Outside the Normandy

di andromedashepard
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Vacanza Indimenticabile ***
Capitolo 2: *** After the War ***
Capitolo 3: *** Ingredienti di un Natale Perfetto ***



Capitolo 1
*** Una Vacanza Indimenticabile ***


Dopo mesi, mi sono decisa a pubblicare qui la prima storia (revisionata e corretta) di una raccolta che, spero, mi lascerà vagabondare in questa sezione ancora per un pò, una volta finite le mie storie principali. Inizialmente non avevo intenzione di pubblicarla... dopotutto è slegata dalla mia serie ed è nata solo come tentativo di distrarmi e divertirmi, immaginando un universo dove i Razziatori sono ormai una lontana minaccia. Poi ho realizzato che magari, ogni tanto, non fa male leggere qualcosa di diverso... ed eccomi qui, con una storia ai limiti dell'assurdo che ha come protagonista un quartetto strampalato alle prese con una vacanza non proprio normale.

 
 
Una Vacanza Indimenticabile
 
 
Promesse
 
La hall del residence era larga e spaziosa, sui toni del bianco e del blu, e ad ogni angolo cactus di ogni forma e grandezza decoravano l’ambiente conferendogli un tocco country ed esotico. L’aria condizionata altissima stonava con la temperatura esterna che sfiorava i quaranta gradi, ma era decisamente gradevole. Un’umana dai capelli castani, raccolti in uno chignon elegante, sorrideva di fronte ad una strana coppia. Due drell nel giro di qualche settimana era un evento raro persino per il Canyon Resort. Due drell accompagnati da due femmine umane, ancora di più, se possibile.
“Come posso aiutarvi?”, domandò la receptionist in galattico standard, cercando di mascherare la sorpresa con un’espressione gioviale.
Il drell e la giovane umana al di là del bancone si scambiarono uno sguardo incerto, poi la ragazza parlò, facendosi più avanti con un timido sorriso sulle labbra.
“Dovremmo avere una stanza prenotata…”, disse, “Krios” aggiunse poi, annuendo leggermente.
“Ah, ma certo”, rispose l’altra donna, consultando un registro digitale. “Lei è il figlio del signor Krios?”, domandò poi, rivolgendosi direttamente al drell. Anche se non avesse consultato il registro, quel nome l’avrebbe ricordato sicuramente.
Lui si schiarì la voce, per poi mormorare un impercettibile si. Era terribilmente imbarazzato, e la tonalità che aveva assunto sul collo e sulle guance ne era un innegabile indizio.
“Suo padre è via per un’escursione, ma dovrebbe tornare a breve. Intanto eccovi il codice della stanza”, disse cordialmente. “Settimo piano, in fondo al corridoio a sinistra”.
I due giovani annuirono, ringraziarono timidamente (no, a dire il vero solo Oriana si prese la briga di ringraziare) e poi corsero a prendere l’ascensore, trascinandosi dietro due bagagli di modeste dimensioni, di cui uno visibilmente stracolmo.
“Finirò per pentirmene, lo so”, mugugnò Kolyat, curvando gli archi sopracciliari verso il basso.
“Sei sempre il solito… non puoi cercare semplicemente di goderti questa vacanza?”, replicò Oriana, scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte.
“La fai facile tu… non dovrai sopportare le stronzate di tuo padre”.
Oriana si fermò a guardarlo, incredula… non poteva credere di aver sentito davvero quelle parole.
“Ori… Ori, scusami ti prego”, aggiunse in fretta lui, trattenendola per un braccio. Non era solito scusarsi con lei, con nessuno, a dire il vero… ma l’argomento che aveva appena tirato in ballo era stato davvero il peggiore che avesse potuto trovare. Si maledisse mille volte per quell’infelice uscita. Possibile che non riuscisse mai a tenere a freno la lingua? “Non intendevo, davvero…”
Oriana scrollò le spalle e l’espressione sul suo viso divenne più rilassata. C’era abituata, d’altra parte, e non riusciva a tenergli il broncio troppo a lungo, apparteneva a lui quella caratteristica. E poi ormai aveva imparato a sfruttare la sua impulsività a suo favore… fin troppo bene, forse. “Se vuoi farti perdonare, stasera mi porterai a ballare”, squittì.
Fu quello il momento in cui Kolyat capì di essersi messo seriamente nei guai.
 
 
Altre Promesse
 
 
“Thane! Thane fermati, dannazione”.
L’urlo di Shepard si propagò per l’intero canyon, facendo voltare il gruppo di escursionisti, i quali ebbero l’efficace dimostrazione di come funzionasse il fenomeno dell’eco in quella particolare zona terrestre. Un paio di asari, infagottate come se avessero dovuto far fronte a un’improvvisa tempesta di sabbia seguita da uno tsunami, sbarrarono gli occhi, pietrificate sul posto. Persino la guida, un avvenente umano sui quaranta, sembrò sconvolto da tanta esuberanza… e dire che di piccoli turisti con una passione per gli schiamazzi ne aveva visti tanti.
Thane si fermò, girandosi indietro a guardarla con un sorriso divertito sulle labbra, e lei lo raggiunse con uno scatto, per poi crollare esausta accanto ad un masso.
“Questo è il secondo gruppo di escursionisti che sorpassiamo… guardali, sembrano così freschi e riposati! E poi guarda me, sembro uscita direttamente da Tuchanka dopo un’esplosione nucleare!”, si lamentò lei, indicando la propria maglietta madida di sudore.
“Hai superato situazioni molto più avverse, Siha. Non dirmi che sei già stanca”, rispose lui, porgendole una borraccia.
Lei lo fulminò con un’occhiata, prima di dare un lungo sorso d’acqua. “Non sono stanca, stupido lucertolone… è che, ovviamente”, disse, enfatizzando l’ultima parola, “non reggo il caldo così bene come te”.
“Avresti dovuto indossare una tuta termica con sistema di refrigerazione incorporato”, sorrise lui.
“E tu un ridicolo cappello di paglia e una bella macchina fotografica al collo. Sembri il tipico turista giapponese della domenica, che si entusiasma anche davanti a un chiosco di limonate!”
Thane rise, non cogliendo il preciso significato di quella frase, ma divertito da tanta animosità. Non pensava che il Comandante Shepard si sarebbe fatto sopraffare da una corsetta in salita in mezzo al deserto, all’ora di punta.
“E va bene… ti concedo un po’ di tregua, ma voglio arrivare fin lassù”, rispose dolcemente, indicando il punto più alto visibile.
“Tu sei pazzo, Krios. Lo sai?”
“Di te? Mi sembra abbastanza ovvio e superficiale sottolinearlo”, disse lui, chinandosi nel tentativo di baciarla sulle labbra.
“Non avvicinarti neanche per idea”, fece lei, scostandosi, “non ti darò un bacio finchè non saremo tornati in hotel. E questa è una promessa”.
“Qualcosa mi dice che farai fatica a mantenerla…”
Shepard sbuffò, rimettendosi in piedi con uno scatto. Probabilmente si sarebbe disidratata, arrivando ad avere a fine giornata l’aspetto di una prugna secca, ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di raggiungere la cima da solo. Piuttosto l’avrebbe raggiunta lei per prima.
 
      Cactus
 
“Che Arashu mi fulmini all’istante!”, esclamò Kolyat, facendo ingresso nella loro camera al settimo piano.
Oriana rise, guardandosi intorno con stupore. “Quoto. Sì, è bellissima…”
“Bellissima un corno… che diavolo sono tutte queste… cose?”, iniziò a sbraitare lui, indicando i cactus disseminati per la stanza. Oriana perse il sorriso per un attimo, per poi tornare a ridere più forte di prima.
“E’ inutile che li disprezzi così tanto… sono forse la cosa più simile a te che io abbia mai visto”, disse, sfiorandone uno con la punta delle dita, attenta a non pungersi.
“Ma davvero? Sarei tondo, verde e pieno di aculei?”
Oriana scosse la testa, pensando che fosse un caso perso. “Ma ti sei visto?”, gli domandò, chiedendosi se si fosse mai davvero guardato allo specchio. “Sono teneri e buffi, ma fanno paura per via delle spine. Sembrano così pericolosi, e invece… sono piante molto forti sai? Resistono a qualunque clima e vengono usate per rimedi di qualsiasi tipo. Basta guardare oltre le loro difese”, spiegò con tranquillità.
Kolyat si voltò dall’altra parte, visibilmente imbarazzato. Se quello voleva essere un tentativo di fargli un complimento, aveva fallito ampiamente. “Stronzate”, mugugnò, iniziando a disfare la propria valigia.
Oriana lo lasciò blaterare. Senza dubbio il viaggio l’aveva stressato parecchio, e la prospettiva di rincontrare suo padre e la sua nuova compagna umana aveva solo rincarato la dose. Prima che quel viaggio apparisse all’orizzonte aveva creduto che lui fosse ormai una persona diversa. Aveva abbassato le difese, si era lasciato amare, l’aveva amata con un’intensità di cui non lo credeva possibile… ma sfortunatamente era bastata l’idea di passare qualche giorno in compagnia del padre per farlo ripiombare nel baratro. Eppure lei ci aveva parlato, col signor Krios, e l’aveva trovato così gentile e disponibile da non riuscire a credere che Kolyat fosse suo figlio o che lui fosse stato un assassino. E Miranda le aveva parlato così bene di Shepard che non pensava che Kolyat potesse arrivare in qualche modo detestarla. In fondo era solo grazie a lei se adesso erano tutti vivi, con un futuro davanti, senza la parola “Razziatori” compresa nel pacchetto.
“Io vado a fare una doccia”, comunicò lei poco dopo, le braccia chiuse intorno ad un asciugamano turchese e ad ogni genere di sapone in commercio. “Vuoi approfittarne?”, aggiunse poi, mordendosi un labbro.
Kolyat sembrò prestarle attenzione improvvisamente, sollevando un sopracciglio.
“N-no, grazie… pensò che dormirò invece”, si affrettò a dire. Non era ancora pronto a lasciarsi andare di nuovo.
 
OH, WOW
 
“Te l’avevo de… te… l’avevo… oh, per la miseria, qui si cuoce!”, esclamò Shepard, le mani premute sulle ginocchia. All’orizzonte, riusciva a vedere solo montagne… montagne rossastre e sfocate dal calore. Si passò una mano sulla fronte, pentendosene l’attimo dopo, quando vide cadere alcune goccioline d’acqua sulla sabbia. Dio, se odiava quel posto!
Thane la raggiunse qualche secondo dopo, perfettamente a suo agio, come se si fosse appena svegliato dopo una lunga dormita.
“Congratulazioni, Siha. Hai un premio da reclamare, adesso”, le disse, sorridendo dolcemente.
“Un pre… un premio, eh? Che ne dici di una vasca piena di acqua ghiacciata? No, facciamo una piscina olimpionica e un cocktail fruttato con tanto di ombrellino”, rispose lei con gli occhi a fessura.
“Se fosse possibile, volentieri. Ma temo dovrai accontentarti di questo”, disse lui, inclinando la borraccia d’acqua sopra la sua testa, così da versarne una modesta quantità sui suoi capelli raccolti in una coda.
Shepard chiuse gli occhi, sorridendo come se fino a quel momento non avesse desiderato altro. Poi lui si sfilò lo zaino dalle spalle ed estrasse quelli che sembravano due teli da spiaggia, uno dei quali diverso dall’altro per forma e consistenza.
“Che roba è? Non vorrai dirmi che hai intenzione di sdraiarti qui?”, domandò lei, sgranando gli occhi, a dispetto della luce accecante del sole.
“Proprio così. Ma aspetta a protestare… il tuo telo è rinfrescante, provare per credere”.
“Dove diamine l’hai trovato?”
“Extranet, Siha. Ti dico sempre di tenerti aggiornata, ma non mi ascolti mai…”
Shepard sorrise, sfiorando la superficie del telo con una mano. “Oh, wow…”, mormorò.
Thane, dal canto suo, iniziò a spogliarsi, catturando immediatamente la sua attenzione. “OH, WOW”, ripetè lei ridacchiando, mentre lui le lanciava la sua canotta perfettamente pulita.
“Siete troppo fortunati voi drell… hai idea di quanto sia fastidioso sudare?”, esclamò lei, esaminandola brevemente, senza per questo perdersi lo spettacolo di quelle squame che brillavano sotto i raggi del sole
“Hai idea di quanto sia fastidioso squamarsi?”, replicò lui, togliendosi anche i pantaloni in un movimento che lei avrebbe definito quantomeno elegante, con assoluta nonchalance.
“Tu sei proprio un…”, commentò Shepard, scuotendo la testa. Gli lanciò di nuovo la sua canotta addosso, in mancanza di qualcosa di più consistente. Quel drell sapeva di certo come provocarla. Si spogliò anche lei, preventivamente munita di costume da bagno, e si sdraiò sul telo accanto a lui, indossando un paio di occhiali da sole.
“Se muoio stecchita lasciami pure qui, mi piace l’idea di essere divorata dagli avvoltoi, un giorno potrei diventare concime per piante grasse”, commentò, sovrapponendo le mani sull’addome.
Thane si voltò a sorriderle, divertito. La amava, la amava sopra ogni cosa, e sentì di essere al settimo cielo. Non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbe successo davvero tutto ciò che lui aveva sempre e solo sognato. Chiuse gli occhi e piano, tutto iniziò a diventare sfocato, poi il buio.
 
Sorprese
 
Il terrazzino si affacciava su un’enorme piscina piena di bagnanti. Kolyat arricciò il naso, ricolmo di disappunto. Non gli piaceva la confusione, odiava gli schiamazzi, e sopportava ancora meno gli umani e le loro abitudini casiniste, ma almeno la balaustra era schermata e nessuno avrebbe invaso la sua privacy con sguardi indiscreti. Osservò sospettosamente una delle due sdraio, poi scelse quella con l’angolazione migliore rispetto alla posizione del sole e si disfece degli indumenti. Si sdraiò lentamente e poi si concesse un sospiro liberatorio, quando i raggi della stella a lui ancora sconosciuta iniziarono a riscaldare la sua pelle.
Incredibile come, nell’arco di qualche minuto, riuscì a sentirsi una persona diversa. Difficilmente aveva provato quel senso di pace e beatitudine in altre circostanze. Quel calore era l’equivalente di un abbraccio materno, capace di sciogliere ogni nervo, ogni preoccupazione. Liberò la mente dai ricordi e semplicemente rimase a crogiolarsi al sole, finchè non sentì il richiamo del sonno troppo forte per opporvisi. Si abbandonò ad esso come alla ninna nanna di una madre, fin quando nella sua mente non ci fu solo il vuoto. Era finalmente in pace.
 
Oriana uscì dalla doccia come rigenerata. Sentì quasi freddo a contatto con l’aria condizionata, adesso che aveva lavato via ogni residuo del viaggio dalla pelle. I suoi capelli erano di nuovo leggeri, luminosi, la sua pelle fresca e asciutta. Si guardò allo specchio e sorrise di gusto, osservando come, a contatto col sole, un paio di lentiggini avessero fatto capolino sulla punta del suo naso. L’azzurro dei suoi occhi era più luminoso che mai, le sue labbra più rosse di sempre. Si vestì con un abito di lino bianco e poi andò a cercare Kolyat, pregando di non trovarlo a lamentarsi di qualche altro componente d’arredo. Lo vide, facendo capolino fra le tende bianche, sdraiato al sole, con l’espressione più deliziosa che avrebbe mai immaginato.
Come può non rendersi conto della sua somiglianza con un cactus?, pensò ridacchiando fra sé e sé. Aprì la porta scorrevole, aspettandosi un suo rimprovero per averlo svegliato, ma lui non si mosse. Forse stava fingendo, forse non voleva essere disturbato… ma lei non aveva intenzione di demordere. Gli si accovacciò a fianco, passandogli una mano davanti agli occhi. Nessuna reazione. Allora staccò una foglia da una pianta lì vicino e la fece strusciare contro il suo naso. Era pronta a ricevere un’imprecazione, ma anche stavolta lui non disse nulla.
“Koly?”
“Kolyat?”
Decise di scuoterlo per una spalla. ”Kolyat, mi senti?”
Strano, troppo strano. O quel maledetto aveva deciso di farle uno scherzo, o…
“Ti prego, rispondi… non farmi preoccupare!”
Tastò il suo polso con una mano, si accertò che respirasse. Era tutto nella norma, ma allora cosa diamine stava succedendo?
“Vado a chiamare un dottore”. Decise di giocarsi quest’ultima carta e quando lui non diede segni di vita neppure allora, si precipitò nuovamente nella hall in preda al panico.
 
Non avrebbe mai immaginato ciò che scoprì qualche minuto dopo. Un medico umano l’aveva accolta con gentilezza nel suo piccolo ambulatorio, chiedendole in dettaglio di cos’avesse bisogno. Una volta appreso il problema non poté fare a meno di sorridere. “I Drell entrano in una sorta di sonno profondo se esposti ai raggi diretti del sole, un po’ come alcuni rettili terrestri. Non deve preoccuparsi, signorina. Se vuole svegliare il suo amico le basterà fare un po’ di ombra e aspettare che le sue funzioni cerebrali tornino alla normalità”.
Oriana tirò un sospirò di sollievo, trovando la faccenda piuttosto bizzarra. Era pronta a scommettere che neppure Kolyat ne fosse a conoscenza ed era sicura che non le avrebbe mai  creduto. Tornò in camera e lo riprese col suo factotum… sarebbe stato difficile negare l’evidenza, a quel punto.
 
Furti
 
Il contrasto fra il telo freddo al punto giusto, le nuvole di vapore acqueo ghiacciato che sbuffava a intervalli di trenta secondi e i caldissimi raggi del sole, ebbero un enorme potere rilassante su Shepard. Non si accorse neppure di stare per addormentarsi quando si abbandonò alle braccia di Morfeo, con un sorriso stampato sulla faccia. Sognò di trovarsi in un luogo colorato e luminoso, dove ogni cosa era edibile. Muri di cioccolata, finestre di marzapane, pavimenti di biscotto… riuscì quasi a sentirne il profumo, prima di accorgersi che un enorme Razziatore di gelatina era in procinto di inglobare ogni cosa. A quel punto si svegliò contrariata, sbadigliando e stropicciandosi pigramente le palpebre. Puntò il gomito sul telo e si concesse qualche minuto per guardare Thane. Capì quanto lui avesse bisogno di un’esperienza del genere… una sorta di ritorno a quelle origini di cui lui e il suo popolo erano stati sfortunatamente privati. Le sue squame brillavano al sole, sature di colori, il suo respiro era leggero e rilassato. Le pieghe sul suo collo erano più scure di quanto ricordasse, forse era l’unica parte del suo corpo ad essere sensibile ai raggi UV, quelli grazie ai quali adesso lei iniziava a sembrare una carota matura. Gli si avvicinò e poggiò una mano sul suo torace, cercando di farsi spazio, ma lui era bollente come l’asfalto in una giornata torrida d’estate. Ritrasse subito la mano e si mise a sedere, cercando refrigerio sulla superficie del suo telo.
Fu allora che giunse ad una tragica scoperta: erano stati derubati. Si guardò intorno smarrita… era sparito tutto, persino i suoi dannatissimi vestiti. Gli zaini, i factotum da polso… tutto sparito. “Merda!”
“Dannazione Thane, svegliati!”, esclamò scuotendolo, gli occhi che ancora cercavano un indizio, una traccia, qualcosa che le spiegasse come diavolo fosse possibile che due persone come loro fossero state derubate così facilmente.
“Thane!”
Lui non si mosse. In preda al panico controllò le sue funzioni vitali. Il suo cuore aveva un battito regolare, il suo respiro perfettamente nella norma. Decise di darsi una calmata e si alzò istintivamente, iniziando a camminare in cerchio sulla sabbia bollente per scaricare la tensione. Conosceva Thane, sapeva bene che i suoi sensi erano sempre all’erta. Poche volte le era capitato di svegliarsi prima di lui o di riuscire ad alzarsi dal letto senza che lui se ne accorgesse… l’unica differenza, qui, era il sole. Probabilmente i drell erano molto più simili ai rettili terrestri di quanto pensasse, si disse. Probabilmente era nella loro natura fare basking, probabilmente il suo sonno profondo era dovuto a quello.
Senza factotum e senza modo di mettersi in contatto con chicchessia, si abbandonò alla decisione di aspettare che fosse calato il sole, prima di prendere provvedimenti.
 
Drell Barbuti
 
Kolyat aprì gli occhi, per trovarne un altro paio, piccoli e azzurri, proiettati ad un palmo dal suo viso.
“Che diavolo…”
“Rilassati”, rispose Oriana, facendosi spazio nella sua sdraio. “Dormivi come un angioletto, eri adorabile”.
“Non so cosa sia un angioletto e non voglio saperlo, ma perché mi hai svegliato, allora?”
“Beh, saranno passate cinque ore… vuoi dormire per tutta la settimana? Non hai ancora neppure sentito tuo padre”, rispose lei, “e in più, sono stanca di continuare a guardare olofilm di serie B. Qui trasmettono solo roba terrestre del duemila…”
Kolyat grugnì, chiudendo di nuovo gli occhi.
“E poi… avrei qualcosa da mostrarti… ma devi promettermi che non ti arrabbierai”.
Il drell si costrinse a riaprire le palpebre, sbuffando rumorosamente. “Sai già che mi arrabbierò, quindi fammi vedere e facciamola finita”.
Oriana sorrise e attivò il factotum, mostrandogli il video che aveva fatto qualche ora prima. Dopo due minuti di ripresa, quando si vide cosparso di crema solare, con un paio di finti baffi bianchi sopra le labbra e due sopracciglia degne di Babbo Natale, seppellì a forza una risata e le fece cenno di spegnere. “Ti diverte prenderti gioco di me?”, le domandò, sforzandosi di rimanere serio.
“Ma no…”, mormorò lei, mortificata. “E’ solo che…”
“Allora è vero…”, aggiunse lui qualche istante dopo, accarezzandosi il mento.
“Cosa?”
“Che noi drell alla luce solare cadiamo in un sonno profondo. E’ la prima volta che mi capita… su Kahje e sulla Cittadella non c’è stato esattamente modo di sperimentarlo”, constatò perplesso.
“Ti senti bene?”
Lui annuì. Si era sentito meravigliosamente, ma non era da lui esternare entusiasmo per le cose, e Oriana si accontentò di quel cenno per capire che in realtà stava iniziando a non odiare così tanto quel posto.
“Se non erro avevamo appuntamento con tuo padre un’ora fa. Andiamo a controllare?”
“Non ho poi molte alternative”, rispose Kolyat, andandosi a rivestire.
No, non si era perso quel suo abito bianco così scollato, quel velo di rossetto che infiammava le sue labbra, il profumo delizioso dei suoi capelli… ma semplicemente era più facile concentrarsi sulle cose spiacevoli, almeno avrebbe avuto un motivo per sfoggiare il broncio che tanto gli piaceva stamparsi in faccia.
 
Eroi in Difficoltà
 
Thane era uscito dal suo coma profondo mentre il sole stava per nascondersi al di là dell’orizzonte. Aveva trovato Shepard a giocare distrattamente con un laccio del suo bikini mentre agitava ritmicamente una gamba, visibilmente impaziente.
“Oh, finalmente!”, esclamò lei, voltandosi.
Lui si stiracchiò, sentendosi profondamente in imbarazzo. Non era da lui abbassare così la guardia per tutte quelle ore, ma nel momento in cui la sua schiena aveva toccato terra non era proprio riuscito ad opporsi al richiamo delizioso del sole.
“Sono mortificato, Siha”.
”Allora è come pensavo? Voi drell entrate in catalessi come le lucertole?”, rise lei.
“A quanto pare…”, rispose lui, avvicinandosi a lei per darle un bacio. “Ti autorizzo a segregarmi in camera nelle ore calde”.
Shepard si lasciò baciare, sorridendo maliziosamente. “Davvero? Attenzione a quello che prometti, Krios”.
“Io so sempre quello che prometto… a differenza tua”.
“Cosa vorresti dire?”
“Sbaglio o non mi avresti baciato fino a quando non avremmo fatto ritorno in hotel?”
“E aspettare fino a domani? Neanche per sogno…”
“Domani?”
“Si, ecco… a proposito di questo”, Shepard si stampò un’espressione desolata sul volto. “Ci hanno… come dire… derubati”.
“Come? Che vuoi dire?”, domandò lui allarmato, guardandosi intorno come per cercare conferma.
“Quando mi sono svegliata non c’era più niente… ti giuro, ti giuro che io non ho sentito nulla. Avranno usato qualche strana tecnologia, o qualcosa del genere…”, gesticolò, imbarazzata. Lei non aveva di certo scuse per aver abbassato la guardia così miseramente.
Thane la prese con filosofia, sorridendo bonariamente.
“Bene… Allora non ci resta che tornare al punto di partenza e attendere il trasporto. Ci faremo duplicare i documenti domattina in città, non preoccuparti”.
“Non è possibile, Thane. Abbiamo perso la navetta di ritorno chissà da quanto tempo. Sono 45 chilometri a piedi e per di più non conosco neppure la strada”.
“Siha… non vorrei allarmarti, ma il deserto può diventare un luogo piuttosto inospitale la notte”.
“Thane, non vorrei allarmarti, ma sono un fottuto ricognitore N7… vuoi che non lo sappia? E la cosa non mi spaventa neanche un po’, per inciso”.
“Scenderà inevitabilmente la temperatura, e a giudicare dal colore della tua pelle e dall’ustione che ti sei procurata, inizierai a sentire molto freddo”.
“Guarda il lato positivo della cosa… sei un calorifero ambulante, mi avvilupperò a te e tu mi riscalderai”.
“Per quanto l’idea sia allettante, non durerà a lungo. Il calore si disperde velocemente”.
“Hai altri suggerimenti, sapientone?”, domandò, sollevando un sopracciglio.
“Direi di iniziare a fare la strada del ritorno, quassù non ci troveranno fino a domani mattina inoltrata”.
“Kolyat sarebbe arrivato oggi, vero?”, domandò lei dopo una breve pausa.
“Sì…”
“Non preoccuparti… forse capiranno di averci persi e inizieranno a cercarci. Siamo due dannati, fottutissimi, eroi, questo è solo un piccolo impedimento… e tuo figlio capirà”.
 
Volus Guardoni
 
Kolyat si guardava nervosamente intorno, mentre Oriana era intenta a leggere il menù olografico di fronte a sé. La sala era enorme e un chiacchiericcio diffuso copriva il rumore della musica di sottofondo, che in ogni caso era qualcosa di umano e poco orecchiabile. Ai numerosi tavoli, apparecchiati con gusto, erano seduti per la maggior parte Umani, qualche Asari e perfino una famiglia Turian con due Volus al seguito. Si sentì a disagio. C’era ormai abituato ad attirare l’attenzione… in fondo per la Galassia i Drell erano ancora considerati una specie rara, però la cosa non smetteva di dargli enormemente fastidio.
“Nessuno baderà a noi, stai tranquillo”, disse Oriana, accarezzandogli una mano.
Lui la ritrasse d’istinto, per poi cercare nuovamente un timido contatto. “Quei Volus non mi piacciono…”, si lamentò lui, con una smorfia.
Oriana rise. Possibile che trovasse sempre qualcosa con cui prendersela?
“Pensa a mangiare. C’è un menù di pesce molto ricco. A te piace il pesce, vero?”
Kolyat alzò le spalle, osservando distrattamente l’elenco di specialità marinare.
“Scegli tu per me, non ho idea di cosa sia questa roba”.
Oriana gli rivolse uno sguardo carico di dolcezza. “Non stare in pensiero… lo so che ti stai tormentando. Tuo padre avrà le sue buone ragioni per essere in ritardo”.
“Si, certo. Lui ha sempre delle buone ragioni… e io mi sono rotto di fargliele passare ogni volta. Non appena torna, io faccio le valigie”, esplose lui.
Forse, dopotutto, Oriana avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
“E mi lasceresti qui da sola?”
“Io te l’avevo detto che non sarebbe stata una buona idea”.
“Per favore, cerca almeno…”
“Basta! Non posso essere sempre io quello a dover aspettare, perdonare, capire… ne ho abbastanza di essere trattato così”, sbottò, facendo tremare le posate sul tavolo.
Oriana impallidì, chiedendosi se mai avrebbe smesso di sentirsi come sull’orlo della lite, ogni volta che parlava con lui.
“Koly, ti prego… Vorrei solo che tu capissi che non sei solo. E non sei venuto qui per fare un favore a qualcuno… ci meritiamo una vacanza, tutto qua”.
Kolyat sospirò, ricomponendosi. Magari era come diceva lei, magari doveva pensare solo a stare bene, in fondo il peggio era passato e continuare a negarsi ogni opportunità iniziava ad essere deleterio.
“Allora… questo dannato cameriere arriva o devo intonare un inno ad Amonkira?”
Oriana si coprì la bocca con la mano, proprio nello stesso istante in cui un ragazzo in divisa e papillon si schiarì la voce, arrivando alle sue spalle. “Eccolo…”, mormorò appena, scoppiando a ridere.
 
Cavalli & Camicie a Fiori
 
“Che io sia fulminata all’istante se quelli non sono due cavalli!”
Un drell e un umana, quasi completamente svestiti, si trovavano sul ciglio di una lunga strada statale, piena di crepe, ormai in disuso da anni. Sarebbe già stata una situazione abbastanza inusuale, ma ad aggiungere un’ulteriore dose di stranezza al tutto, aveva fatto capolino all’orizzonte una strana carovana, trainata da due cavalli. Una carovana, sì… e due cavalli, due cavalli veri. Certo quella carretta non era di legno. Luccicava alla luce della luna, probabilmente fatta di qualche strana lega metallica ultraleggera, e ospitava quattro persone, a giudicare da quella distanza.
“Che animali stravaganti…”, commentò Thane, sorpreso quanto lei da una simile scenetta.
“Io mi preoccuperei piuttosto dei padroni. Che diamine ci fanno quattro umani su una carovana a quest’ora?”
 
L’uomo che guidava i cavalli aveva il volto scavato dal tempo e indurito dal sole. Sembrava un vecchio indiano d’America, sulla cinquantina probabilmente. La moglie, seduta comodamente fra alcuni cuscini imbottiti, era una robusta signora dall’aria diffidente, impegnata, in quel momento, a tenere a bada i due figli, un bambino e una bambina, che stavano rischiando seriamente di cadere dal bordo della carovana, tanto erano curiosi di osservare la strana coppia sul ciglio della strada.
“Hernando… mira…”, indicò la donna al marito, con un’alzata di mento, mentre Shepard alzava timidamente una mano.
L’uomo, per tutta risposta, incitò i cavalli, spingendoli a correre più veloce.
“Aspettate! Aspettate per favore!”, urlò Shepard, correndo per strada senza ritegno. La dignità era ormai un ricordo lontano.
La donna scambiò uno sguardo eloquente e due paroline in croce col marito, poi entrambi decisero di fermare la carovana, stabilendo di comune accordo che due persone senza niente addosso non potevano che essere due persone in difficoltà. Non erano i primi turisti che raccoglievano sul bordo della strada, e probabilmente alla fine del viaggio avrebbero ricevuto una ricompensa, una lauta ricompensa se gli andava bene.
“Grazie”, fece Shepard col fiatone, mentre la donna apriva le scalette estraibili. Shepard fece per salire, ma fu bloccata dal un brusco gesto della signora che la invitò a restare ferma.
“Antes… vestir...”, disse solennemente, lanciandole una pila di indumenti. Lei li esaminò brevemente, prima di passarne un paio a Thane. Si trattava di due paia di bermuda straordinariamente larghi e due camicie a fiori così grandi da poterci vestire un intero equipaggio. Quando vide Thane conciato in quel modo scoppiò a ridere, e i due bambini insieme a lei, puntando l’indice come se avessero visto la più bizzarra attrazione di un circo. Salirono sulla carovana e non dissero più una parola. Thane dubitava che quei signori conoscessero il galattico standard, così evitò per educazione di chiacchierare troppo con Shepard, limitandosi a tenerle la mano.
Senza dubbio, quella notte l’avrebbero ricordata per sempre, e non solo grazie alla memoria perfetta.
 
Cioccolato
 
Il primo sorriso di Kolyat arrivò a fine pasto, quando il solito cameriere, mettendo da parte ogni risentimento, li aveva omaggiati del dessert: una piccola fetta di torta al cioccolato, sormontata da una cospicua quantità di panna. Kolyat adorava il cioccolato, sin dalla prima volta che Oriana gliel’aveva fatto assaggiare. Era successo qualche mese prima, in occasione di quella festa che gli umani chiamavano San Valentino. Era stata una giornata dura al lavoro e lui aveva avuto tutta l’intenzione di passare la serata a poltrire davanti alla televisione, quando una scampanellata familiare l’aveva ridestato, facendolo imprecare sonoramente. Aveva rischiato di inciampare su Giza, aprendo la porta, e si era ritrovato in un istante sommerso di palloncini rossi dalla forma bizzarra, dall’abbraccio impetuoso di Oriana e dalle strusciate amichevoli di Queequeg. E poi, con enorme sorpresa, aveva scoperto il motivo di una simile entrata in scena. Sulla Terra era la festa degli innamorati. Aveva storto il naso e si era lamentato, blaterando sul fatto che lui non fosse un umano e che per questo non gliene importava nulla di quella stupida festa… almeno finchè una scatola piena di deliziosi cioccolatini non raggiunse le sue narici, facendolo incuriosire terribilmente.
Aveva finito quelle delizie nel giro di due giorni e poi, di nascosto da Oriana, aveva iniziato a farne scorta abitualmente.
“Uno dei tuoi ricordi?”, domandò la ragazza, osservandolo con curiosità.
Kolyat mugugnò qualcosa e tornò a concentrarsi sul suo dolce.
“E’ un peccato che voi drell non abbiate il cioccolato. C’è qualcosa di ugualmente delizioso sul vostro pianeta?”
“A parte il fatto che noi non abbiamo più un pianeta? Sì, se ti piacciono le radiazioni… di quelle ce ne sono in quantità”.
Oriana si morse le labbra, poi iniziò a distruggere la sua fetta di dolce con una forchetta. Discutere con lui non aveva alcun senso, non finchè ogni parola finiva per scatenare il putiferio.
Kolyat la fermò, addolcendo lo sguardo. Stava di nuovo rischiando di renderla triste, e questa era qualcosa che non poteva sopportare, anche se probabilmente non l’avrebbe mai ammesso.
“Avevamo qualcosa di simile, forse. Una roba chiamata lira, credo, o qualcosa del genere. Era dolce e un po’ amara alla fine”.

Oggi è festa Kolyat, mi dice, prendendomi in braccio. Sai che festa è? L’Esodo. Ci hanno regalato tante buone cose. Sorrido, mi piace vederla felice. Papà è in cucina, mi fa cenno di seguirlo. Ha qualcosa in mano, di una forma indefinita. Ha un buon odore. Mangialo, è buonissimo, mi dice. Lo metto in bocca e  sorrido. Lo prego di darmene ancora, la mamma ride, ci raggiunge. Si abbracciano, anche loro lo mangiano, contenti.

Oriana lo guardò sorridendo e gli strinse una mano. Le piaceva vederlo perdersi nei ricordi felici, erano gli unici momenti in cui lui stesso sembrava felice per davvero.
“Non lo fanno più?”
“Al massimo si riesce a reperirlo su Kahje… sulla Cittadella non c’è speranza”, disse facendo spallucce.
“Andremo su Kahje, qualche volta… se vorrai”, propose lei, incerta. “Hai ancora dei parenti lì?”
Lui annuì, raccogliendo le briciole dal piatto con la forchetta. “C’è mia zia materna e i miei cugini”.
“Da quanto non li vedi?”
“Tre anni ormai…”
Restarono in silenzio per un po’, poi lui si voltò a cercare il suo sguardo, con una nuova speranza ad illuminare i suoi occhi.
“Davvero verresti con me, a conoscere la mia famiglia?”
Oriana sorrise, il mondo si era appena tinto di arcobaleno. “Certo”.
 
Sorrisi Sdentati
 
Il viaggio durò più del previsto e ben presto il silenzio fu sostituito dalle domande curiose dei due bambini, a cui Shepard riuscì a rispondere a stento, non comprendendo appieno la loro lingua. Senza dubbio, avevano trovato Thane piuttosto buffo e a tratti inquietante, ma quando lui aveva iniziato a fare smorfie per farli divertire, era seguita una cascata di risate cristalline, in grado di sciogliere anche l’apparente freddezza della madre. Shepard si strinse nelle spalle, guardando quei piccoli umani sdentati che iniziavano a tirarlo per le maniche dell’enorme camicia, arrampicandosi su di lui, dandogli pizzicotti sulle guance, mentre la madre li rimproverava in quello che sembrava spagnolo, senza alcun successo.
“Señorita… escusa, cuàl es su nombre?”, le domandò la donna qualche minuto dopo, visto che le sue minacce non facevano che accrescere l’entusiasmo dei suoi figli per l’alieno.
“Mio… nombre es Shepard”, rispose lei tentennando.
“Shepard? Por dios… como el Comandante Shepard?”
Dannazione. Si morse un labbro, non aveva la minima idea che avrebbero potuto riconoscerla.
“No, no… solo nome, solo nome uguale”, si affrettò a rispondere, gesticolando.
La donna diede un ampio cenno d’assenso col capo, poi scosse la testa in direzione dei figli, che si erano appollaiati ognuno su una gamba di Thane e adesso osservavano le sue mani, cercando di separare l’anulare dal medio.
“Grosero!”, sbraitò, lasciandosi poi cadere stancamente sulla panca, fra i cuscini. I bambini si girarono a guardarla, facendole una linguaccia, poi tornarono a concentrare la propria attenzione su Thane. Lui si voltò verso Shepard, sorridendo dolcemente.
“Sei stanca?”, le domandò.
Lei scosse la testa, sorridendogli di rimando. “No, ma non vedo l’ora di tornare in hotel e fare una luuunga doccia”.
Lui allungò una mano per accarezzarle i capelli, e la bambina protestò, essendosi vista privare inaspettatamente dell’oggetto della sua curiosità. Shepard rise, facendosi più vicina, e attirò la sua attenzione. La piccola le volle salire in grembo, per giocare con i suoi lunghi capelli rossi. “Mamá, mírame, soy un peluquera!”, esclamò, tentando di farle delle trecce. Continuarono a giocare così, finchè non furono semplicemente troppo stanchi e si abbandonarono fra le loro braccia, chiudendo gli occhi e sprofondando in un sonno troppo tranquillo per pensare anche solo di disturbarli. La madre lanciò un’ultima occhiata neanche troppo dispiaciuta a Shepard, prima di sdraiarsi sulla panca e seguire l’esempio del figli, iniziando a ronfare sonoramente.
A quel drell e a quell’umana, vestiti con una camicia a fiori e dei bermuda troppo larghi, non restò altro che poggiare l’uno la testa sulla spalla dell’altro e sorridere, guardando quei bambini così piccoli e così innocenti, che erano capitati per caso nelle braccia di un ex assassino e di uno ex Spettro, e che non lo avrebbero mai saputo.
 
Animatori Molesti
 
“Dai, ti prego, ti prego, ti prego!”
Oriana si era praticamente attaccata alla maglietta di Kolyat, mentre tentava di tirarselo appresso sulla pista da ballo. Erano stati invitati, insieme al resto degli ospiti, a partecipare alla serata d’animazione che aveva luogo immediatamente fuori dalla sala, nell’enorme giardino del resort, e Kolyat non era riuscito ad opporsi, nonostante le avesse elencato un centinaio di “buoni” motivi per cui sarebbe stato di gran lunga più appropriato andare a dormire seduta stante.
“Oriana!”, protestò lui, portandosi una mano sopra gli occhi e l’altra a cercare di scrollarsela di dosso.
“Cosa ti costa? Non ti conosce nessuno qui… per una volta potresti pure farmi contenta!”
“Per una volta? Non ti sembra già abbastanza che io mi sia convinto di venire?”
“Me lo rinfaccerai fino alla fine dei tuoi giorni, non è vero?”
Oriana si arrese, imbronciandosi e intrecciando le braccia.
Qualche istante dopo aveva già iniziato a dondolare sulle note della musica, tamburellando a terra con un piede.
“Sai che c’è? Io vado… resta pure qui se vuoi”, disse infine, dandosi uno slancio verso la pista. L’aveva capito già da tempo che non poteva contare su di lui per fare le cose che più le piacevano. Era riuscito anche a farle pesare il fatto di seguirla nelle sue esibizioni, quelle poche volte in cui era stata invitata a suonare il violino in questo o in quell’altro teatro. Aveva ancora molta strada da fare, certo, ma non le si poteva non riconoscere che avesse un certo talento, e in fondo le dispiaceva che lui non si dimostrasse particolarmente entusiasta della cosa, nonostante non si fosse perso neppure uno spettacolo.
Fu accolta subito da un animatore, ovviamente umano, vestito solo con un gonnellino di paglia che le fece fare un paio di giravolte prima di lasciarla andare con un sorriso. Lei sorrise di rimando, iniziando a ballare, ormai confusa tra la folla. In breve tempo Kolyat la perse di vista, in mezzo a tutta quella calca, e fece per girare i tacchi e andare a trovare un posto più tranquillo, quando fu tirato per un braccio da una ragazza. Non era Oriana, era un’altra animatrice dai lunghissimi capelli neri, che gli aveva appena messo una collana di fiori al collo e un cocktail in mano, con suo enorme ribrezzo. Non si era mai vergognato così tanto nella sua vita probabilmente, e fu talmente tanto l’imbarazzo che non riuscì ad obiettare e fu trascinato malamente in pista, dove altre due animatrici lo circondarono, cercando di ballare con lui.
Kalahira, abbi pietà di me e trascinami nell’Oceano in questo preciso istante.
 
Addio Dignità
 
“Señorita…”
“SEÑORITA!”
Shepard e Thane si ridestarono improvvisamente, mentre i due bambini iniziavano a sgranchirsi braccia e gambe, ancora addormentati su di loro.
Shepard sbattè le palpebre un paio di volte, accecata dall’insegna del Canyon Resort che brillava nella notte di fronte a loro, poi si decise a riconsegnare la piccola alla madre, la quale la adagiò dolcemente su un cuscino.
“Grazie”, mormorò, rivolgendo alla donna un’occhiata ricolma di gratitudine. Quasi non riusciva a credere che fossero davvero arrivati. Domandò alla donna quali fossero i suoi dati, poi insieme a Thane lasciò la carovana, sentendo moglie e marito lamentarsi di qualcosa prima di ripartire, con visibile disappunto. Evidentemente erano scontenti di non aver ricevuto nessuna ricompensa, inconsapevoli del fatto che l’indomani si sarebbero visti addebitare 5000 crediti sul loro conto.
Shepard e Thane si avviarono verso l’hotel, guardandosi intorno con circospezione. Vestiti così, sarebbe stato estremamente difficile passare inosservati. Nell’atto di attraversare la hall, con la coda dell’occhio si accorsero che in giardino i villeggianti stavano facendo baldoria, mentre il resto dell’edificio era praticamente vuoto.
“Andiamo a dare un’occhiata?”, propose Thane tranquillamente.
“Sei pazzo? Vestiti così?”
“Avevi l’abitudine di andare a cena in armatura, Siha… vorresti dirmi che adesso ti fai questo tipo di problemi?”
Shepard non ebbe il tempo di rispondere che furono chiamati con un cenno dalla receptionist, la stessa ragazza che aveva dato il benvenuto a Kolyat e Oriana.
“Signore, suo figlio la stava aspettando. Al momento si trova in giardino, in fondo a questo corridoio a destra. Mi ha pregato di dirle che aveva urgenza di parlare con lei”.
“Non vi è venuto in mente che potevamo esserci persi?”, incalzò Shepard, lievemente irritata. La ragazza arrossì, in preda all’imbarazzo.
“Le porgo le mie scuse. Non sono io che mi occupo…”
“Lasci stare, ormai siamo qui”, tagliò corto lei. “Andiamo a cambiarci?”, domandò a Thane, indicando l’ascensore con aria speranzosa.
“Vai pure se vuoi, io vorrei andare prima a cercare Kolyat. Mi ha già aspettato abbastanza”.
Shepard si morse un labbro, sentendosi improvvisamente in colpa. Altri dieci minuti in più non avrebbero certo fatto la differenza, però le dispiaceva lasciarlo andare da solo… e poi si sarebbe persa la faccia di suo figlio nel vederlo conciato in quel modo.
“Dai, ti faccio compagnia”, sorrise, aggrappandosi al suo braccio.
Si avviarono verso il giardino, pregando di passare inosservati, ma sin dai primi sguardi che attirarono, fu chiaro che non sarebbe stato così.
 
Confessioni da Alcol
 
La serata aveva preso una piega assolutamente inaspettata per Kolyat e Oriana. Lui, totalmente incapace di sfuggire dalle grinfie delle animatrici, aveva iniziato a ingurgitare un drink dopo l’altro per disperazione, pregando chissà quali divinità di resettargli la memoria, alla fine di quella giornata assurda. Oriana era rimasta incredula di fronte allo spettacolo di un Kolyat profondamente ubriaco che ciondolava da una parte all’altra, senza il minimo senso del ritmo. Era scoppiata a ridere e l’aveva trascinato a sè per le braccia, senza dire una parola. Se solo avesse fatto un commento dei suoi, avrebbe rischiato seriamente la tragedia. Furono circondati di nuovo dalla folla e si trovarono a ballare sulle note di una canzone popolare, i cui strumenti neanche Oriana aveva mai sentito suonare. Le luci colorate illuminavano a tratti i loro visi, rivelando un perenne sorriso sulle labbra di Oriana e un totale smarrimento sul viso di Kolyat, in preda ai fumi dell’alcol.
“Quanto hai bevuto?”, domandò Oriana nel tentativo di sovrastare il rumore della musica, vedendolo barcollare eccessivamente.
“Non lo so”, biascicò lui, continuando a muoversi e ad agitare un bicchiere ormai vuoto in mano.
Oriana rise, cercando di mascherare la preoccupazione. Abituata com’era alle sue manie di controllo, al suo broncio e alla sua rigidità, gli sembrò di avere davanti una persona totalmente diversa, e si domandò se questo fosse un bene o meno. Poi lo sentì dire qualcosa… qualcosa che non afferrò immediatamente, ma che le fece perdere due battiti.
“Come?”, chiese, col cuore in gola.
“Ti amo, Oriana Lawson!”, esclamò lui, abbracciandola con slancio.
Oriana impallidì, incapace persino di rispondere all’abbraccio, poi scoppiò a ridere in preda alla gioia più assoluta.
 
Cocktail Rubati e Ancora Promesse
 
“No, no, Thane… ti prego”. Shepard si fermò sulla soglia, osservando una massa informe di persone che si scatenava sulla pista da ballo. Sì, molti di loro indossavano ridicole collane di fiori al collo e altri ancora si dimenavano come forsennati, completamente ubriachi… ma nessuno di loro superava probabilmente i trent’anni e soprattutto, nessuno di loro indossava camicie a fiori e bermuda oversize. Avrebbero fatto la figura degli idioti, passando come i soliti adulti di turno troppo cresciuti che credono ancora di essere divertenti. Ci mancava solo che iniziassero a sciorinare barzellette di pessimo gusto per ricalcare appieno lo stereotipo.
Thane si voltò a sorriderle, completamente indifferente agli sguardi altrui. “Preferisci aspettarmi qui?”
Shepard rifletté brevemente. Restare in un angolo avrebbe sicuramente attirato l’attenzione più che confondersi fra la folla, pensò. Si decise così a seguirlo, facendosi trascinare malamente sul prato. Una volta mescolati tra la gente, videro quello che non si sarebbero mai aspettati… Oriana e Kolyat abbracciati, praticamente al centro della pista, ricolmi di collane di fiori. Se Kolyat non fosse stato un drell, probabilmente non li avrebbero neppure notati, mimetizzati com’erano con la natura circostante. Si scambiarono uno sguardo a metà tra il perplesso e il divertito, poi si fecero avanti.
“Kolyat?”, suo padre lo chiamò dolcemente, con un leggero colpo sulla spalla. Lui si girò, come se fosse stato appena ridestato da un sogno troppo bello, e impallidì all’istante.
“Padre!”
Oriana sorrise, portandosi una mano davanti alla bocca, prima di allungare timidamente l’altra prima verso Shepard, poi verso Thane, senza sapere quale fosse l’ordine migliore da seguire. Shepard si avvicinò, facendo le dovute presentazioni a voce alta, abbastanza da sovrastare quella della musica, poi lasciò che salutasse Thane, mettendosi brevemente in disparte.
“Come diavolo siete vestiti?”, si fece sfuggire Kolyat, prima di scoppiare a ridere a crepapelle. Persino Oriana non l’aveva mai sentito ridere così di gusto.
“E’ una lunga storia”, commentò Shepard, imbarazzata. “Per questo motivo… preferirei andare a cambiarmi…”
“No, no…”, fece Kolyat, risoluto, prima di voltarsi e strappare di mano due bicchieri a una coppia di ragazzi che non ebbero il coraggio di replicare, fuggendo a gambe levate. “Ecco… è buonisssssimo”, disse con orgoglio, quasi fosse stato lui l’inventore di quell’intruglio velenoso.
Thane e Shepard si guardarono perplessi, poi decisero di stare al gioco… peggio di così, quella giornata, non sarebbe potuta andare.
 
 
Non si sa come, ad un certo punto della serata Shepard si ritrovò a sorvolare la folla, sorretta dalle solide braccia di un gruppetto di animatori, mentre si dimenava e faceva appello a tutto il suo buon senso per evitare di esplodere in una nova seduta stante. Senza dubbio, quei quattro erano diventati la principale attrazione di quella serata, e lei… lei avrebbe voluto sprofondare per sempre al centro della terra per sopravvivere all’imbarazzo. Lo stesso non si poteva certo dire di Thane, che ballava perfettamente a suo agio insieme a una coppia di animatrici, tenendo d’occhio un Kolyat totalmente scatenato che trascinava Oriana da una parte all’altra con lo stesso entusiasmo con cui da bambino chiedeva al padre di fare il “ballo volante”.
Shepard non avrebbe mai pensato di potersi ritrovare in una situazione simile, che sfiorava l’assurdità. Se qualcuno gliel’avesse raccontato, anche solo qualche mese prima, avrebbe creduto di essere stata indottrinata. Fu rimessa giù, con suo estremo sollievo, e fece giusto per andare a prendere qualcosa da bere che si sentì trascinata per un braccio, familiare, ma non esattamente conosciuto.
“Kolyat… Kolyat Krios!”, sbraitò, tentando di darsi un tono, nonostante le venisse terribilmente da ridere.
“Mi concede un ballo?”, domandò lui per tutta risposta, strascicandosi le parole.
“Dannazione, no!”, rise Shepard. Ma evidentemente non fu abbastanza determinata per distoglierlo dall’intento… così si ritrovò a volteggiare in pista, completamente viola per l’imbarazzo.
Fu salvata solo dopo da Thane, il quale la prese fra le sue braccia, stampandole un divertito bacio sulla guancia.
“Non credere di potertela cavare in questo modo, Krios”, esclamò lei, fulminandolo con un’occhiata.
“Sono pronto a scontare la mia pena”.
“Ti dico solo una cosa… non ti farà piacere”.
 
Confessioni Post Sbornia
 
Erano le tre passate quando Kolyat si lasciò finalmente convincere a tornare in camera. Oriana lo guidò pazientemente verso l’ascensore, barcollando sotto il suo peso nel tentativo di non farlo sbandare da una parte all’altra, e una volta in camera si assicurò che stesse bene. Ma, prevedibilmente, lui non mostrò alcun segno di ripresa. Si fiondò in bagno e Oriana subito dietro di lui, scorgendo solo per un’istante il suo riflesso sullo specchio. Aveva lasciato quella camera in perfette condizioni… capelli ordinati, trucco preciso, abiti puliti. Adesso si ritrovava ad avere abbondanti strati di matita sbavati agli angoli degli occhi, una parrucca arruffata al posto dei capelli e l’abito bianco inevitabilmente macchiato di mille colori. Si chinò a reggergli la fronte e si assicurò che lui riuscisse a reggersi in piedi e a darsi una ripulita, prima di andarsi a cambiare a sua volta.
Una dozzina di minuti dopo, lo trovò seduto sul bordo del letto, gli occhi fissi sul pavimento e un’espressione indecifrabile. Indossava un pigiama… Oriana realizzò che non l’aveva mai visto indossarne uno e quell’improvviso senso di familiarità la fece sorridere, mentre lo raggiungeva, sedendosi accanto a lui.
Poggiò una mano sulla sua coscia, cercando un contatto visivo che, però, non arrivò.
“Ti ho messo in imbarazzo, vero?”, le domandò invece lui, parlando troppo piano.
“Ma no, cosa dici?”, sorrise lei, passandogli un braccio intorno alle spalle. “Sono felice che tu ti sia divertito…”
“Perché allora a me sembra così sbagliato?”
Oriana non riuscì a trovare un solo motivo per cui considerare quella serata un errore e sentì dannatamente triste al pensiero che lui avesse anche solo considerato l’idea di… pentirsene.

E’ il compleanno della zia. La mamma indossa un abito del colore del mare, mi sorride. La musica invade la stanza… ci sono i miei cugini, ballano, io sto in disparte. Kolyat, vai a ballare, coraggio, mi dice. La sua voce è calda, confortante. Io mi aggrappo alla sua gonna… non voglio ballare. Voglio ballare con papà, voglio fare il ballo volante, le dico. Papà tornerà presto, mi dice lei. I suoi occhi diventano tristi, mentre mi prende in braccio. Mi fa girare, ma le sue braccia non sono forti come quelle di papà…

“Kolyat…”
“No, lascia stare”, rispose lui a denti stretti. “Fottuti ricordi”.
“Tua madre sarebbe stata felice di vederti, stasera”.
“Perché mio padre ci riesce… perché mio padre è riuscito a buttarsi alle spalle tutto quanto?”, esclamò lui per tutta risposta, con rabbia.
Oriana prese a torcersi le mani nervosamente, insicura su quale fosse la cosa più giusta da dirgli.
“Non so molto di tuo padre, ma sono sicura che non sia così semplice”, mormorò, tentennando. “Me l’hai detto tu stesso che ha vissuto da solo per molto tempo, dopo… beh… lo sai. E so cosa vuol dire essere soli. Lo leggo negli occhi di mia sorella ogni volta che ci vediamo. Credimi, non c’è forma peggiore di punizione che isolarsi da tutti, dalle persone che amiamo…”
Kolyat non rispose, ma lei lo vide chiaramente stringere le mani forte in un pugno, e si morse un labbro, pregando di non aver detto qualcosa che potesse in qualche modo offenderlo o ferirlo. Ma lui, con sua enorme sorpresa, si voltò verso di lei e, con gli occhi lucidi, la abbracciò tanto da farle mancare il fiato.
“Grazie Oriana…”, disse, con voce rotta.
C’erano due cose che Kolyat non faceva mai: chiedere scusa, e dire grazie. Nel solo arco di quella giornata, lui aveva fatto entrambe le cose, e a lei non sembrò altro che il segno di un grande cambiamento. Un bel cambiamento, per una volta.
Oriana, col cuore che batteva forte, ricambiò l’abbraccio, stringendolo forte a sé… quasi a voler contenere tutto il suo dolore, quasi a volerlo proteggere dai ricordi, dalle cose che gli facevano più male.
“Lo pensi davvero quello che mi hai detto stasera?”, gli chiese poi dolcemente, sperando di non aver fatto un passo troppo ampio
Kolyat restò in silenzio per un po’, forse troppo imbarazzato per trovare le parole giuste. Poi annuì sulla sua spalla, quasi impercettibilmente.
“Ti amo anche io”.
 
Punizioni
 
“Non pensavo saresti arrivata a tanto. Perfida”, disse Thane, stringendosi nelle spalle.
“Shhh”, mormorò Shepard, prendendo una cospicua quantità di schiuma per posargliela sulla testa. Con sua estrema soddisfazione, la vasca della loro camera era abbastanza grande da ospitare tranquillamente almeno quattro persone e lei, finalmente, riuscì ad approfittarne.
“Perch”
Shepard lo zittì all’istante, poggiandogli una mano piena di schiuma sulle labbra, godendosi la sua espressione schifata e sconvolta, e solo lontanamente, molto lontanamente, divertita.
“Punto primo… non potevo fartela passare liscia, non dopo tutto quello che mi hai fatto passare oggi”, argomentò lei, imitando un tono di voce serio e composto. “Punto secondo… non ti avrei mai permesso di varcare il confine della zona notte dopo essere stato, in ordine: in mezzo al deserto, su una carovana di nomadi e fra decine di persone sudate e ubriache”, continuò, contando tutte le sue buone ragioni sulla punta delle dita, “punto terzo… mi sarei persa quest’immagine di te assolutamente esilarante”, concluse ridendo.
“Quelle che a te sembrano buone ragioni, Siha, a me sembrano assolutamente illogiche”, replicò lui posatamente, cercando di togliersi ogni residuo di schiuma con l’acqua. Tutti sapevano che i drell usavano altri modi per pulirsi, fra i quali non era compresa di certo l’acqua.
“Devo trovarne altre?”
“Potresti provarci, ma dubito che riusciresti”.
“Aspetta, aspetta… mi è appena venuta un’altra buona ragione in mente”, fece lei, avvicinandosi maggiormente, con uno sguardo che non preannunciava niente di buono. “Anzi, un’ottima ragione”. E con quell’ultima frase, insieme ad un bacio, era finalmente riuscita a strappargli un sorriso.
Thane probabilmente non l’avrebbe mai ammesso, ma quella notte, di buone ragioni ne avrebbe trovate almeno un paio…
 
Buoni Propositi
 
Il residence era piombato nel silenzio più totale, spezzato solo dal cinguettio lontano degli uccelli che annunciavano l’alba imminente. A distanza di qualche camera, nessuno di loro quattro sapeva come sarebbero andate le cose. C’era ancora tanto da fare per arrivare a parlare di famiglia, beh… una sorta di famiglia, dove il legame di sangue era l’ultima cosa da considerare… Ma i buoni propositi non mancavano. Thane li aveva letti negli occhi di suo figlio, reso sincero e spontaneo dall’alcol. Shepard li aveva letti nella gentilezza di Oriana, così dolce e paziente da essere l’unica a poter tener testa a quel testone di Kolyat. Anche se per poco, c’era stato un momento, un istante di assoluta gioia in cui la sintonia aveva fatto da collante, lasciando che gli abbracci, e le parole, e i baci non fossero stati solo gesti imbarazzati di circostanza.
Certo, durante quella vacanza avrebbero potuto derubarli nuovamente, Kolyat e Oriana avrebbero rischiato di passare metà del tempo a litigare, Shepard avrebbe potuto torturare Thane ad oltranza… ma di una cosa, però, erano sicuri tutti e quattro: quello sarebbe stato l’inizio di una settimana indimenticabile.
 
 

La prossima storia sarà a tema natalizio. Ho sempre voluto immaginare un Natale in casa Shepard, e conoscendola, non ci sarà nulla di normale neanche stavolta.
Un abbraccio in particolare ad Altariah che mi ha gentilmente concesso di usare i nomi dei mici di Kolyat e Oriana (da Folie à Deux), e uno a tutti quelli che hanno già letto questa storia sottobanco. Miao.

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Capitolo 2
*** After the War ***


Dunque, avevo totalmente rimosso di aver scritto questa one-shot, finché un giorno, la bellezza di quattro anni dopo, mi ci sono imbattuta mentre facevo pulizia al pc. Era nata da un prompt casuale per cui avrei dovuto scrivere qualcosa utilizzando quattro parole: diplomatico, giacca, sala conferenze, palloncino. Quello che è venuto fuori è qualcosa di tremendamente cheesy – qualcosa che potevo pubblicare solo all'interno di questa raccolta.
Ah... non chiedetemi come faccia ad essere ambientata sulla Cittadella dopo la fine di ME3 perché non ne ho idea. (Contiene riferimenti alle altre mie storie, ma non è da leggersi come un vero seguito, ma piuttosto come un “what if”).


 
After the War
 


“L’Alleanza ha bisogno di ridare speranza alla gente comune…” E’ così che il giovane ufficiale si era giustificato nel porgere un elegante invito in carta stampata al Comandante Shepard. “…Oltre ad avere un gran bisogno di soldi. Comandante, lei è indispensabile per quest’evento. Tutti vorranno staccare un assegno al cospetto di un’eroina come lei,” aveva aggiunto in seguito, notando che la donna esitava a raccogliere il biglietto. “Signora, nessuno vuole metterle pressione… solo, saremmo davvero onorati della vostra presenza,” sottolineò, guardando oltre la sua spalla come nel tentativo di cercare qualcosa o qualcuno. “Meglio il Comandante Shepard in carne ed ossa che un ridicolo ologramma al centro del salone, non crede?” rise poi nervosamente.

Al solo pensiero che uno di quei cosi potesse davvero venire esposto alla mercé di tutti, mentre recitava frasi fatte con un’orribile voce sintetica, le fece accapponare la pelle, e le sue dita si strinsero immediatamente intorno a quel pezzo di carta. “Ci penserò,” rispose semplicemente. L’ufficiale, un ragazzotto biondo dagli occhi incredibilmente chiari, chinò il capo in segno di rispetto e si esibì in un perfetto saluto militare, mentre la ringraziava di cuore per aver deciso di valutare l’opportunità.

Shepard si richiuse la porta dell’appartamento alle spalle, ravviandosi i capelli con una mano. Poi si avvicinò al pianoforte e vi si appoggiò con i gomiti, aprendo la busta con lentezza. Lo stemma dell’Alleanza dei Sistemi svettava in cima al foglio, una filigrana dorata che sembrava un bassorilievo. Più in basso, un invito rivolto a due persone. Le venne da sorridere al pensiero di come la guerra avesse cambiato le cose, di quanti compromessi aveva creato. L’Alleanza sapeva perfettamente chi fosse Thane, diamine, lo sospettava pure il C-Sec. Eppure, eccolo lì, quel nome stampato nero su bianco accanto al suo, scevro di ogni antica colpa. Malgrado ciò, di fronte all’ipocrisia, non si può fare altro che sorridere, o arrabbiarsi… e lei, quel giorno, scelse di sorridere, immaginando la faccia di lui nello scoprire che era appena stato invitato a un gran galà.

 
~

Stava cucinando l’unica cosa che le riusciva di fare in quel periodo: cibi preconfezionati. Prendi una busta, la apri in modo maldestro, versi il contenuto in una pentola, accendi il fornello e aspetti che il timer suoni. Nel 2187 si era evoluta anche l’industria alimentare, ovviamente. Persino i cibi precotti non sapevano più di plastica o cartone, anzi, avevano un aspetto, un sapore e un odore piuttosto invitanti. Il sistema audio dell’appartamento era al massimo della sua potenza; a lei piaceva così… la aiutava a non rimuginare anche quando il solito pensiero sembrava prendere il sopravvento. Canticchiava, dondolandosi piano sulle stampelle, mentre mescolava di tanto in tanto il preparato, e non sentì la porta d’ingresso aprirsi. Si ritrovò semplicemente circondata da due braccia forti e inebriata da quel profumo così buono e familiare.
“Sei tornato,” osservò, voltandosi verso di lui con un sorriso.
“Pensavi forse che mi sarei dileguato nel nulla?” le domandò Thane, posandole un bacio sul collo.
“Beh, visti i trascorsi…”
“Non dire sciocchezze,” rise lui, strofinando una guancia contro i suoi capelli mentre sbirciava il contenuto della pentola. “Noodles?”
Lei annuì, porgendogli un mestolo per fargli testare la cottura. Poi abbassò il volume della musica tramite factotum.
“Ancora due minuti,” rispose lui. Poggiò il mestolo sul ripiano della cucina e le tolse le stampelle dalle mani, facendola appoggiare su di sé.
“Come va oggi?”
“Come sempre…” sospirò lei,“…ma bene, sto meglio,” si affrettò ad aggiungere, sforzandosi di sorridere.
Lui la squadrò come se avesse avuto intenzione di scoprire la verità nascosta dietro a quegli occhi verdi.
“Davvero. Sono riuscita a fare la doccia senza scivolare,” asserì lei, alzando le sopracciglia con orgoglio.
“Non sforzarti troppo. Hai tutto il tempo necessario per… abituarti.”
“Tempo che, sinceramente, non ho intenzione di sprecare, Thane. Non adesso, non ora che siamo vivi e…”
Questo non ci impedirà di essere felici,” incalzò lui, appoggiando una mano sul suo fianco destro.
Lei si scostò appena, roteando gli occhi. “Preferisco non parlarne, lo sai. Piuttosto, aiutami a scolare questi dannati cosi,” disse, lanciandosi istintivamente in direzione dei fornelli. Lui la trattenne per le braccia giusto un attimo prima che potesse cadere rovinosamente a terra, porgendole subito dopo le stampelle.
“Vai a sederti, ci penso io.”
Shepard strinse i denti, con la stessa forza con cui strinse le dita intorno ai due supporti di metallo, e decise di obbedire, memore di quelle tante volte in cui, in un’occasione come quella, avevano finito per litigare… Sempre per colpa sua e del suo maledetto orgoglio. Prese posto a tavola, tamburellando a terra col piede sinistro. Giurò che se avesse visto nel suo sguardo un solo briciolo di compassione gli avrebbe lanciato una globo biotico, ma fortunatamente, quando lui arrivò con due scodelle in mano, c’era solo un grande sorriso sulle sue labbra e una grande dolcezza nei suoi occhi.

 
~

“Ho una cosa da darti,” gli disse lei, dopo pranzo. Si erano seduti sul divano e lei aveva appoggiato le gambe su di lui, permettendogli di accarezzarla sotto a un plaid. Stranamente, chissà per quale motivo, lo vide impallidire a quell’affermazione. “Qualcosa non va?” gli domandò allora.
“No, niente affatto… di che si tratta?” si affrettò a replicare lui, schiarendosi la voce.
Lei decise di ignorare quell’atteggiamento inusuale e gli porse l’invito.
“Ah,” esalò lui, dopo aver letto brevemente.
Ah?”
“E’… inaspettato.”
“E’ venuto un ufficiale stamattina, un novellino… Avresti dovuto vederlo, a stento è riuscito a pronunciare il suo discorsetto senza balbettare,” ridacchiò lei.
Lui le restituì l’invito, piegandosi fino a raggiungere le sue labbra per baciarla brevemente.
“Te la senti di andare?”
“Non lo so, Thane…” lo guardò come se stesse sperando che lui potesse darle un buon motivo per accettare.
“Ti appoggerò, qualunque cosa tu decida. Sappi solo che non devi niente a nessuno.”
“Lo so, ma…” sbuffò lei, portandosi i capelli all’indietro, “…qualcosa dentro di me mi dice che sarebbe la cosa giusta da fare. Non posso più aiutare attivamente, sarebbe il minimo da parte mia presenziare, voglio dire… Sono ormai inutile, i giorni scorrono senza che io possa fare niente di buono.”
Lui sembrò irrigidirsi a quelle parole e le sue mani si fermarono di colpo. “Non puoi davvero pensare una cosa simile. Senza di te, non saremmo qui… Nessuno sarebbe qui, non ci sarebbe nessun invito.” Usò un tono di voce duro, come poche volte aveva fatto con lei, e Shepard trasalì, non aspettandosi minimamente un risvolto simile. Si pentì immediatamente di aver usato quelle parole, che sapevano così tanto di autocommiserazione, e allungò una mano per cercare la sua.
“Scusami, a volte non riesco a…”
“No, scusami tu. Non avevo il diritto di parlarti in questo modo…”
Lei si sciolse in un sorriso, intrecciando le dita con le sue. “Se non ce l’hai tu il diritto, chi se no?”
“Vieni qui,” le ordinò lui, aiutandola a sollevarsi per poterla stringere a sé.
“Non so come avrei fatto senza di te, non lo so davvero…” mormorò lei contro la sua spalla.
Lui rispose abbracciandola con più forza, sospirando sommessamente,“Ti amo così tanto…”

 

Sarebbe stato un gran galà di beneficenza, organizzato in uno degli alberghi più esclusivi della Cittadella. Avrebbero presenziato politici, diplomatici, ufficiali di alto rango, giornalisti e tutti coloro che, in qualche modo, potevano dirsi collegati all’immenso organismo che era l’Alleanza dei Sistemi. Ciò significava inevitabilmente abiti eleganti, fiumi di champagne, rinfreschi costosissimi, e tante, tante chiacchiere. Gli invitati erano semplicemente i pezzi grossi di qualunque settore. Costruttori di navi spaziali, scrittori, stilisti d’alta moda, produttori televisivi, attori, popstar… Chiunque avesse almeno un nome o un volto conosciuto e legato ad una montagna di soldi. L’obiettivo era quello di raccogliere fondi, il più possibile. Denaro che sarebbe stato destinato ovviamente alla ricostruzione della Galassia, a partire dalle aree più colpite, a quelle appena sfiorate dall’attacco dei Razziatori. Oltretutto, ai vertici erano convinti che l’organizzazione di un evento di tale portata avrebbe apportato anche un considerevole beneficio al morale della popolazione, dimostrando che, in qualche modo, dalle ceneri si può rinascere.

Shepard non era una sciocca. Per quanto odiasse certe manifestazioni, sapeva bene che in un momento come quello si sarebbero potute rivelare di un’importanza fondamentale. Troppe persone avevano perso le proprie case, il proprio lavoro, i propri cari… e in una Galassia distrutta, inevitabilmente, il denaro resta in mano a quei pochi che, sin da prima della guerra, avevano potuto impiegarlo per fuggire il più lontano possibile. Ora era anche compito suo riappropriarsene, con la differenza che non avrebbe dovuto imbracciare un fucile. Così come quando, dopo l’attacco alla Terra, era stata spedita ad occuparsi di diplomazia anziché restare in prima linea a combattere, adesso si trovava quasi nella stessa posizione. Provò la stessa rabbia e la stessa frustrazione, ma fortunatamente il contesto in cui si trovava ora era totalmente diverso.

Era riuscita nuovamente nell’impresa di fare una doccia normale e, dopo aver asciugato pazientemente i lunghi capelli ramati, si era seduta sul bordo del letto aspettando che Thane arrivasse col suo abito, stretta in un morbido accappatoio. L’aveva mandato ad occuparsi della faccenda, asserendo che lei in alcun modo avrebbe messo piede in un negozio d’abbigliamento, conscia del fatto che l’avrebbero trattata con insopportabile reverenza, e lui aveva accettato senza protestare, rassicurandola che avrebbe preso qualcosa per niente appariscente, come richiesto. Quando tornò dallo shopping e la raggiunse in camera da letto, aveva un’enorme busta fra le mani che recava la marca di una costosissima casa di moda Asari, e Shepard lo fulminò con lo sguardo.
“No, Thane… non se ne parla. Avevo detto qualcosa di sobrio,” sbuffò, passandosi una mano sugli occhi. Lui le porse anche un’altra busta, abilmente nascosta dietro la prima, stavolta molto più piccola e decisamente più sobria.
“Provali entrambi, poi farai la tua scelta,” le disse, sicuro di sé, porgendole la busta più grande.
“Ti risparmio l’attesa. Dammi l’altro,” protestò lei, allungando una mano.
Thane obbedì, poggiando la busta più grande sul pavimento. Lei tirò fuori il primo abito, rigirandoselo curiosamente fra le mani. Un semplice tubino nero, lungo fino alle caviglie, di una stoffa molto pregiata, impreziosito solo da alcuni strass sul decolté. Non fece i salti di gioia, ovviamente, ma perlomeno lo indossò senza lamentarsi. Si guardò allo specchio, cercando di non dare a se stessa un giudizio troppo severo. No, non era brutto, ma a quel punto, la curiosità per l’altro abito diventò più forte.
“Stai benissimo,” la rassicurò lui, mettendosi accanto a lei.
“Benissimo… Come un cadavere ambulante,” sorrise Shepard, rassegnata.
“Sei la cosa più lontana da un cadavere ambulante che riesco a immaginare…”
“Finisco di prepararmi e ti raggiungo di sotto, va bene?” tagliò corto lei, dando le spalle allo specchio.
“Sei sicura di non aver bisogno del mio aiuto?”
Lei annuì, recuperando le stampelle. “Sicurissima.”

Si sedette di nuovo sul bordo del letto, poggiando le stampelle di lato. Poi prese la busta più grande e rovistò al suo interno, trovando un’enorme matassa blu di raso. Lo spiegò, distendendolo sul letto… e restò semplicemente inebetita ad ammirare un abito degno della migliore delle favole. La gonna era ampia, lunga, con un discreto strascico sul lato destro; il corpetto era decorato con una serie di motivi floreali a cascata, di un colore che le ricordò l’oro bianco. Prese un lembo di stoffa tra le mani, ammirando il piacevole contrasto che faceva col candore della sua pelle, deliziandosi della consistenza soffice e liscia del tessuto. Sorrise, pensando ai motivi che avevano potuto spingere Thane a fare quella scelta. Magari lei riusciva a vedersi solo come l’ombra della donna che era, ma lui… no, per lui, lei era molto di più.
Si sfilò l’abito nero e provò ad indossare l’altro. Non riuscì a chiudere il corpetto sulla schiena, ma quando si alzò per andare a guardarsi allo specchio, restò ugualmente meravigliata, tanto che sentì gli occhi pizzicarle leggermente, come se fosse sul punto di commuoversi. Arrancò verso il bagno, appoggiandosi al lavabo, e decise di truccarsi come non faceva più da secoli, come non aveva mai fatto probabilmente. Poi, dopo aver fissato per troppo tempo la porta della camera, si costrinse finalmente a uscire.

 
~

“Non dire nulla, per favore. Aiutami solo a chiudere il dannato corpetto,” disse, mentre scendeva le scale a fatica. Thane le regalò un sorriso ampio, uno dei suoi sorrisi più rari, mentre la raggiungeva per porgerle una mano.
“Neanche una parola?” domandò, accarezzandole una guancia.
“Una sola, al massimo.”
“Ka’lis.”
“Che significa?”
“Letteralmente… La cosa che ti fa mancare il respiro perché troppo bella da vedere.”
Lei diede una risata, arrossendo vistosamente. “Anche tu non sei niente male. Questo smoking ti dona parecchio,” si affrettò a dire poi, quasi per sdrammatizzare un momento nel quale avrebbe potuto davvero sciogliersi in lacrime. “Ed è anche più facile da togliere.”
“Decisamente,” rispose lui, facendo il giro per chiudere il suo vestito. Nel farlo, non si impedì di sfiorare casualmente la sua schiena, ricordandole cos'aveva intenzione di fare poi, una volta finita la festa.
“Potremmo, sai... disdire all’ultimo momento, Thane.”
“La solita impaziente…” sbuffò lui, divertito.
“Fino a prova contraria sei tu quello che armeggia sul mio fondoschiena…”
Entrambi risero divertiti, poi lui le sfilò una stampella e le porse finalmente il suo braccio.
“Ma…”
“Stasera appoggiati a me.”

 

Il tragitto in taxi fu quasi doloroso. C’era sempre la sua mano a stringere la sua, ricordandole che non era sola in quell’impresa, ma ciò non le impedì di provare ansia e timore. Tutti, in quella sala, l’avrebbero immediatamente riconosciuta. Tutti sapevano chi fosse, tutti erano a conoscenza di cosa quella guerra le avesse strappato e, di sicuro, non avrebbero mancato di farglielo sapere con quelle occhiate cariche di compassione che lei conosceva così bene. Si ripromise fino all’ultimo istante di dover fare il suo ingresso a testa alta, senza pensare a niente, ma l’attimo prima di varcare l'arcata di ingresso, addobbata sfarzosamente con i fiori più bianchi e profumati che avesse mai visto, si congelò, e la presa sul braccio di Thane diventò quasi una morsa.
“Non credo di potercela fare…” mormorò, quasi ansimando.
Thane restò fermo al suo fianco, offrendole uno sguardo neutro, ma carico di comprensione.
“Non ci riesco…”
“Di cosa hai paura?”
“Avrò gli occhi di tutti puntati addosso…”
“E’ inevitabile, lo sai. Sei diventata un punto di riferimento per tutti, ti considerano un’eroina, come puoi biasimarli?”
“L’eroina che ha perso una gamba, che ha passato tre mesi in coma, con un fianco completamente bruciato e sfigurato per sempre…”
Lui la condusse in un angolo più appartato, stringendosi a lei quasi come se volesse proteggerla da tutto e da tutti. “Quando ti vedo non riesco a vedere di niente di tutto ciò. L’unica cosa che vedo è una bellissima donna, così forte da essere riuscita a salvare il destino di miliardi di individui, così forte da aver guardato la morte in faccia e averla sconfitta con fierezza…” Le accarezzò una guancia, gli occhi ricolmi di sincerità. “Hai dimostrato di non aver paura neanche di fronte al più spietato fra i nemici, perché adesso? Perché perdere adesso la fiducia? Cosa contano gli sguardi degli altri, di fronte alle imprese che hai compiuto, che abbiamo compiuto insieme? Sei incredibile… Sei la cosa più bella che io abbia mai visto, come puoi vederti in un modo che non sia questo?”
Shepard abbassò lo sguardo, mordendosi nervosamente le labbra. Avrebbe dato qualunque cosa per vedersi adesso esattamente come lui la vedeva, per ritrovare la fiducia in se stessa che aveva ormai perso, provata da mesi di reclusione in un letto d’ospedale, e da altrettanti passati a lottare contro la consapevolezza che adesso le era toccata un’altra vita… Lontana dalla Normandy e da tutto ciò che prima aveva sempre considerato casa. Ma, tra tutte le cose che aveva perso, una le era rimasta, forse la più importante… lui.
“Andiamo,” gli disse dopo qualche istante, sforzandosi di stamparsi un sorriso sulle labbra.

 
~

La sala conferenze era ricolma di gente che si affaccendava intorno al buffet, mentre ascoltava distrattamente ciò che il diplomatico o l’ufficiale di turno avevano da dire al microfono. C’erano fiori ad ogni angolo, sculture di ghiaccio, palloncini blu con il simbolo dell’Alleanza, individui di ogni specie che chiacchieravano amabilmente davanti a una bottiglia di champagne. La prima persona ad avvicinarsi a lei fu una donna vestita con un abito bianco, semplice ma di classe, il viso nascosto scherzosamente dietro a un palloncino. Prima ancora che potesse svelare la sua identità, Shepard sorrise, sapendo chi avrebbe incontrato.
“Liara!” esclamò, protendendosi verso di lei. L’avrebbe abbracciata in uno slancio, se solo avesse potuto.
L’Asari le gettò le braccia intorno al collo, abbandonando il palloncino. Poi strinse la mano a Thane, distanziandosi leggermente.
“Sei davvero una visione,” disse all’amica, con gli occhi che brillavano.
“Anche tu non sei da meno,” rispose lei, piegando la testa da un lato. “Dove hai lasciato Feron?”
“Oh,” Liara sventolò una mano, roteando gli occhi, “…lo sai, odia questo genere di cose. E, oltretutto, non è stato esattamente invitato.”
“Mi dispiace… dannazione, sono un pugno d’imbecilli,” fece lei, sbuffando.
“Gli hanno fatto solo un favore, credimi,” la assicurò lei. “Vieni… Ci sono un paio di persone che sono sicura tu abbia voglia d’incontrare.”
Una volta svoltato l’angolo, Shepard capì che quella serata sarebbe stata completamente diversa da come l’aveva immaginata fino a quel momento.
C’era Garrus, impettito nella sua alta uniforme blu notte, accanto ad un’umana dagli occhi azzurri. C’era Tali, stretta in una tuta formale dove il viola e il dorato si intrecciavano nel più bello degli intarsi, appoggiata al braccio di un altro Quarian, alto e fiero. C’erano Joker e EDI intenti a punzecchiarsi su un divanetto. C’erano James, Cortez, Jack e Samantha impegnati in chissà quale animata discussione, e tutti con un abito elegante che li rendeva quasi irriconoscibili. Tutti gli altri, lo sapeva, erano attivamente impegnati altrove e di sicuro non erano riusciti a trovare il tempo di presenziare a quell’incontro, ma prima o poi li avrebbe invitati nel suo appartamento, come si era da sempre ripromessa di fare.

Le andarono tutti incontro, sommergendola di sorrisi, abbracci e strette di mano… E in nessuno di questi lei riuscì a leggere la compassione di cui tanto aveva avuto paura. Passò la serata a chiacchierare come se ogni timore fosse passato in secondo piano, come se in mezzo a quelle persone, adesso, si sentisse finalmente a casa. Alla fine, riuscì persino a farsi staccare un assegno con una quantità impressionante di zeri proprio dalla stessa stilista che aveva confezionato il suo vestito, rifiutando però la proposta di fare da modella per la prossima campagna pubblicitaria. 'Oh, cara… lei sarebbe davvero perfetta. La prego, valuti quest’opportunità,' l’aveva supplicata, e lei aveva resistito egregiamente alla tentazione di lanciarsi in una carica biotica verso il lato opposto della sala. Era stata chiamata persino sul palco ed era riuscita a spendere due parole sentite riguardo alla guerra e riguardo alla speranza di un futuro migliore, mentre Thane era rimasto ad osservarla composto da lontano, con uno sguardo pieno di orgoglio. Fu quella la serata in cui lui capì che lei era finalmente pronta a gettarsi tutto alle spalle e a ricominciare, e accettò con gioia quella consapevolezza, realizzando che, finalmente, avrebbe potuto fare ciò che da troppo tempo aveva solo sognato e immaginato.

 

“Andiamo a casa?” domandò lei, speranzosa, quando furono ormai fuori dall’albergo. Era luminosa, sotto alle luci violette della Cittadella, i suoi occhi erano pieni di vita come non lo erano stati per troppo tempo.
“Non ancora,” rispose lui, chiamando un taxi.
“Devo preoccuparmi?” sorrise lei, pungolandolo scherzosamente.
“Forse.”
“Dai… dimmi cos’hai in mente.”
“E’ una sorpresa,” rispose lui, determinato.
Shepard sbuffò e si fece accompagnare al taxi, prendendo posto accanto a lui. Non riuscì a sentire la destinazione comunicata da Thane al tassista, e allora cercò di capire dove fossero diretti sbirciando di continuo fuori dal finestrino. Quando se ne rese conto, si voltò a lanciargli un’occhiata divertita ed emozionata.
“Sembra sia passato un secolo da quel giorno. Vorrei poterlo ricordare come lo ricordi tu adesso…” mormorò, stringendosi a lui.
“Possiamo fare di meglio, Siha…” rispose lui, accarezzandole i capelli mentre il taxi frenava la sua corsa di fronte alla spiaggia artificiale. La aiutò a scendere dall’automobile, poi si prese un attimo per osservare l’orizzonte di fronte a sé, respirando profumi che riportavano alla sua mente momenti così belli da sembrare irripetibili.
“Non hai idea di quanto io abbia aspettato questo momento…” dichiarò, sollevandola in braccio. Lei rise, aggrappandosi alle sue spalle.
“Se avessi saputo che avresti voluto tornarci…”
“Non si tratta semplicemente di questo.”
Fu allora che lei smise di capire. C’era qualcosa di diverso in lui, in effetti. Un’inquietudine di cui si accorse solo in quel momento.

La adagiò piano sulla sabbia fresca e morbida, cingendole le spalle. “Hai freddo? Vuoi la mia giacca?”
“No, sto benissimo,” sospirò lei, guardando quella porzione di Cittadella sopra di sé. Non avrebbe mai pensato di potersi trovare sotto allo stesso cielo, insieme a lui, ancora una volta. Non dopo tutto quello che era successo.
“Credo… credo che adesso potrei anche mettermi a piangere,” confessò, la voce rotta da quel pianto che stava cercando di trattenere con tutta se stessa, trasformandolo in una debole risata.
“Perché?”
“Perché sono felice…” rispose lei, asciugandosi una lacrima. Si voltò, incontrando le sue labbra in un bacio dolcissimo.
“Lo sono anche io…” disse poi lui, giocando con i suoi capelli. “Se non mi fossi innamorato subito di te, l’avrei fatto stasera…” ammise, “se ti avessi incontrata in quella sala, il tuo ricordo non mi avrebbe dato pace fino alla fine dei miei giorni.”
Shepard sorrise, immaginando come sarebbe stato. “Sono sicura che in qualche modo, saremmo finiti lo stesso insieme. Non avrei mai potuto dimenticare i tuoi occhi.”
“E io i tuoi…”
“Diamine, guardaci… siamo come due adolescenti alla prima cotta,” ridacchiò lei, stringendosi contro al suo petto.
“Prima che la tua vena romantica si esaurisca del tutto, avrei qualcosa da chiederti.”

Nello stesso momento in cui lo sentì trafficare con qualcosa nella sua giacca, lei si congelò sul posto, col cuore che minacciava di esploderle fuori dal petto da un momento all’altro.
Lui le porse un anello, di un materiale simile all’argento, ma chiaramente di fattura Drell. Dei simboli sinuosi si intrecciavano sulla sua superficie, simboli a lei ancora sconosciuti. Quasi non sentì la sua domanda, persa com’era ad osservare quel piccolo capolavoro che lui le aveva appena regalato.
“Vorresti farmi l'onore di stare al mio fianco, per tutta la vita?” le aveva chiesto lui, la voce calma e sicura.
“Dannazione, sì…” esclamò lei d’istinto, scoppiando in una risata cristallina mentre si rigirava l’anello fra le mani. “Io… non so davvero cosa dire… è meraviglioso…” continuò, “…tu sei meraviglioso.” Si girò verso di lui, abbracciandolo con gli occhi umidi di lacrime.
Lui si sentì finalmente sollevato, libero da un peso che aveva tenuto dentro di sé per un’eternità. Non perché si aspettasse o temesse una risposta diversa, ma semplicemente perché aveva bisogno di essere sicuro che l’avrebbe fatto nel momento giusto.
Restarono a lungo abbracciati, nutrendosi dei rispettivi respiri, di quel contatto così unico e familiare che aveva il potere di rilassare entrambi, portandoli in un’altra dimensione. Poi lei si distanziò appena, guardandolo negli occhi. “Thane… posso farti una domanda?”
Lui annuì, sorridendole.
“Perché adesso?” chiese, volgendo lo sguardo alla lunga distesa d’acqua di fronte a sé.
La risposta di lui non si fece attendere. “Perché non puoi diventare la metà di qualcuno, se prima non hai rimesso insieme i pezzi.”
Lei si voltò nuovamente, accarezzando il suo viso con la stessa mano che stringeva l’anello. Appoggiò la fronte sul suo petto, lasciando le lacrime libere di fluire dai suoi occhi.
“A volte credo che tu mi conosca meglio di quanto io conosca me stessa,” osservò.
“Questo è perché ti amo… ti amo sopra ogni cosa.”
Lei sorrise, mentre quelle lacrime di pura gioia si facevano strada lungo le sue guance, e in quell’istante ogni cosa scomparì, di fronte a una possibilità del tutto nuova che fin ora non era riuscita a comprendere appieno. Non aveva mai cercato l’eternità, ma in quel momento la vide incastonata nei simboli di quell'anello, e capì che se anche un giorno loro avessero cessato di esistere, quel sentimento sarebbe riecheggiato per sempre in quella piccola porzione di universo, illuminata dalle flebili luci della Cittadella.



Un applauso sentito se siete arrivati fino alla fine senza vomitare zucchero filante e unicorni. 

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Capitolo 3
*** Ingredienti di un Natale Perfetto ***


Albero di Natale



“Più a destra…”
Andromeda Shepard strinse le palpebre, concentrata.
“No, a sinistra… Ecco. Un po' più indietro… No, non così tanto. Leggermente più a destra.”
“Siha…”
“Ok, perfetto, non muoverti. Ora appoggialo… piano!”
“Così va bene?”
“Mmm… Si, vai, spingilo leggermente indietro…”
“Siha!”
“Ok, ok, va bene… puoi venire adesso.”
Shepard osservò per l’ultima volta l’albero di Natale e decise finalmente che quella sarebbe stata la collocazione definitiva, per la gioia di Thane che continuava da più di venti minuti a spostarlo da stanza in stanza e da angolo in angolo.
“Sei soddisfatta ora?” le domandò lui, intrecciando le braccia mentre la affiancava, per guardare quello che per lui era solo una copia artificiale poco fedele di un albero terrestre neppure particolarmente bello, solo esageratamente grande.
“Scherzi? Mancano ancora tutte le decorazioni.”
“Decorazioni?”
“Certo! Anche se quest’anno penso abbandonerò quelle tradizionali. Ho visto delle statuette a forma di Volus davvero adorabili. Pensa, indossano delle deliziose salopette rosse e un paio di corna da renna,” rispose lei, con sguardo sognante. “Oriana mi ha promesso che me le avrebbe portate oggi pomeriggio, insieme alle lucine.”
“Fammi capire… un enorme albero terrestre finto, ricoperto di Volus cornuti, illuminato da lucine… Non sono sicuro di capire di che festività si tratti.”
“Non essere pedante,” disse lei, dandogli una gomitata amichevole, “festeggiamo lo spirito della famiglia, cose così.”
“Cosa c’entrano gli Spiriti, adesso?”
“Ma non quegli Spiriti, scemo… Era per dire.”
“Sono confuso.”
“Ti basta sapere che sotto quell’albero andremo a mettere i nostri regali e che li apriremo la notte di Natale, dopo il cenone.”
“Che genere di regali?”
“Ognuno di noi regalerà qualcosa all’altro.”
“Perché?”
“Oddio, Thane. Ti lamenti sempre del fatto che non mi tengo informata, giusto? Per una volta potresti farla anche tu una ricerchina su Extranet.”
Lui sbuffò, traendola verso di sé con un braccio. “D’accordo. E per il cenone che mi dici?” chiese, sollevando un’arcata sopraccigliare con evidente scetticismo.
“Ho pensato a tutto io, non preoccuparti” rispose lei con un sorriso che voleva essere rassicurante, poggiando entrambe mani sul suo petto.
“Non farai saltare di nuovo in aria la cucina, vero?”
“Ancora quella storia? Ti ho detto che non è stata colpa mia” si lamentò Ann, imbronciandosi.
“Lo so, lo so, me l’hai detto almeno un milione di volte” rispose lui. “Almeno stavolta accetterai di farti aiutare?”
“Non se ne parla.”
“Sei sempre più testarda.”
“E’ anche per questo che mi ami, non nasconderlo.”
“Chi ha detto che voglio nasconderlo?” replicò lui, posandole un bacio sulle labbra prima di caricarsela sulle spalle.


 

Decorazioni



“Dunque, dunque… statuette Volus… Volus, Volus, no, non Elcor… e neppure… Diamine, anche gli Hanar quest’anno? Ah, eccole!” Oriana scoppiò a ridere, nel vedere quelle che dovevano rappresentare decorazioni per albero di Natale, ma avevano tutta l’aria d’essere statuine per un presepe. “Beh, tocca ammetterlo… Shepard ha dei gusti veramente strani” mormorò, mentre ne sistemava una buona quantità nel carrello, sotto allo sguardo inespressivo di Kolyat.
“Che c’è? Come mai non dici nulla? Questa sarebbe la classica situazione in cui il Kolyat che conosco io avrebbe tirato fuori il meglio di sé” proseguì, cercando il suo sguardo.
Lui sospirò, avanzando in modo da sorpassarla. “Sinceramente me ne importa poco.”
Oriana scosse il capo, perfettamente consapevole che anche questa volta avrebbe dovuto metterci tutta sè stessa per convincerlo a prendere quell’occasione in un modo positivo.
“Mi assicurerò di portare un gran numero di alcolici, se può servirti. L’ultima volta ha funzionato.”
“No, grazie,” replicò lui, burbero, “preferirei non dover passare tutta la notte a vomitare. Anche se forse lo farò ugualmente.”
Oriana decise di lasciarlo cuocere nel suo brodo, continuando il suo giro fra gli scaffali ricolmi di roba natalizia.
Era il primo Natale che avrebbe passato lontana dai suoi, in una casa poco familiare, senza nessun vassoio di biscotti appena sfornati ad aspettarla la mattina del 25, senza sua madre in pantofole che la invitava a sbirciare sotto l’albero, continuando a fingere che fosse stato Babbo Natale a portarle quei doni.
Ma d’altra parte era anche il primo Natale che avrebbe passato insieme a Kolyat, anche se non era più così convinta che sarebbe stata una buona idea.

Inizialmente nessuno aveva pensato di festeggiare, figurarsi se Shepard aveva tempo per pensare a queste cose. Era stata Oriana a proporlo, durante una cena tranquilla quasi due settimane prima. Non si sarebbe aspettata tanto entusiasmo da parte del Comandante, che da quel momento aveva preso la faccenda parecchio a cuore, forse perfino eccessivamente. Da quanto Kolyat le aveva raccontato quella mattina, aveva costretto suo padre a passare in rassegna tutti i negozi di articoli per la casa esistenti sulla Cittadella, fin quando non aveva trovato l’albero che, secondo lei, faceva al caso loro. Anche ad Oriana sarebbe piaciuto addobbare un albero di Natale, ma sfortunatamente Queequeg non era stato della stessa opinione. Si era limitata così ad intrecciare tante piccole lucine intorno alla spalliera del suo letto, l’unico posto dove non avrebbero dato nell’occhio, infastidendo di sicuro Kolyat.

Passò allo scaffale successivo, notando un’enorme quantità di parrucche e vestiti da Babbo Natale, cerchietti con le corna da renna, nastrini a tema per capelli e sacchi di varie dimensioni che avrebbero contenuto eventuali regali da portare. Ci pensò su per un attimo… Sarebbe stata veramente stupida a fare una cosa del genere, ma si conosceva tanto bene da sapere che alla fine non avrebbe resistito. Mise nel carrello un po’ di quella roba e sorrise al pensiero di come avrebbe reagito Kolyat vedendola conciata da aiutante di Babbo Natale.


 

Biscotti
 


La vigilia di Natale era arrivata in un batter d’occhio. Shepard quasi non riuscì a crederci quando sul suo factotum scorse il numero 24, appena dopo aver zittito la sveglia. Normalmente sarebbe rimasta a crogiolarsi fra le lenzuola, aspettando che Thane tornasse con la colazione; perché mai, mai una volta aveva mancato a quell’appuntamento. All’inizio aveva tentato di dissuaderlo, cercando di fargli capire che avrebbe preferito di gran lunga svegliarsi e trovarlo accanto a sé, anziché scoprire con delusione che la sua metà del letto era vuota. E lui aveva accettato, per almeno un paio di mattine. Poi era diventato tutto… parecchio deleterio, per così dire.
Aveva scoperto infatti che scrollarsela di dosso non era esattamente un’operazione semplice. Ecco, lei aveva quella strana abitudine di avvilupparsi stile polipo “perché lui era deliziosamente caldo”, così si giustificava. E chiaramente, quella vicinanza non lasciava indifferente neppure lui. Finivano sempre per fare gli sconsiderati, e Shepard passava il giorno intero a grattarsi convulsamente in preda ad allucinazioni più o meno intense. Dopo l’ultima volta, l’aveva guardata stampandosi in faccia l’espressione più seria che riuscì ad esibire e le aveva promesso che non sarebbe successo mai più, non senza il suo consenso almeno. E no, non si sarebbe fatto ingannare ancora dalle sue richieste innocenti, come la scusa di avere terribilmente freddo o peggio, le menzogne, come “credo di avere la febbre altissima”. E neppure le minacce, in ultimo, “giuro che se non torni subito qui stanotte dormi nella camera degli ospiti”.
Lei, a malincuore, aveva dovuto accettare le sue ragionevoli condizioni, scoprendo in seguito che non era poi così male trovare ogni mattina una tazza di caffè fumante e zuccherato come piaceva a lei, insieme ad un paio di ciambelle glassate e, ultimamente, anche un fiore.
La prima volta, davanti ad una rosa rossa, aveva riso, e di gusto, fino al punto di offenderlo seriamente. Perlomeno il suo broncio le aveva dato quell’impressione (e, diamine, aveva dovuto fare uno sforzo immane per non dirgli quanto assomigliasse a Kolyat in quel momento). Poi si era sentita tremendamente in colpa, realizzando quanto fosse fortunata ad avere qualcuno che oltre a passare tutte le mattine in caffetteria, si fermava anche dal fioraio. Aveva pianto, quella volta. Beh, non un vero e proprio pianto da smidollata… diciamo che le erano venuti gli occhi lucidi e poi aveva tentato di cucinare una torta per farsi perdonare. Era stato allora che aveva rischiato seriamente di appiccare un incendio in cucina. Thane aveva trovato la porta spalancata e un paio di aitanti Turian vestiti di giallo intenti a spegnere le fiamme, mentre Shepard, in un angolo, finiva di rosicchiarsi tutte le unghie.
Quella notte, dopo una lunga chiacchierata, avevano finito per ridere della loro stupidità (quella di lei, più che altro), l’una nelle braccia dell’altro, e da quel momento ogni rosa era diventata più preziosa della precedente.

Shepard si voltò verso il comodino, osservando che nel vaso ce n’erano adesso almeno quaranta di quelle rose. Era interessante notare quanto fossero diverse le une dalle altre, ma sicuramente quella più brutta era anche quella a cui in assoluto teneva di più. Non le ricordava solo quella giornata, le ricordava tutte le volte che in passato avevano rischiato di perdersi e di non trovarsi mai più. L’ultima, invece, quella risalente al giorno prima, era invece al massimo dello splendore, esattamente come la loro vita adesso.
Non si chiese se quel giorno ne avrebbe ricevuta una, non se lo chiedeva mai. Odiava dare per scontati i piccoli gesti che ogni volta lui faceva per lei, nonostante fosse così semplice inserirli nella lista delle abitudini, ora che persino lui era diventato un’abitudine. Una di quelle belle, però, come trovare ogni giorno il proprio animale domestico a farti le feste dopo il lavoro.

Si stiracchiò, sbadigliando sonoramente. Aveva pianificato tutto nel dettaglio per quella giornata, aveva fatto le dovute telefonate, aveva visualizzato mentalmente come apparecchiare la tavola e, in ultimo, aveva scelto la playlist adatta per la serata. Persino Thane sarebbe rimasto sorpreso di quanto bene ricordasse ogni piccolo tassello.
Si alzò finalmente dal letto, rinvigorita dalla prospettiva di avere una giornata piena di impegni e non attese neppure che lui facesse ritorno. Tutt’al più avrebbe mangiato con lui in cucina, una volta tanto. Probabile infatti che fra qualche tempo avrebbero dovuto sostituire il drone delle pulizie, sempre intento ad eliminare briciole dal letto.
La casa era piacevolmente calda, segno che lui aveva già acceso i riscaldamenti. Shepard s’infilò dentro la sua vestaglia e fece le scale verso il piano di sotto, contemplando con soddisfazione la vista dell’albero di Natale giù in salotto. Era immenso e maestoso, proprio come ogni piccolo Volus attaccato ai rami. Il tocco di classe, però, era sicuramente la riproduzione della Normandy in cima a tutto: un regalo di Joker, che si era meritato un abbraccio a tradimento per la genialità del pensiero.
Constatò con piacere che Thane aveva anche acceso tutte le lucine e c’era un regalo sotto l’albero, non più grande di una Carnifex. Si domandò perché dovesse sempre fare il paragone con le armi, ma dopotutto era difficile abbandonare certi metri di paragone. E poi segretamente sperava sempre di ricevere qualche nuova pistola da sfoggiare al poligono di tiro.

Si avvicinò al grande finestrone della sala, come d’abitudine. Premette il pulsante per far scomparire le tapparelle artificiali e si perse ad osservare la Cittadella di mattina, quando ancora era lontana dal miscuglio di colori neon della notte.
“Che diavolo” imprecò all’improvviso, spalancando le palpebre.
Era tutto bianco. Tutto incredibilmente bianco. L’aveva vista la neve su Mindoir, due o tre volte, ma mai si sarebbe aspettata di vederla anche sulla Cittadella. Era chiaro che fosse neve artificiale, ma a chi era venuta l’idea?
Si sentì improvvisamente euforica, proprio come da bambina, e dovette ricordare a sè stessa di essere ancora in pantofole prima di lanciarsi verso la porta d’ingresso. Stava giusto per andare a cambiarsi, quando udì il familiare rumore della serratura elettronica e fece dietro-front.
Si era quasi aspettata di trovare Thane imbacuccato come un esquimese, con tanto di cappello, sciarpa, e guanti di lana, ma lui era quello di sempre, solo di un colorito più spento.
Entrò con l’aria di chi non vede l’ora di attaccarsi a un termosifone, reggendo con una mano un sacchetto di carta piuttosto malconcio. Shepard lo raggiunse con uno slancio, fermandosi a dargli un bacio sulla guancia.
“Sei gelido!” esclamò, togliendogli dalle mani quella che probabilmente doveva essere la colazione.
“Buongiorno, Siha” rispose lui, sorridendole con dolcezza.
“Hai visto la neve? Ovvio che l’hai vista. Chi è stato, cioè… Come…?”
Thane avanzò, togliendosi la giacca lentamente. “Ho sentito alcuni Volus parlarne, sembra sia stata un’idea delle Asari. E’ presente solo in alcune zone della Cittadella, però.”
Shepard lo seguì, imboccando con lui le scale per il piano di sopra.
“Beh, siamo stati fortunati allora! E’ splendida! Dobbiamo assolutamente uscire a fare una passeggiata.”
Lui non rispose subito, limitandosi invece a raggiungere la camera da letto mentre iniziava a togliersi anche il resto dei suoi vestiti.
“Thane? Stai bene?” incalzò lei, poggiandogli una mano sulla spalla.
“Non proprio,” rispose lui, sollevando le coperte dal letto per distendersi.
“Che succede?”
“Credo di essermi ammalato” sospirò, coprendosi fino al naso con il piumone.
Shepard si sedette sul bordo del letto con aria sconsolata.
“Stai tremando” constatò imbronciata, poggiandogli una mano sulla fronte.
Thane la afferrò, spostandola sulle sue guance. “Non sono un Umano, Siha” le fece notare, indicandole dove avrebbe potuto sentirgli correttamente la temperatura.
“Giusto,” disse lei, dissimulando l’imbarazzo. “Beh… E te ne stai nudo sotto le coperte? Vado a prenderti un pigiama” aggiunse poi, avendo effettivamente appurato che era freddissimo.
Cinque minuti dopo si presentò con quello che a Thane sembrò uno scherzo di pessimo gusto. Il pigiama, come l’aveva chiamato, era un completo formato da pantaloni e giacca, entrambi enormi e dalla trama spessa, decorati con la stampa di un Hanar con un cappello rosso. Lei glielo sventolò davanti con un sorriso d’incoraggiamento.
“Sto bene così, non è necessario.”
“Non fare lo stupido.”
“Davvero, non è necess…”
“Thane Krios! Indossa questo fottuto pigiama. Ieri sera non ho sfornato 217 biscotti per nulla.”
“208. Sei erano bruciati, e tre li hai mangiati tu.”
“Dettagli. Ora smettila di fare l’idiota e copriti” imprecò lei, sollevando di botto le coperte.
Thane, a malincuore, dovette obbedire.


 

Neve



Oriana aprì gli occhi in seguito ad una strusciata impertinente della coda di Giza sulla punta del suo naso e contemporaneamente un morso di Queequeg sull’alluce del piede sinistro. Mugugnò qualcosa come “maledette bestioline” prima di costringersi a stiracchiarsi e ad uscire dalle coperte per dare loro le attenzioni e soprattutto i croccantini che reclamavano con impazienza. Giza era cresciuta tantissimo nell’ultimo anno e mezzo, superando come dimensioni persino Queequeg. Kolyat spesso gliela affidava, specialmente a ridosso dei i turni di notte, quando sapeva che avrebbe passato l’intera mattinata successiva a dormire, non potendo effettivamente esserle di compagnia. E poi i gatti si erano talmente affezionati l’uno all’altra che era un peccato tenerli separati a lungo. Oriana sospirò, mentre versava una modesta quantità di croccantini a basso contenuto di grassi nelle due ciotole in metallo. Si ritrovò a pensare al perché non fosse ancora venuto loro spontaneo considerare di andare a vivere insieme, dato che oramai si frequentavano da parecchi mesi. Questa però era una cosa che non riusciva proprio a chiedergli, visto che per tutto il resto a fare il primo passo era sempre stata lei. Aveva imparato a portare pazienza a livelli assurdi, conoscendo ormai bene il pattern comportamentale del suo compagno e sapendo che forzare le cose da parte sua non avrebbe mai prodotto il risultato sperato.
Accompagnata dal tintinnio che i gatti provocavano scontrando i musi contro le ciotole metalliche, Oriana si avvicinò al finestrone del salotto, lanciando il comando che direttamente dal suo factotum avrebbe disattivato le tapparelle artificiali. Quello che vide la lasciò a bocca aperta. Appiccicò la fronte sul vetro, sorridendo nel vedere un gruppetto di bambini Asari e Turian lanciarsi delle palle di neve mentre si rincorrevano indossando guanti e stivali pesanti. Dovevano essere figli di famiglie benestanti per potersi permettere quel tipo di vestiario, lì sulla Cittadella. Probabilmente potevano persino permettersi il pass per il bioma Invernale, dove la neve era simulata tutto l’anno e si poteva praticare qualunque tipo di sport legato alla montagna. Una volta Miranda ce l’aveva portata e si erano divertite tantissimo a sciare e provare lo snowboard, anche se con risultati non proprio eccezionali.
Appena finito di mangiare, i gatti le si avvicinarono strusciandosi sul suo pigiama felpato e lei si chinò a fare loro una carezza ciascuno. “Chi sono i gatti più belli del mondo?” chiese, utilizzando la vocina che tipicamente si usa con i bambini molto piccoli, “siete voi i gatti più belli del mondo!”

Kolyat si passò una mano sugli occhi dopo aver constatato che il factotum segnava ormai l’una passata. Sbadigliò sonoramente e si alzò con un rapido movimento, dirigendosi verso il bagno. L’occhio gli cadde sulla marea di prodotti umani che costellavano il mobiletto accanto alla doccia, ricordandogli involontariamente di tutte le volte che Oriana si era fermata a dormire a casa sua, dispiaciuto che questa non fosse una di quelle. Dovette reprimere l’istinto di cadere in uno di quei ricordi, fra i quali quello che la vedeva proprio lì, nel suo bagno, a pregarlo di fare la doccia con lei. Se dapprima gli era sembrata un’ottima idea, dopo il primo minuto passato in quel cubicolo asfissiante, ricoperto d’acqua calda dalla testa ai piedi, dovette ricredersi e promettere a sé stesso che non avrebbe mai più ripetuto l’esperienza. Poi si ritrovò a dover ricordare ad Oriana che la sua specie era avversa all’acqua. Essendo natii di un pianeta arido e desertico, i Drell si eravano evoluti come una specie a sangue freddo. Quando Oriana gli aveva chiesto “ok, ma come vi lavate?”, Kolyat aveva risposto “perché dovrei lavarmi?”, attirandosi uno sguardo perplesso. Aveva poi iniziato a spiegarle che usavano altri tipi di prodotti per trattare le loro squame, specialmente vicino al periodo della muta e che su Rakhana soprattutto, un’attività molto apprezzata da fare anche in compagnia erano i bagni di sabbia.
“Fammi capire: avete delle piscine,” principiò, mimando il simbolo delle virgolette, “piene di sabbia e… cosa fate esattamente?”
“Ci rotoliamo.”
“Vi… rotolate…” Oriana non riuscì a fermare la risata che stava per esplodere.
Kolyat a quel punto aprì le braccia, rassegnato. “Capisco che tutto qui sia a prova di Umano, Turian o Asari, ma non esistete solo voi.”
Kolyat si guardò allo specchio, emergendo dal ricordo e non potendo fare a meno di notare come ogni volta lui si mostrasse sempre sulla difensiva. Non era di certo colpa di Oriana se l’unico appartamento che era riuscito a trovare era a misura di Umano. C’erano a malapena 4500 Drell sulla Cittadella e a parte una piccolissima porzione eccezionalmente benestante, il resto doveva adattarsi esattamente come aveva fatto lui.
Dal mobiletto del suo lavandino estrasse un unguento di fattura Salarian che era molto simile agli oli che riusciva a reperire solo su Kahje. Questo in particolare sapeva piacesse molto ad Oriana, che più di una volta aveva fatto apprezzamenti sul suo profumo. Ne estrasse un po' e iniziò a passarlo sulle guance e sul collo, le parti della sua anatomia che maggiormente avevano bisogno di protezione e idratazione. Poi lavò i denti e tornò in camera da letto con l’intenzione di vestirsi. Il bip del factotum indicò un messaggio in arrivo, avviò il terminale con un braccio e ne lesse l’anteprima.
- Kol, vedi di indossare abiti pesanti, c’è la neve! 😍 -
Kolyat si accigliò, avvicinandosi alla finestra e disattivando le tapparelle. “Per Arashu…”
Poi un altro messaggio.
- Senti, ho avuto un idea per il regalo che dobbiamo fare a tuo padre ed Ann, però ho bisogno che mi vieni a prendere 🙏 -
Kolyat sbuffò. Aveva quasi dimenticato tutta quella storia assurda del Natale.


 

Idee



Oriana aspettava sotto al portone del complesso residenziale, stretta in un cappotto rosso. Non faceva particolarmente freddo, però la temperatura era stata considerevolmente abbassata per mantenere intatta la neve artificiale, tanto che il respiro formava nuvolette di vapore una volta lasciate le labbra. Dopo un paio di minuti vide arrivare Kolyat in astroauto e si avvicinò al mezzo. Lui comandò allo sportello di aprirsi e le fece cenno di entrare. Si sporse per dargli un bacio, lei, mentre lo salutava sorridendo.
“Allora, che ne pensi della neve?” domandò divertita.
“Che è uno spreco inutile di risorse.”
“Ti pareva…”
Kolyat alzò le spalle, l’astroauto già incolonnata nel traffico. “Dove andiamo?”
Oriana si sporse verso la console di navigazione ed impostò il distretto di Bachjret come destinazione.
“Puoi essere più specifica?”
“Tu pensa a guidare, una volta lì ti indirizzo io.”
Il Drell diede una breve occhiata al percorso stradale, notando la presenza di almeno due ingorghi più avanti. “Spero ne valga la pena” commentò.
“Aww, il mio raggio di sole!” rise Oriana, rassegnata all’atteggiamento perennemente pessimista del suo compagno, poi gli poggiò una mano sulla coscia, notando con sollievo che lui gliela strinse, ricambiando il gesto affettuoso.

Quaranta minuti dopo, la coppia si dirigeva verso un negozio che Kolyat non aveva mai visitato, ma che aveva tutta l’aria di non portare buone notizie, stando a ciò che riportava l’insegna.
“Ori” ammonì il Drell, fermandosi ad un passo dall’entrata, le braccia conserte.
“Che c’è?”
“Che intenzioni hai?”
“Fidati di me, sarà un Natale indimenticabile!”
Kolyat si passò una mano sul viso, poi si fece trascinare all’interno da lei. “Questo è poco ma sicuro” mugugnò fra sé e sé.
Un coro di “miao” e “woof” li accolse all’interno del negozio, dove vetrine ampie e curate ospitavano animali provenienti specialmente dalla Terra, con qualche eccezione nella sezione uccelli, particolarmente in voga fra i Salarian. Oriana avrebbe preferito adottare un randagio, ma l’unico rifugio per animali sulla Cittadella era attualmente a corto di gatti.
L’Umana si avvicinò ad una delle vetrine dove una coppia di gattini giocavano fra loro. Uno di essi era particolarmente adorabile, bianco e nero con un’accenno di bianco su tutte e quattro le zampette e sulla punta della coda. “Non è carinissimo?” fece, in direzione di Kolyat.
“Sì, è carinissimo, ma mi spieghi cosa siamo venuti a fare? Non possiamo permetterci un altro gatto, il permesso per il terzo animale costa troppo e ci sarebbero sucuramente mesi da aspettare.”
“Ma scemo, non è mica per noi!”
“E per chi…” Kolyat si fermò a fissarla, poi aggiunse “Oriana Lawson, sei impazzita?”
“Perchè mai? Non è un’idea fantastica?”
Il Drell sospirò rumorosamente. “Non puoi regalare gatti a destra e a manca, che succede se non è gradito?”
“Ma dai, l’hai visto?” domandò, indicando il felino, “Nessuno potrebbe resistere a tanta dolcezza.”
“Ok, ma se davvero non fosse gradito? Ci hai pensato?”
“Certo che ci ho pensato. Lo terremmo noi.”
“E il permesso?”
“Non dirmi che tu non puoi cercare di velocizzare il processo, vista la tua posizione allo C-Sec…”
“Non ho intenzione di chiedere favori per un gatto.”
“E va bene, faremo alla vecchia maniera.”
“Ori, pensaci bene.”
“Ci ho pensato e continuo a sostenere che sia un’idea originale e adorabile. Shepard ha un debole per le bestiole, me l’hai detto tu che adora Giza.”
“Ti ho detto che quando è venuta a trovarmi assieme a mio padre hanno detto che era molto carina, tutto qui.”
“Mi hai anche detto che non smettevano di accarezzarla.”
“A furia di frequentarmi stai sviluppando una memoria eiedetica anche tu?”
“Per forza.”
“E va bene, ma se per qualche motivo non dovesse andare la responsabilità è tua.”
Oriana finalmente riuscì ad esultare, e l’attimo dopo stava già chiamando il commesso Volus.


 

Amici



“Shepard! Da quanto tempo, come stai?” la voce di Karin Chakwas risuonò squillante nell’orecchio del Comandante, che aveva poco prima avviato la chiamata tramite factotum.
“Non c’è male, dottoressa. E lei che mi dice?”
“Mi godo la pensione, finalmente. Sono arrivata sulla Terra tre giorni fa.”
“Dove si trova di bello?”
“Sydney. Ho sempre desiderato festeggiare un Natale in spiaggia,” la donna rise, poi aggiunse “sulla Cittadella si sente lo spirito natalizio quest’anno?”
“Eccome, hanno persino creato della neve artificiale. A tal proposito dottoressa… Thane non sta molto bene.”
“Volevo giusto chiederti di lui. Che succede, Ann?”
“E’ tornato a casa praticamente congelato, credo abbia preso troppo freddo.”
“In questi giorni ha fatto basking?”
“Non che io sappia.”
La dottoressa Chakwas esalò un sospirò. “Vedo che alcune cose non cambiano. Thane è testardo come un mulo, Shepard. Puntagli una lampada addosso se proprio devi, ma come tutti i Drell ha bisogno di assorbire calore e non una volta al mese.”
“Ricevuto, dottoressa. Nel frattempo, c’è qualcosa che posso fare nell’immediato? E’ praticamente letargico.”
“Beh, utilizza le tue conoscenze di sopravvivenza in climi estremi e non dovrebbe essere un problema arrivarci.” Shepard potè quasi sentirla ammiccare al di là dell’auricolare.
Diede una breve risata, prima di ringraziarla e augurarle buone feste.
“Grazie a te Shepard, e Buon Natale!”

Ann fece gli scalini a due a due per arrivare in camera da letto, dove Thane era immobile, ancora quasi totalmente coperto dal piumone.
“Spogliati” ordinò lei, suscitando una reazione. Thane riuscì appena a mettersi sui gomiti, per osservarla con aria inquisitiva.
“Mi hai appena costretto a mettere il… pigiama.”
“Ho sbagliato” rispose lei, iniziando a lanciare i suoi vestiti alla rinfusa per terra.
Thane diede un impercettibile cenno di approvazione, prima di obbedire. Poi Shepard si infilò nel letto e fece aderire il suo corpo a quello del Drell, senza riuscire a reprimere un “maledizione, sei un ghiacciolo!”
“Sto bene, Shepard.”
“Non secondo la dottoressa Chakwas.”
Thane si discostò da lei quel tanto che bastava per farle capire che era scocciato. “Perchè l’hai chiamata? Ti ho detto che sto bene.”
“Da quanti giorni non fai una lampada?”
Thane non rispose, improvvisamente colpevole.
“Ecco.”
“Non pensavo avrei trovato temperature intorno allo zero oggi.”
“Non cercare di arrampicarti sugli specchi.”
“D’accordo. Hai ragione, ho rimandato troppo e adesso…” improvvisamente si zittì, più interessato a capire cosa stava cercando di fare lei con le sue mani.
“Hai perso le parole?” sorrise lei.
Thane le accarezzò il mento con una mano, prima di tirarla verso di sé e baciarla sulle labbra, certo che di lì a poco non avrebbe più avuto bisogno di coperte o… pigiami.


 

Generosità


“Css- fanno cinquecento crediti, miss…?”
“Lawson.” Oriana avvicinò il factotum al dispositivo di pagamento. Il Volus si sporse da dietro la cassa per finalizzare l’acquisto, poi con un piccolo balzo scese giù dalla cassetta sulla quale era appollaiato e fece il giro per fronteggiarli. “Seguitemi -css.”
Oriana e Kolyat partirono a ruota, dovendo però mantenere breve il passo per evitare di finire addosso al commesso che aveva un’andatura decisamente meno celere della loro. Una volta arrivati di fronte alla vetrina giusta, il Volus fece cenno ad una giovane commessa Batarian di avvicinarsi per aiutarlo. Evidentemente non voleva rischiare che il felino potesse danneggiargli la tuta con gli artigli. La ragazza, che sembrava essere lì solo per maneggiare gli animali, arrivò a passo spedito e si infilò un paio di guanti spessi prima di chiedere quale dei due gatti doveva prendere.
“Quello nero e bianco” disse Oriana, impaziente.
“Vi serve un trasportino?” domandò il Volus.
“Magari, grazie. Il gattino sarà un regalo.”
“Ottimo, -css, abbiamo un nuovissimo modello appena arrivato con lettiera autopulente incorporata.”
“E quanto viene?”
“Solo per lei, miss Lawson -css, oggi è in promozione a soli 399 crediti.”
Oriana si stampò un’espressione carica di disappunto sul viso. “Non ha qualcosa di meno…”
Kolyat la interruppe prima che potesse finire la frase. “Lo prendiamo” rispose, suscitando nell’Umana un sorriso a trentadue denti.
Il Volus battè le mani una sola volta, soddisfatto con sé stesso. “Perfetto signori. Avete bisogno di qualcos’altro?”
Oriana cercò Kolyat con lo sguardo, prima di dire “ci servirebbero due ciotole e del cibo per cuccioli di ottima qualità.”
“Certamente -css- miss Lawson.”
Nel frattempo, con la coda dell’occhio, Oriana osservava la commessa Batarian posizionare il micetto dentro il nuovo trasportino, desiderando quasi che quel gatto fosse suo. Si ricordava ancora del giorno che aveva ricevuto Queequeg come regalo da Miranda come uno dei più belli della sua vita. Era questo che voleva donare al padre di Kolyat e a colei che le aveva riportato la sorella sana e salva: un ricordo indelebile e un compagno fedele per molti anni a venire.



 

Regali




Shepard riemerse dalle coperte con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra. Thane la osservò abbandonare il letto con un sorriso altrettanto soddisfatto.
“Dove vai?” le domandò poi, mentre lei si rivestiva davanti allo specchio.
“Ho ancora dei regali da comprare.”
“Non avevi organizzato tutto nei minimi dettagli?” Thane alzò un arcata sopraccigliare.
Shepard lo guardò attraverso lo specchio, aggrottando le sopracciglia a sua volta e scuotendo il capo per mimare disappunto.
“Posso fare qualcosa per aiutarti?” tentò nuovamente il Drell.
“In effetti qualcosa ci sarebbe” fece lei, indossando una giacca pesante appena riesumata dall’armadio.
“Cosa?” Thane si mise a sedere sul letto, speranzoso.
“Devi fare una dannata lampada!”

Quando Shepard finalmente lasciò l’appartamento si rese conto di essere leggermente delusa dal fatto che questa prima passeggiata sulla neve artificiale non la stessero facendo assieme. Le era bastato affacciarsi dalla finestra quella mattina per pianificare già ogni minuto di quella giornata. Thane sarebbe tornato a casa con la colazione, poi sarebbero usciti fuori a fare le ultime compere e infine si sarebbero fermati a quel bistrot di gestione Elcor che avevano scoperto da poco e che amavano così tanto perché era l’unico ristorante sulla Cittadella a proporre la rivisitazione di una sorta di gulash di tradizione Drell. Thane diceva che la spezia originale prevista dalla ricetta era ormai rarissima di quei tempi, ma il sapore si avvicinava molto a quello che da bambino mangiava alla mensa dell’accademia dove fu addestrato. Shepard in quell’occasione si domandò se un simile ricordo potesse suscitargli emozioni negative, ma lui aveva spiegato pazientemente che ricordava con piacere quegli anni. Raccontò di sé stesso come un bambino molto socievole e disposto ad aiutare il prossimo. In un primo momento lei aveva fatto fatica ad immaginarselo così, data la natura schiva che lui stesso aveva deciso di mostrarle una volta salito a bordo della Normandy, poi man mano che aveva conosciuto la sua storia si era resa conto che tutta la sua vita era in realtà permeata di coerenza. Thane bambino che sopravvive all’asprezza degli insegnamenti facendo gruppo, Thane adolescente che stringe legami di amicizia con quelli che dovevano essere suoi competitori, Thane ragazzo che si innamora della Pietà fatta persona, Thane uomo che in seguito alla perdita decide di perdere sé stesso. Thane, oggi, che riesce a perdonarsi e a guardare alla vita con positività e a lei con assoluta devozione.
In occasione di quella chiacchierata Shepard si era dovuta assentare un attimo con la scusa di dover andare in bagno perché non voleva mostrargli che i suoi racconti le mettevano addosso una malinconia inaudita. Era commossa, sì, all’ascolto di ciò che lui aveva vissuto da piccolo, forse perché le loro storie in qualche modo si assomigliavano. E nonostante sapesse che non ci sarebbe stato niente di male nel farsi vedere vulnerabile davanti a lui, le sarebbe dispiaciuto se lui avesse interpretato i suoi occhi lucidi come compassione. Al contrario, tutto ciò che lei provava nei suoi confronti era una sincera ammirazione e un profondo rispetto.

Nonostante la mattinata non fosse andata esattamente secondo i suoi piani, Shepard continuava ad essere di buon umore. Era comunque riuscita a passare del tempo con lui, il servizio di catering le aveva confermato l’orario previsto per la consegna della cena e non le restava altro che ultimare le compere. A passo svelto si diresse verso l’edificio che fungeva da parcheggio astroauto e con l’ascensore raggiunse il dodicesimo livello. Il velivolo che aveva acquistato qualche mese fa era di manifattura Volus, l’esterno della carrozzeria era di un nero opaco molto elegante e gli interni rossi. Thane si era permesso di osservare come la combinazione potesse risultare ai più, per così dire, pacchiana, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. La macchina le ricordava i colori N7 e tanto le bastava. L’unica persona che si era complimentata con lei era stato James Vega, la restante porzione delle sue conoscenze si era astenuta.

Era ormai quasi ora di pranzo quando Shepard mise in moto e si diresse verso i grandi magazzini Sanassi, nel distretto commerciale Zakera. Nato come piccolo negozio di souvenir, oggi era diventato un punto di riferimento anche per gadget di diverso tipo e antiquariato multispecie. Quel giorno il negozio brulicava di individui di tutte le specie, la stragrande maggioranza indossava abiti più coprenti del solito ed era impacciata fra guanti, cappelli e stivali invernali. I Turian sembravano soffrire particolarmente la presenza della neve, difatti erano quelli più imbottiti, con grossi mantelli pesanti che li avvolgevano da capo a piedi sopra le spesse corazze. Shepard si diresse a passo spedito verso la sezione terrestre dove trovò una dozzina di Umani a curiosare tra gli scaffali ed un paio di Asari, note per avere uno spiccato interesse per tutto ciò che fosse diverso e vintage. I volumi presenti, libri cartacei vecchi oltre un secolo in alcuni casi, erano custoditi all’interno di un campo biotico gestito in maniera totalmente automatizzata da una IA che fluttuava a mò di piccolo drone. Il piccolo robot si piazzò davanti a Shepard, scansionandole brevemente i lineamenti.
“Andromeda Shepard, Umana. Come posso aiutarla?” fece, attirandosì lo sguardo del Comandante.
“Cercavo… umh… c’è qualcosa di filosofia Umana?”
L’IA emise un piccolo bip, poi iniziò a scansionare. “La prego di accettare la comunicazione sul suo factotum. Il codice da digitare è 7865. Riceverà un elenco completo dei volumi a disposizione.”
Shepard fece come richiesto, poi iniziò a sfogliare la lista mentre l’IA continuava il suo giro di ricognizione affiancando nuovi clienti.
Dopo un paio di minuti di attenta lettura, Shepard decise quale sarebbe stato il regalo perfetto per Thane.

“Il volume le verrà recapitato all’uscita, cassa automatizzata numero sette. Si prega di scegliere l’incarto da questa lista” parlò l’IA, mostrando al Comandante una lista illustrata di carte da regalo. Shepard ne scelse una di dubbio gusto che ritraeva in un pattern fitto miniature dei Custodi della Cittadella vestiti come elfi natalizi. “Andromeda Shepard, ha selezionato ‘carta regalo raffigurante custodi della cittadella in uniforme da elfi di natale, festività terrestre, natale di custodi, festa di custodi, custodi’,” recitò. “Conferma la sua scelta?”
Shepard non riuscì a trattenere un sorriso per quella traduzione totalmente sconclusionata. “Confermo.”
“Sono 800 crediti. Può scegliere di pagare adesso o alla cassa automatizzata numero sette. Si prega di pagare con valuta corrente.”
“Pagherò alla cassa, devo fare altri acquisti.”
“Grazie, Andromeda Shepard. Buone feste.”

Ann si diresse quindi verso la zona successiva, quella che trattava pezzi d’antiquariato. Questa era decisamente più affollata, in particolare da Asari, ma anche da Salarian che sembravano volersi portare dietro tutto, specialmente se proveniente da Sur’Kesh. Anzichè fare da sé, cercò anche questa volta di richiamare l’attenzione dell’IA addetta a questo reparto, che prontamente fu subito da lei.
“Sto cercando uno strumento musicale terrestre, un violino” disse. Dopo qualche attimo dovuto alla scansione del database, il piccolo drone iniziò a lampeggiare, indicandole di seguirlo. Arrivarono ad uno scaffale molto grande contenente diversi e maestosi strumenti musicali antichi, bellissimi e costruiti con materiali che ormai era parecchio difficile reperire, specialmente a basso costo. Il violino che l’IA le mostrò non era molto vecchio, in quanto datato appena 2024, però era molto particolare. L’abete massello che ne costituiva il corpo centrale era stato dipinto di viola, un colore che Shepard pensò potesse sposarsi bene con i colori di Oriana. Non aveva idea se la ragazza avrebbe gradito o meno il regalo, però l’aveva sempre vista esercitarsi con degli strumenti di nuovissima fattura, ma poco personali. Sperò che avrebbe potuto farle piacere avere qualcosa di unico e con una storia alle spalle. Stavolta per la carta regalo ne scelse una costellata da piccoli Krogan che giocavano con palline di Natale colorate, poi si incamminò verso la cassa designata per ritirare entrambi i pacchi.

Le neve aveva iniziato a fioccare di nuovo quando Shepard uscì dai magazzini per raggiungere la sua vettura. Rivolse gli occhi verso l’alto, sperando ingenuamente di vedere il cielo e la neve cadere a fiocchi paffuti dalle nuvole, ma in realtà era solo un sistema di diffusione ben progettato e nascosto abilmente fra il paesaggio. Le mancava stare su un vero pianeta; non poteva dire che le mancasse Mindoir perché quela ferita non si era ancora rimarginata e forse non l’avrebbe mai fatto, ma le mancava la Terra. Quella Terra che aveva conosciuto così bene durante i mesi di reclusione forzata nelle campagne inglesi, ma che non aveva potuto vivere ampiamente. Quella Terra che le aveva regalato una delle vacanze più belle della sua vita. Era ancora troppo presto per lasciare la Cittadella, c’era ancora tanto da fare e lei era ancora troppo importante per decidere di ritirarsi, ma prima o poi avrebbe voluto farlo, insieme a Thane.


 

Costumi



Oriana e Kolyat si diressero verso l’appartamento del Drell, accompagnati dal miagolio acuto e insistente del cucciolo di gatto che li osservava spaventato dal sedile posteriore. L’Umana di tanto in tanto allungava una mano affusolata verso di lui, ma il piccolo si ritraeva cercando conforto nell’ombra della cuccia. La ragazza sapeva che questo era solo un rito di passaggio, seppur spiacevole, e presto avrebbe avuto un appartamento enorme a sua disposizione e l’affetto di due padroni, ma non riusciva a fare a meno di provare compassione per quell’esserino ignaro e spaventato.
Quando arrivarono all’appartamento si resero conto di avere giusto il tempo di prepararsi prima di dover raggiungere Shepard e Thane alle Torri Tiberius. Oriana si diresse a passo spedito verso il bagno, mentre Kolyat cercava di fare amicizia col micio, accovacciato per terra in corridoio.
L’Umana aprì la solita borsa eccessivamente grande che si portava sempre dietro ed estrasse un completo dall’aspetto insolito. Si spogliò ed iniziò a vestirsi con i nuovi abiti, infilando prima le parigine a righe bianche e rosse, poi una gonna voluminosa di velluto verde bosco corta poco sopra il ginocchio e infine un top di velluto rosso e bianco. Per completare il look, un cappello dello stesso colore della gonna con del pellicciotto bianco intorno e un pom pom in cima. Guardandosi allo specchio decise di estrarre il suo rossetto rosso preferito e applicarlo sulle labbra, acquistando subito un po' di colorito. Leggermente intimorita dal giudizio di Kolyat, uscì dal bagno dirigendosi verso di lui. Il Drell era ormai completamente steso sul pavimento del corridoio e una piccola palla di pelo nera e bianca gli camminava sull’addome.
Ori sorrise di gusto a quella vista e il compagno le rivolse uno sguardo dapprima neutro, poi sempre più indecifrabile.
“Allora? Che ne pensi?” domandò l’Umana, facendo una piroetta.
“Sto cercando le parole” mugugnò il Drell, spostando poi lo sguardo sul micio. Lo afferrò delicatamente con entrambe le mani e lo ripose di nuovo nella sua cuccia, tornando poi a spostare lo sguardo su Oriana.
Dopo qualche istante di silenzio si alzò con uno slancio e le andrò incontro, squadrandola ulteriormente dalla testa ai piedi.
“Sembro ridicola?”
“Vorrei poterti dire di sì.”
“E allora?”
“Sto cercando di capire come farò ad affrontare la cena con te accanto a me, vestita in questo modo.”
Oriana stavolta sorrise, poggiando le mani sul suo petto, accorciando così le distanze.
“Abbiamo ancora dieci minuti.”
“E dieci minuti siano.”


 

Cenone



I dieci minuti diventarono venticinque, a dire il vero, perché Oriana era sempre stata una persona dalle idee molto chiare e Kolyat di solito era quello che ne faceva le spese. Quando uscirono di casa, sotto ai pesanti giubbotti invernali, anche Kolyat adesso sfoggiava un completo inusuale, rosso e bianco come prevedevano i costumi umani per questa festività – almeno questo era ciò che gli aveva speigato Oriana. Alla domanda sul perché avrebbe dovuto indossare anche una finta barba bianca, invece, Oriana rispose che sarebbe stato irrispettoso nei confronti della tradizione non portarne una, in quanto simbolo di rispetto e saggezza. Kolyat era scettico, non era la prima volta che Oriana lo prendeva in giro pur di farsi assecondare, ma una cosa doveva ammetterla: sapeva sempre come conquistarlo o come farsi perdonare, e tanto gli bastava.

Shepard si precipitò alla porta d’ingresso non appena sentì il campanello suonare. Il servizio di catering era in ritardo di una quindicina di minuti, ma vista la giornata particolare c’era da aspettarselo. Quando aprì si ritrovò davanti tre ragazzotti Krogan, le creste frontali ancora acerbe e lo sguardo spaesato da cuccioli di foca. Tutti e tre indossavano la divisa del servizio di delivery dal quale Shepard aveva ordinato la cena e sfoggiavano un grembiule rosso di almeno sei taglie più piccolo che riportava un grosso “Urz Eat” ricamato sul davanti. Il più intraprendente dei tre si fece avanti ed estrasse un minuscolo taccuino dalla tasca del suddetto grembiule, cercando su di esso il nome della cliente.
“Shepurd?” domandò, gli occhi fissi sullo scarabocchio.
“Sono io” lo intercettò lei con un sorriso, rendendosi disponibile a ricevere le numerose buste di cibo che gli altri due Krogan tenevano in mano. Pochi istanti dopo fu raggiunta alle spalle da Thane, il quale la aiutò a portare il cibo all’interno, salutando con un cordiale “buonasera”. I tre Krogan sembravano a dir poco intimiditi, nonostante vantassero una stazza notevolmente superiore, e non attesero neppure che Shepard desse loro la mancia tramite factotum prima di precipitarsi in fondo all’atrio, verso l’ascensore.
Shepard e Thane si scambiarono uno sguardo perplesso, poi fecero spallucce e procedettero a tirare fuori le confezioni di cibo dai sacchetti, una volta poggiati sull’isola della cucina. Un aroma caldo e familiare si diffuse nell’ambiente, mescolandosi con quello natalizio, a base di cannella e zenzero, delle candele che Shepard aveva comprato per l’occasione e piazzato in alcuni punti strategici dell’appartamento.
Shepard diede un veloce sguardo all’orologio, constatando che i ragazzi fossero leggermente in ritardo.
“Notizie di Kolyat?” domandò, nell’atto di versare il purè dal contenitore monouso ad una ciotola di ceramica bianca.
Thane osservò il suo factotum, scuotendo il capo. “No, nessuna.” Poi aprì una bottiglia di vino rosso che qualche settimana prima aveva fatto recapitare loro Miranda e andò a recuperare due calici dal pensile della cucina. “Avranno trovato traffico,” aggiunse poi, versando il vino nei due bicchieri. Ne porse uno a Shepard, che nel frattempo aveva scartato la confezione delle patate al forno e ne stava masticando tre pezzi contemporaneamente. Portò una mano alla bocca, trattenendosi dal ridere perché sapeva di assomigliare ad un Vorcha affamato e questo si leggeva palesemente nello sguardo divertito del compagno. Poi deglutì il boccone e fece scontrare il suo bicchiere con quello di Thane.
“A questo Natale” sorrise, dando un sorso. Thane le fece eco e bevve a sua volta.
Ebbero giusto il tempo di sistemare tutte le pietanze su piatti e stoviglie che non fossero di carta o alluminio quando il suono del campanello richiamò la loro attenzione.
“Vado io” fece il Drell, abbandonando il bicchiere ormai quasi vuoto sul bancone della cucina.
Shepard iniziò a portare a tavola gli antipasti con un sorriso che non voleva proprio abbandonare le sue labbra.

La prima a parlare fu Oriana, gesticolando nervosamente con le mani in quello che doveva essere un saluto entusiasta. “Ciaaao!” esclamò, avendo abbandonato i convenevoli già da tempo. Battè gli stivali un paio di volte sul tappeto di ingresso che ogni volta le strappava una risata, perché riportava a lettere cubitali la scritta “my idea of help from above is a sniper on the roof”, poi si fece strada all’interno mentre Thane si offriva di aiutare Kolyat liberandolo da un grosso contenitore ricoperto da un ampio lembo di stoffa rosso.
Suo figlio si scansò, accennando un sorriso accompagnato da un “tranquillo padre, faccio io”, poi andò ad appoggiare l’oggetto misterioso in un angolo della stanza. Thane non volle fare domande per non sembrare eccessivamente impiccione. Gli andò incontro ed aprì le braccia per offrirgli un abbraccio. Il Drell più giovane accettò per quel poco che bastava per poterlo definire un saluto, poi si allontanò.
Shepard li raggiunse e diede un abbraccio poco invadente a Kolyat e uno più umano ad Oriana, poi li accompagnò a togliersi i soprabiti. La faccia che fece non appena vide i loro vestiti – e soprattuto Kolyat che estraeva una barba finta dalla giacca per indossarla – fu impagabile. “Ma siete stupendi” commentò, ridendosela a crepapelle. “Thane vieni qui” chiamò divertita. Oriana indirizzò uno sguardo carico di orgoglio verso Kolyat, ancora incredula che avesse accolto così di buon grado la sua strana richiesta. Lui, imbarazzatissimo e con le guance di almeno due sfumature più scure, sembrava avere fretta di scolarsi quella bottiglia di Prosecco che aveva adocchiato già poco prima. Shepard non gli diede neanche il tempo di fare un passo in direzione della cucina che attivò il factotum e gli disse di mettersi in posa perché voleva assolutamente immortalare il momento. Thane arrivò poco dopo, sorridendo bonariamente, leggermente confuso su quello che stava vedendo.
“E’ un’altra usanza terrestre per il Natale?” domandò.
“Diciamo di sì” si affrettò a rispondere Oriana.
“In che senso ‘diciamo di sì?’” incalzò Kolyat, guardandola con sospetto.
“Andiamo amore, o si fredda la cena!” fece lei per tutta risposta, prendendolo per mano e conducendolo al tavolo.

Kolyat, che per i successivi venti minuti non fece altro che ripensare alla parola che gli era appena stata affibbiata, non riusciva a staccarsi dal proprio calice per più di trenta secondi di seguito; col risultato che ad antipasto terminato si era già scolato due bicchieri di Prosecco.
Stavano discutendo dell’argomento più attuale del giorno, ovvero la neve artificiale, quando Thane adagiò sul tavolo il tovagliolo di stoffa che aveva precedentemente appoggiato sulle gambe e si alzò, guardandosi intorno e attirandosi lo sguardo inquisitorio della sua compagna.
“Che succede?”
“Ho sentito uno strano rumore.”
Shepard, dal canto suo, aveva appena iniziato a mangiare una squisita porzione di cannelloni e riusciva a sentire unicamente la melodia natalizia selezionata ad hoc che si diffondeva dagli altoparlanti e la sinfonia del ragù e della besciamella che si mescolavano amabilmente sul suo palato.
“Che rumore?” domandò praticamente con la bocca piena.
“Sì, tipo un pyjack.”
“Forse fa parte della canzone,” provò a dire Oriana. Kolyat si sporse verso di lei, sussurrandole in un orecchio che i Drell ci sentono due volte più degli umani.
Thane prese nuovamente posto, domandandosi se non stesse diventando vecchio, dopotutto.
“Un momento…” interruppe Shepard, “l’ho sentito anche io!” Stavolta fu lei ad alzarsi, iniziando a passare in rassegna la stanza con lo sguardo. “Cos’è quello?” chiese, indicando un oggetto non bene identificato all’angolo del salone.
Non diede loro neanche il tempo di rispondere che stava già camminando verso di esso, convinta che effettivamente il suono provenisse da lì. Kolyat e Oriana non riuscirono a fermarla in tempo, anche perché non avrebbero saputo che scusa accampare. Quando Shepard sollevò il lembo della stoffa si inginocchiò immediatamente di fronte al trasportino, sbirciando all’interno. Thane le fu subito a fianco, concedendosi solo un istante per lanciare uno sguardo perplesso al figlio.
“Per tutti gli astri,” esalò Ann, “ma cos’è questa meraviglia?”
Si voltò immediatamente verso i due ragazzi, chiedendo conferma con lo sguardo.
“Doveva essere una sorpresa, volevamo darvelo all’apertura dei regali” sorrise Oriana, lievemente delusa.
“Emh… Sorpresa!” esclamò teatralmente Kolyat, già palesemente brillo.
Shepard rise con trasporto, invitando Thane a raggiungerla sul pavimento mentre iniziava a fare amicizia col cucciolo, avvicinando una mano per farsi annusare.
“Non so che dire” commentò, cercando Oriana con lo sguardo. “E’ stupendo!”
“Abbiamo pensato potesse farvi piacere avere un gatto in giro per casa, ormai noi non riusciamo ad immaginare la nostra vita senza Giza e Queequeg.”
“E’ un regalo molto gradito” disse Thane placidamente, cercando a sua volta il contatto col micio.
“C’è solo un problema” interruppe Shepard. “Non penso che riuscirò più a staccarmi da lui.”

Cinque minuti dopo, lo spazio intorno a loro si era riempito di piatti, bicchieri e bottiglie varie, avendo traslato effettivamente il banchetto sul pavimento. Il piccolo esserino sembrava essersi preso di coraggio perché aveva iniziato ad esplorare i quattro individui seduti in cerchio fuori dal suo trasportino. Timidamente si avvicinava anche ai piatti, annusando qua e là per stabilire se ci fosse qualcosa di suo gradimento. La codina ritta per aria e le orecchie atte a captare ogni minimo rumore insolito, il piccolo micio sembrava sentirsi già a casa.
“Allora, avete già in mente un nome?” azzardò Oriana.
“E’ maschio o femmina?” chiese Thane di rimando.
“Ah, già… E’ un maschietto.”
Shepard aveva lo sguardo fisso sul nuovo animale domestico che era intento ad annusare la sua fetta di pandoro.
“Pandoro!” esclamò, sorridendo.
“Pan-doro?”
“Questa è una fetta di pandoro,” spiegò a Kolyat, che le aveva posto la domanda. “Assaggia pure.”
Il Drell non se lo fece ripetere due volte e con un pollice in su fece capire che ne approvava il gusto.
“Oltretutto assomiglia anche ad un panda, vedi?” incalzò Shepard, indicandolo a Thane.
“Mi hai perso, Siha.”
“Un panda. Ricordi, il documentario dell’altra sera?”
“Non mi sembra gli assomigli, quella specie non vive nell’oceano?”
“Non una manta, un panda!” Shepard gli avvicinò il factotum, digitando velocemente “panda” sulla barra di ricerca.
“Ah, un panda.” Thane si accarezzò il mento, pensieroso. “Quindi… Panda?”
“No, Pandoro.”
“E cosa c’entra il panda?”
Shepard si arrese, cercando lo sguardo altrettanto attonito di Oriana. “Cosa c’era in quel Prosecco?” le domandò, suscitando l’ilarità della ragazza.


 

Amore



Shepard non si era fatta particolari aspettative per il cenone di Natale, certo, ma non avrebbe mai immaginato sarebbero finiti a mangiare sul pavimento in compagnia di un cucciolo di gatto. E non poteva credere di essere padrona di un animale domestico, perché in fondo tutto ciò che era casa e routine non aveva mai fatto parte della sua vita e per lei aveva sempre rappresentato una sorta di Sacro Graal.
Mentre giocava col cucciolo, facendogli rincorrere un lembo di tovagliolo che strusciava a zig zag per terra, sentì gli occhi riempirsi di lacrime. La serata non era ancora finita, ma era già così perfetta. Kolyat e Oriana vestiti da Babbo Natale e la sua aiutante, Thane rapito quanto lei dalla creaturina, Pandoro giocoso e pieno di energie che aveva già abbassato le difese. Non avrebbe potuto chiedere di più neanche se ci avesse provato. Eppure quel di più arrivò lo stesso.

Una volta terminata quella cena inusuale Thane propose di procedere con l’apertura dei regali. Aveva iniziato a vedere i primi sbadigli sul viso dei suoi ospiti e immaginato che avessero avuto una lunga giornata. Si spostarono tutti accanto all’albero di Natale, prendendo posto ai suoi piedi. Pandoro iniziò immediatamente l’esplorazione, tanto che qualche istante dopo era già appeso ad un Volus mentre cercava di raggiungere la Normandy, tra le risate generali.
“Chi vuole iniziare per primo?” domandò Shepard, battendo le mani con anticipazione. Dato che nessuno si affrettò a rispondere, ne approfittò prelevando una busta da sotto l’albero e consegnando due pacchi di dimensioni considerevoli rispettivamente ad Oriana e Kolyat. Ann non aveva avuto chissà quante occasioni per fare regali durante la sua vita, non avendo quasi mai l’opportunità di festeggiare delle ricorrenze, ma stavolta era stata una delle attività che le era piaciuto maggiormente organizzare. Vedere i due ragazzi scartare i due pacchi le diede una grande gioia colma di anticipazione. Per Kolyat aveva acquistato giorni addietro un cavalletto e dei colori ad olio tradizionali di una marca terrestre molto pregiata, Oriana sembrava estasiata alla vista del suo violino antico. “Non so cosa dire… Ti sarà costato una fortuna! E’ stupendo” esclamò impugnandolo e tracciandone i contorni con le dita.
“Grazie” accennò Kolyat col capo, imbarazzato ma palesemente contento perché non riusciva a ricacciare indietro il sorriso. Si appuntò mentalmente che se fosse riuscito a completare il dipinto che aveva in cantiere già da un po' – posto che non gli avesse fatto troppo schifo - lo avrebbe regalato a loro con piacere.
Poi fu il turno di Shepard di ricevere il regalo di Thane, confezionato con cura in un contenitore che sembrava pesare quintali.
Impaziente di scoprire cosa fosse, procedette con la rimozione della carta da regalo color panna. Al di sotto, una scatola in ebano lucido che conteneva, oltre ad una stupenda rosa rossa, qualcosa che la lasciò completamente a bocca aperta. Una bellissima N7 Eagle personalizzata, dal corpo totalmente nero come la scatola e il simbolo N7 in metallo opaco inciso su un lato. Proprio lì, accanto, un’iscrizione argentea delicata in un’alfabeto che non aveva ancora imparato a decifrare.
Thane precedette la sua domanda, spiegandole il significato. “Nella vostra lingua si traduce più o meno così: dove è la tua anima, io sarò.”
Ann ripose con cura l’arma nella sua custodia, dopo averla soppesata e ammirata per diversi secondi, e poi gli gettò le braccia al collo, stampandogli un bacio sulle labbra. “E’ perfetta, grazie!” Si asciugò una lacrima furtiva con la manica della maglietta e fece per prendere il regalo per lui. “Non è la stessa cosa, ma…”
“E’ il pensiero quello che conta, no? L’ho letto su Extranet.”
“Precisamente” rise lei.
Thane scartò il suo regalo, scoprendo un bellissimo volume cartaceo di un filosofo terrestre che conosceva già, Nietzsche. L’opera era intitolata “Umano, troppo umano” e ciò gli suscitò un sorriso spontaneo.
“E’ un’edizione del 1979” spiegò lei, “ah… non esistono più i filosofi di una volta” scherzò.
“Grazie Siha, sono davvero impaziente di leggerlo.”
“Aprilo.”
Thane sollevò un arco sopraccigliare, poi fece come le aveva ordinato. In mezzo alle pagine trovò un involucro di carta e lo sfilò. Aprì la busta e all’interno trovò due codici da scansionare col factotum; cosa che fece immediatamente dopo. La schermata che apparve sullo schermo era degna dell’espressione estasiata che gli provocò. Shepard gli aveva regalato niente meno che una vacanza per due nel resort dove avrebbero dovuto incontrarsi appena dopo il ritorno dal portale di Omega 4, il Desert Rose su Bekenstein. Accanto ai codici, una nota dalla pessima grafia: “stavolta promettimi che ci sarai”.
Lui la ringraziò con un bacio posato sulla fronte e uno sguardo carico di promesse.

“Adesso tocca a me!” esclamò Oriana, porgendo a Kolyat il suo pacchetto. Kolyat ne estrasse dapprima un pacco di caramelle gusto fragola e panna a forma di Hanar, poi un secondo pacco di caramelle ai gusti misti che raffiguravano alcuni tra i più famosi animali terrestri. In seguito, anche lui trovò una busta anonima contenente una lettera. Decise di non leggerla ad alta voce perché, anche se non lo dava a vedere, era una persona molto emotiva, ma registrò tutto quello che lesse come un marchio a fuoco nella sua memoria.

Amore,

Posso chiamarti amore, Kol?
Perchè è questo quello che provo quando ti guardo, imbronciato, mentre fissi un punto lontano dell’orizzonte, perso a scandagliare i tuoi ricordi. Il fatto che anche io ora faccia parte di essi mi riempie di orgoglio. Sarò sempre con te, anche se un giorno deciderai di non volermi più. Ad essere sincera spero che quel giorno non arriverà mai.
Sei l’unica persona che mi spinge costantemente a migliorarmi e ad affrontare i miei problemi a testa alta, senza permettermi di nascondermi dietro a un muro fatto di scuse e auto commiserazione. Apprezzo la tua cruda onestà e la tua sincerità, mi offri una prospettiva unica della quale posso sempre fidarmi.
Tutto questo per dirti che ti amo. Ti amo e mi dispiace che tu debba sgomitare più degli altri per trovare il tuo posto nel mondo. Non dovresti essere tu a farti più stretto, dovrebbe essere il mondo a farti spazio. Perchè ti meriti questo ed altro. Quello che voglio regalarti è un pezzo di casa, dove spero tu possa sentirti a tuo agio e se vorrai, condividere questa esperienza con me.

Buon Natale, amore.

Ori


Kolyat riuscì a tenere a bada le lacrime solo perché il Prosecco l’aveva aiutato notevolmente a smussare gli angoli, sia nel bene che nel male. Allegato alla lettera c’era il depliant, scritto unicamente nella sua lingua natale, di un resort che mostrava le diverse tipologie di camera disponibili (camere con bagni di sabbia e letti sospesi!), le diverse attività da svolgere, tutte prettamente rivolte ad un pubblico Drell, i vari ristoranti e le cucine presenti, rigorosamente tradizionali. “Non riesco a crederci…” commentò estasiato. “Non pensavo esistessero posti del genere.”
“Partiamo fra una settimana, sei contento?”
“Per Arashu… Sì che sono contento!” rispose lui, traendola fra le sue braccia in un abbracciò che sembrò durare in eterno. “Prima però, anche io avrei qualcosa per te.”
Oriana era sorpresa. Non si aspettava di ricevere qualcosa, anche perché Kolyat era sempre stato una frana con questo genere di esternazioni e qualunque cosa lo mettesse sotto ai riflettori, anche solo per dieci secondi, gli dava profondamente fastidio. Per lei era già tanto che avesse acconsentito ad accompagnarla e si fosse vestito da Babbo Natale. Quando le porse una piccola scatola azzurra, esitò per un momento ad aprirla. Si sentiva già al settimo cielo solo così, nell’attesa. Quando finalmente sollevò il coperchio, restò a bocca aperta. All’interno c’era un bellissimo bracciale dorato finemente intarsiato e insieme al bracciale, sul cuscinetto di raso bianco, giaceva una chiave attaccata ad un portachiavi raffigurante Giza e Queequeg.
“Per noi Drell regalare un bracciale è simbolo di un legame che non si spezza. Questo bracciale può essere indossato, ma non si può togliere senza spezzarlo. Lo accetti come simbolo della mia devozione per te?”
Kolyat pronunciò quelle parole ad occhi bassi, ma con determinazione, convinto a portare il discorso fino in fondo anche se gli pesava tonnellate condividere quel momento con altre due persone estranee alla loro relazione.
“Certo!” esclamò Oriana, prendendogli il viso tra le mani per stampargli un bacio sulle labbra con trasporto. “E’ bellissimo, lo adoro Kol!”
Kolyat prese il bracciale e glielo mise intorno al polso, armeggiando sui meccanismi di chiusura.
“E la chiave?” domandò Oriana.
“Quella è la chiave del mio appartamento. Voglio condividerlo con te, se vorrai.”
La risposta di Oriana fu un abbraccio colmo di affetto e una risata cristallina che Kolyat avrebbe ricordato per sempre.


 

Pandoro



“Pandoro ti assomiglia.”
“Mh?”
“Ti assomiglia, dico. Quando arriva furtivo alle spalle e fa uno dei suoi agguati? Tutto suo padre.”
Thane rise, posando un bacio sulla tempia di Andromeda.
Entrambi erano accoccolati sull’enorme divano del salotto, coperti da un plaid che a malapena arrivava loro alle caviglie. Il camino davanti a loro scoppiettava con un fuoco artificiale che emanava lo stesso calore di uno vero.
“Pandino!” Thane chiamò il micio, che si limitò ad osservarlo da lontano e poi scappare su per le scale. “Dimmi se quello non è un atteggiamento da te, invece.”
Ann sorrise, stringendosi maggiormente al suo compagno per assorbirne il tepore.
“Sai, di solito quando passo troppo tempo a idealizzare qualcosa finisco sempre per restare delusa.”
Thane le accarezzò i capelli dolcemente, appoggiando il mento sul suo capo mentre la ascoltava. “A cosa ti riferisci?”
“Mi ero creata tante aspettative per questa serata. Volevo fosse tutto perfetto. Quando ho visto la neve stamattina non riuscivo a crederci.” Cercò la sua mano da sotto le coperte, per percorrerne i contorni con le sue dita e poi stringerla a sé. “Poi ho iniziato a temere il peggio quando ti ho visto stare così male e lì mi sono detta che le cose non sarebbero andate come avevo pensato. Che forse avremmo finito per non festeggiare affatto.”
Thane percepì una singola lacrima bagnare il dorso della sua mano, e con l’altra le accarezzò teneramente una guancia.
“Non sono abituata alle situazioni che eccedono le mie aspettative.” Andromeda tirò su col naso. “Sono sempre pronta al peggio, pronta a dire ‘lo sapevo’ quando le cose non vanno come penso.”
“Mi sento spiazzata” continuò. “Sono così felice che ho bisogno di un pizzicotto per sapere che non sto sognando.”
Thane le diede effettivamente un pizzicotto sul braccio, provocandole una risata. “Non stai sognando. Deve essere la magia del Natale, come dite voi umani.”
“L’hai fatta davvero la ricerca, mi sembra di capire.”
“Certo che l’ho fatta.”
Shepard si sollevò, girandosi per fronteggiarlo, poi gli posò un bacio sulle labbra. “Ci sarebbe un ultimo regalo da scartare, se ne hai voglia.”
Thane le rivolse uno sguardo malizioso. “E’ quello che penso?”
“E’ quello che pensi.”


Quella sera, come volevasi dimostrare, lei finì per vedere Volus in adorabili salopette rosse rincorrersi in giro per la stanza mentre Pandoro faceva già le fusa accoccolato ai piedi del letto.














 



Tra headcanon completamente campati in aria e inaccuratezze varie spero di non sconvolgere troppo chi si è trovato ad aprire questa storia e leggere la parola Natale mentre siamo quasi ad Agosto. 
Sono una persona che lascia spesso le cose a metà e mi sono detta che devo provare ad invertire questa tendenza. Ho una cartella piena di bozze mai completate e questa era una di quelle. 
Non me ne voglia Altariah se ho preso in prestito il nome dei gatti di Ori e Kolyat dalla sua bellissima Folie a Deux - che per me è tipo un punto di riferimento per questa ship e potrei pagare per vederla completata ;_; 
E come sempre un enorme ringraziamento a Johnee che è la personificazione dello sblocco creativo e ha sempre idee geniali e una parola d'incoraggiamento. 
*distribuisce gelati al gusto pandoro e prosecco a tutti*

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