Siamo solo amici

di nena92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un incontro disastroso. ***
Capitolo 2: *** La prima notte ***



Capitolo 1
*** Un incontro disastroso. ***


All’inizio, quando amiamo veramente una persona,

la nostra più grande paura è che smetta di amarci.

Ciò che invece dovrebbe terrorizzarci davvero

È che non smetteremo di amarla.

Gregory David Roberts, Shantaram.

 

 

Schloßstraße27,

Germania, Berlino.

15 Giugno 2013.

Nella scala dei “grandi fastidi”, il cambiamento occupava il primo piolo.

Per Ludwig Beilscmdit, impiegato di banca ventottenne della Deutsche Bank, il cambiamento era un fastidio. Odiava dover cambiare le proprie abitudini. Quella che la gente chiamava routine, lui la chiamava con un altro nome: “ordine”. Amava l’ordine e avere sotto controllo ogni cosa.

Con le chiavi in mano e gli scatoloni davanti a lui, Ludwig guardò il suo nuovo appartamento. Era spazioso, luminoso e vuoto. Un semplice e piccolo monolocale nel centro di Berlino. Un appartamento da perfetto tedesco, senza contare che l’affitto era davvero basso. Solo 600 euro al mese, e lui come impiegato di banca guadagnava circa 2500 euro, al mese. Con uno stipendio del genere ovviamente si sarebbe potuto permettere un appartamento più grande e spazioso. Magari nel quartiere residenziale di Pankow-Prenzlauerberg a Est di Berlino, famoso per i suoi appartamenti moderni e i ristoranti rigorosamente vegetariani- ma lui da vero tedesco non avrebbe mai rinunciato a un Leberwurst per una carota e un sedano- oppure nel moderno quartiere di Mitte, il cuore pulsante di Berlino, da tutti declamata per la sua importanza storico-politico.

Ma come ogni quartiere famoso era sempre pieno di turisti, di giovani sbandati e soprattutto di famiglie. Ecco cosa non gli era andato bene di quel quartiere: le famiglie. Non avrebbe sopportato la vista di coppie giovani e ricche con bambini. Avere bambini-solo due, ovviamente- e crescerli a Mitte era il progetto che lui ed Änne avevano deciso di realizzare proprio in quell’anno, prima di divorziare.

Quindi ecco il motivo che lo aveva spinto ad accettare un monolocale sulla Schloßstraße27, in una piccola e antica palazzina appartenente a suo nonno, trasformata in una locanda.

Ovviamente lui aveva ricevuto l’unica stanza, che per la sua grandezza si poteva definire monolocale, attrezzata di cucina e di bagno, in modo che non venisse disturbato dagli avventori della locanda.

Tirando un sospiro di rassegnazione, Ludwig si decise a portare gli scatoloni dentro il suo nuovo appartamento. Prese una scatola, grande ma leggera, e nel momento in cui mise piede nell’appartamento una voce attirò la sua attenzione.

“Vuole un aiuto, signore?”

Signore?

Ludwig, nelle poche estati in cui da giovane aveva lavorato nella locanda per aiutare suo nonno, si era sentito chiamare nei modi più assurdi e diversi, come: “Cameriere”, “Facchino”, “Concierge” e anche “Ehy, tu”- che era l’espressione più in uso, soprattutto dagli stranieri. Ma mai era stato chiamato “Signore”.

Eppure quel giorno non indossava uno dei suoi completi scuri e severi che metteva per lavorare in banca.

Quel giorno, lui aveva indosso una camicia bianca e sopra un gilet marrone e portava un paio di pantaloni color cachi con la piega e mocassini marrone scuro.

Quando si girò, Ludwig si ritrovò davanti un ragazzo che non doveva avere più di diciotto anni, di media statura e vestito come un modello.

“Scusami, cosa hai detto?” domandò, poggiando la scatola a terra e incrociando le braccia davanti al petto.

Il ragazzo spalancò gli occhi, di un marrone che Ludwig non aveva mai visto, e esclamò sorpreso “Oddio, scusami! Non sei l’anziano signore che stavo cercando!”

Parlava davvero male il tedesco e aveva anche uno strano accento, morbido e squillante. Di sicuro doveva essere italiano e lui non sopportava gli italiani. Fra tutti i turisti stranieri, quelli italiani erano i più rumorosi e fastidiosi. Nelle sue brevi estati nella locanda, aveva imparato a riconoscere la nazionalità di ogni turista. E non per il colore dei capelli, degli occhi o della pelle. No. Aveva imparato a riconoscerli per il carattere. Aggressivo e scontroso era lo svizzero e l’inglese, rumoroso e sbruffone era l’americano, inquietante e scostante lo svedese e il russo. Mentre sfacciato, chiassoso e anche spudorato era solo l’italiano. E lui aveva deciso di tenersi lontano dagli italiani. Almeno  fino a quel momento.

Ludwig sospirò infastidito e guardò dritto negli occhi il ragazzino, scandendo lentamente la domanda per non metterlo in difficoltà.

“Hai detto, un anziano signore?”

“Sì.”, rispose prontamente il ragazzino e sorrise.

Lui aggrottò la fronte, stranito. Che cosa aveva da sorridere quel ragazzino, ora? Perché non aveva aggiunto altro?

Probabilmente sorrideva perché era stupido e ingenuo come tutti i ragazzi della sua età.

Come se gli avesse letto nella mente, l’italiano iniziò a spiegare “Ecco, oggi pomeriggio quando ero nella hall, è entrato un signore anziano e sembrava così stanco poverino. Così avevo deciso di aiutarlo a portare le valige nella sua stanza che credo sia al quarto piano o forse al terzo, comunque stavo per prendere le valige, quando è entrata nella locanda la più bella ragazza che avessi mai visto. Praticamente un miraggio! E mica potevo lasciarmela scappare, no? Quindi ho lasciato le valige per un attimo e sono andato a chiedere alla ragazza il numero. Era belga e non puoi nemmeno immaginare quanto sia stato difficile per me chiederle il suo numero. Già non parlo bene il tedesco, e di sicuro te ne sarai accorto, quindi immagina il belga! Fortunatamente mi sono ricordato qualche parola in inglese, e con la lingua inglese me la cavo, e alla fine sono riuscito a farmi dare il suo numero! Comunque, poi sono tornato indietro per aiutare l’anziano signore e lui già non c’era più. Puff, sparito. Quindi sono andato a cercarlo, almeno per chiederli scusa o nel caso in cui avesse ancora le valige, per aiutarlo. Poi ho visto te e ti ho scambiato per lui!”

Quando il ragazzino finì di parlare, Ludwig sentì la testa scoppiargli. Non aveva capito nulla. E a lui non piaceva non capire. Quindi chiuse gli occhi e provò a sintetizzare quello che gli aveva appena detto l’italiano, sentendosi però ancora più stordito e stanco alla fine.

In tutto quel discorso sconnesso e ingarbugliato, riuscì a estrapolare le informazioni essenziali: il ragazzo davanti a lui aveva perso un anziano signore per via di una bella ragazza belga e lui era stato scambiato per l’anziano in questione.

A quell’ultima informazione, lui non riuscì a trattenersi dal domandare al ragazzo “Ma come hai potuto confondermi con l’anziano signore che stai cercando?”

“è che siete vestiti uguali!”

A quel commento, Ludwig sentì le guance bruciargli e un peso invisibile colpirgli la testa.

“Ah, siamo vestiti uguali.”

Il ragazzino annuì, convinto.

Cercando di recuperare la poca dignità rimastogli, lui riformulò la domanda. “L’anziano signore che stai cercando è vestito come me?”. Così la domanda suonava meglio e non dava l’impressione- assolutamente sbagliata- che lui quella mattina si era vestito come un vecchietto.

“No. Casomai, tu sei vestito come l’anziano signore. Non il contrario.”, replicò l’italiano, senza peli sulla lingua.

Ludwig aggrottò la fronte e accigliò lo sguardo, contrariato. Ecco un’altra lampante dimostrazione di “educazione italiana”. Quel ragazzino mancava di tatto, sensibilità e- ora che lo guardava meglio- anche di buon gusto. Non accettava critiche sull’abbigliamento da chi si vestiva con pantaloni griffati e maglietta attillata per mettere in mostra il proprio fisico.

Abbassò lo sguardo e notò che il ragazzino calzava ai piedi un paio di scarpe da ginnastica logore e sporche, alte a metà caviglia. Di sicuro erano All Star, quelle orribili scarpe americane che i ragazzi indossavano sino allo sfinimento, consumando la suola e bucando la stoffa. Odiava quelle scarpe.

L’italiano seguì lo sguardo di Ludwig e guardò anche lui le sue scarpe.

“Oh, capisco cosa stai pensando. Ma a me piacciono queste scarpe, sono comode.”, disse dopo un attimo di silenzio, quindi lanciò uno sguardo al paio di mocassini dell’uomo e commentò “Io quelle scarpe che porti tu, non potrei indossarle. Mi fanno le vesciche e sono scomode, soprattutto adesso che è estate.”

Ludwig alzò lo sguardo dalle scarpe, ma non disse nulla. Voleva far capire al ragazzino che era giunto il momento che lo lasciasse in pace, da solo. Amava la solitudine almeno quanto detestava le chiacchiere inutili.

“Secondo me, comunque, non dovresti mettere il gilet. A parte che pacchiano è anche scomodo. Dai, non l’hai notato! Siamo in estate! E in estate ci si mette a maniche corte, al massimo le camice di cotone leggero!” disse l’italiano, senza accennare ad andarsene.

Con quanta pazienza gli era rimasta, Ludwig disse “Senti, ho da fare.”

L’italiano aggrottò la fronte. “Che cosa devi fare?”

Lui sbarrò gli occhi, sorpreso. Ma era davvero così distratto quel ragazzino o lo faceva apposta? Decise di dargli il beneficio del dubbio e indicò gli scatoloni ancora davanti alla porta. “Devo mettere questi scatoloni dentro il mio nuovo appartamento e…”

“Oh, quindi tu vivi in questa locanda? Ma davvero?”, lo interruppe il ragazzino e si spostò in avanti, vicino a lui.

Da vicino l’italiano era ancora più basso di quello che gli era sembrato prima; la sua testa a stento gli arrivava alla spalla. In quel momento era così vicino a lui, che poteva dire che l’italiano odorava di talco e sapone. Istintivamente lui arretrò, andando a sbattere contro uno scatolone aperto e rovesciandone il contenuto.

“Scheiße!” esclamò irritato, inginocchiandosi per raccogliere le cose che erano uscite fuori.

“Oddio, ti sei fatto male?” domandò l’italiano, inginocchiandosi vicino a lui per aiutarlo.

“Nein! E comunque dovresti stare più attento, ragazzino!” replicò scorbutico, senza degnarlo di uno sguardo e raccogliendo in fretta le sue cose.

In silenzio raccolsero i vari quaderni, libri e raccoglitori, mettendoli di nuovo dentro lo scatolone.

Ludwig stava per rialzarsi e invitare il ragazzino ad andarsene, quando lo sentì domandare “Oh, chi è questo ragazzo nella foto? Un tuo amico?”

Lui si voltò e vide che l’italiano stava guardando una vecchia foto, con espressione curiosa. Gli spigoli della foto erano logori e bianchi, come se fosse stata guardata più e più volte. Capì di che foto si trattasse e si sentì attraversare da un brivido scomodo e doloroso.

Mise da parte ogni suo ritegno e si avventò sul ragazzino, strappandogli di mano la foto.

“Non impicciarti di affari che non ti riguardano, ragazzino! Ma che cosa vuoi da me? Lasciami in pace e soprattutto non mettere mano nelle cose che non sono tue!” esclamò agitato, stringendo la foto e accartocciandola nella tasca dei pantaloni.

L’italiano spalancò attonito gli occhi e lo guardò, in silenzio.

“Non farlo mai più! Mi hai capito? E adesso per favore, vattene.”

Nel piccolo corridoio stretto calò il silenzio, come un pesante tenda.

Ludwig continuò a guardare il ragazzino, senza capire il perché del suo sguardo mortificato e spaventato. In fondo non aveva fatto nulla di male, gli aveva detto di non impicciarsi degli affari suoi. Era una questione di educazione. Probabilmente non era abituato ad essere sgridato e rimproverato. Scosse la testa desolato, sempre guardando l’italiano, pensando che la nuova generazione era davvero rammollita e debole.

Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché/ chi la guardi pensi a te…

Una voce di uomo sostituì il silenzio e sembrò rianimare l’italiano, che estrasse dalla tasca il suo Samsung Galaxy SII e guardando Ludwig, indicò il telefono.

“Scusa, ma devo rispondere perché è…”, iniziò  a dire, ma non finì la frase e si alzò, rispondendo al telefono mentre si allontanava.

“Ehy, ciao tesoro! Sì, sono venuto anche io qui…”

Ludwig lo guardò allontanarsi e si alzò anche lui, criticando mentalmente il tono troppo alto dell’italiano al telefono.

“I soliti italiani.”, commentò contrariato mentre prendeva il suo scatolone per iniziare finalmente il trasloco.


Note autore: Salve, sono felice di incontrarvi di nuovo. Stavolta ho pubblicato una GerIta classica perché mi mancava tantissimo. Spero che gradirete la storia. Uniche avvertenze che vi devo fare è questa storia affronterà varie tematiche come il divorzio e l’omosessualità. E spero che nessuno sia offeso nel pezzo un cui Ludwig commenta il comportamento dei turisti italiani, questo è solo frutto di una serie di sondaggi turistici, nulla di più e comunque mentalmente a volte i tedeschi sono più chiusi degli italiani.

Ok, saluti da nena92.


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Capitolo 2
*** La prima notte ***


Perdonate il ritardo.

Avvertimenti: questa storia tratterà di divorzio e omosessualità.

Perdonate l’HTML, ma ogni tentativo che faccio è nullo. Però se qualcuno di voi potesse darmi un suggerimento, gliene sarei grata. Ho seguito anche le indicazioni di EPF, però questi sono i risultati.

Poi mi chiedi come sto…

E il tuo sorriso spegne i miei tormenti.

La differenza tra me e te-Tiziano Ferro

Gasthaus Beilschmidt, Schloßstraße27,

Germania, Berlino.

15 Giugno 2013

Era ormai sera quando Ludwig infilò le chiavi nella serratura del suo appartamento.

Quando entrò dentro l’appartamento e chiuse la porta, il tedesco si rese conto che c’era qualcosa che non andava, iniziando da se stesso. Lui che normalmente adorava la quiete, adesso gli sembrava di detestarla. Il silenzio che permeava nella stanza era interrotto solo dal ticchettio dell’orologio al muro e dal tonfo metallico delle gocce che cadevano dal rubinetto al lavandino in alluminio della cucina. L’appartamento era così silenzioso che quando poggiò delicatamente il mazzo di chiavi dentro il posacenere riuscì a sentire il tintinnio di ciascuna chiave, simile a tanti campanellini.

Si ritrovò a camminare dentro il suo appartamento come un ladro, con le scarpe in mano e quasi in punta di piedi. Se in quel momento avesse accesso la luce e si fosse guardato allo specchio vicino all’ingresso, avrebbe avuto la possibilità di rendersi conto che sembrava un cretino. 

Quando arrivò nella sua camera, si lasciò cadere a peso morto sopra il letto e continuò a riflettere su cosa non gli quadrasse nel suo nuovo appartamento. Forse erano le finestre che davano direttamente sulla strada a dargli fastidio, si disse. Sì, decise che erano le finestre.

Nell’altro appartamento le finestre davano sul cortile e Änne aveva adornato ciascun davanzale con delle orchidee rosse, come i suoi ondulati capelli. Lei sosteneva che le orchidee rosse davano un tocco più accogliente e moderno alla loro casa. A lui le orchidee non erano mai piaciute, a dir la verità. Però ogni domenica lasciava che Änne comprasse due o tre vasi e le annaffiava con regolarità di una volta al mese con lo spruzzatore, come consigliava l’enciclopedia dei fiori. Änne aveva buon gusto e il loro appartamento sembrava uscito da una sofisticata rivista per arredamenti interni. I divani erano color bianco immacolato, le sedie e il tavolo color nero, la cucina in acciaio inox e il pavimento era piastrellato di mattonelle in granito. Ludwig non era mai stato un sentimentalista, però doveva ammettere che quando faceva le scatole quasi gli era dispiaciuto non potersi portare via uno dei divani, perché li aveva associati ai momenti passati con Änne. Sopra quei divani aveva letto il Frankfurter Allgemeine con Änne vicina che gli raccontava distrattamente la sua giornata. Ogni tanto su quei divani, ma solo dopo un po’ di insistenze, aveva fatto l’amore con Änne.

Buttandosi su un fianco, il tedesco pensò che se avesse comprato un divano bianco forse avrebbe smesso di sentire il dolore allo stomaco. E quando provò a rannicchiarsi per calmare il dolore, si rese conto che non si era ancora cambiato di abiti. Con un sospiro si alzò dal letto e si trascinò dentro il bagno.

Dopo essersi spogliato, iniziò a piegare tutti i suoi abiti. Ludwig aveva una sua tecnica personale per sistemare i suoi vestiti.  Iniziava sempre con la canottiera, poi la camicia—stando attento a non lasciare pieghe sul colletto e sui polsi—quindi il gilet e infine i pantaloni. Nel momento in cui piegò i pantaloni dalla tasca cascò una palla accartocciata che andò a toccare i suoi piedi. Si chinò e quando la strinse nelle mani si ricordò che cos’era. Era la foto che aveva accartocciato per impedire a quel ficcanaso italiano di fargli altre domande.

Con cura aprì la foto accartocciata, maledicendo tra i denti il ragazzino italiano, e poi la guardò. Con dita tremanti tratteggiò le due sagome nella foto e sentì il suo cuore affondare. La foto era stata scattata ai tempi in cui faceva l’università e ritraeva lui insieme ad un altro ragazzo. Gilbert, il suo fratellastro.

Con le dita poggiate sopra la foto e gli occhi chiusi, Ludwig ripercorse mentalmente il suo passato che lo aveva portato a conoscere Gilbert.

Aveva quindici anni quando Joseph—così si chiamava suo padre—divorziò da Elsie, sua madre. Da quel momento in poi Ludwig aveva perso ogni speranza di ricevere pacche o parole gentili da parte del padre. Rimproveri e sgridate erano diventanti gli unici mezzi di dialogo che Joseph usava con lui. Aveva passato tre anni nell’insoddisfazione perenne di suo padre, che sminuiva costantemente qualsiasi cosa facesse, anche i suoi successi accademici. All’età di diciotto anni si era iscritto alla leva e aveva passato un anno intero dentro una caserma militare, senza mai ricevere visite da suo padre che era troppo impegnato con il suo studio di architetto. Se faceva confronti tra la sua vita passata nell’ombra di suo padre e quella militare, risultava che sentiva la mancanza della seconda. Almeno dentro la caserma, quando faceva qualcosa di giusto, riceveva i giusti riconoscimenti e anche qualche pacca. L’anno seguente poi si era iscritto alla facoltà di Economia, a Monaco. E proprio nell’antica università aveva incrociato la strada di Gilbert e suo padre si era risposato con una donna giovane chiamata Hazel, la madre di Gilbert. Nel momento in cui aveva incontrato Gilbert, la sua vita era drasticamente cambiata.

Riaprì gli occhi e guardò di nuovo la foto, pensando che era veramente venuto male, mentre Gilbert sembrava un attore. Sorrideva con l’orgoglio di chi non cambierebbe nulla di sé. Il suo braccio cingeva il collo di Ludwig, che fissava l’obbiettivo della macchina fotografica con espressione seria, anche troppa per i suoi diciannove anni, e aveva le braccia inerti sui fianchi.

Nonostante avesse conservato la stessa espressione arcigna e seria di quando era giovane, il tedesco non poté fare a meno di ammettere che ormai era invecchiato. Il ragazzo dal viso giovane e liscio non c’era più, era stato sostituito da un vecchio con l’espressione arcigna e la carnagione pallida come quella di un riesumato.  Se Gilbert lo avesse visto in quel momento, non l’avrebbe riconosciuto.

Per scacciare quei brutti pensieri, Ludwig si sciacquò il viso, bagnò i capelli per togliere il gel e si guardò allo specchio.

Lui non era mai stato un tipo fissato con il proprio aspetto fisico, però quel piccolo viaggio mentale al passato lo indusse a confrontarsi con il presente e a vedere quanto il tempo lo avesse danneggiato.

Il naso e gli zigomi pronunciati gli donavano un’aria nobile e distoglievano l’attenzione dalle piccole rughe che erano recentemente apparse agli angoli dei suoi occhi azzurri. Però il suo sguardo troppo arcigno e la sua fronte sempre aggrottata gli davano l’aspetto dell’orco cattivo delle favole.

Con un sospiro di rassegnazione, Ludwig si passò una mano in mezzo ai corti capelli biondi e si disse amareggiato che era uno stupido a pensare al proprio aspetto fisico come un adolescente. Era un adulto e quindi le occhiaie, le rughe e lo sguardo torvo facevano parte del suo status attuale.

Quando uscì dal bagno, con solo i boxer addosso, decise che piuttosto doveva preoccuparsi di tirare fuori un pigiama dall’armadio e andare a dormire.

Stava decidendo se era meglio mettere il pigiama di flanella a righe oppure solo i boxer con la canottiera, quando qualcuno bussò alla sua porta.

Ludwig rimase in silenzio, domandandosi se era il caso di andare ad aprire o no. Forse era solo un turista che aveva sbagliato stanza, pensò con indifferenza mentre tornava a decidere quale pigiama indossare.

Oppure, poteva essere suo nonno visto che non la smetteva di bussare o un turista stordito dalla birra.

Infilandosi rapidamente il primo paio di jeans che era riuscito a pescare fuori dall’armadio e mettendosi una maglietta nera, Ludwig andò ad aprire la porta e poi desiderò non averlo fatto.

Con espressione allegra e un portatile nero sotto il braccio, il ragazzino italiano di quella mattina esclamò sollevato “Wow! Stavo iniziando a pensare di aver sbagliato stanza!”

Ludwig rimase in silenzio, domandandosi basito se stava facendo un incubo.

Poi gli ritornò in mente la loro conversazione di quella mattina e non resistette alla tentazione di riprendersi una piccola rivincita a spese dell’italiano, quindi con aria sarcastica domandò “Per caso hai smarrito un altro povero e ignaro vecchietto?”

Il ragazzino aggrottò la fronte per un attimo, come se si fosse offeso, ma poi spalancò gli occhi e improvvisamente scoppiò a ridere.

“Oh, buona questa! Comunque no, stasera basta con le buone azioni! Ricomincio domani!”

Aspettandosi una reazione diversa da quella risata, Ludwig non aggiunse altro e si limitò ad aspettare una spiegazione da parte dell’italiano. Doveva avere di sicuro un' ottima ragione per venirlo a disturbare nel cuore della notte, o almeno questo gli augurava il tedesco. Lo guardò con attenzione e non riuscì a trattenersi dal pensare che il ragazzino aveva un sorriso perfetto come quello di un attore e che gli ricordava molto quello di Gilbert. Con un’unica differenza: il sorriso del castano non era studiato, ma spontaneo.

I due continuarono a fissarsi in silenzio, e Ludwig iniziava ad annoiarsi, quindi decise di prendere in mano la situazione e disse “Se non ti sei perso un vecchietto, per quale motivo sei venuto a bussare alla mia porta a quest’ora della notte?”

“Oh, giusto! Hai la connessione ad internet?” gli rispose con un’altra domanda l’italiano guardandolo con aria di scusa.

Ludwig aggrottò la fronte, stranito per la domanda. “Sì, perché?”

“Fantastico!”  esclamò entusiasta l’altro entrando dentro la sua stanza come se lo avesse appena invitato a farlo e accendendo la luce.

Senza parole, Ludwig seguì con gli occhi l’italiano, che aveva già poggiato il portatile sul tavolo e lo stava aprendo.

“Scusa, eh! La connessione ad internet dentro la mia camera fa schifo. Ogni volta che provo ad aprire Skype la finestra non si apre.” Gli disse il ragazzino mentre dalla tasca dei pantaloni estraeva quella che sembrava una pennetta USB, di colore rosso.

Il tedesco guardò il castano che armeggiava con il computer e iniziò a pensare seriamente che stava sognando. Magari si era addormentato e non se ne era accorto. Succedeva a tante persone, soprattutto a quelle stressate. Ma lui non lo era. Non fino a quel momento.

Sperando che quello fosse solo un incubo, Ludwig domandò scorbutico “E perché dovrebbe essere un problema mio!”

“Bè, perché devo chiamare mio fratello. Prima che lui chiami la polizia!”

“La polizia?!”

Sì, decisamente doveva essere un incubo.

“Sì, la polizia. Ma non ti preoccupare, eh!” disse poi l’italiano girandosi verso la parte e sorridergli come se niente fosse.

Sentendo l’approssimarsi di un infarto, il tedesco sbottò incredulo. “Non mi devo preoccupare?!...Non mi devo preoccupare, dici?!...Oddio!”

Lasciandosi cadere pesantemente contro la porta per non svenire sul pavimento, il cervello di Ludwig incominciò a elaborare i possibili motivi per i quali l’italiano era coinvolto con la polizia.

‘Lo sapevo, è un mafioso! Come tutti gli italiani.’ Pensò inorridito ma allo stesso incuriosito perché era la prima volta che vedeva con i suoi occhi un mafioso. Probabilmente era ricercato per ricettazione di armi e spaccio di droga. Forse era il caso che lui chiamasse la polizia, prima che venisse coinvolto. Però forse era troppo tardi! Magari si era già reso complice!

‘Oddio! Oddio! Lo sapevo che non dovevo aprire la porta! Lo sapevo!” pensò sempre più agitato il tedesco mentre fissava paralizzato dal terrore il ragazzino davanti a lui. Quell’aria tonta e infantile probabilmente doveva essere solo una facciata, e lui si era lasciato trarre in inganno come un allocco.

Probabilmente l’italiano doveva aver notato che il volto del tedesco era diventato più bianco e che aveva smesso di respirare perché iniziò a dire “Ehy, non ti preoccupare per me, ti ho detto! Ora sistemo tutto! Dai, ricomincia a respirare perché sennò ti viene un aneurisma! L’ho letto una volta su internet, nel sito ‘dieci cose che non sapevi’. E poi a scuola mi hanno raccontato che una volta un ragazzo aveva fatto con un suo amico una scommessa su chi dei due tratteneva di più il respiro. E il ragazzo ha vinto perché ha trattenuto il respiro per più di quindici minuti. O forse erano dieci?...Bhò, non me lo ricordo più. Comunque, dopo un mese quel ragazzo è morto per un aneurisma! Quindi fidati, è roba sicura quella che ti racconto!”

Quando l’italiano smise di parlare, Ludwig aveva ripreso a respirare da circa dieci minuti. Si sentiva stordito e sfiancato, ma era sicuro che non era perché prima aveva trattenuto il respiro.

Durante quel lungo monologo, aveva potuto appurare che il ragazzino era il classico tipo che ‘apre bocca senza pensare’. Non aveva mai sentito dire tante assurdità in una volta sola. E non si era nemmeno fermato per riprendere fiato, pensò incredulo il tedesco. Ma dopotutto se non aveva un cervello, come aveva appena dimostrato, l’ossigeno non gli serviva. 

Staccandosi dalla porta, Ludwig si domandò come fino a pochi minuti fa avesse potuto pensare che quel ragazzino poteva essere un pericoloso criminale. L’unica cosa davvero pericolosa in quella stanza era lui stesso perché stava iniziando a perdere la pazienza.

“Oh, meno male che hai ricominciato a respirare! Stavo già iniziando a temere per te!” esclamò sollevato l’italiano.

“Tranquillo per me. Non me ne verrà uno.” Replicò lui, poi gli scoccò un’occhiata sarcastica “E sicuramente a te non verrà mai.”

“Oh. Ma allora anche tu hai letto quel sito!”

Ludwig si schiaffò una mano alla fronte, un gesto che ormai non faceva più da anni, e cercò di mantenere la calma. Non era nel suo stile attaccare i deficienti di cervello.

L’italiano intanto aveva iniziato a pigiare rapidamente sopra i tasti del pc, e cliccò varie icone, esultando quando una piccola finestra sul desktop del suo portatile si aprì.

Improvvisamente una voce maschile, che in quel momento però poteva somigliare allo squittio di un topo, invase la stanza. Dal tono della voce, Ludwig capì che chi si trovava dall’altra parte del pc non doveva essere molto felice. Almeno non come l’italiano dentro il suo appartamento.

“Ehy, Romano!” esclamò ad alta voce il ragazzino, sventolando una mano davanti al pc. Una cosa molto stupida secondo il tedesco dato che il suo interlocutore si trovava da un’altra parte.

“… ‘Ehy, Romano’?... Sono passate più di otto ore nelle quali avrò avuto sì e no cinque infarti per colpa tua e tu pezzo di deficiente schifoso mi dici ‘Ehy, Romano’!?... Sei un pezzo di merda, ti vorrei prendere a mazzate in questo momento! Ringrazia Dio che c’è un cazzo di display a tenerci lontano!”

Quelle minacce non parvero avere nessun effetto sul castano, che replicò tranquillamente “Lo so che sei solo preoccupato, Romano.”

“Io non sono ‘preoccupato’, io sono incazzato! Mi hai sentito schifosa merda! Sono incazzato!”

“Non dire così, fratello. Avanti, tranquillo, inspira ed espira. Altrimenti ti viene un aneurisma.”

L’aneurisma deve essere una cosa davvero molto importante per gli italiani, pensò Ludwig, che in tutto il dialogo aveva riconosciuto solo quella parola.

“Romano, Romano… No, respira! No. Guarda che continui ad urlare a dire bestemmie lo dico al nonno! Lo sai che a lui non piacciono le bestemmie!”

“E non gli piacciono nemmeno gli infami! Sì, sei un infame! Mi hai sentito bene e non fare quella faccia! Sei un infamone schifoso!” sbraitò l’altro italiano  agitando le mani in aria, rischiando più volte di scaraventare il computer dall’altra parte.

“Smettila, Romano! Guarda che se questo fosse un programma per minori, in questo momento la tua conversazione sarebbe solo un unico e lungo ‘Bip’. E il MOIGE ti avrebbe reso muto!” lo rimproverò il castano agitando il dito indice come un professore con l’alunno cattivo.

“Ti piacerebbe pezzo di merda!”

Il tedesco si sentì uno stupido a rimanere in piedi dentro il suo appartamento come se fosse lui l’ospite. Però non riusciva ad avvicinarsi all’italiano per chiudergli il portatile e cacciarlo a calci fuori dal suo appartamento. E comunque sembrava che l’altro ragazzo avesse finito di inveire perché la voce si era fatta più bassa, per gli standard di un italiano ovviamente.

“Dove sei comunque testa di minchia?” Domandò Romano, sperando in una risposta positiva.

“In Germania.” Rispose con una scrollata di spalle il castano.

“Dove?!”

““In Germania. Sai quella nazione situata al Nord, confinante con l’Austria…”

“So dov’è la Germania, idiota!”

“Ne sei sicuro? Perché mi ricordo alle elementari prendevi sempre sufficiente e sole perché eri simpatico alla maestra.”

“Oddio, non iniziare a divagare, cretino! Voglio sapere dove sei esattamente.”

“Ecco…” Iniziò a balbettare il ragazzino tormentandosi le dita.

Ludwig pensò che era giunto il momento di intervenire. “Ehy, non stare troppo al computer! La connessione ad internet costa!”

L’italiano non si degnò di voltarsi verso di lui, e continuando a guardare il pc, agitò una mano con fare sbrigativo “Sì, sì. Ora finisco.”

“O mio Dio! Chi ha parlato prima? Hulk?”

“Non, non è Hulk…lui è…” Allarmato il castano si girò verso il tedesco e gli chiese “Oddio, come ti chiami?”

“Come non sai come si chiama! Un momento. C’è qualcuno con te?”

“Ludwig Beilschmidt” Disse tagliente il biondo, rendendosi conto che non si erano nemmeno presentati. Aveva fatto entrare uno sconosciuto nel suo appartamento.

“Ludwig Beilschidt” ripeté a pappagallo storpiando il nome del tedesco.

“Sei nella stanza di un crucco! A quest’ora della notte! Oddio, ti ha rapito! Ti ha sequestrato! Lo sapevo che in quella nazione sono tutti depravati e maniaci sessuali! Esci immediatamente da lì! Mi hai sentito?! Esci!”

Imbarazzato, l’italiano si portò un dito davanti al naso e guardò male suo fratello. “Shhh, Romano smettila! Ti sente!”

“E che cazzo mi frega! Tanto quello non capisce una mazza…” borbottò schifato l’altro ragazzo.

Il ragazzino incrociò le braccia davanti al petto e scosse la testa con delusione “Sei sempre il solito, Romano. Dovresti vergognarti!”

“Sì, sì. Prima o poi lo farò. E comunque non sono io l’ingenuo che permette a degli sconosciuti di portarmi nella loro stanza! La mia ultima parola è questa: esci immediatamente da lì!”

“Sì, sì. Tranquillo lo faccio. Comunque non hai detto niente al nonno, vero?”

“No, io non sono una spia. E comunque il nonno mi farebbe lo scalpo se in qualche modo venisse a sapere che tu non sei qui con me e Antonio in Spagna!”

Un’altra voce più gioviale e allegra della prima, si aggiunse alla conversazione. Ludwig capì che doveva essere spagnolo, per via del forte accento marcato.

“Hola, Feliciano! Come stai?”

L’italiano agitò le braccia in aria, esclamando ad alta voce “Ciao, Antonio! Io sto bene! E tu?”

“Benissimo, anche se sempre in cattiva compagnia!”

“Questo lo dovrei dire io, stupido mangia-churros!”

“Romano, smettila di insultare Antonio!”

“Oh, non ti preoccupare per me! Lo so tenere a bada da solo questo ragazzaccio!”

“Ehy, che cazzo fai! Fermo, non mi toccare i capelli! No! Non farlo!”

Nell’appartamento del tedesco si espanse un urlo atroce per poi essere seguito da una serie di impropri.

La risata di Feliciano riempì la stanza e per un attimo Ludwig pensò non fosse poi così fastidiosa come quella mattina.  Resosi conto di quello che aveva pensato, scosse la testa e decise di riprendere in mano la situazione. Con passo deciso andò dietro l’italiano e si schiarì la gola.

“Oh, hai mal di gola?” gli chiese il ragazzino voltando il volto raggiante verso di lui.

 “No, non è mal di gola il mio!”

Feliciano tirò fuori la lingua e gliela mostrò “Scherzavo! Ho capito. Ora spengo il computer!” Quindi voltandosi verso lo schermo del computer, agitò la mano “Ciao, Romano. Notte Antonio! Ci sentiamo domani alla stessa ora, o almeno così spero!”

Ludwig guardò l’italiano chiudere il portatile e l’appartamento cadde di nuovo nel silenzio più totale. Tutto gli sembra surreale. Poco fa stava decidendo con quale pigiama andare a dormire, e poi l’italiano era entrato nel suo appartamento e aveva litigato con suo fratello.

Il ragazzino si stiracchiò un attimo, poi abbozzando un sorriso gli disse “Credo che ti devo delle spiegazioni a questo punto.”,

Ludwig ormai ripresosi completamente, disse tagliente “Non mi interessano le tue spiegazioni. Potevi pensarci prima. Voglio solo che tu esca dalla mia stanza. Ora!”

Il ragazzino non parve sentire la sua risposta perché esclamò contrariato “E invece no. Te lo devo dire perché sono venuto in camera tua nel cuore della notte…”

“Per chiamare tuo fratello, me lo hai già detto.” Tagliò corto Ludwig incrociando le braccia al petto e assumendo un aspetto minaccioso.

“Sì. È quello che ho fatto. Ma l’intenzione era un’altra inizialmente.”

“Non mi interessa. Vattene. In che lingua te lo devo dire?”

“Magari nella lingua della gentilezza?” lo prese in giro l’italiano, ma subito se ne pentì quando vide l’espressione scocciata e distante del tedesco.

“Vuoi che sia gentile. Ok. Te lo dico gentilmente: esci dalla mia stanza prima che chiami la polizia, per favore!”

“Oh, e adesso vorresti chiamare la polizia. Dopo che mi hai fatto entrare!” replicò amareggiato l’italiano senza comunque alzarsi dalla sedia.

Ludwig aggrottò la fronte e strinse i pugni. Non sopportava essere contradetto. “Io non ti ho invitato ad entrare. Hai fatto tutto da solo! Ed ora ti pregherei di fare altrettanto uscendo dalla mia stanza.” Detto questo buttò alla finestra l’educazione e afferrò per un braccio l’italiano per trascinarlo fuori.

“No. Ahi! Lasciami il braccio! Ho capito, ho capito! Non sono un bambino!” protestò il ragazzino mentre veniva trascinato malamente verso la porta.

Ludwig aprì la porta e con forza scaraventò il ragazzino fuori dal suo appartamento. Era troppo turbato riguardo al fatto che non aveva cacciato via l’italiano quando aveva avuto l’opportunità. Non si era mai comportato in modo così incoerente in vita sua.

Pensando a tutte queste cose, il tedesco non si accorse di aver messo troppo forza nel gesto e l’italiano andò a sbattere la schiena contro il muro, accasciandosi poi contro il muro, come una bambola di pezza.

Ludwig pentito per il gesto ma soprattutto preoccupato di finire in tribunale per lesioni fisiche, andò verso l’italiano, inginocchiandosi vicino a lui.

“Oddio, mi spiace! Mi spiace tantissimo!” esclamò mentre con le mani tastava le braccia e la testa del ragazzino alla ricerca di bozzi sospetti.

“Hm, mi fa male la schiena.” Si lamentò l’italiano mentre riprendeva i sensi.

Ludwig sentendosi ormai un dottore, sventolò tre dita davanti al naso del castano e gli domandò “Quante dita vedi, ragazzino?”

“Cinque… anzi, no…Sei!”

A quella risposta, agitatissimo il tedesco gli fece poggiare la testa contro il petto e si affannò per cercare il cellulare che in quel maledettissimo momento non trovava. Poi iniziò a pensare ai probabili titoli che avrebbe letto domani nelle prime pagine dei quotidiani: “Cittadino tedesco aggredisce un ragazzino italiano!” oppure “Dipendente delle banca impazzito molesta e poi tenta di uccidere un minorenne!”. Di sicuro avrebbe perso il suo posto alla Deutsche- Bank, poi ci sarebbe stato l’arresto, poi il tribunale e forse i domiciliari. E scontata la pena non avrebbe più trovato lavoro, sarebbe diventato un disoccupato, avrebbe perso la casa e alla fine sarebbe andato  a vivere sotto i ponti…

Mentre pensava e pianificava  tutte le cose peggiori che gli sarebbero potute succedere, sentì degli sbuffi provenire dall’italiano. Preoccupato che stesse per aver un qualche tipo di attacco, Ludwig prese il volto dell’italiano tra le sue mani e gli disse pentito “Oddio, mi spiace! Mi spiace, tantissimo!”

Vide le labbra dell’italiano tremare e poi aprirsi per liberare una risata bella forte.

“Ahahhahaha! Ci hai creduto! Non ci posso credere!” disse l’italiano tra una risata all’altra, poi alzò un dito e glielo puntò contro il viso “Dovevi vedere che faccia ridicola avevi quando ti ho detto che vedevo sei dita!”

Mentre l’italiano rideva sguaiatamente, rischiando di attirare l’attenzione dei turisti nella locanda, Ludwig lo fissò senza parole, basito. Lo aveva preso in giro. La prima sensazione che sentì fu la rabbia e l’indignazione. Poi però quando le vennero in mente tutte le cose assurde a cui aveva pensato fino a pochi minuti fa e i due sentimenti negativi si trasformarono in sollievo. Abbozzò un sorriso e dovette riconoscere che il ragazzino era davvero bravo a prenderlo in giro. Come Gilbert.

“Ok. Ti sei preso la tua vendetta. Ora però tornatene in camera tua.”

Il castano si alzò lentamente dal pavimento. Contorse la schiena da una parte all’altra e poi con un sorriso gli porse una mano: “Mi chiamo Feliciano Vargas. Piacere di conoscerti!”

Ludwig esitò un attimo, poi allungò anche lui una mano e gliela strinse.

Non poteva immaginare quanto la sua vita sarebbe cambiata, a partire da quella notte.

Angolo autrice: Ho riscritto il capitolo, come avrete notato. La prima versione non mi convinceva tanto. Spero che questa vi piaccia.

Alcune spiegazioni: Ludwig è un uomo sposato che sta attraversando un periodo difficile, quindi perdonate il suo carattere così poco da ‘duro’. È difficile entrare nella testa di un uomo, soprattutto quando è sposato. Poi, nella mia storia Gilbert è solo il fratellastro di Ludwig. Feliciano è solo un ragazzo che si comporta come un adolescente.

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