Carry me away from my pain pt.2 di PersephoneNebel_ (/viewuser.php?uid=340809)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ikuinen Virta ***
Capitolo 2: *** Flickan som lekte med elden ***
Capitolo 3: *** Yhden aikauden loppua ***
Capitolo 4: *** Valta. ***
Capitolo 5: *** Hirmumyrsky ***
Capitolo 6: *** Lilja's Lament ***
Capitolo 7: *** Angels don't kill ***
Capitolo 1 *** Ikuinen Virta ***
Children of bodom fanfic
Attenzione:
Italiani! No, ok, così sembro Mussolini.
Seriamente... sono sempre io, sono sempre DarkSoul_ e questo
è solo un altro
account. La storia la continuerò da qui.
Carry me away from my
pain
pt.2
Ikuinen Virta
Janika si svegliò la mattina di Natale, pensò che
dovesse essere molto presto poiché
la stanza era ancora immersa nel buio più totale.
Pensò a ciò che le era
successo ultimamente, in realtà non riusciva ancora a
realizzare gli
avvenimenti, il suo ex ragazzo, poi la storia fra Janne e Alexi e la
sua
sorellina. Pensò che probabilmente a occhi esterni tutto
questo sarebbe
sembrato delirante e che lei, lei che si sentiva la vittima di un mondo
crudele
e asettico, sarebbe stata giudicata come la causa, l'unico motivo per
cui tutto
questo stava accadendo. Si mise a sedere e sorseggiò la
birra che stava accanto
al suo letto. Lo sapeva, sapeva di essere l'unica vera colpevole di
tutto. Ma
la cosa che più la faceva star male era il dolore che stava
provando sua madre,
la malattia di sua sorella non poteva essere colpa di nessuno,
sicuramente non
poteva darla a se stessa, ed era proprio questo che la faceva
imbestialire: non
poter puntare il dito contro nessuno, non potersela prendere davvero ma
dover
semplicemente restare a guardare. Aspettare. Aspettare che cosa? La
guarigione?
Molto più probabilmente la morte. E chi, chi poteva essere
il responsabile? Il
destino. Ma cosa fosse il destino Janika non lo sapeva. Forse Dio.
Perchè alla
fine cos'è Dio se non una figura immaginaria cui poter
attribuire meriti ma
sopratutto errori dell'uomo. Oppure semplicemente l'ultima spiaggia,
qualcuno cui
aggrapparsi come salvagente, l'ultima speranza ma, alla fine, tutto
questo
continuava a sembrarle molto ipocrita. Un Dio perfetto, senza smacchi o
scheletri nell'armadio che non prova i sentimenti umani,
perché è superiore a
tutto questo, come può davvero capire gli uomini? Come si
può creare un mondo
popolato da esseri che non riesci a comprendere ma, no,
perché Dio è onnisciente,
quindi deve per forza capire tutto ma come si può capire
qualcosa che non si ha
mai provato. Ma a cosa servivano tutte queste elucubrazioni mentali? La
conclusione era e rimaneva una Janika si sentiva fottutamente sola.
Prese il
telefono e inconsciamente compose a memoria il numero di Janne,
aspettò che
l'altro alzasse il ricevitore contando gli squilli a vuoto:
uno...due...tre...quattro...Janne rispose con voce quasi rassegnata,
sapeva che
in ogni caso non sarebbe riuscito a riprendere sonno:
- Pronto? -
Janika rispose rovesciandogli addosso un fiume di parole, riportandogli
tutti i
suoi precedenti pensieri a velocità luce, tanto che il
ragazzo dovette alzarsi
per cerar di stare dietro alla corrente impetuosa che gli scorreva
nelle
orecchie, Dio, Alexi, lui e lei, la sorellina, la madre, il destino e
tutto
condito con una colpa che lui non riusciva a capire quale fosse.
Interruppe la
giovane che si fermò semplicemente, come un registratore che
viene
improvvisamente spento; Janne aspettò qualche secondo come
spaventato da quel
silenzio, poi cercò di trovare le parole per calmarla e
sapere il motivo di
quella chiamata:
- Janika sta calma! Ascolta, ok, ho capito adesso sei confusa
perché ti sono
piovuti addosso un sacco di disastri in poco tempo, non sai cosa
pensare e
continui a incolparti di tutto. No, questo è sbagliato. Non
può essere colpa
tua, tutti siamo un po' colpevoli. Sono le cinque della mattina di
Natale e tu
ti sei messa a formulare pensieri catastrofici, almeno per una volta
non
potresti accettare tutto questo e smetterla di piangerti addosso, trova
una
soluzione, prendi in mano la tua vita e fanne qualcosa,
perché stare qui a dire
queste cose a me, ti servirà ben poco. Io non posso importi
la felicità. Solo
tu puoi farlo. Perché ognuno è padrone delle
proprie azioni, sei tu che puoi
decidere il tuo destino. Devi trovare qualcuno per cui valga davvero la
pena
andare avanti. -
La ragazza rimase interdetta dalle sue parole. Qualcuno per cui poter
andare
avanti. Alexi. Alexi era il suo ragazzo, aveva litigato con Janne per
stare con
lei, gli doveva tutto ma... Che senso aveva? Alla fine Janne era
diventato il
suo migliore amico e, sentendosi male, era l'unica persona della quale
voleva
sentire la voce. Anche ora, nonostante le sue parole fossero dure e
contenessero un po' di rancore, ci si stava aggrappando come a
un’ancora:
- Janne, io ho trovato qualcuno per cui vivere, ma sono stata stupida e
l'ho
gettato via. Gli ho voltato le spalle, e me ne sono andata. E ora me ne
sto
pentendo e mi sento stupida. Perché sono qui a parlare con
l'unica persona di
cui ho davvero bisogno e non lo capisco, probabilmente
continuerò a non capirlo
e a tornare da Alexi. Perché poi Alexi? Non ha fatto molto
per me, tu mi hai
aiutata molto di più. E poi davvero, mi sento la troietta di
Twilight, sono qui
che sto male perché non riesco a scegliere fra due ragazzi,
mentre mia sorella
sta morendo lontano da casa e da tutti i luoghi che ama. Dovrei essere
io al
posto suo, lei è troppo giovane. Non si merita di morire -
Janne si limitò a sospirare e dire che nessuno merita di
morire e che trovava
stupido sentirsi dire che era la persona più importante
della sua vita quando
era appena stato scaricato semplicemente perché lei si era
stufata, no, non
c'era stata una vera motivazione. Ma solo un semplice capriccio. E ora,
dopo
aver litigato col suo migliore amico, dopo che lui aveva provato a
suicidarsi,
si sentiva abbastanza preso per il culo. Ma non gli importava,
perché preferiva
continuare a starle accanto come amico che non starle vicino. Anche se,
ovviamente, tutto questo lo faceva star male e tutte le volte che
vedeva lei e
Alexi baciarsi gli si contorcevano le budella. Aveva imparato il suo
ruolo,
sapeva che sarebbe sempre stato eclissato dal nanetto biondo e, ormai,
ci aveva
fatto il callo.
Janika ammutolì. Mentre con una mano accarezzava la
superficie liscia del letto,
si era persa fra le parole di Janne. Sapeva che aveva ragione lui
eppure queste
parole per lei tagliavano come un coltello affilato, si conficcavano
nella sua
anima e cercavano di annientarla con tutta la violenza possibile, con
la violenza
dell'impassibilità che, com’era già
stato dimostrato, era l'arma migliore del
tastierista:
- Janne ... tu mi amavi? -
L'altro emise una risata amara. Era semplicemente pronto a fare tutto
per lei
ma, ormai, tutto questo non aveva più importanza. Detto
ciò la salutò
frettolosamente e chiuse la chiamata. La giovane si trovava di nuovo
sola. Sola
con i suoi pensieri, che era la cosa che più la spaventava.
Si rigirò per qualche secondo fra le coperte prima di
constatare che tanto non
si sarebbe riaddormentata, così si alzò e scese
le scale. Appena fu fuori dalla
sua stanza si accorse che in realtà il sole pallido filtrava
già dalle persiane
accostate, era stata al telefono con Janne quasi un'ora. Si
ritrovò in cucina,
spalancò le finestre in modo che la luce invadesse la stanza
e si ritrovò a
fissare la neve che scendeva candida e soffice dal cielo ovattato,
pensò che
era una stupidissima convenzione il fatto che il giorno di Natale
nevicasse e
più di ogni altra cosa desiderò che spuntasse il
sole. Era una cosa così
stupida, lo riconosceva, eppure sembrava irritarla più della
situazione di
merda che stava passando. Ma la neve continuava a cadere, ignorando le
inutili
richieste di una ragazzetta capricciosa che dopo una vita passata fra
le
penisole Scandinave non riusciva a provare altro che disgusto per il
pantano
fangoso che si creava nelle strade. Dopo qualche minuto il telefono
prese a
squillare. Janika cercò di ignorarlo il più a
lungo possibile prima che il
rumore ritmato le diventasse insopportabile e dovette scagliarsi con
tutta la
forza possibile contro il telefono, sollevare la cornetta come se
tentasse di
strapparla via e chiedere chi parlasse con voce dura che nemmeno lei
sembrava
riconoscere. Era sua madre che le augurava buon Natale. Come stava?
Abbastanza
bene, e la sorellina? Non male, era visibilmente migliorata; la
conversazione
continuò con domande di routine prima che la giovane
salutasse sua mamma e
riagganciasse la cornetta. Dopo di che decise di vestirsi e di uscire
per fare
una passeggiata. In pochi secondi fu pronta e scese per strada; L'aria
gelida
mista alla neve le sferzava il viso rendendole quasi impossibile vedere
a pochi
metri dal suo naso, mosse qualche passo e iniziò a camminare
verso l'unico
posto in cui si sarebbe sentita come a casa, il bar in cui aveva
conosciuto
Janne. In realtà per lei quello era sempre stata come una
seconda casa,
quell'edificio c'era fin da quando lei aveva pochi anni e, ricordava
che in
quel periodo ci andava quasi tutti i giorni insieme a sua madre, prima
di
andare all'asilo. L'odore di caffè e di brioche appena
sfornate le metteva
allegria, senza contare il fatto che già di prima mattina il
locale era aperto
ed era uno dei pochi in cui non rischiavi di trovare qualche ubriaco
accasciato
davanti all'entrata.
Arrivo completamente fradicia, dalla testa ai piedi, si tolse il
cappotto e si
sedette al suo solito posto dove ordinò il solito
cappuccino. Stava per
iniziare a bere quando avvertì una presenza familiare.
Janne. Si avvicinò a lei
e si sedette di fianco. Janika rimase qualche secondo interdetta a
fissare la
figura del ragazzo che si sedeva impassibile lì, proprio
nella sedia vicino
alla sua. Senza salutarla, come se fosse una cosa ovvia:
- Cosa ci fai qui? -
Il tastierista si voltò di scatto, come risvegliato dallo
stato catatonico in
cui si trovava, la fissò negli occhi, come se cercasse la
sua anima:
- Ti amo. -
****
No,
ok. No. Non posso
metterci tre mesi per scrivere un capitolo così. No. Liberi
di falcidiarmi. xD
Va bien, sono tornata ... Con un altro profilo e con la seconda parte
della
storia - ho preferito creare un'altra sezione con l'altra parte della
storia
sperando che la vediate D: - Spero di riuscire a scrivere
più spesso durante le
vacanze di Pasqua ç-ç Va beh, la smetto di
tediarvi.
Alla prossima :3
|
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Capitolo 2 *** Flickan som lekte med elden ***
Children of Bodom fanfic2
Carry me away from my pain
pt. 2
Flickan som lekte med
elden¹
I don't care if your world is
ending today,
because I wasn't invited to it anyway.
You said I tasted famous, so I drew you a heart
But I'm not an artist I'm a fucking work of art.
-Marilyn Manson, (s)Aint
Janika rimase sbigottita davanti all'espressione incerta ma sorridente
del suo interlocutore. Non era una novità, le aveva solo
confermato ciò che già sapeva. Ma sicuramente non
si
aspettava di trovarlo in quel bar, quella mattina, dopo il discorso che
le aveva fatto. Eppure era lì, accanto a lei, come se fosse
la
cosa più naturale del mondo, come se fosse ovvio; e lo era.
Ovviamente la giovane era a conoscenza dei sentimenti di Janne nei suoi
confronti e ovviamente era a conoscenza del fatto che il tastierista
stava soffrendo più di tutti per questa situazione. Ed era
solo
colpa sua. Perché proprio non riusciva a capire come un
ragazzo
potesse amarla e volerla proteggere senza volere nulla in cambio, non
riusciva a comprendere il suo amore spassionato e senza pretese; Il suo
rispetto per i suoi sentimenti e per la sua fragilità fisica
e
mentale. Semplicemente aveva sempre pensato che ognuno ha il
partner che si merita, e lei non si meritava la dolcezza di
Janne, ma il ruvido amore geloso e bramoso di Trygve. Pensava di
essersi sempre meritata la marea di botte che prendeva da lui, la forza
che usava per amarla e la violenza, tutta la violenza che le aveva
versato addosso.
Janne aveva abbassato la testa e fissava un punto indistinto sulla
tovaglia a quadretti, non stava veramente pensando a quello che aveva
appena detto, in realtà non stava pensando affatto. Le
parole
gli erano scivolate fuori dalla bocca con una naturalezza che quasi
l'aveva spaventato. In realtà non temeva le conseguenze ma i
suoi sentimenti. L'idea di andarsene, di abbandonare tutto e di
lasciare la band erano tornate ad accarezzargli la mente per poi
fuggire il più lontano possibile. Janika cercò le
parole
per rispondere, la sua voce era ancora la dolce melodia vellutata che
aveva fatto impazzire il ragazzo:
- Perché? Perché mi ami nonostante tutto quello
che ti
sto facendo passare? Perché mi ami anche se ti dico che non
ti
amo? Sei la persona più importante della mia vita, mi hai
fatto
capire la mia importanza ma, io non ti merito. Non merito il tuo amore.
Avevamo detto che non saremmo stati più che amici. E
funzionava.
Lo sai, io amo Alexi. -
L'altro annuì quasi impercettibilmente, voleva ribattere. Le
disse che non l'avrebbe lasciata andare, che non gli importava di
essere solo una seconda scelta. Avrebbe aspettato del tempo e sapeva
che prima o poi lei e Alexi si sarebbero lasciati. Perché la
ragazza aveva bisogno di sicurezza e stabilità sentimentale
e
fisica, cosa che il vocalist non sarebbe mai riuscito a darle.
In un primo momento lei pensò che si sarebbe dovuta
arrabbiare,
e urlargli di non dire queste cose perché era solo geloso di
tutto questo ma, probabilmente più di chiunque altro, sapeva
che
Janne aveva ragione. E continuava a non capire perché non si
arrabbiasse con lei, perché volesse proteggerla a tutti i
costi
e evitare di farla soffrire. Si limitò a dirgli "vederemo" e
a
uscire dal locale dopo aver pagato la consumazione che non aveva
neanche toccato.
Il tastierista la seguì, la prese per un braccio e la
fermò chiedendole se avesse voglia di andare a casa sua. No,
non
ne aveva voglia. Doveva andare a casa a fare una telefonata importante.
In meno di venti minuti Janika era di nuovo nel suo salotto, accese il
portatile e aspettò che la connessione internet desse segni
di
vita. Era ormai diventata un'abitudine da quando sua madre era via
quella di controllare le sue e-mail tutti i giorni, come se si
aspettasse che qualcuno le scrivesse qualcosa di davvero importante.
Aprì la casella delle mail e trovò una lettera da
Trygve:
"Cara Janika,
No, in realtà non mi sei affatto cara ma, in un modo o
nell'altro, dovevo aprire questa mail e ho scelto il metodo
più
usato.
Il nostro ultimo incontro è stato alquanto violento, non per
mia
scelta. Stupida ragazzina, secondo te come si sente un padre quando gli
viene detto che suo figlio è morto per un capriccio di una
bambina insolente? Male, molto male. Tu sai di esserti meritato
ciò che ti ho fatto e sai che non è finita.
Sì,
penso che ti denuncerò in tribunale per ciò che
hai
fatto. O forse non ce n'è affatto bisogno, forse il
tribunale
peggiore è quello che sta nella tua testolina vuota. Io
davvero
mi sto sforzando ma non riesco a capire come possa una madre uccidere
suo figlio. Insomma, se ti ritenevi abbastanza grande per venire a
letto con me lo eri anche per assumerti le tue
responsabilità.
Sapevi che sarei tornato e sapevi che avrei preteso mio figlio. Eppure
ti sei sbarazzata di lui, come se fosse un inutile peso per la tua
vita. Già, con un figlio a carico non ci si può
divertire, vero? Perché un bambino richiede
responsabilità
e competenza. Povero piccolo ... Possibile che tu non abbia pensato
neanche un secondo alle conseguenze? Non ti sei fatta troppi scrupoli a
sentirti Dio. In ogni caso questa e-mail te l'ho inviata solo per farti
sapere che fra di noi non ci sarà mai più nulla.
Hai
infranto tutto l'amore che provavo per te. L'hai gettato via. Non
cercarmi, non ti risponderò. Ormai è inutile. E'
Finita.
Per sempre.
A mai più rivederci,
Trygve"
Janika rimase qualche secondo a fissare lo schermo. Poi,
come a
scoppio ritardato, scoppiò a ridere. Cliccò
sull'icona
"rispondi" e scrisse solo due parole:
"Ma davvero?"
Si alzò dalla sedia e prese il telefono. Come
se dovesse davvero chiamare qualcuno. Sapeva benissimo che era stata
solo una scusa per allontanare Janne. Per stare da sola con i suoi
pensieri. La solitudine che aveva sempre temuto era ora l'unica cosa
che desiderasse davvero. Chiuse gli occhi e rimase ad ascoltare i
rumori che la circondavano: gli alberi che si scrollavano di dosso la
neve e i mobili che scricchiolavano. Sarebbe volentieri rimasta
lì, nel più totale silenzio, aspettando che la
vita le scivolasse dalle mani e facesse il suo corso senza di lei.
Avrebbe voluto guardare tutto come dagli spalti di un campo da calcio,
essere solo uno spettatore impassibile davanti a tanto scempio.
Probabilmente non le sarebbe piaciuto quello che vedeva, avrebbe voluto
chiudere gli occhi e sforzarsi di non piangere, ma poi si sarebbe fatta
coraggio, perché quella non era la sua storia. La ragazza
bionda che inscenava la tragedia non era lei. Ma avrebbe comunque
pianto, sarebbe comunque stata triste: Ma essendo consapevole che
quelli non erano fatti che la riguardavano. Sarebbe stata male solo
durante la catarsi poi, tutto sarebbe andato meglio. Ma forse lei non
avrebbe avuto tutta questa fortuna. Forse la sua vita era destinata a
essere una tragedia senza catarsi. Come quelle di Euripide che aveva
studiato quando era un'adolescente e quando la vita le sembrava tanto
semplice e bella, senza pretese e senza problemi che non si potessero
risolvere. Ovviamente prima della malattia di sua sorella, del casino
col suo ex ragazzo e prima che rimanesse incinta e conoscesse Janne ed
Alexi.
I suoi pensieri vennero interrotti dallo squillo del campanello. Lei si
gelò il sangue nelle vene. Sapeva esattamente cosa sarebbe
successo, sapeva esattamente chi avrebbe trovato dall'altro lato della
porta. Perse qualsiasi capacità di ragionare, si diresse
velocemente in cucina dove prese un coltello per il sushi, uno degli
arnesi più affilati che si potesse trovare in una cucina e
corse verso la porta d'ingresso; Guardò attraverso lo
spioncino e i suoi timori vennero confermati. Trygve. Era
lì. Con la faccia più strafottente che avesse mai
visto. Come se stesse ritornando a casa dopo una lunga giornata di
lavoro e si aspettasse di trovare la cena preparata e la moglie pronta
a dargliela. Janika nascose il coltello dietro la schiena,
aprì la porta e, sorridendogli, lo invitò a
entrare. Ovviamente era stupito di tutta quella gentilezza, non se la
sarebbe mai aspettata. Inarcò un sopracciglio e la
squadrò. Non era cambiata di una virgola. Era sempre la
solita nanetta bionda e troppo infantile. Ricambiò il
sorriso e le chiese se avesse letto la lettera. Certo che l'aveva
letta. E le dispiaceva tanto ... avrebbe voluto rimediare.
Riuscì quasi a farsi uscire una lacrima dagli occhi. Gli
disse che non era stata colpa sua, anzi lei avrebbe voluto avere questo
bambino e poterlo crescere insieme a lui una volta che fosse tornato.
Trygve la squadrò di nuovo. Quasi non riusciva a credere
alle sue orecchie. Poi Janika riprese a parlare:
- Ascolta, so di averti ferito e so che tu tenevi davvero a questo
bambino poichè era tuo figlio. Ma, come ho detto se avessi
potuto scegliere l'avrei tenuto e l'avrei cresciuto con te ma.. se
davvero vuoi che finisca così, non mi opporrò.
Lascia solo che ti dia l'ultimo abbraccio poi ognuno andrà
per la propria strada. -
Il ragazzo sembrava incerto sul da farsi. Ma era convinto delle parole
di Janika e compiaciuto del fatto che stesse tornando da lui
strisciando come un verme, esattamente come aveva sempre desiderato. Si
avvicinò a lei e le tese le braccia, lasciando che la
giovane le venisse in contro, le cinse le spalle con le braccia e
Janika prese il coltello che aveva infilato nei pantaloni,
allargò le braccia e si strinse a lui, conficcandogli la
lama nella schiena. Lui gemette e strinse più forte la
ragazza, come se tentasse di soffocarla, inconscio del fatto che
così facendo l'arnese andava più a fondo scavando
nella ferita. Janika estrasse il coltello e diede un calcio a Trygve
che cadde a terra, macchiando il tappeto di sangue, era completamente
privo di forze. Finalmente la giovane riusciva a sentire la forza nelle
sue mani, la vista le si annebbiò e in pochi secondi si
ritrovò sopra il corpo del ragazzo sferrandogli colpi al
petto prima col coltello poi a mani nude. Lui sputò un
fiotto di sangue misto a saliva e esalò il suo ultimo
respiro. Janika si alzò e si guardò le mani
intrise del liquido scarlatto, sentì le lacrime rigarle il
volto e cadde sulle ginocchia, come se qualcuno le avesse tirato un
colpo alla schiena, vide la sua faccia riflessa nel sangue sul
pavimento e inorridì. Cercò di alzarsi senza
successo e si ritrovò sdraiata a terra piangendo e fissando
il cadavere di fianco a lei.
****
Come promesso in poco tempo
sono riuscita ad aggiornare. Penso che tutto questo si commenti da solo.
Alla prossima e grazie a tutti.
N.d.a.: ¹= "La ragazza che giocava con il fuoco". Anche questo
è svedese ed è il titolo originale dell'omonimo
libro di Stieg Larsson.
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Capitolo 3 *** Yhden aikauden loppua ***
Children of bodom fanfiction 3
Carry me away from
my pain
Yhden aikauden loppua
L'avvocato dell'accusa si alzò quando il giudice ebbe finito
di
parlare. Tutto gli sembrava fin troppo facile, il cadavere era stato
trovato vicino all'arma del delitto e, stranamente, vicino al
carnefice.
La ragazza, tuttavia sembrava terrorizzata, nonostante il suo difensore
continuasse a ribadire che fosse stata solo legittima difesa, lei se ne
stava lì, seduta su quella sedia. Fissava il vuoto e
sembrava
non essere presente in aula. In ogni caso ne aveva viste tante di
scenate e probabilmente anche l'affarino biondo stralunato stava solo
cercando di ottenere l'inanità mentale.
Chiese di poter porre alcune domande alla ragazza che venne scortata al
banco degli imputati. Conosceva l'uomo che aveva ucciso?
Sì, era il suo ex ragazzo, era tornato qualche giorno prima
dalla Norvegia e continuava a darle il tormento. Quale parte della
Norvegia? Oslo.
Il giudice aveva sorriso sotto i baffi. Praticamente tutta l'aula
sosteneva il conflitto che divideva Finlandia e Norvegia, e
probabilmente solo questo avrebbe fatto cambiare opinione alla giuria.
Ma come capo d'accusa essere di un'altra regione scandinava non
reggeva.
Era emerso da alcune mail scambiate nelle ore precedenti che fra i due
c'era un bambino, era vero? Sì, lei era rimasta incinta ma
aveva
abortito nel terzo mese di gravidanza. Avevano avuto rapporti da quando
lui era tornato?
La difesa si alzò affermando la sua obbiezione, non era
fondamentale per il processo. Il giudice la accolse.
L'accusa si schiarì la voce e continuò con le
domande,
stava cercando un punto debole nelle dichiarazioni fornite da lei in
precedenza. Aveva detto di aver ucciso l'uomo per autodifesa, con un
coltello da sushi? Sì, era l'arma più vicina che
aveva
trovato, non avrebbe voluto ucciderlo, era stata costretta. Costretta
da qualcuno? Costretta dalle circostanze, qualche giorno prima gli era
piombato in casa e l'aveva riempita di botte e l'avrebbe fatto una
seconda volta se lei non si fosse difesa.
Janika parlava con un filo di voce, tanto che il giudice continuava a
chiederle di ripetere la risposta. In realtà non era triste,
non
si sentiva in colpa. Per la prima volta nella sua vita era fiera di
quello che aveva fatto. L'avvocato che la stava interrogando era stato
pagato dalla madre di Trygve, un'arcigna vecchietta che aveva sempre
odiato, e
dalla nuova fidanzata che se ne stava seduta con un fazzoletto in mano
e il capo velato di nero, come se non fosse una tradizione morta secoli
prima.
Tutto questo le faceva ridere. Era accusata di aver ucciso un
uomo che l'aveva quasi ammazzata di botte. Ma forse, se non fosse stata
così avventata, avrebbe potuto denunciarlo lei e invertire
tutta
la situazione. Si era presentato dicendo di essere cambiato ma l'unica
cosa che era cambiata in lui era la facciata. Incrociò lo
sguardo di Janne, che l'aveva trovata ancora sdraiata a terra e coperta
di sangue, che le aveva detto di chiamare la polizia e che avrebbe
fatto di tutto per dichiarare l'autodifesa, gli sorrise, lui
ricambiò dolcemente. Ma dov'era Alexi? Era stato dimesso
dall'ospedale il giorno prima, sapeva dell'udienza e le aveva promesso
che ci sarebbe stato per darle il suo appoggio eppure la sedia accanto
a Janne era vuota. Probabilmente era arrivato in ritardo e non
l'avevano fatto entrare e ora era seduto sulle scale del tribunale
bestemmiando come un matto. Fissò negli occhi l'uomo che le
rivolgeva l'ultima domanda. Quante altre volte era stata picchiata? Non
lo sapeva di preciso, ma aveva deciso di non denunciarlo per paura.
La ragazza poté sedersi di nuovo al suo posto e il giudice
si ritirò insieme alla giuria per deliberare.
La sentenza fu emessa dopo un'ora. Il magistrato si sedette sulla
grande sedia e chiamò il silenzio in aula. Si
schiarì la voce e
sistemò i fogli che aveva in mano, iniziò a
parlare
lentamente:
- In vista dei fatti esposti e delle considerazioni fatte dalla giuria,
la signorina Janika Veera Virtanen viene assolta dall'accusa di
omicidio intenzionale e premeditato. Infatti si è preso atto
delle circostanze in cui si trovava la giovane e le viene quindi
concesso il diritto di autodifesa. Con la presente, dichiaro concluso
il processo. -
Questa era stata la terza udienza nel giro di pochi giorni. In poche
settimane era stata accusata e poi assolta ma, finalmente, il processo
era concluso. Janika era libera. Ma libera da cosa? Aveva pur sempre
ucciso un uomo. Non sarebbe andata in galera, non avrebbe passato il
resto della sua vita dietro le sbarre ma non riusciva a sentire la
sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato e si sentiva quasi in
colpa per questo. Eppure nulla, ripensava continuamente a quel giorno
ma l'unica sensazione che le provocava il ricordo del sangue lucido sul
pavimento era il piacere più assoluto. Si sentiva
più
forte. Nessuno l'aveva aiutata, era riuscita a fermare la persona che
tanto odiava da sola, con le sue mani. La soddisfazione di conficcare
il coltello nella carne, lacerare la pelle e i muscoli, rigirarlo
vedendo il liquido rosso colarle sulle mani. L'aveva ammazzato come si
ammazza una bestia. E non se ne pentiva. Desiderava, invece, provare di
nuovo quell'emozione. Vendetta. Contro tutti quelli che le avevano
fatto del male. La Vendetta era l'unica cosa che desiderava.
Uscì dall'aula insieme a Janne, tenendolo per mano e
cercando
Alexi fra la folla. Ma di lui non si vedeva nemmeno l'ombra. Janika si
voltò verso il ragazzo che le stava accanto e gli chiese se
per
caso sapesse qualcosa, il tastierista abbasso la testa cercando di non
incrociare il suo sguardo e sibilò un no. La giovane gli
strinse
più forte la mano ripetendo la domanda, Janne si arrese:
- Ok, ma poi non prendertela. Ieri è uscito dall'ospedale e
pensava che tu lo saresti andato a prendere ma tu eri impegnata con
l'avvocato quindi si è incazzato di brutto, ha preso e si
è chiuso in un bar. E' tornato alle tre di stamattina con
....
ecco Janika vedi, era tanto arrabbiato e probabilmente molto ubriaco
e.. -
La ragazza lo fulminò con lo sguardo intimandogli di dirle
con
"cosa" fosse tornato a casa il Suo ragazzo. L'altro
finì
la frase:
- Ecco.. era con una ragazza. Credo che l'abbia conosciuta al bar. -
Lei lasciò la mano del suo accompagnatore e restò
qualche
secondo nell'apatia totale. Senza sapere cosa una persona qualsiasi
avrebbe fatto in una situazione simile. E in quel momento, in quel
preciso istante, Janika lo capì. Capì di essere
sola. Di
esserlo sempre stata. E che la situazione non sarebbe cambiata. Vide
Janne molto più dispiaciuto di lei e intuì i suoi
sentimenti. La amava.
Janika Veera Virtanen. Ma chi era davvero? In pochi mesi le erano
successe tante di quelle cose da poterci fare un film. Eppure lei
cercava solo un po' di stabilità, voleva poter tornare a
casa di sera e avere un posto sicuro, un viso familiare e
quell'atmosfera calda che tanto le mancavano; ricordava gli anni
dell'adolescenza, tutti i giorni giurava che se ne sarebbe andata,
mentre ora, tutto quello che desiderava era poter tornare. Ma dove? Era
mai stata davvero felice? Sì. Ma gli unici momenti che
ricordava con felicità e tenerezza erano quelli passati con
Janne.
Alzò lo sguardo cercando il volto del ragazzo accanto a lei,
incontrò il suo sguardo e lo sostenne per qualche secondo,
lasciando che si perdesse nel vuoto dei suoi occhi, avvicinò
le labbra alle sue dovendo alzarsi in punta di piedi. L'altro le cinse
la vita con le mani e lasciò che le loro lingue si
incontrassero. Janika si staccò da lui dopo qualche secondo
e gli sussurrò ad un orecchio:
- Ti amo. -
****
Questo capitolo doveva
essere pubblicato il giorno del compleanno di Alexi e rimandando il
giorno di quello di Janne. Ok, direi che con la tempistica non ci sono
xD In ogni caso tra un po' arriva l'estate e spero di riuscire a
scrivere più in fretta ... Grazie di nuovo a tutti ^^
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Capitolo 4 *** Valta. ***
children of bodom fanfiction4
Carry me away from my pain
Valta.
"Life is flesh on bone
convulsing above the ground."
-the begotten
Janika si svegliò avvolta dalle coperte e appoggiata al
petto di
Janne. Si guardò intorno, era in camera sua, nulla sembrava
cambiato più di tanto nelle ultime settimane. La libreria
stracolma delle opere dei più famosi autori europei e
sranieri
troneggiava sempre di fianco alla scrivania di betulla su cui erano
sparpagliati gli ultimi resoconti e i vari documenti; i quadri e le
foto incorniciate di quando era adolescente stavano sempre appese alle
pareti come per ricordarle che un tempo, forse troppo lontano, anche
lei era stata felice. Eppure lei si sentiva cambiata. Sicuramente dal
punto di vista fisico: il suo viso risultava più scarno ed
emaciato, le labbra avevano un colore più spento e due
perenni
occhiaie le circondavano gli occhi opachi, inoltre era dimagrita
visibilmente; ora le costole le si intravedevano sotto qualsiasi
maglietta appena aderente e le clavicole sporgevano imperativamente
dalla scollatura ma, nonostante tutto, continuava ad avere quel fascino
da angelo indifeso che aveva stregato ben due ragazzi nel giro di poco
tempo. Cercò di liberarsi dalla presa del tastierista e, non
riuscendoci, dopo pochi tentativi si arrese. Restò qualche
secondo a fissare il volto del ragazzo che dormiva beato,
iniziò
ad accarezzargli dolcemente i lunghi capelli e si mise a pensare.
Dopotutto, cosa le rimaneva se non la consolazione nel rimpianto? Nel
rimorso, probabilmente, e nell'odio cieco.
Alexi l'aveva tradita, di
questo ne era sicura. Certamente non si era portato a casa una ragazza
per giocarci a poker, eppure si sentiva in colpa. Sapeva che alla fine
tutto quanto era successo a causa sua. Ma ormai era tardi. Piangere sul
latte versato non l'avrebbe sicuramente aiutata a risolvere la
situazione. Per la prima volta dopo molto tempo aveva deciso di
smetterla di autocommiserarsi e di iniziare a pensare che c'era un
mondo al di fuori di lei e del suo ego. Si liberò dalla
presa
del tastierista senza provocare troppi danni al suo sonno e si
alzò in piedi; era vestita, esattamente come il giorno prima
quando era uscita dal processo, urtò con il piede la
bottiglia
di birra vuota sul pavimento e si chiese come, mezza ubriaca e con il
ragazzo che amava, fosse riuscita a tenersi i vestiti addosso. Comunque
non se ne preoccupò troppo pensando all'immagine di Janne
che la
appoggiava dolcemente fra le coperte e a lei che ci si avvinghiava
immaginando di trovarsi in chissà quale luogo.
Scese in fretta le scale e si guardò intorno per qualche
secondo. L'aveva fatto una volta, questa non sarebbe stata molto
diversa. Ripensò alla piacevole sensazione provata in fondo
allo
stomaco, come se avesse vinto una gara o come quando, da bambina,
riusciva a imporsi sugli altri coetanei. Potere. Ma non potere comune,
quello che poteva avere il proprietario di un'azienda o la regina
d'Inghilterra. Un potere più grande. Un potere che nessuno
le
aveva conferito, se l'era preso da sola. Con le sue mani. E con quelle
stesse mani si era sentita Dio. Ma chi è Dio? Alla fine se
l'Onnipotente non ha il Potere di fermare una ragazza con un coltello o
un uomo violento, perché viene definito così?
Janika
sorrise pensando a quella strana figura: un vecchio con la barba
bianca. Un vecchio che ha creato dei mostri sul quale ha perso il
controllo. Quindi l'Uomo è riuscito a superare Dio.
Perciò basta
un oggetto per diventare come lui, per interrompere il suo progetto
divino. E Janika faceva parte di quel club sempre più
numeroso
di persone speciali che avevano ottenuto la magnificenza. Il potere di
Dio deriva dall'elevazione umana della sua figura, senza gli Uomini lui
non ne avrebbe. Quello della giovane e di tutte le persone come lei,
derivava da una presa di posizione. Una decisione, se questa fosse
giusta o sbagliata a nessuno importava. Janika era il nuovo Dio.
Si diresse in cucina e aprì il cassetto della credenza;
questa
volta si sarebbe organizzata, non avrebbe lasciato nulla al caso.
Dopotutto si sarebbe ritrovata in minoranza, due contro uno. Ma,
conoscendo Alexi, la ragazza che si era portato a casa doveva essere
una giovane spaurita e presa da chissà quale fondo di
un'insignificante birreria. Forse lei non sarebbe stato un grande
problema, ma lui sì. La prima volta aveva ucciso un uomo che
odiava, perché l'aveva maltrattata moltissime volte, mentre
ora
si ritrovava a fronteggiare i suoi sentimenti. Ma quelli non le
importavano. In realtà quello che temeva, e che sapeva si
sarebbe verficato, era la fine dei Children of Bodom. Alexi Laiho non
era solo un uomo. Lui era un icona, un simbolo, qualcuno che non poteva
semplicemente morire. Eppure lei aveva questo potere, lei poteva
decretare la fine di un idolo a cui si erano ispirati un sacco di
adolescenti. Era lì, stringeva un coltello da macellaio
nella
mano destra e si sentiva potente. Provava di nuovo quella sensazione e
assaporava il gusto della morte.
Ma c'era qualcuno fra lei e tutto il suo potere. Janne. Stava in piedi
sull'ingresso della stanza e fissava impaurito la giovane. Non sapeva
esattamente se le sue paure fossero reali ma, ne era certo, stava per
uccidere ancora. Ma chi? Lui? No. molto più probabilmente
Alexi
e la ragazza con cui l'aveva tradita. Perchè? L'omicidio non
era
sicuramente l'unica soluzione a questo tipo di problemi. Uccidere Trgve
era stato davvero un gesto di difesa, un modo per evitare una nuova
persecuzione, ma pur sempre un gesto estremo.
Il tastierista si avvicinò lentamente a lei e
sussurò piano:
- Ja..Janika, cosa stai facendo..?-
La giovane sussultò e il suo cuore iniziò a
battere
all'impazzata. Non ci aveva pensato. Lui l'avebbe fermata, se non
fisicamente almeno psicologicamente, perché Alexi era il suo
migliore amico e, pur avendo il potere di farlo, non avrebbe mai
separato Janne e l'unica persona a cui teneva davvero.
Cercò di sorridere piano riponendo il coltello dove l'aveva
trovato. Sentiva le lacrime rigarle il viso, si voltò verso
il
ragazzo e lo fissò negli occhi, scrutandogli l'anima. Scosse
la
testa come per scacciare tutti i suoi pensieri e rispose:
- Nulla. Ero solo qui ... tu dormivi e non volevo svegliarti-
Janne ebbe l'impulso di abbracciarla e non riuscì a
trattenersi,
la strinse con tutta la forza che aveva accarezzandole la schiena,
cercando di calmare i singhiozzi che diventavano sempre più
forti. In realtà nessuno dei due capiva davvero
cosa
stesse succedendo, semplicemente come moltissime altre volte erano
abbracciati. Janika sentiva il cuore batterle forte e delle tremende
fitte al petto e quell'orribile sensazione allo stomaco, si sentiva
tradita e insultata; ma sopratutto sapeva che non avrebbe potuto fare
nulla per porre rimedio alla situazione. Per Alexi quella ragazza non
doveva significare nulla ma, dopotutto, la facilità con cui
l'aveva tradita era la dimostrazione che nemmeno Janika significava
molto.
Janne dopo averla calmata le sussurrò piano all'orecchio:
- Tranquilla ... Alexi è fatto così, agisce prima
di
pensare. E non pensava che ti avrebbe ferita. Lo sai, vedrai che si
sistemerà tutto. Si sentirà in colpa,
telefonerà e
ti chiederà scusa. -
La voce calda e rassicurante del ragazzo riuscì a convincere
Janika che si strinse più saldamente a lui ringraziandolo
piano:
- Kiitos, Janne-
L'altro sorrise piano e rispose a bassa voce:
- Ole hyvä ...Sai che sono qui per te, non ho intenzione di
abbandonarti. Io ... io non posso farlo. Lo so che sembra stupido, noi
in realtà ci conosciamo davvero da poco ma, sei tutto. Non
potrei
lasciarti sola, mai. E' strano, ma sento il bisogno di proteggerti. -
Janika pensò che dopotutto non aveva tutti i torti, non era
riuscito ad allontanarsi da lei nemmeno quando avrebbe dovuto. E ora
erano lì. Abbracciati. Come eternamente uniti in quella
stretta.
Il campanello trillò distoglendoli dai loro pensieri, i due
si
guardarono scambiandosi un'occhiata complice. Janne aveva ragione. Si
diressero insieme verso la porta e il giovane la aprì.
Esattamente come si aspettavano, Alexi era in piedi davanti a loro. Gli
occhi arrossati e il viso stanco, sembrava stremato, come se fosse
appena tornato da una gita di un mese nel deserto. L'amico gli sorrise
e gli fece cenno di entrare. Lo sguardo di Alexi si illuminò
quando vide la giovane seduta sul divano qualche metro più
in
là, guardando verso di lui a braccia conserte. Si sedette
sulla
poltrona lì di fianco e cercò invano di sostenere
il suo
sguardo. Era arrabbiato, si era ritrovato fuori dall'ospedale da solo.
Ma poco dopo, una volta tornato a casa, si era ricordato del processo e
del fatto che Janika doveva aver avuto qualche impegno irrevocabile. Si
sentiva un verme. Aveva tradito la ragazza che amava e sbattuto fuori
casa una che nemmeno conosceva dopo essersela portata a letto. Era
imperdonabile. Eppure ora era lì, a testa bassa. Per la
prima
volta dopo tantissimo tempo era di nuovo a testa bassa. Aveva pensato
che il successo e l'essere diventato Wildchild non l'avrebbero mai
più ridotto così. Eppure lei aveva questo potere.
Lei
poteva farlo tornare bambino e fargli implorare pietà. Alexi
aveva inesorabilmente bisogno di Janika.
Stava cercando le parole, ma l'altra lo precedette:
- Apprezzo il solo fatto che tu sia qui. Una telefonata mi avrebbe
fatta decisamente incazzare. -
Il vocalist alzò lo sguardo e incontrò di nuovo i
suoi
occhi di ghiaccio. Sapeva esattamente cosa avrebbe dovuto dire eppure
quella parola era bloccata nell'esofago e sembrava non voler uscire,
come se quella parola avesse potuto uccidere la sua
virilità. Ma
trovò il coraggio di sputarla fuori:
- Anteeksi Janika. Io.. non so cosa mi fosse preso. Probabilmente mi
vorrai lasciare e posso capirlo. Ma, ti prego, permettimi di poterti
restare vicino. Almeno come amico, ma ti prego ... Ti sto chiedendo
scusa, ti prego, perdonami. -
La ragazza si alzò e si sedette di fianco a lui, sul
bracciolo della poltrona e gli accarezzò i capelli:
- Penso che dovremmo parlarne. Non voglio allontanarmi da te del tutto,
penso solo che avremmo bisogno di un momento di pausa. -
Alexi annuì. E tornò a fissarla, stavolta
riuscì a guardarla negli occhi e le sorrise piano. Non era
una totale vittoria, avrebbe voluto essere perdonato del tutto, ma
capiva che quella ragazza, la Sua ragazza, aveva bisogno di tutto meno
che di un'altra ferita al cuore. La amava, in realtà l'aveva
sempre fatto, ma in un modo quasi perverso e malato. Era un amore
possessivo, qualcosa che cresceva da dentro e che portava a vadere
Janika solo al suo fianco. Ma, dopotutto, era sempre stato l'unico
modello di amore conosceva. Tutte le ragazze che si era portato a
letto, persino Kimberly, erano state semplicemente un'avventura e nulla
di più. Con Janika era diverso. Ogni secondo passato con lei
lo rendeva felice e non gli importava di sembrare uno stupido
adolescente quando la prendeva in braccio in mezzo alla folla e le
baciava le morbide labbra rosee, era semplicemente tutto quello che un
ragazzo potesse desiderare. Ma, in realtà, nel
profondo del suo cuore sapeva. Sapeva esattamente perché
bramava in modo così ossessivo Janika: non era poi
così difficile capirlo. Janika non era sua. Non gli era mai
davvero appartenuta, il cuore della giovane era sempre stato nelle mani
di Janne e non nelle sue. Quindi ora si ritrovava innamorata di una
ragazza che amava il suo migliore amico e, quasi sicuramente, il suo
migliore amico ricambiava.
"Bella merda" si limitò a pensare Alexi prima di alzarsi e
andare in cucina a prendere una Heineken in frigorifero.
****
Ommioddio. Questo capitolo
è davvero finito? O_O più che non trovare
ispirazione per scrivere il problema è che ci ho messo un
mese a scriverlo. xD E' già Luglio e io contavo di scrivere
molto di più.
Anyway, questo è quanto :) Grazie di nuovo a tutti per la
vostra paz... attenzione nel seguire il mio delirio programmato.
Al prossimo capitolo
PersephoneNebel_
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Capitolo 5 *** Hirmumyrsky ***
Children of bodom ff5
Carry me away from my pain
Hirmumyrsky
This was never my world ,
you took the angel away
I'd kill myself to make everybody pay
Era notte fonda quando Janika si trovò seduta sulla poltrona
del
salotto a fissare la porta d'ingresso. Tutto quello che aveva sentito
era stata una forte fitta al petto prima della telefonata della madre
che le aveva annunciato la morte della sorella. Se l'era sentito
dentro, come se avesse sentito l'ultimo respiro esalato dal fragile
corpo della piccola, era stato tutto inutile. Non volle,
però,
fermarsi a pensare su quanto potesse essere giusto morire in
un'età così prematura. La risposta era comunque
troppo
ovvia. Non ebbe nemmeno l'impulso di entrare nella camera in cui
avevano trascorso insieme molto tempo a parlare di quando sarebbe
guarita e di tutte le cose che avrebbero potuto fare insieme. Tutto
quello che volle fare fu sedersi sulla grande poltrona che aveva il
profumo di sua madre; una leggera fragranza di fiori le penetrava nel
naso ricordandole tutti i bei momenti trascorsi in famiglia, prima
della malattia della sorella, quando tutti riuscivano a sorridere
davvero. Perché sia lei che la madre, ma sicuramente anche
la
sorella, sapevano che da quel momento i sorrisi erano diventati falsi,
di compassione, speranzosi forse ma comunque non sinceri. Janika
pensò all'inutile guerra silenziosa instaurata fra Janne e
Alexi
che, nonostante tutto, fingevano ancora una profonda amicizia, ma forse
era proprio così, forse gli eventi non li avevano toccati
minimamente, il tentato suicidio del vocalist poteva essere stato
causato da mille altri fattori che non fossero lei. Si sentì
sola. Sola nel dolore per la perdita della sorella, sola
perché
da sola aveva ucciso un uomo, sola perché solo lei aveva
provato
piacere nel farlo. Ma sopratutto si sentì lontana. Lontana
dal
mondo e da tutto quello che la circondava. La poltrona non era una
poltrona ma sua madre, la porta era il suo ex ragazzo e casa sua era
una scatola dei ricordi, ma al contrario delle normali scatole dei
ricordi nella sua vi si potevano trovare molti ricordi spiacevoli,
molte liti inutili, molte foto che avrebbe voluto stracciare.
Nonostante tutto l'universo continuava a espandersi, il tempo andava
avanti e le tazzine rotte non si ricomponevano. Janika sapeva
però che la sorellina sarebbe vissuta per sempre dentro di
lei,
perché nonostante i capricci di un Dio impotente Janika
l'avrebbe sempre ricordata con affetto, non con quella tremenda
tristezza che l'avrebbe fatta soffrire; non avrebbe ricordato i giorni
della malattia o la telefonata della madre, ma quando stava accanto a
lei ascoltando le note che uscivano fluide dal pianoforte o quando
insieme avevano visitato la Lapponia, così facendo, in un
certo
senso, la piccola sarebbe guarita e avrebbe vissuto una vita lunga e
felice insieme alla sorella maggiore che, in ogni caso, le sarebbe
sempre stata vicino.
Janne, al piano di sopra, aveva sentito il telefono squillare e le
parole sussurrate di Janika e aveva capito. Sapeva che quel momento
sarebbe arrivato e avrebbe voluto che la ragazza si infilasse di nuovo
sotto le coperte, che si stringesse al suo petto e che si sfogasse
invece si era limitata a scendere in soggiorno e a non tornare.
Più lontana che mai. Lontana dalle sue braccia e lontana dal
suo
cuore.
Ricordò quando l'aveva incontrata la prima volta, aveva
subito
capito tutto di lei nonostante alcune stanze della sua mente gli
rimanevano oscure e inesplorate. Continuava a chiedersi come
quell'angelo biondo avesse potuto uccidere, sapeva benissimo che dopo
quel giorno tutto era cambiato ma non voleva ammetterlo. Più
volte le aveva detto che non sarebbe riuscito a vivere senza di lei
eppure ora si sentiva estraneo a qualsiasi suo pensiero. Si
paragonò con lei. Janne aveva avuto tutto dalla vita, i
soldi,
la fama, buoni amici e l'amore di una famiglia che era sempre pronto ad
accoglierlo a braccia aperte mentre Janika non aveva avuto nulla di
tutto questo. Pensò a lei unicamente come il prodotto di una
famiglia disfunzionale, rotta da litigi e tristezza, l'amore che le era
stato negato su tutti i fronti non le permetteva di vedere le cose
obbiettivamente ed era come se sapesse che in ogni caso sarebbe andata
male. Ma quello che più lo preoccupava era il silenzio.
Nessun
singhiozzo, nessun pianto. Solo un gelido silenzio in un castello di
carte pronto a cadere al primo alito di vento.
Si alzò dal letto e scese piano i gradini, la
trovò
seduta in soggiorno, lo sguardo fisso e la mente altrove. Si sedette
sul divano e aspettò.
La ragazza voltò piano la testa e posò gli occhi
sul
tastierista che sentì un brivido lungo la schiena, non
parlava.
Sembrava una bambola di porcellana con gli occhi troppo profondi. Nella
penombra della notte tutto sembrava sospeso, nemmeno gli animali
notturni osavano rompere quel silenzio.
- Devi andare via, Janne.-
Il ragazzo scrutò la giovane chiedendosi se intendesse via
di
casa o via dalla stanza, ma non osò chiederlo. Si
avvicinò a lei e le strinse il viso contro al petto
cullandola
dolcemente ma lei lo respinse:
-Janne.. devi andare via-
Questa volta trovò il coraggio di chiedere il
perché ma
lei si limitò a fissarlo negli occhi. La voce di Janika
suonava
come un lamento, troppo infantile per essere la sua, quasi come se
fosse un capriccio. Chiuse piano gli occhi e si strinse a Janne:
- Ma se vuoi puoi rimanere... -
E ecco le lacrime. Il tastierista si chinò a baciarle la
testa
continuando a cullarla. Finalmente tutto andava come doveva andare, era
rassicurante sapere che da qualche parte anche lei aveva conservato un
briciolo di umanità, qualcosa che lasciasse intendere il suo
bisogno di affetto che per molto tempo aveva represso e lasciato in
fondo al cuore.
Janne le sussurrò dolcemente una ninna nanna finnica, che
parlava di un uomo di neve e di un bambino che sognava. Janika
scoppiò in un pianto più forte che
sovrastò la
musica leggera ma lui riuscì a calmarla e la prese in
braccio
portandola a letto dove tutto tornò come prima.
Janne sdraiato con il lenzuolo a metà busto e Janika con il
viso sul suo petto.
Tutto era tornato normale ma nulla sarebbe tornato indietro. Per quanto
entrambi potessero illudersi la tazzina rimaneva rotta, i cocci sul
pavimento non si sarebbero mai ricomposti per tornare sul tavolo.
****
Per capire questo capitolo
penso sia
necessario sapere, almeno a grandi linee, la teoria di Stephen Hawking,
lo scienziato era stato convinto un tempo che l'universo avrebbe smesso
di espandersi per contrarsi di nuovo e che l'entropia potesse invertire
il tempo. Qui nasce l'esempio più comune, quello della
tazzina.
Si suppone infatti che una tazzina rotta possa ricomporsi e tornare sul
tavolo da cui è caduta se il tempo si invertisse.
Grazie di nuovo a tutti,
PersephoneNebel_
|
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Capitolo 6 *** Lilja's Lament ***
Children of Bodom fanfiction6
Lilja's lament
I
would have told her that she was the only thing
that
I could love in this dying world
Lilja Turiekku non aveva avuto una vita facile. Fin da bambina aveva
dovuto lottare per tutto; era stata cresciuta da suo padre
perché la madre se n'era andata quando lei era molto
piccola, ma
non le era mai dispiaciuto in realtà se non fosse che viveva
inseme ad altri tre fratelli più grandi e il papà
era
solo un povero operaio che riusciva appena a sbarcare il lunario fra
bollette e affitto. Così non aveva potuto frequentare
un'università né un liceo come avrebbe voluto, e
all'età di appena sedici anni era andata a lavorare in una
piccola merceria che in ogni caso non le permetteva grandi aspettative
di vita. La vera svolta, forse l'unica nota positiva della sua vita,
era avvenuta quando in un soleggiato pomeriggio di fine agosto aveva
fatto capolino nel negozio un giovane che veniva da Tampere. Disse di
chiamarsi Teemu e cercava invano qualcuno che potesse aiutarlo a
trovare il centro di Helsinki e un certo bar che era chiuso da troppo
tempo perché qualcuno si ricordasse anche solo il nome.
All'inizio le era sembrato strano, alto e allampanato con la sua
carnagione sbiadita e i capelli che sembravano piccole pagliuzze di
fieno tagliate alla militare e con gli enormi occhi grigi screziati di
viola ... effettivamente, aveva pensato Lilja, sembrava un po' un
ranocchio. Sarebbe rimasto in città per qualche giorno dato
che
i suoi genitori avevano importanti affari di lavoro da svolgere, e
voleva assolutamente visitare Helsinki, ma il suo problema -disse- era
che non aveva una guida e non poteva godersi gli angoli più
suggestivi. La giovane fu molto contenta di poter frequentare il
ragazzo dai capelli biondi e si mise subito all'opera.
Pochi giorni dopo i due erano diventati molto amici ma, purtroppo, lui
doveva tornare a Tampere poiché i suoi genitori avevano
concluso
le contrattazioni. Tuttavia i due non persero definitivamente i
contatti, una o due volte al mese si scrivevano potendo così
rafforzare il loro legame di amicizia. Si innamorarono veramente quando
anche il padre le venne a mancare; infatti, saputa la notizia, Teemu
trovò il modo di tornare a Helsinki e riuscì ad
aiutare
sia economicamente che psicologicamente la povera Lilja che
riuscì a frequentare un liceo e a ottenere un diploma che le
sarebbe servito per poter lavorare come segretaria in un'azienda di
trasporti. Raggiunse il culmine della felicità quando il
giovane
le chiese di sposarla e quando, non molto tempo dopo, era rimasta
incinta di due gemelli; entusiasta della notizia iniziò a
leggere libri su libri che le spiegavano come evitare di perdere i
bambini, cosa che comunque accadde nella metà del secondo
mese.
Oltre al dispiacere si aggiunse anche la preoccupazione di non poter
più avere bambini. Ma, fortunatamente, dopo infinite ore di
cure
costosissime era riuscita a rimanere nuovamente incinta di una bambina
che sarebbe nata in ottime condizioni di salute nove mesi esatti dopo.
La piccola, a cui diedero il nome di Janika in onore della nonna
materna di Temuu, era molto legata a entrambi i genitori e non faceva
mai mancar loro il suo affetto ricambiato pienamente. Il padre pochi
anni dopo aveva ereditato l'attività di famiglia
incrementandone
i guadagni e permettendo a sua figlia di vivere un'infanzia
più
che felice; nonostante l'apparente felicità Lilja prevedeva
un'imminente disastro così, come per assicurarsi il futuro,
aveva iniziato a mettere da parte dei risparmi che apparentemente
sarebbero serviti a pagare l'università di Janika. Quando
questa
diventò adolescente ricevette la notizia che la madre
aspettava
una sorellina e, felicissima di ciò, iniziò a
cercare
tutti i suoi vecchi giocattoli che sarebbero potuti andare bene anche
per la nuova arrivata. Ma non fu dello stesso avviso Temuu che,
stressato da infinite ore di lavoro, si era chiuso in se stesso e aveva
iniziato a essere più burbero e scontroso sopratutto
perché, accecato dall'avidità, aveva constatato
che una
nuova persona in famiglia indicava una nuova bocca da sfamare.
La piccola non fu mai benvoluta dal padre e veniva costantemente
emarginata e rilegata in camera sua in una perenne punizione per
qualsiasi cosa facesse. Pochi anni dopo si ammalò di
leucemia.
La malattia la costrinse a letto per molti giorni consecutivi e a
moltissime visite e cure in ospedale che sembravano non portare a
niente. Intanto Janika aveva interrotto gli studi per permettere alla
madre di lavorare e per prendersi cura della sorellina; le cure erano
costose e molto spesso riducevano tutta la famiglia a un silenzio
agonizzante che sembrava implorare pietà. Proprio in quel
periodo, giusto per non lasciare il danno senza la beffa, Temuu decise
di chiedere il divorzio e di tornare a vivere a Tampere dove,
all'insaputa di tutti, si era già fatto una nuova famiglia
con
una donna più giovane di vent'anni e che aspettava un figlio
maschio, che era sempre stato il suo grande desiderio. Ma la
perdita sembrò toccare solo lontanamente Lilja, come se
tutto stesse accadendo al personaggio di una qualche serie tv
argentina, che continuò a lottare insieme alle figlie per
sconfiggere quel brutto male.
Come un principe su un cavallo bianco era
arrivato dalla Norvegia un ragazzo che sembrava essersi perdutamente
innamorato della giovane Janika: Trugve, che non appoggiava i
conflitti fra le regioni scandinave, decise di prendere sotto la sua
ala protettiva la ragazza essendo perfino disposto a pagare le cure
alla sorellina. Ma molto presto la maschera cadde. Una sera Janika era
rientrata a casa più tardi del solito, sembrava sconvolta e
disorientata, appena la vide la madre si allarmò e la
portò al pronto soccorso. Infatti un grosso livido
troneggiava
sulla sua guancia sinistra e il labbro superiore era completamente
tumefatto. Ma quella fu solo il primo di molti altri episodi simili che
portarono Lilja all'ovvia conclusione: Trugve, molto più che
probabilmente, picchiava sua figlia. Janika tuttavia era pienamente
consapevole che lui era l'unico che potesse pagare le cure della
sorella e quindi non lo accusò mai, arrivando perfino a
difenderlo e accusando se stessa di sbadataggine.
E ora, dopo aver visto la figlia maggiore uccidere un uomo, assisteva
inerme al funerale della minore. Una piccola bara bianca veniva portata
verso la fossa scavata nel terreno. Lilja pregava. Come quando da
piccola si sedeva attorno al vecchio tavolo di legno insieme ai suoi
fratelli per ringraziare del cibo ricevuto. Ma tutto quello che
chiedeva in quella gelida giornata era di essere scambiata con la
figlia; avrebbe tanto voluto trovarsi nella bara ed ascoltare il
silenzio religioso delle poche persone, ma Dio era stato crudele
un'ennesima volta e le aveva portato via anche il suo più
prezioso tesoro, tutto ciò che le era rimasto. Accanto a lei
Janika stringeva la mano di Janne, in realtà non aveva
capito
cosa fosse successo durante la sua assenza ma a quanto pareva doveva
aver litigato con l'amico del fidanzato che si trovava poco
più
indietro assieme al resto della band. Al contrario della madre la
giovane non riusciva a trattenere le lacrime. Entrambe speravano in una
fine alla Misery, speravano in una miracolosa
resurrezione che restituisse loro la piccola ma sapevano nel profondo
del loro animo che ciò non sarebbe mai potuto accadere.
Janika riuscì a calmarsi solo dopo la fine della cerimonia,
stava seduta insieme alla madre e a Janne, che le cingeva le spalle col
braccio, sul grosso divano di pelle di uno studio legale. Sembrava
assurdo e crudele discutere di quella faccenda dopo così
poco
dalla morte della giovane eppure quello era l'unico giorno in cui
l'avvocato poteva parlarne. La causa della morte non era stata la
leucemia. Entrambi gli ospedali in cui era stata ricoverata, l'HUS
hospital in
Finlandia e il Kaolinska Universitetssjukhset a Stoccolma,avrebbero
dovuto dare un risarcimento alla famiglia pari alla cifra di un milione
di euro.
*****
Oddio è un
secolo che non pubblico qualcosa o.O
Anyway lascio a voi i commenti ^^ Alla prossima :)
Persephone
|
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Capitolo 7 *** Angels don't kill ***
COB ff 14
Carry me away from my pain
Angels
don't kill
Janika stava preparando il pranzo per il picnic che Janne e la band
avevano organizzato sul lago Bodom, nulla importava se faceva ancora
molto freddo e l'aria frizzante li avrebbe perseguitati per tutto il
giorno. La giovane amava cucinare, nonostante si trattasse solo di
qualche panino le piaceva l'atmosfera familiare che la cucina le
trasmetteva; finalmente dopo moltissimo tempo si sentiva a casa. Tutto
questo era dovuto anche al fatto che il tastierista era lì
con
lei, e la guardava seduto sulla sedia alle sue spalle. Janne sapeva
benissimo che Janika era una ragazza molto forte, nonostante potesse
sembrare una normale finlandese, bastava poco per capire tutto
quello che aveva passato. Ora, nonostante la morte della sorella, aveva
energie da vendere per continuare a vivere a testa alta. Ma,
ovviamente, aveva preso tutto dalla madre: Lilja dopo aver passato una
vita orribile ed essere stata abbandonata da tutti, sapeva che non era
ancora arrivata la sua ora. Non poteva lasciare la sua bambina tutta da
sola, non l'aveva mai fatto e non aveva nessuna intenzione di farlo. Ma
anche lei era rimasta molto provata dalla morte della figlia minore,
certo avevano ricevuto ben un milione di euro come risarcimento ma a
cosa le sarebbero serviti tutti quei soldi se non aveva nessuno con cui
dividerli? Aveva deciso che si sarebbe ritirata in Svezia, nel piccolo
appartamento che aveva comprato quando aveva dovuto assistere la
piccola e avrebbe lasciato tutti i soldi a Janika che, in
realtà, avrebbe preferito tenersi sua sorella e restituire
tutti
i soldi ai rispettivi ospedali. Tutta la questione era sembrata
un'enorme presa in giro, la sorellina era stata ricoverata in un
ospedale straniero su consiglio di una delle più importanti
strutture della Finlandia per una nuova cura che, tuttavia, non era
stata mai approvata ed era semplicemente in via sperimentale.
Né
Lilja né Janika erano a conoscenza del fatto che la povera
bambina era stata usata come cavia per una cura inconcludente e
letale. Ora si ritrovavano a dover fronteggiare un'ennesima perdita ma,
almeno questa volta, qualcuno aveva riconosciuto loro un risarcimento
nonostante entrambe non vedessero l'ora di liberarsene.
Janne si alzò mentre la giovane finiva di mettere i panini
nel
cesto e la abbracciò da dietro baciandole dolcemente il
collo:
-Dobbiamo aspettare che arrivino gli altri ora ... -
Janika si lasciò coccolare perdendosi nel calore familiare
di
quell'abbraccio tanto caldo quanto rassicurante. Nulla avrebbe potuto
farle del male se si fosse trovata fra quelle braccia:
- Alexi ha detto che sarebbe passato verso le undici ... sono solo le
dieci -
Janne la prese in braccio di peso e la strinse a sé, non
c'era
bisogno di parole fra di loro, si erano sempre capiti con una semplice
occhiata. Il ragazzo salì le scale e si diresse in camera
dove
appoggiò la sua amata sul letto e si mise sopra di lei
baciandole il collo:
-Janika ... io ti amo. Tu sei tutto quello che ho, non mi importa di
nulla se ho te. Sei la mia Musa, sei la musica nella mia vita, non ho
mai provato per nessuno quello che provo per te. Ci stavo pensando da
un po' di tempo ... vendiamo la casa o affittiamola, tua madre ha
deciso di trasferirsi in Svezia e noi potremmo andare fuori dal caos
della città, comprarci una villetta e vivere insieme. Io e
te. -
La giovane si strinse a lui e lo baciò in un modo ben poco
casto, forse questo sarebbe stato il risolvimento del problema, anzi,
di tutti i problemi. Forse le serviva davvero poter vivere da sola con
la persona che amava, lontano da tutto e da tutti:
- Sì. Lo sai che è quello di cui abbiamo bisogno,
domani
possiamo mettere gli annunci per affittare la casa e iniziare a
cercarne una nuova. Ora.. non pensiamoci-
Janne le sfilò la maglia baciandole il seno e scendendo sul
ventre mentre il respiro della giovane si faceva sempre più
ansimato, il tastierista le slacciò i jeans scuri e li
gettò a terra, le fece aprire leggermente le gambe e le
baciò l'inguine attraverso la stoffa sottile degli slip
facendola sospirare. Janika infilò le mani fra i suoi
capelli
per pregarlo di non smettere, cosa che il giovane non aveva nessuna
intenzione di fare; Janne le sfilò anche l'intimo
lasciandola
nuda, aveva un corpo semplicemente mozzafiato: era magra, tanto che le
costole le si intravedevano sotto la carne, nonostante ciò
aveva
un seno piuttosto prosperoso, la pelle chiarissima si arrossava solo
sui capezzoli turgidi per il piacere, e le gambe lunghe e sottili la
facevano sembrare più alta e aggraziata di quanto non fosse.
Il
giovane le baciò nuovamente l'inguine, soffermandosi
più
a lungo per aumentare il piacere della giovane che non si vergognava
affatto a fargli capire che era esattamente quello che desiderava. La
lingua calda di Janne si insinuò tra le pieghe del sesso di
Janika che continuava ad ansimare sempre più in fretta
premendo
leggermente la testa del ragazzo contro al suo inguine mentre l'altro
sorrideva sotto ai baffi succhiandole il clitoride, sapeva di avere
Janika in suo potere. Lei aveva completamente perso il controllo,
qualsiasi problema era scomparso, qualsiasi preoccupazione era svanita
nel nulla. Era completamente sua.
La ragazza lo tirò sopra di sé ma lui non smise
di
torturarle la parte superiore della vagina con le dita esperte da
pianista e lasciandole scivolare sull'apertura umida che reclamava la
sua parte di piacere. Janika gli sfilò i pantaloni sentendo
il
membro premere contro i boxer che sembravano non contenerlo, lo
accarezzò attraverso la stoffa prima di sfilargli tutto
quello
che gli rimaneva addosso; prese il sesso del ragazzo in mano per
ricambiare il piacere che le stava facendo provare mentre lui le
succhiava i capezzoli e li mordeva piano. Improvvisamente Janne si
fermò e si sdraiò lasciando che la ragazza si
mettesse a
cavalcioni sopra di lui e si strusciasse piano contro il glande, Janika
lasciò che iniziasse a penetrarla dolcemente e a muoversi
lentamente finché non le ebbe infilato dentro l'intero
organo.
Il ragazzo rimase fermo qualche secondo per farla abituare alla
presenza estranea prima di riprendere a spingere sempre più
in
fretta; la giovane aveva gli occhi fissi nei suoi e gemeva seguendo il
suo ritmo via via più impetuoso, Janne la prese per i
fianchi
per muoversi più in fretta, erano entrambi al limite ma
cercavano di trattenersi per prolungare il piacere, Janika gli
accarezzò il viso ansimando:
-Non ce la faccio più ... ah ... vengo amore ... -
Si lasciarono andare insieme, stretti l'uno all'altra, lasciando che il
loro piacere si mischiasse diventando una cosa sola. La stanza immersa
nel silenzio rotto solo dal respiro affannoso dei due, la ragazza si
lasciò cadere sul petto del tastierista che la
abbracciò
baciandola:
- Ti amo da morire -
- Anche io -
Si sorrisero scambiandosi qualche bacio affettuoso quando il cellulare
di Janne squillò segnalandogli l'arrivo di un messaggio; il
giovane si allungò verso la tasca dei pantaloni e lo
sollevò da terra, era Alexi:
Ehi Janne! Abbiamo
saputo che Roope è stato male di brutto stanotte quindi
rimandiamo il picnic.
Il ragazzo sorrise e diede un bacio sulla fronte della
ragazza:
- Niente picnic, Roope è stato male -
Janika annuì stringendosi fra le braccia del ragazzo. In
realtà a nessuno dei due importava del picnic erano
semplicemente contentissimi di poter stare insieme, avevano preso una
decisione che avrebbe dato una svolta alle loro vite ed erano decisi ad
andare fino in fondo.
Il ragazzo si alzò dal letto e si infilò i
pantaloni per accendere il computer sulla scrivania, Janika
indossò gli slip e la maglia di Janne per sedersi in braccio
a lui:
-Prima di trasferirci vorrei chiarire con Alexi ... alla fine l'ultima
volta che abbiamo parlato ero incazzata come una belva con lui quando
in realtà parte della colpa era mia -
Janne annuì stringendola fra le braccia e le
sussurrò a un orecchio che non voleva perderla mai
più.
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Finalmente ecco un altro
capitolo! Per consolarvi posso dirvi che ho subito pronto il prossimo
che pubblicherò fra poco :)
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