Full sail, lads!

di ThisIsAnthony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Qualcosa di imprevedibile ***
Capitolo 2: *** Che cosa combini, Read? ***
Capitolo 3: *** Flotte cercasi! ***
Capitolo 4: *** Morte e distruzione ***
Capitolo 5: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Qualcosa di imprevedibile ***


  Capitolo 1





Edward Kenway non era mai stato un uomo di molte parole. Agiva e basta. Non si curava del fatto che la cosa che stava facendo poteva essere buona, cattiva o senza alcun senso logico. Come in quel momento, mentre, in una delle numerose taverne di Nassau, stava facendo a botte con un marinaio che aveva osato versargli del rum sulla maglia. Tutto bene, se non fosse stato che il capitano era ubriaco e si era immaginato tutto, e aveva rotto il setto nasale di un povero marinaio che non c’entrava nulla con tutto questo. E quello, infuriato, gli aveva piazzato un pugno nello stomaco, facendolo infuriare ancora di più. In ogni caso, quel marinaio finì al tappeto. Edward si asciugò il sangue che gli colava dal labbro spaccato, e chiese, barcollante e con la voce roca: - Qualcun altro? -. La sua voce risuonò chiara e forte nel locale. Nessuno si fece avanti. Il capitano agguantò la sua bottiglia e bevve un sorso. – Bene – sbottò, dirigendosi verso l’uscita. La calda aria caraibica lo investì. Si accorse che Anne lo aspettava, chiacchierando con un pirata di sua conoscenza. Edward fece il possibile per coprire la ferita, sapendo che la ragazza dai capelli rossi l’avrebbe randellato come una foca se avesse visto il labbro. Anne era piccola, ma forte. Ne aveva passate tante, ecco perché. Era riuscita a sconfiggere sola – sola – una pattuglia di ben 26 spagnoli, con il solo aiuto di una spada malconcia e una pistola. Era semplicemente fenomenale. Appena si accorse di Edward, fermò la conversazione, e, sistemandosi la giacca, gli sorrise. Il capitano pensò che il sorriso di Anne fosse l’unica cosa che gli era rimasta, a parte,ovviamente , le sbornie con Thatch e Mary. Inspirò profondamente e invitò il suo quartiermastro a muoversi, non vedeva l’ora di andare sulla Jackdaw. La ragazza annuì, salutando il marinaio e seguendo Edward tra le strade di Nassau. Stavano camminando, quando ad un certo punto la ragazza cominciò: - Allora, Thatch ha finalmente riparato la sua nave? – Chiese, pensierosa. Edward si accigliò. – Si, perché? – La ragazza fece spallucce.  – Nulla, solo che quella è una nave fantastica, sono stata al suo timone, è... semplicemente stupendo – rispose Anne, sognante. Edward sorrise al pensiero di Anne che guidava la Queen Anne’s Revenge. Non avrebbe mai ammesso, però, che lui stesso, Edward Kenway, non era riuscito a timonare quella stessa nave e l’aveva fatta sbattere contro un isoletta. Thatch ancora non gli parlava, e il capitano Kenway era sicuro che non l’avrebbe fatto per tanto tempo. Arrivarono alla Jackdaw, ancorata al porto, ed Edward la ammirò per un attimo. La sua nave era nera, con ventitré cannoni da bordata per lato, due mortai, e vantava 19 nodi. Rimase a fissare le imponenti vele nere, che nessuno aveva mai messo nella propria nave. Erano state un idea sua. Le vele nere servivano come monito, come per dire “non avvicinatevi a questa nave se non volete essere depredati fino all’ultimo Réal ”. Lì vicino erano ormeggiate la Ranger, la nave di Charles Vane, che in quel momento era in un bordello, o almeno così ricordava Edward, e la Queen Anne’s Revenge, dove Barbanera era impegnato a sbraitare ordini alla ciurma, minacciandoli di appenderli all’albero maestro. Prima di salire a bordo, Edward disse ad Anne di andare sulla Jackdaw. La ragazza annuì e si arrampicò con agilità sulla nave, dove la ciurma la accolse con pacche sulla schiena e occhiate felici. Edward sospirò e si diresse verso l’enorme vascello di Barbanera, pensieroso. Appena Thatch lo notò, urlò: - Kenway! Cosa ci fai qui tutto solo? –. Il capitano ammiccò, urlando a sua volta: – Porgo le mie umili scuse al nobile pirata Barbanera, terrore delle Indie Occidentali e blablabla, per aver distrutto il suo amato veliero – Fece un inchino teatrale. La risata di Edward Thatch riempì l’aria mattutina. – E si, ti perdono. Forza, vieni a bordo, sai che giusto ieri ho fatto scorta da una nave inglese? Vascello – affermò, fiero di se stesso. Kenway si arrampicò sulla nave, borbottando: - Se Ben lo verrà a sapere, comincia a scavarti la tomba, amico - Thatch sospirò. - Suvvia, Kenway, sappiamo tutti che Hornigold è una pappamolla – fu la pronta risposta di Barbanera. Lo accolse con una pacca sulla spalla, sbraitando qualcosa come “Eccolo qui il mio capitano preferito”. Si comportava come se fosse suo padre, e, per la cronaca, sarebbe potuto esserlo, visti i 20 anni di differenza tra i due. Edward sospirò, e si diresse verso il timone, mentre l’altro Edward urlava “Vele spiegate gente, partiamo per bottini!” la ciurma urlò. Edward si ricordò di Anne, sulla Jackdaw, e corse sul ponte dei cannoni, sbracciandosi. La ragazza lo notò, e lui urlò, con tutto il fiato che aveva: - SEGUICI! – Anne, di rimando, urlò un “okay”, e cominciò a impartire ordini. Sulla Queen Anne’s Revenge, il signor Hands era al timone, mentre Edward decise di salire sull’albero maestro e godersi la vista e la brezza caraibica. L’enorme vascello partì con le vele spiegate, allontanandosi da Nassau, con la Jackdaw accanto. Edward guardò la sua nave, e si accorse che Anne aveva messo le mezze vele. Rise di gusto, e poco dopo la Jackdaw aveva spiegato le sue vele nere, superando di netto la Queen Anne’s Revenge. Il capitano sentì Thatch sbraitare: - Odio quella pivella! Vele spiegate! – poi un marinaio disse: - Ma, signore, abbiamo già le vel...- Non fece in tempo a finire la frase. - ARGH! – Thatch era infuriato. Edward scese sul ponte dei cannoni e poggiò una mano sulla spalla di Barbanera, ridendo di gusto e dicendo: - Chi era quello che criticava i brigantini? – Thatch lo allontanò con una mano, accorgendosi che la ciurma della Jackdaw aveva rimesso le mezze vele. Thatch ringhiò: - Ti faccio a pezzi, ragazzina! Nessuno osa superare Barbanera, nessuno! – La risposta di Anne fu una linguaccia. Edward cadde a terra dalle risate, mentre Barbanera strillava insulti verso Anne, che lo ignorava. Quella ragazza era una comica. Kenway si alzò e si pozisionò accanto  a Thatch, e disse: - Anne, avvicinati! Voglio tornare sulla Jackdaw! – Lei, abilmente, si avvicinò fino a permettergli di saltare sul ponte opposto. Andò subito al timone e si accorse che erano già al largo. C’era una sola nave intorno, ma era enorme. Edward pensò che non avrebbe mai e poi mai cercato di abbordarla. Ma a quanto pare quella fortezza galleggiante ce l’aveva con loro, visto che si avvicinò pericolosamente alla Queen Anne’s Revenge, dove Barbanera si infuriò. Era un vascello enorme, si, con circa settantotto cannoni da bordata, disse Anne, ma Thatch sarebbe pure stato capace di spedirla nelle profondità se solo avesse provocato alla sua nave un graffietto. La nave sconosciuta (non aveva bandiera), speronò la Queen Anne’s Revenge a prua. Sparò una serie di palle incatenate che non fecero nessun danno alla Jackdaw, che nel frattempo Edward aveva portato a babordo della nave nemica, pronto a sparare una bordata. Anne urlò: - Ai vostri posti, topi di fogna! Muovete le chiappe e armate i cannoni, abbiamo una preda! – La ciurma non obiettò e tutti si prepararono. Edward virò e si accostò ancora di più alla nave, che ora si trovava tra la Jackdaw e la Queen Anne’s Revenge. In contemporanea, Kenway e Thatch urlarono “Fuoco!”. I marinai spararono una bordata, che fece non pochi danni, mentre la Jackdaw veniva scossa dal rombo dei cannoni. Edward si accorse che la nave nemica stava preparando i cannoni, ma non per Barbanera, per loro. Lasciò il timone ad Anne, che strillò: - Vele spiegate, uomini! – Si diresse verso il ponte dei cannoni per controllare chi fosse quest’uomo, o donna, con questo enorme vascello. Non riuscì a distinguerne i dettagli, perché la Jackdaw era già partita con le vele spiegate, mentre Thatch sparava un’altra bordata. La nave sparò, in contemporanea, una bordata alla Queen Anne’s Revenge, che si trovò con i cannoni dimezzati. Barbanera virò, armando i cannoni. Edward corse di nuovo al timone e cercò di speronare la nave, mentre la sua ciurma si metteva ai posti. La Jackdaw si schiantò contro l’imponente vascello, causando un danno enorme, che scosse entrambe le navi. Virò e sparò un’altra bordata e un colpo di mortaio, per poi avvicinarsi alla nave che sparò delle palle incatenate, che distrussero una vela e molti dei cannoni, spiegando le vele ed allontanandosi ad una velocità impressionante per un vascello. Rimasero solo i due capitani, con le loro navi distrutte. Barbanera sparò un colpo di mortaio, come a dire “Codardo!”. Ritornarono il più velocemente possibile a Nassau, e ancorarono le loro navi semidistrutte al porto, e notarono che la Benjamin, la nave di Ben, era ormeggiata lì vicino. Edward scese sul ponte dei cannoni a controllare i danni della sua nave, e Thatch fece lo stesso. Edward constatò che otto cannoni di babordo erano andati e uno di prua era danneggiato, una vela era stata strappata e una aveva quattro fori. Dal lato di tribordo, invece, tre cannoni erano saltati, e si era aperto un piccolo squarcio nello scafo. “Beh, poteva andare peggio” osservò nella sua mente il capitano, mentre scendeva dalla sua nave per raggiungere Anne sul vascello di Barbanera, che era messo molto peggio della Jackdaw. Diciannove cannoni andati in tutto, l’albero di poppa fortemente danneggiato, e una vela a brandelli. Edward salì sulla nave, e trovò Thatch infuriato che gettava maledizioni e imprecazioni al vento, camminando su e giù per il ponte. – Perdio, l’avevo appena riparata... e ora? Maledetta quella nave e chi l’ha fatta costruire! Cosa diavolo avevano contro di noi, quei bastardi? – Prese Edward per il colletto, e ringhiò: - Come farò? La seconda volta in un mese che mi viene distrutta la nave! – Lasciò la presa sul capitano e si diresse al timone, borbottando cose come “Oh, non preoccuparti piccola, tra un po’ sarai perfettamente sistemata”. Edward rimase a guardarlo con gli occhi sgranati, mentre Anne rideva sotto i baffi, guardando a momenti lui, a momenti Thatch. Poi smise e affermò: - Su, dobbiamo andare da Ben -. Prese Edward per un braccio e lo trascinò alla fortezza, dove si trovavano Benjamin Hornigold, Mary Read e Charles Vane che discutevano animatamente su un piano di guerra. Edward entrò, spalancando le porte, con il fiatone, e dicendo, con voce roca: - Dovete subito venire al porto -.





Allora! Spero vi sia piaciuto, mi sono impegnato tanto per questo capitolo. Il prossimo arriverá a breve, ringrazio tutti coloro che leggeranno e mi supporteranno! Baci, SoA ♥  

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Capitolo 2
*** Che cosa combini, Read? ***


Capitolo 2


Metto le note dell'autore prima per avvisarvi che questo capitolo potrebbe contenere uno spoiler, se non siete arrivati alla sequenza 5 di Assassin's Creed 4: Black Flag. Io ho la coscienza pulita, lol. Spero vi piaccia, ciao!
Tutti i personaggi qui descritti appartengono alla Ubisoft.



Edward non era sicuro che Benjamin gli avesse detto la verità, tutta  la verità, riguardo ciò che sapeva sulle navi di quel tipo. Insomma, una nave con ben settantotto cannoni da bordata per lato non era sicuramente qualcosa di realizzabile con le tecnologie di quell’epoca. Un carico così pesante avrebbe spezzato in due qualsiasi nave. E poi la velocità con cui si era avvicinata e allontanata... nemmeno la Jackdaw sarebbe riuscita a tenerle testa. Poi Edward ricordò un particolare: la nave era bianca. Ma non del bianco sporco delle vele di una goletta, o di un boccale di whiskey, no. Era bianca come il ghiaccio. Una suggestione così potente da far accapponare la pelle e sentire il gelo fin dentro le ossa. Le vele, invece, erano blu, si ricordò Edward. Smise di rimuginare su quanto accaduto qualche giorno prima, e si alzò dal tavolo nella sua cabina, sulla Jackdaw. Sentì Vane borbottare qualcosa su una flotta, scrivendo cose insensate su una pergamena. Si decise ad uscire, per quanto avrebbe voluto restare lì a cullarsi nell’ondeggiare della nave e nel grattare della penna di Vane. Aprì la porta e si trovò davanti il ponte della sua nave. Camminò sopra di esso, sistemando la posizione di qualche cima, o cannone, e raccomandando qualcosa ai suoi marinai. Si affacciò sul lato di tribordo e sentì la brezza marina pervadergli il viso. Inspirò a fondo, sorridente. Queste cose accadevano spesso, ed erano piuttosto comuni per un pirata, ma su Edward Kenway lasciavano sempre un sorriso stampato sul viso. Sentì, da poppa, Anne iniziare un canto. Tutti i marinai presto si unirono alla sua voce angelica. Edward si unì a loro, alcuni rauchi, altri allegri, altri scoordinati, ma la bellezza stava proprio in quell’improvvisazione e in quell’allegria e vigore che queste canzoni davano.
Now we’re ready to sail for the Horn,
Way, ay, roll an’ go!
Our boots an’ our clothes boys are all in the paws
To be rollickin’ Randy Dandy, oh!
Heave a pawl, oh, heave away
Way, ay, roll an’ go!
The anchor’s on board an’ the cable’s all stored
To be rollickin’ Randy Dandy, oh!”
Edward smise di cantare, ma la ciurma continuò. Si diresse a grandi passi verso poppa, e Anne gli lasciò il timone, proclamando: - Oggi vento di prua, capitano. E’ una bella giornata. Facciamo vela per Kingston? – Edward si ricordò dell’incontro con Mary, o, come la chiamavano coloro che non conoscevano il suo segreto, James. Edward prese il timone e ordinò: - Vele spiegate, marinai! Ammainate la voce, facciamo rotta per Kingston, e per questa volta – concesse il capitano Kenway, sorridendo, e la ciurma trattenne il respiro – potete andare dove volete! – delle grida si levarono dal ponte. “Il capitano Edward è il migliore!” “Grazie, signore!” “Quindi anche bordelli...” “E taverne!” Dissero Jack Stone e William Raulken, due pirati che completavano l’uno le frasi dell’altro, in modo prevalentemente buffo. – Si – sospirò Edward – Ma ora al lavoro! Drizzate le vele, ciurma! – tutti si misero all’opera, con l’umore alle stelle. Per un po’ viaggiarono in silenzio, ascoltando il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo della Jackdaw, o annusando la brezza marina, o semplicemente ascoltando il chiacchiericcio della ciurma, o il vento sulle vele. Ad un certo punto Edward chiese, roteando il timone: - Allora, Anne, tu dove andrai appena attraccheremo? – La ragazza non rispose subito. – Mh... penso che andrò a “La pirataverna”- Affermò dopo un po’. Edward rise a quel nome. Era buffo, ma al contempo ingegnoso. – E... con chi ci andrai? – chiese, cercando di non sembrare un ficcanaso agli occhi del suo quartiermastro. – Molto probabilmente con James ed Elizabeth – fu la pronta risposta di Anne. – Ehi! James, Elizabeth! – chiamò. Un ragazzo sulla ventina, dagli occhi azzurri e i capelli neri si girò. Una ragazza bionda lo imitò. Anne continuò: - Volete andare alla taverna di Kingston vicino L’Emporio del Bucaniere? – I ragazzi si guardarono – Okay – dissero, e le sorrisero. Poi ripresero a sorseggiare il loro rum. Anne si congedò, poi scese i gradini alla sua destra, e andò sottocoperta, dicendo: - Se hai bisogno, sono il tuo quartiermastro per aiutarti, Ed – Poi scomparì. Edward si rassegnò al soprannome che la ragazza continuava a dargli.  Su un'altra nave sarebbe stato profondamente oltraggioso nei confronti del capitano un gesto come quello di Anne,, ma lui lasciava i suoi marinai liberi di fare ciò che volevano. Non era così che si conquistava la fiducia della gente. Lasciò vagare la sua mente, ordinando a volte “Mezze vele”, oppure “Sistemate quei cannoni!” oppure “Vi va di cantare qualcosa, uomini?”. Chissà come, i suoi pensieri atterrarono su Mary. Quella donna era sempre stata misteriosa ai suoi occhi, sin da quando l’aveva incontrata, travestita da uomo, dalle poche parole e dal volto sempre nascosto. Aveva sempre visto qualcosa in quella misteriosità, aveva capito che non era ciò che era agli occhi degli altri. Era stato attratto come una calamita, come un essere vivente alla terra. Doveva sapere chi era in realtà. Scacciò via i pensieri, e continuò a timonare. Vide la nave di Vane spiegare le vele, e si accigliò. Passò un po’ prima che si decise a pestare un piede e urlare: - Vane! Sei sicuro di aver ormeggiato la nave bene? – Il capitano Charles Vane uscì dalla cabina della Jackdaw, barcollante e con in mano una bottiglia di whiskey. – Che... cosa stai d-dicendo, Kenway? – Chiese, evidentemente ubriaco. Edward alzò gli occhi al cielo: - Sto dicendo, ubriacone che non sei altro, che i miei occhi stanno vedendo la tua nave passare davanti la mia, ma tu non sei al timone – Vane andò su tutte le furie. – Che... cosa?! – Chiese, lasciando la bottiglia sul ponte e correndo a babordo, urlando insulti a coloro che avevano rubato la sua nave: - Farabutti! Tornate qui! Vediamo se siete abbastanza uomini da sfidare Edward Kenway! – si sentirono William  e Jack: - Ma signore... – iniziò Will – Quella è la sua nave! – finì Jack. Edward ordinò: - Spiegate le vele! Ai cannoni di babordo, preparatevi a colpire, muovetevi! – Tutti obbedirono. Edward virò e accostò a tribordo della Ranger, dove vide che Rackham timonare la nave e Hornigold sbraitare ordini. La ciurma lasciò i cannoni, borbottando imprecazioni. Il capitano Kenway lasciò correre, e notò che Vane, ancora a babordo, urlò: - Che cosa diavolo ci fate sulla mia nave, farabutti che non siete altro!? Se vi prendo... – Minacciò. Hornigold si girò, e il suo sorriso scomparve. Sbiancò in viso e chiamò Rackham, che si voltò sorridente. Vane lanciò un occhiata a Kenway, poi guardò i marinai, facendo l’occhiolino, e tutti capirono cosa intendeva. Tutti fecero finta di mettersi ai propri posti, mentre Edward urlava: - Ai posti! Uscite quei maledetti cannoni, cani rognosi! – e dopo un po’ urlava “Fuoco!”. I marinai non fecero nulla, ma Benjamin e Rackham urlarono: - Al riparo! – aspettandosi una terribile bordata, mentre Vane saliva di soppiatto sulla Ranger, facendo segno a Edward di andare. Quest’ultimo sorrise, e, ordinando di spiegare le vele nere, salpò alla volta della Giamaica.



- Calate l’ancora, uomini! – la voce del capitano della Jackdaw risuonò nell’oscurità. Lasciò il timone e si diresse verso il porto di una Kingston dormiente e illuminata solo dalla luna, e le stelle. La ciurma si divise, e presto rimase solo, in una piazza. Si sentiva solo lo scrosciare della fontana al centro, e il verso di qualche grillo. Ma per il resto nulla. Edward tese al massimo i suoi sensi, sentiva che c’era qualcosa che non andava. Il più silenziosamente possibile, si arrampicò su una casa e scrutò la città. Vide il luogo mostratogli da Mary, un enorme villa circondata da muri altissimi, e soppesò le opzioni: passare dai tetti e fare attenzione alle sentinelle, o passare per la strada ed essere attaccato da qualcuno. Optò per la strada. Odiava le sentinelle. Balzò sul ramo di un albero, e con l’agilità di un gatto, si gettò a terra. Pregò Dio che nessuno avesse sentito il tonfo sordo dei suoi stivali sul terriccio. Si alzò il cappuccio, la mano alla spada, e camminò lentamente verso la villa, attento a ogni angolo, ogni nascondiglio e ogni vicolo. Ad un certo punto, mentre si stava dirigendo verso una grande piazza, che doveva essere del mercato, sentì qualcosa. Un lieve brusio, un rumore gommato di stivali, e per un soffio riuscì a schivare un coltello. Due ombre gli saltarono addosso, sguainando le spade. Lui fece lo stesso. Ebbe giusto il tempo di scorgere i volti degli assalitori, una cicatrice che segnava il volto di uno, gli occhi grigi dell’altro, prima che lo attaccassero. Si accasciò sulle gambe e alzandosi, diede un calcio nello stomaco del malcapitato. Si girò e fece appena in tempo a bloccare una spada con la mano sinistra, e con un unico, preciso colpo, recidere la gola all’uomo cicatrizzato, mentre l’altro assalitore si alzava, pronto a colpire. Edward tentò un affondo ma occhi-grigi lo parò, facendogli volare la spada. Attaccò, ma Edward roteò da un lato, alzandosi con un’agilità incredibile dietro l’assalitore, storcendogli un braccio e calciandogli la gamba, mandandolo al tappeto. Estrasse la lama celata e si fermò ad un centimetro dalla gola dell’assalitore. Nei suoi occhi scorgeva puro terrore. Paura di morire. Ghignò, senza fiato: - Hai paura, eh? Vuoi che io ti risparmi. Non è cosi? – chiese, strattonando occhi-grigi per il colletto. Quest’ultimo annuì. – Oh, ma non credo che tu e il tuo amico – disse indicando con un cenno della testa l’altro – vi sareste curati del fatto che anche io avrei avuto paura di morire. Ma non per quello che credi, avrei avuto paura di morire per mano di due bastardi, meschini, e codardi come voi. Fanculo – disse secco, conficcando la lama nel cuore dell’assalitore. L’uomo emise un gemito strozzato, afferrò Edward per il colletto, e i suoi occhi rimasero a fissare il nulla. Il capitano si alzò, e non si curò nemmeno di nascondere i cadaveri. Si alzò il cappuccio e continuò per la sua strada, salendo talvolta su un luogo in altura, che sia un tetto, o un albero. Arrivò alla villa e la osservò. E gli piacque. Oh, se gli piacque. Le pareti erano di mattoni bianchi, e le mura che la circondavano erano decorate con dipinti di navi, e battaglie. Toccò la vela di un galeone e il suo dito fu ricoperto di vernice bianca. Beh… non gli restava altro che aspettare. Si appoggiò al muro, accertandosi che la vernice fosse asciutta. Dopo qualche minuto di silenzio, cominciò a giocherellare con un filo d’erba, guardandosi intorno ogni tanto, in guardia. Sentiva qualche cigolio, ma non se ne curava. I minuti passavano, e la stanchezza lo attanagliava. In quei giorni non aveva fatto altro che spremersi le meningi, cercando una soluzione a quella strana nave, mentre i suoi amici stavano lì… a crogiolarsi nel rum. Lasciò vagare la sua mente alle cose più banali; ad esempio che faceva freddo, o che era lì da circa mezz’ora. Dopo un’altra mezz’ora cominciò a pensare che quello non fosse il posto adatto. Ma Mary aveva detto che si trovava a Kingston, e che era un enorme villa. Edward tastò la tasca in cerca della mappa della città dove Mary aveva segnato il luogo. La trovò e la uscì, spiegandola. Quella mappa era logora, bruciata ed era stata ripiegata decine di volte, ma la piantina della città era perfetta. Edward si trovava esattamente nel punto indicato. Ripiegò la mappa e la ripose nella sua tasca, pensieroso. Nel momento esatto in cui chiuse il bottone si udì un tonfo, non molto distante da lui. Estrasse la lama celata e si acquattò, camminando il più silenziosamente possibile verso la fonte del rumore. Udì il rumore di due stivali che correvano verso di lui, e la voce di Mary Read che urlava: - Corri, idiota! – echeggiò nell’oscurità. Una figura gli passò davanti, provocando una piccola folata di vento. Edward rimase sbigottito per alcuni secondi, poi si voltò. Sgranò gli occhi. Un intero esercito era a pochi metri da lui.



P.S: se vi state scervellando sulla canzone, si chiama "Randy Dandy, oh" e si trova anche nel gioco!

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Capitolo 3
*** Flotte cercasi! ***


Capitolo 3

- Che… diavoleria… è mai questa? – chiese Edward, correndo a perdifiato verso il porto di Kingston. Mary era a pochi metri da lui, e scrutava dietro di loro. – Ti sembra il momento giusto, Kenway? – lo rimbrottò Mary, schivando un coltello che le passava ad un centimetro dall’orecchio sinistro. Edward si concentrò sul tragitto davanti a lui, mentre sentiva le centinaia di stivali al suo seguito. Urlò un “Dividiamoci!”e si arrampicò agilmente su un albero, saltando dal ramo sopra un tetto. Qualcuno lo seguì. Si voltò per un secondo e scorse una giubba rossa, per poi saltare su un altro tetto. Gli venne un idea. Saltò giù dal tetto appena gli fu possibile, e non si sa come, atterrò in un covone di fieno. Qualcuno gli passò accanto e lui uscì, riprendendo la sua corsa. Si accorse che era Mary. Urlò: - Dobbiamo scappare! – Mary urlò di rimando, sarcastica: - Ma davvero? – erano quasi arrivati al porto. Il capitano riusciva a scorgere la bandiera nera della Jackdaw. Continuò a correre, lanciandosi occhiate alle spalle. Vide un carico di barili su un carro, pronti a essere consegnati. Senza nemmeno pensarci, prese la spada, si acquattò per un secondo, e ruppe la ruota del carro, rovesciando, seppur con immenso dispiacere, un carico di vino rosso. L’esercito venne dimezzato, oltre alla cinquantina che i due avevano devastato sparando a dei barili di polvere da sparo. Mary lanciò una bomba fumogena, mentre si stavano avvicinando alla Jackdaw, dove Anne e la ciurma spararono alcuni colpi di pistola, uccidendo alcune giubbe rosse. Edward era a pochi metri dalla sua nave, e saltò, arrampicandosi sulla Jackdaw, senza fiato, mentre Mary lo seguiva, ridendo e urlando alle guardie: - Ah! Provateci la prossima volta, femminucce! – Le guardie rimaste – circa una novantina – urlarono cose come “Ti acciufferemo, prima o poi, puttanella!” oppure “Siate maledetti, pirati!” Edward si mise al timone, e ordinò alla sua ciurma di mettere le vele spiegate il più rapidamente possibile, mentre le guardie sparavano dei colpi che, per fortuna, riuscirono a schivare. Appena furono abbastanza lontani il capitano Kenway si rilassò. La brezza marina subito gli pervase il viso, mentre il sole d’autunno sorgeva all’orizzonte.


Stavano navigando da ore, e il sole era già alto nel cielo. Doveva essere circa mezzogiorno. Anne era sul ponte, cercando di aiutare la ciurma come poteva. Edward ordinò le mezze vele, e aspettò che la ciurma legasse le cime. Appena la vela fu avvolta totalmente, roteò il timone, mentre Mary chiedeva: - Verso dove, Edward? – Il capitano si accorse che non aveva una rotta.  Rimirò per un po’ il mare, costellato da qualche atollo, e poi decise: - Vele spiegate, compari! Andiamo a Tulum – Elizabeth, urlando al capitano “Meno di un minuto prima abbiamo messo le mezze vele. Vuoi ucciderci, Kenway?”, si arrampicò agilmente sull’albero maestro da tribordo, e Jack fece lo stesso da babordo. Appena ebbero preso l’equilibrio tagliarono le corde che tenevano la vela nera ferma, ed essa si spiegò, frusciando. Tulum era dall’altra parte dell’arcipelago, ci avrebbero sicuramente messo tanto. Il capitano sapeva che i marinai odiavano quel luogo per due ragioni: la misteriosità, l’alone di solennità così denso che si percepiva in modo concreto, e anche perché non c’erano né taverne, né bordelli. In pratica il posto meno adatto per un pirata in tutti i Caraibi. Edward virò a sinistra per evitare una goletta, e vide, in lontananza, due galeoni spagnoli combattere. Strano. “Di solito gli spagnoli combattono con gli Inglesi per il territorio, dev’essere qualcosa di grave” Ma da bravo pirata non se ne curò, e continuò il suo viaggio. Appena entrò nella baia di Tulum, dove qualche relitto spuntava qua e là, cominciò a sentire le gambe molli e le braccia indolenzite. Timonare una nave di quelle dimensioni, con un carico di 46 cannoni non era proprio un gioco da ragazzi, dopo ore di viaggio. Ordinò, con voce roca per le ore di silenzio: - Mezze vele, uomini! – la ciurma eseguì. Appena fu a circa 90 metri dalla sabbia fece ammainare le vele e scese sul ponte dei cannoni un po’ barcollante, cadendo in acqua mentre saltava dalla nave sul ponte di legno dell’isola. Cadde perché aveva guardato un uccello che volteggiava in alto, distraendosi e dimenticandosi di saltare. Si alzò dall’acqua zuppo e con lo sguardo torvo, mentre Read, che era scesa prima di lui (ovviamente senza nemmeno una scheggia nelle mani, notò Edward) faceva di tutto per non ridergli in faccia. Edward le lanciò un occhiataccia di fuoco, cercando in ogni modo di asciugarsi le vesti e le pistole. – Quindi anche gli Assassini di alto rango e che scalano edifici altissimi sono in grado di cadere – sogghignò Mary. Edward borbottò un “Maledizione a te, Read” e si diresse a grandi passi verso la città. Giunsero all’accampamento degli Assassini, una valle enorme situata nel mezzo della giungla, dove enormi case di legno e alcune costruzioni erano come incastonate nelle palme, nei rampicanti e nelle foglie che spuntavano ovunque. Edward guardò in alto e vide il cielo, azzurro e limpido, dove si intravedevano delle stelle qua e là. Abbassò lo sguardo e si incamminò fino a raggiungere la fortezza principale, un enorme costruzione di pietra grigia, armata di cannoni e mortai. “Si sono armati eccome” pensò il capitano Kenway, mentre Mary infilava la lama in una fessura per aprire il portone principale, dopo aver attraversato rapidamente l’accampamento. L’enorme portone di metallo si aprì con uno scatto, e una sala illuminata dalla luce fioca dei candelabri si estese davanti al duo. Divani, librerie e sedie erano ovunque, e si sentivano le voci dei novizi dalla sala dell’addestramento. Richard Evans stava chino su una scrivania di mogano al centro dell’enorme sala, e spostava lo sguardo dai libri a una pergamena. Edward decise di attendere, ma dopo qualche minuto Mary, spazientita, si schiarì la voce. Richard alzò lo sguardo, e i suoi occhi color bronzo incontrarono quelli azzurri di Edward. Si tolse il cappuccio e scoprì il viso di un uomo sulla trentina, con gli aggrovigliati capelli marroni che scendevano sulle spalle, e una bandana rossa in fronte. Sorrise, aprendo le braccia e parlando con forte accento inglese (N.B: gli Assassini non sono Maya qui, ma americani ed europei, e, colonizzando Tulum, l’hanno modernizzata, vedrete dopo le conseguenze di tutto ciò) – Salve, amici! Cosa posso fare per voi? – Mary si avvicinò al tavolo, e Edward la seguì. Quest’ultimo parlò per primo: - Abbiamo bisogno, o meglio, io ho bisogno, di aiuto –Richard aggrottò la fronte, già sospettoso, e replicò: - Di che cos’hai bisogno? Qualsiasi cosa – Edward non era sicuro che il Mentore avrebbe davvero fatto qualsiasi cosa, ma ci provò comunque. Spiegò di quella nave, di quella maestosa e possente nave di ghiaccio, delle sue vele blu, del modo in cui li aveva devastati, della sua velocità, rabbrividendo nel riaffiorare di questi pensieri. Appena ebbe finito, ci fu un minuto di silenzio. Dopo un po’ Richard arcuò un sopracciglio, chiedendo rigido: - E questo cosa c’entrerebbe con gli Assassini? – I pensieri di Edward si fecero subito più confusi. Voleva spiegare tutto, ma non sapeva effettivamente come spiegare che quella nave c’entrava con gli Assassini. Era qualcosa che non riusciva a spiegarsi, una sensazione precisa e dettagliata. Lo sapeva e basta. E questo replicò, rauco: - Lo so e basta – il Mentore si fece subito grottesco, passandosi una mano sulla bandana e lanciando ad Edward un’occhiataccia: - La tua presunzione mi sorprende, Edward. So che non sei mai stato un uomo di incredibile modestia, o umiltà, ma per un Assassino queste parole sono pesanti – Disse, fissando gelido Edward, che sbiancò. Che stupido. Avrebbe dovuto spiegarglielo, senza comportarsi come un bambino. Il capitano notò che Mary se n’era andata. Come faceva ad essere così silenziosa? Nemmeno lui sarebbe stato capace di uscire da quell’enorme portone di bronzo cigolante senza fare il minimo rumore. Si ricordò di Richard e prese coraggio, spiegando: - Allora, Mentore. Durante la battaglia, poco prima che quei bifolchi se la svignassero come conigli, ricordo di essere sceso sul ponte dei cannoni e di aver guardato la nave. Ho visto la ciurma, e non erano pirati, né corsari. Ho provato a vedere chi era il capitano, ma non ho fatto in tempo. Non credo che possano essere stati semplici marinai, erano esperti. Non so spiegare la rapidità con cui i cannoni si ricaricavano, le vele si spiegavano, e la nave virava. Non so nemmeno dire dove ora si trovi quel vascello – il Mentore parve comprendere che Edward non stava dicendo baggianate, infatti camminò avanti e indietro per un tempo che, a Edward, parve interminabile. Poi Richard si fermò e chiese, pensieroso ma schietto: - Avevi detto che la nave era bianca? – Edward annuì: - Quanti cannoni da bordata? – Chiese poi il Mentore. Edward cercò di ricordare le parole di Anne, poi gli venne in mente: - Settantotto – affermò. Richard sgranò gli occhi, aprendo bocca per chiederlo di nuovo, credendo che il capitano stesse scherzando, ma l’espressione di quest’ultimo parve convincerlo che era la pura verità. – Senti… Edward – cominciò il Mentore – In questo periodo stiamo subendo molte perdite, i Templari si fanno sempre più forti, e ci attaccano da tutti i fronti; terreno e marittimo – Edward comprese. La sua mente si mise a lavoro, cercando più dettagli possibile su quella nave. I Templari… ah, gli faceva male la testa. Ma doveva capire. Le vesti dei marinai… - Erano croci! Croci rosse, ecco perché! Erano Templari – Edward diede voce ai suoi pensieri, glaciale. Richard, che aveva ripreso coraggio, fece un verso di scherno. Chiese, autorevole: - Ne sei sicuro, Edward? – la sua voce arrivò fioca al cervello del capitano Kenway, che nel frattempo stava ancora ragionando su quella nave spettrale. – Si – Rispose, debolmente. Richard fece un sospiro. – La nostra forza navale non è mai stata così grandiosa. Insomma, abbiamo una flotta, che non è per niente male assortita, ma non penso che riusciremo a sconfiggere la nave se i Templari continueranno ad attaccarci – Tutte le possibilità di successo di Edward crollarono come vetro infranto. Quella nave… quella maledetta nave. Gli aveva rovinato la Jackdaw e se l’era svignata appena lui e Barbanera avevano cominciato a fare seri danni. Templari o no, doveva trovarla e distruggerla. Aveva bisogno di aiuto, aveva bisogno di navi. Aveva bisogno di una flotta. – Vane – mormorò.
 
 
Si, lo so, faccio schifo, non ho aggiornato. E’ che ho avuto un sacco di impegni ultimamente.
Miei dei, devo smetterla di finire con questi cliffhanger, lol. Comunque, per quanto riguarda gli Assassini, si, non sono Maya. Preferivo farli inglesi, per accentuare la corsa all’evoluzione di quell’epoca.

Ci saranno ovviamente anche altri Assassini che il nostro eroe incontrerà durante il suo viaggio, non voglio dirveli precisamente perché altrimenti spoilererei tutta la fan fiction, lol.

Scusate di nuovo per il non-aggiornamento. Vi ricordo però che senza recensioni non continuo u.u, mi sto ammazzando la vita qui.

Ciao c:

-ThisIsAnthony
 

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Capitolo 4
*** Morte e distruzione ***


Capitolo 4

– Avanti Vane – l’Assassino parlò, cercando di convincere il capitano della Ranger a cedergli la sua fiducia, e la sua nave. Sapeva bene, quando glielo aveva chiesto, che molto probabilmente Charles si sarebbe arreso alla corona piuttosto che prestargli la Ranger. Ma almeno doveva provarci, visto che sapeva dei metodi di persuasione abbastanza efficaci. O almeno, credeva di saperli prima di incontrare Charles Vane, noto anche come uomo-più-ostinato-sulla-Terra. Edward si alzò sulla sabbia della spiaggia di Nassau, catturando con gli occhi una fugace immagine del tramonto caraibico prima di voltarsi di nuovo e fissare Charles, gelido. Si decise a parlare di nuovo. – Per favore, mi serve solo per un mese – Cercò di infondere più persuasione possibile nella voce. Vane fece un verso di scherno, continuando a fumare la sua pipa, seduto su un barile. Edward era sul punto di estrarre la pistola e sparare in testa a Vane se avesse continuato ad ignorarlo. – Ho già chiesto a Ma…James – si corresse Edward – e ha acconsentito. Anche Thatch e Hornigold. Perché tu no? – chiese il capitano, sconcertato e con una punta di ira nella voce. Charles fece un gesto con la mano e si decise a parlare. O meglio, borbottare. – Perché tu hai distrutto la nave di Thatch. E anche la tua – Edward cercò di protestare, ma Vane lo zittì. – Vuoi che ti presti la mia nave? Prenditela pure – disse il capitano della Ranger – Ma se trovo anche un minimo graffietto sullo scafo sei morto, Kenway – Edward era sicuro che prima o poi avrebbe ucciso Vane, se avesse osato di nuovo zittirlo. Ma, per ora, aveva 5 tra le navi più famose dei Caraibi e una flotta per se. Non si degnò nemmeno di ringraziare Vane. Si incamminò il più velocemente possibile verso la taverna al limitare del falò, dove era sicuro di trovare Thatch. Avrebbe dovuto attraversare la città, che non era piccola. Si incamminò per la rete di strade e vicoli di Nassau. Si sentiva un po’ a disagio ad abbandonare la sua nave lì, ancorata al porto. E non perché temeva che qualcuno avrebbe potuto rubarla. C’era Anne, e la ciurma. Lui non voleva allontanarsi dalla sua nave. Dopo tutti gli anni trascorsi in mare, era diventata una parte di se, come d’altronde tutti i capitani. Scosse la testa per scacciare i pensieri e si concentrò sulla strada davanti a se. Continuò a camminare e presto si ritrovò di fronte l’accampamento di tende sulla spiaggia. Salutò qualche pirata qua e là, e si diresse verso la taverna dall’insegna d’oro. Lì trovò Barbnera, mentre beveva da un boccale, ridendo rumorosamente e asciugandosi la birra che a volte gli cadeva sulla barba. Hornigold era accanto a lui, sorridente. Si avvicinò al duo di pirati, e subito Barbanera si girò verso di lui, bevendo un sorso e posando il boccale sorridente, asciugandosi. – Kenway! – esultò. Oh, perdio. Si stava nuovamente comportando da padre. – Qual buon vento? – chiese, cordiale. Edward girò una sedia e vi si sedette sopra. – Thatch, un orso che balla il Merengue sarebbe più simpatico di te – borbottò. Hornigold, porgendo un boccale a Edward, venne scosso da un attacco di risa e versò tutto a terra. Edward sorrise, mentre Barbanera posava il boccale sul tavolo. Si ricordò dei suoi impegni e si schiarì la voce, catturando l’attenzione dei due pirati. Cercò di sovrastare il rumore della taverna. – Allora, Vane ha finalmente ceduto alla mia richiesta – esordì, quasi urlando – Per cui, dovremmo essere pronti ad attaccare. Si, sembreranno esagerate cinque navi per sconfiggerne una, ma sento che sotto c’è qualcosa – Thatch annuì, burbero. – Quei bastardi – sputò Barbanera fra i denti – me la pagheranno, perdio se me la pagheranno! – Benjamin annuì, assente. Quando parlò, aveva un tono stranamente profondo. – Credo che siamo tutti d’accordo che questo potrebbe rivelarsi catastrofico – Il suo sguardo si posò su Edward, che gli lanciò un’occhiata calcolatrice, come a chiedere “Questo cosa?”. Benjamin si risistemò sulla sedia e si schiarì la gola. – Non... non avete sentito? – Kenway e Thatch si guardarono, e scossero la testa all’unisono. Hornigold sospirò e alzò gli occhi al cielo. – Se ne parla ovunque qui. Tutti i pirati hanno subito attacchi da una nave uguale a come tu l’hai descritta – fece un cenno in direzione di Edward – e ne sono rimasti devastati – Sorseggiò dal suo boccale. – Come... tutti? – chiese l’Assassino, evidentemente sconcertato. Benjamin annuì. Edward sbiancò e si passò una mano sulla fronte. Se erano Templari, perché attaccare l’intera Nassau? Si guardò intorno. La maggior parte dei marinai erano feriti. Alcuni erano bendati, altri non ci badavano e continuavano a versare rum, bere, e scherzare. Edward non voleva prenderla così alla leggera. Scese dal tavolo e si appoggiò ad un palo di legno. – Allora – cominciò – se hanno attaccato tutte le navi, che non sono poche, di sicuro non può essere una sola nave – Si grattò il mento. Thatch annuì, e Benjamin parlò. – Si, la metà delle navi ancorate al porto basterebbe a sconfiggerne due. Ritornando al discorso di prima – Afferrò il boccale e bevve un sorso – avete in mente le conseguenze di tutto questo? La nostra Repubblica sfasciata, la città rasa al suolo, le nostre navi nelle profondità marine – Squadrò Edward come se tutto fosse colpa sua. – Se sono più navi, e credo proprio di si, non sono molte le probabilità di uscirne vivi. Siamo nei guai fino al collo – continuò, freddo. Thatch fece una cosa inaspettata. Parlò logicamente – per i suoi standard, ovvio –. Posò il boccale che aveva in mano, si asciugò la barba e parlò. – Miei compari, potete chiedermi tutto, ma non di vedere la mia nave distrutta –. Dal canto suo, nemmeno Edward avrebbe voluto vedere la sua nave distrutta. Stava per aprire bocca, per dire la sua, ma se non fosse stato per Thatch, una palla di cannone lo avrebbe colpito in testa. Il pirata infatti aveva scansato Edward con una gomitata, ritraendosi appena in tempo. Edward rimase stordito per qualche secondo, giusto il tempo che un intera bordata si scaraventasse su tutto l’edificio. Fu il panico. Edward cercò l’uscita, e, appena la individuò, uscì subito. Tossicchiò. Le stelle risplendevano nel cielo, ma i fascini finivano lì. La maggior parte degli edifici a nord di Nassau erano in fiamme, la cenere pioveva da tutte le parti, e un fumo spettrale si stendeva sulla città come un velo di morte. Edward rabbrividì guardandosi attorno. I pirati correvano ovunque, in cerca di salvezza. In mezzo alla coltre di fumo, in alto mare, si scorgevano tre sagome bianche, spettrali. Edward provò la stessa sensazione di gelo nelle membra come la prima volta che ne aveva vista una. L’Assassino si fece largo tra la folla verso la spiaggia, correndo tra le capanne ardenti, correndo in mezzo alla morte. Altre palle di cannone piovvero dal cielo. Per la prima volta in vita sua, Edward aveva paura di morire. Ma si concentrò a scansare le palle di cannone, si estraniò dai rombi infernali che esse producevano atterrando su edifici, capanne, persone. Qualcosa esplose vicino a lui. Un boato sordo lo colse a pochi metri, scaraventandolo sulla sabbia umida. Si alzò, tremante, e con la vista offuscata, e riprese a correre. Appena sentì l’acqua bagnargli gli stivali, il fumo cominciò a diradarsi, e tre possenti navi si ersero di fronte a lui. Enormi. Spietate. Terrorizzanti. Edward aveva il naso sanguinante, la testa gli pulsava, e pallini blu, verdi e rossi gli danzavano davanti agli occhi. Tutti i suoni gli arrivavano ovattati, distanti. Guardò una delle navi, quella più vicina. Enormi vele blu e scafo bianchissimo, perfettamente uguali a come se li ricordava. Settantadue cannoni – forse qualcuno mancante dopo l’attacco –. Da brivido. Nonostante ogni singola fibra del corpo gli implorasse il contrario, Edward si fece forza ed entrò nell’acqua gelida. Essa gli lambì le gambe, i fianchi, fino ad arrivare al torace. Appena sfiorò il collo, un brivido gelido percorse la schiena di Edward, che si tappò la bocca per non urlare. Non si era accorto del calore alla parte destra del collo, non si era accorto della ferita. Respirò pesantemente e cominciò a nuotare, nuotare e nuotare. La spada e i vestiti pesanti gli impedivano i movimenti, ma non se ne curò. La nave era a circa un centinaio di metri. Non poteva lasciarsela sfuggire anche questa volta. Si lasciò la città in fiamme alle spalle, e, mentre nuotava, un pensiero gli artigliò la mente. Benjamin, Edward, Anne. Come aveva potuto lasciare Anne? Se n’era accorta? Ricacciò indietro i pensieri e si accorse che era a una sessantina di metri dalla nave, che stava per sparare una bordata. Fece appena in tempo a prendere più fiato possibile e immergersi totalmente nell’acqua, che attutì i rumori di settantadue palle di cannone distruttive che gli volarono sopra la testa. Una volta finita la bordata, riemerse, fradicio, e si diresse verso la sua morte. La sua mano afferrò qualcosa di duro. Una ringhiera. Edward si fece forza e cominciò a scalare la poppa del vascello. Piedi e mani si posavano perfettamente su ogni appiglio possibile, in sincronia. Il pirata afferrò un asta, che si spezzò e cadde in mare con un tonfo. Le sue mani vacillarono nell’aria per qualche secondo, mentre lui precipitava, ma riuscì ad aggrapparsi ad una sporgenza e continuare la sua scalata. Era quasi arrivato in cima quando scorse il nome Fearless. “Allora è così che si chiama, Fearless. Vediamo se avrà ancora paura dopo che l’avrò distrutta” si disse Edward con un sorrisetto, ma con falsa convinzione. Raggiunse la ringhiera più in alto e scorse una ciurma intenta a dare fuoco ai cannoni. Edward strinse la presa sui suoi appigli e una bordata scosse la nave, creando onde sonore capaci di stordire chiunque. Ma non lui. Si accorse che una guardia stava passando esattamente sopra di lui, quindi si fece forza, estrasse la lama, la ficcò in gola al malcapitato, e lo tirò giù in acqua. Sporse la testa e vide che rimaneva solo il timoniere in quella parte del ponte. Si issò sulle travi di legno, cauto, e si avvicinò con circospezione al timoniere. Appena fu abbastanza vicino da sentire il suo respiro, estrasse la lama. L’uomo si girò, e l’Assassino scorse un viso pallido e degli occhi marroni, prima di infilzare il Templare. L’uomo cadde a terra, mentre Edward ritraeva la lama. Alzò lo sguardo e vide che qualcuno lo aveva visto, da prua. “Dannazione”, pensò. Non poteva attraversare il ponte, così, come un cervo che corre di fronte al puma. Eppure non sapeva cosa fare. I suoi occhi guizzarono sulla città, ma riuscì a vedere solo fumo e fiamme. Si concentrò sul suo bersaglio, che stava per dare l’allarme. Cosa poteva fare? Decise. Ormai non ne poteva più uscire vivo. Si lanciò sulla sua preda al massimo della velocità, percorrendo il ponte dei cannoni. Tutta la ciurma si girò verso di lui, perplessa, e subito estrassero le spade, i martelli, le pistole, le asce, e le baionette. Era circondato. Imprecò mentalmente per la sua stupidità e la sua più totale assenza di logica. Aveva una cinquantina di uomini che lo pressavano da ogni lato, e le sue pistole erano bagnate. Follia pura, ecco cosa galleggiava nel suo cervello. Estrasse la spada e digrignò i denti, urlando con la voce spezzata dalla disperazione. – Allora! Attaccate, luridi cani! Vi taglio le palle e le do in pasto ai pesci – sputò. Il primo uomo si fece avanti. Era molto robusto, ma Edward mirava ad una cosa. Una pistola. Gliene serviva una, immediatamente. Le armi a distanza erano le migliori in casi come quello, e il capitano aveva notato un carico di barili – che sperava fossero pieni fino all’orlo di polvere da sparo –. Il gigante attaccò con la sua ascia. Fu facile. Edward si scansò, con gli arti che imploravano pietà, rotolando per terra e afferrando la pistola del Templare. Gli diede un colpo in testa con il calcio, mandandolo al tappeto. La ciurma attaccò. Corse a perdifiato verso l’albero di trinchetto, sperando in un montacarichi. E così era. Salì su una cassa posta ai piedi dell’albero e diede un calcio ad una leva, aggrappandosi ad un uncino che lo librò in aria, facendogli raggiungere la piattaforma, mentre proiettili e coltelli gli volavano vicini. La guardia sulla piattaforma si girò appena in tempo per vedere Edward che gli dava un calcio in grembo e lo scaraventava fuori dalla nave. Il capitano si voltò verso il carico di barili di polvere da sparo, e mirò con la pistola. O quello, o finire uccisi da un manipolo di Templari. Preferiva la tortura eterna. Sputò sangue. Era il suo ultimo atto folle. Sarebbe morto da eroe. Chiuse un occhio, e il colpo partì, andando dritto a colpire un barile, creando una reazione a catena, che scosse il vascello. Un boato sordo riempì l’aria, e la nave prese fuoco. La potenza dell’esplosione arrivò fin lì, e scaraventò Edward fuori dalla nave, a una quarantina di metri più in giù. In acqua. L’ultima cosa che l’Assassino sentì fu il tonfo del suo corpo sull’acqua gelida. Non sentiva più le gambe, non sentiva più nulla. Sentì il barrito della nave che affondava, e i suoi occhi vagarono nel cielo, sulle stelle. Si focalizzò su una di esse. Il suo punto luminoso, la sua ancora di salvezza. Dopotutto, era un modo bello di morire. Chiuse gli occhi e si arrese al velo di oscurità calato su di lui. – Edward, svegliati, maledizione – il capitano sbatté le palpebre, e un dolore atroce lo colse alla testa. – Finalmente – disse Anne, sorridente. Edward riuscì a mugugnare un “Dove siamo?” rauco. – Sulla Jackdaw – Anne gli tastò la fronte – Scotti – disse, perplessa. – N... Nassau? – Chiese l’Assassino. Anne sospirò, e lo fissò, glaciale. – Anne, dimmelo, per favore – disse Edward, questa volta più chiaro. Anne parlò, la voce spezzata dal pianto – Distrutta –.




Uccidetemi pure.
Lol, non ho aggiornato, lo so, ma ho avuto troppi impegni. Scusatemi.
Questo capitolo è stato un parto comunque ahahah *feelslikeSuzanneTrollinsCollins*
Beh... che dire! Alla prossima, spero di avervi colpito almeno un po' c:
Sciao belli!
-ThisIsAnthony

 

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Capitolo 5
*** Un nuovo inizio ***


“E’ passato un anno, Edward.” La voce giunse al capitano dolce, ovattata e fievole. “Non puoi continuare così.”
“Non sto continuando così” disse Edward, accecato dal sole. “Sempre se per continuare così intendi continuare così.”
“Esatto” disse Anne, prendendo in mano un granello di sabbia, “Non puoi continuare così.”
L’Assassino si accigliò.
Era passato molto tempo dall’esplosione. Da quella maledetta esplosione che gli aveva portato via il senno.
Era impazzito.
Non era più Edward Kenway. 
Edward Kenway era un uomo forte, coraggioso, astuto e agile.
L’uomo che era diventato non era che l’ombra di esso.
Un uomo rifugiato in un deserto atollo in mezzo al mare, con una nave che un tempo era stata gloriosa.
Non era lui.
“Edward,” disse Anne, scuotendogli leggermente la spalla, “Andiamo.” 
“No,” fu la sua secca risposta. Non voleva andare. Non ora. In effetti non ora era il suo pensiero ogni volta che Anne gli chiedeva di andare.
Non si muoveva dal suo posto. 
Stava lì, immobile.
Non ora.
“Non ora,” continuò con voce roca, tossendo un po’ e sistemandosi i capelli con le mani insabbiate.
“Ne mai, mh?” Chiese la donna dai capelli rossi, sospirando. “Devi riprenderti, Edward, sei qui fermo da un anno, un anno!” Disse, la voce tremante ma al contempo forte, decisa. “Non puoi startene qui chiuso”
“Si che posso,” disse il capitano, l’ex capitano, che ora stava cominciando a tremare. “Nassau distrutta, Barbanera catturato, Mary in prigione. Cosa sono io? Cosa ho?”
“Hai me” rispose Anne, un pizzico di acidità nella voce.
Edward si sentì subito in colpa. Vero, vero. Aveva lei. L’unica che era stata al suo fianco dopo tutto questo tempo, senza arrendersi, perseverando.
“E’ che.. non voglio. Perdio, che diavolo sto facendo della mia vita?”
“Devi alzarti. Devi alzarti, fare il culo a quei bastardi e riprenderti gli amici che sono tuoi di diritto!”
Edward si decise finalmente a guardarla: una donna alta, con i capelli rosso fuoco, gli occhi grigi spenti, ma con una scintilla di furia, il viso sporco, le labbra secche e i vestiti logori.
Rimaneva comunque regale.
“Vai tu. Fai tu il culo a quei bastardi.” Rispose infine, dopo che il momento di gloria fu finito, tornando a guardare le foglie della palma sotto cui era seduto.
Anne emise una flebile risatina. 
“Non posso. Non ho la tua esperienza, ne le armi, ne l’equipaggio, ne la volontà.” 
“Ah! Ti assicuro che di volontà in questo momento il sottoscritto non ne ha abbastanza nemmeno per riempire mezzo bicchiere.”
“Beh... dipende dalla dimensione del bicchiere, no?” Chiese Anne, senza arrendersi.
Il capitano rise.
“Senti, gioia” rispose, “io non mi muovo da qui.”
“Invece si.” Insistette Anne.
“E tu che ne sai? Leggi il pensiero delle persone?” fu la risposta di Edward. 
Anne sorrise. 
“E tu che ne sai che io leggo il pensiero delle persone?” rispose. “Quella era una domanda più che un’affermazione.” Sorrise anche Edward.
“Alzati” disse Anne.
“Tentami” rispose Edward.
“Rum. Oro. Giungle. Donne.” Tentò Anne, sicura di ottenere un risultato.
Edward rise. 
“Un tempo mi avrebbero destato.” Rispose, roco.
“Mare. Navi.”
“Hai ragione.” 
“Ho ragione?” chiese incredula Anne.
“E su cosa diavolo dovrei avere ragione?”
“Sul fatto che hai ragione” rispose Edward.
E fece una cosa che non faceva da tempo.
Disse una frase che non si sarebbe mai aspettato di dire.
“Su, abbiamo una nave. Meglio metterci al lavoro.”




TADADADAAAAAAA
I’M BAAACCKK
E niente. Scusate per l’assenza di questi mesi, ma sono stato veramente molto impegnato, ho gli esami TwT
Ieri ho fatto la prova di italiano ouo
Scusate la piccolezza del capitolo cwc
Comunque, spero che questo nuovo capitolo vi piaccia; diciamo che ho rivoluzionato un po’ i caratteri dei personaggi. Per ora se ne vedranno solo due, ma nei prossimi capitoli ci saranno più POV c:
Adios uwu
-ThisIsAnthony

 

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