Molko's Christmas Carol

di kike919
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 25 Novembre ***
Capitolo 2: *** 29 Novembre ***
Capitolo 3: *** La variabile ***
Capitolo 4: *** Zio Steve ***
Capitolo 5: *** Zia Fiona ***
Capitolo 6: *** La stanza dei computer ***
Capitolo 7: *** Ragazzo interrotto ***
Capitolo 8: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 9: *** Il Meet & Greet. ***
Capitolo 10: *** Abbandono ***
Capitolo 11: *** Sentenza ***
Capitolo 12: *** La Vigilia di Natale ***
Capitolo 13: *** La Vigilia di Natale (1) ***
Capitolo 14: *** La Vigilia di Natale (2) ***



Capitolo 1
*** 25 Novembre ***


Allora, quasi dimenticavo: NON è a scopo di lucro, ovviamente NON è veritiera e sinceramente NON vuole essere offensiva. Non mi permetterei mai.
E Buon Natale :D


C'era una volta un Dio che aveva dimenticato l'uomo. O un uomo che aveva dimenticato Dio.
Lo aveva accantonato, anzi, aveva provato a cancellarlo per sempre dalla sua vita. Come se non lo avesse inciso dentro. Come se non fosse mai esistito.
Eppure Dio l'aveva rincorso,ogni singolo istante, canzone dopo canzone.
Per ricordargli la sua esistenza. L'impossibilità di dimenticare davvero.

25 Novembre_

Molko si era svegliato con la testa spaccata a metà, lo stomaco in fiamme. La lingua impastata, sorpresa ancora a farfugliare i comandamenti:

Non commettere atti impuri.
Non dire falsa testimonianza.

Gli balenò in mente l'immagine della mamma. Un mantra ripetuto a mani giunte. Piangendo.
Non fece in tempo a sporgersi dalla stanza, che in corridoio si specchiò nello sguardo cristallino di Cody.
-Papà, non ci sei stato mai. Hai mancato ogni singolo compleanno.
-Ma ci sono stato sempre! Ho cancellato anche alcune date per esserci anch'io.
-Non è vero! E lo sai bene...
Lo odiò per quel ricordo artefatto. Fittizio. Ebbe quasi l'impulso di colpirlo... poi si diede del grandissimo idiota e tornò in sé. Tremando.
-Brian, che c'è? Sembra quasi che tu abbia visto un fantasma.
Farfugliò il ragazzo, assonnato. Chissà perché aveva smesso di chiamarlo “papi”.
-Cody, non ho niente. Torna a dormire, che son le sei di mattina.
L'altro annuì, senza specificare di essere appena rincasato. Non è il caso di farlo arrabbiare. Specie quando ti fissa in quel modo inquietante, con gli occhi malati da gatto investito da un'auto, riemergendo da sogni allucinati.
Quell'antico vuoto bruciava. Partiva da un foro dell'anima e ne inceneriva sempre di più i contorni, fino ad espandersi. Quegli strappi incolmabili.
Brian aveva smesso da così tanto tempo, che persino con se stesso aveva il terrore di ammettere di avere un impellente bisogno di qualche droga.


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Capitolo 2
*** 29 Novembre ***


29 Novembre_
-L'assurda coppietta Molsdal sghignazza di là. É mai possibile che quei due ridano soltanto tra loro?
-Lasciali fare, Steve. Vuoi proprio irritarli di prima mattina? Se hai intenzione di sganciare un'atomica, accomodati pure.
Rispose Fiona. Donna quasi da santificare, abituata a quel manicomio mal assortito aveva ben in testa i tempi emotivi di ognuno, e sapeva come rispettarli. Steve a volte no. Proprio per questo, Sunshine aveva imparato a chiedere consiglio, prima di scatenare un colossale finimondo.
-Almeno dimmi cosa bolle in pentola.
-Un Meet & Greet, pare.
-Un Meet & Greet?
-Già... il 22 Dicembre.
-Ma è Natale!
-A dire il vero, Natale è il 25...
-Ma è quasi Natale!
-Steve, non prendertela con me. Non è di certo mia l'idea.
-E chi sarebbe il genio stavolta?
-A quanto pare Brian.

A quel punto scese un silenzio grottesco, pesante, tombale. Da finale di soap in sospeso. Fiona scrollò il capo: ho creato un mostro. Basta “poco” per suscitare la curiosità insaziabile di Sunshine.

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Capitolo 3
*** La variabile ***


Brian Molko era un animale instabile. Strano. Sapeva scrollare le spalle davanti alle peggiori disgrazie dell'umanità; poi, per un avvenimento apparentemente insignificante, di cui non si accorgeva nessuno, finiva per toccare l'abisso con un dito. Era dotato di una sensibilità innata, criptica, che non apparteneva a questo mondo. Nulla poteva toccarlo eppure nulla gli scivolava addosso. Lo vedevi scherzare, minimizzare e poi, un dettaglio di troppo all'improvviso, faceva sgorgare il dolore come una fontana. E lo scorgevi solo, a fissare il vuoto pensando a chissà cosa. Mentre l'attimo prima rideva.
E Steve lo sapeva bene. L'aveva capito da un pezzo. Era il componente che più meritava di trovarsi in quella band per costanza ed impegno. L'unico che pur essendo completamente diverso dagli altri due, aveva saputo far funzionare le cose. L'anima del gruppo era l'abisso di Molko, attorno al quale ruotava la pazienza empatica di Stef: era come una corazza che attutiva il mondo quando i colpi erano troppo forti, quando il genio stava per crollare. Eccessive sollecitazioni.
Stef e Molko non sarebbero finiti mai, perché a Brian serviva un parafulmini. Era estremamente recettivo agli stimoli, ma incapace di incanalarli senza autodistruggersi. Ogni canzone si portava lo strascico di un collasso dell'anima ed era troppo. Gli sarebbe sempre servito qualcuno di stabile, capace di tirarlo fuori un attimo prima del buio completo. E il boss era una persona dalla smisurata intelligenza: sapeva meglio degli altri, che Stef gli faceva da termometro, che senza sarebbe stato sempre a un passo dall'esplodere. Perché sapeva rinascere sempre, ma farlo in completa solitudine lo disgregava.
E lui? Raggio di sole che ruolo aveva in tutto questo?!
Per lui era stato estremamente difficile. I primi periodi un Inferno, anche se del suo disagio non aveva mai parlato con nessuno. Lui lo sapeva perché era lì, e non era facile da spiegare.
Chi come Molko ha un grande buio dentro, tenderà sempre e comunque ad oscurare il buio degli altri.
E non lo fanno apposta. Rivendicare il proprio dolore è l'unico modo che fa sentire certe persone vive, l'unico spiraglio di luce che vedono al termine di una galleria troppo lunga. Che non hanno il coraggio di attraversare.
Steve lo sentiva. Ogni giorno c'era una rabbia nuova da esternare, un tragitto interminabile che non voleva attraversare. C'era la paura, perché tutti si chiedevano che cavolo ci facesse lui lì, in mezzo a quel duo troppo perfetto. Sembrava un'infiltrazione d'acqua che cercava spazio in un abitazione perfetta. Senza buchi. Ma era caparbio, testardo e se voleva una cosa la otteneva... quindi cominciò a osservarli e cominciò a vedere le crepe. Piccole muffe che se non fosse intervenuto, si sarebbero allargate. Brian e Stef erano perfetti si; ma solo in un piccolo tragico mondo irreale, in cui avrebbero potuto struggersi e capirsi in eterno, scappando dall'umanità intera. Un lacerante “Io e te”. Ma vivere era un'altra cosa: c'era la gente che li chiamava e loro erano sempre poco interattivi, sempre a scatola chiusa. Allora lui ricordava a entrambi, che il mestiere che stavano facendo non lo facevano solo per se stessi, ma prima di tutto per dare qualcosa agli altri. La musica è comunicazione, ragazzi.
Steve era la variabile che gli mancava: di tante cose rischiavano di scordarsi della gente. E non lo avrebbero ammesso; o meglio, Molko non lo avrebbe ammesso. Perché lo infastidiva sentirsi sotto una lente d'ingrandimento, perché lui non era stato invitato a entrare come Stef, ma ormai gli leggeva dentro.
Proprio perché gli leggeva dentro, gli caddero le braccia: in fondo, cosa c'è di più divertente, bizzarro e nel contempo spaventoso di Brian Molko che organizza con entusiasmo un Meet & Greet?!

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Capitolo 4
*** Zio Steve ***


Ok, questa storia di Steve che trovò uno scopo di vita facendo da intermediario tra i Placebo e la gente non convince nessuno, perciò diciamola nuda e cruda com'è: a lui non sarebbe bastato essere utile; voleva rendersi indispensabile, così da non trovarsi accantonato in un angolo senza nemmeno accorgersene. Ma non aveva dovuto affatto forzare le cose; anzi, il suo ruolo era emerso da sé con la nascita di Cody.
Era stato amore a prima vista. Zio Steve come devo fare, cosa devo fare, che ne dici di questo. Quel ragazzino pendeva letteralmente dalle sue labbra e ciò lo rendeva fiero di sé, ma aveva spesso paura di deluderlo, visto che il suo compito vero e proprio era diventato col tempo tradurre al figlio, i talvolta improponibili comportamenti del padre.
Al giovane, per via della sua irruenza -chissà da chi l'avrà presa- sfuggivano puntualmente le sfumature rivelatrici. C'era sempre una traccia che Brian lasciava inconsapevolmente per farsi scoprire; per non restare solo in quell'abisso, di cui in fondo aveva il terrore. Dopotutto era un essere umano anche lui... nessuno vuole affondare davvero. Non a quelle profondità.
-Ma ci dev'essere un modo, zio Steve! Perché mai dovrei partecipare a un Meet & Greet?! Papà ha passato una vita a nascondermi al mondo intero...
-Appunto, non è ora di uscire allo scoperto?!
Rispose lo zio, lanciando al diciassettenne una coca. Era inutile: quel ragazzino magari sapeva andare su Marte e tornare, ma di aprire una lattina non se ne parlava neanche a morire.
-Dai qua.
Lo schiocco del gas intento a risalire, fece notare a entrambi che parlavano da dietro i loro pensieri. Nessuno dei due era realmente concentrato. L'uno si chiedeva che tipo di favore stava per essergli chiesto; l'altro non sapeva come dirgli che, il giorno del Meet & Greet ci sarebbe stato il compleanno di Natalie, la ragazza che ormai gli piaceva da mesi. Non sapeva proprio come riuscire a conoscerla... e finalmente lei lo aveva notato. Aveva quell'invito. Ciò che rendeva la faccenda più difficile, era il fatto che fosse la prima cotta e che il padre, prima che lui sapesse della serata, aveva già pianificato gli incontri con i fans. Come faceva del resto con la sua intera vita. Certo, sarebbe stato peggio far parte delle tante cose che lui ignorava, ma lo intristiva sentirsi telecomandato.
Steve lo guardò un paio di secondi negli occhi e poi sorrise in quel modo accomodante, che gli dava sempre l'impressione di poter comprimere i problemi e dargli un bel calcio. Lo zio era un abbraccio sicuro. Sempre.
-Cosa bolle in pentola, Molko?!
-Niente...
La faccia da furfante del ragazzo non lo convinse affatto. Cody non era più accessibile di Brian: a rendere diversa la situazione era il semplice fatto che la chiave d'accesso gli era stata data e non doveva faticare per ottenerla.
Colto in fallo, il giovane continuò.
-E' solo che non ci voglio andare. La gente mi mette in soggezione.
-Guarda che saranno più intimiditi loro da te.
-Da voi, vorrai dire...
-Steve! Potresti mica spiegarmi questo passaggio totalmente inventato che hai ficcato qua in mezzo?! Mi farete diventare matto...
Urlò una voce fredda e metallica, che sembrava uscir fuori sempre dal nulla e nei momenti peggiori.

Lo zio, richiamato al dovere dal boss, si alzò dal comodo puff blu elettrico della stanzetta bianca, vicina alla sala prove. Cody sbuffò, conservando dentro di sé la speranza di trovare una qualsiasi scappatoia.

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Capitolo 5
*** Zia Fiona ***


Fiona non ha mai fretta. La si può definire una di quelle persone che non hanno paura di niente, soprattutto del silenzio. Ti osserva, scruta ogni tuo minimo movimento, fa in modo che le nuvolette di pensieri inespressi prendano forma. Aspetta che ciò che vuoi nascondere spalanchi le fauci per urlare. Per uscire.
E questo atteggiamento funzionava sempre, con papà e soprattutto con me.
A volte mi chiedo come faccia a non essere attratto da lei, a non provare i brividi al solo contatto con la sua mano. Se fossi nato una manciata di anni prima...
Non riuscivo a studiare. Era già ora di cena ed ogni mio tentativo d'imprimere una qualunque frase in testa, implodeva, sbiancava di fronte al suono del theremin nella stanza accanto.
Abbandonai il “mio ufficio”. Cercai di tenderle un agguato, nella speranza che quelle mani affusolate, così prese dall'accarezzare l'aria, non si accorgessero di me.
Invece rovinai tutto.
-Cody, già qui? In effetti Helena mi aveva chiamata già dieci minuti fa; ti riaccompagno io stasera.
Se mio padre non mi trattasse come un bambino e mi facesse prendere la patente, tornerei da solo. Distrussi quel discorso prima ancora che potesse plasmarsi in forma. Anche un tragitto intero in silenzio era fantastico, con lei.


-Mi chiedevo... tu che ci lavori insieme... hai la più pallida idea di cosa potrei regalare a mio padre per il suo compleanno?
-Ovviamente nulla che gli ricordi quanti anni va a compiere. Morirebbe all'istante.
-Ci deve pur essere qualcosa...
Ebbene sì, è sempre un impresa tragica trovare qualcosa che riesca a entusiasmare mio padre, senza deluderlo.
-In effetti una cosina ci sarebbe...
Replicò Fiona, strizzando l'occhio.
-Ohh, molto bene!
-La tua presenza al Meet & Greet. Oh sì, sono convinta che sarebbe un regalo straordinario.
-Ma che importanza ha? È solo uno stupido incontro con i fans!
-Non lo so, ma a quanto pare per lui ha più importanza del suo compleanno. Non ti sembra abbastanza come regalo?
-Bah, quello lì non lo capirò mai.
-Non solo tu, ma sai com'è: o lo ami o lo odi; con certe persone non ci sono vie di mezzo.
Mi mette a disagio parlarne. Ogni volta che mi guardo allo specchio, vedo troppo di lui in me e mi sento uno schifoso mostro. Non voglio affascinare la gente e nel contempo allontanarla. Non mi piace l'ambiguità; essere attrattivo e repulsivo nel contempo. Forse sono poco coraggioso, ho troppa paura di restare solo.
-Non lo sopporto quando fa così. Questo stupido incontro poco prima di Natale, non è altro che una delle sue tante stramberie senza capo né coda.
Poi scese la tenda: Fiona non aggiunse altro. Si aggiustò in un sorriso assorto guardando la strada, senza insistere. Senza replicare.
Poi prese un fiato di quelli che mi parvero infiniti.
-Bel nome Natalie. Ha un che di poetico.
Mi sorprese, poi assunse quella sua posa di quando assaggia la vita.
-E tu come lo sai?
Pensai in automatico: Steve! Il problema è che a lui non l'avevo nemmeno detto.
-Hai lasciato il quaderno in studio. Aperto su quel nome. Doveva pur significare qualcosa.
-Già...
-Quindi lei non c'entra con la storia del Meet & Greet? Ricordo che da bambino eri il primo a voler incontrare la gente. Ti arrabbiavi un sacco con Brian perché non ti faceva partecipare.
Sarebbe servito non rispondere? Tanto mi sarebbe scappato comunque. Fiona potrebbe fare gli interrogatori per la CIA.
-Il 22 c'è la sua festa di compleanno. Mancherò solo io, perché il mio papà rockstar vuole rovinarmi la vita.
-No che non vuole rovinartela. È solo che i genitori a volte fanno cose, che potrai capire solo dopo tanto tempo. È giusto così.
-Se lo dici tu...
Fece un respiro profondo, di quelli che ti riportano a qualcosa di bello. Avrei voluto tanto essere nella sua testa. Capire.
-Cosa ti piace di lei?
-Non saprei...
-Tutti lo sanno. Ti ho visto crescere, non m'imbarazza mica se mi dici che ti ha colpito perché ha un bel seno, o cose così.
-No! Ma che bel seno!
Assunsi in automatico un colorito paonazzo, indescrivibile. Però mi divertiva quel lato schietto di lei. Continuai. Con Fiona e Steve mi sento al sicuro.
-E' bella. Bella da far impazzire. Ma amo più di tutto la sua magia. La prima volta che l'ho vista, si è presentata a uno spettacolo scolastico a cui strimpellavo la chitarra... e lei era un mondo a parte, delicato. Un cristallo. Era lì con quel therem... violino e si è messa a suonare. Con quelle corde mi toccava l'anima e io non capivo più nulla. Era come una fata, un angelo ed ogni nota mi stringeva il cuore. Non era una canzone; era questione di vita o di morte.
Vederla muoversi in modo così dolce, soave, seguendo lo strumento come una danza, è quasi una dipendenza. È così aggraziata, una fata delle nevi. Quella farfalla voglio solo stringerla tra le mani. Averla nella mia esistenza.
-Una violinista eh? Sei sempre stato così affascinato dagli archi. Da piccolo mi ascoltavi suonare per ore... se vuoi far colpo t'insegno!
-No grazie, non credo di fare lo stesso effetto... e comunque non andrò mai a quella festa.
Sbuffai, accasciandomi scoraggiato sul sedile.
Arrivati. Fece le solite quindici manovre per parcheggiare, poi si guardò intorno furtiva. Prese a bisbigliare sottovoce.
-Ascolta: tu andrai al Meet & Greet e ti sforzerai di essere carino con le persone e con Brian... poi a una certa ora cercheremo di farti sparire. Questo è il piano, secondo Steve. Ovviamente ti copriremo, ma tu dovrai fingerti entusiasta fino alla fine. È chiaro?
Perplesso, ancora non credevo alle mie orecchie.
-S-sì, chiaro...
Il vento fuori tagliava le orecchie. Il gelo fa sembrare i tragitti sempre troppo lunghi. Anche quelli dalla macchina a casa. Quasi faticavo a sbattermi la portiera alle spalle.
-Fiona, posso farti una domanda?
-Dimmi...
-Cosa ci guadagni in tutto questo? Perché lo state facendo?

-Assolutamente niente. Sono solo un sacco romantica. Tutti amano qualcuno, no?!

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Capitolo 6
*** La stanza dei computer ***


Da ore non si staccavano dai computer. Tutti e tre avevano gli occhi rossi ed erano profondamente innervositi e spossati dal sonno.
Olsdal, annoiato non proferiva parola. Anzi, cercava d'intensificare l'attività in modo da chiudere quella faccenda al più presto. Dalla precisione tecnica e maniacale, cercava di archiviare quegli infiniti profili, facce diverse che dicevano tutte la stessa cosa.
Steve parlava troppo; Brian cominciava a farsi facilmente irritabile.
Sunshine -tanto per cambiare- ruppe per primo il silenzio.
-Ricordatemi perché lo stiamo facendo...
-Te l'ho detto: ho sognato Stefan versione fantasma del Natale passato, e te versione fantasma del Natale presente col tutù in pizzo addosso. Devo aggiungere i dettagli?
-Spero che il tutù non sia stato rosa, non dona al mio incarnato... e il fantasma del Natale futuro chi era?
-Tua zia.
-Fosse la tua...
-Stef, ricordami quanti batteristi abbiamo cambiato fino ad oggi...
-Finitela. Siete davvero infantili. Vediamo di sceglierne uno a testa, senza che passi un mese!
Tuonò bruscamente Stef, facendo piombare un improvviso silenzio.
Il concorso consisteva nell'inviare una propria foto con nome, cognome, età e soprattutto una breve risposta alla domanda: perché sei un fan dei Placebo?
I prescelti sarebbero stati tre, con la possibilità di portare una persona con loro.
Steve approfittò furbescamente della ricerca per cambiare discorso.
-Eccone uno! Questo mi sembra un buon candidato.

Denny Brentford, 28.
Mi bucavo, facevo uso di qualsiasi droga ci fosse in circolazione. Mi sentivo solo e nessuno poteva capire il mio tormento interiore. Poi ho incontrato la musica dei Placebo e mi ha dato speranza. Non avevo nessun amico, ma con loro non mi sentivo più solo. Era come se qualcosa dentro di me si fosse riparato.
Sono fan del Placebo, perché mi hanno dato la forza di non morire. Ora se sono padre e ho una bambina di un anno, è anche merito loro. Presto la porterò ad un concerto.

-Scruti profili da giorni, per trovare questo?
Commentò Brian sarcasticamente, utilizzando il povero malcapitato per cui non provava affatto avversione, solo per stuzzicare Sunshine.
-Beh, sentiamo la tua, d'ispirazione.
Il boss estrasse da non so dove un piccolo blocco d'appunti ben scritto, su cui si era copiato una decina di profili. Li aveva letti e ripetuti più volte nei giorni precedenti, quasi la scelta fosse in base alla presentazione che suonava meglio. L'altro con riflessi pronti s'impossessò del primo foglio, noncurante delle mosse poco atletiche di Brian per recuperarlo.
-Ma cosa sei, un maniaco seriale?! Sono tutte ragazze adolescenti! E poi perché ti segni il colore di occhi e capelli?
Brian, con gesto brusco e glaciale gli strappò la pagina di mano.
-Ognuno ha i suoi criteri, no?! Ci tengo io a realizzare i sogni degli adolescenti scontenti... e scusami tanto se prendo appunti per ricordarne il viso!
-Certo, che versione strappalacrime... se domani ti chiedessi di confermarmi quanto detto ora, nemmeno te lo ricorderesti!
-E finitela! Leggi Brian, per favore. Facciamo finta che io abbia una vita al di fuori di qui, e anche una gran fretta...
L'interruppe nuovamente Olsdal, a cui scocciava fare sempre da balia.
-Davvero hai una vita al di fuori di qui?
Rispose Brian con fare da civetta, scoccandogli uno sguardo languido. Stef si arrese all'evidenza: quei due non si sarebbero comportati mai da persone serie. Specie il capo.
-Comunque...
Aggiunse Molko solennemente, schiarendosi la voce.
-...la mia candidata credo sia questa. Se non cambio idea.

Lana Stevenson, 15
Sono cieca dalla nascita. Non ho mai visto niente. Non so che forma abbia il cielo, che colore abbiano i fiori. Posso solo toccare gli oggetti, ma non li conoscerò mai con gli occhi.
Amo i Placebo, perché nonostante io possa solo sentire, rendono le emozioni così cariche che riesco finalmente a vederle. La mia vita è meno buia da quando ogni giorno mi mostrano qualcosa.

Stefan storse il naso.
-Non mi sembra...
-Non ti sembra?
Chiese ansioso il boss.
-Il candidato adatto a te... se sei sicuro...
-Al 55% sono sicuro.
-Perché, cos'ha che non va? Mi sembra una bella storia! Aggiudicata.
Esclamò Steve con brio; Stef sparpagliò la sua risma di appunti -un'enciclopedia rispetto al blocchettino volante di Brian- e con un ghigno strano prese parola.
-Pensavo che qualcuno avesse puntato sulla storia degli eccessi e qualcun altro su altri tipi di difficoltà; solo che vi ho pensato invertiti...
-Taglia Stef, non stai decretando miss mondo...
Lo stroncò acido Brian.
-E va bene! Beh, eccovi la via di mezzo:

Jamie Ford, 16
Sono cresciuta con mia madre. Io e lei siamo una bella squadra; non mi ha mai fatto mancare niente, davvero. Però c'è sempre stato quel vuoto. La palese mancanza di una voce maschile che ti sgrida quando deve, che ti loda quando fai il tuo dovere. Qualcuno che vada ai colloqui quando la mamma non può e che ti aiuti a trovare la tua strada. Ecco, i Placebo mi sono stati accanto, mi hanno indicato la mia strada. Le loro parole sono quelle che avrebbe dovuto pronunciare qualcun altro. Sono sempre stati il padre che non ho mai avuto fin da piccolina, quando la mamma me li faceva ascoltare la notte, e smettevo di piangere di dolore.

-Anche questa è tristissima. Un padre che muore ancora prima di conoscerlo, non è un'esperienza che auguro.
Disse Forrest, che pur con la volontà di biasimare le scelte altrui, non ci riuscì.
-Sempre meglio che un pessimo padre. Chissà che non si sia risparmiata una delusione.
Buttò lì Brian sovrappensiero.
-Non essere così severo con la gente; magari era un brav'uomo.
Rispose Olsdal.
Proprio in quel momento, Cody si trascinò svogliato dentro la sala dei computer.
-Ciao a tutti! Ehi Brian, la mamma ha chiamato dicendo...
Fu allora che il boss scattò. Come una molla. Sibilante e furioso.
-Dico io, da quando ti faccio così schifo da chiamarmi per nome?!
Gli sputò in faccia quelle parole. Violentarono l'aria. Quella frase sgraziata, infelice, lo seguì mentre scappò via, buttando tutti i fogli all'aria.
Si chiuse a chiave nel bagno. Allora il tempo parve davvero sdoppiarsi, fermarsi.
Stefan scagliò uno sguardo più assassino che mai, verso il ragazzo, che non aveva fatto niente. Poi si diresse verso le barricate.


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Capitolo 7
*** Ragazzo interrotto ***


Gli incubi non se ne vanno mai. Restano sempre gli stessi, sei solo tu che t'illudi. Solo tu credi che per quando torneranno sarai diverso. Più grande, più uomo, più responsabile.
Ma cosa te ne fai, quando ti accorgi che son solo una manciata di parole? Quando intasi tutto il cielo con le tue lamentele/preghiere, che non arrivano mai?
Cosa cazzo te ne fai, quando la reazione s'innesca da sola e non bastano passiflora e meditazione per tenerla a freno?
Sono ancora quel cazzo di bambino.
Da qualche parte c'è ancora quell'imbecille che non vale niente. Che non voleva nascere.
C'è troppo rumore, è il mio respiro...
-Brian, apri la porta!
Grida Stef, è un eco lontano. Mai come questa volta ho pensato di farla finita. Quell'infante senza diritto alla vita preme ancora per uscire. E sono stanco. Stavolta sono stanco davvero.
Potrebbe finire come doveva tempo fa: come ultima visione le piastrelle di un cesso. E se l'avessi fatto in tempo, non ci sarebbe stato nemmeno un figlio che mi disconosce come padre.
Il mio ultimo respiro doveva essere troppo tempo fa...
-Brian, ho detto apri la porta!
-Piantala Stef! Non sei nessuno per dirmi cosa devo fare!
Gli altri mi guardano sempre come se fossi un animale. Una fottuta scimmia dall'altra parte della gabbia. Chissà se qualcuno mi ha mai visto come una persona. Se qualcuno si è mai accorto che non sono patetici spettacolini da circo, ma dolore puro. Che non è una stupida scena per attirare l'attenzione; sono io. Sono proprio io, che piango e ansimo in un bagno come un malato di mente. Dall'altra parte c'è il sangue del mio sangue, che pensa stia facendo il coglione. Se davvero lo stessi facendo, sarei troppo bravo.
Qualcuno mi fulmini qui, ora. Non ce la faccio a sostenere quello sguardo.
Fuori litigano, gente che bisbiglia. Corvi sopra un cadavere abbandonato a cielo aperto.
Non cercatemi, voglio solo sprofondare.
Cody grida qualcosa, inveisce contro qualcuno in un modo che sembra il mio. Lo scansa di rabbia, lo manda a quel paese. Il mio pianto, per un attimo rotto da una risatina. Poi m'assale l'ansia, di nuovo. Riprendo a soffocare...
-Vuoi aprire questa stupida porta o no, papà?!
Si arrampica con violenza inaudita su quella parola, quasi potessero cambiare qualcosa.
-Sparisci Cody, non ti voglio qui.
Urlo di rimando, cercando di non rantolare.
C'è un “vieni con me” di qualcuno. Presumibilmente di Steve, che lo porta via. Passi di gente che si allontana.
E fuori come sempre resta il respiro cadenzato di Stef “non mi sposto di qui”, ad aspettarmi.
L'ennesimo teatrino patetico della mia esistenza. Sono calibrato male.
Scivolo sconfitto su quella serratura, che ogni volta che la apro perdo pezzi di me. Mi consumo.
Quella ferita di luce che m'investe, fa troppo male.
Non perde un secondo a penetrare nella fenditura, teme che ci possa ripensare. Sbatte di nuovo la porta alle spalle.
Chiuso a riccio, sprofondo con la testa tra le ginocchia, per non vedere. Per non farmi vedere.
Lui si è già piegato verso di me. Come si fa con i bambini. Non lo guardo, sento solo il suo fiato addosso.
-Cody ti ha insultato.
-Già... a dire il vero me ne ha dette di tutti i colori. Poi mi ha mandato a quel paese, lanciandosi con tutta la sua furia sulla porta.
Dice con leggerezza.
-Mi dispiace...
-Come se fosse vero. Lo so che in fondo ti piace, quando si comporta come te.
Sghignazzo un secondo, lo dissimulo con tosse convulsa. Lui continua.
-E comunque ho fatto una cosa che non dovevo fare: l'ho guardato come se fosse davvero colpa sua. Meritavo peggio di ciò che ha fatto. Ma va bene così; quell'occhiata mi è uscita. Non siamo mica perfetti.
-Non credere che dire cazzate mi faccia stare meglio.
Lo accuso, rabbioso.
-Sto dicendo la verità, mi è uscito. Ero preoccupato e ho agito senza pensare a lui. Ma quel ragazzo ha la scorza dura, mi perdonerà.
-Almeno uno in famiglia...
-Andiamo, Brian! Ogni volta lo stesso discorso. Se fossi così debole come credi, saresti morto da un pezzo. Invece sei ancora qui.
-Per vostra sfortuna...
-Brian, non stiamoci a prendere in giro. Nulla sarebbe lo stesso, senza di te.
Piango più forte. Il freddo mi dilania la pelle. Ho i brividi. Non mi sento padrone: mi prendono e fanno ciò che gli pare del mio corpo. Di me.
Sussulto forte.
-Non ce la faccio! Non so come si fa...
-In qualche modo farai...faremo.
-Ho fatto troppe cazzate. Non merito perdono.
-Tutti fanno cazzate. Sarebbe più cazzata dire che gli altri fanno tutto alla perfezione.
-Non ho il coraggio di sostenerne lo sguardo.
-Non sei mica obbligato. Se non ce la facessi, io non lo farei.
-Certo, bella figura di merda. Come minimo glielo devo.
-Vedi?! Sei già migliore di me.
S'insinua nel mio buio, cerca la mia mano. Resiste, ma poi si fa trovare.
Mi aggiro insieme a lui come uno spettro negli studi.
C'è solo Steve seduto nel buio. Il volto serio, le gambe a sorreggere i gomiti e le mani a sorreggere la testa. Ci fissa e non dice niente. Nessun commento sulla mia faccia stirata, color cenere, nessuna parola sulla scenata nella sala dei computer. Niente di niente. Magari mi odia, ma l'unica cosa che mi rifila è uno sbuffo esasperato. Si alza e si avvicina, quasi non sa come toccarmi senza farmi male. Infine mi stringe con un braccio, come farebbe sempre. Con forza.
Quando si comporta così bene, alimenta solo il mio senso di colpa.
L'intero edificio è vuoto. Chi lavora con noi lo sa, che in caso mi accada se ne deve andare. Non deve vedere.
Mentre Stef è con me, l'altro spegne le luci, le apparecchiature. Poi attende.
È la prima volta dopo tanti anni, che tocca a Steve.
E tace. Poi chiude il portone.
-Sei proprio uno schifo di persona!
Esclama ridendo.
-Grazie.
Replico quasi sussurrando.
Lui strizza l'occhio.
-Di niente! A questo servono gli amici...

Non lo ammetterei mai, ma sentirmi prendere per il culo da lui come suo solito, mi risolleva il morale.

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*C'è un unica pagina al presente. Perché il dolore non va affrontato ieri, o domani. Il giorno migliore per guardare i mostri in faccia è sempre e comunque l'oggi. Il momento giusto è sempre il presente. Ma soprattutto perché questo grido, espresso al passato sarebbe sembrato troppo lontano.
Ah sì, ho rubato qualcosa: il titolo del film "Ragazze Interrotte". Un film fantastico.


E' il mio capitolo preferito, spero vi sia piaciuto.

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Capitolo 8
*** Sensi di colpa ***


Si era vestito al meglio, mentre fantasticava di accarezzare i capelli di Natalie. Si sentiva impeccabile, perfetto. Suo padre attraversò la stanza come uno spettro; si accorse della sua presenza solo quando gli rifilò una pacca sulla spalla.
-Stai benissimo così. Sono davvero contento che tu abbia preso la faccenda seriamente.
Si complimentò con gli occhi lucidi, commossi. Felici.
I due si volevano così bene da provare l'impulso di urlarselo; ma al solo pensiero di farlo davvero, si sentivano come se dovessero lanciarsi sanguinanti in una vasca piena di squali. A entrambi mancavano il respiro, i tempi, le parole.
Cody ne fu entusiasta, ma fu un complimento al vetriolo. La sua insolita dolcezza gli spaccò la pancia. Per consolarsi, frugò nella testa, alla disperata ricerca di un'occasione in cui si era sentito più in colpa di così. Occasione che non trovò. Poi si rese conto di aver trattenuto il respiro, trovò una scusa qualsiasi per allontanarsi da lui ed uscire da quell'assurda apnea.

Aveva le lacrime agli occhi. Si sentiva così incredibilmente a disagio, senza capirne il motivo.
L'edificio era grande, moderno ed elegante. Lontano dalle telecamere. Gli incontri si sarebbero svolti individualmente. Consequenziali l'uno all'altro.
Brian era in fibrillazione. Di una vivacità agitata, poco lucida.
Gli altri due discutevano placidamente, accasciati su una sedia.
-Chi entra per primo? Facciamo il tizio, poi le altre due, ok?
Disse Stefan, col fare di chi aveva già deciso, più che di porre una domanda.
-Come vi pare... mi state solo facendo spazientire.
Rispose Steve, troppo smanioso di cominciare.
-Allora Lana arriva per seconda.
Qualcuno tirò Cody il più lontano possibile e prese a sussurrargli all'orecchio.
-Ascoltami bene: lo zio deve restare con voi, se andasse via attirerebbe l'attenzione. Io fingerò di avere da fare, quindi tra un po' mi defilerò. Quando conoscerai la seconda persona, trova una scusa per assentarti un attimo. Ti attenderò fuori con l'auto. Ok?
-Oook.
Sussurrò a Fiona, intimorito dalla paura di deludere suo padre. Aveva il ghiaccio nello stomaco e non era più molto convinto.
-Brian... Brian?! Ci sei? Dico: Lana per seconda?

Il boss annuì debolmente, poi riprese assente a fissare il vuoto.

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Capitolo 9
*** Il Meet & Greet. ***


Era un ragazzo robusto. Lo sguardo scuro, i capelli rasati, accompagnato da una bambina bellissima dallo sguardo intrigante, verde. Osservava curiosa tutti, istintivamente allungò la manina verso Brian, che le fece un baciamano divertito, per poi salutare Denny con un cenno e un sorriso.
Steve per primo si accostò all'uomo, con un abbraccio istintivo lo fece sentire subito a casa. Olsdal si limitò ad una semplice stretta di mano. Il discorso prese subito una piega liscia e divertente, riguardante i gusti musicali. Fu come una distesa chiacchierata tra cari amici, con Cody al fianco dei tre che prese la piccola in braccio e ci giocò per quasi tutto il tempo.
Per chiudere in bellezza, qualche foto concessa dai quattro e le tre firme sui cd che il partecipante si era portato. Possedeva quasi l'intera discografia; ne aveva lasciata a casa mezza.



L'arrivo di Lana mise tutti a disagio, per via della sua introversione. I tre la salutarono con un abbraccio veloce. Brian prese a sudare freddo, Olsdal gli stava vicino, ma poi si allontanò bruscamente. Fu Cody a rompere il ghiaccio, guardando dritta negli occhi quella ragazzina pallida e magra, dallo sguardo praticamente bianco che metteva tutti in soggezione. Le strinse la mano. Inizialmente procedette tutto a fatica, con Steve palesemente distratto da ciò che sarebbe accaduto dopo e Stefan che sembrava sugli spini e lanciava occhiate al boss.
Per esigenze della ragazza, era stata accompagnata da un'assistente. Con l'arrivo successivo di suo padre, la situazione si rilassò in fretta e anche lei prese coraggio. Il più spudorato con lei fu proprio il suo quasi coetaneo, che con tatto le tirò fuori di bocca un racconto faticoso della sua vita, delle difficoltà giornaliere. Gli altri ascoltavano attenti. Restarono tutti affascinati da quella timidezza che si srotolava uscendo dal guscio, da quella riconoscenza nella voce. Fu un incontro complicato ma significativo, conclusosi non con foto, ma con delle registrazioni. Lana non ne avrebbe fatto nulla di firme e foto; ma le voci le avrebbe conservate sempre con sé.

Padre e figlia non ebbero il tempo di uscire di scena, che Cody dovette di fretta correre in bagno.

Gli altri si presero un break.

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Capitolo 10
*** Abbandono ***


Il giovane tornò dopo pochi minuti, perplesso, ricondotto in scena da uno Steve che non gli aveva nemmeno rivolto la parola. Un Sunshine sconcertato e distante. Li raggiunse uno Stefan nevrotico e irritabile, che cercò di non darlo a vedere.
Appena giunse dal boss, Olsdal fu la persona più quieta dell'universo. Qualcuno doveva pur mantenere il controllo della situazione. Anche se stava colando tutto a picco.
Un Brian ignaro, era irrigidito sulla sedia. Aveva quasi le allucinazioni, si sentiva morire.
Stef gli porse un bicchiere.
-Non fare scherzi; cos'è?
-Semplice acqua e zucchero. Ti servirà.
Gli sorrise riconoscente.
-Era meglio una bottiglia abbondante d'assenzio...
Si sussurrarono così vicini, che il mondo non sentì una sillaba. Il boss contava i secondi; gli faceva male il corpo, punzecchiato quasi ci fossero spini nell'aria e sulla sedia.
Si voltò ancora verso l'amico per un'ennesima domanda ansiosa, ma non aveva nemmeno bevuto due sorsi, che la ragazza entrò.
Bella da impallidire, facendosi strada nella stanza grande e dispersiva, li cercava con lo sguardo. Non servì cercarli a lungo: erano proprio sotto delle lampade accecanti. Appena Brian si sentì così trafitto da quelle pupille, gli scivolò il bicchiere di mano. Si scheggiò in mille pezzi.
La consapevolezza scese istantanea, letale.
L'imperfezione di quell'attimo lo aveva già destabilizzato. Le parole preparate da giorni, evaporate insieme al sudore.
Lei era in compagnia di una donna esile, dal capello netto, corto. Chiunque avrebbe capito che la madre era quasi una fan più accanita della figlia.
Il boss salutò amichevolmente la donna, poi si avvicinò a Jamie e fu come prendere la scossa. Aveva uno sguardo cristallino, sfrontato, feroce. Eppure sorrideva. Un glaciale raggio di sole.
I capelli lisci, lunghissimi, corvini, folti le accarezzavano i fianchi; la bocca leggermente sottile, come quella materna, ma più delineata, con gli angoli all'insù, spiccava semplicemente con un lucidalabbra roseo. La vita stretta, le mani affusolate. Il vestito candido dalla linea pulita, essenziale; le calze nere.
Brian l'abbracciò affettuosamente, quasi crollandole addosso. Le baciò la guancia e per un attimo fu tentato d'indugiare ancora un po' addossato così a lei, per sentirne il profumo. Si trattenne controvoglia e staccarsi fu un dolore, un taglio in pancia. Era contenta di vederlo. Probabilmente se solo lui le avesse chiesto di fare lo stesso, di stringerlo così con abbandono, lei non ci avrebbe pensato due volte. Nemmeno un'esitazione.
La grottesca situazione in cui non si capisce più chi è il fan tra i due. Gli venne automatico di voltarsi verso Stef e sorridergli con gli occhi. Steve e Cody, pur non credendo alla scena appena vista, la salutarono più o meno allo stesso modo. Olsdal, compostamente le diede una stretta di mano.

Tutti quelli che sapevano, erano piuttosto nervosi per quanto accaduto; persino Steve non era lo stesso. Si sentiva come se gli avessero grattato via un po' di vita. Cody ancora si chiedeva perché lo zio si fosse improvvisamente arrabbiato, ma poi non pensò nemmeno più a Natalie e prese ad incantarsi davanti a quella ragazza così bella, che sembrava uscita da una di quelle fiabe in cui c'è sempre qualche personaggio invidioso che vuole portarle via la bellezza.
Inutile dire che l'incontro durò il doppio degli altri. La conversazione prese fuoco subito, con entusiasmo e lo stesso Brian l'alimentava ingordo, con domande ordinarie. Che musica ascolti, qual è il tuo piatto preferito, cosa ti piace fare nel tempo libero, come si chiamano i tuoi più cari amici. Cody si svegliò solo gongolando, quando il boss le chiese pure se aveva il fidanzato e rispose di no.
Molko aveva così completamente monopolizzato la scena, che ogni tentativo altrui di rendere completo il colloquio col proprio contributo, era semplicemente fuori posto.
Dopo le foto e gli autografi le accompagnò verso la porta, prendendo rapidamente in disparte la madre. Abbracciò Jamie con tutta la forza che aveva in corpo e le salutò. Tornò verso la band con uno sguardo strano.



Steve prese subito da parte Cody e gli spiegò tutto; il ragazzo ricacciò indietro un singhiozzo.
Non fecero caso a Brian che corse letteralmente a stringere Stef, mostrandogli un foglietto.
-Hai preso il numero?
-Già, hanno problemi economici. Direi che è stato il momento giusto.
-E' andata bene.
-Eppure fino a un certo punto ero convinto fosse Lana. Come ho fatto a non capirlo subito... dovevo capirlo solo a guardarla in foto...
-Erano in tanti. E poi la tua memoria ha sempre fatto schifo.
-Grazie Stef. Se non ci fossi tu...
-Saresti già morto.

I Due si diressero verso zio e nipote, entrambi angosciati.
-Quelle facce? Sembrate usciti da un funerale...
Chiese il boss con fare pimpante.
La risposta venne dritta da Stef.

-Brian, Fiona ha fatto incidente venendo qui. Non siamo riusciti a sapere come sta.

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Capitolo 11
*** Sentenza ***


Sarebbe difficile dire chi corse più veloce per giungere a quel letto.
Rischiavano quasi di fare incidente, per dirigersi a controllare le conseguenze di un incidente.
In pochissimo tempo il gruppo era lì, raccolto intorno a una Fiona frastornata, che in fin dei conti stava bene. Le contusioni, le fratture e la gamba rotta, non le avevano ancora cancellato il sorriso.
-Ohh scusami Cody; sono un completo disastro...
Bisbigliò quando il ragazzo le fu vicino.
-Ma non dirlo nemmeno per scherzo! E poi è stato un Meet & Greet divertente...
Cody era esattamente dove doveva essere, pensò Steve, grato di non aver combinato inconsapevolmente quel qualcosa di cui sia lui che Fiona si sarebbero pentiti a vita.

Padre e figlio se ne andarono, insieme a Stefan.

Steve si guardò intorno con circospezione, baciò Fiona sulla fronte. Fece per allontanarsi, ma lei lo trattenne. Gli stampò dritta le labbra in bocca.
-Buon Natale, Steve.
Lui sorrise docile, in un modo che avrebbe sciolto pure la neve.
-Non ce la facevo più a far finta che andasse tutto bene. Erano tutti così felici... nessuno sapeva. Brian addirittura era entusiasta; non potevamo dirglielo subito.
-E' stato giusto così. Povero Cody, però... gli ho rovinato la festa.
-Lascia perdere: stavamo per fare un grosso errore. Stefan ce l'avrebbe ugualmente impedito...

Olsdal ricordava ogni singolo frammento di quella circostanza; Brian meno, e sapevano benissimo entrambi il perché. Nessuno dei due avrebbe dimenticato: la vita non la si vive quando ci si anestetizza, quando la si allontana in tutti i modi, per non sentire i suoi graffi. Lì per lì sembra scomparire, ma poi si ripresenta: più dolorosa, più feroce...e non ci si anestetizza per sempre; prima o poi la si deve guardare in faccia.
Anestetizzarsi per sempre è quasi come morire.
Così camminava in disparte, rimase indietro. In silenzio. Brian capì al volo che l'amico pensava che fosse l'attimo giusto per affrontare i suoi fantasmi.
Cody gli diede una pacchetta sulla spalla.
-Ho visto che hai chiesto il numero o qualcos'altro alla tipa. Mi fai approfondire la conoscenza? E' bellissima.
Brian stava per strozzarsi con la saliva. Sbuffò, riprese a tremare. Avrebbe desiderato solo poter saltare quei minuti, mandarli in automatico. L'idea di quel discorso gli aveva frantumato la testa per giorni. Incubi che lo avevano dilaniato di notte.
-Devo dirti una cosa.
Replicò secco, la voce fredda e metallica. Le gambe vacillarono. La paura di essere odiato a vita.
Il ragazzo tacque serio, in ascolto.
-Non ho giustificazioni, lo so anche da solo. Però, la “tipa” è mia figlia.
Una rabbia innaturale ribollì in quella giovane persona. Il rancore cominciò a scorrere a fiumi. Stava per vomitargli addosso parole pesanti, che avrebbero incrinato per sempre le cose. Poi un pensiero lo colpì squarciandolo come un fulmine, pensando alla gioia negli occhi di quella ragazza, così identici ai suoi: se è riuscita a perdonarlo lei, che da lui non ha avuto mai niente, è orribile che lo condanni proprio io, che sono stato il centro dei suoi pensieri per tutto questo tempo. Io che sono stato l'unico a ricevere amore vero e non indifferenza.
S'inumidì la bocca, si prese un tempo interminabile che bloccò quasi il cuore all'altro. Infine disse ciò che ritenne più giusto.
-Mi piace una ragazza. E' bella, a volte mi ricorda Fiona.
Il padre, ancora terrorizzato aspettò il seguito del discorso. Si detestò per le mani sudaticce, incontrollabili.
-Ha festeggiato il compleanno proprio oggi, e io stavo per scappare di nascosto poco prima di conoscere Jamie. Scusa, papà.
Aggiunse lui, abbassando la testa.

Brian non rispose nulla e l'abbracciò come se non ci fosse un domani, perché è così che dovrebbe essere amato un figlio. Gli si era allargato il cuore come un oceano, al solo pensiero che Cody l'aveva assolto dai suoi peccati. Avresti avuto altri momenti per vederla, gli balenò in testa, determinato a conquistare anche l'affetto di quella ragazzina, che un padre anche se disgraziato ce l'aveva e non sapeva ignorarlo.

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Questa fanfiction doveva essere pubblicata all'incirca da sei mesi; poi sono successe troppe cose e non sono riuscita a terminarla  fino a pochi giorni fa. Sono ripartita come un treno, appena in tempo per Natale. Già che c'ero, non sapendo come intitolarla ho voluto fare un tributio a Dickens per "A Christmas Carol": la storia natalizia più bella in assoluto. Un completo capolavoro.
Ogni anno, se non guardo almeno una delle sue infinite versioni cinematografiche, per me non è Natale. Senza, son proprio presa dalla tristezza; se la trovo rielaborata in 1000 modi, sono capace di guardarli tutti e 1000.

Grazie ai Placebo per la loro esistenza, per il fantastico concerto a Bologna e soprattutto grazie a te, tu che impieghi i tuoi preziosissimi minuti leggendo le mie assurdità. 
Buon Natale, lettore :D
Ti auguro tutto il bene del mondo.
*Se vi è piaciuta e mi lasciate una recensione, ne sarei contentissima (anche se non vi è piaciuta XD). Soprattutto, ditemi se volete il capitolo bonus: la storia può benissimo concludersi qui, ma c'era una scena "fuori trama" che potrei scrivere e aggiungere.

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Capitolo 12
*** La Vigilia di Natale ***


Era la sera del ventiquattro Dicembre... e sinceramente non avrei mai potuto pensare che sarebbe andata così. In nessun senso in assoluto.
Pomeriggio lento e noioso come se fossimo una famiglia normale; cioè, come se i paparazzi non uscissero dal nostro water per scoprire in quanti saremmo stati a tavola, o il ripieno del tacchino.
Ok, no: il tacchino non c'era. Non era mica il Ringraziamento, diamine!
Di fatto c'erano anche i paparazzi che uscivano dal water, ma non era quello che intendevo.
Il pensiero di avere una sorella, era stato temporaneamente accantonato. Non avevo il coraggio di scrivere un sms a Natalie; anche perché, la scusa era la solita che avrebbe utilizzato il figlio viziato di una rockstar: “Sai, non potevo mica venire al tuo compleanno, quando il mio fantastico papà organizzava un meet & greet per dirmi che ho una sorella nascosta”. Non credo sia il modo migliore per farsi notare, dare bidone a una e poi raccontarle una verità che per me è una palla al piede, ma che per lei potrebbe essere un chissà cosa da farsi i complessi. I ragazzi normali sognano sempre storie così, senza immaginare che potrebbe non essere il massimo avere una vita che sembra più un circo. Ci mancava solo la donna cannone.
Erano tutti contenti, ricontenti, stracontenti... tranne me. E quando dico tutti contenti, intendo che gioiva anche Fiona con la gamba rotta eh! Tutti tutti tutti.
Io incartavo regali come un dodicenne sfigato. Quella ragazza dall'aspetto incantevole che sembrava tanto disponibile, voleva solo fare colpo sul papà ritrovato. Era la mia versione femminile e già questo fatto l'aveva resa tanto intoccabile, quanto repulsiva. Non provavo nemmeno quell'istinto da fratello protettivo alla “spacco il muso a chi la tocca”. In fin dei conti, eravamo due estranei. Era un modo strano di essere fratelli. Io e Jamie.
-Cooodyyyy!
-Papà?!
Replicai, stupito dal suo fare giulivo. Oh, dimenticavo: da quando l'aveva conosciuta, era peggio del solito. Le aveva telefonato una volta al giorno; a volte due, ma in quelle occasioni chiamava la sera, per fingere di essersi scordato di averla già cercata all' ora di pranzo. Esatto: datemi una vanga, che voglio sotterrarmi.
-Stasera c'è una sorpresa!
-Se è una sorpresa, perché vieni a dirmela?
-Perché sarai sorpreso lo stesso!
-Non mi dire che Jamie viene a cena...
Al che la sua risposta fu un'espressione da bimbo preso con la marmellata sulle mani e spalmata in faccia; sparì alla svelta furtivo come un gatto.
Bella sorpresa.

Per la contentezza mi tagliai con la carta.



(Avevo detto che ci sarebbe stato un capitolo bonus, ma lo sezionerò per ragioni di lunghezza).

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Capitolo 13
*** La Vigilia di Natale (1) ***


Non è che la odiavo... ma forse stava bene dov'era sempre stata. Perché mai sforzarsi di creare un rapporto inesistente? Boh.
La mamma se ne accorse e mi fissò storto:
-Che c'è?
-C'è che non ha senso.
-Cody... se per Brian ha senso, lo ha anche per noi. Intesi?
-Ma a te va così bene? Perdonato e tutti contenti come prima?
-Nella vita a volte ci si perde: capita di fare errori di percorso.
-Oh no! Adesso non mi dire che dalla tua parte ho un fratello biondo e svedese che si chiama Ralph.
-Allora non te lo dico...
Chiuse mamma, intenta ad asciugare i piatti, sorridendo sadica.
-Mammaaa!
Per fargliela pagare aprii il rubinetto e le gettai qualche schizzo d'acqua addosso. Al che lei cercò quasi di affogarmi -bonariamente per quanto possa esserlo- sotto al getto del lavandino.
Eppure l'avevo visto, quel fantasma di tristezza galleggiarle negli occhi. Come se lei fosse stata in quella stanza quando lui scempiava il corpo di un'altra donna. A questo punto deduco che lei lo abbia sempre immaginato e che abbia aspettato con pazienza che venisse fuori.
La mamma era una roccia. La scogliera che permetteva ancora a quel mare di mio padre di accostarsi e infrangersi ancora. Forse si conoscevano troppo a vicenda per non aspettarsi ciò che era successo tra loro. Lei è sempre stata consapevole, che il mare non sa stare fermo e quell'incostanza è più forte di lui. Fa parte della sua instabile natura. Il mare ha sempre saputo, che lo scoglio sarebbe rimasto perché non può spostarsi nemmeno volendo: è incatenato lì dalla sua stessa natura.
E io probabilmente non dovevo per forza capire, dal momento che quel legame pieno di strappi ricuciti, funzionava lo stesso. Non era affar mio indagare su qualcosa che ha fatto il suo corso senza il mio permesso. Io ero solo il risultato di nature più forti di loro, di quelle catene che da un lato li strattonavano via, dall'altro li rendevano indissolubili.
La realtà è che non si sono lasciati, perché una parte dell'uno sarebbe stata sempre persa nell'altro. E quello che accadeva in mezzo tagliava, feriva, ma era solo di passaggio.


Capii in pochi giorni, che papà da entusiasta era davvero troppo. Forse è per questo che certe persone nascono completamente senza equilibri: se fossero sempre a mille, tutti sarebbero infastiditi da quella strabordante elettricità. Era quasi come avere Babbo Natale in giro per casa, con i campanellini che canticchiava allegramente. E canticchiava allegramente... e ricanticchiava imperterrito senza rendersi conto che era il momento di finirla.
Sgattaiolai via dalla cucina solo saltuariamente, per dare un'occhiata a chi veniva.
I primi a giungere furono Steve e il piccolo Tim...cioè, Fiona. Scusate, ma con quel fare saltellante per via della stampella, non ho resistito. Era troppo buffa: non ci sapeva camminare e credo non avrebbe imparato nemmeno facendo un corso. Invece di salutare, le risi direttamente in faccia; lei, senza scomporsi un minimo, minacciò di farmi camminare uguale tirandomi una stampella sulla gamba. Fui galante ugualmente e cercai di aiutarla a sedersi a travola, ma zio Steve fu un fulmine nel precedermi. Se non parlassi di zio Steve e zia Fiona, giurerei quasi che tra i due ci fosse del tenero... ma si sa, che ultimamente ho troppa fantasia.
Olsdal arrivò ovviamente scompagnato; ci salutò col suo solito entusiasmo contagioso, per poi cercare papà come se non lo avesse visto mai in vita sua.
Ok, mi sentivo un po' acido: è tanto evidente?
-Ma il mio non lo incarti?
Fece mamma per distrarmi, come se le importasse davvero del regalo.
-Non posso mica incartarlo davanti a te; a quello ci pensa papà.
-Quanti te ne mancano? È quasi pronto, gli ospiti sono tutti in salotto. Non è ora di tornare a socializzare di là? Anzi; vai ad aprire, che hanno suonato!
-Devo andare proprio io?
-Vedi altri Cody in giro?
Non chiedetemi perché mamma è così contenta di rispondere alle domande con altre domande.

Mi trascinai, rotolai fino alla porta per accogliere in malo modo colei che stavo aspettando con ansietà...

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Capitolo 14
*** La Vigilia di Natale (2) ***


Una sensazione di disagio mi paralizzò all'istante. Ragazzi, un conto era parlare di Jamie senza guardarla negli occhi, un conto è cercare di essere crudele con lei quando ti dice “Buon Natale” e senza rifletterci due volte, ti si lancia addosso abbracciandoti di cuore. A vederci per certi versi eravamo simili (escludendo il suo aspetto nettamente americano rispetto mio), ma lei aveva quel tocco in più che io non avrei mai avuto: quel modo di fissare una persona minando alle basi la sua volontà, quel riuscire perfettamente a far sentire uno schifo chiunque non l'avesse amata. Come se avesse una voracità d'affetto e non facesse nulla per nasconderla. Ma era più una pretesa orgogliosa, che una richiesta gentile. Ecco... lei in questo era una vera Molko; io mi accontentavo di essere semplicemente un Berg. Non sapevo ipnotizzare nessuno, né costringerlo a passare sopra ai miei sbagli con la sola forza di un sorriso. No, non avevo il carisma di mio padre... ma in Jamie era una luce lampante, innata, che nessuno avrebbe negato. Una bonaria furbizia che tornava sempre utile.
Io sapevo solo sperare di esistere per le persone che amavo, ma non brillavo affatto. Non attiravo l'attenzione di nessuno, semplicemente varcando la soglia di una stanza. Anzi, bastava fissarmi un po' per capire che sarebbe stato molto facile prendere la mia fiducia e ferirla.
Lei un felino; io un cane.
Bene, la scena fu la seguente: lei si sganciò dalla sua stessa stretta; io rimasi impalato come un cretino, senza nemmeno levare in alto un braccio. Dissi solamente “ciao”.
Mi scrutò dentro e storse il labbro tinto di rosso scuro, tremò nel cappottino bianco che ti veniva voglia di toccarlo e mise una mano in tasca.
-Ti prego, aprilo qui. Non mi va che lo scarti davanti a tutti.
Mi porse un pacchetto con quella manina delicata, laccata di smalto nero opaco.
Era un incarto piccolo e fragile come lei. Lo presi senza troppa convinzione; lo aprii ed emisi un verso strano, molto simile a una risatina.
-Lo so che sarai abituato a ben altri regali...
Oh no: ancora con la storia del ragazzo ricco che potrebbe comprare il mondo con lo schiocco delle dita. Mi faceva davvero così snob?
-Oh....ma è bellissima!
Era una penna usb a forma di violino, nera con le corde bianche. Qualcosa di così semplice e particolare nel contempo, da togliermi il fiato.
Che ci crediate o no, nessuno aveva mai pensato a farmi un regalo del genere. Qualcosa che colpisse così a fondo e mirasse ai miei interessi in modo tanto analitico.
Con la mia esclamazione si rasserenò: l'espressione tirata divenne un sorriso. Si ravviò quei capelli lunghissimi che avevano l'abitudine di sfuggire al suo controllo.
-Davvero ti piace? Mi sembrava che al meet & greet avessi detto che eri un amante degli archi.
L'ho detto? Nemmeno lo ricordavo. Fatto sta che aveva indubbiamente indovinato e mi fece sentire una persona infida e orribile per non averle fatto doni.
Sorrisi, impacciatissimo.
-Grazie mille: mi è piaciuta davvero tanto. Entra.
Fu così, che l'aroma dolciastro di vaniglia invase l'atrio di casa.


L'ora che seguì, fu a dir poco terribile per due motivi: era seduta vicino a me e non riuscivo a guardarla senza fare pensieri strani per cui cambiavo colore; sapeva ogni minima cosa sul lavoro di papà e dell'intera band... e sto parlando di ogni singola canzone, intervista, frase, aneddoto, curiosità. Non c'era praticamente niente che non conoscesse già ed era divenuta il perno della conversazione. Non mi sono permesso di chiederle dove Brian aveva i nei solo per non restare completamente traumatizzato dalla risposta. Forse qualche altro centimetro da fare in altezza, ce l'avevo ancora.
Ingoiavo bocconi di cibo senza fissarla, mi giravo spesso verso destra in cerca di Helena anche col pretesto di dire cose stupide. Lei sembrava divertita dalla situazione quanto il resto del gruppo, non si curava granché del mio senso opprimente di disagio e fastidio. Rispose sempre con tranquillità, senza permettermi di monopolizzare la sua attenzione.
Jamie era affascinante e intelligente, fin troppo... appunto per questo la volevo lontano e mi sentivo chiuso in una bolla.
E non ditemi anche voi che sto comportandomi come un bambino, vi prego.
Ah, già... dimenticavo il comportamento di suo, ehm nostro padre. Seduto alla sinistra di lei e alla destra di Stef, pendeva letteralmente dalle sue labbra. Li scrutavo solo gesticolare e sorridere in modo frenetico. Non facevano altro che esistere solo loro. La mia testa era così occupata da questi foschi pensieri, che si scoprì completamente vuota quando lui chiese la mia opinione.
-Cody? Cosa ti dico sempre in proposito?
Domandò, allegro come l'avevo visto rare volte in vita mia.
Sembravo Bambi prima che sparassero alla madre e la caricassero sul furgone. Il criceto che caricava le idee nel mio cervello, aveva smesso di correre.
-Ehm, scusa non mi sento un granché bene.
Mi alzai, e mi diressi verso la camera, lasciando gli altri un tantino perplessi.
Fu allora che zio Steve rimuginò una ventina di secondi. Poi lo vidi corrermi dietro.
Mi sedetti sul letto e lui mi fu al fianco.
-Tutto a posto, ragazzo?
-Sì, zio. Ho solo tanto mal di testa.
-Ma adesso ci scambiamo i regali. Sei sicuro di non voler venire di là?
Sbuffai sfinito.
-È fantastica, vero?
Commentai stizzito.
-Non dovrebbe esserlo?
-Nono, anzi...pensa se fosse stata anche antipatica. Sarebbe stato un dramma.
-E allora!
-Allora niente. Mi sento comunque giù.
-Vuoi che ti faccia il solletico come quando avevi quattro anni? Magari funziona ancora.
-No, ti prego...questo risparmiamelo.
Esclamai perplesso. Poi proseguii.
-Lei è così...così... non lo so descrivere. E io mi sento solo.
Steve inarcò un sopracciglio.
-Ok, qui ci vuole una ragazza!
Disse, ridacchiando da solo. Io lo fissai serio.
-Dai, come sei natalizio stasera! Ma spiegami un po': con quella ragazza che ti piace, ti senti ancora?
-Non l'ho sentita proprio.
Bofonchiai sconfortato.
-Ah.
-Tutto qui?
-Allora “B”.
-Che battuta pessima; sei sempre il solito!
Guardò alla svelta l'orologio e cambiò espressione: si fece più serio, più materno. La bocca inarcata all'insù per la soddisfazione; lo sguardo fermo, sereno. Paterno.
Ricevetti una pacca pesante sulla spalla.
-È mezzanotte: Buon Natale, piccolo Cody.
Le luci di là erano sparite. La sala era completamente affondata nel buio. Dal salone proveniva solo una voce tanto sottile quanto metallica e roca. Senza dubbio papà.
-Buon Natale a tutti. Grazie perché quest'anno, più che mai, siamo davvero una famiglia completa.
Camminammo a tentoni; io inciampai come un cretino e percorsi il corridoio saltellando su un piede solo. Lo zio rideva alle mie spalle così rumorosamente, che solo poi misi a fuoco un suono in lontananza.

Mi bastava giungere nella camera a fianco, per incontrare il canto strappalacrime del violino. Triste e depresso quasi quanto me.
-Zia Fiona?
Urlai, ma tutti rimasero in silenzio. Solo lo zio sussurrò qualcosa al mio orecchio.
-Che aspetti? Vai.
Restò appoggiato al muro, in attesa di una mia mossa.
Stetti al gioco ed evitai di mettere mano all'interruttore.
Inciampai altre tre volte, di cui una che mi portò quasi sul tavolo al posto del dessert.
Poggiai la mano sulla porta e l'aprii lentamente.


Crollai in ginocchio con le lacrime agli occhi; l'emozione era così violenta da non sapere come contenerla.
Il perimetro dello studio era totalmente invaso da una scia di candele rosse. Morbide fiammelle che galleggiavano e confondevano lo sguardo. Tanto che, per vederla impiegai una manciata di secondi.
La veste bianca le ondulava addosso, leggera come una nuvola. Le braccia esili, sottili, vibravano come corde: una delle due completamente coperta dalla manica bianca; l'altra, scoperta.
Ballava lentamente, come una foglia d'autunno che fa l'ultima danza prima dell'addio.
Era una dea: la mia dea.
Mi bastò cadere nei suoi occhi di smeraldo, per quietare ogni tipo d'angoscia e non aver più bisogno di niente. Avrei voluto solo affondare una mano in quelle ciocche castane, accarezzarla e chiudere quella giornata allacciato alle sue braccia.
Ora sì che è veramente Natale. Non poteva esserci regalo migliore.
Attesi per tutto il tempo che terminasse, come una preghiera. Mi alzai e avvicinai a quell'angelo, con la costante paura che, con un tocco, volasse via.
-Natalie! Ma che ci fai qui?
Ricambiò il mio sorriso con un'espressione felice, vera.
-Tu non venivi; così sono venuta io.
Arrossii, tremendamente imbarazzato e in difficoltà.
-Avrei tanto voluto esserci, ma è stata una faccenda anche difficile da spiegare...
-Non ti preoccupare: so già tutto...e Buon Natale.
Per un attimo mi chiesi cosa intendesse per “tutto”, poi decisi di fregarmene altamente e godermi il momento senza rovinarlo. Già ad averla vicino mi veniva la pelle d'oca; mi sentivo stupido anche solo ad aver pensato che mia sorella fosse bellissima. Natalie era capace di far sbiancare la notte con un sorriso.
Lentamente, posò le sue labbra sulla mia guancia e ciò mi diede lo slancio istintivo di baciarla dritta in bocca, ma mi bloccai al pensiero che c'era l'intera famiglia di là. Sarebbe stato terribile e volevo qualcosa di più magico per lei.
Fu da lì che capii che, probabilmente ero perfettamente ricambiato.
-Buon Natale.
Sussurrai roco.

La presi per mano e la portai a testa alta a conoscere una famiglia strana che a volte non capivo, a volte era disgregata e a volte non sembrava proprio una famiglia; ma era pur sempre composta da persone di cui potevo andare fiero.



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Il mio ringraziamento va ai Soulmates che si sono letti questa fanfiction fino alla fine (che poi con Jamie potrebbe non essere esattamente chiusa così; staremo a vedere). Se avete gradito lasciate una recensione, che mi fa sempre piacere e nutre la mia precaria autostima. 
Buonanotte!



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