Friendzone?

di MarySmolder_1308
(/viewuser.php?uid=518729)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ~ I can't handle this anymore. ***
Capitolo 2: *** Pilot part one ~ At the beginning. ***
Capitolo 3: *** Pilot part two ~ Thank you. ***
Capitolo 4: *** Buddies. ***
Capitolo 5: *** My funny Valentine. ***
Capitolo 6: *** Happy birthday, Doc! ***
Capitolo 7: *** No reason. ***
Capitolo 8: *** The holiday. ***
Capitolo 9: *** I made your wish come true. ***
Capitolo 10: *** That's what friends are for. ***
Capitolo 11: *** Stay. ***
Capitolo 12: *** Red. ***
Capitolo 13: *** Time bomb. ***
Capitolo 14: *** It's not easy being green. ***
Capitolo 15: *** Only you're the one. ***
Capitolo 16: *** Secrecy. ***
Capitolo 17: *** Sis and bros stickin' their nose(s). ***
Capitolo 18: *** The more I get to know you, the better. ***
Capitolo 19: *** I volunteer! ***
Capitolo 20: *** Bring the pain. ***
Capitolo 21: *** Got ya! ***
Capitolo 22: *** The sleeping monster is awake. ***
Capitolo 23: *** Not good at saying sorry. ***
Capitolo 24: *** Into us like a train. ***



Capitolo 1
*** Prologue ~ I can't handle this anymore. ***


Trovarmi di fronte a quella casa era una sensazione che non provavo da fin troppo tempo. Presi coraggio e scesi dall'auto poi, non facendo caso alla pioggia, mi avvicinai lentamente al portone. Ancora esitante suonai. Dopo un po’ mi aprì e vederlo mi tolse il fiato.
"Posso entrare?" chiesi sussurrando.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Pilot part one ~ At the beginning. ***


POV Mary
Andai nello spogliatoio per cambiarmi. Rose entrò in stanza.
"Mary, oggi sei stata grandiosa!" disse contenta, poi mi diede il cinque.
"Grazie – dissi lusingata, poi l'abbracciai – Ci vediamo domani" sorrisi.
"Non raggiungi me e Steve al bar?".
Scossi la testa.
"No, mi dispiace. Domani mattina inizio il turno alle sette e ho davvero bisogno di una bella dormita".
Annuì comprensiva, poi tornò a cambiarsi. Uscii dallo spogliatoio e mi diressi verso l'uscita, ma fui fermata dal dottor Richardson.
"Oh, buonasera Capo" dissi un po’ impacciata.
"Dottoressa Floridia, sta tornando a casa?".
Annuii e lui continuò: "Volevo semplicemente congratularmi con lei, oggi ha fatto un lavoro straordinario in sala operatoria. Ho fatto davvero bene a sceglierla tra i laureandi dell'università di Firenze, tre anni fa. Mi sorprende ogni giorno di più. L'Italia ha proprio perso una validissima persona" sorrise gentilmente.
Lo ringraziai molto imbarazzata, poi ci congedammo e mi diressi verso l'auto.
Partii in direzione di casa. Squillò il telefono.
"Che ci fai sveglio a quest’ora?" chiesi in italiano.
"Mi sono alzato prima per correggere alcuni compiti e ho pensato di risollevarmi il morale chiamando la mia sorellina che sicuramente è ancora sveglia perché ha un altro fuso orario" mi rispose Giorgio, quasi tutto d’un fiato.
"Ah, che pensiero carino! – sorrisi – E come procede?"
“Un disastro. Vero e proprio”.
Lo immaginai, mentre si sbatteva la testa al muro per la disperazione.
“Oh, povero fratellone” risi.
"Non ridere, non sai cosa sto leggendo al momento. Ah, li giustifico solo perché non sono italiani. Ma comunque… appena uscita da lavoro?"
"Sì, oggi è stato bellissimo, ho aiutato lo strutturato con un’operazione difficile! E poi c’era il sole, cosa non molto frequente qui a Gennaio"
"Non lamentarti del tempo ad Atlanta che qui a Londra è peggio e lo sai!" disse serio.
"Ok ok" dissi trattenendo una risata.
Stavo percorrendo il rettilineo prima della periferia, quando vidi un uomo barcollante sdraiarsi sull'asfalto. Frenai di botto.
"Oddio" dissi spaventata.
"Ehi, che frenata! Tutto ok?"
"Giorgio, ti richiamo, ciao" chiusi la chiamata e scesi dall'auto.
"Signore, è ferito?" chiesi timorosa mentre mi avvicinavo.
"No, mi sono solo perso" rispose secco.
"E si sdraia in mezzo alla strada?" chiesi confusa.
"Non perso in quel senso. Metaforicamente"
"Mi ricorda molto la scena di un telefilm" sussurrai, poi mi avvicinai abbastanza da riuscire a vederlo in faccia.
Quando lo riconobbi, la voglia di morirgli davanti era tanta. Spalancai la bocca, incapace di formulare una frase.
"Se te lo stai chiedendo, sì, sono io" disse.
"C-come h-hai f-fatto a c-capire c-che" balbettai ancora sorpresa.
"Fanno tutte quella faccia quando capiscono chi sono".
Mi chinai per dargli una mano e il faro della mia auto fece risplendere quei meravigliosi occhi azzurri. Portai il suo braccio attorno al mio collo e cercai di tirarlo su.
"Coraggio, signor Somerhalder, si tiri su, non siamo sul set di 'The Vampire Diaries', poteva investirla qualcuno" dissi.
Si alzò con il mio aiuto, poi lo feci salire in auto e andai in direzione dell'ospedale. 
"Dove stiamo andando?" disse toccandosi la testa.
"Signor Somerhalder, la sto portando in ospedale"
Mi toccò una spalla e mi fece sussultare.
"No, la prego! – mi supplicò – Mi porti a casa".
Lo guardai dallo specchietto retrovisore. Ma come si faceva a dirgli di no? Sorrisi e annuii. Dopo qualche indicazione giungemmo a casa sua. Trascinai il signor Somerhalder a letto, poi mi presi cura di lui per il resto della notte. La mattina, prima di tornare a lavoro, cercai il suo sportello dei medicinali e presi l'aspirina. Lasciai il medicinale in cucina insieme a un bicchiere e a un po’ d'acqua, poi gli scrissi una nota dietro il biglietto da visita dell'ospedale: << La prenda, gli farà bene>>.
Fatto questo, uscii da quella casa e tornai a lavoro.
"Buongiorno, scusate il ritardo" dissi in fretta e cominciai a cambiarmi.
Rose mi si avvicinò.
"Ma che hai fatto?! – disse curiosa guardandomi negli occhi – Hai un aspetto orribile, alla faccia della bella dormita!"
"Grazie eh – risposi ironica, poi continuai più seria – Mi sono dovuta occupare di un ubriaco stanotte, perciò non ho dormito. E, se ti dicessi chi è, non ci crederesti mai!".
I suoi occhi si illuminarono e si avvicinò di più.
"Chi era l'ubriaco?" disse con tono ammiccante.
Mi avvicinai e sussurrai:"Ian Somerhalder era ubriaco, sdraiato in mezzo alla strada.. e l'ho aiutato".
Rose scoppiò a ridere.
"Mary, Mary, sicura che tu non abbia bevuto un bicchierino di troppo ieri?"
"Non ho bevuto ieri! Era lui, credimi!" la guardai sincera.
Lei, per tutta risposta, mi diede una pacca sulla spalla e mi esortò a cominciare il giro visite.
Dopo una mattinata di lavoro, immersa in ambulatorio tra distorsioni, mal di pancia ed emicranie, arrivò l'ora di pranzo. Con lo stomaco brontolante, corsi alla mensa e mi misi in fila. Stava per arrivare il mio turno, quando mi si avvicinò Katherine, una mia matricola.
"Dottoressa Floridia, c'è una persona che la richiede all'ingresso"
"Non può passare più tardi? Tocca a me prendere il pranzo" sbottai infastidita.
Katherine scosse la testa.
Lasciai la fila e corsi all'ingresso per scoprire chi diavolo mi aveva impedito di pranzare. Quando lo vidi davanti ai miei occhi, riposato e sorridente, per poco non mi venne un infarto. Ma come faceva un uomo a essere così bello e perfetto?
Mi avvicinai lentamente e dissi sorpresa: "Signor Somerhalder, come ha fatto a trovarmi?".
Mi mostrò il biglietto da visita che gli avevo lasciato e rispose: "Immaginavo lavorasse qui e poi... L'ho descritta a un'infermiera.. sommariamente" fece una piccola smorfia e sorrise. Lo guardai rapita dal suo sguardo, poi balbettai goffamente: "Capisco".
Inaspettatamente mi prese una mano e mi disse: "Ah, chiunque mi ha visto ubriaco può chiamarmi Ian"
"Ok, Ian" dissi imbarazzata.
Sorrise e mi strinse la mano.
"Credo che a questo punto sia carino presentarci ufficialmente. Piacere, Ian Joseph Somerhalder"
"M-maria Chiara Floridia" balbettai.
"Allora, dato che stanotte mi hai aiutato, posso offrirti un caffè?".
Annuii e andammo in mensa. Prendemmo due caffè e ci accomodammo.
"Ci tenevo a precisare che non sono una di quelle celebrità che sperperano soldi ubriacandosi e facendo... ehm... altre attività. La scorsa notte mi sono ubriacato per una ragione"
"Il litigio con Nina" dissi come se fosse una cosa ovvia.
Mi guardò confuso, poi annuì.
"Come facevi a saperlo?"
"Hai farfugliato tutta la notte il suo nome.. tra un malore e l'altro"
Fece una piccola smorfia e mi disse: "Spero di non essere stato intrattabile stanotte"
"No, tranquillo – sorrisi cercando di rassicurarlo, poi mi feci più seria – So che non sono affari miei, ma perché avete litigato?"
"Sono solo... piccole incomprensioni, anche se purtroppo capitano spesso in questo periodo" disse pensieroso e abbassò lo sguardo.
"Qualunque sia la ragione, secondo il mio umile parere, dovresti andare da lei e farle una sorpresa. E non sto parlando di una sorpresa qualunque, come rose e cioccolatini, perché questo significherebbe 'Fingo di darti ragione, ma in realtà ho ragione io'. Dovresti farle una sorpresa semplice e che dica 'Mi dispiace per il litigio, facciamo pace, da Ian', non da 'Google' o qualsiasi altro motore di ricerca".
Solo quando finii di parlare, capii di aver detto fin troppo e scossi la testa in disappunto con me stessa. Perché la mia bocca non poteva mai restare chiusa?
Ian fece una risatina, poi mi toccò una mano serio.
"Grazie! Avevo proprio bisogno del parere di un'altra persona" disse riconoscente.
Gli sorrisi, poi ci congedammo e lui andò via. Vidi Rose avvicinarsi come un razzo.
"Era... quello era... oh mio Dio, allora non stavi mentendo!" disse incredula e mi abbracciò.
Tornammo a lavoro e non smisi di pensare a quell'incontro.






------
Note dell'autrice:
Il primo incontro tra Ian e Mary è ispirato all'incontro tra Damon e Jessica nel dodicesimo episodio della seconda stagione di The Vampire Diaries.
Il capitolo in sé non è molto lungo, ma all'inizio, dovendo prenderci la mano, sarà così. 
Al prossimo capitolo! 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Pilot part two ~ Thank you. ***


POV Mary
Erano passati due giorni e la mia mente si era finalmente abituata all'incontro con Ian Somerhalder. Finii il mio turno pomeridiano e tornai a casa in fretta. C'era The Vampire Diaries alle otto e non potevo perderlo. Nella puntata precedente c'era stato finalmente un bacio Delena e non vedevo l'ora di vedere cosa sarebbe successo alla coppia. Accesi la televisione, giusto in tempo per sentire ‘Previously on The Vampire Diaries’, misi un pasto pronto nel microonde e cominciai a guardare e commentare il telefilm. Durante una delle tante pause pubblicitarie suonarono alla porta. Quando aprii rimasi imbambolata.
"Ian mi ha detto che devo ringraziare te per la sorpresa e... per aver evitato che qualcuno lo investisse – Nina sorrise e strinse la mano di Ian – Perciò, grazie".
Goffamente li invitai a entrare. Quando ci accomodammo in soggiorno, dalla cucina si sentirono le loro voci. La pausa pubblicitaria era finita. Corsi imbarazzata a spegnere la televisione, poi dissi mortificata: "Scusate, la televisione".
Non ebbi il tempo di finire la frase, che Nina disse: "Ti abbiamo disturbata, scusaci"
"No, no, tranquilli, e poi posso guardare la replica, nessun problema" sorrisi e mi accomodai sul divano di fronte a loro.
Dopo qualche esitazione chiesi: "Piuttosto, come avete fatto a sapere che vivo qui?"
Entrambi fecero una risatina e risposero: "Abbiamo le nostre conoscenze".
Annuii, poi offrii loro un po’ di torta all'arancia, preparata il giorno prima, e il limoncello, datomi da mia nonna prima che tornassi in America dopo le vacanze natalizie.
A entrambi si illuminarono gli occhi e dissero entusiasti: "Ma è squisito!".
Continuammo la serata parlando del più e del meno, fin quando a mezzanotte Ian non si alzò dal divano e disse: "Si è fatto tardi, però è stato davvero piacevole stare in tua compagnia".
Scambiò degli sguardi complici con Nina, poi quest’ultima disse: "Ci farebbe davvero piacere se accettassi il nostro invito a uscire domani sera".
Li guardai pietrificata. Dentro di me era comparsa una piccola Mary, che non smetteva di saltellare e urlare, non mi aspettavo una proposta del genere. Essere invitata a uscire da due attori famosi non succedeva tutti i giorni, ma dovevo rispondere nel modo più pacato possibile, per non sembrare una pazza.
M’imposi l’autocontrollo, sorrisi e dissi: "Sarebbe bellissimo".
Si guardarono entusiasti, poi li accompagnai alla porta. Vidi la loro auto allontanarsi sempre di più, poi corsi dentro e composi un numero.
"Pronto?" disse Rose assonnata.
"Rose, non crederai mai a quello che è successo, davvero, io stessa stento ancora a crederci" dissi tutto d'un fiato.
"Rallenta, rallenta" mi supplicò e mi chiese di raccontarle tutto con la massima calma.
Le raccontai di come Ian e Nina si fossero presentati a casa mia, fossero rimasti a chiacchierare e mi avessero invitato a uscire la sera successiva.
Rose cacciò un urlo e disse: "Oh mio Dio, ma è una cosa sensazionale! Quando ti ricapita? Dobbiamo subito comprare qualche vestito e pensare all'acconciatura e".
Cominciammo a parlare a più non posso. Dopo un po’, ci accorgemmo dell'orario.
"Sono le due e mezza e alle nove e mezza iniziamo il turno in ospedale. Continuiamo domani?" mi chiese.
"D'accordo. Notte, a tra sette ore".
Fece una risatina e staccammo. Quando mi sdraiai, sprofondai subito in un sonno profondo.

POV Nina
Ian aprì la porta di casa e fece un mezzo inchino.
"Prego, entri, signorina" disse sorridendo.
Risi ed entrai, poi lo trascinai dentro.
"E' proprio simpatica quella ragazza" dissi.
Ian annuì, poi mi abbracciò e mi sussurrò: "Non si aspettava un nostro invito – sorrise e mi baciò il collo – ma pensiamoci domani".
Accettai le sue avances e ci abbandonammo al nostro amore.

Sentii un odorino piacevole e delicato e aprii gli occhi lentamente. Il sole alto subentrava dalla finestra e riscaldava le mie gambe scoperte. Toccai la parte di letto di Ian ed era vuota, perciò mi alzai, indossai la sua camicia e andai in cucina. Come immaginavo, stava preparando la colazione. Istintivamente sorrisi e lo abbracciai da dietro, respirando il suo profumo.
"Buongiorno" ci dicemmo dolcemente.
Facemmo colazione insieme, poi ci scambiammo un po’ di coccole mattutine e andammo a lavoro. 
La stagista ci venne incontro frettolosamente. Ian roteò li occhi e sfoggiò il suo sorriso beffardo. Amavo da morire quel sorriso.
"Buongiorno Jamie, qual buon vento" disse ironico.
"Signor Somerhalder, non è divertente. Siete in forte ritardo, di là aspettano solo voi" disse un po’ seccata.
Ian rise, mi prese per mano e insieme andammo sul set. Paul ci venne incontro.
"Buongiorno dormiglioni, era ora! Dormito bene?"
"Sì, abbastanza" rispose Ian.
Si scontrarono i pugni e si abbracciarono e non potei fare a meno di sorridere. Erano tenerissimi quando si abbracciavano, sembravano due fratelli che non si vedevano da anni. Julie venne e rovinò quel momento familiare.
"Smettete di scambiarvi moine voi due e venite sul set - diede una pacca sulla spalla a Ian, poi batté le mani e urlò - Bene, signori, l’undicesima puntata ha avuto milioni di ascolti ieri sera, congratulazioni! Ma non montiamoci la testa e mettiamoci subito al lavoro: oggi si gira la sedicesima puntata".
Ascoltammo tutti attentamente, poi, truccatici e vestitici, ci disponemmo per girare.

Dopo un giorno di estenuanti riprese, uscimmo dagli studi televisivi.
"Ehi, venite al bar?" ci chiese Paul.
"Sì, ma prima dobbiamo andare a prendere Maria Chiara" dissi.
"Chi sarebbe Maria Chiara?" Paul ci guardò confuso.
"Un'amica" rispondemmo all'unisono e salimmo in auto.

POV Mary
Avevo finito il turno in ritardo e non avevo avuto il tempo di sistemarmi al meglio. Inoltre la caldaia si era rotta, perciò ero stata costretta a fare una doccia fredda velocissima. I capelli erano orrendi, i muscoli delle spalle erano rimasti contratti per lo squilibrio della temperatura e non avevo avuto nemmeno un millisecondo disponibile per comprare qualcosa di carino. Poteva andare peggio di così? Mi guardai allo specchio e sbuffai. Ero orribile e il cappello per nascondere i capelli arruffati non aiutava.
Dove fossimo andati, mi avrebbero notata negativamente? Il cuore cominciò a battermi forte. Il giudizio negativo degli altri era sempre stato un dato di fatto, che mi aveva impedito di far uscire del tutto la vera me. Se non ci ero riuscita con i 'comuni mortali', come potevo riuscirci con una coppia di attori famosi?
Sentii il clacson di un'auto, erano arrivati. Feci un respiro profondo e uscii di casa.
"Buonasera" dissi, chiudendo la portiera della bellissima Audi di Ian.
Ricambiarono il saluto, poi partimmo e andammo in un bar. Quando entrammo, Paul ci venne incontro e senza esitazione mi tese la mano.
"Tu devi essere Maria Chiara. Piacere, Paul Wesley" sorrise, mentre mi guardava con i suoi vispi occhi verdi.
Gli strinsi la mano e sorrisi imbarazzata, poi ci accomodammo. 
Fu strano trovarsi lì, in mezzo a persone famose che avevo sempre desiderato conoscere, ma fu anche strana la totale assenza di disagio. Nina, Paul, ma soprattutto Ian, mi avevano inclusa in ogni discorso e mi avevano riempito di domande sul mio lavoro. Erano affascinati mentre ne parlavo, probabilmente perché non capitava nemmeno a loro tutti i giorni di conoscere qualcuno al di fuori della loro cerchia. Stavo raccontando un aneddoto, quando squillò il cerca persone. 
"Mi dispiace, ma devo andare. Il lavoro chiama".
Nina esortò Ian ad accompagnarmi in ospedale. Salutai lei e Paul e andai con Ian verso la macchina. Quando arrivammo a destinazione, lo ringraziai e scesi dall'auto. Stavo per fare un passo, quando la sua splendida voce mi bloccò. Mi voltai e mi porse un bigliettino.
"Cos'è?" chiesi curiosa.
"Il mio numero" disse sorridendo.
Si salvò il mio numero, poi lo salutai ed entrai.
“Buonasera, Mary. Politrauma in arrivo, ti conviene sbrigarti”
“Buonasera, Amy – sorrisi all’infermiera all’ingresso – Corro a cambiarmi allora”.
Mi diressi verso gli ascensori e ne chiamai uno.  
Mentre l’ascensore saliva, in direzione spogliatoi, mi arrivò un sms: << Grazie per la serata, Ian >>.
"Potrebbe essere l'inizio di un'amicizia" sussurrai tra me e me contenta, ignara che, poco più in là in auto, Ian stava pensando la stessa cosa.





--------
Note dell'autrice: 
Contro ogni previsione, oggi ho potuto pubblicare! Come ho fatto notare precedentemente, all'inizio i capitoli non saranno molto lunghi. Più in là vedrete xD Su questo capitolo non c'è molto da dire, siamo ancora agli inizi. A mano a mano stiamo conoscendo i personaggi principali e come gestiscono i loro mondi: riprese per due di loro, med staff per l'altra. L'amicizia che sta nascendo è il primo passo per il contatto tra questi due mondi diversi. Vedremo come continuerà questo rapporto! Grazie per aver letto! :) 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Buddies. ***


POV Mary
"No, no, no e no e non si discute" dissi.
"E dai, ti prego!" Ian mi implorò.
"Dimmi la verità, quando è partita Nina?" chiesi, guardandolo con la coda dell'occhio.
"E' partita stamattina per tornare un po’ dalla madre in Canada. E io sono qui e non ho niente da fare" brontolò.
"Quindi devi rompere le scatole a me?" continuai trattenendo una risata.
Ian annuì, poi fece il labbruccio.
"Ian, il labbruccio non funziona" mentii.
"Non è vero e lo sai anche tu... E dai, per favore".
In quell'esatto istante sfoderò la sua arma segreta: gli occhioni dolci. Quelli furono il colpo di grazia e non mi restò altro da fare se non sospirare rassegnata.
"Va bene, d'accordo, puoi farmi da spalla".
Ian mi abbracciò contento, poi si alzò, puntò lo sguardo su Joseph Morgan e mi sussurrò: "Preda individuata: andiamo a conquistare Rippaah!"
"Non chiamarlo così, ti prego – lo implorai ridendo – E poi avevamo detto niente membri del tuo cast" gli feci notare, agitando l’indice sinistro, a mo’ di avvertimento.
Ian alzò gli occhi al cielo e mi disse: "Allora Dan" e indicò Daniel Gillies. 
"Primo, lui è Elijah, perciò non vale; secondo, è sposato!".
Sbuffò e cominciò a guardarsi intorno. Non trovando qualcuno che lo soddisfacesse, si alzò e mi trascinò fuori dal locale.
"Bella spalla" dissi ironica.
In un attimo mi ritrovai a muro con i suoi occhi di ghiaccio che mi fissavano. Il cuore cominciò a battere sempre più velocemente. Cosa aveva intenzione di fare?
Sussurrò: "Dimmi di lasciarti andare ad alta voce" e mi fece l'occhiolino.
Confusa, feci come mi aveva detto. Subito un uomo alto e castano si avvicinò, chiedendo a Ian di lasciarmi stare. Ian alzò le braccia in segno di resa, mi fece un altro occhiolino e se ne andò.
"Grazie" dissi all'uomo.
Lui mi portò in un bar e mi offrì da bere.
"Cosa voleva quel tizio? Sicura di star bene" mi chiese apprensivo.
Che dovevo dire?
"Ehmmm, n-non saprei, era.. era ubriaco – scossi la testa e sorseggiai il mio drink, sperando di essere sembrata credibile – Comunque, sì, sto bene, davvero”.
L'uomo sorrise sollevato e ordinò un altro giro, poi tese la mano.
"Non mi sono presentato. Il mio nome è Jason Carter".
Pronunciò il suo nome attentamente, come se dovesse restarmi impresso nella pelle. I suoi occhi blu risplendettero fiammeggianti, non appena incrociarono i miei.
Ricambiai il sorriso un po’ impacciata e gli strinsi la mano.
"Maria Chiara Floridia".
Passammo tutto il resto della serata a parlare e anche a flirtare. Era davvero affascinante e, ogniqualvolta i suoi occhi blu incrociavano la luce, sembravano avere vita propria. Gentilmente, a fine serata, mi riportò a casa.
"Eccoci qua" dissi imbarazzata.
"E' stato un piacere esserti d'aiuto stasera. Mi ha permesso di conoscerti" disse toccandomi un ginocchio.
Sorrisi e ci scambiammo i numeri, poi rientrai in casa.
Ero davvero sorpresa, non mi aspettavo che il piano di Ian avrebbe funzionato così bene. Quando chiusi la porta di casa e accesi la luce, cacciai un urlo e Ian scoppiò a ridere.
"Ma come sei entrato tu?" lo guardai sorpresa.
Mi mostrò la mia chiave di riserva e disse: "Sotto il tappetino. Prevedibile" e sorrise.
"Che ci fai qui?" dissi un po’ seccata.
Si alzò dal divano e rispose: "Volevo solo sapere com'era andata, non ti preoccupare" e alzò le sopracciglia, sorridendo.
"Non fare il giochetto di Damon, stavi per farmi venire un infarto" enfatizzai l'ultima parola.
"Esagerata! – disse ironico, poi andò in cucina e tornò con un pacchetto di patatine – Ora racconta, sono curioso" e si sedette nuovamente.
Dopo avergli raccontato tutto, lo guardai attentamente e bofonchiai: "Avanti, dillo e basta. So che muori dalla voglia di dirlo".
Scoppiò a ridere e disse trionfante: "Sono un piccolo genio del male. Ammettilo".
Scossi la testa con forza e lo guardai con aria di sfida, ma me ne pentii subito dopo. Ian mi si avvicinò lentamente e cominciò a farmi il solletico.
“Pietà, pietà!" urlai tra le lacrime e le risate.
"Scordatelo, prima devi ammetterlo"
"Va bene, va bene, sei un genio".
Mi lasciò andare e mi diede un bacio sulla guancia. 
"La tua sincerità mi colpisce al cuore" disse fingendosi commosso.
Borbottai un insulto e lui rise, poi uscì fuori un momento per chiamare Nina.

POV Ian
Composi velocemente il numero di Nina e attesi impaziente che rispondesse. Era partita appena da dodici ore, ma a me sembrava fosse passato un anno.
"Ehi" rispose finalmente con tono amorevole.
Istintivamente sorrisi. Mi faceva sempre quest’effetto sentire la sua voce.
"Ciao! Come va lì?"
"Abbastanza bene, anche se mia madre non mi molla un attimo" fece una risatina.
Sorrisi nuovamente, mentre la immaginavo ridere. Amavo la sua risata, era una cosa di cui non potevo fare a meno. 
"Beh, credo abbia a che fare con il fatto che starai con lei solo per il week-end" dissi cercando di giustificarla.
“Già. E invece tu come stai?"
"Male, mi manchi già tanto"
"Il solito romanticone" sussurrò dolcemente, poi si sentì una voce da lontano.
Nina brontolò e mi disse: "La superiora mi reclama, devo andare"
"Va’ tranquilla e salutamela. Ci sentiamo domani. Ti amo"
"A domani, ti amo anch'io" e riattaccò.
Tornai dentro borbottando. Avrei voluto parlare con lei di più. Mary mi guardò, poi mi si avvicinò.
"Chiamata già terminata?" chiese.
Annuii triste e lei mi abbracciò.
"Coraggio, è solo un week-end. Dopodomani torna" sciolse l'abbraccio e sorrise.
La strinsi forte a me e le sussurrai: "Grazie, se non fosse per te, sarei in giro ubriaco a sdraiarmi sulle strade"
"Questa scena mi ricorda qualcosa – rise, poi disse dolcemente – Di niente – e continuò in tono energico – Ora, indossa il cappotto e vieni con me. Voglio portarti in un posticino. Credo ti piacerà".
Feci come mi aveva detto, poi, dopo un breve viaggio in auto, ci ritrovammo in una grande distesa verde scuro.
"Wow, un prato di notte" dissi ironico.
Lei mi ignorò, mi prese per mano e mi portò vicino un grande albero, poi sussurrò: "Questo è il bello di vivere in periferia, scopri questi posti meravigliosi. Ovviamente, comunque, si vedono meglio di giorno, ma di notte sono più teneri. Guarda attentamente e non far rumore. Li spaventerai".
Guardai dove indicava. Inizialmente, non vidi niente, poi, quando i miei occhi si abituarono al buio, li notai. Quattro scoiattoli dormivano accucciati gli uni vicino agli altri. Avevano un aspetto tenerissimo.
Guardai Mary incantato e lei, sorridendo, sussurrò: "Vengo su questa collinetta quando sono giù oppure ho avuto una brutta giornata e mi riprendo guardando la città e queste piccole creature meravigliose. Torno in auto, ti aspetto lì" e si alzò.
Ammirai quegli scoiattoli dormire beati per un altro po’, poi tornai in auto anch'io. Passammo il resto della nottata a parlare e scherzare e la tristezza per l'assenza di Nina sparì. Quando tornai a casa, non smisi di pensare a quella serata. Ero stato davvero fortunato ad aver incontrato Mary.



----------
Note dell'autrice:
Ecco un altro capitolo! Ne ho pubblicati due perché non so quando potrò pubblicare un'altra volta xD quindi almeno vi lascio due cose da leggere :)
Allora, in questo altro breve capitolo abbiamo l'amicizia tra Mary e Ian. E' un'amicizia nuova, fresca, non ancora profonda, ma già molto importante per entrambi! 
Spero sia piaciuto!
Chi vuole, è libero di lasciare recensioni! Sono ben accette!
Alla prossima volta. xo

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** My funny Valentine. ***


POV Mary
Tornai stremata dal turno di notte e mi abbandonai al letto. Stavo per prendere sonno, quando squillò il telefonino. Lo spensi senza guardare chi fosse e chiusi gli occhi. Subito, però, squillò il telefono. Infastidita, lo presi e risposi.
"Ti è morto il telefonino? Perché stava squillando e"
"Ian, sono le cinque e mezza del mattino" brontolai stanca.
"Sei tu la dormigliona, io che ci posso fare"
"Ho avuto il turno di notte"
"Oddio, mi dispiace! – disse mortificato e fece un momento di silenzio – Però ormai posso chiederti una cosa?"
"Chiedi" risposi arresa.
"Dimmi il primo luogo che ti viene in mente se dico 'appuntamento romantico per San Valentino con Nina'"
"Credi davvero che ti dirò qualcosa di sensato adesso?"
"Ci spero"
"Ma tu non eri quello che diceva 'San Valentino si può festeggiare dovunque perché, in fondo, quando ami una persona è sempre San Valentino'?" lo imitai assonnata.
"Sì, ma... Mary, ti prego!" chiese implorante.
"Va bene, ehmm... che ne dici della collinetta dove ti ho portato sabato sera?"
"Uh, perfetta! Mary, sei il mio angelo. Grazie e sogni d'oro" e riattaccò.
Sorrisi e mi addormentai.

Aprii gli occhi ben riposata e feci una doccia rilassante, poi pranzai. Quando riaccesi il telefonino, trovai la chiamata persa di Ian e due messaggi.
Il primo era di Nina: << Ehi bella, per caso il signorino ti ha detto dove mi porterà stasera? Non so che aspettarmi.. xoxo >>. 
Risposi: << Ti consiglio vivamente di indossare qualcosa di pesante ;) vedrai che ti divertirai! xoxo >>.
Aprii il secondo messaggio: << Mary, sono Jason, ti va di uscire con me stasera? >>.
Lo rilessi almeno un centinaio di volte, poi chiamai Ian.
"Ehi, sei in viva voce" disse cordialmente.
"Jason mi ha invitata a uscire stasera. Che faccio?" dissi tutto d'un fiato.
"Chi è Jason?" chiese Nina curiosa.
"Un uomo che ha conosciuto grazie a un piano geniale del sottoscritto" le spiegò Ian fiero.
"Bravo amore" disse Nina contenta.
"Sì, ok, Ian è un bravo genio, ma vogliamo tornare all'invito? Che gli rispondo?" chiesi un po’ infastidita.
Non potevano scambiarsi moine in un altro momento?
"Ti sei alzata con il piede sbagliato oggi?" chiese Ian.
"Sarà stata la chiamata di qualcuno" sottolineai l'ultima parola.
Ian rise e rispose: "Frecciatina accolta. Comunque, accetta l'invito, ovvio"
"D'accordo. Ciao e buon San Valentino a entrambi" e riattaccai.
Rilessi il messaggio di Jason e risposi: << Mi farebbe piacere :) a stasera >>.
Non passò neanche un minuto che arrivò la risposta: << Perfetto. Passo a prenderti alle otto ;D >>.
Guardai attentamente quel messaggio e uno strano sentimento cominciò a farsi strada dentro di me, un senso di turbamento, come se stessi facendo un torto a me stessa. Ignorai quel sentimento, non sapendo che, un giorno, sarebbe tornato più forte di prima. 

POV Nina
Dopo che Ian mi aveva accompagnata a casa dopo pranzo, avevo fatto una doccia ed ero rimasta a fissare il mio armadio aperto per il resto del pomeriggio. Mary aveva detto che dovevo indossare qualcosa di pesante, ma non riuscivo a decidere cosa. Sbuffai e guardai l'orario. Ian sarebbe venuto a prendermi di lì a poco e io ero ancora in accappatoio. All'improvviso, illuminazione: aprii velocemente un cassetto e presi un maglioncino blu scuro, tirai fuori dall'armadio dei pantaloni blu stretti e delle scarpe con un po’ di tacco, eleganti al punto giusto. Sperai con tutto il cuore che fossero adatti per la serata e li indossai velocemente. Subito dopo, sentii il clacson dell'auto di Ian, corsi fuori e salii in auto. 
"Ciao" dissi maliziosamente e lo baciai.
Lui mi accarezzò una guancia e ricambiò il bacio, poi premette sull'acceleratore e partimmo. Mentre guidava, notò il mio abbigliamento.
"Così non vale" disse.
"Di cosa parli?"
"Mary ti ha spifferato tutto, altrimenti non avresti scelto questi vestiti"
"Non sento Mary da stamattina, ho scelto questi perché... stasera fa freddo"
"Se lo dici tu" sorrise e continuò a guidare.
Quando arrivammo a destinazione, parcheggiò in corrispondenza di alcune lucine e mi aprì la portiera.
"Madame" sorrise contento.
Quando misi i piedi sul prato, rimasi allibita. Quella luce soffusa era provocata da un intero sentiero di candele che procedeva lungo il profilo di una collinetta. 
"Buon San Valentino" mi sussurrò Ian all'orecchio, mentre mi stringeva da dietro.
Strinsi le sue braccia e mi appoggiai a lui.
"E'-è... perfetto!" dissi estasiata, poi mi lasciai condurre da lui in cima a quella collinetta illuminata, dove vi era un tavolo, apparecchiato per due. 
Spalancai la bocca, ancora più sorpresa e Ian scoppiò a ridere.
"Felice che la sorpresa sia riuscita così bene" sussurrò e mi invitò ad accomodarmi.
Si accomodò di fronte a me e cominciammo a mangiare.
Dopo mi portò vicino una tovaglia, che aveva steso sul prato, e mi fece poggiare la testa sulle sue gambe. Il cielo quella sera era così limpido, che ci si poteva specchiare e si potevano osservare le stelle, mentre le luci di tutta Atlanta risplendevano su di noi.
Ian guardò il panorama, poi si soffermò su di me e sorrise.
"A che pensi?" mi chiese.
"Niente, ti ammiravo" dissi sorridendo.
Senza aspettare altro, si chinò su di me e mi baciò. Restammo in questa posizione per attimi eterni, poi si sdraiò accanto a me e mi sussurrò: "Ti amo".

POV Mary
Avevo passato tutto il pomeriggio a prepararmi, poi Jason era venuto a prendermi e mi aveva portato in un bel ristorante. Per qualunque ragazza sarebbe stata una serata perfetta, ma per me non fu proprio così. Ero stata per tutta la durata della cena imbarazzata e così piena di quel senso di turbamento, che non ero riuscita a divertirmi. Quando Jason mi fece accomodare in macchina, sperai con tutta me stessa che mi stesse riaccompagnando a casa. Invece, non si allacciò la cintura e cominciò ad avvicinarsi. 
"Sai, mi sto divertendo moltissimo stasera" sorrise ammaliante.
Le sue labbra stavano per toccare le mie, quando suonò il mio cerca persone. Dentro di me esultai, stranamente sollevata, poi, cercando di essere il più dispiaciuta possibile, dissi: "Il dovere chiama. Puoi portarmi in ospedale?".
Annuì comprensivo e mi accompagnò in ospedale. Scesi dall'auto riconoscente e corsi dentro. Chiunque avesse chiamato, era entrato nelle mie grazie. Entrai nello spogliatoio e vidi Rose.
"Ehi tesoro, hanno chiamato anche te?" mi chiese.
"Già" risposi.
"Ok, sei strana. E' successo qualcosa?" e mi si avvicinò.
Scossi la testa.
"No, tranquilla, è solo che ho appena avuto un appuntamento strano, ma non mi va di parlarne ora. Andiamo a salvare vite, su" sorrisi.
"D'accordo".
Uscimmo dallo spogliatoio e andammo verso il pronto soccorso. In quel frangente, mi arrivarono due messaggi, uno di Ian e uno di Nina, che dicevano la stessa cosa: << San Valentino andato alla grande. Spero il tuo sia andato altrettanto bene, notte xo >>.
Sorrisi, scrivevano persino gli stessi messaggi. Erano davvero fatti l'uno per l'altra. Il senso di turbamento divenne più forte dopo quel pensiero. Cosa mi stava succedendo? Lo ignorai nuovamente e andai a lavorare.






---------
Note dell'autrice:
Ecco il capitolo 4! Giorno di San Valentino romantico per alcuni, per altri no... Mary e Jason si vedranno ancora? Che mi dite di questa possibile coppia? E che mi dite del San Valentino Nian? 
Mi piacerebbe sentire i vostri pareri! Se volete, lasciate recensioni!
Ora corro a pubblicare il capitolo 5, dato che al solito (per ora) non so quando pubblicherò di nuovo!

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Happy birthday, Doc! ***


POV Ian
"Ragazzi, ottimo lavoro! Domani leggeremo il copione della ventunesima puntata. Buona serata a tutti" dichiarò Julie e tutti applaudimmo.
Anche questa stagione stava per finire. Io e Paul battemmo i pugni e ci abbracciammo, poi lui andò da Torrey e io raggiunsi Julie in ufficio.
"Julie cara" dissi smagliante.
"Se è per l'anello la mia risposta è no, Ian. Quell’anello non uscirà di qui nemmeno quando ‘The Vampire Diaries’ sarà finito, mettiti il cuore in pace" mi rispose.
"Non è per l'anello"
"Allora arriva al punto. Ti si legge in faccia che devi chiedermi qualcosa" mi sorrise.
"Effettivamente c'è qualcosa. Domani è il compleanno di una mia carissima amica e beh, lei è una fan di 'The Vampire Diaries', quindi mi chiedevo se domani potessi farle fare un giro per i vari set"
"Ian, domani abbiamo la lettura del copione della penultima puntata e lei è ferma alla quindicesima puntata, ultima andata in onda. Non credi che le daremmo troppi spoiler?"
"Domani lo leggeremo di mattina, perciò il pomeriggio non ci sarà nessuno e potremo fare questa cosa senza darle spoiler. Ti prego" la implorai, sfoderando le mie armi segrete e lei crollò.
"Va bene, ok" mi disse.
Felicissimo la abbracciai, poi uscii dal suo ufficio quasi saltellando. Nina mi si avvicinò.
"Che ha detto?" mi chiese.
Annuii sorridente, poi aggiunsi: "Che posso dire, sono stato molto convincente" 
"Adorerà questo regalo" disse e mi abbracciò.

POV Mary
Entrai nello spogliatoio e Rose e Steve mi saltarono addosso.
"Auguri Mary!" urlarono estasiati e mi strinsero.
"Morire soffocata il giorno del proprio compleanno, davvero una bella morte" dissi ironica e mi lasciarono andare, poi mi consegnarono il loro regalo.
Aprii la busta e fissai estasiata il buono per una giornata ai centri termali appena fuori città.
"Oh mio Dio, grazie!" li abbracciai contentissima.
"La signorina è stata così gentile che ti permette di portare quattro persone" Steve sorrise.
Li strinsi e sussurrai: "Ovviamente due persone sarete voi".
Urlarono contenti e mi cantarono la tipica canzoncina da compleanno, poi tutti insieme andammo a lavoro.
A pranzo, Claudine della mensa mi fece mangiare tutto quello che volevo e, ovunque mi girassi, tutti non smettevano di farmi gli auguri. Finito il pranzo, mentre andavo a visitare un paziente, mi arrivò una chiamata di Ian. Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere, che Ian e Nina cominciarono a cantare la canzoncina.
"Mi avete trapanato i timpani" dissi scherzosamente.
"Come te la passi, donna appena ventisettenne?" chiese Nina.
"Abbastanza bene, sto lavorando"
"Sprechi un giorno importante così? Non va proprio" disse Ian incredulo.
Stavo per controbattere, quando un'infermiera mi chiamò dall'altoparlante, invitandomi ad andare all'ingresso. Sentendo la voce, Ian e Nina si congedarono in fretta e in un attimo mi ritrovai con un telefonino ‘privo di vita’. Ne guardai lo schermo confusa, poi andai all'ingresso. Ian e Nina mi salutarono sorridenti e io corsi verso di loro, stringendoli  forte.
"Buon compleanno" dissero in coro, poi firmarono a turno degli autografi ad alcune persone lì intorno.
Dopo ciò, Ian mi bendò e sussurrò: "Dì ciao ciao al dono della vista per un po’"
“Per rendermi cieca potevi semplicemente togliermi gli occhiali da vista”
“No, mia cara talpa, così è molto più divertente” bisbigliò.
Non controbattei.
Mi fecero girare intorno a me stessa, poi mi portarono da qualche parte con l'auto di Ian. Sentii la portiera aprirsi e qualcuno stringermi la mano.
“Siamo arrivati. Lasciati condurre” la voce di Ian era affettuosa ed esaltata.
Camminammo per un po’. All'improvviso si arrestò.
Sentii il fiocco della benda allentarsi, subito dopo delle dita femminili togliermi la benda del tutto. Una luce intensa mi colpì e i miei occhi impiegarono qualche minuto ad abituarsi. All'inizio pensavo fosse il sole, ma a mano a mano mi resi conto che era un faro.
"Benvenuta a 'The Vampire Diaries'" disse Ian contento.
Mi guardai intorno sorpresa ed estasiata. Cavi, fari, microfoni e tantissime altre cose occupavano quella che nel film era la cucina di casa Gilbert.
Cominciai a tremare per la felicità, era stranissimo trovarsi lì. Mi voltai verso Nina e Ian e sfoggiai un sorriso a trentadue denti. Sembravo una bambina nella mattina di Natale.
"Questo è... è... Wow, grazie mille ragazzi!" balbettai ancora sorpresa e cominciai ad andare di qua e di là, identificando tutti i luoghi del telefilm.
Nina e Ian mi corsero dietro ridendo, poi mi fecero calmare e continuammo il giro per gli studios. Fu un pomeriggio bellissimo e Ian mi fece provare la sua intoccabile sedia e l'anello di Damon. Ero davvero in paradiso e dovettero trascinarmi fuori con la forza per permettere al guardiano di chiudere tutto. 
"Ma non poteva chiudermi dentro? Sarei morta felice" borbottai.
Ian rise e mi scompigliò i capelli: "Mi avresti sicuramente rubato l'anello così"
"Quell'anello è uno spettacolo"
"Lo so – abbassò lo sguardo – E quando finiranno le riprese non lo rivedrò più" finse di piangere.
Nina alzò gli occhi al cielo e mi sussurrò: "Fa sempre così quando pensa al suo adorato anello" e finse di consolarlo.
Quando finalmente si riprese, andammo al bar e parlai loro dei biglietti gratis ai centri termali. Mi ringraziarono tantissimo, poi entrarono Paul e Torrey e si unirono a noi. Fu un compleanno fantastico.








--------
Note del'autrice:
Questo brevissimo capitolo è molto diverso dal precedente. Nel capitolo 4, infatti, abbiamo qualcosa che aleggia nell'aria, "un turbamento", come lo chiama Mary. Nel 5, questo non è presente, anzi tutt'altro! Mary è davvero felicissima di passare il pomeriggio insieme alla leggendaria coppia Nian per festeggiare il suo 27° compleanno. Cos'era, allora, quel turbamento? E' svanito? Sarà scemata l'occasione di avere un triangolo? Who knows! :)
Nell'attesa, spero recensiate, mi fa piacere cosa ne pensate!
Alla prossima.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** No reason. ***


POV Nina
Dopo tre settimane avevamo finalmente trovato un giorno per andare tutti al centro termale. Come giornata era perfetta, la sera avremmo visto l'ultimo episodio girato e non c'era niente di meglio che vedere il frutto del proprio lavoro con il corpo completamente rilassato. Io e Ian andammo a casa di Mary, dov'era il punto d'incontro. Quando arrivammo, lei uscì subito di casa seguita dai suoi amici Rose e Steve. Ci presentammo cordialmente, poi andammo al centro. Gli uomini se ne andarono per conto loro e noi facemmo altrettanto. Mentre tre dipendenti ci stavano massaggiando profondamente la schiena, chiesi a Mary come andasse con Jason.
Rispose: "Non ci sentiamo più da San Valentino, ma non sono triste per questo, sai? Già al primo incontro avevo avuto la sensazione che non sarebbe andata bene, che non avrebbe portato a qualcosa".
Rose rise e continuò: "Non farlo sapere a Ian, altrimenti ti organizzerà almeno un centinaio di appuntamenti al buio".
Io e Mary ridemmo, ma dentro di me percepii una sensazione di fastidio. Cominciava a non piacermi che loro parlassero di Ian.

POV Ian
Stare in sauna con uno sconosciuto si era rivelata un'esperienza molto divertente. Steve era davvero estroverso e simpatico e non mi aveva fatto sentire a disagio nemmeno per un momento. Espirai rilassato e sorrisi.
"Come va con Nina?" mi chiese.
"Abbastanza bene, grazie. E tu con Rose?"
"Bene, grazie. Stiamo insieme da quattro anni e ormai vorrei compiere il grande passo"
"Davvero?"
"Già. Mary mi sta dando una mano a progettare tutto. Voglio che quel momento sia perfetto. Rose lo merita! Anche se ancora siamo nel pieno dei lavori" fece una risatina.
"Mary... che cara ragazza!" dissi sorridendo.
Steve annuì e continuò: "Non so che faremmo io e Rose se non fosse nostra amica. E' dolcissima e andrebbe persino in capo al mondo per aiutare qualcuno. Io e Rose le diciamo sempre che ha l'indole dell'angelo custode. Aiuta persino gli sconosciuti, è straordinaria!".
Steve continuò ad adularla, ma io mi ero soffermato su quelle parole. Io e Mary ci eravamo conosciuti grazie all'aiuto che mi aveva offerto quella sera.
Mentre ci ripensavo, sentii Steve dire 'single'. Aprii gli occhi di scatto e gli chiesi di ripetere.
"Dicevo che non riesco a capire come faccia a essere single. Insomma, se non avessi conosciuto Rose al college, ci avrei provato con lei, non me la sarei lasciata scappare. Cioè, chi lo farebbe, giusto?".
Lo guardai confuso e farfugliai il nome Jason.
"Jason non era per lei, si vedeva. Meglio che non si siano visti ancora dopo San Valentino".
Tutte quelle parole su Mary mi colpirono profondamente e Steve sembrò notarlo.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì, certo. Solo, non mi aspettavo tutte queste parole su Mary”
“Perché ti sorprendi? Ormai dovresti conoscerla abbastanza bene da intuire queste cose da solo”
“In effetti hai ragione. Quell’uomo non era alla sua altezza”.
Steve annuì, poi chiuse gli occhi e tornò a rilassarsi.

POV Mary
"Elena" disse Damon.
"Damon... Io" farfugliò Elena tenendo gli occhi bassi.
Damon la guardò rigido e abbassò lo sguardo. 
"Capisco. Hai scelto Stefan" sussurrò.
Elena annuì lievemente e rientrò dentro.
Damon scese le scale molto amareggiato. Appena entrato nella sua auto, prese il cellulare e chiamò l’unica persona su cui potesse fare affidamento in quel momento.
“Damon?” gracchiò la voce di Rick.
“Rick, dove sei?”
“Sono fuori città per fare qualche ricerca su ciò che mi sta succedendo. Sai, la faccenda dell’alterego e tutto il resto”
“Capisco”
“Dovevi dirmi qualcosa?”
“No, niente di che. Buon lavoro, Rick”.
Damon riattaccò e, girata la chiave nel quadro, partì a tutta birra da casa Gilbert, mentre Elena lo guardava dalla sua finestra.
Non appena l’auto sparì dalla sua visuale, lasciando il posto solo a qualche nuvoletta di smog, Elena si spostò dalla finestra e si sedette sul letto. Dopo non molto, arrivò Stefan a farle compagnia.
“Ehi”.
Il tono di Stefan era pacato e amorevole, come al solito.
Elena corse tra le sue braccia e si lasciò avvolgere da lui.
Mentre l’abbraccio confortante e sicuro continuava, si sentì in sottofondo una canzone strumentale, la stessa che si sentiva ogni volta che c’era una situazione apocalittica.
“Rose, senti la score che hanno messo in questa scena”
“Effettivamente lo Stelena è apocalittico – sghignazzò – Dannazione, non se ne può più”.
Sghignazzai anch’io, mentre Steve ci guardava di sottecchi.
Stavo per rispondere a Rose, quando la scena cambiò.
Rick aveva ancora il cellulare in mano e lo guardava con disprezzo.
“L’ha bevuta?” chiese una voce femminile.
Rick si voltò ed Esther apparve sullo schermo, seduta compostamente sul divano.
“Sì” Rick annuì, mentre un ghigno partiva dalla sua gola.
“Bene. Nessuno di loro si aspetta un attacco. Abbiamo fatto bene ad aspettare. Presto i miei figli capiranno che non possono niente contro la Strega Originale”.
Detto questo, scambiò un’occhiata con Rick. 
La scritta 'The Vampire Diaries' riempì lo schermo del mio televisore.
Non appena ci riprendemmo dalla scena finale, Steve cominciò a saltellare di gioia. 
"Stelena del cavolo" borbottammo io e Rose, poi mi alzai dal divano.
"Eh no, Elena non doveva farmi una cosa del genere, povero Damonuccio mio" dissi amareggiata.
"La cosa positiva è che Julie ha dichiarato che questa non sarà la scelta definitiva. Quindi c'è ancora speranza" disse Rose seria, mentre guardava infastidita il balletto di Steve.
"Stefan, Stefan, Stefan e sarà sempre Stefan" canticchiò contento. 
Contemporaneamente gli lanciammo un cuscino in pieno viso e lui si arrestò.
"Ah, il supplizio è finito!" dissi sorridendo. 
Steve cominciò a rincorrerci per tutta casa, fin quando non suonò il telefono. 
"Pausa, devo rispondere – dissi, poi presi la cornetta – Pronto?"
"Ehi Mary" disse Ian contento.
"Ciao Ian, abbiamo appena finito di vedere la puntata"
"Davvero? E?"
"Spero che Elena cambi idea e che Rick torni Rick. E non dico nient’altro" commentai.
Ci fu un momento di silenzio, poi Ian continuò: "Senti, domani sera c'è una festa per la fine della terza serie, se ti va puoi venire. Ci farebbe molto piacere"
"Cosa?! No, non mi sembra il caso. Ci saranno tanti personaggi famosi e io non c'entro niente. Grazie comunque"
"Mi dispiace per te, ma insisto".
Sospirai e dissi: "A che ora?"
"Alle otto e trenta. Ti faccio venire a prendere dal mio autista, ok?"
"D'accordo"
"Perfetto, a domani" disse contento e riattaccò.

"Quindi.. devo entrare da qui?" guardai confusa John, l'autista di Ian.
John annuì, poi aggiunse che erano state le disposizioni di Ian. Feci un bel respiro e lo ringraziai, poi entrai nell'hotel. Era tutto così luccicante ed elegante che mi girò la testa, ma era bellissimo. Cominciai a guardarmi intorno, fin quando i miei occhi non incrociarono quelli di Ian.

POV Ian
Stavo cercando Nina, quando notai Mary. Non potei fare a meno di guardarla stupefatto, era bellissima. Indossava un vestito blu con una gran scollatura sia al petto che alla schiena e portava i capelli raccolti tutti da un lato. Il lato verde dei suoi occhi risaltava con le luci della sala e il suo sorriso era indescrivibile. Mi avvicinai e sorrisi.
"Ma ti conosco?" dissi sorridendo.
"Probabilmente" rispose lei.
Scossi la testa e la abbracciai, poi Nina ci raggiunse e salutò Mary.
Mentre le ragazze parlavano tra di loro, intravidi Mark Johnson, un attore che aveva collaborato con Julie e che forse avrebbe fatto parte del cast per la quarta serie. Presi per mano Mary e la portai da lui.
"Mark" dissi cordiale.
"Ian, ciao! Come stai?" rispose sorridendo.
"Bene, tu?"
"Idem"
"Vorrei presentarti Maria Chiara, una cara amica. Sai, è un medico".
Mark la guardò e mimò un baciamano, poi disse: "E' un piacere conoscerti"
"Il piacere è tutto mio" disse imbarazzata e mi guardò.
"Con permesso, raggiungo la mia dolce metà" sorrisi e le feci l'occhiolino, poi tornai da Nina e cominciai a ballare con lei.

POV Mary 
Avevo trascorso il resto della serata con Mark, Ian e tutto il cast, poi era arrivata l'ora di rientrare e Mark si era offerto di accompagnarmi a casa.
Arrivati, scese e mi aprì la portiera, poi mi condusse fino all'uscio.
"Grazie per il passaggio" dissi imbarazzata.
"Di niente" sorrise e si avvicinò.
Dopo quasi tre mesi di silenzio, quella sensazione di turbamento tornò squillante, ma non m’impedì di schivare il bacio di Mark, né il resto.
La mattina dopo, mi alzai lentamente e mi preparai per andare a lavoro senza svegliarlo. Mentre guidavo, una lacrima cominciò a scendere, poi un'altra e un'altra ancora, senza un motivo apparente.






------
Note dell'autrice:
In questo capitolo abbiamo degli sbalzi temporali. Il capitolo 5 si chiude con il compleanno di Mary, a metà Marzo. Questo capitolo si apre con la giornata alle terme, tre settimane dopo il compleanno della dottoressa, giornata in cui troviamo una Nina  infastidita dalle battutine su Ian e un Ian molto turbato dalla chiacchierata con Steve; il capitolo si chiude con la messa in onda del finale di stagione della terza serie del telefilm e i festeggiamenti per questa serie chiusa. E' proprio in questa festa che il turbamento torna a farsi sentire per Mary, lasciandola un po' confusa sui suoi comportamenti. Cosa le sta succedendo?
Ci terrei ad aprire una parentesi e dire che da qui in poi tutte le puntate di The Vampire Diaries descritte non sono fedeli al telefilm vero, in quanto, quando ho scritto questo e i capitoli a seguire, la programmazione era ferma alla 3x19. Pertanto, da questo capitolo in poi, tutte le puntate di The Vampire Diaries descritte sono frutto della mia fantasia. Lasciatemelo dire, avevo indovinato che Elena sceglieva Stefan, ma la sua trasformazione mi è sfuggita xD.
Grazie per aver letto!

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** The holiday. ***


POV Mary
Guardai l'orologio agitata. Rose uscì dall'ufficio del dottor Richardson, mi abbracciò forte e mi mostrò la lettera di risposta all'esame. 
"Sono passata!" urlò contenta, poi, dopo essersi ricomposta, mi invitò a entrare.
Dei brividi mi percorsero la schiena e avanzai titubante. Chiusi la porta alle mie spalle e respirai profondamente. Rose e Steve ce l'avevano fatta e dovevo farcela anch'io. 
"Buongiorno, dottoressa Floridia, si accomodi" disse cordialmente. 
"Buongiorno, dottor Richardson" risposi al Capo e mi accomodai.
Subito prese la mia lettera e cominciò a parlare di tutto ciò che avevo fatto nel corso del mio terzo anno di specializzazione.
Quando finì, mi strinse la mano e disse: "Coraggio, la apra".
Deglutii forte, poi la aprii. Non riuscivo a credere ai miei occhi.
Gli strinsi la mano e uscii dal suo ufficio.
"Allora?" chiesero Rose e Steve ansiosi.
"Siamo tutti al quarto anno!" dissi esaltata e ci abbracciammo tutti e tre saltellando. Uscimmo in fretta e furia dall'ospedale e passammo tutta la mattinata tra shopping e divertimenti vari in preparazione del viaggio estivo.
Da due anni ormai nella pausa ospedaliera di due settimane io, Rose e Steve passavamo del tempo insieme nei nostri paesi natali. La prima volta eravamo stati in Alabama da Rose, la seconda in California da Steve. Era stato divertentissimo passare quelle settimane tutti e tre insieme. Nonostante Rose e Steve fossero una coppia, non mi avevano fatto sentire il fastidioso ‘terzo incomodo’ nemmeno per un secondo e questo aveva rafforzato ancora di più il nostro legame. Visitare altri due stati americani, oltre alla Georgia, era stato spettacolare, ma ora toccava finalmente a me fare da cicerone. Quest’anno saremmo andati in Sicilia. Sorrisi al solo pensiero. Adoravo il sole d'estate nella mia regione, era qualcosa di indescrivibile. 
Mentre Steve stava pagando alcuni vestiti a Rose, mi squillò il cellulare.
"Ehi com'è andata?" mi chiese Ian.
"Stai parlando con una specializzanda del quarto anno!" dissi contenta. 
"Brava! Sapevo che ce l'avresti fatta, sono fiero di te!" 
"Grazie" dissi imbarazzata, mentre cercavo di non arrossire. 
"E adesso che farai? Hai ben due settimane di ferie, se non erro"
"Esatto! Io, Rose e Steve domani partiamo e andiamo in Sicilia"
"Andate in Sicilia?! Oh, io adoro il sole in quella zona, e poi le persone sono molto amichevoli!" disse con tono adorante.
“Stai cercando di dirmi qualcosa, Smolder?”
“Anche tu con questo soprannome? – disse con un tono tra il rassegnato e il divertito; dopo aggiunse in modo ironico – Comunque non sto cercando di dirti niente”
"Ho capito, controllo se gli aerei per Torino e Catania hanno dei posti liberi"
"Se proprio insisti – sghignazzò, poi aggiunse – Controlla se ce ne sono quattro"
"D'accordo, faccio subito e ti faccio sapere, ok?".
Ci salutammo e riattaccai. Subito chiamai l'agenzia e mi informai, poi feci sapere a Ian ciò che mi era stato detto.

Quando scendemmo dall'autobus, il calore del sole ci invase. Corsi verso la mia famiglia e li abbracciai tutti forte, dopo averli salutati calorosamente. Non li vedevo da ben sette mesi e mi erano mancati tantissimo. Mentre rispondevo agli interrogatori di routine dei miei genitori, notai che gli altri si stavano avvicinando impacciati, così cercai di rompere subito il ghiaccio.
"Ragazzi, questi sono i miei genitori, Roberto e Giulia, i miei fratelli, Michele e Giorgio, mia cognata Addison e mio nipote Lucas. Famiglia – cominciai a parlare italiano – loro sono Rose, Steve, Nina, Ian, Paul e Torrey".
Dopo le presentazioni andammo a casa per pranzare.

POV Ian
La prima settimana in Sicilia eravamo rimasti a Modica e avevamo visitato non solo la città, ma tutta la zona iblea. Era stato molto interessante visitare quelle cittadine, così piccole in confronto alle metropoli americane, ma anche così ricche di storia, di significato, di arte. Mary era stata gentilissima, non ci aveva abbandonato un attimo, pazientando se ci arrestavamo a fissare i monumenti imponenti o a firmare autografi, se qualcuno ci riconosceva.
Il giorno che avevo preferito era stato quello in cui avevamo visitato la chiesa preferita di Mary, San Giorgio. La vista dalla scalinata della chiesa era indescrivibile, mozzafiato. Per certi versi rispecchiava moltissimo il carattere di Mary. Le colline illuminate dal sole ricordavano moltissimo la sua allegria e la sua spensieratezza, mentre le piccole casine che si intravedevano la sua fragilità, ma allo stesso tempo la sua forza. Da quando eravamo diventati amici, avevo imparato a conoscerla, ma, in quella prima settimana nella sua terra avevo avuto come la strana impressione che il nostro rapporto fosse cresciuto, come se avesse posto delle salde radici, che prima erano un po’ più deboli.
Per la seconda settimana avevamo affittato una casa in una zona detta 'Marza', ma eravamo tutti insieme solo a casa. Mary, Steve e Rose andavano in una spiaggia diversa per lasciarci, ‘finalmente’ come dicevano loro, un po’ di privacy.
Un mezzogiorno, quando tornammo dalla spiaggia, li trovammo a cucinare e parlottare.
"Che succede?" chiesi curioso.
"Mary ha conosciuto una persona in spiaggia" mi rispose Steve, dandole una gomitata.
"Pensare che io ero ferma a Michael" disse Rose.
"Io ad Arthur" ridacchiò Steve.
"Ma non stava frequentando John?" irruppe Nina.
"No, stava frequentando Mark" dissero in coro Paul e Torrey.
Tutti mi guardarono confusi.
"Va bene, ok, le ho fatto conoscere troppi uomini, lo ammetto" dissi arreso e tutti scoppiarono a ridere. 
"E che tipo è?" chiese Nina.
"Si chiama Daniele e viene da Roma. Una persona abbastanza simpatica" e cominciò a parlare del loro incontro e della loro chiacchierata.
Mentre parlava, Nina commentava animatamente, come se stesse cercando di spingerla verso le braccia di quello sconosciuto. Strinsi i pugni infastidito e uscii dalla cucina. Paul mi raggiunse con un'aria tesa.
"Ehi amico, tutto bene?"
"Sì, avevo solo bisogno di un po’ d'aria" respirai profondamente e sorrisi.
"Sarà" sussurrò e tornò dentro.
Restai in compagnia dell'aria fresca per qualche altro minuto, poi rientrai anch'io. Il senso di fastidio si era notevolmente ridotto, ma mi bastò guardare Mary per farlo tornare. Abbassai immediatamente lo sguardo e mi accomodai per pranzare. Dopo, mentre Torrey e Rose sparecchiavano, Nina mi si avvicinò preoccupata.
"Perché hai reagito così prima? Insomma, stavamo solo chiacchierando"
"Scusami, è che mi sentirei più tranquillo se frequentasse gente che conosco. Non vorrei le accadesse qualcosa di brutto, sai. C’è anche gente di questo tipo in giro".
Nina annuì sovrappensiero e mi baciò. Ricambiai il bacio con passione e, senza smettere, la portai in camera da letto.

POV Nina
In quegli ultimi tempi Ian mi era sembrato più strano, come se qualcosa lo preoccupasse. Purtroppo avevo cominciato a sospettare sempre di più che quel 'qualcosa' fosse Mary. Sapevo che Ian mi amava, però avevo l'impressione che l'alchimia, che si era formata tra i due, stava diventando sempre più forte. Dovevo cominciare a preoccuparmi o erano solo mie impressioni? Paul interruppe il filo dei miei pensieri, chiedendomi se volessi andare in spiaggia. 
"Ok" dissi, poi indossai velocemente il costume e partii con loro.
Era il nostro ultimo giorno a mare, perciò stavolta andammo tutti insieme. Dopo due bagni e varie lotte in acqua, Steve propose di fare una partita a pallavolo. Non sapendo giocare, feci l’arbitro. Ian e Mary capitarono nella stessa squadra e passarono tutta la partita a scherzare e ad abbracciarsi. A fine partita per festeggiare la vittoria, Ian se la caricò sulle spalle e la buttò in acqua.                                                                         
Mi irrigidii, poi li raggiunsi, cercando di sembrare rilassata e tranquilla. Mentre Ian cercava di bagnare i capelli di Paul, mi avvicinai a Mary e le chiesi: “Sai che Ian è impegnato con me, no?”. 
Mi guardò confusa, poi rispose: “Ma certo, che domande!”
“Bene” dissi e andai a baciare Ian. Volevo bene a Mary, ma sentivo il bisogno di difendere la mia relazione.
 
POV Mary
Quando tornammo dalla spiaggia, facemmo le valige, cenammo e lasciammo la casa. Prima prendemmo un aereo a Catania per Torino, poi a Torino per Atlanta. Il viaggio fu lungo come all’andata, ma a me quella seconda volta sembrò davvero eterno. Non riuscivo a smettere di pensare a ciò che mi aveva detto Nina e al fatto che mi ero sentita colta con le mani nel sacco dopo.






---------
Note dell'autrice:
Sinceramente vi dico che mi sono emozionata a scrivere questo capitolo. 
Io sono siciliana e sogno di andare in America (ecco perché la protagonista, di origini siciliane, lavora in America xD), ma amo molto la mia terra, specie per i suoi paesaggi e per i suoi monumenti. Non sono di parte, quindi credetemi se vi dico che la Sicilia è una regione magica, tutta da scoprire :) (peccato per come viene governata, etichettata e tutto il resto...). Perciò, sì, mi sono emozionata a scrivere il ritorno di Mary "in patria". Come capitolo, questo non è stato molto pesante, eccetto per la parte finale. Nina difende la sua relazione, Mary si sente colta con le mani nel sacco... Credo che questa storia abbia appena assunto una forma triangolare! Voi che ne dite? Fatemi sapere e, al solito, grazie per aver letto :) 
P.S.: Dato che l'ultima volta ho potuto pubblicare solo un capitolo, oggi ne pubblico di più! Stay tuned, if you want xD

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** I made your wish come true. ***


POV Mary
Finii di lavorare e corsi agli studios. Avevano sicuramente finito di girare, ma speravo che i produttori fossero ancora lì. Mi nascosi dietro un cassonetto e non potei fare a meno di ridere della situazione. Sembravo in uno di quei film polizieschi, intenta a spiare qualcuno. Appena vidi Ian e Nina uscire con l’auto di Ian, corsi dentro ed entrai nell'ufficio di Julie Plec. 
"E lei chi è?" disse Julie sorpresa.
Stava per chiamare la sicurezza, quando la pregai, ancora ansimante: "So che non mi conosce e che non ho alcun diritto di irrompere qui dentro, ma le devo parlare".

POV Ian 
Un raggio di sole mi costrinse ad aprire gli occhi. Mi guardai intorno ancora un po’ intontito e sussurrai: "E sono trentaquattro".
Mi voltai per guardare l'orario, quando un'altra cosa catturò la mia attenzione. Vicino la sveglia c'era un piccolo biglietto.
Lo presi e lo lessi a mente: << Per una persona speciale serve un regalo speciale. Sfortunatamente, non subito te lo posso dare: prima in soggiorno devi andare >>.
Guardai confuso il biglietto, poi mi alzai dal letto.
Non appena i miei piedi toccarono il morbido tappeto blu, una palla di pelo color miele cominciò a sfregarsi tra le mie caviglie, facendomi le fusa.
Presi il mio bambino in braccio e lo accarezzai.
“Moke, grazie per gli auguri – sorrisi – Ora andiamo a scoprire di cosa parla il biglietto” gli sussurrai e mi diressi verso le scale, tenendolo sempre in braccio.
Quando arrivai in soggiorno, trovai un altro biglietto: << Se la sorpresa vuoi ritirare, come Damon Salvatore devi pensare. Una cosa di cui lui non farebbe a meno MAI, corri in cucina e la scoprirai ;) >>. 
Rilessi il biglietto una decina di volte, poi corsi in cucina, certo che ciò che avrei trovato mi sarebbe piaciuto. Come immaginavo, sul tavolo vi era l'anello solare di Damon, colpito dai raggi del sole.
Lasciai andare Moke e lo indossai immediatamente, poi lessi il bigliettino che vi era accanto: << L'arte della persuasione è una mia qualità. L'anello è finalmente tuo ullallà! :D Ora, se la mia identità vuoi scoprire, alla collinetta degli scoiattoli devi salire >>.
Dopo aver dato da mangiare a Moke, mi vestii in fretta e furia e partii con l'auto. Mentre guidavo, ricevetti una chiamata.
"Buon compleanno amore, mi dispiace di non esser potuta rimanere stanotte" mi disse dolcemente Nina. 
"Ti stai rifacendo adesso. Sto arrivando alla collina" dissi contento, guardando con la coda dell'occhio l'anello.
La pietra di lapislazzuli incastonata in esso brillava ogni volta che il sole la colpiva, facendo risaltare anche la scritta incisa, ‘Pro infinito’. Era un anello davvero splendido.
Ci fu una strana pausa, poi mi disse: "Collina?! Che intendi?! Io sono a casa"
"Non mi hai regalato tu l'anello di Damon?"
"No" disse lei sempre più confusa.
In quel frangente arrivai ai piedi della collina e intravidi Mary. Sorpreso, salutai velocemente Nina e scesi dall'auto, poi la guardai.
"Tu" fu tutto ciò che uscì dalla mia bocca.
"Io – disse sorridente, poi aggiunse – Spero sia stato di tuo gradimento".
Sorrisi e le corsi incontro. 
"Come cavolo hai fatto a convincere Julie? E soprattutto come cavolo hai fatto a entrare?"
"Te l'ho detto, l'arte della persuasione è una delle mie qualità. E poi… tappetino, prevedibile. Lo sai che potrebbero svaligiarti casa molto facilmente in questo modo?" sorrise.
“E tu lo sai che voglio i diritti d’autore per avermi citato?” risi e la strinsi.
“Immaginavo lo dicessi” sghignazzò.
“Davvero, Mary, come sei entrata?”
“La settimana scorsa ti ho rubato le chiavi di scorta, mentre il mio complice Moke ti distraeva”
“Ah, mascalzone – risi – Devo ricordarmi di ringraziare anche lui allora”
“Direi proprio di sì”.
Sciogliemmo l’abbraccio e le feci notare che indossavo già il suo splendido regalo.
"Auguri Ian" sussurrò dolcemente.
"Grazie pazzoide, ti adoro".

"Soffia le candeline ed esprimi un desiderio, su!" disse Nina contenta.
Alzai gli occhi al cielo sorridendo e feci come mi aveva ordinato. Tutti applaudirono e mi cantarono la canzoncina, poi cominciarono a urlare per il discorso.
"Va bene va bene! Allora – dissi, dopo aver schiarito la voce – intanto ringrazio tutti per essere qui stasera. Come dicono i miei genitori, ogni età si compie una sola volta nella vita, ed è bello festeggiarla con tutti gli amici e i familiari riuniti. Poi vorrei ringraziare particolarmente mia sorella Robyn e la mia fidanzata Nina per aver organizzato questa splendida festa, ma vorrei fare anche un grandissimo applauso alla mia carissima amica Mary, grazie alla quale ho ricevuto il regalo più bello e desiderato" sorrisi e sfoggiai l'anello di Damon.
Paul guardò verso Julie con aria pietosa, ma Julie scosse la testa. Scoppiai a ridere, a quanto pareva, Julie avrebbe ceduto solo il mio anello.
Guardai verso Mary ancora riconoscente e alzai il bicchiere, poi dissi a gran voce: "Alla salute".

POV Nina
Organizzare quella festa non era stata un'impresa facile, ma grazie a Robyn era andato tutto per il meglio. La famiglia Somerhalder era tutta riunita e tutti gli amici erano venuti per festeggiare Ian. Ero davvero soddisfatta del mio lavoro e vederlo felice era una ricompensa più che perfetta. Poco prima della torta, mi avvicinai a Mary e chiacchierai un po’ con lei. Non conosceva quasi nessuno lì, perciò era normale che si sentisse a disagio. Mentre parlavamo della sua ennesima avventura amorosa finita male, si avvicinarono Robyn ed Edna.
Non persi tempo e dissi sorridendo: "Mary, vorrei presentarti Edna, la madre di Ian, e Robyn, la sorella".
Lei, molto imbarazzata, strinse le mani a entrambe e sussurrò il suo nome. Cominciammo a parlare del più e del meno, ma la discussione fu presto stroncata dall'arrivo dei due Robert. 
"Ragazze, la torta è pronta – disse Robert, poi notò Mary e tese la mano – Piacere, sono Robert, il padre di Ian". 
"Maria Chiara, il piacere è tutto mio" disse sorridendo.
Il fratello di Ian le si avvicinò e disse: "Io sono Robert due e sono il fratello di Ian".
Mary sorrise e si presentò anche a lui.
"Con permesso, vado a prendere la torta" dissi cordialmente guardandola e mi allontanai, seguita da tutta la famiglia Somerhalder.
Provai un senso di trionfo, anche se vederla nuovamente sola mi dispiaceva. Non ci pensai a lungo, uscii la torta e invitai Ian a soffiare sulle candele. Subito partì la canzoncina da compleanno, seguita immediatamente dal discorso.
Quando Ian alzò il bicchiere per brindare, alzai il mio un po’ intontita. Le parole del discorso frullavano ancora vorticosamente nella mia testa e non riuscivano a fermarsi. Il campanello di allarme si fece sempre più forte e indicava senza più alcun dubbio Mary. 
Uscii velocemente di casa e cercai di respirare il più lentamente e profondamente possibile.
"Nina" disse Julie alle mie spalle.
La guardai negli occhi e dissi agitata: "Sono uscita per prendere una boccata d'aria, non è niente. E' solo che... che... l'anello..".
Senza aspettare altro, Julie mi abbracciò e mi sussurrò: "Sei preoccupata e hai dei sospetti. E fai bene ad averne".
Mi raccontò dell'irruzione di Mary nel suo ufficio della sera precedente, poi rientrò per lasciarmi da sola. Guardai la neve cominciare a scendere, poi rientrai anch’io, cercando in tutti i modi di nascondere le righe delle lacrime che avevo versato.


----------------------
Note dell'autrice:
Buon compleanno a Ian! ^^
Nina è stata molto dolce a organizzare la festa insieme alla sorella del nostro Smolder, Robyn, ma la gelosia è tornata a farsi sentire: Mary ha regalato il preziosissimo anello di Damon a Ian e, beh, Nina non l'ha presa di certo bene. La gelosia, mostrata nuovamente dopo cinque mesi (nel capitolo precedente era Luglio, in questo Dicembre), ha fatto scattare definitivamente il triangolo amoroso. Ma... questo triangolo è stato notato solo dalla Dobreva o anche dagli altri due protagonisti? 


Chi lo sa! Continuate a leggere :)


Ringrazio nuovamente per la lettura e (in anticipo) per le eventuali recensioni (non obbligatorie, ovviamente!)
Un bacio :*

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** That's what friends are for. ***


POV Ian
"Guarda, sta nevicando!" disse Mary contenta, poi aprì la porta della sua cucina e uscì fuori,  cominciando a saltellare.
Risi e la seguii. 
"Sembra che tu non abbia mai visto la neve" dissi incrociando le braccia.
"Dalle mie parti non nevica quasi mai, perciò, quando vedo la neve, mi esalto" fece una piccola smorfia e guardò il cielo con aria nostalgica.
"Ehi, tutto a posto?" chiesi preoccupato.
Annuì, poi disse: "E' solo che quest'anno non potrò tornare in Sicilia e mi mancherà. Anche se l'atmosfera cittadina, sai, non è perfetta e anche se prima di Natale la metà delle luci decorative per le strade sono già scariche, stare lì con la mia famiglia è... magico! Si gioca e si mangia fino a tardi, a volte facciamo pure delle passeggiate in spiaggia, anche quando piove, è bellissimo".
Provai tanta tenerezza per lei, in fondo tutti avevamo la nostra famiglia accanto e lei no. Un'idea si fece largo nella mia mente e sorrisi contento. Si poteva fare. Specie se lei non mi beccava.

POV Mary
Finii il mio turno e tornai a casa, poi, prima di andare a letto, accesi il computer e video chiamai la mia famiglia. Erano a casa della nonna, perciò potei parlare con tutti quanti. Scambiatici gli auguri, staccai e mi addormentai stremata.
Un rumore brusco mi svegliò di soprassalto, ma non riuscii a vedere di cosa si trattasse, perché ero bendata. 
Sentii qualcuno respirare accanto a me e dissi agitata: "Chi c'è?"
"Non preoccuparti, siamo arrivati" sussurrò Ian.
"Ian, dove siamo? Che sta succedendo?"
"Rilassati, non voglio mica ucciderti"
"Ci mancherebbe" dissi sarcastica.
Scoppiò a ridere e mi prese per mano, poi cominciammo a camminare su una superficie legnosa. Un'aria mi travolse, era frizzante, piacevole, salata... marittima!
Ian mi tolse la benda e una splendida spiaggia mi si proiettò dinanzi. Vicino alla battigia vi era una tovaglia con sopra del cibo. 
"E' la spiaggia americana più simile a una spiaggia siciliana che abbia mai visto. Ieri sera ti ho visto triste e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere vedere un paesaggio familiare – sorrise e indicò il cibo – e mangiare qualcosa di.. tradizionale".
Lo guardai ancora sorpresa e mi avvicinai alla tovaglia. Focacce, arancine, pasticci e altre pietanze la occupavano. Guardai Ian senza parole. 
"Buon Natale" disse dolcemente. 
Lo abbracciai forte e dissi commossa: "Grazie, grazie, grazie! Come hai fatto a… Aaah, grazie, è un regalo splendido!"
"Oh, lo so! – rise e fece una pausa – Ora voglio il mio regalo e so già cosa chiedere"
"Sentiamo" lo guardai.
Ian indicò una Jeep nera in lontananza e rispose: "La benzina per il ritorno"
"Quella non è la tua auto, non prendermi in giro"
"E' noleggiata, siamo arrivati qui in jet".
Lo guardai allibita, poi farfugliai: "J-j-jet?! Ian, ma dove siamo?"
"Nella mia casa a Santa Monica" sorrise.
"Mi hai portato a LA senza svegliarmi?! Ma io ti venero" risi.
"Certo, quando sei stremata, non ti svegliano neanche le cannonate. Ora, prostrati in segno di rispetto nei miei confronti – disse ironico, poi mi abbracciò e continuò – Sono contento che ti sia piaciuta la sorpresa, non sopporto il muso triste sul tuo viso, non ci sono abituato, ti vedo sempre così sorridente" mi guardò e mi carezzò una guancia.
Quel tocco e quello sguardo mi fecero desiderare di stringerlo, baciarlo, averlo tutto per me. Subito le parole di Nina, pronunciate in estate, mi invasero la mente e fui costretta a scuotere la testa con forza per scacciarle. 
"Tutto ok?" mi chiese Ian. 
Annuii e lo abbracciai, poi cominciammo a mangiare. 
Tornati ad Atlanta, Ian non riuscì più a resistere e sommerse il suo Twitter con molte nostre foto, sia soli che con Nina, scattate da quando eravamo diventati amici fino a quel giorno. 
Ovviamente i giornalisti avevano subito cominciato a far domande, ma Ian se l'era cavata definendomi un' 'amica di coppia'. Benché quell'affermazione mi avesse dato fastidio, avevo dovuto accettarla. Io ero una loro amica, niente di più e me ne stavo rendendo sempre più conto. Purtroppo.

"Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno... Buon 2013!!" urlammo tutti in coro e cominciammo a scambiarci auguri, bere champagne e ballare. Mentre bevevo sola soletta al tavolo, un uomo si sedette accanto a me e tese la mano.
"Il mio nome è Justin Stevens e sono un amico di Nina".
Gli strinsi la mano e mi presentai gentilmente, poi mi alzai. Quell'uomo era ubriaco e non volevo averci niente a che fare. Mentre mi dirigevo verso l'uscita per prendere una boccata d'aria, Justin mi bloccò e mi fece entrare nel bagno degli uomini a forza. Mi bloccò a muro e mi toccò una coscia, alzando sempre di più il mio vestito. 
"Sei proprio sexy, sai?" mi sussurrò all’orecchio per vincere il frastuono della musica, ancora potente, poi avvicinò le sue labbra alle mie. 
Non riuscii né a liberarmi, né a schivarlo. Le sue sudice mani mi tenevano troppo stretta. Provai a urlare, ma non servì a niente, la musica continuava a essere troppo alta. La sua lingua si fece largo nella mia bocca e riuscii a trattenere un conato di vomito per miracolo. Mise prontamente le mie gambe attorno alla sua vita, senza che potessi oppormi e uscì dalla tasca un preservativo.
“Ci divertiremo, vedrai” sorrise malizioso.
Mi pietrificai e non riuscii più a lottare con quel minimo di forza di qualche attimo prima. Quando pensavo che mi avrebbe inevitabilmente violentato, sentii l'unica voce che avrei riconosciuto tra tante dire duramente: "Lasciala andare".
Justin continuò imperterrito, perciò Ian lo prese per le spalle e lo staccò da me con forza.
"Va a farti un giretto, su! – gli disse disgustato, poi si rivolse a me con tono e aria preoccupati – Tutto bene? Lo so, avere a che fare con Justin il maniaco è un'esperienza terribile per tutte le donne" fece una smorfia.
Feci una risatina, mentre le lacrime scendevano inesorabili.
Senza che facessi altro, mi abbracciò forte. In quell'istante, tutta la paura svanì, mi sentii protetta e al sicuro. Era lui a provocarmi tutte queste emozioni in una volta. 
Mi accompagnò a casa e restò con me, fin quando non caddi in un sonno profondo.

POV Nina
Io, Kat e Candice stavamo facendo un balletto strano e spensierato, quando all'improvviso mi ritrovai Ian davanti con un'aria per niente allegra.
Sorrise a Kat e Candice, poi mi tirò in disparte e disse: "Justin il maniaco che quando beve diventa ancora più maniaco, davvero?!".
Abbassai lo sguardo colpevole e lui continuò: "Ma come hai potuto farle una cosa simile?"
"Non volevo fare niente di male" sussurrai.
Ian strinse i pugni e alzò la voce, ma non se ne accorse nessuno: "Niente di male?! Stava per violentarla in bagno, ti sembra un bene questo?!".
Lo guardai, era rosso, gli occhi trasmettevano il suo essere sconvolto e sembravano brillare di più per questo. 
"Come sta?" sussurrai.
"Bene, per fortuna" sbottò.
"Io volevo solo... In questi mesi ha avuto tante avventure negative e volevo aiutarla. Volevo trovarle qualcuno che la rendesse felice, qualcuno che l'aiutasse a costruire un rapporto come il nostro" dissi pentita.
"Ti capisco, però Justin… Ah, lasciamo stare" Ian mi abbracciò.
Mentre lo stringevo, cominciai a sentire qualcosa dentro.
Ero davvero pentita per ciò che avevo fatto a Mary? Forse, per la prima volta, avevo mentito a Ian.








------------------------
Note dell'autrice:
In questo capitolo affrontiamo due delle mie feste preferite: Natale e Capodanno.
Mary non può tornare a casa, né per l'una, né per l'altra ed essendo una persona molto legata alla sua famiglia, questo "blocco" per il lavoro la rattrista. Fortunatamente, ci pensa Smolder a farle tornare il sorriso. Il gesto di portarla a LA può sembrare surreale, lo ammetto, ma conosco davvero persone che si lasciano trasportare di qua e di là e non si accorgono di niente per la troppa stanchezza, quindi non lo è poi così tanto xD. In fondo, dopo un turno in ospedale, in cui ci sono emergenze praticamente ogni cinque minuti, chi non sarebbe stanco morto? Chiudendo questa parentesi, il gesto di Ian è stato molto dolce! Se Maometto non va alla montagna, la montagna va a Maometto, giusto? (Dovrebbe essere così il detto xD).
Parlando, invece, del Capodanno... qui abbiamo un momento importante, che non sta tanto nel "quasi stupro di Mary con annesso il salvataggio di Ian", quanto più nella parte finale. Nina abbraccia il suo Ian, suo amore, suo porto sicuro, ma sente una sensazione di disagio. Gli ha mentito. La sua gelosia sta cominciando a farle superare il limite. Cosa succederà di altro? Lo scoprirete nelle prossime puntate xD 
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Stay. ***


POV Ian
Le riprese della seconda parte della stagione erano finalmente iniziate e per il mio personaggio stava procedendo tutto per il meglio. Nonostante nel finale della terza stagione Elena avesse scelto nuovamente Stefan, le scene speranzose Delena non mancavano mai e sembrava ormai inevitabile far diventare i due più che semplici amici. 
"Buongiorno signori e signore, oggi si gira la diciassettesima puntata, su al lavoro, siamo in ritardo!" dissero contemporaneamente Julie e Kevin.
Prendemmo tutti posizione e cominciammo a girare una scena di lotta tra Damon e Klaus. Accadde tutto in fretta. Posizionai male il ginocchio e, mentre mi muovevo per schivare Joseph, lo sentii scricchiolare, come una porta arrugginita. Caddi a terra e urlai di dolore.

POV Nina
Stavamo girando una scena, quando all'improvviso Ian finì a terra dolorante. Tutti ci alzammo spaventati e corremmo verso di lui.
"Ian" dicemmo tutti agitati.
"Il ginocchio, credo il crociato" disse tra un urlo e l'altro.
Senza pensarci due volte, composi il numero di Mary.
"Pronto, Nina?" disse lei molto tranquilla.
"Mary, venite subito con un'ambulanza" dissi agitata.
"Nina, cos'è successo?"
"Il crociato di Ian".
Non ebbi bisogno di dire altro. Lei cominciò a spartire ordini a destra e a sinistra. Mi disse che sarebbero arrivati presto e che non dovevamo muoverlo, poi riattaccò.
In meno di dieci minuti arrivarono e lo caricarono sull'ambulanza con una barella, poi Mary mi invitò a salire e partimmo per l'ospedale. Quando arrivammo, dovettero mandarlo subito a fare una risonanza magnetica per vedere i danni, perciò mi dovetti separare da lui. 
"Ti amo" gli sussurrai tra le lacrime. 
Il suo labiale disse 'anch'io'.
Mi sorrise, mentre si allontanava sempre di più.

POV Mary
Quando Nina aveva nominato Ian, non avevo potuto fare a meno di correre da lui. 
Gli feci velocemente una risonanza magnetica, poi cercai di spiegargli la situazione.
"Quale crociato ti eri rotto l'ultima volta?"
"L'anteriore"
"Adesso il posteriore.. fortunato!".
Fece una smorfia.
"Ci hai fatto prendere un bello spavento, lo sai?"
"Mi sono spaventato anch'io. Per un attimo ho creduto che la scena che stavamo girando fosse diventata reale e che Klaus mi avesse ferito mortalmente"
"E tu mi hai appena spoilerato una battaglia. Grazie eh".
Ian rise di gusto, poi mi disse: "Grazie a te"
"Di niente. Sai cosa devi fare?"
"Un altro intervento?" fece un'altra smorfia.
“No, riposo assoluto. Almeno per otto settimane”
“Bene” disse con una punta di sarcasmo e finse di stiracchiarsi.
Risi.
Feci per andarmene, quando la sua voce mi fermò: "Potresti restare con me?".
Mi sembrò un piccolo bambino indifeso in cerca di coccole. Annuii e mi sedetti vicino a lui. Poggiò la testa sul mio grembo e cominciai ad accarezzarlo.
"Meow" disse ironico lui e io risi ancora. 
Restammo in quella posizione, fin quando non sentii Nina in corridoio che chiedeva di Ian. Lo guardai e mi alzai.
"Resta un altro po’" mi implorò Ian davanti a Nina.
"Io..." dissi esitante.
"Lei deve lavorare. Non abbiamo bisogno di lei" disse Nina, lievemente arrabbiata. 
"Già, il lavoro chiama. Passo più tardi per visitarti. Mi raccomando non ti alzare dal letto" dissi guardandomi le scarpe e uscii in fretta da quella stanza. 
Guardai l'orologio per il resto della giornata, aspettando con ansia che l'orario delle visite finisse. Quando finalmente finì, mi diressi verso la stanza di Ian e mi appoggiai alla sua porta. Lo trovai a guardare una replica di The Vampire Diaries.
"Ti stai ammirando?" chiesi ironica.
"Lo ammetto, sì" mi guardò sorridente e mi invitò a sedermi accanto a lui.
"Ian – dissi prima di sedermi – Nina per caso è gelosa di me?"
"No, tranquilla. Oggi ti ha risposto male perché era preoccupata per me, quando lo è non riesce a controllare il suo umore. Era molto dispiaciuta per averti trattata male, infatti. Scusala"
"Non è la prima volta, però, che noto un suo comportamento strano. Sicuro che non sia gelosa? Perché se lo è, forse dovremmo allontanarci"
"Ma che dici, non pensarlo nemmeno per un momento! – disse lui guardandomi serio –Tranquilla, davvero" e mi sorrise.
Annuii nuovamente cercando di auto-convincermi, poi Ian mi sussurrò: "Mi coccoli di nuovo? Era rilassante. E io ho bisogno di relax. L'ha detto il mio medico".
"Dovrò farci una bella chiacchierata con il tuo medico – risi, poi gli lasciai poggiare nuovamente la testa sul mio grembo e lo accarezzai – Lo faccio solo perché sei malato, non ti ci abituare, eh!"
"Agli ordini, signora" rispose e fece il gesto da militare.
Risi di nuovo e lui mi accarezzò il viso.
"Ti voglio tanto bene, Mary. Non so che farei senza di te"
"Anch'io, Ian".






--------
Note dell'autrice:
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Sono felice di comunicare (?) che sono ufficialmente tornata a casa, quindi da oggi pubblicherò un capitolo per volta (anche se non so se giornalmente o settimanalmente... magari se ricevessi qualche consiglio da voi potrei decidere meglio xD)
Comunque, parlando del capitolo...
Al solito non è un capitolo molto lungo, ma è importante.
Ian si è fatto male al crociato (poveretto) e Mary l'ha soccorso, senza pensarci due volte. Anche un'amica l'avrebbe fatto, è vero, però credo che da questo gesto si veda un aspetto del triangolo: Mary è innamorata di Ian, segretamente ovviamente perché lui è impegnato, e non può sopportare che lui soffra, un po' come se soffrisse anche lei. Quest'empatia è proprio data dai sentimenti che stanno iniziando a prendere sempre più forma dentro di lei.
Un altro passaggio importante si ha quando Nina risponde male a Mary. Ian dopo dice che ne era dispiaciuta. Se così, Nina si trova in una posizione un po' incerta, lei è consapevole, vede cosa Mary inizia a sentire per Ian, ma non ne è sicura al 100%. E questo la confonde.
Mary inizia a notare la gelosia.
Ian è ancora ignaro di tutto.
Prenderà coscienza presto?
Lo scopriremo.
Alla prossima e grazie a chi mi segue :) Mi farebbe piacere se lasciaste recensioni, così so cosa pensate della storia e magari del mio stile di scrittura!
Baci :*

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Red. ***


POV Mary
Erano passate sei settimane dall'incidente di Ian e lui era ancora in ospedale. Entrai nella sua stanza per visitarlo e vidi Nina con delle valige. 
"Che succede?" sussurrai.
"Devo tornare in Canada. Mi hanno contattata i registi di 'Degrassi' che hanno intenzione di fare delle puntate speciali per far vedere come i personaggi hanno sviluppato le loro vite" disse Nina.
La guardai riempire di attenzioni Ian, poi si baciarono e lei andò via.
Mi avvicinai a Ian e dissi: "Lo sa che domani ti dimettiamo?".
Lui scosse la testa, poi sussurrò: "E' meglio così, deve lavorare e non voglio esserle d'intralcio"
"Capisco" annuii e lo visitai, poi gli augurai buona notte e tornai a casa.

"D'accordo, Robyn. Davvero, non ti preoccupare, me la caverò. Sì, sì, ciao"
"Verranno a prenderti?" chiesi curiosa.
Ian scosse la testa.
"Negativo, praticamente sono in mezzo a una strada" fece una smorfia .
Richiusi la cartella e feci per andarmene, quando Steve arrivò con il modulo di dimissioni.
"Ecco qui il tuo modulo di dimissioni, Ian. Chi ti porta a casa?”
“Ho un problema. Nina è partita ieri per il Canada e mia sorella non può venire. Sono bloccato qui in ospedale”
“Ma davvero? – Steve mi guardò con la coda dell’occhio, sghignazzando sotto i baffi, poi disse raggiante – Mi è venuta un'idea”.
"Sarebbe?" disse Ian speranzoso.
"Perché non stai da Mary? E' un medico, quindi può prendersi cura di te più facilmente; e poi ha una camera da letto al piano terra, perciò non dovresti nemmeno preoccuparti delle scale".
Senza farmi vedere da Ian, lo fulminai con lo sguardo. Steve mi ignorò e guardò Ian. 
"Se per te non è un problema.." Ian mi guardò.
In quel momento fu come se il mondo si fosse dissolto nel nulla e fossimo rimasti solo noi due. Era inutile cercare di negare l'evidenza, cercare di combattere quel sentimento. Mi stavo innamorando di lui e ogni suo singolo gesto mi faceva male. Lui stava con Nina e lei era una mia amica, non potevo farle del male. Non potevo, però, nemmeno lasciarlo lì, abbandonato a sé stesso e con un ginocchio mal funzionante. 
"D'accordo, dammi qua, mi prendo la responsabilità" dissi a Steve, che mi passò il modulo di dimissioni.
Lo firmai e portai a casa Ian. 
Era divertente averlo in casa. Non passavamo un momento annoiati, ridevamo e parlavamo in continuazione.
Una sera, mentre mangiavamo gelato al cioccolato misto a patatine, Ian mi guardò in modo strano.
“Che c’è?” chiesi.
“Ti prego, mi racconteresti di quando sei arrivata in America? Sono incredibilmente curioso” sorrise.
“Non se ne parla, è imbarazzante”
“Dai, ti pregooo” fece il labbruccio.
“Mmmm, e va bene, ma a patto che non ti sbellichi troppo dalle risate”
“Affare fatto. Ora racconta” si sistemò comodamente sul letto e attese che la mia bocca si aprisse per parlare.
“Allora, le prime cose che ho detto appena arrivata in America sono state ‘Adoro questo paese!’. Le seconde ‘Non. Ci. Credo’, dette sotto shock”
“Come mai?” chiese curioso.
Cominciai a raccontare, mentre le immagini di quel primo mese ad Atlanta riaffioravano nella mia mente.
 
"Mi dispiace, Maria Chiara. Dovrai restare qui per il primo mese. Purtroppo la casa che volevo mostrarti non è ancora pronta per essere mostrata, perciò..." Jodie si passò una mano tra i setosi capelli biondi.
Non continuò il discorso e se ne andò di corsa, scendendo le scale malridotte a due a due e urlandomi che mi avrebbe chiamata nei prossimi giorni.
Le valige mi caddero dalle mani.
Davanti a me c'era una stanza di massimo sei metri quadrati, cupa e con i mobili quasi rotti. Sulle pareti si intravedevano delle toppe, causate sicuramente dall'umidità. Scossi la testa quasi nel panico e andai a controllare le altre due stanze.
La camera da letto era messa peggio della cucina-salotto, per non parlare del bagno. Le toppe di umidità sembravano proseguire fino al piano di sotto e c'era persino un tanfo orribile.
"Benvenuta in America" mi sussurrai ancora sconvolta.
Stavo pensando a un modo per far fuori Jodie, quando sentì qualcuno urlare sul pianerottolo.
"Ehi! Ehi!".
Corsi alla porta e vidi un omone pelato con tracce di sudore sulla canottiera bianca.
"Sì?" la voce mi uscì decisamente nauseata.
"Sei la nuova inquilina del 3B?"
"Ehm, sì, sono proprio io"
"Oh, benvenuta. Io sono Tom, l'inquilino del 2B. Se hai bisogno di qualcosa ti basta chiedere, solo... non sempre" rise di gusto e se ne andò verso il suo appartamento, giusto in tempo per accogliere in casa sua una bellissima donna, con un'evidente parrucca bionda, un vestito rosso e delle calze a rete nere.
"Ciao dolcezza" Tom le palpò il sedere.
"Pronto a cavalcarmi?".
Tom non le rispose e chiuse la porta con forza. Rientrai immediatamente e feci due giri di chiave, poi mi sedetti sul pavimento, se così si poteva chiamare, portandomi le ginocchia al petto.
"Ma dove sono capitata? Jodie questa me la paga" dissi quasi spaventata.

 
Il racconto fu interrotto dalle troppe risate di Ian.
“Oh Mio Dio, non avevo mai riso così tanto! Ho le lacrime” rise ancora di più, sicuramente immaginando la mia faccia in quel momento sciagurato.
Quando si calmò, m’implorò: “Raccontami altro del tuo primo mese, ti scongiuro”
“No, mi prenderesti ancora in giro” sbuffai.
“No, lo prometto. Dai, continua” sorrise.
“Non riesco a dirti di no, maledizione” bofonchiai e continuai con un altro aneddoto.
 
Bussarono alla porta e aprii di fretta.
"Ti ho portato un caffè e un cornetto alla crema"
"Oh, Tom, grazie – sorrisi e li presi – Quanto ti devo?"
"Niente, davvero. Mi ripagherai quando"
"Quando ti farò fare gli esami clinici completi, lo so. Ma non sarebbe meglio se invece smettessi di svolgere le tue attività?"
"No, sono abitudini! Ed ecco, a tal proposito.. devo andare" disse imbarazzato.
"E vado pure io, così non ritardo – presi le chiavi e la tracolla e chiusi la porta dietro di me – Buona giornata" mi diressi verso le scale.
"Oh, lo sarà sicuramente!"
"Tom – mi voltai – non lo volevo sapere" conclusi con una punta di disgusto.
Scoppiò a ridere e rientrò in casa. Uscii da quel palazzo e andai verso l'ospedale, con le cuffie e la colazione al seguito. Ero elettrizzata, finalmente era arrivato il giorno che aspettavo da ben quattro settimane. Stavo per cominciare il mio tirocinio al Saint Joseph Hospital.
Sorrisi e cominciai a muovere le dita e la testa, a ritmo di musica, mentre mi guardavo intorno estasiata.
Nonostante vivessi in un tipico appartamentino disagiato americano, non mi ero ancora resa del tutto conto di trovarmi proprio in America.
Il mio sogno si era avverato.
Mentre avevo ancora la testa per aria, pensando alle avventure che avrei vissuto quel giorno e canticchiando ‘What have you done’ dei Within Temptation, mi apprestai ad attraversare, quando una macchina frenò di botto, rimanendo a pochi centimetri da me.
"Ma che fai? Guarda dove vai" mi urlarono un uomo e una donna, poi, spostatami, l'uomo diede gas e ripartirono.
Restai allibita per il resto della strada.
Certo che alcune persone erano proprio cafone.
Entrata in ospedale, mi diressi verso lo spogliatoio e un infermiere mi confermò il mio numero di armadietto.
Presi da lì camici e badge e aspettai di essere chiamata.
"Crane, Davis, Floridia, Walker" disse l'infermiere di prima.
"Eccomi" dissi e andai all'ingresso dello spogliatoio, dove, oltre all'infermiere c'erano l'uomo e la donna dell'auto e un altro uomo.
Gli occhi azzurri del primo uomo e gli occhi verdi della donna si sgranarono, non appena li raggiunsi.
"Ma tu sei la maldestra di stamattina!" sbottò l'uomo.
"E tu sei l'uomo che stava per mettermi sotto" ribadii un po’ imbarazzata.
"Sei sicuramente nuova in città, non hai notato che il semaforo dei pedoni era rosso. Toccava a noi passare" mi fece notare la donna, sicuramente più calma dell'uomo.
"Oh... ops, scusatemi – feci una smorfia, non avevo notato il semaforo, presa com'ero dalla felicità – Abbiamo iniziato con il piede sbagliato. Maria Chiara Floridia, piacere" tesi la mano.
"Rose Davis" disse la donna.
Dopo avermi stretto la mano, indicò l'uomo cafone e disse: "Lui è Steve Crane, il mio fidanzato - poi indicò l'altro - Mentre lui è Alex Walker, un... amico?"
"Senza quel punto interrogativo, donzella - disse Alex e mi guardò con malizia avvicinandosi - Ma di dove sei? Hai l'aspetto di un'italiana"
"Sì, lo sono. Vengo dalla Sicilia"
"Interessante" mi fece l'occhiolino e io rabbrividii.
"Ragazzi, ehmm - ci interruppe l'infermiere - va bene socializzare, ma dovreste andare dal vostro responsabile, siete in ritardo"
"Oh porca" dicemmo in coro e corremmo verso il dottor Wilson.
"Bene, ho quattro specializzandi ritardatari. Che bellezza" fu tutto quello che disse prima di renderci la giornata un inferno.

 
“Aspetta, Mary, frena. Chi è Alex Walker? Non me l’avevi mai nominato prima di ora” Ian mi guardò interrogativo.
“Alex è un coglione, pervertito, amico di Steve. Abbiamo trascorso i primi due anni di specializzazione insieme, ma ora fortunatamente, dato che iniziamo a indirizzarci verso le nostre specializzazioni, pur continuando a fare tutto, lo vedo meno spesso”
“Non ho capito bene”
“I primi due anni di specializzazione si lavora in tutti i reparti. Dal terzo anno in poi, però, inizi a lavorare un po’ di più sul reparto che vorresti intraprendere. Nel mio caso cardio; nel caso di Rose chirurgia generale; nel caso di Steve neuro e nel caso di Alex fisioterapia e ortopedia. Ci sei?”
“Sì”
“Bene. Ovviamente, fin quando non saremo dei veri medici, non potremo lavorare soltanto in quei campi, ma anche negli altri”
“Quindi, vi vedete di meno, perché, anche se continuate a lavorare in tutti i reparti, siete un po’ più concentrati nei reparti che tra tre anni vi accoglieranno?”
“Esatto”
“Tutto chiaro – sorrise – Ora continua l’aneddoto”
“Ok”.
 
Il dottor Wilson aveva dato ordini tutto il giorno e, tra analisi, pronto soccorso, cartelle, esplorazioni rettali, pus e tutto il resto, non avevo nemmeno avuto il tempo di andare a pranzo o di prendere qualcosa da sgranocchiare.
Alla fine del turno, non mi reggevo in piedi.
"Ehi, ehm.. dove abiti?" mi chiese Rose.
"Sono così stanca che non ricordo nemmeno il nome" feci una smorfia.
"Oh... beh, se ti viene in mente dimmelo. Non vorrei che qualcuno t'investisse, data la tua scarsa attenzione ai semafori cittadini"
"Scusami ancora per stamattina! E' solo che... nella mia città natale i semafori non ci sono e nella mia città universitaria non li notavo perché andavo sempre con i mezzi pubblici"
"Tranquilla - sorrise - Sai, mi stai simpatica"
"Anche tu" ricambiai il sorriso.
L'infermiere che aveva accolto tutti la mattina, giunse nello spogliatoio con i turni del giorno dopo, poi disse: "La dottoressa Floridia è richiesta all'ingresso" e se ne andò.
"Ma non sei tu?" Rose mi guardò.
Annuii e senza dare retta agli altri, andai all'ingresso.
Ad aspettarmi c'era Jodie, con un sorriso smagliante.
I suoi occhi azzurri risplendevano e i suoi capelli biondi erano perfettamente raccolti in una coda.
Come faceva a essere così bella dopo una giornata di lavoro?
Inorridii, pensando al mio aspetto.
"Jodie – il mio tono di voce cambiò, ripensando all’appartamento – Hai idea di dove mi hai mandato a vivere? Mi avevi promesso un posto"
"Sì lo so, non continuare. Diciamo che quello era il posto temporaneo e te l'avevo pure detto. Vieni con me. Ti porto nella tua vera casa" mi fece l'occhiolino e mi trascinò fuori dall'ospedale.
Salite in macchina, passammo tutta Atlanta e prendemmo la strada per andare in periferia.
"Ma dov'è?"
"Non essere impaziente, Mary" mi sorrise e continuò a guidare.
Quando arrivammo, rimasi a bocca aperta.
"So cosa stai per dire, credimi! 'Ma Jodie, che casa è?' – mi imitò e accennai un sorriso – Beh, sai che ti dico? E' la casa per te. Quando mi hai contattata su internet mi hai detto che volevi una di quelle case che avevi visto nei film, una casa dove magari avresti potuto costruire qualcosa ed eccola qui! Certo, ha bisogno di qualche ristrutturazione, non lo metto in dubbio, ma è proprio per questi lavori che dovrai fare che la mia agenzia non ti farà pagare tanto. Così potrai permettertela nonostante il tuo stipendio per ora basso da tirocinante. Che ne pensi?".
La guardai a bocca aperta. Quando mi ripresi, balbettai: “E’ p-perfetta. Grazie”.

 
“E ti sei guadagnata questa bellezza al primo anno? Fortunata la ragazza” Ian mi diede una spintarella e continuò a mangiare.
 
La prima settimana con Ian era andata abbastanza bene.
Ma, sfortunatamente per me, nonostante fosse bellissimo averlo accanto, diventava una sofferenza sempre maggiore. Non credevo avrei mai potuto provare una cosa così forte per una persona, davvero, era indescrivibile. Ogni volta che mi guardava, che mi diceva che mi voleva bene, il mio cuore batteva così velocemente, che temevo potesse uscire dal mio petto. Perché mi ero dovuta innamorare di lui? Non potevo restare la sua amica Mary e basta? Il dolore per non poterlo avere cominciava a diventare sempre più forte e tenere nascosto ciò che provavo sempre più difficile. Il faro di un'auto mi destò dai miei pensieri. Scossi la testa e imboccai la prima strada a destra, poi proseguii fin quando non raggiunsi il mio cortile. Scesi dall'auto ed entrai in casa. 
"Sono a casa!" urlai.
"Mary!" rispose Ian dalla sua stanza.
Corsi da lui e gli poggiai sul letto un sacchettino.
"Cinese, come aveva richiesto, sire" dissi, trattenendo una risata.
Lui mi ringraziò con un bacio sulla guancia e cominciò a mangiare. Restai un po’ intontita da quel bacio, poi andai a mangiare anch'io. Quando tornai in camera sua dopo cena, lo trovai seduto con un'espressione strana.
"Tutto bene?" chiesi preoccupata e mi avvicinai istintivamente a lui.
Annuii, poi divenne rosso. 
"Mary – farfugliò – dovresti farmi un favore"
"E sarebbe?".
Abbassò lo sguardo e sussurrò: "Io lo so che è un po’ imbarazzante, però... potresti aiutarmi a fare il bagno?".
Restai paralizzata per istanti eterni, poi annuii ancora stordita e lo accompagnai in bagno. Lo aiutai a entrare in vasca, cercando di combattere la voglia di guardarlo e cominciai a lavargli i capelli. Mi sentivo in colpa, come se con quel gesto stessi tradendo l'amicizia di Nina, ma non potevo non ammettere che mi piacesse essere lì in quel preciso momento. Dopo lo shampoo dovetti lavargli le spalle e la schiena. Il suo corpo si irrigidì e io arrossii. No, non potevo sopravvivere a quel momento, sarei svenuta presto, me lo sentivo. Scossi la testa con forza per non pensarci e presi la spugna tremante. Cominciai a massaggiarlo con essa, fin quando i muscoli non si rilassarono, poi gli dissi: "Fatto, ti puoi immergere"
"Grazie mille" mi sorrise e si immerse.
Uscii immediatamente da quella stanza e cominciai a vagare per la casa, in attesa che quel momento e quel rossore svanissero dalla mia mente e dal mio viso. Più cercavo di non pensarci, più mi martellava in testa.
"Maledizione!" sussurrai, poi sussultai.
Stava squillando il mio telefono.
Corsi in cucina e lo presi. Era Nina. Sembrava che qualcuno si divertisse a mettermi in situazioni di merda. Respirai profondamente e risposi.
"Mary, sono preoccupata"
"Perché?"
"Ian non risponde al telefonino, e se gli è successo qualcosa?"
"No, no, tranquilla! E' solo che sta facendo il bagno e aveva il telefonino in stanza. A dire il vero non l'avevo sentito nemmeno io suonare"
"Perché, sei con lui a quest'ora? Hai la notte in ospedale?"
"Ehm.. No, Ian per ora sta da me, l'abbiamo dimesso qualche giorno fa e io ho una camera da letto al piano terra, così non deve fare le scale".
“Qualche giorno fa? Una settimana, bugiarda!” disse sprezzante una vocina dentro di me.
Perché le avevo mentito?
"Oh. Capisco. Me lo saluti. Ora vado, ciao" Nina riattaccò.
La sua voce era cambiata in un niente. Da agitata a pungente e fredda.
Rabbrividii, non osavo immaginare la sua faccia.
Posai il telefono e andai da Ian.

POV Nina
Riattaccai violentemente. Non sopportavo più la situazione che si era creata. Andai nell'ufficio di Linda, una delle ideatrici di 'Degrassi'.
"Linda, posso entrare?"
"Ma certo, Nina, accomodati"
"Devo chiederti una cosa"
"Dimmi tutto quello che vuoi"
"Quando finiremo le riprese?"
"Ci vorrà circa un'altra settimana, come mai?"
"Piccola curiosità, sai, per le riprese di 'The Vampire Diaries'" sorrisi e mi congedai, poi chiamai un taxi.
Tornata in albergo, prenotai un volo per Atlanta nel fine settimana successivo e mi sdraiai. 
La breve conversazione con Mary era ancora lì, non riuscivo a scacciarla via, come non riuscivo a togliermi dalla mente tutti i momenti che Ian e Mary avevano vissuto insieme da quando si erano conosciuti. Provai tanta rabbia. Dovevo fare qualcosa per separarli o avrei perso Ian per sempre.


-------------------------
Note dell'autrice:
Innanzitutto (nel caso qualcuno o qualcuna se lo stesse chiedendo) non so da dove mi sia venuta la cosa del bagno, ma l'ho pensata e ho deciso che DOVEVO metterla. Insomma, ve lo immaginate?! Ah xD
Detto questo, lascio determinati pensieri lontani da queste note e divento più seria. Mary ha finalmente pensato la parola "innamoramento". Questo vuol dire che Nina ha tutte le ragioni di questo mondo per essere gelosa, dato che la dottoressa italiana si è presa una gran bella sbandata per il suo uomo. 
Nina ha deciso di fare qualcosa per separarli. Cosa si inventerà? Escogiterà un piano "malefico" o più semplicemente parlerà, facendo venire tutta la sua gelosia a galla? E Ian si accorgerà di questo? Oppure lo ignorerà, così come ancora ignora i sentimenti di Mary?
Lo scopriremo/scoprirete la prossima volta!
Grazie per aver letto :)
ps. Se volete ascoltare la canzone dei Within Temptation che ho citato, eccola: http://www.youtube.com/watch?v=gEgXDhiayz4

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Time bomb. ***


POV Nina
Atterrai, presi un taxi e tornai a casa. Posai le valige e andai a prendere Ian da Mary. Presi il suo borsone e lo posai in macchina, salutammo Mary e partimmo. 
Sfortunatamente c'era molto traffico, perciò ci fermavamo spesso e Ian non smetteva di parlare di queste due settimane passate da Mary. Cominciai a tamburellare le dita sul volante sempre più velocemente e sempre più infastidita, fin quando non ce la feci più. 
"Puoi smettere di parlare di queste due settimane, per favore? Ho capito, tu e Mary vi divertite tanto insieme, ma ora basta" dissi secca. 
Ian mi guardò sorpreso, poi rispose in modo quasi scherzoso: "E questa gelosia da dove arriva?"
"Ian, non scherzare!"
"Scherzo, invece, perché questa gelosia non ha motivo per esistere"
"Oh, ma davvero?! Credi che in questi mesi non mi sia accorta dei suoi comportamenti in tua compagnia? Credi che non mi sia accorta dei suoi sentimenti?"
"Nina, è assurdo. Io e Mary siamo solo amici, non c'è bisogno di fare una scenata"
"Non siete solo amici, c'è chimica tra voi due. Tu... tu provi qualcosa per lei"
"Cosa?! Nina, io amo te!"
"Ah sì?! E allora perché in estate hai smesso di cercarle un ragazzo?".
Ian alzò la voce: "Ma che diamine c'entra questo! Ho smesso perché ho capito che deve trovarselo da sola e che, se per ora vuole stare da sola, non è giusto forzarla"
"Bugiardo" sussurrai.
"Bugiardo io?!" mi guardò a bocca aperta.
"Sì, perché se solo scavassi un po’ più a fondo, scopriresti che hai smesso perché sei innamorato di lei. E le tue scenate di gelosia nei suoi confronti di questi mesi ne danno la prova!"
"Ma quali scenate!"
"In estate quando lei ha nominato quell'uomo di Roma, a capodanno quando"
"Capodanno?! Per colpa tua stava per essere violentata da quel maniaco di Justin!"
"L'ho già detto, non l'ho fatto apposta"
"Ne sei sicura? Perché da come ti stai comportando non sembra"
"E' stato un misero errore" biascicai.
"Ah, quindi vuoi dire che, se ipoteticamente al posto di Mary ci fossero state o Candice o Kat o la tua cara amica Julianne, avresti lo stesso fatto conoscere loro Justin?".
Mi ammutolii. 
"E siamo arrivati al punto! Nina, sei così accecata dalla gelosia, che non ti rendi conto di cosa stai dicendo e di cosa hai fatto. Negli ultimi due mesi e mezzo hai trattato Mary come fosse uno straccio. Lei"
"Ecco di nuovo che la proteggi" sbottai.
"Certo, tu la stai attaccando ingiustamente!".
Ci fu un attimo di silenzio. Guardai fissa la strada e strinsi il volante.
"Ian... c'è stato qualcosa tra voi?".

POV Ian
Guardai Nina allibito. Dopo tutto quello che avevamo passato, come poteva chiedermi una cosa del genere? Scossi la testa amareggiato e slacciai la cintura, poi cercai di prendere le stampelle. 
"Siamo arrivati al punto in cui non ti fidi più di me?" sussurrai sconfitto.
“Ian”
“Nina, se ti rispondessi che non c’è stato niente tra noi, mi crederesti? Oppure continueresti questa folle scenata?”
“Ian, io”
“Nina, rispondi a questa cazzo di domanda!” urlai.
Si ammutolì, abbassando lo sguardo.
"Mi chiedo quanto ti fidassi di me, data la scenata, ancora una volta – sottolineai quelle parole – Fammi scendere, non ho intenzione di continuare".
Conclusi la frase amareggiato. Mi tornarono in mente tutte le volte che, tornato da un viaggio, avevo discusso con lei per via di alcune stupide foto con altre donne. Ogni volta avevamo risolto, ma quella volta… sentivo che era diverso. Non sapevo dire con certezza cosa stesse accadendo, ma sentivo davvero che quest’ennesima scenata aveva creato una spaccatura. Una spaccatura che non si poteva risanare.
"Ian" cominciò lei tra le lacrime.
"Ho detto fammi scendere!" la guardai duramente e strinsi le stampelle.
Lei accostò e io scesi.
Guardai la sua auto allontanarsi, poi camminai con l'aiuto delle stampelle fino a una casa conosciuta e suonai.
"Ian" disse sorpreso Paul.
"Ehi, amico, posso entrare?" sussurrai scosso.
"Ma certo" e mi fece entrare.
Dopo molta esitazione, gli raccontai della lite con Nina. 
Paul mi ascoltò attentamente, poi disse: "Posso dire la mia?".
Annuii frustrato e lui continuò: "Non voglio difendere o giustificare Nina, però il tuo rapporto con Mary sta cominciando davvero ad andare oltre l'amicizia. Segui il consiglio di Nina: scava dentro te stesso e cerca di scoprire se davvero ciò che provi per Mary è semplice amore fraterno o no"
"Fratello, non si fida più, capisci? Come può dubitare di me e del mio amore? E io come posso continuare a stare con una persona che non si fida di me? Eppure mi conosce da tanto tempo ormai, come può" mi arrestai di colpo e mi asciugai velocemente una lacrima. Mi imbarazzava piangere davanti agli altri.
"Chiarisci anche questo dentro di te. A mio parere, già conosci la risposta, solo che non vuoi dirla ad alta voce. Ora riposati, come si dice, la notte porta consiglio" e mi fece l'occhiolino.
"No, non posso restare, ora chiamo un taxi e mi faccio portare a casa"
“Scherzi?! Tu sei mio ospite stanotte, e poi Torrey ti ha già preparato il letto, sarebbe un peccato non usarlo"
"Fingerò che tu non abbia appena fatto una battuta con un doppio senso".
Ridemmo, poi ci abbracciammo. 
"Ti voglio bene, Ian"
"Anch'io, Paul".
Mi accompagnò nella stanza degli ospiti, poi, prima di lasciarmi solo, mi diede il cinque.
"Team Salvatore" sussurrò.
"Sempre e comunque" dissi sorridente.
Paul sorrise e si richiuse la porta alle spalle.
Mi sdraiai e cominciai a guardare il soffitto.
Una miriade di immagini dell'ultimo anno lo attraversò. Molte ritraevano me e Nina, molte altre me e Mary.
Chiusi gli occhi e mi addormentai, ignaro che una parte di me pensasse che forse Nina aveva ragione.






-------------------
Note dell'autrice:
Eccoci qua! Vi dico già da subito che questo è il primo capitolo (finora incontrato da voi xD) a cui mi sono affezionata tantissimo! La gelosia è una brutta bestia, si sa, e proprio in questo capitolo Nina ha fatto uscire la sua bestia. Dal ricordo (accennato vagamente) di Ian sappiamo che hanno già litigato altre volte per la sua gelosia. Inoltre, sappiamo che c'è una "spaccatura" nella coppia. E' solo un impressione di Ian o c'è davvero? E' solo un impressione di Ian il fatto che questa spaccatura non si possa risanare o i Nian insieme ci lavoreranno su? Spero di aver reso bene i sentimenti di entrambi: rabbia e gelosia (appunto) per quanto riguarda Nina, amarezza per quanto riguarda Ian.
Non mi sono affezionata a questo capitolo solo per la scena intensa (perlomeno a me è sembrata intensa xD) Nian, ma anche per il momento tra Ian e Paul. Ho deciso di dare a Paul un compito, quello di essere un fratello (e quindi un confidente) per Ian, nel bene e nel male. E questo implica sincerità. Ecco perché Paul ammette che anche secondo lui qualcosa tra Mary e Ian non è più "amicale", ma c'è altro: fratellanza o amore? Non si sa ancora. 
Spero il capitolo sia piaciuto e ci tengo a dire che adoro sia Ian che Nina nella vita reale, perciò cercate diciamo di considerare la storia come un fatto a parte xD (lo sottolineo perché mi è capitato di ricevere critiche come "Allora tu non ami i Nian" e così via... evitiamo queste "bambinate" per favore!)
Tengo pure a sottolineare che io ho scritto questa storia l'anno scorso e che quando ho saputo della rottura Nian quest'anno mi sono dispiaciuta, ma allo stesso tempo ridevo perché un anno prima avevo scritto che nel 2013 si lasciavano. Boh mi sono sentita una veggente xD
Detto questo, vado a nascondermi in un angolino >.<
Recensite se vi va :)
Ciao :*

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** It's not easy being green. ***


POV Ian
"Paul, piano, c'è Ian di là" sentii Torrey ridere da lontano.
Mugugnai qualcosa e mi alzai, poi andai in bagno. Non riuscii nemmeno a guardarmi allo specchio, avevo un aspetto orribile, non avevo chiuso occhio quella notte. Ogni volta che ero stato sul punto di addormentarmi, il mio cuore mi aveva mostrato sensazioni su sensazioni, rendendomi più confuso di prima. Che stava succedendo dentro di me?
Fui distratto dai miei pensieri dall'arrivo di Paul.
"Ehi, dormito bene?" mi chiese smagliante.
"Non come voi due – sbottai, poi lo guardai – Scusa, mi sono alzato con la luna storta"
"Non preoccuparti – sorrise e incrociò le braccia – Ho la strana impressione che il tuo malumore abbia a che fare con una certa riflessione su una certa situazione"
"Sì, infatti"
"La notte ha davvero portato consiglio?"
"Non mi ha fatto dormire per questo, ma sì, diciamo di sì" feci una smorfia, mentendo, e chiusi il discorso lì. 
Paul e Torrey uscirono presto di casa per fare la spesa, mentre io restai a casa loro, fin quando non presi la decisione di affrontare tutta la situazione. Mi vestii velocemente e chiamai un taxi. Pagai il tassista affinché restasse tutto il giorno con me e mi feci accompagnare in centro. Pranzai in un ristorante solo soletto, poi sul tardo pomeriggio mi feci portare a casa di Mary, sperando magari che la sua vicinanza potesse aiutarmi. 
"Ian, che ci fai qui?" chiese Mary sorpresa.
"Posso entrare?" 
"Ma certo, accomodati" mi sorrise e mi aiutò a sedermi sul divano.
Sentivo i suoi occhi addosso.
"Ahi" disse.
La guardai confuso.
"La tua faccia esprime problemi a tutta forza. Cos'è successo?"
"Niente"
"Ian, non saresti venuto qui senza motivo" mi guardò, alzando un sopracciglio.
“Che ne sai”
“Lo so”
"Ok, hai ragione – sospirai –  Ehm... Io e Nina abbiamo dei problemi seri. Credo che siamo sul punto di rottura".
La guardai con la coda dell'occhio, la sua espressione era cambiata in un niente.
"E come mai?" mi accarezzò la schiena.
"Ieri sera abbiamo litigato per l’ennesima volta e non credo si possa continuare così. Credo siamo arrivati a un punto di non ritorno"
"Posso chiederti perché... perché avete litigato?" chiese esitante.
"Gelosia da parte sua.. – mi arrestai, incerto se continuare o meno, e la guardai – nei tuoi confronti"
"Io sono stata la.."
"Non sei stata la causa vera e propria, diciamo che sei stata il motivo scatenante. Ma non me ne importa niente, non doveva permettersi di dire tutto ciò che ha detto, non ne aveva il diritto. Mi dispiace, Mary, avevi ragione. Lei è gelosa di te; ma io sono stato così cieco che… non me ne sono reso conto subito" dissi, guardandola negli occhi.
Mary si alzò di scatto e disse: "Ian, devi andartene"
"Cosa?! Perché?"
"Sei sconvolto dalla cosa, meglio se vai a casa. Oppure da lei a chiarire" disse lei fredda, fissando il vuoto.
"Mary"
"Ian ti prego! – i suoi occhi cominciarono a velarsi di lacrime – Potresti commettere un errore davvero stupido, non puoi restare".
Dolcemente mi toccò la schiena e mi accompagnò al portico.
"Mary, ascoltami, so che al momento ti senti in colpa per la nostra lite, ma non è colpa tua. Nina non si fida di me e del nostro rapporto, tu non c'entri niente. Non è la prima volta che succede, lo sai benissimo, e io non posso più sopport"
"Ancora non capisci? E’ tutta colpa mia se lei non si fida. Solo mia" scosse la testa e si coprii il volto.
Mi avvicinai, ma lei mi allontanò.
"Va’ via, ti prego" disse singhiozzando e chiuse il portone.
“Ma” non continuai la frase.
Bussai un paio di volte, ma non udii alcuna risposta dall’interno.
Guardai per un po’ il massiccio portone chiuso, poi rientrai nel taxi.
Osservando la casa di Mary, uno strano presentimento cominciò a farsi strada nel mio cuore, come se quello sarebbe stato il nostro ultimo incontro per un po’.
Il tassista mi chiese dove dovesse portarmi e gli diedi l’indirizzo di Nina.
Quando il tassista si fermò, Nina uscì sul portico. Scesi cautamente dall’auto con le stampelle e mi avvicinai.
“Vogliamo entrare?” mi disse con tono spento.
Annuii ed entrai subito dopo di lei. Dentro l’atmosfera era gelida. Nina non sapeva che dire e io ero nella stessa situazione.
Restammo in silenzio l’uno di fronte all’altra per un bel po’ di tempo, finché Nina non parlò: “C’ho provato. Davvero, c’ho provato con tutte le mie forze, ma niente. All’inizio mi ripetevo che era solo insicurezza da neo-fidanzata, poi ho cominciato a dare la colpa alla tua bellezza, il che è davvero da folli perché non si può dare la colpa a questo. Stento ancora a credere di averlo fatto – fece una risatina isterica, mentre le lacrime cominciavano a rigarle le guance – e poi finalmente ho dato la colpa alla persona giusta, me stessa”
“Nina” sussurrai.
“Perché è assurdo che una persona riesce ad amarne un’altra con tutta sé stessa e non riesce a fidarsi! Cioè, com’è possibile?”
“Nina” mi avvicinai.
“Mi dispiace, ok? Ma è stato più forte di me. Credevo che più tempo passasse, più questa sfiducia sarebbe scemata, invece è aumentata sempre di più, arrivando anche a farmi dare di matto se non c’eri, arrivando a farmi trattare Mary in quel modo. Sono una persona orribile” singhiozzò e cercò di asciugare più lacrime possibili con il dorso della mano.
Fece per andarsene di sopra, quando scattai in avanti e la bloccai per un braccio. Il tonfo della stampella destra precedette le mie parole.
“Guardami, ma soprattutto ascoltami: non sei assolutamente una persona orribile, mi hai capito? Solo che…”.
Stavo per continuare, quando, ancora singhiozzando, mi disse: “Che succederà adesso?”.
Presi un respiro profondo.
“Ci sveglieremo, mangeremo, lavoreremo e ci riaddormenteremo, sempre con lo stesso ritmo, finché non diventerà normale”
“Quindi… ognuno per la sua strada, come se niente fosse mai accaduto?”
“Assolutamente no. Io conserverò questi tre anni sempre nel mio cuore, lo prometto”
“Ti amo” pianse di nuovo.
“Anch’io” la strinsi e le baciai i capelli.
Quando si calmò, sciolse l’abbraccio.
“Scusami, ti ho bagnato tutta la maglietta” indicò il punto in cui aveva pianto.
“Non fa niente” accennai un sorriso.
I nostri volti si avvicinarono l’uno all’altro e ci baciammo. Un’ultima volta.
“Passo a prendere le mie cose domani in giornata. Abbi cura di te” sussurrai.
Ripresa la stampella, le sorrisi e uscii da quella casa.
Era davvero finita.








-------------------------
Note dell'autrice:
Rieccomi con un nuovo capitolo! Premetto che quando ho scritto questo capitolo ho versato le migliori lacrime xD. Per me è stato molto difficile scriverlo, perché in questo capitolo c'è l'invasione dei sentimenti: la confusione di Ian iniziale; la reazione di Mary; il "break-up" Nian. 
La confusione di Ian sarà svanita, dopo aver parlato prima con Mary e poi con Nina, o sarà rimasta lì? E secondo voi perché questa confusione era o è presente?
Mary ha fatto bene a lasciarlo andare, pur sapendo che, se Ian avesse lasciato Nina, avrebbe potuto provarci? Ian e Mary si rivedranno ancora?
E come ne uscirà Nina da questa rottura?
Si dice che "Ciò che non ti uccide, ti fortifica". Vedremo se per i nostri protagonisti sarà effettivamente così. Grazie per aver letto e grazie per le recensioni, sempre ben accette :D
Alla prossima!




 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Only you're the one. ***


POV Mary
Mi preparai per andare a lavoro un po’ di malavoglia. Non me la sentivo ancora di uscire di casa, specie quel giorno, ma i giorni di malattia erano finiti e non potevo fare altro. Mi guardai allo specchio, incerta su come e se truccarmi.
“Mary, sprigioni tristezza da tutti i pori, dannazione!” pensai tra me e me, continuando a fissare quella figura smorta davanti a me.
Era pallida, non c’era un filo di rosa sulle sue guance, persino le labbra sembravano bianche.
Era ufficiale, sembravo un cadavere vivente.
Misi il fondotinta, un filo di cipria e il correttore, giusto per coprire le occhiaie e i segnali di depressione.
Mi guardai nuovamente allo specchio. Non ero contenta del risultato. Nonostante il volto del mio riflesso fosse notevolmente migliorato, molo più roseo, molto più vivo, si vedeva lontano un miglio che era tutta una messa in scena. Si vedeva che in quell’esatto momento ero ‘artificiale’. E si vedeva dai miei occhi. Li avevo sempre adorati, fin da bambina, da quando mi avevano detto che erano particolari, perché metà castani e metà verdi. Ora sembravano vuoti, vitrei.
Facevano paura.
Li chiusi, cominciando a respirare profondamente per calmarmi e non scoppiare nuovamente in lacrime.
“Coraggio, Mary, ce la puoi fare” mi auto-convinsi e, presi sia le chiavi di casa e della macchina che il cappotto, aprii il portone, rivedendo il mondo esterno dopo tre giorni.
Quando arrivai in ospedale, salutai sorridente tutti i colleghi che incrociavo. Prima di andare nello spogliatoio, cambiarmi e subire l’interrogatorio di Rose, passai al bancone delle infermiere, per vedere quali pazienti avevo ancora in cura. Lì, trovai una persona che conoscevo molto bene.
Capelli lunghi fino alle spalle, ricci, castani. Pelle olivastra, abbigliamento impeccabilmente professionale. Tacchi urlanti la parola ‘comodità’.
Sorrisi, avvicinandomi di soppiatto.
“Lo sai che questa non è la reception di un hotel, vero?” dissi in italiano.
“Mary! – disse Serena, voltandosi e subito sorridendo a trentadue denti – Auguri di buon compleanno” mi strinse.
“Grazie, cugina, è un piacere vederti! Cosa ti porta qui ad Atlanta, oltre a farmi gli auguri di presenza? – feci una risatina – Ti sei stancata dell’atmosfera soleggiata e rilassata di Brisbane?”.
Serena sciolse l’abbraccio.
“Assolutamente no. Mi hanno mandata qui per esaminare un hotel, in qualità di direttrice affermata – spiegò, finendo la frase con una punta di superbia – Oltre che per farti gli auguri, ovvio” rise.
“Sei modestissima – risi anch’io – E da quanto tempo sei qui?”
“Da ieri sera. Tornerò in patria domani sera”
“Ci vedremo di nuovo, prima del tuo ritorno in Australia, vero?”
“Ma certo! Che ne dici di vederci stasera? Cena di compleanno all’Atlanta Resort” mi guardò esaltata.
“M-ma, Serena – balbettai in disappunto – l’Atlanta Resort è l’albergo più lussuoso di tutta Atlanta. Io non credo che me lo possa… sai, permettere”
“Non preoccuparti, l’Atlanta Resort è l’hotel che devo esaminare, perciò in qualità di esaminatrice non pago. E nemmeno tu, in qualità di accompagnatrice! – sorrise – Ci stai?”
“Ma ovviamente sì. Quando mi ricapita?”.
Parlammo un altro po’, poi ci congedammo. Doveva tornare in hotel a spassarsela per lavoro.
Andai verso gli ascensori più tranquilla.
La giornata non era cominciata benissimo, specie quando per un momento il compleanno dell’anno precedente mi era tornato in mente, ma grazie a Serena era migliorata.
 
“Sta andando tutto bene, signora Tonkin?” chiese cordialmente il cameriere.
“Spadaro – Serena lo corresse – Comunque sì, tutto buonissimo finora” proseguì con un inglese impeccabile.
“Confermo” sorrisi e guardai il cameriere.
Subito cominciò a girarmi la testa.
“Signorina, si sente bene?” il cameriere, preoccupato, si chinò su di me.
Aveva gli occhi come quelli di Ian. Azzurri, calorosi, profondi.
“S-sì, h-ho solo bisogno di prendere un po’ d’aria” risposi velocemente, distogliendo lo sguardo, e andai fuori.
“Mary, che succede?” Serena mi raggiunse.
“Niente, è che…” mi guardai intorno, cercando di riprendermi.
“Che? Mary, non evitare il mio sguardo. Parlami. Che succede?”
“Gli occhi del cameriere mi hanno ricordato quelli di una persona. Di una persona che farei meglio a dimenticare”
“Oh! E chi sarebbe?”
“Un uomo che ho dovuto lasciar andare, per il suo bene e della sua ragazza. Io non… ah, è così frustrante” sentii gli occhi pizzicare, mentre il tono della mia voce si abbassava sempre di più.
“Non piangere! Come posso aiutarti?”
“Tranquilla, ora passerà. Starò bene. Un giorno sarà solo un lontano ricordo con cui convivrò – sorrisi forzatamente, poi la invitai a rientrare – Allora, cambiamo discorso, non voglio rovinare questa serata. Come sta Daniel?” le chiesi, riaccomodandomi.
“Benissimo, al momento è in Tailandia per un servizio fotografico”
“Wow! E Francesco?”
“E’ con mia suocera”
“Ha già cominciato a camminare?”
“No, ma manca davvero poco ormai” sorrise amorevole.
“Ah, quanto vorrei rivedere il mio tenerone!”
“Il desiderio è corrisposto! Sai, spesso mi chiede della sua adorata madrina”
“Oh, che onore!” risi.
Dopo un po’, Serena ordinò un dolce e vi pose una candelina sopra.
“Auguri, ventottenne. E mi raccomando, esprimi un desiderio!” disse e mi invitò a soffiare.
Guardando quella candela, le lacrime minacciarono di uscire nuovamente, ma non glielo permisi.
Ero con la mia dolce cugina. Avevo permesso a Ian e Nina di curarsi le ferite di coppia. Avevo fatto la cosa giusta, nonostante non lo fosse per me.
Non dovevo piangere.
“Che possa trovare felicità e serenità e risollevarmi completamente, smettendo di piangere, diventando più forte” pensai tra me e me, strizzando gli occhi, poi soffiai.
 
POV Nina
Mi risvegliai, guardando l’altro lato del letto. Era vuoto da tre settimane e mezzo. Ero sola da tre settimane e mezzo. Richiusi e riaprii gli occhi, sperando che magari qualcosa cambiasse, che tra le lenzuola bianche, tutte stropicciate, si stagliasse nuovamente la sua scultorea figura. Ovviamente non accadde. Mi voltai dall’altro lato, sentendo gli occhi pizzicare e mi concentrai sulla sveglia. Erano le cinque del mattino. Solo un’ora e sarei dovuta andare sul set a finire di girare l’ultima puntata. Ripensai a quello che mi aspettava quel giorno e il mio stomaco si contorse, al solo pensiero di quegli occhi azzurri che mi fissavano, al solo pensiero di cosa dovevo dire a lui. Smisi di fissare la sveglia. Il solo guardarla mi faceva male. Cominciai a fissare il soffitto bianco, improvvisamente più interessante di qualsiasi altra cosa.
Uno squillo mi destò dallo stato di trance, in cui stavo per entrare.
Mi alzai dal letto e andai alla scrivania, su cui era posato il mio Iphone. Era Julianne.
“Pronto?” risposi con voce ancora assonnata.
“Buongiorno, splendore. Come ti senti?” concluse la frase con tono apprensivo.
“Mi sento… bene” mentii.
“Nina, non riesci a dirmi bugie, lo sai bene”
“Hai ragione, scusami” feci una smorfia e cominciai a camminare per tutta casa, alla ricerca di Lynx.
“Oggi è l’ultimo giorno di riprese?” mi chiese con voce titubante.
“Sì” risposi con lo stesso tono e lo stomaco riprese a contorcersi.
Scossi la testa, cercando di scacciare tutto, misi il cellulare tra l’orecchio e la spalla e presi la mia Lynx in braccio, cominciando ad accarezzarla.
“E se venissi a prenderti e ti portassi dovunque tranne che sul set?”
“La tua proposta è allettante, sorella – sorrisi, mentre Lynx faceva le fusa – ma, non posso. Oggi devo andarci”
“Lo so, lo so, però”
“Però rivedrò lui per l’ennesima volta” completai la frase, rabbuiandomi.
“Vorrei poter fare qualcosa”
“Potresti fare Elena al posto mio, ma credo che i fans lo noterebbero” scoppiai a ridere.
“Ah, quella risata! Mi mancava”.
La immaginai sorridere, fiera di sé, per avermi strappato una risata.
“Anche a me – ammisi – Comunque, non preoccuparti. Sarò professionale e sarò forte, non sarò un giocattolo rotto!”
“Felice di sentirtelo dire! Se vuoi, appena finisci le riprese, vengo a prenderti e andiamo in giro”
“Ti farò sapere, d’accordo? Ora, scusami, ma devo scappare. Devo cominciare a prepararmi per andare a lavoro”
“Tranquilla, lo capisco. Buona giornata, buon lavoro e… ti voglio bene, Niki”
“Anche io, Julie” le mandai un bacio tramite il telefonino e staccai.
Feci scendere Lynx dalle mie braccia, posai l’Iphone e andai verso la cabina armadio, prendendo un paio di jeans, una maglietta, una giacca e degli stivaletti. Presi al volo un cappello nero e gli occhiali da sole e scesi al piano di sotto.
Afferrai le chiavi della macchina e uscii di casa. Inserii la chiave e partii in direzione degli studios.
Mentre la timida luce del sole faceva capolino da est, la radio mi accompagnava con una canzone di Michael Bublè, “It’s a beautiful day”.
“Oh, quanto vorrei fosse vero!” pensai tra me e me.
Arrivata a lavoro, andai in sala per trucco, parrucco e guardaroba e, subito dopo, andai sul set.
“Buongiorno a tutti” sorrisi.
“Buongiorno, Nina” Julie, Candice, Kat e Paul dissero in coro, sventolando la mano.
“Non riesco a credere che oggi concluderemo” sentii Joseph dire in lontananza.
Ed eccolo arrivare, solo qualche secondo dopo, perfetto come sempre. Il ruolo di Klaus era perfetto per lui. Ogni sua espressione, ogni suo comportamento, ogni sua mossa ricordava il tanto temuto Originale.
Mi voltai per salutarlo.
“Ciao, Nina” mi sorrise e mi abbracciò.
Lo strinsi, chiusi gli occhi e mi sentii più serena.
Era un uomo dolcissimo e questo mi faceva sentire così bene.
“Ciao, JoMo”.
Riaprii gli occhi, ritrovandomi davanti lui.
Ian indossava dei pantaloni neri e una maglietta blu notte, stropicciata. Aveva i capelli perfettamente in ordine e i suoi occhi… i suoi occhi erano più azzurri del solito. Mi persi in essi in meno di un secondo. Sembrava sorpreso di vedermi. Chissà perché, dato che lavoravo pur sempre lì.
Sciolsi l’abbraccio e lasciai andare Joseph.
“Buongiorno, Nina” Ian sorrise impacciato.
“Ciao” riuscii solamente a dire, ricambiando quel sorriso forzato.
Ci fissammo per attimi eterni.
“Ian, Nina, accomodatevi sulle vostre comode sedie. Damon ed Elena non ci servono subito” disse Julie, ponendo fine a quel discorso silenzioso occhio-occhio.
Mi voltai e andai a sedermi, certa che il suo sguardo fosse ancora posato su di me.
 
"Grazie per oggi, Damon. Davvero, se non ci fossi stato tu" sussurrai, lasciando cadere il discorso, come da copione.
"Oh Elena, non ricominciare, ti prego. Va’ da Stefan e buona notte" rispose Ian scontroso.
Mi irrigidii visibilmente. I suoi occhi trasmettevano un dolore sfibrante. Non stava solo interpretando Damon. Era come se stesse esternando anche sé stesso.
"Damon..." pronunciai quel nome, lottando contro la voglia di chiamarlo Ian.
"No, Elena. Non puoi dirmi queste cose, darmi una speranza, per poi tornare a sbaciucchiare mio fratello. Non è giusto nei miei confronti e nemmeno nei suoi. Ti ho aperto il mio cuore svariate volte e tu sei sempre stata lì a richiuderlo, come se non te ne importasse niente – concluse la frase amareggiato e ferito – Tu – sottolineò quel pronome – hai scelto Stefan, ormai sono solo tuo cognato, perciò ti prego, non guardarmi con quegli occhi, non parlarmi con quella voce, perché riesco a trattenere la voglia di baciarti a fatica e se mi parli così, io..." lasciò cadere il discorso, continuando a guardarmi con quegli occhi.
Sentii una lacrima rigare il mio volto e abbassai istintivamente lo sguardo.
Strizzai gli occhi per smettere di piangere e cercai di ricordare la battuta e come dovessi comportarmi.
Il silenzio aleggiava attorno a noi.
Nessuno si muoveva, nessuno fiatava.
Rialzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi, poi gli presi il volto tra le mani.
Dapprima Ian si irrigidì, poi si sciolse sotto il mio tocco. 
"Damon, io" sussurrai.
In quell’esatto istante, Ian trattenne il respiro.
Sapevamo entrambi che battuta ci aspettava adesso.
Incerta, restai con le mani sul suo volto, senza pronunciare la battuta.
Ian sgranò i suoi magnifici occhi e da quel gesto capii che mi stava incitando a continuare, a dire quella battuta.
Mi avvicinai a lui, fin quando le nostre labbra non si sfiorarono.
Fu un bacio semplicissimo, a stampo, e durò solo un secondo, ma bastò per farmi contorcere lo stomaco.
Mi staccai da lui e, guardandolo, dissi: "Ti amo"
“Stop! Ragazzi miei, siete stati perfetti! Dichiaro ufficialmente chiusa la quarta stagione di The Vampire Diaries” Kevin cominciò ad applaudire, seguito da tutta la crew.
Applaudii per qualche secondo anch’io, poi, sorridendo forzatamente, mi diressi verso il mio camerino.
Volevo cambiarmi e andarmene via da quel posto.
Senza che me ne accorgessi, cominciai a correre.
Stavo per arrivare al camerino, quando sentii una presa forte stringermi la mano.
“Nina”.
Mi voltai.
Ian mi guardava triste.
“Sì?” la voce uscì strozzata, maledetta.
Ian lo capì subito. Allentò la presa e abbassò lo sguardo.
“Volevo solo dirti che… sei stata molto brava oggi”
“Grazie, anche tu” risposi di rimando, sperando solo che quella conversazione finisse presto.
“Oh, ma chi voglio prendere in giro!” disse tutto d’un fiato.
In meno di un attimo mi ritrovai tra le sue braccia.
Le nostre labbra si unirono alle nostre lacrime, mentre lo trascinavo dentro il mio camerino.
Mentre ci baciavamo, ci toccavamo, un campanello d’allarme inondò il mio cervello.
Mi staccai da lui senza fiato e scossi la testa.
“Cosa?” mi disse, anche lui senza fiato.
“Non possiamo”
“Perché no? Forse lasciarci è stato un errore. Forse il nostro posto è l’una nelle braccia dell’altro. Forse siamo destinati a stare insieme. Forse”
“Ian. In queste tre settimane e mezzo sono stata malissimo. Davvero, non mi ero mai sentita così male dopo una rottura”
“Allora perché”
“Fammi finire. Sono stata malissimo, ma, riflettendo, ho anche capito che lasciarci è stata la cosa giusta. E mi sto rendendo conto proprio adesso che… che lo sto ammettendo ad alta voce solo ora. Noi siamo stati bene insieme, ci siamo divertiti, ci siamo amati e, sebbene faccia male, ci amiamo ancora; ma… ma non siamo fatti l’uno per l’altra. Non siamo anime gemelle. Perché se lo fossimo davvero, il motivo che ci ha spinto alla rottura non sarebbe mai esistito. Se fossimo state davvero anime gemelle, avrei potuto trovarti anche in club femminile e la gelosia non ci sarebbe stata. Voglio che tu lo capisca”
“Lo capisco – mi strinse la mano – In effetti, anche io in queste tre settimane sono stato malissimo. E questo dolore, questa sofferenza, mi hanno spinto a riflettere. E… e, per quanto ti ami, anche io ho capito che non sei tu la mia persona. Non appartieni a me. Sarai sempre parte di me, ma…”
“Ma non siamo anime gemelle” conclusi la frase per lui, accennando un sorriso.
Annuì lievemente.
“Non so perché ti ho baciata. Scusami”
“Non devi scusarti”.
Mi lasciò la mano e mi baciò la fronte.
“Complimenti per la recitazione, Nina” mi sorrise e uscì dal mio camerino.
Sospirai, chiedendomi come mai non avessi ammesso tutto questo a me stessa prima. Forse mi sarei evitata la maggior parte delle lacrime versate.
“E’ permesso?” Joseph fece capolino dalla porta.
“Ehi” sorrisi.
“E’ tutto ok? Sei praticamente corsa via dal set”
“Sì, va tutto bene”
“Ok. Allora, vado”
“Come mai eri venuto?”
“Pensavo stessi male per Ian e, beh, volevo starti accanto” si grattò la nuca, in imbarazzo.
“E’ una cosa molto dolce da parte tua”
“Allora, ti va di venire al bar un pochino?”
“Perché no! Però, devo ancora cambiarmi”
“Fa’ con calma. Ti aspetto all’ingresso” sorrise e chiuse la porta.
Cominciai a cambiarmi, felice di passare la serata con il dolce e calmo Joseph.
 
POV Ian
“Buonasera a tutti, amanti di The Vampire Diaries! – disse entusiasta l’organizzatrice – Per completare in bellezza questi magnifici tre giorni, abbiamo riprodotto il ballo degli Originals che avete visto nella quattordicesima puntata della scorsa stagione. Quando vi sarà il momento di ballare sulle note di ‘Give me love’ di Ed Sheeran, verrà fatto un sorteggio, che stabilirà il partner di ogni membro del cast. Perciò, iscrivetevi. Potreste vincere un ballo con uno dei vostri beniamini!”.
La sala si animò. Tutti i fans urlavano e applaudivano. L’organizzatrice scese dal palchetto e mi fece un occhiolino. Sorrisi un po’ distratto e andai a prendermi da bere. Solitamente adoravo le convention, ma in quel periodo non ero dell’umore adatto per affrontarle e non ne capivo nemmeno il motivo.
“Mi scusi, potrei averne un altro?” chiesi gentilmente al barista, sperando che capisse l’inglese.
Per tutta risposta, il barista mi sorrise e mi porse un altro bicchiere di bourbon.
“Grazie”
“Offre la casa, sento che ne ha bisogno” affermò con un discreto inglese.
“Ah, non sa quanto!” dissi vagamente e stroncai la conversazione lì.
Guardai il bicchiere di vetro, finemente decorato, e mi persi nuovamente nei miei pensieri.
Il mio comportamento nell’ultimo periodo era stato troppo strano, perso, spaesato. Mi stava sfuggendo qualcosa. Ma cosa?
Mentre sorseggiavo il mio drink, notai Nina e Joseph al buffet parlare.
Joseph le sussurrava cose all’orecchio e lei rideva e ripeteva il suo gesto. Sembrava un circolo vizioso.
“Ammiri un vecchio partito?” mi chiese Paul, sedendosi accanto a me.
“Dovrei essere geloso?”
“Non devi vergognartene, è normale, la vostra storia è finita appena il mese scorso”
“No, Paul, credo che tu non abbia capito. Non era una domanda retorica, era vera. Dovrei essere geloso?”
“Perché, non lo sei?”
“In questo mese sono stato giù di morale e lo sai benissimo. E nonostante avessi chiuso  proprio io questa relazione, ho tentato di riaprirla, ma”
“Ma direi, Smolder, siete pur sempre stati insieme per tre anni”
“Esatto, ma dopo la fine delle riprese la settimana scorsa qualcosa è cambiato. Quel bacio, che volevo darle da tempo, e le confessioni che ci siamo scambiati, mi hanno fatto ammettere ad alta voce che non devo essere triste. Non eravamo anime gemelle, stop”
“L’ha detto lei questo?”
“Sì. E quando l’ha detto non mi sono sentito male, anzi! Una parte di me si è come svegliata e mi ha detto ‘Ehi, Ian, finalmente mi ascolti! E’ da tempo che cerco di fartelo capire, ma tu non volevi ammetterlo’”
“Questa vocina interiore la trovo un po’ inquietante – Paul mi rivolse una faccia buffa e risi – E ora come ti senti? Hai cambiato idea? Ti da fastidio?”
“Continuerà a sembrarti strano tutto questo, dopo solo un mese, ma no, non mi da fastidio. Insomma, la nostra storia è finita e lei sta andando avanti, come è giusto che sia. Perché dovrebbe essere un problema?”
“Mmm.. mi spieghi di preciso cosa stai cercando di dirmi? Non ti sto seguendo molto bene. E’ tutto un discorso troppo contorto”
“Ricapitolo – sospirai, cercando di dare chiarezza a Paul e, soprattutto, a me stesso – Fino alla settimana scorsa ero giù di morale”
“Lo so benissimo, ero tra i tuoi ‘consolatori-barra-distrattori’”
“Ecco, perfetto. La settimana scorsa, appena finite le riprese, Nina mi è sembrata scossa dalla scena che abbiamo girato. Così le sono corso dietro. Tempo cinque minuti e le nostre bocche si sono ritrovate. Solo che, dopo un po’, Nina si è allontanata e mi ha detto che non potevamo. Ha cominciato a parlare, ha ammesso ad alta voce che ha capito che non eravamo anime gemelle. E in quel momento, questa parte di me si è svegliata e mi ha fatto capire che era davvero così. Mi ha fatto capire che, per quanto fosse bello stare con lei, lei non è la donna a cui sono destinato. Non è la mia Torrey, ecco”
“Ciò che hai appena detto è splendido. E ora tutto è più chiaro – Paul si intenerii – E ora?”
“E ora il vederla flirtare con un altro uomo non mi da fastidio”
“Interessante. E’ bello essere una tua ex, se reagisci così” rise.
Risi anch’io e finii il mio drink, poi andai insieme a Paul a prendere qualcosa da mangiare. Passai tutta la serata a parlare con i fans, fin quando Paul non mi si avvicinò, per invitarmi a salire sul palco. Si stavano per scoprire i nomi delle persone con cui avremmo ballato.
La mia partner fu scoperta per ultimo.
“La vincitrice di un ballo con Ian Somerhalder è – l’organizzatrice creò un po’ di suspense, poi disse a gran voce – Mary”.
Ovviamente la frase continuò, ma non l’ascoltai più. Mi soffermai su quel nome. Il cuore cominciò a battere sempre più forte, come se scalpitasse solo all’idea di poterla rivedere. Cominciai a guardarmi intorno sempre più agitato, sempre più sorridente, immaginandola mentre si faceva avanti tra il pubblico per venirmi incontro con un sorriso un po’ imbarazzato, i riccioli che le molleggiavano davanti al viso e quegli occhi castano-verdi così calorosi, così splendenti.
La mia fantasia, così come il mio sorriso a trentadue denti, si arrestò, quando davanti ai miei occhi si proiettò una ragazzina bassina e mora, massimo diciassettenne, che mi fissava in modo molto inquietante.
La canzone cominciò. Le presi la mano e iniziammo a volteggiare, mentre in sottofondo si sentivano varie voci che canticchiavano la canzone.
“All I want is the taste that your lips allow” cantò Ed Sheeran.
Mi arrestai e, lasciata la mano della ragazza, andai fuori.
“Che ti succede?” chiese Paul.
“Mary” sussurrai.
“Sì, la povera ragazza che hai lasciato da sola alla pista da ballo”
“No, non quella. ‘Mary’ è stato il primo nome che mi è venuto in mente ascoltando questa canzone e non credo sia un caso. Cioè, non lo so. Però…”
“Ti manca?”
“Sì, da morire. Mi manca parlarle, scherzare con lei, sentirla ridere. Mi manca la sua compagnia”
“Credi che questo sia correlato con l’indifferenza manifestata prima?”
“Forse, io non… Paul, so solo che quando prima Ed Sheeran cantava dell’amore e di tutto il resto, la mia mente si rifiutava di cambiare immagine. Mi mostrava solo lei! Ecco il pezzo mancante. Ecco cosa mi sfuggiva, anzi chi. Lei. I-io… Nina aveva ragione. Io sono… sono innamorato di lei” finii la frase sussurrando, presi il telefono e composi il suo numero.
“AT&T avvisa: questo numero è stato reso inattivo” gracchiò la voce registrata.
Che fosse un segno?
Avevo capito i miei sentimenti troppo tardi e avevo perso l’occasione.
 
POV Mary
Dopo molto lavoro finalmente era arrivato il giorno libero mio, di Rose e di Steve. Mi vennero a prendere e andammo in centro per passare una giornata tra vestiti, videogiochi e bombe caloriche. Mentre stavamo facendo colazione, il barista accese la televisione sulla CW, in cui stavano trasmettendo alcune interviste della sera precedente. Sperai con tutto il cuore che su quello schermo non apparisse quella persona e subito il giornalista disse: "Adesso abbiamo con noi Ian Somerhalder di 'The Vampire Diaries'".
Strinsi i pugni e fissai lo schermo. O mi ero buttata la zappa sui piedi da sola o qualcuno mi doveva volere davvero male da qualche parte.
"Ciao a tutti" disse sorridendo.
"Ian, abbiamo visto nel finale di stagione di quest'anno che Elena si è finalmente dichiarata a Damon"
"Già, credo che le fan Delena siano contente adesso. Sono passate ben quattro stagioni e beh, credo che adesso sia giunto il loro momento"
"Nella quinta stagione Damon ed Elena staranno insieme?"
"A dire il vero non lo so, Julie e Kevin sono molto riservati su questo"
"A proposito di Julie, lei è una Stelena convinta. Come credi sia stato per lei scrivere un momento Delena così importante?".
Ian rise, poi affermò: "Anche se Stelena, Julie è molto obiettiva e credo che sia riuscita a rendere la scena al meglio. Poi, beh, le ha dato una mano Kevin, che è Delena. Però, forse, questo non dovevo dirlo" e rise nuovamente.
Il giornalista aggiunse: "Se da un lato il Delena sta progredendo, dall'altro tu e la collega Nina Dobrev avete posto fine alla vostra relazione circa due mesi fa. I motivi della rottura?”.
Guardai la televisione scioccata, mi alzai dal tavolo e corsi via. Avevo ascoltato a fatica quell'intervista, ma quella domanda…
Mi accomodai su una panchina e mi coprii il volto con le mani, scoppiando in lacrime.
"Mary" sussurrò Rose, mentre mi accarezzava la schiena. 
"S-si sono lasciati due mesi fa? M-ma come? Io non… tu lo sapevi?”
“Sì, ma non ho voluto dirti niente. Non mi andava di nominartelo”
“Oh mio Dio – persi il respiro, singhiozzando convulsamente – Rose, non-non-non ci riesco. Vederlo, sentire la sua voce" dissi.
Rose mi strinse e disse: “Lo so, tesoro, lo so, ma devi farti forza”
“Io sono innamorata di lui e l’ho perso. Come posso farmi forza?” tirai su con il naso.
“Mary, però non puoi continuare così. E' da due mesi che crolli ogni volta che senti le sue iniziali, che vedi qualcuno con gli occhi simili ai suoi, hai persino smesso di guardare ' The Vampire Diaries' per non vederlo, insomma reagisci! Mary, ti stai spegnendo e non va affatto bene".
La guardai ammutolita, aveva ragione. Negli ultimi due mesi mi ero buttata a capofitto nel lavoro; non uscivo più, eccetto l’uscita con Serena nel giorno del mio compleanno; non guardavo più la televisione; avevo bloccato tutti i miei account su internet e i miei numeri. Ero reperibile solo al cerca persone, tutto solo per la ‘leggendaria relazione Nian’, e, soprattutto, per Ian. Vista da fuori poteva sembrare, anzi sembrava certamente, una reazione esagerata, ma vista da dentro... come avevo fatto a innamorarmi così tanto di lui? Come avevo potuto lasciarmelo scappare? Era inutile disperarsi, non sarebbe cambiato niente. L'avevo perso e non si poteva tornare indietro.

POV Ian
I raggi del sole mi colpirono improvvisamente.
"Ah, non dovevo darti le chiavi di casa! Paul, chiudi quelle dannate tende!" brontolai.
"Non se ne parla, è una magnifica giornata di Maggio, il sole splende e di certo non te ne starai rinchiuso qui dentro per tutto il giorno"
"E se invece volessi farlo?" dissi, mettendomi a sedere.
"Ma non ci provare! - rispose con enfasi, poi si sedette accanto a me con atteggiamento di rimprovero - Ian".
Lo interruppi: "Non cominciare a farmi la paternale, piuttosto passami il computer e il cellulare"
"No"
"Come sarebbe no?"
"Se devi controllare il Twitter e il numero di telefono di Mary, allora no" si corresse. 
"Potrebbe aver riattivato tutto oggi" sbuffai.
"Con questa convinzione ti stai rovinando le mattinate. E' da quando siamo tornati da Mosca un mese fa che fai questa vita"
"Voglio solo sapere come sta, chiedo troppo?"
"Non chiedi troppo, però così non va. Se vuoi sapere come sta, perché non vai a casa sua? Oppure in ospedale".
Scossi la testa.
"Non funzionerebbe. Mi manderebbe via" abbassai lo sguardo triste.
"Amico, hai due scelte: o vai da lei e ti fai ascoltare con la forza o cominci a lasciarti i tuoi sentimenti per lei alle spalle; e ciò che stai facendo tu, non è nessuna delle due" mi guardò e uscì dalla stanza.
Subito accesi il computer ed entrai su Twitter, cercandola. Niente. Per farmi del male, vidi le mie foto con lei. Eravamo così felici e spensierati, che mi venne da piangere.
Perché non avevo capito subito che ne ero innamorato? Perché le avevo permesso di sbattermi fuori quella sera? Mille e mille rimorsi che non svanivano. Mary mi mancava, era un dato di fatto, ma non si poteva tornare indietro. Purtroppo.

POV Mary
Dopo aver passato un giorno nella più totale depressione, tornai a lavoro. Non servì, purtroppo, a molto: il volto di Ian e la sua voce avevano inondato la mia mente e non riuscivo a scacciarli. Prima della fine del mio turno, il Capo mi convocò nel suo ufficio.
"Capo, voleva vedermi?" sussurrai, entrando incerta.
"Si accomodi, dottoressa Floridia" disse.
Feci come mi aveva detto, poi continuò: "Sta bene? Sa, io osservo tutto e in questi ultimi mesi ha avuto un comportamento eccellente, come al solito, però con qualcosa di diverso".
Abbassai lo sguardo.
“Mi riferisco proprio a quello”
“A cosa?” continuai a tenere lo sguardo basso.
Le mie scarpe erano improvvisamente diventate interessanti.
“Al suo sguardo. La Floridia che conosco io ha uno sguardo pieno d’amore, dedizione, vita. La Floridia, che ormai vedo vagare per i corridoi e per le sale operatorie, non ha quello sguardo; ne ha uno vitreo, vuoto, perso. Cosa le è successo?”
"Sto-sto bene. Cioè, non proprio, ma non si preoccupi, starò bene. In fondo, l'importante è che non peggiori nel mio lavoro"
"Lo sa che io tengo a tutti i miei dipendenti e francamente tengo di più al loro stato d'animo che al loro rendimento lavorativo, in certe occasioni".
Annuii sovrappensiero e gli spiegai vagamente la situazione, poi mi congedai. Prima che potessi andarmene, qualcuno chiese di me nella linea ospedaliera.
"Pronto?"
"Maria Chiara, sono Austin del bar"
"Ehi, ciao! Dimmi" mi rabbuiai un pochino.
Era il barista del locale in cui andava il cast. Il locale in cui Ian e Nina mi avevano portato alla nostra prima uscita.
"Ho finito l'insulina oggi. Tu per caso potresti prescrivermela oppure devo venire in ospedale?"
"No, posso prescrivertela. Oggi l'hai presa?"
"Sì"
"Bene, allora passo dal bar prima di tornare a casa e ti porto la ricetta. D'accordo?"
"Mary, grazie! Sei un tesoro" disse riconoscente. 
"Di niente" risposi gentilmente e riattaccammo.
Feci la ricetta e andai al bar, consegnandola. Stavo per uscire, quando sentii chiamarmi da una voce conosciuta. Mi voltai lentamente e trovai Nina seduta a un tavolo. Era splendida, ovviamente. Aveva cambiato pettinatura, i capelli erano un po’ più mossi. Sembrava stesse interpretando Katherine.
"Ciao Nina" sorrisi forzatamente.
"Come stai? E' da un po’ che non ci si vede"
"E già. S-sto bene e tu?" balbettai imbarazzata, facendo spallucce.
"Bene, grazie. Cosa ti porta da queste parti?"
"Un favore al barista. Tu vedrai Candice e gli altri stasera?" dissi, costringendo le mie labbra a non pronunciare quel nome.
Nina arrossì un po’ e disse: "In realtà, devo vedermi con il mio ragazzo" 
"Ah!" dissi sorpresa.
“E a proposito di” si alzò, tutta sorridente, e fece segno a una persona di avvicinarsi.
"Maria Chiara" mi salutò gentilmente Joseph. 
Cercai di non spalancare la bocca per la sorpresa e di fare un'espressione contenta.
"Wow! Da quanto tempo state insieme?"
"Un mese oggi" disse Nina, prendendogli la mano.
Mi congratulai con loro e uscii dal bar. Mentre camminavo verso l'auto, cominciò a piovere. Sbuffai. Ma quando mai aveva piovuto a Maggio? Cominciai a guidare in direzione di casa, ma un pensiero mi illuminò la mente. E se questo fosse stato un segno del destino? Frenai di botto e invertii la marcia.
Trovarmi di fronte a quella casa era una sensazione che non provavo da fin troppo tempo. Presi coraggio e scesi dall'auto poi, non facendo caso alla pioggia, mi avvicinai lentamente al portone. Ancora esitante suonai. Dopo un po’ mi aprì e vederlo mi tolse il fiato. 
"Posso entrare?" chiesi sussurrando.
Il mio cervello stava andando in panne. Vedere la sua figura sorridente in televisione era stato un duro colpo, ma vederlo in carne e ossa con i capelli scompigliati, gli occhi azzurri sgranati per la sorpresa, con addosso una magliettina grigia, che lasciava scoperte le sue bellissime braccia, e i pantaloni della tuta in flanella era davvero troppo.
Mi sentivo come una drogata in crisi di astinenza che fissava con desiderio la sua droga preferita.
Mi stavo beando così tanto di quella visione, che non mi accorsi nemmeno che Ian si era fatto da parte per farmi entrare.
Mi imposi la calma ed entrai e lui richiuse la porta alle mie spalle. 
"Sembri infreddolita. Vuoi qualcosa di caldo?" chiese impacciato.
O forse distante.
Scossi la testa e feci un bel respiro, poi sussurrai: "Ho mentito".

POV Ian
Finii di lavare i piatti, giusto in tempo per fare quattro coccole a Moke. La pioggia cominciò a ticchettare costantemente sui vetri.
Presi in braccio il mio gattone e cominciai ad accarezzarlo.
“Non hai mai avuto una gran passione per la pioggia, eh, Moke? Ma tranquillo, ci sono io” gli sussurrai all’orecchio.
Come al solito, mi capì e cominciò a farmi le fusa.
Stavo per prendere l’Iphone e scattare una foto al mio bambino, quando suonarono.
Lasciai andare Moke di malavoglia e mi diressi all’ingresso, un po’ infastidito.
Erano le undici di sera e non mi andava di vedere nessuno.
Aprii la porta.
Mi venne voglia di schiaffeggiarmi.
“Sogno o son desto?” pensai tra me e me.
Mary era davanti a me.
Aveva gli occhiali da vista sulla testa, tipica cosa che faceva quando pioveva; i suoi splendidi ricci erano flosci e bagnati; le sue labbra erano lievemente schiuse; ma, soprattutto… i suoi occhi. I suoi magnifici occhi si stavano ingrandendo sempre di più, quasi come se stessero prendendo nuovamente vita.
“Posso entrare?” sussurrò.
Annuii e mi feci da parte per permetterle di entrare, ma lei non entrò subito. Continuò a fissarmi con quegli occhi, che mi erano mancati tantissimo.
Dopo non molto, si riprese ed entrò.
Chiusi la porta alle sue spalle e chiesi impacciato: “Sembri infreddolita. Vuoi qualcosa di caldo?”.
Scosse la testa e fece un respiro profondo.
Faceva sempre quei respiri a pieni polmoni quando doveva dire qualcosa di importante.
Infatti…
“Ho mentito” sussurrò.
La guardai confuso.
Mentito? Cosa intendeva?
Cominciò a parlare, tenendo lo sguardo basso: "Quella sera ti dissi che dovevi andartene perché potevi commettere qualche errore stupido. Beh, non parlavo di te, ma di me. Non volevo fare un torto a Nina, perciò in questi due mesi mi sono buttata a capofitto nel lavoro, cercando di annullare qualsiasi contatto con il vostro mondo, pur di non pensare a te e a ciò che provavo per te, ma niente, non ci sono riuscita. Hai occupato tutta la mia mente in ogni singolo attimo della giornata tutti i giorni ed è stato doloroso e frustrante combattere questi pensieri e sentimenti. E ora, dopo due mesi, mi rendo conto che solo io sono rimasta al punto di partenza e che tutti avete cambiato vita. Nina sta con Joseph e presumo siate ottimi amici adesso e io... io ero innamorata di te e lo sono rimasta" sottolineò l'ultima frase e alzò lo sguardo.
Le lacrime le rigarono il volto velocemente. Mi si strinse il cuore a vederla in quello stato. Volevo dirle che ricambiavo ciò che provava, ma non riuscivo a parlare, a muovermi. Quegli occhi tra il marrone e il verde mi avevano pietrificato, ingabbiato al loro interno.
Mary si asciugò le lacrime con il dorso della mano e sussurrò: "Un segno, ma cosa mi ha detto la testa! Non dovevo venire".
Si voltò e aprì il portone. Stava per uscire, quando qualcosa la fermò. Il suo sguardo finì sulla mia mano, che le teneva il braccio saldamente. Non mi ero nemmeno accorto di essermi mosso. Velocemente la tirai verso di me e la baciai. Fu un bacio dolcissimo e delicato, poi lei si staccò e mi guardò sorpresa. 
"Tutti i pensieri e le immagini che la mia mente è riuscita a produrre nell’ultimo periodo raffiguravano sempre te. Non  ho intenzione di lasciarti andare stavolta" dissi in modo convinto e dolce, poi tornai a baciare con più passione quelle labbra, che desideravo da tempo.






----------------------------
Note dell'autrice:
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA! Scusate xD Ho un po' tanto sclerato per questo capitolo. Questo, nella scala dei miei capitoli preferiti è il primo, in assoluto!! In questo capitolo si vedono i percorsi dei tre personaggi, percorsi che hanno intrapreso a causa di ciò che è successo nel 13. 
Vediamo in ordine:
-Mary. 
Mary nel capitolo 13 ha deciso di lasciare andare Ian, per il bene suo e di Nina, nonostante lei sia innamorata di lui. All'inizio del capitolo la troviamo davanti allo specchio, che si prepara per andare a lavoro, dopo tre "giorni di malattia". Mi piace molto questa scena, perché mi immagino lei, che cerca di far vedere che sta bene, e il suo riflesso, che ovviamente non mente e mostra tutti i suoi sentimenti, tutta la sua frustrazione. Dice che ha fatto la cosa giusta, dice che può farcela, cerca di auto-convincersi. E credo che questo sia importante e, soprattutto, che capiti a tutti. Chi, dopo un qualcosa che l'ha segnato, non cerca di farsi forza? Chi, dopo un qualcosa che l'ha segnato, non crolla alla minima cosa?
-Nina.
Nina è visibilmente triste e non accenna affatto ai suoi pensieri su ciò che è successo. Mostra solo il fatto che cerca di andare avanti, che (anche lei) cerca di farsi forza. Non mi soffermo più di tanto sull'inizio, quanto più sulla parte finale del suo POV: la scena Delena e la scena Nian. Sono state due scene molto intense e molto simili, ma allo stesso tempo così diverse. Damon ed Elena si avvicinano sempre di più. Damon è ferito dal comportamento di Elena. Elena non riesce più a mentire a sé stessa e, baciatolo, confessa il suo amore per lui. Nina e Ian si sono allontanati. Ian, nonostante abbia posto fine alla relazione, è ferito e cerca di andare avanti, così come Nina. C'è un bacio. Ma proprio questo bacio cambia le carte in tavola: mentre nei Delena è stato un momento romantico di "avvicinamento più intenso", nei Nian è stato il bacio della rivelazione. Solo dopo questo bacio, infatti, riescono a confessarsi a vicenda che non hanno sbagliato a lasciarsi. Riescono a chiarirsi.
-Ian.
Lui è stato il più difficile da descrivere. Ho cercato di mostrare al meglio il suo stato d'animo, dapprima giù di morale per la rottura, poi confuso perché non riesce a capire cosa gli prende e poi... poi travolto. Travolto dai sentimenti e dalla verità. Spero di essere riuscita a trasmettervi tutto questo!


Per quanto riguarda il tratto finale del capitolo...
Vi aspettavate una coppia Niseph?xD Io personalmente no, però poi... boh, adorando Joseph ho pensato "Perché no?" xD.
Non dirò niente sulla scena tra Mary e Ian perché, spero, si commenti da sola!
La canzone di Ed Sheeran citata è Give me love: http://www.youtube.com/watch?v=7ILDDzVntDs
La colonna sonora (preziosissima) che mi ha aiutato a scrivere e che riflette la scena Mary/Ian da quando lei inverte la marcia è: http://www.youtube.com/watch?v=D5lKxL29b5I
Ascoltate se vi va :)
Grazie per aver letto e, sempre se vi va, recensite!
A presto :*

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Secrecy. ***


POV Ian
Le lacrime di Mary si mescolarono alle nostre labbra, ancora unite in un bacio. Non riuscivamo a smettere di stringerci, di toccarci. Il bacio si fece ancora più passionale. Mary mi strinse più forte, attorcigliando le sue dita ai miei capelli. Dopo averle asciugato dolcemente le lacrime con i pollici, toccai anch’io i suoi capelli, ancora bagnati.
Fuori continuava a piovere.
Mi staccai per un momento da lei, guardandola. Era senza fiato.
“Che cosa succede?” sussurrò.
“I tuoi capelli… vuoi asciugarli?” chiesi un po’ incerto.
Mary sorrise e rispose: “Hai davvero rovinato un momento romantico da film per chiedermi se voglio asciugare i capelli?”
“Lo prendo come un no, allora”
“E fai bene” sorrise nuovamente e riavvicinò le sue labbra alle mie.
Al nuovo contatto, queste ultime sembrarono dotate di una colla particolare. Non riuscivano davvero a stare lontane. Non riuscivano a non infiammarsi a vicenda. I nostri respiri, così come i rispettivi battiti dei nostri cuori, si sincronizzarono, diventando uno solo. E mentre i nostri corpi cominciavano ad aderire alla perfezione, condussi Mary al piano di sopra.
 
Lentamente aprii gli occhi, sperando che quello che era successo la sera precedente non fosse stato solo un sogno. La mia mente era capace di farmi scherzi del genere.
Quando vidi Mary dormire beatamente sul mio petto, sorrisi.
Non era stato frutto della mia immaginazione. Era successo davvero.
La guardai incantato, aveva un'espressione così serena e dolce, era splendida. Dopo un po’ cominciò a muoversi e le accarezzai dolcemente la schiena.
"Buongiorno" sussurrai.
Lei mi strinse, poi mormorò con la voce impastata dal sonno: "Dammi un pizzicotto, ti prego".
“Perché?”
“Devo capire se è un sogno oppure no”
"No, non lo è – risposi soddisfatto – Perché, se lo fosse, non potrei di certo fare questo”.
Le alzai il mento con un dito e la baciai.
“Mi dispiace, ma ti sbagli. Se fosse un sogno, faresti esattamente questo” sorrise.
“Ah sì? – la guardai sorpreso – Allora come posso convincerti che questa è la realtà?”
“Mmm prova e riprova, magari ci riesci”.
Scossi la testa divertito, poi cominciammo a baciarci, a toccarci. Non potevamo farne a meno. I nostri corpi si richiamavano a vicenda.
Mi misi sopra di lei, staccandomi dalle sue piccole labbra e cominciando a lasciarle dei baci delicati sul mento, poi sul collo, sulle spalle, sul seno, sulla pancia. Mentre i suoi occhi seguivano ogni mia mossa, tratteneva il respiro, mordendosi il labbro inferiore. Le presi una mano e ne baciai il palmo.
La desideravo da morire, desideravo premerla su quel materasso e unirmi con lei e urlare il suo nome, mentre il piacere mi avvolgeva, ma volevo anche essere delicato con lei.
“Ci sono riuscito?” le sorrisi, distogliendomi dai miei pensieri poco puri.
“Ancora non mi sembra vero” mi strinse molto forte.
“Ma lo è” le diedi un altro bacio.
Sembravamo due ebeti che non smettevano di sorridersi a vicenda, ma improvvisamente la sua espressione si fece molto seria. Cominciò a guardarsi intorno, cercando qualcosa. Sembrava agitata, confusa, mentre si girava a destra e a sinistra, con i ricci che le balzavano sul viso.
“Qualcosa non va?” mi allarmai.
“Che ore sono?” chiese.
“Sono le dodici meno un quarto. Perché?”
“Ah, fine della magia! Tra un quarto d’ora inizia il mio turno. Devo andare” si alzò in fretta e cominciò a vestirsi.
“Non devi andare per forza – le feci un occhiolino – Potresti anche restare”
“Devo, invece. Non sono un ‘al momento disoccupata’ come qualcun altro”
“Spiritosa, davvero”.
Mary scoppiò a ridere. Indossate le scarpe, salì a carponi sul letto e mi baciò, poi se ne andò.
Dopo aver fatto una doccia, mi arrivò una chiamata di Paul. 
"Ehi amico, come va?" dissi solare. 
"Wow, Smolder, che ti è successo? Sembri felice"
"Chissà, potrebbe anche darsi – dissi vago – Dimmi"
"Io, Torrey, Nina e Joseph stiamo andando a pranzare insieme, vuoi unirti a noi?"
"Ok"
"Bene, passiamo a prenderti tra poco" e riattaccò.
Mi vestii e uscii di casa.
Mentre pranzavamo, tutti mi fissavano incuriositi.
"Volete assaggiare quello che sto mangiando, per caso?" chiesi con naturalezza, addentando una forchettata d’insalata.
"No, vorremmo che sputassi il rospone che hai in gola. Sei fin troppo felice oggi" rispose Paul.
"Dai, niente di che. Oggi è una bella giornata di sole e ne sono contento, tutto qui"
"Sì, ma anche ieri è stata una bella giornata, a parte la sera che ha piovuto, e non eri così di buon umore"
"Capita" sorrisi e continuai a mangiare.
Non mi andava di dir loro della splendida notte che avevo passato. Sentivo di dover tenere il segreto gelosamente.
Ci ripensai inevitabilmente.

Buttai Mary sul letto, togliendole le scarpe, i calzini, i jeans.
“Ian” sussurrò il mio nome, mentre i suoi grandi occhi mi guardavano ardenti.
Eravamo davvero lì, io e lei. Insieme. Ci desideravamo a vicenda.
La guardai intensamente, beandomi di quelle labbra rosee e di quelle guance rosse per l’eccitazione.
Cominciai a sbottonarmi la camicia lentamente, fin quando Mary non si mise a sedere e disse con voce bassa: “Ti do volentieri una mano”.
Le sue mani incorniciarono il mio volto, poi le sue labbra tornarono a posarsi sulle mie. Mentre mi baciava con decisione, le sue dita cominciarono a spaziare, prima liberandomi dall’ingombro chiamato ‘camicia’, poi tirandomi i capelli. Quel gesto mi fece impazzire. Mi scappò un gemito e Mary sorrise soddisfatta, continuando a intrecciare la sua lingua alla mia.
Non appena mi liberò dei pantaloni, anche il nostro rispettivo intimo finì sul pavimento.
E, mentre la luna splendente illuminava vagamente la mia camera da letto e la pioggia cadeva silenziosa, io e Mary cominciammo ad appartenerci.

 
“Ian?” Paul mi guardò, aggrottando le sue folte sopracciglia.
“Co-cosa?” risposi a bassa voce.
“A che pensavi?”
“A niente” sorrisi e addentai un’altra foglia d’insalata.
"Uh, ragazzi, ma sapete che ieri sera ho rivisto Mary? Erano mesi che non la vedevo in giro. L'ho trovata bene, forse un po’ triste, ma ha cercato di non darlo a vedere" disse Nina, cercando di cambiare discorso.
Paul mi guardò preoccupato, come se temesse una mia esplosione emotiva.
"Bene, felice per lei" dissi sorridendo e continuai a mangiare serenamente, mentre attendevo ansiosamente di rivederla.

POV Mary
Ascoltai musica allegra a tutto volume, mentre mi dirigevo verso l'ospedale. 
Entrai nello spogliatoio quasi danzando e dissi: "Buongiorno, miei adorati colleghi!".
Rose mi guardò sconvolta e chiese curiosa: "Che ti è successo?"
"Niente, il sole splende e gli uccellini cinguettano, la primavera è fantastica".
Mi prese la mascella prepotentemente, bloccandomela, e mi guardò dritta negli occhi.
"Ti sei drogata stamattina?" disse seria, mentre Steve rideva.
Volevo risponderle che avevo passato la notte più bella di tutta la mia vita, che ero stata con l'uomo dei miei sogni, volevo proprio urlarlo al mondo intero, ma non lo feci. Dovevo controllarmi, non potevo sbandierarlo ai quattro venti.
La strattonai e mi toccai la mascella indolenzita. Cavolo, Rose era forte quando si ci metteva!
"Ovviamente no! Dai, oggi sono felice, che ti frega della ragione per cui lo sono, sii felice per me e basta" dissi, sorridendo.
"Ok" rispose e fece spallucce.
Aspettarono entrambi pazientemente che mi cambiassi, dopo di che Rose m’intimò di andare a lavoro.
Mi alzai e posai le converse dentro l’armadietto.
“Buongiorno, splendori! Questa settimana mi avrete tra voi” disse raggiante.
Mi voltai, già irritata da quelle due frasi. Nonostante fossero passati quasi cinque anni da quando i nostri cammini si erano incrociati, non ero ancora riuscita ad abituarmi ai suoi modi e a controllare il mio umore in sua presenza.
Lo guardai di sottecchi, mentre si dirigeva con passo indifferente ed elegante verso i nostri armadietti. O verso di me, punti di vista.
I suoi occhi beffardi restarono inchiodati ai miei, nonostante Steve gli si fosse avvicinato esaltato.
“Finalmente abbiamo turni coincidenti, amico! Pensavo te ne fossi andato, dato che non ti vedevo più in giro”.
Si scontrarono i pugni.
“Ehi, fratello, ma come puoi pensare una cosa simile? Non me ne andrei mai – si arrestò, sorridendomi – non senza prima aver fatto cadere ai miei piedi l’unica donzella dell’ospedale che mi resiste”.
Detto questo, si avvicinò, fin quando non fummo a pochi passi di distanza.
“Che vuoi?” lo guardai con aria di sfida.
“Volevo salutarti”
“Ciao – feci un sorriso veloce, tornando immediatamente seria – Ora vattene”
“E chiederti se stasera sei libera” alzò le sopracciglia ammiccante.
“Anche se lo fossi, non passerei di certo tempo con te. E lo sai bene”
“Uh, Mary, sei stata un po’ tagliente”
“Può capitare” mi strinsi nelle spalle.
“Sei tremendamente sexy quando ti comporti così, gattina” mi carezzò una guancia, scostandomi i capelli.
Fece una risatina, molto divertito.
“Questa sera potresti anche essere libera, ma la scorsa notte sei stata impegnata di sicuro”
“Ma che ne sai?” mi alterai.
“Beh, non credo che tu ti sia fatta questo succhiotto da sola. Gran bel lavoro, per la cronaca”
“Hai un succhiotto? – Rose lo scansò, riempiendo la mia visuale – Mary, con chi sei stata ieri notte?”.
Mi sentii persa. Non volevo ancora parlare di Ian e, soprattutto, non ne volevo parlare davanti ad Alex.
Cos’avrei dovuto rispondere?
Inevitabilmente, mentre tutti attendevano una risposta, ripensai a quella notte.
 
Ian mi strinse la mano e cominciò a guidarmi per le scale, mentre le nostre labbra non si schiodavano.
Non mi ricordavo più dov’ero, non sapevo dove stavo andando o cos’avessi fatto l’ora prima. La mia mente si era completamente svuotata, lasciandomi in balìa dei miei istinti, esigenti come quelli del mio partner.
Finite le scale, Ian mi prese le gambe, facendole intrecciare intorno alla sua vita. Mi ritrovai con la schiena a muro.
Ian staccò le sue labbra dalle mie, riprendendo fiato e accarezzandomi il volto.
“Oh, Mary” sussurrò.
I suoi occhi mi trasmisero tutto quello che stava provando, dalla sorpresa iniziale all’eccitazione che lo stava catturando sempre di più tra le sue amabili grinfie.
Mi tolse la maglietta di dosso, mantenendo il contatto visivo, fin quando non cominciò a baciarmi il collo. Intrecciai le dita con i suoi capelli, chiudendo gli occhi. La sua era una dolce tortura.
Nessun uomo prima di Ian mi aveva baciato in quel modo, così delicato, ma allo stesso tempo così agguerrito. Mi lasciai andare e cominciai ad ansimare e a stringermi sempre di più a lui.
“Ian” balbettai senza fiato.
Le sue labbra si posarono nuovamente sulle mie in un bacio casto.
“Scusami, ti ho fatto un succhiotto – disse, riempiendomi di scuse con lo sguardo – E’ che mi sono fatto prendere un po’ la mano e poi la tua pelle è così bella. Sei irresistibile”.
Mi sciolsi a quelle parole.
“Ian” cercai di avere una voce ferma, che nascondesse tutte le emozioni che mi stavano travolgendo.
“Sì?”
“Non m’importa del succhiotto” dissi quasi tutto d’un fiato.
Presi il suo volto tra le mani, lasciando che le nostre labbra si unissero nuovamente.

 
“Mary? Allora?” dissero Rose e Steve in coro, mentre Alex rideva.
“I-io ho un succhiotto?! – dissi sconvolta, sperando di sembrare credibile – Ma non è possibile” conclusi con enfasi e mi diressi verso il lungo specchio dello spogliatoio.
“Perché, scusa, non te ne eri accorta?” chiese Steve sorpreso, mentre mi specchiavo.
“No! Forse non è un succhiotto, ma solo gli somiglia. Magari è una… una vescica andata a male! O magari una reazione allergica”
“Tutto molto bizzarro” disse Alex, incrociando le braccia.
I suoi occhi color nocciola luccicavano. Voleva scoprire la verità.
“Ma possibili” gli feci notare, sostenendo il suo sguardo senza paura.
“Dannato, te ne pentirai quando ti investirò un centinaio di volte con la mia auto!” pensai tra me e me, trattenendo la voglia di colpirlo con l’anta del mio armadietto.
Stava per controbattere, troppo divertito dalla situazione, ma fu interrotto dal suono incontrollato di tutti i cercapersone.
“Uh, salvata dalla campanella!” pensai esultante, dirigendomi di fretta verso il pronto soccorso.
Per tutto il resto della giornata non smisi di pensare al resto dei particolari della notte precedente. Ogni cosa mi riportava alla mente i suoi baci roventi di passione sulla mia pelle, le sue braccia forti che mi stringevano, il suo corpo perfetto, la sua voce suadente che sussurrava il mio nome e tutti gli altri particolari di quella notte magica. 
Quando finii il mio turno, corsi nello spogliatoio per cambiarmi e Rose e Steve mi raggiunsero.
"Vieni al bar ora?" chiese Steve.
Prima che potessi rispondere, mi arrivò un sms: << Mi manchi, Ian >>.
"Quando hai riattivato il telefono?” Rose si avvicinò curiosa.
“Stamattina. Sai, ho capito che avevi ragione. Mi stavo spegnendo… perciò ho deciso di andare avanti” sorrisi.
“Benissimo – disse, contraccambiando il sorriso – E chi ti ha scritto? Quello che ti ha fatto il succhiotto?” cambiò discorso.
Chiusi velocemente il messaggio e risposi: "Nessuno, nessuno. E, lo ripeto, nessuno mi ha fatto un succhiotto”
“Come vuoi” entrambi alzarono le mani, quasi in segno di resa.
“Comunque, no, non vengo. Preferisco andare a casa a-a... rilassarmi"
“Andiamo, Mary, sei rimasta a casa ieri!” Steve si lamentò.
“Facciamo domani, d’accordo?”.
Li abbracciai e, mentre uscivo, urlai loro un 'vi voglio bene', poi presi l'auto e corsi da Ian. Mi avvicinai furtivamente al suo portone e suonai. 
Ian aprì in fretta e, solo dopo aver richiuso la porta, mi baciò.
"Ciao, mi sei mancato anche tu" sussurrai tra un bacio e l'altro, stringendolo.
"Vieni, ho preparato la cena" disse sorridendo e mi condusse in cucina.
Mentre cenavamo, cominciammo a parlare delle nostre giornate, ridendo a più non posso per le nostre simili reazioni a quella notte. Dopo cena, ci accomodammo sul divano e mi accoccolai su di lui.
“Sai, per colpa tua sono stata quasi beccata” lo guardai con disappunto, ma divertita.
“Che intendi?”
“Alex ha notato il succhiotto. E anche Rose e Steve”
“E alla fine?”
“Ho mentito. Voglio tenerti tutto per me per ora” lo strinsi.
“Se è così… dovrei stare più attento – si mise a sedere, poi mi fece salire a cavalcioni su di lui – quando ti bacio” la sua voce si ridusse a un sussurro, catturato prontamente dal mio orecchio.
Le sue pupille si dilatarono e la sua bocca si schiuse. Un brivido cominciò a pervadermi la schiena.
Era troppo perfetto.
Le sue mani mi carezzarono il fondoschiena, attirandomi verso di lui, in una morsa letale ma eccitante.
Le nostre labbra si unirono.
Il nostro desiderio si fuse in uno solo, facendoci dimenticare del resto del mondo. Ian mi morse avidamente il labbro inferiore, attraendomi  sempre di più.
Subito dopo, mi tolse la maglietta e slacciò il reggiseno con violenza.
Dalle labbra scese proprio al seno, sorridendo tra un bacio e l’altro.
“Se faccio succhiotti qui, non se ne dovrebbe accorgere nessuno. O mi sbaglio?”
“Non ti sbagli” risposi con un filo di voce.
Era incredibile l’effetto che avesse su di me. Gli bastava poco per mandarmi in un altro mondo, per farmi entrare in contatto con i miei lati più istintivi, a cui per quasi tutta la vita non avevo dato ascolto.
“Mary” disse il mio nome in un soffio, mentre continuava il suo supplizio nei confronti del mio corpo, creta nelle sue mani.
“Sì?”
“La scorsa notte sono stato gentile. Stanotte ho ben’altre intenzioni” sorrise malizioso e tornò a tuffarsi sulle mie labbra.

Dopo un'eterna settimana di estremo lavoro, era finalmente arrivato il mio giorno libero. Dopo una bella dormita e un pranzo degno di una regina, mi sdraiai sul letto e accesi il computer. Subito andai sul sito della CW e feci caricare le sei puntate di 'The Vampire Diaries' che non avevo visto.
Mentre stavo guardando la fatidica ultima puntata, qualcuno suonò alla porta.
Sbuffai e andai ad aprire.
"Mi fai entrare?" chiese Ian sorridente. 
Lo trascinai dentro e presi a baciarlo. Non lo vedevo da tre giorni per via di un viaggio a New York con il cast e mi era mancato da morire.
In quei tre giorni mi ero sentita come se un pezzo di me fosse andato con lui, ma ora fortunatamente era tornato. Continuai a baciarlo e lo strinsi forte.
"Devo partire più spesso, se questa è l'accoglienza che mi riservi" sorrise.
"Non ci provare, non sopravvivrei" sbottai.
Rise, poi lo portai in camera mia.
"Frettolosa la ragazza" disse sarcastico.
Lo ignorai e mi sedetti sul letto, pronta per premere il tasto 'play'. Quando Ian vide lo schermo del computer, mi guardò serio.
"La 4x23, sul serio?"
"Senti, belloccio, per colpa tua non l'ho vista"
"Eri arrivata a quel punto?"
"Lasciamo perdere. Comunque, manca poco, ti prego, voglio finirla adesso" feci il labbruccio.
Alzò gli occhi al cielo e premette il tasto lui stesso. Lo abbracciai e continuai a guardare lo schermo.
"Grazie per oggi, Damon. Davvero, se non ci fossi stato tu" sussurrò Elena.
"Oh Elena, non ricominciare, ti prego. Va’ da Stefan e buona notte" rispose scontroso.
"Damon..."
"No, Elena. Non puoi dirmi queste cose, darmi una speranza, per poi tornare a sbaciucchiare mio fratello. Non è giusto nei miei confronti e nemmeno nei suoi. Ti ho aperto il mio cuore svariate volte e tu sei sempre stata lì a richiuderlo, come se non te ne importasse niente. Tu hai scelto Stefan, ormai sono solo tuo cognato, perciò ti prego, non guardarmi con quegli occhi, non parlarmi con quella voce, perché riesco a trattenere la voglia di baciarti a fatica e se mi parli così, io..." Damon lasciò cadere il discorso.
Una lacrima segnò il volto di Elena e lei abbassò lo sguardo. 
"Damon, io" sussurrò e gli prese il volto tra le mani.
Lo baciò e continuò: "Ti amo".
La scritta 'The Vampire Diaries' mi riportò alla realtà, ma la mia bocca non volle chiudersi. Ian mi guardò preoccupato e cominciò a farfugliare: "E' per il bacio a Nina, vero? Ma stavamo solo recitando, io non".
Non appena mi ripresi, risposi quasi urlando, esaltata: "Finalmente il Delena è uscito fuori! Alleluia, è da quattro stagioni che lo aspetto!"
"Aspetta, non sei arrabbiata per il bacio?".
Il mio attacco acuto di felicità s’interruppe.
"E perché dovrei esserlo? Non stavamo nemmeno insieme quando avete girato queste scene"
"Sì, ma adesso sì. Cioè, non ti da fastidio se bacio altre donne?"
"Non capisco perché dovrebbe. Insomma, è il tuo lavoro! Cioè, non baciare le donne, ma fare l'attore e a volte capita che si debbano baciare altre donne"
"Anche se questa donna fosse Nina?"
"Ma certo, aspetto il Delena da quattro anni, non puoi rovinarmelo per paura della mia gelosia. Tu sei Ian, non Damon. Siete due persone completamente differenti che condividono l'aspetto. Tutto qui, niente per cui essere gelosi" feci spallucce.
"Ma dove sei stata nascosta per tutto questo tempo?" mi chiese adulante. 
"Un po’ qui, un po’ lì" risposi vaga e sorrisi.
Scoppiò a ridere e mise il computer di lato, poi cominciò a baciarmi con passione.
All’improvviso, però, si arrestò.
“Che succede?” chiesi senza fiato.
“Ho dimenticato di dirti una cosa” mi guardò incerto.
“E devi dirmela proprio mentre sei sopra di me e il tuo amichetto laggiù non vede l’ora di uscire?” finii la frase con malizia.
“Sì” si allontanò da me.
“Ok. Dimmi, sono tutta orecchie”
“Ecco… tra cinque giorni devo partire e tornerò tra due settimane”
“Cosa? E come mai?” mi misi a sedere.
“E’ la stagione delle convention. Ricordi? Anche l’anno scorso in questo periodo…”
“Ah, già. Uffa, ma come farò a non vederti per due settimane? Già tre giorni mi sono sembrati lunghissimi, se penso a due settimane…” lasciai cadere il discorso e lo osservai.
La sua espressione era tra il triste e il sorpreso.
“Che c’è?”
“Davvero ti sono sembrati così lunghi questi giorni senza di me?”
“Ovvio! – ammisi imbarazzatissima – Ma comunque, non preoccuparti, è il tuo lavoro. Quindi, anche se a malincuore, ti lascerò andare” gli accennai un sorriso.
“Potresti sempre venire con me” mi guardò contento.
“Sai che non posso, anche se lo farei molto volentieri” sospirai.
“Ah, già, la clandestinità e tutto il resto! Sai – mi prese le gambe e mi spinse verso di sé – anche se ha i suoi lati negativi, il fattore ‘clandestinità’ è molto eccitante” la sua voce si concluse con un sussurro, che mi fece venire i brividi.
Non riuscii più a pensare razionalmente.
“Lo credo anch’io” riuscii a farfugliare, rapita dalla sua voce e bramosa delle sue labbra, prima che queste ultime si unissero nuovamente alle mie.
 
Presi un taxi con una certa esaltazione. Finalmente le due settimane erano trascorse e potevo rivedere Ian. Avevo fatto appositamente cambio turno con Alex con una scusa per avere il pomeriggio libero e passarlo tutto con lui.
“Fine della corsa. Ventidue dollari” disse il tassista.
Lo pagai e scesi dal veicolo, poi mi avvicinai al portico con l’aria furtiva di sempre. Una mano mi trascinò dentro e richiuse la porta velocemente.
“Ti ha vista qualcuno?”
“A parte il tassista che avrà sicuramente pensato che stavo per compiere una rapina dal modo furtivo in cui mi sono avvicinata all’uscio della tua casa? – dissi ironica – Mmm, credo di no”
“Perfetto” sussurrò ridendo.
“Dove sono Moke e Thursday?” gli chiesi, guardandomi intorno.
“Li sta tenendo Jessica, la mia assistente della ISF, così non avremo distrazioni” sorrise malizioso.
“Stai facendo allusioni a qualcosa di specifico?”
“A niente di particolare” rispose vago, continuando a sorridermi.
“Sì, certo – alzai gli occhi al cielo e sorrisi – Uh, sai che devo dirti? Sono una veggente”
“Ma non mi dire”
“Sì! Le mie previsioni erano esatte – dissi, mollando la borsa a terra e abbracciandolo forte, lasciandomi finalmente andare tra le sue braccia – Sembra davvero passata un’eternità dall’ultima volta che ci siamo visti”
“Già. Ma ora siamo qui, l’uno di fronte all’altra. Godiamoci il momento” mi fece l’occhiolino.
“Stai facendo di nuovo allusioni a qualcosa di specifico?”
“Sei una veggente, dimmelo tu”.
Cominciò a baciarmi con delicatezza, mordicchiandomi alle volte il labbro inferiore, mentre mi conduceva verso il divano. Mi ci fece adagiare sopra e subito dopo si mise sopra di me. Gli tolsi la maglietta e lui fece altrettanto  con me.
“Ho già accennato a quanto tu mi sia mancata in queste due settimane?” si staccò da me per un attimo e mi osservò con i suoi occhi magnetici, che trasmettevano il suo desiderio in quel momento.
“Non ne sono certa” sorrisi, mentre riprendevo fiato.
“Allora te lo accenno adesso” ricambiò il sorriso e riprese a baciarmi con più foga, mentre maneggiava con il mio reggiseno.
Le sue labbra scesero sul mio collo. Intrecciai le mie dita tra i suoi capelli, cercando di stringerlo il più possibile a me. Adoravo quei momenti, esistevamo solo io, lui e il nostro amore e volevo che ciò non finisse mai.
Mentre gli toglievo i pantaloni, ci arrestammo.
“Sbaglio o hanno suonato?” sussurrai e lo guardai.
“E’ la suonata di Paul. Ah, ignoriamolo!” mi baciò e mi tolse i jeans.
Stava per togliermi anche gli slip, quando suonarono nuovamente.
“Ian” disse una voce femminile.
Ci fermammo di nuovo.
“C’è pure Nina” la mia voce fu quasi impercettibile.
“Ian, dai, apri!” ripeterono in coro.
Ian si alzò immediatamente e si rivestì in un lampo, poi mi passò i miei vestiti.
“Nasconditi da qualche parte, io li mando via e riprendiamo da dove eravamo rimasti, ok? – mi disse quasi senza fiato e mi diede una pacca sul sedere – Va’”.
Andai in una stanza a caso e mi rinchiusi lì dentro, mentre Ian accoglieva ad alta voce i suoi due ospiti.
C’era troppo buio. Ma dove mi ero nascosta? Feci luce con il cellulare e mi ritrovai davanti uno scheletro.
Sgranai gli occhi e cacciai un urlo, ammortizzato fortunatamente dai miei vestiti, che prontamente avevo messo davanti alla bocca.
“Ma chi me l’ha detto di nascondermi nello sgabuzzino?!” pensai tra me e me, mentre il respiro tornava regolare.
Calmatami completamente, cercai di ascoltare ciò di cui quei tre stavano parlando.
“Ma che hai?” chiese Paul curioso.
“Niente, cos’hai visto! – Ian rise nervosamente – Allora… cosa vi porta qui?”
“Niente, volevamo passare un po’ di tempo con te”
“Oh, ma caro, carissimo Paul – sottolineò quelle due parole con un filo di agitazione – non dovevate disturbarvi così tanto”
“Nessun disturbo” rispose Nina.
“Ma eravate sicuramente impegnati” cercò di controbattere.
“No, Torrey e Joseph sono ancora fuori città”
“Già, perciò siamo completamente liberi e tutti per te” disse estasiato Paul, sicuramente abbracciandolo.
“Scusatemi un attimo”.
Sentii dei passi vicino al mio nascondiglio.
“Dove sei?” sussurrò.
“Sgabuzzino” risposi pianissimo.
“Ma non potevi nasconderti da un’altra parte?”
“Ho aperto una porta a caso, non ricordavo fosse lo sgabuzzino – mi giustificai – A proposito, bello scheletro”
“E’ una vecchia decorazione di Halloween”
“Che mi ha fatto quasi prendere un infarto!”
“Ne parliamo dopo. Come faccio a mandarli via?”
“Non lo so, inventa qualcosa”
“Ian, tutto bene di là?” chiese Paul.
“Sì – urlò – Sto solo cercando qualcosa… ehm… da offrirvi”
“Attore famoso, potresti recitare un po’ meglio” gli sussurrai ironica e allo stesso tempo agitata.
Non volevo essere scoperta da Paul e da Nina proprio in quel momento. Anche se ero consapevole che non potevamo restare nell’ombra per tutta la vita, mi piaceva che la relazione tra me e Ian fosse un nostro segreto. Non volevo rinunciare a quel segreto così presto.
“E parli bene tu da lì dentro” sibilò sempre più agitato.
“Noi avremmo un’idea” sentii la voce di Nina farsi più vicina.
“E sarebbe?”
“Puoi offrirci la tua compagnia stasera. Andiamo da qualche parte solo noi tre, su”
“Mi piacerebbe, ma non mi va molto di uscire stasera. Ma voi potete uscire tranquillamente, non c’è nessun problema”
“No, facciamo un’altra cosa”
“Paul, non mi tenere sulle spine”
“Restiamo qui” dissero in coro.
“Qui?! Proprio qui?! Ehm” balbettò Ian in difficoltà.
“Qualcosa non va?” chiese Paul.
“Ehm… ehm… no, tutto ok” sospirò rassegnato.
“Perfetto, prenoto le pizze” disse Nina contenta.
Sentii i loro passi divenire sempre più lontani.
“Mi dispiace” sussurrò mortificato.
“Tranquillo. Spero solo mi basti l’ossigeno” gli risposi sarcastica.
“Non scherzare” disse e raggiunse Nina e Paul di là.
 
POV Ian
Non riuscivo a smettere di pensare a Mary nello sgabuzzino. Come stava? Sarebbe riuscita a resistere lì dentro fino alla fine della serata?
“Ian” Paul mi passò una mano davanti al viso.
“Scusa, ero sovrappensiero. Che dicevi?”
“Se ricordo bene i tovaglioli e i piatti usa e getta da pizza sono nello sgabuzzino, giusto?” Nina si avviò verso la stanza.
Subito corsi per sbarrarle la strada.
“Che fai?” mi guardò confusa.
“V-voi siete miei o-ospiti – balbettai – Perciò, accomodatevi, ci penso io” sorrisi, sperando di essere sembrato convincente.
Aspettai che tornassero di là, poi aprii e richiusi velocemente la porta alle mie spalle.
“Soffrirò sicuramente di ipertensione arteriosa tra qualche anno” Mary mi guardò ironica.
“Smettila – accennai un sorriso – Piuttosto, sai bene?”
“Oh sì, il pavimento è comodissimo” continuò con l’ironia.
“Mary! – feci una smorfia – Spero la serata non duri tanto, così potrai uscire” presi i tovaglioli e i piatti.
“E mangiare la pizza?” mi guardò con gli occhi illuminati di speranza.
“Non credo rimanga” feci una risatina sommossa.
“Cattivone – finse un broncio – Allora male che va, troverai schifezze in meno nella tua scorta segreta di schifezze” sorrise vittoriosa.
“Non ti abbuffare” le diedi un bacio stampo.
Feci per uscire, ma mi fermò.
“Sì?” mi voltai nuovamente a guardarla.
“Ricordami di ritirarti tutti i premi di recitazione che hai vinto” mi fece una linguaccia.
Contraccambiai e scossi la testa, poi uscii dalla stanza.
 
“Grazie per la serata, ragazzi” sorrisi.
“Grazie a te. Buonanotte” risposero in coro e salirono in macchina.
Chiusi il portone e corsi allo sgabuzzino.
M’intenerii. Mary dormiva beatamente, accoccolata tra una parete e il pavimento.
Era dolcissima.
I ricci le ricadevano sul viso disordinatamente e le labbra erano sporte in avanti in un broncio.
La presi in braccio, attento a non svegliarla, e la portai di sopra.
La misi a letto e mi sdraiai accanto a lei, cingendola con un braccio.
 
POV Mary
Mi risvegliai su una superficie che di certo non era un pavimento. Avevo ancora gli occhi socchiusi, ma riuscivo a intravedere i raggi del sole che illuminavano il pavimento.
“Buongiorno, raggio di sole” mi sussurrò Ian all’orecchio.
Aprii definitivamente gli occhi e toccai il suo braccio, che mi teneva stretta al suo corpo.
“Buongiorno” mi voltai e lo baciai.
“Dormito bene?”
“Sì, lo sai che il tuo letto è molto comodo – sorrisi – al contrario di un certo pavimento! Ma, a proposito, io non mi trovavo dentro uno sgabuzzino?”
“Ti ho tirata fuori quando Nina e Paul se ne sono andati… alle due – fece una smorfia – Mi dispiace davvero”
“Ancora una volta mi hai trasportato qua e là senza svegliarmi – sorrisi con tono adorante e lo baciai – Non preoccuparti. Non è stata mica colpa tua! E poi, anzi, mi sono riposata. Sai, quando tu non c’eri, ho praticamente lavorato no-stop. Mi ci voleva una bella dormita, anche se cominciata in un pavimento scomodo”
“Me lo rinfaccerai a vita?”
“Forse” risi e sentii la schiena scricchiolare, ma non mi lamentai per non farlo preoccupare.
“Uffa, però avevi fatto cambio turno per me! E tra un’ora e mezza devi andare in ospedale…”
“Beh, a questo c’è sempre rimedio” maliziosamente lo baciai all’angolo della bocca.
“Stai tentando di sedurmi?” scoppiò a ridere e cominciò a far scorrere le sue dita su e giù per il mio corpo.
“Era il mio intento – sussurrai già ammaliata – ma a quanto pare sta succedendo il contrario”
“Ops! Dai, sarà per un’altra volta” sorrise e si mise sopra di me, riprendendo da dove eravamo stati interrotti.




---------------
Note dell'autrice:
Eccomi qua! Scusate se non ho pubblicato per parecchio tempo, ma sono stata impegnatissima con lo studio e non sono riuscita a revisionare questo capitolo prima di oggi.
Ian e Mary hanno cominciato questa cosa. Possiamo già definirla relazione? Quanto resterà nascosta agli occhi di Rose, Steve, di quell'impiccione di Alex, di Paul e, soprattutto, di Nina? Saranno loro i primi a scoprirlo? Non vi resta che continuare a leggere, sperando che possa pubblicare il capitolo 16 presto xD.
Sinceramente non so che dire su questo capitolo, sono troppo emozionata di vedere Ian e Mary insieme xD. Perciò, lascio la parola a voi :) Le recensioni non sono obbligatorie, è vero, ma mi farebbe davvero piacere leggere le vostre opinioni in merito alla storia, sia positive che negative. Si deve sempre crescere, no? :) Se non avete un account EFP, ma volete esprimere qualche parere sulla storia, potete andare nella pagina fb ",,, let your heart decide ,,,". E' una pagina che gestivo e che ora uso per le storie che scrivo. Prima, infatti, pubblicavo lì.
Vi saluto e grazie per aver letto :) Buona notte :*

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sis and bros stickin' their nose(s). ***


POV Ian
Ero eccitato, io e Mary stavamo insieme da un mese e non vedevo l'ora di festeggiare un po’ con lei.
Dei fari subentrarono nel mio vialetto. Contento, andai sul retro, giusto in tempo per vederla scendere dall'auto.
Si sistemò i capelli, prese la borsa e chiuse lo sportello. Quando si voltò verso di me, i suoi occhi brillavano e il suo sorriso era smagliante. La feci entrare, trepidante, e l'abbracciai. 
"Buon mesiversario" le sussurrai. 
"Anche a te" sorrise e mi baciò, poi si tolse il giubbotto leggero e me lo porse.
Lo posai sull’elaborato appendi-abiti, poi dissi, sorridendo e facendo un inchino: "Miss Floridia, la doccia desiderata è disponibile"
"Fantastico, ne ho proprio bisogno!" rispose sorridendo e andò di sopra.
La seguii e cominciai a spogliarmi, mentre mi raccontava della giornata che aveva avuto.
"Che giornata stressante" le dissi, mentre apriva il rubinetto della doccia.
Entrò di tutta fretta, come se ancora si vergognasse di farsi vedere. Questo particolare mi fece sorridere.
"Già, detesto questo periodo, tutti sono così agitati, soprattutto le matricole per via degli esami" brontolò, cominciando a bagnarsi i capelli.
Entrai in doccia, sogghignando e aspettandomi la sua reazione, tutta impacciata.
"I-ian" disse imbarazzata.
"Che c'è? – risposi, ridendo, avevo previsto la giusta reazione - Dai, siamo soli, lasciati andare" continuai suadente e la baciai.
Il suo viso, dapprima rosso come un peperone, man mano tornò roseo, mentre l’acqua della doccia si mischiava alle nostre labbra.
Mi staccai un momento da lei e feci aderire la sua schiena al mio petto, poi con una mossa veloce presi una spugna e cominciai a massaggiarle le spalle.
“Ti ricorda niente?” le sussurrai all’orecchio destro, per poi baciarle lentamente il collo, mentre scendevo con la spugna verso la schiena.
“Dovrebbe ricordarmi qualcosa di specifico?” mi rispose con la sua bellissima voce limpida.
Cercò di voltarsi, ma glielo impedii.
“Ehi!” protestò, provandoci nuovamente.
Fallì miseramente.
“Non provarci più, perderesti ancora e ancora” sorrisi baciandole una spalla.
“Quand’è così” lasciò la frase in sospeso e appoggiò la testa sulla mia spalla, cominciando a strofinare il naso contro il mio collo.
“Che fai?” feci una risatina, quel tocco delicato mi solleticava.
“Dimostro il mio affetto” Mary sorrise, poi cominciò a baciarmi il collo.
Chiusi gli occhi, mentre mi lasciavo andare alle sue coccole. Lasciata andare la spugna, le feci fare una piccola giravolta e la spinsi contro il muro. L’acqua continuava a bagnare i nostri volti.
Mi morsi il labbro inferiore, perdendomi nel suo sguardo, mentre le sue piccole mani mi carezzavano il volto, il collo, le spalle, in attesa.
Le sue labbra sembravano chiamarmi. Erano peggio del canto di una sirena, non potevo resistere.
Stavo per avvicinarmi e lasciare che l’eccitazione pervadesse entrambi, quando
"Ehi fratellone!".
Mi paralizzai stupito. Mary sgranò gli occhi, diventando rossa in volto. Le feci segno di non fiatare e la coprii con il mio corpo.
"Robyn! Che ci fai qui? Esci subito!" dissi un po’ scocciato.
"Andiamo, ti ho già visto fare la doccia. Le tue nudità non sono una novità" rispose con naturalezza.
"Che vuoi?" brontolai.
"Devo stare qui per un po’, a casa non riesco a concentrarmi"
"Non se ne parla!" affermai con enfasi.
"E dai, ti prego" mi supplicò.
"Vedremo, intanto esci, per favore".
La sentii quasi uscire e sospirai di sollievo.
"Prima che esco - disse e si arrestò - come va con quella tua amica di cui ti sei invaghito? E’ da tanto che non ne parliamo".
Chiusi gli occhi e cercai di fare dei respiri profondi. L'ironia di quel momento era assurda, non sarebbe riuscita così bene nemmeno se l'avessimo programmata.
Sfiorai dolcemente il viso di Mary e risposi: "Non la vedo da un po’, chissà come andrà a finire tra noi. E comunque non mi sembra ora – sottolineai l’ultima parola – il momento adatto per parlarne"
"D’accordo, d’accordo" disse con tono semi esasperato e uscì dalla stanza.
"Aspettami di sotto" le urlai, poi cominciai a studiare con Mary un modo per farla uscire, senza che Robyn si accorgesse di lei.
Dopo una sfilza di piani senza senso, Robyn rientrò in bagno.
"Robyn, e dai!" urlai seccato.
"Calmati, devo solo dirti una cosa".
Alzai gli occhi al cielo e le chiesi di che stesse parlando.
"Ciao Maria Chiara! – disse con convinzione, aggiungendo subito dopo – Sempre se questo è il tuo nome. A dire il vero, non lo ricordo con certezza” fece una risatina.
Io e Mary ci paralizzammo, poi balbettai: "Come diavolo hai fatto?"
"Ho intravisto vestiti femminili sotto i tuoi qui dentro; quando ti ho chiesto di lei, la tua voce si è addolcita e la tua spalla destra si è contratta, come se avessi mosso il braccio per toccare qualcuno; e poi, sul retro c'è un'auto non tua"
"Ecco perché sei la poliziotta barra psicologa più ambita dello Stato" sbottai.
"Modestamente – disse lei divertita – Vi lascio finire la doccia” continuò maliziosa e uscì.
Dopo esserci rivestiti, andammo in cucina.
Mary era rossa di vergogna e non riusciva a pronunciare una parola, mentre mia sorella la guardava da capo a piedi. I suoi occhi indagatori, azzurro ghiaccio come i miei, non riuscivano a distaccarsi dalla sua figura esile e irrigidita. Mary era troppo imbarazzata e l’unico gesto che riusciva a fare era quello di tirarsi su gli occhiali. Non riusciva nemmeno a cercare il mio sguardo. Dovevo fare qualcosa. Tossii e cercai di rompere il ghiaccio.
"Allora, Robyn, spiegami che ci fai qui" chiesi calmo, guardandola.
"Devo lavorare a un caso delicato, perciò non posso stare a casa, c'è troppa distrazione – rispose, passandosi una mano tra i lucenti capelli biondi, poi si rivolse a Mary, ignorandomi – Allora da quanto tempo stai con mio fratello?".
Mary cominciò a balbettare e abbassò lo sguardo: "Un mese oggi"
"Una coppia fresca. Come quella del mio caso. Si sono uccisi a vicenda".
Mary mi guardò sconvolta e Robyn cominciò a parlare del suo lavoro e di cosa si stava occupando in quel periodo, però non l'ascoltavo. Ero focalizzato su Mary. Era a disagio, lo sentivo, ma se provavo a parlare, Robyn faceva domande fin troppo personali.
"Robyn, non puoi restare qui"
"Dai, perché no? Temi che vi disturbi?" mi fece l'occhiolino.
"Non cominciare" la guardai male.
“Dai, potrei indossare i tappi per le orecchie, non mi recano disturbo” concluse la frase sorridendo.
“Robyn!” dissi esasperato, guardandola stupito.
“Andiamo, volevo solo fare una battutina! – scosse la testa divertita – Non credo ci sia bisogno dei tappi per le orecchie” guardò Mary di sfuggita.
Era diventata violacea.
“O forse sì?” Robyn si rallegrò di più, sedendosi più comodamente sulla sedia.
“No, non parleremo dei tappi per le orecchie. Vattene, per favore!” la supplicai.
"Ti propongo un patto: tu mi permetti di restare qui e io..."
"Tanto non puoi darmi niente in cambio"
"E io non dico a mamma della tua nuova relazione"
"Affare fatto" risposi in fretta.
"Che velocità! - sorrise beffarda e guardò nuovamente Mary - Io e te dovremmo fare quattro chiacchiere. Che dici?"

POV Mary
Presi un respiro profondo, cercando di tornare al mio colorito naturale, poi annuii debolmente e Robyn, senza aspettare altro, mi trascinò in soggiorno.
"Quanti anni hai?" mi chiese.
"Ventotto"
"Ok. Dove sei nata?"
"In Italia"
"La tua fedina penale è pulita?" e mi guardò di sottecchi.
"Sì!" risposi con ovvietà. 
Annuì pensierosa, poi si avvicinò e sussurrò: "Se dico il nome 'Ian', tu che rispondi?".
Sentii il mio volto avvampare sempre di più, tornando bordeaux come poco prima. Robyn si ammutolì.
Il suo sguardo era fin troppo penetrante. Faceva venire i brividi. Come faceva una donna, apparentemente angelica, a sembrare così terrificante? Ci credevo che era la poliziotta barra psicologa più ambita dello Stato! Con uno sguardo era in grado di far crollare anche il peggiore dei criminali.
“Andiamo, per quanto tempo ancora dovrò sopportare questa tortura silenziosa?” pensai tra me e me, sperando che fuori non si notasse la mia agitazione.
Robyn scoppiò a ridere.
"Accidenti, mio fratello ti piace proprio! Il tuo rossore continua a persistere. Sei una ragazza a posto, lo sento" mi sorrise.
“Grazie” balbettai imbarazzata.
All’improvviso si alzò e parlottò con Ian, che subito dopo si sedette vicino a me.
"Ho superato la prova?" gli chiesi, ancora confusa da quella breve discussione.
"Ovviamente - sorrise e mi baciò - Comunque l'interrogatorio breve e l’osservazione acuta sono i suoi modi di comunicare quando non conosce una persona, tranquilla, non è sempre così"
"Lo spero. Mh, a proposito, dato che ho superato la prova, posso anche ritirare i raggi x total body che mi ha fatto?”.
Ian scoppiò a ridere.
“Andiamo a preparare la cena, su” mi baciò sulla guancia e mi prese la mano.

Erano passati circa un paio di giorni dal mio incontro ufficiale con la sorella di Ian ed eravamo diventate abbastanza amiche.
Avendo il giorno libero, invitai entrambi a casa per prendere un tè tutti insieme. Mentre lo versavo, Robyn parlava del suo caso.
“Sai, comincio a credere che non sia più un omicidio”
“Si sono suicidati?” la guardai.
“No. Intendevo, forse non si sono uccisi a vicenda come pensavamo”
“E cosa te lo fa credere?” chiese Ian.
“Non so dirtelo, è una sensazione che ho”
“Le autopsie cosa dicono?” domandai, mentre prendevo il sacchetto con i cornetti.
“Li ho presi al negozio all’angolo” mi sussurrò Ian, accarezzandomi un fianco.
Mi voltai per guardarlo e sorrisi.
“I miei preferiti”
“Oh, lo so” mi baciò, poi si sporse e ne prese uno.
“Possiamo concentrarci sul mio caso?” Robyn agitò le mani, prima di accaparrarsi un cornetto.
“Sì, scusa – scossi la testa – Allora, le autopsie?”
“Il medico legale dovrebbe farle stasera. Mary, potresti aiutarlo? Vorrei che controllassi con i tuoi stessi occhi se gli sfugge qualcosa”
“Certo, non è un problema” le sorrisi.
Stavo per addentare il mio cornetto, quando mi squillò il telefono.
"Pronto?" risposi senza guardare chi fosse.
"Sorellina, sei a casa?"
"Giorgio, ciao! Sì, hai interrotto la mia colazione, perché?"
“Cosa stai mangiando?”
“Cornetto alla crema e tè freddo alla pesca”
"Uh, tè alla pesca. lo adoro. Aspettaci"
"A-a-aspettaci?! In che senso?"
"Siamo all'aeroporto. Tra una decina di minuti saremo lì, non finirlo, sai che Lucas ne va ghiotto"
"Ok, ciao" dissi velocemente e riattaccai.
Subito guardai Ian e Robyn mortificata.
"Dovete andare"
"Perché?"
"Mio fratello è in città, tra pochissimo sarà qui e non può vedervi qui, soprattutto non può vedere te qui - dissi rivolgendomi a Ian con tono grave - dato che non sa che noi... Oddio, lo scoprirà! E se lo scoprirà lui, lo saprà mia madre e poi mia nonna e se lo saprà lei, lo saprà tutto il mondo!" brontolai tragicamente, andando avanti e indietro per la stanza.
Ian mi fermò: "Mary, respira, non può essere così catastrofica la situazione"
"Sì, invece. Non conosci bene mio fratello, gli basta guardarmi negli occhi per scoprire se nascondo qualcosa"
"E che lavoro fa tuo fratello?" chiese Robyn.
"L'insegnante d'italiano a Londra"
"Accidenti, potrebbe entrare in polizia!" disse entusiasta.
Dopo alcuni minuti di silenzio inquietante, Ian e Robyn andarono via e Giorgio e la sua dolce famigliola arrivarono in taxi. 
"Fratellone caro, ciao!" sorrisi forzatamente e lo abbracciai, sperando che i miei occhi non brillassero tanto da farlo insospettire.
"Ciao, è dall'estate scorsa che non ci vediamo, come te la passi? - mi guardò sorridente, poi aggiunse - Mmmm, stai bene?"
"Sì, perché?"
"Hai una strana luce negli occhi. Mi stai nascondendo qualcosa per caso?" 
"Ma che dovrei nasconderti, suvvia" risposi ridendo nervosamente.
"Giorgio, non cominciare e lascia stare tua sorella" disse dolcemente Addison.
"Ma che ho detto?" sbuffò lui, mentre Addison lo accompagnava dentro.
Sospirai di sollievo, poi andai ad abbracciare mio nipote Lucas.
"Oh, il mio ragazzo! Ma come stai?" dissi dolcemente.
"Sto bene, ma qui fa troppo caldo!" disse lui.
Annuii e lo portai dentro, facendolo salire a cavalcioni sulla mia schiena.

Mi svegliai di buon umore, consapevole che Giorgio quella mattina sarebbe andato via, non sapendo ancora della mia relazione con Ian.
Aiutai Addison a mettere le valigie in auto e inviai un sms a Ian: << Li sto accompagnando all'aeroporto, ci vediamo tra un pò ♥ >>.
Suonai il clacson e invitai Giorgio a salire in auto. Li accompagnai in aeroporto e, dopo aver salutato Addison e Lucas, lo abbracciai.
"Buon viaggio. E grazie per la visita, mi mancavate davvero tanto" gli sussurrai stringendolo.
"Grazie. Anche tu. Ah, quasi dimenticavo. Salutami Ian" sorrise, ammiccando.
Lo guardai.
"M-ma c-come... come hai fatto a-a?"
“Un fratello lo sa sempre” si strinse nelle spalle.
“Giorgio, andiamo!” lo pregai di vuotare il sacco.
“La verità, sorellina, è che non riesci a nasconderlo. Nei due mesi di buio, quando mi chiamavi dalla linea ospedaliera, la tua voce si sforzava di nascondere il dolore per lui. Cercavi di convincere me e te stessa di stare bene. Ora, invece, la tua voce mostra solo serenità e felicità e i tuoi occhi brillano d’amore… e passione. Questo mi fa dedurre che, oltre a essere un buon attore e una gran bella persona, ci sa fare anche tra le lenzuola!” ammiccò nuovamente.
Aprii la bocca più volte, ma non ne uscì neanche un suono. Mi morsi il labbro inferiore, mentre sentivo le guance avvampare. Farmi arrossire sembrava lo sport preferito di tutti quella settimana.
“Tutto chiaro – sghignazzò e mi diede una spintarella – Comunque, voglio rassicurarti. Terrò questa cosa per me. E’ giusto che sia tu a informare mamma, quando ti sentirai pronta"
“Grazie, fratello! – lo abbracciai – E, dato che sono buona, ti autorizzo a mettere al corrente Addison”
“Speravo lo dicessi – mi strinse e rise – Buona relazione, sorella”
“Buon viaggio. E grazie” lo strinsi un’ultima volta, poi lo lasciai andare verso il gate d’imbarco.
Presa una mano ad Addison e una a Lucas, andò a imbarcarsi.
Sorrisi serena. Una delle persone più importanti della mia vita lo sapeva.






---------------
Note dell'autrice:
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! :) Personalmente, adoro questo capitolo, mi piace da morire la figura di Robyn. Ovviamente non so come sia in realtà, ma me la sono immaginata così... una poliziotta barra psicologa impicciona, ma moto tenera. Spero vi sia piaciuta quest' "interpretazione" xD Un'altra cosa importante, a mio parere, è il rapporto tra Mary e Giorgio: vivono praticamente ai lati del mondo, ma si capiscono ugualmente, nonostante si vedano raramente. Io credo che questa sia la vera fratellanza, cioè il capirsi, l'essere complice e non solo il legame di sangue! Per la loro fratellanza mi sono ispirata a me e mio fratello, spero abbiate potuto apprezzare anche questo aspetto!
Per quanto riguarda Mary e Ian... al momento va tutto rose e fiori, chissà se si continuerà su questa strada xD
A voi i commenti, non vergognatevi (?) di commentare lasciando recensioni, ripeto a me fa piacere! E rinnovo l'invito a contattarmi in questa pagina fb questo nel caso in cui non abbiate un account EFP, ma vogliate lo stesso lasciarmi la vostra opinione :D : https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts 




Besoooos, alla prossima :*


 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** The more I get to know you, the better. ***


POV Mary
Entrai nello spogliatoio stremata. Era da quasi una settimana che ero rinchiusa in ospedale per via degli esami e non avevo potuto festeggiare i due mesi con Ian.
Prima di cambiarmi, gli mandai un sms: << Giorni d'esame finiti finalmente :D i risultati tra una settimana, speriamo bene! Ti aspetto tu sai dove ;) ♥ O forse mi aspetterai tu lì… mmm, comunque sia, ci vediamo lì ;D >>.
Cambiatami, mi incamminai contenta verso l'uscita, ma fui bloccata da Steve e Rose.
"Ehi, pizza, birra e film per festeggiare la fine delle torture?" disse Steve sorridendo, cingendo un fianco a Rose.
Scossi la testa e risposi: "Mi piacerebbe, ma sono davvero stanca. Facciamo un'altra volta, ok?" li abbracciai.
“Mary, ma che ti prende in questo periodo? Sei sempre così stanca e…” disse Steve incerto.
“E sfuggente. C’è qualcosa che non va?” Rose terminò la frase preoccupata.
“No, ragazzi, tranquilli, va tutto bene. E’ che in questo periodo, con gli esami e tutto il resto, non ho avuto un attimo per rilassarmi, e vorrei sfruttare questa serata. Tranquilli, davvero” sorrisi.
“Come vuoi. Ma un giorno di questi stiamo tutti insieme e non accettiamo rifiuti” Rose mi guardò con fare autoritario.
“Agli ordini, mia signora” sghignazzai e li strinsi un’ultima volta, poi andai via.
Poco prima di mettere in moto, guardai attentamente l’ospedale. Era un edificio davvero meraviglioso. Così antico, così massiccio. Era pazzesco come avessi già passato cinque anni dentro quelle immense quattro mura.
Guardai di striscio l’orologio e tornai con i piedi per terra. Erano le otto e trenta. La luna splendeva. Non potevo permettermi di fare la sentimentale. Ian mi aspettava.
A quel pensiero mi rallegrai e misi in moto.
Guidai con trepidazione. Il solo pensiero di rivederlo dopo sette lunghi giorni mi faceva battere il cuore a mille e contorcere lo stomaco. Il solo pensiero di quegli occhi azzurri, di quel sorriso amorevole, delle sue braccia rassicuranti, delle sue labbra, della sua voce, mi faceva venire voglia di incatenarmi a lui e non separarmene più.
Parcheggiai vicino alla sua auto e sorrisi. Eravamo vicini. Scesi dall’auto di fretta, la chiusi e cominciai a salire la collinetta. Lo intravidi quasi subito.
Era di spalle, semi-sdraiato su una tovaglia.
Mi avvicinai silenziosamente e lo abbracciai da dietro sussurrando: "Ciao".
Si voltò, inondandomi con il suo profumo, e mi baciò: "Finalmente. Ciao".

POV Nina
"Oggi si è conclusa la prima tappa di questo nostro nuovo esperimento, il volontariato estivo. Domani cominceremo la seconda tappa, che si terrà allo zoo cittadino" affermò Julie, soffermandosi con lo sguardo su Ian.
Egli automaticamente sorrise e sussurrò a Paul eccitato: "Scimmie, elefanti, koala, tigri e leoni, zio Ian sta arrivando!".
Paul rise. Julie ci congedò e tutti uscimmo dagli studios.
Joseph si avvicinò e mi baciò.
"Finalmente si cambia, non ne potevo più di stare tra pannolini e biberon".
Risi e lo abbracciai, poi ci avvicinammo mano nella mano a Paul, Torrey e Ian.
"Pronti per andare?" chiese Paul.
Tutti annuimmo, tranne Ian, che scosse la testa, dopo aver controllato il cellulare.
"E dai, Smolder, non puoi darci buca di nuovo" si lamentò Paul.
"Mi dispiace, ragazzi, ma sono stanco. Credo che andrò a casa" disse vago e se ne andò.
Paul diede le chiavi dell'auto a Torrey e disse: "Tu e Joseph intanto andate, io e Nina vi raggiungiamo subito".
Mi prese per mano e mi condusse verso la mia auto.
"Dove stiamo andando?" chiesi.
"Il nostro caro Smolder non ce la racconta giusta, voglio scoprire che cosa ci sta nascondendo" fu tutto quello che disse.
Annuii e salii in auto, poi partimmo e rintracciammo facilmente Ian. Non passò molto tempo, che Paul spense la macchina.
"Ian si è fermato un po’ più avanti, però dobbiamo continuare a piedi, altrimenti ci becca" mi sussurrò.
Cominciammo a camminare, ma, appena riconobbi il luogo, mi bloccai.
Le immagini del San Valentino dell’anno precedente si fecero strada nella mia mente e non riuscii a fermarle. Tutti i baci, le coccole, la cena sotto le stelle... la felicità di quel periodo mi fece girare la testa. 
"Tutto ok?" chiese Paul preoccupato.
Feci un respiro profondo, poi annuii e continuammo a camminare. Ci nascondemmo tra gli alberi e cominciammo ad osservarlo. Aveva steso una tovaglia e si era seduto guardando la città.
"Magari è venuto per rilassarsi e non ci sta nascondendo niente" borbottò Paul.
Cominciai a pensare che avesse ragione, ma dei sussurri cacciarono via quei pensieri.
"Steve, credo di aver pestato una cacca" disse qualcuna disgustata.
"Rose, è solo erba soffice, smettila!"
"Mi chiedo dove diamine stia andando Mary. Alla faccia del relax" sbottò la donna.
"Magari vuole solo ammirare le stelle, che ne sai, però, se continui a fare chiasso, ci scoprirà e non lo sapremo mai".
Quei nomi mi sembrarono familiari, una parte di me sentiva di conoscere quelle persone. Mi ricordavano gli amici di Mary, gli adorati colleghi Rose e Steve, con cui avevamo condiviso un’uscita al centro benessere e due settimane estive.
Perché stavano spiando Mary? Che ci faceva lei…
“Oh” mormorai.
“Cosa?” mi chiese Paul.
Avevo collegato tutto, giusto in tempo per vedere Mary arrivare e confermare la mia ipotesi. Inizialmente camminò lentamente, poi, man mano che si avvicinava a Ian, cominciò a essere più veloce e silenziosa. Sembrava un felino. Abbracciò Ian da dietro e lui la baciò con dolcezza, lasciando che i suoi riccioli gli ricoprissero il volto. Mi sentii improvvisamente disorientata. Che mi stava succedendo? Mi alzai lentamente e feci per andarmene.
"Nina, aspettami" sussurrò Paul.
"Ma voi due che ci fate qui?" sussurrò Rose sorpresa, sgranando i suoi occhi verdi.
Steve non ci fece caso e si avvicinò a Paul con gli occhi nocciola che luccicavano.
"Paul, ti ricordi di me? Sono Steve, fan sfegatato di Stefan" disse adulante.
"Ah, lasciatelo perdere - disse Rose, alzando gli occhi al cielo - Allora?"
"Guarda con i tuoi stessi occhi - sbottai a bassa voce - Noi abbiamo già visto abbastanza. Paul, andiamo"
"Con permesso" disse lui gentilmente e mi seguì.
Per il resto della serata non smisi di pensare a quel bacio affettuoso che si erano scambiati. Non mi aspettavo mi avrebbe turbato così tanto vederlo con un'altra. Forse, però, non era 'l'altra' in generale a turbarmi, ma proprio lei. Lei che mi era stata vicino in svariate occasioni, che aveva permesso le nostre riconciliazioni dopo tante, troppe liti. Quel pensiero restò fisso nella mia mente per tutta la notte e non mi fece dormire. Il giorno dopo, aspettai che Joseph uscisse e mi chiusi in casa. Non ero dell'umore per andare a fare volontariato, non ero dell'umore per vederlo. 


POV Ian
Dopo aver cenato, io e Mary ci sdraiammo accanto a guardare il cielo. Il suo sguardo era perso nell'immensità della notte e riuscivo a vedere ogni stella riflettersi nei suoi occhi. Tutto mi lasciava senza parole.
"A che pensi?" mi chiese con un sorriso smagliante.
"Alla tua bellezza" dissi sincero.
Mary scoppiò a ridere.
“Che ho detto di così divertente?” la guardai.
“La mia … mi prendi in giro? – rise più forte – Scusa, è che … non vedo come l’ammasso di ciccia di una donna di ventotto anni che pesa quasi una tonnellata possa essere vista come bellezza”
“Ah, quante volte dovrò ripetertelo? Smetti di chiamare il tuo corpo ‘ammasso di ciccia’, smetti di non piacerti! Anche perché a me piaci da morire, così come sei”
“Così mi fai sciogliere” le sue guance avvamparono.
“Puoi scioglierti quanto vuoi”
“Almeno diventerò più magra” annuì sarcastica.
“Ucciderò la tua testardaggine nel sonno un giorno di questi, sappilo”
“Starà all’erta” rise e mi diede un bacio stampo.
“Sai, pensavo a una cosa … ma non so se potrebbe andarti bene”
“Spara” cambiò posizione, sdraiandosi a pancia in giù.
“Parlami un po’ della tua vita. Tu sai quasi tutto di me, o perché te l’ho raccontato o perché era scritto da qualche parte su una rivista o su facebook, mentre io non so molto”
“Cosa vorresti sapere di preciso?”
“Sarebbe un sì alla mia proposta?”
“Sarebbe un ‘vediamo l’argomento e, se è scomodo, aggrediscilo sessualmente come distrazione’”
“Accidenti, spero sia molto scomodo allora”.
Ridemmo insieme.
“Dai, sputa il rospo”
“Ad esempio… come hai passato la tua adolescenza? Le tue passioni sono rimaste quelle attuali? Quando hai capito di voler fare il medico?”
“Accidenti, quante domande – sorrise – Allora, la mia adolescenza non è sempre stata rose e fiori. Ho passato dei momenti meravigliosi, specie al liceo, ma ho avuto anche molti momenti bui. Momenti in cui non mi sentivo apprezzata, cercata; in cui mi sentivo così sola, che pensavo quale fosse il mio scopo nel mondo. Però, grazie alla mia famiglia e ai miei angeli barra amici meravigliosi, sono riuscita a superare tutti questi momenti. Le mie passioni sono rimaste esattamente identiche: anche allora uscivo fuori di testa per i libri, la musica, la cucina, i film, il canto, l’inglese, la medicina… sono cose che hanno fatto parte di me in passato e che credo faranno parte di me per sempre. Non so come mi sentirei se un giorno mi dicessero di rinunciare a una di queste cose. Poi, ho capito di voler fare il medico in quinta elementare. Quando la maestra ci spiegò il corpo umano, ricordo che passai tutti i giorni a seguire a guardare le figure degli organi, degli apparati e, ogni volta che guardavo, mi sentivo sempre più attirata. Sai, come se le figure mi avessero chiamata e detto che appartenevo a loro”
“Poetico!” sorrisi.
“Molto! Altro che sua Maestà voglia sapere?”.
Sghignazzai, poi dissi: “A che età hai dato il primo bacio?”
“Aaaaah” urlò ridendo e si nascose il volto tra le braccia.
“Che ho detto?” chiesi preoccupato.
“Tu niente, è solo che… Dio, è imbarazzante!”
“Mi stai facendo preoccupare di più, lo sai, vero?”.
Si mise a sedere.
“Ian, forse è meglio se ti siedi pure tu. Quello che sto per dirti potrebbe sconvolgerti la vita, cambiarla per sempre. Sul serio”
“Non tenermi sulle spine”
“Ho dato il primo bacio il 31 Dicembre del 2003”
“Aspetta, ma quell’anno avevi … aspetta, avevi quasi diciannove anni?”
“Se la matematica non è un’opinione” disse imbarazzata, mordendosi il labbro inferiore.
“Perché dovrebbe sconvolgermi?”
“Beh, tu hai dato il tuo primo bacio a dieci anni”
“Sì, ma non vuol dire che questo debba sconvolgermi. Ognuno ha i suoi tempi” sorrisi.
“Gentile – sorrise anche lei, più rilassata – Ok, prossima domanda, mi sto caricando sempre di più” agitò i pugni in aria.
“Ok. Come si chiamava il tuo primo ragazzo?”
“Ah, stiamo entrando nella zona ex?” mi guardò.
“Beh, tu conosci Nina”
“E tu conosci tutti da Jason in su, perché indovina? Me li hai fatti conoscere tutti tu”
“D’accordo, evitiamo questa domanda. Però adesso te ne tocca una molto imbarazzante”
“Mi stai spaventando”
“Sentimento appropriato – risi e respirai profondamente – Il posto più strano in cui l’hai fatto finora?”
“Questa è … Ian!” mi ammonì, mentre il suo volto diventava di mille colori.
“Questa non si boicotta”
“Ok, ehm … ero a Firenze, credo fosse il terzo anno di università. Stavo con un ragazzo che si chiamava Leopoldo”
“Come? – scoppiai a ridere – Ma che nome è?”
“Non lo so, davvero. Fece ridere anche me quando si presentò ai tempi – si unì alla mia risata, poi, tornata seria, continuò – Comunque era davvero carino e gentile con me. Un giorno decise di marinare le lezioni universitarie e mi venne a trovare in facoltà. Quel giorno avevo avuto un esame, l’avevo appena passato, quindi quando mi propose di andare a festeggiare non replicai. Ma, non appena vidi il luogo, replicai eccome!”
“Che posto era?”
“Eravamo al parco. Era praticamente sera perché ricordo di aver avuto l’esame verso le sette e, beh, in inverno è già buio da un pezzo a quell’ora”
“Stai cercando di allungare il brodo per non dirmelo, vero?”
“Speravo ti perdessi in effetti – ammise, mordendosi il labbro – Oh, andiamo, non vuoi davvero saperlo”
“Sì che voglio. Dai” alzai le sopracciglia ammiccante e le feci segno di continuare.
“Ok, l’abbiamo fatto su una panchina!”
“Dove?!” esclamai, mentre tentavo di trattenere una risata.
 “Ma non è finita”
“Che vuoi dire?”
“La cosa più imbarazzante è successa quando ci ha beccato un netturbino, che era lì vicino per svuotare i cestini del parco”
“Oddio, questo è il colpo di grazia, giuro!” cominciai a ridere tantissimo, sentivo di non poter smettere.
“Non è giusto che tu rida! E’ stato il momento più imbarazzante della mia vita!”
“Se la tua vita fosse stata un film, questa scena avrebbe incassato da paura” ormai avevo le lacrime agli occhi.
“Ok, è molto divertente, riderei anch’io se fosse successo a qualcun altro, anche se non augurerei quell’umiliazione a nessuno, nemmeno al mio peggior nemico”
“Hai un peggior nemico?” mi calmai.
“Era così per dire”
“Ah – il respiro tornò normale – Oddio, mi fanno male gli addominali”
“Beh, felice di aver aiutato la tua pancia a diventare ancora più scolpita e perfetta” borbottò sarcastica.
“Dai, non fare così – mi sedetti accanto a lei e le accarezzai la schiena – Ehi, ho una proposta”
“Un’altra?”
“Sì”
“Sentiamo” rispose quasi rassegnata.
“Che ne dici di andare in fondo a questo boschetto e darci dentro sull’unica panchina che c’è?” scoppiai a ridere di nuovo.
“Non sei divertente!” mi colpì il braccio con la sua piccola mano.
“Scusa, ok, la smetto” sorrisi e la baciai.
“Non riuscirai a levarmi il broncio con un bacetto”
“E se provassi qualcosa di più?”
“E’ a tuo rischio e pericolo”.
Una folata di vento attraversò il prato e Mary ebbe i brividi.
“Addirittura – sorrisi e mi alzai, tendendole la mano – Andiamo”
“Ma dove?”
“A casa tua, è la più vicina. Comincia a fare un po’ freddo”.
Mary mi prese la mano e, fattala alzare, le porsi la mia giacca.
“Che galantuomo” la punta d’ironia dalla sua voce non era svanita.
“Ce l’avrai con me a vita?”
“Sì, fino a quando non troverò il modo di vendicarmi. Sai, si dice che la vendetta sia un piatto che va servito freddo”
“Inquietante”
“Abbastanza – sorrise e si avvinghiò al mio braccio – Ma non senti freddo a maniche corte?”
“No, tranquilla” le accarezzai la testa con la mano libera.
Arrivammo alle nostre macchine e ci separammo, guidando in direzione di casa sua.
Entrati in casa, Mary mi ridiede la giacca e si tolse la maglietta.
“Che stai facendo?”
“Mi sto vendicando” rispose e si tolse le scarpe e i calzini.
“A me sembra più un premio” mi avvicinai, ma lei fece due passi in dietro.
“Ah, ah! Prima mi devi prendere” sorrise malignamente e cominciò a correre.
“Se ti prendo” urlai, mentre la rincorrevo.
“E’ quello lo scopo, amico” si mise a ridere e perse il passo.
Corse di sopra, sperando di salvarsi, ma la raggiunsi subito.
“Beccata!” sorrisi malizioso, cingendole un fianco.
“Mi arrendo” sussurrò, baciandomi l’incavo del collo.
Le presi il mento con le dita per avvicinare le sue labbra alle mie, mentre maneggiavo con il suo reggiseno.
“Ian, una parola su quel posto e quel ragazzo e quel tutto e sei morto” mi minacciò suadente.
“Ricevuto” sussurrai.
La presi in braccio e la portai nella sua camera da letto.

Dopo aver passato una splendida notte con Mary, maledissi la sveglia per aver suonato.
"Su dormiglione, una splendida giornata di volontariato ti aspetta!" disse squillante Mary, spalancando la finestra.
"No, così mi accechi!" dissi ancora mezzo addormentato e mi coprii il volto con il cuscino.
La sentii ridere, poi salirmi a cavalcioni sulla schiena.
"Dai, quegli animali aspettano solo te" mi sussurrò dolcemente.
Mi tolse il cuscino. La guardai.
“Com’è che sei così attiva stamattina?” brontolai.
Sorrise e mi baciò una guancia.
“Sono sveglia da un’oretta circa. Ho riordinato di qua e di là e – indicò il comodino – ti ho portato il caffè a letto”
“Gentile”
“E’ il mio secondo nome” mi baciò nuovamente la guancia.
Con una mossa scaltra, riuscii a farla cadere a pancia in su accanto a me. Prima che potesse reagire, mi misi sopra di lei e cominciai a baciarla.
“Miss Gentileèilmiosecondonome, voglio mostrarle la mia gratitudine” sussurrai delicatamente, prima che le nostre lingue si intrecciassero.
La sentii ridacchiare, mentre le sue mani mi accarezzavano il volto e mi attiravano verso di lei.
Le morsi il labbro inferiore e subito gemette.
Sorrisi soddisfatto, poi tracciai con le labbra il contorno della sua mascella, arrivando all’orecchio sinistro.
“Mi piace quando gemi” mormorai con voce roca.
Non ottenendo risposta, cominciai a mordicchiarle il lobo e sentii le mani di Mary stringermi, sempre più forte, come se avesse paura che, in un momento del genere, potessi andare da qualche altra parte.
Stavo per scendere con le labbra al collo, quando il mio Iphone squillò, interrompendo le coccole mattutine.
Sbuffai.
“Non rispondere” disse Mary con un filo di voce.
“Devo” scossi un po’ la testa e risposi, cercando di nascondere il fastidio.
"Ehi" disse Paul serio.
"Wes, come mai quella voce? Che succede?" chiesi preoccupato.
“Potresti andare a casa di Nina, per favore?”
“Come mai? E’ successo qualcosa?”
“Vacci e basta” riattaccò.
La sua voce non mi era sembrata molto normale. Cosa poteva essere successo? Mi vestii velocemente.
"Che succede?" mi chiese Mary.
"Un piccolo problema, credo, vado subito così scopro di che si tratta ok?" le dissi rassicurandola e la baciai, poi corsi a casa di Nina.
Lì trovai Paul.
"Amico, ma si può sapere che succede?" chiesi.
“Mi ha chiamato e mi ha detto che non vuole uscire di casa”
“E che ha adesso?”
"Credo che riguardi te"
"Beh, non vedo cosa possa aver fatto di così".
Paul mi interruppe: "Da quanto tempo tu e Mary state insieme?".
Quella domanda mi paralizzò. 
"C-come hai fatto a"
"A scoprirlo?! Ieri sera io e Nina ti abbiamo seguito e vi abbiamo visto insieme".
Abbassai lo sguardo colpevole e mi avvicinai al portone della casa di Nina. 
"Ehi, apri, ti prego" dissi bussando.
"No!" urlò lei da dentro.
"Capisco che tu possa essere arrabbiata, ma sei la mia ex e sei andata avanti prima di me, perché io non posso fare altrettanto? Perché questa gelosia tutta in una volta? Nina, parlami".
Nina spalancò la porta.
"Non è perché ti sei rifatto una vita! All'inizio la pensavo anch’io così, ero fermamente convinta che riguardasse la persona con cui stai adesso, ma invece ho capito che riguarda solo una cosa, che non ha niente a che vedere con la gelosia o con quello che c’è stato tra noi... Da quanto tempo state insieme e non avete detto niente?"
"Non abbiamo detto niente per via dei paparazzi. Nina, so che puoi capire la situazione, ti prego"
"Non mettere in mezzo i paparazzi. Io e Paul non avremmo di certo sputtanato la vostra storia o quello che è ai quattro venti" mi guardò duramente.
"Immaginavo l'avresti presa così male, solo che"
"Non fraintendere la mia reazione - la sua voce improvvisamente si addolcì - E' ovvio che occuperai sempre un grandissimo spazio nella mia vita. Sei stato uno dei pochi uomini che abbia amato con tutta me stessa, però, adesso non stiamo più insieme. E' stato duro dirlo ad alta voce e ammetterlo a me stessa e lo sai, ma sono riuscita a farmene una ragione e ad andare avanti. Per quanto tu fossi importante, non eravamo anime gemelle. Per quanto ci amassimo, non ci appartenevamo”.
Erano le stesse parole di quel giorno di mesi fa. Sospirai, sentendole nuovamente pronunciare. Per quanto fossero amare e anche dolorose, erano vere. Molto vere. Ciò non si poteva nascondere. Era stato un bene che entrambi l’avessimo capito. Non potevamo continuare a negare la realtà, a impedirci di essere felici.
Nina sembrò leggermi nel pensiero.
“Queste parole, metabolizzate pian piano, sono la verità più amara che abbia mai dovuto digerire, ma alla fine… alla fine le ho accettate. Non potevamo continuare a stare insieme, quasi come fosse un’abitudine, non potevamo continuare a renderci infelici a vicenda con tutti i litigi e le discussioni. So che probabilmente la ripresa di questo discorso ti sembra fuori luogo, ma io ho bisogno di spiattellarti nuovamente in faccia tutto questo per farti capire come mi sento adesso! Dopo che abbiamo risolto – fece le virgolette – la situazione, Joseph è entrato nella mia vita. Lui mi ha permesso di tornare felice, di tornare a sorridere, a ballare, di guarire ciò che il nostro rapporto aveva rovinato e di tornare a provare sentimenti solo d'amicizia per te. Ian, io non mi sento tradita da ex ragazza, ma da amica. Come hai potuto?"
"Ho capito. Scusami" sussurrai e istintivamente la abbracciai.
"Perdonato... Con te non si può stare arrabbiati per più di cinque minuti" sussurrò Paul, unendosi all'abbraccio.
Ridemmo tutti e tre insieme.
“Andiamo, gli animali ci aspettano” sorrisi, aprendo la macchina con la chiave.
“Io sto davanti” Paul gridò, mentre raggiungeva lo sportello del passeggero.
“D’accordo, vado dietro – brontolò Nina mentre si dirigeva verso l’auto – Ma, Ian, non hai scampo”
“A cosa ti riferisci?” la guardai confuso.
“Durante il tragitto dovrai vuotare tuuutto quanto il sacco. Ora sai a cosa mi riferisco” sorrise e salì in auto.
Scossi la testa, poi aprii lo sportello, mentre mi preparavo psicologicamente a tutte le domande sulla mia nuova storia che mi avrebbero posto.

POV Mary
Non ebbi il tempo di uscire dall'auto, che Steve e Rose mi sommersero.
"Ma che diamine..?" dissi sconvolta.
"Tuuuu - urlò Rose - stai con quel gran figo della madonna di Smolder e non dici niente?! Ma che mi combini?"
"Abbassa la voce! Ma come avete fatto a scoprirlo?"
"Semplice, ti abbiamo pedinata"
"Cosa?!" chiesi sorpresa.
"Sì vabbè, lascia stare. L'importante è che tu sappia che ora ti torturerò. Insomma, hai praticamente Damon dentro casa" disse Rose velocemente.
"Autografo?"
"Sì, per favore" disse con gli occhi illuminati.
Scoppiai a ridere e mi abbracciarono.
"Siamo felici per voi. Solo, la prossima volta, avvisaci!" dissero in coro.
“Ora, a tal proposito… sai cosa devi fare, giusto?” continuò Rose sovraeccitata.
“Dettagli, giusto?” la guardai contrariamente divertita.
“Esatto. Primo fra tutti… è davvero bravo come sembra?” ammiccò.
“Di più” risi e mi lasciai trascinare dentro l’ospedale.






---------------
Note dell'autrice:
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! Inizialmente doveva essere solo un capitolo di passaggio, ma alla fine ho deciso di renderlo più dinamico, facendo scoprire ad alcuni amici della coppia che effettivamente stanno insieme. E spero di essere riuscita ad esprimere questo dinamismo. Probabilmente ad alcuni di voi questo capitolo non andrà a genio, un po' come una parte del Cap14... Mi riferisco alle scene Nian. In molti, in giro sui social network, credono che tra loro vi siano rapporti tesi, rapporti che implicano il non parlarsi o l'urlarsi contro o magari tornare l'uno dall'altra, labbra contro labbra e che altro. Io, invece, ho voluto dare uno sguardo diverso alla loro relazione, ai loro caratteri. Per me, prima del Nian e del loro meraviglioso amore, è venuta la loro splendida amicizia! E secondo me, nonostante si concluda una lunga relazione di tre anni, quest'amicizia non può perdersi. Ecco perché nella mia storia Ian e Nina dopo tre settimane dalla rottura si baciano (ritorno di fiamma?) ma poi si dicono che non erano fatti l'uno per l'altra. Ecco il perché di questa scena Nian in questo capitolo. Io li vedo come due amici che si sono innamorati e che, dopo che è finita, non vogliono comunque perdersi. Questo implica l'esserci l'uno nella vita dell'altro. Ecco perché Nina si sente tradita da amica. Ci tenevo a chiarire questo. :)
Detto ciò, non so se si capisca dalla mia scrittura finora, vi dico che adoro alla follia Rose e Steve. Sono di quegli amici che si esaltano facilmente, come i bambini. La loro amicizia con Mary è molto pura e, nonostante a volte ci siano dei segreti (esempio la relazione di Mary), la loro amicizia non crolla. Questa, come l'amicizia di Paul-Nina-Ian e come altre amicizie che descriverò più in là, è l'amicizia che mi piace elogiare. E' l'amicizia che grazie a persone meravigliose vivo tutti i giorni e mi piace che anche i miei personaggi vivano rapporti affettivi simili. :)
Che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto e, sempre se vi va, che recensirete! O, per chi non ha un account EFP e vuole esprimere la sua opinione, che vada alla pagina fb (non è una pagina molto attiva, ma possiamo renderla tale, sempre se vi va xD): https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts 




Buona serata :* e alla prossima :D

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** I volunteer! ***


POV Mary
“Dovrai lasciarmi andare prima o poi” dissi, mentre Ian mi tratteneva tra le sue braccia.
“Ma perché? E’ divertente restare così” rispose, carezzandomi il volto.
“Lo so, ma io devo pur lavorare”
“No, no, non si parla assolutamente di lavoro”.
Con un gesto scaltro, si mise sopra di me, stringendo i miei polsi tra le sue possenti mani.
“Ora non puoi scappare” sorrise sghembo.
“Ian, io devo seriamen”.
Non mi fece finire la frase che mi ritrovai con la sua lingua in bocca, mentre le sue mani stringevano i miei polsi sopra la mia testa.
Cominciò a mordicchiarmi le labbra, gesto che mi mandava sempre in tilt. E lui lo sapeva bene.
“Resta con me” sussurrò, mantenendo le sue labbra vicine alle mie.
“Ian”
“Solo un altro po’”
“Ma tu non hai un lavoro?” chiesi ironica.
“Certo, ma ancora non è iniziato”
“Ah, già, hai da affrontare l’ultima settimana di volontariato”
“Esatto”
“Mi dici dov’è?”
“No” rispose di fretta e riprese a baciarmi.
Cominciò a muoversi di più sopra di me, mentre i suoi baci diventavano più lenti.
Non riuscii più a trovare un briciolo di razionalità di fronte a quel supplizio.
Ian lo notò e, mentre sorrideva vittorioso, cominciò a togliermi l’intimo.
Improvvisamente, squillò il suo Iphone.
“Non rispondere” sussurrai.
“Devo – prese l’Iphone – Paul. Ok, ok. A dopo – riattaccò e mi guardò – Dottoressa, sei stata salvata. Devo andare, perciò puoi andare in ospedale tranquillamente in orario” mi fece l’occhiolino e cominciò a vestirsi.
“No, aspetta, cosa?! Prima mi convinci a restare e dopo… dopo te la svigni così? Ehi” misi il broncio e mi issai sui gomiti.
“Non fare il broncio. Mi farò perdonare, stanne certa” mi sorrise.
Indossate le scarpe, mi diede un bacio in fronte molto divertito e se ne andò.
Sbuffai rumorosamente e mi lasciai andare sul letto.
Dopo non molto, presi l’orologio e guardai l’orario.
Erano le otto.
Bene, ero in ritardo!
Sbuffai ancora di più.
Lavatami, mi vestii velocemente e, riempite le ciotole di Moke e Thursday, misi in moto l’auto.
Arrivata al parcheggio dell’ospedale, chiusi l’auto e corsi verso l’ingresso.
“Buongiorno, Mary. In ritardo. Anche oggi” Amy, l’infermiera all’ingresso sghignazzò.
“Non me lo ricordare, ti prego” giunsi le mani, chiedendo venia.
Mentre Amy continuava a ridere, mi voltai verso le scale e ripresi a correre.
Fatte quattro rampe di scale di fretta, arrivai nello spogliatoio con il fiatone.
Tutti i colleghi che si stavano cambiando, tra cui Steve, mi guardarono con disappunto.
“E’ la terza volta che arrivi in ritardo. Tutto ok?” chiesero Jason e Margaret, due colleghi di chirurgia generale.
"Sì, tutto bene” sorrisi e alzai i pollici.
Mi guardarono più sereni e uscirono, dirigendosi verso il loro reparto.
Steve mi si avvicinò, ammiccando con i suoi vispi occhi color nocciola.
"Hai la faccia da post-coito".
“Coito che non c’è stato, quindi non fare quella faccia” lo fulminai con lo sguardo.
“Ma come siete acide voi donne quando non venite soddisfatte – alzò gli occhi al cielo – Di che faccia parli?” rise sotto i baffi.
“Della faccia piena di malizia e perversione che ti ritrovi” scossi la testa, un po’ innervosita, aprii l’armadietto e uscii il camice.
Mi tolsi le scarpe e i jeans e, per un attimo, intravidi la mia figura allo specchio. Indossavo ancora le mutandine di pizzo nero, mutandine che non erano state tolte da nessun attore moro con gli occhi azzurri in quelle ultime ventiquattro ore. Sospirai. Avevo bisogno di intimità, cavolo, il lavoro mi stava uccidendo.
Una mano che sventolava mi distolse dai miei pensieri.
“Sì?” dissi, riprendendomi.
“Buongiorno, Bella Addormentata o quello che è, ti ho portato il caffè” Rose mi sorrise, porgendomi un enorme bicchiere di cartone.
Lo presi, senza pensarci due volte e cominciai a bere.
Subito mi sentii meglio. La caffeina mi aveva da sempre portato nervosismo e malori, ma da quando ero diventata un medico, era diventata un qualcosa di sacro. Senza caffè non si poteva sopravvivere dentro un ospedale.
“Grazie, Rose. Mi ci voleva proprio. Stamattina non ho nemmeno fatto colazione” dissi riconoscente tra un sorso e l’altro.
"Oh, tesoro! Capisco che sei impegnata la notte, però non devi sottovalutare i pasti. Sono importanti, danno energia per la giornata” disse seria, agitando l’indice; subito dopo  sghignazzò.
Scossi la testa e, posando il caffè per un attimo, indossai i pantaloni del camice.
Stavo per togliermi la maglietta, quando entrò il Capo.
Improvvisamente quella stanza divenne troppo affollata.
"Ma che...?" dissi sorpresa, guardando tutti stravolta.
Mi sistemai la maglietta nuovamente sui fianchi e ripresi il caffè in mano, poi scrutai un'altra volta tutte quelle persone.
I miei occhi divennero due fessure, nel momento in cui incrociarono gli occhi azzurro ghiaccio di Ian.
Che diavolo ci facevano tutti lì?
"Buongiorno e ben arrivata, seppur in ritardo, dottoressa Floridia. In fondo, meglio tardi che mai, eh?” il Capo richiamò la mia attenzione con un gesto della mano.
Risi nervosamente, torturando i miei riccioli.
“Mi dispiace, Capo. Sono stata.. ehm.. trattenuta” conclusi la frase con una punta di acidità.
Ian scosse la testa divertito, cercando di non scoppiare in una fragorosa risata.
“Allora, Floridia, il cast e i produttori esecutivi di 'The  Vampire Diaries' hanno scelto il nostro ospedale come terza e ultima tappa di volontariato estivo. Te la senti di far loro da tutore?" concluse con un sorriso a trentadue denti.
Il caffè, che dolcemente stava per scendere lungo il mio esofago, restò bloccato.
Cominciai a tossire convulsamente.
Quando mi calmai, presi un respiro profondo e, mentre gli occhi pizzicavano, chiesi: "Tutore? Di che si parla?"
"Li supervisionerai e mostrerai loro com’è il nostro mestiere. Farai loro lezioni teoriche e insegnerai loro procedure semplici, badando che loro e i tuoi specializzandi non uccidano ovviamente qualcuno" mi spiegò.
"Oh! – squittii sorpresa e spiazzata – Ehm, ok, se proprio non ha nessun altro..." sussurrai, mentre Ian mi guardava smagliante.
"Fantastico! Portali a fare un giro della struttura" disse entusiasta.
Annuii.
“Siete in buone mani, credetemi – il Capo ci sorrise – Ah, Floridia, Crane, Davis: i risultati degli esami saranno consegnati oggi alle diciotto in punto”.
Detto questo, uscì.
Io, Ian e l’intero cast ci guardammo per qualche attimo, poi dissi: “Ehm, dovrei finire di cambiarmi, perciò” lasciai cadere il discorso e mimai una giravolta con le dita.
Tutti si voltarono senza replicare, eccetto Ian che, prima di seguire l’esempio degli altri, sgranò gli occhi. Sembrava famelico. Cominciai a respirare affannosamente. Era incredibile che con un solo sguardo fosse in grado di farmi perdere il controllo. Con forse l’ultimo neurone intatto che mi era rimasto, lo invitai a voltarsi. Sfoggiò il suo sorriso sghembo, poi lo fece.
Riuscita finalmente a cambiarmi, sistemai il mio armadietto, salutai Rose e Steve e pregai tutto il cast di seguirmi.
Uscita dallo spogliatoio, Ian mi si avvicinò quasi trotterellando.
“Sorpresa!” sussurrò contento, agitando le mani.
“Ti sto odiando, sappilo”
“Non sei credibile”
“Allontanati, devo essere professionale” lo guardai con occhi supplichevoli.
Subito dopo osservai le sue labbra.
Mamma mia, che tentazione! Mi sarei mai abituata a lui?
Feci un respiro profondo per placare i miei ormoni. Ian mi capì al volo.
“Agli ordini” fece il gesto da militare e si sistemò vicino a Paul, prima che i suoi colleghi potessero notarci.
“Allora, buongiorno a tutti. Per chi non mi conoscesse, sono la dottoressa Maria Chiara Floridia. Le cose fondamentali nel mio lavoro sono moltissime. Una delle tante è conoscere come le proprie tasche la struttura in cui si lavora, perché, quando si ha fretta per emergenze e varie, non si può perdere tempo a cercare la zona giusta dell’ospedale. Perciò, adesso vi farò fare un giro completo della struttura” sorrisi e cominciai a camminare, seguita da una carovana di persone.
Dopo un lungo giro turistico, che sembrava non finire mai, ci fermammo dapprima in uno stanzino per ritirare i loro camici, poi davanti allo spogliatoio degli specializzandi.
Dovevo cominciare a parlare, dovevo introdurre i tirocinanti, ma non riuscivo a proferir parola. I miei occhi si erano inchiodati su Ian. Con quel camice addosso era davvero da stupro. Mamma mia, che visione!
Prima che potessi cominciare a produrre litri indefiniti di bava, ripresi il controllo della situazione.
“Ok, eccoci qua. In questa stanza ci sono gli specializzandi dal primo al terzo anno. Sono degli studenti a posto, a parte quando combinano casini, che non sempre possono essere riparati. Perciò, quello che vi consiglio è: osservateli, ma non prendete sempre esempio da loro”
“I suoi specializzandi a che hanno sono?” chiese Caroline Dries.
“Al terzo. E spero davvero che dopo questa giornata siano al quarto – sorrisi e aprii la porta – Buongiorno" urlai.
"Buongiorno" risposero tutti con poco entusiasmo.
"Wow, che tristezza! Potreste essere più allegri, in fondo ormai sono le undici del mattino – constatai, dando un’occhiata all’orologio – Allora, dolci angeli della morte, ho l'onore di comunicarvi che i risultati di tutti gli esami saranno consegnati dal Capo stasera alle sei. Inoltre, per questa settimana il cast e i produttori di 'The Vampire Diaries' staranno con noi. Non comportatevi come se non aveste mai visto gente famosa, vi scongiuro, perciò non urlate i loro nomi e, soprattutto, non torturateli o io torturerò voi. Chiaro?" li guardai seria.
Tutti annuirono un po’ spaventati.
"Bene, lieta che ci siamo chiariti su questo punto. Ora, tutti a lavoro. Katherine, Carlos, Ben, Joe e Hilary, seguitemi fuori" dissi e uscii, con il cast al seguito.
“Accidenti, sembri una dura. Mi piace” mi sussurrò Ian all’orecchio, raggiungendomi.
“Ian” lo guardai, cercando nuovamente di fargli capire che non doveva starmi così vicino.
“Ricevuto. Di nuovo – alzò gli occhi al cielo molto divertito – Ma prima di svignarmela vicino a qualche collega… sei molto sexy quando mi mangi con gli occhi” aggiunse e si mise vicino a Joseph.
I miei specializzandi si avvicinarono e potei cominciare a parlare.
"Allora, dato che sarete parecchi in questi sette giorni, credo che sia meglio dividervi in cinque squadre. Carlos, tu avrai i quattro produttori esecutivi; Ben, tu avrai Matt Davis, Zach Roerig e Michael Trevino; Joe, Paul Wesley, Ian somerhalder, Joseph Morgan e Steven McQueen; Hilary, Candice Accola, Torrey Devitto e Daniel Gillies e Katherine, Nina Dobrev, Kat Graham e Claire Holt. Ok?".
Tutti annuirono.
“Perfetto” mormorai.
Prima che potessi finalmente cominciare a spartire ordini per la giornata, vidi Alex venirmi incontro. Aveva uno sguardo guardingo.
“Che succede?”
“Buongiorno, dolcezza” sorrise e mi sfiorò una guancia.
“Giù le mani dal mio faccino” gli presi la mano e la spinsi via.
“Un giorno accetterai le mie avances”
“Alex, parla” lo ignorai.
“Dovresti aiutarmi”
“Questo l’avevo intuito. Ma perché?”
“Ti ricordi di Kate di ginecologia e ostetricia? Ha iniziato la specializzazione con noi”
“Quella bionda che somiglia a Katherine Heigl, giusto?”
“Esatto. Allora, se la vedi e ti chiede di me, dille che non mi hai visto. Andato, sparito” disse, gesticolando con le mani.
“Che hai combinato stavolta?” lo guardai male.
“Ehm… n-niente”
“Alex! Che le hai fatto?”
“Ok, ok, ci sono andato a letto e sono sgattaiolato via stamattina, mentre lei ancora dormiva”
“Bastardo”
“E ora mi cerca, probabilmente per vendetta”
“Vendetta? E’ appena diventata la mia migliore amica”
“Ah, ah, spiritosa. Comunque, davvero, fallo, ti prego” fece il labbruccio.
“Ok, ma in cambio”
“Oh, andiamo, vuoi davvero qualcosa in cambio?”
“Certamente – sorrisi beffarda – In cambio devi farti tutti gli esami schifosi che mi capiteranno sotto mano nel prossimo mese”
“Intendi…?”
“Sì, esplorazioni rettali, clisteri e tutto quanto il resto”
“Ti odio”
“Il sentimento è corrisposto, dolcezza – lo imitai, sorridendo – Allora, affare fatto?”
“Affare fatto – mi strinse la mano – E avvisa pure Rose e Steve” mi disse urlando, mentre si allontanava per andare in reparto.
Alzai gli occhi al cielo.
“Scusate l’interruzione” sorrisi.
“Sembrava una scena di Grey’s Anatomy” Paul si mise a ridere e tutti lo seguimmo a ruota, a eccezione di Ian.
Aveva uno sguardo glaciale. Sembrava teso. Si era irrigidito per Alex, sicuro. Merda!
Julie mi distolse dai miei pensieri.
“E adesso che si fa? Si avvicina di già l’ora di pranzo e mi sembra una giornata abbastanza tranquilla” disse, guardandosi intorno.
“Non l’hai detto davvero, giusto?” risposi sconvolta, fulminandola con lo sguardo.
“Qualcosa non va?” chiese confusa.
“Non si usa mai il termine ‘tranquillo’ in ospedale perché subito dopo…”
“Subito dopo?” ripeté lei preoccupata.
Suonarono i cerca persone.
“Arriva una tragedia – dissi – Muoversi! Avete la vostra prima emergenza”.
Corremmo tutti quanti in pronto soccorso.
"Cos'abbiamo qui?" chiesi di fretta, andando verso una delle ambulanze.
“C’è stata una sparatoria in banca” mi disse il primo paramedico.
"Mark Grey, 40 anni, poliziotto, proiettile non passato da parte a parte, segni vitali instabili; Julie Stars, 38 anni, dipendente della banca, ferita d'arma da fuoco alla coscia destra, segni vitali deboli, ma stabili; Stacy Johnson, 8 anni, era lì con il padre, trauma cranico e ferita d'arma da fuoco al braccio destro; Jeremy Johnson, 42 anni, imprenditore, ferita d’arma da fuoco non passata da parte a parte al torace; George Clark, 56 anni, insegnante, ferita d’arma da fuoco all’addome, segni vitali in calo. Gli altri feriti stanno arrivando” mi disse il secondo.
“Ok, team Carlos con il poliziotto nel trauma center 1, team Ben con la bambina nel 2, team Joe con l’imprenditore nel 3, team Hilary con la dipendente nel 4 e team Katherine con l’insegnante nel 5. Andiamo, su! Non abbiamo tempo da perdere” dissi, poi entrai nelle singole stanze per vedere come stavano lavorando i miei specializzandi.
Dato che se la stavano cavando tutti egregiamente, mi allontanai per prendere un caffè. Mentre lo aspettavo, Rose mi si avvicinò contenta.
“Che hai?” gli chiesi curiosa.
“Sono felice per te. Insomma, per l’intera settimana tu e tu sai chi sarete costantemente sotto lo stesso tetto” disse cantilenando.
“Rose, zitta!”
“Che c’è? Non ho detto il nome”
“Questo è vero, però la gente è perspicace e può intuire”
“Sì, certo, come no. Come mai non ne sei felice?”
“Io ne sono felice, solo che – sospirai – Non mi va che il resto dei suoi colleghi o, peggio, dei miei sappia di noi, perciò sono un po’ tesa”
“Rilassati, amica! Andrà tutto bene”
“Lo spero. Uh, se incontri Kate di ginecologia e ostetricia e ti chiede di Alex, dille che non sai dov’è, ma soprattutto che ha la mia stima”
“Kate? Quella che somiglia a Katherine Heigl?”
“Sì, esatto”
“Perché, che ha fatto di così speciale da meritare la tua stima?”
“Fattelo raccontare da Alex – scossi lievemente la testa – E a tal proposito, devo cercare di tenerlo lontano da me, soprattutto in questi giorni”
“Ti fa ancora le avances?” mi guardò rassegnata.
“Sì, dopo praticamente cinque anni non si è arreso”
“E lo vuoi fuori dai piedi perché qualcuno potrebbe”.
Non fece in tempo a finire la frase, che il mio cerca persone trillò squillante.
“Ingelosirsi? Esatto. Forse l’ha già fatto. Ah, addio caffè! – brontolai – Trauma 3, è l’imprenditore, devo andare” dissi di fretta e mi congedai da lei.
Corsi e trovai Joe con le mani piene di sangue.
“Che diamine è successo qui dentro?” dissi sconvolta.
“Ha avuto uno pneumotorace, perciò stavo inserendo un drenaggio toracico, ma la pressione è crollata e ho dovuto aprirlo e”
“E che ci fate ancora qui?! Portatelo in sala operatoria, subito!” urlai e corsi dal Capo.
Entrai nel suo ufficio senza bussare.
“Floridia!” il dottor Richardson mi guardò con disappunto.
“Capo, mi scusi, ma c’è stata una sparatoria in banca e uno dei miei pazienti è molto grave e ci serve immediatamente un chirurgo cardio-toracico”
“Floridia, tutti i chirurghi di turno sono occupati”
“Ma… non possiamo lasciarlo morire!” dissi agitata.
“Ho un’idea migliore” affermò.
Quando entrai in sala operatoria, Joe e il suo team mi guardarono straniti.
“Dov’è il chirurgo?” mi chiese Joe.
“Sarà Floridia a operare. E’ il suo intervento da primo” disse il Capo serio, guardandomi.
“Che vuol dire?” chiese Ian.
“Sarò il chirurgo principale” sussurrai scossa.
Mi tremavano le mani, le braccia, le gambe. Ero troppo nervosa, non riuscivo nemmeno ad avanzare di un passo. La testa sembrava essere entrata in un vortice di vento e non aveva alcuna intenzione di uscirne. Stavo per darmela a gambe levate, quando incrociai gli occhi di Ian.
Improvvisamente mi sentii leggera, come se stessi galleggiando nell’aria, come se tutte quelle preoccupazioni e tutta quella tensione fossero sparite nel nulla. Vidi il suo sorriso anche attraverso la mascherina e questo mi colmò di serenità. Lui credeva in me, il Capo credeva in me, non potevo sbagliare. No?
Mi avvicinai decisa al paziente e dissi sicura: “Bisturi dieci”.
Una scarica di adrenalina invase ogni singola cellula del mio corpo.
Mi sentivo carica, pronta a sfidare il mondo ed era sensazionale il fatto che tutto questo era derivato dallo sguardo di Ian.
Focalizzai il torace del paziente e cominciai a operare con calma e determinazione. Facevo attenzione a ogni singolo passaggio e ripetevo ad alta voce ciò che stavo facendo, per sentirmi più sicura e per insegnare qualcosa al team lì dentro.
Estrassi il proiettile dal polmone e riparai il foro, dopo di che provai a vedere se il polmone attuava la respirazione senza problemi.
“La prova del nove” sussurrai ansiosa.
Il polmone funzionò alla perfezione per un paio di volte, poi la pressione crollò.
“Che succede?” disse il Capo.
“Dev’esserci un altro buco, ma non so dove, c’è troppo sangue. Joe, aspira”
“Trovato?”
“No, io non… Aspira di più, dannazione!”.
Nonostante Joe aspirasse, il torace di quell’uomo era pieno di sangue. I battiti del cuore stavano rallentando sempre di più. Il suono dell’elettrocardiogramma era molto acuto, sembrava volesse lacerarmi i timpani.
C’era troppa confusione.
Lasciai per un momento gli strumenti, chiusi gli occhi e presi un bel respiro, poi cominciai a sussurrare qualcosa di impercettibile persino al mio orecchio.
“Dottoressa Fl” disse Joe.
Lo zittii e continuai, fin quando non riaprii gli occhi e dissi: “Clamp”.
L’infermiera mi passò l’attrezzo e, senza pensarci due volte, lo usai su un vaso sanguigno vicino al diaframma. Subito la pressione e i battiti del cuore cominciarono a normalizzarsi.
“Piccolo foro nella parte inferiore” fu tutto quello che dissi e mi apprestai a ripararlo.
Quando eseguii nuovamente la prova del nove, non vi furono problemi.
Sospirai di sollievo e richiusi il paziente, poi andai a lavarmi e uscii dalla sala operatoria.
“Ottimo lavoro” mi disse il Capo, stringendomi la mano, poi si diresse nel suo ufficio.
“E’-è stato” Paul, Joseph, Steven e Ian mi guardavano senza parole.
“Lo so” accennai un sorriso.
“Dottoressa Floridia, avviso io la famiglia?” mi chiese Joe.
“No, voglio pensarci io – sorrisi e mi rivolsi agli altri – E voi, grandi e grossi attori famosi presi di adrenalina, venite con me?”
“Ovviamente sì” si esaltarono e mi seguirono.
Arrivati all’ingresso dell’ospedale, nominai il cognome del paziente e una donna sulla quarantina mi si avvicinò.
“Mio marito sta bene?” chiese agitata, con gli occhi colmi di preoccupazione.
“Sì, l’intervento è riuscito”
“Oh mio Dio, grazie mille” la donna scoppiò in lacrime e mi abbracciò.
“Dovere, signora” la strinsi, mentre singhiozzava.
“Io… potevo perdere mio marito e mia figlia e invece stanno bene. Ah, grazie!”.
Quando la signora sciolse l’abbraccio, mi congedai e porsi la cartella del paziente a un’infermiera.
Dopo, andammo nella sala conferenze nord, dove mi aspettavano gli altri specializzandi e gli altri membri del cast.
“Questo posto è davvero figo” Steven non smetteva di sorridere.
“Siete arrivati nel momento tragico, ma con il lieto fine” spiegai, mentre con la coda dell’occhio guardavo gli occhi di Ian fissi su di me.
“Perché dici così?” mi chiese Nina.
“Beh, la gente muore, è un dato di fatto, il che è triste e tragico. Però, lottando, a volte possiamo sconfiggere la morte. E questo è bellissimo. Perciò.. momenti tragici ma con il lieto fine”
“Come fate a restare lucidi quando una persona muore per mano vostra?” disse Kevin, preso dalla discussione.
“Facciamo sempre tutto il possibile per salvarle, ma non possiamo fermare il corso naturale. Non siamo Dei”
“Parole molto vere. In fondo, la morte non si può arrestare” disse Ian.
“Sembra molto tragica detta così, ma è vero” annuii.
“Che posso dire, sono un fatalista” si strinse nelle spalle.
Feci una risatina per la citazione di Damon.
“Dottoressa Floridia, volevo chiederle se per caso io possa rubarle un po’ del suo tempo. Vorrei chiederle delle cose molto mediche” aggiunse.
“Ma certo! – annuii – Ragazzi, portate i nostri ospiti in saletta. Dopo una giornata del genere meritano un po’ di svago”.
Appena se ne andarono, Ian mi prese per un braccio e, trovato uno stanzino vuoto, mi ci fece entrare. Chiuse a chiave e cominciò a baciarmi.
“Non mi avevi mai detto quanto tu fossi attizzante mentre spartisci ordini a destra e a sinistra” mi sbatté contro la porta, non smettendo di baciarmi sul viso e sul collo.
Sembrava volesse mangiarmi.
“Non me l’hai mai chiesto” sussurrai disorientata, fin troppo presa da quei baci.
“Credo proprio che mi piaceranno questi sette giorni” sorrise.
“Lo credo anch’io” dissi senza fiato.
“Ti va di ripassare un po’ di anatomia?” mi tolse il camice e mi slacciò a velocità inaudita il reggiseno.
“Detto così è ancora più eccitante”.
Non aggiungemmo altro.
Intrecciai le dita dietro il suo collo, mentre Ian mi prendeva per le cosce, facendole aderire alla perfezione attorno al suo bacino.
“Stamattina, se non sbaglio, ti avevo lasciato con un broncio” mi sussurrò all’orecchio.
La sua voce fece sì che dei brividi pervadessero tutto il mio corpo, dalla schiena al basso ventre.
Non riuscii a trovare la voce, troppo presa dal momento, così annuii debolmente e basta.
Ian, per tutta risposta, cominciò a baciarmi il seno, carezzandomi la schiena delicatamente.
Chiusi gli occhi, attorcigliando le mie dita tra i suoi capelli, mentre il mio respiro diventava sempre più affannoso.
Con una mossa molto veloce, Ian si abbassò i pantaloni del camice.
Abbassati pure i miei, ci aiutammo a vicenda a togliere i rispettivi intimi.
In poco tempo, ci ritrovammo l’uno perso nell’altra, a stringerci, ad ansimare nelle nostre labbra, mentre i nostri cuori battevano all’unisono.
Ian aumentò il ritmo, arrivando a possedere ogni singola cellula del mio corpo.
In preda all’eccitazione pura, gli morsi il labbro inferiore e affondai le unghie nella sua schiena.
Il nostro momento di forte intimità stava per raggiungere il suo culmine, quando il cercapersone squillò.
Senza fermarsi, Ian mi adagiò sul pavimento, per permettermi di controllare.
Era il numero del Capo.
“Che succede?” mi chiese con voce roca, rallentando e sperando che non fosse qualcosa di grave.
“Sono già le sei. I risultati degli esami sono arrivati” lo guardai.
 
“Mary, calmati, ti prego!” mugugnò Rose.
“E se mi avesse fatto fare l’operazione come regalo d’addio?”
“Non avrebbe fatto operare un medico quasi disoccupato, scusa!” soggiunse Steve.
“E poi siamo passati noi, sarai passata sicuramente anche tu, come l’anno scorso” disse Rose rassicurante.
“Male che va, troverai sicuramente posto in un bel fast food e ci servirai tante patatine gratis” Steve sorrise.
“Steve!” lo rimproverò Rose.
“Che consolazione. Io non voglio lavorare in un fast food” dissi disperata.
Rose mi abbracciò, poi il Capo mi chiamò e dovetti entrare nel suo ufficio.
Come gli anni precedenti, mi porse la lettera. Mi congedò, però, immediatamente, senza farmi accomodare. Senza fiatare.
Uscii dal suo ufficio confusa e agitata. Avevo la lettera che avrebbe segnato il mio futuro tra le mani, ma non riuscivo ad aprirla. Non riuscivo nemmeno a muovere un muscolo. Perché il Capo non aveva parlato?
“Che ha detto?” chiese Rose.
Le porsi la lettera e sussurrai quasi impercettibilmente: “Niente e questo mi fa pensare male. Leggi tu, ti prego”.
Lei aprì la busta e cominciò a leggere: “Egregia dottoressa Floridia, eravamo ancora incerti sul risultato del suo esame. In questi quattro anni di specializzazione ha sempre dato il suo meglio e non ha mai deluso le aspettative di colleghi e pazienti. Ci ha dato prova ancora una volta del suo coraggio e della sua determinazione oggi pomeriggio, non rifiutando l’evidente sfida lanciatagli dal Capo di chirurgia, il dottor Richardson. Ha operato il paziente con calma e accurata professionalità. Per questo motivo, la ammettiamo al quinto anno non con il massimo dei voti, bensì con la lode, sperando che questo suo talento continui a crescere”
“L-l-lode?!” balbettai stupita.
“Lode!” urlarono Rose e Steve e mi abbracciarono, poi cominciammo a saltellare come gli scemi.
 
“Benvenuti nel nostro bar! – sorrisi a tutti i componenti del cast – Dopo un’eterna giornata di lavoro, questo posto è il migliore per risollevarsi il morale. E, dato che questa settimana siete dei medici come noi, questo posto è anche casa vostra. Perciò, sbizzarritevi!”
“Voi medici non dovreste essere contro le sbornie?” chiese Paul divertito.
Gli si leggeva negli occhi che non vedeva l’ora di bere avidamente una birra.
“Sì, ma si può bere senza ubriacarsi! – alzai l’indice, a mo’ di insegnante – Perlomeno… ci proviamo” feci una smorfia e tutti scoppiarono a ridere.
“Grazie per questo primo giorno, dottoressa Floridia. Ma grazie ancora di più per l’alcol” Matt mi sorrise.
“Prego! Uh, prima che abbiate troppo alcol in corpo, vi avviso che domani mattina siete liberi. Domani si lavora di sera. Sarà eccitante, vedrete!” sorrisi entusiasta, poi mi congedai e raggiunsi i miei pazzi colleghi.
Dopo qualche birra e qualche torneo di freccette, giunse il momento dei famosi brindisi.
Ogni qualvolta superavamo un esame, erano d’obbligo.
Ordinammo vari shortini e ci ponemmo tutti davanti a un grande tavolino rotondo. Sembravamo i cavalieri di Re Artù, solo molto brilli.
“Voglio cominciare io. A Maria Chiara che, molto silenziosamente, sta facendo il culo a noi americani” disse Alex, già mezzo brillo.
“A Maria Chiara” ripeterono tutti in coro alzando i loro drink.
“Alla crew di The Vampire Diaries – alzai il bicchierino e li indicai – e a tutti noi, che abbiamo superato gli esami” continuai io, per distogliere l’attenzione dal mio risultato.
“E che adesso ci meritiamo una bella sbronza, tanto domani chi lavora” Steve concluse il mio discorso, bevendo tutto d’un sorso il suo rum.
“I feel so close to you right now”.
Mi voltai verso le casse, riconoscendo immediatamente la canzone di Calvin Harris.
“Questa si balla. Per forzissima” disse Rose, mentre mi trascinava con un braccio verso il centro di una pista di ballo improvvisata.
“Ma veramente” cominciai a balbettare, imbarazzata dallo sguardo di Ian molto divertito.
“Mary, hai superato gli esami, concediti una pausa, rilassati e scatenati, altrimenti ti faccio muovere a calci in culo. Chiaro?!” Rose urlò, per sovrastare la musica, e mi guardò.
“O-ok” brontolai impercettibilmente.
La canzone si fece più movimentata e io e Rose cominciammo a ballare scatenate, lasciandoci completamente andare. Era una sensazione che non provavo da molto ed era bellissima. Era strano, a me non piaceva ballare davanti agli altri, mi sentivo a disagio, ma quella canzone mi infondeva così tanta energia che non ne potevo fare a meno.
“And there’s no stopping us right now I feel so close to you right now” cantammo insieme, mentre Steve e altri colleghi si univano a noi.
A ‘Feel so close’ si susseguirono altre canzoni e noi non smettemmo di ballare. Fu una serata diversa, senza pensieri dopo molto tempo.
 
Quando chiusi la porta di casa mia, sentii delle mani prendermi da dietro.
“Credo di essere un po’ brilla” mi voltai a guardarlo.
 “Ci credo, dopo una serata come quella che hai passato, neo-specializzanda del quinto anno che balla in un modo maledettamente sexy” disse Ian, concludendo la frase  ammiccante.
“E imbarazzante aggiungerei” mi appoggiai alla sua spalla per non cadere.
“Credo che ‘sexy’ basti e avanzi! E dato che non ti reggi in piedi” lasciò cadere il discorso.
Mi prese in braccio e mi portò di sopra.








----------------------------
Note dell'autrice:
Buonasera a tutti quanti! :) Sono tornata con questo nuovo capitolo. Il cast di TVD affronta l'inizio della settimana in ospedale. L'idea del volontariato, nonostante fosse un po' stramba, mi è piaciuta. Mi è sembrato divertente far sentire gli attori un po' più "normali" grazie a quest'azione. Il volontariato è una delle cose che mi ha sempre affascinato, quindi quando ho avuto quest'idea ho pensato "Perché no?" e da qui è nato il capitolo. xD
A parte il volontariato, che spero di aver reso, abbiamo scene tra Mary e Ian che io personalmente non commento ( >.< xD) e poi i fatidici esami superati. La nostra protagonista è giunta al quinto anno di specializzazione con la lode. Congrats! 
Spero, come sempre, che il capitolo sia stato di vostro gradimento! E spero che lasciate recensioni o che qualcuno si iscriva alla pagina fb: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts sempre nella massima libertà!
PS. La canzone che da il via alla serata scatenata al bar è Feel so close di Calvin Harris. Per chi voglia ascoltarla, eccola: http://www.youtube.com/watch?v=AEh3zEMYKzA
Buona notte, alla prossima :*

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Bring the pain. ***


POV Nina
Essere stretta a Joseph era una sensazione meravigliosa. Mi sentivo così protetta e al sicuro al suo fianco.
Sorrisi e cominciai ad accarezzargli il petto.
“A che pensi?” mi chiese con voce dolce.
Lo guardai e, istintivamente, il mio sorriso si ingrandì. Adoravo la sua voce, era troppo affascinante.
“Penso a quanto sarebbe bello se si potesse restare così per sempre”
“Intendi a letto nudi per la vita? Beh, devo ammettere che è una cosa molto allettante” rise e mi accarezzò i capelli.
“E invece dobbiamo sempre abbandonare questo letto e camminare, correre a destra e a sinistra”
“Stressata?”
“Un pochino – ammisi – ma non mi lamento più di tanto. Nonostante sia stata una settimana folle, è stato bellissimo stare in un ospedale”
“Già – mi strinse – Quell’ambiente ha un qualcosa di magico. Non so spiegarti cosa sia di preciso, ma in questa settimana ho percepito questo”
“Anche io. E mi è piaciuto. Insomma, hai l’opportunità di rapportarti sempre con le persone, di conoscere le loro storie e di fare qualcosa per loro. Credo sia davvero meraviglioso. Anche se – continuai esitante – non sempre le storie di queste persone finiscono bene”
“Purtroppo non si può fare niente per cambiare questo. Loro mettono tutta la loro energia nella cura del paziente ed è questo che conta, secondo me. Sai, credo di aver capito perché Julie ha voluto sperimentare il volontariato quest’anno”
“Per cominciare a girare più tardi?”
“No. Secondo me l’ha fatto per non permettere a noi stessi di perderci. Prima ci ha fatto lavorare all’asilo per ritrovare la nostra piccolezza, poi allo zoo per ricordarci che anche gli animali devono essere trattati bene e poi soprattutto all’ospedale per ricordarci che, nonostante siamo famosi, siamo pur sempre persone. Non dobbiamo sopraelevarci troppo o chissà che altro. In fondo, i medici fanno un lavoro di gran lunga più importante del nostro e rimangono quasi sempre delle persone umili, il cui scopo è cercare di aiutare l’altro. E’ una cosa molto significativa”
“Secondo me stai filosofando troppo il pensiero di Julie” sghignazzai.
“Può darsi – sorrise – Comunque sia, sono davvero soddisfatto di questi volontariati, specie dell’ultimo”
“E poi, stare a stretto contatto con Mary è stato... Non succedeva da tempo” dissi la frase sottovoce.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì – annuii – Solo che… ecco – mi misi a sedere, coprendomi con il lenzuolo – non le stavo così vicino dai tempi in cui era ‘l’amica di coppia’, capisci? Cioè, una delle ultime volte in cui le ho seriamente parlato ero così gelosa di lei che stavo per colpirla in faccia con il borsone di Ian, mentre lo posavo in macchina”
“Addirittura. La mia ragazza è aggressiva e possessiva. Mi piace” sorrise e, messosi anch’egli a sedere, mi baciò.
Ricambiai il bacio con dolcezza.
“Secondo te riusciremo mai a chiarire? Era bello essere amiche e… e mi dispiace che sia andata così. Sai benissimo che non è facile trovare amici al di fuori del nostro mondo, però…”
“Però?”
“Però con Mary era tutto così semplice! Nonostante fosse, anzi sia, una gran timidona, era sempre sincera e spontanea e…” non riuscii più a continuare il discorso.
“Lo so, Niki, lo so. E se vuoi il mio parere, sì, credo che riuscirete a risolvere”
“Sto aspettando”
“Cosa, tesoro?” mi guardò confuso.
“Il ‘ma’. Sto aspettando il ‘ma’ che segue questa frase”
“Ma credo che ci vorrà del tempo. Credo che, anche se tu e Ian siate nuovamente amici,  Mary si vergogni per la sua relazione. Credo che ti voglia bene e che voglia la stessa cosa che vuoi tu, solo che si sente un po’ in imbarazzo perché sta con Ian e questo la blocca”
“Oppure non vuole la stessa cosa che voglio io perché i miei pazzi istinti quasi omicidi l’hanno spaventata a morte”
“Non esagerare” Joseph fece una risatina, poi mi carezzò la schiena nuda.
Un brivido la percorse automaticamente.
Gli carezzai la mascella, un po’ pungente per la barba, poi lo baciai.
“Grazie” sussurrai.
“Quando vuoi” mi sorrise, distogliendo lo sguardo dal mio per un attimo.
Guardava qualcosa dietro di me. Mi voltai e notai che l’orologio segnava le otto in punto.
“Dovremmo proprio vestirci, vero?” lo guardai.
“Mi sa di sì. Andiamo, sarà divertente”
“Credi?”
“Sì. Voglio proprio vedere chi non terrà la bocca chiusa. Punto su Matt” sghignazzò e scostò le lenzuola.
Mi sorrise e io lo baciai, soffermandomi su quelle labbra più del dovuto.
“Secondo me Kevin”
“Scommettiamo?”
“D’accordo – gli strinsi la mano sicura di me – Sono certa che vederti perdere sarà molto divertente” sorrisi.
“Sto aspettando”
“Cosa, tesoro?”.
Mi guardò, sorridendo sghembo.
I suoi occhi verdi si accesero di malizia.
“Il ‘ma’. Sto aspettando il ‘ma’ che segue questa frase”
“Ma so che se tu, tipo ora, ti dessi una rinfrescata con me sarebbe molto più divertente” gli feci l’occhiolino e mi alzai, dirigendomi verso il bagno.
Arrivata alla porta, sentii la mano di Joseph stringere la mia.
Sorrisi ed entrai in bagno, tenendo la mia meno stretta alla sua.
 
POV Ian
Guardai l’orologio irritato.
Erano le otto passate e ancora non eravamo tutti.
Sbuffai, cominciando a camminare avanti e indietro nell’immenso parcheggio degli studios.
“Ian, calmati” mi disse Paul raggiungendomi.
“Come posso calmarmi? Siamo decisamente in ritardo! E abbassa la voce. Non voglio che qualcuno sappia” conclusi la frase sussurrando.
“Va bene, non preoccuparti! – Paul rispose con lo stesso tono – E comunque più ti agiti più gli altri – si avvicinò furtivo al mio orecchio – capiranno qualcosa”
“Dove diavolo sono finiti Nina e Joseph? E Matt? Dio mio, com’è possibile che ogni volta nessuno è mai in orario?” passai una mano tra i capelli.
“Smolder, se continui a non rilassarti, la prossima volta che ti passerai una mano su quella bella testolina sarai pelato”
“Sì, certo”
“Non sai che lo stress causa la caduta dei capelli? Io lo dico per te”
“Ah, giusto, dimenticavo che sto parlando con l’esperto – sorrisi, indicando i suoi capelli – Hai cambiato gel, Wes?” chiesi con ironia.
Paul scosse la testa ridendo e, datami una pacca sulla spalla, mi sussurrò nuovamente: “Puoi smettere di provocare buchi sull’asfalto. Vedo delle auto”.
Mi voltai automaticamente e vidi l’inconfondibile Mercedes nera di Joseph e la Volkswagen Tiguan bianca di Matt. Ringraziai il cielo e mandai Paul a chiamare gli altri dentro. Potevamo andare.
Dopo aver deciso chi andava con chi, cominciai a camminare verso la mia Audi grigia, mentre Paul, Torrey, Nina e Julie salivano sulla Mercedes di Joseph, già pronta per andare.
Mi voltai per un attimo, guardando il mio ‘compagno di viaggio’ con disappunto.
“Matt, muoviti, altrimenti ti lascio qui!” urlai, aprendo la macchina con la chiave.
“Calmati, Smolder. Come mai hai così fretta di andare?” Matt mi guardò con occhi maliziosi.
Mi morsi la lingua per aver mostrato la mia trepidazione.
“Credo che siamo in ritardo ed è scortese arrivare in ritardo a una cena” dissi, stringendomi nelle spalle.
“Certo, Ian” Matt non aggiunse altro e, aperta la portiera, si sedette al lato del passeggero.
Girai la chiave nel quadro, poi partii verso quella casa, mentre gli altri mi seguivano con le loro auto.
Per evitare domande scomode, accesi subito la radio, cominciando a tamburellare con le dita sul volante a tempo di musica.
“Allora, Ian – Matt abbassò il volume della radio, riducendolo a un volume ‘adatto per conversare’ – niente di nuovo da raccontare di questa tua folle vita?”
“No! Niente di niente – scossi la testa, sperando di essere sembrato credibile – Solito splendido lavoro con Jess e tutti gli altri della fondazione e solito splendido lavoro con i pazzi dei miei colleghi vampiri barra lupi mannari barra ibridi barra streghe barra insegnanti di storia dipendenti dall’alcol”
“Descrizione interessante della tua giornata” Matt sghignazzò e aumentò nuovamente il volume della radio.
Sospirai di sollievo dentro di me e continuai a guidare, non vedendo l’ora di arrivare.
Non appena giunsi al solito incrocio, svoltai a destra e in breve tempo vidi il suo vialetto.
Quando scesi dalla mia auto, aspettai che tutti gli altri arrivassero. Non appena il mio ultimo collega posò i piedi sul vialetto, ci avvicinammo tutti insieme al portico, mentre il ritmo di una canzone diventava sempre più forte.
“Oh my, feels just like I don't try
Look so good I might die
All I know is everybody loves me
Head down, swaying to my own sound
Flashes in my face now
All I know is everybody loves me
Everybody loves me, everybody loves me” cantavano i Onerepublic, accompagnati dalla sua voce.
Sorrisi istintivamente, immaginandola mentre infornava le ultime cose o apparecchiava la tavola, tutta contenta e incapace di stare ferma per un momento.
“Onerepublic… ha gusto la ragazza!” fece notare Michael, sorridendo.
Prima che potessi arrivare al campanello, la sua voce si fece più vicina.
“Andiamo, Damon, balla con me… uffa, sei un pelandrone!” disse, concludendo la frase sbuffando.
Suonai il campanello, di fretta.
Damon?
Chi era questo Damon che era solo con lei in casa?
Dopo qualche secondo, si sentì un forte tonfo.
“Merda” imprecò e trattenei a stento una risata.
Non appena la musica cessò, aprì.
Era terribilmente splendida. Aveva i capelli legati in una coda, sopra i vestiti indossava un grembiulino azzurro e soprattutto… aveva della farina sul viso.
Stavolta non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere dinanzi a quella visione.
Lei, diventata un po’ rossa, disse: “Perché stai ridendo?”
“Ah, lascialo perdere, Mary!” Julie mi guardò divertita.
“Ho qualcosa che non va?” sgranò lievemente gli occhi.
“Hai solo della farina sul viso, niente di grave” Paul le sorrise cordialmente.
Le guance di Mary si infiammarono e subito si voltò, dirigendosi saltellando verso lo specchio a sinistra del portone d’ingresso.
Mi imposi di smettere di ridere, ma era difficile. Non riusciva davvero a stare ferma. Era troppo adorabile.
Dopo qualche secondo tornò e, sorridendo, disse cordialmente: “Buonasera. Benvenuti a casa mia”, come se il piccolo imbarazzo di prima non ci fosse stato.
Detto ciò, si scostò per farci entrare, saltellando sul piede destro.
Entrai in quella casa per primo, guardandomi intorno come gli altri al mio seguito.
Non la riconoscevo. Come aveva fatto a trasformare quelle stanze in un pomeriggio? I divani e il tavolinetto basso erano stati spostati verso la fine della stanza, così da renderla più spaziosa per l’enorme tavola imbandita, posta al centro della stanza. La tovaglia era color panna e le stoviglie erano sistemate alla perfezione. Tutto era impeccabile. C’era anche una rosa rossa al centro del tavolo, vicino all’acqua, al vino e alle altre bevande.
“Wow” sussurrai sorpreso e mi voltai nuovamente a guardarla, notando che ancora non aveva poggiato il piede sinistro a terra.
Prima che potessi chiederle cosa avesse, Nina disse: “Mary, come mai non poggi il piede sinistro?”
“Ehm – Mary rise nervosamente – Niente di che. Prima di aprirvi, sono inciampata e sono caduta. Credo che tutti abbiate sentito il tonfo” disse imbarazzata.
Senza sembrare troppo apprensivo, mi avvicinai a lei e le offrii una mano.
“Andiamo, non vorrai saltellare per tutta la serata! Ti aiuto io” le sorrisi.
 Mi guardò riconoscente e mi strinse la mano.
“Dove ti devo accompagnare?”
“In cucina. Devo o non devo cominciare a portare le pietanze a tavola?”
“Devi, assolutamente. Non ho mai assaggiato una pizza italiana fatta in casa” ammise Kat sorridendomi.
“Cosa?! Oh mio Dio, Mary, porta immediatamente quelle pizze. Dobbiamo far conoscere a Kat il mondo di quei sapori paradisiaci” disse Julie con gli occhi che le brillavano.
Mary rise e disse: “Ok, allora, fate come se foste a casa vostra. Il bagno è la prima porta a destra, se volete lavarvi le mani. Potete usare anche quello della stanza degli ospiti, seconda porta a sinistra. Intanto, noi possiamo andare in cucina”.
Concluse la frase, soffermandosi con gli occhi su di me.
“Ai suoi ordini, dottoressa Floridia” strinsi la presa sulla sua mano e camminai lentamente per agevolarla.
Arrivati in cucina, chiusi la porta e, senza esitazione, mi baciò.
“Ma ciao” sussurrò sorridente.
“Ciao” ricambiai il sorriso di sfuggita, tornando serio.
Non avevo certo dimenticato quel nome e l’allegria con cui lo aveva pronunciato.
“Cosa? – Mary mi guardò preoccupata – Se è per il piede, andiamo, non è niente. Tra qualche minuto potrò poggiarlo di nuovo e tutto”
“Non è per il piede” dissi e la feci accomodare su uno degli sgabelli in legno.
“Allora cosa c’è?”
“Chi è Damon?”.
 
POV Mary
“Chi è Damon?” mi chiese Ian con voce bassa.
Era serio. Il suo volto non faceva trasparire nessuna emozione.
Scoppiai in una fragorosa risata, mentre i suoi occhi azzurri mi guardavano increduli.
“Chi è – riuscii a ripetere per metà la sua domanda, perché troppo impegnata a ridere; non appena mi calmai, dissi – Lo vuoi davvero sapere?”
“Sì, prima che suonassi, hai parlato con qualcuno e l’hai chiamato Damon” incrociò le braccia.
“Va bene, resta lì” dissi e mi alzai dallo sgabello.
“No. Dove credi di andare?” mi rispose, facendomi sedere nuovamente.
“Ian, va già meglio”
“Non sforzare quel piede”
“Non lo sto sforzando”
“Mary, parla, per favore”
“Non posso parlare. Devo mostrartelo. Tranquillo, credo che il mio piede stia meglio” lo guardai rassicurante.
Poggiai lievemente il piede sinistro a terra e, nonostante sentissi ancora delle piccole fitte, il dolore era sopportabile. Camminai verso il ripostiglio. Aperta la porta, pronunciai il nome Damon un paio di volte.
“Miao” si sentì per tutta risposta.
In breve tempo un gattino nero uscì dallo stanzino, camminando lentamente sulle sue zampine.
Lo presi in braccio e cominciai ad accarezzarlo.
“Miao” ripeté Damon.
“Ian, lui è Damon! L’ho trovato oggi pomeriggio vicino alla mia auto nel parcheggio dell’ospedale. Era infreddolito e molto spaventato, così l’ho preso con me. Gli ho dato un po’ di latte e gli ho fatto tante coccole. Dato che è nero, l’ho chiamato Damon. Dovresti sentirti onorato” conclusi la frase con sarcasmo e sorrisi.
“Damon sarebbe un gatto?! – Ian scosse la testa divertito e si avvicinò – Ciao, Damon. Piacere di conoscerti, io sono Ian” sorrise e gli strinse la zampetta.
Damon cominciò a divincolarsi tra le mie braccia. Smise solamente nel momento in cui Ian lo prese tra le sue.
“Ti conosce solo da due secondi e già sei il suo preferito” sbuffai.
Ian rise, poi mi guardò, mentre continuava ad accarezzarlo.
“Che c’è?” chiesi.
“Damon era lui”
“Perché, chi credevi fosse?”.
Non rispose.
“Gelosone” dissi, toccandogli il naso con l’indice.
“Potrebbe darsi” si strinse nelle spalle e mi baciò.
Mi trattenni su quelle labbra per un bel po’. Quando ci staccammo, presi due piatti.
“Andiamo, dobbiamo ancora mettere a tavola questi piatti, altrimenti non inizieremo mai a mangiare e Julie mi truciderà” dissi ironica.
Ian rise e, dopo aver posato Damon ed essersi lavato le mani, prese due piatti.
Insieme andammo in soggiorno dagli altri ospiti.
 
Riempiti i nostri stomaci anche con della pizza alla nutella, mi alzai in piedi e molto timidamente cominciai a parlare: “Sono felice che tutti abbiate accettato il mio invito stasera. Volevo passare questa cena con voi per ringraziarvi. Il volontariato è stato per me un’esperienza bellissima. Mi sono divertita a insegnarvi e a mostrarvi le bellezze del mio lavoro. Sono ben consapevole che per voi questa sia stata una settimana molto difficile da vivere, ricca di momenti duri e di scelte difficili da prendere, però sono davvero fiera di come avete svolto il vostro lavoro. Probabilmente in un’altra vita sareste stati dei buoni medici”
“Eccezion fatta per chi non regge il sangue, vero, Candice?” disse Paul, facendo ridere tutti.
Candice si passò una mano tra i capelli biondi e rispose, gesticolando con le mani: “Meglio se non dico niente. Mary, prego, continua il tuo discorso”.
Mi sorrise.
“Quello che sto cercando di dire è che mi è piaciuto lavorare con voi. Grazie per avermi regalato questa settimana e spero sia piaciuta pure a voi. Ho voluto dirvelo adesso, perché credo che domani tra pazienti e cartelle e altre faccende ospedaliere non ne avrei avuto il tempo. Fine” sorrisi e mi accomodai nuovamente.
Julie si alzò e mi guardò: “Sono molto felice di sentirti parlare così. Il Capo, mio grande amico, ha fatto centro affidandoci a te. Sei stata una grandiosa insegnante, ci hai fatto assistere a delle operazioni, che probabilmente noi non avremmo mai visto, ci hai fatto faticare, ci hai fatto capire quanto possa essere meraviglioso e allo stesso tempo sfibrante il lavoro tuo e dei tuoi colleghi. Insomma, mi sono sentita dentro ‘Grey’s Anatomy’ per ben una settimana intera ed è stato bellissimo. Credo di parlare a nome di tutti se ora dico che – prese il bicchiere pieno di birra e continuò – ti meriti un brindisi di ringraziamento”.
Tutti si alzarono e presero i loro bicchieri. Imitai il loro gesto con molto imbarazzo.
“A Maria Chiara, per essere stata una straordinaria insegnante questa settimana” Julie mi sorrise.
“A Maria Chiara e alla sua pazienza. Credo che al suo posto avrei buttato tutti fuori dalla finestra durante le ore di laboratorio, quando si sbagliavano le suture” sghignazzò Kevin.
“A Maria Chiara, che ci ha regalato dei momenti super fighi” disse Steven contento.
“A Maria Chiara, che rende felice il nostro Ian” Matt mi fece l’occhiolino malizioso.
Io e Ian ci guardammo sorpresi.
“Matt!” lo rimproverarono gli altri.
“Che c’è? Andiamo, non riuscivo più a tenermi dentro questa cosa” disse con enfasi.
“Evvai! Nina, ho vinto io” Joseph sorrise contento, agitando il pugno della vittoria.
Nina alzò gli occhi al cielo e bevve il contenuto del suo bicchiere tutto in una volta.
“M-ma da… da quanto tempo lo sapete, scusate?” Ian balbettò, ancora sorpreso.
“Da quando abbiamo saputo che il terzo luogo di volontariato sarebbe stato il Saint Joseph. I tuoi occhi hanno parlato per te quella volta” Kat ci sorrise.
“Oh” fu tutto ciò che Ian riuscì a dire.
“Però aspettavamo che ce lo dicessi tu, non che un Matt Davis spifferasse tutto” Zach incrociò le braccia.
“Che posso dire, ho bevuto troppo questa sera. Alla vostra salute, ragazzi!” Matt alzò il bicchiere verso me e Ian, poi bevve la sua birra tutta in una volta.
“Comunque sia, siamo contenti per voi” anche Claire alzò il suo bicchiere in direzione nostra, svuotandolo elegantemente subito dopo.
Anche gli altri fecero lo stesso.
Io e Ian ci guardammo. La sua seconda famiglia sapeva di noi e i suoi occhi sprizzavano una felicità immane per questo.
Gli sorrisi e gli strinsi la mano. Poi, contemporaneamente, svuotammo i nostri bicchieri, brindando alla nostra salute.
 
POV Ian
Stavo andando alla mensa a prendere un caffè dopo il mio ultimo giro visite, quando incrociai Rose.
“Ehi ciao” mi sorrise.
“Ehi” ricambiai il sorriso.
“Stai andando a prendere un caffè?”
“Sì”
“Potrei farti compagnia?”
“Certamente”.
Non appena ci accomodammo al tavolo, Rose cominciò a bere il suo caffè in modo strano, come se cercasse di non farsi scappare nemmeno una goccia. O nemmeno una parola.
“Rose, per caso devi parlarmi?”
“No. Cioè, sì, ma non so se – mi guardò, poi appoggiò il bicchiere di caffè – Ok, devo dirtelo. Me lo tengo dentro da quattordici giorni e non ce la faccio più. Devo dirtelo”
“Quattordici giorni da? Rose, dirmi cosa?” cominciai a preoccuparmi.
“Quattordici giorni dalla sera in cui ho scoperto che tu e Mary state insieme. I-i-o… Ian, io volevo ringraziarti”
“Ringraziarmi?” ripetei sorpreso.
“Esattamente. Mary è davvero… sai, lei è stata ferita tantissime volte nel campo sentimentale, perciò… grazie, perché non l’avevo mai vista così felice. Grazie davvero” sorrise e mi strinse una mano, poi il suo cercapersone squillò e dovette andare.
Finii il mio caffè, poi mi diressi verso la hall dell’ospedale, felice per quelle parole.
Quando arrivai, i giornalisti avevano già cominciato a intervistare tutti i miei colleghi e non potei fare a meno di sbuffare. Quello sarebbe stato davvero il mio ultimo giorno all'ospedale e mi dispiaceva troppo. Era stata un'esperienza straordinaria. Non mi sarei mai aspettato che un lavoro così difficile potesse essere così bello e affascinante, poi il tutto era stato perfezionato dalla costante presenza di Mary. Sorrisi pensandola.
"Signor Somerhalder, è pronto per l'intervista? Tra un po’ tocca a lei" mi disse l'aiutante del giornalista.
"Sì, certo" dissi vagamente.
I miei colleghi tornarono a lavorare con le loro squadre, mentre io rimasi con i giornalisti in attesa dell'intervista. Stava per cominciare, quando il giornalista intravide Mary e le si avvicinò.
"Mi scusi, dottoressa, è stata lei il tutore del cast in questa settimana di volontariato, vero?" chiese con tono professionale.
"Sì, perché?"
"Venga, le dobbiamo fare un'intervista"
"Ma io veramente dovrei lavorare"
"Impiegheremo solo pochi minuti, non si preoccupi" le sorrise, poi si avvicinarono insieme.
"Ecco, si sistemi qui vicino al signor Somerhalder. Ora, si comincia" sussurrò l'aiutante.
Lei mi guardò preoccupata.
Cercai di rassicurarla sorridendo, poi il giornalista disse: "Eccoci qui, con Ian Somerhalder, il nostro amato Damon. Allora Ian, com'è stato essere un medico per sette giorni?"
"Beh, che dire, è stato davvero fantastico. Non siamo stati dei medici veri e propri, ovviamente, ma solo il fatto di guardare dei medici veri lavorare ti lascia senza parole. Ci vuole davvero una gran forza, soprattutto d'animo, per affrontare un'intera giornata in ospedale, ed è incredibile come tutti qui ne possiedano tanta. Davvero, non mi sarei mai aspettato un'esperienza tanto significativa" sorrisi.
"Fantastico! Com'è stato il vostro tutore?"
"La dottoressa Floridia è straordinaria. Fin dal primo giorno ha impartito a tutti noi fondamenti di medicina in un modo così semplice, che non sembrava stesse insegnando. E' stata così naturale e così professionale... Davvero ottima!"
"Beh, in fondo la conoscevi già... Se non erro, l'avevi definita un' 'amica di coppia'".
Deglutii e risposi un po’ più impacciato: "Sì, beh, io e Nina l'abbiamo conosciuta circa un anno e mezzo fa, quindi… sì".
Che domanda inappropriata!
"Dottoressa Floridia, com'è stato avere degli attori come studenti?" il giornalista si soffermò su di lei.
I suoi occhi vagarono per un istante, poi si fermarono sul giornalista.
"E' stato emozionante – rispose lei – E poi hanno appreso tutti molto in fretta. Fossero tutti così gli studenti" rise naturalmente.
Mi persi nella sua risata. Era così vera e unica. Ci guardammo per attimi eterni, dimenticandoci quasi del mondo intero. Mi venne istintivo parlare con tono dolce.
"Non siamo stati noi ad apprendere velocemente, è stato il tuo metodo d'insegnamento a farci capire le cose al meglio".
Il giornalista mi guardò sorpreso e disse: “Che dire, al nostro Ian Somerhalder non mancano i complimenti”.
Sorrisi imbarazzato. La telecamera fu spenta e il giornalista ci ringraziò, poi tornammo a lavoro.
“Sono stata pessima. Tu hai parlato così tanto! Ma non sapevo che dire” farfugliò Mary.
“Non è affatto vero! Non ho mai visto una persona, sai al di fuori della mia cerchia, parlare con così tanta naturalezza davanti a una telecamera come hai fatto ora tu” le sorrisi.
“Davvero?” mi guardò.
Non feci in tempo a rispondere, che squillò il suo cercapersone.
 
POV Mary
Io e Ian corremmo al pronto soccorso, dove le altre squadre al completo attendevano miei ordini.
“Cos’abbiamo qui?” chiesi a Steve, che mi aveva chiamato.
“Incendio in un ristorante. Ti ho assegnato i pazienti nei cinque traumi center”
“Perché tutti a me?” mugugnai.
“Un bel regalo d’addio al cast di ‘TVD’ – disse lui ironico – Ah, Mary”
“Sì?”
“Svuota i trauma center in fretta, stanno arrivando almeno altri pazienti” alzò i pollici in su e si diresse verso un’altra lettiga.
Lo guardai allibita, poi entrai nel primo trauma center.
“Ehi, Joe, che abbiamo qui?”.
Joe mi spiegò per filo e per segno le condizioni del paziente, poi lo mandai a prenotare una sala operatoria. Doveva essere operato immediatamente. Dopo aver spostato il paziente in sala due, mi diressi in un altro trauma center.
Appena entrai, la pressione del paziente crollò.
“Spostatevi, iniziamo la rianimazione! Ben, prendi il defibrillatore” dissi velocemente e cominciai a fare il massaggio cardiaco al paziente.
Lo rianimammo svariate volte, ma niente.
“Ben, dichiaralo” dissi.
“Ora del decesso undici e quarantacinque”.
Non feci in tempo a levarmi i guanti sporchi di sangue, che dovetti correre nella saletta accanto per un’altra emergenza.
Provai a rianimare il paziente di Hilary più e più volte con il defibrillatore, ma niente nemmeno per quell’uomo.
Subito dopo suonò il codice blu nel trauma di fronte.
Maledissi il tempo per non avermi dato un attimo di tregua e corsi in quella stanza.
Quando vidi la paziente mi bloccai.
Capelli biondi, ormai rossicci per via del sangue. Occhi azzurri spenti e colmi di dolore. La giacca rossa sgualcita e un po’ annerita. Nonostante tutto ciò, l’avrei riconosciuta ovunque.
“Jodie” dissi sconvolta.
Davanti a me c’era la prima amica americana che avevo avuto, la prima che aveva saputo abbastanza di me da trovarmi la casa dei sogni. Davanti a me c’era la donna forte e simpaticissima, nonché bellissima, che mi aveva aiutato ad ambientarmi ad Atlanta e mi ci volle un po’ per riprendermi. Era davvero messa male. Testa e gambe sanguinanti, braccia ustionate.
“Dottoressa Floridia” mi chiamò più volte Katherine.
Presi l’epinefrina e gliene iniettai un po’, ma la situazione non migliorò. Continuammo a rianimarla con massaggi cardiaci e cicli di farmaci per più di mezz’ora, ma anche per lei non ci fu niente da fare.
Cercai di ricacciare indietro le lacrime, ma non ci riuscii molto bene. Mentre scendevano silenziose, ordinai a Katherine di dichiarare l’ora del decesso.
“Ora del decesso dodici e cinquanta” sussurrò.
Tolsi i guanti e cercai di asciugare le lacrime, senza successo. Buttai quegli ammassi di sangue e silicone nel cestino, poi mi avvicinai lentamente a Jodie e le chiusi gli occhi, ancora sbarrati.
“M-mi dispiace, Jodie” sussurrai.
Le carezzai una guancia e tirai su con il naso.
“Katherine, accompagna Nina, Kat e Claire in saletta. Io vado a informare la famiglia”
“Ma, dottoressa” Katherine fece per ribattere, ma la fulminai con lo sguardo.
“Fa’ come ti ho detto” risposi brusca e mi voltai nuovamente verso il corpo esanime di Jodie.
 
POV Nina
Assistetti alla scena senza parole.
Katherine si ammutolì, pregandoci di uscire con un gesto delle mani.
Claire e Kat fecero come aveva detto, ma io non mi mossi dalla mia posizione.
“Signorina Dobrev, per favore, dovrebbe uscire da questa stanza” mi disse implorante Katherine.
Guardai quei profondi occhi nocciola per qualche secondo, poi le dissi, sussurrando: “Non la lascio così. Accompagna Kat e Claire, io resto con lei”.
Katherine annuì ed uscì.
Non appena la porta si chiuse, Mary si piegò sulle ginocchia e si lasciò andare. Cominciò a piangere convulsamente, tenendosi la testa fra le mani.
Mi sentii improvvisamente di troppo. Sicuramente pensava di essere rimasta da sola. Nonostante ciò, restai lì, aspettando che si calmasse.
Quando i singhiozzi diminuirono, avanzai silenziosamente e mi sedetti accanto a lei.
Mary alzò la testa, guardandomi sorpresa. I suoi occhi erano rossi e gonfi e colmi di lacrime. Cercò di asciugarsele, ma continuavano a scendere.
“Mary”
“Nina, cosa ci fai qui? Avevo detto – tirò su con il naso – avevo detto a Katherine di farvi andare via”
“Sono rimasta, non mi sembrava giusto che tu restassi sola. Tu conoscevi questa donna e… e credo che tu non possa reggere l’incontro con la sua famiglia. Se vuoi supporto, io sono qua” sorrisi.
“G-grazie” Mary rispose sincera.
La feci alzare e le passai un fazzoletto.
Asciugate le lacrime e anche il naso, Mary si diresse verso la porta, facendomi cenno di seguirla.
“Sicura di voler venire con me?” mi chiese.
Annuii.
 
POV Mary
Presi dei respiri profondi, sperando che le mie ghiandole lacrimali smettessero per un poco di produrre acqua salata.
Andai in sala d’attesa con Nina che mi seguiva silenziosamente e subito riconobbi il marito di Jodie, Kevin, e sua figlia Sarah.
“Mary, hai visto Jodie? Mi hanno detto che l’hanno portata qui d’urgenza, era in quel ristorante per un pranzo di lavoro. T-tu sai come sta?” mi chiese, mentre i suoi occhi verdi trasmettevano tutta l’agitazione del mondo.
“Kevin” sussurrai.
Volevo sembrare lucida e professionale, ma non ci riuscii. Ero ancora troppo scossa. Nina mi toccò delicatamente una spalla per incoraggiarmi a parlare.
“E’ grave?” mi guardò preoccupato.
“Kevin – ripetei e sospirai – le condizioni di Jodie erano troppo instabili e gravi. Io stessa ho provato a rianimarla, ma non c’è stato niente da fare”
“No” sussurrò, mentre le lacrime cominciavano a sgorgargli dagli occhi.
“So che fa male, ma dovresti dirlo a Sarah nel modo più calmo e sereno possibile. Con la sua malattia non si può mai sapere la sua reazione” conclusi con voce spenta.
“Hai ragione… Mary” disse lui sconvolto e tornò a sedersi accanto a sua figlia.
La bambina gli chiese che aveva, ma il padre non rispose. Aveva fatto bene.
Mi voltai, allontanandomi da quel posto. Nina mi seguì.
“Stai bene?” chiese.
“No – risposi, cercando di trattenere ancora le lacrime che, pungenti, minacciavano di uscire – Ma andrà meglio”
“Come mai Sarah deve essere informata della morte della madre in modo delicato? Ha qualcosa che”
“Sarah è cardiopatica, in lista per un trapianto di cuore. Kevin non può correre il rischio di farla crollare psicologicamente, cederebbe prima anche il suo cuore”
“Oh”.
Nina si ammutolì. Non sapeva cosa dirmi per consolarmi, lo capivo.
“Nina, grazie per avermi sostenuta. Ora va’ in saletta, per favore” le sorrisi e le strinsi una mano riconoscente, poi corsi nello spogliatoio, afflitta per tutta questa situazione. Solo una cosa poteva aiutarmi. Aprii con facilità l’armadietto di Steve e presi i suoi guantoni da boxe, poi andai nella saletta ginnica dell’ospedale e cominciai a mollare calci e pugni al sacco. Dopo un po’, caddi stremata a terra. Mi alzai a fatica e, ansimante, tornai nello spogliatoio. Posati i guantoni al loro posto, mi sdraiai a terra, tenendomi saldamente la testa con le mani. Stavo guardando il soffitto, cercando di calmarmi, quando il cerca persone squillò nuovamente.
Era Carlos. Sbuffai e corsi al trauma center quattro.
Il paziente di Carlos era Justin, uno dei miei pazienti costanti, costretto a venire in ospedale per i trattamenti contro la leucemia. Lo conoscevo fin da quando ero entrata in ospedale come matricola.
Lo guardai sofferente e mi avvicinai immediatamente.
Le ustioni che aveva mi permettevano a stento di riconoscere la sua bellissima pelle olivastra.
“Ha avuto varie crisi epilettiche che non ci hanno dato il tempo di prenderci cura degli altri danni” cominciò Carlos.
“Ehi Mary” sussurrò lui, guardandomi con i suoi occhi nero pece.
Gli strinsi una mano, ma non ebbi il tempo di parlare. Fu colto da una crisi epilettica forte.
“Non di nuovo” Carlos prontamente gli somministrò l’anti-epilettico.
La situazione non migliorò affatto, anzi peggiorò, ma non avemmo il tempo di portarlo in sala operatoria.
Morì prima di uscire dalla stanza.
Feci uscire tutti da lì, poi fui invasa dalla rabbia e cominciai a buttare tutto a terra.
“Non doveva succedere a loro, non doveva succedere a loro, non doveva succedere a loro!” cominciai a ripetere ininterrottamente, devastata.
Non riuscivo a pensare che avevo perso due persone conosciute, amichevoli, simpatiche, divertenti, figuriamoci a realizzarlo.
Le lacrime uscivano ininterrotte, davanti al corpo di Justin, in cui i segni della morte stavano iniziando già a farsi vedere.
Mentre continuavo a sfogare la mia furia, strizzando gli occhi per non vedere quel cadavere, fui bloccata bruscamente dalle spalle.
Nonostante fossi girata, seppi chi era. Sarei riuscita a riconoscere quella presa dovunque. Steve.
“Mary, basta! Non potevi fare nulla per lui. Per nessuno di loro” disse lui.
Cominciai a divincolarmi.
“Invece sì! – dissi tra le lacrime – Noi siamo medici competenti, il nostro ospedale è pieno di attrezzature all’avanguardia, dovevamo riuscire a salvarli”
“Le loro ferite erano troppo gravi. Nessuno poteva fare qualcosa. Guarda la realtà!” mi urlò contro.
Mi fermai immediatamente. Non l’avevo mai sentito urlare in vita mia. Lo guardai intontita, voltandomi, poi lo strinsi forte e cominciai a singhiozzare.
“Scusami” dissi con voce rotta.
“Sssh, va tutto bene” mi accarezzò i capelli.
 
POV Ian
Uscii dalla sala operatoria soddisfatto. L’operazione era durata circa tre ore, forse quattro, ma alla fine eravamo riusciti a salvare la vita del nostro paziente.
Appena svoltato l’angolo, vidi Nina.
Era appoggiata al muro, vicino agli ascensori.
Teneva la testa bassa, coperta dai suoi setosi capelli bruni, che sembravano proteggerle il volto come una tenda.
“Nina” la chiamai, avvicinandomi a lei.
Alzò la testa e si avvicinò. Seria.
“Che succede?” chiesi, squadrandola.
Qualcosa non andava.
“Non sai cos’è successo?”
“No. Cosa… cos’è successo?”
“Dovresti parlare con il Dottor Richardson. Ti sta aspettando nel suo ufficio” mi guardò con sguardo triste, poi andò verso Joe, lo specializzando a cui ero stato assegnato, che era appena uscito dalla sala operatoria.
Preoccupato per il tono con cui mi aveva parlato, mi diressi immediatamente nell’ufficio del Capo di Mary.
Bussai educatamente.
“Avanti” disse il Capo.
Entrai e, non appena il dottor Richardson incrociò il mio sguardo, si incupì.
Cosa diavolo era successo?
“Si accomodi” accennò un sorriso amaro.
Mi sedetti nella comodissima poltrona nera, poi chiesi: “Dottor Richardson, cosa succede? Nina mi ha detto che voleva vedermi”
“Ecco, so che non sono affari miei, ma… il fatto è che la dottoressa Floridia ha perso due importanti pazienti, due amici oggi. Ha fatto una scenata in pronto soccorso ed è… beh, non ho potuto rimproverarla o altro più di tanto, perché era davvero devastata e sconvolta. Ora, i suoi colleghi mi hanno detto che lei ha una relazione con la mia dipendente, perciò mi chiedevo se potesse concludere il suo ultimo turno in quest’ospedale ora e andare da lei. L’ho costretta a tornare a casa, non era in condizioni di poter continuare a lavorare. Mi scuso se ora so di voi”
“Non deve… non deve scusarsi, dottor Richardson. Andrò subito da lei e mi assicurerò che stia meglio, promesso”.
Feci per alzarmi, ma il Capo mi bloccò.
“Un’altra cosa”
“Sì?”
“Non farla venire a lavorare domani. Dille che può prendersi il giorno libero. Ne ha bisogno”
“D’accordo, lo farò – mi alzai e tesi la mano – Grazie, dottor Richardson”.
Strinsi la sua, poi uscii da quell’ufficio e dall’ospedale di tutta fretta.
Guidai così velocemente che riuscii a raggiungere la casa di Mary in soli dieci minuti, quando, invece, solitamente ce ne volevano circa venticinque.
Scesi dall’auto e aprii la porta sul retro velocemente.
“Mary?” la chiamai a gran voce.
Silenzio.
Dov’era?
Attraversai la cucina e andai in soggiorno. Niente. Provai nel suo studio. Vuoto. Salii al piano di sopra. Entrai in camera da letto e la trovai distesa sul letto, in posizione fetale, con la testa affondata nel cuscino. Damon era accucciato al suo fianco, mezzo addormentato, scosso qualche volta dai singhiozzi di Mary.
La sua schiena faceva su e giù, seguendo il ritmo del suo petto.
“Mary” sussurrai il suo nome.
In meno di un secondo mi ritrovai sdraiato accanto a lei, con le braccia che le accarezzavano la schiena, le spalle e le gambe. L’abbraccio era il modo migliore per confortare una persona. L’avevo letto in una rivista, forse.
“Sono qui, andrà tutto bene” le sussurrai all’orecchio, continuando ad abbracciarla.
Speravo davvero che si calmasse. Vederla in quello stato mi faceva stringere il cuore.
“Sono morti tutti” mi disse con tono sommesso.
“No. Il nostro paziente è vivo. Andrà tutto bene” la rassicurai e conclusi, ripetendo quella frase.
L’avrei detta fin quando ne avrebbe avuto di bisogno.
Si voltò, restando incastrata tra le mie braccia. Le sue si liberarono dalla mia morsa e ricambiarono l’abbraccio, stringendomi con tutta la forza che potessero avere.
“Non lasciarmi” disse contro il mio petto.
“Non ho intenzione di farlo. Sono qui, non vado da nessuna parte” la strinsi di più.
 
POV Mary
“Sveglia pigrona, è tardi” disse contento Ian.
“Ma che ore sono?” brontolai da sotto le lenzuola.
“Sono le cinque e mezza” rispose divertito.
“E lo chiami tardi? Lasciami dormire e non scherzare a quest’ora” brontolai nuovamente.
Ian non rispose niente, poi all’improvviso mi sentii congelare.
“No, Ian, ti prego, ridammi le lenzuola, fa freddo a quest’ora” lo supplicai.
“Niente da fare, devi venire in un posticino con me e non puoi restare a letto”
“E allora ti faccio una proposta: perché non ci portiamo il letto dietro? Sarebbe comodo!”
“Proposta negata. Alzati o mi metterai nei guai” mi baciò la fronte e mi fece l’occhiolino, poi sparì dalla stanza.
Dopo essermi lavata e vestita contro voglia, facemmo colazione e partimmo.
Quando arrivammo agli studios, spalancai gli occhi.
“Che ci facciamo qui?” dissi sorpresa.
“Oggi ricomincio a lavorare e tu assisterai! Il Capo ti ha concesso volentieri un giorno di riposo” sorrise.
Lo abbracciai commossa e dissi: “Grazie, sei un angelo”
“Lo so” mi guardò divertito e mi baciò, poi parcheggiò e mi fece scendere dall’auto.
“Preparati perché i set pieni di persone possiedono magia e vita propria, sono completamente diversi dai set deserti che hai visto tu. Non so se mi spiego”
“Ti sei spiegato perfettamente” risposi e mi portò dentro.
 
Dopo un’eterna mattinata a leggere il copione della prima puntata della quinta serie, arrivò la pausa pranzo.
Ero talmente eccitata dopo la lettura del copione, che riuscii a mangiare a fatica un panino.
Senza che nessuno se ne accorgesse, andai sul set che raffigurava la stanza di Damon.
“Dio, questa stanza è paradisiaca” dissi incantata, poi mi scattai qualche foto con la stanza come sfondo.
“Queste le faccio vedere a Rose” sussurrai contenta.
“La mia stanza è off-limits, non lo sapevi?” disse ironicamente.
Mi voltai compiaciuta e risposi: “No, Damon, proprio questa… potremmo definirla regola, mi era sconosciuta”.
Ian scoppiò a ridere e mi baciò: “Ti stai divertendo?”
“Da morire – sorrisi, poi gli sussurrai – Posso chiederti una cosa? Molto umilmente”
“Chiedi”
“Indosseresti i canini per me? Ti prego!” lo guardai con gli occhioni dolci.
“No, dai, mi vergogno” disse scuotendo la testa.
“Ma come ti vergogni? Dai, per favore” feci il labbruccio.
“Sconfitto con le mie stesse armi” disse arreso e indossò i canini.
Saltellai contenta e gli pizzicai le guance.
“Avevo sempre sognato di vederti così di presenza” risi.
Lui si tolse i canini e mi baciò.
“Come ti senti?” mi chiese, poi, apprensivo.
“Mi sento… mi sento meglio. Certo, il solo pensiero di Jodie e Justin mi fa piangere – mi rabbuiai pronunciando quei due nomi – ma mi sento meglio rispetto a ieri” conclusi, accennando un sorriso.
“Domani è un altro giorno”
“Rossella O’Hara aveva ragione”
“Hai letto ‘Via col vento’?”.
Annuii.
“Al primo anno. Rose mi ha portato quel mattone fin dentro casa, affermando ‘Non puoi lavorare in uno stato del sud come la Georgia senza conoscere questa storia’. Mi ci sono voluti mesi per finirlo, però ce l’ho fatta”
“Chi l’avrebbe detto – Ian mi guardò sorridente, poi mi abbracciò – Comunque, sono davvero felice che tu stia meglio. E’ normale essere tristi per le perdite di conoscenti e persone care, ma ricordati che hai ancora tantissime persone che ti amano e che riempiono la tua vita tutti i giorni e, inoltre, coloro che non ci sono più veglieranno sempre su di te. Quello che voglio dire è… non devi mai dimenticarti che non sei sola”
“Grazie” lo strinsi.
Ian mi baciò i capelli.
Julie interruppe quel momento magico, tossendo.
“Tu non dovresti essere qui” si rivolse a me sorridendo.
“Ops! – io e Ian sciogliemmo l’abbraccio – Chiedo perdono, è solo che morivo dalla voglia di trovarmi qui dentro di nuovo” cercai di giustificarmi.
“Tranquilla” mi toccò una spalla, poi convocò tutti gli attori per provare qualche scena, senza riprenderla.
 
POV Ian
Quando rincasammo erano le nove di sera.
“Sono stanca. Vengo subito da te, o mio adorato!” disse Mary, buttandosi a peso morto sul divano.
“Tu sei stanca?! Ma se sei stata tutto il tempo seduta sulla mia preziosa sedia”
“Guarda che anche stare seduti stanca eh” farfugliò lei.
“Se lo dici tu” risi.
Lei si alzò velocemente dal divano.
“Sì, lo dico io” disse con aria di superiorità, poi mi diede un bacio stampo e andò di sopra a farsi una doccia.
Sorrisi e mi sedetti comodamente sul divano.
Stavo per prendere gli occhiali e uno dei libri che stavo leggendo, quando l’Iphone cominciò a vibrare.
Era Jessica.
“Jess – pronunciai il suo nome pieno di gioia – ma come stai? Tornata dal tuo folle giro intorno al mondo?”
“Folle? Io non definirei folle un viaggio che ci ha fatto raccogliere circa mezzo milione di dollari per il nostro progetto”
“Mezzo milio – dissi sorpreso – Jess, mi prendi in giro?”
“Mai stata più seria”
“Ne sei sicura?”
“Se ho fatto bene i miei calcoli, sì. Ian, il santuario si realizzerà presto, se continuiamo così”
“Jess, è fantastico” risposi esaltato.
“Tuttavia – disse titubante – non ti ho chiamato per questo”
“Che succede?” aggrottai le sopracciglia.
“Dovresti sintonizzare la tv sul canale di gossip. In fretta”
“Jess, cos’è successo?”
“I giornalisti hanno beccato te e Mary”
“Oh cazzo” sussurrai sconvolto e riattaccai.
“Tornata! Ho superato il mio record, non avevo mai impiegato così poco tempo per una doccia – rise e si fiondò sul divano accanto a me, stringendomi il braccio; poi mi guardò – Che succede?” mi chiese Mary, divenuta subito seria.
“Abbiamo un problema” balbettai e indicai la televisione.














---------------------------------
Note dell'autrice:
Eccomi tornata con un nuovo capitolo! 
Il cast è stato a cena da Mary e ha ammesso che sapeva della sua relazione con Ian! :)
Il volontariato è finito, certo forse non come si aspettavano tutti. Mary ha perso ben quattro pazienti, di cui due conosciuti. E anche molto bene. Ricordo che scrivere questa parte ai tempi fu davvero dura e anche ora revisionare non è stato da meno. Questo perché mi sono dovuta immedesimare, pensare magari a come sarebbe stato veder morire sotto le tue mani due persone con cui hai parlato e scherzato o che hai curato per tanto tempo. Spero di essere riuscita a rendere il dolore di Mary, il tentativo di avvicinamento di Nina (apprezzato tantissimo dalla dottoressa) e anche l'intervento di Ian, così protettivo nei confronti di Mary. 
Mentre revisionavo la scena dal punto di vista di Ian che torna a casa e poi consola Mary, stavo ascoltando una canzone, che credo calzi a pennello per il momento. La canzone è questa: http://www.youtube.com/watch?v=VzJGu0Gdhpk  e spero piaccia anche a voi! :)
Mary ha passato il suo giorno libero sul set, ritrovando un po' di spensieratezza e allegria, ma la chiamata di Jessica ha interrotto tutto ciò. I giornalisti hanno scoperto Mary e Ian. Cosa ci sarà su quel canale di gossip? Mary come prenderà la notizia che la sua relazione non è più segreta e al sicuro? Cosa succederà?
Non vi resta che continuare a leggere :)
Grazie per aver letto!
Postate recensioni se vi va o passate di qua: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts
Alla prossima :) :*

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Got ya! ***


POV Mary
"Che problema?" gli chiesi.
Il suo volto era teso, i suoi occhi erano impassibili. Cominciai a preoccuparmi.
"C-ci hanno beccato" balbettò con un filo di voce.
"Beccato?! In che senso?".
Non rispose. Guardò verso la televisione, giusto in tempo per la fine della pausa pubblicitaria.
"Bentornati! Come promesso, ecco il servizio tanto atteso" la giornalista sorrise e partì il servizio.
Apparvero delle foto della pausa pranzo. Ritraevano tutte me e Ian, più o meno in lontananza, in varie pose. Mentre Ian provava i canini, mentre ridevo, mentre ci baciavamo, mentre sorridevamo, mentre ci abbracciavamo. Il mio volto era sempre circondato da un cerchio rosso. 
"Guardate bene cosa fa Ian Somerhalder durante le pause pranzo e soprattutto con chi! La riconoscete?" disse una voce fuori campo.
Mi irrigidii, sbalordita, mentre una foto veniva ingrandita. I due volti al’interno del cerchio rosso si vedevano chiaramente ora. Alcune foto dell’account Twitter di Ian vennero mostrate, come quelle del Natale precedente, poi la voce fuori campo continuò: "Ebbene sì, sembra proprio che quella donna sia la 'vecchia amica di coppia' dei Nian, nonché loro tutore nei giorni di volontariato ospedaliero".
Quando la voce fuori campo finì di parlare, partì l'intervista del mezzogiorno precedente.
Il giornalista esordì, dicendo: "Eccoci qui, con Ian Somerhalder, il nostro amato Damon. Allora Ian, com'è stato essere un medico per sette giorni?".
Ian fu inquadrato. I suoi occhi luccicavano, le sue labbra erano schiuse in uno sorriso mozzafiato.
"Beh, che dire, è stato davvero fantastico. Non siamo stati dei medici veri e propri, ovviamente, ma solo il fatto di guardare dei medici veri lavorare ti lascia senza parole. Ci vuole davvero una gran forza, soprattutto d'animo, per affrontare un'intera giornata in ospedale, ed è incredibile come tutti qui ne possiedano tanta. Davvero, non mi sarei mai aspettato un'esperienza tanto significativa" concluse il discorso sorridendo nuovamente.
"Fantastico! Com'è stato il vostro tutore?" proseguì il giornalista.
"La dottoressa Floridia è straordinaria. Fin dal primo giorno ha impartito a tutti noi fondamenti di medicina in un modo così semplice, che non sembrava stesse insegnando. E' stata così naturale e così professionale... Davvero ottima!"
"Beh, in fondo la conoscevi già... Se non erro, l'avevi definita un' 'amica di coppia'".
In quel momento si vide chiaramente la sua esitazione. Ian sgranò gli occhi lievemente. Deglutì e batté le palpebre un paio di volte prima di rispondere.
"Sì, beh, io e Nina l'abbiamo conosciuta circa un anno e mezzo fa, quindi… sì".
Il giornalista si rivolse alla me in televisione, tutta timida e impacciata, completamente diversa dall’uomo che le stava accanto, così sicuro di sé.
"Dottoressa Floridia, com'è stato avere degli attori come studenti?".
I miei occhi vagarono per un istante, guardando chissà cosa, poi si fermarono sul giornalista.
"E' stato emozionante – risposi – E poi hanno appreso tutti molto in fretta. Fossero tutti così gli studenti" risi.
Ian chiuse gli occhi, sorridendo felice.
Non appena li riaprì, i nostri occhi si incrociarono e l’immagine venne fermata.
Il nostro sguardo reciproco diceva tutto. Parlava della nostra amicizia, del nostro amore, della felicità che ci aveva travolti come un uragano. Parlava della dedizione che l’uno aveva verso l’altra, della sua soddisfazione nell’essere riuscito a conoscere meglio il mio mondo, della mia gratitudine per averlo avuto accanto in quel breve momento nel suo di mondo.
Sembravamo due libri completamente aperti.
La voce fuori campo riprese: "Certo che, guardando quest'intervista, si poteva già intuire che tra i due c'era qualcosa. Le domande importanti ora sono: da quanto tempo stanno insieme? E' stata lei la ragione per cui la leggendaria e amata coppia Nian si è sciolta? Oggi pomeriggio abbiamo chiesto ad alcuni fans la loro opinione".
Sentii Ian divenire più teso al mio fianco, così poggiai una mano sulla sua coscia, poi mi concentrai sul servizio.
Lo schermo fu riempito dal primo piano di un uomo. Calvo, occhi nocciola, massimo venticinquenne.
“Mi scusi, lei segue The Vampire Diaries?” gli fu chiesto.
“Sì, show bellissimo”
“Cosa pensa se le dico che Ian Somerhalder ha una relazione con una dottoressa?”
"Mmm… dico che secondo me non sono fatti per stare insieme. Ian ha bisogno di restare nel suo mondo e l'ultima cosa di cui ha bisogno è quel mediconzolo. Cosa c'avrà visto in lei di così speciale che Nina non gli ha potuto dare?"
Poi una giovane donna. Capelli corti, rossi, occhi verdi, evidenziati con un accentuato uso dell’eyeliner.
"Credo che non hanno nessun futuro. Come potrà lei capirlo ed essere sua complice in un mondo di cui lei non ha mai fatto parte? Quando guardavo i Nian, vedevo emozione e intesa, ora se penso a foto di Ian e quel... medico e boh, non sento niente. Ian, scelta sbagliata!".
Fu fermata una ragazza. Biondina, con gli occhi marrone scuro.
Sembrava un’oca.
"Se lei è stata davvero il motivo per cui i miei Nian si sono lasciati, beh, può dormire con un occhio aperto!" blaterò con la sua voce squillante.
Sussultai a quelle parole e sgranai gli occhi.
Il modo in cui l’aveva detto. Quella ragazza ci credeva davvero. Mi morsi il labbro, sperando che Ian non avesse notato la mia reazione un po’ spaventata.
Lo guardai con la coda dell’occhio.
Aveva lo sguardo fisso sul televisore. Sembrava volesse entrarci dentro.
Mi focalizzai nuovamente sullo schermo, riprendendo, a fatica, ad ascoltare tutte quelle critiche.
Una donna bruna disse: "Francamente, se proprio devo essere sincera, Ian mi ha deluso. Ma siamo sicuri che non l'abbia fatto apposta per pubblicizzarsi? Che poi, se proprio doveva farlo, poteva sceglierne un'altra, non quella...".
Un'altra ragazza fu ripresa. Occhi azzurri, capelli neri. Tre chili di trucco in viso. Sembrava un’oca pure questa.
"Appena ho visto le foto su internet, ho sperato con tutto il cuore che fosse una farsa o magari un fotomontaggio, ma ora mi avete dato conferma. La coppia, che tanto ci ha fatto sognare, non esiste più e molto probabilmente per colpa di quella sciacquetta".
Vennero intervistate tre ragazze, che dissero in coro con tono irritante: "Rivogliamo il Nian!", poi singolarmente l'una: "Amavo tanto il Nian, erano l’amore. Ho pianto tanto quando ho saputo che si erano lasciati", l'altra: "Ora che abbiamo finalmente il Delena, non abbiamo il Nian?! Ma cos'è?" e la terza: "Stiamo attraversando i bassi fondi, ragazze".
Risero e lo schermò si oscurò. Comparve un sito internet e la voce fuori campo concluse: "E voi cosa ne pensate? Dite la vostra sul nostro sito in sovrimpressione".

POV Ian
Non riuscii più a trattenere la rabbia. Spensi quella dannata televisione, premendo il tasto del telecomando con forza. Lo gettai accanto a me, poi mi alzai dal divano, presi il telefono e andai fuori. Dovevo chiamare immediatamente la mia manager. 
Composi il numero e mi passai una mano tra i capelli, mentre guardavo Mary, ancora seduta sul divano. Sembrava scossa.
La rabbia per quello stupido servizio aumentò. Quanto avrei pagato per una sigaretta!
"Pronto?" Barbara rispose con voce flebile.
"Barbara, sono Ian. Spero di non disturbare"
"Non disturbi. Hai per caso acceso il telev"
"Ho visto tutto – strinsi i pugni – Dobbiamo fare qualcosa. Mary ha sentito e… mi hai sentito? Io… dobbiamo rimediare" dissi con voce tremante.
Quello che avevo sempre temuto da quando ci eravamo messi insieme si era avverato. Tutti sapevano di noi. Tutti ora potevano criticarla ovunque. La sua privacy aveva appena cessato di esistere. Tutto per colpa mia. Strinsi ancora di più l’Iphone. Non potevo accettarlo.
"E che vorresti fare? Ormai le foto sono dappertutto e il servizio è andato in onda"
"Non per questo non si può fare più niente" dissi con l'ultimo filo di pazienza.
"Ian, quelli sono"
"Non mi interessa chi diavolo sono! – cominciai a urlare – Vogliono darmi consigli di merda sulla mia vita amorosa? Facciano pure, non me ne importa davvero un bel niente della loro opinione, ma non tollero gli insulti su Mary solo perché non è Nina! Lei è una persona e va rispettata e va rispettato anche il suo lavoro. Come si possono permettere di sparare a zero sulla sua persona? Sul suo lavoro? Come? E non tollero nemmeno che le 'sorti' della nostra storia siano discusse su un sito internet! Su un sito di gossip, Barbara! Ma scherziamo? Non siamo merce!"
"Ian, calmati e credimi se ti dico che ti capisco, però ormai è successo ed è tardi per mobilitarsi ora. Domani mattina vedrò che posso fare, ok?".
Brontolai qualcosa e riattaccai infastidito, poi rientrai.
Trovai Mary ancora seduta sul divano. Non si era mossa di un millimetro. Mi sedetti accanto a lei e le toccai la schiena.
"Ehi" sussurrai preoccupato.
"S-s-sto bene" accennò un sorriso e mi strinse.
"Si risolverà tutto, te lo prometto" dissi e la coccolai.
 
Ci svegliammo molto presto. Dovevamo andarcene in fretta se non volevamo essere assaliti dai paparazzi.
Rientrai in camera per vedere se Mary era pronta. Si stava specchiando.
“Pronta? La colazione giù in cucina lo è” accennai un sorriso, avvicinandomi lentamente.
Mary si voltò e, indicando una collanina, mi disse: “Mi aiuteresti a metterla?”.
Il suo tono era spento e triste.
“Ma certo” sussurrai e presi quella collanina tra le mani.
Era d’oro bianco e aveva una ‘A’ come ciondolo.
Stavo per chiederle cosa significasse, ma mi precedette: “E’ la ‘A’ di Atlanta. Jodie mi ha regalato questa collanina come regalo per la casa. Diceva che così, ovunque andassi, avrei avuto un qualcosa che mi ricordasse chi me l’aveva fatta comprare e che mi aveva fatto sopravvivere qui”.
Accennò un sorriso, mentre una lacrima le rigava il volto.
Catturai quella lacrima con l’indice, poi carezzai la sua guancia.
Senza dire una parola, le scostai i capelli ricci e gliela misi.
“Grazie. Anche per ieri. E’ stato bello scappare dalla realtà per un giorno” sussurrò scossa e riconoscente.
“Prego – le baciai una spalla – Ora andiamo di sotto, hai bisogno di mangiare, prima di affrontare una giornata così”
“Hai ragione. Sai – si guardò per un ultima volta allo specchio, sistemandosi l’abito nero – Era da molto tempo che non lo indossavo”
“Non ci pensare. Vieni” le porsi la mano e le sorrisi.
Dopo aver fatto una veloce colazione, uscimmo di casa e ci rendemmo conto che il nostro piano non aveva affatto funzionato. Erano le cinque del mattino e i flash non smettevano di brillare. I giornalisti cominciarono ad accerchiarci e Mary impaurita si strinse al mio braccio.
“Ian, Ian, rispondi a qualche domanda” mi incitavano tutti.
“Io e la mia ragazza vorremmo andare a lavoro, siamo spiacenti. Perciò se non vi dispiace” lasciai cadere il discorso e, stringendo saldamente Mary a me, mi feci strada verso l’auto e aprii lo sportello. Feci per far salire Mary, ma i giornalisti riuscirono a farle perdere la presa sul mio braccio.
“Ian” mi chiamò.
La voce era debole. Era terrorizzata.
“Coraggio, dottoressa, parli con noi” disse un giornalista, spingendola per sbaglio.
“Io” disse disorientata.
“Dottoressa, perché è vestita di nero?”.
Tutto era troppo.
“Basta! Smettetela, tutti quanti! Io e la dottoressa dobbiamo andarcene” alzai la voce brusco.
I giornalisti si calmarono. Spintonai lievemente due o tre di loro, afferrai la mano di Mary e la feci accomodare in auto,  poi salii anch’io.
“John, grazie mille!”
“Di nulla, Mr. Somerhalder. E’ il mio lavoro” John mi rispose, guardandomi per un secondo dallo specchietto retrovisore.
Gli sorrisi riconoscente, poi mi focalizzai su Mary, accarezzandole le spalle e stringendole le mani.
“Come ti senti?”
“Mi sento bene, davvero” mi guardò, tentennando.
“Sai, quando dai una risposta che dovrebbe calmare l’altro, dovresti essere sicura di quello che dici”
“Hai ragione – sospirò – Ma non voglio che ti preoccupi per me”
“Lo faccio, invece. Che tu voglia o no” le diedi un bacio stampo e la feci accucciare sul mio petto.
 
POV Mary
Restai agli studios con Ian fino alle nove e mezza, dopo di che John mi accompagnò al cimitero.
Quando giungemmo a destinazione, lo ringraziai e scesi dall’auto.
“Miss Flordia” mi chiamò, abbassando il finestrino.
“Mary, John. Mi chiamo Mary” gli sorrisi.
“Mary – ripeté il mio nome, ricambiando il sorriso – sicura che non vuole compagnia? Potrei restare con lei”
“No, John, non preoccuparti. Grazie lo stesso”
“Ian ha ragione. Deve credere in quello che dice, se vuole che gli altri ci credano e si calmino. Coraggio, la accompagno e basta. Non una parola. A fine cerimonia, la porto in ospedale”
“D’accordo”.
John spense la macchina e, sceso, mi accennò un sorriso, che ricambiai.

CANZONE CHE MI HA ISPIRATO E CHE POTREBBE ESSERE UTILE COME COLONNA SONORA: http://www.youtube.com/watch?v=y9UOiALOZZ8

Mi guardai intorno. Il sole splendeva fiero in quella tipica mattina di fine Luglio. Il giardino del cimitero brillava a contatto con i suoi raggi. Avevo davanti una distesa meravigliosa di cristalli verdi. Sarebbe stato un panorama perfetto, se non fosse stato per le lapidi, che si ergevano dal terreno. Nonostante fossero macabre, quel posto trasmetteva serenità e pace. Non mi sarei mai abituata a quell’atmosfera dei cimiteri americani.
Avanzai esitante verso la zona del cimitero in cui si trovava il funerale, con John al seguito. Mentre io e John camminavamo, si sentiva la voce di un prete divenire sempre più vicina.
“L’allegria di Jodie rimarrà sempre nei nostri cuori, così come la sua dedizione profonda verso la famiglia e il lavoro. Non si dimenticheranno mai tutti i momenti in cui proprio lei ci ha aiutati a superare un momento difficile. Non importava se la difficoltà stava nel trovare una casa, nel risolvere una situazione critica o nell’aiutare la piccola Sarah a risolvere i problemi di matematica; Jodie… Jodie era sempre lì, con la mano tesa, con il sorriso sulle labbra, pronta a darti il mondo, se questo poteva sollevarti”.
Bastarono quelle parole per farmi piangere. Le lacrime cominciarono a scendere lentamente e tranquillamente, senza qualcosa che ostacolasse il loro corso.
Mi morsi il labbro inferiore, cominciando a singhiozzare.
Non riuscivo a credere di star vivendo quel momento.
Non riuscivo ad accettare che non ci fosse più.
“Se qualcuno vuole dire qualcosa, può farlo” il prete concluse il suo discorso e si sedette.
Tutti erano immobili. Si sentivano solo dei singhiozzi qua e là.
Senza che me ne rendessi pienamente conto, avanzai verso il microfono e mi schiarii la voce, imponendomi di non singhiozzare: “Mi chiamo Maria Chiara Floridia e sono stata la prima vittoria estera di Jodie, perché sono stata la prima donna non americana a cui è riuscita a vendere una casa. Fin dal primo momento, nonostante avessimo parlato solo attraverso una chat, avevo capito che potevo fidarmi di lei e affidarmi a lei. Avevo capito che non mi avrebbe delusa e… e infatti, appena arrivata ad Atlanta, mi ha accolto e mi ha donato la casa dei miei sogni. Certo, prima mi ha mandato a vivere in una zona inquietante, ma dettagli – feci una risatina, percependo il sapore delle lacrime sulle mie labbra e ricordando il primo mese in città – Jodie è stata la mia prima amica americana. Jodie è stata colei che non ha esitato a precipitarsi a casa mia nemmeno una volta, ogniqualvolta mi disperavo e credevo di non riuscire a superare determinate situazioni. E’ stata la prima persona che in questo paese ha creduto in me. E’ stata la persona che mi ha insegnato ad atteggiarmi da vera americana per buttarmi nella mischia. E’ stata la persona che mi ha regalato questa collanina, dicendomi: ‘Mary, questa collanina è per te, come regalo per la casa. ‘A’ sta per Atlanta. Voglio donartela, così ovunque andrai ti ricorderai di colei che ti ha permesso di trovare la tua meravigliosa casa in via di restauro e che ti ha fatto sopravvivere in questa città metropolitana’. E’ stata la persona che, un pomeriggio, mentre stavamo attraversando la strada e un maleducato non ci ha fatte passare, mi ha detto che la vita è troppo imprevedibile. E avevi ragione, Jodie – guardai per un attimo il cielo, sperando che in quell’immensità azzurra e bianca ci fosse anche lei e mi stesse ascoltando – Non bisogna sprecare il tempo, non bisogna lasciar perdere delle occasioni solo per paura, perché un giorno potremmo non esserci più e potremmo rimpiangere tutto questo. Ma tu questo lo sapevi già. Tu hai vissuto una vita piena e nemmeno una volta hai lasciato andare qualcosa. Hai colto al volo tutte le occasioni ed è proprio grazie a questo che ci siamo conosciute. Ti voglio bene, Jodie. Che tu possa riposare in pace” conclusi il mio discorso e guardai Kevin mimare un ‘grazie’ con le labbra.
Abbassai lo sguardo e mi allontanai da quel luogo. Mi accasciai vicino a un albero e scoppiai in un pianto liberatorio, senza che la paura che gli altri potessero vedermi soffrire mi ostacolasse.
John mi si avvicinò, porgendomi un fazzoletto. E poi un altro. E un altro ancora.
“Ma c-come…?” balbettai.
“Ho i Kleenex in auto. Sono utili” mi sorrise e continuò a porgermene ancora, finché non mi calmai.
Asciugate tutte le lacrime, tornai con John in auto e ci dirigemmo verso l’ospedale.
Mancava poco all’ingresso, ma feci fermare John prima.
“Che succede?” mi chiese apprensivo.
“Niente di che. E’ solo che ho bisogno di un po’ di aria, quindi credo che camminare mi farà bene” sorrisi.
“Come vuole”
“Grazie, John, davvero”
“Di nulla, Mary” sottolineò il mio nome e risi.
Scesi dall’auto e mi incamminai verso l’ospedale.
 
POV Ian
Mi squillò il telefonino, era Mary.
"Ehi" dissi dolcemente.
Dall'altro lato, però, non rispose nessuno.
"Mary, ci sei?"
"Ian, sono Rose".
C'era qualcosa che non andava nella sua voce.
"E' successo qualcosa? Perché hai il telefono di Mary?"
"Dovresti venire in ospedale" e riattaccò.
“Ehi, amico, che succede?” chiese Paul.
“Non lo so, Rose mi ha chiamato con il cellulare di Mary dicendomi di andare in ospedale” risposi un po’ confuso e turbato da quella breve conversazione.
“Ehm, credo che abbia a che fare con questo” Torrey aumentò il volume del televisore della saletta ricreativa.
Stavano facendo un servizio gossip.
“La nuova ragazza di Ian Somerhalder non sembra amare le telecamere” disse una voce fuori campo.
Le immagini mostravano l’arrivo di Mary in ospedale.
Era sola, circondata improvvisamente da decine di persone armate di microfoni e registratori.
“Signorina Floridia, com’è cominciata la vostra storia?” chiese un giornalista.
“Signorina, Ian ha tradito Nina con lei?” chiese un’altra.
“Perché è di tradimento che si tratta giusto?” un altro insolente le spinse il microfono più vicino alla bocca.
“Da quanto tempo state insieme?” continuavano a chiedere altri.
“I-io n-non” balbettava lei, senza riuscire a continuare.
I suoi occhi gonfi e rossi guardavano dappertutto, in cerca sicuramente di un’ancora di salvezza. Aveva pianto ed era spaventata.
Il sangue mi ribolliva nelle vene.
Non finii di guardare il servizio, mollai le riprese lì su due piedi e corsi in ospedale, aggirando i giornalisti piazzati agli studios.
Quando arrivai, sgranai gli occhi inorridito. Lo spiazzale dell'ospedale era ancora pieno zeppo di giornalisti. Era pomeriggio ed erano ancora appostati lì, come avvoltoi. Erano arrivati già alla tortura no-stop? Sospirai bruscamente. Quando si ci mettevano, erano davvero insopportabili e inopportuni. Parcheggiai lateralmente e, senza farmi notare, entrai dal pronto soccorso.
Mi avvicinai al bancone, passando tra medici, infermiere e barelle.
“Buonasera” dissi cordialmente, sorridendo alla ragazza bruna di fronte ai miei occhi.
“Salve” la ragazza sorrise, sbattendo un paio di volte le palpebre, mentre le sue gote si arrossavano.
“Sto cercando”
“Ian!” sentii una voce femminile chiamarmi.
Mi voltai e Rose mi raggiunse.
“Ti aspettavo all’ingresso, ero pronta a intervenire, se i giornalisti ti avessero trattenuto. Mi ero persino legata i capelli e tolta gli orecchini” fece una risatina e si toccò i capelli ramati, raccolti in una coda.
Nonostante ridesse, i suoi occhi verdi erano colmi di preoccupazione.
“Rose – la guardai e le toccai una spalla – dov’è Mary?”.
Tornò immediatamente seria. Si guardò intorno, quasi come se avesse paura che qualcuno ci potesse sentire.
“Vieni” disse a bassa voce e cominciò a camminare, continuando a lanciare occhiate furtive di qua e di là.
La seguii, fin quando non giungemmo davanti a una delle tante stanze del medico di guardia.
“Mary è qui – mi disse – Voleva solo te. Ecco perché ti ho chiamato” mi guardò triste.
Mi diede una pacca sulla spalla e se ne andò.
Abbassai la maniglia lentamente.
La stanza era un po’ tetra, illuminata solo da una lampada. La scrivania era disordinata, le veneziane abbassate. Nessun raggio di sole pomeridiano poteva penetrare tra quelle quattro mura.
Mary si trovava seduta sul letto più basso del letto a castello. Aveva le ginocchia strette al petto, lo sguardo perso nel vuoto, i capelli bagnati.
Non appena chiusi la porta con uno scatto, i suoi occhi si alzarono e mi guardarono.
“Ian?” mormorò con esitazione.
“Sono io” la rassicurai.
Velocemente si alzò dal letto e si fiondò tra le mie braccia.
I suoi capelli bagnati mi solleticarono le braccia, quando l’abbracciai.
“Dove sono gli occhiali, talpa?” le sussurrai dolcemente, facendola ridere per qualche secondo, mentre la stringevo.
“Un mio collega di oculistica si sta improvvisando ottico per stringere la montatura. I giornalisti me li hanno fatti cadere e si sono allargati” disse contro il mio petto.
Strizzai gli occhi e la strinsi di più, al solo pensiero del suo sguardo confuso e atterrito.
Restammo in silenzio per un po’, poi con voce sommossa disse: “Oggi al funerale è stato terribile. Non riesco a credere che sia successo davvero”
“Lo so, ma devi pensare che adesso non è in un posto in cui soffre. Sono certo che, se ti vedesse così, si arrabbierebbe”
“Inoltre… ho avuto tre pazienti di terapia intensiva e mi sono morti tutti e tre tra le braccia - mi guardò - Perché stanno morendo tutti?"
Non l'avevo mai vista così sconvolta. 
Continuò: "Hanno ragione, non sono altro che un medico da quattro soldi. I pazienti muoiono a contatto con me. Ho brutalmente preso il ragazzo di un'amica”
“Tecnicamente noi eravamo amici e poi sei diventata amica di Nina, perciò” dissi, sperando che magari la punta d’ironia nelle mie parole potesse tirarla un po’ su.
Non accadde.
“Sono una persona inutile e orribile” cominciò a singhiozzare.
"Sssh, non è assolutamente vero. Non devi mai ascoltare quello che dicono i giornalisti o le persone intervistate. Sono idioti, non sanno la verità. Sono certo che hai sfruttato tutte le tue energie per salvare quei pazienti e poi – le alzai il mento con due dita, per guardarla meglio – Mary, stavolta sono serio. Te lo ripeto, tu non sei assolutamente la ragione per cui io e Nina abbiamo rotto. Mettitelo bene in testa" le scompigliai i capelli bagnati, facendo arrivare qualche goccia d’acqua in più sulla mia maglietta o, meglio, la maglietta di Damon.
"Stamattina è dovuto intervenire il Capo per farmi entrare, i giornalisti non me lo permettevano. Ero circondata e"
"E ti sei sentita in trappola. L'ho provato anch'io agli inizi, è normale"
"Ma io non sono del tuo mondo" mormorò.
"Meglio! - le presi il volto tra le mani - Mary, sei un medico eccellente e mi piaci così come sei!".
Le asciugai le lacrime e la baciai.
“Ora, andiamo ad asciugare questi capelli, che ne dici? Non vorrei ti venisse l’influenza o chissà che altro”
“Sempre premuroso – sorrise e mi baciò – Grazie”
“Sempre al suo servizio, dottoressa” ricambiai il sorriso.
Insieme uscimmo da quella stanza.
 
POV Mary
Dopo una settimana i giornalisti avevano smesso finalmente di appostarsi all'ingresso dell'ospedale. Ero sollevata, non sopportavo tutti quei flash e quelle domande provocatorie. Allo stesso tempo, però, ero incredibilmente frustrata. Dall'ultimo giorno di volontariato alla sera precedente ero riuscita a salvare un solo paziente, quello del team Joe. Tutti gli altri erano morti, convincendomi sempre di più che la causa fosse stata il mio tocco. 
Sentii Ian alzarsi dal letto e prepararsi per andare a lavoro, poi avvicinarsi a me.
"Mary, io sto andando. Il tuo turno inizia tra un'ora, devi alzarti" e mi carezzò un braccio dolcemente. 
"Oggi non vado" dissi secca, con la voce bassa per il sonno. 
"So che è stata una settimana dura per te, hai perso molti pazienti, però"
"Ho detto che non vado. E lasciami dormire" risposi acida.
Sospirò.
Lo sentii andare via e mi pentii subito di aver risposto in quel modo.
Perché l'avevo fatto? Passai tutto il giorno ciondolando per casa depressa, carezzando a turno Moke, Thursday e Damon e mangiando qualsiasi cosa davanti alla televisione, fin quando Ian non rientrò.
"Il tuo PH vocale è tornato neutro?" fece una smorfia serio.
Mi avvicinai colpevole e pentita. 
"Non so cosa mi sia preso stamattina. A dire il vero, non so nemmeno che mi sta succedendo per il momento. Però, tu non meritavi di essere trattato così e mi dispiace tanto, davvero".
Mi abbracciò e disse: "Tranquilla. Scuse accettate".
Le sue labbra si schiusero in un sorriso e si tuffarono sulle mie dolcemente.








------------------------ 
Note dell'autrice:
Ok... premetto che mi sono sentita malissimo per scrivere questo capitolo! Non è facile descrivere queste cose... la paura, il disorientamento, la morte... soprattutto la morte! Sembrano argomenti così lontani dal nostro quotidiano e invece sono costantemente presenti!
Allora... I giornalisti ci sono davvero andati giù pesante (o pesanti? xD) con Ian e Mary. Credete che il loro rapporto ne risentirà?
Mary è andata al funerale e non è stato proprio un momento gioioso. Inoltre, ha perso molti pazienti. E sì, è stata molto scorbutica e acida alla fine. Riuscirà a riprendersi da questo momento difficile?
Che ne pensate?
Che mi dite della più o meno colonna sonora che ho inserito?
Fatemi sapere le vostre opinioni recensendo e, se non potete, passate dalla pagina fb: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts   
Dato che, però, non posso nemmeno interagire con voi in pagina (ho provato a scrivere a chi ha messo mi piace, ma non ci sono riuscita .-.), se ad almeno dieci persone fa piacere, potrei creare un gruppo sempre su fb, dove mi potete chiedere cose inerenti alla storia o lasciare pareri o boh, sempre nella massima libertà! :) Fatemi sapere se quest'idea vi piace e se il capitolo vi è piaciuto.
Vi avviso che non manca molto alla fine di "Friendzone?".
Un buon pomeriggio a tutti :*
Mary 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** The sleeping monster is awake. ***


POV Mary
Le mie mani erano grondanti di sangue. Tutto intorno a me era buio. Nonostante ciò, riuscivo a vedere il volto e qualche parte del corpo di una persona.
Jodie era sdraiata davanti a me, in un lettino improvvisato.
Aveva gli occhi sbarrati, il respiro affannoso. Piangeva e singhiozzava. Le sue braccia e le sue gambe erano piene di ustioni. Stava soffrendo molto.
“Mary, aiutami!” mi implorò con voce rotta.
“Datemi la luce, devo vedere quello che sto facendo! Mi serve… mi serve la luce” urlai, guardando verso l’alto, sperando che magari si accendesse qualche lampadina.
Più guardavo, più speravo, più non succedeva niente.
I singhiozzi di Jodie cominciarono ad attutirsi, mentre dei sussurri cupi diventavano sempre più percepibili al mio orecchio.
“E’ colpa tua. E’ colpa tua. E’ colpa tua”.
Le voci continuavano a sussurrare questa frase, come una preghiera a cui aggrapparsi.
Mi guardai intorno, confusa e spaventata, fin quando queste voci non ebbero dei volti.
“E’ colpa tua” ripeterono, accerchiandomi.
Scoppiai in lacrime. Mi presi il volto tra le mani e mi inginocchiai, mentre tutti i pazienti che avevo ucciso in quella fatidica settimana mi sopraffacevano.
“No!” urlai e mi svegliai di scatto.
Guardai a destra e a sinistra velocemente, affannata. Ero nella mia stanza da letto, da sola. Il sole splendente entrava dalla finestra, illuminando quelle quattro mura. Mi lasciai andare, sprofondando la testa nel cuscino e sospirando rumorosamente. Mi toccai la fronte. Era sudata e congelata.
Quel sogno mi aveva davvero destabilizzata.
Forse dovevo fare una doccia.
Forse dovevo anche mangiare qualcosa.
Forse dovevo scendere da quel letto.
Mi issai sui gomiti, osservando accuratamente il pavimento. Non era lontano. Potevo farcela.
Scostai le lenzuola e mi misi a sedere.
Stavo per poggiare i piedi per terra, quando la frase portante del mio incubo tornò a farsi sentire: “E’ colpa tua”.
Inorridii al pensiero di tutte quelle persone morte.
Avevo dichiarato le ore dei loro decessi con rassegnazione e con sconforto.
Quelle persone erano morte durante il mio turno, mentre cercavo di rianimarle, mentre cercavo di riportarle alla vita.
Ogni mio sforzo era stato vano.
Mi sentii improvvisamente colpevole.
Mi sdraiai nuovamente e mi riavvolsi con le lenzuola.
Non avrei messo piede giù da quel letto.
 
POV Ian
Era passata un’altra settimana da quando i giornalisti si erano placati e Mary non andava più a lavoro. Quando andavo agli studios per le riprese, la lasciavo sdraiata a letto e, quando tornavo, la trovavo sdraiata sul divano in vestaglia.
Il suo telefonino e il suo cercapersone erano costantemente staccati e non rispondeva mai al telefono di casa sua.
Se provavo a parlarle, lei mi ignorava o mi rispondeva in malo modo, poi si scusava e scoppiava in lacrime, chiudendosi in qualche stanza.
I suoi occhi gioiosi, la sua voce amorevole e la sua risata naturale e unica erano quasi un lontano ricordo ormai.
La mia preoccupazione aumentava ogni giorno di più, così come il senso di impotenza per non riuscire ad aiutarla.
“Ian!” mi rimproverò Julie.
Tornai con i piedi per terra e mi guardai intorno. Ero al centro del set con Paul, che mi guardava preoccupato. Lo guardai confuso, mentre Julie sbuffava e gesticolava a Kevin.
“La battuta” mi sussurrò Paul.
“La battuta! – dissi con un acuto – Scusatemi, ero sovrappensiero” conclusi mortificato.
“Di nuovo, Ian? Sul serio? – Julie mi guardò esasperata; sospirò – D’accordo, ripetiamo la scena”
“The Vampire Diaries cinque per tre, scena trentotto, ciak seconda” disse l’operatore.
Mi sistemai all’esterno del set di casa Salvatore e attesi il via di Kevin.
“E… azione!” disse.
Entrai a casa e mi avvicinai a Paul, che stava bevendo un drink vicino al camino.
“Noto con piacere che stai cominciando ad apprezzare sempre di più l’alcol” dissi serio, avvicinandomi al carrello dei drink.
Paul non rispose.
“Beh, sempre meglio di scoiattoli portatili. O, peggio, di donne con teste mozzate” continuai ironico, versando un po’ di bourbon in un bicchiere.
Paul sospirò, si girò e disse: “Che vuoi, Damon?”.
Il suo sguardo era vitreo. Non traspariva alcuna emozione. Mi ricordò quello di Mary. Era così frustrato. Mi persi nuovamente nei miei pensieri, ricordando come fosse allegra e forte fino a poco tempo prima. Mi ritrovai a respirare debolmente, incapace di pronunciare una parola.
“Stop! – urlò Julie e mi si avvicinò – Andiamo a prendere una boccata d’aria, su” la sua voce si addolcì.
Uscimmo fuori e ci sedemmo su una panchina. Una lieve brezza ci scompigliò i capelli.
“Ian, ascoltami, è da circa una settimana che sei strano. Sei sempre distratto o sovrappensiero e non stai dando tutto te stesso nella recitazione. Non ci ascolti, dimentichi le battute. Cosa sta succedendo di così grave da turbarti in questo modo?” mi chiese, guardandomi con occhi materni.
“Niente, Julie, non preoccuparti. Va tutto magnificamente” sfoggiai un sorriso finto.
“Ian, non inganni nessuno. C’è qualcosa che non va, lo percepisco, e il fatto che non ne parli fa capire quanto sia grave quello che ti affligge. Cosa riguarda?”
“Julie, lasciamo perdere” sospirai.
“Non riguarda te, allora. Che succede a Mary?”.
Sbam! Dritta al punto.
Mi arresi.
“Non sta passando proprio un bel momento. Non va a lavoro, non esce più. Passa le sue giornate tra il letto e il divano. Mangia solo cereali. Io vorrei davvero aiutarla, ma non so come ed è incredibilmente frustrante vederla così e non poter fare niente” dissi scoraggiato e mi presi il volto tra le mani.
“Cosa le è successo? Perché si comporta così?”
“A lavoro ha perso tutti i pazienti che le hanno affidato due settimane fa. Crede che sia stata colpa sua, come se il suo tocco li avesse uccisi”
“Ma no! E’ un medico competente”
“Ho provato a ricordarglielo, ma non è servito a niente. Poi, tutta la storia dei paparazzi non ha certo aiutato. Il solo pensiero di uscire di casa la distrugge, la spaventa. Il suo contatto con il mondo esterno è una finestra. Forse ormai nemmeno quella. Non so che fare, proprio non lo so” conclusi sconfitto.
“Capisco – mi rispose accarezzandomi la schiena – Allora torna a casa da lei e stalle vicino”
“Ma le riprese…”
“Nessun problema, possiamo girare altre scene dove non serve Damon” mi sorrise e l’abbracciai.
“Su, muoviti. Prima risolvi questa brutta situazione, prima riavrò il mio Damon perfetto” mi diede una pacca sulla spalla.
“Grazie Julie, davvero” sorrisi riconoscente e andai a cambiarmi.
Guidai più tranquillo. Quando arrivai, chiusi l’auto e presi le chiavi di casa. Salii i tre scalini che portavano al portico, poi usai la chiave per aprire la porta della casa di Mary.
“Sono tornato” dissi con tono normale, aspettandomi per risposta un suo sguardo spento direttamente dal divano. Lo sguardo non arrivò. Mi avvicinai al divano. Era vuoto.
Dov’era finita?
Salutai velocemente Moke, Thursday e Damon e diedi loro da mangiare, poi andai in stanza con passo svelto.
Non appena entrai, intravidi i suoi capelli sparsi sul cuscino. Non si era mossa dal letto?
“Mary, sono tornato” mormorai, avvicinandomi al letto.
“Come mai così presto?” mormorò lei da sotto le lenzuola.
“Julie mi ha fatto uscire prima. Ma, piuttosto, tu non ti sei alzata per niente?” chiesi.
“No” sbottò lei.
“Mary, non puoi continuare così” la scoprii e la guardai sconvolto.
Era pallidissima e delle occhiaie le scavavano profondamente quegli zigomi, che fino a una settimana prima erano stati sempre rosei.
“Che c’è?” disse lei, guardandomi strana.
Non riuscivo a credere che la situazione fosse così grave. Non mi ero accorto che si stava davvero riducendo all’osso. Non potevo più permetterle di condurre una vita del genere, dovevo aiutarla a reagire.
Feci un respiro profondo e dissi in modo pacato, ma deciso: “Ora tu ti alzi da questo dannato letto, ti fai una doccia rigenerante e metti qualcosa sotto i denti, qualcosa di meglio di un pugno di cereali”
“E se non volessi farlo?”
“Ti costringerò. Ma ti rendi conto di come ti sei ridotta?”.
Lei abbassò lo sguardo, ma la costrinsi a guardarmi, prendendole con forza il mento.
“Mary, ti prego” la supplicai.
Vedendo che era ancora ostile, me la caricai sulle spalle in direzione del bagno.
Lei cominciò a scalciare e a urlare: “Lasciami, Ian! Lasciami”.
Quando la misi giù, mi spinse via e mi chiuse la porta del bagno in faccia.
“Lasciami in pace, basta!” urlò da dentro.
“Mary, voglio solo aiutarti” dissi, appoggiando la mia fronte contro la porta.
“Beh, sai che ti dico!? Vattene”
“Mary”
“Non ho bisogno di te!”.
Quelle parole furono più taglienti di una spada.
Chiusi gli occhi.
La testa cominciò a girare.
Come aveva potuto dire una cosa del genere?
“Bene” fu tutto ciò che riuscii a rispondere e scesi al piano di sotto.
Adirato, uscii sbattendo la porta.
C’era un unico posto dove potevo andare.
Posteggiai di fronte al solito bar ed entrai.
“Un bourbon, Austin, per favore” dissi cordialmente al barista.
Quella sera una sbronza non me l’avrebbe tolta nessuno.
 
POV Mary
Sussultai, quando sentii il portone richiudersi violentemente. Mi alzai lentamente dal pavimento del bagno, su cui mi ero afflosciata. Mi aggrappai al lavandino e mi guardai allo specchio. La figura che avevo davanti era davvero raccapricciante.
Capelli mosci.
Viso pallido.
Occhi spenti, privi di qualsiasi emozione.
Occhiaie profonde.
Sembravo un cadavere.
Mi vergognavo di me stessa.
Come avevo potuto trattare Ian in quel modo?
Feci una smorfia. Quella donna riflessa nello specchio non potevo davvero essere io. Mossi una mano lentamente, gesto che fece anche la donna nello specchio. Toccai lo specchio e anche la donna fece altrettanto.
Ero davvero io.
Io mi ero ridotta in quello stato.
Io avevo detto a Ian che non avevo bisogno di lui.
Sgranai gli occhi, realizzando solo in quel momento che quelle parole erano davvero uscite dalla mia bocca.
“Oh mio Dio” sussurrai.
Come avevo osato dire quelle parole all’uomo migliore del mondo?
Mi lavai il volto un paio di volte, cercando di scacciare i lineamenti di quella donna, che non riuscivo più a identificare con me stessa, poi uscii dal bagno.
Guardai il letto con disgusto. Presi il lettore musicale sulla scrivania, indossai le cuffie e mi sdraiai sul pavimento, guardando il soffitto anonimo. Restai per tanto tempo in quella posizione, quasi trovandovi una consolazione e ascoltando ‘Your guardian angel’.
Use me as you will
Pull my strings just for a thrill
And I know I’ll be okay
Though my skies are turning gray
I will never let you fall
I’ll stand up with you forever
I will be there for you through it all
Even if saving you sends me to heaven
Le lacrime scendevano inesorabili sempre in quel punto, ma non potevo farci niente, era più forte di me.
Avevo accanto l’uomo perfetto, l’uomo dei miei sogni ed ero riuscita a comportarmi così con lui, a scacciarlo via, a farlo adirare, quando voleva solo aiutarmi.
Ma quale persona sana di mente l’avrebbe fatto?
Mille e mille sensi di colpa stavano inondando il mio corpo, ma all’improvviso sparirono, annullate da un suono sordo.
Avevano suonato alla porta.
Mi tolsi le cuffie, mi alzai di fretta e, ignorando i capogiri, corsi giù per le scale.
Arrivata all’ingresso, mi aggrappai alla maniglia e la abbassai, mentre la mia mente mi proponeva un Ian con la mascella serrata e gli occhi tormentati e glaciali.
Quando aprii la porta, guardai la persona davanti a me con un po’ di disappunto.
Non me lo aspettavo.
“Capo! Che ci fa qui?” dissi sorpresa.
Il dottor Richardson mi sorrise mestamente.
“Posso entrare, Floridia?” mi chiese.
“Ma certo” annuii e mi feci da parte.
Lo feci accomodare in salotto.
“Posso offrirle qualcosa?” indicai la cucina.
“No, si sieda piuttosto” mi rispose con tono dolce, che sottintendeva un ordine.
Mi sedetti di fronte a lui. Ci fu un silenzio tombale e imbarazzante, finché non si decise a parlare.
“Davis e Crane hanno provato più volte a venire durante questa settimana, ma gliel’ho sempre impedito”
“E come mai l’avrebbe fatto?”
“Perché non sarebbero riusciti a fare molto. Non hanno ancora vissuto questo. Floridia, io so. So che ha perso molti pazienti due settimane fa. E’ per questo che non viene più a lavoro, vero?”
“Dritto al punto, eh?” feci una smorfia.
“Sì, beh, ha bisogno di schiettezza in questo momento, dottoressa. Ora vuole rispondere?”
“Capo” dissi incerta.
“Non ho nessuna fretta, posso aspettare, fin quando non si deciderà a parlare” si mise a braccia conserte.
“Capo – ripetei – sarei brava solo a far morire altre persone” scossi la testa.
“Non è vero, ne ha salvate e ne salverà tante altre”
“Quelle che ho salvato sono sempre in minoranza”
“Non può metterla su questo piano, sa?”
“Perché no?”
“Anch’io l’ho fatto e non è servito a molto” si strinse nelle spalle.
“Lei ha passato un momento del genere?” dissi sorpresa.
“Tutti i medici lo passano nel corso della loro carriera, ognuno con i propri tempi, è più che normale, siamo esseri umani in fondo. Non siamo mica infallibili. Queste esperienze ci scalfiscono, anzi ci sommergono. Ma poi se ne esce”
“Come ha fatto lei a uscirne?”
“Ognuno ha il suo modo. Non posso darle il mio modo”
“Capo, io sento di non poterne uscire. Tutto sembra così – mi arrestai e lo guardai – il mio lavoro, la mia vita sociale, me stessa… tutto sembra così lontano, così distante. Io non riesco più a guardarmi in faccia, senza pensare a tutti coloro che ho toccato e che sono miseramente passati all’altro mondo”
“Crede sia stato il suo tocco?”
“C’è un’altra spiegazione forse?” domandai con voce rassegnata.
“Floridia, noi non siamo immortali. Non possiamo vivere per sempre. Tutti muoiono e questo è un dato di fatto. A volte noi medici riusciamo a essere più forti della morte e a vincerla, salvando così una vita, ma quel dato di fatto non cambia, perché noi medici non siamo Dei. Siamo esseri umani, come tutti gli altri. Noi non facciamo eccezione. Ora, mi ascolti attentamente: lei è una dei miei migliori specializzandi e un buon medico. Per continuare a esserlo, non deve contare quanti pazienti ha perso o salvato, no. Quelli sono dei dati che non dicono nulla – sottolineò quel sostantivo – sul suo essere medico passato, perché per quei pazienti ha fatto tutto ciò che era in suo potere. E quei dati non determineranno nemmeno il suo essere medico futuro, perché farà tutto ciò che può per i pazienti che verranno. Io l’ho vista lavorare e so che è così. Io l’ho vista donare sangue per gli sconosciuti, in fretta, perché avevano bisogno di una trasfusione e avevano il suo stesso gruppo sanguigno. Lei ha rischiato una volta di beccarsi una denuncia con conseguente rimpatrio in Italia per aiutare una donna senza assicurazione. Questo, Floridia, non è da tutti”
“Allora, Capo, cosa dovrei fare? Perché mi sento come se fossi in un tunnel, ma… non riesco a vederne l’uscita”
“Non deve semplicemente permettere alla morte di vincerla. Se non lascerà che la sua reazione alla morte dei suoi pazienti la segni per sempre, se non lascerà che i sensi di colpa infondati per queste morti la divorino, allora avrà vinto e sarà un medico non solo buono, ma eccellente. Floridia, combatti la morte. Ora. Non per salvare un paziente, ma per salvare te stessa” mi guardò con affetto paterno, dandomi del ‘tu’ e sottolineandolo.
Ero spiazzata da quelle parole.
Erano state come un raggio di sole dopo tre giorni di pioggia.
Potenti.
Fiduciose.
Speranzose.
Cos’avrei dovuto rispondere?
Il dottor Richardson si alzò dalla sedia, non dandomi il tempo di elaborare una risposta adeguata.
Mi alzai e lo seguii.
Si diresse all’uscita e aggiunse: “Devo proprio tornare da mia moglie. In fondo, è molto tardi! Spero di vederla domani in ospedale” sorrise e uscì.
Vidi la sua auto allontanarsi dal mio vialetto e chiusi la porta, sospirando rumorosamente.
Moke, quatto, venne a strusciarsi tra le mie gambe.
Lo presi in braccio e lo guardai negli occhi.
“Che c’è, mia bella tigre del Bengala?” gli sorrisi, cominciando ad accarezzarlo.
Moke rispose miagolando in modo strano.
Che avesse mangiato qualcosa di sbagliato?
Andai in cucina, cercando qualche indizio, mentre le parole del Capo mi frullavano in testa. Guardai l’orario distrattamente, mentre continuavo le mie ricerche di possibile cibo avariato, con Moke in braccio che miagolava.
“Aspetta” sussurrai.
Guardai nuovamente l’orologio.
“Non può essere” dissi preoccupata e incredula.
Moke non aveva mangiato qualcosa di andato a male, stava benissimo.
Il suo miagolio si riferiva ad altro.
Erano le due e mezza e Ian non era ancora rincasato.










--------------------------------
Note dell'autrice:
Ecco il nuovo capitolo! Non è molto lungo, ma è significativo per lo sviluppo della storia. Siamo in un periodo davvero delicato: Mary non è riuscita a superare la morte di tutti i pazienti e si è arresa; Ian ha cercato di aiutarla... Risultato? Un disastro! Ian se ne va e Mary resta a casa, sorpresa poi dalla visita del suo Capo. Alla fine del capitolo Mary sembra essere tornata in sé. E' davvero così? Chiederà scusa a Ian per il suo comportamento? E Ian... dov'è sparito?


Questa è la canzone che Mary ascolta con il suo lettore musicale: http://www.youtube.com/watch?v=jRehmX3zlwE
Spero che il capitolo, seppur corto, sia piaciuto! Lasciate recensioni se vi va oppure in alternativa passate da https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts, possiamo parlare del capitolo o potete fare domande o quello che volete xD. Ricordo che l'idea del gruppo privato su fb è ancora valida, quindi se a qualcuno piace, mi contatti e me lo dica e mi mobiliterò per crearlo! :) Grazie per l'attenzione, buona giornata a tutti :*
Mary :)


 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Not good at saying sorry. ***


POV Ian
“Un altro giro, andiamo, Austin!” grugnii al barista.
Austin mi guardò serio, aggrottando le sopracciglia.
“Ian, scordatelo, hai davvero esagerato stasera”
“Solo un altro bourbon” implorai, riducendo gli occhi a due fessure.
“No!” Austin si mise a braccia conserte.
“Ah, sì? Sai che ti dico? – mi alzai, barcollando, e presi le chiavi della macchina – Io me ne vado! Ora esco e vado in un altro bar e non puoi fare niente per fermarmi” conclusi canzonandolo e sventolandogli le chiavi davanti al viso.
Austin scosse la testa. Velocemente, mi ritrovai senza chiavi in mano. Austin se le mise in tasca.
“Ehi!” protestai.
“Ian, non posso lasciarti guidare. Sei troppo ubriaco. Ora ti chiamo un taxi”
“Amico, sei scorretto – agitai l’indice in aria – Taxi?! Taxi?! Te lo scordi” cominciai a sghignazzare.
Provai a recuperare le chiavi un paio di volte, ma senza successo.
Sospirai, rinunciando all’impresa.
Feci il gesto da militare ad Austin e dissi: “Adieu” continuando a ridere.
Uscii dal bar e mi guardai intorno. I lampioni pubblici illuminavano il mio cammino ed erano la dannazione per i miei occhi. Vedevo tutto troppo splendente e troppo movimentato. Ah, la mia testa! Sembrava essere al centro di un ciclone. Mi appoggiai a un muro con la schiena, prendendomi la testa tra le mani.
“Smetti di girare, smetti di girare” dissi ripetutamente.
Chiusi gli occhi forte.
In un attimo mi ritrovai immerso in un ricordo.
 
“Mamma, mamma, posso andare in bicicletta?” le chiesi esaltato, aggrappandomi alla sua vita.
“Papà, Bob e Robyn non sono in casa, piccolo mio, e io non saprei come aiutarti. Perché non aspetti loro?” mi sorrise, scompigliandomi i capelli.
Corrucciai la fronte, mostrando il labbro inferiore.
“Caro, sai che il labbruccio funziona solo con tua sorella. Vai a giocare, appena rientra uno dei tre, potrai prendere la bicicletta” mi diede un bacio sulla fronte.
Mi allontanai da lei, brontolando.
“Perché non posso? Io so andare in bicicletta, uffa!” pensai tra me e me.
Salii le scale e andai nella stanza dei miei genitori. Mi arrampicai su quel lettone spazioso e mi sdraiai a pancia in giù, sbuffando.
Cominciai a muovere le gambe.
“Si abbassa la destra, si alza la sinistra; si abbassa la sinistra, si alza la destra” mormoravo, mentre le gambe compivano quei movimenti, accompagnate dal ‘tic tac’ dell’orologio sul comodino della mamma.
Il tempo passava. Ma perché non rientrava nessuno? Sbuffai nuovamente e rumorosamente e scesi dal letto.
Che noia!
Mentre camminavo lungo il corridoio, diretto verso la mia stanza, sentii il portone richiudersi. Sorrisi e mi precipitai sulle scale, scalpitando per la felicità.
“Robert, sono le sei del pomeriggio, dove sei stato?”
“Non sono affari tuoi” sbottò papà, con voce strana.
La mia felicità scemò. Qualcosa non andava. Mi sedetti su uno scalino e continuai ad ascoltare.
“Sono affari miei, invece, sono tua moglie”
“Quando ti conviene”
“Ma come osi?” mia madre alzò la voce.
“Perché, Edna, vuoi dirmi che non è vero?”
“Hai alzato di nuovo il gomito, eh? Tuo figlio di cinque anni ti aspetta contento per salire in bicicletta e tu ti presenti ubriaco. I miei complimenti, davvero” la mamma batté un paio di volte le mani.
Chiusi gli occhi e mi aggrappai alla ringhiera delle scale. La mamma era davvero arrabbiata. Non volevo ascoltare. Odiavo quando discutevano. Mi alzai lentamente e, senza fare rumore, uscii. La freschezza estiva, tipica di Covington, mi colpì. Era bello uscire a quell’ora. Mentre il sole stava per tramontare, presi la bicicletta e cominciai a pedalare.
“Uno, due, uno, due” mormorai, mentre i miei piedi pedalavano ritmicamente.
Improvvisamente, ruzzolai. Non avevo visto una pietra e l’avevo presa in pieno. Caddi di fianco, poi mi feci male alle ginocchia e alle mani.
“Ahi!” urlai e cominciai a piangere.
Sapevo che un ometto come me non avrebbe dovuto piangere, ma in quel momento non mi importava. Mi faceva troppo male.
Sentii la mamma chiamare il mio nome, poi corrermi incontro.
“Ian, Ian, tesoro della mamma, che ti sei fatto?”
“Mi fanno male le gambe e le mani” singhiozzai, mostrandole i palmi.
“Non dovevi uscire da solo, ancora non sai andare bene in bicicletta. Ah, tesoro mio!” la mamma aveva una voce arrabbiata e triste.
“Scusa, ma papà era di nuovo a casa” mi lamentai.
“Visto cos’hai combinato? – la mamma disse furiosa a papà – Tutta colpa tua”
“Andiamo, Ian, ti prendo in braccio e andiamo dentro” papà mi sorrise e mi diede una mano.
“No, io lo porto a casa – la mamma mi prese in braccio – Non abbiamo bisogno di te” disse duramente.
 

Tornai in me, sbarrando gli occhi.
Di nuovo quelle parole taglienti.
Non potevo ascoltarle.
Non potevo e non volevo.
Mi allontanai dal muro e cominciai a camminare per le strade, fin quando non sentii una musica da discoteca divenire sempre più vicina.
Girato l’angolo, vidi una grande discoteca illuminata. La musica proveniva da lì.
Ci sarebbe stato sicuramente alcol. Mi passai una mano tra i capelli ed entrai indisturbato.
Rimasi subito infastidito dall’ambiente, era pieno zeppo di adolescenti che volevano fingersi più grandi, più adulti, più maturi. Scossi la testa in disappunto. Dovevano viversi la loro età, finché potevano.
Mi feci largo tra decine di ragazzini e raggiunsi il bancone.
“Salve” sorrisi alla barista.
“Salve. Che cosa le posso dare?” mi chiese gentilmente.
“Servite bourbon?” chiesi.
“No, ci sono troppi adolescenti. Ne potrebbero approfittare”
“Allora, rum?”
“Certo, arriva subito” mi sorrise e pose un bicchiere sul bancone.
Non appena la mia dose di alcol arrivò, afferrai il bicchiere avido, pronto a berla. Un uomo, però, bramoso di una birra, nel prenderla mi urtò. Il mio drink finì sul bancone.
“Scusa, amico” mi disse con disinteresse.
“Amico? Sul serio?” lo fulminai con lo sguardo.
L’uomo guardò il bancone, poi nuovamente me.
“Beh, non l’ho fatto apposta. Ora, se non ti dispiace, torno dalla mia ragazza” fece per andarsene.
“Mi dispiace” dissi secco e, afferratogli un polso, lo colpii con un destro.
L’uomo perse l’equilibrio, ma non cadde.
Stavo per sferrargli un altro pugno, quando ne ricevetti uno da parte sua. Mi colpì uno zigomo. Subito dopo ne arrivò un altro. Dritto sulle labbra.
Strinsi la presa sul suo braccio e lo spinsi, pronto, nonostante il disorientamento, a colpirlo ancora e ancora.
Non potei continuare. Un enorme omone venne e fermò la rissa, prendendomi per un braccio e accompagnandomi maleducatamente all’uscita.
Doveva essere il buttafuori del locale.
“Come si permette a mandarmi via così? Lei non sa chi sono io” gli feci notare.
“A noi non importa chi sei. Fuori di qui e non farti più rivedere”
“Non si trattano così dei clienti” urlai.
“Dovrebbe ringraziarmi che non ho chiamato la polizia” il buttafuori mi mandò a quel paese con un gesto e rientrò nel locale.
In un momento di lucidità chiamai Jessica.
“Ian, spero tu abbia una motivazione per chiamare alle… Dio, Ian, sono solo le due e un quarto! Cosa vuoi?” disse assonnata.
“Mi verresti a prendere? Sono senza macchina”
“Perché sei senza macchina?”
“Austin mi ha sequestrato le chiavi”
“Aspetta, Ian?”
“Sì?”
“Oh, Ian, hai la voce da ubriaco. Quanto hai bevuto?”
“Non tanto – dissi convinto – Credo” aggiunsi, sghignazzando.
“Dove sei?”
“Non ne ho la minima idea. Prima ero al bar, ora… più avanti, forse” continuai a sghignazzare.
“Perché ti sei combinato così?”
“Jess, per favore. Vieni” la implorai.
“Arrivo” sospirò e riagganciò.
Passarono dei minuti, poi una jeep grigia accostò vicino al marciapiede.
Quando la mia migliore amica mi vide, mi guardò sconvolta e disse ad alta voce: “Dio Santo! Ian, ma che hai combinato al volto?”.
Non le risposi e lei non insistette.
Mi accompagnò a casa e mi portò fino in camera da letto.
“Grazie Jess” dissi con voce tremolante.
“Ti chiederei perché l’hai fatto, ma sento che non vuoi rispondere, quindi… ora vado. Riposati e vedrai che domani sarà tutto passato e che dovrai raccontarmi tutto. Esigo davvero spiegazioni, signorino” mi scompigliò i capelli, mi carezzò una guancia e mi baciò la fronte dolcemente.
La guardai dritta negli occhi e le sorrisi, poi andò via.
Sospirai.
Ridursi così, tra sbronze e risse, non era servito a niente.
La mia mente non smetteva di ripropormi le parole taglienti di Mary.
Corsi verso il bagno nauseato e rigettai tutto ciò che era possibile. Restai per un po’ inginocchiato sul pavimento, poi andai verso il lavandino. Certo che Jess si era spaventata vedendomi. Ero pieno di sporcizia. Mi lavai il volto e notai che per fortuna avevo solo il labbro inferiore un po’ spaccato e uno zigomo ammaccato, niente di così visibile, fortunatamente. Quell’uomo non era molto forte, effettivamente. Tornai a letto.
Chiusi gli occhi per un attimo e sentii la voce di mia madre, rivivendo un altro piccolo momento di quel giorno.
 
“Piccolo mio, tranquillo, sono qui adesso, non piangere. Ora medichiamo tutto quanto, va bene?” mi sorrise.
Annuii debolmente.
“Mammina”
“Sì, Ian?”
“Grazie”.
Nonostante mi facessero male le mani, l’abbracciai forte forte.

 
Mia madre in quel momento era stata l’unica medicina che non mi aveva fatto provare alcun dolore.
Le parole di Mary di quella sera tornarono squillanti.
Lei, che mi aveva fatto sentire l’uomo più fortunato del mondo, aveva detto esplicitamente che non aveva bisogno di me. Come mia madre aveva detto a mio padre. Come potevo credere a una cosa simile? Ah, e la mia mente ferita non riusciva a far altro che ripropormele, quasi come se un vecchio giradischi si fosse bloccato in quel punto!
E ancora.
E ancora.
Troppo dolore.
Un altro conato di vomito si fece strada dentro di me violentemente, ma riuscii a trattenerlo. Ciò che non riuscii a trattenere furono invece le lacrime. Mentre scendevano silenziose, aprii gli occhi di scatto e le asciugai velocemente. Qualcuno aveva aperto il portone di casa.
 
POV Mary
Entrai nel panico.
Dov’era finito?
Perché non era rientrato?
E se gli fosse successo qualcosa?
“No, no, no, no, no” ripetei con voce rotta.
Poggiai Moke a terra e mi presi la testa tra le mani, mentre rivivevo quella settimana dall’esterno.
Mi tornarono in mente tutte quelle lacrime; tutti quei toni di voce acidi, sprezzanti, spenti, vuoti; tutte le urla; tutte le scuse implorate, mentre le sue braccia mi stringevano.
Per ultimo, squillante, tornò il ‘Non ho bisogno di te’.
Cominciai ad avere difficoltà a respirare.
“Come… come… come ho potuto?” sussurrai con voce rotta, mentre le mie mani premevano forte contro lo sterno.
Strizzai gli occhi per cacciare via le lacrime.
Afferrai il telefono e chiamai a casa di Jessica.
“Ciao! Siamo Jessica e Paul. In questo momento non siamo reperibili, ma lasciate un messaggio. Vi richiameremo sicuramente” gracchiarono le loro voci registrate.
Riattaccai e composi il numero di Paul.
“Pronto?” rispose cupo dopo il quarto squillo.
“Paul, sono Mary”
“Mary, sono quasi le… le tre del mattino! – protestò – Che c’è?”
“Ian non è tornato a casa mia ed è tardi e…”
“E?”
“Non è da te, per caso, vero?”
“No, mi dispiace. E’ successo qualcosa?”
“E’ successo che sono un’idiota. Una vera e propria idiota, dannazione!” battei la mano sul tavolo.
“Avete litigato?”
“Tutto per colpa mia e ora non so dove possa essere”
“Tranquilla, magari è tornato a casa sua per stare un po’ da solo”
“Hai ragione. Sì, hai proprio ragione – annuii – Grazie, Paul”
“Di niente e spero risolviate”
“Lo spero anche io” risposi sincera e riattaccai.
Mi vestii in fretta e furia, indossando quello che mi era capitato prima in mano e partii alla volta della casa di Ian.
La testa girava, sembrava volesse implodere, ma non mi importava.
Dovevo trovarlo.
Dovevo raggiungerlo.
Dovevo scusarmi.
Arrivata, parcheggiai e mi fiondai al portone d’ingresso.
Usai la mia chiave tremante.
“Ian?” lo chiamai, richiudendo la porta alle mie spalle.
Nessuna risposta.
Il buio e il silenzio regnavano in quella casa.
Avanzai esitante, poi salii le scale, diretta verso la camera da letto.
Giunta sulla soglia, lo intravidi.
Sospirai di sollievo, mentre il mio cuore si colmava di gioia.
Era lì.
Era al sicuro.
“Toh, guarda chi è uscita di casa!” disse sprezzante, non degnandomi di uno sguardo.
Presi un bel respiro, incassando il colpo.
“Ian, volevo chiederti scusa per prima” dissi a bassa voce, avanzando lentamente.
Riuscii a cogliere più dettagli della sua figura.
I suoi abiti erano stropicciati, i capelli scompigliati.
Improvvisamente mi paralizzai.
Aveva un labbro spaccato e un livido sullo zigomo sinistro.
“Oh mio Dio, Ian, cos’hai fatto al volto?”.
Stavo per avvicinarmi, per annullare le distanze tra noi, quando il suo tono di voce mi fece arrestare.
“Non sono affari tuoi” disse.


COLONNA SONORA DEL MOMENTO: http://www.youtube.com/watch?v=2XxXCJ7n7Ec


Distante.
Freddo.
Anzi, glaciale.
Incassai anche questo colpo.
Mantenni le distanze, ma parlai ugualmente.
“Non sono affari miei? Ma scherzi? Ian, guardami. Sei stato coinvolto in una rissa?”
“L’ho provocata”
“Cosa?! – lo guardai scettica – E perché mai… Ian, quanto hai bevuto?” chiesi, quasi con rassegnazione, notando anche il tono da sbronzo che aveva.
“Perché almeno mentre bevevo e prendevo a cazzotti un tizio, non ho pensato al dolore che mi stai infliggendo al momento. Fatti un esame di coscienza, Mary! E’ da una settimana che ogni tuo singolo atteggiamento mi ferisce. O forse più, non lo ricordo nemmeno. Ma sai che ti dico? Puoi continuare a parlare quanto vuoi, non me ne importa più niente”
“Non ho intenzione di toccare quest’argomento mentre non sei in te”.
Feci per andarmene e lui sospirò: “E ci risiamo. Invece di affrontare il problema, scappi via. Lo stai facendo ora, l’hai fatto una settimana fa e”
“Non parlare dell’ospedale e di quello che è successo, specie in queste condizioni” dissi, alzando un po’ la voce.
“Visto? Non vuoi nemmeno sfiorare l’argomento! Questa è la prova che io ho ragione”.
Cercai di calmarmi.
“Tu non hai idea di come sia difficile superare la perdita di una persona, di un’amica, a cui hai cercato di salvare la vita, poi figurati più persone”
“No, non è questo il punto. Io stavo cercando di aiutarti a superarlo, ma non me l’hai permesso. Ti sei chiusa nel tuo guscio e sei riuscita solo a urlarmi contro”
“E credi che mi sia piaciuto?”
“No, però credo che tu mi stia dando ulteriore conferma del fatto che preferisci chiuderti in te stessa e buttarti nella fossa che ti sei scavata da sola, piuttosto che parlarne e uscirne. Io ero lì per te! Sei stata tu a mandarmi via. Sei stata tu a ridurti all’osso. Sei stata tu a dirmi che non avevi bisogno di me. Hai fatto tutto da sola!”
“Ian”
“No, non mi interrompere! In questa settimana abbiamo fatto a modo tuo, ora si fa a modo mio. Ora – sottolineò quella parola – parlo io. Hai ragione, io non posso capire cosa diamine si prova a perdere un mucchio di persone. Non posso capire come ci si possa sentire ad avere tutte quelle persone sulla coscienza, a dover dire alle famiglie che i loro cari non ci sono più, a dover stilare i loro certificati di morte, a doverli mettere dentro uno squallido sacco nero di plastica. Non so niente di tutto questo. Però… so cosa si prova quando ci si sente come se il mondo ci stesse crollando addosso, come se si fosse da soli in quest’intero pianeta, come se si fosse solo colmi di dolore e incapaci di provare qualsiasi altro sentimento. Credi che non abbia mai passato momenti difficili? Credi che io – marcò quel pronome – non abbia mai sfiorato il baratro? Tutti passiamo momenti del genere, tu non sei né la prima, né l’ultima persona che li ha passati, che li passa o che li passerà. Tu non eri sola. Tu avresti dovuto lottare. Tu avresti dovuto farti aiutare. Tu avresti dovuto accettare il mio aiuto. Tu ti saresti dovuta aggrappare a questo aiuto per uscire da tutta questa assurda situazione. Invece, cos’hai fatto, eh?! Ti sei lasciata andare. Ti sei arresa. Ti sei chiusa. Ti sei dissolta. Sei affondata sempre di più in quel dannato letto. Sei scappata” terminò con un grosso respiro.
“Certe volte una persona ha bisogno di stare un po’ da sola” abbassai il tono della voce.
“Non però quando si deve fare del male”
“Certe volte i problemi non possono essere affrontati di petto”
“No, non è affatto vero. I problemi si affrontano, sempre e comunque. Non si possono aggirare, perché comunque te li ritroveresti davanti prima o poi”
“Io”
“Mary, smetti di scappare! Smettila, perché non eri sola. Non ti avrei mai lasciata sola in un momento simile, perché queste cose non si possono affrontare in solitudine; perché in una coppia non funziona così – cominciò ad alzare la voce e si alzò – In una coppia ci si aiuta e ci si risolleva a vicenda. E noi siamo una coppia, Mary, dannazione!”
“Ian, per favore” sentii gli occhi pizzicare.
“Cosa?! Parla, maledizione! Non nasconderti! Non fuggire!”.
Le parole mi morirono in gola.
Non riuscii a spiccicare una parola.
Ian rise amaro.
Alzò gli occhi al cielo.
“Come diamine è possibile che tu non riesca a farlo? Perché ti è così difficile affrontare un problema?”
“Potremmo non parlarne?”
“No, cazzo, no!” gesticolò arrabbiato ed esasperato.
Abbassai lo sguardo.
Non riuscivo a rispondere.
Cercavo di lottare l’istinto di fiondarmi giù per le scale e fuggire, ma non ci stavo riuscendo molto.
Riuscivo a pensare solo a quello.
“Non ho bisogno di te” disse Ian secco.
Chiusi gli occhi.
“Mary, guardami. Affrontami. Non ho bisogno di te. Perché l’hai detto?”
“Sono venuta a chiederti scusa. Io non…” continuai a tenere lo sguardo basso.
“Guardami” ordinò, stringendo i pugni.
Feci come mi aveva detto.
I suoi occhi mi paralizzarono.
Erano incredibilmente azzurri.
Erano sgranati.
Il dolore e la rabbia scorrevano chiaramente per quelle iridi.
“Perché. L’hai. Detto” scandì le parole.
“Io…”.
Stavo quasi per distogliere lo sguardo nuovamente, ma Ian me lo impedì.
Annullò le distanze tra noi e mi prese il mento con due dita.
La presa era salda.
I suoi occhi riflettevano i miei.
Non potevo scappare da quello sguardo.
Non potevo scappare da lui.
“Credo che avessi bisogno di stare un po’ da sola, te l’ho”
“Per affossarti ancora di più? Non molto comodo. E non mi basta come motivazione. Perché. L’hai. Detto” scandì nuovamente, non lasciandomi andare il mento.
“Ian” lo implorai, sperando che la smettesse.
Stavo per crollare, lo sentivo.
Era una sensazione tremenda.
Sentivo il cuore logorarsi, squartarsi, mentre Ian mi spingeva a lottare con me stessa, mentre lui cercava di mettermi a nudo.
Nonostante fosse ubriaco fradicio e incazzato, cercava ancora di aiutarmi.
E io… come lo stavo ripagando?
Con niente.
Come potevo essere così?
Ian mi lasciò andare il mento.
“Volevi stare da sola? Benissimo, ti accontento. Stattene da sola, Mary”
“Cosa?! Mi stai prendendo in giro per caso? Dopo tutto questo discorso tu”
“Hai detto tu che vuoi stare sola, hai chiaramente dimostrato che vuoi continuare a fuggire. Sinceramente, non so cosa possa dirti più di questo”
“Ian, io vorrei non fuggire! Solo che… non ci riesco. Io non riesco ad affrontare tutto questo, ok? Vorrei essere più forte, vorrei essere in grado di uscire da questo cazzo di baratro, vorrei riemergere dall’oscurità e dal dolore che mi hanno travolto come un treno, che hanno fatto soffrire te, ma non ci riesco”
“Non rifilarmi queste stupide scuse che rifili a te stessa! Smetti di auto-convincerti che non puoi. Il problema è che non vuoi, ed è diverso. Se tu volessi davvero, troveresti il modo”
“Smettiamola, per favore”.
Ian mollò un pugno all’armadio, poi mi urlò contro: “Ancora suppliche? Basta! Basta, sono stufo di tutto questo!”
“Ian, ma non lo vedi che ci stiamo solo facendo del male?”
“Cazzo, Mary, ti preferivo quando eravamo semplici amici!” gridò.
“Allora forse non ci saremmo mai dovuti mettere insieme” risposi con lo stesso tono di voce.
“No, infatti. Forse non ci saremmo dovuti ritrovare. Forse tutto questo è frutto di un terribile errore. Solo di un terribile errore”.
Le braccia gli ricaddero lungo i fianchi.
Cercando di trattenere le lacrime, dissi in modo spento, sconfitto: “Benissimo. Allora ritornatene dalla tua ex”.

















---------------------------
Note dell'autrice:
Ecco un altro capitolo. Non vi nascondo la mia devastazione ç_ç Ho cercato per tutto il tempo di non piangere. 
Questo capitolo mi tocca da vicino. Ho vissuto, per motivi diversi ovviamente, un periodo identico a quello che ha passato Mary. E non lo auguro a nessuno, perché è davvero terribile. Ti senti sprofondare ogni giorno che passa e quella luce, che magari potrebbe aiutarti, scompare sempre di più. Spero di essere riuscita a rendere visibili queste sensazioni nei capitoli precedenti.
Dicevo che sono devastata. E lo sono per due motivi:
1. IAN. Oh mamma mia. L'ho amato in questo capitolo! Io lo amo sempre, effettivamente, lo so xD; ma in questo capitolo l'amore è amplificato. Amo il modo in cui cerca di non pensare, di non soffrire. Amo i flashback (little Ian ç_ç). Amo il suo essere incazzato. Amo le parole che dice nella scena finale.
2. SPEAKING OF... FINAL SCENE! Questa scena è stata il colpo di grazia per me. Immedesimarmi in entrambi è stato davvero straziante. Ho percepito tutto. Dolore, frustrazione, rabbia, perdizione. Tutto. E Down mi ha aiutata molto in questo. Spero di essere riuscita a trasmettere quello che ho sentito io. Se non ci sono riuscita, chiedo venia xD.


Spero, inoltre, che il capitolo sia piaciuto.
E nominando la parola capitolo... devo dirvi che questo è il penultimo.


Avrei dovuto dirlo prima?


Non ammazzatemi xD


Grazie per aver letto.
Grazie a coloro che recensiranno.
Grazie a chi, non potendo recensire, magari mi darà la sua opinione qui: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts
Grazie ai lettori silenziosi.
Una buona notte e... alla prossima! 
Mary :*

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Into us like a train. ***


POV Ian
Mary mi guardò, mordendosi il labbro inferiore, guardando lievemente in alto per non far scendere le lacrime, che sicuramente premevano per uscire.
Il silenzio era tornato in quella stanza.
Io avevo esaurito le parole.
Sospirai nuovamente, non pronunciando alcuna parola.
Mary scosse debolmente la testa e se ne andò.
Scese le scale di corsa e uscii da quella casa come un uragano.
Chiusi gli occhi, mentre il motore della macchina di Mary prendeva vita.
Quel rumore non durò molto.
Se n’era andata.
La furia, ancora vivida, per quella discussione fece scemare quasi del tutto gli effetti dell’alcol, lasciando il posto all’incredulità.
Non riuscivo a credere di aver detto davvero tutte quelle parole; non riuscivo a credere di aver esternato tutta la mia frustrazione per questa situazione; ma, soprattutto, non riuscivo a credere di non aver fermato Mary.
L’avevo lasciata andare.
Mentre una parte di me acquistava sempre più lucidità, un’altra dal nulla cominciò a pensare a Nina.
Era uno strano pensiero.
Quella parte di me sentiva che lei era l’unica che in quel momento potesse capirmi e aiutarmi di conseguenza.
Non Jessica.
Non Paul.
Lei.
Perché?
Non sapevo dirlo con certezza.
Ancora barcollante e scosso dal litigio con Mary, uscii di casa e presi l’auto di scorta.
Con esitazione e pregando di non causare incidenti, girai la chiave nel quadro. Sfrecciai per le stradine secondarie con la mia seconda Audi, silenziosa come quella notte cupa.
Arrivato a casa di Nina, scesi dall’auto cominciai a gridare a squarciagola il suo nome.
 
POV Nina
Mi svegliai di soprassalto. Qualcuno mi stava chiamando.
“Ma chi è?” brontolò Joseph.
“Vado a vedere, tu torna a dormire” gli sussurrai amorevolmente e mi alzai.
Erano quasi le quattro del mattino.
Ma chi era?
Corsi di sotto e vidi Ian, con il volto un po’ malandato.
“Ciao Nina” disse a bassa voce.
“Ian, che ci fai qui a quest’ora?”
“Ho bisogno di parlarti”
“Ian, hai la voce da ubriaco in via di guarigione” dissi, alzando gli occhi al cielo.
“Beccato” fece una smorfia e sorrise mestamente.
“Vieni dentro, su” mi feci da parte e lo feci in casa.
Lo feci accomodare sul divano e mi sedetti di fronte a lui.
Dopo eterni attimi di silenzio, mi decisi a parlare: “Ian, che succede? Non è normale la tua presenza qui a quest’ora”
“Scusami. I-io… sto male, non ce la faccio più” disse, scuotendo la testa.
“Ma che succede? Se vuoi, me ne puoi parlare, lo sai” dissi, spostandomi accanto a lui.
“Con Mary non va affatto”.
Quelle cinque parole mi colpirono.
Lo guardai triste e gli accarezzai la schiena.
“Avete litigato?”
“Sì, e non solo una volta. Litighiamo da settimane ormai e io non so che fare, non so come comportarmi”
“Come mai litigate?”
“E’ da una settimana che non va a lavoro, perché, beh, nelle settimane precedenti ha perso molti pazienti, poi c’è stata tutta la vicenda dei giornalisti. Molti miei fans, inoltre, le hanno scritto cattiverie in ogni dove, tra Facebook, Twitter e Instagram. E’ rimasta molto provata da tutte queste cose, accadute insieme. E io l’ho capito e ho cercato di aiutarla”
“Hai fatto bene” gli sorrisi.
“E sai cos’ho ottenuto? Ieri sera mi ha detto che non ha bisogno di me” concluse la frase con voce fioca e addolorata, mentre delle lacrime solcavano il suo viso, anche se cercava di nasconderle.
Non pensavo avrei potuto ancora condividere cose del genere con Ian.
Mi si strinse il cuore a vederlo inerme, affranto e con gli occhi lucidi.
“Oh – commentai, cercando qualcosa in più da aggiungere; la trovai – E avete discusso”
“No, non subito. Me ne sono andato, mi sono ubriacato, ho provocato una rissa e poi – sospirò – poi lei è venuta a casa mia per chiedermi scusa. La situazione, però, è degenerata. Ho fatto il difficile e alla fine ho detto una cosa che, se adesso ci penso, non ha nemmeno senso! Perché l’ho detta? Non la pensavo veramente, ma l’ho detta comunque” i suoi occhi grandi mi guardarono, quasi come se cercassero di estorcermi la risposta fissandomi.
“Cosa le hai detto?”
“Che la preferivo quando eravamo amici, che non ci saremmo dovuti ritrovare. Che tutto questo è stato solo un terribile errore”
“Ian, non avere paura, litigare è normale nelle coppie. Tu le hai detto questa cosa in un pieno momento di collera, lei ha sicuramente detto quello che ha detto in un momento di esasperazione. Sai benissimo che non si deve far caso alle cose dette in questi momenti. Ricordi quando ti ho detto che non volevo più vederti e ti ho cacciato di casa dopo”
“Dopo avermi lanciato una ciabatta? – scoppiò a ridere e fu così bello vedere quelle labbra piegate in una smorfia felice – Me lo ricordo benissimo”
“Ecco, e quello non è stato nemmeno l’unico litigio”
“Già, ma poi è finita”
“E’ vero – feci una smorfia – ma non intendevo far notare quel particolare. Quello che volevo far notare è che, nonostante i litigi, le urla, le cose lanciate e, perché no, anche i piatti rotti, si fa pace. Noi ai tempi facevamo pace; io e Joseph, quando le discussioni capitano, facciamo pace e… e anche tu e Mary farete pace” sorrisi.
“Ho davvero paura di…” si arrestò.
“Ian, non ti trattenere, ti ascolto” lo rassicurai.
“So che mi ascolti, l’hai sempre fatto, è solo che… forse ho sbagliato a venire qui. Insomma, tu sei…” non concluse la frase.
“Non importa che ruolo abbia avuto al tuo fianco negli ultimi tre anni. Sai perché? Perché prima di essere Niki, la tua fidanzata dal secondo nome obbrobrioso, sono stata Nina, la tua amica. Questo rapporto non è cambiato. Perciò, parla, non ti nascondere”.
Mi guardò sconvolto.
“Cosa c’è?” chiesi preoccupata.
“Stanotte ho detto a Mary di non nascondermi e ora lo sto facendo io” scosse la testa, sorridendo amaramente.
“Allora, non farlo. Parla” conclusi la frase, annuendo.
“Ho davvero paura di perderla” mi disse.
“Non la perderai, ne sono certa” gli sorrisi nuovamente.
Appena finii di pronunciare quelle parole, lui sbarrò sorpreso i suoi profondi occhi azzurri e mi disse: “Come fai a essere così? Dopo tutto quello che è successo tra noi, tu sei ancora qui accanto a me. Perché? Spiegamelo, perché… perché non lo capisco”
“Semplice, perché prima di essere stato Smolder, il mio fidanzato tuttofare, sei stato Ian, il mio amico dagli occhi azzurri, desideroso di salvare il mondo. Sei stato e sei un amico importante. Non ho mai, e sottolineo mai, perso il tuo aiuto e la tua mano salda, pronta ad afferrare la mia, persino nei momenti più bui. Ian, tu ci sei sempre stato per me, perciò il minimo che possa fare è esserci per te, perché io ci tengo a te. Non voglio perderti. E sono certa che anche Mary tiene tanto a te e non vuole perderti! Non temere, si risolverà tutto”.
Non riuscì più a nascondersi e cominciò a piangere forte, prendendosi il volto tra le mani.
“Dannazione, odio piangere davanti agli altri” disse tra i singhiozzi.
“Oh, lo so, ma è tutto ok!” lo abbracciai forte.
 
POV Mary
Entrai in macchina e mi accasciai sullo sterzo, cominciando a piangere.
Come avevamo potuto entrambi urlarci contro?
La situazione era degenerata troppo.
Misi in moto la macchina e mi allontanai in fretta da quella casa.
Tornai a casa e corsi in camera da letto. Il mio lettore musicale era ancora fermo, dove l’avevo lasciato.
Lo presi, poi guardai il letto.
Mi ripugnava quel mobile.
Ian aveva ragione.
C’ero affondata dentro.
Mi ero aggrappata alle cose sbagliate.
Perché l’avevo fatto?
Singhiozzante, scappai da quella casa e guidai verso l’unico porto sicuro che conoscevo in America, verso l’unico luogo che da sempre aveva invaso i miei pensieri e influenzato le mie azioni.
Parcheggiai al solito posto. Presi il lettore musicale e lo accesi, indossando le cuffie, poi scesi dall’auto. Entrai in ospedale stravolta.
Trovai l’infermiera Nancy all’ingresso.
“Ciao, Nancy” la salutai con voce rotta.
“Mary, che ti è successo? – mi si avvicinò preoccupata e mi abbracciò – E’ da una settimana che non ti fai viva. Stai bene? Perché stai piangendo?” mi strinse.
“Io… io vorrei tornare a lavorare. Vorrei firmare i documenti per tornare a lavoro. Posso?”
“Stai piangendo per questo? Ma non ce n’è di bisogno, cara. Li prendo in un attimo” sciolse l’abbraccio e mi sorrise.
Dopo non molto, tornò con dei fogli.
“Eccoli. Il Capo li aveva preparati ieri sera. E’ venuto a parlarti, vero? Per questo sei riuscita a tornare?”.
Annuii, poi aggiunsi: “Li aveva preparati?”
“Sì. Era certo che con una spintarella saresti riuscita a tornare” mi sorrise nuovamente e mi porse i fogli.
Firmai tutto, poi mi nascosi in una saletta ambulatoria, in attesa che Nancy chiamasse Rose per me.
“Mary, sei tornata a lavoro, il Capo aveva ragione, evvi – l’acuto le morì in gola, non appena mi vide – Ma che?” disse sorpresa.
I suoi occhi verdi si riempirono di preoccupazione.
In meno di un attimo fu al mio fianco.
“Non riesco a smettere di ascoltare questa canzone. E’ più forte di me” dissi tra le lacrime e le porsi una cuffia.
Lei si avvicinò e ne ascoltò un pezzo:
“E ora penso che il tempo che ho passato con te
Ha cambiato per sempre ogni parte di me
Tu sei stanco di tutto io non so cosa dire
Non troviamo un motivo neanche per litigare
Siamo troppo distanti, distanti tra noi
Ma le sento un po’ mie le paure che hai
Vorrei stringerti forte e dirti che non è niente
Posso solo ripeterti ancora
Sono solo parole”.
Scosse la testa e disse: “Te in lacrime sconvolta, parole poco comprensibili per me e strumentale tragico mi fanno pensare a una canzone triste italiana. Brutta, bruttissima storia. Cos’è successo?”
“Forse io e Ian siamo al capolinea. Forse noi ci siamo appena lasciati”
“Cosa? Che diavolo avete combinato?”
“Abbiamo litigato. Per colpa mia. Dannazione, ci siamo urlati contro, come… non riesco nemmeno a parlare, sono patetica”
“No, non lo sei. Calmati, non piangere più. Perché avete litigato?”
“Ian è tornato a casa prima per aiutarmi. Io ero a letto. Lui voleva aiutarmi e mi ha preso di peso per costringermi a tirarmi su e io… io urlando gli ho detto che non avevo bisogno di lui”
“Cos’hai fatto?! – Rose mi guardò spiazzata – Maria Chiara Floridia, ti sono morti i neuroni nel cervello? Dov’è la tua materia grigia? Sei impazzita?”
“Non so cosa mi è preso! Poi il Capo è venuto a parlarmi e… e sono tornata in me. Sono rinsavita. Mi sono resa conto che ero stata un’emerita stronza con Ian. Sono andata a cercarlo. Era a casa. Avevo intenzione di chiedergli scusa, ma…”
“Ma?”
“Ma tutto è andato a puttane. Ian ha iniziato a vomitare parole e io ho incassato i colpi. Me lo meritavo, gliene ho fatte passare troppe in questi giorni. Però, poi… poi abbiamo iniziato entrambi ad alzare la voce. Abbiamo urlato, sempre di più, sempre di più, fin quando…” mi interruppi e ripresi a piangere.
Non riuscivo nemmeno a ripensare alle ultime battute che ci eravamo scambiati.
“Quando? Mary, non leggo nel pensiero!”
“Quando lui mi ha detto che mi preferiva quando eravamo amici. Io gli ho detto che forse non ci saremmo dovuti mettere insieme allora e lui… lui mi ha dato ragione e io gli ho detto di tornarsene dalla sua ex”
“Che cosa? – la voce di Rose era diventata molto acuta – Mary, tesoro mio, che diavolo ti è passato per la testa?”
“Non lo so, credimi. So solo che non avrei mai voluto che tutto questo accadesse”.
Rose smise di parlare.
Abbassai lo sguardo, lasciando che le lacrime cadessero sul pavimento.
In poco tempo mi ritrovai tra le sue braccia.
La strinsi forte, singhiozzando contro la sua spalla.
In quel momento sentivo che era solo ed esclusivamente di lei che avevo bisogno.
 
POV Ian
Il sole splendeva. Era cocente. Giallo. Bellissimo.
La spiaggia era pulita. Sabbia pura. Oceano cristallino.
Cosa si poteva desiderare di più?
“Ragazzi, grazie davvero per averci regalato questo giorno di pausa” disse Nina, rivolgendosi a Mary, Rose e Steve.
“Prego. L’abbiamo fatto con piacere! In fondo… anche noi avevamo bisogno di staccare un po’ la spina” Steve ci sorrise.
“E il mare è il luogo migliore per staccare la spina, vero Mary?” Rose le diede una spintarella.
Mary annuì, guardando con la coda dell’occhio verso di me.
“Quest’anno non torni in Sicilia?” chiese Candice.
Mary scosse la testa.
“Come fai a star lontana così tanto dalla tua famiglia e dai tuoi amici? Vi sentite spesso almeno?” Steven si intromise nella discussione.
“A volte sì, a volte no, infatti le volte in cui non ci sentiamo mi danno sempre per dispersa – fece una smorfia – Ma non posso farci niente. Quando sono di turno anche per tre giorni consecutivi, non posso staccare e chiamare parenti e amici, come se niente fosse”
“Ti mancano?”
“Certamente. Tutti loro sono una parte di me di cui non posso fare a meno. Sono tutti le mie rocce. Senza di loro non sarei qui in America” sorrise adorante, pensandoli.
“Cambiamo discorso, su. Non vogliamo di certo renderti nostalgica” dissi io, sorridendole di sfuggita.
“Esatto! Oggi non è una giornata di tristezza, bensì di svago e relax. Perciò, Mary, togliti il vestitino. Sei l’unica che non è ancora in costume e io voglio andare a fare un bagno” Rose la incitò.
Mary, molto imbarazzata, prese gli estremi del suo vestitino azzurro e se lo sfilò dall’alto, mostrando un costume verde acqua, semplicissimo, che risaltava le curve del suo corpo.
Rimasi incantato da quella visione.
Ero davvero stregato da quella dottoressa.
“Il primo che si butta in acqua ha il pranzo gratis” disse Steve, distogliendomi dai miei pensieri.
Tutti cominciammo a correre.
L’acqua era calda.
Mary gridò: “Vittoria!” riemergendo dall’acqua e ridendo spensieratamente.
Mi persi nella sua risata.

 
“Ian, ma mi ascolti?” una mano mi passò davanti.
Tornai con i piedi per terra, guardandomi attorno confuso.
Ero nella mia cucina.
I ripiani erano in disordine, così come i divani in lontananza.
Da quanto tempo non mi occupavo di casa mia?
“Iaaan” Jess richiamò la mia attenzione su di sé.
“Scusa, dicevi?”
“A che pensavi?”
“A niente. Cosa mi stavi dicendo?”
“Ian. A cosa pensavi?”
“Mi era solo tornato in mente il giorno in cui Mary e i suoi colleghi ci hanno portato a mare per rilassarci un po’. Il volontariato stava finendo. Lei era ancora felice e sorridente” m’incupii.
“Ecco, questo si ricollega al mio discorso. Dicevo che devi sentirla. Non avete più parlato da quella notte barra mattinata. Dovete risolvere questa situazione, così da poter tornare felici e sorridenti”
“Non c’è niente da risolvere, Jess”
“Niente da… stai scherzando, vero? Ian, state insieme e non vi sentite da tre giorni per delle cose che avete detto e che non pensavate davvero! Dovete riparlarne con calma, dovete scusarvi a vicenda”
“Io non devo chiedere scusa per niente!” alzai un po’ la voce.
Jess mi diede uno schiaffo sulla testa.
“Ahi, Jess!” mi massaggiai la testa.
“Non fare l’angioletto, né tantomeno la vittima. Mary avrà pure sbagliato molto, ma tu hai fatto pure i tuoi sbagli! Potevi evitare di dirle che stare con lei è stato solo un terribile errore, no?”
Chiusi gli occhi e sospirai.
Jess aveva ragione.
Avevamo sbagliato entrambi.
Non potevo pretendere di avere la ragione al cento per cento.
“O mi sbaglio? Credi che queste cose siano romantiche?”
“No, Jess, non lo sono. Hai ragione. Ho sbagliato pure io”
“Bene, ora che l’hai capito, esci di casa e raggiungila. Parlate, urlate, rotolate nudi tra le lenzuola, fate quello che volete, basta che risolvete tutto questo. Vi siete solo compresi male a vicenda. Capita e, soprattutto, si può chiarire”
“Non posso”
“Perché no?”
“Perché sono un uomo fottutamente orgoglioso, ecco perché” mi passai una mano tra i capelli.
“Dannato orgoglio!” Jess brontolò.
Feci una risatina, nonostante fossi con l’umore sotto le scarpe.
L’Iphone trillò.
Lo afferrai, sperando che magari fosse Mary.
Mi sbagliavo.
Nina: << Ehi, Ian, come ti senti? Joseph oggi sarà fuori per un pranzo di lavoro, ti va di pranzare insieme, come l’altro giorno? Non ci vediamo da allora, sono preoccupata. Un bacio :* >>.
Risposi velocemente: << Ehi, non so rispondere alla prima domanda. Perché no? Mi va di passare un pranzo fuori casa di nuovo. Passo a prenderti io, tra un paio d’ore. Un bacio :* Ah, e grazie! >>.
“Chi era?” Jess si sporse per guardare.
“Non era Mary, se è questo che vuoi sapere – sospirai – Ma perché non mi contatta?”
“Perché anche noi donne sappiamo essere fottutamente orgogliose in certi casi! – Jess mi fece una linguaccia e mi diede una pacca sulla spalla – Ah, non si smette mai di imparare!”
“Eh già”
“Vado, Ian, Paul mi aspetta”
“Vai, vai, non voglio che Paul si arrabbi con me”
“Non potrebbe mai. Sa benissimo che mi deve condividere con te” ridacchiò, mi diede un bacio sulla guancia e se ne andò.
Mi alzai dallo sgabello e salii al piano di sopra.
Sembravo un barbone.
Dovevo darmi una sistemata, se volevo uscire.
 
POV Mary
Mi lavai le mani e uscii dalla sala operatoria.
Trovai Katherine ad aspettarmi.
“Buongiorno” la salutai.
“Dottoressa Floridia, il Capo mi ha detto che vuole vederla”
“D’accordo, vado subito da lui. Tu intanto controlla questo post-operatorio”
“Certamente” annuì e se ne andò.
Mi tolsi la cuffietta della sala operatoria e andai verso le scale.
Cominciai a salire, fin quando non arrivai al primo piano.
L’ufficio del Capo si trovava lì.
Bussai ed entrai.
“Capo, buongiorno. Voleva vedermi?”
“Sì. Accomodati” mi indicò la poltrona di fronte a lui.
Mi sedetti e accavallai le gambe.
“Com’è andata l’operazione di stamattina?”
“Mi ha fatta chiamare per questo? – corrucciai la fronte – Poteva saperlo dalla relazione post-operatoria”
“Veramente volevo sapere come si è sentita mentre operava”
“Oh! Mi sono sentita bene. Sicura. Come un tempo” ammisi.
“Mi fa piacere sentirglielo dire – il Capo mi sorrise – Bentornata ufficialmente, Floridia!” mi porse la mano.
La strinsi. Era calda. Affettuosa. Paterna.
“Grazie, Capo, davvero” gli sorrisi.
Congedatami, andai in saletta.
“Buongiorno, raggio di sole” disse Steve ironico.
Rose gli mollò uno schiaffo e mi si avvicinò: “Come stai stamattina, tesoro?”
“Dopo l’operazione meglio – sorrisi – Il paziente è ancora vivo, il Capo è felice che io sia tornata e… credo di avere fame”.
Rose sorrise a trentadue denti e disse contenta: “Fantastico, perché è da tre giorni che tocchi poco cibo!”
“Sì, da quando tu e Ian” cominciò Steve e Rose gli mollò un altro schiaffo.
“Ma che ho fatto di male?” disse lamentandosi.
“Chiudi il becco, Steve. Mary, devi riprendere a mangiare bene. Andiamo alla mensa, su, dobbiamo rendere quelle guance di nuovo rosee, signorinella” il suo sguardo assassino, rivolto a Steve, divenne amorevole e materno, non appena incrociò il mio, sicuramente ancora privo di vitalità.
Nonostante fossi tornata a lavoro, non ero completamente serena.
Tutta la situazione tra me e Ian mi stava lentamente uccidendo.
Guardai il mio cellulare, sperando che magari ci fosse qualche suo messaggio.
Niente.
Come sempre.
“Mary?” Rose mi chiamò preoccupata.
“Sì?” misi il cellulare in tasca.
“Ancora niente?”
“No” abbassai lo sguardo.
“Andiamo” mi prese per un braccio e mi trascinò via da quella stanza.
Quando arrivammo a mensa, Claudine mi chiese cosa volessi ordinare.
“Un caffè. E una brioche. E quel cornetto. E quel krapfen. E quel” cominciai con tono spento, indicando mollemente con l’indice metà del bancone.
Rose mi bloccò e sorrise a Claudine.
“Prenderemo solo due caffè e due brioches, grazie”.
Ci accomodammo e cominciammo a mangiare.
Mentre addentavo un pezzo della mia brioche, vidi una coppietta imboccarsi vicino al nostro tavolo.
“Rose” dissi seria.
“Dimmi”
“Quelli non sono Ian e Nina, vero?” la guardai.
“No!” rispose lei.
Mi presi il volto tra le mani.
“Dio, sto diventando pazza! Li vedo dappertutto! Ma come diamine ho potuto dirgli ‘tornatene dalla tua ex ragazza’? Ma a che cavolo pensavo?”
“Senza offesa, ma è quello che mi chiedo anch’io”
“Non mi offendo. Hai un cappio a portata di mano? Voglio farla finita”
“Ma smettila di dire scemenze! Si risolverà tutto, vedrai”
“Come può risolversi tutto, se è da tre giorni che siamo entrambi in silenzio stampa?”
“Perché non ti fai sentire? Se lui non prende iniziativa, prendila tu”
“Perché sono una codarda. Ho combinato davvero un guaio” sbuffai.
“Chissà perché non si fa sentire lui”
“Forse perché ha seguito il mio folle consiglio”
“Nah, non credo” Rose scosse la testa, tornando poi a sorseggiare il suo caffè.
In quell’esatto istante Claudine aumentò il volume della televisione.
“Ian Somerhalder e Nina Dobrev hanno ripreso a uscire da soli. Queste foto risalgono a due giorni fa e ritraggono gli attori, in compagnia l’uno dell’altra, mentre pranzano insieme. Semplici amici o ritorno di fiamma? Sappiamo già cosa sperano i fans, nonostante il nuovo compagno della Dobrev sia amato, al contrario della nuova compagna di Somrhalder! Il servizio dopo la pubblicità” disse il giornalista, sorridendo.
Lo schermo si oscurò per qualche secondo, prima di rianimarsi con gli spot pubblicitari.
Mi caddero le braccia.
“E lo sapevo, ha ascoltato davvero il mio consiglio!” dissi disperata, prendendomi la testa tra le mani.
“No, lo sai che i giornalisti dicono cazzate” cercò di rassicurarmi lei e mi esortò a tornare a lavoro, lanciando un’occhiataccia a Claudine per aver alzato il volume del televisore.
Quando tornai in corsia, però, la situazione peggiorò.
Ovunque mi giravo, vedevo coppiette con le loro facce che si scambiavano moine.
“Rose, senti, non ce la faccio a stare qui, davvero. Devo uscire da qui, prima di impazzire definitivamente. Dillo tu al Capo, ok?” dissi velocemente e andai a cambiarmi.
Tornata alle spoglie di una comune cittadina, uscii alla velocità della luce dall’ospedale, con la speranza di non incrociare altre coppiette con i volti di Ian e Nina.
Mentre vagabondavo con la macchina, guardai nello specchietto retrovisore più volte. Avevo una strana sensazione, come se qualcuno mi stesse seguendo.
Non ci feci molto caso e parcheggiai, poi andai a fare un po’ di shopping.
Dopo una mattinata spesa a comprare e provare vestiti che effettivamente non mi servivano, mi fermai all’ombra e chiamai Rose.
“Va meglio?” mi chiese.
“Abbastanza. Adesso le persone hanno tutte i propri volti” risi.
“Finalmente”
“Esatto! Credo che ora pranzerò da qualche parte, poi torno a lavorare”
“La Mary depressa è sparita, quindi?”
“Sparita, andata. Al suo posto c’è la Mary Stakanovista”
“Fantastico! Non vedo l’ora di vederla all’opera – rise – a tra poco, allora, Mary Stakanovista”
“A tra poco” riattaccai.
Dove potevo pranzare?
Mi guardai intorno e notai un ristorante dall’altro lato della strada. Aguzzai gli occhi per intravedere il nome, scritto in modo strano sul vetro, quando, invece, notai due volti conosciuti: Nina e Ian stavano pranzando insieme proprio accanto alla vetrina.
Mi presi di coraggio e chiamai Ian con il privato.
Rose aveva ragione.
Se lui non prendeva l’iniziativa, dovevo farlo io.
Dovevo risolvere quella situazione una volta per tutte.
Non potevo perderlo.
“Pronto?” disse lui dopo due squilli.
“Conosco un’idiota che ha fatto l’idiota con un uomo che non lo meritava”
“Mary?!” disse lui sorpreso.
“L’idiota si chiama proprio così, ma come hai fatto a indovinare? – dissi ironica, poi tornai seria – Ian, non so davvero come scusarmi. Ho avuto dei comportamenti pessimi in queste settimane e ti ho fatto soffrire tanto. Non volevo farti stare male, credimi”
“Mary…” disse lui titubante.
“No, aspetta. Hai ragione, io scappo via, non affronto le situazioni. Sono sempre stata così, ma non so perché. Forse è semplicemente paura di affrontare la realtà o paura di soffrire, ma non importa, perché questo riguarda la mia persona, non te. Perciò non dovevo assolutamente prendermela con te. Ian, ti prego”
“Mary, non so davvero che dire”
“Non dire niente. Guarda solo alla tua… alla tua destra” dissi dolcemente.
Vidi il suo volto girarsi e guardare verso la mia direzione.
Accennai un saluto con le dita della mano sinistra.
Era sorpreso, non si aspettava che fossi lì.
Ian uscì velocemente dal locale e chiuse la chiamata.
Era davvero splendido, nonostante ancora si intravedesse un lieve gonfiore allo zigomo.
Mi soffermai a guardarlo.
Mi era mancato davvero troppo.
I suoi occhi brillavano alla luce del sole, così come i suoi capelli castani, che si intravedevano, nascosti dal suo cappello marrone.
Le sue labbra mi chiamavano.
Le sue mani sembravano trepidanti.
Il mio cuore cominciò a battere all’impazzata.
Sorrisi, mentre i miei piedi si muovevano, camminando verso la sua direzione.
Ian mi imitò.
Eravamo entrambi per strada, che camminavamo, l’uno verso l’altra.
E viceversa.
Sembrava una scena da film.
Pochi passi ormai ci dividevano, quando accadde.
Delle ruote stridettero sull’asfalto, come se qualcuno avesse dato più gas a un’auto.


COLONNA SONORA DEL MOMENTO: http://www.youtube.com/watch?v=pGA6yw8T8os


Mi voltai e vidi una macchina corrermi incontro.
“Mary, no!” urlò Ian.
Qualcosa mi spinse via.
L’impatto con l’asfalto fu tremendo, enfatizzato da un rumore atroce.
Cominciai a rotolare, fin quando non sfiorai il marciapiede con un gomito.
La testa mi stava esplodendo, avevo preso una bella botta.
Cos’era successo?
Riaprii gli occhi confusa.
Ian era a terra e non si muoveva.
Ecco cos’era quel rumore.
L’auto nera, poco più in là rispetto a lui, doveva averlo preso in pieno.
“Ian! Ian!” urlai.
Mi alzai velocemente, ignorando la spalla destra che protestava, e corsi verso di lui.
“Ian, svegliati” mi inginocchiai al suo fianco e cominciai a scuoterlo, mentre le lacrime scendevano, ricadendo sul suo volto.
Niente da fare, continuava a essere incosciente.
Mentre cercavo di capire che danni avesse, vidi del sangue uscire dalla sua testa.
“No, no, no, no! Ti prego, no!” singhiozzai più forte e provai a chiamare l’ospedale con le mani che mi tremavano.
Purtroppo, né il mio né il telefono di Ian funzionavano.
Erano spenti. Andati.
“Dannazione!” imprecai.
“Scusami, Damon, non miravo a te. L’auto fallisce, questa no” disse la donna che l’aveva investito, dopo che era scesa dall’auto.
“Il suo nome è Ian. Che problema ha?” ribattei tra le lacrime, gridando e guardandola negli occhi, azzurri. Glaciali.
“Mary, ma che diavolo è successo?” la voce di Nina era scioccata.
Mi voltai per risponderle, ma non feci in tempo.
Un rumore assordante echeggiò.
Un tepore si fece largo nel mio addome.
Guardai in basso, mentre il sangue si faceva strada nei miei vestiti, poi caddi a terra.








---------------------
Note dell'autrice:
Questo era l'ultimo capitolo di "Friendzone?". Ovviamente non sono così stronza da far finire una storia così, perciò adesso vuoto il sacco. La storia di Mary e Ian è divisa in ben tre parti. "Friendzone?" era la prima parte e si conclude con questo capitolo. La storia riprenderà con il seguito, "Love will show you everything", che spero leggiate! :) Detto questo, commento brevemente il capitolo:
Mi è piaciuto scrivere un momento tra Ian e Nina, mi è piaciuto mostrare la fragilità di Ian e ho ADORATO Nina. Nina in questo capitolo è stata un po' la mia portavoce riguardo la situazione reale che si ha tra loro: io non so se loro stanno nuovamente insieme o meno, ma se sono tornati a essere solo amici, io me li immagino come Nina in questo capitolo. Molto maturi. Pronti ad aiutarsi nuovamente. Capaci di distinguere ciò che è stata ed è la loro amicizia, da ciò che è stata la loro relazione.
Ho adorato Jessica. Dalle foto sembra un tipo vispo e allegro, perciò ho cercato di renderla così, nonostante non possa effettivamente sprizzare felicità da tutti i pori, data la situazione xD.
Ho adorato il Capo e anche Rose. Il Capo per la fiducia posta in Mary. Rose per la forza che cerca di infonderle. 
Ho adorato Mary. (Parentesi, la canzone che ascolta con le cuffie, per chi non l'avesse riconosciuta, è "Sono solo parole" di Noemi: http://www.youtube.com/watch?v=G864l5Lphf4). Codarda e spaventata, che poi si fa forza e chiama Ian con il privato.
Ammette il suo problema. Questo, si dice, è il primo passo per la guarigione, no? 
Mi sono letteralmente disintegrata nella scena finale. Mi sono odiata. Però l'ho scritta ugualmente xD.
Questa donna ha investito Ian e ha sparato a Mary. Perché? E perché ha chiamato Ian "DAMON"?
Lo scoprirete nella prossima parte, "Love will show you everything". ;)
Grazie per aver seguito "Friendzone?".
Grazie per chi ha letto silenziosamente, spero ti sia piaciuto.
Grazie per chi ha recensito, i tuoi commenti sono stati molto utili!
Grazie per chi ha dato un'occhiata alla pagina fb: https://www.facebook.com/pages/-let-your-heart-decide-/108955182460145?fref=ts
Rinnovo l'idea di formare un gruppo privato per spoilers, ecc, nel caso in cui la pagina non vi piaccia. Anche perché non so usarla molto bene, scusate :(
Grazie ancora!
A presto con "Love will show you everything".
Mary :*

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2098867