi calai giù da una finestra, finii col culo
appiccicato al suolo… E che botta che fu».
Rossana si passò una mano sulla faccia
e rise, immaginandosi l’amica col sedere piantato a terra.
«Ed ora cosa facciamo? O meglio: dove
andiamo? Non possiamo di certo rimanere qui! In quel caso, tanto varrebbe
mettere un cartello luminoso con scritto: “Emerite spastiche che hanno tentato
la fuga dalla scuola, ma che sono troppo coglione per allontanarsi”!» esclamò
rivolgendosi ad Aura.
«Mmm… visto che non c’è nessuno, io
direi di tornarcene al Sun Dorm» disse quest’ultima.
«In effetti, non ci sono altri posti
dove nascondersi qui, eh…».
«Allora, aggiudicato il Sun Dorm.
Andiamo!».
E così le due presero a correre in
direzione del loro dormitorio, raggiungendolo nell’esatto momento in cui le
lezioni finirono; si erano rintanate nella loro stanza, anche se ciò le avrebbe
protette poco dalla possibile vendetta di Zephyr ed Alexander, i quali, con
molte probabilità, non appena avrebbero messo piede fuori dal dormitorio, avrebbero
fatto pagare loro la fuga strategica.
Adesso, Aura e Rossana si trovavano sui
rispettivi letti, cercando di non pensare a quello che le avrebbe aspettate
domani.
«Neh, Sana!» esclamò Aura tirandosi su
di scatto.
«Cosa c’è?».
«Abbiamo lasciato tutta la roba in
classe…!».
La rossa rimase in silenzio, per poi
corrugare la fronte. «Abbiamo fortuna: domani è domenica, quindi potremo andare
a prendere il tutto senza preoccuparci di possibili “scocciatori”».
Aura si diede un colpetto sulla fronte.
«Ma perché non ci ho pensato prima?».
«Perché sei una nana stupida, ecco
perché» replicò Rossana, ridendosela.
«Hmph. Ha parlato quella che si lamenta
per un semplice saltello giù da una finestra…».
Le due si guardarono di sbieco, prima
di lasciar perdere e stravaccarsi sul letto, cercando di riposarsi un po’: ne
avrebbero avuto bisogno.
«Dove stai andando, Thanatos?» chiese
Zero a Zephyr, il quale si voltò verso di lui con uno sguardo seccato.
«Dove vuoi che vada, Kiryu? Non sono
mica come te, che non è capace di decidersi tra due ragazze». Il vampiro
sghignazzò. «Comunque, parlando seriamente, sto andando a portare questi
oggetti smarriti alle rispettive proprietarie» aggiunse sollevando due borse.
Ma a Zero non piaceva lasciarlo andare
da solo, e così, senza dire nulla ovviamente, si aggregò al giovane vampiro, il
quale, nonostante avesse capito che non se lo sarebbe scollato di dosso
facilmente, non si preoccupò minimamente della presenza dell’hunter: sapeva
come farlo allontanare.
Il giovane vampiro dagli occhi rossi si
diresse verso il Sun Dorm il più lentamente possibile, prendendosela con comodo
e calma, anche se questa era la sua ultima occasione per poter girare
liberamente, visto che da domani in poi il sole sarebbe tornato a farsi vedere,
mentre Zero continuava a seguirlo, senza perderlo di vista. Alla fine, giunti
finalmente nei pressi del suddetto dormitorio, verso di loro corse Yuuki, la
quale salutò Zephyr ed afferrò Zero per un polso, trascinandolo via per il
fatto che, anche se la Night Class adesso seguiva le lezioni assieme a loro,
andava comunque controllata ma, soprattutto, dovevano tenere lontano la massa
di ragazzine adoranti e sbavanti.
E fu così che Zephyr si ritrovò da solo
come aveva pianificato e desiderato, alla faccia del povero Zero, che non si
aspettava un simile piano.
“Bene,
eliminato il primo. Adesso non mi resta che metter fuori la seconda, ma solo
per poco” si disse
mentre varcava l’entrata del dormitorio della Day Class, attirando sguardi
sognanti e sospiri e gridolini. Voltandosi leggermente verso destra, vide una
ragazzina, bassa con gli occhiali e dai capelli castano scuro legati in una
coda di cavallo, che lo fissava; un suo solo sguardo, indirizzato a lei, la
fece arrossire ed abbassare lo sguardo, imbarazzata.
Mentre il resto delle ragazze presenti
era troppo presa dal tempestare di domande la piccoletta, lui ne approfittò per
sgusciare dentro il dormitorio, passando indisturbato per le varie scale e
corridoi, giungendo infine di fronte alla porta della camera delle sue due
vittime – predestinate – della giornata.
Passò la borsa che teneva nella mano
destra in quella sinistra e, ora che aveva una mano libera, bussò alla porta,
sperando che le due ragazze fossero sveglie: non gli sarebbe piaciuto aprire ed
entrare con la forza.
Prima di riprendere l’altra borsa,
aspettò di ricevere risposta dall’altra parte, che non attardò ad arrivare.
«Chi è?» chiese una voce leggermente
assonnata.
“Forse
stavano veramente dormendo”
si disse lui, prima di rispondere, scherzosamente: «Servizio in camera».
«Cos… Cosa? Mi sa tanto che ti sei
bevuto il cervello, chiunque tu sia» disse la voce dall’altra parte, mentre si
udiva il rumore di una chiave che girava.
Quando la porta fu aperta, rivelando
un’Aura più addormentata che sveglia, Zephyr sorrise e fece vedere le borse,
dicendo: «Sono venuto a riportare queste, che qualcuno ha lasciato durante una fuga alquanto precipitosa».
«Mh, grazie» mugugnò la sorella,
allungando una mano con il chiaro intento di prendere le proprie cose e quelle
di Rossana e tornare a dormire.
Peccato che il fratello non fosse della
stessa idea: allontanò le borse e fece in modo che lei lo guardasse negli
occhi, permettendogli di ipnotizzarla e farla crollare addormentata tra le sue
braccia.
“Sistemata
anche l’ultima. Ora non mi resta che occuparmi della parte più importante” pensò Zephyr, mentre varcava la soglia
della camera con la sorella addormentata in braccio; una volta che l’ebbe
posata sul proprio letto, si voltò verso l’altra abitante della camera, che lo
stava fissando truce, anche se il sonno velava un po’ il suo sguardo, facendola
apparire tenera, nonostante la pistola che aveva in mano distruggesse tale
aspetto.
«Non osare muoverti da dove sei» gli
intimò Rossana, facendo ben capire che aveva il dito sul grilletto, pronta a
sparare in ogni momento.
Zephyr sorrise. «Se mi muovessi, cosa
mi faresti? Sentiamo» la provocò, mentre posava a terra le borse, liberandosi
finalmente le mani.
«Ti sparerei seduta stante, magari
centrandoti il cervello o il cuore, eliminandoti subito».
Lui fece spallucce. «Dubito che ci
riusciresti».
«Vogliamo provare?» fece lei seria.
«Se ti senti così sicura… ma il rumore
degli spari non potrebbe attirare attenzioni indesiderate…?».
Rossana, a questo, sul momento non ci
aveva minimamente pensato, presa com’era dal cercare di tenere lontano il
vampiro da sé. Sarà stato anche il fratello di Aura, ma ciò non cambiava il
fatto che le fosse sempre addosso, come un avvoltoio in attesa della morte del
povero animale agonizzante, che di lì a poco sarebbe diventato il suo pasto.
Vedendo il suo attimo di esitazione,
Zephyr, veloce, non esitò ad avvicinarsi a lei e toglierle di mano la pistola,
buttandola a terra e lontana dalle sue mani, prima di afferrarle entrambi i
polsi ed inchiodarla al letto.
«Te l’avevo detto che non ci saresti
riuscita» le disse, mentre lei si dimenava, inutilmente, per liberarsi dalla
sua presa.
«Dannato!» gli gridò contro.
Mentre Rossana si dimenava sotto di
lui, Zephyr, con l’altra mano libera, tolse il cerotto che lei aveva sul collo,
dove vi era ancora presente il segno di quel rapido succhiotto che le aveva
fatto.
«Devo dire» iniziò. «che, nonostante
l’avessi fatto velocemente, è venuto piuttosto bene. Inoltre si vede
benissimo!».
«Mica te l’ho chiesto, né tantomeno lo
volevo!» ribatté Rossana, piegando il collo di lato per nasconderlo, venendo
bloccata da Zephyr, il quale le prese il mento e la fece voltare di nuovo.
«Non ti voltare, che è carino. Non ti
sta male, sai?» disse lui ghignando.
«Aspetta che mi liberi, e vedrai come
troverai carino il proiettile con cui ti farò diventare cenere!» esclamò
Rossana, adirata.
Zephyr scosse la testa. «Ti ho già
detto che è inutile: non ci riusciresti».
«E cosa te lo fa credere? Sentiamo».
Il vampiro sorrise, prima di abbassarsi
e portare le sue labbra sul lato sinistro del collo di Rossana, inspirando
l’odore della sua pelle e del sangue che scorreva sotto di essa. Inspirò a
fondo, poi estrasse i suoi canini affilati e li conficcò nel collo, iniziando a
bere quel sangue che bramava da un po’; sotto di sé la ragazza si muoveva,
cercando di mandarlo via come se fosse stato una zanzara fastidiosa, ma era del
tutto inutile, visto che Zephyr bevve fino a quanto volle, ma senza indebolirla
troppo: non aveva ancora finito.
«Non pensare che sia finita qui, mia cara
rossa…» disse, mentre si leccava il sangue che aveva sulle labbra, prima di
passare anche all’altro lato del collo, mordendo nello stesso punto dove aveva
lasciato il succhiotto.
Man a mano che il vampiro si nutriva, più
le forze abbandonavano la ragazza, la quale, lentamente, smise di opporre
resistenza e contorcersi per liberarsi; a quel punto Zephyr sapeva di aver
raggiunto l’obiettivo, e si staccò dalla sua gola, leccando i segni dei morsi
che le aveva lasciato, portando via quelle due o tre gocce di sangue che erano
scappate; ma avrebbe infierito un altro po’: prese a baciarla, partendo dalla
base del collo fino ad arrivare alla mascella.
Sorrise, compiaciuto di esser arrivato
dove voleva, e forse anche oltre, mentre s’impadroniva delle labbra di Rossana,
in seguito anche della sua lingua, intrappolandola in un bacio profondo e
passionale. E mentre la baciava, con l’unica mano libera, la sinistra, apriva
uno ad uno i bottoni della maglia del pigiama di lei, la quale, resasene conto
quando ormai aveva smesso, riprese un po’ della sua tempra ed iniziò nuovamente
a dimenarsi, sia per impedire a Zephyr di fare qualunque cosa avesse in mente,
sia per interrompere il bacio, dato che stava iniziando a mancarle l’aria.
Alla fine il vampiro, ricordandosi che
la sua partner era umana e che aveva bisogno di respirare, lasciò andare le sue
labbra, permettendole di riprendere fiato; e mentre lei faceva dei rapidi e
brevi respiri, lui prese nuovamente a baciarle il collo, ma stavolta in senso
opposto alla volta precedente, scendendo fino alle spalle e fino all’incavo tra
i seni, dove vi lasciò un piccolo morso, indicato dalla presenza di due piccoli
puntolini rossi.
Quando lei lo guardò male coi suoi
occhi verdi, lui sorrise e sostenne il suo sguardo carico d’ira, e con voce
sensuale le disse: «Quando ti sveglierai, non ti ricorderai nulla, tranne il
fatto che, dopo che il sottoscritto vi ha lasciato le borse, è arrivato Zero
Kiryu, che ti ha fatto tutto questo. Ed ora dormi, mia cara rossa».
Zephyr aspettò che Rossana chiudesse
gli occhi, prima di lasciarle i polsi e controllare rapidamente la sorella, per
poi andarsene, chiudendo dietro di sé la porta della camera ed uscendo dal Sun
Dorm passando attraverso la finestra presente alla fine del corridoio, alla sua
sinistra.
Mentre lui se ne andava, camminando tra
le ombre in direzione del Moon Dorm, Zero, il quale aveva percepito odore di
sangue, si stava dirigendo a corsa verso il luogo da cui lo sentiva provenire,
finendo di fronte alla porta della camera di Aura e Rossana; sapeva
perfettamente che non era stata la prima ad esser stata morsa, visto che
l’odore del suo sangue lo conosceva anche fin troppo bene, quindi non c’erano
altri dubbi per lui: era Rossana ad esser stata morsa.
E con questo, dichiaro ufficialmente
finito il periodo d’oscurità! Chi vuole festeggiare, lo faccia adesso, perché le
cose stanno per diventare piuttosto movimentate… E no, non sto scherzando.
Ah, Zephyr stasera non si farà vivo, perché
è troppo intento a dondolare avanti e indietro dall’estasi come un idiota… ¬¬
Alla prossima!
Yuna.
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Capitolo 20 *** The Guilty Vampire Hunter ***
vk 20
Capitolo XX
The Guilty
Vampire Hunter
Il
vampire hunter dai capelli argentati si trovava con la mano ferma sulla
maniglia della porta, indeciso se entrare o no. Il fatto che non fosse stata
Aura ad esser morsa lo tranquillizzava, ma l’odore di sangue che sentiva gli
faceva l’effetto contrario.
Alla
fine si decise, ed aprì quella maledetta porta, lasciandola aperta ed entrando
nella stanza, rimanendo paralizzato sul posto a causa della scena che gli si
parò davanti: Rossana, con la maglia del pigiama aperto e con tre segni di
morsi sul corpo, pallida come non mai – quasi da battere il bianco del lenzuolo
e del cuscino, macchiati di sangue, e di quello delle pareti –, che dormiva
così come stava facendo Aura, come se le due non si fossero minimamente accorte
di aver avuto una visita.
«Zephyr
Thanatos» mormorò a denti stretti Zero.
Coprendosi
il naso con una mano, anche se sarebbe servito a poco, visto che riusciva comunque
a sentire l’odore del sangue, si avvicinò a Rossana per vedere le sue
condizioni; si chinò su di lei, osservando i segni dei tre morsi, ma un
sussulto, proveniente dalla porta dimenticata aperta, lo fece voltare,
spalancando gli occhi in seguito: Yuuki lo stava fissando, terrorizzata.
«Yuuki…» mormorò lui, mentre lei scosse
la testa e corse via.
La ragazza aveva pienamente frainteso
quel che era successo, ma ormai sarebbe stato impossibile farle capire che,
quando Zero era arrivato lì, Aura e Rossana erano già in quelle condizioni: il
vero colpevole era un altro!
E mentre Yuuki se la dava a gambe col
terrore negli occhi, Zero non sapeva cosa fare: inseguirla, o portare Rossana
in infermeria? Doveva agire subito, se non voleva che la situazione gli sfuggisse
di mano; ed alla fine decise di inseguire Yuuki per fermarla e dirle che lui
non c’entrava nulla: sarebbe tornato da Aura e Rossana subito, non appena
avrebbe chiarito la situazione.
Fuori dal Sun Dorm, nello stesso
istante in cui avveniva l’inseguimento tra Zero e Yuuki, Zephyr, per coprire
l’odore di sangue che aveva, stava correndo in direzione del dormitorio proprio
per crearsi un alibi e per incastrare meglio Zero, e passò davanti ai due,
facendosi vedere e dicendo che aveva sentito odore di sangue.
Lasciati il vampire hunter e l’umana
fuori a discutere, Zephyr tornò sulla scena del delitto, sorridendo compiaciuto
per la sua opera; si sedette accanto ad Aura e fece in modo che si svegliasse,
per poi “convincerla” del fatto che dietro a tutto questo vi fosse Zero, poi prese
in braccio Rossana e percorse a ritroso la strada fatta, passando nuovamente
davanti ai due litiganti e dicendo loro che stava portando la ragazza in
infermeria.
«Fermo un attimo, Thanatos» lo chiamò
Zero, costringendosi a fermarsi ed a voltarsi.
«Cosa vuoi, Kiryu? Non so se lo vedi,
ma sono un po’ di fretta».
«Aura come sta?» gli chiese analizzando
ogni suo minimo gesto.
Sapeva che c’era Zephyr dietro a tutto
questo, ma, adesso che stava facendo il finto salvatore, non avrebbe potuto
puntargli un dito contro e dire che era il colpevole: nessuno gli avrebbe
creduto.
«È successo qualcosa anche a lei?»
chiese Yuuki guardando Zero.
«No, fortunatamente mia sorella sta
bene: dorme. Sembra che il fautore di tutto questo abbia preso di mira solo
Rossana».
«Com’è possibile?» chiese, preoccupata,
Yuuki, guardando prima Zero e poi Zephyr.
«… Non lo so. Adesso, scusate, ma porto
Rossana in infermeria» disse quest’ultimo andandosene via velocemente, con lo
sguardo di Zero addosso fino a che non uscì dal suo raggio visivo.
Zephyr, raggiunta la sua destinazione,
posò Rossana su uno dei tanti letti presenti e si sedette sulla sedia accanto,
mettendole una mano sulla guancia e fingendo di essere preoccupato, qualche
volta fosse visto da qualcuno. Di lì a poco, lo sapeva, sua sorella si sarebbe
risvegliata e, se la fortuna era dalla sua parte, Zero e quell’altra stupida
palla al piede sarebbero stati lì al momento del suo risveglio, e ciò avrebbe
significato solo una cosa: la falsa colpevolezza di Zero sarebbe venuta a
galla.
Mentre era lì che s’immaginava i
possibili risvolti che gli eventi avrebbero potuto prendere, arrivò la
dottoressa, la stessa che aveva rimesso in sesto Rossana ed Aura prima delle
vacanze di Natale quando erano state morse, che, dopo aver guardato prima lui e
poi la povera vittima sul letto, disse: «Per caso, hai qualcosa da dirmi?».
«Cosa intendi dire?» le chiese Zephyr.
«Ah niente… piuttosto, devo chiederti
di uscire».
«Ok».
Zephyr si alzò ed uscì dalla sala come
gli era stato chiesto, mantenendo sulla sua faccia l’espressione preoccupata,
anche se, in realtà, non aveva bisogno, visto che sapeva perfettamente che
Rossana stava bene, seppur un po’ indebolita per la leggera mancanza di sangue.
Poggiò la schiena contro la parete
vicino alla porta dell’infermeria ed incrociò le braccia sul petto, in attesa
che quella donna ambigua finisse di fare quello che era di dovere e gli
permettesse di tornare dentro, al fianco della sua rossa.
E mentre lui era in attesa, Zero, con
Yuuki al suo seguito, era andato a vedere se Aura si fosse svegliata,
trovandola, per sua fortuna, ancora addormentata.
«Chi può essere stato a fare tutto
questo?» chiese Yuuki, sconvolta, guardando il sangue che macchiava il letto di
Rossana.
Lo sguardo di Zero s’indurì. «È stato
Thanatos».
«Il fratello di Aura…? Ma non è
possibile! L’hai visto correre verso il dormitorio anche tu: è impossibile che
sia stato lui!».
«È venuto qua dopo le lezioni per
riportare le borse ad Aura e Rossana. Non te lo ricordi?».
«Ah già, è vero! Come ho fatto a scordarmene?»
esclamò Yuuki sbattendosi una mano sulla fronte. «Comunque non riesco ad
immaginarlo come il possibile colpevole…».
Zero sospirò e, quando si voltò verso
Aura, la vide sveglia: lo stava fissando con gli occhi sgranati.
«Tu…» mormorò lei, indicandolo.
«Cosa?».
«Sei stato tu!».
«A fare cosa?» le chiese Zero, anche se
aveva la strana sensazione che si riferisse a quanto accaduto a Rossana.
«Sei stato tu a… a…» fece per dire
Aura, venendo distratta da Yuuki, che le chiese: «Uhm… Aura-chan, potresti dirci
cosa è successo, se lo sai? Dopotutto ti abbiamo trovato che dormivi, forse non
sai…».
«Sì, qualcosa so, Yuuki» tagliò corto lei.
«Davvero?» chiese l’altra allegra,
pensando di aver trovato colei che avrebbe rivelato l’identità del misterioso
aggressore.
«So solo che lui» disse Aura indicando
Zero. «ha bussato alla porta e poi mi ha fatto perdere i sensi. Di quello che è
successo dopo, purtroppo, non ne so nulla…».
Yuuki guardò Zero, il quale stava
fissando Aura, che lo stava fissando di rimando, arrabbiata.
«Ma… dai, non può essere Zero!» disse
Yuuki come se fosse stata una cosa da nulla.
«È stato tuo fratello» disse Zero ad
Aura, la quale alzò un sopracciglio.
«Forse non ero molto sveglia quando sei
venuto, ma, sappilo, tra te e mio fratello ce ne sono di differenze, sia
fisiche che mentali, quindi non ci sono dubbi: eri tu, Zero».
«Però» iniziò Yuuki. «quando sono
venuta qua, ti ho trovato e visto in questa stanza, Zero, anche se dopo mi hai
spiegato tutto».
Con ciò che diceva Aura, ed ora anche con
quello che aveva detto Yuuki, i riflettori erano puntati solo ed esclusivamente
su Zero, il quale, lo sapeva perfettamente, non era il colpevole. Quello vero
era ancora a piede libero, ma, soprattutto, non era sospettato affatto, dato
che aveva giocato tutte le carte e mosse possibili per crearsi un alibi di
ferro.
Non erano nemmeno passate ventiquattro
ore che quasi tutti, alla Cross Academy, sapevano che a Rossana Crowe era successo
qualcosa. Ovviamente, onde evitare confusione, agli studenti e professori della
Day Class era stata detta una versione, mentre a quelli della Night Class
un’altra, soprattutto per quanto riguardava il possibile colpevole e la
modalità con cui era avvenuta l’aggressione.
Com’era logico che fosse, l’attenzione
era su di Zero, l’unico ad esser stato visto sulla scena del “delitto”, e che adesso
si trovava confinato nella propria camera. Invece Zephyr, nonostante qualcuno
avesse dei sospetti su di lui, si comportava come al suo solito; la sua recita
era ben fatta, non c’era che dire.
I vari sospetti e dubbi, però, furono
tutti quanti confermati non appena la vittima, Rossana, si svegliò, indicando
subito come colpevole Zero, il quale non trovò protezione nemmeno in Yuuki,
dato che lei, non appena aveva detto di averlo visto nella camera chino sopra
Rossana, aveva appena aggiunto l’ennesima prova della sua colpevolezza.
«Kaname, tu dici che sia stato
veramente Kiryu?» chiese Takuma.
«Le prove e quanto detto da Rossana,
Aura e Yuuki dicono di sì, ma credo che vi sia dell’altro dietro» ripose
Kaname, voltandosi verso il biondo.
«Sembra tutto organizzato per incolpare
Kiryu».
«Esatto. E questo non mi piace:
chiunque vi sia dietro, ha curato tutto in ogni minimo dettaglio».
«Quindi, Kaname, cosa hai intenzione di
fare?» chiese infine Takuma.
Il vampiro purosangue afferrò un pezzo
degli scacchi e se lo rigirò tra le dita. «Indagare e trovare chi si nasconde
dietro tutto questo».
La decisione era stata presa, ma questo
non cambiava il fatto che Zero fosse stato confinato nella propria camera,
impossibilitato a fare qualsiasi cosa, persino seguire le lezioni. Nel
frattempo Aura era assieme a Rossana, la quale non osava sfiorare né vedere i
cerotti che si trovavano sui segni dei morsi.
«Sai» disse ad Aura. «non riesco a
credere che Zero abbia fatto una cosa simile!».
«Già, nemmeno io» rispose Aura, abbattuta.
Le due rimasero un po’ in silenzio, con
il solo ticchettio dell’orologio vicino alla porta a farle compagnia. Mentre
una si fissava le mani ed il lenzuolo bianco sotto di esse, l’altra fissava con
insistenza il pavimento, con la fronte corrugata.
«Mh, io dico che c’è qualcosa che non
mi torna» disse Aura, senza perdere la sua espressione pensierosa.
«E cos’è che non ti torna?» le chiese
Rossana.
«Sappiamo entrambe che è stato Zero –
dopotutto lo dici tu –, ma i segni dei morsi non sono affatto profondi come lui
è solito fare. Questo fatto è strano, non trovi?».
Rossana parve riflettere su quanto
detto dall’amica, ritrovandosi ad essere d’accordo con tale fatto.
«Ma non è che potrebbe averli fatti
meno profondi per evitare di dissanguarmi?».
Aura si portò una mano sotto il mento,
pensierosa. «Potrebbe darsi, ma, fidati, i morsi di Zero non sono soft come
quelli che potrebbe darti uno della Night Class… Lui si limita ad affondare i
denti e stop. Ah, nota bene: affondare, non inserire».
«Allora, in questo caso… Aspetta,
facciamo mente locale, prima» esclamò Rossana.
«Dunque…» iniziò Aura. «Noi stavamo
dormendo; qualcuno ha bussato alla porta ed io sono andata ad aprire, scoprendo
che era mio fratello con le nostre borse, poi, dopo… dopo… Dopo cosa è successo?
Ho una sorta di vuoto!».
«Mh, l’ho anch’io: mi ricordo fino a
quando apri la porta a Zephyr. Poi, sul come sia comparso Zero, proprio non mi
ricordo nulla».
«Quindi… questo vuol dire che…».
«Questo vuol dire che c’è qualcosa che
non quadra e che, con molte probabilità, Zero non c’entra nulla in tutto
questo!» concluse Rossana.
Aura annuì convinta, prima di assumere
nuovamente un’espressione pensierosa, quasi preoccupata, questa volta.
«Ma facendo conto che non sia stato
lui… Allora, il vero colpevole chi è?».
Lei e Rossana si guardarono negli
occhi, e non ebbero bisogno di aggiungere altro, se non un nome, dato che
avevano collegato il tutto, anche se, per il momento, non avevano prove a
sufficienza per dire che il colpevole non fosse Zero.
«Zephyr»
mormorarono in contemporanea.
Il vampiro in questione si trovava
nella propria stanza, dentro il Moon Dorm, intento a guardare fuori dalla
finestra, quella stessa finestra dalla quale Aura guardava fuori e si era
calata giù tempo addietro. Adesso, Zephyr sapeva che avrebbe dovuto mantenere
un profilo basso, se voleva evitare di esser scoperto e punito al posto di
Zero: un solo passo sbagliato, e Kaname lo avrebbe scoperto.
Spostando il suo sguardo sul vaso
contenente le rose, si accorse che solo una era rimasta viva, quella bianca,
mentre tutte le altre erano appassite. “Cosa
significa ciò?” si chiese, prendendo la rosa in mano ed osservandola. “Bianco… non mi è mai piaciuto” pensò
mentre assumeva un’espressione irritata e distruggeva il fiore, facendo
sparpagliare i petali ovunque.
«Che noia…» disse appoggiando la
schiena contro la parete e riportando il suo sguardo oltre il vetro della
finestra. «Per quanto dovrò aspettare?».
Due giorni erano passati
dall’aggressione, e la vita scolastica aveva ripreso a scorrere come sempre,
anche se non per tutti: Rossana non aveva ancora ripreso a seguire le lezioni,
ed Aura le faceva compagnia; Zero era ancora confinato nella sua camera, che
era diventata offlimits; ed Alexander, che al momento dell’aggressione non si
trovava alla Cross Academy, era avvolto da un’aura nera e, se il vampire hunter
accusato fosse stato a piede libero, lui l’avrebbe pestato a sangue.
Nel frattempo le indagini di Kaname,
col supporto di Takuma, continuavano, ma, man a mano che il tempo passava, le
prove d’accusa nei confronti di Zephyr sparivano, mentre quelle a carico di
Zero aumentavano. Nonostante il purosangue non fosse in rapporti amichevoli col
vampire hunter dai capelli argentati, vederlo condannato per qualcosa che – ormai
ne aveva la certezza, anche se le prove scarseggiavano – non aveva fatto non
gli piaceva. E poi, se non ci pensava lui a controllare i vampiri presenti alla
Cross Academy, chi l’avrebbe fatto?
«Credo che, a questo punto» disse
Takuma. «sarebbe il caso di parlare con Aura-chan e Rossana-chan, no, Kaname?».
«Sì… Vai pure, Ichijo».
Il vampiro biondo annuì ed uscì dalla
stanza del purosangue, recandosi in seguito fuori dal Moon Dorm e dirigendosi
verso quello della Day Class, attirando gridolini, sospiri e versi
incomprensibili da parte di tutte le ragazze che incontrava lungo la strada.
Quando giunse nei pressi del Sun Dorm, tutti quei versi ed occhiatine, che lo
avevano accompagnato per tutto il tragitto, aumentarono a dismisura, ma lui si
limitò a sorridere come sempre, stendendo a terra molte ragazzine.
Non sapendo dove si trovasse la camera
di Aura e Rossana, Takuma fermò una delle tante ragazze che passavano di lì e
le chiese dove si trovasse la suddetta camera. Ottenuta l’informazione che gli
serviva, salutò la castana con un sorriso e si diresse verso la prima rampa di
scale che trovò, recandosi al secondo piano.
La camminata di Takuma si arrestò
davanti ad una porta, quella della camera che stava cercando. Bussò due volte
ed attese che una delle due persone che si trovavano all’interno della stanza
aprisse. Dopo qualche minuto d’attesa, udì la maniglia scattare e vide la porta
aprirsi, rivelando un paio di occhi rossi che si spalancarono dalla sorpresa
non appena lo videro; lui, dal canto suo, si limitò a sorridere allegro,
causando una reazione in Aura che disse, mentre apriva la porta per farlo
entrare: «Quel sorriso emette troppa luce: mi dà noia».
«Oh, Aura... possibile che tu debba
sempre uscire con frasi del genere?» disse Rossana con una mano sulla faccia.
Takuma entrò e chiuse dietro di sé la
porta, continuando a sorridere e causando un moto di stizza ad Aura, che cercò
di non darlo a vedere chiedendo: «Allora… per quale motivo sei venuto,
Ichijo-senpai?».
«Sono venuto per chiedervi di
raccontarmi nuovamente quello che è successo. So che vi è stato chiesto già
tante volte, ma…».
Rossana lo interruppe, dicendo: «Non
abbiamo nulla da aggiungere a quello che già sapete».
Ed Aura aggiunse: «Ehi, Sana, forse non
dovremmo dirgli anche quello che abbiamo pensato? Dopotutto, se è venuto fin
qua, vuol dire che – almeno credo – stiano indagando o simile. Non lo pensi
anche tu?».
La rossa sospirò. «E va bene, glielo
diciamo, anche se credo che non servirà a nulla»..
«Dirmi cosa?» chiese Takuma, guardando
vagamente confuso lei e l’altra.
«Inizi tu?» chiese Aura guardando
Rossana, che fece cenno di no.
«No, Aura. Visto che sei tu che hai
dato inizio a questa questione, è giusto che sia tu la prima a parlarne».
La dampyr abbassò il capo, leggermente
rassegnata, e prese la parola, sperando di non dover ripetere poi: «Quando
Rossana era ancora in infermeria, guardando meglio i segni dei morsi, mi sono
resa conto che non sembravano affatto esser stati fatti da Zero».
«Come fai a dirlo?» le chiese Takuma.
«Beh, visto che sono stata morsa da lui
ben due volte, se non erro, mi è facile rispondere: i suoi segni sono più
profondi, dato che lui affonda i canini e via. Con questo non dico che faccia a
brandelli il collo, ma solo che con i denti va molto a fondo nella pelle».
«In effetti, nessuno aveva preso in
considerazione questo fatto».
«Quindi» la parola passò a Rossana. «ne
abbiamo dedotto che Zero non c’entrasse nulla con la faccenda, e che si trovava
nel posto sbagliato al momento sbagliato. Però, anche se la nostra ipotesi
fosse vera, il vero colpevole è ancora in giro, libero ed impunito».
«A tal proposito, lasciatemi dire –
anche se non dovrei –, che io e Kaname stiamo indagando, visto che le modalità
della faccenda non ci convincevano, e che sospettiamo di un certo vampiro»
proferì Takuma.
«Zephyr» dissero all’unisono Aura e
Rossana, stupendo il vampiro biondo.
«Come facevate a sapere che il vampiro
in questione è proprio lui?» chiese, sorpreso.
Le due si scambiarono uno sguardo
d’intesa e dissero: «Perché ci avevamo già pensato».
Takuma sorrise. «Siete state scaltre,
non c’è che dire».
Aura e Rossana ghignarono, poi la
seconda chiese: «Ma se anche Kaname-senpai ha dei sospetti, come mai Zephyr è ancora
a piede libero?».
Il biondo sospirò. «Purtroppo, più il
tempo passa, più perdiamo quei pochi indizi che abbiamo su di lui, mentre
quelli che abbiamo su Kiryu-kun aumentano. Se è stato veramente Thanatos-kun,
allora ha progettato tutto quanto con estrema precisione».
Le due ragazze parvero un po’ depresse,
ma Takuma aggiunse, con uno dei suoi sorrisi migliori: «Ma sappiate che anche
il piano più preciso ha delle falle. E noi le troveremo».
Detto questo, il vampiro biondo si alzò
e salutò Aura e Rossana, tornandosene al Moon Dorm per aggiornare Kaname con le
ultime novità, mentre le ragazze presero a discutere sulla possibile riuscita
del piano per stanare Zephyr.
«Ehi, Aura…» fece Rossana, attirando
l’attenzione della dampyr, che la guardò confusa.
«Cosa c’è?» le chiese.
«Nel caso in cui Zephyr venisse
smascherato, e di conseguenza punito, in base alla punizione che gli verrà
data, cosa faresti?» chiese la rossa.
Aura si sdraiò sul letto ed accavallò
le gambe. «Beh, sarà anche mio fratello, ma non è che mi senta così premurosa
nei suoi confronti da preoccuparmi o struggermi se venisse punito».
«Allora cosa farai?».
«Semplice: lo guarderò mentre sconterà
la sua punizione, qualunque essa sarà. Deve pagare per quello che ha fatto,
punto. Non ci sono sconti di pena solo perché è mio fratello, o perché è un
vampiro nobile» replicò, dura, Aura.
«Che sorella crudele che sei!» esclamò
Rossana, ridendo per la faccia che la dampyr fece.
«Io? Crudele? Hmph, ha parlato quella
che è sadica!».
Le due tacquero un istante, prima di
ridere insieme, cosa che non facevano da un po’ di tempo.
Povero Zero, eh? Ne sto facendo
capitare più a lui che ad Aura e Rossana, tra un po’! ^^”
Comunque, non so se qualcuno se n’è
accorto, ma il titolo fa riferimento, almeno in parte, alla seconda serie dell’anime:
Guilty. Ah, inoltre, nel prossimo
capitolo comparirà un mio nuovo OC... un altro Thanatos, per l’esattezza. Se Zephyr
ha fatto un certo effetto e ha avuto un certo, diciamo, successo, chissà cosa
succederà con quest’altro! °^° *cerca di immaginarlo*
Bene, credo d’aver detto tutto, quindi
al prossimo capitolo!
Yuna.
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Capitolo 21 *** The True Culprit ***
cap 21
Capitolo XXI
The True Culprit
Le indagini quasi segrete di Kaname e
Takuma, finalmente, avevano dato i loro risultati, ed ormai non c’era più alcun
dubbio: Zero era innocente e il vero colpevole era Zephyr!
Sotto tacito accordo con Kaname, Aura e
Rossana avrebbero attirato il vampiro in questione, fingendo di non sapere che
lui era il colpevole, in modo da farlo venire allo scoperto: dovevano fargli
credere che la condanna di Zero fosse ormai una cosa ufficiale, anche se, in
realtà, nessuno aveva detto o fatto nulla.
La sera prestabilita per il piano
smaschera-Zephyr era arrivata, e Rossana ed Aura si trovavano già sul luogo
dell’incontro, in attesa che il fratello di quest’ultima arrivasse.
«Neh, Sana» disse Aura. «dici che
riusciremo a farlo venire allo scoperto?».
«Oh, io dico di sì» replicò Rossana con
un ghigno poco raccomandabile, tanto da far venire i brividi ad Aura.
La dampyr stava per aggiungere
dell’altro quando di fronte a loro videro comparire il tanto atteso Zephyr, che
sembrava non sospettare affatto di esser finito in una trappola escogitata
appositamente per lui: infatti, una volta di fronte alle due ragazze, si
comportò come al suo solito, facendo saltare alcuni nervi a Rossana ed
attivando il lato crudele di Aura, che lo guardò con uno sguardo indifferente.
«Allora…» iniziò lui. «a cosa devo
questo incontro?».
«Secondo te?» fece Aura.
«Mmm… non lo so. Dimmelo tu».
Rossana guardò prima l’uno e poi
l’altra, non riuscendo a capire se i due si stessero prendendo per il culo
amichevolmente o no.
«Smettila di fare l’imbecille, Zephyr,
e vedi di essere un po’ serio» disse Aura, con le braccia conserte.
«Posso sapere come mai mi detesti così
tanto?».
«Ti detesto. Punto, fine del discorso.
Non sempre ci deve essere un motivo per tutto».
«Oh, ma in questo caso, io pretendo che tu mi dica il perché»
replicò il vampiro, stranamente serio.
Vedendo che Aura non aveva la minima
intenzione di rispondere, Rossana prese la parola: «Senti, sottospecie di
zanzara evoluta, non siamo qui per parlare del perché vi detestiate a vicenda».
«Ma io non la detesto!».
«Non m’importa» ribatté lei. «Qui la
questione è un’altra. Fine del discorso».
«Ed allora quale sarebbe questa
“questione”? Sentiamo».
Rossana si concesse il tempo di
prendere un bel respiro, onde evitare di mettere le mani al collo di Zephyr ed
eliminarlo seduta stante, prima di rispondergli.
«Ormai è ufficiale: Zero è il
colpevole. Ma credo che tu lo sapessi già, vero?».
Questa volta fu il turno di Aura a
guardare prima l’uno e poi l’altra, non riuscendo a capire se le parole dette
dall’amica avessero sortito l’effetto desiderato. Dovevano farlo uscire allo
scoperto, anche se avrebbero dovuto giocare tutte le carte in loro possesso.
Zephyr in quel momento avrebbe voluto
sorridere, ma sapeva che, se l’avesse fatto, tale gesto avrebbe potuto
costituire un passo falso, e si limitò a dire: «Sì, lo sapevo già… ma non è che
ci volesse molto a capirlo: Kiryu è sempre stato un soggetto instabile».
Aura e Rossana si guardarono, indecise
sul da farsi: il vampiro, nonostante avesse abboccato alla finta condanna di
Zero, sembrava avvolto da un’aura di sicurezza difficile da distruggere. Non
sapevano cosa fare, ora.
«Avete altro da dirmi?» disse Zephyr,
guardandole.
Rossana curvò un angolo della bocca,
rendendo il suo sorrisetto inquietante, ed esclamò: «Sì, una cosa da dire, io l’avrei».
«E sarebbe?» replicò il vampiro alzando
un sopracciglio.
«Non è nulla di che… quindi puoi anche
andartene».
Aura guardò l’amica, confusa, per poi
guardare il fratello che, dopo un’alzata di spalle, si voltò e fece per
andarsene.
A quel punto, Rossana ne approfittò per
dire quello che aveva in mente, sperando che potesse rivelarsi la carta
vincente: «Però, devo ammettere che baciare Zero non è stato affatto male. E,
tra l’altro, non è mica male il ragazzo».
Zephyr rimase con un piede sollevato a
mezz’aria, fermo dov’era, mentre Aura fissò Rossana con gli occhi spalancati
dalla sorpresa ed anche un po’ dallo shock.
«Sì, immagino come dev’esser stato…»
disse Zephyr riprendendo a camminare, per poi fermarsi di nuovo ed esclamare:
«Non è stato Kiryu: sono stato io!».
Si era appena tradito con le sue stesse
mani, anzi parole, ed ormai era troppo tardi per venirsene fuori con una
qualsiasi scusa. Il piano per smascherarlo, alla fin fine, era stato portato a
compimento dal colpevole stesso, anziché dalle due persone incaricate di farlo.
Immediatamente, Rossana scattò verso il
vampiro, il quale, nello stesso momento, si stava voltando verso di lei,
ricevendo un pugno in pieno volto, che lo stese a terra; a quel punto Rossana
si sedette a cavalcioni sopra di lui e continuò a riempirlo di pugni, fino a
che lui riuscì a reagire bloccandole entrambi le mani, afferrandola per i
polsi.
«Liberami le mani, così potrò
continuare a spaccarti quella faccia da bastardo succhiansangue che ti
ritrovi!» gridò Rossana, cercando di liberarsi dalla presa di Zephyr.
Il vampiro continuò a tenerla bloccata
ed invertì le posizioni, ma solo per ritrovarsi una lama violacea, a lui
familiare, puntata contro la sua gola: Aura lo aveva in pugno.
«Cosa vuoi fare, Aura?» le chiese,
alzando lo sguardo verso di lei.
«Mmm… fammi pensare… Eliminarti,
forse?» replicò lei in una maniera che non gli fece capire se stesse scherzando
o no.
«Tanto lo so che non farai nulla».
«Vogliamo provare? Un tentativo non
costa nulla, sai».
Rossana, approfittando del fatto che il
vampiro fosse più concentrato nel dialogare con la sorella che nel tenerle i
polsi, gli sferrò un altro cazzotto, centrandolo nuovamente in pieno volto e
riuscendo a liberarsi dalla sua presa. Se lo scrollò di dosso, rimettendosi in
piedi e fiancheggiando Aura, che continuava a tenere una delle Scarlet puntata
contro il fratello, anche se ora non era più contro il collo di quest’ultimo.
«Neh, Sana, ma adesso cosa facciamo? È
venuto allo scoperto proprio come volevamo, ma…».
«È semplice» disse Rossana facendo
scrocchiare le nocche delle mani. «Adesso lo pestiamo come si deve, e vedrai
che preferirà essere un mucchietto di polvere, piuttosto che essere ancora su
questo mondo».
Mentre Zephyr si stava alzando dopo il
colpo infertogli da Rossana, vide quest’ultima tornare di nuovo alla carica, ma
non si sarebbe lasciato colpire come le volte precedenti, durante le quali
aveva avuto la guardia abbassata: adesso anche lui avrebbe fatto sul serio.
Rossana fece per colpirlo nuovamente
con un pugno, ma lui si spostò di lato ed evitò l’attacco; si spostò ancora per
evitare lo stesso attacco, ma sul più bello, quando si aspettava un terzo pugno
facilmente schivabile, Rossana con la mano destra afferrò la pistola che si era
portata con sé e fece fuoco, riuscendo a centrare in pieno la spalla sinistra
di Zephyr grazie all’effetto sorpresa.
«Sarai anche un vampiro, ma sei troppo
giovane per poter tenere testa a me» disse Rossana preparandosi a sparare il
secondo proiettile, che avrebbe centrato l’altra spalla.
Zephyr non disse nulla e, con una mano
sulla spalla ferita, si preparò per tentare di schivare l’attacco che di lì a
poco sarebbe avvenuto. L’hunter dai capelli rossi non aspettò oltre e premette
il dito sul grilletto, facendo partire il secondo proiettile, che, nonostante
il vampiro fosse riuscito a schivarlo, prese di striscio il braccio destro. Il
grande vantaggio dell’usare armi anti-vampiro stava nel fatto che le ferite da
esse causate si rimarginassero molto più lentamente del normale, quasi alla
stessa velocità di quelle di un comune essere umano in salute; e questo non era
cosa da poco.
Ora che Zephyr si trovava con una mano
sulla spalla ferita e con una smorfia di dolore sul volto, Rossana fece cenno
ad Aura di avvicinarsi, per poi dirle: «Dici che posso infierire su di lui un
altro po’? Sai, credo che quello che gli ho fatto ora, paragonato a quello che
lui ha fatto a me, sia poco. Tu che dici?».
«Riguardo a quello che gli hai fatto,
sono d’accordo con te, ma forse non è il caso di andarci giù col pugno di
ferro: non è compito nostro decidere la sua punizione, nonostante il nostro
coinvolgimento, non credi?».
Vedendo l’espressione furente
dell’amica, Aura aggiunse: «So perfettamente che vorresti spaccargli la faccia
o peggio, in questo momento, ma siamo riuscite a farlo confessare, e questo,
per quanto non possa porre rimedio a quello che ha fatto, è più che
sufficiente».
Rossana strinse i denti e disse «Sì»,
ma non prima di regalare a Zephyr un ultimo proiettile, che, purtroppo, non
arrivò mai al suo obiettivo: qualcuno aveva deviato la sua traiettoria con una
katana dalla lama violacea come le spade di Aura.
Da dietro il Thanatos minore comparve
un uomo alto dagli occhi rossi, coi capelli neri legati in una coda bassa e con
due ciocche davanti, lunghe fino al mento; indossava quello che doveva
trattarsi di un frac con tanto di mantello ma, col buio che lo avvolgeva, non
era molto facile esserne sicuri.
«Chi è quello?» chiese una Rossana
sulla difensiva: aveva già capito che il nuovo arrivato era un vampiro.
«Non lo so! Perché me l’hai chiesto?!»
esclamò un’esasperata e preoccupata Aura, con lo sguardo fisso sull’uomo.
Intanto il suddetto si stava
avvicinando, fermandosi infine alle spalle di Zephyr, che iniziò a sudare
freddo. Poi, una voce a lui familiare parlò: «Mi assento per qualche anno, ed
inizi subito a creare problemi, Zephyr».
Aura e Rossana si scambiarono una
rapida occhiata.
«Dici che si conoscano?» chiese la
prima.
«Io dico di sì. E credo che questo
purosangue sia un tuo parente, Aura».
«Cosa?! Stai scherzando, spero».
Rossana sbuffò. «Guardalo bene: stessi
occhi rossi, stesso colore di capelli e stessa carnagione, anche se quella è
uguale per tutti i vampiri».
«In effetti… però aspettiamo a dire che
le cose stanno veramente così».
Le due riportarono i loro sguardi sui
due vampiri, che erano rigidi come due colonne di cemento armato.
«Non ho creato, e non creo, problemi, Sebastian. Dovresti smetterla di vedermi
come un moccioso, visto che quel breve periodo della mia vita è già passato».
Il vampiro di nome Sebastian sorrise. «Sarà
anche passato, ma sei ancora molto giovane. Ne hai di anni e strada davanti a
te, ma rimarrai sempre il mio cugino crea-problemi».
Zephyr parve essere irritato dal modo
con cui Sebastian l’aveva chiamato, e gli chiese: «Perché sei venuto qua? Sei
un po’ troppo vecchio per andare a scuola. Dovresti andare in un ospizio, con
una qualche badante…».
«…pronta a servirmi sempre e ad
ubbidire ad ogni mio comando, ventiquattro ore su ventiquattro» concluse la
frase Sebastian, ridendo, e facendo rimanere Zephyr con la bocca spalancata.
«Non sei divertente».
«Oh, ma lo sono più di te, cugino».
Intanto Aura e Rossana non riuscivano a
credere a quello che avevano appena udito: il vampiro di nome Sebastian era
cugino dei due giovani Thanatos ma, a differenza di loro due, era in una
posizione nettamente superiore, data la sua natura di purosangue. Evidentemente
era figlio di un qualche fratello o sorella da parte di Vincent.
«Visto? Avevo ragione io: è veramente
un tuo parente! Cugino, per l’esattezza! E che cugino, se me lo permetti…!»
esclamò Rossana.
«Perfetto: un altro parente pronto a
portare ancora più problemi di quanti ve ne siano già» proferì seccata Aura,
passandosi una mano sulla faccia.
Sebastian ignorò un istante Zephyr per
andare a riprendere la sua katana, che successivamente mise nel fodero che
teneva sul fianco sinistro; poi volse il suo sguardo scarlatto verso le
ragazze, che lo fissarono di rimando, e sorrise.
«Tu sei della famiglia Crowe, giusto?»
disse rivolto a Rossana, la quale annuì. «E tu, invece» guardò Aura. «sei la
mosca bianca della famiglia. Lasciate che mi presenti: sono Sebastian
Thanatos».
Rossana, con le braccia conserte e con
un sopracciglio che ballava leggermente per il nervoso, gli chiese: «Cosa sei
venuto a fare qui? Se sei venuto per creare altri problemi, allora puoi anche
andartene: c’è già qualcuno che pensa a farlo».
Il vampiro sorrise. «Non sono venuto
per creare problemi come hai detto tu, giovane Crowe, ma per porvi rimedio».
«Ah sì? A me non sembra. Hai fatto
deviare il proiettile destinato ad eliminare il fautore di tutti i guai, e
questo lo definiresti rimedio? Ma fammi il piacere!».
Aura afferrò Rossana per un gomito,
prima che lei si gettasse anche contro Sebastian, trattenendola sul posto.
«No, Rossana, lascia perdere: contro di
lui non ce la faresti! È anche armato!».
Mentre la rossa si arrabbiava ancora di
più ma senza muoversi da dov’era, Sebastian portò una mano sull’elsa della
katana e disse: «Raramente la uso, soprattutto contro gli esseri umani. Potete
stare tranquille; e poi…».
«E poi cosa?» chiese Rossana con la
fronte aggrottata.
«E poi non ho la minima intenzione di
dovermi scontrare con l’altro purosangue che si trova qui e con tutti i suoi
lacchè» concluse Sebastian.
Subito dopo l’ultima frase pronunciata
dal Thanatos purosangue, una voce maschile piuttosto irritata esclamò, da
dietro un albero: «A chi avresti dato del lacchè?!».
I quattro presenti si voltarono alla
loro destra, vedendo Hanabusa uscire da dietro il suo nascondiglio: il biondo
presentava un’espressione arrabbiata.
«Noi della Night Class non siamo i
lacchè di Kaname-sama!».
Sebastian, senza voltarsi verso di lui,
gli disse: «Invece lo siete eccome. Se lui volesse, con un semplice movimento
di un dito vi farebbe inginocchiare. Proprio come adesso».
Il purosangue dagli occhi cremisi
schioccò le dita, ed Hanabusa, contro la sua volontà, si ritrovò inginocchiato
di fronte a lui, sotto gli sguardi esterrefatti di Aura, Rossana e Zephyr.
«Mi sa che lo spocchioso, in un
eventuale scontro, avrebbe del filo da torcere…» esclamò Rossana.
«Lo credo anch’io» disse Aura.
«Ora» proferì Sebastian, voltandosi
verso le due. «vi spiegherò perché sono giunto qua».
Zephyr, visto che non era stato preso
in considerazione dal cugino e dalle altre, fece per svignarsela, ma un altro
schiocco di dita echeggiò nell’aria, ed anche lui, così come Hanabusa poco prima,
si ritrovò ad essere inginocchiato.
«Non puoi andartene, caro Zephyr: devi
ascoltare anche tu» gli disse Sebastian, con un finto sorriso stampato sulle
labbra.
E… il nuovo Thanatos non è il padre di
Aura. Vi ho fregato! xP Che ve ne pare, però, di Seba-chan? (Mi diverto a
chiamarlo così, LOL.)
Siccome la sottoscritta parte il 24 e verrà
a mancare per due settimane, aggiornerà quando tornerà, a meno che laggiù non
ci sia il wi-fi gratis. Spero che non sia un’attesa troppo lunga! xP
Ci si rivede a Luglio!
Yuna.
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Capitolo 22 *** The Devil's Advocate ***
vk22
Capitolo XXII
The Devil’s Advocate
«Ora che ho la vostra attenzione» disse
Sebastian. «esplicherò i motivi della mia presenza qui, che, in ogni caso, sarà
di breve durata».
«Speriamo che sia breve come dice…»
borbottò Rossana.
«Sono venuto a conoscenza» iniziò
Sebastian. «che uno dei miei cugini, il qui presente Zephyr, ha osato addossare
la colpa di una sua azione su un innocente. E, in base a questo, sono qui in
veste di suo avvocato».
«È soprannominato “L’Avvocato del
Diavolo” per la sua capacità di togliere dai guai chiunque» riuscì a dire
Zephyr, sempre bloccato nella posizione in cui il cugino lo aveva messo.
«Inoltre» continuò l’Avvocato del
Diavolo. «c’è un altro motivo per cui io sono qui».
«E sarebbe?» gli chiese Rossana.
Sebastian fece un sorriso ambiguo
all’indirizzo di Aura. «Per il momento preferisco non dirvelo. Mi piace vedervi
arrovellare».
Dopodiché il vampiro si avvicinò a
Zephyr e se lo caricò in spalla, senza che quest’ultimo provasse a ribellarsi,
sparendo così com’era arrivato, in un istante.
«Ma è andata davvero così?» chiese
sorpreso Takuma.
«Sì…» gli rispose per l’ennesima volta
un’annoiata Rossana.
Lei ed Aura avevano raccontato quanto
accaduto la sera dello smascheramento di Zephyr, ma il vampiro logorroico non
riusciva a capacitarsi del fatto che gli eventi fossero andati nel modo
raccontatogli.
«Ichijo».
«Sì, Kaname?».
«È andata così. Purtroppo».
Finalmente Takuma decise di non
chiedere più come fosse andata e si limitò a stampare sulla sua faccia uno dei
suoi soliti sorrisi, di quelli che facevano venire il diabete sia a Rossana che
ad Aura.
«Adesso cosa facciamo?» chiese
Hanabusa, al quale bruciava ancora il fatto d’esser stato obbligato ad
inginocchiarsi di fronte a quel purosangue sconosciuto.
«Quel sorriso inquietante che ha fatto
guardandomi… non mi piace» disse Aura stringendosi le braccia.
«Neanche a me» disse cupa Rossana.
«Aura, certo che hai dei familiari piuttosto bizzarri!».
«Vorrei anche vedere: non sono umani!
Ma credo che, anche se fossero stati umani, probabilmente sarebbero stati
bizzarri lo stesso».
«Scherzi a parte, quel Sebastian,
Avvocato di non-mi-ricordo-cosa, non mi piace affatto. E non solo perché ci
ostacolerà nel dimostrare che Zephyr ha fatto tutte quelle azioni la cui colpa
è ricaduta su Zero».
Aura trattenne a stento uno sbadiglio,
coprendosi la bocca con una mano, ma il suo occhio destro, vicino al chiudersi,
la tradì, facendo sorridere nuovamente Takuma e provocando una smorfia di
stizza a Rossana.
«Credo che sia giunto il momento
d’andare. Non voglio ritrovarmi a trascinare quest’altra addormentata per i
corridoi del Sun Dorm» disse quest’ultima, nella speranza di andarsene
immediatamente, lontana dal sorriso zuccheroso di Takuma.
Kaname fece uno dei suoi soliti sorrisi
spocchiosi, come Rossana li definiva, e permise loro di andarsene.
Rossana ed Aura lasciarono la stanza
del purosangue ed attraversarono il corridoio, raggiungendo le due rampe di
scale di marmo bianco, che scesero con rapidità, per poi, infine, aprire
un’anta del portone ed uscire fuori dal Moon Dorm.
La missione per smascherare Zephyr era
stata un successo, nonostante l’entrata in scena di Sebastian Thanatos,
l’Avvocato del Diavolo, facesse presagire difficoltà e problemi sulla strada
della verità. In fin dei conti, per quanto Zephyr fosse stato smascherato, la
colpa rimaneva addosso a Zero. E di questo, Rossana ed Aura, ma non solo loro
due, ne erano a conoscenza.
La mattina del giorno seguente vide gli
studenti della Day Class seguire le lezioni come al solito, tranne Aura e
Rossana, che, grazie al preside, avevano ricevuto l’occasione di saltare le
lezioni per indagare su Sebastian, del quale poco si sapeva. Ma questo non
voleva dire che sulla famiglia Thanatos si sapesse poco: escluso il loro
aspetto fisico, che comprendeva gli occhi cremisi e la capigliatura nera sia
per gli uomini che per le donne, la caratteristica, che in qualche modo spiccava
di più, era data dalla presenza di armi dalla lama viola con una gemma rossa
incastonata nell’elsa.
«Certo che di questo Sebastian non c’è
molto» disse Rossana, accantonando dei documenti che aveva trovato.
«Hai provato a cercare tutto ciò che
riguarda il celeberrimo “Avvocato del Diavolo”? Dopotutto si fa chiamare così»
disse Aura, senza staccare gli occhi dal testo che stava leggendo.
Rossana si passò una mano sulla faccia,
sospirando. «Anche cercando a quel modo, non troveremo molto qui. L’unico modo
per sapere di più consisterebbe nel cercare negli archivi della Vampire Hunters
Association. Ma credo proprio che questo vada ben oltre le nostre possibilità».
Questa volta Aura alzò lo sguardo.
«Cosa intendi dire?».
«Io potrei entrare nell’archivio,
ovviamente con un permesso, ma tu, dato che non stai né di qui né di qua, non
potresti entrare, forse».
«Ma allora, Zero come ha fatto fin’ora,
quando andava là?».
Rossana sospirò. «Ma non sai come
funzionano le cose?».
«Se lo sapessi, non te lo chiederei»
replicò seria Aura.
«Ok, te lo spiegherò, ma non nei
dettagli: ci impiegherei troppo» disse Rossana poggiando le mani sul tavolo e
preparandosi ad una breve sessione di teoria, che Aura, se solo ne avesse avuto
voglia, avrebbe potuto apprendere per i fatti suoi. «Negli edifici appartenenti
ai vampire hunters ci sono dei sigilli che impediscono l’accesso ai vampiri».
«Ed allora uno come Zero come fa ad
entrare?».
«Se non m’interrompevi, l’avrei detto,
visto che ci stavo arrivando».
Aura chinò il capo. «Scusami eh, Sana».
«I vampiri, quindi Zero compreso, per
poter entrare devono essere addomesticati».
Rossana, vedendo l’espressione di vuoto totale che Aura aveva dipinta sul viso,
capì che non era a conoscenza del significato di “addomesticati”, quindi
aggiunse: «I vampiri addomesticati sul loro corpo presentano un tatuaggio col
simbolo dell’associazione, che permette loro di entrare negli edifici dei
vampire hunters e, come effetto aggiuntivo, rallenta la trasformazione in
vampiro di un essere umano morso. Però, purtroppo, non annulla la
trasformazione: se sei stato morso da un purosangue, nulla t’impedirà di
diventare un vampiro. Non si scappa».
Ad Aura ci volle un po’ per recepire e
capire il tutto, ma, una volta capito, esclamò: «Ah, quindi Zero può entrare
negli edifici dei vampire hunters perché ha il tatuaggio!».
Rossana si passò una mano sulla faccia.
«Sì, è così, ma non è un tatuaggio qualsiasi!».
«Guarda che questo l’avevo capito»
disse Aura incrociando le braccia al petto e mettendo su un’espressione
indispettita.
«Bene, adesso che tutti i tuoi dubbi
sono stati appianati, io devo andare a fare una cosa, mentre tu resterai qui:
non voglio che mi crei problemi» disse Rossana alzandosi dalla sedia.
Anche Aura si alzò, ma rimase dov’era,
seguendola con lo sguardo e chiedendole, prima che uscisse dalla stanza in cui
si trovavano: «Ma dove hai intenzione d’andare? E perché devo restare qui? Non
sarò ancora brava ad impugnare e combattere con le spade, ma non sono poi così
inutile ed imbranata!».
Rossana si fermò con una mano sulla
porta, ormai aperta, e disse: «A cercare informazioni su Sebastian Thanatos.
Dove vuoi che vada? A prendermi un cornetto con la crema? Comunque tu dovrai
restare qui per un motivo piuttosto semplice: sei nel mirino di Sebastian».
Aura fece un passo in avanti. «Aspetta!
Cosa intendi dire con questo?».
«Se i miei dubbi sono fondati, allora
lui si trova qui anche per te».
Senza aggiungere altro, Rossana uscì
dalla stanza, chiudendo dietro di sé la porta, solo per vederla riaperta da
Aura, che la seguì. Le due, però, dovettero fermarsi: Alexander era di fronte a
loro, e non sembrava molto allegro.
«Dove stai andando?» chiese alla
sorella, ignorando Aura, che fece altrettanto.
«Non è affar tuo, fratello» rispose
fredda Rossana, facendo per sorpassarlo, ma Alexander non era dello stesso
parere: l’afferrò per un polso, bloccandola.
«Rispondimi».
«Ho già detto che non è affar tuo:
smettila di essere così protettivo. Sono capace di badare a me stessa. Ed ora
lasciami».
I due Crowe rimasero fermi così
com’erano, con Aura che osservava quel freddo scambio di battute in religioso
silenzio: non li aveva mai visti comportarsi a quel modo.
Alexander sollevò un sopracciglio.
«“Badare a te stessa”? Non si direbbe: guarda cosa è successo l’ultima volta. E
non dovrei essere protettivo? Lo sai che nostro padre, se venisse a conoscenza
di quanto accaduto, non esiterebbe a venire qui ed alzare un nuovo polverone».
Rossana s’irrigidì. «Lo so che potrebbe
venire, Alexander, lo so. In ogni caso, lascia perdere il tuo ruolo di fratello
protettivo: non ti si addice. Ed ora scusami, ma mi stai facendo perdere tempo.
Devo andare».
Con uno strattone, Rossana si liberò dalla
presa del fratello, superandolo e dirigendosi verso la porta in fondo al
corridoio. Alexander, rimasto solo con Aura lì vicino, andò avanti, percorrendo
la strada opposta della sorella, passando accanto ad Aura, che rimase ferma
dov’era fino a che non la superò e sparì dalla sua vista.
Ora che Alexander se n’era andato, Aura
seguì il percorso fatto da Rossana, ma, una volta trovatasi all’esterno, di
Rossana non vi era più traccia. Visto che non poteva seguirla, Aura decise di
tornarsene al Sun Dorm, sperando di non incappare in una visita a sorpresa del
fratello e del cugino, che dalla sera prima non si erano fatti più vedere.
Aura s’incamminò, lasciando le mura che
racchiudevano la biblioteca, per raggiungere il Sun Dorm. Lungo il viale vide
gruppetti di ragazzi e ragazze della Day Class, che, come al solito,
chiacchieravano allegri tra di loro. Guardando attentamente un gruppetto alla
sua destra, vide Yuuki e la sua amica, Sayori, ed affrettò il passo: non voleva
essere vista.
Mantenendo il passo, riuscì a superare
le due ragazze, che non si accorsero della sua presenza, e tirò avanti a quel
modo, nonostante non ne avesse più bisogno, fino a che non si ritrovò davanti
all’entrata del Sun Dorm, dove vi era la maggior parte degli studenti della Day
Class. Aura alzò lo sguardo verso il cielo, vedendo che era coperto da dei
nuvoloni grigi che non promettevano nulla di buono, ma sperò che fossero solo
di passaggio. Ma la sua speranza andò in frantumi non appena una goccia d’acqua
le cadde sulla fronte, seguita poco dopo da altre due, tre, cinque, ed infine
l’acquazzone vero e proprio, che costrinse tutti i ragazzi ad entrare nel
dormitorio per ripararsi, così come fece lei.
«Ci mancava solo la pioggia!» esclamò
un ragazzo.
«Già, che sfortuna!» aggiunse un altro.
E mentre i ragazzi si lamentavano per
un motivo, le ragazze lo stavano facendo per un altro, facendo irritare Aura,
che si sbrigò ad andarsene in camera; peccato che riuscì a sentire comunque
qualche commento delle ragazze.
«Uffa, se solo avessi l’ombrello,
potrei andare a vedere l’uscita di Idol-senpai!» esclamò una, trovando
l’assenso in tutte quelle che erano intorno a lei.
Ed un’altra aggiunse: «Più che andare a
vedere l’uscita, darei volentieri il mio ombrello ad Idol-senpai! E magari
camminare assieme a lui!».
«Sono patetiche» mormorò Aura scuotendo
la testa, mentre saliva le scale che conducevano al secondo piano.
Lasciati alle spalle i gruppetti di
umani lamentosi, Aura decise di andare un attimo in un'altra parte del
dormitorio, prima di andarsene in camera. Svoltò l’angolo e percorse il
corridoio in cui era finita, fermandosi davanti ad una porta che era rimasta
chiusa dall’aggressione di Rossana. Allungò una mano verso la maniglia, ma,
arrivata a pochi centimetri da essa, la ritrasse, chiudendola a pugno.
Scosse la testa e tornò sui suoi passi,
questa volta dirigendosi per davvero in camera sua, dove avrebbe atteso il
ritorno di Rossana.
Un continuo ed insistente bussare fece
sobbalzare Aura, la quale si era appisolata: attendere senza fare nulla l’aveva
fatta annoiare, e di conseguenza era sopraggiunto il sonno.
«Forza, nana idiota che non sei altro,
apri questa porta!» esclamò una voce familiare da dietro la porta.
Subito Aura si alzò dal letto ed aprì
la porta, ritrovandosi davanti una Rossana alquanto arrabbiata.
«Scusa se non ti ho aperto prima, ma
stavo dormendo!».
«L’ho notato. Sei una nana piuttosto
inutile: strano che nella tua famiglia ci siano persone che sappiano fare
qualcosa» disse Rossana sorpassandola ed andando a sedersi sul letto, posando
accanto a sé un blocco note.
Aura richiuse la porta e si sedette di
fronte a Rossana, e guardò per poco il blocchetto, non capendo cosa ci facesse
lì.
«Allora…» iniziò. «hai trovato qualcosa
riguardo a questo fantomatico Avvocato del Diavolo?».
«Sì, qualcosa sì. Il fatto che sia in
giro da un bel po’ è stato vantaggioso» disse Rossana afferrando ciò che poco
prima aveva posato accanto a sé.
«E cos’avresti trovato? Sentiamo».
«Ehi, non incalzare troppo, che tu,
vorrei ricordartelo, non hai fatto nulla. A parte dormire, s’intende».
Aura corrugò la fronte, indispettita.
«Se qualcuno non mi avesse detto che non potevo venire, qualcosa avrei fatto».
Rossana si spostò una ciocca di capelli
che le dava fastidio ed aprì il blocco note. «Dunque, la prima cosa che ho
trovato, è stata la sua altezza. Penso che questo potrebbe interessarti, sai?»
disse con un ghigno stampato in faccia.
«I-in che senso?».
«Ti dico solo che è alto un metro ed
ottantacinque».
«Ah, in pratica mi hai detto questo per
rimarcare ancora di più il mio essere bassa!» esclamò Aura.
Rossana rise per la reazione dell’amica
e continuò: «Altezza a parte, come abbiamo avuto modo di scoprire l’altra
volta, è un purosangue; ma questo lo sapevamo già e quindi passiamo ad altro. È
chiamato “Avvocato del Diavolo” per lo stesso motivo che Zephyr ha detto.
Sembra che, qualsiasi caso sia passato nelle sue mani, abbia avuto esiti
positivi, senza alcuna condanna, indipendente dal fatto se il suo cliente fosse
colpevole o no».
«Quindi, mi sa tanto che mio fratello
la passerà liscia…» disse Aura con una nota di amarezza nel tono della voce.
Rossana chiuse il blocco e lo ripose
sul letto, sospirando. «Può darsi, ma aspettiamo a dire che la partita è già
persa in partenza».
Aura alzò un sopracciglio. «Come mai
tutto questo ottimismo?».
«Perché io non mi darò pace fino a che
non vedrò quello stronzo pagare per quello che mi ha fatto!» esclamò a denti
stretti Rossana, stringendo con rabbia la coperta del letto.
«Bene» disse Aura. «Allora non ci resta
che prepararci ad affrontare mio cugino, sperando di uscirne vittoriose – ma
soprattutto vive».
«Fidati: questa volta, l’invincibile
Avvocato del Diavolo, fallirà».
E… I’m back! Peccato che fra due giorni
debba ripartire di nuovo… Destinazione Paradiso Madrid (da notare l’entusiasmo con cui lo dico). Ma stavolta
la mia assenza sarà di soli quattro giorni, nulla di che…
Ok, diamo un taglio alle comunicazioni
di servizio.
Sebastian è un tipo interessante, vero?
Però, lasciatemi dire questo: non fidatevi delle apparenze. Se è un Thanatos, c’è
un motivo…
Non dico altro per evitare di fare
spoiler – ne sarei capace, lo so – e… niente. Al prossimo capitolo!
Yuna.
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Capitolo 23 *** The True Intentions Of The Devil's Advocate ***
cap 23
Capitolo XXIII
The True Intentions Of The Devil’s Advocate
Sebastian, da quando aveva recuperato
Zephyr, gli aveva chiesto di raccontargli tutto, e nei minimi particolari.
Anche se avrebbe protetto un parente, per lui si trattava comunque di lavoro, e
pertanto lo avrebbe svolto con la massima serietà e professionalità.
Aveva annotato tutto ciò che Zephyr gli
aveva detto, ed ora non gli restava che prepararsi per distruggere tutte le
possibili accuse nei confronti del suo cliente. Non avrebbe avuto bisogno di
testimoni: sarebbero bastate le sue parole.
Ma c’era una cosa, o meglio una persona,
che occupava una parte della sua mente, oltre al suo lavoro da sbrigare lì alla
Cross Academy: Aura. Ma il suo pensiero non era dettato da stupidi sentimenti,
bensì da un interesse che nulla aveva a che fare con l’amore.
«Sebastian…?» lo chiamò Zephyr,
vedendolo sovrappensiero.
Lui, sentendosi chiamare, sollevò lo
sguardo dai fogli che aveva di fronte e guardò il cugino.
«Hai qualcos’altro da dirmi, Zephyr?»
chiese.
«No. Volevo solo tirarti fuori dai tuoi
sogni ad occhi aperti» rispose Zephyr, sorridendo sarcastico.
«Non stavo sognando ad occhi aperti,
Zephyr. Se sei qui per dare noia, allora puoi anche andartene, basta che non
crei altri problemi» replicò Sebastian serio.
Zephyr sbuffò e girò i tacchi,
lasciando in pace il cugino, che tornò con lo sguardo sulle carte. Il caso che
si ritrovava tra le mani non era complicato, ma la presenza di testimoni – tra
cui la vittima stessa – che avevano recuperato la memoria, lo rendevano
delicato. Una sola parola in più, ed il suo cliente sarebbe stato condannato in
men che non si dica, segnando la fine della sua reputazione di “Avvocato del
Diavolo”. Ma lui, oltre ad occuparsi di questo nuovo caso che aveva tra le
mani, doveva organizzare anche il piano per portare via la cugina, però, per il
momento, veniva prima il suo lavoro. Il tempo non gli mancava affatto.
Le lezioni della Day Class erano già
iniziate, ed al momento c’era l’intervallo. Aura e Rossana erano rimaste in
classe; la prima per ripassare etica, visto che l’ora successiva avrebbe subito
l’ennesima interrogazione, la seconda, invece, era rimasta per godersi un po’
di silenzio e per poter pensare alle possibili torture da fare a Zephyr se le
fosse capitato a tiro.
Ad Aura, a forza di rileggere con
insistenza le pagine del libro di etica, iniziò a venire il mal di testa, e
così decise di chiuderlo, anche se aveva una paura matta di arrivare
all’interrogazione e di fare scena muta com’era successo le prime volte. Si
portò le mani alla fronte e poggiò le dita sulle tempie per sorreggersi, e
sospirò.
«Che qualcuno mi dia dei tranquillanti:
sento che questa volta ne avrò davvero bisogno» disse con una nota sia d’ironia
che d’esasperazione.
Rossana non le rispose subito, troppo
intenta com’era nella tortura che stava organizzando nei minimi dettagli, ma un
altro sospiro riuscì ad attirare la sua attenzione, facendole sospendere la sua
progettazione.
«Cos’hai da sospirare?» chiese ad Aura.
Aura sospirò per la terza volta.
«Perché devo essere torturata verbalmente da tuo fratello, mh? Cos’ho fatto di
male per meritarmelo? Dimmelo».
«Preferisci mille e più interrogazioni,
oppure affrontarlo in uno scontro armato? Sai, credo che con te e Zero faccia
così per evitare di riempirvi di proiettili ed eliminarvi. A differenza della
sottoscritta, non è molto tollerante nei confronti dei vampiri e simili» disse
Rossana seria.
«Guarda che anche tu hai cercato di
uccidermi, all’inizio».
«Vero. Ma, come ho già detto, sono più
tollerante, anche se ultimamente ho incominciato a rivalutare questo mio
aspetto».
Aura fece finta di scostarsi da
Rossana. «Quindi, adesso proverai ad eliminarmi?» chiese ironica.
Rossana rise. «No, per il momento no.
Adesso, in cima alla mia lista c’è tuo fratello, mia cara».
Aura unì le mani e vi poggiò sopra il
mento, assumendo un’espressione cupa. «Ehi, è da un po’ che ci stavo pensando,
ma…».
«Cosa?» chiese Rossana.
«Quell’altro affare per cui Sebastian è
qui, non mi piace. Cioè, è vero che non sappiamo di cosa si tratta, ma… non lo
so. Forse, quell’occhiata strana che mi ha lanciato mi ha fatto preoccupare
inutilmente…» concluse Aura inquieta.
Rossana si fece pensierosa a
quell’affermazione, e disse: «Ora che mi ci fai pensare, non piace neanche a me
questa cosa, ma per il momento dobbiamo pensare al far accusare Zephyr. Tanto,
di qualunque cosa si tratti, il blasonato Avvocato del Diavolo è troppo preso
dalla patata bollente che ora ha tra le mani. Quindi, relax, Aura. Relax».
In quel momento la campanella suonò,
segnando la fine dell’intervallo e la ripresa delle lezioni; Aura, sentendola,
sobbalzò e riaprì il libro di etica, incollandovi gli occhi ed esclamando: «Ti
prego, fai che Alexander arrivi in ritardo!».
«Mi dispiace dirtelo, ma nemmeno un
possibile ritardo potrebbe salvarti» la stuzzicò Rossana, facendola agitare
ancora di più.
«Argh! Se solo ci fosse stato anche
Zero, non dovrei sopportare un’intera ora di domande!».
Rossana perse la sua voglia di
scherzare e si fece nuovamente seria. «Vai a chiedere a tuo fratello come mai
Zero non può essere qui».
La conversazione fra le due venne
interrotta dall’arrivo di Alexander, che, stranamente, quel giorno si limitò
solo a spiegare, anziché interrogare. C’era qualcosa di strano anche in lui.
Per tutte le ore seguenti né Aura né
Rossana pronunciarono una singola parola; solo quando furono nella loro camera,
all’interno del Sun Dorm, ripresero a parlare. Sapevano che non potevano essere
sentite, a meno che qualcuno non decidesse di farsi i fatti loro.
Aura era contenta di aver evitato
l’interrogazione, ma la questione di Sebastian continuava a perseguitarla: di
questo passo, avrebbe iniziato ad avere incubi su di lui, e non voleva. Se si
fermava a pensare, o chiudeva solo gli occhi, l’inquietudine l’assaliva, e non
voleva nemmeno questo. Purtroppo Rossana non poteva esserle d’aiuto, presa
com’era nel meditare vendetta e torture nei confronti di Zephyr, il quale, da
quando Sebastian l’aveva portato via con sé, non si era più visto.
«Come mai sei così silenziosa? Non è da
te» le disse Rossana, tirandola fuori dalla sua agitazione.
«Non ho nulla da dire. Ecco perché sono
silenziosa» si limitò a rispondere.
«Strano. Molto, direi».
Aura sospirò. «Ehi, pensa per te. Non
per dire, ma non sono io quella che ha detto che “Zero” bacia bene. Lo so che
ti riferivi a mio fratello e che, ciliegina sulla torta, quello che hai detto
non era proprio una menzogna» disse, punzecchiando Rossana.
«Per caso hai bevuto? Perché quello che
dici non ha proprio senso!» esclamò indispettita Rossana.
«Certo, come no… Guarda che non mi
freghi. Sai, non fai altro che parlare in continuo di Zephyr: “Zephyr di qua”,
“Zephyr di là”, “Zephyr di giù” e via dicendo. Ad un occhio esterno potrebbe
sembrare che tu ne sia innamorata».
L’ultima parola fece trasalire Rossana,
che lanciò un’occhiata assassina ad Aura, la quale sorrise sarcastica, proprio
come il fratello.
«A giudicare dalla tua reazione, direi
che ho colto nel segno».
«Stronzate» fu la breve e concisa
risposta di Rossana.
Aura fece spallucce. «A parole potrai
negare quanto vuoi, ma le tue reazioni dicono l’esatto opposto di quello che
esce dalla tua bocca. E credo che tu lo sappia molto bene».
Rossana sospirò e si calmò. «Lasciando
perdere il fatto che tu ti sia incaponita su una questione che non esiste, che
mi dici di te e Zero, eh? Mica sono scema, sai!».
Questa volta fu il turno di Aura a
trasalire. «Cosa staresti insinuando?».
«Oh, nulla di che… a parte la visibile,
e quasi palpabile, attrazione che c’è tra voi due».
Aura rimase di sasso. Lei attratta da
Zero? Impossibile. Andò a ripescare nella sua mente il primo ricordo “serio”
che aveva di lui, e venne a galla quello in cui la morse per la prima volta. Se
toglieva le immagini che riaffioravano, rimanevano solo la paura ed il dolore
provato. E quella era da considerarsi attrazione? Ma anche no.
«Ci sei ancora?» le chiese Rossana, che
era scesa dal letto per passarle una mano davanti alla faccia.
«Sì, ci sono ancora!».
«E come mai all’improvviso eri andata
sulle nuvole?».
«Non ero andata affatto sulle nuvole,
idiota» replicò seccata Aura. «Mi ero solo ricordata del mio primo “contatto”
con Zero, la prima volta che lui mi morse, in breve, e non è che vi fosse
attrazione. Semmai paura e dolore».
«Seh. E tu credi che io mi beva una
cosa del genere? Inventatene un’altra, nana! Forse la prossima volta sarai più
fortunata…» disse ironica Rossana.
«Vedila come ti pare. Mica sono io
quella che ha esclamato che un vampiro bacia bene. Ma adesso chiudiamo qui il
discorso: credo che lo scontro – spero verbale –, con Sebastian si stia
avvicinando. Meglio essere riposate e pronte a tutto. Dopotutto lui è un
purosangue…» concluse Aura mettendosi sotto le coperte, pronta per lasciarsi
andare nel mondo dei sogni.
Rossana la osservò mentre si voltava
per darle le spalle, ed anche lei si mise sotto le coperte, ma non prima di
mostrare la sua irritazione con uno sbuffo sonoro.
Da un’altra parte della Cross Academy,
intanto, l’Avvocato del Diavolo aveva finito di analizzare tutti i documenti in
suo possesso, e trovava strano che l’accusato, Zero Kiryu, non avesse ancora un
avvocato. Cosa pensavano di fare? Mandarlo ad un processo da solo, con la sola
protezione delle sue parole, che in seguito sarebbero state messe a dura prova?
Per quanto si sarebbe potuto difendere da solo, le prove non erano a suo
favore. Certo, il fatto che la cugina e Rossana Crowe avessero riacquisito i
veri ricordi, poteva costituire una minaccia per la difesa di Zephyr, ma non vi
erano modi per affermare che Zephyr avesse modificato loro la memoria e,
pertanto avrebbe potuto dire che le due avevano reagito così per lo shock.
Sebastian afferrò il bicchiere vicino a
lui, nel quale aveva già fatto disciogliere diverse blood tablets, e bevve. Si
sentiva sicuro. Anche questo processo sarebbe stato vinto da lui, Sebastian,
l’Avvocato del Diavolo.
E… che vi dicevo? Seba-chan (non
smetterò mai di chiamarlo così, LOL) non è un tipo di cui fidarsi. Se
nonostante questo la vostra opinione su di lui non è cambiata, beh… buon per
lui! xD
Nel prossimo capitolo ci sarà il
processo giudiziario e, lo dico già da adesso, con molte probabilità sarà
realistico solo a metà, visto che non ho mai visto un processo vero e proprio coi
miei occhi (spero di non dover mai presenziare, indipendentemente dal posto) e
quelli in tv – che sia quella schifezza di Forum o quelli di Law & Order –
sono realistici fino ad un certo punto.
Bye!
Yuna.
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Capitolo 24 *** The Judicial Process ***
vk24
Capitolo XXIV
The Judicial Process
Era questione di ore, prima che il processo
a carico di Zero iniziasse. Come pubblico vi erano, in prima fila sulla
sinistra, Yuuki, Kaien ed anche Toga, anche se quest’ultimo avrebbe preferito
non essere presente; inoltre, assieme a loro vi erano altri vampire hunters,
tra cui anche Alexander.
Dall’altra parte, sulla destra, vi
erano Kaname ed il suo gruppo, altri membri della Night Class e, ciliegina
sulla torta, anche Zephyr e Sebastian; ma loro due non si trovavano tra il
pubblico, bensì seduti al tavolo della difesa.
Al tavolo dell’accusa, invece, non
c’era ancora nessuno, mentre il giudice, che non si riusciva a capire se era
umano o no, era già presente, così come i membri della giuria. E proprio dai
componenti di quest’ultima proveniva un leggero vociare, messo a tacere dal
giudice in persona, per richiamare tutti all’ordine.
Aura e Rossana al momento non erano
presenti, in quanto sarebbero state chiamate in veste sia di vittime che di
testimoni. Inoltre, adesso stavano parlando con una persona appartenente ai
vampire hunters, che di professione faceva l’avvocato.
«Zia, cosa ci fai qui?» chiese
perplessa Aura.
Angela, con indosso la toga, si voltò
verso di lei e le disse, con un sorriso sarcastico sulle labbra: «Sono qui come
avvocato del tuo ragazzo, nipotina».
Aura sbiancò e poi divenne rossa
dall’imbarazzo, ed esclamò: «Non è il mio ragazzo, zia!».
«Certo, Aura, certo».
Rossana nel frattempo stava cercando di
non piegarsi in due dalle risate e, ripreso il controllo di sé, chiese ad
Angela: «Allora sei tu l’avvocato difensore di Zero? Per davvero?».
«Sì, sul serio» rispose Angela.
«Lo sai che a difendere Zephyr c’è il
famoso “Avvocato del Diavolo”, vero?».
«Sì, so anche questo».
«Lo vedo duro questo scontro, zia…»
disse Aura.
Angela sorrise. «Lo è infatti, ma, se
la giuria ed il giudice non sono corrotti, la verità schiaccerà la difesa di
Zephyr. Perché il suo avvocato potrà anche essere abile a parlare quanto vuole,
ma se quel che dice non è la verità non vale nulla. Però» fece una pausa, ed
Aura e Rossana trattennero il fiato. «se il giudice e la giuria sono corrotti,
l’esito del processo è scontato. Ma noi facciamo le corna a prevenzione e
camminiamo a testa alta».
Aura e Rossana ripresero a respirare e
guardarono Angela con tanto d’occhi: sarà stata anche un’avvocata, ma la sua
ultima uscita le aveva fatto perdere la sua professionalità.
«Zia… lo sai che la tua ultima frase –
che spero fosse una battuta – ti ha fatto perdere tutta quell’aria d’importanza
che avevi, vero?».
Questa volta Angela rise. «Dici?
Comunque serviva per sdrammatizzare un po’: c’era troppa tensione. Ma ora vado
a prendere il mio cliente, visto che il processo sta per iniziare. Voi due, in
quanto testimoni e vittime, dovreste stare nella stanza adiacente all’aula dove
si terrà il processo, quindi andate lì e rimanete fino a che non vi chiamano»
disse con la sua ritrovata aria professionale.
Aura e Rossana annuirono e la salutarono,
per poi recarsi nella stanza in cui dovevano stare, mentre Angela andò a
prendere Zero.
«Andiamo, Kiryu Zero» disse la donna al
ragazzo, il quale si era seduto su una sedia non molto distante da dove, fino a
qualche minuto prima, c’erano Aura e Rossana.
Zero sollevò il suo sguardo su Angela,
e la prima cosa che vide furono le sue forme piuttosto vistose nonostante la
toga, e si affrettò a guardarla negli occhi. Ma non le disse nulla e si limitò
ad alzarsi, per poi seguirla fino alla porta dell’aula in cui si sarebbe tenuto
il processo.
Prima di entrare, Angela gli disse: «L’avvocato
difensore di Zephyr è un tipo tosto, quindi sarò sincera con te: la probabilità
di uscirne vittoriosi è bassa. Ma noi, nonostante questo, faremo del nostro
meglio, vero?».
Zero non rispose, ed Angela prese il
suo silenzio come un “Sì, ho capito” ed aprì la porta, entrando nella stanza
sotto lo sguardo di tutti i presenti assieme a Zero. Il momento di dare inizio
al processo era giunto.
L’orologio presente nella stanza in cui
Aura e Rossana stavano aspettando scandiva i secondi ed i minuti che passavano,
oltre al silenzio. Nella stanza vi erano una scrivania spoglia, una libreria
con quattro libri ricoperti di polvere e le due sedie su cui Aura e Rossana
erano sedute; il pavimento era ricoperto da mattonelle color terracotta e le
due finestre dietro la scrivania avevano le tende grigie, che un tempo dovevano
esser state bianche, intente a filtrare la luce del sole, ormai prossimo al
tramontare.
«Mi domando perché abbiano deciso di
svolgere qui il processo, in questo vecchio dormitorio abbandonato, quando
avrebbero potuto farlo in una delle sedi della Vampire Hunters Association»
disse ad un tratto Rossana, togliendo il primato di spezza-silenzio
all’orologio.
«Ah, io non lo so di sicuro. Forse è perché
da entrambe le parti siano coinvolti dei vampiri?» disse Aura sollevando
entrambe le sopracciglia e continuando a fissare il pavimento.
«Può darsi. Comunque, cambiando
discorso, quest’attesa mi sta logorando».
«Non dirlo a me… credo che tra poco mi
metterò a battere il pavimento con il piede dall’agitazione».
«Come sei esagerata! Nemmeno fosse
un’interrogazione di Alexander!» esclamò Rossana.
Aura scrollò le spalle. «In questo
momento preferirei trovarmi in classe ed essere interrogata. Davvero» disse col
tono sempre più nervoso.
Le due tacquero, permettendo
all’orologio di tornare a scandire il tempo col suo ticchettio. Aura aprì la
bocca per dire qualcosa, ma la richiuse e decise di tacere: l’ansia la stava
logorando. Rossana, dal canto suo, aveva iniziato a battere il piede sul pavimento,
proprio come Aura aveva predetto per sé stessa.
Le lancette dei minuti dell’orologio
compirono altri due giri; in quel momento, la porta della stanza venne aperta
da un vampire hunter sconosciuto, che fece cenno ad Aura di alzarsi: doveva testimoniare.
Rossana la guardò e vide che il suo nervosismo e la sua agitazione erano
aumentati, anche se li aveva nascosti dietro un’espressione indecifrabile.
Aura si alzò dalla sedia senza guardare
l’amica e seguì l’hunter fuori dalla stanza, venendo condotta nell’aula dove si
stava svolgendo il processo. Una volta ritrovatasi con gli occhi di tutti i
presenti puntati addosso, un senso di oppressione le tolse l’uso sia dei
polmoni che della lingua. L’hunter che era con lei l’accompagnò fino alla
postazione dei testimoni, accanto al giudice, dopodiché se ne andò, lasciandola
seduta lì, davanti a tutti e con i loro sguardi puntati addosso. I suoi polmoni
e la sua lingua continuarono a dare segno di non voler riprendere a funzionare,
però; in quel momento si chiese perché sua zia, dato che sapeva come le cose
funzionassero, non le avesse detto che le domande sarebbero state fatte dai due
avvocati e, qualche volta, anche dal giudice stesso.
Il primo a farle delle domande fu
Sebastian, che si fece avanti col suo falso sorriso tirato al meglio. «Quand’è
stata l’ultima volta che avete visto vostro fratello Zephyr prima
dell’aggressione?».
Aura si ritrovò nella morsa del panico.
Si guardò intorno, per poi lanciare un’occhiata a sua zia, il cui sguardo le
fece capire che doveva parlare se voleva andarsene alla svelta e se voleva far
finire presto – sperando – il processo.
Aura inspirò ed aprì la bocca per
rispondere, e sperò che quella fosse la prima e l’ultima domanda che le
avrebbero fatto: «L’ultima volta che l’ho visto è stata prima che perdessi
misteriosamente i sensi».
«E prima di perdere i sensi» continuò
Sebastian. «cosa vi ricordate? Vi ricordate, ad esempio, il motivo per cui
vostro fratello era lì?».
«No, prima di perdere i sensi non
ricordo altro, tantomeno come io abbia fatto a svenire. So solo che lui si
trovava lì per consegnare a me e Rossana le borse che avevamo lasciato in
classe».
«Allora come fate a dire che Zephyr
Thanatos è il vero colpevole?» chiese Sebastian, sorridendo di nuovo e facendo
rabbrividire Aura.
«Obiezione, Vostro Onore!» esclamò
Angela. «La difesa sta cercando di confondere il testimone».
«Obiezione accolta» disse il giudice.
«Avvocato, siete pregato di porre domande che non creino confusione o dubbi nel
testimone» si rivolse a Sebastian, il quale annuì con un cenno del capo e disse:
«Certamente, Vostro Onore», prima di rivolgersi di nuovo ad Aura. «Ho un’ultima
domanda: al vostro risveglio, cosa avete visto?».
Aura emise un basso sospiro. «La porta
della camera era aperta; mi trovavo sdraiata sul letto e Rossana era sul suo,
con la maglietta del pigiama sbottonata a metà ed il suo sangue ovunque».
«Bene, ho finito: non ho altre domande
da fare» disse Sebastian tornando al suo posto, sedendosi accanto a Zephyr.
Adesso era il turno di Angela di fare
le domande. Lasciò la sedia su cui fino ad ora era stata e si alzò, avanzando
verso la nipote.
«Dunque, avete detto che al vostro
risveglio c’eravate solo voi e la vittima, mentre prima, oltre a voi due, c’era
anche vostro fratello. E che mi dite del mio cliente? A giudicare da quanto
avete detto, non l’avete visto affatto» disse Angela.
Aura annuì. «Esatto, proprio così. Quel
giorno, l’ultima volta che l’avevo visto era stata durante le lezioni».
«Questo, però, non concorda con la
versione conosciuta dei fatti: voi, al vostro risveglio, lo avete visto».
«Sì, è vero. Ma, come ho già detto
prima, mi ricordo solo mio fratello che porta le borse, la perdita dei sensi,
il risveglio e Zero nella stanza. Se nel mentre era successo qualcosa, non
posso né dirlo né confermarlo» concluse Aura.
«Non ho altre domande da fare» disse
Angela, girandosi e sedendosi di nuovo.
«Bene» disse il giudice. «il testimone
può andare».
Un hunter, diverso da quello che era
venuto a prelevarla, affiancò Aura, la condusse fuori dall’aula e la riportò
nella sala di prima, dove Rossana stava aspettando di essere chiamata. Aura si
sedette di nuovo sulla sedia accanto a Rossana, che le chiese: «Allora com’è
andata? Preferisci ancora essere interrogata da Alexander?».
«Sì» rispose convinta Aura.
«Come mai? Sentiamo».
«È semplice: se il primo a farti le
domande è Sebastian, chiunque preferirebbe essere interrogato, fidati. Quel suo
sorriso inquietante è peggiore di tuo fratello, dico sul serio».
«Strano» disse Rossana. «Solitamente i
vampiri hanno quel loro fascino ultraterreno che fa cadere ai loro piedi
chiunque. È davvero strano che non lo usi, sempre che su di te non faccia
effetto».
«Non credo che sia una questione di “fa
effetto o non fa effetto”. È inquietante, punto. Se mai lo vedrai, capirai
quello che intendo. Ma se non lo vedrai, sarà molto meglio. Un incubo in meno
da sognare» replicò Aura.
Le due non ebbero altro tempo per
parlare: un altro vampire hunter si fece vedere. Questa volta fu Rossana ad
alzarsi e uscire dalla stanza, lasciando sola Aura, che sperò non fosse Sebastian
il primo a fare le domande.
Rossana adesso si trovava nella
postazione dei testimoni, pronta a qualsiasi domanda che le sarebbe stata
rivolta; per sua enorme fortuna fu Angela la prima a parlare, e non Sebastian.
«Dunque» iniziò Angela. «quando la vostra
amica ha aperto la porta rivelando suo fratello, voi dove eravate?».
«Ero sul mio letto. Per l’esattezza,
prima che Zephyr bussasse, stavamo dormendo» rispose Rossana.
«Quindi, voi avete visto la vostra amica
e compagna di stanza perdere i sensi e basta, corretto?».
«Sì».
«Non ho altre domande da fare» disse
Angela, permettendo a Sebastian di iniziare il suo turno.
Infatti, l’Avvocato del Diavolo si alzò
dalla sua sedia e si pose di fronte alla postazione dove si trovava Rossana, ma
non alla stessa distanza di quando c’era Aura. Sapeva che la riuscita della
difesa di Zephyr sarebbe stata determinata da come avrebbe manipolato le proprie
domande e le parole dette dalla rossa. Mise in mostra il suo sorriso
inquietante, seppur per pochi istanti, poi fece la prima domanda: «Se voi avete
visto la vostra amica perdere i sensi, questo significa che poi, in seguito,
avete visto anche l’aggressore. Oppure no?».
«Sì, ho visto l’aggressore, dato che,
dopo aver sistemato Aura, è passato a me» rispose Rossana seria, con un lampo
d’ira nello sguardo.
«E voi, avendolo visto, sapete chi è.
Ma come mai, allora, prima avete detto che l’aggressore era una certa persona e
poi, dopo, avete cambiato la vostra versione dei fatti?».
«Obiezione, Vostro Onore!» esclamò
Angela, resasi conto di ciò che Sebastian stava cercando di fare: aveva
iniziato a manipolare i presenti, partendo da Rossana. «L’avvocato sta cercando
di confondere il testimone!».
«Obiezione respinta» disse il giudice.
«Potete continuare» si rivolse a Sebastian.
«Allora, come spiegate il vostro
cambiamento di “idee”?» continuò quest’ultimo.
«Trattandosi di vampiri, non vi
dovrebbe stupire se dico “manipolazione della memoria”» rispose Rossana,
mettendo un po’ di sarcasmo nel tono della voce.
«E come fate ad essere sicura che si
tratti di ciò?».
«Quando la memoria vera ritorna, non
c’è bisogno di sicurezza o prove: si sa e basta».
«Come potete vedere, signori e signore
della giuria, qui ci stiamo basando su una possibile alterazione dei ricordi
che, vorrei ricordarvi, è finita col fallire, ripristinando i ricordi
originali. E voi credereste ad un’affermazione simile? Io no di certo» esclamò
Sebastian serio, guardando i membri della giuria. Poi tornò a guardare Rossana
e le chiese: «Potete dirci cos’è successo, nel
dettaglio?».
Rossana non voleva raccontare quanto
successo a degli sconosciuti, soprattutto nel dettaglio, e si sentì con le
spalle al muro; in suo soccorso giunse Angela, che disse: «Obiezione, Vostro
Onore! Far rivivere un’esperienza poco piacevole al testimone potrebbe mandarlo
in confusione o peggio».
Il giudice annuì. «Obiezione accolta.
Il testimone si limiterà a riassumere i fatti».
Anche Rossana annuì, e si apprestò a
raccontare quanto richiesto, che era ancora impresso nella mente come se fosse
successo ieri; quando finì di parlare, dalla giuria si alzò un lieve brusio,
segno che il racconto aveva impressionato i presenti. A richiamare l’ordine ci
pensò, com’era logico che fosse, il giudice. A quel punto Sebastian decise di
chiudere lì l’interrogatorio.
Rossana fu accompagnata fuori dall’aula
e si ritrovò di nuovo nella stanza in cui Aura, per tutto il tempo in cui era stata
tempestata di domande, era rimasta ad aspettarla. Una volta di nuovo insieme,
l’hunter, prima di andarsene, disse: «Dovrete aspettare qui fino a che il
processo finirà. Si tratta di una mezz’ora, massimo un’ora».
Dopo che la porta della stanza fu
chiusa, Aura esclamò, roteando gli occhi: «“Massimo un’ora”… Che culo».
Alla fine, il processo continuò per ben
due ore consecutive e quando tutti i presenti nell’aula uscirono, esclusi i
vampiri, qualcuno sospirò di sollievo. Ma non Sebastian ed Angela, che erano
l’uno di fronte all’altra con i rispettivi clienti dietro le spalle, intenti a guardarsi
in cagnesco.
«Non pensare di averla vinta, umana.
Sarò io a vincere» disse Sebastian assottigliando lo sguardo, ma col suo
sorriso inquietante stampato in faccia.
«Fossi in te non ci conterei tanto, vampiro.
Vedremo chi vincerà, vedremo…» replicò Angela fredda.
I due si lanciarono un’ultima occhiata torva
prima di darsi le spalle e prendere strade diverse, segnando la fine di quel
lungo ed estenuante processo, il cui esito era ancora incerto.
Prima di tutto, scusate per il ritardo!
>< Tralasciando i motivi per cui non ho aggiornato prima, cosa che è
importante fino ad un certo punto, come avevo detto nel capitolo precedente, la
parte riguardante il processo (in questo caso buona parte del capitolo di oggi)
non è molto fedele alla realtà – od almeno penso. Non sono un avvocato né ho
studiato legge, quindi vi prego di glissare sulle ipotetiche falle di contenuto
– se ci sono grammaticali od altro è un altro discorso.
Comunque, già dal prossimo capitolo
inizieremo a lasciarci alle spalle – per la gioia di tutti, me compresa – tutte
queste faccende legali e noiose. Cheers!
:D
Yuna.
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Capitolo 25 *** The Condemnation ***
VK
Capitolo XXV
The Condemnation
Quasi un mese era passato dal processo,
e del verdetto ancora nulla, se non il silenzio. Circolavano voci di corridoio,
ma erano solo parole sprecate, dato che non trapelava nemmeno il più piccolo
indizio, da chi di competenza.
I due avvocati, Sebastian ed Angela,
evitavano di farsi vedere e di uscire, salvo per questioni importanti, ma non
per mancanza di voglia, solo per evitare d’incontrarsi. Il solo fatto che un
essere umano potesse tenergli testa, a Sebastian dava fastidio; e lo stesso
discorso si poteva applicare ad Angela, ma quest’ultima era abituata ad avere a
che fare coi vampiri, nemici, pseudo alleati od alleati veri e propri che
fossero.
Di Zero e Zephyr non si sapeva nulla;
la loro esistenza era stata avvolta dall’ombra, come se un sipario fosse calato
sopra di loro. Invece, per quanto riguardava Aura e Rossana, la situazione era
classica, come quella di tutti i giorni: lezioni, compiti, interrogazioni e… domande.
Sì, le due ragazze, alla fine di ogni
giornata, scolastica e non, finivano col porsi le stesse domande, alle quali,
ormai, rispondevano alla stessa maniera.
«Ormai è quasi passato un mese! Quand’è
che il giudice dirà chi è il “vincitore” e chi è il “perdente”?» chiese Aura a
Rossana.
Rossana fece le spallucce e rispose:
«Non lo so. Spero solo che la sentenza arrivi prima della fine della scuola.
Non vorrei rimettere piede qui solo perché il giudice si è preso i suoi tempi».
Aura sospirò ed unì le mani, posandole
poi sull’addome; infine, mentre Rossana era intenta a fissare il soffitto, si
sdraiò sul letto, posando la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi, ma
rimanendo sveglia: non era sua intenzione dormire.
Quando Rossana decise di interrompere
il contatto visivo col soffitto e si voltò verso di lei, vedendola in quella
posa, in mente le venne d’istinto una domanda, che non esitò subito a fare:
«Neh, Aura, non è che tu, mentre ero troppo presa nel tramare le torture per
tuo fratello, sei andata a divertirti,
eh?».
Aura sbuffò e non aprì nemmeno gli
occhi, dando mostra del fastidio recatole da quella domanda. «Ti sarebbe
piaciuto, ma, mi dispiace per il tuo piacere sadico e perverso, ma la risposta
è no. Dovresti smetterla di vedere
filmini a luci rosse ovunque, sai? Ti rovinano il cervello. Ah, ma mi stavo
dimenticando che era già rovinato».
Se solo avesse aperto gli occhi, Aura
si sarebbe accorta del ghigno malefico che Rossana aveva stampato in faccia. E
si sarebbe accorta anche del fatto che non promettesse nulla di buono.
«Oh, ma io non mi faccio i filmini che
dici tu, cara» disse Rossana. «Solo che, sai, sentendoti sempre nominare
Sebastian durante il sonno, mi sono chiesta se non fosse successo qualcosa…».
«Ma fammi il piacere di smetterla con
queste idiozie!» esclamò Aura. «E comunque, anch’io mi ero fatta qualche
domanda, quando tu continuavi a borbottare di torturare in ogni modo possibile
ed inimmaginabile mio fratello…».
Rossana guardò in cagnesco Aura, e
quest’ultima aprì gli occhi e guardò Rossana, sostenendo il suo sguardo. Alla
fine nessuna delle due prevalse sull’altra, e passarono ad altro; infatti,
Rossana disse: «Neh, sai cosa mi sono chiesta?».
«Cosa?».
«Mi sono chiesta come mai fra tua zia e
“L’Avvocato del Diavolo” non scorra buon sangue. Ma, soprattutto, se si
conoscessero già. Ecco, l’ultimo punto è quello che m’interessa di più» spiegò
Rossana.
Aura prima si passò una mano sulla
faccia, poi rispose: «Ma perché lo chiedi a me, che dell’esistenza di Sebastian
ne so quanto te? Comunque, l’unica che potrebbe risponderci, a meno che non ci
venga l’idea malsana e masochista d’andare da Sebastian, è mia zia. Però non so
se, data la situazione, ci farebbe il favore di appianare questi dubbi».
«In effetti, non credo che sia
dell’umore adatto per risponderci… meglio se glielo chiediamo una volta chiuso
il capitolo della sentenza» concluse Rossana, trovando Aura d’accordo con
quanto detto.
14 Febbraio.
Finalmente il giudice aveva preso una decisione;
l’aula, usata in precedenza per il processo, era di nuovo piena con le stesse
persone, e persino le espressioni sui loro volti erano le stesse. E, se
qualcuno ci avesse fatto caso, anche l’aria che si respirava era pesante
proprio come quella che c’era durante il processo.
I due avvocati, coi rispettivi clienti,
erano seduti ai loro posti e tesi al massimo: si vedeva dalle loro facce;
mentre Aura e Rossana, che per quell’occasione non avevano bisogno di stare da
tutt’altra parte, erano sedute dietro Yuuki e Kaien, i quali, come la volta
precedente, erano seduti in prima fila, non molto distanti da Angela e Zero.
Dall’altra parte, sulla sinistra, vi era Kaname con la sua cerchia stretta,
mentre in fondo, sulla destra però, vi erano Toga ed Alexander, che si erano
obbligati da soli ad essere presenti, in quanto volevano sapere come sarebbe
andata a finire senza sentirselo raccontare da altri.
Ad un tratto, il giudice richiamò tutti
i presenti all’ordine, anche se non vi era poi così tanta confusione, ma solo
un leggero chiacchiericcio.
«Mi scuso per la lunga attesa» disse il
giudice. «ma ora pronuncerò la sentenza».
I presenti trattennero il fiato,
vampiri compresi.
«La corte dichiara Zero Kiryu non
colpevole, e dichiara Zephyr Thanatos colpevole, condannandolo a trecento anni
di reclusione in una bara».
Il suono del martelletto di legno sul
tavolo dichiarò concluso il processo, oltre al “vincitore” ed al “perdente”;
ma, prima che ciò accadesse, Rossana si alzò in piedi ed esclamò: «Aspettate!
Avrei una pena migliore».
Tutti la guardarono con tanto d’occhi,
in particolar modo Aura e Alexander, ed il giudice la squadrò dall’alto al
basso, poi le concesse il diritto di continuare.
«Se possibile, vorrei che venisse messo
al servizio della famiglia Crowe – la mia. Ovviamente per tutta la durata di
tempo specificata nella pena originale».
Il giudice parve rifletterci un attimo,
poi fece cenno ai due avvocati di avvicinarsi.
«Cosa ne pensate?» chiese loro.
«Credo che, l’essere al servizio dei
Crowe, sia peggiore della condanna stabilita» proferì Angela. «Dopotutto, i
Crowe sono noti per il loro odio nei confronti dei vampiri».
«Come ha detto l’avvocato Cecil» iniziò
Sebastian. «i Crowe non amano i vampiri; quindi, anche se può sembrare strano,
sono d’accordo con lei. Ma il motivo che mi ha spinto a dirlo è il seguente: far
acquisire esperienza al condannato».
«Potete andare» proferì il giudice,
che, non appena i due avvocati furono di nuovo al loro posto, comunicò la sua
decisione: «Sperando che non vi siano ulteriori cambiamenti dell’ultimo minuto,
in via eccezionale, la corte accoglie la nuova condanna: Zephyr Thanatos viene
condannato a servire la famiglia Crowe per trecento anni, a partire da oggi
stesso. Inoltre, la corte richiede che venga marchiato. La seduta è sciolta».
Questa volta, nessuno impedì che il
martelletto del giudice ponesse fine a tutto.
Prima che le persone, umane e non,
iniziassero ad uscire dall’aula, due vampire hunter misero delle catene ai
polsi di Zephyr, il quale non fece una piega e si lasciò portare via sotto lo
sguardo indifferente della sorella e quello soddisfatto di Rossana.
Una volta che il vampiro, assieme ai
due hunter, fu fuori dall’aula, il resto dei presenti iniziò a confluire fuori,
giudice e membri della giuria compresi; gli ultimi furono i due avvocati, Zero,
Aura e i due Crowe.
Chiusa la porta dell’aula, Angela disse
a Sebastian, con tono ironico: «Adesso, il tuo “titolo” di “Avvocato del
Diavolo” se n’è andato, così come il tuo cliente. Quanto mi dispiace…».
Sebastian mostrò il suo falso sorriso e
le rispose: «Non ho bisogno di finta comprensione, soprattutto da parte di un
insulso e debole essere umano come te».
Angela rise. «Affronta l’amara e
scottante verità, vampiro: questo “insulso e debole essere umano”, la
sottoscritta dicasi, ti ha battuto. Fattene una ragione, ex Avvocato del
Diavolo».
«Sappi che non finirà qui» concluse Sebastian,
prima di girare i tacchi ed andarsene.
«Lo vedremo, vampiro, lo vedremo»
proferì a bassa voce Angela, prima di voltarsi verso gli altri, che avevano
osservato, e seguito, in silenzio il suo scambio di battute con Sebastian.
«Allora» fece lei allegra. «non siete
contenti che il qui presente Zero, nonché ragazzo della mia adorata nipotina,
sia risultato essere innocente come effettivamente era?».
«Zia, smettila di inventarti e vedere
le cose! Zero non è il mio ragazzo!» esclamò imbarazzata Aura, provocando le
risate della zia e di Rossana, la quale si asciugò una lacrima, nata dal troppo
ridere.
«Continuate a sognare» aggiunse Zero,
senza guardare nessuno in faccia, tranne la parete accanto a sé.
«Neh, voi due, è inutile che neghiate:
prima o poi, qualcuno cederà!» esclamò Rossana.
«Mi hai tolto le parole di bocca!»
dichiarò Angela entusiasta. «Comunque, adesso vado a cambiarmi: questa toga è
peggiore di uno scafandro!».
Angela salutò sua nipote e gli altri
tre, poi si dileguò.
«Beh» iniziò Alexander serio, che era
stato in silenzio fino a quel momento, con le braccia conserte. «non mi sarei
mai aspettato che la zia della dampyr avrebbe preso le tue difese, futuro Level
E, tantomeno che ce l’avresti fatta ad esser reputato innocente dalla corte.
Comunque» si voltò verso Rossana, che per qualche strano motivo si era fatta
seria. «mai mi sarei aspettato che
proprio tu, dopo tutto quel che ti è stato fatto, avresti patteggiato per la
pena del vampiro che…».
La frase di Alexander fu interrotta da
un’alzata di mano di Rossana, che prese la parola: «Trecento anni di sonno non
mi andavano bene come pena: dormire, soprattutto per un vampiro, non è poi così
terribile, dato che vivono per l’eternità. Ecco il perché della mia proposta,
che non ha nulla a che vedere con un patteggiamento, e che è stata accettata
senza tanti problemi. Quindi, Alexander, vedi di fartene una ragione; tanto so
già che ne approfitterai per torturare Zephyr».
«Ora si spiega tutto!» esclamò Aura,
attirando gli sguardi dei due Crowe su di sé. «Hai proposto tale pena in modo
da poter torturare mio fratello ventiquattro ore su ventiquattro, vero, Sana?».
Rossana ghignò sadica. «Alla fine, a
forza di scervellarmi sul come torturarlo e fargliela pagare, ho trovato il
modo che più mi aggradava: il più sadico, direi».
«Aggiungerei anche il più crudele»
disse Zero atono, fingendo poi di non aver detto nulla per evitare una qualche
ripicca da parte della rossa.
«Comunque te ne pentirai di questa
scelta, Rossana; e dico sul serio: avere un vampiro in casa non porta mai nulla
di buono… Credo che quel che è successo a nostro zio ti dica qualcosa…» proferì
Alexander.
Rossana lo guardò male e gli disse,
prima di superarlo: «Quel che era successo a nostro zio è ben diverso; non
azzardarti mai più a fare un paragone del genere. Ma adesso andiamo: a
quest’ora avranno sicuramente finito la cerimonia di addomesticamento di
Zephyr».
«“Cerimonia di addomesticamento”…?»
ripeté Aura.
Rossana si passò una mano sulla faccia
e si voltò verso di lei, mentre Alexander si portò due dita sulla fronte e
scosse la testa; Zero, invece, si limitò ad andarsene senza farsi notare.
«Vieni a vedere, nana ignorante: non ho
voglia di perdermi in spiegazioni, ora come ora. Andiamo» disse Rossana
annoiata, afferrando Aura per un polso e trascinandola con sé, seguita dal
fratello, che era ancora più infastidito dalla presenza prolungata della
dampyr.
E...
Zephyr è stato condannato. Beh, alla fine, il povero Zero non aveva fatto nulla
(a parte trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, s'intende).
Finalmente, però, diciamo addio a tutte queste questioni giuridiche (che
mettevano un po' di difficoltà alla sottoscritta, ma dettagli).
D'ora
in poi, si dovrebbe tornare alla solita vita di tutti i giorni... più o meno.
Alla
prossima!
Yuna.
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Capitolo 26 *** A Vampire inside a Vampire Hunter Family ***
VK 26
Capitolo XXVI
A Vampire inside a Vampire Hunter
Family
Rossana ed Alexander, con Aura al
seguito, ancora trascinata per il polso, si ritrovarono davanti all’entrata del
Quartier Generale della Vampire Hunters Association: erano giunti lì usando la
macchina di Alexander, l’unico ad avere la patente.
I tre, ormai due, dato che Alexander
era ormai entrato nell’edificio, non sapevano cosa fare: un dubbio glielo
impediva. Lo stesso dubbio che si era fatto vedere durante il processo, quando
Aura e Rossana avevano pensato di entrare nell’archivio dell’Associazione.
«Dici che riuscirò ad entrare…?» chiese
Aura a Rossana.
«Io dico di provare. Al massimo,
finirai dall’altra parte della strada» rispose Rossana, avvicinandosi alla
porta d’ingresso ed aspettando che anche Aura facesse altrettanto. Appena quest’ultima
fu vicina all’ingresso, le disse, a battuta: «Se vuoi, ti tengo per mano come i
nani, così non ti perderai!».
«Non era affatto divertente, sappilo»
replicò Aura, fredda.
«Bene, allora io andrò avanti» proferì
Rossana, facendo per entrare.
«Eh?! No, aspetta!».
Rossana stava per aprire la porta ed
entrare, seguita da Aura, quando Alexander sbucò fuori e gridò, con
un’espressione non molto allegra: «Quel dannato vampiro è scappato!».
«Cosa?!» esclamarono insieme Aura e
Rossana, esterrefatte.
«Andiamo, non c’è tempo per stare a
chiedersi come abbia fatto! Dannato…».
Alexander partì di corsa, in direzione
di un vicolo che sembrava poco raccomandabile, e poco dopo altri hunters si
unirono a lui, dando inizio ad una ricerca a tappeto. Rossana ed Aura, rimaste
impalate dov’erano a vedere tutta quella gente darsi alla ricerca di un vampiro
con così tanta foga, erano rimaste spiazzate, e non sapevano cosa fare: se gli
hunters stavano già setacciando la città, che senso aveva, per loro, darsi da
fare?
«Mh, io dico che Zephyr non è più qui»
proferì Aura pensierosa.
«Cosa intendi dire?» le chiese Rossana.
«Intendo dire che se n’è andato dalla
città, rifugiandosi chissà dove. Non è scemo: sa che, se sarebbe rimasto qua,
sarebbe stata una questione di tempo, prima che lo trovassero».
«Allora cosa facciamo? Se non è qui, la
ricerca degli altri vampire hunters è già segnata come un fallimento…».
Aura rimase in silenzio per qualche
minuto, pensando alle varie opzioni che avevano, e nel mentre si allontanò
dall’ingresso dell’edificio, seguita da Rossana, che si stava chiedendo cosa
stesse passando per la testa della dampyr. Ad un tratto, quest’ultima si fermò,
e Rossana rischiò di finirle addosso, e le sbraitò contro: «Ehi, nana, non ti
fermare così, nel bel mezzo della strada! Ci mancava poco e ti avrei schiacciato!».
Aura non fece caso alle grida di
Rossana e, come se fosse tornata ora sulla terra, disse: «Dobbiamo dividerci».
«Huh?» fece Rossana.
«Se vogliamo trovarlo, dobbiamo
dividerci. Quindi…».
«Ok, ho capito. Ma dove andiamo a
cercarlo? Sicuramente non qui…».
Aura si mise a guardare il pavimento.
«Ehm… non so dove» mormorò.
Rossana si passò una mano sulla faccia.
«Ma come? Hai fatto la pensierosa fino ad estraniarti dal mondo, e non hai
pensato ad una cosa importante come questa? Sono senza parole».
«Se qualcuno non mi avesse fatto
perdere il filo del ragionamento con le sue urla…» ribatté Aura, battendo un
piede sul marciapiede.
«Ora vieni a dire che sarebbe colpa
mia? Ma se non mi hai nemmeno sentito, quando stavo urlando!» esclamò Rossana.
«Questo lo pensi tu» disse Aura,
volgendo lo sguardo a sinistra. «Comunque credo che ci convenga setacciare la
scuola ed il vecchio Moon Dorm».
«Perché?» chiese Rossana.
«Perché sono due posti dove io mi rifugerei,
se dovessi nascondermi».
Una figura, vestita con la divisa della
Night Class, correva in mezzo agli alberi ed i cespugli, in direzione di un
edificio caduto in disuso ma ancora ben messo. Uno degli ultimi di raggi di
sole lo illuminò, e Zephyr strizzò gli occhi: anche se, quando era fuggito
dalle mani dei vampire hunters, era già pomeriggio, il sole gli dava un po’ di fastidio
lo stesso, ora che era aveva appena ricevuto il tatuaggio, che si trovava sul
lato destro del suo collo.
Avanzava con lentezza, tenendosi una
mano sul tatuaggio e con un’espressione di dolore sulla faccia; ma questo non
lo avrebbe fermato nel raggiungere l’edificio che era ad una decina di metri da
lui: il vecchio Moon Dorm. Sapeva che quello sarebbe stato l’ultimo posto dove
quei dannati vampire hunters l’avrebbero cercato; ecco il perché della sua
scelta di rifugiarsi lì.
Scavalcati gli ultimi due cespugli
fastidiosi, solo tre gradini lo separavano dal portone d’ingresso; ma anche
quell’ostacolo venne superato in breve tempo, e Zephyr si ritrovò all’interno
del vecchio Moon Dorm, nell’atrio, per l’esattezza. Si guardò intorno e, viste
le scale, si trascinò a fatica in una delle stanze del secondo piano, dove vi
si chiuse a chiave; scivolò con la schiena lungo la porta e si sedette a terra,
mettendo poi una mano sul tatuaggio, il quale, oltre a procurargli dolore, gli
stava dando la sensazione che la sua pelle stesse andando a fuoco.
«Dannati vampire hunters…» imprecò a
denti stretti.
Nel tempo in cui Zephyr aveva raggiunto
il suo nascondiglio, il sole era tramontato ed aveva iniziato a lasciare il
posto alla luna; nel mentre, i vampire hunters, tra cui Alexander, Aura e
Rossana, continuavano la loro ricerca.
Rossana, finita davanti al vecchio Moon
Dorm intorno alle dieci di notte, osservò l’edificio e decise di andare a
dargli un’occhiata, tanto per escludere un altro possibile rifugio.
«Beh, ho già controllato l’area
intorno… tanto vale dare un’occhiata» disse una volta davanti all’ingresso.
Aprì la porta ed entrò, richiudendola
senza fare rumore, qualche volta il vampiro ricercato si trovasse lì; dopodiché
si guardò intorno e controllò tutte le stanze presenti al piano terra, quello
sul quale si trovava ora, ma non trovò nulla, se non tanta polvere ed odore di
chiuso.
«Se dessero una sistemata, questo posto
potrebbe essere usato per qualcosa di utile!» si ritrovò a pensare ad alta voce
Rossana, maledicendosi subito per averlo fatto.
Strinse i denti, rischiando quasi di
mordersi la lingua, e salì le scale di legno sulla destra, che la portarono al
secondo piano; guardò prima a destra e poi a sinistra e poi, seguendo il suo
istinto da vampire hunter, si diresse verso il corridoio di destra, aprendo e
controllando tutte le stanze presenti da ambo i lati. Alla fine giunse di
fronte all’ultima porta da controllare, ma, una volta messa la mano sulla
maniglia, si accorse che la suddetta porta era chiusa a chiave dall’interno.
“Questa
non ci voleva”
pensò Rossana. “O Zephyr si trova qui, o
questa porta è rimasta chiusa da anni fa, se non secoli. Beh, chiusa anni fa o
no, io la aprirò!”.
Ai vampire hunters non veniva insegnato
come scassinare una porta, visto che di solito i loro obiettivi erano
facilmente raggiungibili, ma a Rossana era stato insegnato qualche altro trucchetto
e qualche altra mossa che facevano comodo, proprio come in questo caso.
Fece due passi indietro, fletté le
ginocchia e balzò verso la porta con l’intenzione di sfondarla, visto che
l’aveva ritenuta debole, in quanto consumata dal tempo; ma sul più bello si
aprì, e lei dovette arrestare di botto la sua corsa, ritrovandosi a saltare sul
letto di fronte a sé, per fermarsi definitivamente.
Non ebbe il tempo di girarsi, però, che
subito si ritrovò addosso la persona che aveva aperto all’improvviso la porta,
ovvero colui che quasi tutti i membri della Vampire Hunters Association stavano
cercando: Zephyr Thanatos.
«Allora eri qui che ti nascondevi… Aura
aveva azzeccato» disse Rossana, compiendo il grave errore di guardarlo in
faccia.
Quel che vide non fu la solita
espressione strafottente, bensì una più tendente alla sofferenza. Una
sofferenza che Rossana non era in grado di afferrare al momento, e che scambiò
per quella dovuta alla sete – cosa che in quel momento non preoccupava affatto
Zephyr.
«Cos’è quella faccia?» continuò
Rossana, vedendo che Zephyr continuava a tenere quell’espressione quasi a cane
bastonato stampata in faccia. «Se è una nuova tecnica di non so cosa, lasciami
dire che non funziona e che non funzionerà, vampiro».
«Ti sbagli» rispose Zephyr. «Non è
quello che pensi» si morse un labbro.
Rossana sollevò un sopracciglio,
scettica e sulla difensiva. «Allora di cosa si tratta? Lo sai, vero, che in
questo momento un bel po’ di gente ti sta cercando?».
«Sì, lo so. Ma non ho intenzione di
farmi prendere… per il momento» rispose Zephyr con un tono di voce strano.
In quel momento ci fu un cambio
repentino nell’espressione facciale del vampiro, che riprese quella che era
solito avere. Ma non si fermò lì. Mise le mani sulle spalle di Rossana, facendola
aderire ancora di più contro il materasso del letto.
«No, non di nuovo!» gridò Rossana,
invano.
Zephyr sorrise, ignorò quello che lei
aveva appena detto e le impedì di dire altro con un bacio rapido, passionale ed
al contempo con una punta di disperazione. Le diede tregua solo quando si
accorse che iniziava a mancarle l’aria, cosa di cui lui non aveva mai avuto
bisogno.
Per darle il tempo di riprendere fiato,
iniziò a mordicchiarle il collo, ma senza far uscire nemmeno una goccia di
sangue: per il momento, non era nelle sue intenzioni. Quando Rossana ebbe
ripreso fiato, Zephyr fece scorrere il braccio destro sotto la schiena di lei,
e la sollevò, per poi stringerla a sé; con l’altro braccio le cinse la vita e
fece in modo da cambiare posizione, ritrovandosi con Rossana seduta sulle
proprie gambe.
Zephyr si ritrovò a sorridere, quando
vide Rossana mettergli le braccia intorno al collo; poi la baciò di nuovo,
impadronendosi del tutto delle sue labbra. Fu un bacio lungo, molto lungo.
Quando si separarono per la seconda volta, Zephyr posò le sue labbra fredde sul
collo di Rossana, con l’intenzione di morderla, ma sentì un bisbiglio provenire
da fuori la stanza, la cui porta era, stranamente, socchiusa.
Infatti, mentre lui e Rossana si erano
estraniati dal mondo, Aura, preoccupata dal fatto che la rossa ci stesse
mettendo una vita nel controllare la zona intorno al vecchio Moon Dorm, si era
recata lì, con l’aggiunta forzata di Alexander. E così, lei ed il fratello di
Rossana, dopo aver controllato l’edificio, alla fine si erano ritrovati davanti
all’unica porta socchiusa; ma furono i rumori provenienti dalla stanza quel che
fece capire loro di aver fatto centro.
Alexander, con due pistole alla mano,
ed intenzionato ad usarle, si era messo dalla parte opposta di Aura, facendole
cenno di affacciarsi per vedere cosa vi fosse dentro la stanza. Aura lo guardò
sconvolta e scosse la testa, e gli disse a bassa voce: «Puoi scordartelo. Fallo
tu, visto che sei il vampire hunter della situazione… e dei miei stivali».
Ma l’occhiata infuriata del ragazzo la
costrinse a fare quello che doveva, e così allungò il collo per vedere cosa vi
fosse dentro la stanza. Quello che vide la gelò sul posto, oltre che lasciarla
schifata. Distolse immediatamente lo sguardo e guardò alla sua destra, verso il
corridoio, sentendosi trafiggere poi da uno sguardo di una persona molto
adirata, che le disse: «Dopo farò i conti anche con te».
Aura deglutì a vuoto e non osò voltarsi
verso Alexander, il quale aprì con un calcio la porta, rimanendo muto a causa
dello spettacolo che si parò dinanzi i suoi occhi: sua sorella ed il fratello
della dampyr, l’una appiccicata all’altro, intenti in un bacio tutt’altro che
casto.
«A-Alla faccia che lo detestava!»
esclamò Aura, affacciatasi di nuovo e guardando i due con tanto d'occhi,
spostando poi, di nuovo, il suo sguardo da un'altra parte, dato l'imbarazzo.
Alexander digrignò i denti e dovette
resistere all’impulso di sparare al vampiro, data l’alta probabilità di colpire
anche la sorella, che, con molte probabilità, sarebbe stata usata come scudo,
in caso di attacco.
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Capitolo 27 *** A Temporary Farewell ***
VK27
Capitolo XXVII
A Temporary Farewell
Rossana, resasi conto di aver
compagnia, cercò di spingere via Zephyr, il quale non mollò la presa su di lei,
anzi la strinse ancora di più a sé. Questo non piacque per niente ad Alexander,
che era molto vicino a fare fuoco sul vampiro, anche se ci sarebbe stata la
probabilità di colpire la sorella.
«Leva le tue luride mani da mia
sorella, vampiro» ringhiò Alexander.
«Altrimenti cosa farai, vampire hunter
mancato? Mi sparerai?» lo canzonò Zephyr, stringendo Rossana ancora di più a
sé.
I due si guardarono negli occhi, ed Aura
vide uno strano bagliore negli occhi del fratello; ma non era lo stesso che
compariva quando aveva sete di sangue. Poi, ad un tratto, la pistola, che
Alexander teneva salda in mano, cadde sul pavimento, e l’hunter dai capelli
rossi si piegò sulle ginocchia, con una mano sul viso, come se avesse avuto
un’emicrania fulminante.
«Alexander!» lo chiamò preoccupata
Rossana.
«Stai tranquilla: sta benissimo.
Respira ancora, vedi?» le disse Zephyr per calmarla, passandole una mano tra i
capelli.
«Cosa gli hai fatto?» chiese Rossana,
voltandosi verso di lui.
«Nulla di speciale… ho solo provato ad
entrare nella sua mente per farlo dormire un po’, ma devo ammettere che le sta
provando tutte… per resistere».
Aura, vista la situazione, decise di
ricorrere ad un atto un po’ avventato ma che avrebbe potuto mettere a posto
tutto: con un chiodo che sporgeva sulla parete accanto a lei, si fece un
taglietto sull’indice destro, dal quale spuntò una sottile striscia rossa.
L’odore del sangue di Aura arrivò
subito alle narici di Zephyr, il quale ebbe un momento di esitazione; Rossana,
accortasi di ciò, con uno strattone si liberò dalla sua presa e corse da
Alexander, il quale si tirò su e la allontanò con un gesto brusco.
«Passami la pistola, e prendi questo»
le disse, dandole un braccialetto col simbolo dei vampire hunters. «Spero che
tu sappia a cosa serva: non ho la minima intenzione di spiegartelo» aggiunse.
«So a cosa serve... cosa credi?» gli
disse Rossana, dopo aver afferrato il braccialetto. «Però, non ho intenzione di
ridarti questa» indicò con un cenno del capo la pistola, che ora teneva in
mano.
«Rossana, non scherzare. Dammi quella
maledetta arma. Ora!».
Mentre i due Crowe battibeccavano,
avevano perso di vista Zephyr, il quale era sgusciato via attraverso la
finestra, che ora era rimasta aperta.
«Accidenti, ve lo siete fatto
scappare!» esclamò Aura, passandosi la mano sinistra sulla faccia. «E sareste
vampire hunters? Ma fatemi il piacere!».
La sua ultima esclamazione le costò
un’occhiataccia da parte di Alexander, ora molto più irritato di quanto non
fosse prima. Ma nessuno dei tre poteva sapere che, in realtà, la fuga di Zephyr
era stata bloccata non appena aveva toccato il suolo.
«Sebastian!» esclamò il giovane vampiro,
guardando il cugino con gli occhi sgranati dalla sorpresa. «Sei stato attirato
dall’odore del sangue di Aura, vero?» chiese assottigliando lo sguardo.
«Non ti riguarda. Piuttosto…».
Ma il purosangue non ebbe il tempo di
continuare la sua frase, dato che Zephyr lo interruppe: «Prendi di mira chi ti
pare, anche me stesso se vuoi, ma non lei! E nemmeno Rossana!».
Sebastian si passò una mano fra i
capelli. «Gli esseri umani non m’interessano, ma non cambia il fatto che questo
non ti riguardi in alcun modo, Zephyr».
Con il solo aver pronunciato il nome, Sebastian
era riuscito a far inginocchiare il cugino come la volta precedente. Dopotutto,
per quanto gli desse fastidio vedere un proprio parente sottomesso da dei
patetici vampire hunters, lui non sarebbe andato contro la legge. E poi, senza
il cugino nei paraggi, sarebbe stato libero di fare quello che voleva.
Poco dopo il suo breve dibattito con
Zephyr, arrivarono i due Crowe e la cugina, la quale attirò immediatamente la
sua attenzione, dato che non si era preoccupata minimamente di far smettere di
sanguinare il dito, anche se il sangue aveva iniziato a coagularsi. Infatti,
mentre i due vampire hunter erano intenti ad organizzarsi per portar via
Zephyr, nonostante stesse facendo tutto Alexander, Sebastian ne approfittò per
scivolare alle spalle di Aura ed afferrarle il polso della mano col dito
sanguinante, per poi tirare fuori un fazzoletto di stoffa bianco dalla tasca e
avvolgere la parte incriminata.
Aura, senza accorgersene, arrossì, e
gli chiese: «Cosa stai facendo?».
«Non lo vedi?» rispose lui. «Ho impedito
che l’odore del tuo sangue attiri troppa attenzione».
Aura annuì. «Ah… vero. Grazie,
Sebastian».
Intanto, Alexander aveva finito di
preparare Zephyr per il trasporto “speciale” e se l’era caricato già in spalla,
quando quest’ultimo, vedendo Sebastian troppo vicino alla sorella, esclamò:
«Aura, non farti abbindolare dai suoi gesti e dai suoi comportamenti! La sua è
tutta una farsa!».
«Fa’ silenzio» gli intimò Alexander.
«Ma tu guarda… oltre ad essere un fottuto vampiro maniaco, è anche chiassoso.
Ma gliela farò perdere io la voglia di comportarsi così» aggiunse poi, mentre
si dirigeva in direzione dei cancelli della scuola, dove vi aveva lasciato la
sua vettura, con la quale avrebbe portato via Zephyr dalla Cross Academy.
Visto che non aveva più senso restare
nei paraggi del vecchio Moon Dorm, Aura si allontanò da Sebastian e raggiunse
Rossana, la quale guardò di traverso il purosangue che, dal canto suo, le
sorrise col suo ormai conosciuto sorriso inquietante.
«Fossi in te» iniziò Rossana, rivolta
ad Aura. «farei attenzione a lui, oltre che stargli molto lontana».
Aura annuì. «È una cosa che avevo già
messo in conto. Se quello che passa nella testa di mio fratello è ambiguo,
figuriamoci in quella di Sebastian… Comunque, anche tu, cara mia, dovresti
stare lontana da qualcuno, sai? Se
solo non fossi venuta qua, chissà cosa avreste combinato voi due…».
Rossana arrossì furiosamente ed aumentò
il passo, lasciando indietro Aura, che dovette inseguirla a corsa per tornare
al suo fianco. Giunte dinanzi ai cancelli d’ingresso della Cross Academy, le
due si accorsero che Sebastian non era dietro di loro ma, al momento, la cosa
che impegnava di più la loro attenzione era il vedere Alexander avere problemi
nel mettere Zephyr in macchina, visto che quest’ultimo si opponeva con tutte le
sue forze.
«Dannazione, succhiasangue, smettila di
comportarti come un moccioso ed entra dentro!» sbraitò Alexander per la
seconda, se non terza, volta, mentre spingeva Zephyr per la testa.
«La vedo dura…» mormorò Aura.
«Anch’io» concordò Rossana.
A quel punto Alexander, vicino al
perdere le staffe e trucidare seduta stante Zephyr, si voltò verso la sorella e
la dampyr ed urlò: «Ehi, voi due, invece di stare lì a guardare, o mi date una
mano o andate a fare qualcosa di utile!».
Rossana ghignò e fece cenno ad Aura di
aspettare lì, la quale la guardò confusa: cosa aveva intenzione di fare
l’amica? Rossana, avvicinatasi allo sportello aperto della macchina, disse al
fratello: «Tu vai dall’altra parte ed apri l’altro sportello, perché dovrai
bloccarlo poi».
Alexander annuì e fece come detto,
mentre Rossana, con un ghigno sadico stampato in faccia, con una mano afferrò
Zephyr per un fianco, in modo che non potesse scapparle, e con l’altra gli
diede una bella pacca sul sedere, facendolo scattare in avanti; a quel punto
Alexander lo afferrò e lo bloccò sul sedile, ghignando soddisfatto.
«Si può sapere cosa gli hai fatto, per
farlo entrare con così tanta facilità?» chiese Alexander.
Rossana si limitò a fare le spallucce e
a rispondergli vaga: «Ma niente… gli ho dato una piccola spinta… tutto qui».
Aura, intanto, si era passata la mano
sulla faccia almeno una decina di volte, dato che aveva visto la spinta di cui
Rossana parlava. Come metodo aveva funzionato, non c’erano dubbi, ma lasciava
intendere molte cose.
«Ora te ne andrai?» chiese Rossana al
fratello, il quale aveva già messo in moto il veicolo.
«Sì» le rispose. «Prima porto a casa
questa sanguisuga, prima nostro padre si abituerà – lo spero – all’idea di
averla a casa per trecento anni…».
Rossana sospirò. «Sarà molto difficile
fargli accettare questa “novità”. Ma adesso vai, ché prima arrivi, meglio è!».
«Vado» disse Alexander, chiudendo il
finestrino.
Dopodiché Rossana si allontanò e il
fratello fece retromarcia, per poi uscire attraverso il cancello aperto, che
venne chiuso poco dopo averlo attraversato, portando via con sé sia un vampire
hunter che un vampiro.
«Adesso possiamo tornare al dormitorio,
vero? Tutta questa ricerca mi ha distrutto!» esordì Aura, avvicinatasi a
Rossana, la quale annuì.
«Sì, andiamo… dopotutto domani le
lezioni ci sono lo stesso, purtroppo».
Il viaggio era durato diverse ore, ma
alla fine Alexander era giunto a destinazione e senza che Zephyr gli desse noia
più del dovuto. Certo, per tutto il tempo in cui era stato in macchina con lui,
Zephyr non aveva smesso di ricoprirlo d’insulti di ogni genere, cosa che aveva
ricambiato più che volentieri con altrettanti insulti all’indirizzo del
vampiro.
«Sei solo un hunter sadico e bastardo!»
esclamò Zephyr, ancora non stanco di quel duello verbale inutile.
«E tu sei soltanto una sanguisuga
maniaca e sottomessa al suddetto vampire hunter “sadico e bastardo”. Come la
vuoi mettere?» chiese Alexander ghignando, ben conscio di averla vinta.
Arrivati dinanzi il cancello della
residenza della famiglia Crowe, Alexander fermò la macchina, scese, obbligò
Zephyr a fare lo stesso e poi chiuse a chiave il veicolo per poi trascinare il
vampiro con sé verso l’ingresso dell’abitazione. Una volta giunti davanti alla
porta, Alexander disse a Zephyr: «Senti, vedi di non far infuriare il vecchio,
altrimenti potrai considerarti morto non appena varcherai questa porta»..
Zephyr sbuffò. «Non credo che sarà così
idiota da eliminare un Thanatos. Forse potrà anche fare paura se infuriato, ma,
fidati, il mio potrebbe essere peggio, molto peggio».
«Hmph. Non potrai essere certo di
quello che dici, fino a quando i due in questione non si scontreranno. Solo
allora sapremo chi è quello più forte» concluse Alexander, ponendo fine al
discorso.
I due entrarono dentro l’abitazione, ed
il vampire hunter trascinò il vampiro lungo il corridoio per poi aprire la
porta in fondo a sinistra, dietro la quale si trovava il salotto, un enorme
salone con tanto di caminetto. Seduto su una poltrona, intento a leggere un
resoconto di una missione, vi era Thomas Crowe, il quale adesso aveva il suo
sguardo puntato sul figlio maggiore e sull’ospite sgradito.
«Padre, lui è…» fece per dire
Alexander, ritrovandosi a dover chiudere la bocca: Thomas si era alzato.
«So già tutto, Alexander» disse l’uomo,
lasciando basito il figlio maggiore.
«Chi ve l’ha detto?».
«Kaito» rispose Thomas.
«Capisco» si limitò a dire Alexander.
«Avrei una domanda da farti,
Alexander».
«Dimmi».
«Sai il perché di questa “scelta” di
tua sorella? Io non riesco a capire: perché far modificare la pena per questa
bestia assetata di sangue, quando andava bene così com’era?».
«Non sono una bestia assetata di
sangue! Quelli sono i Level E!» esclamò Zephyr.
Thomas lo guardò con uno sguardo gelido
e davvero inquietante, quasi quanto il sorriso di Sebastian, e gli disse:
«Vogliamo fare una prova, vampiro?».
«Oh, sì, mi piacciono le sfide!» esordì
Zephyr, sostenendo lo sguardo del vecchio Crowe.
«Bene. Alexander, portalo giù nel seminterrato
e incatenalo alla parete. Vi raggiungerò fra poco: prima devo fare un’altra
cosa».
Alexander annuì e portò via Zephyr, il
quale mentalmente stava ricoprendo d’insulti Thomas; nel frattempo,
quest’ultimo si era recato nel giardino, lo aveva attraversato e aveva
raggiunto il poligono di tiro, dove vi aveva trovato Kaito Takamiya, il quale
in futuro sarebbe diventato il fidanzato e marito di Rossana, probabilmente.
«Kaito» lo chiamò Thomas, vedendolo
venirgli in contro.
«Il vampiro dev’essere arrivato, se voi
siete qui» disse il giovane vampire hunter.
«Esatto» si limitò a dire Thomas.
«Vorrei tanto vedere che tipo è, ma ci
sono alcuni Level E che devono essere fermati e sono l’unico ad essere vicino
alla zona dove si trovano; quindi, il mio incontro col vostro nuovo coinquilino
dovrà aspettare».
«Capisco. Vai pure, Kaito».
«Salutatemi Alexander».
«Certamente» disse Thomas, prima che
Kaito si allontanasse e se ne andasse.
Portato a termine quello che doveva
fare, Thomas tornò sui suoi passi e si diresse nel seminterrato, dove Alexander
aveva già preparato il tutto: vampiro incatenato alla parete compreso.
La stanza in cui si trovavano era ben
illuminata e le catene, con cui Zephyr era incatenato, erano ancora nuove e
resistenti; il pavimento e le pareti mostravano i segni dell’umidità, oltre che
due o tre ragnatele negli angoli.
«Ora, vampiro, vedremo se non sei una
bestia assetata di sangue come pretendi d’essere» esordì serio Thomas, prima di
togliere, da sopra il tavolino alla sua destra, un panno rosso scuro da sopra
una coppa piena di sangue, chiusa da un coperchio di vetro; poi rimosse il
coperchio, permettendo all’odore del sangue di spandersi per la stanza. Non
appena il suddetto odore investì le narici di Zephyr, il vampiro si ritrovò a
digrignare i denti e a chiudere gli occhi per non darla vinta al vampire hunter
sadico più dei suoi stessi figli, il quale in quel momento non si stava
perdendo nulla di quello che stava succedendo.
Per sua fortuna, Zephyr si era
rimpinzato di blood tablets prima del processo, quindi la sete non costituiva
un problema, anche se quell’odore così invitante, che adesso lo avvolgeva
completamente, costituiva una tentazione bell’e buona. Ma non avrebbe ceduto.
Non l’avrebbe data vinta a Thomas Crowe. Strinse i denti e cercò di
concentrarsi su altro, ad esempio immaginandosi uno come Kiryu o Aidou al suo
posto, ed un sorriso sardonico spuntò sulle sue labbra, facendo corrugare la
fronte sia a Thomas che ad Alexander, i quali non riuscivano a capire il motivo
di quell’improvviso sorriso.
«Ti stai divertendo, sanguisuga?» gli
chiese, infatti, Alexander.
Zephyr scosse la testa e smise di
sorridere, anche se avrebbe voluto continuare a farlo, dato il divertimento che
ne stava ricavando.
Thomas aspettò un altro quarto d’ora,
poi coprì di nuovo la coppa, ponendo fine alla tortura, e disse: «Oggi,
vampiro, sei stato capace di resistere solo perché non avevi sete… Ma vedrai
che, quando l’avrai, resistere ti sarà impossibile».
«Questo lo dici tu» replicò Zephyr,
mantenendo il punto.
«Non costringermi a ridurti in
condizioni disperate, succhiasangue, perché potrei farlo benissimo: non ho
pietà nei confronti di quelli come te. Alexander, per stasera lascialo qui.
Domani mattina lo farai uscire e gli assegnerai i compiti che più ti aggradano»
proferì Thomas, uscendo dalla sala.
Alexander, prima di andarsene anche
lui, si rivolse a Zephyr, dicendogli: «Preparati, piccola e odiosa sanguisuga, perché
domani ti aspetterà una giornata molto movimentata».
Il vampire hunter uscì dalla stanza,
chiudendo a chiave la porta dietro di sé e lasciando Zephyr solo coi suoi
pensieri.
Poco dopo, un sorriso sardonico gli spuntò
di nuovo sulle labbra.
Sì, linciatemi pure: ne avete il
diritto, a questo giro.
Nonostante il capitolo fosse pronto da tempo, grazie alla mia enorme,
fantastica e speciale pigrizia ho rimandato non so quante volte. Dovevo
pubblicare ieri, figuriamoci, ma mi è totalmente passato di mente… ^^”
Oh, inoltre, colgo l’occasione, seppur
con quasi due mesi di ritardo, per fare gli auguri di Natale e augurarvi buon
anno! (Sì, lo so, sentirsi dire queste cose il ventotto di Gennaio può suonare
molto strano xP)
Vabbè, chiudo qui per non tirarla per
le lunghe.
Al prossimo capitolo, che sicuramente
non arriverà in ritardo! *schiva qualche pomodoro marcio*
Yuna.
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Capitolo 28 *** A Bloody Affair ***
VK
Capitolo XXVIII
A Bloody Affair
Due mesi erano passati così com’erano
arrivati: in un lampo. Ormai un nuovo mese era iniziato, e di Zephyr ed
Alexander non si sapeva più nulla; gli studenti avevano iniziato persino a
dimenticarsi di loro.
Il posto d’insegnante di etica della
Day Class, lasciato da Alexander, venne ripreso da Toga, con immensa gioia da
parte di Zero, per il quale, adesso, le interrogazioni erano diventate solo un
ricordo spiacevole. E se la Day Class era stata sistemata, la Night aveva lo
stesso problema, dato che avevano appena perso l’insegnate di etica.
Per rimediare a tale mancanza, il
preside si vide costretto a chiedere a Sebastian, il quale aveva deciso di
rimanere alla Cross Academy per un motivo che non aveva specificato, di
prendere il posto d’insegnate di etica della Night Class. Il purosangue,
stranamente, aveva accettato la richiesta; così, quella stessa sera, ad entrare
nell’aula della Night Class non fu Toga, bensì Sebastian, lasciando tutti i
presenti di stucco, tranne Kaname, che sapeva già tutto.
Sebastian diede una rapida occhiata a
tutti i vampiri presenti, compreso l’altro purosangue, e piegò di lato la testa,
evitando così un pugnale che era indirizzato alla sua fronte.
«Per questa volta lascerò correre»
disse lui, col suo sorriso finto stampato in faccia. «Ma una prossima volta non
ci sarà. A differenza dell’hunter, che fino a poco fa era al mio posto, io non
sono per niente tollerante, sappiatelo. Detto questo, non credo che vi sia
bisogno di presentazioni, quindi eviterò di sprecare altro fiato. Se avete
domande da fare, fatele adesso, prima che incominci a spiegare: le interruzioni
non saranno accettate».
Hanabusa roteò gli occhi e disse,
sottovoce, al cugino: «Forse, e dico forse, era meglio quell’hunter… Yagari, o
come diavolo si chiama».
«Toga Yagari» completò il nome
Akatsuki.
«Esatto, lui!».
Sebastian, che li aveva sentiti fin
dall’inizio, sorrise nella loro direzione, facendo venire i brividi ad entrambi
i vampiri, che si erano resi conto d’esser stati sentiti.
«Siete delle famiglie Aidou e Kain,
giusto?» chiese Sebastian, anche se sapeva già chi fossero.
I due vampiri in questione annuirono.
Le loro bocche erano sigillate per via dell’aura inquietante che il nuovo
insegnante emetteva.
«Bene. Allora, in ogni caso, siete
pregati di non parlare di fatti vostri… a meno che non vogliate seguire delle
lezioni fuori orario» disse loro Sebastian, con un sorriso ancora più ambiguo
del precedente.
Vedendo che Hanabusa ed Akatsuki erano
rimasti in silenzio, lo prese come un sì e diede inizio alla lezione, sotto lo
sguardo inquisitore di Kaname, secondo il quale Sebastian tramava qualcosa.
Due ore prima che l’alba sorgesse,
tutti i componenti della Night Class erano fuori dall’aula, tranne Sebastian,
il quale era poggiato contro la parete accanto alla lavagna con le braccia
conserte, e Kaname, che si era alzato dal suo posto e si stava dirigendo verso
la porta.
Quando quest’ultimo passò davanti alla
cattedra, disse a Sebastian: «Stai tramando qualcosa».
L’altro purosangue sorrise. «Cosa te lo
fa pensare?».
«È solo una sensazione».
«Da quando in qua uno come voi crede a
delle sensazioni, anziché a dei dati concreti?» chiese Sebastian,
allontanandosi dalla parete e mettendosi di fronte a Kaname. «Piuttosto… Cosa
ci fa qui un purosangue antico come voi? Non dovreste essere a dormire dentro
una bara in qualche cripta segreta… Antenato
Kuran?».
Kaname assottigliò lo sguardo
nell’esatto momento in cui Sebastian gli diede le spalle ed uscì dall’aula,
lasciandolo con la certezza che il purosangue Thanatos stesse tramando
qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con la presenza della dampyr.
I giorni si susseguivano a
rallentatore, ma finalmente le tanto desiderate vacanze di Pasqua erano
arrivate. Per quell’occasione, molti studenti, Day Class e Night Class
compresa, se ne tornarono alle proprie dimore dai parenti e dagli amici che non
vedevano da un po’, e tra questi vi era anche Rossana, la quale, però, non
voleva dire il motivo per il quale se ne tornava a casa.
Aura, che era indecisa se rimanere o
no, alla notizia che Rossana se ne sarebbe andata, non ci pensò due volte a
fare le valigie anche lei, ma non prima di andare a chiedere all’amica il
motivo della sua partenza.
La dampyr si fiondò fuori dal Sun Dorm,
cercando di non scontrarsi con gli altri ragazzi presenti che si erano accalcati
davanti all’ingresso come se il dormitorio in realtà fosse stato uno stadio, e
si diresse verso la scuola, percorrendo tutto il ponte di collegamento tra il
dormitorio ed il suddetto edificio. Quando giunse nei pressi della scuola,
intravide la chioma rossa di Rossana nel cortile, seduta su una panchina vicina
ad un lampione; Aura si avvicinò e si sedette accanto a lei.
«E così vai a casa, eh?» esordì Aura,
dopo una breve pausa di silenzio.
Rossana parve svegliarsi da un sogno ad
occhi aperti, e le ripose: «Mh? Ah sì, sì, vado a casa. Ma anche tu, giusto?».
«Io andrò a casa di mia zia, non quella
mia» replicò Aura, appoggiando la schiena contro lo schienale freddo e scomodo
della panchina.
«E come mai?» chiese sorpresa Rossana,
voltandosi verso di lei.
Aura fece spallucce. «Ormai è diventata
un’abitudine andare là. E poi, a casa, non saprei cosa potrei trovare» Tacque
un attimo. «Di sicuro non Zephyr, però» aggiunse, scoppiando a ridere assieme
all’amica, che poco dopo si fece seria.
Aura, resasi conto di ciò, si voltò
verso di lei e le chiese: «Come mai quella faccia? Non vai ad un funerale, dai!».
«Beh» iniziò Rossana. «forse assisterò
in diretta a quello di tuo fratello».
«Secondo me l’hanno già fatto,
conoscendo Alexander».
«Molto probabile» disse Rossana
alzandosi, seguita dallo sguardo cremisi di Aura. «Ma ora devo andare a
prendere le valigie e farmi trovare pronta davanti al cancello d’ingresso,
altrimenti chi sentirà Alexander e le sue lamentele?».
Aura si alzò dalla panchina e la guardò
con gli occhi spalancati. «Viene lui a prenderti?!».
«Sì, nana… l’ho appena detto. Perché?»
replicò seccata Rossana.
Aura si mise una mano nei capelli.
«Perché se viene tuo fratello a prenderti, vuol dire che Zephyr l’hanno
eliminato sul serio. Altrimenti Alexander non verrebbe a prenderti, visto che
dovrebbe stare dietro a Zephyr».
Rossana aggrottò la fronte e chiuse le
mani a pugno, poi esclamò, seria: «No, Zephyr è ancora vivo. Dubito che mio
fratello e mio padre siano così stupidi dall’eliminarlo, incappando poi
nell’ira di tuo padre… o in quella di Sebastian».
«Sebastian?». Aura trasalì. «Cosa
c’entra lui, adesso? Comunque, non so se questo potrebbe far perdere le staffe
a mio padre… Certo, non l’ho mai conosciuto né visto di persona, ma non ce lo
vedo a perdere le staffe con tanta facilità. E poi, come hai detto tu, non
penso che tuo fratello e tuo padre siano così stupidi nel tentare una mossa
così azzardata!» proferì, mentre con la punta della scarpa sfregava il
pavimento.
Rossana fece spallucce. «Se tuo
fratello è ancora vivo o no, lo sapremo solo quando arriverò a casa. Adesso
devo proprio andare, però. Non ho voglia di sentire Alexander che mi viene a
dire di essere in ritardo! Ci rivedremo dopo queste brevi vacanze, nana!».
«Eh sì, purtroppo ci rivedremo dopo le
vacanze…» disse Aura, dopo aver sospirato. «… sadica che non sei altro»
aggiunse a bassa voce, in modo che Rossana non la sentisse.
Entrambe le ragazze tornarono al Sun
Dorm, ma, mentre Rossana uscì poco dopo con le valigie in mano, Aura rimase
seduta sul letto con le gambe incrociate, in attesa che sua zia arrivasse: non
aveva senso aspettarla davanti al cancello come un’idiota.
Nello stesso momento in cui Rossana
raggiunse la macchina, dentro la quale vi era un Alexander non molto allegro,
ne arrivò un’altra, nella quale vi era una rilassata Angela che, una volta
scesa, salutò i due Crowe con la mano e si diresse all’interno del perimetro
della Cross Academy, in direzione del Sun Dorm.
«Credo che Aura avrebbe fatto bene ad
aspettare qui, invece che all’interno del Sun Dorm» disse Rossana divertita, guadagnandosi
un’occhiataccia da parte del fratello.
«Sali in macchina. Ora» le ordinò
Alexander, il cui umore non accennava a migliorare.
Rossana sbuffò e roteò gli occhi, poi,
dopo aver messo le valigie nella bauliera, aprì lo sportello e si sedette sul
sedile di fianco a quello di Alexander; poco dopo la macchina venne messa in
moto, lasciandosi alle spalle la Cross Academy con immensa gioia da parte di
Alexander.
Mentre i due Crowe si allontanavano,
Angela ed Aura avevano appena messo piede fuori dal Sun Dorm, anche se, dato il
loro passo, non ci avrebbero impiegato molto nel raggiungere il cancello e la
macchina con cui la donna era venuta.
«Allora» iniziò Angela, una volta che
Aura ebbe lasciato le valigie nella bauliera e si fu seduta sul sedile accanto
al suo. «quel povero depresso di Zero Kiryu come sta?» chiese, facendo
trasalire Aura.
La dampyr si mise la cintura di
sicurezza e volse il suo sguardo verso il finestrino, in modo da non voltarsi
verso la zia, che era in attesa di una risposta; poi le disse: «Non so come
sta, ma credo bene. Perché?».
Angela sospirò e avviò il motore.
«Pensavo che ti fossi svegliata almeno un po’, nipotina mia, ma, da quanto ho
visto, direi che ancora non ci siamo» si limitò a dire.
«Cosa intendi dire?» le chiese Aura con
la fronte aggrottata.
Angela scosse la testa e si concentrò
sulla strada, ma si permise di aggiungere un’ultima cosa, senza rispondere alla
domanda di Aura: «La tua amica Rossana è più sveglia di te, sappilo. E non è
l’unica».
Con più domande che risposte nella
testa, Aura lasciò che la sua attenzione fosse catturata dal paesaggio che
scorreva veloce al di fuori del finestrino, dal quale riusciva a vedere solo
delle masse informi di colori che si susseguivano rapide. Poco prima che le sue
palpebre si chiudessero per il sonno che quel paesaggio le conciliava, le tornò
alla mente Sebastian e quell’improvvisa attenzione che aveva iniziato a darle.
Un brivido freddo percorse la sua spina dorsale. Sebastian stava tramando
qualcosa e, di qualunque cosa si trattasse, aveva a che fare con lei, sempre
che non stesse puntando ad altro che, però, doveva richiedere la sua
partecipazione. E chissà cosa aveva voluto dire sua zia poco prima, dicendole
che Rossana era più sveglia di lei.
“Ho
veramente la testa piena più di domande che di risposte…”. Scosse la testa per interrompere il
flusso di pensieri e lasciò che il sonno la portasse via, sperando che il
viaggio fosse finito al suo risveglio.
Yeah, questa volta non sono in ritardo!
(Credo.)
Come sempre, Seba-chan si è rivelato
simpatico, nevvero? Well, ormai penso si sia capito com’è fatto… Ah, Zephyr è
ancora vivo, giusto per specificarlo xD Non so cosa sarebbe capace di farlo
fuori, visto che i mezzi convenzionali – croci, aglio, acqua santa od ostie
consacrate – non funzionano, così come la kryptonite e il mythril… (Non voglio
farlo fuori né ci ho provato, sia chiaro! *mente spudoratamente*)
Grazie a tutti coloro che l’hanno messa
di recente fra le preferite, seguite e ricordate, a coloro che recensiscono e a
quelli che leggono rimanendo dietro le quinte!
Alla prossima.
Yuna.
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Capitolo 29 *** A Love Affair: First Part ***
VK
Capitolo XXIX
A Love Affair: First Part
Il viaggio, almeno secondo Aura, era
durato meno del solito; ora la dampyr si trovava assieme alla zia, che per un
motivo a lei ignoto era allegra, a casa di quest’ultima, come di consueto. Una
volta entrate, Angela non disse nulla e si diresse al secondo piano per lasciare
le valigie di Aura, mentre quest’ultima, d’abitudine, si recò in salotto, dove
trovò suo zio intento nel controllare la canna del fucile da caccia.
«È uno nuovo?» chiese Aura a Simon.
L’uomo interruppe quello che stava
facendo e si voltò verso di lei. «No, è sempre lo stesso, quello che uso sia
per la caccia normale che per quella…».
«Sì, sì, ho capito!» si affrettò a dire
Aura. Non voleva che suo zio iniziasse a parlare di quando abbatteva i
cinghiali, i piccioni o quelli che erano, tanto meno quando freddava i Level E.
Per non parlare di quando, di tanto in tanto, le mostrava lo “stanzino degli
orrori”, una piccola stanza dove teneva tutto il suo arsenale e tutti i suoi
trofei di caccia: teste impagliate di cinghiali e tavolette con le zanne dei
suddetti posizionate per rendere il tutto una qualche opera d’arte tribale.
«Ho sentito che tuo fratello è stato
condannato» iniziò Simon, cambiando del tutto il discorso. «e ho anche sentito
che hai un ragazzo…» concluse,
mettendo in risalto l’ultima parola.
Aura chiuse una mano a pugno. «Sì,
Zephyr è stato condannato e ha vinto trecento anni da passare con la famiglia
di Rossana. Ma l’ultima cosa che hai sentito è errata: l’uccellino che te l’ha
detto ha sbagliato, e nemmeno poco». “Zia
Angela non ha capito nulla”, avrebbe voluto dire, ma si trattenne.
Simon sorrise e diede una rapida
occhiata al fucile, in una maniera che fece accapponare la pelle ad Aura, poi
disse: «Quel vampiro-vampire hunter che tua zia ha difeso l’ultima volta…».
«Kiryu Zero».
«Sì, esatto, proprio lui. Come sta?».
«Perché questa domanda?» chiese Aura
con un sopracciglio inarcato. «Ma, soprattutto, perché tutto questo interesse
nei suoi confronti?».
Simon fece per risponderle, ma fu
qualcun altro a farlo: «La risposta è semplice: perché la sua famiglia è
piuttosto importante e nota fra i vampire hunters, nonostante lui ora sia un
vampiro prossimo a divenire un Level E – se qualcosa non sarà fatto – e, forse,
l’ultimo della sua famiglia» disse Angela, appoggiata con la schiena allo
stipite della porta aperta.
Aura, col giramento di pianeti che
aveva, si voltò furiosa verso la zia, anche se sul viso aveva un’espressione
fredda, che aveva poco a che fare con la rabbia che aveva.
«Hai la stessa ghigna di tuo padre in
questo momento, lo sai?» esclamò Angela, canzonandola.
«Non m’interessa» replicò fredda lei.
«Spiegami cosa vuoi, zia. Ora».
Angela si staccò dalla porta e si
sedette sulla poltrona accanto a quella del marito, e le disse: «Non voglio
nulla, dico solo che Zero è un buon partito, oltre ad essere un bel ragazzo. Se
avessi una ventina d’anni in meno, mi occuperei io di lui…».
Aura si passò una mano sulla faccia per
quanto sentito e non replicò, dopodiché si recò in camera sua come un fulmine,
irritata dall’atteggiamento della zia: sapeva che era fatta così, ma a volte la
irritava, soprattutto quando esercitava pressione su di lei a quel modo.
Per cercare di calmarsi, si buttò sul
letto, levandosi le scarpe e distendendo le gambe e mettendo le mani dietro la
nuca. Una posizione non molto femminile, ma questo era un mero dettaglio.
Stette così per alcuni minuti con la fronte aggrottata, ma ben presto le venne
a noia e si mise su un lato, voltandosi verso la parete, iniziando a fissarla.
Il ticchettio dell’orologio, situato sul
comodino accanto al letto, era l’unica cosa che sentiva, ma, se si concentrava,
riusciva a ad udire anche dei mormorii sommessi, sicuramente i suoi zii che
parlavano fra di loro. Non afferrava quello che dicevano e nemmeno le
interessava, ma la curiosità c’era, così come la stanchezza per il viaggio,
anche se aveva dormito per tutto il tempo.
“Di
sicuro staranno parlando di me o Zero, o di entrambi. Oppure di qualche affare
come vampire hunters, oppure… No, non lo so. Mi arrendo” fu il suo pensiero finale. Dopodiché,
si voltò dall’altra parte e mise la testa sul cuscino, che aveva ignorato fino
a quel momento, e chiuse gli occhi. Qualche ora dopo, Angela provò a svegliarla
per la cena, ma non vi fu nulla da fare: una volta addormentata, niente e nessuno
avrebbe potuto svegliarla.
Il giorno dopo, col sole ormai sorto da
un pezzo, Aura si svegliò, accorgendosi solo in quel momento di esser crollata
con indosso gli abiti con cui era partita anziché il pigiama, e di aver saltato
la cena; a dimostrare tale fatto ci pensò il brontolio che venne emesso dal suo
povero stomaco vuoto.
«Forse» disse fra sé e sé «sarebbe il
caso di mangiare qualcosa».
Si alzò dal letto, s’infilò le scarpe e
si diresse al piano di sotto; passò davanti al salotto e la fame andò via
grazie al nodo che le era appena venuto allo stomaco.
«La dampyr dormigliona si è svegliata.
Era ora» disse un annoiato Alexander, seduto sul divano di fronte ad Angela,
che si trovava seduta su una delle due poltrone.
Aura lo guardò di traverso e poi guardò
la zia, che aveva lo sguardo fisso su un foglio che stava tenendo in mano.
«Cosa ci fa qui uno come te?» chiese ad
Alexander, con un tono che di gentile non aveva nulla.
Lui la guardò dall’alto in basso seccato,
prima di risponderle: «Ho solo consegnato alcune scartoffie a tua zia da parte
della Vampire Hunters Association, che richiedevano la sua attenzione. Roba che
non ti riguarda e che non ti deve interessare, in poche parole».
«Infatti non m’interessa» replicò lei infastidita.
«Quello che ti ho chiesto era cosa ci facessi tu qui. Sai, onestamente, trovarmi
una piaga in mezzo alle scatole di prima mattina non mi rende molto allegra».
«Ehi, voi due, se dovete pestarvi a
parole, andate a farlo in un’altra stanza. Ho da fare e non voglio essere disturbata,
chiaro?» disse loro Angela, fredda, sempre con gli occhi immersi nel foglio che
aveva tra le mani.
Sia Aura sia Alexander sbuffarono e si
allontanarono dal salotto, recandosi nel corridoio, dove – lo speravano –, non
avrebbero dato noia. E fu in quel momento che Alexander si ricordò di una
richiesta di Rossana. Da quando aveva portato il fratello della dampyr a casa,
tutto era cambiato e questo non lo rendeva molto contento.
«Ascolta, dampyr, Rossana aveva
intenzione di chiamarti – il motivo non lo so –, quindi, non appena tua zia
avrà finito con quelle carte, verrai con me e ti porterò da lei. Hai capito?»
disse Alexander alquanto irritato. Purtroppo sapeva che, anche se la dampyr non
l’avrebbe portata lui, sarebbe venuta lo stesso, quindi tanto valeva
sacrificarsi.
Aura annuì, in segno d’aver capito, ma
si permise di dirgli una cosa: «Dovresti, anzi devi smettere di chiamarmi
“dampyr”. Ho un nome e un cognome, per tua informazione, e sarebbe anche il
caso d’imparare ad usarli».
Aura fece per andarsene, ma Alexander
le bloccò il passaggio mettendo una mano sulla parete dietro di lei, accanto
alla sua testa.
«Modera i toni, sottospecie di vampiro.
Stai parlando con uno che potrebbe eliminarti seduta stante e senza scrupoli».
«Primo: non sono un vampiro; secondo:
modera tu i termini, umano gonfiato come un pallone; e terzo: riusciresti
davvero ad eliminarmi qui, ora?» ribatté seria Aura.
Alexander le afferrò la mandibola e la
strinse forte, costringendola ad aprire la bocca. «Vedi?» disse con un
sopracciglio inarcato. «Dici di non essere un succhiasangue, ma hai i loro
stessi denti». La liberò dalla sua presa
e tolse la mano dalla parete. «Non ti elimino qui solo per evitare problemi con
tua zia e mia sorella, che ti sta aspettando».
«Vigliacco…».
Un lampo d’ira passò negli occhi verdi
di Alexander, facendo venire la pelle d’oca ad Aura.
«Non tentarmi: il passo tra il prendere
la pistola e sparati è breve».
Alexander lasciò Aura lì dov’era, nel
corridoio e con le spalle incollate alla parete, e andò a vedere a che punto
fosse Angela con le carte che le aveva portato dalla Vampire Hunters
Association, trovandola intenta a scrivere su quella che sembrava un’agenda.
La donna, resasi conto della presenza
dell’hunter dai capelli rossi, smise di scrivere e sollevò lo sguardo e lo
puntò verso di lui. «Sì, ho finito con le carte» gli disse, battendolo sul
tempo. «Quindi puoi anche andare, e grazie per averle portate».
«Ho semplicemente portato a termine
quello che dovevo fare, tutto qui. Però, ora, se posso, vorrei rubarvi qualche
attimo».
«Dica».
«Rossana, mia sorella, vorrebbe che
vostra nipote venisse a casa nostra, anche se non so quale motivo vi sia dietro
questa richiesta» disse Alexander, sentendosi più leggero, come se gli avessero
appena tolto un peso dallo stomaco.
Angela lo squadrò, come se fosse alla
ricerca di qualcosa che facesse presagire un altro scopo dietro quella semplice
richiesta, ma alla fine acconsentì, a patto che Aura tornasse la sera stessa:
non si fidava a lasciarla dormire dai Crowe, soprattutto ora che erano in
tensione grazie alla presenza di Zephyr.
E fu così che Aura si ritrovò
schiaffata dentro la macchina di Alexander, con la cintura di sicurezza
talmente stretta da farle quasi mozzare il fiato: si vedeva che Alexander non si
sentiva tranquillo con lei accanto.
Per tutto il tragitto fu una battaglia
tra i polmoni, la cassa toracica e la cintura, senza dimenticare l’atmosfera
pesante che aleggiava all’interno della vettura; Aura non ebbe nemmeno la forza
per guardare fuori dal finestrino.
Una volta arrivata a destinazione, per
poco non rimase chiusa nella macchina, visto che Alexander era sceso senza
preoccuparsi minimamente di lei; ma non gli disse nulla al riguardo, dato che
non voleva rischiare di finire appiccicata al cofano della macchina con una
pistola puntata alla tempia. Ora come ora, sapeva che Alexander avrebbe potuto
fare una cosa del genere, data la situazione e il suo stato mentale.
Aura seguì Alexander lungo tutto il
viale di ghiaia e, con sua immensa sorpresa e gioia, fu Rossana ad aprire la
porta: Thomas era fuori per questioni da vampire hunter, mentre Zephyr era
intento a lucidare il pavimento del salone.
«Vedo che sei tutta intera, nana»
esclamò Rossana. «Pensavo che l’idiota» guardò rapidamente il fratello «ne
avesse approfittato per eliminarti o farti qualcosa».
Aura scosse la testa e sospirò. «Mi
dispiace per il tuo piacere sadico, ma sono illesa, anche se me la sono vista
brutta con la cintura di sicurezza della macchina».
«Con quei due airbag che ti ritrovi e
la tua bassezza, immagino quanto sia stata dura sopportare la cintura…» ghignò
Rossana.
Alexander sbuffò pesantemente, mentre
Aura insultava l’amica, e scostò le due, entrando dentro; le ragazze ignorarono
tale comportamento e fecero altrettanto, per poi recarsi nella camera di
Rossana.
«Non ho visto mio fratello… strano.
Pensavo che si sarebbe fatto vedere, conoscendolo» disse Aura, seduta su una
sedia che aveva avvicinato al letto, sul quale Rossana stava appollaiata.
«Zephyr starà ancora lucidando il pavimento
del salotto, a quest’ora… Non è molto piccola come stanza, sai. Ah, e
probabilmente Alexander lo starà tenendo d’occhio, conoscendolo. Non gli dà
tregua» rispose Rossana.
Aura portò una mano chiusa a pugno
sulla bocca e vi si poggiò contro, in quella che sembrava essere una posa
pensierosa; poi chiese: «Senti, qual è il motivo per cui volevi così ardentemente che venissi? So già a
prescindere che ha a che fare con mio fratello… Cos’ha fatto questa volta?».
«Ecco…» iniziò Rossana, dando il via ad
un racconto che fece assumere varie tonalità di colore ed espressioni facciali
ad Aura, la quale non ritenne la situazione poi così grave come la pensava
Rossana. «E questo è quanto» concluse Rossana, imbarazzata ma con una
sensazione di tranquillità. Il parlarne con qualcuno che l’avrebbe ascoltata e
che le avrebbe dato una possibile spiegazione le aveva fatto bene, alla fine.
«Io dico che mio fratello – per quanto
incredibile possa essere, dato che è un vampiro – ha una cotta per te» proferì
Aura.
Rossana trovò quest’affermazione
dell’amica alquanto divertente, e le rise in faccia. «Non “può essere”
impossibile: lo è! Per i vampiri, soprattutto per quelli con un carattere come
quello di Zephyr, gli esseri umani sono solo dei passatempi, dei giocattoli,
qualcosa che getteranno via non appena non la troveranno più interessante,
insomma».
«Mi sembra strano, molto. Non vedo il
perché avrebbe dovuto baciarti più di una volta per vendicarsi o giocare con
te. E, comunque, vorrei ricordati che, nonostante sia un vampiro, è uno molto
giovane, dato i suoi soli sedici anni. Tienilo a mente» ribatté Aura, che
continuava a rimanere della sua opinione: suo fratello Zephyr era decisamente
interessato all’amica.
«Giovane o no, continuo a vederla e
pensarla come ti ho appena detto» borbottò Rossana, con le braccia incrociate
sul petto.
Aura scosse la testa e scrollò le
spalle, conscia del fatto che Rossana per il momento sarebbe rimasta della sua
idea, e si diresse in cucina per andare a prendere un bicchiere d’acqua,
trovandovi, con sua sorpresa, proprio l’oggetto della discussione tra lei e
Rossana.
«Ehi, fratello idiota, si può sapere
cosa stai combinando a Sana?» esclamò, facendo sussultare Zephyr, che si voltò
verso di lei con un’espressione di sorpresa stampata in faccia, prontamente
sostituita da una affranta.
«Perché anche mia sorella mi tratta
peggio dei cani? Non mi bastavano quei due Crowe patiti della caccia al vampiro
a farmi soffrire abbastanza?».
«Guarda che te la sei cercata, da
quando hai voluto fare il furbo laggiù alla Cross Academy» ribatté Aura,
avvicinandosi a lui con le mani sui fianchi. Ora che gli era più vicina, si
rese conto che era diventato più alto di lei, anche se lo era già prima.
«Non è vero! Se solo voi non aveste
riacquisito la memoria, tutto sarebbe andato come avevo progettato!» rispose
Zephyr.
«E perché coinvolgere un innocente come
Zero, allora? So che il tuo obiettivo era solo ed unicamente Rossana, ma questo
non ti autorizzava a coinvolgere altri».
Zephyr volse lo sguardo di lato,
camuffando il suo stato d’imbarazzo. «Beh, ho coinvolto anche Kiryu perché…
perché…».
«Aspetta». Aura puntò un dito contro di
lui. «Non dirmi che in realtà ti piace Zero!» esclamò, facendo scattare il
fratello come una molla, che la guardò irritato.
«Idiota, non sono interessato a lui!
Almeno non per quanto riguarda quello che dici tu…».
Aura incrociò le braccia sul petto ed
iniziò a battere il pavimento con un piede, spazientita; suo fratello era
passato dal parlare di Rossana al parlare di Zero, due persone che non
sembravano essere minimamente collegati l’una all’altro, se escludeva l’essere
vampire hunters. «Senti, vedi di sputare fuori il rospo su entrambe le
questioni, così ci togliamo il pensiero».
Zephyr sospirò e si mise una mano fra i
capelli, scompigliandoli. «Ho coinvolto anche Kiryu perché mi dava fastidio l’interesse che provava nei tuoi
confronti; speravo che, se fosse stato condannato, sarebbe andato lontano dalla
mia sorellina».
«Guarda che sono io quella più grande,
vorrei ricordartelo» lo corresse Aura imbronciata.
«Invece, per quanto riguarda Rossana…
non lo so. Però, io…» inspirò, anche se non ne avesse bisogno. «Io la voglio. E
non voglio limitarmi al semplice morso, ma di più!» esclamò, rendendo ben
palese cosa desiderasse.
In quel momento, Aura capì che la
situazione andava ben oltre quello che immaginava. «Senti, Sana è una vampire
hunter, e tu sei un vampiro: siete nemici a prescindere, almeno agli occhi
degli estranei. E poi cosa intendi con “Io la voglio”? Lo sai che non starà mai
con te» disse, accorgendosi che il fratello adesso stava ghignando.
«Oh, sorella mia, sul fatto che lei non
starà mai con me, lasciami dire che ti sbagli di grosso: lei mi desidera.
Eccome se mi desidera. Dovevi sentire come le ribolliva il sangue nelle vene,
quando l’ho baciata».
Aura strinse gli occhi e scrutò con
attenzione il fratello, che la imitò per puro divertimento. Provò ad
immedesimarsi in lui e si rese conto che, forse, avrebbe fatto e reagito allo
stesso modo; inoltre, capì che Zephyr non le aveva mentito affatto, anche se
non poteva leggere nel pensiero né percepire emozioni come un vampiro vero e
proprio.
Se ne andò dalla cucina, lasciando il
fratello perplesso per il suo gesto, e tornò nella camera di Rossana, trovando
quest’ultima così come l’aveva lasciata, anche se alzò il suo sguardo verso di
lei quando la sentì entrare.
«Per metterci tutto questo tempo in
cucina, devo dedurre che tu ti sia bevuta una damigiana d’acqua, al posto di un
bicchiere…» disse Rossana ironica.
«Se avessi bevuto così tanto, pensi che
sarei venuta qui in camera tua, invece che andare dritta dritta in bagno?»
ribatté Aura, altrettanto ironica.
Un breve pausa di silenzio venne dopo
le loro battute amichevoli, rotta soltanto dallo scrocchiare del polso sinistro
di Aura, che aveva ceduto al bisogno di farlo roteare. Alla fine inspirò e
raccontò a Rossana quanto si erano detti lei e Zephyr, chiedendole infine
spiegazioni, qualche volta sapesse qualcosa in più. Quando vide Rossana
diventare di un rosso intenso, sentì una vena pulsarle sulla fronte, come se
stesse ballando, e a quel punto si mise a sperare che Zephyr si fosse inventato
tutto: rifiutava di vedere e credere alla verità, che oramai era di fronte a
lei in maniera più che evidente.
Un sospiro bello profondo di Rossana,
che racchiudeva molti significati, la fece preoccupare e mettere da parte,
almeno per il momento, la sua resistenza nei confronti della verità. Fece per
dire qualcosa, quando la porta della camera venne spalancata all’improvviso,
rivelando un Alexander ancor più irritato di prima, che disse: «Se avete finito
di blaterare sulle farfalle, i fiorellini, le bambole e quant’altro, allora
posso riportare la dampyr dalla zia, prima che telefoni per sapere se la nipote è ancora viva ed illesa».
Le due ragazze lo guardarono di sbieco,
facendolo pentire di aver aperto bocca, ma non si lasciò turbare e con
malagrazia afferrò Aura per un polso, trascinandola via dalla camera di Rossana
e in seguito dalla casa stessa, per arrivare infine alla sua macchina, dove la
dampyr dovette fare di nuovo i conti con la cintura di sicurezza.
Mentre guidava, Alexander ebbe
l’impressione che ci fosse qualcosa fuori posto, ma se ne rese conto solo una
volta che arrivò davanti alla casa di Angela: aveva toccato involontariamente
la dampyr.
Quattro giorni dopo la chiacchierata
tra Aura e Rossana, nel primo pomeriggio il telefono a casa di Angela e Simon
squillò. A rispondere ci pensò Angela, la quale, una volta messa la cornetta a
posto, aveva la bocca semi spalancata dalla sorpresa ed era impallidita.
Aura, che l’aveva sentita parlottare,
scese le scale del primo piano e si affacciò per vedere se sua zia non fosse
diventata matta all’improvviso; vedendola impalata davanti al telefono, credette
veramente che fosse impazzita, ma dovette ricredersi quando Angela si voltò
verso di lei.
«Vestiti, ché tra poco usciamo» le
disse, tesa come non mai.
«Perché? E dove andiamo, scusa?».
«Andiamo dai Crowe. Il motivo lo saprai
una volta che saremo da loro».
Aura guardò confusa la zia per un
attimo e tornò al piano di sopra, in camera sua, dove si tolse il pigiama e
indossò una maglietta nera a maniche lunghe, un paio di jeans blu scuro ed un
paio di scarpe da ginnastica bianche; poi scese di nuovo e si sedette sul
divano nel salotto, accanto alla zia.
«Non appena arriva Simon, partiamo
immediatamente» le comunicò Angela.
«Come mai tutta questa fretta ed ansia?
Sembra che la casa di Rossana sia in preda alle fiamme, a giudicare dal tuo
comportamento!» esclamò lei.
Angela sospirò e si mise una mano sulla
faccia, coprendo la parte destra. «Ti dico solo che si tratta di tuo fratello».
Zephyr.
Aura non riusciva a credere che il
fratello avesse potuto far qualcosa da mettere in allarme sua zia e da ricevere
una telefonata riguardo lui. Cos’aveva fatto questa volta? Per caso era
coinvolta anche Rossana o qualche altro membro della sua famiglia? E perché suo
zio ci stava mettendo un secolo ad arrivare?
Più agitata che mai, Aura si adagiò con
la schiena al tessuto morbido del divano, e si lasciò scappare un sospiro.
Chiuse gli occhi e li tenne così per qualche minuto, poi li riaprì e si piegò
in avanti, poggiando i gomiti sulle ginocchia ed iniziando a muovere
nervosamente la gamba destra. L’attendere Simon la stava facendo agitare ed
innervosire ancora di più.
Quando sentì la porta d’ingresso
aprirsi, scattò in piedi come punta da uno spillo, esattamente come sua zia,
che andò in contro al marito e lo riprese per aver fatto tardi, obbligandolo a
lasciare il fucile e tutto quel che aveva con sé in corridoio e a salire in
macchina subito, senza dargli la possibilità di cambiarsi né di darsi una
rinfrescata.
Fu così che i tre salirono in macchina,
con uno scombussolato Simon alla guida, e si recarono a casa dei Crowe.
Appena arrivati, Angela si fiondò fuori
dal veicolo e con passo spedito andò all’ingresso dell’abitazione, suonando il
campanello e senza attendere l’arrivo di Aura e Simon, in particolar modo di
quest’ultimo. Quando tutti e tre furono davanti alla porta, la suddetta si
aprì, rivelando Thomas Crowe, che li condusse nel salotto, dove li fece
accomodare.
Mentre Angela e Thomas ebbero un breve
scambio di battute, Aura e Simon tacevano, limitandosi solo ad ascoltare quanto
veniva detto. Poco dopo Alexander si unì a loro, esattamente qualche istante
prima che Rossana e Zephyr entrassero in scena.
Aura, alla vista dei due mano nella
mano, rischiò di soffocarsi col tè che le era andato di traverso, e si riprese solo grazie al pronto ed
involontario intervento di Alexander, che le aveva dato qualche pacca sulla
schiena.
«Q-Quindi» riuscì a formulare Aura. «è
proprio vero?».
«Sì, Aura» le rispose Zephyr. «Adesso,
io e Rossana siamo uniti» strinse ancora di più la mano di Rossana.
Thomas guardò prima Aura e poi l’altro
e in seguito prese la parola, portando l’attenzione di tutti sulla questione
che gli premeva molto: «Angela, Simon, vi ho chiamati qui perché siete gli
unici che conosco per arrivare a Vincent
Thanatos».
«Perché volete incontrare mio cognato?»
chiese Angela sorpresa e preoccupata, sentite quelle parole.
«È semplice: perché vostro nipote e mia
figlia si sono legati l’uno all’altra. Tralasciando quanto di, diciamo, fisico
è accaduto, vostro nipote si è spinto oltre ed ha marchiato Rossana, segno che
la indica come sua compagna. Vorrei parlare di questo col padre del vampiro…
Sapete, vero, cosa succede quando un vampiro lascia l’umano che ha marchiato?».
Angela sospirò e si massaggiò le
tempie. «Sì, lo sappiamo» rispose. «L’umano marchiato morirebbe dal dolore» si
voltò verso Zephyr. «Perché l’hai fatto? Sei, anzi siete giovani! Tuo padre, prima di compiere tale gesto, ha
aspettato sette anni e la nascita di Aura!».
«Zia» disse serio Zephyr, guardando
negli occhi Angela. «Dovevo farlo. L’ho sentito dentro. Dopo quello che è
successo, non avrei permesso che Rossana si allontanasse da me. Lei è mia»
concluse stringendo di più a sé Rossana, che divenne dello stesso colore dei
suoi capelli.
«Angela» disse Rossana, ripreso il suo
colorito normale. «lo sapete quanto io e la mia famiglia odiamo i vampiri, ma
Aura e Zephyr mi hanno fatto cambiare idea. E non solo loro».
«Ma, scusami un attimo, quando hai
capito che ti piaceva mio fratello?» intervenne Aura.
Rossana guardò di lato, posando il suo
sguardo sulla porta, e disse: «A dire la verità, l’ho trovato figo fin dal
primo momento in cui l’ho visto uscire dalla bara».
Aura si passò una mano sulla faccia,
esasperata, e sospirò. «Adesso capisco il perché tu abbia proposto i trecento
anni di “servizio” in casa tua!».
Thomas si schiarì la gola ed attirò
l’attenzione di tutti su di sé, visto che la conversazione aveva preso una
piega leggermente diversa dall’originale. «Vorrei chiedervi» si rivolse ad
Angela e Simon, in particolar modo a quest’ultima. «se siete disposti a
contattare Vincent Thanatos».
I due chiamati in causa annuirono. Non
avevano poi molta altra scelta, alla fine. In quel momento, però, sia Aura che
Zephyr divennero ancora più pallidi di quanto fossero: la prima perché non
aveva mai conosciuto né visto di persona il padre; il secondo per il motivo
opposto.
Giunti ad un accordo, Angela e Simon
decisero che era il momento di tornare a casa, visto che dovevano chiamare
Vincent e mettersi d’accordo; e fu così che, dopo aver salutato Zephyr e gli
altri, si permisero di ringraziare, nonostante le proteste di Aura, Thomas ed
Alexander per il loro sforzo di lasciare in vita Zephyr. Dopodiché si misero in
macchina e tornarono a casa loro.
«Non mi sarei mai aspettata che Zephyr
potesse legarsi a Rossana e che lei accettasse, soprattutto dopo quello che le
aveva fatto» disse Angela sospirando, durante il tragitto.
«Sospettavo che quell’idiota di mio
fratello fosse attratto da lei. Si vedeva da come la guardava, sai?» disse
atona Aura.
«Davvero?» chiese Angela sorpresa.
«Sì. Se Rossana parlava per troppo
tempo con un ragazzo qualsiasi o con Zero quando si trattava di affari da
vampire hunters, la guardava male» rispose Aura, con lo sguardo fisso fuori dal
finestrino, come di sua abitudine.
«Beh, faceva così perché era geloso, e
probabilmente continuerà a farlo. Comunque, qualsiasi essere di sesso maschile
sarebbe geloso, se Zero fosse il suo rivale in amore. Dopotutto è proprio un
bel ragazzo, vero, Aura?» la stuzzicò la zia, sghignazzando.
«Zia, falla finita. Ho altro a cui
pensare, ora» replicò fredda Aura, ponendo fine al discorso, nell’esatto
momento in cui Simon stava parcheggiando l’auto nel garage. Aura doveva ancora
assimilare e digerire tutto quel che era successo durante la giornata, senza
dimenticare la frecciatina della zia riguardo Zero e il futuro incontro con suo
padre, anche se sapeva che, se sarebbe venuto, lo avrebbe fatto solo per Zephyr
e la sua compagna, non per lei.
Sì, sono in ritardo di ben due mesi, lo
so… Però, per compensare, questo capitolo è bello lungo! U.U Spero che non sia
risultato noioso, visto che non compare nessuno di VK a parte qualche nome…
Ah, già che ci sono, ne approfitto per
dirvi che il prossimo capitolo arriverà sicuramente verso la fine di Maggio-inizio
di Giugno, perché avrò molto da fare e, di conseguenza, non avrò tempo da
dedicare alla fic…
Bene, detto questo, vi saluto e ci si
rivede al prossimo capitolo!
Yuna.
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Capitolo 30 *** A Love Affair: Second Part ***
VK30
Capitolo XXX
A Love Affair: Second Part
Diversi giorni passarono, prima che si
avessero notizie riguardanti Vincent Thanatos. Il telefono in casa Crowe
squillò proprio in un momento in cui nessuno se lo aspettava; Thomas si alzò
subito per rispondere, anticipando di poco Alexander. Dall’altra parte della
cornetta vi era un’Angela dalla voce tesa, che gli comunicò dell’arrivo del
cognato, il quale desiderava incontrare lui e gli altri il prima possibile;
inoltre, gli consigliò di non portare armi con loro la sera della cena – quella
sera – in quanto Vincent era suscettibile a tali cose.
Una volta che Thomas interruppe la
comunicazione, comunicò ai figli e a Zephyr quanto gli era stato detto e vide
il vampiro ancora più pallido di quanto fosse.
«Cos’hai, vampiro? Paura del paparino,
per caso?» esclamò Alexander ironico.
«Se tu conoscessi veramente mio padre,
a quest’ora non saresti così allegro» replicò serio Zephyr, facendo tacere
Alexander per tutto il resto della giornata.
Giunta l’ora di recarsi a casa di
Angela e Simon, i tre Crowe e Zephyr, vestiti in maniera sobria, si recarono
là, dove ad attenderli davanti all’ingresso vi era Aura, tesa come non mai e
dello stesso colorito del fratello.
«Che ti prende, nana?» le chiese
preoccupata Rossana.
«Nulla. Devo solo digerire tutte queste
novità improvvise».
Aura entrò e fece cenno a Rossana e gli
altri d’entrare, facendosi seguire in salotto, dove vi trovarono Angela, Simon
e un vampiro alto un metro e ottantaquattro, con gli occhi cremisi e i lunghi
capelli neri, identici a quelli che presentavano Aura e Zephyr.
Rossana alla sua vista trattenne il
fiato: quello davanti a sé era la versione adulta di Zephyr, oltre ad essere
incredibilmente attraente.
Il vampiro la osservò per un breve
istante e un accenno di sorriso comparve sulle sue labbra; in quel frangente ne
approfittò per analizzare dalla testa ai piedi colei che sarebbe diventata sua
nuora, poi spostò il suo sguardo su Zephyr, trovandolo cambiato dall’ultima
volta: gli occhi avevano una luce diversa, e in positivo.
«Tutti quanti sappiamo il perché siamo
qui, ma vorrei sapere nel dettaglio perché avete chiesto di parlare con me»
disse Vincent Thanatos, rivolto a Thomas, col tono suadente da vampiro
purosangue che possedeva.
«Penso che Angela vi abbia informato di
quanto accaduto tra mia figlia e vostro figlio Zephyr». Un cenno del capo di
Vincent diede a Thomas la spinta per continuare a parlare. «Quindi, vorrei solo
avere la conferma che il marchio impresso da vostro figlio verrà considerato
come un impegno serio a tutti gli effetti. Non desidero proprio perdere mia
figlia per un gesto avventato di un vampiro adolescente».
«Avete perfettamente ragione. Penserei
e agirei allo stesso modo, se fossi al vostro posto» rispose Vincent, facendo
contemporaneamente cenno al figlio di avvicinarsi.
Zephyr obbedì al comando silenzioso del
padre, senza la minima intenzione d’opporsi, e lasciò che gli mettesse una mano
sulla testa, in modo da vedere e controllare quello che voleva. Vincent, dopo
aver visto cosa vi fosse e cosa passasse nella mente del figlio, senza
rimuovere la mano da dov’era, guardò dritto negli occhi Thomas e gli disse:
«Credo che vi ritroverete dei vampiri in famiglia, e forse non solo come
parenti». Poi aggiunse, rivolto al figlio: «Sta’ attento a come ti comporterai
d’ora in poi, Zephyr. Se fosse lei a lasciare te, ne soffriresti per l’eternità, ricordatelo».
In quel momento Angela, che si era
diretta in cucina mentre tutti erano presi dall’ascoltare la conversazione tra
Vincent e Thomas, fece capolino da dietro la porta, cambiando totalmente
l’argomento della discussione: «La cena è pronta. Aura, Zephyr, andate a
lavarvi le mani».
«Non siamo dei mocciosi!» esclamarono i
due, guardando irritati la zia, che rise per la loro reazione.
«La vostra risposta, però, dice
l’esatto contrario…» rispose lei, tornando in cucina prima che i nipoti si
lamentassero di nuovo.
Durante la cena, Rossana era
stranamente sovrappensiero: qualcosa doveva affollarle la mente. Sia Aura che
Zephyr se ne accorsero nello stesso momento, ma avrebbero chiesto spiegazioni
dopo.
«Aurora come sta?» chiese Angela a
Vincent, un po’ per fargli aprire bocca e un po’ per avere notizie della
sorella.
«Sta bene» rispose Vincent telegrafico.
«Questo è quello che dici ogni volta»
rimbeccò Angela. «Non sarebbe il caso di farle mettere piede fuori un po’ da
quel “sotterraneo” in cui la tieni? Ormai non dovrebbe avere molti problemi a
tener sotto controllo la sete…».
Thomas guardò di sottecchi il vampiro
purosangue, temendo che Angela avesse parlato troppo, ma dovette ricredersi,
quando sentì Vincent rispondere in maniera garbata, nonostante desse
l’impressione di esser un po’ infastidito.
«Sì, forse uno di questi giorni
potrebbe uscire… Dopotutto vorrebbe trascorrere un po’ di tempo con Aura e
Zephyr» rispose Vincent.
Dopodiché Angela non chiese altro, onde
evitare di far irritare Vincent sul serio, visto che non era un tipo molto
loquace, soprattutto su argomenti che non erano di suo gradimento.
Il resto della serata si svolse
normalmente, anche se era insolito avere a tavola dei vampire hunters, due
vampiri e una dampyr. Poi, dopo cena, Vincent e Rossana sparirono
un attimo dalla circolazione senza che nessuno se ne accorgesse, tranne Zephyr
e Aura. Il Thanatos minore, infatti, fece per recarsi nella stanza in cui il
padre e la compagna si trovavano, ma venne fermato dalla sorella.
«Fermati,
Zephyr. Cos’hai intenzione di fare?» chiese Aura, guardando il fratello dritto
negli occhi identici ai suoi.
«Andare
e stare al fianco di Rossana, mi pare ovvio. Qualcosa mi dice che lei e nostro
padre stanno parlando della vita eterna.
Quindi, adesso, lasciami passare» rispose Zephyr, sostenendo il suo sguardo.
«No,
non posso». Aura scosse la testa. «È una cosa che riguarda Sana, non te. Per
caso, temi che nostro padre possa farle qualcosa?».
Zephyr
ebbe un lieve sussulto. Colpito nel segno.
I
due giovani Thanatos si guardarono dritti negli occhi, intenzionati a mantenere
le loro posizioni. Aura aggrottò un attimo la fronte, lasciando che Zephyr
rimanesse confuso da tale espressione.
«Cosa
c’è?» le chiese.
«Stavo
pensando…» iniziò lei.
«Cosa?
Spero che non sia uno dei tuoi soliti ragionamenti contorti». Zephyr incrociò
le braccia sul petto, in attesa.
«Scusa,
ma tu, essendo un vampiro, non dovresti riuscire a sentire quello che viene
detto senza essere fisicamente dentro la stanza?» esordì Aura.
Zephyr
mise una mano nei capelli, che infine scese sulla faccia, dove si fermò.
«Vorrei ricordarti che non sono un cane. Comunque, la risposta sarebbe sì,
anche se ora come ora non ci riesco: nostro padre starà esercitando qualche
potere all’interno della stanza. Contenta?».
«Ah,
adesso capisco perché eri così preoccupato. Comunque». Aura lo guardò negli
occhi di nuovo. «non ti farò passare lo stesso» sorrise.
A
quel punto Zephyr sbatté una mano sulla parete alle spalle di Aura, facendola
indietreggiare e bloccandola tra lui e il muro; i suoi occhi divennero di un
rosso acceso, tipico segno della fame o dell’ira.
«Solo
perché è una tua amica, questo non ti autorizza a metterti tra lei e il suo
compagno, ovvero il sottoscritto» disse lui.
Aura
sollevò le braccia e posò le mani sul torace del fratello, esercitando forza in
un vano tentativo d’allontanarlo.
«Potrai
dire quello che vuoi, ma non mi farò da parte, sappilo» gli rispose seria e
senza un briciolo di quella paura che all’inizio aveva quando lui le si
avvicinava troppo.
«Bene,
ho capito». Sulle labbra di Zephyr comparve un sorriso compiaciuto. «Vorrà dire
che, quando nostro padre avrà finito di parlare con Rossana, gli dirò di te e
Zero. Chissà come potrebbe reagire…».
Aura
sgranò gli occhi e per poco non si lasciò prendere dal panico; strinse i denti
e cercò di non apparire turbata. «Digli quello che ti pare. Menti pure, se
vuoi, tanto non ho nulla da nascondere o di cui dovrei preoccuparmi».
La
porta della stanza in cui si trovavano Vincent e Rossana si aprì, rivelando
prima la ragazza e poi il vampiro purosangue. Zephyr si voltò e lasciò andare
subito la sorella, fiondandosi da Rossana.
«Di
cos’avete pa…» fece per dire Zephyr.
Vincent,
rapido, si mise fra lui e Rossana, e mise una mano sulla fronte del figlio,
facendolo addormentare seduta stante lì dov’era; lo prese in braccio e, dopo
aver dato una rapida occhiata alla figlia, si voltò verso Rossana e le disse:
«Decidi tu, se parlargliene o no. È una
tua scelta, dopotutto».
Quell’ultima
frase segnò la fine della serata: l’incosciente Zephyr venne caricato nell’auto
di Thomas, che poi se ne andò assieme ai figli; Vincent salutò Angela e Simon e
indugiò un attimo prima di salutare la figlia, mettendole una mano sulla testa.
Angela
fece per dire qualcosa, ma Vincent rispose prim’ancora che emettesse un singolo
suono: «Sì, ho intenzione di ripartire subito, in modo da sfruttare il buio a
disposizione. Per la mia prossima visita farò in modo di portare anche Aurora».
Angela
annuì e, assieme ad Aura, rimase a guardare la figura di Vincent che spariva
nel buio della notte. I lampioni erano un optional, nella via dove abitavano
Angela e Simon.
«Forse
dovrebbero mettere due o tre lampioni qui… L’intera strada è completamente
avvolta dall’oscurità» disse Aura alla zia, che fece spallucce.
«Se
vi fossero dei lampioni, l’intera zona non sarebbe abitata da vampire hunters,
a quest’ora: l’assenza di luce attira i Level E, facilitandoci il lavoro».
«Ah,
capisco…».
«E
ora che Vincent si è fatto vedere, seppur per qualche ora, i Level E saranno
fuggiti al Polo Nord… come minimo. Vieni, torniamo dentro. Non ha senso restare
qua fuori…».
«…
a prendere le palle col culo dal freddo» concluse poco finemente Aura, facendo
scappare una risata alla zia, che chiuse a chiave la porta di casa.
Il
resto delle vacanze trascorse come avrebbe dovuto essere fin dall’inizio,
nonostante Zephyr continuasse a viverla male lo stesso, visto che, per quanto
potesse essere il compagno di Rossana, doveva scontare i suoi trecento anni di
servizio presso i Crowe. E con “Crowe” non era stato inteso solo Rossana, bensì
anche gli altri due esseri senza cuore che di nome facevano Thomas e Alexander,
i quali sommergevano Zephyr d’ogni genere di compito, dal più meschino a quello
più crudele, in modo da tenerlo lontano il più a lungo possibile da Rossana.
A
casa di Angela e Simon, invece, come colpo di grazia per Aura, che non aveva
ancora finito di uscire dall’effetto sorpresa dovuto all’aver incontrato per la
prima volta il padre e per la notizia riguardante il fratello e l’amica, venne
fatta arrivare una persona che mai e poi mai si sarebbe aspettata di vedere
proprio lì, a casa di sua zia.
Quella
mattina, il penultimo giorno di vacanza, Aura si recò in salotto com’era solita
fare, e vi trovò, oltre a suo zio intento a controllare la canna del fucile da
caccia, anche un’altra persona a lei nota.
«Z-Zero?»
riuscì a formulare, dopo aver superato l’impatto della sorpresa inaspettata.
Zero
si voltò verso di lei e si limitò a fare solo quello; Simon, che aveva dato una
rapida occhiata prima all’uno poi all’altra, disse alla nipote: «Ha fatto tutto
tua zia. Non ti rifare con me né con Kiryu-kun e chiedi a lei».
Aura
rimase un attimo impalata dov’era, poi si diresse come una furia al piano di
sopra, nello studio, trovandovi Angela intenta a scrutare con molta attenzione
e serietà un documento proveniente dalla Vampire Hunters Association, anche se
si vedeva che sotto i baffi se la stava ridendo.
Aura
si appoggiò con le spalle allo stipite della porta e con le braccia conserte,
iniziando a battere ritmicamente il pavimento col piede destro.
«Piaciuta
la mia sorpresa di Pasqua?» chiese Angela allegra.
Ad
Aura iniziò a ballare un sopracciglio. «Mi è piaciuta talmente tanto che potrei
metterti le mani alla gola dalla gioia!».
Angela
interruppe ciò che stava facendo fino a poco prima e guardò la nipote in
faccia, costatando che aveva un’espressione a lei familiare. «Hai la stessa
ghigna di tuo padre, ora».
«È
la seconda volta che me lo dici, lo sai, vero? Comunque non m’interessa»
replicò fredda Aura. «Spiegami cosa ci fa qui Zero. Ora».
«Il
“per favore” non si usa più?» la buttò sull’ironico Angela.
«Ora
come ora, è morto».
«Bene,
te lo dirò, se questo ti farà passare il momento di glacialità con tanto di
morte facciale. Devi sapere che domani sia io che Simon saremo impegnati,
quindi non potremo accompagnarti alla Cross Academy, a meno che tu non decida –
cosa impossibile a prescindere – di alzarti molto presto. Pertanto, ecco il
perché ho fatto venire qui l’unica persona, eccetto Rossana, che poteva
sostituire me e tuo zio. Soddisfatta della spiegazione?».
Aura
non trovò nulla da dire, ma aprì bocca lo stesso: «Quindi… Questo vuol dire che
lui stasera dormirà qui?».
Angela
unì le mani e un angolo della sua bocca curvò all’insù, facendo apparire più un
ghigno malefico che un sorrisetto ironico. «Proprio così» rispose compiaciuta.
Intanto
Simon aveva finito di armeggiare con la canna del fucile, si era alzato e aveva
fatto cenno a Zero di seguirlo, conducendolo in uno stanzino che si trovava tra
la cucina e la porta che portava al seminterrato. Lì, Simon lasciò il fucile e
diede mostra del suo vasto arsenale da caccia, perlopiù composto da fucili,
pugnali di svariate forme e lunghezza e tante scatole contenenti pallottole di
diverse dimensioni e materiali. A completare l’arredamento dello stanzino ci
pensavano alcune teste di cinghiale imbalsamate e delle tavolette di legno su
cui vi erano state incollate le zanne dei suddetti, la cui posizione faceva
apparire le tavolette come delle opere d’arte. Era il piccolo mondo di Simon,
completamente opposto a quello della moglie, che comprendeva esclusivamente
libri, scartoffie e penne, tanto da sembrare una cancelleria.
Simon
posò una mano sulla spalla di Zero, costatando che era alto quasi quanto lui, e
gli disse: «Se creerai problemi a mia nipote, sappi che potresti fare la stessa
fine dei cinghiali che vedi. Questo è solo un discorso in generale e applicabile
a chiunque, quindi non sentirti accusato di nulla».
«Me
ne ricorderò» rispose Zero, con gli occhi fissi sulla minacciosa testa di
cinghiale di fronte a lui.
I
due tornarono in salotto, trovandovi Aura, seduta sulla poltrona dove era
solita stare Angela, con un’espressione che di felice aveva poco o nulla.
Inoltre batteva il piede destro sul pavimento, segno di nervosismo.
«Hai
parlato con tua zia?» le chiese Simon, rimasto davanti all’entrata del salotto.
«Sì».
«Ma
sei ancora arrabbiata» s’intromise Zero, stupendola.
Aura
sollevò la testa e smise di battere il piede sul pavimento. «Ma dai? Pensavo
che non si vedesse!». Riprese a muovere il piede. «Comunque non posso far altro
che adattarmi a quest’ulteriore novità e… Basta. Cercherò di adattarmi, punto».
«Bene»
fece capolino dal corridoio Angela. «se la situazione è così, allora si cena».
«Come
mai così presto?» chiese Simon, voltatosi verso di lei.
«Stasera
devo finire un lavoro che ho tra le mani, quindi, sperando di finirlo prima,
sarò occupata per tutta la sera».
Aura
si alzò di scatto. «Allora vedi di darti una mossa, così questa giornata
finisce prima». Fece per andarsene ma si fermò per dire un’ultima cosa. «Me ne
vado in camera. Chiamatemi quando è pronto».
Aura
salì le scale e se ne andò; Angela scosse la testa e si diresse in cucina,
mentre Simon iniziò automaticamente ad apparecchiare la tavola. L’unico rimasto
impalato dov’era senza fare nulla era Zero.
«Se
non sai cosa fare» gli disse Simon, fermandosi un attimo. «vai a chiedere ad
Angela se vuole una mano. Altrimenti, se sai scuoiare le lepri, potresti fare
quello. Sai, stamani ne ho prese tre e devo sbrigarmi a sistemarle, se voglio
tirarci fuori un po’ di carne».
Zero
non rispose e andò immediatamente da Angela, come se la prospettiva dell’aiutare
Simon nello scuoiare le lepri fosse qualcosa da serial killer. In cucina trovò
Angela davanti ai fornelli con quasi tutte le ante dei mobili aperte e
concentrata su quello che stava facendo, ma, quando si accorse di lui, si voltò
e gli sorrise. Stava tramando di certo qualcosa: Zero ne era sicuro.
«Non
sai cosa fare, vero?» lo anticipò la donna.
«Come
facevi a saperlo?».
«Perché,
per caso, si vedeva dall’espressione da cucciolo smarrito che avevi?». Alla
vista dell’espressione che fece Zero, Angela aggiunse: «Guarda che stavo
scherzando! Comunque, se proprio vuoi fare qualcosa, invece di poltrire per un
po’, sai cosa potresti fare?».
«Cosa?».
Angela
si voltò nuovamente verso i fornelli, in modo tale che Zero non vedesse il
sorriso perfido che aveva in faccia. «Potresti andare a chiamare Aura per dirle
che la cena è pronta. Sai, è meglio dirglielo in anticipo, perché coi suoi
tempi ci mette un bel po’ prima di scendere».
Zero
sospirò e si mise una mano tra i capelli: aveva appena avuto la conferma che
Angela stesse tramando qualcosa. Non disse nulla e lasciò la cucina per recarsi
al piano di sopra. Una volta dinanzi alla porta della camera di Aura, bussò, ma
non ricevette risposta. Che si fosse addormentata? Aprì la porta e notò che la
stanza era vuota; chiuse e sentì una presenza alla sua destra: Aura, con
indosso solo l’accappatoio giallo canarino slavato, lo stava fissando.
«Che
cosa stai facendo?» gli chiese.
Zero
si allontanò dalla porta subito. «Tua zia mi ha chiesto di dirti che la cena è
pronta» le rispose in automatico.
Aura
sbuffò. «Tanto lo so che non ha ancora finito e che questo era un pretesto per
farci rimanere da soli. Le intenzioni di mia zia, quando si tratta di te, sono
anche fin troppe chiare». Aprì la porta della camera, da poco chiusa. «Dammi un
quarto d’ora, e scendo giù».
Aura
sparì dentro camera sua e Zero rimase lì dov’era, in attesa che lei uscisse. Se
fosse tornato al piano di sotto, avrebbe rischiato di dover dare una mano a
Simon con le lepri o, peggio, di subire pressioni
più o meno velate da parte di Angela. Lo sapeva che non avrebbe dovuto
accettare la proposta di Angela di venire lì come forma di pagamento per la sua
eccellente difesa durante il processo. Ma ormai il danno era fatto.
Quando
Aura fu pronta, vide che sembrava indossare un pigiama, ma era solo un effetto
creato dal grigio dei pantaloni e dal bianco della maglietta a maniche lunghe,
senza contare le ciabatte che aveva ai piedi.
«Non
c’era bisogno che tu mi aspettassi» gli disse, superandolo. «Però, capisco perché
l’hai fatto».
«Era
così evidente?» le chiese lui.
«Mhm,
diciamo il giusto».
Quando
i due si fecero vedere nella sala da pranzo, che era adiacente alla cucina,
Simon e Angela si trovavano già lì, e quest’ultima sorrise. Aura la guardò
seccata e scosse la testa, facendole perdere il sorriso.
«È
successo qualcosa?» chiese Angela.
«No,
zia, però dovresti smetterla coi tuoi tranelli».
Simon
si lasciò sfuggire una risata, e con la forchetta non riuscì ad infilzare
l’oliva verde, che fece un semi giro nel bordo del piatto.
«E
ora mangiamo» aggiunse Aura, impedendo alla zia di ribattere.
Finita
la cena, Aura, dopo aver dato una mano a sparecchiare, si dileguò in camera
sua, mandando in fumo i piani che Angela aveva meticolosamente preparato. A
quel punto non le restò che mostrare a Zero la camera dove avrebbe dormito e
dirgli a che ora sarebbero dovuti partire l’indomani.
E… state
con me!
Sono
in ritardo in una maniera assurda, lo so… :/ Non ho giustificazioni, a parte il
fatto che è estate, quindi spero che mi capirete! xD
Visto
che il capitolo si commenta da sé, ritardo escluso, ne approfitto per fare un
po’ di pubblicità a un piccolo fandom che conosco e che avrebbe bisogno di
nuova gente, lettori o scrittori che siano: Hakuouki. Se conoscete l’anime, fateci un salto, altrimenti correte
a vederlo, perché vi rifate sicuramente gli occhi! ;) (Leggasi anche: chi ha
problemi di vista, potrebbe notare un miglioramento improvviso della vista)
Detto
ciò, vi saluto e vi dico che il prossimo capitolo arriverà ad Agosto, anche se
non c’è una data specifica.
Ciao!
Yuna.
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Capitolo 31 *** Sinister Smile ***
VK31
Capitolo
XXXI
Sinister
Smile
E
anche le vacanze di Pasqua erano finite. Rossana e Zephyr non erano ancora
tornati e il motivo di ciò era sconosciuto ad Aura, così come ad Angela e
Simon; l’unico che avrebbe potuto sapere qualcosa in più – Alexander – non era
presente. Che cosa stava succedendo?
Nonostante
la mancanza della giovane coppia Crowe-Thanatos, Zero, Yuuki, Kaname, il resto
della Night Class e Sebastian non mancavano di certo. Quest’ultimo in
particolar modo era stranamente su di giri, un po’ come Hanabusa quando aveva
una di quelle idee che gli avrebbero fatto vincere un bel ceffone da parte del
suo “Kaname-sama”. Infatti, come a dimostrazione di ciò, Sebastian girava
intorno ad Aura più del solito e sorrideva in una maniera più sinistra che
inquietante, come se stesse tramando qualcosa; ma quel nuovo sorriso smagliante
compariva sulle sue labbra solo quando Aura non era voltata verso di lui.
L’unico a essersi accorto di questo strano comportamento del purosangue
Thanatos era Zero, il quale lo scrutava con attenzione ogni volta che era
vicino ad Aura.
Contemporaneamente,
anche Kaname ronzava intorno a Yuuki più del solito, e lei si squagliava di
fronte a lui come neve al sole; e così Zero si ritrovò a dover controllare, di
sua spontanea volontà, due situazioni più o meno simili, anche se quella
concernente Sebastian Thanatos richiedeva un occhio in più, in quanto Zero di
lui sapeva meno rispetto a Kaname.
Quella
mattina Sebastian fece in modo di far perdere a Zero le sue tracce e quelle di
Aura, accompagnandola per i corridoi con una mano sulla spalla, non senza che
lei stesse sulla difensiva e di tanto in tanto gli lanciasse qualche occhiata
indagatrice.
Senza
Zero nei dintorni, Sebastian ebbe più libertà d’azione, tanto che si permise di
sfiorare una guancia di Aura con una delle sue dita gelide, facendola
sobbalzare e allontanare di scatto da lui.
«Che
stai facendo?» gli chiese, prima con gli occhi spalancati e poi ridotti a
fessura, che lo scrutavano.
«Volevo
attirare la tua attenzione» rispose semplicemente lui.
«Che
metodo strano che hai usato» replicò Aura, rimanendo sulla difensiva.
«È
così tanto strano?» chiese Sebastian.
«Secondo
te?».
«No».
Sebastian sorrise.
«Invece
lo è!» ribatté Aura. «Tra poco, nemmeno gli innamorati lo fanno! Comunque» si
ricompose «volevi attirare la mia attenzione: adesso ce l’hai» incrociò le
braccia.
Sebastian
fece un mezzo sorriso. «Ho saputo che tuo fratello ha marchiato quell’umana
appartenente alla famiglia Crowe».
«Sì,
è così. E con questo?».
L’aria
si fece gelida, nonostante fosse primavera inoltrata. «La loro unione causerà
solo problemi» proferì Sebastian, con lo stesso freddo che aleggiava intorno a
loro.
«Non
è la stessa cosa che pensa mio padre» disse Aura, cercando di nascondere il
leggero tremolio che aveva.
«Oh…?».
Sebastian parve sorpreso. «Vincent non ha fatto una piega, pur sapendo di
permettere all’erede dei Thanatos di sposare un’umana, per di più proveniente
da una famiglia di vampire hunters?». Aura annuì. «Allora deve avere in mente
qualcosa» fu la conclusione del purosangue.
«Cosa
intendi dire?» gli chiese Aura.
«O
ha intenzione di dar il via a un’altra generazione di dampyr oppure ha
intenzione di rendere immortale l’umana. Ah, ovviamente c’è anche la
possibilità che voglia eliminare la ragazza, anche se questo, purtroppo,
avrebbe degli effetti negativi su Zephyr».
Aura
scosse la testa. «La cosiddetta “terza opzione” da te citata non esiste, mentre
riguardo le altre due non so che dirti. Però, sono più plausibili rispetto a
quella che prevede l’eliminazione di Rossana, sappilo».
Sebastian
portò un dito sotto il mento, pensieroso. «In ogni caso, Vincent ha in mente
qualcosa, ne sono certo. Ma cambiamo discorso…» rimosse il dito e riprese la
sua solita espressione, con tanto di sorriso inquietante. «Sono a conoscenza
del fatto che tua zia, la sorella umana di tua madre, desidera tanto vederti
assieme a quel vampiro-vampire hunter di nome Zero Kiryu» proferì, pronunciando
“umana” e il nome di Zero con una nota avvelenata.
La
sensazione di gelo di poco prima tornò a farsi sentire e Aura non riuscì a
nascondere la pelle d’oca che le arrivava fin sopra i capelli e raggiungeva
persino le dita dei piedi. Questa volta era abbastanza evidente che c’era
qualcosa che non andava bene a Sebastian, anche se dalla sua faccia non
traspariva quello che provava.
«E
con questo? È un desiderio di zia Angela, mica mio!».
«Ne
sei sicura?» le chiese Sebastian, avvicinandosi di più e chinandosi in avanti,
col viso a pochi centimetri da quello suo. «Ne sei davvero sicura?» chiese di nuovo, stavolta afferrandole il mento
con una mano e guardandola dritta negli occhi.
«Io…»
iniziò Aura, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Sebastian. Il
purosangue stava esercitando su di lei un po’ del potere magnetico che gli
occhi di un vampiro posseggono, senza però assoggettarla del tutto.
«Io…
Io…» ripeté lei, ma meno convinta e con meno vigore.
Le
labbra gelide di Sebastian si stirarono in un sorriso compiaciuto, prima di
posarsi su quelle di Aura; un preludio di quello che sarebbe stato un bacio
profondo, se in quel momento Zero non avesse reso palese la sua presenza.
«Quindi
era a questo che miravi fin dall’inizio!» esclamò quest’ultimo.
Sebastian
si discostò da Aura ma la tenne vicina a sé, poiché le sue gambe avevano avuto
un piccolo momento di crollo e aveva rischiato di cadere; poi spostò il suo
sguardo cremisi su Zero e gli disse, calmo: «Forse ti stai confondendo… Per
caso non sei tu, colui che mirava a questo fin dall’inizio?».
«Tch!
Ti stai sbagliando, vampiro».
«Oh…?».
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Dunque, devo dedurre che di lei non
t’importa nella maniera che ti ostenti a mostrare…». Sorrise. «Bene. Allora
vorrà dire che non t’importerà né dispiacerà se ora la porterò via con me,
vero?».
Aura
lo guardò con gli occhi spalancati dalla sorpresa e tentò invano di liberarsi
dal suo freddo abbraccio; Sebastian, dal canto suo, non fece una piega e si
limitò a guardare la cugina con uno sguardo che mostrava finta apprensione, per
poi assumerne uno che non lasciava spazio alla pietà e dedicarlo a Zero, il
quale non si era mosso da dov’era, incapace di far qualcosa. Uno scontro tra
lui e il purosangue avrebbe avuto svariate conseguenze, prima fra tutte il
coinvolgimento di Aura.
«Prendo
il tuo silenzio come un sì, Kiryu-kun»
disse solenne Sebastian. Dopodiché sollevò senza alcuno sforzo Aura e la portò
via con sé, tenendola fra le braccia come una sposa, sotto lo sguardo
dell’impotente Zero.
Il
giorno seguente, nessuno si era minimamente accorto della sparizione di due
elementi della Cross Academy, tranne Zero e Kaname, il quale sapeva da un po’
che Sebastian stava tramando qualcosa: ora ne aveva avuto semplicemente la
conferma.
Zero
attese che calasse il sole, prima di iniziare la ronda insieme a Yuuki come
sempre. Ma questa volta era alla ricerca di qualcosa, o meglio di qualcuno.
Controllò la zona in cui si trovava e, accertatosi che non vi fossero studenti
della Day Class o Night Class in giro, si mise sulle tracce della persona che
voleva cercare, trovandola nel piazzale con la fontana.
Kaname
si voltò verso di lui e gli disse: «Sapevo che saresti venuto, Kiryu-kun».
«Risparmiami
la finta veggenza, Kuran-senpai».
«Vuoi
sapere di Sebastian Thanatos, non è così?» chiese Kaname, ignorando quanto
appena sentito. «Dopotutto, è questo che ti ha spinto a cercarmi».
«Potrei
esser venuto qua anche solo per eliminarti» replicò Zero, estraendo la Bloody
Rose e puntandola in direzione di Kaname.
«Ne
dubito».
«Sicuro?».
«Certamente».
Zero
abbassò la Bloody Rose e la tenne salda in mano, in modo da allentare il
nervosismo che aveva. Kaname, che l’aveva osservato in silenzio, gli disse, ora
con le braccia conserte: «La risposta alla tua domanda è: sì, ero a conoscenza
che Sebastian Thanatos stesse tramando qualcosa. Pensavo che volesse mirare a
Yuuki, invece…».
«Non
nominare Yuuki, dato che non l’hai avvicinata per via di Sebastian Thanatos» sentenziò
Zero.
«In
ogni caso» continuò Kaname, ignorando quanto detto dal vampire hunter per
l’ennesima volta. «il suo obiettivo era la cugina, Aura, che sembra essere
molto importante per te, Kiryu-kun».
«Questi
non sono affari tuoi, Kuran-senpai» ribatté Zero tra i denti.
«Invece
lo sono. Soprattutto se hai intenzione di andare alla ricerca di Sebastian
Thanatos e attaccarlo».
«Se
mai ci sarà uno scontro, non avverrà di sicuro qua. So quel che faccio».
Kaname
inarcò un sopracciglio. «Ne sei sicuro, Kiryu-kun?».
«Certamente».
«Allora,
ti dirò un’ultima cosa: non ce la farai» proferì Kaname all’orecchio di Zero,
mentre gli passava accanto.
«Staremo
a vedere» borbottò Zero, una volta che la presenza del purosangue fu scomparsa
del tutto.
Tornò
sui suoi passi e continuò la ronda, anche se non ve ne fu bisogno, in quanto
non c’era nessuno in giro, per poi recarsi nella sua stanza a rimuginare su
quanto gli aveva detto Kaname.
Passò
così tutto il resto del tempo a sua disposizione, fino all’ora in cui avrebbe
dovuto recarsi in classe. Con la testa sempre intenta a ragionare, Zero uscì
dalla camera, dal Sun Dorm, oltrepassò il ponte che conduceva alla scuola,
percorse alcuni corridoi all’aperto e infine raggiunse l’aula, dove, con sua
sorpresa, vi trovò Rossana. Ma qualcosa intorno a lei faceva capire che era
diversa, cambiata; cosa fosse di specifico, Zero non lo sapeva e per il momento
non gli interessava, ma immaginò che avesse sicuramente a che fare col fratello
di Aura.
«Ehi,
dov’è la nana?». Rossana si era voltata verso di lui e lo stava guardando, in
attesa di una risposta. «Allora? Mi vuoi rispondere o no?».
«Non
ho intenzione di risponderti».
«Siamo
piuttosto allegri, stamani» disse Rossana, intenzionata a non mollare. «Per
caso avete litigato?».
«No»
fu la risposta laconica di Zero.
«Ti
ha dato un due di picche?».
«No».
Rossana
stava per fargli un’altra domanda, quando l’entrata del professore di
matematica la costrinse a rimandare a un altro momento, per fortuna di Zero, il
quale si sentì sollevato nel non dover subire l’interrogatorio da parte della
rossa. In seguito, Rossana non riuscì più a parlare con Zero, poiché il
suddetto si era addormentato sul banco.
Ben
presto giunse il momento per i ragazzi della Day Class di lasciare le aule e
per le ragazze di recarsi ai cancelli del Moon Dorm, dove si sarebbe ripetuta
la stessa scena che avveniva da ormai diversi anni; ma quel giorno le ragazze
della Day Class erano particolarmente esagitate, e la causa era un vampiro che
al momento stava rubando la scena ad Hanabusa semplicemente sorridendo e
lanciando occhiate maliziose e sensuali.
«A
quanto pare ti ha battuto» disse Akatsuki a un Hanabusa che ribolliva per la
mancanza d’attenzioni. Quelle stesse attenzioni che in quel momento erano tutte
per Zephyr.
Hanabusa
sbuffò, irritato. «Vedrai che il suo momento di gloria durerà poco…».
Mentre
Zephyr continuava a far crollare a terra esanimi le ragazze ai lati del
viale-passerella, la finta previsione fatta da Hanabusa divenne realtà:
qualcuno si parò nel mezzo del viale, facendo cessare lo show di Zephyr.
Rossana
Crowe in quel momento era il ritratto di una furia omicida malcelata, cosa che
non sfuggì a Zephyr, il cui sguardo passò da malizioso e sensuale a preoccupato
e terrorizzato.
«Zephyr…»
pronunciò Rossana, con un tono che non presagiva nulla di buono.
«Sì…?»
rispose Zephyr.
«Vieni
un attimo qua» ordinò lei.
Il
resto dei presenti rimase in silenzio, mentre il vampiro, preoccupato per la
sua sorte, a passo lento si avvicinò alla sua torturatrice che, non appena lui
fu a portata di mano, gli assestò un destro in pieno volto. Zephyr non fece una
piega e si tastò la parte lesa, costatando che il segno sarebbe sparito entro
la giornata, ma non la gelosia e la rabbia di Rossana, che non sembrava aver
finito lì con la sua punizione.
«Dopo
faremo i conti» fu l’ultima cosa che gli disse la ragazza, prima di dargli le
spalle e andarsene, con la mano destra che le formicolava per il contatto avuto
con il suo volto.
Zephyr,
resosi conto dell’atmosfera presente, fece finta che non fosse successo nulla e
tirò avanti, dirigendosi verso la scuola, ma non senza che la sua mente andasse
a immaginarsi la possibile scena associata a quel “Dopo faremo i conti” detto
da Rossana.
Takuma,
che aveva assistito alla scena in silenzio come tutti gli altri, si avvicinò e
gli disse, visto il segno lasciato del pugno di Rossana: «C’è andata piuttosto
pesante!».
Zephyr
si tastò il naso e una lieve fitta di dolore gli arrivò al cervello, facendolo
maledire immediatamente. «Sì, purtroppo c’è andata pesante. E sai cosa ho
appena imparato?».
«Cosa?»
chiese Takuma, inclinando di lato la testa.
«
Mai
far ingelosire Rossana Crowe».
Ci
stiamo avvicinando alla fine, gente! So che può sembrare un po’ presto, dati
gli ultimi eventi, ma non ho il pieno controllo dei finali delle mie fic… ^^”
Probabilmente, ci saranno solo altri due capitoli e poi fine della festa. Ma
non pensiamoci adesso, ok?
Il
prossimo capitolo, inutile dirlo, arriverà a Settembre, anche se ormai è come
se fosse già iniziato… Vabbè, alla prossima!
Yuna.
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Capitolo 32 *** Cursed Bite ***
VK32
Capitolo
XXXII
Cursed
Bite
Zephyr
aveva appena messo piede fuori dalla scuola, quando davanti a lui si parò
Rossana, nella stessa identica posa che aveva assunto nel pomeriggio.
«Zephyr,
vieni qua» disse lei, con lo stesso tono usato in precedenza.
«Devo
per forza? Non è che possiamo risolvere la faccenda in un altro modo?» chiese
Zephyr, nella speranza che la sua compagna non fosse veramente intenzionata a
seguire la via manesca.
Rossana
non rispose e si limitò a distendere il braccio destro e a indicare il
pavimento con l’indice. Un comando silenzioso ed irrevocabile. A Zephyr non
restò che avanzare verso di lei, ritrovandosi poi a dover schivare un sinistro.
«L’hai
schivato, eh?» fece Rossana, recuperata la breve mancanza d’equilibrio. «Allora
preparati: il prossimo farà ancora più male di quanto avrebbe dovuto fare il
primo!».
A
quel punto Zephyr ghignò e si puntò il petto con un dito e disse: «Sempre se
riuscirai a colpirmi… mia bella rossa».
Rossana
aggrottò la fronte e nascose il rossore che le imporporava il volto
scagliandosi contro di lui, sbraitando: «Non chiamarmi così, non dopo aver
fatto il cascamorto con tutte quelle oche cerebrolese della Day Class!».
Il
suo pugno destro sfiorò uno zigomo di Zephyr, il quale tuttavia ne approfittò
per afferrarle il polso e tirarla a sé.
«Sei
riuscita a sfiorarmi, dunque meriti un premio».
«Sì…
vederti conciato per le feste!» replicò Rossana, tentando di liberarsi.
«Veramente
pensavo ad altro…» le sussurrò Zephyr all’orecchio, paralizzandola sul posto.
Rossana
sollevò la testa per vederlo in faccia e lui sfruttò quel momento per
sorprenderla con un bacio. Bacio che non tardò ad essere ricambiato con molto
piacere.
«Bel
premio, vero?» disse Zephyr, con una ciocca rosso fuoco intorno fra le dita,
dopo aver interrotto il bacio prima che si lasciassero prendere dal momento o
che qualcuno li vedesse.
Rossana
non rispose, intenta ad osservare le sue dita e a desiderare che giocassero con
ben altro. Solo quando Zephyr le mise una mano sulla fronte, ritornò in sé.
«Se
sapevo che ero in grado di suscitarti queste reazioni, avrei evitato tutti quei
sotterfugi» disse Zephyr, sghignazzando.
Rossana
scostò la sua mano. «Dovevi pensarci prima, mio caro» ribatté. «Comunque, hai
per caso visto Aura?» cambiò discorso.
«No.
Perché?». Lo sguardo di Zephyr si fece subito serio.
«Oggi
in classe non c’era, e nemmeno nella stanza che abbiamo nel Sun Dorm…».
«Non
mi piace. C’è qualcosa di strano» disse Zephyr, mentre il vento faceva muovere
i suoi capelli neri.
«È
quello che penso anch’io. E il comportamento tenuto da Zero stamani rende il
tutto ancora più strano…» proferì Rossana con una mano chiusa a pugno sotto il
mento.
«Che
comportamento?».
«Quando
gli ho chiesto di Aura, non mi ha risposto. E così ha fatto per tutte le altre
domande successive».
Zephyr
aggrottò le sopracciglia, assumendo un’espressione seria ma al contempo
pensierosa. Il vento aveva smesso d’insinuarsi fra i suoi capelli, quando
mormorò: «Spero che non sia quello che penso…».
«Hai
detto qualcosa?» chiese Rossana, che non aveva sentito il suo sussurro.
«No»
rispose lui, sbrigativo. «Comunque, vedi di strappare qualche parola in più da
quel muro di silenzio che è Zero. Sa di sicuro qualcosa e dobbiamo cavarglielo
fuori a tutti i costi».
«Vedrò
di fare il possibile, ma non posso promettere nulla, Zephyr. Dovresti sapere
che tipo è Zero…» dichiarò Rossana.
«Sì,
so alla perfezione com’è. In ogni caso, vedi di cavargli dalla bocca anche una
singola parola in più del solito. Non si sa mai quando potrebbe tornare utile»
disse Zephyr, iniziando ad allontanarsi dall’edificio scolastico.
«Ehi,
Zephyr, dove stai andando?» gli chiese Rossana, avanzando di qualche passo.
Lui
si voltò e le disse: «Dove vuoi che vada? Me ne torno al Moon Dorm. Non manca
molto al sorgere del sole».
«Ah,
vero…».
«Allora
buonanotte, Rossana».
Rossana
fece per rispondere, ma Zephyr se n’era già andato.
Nei
giorni a seguire, Rossana tentò in tutti i modi di strappare qualche
informazione in più da Zero, ma tutti i suoi tentativi andarono a farsi benedire
sistematicamente. E, come se non bastasse, anche Zephyr aveva preso a
comportarsi in maniera un po’ strana: era sempre assorto nei suoi pensieri,
cosa alquanto insolita, dati gli atteggiamenti che normalmente teneva.
Per
tutti coloro che non sapevano e non si erano accorti della sparizione di Aura,
l’atmosfera tesa che aleggiava sull’intera Cross Academy era inesistente.
Zephyr in particolare aveva una sensazione di gelo addosso, nonostante avesse
sempre la temperatura corporea fredda di suo e la primavera avesse debellato
del tutto ogni traccia dell’inverno.
Zephyr,
senza dire nulla a Kaname, sgattaiolò fuori dal Moon Dorm in piena mattina e si
recò nei pressi della scuola, appostandosi sotto la finestra della classe di
Rossana, Zero, Yuuki e, se fosse stata presente, Aura. Dato che Rossana non era
riuscita a far parlare Zero, per quanto non fosse intenzionata ad arrendersi,
aveva deciso che era giunto il momento di usare un approccio diverso col Level
D-vampire hunter.
Attese
in religioso silenzio la fine delle lezioni e rese nota la sua presenza a
Rossana, sorpresa di vederlo lì.
«Cosa
ci fai qui? Manca ancora un po’, prima delle lezioni della Night Class…» disse
lei.
«Ho
aspettato che le lezioni della Day Class finissero, in modo da poter scambiare
due parole con Kiryu-silenzio-kun. È da tutta la mattina che sono qui, ma non
ha mai messo piede fuori dall’aula» dichiarò Zephyr.
«Cosa?
Ho sentito bene? “Tutta la mattina”?».
«Sì,
proprio così».
«In
ogni caso, dobbiamo darci una mossa, se vogliamo avere almeno una chance di
poter dialogare – sempre che si possa dire così – con Zero» proferì Rossana,
sospirando.
«Bene.
Allora andiamo» tagliò corto Zephyr, intenzionato a non farsi sfuggire Zero e
quel che fino ad ora aveva tenuto per sé.
I
due dovettero fare quasi una corsa contro il tempo per trovare Zero, il quale
si stava dirigendo verso i cancelli del Moon Dorm per il suo solito compito di
Guardian. Avevano poco tempo per bloccarlo e dovevano usarlo bene e subito, se
non volevano perdere un altro giorno.
«Come
facciamo a fermarlo? Se ti avvicinerai a lui, si accorgerà della tua presenza
in men che non si dica» chiese Rossana, affiancandosi a Zephyr, che stava
guardando Zero camminare verso i cancelli.
«Oh,
io dico che questa volta non si accorgerà nemmeno di me…» rispose Zephyr, con
un sorriso vagamente simile a quello di Sebastian.
«Cos’hai
intenzione di fare?».
Il
sorriso di Zephyr si fece ancora più largo e quasi inquietante. «Tu limitati ad
attirare la sua attenzione… Al resto ci penso io».
Zephyr
avanzò verso gli alberi alla sua destra e sparì fra di essi, lasciando Rossana
sola nel mezzo del viale, mentre la distanza tra lei e Zero aumentava ad ogni
passo compiuto da quest’ultimo. Con le mani chiuse a pugno, Rossana si diresse
a passo deciso verso il suo obiettivo, chiamandolo proprio mentre lui stava per
posare a terra il piede destro.
Zero
si fermò e si voltò verso di lei, conscio del fatto che era venuta lì per
assillarlo di nuovo con quelle domande a cui non avrebbe risposto, ma si portò
di fronte a Rossana lo stesso, giusto per sentire cosa voleva, qualche volta
non era lì per fargli domande.
«Cosa
vuoi?» le chiese, con le braccia conserte.
«Hai
per caso visto…» fece per chiedergli Rossana.
«No,
non ho visto nulla e nessuno!» rispose brusco lui.
«Certo
che sei proprio duro di comprendonio, eh».
«Almeno
non sono ripetitivo».
Rossana
sollevò entrambe le sopracciglia. «Io? Ripetitiva? Questa è proprio bella!».
Mise le mani sui fianchi. «Di sicuro non sono una vigliacca che fugge dai
propri problemi o dalle persone».
Zero
stava per ribattere, quando Zephyr comparve alle sue spalle e con un colpo
mirato lo stese a terra, afferrandolo giusto in tempo per evitargli uno scontro
non molto amichevole con le pietre del viale.
«Dovrebbe
mettersi un po’ a dieta il ragazzo» esclamò Zephyr, sdraiando a terra Zero.
«Forse
sei tu che, con l’altezza che ti ritrovi, lo senti più pesante» esordì Rossana,
ridendo.
Zephyr
la guardò seccato, costatando che aveva usato la stessa presa di giro che usava
con la sorella. «Complimenti per il sarcasmo gratuito» le disse, mentre girava
attorno a Zero e afferrava il collo della camicia bianca, iniziando a
trascinarlo lontano dai cancelli del Moon Dorm prima che quelli della Night
Class e le oche arrapate della Day Class, compresa l’incapace Yuuki, si
facessero vivi.
«Mica
te la sarai presa, vero?» chiese Rossana, camminando al suo fianco.
«No,
affatto» rispose lui sorridendo.
Rossana
lo guardò perplessa. «Ok, te la sei presa… ed hai appena sorriso come tuo
cugino».
Zephyr
si voltò verso di lei. «Davvero ho fatto un sorriso come quelli di Sebastian?»
chiese quasi sconvolto.
«Sì,
avresti dovuto vederti!».
«Menomale
che non mi sono visto, altrimenti sarei potuto rimanere traumatizzato a vita…»
esclamò Zephyr, voltandosi nuovamente.
Continuarono
a camminare – e trascinare Zero – fino a che non ritennero di essere lontani a
sufficienza dal Moon Dorm e da possibili sguardi indiscreti, vampiri o umani
che fossero. Zephyr fece qualche altro passo avanti e Zero emise un basso
rantolo, segno che stava riprendendo i sensi.
«Si
sta svegliando…» puntualizzò Rossana, indicandolo.
«A
quanto pare. Menomale che non l’ha fatto mentre lo stavo ancora tenendo per il
collo della camicia…» aggiunse Zephyr, affiancandosi a Rossana e aspettando che
Zero tornasse fra i vivi.
Quando
il vampire hunter dai capelli argentati riprese del tutto i sensi e aprì gli
occhi, di fronte a sé trovò Zephyr e Rossana, i due che gli avevano giocato
quel tiro mancino, con un’espressione ed una posa che dicevano “Ci hai fatto
aspettare un bel po’, sappilo”. Zero si tirò su tenendo la schiena contro
l’albero dietro di sé e mise una mano sul punto colpito da Zephyr, che doleva;
poi guardò i suoi sequestratori e chiese loro: «Perché mi avete portato qui?».
«Glielo
dico io o glielo dici tu?» fece Zephyr, rivolto a Rossana.
«Diglielo
tu» rispose lei. «Fino ad ora gli ho sempre parlato io…».
«Ok,
ci penso io. Tanto non mi cambia nulla» disse Zephyr, scrollando le spalle.
«Dirmi
cosa?» chiese Zero sulla difensiva.
«Il
motivo del tuo “sequestro”» gli rispose Rossana, con le braccia conserte.
Zephyr
si mise una mano fra i capelli, in modo da attirare l’attenzione su di sé per
poi prender parola, una volta che lo sguardo di Zero incontrò il suo: «Se sei
qui, devi solo ringraziare la tua ostinatezza nel non voler dire a Rossana ciò
che sai su Aura. Non so se te ne sei reso conto, ma ci siamo accorti della sua
sparizione e gradiremmo sapere il quando, il come, il perché…Tutto, insomma».
Zero
strinse i denti, intenzionato a non aprir bocca, perché voleva a tutti i costi
sistemare l’intera faccenda da solo. A quel punto Rossana e Zephyr si
scambiarono un’occhiata d’intesa e si avvicinarono a lui, rendendogli
impossibile ogni tentativo di fuga. Resosi conto d’esser praticamente alle
strette, Zero non vide altra scelta che rivelare quello che aveva cercato di
tener per sé a tutti i costi.
«È
stata portata via da Sebastian» ammise, alla fine.
Rossana
spalancò gli occhi dalla sorpresa e dall’incredulità, mentre Zephyr rimase con
la stessa espressione seria che aveva avuto poco prima.
«Me
lo immaginavo» disse lui. «In fin dei conti, non era solo mia sorella a
mancare, ma anche mio cugino».
«Non
ci avevo fatto minimamente caso…» proferì Rossana. «Ma quando è successo?»
chiese a Zero. «Ma soprattutto… come?».
Zero
tacque e fu Zephyr a rispondere: «Per quanto riguarda il “quando”, direi che
sia successo il giorno prima del nostro arrivo. Non è così… Zero?».
«È
la verità?» chiese Rossana, guardando prima Zephyr e poi Zero.
«Sì»
rispose quest’ultimo.
«A
questo punto, ritengo che sapere il come non abbia importanza» dichiarò Zephyr,
pensieroso.
«Perché?»
gli chiese Zero. «Non volevi sapere tutto?».
Zephyr
sollevò lo sguardo e lo fissò negli occhi. «Sì, volevo sapere tutto. Ma me lo farò dire dal diretto interessato:
Sebastian».
Zero
ricambiò lo sguardo serio e deciso di Zephyr e gli chiese: «E come? Non sai
nemmeno dove si trova».
«Ha
ragione lui, Zephyr» affermò Rossana. «Per quanto Sebastian, probabilmente,
possa esser andato lontano, noi non sappiamo dove si trovi. Anche se è sicuro
che non sia qui, alla Cross Academy, visto che non vi sono luoghi dove potersi
nascondere senza esser visti almeno da qualcuno, soprattutto da quelli della
Night Class».
«Ne
sei sicura?» le chiese Zephyr.
«Sì…
perché?».
Zephyr
sorrise furbo. «Perché si dà il caso che vi sia un luogo dove potersi
nascondere…».
Zero
corrugò la fronte. «Non ti starai mica riferendo al vecchio Moon Dorm, vero?».
«Proprio
così» rispose Zephyr, con un sorriso ancora più largo e compiaciuto.
Aura
si risvegliò in un letto che capì subito che non era il suo, dato che non era
ad una singola piazza, senza contare che la stanza in cui si trovava si
presentava in una maniera completamente diversa da quella che condivideva con
Rossana. Dalla finestra alla sua sinistra non entrava luce, quindi ne dedusse
che fosse notte. A quel punto si ricordò di quel che era avvenuto prima di
ritrovarsi dov’era ora, e si chiese quanto tempo fosse passato da allora. Ore?
Quelle di sicuro. Giorni? Almeno uno, sì. Settimane? Impossibile. Non poteva
aver dormito così tanto!
Si
tirò su e scese dal letto, tenendo le mani sulla parete per evitare di sbattere
contro qualcosa, data la poca luce che c’era nella stanza, e raggiunse la
porta; afferrò la maniglia e l’abbassò, ma scoprì che la porta era chiusa a
chiave.
«Sebastian…»
mormorò, lasciando la maniglia.
Nemmeno
il tempo di allontanare del tutto la mano, che udì il rumore di una chiave che
girava nella serratura e la porta che si aprì, facendo entrare un po’ di luce
in più e rivelando la figura di Sebastian.
«Mi
hai chiamato?» chiese quest’ultimo, col sorriso inquietante sulle labbra.
«Veramente
no» rispose Aura.
«Oh,
davvero? Strano… m’era parso d’averti sentito pronunciare il mio nome».
Sebastian
entrò nella stanza dove aveva confinato Aura, chiudendo dietro di sé la porta e
nascondendo la chiave, unico mezzo col quale la cugina sarebbe potuta uscire di
lì, sempre se fosse riuscita a prenderla. Avanzò di un passo verso di lei e la
vide indietreggiare in automatico, come se istintivamente sapesse quel che di
lì a poco le sarebbe successo. Fece qualche altro passo, e la stessa scena si
ripeté; allora decise di smetterla con quel giochetto, per quanto lo trovasse
divertente, e camminò regolarmente, con la conclusione che Aura si ritrovò a indietreggiare
sopra il letto. Comportamento un po’ scontato, secondo Sebastian.
«Hai
paura di me?».
«No»
rispose Aura.
«Perché
indietreggi, allora?».
«Cosa
stai tramando?». Aura venne subito al punto, sorprendendo Sebastian.
Il
purosangue la fissò a lungo, prima di risponderle. «Non sto tramando nulla che
possa nuocerti, se è questo che ti preoccupa. Non farei mai del male a un
membro della mia famiglia».
Aura
strinse gli occhi e lo scrutò con attenzione, alla ricerca di un minimo segno
che potesse darle la certezza che Sebastian stesse mentendo, ma non ne trovò.
Ciononostante, indietreggiò ancora un po’ e si ritrovò con le spalle contro la
testiera del letto.
La
sua fuga era finita.
Sebastian
si sedette sul lato destro del letto, praticamente a pochi centimetri da lei, e
la paura apparve come da copione. Solo quando allungò una mano verso di lei e
la posò sulla sua guancia, anche il panico fece la sua comparsa, congelandola
sul posto. Per un istante ricordò d’essersi trovata nella stessa situazione
quando Zero, Hanabusa e suo fratello Zephyr l’avevano morsa. Da quegli episodi
di tempo ne era passato, ma lei era rimasta uguale sotto quell’aspetto. Non
poté fare a meno di reputarsi patetica.
Dalla
guancia, la mano di Sebastian scese lenta verso il collo, arrestando la sua
discesa proprio alla base di esso, dove iniziava il colletto della divisa nera.
Dopodiché l’afferrò per la nuca e la tirò a sé, passando l’altra mano fra i
capelli del medesimo colore dei suoi. Con quella stessa mano spostò i capelli,
che occupavano l’area del collo, e si chinò in avanti, aspirando il profumo di
Aura e quello quasi impercettibile del sangue che scorreva sotto la pelle in
maniera irrequieta, come se fosse a conoscenza d’esser una preda.
Sebastian
sorrise, quando Aura trovò il coraggio per provare a respingerlo, ma la
differenza di forza tra loro due era abissale. Annullò la resistenza esercitata
dalla cugina con poco ed ebbe la via libera per fare quel che voleva.
«Se
farai la brava, farò in modo che tu non senta male» le sussurrò, con le labbra
che sfioravano la pelle tesa del collo.
Aura
non rispose, ormai rassegnata, e chiuse gli occhi, in attesa dell’inevitabile.
A quel punto Sebastian socchiuse le labbra e le sue zanne scintillarono per un
breve istante nel buio della stanza, prima di affondare nel collo e bere ed
infettare il sangue. Aura abbandonò all’indietro la testa, che venne afferrata
e sorretta dalla mano destra di Sebastian, mentre la sinistra era situata sulla
sua schiena.
Una
volta finito di bere, Sebastian, per completare il rituale, si morse il polso
sinistro, succhiando il suo stesso sangue, si chinò sulle labbra di Aura e fece
scivolare il liquido rosso nella sua bocca, costringendola a ingoiarlo se non
voleva soffocare. Infatti, quando il loro bacio insanguinato s’interruppe, Aura
tossì e Sebastian le sollevò il mento con una mano, per poi passare il pollice
sull’angolo destro della sua bocca, rimuovendo in parte il rivolo di sangue che
era colato.
Aura
afferrò il polso di Sebastian nel tentativo di allontanare la sua mano, il suo tocco, da sé; la ferita del morso
le doleva e il sangue fuoriuscito aveva già iniziato a coagulare, ma non
sarebbe bastato a far passare il dolore.
«Il
tuo sangue è troppo dolce, per i miei gusti. Dovresti fare qualcosa al
riguardo» dichiarò Sebastian.
«Puoi
anche scordartelo» replicò Aura, sempre con la mano serrata intorno al polso.
Sebastian
emise un debole sospiro e la lasciò andare, facendola ricadere sul materasso,
per poi alzarsi dal letto.
«Approfitta
della mia assenza per riposarti e anche per renderti conto del tuo bel
cambiamento. Dovresti essermi grata».
«“Bel
cambiamento” un corno…».
«Oh,
ma lo è. Domani lo vedrai» concluse Sebastian, aprendo la porta e sparendo
dietro di essa.
Aura
portò una mano sul collo, dove i segni del morso erano già spariti. Col fatto
che fosse stata appena morsa da un purosangue, tra l’altro un membro della sua
stessa famiglia, era chiaro che non fosse più un essere che non stava né di qua
né di là, ma si domandava come mai non avesse sete. Poi si ricordò che era
stata costretta a bere ed ebbe la risposta alla sua domanda.
Un
moto di disgusto si fece strada solo per esser bloccato da un altro che era
tutto il contrario. Aura non ebbe il coraggio di toccarsi i canini per paura di
trovarli cambiati, più lunghi e affilati nel peggiore dei casi. Allora fece lo
sforzo di voltarsi su un fianco e chiudere gli occhi, conscia che d’ora in poi
il sonno sarebbe stato solo un ricordo.
Come
promesso, eccomi con l’aggiornamento di settembre! Seba-chan l’ha combinata
grossa, ma qualcuno si sta organizzando per cambiare le carte in tavola e
salvare la principessina, LOL… Riusciranno i nostri eroi nell’impresa?
Chissà chissà :3
Comunque,
come già stavo dicendo di recente, ci stiamo avvicinando alla fine. Anzi, a
dirla tutta, questo è il penultimo capitolo e il prossimo sarà l’ultimo. Ma non
fatevi venire l’amaro in bocca, altrimenti vi rovinate la lettura! Lasciate che
sia solo io a doverne pagare le conseguenze per il brutto vizio di fare seguiti
su seguiti che ci mettono un secolo ad essere pronti…
Beh,
al prossimo e ultimo capitolo! :D
Yuna.
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Capitolo 33 *** The Unchangeable Fate ***
VK33
Capitolo
XXXIII
The
Unchangeable Fate
Fuori
dalla stanza in cui Aura si trovava, non molto distanti dall’edificio – il
vecchio Moon Dorm – si trovavano Zero, Zephyr e Rossana, tutti e tre acquattati
dietro gli alberi, intenti a scrutare i dintorni.
«Sebastian
è là dentro. Potrei scommetterci, ma non lo faccio, visto che sono sicuro che
lui sia là» disse Zephyr con gli occhi puntati sul portone d’ingresso.
«Allora cosa
facciamo?» chiese Rossana. «Non possiamo mica stare qui in attesa che lui si
accorga della nostra presenza!». Non ottenendo risposta da Zephyr né da Zero,
si voltò proprio verso quest’ultimo. «Cos’hai, Zero?».
Zero aveva la
fronte aggrottata e una mano serrata sul braccio sinistro, come se si stesse
trattenendo. «Nulla» rispose.
«Stai mentendo,
si vede benissimo».
«L’hai notato
anche tu, vero?» domandò Zephyr.
Zero annuì. «Sebastian
ha fatto la sua mossa».
«Di cosa state parlando?»
chiese loro Rossana, guardando prima l’uno e poi l’altro.
I due interpellati
rimasero silenziosi, poi Zero decise di rispondere: «Aura è stata morsa».
Quella sola
frase fece capire tutto a Rossana, che si voltò verso Zephyr, il quale aveva
una mano serrata a pugno.
«Siamo arrivati
tardi, allora!» esclamò Rossana.
«No» rispose
Zephyr a bassa voce, troppo bassa per poter essere udito.
«Lo sapevo che
non avremmo dovuto prendere un giorno per prepararci. Prepararci per cosa, poi?
A perdere in partenza?».
«No».
«Avremmo dovuto
semplicemente entrare là dentro e farla finita senza tante cerimonie!
Perché…?!».
Zephyr chiuse a
pugno anche l’altra mano ed esclamò: «Respira
e chetati!».
Rossana rimase
con la bocca spalancata, giacché era stata interrotta e le parole le si erano
fermate a metà gola, e guardò Zephyr con gli occhi spalancati dalla sorpresa;
anche Zero lo guardò un po’ stupito: entrambi non lo avevano mai sentito
urlare, tantomeno l’avevano visto serio. Dopotutto, Zephyr non si era mai
comportato a quel modo, nemmeno durante il processo o quando si era ritrovato a
dover fare i conti con i trecento anni di servizio presso i Crowe come pena.
«L’unica cosa
che possiamo fare è entrare e affrontare quel che ci attende. Altro non
possiamo fare» concluse Zephyr, assumendo una posa meno tesa.
«Allora
andiamo» disse Zero, incamminandosi per primo, seguito da Zephyr e poco dopo da
Rossana, che rimase in silenzio.
Giunti dinanzi
l’ingresso, trovarono il portone aperto e nessuno ad attenderli nell’atrio:
Sebastian aveva deciso di farli giocare alla caccia al tesoro.
«Non mi piace.
È stato troppo facile entrare» dichiarò Zero, scrutando le due rampe di scale
di fronte a lui.
«Concordo» disse
Zephyr.
«Propongo di
dividerci» esordì Rossana, ora che aveva ritrovato la parola.
Gli altri due
si voltarono verso di lei, scettici nei confronti della sua proposta.
«So che non vi
piace, ma non ci restano altre opzioni decenti».
«Allora diamoci
una mossa e facciamolo» disse Zero, avviandosi verso una delle due rampe di
scale e iniziando a salire.
Zephyr e
Rossana rimasero dov’erano a guardarlo, finché non sparì dietro l’angolo del
corridoio sulla destra. Dopodiché si scambiarono un’occhiata d’intesa e presero
due direzioni diverse: Rossana a sinistra e Zephyr a destra.
Zephyr
controllò rapidamente tutte le stanze sul lato destro del corridoio senza
ottenere alcun risultato; passò a quelle sulla sinistra e, mentre controllava
la terza stanza, la porta si chiuse di scatto alle sue spalle. Tentò subito
d’aprirla, ma non vi fu niente da fare: era chiusa da una forza che lui
conosceva bene, e non da un semplice giro di chiave nella serratura.
«Sebastian…»
disse a denti stretti, adirato.
Nel corridoio
opposto, intanto, Rossana si apprestava ad esaminare l’ultima stanza, col
sentore che anche in quella non vi avrebbe trovato Aura e che sarebbe stato
l’ennesimo buco nell’acqua, da dove non avrebbe cavato nemmeno un girino. Aprì
la porta e fece qualche passo avanti, scrutando l’interno della stanza;
l’illuminazione non era sufficiente abbastanza per farle vedere bene, e la
corrente elettrica lì era davvero un optional. Ma senza luce o no, nulla
cambiava il fatto che anche quello non fosse il posto giusto.
Rossana si
voltò con l’intenzione di andarsene, ma la porta si chiuse di scatto e lei si
fiondò inutilmente sulla maniglia nel tentativo d’aprirla.
«Porta
infame…!» imprecò Rossana, colpendola con la punta dello stivale destro.
«Sebastian, aspetta solo che io esca da qui!».
Un lieve
fruscio, proveniente alle sue spalle, la fece voltare di scatto. D’istinto
portò una mano sull’elsa dello stocco e lo sfoderò, giusto in tempo per vedere
una mano guantata posarsi sopra la lama e chiudersi. Rossana alzò lo sguardo e
il volto che vide le fece spalancare la bocca dalla sorpresa.
«Tu non eri…
morto?» formulò Rossana, superato lo shock momentaneo.
«Ero morto» la corresse una voce
maschile, appartenente alla persona la cui mano era ancora ferma saldamente
sulla lama.
Rossana fece
per allontanare la spada, ma l’uomo la trattenne e si sporse in avanti,
rendendosi più visibile e lasciando la presa sullo stocco nell’esatto momento
in cui Rossana oppose resistenza di nuovo, facendole perdere per poco
l’equilibrio.
«Tu dovresti
essere morto, Blake Crowe» proferì Rossana, ora impugnando lo stocco con
entrambe le mani.
Blake distese
le braccia e aprì i palmi, coperti da dei guanti neri, così com’era il resto
del suo abbigliamento dalla testa ai piedi, e lasciò che Rossana potesse
studiarlo da cima a fondo.
«Hai detto
bene: dovrei essere morto. E invece sono qui, proprio di fronte a te, mia cara
nipote» disse Blake, abbassando le braccia. «Ma perché mi chiami con tanto di
nome e cognome? Mi disprezzi così tanto da trattarmi come un estraneo?».
Rossana corrugò
la fronte. Aveva di fronte a sé suo zio, colui che era diventato un vampiro e
che era stato eliminato per mano di Alexander, e tutto sembrava, fuorché morto.
Blake era in apparenza simile a Thomas, suo fratello e padre di Rossana, solo
che il suo occhio sinistro, anziché essere verde, era grigio.
«Vuoi sapere la
verità?» fece Rossana, seria. «Sì, ti disprezzo, ti odio. E non sono l’unica».
Blake posò la
mano destra sul gomito sinistro. «È la stessa cosa che mi disse tuo fratello
quando mi uccise, lo sai? Chi l’avrebbe mai detto che i miei nipotini si
assomigliassero più di quanto apparissero?» sorrise, mostrando i canini.
In quel momento
Rossana sentì le mani prudere. Che Alexander avesse fallito nell’eliminare
Blake? No, non era possibile, ma allora come si spiegava il fatto che adesso
fosse di fronte a lei, esattamente come appariva in quei pochi ricordi di lui
che aveva?
«Tu sei morto»
pronunciò, questa volta più per convincersi che così fosse.
Blake emise un
debole sospiro. «Perché, Rossana, continui a negare l’evidenza? Tuo zio – il sottoscritto
– è qui di fronte a te…».
Rossana lo
guardò storto, prima di gettarsi contro di lui e vedere il suo attacco schivato
con tanta facilità. Blake fece per dirle qualcosa, ma lei non gli diede il
tempo di aprir bocca e lo attaccò di nuovo, riuscendo a colpirlo al braccio
sinistro, lacerando il tessuto del mantello nero.
«Vedo che sei
diventata piuttosto brava a combattere… Mi complimento con te, nipote».
«Chetati e
combatti… zio» fu l’ultima cosa che
disse Rossana, prima di iniziare un duello serrato contro Blake.
Con Rossana
alle prese con il redivivo zio e Zephyr intrappolato in una stanza, solo Zero
era l’unico in grado di salvare Aura, adesso. Il vampire hunter aveva già
controllato il corridoio di destra, ed ora si stava occupando dell’altro; alla
fine si ritrovò davanti alla porta della stanza dove si era tenuto tempo prima
il processo. Questo gli fece capire, senza ombra di dubbio, che Sebastian
doveva trovarsi lì con Aura, proprio nel luogo dove aveva perso per la prima
volta.
Zero spalancò
la porta, scoprendo che l’interno della stanza, nonostante non fosse grande
quanto quelle del Moon Dorm attuale, era stato ristrutturato completamente
partendo dal pavimento, che ora era di piastrelle color panna, fino ad arrivare
al soffitto, verniciato di bianco e stuccato a dovere; l’arredamento, invece,
era del tutto assente, tranne che per un altare rettangolare di marmo in fondo
alla stanza, dove vi era adagiata un’addormentata Aura. Di Sebastian non vi era
nessuna traccia, come se non si trovasse in quel luogo, ma Zero era sicuro che
fosse lì, altrimenti sarebbe stato davvero fin troppo facile.
A passo lento
Zero si diresse verso l’altare, solo per veder apparirgli Sebastian di fronte
quando mancavano pochi passi fra lui e Aura. Il purosangue aveva stampato in
faccia il suo sorriso inquietante, dietro al quale Zero vi poté leggere anche
una punta di divertimento. Per lui era tutto un gioco, fu la conclusione a cui
giunse il vampire hunter: un gioco di cui tutti, nessuno escluso, erano i pezzi.
I due vampiri
si fissarono a vicenda, poi Sebastian prese la parola: «Sei giunto fin qui, e
qui resterai».
«Nella stanza
dove hai perso il titolo di “Avvocato del Diavolo”? Ne dubito» replicò Zero.
Quella frase
sembrò sortire un qualche effetto, giacché Sebastian smise di sorridere.
«Ho toccato un
tasto dolente, per caso?» chiese sarcastico Zero.
«Se devo essere
sincero, sì» gli rispose Sebastian, sorprendendolo. «Ma ora come ora non ha
molta importanza: ho trovato qualcosa di più importante e prezioso».
L’angolo
sinistro delle labbra di Zero curvò all’insù, risultando in una smorfia.
«Queste parole, dette da uno come te, un vampiro, suonano false in una maniera
incredibile» disse, estraendo la Bloody Rose.
«Lo stesso si
può dire di te, Kiryu-kun. È inutile
che ti ostini a voler tentare di recidere ogni legame con quello che sei: non
puoi negare la tua natura».
Zero ridusse
gli occhi a due fessure e alzò il braccio, puntando la pistola in direzione di
Sebastian, che si portò due dita sulla fronte ed emise un debole sospiro.
«Che hai da
sospirare?» gli chiese Zero.
«Nulla, solo
che mi dispiacerebbe eliminare una persona cara alla mia Aura».
Alla parola
“mia”, Zero ebbe un fremito alla mano con cui impugnava la Bloody Rose. «Non
parlare di Aura come se fosse una tua proprietà».
«Oh, ma invece
lo faccio eccome, dato che lei è una
mia proprietà… Dal preciso momento in cui l’ho morsa».
«Adesso basta. Stai
zitto e muori» chiuse il discorso Zero, sparando a Sebastian, il quale rimase
immobile dov’era per poi spostarsi all’ultimo, facendolo irritare.
Iniziò così uno
scontro che vedeva Zero ad attaccare e Sebastian a difendersi, in quanto si
limitava semplicemente a schivare e deviare i proiettili della Bloody Rose,
come se stesse prendendo tempo o si stesse limitando semplicemente a giocare
col povero vampire hunter, che stava iniziando a perdere precisione nei colpi,
dato il nervoso che aveva.
I due
continuarono a quel modo fino a che i proiettili di Zero mancarono Sebastian
senza che lui si muovesse per schivarli, ma quest’ultimo aveva gli abiti
lacerati in più punti, visto che qualche volta era stato colpito, anche se alla
fine si era spostato sempre in tempo per evitare di esser ferito.
«Non ce la fai
già più? Mi deludi» lo derise Sebastian.
«Fa’ silenzio,
codardo».
«La mia non è
codardia. Hai mai sentito parlare di “schivare gli attacchi nemici”? Eppure
dovresti… Dopotutto è una nozione basilare del combattimento».
«Non accetto
richiami di questo tipo: so come si combatte» ribatté Zero, impugnando la
Bloody Rose con entrambe le mani.
«Allora
mostrami quello che davvero sai fare, se sei convinto di saper combattere. Aura
ha bisogno di qualcuno che sia in grado di proteggerla, e non di qualcuno che
non è nemmeno capace di impugnare a dovere un’arma» lo istigò Sebastian.
Zero incassò
tale frase dispregiativa e riprese ad attaccare il purosangue, che continuò a
trovare divertente l’intera situazione. Mentre i due erano intenti nel loro
combattimento, il rumore provocato dagli spari di Zero arrivò chiaro e forte
alle orecchie di Aura, che aveva iniziato a risvegliarsi dall’ipnosi di
Sebastian. Quest’ultimo, resosi conto di ciò, si distrasse per un istante,
sufficiente abbastanza affinché un proiettile della Bloody Rose lo colpisse
alla spalla sinistra, immediatamente coperta da una mano, ma non prima che
Sebastian contrattaccasse e ferisse Zero al fianco destro.
I due vampiri
stavano perdendo sangue dalle ferite ricevute, e sia l’odore che la sua vista
fecero svegliare del tutto Aura, che d’improvviso sentì la gola in fiamme come
non mai. Portò entrambe le mani alla gola e la strinse, non volendo cedere alla
sete; il suo sguardo incontrò prima quello di Sebastian, divertito e stupito, e
lo maledisse, poi incrociò quello di Zero, dove vi poté leggere preoccupazione.
Avrebbe voluto tanto che quello fosse solo un incubo e che lei in realtà stesse
solo dormendo, ma purtroppo non era così. Quella realtà era più dolorosa di
quanto avesse mai immaginato.
«Sai, l’ho
lasciata un po’ a digiuno, quindi potrebbe essere affamata» disse Sebastian con
nonchalance, come se la prospettiva di un giovane vampiro affamato come Aura
non lo preoccupasse affatto.
«Hai fatto
cosa?» esclamò Zero, guardandolo esterrefatto.
«Mi hai sentito
bene».
Zero volse il
suo sguardo in direzione di Aura per vedere in che condizioni si trovasse,
constatando che ce la stava mettendo tutta per non lasciarsi sopraffare dalla
sete; ma era solo una questione di poco tempo, prima che cedesse. Se quel che
Sebastian aveva detto corrispondeva al vero, allora aveva anche meno tempo di
quanto pensasse.
Si voltò di
nuovo verso il purosangue, ma non era più lì. Cercarlo con lo sguardo fu
inutile, dal momento che silenziosamente si era portato alle sue spalle e gli
aveva puntato alla gola la katana.
«Non sono
solito usare la mia spada, ma per questa volta farò un’eccezione» proferì
Sebastian, prima di premere la lama violacea contro la gola di Zero e causargli
un taglio piuttosto profondo. «Morire dissanguato per mano della persona a cui
si tiene di più… Non ti sembra così romantico?» furono le sue ultime parole,
che risuonarono all’interno della stanza con una risata inquietante di
sottofondo. Poi Sebastian Thanatos sparì nelle ombre.
Dal taglio di
Zero il sangue fuoriusciva veloce e senza il minimo accenno a voler smettere;
questo fu sufficiente a far perdere ogni resistenza di Aura, che venne
sopraffatta dalla sete e balzò giù dall’altare per gettarsi addosso a Zero, inchiodandolo
al pavimento ormai rosso. Zero tentò di respingerla, ma notò con orrore che la
Bloody Rose gli era scivolata dalle mani durante l’impatto con il duro e freddo
pavimento e, quando il suo sguardo passò dalla mano vuota al viso di Aura, vide
i suoi occhi cremisi illuminati da una luce inquietante e la bocca socchiusa
coi canini ben visibili.
Le labbra di
Aura si aprirono in un ghigno tipico dei Level E, poi si avventò sulla gola di
Zero, partendo dal taglio che continuava a buttare sangue, per poi conficcare
le sue zanne a pochi centimetri dalla giugulare e iniziare a succhiare il
sangue con foga, tant’era che Zero le afferrò le spalle e tentò di spingerla
via per farla smettere. In seguito qualcosa dovette scattare nella mente di
Aura, poiché smise di dissanguare la sua prima vittima.
«Ze… ro?»
pronunciò, col sangue che le gocciolava dalla bocca e le scendeva lungo il
mento e il collo.
Zero sbatté le
palpebre, sorpreso dalla ripresa di autocontrollo di Aura, e le posò una mano
sulla guancia destra, riservandole un’espressione sollevata e un sorriso
stanco. Una fitta di dolore e arsura all’altezza della gola gli ricordò dell’ingente
perdita di sangue e il conseguente bisogno di recuperarlo; non aveva più forze
e, anche se ne avesse avuto un briciolo, non si mai sarebbe azzardato a mordere
Aura, l’unica persona presente oltre a lui, altrimenti si sarebbe ripreso, sì,
ma lei no, portando alla replica di quanto accaduto poco prima.
D’un tratto la
porta della stanza si spalancò, rivelando Zephyr e Rossana, che erano riusciti
a liberarsi non appena la presenza di Sebastian e il suo potere se n’erano
andati; i due, rimasti sconvolti per via del sangue che ormai era dappertutto
ed era ben vistoso, dato il candore del pavimento, avanzarono verso Aura e Zero
con cautela, pronti a dover difendersi nel caso in cui uno dei due avesse
provato ad attaccare. A mano a mano che si avvicinavano, poterono notare che
Zero non avrebbe rappresentato una minaccia, in quanto privo del tutto di
forze: l’unica minaccia era Aura.
«Temo che ci
toccherà combattere» disse Rossana rivolta a Zephyr.
«Io dico di no»
rispose lui, con lo sguardo posato sulla figura ricoperta di sangue della
sorella, che in quel preciso istante sollevò la testa e lo fissò di rimando.
A quel punto,
Zephyr capì cosa avrebbe dovuto fare. Avanzò sicuro verso Zero e Aura, la quale
lo squadrò per un istante, prima di stringersi a Zero come un animale che teme
di vedersi sottrarre il proprio pasto, e rapido si portò alle sue spalle e la
staccò dal sempre più debole vampire hunter, per poi farle perdere i sensi con
un colpo ben assestato alla nuca.
Rossana gli
corse in contro e gli chiese: «Non c’era altro modo?».
«Purtroppo no»
le rispose, mentre posava a terra la sorella.
«Per quanto
resterà incosciente? Sai, non vorrei ritrovarmi ad affrontarla di punto in
bianco».
Zephyr corrugò
la fronte. «Resterà così abbastanza a lungo da permetterci di fare quel che
dobbiamo fare senza troppi problemi. Ma adesso, mentre tu tieni d’occhio lei,
io mi occuperò di quella piaga d’un vampire hunter esangue: vederlo così dà
fastidio alla mia vista».
Rossana si
posizionò vicino ad Aura e chiese a Zephyr, prima che raggiungesse Zero:
«Cos’hai intenzione di fare?».
«Non ti
preoccupare. So quel che faccio» fu la sua risposta.
Zephyr raggiunse
Zero e lo squadrò un attimo, constatando che era messo piuttosto male e avrebbe
potuto rimetterci la pelle, se qualcuno non l’avesse aiutato seduta stante.
Visto come versava la situazione, Zephyr decise di fare l’unica cosa che poteva
esser fatta – che lui poteva fare – e
s’inginocchiò accanto a Zero, il quale lo guardò dapprima confuso e poi
sconvolto, quando lo vide ferirsi il lato sinistro del collo, da dove il sangue
iniziò a uscire subito ma lento.
«Sbrigati,
prima che il taglio si richiuda» gli disse Zephyr. «E sappi che non lo sto
facendo perché mi preoccupo per te o della tua vita».
Zero volse la
testa dall’altra parte, interrompendo il contatto visivo col sangue dell’altro,
ma servì a poco, in quanto Zephyr, irritato dal suo gesto, lo fece voltare
verso di sé e un po’ del liquido rosso gli finì sul volto, per poi passare
vicino alle sue labbra.
Rossana, il cui
sguardo passava da Aura alla schiena di Zephyr, non vide quanto accaduto prima,
bensì solo Zero che si avventava sulla gola di Zephyr. In quel momento capì
quanto le era stato detto prima e resistette all’impulso di fermare lo
spettacolo che le si parava dinanzi; intanto Zero si era attaccato a Zephyr
come una sanguisuga e, per quanto fosse arrabbiato con sé stesso per aver
ceduto alla sete, non mostrava il minimo segno di voler staccarsi: solo quando
Zephyr gli mise le mani sul torace e lo spinse con forza si staccò.
I due vampiri,
entrambi ricoperti di sangue, si scrutarono a vicenda, prima di alzarsi in
piedi e raggiungere Rossana ed Aura.
«Stai bene?»
chiese Rossana a Zephyr, il quale annuì.
«Abbastanza»
replicò lui, prima di avere un capogiro e ritrovarsi sorretto per un polso da
Zero.
«Prima ti do
una mano io, e ora sei tu a farlo…».
«Non ti ho dato
una mano: ho semplicemente evitato che cadessi» replicò Zero, lasciando la
presa sul polso dell’altro e permettendo a Rossana di occuparsi di lui,
mettendogli un braccio intorno alla vita e sorreggendolo.
Dopodiché Zero
prese si avvicinò ad Aura e la prese in braccio. «Andiamo».
Lui, seguito da
Rossana e un indebolito Zephyr, uscì dalla stanza bianco latte e rosso sangue e
infine dall’edificio stesso, trovando Kaname fuori ad attenderlo.
«Hai avuto
fortuna, Kiryu-kun».
«Sicuro che sia
solo quella, Kuran-senpai?».
«Se dovete
scannarvi a vicenda verbalmente, rimandatelo alla prossima volta, ok?»
s’intromise Rossana, seccata. Era stata una lunga nottata e non aveva la minima
voglia di sentire e vedere quei due litigare com’erano soliti fare.
Zero sbuffò e
sorpassò Kaname, che sorrise e disse: «Certo, ci scanneremo a parole la
prossima volta. Vero, Kiryu-kun?».
«Ne riparleremo
una volta pareggiati i conti con Sebastian Thanatos».
«Capisco».
Kaname lasciò
che anche gli altri lo superassero, poi alzò lo sguardo sul vecchio Moon Dorm e
lo osservò per un po’, prima di tornare sui suoi passi in direzione
dell’attuale Moon Dorm, dove il resto della Night Class lo attendeva.
Dopo quella
notte, che aveva reso immutabili le sorti di alcuni, Zero ed Aura non tornarono
alla Cross Academy per un bel po’ di tempo, così come Rossana e Zephyr, e si
erano stanziati presso Angela, la quale non poté fare a meno di rimanere sconvolta
per quanto accaduto alla nipote.
I quattro, in
conclusione, se n’erano andati dalla Cross Academy per prepararsi al futuro
scontro con Sebastian, con cui avevano ancora un conto in sospeso; un conto che
avrebbero pareggiato non appena si sarebbe presentata l’occasione giusta, la
quale era più vicina di quanto potessero pensare.
Avevo detto che
avrei aggiornato a Ottobre, ma tra una cosa e l’altra non ce l’ho fatta :/ In ogni
caso, spero che quest’ultimo capitolo sia soddisfacente, per quanto possa essere
aperto e concluda poco o niente.
Per quel che riguarda
il seguito, vi posso solo dire che ci sarà.
Niente date o altre informazioni; ho imparato che, almeno nel mio caso, è meglio
non dire nulla, perché va a finire che creo delle aspettative che non posso soddisfare
nell’immediato o comunque entro una fascia di tempo giusta… Di conseguenza, questo
è quanto c’è da sapere: questa fic avrà un seguito, per ovvi motivi, la cui data
di arrivo è ignota. Per sapere quando sarà pubblicata, basta spulciare di tanto
in tanto (una volta ogni due mesi, se vi va xD) il mio profilo o dare un’occhiata
nel fandom – anche se la seconda ve la sconsiglio, visto che cercare una fic in
particolare è assai difficile, vista la marea che c’è .-.
Detto questo, ringrazio
chi l’ha seguita, messa tra i preferiti e compagnia bella, e chi ha recensito! :D
Alla prossima (che
non so quando sarà xD)!
Yuna.
P.S. Come ogni titolo
di coda che si rispetti, non potevano mancare i credits: Thomas Crowe, Alexander Crowe,
Rossana Crowe e Blake Crowe appartengono a Lena Mason.
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