Eadem Mutata Resurgo - Risorgo uguale e diversa

di Hastatus
(/viewuser.php?uid=3460)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dopo la morte (post fata) ***
Capitolo 2: *** Dalla cenere (ex cinere) ***
Capitolo 3: *** Dopo le avversità, più forte (ex adversis, fortior) ***
Capitolo 4: *** Non tu che sei solo? (num tu qui solus es?) ***
Capitolo 5: *** Contro di te soltanto ho mancato (tibi soli peccavi) ***
Capitolo 6: *** Cambiamo il tempo (tempora mutantur) ***



Capitolo 1
*** Dopo la morte (post fata) ***


Si schifava, e schifava ogni cosa.

Non avrebbe forse dovuto? Non avrebbe dovuto schifare tutto ciò che lo circondava? D’altro canto, un tutto in cui lui poteva muoversi e respirare, cioè esistere, c’era, e avrebbe dovuto essere grato al cielo solo per quello. Si guardò intorno.

Si trovava su di una spiaggia, una spiaggia tanto bianca da parere luminescente e quasi ultraterrena. Era notte fonda, ma il cielo era talmente trapunto di stelle da illuminare il paesaggio perfettamente, ma di una luce neutra, fredda e impersonale. Il cosmo, sopra di loro, pareva gettare uno sguardo imparziale sulla scena che gli faceva da cornice. L’oceano, fonte primaria di ogni essere vivente, era divenuto una tavola rosso sangue, in tutto e per tutto un’immagine di morte, e gettava sulla riva una risacca di quello stesso colore alienante. Un arco apparentemente sterminato, anch’esso rosso, si apriva sulla volta celeste fino a raggiungere la Luna, attraversandola. Enormi sagome scure si trovavano qua e là in quel mare allucinante, piantate come pali di segnalazione, poste come se fossero crocifisse. A coronare il tutto, a suggello di quel quadro soprannaturale, una testa, all’orizzonte, alta più di qualsiasi montagna, dall’espressione folle. Sembrava squadrare quel mondo morto, quell’immagine di pazzia, mentre sulla sua metà longitudinale si apriva una crepa e metà di quel volto scivolava su quella sottostante fino a inabissarsi.

Non avrebbe dovuto essere nauseato da quella vista?

 

Probabilmente sì, e infatti ne era sconvolto. Ma lo nauseavano di più il suo stesso corpo, i suoi stessi pensieri, le sue stesse azioni. Solo il più feroce e inumano assassino avrebbe attaccato un individuo ferito, tanto più se conosciuto e caro, e lui l’aveva appena fatto. Ora piangeva come un idiota, o meglio, come verme senza spina dorsale, bagnandole il volto con quelle sue lacrime prive di dignità.

 

D’improvviso, lei sospirò e chiuse gli occhi. A Shinji saltò il cuore: ecco, era morta anche lei, come tutto il resto, come tutti gli altri. Le lacrime uscirono copiose dai suoi occhi increduli e stremati, ma sorse in lui un barlume di raziocinio. Il suo petto di muoveva ancora, seppur flebilmente, quindi doveva essere ancora viva. Le mise due dita sul polso, senza metodo, ma percepì un lento battito. Era solo svenuta.

Alzò ancora la testa per osservarsi intorno, non vedendo altro che devastazione, amplissimi spazi completamente vuoti e inceneriti. Ma anche, all’orizzonte, le rovine di alcuni edifici.

 

Prese la sua decisione, e se ne stupì. Pur sentendosi stanco, abbattuto e svuotato di ogni scopo, si alzò in piedi e, con uno sforzo che gli parve immane, issò Asuka svenuta sulle proprie spalle. Poi, faticando a ogni passo, cominciò ad arrancare in direzione di quelle sagome di edifici, attraverso quel terreno brullo e privo di vita.

Mentre camminava pensava, cosa che al momento era contro ogni sua volontà, ma non poteva reprimere la tendenza della sua mente a rivivere quanto era successo nelle ultime ore. Aveva pensato che fosse tutta un’allucinazione e che fosse accaduto tutto dentro la sua testa, ma il mondo era testimone del contrario.

Forse qualcun altro era rimasto. Dopotutto, gli era stato detto che questa eventualità era possibile. E inoltre c’era Asuka, quindi doveva essere vero. Ma come poteva saperlo?
l’unica possibilità era continuare a vagare e cercare di sopravvivere … ma non ce l’avrebbe fatta. Asuka era ferita, e non possedevano alcun genere di prima necessità, e non ne avrebbero trovati, perché tutto era raso al suolo.

Continuò a proseguire seguendo la costa per altre cinque ore. Giunse infine, stremato, a quelle rovine. Lamiere metalliche e muri semidistrutti si alternavano su un rialzo del terreno alto come una collina, che pareva essersi generato in seguito a un sisma di immane intensità. Cercò di salire tenendo Asuka sulle spalle, ma era troppo stremato. Trovò una conca sufficientemente profonda nella parete verticale della china, e vi adagiò la ragazza. Lui si sistemò di fianco, rannicchiato e sconvolto.

Un colpo di tosse.

 

Asuka!”

 

Shinji si gettò su di lei, ansioso. Gli pareva indifesa, e percepire che il proprio potente impulso era quello di proteggerla gli fece disprezzare ancor più quanto le aveva fatto qualche ora prima.

 

“Stai … stai bene?”

 

La ragazza lo fissò con l’occhio libero dalle bende, e la sua espressione era colma di disprezzo. Un disprezzo profondo per ciò che li circondava.

 

“Come posso stare bene?” – disse, la voce tagliente come un rasoio.

 

“Sei svenuta per ore”

 

“Che meraviglia. Dove diamine siamo?”

 

“Vicini a delle rovine”

 

“Come ci siamo arrivati?”

 

“A piedi. Ti ci ho portata io”

 

Asuka non rispose subito, ma richiuse gli occhi e poi li riaprì, sospirando profondamente nel frattempo.

 

“Non fa alcuna differenza. O qui o lì, farà sempre schifo”. Cercò con fatica di mettersi seduta, e respinse bruscamente il tentativo di aiuto del ragazzo. Quando si fu posata alla parete interna della conca, proseguì. “Non c’è più nessuno. Sono morti tutti. Siamo rimasti solo tu e io, in un mondo distrutto e morto. Tra tutte le persone che potevano restare … tu”.

 

Shinji si sentì, se possibile, ancor più abbattuto, ma un barlume di un sentimento non ben identificato gli salì al petto. Forse compassione.

 

“Non sono proprio … morti”

 

“E cosa allora, genietto? Hai visto che il mare è pieno di sangue?”

 

“Sì, ma … ecco, quello non è il sangue delle persone. Il mare è fatto di LCL. Sono tutti … tutti dissolti nel LCL”

 

Asuka si fermò un momento, sorpresa.

 

“Ma chi ti credi di essere? Come puoi essere sicuro di una cosa del genere?”

 

Un guizzo di ribellione pervase il ragazzo. “Perché mi ci sono sciolto anche io, per due volte!”

 

“Ah già” – proseguì Asuka sarcastica – “Dimenticavo. Il tuo modo preferito per scappare”

 

“No!” – esclamò Shinji – “Non questa volta! Io … io ho voluto tornare, come hai fatto tu!”

“Non essere patetico”

 

Shinji represse la voglia di girare sui tacchi e andarsene. “E’ la verità. In quel mare è disciolta ogni persona. Se avranno la volontà di tornare potranno farlo, come noi due”

“E pensi che lo faranno?” – chiese la ragazza in tono canzonatorio. “No, non lo faranno, stupido. Tu ci sei rimasto dentro un mese e ci sei tornato anche adesso, e hai voluto tornare solo perché volevi me!”

 

“Ma” – disse Shinji, attonito e sconcertato – “Io … cosa? Come sai che …?”

 

“C’ero anche io, stupido” – rispose secca Asuka – “In mezzo a quel mare, mescolata a tutta quella gente schifosa. E ho voluto vivere, perché non sono una smidollata come tutti gli altri. E ti ho sentito, sai? Ho capito che volevi tornare perché ci sarei stata di nuovo”

 

“E con questo?”

 

“Come ‘e con questo’? Non ci arrivi? Hai voluto tornare solo perché volevi me. Sei sempre il solito egoista”

 

“Io … egoista! Io ti ho tirato su da quel mare disgustoso! Io ti ho bendata, perché il tuo braccio è ferito e il tuo occhio è tumefatto! Io ti ho portata fino a qua in spalla!”

 

“E hai cercato di strozzarmi”

 

Shinji tacque per un secondo. “Ero sconvolto. Sono sconvolto. È stato un impulso sbagliato”

 

“E comunque mi hai salvata solo perché mi vuoi”

 

“E tu, scusa?” – contrattaccò Shinji – “Tu, perché sei tornata? Perché tutti gli altri ti facevano schifo e volevi liberartene! Anche tu sei un’egoista!”

 

“Stupido …” – sibilò la ragazza – “Ancora non capisci? Io ho voluto tornare perché volevo vivere, vivere davvero! E anche se questo mondo fa schifo, anche se ogni giorno rischierò di lasciarci la pelle, io non rimarrò sciolta come un verme smidollato in un mare nauseabondo! A costo di essere l’unica al mondo!”

 

Il ragazzo la osservava, rapito e arrabbiato insieme. Il puzzo metallico del sangue invadeva il loro naso, ma Shinji al momento quasi non se ne preoccupava.

 

“Io devo vivere” – proseguì Asuka – “E visto che hai avuto la sciagurata idea di farti trovare qui, adesso devi vivere anche tu”

 

“Ma come, come? Non c’è acqua, non c’è cibo, è tutto sfasciato e tu sei ferita … “

“ … Idiota! Io guarirò! Ti sei accorto che non sanguino nemmeno più? E per quanto riguarda il resto, abbiamo ancora un sacco di carte da giocare prima di perdere la partita! Setacceremo, anzi, tu setaccerai ogni edificio rimasto qua intorno, o troveremo il modo di depurare l’acqua di questo mare, o chissà cos’altro, ma dobbiamo vivere! Se non vuoi vivere per te stesso, allora fallo per me!”

 

Asuka fu scossa da un brivido.

 

“Accidenti, fa freddo. Come fai a startene in camicia?”

 

“Beh, non ho altro”

 

“Certo, figuriamoci. Allora vorrà dire che mi scalderai tu”

 

Asuka si alzò in piedi con sorprendente fluidità, nonostante le bende, e si accoccolò senza preavviso tra le ginocchia di Shinji, poggiandosi al suo petto.

 

“Prova solo a mettere le mani dove non devi e ti uccido”

 

Shinji era tanto stordito da non aver nemmeno pensato di provarci. La spossatezza calò su di entrambi come un pesante velo, e nel giro di qualche minuto furono entrambi addormentati.

 

*

 

Si risvegliarono qualche ora dopo, alle prime luci dell’alba. Asuka non era ancora sveglia, ma oramai Shinji era desto. Un sole rosso spuntava da un mare dello stesso colore, illuminando senza alcuna pietà la devastazione che li circondava.

 

Il ragazzo pensava a quanto fosse appagante divenire “una cosa sola” con le entità che avevano dato origine all’umanità, o agli angeli. Egli stesso l’aveva provato, e solo dopo un intero mese aveva deciso di ritornare; la seconda volta, il giorno precedente, non era stato semplice. Sua madre Yui, oltretutto, non tornò mai. Che speranze potevano avere di trovare qualcun altro?

 

Il tempo era ora caldo e umido, quasi tropicale, e rendeva difficoltoso il riposo. Shinji si alzò e con delicatezza stese Asuka. Gli dispiacque di non avere alcunché per coprirla o per farla stare più comoda.

 

La ragazza si svegliò di soprassalto. La luce del sole le feriva gli occhi, nonostante fosse appena spuntato. Si mise seduta, e si accorse che Shinji non era con lei. Che fosse scappato? Non se ne sarebbe stupita. Non era certo la prima volta che il ragazzo fuggiva.

Alzandosi, si accorse di essere affamata, ma la desolazione che regnava intorno a lei non le dava molte speranze di poter trovare dei viveri nelle vicinanze. Cominciò a sentirsi un po’ abbattuta e, tanto per fare qualcosa, scese con attenzione dal costolone dove avevano dormito e si mise a vagare alla ricerca del ragazzo.

D’improvviso, udì dei suoni. Sembrava una sorta di clangore metallico. Inizialmente pensò che il vento stesse facendo sbattere qualche pezzo di lamiera, ma tale vento era completamente assente. Così si mosse in direzione del suono, che si faceva via via più intenso e ritmico, finché giunse nei pressi della spiaggia.

 

A un centinaio di metri dalla stessa, sopra un dosso di terra compatta, c’era qualcuno, ed era Shinji. Asuka si sorprese nel vederlo tanto indaffarato. Stava lavorando molto alacremente, spostando ampie lamiere di metallo (non le avevo sognate, si disse lei), tubi di recupero e quelli che parevano brandelli di tessuto. La ragazza sentì la collera montare in lei: quello sforzo le pareva esagerato e francamente inutile. Si avvicinò, finché il ragazzo la vide.

 

“Ciao”, le disse.

 

“Ti sembra davvero la cosa migliore da fare? Giocare con la spazzatura?”

 

“Io non …”

 

“Dobbiamo cercare qualcosa per sopravvivere, stupido! Ammucchiare pacciame è quanto di più inutile tu possa fare, perché i tubi arrugginiti non si possono mangiare!”

 

Shinji inspirò a fondo. Poi parlò con inusuale calma.

 

“Sto costruendo un riparo. Tu sei ferita e non puoi passare un’altra notte all’aperto. No” – disse, interrompendo Asuka che aveva aperto la bocca per protestare – “Non si può stare in quegli edifici laggiù, perché sono tutti pericolanti, ci sono passato un’ora fa. E già che c’ero ho cercato di recuperare dei viveri, e fortunatamente qualcosa ho trovato” – concluse, indicando un mucchio di scatole lì vicino. “Dammi il tempo di finire qui, e se ci riesco metto insieme qualcosa”.

 

Asuka era turbata. Da un lato avrebbe volentieri preso a pugni quel ragazzo davanti a lei, che non si era nemmeno lontanamente incollerito per la sua provocazione. Dall’altro lato, avrebbe voluto ringraziarlo, ma qualcosa di molto simile a un mattone nella gola le rendeva impossibile dirglielo. Scelse un compromesso, e si sedette poco più in là mentre egli lavorava. Non poteva fare a meno di fissarlo: sudava, si asciugava la fronte con il braccio, ma non smetteva e continuava perseverante nella sua opera di costruzione. Per lei.

 

“Voglio darti una mano, Stupishinji” – esclamò diretta a lui, alzandosi in piedi. Il ragazzo si fermò a osservarla.

 

“Anche se tu volessi, non potresti. Hai un braccio fasciato, ricordi?”

“Non importa. Senza un braccio sono comunque più brava di te”

 

“Sicuro. Allora quando sarà tornato a posto, io dormirò tutto il giorno e tu lavorerai al posto mio. Ma per ora non muoverti”

 

“Non osare darmi ordini!”

 

 

Shinji non replicò e si rimise al lavoro, mentre Asuka si risedeva sbuffando, la testa appoggiata alla mano. Di quando in quando, tuttavia, i suoi occhi cadevano sul ragazzo.

 

*

 

A sera, avevano un riparo. Shinji pensò che non era molto, ma di certo non vi sarebbe piovuto dentro e riparava dal vento e dal caldo. Insomma, per loro era una suite di lusso.

 

“Certo che potevi anche impegnarti di più” – commentò Asuka, entrandovi – “Sembra la cuccia del mio vecchio cane”

 

“Avevi un cane?”

“No, ma fa lo stesso. Ci faremo le pulci, qui dentro”

 

“Meglio le pulci che morire congelati” – ribatté Shinji, e l’affermazione stupì Asuka. “Guarda, ho anche messo una tendina per separarci, così puoi startene più tranquilla”

 

Asuka si bloccò per un momento, in apparente conflitto con se stessa. Shinji cominciava già a preoccuparsi quando lei, lo sguardo fisso alla tenda a righe recuperata da un terrazzo bruciato, disse :”Toglila”.

 

“Come?”

 

“Toglila”

 

“Ma …” – disse Shinji, stupito – “Pensavo ti facesse piacere avere più intimità”

 

“Non è quello” – cominciò Asuka, lo sguardo sempre stranamente fisso – “E’ che … non voglio barriere”

 

Asuka …”

 

Stupishinji, siamo solo noi due. Non c’è nessun altro, e anche se ci fosse non potremo saperlo. Per quanto tu sia stupido” – strinse i pugni, ogni muscolo del suo volto si ribellò a quanto stava per dire – “Sei l’unica persona a essere qui con me”

 

“E’ solo una tendina, puoi scostarla quando vuoi”

 

“Toglila. Toglila … per favore”

 

Shinji si turbò più per le ultime due parole che per il discorso precedente.

 

“D’accordo”.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Dalla cenere (ex cinere) ***


Shinji non chiuse occhio quella notte. Asuka dormiva dentro il riparo che aveva costruito, girandosi e rigirandosi in un sono agitato e poco ristoratore. l’angoscia che gli provocava quella visione gli aveva fatto decidere di uscire dal rifugio, di sedersi davanti a esso avvolto in uno stralcio di tessuto contro il freddo notturno, rivolto verso il mare.

Nulla era cambiato. Nel corso di un giorno, nessuno aveva deciso di ritornare in un corpo fisico, perlomeno nelle loro immediate vicinanze. Talvolta veniva sopraffatto dallo sconforto, arrovellandosi su quanto fosse misera la loro condizione attuale; ma ogni volta riemergevano nella sua mente le parole che aveva rivolto a Rei, mentre era un tutt’uno con l’LCL, e soprattutto che una ragazza convalescente aveva bisogno di lui. Come avrebbe potuto continuare ad accudirla, si chiedeva, quando non sapeva nemmeno da dove cominciare? Si rispose in fretta, osservando che aveva costruito un riparo ed era riuscito a procurare dei viveri. Non aveva ancora fallito, dopotutto.

 

Tuttavia … erano soli. Quanto avrebbe desiderato del contatto umano! Ancor più di quanto ne avesse desiderato durante il resto della sua vita. Prima molte persone si rifiutavano di concederglielo; ora glielo offrivano tutti, a patto di rinunciare alla propria individualità.

Ma quello a lui non importava. L’unico vero contatto umano che bramava con tutto se stesso poteva essere concesso solo dalla persona che ora, poco più in là, era in preda a un sonno convulso. Shinji udì un gemito provenire dal riparo, probabilmente causato da un incubo o da dolore. In ogni caso, questo lo convinse a tornare senza esitazioni sotto quel tetto precario.

Asuka mugugnava nel sonno, fatto di spasmi involontari e singhiozzi. Sembrava decisamente un incubo. Con una certa riluttanza, Shinji le si avvicinò, pensando che se si fosse svegliata e l’avesse scoperto così vicino l’avrebbe scuoiato. Realizzò che non gliene importava molto. Si sedette di fianco a lei, e prese la mano della ragazza nella sua, stringendola a sé.

Si calmò.

 

*

 

Sapeva di stare cedendo, lo sentiva nel profondo. Lo pensava qualche ora dopo, seduto di fronte al loro capanno di fortuna, mentre Asuka sedeva anch’essa, lontano da lui, sulla riva del mare. Non sapeva come potesse riuscirci: il puzzo metallico di sangue che si odorava sulla riva era ancor più nauseante di quello che sentiva lui, cento metri più in là. Ma a questo odore andava lentamente aggiungendosi un altro puzzo, più acre e penetrante, di marcio. Shinji sospettava che quell’enorme mezza testa, sulla quale non indugiava mai troppo con il pensiero perché troppo difficile da sostenere mantenendo la lucidità, stesse andando in decomposizione.

 

In breve, temeva che di lì a poco avrebbe perso la ragione. Tutto era semplicemente troppo per essere sopportato dalla mente senza perdere le sue facoltà.

Shinji vide Asuka alzarsi. L’ombra della ragazza dritta in piedi si allungava smisuratamente dietro la sua schiena. All’improvviso, senza esitare, la ragazza prese a misurare a grandi passi la battigia in direzione del mare. Shinji si alzò automaticamente.

 

Asuka!”

 

La ragazza non rispose, benché l’avesse sicuramente udito, e proseguì sempre più spedita. Sempre ubbidendo a una sorta di istinto primordiale, Shinji prese a camminare altrettanto velocemente verso di lei, e poi a correre, mentre Asuka entrava nell’acqua rossa con i piedi, e poi a mezza coscia.

Quando il ragazzo giunse ansante dove lei si trovava poco prima, Asuka era immersa nell’acqua fino alla cintola. I richiami del ragazzo non sortirono effetto. Per qualche motivo, Shinji non sapeva nuotare e sapeva che per lui il mare era pericoloso, e non voleva mettervi piede. Inoltre, inconsciamente sapeva che quell’acqua innaturale era pericolosa. Tuttavia, quando la testa della ragazza scomparve sotto la superficie e la realtà prese il sopravvento, il ragazzo si sfilò le scarpe e un secondo si precipitava nell’acqua.

Corse a perdifiato fino a quando quasi non toccava più sul fondo e cominciò ad annaspare. Immerse la testa e cercò di vedere attraverso quel muro torbido e limaccioso. Disperato, riprese fiato e s’immerse nuovamente, cercando affannosamente la ragazza. Senza preavviso, le sue orecchie furono travolte da un cicaleccio assordante fatto di risa, parole e richiami alla rinfusa. Non proveniva da alcun luogo, ma gli pervase la mente, stordendolo. La vista offuscata e stordito da quel frastuono, si voltò qua e là, angosciato, all’affannosa ricerca di Asuka.

Ed ecco, la vide. Stesa sul fondo, rannicchiata in posizione fetale, i lunghi capelli rossi fluttuanti e confusi con lo sfondo per via del colore. Shinji prese fiato ancora una volta, e nuotò scompostamente fino a lei; la afferrò per la vita e la trascinò a riva, senza che lei opponesse resistenza.

Non appena il suo volto infranse la superficie dell’acqua, Shinji respirò avidamente l’aria, per marcescente che fosse. Ansimando e sputacchiando trascinò Asuka sul bagnasciuga e, non appena la posò, parve riscuotersi dal torpore che l’aveva colta.

 

“Cosa … cosa cavolo … ?”

 

Ma che cosa ti è preso?” – esclamò Shinji, ancora con il fiatone.

 

Asuka rispose con aria assorta, fissando il vuoto. “Io … volevo raggiungerla”

 

“Raggiungerla? Che cosa volevi raggiungere?”

 

La ragazza indicò avanti a sé con un cenno del capo. Al di là degli Evaseries crocifissi, Shinji capì che stava indicando l’enorme mezza testa all’orizzonte.

 

“Perché?” – chiese lui, distogliendo lo sguardo da quella vista sconcertante. Asuka esitò, ma quando rispose il suo sguardo fu di nuovo vivo.

 

“Se fossi arrivata lì, ci sarebbero stati tutti … e non sarei rimasta ancora sola. Mi chiamavano, mentre ero sott’acqua. Mi dicevano di stare tranquilla, di aspettare, che li avrei raggiunti anche io”

 

Shinji ascoltò, e a ogni parola si accresceva una sensazione spiacevole: la pietà.

 

“Così mi sono fermata ad aspettare. Ma la loro voce è diventata sempre più forte, assordante, e ho cominciato ad avere paura e a tremare. Mi sentivo travolta. Poi, all’improvviso” – si voltò verso il ragazzo, visibilmente spaventata – “Mi sono trovata fuori dall’acqua”.

 

“Certo, ti ci ho trascinata fuori io” – disse Shinji, ancora teso – “Non azzardarti a farlo di nuovo, mi hai fatto prendere un colpo”

 

“Ehi!” – contrattaccò lei – “Non cercare di darmi ordini! E poi come sapevi che quell’acqua sarebbe stata pericolosa?”

“Non lo so” – rispose il ragazzo, sinceramente – “Ma lo sapevo e basta. È stata una sensazione, non appena sei entrata in acqua ho capito che qualcosa non andava”

 

“Ma certo, adesso hai anche il sesto senso”

 

“Pensa a quello che preferisci, ma alla fine ho visto giusto, no?”

 

“Me la sarei cavata benissimo da sola”

 

I visceri di Shinji si contorsero in uno spasmo di rabbia.

 

“Come puoi dire una cosa del genere?” – urlò, alzandosi – “Quando ti ho trovata eri immobile sul fondo, non ti saresti mossa nemmeno a calci!”

 

“Ma figurati! Se ti senti tanto eroe, allora …”

 

Shinji la interruppe. “Ma che eroe ed eroe! Piantala di voler fare la donna invincibile, perché non lo sei. Fino a un momento fa eri terrorizzata – sì, terrorizzata – te lo si leggeva negli occhi. Asuka, santo cielo, è normale avere paura, è radicato nell’essere umano!”

 

“Io non ho paura”

 

“Certo che ce l’hai, santo cielo! Siamo spersi in un mondo distrutto, hai appena rischiato di annegare perché delle voci invisibili ti hanno chiamato e ti ostini a negare di avere avuto paura? Non c’è niente di cui vergognarsi, la paura è data dall’istinto di sopravvivenza. Sai chi non ha paura?”

 

Asuka veniva travolta dalle parole di Shinji. Era stupita: non l’aveva mai visto così agitato e le sue parole non erano mai state tanto secche.

 

“Gli angeli non hanno paura, perché non hanno niente, niente di umano! Non mi importa niente di avere fatto o meno l’eroe e ancora meno mi importa che tu me lo riconosca, mi importa solo che adesso tu sia ancora sulla terra e respiri, perché morire costa sofferenza!”

 

La ragazza si alzò. “Adesso calmati”

 

“Calmarmi? Calmarmi? Hai appena rischiato di morire, come se già abbastanza gente non fosse …”

 

“Calmati”

 

Asuka si avvicinò al ragazzo e gli carezzò il viso. Shinji si bloccò all’istante, e di colpo si sentì completamente esausto, come se avesse corso per kilometri. Spostò lo sguardo sulla ragazza, temendo che da un momento all’altro potesse esplodere e gli arrivasse un ceffone. Ma non arrivò. L’espressione di Asuka era tesa, quasi preoccupata, e nel fondo all’occhio non coperto si poteva leggere qualcos’altro, qualcosa che l’aveva scossa intimamente e che le stava facendo vivere una profonda crisi interiore.

 

“Dovrò cambiarti le bende” – disse Shinji, improvvisamente calmo – “sono bagnate e quell’acqua potrebbe infettarti”

 

“Fallo” – rispose lei – “Cercheremo qualcosa in quegli edifici”

 

Passò un istante durante il quale si guardarono negli occhi. Poi Asuka gli prese la mano, e si allontanarono verso il capanno arrugginito, lasciando ognuno una scia di impronte sulla sabbia umida.

 

*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Dopo le avversità, più forte (ex adversis, fortior) ***


Era un vulcano spento. Non gli aveva più strillato in faccia, non l’aveva più chiamato stupido ma solo per nome; non aveva più né sbuffato né imprecato. Cionondimeno, parlava. Shinji aveva temuto che lei si asserragliasse in un fortino di mutismo, ma non era successo. Gli parlava come una persona viva e sanguigna.

 

“Dovremo andarcene di qui” – esordì Asuka. Tentava di lavarsi i capelli usando un mozzicone di saponetta e una bottiglietta d’acqua.

 

Shinji le porse un asciugamano sfilacciato. “Non hai torto, ma dovremo camminare molto prima di raggiungere un posto abitabile”

 

“Sempre che esista” – disse Asuka. Spostò i capelli davanti alla testa e li strizzò come un canovaccio. “Ma non possiamo stare qui. Non voglio rischiare che finiamo di nuovo in salamoia”

 

“Allora ce ne andremo domani”

 

Asuka scosse i capelli all’indietro e allungò il collo come una tartaruga per fissare Shinji negli occhi.

 

“Beh” – si schermò il ragazzo – “Dobbiamo mettere insieme una scorta di viveri, sperando di trovarne. E dobbiamo anche portarci un paio di tubi e un telo, nel caso dovessimo passare la notte all’addiaccio”

 

Asuka sgranò gli occhi. “Hai ragione” – disse – “Meglio così. Ma fino a domattina non avviciniamoci troppo alla riva”

 

La ragazza afferrò l’asciugamano quando il braccio di Shinji era ormai intorpidito. Il ragazzo la fissò senza battere ciglio, l’espressione piatta. Asuka lo squadrò con gli occhi semichiusi.

 

Shinji … stai bene?”

 

A quelle parole il ragazzo spalancò gli occhi e si scosse come fosse esplosa una bomba a pochi passi da lì.

 

“Certo!” – esclamò. “Sì, certo, sto bene. Stavo solo pensando”

 

“A che cosa?”

 

“Al mare”

 

Asuka piegò la testa da un lato, osservandolo ancora. “Il mare? In che senso?”

Shinji corrugò le sopracciglia e guardò in basso. “Pensavo che quella del mare, dopotutto, non è solo acqua. C’è un sacco di sangue, e ci sono anche chissà quali schifezze che vengono da quella maledetta testa che marcisce”

 

La ragazza contorse le labbra come se avesse il mal di mare. “Non hai di meglio da fare che parlare di quella cosa immonda? Mi disgusta e mi spaventa”

 

“Scusami. Il punto è che oltre a tutto questo … lì dentro c’è una marea di LCL”

 

“E quindi?”

 

“Come ‘ e quindi’? Questo significa che quel mare è pieno di persone … persone che ci hanno parlato”

 

La ragazza socchiuse le labbra e trattenne il respiro. “Le voci!” – annaspò.

 

“Già. Hanno cercato di renderci un tutt’uno con loro. Se vogliamo rimanere vivi come siamo adesso, non dobbiamo cedere” – Shinji trattenne il fiato – “alla tentazione”.

 

“Mia madre è un demonio”

 

Asuka pronunciò quelle parole guardandosi la punta dei piedi. I capelli le coprivano il volto, ma le sue mani chiuse a pugno tremavano come se stessero subendo una violenta scossa elettrica.

 

“Tua madre … un demonio? Asuka –“

 

“E’ stata mia madre a chiamarmi!” - eruppe la ragazza, mantenendo il capo chino. “E’ stata lei a chiamarmi nell’acqua, ieri. È stata lei a dirmi di stare tranquilla, che sarei stata bene, è stata lei a dirmi di stendermi sul fondo e aspettare, è stata lei a cercare di uccidermi, un’altra volta!”

 

Lo disse urlando a pieni polmoni, sputando le parole una a una come se le stesse vomitando. Shinji era bloccato come una statua di sale e il suo cuore batteva all’impazzata contro l’interno della gabbia toracica, facendo vorticare il sangue come le acque di un torrente agitato.

 

“Non ha mai smesso di volermi morta!” – gridò ancora Asuka, gocciolando lacrime e saliva come una bambina disperata. “Anche adesso che se ne sono andati tutti, lei vuole ancora uccidere me! Basta, non ne posso più!”. Calciò il suolo lanciando ciottoli tutto intorno, e alcuni colpirono le gambe di Shinji, ancora immobile.

 

“Sono stufa marcia di dover scappare da lei, sono stufa marcia che lei mi odi, sono stufa marcia di dover odiare tutti e che tutti odino me! Basta!”. Alzò la testa con uno scatto, fissò il ragazzo negli occhi e gli afferrò le spalle.

 

Shinji, aiutami!”

 

Il cuore del ragazzo accelerò tanto da fargli temere che potesse esplodere. Fissò di rimando gli occhi bagnati di lacrime di Asuka. Il sangue gli salì alle tempie; strinse le spalle della ragazza, la tirò contro di sé e la baciò a piene labbra. Strizzarono entrambi gli occhi a quel contatto. Si ressero l’uno con l’altra, affondandosi le dita nelle clavicole e tremando per lo sforzo della presa.

 

Shinji ruppe il contatto ansimando e si riguardarono negli occhi. Anche Asuka era ansante; aveva gli occhi spalancati di sorpresa e il volto infiammato come se fosse stato riarso dal Sole, che stava tramontando alle loro spalle.

 

“Andiamo via. Io non voglio morire”

 

“Non moriremo” – disse il ragazzo. Tremava come una foglia al vento. “Ti toglierò le bende. Porteremo via quello che riusciremo e ce ne andremo questa notte”

 

L’effetto dell’adrenalina cominciava a svanire e, mentre il suo battito cardiaco tornava quieto, Shinji pensò che era lei quella che stava crollando. Asuka lasciò la presa sulle spalle del ragazzo e le braccia le caddero sui fianchi. Come un bambino stringe istintivamente ogni oggetto che gli venga porto, così Asuka si strinse le cosce finché le sue nocche divennero bianche.

 

“Va bene”

 

*

 

Davanti a loro, scuri profili di monti sconosciuti; dietro di loro, una rossa linea di morte. Il terreno rosso sangue se illuminato dalla luce del sole era ora viola scuro. Un’unica pozza di luce bianca si spandeva su una serie di tralicci dell’alta tensione sghembi e accavallati come le stecche di un gigantesco Shangai. Shinji inciampò: era la quarta volta da quando erano partiti e ormai sentiva i sassi pungergli la pianta dei piedi da dentro le scarpe. Si fermò e guardò dinanzi a sé. Pareva che non vi fosse niente e nessuno tra loro e i monti, ma forse l’oscurità nascondeva degli edifici. Shinji pensò di aver formulato quel pensiero solo per autoconsolarsi.

Riprese la marcia e raggiunse Asuka in pochi passi, rischiando di cadere di nuovo. Alzò la testa e cercò con lo sguardo la Stella Polare, nella costellazione dell’Orsa Minore. Ricordava di avere imparato i nomi delle stelle e delle costellazioni più importanti a scuola, e anche a leggere delle semplici mappe stellari. Gli parve che fossero passati decenni. Trovò la stella ed ebbe un moto di euforia che lo spinse a volerlo annunciare ad Asuka, ma scemò subito. Anche se avessero saputo che stavano procedendo a Nord, come avrebbero potuto sapere se avrebbero trovato qualcosa o qualcuno?

Le corde del sacco di fortuna che portava sulle spalle cominciavano a irritargli la pelle, che già si era arrossata. Si era accollato il fardello più pesante, quello che conteneva qualche tubo arrugginito per poter montare un semplice riparo, il cibo in scatola e una bottiglia d’acqua con l’etichetta scolorita, l’unica loro fonte di liquidi. Una goccia di sudore scivolò dalla sua fronte fino a dentro la camicia che ancora indossava, insinuandosi fino all’addome e solleticandolo; con il dorso della mano destra ne asciugò un’altra dalla fronte che minacciava di fare la stessa fine e alzò lo sguardo verso Asuka.

Shjinji si rallegrò che lei indossasse ancora la plugsuit: avrebbe patito di meno il freddo che avrebbero percepito quando si sarebbero fermati. Sapeva di essersi assunto una gravosa responsabilità, e cioè quella di occuparsi di lei in quel mondo disastrato.

 

Asuka ansimò. Calcò gli ultimi passi e si fermò poggiando le mani sulle ginocchia. “Fermiamoci, non ce la faccio più”

 

Shinji annuì. Posò il fagotto a terra ed estrasse i tubi, sporcandosi le dita di ruggine. Montò un largo quadripiede e dovette alzarsi sulla punta dei piedi per legare alla bell’e meglio le estremità, graffiandosi il palmo delle mani con l’unico sfilaccio di spago che erano riusciti a trovare. Gettò il telo che Asuka gli aveva porto sopra quello scheletro di capanno e lo tese agli angoli. Quando vi entrarono, Shinji si sentì simile a un topo che si rintana nel suo buco, perché tutto lo spaventava: il suolo disseminato di ruderi, l’orizzonte ignoto e la volta del cielo fredda e distante.

Tre latte aperte e ammaccate ammucchiate in un angolo indicarono che rimanevano ben pochi viveri, e la visione della bottiglia d’acqua già mezza vuota fece pensare a Shinji che sarebbe stato conveniente viaggiare di notte, quando il caldo lasciava spazio a un vento che faceva venire la pelle d’oca.

 

“Senti … vuoi tenere tu la plug-suit?”

 

“Come?”

 

Asuka guardò Shinji con il mento piegato verso il basso. “Fa freddo. Mi chiedevo se non volessi tenere tu la plug-suit

 

Il ragazzo strabuzzò gli occhi. “Figurati, tienila tu. Io mi sono portato questo” – disse, ed estrasse dal fagotto ormai vuoto un drappo dello stesso tessuto plasticato con cui aveva eretto il rifugio. “Comunque, dovrebbe bastare per tutti e due”

 

“Non lasciarmela solo perché credi che io sia indifesa”

 

Shinji la guardò e sorrise. “Non penso che tu sia indifesa, so che sai cavartela. Davvero. Però tieni la plug-suit, ok?”

 

Asuka non rispose e non sorrise. Si morse il labbro inferiore e strizzò gli occhi. Riaprì gli occhi e la bocca un momento dopo, con un breve sospiro esasperato. Si avvicinò a Shinji e gli si accovacciò un’altra volta contro, come un gatto. Le braccia e il torso del ragazzo si irrigidirono al contatto, ma riuscì comunque a coprire entrambi con il telo.

 

Asuka?”

 

La ragazza già dormiva.

 

“Ehi, Asuka

 

Mmh. Che c’è?”

 

“Guarda là”

 

La ragazza si voltò nella direzione che il dito indice di Shinji mostrava. Aveva ancora gli occhi cisposi dal sonno e inizialmente vide solo una massa di macchie offuscate e confuse, ma dopo qualche secondo mise a fuoco l’immagine. Era la parete interna della tenda, e non sembrava diversa da prima.

 

“Ma che … ?”

 

Era diversa, tuttavia. Era più chiara del resto, come se fosse …

 

“C’è una luce!”

 

*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Non tu che sei solo? (num tu qui solus es?) ***


Shinji si scostò. Asuka percepì l’aria fredda invadere le pieghe del telo e farla rabbrividire. Il ragazzo fece capolino all’esterno con la testa. Era lontana, all’orizzonte, si trovava di fianco al limite della linea dell’alta tensione diroccata. Era una luce troppo intensa per essere data da un riflesso e troppo fredda per essere naturale.

 

Shinji? Che cos’è?”

 

“Sembra un faro o qualcosa del genere” – rispose il ragazzo, e aguzzò la vista. Non si riusciva a distinguere la sorgente della luce con lo sguardo. La luminosità divenne intermittente in modo irregolare. In un lampo di comprensione, Shinji cercò di tenere a mente la lunghezza e il numero degli impulsi, ma ormai ne aveva persi troppi.

 

“Potrebbero averci inviato un segnale Morse”

 

Potrebbero? E chi?”

 

Shinji rientrò nel capanno. “Non lo so. Non sono riuscito a tenere a mente tutti i segnali, era troppo tardi”

 

Asuka sbuffò e colpì il suolo con il pugno. “Dannazione. Conosco il Morse, avrei potuto tradurlo”

 

“Mi dispiace. Magari lo reinvieranno

 

“Speriamo” – disse la ragazza – “Non ci resta che aspettare domattina e andare a vedere”

 

“Domani notte” – la corresse Shinji – “Di giorno fa troppo caldo, e noi stiamo finendo l’acqua. E poi di notte sarà più facile vedere ancora quella luce”

 

Asuka lo fissò con le sopracciglia aggrottate. “Hai ragione. Adesso è meglio se dormiamo”

 

Shinji però tenne gli occhi aperti. Nonostante la testa gli ciondolasse di lato di quando in quando e gli occhi gli bruciassero dalla stanchezza, non cedette al sonno per cogliere la luce se fosse tornata. Non accadde.

 

“Hai delle occhiaie orribili” – sentenziò Asuka al mattino – “Per favore, cerca di dormire”

 

Shinji sbadigliò e si stiracchiò. “Va bene. Adesso tieni d’occhio tu, ok?”

 

 

*

 

Ancora le stelle. La luna aveva appena fatto capolino dai monti davanti a loro. Ma era davvero la luna? Era più vicina e coperta di schizzi di sangue rosso. Non era la luna della poesia e della quiete notturna, ma li osservava come il volto inespressivo di un cadavere impiccato.

Shinji era rannicchiato e trafficava con la stoffa cercando di riformare il fagotto. Si voltò verso la zona dove fino a pochi minuti prima si trovava il riparo. Ne percepì la nostalgia come un vuoto all’altezza dello sterno. Erano di nuovo sotto il cielo, esposti al vento e al freddo. Il ragazzo decise di usare parte del tessuto per coprirsi, sapendo che di lì a poco avrebbe avuto di nuovo caldo.

 

“Ci sei?”

 

“Ancora un secondo”. Shinji legò saldamente due estremità del fagotto così da chiuderlo e se lo issò sulle spalle. “Eccomi, andiamo”.

 

“Speriamo di trovare qualcosa” – disse Asuka mentre camminavano – “Siamo rimasti senza cibo e, peggio, anche senz’acqua”

 

Il ragazzo ne era cosciente e temeva quel fatto. Se non avessero trovato nulla da bere in breve tempo, avrebbero dovuto usare l’acqua delle pozze lì intorno che – oltre a non essere sicuramente sana – era rossa come il mare che avevano lasciato alle loro spalle.

 

“Già, speriamo” – rispose, e gli dispiacque non avere parole di conforto. Asuka guardava verso l’alto, come a cercare sostegno nel cosmo. Seguendo un impulso istintivo, il ragazzo le prese la mano. Lei non si ritrasse, ma chiuse gli occhi per un momento. Continuarono così, camminando uniti e senza parlare, accompagnati solo dal sibilo del vento e dai cigolii metallici della rete elettrica che seguivano.

 

La stretta della mano di Asuka divenne più forte.

 

“Forse ho visto qualcosa”

 

“Dove?”

 

La ragazza indicò un punto all’orizzonte, a destra dei tralicci. “Credo di aver visto un bagliore o un riflesso”


“Sicura che non fosse un riflesso del metallo?”

“No” – sospirò lei.

 

“Beh, seguiamolo. Dobbiamo comunque proseguire”

 

Ma la luce divenne intensa e ferì i loro occhi tanto che dovettero schermarsi con le braccia, come dei topi d’appartamento smascherati dai fari della polizia.

 

“Allora c’è davvero!”

 

Ansimavano d’eccitazione, ma capirono che correre era inutile. Tuttavia i loro passi si fecero più svelti e d’istinto seguirono la fonte luminosa.

 

M…T…questa non si capisce … Q … Accidenti, no: questo non è decisamente un segnale Morse” – sbottò Asuka, colpendosi la coscia con la mano con uno scatto.

 

Le stelle ruotarono ancora di qualche grado attorno alla Polare. Shinji cominciava a sentirsi stanco e desiderava rimettere piede nel loro riparo, dopo averlo montato. Asuka camminava sempre più lentamente e ansimando. Quella terra rossa era priva di ostacoli al cammino, ma era comunque faticosissima da attraversare, perché simile alla sabbia. Risucchiava i piedi come la mota fresca e a lungo andare diventata sempre più spossante staccarsi dalla sua morsa molle e forte.

 

“Pensi” – ansimò la ragazza – “Pensi che in quel rudere ci sia dell’acqua?”. Indicò quel che rimaneva di un’abitazione di campagna, bruciata come un blocco di carbone e pericolosamente inclinata di lato. Era priva di tetto, come se un uragano l’avesse spazzato via. Dalla parte opposta, un muro di mattoni andava digradando in altezza verso il suolo, similmente ad una gradinata, ma era consumato e sbriciolato come del pane secco.

 

“Non credo, ma sarà meglio darci un’occhiata lo stesso” – rispose Shinji.

 

Asuka si arrestò dopo pochi passi, senza preavviso.

 

“Tutto bene?”

 

“Non lo so”

 

“In che senso?”

 

“Non saprei. C’è qualcosa che non mi convince, ma non saprei dirti cosa”

 

Shinji cercò di rendere concreto l’intuito femminile della ragazza. La casa sembrava davvero in rovina e il terreno circostante non era calpestato. ‘Ovviamente’ – si disse il ragazzo. Le pareti erano carbonizzate da terra fino alle travi che sostenevano il tetto. Queste erano evidentemente fatte di legno: quelle centrali erano state erose dal calore un mucchio di tizzoni si trovava sotto di esse, e alcuni erano ancora ardenti.

Ardenti?

 

Clak.

 

Un fascio luminoso alle loro spalle, vicinissimo; si voltarono di scatto, presi alla sprovvista, e ne furono accecati come dalla luce del sole diretta. I loro occhi cercarono di abituarsi a quella luminosità, ma fu impossibile: dovettero scostarsi e uscire dal cono luminoso.

Non appena si riabituarono alla luce naturale della notte, lo videro. Era un faro, del tipo di quelli che si usano negli stadi. Faceva capolino dal retro del muro e il suo raggio bianco li avvolgeva completamente. Mano a mano che riacquistava la vista, Shinji vedeva nuove sagome: un carrello sul quale il faro poggiava e – il suo cuore perse qualche colpo – sagome umane.

 

Si sentì stringere la mano con forza e si voltò verso Asuka, la cui espressione era lo specchio di ciò che provava. Aveva la bocca e gli occhi spalancati, le sopracciglia rosse scomparivano dietro alla frangia spettinata. La sua mano sudava contro quella del ragazzo e tremava.

 

“Chi siete?”

 

Non seppero che cosa rispondere. In effetti … chi erano?

 

“Chi siete?” – ripeté la voce.

 

“Siamo …” – esclamò Shinji di rimando – “Siamo due ragazzi!”

 

Il faro si spense a beneficio della loro vista. Ora poterono vedere meglio la scena. Intorno al faro comparivano sagome, prima una, poi un’altra e infine una terza. Due erano più alte di loro di almeno tutta la testa, mentre la terza sembrava più o meno della loro altezza. Una delle più alte aveva gli occhiali.

 

“Ehi, ma … è incredibile!”

 

La voce dell’uomo con gli occhiali riecheggiò nella notte.

 

“Signor Hyuga!”

 

Era stata Asuka a riconoscerlo, ma anche Shinji sapeva chi fosse. Il signor Hyuga era il tecnico informatico del quartier generale operativo della Nerv, il braccio destro di Misato. Vestiva ancora la tuta regolamentare.

 

Poco dopo, Hyuga li stava guidando verso il retro della casa diroccata.

 

Shinji, Asuka, il cielo sa come fate a essere ancora qui, e come facciamo a essere qui anche noi. Come avete fatto?”

 

I ragazzi spiegarono quanto era successo in quei giorni, interrompendosi l’un l’altra in un racconto frammentario e confuso. Hyuga mantenne le sopracciglia aggrottate e lo sguardo puntato verso il basso mentre loro raccontavano, annuendo di tanto in tanto.

 

“Capisco” – disse, quand’ebbero concluso . “Noi siamo stati in viaggio per un giorno e mezzo. Ci siamo ritrovati al limitare di quella teleferica” . Indicò dei tralicci contorti qualche miglio più in là. “Io mi ero ritrovato chissà come sulla riva del mare, molto più lontano, praticamente come è successo a voi”

Il retro dell’edificio ospitava un riparo di fortuna un po’ più organizzato di quello di Asuka e Shinji. Aveva una forma a tenda canadese, e il telo che lo formava era cerato, inoltre era più spazioso. Delle braci ardenti indicavano il punto dove era stato acceso un fuoco. Il ragazzino poco più giovane di loro che Hyuga aveva incontrato si affrettò a riaccenderlo soffiando sui tizzoni ancora caldi. Non poteva avere più di dodici anni.

 

Hyuga lo indicò con un cenno del capo. “Lui è Hiro. Si è ritrovato vicino a quella pozza solo l’altro ieri. Questa era la sua casa” – disse, e la indicò sventagliando il braccio – “Dove abbiamo potuto trovare soprattutto acqua, da quel pozzo” – e indicò con l’indice una struttura cilindrica metallica nel mezzo delle vestigia bruciate del giardino. “Qui sotto dev’esserci una falda non contaminata dal sangue”

 

“Ma quel faro?”

 

“Merito di Aki” – disse, e non fu necessario che indicasse la terza persona, che stava ancora riponendo il faro dietro al muretto. “Lavorava anche lei alla Nerv. Non so se l’avete mai conosciuta. È un tecnico meccanico … si è trascinata dietro quel faro da quando si è ritrovata esanime nelle rovine delle officine, sperando di trovare qualcuno che notasse la luce. L’ho notata io, e poi Hiro, che ci ha portati qui. Gli ultimi siete stati voi”

 

La donna li raggiunse con una breve corsa, e si asciugò il sudore dalla fronte con il dorso della manica. Si scostò i capelli castani lunghi incollati alla fronte e mandò un sorriso stanco ai ragazzi, che cercarono di ricambiare. Poi si precipitò ad aiutare Hiro.

 

E così c’erano altre persone. Il cuore di Shinji allentò un poco quella morsa che l’aveva stretto nei giorni trascorsi, ma non si aprì del tutto.

 

“Signor Hyuga. Pensa che ci siano altre persone qui intorno?”

 

L’uomo sospirò. Si sedettero tutti attorno alla fiammella crescente nel cuore delle braci.

 

“Onestamente, non lo so. È probabile, però. Se gente come me è tornata, possono averlo fatto anche altri”

 

Improvvisamente Shinji si sentì gelare.

 

“Lei vorrà uccidermi, signor Hyuga

 

Asuka lo fulminò con lo sguardo.

 

“E’ colpa mia tutta questa devastazione. Sono stato io a distruggere ogni cosa, ho causato tutto io. Io.”. Il suo tono era calmo, ma la sua gabbia toracica stava andando a fuoco e il volto gli si imporporò. Strinse le mani a pugno.

 

Hyuga sospirò di nuovo, lo sguardo rivolto al cielo.

 

“No, Shinji, non ho mai pensato di farlo”

 

“Ma come può? Io mi odierei!”

“C’è una cosa che ho capito, mentre mi trovavo nel mare di LCL” – continuò l’uomo, fissando ora il ragazzo – “Ed è che odiare non serve a niente”. Aki e Hiro conversavano un paio di metri più in là. Sembravano madre e figlio.

Lo sguardo di Hyuga si spostò su di loro. “E’ inutile rifugiarsi in una felicità perfetta ma inconsistente, come quella dentro quel mare. Non c’è evoluzione, né alcun cambiamento … ma la nostra specie è fatta per cambiare: modificarsi è il modo che l’uomo ha per proseguire la propria storia, anche a costo di perdere le cose più care. Ma questo permette di riscoprire aspetti dell’esistenza ancora ignoti, o dimenticati”.

Aki circondò le spalle di Hiro con il suo braccio. Era strano vedere una donna così giovane trattare un ragazzino con fare tanto materno.

Hyuga tornò a Shinji con lo sguardo, e lo fissò dritto negli occhi. “Certo, Shinji, tu sei stato condotto forzatamente a compiere questo atto estremo per il genere umano. Ma hai scelto la cosa più saggia, e questo ti rende onore”.

 

I due si fissarono ancora per qualche secondo. Shinji annuì e Hyuga gli sorrise. Lo sguardo del ragazzo si spostò poi su Asuka, che lo fissava in modo indecifrabile.

 

“Ma non sono un santo” – sussurrò alla ragazza. Lei annuì con un mugugno, soddisfatta, e tornò a fissare il fuoco.

 

“Il problema sono i viveri” – dichiarò Hyuga, tornando in modo surreale a questioni terrene – “Abbiamo acqua in abbondanza, e questa è un’enorme fortuna, ma siamo a corto di cibo … dovremmo visitare i ruderi qui intorno. Spero di trovare delle piante o dei semi, e di vedere se questa terraccia rossa farà crescere qualcosa”

 

“Crede che sia possibile?”

 

“Me lo auguro. Se ti va, domani mattina tu e io potremmo fare una spedizione”

 

Hyuga si alzò e si stiracchiò, tendendo le braccia come uno spaventapasseri. Shinji pensò che fossero tutti veramente soli come degli spaventapasseri nel mezzo di un capo andato a fuoco.

 

“Avete un riparo?” – chiese. Shinji annuì e s’industriò per estrarlo dal fagotto. Con l’aiuto di Hyuga riuscì a montarlo con una forma più regolare e un aspetto più solido in generale. Il tecnico diede inoltre a Shinji un telo impermeabile bruciato agli angoli da porre come pavimento. Poi si rivolse ad Asuka.

 

“Senti … forse preferiresti dormire con loro?” – e accennò ad Aki e Hiro. La donna aveva issato a terra un secchio d’acqua e Hiro si stava lavando la faccia. “Posso stare io qui con Shinji

 

Asuka lo fissò senza battere ciglio per qualche istante.

 

“No, grazie”

 

“Guarda che non c’è proble – “

“No. Va bene così”

 

E s’infilò nella tenda. Hyuga augurò la buonanotte a Shinji e disse che la mattina dopo li avrebbe svegliati lui. Il ragazzo ricambiò e s’infilò a sua volta nel riparo.

 

“Perché?”

 

Asuka si voltò. Shinji la osservava con le sopracciglia alzate, ma non era aggressivo.

 

“Non lo so” – disse lei. Si corresse subito. “Non conosco quella donna né il ragazzino. Non posso stare con loro”

 

Shinji continuò a guardarla.

 

“Senti, siamo pochi, qui. Ho bisogno di stare con qualcuno …”

 

Il cuore del ragazzo accelerò nel corso della pausa.

 

“… di cui mi possa fidare”

 

I due si osservarono. Probabilmente pensavano alla stessa cosa. Era la prima volta che Asuka esprimeva verbalmente una nota che non fosse di rabbia nei suoi confronti. Shinji non sapeva se meritarsi o meno quella fiducia, ma era un dato di fatto che lei ve l’avesse riposta. Si sentì inadeguato e imbarazzato.

 

“Non so bene che cosa fare in questi casi” – disse lui.

 

Asuka congiunse i loro occhi con uno sguardo.

 

“Penso che dovresti sorridere” – disse, seria, guardandolo con la coda dell’occhio.

 

Shinji percepì l’angolo delle proprie labbra sollevarsi appena. Quelle della ragazza fecero altrettanto, per una frazione infinitesima.

 

Ma tanto bastava.

 

*

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Contro di te soltanto ho mancato (tibi soli peccavi) ***


Premessa. Spesso, quando scrivo, temo di essere noioso e prolisso. Per questo motivo, le mie storie non sono mai molto lunghe. Questo per avvertirvi che con questo mi sto avviando alla conclusione della storia, che finora spero sia stata di vostro gradimento.
Buona lettura!

 

*

 

 

Shinji e Asuka furono svegliati quando il sole non era ancora sorto. Fecero colazione con della zuppa di miso in latta, un barattolo ogni due persone. Shinji divise il suo con Asuka. Più di una volta portò la latta alle labbra e fece solo finta di bere la zuppa, così da lasciarne un po’ di più alla ragazza senza che lei se ne accorgesse.

 

“Penso che dovremmo andare adesso” – disse Hyuga, che divideva il suo barattolo con Aki. Hiro ne aveva uno intero. “Così da evitare il caldo il più possibile. Che ne dici?”

 

Shinji annuì. la sua camicia era già madida di un sudore appiccicoso e non vedeva l’ora di tornare per lavarla al pozzo.

 

Hyuga guardò il fondo della latta e annuì di rimando. Shinji ebbe l’idea di strappare un brandello di tessuto eccedente dal riparo più grande e farne due fazzoletti, che annodarono sulla testa come protezione dal sole, e portò il suo fagotto vuoto.

Dopodiché si congedarono. Mentre partivano il ragazzo si voltò per salutare con la mano, e Asuka gli rispose allo stesso modo, oscillando appena il palmo. Sembrava un addio. Dopotutto era la prima volta in quattro giorni che si separavano, ed entrambi percepivano un vago senso di abbandono.

 

Il sole descrisse un primo spicchio della sua traiettoria e quando la sua luce fu tale da gettare ombre allungate a dismisura, erano giunti nei pressi di un rudere solitario. Sembrava una vecchia cascina di campagna. La stalla che si trovava di fianco all’orto – o meglio, di fianco ai resti carbonizzati dello stesso – sembrava essere stata distrutta da un’esplosione e i detriti si ammucchiavano sul lato della casa arrivando a coprire completamente persino le finestre. Il ragazzo pensò che sarebbe stato praticamente impossibile trovare dei semi, in quel posto devastato.

 

“Attento” – disse Hyuga quando stettero per entrarvi – “Quando sono entrato nell’altra, ho rischiato che la trave portante mi cadesse in testa”

 

Shinji esitò prima di varcare la soglia, puntando lo sguardo sulla trave. Poi la oltrepassò, posandovi con cautela una mano sul bordo sottostante, alzandola come un cameriere che porta un vassoio.

 

“Signor Hyuga

 

L’uomo si voltò verso Shinji mentre era chinato a ispezionare i resti contorti di una credenza di metallo. Sembrava che in precedenza si fosse fusa, perché era collassata su se stessa, colando come un gelato lasciato al sole.

Shinji si costrinse a esternare quanto voleva dire. Era come se le parole gli si fossero fermate a metà della gola e la ostruissero come un boccone troppo grosso.

 

“Signor Hyuga. Lei pensa” – Shinji si schiarì la voce – “Pensa che possa esserci qualcun altro della Nerv?”

 

Lo sguardo dell’uomo divenne lucido, e lo spostò verso la credenza.

 

“Purtroppo, non lo so” – disse con voce roca.

 

“Ma lei …?”

 

“Se credo che qualcuno di loro potrebbe tornare? Sì, lo credo, come ho detto ieri. Però alla Nerv c’era davvero chi aveva voglia di vivere. Forse è persino più probabile che qualcuno abbia deciso di tornare”

 

Suonava come un tentativo di autoconvinzione. Shinji voleva prove.

 

“Come può dirlo?” – e subito si rese conto di avere un tono sostenuto. “Voglio dire, mi chiedo se ha degli elementi, ecco, per poterlo dire, o se non ne ha”

 

Hyuga riportò lo sguardo su di Shinji, che si era aspettato un’espressione tesa, sulla difensiva. E invece l’uomo aveva i tratti distesi e dolenti. Cercava di nascondere il dolore sorridendo.

 

“Credo di averne, sì” – rispose. “Il vice-comandante Fuyutsuki era un uomo di buon senso e amava la vita come tale. Non mi stupirei di rivederlo. Oppure …”

 

“… La signorina Misato?”

 

Shinji lo fissò, teso. Hyuga sospirò e chiuse gli occhi.

 

“Lo spero” – disse – “Lo spero tanto”

 

Anche Shinji lo sperava. Se c’era qualcuno di cui sentiva la mancanza, era la signorina Misato. Il volto gli andò a fuoco per la vergogna e per il senso di colpa. Lei lo aveva salvato: per questo motivo la prima cosa che aveva fatto una volta che si era risvegliato sulla spiaggia era stata costruire un piccolo monumento alla sua memoria, inchiodando il pendaglio che gli aveva lasciato su un travicello. La nostalgia lo assalì con un’onda di sconforto.

 

“Pare che abbiamo trovato qualcosa”

 

Shinji si riemerse dai suoi pensieri e per un momento fu smarrito. Hyuga si era chinato e riaffiorò con una bracciata di latte accartocciate.

 

Un tonfo, un boato, acciottolio di detriti; la luce scomparve e si levò una nube di polvere caustica di intonaco sbriciolato. Shinji si rialzò coperto da capo a piedi di polvere simile a farina. Tossì e ne sputacchiò. Aveva la bocca impastata.

 

“Signor Hyuga!”

 

Una serie di colpi di tosse. “Eccomi, sto bene, credo”

 

Non appena la nube si diradò un poco, Shinji riuscì a vedere l’uomo mentre, con una mano alla bocca, spingeva con l’altra per cercare di alzarsi da terra. Shinji gli porse la mano e lo aiutò ad alzarsi.

 

“Cos’è successo?”

 

“La porta!”

 

Si spostarono correndo all’ingresso. Un raggio di luce polverosa proveniente dall’alto illuminava la situazione. L’architrave che solo poco prima Shinji aveva toccato con il palmo della mano era crollato al suolo, e adesso era semisepolto da calcinacci e detriti. Era crollata anche la porzione di soffitto che l’architrave stesso sosteneva, ma le travi di legno del tetto non più sorrette si erano inclinate in avanti e coprivano il buco che si era formato bloccando la visuale del cielo.

 

“Meglio uscire subito, no?” – disse Hyuga – “Qua potrebbe venire giù anche tutto il resto, per quanto ne sappiamo”

 

“Proviamo dalla finestra” – propose Shinji, cercando di mantenere la calma. Aveva le mani sudate e tremanti, ma strinse i pugni lottando contro l’effetto dell’adrenalina. Il tecnico lo precedette sull’altro lato della casa.

 

“Dannazione!”

 

Shinji lo raggiunse correndo e annaspando. Hyuga stava fissando il muro, e non appena lo fece anche Shinji il suo cuore sprofondò. Le finestre erano bloccate dai detriti della stalla.

 

Accidenti, pensò digrignando i denti. Percepì una morsa attorno al petto e comprese che l’afflizione lo stava invadendo. Per qualche istante si sentì completamente inerme.

 

Shinji, vieni qui!”

 

Il ragazzo obbedì all’istante. Hyuga era tornato all’ingresso e stava rimuovendo i calcinacci con vigore, strappandoli a viva forza dal cumulo facendo leva con tutto il suo peso. Si fermò un istante per arrotolare le maniche della tuta e guardò Shinji un po’ perplesso.

 

“Allora, vuoi uscire o no? Dammi una mano”

 

In quell’istante, Shinji focalizzò in mente i lunghi capelli rossi di Asuka. No, non poteva stare fermo un’altra volta. Il conflitto interiore lo travolse come un vulcano scosso da un terromoto e, alla fine, eruttò. Misurò la distanza che lo separava dall’ingresso con tre passi decisi e si gettò sul muro frantumato come se gli avesse fatto un torto personale e dovesse picchiarlo.

 

“Attento!” – esclamò Hyuga – “Non cominciare dalla base, o verrà giù tutto di nuovo. Sta’ il più in alto possibile”

 

Lavorò come un mulo, sudando e impolverandosi fin sotto la camicia oramai sudicia. Le mani erano piene di taglietti sanguinanti, come quelle di Hyuga. Un tronco di trave era tanto pesante che dovettero spostarlo in due: si puntellarono sui piedi e tirarono come buoi, mugugnando per lo sforzo. Con un ultimo slancio la trave fu rimossa, e uno schianto indicò che il blocco di detriti soprastante era rovinato al suolo.

 

“Sì!”

 

Si era aperto un varco largo poco meno di Shinji. Fu sufficiente scremarne i lati dai calcinacci più grossi e infine risultò agibile.

 

“Bel lavoro” – si complimentò Hyuga, e subito dopo scoppiò a ridere. Fu contagioso: anche Shinji rise fino alle lacrime e i due si strinsero la mano. Nonostante fosse sporco di polvere, sudato e pieno di tagli, il ragazzo era raggiante.

Uscirono dall’apertura. Hyuga sbatté la testa mentre si piegava, ma continuava a sghignazzare tra sé.

 

Il sole era praticamente allo zenit quando arrivarono. Per un momento a Shinji baluginarono in mente alcune scene che aveva osservato solo sui suoi libri di storia, ovvero gli accampamenti del neolitico. Donne che accudivano i bambini e uomini che andavano a caccia. Si sentì un po’ mortificato a essere parte integrante di uno stereotipo simile.

 

Aki stava facendo a pezzi vecchie travi e porte di legno della casa. Un’estremità poggiata su un sasso, l’altra a terra e un secco colpo di tallone nel mezzo. Li salutò con la mano appena li vide, e fece cenno che sarebbe arrivata di lì a poco. Hyuga alzò i pollici.

Una decina di metri più in là, Asuka sedeva di fronte a Hiro di fianco al braciere spento. Shinji non poteva sentire cosa si dicevano, ma mentre proseguiva verso il pozzo vide Asuka sorridere e il ragazzino ridere a crepapelle come lui stesso poco prima.

Shinji si fermò e si beò di quell’immagine. Era Asuka! Aveva la sua stessa età, e appena due giorni prima era sull’orlo – come lui – del tracollo psicologico. Ora sembrava cresciuta troppo in fretta, sembrava adulta, sembrava una madre.

Una madre.

 

La ragazza vide Shinji con la coda dell’occhio. Disse qualcosa a Hiro, che annuì; poi lei si alzò e lo raggiunse al pozzo. Volendo approfittare delle ore di calore ancora disponibili, Shinji stava cercando di lavare la camicia, chino sul secchio, con lo stesso pezzo di saponetta di due giorni prima. sulle spalle si era gettato il drappo di tessuto del fagotto per proteggersi dal sole.

 

“Sembrava contento”

 

Asuka si voltò indietro e fissò Hiro.

 

“Ho cercato di distrarlo un po’. È arrabbiato con il mondo e desolato”. Tirò su col naso. “Immagino che abbiate trovato qualcosa”

 

Il racconto della loro disavventura precedente fece spalancare gli occhi e la bocca ad Asuka, che parve gonfiarsi come un gatto arrabbiato.

 

“Beh, vedi di stare più attento la prossima volta!”

 

“E’ stato un incidente, non potevamo prevederlo …”

 

“Comunque sii più prudente! Non ho alcuna intenzione di doverti venire a salvare l’osso del collo”

 

Si voltò e tornò al braciere scuotendo i lunghi capelli. Shinji la guardò allontanarsi con una gran voglia di scoppiare di nuovo a ridere.

 

 

 

*

 

“Ehi, guardate un po’ qua!”

 

Shinji allungò il collo verso Hyuga, così come fecero anche tutti gli altri. Non era facile vedere che cosa stesse mostrando, perché il fuoco già da parecchi minuti era andato spegnendosi. Ora gli ultimi tizzoni rilucevano al buio di un bagliore simile a quello delle stelle soprastanti.

 

L’uomo teneva fra le mani una delle latte che avevano recuperato e l’aveva da poco aperta. La prima impressione di Shinji fu che fosse piena di ghiaia. Si accigliò. Non appena i suoi occhi si abituarono alla mancanza di luce, vide che era piena di quelli che sembravano legumi.

 

“Non vedete?”

 

“Che cosa dovremmo vedere?” – chiese Aki. Asuka si limitò ad arricciare gli angoli della bocca verso il basso e ad alzare le sopracciglia. Non afferrava la straordinarietà che invece Hyuga sembrava voler comunicare.

 

“Su, toccateli”

 

Senza preavviso, infilò una mano nel barattolo e ne ficcò una manciata in quella di Shinji, che sul momento non seppe cosa fare. Poi capì: si era aspettato l’umido contatto con dei legumi molli perché bolliti, ma questo non arrivò. Sentiva al tatto la loro superficie liscia e i loro contorni regolari, erano secchi.

 

“Potremo farli rinvenire nell’acqua” – disse l’uomo – “E poi tentare di piantarli. Che colpo di fortuna. Direi che è valso la pena rischiare l’osso del collo, oggi, eh Shinji?”

 

Lo disse con voce sorniona in un fare volutamente provocatorio. Shinji fece un sorriso come risposta. Ah, chi mai l’avrebbe detto, mesi o anni prima, che un giorno sarebbe stato così felice per una latta di legumi secchi?

 

Quando ormai la luna fu tramontata da un pezzo, nel momento in cui il sole ancora non è visibile eppure è chiaro che la notte ormai è conclusa, Shinji si svegliò, senza più un briciolo di sonno. Si voltò. Asuka gli dava le spalle, dormiva in posizione fetale. il ragazzo guardò il suo fianco ondeggiare lentamente per qualche minuto. Fu colto da un’illuminazione: si alzò in punta di piedi, scostò la tenda facendola frusciare il meno possibile e uscì.

 

Camminò lentamente fino al braciere. Si chinò e ficcò dentro al suo fagotto più cenere possibile; lo chiuse afferrandone i capi e si diresse verso il lato del casolare. Scelse una zona che stimò non troppo riarsa dal calore durante la giornata, si chinò di nuovo e iniziò a scavare entro un’area più o meno rettangolare. Scavava con le dita, infilandosi la terra rossa sotto le unghie e cercando di arrivare il più a fondo possibile, scavò finché non fu soddisfatto del risultato, rimuovendo le pietre che incontrava e formandone un cumulo irregolare lì di fianco. Rimise la terra che aveva rivoltato dentro lo scavo e ci versò sopra la cenere del braciere e dell’acqua. Mescolò le tre materie con energia e a piene mani, con lo stesso vigore di un bambino che distrugge un castello di sabbia non appena ha finito di costruirlo.

Si alzò e raggiunse il pozzo. Sul fondo del secchio mezzo pieno d’acqua si trovava il contenuto della latta di Hyuga. Erano gonfi e lisci, turgidi dell’acqua filtrata al loro interno per osmosi. Preparò delle fossette infilando il dito indice nel terreno secondo un disegno regolare. Uno a uno, lì piantò tutti nella zona che aveva lavorato con le mani.

 

Si alzò, sbatté delicatamente le mani per non fare rumore e le sciacquò con un po’ dell’acqua del secchio. Ammirò la sua opera mentre aspettava che gli passasse il fiatone. Poi rientrò nella tenda.

 

“Dovevi proprio farlo adesso?”

 

Asuka si era voltata sul fianco opposto e lo osservava da distesa mentre lui si sedeva. Teneva le mani conserte sotto la tempia.

 

“Non volevo svegliarti”

 

“Ci hai messo un sacco. Sei stato accurato”. Lo osservò aggrottando appena le sopracciglia. Scosse appena la testa, facendo oscillare la massa di capelli lunghi, rossi e spettinati che le inondava il collo e le spalle. “Lo sei sempre, anche quando cucini o altro. Perché?”

 

Shinji soppesò la risposta per qualche secondo, mentre si distendeva supino con le mani dietro la testa.

 

“Non saprei. Credo di non essere portato a fare grandi cose. Quindi … forse cerco di fare quelle piccole il meglio possibile. E mi piace sentirmi gratificato, penso, ecco”

 

Asuka lo guardò ancora con la stessa espressione imbronciata. Fece leva sul gomito e si issò seduta. Si riavviò i capelli sulle spalle, si alzò del tutto e fece per uscire dalla tenda.

 

“Che bugiardo”

 

Shinji si tirò seduto a gambe incrociate. “Come?”

 

La ragazza si voltò indietro verso di lui, mentre con una mano scostava l’apertura. L’espressione imbronciata era sparita, i suoi lineamenti erano ora distesi. Dalla fessura filtrò la luce arancione del sole nascente, e i capelli di Asuka divennero fiammanti.

 

“A te non piace sentirti gratificato. A te piace sentirti gratificare da me

 

Shinji arrossì. “Come puoi dirlo?”

 

La ragazza chiuse gli occhi e rivolse i palmi delle mani verso l’alto. “Perché ti senti in debito verso di me” – disse. “E cerchi di riabilitarti ai miei occhi, semplice”

 

A Shinji mancò il respiro come se qualcuno gli avesse tirato un calcio nelle reni.

 

“Avrei dovuto aiutarti”

 

“Lo so”.

 

Dall’esterno si udirono gli sbadigli dei loro compagni, appena destatisi. Asuka rimase sulla soglia, un po’ incurvata, controluce. Shinji abbassò lo sguardo e lo spostò di lato, verso l’angolo della tenda.

 

“Ehi! Non azzardarti a deprimerti” – disse la ragazza, puntandogli contro l’indice - “Andavi così bene fino ad ora. Mi hai tirato fuori dal mare di LCL, mi hai medicato le ferite e hai provveduto al mio sostentamento”

 

Shinji spalancò gli occhi.

 

“I peccati si possono espiare. Le scuse non servono, non servono mai. Servono solo tenacia, dedizione e costanza. Io ho avuto il mio risarcimento emotivo già quando mi hai estratto dal mare, l’altro giorno. Quindi piantala di sentirti in colpa e comportati da uomo … perché finora l’hai fatto”

 

Il ragazzo alzò di nuovo lo sguardo: iridi azzurre incontrarono iridi azzurre. L’aria fremeva di elettricità statica.

 

“Usciamo? Non vedo l’ora di lavarmi la faccia”

 

Shinji annuì. si alzò in piedi, appena chinato per non sbattere la testa in alto. Raggiunse la ragazza all’entrata. Hyuga si stiracchiava davanti al braciere spento; Hiro beveva dal secchio e Aki si avvicinava al casolare diroccato.

 

Cercarono l’uno la mano dell’altra e uscirono verso l’alba rossa.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Cambiamo il tempo (tempora mutantur) ***


Ecco la conclusione, che spero vi soddisferà. Con questo mi auguro che anche il resto della storia sia stato di vostro gradimento e vi abbia permesso di passare qualche momento di soddisfazione. Spero che vogliate lasciare un commento anche su quest’ultimo capitolo, perché trovo le vostre opinioni utili ed interessanti.

Grazie!

 

*

 

“Accidenti. Servirà un paio di occhiali”

 

Shinji varcò la soglia, a annusò a fondo l’aria. L’aroma della brezza del mare non l’avrebbe mai convinto: continuava a puzzare. L’odore era lo stesso delle alghe marcescenti sotto al sole, ma molto più attenuato.

Arricciò il naso, si fermò a pensare e infine partì verso la direzione prescelta. Con una mano in tasca e la camicia dentro i pantaloni, passeggiava volgendo lo sguardo ora da un lato, ora dall’altro, a caccia di dettagli che gli permettessero di passare il tempo. Un gabbiano appollaiato su di un tetto gracchiò sonoramente.

 

“Guarda! “

 

Chissà come hanno fatto, pensò Shinji. Lui aveva potuto frugare negli edifici diroccati, attingere acqua da un pozzo arrugginito e costruirsi dei ripari contro il sole e il freddo. Ma i gabbiani? I granchi, poi, neanche a parlarne. Aveva visto un granchio zampettare sulla spiaggia, due giorni prima. Come diamine facevano a sopravvivere in quella brodaglia sanguinolenta e puzzolente?

 

“Che schifo”

 

Mmh?”

 

Un cenno del capo, verso l’orizzonte, e Shinji capì. Se ne era staccato un altro enorme pezzo, che era caduto nell’acqua con un tonfo vibrante. Dovette ammettere che era una scena abbastanza disgustosa, ma per fortuna stavano già provvedendo a farlo rimorchiare a ancorare ancora più al largo e a ricoprirlo di calce.

 

“Ho sentito dire che hanno predisposto un’area circoscritta per portare i pezzi”

 

“Bah. Fosse per me, la brucerei”

 

Eppure cominciava a sprofondare, e non si vedeva più il volto perché, perdendo pezzi, era lentamente ruotata a faccia in giù per lo spostamento del baricentro. Era quindi visibile solo la nuca, che a causa delle dimensioni e dei capelli sembrava un isolotto ricoperto di vegetazione, nonostante la colorazione inconsueta. Ripensare alla visuale precedente lo faceva ancora rabbrividire.

 

“Ehi! Non strappare quei fiori! Sai quanto tempo ci è voluto perché crescessero?”

 

Passavano di fianco a un lotto di terreno rosso recintato con uno steccato di metallo. Il legno era abbastanza raro a causa della carenza di alberi. Cercava di farsi strada con la mano tra un tondino di metallo e l’altro per cogliere un minuto fiore di ginestra. Era una delle poche piante che crescesse spontaneamente in quella terra riarsa. L’uomo al centro del campo stava rivoltando le zolle secche e polverose con una vanga arrugginita. Si fermò, posò la vanga a terra e si chinò su di un grosso sacco alle sue spalle. Ne estrasse una bracciata di sterpi rinsecchite, le gettò sul mucchio di terra e proseguì a rigirarla.

“Guarda quanti sono!”

 

Aveva ragione. Quel lotto di terreno confinava con molti altri, che si susseguivano l’un l’altro come le celle di un alveare. Si arrampicavano lungo il ciglio della montagna e pareva che in ognuno – almeno fino a dove arrivava il suo sguardo – vi fossero persone impegnate nella stessa attività di quell’uomo. In alcuni di essi, al colore rosso di base, si affiancavano delle zone marrone scuro meno estese.

 

“Ci sono tre appezzamenti in più rispetto al mese scorso. A me basta che questi del Programma di Recupero dei Terreni non arrivino a zappare dietro casa”

 

Svoltarono perpendicolarmente alla linea del mare e si immisero in una via in terra battuta. Furono investiti dall’acre odore del toluene e in fondo alla strada videro un veicolo giallo e massiccio che proseguiva lentamente verso di loro.

 

“Che frastuono! Possibile che debbano asfaltare alle nove del mattino?”

 

Giunsero di fronte a una vetrina. La lastra era incrinata sull’angolo superiore destro ed era molto impolverata dal lato esterno. Un uomo sulla quarantina munito di straccio e secchio strofinava il vetro, cercando finanche la polvere nascosta negli angoli.

 

“Buongiorno”

 

“Oh, buongiorno”. L’uomo sorrise loro, lasciò cadere lo straccio dentro il secchio e li invitò ad entrare. Varcata la soglia, infilò un camice bianco recuperato da un appendiabiti a colonna e raggiunse il retro di un bancone.

 

“Prego”

 

“E’ per lei” – rispose Shinji. “Dice di vedere offuscato da lontano”

 

Mmh. Un inizio di miopia. Quanti anni ha?”

 

“Quattro” – disse Asuka. “La prima nata del 2020, non è così?” – aggiunse, sorridendole dall’alto.

 

La bambina annuì e sorrise, scuotendo i suoi lunghi codini castani

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2313941