Stubborn Love

di __iriis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - Chapter I ***
Capitolo 2: *** Chapter 2. ***
Capitolo 3: *** Chapter 3. ***
Capitolo 4: *** Chapter 4. ***
Capitolo 5: *** Chapter 5. ***
Capitolo 6: *** Chapter 6. ***
Capitolo 7: *** Chapter 7. ***
Capitolo 8: *** Chapter 8. ***
Capitolo 9: *** Chapter 9. ***
Capitolo 10: *** Chapter 10. ***
Capitolo 11: *** Chapter 11. ***
Capitolo 12: *** Chapter 12. ***
Capitolo 13: *** Chapter 13. ***
Capitolo 14: *** Chapter 14. ***
Capitolo 15: *** Chapter 15. ***
Capitolo 16: *** Epilogue. ***



Capitolo 1
*** Prologue - Chapter I ***


sl

Prologo 

Stava seduta sulle scale di quella piccola casetta in legno costruita nel parco giochi vicino casa. Sarebbe dovuta servire per far giocare bambini, peccato che li i bambini non ci andassero. 
In quello spazio si riunivano spesso gruppi di ragazzi che impegnavano le loro giornate a drogarsi e bere birre. Lei lo sapeva. Lei lo faceva una volta.
Era passato tanto tempo dall'ultima volta in cui aveva messo piede a Brooklyn. Gli ultimi quattro mesi li aveva passati in una clinica di riabilitazione nell'Illinois. La droga e l'alcol la stavano lentamente uccidendo, consumando ogni singola cellula, ogni singola speranza di poterne uscire. Se adesso era ancora viva e si trovava lì doveva solo ringraziare se stessa. 
Lei aveva fatto tutto da sola, non aveva avuto bisogno di nessuno perché sapeva che nessuno l'avrebbe aiutata. I suoi amici non erano le persone che credeva fossero, erano mostri, erano parassiti. L'avevano condotta in quel fottutissimo tunnel dove stava per rimetterci la pelle. 
Aveva deciso di lasciarsi tutto alle spalle, tutto quello che apparteneva al passato sarebbe rimasto a Brooklyn. Quella clinica le aveva ridato la speranza in una vita nuova. 
Genevieve era rinata, completamente.


 
Chapter 1

Camminava per le vie deserte del quartiere con le mani infilate nelle tasche dei suo giubbotto. Faceva freddo, e lei non amava particolarmente quella sensazione di gelo. Le piccole nuvolette di fumo che le fuoriuscivano dal naso si disperdevano sotto ai suoi occhi coperti dai grandi occhiali da vista.
Aveva avvisato sua madre che sarebbe arrivata, ma non sapeva ancora se le andava di farle visita. L'unica persona che sarebbe dovuta rimanere al suo fianco in quel periodo buio l'aveva abbandonata, proprio come tutti, ma Genevieve non portava rancore. Per lei quelle persone non contavano più nulla. Aveva capito che per lei erano come il cancro, un male orribile, e non valeva la pena farsi il sangue amaro senza motivo. 
Scalciò un piccolo sassolino, mandandolo diritto in una pozzanghera fresca di poche ore.  
Quante volte aveva percorso quella stessa strada, quante volte aveva sporcato quelle mura, urlato nel bel mezzo della notte in quel viale fin troppo conosciuto?
Era il posto in cui era cresciuta, e per quanto avrebbe voluto non sarebbe mai stata capace di cancellarlo dalla sua testa, dalla sua vita. 
Eppure era ritornata a casa dopo tutto quello che aveva passato. Aveva lasciato qualcosa lì che non riusciva ad ignorare. Lo sentiva nella sua testa, battere come un fastidioso martello. Era qualcosa di più di un semplice ricordo. 
Quella piccola parte del suo passato era ancora presente, e avrebbe dovuto farci i conti prima o poi.


Mosse qualche passo in avanti, entrando nel cortile malandato di quel vecchio stabilimento. Si muoveva lenta, osservando attentamente quel luogo così familiare. I vecchi pneumatici distrutti dal tempo erano dove li aveva visti l'ultima volta. Le cassette di legno, gli alberi spogli, il terreno bagnato che ti sporca le scarpe. Ricordava ancora tutte le volte in cui aveva dovuto pulire i suoi décolleté dopo essere stata in quel posto. Nulla era cambiato.
Camminò lentamente, svoltando il primo angolo, poi si fermò, restando impalata con i piedi affondati nel terreno e con il viso rivolto dinanzi a se.
Anche loro erano lì, dove li aveva visti per l'ultima volta. 
Non riusciva ad avanzare, avrebbe voluto voltare le spalle a quei ragazzi e scappare via. Ma non ci riusciva, non poteva, non voleva.
Deglutì quel orribile nodo che le si era formato alla gola, senza staccare gli occhi da loro che non si erano ancora accorti della sua presenza. 
Li vide scoppiare in una fragorosa risata e quel suono che non sentiva da tempo le illuminò corpo e anima.
Costrinse le sue gambe a muoversi, sentendole pesanti come piombo. Il cuore iniziò a battere forte nella sua cassa toracica, rischiando di esplodere.
Tutto quello non aveva senso, ma d'altronde cosa aveva mai avuto senso in vita sua? 
«E' scappato via come una fottuta femminuccia.» 
Si avvicinava sempre di più, riuscendo a distinguere ogni singola parola. 
Sentiva un maledettissimo peso spingere sul suo stomaco, l'intestino attorcigliarsi su se stesso ed il respiro farsi sempre più pesante.
Se solo avesse saputo che sarebbe stato così maledettamente complicato... Ma ormai era troppo tardi. Non poteva tornare indietro. 
«E poi bam! E' andato a sbattere con la faccia al muro ed è svenuto!» disse il biondino, facendo ridere ancora una volta tutti gli altri. «Me la stavo facendo sotto dalle risate!»
Genevieve si fermò a pochi passi da loro, seduti tutti su due panche poste l'una di fronte all'altra. I primi tre alzarono gli occhi su di lei, bloccandosi di colpo. Gli altri due si voltarono di scatto, dopo aver visto le improvvise espressioni degli amici, e quasi non si strozzarono con la loro stessa saliva.
«Oh mio dio! Non posso credere ai miei occhi.» esclamò il moro del gruppo, sorridendo impertinente. «Genevieve Lawrence!»
La ragazza non gli diede molta importanza, come aveva sempre fatto da quando l'aveva conosciuto. Lei era lì per un altra persona. 
Era tornata per quei due occhi smeraldo che la fissavano smarriti.  
«Ciao Harry.» Buttò fuori tutta l'aria che aveva trattenuto senza neanche rendersene conto. Le bruciavano i polmoni, il cuore, il cervello. Era tutto un fottutissimo fuoco, e faceva male, da morire.
«Qual buon vento?» Il ragazzo dalla pelle olivastra, decisamente troppo scura rispetto a quella degli altri quattro inglesi, si alzò dalla panca, accendendosi una sigaretta e guardando Gen con un sorriso sghembo.
«Chiudi il becco Malik!» il biondo che stava di fianco a lui gli tirò una gomitata e lo guardò serio, ricevendo in tutta risposta un occhiata infuocata.
«Cosa ci fai qui?» Harry si era alzato anche lui. Aveva infilato le mani nelle tasche dei suoi jeans neri consumati dalle troppe volte in cui li aveva messi e guardò la diciannovenne dai capelli nocciola con sguardo duro. I suoi occhi erano diventati incredibilmente scuri per quanto fossero cupi, e la sua mascella era tesa più di una corda di violino.
«Sono tornata.» sussurrò Genevieve con un filo di voce. Le sue iridi azzurre cercavano disperatamente di attaccarsi a quelle verdi di Harry, ma il ragazzo abbassò lo sguardo sulle sue converse bianche.
«Non avresti dovuto.» disse infine, alzando la testa e passandosi una mano tra i capelli. «Perché sei tornata?» chiese ancora, mentre le sue labbra si chiudevano in una sottile linea.
«Possiamo parlare da soli?» Genevieve aveva la tendenza a parlare sempre con quella voce così maledettamente bassa, la stessa che aveva fatto incazzare Harry milioni di volte. Troppo diversi, eppure così dipendenti l'uno dall'altro.
«Quello che hai da dirmi puoi farlo anche davanti a loro.» Harry indicò con un gesto della mano i suoi amici che erano rimasti in silenzio per tutto il tempo, cercando di farsi gli affari propri, anche se quella situazione non poteva di certo essere ignorata.
«Per piacere...» Continuava a torturarsi le mani, mentre sperava che Harry l'avesse accontentata, allontanandosi da lì, solo loro due. Ma questo non accadde. 
Il riccio cercò di trattenere la calma, ma quest'ultima e la pazienza non erano mai state tra i suoi pregi.
«Perché cazzo sei tornata, Genevieve?» sbraitò in faccia alla ragazza, perdendo completamente il senno. Gen sussultò, facendo un passo indietro. «Per stare con me e poi sparire nel nulla facendomi soffrire di nuovo come una cane?» 
Come dargli torto? Aveva deluso l'unica persona che aveva amato più della sua inutile vita. Aveva speso gli anni migliori con lui che era stato la sua "prima volta" in tutto, e poi era scomparsa da un giorno all'altro senza dirgli niente. Cosa si aspettava? Che l'avesse accolta tra le sue braccia sussurrandole dolci parole?  Genevieve lo sapeva che quello accadeva solo nei film e nelle fiabe. La vita reale è uno schiaffo in pieno viso, non ti da mai quello che ti aspettavi. La vita, quella vera, non è mai rose e fiori. Genevieve lo sapeva bene, fin troppo. 
Incassò il colpo basso che Harry le aveva dato, calando il capo e cercando di trattenere le lacrime. Aveva imparato che per essere forti non bisognava piangere, mai.
«Se hai queste intenzioni è meglio che tu lo dica adesso Genevieve. Non ho bisogno di altro dolore.» Harry spezzò quel silenzio, e a voce bassa questa volta pronunciò quelle parole.
«Mi sei mancato più dell'aria, Harry.» Lottò con tutta se stessa per impedire alle lacrime di avere la meglio, ma i suoi occhi lucidi la tradivano senza successo. «Credi sia stato facile starti lontana?»
«Dimmelo tu Gen, io non so più nulla ormai.» mormorò sconfitto il ragazzo davanti a lei. 
«No, non lo è stato. Avevo bisogno d'aiuto, non lo capisci? Se fossi rimasta qui un giorno di più sarei annegata in quello schifo.» Non se ne rese conto che piccole lacrime presero a scendere lentamente dai suoi occhi azzurri. Un mare in tempesta.
«Non mi hai permesso di aiutarti.»
«Dovevo farlo da sola, Harry, combattere quella guerra con le mie forze.»
Genevieve incatenò i suoi occhi a quelli del ragazzo, dimenticandosi completamente dei suoi amici delle numerose avventure.
C'erano solo loro due, nel bel mezzo di quello spazio. 
«Sono tornata.» fece un passo avanti, e un altro ancora, ritrovandosi a pochi centimetri da lui. Poteva sentire il suo cuore battere come impazzito, il suo respiro irregolare sulla sua pelle, quel qualcosa che l'aveva sempre portata a voler desiderare un suo tocco, in ogni istante, senza mai averne abbastanza. Ma il suo problema era proprio quello. Genevieve non avrebbe mai potuto fare a meno di quei capelli disordinati, gli occhi verdi, l'espressione perennemente corrucciata, le sue mani grandi, le spalle larghe e quel carattere che aveva sempre voluto cambiare, ma alla fine era lo stesso che amava incondizionatamente.
«Sono tornata perchè senza di te non riesco ad andare avanti.»
«Hai sbagliato.» disse secco Harry, riassumendo l'espressione dura che aveva poco prima. Per quando l'avesse amata e per quando l'amava ancora il dolore che aveva patito non aveva scuse. «Le cose non sono rimaste a quattro mesi fa Gen, il mondo va avanti.» Perse un battito quando la chiamò con il suo soprannome, ma il sorriso amaro di Harry faceva male.
«Allora è finita, Harry?» mormorò Genevieve con le mani che le tremavano come foglie scosse dal forte vento autunnale.
«E' finita nel momento in cui sei sparita.» le riservò un ultima occhiata piena di dolore, rancore e odio. Odiava il fatto che fosse partita e ritornata senza tener conto di lui, del suo cuore e del suo amore. Odiava il fatto che adesso lei pretendesse che tutto ritornasse come prima. La odiava perché l'amava fottutamente troppo.

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Capitolo 2
*** Chapter 2. ***


sl


Chapter 2

 
Genevieve stava sistemando tutte le sue cose nel nuovo piccolo monolocale che aveva preso in affitto. Non era un granchè ma andava bene per lei che aveva bisogno solo di un tetto sulla testa in quel momento, e poi si adattava alla perfezione con il suo misero stipendio.
Aveva trovato lavoro in una caffetteria non molto lontano da casa. Calcolando che lei non aveva mai tenuto tra le mani un vassoio, le era andata più che bene.
Mentre tirava fuori dalla valigia gli ultimi vestiti e li appendeva nell'armadio alla vecchia radio passava Thunderstruck degli AC/DC.
Si sedette sul bordo del letto ad una piazza e mezza e si guardò intorno. Aveva dato una bella ripulita a quel buco, e sembrava molto più decente adesso che il profumo di due candele alla vaniglia si diffondeva nell'aria. Aveva tolto le tende vecchie ed ingiallite, lavato il pavimento, i mobili, tolto la polvere e fatto un po di spesa. Appena avrebbe preso il prossimo stipendio avrebbe comprato della pittura color rosa pesca. Quelle pareti bianco sporco non le piacevano affatto, le incutevano tristezza e lei non ne aveva proprio bisogno di quella roba.
Quel giorno il suo turno alla caffetteria sarebbe cominciato tra meno di un ora, così Gen si sbrigò a farsi una doccia calda e a vestirsi con abiti piuttosto pesanti.
Prese la borsa, il cappotto ed il cappello, chiudendosi successivamente la porta dell'appartamento alle spalle. Scese quella piccola rampa di scale che la divideva dal portone e finalmente fu fuori dal condominio.
Il freddo in quei giorni si era intensificato enormemente, tanto che aveva costretto molte persone a stare a letto con la febbre. Genevieve aveva il vaccino che la proteggeva, ma era molto scettica a riguardo. 
Attraversò un lungo viale alberato, svoltando poi a destra. A pochi metri vi si trovava il bar, e l'insegna colorata gli trasmetteva un aria accogliente.
«Buongiorno Jack.» entrò all'interno del locale, sentendosi subito risollevata dall'ambiente riscaldato. L'uomo le fece un cenno e poi ritornò con lo sguardo sulle sue scartoffie. Non era un asso con i conti, così a volte Genevieve si occupava anche della contabilità. 
Si liberò degli indumenti di troppo ed indossò il grembiule con la scritta 'Penelope'. Non sapeva realmente il perchè di quel nome. Nessuno lì si chiamava in quel modo, ma poco le importava.
«Come va con la casa nuova?» Georgia spuntò dalla porta sul retro strofinandosi le braccia e pulendosi i piedi sul tappetino. Era andata molto probabilmente a fumare, e quei cinque minuti fuori le erano costati un naso incredibilmente rosso.
Gen sorrise, indicando quest'ultimo, poi rispose. «Abbastanza bene. Devo solo pittare le pareti.» disse, legandosi i capelli nocciola in un crocchia abbastanza disordinata. 
L'amica, che aveva conosciuto qualche mese prima, quando aveva iniziato a lavorare da Penelope, la guardò trionfante e allungò una mano per farsi dare il cinque.
«Te l'avevo detto io. -prese una tazza bianca e ci versò dentro del latte caldo che aveva appena riscaldato- Bisogna fidarsi di Georgia dai capelli rossi.» Genevieve scosse la testa e accettò molto volentieri il latte, prendendone un sorso che le bruciò in gola, ma immediatamente un tepore improvviso la riscaldò dall'interno.
«Devo far aggiustare i riscaldamenti però. Stamattina mi sono svegliata con il culo freddo come un cubetto di ghiaccio. -starnutì- E rischio anche di morire d'impotermia durante la notte.» aggiunse, soffiandosi il naso.
«Non ti servono i riscaldamenti amore mio.» Georgia uscì dal bancone e si sedette sullo sbagello accanto a lei. Avrebbero aperto il locale tra pochi minuti e quegli attimi che riservavano solo a loro stesse erano preziosi. «Tu hai bisogno di calore umano e affettivo. Cosa meglio di un fidanzato?» concluse allargando le braccia con ovvietà e sorridendo.
«Geo, ti prego. Quest'argomento per me è off limits.» disse spostando lo sguardo sulla sua tazza, accarezzandone il bordo con la punta dell'indice.
Georgia al suo fianco sospirò e le poggiò un bacio sulla testa, alzandosi. «E va bene. Ma prima o poi dovrai lasciarti alle spalle anche lui.» concluse allontanandosi per dare un ultima ripulita in giro.
Gen scosse la testa e sospirò. Allontanò la tazza da sotto il suo naso e si portò dietro l'orecchio un ciuffetto di capelli sfuggito.
Aveva raccontato tutto di se a Georgia. Ormai era diventata la sua migliore amica. Era una ragazza ok, non si drogava e non beveva. La sua unica dipendenza erano le sigarette, delle quali non riusciva a farne a meno.
Si erano conosciute proprio quando Gen aveva elemosinato un lavoro in quel bar, e l'aveva ottenuto grazie soprattutto alla rossa dagli occhi neri. 
Di Harry le aveva detto tutto, dalla prima all'ultima cosa. Parlare di lui in fondo era anche un modo per raccontare della sua vita, e lei aveva fatto entrambe le cose. Non c'era episodio che Georgia non conoscesse. Aveva sicuramente trovato il suo tesoro in quel posto, e non l'avrebbe lasciato andare. Era l'unica persona che aveva, la sua medicina, il suo sole nelle giornate buie, la sua esplosione di felicità. Georgia era tante cose, sempre buone e mai cattive.
Harry era l'ultimo ostacolo che la separava dall'essere completamente serana, ma sapeva che quell'operazione avrebbe richiesto tempo, molto più del previsto. 
Piangeva ancora la sera, proprio come una bambina. Nonostante avesse compiuto da poco vent'anni, lei portava ancora con se i ricordi dell'adolescenza passata in compagnia di Harry. 
Erano passati tre mesi da quando le aveva confessato che la loro storia era definitivamente chiusa, finita, messa sotto chiave e gettata via. Erano passati tre mesi, ma la speranza di Genevieve era ancora accesa come un fuoco ardente. 
Per lei Harry non era un caso chiuso. Per lei Harry era quell'illusione che le dava la forza di svegliarsi la mattina ed andare avanti.
Harry viveva ancora dentro di lei.


Tra una mezz'ora circa Genevieve avrebbe finito il suo turno. Erano le sette e mezza quando guardò l'orologio per l'ennesima volta. Quella giornata era stata davvero stancante e noiosa. 
Se ne stava dietro al bancone con entrambe le braccia poggiate sul piano, e si teneva la testa mentre la muoveva lentamente a ritmo di musica. Quella stazione radio le teneva compagnia in momenti come quelli. Georgia aveva finito prima, poichè aveva da sbrigare alcune commissioni e così aveva chiesto un favore a Jack.
Tamburellò le sue unghie verniciate di rosso sul legno del bancone e nell'esatto momento in cui sbuffò sonoramente il campanello che avvisava l'entrata di qualcuno all'interno del bar, suonò.
Gli occhi azzurri di Gen guizzarono sulla figura alta e abbastanza muscolosa che vi entrò, ma si fecero immediatamente cupi. Le sue labbra di chiusero in una linea dura.
«Ciao Genevieve.» Il ragazzo si avvicinò e prese posto sullo sgabello di fronte a Gen. Il perenne sorriso impertinente che aveva stampato sul viso Genevieve l'aveva sempre odiato.
«Che vuoi Zayn?» chiese dura, allontanandosi e prendendo le distanze.
«Un uccellino mi ha detto che hai iniziato a lavorare qui. Mi trovavo da queste parti e così ho voluto verificare.» rispose come se fosse una cosa normale e fece spallucce.
«Ripeto la domanda. Che vuoi Zayn?» ripetè a denti stretti la castana, stringendo i pugni.
«Harry ha iniziato a fare boxe.» disse inchiodando i suoi occhi ambrati in quelli chiari della ragazza. Genevieve sussultò, ma non lo diede a vedere.
«E dovrebbe importarmi?»
«Penso proprio di si, Gen. -quel sorrisetto sghembo ritornò- E' una cosa clandestina, e anche abbastanza pericolosa. Ho assistito all'ultimo incontro di Harry, e ne è uscito vivo solo perchè l'ho trascinato via come un sacco di patate.» Qualcosa iniziò a stringere all'altezza del suo stomaco, e faceva sempre più male. Chiuse gli occhi, sentendo quel dolore così familiare ritornare più forte che mai.
«Volevo chiederti se puoi venire e parlargli. Può darsi che a te da ascolto. Noi abbiamo già provato di tutto. -fece una pausa- Se continua così si fa ammazzare.» concluse serio, con sguardo afflitto.
Genevieve riaprì gli occhi, sentendoli pizzicare esageratamente. «Non è più affar mio. Può fare quello che vuole.» gli diede le spalle e si appoggiò al lavandino, inspirando a fondo.
«Cazzo Gen!» il moro sbattè un pugno sul bancone, rischiando di romperlo. «Non puoi dire così! Lo ami oppure no?» chiese alzando di poco la voce. Le poche persone che erano in caffetteria in quel momento si voltarono, ammutolite.
«Non gridare.» lo guardò in cagnesco, voltandosi di scatto. «Fuori!» fece il giro del bancone e intimò a Zayn di seguirla. Il ragazzo ubbidì senza fiatare.
«Per Harry io non conto più nulla, ok? Non verrò a parlargli per fargli cambiare idea. Vuole farsi uccidere di botte una sera si e l'altra pure? Ma che lo faccia! La mia vita non gira attorno al suo fottuto ego, non più.» Prese fiato, riempiendo i suoi polmoni di quell'aria gelida. «I-io non posso, mi dispiace Zayn.» disse poi, scuotendo la testa. Si strinse su se stessa, mentre iniziava a sentire il freddo entrarle nelle ossa.
«Perchè Genevieve? Ora lo odi tanto da volerlo vedere morto?» sbraitò Zayn con il sangue negli occhi, afferrando la mora per le spalle e dandole un forte scossone. 
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, e le lacrime si riversarono sulle guance arrossate di Genevieve.
«I-io non lo odio.» balbettò con la voce impastata dalle lacrime. «Ho paura che se dovessi incrociare i suoi occhi soffrirei ancora di più, e non voglio.» Le sue iridi celesti furono in quelle di Zayn. Tirò su con il naso e singhiozzò. 
Non si era mai comportata così con lui. Tra loro c'erano state sempre e solo discussioni, battibecchi e frecciatine. Niente di sentimentale. Niente che facesse pensare ad una presunta amicizia. Ma allora perchè Zayn l'aveva attirata a se e adesso la stava stringendo in un caloroso abbraccio? 


Genevieve camminava a passo svelto per raggiungere il più in fretta possibile il piccolo supermarket all'angolo di quella strada deserta. Aveva affondato il viso nell'enorme sciarpa grigia che sposava alla perferzione con il cappello dello stesso colore e messo entrambe le mani nelle tasche calde. Quel gelo la stava decisamente uccidendo. Lei e l'inverno non erano mai andate d'accordo. 
Costrinse i suoi piedi chiusi in un paio di caldi stivaletti a muoversi per gli ultimi metri e velocemente si infiló nel negozio riscaldato.
«Brrr» annunció pulendosi i piedi e rivolgendo uno sguardo cortese alla cassiera giovane dai capelli tinti di lilla. Storse lievemente il naso quando la vide con in dosso solo una maglietta a mezze maniche nera, giusto per mettere in risalto i suoi orribili tatuaggi sparsi per le braccia. 
Genevieve afferrò un cestino e iniziò a girovagare per i pochi scaffali, riempiendolo con le cose essenziali che le sarebbero servite per i giorni successivi. 
Dopo dieci minuti la ragazza aveva finito la sua spesa e si mise in fila alla cassa per pagare. Qualcuno la urtò bruscamente mentre era ferma ad aspettare il suo turno, e le passó davanti, posando la bottiglia di vodka che aveva tra le mani sul banco. La cassiera lo guardò leggermente intimorita e Gen la vide deglutire nervosamente. L'uomo che era dietro Gen e che aspettava anch'egli il suo turno, parlò rivolgendosi alla figura maschile davanti a loro. «Mettiti in fila e aspetta il tuo turno, moccioso.» sputò rabbioso. Il ragazzo in questione si voltó e Genevieve sussultó incredibilmente quando incrociò quegli occhi verdi che tanto amava e che adesso la stavano guardando pieni di odio. «Fottiti stronzo.» disse a denti stretti voltandosi nuovamente. L'uomo che l'aveva provocato rimase in silenzio, forse intimorito dalla risposta del ragazzo. «Ti sbrighi?» gridó quest'ultimo in direzione della povera cassiera impaurita e questa annuì frettolosamente, incassando la banconota da venti dollari che il ragazzo le aveva dato. Uscì da lì senza neanche attendere il resto, e sparì dietro le porte scorrevoli. 
Genevieve molló il suo cestino nel bel mezzo della fila e corse fuori dal negozio, sentendo subito l'aria fredda pungerle sulle guance arrossate. Lo vide camminare con andamento lento e una mano infilata nella tasca dei pantaloni, mentre nell'altra reggeva la bottiglia di alcol appena aperta. «Harry!» gridó nella sua direzione, ma il ragazzo la ignorò e continuò a camminare nel buio di quella sera. Lo raggiunse correndo e sentendo le ginocchia come pietrificate. «Harry!» ripetè fermandolo per un braccio. Il riccio si voltò verso di lei con uno strano sorriso stampato sul volto stanco e distrutto dalla droga. I suoi occhi rossi e le pupille dilatate. Gen sapeva benissimo in che stato si trovasse Harry. 
Le faceva un male cane vederlo cosi, sentiva quell'orribile morsa allo stomaco e un peso enorme premere sul suo cuore ammaccato.
«Perchè lo fai?» sussurrò Gen, respirando con difficoltà. Il suo petto si alzava ed abbassava ad intervalli irregolari.
Harry iniziò a ridere e prese un sorso dalla bottiglia, avvinghiandovi come se fosse l'unica sua salvezza. «Ma che ne sai tu, eh? Sai solo scappare dai problemi, non li affronti.» continuava a ridere, strafatto come non mai. Poggiò la schiena contro il muro di quel vecchio palazzo e chiuse gli occhi, inspirando profondamente. «Perchè diavolo sei tornata Gen? Vattene a fanculo di nuovo in quella cazzo di clinica per psicopatici.» Quelle parole dette con tanta rabbia penetrarono dentro Genevieve. Si insediarono nella sua testa, nonostante questa continuasse a ripeterle che fosse ubriaco e non ragionava. Ma allora perchè per lei quelle parole avevano senso? Era vero, forse non sarebbe mai dovuta tornare. In fondo non aveva nessuno in quel posto. Harry l'odiava più dei suoi vecchi amici, che non avevano perso tempo a sputtanarla in giro per il quartiere. Sua madre non era la persona che sarebbe dovuta essere, ma solo un altro essere umano come tutti gli altri. Lei era sola. Ma non le importava. 
Era tornata per dimostrare a se stessa che poteva farcela, che lei era forte e quelle persone che la stavano distruggendo non contavano più niente. 
«Hai ragione Harold. Non sarei dovuta tornare, ma non starò qui a guardarti mentre ti uccidi con le tue fottutissime mani. Hai diciannove anni, una vita intera davanti a te! -gridò alzandosi leggermente sulle punte per inchiodarlo con il suo sguardo glaciale- Smettila di prendere quella merda, -afferrò la bottiglia e la scaraventò per terra- smettila di fare tutto questo!» Eppure quello era sempre stato il suo tratto distintivo, lui lo sapeva bene. Harry doveva aspettarselo che prima o poi Genevieve sarebbe scoppiata come una bomba ad orologeria. Lei aveva i minuti contati, sempre. Quando qualcosa non le andava più bene, esplodeva. 
Aveva gli occhi spalancati, fissi in quelli verdi e cupi di Harry. Non rideva più, si era lasciato completamente andare contro il muro, scivolando per tutta la parete, finendo col sedersi sul marciapiede freddo e sporco.
«Io ti amavo, e tu mi hai lasciato da solo.» disse guardando nel vuoto, con la voce rotta. Tirò su col naso immediatamente dopo, contorcendo il viso in un espressione forzata. Non voleva piangere, lui era un duro. Genevieve lo capì.
«Come pretendi che adesso trovi la forza per uscirne se non ci sei tu con me?» alzò lo sguardo su di lei che aveva appena inumidito le sue labbra secche per il freddo. Gen lo guardò come si guarda un cane abbandonato per strada e che raramente le persone hanno il coraggio di raccogliere e portare con se.
«Io ci sono Harry, sono qui per te. Perchè non lo capisci?» si inginocchiò di fronte a lui, poggiando le mani sulle sue. Voleva che capisse ciò che aveva appena detto, perchè lei ci credeva vivamente a quelle parole.
Harry continuava a guardarla perso, smarrito, abbandonato. Ma lui non lo era, no. «Ti prego, credimi Harry.» Il ragazzo strinse in una mano entrambe quelle di Genevieve, lasciandosi andare. Poggiò la testa sul petto di colei che gli stava promettendo qualcosa di davvero grande. La strinse tra le sue braccia possenti, tanto da farle male per un istante. E quel contatto, anche se per poco, gli aveva fatto rivivere tutti i momenti passati insieme. Harry non avrebbe potuto cancellarli, mai.
«Per quanto voglia Genevieve, non riesco a crederti e questo non fa altro che buttarmi sempre più giù.» Le lasciò un veloce baciò sulla fronte e si alzò da lì.
Genevieve rimase accovacciata su quel marciapiede per un tempo che non seppe definire. Era tutto fermo intorno a lei, e dentro di lei. 
Non sapeva cosa provare, quali erano le sue emozioni, i suoi sentimenti. Era tutto semplicemente... Spento.
 

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Capitolo 3
*** Chapter 3. ***


sl


Chapter 3


Gen era rannicchiata sul fondo della sua vasca da bagno vecchia ed ingiallita. L'acqua calda scorreva lenta sul suo corpo freddo. 
Era rientrata dopo un tempo interminabile da quando Harry l'aveva lasciata sul ciglio di quella stradina nel bel mezzo del nulla. Aveva freddo e continuava a battere i denti. Ma non le importava.
Nulla aveva più senso e come aveva previsto, rivedere i suoi occhi le aveva solo portato altro dolore. Quello lancinante che sentiva al petto da due mesi a questa parte. A volte più intenso, altre più lieve. Ma mai si sarebbe aspettata di poter soffrire così tanto per amore, per quel comune ragazzo che per lei significava il mondo intero.
Adesso il suo frigo era vuoto, la sua pancia reclamava qualcosa da mangiare ma lei non aveva la forza di aprire bocca.
Aveva incanalato le sue energie in lacrime che aveva pianto tutte quella sera, sotto la doccia, mentre ripensava ad Harry, a loro due insieme, felici come non mai.
Aveva represso l'impulso di afferrare qualsiasi oggetto tagliente mordendosi un polso più volte. Aveva battuto la testa contro le piastrelle del muro e si era morsa un labbro fino a farlo sanguinare. In fine si era alzata e aveva infilato il pigiama. 
Marcire sul fondo della vasca da bagno non era ciò che le avevano insegnato alla clinica. 'Mai buttarsi giù'. E lei lo stava facendo, decisamente.
Le coperte del suo letto erano troppo fredde, non aveva alcuna voglia di aspettare che si riscaldassero. 
Afferrò due di quelle borse d'acqua calda che aveva comprato qualche giorno prima e le infilò tra le lenzuola, sperando che riuscissero a scaldare il tutto.
Si sedette sul piccolo divano a due posti che c'era nel salotto/cucina e si portò le ginocchia al petto. Niente televisione, niente radio, niente riscaldamento. 
Restò in quella posizione per molto, con lo sguardo fisso in un punto, poi si ricordò di avere un cellulare, recuperato dopo essere uscita dal rehab, poichè questo aveva iniziato a squillare insistentemente.
Si alzò cauta e ritornò nella sua camera, dove trovò il telefono e titubante rispose al numero che non conosceva.
«Pronto?» chiese con quel tono di voce che non lasciava trasparire nessun emozione.
«Gen, sei a casa?» La ragazza aggrottò le sopracciglia e si risvegliò in lei una certa curiosità. 
«Chi parla?»
«Sono Zayn. Sei a casa?» chiese nuovamente il ragazzo e Gen sbattè più volte le palpebre. 
«Come hai il mio numero?» ignorò ancora la domanda di Zayn, troppo distratta da quella sua chiamata che non si sarebbe decisamednte mai aspettata.
«Cazzo Gen! -gridò il moro- Sei a casa, si o no?» perse la pazienza e lo sentì sbuffare.
Zayn Malik non le aveva mai rivolto più di un saluto forzato e qualche insulto, perchè ora le dava tutte quelle attenzioni e la cercava continuamente?
«Sono a casa, ma a te che importa?» continuò, ritornando fredda e distaccata. Si sedette sul bordo del letto, strofinando tra di loro i piedi scalzi.
«Sto per venire, ho bisogno di parlarti.»
«Zayn ma sono le undic-» non ebbe modo di finire la sua frase che il moro aveva già messo giù la cornetta ed era partito per andare a farle quella strana visita notturna.
Genevieve fece scivolare nuovamente il cellulare sul letto e strinse un pugno tanto forte da sentire le unghie perforarle il palmo della mano. Perchè gli altri continuavano a decidere senza il suo consenso? Perchè?
Dopo dieci minuti il campanello malandato del suo appartamento suonò. Non si affrettò ad andare ad aprire, fece con calma e senza preoccuparsi della reazione di Zayn.
«Finalmente! Pensavo ti fossi addormentata.» Non appena Genevieve aprì la porta, Zayn si infilò velocemente nell'appartamento. 
Si guardò intorno curioso e sfregò entrambe le mani, soffiandoci poi in mezzo.
«Perchè qui dentro ci sono -4 gradi, mentre fuori sono appena 5?» chiese, rabbrividendo leggermente.
«Ho il riscaldamento rotto.» rispose impassibile la ragazza, chiudendo la porta e andando a sedersi sul suo letto, che sembrava essersi riscaldato almeno un po. «Siediti qui. Almeno non rischi di congelarti il tuo bel culo.»
Zayn alzò un sopracciglio e sorrise. «Hai i piedi scalzi consapevole di quanto faccia freddo? Ho sempre saputo che avevi qualcosa che non andava.» detto questo il moro si sedette sul letto di Genevieve e constatò che fosse decisamente più caldo.
«Come sai dove abito? Adesso mi segui anche, Zayn?» chiese a metà tra lo scocciato e l'innervosito.
«Non ti seguo, ho i miei informatori.» disse sorridendo sghembo, inclinando di poco la testa.
«Stasera ho incontrato Harry, al minimarket poco lontano dove lavoro.» si lasciò andare sul materasso e sospirò, chiudendo gli occhi. Non le importava più di nulla, se Zayn voleva diventare il suo migliore amico dei pigiama party glielo avrebbe permesso. «Strafatto ed ubriaco. Non si reggeva sui suoi stessi piedi.» continuò, mentre prese a fissare il soffitto ricoperto di piccole crepe.
Zayn stava zitto e la sua espressione si era completamente trasformata.
«Non c'è stato bisogno che venissi ad uno dei suoi incontri clandestini. Il destino a volte gioca brutti scherzi.» sorrise amaramente, mentre si portava le mani sul ventre piatto.
«Non l'ho sentito per tutta la giornata. -finalmente il ragazzo parlò- Ha tenuto il cellulare spento.» Si passò una mano tra i capelli davvero esausto e cadde disteso accanto a Gen.
«Non mi vuole. Non posso costringerlo. Vuole morire da tossico drogato. Può farlo liberamente.» disse la ragazza dagli occhi cielo voltandosi verso Zayn. 
Lo conosceva da anni, eppure non sapeva nulla oltre il suo nome.
Lui la imitò e inchiodò il suo sguardo in quello di Genevieve. Esitò per un istante, ma poi la sua mano si posò sulla guancia rosea della ragazza che non potè che spalancare gli occhi, colta improvvisamente di sorpresa. E successe in un attimo che Zayn ridusse le distanze tra loro e posasse un bacio delicato sulle labbra screpolate di Genevieve.
«Dopo che ti ho vista due mesi fa non riesco a smettere di pensare a te. Che diavolo mi succede Gen?»
Non aveva risposto la ragazza. Semplicemente non aveva parole. Nella sua testa c'era tanto di quel casino che aveva spento direttamente l'interruttore. Non voleva pensare per un pò, aveva isolato tutte le preoccupazioni fuori di se. Anche se il dolore era sempre lì.
«Vieni.» Zayn l'attirò a se ancora di più, dopo che lei aveva voltato la testa nella direzione opposta. 
Aveva alzato le coperte e vi si era infilato sotto insieme a Genevieve, senza essersi tolto prima le scarpe. Lei aveva poggiato la testa sul suo petto, mentre una sola lacrima silenziosa era scesa giù dai suoi occhi.
Lui le aveva riscaldato i piedi freddi, e l'aveva tenuta stretta, accarezzandole i capelli fino a quando non era caduta in quel sonno profondo. 


La luce debole del sole filtrava dalla finestra. Era una mattinta fredda e cupa, l'ennesima, uguale alle altre. Genevieve stava seduta sulla poltrona nell'angolo della sua camera con una tazza di the caldo fra le mani. Beveva a piccoli sorsi e di tanto in tanto si soffermava ad osservare la figura del moro che dormiva beato sul suo letto.
Ad ogni suo piccolo movimento Gen tratteneva il respiro, per paura di poterlo svegliare. Sembrava un altra persona mentre dormiva. Non aveva la solita espressione di quello incazzato con il mondo intero. Era semplicemente Zayn che adesso riposava tranquillo. 
Dopo che Gen si era alzata lentamente e aveva portato la sua tazza, ormai vuota, in cucina, Zayn mugugnò qualcosa portandosi poi una mano sul viso. 
«Che ore sono?» disse mentre teneva ancora gli occhi chiusi. Tastava il letto sotto di lui, alla ricerca forse del suo cellulare. La magia era finita e il solito Zayn era di ritorno. 
Genevieve scosse la testa e gli poggiò l'oggetto tra le mani. 
«Grazie.» disse lui mettendosi seduto con l'espressione corrucciata. Aveva sbadigliato e poi si era infilato velocemente le scarpe. Aveva disteso i muscoli e poi, rabbrividendo appena, si era alzato definitivamente.
«Dormito bene?» domandò Genevieve cortese. Lei si era svegliata decisamente troppo presto e guardare Zayn mentre ancora era nel mondo dei sogni l'aveva rilassata incredibilmente.
«Si, perchè?» rispose lui, incurvando un angolo della bocca in quello che doveva essere un mezzo sorriso.
«Sai com'è, io dormo quasi sempre male per via del freddo. -si infilò un maglione pesante- Ma vedo che non è un tuo problema.» Aveva precedentemente fatto una veloce doccia calda e adesso stava terminando il suo outfit per il lavoro.
«Sinceramente dormo come un sasso, quindi sono abbastanza insensibile al freddo durante la notte.» Alzò le spalle e accettò volentieri il caffè che Gen gli aveva preparato.
Aveva atteso in cucina e si era truccata leggermente mentre Zayn si dava una rinfrescata al volto in bagno. Era poi uscito con l'espressione più sveglia e si era preso la briga di lavarsi i denti con lo spazzolino della ragazza, aggiungendo poi un 'spero che non ti dispiaccia'. Genevieve aveva scosso la testa più volte e l'ombra di un sorriso aveva aleggiato sul suo viso per un istante.
«Senti... -Zayn aveva cominciato portandosi una sigaretta spenta dietro l'orecchio- Volevo parlarti di ieri sera e di quello che ti ho detto. Fa finta che io non abbia davvero detto quelle cose, non so davvero cosa mi abbia spinto a dirle.» disse poi grattandosi la nuca, sentendosi evidentemente fuori luogo. 
«Mi hai baciata e mi hai detto che non fai altro che pensare a me. Come posso far finta che tu non l'abbia detto?» rispose ovvia Genevieve, lasciando andare le braccia lungo i fianchi. Lo sguardo completamente perso in quei due pozzi ambrati del moro.
«I-io non lo so.» disse Zayn chiudendo gli occhi e stringendo forte la giacca tra le mani. Voltò le spalle alla ragazza e uscì dal suo appartamento sbattendo forte la porta.
Non appena fu in strada tirò un calcio ad un cassonetto, rischiando di rovesciarlo. 
«Fanculo!» gridò facendo voltare i pochi passanti che a quell'ora del mattino erano già in strada.
Si sentiva un coniglio, fottutamente codardo.


La giornata era passata decisamente troppo in fretta e Genevieve non aveva neanche fatto caso al tempo che scorreva veloce. Georgia aveva cercato di coinvolgerla in qualche discussione piccante, ma lei aveva più volte scosso la testa e si era scusata. La rossa aveva poi  gettato la spugna e si era dedicata al suo entusiasmante lavoro.
Erano le 6 in punto quando il cellulare nella tasca dei pantaloni di Gen vibrò. Lei lo tirò fuori mentre stava servendo un caffè e per poco non rovesciò il liquido scuro sul bancone non appena si accorse di chi era quel messaggio.
'Questa sera alle dieci Harry ha un altro incontro. Non so quanto possa importarti...'
Diceva così l'sms che Zayn le aveva appena inviato.
Restò a guardare quelle righe, rileggendole più volte, mentre il suo cervello assimilava la notizia. 
«Ehy bella, fammi caffè, amaro grazie.» Ripose nuovamente il telefono nella tasca e servì i clienti esigenti che avevano iniziato ad aumentare. Non le andava di perdere il lavoro.
Preparò numerosi caffè, qualche cappuccino e alcune cioccolate calde per una deliziosa coppietta seduta al tavolino accanto alla finestra che dava sulla strada. 
Li aveva guardati con uno strano sorriso dipinto sul viso, quello che si avvicinava molto di più ad una smorfia. Lei era stata felice con Harry come loro un tempo.
«Bella addormentata!» Jack le si parò davanti mentre con il mento poggiato su una mano aveva lo sguardo fisso davanti a se. Si risvegliò dalla trance momentanea e scosse lievemente la testa.
«Cosa?» disse guardandolo confusa.
«Il tuo turno è finito dieci minuti fa!» Genevieve diede un occhiata all'orologio che era appeso alla parete e strabuzzò gli occhi quando si accorse che questo segnava le otto e trenta di sera.
Non aveva mai lavorato come quella giornata, le facevano decisamente male i piedi e aveva le mani che sanguinavano da delle piccole crepe per colpa del freddo. La crema che usava per idratarle l'aveva dimenticata a casa e si maledì per questo.
«S-si. Ora vado, scusa.» il vecchio Jack fece spallucce. Genevieve era consapevole che lui se ne infischiava bellamente di cosa decideva di fare.
Si tolse il grembiule e lo ripose sull'attaccapanni dove aveva scritto il suo nome con un pennarello nero. Si coprì per bene e dopo aver salutato uscì dal locale. Mando un sms a Georgia che quel pomeriggio le aveva proposto di andare da lei per gustarsi una pizza tra amiche, dicendole che aveva avuto un piccolo imprevisto.
Lei quella sera aveva un incontro di boxe al quale assistere. 
Si avviò verso la fermata del bus e attese la mezz'ora più lunga della sua vita mentre questo arrivava. Era vuoto, se non per un anziano signore che sonnecchiava appoggiato al finestrino. Lei si sedette in un posto qualsiasi e attaccò la musica nel suo vecchio mp3. La tecnologia era andata avanti, la quell'aggeggino verde era stato il suo compagno di numerose avventure.
Gliel'avevano restituito non appena uscita dal rehab, insieme a tutti i suoi effetti personali. In quella clinica aveva passato i quattro mesi più duri della sua vita, ma erano stati anche quelli che le avevano dato di nuovo la speranza. 
La sua buona musica era tutta racchiusa lì dentro, e si lasciò cullare dalle dolci note mentre l'autista guidava alla volta di Park Slope.
Non sapeva esattamente dove si sarebbe tenuto quest'incontro. Si lasciò semplicemente guidare dall'istinto e non appena fu giù dal pullman si avvicinò ad un gruppo di ragazzini quattordicenni che si davano delle arie.
«Sapete dov'è che si tengono gli incontri di boxe?» chiese non appena i cinque si voltarono nella sua direzione. Avevano tutti l'aria di piccoli delinquenti che passano le giornate per strada. Eccome se li conosceva tipi come loro. 
«Te lo dico solo se me lo succhi.» rispose uno, il capo gruppo dedusse Genevieve. Gli amici scoppiarono a ridere e gli diedero il cinque. Il ragazzino continuava a guardarla con aria di sfida e il mento all'insù.
La moretta sorrise, muovendo qualche passo in avanti. «Stammi bene a sentire stronzetto! -lo fronteggiò, diventando subito seria- Gli escrementi di piccione non mi parlano così, quindi abbassa la cresta e infilati quella fottutissima lingua tra le chiappe.» disse con tono minaccioso e senza perdere il contatto visivo con quel piccolo galletto. Non ricordava neanche l'ultima volta in cui si era rivolta a qualcuno in quel modo. «Non sono dell'umore adatto per insultarti, quindi dimmi dove cazzo fanno questi incontri di merda e faccio finta che non sia successo niente.» Tra il gruppo cadde un silenzio quasi tombale e tutti abbandonarono quelle loro espressioni da finti duri. «Conoscete Zayn Malik, vero?» In sincrono annuirono spaventati e senza indugiare un minuto di più le dissero quello che le serviva. 
«Grazie mille ragazzi. Siete stati davvero molto gentili.» sorrise falsamente e si allontanò da quell'angolo, seguendo le loro indicazioni e sperando vivamente che non si fossero presi gioco di lei. La carta del 'conoscete Zayn Malik' aveve sempre funzionato.
Camminò per il centro del quartiere per altri cinque minuti circa, poi si ritrovò in un vicolo cieco, dove un insegna a luci rosse attirò la sua attenzione. Non c'era nessun bodyguard o qualsiasi genere di omone pronto ad allontanare i ficcanaso, così spinse la pesante porta di ferro, venendo subito investita da una nauseante puzza di alcol, fumo e sudore.
Era tutto un gioco di luci forti in quel buco e dopo i primi dieci secondi fu costretta a strofinarsi gli occhi. Avanzò lungo un corridoio ricoperto di foto e alla fine si ritrovò davanti ad un altra porta che nascondeva il tesoro di quel posto.
Erano tantissimi, una cinquantina circa. Tutti accalcati attorno ad un ring. Si ritrovò a rabbrividire -e non per il freddo- non appena riconobbe la figura di Harry pronto per salire. 
Indossava pantaloncini neri e delle scarpette da ginnastica. Il suo petto ricoperto dai numerosi tatuaggi era stato lasciato nudo, ma ciò che le fece accapponare la pelle fu il labbro sanguinante del riccio e il suo addome ricoperto di lividi. 
Quello molto probabilmente non era il primo incontro al quale partecipava nel corso della giornata.
Sentì la terra mancarle sotto i piedi per un istante, ma si ripetè che lei lo avrebbe salvato, in un modo o in un altro.
Tutti invocavano a gran voce il nome del ragazzo che aveva appena messo piede sul ring, mentre il suo avversario, che era tre volte la sua stazza, sorrideva con cattiveria. 
Riconobbe Zayn tra la folla, affiancato da un altro ragazzo. Quei capelli, il viso e l'andamento tipico dell'unico ragazzo al quale sapeva appartenevano. 
Si fece spazio tra gli uomini ubriachi e puzzolenti e si avvicinò ai due ragazzi.
Afferrò il braccio dell'altro con prepotenza e lo fece voltare verso di lei.
«Ma che caz-» si bloccò con la mano a mezz'aria pronto per sganciare qualche cinquina a chiunque avesse avuto il coraggio di mettergli le mani addosso. «Gen?» chiese incredulo, allargando poi le labbra in un enorme sorriso. 
L'espressione di Genevieve restò di pietra. «Che diavolo fai, Louis?» 
«Sono qui per Harry, ma quando sei tornata?» il ragazzo dagli occhi color del cielo, identici ai suoi, cercò di abbracciarla ma prontamente Genevieve lo schivò.
«Non fare il fratellino premuroso, cazzo! Perchè siete ancora qui e non lo portate via?» questa volta tirò in mezzo anche l'altro ragazzo che era stato ad ascoltare in silenzio e indicò con una mano il ring dove Harry aveva appena cominciato a riscaldare i muscoli del collo. 
Aveva il fuoco che le ardeva negli occhi per quanto ce l'avesse con loro due che se ne stavano a guardare invece di aiutarlo.
«Non ce lo permette, semplice. Conosci Harry, dovresti saperlo.» disse Louis rassegnandosi all'idea di poter avere un qualsiasi contatto con sua sorella e tornò con lo sguardo alla gara.
«Conosco anche voi e in questo momento mi fate solo schifo.» sputò con rabbia mentre a forza di gomitate iniziò a spintonare tutti per arrivare sotto al ring.
Harry saltellava su un piede e poi sull'altro, scrollando le spalle ripetutamente. Aveva visto fare quei movimenti in qualche video su internet quando per caso se li era ritrovati davanti. Servivano per rilassare i muscoli e prepararsi all'incontro.
Genevieve, piccola com'era, riuscì ad arrivare in prima fila, dove uomini e sgualdrine in calore non aspettavano altro che vedere quei due darsele di santa ragione.
«Harry!!» gridò, sperando di riuscire a sovrastare il chiasso che regnava sovrano per far si che Harry la notasse. Ma fu inutile.
Il dong che annunciava l'inizio del primo round suonò e la folla scoppiò in un forte grido generale. Harry si avvicinò all'avversario che fece esattamente come lui ed entrambi iniziarono a studiarsi per alcuni istanti, prima che l'altro potesse scagliare il suo primo pugno. Harry si portò entrambi i pugni davanti al volto e schivò il colpo con un movimento veloce delle gambe. 
Genevieve non sapeva se avesse potuto reggere a lungo. Sentiva il fiato mancarle, le gambe venirle meno e tutto intorno cominciava a girare. 
«Harry!» riprovò, mettendoci quanta più forza aveva nelle sue corde vocali. Il riccio si voltò nella sua direzione e nello stesso momento in cui i loro occhi si incrociarono un destro ben piazzato colpì Harry nello stomaco, facendolo precipitare dolorante sul pavimento. 
«Ti prego Harry, vieni via di lì!» Gli occhi cominciarono a piangere, così come il suo cuore ad ogni colpo che quell'uomo infliggeva al ragazzo che giaceva immobile per terra. Harry cercava in ogni modo di proteggersi, ma il suo avversario non gli dava tregua. Un pugno, un calcio e altri ancora. 
Non perse tempo, accade in una frazione di secondo. Sentì l'adrenalina pompare dal suo cuore e scorrere nelle vene. Salì sul ring senza difficoltà alcuna e fu attorno al corpo di Harry rannicchiato su se stesso. Fu incredibilmente doloroso incassare quel pugno al posto suo, ma non avrebbe permesso che gli facessero altro male. 
«Fermati, pezzo di merda!» sentì Zayn gridare e successivamente lo vide scavalcare le corde del ring e, aiutato da Louis, afferrò quel contenitore umano di steroidi anabolizzanti per le spalle e lo allontanarono da Genevieve ed Harry.
Il riccio tossicchiò sofferente e continuava a tenersi lo stomaco. «Ci sono io adesso, è tutto finito.» mormorò la ragazza al suo orecchio, mentre gli accarezzava i capelli dolcemente. 

 

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Capitolo 4
*** Chapter 4. ***


sl


Chapter 4

«Vi siete fottuti quell'inutile cervello?» Harry sbraitava insulti ai suoi amici da più di dieci minuti. Erano tutti fuori da quel locale. Il riccio aveva una borsa con del ghiaccio in una mano che di tanto in tanto poggiava sul labbro, emettendo un grugnito. 
«Che diavolo dovevo fare, eh? Era l'unica che poteva tirarti fuori di lì!» urlò di rimando il moro dalla pelle scura, gesticolando incredibilmente.
«Non dovevi rischiare così Zayn.»
«Perchè, che ti frega? Io per te non conto più nulla ormai!» Genevieve si intromise, dopo che era stata in silenzio per tutto il tempo, seduta su un muretto vicino. 
Il riccio le rivolse un occhiata di fuoco, chiudendo le labbra in una linea dura.
«Dopo faccio i conti con te.» disse inchiodandola sul posto con i suoi occhi verdi, per poi ritornare ai due ragazzi. «Lo dico ora e non lo ripeto più. -disse tirando su con il naso gocciolante per via dell'aria fredda- Nessuno riuscirà a farmi cambiare la mia cazzo di idea, è chiaro? Per me potete chiamare anche il Papa! -rise amaramente- Io non smetterò di fare boxe solo perchè voi idioti vi preoccupate per me e volete proteggere il mio bel culo!» disse puntando l'indice contro i loro petti. 
I due scossero la testa esausti e sconfitti, mentre Genevieve si morse la lingua all'interno della sua bocca per stare zitta e frenare tutte le parole che avrebbe voluto gridare molto volentieri. Preferì aspettare il suo momento per non peggiorare quella situazione che stava decisamente prendendo una brutta piega.
«Non comportarti da boss, non sei un mafioso.» borbottò soltanto, con un pizzico di sfida. Sembrava che le cose stessero tornando esatttamente come a mesi fa, prima che lei prendesse la sua decisione.
«Potete lasciarmi solo con lei?»
«Vuoi picchiarmi?» continuò ad istigarlo, sapendo che da un momento all'altro avrebbe perso la pazienza.
«Smettila di dire stronzate con quella cazzo di bocca Gen!» Louis parlò al posto di Harry, allargando le braccia con fare scocciato.
«Harry ha ragione. Smamma Louis, prima che scenda da qui e ti prenda a schiaffi. Avremo modo di parlare di quanto tu abbia fatto più schifo di mamma.» Zayn trascinò il castano con se, prima che questo potesse saltare addosso a sua sorella e sbranarla come una tigre.
«Gli affari di famiglia tienili per te.» osservò il riccio, dopo che i due li ebbero lasciati soli.
«Fottiti Harry!» Scese da quel muro, e si avvicinò a lui. «Ne ho fin troppo le palle piene del tuo comport-» 
Genevieve non finì la sua frase. Troppo scossa per farlo. Si ritrovò sbattuta al muro dal riccio che la teneva per il mento fine ed esile.
«Stammi bene a sentire Genevieve.» parlava a voce bassa e il suo sguardo da omicida mise davvero paura alla ragazza che zitta, restò ad ascoltarlo in silenzio. «Non voglio più vederti in questo fottuto posto. Non voglio che tu parli con Zayn, e se devi farlo non chiedergli di me. Dimenticami! Lo hai fatto per quattro mesi, non dovrebbe essere difficile neanche 'sta volta.» disse concludendo con un mezzo sorriso. Lui quelle cose non le pensava davvero, Gen lo sapeva. Lui non era così.
«Non lo farò Harry, mai.» disse poggiando una mano sulla sua che ancora stringeva il suo viso, piano, ma con decisione. «Il problema è che io non ti ho mai dimenticato, perchè non lo vuoi capire, merda?» Harry lasciò andare la presa e Genevieve gettò la testa all'indietro, chiudendo gli occhi. Sentiva quel dolore molto familiare ritornare all'altezza del petto. 
«Torna a casa, è tardi e fa freddo.»
Genevieve scosse la testa con veemenza, proprio come una bambina. «No, non mi muovo da qui fino a quando non capirai veramente che ti amo più... più di qualsiasi altra cosa.» Incrociò le braccia al petto, mentre iniziava a sentire il freddo della notte entrarle nelle ossa. Non c'era sensazione più brutta di quella.
Si lasciò scivolare lungo in muro, finendo accovacciata sulle ginocchia. Poggiò il mento tremolante sulle gambe, e si ripetè più volte che lei era forte, lei avrebbe vinto anche quella volta.
Harry sbuffò sonoramente mentre, con in dosso solo una sudicia maglietta bianca a mezze maniche, si torturava quel labbro già dolente. «Genevieve, davvero. 'Paziente' non è il mio secondo nome. Prima che ti prenda con la forza e ti costringa a muoverti da qui, alzati da terra e vattene.» disse duro, ancora una volta.
Genevieve scosse la testa e restò ad osservarlo mentre lui con gli occhi ardenti la fissava in silenzio.
«Ok, l'hai voluto tu.» Senza pensarci due volte il riccio l'afferrò per un polso e la caricò in spalla come se fosse un sacco. Nonostante le numerose proteste da parte di Gen, Harry la portò in macchina dove la fece salire dal lato del passeggero e, dopo aver fatto il giro della vettura ed essersi infilato in macchina, avviò il motore.
«Che cazzo fai Harry?» sbraitò la mora, aggiustandosi i capelli gonfi per via della troppa umidità.
«Ti porto a casa. Dove abiti?» disse lui calmo mentre scalava le marce con estrema tranquillità.
«No!» gridò, stringendo le mani in due pugni. «Non puoi comportarti così!» Continuava a guardarlo con astio mentre lui guidava senza curarsene. Genevieve era famosa per il suo caratteraccio e per il suo irritante modo di urlare, ma Harry l'aveva sempre e comunque trovata estremamente adorabile.
«Smettila, Dio Santo!» disse lui senza fermarsi al semaforo rosso e proseguendo lungo la strada buia. «Voglio solo accompagnarti a casa. Se vuoi posso anche fermarmi e farti scendere, scommetto che non passerà neanche un minuto che qualcuno si fermi e ti chieda di fargli un pompino per cinque dollari.» disse fermando l'auto e voltandosi verso di lei. 
Genevieve resto a fissarlo in silenzio, mentre dentro bolliva dalla rabbia, ma Harry aveva ragione per quanto lei non volesse ammetterlo. Si guardò intorno spaesata alla ricerca di un anima viva in quel quartiere morto. Nessuno.
«Ecco. Ora sta buona e dimmi questo tuo fottutissimo indirizzo prima che perda ancor di più la calma.» La ragazza glielo dettò con una punta di disprezzo e senza dargli indicazione alcuna incrociò le braccia al petto e si lasciò andare contro lo schienale. Harry aveva cambiato tante macchine da quando lo conosceva, ma quella poteva definirla la sua preferita.
Arrivarono sotto al palazzo malandato e dalle troppe crepe sul muro in pochi minuti. Genevieve scese dalla macchina senza dire nulla, a seguire il rumore della sua portiera che si chiudeva udì un altro suono identico. Harry l'affianco mentre lei frugava nella borsa alla ricerca delle chiavi. Le mani fredde e tremolanti gli ostacolavano di molto la ricerca.
«Hai bisogno di una mano?» disse il ragazzo alle sue spalle.
«Vattene.» sibilò, mentre le chiavi che aveva appena trovato le scivolarono goffamente dalle mani e, proprio come nei film, entrambi si chinarono per raccoglierle, sfiorandosi impercettibilmente.
«Non vado da nessuna parte.»


Genevieve inserì la chiave nella toppa con difficoltà mentre le mani grandi ed esperte di Harry percorrevano tutta la lunghezza dei suoi fianchi. Entrarono nell'appartamento e senza staccarsi si liberarono dei loro giubbotti. 
Il ragazzo afferrò Genevieve per le natiche e la prese tra le sue braccia tatuate senza alcun sforzo. Attaccò le sue labbra a quelle carnose di Gen mordendole e succhiandole con avidità. Non potere avere un contatto con lei per quei quattro mesi durante i quali non aveva avuto nessuna notizia della ragazza che aveva amato e che ancora amava più della sua vita gli avevano distrutto anima e corpo.
Adesso non riusciva ad allontanarsi da quella che era la sua droga vera e propria. 
Harry ansimò nell'esatto momento in cui Genevieve morse bramosa il suo collo lasciandogli un segno proprio sotto l'orecchio. Raggiunse la camera da letto ormai con in dosso solo i boxer, e adagiò con delicatezza Gen sul letto.
Con la punta delle dita percorse tutta la lunghezza delle sue gambe formose e lisce come la seta. Su e giù, non aveva intenzione di smettere perchè quel contatto gli dava pace, quella che lui ormai ricercava in tutte le cose che lo stavano uccidendo giorno per giorno. Alcol, fumo e delle pasticche non erano la felicità. Genevieve lo era, e lui non stava facendo altro che allontanarla da quando era ritornata.
«P-perchè lo stai facendo?» mormorò Genevieve con il cuore alla gola ed un turbine di sensazioni che si estendevano dal basso ventre in tutto il suo corpo.
Harry non rispose, non avrebbe saputo cosa dirle. Continuò a lasciarle baci e solchi di saliva su tutto il collo ormai rosso.
Genevieve lo bloccò e prese il suo viso tra le mani. La barba lasciata crescere pungeva contro i suoi palmi. «Domani mattina mi lascerai qui da sola, con il ricordo di una bella notte di fuoco passata in dolce compagnia?» chiese inchiodando i suoi occhi azzurri in quelle pietre verdi scintillanti che Dio aveva deciso di incastonargli al posto degli occhi. «Rispondimi Harry.» Aveva bisogno di certezze, aveva bisogno che Harry non la lasciasse da sola anche se in fondo sapeva che se lo meritava per tutto il male che gli aveva fatto. Lei voleva solo lui nella sua vita e nessun altro. Avrebbe lottato fino alla fine.
«Non lo farò.» ammise forse sincero il ragazzo perdendosi per un istante in quel mare apparentemente calmo che erano gli occhi di Genevieve.
Lo attirò nuovamente a se, baciandolo teneramente sulla bocca. Infilò lentamente la lingua tra le sue labbra ed Harry l'afferrò con prepotenza, giocandoci desideroso.
Per quando dolore gli avesse fatto provare lui non poteva nascondere i suoi sentimenti, dimenticare l'amore che c'era stato tra loro.
Harry entrò dolcemente dentro di lei, colmando quel terribile vuoto che li aveva angosciati per mesi. Era quello il loro posto, amarsi il loro destino, stare insieme perchè due persone legate dallo stesso filo non possono separarsi, mai.
 

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Capitolo 5
*** Chapter 5. ***


sl


Chapter 5
 
"E lei lo amava, dio quanto lo amava. 
L'avrebbe scelto sempre, anche se ci fosse stato un ragazzo con cui non avrebbe mai litigato,
lei preferiva litigare con lui che stare con un altro.
 Lei preferiva piangere per lui che ridere con chiunque altro".



Harry quella mattina si svegliò molto prima del previsto. Aveva dormito come un angioletto, da quando si era addormentato sul petto di Genevieve non aveva fatto altro che russare impercettibilmente per tutta la notte.
Si sentiva strano, fuori posto. La coperta calda copriva il suo corpo nudo attaccato a quello della ragazza che ancora dormiva profondamente. Aveva i capelli arruffati sparsi sul cuscino e alcuni ciuffetti le ricadevano sul viso dall'espressione serena. La bocca schiusa leggermente a formare una 'o'.
Harry sorrise, consapevole che nessuno potesse vederlo, e le accarezzò con la punta delle dita la guancia rosea. 
Sicuramente quello non era ciò che aveva previsto. Si era ripromesso che non avrebbe più ceduto a Gen, ai suoi occhi, al suo viso. Si era ripromesso che non avrebbe più sofferto per quella ragazza che dopotutto era ancora tutta la sua inutile vita. Ma l'aveva rifatto, e l'avrebbe rifatto, sempre.
Si passò una mano sul volto, sospirando, mentre la luce del sole iniziava a trapelare dalle imposte. Era raro che ci fosse il sole in quei giorni così freddi. 
Harry si tirò su a sedere e rabbrividì leggermente quando la coperta scivolò via dal suo petto. Scompigliò i capelli mossi con una mossa del capo e balzò giù dal letto, infilandosi i boxer. Si guardò un pò intorno, visto che la sera prima non ne aveva avuto modo, e trovò quella casa troppo spoglia e priva di emozioni. Evidentemente Genevieve ce la stava mettendo tutta per renderla sua, ma lo stipendio che le toccava era davvero minimo.
Notò i riscaldamenti posti in più punti dell'appartamento, ma non appena vi si avvicinò rabbrividì ancora di più. Come diavolo faceva Genevieve a dormire tutte le sere in quello stato proprio non riusciva a capirlo. 
Prese i suoi vestiti e li infilò velocemente, dopo di che si avvicinò a uno dei termosifoni e dopo una mezz'ora circa tutti i caloriferi funzionavano alla perfezione.


Harry la vide muoversi tra le lenzuola e voltarsi verso di lui che stava seduto sulla poltroncina accanto alla finestra. Un certo tepore ora aleggiava in quella casa e Genevieve sorrise nel vederlo ancora lì.
Si aspettava di svegliarsi da sola, avvolta nelle lenzuola fredde e con la pioggia che faceva da sottofondo. Invece Harry era lì, con una mano poggiata sul viso, le lenzuola erano decisamente calde e fuori c'era un piccolo spiraglio di sole.
«Buongiorno» disse la ragazza distendendo i muscoli delle braccia. «E' cambiato qualcosa, ma non capisco cosa.» disse aggrottando le sopracciglia con uno strano sorriso. 
«Ho aggiustato il riscaldamento. Si congelava.» disse impassibile il ragazzo, cambiando posizione. Genevieve si rabbuiò improvvisamente vedendo la freddezza con la quale le si era rivolto. «Ho fatto anche una doccia.» si alzò dalla poltrona e poggiò la schiena contro la parete, incrociando le braccia al petto.
«Che succede Harry?» disse Genevieve coprendosi con un lenzuolo ed alzandosi dal letto. Si avvicinò al ragazzo, senza distogliere lo sguardo dal suo.
«Succede che sono una grandissima testa di cazzo!» disse Harry alzando di molte ottave il tono di voce. Genevieve sobbalzò tanto che era tesa. 
Erano stati bene insieme quella notte, tutto sembrava essere perfetto. Harry lo era, in tutto e per tutto. Ma quella magia era durata davvero troppo poco.
«Perchè?» chiese ingenua Gen, aggrottando la fronte. Non riusciva a capire cosa ci fosse di sbagliato.
«Questo -Harry teneva tra il pollice e l'indice un piccole orecchino nero- E' di Zayn.» disse sorridendo appena. Un sorriso tanto amaro che quasi riusciva a percepirne il sapore sulla lingua. «Lo so perchè lo comprammo insieme. Dovevamo entrambi farci bucare i lobi, ma poi io mi sono tirato indietro.» Disse mentre fissava quel piccolo oggettino che Genevieve teneva poggiato sul mobiletto all'ingresso da qualche giorno ormai. Era caduto a Zayn quando era stato a dormire da lei. Avrebbe dovuto ridarglielo, ma puntualmente se ne dimenticava.
Deglutì, facendo scorrere il suo sguardo da Harry alla sua mano e viceversa.
«Zayn è venuto qui un paio di giorni fa.» ammise sincera. Nascondergli qualcosa non avrebbe portato a nulla. Harry odiava le bugie. Lo aveva imparato dopo la prima sfuriata, al liceo, quando ancora erano troppo piccoli e il mondo sembrava ancora un posto carino dove poter abitare.
«Perchè è stato qui?» chiese impassibile, fissandola con l'espressione dura in viso.
«Non lo so in realtà. Si è presentato senza un motivo, poi mi sono addormentata e la mattina dopo lui era ancora qua. Non se n'era andato.» finì la frase in un sussurro, abbassando lo sguardo.
«Cosa avete fatto prima che tu ti addormentassi?» 
Genevieve strabuzzò gli occhi che quasi non le uscirono da fuori e fece un passo indietro, totalmente incredula. Non poteva davvero pensare quello.
«Credi che sia una stupida puttana che non perde occasione per scoparsi il migliore amico del ragazzo che ama? Credi davvero che io sia quel tipo di persona?» disse gridando, senza nemmeno accorgersene.
«Non lo so. Per questo te l'ho chiesto.» La sua calma, il suo parlare così lento e la sua voce roca... In quel momento Genevieve desiderava tanto che lui non avesse davvero pensato quello.
«In tutto questo tempo che siamo stati insieme non hai capito un bel niente di me.» disse a denti stretti, mentre il suo sguardo si infiammava sempre di più. «Ti lascerò in pace, se è questo che vuoi, Harry. Ma non pensare per un solo attimo che io ti abbia tradito. Non farlo.» Strinse in una mano un lembo di lenzuolo che ancora la copriva. 
«Ho commesso un errore venendo qui con te, stanotte.» 
«Quella è la porta, Harry.» disse Genevieve con le labbra tremanti, mentre indicava con una mano la direzione della porta di casa. Una sola e silenziosa lacrima scese giù dai suoi occhi, lentamente.
Harry posò sul letto l'orecchino che aveva tenuto fino a quel momento, e si avviò verso la porta.
Genevieve non lo guardava, non ne aveva il coraggio. Lo stava perdendo, ancora, e non avrebbe potuto fare nulla per salvare quella fottutissima storia. 
Un amore troppo grande per due esseri umani come loro, un amore devastato dalle continue lotte. Un amore che aveva il sapore della distruzione. Un amore forte. Un amore ostinato che, prima o poi, avrebbe vinto. 


«Ieri sera sono stato con una, Barbara mi pare si chiamasse. Boh» disse il biondo distrattamente mentre metteva del semplice tabacco sulla sua cartina. «Non passavo una notte così da secoli. Quella tipa mi ha insegnato tante cose ragazzi.» disse sorridendo sghembo e malandrino, lasciando intenedere ai suoi amici cose che non potevano essere dette. Poggiò il piccolo filtro e rollò il tutto con fare esperto. 
«Niall, sicuro che non fosse una puttana?» lo punzecchiò Zayn, sapendo quanto gli desse fastidio quando gli dicevano quelle cose. "Lui era un tipo che non pagava le donne, ma erano le donne che pagavano per andare con lui."
«Ma se mi ha implorato con la bava alla bocca per farsi sbattere nel cesso di quel locale!» disse alzando la voce, mentre Zayn ridacchiava divertito.
Louis era silenzioso quella mattina, mentre con il suo cellulare tra le mani, continuava a giocare senza entrare in quella conversazione.
Zayn gli lanciò allora un salatino e il castano si distrasse, finendo col perdere quella partita. «Cazzo Malik!» si lamentò battendosi una mano sulla coscia ricoperta dalla stoffa del jeans. Infilò il cellulare in tasca e sbuffò, guardandolo truce.
«Sei un nerd del cazzo!» disse il moro mentre sgranocchiava qualche patatina. 
Erano al bar dove si riunivano praticamente tutti i giorni da quando si erano conosciuti al primo anno di liceo. Era un rituale sacro quello.
«Un po i cazzi tuoi no, eh?» Louis afferò la lattina di coca cola e l'avvicinò alla bocca.
«Ma Harry dove diavolo è? -chiese Niall, dopo aver digitato velocemente un sms- Dio che schifo! Come fai a bere quella merda alle 9 del mattino?» disse poi riferendosi a Louis che stava sorseggiando la sua coca ghiacciata. 
«Che ho fatto?» Fece spallucce guardandolo noncurante del fatto che Niall avesse stranamente ragione.
«Lascia perdere.» Il biondo poggiò i piedi sulla sedia accanto a lui e sbadigliò.
«Forse è con Genevieve.» osò Zayn dopo diversi minuti passati in religioso silenzio. 
Entrambi gli amici lo guardarono scettici, e in quell'esatto momento Harry fece il suo ingresso. Salutò tutti con un cenno del capo e si accomodò, evidentemente nervoso e stizzoso. 
«Tutto bene?» chiese Niall, serio. Ed erano davvero poche le volte in cui il biondo della situazione era serio.
«Certo amico. Perchè?» Harry accennò ad un sorriso che però ebbe vita breve. Zayn lo guardò attentamente, poi il riccio parlò. «Oggi ti sentivi ispirato per il cerchietto brò?»
Il moro aggrottò le sopracciglia, e lo guardò confuso, poi si portò una mano al lobo dove aveva il suo piercing e capì.
«Esatto.» Harry sorrise e si lasciò andare contro lo schienale della sedia.
«A me piace cambiare, lo sai.» rispose Zayn con una scrollata di spalle, non capendo dove Harry volesse andare a parare davvero. Tra di loro non usavano lanciarsi frecciatine di quel tipo.  
«Certo.» Louis tossicchiò di proposito, attirando a lui l'attenzione di Harry. Gli mimò un 'che diavolo ti prende?' e il riccio in tutta risposta scosse il capo, tirando su i due angoli della bocca. Quel sorriso falso ed indisponente proprio non gli si addiceva e stava mandando i nervi del castano a farsi fottere.
«Che facciamo stasera?» disse Niall per smorzare quell'atmosfera così strana. Mai si erano trovati così tra di loro. «Io direi che possiamo andarci ad ubriacare da qualche parte.» propose poi con un enorme sorriso. La birra era la sua passione da una vita.
«Perchè non andiamo al Burlesque?» disse invece Zayn, prendendo una sigaretta dal pacchettino, lanciandolo poi sul tavolo. L'accese e prese un lungo ed intenso tiro.
«Hai voglia di vedere gambe nude e belle tette Malik?» L'irlandese ormai Americano a tutti gli effetti ridacchiò e gli sfilò la sigaretta dalle mani.
«Compratele le sigarette Horan. Sei uno scroccone del cazzo!» Iniziarono a spintonarsi amorevolemente, mentre gli altri due ragazzi silenziosamente si guardavano di sottecchi.
«Mi accompagni fuori a fumare? Qui dentro non si respira.» Con un gesto del capo Louis intimò ad Harry di seguirlo e questo senza fiatare ubbidì, lasciando i due amici che continuavano a punzecchiarsi senza far caso a loro.
Il castano dagli occhi azzurri, gli stessi di Genevieve, aveva tirato fuori una sigaretta e adesso la teneva poggiata tra le labbra, mentre le sue mani le aveva infilate nelle tasche del cappotto.
«Mi spieghi che hai Haz?» disse poi, continuando a fissare la strada. Quella notte aveva nevicato leggermente e adesso tutta Brooklyn era ricoperta da un sottile strato di neve bianca. «Sei stato con Gen?»
Harry sbuffò sonoramente, tirando su la zip del suo cappotto. «Perchè stamattina siete paranoici?»
«Perchè evidentemente c'è qualcosa che non va. Te lo ripeto. Che diavolo è successo con mia sorella?» si voltò verso di lui questa volta, lanciando lontano la sigaretta quasi terminata. Buttò fuori il restante fumo che era rimasto nei suoi polmoni e lo inchiodò con il suo sguardo gelido.
«Abbiamo fatto sesso. -una smorfia comparì sul volto dell'amico- E poi stamattina ho trovato un orecchino di Zayn a casa sua.» Louis socchiuse la bocca, incredulo. 
«C-che cazzo significa?» 
«Non hanno fatto niente. Almeno è quello che ha detto lei. -alzò le spalle, scalciando un sassolino- Io ho una guerra in atto nella mia testa Lou. Tu, voi lo sapete bene. Non riesco a prendere una decisione. Me ne sono andato semplicemente.» rispose vago, apparentemente per nulla toccato ma in quel momento solo Dio sapeva cosa avesse dentro di lui. 
«Sai che lei darebbe la vita per te, vero?»
«Si lo so.»

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Capitolo 6
*** Chapter 6. ***


sl


Chapter 6

 
In quella fredda domenica di novembre Genevieve sarebbe restata a casa, e dopo aver fatto le poche pulizie si era accoccolata sul divano con un enorme tazza di the verde tra le mani ed aveva acceso la televisione. Non l'aveva comprata, decisamente. Phil, il suo vecchio vicino gliel'aveva ceduta gentilmente dopo aver comprato un televisore al plasma di ultima generazione. L'aveva accettato volentieri, e dopo che lo stesso Phil gliel'aveva collaudato per bene ora stava guardando una di quelle serie tv di cui ne andava ghiotta qualche anno prima. 
Quello che era successo un paio di giorni prima con Harry non l'aveva di certo dimenticato. Le faceva ancora male, sempre, in ogni istante della giornata. A lavoro, a casa, per strada. Ovunque si trovasse c'era qualcosa che gli ricordava il ragazzo riccio dagli occhi verdi. Faceva male, fottutamente male.
Lei non voleva dimenticarlo, non ci sarebbe riuscita comunque. Lei voleva solo poterlo abbracciare come faceva prima. Stringerlo a se, per sempre. E la consapevolezza che quello non sarebbe mai accaduto di nuovo bruciava tutto dentro di lei.
Due colpi secchi alla porta del suo appartamento la destarono dai suoi pensieri e si affrettò ad andare ad aprire, con ancora la sua tazza in mano.
Si ritrovò davanti un Zayn tirato a lucido con due sacchetti tra le mani che le sorrise sghembo non appena la vide.
«Sorpresa!» dichiarò guardandola e agitando i due sacchi.
«Guarda che il campanello funziona.» disse Gen riferendosi a come aveva bussato il moro, facendosi da parte e lasciandolo entrare. «Che ci fai qui?»
«Ho pensato che ti facesse piacere avere un po di compagnia, così sono passato al mio ristorante cinese preferito e ho preso qualcosa di davvero ottimo.» spiegò tirando fuori dalle buste vari cartocci e poggiandoli sul tavolo. «Che ne dici?»
Genevieve scosse la testa sorridendo appena e lo raggiunse, chiudendo la sua giacchettina di lana bianca. 
Lo aiutò ad apparecchiare il piccolo tavolino che aveva davanti al divano e si misero seduti per terra a mangiare.
«Devi metterle così, non così!» disse Zayn mostrando a Gen come tenere le bacchette. Scoppiò a ridere come un matto quando Genevieve fece cadere uno dei bastoncini di legno ed imprecò contro di esso. Si alzò scazzata e afferrò una forchetta dal cassetto della cucina.
«Al diavolo le bacchette!»


Improvvisamente il campanello dell’appartamento di Gen trillò e quel suono stridulo vi si diffuse per quelle piccole mura, facendo alzare il volto di Zayn dal vassoio con il suo cibo cinese. Inarcò il sopracciglio il moro e subito le sorrise divertito. «Aspettavi qualcuno?» le domandò, pulendosi le mani su un tovagliolo per poi fermarla.
Gen scosse la testa e quello ad alzarsi fu proprio lui. Fece pochi passi e quando aprì la porta si ritrovò davanti il suo amico riccio, che mutò faccia completamente non appena lo vide.
Harry allungò appena il collo e notò come il tavolino che Genevieve aveva posizionato in salotto strabordasse di cose da mangiare. 'Una bella cenetta romantica', pensò.
«Che ci fai qua?» domandò Gen alzandosi dal tappeto dove era seduta e stringendosi nella sua giacca di lana. Zayn lasciò che Harry entrasse, poiché a chiuderlo fuori non ci sarebbe mai riuscito, e si avvicinò all’amico.
«Dovevo aspettarmelo che fossi in buona, anzi direi ottima compagnia.» disse Harry indicando Zayn con il capo.
Il moro dal canto suo non sapeva perché Harry stesse reagendo in quel modo, conosceva il suo essere furioso ed in quel momento lo era davvero tanto, fin troppo.
«Stavamo solo mangiando.» rispose lei.
Zayn, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, prese la parola, poggiando la sua mano tatuata sul braccio dell’amico, coperto solo da una camicia a quadri rossi e neri, che prontamente il riccio scosse, liberandosi dalla sua presa. «Non credo che debba darti delle spiegazioni. Né lei, né io Harry.»
Harry si voltò verso l’amico con un sorriso sornione, ironico da far male. «E chi lo ha detto?»
Gen si strinse ancora di più nella sua giacca e si avvicinò al riccio, poggiando anche lei una mano sul suo braccio, ottenendo la stessa reazione. «Smettila!» tuonò la ragazza.
«Smettila tu, di fare la puttana.» rispose Harry lasciando uscire tutta la rabbia che aveva dentro di se. 
Zayn lo voltò con violenza, sbattendolo quasi contro la parete. «Che cazzo ti salta in mente, Styles?» gli urlò contro, lasciando che Gen facesse qualche passo indietro prima che la situazione degenerasse.
«Sei davvero un figlio di puttana. Scoparti così l’ex del tuo miglior amico.»
Zayn lo guardò confuso «Che cazzo continui a dire? Sei fottutamente fatto. Vaffanculo Harry!» disse spingendolo lievemente contro la parete. Era meglio non litigare con lui, non quando era ubriaco, fatto, incazzato come una fottuta biscia. Ma in quel momento Harry non avrebbe avuto alcun motivo per essere arrabbiato, Gen non gli apparteneva più. Perché continuava a fare quelle fottute messe in scena?
«Credi che non me ne sia accorto?» disse il riccio ridendo nervosamente «Mossa sbagliata Malik, lasciare il tuo orecchino qua.» disse sorridendo adesso, apparendo così tanto stronzo da far saltare i nervi al moro che avrebbe voluto tanto prenderlo a pugni, a lui, al suo miglior amico che ogni tanto lo faceva scazzare a punto tale da mandarlo a fanculo. 
Zayn sbattè un po’ le palpebre, era stato colto impreparato. «Harry ti ho già det-» provò Gen a prendere la parola ma il pugno che il riccio diede contro la parete la fece terrorizzare, costringendola a rannicchiarsi ancora di più in un angolo del salotto. «Ti ho detto che devi stare zitta!» le urlò contro e a quel gesto Zayn non riuscì a trattenersi. Si avvicinò così tanto al riccio da poter vedere ogni singola venatura delle sue verdi iridi dilatate. «Vattene.» disse digrignando i denti.
«Così te la puoi sbattere per benino?» disse con tono di sfida, sapendo benissimo che avrebbe scalfito la già poca pazienza di Zayn.
«Ti ho detto di andartene. Sai che non ho paura di riempirti di botte, Harry.»
«Arrivi tardi, Zayn. C’ho già pensato io a lei, qualche notte fa.» disse mordendosi il labbro con quel tono da stupido strafottente e presuntuoso il quale era sempre stato.
Gen a quelle parole si sentì morire, ma sapeva che era solo frutto di quelle sostanze che ingeriva senza sosta. Quello non era il suo Harry.
Zayn gli si avvicinò ancora di più, sentendo qualcosa stringergli lo stomaco. Era geloso, fottutamente geloso che Harry avesse anche solo potuto avvicinarsi a lei, che giocasse con i suoi sentimenti come se dovesse farle pagare il suo abbandono. Perché era solo quello ciò che stava facendo, la stava usando a suo piacimento.
«Il solito stronzo. Nemmeno ti importa di lei, non ti fai schifo?» gli disse.
Harry si limitò ad alzare le spalle e lo spinse via da se. Mise la mano in tasca, afferrando da lì dentro qualcosa per poi lanciarla in volto alla ragazza che sentiva il respiro mancarle, mentre le lacrime rigarle il volto.
«Se non mi importasse di lei non le avrei appena lanciato cinquanta dollari per la fantastica prestazione e dei preservativi. Sai, Louis potrebbe andare di matto se la mettessi incinta.»
Zayn rimase senza parole, Harry aveva superato ogni limite.
Il riccio scoppiò a ridere e barcollando uscì da quell’appartamento, lasciando gli altri due ragazzi nello sgomento più totale.
Genevieve si lasciò andare contro il muro freddo, arrivando a toccare il pavimento. Gettò all'aria quei soldi e quelle bustine che il ragazzo di cui era innamorata da far schifo gli aveva appena lanciato, proprio come se fosse una puttana.
Si prese il volto sconvolto tra le mani, mentre il suo petto scosso dai continui singhiozzi si alzava ed abbassava ad intervalli irregolari. Tirò su col naso tante di quelle volte che la testa inizò a pulsarle da far paura.
Zayn restò immobile, fermo su due piedi, con lo sguardo rivolto verso quella piccola creatura rannicchiata per terra. Non sapeva cosa fare o cosa dire. Non c'erano parole per poterla consolare, o per giustificare le azioni del suo amico.
Tutto quel dannatissimo casino non aveva un senso.
«I-io non sarei dovuto venire.» osò dopo un po, afferrando la sua giacca dal piccolo divanetto. Si passò ripetutamente le mani tra i capelli neri, sentendosi fottutamente strano, fuori luogo, inappropriato.
«N-non mi lasciare da sola. T-ti prego.» Genevieve alzò i suoi occhi bagnati su di lui, e lo implorò con il suo solo sguardo. 'Mare nel mare'.
Zayn sapeva, era consapevole del fatto che non le avrebbe detto di no neanche quella volta. Sarebbe restato lì con lei, ancora una notte. 
L'aveva presa tra le sue braccia che in quel momento apparivano come l'unico porto sicuro per la piccola Gen, e la portò nella camera da letto. Le asciugò teneramente il viso e le posò un bacio sulla fronte. Scostò leggermente le coperte e vi si infilò dopo essersi sfilato le scarpe.
«Perchè si comporta così, Zayn? Perchè lo fa?» E gli pose quella domanda sbucata dal nulla con tanta ingenuità che fu un colpo al cuore per il moro.
«Non lo so. Ma ti giuro che gli parlerò, ti riporterò il vero Harry.» Le accarezzò i capelli teneramente, mentre un ultima e solitaria lacrima solcò il viso di Genevieve. 
Si addormentò senza accorgersene, cullata dalle braccia di una persona che fino a qualche mese fa non si curava minimamente di lei. La sua voce l'accompagnò lentamente in quel baratro profondo, consapevole che il mattino seguente si sarebbe risvegliata e nulla sarebbe cambiato.

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Capitolo 7
*** Chapter 7. ***


sl


Chapter 7
 
«Harry mettici un po' di impegno, merda!» gridava l'uomo da un angolo del grande ring posizionato proprio al centro di quell'immensa sala. Era una palestra poco lontano dal quartiere, e da un paio di settimane a quella parte Harry aveva iniziato ad allenarsi lì e pagava il suo nuovo coach. Un uomo alto che aveva fin troppi muscoli per essere naturali e una voce odiosa che il ragazzo aveva sempre odiato, sin dal primo giorno. Ma in fondo era migliorato di parecchio in quei giorni, la sua tattica diventava sempre più buona ed il suo fisico rispondeva agli allenamenti senza problemi. «Alza quei gomiti!»
Quel giorno Kevin aveva deciso che era arrivato il momento di disputare un piccolo incontro con un altro dei ragazzi che vi si allenavano in quella palestra, così non appena era arrivato con il suo borsone in spalla l'aveva afferrato per la maglietta e dopo avergli mollato due schiaffi in viso per incoraggiarlo l'aveva spinto sul ring.
Aveva le gocce di sudore che gli scorrevano sul volto paonazzo, le gambe stavano iniziando a cedere e le braccia sembravano come infuocate. Era da più di un ora che andava avanti quella cosa. Non ne poteva più.
Si lasciò cadere ad uno dei quattro angoli del ring, sapendo benissimo quale sarebbe stata la reazione di Kevin, ma non gli importava. Prese la sua bottiglia d'acqua e la bevve tutta d'un sorso. 
«Che cazzo fai?» l'uomo si fece spazio tra le corde nere e lo raggiunse a grandi falcate. Lo afferrò per le grandi spalle e lo tirò su. «Molli? Davvero stai mollando Harry?» gli gridò in viso, cercando i suoi occhi che Harry prontamente abbassò. 
«Ho bisogno di una pausa, non sono una macchina cazzo!» si liberò dalla presa dell'uomo e scese dal suo palco. Prese un asciugamano dalla sua borsa e se la passò un volto stanco. 
Lui non aveva mai mollato, aveva lavorato duramente e di certo non lo aveva fatto per mollare. Ma quel pensiero, fisso come un chiodo, continuava a tormentarlo mattina e sera. Le immagini di Gen e Zayn che facevano sesso nella sua mente bacata non gli lasciavano un attimo di pace. Anche su quel ring, dove di solito lasciava tutti i suoi problemi fuori, non riusciva ad allontanare lei.
«Cazzo!» Lanciò quella bottiglia che stringeva in una mano contro il muro, finendo col rovesciare tutta l'acqua sul pavimento. 
Le poche persone presenti si voltarono nella sua direzione, e in silenzio lo osservavano mentre si passava ripetutamente le mani tra i capelli bagnati dal sudore.
Improvvisamente le porte della sala si spalancarono e Zayn Malik fece il suo ingresso, mentre si guardava intorno con sospetto.
«Che cazzo sei venuto a fare qui?» urlò Harry non appena il moro gli fu accanto. Quelle persone stavano iniziando a divertirsi troppo guardando quel siparietto che era cominciato sul ring e la cosa non piaceva affatto al riccio.
«Voglio parlare con te.» disse il moro senza scomporsi, guardandolo semplicemente nelle iridi verdi.
«Chi ti ha detto che ero qui?» chiese a denti stretti.
«Louis.»
Non rispose Harry, si limitò a raccogliere le sue cose, infilò la felpa pesante e uscì dalla palestra seguito a ruota da Zayn.
«Perchè dobbiamo litigare?» Non riusciva a capacitarsi del fatto che tutto quello stesse succedendo realmente. Erano sempre stati uniti come due pezzi di uno stesso puzzle, mai nessuno aveva provato a separarli, sapendo che non ci sarebbero riusciti.
«Perchè tu ti scopi la mia ex. I migliori amici non lo fanno.» Sfilò una sigaretta dal suo pacchetto ormai finito e l'accese subito dopo. 
«Dio Harry! Non sono andato a letto con Genevieve. Come diavolo devo fartelo capire?» In quel vicolo deserto riecheggiava solo la sua voce ostinata. Non voleva perdere Harry, per nessun motivo al mondo. 
«So che lei ti piace, Zayn. L'ho capito dal modo in cui la guardavi l'ultima volta, dalle attenzioni che le dai, e da tutte le piccole cose che qualcun altro non noterebbe.» disse con un sorriso amaro sulle labbra, mentre con lo sguardo si perdeva nella neve bianca che ricopriva la strada.
«Potrai anche avere ragione, ma io non ho sfiorato Genevieve neanche con un dito.» 
«Tu l'hai baciata.» Non era una domanda, Harry sapeva che ciò che aveva appena detto era la verità e la sentiva scorrere dentro le sue vene, corrodere tutto.
«Q-questo non è importante.»
«Si che lo è, cazzo! Come potrebbe non essere importante? -il riccio si voltò verso l'amico- Sei cotto della mia ex fidanzata e l'hai baciata, Zayn. E' molto più di importante.» Gli puntò un dito contro, mentre le vene sul suo collo diventavano man mano sempre più visibili.
«Tu conti di più.»
«Forse avresti dovuto pensarci prima, brò.» e con il sorriso più falso del mondo e una pacca sulla spalla, Harry lasciò Zayn in quel vicolo di periferia che lentamente stava scivolando sempre più giù, spinto dai suoi fottuti sensi di colpa.

 
I want to hide the truth,
I want to shelter you but with the beast inside there's nowhere we can hide...


Tre, quattro o forse cinque. Non sapeva bene quante bottiglie avesse bevuto, una dietro l'altra. Il barista di quel piccolo locale l'aveva gentilmente invitato ad andarsene quando aveva iniziato ad urlare, spaventando i clienti. Alla fine era stato sbattuto fuori da un uomo di colore, alto il doppio di lui.
Aveva preso la macchina e guidato fino a casa di Genevieve, consapevole del fatto che avrebbe potuto uccidere qualcuno guidando in quel pessimo stato. Ma non gli importava. Voleva rivederla, guardare i suoi occhi, il suo viso, toccare ogni singolo centimetro di pelle del suo corpo e poi lasciarla ancora, troppo codardo ed orgoglioso per poterla riprendere con se.
Bussò con insistenza alla porta verniciata di un rosso mattone consumato dal tempo, mentre nell'altra mano teneva una bottiglia di vodka che teneva in macchina e che non ricordava di aver comprato. Era già a metà. 
«Genevieve apri questa cazzo di porta!» gridò, mentre un altro pugno di andava a scagliare rumorosamente contro la porta. 
La ragazza aprì dopo diversi secondi, in pigiama e con gli occhi ancora socchiusi, mentre guardava con stupore il ragazzo dinanzi a se che si teneva poggiato allo stipite della porta con una mano e la testa bassa.
«Harry.» mormorò richiamando l'attenzione del ragazzo. Gli occhi verdi di Harry, un misto di frustrazione e disperazione legati alle venature rosse causate dall'alcol, si posarono sulla figura esile di Gen che continuava a fissarlo con espressione indecifrabile.
«Mi mancavi.» ammise lui, sorridendo appena e tirando su con il naso.
Indossava solo una semplice maglietta grigia di cotone e i pantaloni di una tuta. 
Genevieve gli prese dolcemente la mano e lo trascinò dentro all'appartamento, dove si stava decisamente meglio grazie al riscaldamento.
«Che hai combinato?» gli chiese mentre lo faceva sedere ai piedi del suo letto. Aveva preso quella bottiglia che teneva in una mano e l'aveva buttata nel cestino dell'immondizia. Gli poggiò un plaid marrone sulle spalle e si sedette accanto a lui.
«Volevo solo vederti.» disse piano, trascinando le parole come era suo solito fare. Prese la piccola mano di Genevieve tra le sue e incrociò le loro dita teneramente.
«Sei ubriaco.» Genevieve ritirò la mano dalla presa del ragazzo e la portò in grembo. Sapeva come si trasformasse Harry quando beveva troppo e andava su di giri. C'erano state poche volte in cui aveva avuto l'occasione di vederlo così. L'aveva terrorizzata, e aveva giurato a se stessa di non volerlo mai più rivedere in quello stato.
«Zayn mi ha detto che si è innamorato di te -ridacchiò-, proprio come un bambino alle prime cotte.» Genevieve deglutì e per un attimo il suo cuore smise di battere. Harry calmo ed ubriaco non prometteva assolutamente nulla di buono. «Però mi ha anche detto che io per lui sono più importante di quel bacio che c'è stato tra voi.» Improvvisamente le ritornarono alla mente le immagini di quella sera in cui Zayn era passato da lei senza un motivo preciso, le aveva detto che da quando era tornata non faceva altro che pensare a lei e poi dopo l'aveva baciata. «Tu cosa pensi?» Harry inclinò leggermente la testa di lato e le sue labbra erano ancora tese in quel sorriso così finto.
«Penso che devi tornare a casa.» Genevieve fece per alzarsi, ma la mano di Harry la bloccò, costringendola a ritornare sul letto. 
«Io ti amo, Gen. Ti amo e voglio proteggerti, ma non ci riesco. I-io sono sbagliato per te, l'ho capito quando sei andata via. -fece una pausa, lasciando il polso della ragazza- Io ti avevo trascinato in quel tunnel. Tu stai meglio senza di me. Perchè ti ostini a volermi indietro?» Non sapeva dove aveva trovato il coraggio di dire tutto quello che da troppi mesi si portava dentro, ma era sicuro del fatto che 'in vino veritas'.  
«Tu non sei sbagliato, Harry. Io ti amo più di quanto tu possa immaginare. Voglio aiutarti a lasciare tutta questa merda.» Genevieve si inginocchiò tra le gambe di Harry e prese il suo volto tra le esili mani. Intrecciò i loro sguardi, distrutti, ma sempre speranzosi. Il loro amore non sarebbe finito, loro non sarebbero mai finiti. Quella luce che brillava nelle loro iridi non si sarebbe mai spenta. 
«Ti prego, lascia che sia io a rendere migliore la tua vita.»
Eterni, infiniti, ostinati. 

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Capitolo 8
*** Chapter 8. ***


sl

Chapter 8

 
«Se ti spacca tutti i denti io ti lascio lì Harry. Non me ne fotte un cazzo!» sbraitò Zayn con la mascella tesa e l'espressione dura in volto. Aveva le mani chiuse in due pugni tanto forte che le nocche divennero bianche.
Erano passate due settimane da quando Harry aveva 'chiarito' con Genevieve e assolto Zayn dai suoi peccati. Aveva smesso di drogarsi da quel giorno, ma il fumo era rimasto un punto troppo debole per lui. L'alcol quasi gli faceva venire il voltastomaco. Stava facendo enormi passi avanti, insieme a Genevieve certo, ma la forza di volontà era tutta sua.
«Oh, andiamo! Smettila di rompere, sei noioso.» Si era allenato tantissimo con Kevin per quell'incontro. Era ancora tutta una situazione clandestina, ma per lui era una questione di orgoglio ed i suoi amici continuavano a lamentarsi, cercando di fargli cambaire idea. In tutti quegli anni che lo conoscevano non avevano ancora appreso a fondo che Harry era più duro di una roccia e cercare di contraddirlo voleva dire solo tempo perso.
«E tu non dici niente, cazzo? Mi dai sui nervi!» Adesso il moro dalla pelle ambrata si era voltato verso Niall che stava seduto su quel divano consumto dal tempo, con il volto poggiato sul palmo della sua mano e l'espressione annoiata.
«Non ci tengo a farmi venire la tracheite come voi due coglioni a furia di urlare. Tanto non cambia idea, e poi lasciate che capisca da solo.» rispose vago e scocciato. Si alzò in piedi e distese per bene tutti i muscoli che sentiva intorpiditi, accompagnando il tutto con un sonoro sbadiglio.
«Oh ma andate a fanculo!» Zayn sorpassò Harry dandogli una forte spinta e uscì da quella sorta di camerino improvvisato. 
«Ha ragione lui. Devi smetterla con questa merda. Inizia con qualcosa di più sicuro.» tentò Louis, cercando di intraprendere una via più moderata.
«Se partecipo ai tornei della palestra non mi pagano Lou. -spiegò iniziando ad infilarsi i pantaloncini neri- Dovrei prima fare cinque mesi di incontri gratis e alla fine potrei iniziare a praticare la boxe a livello agonistico, riuscendo forse a vedere qualche centesimo.» si fasciò le mani arrossate con abbondante garza bianca, fissandole per bene.
«Ma almeno così non rischi, Dio.»
«Ho capito che tenete a me ragazzi, -ridacchiò- ma davvero, non c'è bisogno che continuiate a ripetermelo. E' inutile tanto.» si alzò dalla sedia, saltellando nelle sue sneakers. «Come ha detto il biondo, sprecate solo fiato.» Infine si sfilò la canotta bianca e a torso nudo uscì dalla saletta, pronto per l'incontro.
 

Le luci soffuse di quel locale Harry le aveva sempre odiate. Lui con quell'atmosfera non ci conviveva per niente bene. Amava la luce forte, uno spazio aperto magari sarebbe stato l'ideale, studiare il suo avversario senza troppo trambusto, e in quel dannatissimo posto ce n'era davvero troppo. 
Un tizio sulla cinquantina, sempre lo stesso che annunciava l'inizio degli incontri ogni volta, salì sul ring e con voce poco convincente raccomandò i due di combattere lealmente, dopo di che se ne ritornò al suo posto. 
Harry spostò il peso del suo corpo prima su un piede poi sull'altro, sentendo l'adrenalina iniziare a scorrere lentamente nelle vene. Si fece sempre più vicino al suo avversario che sembrava davvero poco convinto da quella situazione e il nervosismo glielo si poteva leggere sul volto già imperlato di sudore. Harry aveva già la vittoria in mano.
Sferrò il primo colpo, un destro ben piazzato nell'addome del suo avversario, cogliendolo incredibilmente di sorpresa. Perchè diavolo quel tizio aveva deciso di gareggiare quella sera proprio non riusciva a capirlo.
Continuò con una lunga serie di pugni, e si meravigliò quando il biondino di fronte a se riuscì a pararne uno.
«Oh, allora sei sveglio amico. Pensavo ti fossi addormentato.» Harry ridacchiò e mentre girava in tondo sul ring, scrutando attentamente ogni singolo movimento di quel ragazzo, qualcuno gridò di scappare, la polizia era liì. Successe tutto così velocemente, tanto che Harry si ritrovò a dover lasciare i suoi guantoni sul ring per poter correre via. Afferrò Niall, Louis e Zayn e li trascinò nel camerino dove aveva lasciato le sue cose. «Cazzo, sbrigati Harry. Se ci trovano ci fanno il culo a strisce, porca puttana!» Niall sembrava essere andato fuori di se, mentre continuava a gridare ed ad incitare il riccio di muoversi. 
«Non trovo il portafoglio cazzo! Ci sono i miei documenti.» Aveva lanciato tutto all'aria, alla disperata ricerca di quell'oggetto tanto importante per lui in quel momento. 
«L'hai dato a me, Cristo!» Louis quasi non sbiancò quando si ricordò di aver il portafogli di Harry nella tasca del suo giubbotto di jeans.
«Tomlinson ti uccido un giorno di questi!»
«Andiamo, andiamo!» Zayn mantenne la porta aperta fino a quando l'ultimo dei suoi amici non vi uscì correndo verso l'uscita d'emergenza. 
Harry non seppe perchè i suoi amici riuscirono a scappare e lui invece no, forse avevano allenato molto di più le gambe in quel periodo, mentre lui si era fermato ad un livello discretamente basso. Seppe solo che si ritrovò schiacciato con la faccia al muro, mentre un agente di polizia continuava a passargli le mani dappertutto e un altro lo teneva fermo. 
«Levami le mani di dosso!» Cercò di dimenarsi da quella presa troppo forte, che quasi si sentì mancare l'aria. Uno degli agenti gli ordinò di mettere le mani sopra la testa, ma prontamente il riccio gli diede un altro scossone, spingendolo via da se. 
«Okay moccioso. L'hai voluto tu!» L'uomo afferrò il manganello dalla custodia che teneva attaccata alla cinta e con moderazione colpì Harry alle gambe, costringendolo ad inginocchiarsi sul pavimento, mentre una smorfia di dolore prendeva vita sul suo volto.
Gli legarono i polsi con le manette di ferro, e con un forte spintone lo costrinsero ad alzarsi e, senza fiatare, Harry camminò fuori dall'edificio, scrollandosi di tanto in tanto dalle prese dei due uomini armati al suo fianco.
«Gli incontri clandestini sono una cosa seria amico!» disse uno dei due con un sorriso sghembo, mentre camminavano verso l'auto. 
«Puoi togliermi queste fottute manette? Sono piccole e mi stanno seghando la pelle!» soffiò Harry a denti stretti, cercando di mantenere la calma.
«Appena arriviamo là te le tolgo, ora stai a cuccia!» Odiava il fatto che si stessero prendendo gioco di lui, odiava come ridevano di lui solo perchè indossavano un uniforme che avrebbe dovuto rappresentare lo stato e avevano il permesso di sparare quando, come e dove gli pareva. 
Improvvisamente qualcosa attirò la sua attenzione. Erano lì, tutti e tre, in macchina del più grande. Aspettavano il momento giusto per fare qualche cazzata molto probabilmente, ma con una sola occhiata Harry riuscì a fargli capire che non dovevano fare nessuna mossa azzardata. Lui sapeva cosa fare.
Arrivarono alla vettura nera e come promesso uno dei due poliziotti lo liberò dalle manette e in una frazione di secondo Harry afferrò entrambi gli uomini per i baveri delle camice e li spinse violentemente l'uno contro l'altro, acquistando secondi preziosi che utilizzò per correre verso l'auto di Louis, che mise in moto non appena il ricciò salì. 
«Tomlinson hai coperto la targa?» Louis annuì serio, senza distogliere gli occhi dalla strada. Non doveva sbagliare, per niente al mondo. Erano circondati, lo sapeva. La sua conoscenza per i vicoli del quartiere avrebbe dovuto prevalere, o almeno sperava fosse così.
«Al prossimo incrocio svolta a destra, c'è un posto dove possiamo nasconderci!» disse Zayn mentre la tensione in quel momento la si poteva toccare con mano. 
«Sta zitto Malik, so dove andare!» 
«Oh ma vaffanculo Louis, ci farai prendere tutti!»
«Smettetela!» Niall si intromise tra i due prima che la situazione potesse degenerare. «Sono ancora dietro, riesco a sentire il suono della sirena. Ora trovate una soluzione, oppure fatemi scendere qui!» improvvisamente calò un assordante silenzio nell'auto, spezzato subito dopo da uno strano scricchiolio, seguito da tanti altri ancora, fino a quando il rumore di qualcosa che somigliava molto ad uno scoppio non fece fermare la vettura nel bel mezzo della strada.


«Prendiamo la mia macchina, la tua il mese prossimo va in rottamazione!» Zayn stava seduto per terra, con la schiena contro il muro e faceva il verso a Louis, seduto allo stesso modo, nella cella accanto. Avevano dovuto separarli per evitare che si prendessero a pugni. 
Erano stati rinchiusi in quel posto per tutta la notte e adesso che era mattina i due avevano ripreso a lanciarsi insulti e frecciatine. Harry e Niall si erano arresi all'idea di farli stare zitti.
«Appena esco di qui ti  spacco la faccia Zayn.»
«Oh, ma vaffanculo.» Zayn scosse la testa e mandando al paese l'amico sperava che quella discussione sarebbe finita lì.
Il rumore di un paio di tacchi si diffuse per tutta la stanza, e l'attenzione dei quattro fu catturata all'istante. 
Genevieve era vestita di tutto punto, con un elegante pantalone nero, accompagnato da una giacca del medesimo colore. La camicia bianca e le decolletè nere lucide. I capelli erano in disordine e aveva il respiro irregolare, segno che era corsa lì in tutta fretta. 
I suoi occhi celesti guizzarono nella direzione delle due celle affiancate e non appena notò Harry tutto integro esalò un sospiro di sollievo.
«Lei è...?» chiese l'agente di polizia situato dietro alla scrivania dell'ufficio. 
«La persona che pagherà la loro cauzione.» disse Gen seria, indicando con un cenno della testa i ragazzi. 
«Bene. -l'uomo la guardò scettico, poi si alzò- Mi dia solo un minuto.» Sparì dietro la porta alle sue spalle e in quell'esatto momento Harry balzò in piedi.
La mora gli si avvicinò frettolosamente, attirandolo a se per i morbidi capelli castani. 
«Come stai?» gli sussurrò ancora con le labbra attaccate a quelle del ragazzo.
«Bene, ma tu dov'eri?»
«Ho fatto più presto che potevo Harry. Ero ad un colloquio di lavoro, e sul più bello mi è arrivata la tua telefonata..» Lasciò la frase in sospeso, socchiudendo gli occhi e rilassandosi sotto il tocco delicato del suo ragazzo. Avevano potuto telefonare qualcuno per farsi pagare la cauzione solo scattate le 9 del giorno seguente. 
«Mi hai fatto prendere uno spavento assurdo. Appena siete fuori di qui un calcio nelle palle non ve lo toglie nessuno.» Harry soffocò una risata e sorrise teneramente. Louis e Zayn continuavano a guardarsi in cagnesco, rischiando di farsi venire una paralisi facciale . 
«Alla fine ti hanno presa?» chiese Harry sfiorandole le labbra con la punta delle dita. L'amava da morire e solo Dio sapeva quanto lo stava aiutando in quel periodo. Era stato un fottutissimo idiota ad allontanarla per tutto quel tempo, l'aveva capito dopo, giusto in tempo. Genevieve era un angelo, il suo.
«Ne riparliamo appena saremo a casa, noi due soli.» ammiccò, facendogli l'occhiolino.
Il poliziotto ritornò con una serie di fogli che Genevieve firmò, e dopo aver pagato la generosa somma richiesta, l'uomo lasciò finalmente liberi Louis, Harry, Zayn e Niall.
«Grazie mille Gen.» a turno Niall e Louis ringraziarono la ragazza con un veloce abbraccio. 
«Posso venire a trovarti uno di questi giorni?» azzardò Lou una volta che Niall si fù allontanato dalla sorellastra, ma che per lui era sempre stata una vera sorella a tutti gli effetti. «Vorrei parlare con te di tante cose..» Chinò il capo sulle sue vans rovinate, sentendo i sensi di colpa e il rimorso di non aver potuto aiutarla nel momento del bisogno ritornare a farsi spazio dentro di se.
«Vieni quando vuoi.» balbettò Genevieve, completamente sorpresa. 
Il castano la strinse in un altro forte abbraccio, respirando a fondo il profumo dei suoi capelli che tanto gli era mancato quando pensava che se ne fosse andata per sempre. Ma adesso era lì, era tornata, era felice. Era di nuovo con lui, con loro, pronta a ricominciare.
«Ci sentiamo allora.» le lasciò un fugace bacio sulla guancia, sparendo poi nell'auto del fratello di Niall. 
Zayn se ne stava seduto su una delle due panchine poste ai lati dell'ufficio da dove erano appena usciti. Teneva una sigaretta tra le labbra e le mani infilate nelle tasche del suo giubbotto di pelle. Lo sguardo duro perso nel vuoto.
«Non sarebbe male se tu mi ringraziassi, sai?» tentò Genevieve con una nota ironica, riferendosi al moro. 
Harry era ritornato all'interno del palazzo alla ricerca del suo portafogli, sicuro che quella volta l'aveva perso nella cella dov'era stato rinchiuso per la notte.
«Per cosa dovrei ringraziarti, Genevieve?» domandò in tutta risposta prendendo un altro tiro dalla sigaretta. 
«Per averti tirato fuori da un cella, Zayn. -diventò improvvisamente seria- Non è una cosa da niente. Ma tranquillo, -alzò le mani, sorridendo amaramente- vuoi fare lo stronzo con me? Bene.» Il ragazzo si alzò di scatto dalla panchina e si avvicinò a Genevieve che invece fece un passo indietro.
«Devo fare lo stronzo Genevieve, altrimenti ci rimetto le penne in qualcosa che nemmeno mi appartiene.» sibilò a denti stretti, mentre con lo sguardo l'aveva inchiodata lì, incapace di muoversi.
«Il cuore.» sussurrò dopo lunghi istanti la ragazza, mentre i suoi occhi azzurri diventavano improvvisamente lucidi.
«Cosa?» 
«Ci rimetti il cuore Zayn, il cuore.»

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Capitolo 9
*** Chapter 9. ***


sl

Chapter 9
 
Il ragazzo si strinse di più nella sua giacca di pelle e affondò il viso nell'enorme sciarpa grigia. Il borsone che aveva in spalla pesava più di quanto pensasse, oppure era solo lui che si era solo lasciato troppo andare in quei mesi e aveva perso la sua perfetta forma fisica che curava in ogni minimo dettaglio, quasi con fare maniacale.
Faceva freddo quella mattina e il natale era alle porte, ma per lui era solo un giorno qualsiasi così come gli altri che sarebbero arrivati.
Non si meravigliò quando all'uscita di quella che era stata la sua dimora per nove mesi non trovò nessuno pronto ad accoglierlo con un caloroso abbraccio. Aveva deciso di non avvisare nessuno, neanche una telefonata ai suoi amici. Nulla.
Si ritrovava a camminare da solo per quelle strade che conosceva bene, quasi quanto le sue tasche. Era cresciuto in quel quartiere e ripercorrere quelle vie dopo così tanto tempo gli faceva un certo effetto. Ricordava ancora quando a notte fonda si ritrovava a giocare con un vecchio pallone da calcio insieme ai suoi amici per quei vicoli stretti. L'ombra di un sorriso affiorò sul suo viso e promise a se stesso che li avrebbe avvisati il prima possibile.
Aveva praticamente camminato per più di un ora e non appena un bar dall'aspetto invitante gli si presentò davanti ci si fiondò dentro senza indugi. 
Si sedette comodamente al bancone, su uno di quei tanti sgabelli in legno che si vedevano solitamente nei film western. 
«Buongiorno!» una giovane donna sulla ventina gli si parò davanti, con un sorriso allegro sulle labbra e dei simpatici capelli rossi. «Cosa ti porto?» Sembrava la tipica ragazza che sprizzava felicità da tutti i pori, una di quelle che ti mette di buon umore anche nella giornata peggiore della tua vita.
«Un caffè, senza zucchero grazie.» Liam le sorrise cordiale e la ragazza annuì, iniziando a preparare il suo caffè. 
Osservò come si muovesse veloce e al contempo fosse tanto aggraziata da lasciarlo a bocca aperta. «Ecco.» Gli arrivò una fumante tazza di caffè sotto al naso e solo in quel momento si risvegliò dalla trance momentanea. 
«Grazie mille.» sorrise ancora una volta. Non era suo solito allungare all'insù gli angoli delle labbra. L'espressione da duro l'aveva sempre stampata sul volto.
Sorseggiò lentamente quella delizia, passando più tempo del dovuto seduto in quel bar. 
Si guardò attorno e notò come fosse stato addobbato per l'evento ormai imminente. Il Natale era la festa che piaceva a tutti, eppure a Liam quella festività  non faceva né cado e né freddo.
«Sei nuovo in città?» chiese la stessa ragazza del bancone, spuntando questa volta al suo fianco. Stringeva in una mano uno strofinaccio lurido e qualche ciuffetto le ricadeva sul viso dai lineamenti fini.
«No, affatto. E' solo che sono mancato per un po'...» disse finendo in un ultima sorsata la sua bevanda che si era ormai freddata per il troppo tempo che aveva impiegato nel berla. Poggiò lentamente la tazza sul bancone e l'allontanò di poco.
«Oh, davvero?» la ragazza sorrise mostrando una lunga fila di denti bianchi. 'Perfetta' pensò Liam. Non aveva mai incontrato tanta perfezione racchiusa in un persona tanto semplice. 
«Come ti chiami?» tentò, non sapendo veramente che risposta aspettarsi.
«Georgia.» disse lei allungando una mano. Il castano l'afferrò con la sua grande e tremendamente fredda. 
«Liam.» Si alzò dallo sgabello poco dopo e si infilò la giacca tolta precedentemente. Sarebbe sicuramente ritornato in quel bar. Poteva inserirlo nella sua lista dei bar migliori, e non per il caffè.
«Ci si vede allora, Georgia.» afferrò il borsone dal pavimento e lo caricò in spalla.
Si avvicinò all'uscita e si voltò ancora una volta, regalando alla ragazza un dolce sorriso prima di varcare la soglia. Venne investito da un ondata di vento gelido ma non se ne curò. Continuò a camminare lungo il viale, fino a quando non scorse una villetta dall'aspetto molto familiare. 
Finalmente era a casa.


Quel pomeriggio Harry aveva deciso di saltare gli allenamenti di boxe, consapevole del fatto che l'indomani avrebbe dovuto subirsi le lamentele di Kevin, e si era diretto a casa di Genevieve con due cappuccini caldi e dei dolci. 
«A cosa devo tutta questa galanteria?» aveva chiesto Gen non appena l'aveva visto sul pianerottolo stretto nella sua giacca verde militare, i capelli raccolti in un beanie e il sorriso sulle labbra.
«Al fatto che ti amo, che sei la mia ragazza e che voglio coccolarti.» aveva risposto lui entrando in casa e scaldandosi subito. 
«Così mi vizi, io ingrasserò a dismisura e non mi vorrai più.»
«Questo mai.» Le aveva baciato le labbra con dolcezza e trascinata poi in camera da letto dopo aver svuotato i bicchieri e lasciato le briciole nel cartone.
Adesso se ne stavano avvolti nelle coperte di quel letto sfatto, consumato dal loro amore. Si amavano, senza limiti, senza preoccupazioni, senza pensare a nulla. Si amavano e nulla più, consapevoli del fatto che questo sarebbe bastato loro per il resto della vita.
Genevieve stava rannicchiata sul petto del suo uomo e con dolcezza stava ripercorrendo tutto il suo addome con la punta dell'indice, causandogli un leggero solletico. Amava i suoi tatuaggi sparsi e restare ad osservarli era una delle cose migliori.
«Cosa c'è di tanto interessante?» chiese Harry dopo un infinito silenzio.
«I tuoi tatuaggi, il loro significato...» sussurrò carezzando quell'enorme farfalla ambigua che il ragazzo aveva deciso di imprimere con l'inchiostro indelebile sulla parte alta del suo stomaco. «Ne voglio uno anche io.» disse poi alzandosi di poco, poggiando la testa sul palmo della sua mano. 
«E cosa vorresti? Sentiamo.» lui la imitò, sorridendo malizioso.
«Non un pisello sulla pancia Harry, questo è sicuro.» Il ragazzo scoppiò a ridere, e la sua meravigliosa risata riecheggiò per tutto l'appartamento.
«Voglio queste. -poggiò una mano sulle sue rondinelle- Qui.» poi si carezzò le spalle esili, arrossendo in un sorriso 
«Uguali?» 
«Uguali.» Genevieve si chinò sulle labbra di Harry, ma quel bacio fu interrotto sul nascere dall'improvviso suono del campanello.
«Vado io.» la castana si alzò dal letto contro voglia, infilando velocemente la sua culotte e avvolgendosi nel plaid a stampe scozzesi.
Il campanello suonò una seconda volta e non appena Genevieve aprì la porta si ritrovò davanti un Zayn Malik dall'espressione confusa e impacciata.
«Disturbo?» chiese volgendo lo sguardo alle spalle della ragazza, dove pochi istanti dopo spuntò Harry in boxer.
«N-no.» balbettò Gen rossa in viso, mentre cercava di coprirsi di più, con la speranza che quella coperta si sarebbe come per magia allungata.
«In realtà si.» intervenne il riccio poggiato al muro della cucina con le braccia incrociate, guardando l'amico con un sorriso sghembo e compiaciuto, strofinandosi il mento.
Zayn strinse le mani in due pugni e senti le unghie corte premere contro i palmi. «Non ci metto molto.» alzò lo sguardo dopo averlo abbassato per un istante, guardando entrambi i ragazzi con strafottenza. «Gen, volevo solo dirti che Liam è tornato.» fece un passo indietro e con un gesto della mano, molto simile ad un saluto militare, sparì dalla loro visuale.
Le bastarono alcuni secondi per realizzare ciò che quel ragazzo moro le aveva appena riferito. Sentii lo stomaco iniziare a contorcersi, il suo cuore prese a battere freneticamente dalla gioia. 
«Liam è tornato.» mormorò fissando il vuoto con l'ombra di uno strano sorriso sulle labbra. 


«Chi ti ha detto che è tornato bro?» il biondino afferrò la mano nella ciotola di arachidi e ne prese una bella manciata, portandola poi alla bocca.
Zayn, lo sguardo perso dinanzi a se e la mascella tesa, era alla quarta birra e mancava poco alla quinta.
«Mi ha mandato un sms. Per ora vuole stare un po da solo.» disse duro, sbattendo con forza la bottiglia di vetro vuota sul bancone. Indicò alla cameriera di portargliene un altra, mentre Niall lo guardava cercando di capire cosa diavolo gli prendesse.
«Che succede?» azzardò, prendendo un sorso di birra.
«Nulla, mi girano i coglioni.» La ragazza da dietro il bancone gli aprì la bottiglia con l'apposito oggetto e dopo avergli sorriso si allontanò.
«Ti girano i coglioni, okay.» il ragazzo accanto cercò di lasciar cadere lì il discorso, ma aveva una matassa di pensieri nella sua testa che non glielo concesse.
«Harry sta molto meglio ultimamente,  non credi?» l'irlandese forse sapeva che c'era qualcosa di più sotto a quel comportamento improvviso. Zayn trangugiò l'ultima sorsata di birra e si pulì la bocca con il dorso della mano, lanciando letteralmente la birra lontano da lui. 
«Non me ne fotte un emerito cazzo di Harry Styles e della sua fottuta fidanzata, ti è chiaro?» sbraitò in faccia all'amico, alzandosi dallo sgabello e attirando su di se l'attenzione di tutto il locale. Aveva le venature rosso sangue che risaltavano nei suoi occhi stanchi.
«Io non ho nominato Genevieve.» osservò l'altro, prima che il moro potesse allontanarsi da lui dandogli una forte spallata ed uscire definitivamente dal quel bar.
«Ti stai uccidendo con le tue stesse mani.» gridò Niall in direzione dell'amico non appena fu uscito, vedendolo fermo sul marciapiede con una sigaretta tra le labbra.
«Non me ne importa.» tirò su col naso, gocciolante a causa di quel freddo pungente che non ne voleva proprio sapere di marciare altrove. 
«Come diavolo fai a dire così? Sei un pazzo masochista!» il biondo gli s avvicinò lentamente, senza togliere la mani dalle tasche della sua felpa pesante. Aveva dimenticato di prendere il giubbotto di pelle lasciato dentro ma sapeva che se fosse ritornato all'interno del locale Zayn sarebbe andato via senza neanche salutarlo.
«Hai una soluzione? Se è si dimmela, perché io non so cosa fare.»  sospirò infine esausto, stanco di quella situazione, stanco di tutto quello che gli stava accadendo e che lui non aveva mai chiesto.
«Dimentica. E non dirmi che è impossibile, perchè io l'ho fatto.» disse duro, irrigidendosi immediatamente. «La vita purtroppo non ti da un cazzo di ciò che desideri e ti complica solamente le cose, mettendoti i bastoni fra le ruote.» Niall si passò una mano tra i capelli umidi. Le nuvolette di vapore che gli uscivano dalla bocca, il naso rosso, gli occhi lucidi. Ricordare faceva male, e lui aveva quasi dimenticato che effetto facesse. «L'ho imparato. Non sai quante volte mi è capitato di pensare a lei per un solo istante, uno solo, per farmi ritornare la voglia di scappare a casa e chiudermi in bagno.»
«Tu sei migliore di me, tutti lo sanno, io lo so e anche tu. Quelle cose che facevi... Adesso non contano più.» 
Lui scosse la testa, smuovendo i suoi capelli biondi. «E' di te che si tratta. Io ormai sono un caso risolto e archiviato.» gli poggiò entrambe le mani sulle spalle, inchiodando i loro occhi così diversi eppure fatti delle stesse emozioni. «Promettimi che non ti ridurrai più così. Rabbia e odio non ti donano amico.» sorrise lievemente sperando con tutto se stesso che davvero quel moro dalla testa bacata gli avesse dato ascolto. Gli voleva bene come ad un fratello, e forse lo era davvero, insieme agli altri tre cazzoni che aveva visto crescere inseme a lui. 
«Te lo prometto.» disse infine con tono sommesso, attirando l'amico verso di se, stringendolo in un forte abbraccio caloroso, uno di quelli che ti danno la sicurezza di cui hai bisogno, l'abbraccio di un amico vero.

 

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Capitolo 10
*** Chapter 10. ***


sl

Chapter 10


Era domenica mattina e Genevieve era stata buttata giù dal suo letto caldo dalla telefonata mattutina del suo fratellino Louis che l'avvisava del suo imminente arrivo.  Si era lavata in fretta e vestita altrettanto in fretta, guardandosi poi allo specchio per paura di aver messo qualcosa al rovescio. Aveva riordinato la casa meglio che potette e alla fine il citofono aveva suonato proprio mentre stava mettendo l'acqua sui fornelli.
«Buongiorno, scusa l'orario ma non avevo sonno e ho pensato di passare.» Louis le circondò le spalle con un braccio, baciandole la guancia. Le sue labbra fredde fecero rabbrividire Gen che però sorrise felice di vederlo.
Anche se le doleva ammetterlo lui le era mancato incredibilmente in quei mesi che era stata via. Avrebbe tanto voluto averlo vicino con se, ma era così che le cose dovevano andare e se ne stava facendo una ragione dopotutto.
«Come va?» chiese il ragazzo lanciando sul divano la sua giacca e sedendosi attorno al tavolo della piccola cucina. Strofinò le mani prendendo subito calore. I riscaldamenti funzionavano che erano una meraviglia e lì dentro si stava decisamente meglio. 
«Molto bene. -sorrise sornione- A te?» alzò la fiamma del fuoco dove stava bollendo l'acqua per il suo tè. 
«Me la cavo..» rispose vago il castano, poggiando il mento su una mano.
«Caffè o tè?» chiese lei, ignorando il tono di voce afflitto del fratellastro.
«Quello che prendi tu.» 
«Da quando ti piace il tè?» lo raggiunse al tavolo poggiandoci sopra due tazze bianche smaltate colme di acqua calda al sapore di limone. Louis fece spallucce e bevve un sorso, scottandosi la punta della lingua.
«Il lavoro nuovo?» ripose la tazza sul piano del tavolo nuovamente, guardandola con un espressione impercettibilmente schifata. Lo aveva sempre odiato lui il tè e quello sicuramente non sarebbe stato il giorno in cui avrebbe cominciato a berlo.
«Alla grande, direi. Mi piace, molto più dell'altro.» L'avevano di poco assunta come segretaria presso un agenzia di moda impegnata nella ricerca di nuovi talenti della passerella, non molto distante da dove abitava.
«Mamma mi chiede di te in continuazione. Perché non le dai una seconda possibilità?»
«Perché le seconde possibilità non sono fatte per chi ti abbandona nel momento del bisogno.» ripose dura, stringendo la tazza tra le mani.
«Tutti ti hanno abbandonata Gen, ma a loro hai concesso il tuo perdono. Lei ci sta malissimo per quello che è successo.»
«Gli altri non contano quanto conta una madre, Louis.» si perse con lo sguardo nella sua bevanda preferita, quel liquido marroncino chiaro era diventato improvvisamente molto più interessante del volto di suo fratello.
La verità era che lei non riusciva a guardarlo nelle iridi identiche alle sue senza lasciarsi convincere. Perché Louis lo faceva sempre, era la sua specialità, ma quella volta non si trattava di parlare con qualche ragazza al posto suo, si trattava di lei, di loro, della sua famiglia e non era sicura di volerlo davvero.
«Non lo so. Ti prometto che ci penserò.» disse infine alzando le spalle, come era suo solito fare. 
«Ti voglio bene, lo sai.» La mano di Louis afferrò la sua piccola e tremolante. Si allungò quel tanto da permettergli di lasciarle un bacio umido sulla guancia.
«L'ho sempre saputo.» 


«Non mi deludi mai, Z.» la donna sorrise maliziosamente, mentre si infilava prima una calza e poi l'altra. Erano stati per ore a rigirarsi su quel letto, lamentandosi, e godendo in parte. Per Zayn di certo quello non era divertimento, ma puro lavoro. Aveva imparato a definirlo così dopo la terza volta.
Il ragazzo accennò ad un sorriso, poi si alzò dal materasso e afferrò la sua camicia a quadri, infilandosela velocemente. Il suo sguardo cadde sul comodino della stanza da letto di quella donna dove erano in bella vista i suoi soldi. Andava avanti da più di una settimana. L'aveva incontrata in un locale fuori città e per andare a letto con lei si era fatto pagare. Era una situazione fissa che si ripeteva ogni martedì e giovedì della settimana. Lui le dava ciò che voleva e lei in cambio gli assicurava da vivere con i suoi soldi. 
«Ci vediamo giovedì?» disse infilando i soldi nel portafoglio, agganciando anche l'ultimo bottone della camicia. 
«Domani torna mio marito. Credo che per un po non possiamo vederci. Ti chiamo io appena riparte.» Mila, la sua cliente, sorrise lievemente, sporgendosi poi verso di lui per lasciargli un fugace bacio sulle labbra, sporcandogliele di quell'orribile rossetto rosso che era solita mettere dopo ogni volta.
«Okay, allora alla prossima.» Uscì da quell'appartamento chiudendosi la porta alle spalle con tale forza da farla tremare. Succedeva quasi sempre, ogni volta. Si pentiva come solo Dio sapeva, ma alla fine sapeva che sarebbe ritornato, sempre. 
Nessuno sapeva il perché Zayn in quei due giorni della settimana sparisse dalla circolazione per ore. Nessuno lo aveva mai chiesto. Nessuno lo avrebbe mai saputo.
Si infilò nella macchina da poco lucidata ed imboccò la strada che lo avrebbe riportato a casa sua. 
Era passato un po' dopo quello che era successo con Genevieve e la promessa non mantenuta fatta al suo migliore amico. Non avrebbe potuto sentirsi più villano e vergognato, ma era come se avesse spento l'interruttore dei sentimenti e tutto intorno a lui si era arrestato di botto. Amore, odio, rabbia, risentimento, sensi di colpa. Zayn non sentiva niente più, se non la sua sete di sesso e soldi. 
Cos'era diventato? Una puttana? Era la sua vita, si stava lentamente rovinando con quelle mani che adesso stringevano forte il volante, ma cosa poteva farci? Lei lo aveva spinto giù, lo aveva fatto affogare e poi risalire, più volte. Adesso non restava più niente del ragazzo che era prima. 
Si sarebbe salvato prima o poi?
Parcheggiò davanti al solito bar, e si prese un minuto prima di uscire dall'auto. Socchiuse gli occhi e gettò la testa all'indietro, lasciandosi andare completamente contro lo schienale. Chiuse le mani in due pugni e sospirò, poi con un gesto fugace uscì e chiuse la vettura schiacciando un pulsante sul telecomandino.
Entrò nel bar, dove si stava decisamente meglio rispetto a fuori. Stranamente aveva smesso di nevicare dopo due giorni di incessante gelo. Le temperature erano scese di molto sotto lo zero e tutti ormai speravano che sarebbe passato presto.
«Ehy, brò.» Niall lo salutò per primo, come faceva sempre. Aveva la bocca piena di arachidi, la sua vera droga, mentre gli altri si limitarono ad un cenno della testa, impegnati com'erano a discutere dei nuovi acquisti della società della loro squadra del cuore.
«Ho fatto tardi, scusate.» si tolse il cappotto e lo scosse leggermente per eliminare quei residui di neve che gli erano caduti sulle spalle. Lo appoggiò alla sedia e si sedette, rilassandosi subito. Ordinò una birra e restò a sorseggiarla in silenzio, osservando gli amici parlare.
«Tra un po arriva Liam, mi ha appena scritto.» annunciò Louis guardando sullo schermo del suo iPhone. Gli altri si ammutolirono per un istante, ma poi con un colpo di tosse Harry ruppe il silenzio.
«Oh, andiamo. Avreste fatto lo stesso anche voi. La prigione non è di certo una cosa bella.» disse il riccio rigirandosi tra le mani una pallina di carta. «Secondo me bisogna capirlo. Io gli voglio bene come a tutti voi -enfatizzò l'ultima parola, alzando lo sguardo su di Zayn- e non ce l'ho con lui.» concluse con un alzata di spalle, lasciando gli altri a rimuginare sulle sue parole.
«Quoto Hazza.» disse Niall, alzando le gambe sulla sedia accanto. Unì le mani in grembo e alzò lo sguardo su Harry. 
«Non lo so, devo pensarci.» disse duro Zayn, guardando di sottecchi il più piccolo del gruppo che in quel momento sembrava essere il più comprensivo.
«Suvvia Pakistan. Sei stato proprio tu ad avvisarci del suo ritorno e adesso non vuoi concedergli neanche una chance?» Zayn non rispose, tenendo le labbra serrate.
«Ad ogni modo, dobbiamo confrontarci tutti quando arriverà. Siate comprensivi, non tutti ne escono intatti.» 
«Non ha avuto l'ergastolo, Haz.» sbottò il moro alzando gli occhi al cielo.
«Ma ce l'hai un cuore?» 
«Me l'ha strappato via la strega cattiva.» il moro sorrise impertinente, istigandolo.
«Non cambierete mai, vero?» Una voce alle loro spalle, la stessa che non sentivano da mesi ormai. Liam e la sua parlantina veloce erano mancati incredibilmente, ma più di tutto era mancato il suo spirito libero, quel suo carattere da portatore della pace che metteva sempre una pietra sopra a tutti i battibecchi che nascevano dal nulla, colui che trovava soluzione a tutto, ma anche quello che, non molto diversamente dagli altri, aveva tanti problemi che gli imbrattavano la testa come un muro pieno di graffiti.
«Payno!» Harry si alzò di scatto dalla sedia, facendola strusciare sul pavimento consumato. Gettò le braccia attorno al corpo dell'amico e lo strinse in un forte abbraccio. Era stato importante per lui in molti periodi bui e sapeva quanto lo era per la sua Gen. Era stato proprio lui ad inserirla nella comitiva anni fa, presentandola a tutti e tenendola sempre sotto la sua ala protettiva. 
Gli strofinò le spalle con le sue mani grandi, non riuscendo a smettere di sorridere. Ammettere che in quel momento la sua vita stava andando davvero bene lo spaventava. La paura che tutto potesse finire improvvisamente era sempre lì, come l'orologio sul comodino di tutte le case. E sapeva che non se ne sarebbe mai liberato.
«Mi sei mancato amico!» disse l'altro. I suo capelli erano diversi da quando l'avevano visto per l'ultima volta. Liam era cambiato sia dentro che fuori. Era più uomo adesso, come tutti gli altri che crescevano giorno dopo giorno. «Mi siete mancati tutti, teste di cazzo!» Niall si alzò e imitò Harry, con la sola differenza che lui per poco non si alzava sulle punte per abbracciare il ragazzo. 
«Ciao Payne.» Louis si limitò ad una pacca sulla spalla e ad un sorriso. Non aveva preso bene la situazione. Avrebbero potuto aiutarlo, ma lui li aveva bellamente esclusi da tutto quello, lasciandosi andare da solo in quel baratro profondo.
«Ciao Irlanda.» l'altro sorrise tranquillo, rilassato. Posò lo sguardo su Zayn che era rimasto seduto, con le gambe accavallate mascolinamente e il volto corrucciato nella tipica espressione di chi ha troppi pensieri che gli vorticano nella testa.
«Pakistan!» disse solo, infilando le mani nelle tasche dei jeans.
«Sei un fottuto coglione, Liam.» iniziò l'altro, senza scomporsi. «Non aspettarti che ti abbracci come una femminuccia, anche perché non lo meriteresti. -si passò una mano tra i capelli, continuando a guardare davanti a se- Mi sei mancato, lo ammetto, però non riesco ancora a farmene una ragione del perché tu ci abbia esclusi.» Calò un silenzio spaventoso tra loro, mentre l'unico sottofondo era il chiacchiericcio di una coppia di anziani che se ne stavano in fondo al bar.
«Non mi aspettavo la comprensione di tutti, devo essere sincero, ma se ho agito così è stato solo per me, e voi non c'entravate nulla in tutto quello. Vi prego di perdonarmi, restate ugualmente dei pilastri fondamentali nella mia vita.»
«Vaffanculo Daddy P!» Zayn si alzò di scatto dalla sedia e attirò nel suo abbraccio il ragazzo mancato per nove mesi. 
Gli amici, quelli veri, sono angeli senza ali che vivono sulla terra per darti forza quando il destino ti mette davanti a prove difficili. Ti danno sorrisi e carezze quando la tua voglia di lottare si è smarrita, due mani per rialzati e due braccia per accoglierti e farti vivere di nuovo.
Tutti loro lo sapevano fin troppo bene ormai, si sarebbero ritrovati sempre, ogni volta.

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Capitolo 11
*** Chapter 11. ***


sl

Chapter 11
 
Harry quel giorno si era allenato per sei ore consecutive, senza staccare un attimo. Aveva bisogno di recuperare tutte le lezione perse e Kevin quel pomeriggio sembrava più adirato del solito. Lui puntava molto sul riccio e sulle sue capacità, ma quest'ultimo doveva capire che senza sacrificio non sarebbe arrivato da nessuna parte. 
«Ci vediamo domani. Non fare tardi!»
L'uomo gli lanciò un occhiata infuocata prima di prendere il suo borsone e andare via. La settimana prossima sarebbero iniziati i campionati regionali e lui doveva essere al massimo della forma. Non poteva iniziare con il piede sbagliato.
Fece schioccare le dita delle mani indolenzite e si alzò dalla panca. Fece velocemente una doccia in piena tranquillità e sorrise nel pensare che quella notte sarebbe stato finalmente insieme alla sua Gen.
Prese tutte le sue cose sparse per lo spogliatoio e le infilò nella borsa. Quando era l'ultimo ad andare via di solito c'era sempre una ragazza che restava per pulire la palestra. Anche quella volta fu così e non appena lo vide uscire dalla porta degli spogliatoi gli sorrise timidamente.
«Ciao.» sussurrò flebile, quasi che Harry fece fatica a sentirla. Era la prima volta che gli rivolgeva la parola ed il ragazzo ne restò sorpreso.
«Ehy.» accompagnò il tutto con uno svogliato cenno della mano ed un sorriso cortese, dopo di che uscì definitivamente, rannicchiandosi nella sua giacca nera.
Guidò fino a casa di Genevieve. Non vivevano insieme, Harry stava ancora nel suo di appartamento, ma passava con la sua fidanzata la maggior parte del tempo, andando e venendo a piacimento da casa sua.
Quel pomeriggio era stato costretto a doverla accompagnare per il centro a fare compere. Mancavano tre giorni a natale ed Harry odiava quel periodo. Era bello da bambino, quando ancora si credeva in Babbo Natale ed i suoi genitori erano ancora insieme, ma poi con il passare degli anni era diventata sempre più una festività che avrebbe evitato volentieri.
Genevieve uscì dal portone di casa avvolta in un enorme cappottino rosso, la testa coperta da un cappellino nero e la sciarpa del medesimo colore le avvolgeva anche metà viso.
Si infilò velocemente in macchina ed Harry non riusciva a smettere di sorridere mentre la osservava. 
«Che c'è?» chiese la ragazza posando la borsa ai suoi piedi. Brividi di freddo la invasero da testa a piedi e si lasciò sfuggire un 'brr'.
«Ti guardo e mi piace quello che vedo.» Harry mise in moto l'auto e partì, diretti in centro. 
«Sei mieloso. Hai mangiato dolcezza a pranzo?» lo punzecchiò, ridacchiando.
Il ragazzo scosse la testa, sorridendo. La strada davanti a se era leggermente intasata dal traffico che caratterizzava quel periodo. Tutti impegnati nella ricerca del regalo perfetto, lui era li solo per il suo regalo più grande di sempre.
«Da dove vuoi iniziare, fiore?» Harry circondò le spalle di Genevieve con un braccio e le stampò un bacio sulla fronte. 
La ragazza, di molto più bassa di lui, si guardò intorno, corrucciando il labbro, infine decise di iniziare dal negozio di abbigliamento più grande di tutto il corso. 
Aveva da comperare regali per Niall, Zayn, Louis e Georgia, che non sentiva da molto tempo. Liam lo avrebbe riservato per ultimo, mentre per Harry sarebbe ripassata il giorno dopo. 
Aveva avuto l'occasione di incontrare Liam dopo mesi qualche giorno prima, quando lui si era presentato alla sua porta e gentilmente le aveva chiesto di poter parlare. Non fu necessario formulare frasi ad effetto, usare i termini adatti, alla fine un abbraccio era valso più delle parole e per lei contava soltanto quello.
«Il mio regalo lo ha già?» Adesso stavano passeggiando teneramente mano nella mano, mentre Genevieve sorseggiava un cappuccino ed Harry le faceva da fattorino.
«Non ti basto io?» disse il ragazzo sorridendo malandrino e stringendola maggiormente al suo corpo.
Le strade pullulavano di gente. In quei periodi i guadagni dei negozi raggiungevano le stelle, ma aumentavano con essi anche i prezzi a causa della crisi. Per Harry non era mai stato un problema. Non che vantasse di essere figlio di un ricco imprenditore, semplicemente sapeva il fatto suo.
«Tu mi basterai sempre. Non c'è niente che si possa paragonare a te.» Gen nascose il viso dietro il suo enorme bicchierone di carta, dove la sua bevanda calda ancora fumava.
Harry si fermò nel bel mezzo della strada e improvvisamente prese il volto di Genevieve tra le sue grandi mani e incatenò i suoi occhi a quelli azzurri di quell'uragano che aveva sconvolto e dato poi un senso alla sua vita. «Ti amo, come non ho mai amato in vita mia.» le sussurrò senza distogliere lo sguardo.
Forse non era mai stato più sincero con lei se non in quel periodo. L'alcol, il fumo e la droga non valevano di certo più di Gen, e lui fortunatamente aveva ripreso coscienza di ciò. Non c'era gioia più grande di stringere quel corpicino esile tra le sue possenti braccia, farci l'amore e amarla costantemente, ogni giorno di più. Avrebbe dato tutto per lei, anche la sua stessa vita, per la sua felicità, il suo benessere, per quel sorriso che gli dava la forza necessaria per affrontare il mondo. 
«E se ti dicessi che anche io ti amo?» 
Entrambi i loro volti si illuminarono, un sorriso prese forma sulle loro labbra. Il sorriso dell'amore. Uno di quelli che non riesci a fingere, uno di quelli che partono dal cuore palpitante, inarrestabile come un toro impazzito.


Georgia si guardava attorno davvero agitata, eppure lei non lo era quasi mai se non per cose di particolare importanza. Era seduta su una Mustang d'epoca e accanto a se quel ragazzo che aveva conosciuto qualche tempo prima. Liam.
Era stata colpita dal suo fascino sin da subito. Occhi profondi, capelli quasi rasati senza contare il ciuffo che si reggeva grazie al gel, e quel suo silenzio che la incuriosiva la maggior parte delle volte.
«Sei agitata?» le domandò il ragazzo spegnendo il motore dopo aver parcheggiato poco lontano dal locale in cui avrebbero passato il loro primo appuntamento. Un nuovo lounge bar che aveva aperto in città e a detta di Louis i prezzi erano abbordabili, soprattutto per un ex galeotto senza lavoro come lui. Georgia scosse la testa, cercando di nascondere la tensione, e lasciò che Liam le afferrasse la mano incrociando le loro dita. Camminarono più o meno a passo svelto e la ragazza sperò di non inciampare, cadere su quei trampoli che si era imposta di mettere per apparire appena un po' più slanciata di quanto non lo fosse realmente.
«Payne.» disse il ragazzo per poi guardare con un sorriso timido e appena accennato la ragazza al suo fianco. Il ragazzo che all'entrata aveva la lista dei nomi dei tavoli prenotati li scortò fino al loro tavolino e chiamò subito l'attenzione di una cameriera per far portare loro i menù. Sicuramente le avrebbe offerto un aperitivo e il suo cocktail preferito, e a lei andava più che bene così.
«Come va' a lavoro?» domandò lui sistemandosi i jeans, che gli arrivavano sotto il sedere, meglio dentro i suoi scarponi. Georgia deglutì ciò che aveva succhiato dalla cannuccia e poggiò il bicchiere sul tavolino «Estenuante. Da quando Gen è andata via, tocca fare quasi tutto a me.»
Liam sorrise appena portando un salatino alla bocca «Non è che, per caso, cercano qualcuno che possa sostituirla?»
La ragazza alzò le spalle «Posso informarmi. -succhiò ancora- Di certo sarebbe un piacere andare a lavoro.» disse lei arrossendo successivamente per essersi resa conto di ciò che aveva appena detto.
«Posso farti una domanda un po... Delicata?» azzardò poi la rossa, giocherellando un po con la cannuccia nera immersa nel suo drink rosato. Lei non amava particolarmente l'alcol.
Il ragazzo annuì, finendo in un solo sorso il suo tris di vodka e lasciandosi andare completamente contro lo schienale della poltroncina in eco pelle.
Georgia esitò qualche istante, ma poi si fece coraggio. «Il carcere, com'è stato? Insomma, non devi rispondere per forza. È solo che io voglio sapere qualcosa in più di te..» divenne un tutt'uno con i suoi capelli e si pentì quasi subito quando lo sguardo del ragazzo si incupì.
«Non è stato bello. -fece una pausa e sospirò- Anzi era un merda. Ma adesso sono qui. Quindi..» fece spallucce e increspò le labbra in una smorfia.
Georgia lo guardò e annuì comprensiva. Aveva capito che quel ragazzo era un tipo particolare, e non poco. Forse avrebbe anche dovuto averne timore, ma c'era qualcosa che le diceva di andare fino in fondo, proseguire senza indugi.
«Questo posto mi piace.» il discorso cambiò completamente direzione, prendendo una piega del tutto diversa. «È molto bello, accogliente e la musica è ottima.» disse riferendosi al repertorio di Ne-Yo che avevano deciso di mettere su. Liam ridacchiò leggermente e dopo mesi, finalmente iniziava a sentirsi meglio. Certo la strada da percorrere per la felicità era davvero tanta, e forse quello poteva essere un inizio. Richiamò una cameriera con l'uniforme del bar e ordinò qualche altra cosa per lui, mentre Georgia aveva appena finito il suo primo bicchiere.
Lei si leccò i baffi, dove ancora sentiva il gusto dolce della fragola, e Liam l'osservò attentamente, mentre stava facendo a pugni con la voglia di divorarle quelle deliziose labbra rosse. Quel Liam, quello che lui conosceva fin troppo bene, era sempre li, faceva parte di lui e mai se ne sarebbe sbarazzato.
«Devo riaccompagnarti subito a casa dopo, oppure ti va di restare un po con me?» le chiese guardandola attentamente con il suo sguardo duro, profondo come gli abissi dell'oceano. Il suo drink arrivò quasi subito, e altrettanto velocemente Liam ne bevve la metà.
«Non ho mica dodici anni.» Georgia lo sfidò con il suo sguardo magnetico, cosi incredibilmente raro, forse unico.
«Meglio così. Sai, non mi alletta l'idea di finire di nuovo dentro per pedofilia.» con un gesto rapido della mano il castano avvicinò il bicchiere alla bocca e lo svuotò, bevendo anche anche l'ultima goccia.
Afferrò la mano piccola di Georgia e, dopo aver pagato, la condusse nuovamente in auto. Accese la radio ed il riscaldamento, prendendo la strada che lo avrebbe condotto dove voleva.
Calò un religioso silenzio nel frattempo, e non appena la ragazza intravide la strada buia, l'enorme stabilimento abbandonato ed il cancello distrutto, capì.
«Vuoi fare sesso con me?» Liam spense il motore e si voltò verso di lei, sorridendole malizioso. Si morse il labbro, mentre Georgia ritornò in quell'odioso stato d'agitazione.
«Perché no?» mormorò lui, sporgendosi lentamente in avanti. 
«Io non faccio sesso al primo appuntamento, mai.» Georgia scosse la testa e gli poggiò una mano sul petto muscoloso e lo allontanò lievemente.
«La sgradevole insistenza e ripetizione degli stessi fatti è odiosa, non trovi?» il ragazzo inclinò leggermente la testa, ponendo quel quesito a Georgia che rimase completamente spiazzata. 
Boccheggiò, cercando una riposta ad effetto a quella domanda che mai si sarebbe aspettata, ma tutto ciò che fece fu restare in silenzio, nel buio di quell'auto, mentre il ragazzo poco più che ventenne la scrutava con un sorriso da dominatore. E lei in tutta quella situazione era la sua preda, indifesa e facile da catturare, e la cosa non faceva altro che aumentare il suo desiderio più profondo. 
«Credo che per stasera possa fare uno strappo alla regola.» Liam non ebbe neanche il tempo di assimilare il tutto, che si ritrovò Georgia seduta a cavalcioni sul suo bacino, bramosa, vogliosa di lui. Gli sfilò il giubbotto di pelle, seguito immediatamente dalla camicia di jeans che Georgia gli aveva letteralmente strappato di dosso. Si chinò sul suo viso e gli baciò le labbra, stringendole, mordendole, fino a fargli male. Liam risalì tutto il profilo delle gambe della ragazza, accarezzando le sue cosce formose, fermandosi all'altezza del suo fondo schiena tondo che strinse con avidità.
Le loro labbra ormai danzavano spedite verso un mondo di piacere, il solo ed unico che li avrebbe appagati completamente. 

 

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Capitolo 12
*** Chapter 12. ***


sl

Chapter 12
 
E finalmente anche quel Natale era arrivato. Dopo un anno intenso come quello, alla fine tutto era ritornato alla normalità e loro non potevano esserne che felici. 
Quella sera avrebbero cenato a casa di Niall, l'unico tra loro che avesse una casa abbastanza grande da ospitarli tutti. A dirla tutta, era l'unico che stesse realmente bene economicamente, ma che non si era mai vantato di ciò.
I suoi genitori erano andati in Florida da alcuni parenti per le festività lasciandogli così il via libera.
La domestica avrebbe cucinato per tutti, che puntuali -si sperava- sarebbero arrivati da lui alle otto. L'albero messo in salotto, illuminato dalle luci e dai decori colorati, era di grande aiuto per rendere l'idea del Natale in quella casa che sua madre si era ostinata a voler arredare nel modo più orribile. Troppo moderna, troppo vuota e priva di emozioni. Troppo grande per lui che ci passava da solo la maggior parte del tempo.
Finì di sistemarsi, passandosi le mani sul pantalone nero, la camicia bianca arrotolata sui gomiti e le converse del medesimo colore che gli lasciavano le caviglie nude. Louis e la sua moda del cavolo lo stavano contagiando e non poco.
Si acconciò i capelli con il gel, ricordandosi ancora una volta che avrebbe dovuto dare un ritocco al colore. Mise su uno dei suoi sorrisi, quelli meravigliosi e pieni di vita che avevano fatto innamorare chiunque avesse avuto modo di conoscerlo, ed andò ad aprire ai primi arrivati che bussarono al campanello con qualche minuto di ritardo. 
«Oh oh oh» Harry aveva messo un orribile parrucca bianca con tanto di barba lunga e un ridicolo cappello rosso. «Buon Natale!» al suo fianco Genevieve avrebbe voluto sprofondare sotto terra dalla vergogna. 
Niall scoppiò a ridere, facendosi venire i crampi allo stomaco e le lacrime agli angoli degli occhi. I due ragazzi entrarono in casa e il castano posò per terra un sacco che aveva trovato chissà dove e che avevano deciso poi di utilizzare per metterci dentro tutti i regali per i loro amici.
«Mettilo sotto all'albero brò.» Gen poté finalmente salutare Niall come si deve, non appena quel clown che spacciava come suo fidanzato si allontanò.
«Buon Natale Irlanda.» gli sussurrò all'orecchio, accarezzandogli le spalle. 
«Grazie mille Gen, anche a te.» lui le stampò un bacio umido sulla guancia e quando Harry tornò si sedettero sul divano, aspettando l'arrivo dei soliti ritardatari.
«Dobbiamo aspettare ancora?» gridò Harry non appena aprì la porta, facendo entrare Louis, seguito a ruota da Liam e Georgia. «Manco fossero il re, la regina ed il principe!» li prese in giro, scuotendo la testa. Si scambiò un saluto con i suoi amici e salutò la ragazza con due baci sulle guance e tanto di auguri.
Liam stringeva la mano a Georgia con possessività, e la condusse all'interno della casa dove salutò gli altri.  
«Adesso manca solo Zayn.» constatò Genevieve, stringendo poi in un abbraccio l'amica dai capelli rossi che non vedeva da tanto. Avrebbero avuto tante cose da raccontarsi, per telefono riuscivano a dirsi solo il minimo indispensabile. 
«Chi è disposto a scomodarsi per chiamarlo?» chiese Niall iniziando a prendere due bottiglie di champagne.
«Sta arrivando, mi è appena arrivato un suo messaggio.» disse Louis facendogli l'occhiolino. 
«Starà scopando con qualcuno, come al solito.» Liam si lasciò sfuggire quella tenera osservazione, ricevendo un occhiataccia da Georgia che si trovava dall'altro lato della stanza ma che comunque l'aveva sentito. Lui le mimò un bacio e portò il calice alle labbra, finendolo tutto.
Erano pochissimi giorni che si frequentavano, ma tale alchimia tra loro due era un qualcosa che mai nessuno aveva avuto modo di provare, forse solo Gen ed Harry.
«Ci hai fatto sesso al primo appuntamento?» domandò fingendosi indignata Genevieve, portandosi una mano alla bocca con fare teatrale. La rossa le diede una leggera spinta, intimandola di fare silenzio. Non voleva che Liam sentisse quei loro discorsetti.
«E' stato più forte di me. -arrossì- Non riesco a non saltargli addosso ogni volta che ci vediamo. Praticamente amo fare sesso con lui, e ho paura che la cosa degeneri in una strana forma di malattia.» scoppiarono a ridere entrambe.
«Non devi avere paura. Credo sia così per tutti all'inizio.» Genevieve prese un sorso di quel prelibato Bollinger. «Quando io ed Harry ci siamo messi insieme, ci incontravamo a scuola ogni giorno, nell'intervallo, per farlo in bagno.» spiegò con nonchalance, alzando le spalle. «Quella si che era una malattia.» 
Furono improvvisamente interrotte da Louis che posò le sue mani sulle spalle di entrambe e sorrise teneramente.
«Siete talmente immerse nei vostri discorsi sconci che non vi siete neanche accorte dell'arrivo di Zayn. Siamo al completo adesso, possiamo iniziare a festeggiare come Dio vuole.» sempre con lo stesso sorriso sulle labbra le condusse in cucina, dove la tavola era stata addobbata a puntino.
Presero tutti posto dove trovarono un quadrifoglio portafortuna con scritto sopra il nome di ognuno di loro. Kate, la domestica, ci sapeva davvero fare con quelle cose. Niall le sorrise, per ringraziarla e lei sorrise allo stesso modo.
La donna sulla quarantina servì la cena e il fato volle che il ragazzo moro dalla pelle ambrata fosse seduto proprio di fronte a Genevieve, rendendo il tutto abbastanza imbarazzante. 
La ragazza alzò i suoi occhi azzurri sulla figura davanti a se e non appena notò la sua camicia sporca di quello che sembrava avere tutta l'aria di essere rossetto quasi non si strozzò con l'acqua. Quella davvero non se la sarebbe mai aspettata.
Lui, lo stesso che aveva quasi scatenato un pandemonio per un suo stupido capriccio su di lei, adesso se ne andava a scopare per tutta la città senza alcuna vergogna, mostrando quel sorriso strafottente e facendo capire a tutti che a lui non importava di niente e di nessuno, ne tantomeno di Gen.
«Hai sporco qui.» disse tutto ad un tratto Genevieve con lo sguardo duro fisso su Zayn. Tutti si zittirono all'istante, cercando di capire a chi si stesse riferendo. Poco da fare. Il moro aveva già afferrato.
Zayn rise tra se e se e abbassò lo sguardo. «Scusa, non ho avuto tempo di passare a casa a cambiarmi.» gli altri ripresero a parlottare a bassa voce tra loro, lasciando che loro due si scambiassero quegli sguardi pieni di parole. «Mi dispiace che ti dia così tanto fastidio. Se vuoi vado a mettermi una maglia di Niall.» disse indicando quest'ultimo con una mano.
Genevieve strinse le mani in due pugni, sentendo il sangue salirle al cervello. Lo stesso Zayn che era prima che lei se ne andasse in rehab era ritornato, più irritante che mai. Fottutamente egocentrico.
«No Zayn, cercavo soltanto di farti notare una cosa così evidente come quella schifosa macchia.» scostò la sedia dal tavolo con una spinta, facendola strusciare sul pavimento. Tutti si voltarono nella sua direzione. «Scusate, vado a prendere una boccata d'aria. L'aria comincia a diventare viziata qui dentro.» rivolse un occhiata tranquillizzante a Harry, carezzandogli successivamente una spalla, e uscì dalla stanza.
«Hai ripreso a fumare?» la voce di Zayn le arrivò alle orecchie più vicina di quanto pensasse. Non lo aveva proprio sentito arrivare, tanto che era immersa nei suoi pensieri. 
Stringeva tra le dita una sigaretta quasi finita, e non appena sentì le parole del moro fu tentata dal gettarla per terra, ma chiuse gli occhi e respirò a fondo.
«Mi aiuta a calmare i nervi.» rispose a tono, lasciando intendere tutta la rabbia che le aveva fatto salire. 
«Cosa ti ha fatto innervosire?»
«Tu.» prese un ultimo tiro dalla sigaretta e poi la spense nel portacenere che si era portata dietro dal salotto. Faceva freddo anche quella sera e lei stava letteralmente congelando con addosso solo la camicetta. Fece per andarsene, pronta a tornare da Harry e gli altri, ma la mano di Zayn la bloccò prontamente.
«Harry mi ha chiesto di venire a vedere che fine avessi fatto.» sussurrò a pochi centimetri dal suo orecchio. «Lui ti ama davvero incondizionatamente.» sospirò pesantemente e Genevieve si sentì quasi schiacciare da quell'enorme masso che si era poggiato sul suo stomaco. «Avrei tanto voluto farlo anch'io.» alzò i suoi occhi scuri e tristi e li incatenò a quelli della ragazza che gli aveva fatto perdere completamente il senno.
«Non è possibile, lo sai. Troverai il tuo vero amore prima o poi.» si divincolò da quella presa calda e rientrò in casa, dove i ragazzi avevano stappato l'ennesima bottiglia di vino.


Niall richiuse la porta di casa con un sorriso stanco sulle labbra, dopo che anche l'ultimo della banda lasciò l'abitazione.
Kate era andata via da un bel pezzo ormai, così senza che nessuno potesse riprenderlo da quello che stava per fare, si sfilò le scarpe e la camicia ormai fradicia di champagne e si gettò a peso morto sul divano. Afferrò il suo iphone che si era precedentemente illuminato e notò un insolito messaggio non letto da un altrettanto insolito destinatario. 
Il suo stomaco si strinse in una morsa, non appena lesse quelle poche parole.
Un “mi manchi”, insulso e atteso per troppo tempo. Era stata probabilmente la sua migliore amica dai tempi del pannolino. C'era sempre stata, in ogni singola situazione, in ogni singolo giorno, in ogni singola lacrima. Lei era lì per lui anche quando sembrava che il mondo gli fosse caduto addosso per colpa di Bry. E lei, la stessa che sapeva quanto male gli avesse fatto la sua ex fidanzata, se n'era andata nel bel mezzo del suo orribile periodo, lasciandolo affogare da solo in quel mare di tristezza, rabbia, odio e solitudine.
Non se lo sarebbe mai perdonato, ma le persone che avevano scelto per lei non avevano preso in considerazione nulla. L'avevano semplicemente caricata su un volo spedito chissà dove, lasciando a Brooklyn tutte le sue emozioni, il suo amore, la sua vita, Niall. E adesso che aveva avuto il coraggio di farsi viva, era pronta a tutto, anche alla peggiore delle reazioni.
Sarebbe tornata a casa sua l'ultimo giorno di quell'anno, pronta a restarci per quanto tempo avesse voluto. Era stata pronta a mandare a quel paese tutti, la sua vita era dove aveva lasciato un tenero irlandese adesso troppo cresciuto.

 

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Capitolo 13
*** Chapter 13. ***


sl

Chapter 13
 
Niall stava poggiato con le spalle alla casetta di legno del parco abbandonato vicino casa sua. L'avevano chiuso per uno strano motivo che non ricordava e adesso in quello spazio ci si drogava soltanto.
Gettò la terza sigaretta finita, e si sistemò gli occhiali neri sul naso. Inspirò profondamente, mentre la paura che si fosse presa gioco di lui si faceva spazio dentro di se. Prese un altro respiro e scacciò un sassolino con la punta delle sue nike.
Proprio mentre era in procinto di accendersi un altra sigaretta qualcuno fece ombra su di lui che, incuriosito, alzò immediatamente lo sguardo.
Lei era lí, davanti a lui, il solito sorriso che era capace di contagiare anche i più demotivati era sulle sue labbra piene e rosse. I capelli lunghi neri come la pece erano smossi dal vento mattutino, ed i suoi occhi color miele brillavano di luce propria.
«Scusa il ritardo.» disse Ivory, infilando le mani nelle tasche del suo parka. Abbassò lo sguardo sui suoi stivaletti già sporchi di fango, mentre il cuore prese a battere frenetico. Sapeva che non sarebbe stato facile, lo sapevano entrambi.
«Ti trovo bene.» Niall si staccò dalla parete di legno e fece qualche piccolo passo in avanti. «Sei dimagrita tanto.» disse poi accennando un sorriso ed inclinando di poco la testa. Si sfilò gli occhiali e li mise al collo della sua maglietta.
«Dieta. Ne avevo bisogno.» I suoi occhi azzurri continuarono a scrutarla. Cresciuta, adesso era decisamente più donna. Le ciglia folte che lui aveva sempre amato contornavano alla perfezione i suoi occhi colorati di nero.
«Non dimagrire più sennò mi diventi anoressica come quelle modelle.» lui sorrise e la ragazza ricambiò, mostrando i suoi denti bianchi.
«Tu invece diventi sempre più bello. Adesso ti invidio di più.» Niall rise e abbassò lo sguardo, forse imbarazzato, per poi rialzarlo subito.
«Ti offro qualcosa, andiamo.» entrambi salirono sul SUV nero del ragazzo, che guidò fino al suo bar preferito.


«Un caffè senza zucchero per me ed un cappuccino per la signorina.» Niall sorrise a Bash, il cameriere nonché anche suo amico, il quale annuì ricambiando e si allontanò per preparare le ordinazioni. 
Ivory alzò lo sguardo dalle sue dita tempestate di anelli e inchiodò i suoi occhi a quelli del ragazzo. 
«Non lo ricordavo quasi più questo bar.» disse poi sospirando e riuscendo a rilassarsi almeno un pò. Si guardò intorno, ammirando le pareti e l'arredamento che non erano cambiati di una virgola. Quello era lo stesso posto dove Niall e gli altri passavano la maggior parte delle loro giornate a perdere tempo. Lei lo sapeva bene per tutte le volte che era andata a recuperarlo dopo le sue sbronze.
«Non sei più tornata per un anno, mi sembra normale.» disse lui con un sorrisetto quasi forzato. Ricordare che lei se ne fosse andata così, all’improvviso, gli faceva ancora ribollire il sangue nelle vene.
«Volevo chiederti scusa. Scusa per non averti detto nulla, per non aver scritto o telefonato. Non c'è stato un singolo giorno in cui io non pensavo a te. Mi sei mancato costantemente, quasi come l'aria. Ho fatto davvero cose orribili nella mia vita, ma lasciarti è stato l'unico errore più grande e non ho scuse per questo.» disse tutto d'un fiato quelle parole che aveva imparato a memoria a furia di ripeterle nel viaggio verso casa. Non aveva saputo dire di meglio, forse perchè quello che pensava era davvero stato racchiuso dalle sue poche frasi. Non c'erano giustificazioni e lei lo sapeva. Sperava solo che un giorno o l'altro Niall l'avrebbe perdonata, nulla più.
«Non devi scusarti con me, io non sono nessuno.» disse lui ridacchiando nervosamente, non volendo dare a vedere quanto in realtà c'era stato male.
«Invece no. Tu eri tutto per me e non potrò mai perdonarmi per quello che ho fatto.» 
Niall allungò le mani prendendo tra le sue quelle tremanti della ragazza. 
«Lasciamoci alle spalle ciò che è passato.» le disse con il suo sorriso mozzafiato e in quell'istante le loro tazze fumanti arrivarono.
«Grazie Bash.» il cameriere fece l'occhiolino al biondino e se ne ritornò al bancone con il vassoio sottobraccio.
«Questa sera ti invito a cena, sempre se ti va.» Niall prese un sorso del suo caffè, mentre Ivory si era già sporcata con la schiuma del suo cappuccino e la cannella che lei adorava. Il ragazzo ridacchiò, e lei, rossa dalla vergogna, prese un fazzoletto e si pulì. Tossicchiò, ricomponendosi, ma non poté evitare di scoppiare a ridere insieme al biondino.
«Certo che mi va.» disse quasi urlando dopo aver ripreso fiato. 
Il biondo sorrise, felice, sereno, in pace. Adesso sembrava che tutto avesse ripreso ad avere un senso. La sua vita non era più in bianco e nero, vedeva dei colori anche per lui, la felicità ed il benessere che gli spettavano da una vita. Anche lui avrebbe ripreso a vivere come un normale ventenne.


«Harry, hai messo tutto nella borsa?» Genevieve stava controllando l’enorme borsone che il suo ragazzo avrebbe dovuto portare con se per quella prima gara di campionato che si sarebbe tenuta in una città non molto distante. Non sapeva se sarebbe ritornato per l’ultimo di quell’anno, ma sapeva quanto Harry teneva alla boxe e non avrebbe di certo ostacolato il suo cammino.
«Si, mi sembra di si.» il riccio uscì dal bagno stringendo tra le mani lo spazzolino ed il dentifricio, e dopo averli infilati nella tasca posteriore della borsa strinse tra le braccia la sua donna.
«Mi mancherai, già lo so.» disse Harry posandole prima un bacio sulla fronte e successivamente sulle labbra. 
Gen sospirò, e si strinse a lui. «E tu mancherai a me.» borbottò con la faccia schiacciata contro il suo petto. Chiuse gli occhi per un istante, inspirando a fondo il profumo del suo uomo.
«Non combinare pasticci. Ti rivoglio tutto intero.» Gli sorrise e mentre stava per attirarlo a se per un ultimo bacio, il cellulare del ragazzo prese a squillare insistentemente. 
«Ci sono. Due minuti e sono giù.» sbuffò riattaccando Harry e Gen sorrise.
Harry aveva odiato Kevin sin dal primo giorno in cui l'aveva incontrato, ma tutto ciò che lui era adesso lo doveva solo ed unicamente a quell'uomo e al suo “dai cazzo Harry!”. 
Dopo aver controllato che avesse tutto con se il riccio infilò il beanie celeste e indossò la giacca verde militare. Genevieve lo scortò fino al marciapiede dove c’era accostata la macchina dell’uomo che allenava il suo ragazzo.
«Quindi, credo che arrivati a questo punto dobbiamo salutarci.» iniziò lei dondolandosi sui talloni e guardandosi le mani giunte. 
«Sono solo quattro giorni amore mio. Non vado mica in guerra.» Harry sorrise e riuscì a strappare una risata anche alla sua ragazza. Non stava per piangere, era solo preoccupata per il fatto che lui stesse andando a fare un incontro al quale lei non avrebbe assistito e la cosa la mandava fuori di testa. Aveva già le palpitazioni e l’ansia cresceva secondo dopo secondo.
«Ti amo campione.» mormorò alzandosi sulle punte delle sue Vans e unendo le loro labbra che era state create per stare insieme, come due pezzi di un puzzle.
«Ti amo anche io bimba.» E dopo l’ultimo bacio, Harry era salito su quella macchina, pronto a ritornare direttamente per il nuovo anno.
Genevieve sospirò e dopo essere stata lì ferma imbambolata per dieci minuti buoni a fissare il punto dove la macchina era sparita, rientrò in casa, chiudendo bene la serratura.
Inviò un sms alla sua collega Clarissa, dicendole che per quel giorno sarebbe restata a casa, bloccata da un forte raffreddore. La verità era che non le andava tanto di andare in studio e sorridere gentile per tutta la giornata a persone che si ritenevano superiori solo perché erano loro a stare dalla parte dei riflettori.
Fece una smorfia di disgusto pensando a quelle modelle super anoressiche, i pantaloni da barbie ed i numerosi strati di trucco.
Non era di certo il lavoro adatto ad una che aveva sofferto le critiche della società per la metà della sua vita, ma era pagato bene e a lei importava solo quello.
Mentre aveva la mente che viaggiava altrove una vibrazione improvvisa la destò dai suoi pensieri. Il suo cellulare segnalava l’arrivo di un nuovo sms.
Georgia la pregava gentilmente di farsi trovare pronta per le nove, poiché sarebbe passata a prenderla insieme a Liam per una birra tutti insieme. Avrebbe risposto che non le andava, ma la voglia di passare un pà di tempo con la sua migliore amica l’allettava parecchio. Cosi aveva acconsentito ed era corsa subito sotto la doccia per fare una passata veloce di lametta dalle gambe in su. Optò per un paio di calze camouflage e una semplice maglietta lunga nera a maniche lunghe. 
Mise su un sorriso prima di uscire e chiudersi la porta alle spalle, avvisando Harry dei suoi piani per quella sera. La risposta non tardò ad arrivare e se c’era una persone capace di renderla triste per la sua partenza un ora prima e felice l’ora dopo quella era proprio quel riccio da strapazzo.

«Per me un the freddo, grazie.» 
«Che c’è, hai la diarrea per caso?» Tutti erano scoppiati a ridere non appena Zayn aveva bellamente sfottuto il suo amico Liam. In tutta risposta quest’ultimo aveva alzato il dito medio e risposto con un semplice ‘sono a dieta’.
Georgia e Genevieve non avevano smesso di parlare un attimo e fare pettegolezzi,  perfino sullo stesso Niall che sembrava essere ritornato ad una vecchia fiamma. Tutti sapevano che c’era sempre stato qualcosa tra quei due che adesso si stringevano segretamente la mano sotto al tavolo, anche se avevano costantemente continuato a negarlo. 
«Harry è arrivato a Maspeth?» ad un tratto la ragazza dovette interrompere la sua accesa conversazione con Geo e spostare la sua attenzione su Zayn, che dall’altro lato del tavolo la guardava serio in viso. La mascella serrata, le labbra inumidite dalla birra che aveva appena sorseggiato.
«Si, circa tre ore fa.» rispose lei a tono, bevendo un po’ d’acqua. Si schiarì la voce, evidentemente infastidita dallo sguardo che il moro manteneva su di lei. 
«Ivory, da quanto tempo mancavi qui a Brooklyn?» Georgia prese la parola per rompere quel silenzio che si era venuto a creare. In quel posto c’era davvero un forte chiasso e per farsi sentire aveva dovuto urlare un bel po’.
«Da un anno suppergiù.» la ragazza sorrise timidamente, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. I suoi occhi verdi erano davvero magnifici e unici quasi. Quelle sfumature erano perfino più belle di quelle di Harry e Genevieve dovette ammetterlo a se stessa. In fondo, era carina e simpatica, cosa si poteva desiderare di più da una ragazza?
«Qui dentro si muore dal caldo. Che inferno!» Liam, il solito insofferente del gruppo aveva cominciato a lagnarsi da cinque minuti buoni e per farlo tacere tutti avevano deciso di uscire fuori e fare una passeggiata per il corso principale, dove tutte le luci di natale rendevano il tutto ancora più accogliente. 
Genevieve si strinse nel suo cappotto nero, affondando letteralmente il viso nella sua sciarpa di lana. Louis quella sera non aveva potuto unirsi al gruppo, bloccato a lavoro per colpa di uno scarico di merce arrivato in tarda sera. E adesso lei si sentiva stupidamente fuori luogo. Liam stringeva la mano alla sua Georgia e di tanto in tanto le stampava baci sulle labbra, Niall aveva preso Ivory sottobraccio e parlottavano tra di loro, mentre gli unici che non si scambiavano sguardi né parole erano loro due. Genevieve e Zayn, amici, nemici. Non lo sapevano neanche loro. 
«Mi eviterai per il resto della tua vita? Non porto malattie, puoi anche parlarmi se ti va.» annunciò ad un tratto il ragazzo, alzando le braccia e lasciandole successivamente cadere lungo i fianchi.
«E’ quello il punto. Non mi va.» rispose dura la moretta, mantenendo il suo sguardo fisso davanti a se.
«Come non detto. Sembri una bambina capricciosa Gen.» e proprio mentre stava per avanzare il passo Zayn, la mano di Genevieve finì involontariamente attorno al polso di questo. 
«Adesso io sarei la bambina capricciosa? –gridò quasi indignata- Tu non accetti il fatto che nel mio cuore c’è spazio solo per Harry e allora inizi a scopare per tutta la città e mi dici che sembro una bambina?» Stavano fermi nel bel mezzo della strada a scambiarsi quegli sguardi adirati.
«Perché diavolo sei gelosa?» il moro si sottrasse alla presa di Gen, guardandola confuso al massimo.
«Non sono gelosa, cazzo!»
«A me sembra proprio di si.» Adesso i toni erano calati, quasi erano diventati sussurri.
«Tu non sai proprio niente. Tengo a te esattamente come tengo a gli altri. Non voglio che ti comporti così, semplicemente. Meritate il meglio, tutti voi.» ammise, quasi con tono sconfitto.
«Io avevo scelto il mio meglio, ma tu hai deciso anche per me Gen.» 
«Possiamo ricominciare da capo? Te lo chiedo per favore. Odio questa situazione tra noi.» Fece un passo avanti, avvicinandosi di più a Zayn. 
«Cosa proponi? Sentiamo.» Ormai avevano perso di vista gli altri, presi com’erano da quella discussione. Il ragazzo alzò un sopracciglio e tirò su un angolo della bocca.
«Amici, semplicemente. Niente più frecciatine, niente più scontri, niente di niente.» rispose lei, alzando le spalle. Cosa mai poteva esserci tra di loro se non una semplice amicizia?
«Va bene. Ma non aspettarti chissà cosa. Sono sempre Zayn, non dimenticarlo mai.» Le fece l’occhiolino dopo averle sorriso malandrino, aveva afferrato la sua mano e l’aveva letteralmente trascinata, correndo, verso la via che avevano preso gli altri. 


 

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Capitolo 14
*** Chapter 14. ***


sl

Chapter 14
 
I loro corpi nudi e sudati continuavano a rotolare tra le coperte calde, che bruciavano di passione. Gemiti, ansimi, lamenti di piacere risuonavano tra le quattro mura. Spasmi, movimenti veloci e desiderosi di voler di più. 
Tutto quello sarebbe rimasto in quella camera asettica, troppo vuota e priva di emozioni. Non c'era amore in quell'atto, nulla che facesse pensare a due innamorati. 

 
***

Harry quella mattina era ritornato, accompagnato dal suo orgoglioso allenatore che l'aveva scortato fin sotto casa di Genevieve. Il sorriso sui loro visi non li aveva lasciati per quei due giorni dopo l'incontro dal quale il riccio ne era uscito vincitore. Non c'era gioia più grande per lui di quella. La sua mano tirata su dall'arbitro, gli applausi che riempivano quel palazzetto, il ring che ormai era diventato parte di lui.
«Ci vediamo domani in palestra.» Era uscito dall'auto buttandosi il borsone in spalla e mantenendo nell'altra un meraviglioso mazzo di fiori. 
Salì le scale del condominio a due alla volta, raggiungendo in me che non si dica la porta dell'appartamento. Erano le sette del mattino e Genevieve molto probabilmente era ancora a letto, infilata sotto le coperte.
Il ragazzo prese il mazzo di chiavi che la sua ragazza gli aveva duplicato e con lentezza aprì la porta, e senza far rumore entrò in punta di piedi.
Poggiò le sue cose sul tavolo in cucina e si tolse le scarpe, gettandole accanto al divano. Con i fiori alla mano si avviò verso la camera da letto e come aveva immaginato il corpo di Genevieve era ancora avvolto dalle coperte fin sopra al naso. Dormiva beata, con l'espressione rilassata ed incredibilmente serena. 
Quella mattina il sole era alto in cielo ed Harry dovette ammettere che il nuovo anno era davvero iniziato nel migliore dei modi. 
Si appoggiò sul letto, sperando di non riuscire ancora a svegliarla, ma la moretta aprì un occhio e poi l'altro, sorridendo infine a trentadue denti.
Harry le mise davanti  fiori e non riuscendo a trattenersi un secondo di più, Gen si gettò tra le braccia del suo uomo.
«Sei qui.» sussurrò lei a pochi centimetri di distanza dal suo petto che profumava di acqua di colonia. Inspirò a fondo quell'odore, per paura che tutto potesse essere frutto della sua fervida immaginazione. Ma no, Harry era davvero lì. Era ritornato da lei.
«Sono qui.» rispose lui ovvio, posando i fiori ai piedi del letto. Si infilò sotto le coperte accanto a lei e tutto ciò che fece fu solo avvolgerla tra le sue possenti braccia.
«Ho contato le ore ed i minuti, nell'attesa che ritornassi.» disse ancora Genevieve, chiudendo gli occhi e rilassandosi.
«Non ci credo che hai fatto solo questo mentre ero via.» Per un istante Genevieve si ricordò della sera in cui tutto sembrò ritornare alla normalità tra lei e Zayn, ma evitò di farne parola con Harry, sicura che la conversazione sarebbe sfociata in qualcos'altro. Glielo avrebbe detto, poi.
«Ho mangiato, dormito, e ancora mangiato e ancora dormito.» Harry scoppiò a ridere guardandola nascondersi nell'incavo del suo collo. «Domani devo ritornare a lavoro.» borbottò poi, e con uno scatto si tirò su a sedere. Si strofinò gli occhi energicamente, e scalciò via le coperte.
«Dove credi di andare?» Non appena Genevieve fece per mettere piede a terra si ritrovò nuovamente con le spalle al letto, ed il corpo di Harry che le faceva da scudo. «Non scapperai da me, gattina.» La ragazza si morse il labbro con malizia, guardandolo con il desiderio che ardeva nei suoi occhi azzurri.
«Ho voglia di giocare con te, campione.» disse mormorando e mordendosi la punta dell'indice. Harry sorrise, spingendosi di più verso di lei. 
«Non vedo l'ora di iniziare.»


Harry si sporse appena per darle un bacio sulle labbra e sorriderle sulla pelle che sapeva di limone. Gen si morse il labbro e con il lenzuolo impregnato dei loro profumi mescolati avvolse il suo corpo. Non poteva ricevere miglior risveglio di quello.
Il riccio si alzò, non curante di essere nudo, mostrando il suo corpo bellamente tatuato.
Si scostò i riccioli dalla fronte e si piegò a prendere qualcosa dalla cassettiera che Gen aveva riservato alle sue cose.
Prese una maglia nera ed un paio di boxer puliti, poi le si avvicinò nuovamente sussurrandole un, «Se ti va un secondo round, sono in doccia!» con un tono abbastanza malizioso da farle accapponare la pelle dal piacere che la sua voce le dava.
La ragazza arrossì appena e lo spinse .«Vai a lavarti.» lo incoraggiò ridacchiando per poi stendersi nuovamente sul materasso. Sentì la lieve risata di Harry e successivamente lo scrosciare dell'acqua della doccia.
Aveva un sorriso sul volto che pareva illuminarla ancora di più e quel sorriso era dovuto solo a lui: Harold Styles.
Si rigirò tra le coperte più volte cercando qualcosa da fare. Era ancora troppo presto per chiamare Georgia, troppo presto per svegliare Louis e farsi portare la colazione perchè aveva voglia di passare la giornata con gli unici uomini della sua vita, Harry ed il fratello. Così, non avendo molto da fare, si sporse appena per prendere il cellulare di Harry che stava sul comodino e che era freddo per via della temperatura invernale.
Cliccò sul tasto centrale e subito le venne un fastidioso groppo alla gola.
Sbloccò l'apparecchio e come prima cosa le venne da cliccare sull'applicazione dei messaggi e si pentì l'attimo dopo averlo fatto.
Foto a dir poco oscene che lo ritraevano con una ragazza abbastanza più piccola di lei, entrambi nudi sul letto, mentre si baciavano o sorridevano. E quei testi, quei ti amo che credeva fossero solo per lei.
Era inorridita, ed in quel momento la sua giornata era passata dall'essere stupenda, perfetta all'essere una totale merda.
Il rumore dell'acqua finì mentre lo sentiva fischiettare allegro nel bagno facendo eco per quel piccolo appartamento che stava pian piano riarredando.
Genevieve si alzò dal letto infilando il pigiama che con avidità e desiderio Harry le aveva strappato di dosso e quasi si sentì sporca ed usata. Come aveva potuto farle una cosa del genere? Come aveva potuto tradirla? Era la sua vendetta per averlo abbandonato qualche tempo prima?
Scosse la testa cercando di trattenere le lacrime, ma non ci riuscì. Tutto fu vano quando Harry entrò in camera e confuso le chiese che fretta avesse di sistemare il letto e cambiare le lenzuola. Era tranquillo lui. Come se nulla fosse successo.
«Te ne devi andare.» digrignò i denti lei cercando di non sferrargli uno schiaffo in quel volto perfetto.
Harry la guardò ancora più confuso e si vide sbattere in faccia il suo skinny jeans nero e le sue scarpe del medesimo colore. Li lasciò cadere al suolo e la raggiunse abbracciandola da dietro mentre lei cercava freneticamente di non tremare. Cosa era successo improvvisamente? Ma quando vide il cellulare per terra, Harry capì raccogliendolo.
«Perchè avevi il mio cellulare tra le mani?» domandò lui adesso freddo e duro. Gen si voltò indignata e lo trafisse con lo sguardo.
«Perchè sono masochista.» disse lei mormorando «Quindi, è stato bello il Capodanno con la tua ragazzina?» domandò totalmente incazzata, ferita, delusa.
Harry strinse il cellulare tra le mani e quasi non lo rompeva. «Chi cazzo ti ha dato il permesso di controllare il mio cellulare?» alzò la voce lui.
«Sei il mio ragazzo e credevo che certe cose le condividessimo. Credevo non ci fossero segreti tra me e te. Che non mi tradissi per una puttanella che ti ha aperto le gambe perchè hai vinto nel prendere a pugni un perdente più di te.» urlò lei a pieni polmoni sentendo il suo respiro divenire sempre più affaticato mentre lo guardava con gli occhi strabordanti di rabbia. «Avrei voluto passare il capodanno con il mio ragazzo e non da sola. Avrei voluto baciarti a mezzanotte, fare l'amore. Ma tu..-lo guardò dritto negli occhi-.. Mi fai schifo.» disse lei spingendolo appena per poi andare verso l'armadio dove vi erano altri indumenti di Harry e iniziò a gettarli alla rinfusa dietro di se, dando libero sfogo alle lacrime che silenziose scendevano lungo le sue guance.
Harry sbatté il cellulare sul comò e come un treno l'afferrò per un polso voltandola verso di se. A lui nessuno dava del perdente, a lui nessuno rispondeva in quel modo.
«Cosa diamine vai blaterando? Credi che non sappia che ti sei scopata Zayn mentre ero via?» disse lui.
Gen lo guardò schifata, disgustata e cercò di divincolarsi da quella presa che era troppo stretta e dolorante. «Sei pessimo. Sei disgustoso, sei.. Dio mio. -scosse la testa- Tu hai fatto sesso con una ragazzina per farmi pagare qualcosa che non ho fatto. Un figlio di puttana, ecco cosa sei.» urlò lei con gli occhi azzurri pieni di lacrime.
Harry strinse ancora di più la presa non riuscendo più a regolare la sua forza. «Ci sei stata insieme, ammettilo.»
«Mi fai schifo. Vattene a fanculo con quella troia.» disse lei facendo per continuare quando, preso ormai dalla furia, Harry le sferrò uno schiaffo sulla guancia, facendola pulsare ed arrossare al momento. Entrambi rimasero di stucco a quel gesto e a Gen crollò il mondo sotto ai piedi. Non le aveva mai messo un dito addosso.
Scosse la testa indignata e distrutta, guardandolo addolorata «Vattene.» mormorò lei calciando i suoi vestiti sparsi per il pavimento. Si passò una mano sulla guancia che sentiva bruciare e mai in vita sua aveva pianto quanto quella volta.
Iniziò ad urlare, sembrava una matta, sentiva la sua anima ardere di dolore mentre Harry la guardava senza parole per quel suo gesto fin troppo impulsivo. Allungò la mano verso di lei cercando di fermarla, ma Genevieve scansò la presa spingendolo lontano da se con una forza che non aveva mai sentito appartenerle prima di allora.
«Non ci provare nemmeno a toccarmi.» urlò «Devi andare via, devi sparire dalla mia vita.» continuò «Prendi le tue cose e vattene Harry.» disse lei superandolo per andare a chiudersi in bagno, ma il riccio la fermò attirandola a se dispiaciuto.
«Amore, amore mio.. Ti pr-»
Uno schiaffo sonoro riecheggiò per tutta la stanza. Questa volta era la guancia di Harry a pulsare.
«Non fartelo ripetere ancora una volta Harry. Vattene via o chiamo la polizia.» disse successivamente chiudendosi in bagno. Si lasciò cadere contro la porta, scoppiò ancora a piangere sentendo un enorme fitta al cuore tanto da desiderare di farlo smettere di battere per lui.


Harry era andato via da un pezzo ormai e lei non sapeva davvero quanto tempo aveva passato seduta sul pavimento freddo del bagno. Le lacrime le aveva esaurite tutte. Si sentiva svuotata, ferita, e mai più di quella volta, completamente sola. 
Adesso stava seduta sul divano, guardandosi attorno. Quella piccola casa sembrava spoglia senza di lui, senza quello che c'era stato tra loro fino a tre ore prima. 
Louis aveva appena bussato alla sua porta, e con tutta calma andò ad aprirgli. Cercò di sorridere, ma un orribile smorfia comparve sul suo viso. Non era mai stata brava a fingere.
«Cosa succede?» chiese il ragazzo entrando in casa e guardandola accigliato. Posò sul tavolo il pacchetto che aveva tra le mani e si sfilò la giacca. 
«Nulla.» lo raggiunse, sedendosi a gambe incrociate su una sedia. Allungò le maniche del suo maglione fino alle dita, nascondendo i polsi arrossati. Per la sua guancia purtroppo non aveva avuto tempo di fare nulla.
Louis si avvicinò ed inginocchiandosi dinanzi a lei allungò una mano sul suo viso arrossato e le sfiorò lo zigomo appena più livido.
«Che diavolo è successo?» chiese lui, con espressione dura in volto. Il suo primo pensiero fu Harry, ma non voleva credere che fosse stato lui a farle quello che i suoi occhi stavano guardando. Sua sorella era completamente distrutta, rotta in mille pezzi, fragile, indifesa. Non l'aveva mai vista così in vita sua, neanche quando stava per sprofondare nella droga molti mesi prima.
«Non è successo nulla, sto bene.» abbozzò un sorrisetto e prese la mano calda di Louis tra le sue, e la differenza di temperatura quasi non le fece male.
«E' stato Harry?» il ragazzo si scostò irritato e si appoggiò al lavello della cucina, fissandola in attesa di una risposta. Non sapeva cosa sarebbe successo dopo che sua sorella avesse confessato, già iniziava a non vederci più dalla rabbia.
«Abbiamo litigato.» disse solo Genevieve fissando il pavimento consumato. Cercò di nascondersi maggiormente, sperando di riuscire a farsi ancora più piccola.
«Cazzo, Genevieve!» Louis gridò e lei non poté evitare di sobbalzare, tesa e spaventata com'era. Il cuore aveva iniziato a battere forte, impazzito. 
«Lui non voleva-» ammise infine, terminando la fatidica frase con un singhiozzo. Si portò una mano alla bocca e se prima aveva creduto che di lacrime non ne avesse più, allora dovette ricredersi. Quelle stupide gocce d'acqua salata le stavano bagnando nuovamente il viso candido, ed i suoi occhi erano ritornati rossi tutto ad un tratto. 
«Non voleva? Ma ti senti Genevieve?» Come aveva previsto Louis aveva iniziato a dare di matto, stringendo i pugni e trattenendo la voglia di rompere qualsiasi cosa. «Se io non voglio fare una cosa allora non la faccio. Cosa diavolo gli è passato per la testa?» si portò le mani tra i capelli castani, appena tagliati, tirandoli leggermente. «Lo uccido quel cazzone!» Raccolse la giacca dalla sedia e se la infilò veloce come un fulmine. Prese la chiavi dell'auto dalla tasta dei jeans chiari e si avviò alla porta. «Aspettami qui e non muoverti!» le disse, ma prima che potesse aprire la porta Gen trovò la forza di alzarsi e fermarlo dal fare la cosa più stupida della sua vita.
«Ti prego non farlo.» mormorò supplicandolo. «Resta con me, per favore.»


 

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Capitolo 15
*** Chapter 15. ***


sl

Chapter 15
 
Zayn fu costretto a fermarsi nel bel mezzo di un imminente orgasmo a causa del suo cellulare che aveva iniziato a suonare insistentemente. Sbuffò e scese velocemente dal letto, dove lasciò la donna di turno. 
«Pronto?» rispose svogliato, cercando di riprendersi. Sentiva un caldo bestiale, in quel buco di appartamento a stento si riusciva a respirare.
«Zayn, ho bisogno di te, adesso.» Louis dall'altro capo del telefono sembrava davvero troppo serio per essere il solito Louis, e fu proprio quello che attirò l'attenzione del moro.
«Che succede?» Si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore e lanciò un occhiata alla bionda ossigenata sul letto che stava giocando con i suoi seni nella speranza di riportarlo da lei. Disgustato, Zayn si voltò dalla parte opposta, uscendo dalla camera.
«E' complicato da spiegare per telefono. Possiamo incontrarci al bar tra dieci minuti?» continuò, mentre un sottofondo musicale giunse alle orecchie di Zayn. Molto probabilmente l'amico era in macchina, già diretto al loro ritrovo.
«Non so se posso, ero abbastanza impegnato.» si schiarì la voce, servendosi poi dell'acqua dal frigo.
«Harry ha alzato le mani su Genevieve.» Zayn strabuzzò gli occhi e l'acqua che stava bevendo gli andò di traverso. Aveva sentito bene, lo sapeva. Louis non scherzava mai su cose così delicate.
«Che cazzo ha fatto?» gridò, mentre la vista gli si appannava gradualmente man mano che la rabbia iniziava a ribollire. 
«Se vieni ti spiego meglio. Ti aspetto.» senza dargli modo di replicare Louis chiuse la chiamata e senza aspettare un secondo di più Zayn corse a rivestirsi.
«Dove vai?» trillò la donna, alzandosi dal letto. 
«Non sono cazzi tuoi.» rispose con brutalità, rifilandole un occhiata infuocata.
«I soldi te li scordi!» l'altra impugnò i suoi vestiti e come una bambina capricciosa se li infilò.
«Vaffanculo tu e i suoi soldi!» Zayn afferrò la sua giacca di pelle e con quelle poche parole lasciò la sua cliente insoddisfatta ed uscì dall'appartamento.
Louis bevve tutto d'un sorso quel boccale di birra che aveva ordinato non appena aveva messo piede al locale. Si era accomodato al solito posto e stava cercando con tutto se stesso di trattenersi dall'alzarsi e spaccare il muso di quello che doveva essere uno dei suoi migliori amici.
Come aveva potuto fare una cosa del genere alla ragazza che diceva di amare?
Quando la porta si aprì, vide Zayn paonazzo in volto, le vene del collo gonfie e il suo sguardo totalmente incazzato. Lo salutò e con un altro gesto di mano fece intendere alla cameriera di portare altre due pinte di quella bevanda. Il moro spostò con irruenza la sedia e si sedette con poca delicatezza. Non era una buona giornata: aveva perso i soldi, aveva un erezione in corso e in più quel bastardo di Harry aveva avuto il coraggio di alzare le mani su Gen.
La sua Gen.
Aveva i nervi a mille e avrebbe spaccato volentieri il suo ghigno da idiota.
Louis guardò l'amico e lasciò che le sue labbra entrassero in contatto con la birra fresca «Momento sbagliato?»
Zayn tracannò con un solo sorso circa mezza pinta e con forza sbatté il bicchiere sul tavolino «Giuro che gli spacco la faccia, Louis. -disse in un ruggito- Mi sono trattenuto tutto questo tempo. Ho covato dentro per mesi solo per rispetto di Gen. Ma lui ha esagerato e qualcuno deve fargli capire che non conta un cazzo!» disse con un tono di voce abbastanza alto tanto da far girare le poche persone nel locale.
Louis si passò la lingua tra le labbra mentre il moro si scolava l'altra metà del boccale. Si asciugò le labbra in malo modo, con il dorso della mano, prese degli spiccioli da dentro la sua giacca di pelle e si alzò, non lasciando a Louis nemmeno il tempo di iniziare quello che aveva intenzione di dirgli.
«Zayn, non fare cazzate!» disse Louis urlando da dove era seduto, quando ormai l'amico aveva varcato l'uscio del locale.
Era incazzato, era deluso, era disgustato. Mai in vita sua avrebbe pensato di ritrovarsi contro uno dei suoi migliori amici. Harry lo conosceva da sempre e li avevano da sempre accomunati gli stessi interessi per l'arte piuttosto che il calcio, il cibo orientale e la buona musica, ed ultimamente anche l'interesse per Genevieve.
Aveva cercato di metterci una pietra sopra, di farsi passare quella cotta che non sapeva da dove fosse saltata fuori, aveva cercato di farsi da parte, di conoscere altra gente, stare con altre persone per dimenticarsi di lei, ma mai avrebbe pensato che Harry sarebbe arrivato ad alzarle anche un solo dito.
Quando si trovò davanti alla casa che Harry era riuscito a permettersi grazie a quegli schifosissimi incontri, sentì l'adrenalina scoppiargli in corpo. Il suo cuore batteva come un razzo. Premette il campanello a più non posso, fin quando non si ritrovó quella faccia di merda davanti.
Harry era scocciato ed arrabbiato. «Hanno mandato il paladino della giustizia.» disse sarcastico appoggiandosi allo stipite della porta d'ingresso. Lo squadrò da testa a piedi, ridacchiando quando notò il suo stato. «Non ti vedo da tempo, credevo fossi morto per l'AIDS e tutte le malattie veneree che ti fai accattare.»
Quanto avrebbe voluto massacrarlo di botte: quella faccia da schiaffi, il sorriso che incantava quasi tutti.
Zayn scosse la testa e sorrise ironico chiudendo in un pugno la mano che aveva stesa lungo il fianco. «Beh, allora dovrei fare causa a tua madre, non credi figlio di puttana!?» gli domandò retoricamente per poi sferrargli un pugno in pieno volto. Harry non si aspettava una reazione del genere ma era pur sempre un lottatore e picchiare era il suo mestiere. Iniziarono a darsele di santa ragione, pugni, calci e insulti riempirono quelle quattro mura fin quando Zayn non lo scaraventò per terra, ritrovandosi seduto sul petto di Harry che aveva il volto pieno di sangue come il suo. Lo prese per il bavero della camicia e a denti stretti si chinò appena «Ringraziami, brutto bastardo, perchè questo è stato solo un avvertimento. -ringhiò- Avvicinati ancora a lei. Chiamala, mandale sms o fatti solo vedere nei paraggi di casa sua e giuro che questa volta quella troia di tua madre ti vedrà attraverso una fotografia. Al camposanto!» finì di dirgli per poi lasciare brutalmente la presa. Si alzò dal corpo del riccio che, dolorante, si rotolò su se stesso.
«Io non volevo Zayn.» mormorò Harry sputando sangue.
Il moro lo guardò mentre le sue nocche e le sue labbra erano piene di sangue e l'occhio iniziava a dolergli.
«Vaffanculo, Harry.» disse il pakistano sistemandosi la giacca e correre letteralmente da Gen.


Bussò ripetutamente alla porta in legno ormai consumata, peggiorando ancora di più la situazione alle sue nocche insanguinate. In pochi istanti il viso di Genevieve comparve nella sua visuale leggermente sfocata ed un sorriso spontaneo prese forma sulle sue labbra spaccate.
Aveva i capelli arruffati, e forse stava riposando quando lui aveva deciso di disturbare. Gli occhi azzurri come il cielo avevano perso di luminosità, ma erano attenti come sempre. 
Si portò una mano alla bocca non appena lo vide e si fece da parte per farlo entrare in casa.
«Non dirmi che è come penso.» sussurrò una volta che il ragazzo si fu accomodato sul suo letto, pronto per essere affettuosamente medicato. La ragazza tornò da lui con tanto di batuffoli di ovatta e disinfettante.
«Credo di si.» mugugnò Zayn, strizzando gli occhi quando il liquido freddo gli fece bruciare la ferita al sopracciglio destro.
«Perchè lo hai fatto, testa di cazzo?» chiese dura lei, destreggiandosi con fare esperto mentre gli attaccava qualche cerotto dove il sangue non aveva ancora smesso di uscire. Ad Harry aveva medicato ferite peggiori.
«Perchè ti amo.» disse semplicemente il ragazzo. La guardò dritto negli occhi, continuando a sorridere. Ora il dolore non lo sentiva neanche più. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era proprio lì, davanti ai suoi occhi ambrati. 
Era seduta a cavalcioni su di lui, le gambe sottili fasciate da un leggero leggings e nella testa continuava a frullargli sempre e solo un unica cosa. 
La voleva, completamente. La voleva con tutto se stesso e l'avrebbe ottenuta, a costo anche di rimetterci un amicizia che ormai non contava più nulla per lui.
«Ti amo e non voglio più tenermelo per me.» Drizzò la schiena, tenendo il suo peso bilanciato sulle braccia.
«Zayn io...» Genevieve spostò lo sguardo e fece per scostarsi da lui. Avevano iniziato a tremarle le mani e quella situazione non andava per niente bene.
Aveva cercato di fare l'eroe, aveva affrontato Harry, ma alla fine non era stato il riccio a tornare da lei. Era importante quello? Genevieve non lo sapeva. Non sapeva cosa pensare, cosa dire o cosa fare. Era totalmente persa, in balia delle sue incertezze.
«Lo so. Tu ami Harry, nonostante tutto.» le afferrò i polsi e l'avvicinò di più a lui. «Ma lascia che sia io ad amarti, e se non posso farlo per sempre concedimi solo questa sera. Voglio farlo con tutto me stesso.» Senza aspettare una risposta, si fiondò sulle sue labbra carnose. Quelle che aveva sempre desiderato, sognato di baciare ogni notte. Ed erano proprio come le ricordava, quando mesi prima le aveva sfiorate con le sue. Un solo ed innocente bacio aveva sconvolto totalmente la sua intera esistenza. Mai avrebbe pensato che una cosa del genere potesse essere possibile. 
Fece scorrere le sue mani lungo le sue spalle e poi sempre più giù, fino ad arrivare alle sue cosce che afferrò con delicatezza ed in un movimento rapido, si ritrovò incastrato tra le sue gambe. Intrappolato in quell'amore non corrisposto. Lo stesso che faceva un male cane al solo pensiero.
«Io avrei saputo darti di meglio. Ti avrei dato la luna se solo tu me l'avessi chiesta.»incatenò il suo sguardo negli occhi di Genevieve. «Tu non meriti questo.» mormorò lievemente, accarezzandole con il dorso delle dita quello zigomo ancora livido. 
Con quale coraggio aveva potuto farle quello? Zayn non riusciva ancora a capacitarsi di ciò.
«Lui non si è reso conto, non voleva farlo.» distolse lo sguardo ancora una volta lei, guardando adesso le mani del moro ai lati della sua testa. Le braccia tatuate esercitavano una grande forza per evitare che il suo corpo la schiacciasse.
Non rispose Zayn. Si limitò a chinarsi di nuovo su Genevieve e con la punta della lingua accarezzo le sue morbide labbra. Lentamente si insinuò nella sua bocca e quando le mani della ragazza si infilarono tra i suoi capelli, si lasciò sfuggire un tenero gemito. La presa di Gen attorno al suo bacino si rafforzò, ed entrambi sorrisero, dimenticandosi di tutto e di tutti.
Adesso c'erano solo loro due.
I vestiti finirono lentamente sul pavimento e i loro corpi erano ora avvolti tra le lenzuola, sudati ed esausti, ma senza alcuna intenzione di volersi fermare.
Zayn si muoveva lento sul corpo della ragazza che fremeva di piacere. Il modo in cui lui la toccava o la guardava semplicemente mentre si inarcava quando le sue spinte diventavano troppo violente. Lei era la prima donna che Zayn avesse mai amato così tanto e Dio solo sapeva quanto desiderasse averla per se, sempre, in ogni istante. Stringerla tra le braccia ogni qualvolta ne avesse avuto l'occasione, baciare le sue labbra ed asciugare le sue lacrime. Consolarla quando le giornate andavano male, dormire accanto a lei e, ancora, amarla.
«Non voglio che tu soffra a causa mia. Meriti qualcuno che ti ami allo stesso modo Zayn.» sussurrò improvvisamente Gen tra i gemiti.
«Non mi importa. Non voglio un altra, voglio solo te.» E tutta quella sicurezza nella sua voce, nelle sue parole, forse neppure Harry ce l'aveva mai avuta. 
Baciò la sua spalla, soffermandosi sul neo che tanto gli piaceva. Giocò con i capelli lunghi e morbidi, senza interrompere quella danza.
«Zayn...» soffiò Genevieve, e fu in quell'istante che il piacere puro divenne parte di lei, diffondendosi in tutto il suo corpo che fremeva, ardeva come fuoco.
Lui si accasciò sul suo petto dopo un ultima spinta, e fare l'amore con qualcuno non era mai stato così bello che farlo con lei.
«Non ti lascio andare Genevieve, ora che sei mia non lo farò. Mai.»


Genevieve aveva lo sguardo perso nel panorama fuori la finestra di casa sua. Non aveva mai avuto modo di pensare a come potesse essere un vantaggio il fatto di abitare al quarto piano. Da lì riusciva davvero a vedere tutta la zona circostante e nello sfondo, in lontananza, alti grattacieli si innalzavano dal suolo. 
Sfregò un piede sull'altro, reggendosi allo stipite dell'infisso. Il suo caffè si era ormai freddato e svogliatamente lasciò andare la tazza sul davanzale. Si voltò verso il suo letto ancora sfatto dove Zayn russava impercettibilmente. Era avvolto nelle lenzuola in malo modo. La schiena nuda, la faccia schiacciata sul cuscino di piume. 
Lui era stato forse il suo sbaglio più grande, ma uno dei pochi più belli di sempre. Si avvicinò in punta dei piedi, e leggera come una piuma si adagiò accanto a lui, fissando il viso perfetto. 
Con le dita gli sfiorò il viso pungente a causa della barba nera, le sue labbra schiuse, i capelli scompigliati. 
Fino a poche ore prima pensava che solo fare l'amore con Harry la riempiva fino all'orlo, ma si era sbagliata per tutto il tempo.
Zayn l'aveva riempita fino a scoppiare, le aveva trasmesso tanto di quell'amore che mai aveva provato. Si era sentita bene, felice, serena. In pace con se stessa, tutto solo con un semplice abbraccio.
Ma stare con Zayn era sbagliato, dannatamente. Harry non meritava quello e nemmeno colui che aveva dormito con lei quella stessa notte. Lei non andava bene, per nessuno. 
E adesso lo aveva capito. Avrebbe portato solo dolore restando accanto a loro un minuto di più. 
«Buongiorno raggio di sole.» sussurrò Zayn aprendo gli occhi e sorridendo felice come un bambino la mattina di natale. La verità era che lui non poteva desiderare altro. Il suo più grande regalo era proprio a pochi centimetri da lui.
«Buongiorno a te.» lei gli restituì il saluto, ma ormai sapeva dentro di se che quello sarebbe stato l'ultimo.
Andava presa una decisione, e Genevieve aveva già scelto la sua. 


 

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Capitolo 16
*** Epilogue. ***


sl

Epilogue.



Erano passati molti mesi da quando aveva visto per l'ultima volta Brooklyn. Adesso il paesaggio che intravedeva dalla sua finestra dava sul mare, un piccolo porto sulla costa del North Carolina. Southport era stata la sua salvezza, in tutto e per tutto. Il sole, i gabbiani, i granelli di sabbia tra le dita dei piedi. Quello faceva parte della sua quotidianità ormai. Ci aveva fatto l'abitudine alla fine, all'idea che non avrebbe rivisto più loro. Louis, Liam, Niall, Harry e Zayn. Li aveva abbandonati tutti, senza un messaggio, né una lettera. Non si era degnata nemmeno di scrivere un post-it ed attaccarlo al frigorifero di casa sua quella notte quando aveva fatto i bagagli mentre Zayn dormiva sul suo letto e continuava ad impregnare col suo profumo quella stanza, la sua casa, la sua vita.
Non avrebbe mai voluto fargli del male, ma se c'era una cosa che aveva imparato alla fine, dopo tanto tempo, quella era che non si puo' evitare l'inevitabile. Eppure lei un modo lo aveva trovato, a costo di enormi sacrifici, ma ce l'aveva fatta.
Aveva messo al sicuro Harry e Zayn da quel destino che li avrebbe condotti nella rovina totale. Era scappata dalla sua vita, determinata a crearsene una nuova e questa volta con la completa consapevolezza che nessuno si sarebbe fatto male. 
Aveva sentito Georgia l'ultima volta qualche giorno dopo la sua partenza. Poi c'era stato solo uno scambio di sms di tanto in tanto, nulla di più. Le aveva promesso che non avrebbe fatto parola di quello con nessuno, e quante notti aveva passato a piangere sul pavimento del bagno reprimendo la voglia di correre a raccontare tutto a Liam neanche lei lo sapeva. 
Ma Genevieve era consapevole del fatto che restare nascosta per sempre non sarebbe mai stato possibile, alla fine qualcosa era giunto alle orecchie di qualcuno. Una minima informazione aveva fatto si che la trovasse. Il cambio di identità, il nuovo colore di capelli per non farsi riconoscere non erano serviti a niente. 
Aveva bussato alla porta di casa sua, e lei gli aveva aperto ingenuamente senza guardare prima dallo spioncino. Se l'era ritrovato davanti con gli occhi sbarrati, il viso tormentato di chi non dorme sogni sereni da tanto, l'aspetto trasandato e troppo trascurato.
«Come hai fatto a trovarmi?» sussurrò Genevieve, tenendo lo sguardo fermo sul volto di Zayn. Il viso ricoperto da uno spesso strato di barba nera, le occhiaie profonde, i capelli spettinati.
Lui non rispose. Troppo preso a fissare il suo ventre, troppo rigonfio dall'ultima volta che l'aveva vista. Saranno stati sette mesi o giù di lì. Non se ne intendeva di gravidanze, ma quella aveva tutta l'aria di esserne una.
«C-cosa... S-sei incinta?» balbettò, passandosi una mano sul volto, cercando di trovare un senso logico, una spiegazione, un minimo che desse pace al suo tormento. 
«Si, Zayn. Sono incinta.» rispose lei in un sospiro. Lasciò andare le braccia lungo i fianchi, mentre gli occhi iniziavano a riempirsi di lacrime. Non voleva, piangere le faceva male e non era sicura che sarebbe riuscita a sopportarlo. 
«Per questo sei scappata Gen?» Zayn alzò finalmente lo sguardo, inchiodandolo negli occhi azzurri cielo della donna che gli aveva praticamente fottuto tutto l'organismo.
Un groppo alla gola, il tremolio alle mani, quella creatura che aveva iniziato a scalciare nella sua pancia non appena il ragazzo aveva alzato il tono di voce. 
Scosse la testa, abbassando lo sguardo. «Sono scappata per non fare del male a te, ad Harry, a tutti.» 
«Ti ho cercata in giro per tutto il paese Genevieve. Ho speso tutti i miei soldi pagando investigatori, la polizia, e quant'altro. Ho rischiato di diventare matto per rivederti solo una volta e sapere che non fossi morta. Non dormo da giorni, e Dio solo sa quanto sia stato fortunato a trovarti.» fece un passo avanti, mentre Genevieve indietreggiò, proteggendosi istintivamente il ventre. «Io ti amo, lo capisci si o no?» La ragazza sussultò e le sua grida la spaventarono ancora di più. Non riusciva a calmarsi, la paura che lui potesse farle del male non era normale. Eppure rivederlo lì davanti a se dopo tanto tempo, con l'espressione da pazzo squilibrato, l'aspetto orribile e rendersi conto di essere la sola ed unica causa del suo stato le  fece soltanto ritornare alla mente il motivo per cui lo aveva lasciato. 
Zayn cadde in ginocchio di fronte a lei prendendosi il viso tra le mani. «Ti prego non...» prese un respiro profondo. «Non allontanarmi. Ho bisogno di te, ho dannatamente bisogno di te.»
E alla fine anche lei finì sul pavimento. Vinta da quell'amore troppo potente, troppo grande per poter essere sconfitto solamente scappando. Lui l'aveva trovata, anche dopo mesi, anche dopo l'abbandono, dopo che aveva rischiato tutto aspettandosi un rifiuto. L'aveva cercata e poi trovata. 
Si avvicinò a lui, accarezzandogli il volto ed infine svuotò il suo cuore tra le mani di quel ragazzo di Brooklyn che amava con ogni singola cellula del suo corpo.
«Possiamo provarci, insieme.» bisbigliò tra i singhiozzi, abbozzando un sorriso. Le lacrime salate non avevano smesso di scivolare giù per le guance nemmeno per un secondo. Le stesse che rigavano l'altro volto, quello di colui che adesso sapeva per certo di volere nella sua vita. «Il mio bambino ha bisogno di suo padre.» 


A couple of years later... 

La risata è il suono più bello che possa esistere.
Se poi mettiamo in conto che a ridere sono l'uomo che ti ha salvato la vita e che ti ha dato due creature che ami alla follia e che splendono più del sole, allora è un altro discorso.
Genevieve li sentiva ridere dalla cucina, mentre giocavano sul patio di casa che dava sul grande giardino davanti alla piccola villetta che erano riusciti a comprare lavorando e facendo abbastanza sacrifici.
Sentiva Zayn ridere a crepapelle, chiedendo forse ai due bambini di smetterla di bagnarlo con la pompa che usavano per annaffiare le piante che la donna aveva con cura piantato la stagione precedente.
«Oh volete la guerra allora!» lo sentì dire e a quel punto la sua voce fu rimpiazzata dalle urla estasiate dei bambini, così decise di raggiungerli per assicurarsi che non fossero pieni di terriccio umido sui vestiti.
Si ritrovò davanti la porta d'ingresso spalancata, il loro Jack Russell sugli scalini che guardava scodinzolante la scena ed i tre uomini della sua vita che si schizzavano. Zayn era così sorridente, così dannatamente bello.
Così innamorato dei suoi bambini.
Oliver e Thomas, le sue fotocopie tranne per i meravigliosi occhi celesti e le lentiggini che avevano preso da lei.
Gen scosse la testa e ridacchiò portando dietro le orecchie un ciuffettino di capelli per poi appoggiarsi al pilastro in legno che teneva la tettoia. 
«Sei un bambinone, Malik.» disse lei con le braccia conserte richiamando l'attenzione del moro. Zayn si voltò verso la donna sorridendo deliziato da quella splendida visione. Era sempre più bella e lui sempre più innamorato di lei. Si distrasse, lasciando che i bambini prendessero il sopravvento e gli togliessero la pompa dalle mani andando a spruzzarsi un po' piú in la, vicino la cuccia del loro cane con cui avevano preso a giocare.
Zayn si scosse un po' il ciuffo e strizzò i lembi della sua maglia rossa che adesso stava attillata per via dell'acqua.
«Non vuoi che ti aiuti a cucinare, almeno faccio da clown per i bambini amore.» disse lui sporgendosi e baciandole quelle soffici labbra che sapevano di amarena. Sicuramente aveva preparato il plumcake all'amarena, appunto.
«Sei tutto bagnato.» disse lei cercando di scappare dalle grinfie del suo compagno quando fece per abbracciarla, ma non ci riuscì lasciandosi inumidire anche lei gli indumenti.
«Mi fai questo effetto, che posso farci?» arricciò il naso divertito lui.
Gen roteò gli occhi e gli sfilò la maglia bagnata, baciandogli le labbra, per poi stenderla sul passamano che ornava le scale, infine si sedette su di esse un po' pensierosa. Zayn la imitò, le prese la mano e le sorrise.
«Avanti, fammi quella domanda.» la incitò e lei arrossì.
«Quale domanda?» fece finta di non aver capito anche se dentro stava morendo dalla curiosità.
Zayn ridacchiò e si appoggiò con i gomiti sullo scalino dietro di lui guardando i bambini che avevano lasciato la pompa e adesso ordinavano al cane di prendere il giochino che gli avevano lanciato, disse loro di fare attenzione e poi ritornò a lei.
«Gen..»
«Okay. Okay.» sbuffò lei guardandolo «E' che non capisco perchè continuo a dargli una certa importanza chiedendomi che fine abbia fatto. Non è venuto a chiedermi scusa per quello che ha fatto, non è venuto a cercami quando sono sparita e... Credevo mi amasse.»
Zayn, nonostante fosse un po' infastidito nel sentir parlare ancora di quello che era stato uno dei suoi miglior amici, le sorrise riafferrandole la mano.
«Sei rimasta a metà, amore. E' normale voler sapere che fine abbia fatto.» le baciò il dorso della mano.
«Ma non è giusto nei tuoi confronti. Tu ci sei stato, sempre Zayn.»
«E ci sarò per sempre.» disse lui convinto e sicuro «Harry non aveva la testa per una relazione stabile. A quanto ne so io è andato via qualche settimana dopo che tu sei sparita. Pensavo avessi deciso di scappare con lui per questo non ti ho cercata prima. Ero deluso perchè nonostante tutto avevi scelto Harry e non me.» prese un po' di fiato «Ma poi Liam mi ha detto che lui si è trasferito in Inghilterra dal padre e Georgia mi ha detto che tu sei andata via per conto tuo. E il resto lo sai.» finì di dirle.
Gen ebbe le lacrime agl'occhi e senza nemmeno pensarci afferrò il suo volto ben definito e le stampò un dolce bacio. 
«Sei la persona più bella che abbia mai conosciuto.» gli sussurrò sulle labbra.
«Certo, sennò i nostri bambini non sarebbero fighi così amore.» la prese in giro facendola ridere. 
Perchè Zayn, nonostante tutto, le aveva sempre salvato la pelle. Lui era sempre stato dalla sua parte e l'aveva amata nonostante il suo cuore fosse stato di un altro per un periodo abbastanza lungo. Aveva tenuto duro, aveva continuato a tenere il suo cuore chiuso a chiave per lei, perchè era solo di lei. 
Perchè lui era solo di lei e per sempre lo sarebbe stato.







Writer's corner:
Buon pomeriggio carissime lettrici uu
Allora, credo che ormai tutte abbiate capito che siamo arrivate alla fine di questa fanfiction. 
Non starò qua a fare un discorso chilometrico, anche perchè mi scoccio hahaha Ma ci tenevo solo a dire due cose; mi dispiace avervi fatto aspettare tempi così lunghi per ogni capitolo nuovo ogni santissima volta, ma chi leggeva gli angoli autrice sa il perchè.  Mi dispiace anche di non aver dato proprio il 100% di me stessa in questa fanfiction che era così importante per me. Il problema è che questa storia è capitata proprio in questo periodo così brutto per me che non ho davvero potuto fare di meglio. Non sapete neanche quanto io sia amareggiata, ed arrabbiata con me stessa. 
btw, infine, ma non meno importante, ringrazio TUTTE le persone che hanno letto, seguito in silenzio, recensito, amato, e anche odiato u.u i personaggi, la storia e tutto il resto. Siete state voi a darmi la carica per continuare, ma una persona in particolare mi ha praticamente preso tra le sue braccia e mi ha guidato verso la fine e davvero non ce l'avrei fatta senza di lei. <3 Quindi, ringraziatela HAHAHAH
Spero che la mia prossima storia vi piaccia davvero. Potrà sembrare banale, ma sarà compito mio renderla unica. (: Non so quando la pubblicherò onestamente, ma tenetevi pronte a tutto uu

A presto fiorellini (: e grazie di tutto, ancora una volta.
Yours,
     Iriis.

 

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