Calendula sbocciata

di Nazumichan
(/viewuser.php?uid=346196)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pensieri profondi in un oceano d'inquietudine ***
Capitolo 2: *** Il mutare di un sorriso ***
Capitolo 3: *** Emozioni umane ***
Capitolo 4: *** Il terrore di un addio ***
Capitolo 5: *** La speranza, la tua voce ***
Capitolo 6: *** Ciò che si cela in un ricordo ***



Capitolo 1
*** Pensieri profondi in un oceano d'inquietudine ***


Calendula sbocciata

 

Capitolo 1

Pensieri profondi in un oceano d'inquietudine


-----------

Premessa: prima d'iniziare a leggere, è bene che sappiate che questa storia è incentrata su una relazione yaoi (boyxboy), quindi se non amate il genere, cambiate subito pagina e non parliamone più. Leggete a vostro rischio e pericolo. Se, al contrario, amate questo genere (come la sottoscritta), spero che vi piaccia!

La storia è incentrata su Tohru e Natsuno, dall'omonimo anime/manga “Shiki”.

E' la mia prima fanfic, siate buoni/e! Ho voluto scriverla perché adoro la coppia Tohru/Natsuno, di fatto questa fanfic la dedico a loro.

C'è da dire che questa storia contiene spoiler, perciò se non avete visto l'anime, vi conviene non leggerla. Certo, non che ci siano chissà quali spoiler, però se siete come me, ovvero persone che un anime/manga amano gustarselo appieno, senza farsi odiosissimi spoiler, beh allora vi consiglio vivamente di non leggerla. La storia parte dalla 4a puntata e rimane qui, andando poi avanti senza seguire più l'anime.

Detto questo, buona lettura! Recensite se volete :)

 

 

-----------

 

-Ehi Natsuno, potresti farmi un favore?
 

Quella domanda in un attimo riuscì a farmi distogliere l'attenzione dal caos che avevo in testa e mi riportò alla realtà, precisamente nella piccola camera da letto del mio migliore amico.

Mi ci trovavo bene, lì: un letto morbido appoggiato alla parete in legno, una finestra non troppo grande alle mie spalle, situata appena sopra il letto sul quale ero seduto io; una stanza così semplice, normale, ma allo stesso tempo così familiare, così accogliente.

Così calda.

Ormai era diventata quasi un'abitudine andarci, di tanto in tanto, come se i miei piedi avessero autonomia propria, come se avessero voglia di tornare ancora una volta lì, l'unico posto in cui la mia testa, sempre piena di pensieri, e soprattutto il mio cuore, potessero trovare pace nel sonno. Non ricordavo nemmeno l'ultima volta che avessi dormito sonni tranquilli nel mio letto, a casa mia; i miei sogni erano sempre infestati da incubi ricorrenti, così scortesi da farmi svegliare in malo modo ogni notte, madido di sudore. Invece, nella camera di Tohru, dormivo bene, anche se non riuscivo a spiegarmi il perché.

Che fosse semplicemente suggestione? O che ci fosse davvero qualcosa in quella camera che la mia non aveva? Che ci fosse qualcuno che nella mia camera non c'era, quel qualcuno che riusciva a placare il mio cuore in tumulto, senza chiedere nulla in cambio?

O almeno, senza chiedere nulla fino al momento in cui mi aveva posto quella domanda.

Potresti farmi un favore?”

Mi aveva lasciato basito e sorpreso, mi aveva risvegliato da quello stato di trance in cui mi trovavo da un po', facendomi tornare alla realtà. Non mi aveva mai chiesto favori prima d'ora quindi era abbastanza normale che fossi un po' stupito e, non lo nego, anche abbastanza curioso.

Cosa mi avrebbe mai potuto domandare tutt'un tratto? Lui, che era sempre così schietto e socievole, mi apparve, in quel momento, così timido e insicuro, tanto da far vacillare l'idea che avevo di lui.

-Ecco...mi piacerebbe invitare Ricchan ad una guida con me, però...- mi sembrò insicuro in quel momento, quasi come se si stesse soffermando sulla sua stessa frase e se avesse dovuto, o meno, parlarmene apertamente. Mi resi conto che il soggetto principale di quella frase era Ricchan, una della infermiere della clinica del paese. Una brava persona, senza alcun dubbio, che era solita aiutare Tohru alla guida. Solo che, in quel momento, non riuscii a capire cosa avesse a che fare con lui, almeno al di fuori della scuola guida.

-Mi piacerebbe invitarla ad un appuntamento, ma sono troppo timido e quindi- un lampo di esitazione nella sua voce, ma poi continuò- mi piacerebbe che tu mi accompagnassi.-

Lo disse senza nemmeno guardarmi, continuando imperterrito a guardare lo schermo pallido della televisione e continuando a tenere in mano il joystick, cui era solito usare per giocare ad uno dei suoi tanti videogame.

-Ma non è un po' troppo grande per te? Potrà anche sembrare molto giovane, ma è molto più grande di noi e...- non riuscii a continuare. Cosa avevo appena detto? Che Ricchan era troppo grande? Troppo grande per un ragazzo di 18 anni? Troppo grande per lui? Non riuscivo a capire il motivo del mio sconcerto, di questa strana sensazione che mi attanagliava lo stomaco.

Cos'era?

Perché tutt'un tratto Tohru mi chiese una cosa del genere, perché la chiese proprio a me? Forse perché mi considerava una persona degna della sua fiducia o forse perché non aveva nessun altro a cui chiedere?

Mille pensieri mi esplosero in testa e, nel cercare una risposta soddisfacente da dargli, finii col rispondergli con un banalissimo “Va bene”.

Non è quello che avrei voluto dirgli. Non lo era. Per qualche motivo non riuscii a dirgli di no, specie dopo aver visto il sorriso raggiante che mi aveva rivolto dopo quella risposta.

Vederlo sorridere mi riempiva il cuore di gioia, sempre. Mi dava conforto nei momenti difficili.

Probabilmente è per questo che non ero riuscito a dirgli di no; la cosa che mi chiesi in quel momento fu: “Perché volevo vedere il suo sorriso? Perché mi rendeva così felice guardarlo sorridere?”

Ma soprattutto...perché adesso quel sorriso meraviglioso mi provocava solamente un inguaribile dolore?”

 

 

Fine primo capitolo

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il mutare di un sorriso ***


Capitolo 2

Il mutare di un sorriso

 

 

 

-Non puoi immaginare quanto mi stia rendendo felice, Natsuno! Era da tantissimo tempo che volevo uscire con Ricchan ed ora che so di avere il tuo supporto sono doppiamente felice.

-Tutti questi ringraziamenti per così poco? Non mi sembra di star facendo chissà cosa, onestamente.

-E qui ti sbagli, caro il mio Natsuno. Ti stai comportando proprio come farebbe un vero amico. Sono davvero felice.

 

Tohru sorrideva. Sorrideva davvero tantissimo, di gioia. Adoravo il suo sorriso, perché era un sorriso puro, reale, non quel tipo di sorriso fasullo, senza sentimento, senza espressione. Eppure in quell'istante pensai davvero che ci fosse qualcosa che non andasse. Il suo sorriso mi apparve più “distante”, se così posso dire. Quasi come se non mi appartenesse più.

Non volevo che condividesse quel sorriso con qualcuno, se quel qualcuno non fossi stato io. Non volevo che Ricchan lo vedesse, che si innamorasse di quel ritratto autentico di perfezione pura.

Quello era il sorriso che riservava solo a me, il suo migliore amico; e allora perché avrebbe dovuto vederlo anche lei? Perché?

Probabilmente fu a causa di tutti questi pensieri che adesso avvertivo una sensazione strana al cuore e, al contempo, qualcosa di caldo sul mio volto, un calore che non voleva smettere di tormentarmi.

-Eh?

Lacrime?

...Lacrime.

Erano proprio lacrime a scendere sul mio viso e che non riuscivo a fermare, nel tentativo di capire il perché del mio comportamento assurdo. Il sorriso sul volto di Tohru svanì all'improvviso, trasformandosi in preoccupazione che non fece altro che annuvolare il suo bellissimo viso.

Mentre cercavo di asciugare le lacrime, lui diresse il suo sguardo su di me, iniziando a chiedermi il perché di quelle lacrime, tanto salate quanto inspiegabili.

-Natsuno, cos'hai?! Non ti senti bene? Ti fa male da qualche parte?

-No, non mi fa male niente, non preoccuparti. Sto bene.

Perché sei così gentile...?

-Non si direbbe, stai piangendo! Si può sapere cos'è successo? Ho per caso detto qualcosa di sbagliato? Se è così, ne sono desolato, non era assolutamente mia intenzione! Io, io...

Non scusarti con me, non hai fatto niente di sbagliato! Qui l'unico strano sono... io.

-Ehi Natsuno...rispondimi per favore. Non startene lì impalato a fissare il vuoto con quell'espressione triste, guardami, dì qualcosa!

Dire qualcosa? Cosa avrei dovuto dire? Se avessi parlato in quel momento, sarei esploso sicuramente. Anche se non ero a conoscenza del reale motivo della mia tristezza, sarei esploso dalla disperazione. Specialmente perché i miei occhi non riuscivano più a vedere il suo sorriso.

Lui non aveva fatto niente di male, mi aveva solo confidato la sua cotta per quell'infermiera, mi aveva chiesto un aiuto e io gli avevo detto che l'avrei aiutato, che gli avrei dato il mio sostegno, ma, nonostante questo, non ero felice, anzi. Mi sentivo come se un masso enorme mi stesse schiacciando il petto, impedendomi di respirare.

Tohru mi stava fissando con quei suoi occhi tristi color nocciola; si era messo piegato sulle ginocchia, proprio di fronte a me, non appena mi aveva visto piangere. Mi prese le mani saldamente, cercando di capire cosa mi rendesse triste, cercando una risposta da me.

Il mio sguardo incrociò il suo. L'espressione sul mio volto si era fatta ancora più cupa, e quella sul volto di Tohru ancora più preoccupata.

Forse sarebbe stato meglio che me ne fossi andato. Se fossi rimasto lì, in quello stato, non avrei fatto altro che peggiorare le cose più del dovuto. Non potevo parlargli del motivo per cui ero così triste, se questo non lo conoscevo nemmeno io. Per qualche ragione, non riuscivo a guardarmi dentro.

Con un scatto rapido mi alzai dal letto, distogliendo lo sguardo da quel ragazzo che mi fu tanto caro ed abbandonando il calore delle sue mani, mentre mi fissava con un' espressione basita, stupito dal mio gesto improvviso.

-Vado a casa.

-Eh? Perché?

-...Scusami, Tohru. Sono stanco, voglio andare a casa.

-Ma...tu non stai bene.

-Non devi preoccuparti, sto benissimo, quello di un attimo fa è stato solo un lapsus, niente di allarmante insomma- sorridendo, continuai a parlargli, nonostante non sapessi cosa dire, nonostante stessi trattenendo a stento le lacrime. -Spero che il tuo appuntamento con Ricchan vada per il meglio. Lo spero davvero, ti meriti una brava ragazza come lei. E' il minimo per uno come te.

-Uno come me? Che intendi dire?

-Semplicemente questo. Tu...- non ce la feci a continuare questa frase.

Credetti di aver capito quello che il mio cuore mi stava cercando di dire già da un po'. -...tu sei una brava persona.

Non ebbi nemmeno il tempo di farmi uscire quelle parole di bocca, che le lacrime tornarono a tormentarmi, implacabili e silenziose.

-Natsuno!

Tohru probabilmente non era riuscito a capire nulla di quello che stava succedendo. In pochi minuti una situazione del tutto normale e tranquilla, si era trasformata in un qualcosa che non era mai capitato prima, uno spettacolo raro. In effetti, per far piangere un ragazzo come me, che non esternava mai le proprie emozioni, ce ne voleva; ma mai, ne sono certo, Tohru avrebbe pensato che mi avrebbe visto in quello stato penoso così all'improvviso e, sopratutto, senza nemmeno sapere il perché. O forse il perché lo aveva capito, ma gli era impossibile da credere.

-Beh, allora io vado. Ci vediamo, Tohru-chan.

-Dove credi di andare, Natsuno? Non credo che tu sia nelle condizioni di andartene in giro da solo, insomma guardati! Si può sapere cos'hai? Nemmeno un minuto fa, stava andando tutto bene e adesso sei completamente sconvolto, non so cosa pensare, accidenti!

Sgranai gli occhi. Mai mi sarei aspettato una risposta simile da lui, una risposta tempestiva, datami con furore, con frustrazione. Lui, sempre così calmo e pacato, adesso mi appariva come un mare in burrasca, sul punto di far affondare tutte le mie certezze su di lui.

Conoscevo davvero il ragazzo di nome Tohru, che era lì, proprio di fronte a me? Mai avrei pensato che se la prendesse così tanto per il mio comportamento...o semplicemente si comportava in questo modo solo perché teneva a me. Già, era proprio per questo probabilmente. Tohru mi voleva bene, mi era sempre stato accanto, fin dal primo momento in cui lo incontrai. Ricordo ancora quella calda mattina d'estate, la mia bici, una ruota bucata, la sua voce, la sua cordialità, il suo sorriso. Ne rimasi affascinato, ma non potevo di certo dirglielo, mi pare ovvio. Rimasi affascinato e innervosito allo stesso tempo, se devo dirla tutta, però. Non avevo mai potuto sopportare i tipi gentili come lui, non riuscivo davvero a parlarci. Probabilmente, però, la mia era solo invidia, perché nessuno sa quanto avessi desiderato di poter essere cordiale nello stesso modo in cui lo era lui.

Alla fine, l'ultima cosa che volevo è che si preoccupasse per me. E forse fu proprio questo il motivo che mi spinse a dire quella frase che, di lì a poco, avrebbe cambiato tutto.

-Mi dispiace, Tohru-chan. Ti ho fatto preoccupare inutilmente, ma ti assicuro che non era mia intenzione, lo giuro!

-Non scusarti Natsuno, anzi, dispiace a me per aver urlato, poco fa. Adesso per favore mi dici che hai?

-Ecco io...-deglutii, guardando Tohru dritto negli occhi ma distogliendo subito lo sguardo per la vergogna di quello che stavo per dire- ...io mi sono sentito male mentre parlavi di Ricchan perché...mi è venuta in mente Megumi.

Ma che sto dicendo?

-Natsuno...- Tohru mi fissava con occhi tristi. Probabilmente si era sentito in colpa in maniera tremenda, avendomi parlato della sua felice cottarella mentre io stavo male per la morte di Megumi. Che cavolata. Mi facevo schifo da solo, e non solo per questa enorme bugia che gli avevo appena raccontato, ma anche perché non ero riuscito a parlare con lui apertamente.

Megumi era innamorata di me, ma io non le avevo mai rivolto un singolo pensiero, mai. Non la consideravo un'amica, non la consideravo un'amante, non la consideravo niente. Una cosa triste da dire, senza dubbio, ma le cose stavano così. L'unico che si era conquistato un posticino nella mia mente e nel mio cuore era Tohru. Non lei.

E malgrado questi sentimenti stessero esplodendo dentro di me, non riuscivo a dire niente, se non una mera bugia.

-Non preoccuparti Tohru-chan, non fa niente. Che potevi saperne tu? Comunque sia, adesso si è fatto proprio tardi e devo andare a casa, altrimenti i miei si preoccupano. Ci vediamo, va bene?

-Si, ho capito. Scusami ancora, sono mortificato, davvero...spero che tu riesca a perdonarmi.

-Uffa, ma quante paranoie ti fai?! Mi pare ovvio che ti abbia già perdonato, tu che dici?

Sorrisi. Un sorriso fasullo e, a dirla tutta, anche mal riuscito, ma in quel momento era l'unica cosa che il mio cervello era riuscito a partorire. Sempre meglio di niente, comunque, vista la situazione orrenda in cui mi trovavo.

Salutai Tohru e mi avviai, sulla strada verso casa. Mentre camminavo mi voltai verso quella casa tanto amata e sentii il cuore stringermi in petto, forte, inesorabile.

Mi morsi il labbro e abbassai lo sguardo, sentendo di nuovo quelle maledette lacrime scendere dai miei occhi stanchi.

 

 

 

Fine secondo capitolo

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Emozioni umane ***


Capitolo 3

Emozioni umane

 

 

Morning comes slow today

memories push through me from yesterday

where will I be tomorrow

what do I have to show.”

 

* * *

 

-Natsuno! Sbrigati o faremo tardi a scuola!

La sua voce risuonava come un martello dentro la mia testa, quella mattina d'estate. Non mi pareva possibile che dovessi andare a scuola anche d'estate, o meglio, non mi pareva possibile che Tohru mi fosse venuto a prendere, dopo tutto quello che era successo nemmeno un giorno prima.

La testa mi faceva male, avevo dormito poco ed ero di pessimo umore. Poteva andare peggio? Ma certo! Ci mancava solo lui, che era la causa di tutto il mio malessere.

“Incredibile come si scordi subito le cose, quel ragazzo” pensai. Ed effettivamente era così, essere amico di Tohru era un vantaggio dietro l'altro. Se litigavi con lui, il giorno dopo era già tutto chiarito e risolto, amici come prima. Beh, questo non si poteva certo dire nel mio caso. Tohru non aveva la minima idea di cosa mi passasse per la testa, almeno così credevo io.

Comunque sia, probabilmente si comportava così solamente per non avere problemi. A Tohru non piacevano i problemi, ecco perché con lui si chiariva subito. Tuttavia, io continuavo a sentirmi un verme per avergli mentito in quel modo spudorato, specialmente avendo messo in mezzo una persona deceduta; lui probabilmente se n'era già scordato, ma io no.

Come avrei potuto scordarmi una cosa del genere? O meglio, il motivo per il quale avevo mentito. Ancora non riuscivo a rendermene conto nemmeno io.

Mi vestii in fretta, scesi le scale di corsa quasi dimenticandomi lo zaino, salutai i miei genitori, presi una fetta di pane e marmellata e, ancora un po' assonnato per la precedente notte passata in bianco, mi avviai verso la porta d'ingresso.

E lì, ovviamente, c'era lui.

-Buongiorno! Dormito bene?- esclamò lui allegro, cosa più unica che rara a prima mattina per una persona normale, ma non per lui che allegro lo era sempre.

“Domanda peggiore proprio non poteva farla.”

-Si, abbastanza bene, grazie. Tu?

-Uhm, si anch'io...penso.

“Ma che razza di conversazione è?!” non potei fare a meno di pensare. Fu in quel momento che mi resi conto dell'incertezza nel suo sguardo, nei suoi gesti, nel suo modo di parlare. Che non si fosse scordato nulla dell'accaduto di ieri, dopotutto? Che ci stesse ancora pensando? O magari semplicemente gli era tornato in mente tutto vedendomi.

Sarà stata solo la mia impressione, ma in quel momento mi apparve più umano di quanto non credessi.

-Si vabbè, tu stai ancora dormendo o sbaglio?- accennai una risata, mentre gli rispondevo in quel modo spiritoso. Mi sentivo il cuore un po' più leggero, a dirla tutta. Che fosse stata la scoperta di un Tohru più umano? O semplicemente il fatto che a lui importasse davvero di me, dopotutto?

Qualunque cosa fosse, mi rese felice, come mai prima d'ora.

-Ahaha, si hai ragione, sto cascando dal sonno! A dire il vero, ieri notte non ho dormito molto. Continuavo ad avere degli incubi terribili, deve essere a causa di quello che è successo ieri. Stamattina mi sono svegliato tutto sudato!

Tohru era tornato abbastanza tranquillo, ma adesso quello agitato ero io. Quello che era successo ieri? Che intendeva dire? Che avesse pensato un po' troppo alla conversazione avvenuta il giorno prima, che si fosse immaginato chissà quali cose?

Tremavo al solo pensiero.

-In che senso a causa di quello che è successo ieri?

“Ecco l'ho detto. E ora speriamo bene.”

-Beh, ieri abbiamo scoperto che eri triste per via di Megumi, no?

“Megumi? Cosa c'entra lei, ora?” -Si, e allora?

-Ecco...io non credo ai fantasmi, però...ecco il fatto è che ieri notte ho sognato lei.

“Tutto qui? Credevo chissà cosa avesse sognato.” -Non è strano sognare persone di cui si parla poco tempo prima, non ti preoccupare.

-Non sarebbe strano se si parlasse di persone ancora vive...però ti voglio ricordare che lei è morta, purtroppo. E nemmeno troppo tempo fa. Comunque, quel sogno era reale! O almeno sembrava reale, talmente tanto che stamattina ero abbastanza scosso.

-Cosa faceva Megumi nel sogno?

-Mi guardava, mi guardava con occhi terribilmente rossi, infuocati, era arrabbiata e...

-E...?

Tohru abbassò il capo, distogliendo i suoi occhi dai miei. Chissà a cosa stava pensando in quel momento. Mi pareva assurdo che un semplice sogno potesse metterlo così in agitazione. Certo, sognare un morto è abbastanza inquietante già di suo, però tutto questo mi pareva un po' esagerato.

-Senti, se non vuoi dirmelo non fa niente, se vorrai me ne parlerai tu stesso un'altra volta e--

-Voleva uccidermi.

Sgranai gli occhi, ma ero troppo stupito per poter parlare.

“Cosa? Cosa ha detto?” non riuscivo nemmeno a pensare, specialmente dopo aver notato che erano ormai più di 5 giorni che non facevo altro che avere allucinazioni e incubi vari anche io, e che questi riguardavano tutti Megumi.

Nonostante fossi abbastanza turbato, quasi più di lui, cercai di tranquillizzarlo, al meglio delle mie capacità.

-Non preoccuparti, era solo un sogno! Non c'è bisogno di allarmarsi tanto. I fantasmi non esistono, vero Tohru-chan?

-Lo so, lo so...però mi sono davvero spaventato!

-Non ti facevo così fifone! - dissi ridendo.

-Ehi! Non ridere, io sono seriamente preoccupato! - disse lui, con un po' d'ironia nella voce.

-Come no...secondo me è il caldo che ti da alla testa.

-Ma tu guarda...vieni qua tu, piccolo impertinente!

-Un momento, piccolo a chi?

-A te, caro Natsuno! A chi se no? O devo forse ricordarti che hai 15 anni, mentre io ne ho 18?

-18 si, ma solo all'anagrafe. - mi misi a ridere davvero forte, dopo questa battuta, così tanto che mi sembrò di dimenticare tutti i miei pensieri. Non era da me ridere per qualcosa di stupido come quello, eppure in quel momento lo stavo facendo e mi sentii umano anche io.

Mi sentii un po' più vivo, e tutto grazie a lui.

-Adesso me la paghi cara!

-Prima devi prendermi...sempre se ci riesci! Il caldo non ti giova.

-Questo lo vedremo!

“Ti voglio bene, Tohru-chan. Non permetterò a nessuno di farti del male.”

Anche se non posso averti.”

 

 

* * *

 

 

-Ed ecco che un'altra giornata se ne va. Almeno è andato tutto bene, vero Natsuno?

-Non mi posso lamentare.

In effetti quel giorno era stata proprio una bella giornata. Ero stato sempre col mio migliore amico, in paese non era morto nessuno per via del raffreddore estivo che girava già da un po', e questa era già una cosa di cui esser contenti, a mio parere.

Ed anche il solo essere accanto a lui mi rendeva estremamente felice, anche se nel suo cuore c'era un'altra persona. Credo che il sentimento che stessi provando in quel momento fosse amore ,ma non ne ero proprio sicuro. Qualcun' altro lo avrebbe di certo chiamato egoismo, ma non m'importava. A me stava bene così.

-Ma quand'è che la smetterai di giocare a quei videogiochi? Ma non ti stanchi mai? Sono stufo di parlare ad una schiena.- dissi, un po' scocciato.

-Questa si ch'è bella. Perchè, tu parli? Di solito, sono sempre io che inizio, continuo e finisco le nostre conversazioni, anche se ultimamente sei diventato un po' più loquace, questo devo ammetterlo.

-Ciò non toglie che tu stia davvero troppo a giocare con quei cosi. Non ti fa bene agli occhi, sai?

-Ahaha, adesso ti preoccupi dei miei occhi?

“Si che mi preoccupo, brutto zuccone. Non hai idea di quanto mi piacciano i tuoi occhi.”

-Non posso preoccuparmi?

-Non ho detto questo, Natsuno disse Tohru sghignazzando – anzi, a me fa piacere quando ti preoccupi per me, mi fa sentire importante!

“Ma tu guarda che tipo.” pensai. Sapevo perfettamente come fosse fatto Tohru, ma ancora qualcosa del suo carattere mi sfuggiva. D'altronde lo conoscevo solo da poco tempo, 1 mese e poco più, probabilmente. Nonostante questo, scoprire nuovi lati del suo carattere mi piaceva ogni volta che ne avevo l'occasione. E mi divertiva passare il mio tempo assieme a lui.

-Sei proprio egocentrico.

-Che?! Non puoi dire una cosa del genere, Natsuno...mi ferisci nell'animo!

-Ceeerto, come no. - dissi, cercando di intravedere di più sul suo volto, visto che lo aveva ancora rivolto verso lo schermo del televisore. Ad un certo punto si girò verso di me e mi fissò, per una manciata di secondi. Aveva un'espressione basita e un po' triste, ma comunque tenera. Proprio tipica di lui.

-Beh? Che hai da guardare, con quella faccia poi?

-Sei cattivo, Natsuno. Basta, mi sono offeso e ora non ti parlo più.

-Ma cosa sei un bambino delle elementari? E pensare che oggi mi hai rincorso per 10 minuti buoni solo perchè ti ho detto che hai 18 anni solo all'anagrafe.

-M-ma io... - non sapeva proprio cosa dire, Tohru. Alle mie risposte così pungenti effettivamente era difficile trovar risposta. Di solito, però, in quei casi ero io a mettermi a ridere subito dopo il suo fatidico broncio, nel tentativo di vederlo di nuovo trasformarsi in un sorriso. Quella volta, tuttavia, non lo feci. Sentivo come l'impulso di farlo, come se fosse una specie di rituale per “far pace”, ma c'era qualcosa che mi bloccava. Alla mente mi vennero in mente le parole pronunciate da Tohru il giorno prima.

 

Non puoi immaginare quanto mi stia rendendo felice, Natsuno! Era da tantissimo tempo che volevo uscire con Ricchan ed ora che so di avere il tuo supporto sono doppiamente felice.”

 

Il mio supporto? Non lo aveva mai avuto il mio supporto, s'è per questo. Mi sentivo veramente male, ripensando a quella frase che mi aveva rivolto, così piena di gratitudine. Mentre quello che sentivo io era solo risentimento, nei confronti suoi e di Ricchan.

Tutt'un tratto, mi sentii triste e pieno di sensi di colpa e abbassai lo sguardo sul giornale che stavo leggendo, ignorando lo sguardo triste di Tohru, che si aspettava il mio solito gesto.

Anche senza guardarlo potevo perfettamente notare la sorpresa sul suo volto e la delusione che ne conseguì, che mi fece sentire ancora più male.

-Tohru, puoi scendere un attimo?

Era sua madre che lo chiamava. Tohru si riprese dalla catalessi in cui era caduto e si alzò per andare da lei, ma in quel momento lo fermai, prendendogli il polso, guardandolo dritto negli occhi.

-Natsuno, co--

-Aspetta, non andare. - quasi urlai, dicendogli quelle parole, ricche di significato per me.

Sentivo il cuore esplodermi in petto, non sapevo cosa fare. Ero rimasto lì, imbambolato come uno stupido a fissarlo negli occhi, senza fare nulla.

Ero nel panico più totale.

D'un tratto però, l'espressione sul suo volto cambiò, trasformando la sua sorpresa in un gran sorriso gentile, caloroso, seguito poi da una risata dolce, non una di quelle che vogliono prendere in giro, no. Una di quelle che vogliono comunicare “va tutto bene”. Una di quelle fatte col cuore.

-Non devi preoccuparti, Natsuno. - disse Tohru, guardandomi fisso negli occhi, con quel suo sorriso gentile. Quelle semplici parole bastarono a farmi stare meglio, a farmi tornare “vivo”.

-No, è che io...prima non...insomma... mi dispiace.

“Ma che sto dicendo?”

-Per cosa ti stai scusando?

-Per averti detto quelle cose prima e per...non aver “fatto pace”.

-Sei proprio scemo a volte! Ti fai troppo paranoie.

-E' che...avevo semplicemente paura che te ne andassi e che ti fossi arrabbiato con me. - sembrava un discorso di un bambino delle elementari, il mio. Non importava, tuttavia.

La mia paura più grande era perderlo. Non avrei mai voluto perdere l'unica persona a cui tenevo davvero.

Mai.

-Non mi perderai per una simile sciocchezza. Ed anche se un giorno ci ritroveremo ad essere nemici, ti giuro che non ti lascerò. Mai. Sarò sempre al tuo fianco, anche se non potremo più vederci, anche se tutto il mondo fosse contro di noi...io non ti lascerei, per nulla al mondo. Sei il mio migliore amico, mi sembra il minimo!

Mi sentii il cuore pieno di emozioni indescrivibili. Cose che non possono semplicemente essere scritte nero su bianco, cose che non si possono vedere, ma solo “sentire” col cuore, con l'anima. Cose simili che riusciva a farmi provare solo lui e per le quali io ero talmente felice da sentire di poter morire anche in quel momento, con lui.

Probabilmente, se fossi morto in quel momento, sarei morto felice.

Tohru sorrise, e così feci anche io. Ci guardammo per un'altra manciata di secondi, prima che quell'atmosfera fosse sciolta da delle parole ricche di sarcasmo e spiritosaggine.

-Ma quanto siamo diventati poetici! Dì un po' tu, da quando ti metti a dire certe cose? A Natsuno poi... - una risata sommessa. La mamma di Tohru era appena entrata in camera sua e probabilmente aveva sentito una buona parte dei nostri discorsi. Ed ora ne rideva compiaciuta. La cosa più buffa fu vedere il volto di Tohru divenire improvvisamente tutto rosso, mentre gesticolava come una scimmia impazzita. Uno spettacolo più unico che raro, che fece ridere anche me.

-Non è come sembra! E' solo che...uhm...come dire, io...lui...insomma si può sapere che vuoi?!

Si sollevò l'ennesima risatina, proveniente un po' da sua madre, un po' da me; anche se, ammettendolo, anche io mi sentii piuttosto in imbarazzo dopo quello spettacolo, evidentemente, aperto al pubblico.

-Sono venuta perchè prima ti ho chiamato ma non mi hai risposto. Comunque, cambiando argomento, anche se a malincuore, si è fatto tardi. Sono già le 9 passate o sbaglio?

-Accidenti, i miei genitori saranno furiosi. Sarà meglio andare.

Non mi ero accorto dell'ora che si era fatta. Fra litigi, incomprensioni, scherzi e forti emozioni non mi ero accorto che la notte era calata e che dovevo andare via. Mi dispiaceva, questo si, perchè quel posto era davvero l'unico luogo in cui mi sentivo a casa, in cui passavo in una frazione di secondo dal sentirmi a mio agio al sentirmi in panico completo.

Mentre mi stavo avviando per andarmene, ancora immerso nei miei pensieri, udii una voce flebile ed insicura che mi riportò alla realtà, destandomi dal mio sogno ad occhi aperti.

-Perchè non rimani?

Tohru.

-Già, è un ottima idea. Se vuoi ci penso io ad avvisare i tuoi genitori. - disse la signora Mutou, disponibile come sempre. Io ero lì, con lo sguardo ancora incredulo e stordito, a fissare entrambi, con gli occhi di chi aveva sentito una cosa bellissima e non vedeva l'ora di vedere quello che sarebbe accaduto. Anche se, molto probabilmente, avevo solo una faccia da ebete patentato, senza dubbio.

-Rimanere...io...?

-Ehiiiiii svegliaaaaaa, Natsuno ci sei? Sei ancora vivo o dobbiamo chiamare le pompe funebri? Ovvio che stiamo parlando di te, di chi se no?- urlò Tohru, in preda all'eccitazione per il momento.

-Spero solo che non stiate parlando con un fantasma! - una voce sbucò dall'uscio della porta della stanza, una voce piena e ridente, proprio adatta ad una come Aoi-chan. In effetti, lei e Tohru si somigliavano molto.

-Sorellina, da dove sbuchi? E comunque, te ne prego, non parlare di fantasmi!

-Ahaha, e perchè? Alla tua età hai ancora paura del buio, fratellone?

Preso da tutta quell'euforia, non potei fare a meno di ridere, attirando l'attenzione dei presenti, e tornando nel mondo reale.

-Vedo che ti sei ripreso – disse Tohru, con un po' di sarcasmo nella voce – allora che hai deciso? Resti?

Dopo un attimo di esitazione, presi la mia decisione.

-Si, resto. Grazie dell'invito.

-Ma figurati! Per te questo e altro. Anzi, - Tohru diresse lo sguardo verso sua mamma, che sembrava aver già capito cosa volesse dirle il figlio – mamma, vai a prendere il...

-Il futon nuovo, lo so. Vedi Natsuno, Tohru ha insistito tanto perchè ti comprassi un futon tutto tuo. Così ogni volta che vorrai dormire da noi, potrai farlo senza problemi. Questa è anche casa tua, lo sai.

Parole di conforto. Parole gentili. Parole calde. Parole dolci. Parole rivolte a me, persona qualunque. Meritavo davvero tutto quell'amore? Cosa avevo fatto io, per meritarlo? Non mi sembrava di aver fatto niente in particolare; eppure, quelle persone erano lì per me, Tohru era lì con me.

E questo mi bastava. Non desideravo nient'altro per essere felice. Mi bastava lui. Per questo, in risposta a tutta quella gentilezza, non feci altro che sorridere, come non facevo da tempo ormai.

Un solo sorriso può scaldare un cuore spento. Questo me lo aveva insegnato lui. Una parola gentile può far cambiare idea sul mondo a chiunque. E lui me lo aveva dimostrato. Odiavo quel villaggio morto, rinchiuso fra le alte montagne, senza vita, disperso nel nulla. Ma da quando avevo incontrato lui, tutto era cambiato. Odiavo ancora quel villaggio, mi pareva ovvio, e non vedevo l'ora di andare via, però...il pensiero di lasciare lì un pezzo di me mi stringeva il cuore. Non sarei mai riuscito in un'impresa simile. Quegli occhi color nocciola...avrei potuto incontrare altri mille occhi color nocciola, ma non sarebbero mai stati i suoi. Tohru era Tohru. Unico ed insostituibile, in grado di farmi sentire speciale, come mai nessuno prima d'ora aveva fatto.

Credevo che non lo avrei mai perso.

 

 

Tuttavia...

 

 

 

Ciò che accadde quella sera, dopo che ci addormentammo...fu l'apice del disastro.

 

 

 

Fine terzo capitolo

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il terrore di un addio ***


Capitolo 4

Il terrore di un addio

 

 

Stay,

I need you here for a new day to break.

Stay,

I want you near like a shadow in my wake.”

 

 

 

* * *

 

 

-Natsuno... è ora di andare. Sei pronto?

-Non ancora. Va' tu avanti, io ti raggiungo più tardi.

-Va bene. Sei...sicuro di star bene?

-Sto bene, mamma. Non preoccuparti. Va' pure.

-A dopo allora. Il funerale comincia alle 3:00.

-...a dopo.

 

 

Erano passati 2 giorni dalla morte di Tohru, ma la mia vita sembrava essersi fermata a quella notte; la notte in cui, per la prima volta in vita mia, mi resi conto di quanto fossi impotente dinanzi al destino. E di quanto pervaso di terrore e tristezza fosse il mio cuore.

L'unica cosa che avevo in mente in quel momento erano quegli occhi pervasi di odio che fissavano il mio migliore amico, nell'attesa di assaporarne l'anima, pura e candida come quella di un bambino. Ed io ero lì, incapace di far qualcosa per aiutarlo. Non sono stato in grado di fare nulla.

Non sono stato in grado di salvarti.

Perdonami, Tohru. Ti prego perdonami.

 

 

* * *

 

 

-Ehi, Natsuno.

-Mmh?

-Non dirmi che hai già sonno!

-Si, sono distrutto. Sono giorni che non dormo. Quindi, per favore, fammi dormire! - dissi seccato, cercando in tutti i modi di convincere Tohru a lasciarmi sprofondare in un sonno tanto atteso e desiderato.

-Non è giusto! Io volevo giocare un po' con te e.. -s'interruppe, in procinto di dirmi qualcosa, che non mi disse più. Ancora adesso mi chiedo cosa mi volesse dire. Sono certo, comunque, che fosse una cosa stupida. E gentile, come lui.

-Giocare con me e...?

-Ah, ma allora ti interessa quello che dico, anche se hai sonno e fai tutto lo scontroso! Mi dispiace, caro il mio Natsuno, ma adesso non ti dico più niente, così t'impari.

Una risatina sommessa si sollevò dal letto accanto al mio futon, mentre io cercavo ancora invano di riuscire a dormire. Un bambino. Tohru a volte era proprio un bambino, capriccioso e volubile. In fondo, però, a me piaceva così com'era, né più né meno. E non credo che sarei mai riuscito ad amare un Tohru diverso da quello di allora, un Tohru senza quel pizzico di pazzia che calzava a pennello col suo carattere sempre allegro.

Per me era davvero insostituibile.

-A volte sei proprio un bambino. Però...

-Però?

Silenzio.

Non fu semplice cercare di dire quella frase che, tuttavia, avevo davvero voglia di dire. Un po' per colpa del mio orgoglio, un po' a causa del mio carattere da buttar via, un po' per via di ciò che pensavo di lui. Non fu per nulla facile; ancora adesso, quando ci ripenso, il cuore mi si riempe d'agitazione.

Eppure la dissi, cercando di scrollarmi di dosso tutto il timore che avevo per paura di una sua reazione non prevista.

-Però... ti voglio davvero bene.

Non ebbi nemmeno il tempo di arrossire e di rintanarmi sotto le coperte per non farmi vedere, che sentii un peso enorme su di me che mi opprimeva, ma che non fu per nulla fastidioso o indesiderato. Anzi, il solo sentire le braccia calde di Tohru attraverso il suo pigiama riuscì a farmi sorridere. Non ebbe bisogno di fare nulla di più per farmi sorridere, solo abbracciarmi; questo era il potere che aveva quel ragazzo, e non se ne rendeva minimamente conto.

-Anche io! Anche io ti voglio tanto bene, Natsuno! - gridò eccitato lui, mentre mi stringeva sempre più forte, al punto di soffocarmi.

-Accidenti Tohru-chan, mi stai soffocando! Vuoi che muoia in questo modo?

-Si, si! Almeno potresti morire insieme a me, non saresti contento?

Che razza di domanda. Non avevo nessuna voglia di morire in quel momento, eppure, ripensandoci adesso, avrei preferito sicuramente morire lì, fra le sue braccia, piuttosto che dover passare attraverso le fiamme dell'inferno da solo. Fiamme che bruciano, un calore insopportabile; così diverso da quel calore accogliente delle sue braccia.

-Ma che cavolo dici?! Sinceramente, non mi va proprio di morire adesso! Sono giovane, voglio vivere. Sono ancora troppe le cose che voglio e che devo fare.

-Ahaha, a chi lo dici! Non so nemmeno io da dove me ne sia uscito con quella frase, a dire il vero. Non se ne parla proprio di morire ora!

-Infatti. Non ho nemmeno dato il mio primo bacio...

Ecco. Il danno era fatto. Avevo rivelato una cosa così privata e imbarazzante proprio a lui, fra tutti quanti. Mi resi subito conto di quello che avevo detto e me ne vergognai tantissimo, sentivo tutto il volto rosso, fino alle orecchie, come se stessi andando a fuoco.

Mentre Tohru era ancora lì ad abbracciarmi, si rese conto del mio comportamento strano e sogghignò soddisfatto.

-Allora stanno così le cose... - disse lui, con quel suo sorriso beffardo.

“Che nervi, ci mancava anche questa.”

-Beh, che vuoi? Ho solo 15 anni, in fondo.

-Ahaha, sei tutto rosso, Natsuno!

-Non dire stupidaggini, razza d'idiota! Sparisci subito dal mio futon.

-Il tuo futon? Ti sei forse dimenticato che sei a casa mia?

-No, però tua mamma è stata chiara: ha detto che ha comprato questo futon per me. Quindi è mio!

-Si certo, come no! A mia madre ho detto io di comprarlo, e io non ho mai detto che sarebbe diventato tuo.

-Ma stai zit--

Non feci in tempo a replicare con una delle mie solite risposte tempestive, perché lui mi bloccò. O più precisamente bloccò le mie labbra.

Con le sue.

-Ma che cavolo fai?! - tentai di balbettare, ma non riuscii nemmeno a rispondergli in maniera decente.

Questa proprio non me l'aspettavo. Un tipo timido come lui, che fa una cosa così audace, così all'improvviso.

Quello fu il mio primo bacio. E a darmelo fu proprio il ragazzo che amavo.

-E' un bacio della buonanotte. Non sei contento? Adesso ti lascio dormire, in santa pace.

-E c'era bisogno di darmi un bacio per lasciarmi dormire in santa pace?

“Che razza di tipo assurdo! Mi sento completamente rimbecillito, e tutto a causa sua!”

-Beh, no. Però a me andava di dartelo. - disse lui ridendo, mentre si allontanava piano da me, per tornarsene nel suo letto ormai nuovamente freddo. - Buonanotte, Natsuno.

-Buonanotte un corno. - accennai io sotto voce, mentre mi giravo dall'altra parte, completamente rintanato sotto le coperte, nonostante fossimo in piena estate. Mi sembrò, in quel momento, di udire una piccola risata, ma probabilmente fu solo la mia immaginazione.

 

 

* * *

 

Non riuscivo a dormire. Io, che mi ero tanto lamentato di voler dormire, adesso non ci riuscivo, tanti erano i pensieri che mi balenavano in testa. Semplicemente, il mio cervello non voleva lasciarmi riposare. Mi vennero in mente i pensieri più assurdi, tipo il perché di quel gesto da parte di Tohru. Mi sembrava di essere una ragazzina alle prese con la sua prima cotta. Ed effettivamente, un po' lo ero.

“Perché ha baciato me, se a lui piace Ricchan?” Fu questa la prima cosa che mi venne in mente e anche la prima cosa che avrei voluto chiedergli, ma non ne ebbi né il coraggio né il tempo. Ormai Tohru già dormiva di un sonno profondo. E anche se fosse stato sveglio non glielo avrei mai chiesto; avevo troppa paura della sua reazione.

Cercai di addormentarmi, ma invano: ogni volta che chiudevo gli occhi, nel buio più totale appariva lui davanti a me e, puntualmente, li riaprivo, esasperato.

Dopo una serie di tentativi, finalmente mi sembrò di stare per addormentarmi quando, d'un tratto, udii un rumore provenire da fuori la stanza di Tohru.

Non avevo la più pallida idea di cosa potesse essere, e onestamente non ci feci nemmeno tanto caso. Quando poi, però, riuscii a riconoscere un suono di passi in quel rumore insopportabile, la mia mente si risvegliò di nuovo completamente.

Chi poteva essere, a quell'ora? Non ne avevo la più pallida idea e milioni di pensieri cominciarono ad affollarsi nella mia mente. Che fosse la mamma di Tohru? Suo padre? O magari un fantasma?

“O magari Megumi è venuta a prendermi.”

Non so nemmeno io perché mai i miei pensieri avessero finito per rivolgersi a lei. Proprio lei, l'ultima persona a cui avrei mai pensato, specialmente perché ne ero angosciato. Avevo paura di lei, e tutto a causa di quei terribili incubi che riempivano le mie notti, da quasi una settimana ormai. La cosa che più mi angosciava era il perché di quegli incubi. Megumi non era una mia parente o una mia amica, non era una persona a me cara, eppure ero certo di averla sognata molto più spesso io di chiunque altro, persino dei suoi genitori.

Ma perché?

“Non faceva altro che spiarmi da viva, e adesso mi tormenta anche da morta.” Decisamente una brutta cosa da dire o da pensare, ma era quello che provavo. L'unica cosa che desiderassi in quel momento era che mi lasciasse in pace.

Tutt'un tratto, i passi cominciarono a farsi meno distanti, mentre li sentivo chiaramente avvicinarsi di più alla porta.

Avevo il cuore in gola.

-Ehi, ma questi due già dormono della grossa! E io che volevo una mano con i compiti. Va beh, vorrà dire che li farò da sola. Grazie tante, eh!

La porta si richiuse tanto velocemente quanto era stata aperta.

“Meno male, era solo Aoi-kun. Accidenti a lei e alla sua mania delle ronde notturne.” Pensai. In quel momento tutte le mie preoccupazioni mi apparvero come la cosa più stupida di questo mondo.

Il sonno in me, nel frattempo, era cresciuto, facendosi sempre più strada nella mia mente, senza lasciarmi via d'uscita.

Ed in quel momento mi addormentai.

 

- - -

 

-Ah!

Un incubo. L'ennesimo.

“Non ne posso più di questi dannati incubi.” pensai.

Mi sveglia di soprassalto, con l'affanno e la paura che mi scorreva ancora nelle vene. Non ne potevo davvero più di quegli incubi spaventosi e la protagonista ne era sempre lei.

-Megumi. Dannata Megumi, si può sapere cosa vuoi?!

I miei pensieri s'interruppero all'ennesimo suono di passi provenienti da fuori, passi leggeri e scaltri, diversi da quelli di prima.

-Non posso crederci...se è di nuovo Aoi-kun, domani mattina gliele canto. Sembra proprio che stasera nessuno voglia lasciarmi dormire. Ehi, Tohru-chan sei sveglio?

Nessuna risposta.

“Beato lui che dorme così tranquillo e beato.”

Tentai di riaddormentarmi, ma invano. C'era qualcosa che mi bloccava.

Insonnia? No.

Paura.

I passi si fecero più vicini e sentii la porta aprirsi, ma nessuno entrò.

Tutt'un tratto vidi qualcosa sotto al letto di Tohru, un qualcosa di terrificante che mi lasciò senza fiato.

Strisciava, contorcendosi come un serpente, silenzioso come un insetto. Mi fissava, con quegli occhi bui e spenti, senza vita, e con quel sorriso beffardo sul viso pallidissimo.

E rideva con una voce fievolissima.

Quando uscì completamente da sotto al letto riuscii a riconoscere quella figura spaventosa, guardandola in volto.

-Megumi... Megumi Shimizu.- fui in grado di dire, in preda al panico. Non potevo crederci.

Che fosse l'ennesimo sogno, o meglio, l'ennesimo incubo?

No. Quella volta no. Era tutto fin troppo reale, fin troppo agghiacciante. Quella ragazza che stava lì, in piedi di fronte a me, che mi fissava con quello sguardo vuoto era proprio Shimizu. In carne ed ossa.

“E' viva...?”

-Yuuki-kun. Mi sei mancato tantissimo. - disse sorridendo, mentre nei suoi occhi una luce color sangue sembrò prendere vita.

Sudavo freddo, in preda al panico più totale.

D'un tratto, il suo sguardo si spostò, rivolgendo quegli occhi maledettamente terrificanti a Tohru.

No...Tohru-chan...Tohru-chan!”

-Odio questo tipo. - disse quell'essere, guardandolo con occhi pieni di disgusto e odio puro.

-Yuuki-kun, spiegami. Perché preferisci stare con lui, anziché con me? E' strano. Vero, Tatsumi-san?

Girai lentamente il capo, cercando in tutti i modi di riuscire a riprendere possesso del mio corpo che pareva come bloccato, nel tentativo di guardare oltre la finestra, ma l'unica cosa che vidi fu solo il buio più totale, agghiacciante come mai prima d'allora m'era apparso.

D'un tratto, nel buio due luci apparvero, limpide e scarlatte; brillavano del colore del sangue. Sembravano fissarmi, mentre l'unica cosa che potevo fare era rimanere lì, immobile, senza poter fare nulla, con gli occhi spalancati e pieni di terrore e sgomento.

-Tohru Mutou, vero?

-Smettila.

-Che nome orrendo. Come il proprietario.

-Smettila!

-Non difenderlo, Yuuki-kun. Probabilmente anche lui diventerà tuo nemico. - disse Megumi, mentre si avvicinava lentamente al corpo inerme di Tohru.

-Non avvicinarti! Lascialo stare!

L'unica cosa che potei fare in quel momento è gridare. Ma mi parve come se la voce non uscisse, per quanto mi sforzassi. E nonostante la mia disperazione, lei continuava, imperterrita, ad avvicinarsi a lui, spalancando la bocca. Nel buio più totale, i canini affilati di Shimizu brillavano come perle, mentre sfioravano lentamente il collo di Tohru.

Non riuscivo a muovermi. Avrei voluto fermarla, avrei voluto allontanarla da lui, avrei voluto proteggerlo. Tuttavia, non ne fui in grado. Il mio corpo era come morto, così come il mio cuore. Avevo giurato che non avrei permesso a nessuno di portarmelo via.

Avevo giurato che saremmo stati sempre insieme.

Avevo giurato di rimanere con te.

-Buonanotte, Tohru Mutou.

 

Perdonami.

 

-Smettila! Tohru-chan!

 

Ti prego...perdonami.

 

TOHRU-CHAN!!!

 

 

 

Fine quarto capitolo

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La speranza, la tua voce ***


Capitolo 5

La speranza, la tua voce

 

 

 

 

“It's time to let go,

it's time to carry on with the show

don't mourn what is gone, greet the dawn

n'I will be standing by your side

together we'll face the turnig tide.”

 

 

* * *

 

 

-Potrei vederlo?

-...Si, fa pure.

La madre di Tohru singhiozzò nel rispondere, e suo padre se ne stava, con uno sguardo pieno di dolore, perso nel vuoto a fissare il pavimento della stanza in cui c'era il suo amato figlio.

Una stanza abbastanza piccola, riempita da vari fiori, ricevuti in dono da amici e parenti, per Tohru. Mi avvicinai lentamente alla bara color nocciola, ormai chiusa, e ne aprii, sempre molto lentamente, il piccolo coperchio.

“Tohru-chan...”

Ciò che vidi fu il volto senza vita del mio migliore amico. Probabilmente, quella fu la cosa più straziante che avessi mai visto in tutta la mia vita. Il volto della persona a me più cara, che un tempo sorrideva, si arrabbiava, parlava e mi guardava con quegli occhi stupendi sempre pieni di vita, adesso era lì, immobile e completamente senza vita.

Così freddo.

Mi chiesi dove fosse andato. Adesso, lì c'era solo il suo corpo, vuoto. Ma lui, dov'era? Avrei tanto voluto saperlo. Avrei tanto voluto vederlo.

“Tohru-chan...ti vendicherò. La farò pagare cara a chi ti ha fatto questo. La tua morte non resterà impunita. Per te...e per me.” Quella fu l'unica frase che potei rivolgergli in quell'istante lungo quanto un'eternità. Il solo vedere il suo viso senza vita mi aveva frantumato il cuore, più di quanto non lo fosse già. Rabbia, odio, tristezza, senso di colpa...tutte queste emozioni si contorcevano l'un l'altra nel mio cuore, non lasciandomi nemmeno il tempo di respirare.

Dopo aver rivolto quel pensiero a Tohru, mi voltai dall'altra parte per non piangere, diedi le condoglianze ai suoi genitori e me ne andai, verso la strada di casa mia. Restare lì un attimo di più mi avrebbe fatto impazzire sicuramente.

 

Tohru morì 3 giorni dopo quel terrificante episodio, di cui non si era accorto nessuno.

Nessuno tranne me, ovviamente, che avevo visto tutto con i miei stessi occhi e che avevo provato un terrore indescrivibile nel vivere quell'incubo sulla mia stessa pelle. La mattina dopo spalancai gli occhi per potermi rendere conto se si fosse trattato solo di un incubo oppure se tutto quel teatro di terrore fosse stato veramente reale. Mi avvicinai in fretta e furia a Tohru, per poterne vedere il collo.

Segni di morso. Ecco ciò che cercavo. E con mia grande gioia non ne trovai, tirando un sospiro di sollievo lungo quanto quella stessa notte. Subito dopo svegliai Tohru per accertarmi delle sue condizioni, ma lui sembrava star bene, era solo un po' assonnato.

E invece Tohru stava male. In 2 giorni manifestò subito i primi sintomi di anemia, ormai divenuta una cosa tipica di quel paese a partire dall'estate, e morì il quarto giorno, per arresto cardiaco.

Il mio sgomento fu tale che non riuscii a credere ai miei occhi né alle mie orecchie, quando lo vidi lì, su quel letto così familiare e caldo, senza vita. Mi sentii mancare, mi senti come se un pezzo di me fosse andato via per sempre.

Il pezzo più importante.

Ormai mi era chiaro che non si trattasse solo di una semplice e banale anemia, bensì di qualcosa di molto più grave e terrificante. Shimizu aveva ucciso Tohru senza pietà, con un odio disumano. Ed effettivamente, non credetti nemmeno per un istante che Shimizu fosse umana. Quella Shimizu che vidi quella sera, quella creatura mostruosa ed inquietante non era umana.

“Un vampiro.”

Esseri sovrannaturali che si nutrono di sangue umano. Non sapevo assolutamente nient'altro di vampiri e robe varie, non sapevo come combatterli, come annientarli. Dovevo, tuttavia, trovare a tutti i costi un modo per distruggerli tutti; solo così avrei vendicato lui, che non aveva fatto niente di male ed eppure me lo avevano portato via. Non potevo sopportare un simile dolore, non più.

Così decisi di reagire.

Iniziai a cercare ogni tipo d'informazione possibile su quelle creature sovrannaturali e, in questo modo, venni a conoscenza della loro paura dei crocefissi, del fatto che non potessero essere esposti alla luce del sole, perché altrimenti sarebbero morti bruciati.

Ad un certo punto, credetti di essere diventato pazzo. O almeno, se avessi provato a parlarne con qualcuno, questi mi avrebbe sicuramente preso per un folle.

Fu allora che decisi di provare il tutto per tutto. Tanto, non è che avessi altro da perdere, eccetto la mia vita.

Mi rivolsi anche al dottor Ozaki, il dottore del paese. Un medico senza dubbio professionale e molto legato al suo lavoro, che avrebbe fatto qualunque cosa per i suoi pazienti.

 

-Salve, potrei farle un paio di domande? - dissi io, con aria trafelata, datosi che avessi corso per tutto il tragitto per trovarlo appena in tempo, prima che andasse via dal suo studio.

-Dimmi. Tu sei...?

-Yuuki Koide. Piacere.

-Capisco, sei il figlio di Koide. Di cosa volevi parlarmi?

Un attimo d'incertezza, ma poi mi tornò in mente il motivo che mi aveva spinto ad arrivare fino a quel punto.

Vendicare Tohru.

-Riguarda Shimizu. Megumi Shimizu-san. E' stato lei ad esaminare il suo corpo e... - m'interruppi un attimo, incerto, ma poi continuai - ...ad effettuare l'autopsia, giusto?

Un lampo di sorpresa nello sguardo del dottore, che non sfuggì ai miei occhi.

-Si, l'ho fatto. Ed ho anche scritto il suo certificato di morte.

-Ma lei...era davvero morta giusto? Prima di mettersi a ridere, mi faccia finire. Quello che intendo dire è che a volte vi sono anche dei casi di morte celebrale, no?

-Indubbiamente, ma non nel suo caso. La sua è stata una morte cardiaca; successivamente, ha anche mostrato segni di livor mortis e rigor mortis. Non c'è alcun dubbio che fosse morta, s'è questo che ti stai chiedendo. Se ci fosse stata anche la minima possibilità che fosse stata viva, l'avrei esaminata attentamente, anche se ciò fosse andato contro il volere della sua famiglia.

Sembrava davvero serio, mentre mi diceva quelle cose in maniera del tutto professionale. Eppure, qualcosa che mi sfuggiva c'era ancora.

-Quindi... quindi non è assolutamente possibile che Shimizu sia ritornata in vita?

Mi stupii della mia stessa domanda.

Il dottore rise, dicendomi semplicemente che, se fosse successo, sarebbe stato sotto forma di zombie o vampiro. Tutt'un tratto, però, il sorriso svanì dal suo volto, trasformandosi in sgomento. Lo stesso sgomento che si formò dentro di me, alla pronuncia di quelle parole.

Sotto forma di vampiro. Esattamente quello che volevo sentire. Adesso ne avevo la certezza. Non ero diventato pazzo, assolutamente no; la verità stava venendo a galla ormai.

-Ehi, tu! Perché sei venuto a farmi queste domande? - mi chiese poi lui, dopo un attimo d'esitazione.

Io lo fissai per un po', ma poi mi voltai e mi avviai per la mia strada.

“Lo faccio solo per lui.” Era quello il motivo delle mie strane domande. Evidentemente, però, il dottore non le aveva trovate strane. Senza dubbio, anche lui stava cercando una soluzione a quella fantomatica epidemia che si era manifestata dagli inizi dell'estate, con l'arrivo di quei nobili a Satoba. A modo suo, anche lui voleva risposte. Io, le mie, le avevo quasi trovate tutte.

Nei soggetti che si “ammalavano”, iniziava tutto con un'anemia. Nessuna ferita, strane punture d'insetto. L'anemia aumentava col passare dei giorni eppoi il decesso improvviso.

Strane punture d'insetto.

Sbagliato.

Erano morsi. Morsi di vampiri. Erano quelli che uccidevano le persone. Erano stati dei morsi ad uccidere Tohru.

Fu in quel momento che promisi che avrei fatto davvero di tutto per non morire. Non volevo morire. Io dovevo vivere. Dovevo restare in vita anche per lui, a cui la vita l'avevano strappata via.

Dovevo farlo per lui e lui soltanto. Ed anche per me, perché mi avevano strappato un pezzo di cuore; ormai non vivevo più per nessun motivo, se non per dare vendetta a lui. Mi era rimasto solo il suo ricordo. E non avrei permesso a nessuno di portarmi via anche quello.

 

* * *

 

-Natsuno, io esco. Bada alla casa mentre non ci sono.

-Va bene, mamma. E papà?

-E' sul retro, a lavorare come al solito. Ci vediamo dopo.

-Va bene, ciao.

Mia madre chiuse la porta della camera e poco dopo la sentii uscire di casa, ovviamente senza chiudere la porta d'ingresso. Era diventata una nuova abitudine dei miei non chiudere più a chiave le porte. Loro l'avevano chiamato “vantaggio di vivere in un paese piccolo e sperduto, dove non succede mai niente di male, niente furti né omicidi; insomma nulla.”

Per me, tuttavia, rimaneva un'incoscienza, specialmente dopo le scioccanti scoperte che avevo fatto sull'”epidemia” che girava nel cosiddetto “paese piccolo e sperduto, dove non succede mai niente di male”. Io, da parte mia, per sicurezza, ogni volta che i miei uscivano chiudevo sempre la porta d'ingresso, sempre. Non potevo rischiare nulla. Cosa sarebbe successo se “loro” fossero entrati in casa mia? Cosa avrei fatto? Come mi sarei difeso? Non potevo permettermi una simile leggerezza, in particolar modo dopo la strana apparizione in casa mia di un'inquietante bambina con una bambola che chiedeva di me, quando io non ero in casa, dicendo che avrebbe portato anche suo fratello. Quella bambina...era sicuramente una risorta. Un vampiro.

Passò un altro giorno, poi un altro, eppoi un altro ancora. Ancora niente. Fortunatamente, quella bambina non si era più presentata, tanto meno suo fratello. Il terrore, tuttavia, in me non era sparito, a differenza dei miei genitori, che già non ci pensavano più.

“Razza d'incoscienti che non sono altro.” pensai.

Nonostante l'incoscienza dei miei genitori, io mi sentivo abbastanza tranquillo. Avevo modo di difendermi, avendo trovato, fra gli attrezzi di mio padre, una chiave inglese che non usava più; quindi, se anche fossi stato attaccato, almeno una piccola possibilità di farcela l'avevo. Senza contare il piccolo crocefisso che mi ero costruito, di nascosto dai miei ovviamente, che non sopportavano cose come la superstizione e la religione.

-Devo stare calmo. Se mantengo la calma, sono certo di poter sopravvivere. Io DEVO sopravvivere.

Lo dissi con una grande convinzione e forza d'animo, che mai avevo avuto prima.

Tutt'un tratto, però, udii un rumore provenire dalla finestra della mia camera, come un picchiettio. Chi poteva essere, a quell'ora di notte?

Fu allora che capii.

“Sono loro.”

Strinsi la mia chiave inglese fra le mani, terrorizzato, ma comunque lucido.

La figura dietro la finestra si fece più nitida, e fu allora che riuscii a riconoscere la sagoma di un uomo. “Deve essere il fratello di cui parlava quella bambina...” fu la prima cosa che mi venne in mente. Shimizu non poteva essere di certo: si vedeva chiaramente che si trattava di un uomo.

Tentava imperterrito di forzare la finestra della mia camera, invano. L'avevo chiusa saldamente, come d'abitudine. Non avrebbe avuto nessuna possibilità d'entrare nella mia stanza.

Ero al sicuro.

Tutt'un tratto, l'uomo si fermò. Sembrò quasi fissarmi, al di là di quella finestra, nel tentativo di capire chi fossi. Fu allora che si allontanò, dirigendosi verso la porta d'ingresso. Non avevo alcun timore: avevo chiuso la porta a chiave, come d'abitudine.

O almeno così credetti io.

Sentii il suono di una serratura che si apre provenire dall'ingresso.

“Cosa?! L'ha aperta?! Com'è possibile? Ero sicuro di averla chiusa a chiave!”

Mentre cercavo di capire come avesse fatto ad entrare, mi venne in mente una cosa che mi sembrò di minima rilevanza, ma che poi si rilevò essere una cosa fondamentalmente importante.

“Ma certo...mio padre, oggi pomeriggio, è uscito...e quando è tornato a casa, ha lasciato la porta aperta. E io non l'ho chiusa.”

Ero sgomento. Sentivo il panico farsi strada nel mio cuore, come un fiume in piena. La mia sconsideratezza l'aveva avuta vinta, questa volta.

“Non posso morire in questo modo assurdo! Me ne andrò da questo villaggio, andrò al college e...” non riuscii più a continuare quel pensiero che mi apparve in mente. S'era pur vero che non volessi morire in quel modo assurdo, non era concepibile ch'io me ne andassi da lì. Non senza aver prima vendicato Tohru. Non potevo andarmene, lasciando qui un pezzo di me, anche se ormai quel pezzo non c'era più.

Non avrei mai potuto.

Sentii la porta d'ingresso aprirsi e chiudersi velocemente, e udii il suono flebile di passi che avanzano.

“Come quella volta...Tohru-chan.”

Sudavo freddo, ma non potevo perdere il controllo, altrimenti sarebbe stata la fine.

Ad un certo punto, però, il rumore di passi svanì, e sentii rumori provenire da fuori, come poco prima.

“Sta tornando fuori? Si può sapere cos'ha in mente?!” pensai, basito. Mi nascosi dietro la finestra, pronto ad attaccare con tutta la forza che avevo in corpo. Lo avrei catturato e portato dagli abitanti del villaggio, senza alcun dubbio. Ce l'avrei fatta, avrei vendicato Tohru. Lo avrei fatto per lui.

Vidi l'ombra dell'uomo bussare alla finestra e mi preparai ad attaccare.

Ma poi l'uomo parlò.

 

-Natsuno.

 

Quella voce.

Quella voce che usava per chiamarmi.

L'unico che usava quel tono di voce così dolce.

Avrei potuto riconoscere quella voce fra mille altre. L'unica voce in grado di scaldarmi il cuore.

 

La sua voce.

 

“...non è possibile...Non è possibile...”

Non poteva essere possibile.

-Natsuno...sono io. Aprimi, per favore. Ti prego, apri.

Mi sentii mancare. Era proprio lui.

Tohru.

La persona che più di ogni altra volessi vedere, la persona che più di ogni altra desiderassi era proprio lì e a separarci era solo una finestra chiusa. Avevo passato tutto il mio tempo, da quando se n'era andato, a cercare un modo per vendicarlo, per distruggere chi lo aveva ucciso...e adesso venivo a sapere che lui stesso era uno di loro.

Tohru era un vampiro. Un rinato.

“Tohru è...rinato. Tohru è vivo.” Tohru era vivo, pensai in quel momento. Non riuscivo a crederci. Forse non proprio vivo come lo ricordavo, ma comunque potevo continuare a sentire il suono dolce della sua voce e, probabilmente, a vedere i suoi occhi e il suo volto, se solo avessi aperto quella finestra.

E se fosse stata una trappola?

In fondo, lui era uno di loro, adesso. Avrebbe tranquillamente potuto uccidermi, se gli avessero fatto una qualche sorta di lavaggio del cervello.

“Non dovrei aprire. Ovviamente, sarebbe meglio restare chiusi qui, al sicuro.” pensai.

“Ma allora...perché la mia mano sembra muoversi da sola?”

Non so cosa mi spinse ad aprire quella finestra, non lo so nemmeno adesso. Eppure, fatto sta che la aprii.

E che non mi pentii mai della mia scelta.

 

Aprii la finestra e guardai fuori, cauto e nervosissimo allo stesso tempo. In fondo lì fuori c'era proprio lui. La persona più importante per me.

Tutt'un tratto, mi sentii afferrare il polso e mi scappò un urlo. Mentre cercavo di liberarmi dalla stretta forte e sicura, intravidi il volto della persona che mi stringeva il polso.

Un volto dall'espressione talmente triste, da far spezzare anche il cuore più duro.

-Tohru-chan... - sentii le lacrime arrivare ai miei occhi. Era vero. Era proprio lì, di fronte a me. Era proprio lui, non qualcun altro. E non era cambiato.

-Tohru-chan!

-Non guardarmi!

Tohru urlò, mi lasciò il polso e scappò via, per evitare di farsi vedere da me. Non riuscii a capire il perché di quel gesto assurdo; nonostante questo io dovevo sapere.

-Tohru-chan, aspetta! Non andartene!

Scavalcai la finestra ed iniziai a correre più veloce che potessi, nel tentativo di raggiungerlo.

“Non scappare, Tohru-chan.

Voglio vederti.

Voglio toccarti.

Voglio parlarti!

Ti prego, non andare via!

Non lasciarmi di nuovo!”

 

Non ti permetterò di lasciarmi.

Non di nuovo.

 

 

 

Fine quinto capitolo

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Ciò che si cela in un ricordo ***


Capitolo 6

Ciò che si cela in un ricordo

 

 

 

“Rewind, I wanna go it again,

light up the dark,

halo on the side

So I'll know

it will not leave me wanting,

I see my heart,

waving me bye-bye.”

 

 

 

* * *

 

 

Fin da quando arrivai in quel villaggio, mi sentii subito in trappola. Un villaggio sperduto fra le montagne, senza tipo d'intrattenimento alcuno; se ne stava lì, abbandonato dal mondo e da Dio.

I miei genitori avevano insistito tanto e alla fine c'erano riusciti: era il loro più grande sogno andare a vivere in un villaggio il più possibile fuori dal mondo, cercando in tutti i modi di convincere anche me, la cui idea di un villaggio sperduto faceva solo rivoltare lo stomaco.

Eppure, eravamo lì, tutti e tre, senza via di scampo. Almeno per me. Per quanto mi riguardasse, l'unica cosa che desiderassi era andare via il prima possibile, diplomarmi con buoni voti eppoi via, alla ricerca dell'università più vicina, in qualche grande metropoli.

Era questo il mio sogno, il mio desiderio più grande. E non avrei permesso a nessuno d'intralciarmi.

Non volevo amici, non volevo relazionarmi con nessuno. Da sempre, per me le persone erano sempre state solo e soltanto una seccatura, giocattoli troppo complessi di cui prendersi cura.

Un fastidio, insomma.

Per questo motivo, e anche per il fatto che me ne sarei comunque andato, decisi fin dal mio primo passo in quel villaggio, che non avrei avuto mai un amico. Mai.

Era una cosa semplice, in fondo; le persone dei villaggi piccoli sono pettegole, sanno sempre tutto di tutti e, come mi aspettavo, in un decimo di secondo vennero a sapere anche della mia esistenza, del mio nome, della mia professione, tutto insomma.

Insopportabile, questo si, ma la loro curiosità mi diede un grande aiuto per riuscire nel mio intento: ben presto, quasi tutti si fecero l'idea giusta di me: un tipo solitario, a cui serviva solo del tempo per relazionarsi con gli altri.

Una specie di asociale, a dirla tutta. Non che fosse diverso da come fossi davvero, ma non mi definivo proprio un asociale. Semplicemente, una persona che non voleva problemi, non più di quanti ne avesse già.

Fatto sta, che non erano passate nemmeno due settimane dal mio arrivo, che già ne avevo fin sopra i capelli di quel dannato villaggio. Tutti, tutti i suoi pettegoli abitanti mi davano ai nervi. Qualunque cosa facesse chiunque, era sempre sulla bocca di tutti, come se i cittadini si divertissero a fare i paparazzi con i poveri vip che capitavano loro di mira.

Una mattina, me ne stavo tornando da scuola con la mia bici, come mio solito, ma dovetti subito scendere dal sellino, rendendomi conto di avere bucato.

-Uffa, ci mancava anche questa. Come se non bastasse quella tizia che mi spia giorno e notte come un mendicante in cerca di elemosina, e tutti i pettegolezzi che girano su di me. Sono veramente stanco di questo villaggio, non smetterò mai di maledire i miei genitori! - gridai, quasi. Lo dissi con convinzione, come per farmi sentire da qualcuno, quasi a farlo apposta, di modo che poi nessuno mi avesse più infastidito.

Fatto sta che, ironia della sorte, qualcuno effettivamente mi sentii e non potette fare a meno di ridere alla mia esasperazione.

Mi voltai per vedere chi fosse a ridere di un povero disgraziato quale ero, in attesa della visione di qualche vecchietta pettegola, ma ciò che vidi fu un qualcosa di gran lunga superiore alle mie aspettative.

Era un ragazzo, poteva avere qualche anno più di me, probabilmente. Alto, con un bel viso, dall'aria gentile. “Il classico tipo che piace a tutti” pensai istintivamente. Mi venne subito in mente che io, i tipi come lui, non li avevo mai potuti vedere; né in città, tanto meno in quel villaggio sperduto.

-Si può sapere cos'hai da ridere? - biascicai io, guardando quella figura magra proprio di fronte a me, con un sguardo terribilmente accigliato.

Lui, dal canto suo, non fece molto caso alla mia espressione, perché si mise a ridere tranquillamente, come se nulla fosse, gesticolando un po' con le mani.

-Scusa, scusa. Non avevo alcuna intenzione di prenderti in giro, tranquillo.

“E ci mancherebbe altro.” pensai, continuando a guardarlo in cagnesco.

-Senti ma.. - disse lo strano tipo tutt'un tratto, puntando il dito verso di me. - hai bucato?

Rimasi un po' di stucco e, con aria interrogativa, gli dissi “Cosa?”, ma quella che ne scaturì fu solo una fragorosa risata da parte sua. In quel momento capii che alludeva alla mia bici, della quale mi ero completamente dimenticato, sempre a causa di questo tizio fastidioso.

Ancora più innervosito, feci retro-fronte, con la bici appresso, e mi avviai per la mia strada, tentando di dimenticare quello spiacevole incontro.

“Tu guarda che razza di tipo assurdo, Dio che nervi! Ci mancava solo questa, oggi.”

Pensai così tante cose che il mio cervello si riempii e per un attimo non riuscii a sentire il suono di passi dietro di me, persistente e sicuro, quasi a mo' di sfida. Quando mi resi conto che quell'individuo mi stava seguendo, decisi semplicemente d'ignorare la sua esistenza, altrimenti sarei stato capace di dirgliene di tutti i colori, e di litigare non avevo davvero la voglia, né la forza.

Tuttavia, quel ragazzo non aveva la minima intenzione di lasciarmi in pace, tanto più che si mise anche a correre per raggiungermi.

In preda all'esasperazione più totale, mi voltai di scatto, pronto ad urlargliene di tutti i colori, ma me lo ritrovai proprio davanti, a nemmeno un metro di distanza e, di fatto, i miei piani andarono in fumo.

L'unica cosa che fui in grado di dire, in maniera molto seccata, fu – Si può sapere cosa vuoi?!

-Perdona la mia insistenza, ma sei troppo simpatico e non avevo voglia di lasciarti andare così.

Troppo simpatico? Io?! Mi chiesi seriamente quale fosse il problema di questo ragazzo. Un problema doveva averlo per forza, se affermava con tale convinzione che io fossi simpatico. Lo stavo praticamente trattando a pesci in faccia, e l'unica cosa che mi disse lui era che ero troppo simpatico.

“Assurdo.”

-Mi trovi simpatico?

“Vediamo ora che mi risponde.”

-Si, e anche molto. Più che altro, sei un tipo interessante, di quelli che si fa fatica a trovare, specie in un villaggio come questo.

“Che strano tipo.”

-E sentiamo, adesso che cosa vorresti da me?

-Voglio che diventiamo amici.

-...Ah?

“Vuole cosa? Amici? Con questo tizio? Non ci penso proprio.”

-Scusami, ma non ho la minima intenzione di diventare tuo amico. Sono venuto in questo villaggio perché mi ci hanno costretto, e ho giurato che non avrei avuto amici, qui. - dissi io, senza troppi giri di parole.

“Meglio essere chiari fin da subito, con questa gente.” pensai, ed effettivamente era proprio quello che volevo. Se avessi mentito dicendo cose tipo “sono timido” o “siamo incompatibili” e altre cazzate varie, avrei sicuramente aumentato l'interesse di quel tizio; invece, così facendo, non gli avevo lasciato praticamente nessuna via d'uscita.

O almeno, io credevo fosse così. Peccato che l'ostinazione di quel ragazzo andasse contro i limiti di sopportazione umani.

-Beh, ma non fa niente se non vuoi tu. A me basta essere tuo amico, poi tu fai quel che vuoi. - esclamò lui, con un sorriso beffardo, ricco di sfida, come chi non ha nulla da perdere e gioca tranquillamente la sua mano a poker, incurante delle conseguenze.

Io, dal canto mio, ero rimasto talmente basito che non sapevo più cosa dire. Sarà stato il nervosismo, sarà stata la presenza soffocante di quel tizio, sarà stato il caldo; l'unica cosa che fui in grado di rispondere, in quel preciso istante fu un misero “Ma fa un po' come ti pare!”; e mentre io riprendevo la strada verso casa, più stizzito che mai, lo sentii dirmi, con grande euforia, una frase che mi rimase impressa nel cervello, e che non andò mai via.

-Beh allora ci vediamo domani!

Non tanto per il senso in se di quella frase, non tanto per come l'avesse detta. Mi rimase impressa nella mente perché nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, con tanta leggerezza nella voce e nell'animo. “Ci vediamo domani”; lo aveva dato per scontato, come se fosse una cosa ovvia, indissolubile, scontata come il sole che sorge la mattina.

In qualche modo, quella frase mi fece sentire vivo. Era da tanto che non provavo una simile sensazione al cuore. Ormai essere vivo era diventata una cosa scontata; la mia mente non avrebbe mai cavalcato l'onda di simili pensieri, però adesso ci stavo pensando, stavo riflettendo sul vero senso della vita, su cosa significasse davvero vivere.

Anche se non fui in grado, in quel momento, di trovare una risposta.

 

Tornai a casa e chiesi a mio padre di aggiustarmi la bici, di cui mi ero quasi di nuovo dimenticato.

Prese subito tutto il necessario, capace come chi faceva quel mestiere da una vita, e in pochi minuti l'aggiustò, veloce come sempre.

-Adesso che viviamo qui, devi stare più attento quando vai in bici. Qui non ci sono marciapiedi lisci e compatti, come quelli che ci sono in città, qui c'è molta ghiaia. Se non fai più attenzione, finirai per bucare la bici ogni volta che ci sali sopra. - mi disse lui, con tono serio. Era da lui prendere ogni cosa seriamente, come se fosse una questione di vita o di morte, ma, d'altro canto, questa cosa non mi dispiaceva più di tanto; mi faceva fare molta attenzione a tutto, di modo che non avrei sbagliato mai, o quasi.

-Lo so, papà, cercherò di stare più attento.

-Bravo. Ma dì un po': ti è successo qualcosa?

“Che strana domanda.” - No, perché me lo chiedi?

-Niente, è che sembri diverso dal solito. E' come se nei tuoi occhi ci fosse una luce nuova, se così posso dire.

In quel momento non capii perché mi venne in mente quel ragazzo. Pensai che dovesse essere la stanchezza, o semplicemente mio padre che si faceva troppi pensieri; comunque fosse, non ci feci molto caso e a mio padre dissi che probabilmente si sbagliava, che mi sentivo uguale come ogni giorno, né più né meno.

Eppure, il pensiero di quel ragazzo di cui non conoscevo nemmeno il nome, restò a farmi compagnia ancora per un po'.

 

* * *

 

-Hai bucato di nuovo? - disse, ridendo di nuovo di me, proprio come il giorno prima.

-Non capisco cosa ci sia da ridere. - bofonchiai io, seccato – Ti sembra cosi assurdo bucare, ogni tanto?

-Appunto, ogni tanto. Sono due giorni di fila che passi di qua, e sempre con la ruota sgonfia.

-Ma di che t'impicci?

-Mi piacerebbe aggiustartela, se mi permettessi – disse lui, mentre mi indicava soddisfatto tutti i suoi arnesi con i quali, sicuramente, aveva molto a che fare ogni giorno.

D'altra parte io, orgoglioso come pochi, non avevo nessuna intenzione di farmela aggiustare da lui; se ne sarebbe vantato fino al giorno dopo, se mi fosse andata bene.

-No, grazie. - dissi io, avviandomi per la mia strada, senza far troppo caso a quello che diceva lui.

Ad un tratto però, sentii una presa da dietro, qualcosa che mi bloccò e che m'impediva di andare avanti.

-Permettimi di aggiustarla, per favore.

Insistente. Aveva preso il sellino della mia bici con forza, impedendomi di poter semplicemente rispondere no e andare via, come avevo fatto ieri; probabilmente quello doveva essere stato un movimento ben studiato, da parte sua.

Ne avevo abbastanza di quel teatrino dannatamente seccante, così decisi di arrendermi alla sua insistente proposta.

-Non preoccuparti, per me non è un fastidio. - disse lui, guardandomi fisso negli occhi e facendomi sentire un po' a disagio. - Tu sei il ragazzo della bottega, giusto? Ieri non abbiamo avuto modo di presentarci.

-Ma che peccato – dissi io, sarcastico.

-Simpatico come sempre, eh?

-Se non mi sbaglio, ieri mi hai detto di starti simpatico. O sbaglio?

-Non sbagli – arrangiò lui, mentre era all'opera con la ruota bucata. Le sue mani si muovevano veloci come quelle di un esperto e, per un momento, mi venne in mente mio padre. Anche se il modo in cui si muoveva quel ragazzo era molto più naturale, a differenza sua. - E' raro che qualcuno mi vada a genio subito, ma con te ho sentito subito un certo...feeling, se così posso dire.

-Ti sei innamorato di me? - dissi io ridendo e, ammettendolo, quella situazione mi divertiva molto. Era una cosa che non mi succedeva da tempo, ridere così, in quel modo stupido e spontaneo, in compagnia di una persona che forse avrei potuto considerare qualcosa di più di un semplice giocattolo troppo complicato di cui prendersi cura.

-Questo è un segreto! - esclamò poi lui ridendo, e le nostre risate si unirono, creando un coro di voci allegre che si sparsero in tutta l'aria calda e afosa di quella mattina d'estate.

Ad un tratto, però, mi venne in mente il mio obbiettivo primario: non affezionarmi a nessuno. Per questo motivo, decisi di mantenere le distanze da quel ragazzo; anche se mi sarebbe piaciuto forse -e dico forse- diventare suo amico. Tuttavia, non potevo permettermelo.

-Io mi chiamo Mutou Tohru. Piacere di conoscerti.

Tohru. Che strano nome. Non lo avevo mai sentito, nonostante prima vivessi in una grande città. Il suo nome aveva qualcosa di particolare, era un nome corto e dolce, che ti entrava subito in mente. Un nome bello. Tutt'altra cosa rispetto al mio, che era orribile. Odiavo il mio nome, per questo a chiunque incontrassi dicevo solo il mio cognome; anzi, i miei cognomi, datosi che ne avessi due: sia quello di mio padre che quello di mia madre.

Alla sua domanda, scontata tra l'altro, di dirgli il mio nome, io risposi con un semplice “Yuuki Koide.”

A quella risposta, lui rimase un po' in silenzio, come se fosse in attesa di qualcosa di più, come se stesse aspettando un qualcosa che non sarebbe arrivato mai.

-E il tuo nome? Qual è? Chiamare le persone per cognome confonde, per cui è meglio che ti chiami per nome.

-Non importa, il mio nome è irrilevante. Comunque sia, grazie per la riparazione.

-Eh, se no a che servirebbero i vicini?

“A niente.” pensai in quel momento, in un attimo di pura acidità che mi contraddistingueva dagli altri, rendendomi antipatico a tutti. Eppure nonostante questo, io a lui stavo simpatico; me lo aveva detto così, senza troppi giri di parole. Ancora non riuscivo a credere di poter stare simpatico a qualcuno, nonostante il mio caratteraccio.

-Beh, ciao. - dissi.

-Ciao! Mi raccomando, torna a trovarmi qualche volta.

-Perché dovrei ritornare?

Tohru mi guardò con una faccia rassegnata, ma comunque contenta e serena; ormai il suo volto si era stampato nella mia mente e non voleva proprio andare via.

Mi sembrò quasi che ogni sua singola espressione sfilasse all'interno della mia mente, come un eterno carnevale, che non voleva lasciarmi in pace, nemmeno per un attimo e che sembrava quasi prendersi gioco di me e delle mie convinzioni.

“Non devo farmi nessuna amico, altrimenti non riuscirò mai ad andare via.” continuavo a pensare, e tutto per cercare di far svanire dalla mente il suo volto sorridente, il volto dell'unica persona che era stata gentile con me, senza volere niente in cambio.

 

 

Il mattino dopo, puntualmente, come se lui stesso se lo aspettasse, tornai lì, da lui. Non sapevo nemmeno io perché fossi tornato, o perlomeno non me ne riuscivo a rendere conto. Mi sentivo come se le mie gambe, quella mattina, si fossero mosse da sole verso casa sua, come se avessero voglia di rivederlo.

“Che assurdità.”

-Ehilà, ci si rivede!

-Ho bucato di nuovo.

-Mi fa piacere! - disse lui, che sembrava addirittura essere contento che mi si fosse bucata la ruota, forse perché desiderava vedermi ancora una volta. - Sai, dovresti stare più attento quando vai in bici, qui la strada è tutta piena di pietroline che bucano le ruote, vedi? - e mi indicò un buchetto quasi invisibile che c'era nella ruota della mia bici. Mi sembrava strana tutta la passione che ci metteva nel spiegarmi le cose, quasi come se non vedesse l'ora di parlarmi di tutto, quasi come se volesse instaurare una qualche sorta di contatto con me. Alla fine, però quello più strano ero io. Perché? Perché ero tornato lì, se a casa avevo mio padre che mi avrebbe potuto tranquillamente aggiustare la bici da sé, senza quindi bisogno di tornare da lui? Perché non riuscivo semplicemente a lasciarmi alle spalle il suo volto? Era veramente una situazione scomoda, per me. Non avevo idea di come comportarmi ed ogni suo singolo gesto mi faceva sentire a disagio.

Perso nei miei pensieri, non mi resi conto che era già da un po' che Tohru mi chiamava e che aveva deciso di scuotermi un po', per farmi riprendere dal mio stato di catalessi.

-Eh? Che succede? Che vuoi?

-Ma stai ancora dormendo? Sono due ore che ti chiamo.

-Esagerato. Comunque, che vuoi?

Un sorrisino beffardo si formò sul suo volto.

-Sai cosa? Tuo padre mi ha detto il tuo nome.

-Cosa?

-Natsuno. Che bel nome che hai.

Arrossii. Era successo tutto all'improvviso, che non potei fare a meno di arrossire ed in quel momento pregai il cielo che non mi vedesse; non l'avrei mai potuto sopportare.

Perché mai mio padre non si faceva mai i fatti suoi?

“Dannato...” maledirlo fu l'unica cosa che mi venne in mente in quel momento.

-Non chiamarmi per nome.

-Eh? - stupore sul suo viso – Perché no? E' un bel nome.

-Io odio questo nome.

-Ma dai, non ne hai nessun motivo. A me piace! Quindi ti chiamerò così, anche perché per cognome è troppo difficile.

“Ostinato come pochi...”

-Fai come ti pare. - dissi, mentre lui sogghignava nell'aggiustarmi la ruota, sotto il sole cocente di giugno.

 

Avevo intenzione di andarmene, qui non volevo nessun amico.

Non volevo affezionarmi a nessuno.

Volevo stare da solo.

O almeno...era ciò che desideravo.

 

* * *

 

-TOHRU-CHAN!

Continuavo a chiamarlo, nel buio della notte che ci aveva fatti rincontrare, ma nessuna risposta arrivava alle mie orecchie. Ormai erano più di 15 minuti che lo cercavo, ma sembrava come essere svanito nel nulla, come se la notte lo avesse portato via con se.

“No...non posso perderlo di nuovo. Devo trovarlo. Tohru-chan!”

Il suo pensiero continuava a sfiorarmi, il suo ricordo si faceva sempre più forte nel mio cuore e non riuscivo più a capire cosa fare. Se non avessi aperto la finestra della mia camera, se l'avessi lasciata chiusa, se mi fossi affidato alla mente, senza ascoltare il cuore...adesso non sarei in questa situazione.

Ma per lui...avrei fatto qualsiasi cosa.

Dovevo vendicarlo. Era l'unica cosa che avevo in mente. Quegli esseri che lo avevano fatto diventare così...dovevano pagarla.

La verità, però, era che io non ci stavo pensando. Non volevo pensarci. Ogni volta che nella mia mente compariva la sua immagine, l'unica parola a cui pensavo era “vendetta”. Volevo vendicarlo, ma in realtà per tutto quel tempo, l'idea che lui fosse morto non mi era ancora entrata in testa al cento percento.

“Non volevo ricordare. Per tutto questo tempo, mi sono accanito su questa fantomatica vendetta...ma la verità è che non volevo ricordare tutti i momenti trascorsi con lui.” mi fermai un attimo, accasciandomi a terra, inerme e senza forze.

-Fa troppo male... - sentii le lacrime rigarmi il viso, ormai stanco e consapevole di ciò che era successo. Per tutto quel tempo non avevo pianto, neanche una volta. Adesso, però, che avevo finalmente capito...non ce la facevo più ad andare avanti.

Non volevo ricordare. Non volevo ricordare che, fra tutti quanti, si erano presi proprio lui, la persona più meravigliosa che avessi mai incontrato.

Fra tutti quanti, perché proprio lui? Perché proprio lui?

-Non mi sarebbe importato se fosse stata Shimizu o qualcun altro. Avrei continuato la mia vita, senza risentimenti alcuni. Ma si sono presi lui...fra tutti proprio lui. Perché fra tutti proprio Tohru-chan!

Ero disperato. Non sapevo più che fare. Ero lì, da solo, nel buio della notte e di lui non c'era traccia, neanche la minima.

“In tutti i bei ricordi che ho di questo villaggio...c'è sempre lui.”

Lentamente, ogni ricordo, ogni singolo momento trascorso con lui, ogni risata, ogni scherzo, ogni litigio, ogni incomprensione, ogni cosa mi tornò alla mente, senza lasciarmi scampo; tutto, tutto di questo villaggio mi ricordava lui.

 

- - -

-Ehi Natsuno!

-Cosa c'è?

-Guarda qua! Che bella!

-Cos'è?

-E' una calendula. E' appena sbocciata, e ben presto ne cresceranno altre, ne sono sicuro.

-E come fai a saperlo? Te ne intendi di giardinaggio?

-No, è solo che questo è il mio fiore preferito.

“Il fiore preferito di Tohru-chan. Io non ce l'ho nemmeno mai avuto un fiore preferito, a differenza sua. Mi fa un po' invidia, a dirla tutta.”

-Tu hai un fiore preferito, Natsuno?

-No. Anche se un po' mi dispiace.

-E perché mai?

-Perchè mi sembra quasi come se mi fossi allontanato un po' di più da te, adesso che so che tu hai un fiore preferito...e io no.

“Ma che sto dicendo? Adesso mi prenderà in giro per una settimana.”

-Oh beh, se la metti così, allora potrebbe diventare lei il tuo fiore preferito. Che ne dici?

“Non mi ha preso in giro...incredibile. Sei sempre così gentile...chissà se le merito tutte queste gentilezze che mi dai.”

-Si, va bene!

-Ehi, quanta allegria!

“E' solo grazie a te se sono allegro, Tohru-chan.”

 

- - -

 

-Perchè la sua mano...è diventata così fredda?

Fredda come il ghiaccio, così diversa da com'era prima; calda e accogliente.

Rimasi ancora un po' accasciato a terra, con lo sguardo perso nel vuoto, quando all'improvviso sentii un rumore alle mie spalle, che mi fece destare da quell'incubo ad occhi aperti in cui mi trovavo. Mi voltai di scatto, nella speranza che quel rumore di passi provenisse dalla persona che tanto desideravo vedere.

-Tohru-chan!

-Mi dispiace deluderti, ma non sono il tuo Tohru.

Un uomo dalla figura snella ed alta apparve di fronte ai miei occhi, ancora scossi da quello che avevano ricordato, e fissavano lo strano individuo, che aveva delle grandi orecchie sulla testa.

Le orecchie di un lupo.

-Tu...non sei umano, giusto?

-Esatto. Sei perspicace, ragazzo. Mi piacerebbe avere tipi come te nella mia squadra.

-....Cosa vuoi da me?

L'uomo esitò un attimo prima di rispondere, ma poi si decise. - Oh, niente di particolare. Devo solo ucciderti.

 

 

Fine sesto capitolo

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2311421