Molko's Christmas Carol di kike919 (/viewuser.php?uid=485222)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 25 Novembre ***
Capitolo 2: *** 29 Novembre ***
Capitolo 3: *** La variabile ***
Capitolo 4: *** Zio Steve ***
Capitolo 5: *** Zia Fiona ***
Capitolo 6: *** La stanza dei computer ***
Capitolo 7: *** Ragazzo interrotto ***
Capitolo 8: *** Sensi di colpa ***
Capitolo 9: *** Il Meet & Greet. ***
Capitolo 10: *** Abbandono ***
Capitolo 11: *** Sentenza ***
Capitolo 12: *** La Vigilia di Natale ***
Capitolo 13: *** La Vigilia di Natale (1) ***
Capitolo 14: *** La Vigilia di Natale (2) ***
Capitolo 1 *** 25 Novembre ***
Allora, quasi dimenticavo: NON è a scopo di lucro, ovviamente NON è veritiera e sinceramente NON vuole essere offensiva. Non mi permetterei mai. E Buon Natale :D
C'era una
volta un Dio che aveva dimenticato l'uomo. O un uomo che aveva
dimenticato Dio.
Lo aveva
accantonato, anzi, aveva provato a cancellarlo per sempre dalla sua
vita. Come se non lo avesse inciso dentro. Come se non fosse mai
esistito.
Eppure Dio
l'aveva rincorso,ogni singolo istante, canzone dopo canzone.
Per
ricordargli la sua esistenza. L'impossibilità di dimenticare
davvero.
25
Novembre_
Molko si era svegliato con la testa spaccata a
metà, lo stomaco in fiamme. La lingua impastata, sorpresa ancora a
farfugliare i comandamenti:
Non
commettere atti impuri.
Non
dire falsa testimonianza.
Gli balenò in mente l'immagine della mamma. Un
mantra ripetuto a mani giunte. Piangendo.
Non fece in tempo a sporgersi dalla stanza, che
in corridoio si specchiò nello sguardo cristallino di Cody.
-Papà,
non ci sei stato mai. Hai mancato ogni singolo compleanno.
-Ma
ci sono stato sempre! Ho cancellato anche alcune date per esserci
anch'io.
-Non
è vero! E lo sai bene...
Lo odiò per quel ricordo artefatto. Fittizio.
Ebbe quasi l'impulso di colpirlo... poi si diede del grandissimo
idiota e tornò in sé. Tremando.
-Brian, che c'è? Sembra quasi che tu abbia
visto un fantasma.
Farfugliò il ragazzo, assonnato. Chissà
perché aveva smesso di chiamarlo “papi”.
-Cody, non ho niente. Torna a dormire, che son
le sei di mattina.
L'altro annuì, senza specificare di essere
appena rincasato. Non è il caso di farlo arrabbiare. Specie
quando ti fissa in quel modo inquietante, con gli occhi malati da
gatto investito da un'auto, riemergendo da sogni allucinati.
Quell'antico vuoto bruciava. Partiva da un foro
dell'anima e ne inceneriva sempre di più i contorni, fino ad
espandersi. Quegli strappi incolmabili.
Brian aveva smesso da così tanto tempo, che
persino con se stesso aveva il terrore di ammettere di avere un
impellente bisogno di qualche droga.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 29 Novembre ***
29
Novembre_
-L'assurda coppietta Molsdal sghignazza di là.
É mai possibile che quei due ridano soltanto tra loro?
-Lasciali fare, Steve. Vuoi proprio irritarli
di prima mattina? Se hai intenzione di sganciare un'atomica,
accomodati pure.
Rispose Fiona. Donna quasi da santificare,
abituata a quel manicomio mal assortito aveva ben in testa i tempi
emotivi di ognuno, e sapeva come rispettarli. Steve a volte no.
Proprio per questo, Sunshine aveva imparato a chiedere consiglio,
prima di scatenare un colossale finimondo.
-Almeno dimmi cosa bolle in pentola.
-Un Meet & Greet, pare.
-Un Meet & Greet?
-Già... il 22 Dicembre.
-Ma è Natale!
-A dire il vero, Natale è il 25...
-Ma è quasi Natale!
-Steve, non prendertela con me. Non è di certo
mia l'idea.
-E chi sarebbe il genio stavolta?
-A quanto pare Brian.
A quel punto scese un silenzio grottesco,
pesante, tombale. Da finale di soap in sospeso. Fiona scrollò il
capo: ho creato un mostro. Basta “poco” per suscitare la
curiosità insaziabile di Sunshine.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La variabile ***
Brian Molko era un
animale instabile. Strano. Sapeva scrollare le spalle davanti alle
peggiori disgrazie dell'umanità; poi, per un avvenimento
apparentemente insignificante, di cui non si accorgeva nessuno,
finiva per toccare l'abisso con un dito. Era dotato di una
sensibilità innata, criptica, che non apparteneva a questo mondo.
Nulla poteva toccarlo eppure nulla gli scivolava addosso. Lo vedevi
scherzare, minimizzare e poi, un dettaglio di troppo all'improvviso,
faceva sgorgare il dolore come una fontana. E lo scorgevi solo, a
fissare il vuoto pensando a chissà cosa. Mentre l'attimo prima
rideva.
E Steve lo sapeva bene.
L'aveva capito da un pezzo. Era il componente che più meritava di
trovarsi in quella band per costanza ed impegno. L'unico che pur
essendo completamente diverso dagli altri due, aveva saputo far
funzionare le cose. L'anima del gruppo era l'abisso di Molko, attorno
al quale ruotava la pazienza empatica di Stef: era come una corazza
che attutiva il mondo quando i colpi erano troppo forti, quando il
genio stava per crollare. Eccessive sollecitazioni.
Stef e Molko non
sarebbero finiti mai, perché a Brian serviva un parafulmini. Era
estremamente recettivo agli stimoli, ma incapace di incanalarli
senza autodistruggersi. Ogni canzone si portava lo strascico di un
collasso dell'anima ed era troppo. Gli sarebbe sempre servito
qualcuno di stabile, capace di tirarlo fuori un attimo prima del buio
completo. E il boss era una persona dalla smisurata intelligenza:
sapeva meglio degli altri, che Stef gli faceva da termometro, che
senza sarebbe stato sempre a un passo dall'esplodere. Perché sapeva
rinascere sempre, ma farlo in completa solitudine lo disgregava.
E lui? Raggio di sole che
ruolo aveva in tutto questo?!
Per lui era stato
estremamente difficile. I primi periodi un Inferno, anche se del suo
disagio non aveva mai parlato con nessuno. Lui lo sapeva perché era
lì, e non era facile da spiegare.
Chi come Molko ha un
grande buio dentro, tenderà sempre e comunque ad oscurare il buio
degli altri.
E non lo fanno apposta.
Rivendicare il proprio dolore è l'unico modo che fa sentire certe
persone vive, l'unico spiraglio di luce che vedono al termine di una
galleria troppo lunga. Che non hanno il coraggio di attraversare.
Steve lo sentiva. Ogni
giorno c'era una rabbia nuova da esternare, un tragitto interminabile
che non voleva attraversare. C'era la paura, perché tutti si
chiedevano che cavolo ci facesse lui lì, in mezzo a quel duo troppo
perfetto. Sembrava un'infiltrazione d'acqua che cercava spazio in un
abitazione perfetta. Senza buchi. Ma era caparbio, testardo e se
voleva una cosa la otteneva... quindi cominciò a osservarli e
cominciò a vedere le crepe. Piccole muffe che se non fosse
intervenuto, si sarebbero allargate. Brian e Stef erano perfetti si;
ma solo in un piccolo tragico mondo irreale, in cui avrebbero potuto
struggersi e capirsi in eterno, scappando dall'umanità intera. Un
lacerante “Io e te”. Ma vivere era un'altra cosa: c'era la gente
che li chiamava e loro erano sempre poco interattivi, sempre a
scatola chiusa. Allora lui ricordava a entrambi, che il mestiere che
stavano facendo non lo facevano solo per se stessi, ma prima di tutto
per dare qualcosa agli altri. La musica è comunicazione, ragazzi.
Steve era la variabile
che gli mancava: di tante cose rischiavano di scordarsi della gente.
E non lo avrebbero ammesso; o meglio, Molko non lo avrebbe ammesso.
Perché lo infastidiva sentirsi sotto una lente d'ingrandimento,
perché lui non era stato invitato a entrare come Stef, ma ormai gli
leggeva dentro.
Proprio perché gli leggeva dentro, gli caddero
le braccia: in fondo, cosa c'è di più divertente, bizzarro e nel
contempo spaventoso di Brian Molko che organizza con entusiasmo un
Meet & Greet?!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Zio Steve ***
Ok, questa storia di
Steve che trovò uno scopo di vita facendo da intermediario tra i
Placebo e la gente non convince nessuno, perciò diciamola nuda e
cruda com'è: a lui non sarebbe bastato essere utile; voleva rendersi
indispensabile, così da non trovarsi accantonato in un angolo senza
nemmeno accorgersene. Ma non aveva dovuto affatto forzare le cose;
anzi, il suo ruolo era emerso da sé con la nascita di Cody.
Era stato amore a prima
vista. Zio Steve come devo fare, cosa devo fare, che ne dici di
questo. Quel ragazzino pendeva
letteralmente dalle sue labbra e ciò lo rendeva fiero di sé, ma
aveva spesso paura di deluderlo, visto che il suo compito vero e
proprio era diventato col tempo tradurre al figlio, i talvolta
improponibili comportamenti del padre.
Al
giovane, per via della sua irruenza -chissà da chi l'avrà presa-
sfuggivano puntualmente le sfumature rivelatrici. C'era sempre una
traccia che Brian lasciava inconsapevolmente per farsi scoprire; per
non restare solo in quell'abisso, di cui in fondo aveva il terrore.
Dopotutto era un essere umano anche lui... nessuno vuole affondare
davvero. Non a quelle profondità.
-Ma
ci dev'essere un modo, zio Steve! Perché mai dovrei partecipare a un
Meet & Greet?! Papà ha passato una vita a nascondermi al mondo
intero...
-Appunto,
non è ora di uscire allo scoperto?!
Rispose
lo zio, lanciando al diciassettenne una coca. Era inutile: quel
ragazzino magari sapeva andare su Marte e tornare, ma di aprire una
lattina non se ne parlava neanche a morire.
-Dai
qua.
Lo
schiocco del gas intento a risalire, fece notare a entrambi che
parlavano da dietro i loro pensieri. Nessuno dei due era realmente
concentrato. L'uno si chiedeva che tipo di favore stava per essergli
chiesto; l'altro non sapeva come dirgli che, il giorno del Meet &
Greet ci sarebbe stato il compleanno di Natalie, la ragazza che ormai
gli piaceva da mesi. Non sapeva proprio come riuscire a conoscerla...
e finalmente lei lo aveva notato. Aveva quell'invito. Ciò che
rendeva la faccenda più difficile, era il fatto che fosse la prima
cotta e che il padre, prima che lui sapesse della serata, aveva già
pianificato gli incontri con i fans. Come faceva del resto con la sua
intera vita. Certo, sarebbe stato peggio far parte delle tante cose
che lui ignorava, ma lo intristiva sentirsi telecomandato.
Steve
lo guardò un paio di secondi negli occhi e poi sorrise in quel modo
accomodante, che gli dava sempre l'impressione di poter comprimere i
problemi e dargli un bel calcio. Lo zio era un abbraccio sicuro.
Sempre.
-Cosa
bolle in pentola, Molko?!
-Niente...
La
faccia da furfante del ragazzo non lo convinse affatto. Cody non era
più accessibile di Brian: a rendere diversa la situazione era il
semplice fatto che la chiave d'accesso gli era stata data e non
doveva faticare per ottenerla.
Colto
in fallo, il giovane continuò.
-E'
solo che non ci voglio andare. La gente mi mette in soggezione.
-Guarda
che saranno più intimiditi loro da te.
-Da
voi, vorrai dire...
-Steve!
Potresti mica spiegarmi questo passaggio totalmente inventato che hai
ficcato qua in mezzo?! Mi farete diventare matto...
Urlò
una voce fredda e metallica, che sembrava uscir fuori sempre dal
nulla e nei momenti peggiori.
Lo zio, richiamato al dovere dal boss, si alzò
dal comodo puff blu elettrico della stanzetta bianca, vicina alla
sala prove. Cody sbuffò, conservando dentro di sé la speranza di
trovare una qualsiasi scappatoia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Zia Fiona ***
Fiona non ha mai fretta. La si può definire
una di quelle persone che non hanno paura di niente, soprattutto del
silenzio. Ti osserva, scruta ogni tuo minimo movimento, fa in modo
che le nuvolette di pensieri inespressi prendano forma. Aspetta che
ciò che vuoi nascondere spalanchi le fauci per urlare. Per uscire.
E questo atteggiamento funzionava sempre, con
papà e soprattutto con me.
A volte mi chiedo come faccia a non essere
attratto da lei, a non provare i brividi al solo contatto con la sua
mano. Se fossi nato una manciata di anni prima...
Non riuscivo a studiare. Era già ora di cena
ed ogni mio tentativo d'imprimere una qualunque frase in testa,
implodeva, sbiancava di fronte al suono del theremin nella stanza
accanto.
Abbandonai il “mio ufficio”. Cercai di
tenderle un agguato, nella speranza che quelle mani affusolate, così
prese dall'accarezzare l'aria, non si accorgessero di me.
Invece rovinai tutto.
-Cody, già qui? In effetti Helena mi aveva
chiamata già dieci minuti fa; ti riaccompagno io stasera.
Se
mio padre non mi trattasse come un bambino e mi facesse prendere la
patente, tornerei da solo. Distrussi
quel discorso prima ancora che potesse plasmarsi in forma. Anche un
tragitto intero in silenzio era fantastico, con lei.
-Mi chiedevo... tu che ci lavori insieme... hai
la più pallida idea di cosa potrei regalare a mio padre per il suo
compleanno?
-Ovviamente nulla che gli ricordi quanti anni
va a compiere. Morirebbe all'istante.
-Ci deve pur essere qualcosa...
Ebbene sì, è sempre un impresa tragica
trovare qualcosa che riesca a entusiasmare mio padre, senza
deluderlo.
-In effetti una cosina ci sarebbe...
Replicò Fiona, strizzando l'occhio.
-Ohh, molto bene!
-La tua presenza al Meet & Greet. Oh sì,
sono convinta che sarebbe un regalo straordinario.
-Ma che importanza ha? È solo uno stupido
incontro con i fans!
-Non lo so, ma a quanto pare per lui ha più
importanza del suo compleanno. Non ti sembra abbastanza come regalo?
-Bah, quello lì non lo capirò mai.
-Non solo tu, ma sai com'è: o lo ami o lo odi;
con certe persone non ci sono vie di mezzo.
Mi mette a disagio parlarne. Ogni volta che mi
guardo allo specchio, vedo troppo di lui in me e mi sento uno
schifoso mostro. Non voglio affascinare la gente e nel contempo
allontanarla. Non mi piace l'ambiguità; essere attrattivo e
repulsivo nel contempo. Forse sono poco coraggioso, ho troppa paura
di restare solo.
-Non lo sopporto quando fa così. Questo
stupido incontro poco prima di Natale, non è altro che una delle
sue tante stramberie senza capo né coda.
Poi scese la tenda: Fiona non aggiunse altro.
Si aggiustò in un sorriso assorto guardando la strada, senza
insistere. Senza replicare.
Poi prese un fiato di quelli che mi parvero
infiniti.
-Bel nome Natalie. Ha un che di poetico.
Mi sorprese, poi assunse quella sua posa di
quando assaggia la vita.
-E tu come lo sai?
Pensai
in automatico: Steve! Il
problema è che a lui non l'avevo nemmeno detto.
-Hai lasciato il quaderno in studio. Aperto su
quel nome. Doveva pur significare qualcosa.
-Già...
-Quindi lei non c'entra con la storia del Meet
& Greet? Ricordo che da bambino eri il primo a voler incontrare
la gente. Ti arrabbiavi un sacco con Brian perché non ti faceva
partecipare.
Sarebbe servito non rispondere? Tanto mi
sarebbe scappato comunque. Fiona potrebbe fare gli interrogatori per
la CIA.
-Il
22 c'è la sua festa di compleanno. Mancherò solo io, perché il mio
papà rockstar vuole rovinarmi la vita.
-No che non vuole rovinartela. È solo che i
genitori a volte fanno cose, che potrai capire solo dopo tanto tempo.
È giusto così.
-Se lo dici tu...
Fece un respiro profondo, di quelli che ti
riportano a qualcosa di bello. Avrei voluto tanto essere nella sua
testa. Capire.
-Cosa ti piace di lei?
-Non saprei...
-Tutti lo sanno. Ti ho visto crescere, non
m'imbarazza mica se mi dici che ti ha colpito perché ha un bel seno,
o cose così.
-No! Ma che bel seno!
Assunsi in automatico un colorito paonazzo,
indescrivibile. Però mi divertiva quel lato schietto di lei.
Continuai. Con Fiona e Steve mi sento al sicuro.
-E' bella. Bella da far impazzire. Ma amo più
di tutto la sua magia. La prima volta che l'ho vista, si è
presentata a uno spettacolo scolastico a cui strimpellavo la
chitarra... e lei era un mondo a parte, delicato. Un cristallo. Era
lì con quel therem... violino e si è messa a suonare. Con quelle
corde mi toccava l'anima e io non capivo più nulla. Era come una
fata, un angelo ed ogni nota mi stringeva il cuore. Non era una
canzone; era questione di vita o di morte.
Vederla muoversi in modo così dolce, soave,
seguendo lo strumento come una danza, è quasi una dipendenza. È
così aggraziata, una fata delle nevi. Quella farfalla voglio solo
stringerla tra le mani. Averla nella mia esistenza.
-Una violinista eh? Sei sempre stato così
affascinato dagli archi. Da piccolo mi ascoltavi suonare per ore...
se vuoi far colpo t'insegno!
-No grazie, non credo di fare lo stesso
effetto... e comunque non andrò mai a quella festa.
Sbuffai, accasciandomi scoraggiato sul sedile.
Arrivati. Fece le solite quindici manovre per
parcheggiare, poi si guardò intorno furtiva. Prese a bisbigliare
sottovoce.
-Ascolta: tu andrai al Meet & Greet e ti
sforzerai di essere carino con le persone e con Brian... poi a una
certa ora cercheremo di farti sparire. Questo è il piano, secondo
Steve. Ovviamente ti copriremo, ma tu dovrai fingerti entusiasta fino
alla fine. È chiaro?
Perplesso, ancora non credevo alle mie
orecchie.
-S-sì, chiaro...
Il vento fuori tagliava le orecchie. Il gelo fa
sembrare i tragitti sempre troppo lunghi. Anche quelli dalla macchina
a casa. Quasi faticavo a sbattermi la portiera alle spalle.
-Fiona, posso farti una domanda?
-Dimmi...
-Cosa ci guadagni in tutto questo? Perché lo
state facendo?
-Assolutamente niente. Sono solo un sacco
romantica. Tutti amano qualcuno, no?!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** La stanza dei computer ***
Da ore non si staccavano dai computer. Tutti e
tre avevano gli occhi rossi ed erano profondamente innervositi e
spossati dal sonno.
Olsdal, annoiato non proferiva parola. Anzi,
cercava d'intensificare l'attività in modo da chiudere quella
faccenda al più presto. Dalla precisione tecnica e maniacale,
cercava di archiviare quegli infiniti profili, facce diverse che
dicevano tutte la stessa cosa.
Steve parlava troppo; Brian cominciava a farsi
facilmente irritabile.
Sunshine -tanto per cambiare- ruppe per primo
il silenzio.
-Ricordatemi perché lo stiamo facendo...
-Te l'ho detto: ho sognato Stefan versione
fantasma del Natale passato, e te versione fantasma del Natale
presente col tutù in pizzo addosso. Devo aggiungere i dettagli?
-Spero che il tutù non sia stato rosa, non
dona al mio incarnato... e il fantasma del Natale futuro chi
era? -Tua zia.
-Fosse la tua...
-Stef, ricordami quanti batteristi abbiamo
cambiato fino ad oggi...
-Finitela. Siete davvero infantili. Vediamo di
sceglierne uno a testa, senza che passi un mese!
Tuonò bruscamente Stef, facendo piombare un
improvviso silenzio.
Il concorso consisteva nell'inviare una propria
foto con nome, cognome, età e soprattutto una breve risposta alla
domanda: perché sei un fan dei Placebo?
I prescelti sarebbero stati tre, con la
possibilità di portare una persona con loro.
Steve approfittò furbescamente della ricerca
per cambiare discorso.
-Eccone uno! Questo mi sembra un buon
candidato.
Denny
Brentford, 28.
Mi
bucavo, facevo uso di qualsiasi droga ci fosse in circolazione. Mi
sentivo solo e nessuno poteva capire il mio tormento interiore. Poi
ho incontrato la musica dei Placebo e mi ha dato speranza. Non avevo
nessun amico, ma con loro non mi sentivo più solo. Era come se
qualcosa dentro di me si fosse riparato.
Sono
fan del Placebo, perché mi hanno dato la forza di non morire. Ora se
sono padre e ho una bambina di un anno, è anche merito loro. Presto
la porterò ad un concerto.
-Scruti profili da giorni, per trovare questo?
Commentò Brian sarcasticamente, utilizzando il
povero malcapitato per cui non provava affatto avversione, solo per
stuzzicare Sunshine.
-Beh, sentiamo la tua, d'ispirazione.
Il boss estrasse da non so dove un piccolo
blocco d'appunti ben scritto, su cui si era copiato una decina di
profili. Li aveva letti e ripetuti più volte nei giorni precedenti,
quasi la scelta fosse in base alla presentazione che suonava meglio.
L'altro con riflessi pronti s'impossessò del primo foglio,
noncurante delle mosse poco atletiche di Brian per recuperarlo.
-Ma cosa sei, un maniaco seriale?! Sono tutte
ragazze adolescenti! E poi perché ti segni il colore di occhi e
capelli?
Brian, con gesto brusco e glaciale gli strappò
la pagina di mano.
-Ognuno ha i suoi criteri, no?! Ci tengo io a
realizzare i sogni degli adolescenti scontenti... e scusami tanto se
prendo appunti per ricordarne il viso!
-Certo, che versione strappalacrime... se
domani ti chiedessi di confermarmi quanto detto ora, nemmeno te lo
ricorderesti!
-E finitela! Leggi Brian, per favore. Facciamo
finta che io abbia una vita al di fuori di qui, e anche una gran
fretta...
L'interruppe nuovamente Olsdal, a cui scocciava
fare sempre da balia.
-Davvero hai una vita al di fuori di qui?
Rispose Brian con fare da civetta, scoccandogli
uno sguardo languido. Stef si arrese all'evidenza: quei due non si
sarebbero comportati mai da persone serie. Specie il capo.
-Comunque...
Aggiunse Molko solennemente, schiarendosi la
voce.
-...la mia candidata credo sia questa. Se non
cambio idea.
Lana
Stevenson, 15
Sono
cieca dalla nascita. Non ho mai visto niente. Non so che forma abbia
il cielo, che colore abbiano i fiori. Posso solo toccare gli oggetti,
ma non li conoscerò mai con gli occhi.
Amo
i Placebo, perché nonostante io possa solo sentire, rendono le
emozioni così cariche che riesco finalmente a vederle. La mia vita è
meno buia da quando ogni giorno mi mostrano qualcosa.
Stefan
storse il naso.
-Non mi
sembra...
-Non ti
sembra?
Chiese
ansioso il boss.
-Il
candidato adatto a te... se sei sicuro...
-Al 55%
sono sicuro.
-Perché,
cos'ha che non va? Mi sembra una bella storia! Aggiudicata.
Esclamò
Steve con brio; Stef sparpagliò la sua risma di appunti
-un'enciclopedia rispetto al blocchettino volante di Brian- e con un
ghigno strano prese parola.
-Pensavo
che qualcuno avesse puntato sulla storia degli eccessi e qualcun
altro su altri tipi di difficoltà; solo che vi ho pensato
invertiti...
-Taglia
Stef, non stai decretando miss mondo...
Lo stroncò
acido Brian.
-E va
bene! Beh, eccovi la via di mezzo:
Jamie
Ford, 16
Sono
cresciuta con mia madre. Io e lei siamo una bella squadra; non mi ha
mai fatto mancare niente, davvero. Però c'è sempre stato quel
vuoto. La palese mancanza di una voce maschile che ti sgrida quando
deve, che ti loda quando fai il tuo dovere. Qualcuno che vada ai
colloqui quando la mamma non può e che ti aiuti a trovare la tua
strada. Ecco, i Placebo mi sono stati accanto, mi hanno indicato la
mia strada. Le loro parole sono quelle che avrebbe dovuto pronunciare
qualcun altro. Sono sempre stati il padre che non ho mai avuto fin da
piccolina, quando la mamma me li faceva ascoltare la notte, e
smettevo di piangere di dolore.
-Anche
questa è tristissima. Un padre che muore ancora prima di conoscerlo,
non è un'esperienza che auguro.
Disse
Forrest, che pur con la volontà di biasimare le scelte altrui, non
ci riuscì.
-Sempre
meglio che un pessimo padre. Chissà che non si sia risparmiata una
delusione.
Buttò lì
Brian sovrappensiero.
-Non
essere così severo con la gente; magari era un brav'uomo.
Rispose
Olsdal.
Proprio in
quel momento, Cody si trascinò svogliato dentro la sala dei
computer.
-Ciao a
tutti! Ehi Brian, la mamma ha chiamato dicendo...
Fu allora
che il boss scattò. Come una molla. Sibilante e furioso.
-Dico io,
da quando ti faccio così schifo da chiamarmi per nome?!
Gli sputò
in faccia quelle parole. Violentarono l'aria. Quella frase sgraziata,
infelice, lo seguì mentre scappò via, buttando tutti i fogli
all'aria.
Si chiuse a chiave nel bagno. Allora il tempo
parve davvero sdoppiarsi, fermarsi.
Stefan scagliò uno sguardo più assassino che
mai, verso il ragazzo, che non aveva fatto niente. Poi si diresse
verso le barricate.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Ragazzo interrotto ***
Gli
incubi non se ne vanno mai. Restano sempre gli stessi, sei solo tu
che t'illudi. Solo tu credi che per quando torneranno sarai diverso.
Più grande, più uomo, più responsabile.
Ma
cosa te ne fai, quando ti accorgi che son solo una manciata di
parole? Quando intasi tutto il cielo con le tue lamentele/preghiere,
che non arrivano mai?
Cosa
cazzo te ne fai, quando la reazione s'innesca da sola e non bastano
passiflora e meditazione per tenerla a freno?
Sono
ancora quel cazzo di bambino.
Da
qualche parte c'è ancora quell'imbecille che non vale niente. Che
non voleva nascere.
C'è
troppo rumore, è il mio respiro...
-Brian,
apri la porta!
Grida
Stef, è un eco lontano. Mai come questa volta ho pensato di farla
finita. Quell'infante senza diritto alla vita preme ancora per
uscire. E sono stanco. Stavolta sono stanco davvero.
Potrebbe
finire come doveva tempo fa: come ultima visione le piastrelle di un
cesso. E se l'avessi fatto in tempo, non ci sarebbe stato nemmeno un
figlio che mi disconosce come padre.
Il
mio ultimo respiro doveva essere troppo tempo fa...
-Brian,
ho detto apri la porta!
-Piantala
Stef! Non sei nessuno per dirmi cosa devo fare!
Gli
altri mi guardano sempre come se fossi un animale. Una fottuta
scimmia dall'altra parte della gabbia. Chissà se qualcuno mi ha mai
visto come una persona. Se qualcuno si è mai accorto che non sono
patetici spettacolini da circo, ma dolore puro. Che non è una
stupida scena per attirare l'attenzione; sono io. Sono proprio io,
che piango e ansimo in un bagno come un malato di mente. Dall'altra
parte c'è il sangue del mio sangue, che pensa stia facendo il
coglione. Se davvero lo stessi facendo, sarei troppo bravo.
Qualcuno
mi fulmini qui, ora. Non ce la faccio a sostenere quello sguardo.
Fuori
litigano, gente che bisbiglia. Corvi sopra un cadavere abbandonato a
cielo aperto.
Non
cercatemi, voglio solo sprofondare.
Cody
grida qualcosa, inveisce contro qualcuno in un modo che sembra il
mio. Lo scansa di rabbia, lo manda a quel paese. Il mio pianto, per
un attimo rotto da una risatina. Poi m'assale l'ansia, di nuovo.
Riprendo a soffocare...
-Vuoi
aprire questa stupida porta o no, papà?!
Si
arrampica con violenza inaudita su quella parola, quasi potessero
cambiare qualcosa.
-Sparisci
Cody, non ti voglio qui.
Urlo
di rimando, cercando di non rantolare.
C'è
un “vieni con me” di qualcuno. Presumibilmente di Steve, che lo
porta via. Passi di gente che si allontana.
E
fuori come sempre resta il respiro cadenzato di Stef “non mi sposto
di qui”, ad aspettarmi.
L'ennesimo
teatrino patetico della mia esistenza. Sono calibrato male.
Scivolo
sconfitto su quella serratura, che ogni volta che la apro perdo pezzi
di me. Mi consumo.
Quella
ferita di luce che m'investe, fa troppo male.
Non
perde un secondo a penetrare nella fenditura, teme che ci possa
ripensare. Sbatte di nuovo la porta alle spalle.
Chiuso
a riccio, sprofondo con la testa tra le ginocchia, per non vedere.
Per non farmi vedere.
Lui
si è già piegato verso di me. Come si fa con i bambini. Non lo
guardo, sento solo il suo fiato addosso.
-Cody
ti ha insultato.
-Già...
a dire il vero me ne ha dette di tutti i colori. Poi mi ha mandato a
quel paese, lanciandosi con tutta la sua furia sulla porta.
Dice
con leggerezza.
-Mi
dispiace...
-Come
se fosse vero. Lo so che in fondo ti piace, quando si comporta come
te.
Sghignazzo
un secondo, lo dissimulo con tosse convulsa. Lui continua.
-E
comunque ho fatto una cosa che non dovevo fare: l'ho guardato come se
fosse davvero colpa sua. Meritavo peggio di ciò che ha fatto. Ma va
bene così; quell'occhiata mi è uscita. Non siamo mica perfetti.
-Non
credere che dire cazzate mi faccia stare meglio.
Lo
accuso, rabbioso.
-Sto
dicendo la verità, mi è uscito. Ero preoccupato e ho agito senza
pensare a lui. Ma quel ragazzo ha la scorza dura, mi perdonerà.
-Almeno
uno in famiglia...
-Andiamo,
Brian! Ogni volta lo stesso discorso. Se fossi così debole come
credi, saresti morto da un pezzo. Invece sei ancora qui.
-Per
vostra sfortuna...
-Brian,
non stiamoci a prendere in giro. Nulla sarebbe lo stesso, senza di
te.
Piango
più forte. Il freddo mi dilania la pelle. Ho i brividi. Non mi sento
padrone: mi prendono e fanno ciò che gli pare del mio corpo. Di me.
Sussulto
forte.
-Non
ce la faccio! Non so come si fa...
-In
qualche modo farai...faremo.
-Ho
fatto troppe cazzate. Non merito perdono.
-Tutti
fanno cazzate. Sarebbe più cazzata dire che gli altri fanno tutto
alla perfezione.
-Non
ho il coraggio di sostenerne lo sguardo.
-Non
sei mica obbligato. Se non ce la facessi, io non lo farei.
-Certo,
bella figura di merda. Come minimo glielo devo.
-Vedi?!
Sei già migliore di me.
S'insinua
nel mio buio, cerca la mia mano. Resiste, ma poi si fa trovare.
Mi
aggiro insieme a lui come uno spettro negli studi.
C'è
solo Steve seduto nel buio. Il volto serio, le gambe a sorreggere i
gomiti e le mani a sorreggere la testa. Ci fissa e non dice niente.
Nessun commento sulla mia faccia stirata, color cenere, nessuna
parola sulla scenata nella sala dei computer. Niente di niente.
Magari mi odia, ma l'unica cosa che mi rifila è uno sbuffo
esasperato. Si alza e si avvicina, quasi non sa come toccarmi senza
farmi male. Infine mi stringe con un braccio, come farebbe sempre.
Con forza.
Quando
si comporta così bene, alimenta solo il mio senso di colpa.
L'intero
edificio è vuoto. Chi lavora con noi lo sa, che in caso mi accada se
ne deve andare. Non deve vedere.
Mentre
Stef è con me, l'altro spegne le luci, le apparecchiature. Poi
attende.
È
la prima volta dopo tanti anni, che tocca a Steve.
E
tace. Poi chiude il portone.
-Sei
proprio uno schifo di persona!
Esclama
ridendo.
-Grazie.
Replico
quasi sussurrando.
Lui
strizza l'occhio.
-Di
niente! A questo servono gli amici...
Non
lo ammetterei mai, ma sentirmi prendere per il culo da lui come suo
solito, mi risolleva il morale.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
*C'è
un unica pagina al presente. Perché il dolore non va affrontato
ieri, o domani. Il giorno migliore per guardare i mostri in faccia è
sempre e comunque l'oggi. Il momento giusto è sempre il presente. Ma
soprattutto perché questo grido, espresso al passato sarebbe
sembrato troppo lontano. Ah sì, ho rubato qualcosa: il titolo del film "Ragazze Interrotte". Un film fantastico.
E' il mio capitolo preferito, spero vi sia piaciuto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Sensi di colpa ***
Si era
vestito al meglio, mentre fantasticava di accarezzare i capelli di
Natalie. Si sentiva impeccabile, perfetto. Suo padre attraversò la
stanza come uno spettro; si accorse della sua presenza solo quando
gli rifilò una pacca sulla spalla.
-Stai
benissimo così. Sono davvero contento che tu abbia preso la faccenda
seriamente.
Si
complimentò con gli occhi lucidi, commossi. Felici.
I due si
volevano così bene da provare l'impulso di urlarselo; ma al solo
pensiero di farlo davvero, si sentivano come se dovessero lanciarsi
sanguinanti in una vasca piena di squali. A entrambi mancavano il
respiro, i tempi, le parole.
Cody ne fu
entusiasta, ma fu un complimento al vetriolo. La sua insolita
dolcezza gli spaccò la pancia. Per consolarsi, frugò nella testa,
alla disperata ricerca di un'occasione in cui si era sentito più in
colpa di così. Occasione che non trovò. Poi si rese conto di aver
trattenuto il respiro, trovò una scusa qualsiasi per allontanarsi da
lui ed uscire da quell'assurda apnea.
Aveva le
lacrime agli occhi. Si sentiva così incredibilmente a disagio, senza
capirne il motivo.
L'edificio
era grande, moderno ed elegante. Lontano dalle telecamere. Gli
incontri si sarebbero svolti individualmente. Consequenziali l'uno
all'altro.
Brian era
in fibrillazione. Di una vivacità agitata, poco lucida.
Gli altri
due discutevano placidamente, accasciati su una sedia.
-Chi entra
per primo? Facciamo il tizio, poi le altre due, ok?
Disse
Stefan, col fare di chi aveva già deciso, più che di porre una
domanda.
-Come vi
pare... mi state solo facendo spazientire.
Rispose
Steve, troppo smanioso di cominciare.
-Allora
Lana arriva per seconda.
Qualcuno
tirò Cody il più lontano possibile e prese a sussurrargli
all'orecchio.
-Ascoltami
bene: lo zio deve restare con voi, se andasse via attirerebbe
l'attenzione. Io fingerò di avere da fare, quindi tra un po' mi
defilerò. Quando conoscerai la seconda persona, trova una scusa per
assentarti un attimo. Ti attenderò fuori con l'auto. Ok?
-Oook.
Sussurrò
a Fiona, intimorito dalla paura di deludere suo padre. Aveva il
ghiaccio nello stomaco e non era più molto convinto.
-Brian...
Brian?! Ci sei? Dico: Lana per seconda?
Il boss
annuì debolmente, poi riprese assente a fissare il vuoto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Il Meet & Greet. ***
Era un
ragazzo robusto. Lo sguardo scuro, i capelli rasati, accompagnato da
una bambina bellissima dallo sguardo intrigante, verde. Osservava
curiosa tutti, istintivamente allungò la manina verso Brian, che le
fece un baciamano divertito, per poi salutare Denny con un cenno e un
sorriso.
Steve per
primo si accostò all'uomo, con un abbraccio istintivo lo fece
sentire subito a casa. Olsdal si limitò ad una semplice stretta di
mano. Il discorso prese subito una piega liscia e divertente,
riguardante i gusti musicali. Fu come una distesa chiacchierata tra
cari amici, con Cody al fianco dei tre che prese la piccola in
braccio e ci giocò per quasi tutto il tempo.
Per
chiudere in bellezza, qualche foto concessa dai quattro e le tre
firme sui cd che il partecipante si era portato. Possedeva quasi
l'intera discografia; ne aveva lasciata a casa mezza.
L'arrivo
di Lana mise tutti a disagio, per via della sua introversione. I tre
la salutarono con un abbraccio veloce. Brian prese a sudare freddo,
Olsdal gli stava vicino, ma poi si allontanò bruscamente. Fu Cody a
rompere il ghiaccio, guardando dritta negli occhi quella ragazzina
pallida e magra, dallo sguardo praticamente bianco che metteva tutti
in soggezione. Le strinse la mano. Inizialmente procedette tutto a
fatica, con Steve palesemente distratto da ciò che sarebbe accaduto
dopo e Stefan che sembrava sugli spini e lanciava occhiate al boss.
Per
esigenze della ragazza, era stata accompagnata da un'assistente. Con
l'arrivo successivo di suo padre, la situazione si rilassò in fretta
e anche lei prese coraggio. Il più spudorato con lei fu proprio il
suo quasi coetaneo, che con tatto le tirò fuori di bocca un racconto
faticoso della sua vita, delle difficoltà giornaliere. Gli altri
ascoltavano attenti. Restarono tutti affascinati da quella timidezza
che si srotolava uscendo dal guscio, da quella riconoscenza nella
voce. Fu un incontro complicato ma significativo, conclusosi non con
foto, ma con delle registrazioni. Lana non ne avrebbe fatto nulla di
firme e foto; ma le voci le avrebbe conservate sempre con sé.
Padre
e figlia non ebbero il tempo di uscire di scena, che Cody dovette di
fretta correre in bagno.
Gli
altri si presero un break.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Abbandono ***
Il giovane tornò dopo pochi minuti, perplesso,
ricondotto in scena da uno Steve che non gli aveva nemmeno rivolto la
parola. Un Sunshine sconcertato e distante. Li raggiunse uno Stefan
nevrotico e irritabile, che cercò di non darlo a vedere.
Appena giunse dal boss, Olsdal fu la persona
più quieta dell'universo. Qualcuno doveva pur mantenere il controllo
della situazione. Anche se stava colando tutto a picco.
Un Brian ignaro, era irrigidito sulla sedia.
Aveva quasi le allucinazioni, si sentiva morire.
Stef gli porse un bicchiere.
-Non fare scherzi; cos'è?
-Semplice acqua e zucchero. Ti servirà.
Gli sorrise riconoscente.
-Era meglio una bottiglia abbondante
d'assenzio...
Si sussurrarono così vicini, che il mondo non
sentì una sillaba. Il boss contava i secondi; gli faceva male il
corpo, punzecchiato quasi ci fossero spini nell'aria e sulla sedia.
Si voltò ancora verso l'amico per un'ennesima
domanda ansiosa, ma non aveva nemmeno bevuto due sorsi, che la
ragazza entrò.
Bella da impallidire, facendosi strada nella
stanza grande e dispersiva, li cercava con lo sguardo. Non servì
cercarli a lungo: erano proprio sotto delle lampade accecanti. Appena
Brian si sentì così trafitto da quelle pupille, gli scivolò il
bicchiere di mano. Si scheggiò in mille pezzi.
La consapevolezza scese istantanea, letale.
L'imperfezione di quell'attimo lo aveva già
destabilizzato. Le parole preparate da giorni, evaporate insieme al
sudore.
Lei era in compagnia di una donna esile, dal
capello netto, corto. Chiunque avrebbe capito che la madre era quasi
una fan più accanita della figlia.
Il boss salutò amichevolmente la donna, poi si
avvicinò a Jamie e fu come prendere la scossa. Aveva uno sguardo
cristallino, sfrontato, feroce. Eppure sorrideva. Un glaciale raggio
di sole.
I capelli lisci, lunghissimi, corvini, folti le
accarezzavano i fianchi; la bocca leggermente sottile, come quella
materna, ma più delineata, con gli angoli all'insù, spiccava
semplicemente con un lucidalabbra roseo. La vita stretta, le mani
affusolate. Il vestito candido dalla linea pulita, essenziale; le
calze nere.
Brian l'abbracciò affettuosamente, quasi
crollandole addosso. Le baciò la guancia e per un attimo fu tentato
d'indugiare ancora un po' addossato così a lei, per sentirne il
profumo. Si trattenne controvoglia e staccarsi fu un dolore, un
taglio in pancia. Era contenta di vederlo. Probabilmente se solo lui
le avesse chiesto di fare lo stesso, di stringerlo così con
abbandono, lei non ci avrebbe pensato due volte. Nemmeno
un'esitazione.
La grottesca situazione in cui non si capisce
più chi è il fan tra i due. Gli venne automatico di voltarsi verso
Stef e sorridergli con gli occhi. Steve e Cody, pur non credendo alla
scena appena vista, la salutarono più o meno allo stesso modo.
Olsdal, compostamente le diede una stretta di mano.
Tutti quelli che sapevano, erano piuttosto
nervosi per quanto accaduto; persino Steve non era lo stesso. Si
sentiva come se gli avessero grattato via un po' di vita. Cody ancora
si chiedeva perché lo zio si fosse improvvisamente arrabbiato, ma
poi non pensò nemmeno più a Natalie e prese ad incantarsi davanti a
quella ragazza così bella, che sembrava uscita da una di quelle
fiabe in cui c'è sempre qualche personaggio invidioso che vuole
portarle via la bellezza.
Inutile dire che l'incontro durò il doppio
degli altri. La conversazione prese fuoco subito, con entusiasmo e lo
stesso Brian l'alimentava ingordo, con domande ordinarie. Che musica
ascolti, qual è il tuo piatto preferito, cosa ti piace fare nel
tempo libero, come si chiamano i tuoi più cari amici. Cody si
svegliò solo gongolando, quando il boss le chiese pure se aveva il
fidanzato e rispose di no.
Molko aveva così completamente monopolizzato
la scena, che ogni tentativo altrui di rendere completo il colloquio
col proprio contributo, era semplicemente fuori posto.
Dopo le foto e gli autografi le accompagnò
verso la porta, prendendo rapidamente in disparte la madre. Abbracciò
Jamie con tutta la forza che aveva in corpo e le salutò. Tornò
verso la band con uno sguardo strano.
Steve prese subito da parte Cody e gli spiegò
tutto; il ragazzo ricacciò indietro un singhiozzo.
Non fecero caso a Brian che corse letteralmente
a stringere Stef, mostrandogli un foglietto.
-Hai preso il numero?
-Già, hanno problemi economici. Direi che è
stato il momento giusto.
-E' andata bene.
-Eppure fino a un certo punto ero convinto
fosse Lana. Come ho fatto a non capirlo subito... dovevo capirlo solo
a guardarla in foto...
-Erano in tanti. E poi la tua memoria ha sempre
fatto schifo.
-Grazie Stef. Se non ci fossi tu...
-Saresti già morto.
I Due si diressero verso zio e nipote, entrambi
angosciati.
-Quelle facce? Sembrate usciti da un
funerale...
Chiese il boss con fare pimpante.
La risposta venne dritta da Stef.
-Brian, Fiona ha fatto incidente venendo qui.
Non siamo riusciti a sapere come sta.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Sentenza ***
Sarebbe difficile dire chi corse più veloce
per giungere a quel letto.
Rischiavano quasi di fare incidente, per
dirigersi a controllare le conseguenze di un incidente.
In pochissimo tempo il gruppo era lì, raccolto
intorno a una Fiona frastornata, che in fin dei conti stava bene. Le
contusioni, le fratture e la gamba rotta, non le avevano ancora
cancellato il sorriso.
-Ohh scusami Cody; sono un completo disastro...
Bisbigliò quando il ragazzo le fu vicino.
-Ma non dirlo nemmeno per scherzo! E poi è
stato un Meet & Greet divertente...
Cody era esattamente dove doveva essere,
pensò Steve, grato di non aver combinato inconsapevolmente quel
qualcosa di cui sia lui che Fiona si sarebbero pentiti a vita.
Padre e figlio se ne andarono, insieme a
Stefan.
Steve si guardò intorno con circospezione,
baciò Fiona sulla fronte. Fece per allontanarsi, ma lei lo
trattenne. Gli stampò dritta le labbra in bocca.
-Buon Natale, Steve.
Lui sorrise docile, in un modo che avrebbe
sciolto pure la neve.
-Non ce la facevo più a far finta che andasse
tutto bene. Erano tutti così felici... nessuno sapeva. Brian
addirittura era entusiasta; non potevamo dirglielo subito.
-E' stato giusto così. Povero Cody, però...
gli ho rovinato la festa.
-Lascia perdere: stavamo per fare un grosso
errore. Stefan ce l'avrebbe ugualmente impedito...
Olsdal ricordava ogni singolo frammento di
quella circostanza; Brian meno, e sapevano benissimo entrambi il
perché. Nessuno dei due avrebbe dimenticato: la vita non la si vive
quando ci si anestetizza, quando la si allontana in tutti i modi, per
non sentire i suoi graffi. Lì per lì sembra scomparire, ma poi si
ripresenta: più dolorosa, più feroce...e non ci si anestetizza per
sempre; prima o poi la si deve guardare in faccia.
Anestetizzarsi per sempre è quasi come morire.
Così camminava in disparte, rimase indietro.
In silenzio. Brian capì al volo che l'amico pensava che fosse
l'attimo giusto per affrontare i suoi fantasmi.
Cody gli diede una pacchetta sulla spalla.
-Ho visto che hai chiesto il numero o
qualcos'altro alla tipa. Mi fai approfondire la conoscenza? E'
bellissima.
Brian stava per strozzarsi con la saliva.
Sbuffò, riprese a tremare. Avrebbe desiderato solo poter saltare
quei minuti, mandarli in automatico. L'idea di quel discorso gli
aveva frantumato la testa per giorni. Incubi che lo avevano dilaniato
di notte.
-Devo dirti una cosa.
Replicò secco, la voce fredda e metallica. Le
gambe vacillarono. La paura di essere odiato a vita.
Il ragazzo tacque serio, in ascolto.
-Non ho giustificazioni, lo so anche da solo.
Però, la “tipa” è mia figlia.
Una rabbia innaturale ribollì in quella
giovane persona. Il rancore cominciò a scorrere a fiumi. Stava per
vomitargli addosso parole pesanti, che avrebbero incrinato per sempre
le cose. Poi un pensiero lo colpì squarciandolo come un fulmine,
pensando alla gioia negli occhi di quella ragazza, così identici ai
suoi: se è riuscita a perdonarlo lei, che da lui non ha avuto mai
niente, è orribile che lo condanni proprio io, che sono stato il
centro dei suoi pensieri per tutto questo tempo. Io che sono stato
l'unico a ricevere amore vero e non indifferenza.
S'inumidì la bocca, si prese un tempo
interminabile che bloccò quasi il cuore all'altro. Infine disse ciò
che ritenne più giusto.
-Mi piace una ragazza. E' bella, a volte mi
ricorda Fiona.
Il padre, ancora terrorizzato aspettò il
seguito del discorso. Si detestò per le mani sudaticce,
incontrollabili.
-Ha festeggiato il compleanno proprio oggi, e
io stavo per scappare di nascosto poco prima di conoscere Jamie.
Scusa, papà.
Aggiunse lui, abbassando la testa.
Brian non rispose nulla e l'abbracciò come se
non ci fosse un domani, perché è così che dovrebbe essere amato un
figlio. Gli si era allargato il cuore come un oceano, al solo
pensiero che Cody l'aveva assolto dai suoi peccati. Avresti avuto
altri momenti per vederla, gli balenò in testa, determinato a
conquistare anche l'affetto di quella ragazzina, che un padre anche
se disgraziato ce l'aveva e non sapeva ignorarlo.
___________________________________________________________
Questa fanfiction doveva essere pubblicata all'incirca da sei mesi; poi sono successe troppe cose e non sono riuscita a terminarla fino a pochi giorni fa. Sono ripartita come un treno, appena in tempo per Natale. Già che c'ero, non sapendo come intitolarla ho voluto fare un tributio a Dickens per "A Christmas Carol": la storia natalizia più bella in assoluto. Un completo capolavoro. Ogni anno, se non guardo almeno una delle sue infinite versioni cinematografiche, per me non è Natale. Senza, son proprio presa dalla tristezza; se la trovo rielaborata in 1000 modi, sono capace di guardarli tutti e 1000.
Grazie ai Placebo per la loro esistenza, per il fantastico concerto a Bologna e soprattutto grazie a te, tu che impieghi i tuoi preziosissimi minuti leggendo le mie assurdità.
Buon Natale, lettore :D Ti auguro tutto il bene del mondo.
*Se vi è piaciuta e mi lasciate una recensione, ne sarei contentissima (anche se non vi è piaciuta XD). Soprattutto, ditemi se volete il capitolo bonus: la storia può benissimo concludersi qui, ma c'era una scena "fuori trama" che potrei scrivere e aggiungere.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** La Vigilia di Natale ***
Era la sera del ventiquattro
Dicembre... e sinceramente non avrei mai potuto pensare che sarebbe
andata così. In nessun senso in assoluto.
Pomeriggio lento e
noioso come se fossimo una famiglia normale; cioè, come se i
paparazzi non uscissero dal nostro water per scoprire in quanti
saremmo stati a tavola, o il ripieno del tacchino.
Ok, no: il
tacchino non c'era. Non era mica il Ringraziamento, diamine!
Di
fatto c'erano anche i paparazzi che uscivano dal water, ma non era
quello che intendevo.
Il pensiero di avere una sorella, era stato
temporaneamente accantonato. Non avevo il coraggio di scrivere un sms
a Natalie; anche perché, la scusa era la solita che avrebbe
utilizzato il figlio viziato di una rockstar: “Sai, non potevo mica
venire al tuo compleanno, quando il mio fantastico papà organizzava
un meet & greet per dirmi che ho una sorella nascosta”. Non
credo sia il modo migliore per farsi notare, dare bidone a una e poi
raccontarle una verità che per me è una palla al piede, ma che per
lei potrebbe essere un chissà cosa da farsi i complessi. I ragazzi
normali sognano sempre storie così, senza immaginare che potrebbe
non essere il massimo avere una vita che sembra più un circo. Ci
mancava solo la donna cannone.
Erano tutti contenti, ricontenti,
stracontenti... tranne me. E quando dico tutti contenti, intendo che
gioiva anche Fiona con la gamba rotta eh! Tutti tutti tutti.
Io incartavo regali come un dodicenne
sfigato. Quella ragazza dall'aspetto incantevole che sembrava tanto
disponibile, voleva solo fare colpo sul papà ritrovato. Era la mia
versione femminile e già questo fatto l'aveva resa tanto
intoccabile, quanto repulsiva. Non provavo nemmeno quell'istinto da
fratello protettivo alla “spacco il muso a chi la tocca”. In fin
dei conti, eravamo due estranei. Era un modo strano di essere
fratelli. Io e Jamie.
-Papà?!
Replicai, stupito dal suo
fare giulivo. Oh, dimenticavo: da quando l'aveva conosciuta, era
peggio del solito. Le aveva telefonato una volta al giorno; a volte
due, ma in quelle occasioni chiamava la sera, per fingere di essersi
scordato di averla già cercata all' ora di pranzo. Esatto: datemi una
vanga, che voglio sotterrarmi.
-Stasera c'è una sorpresa!
-Se è una sorpresa, perché vieni a
dirmela?
-Perché sarai sorpreso lo stesso!
-Non mi dire che Jamie viene a cena...
Al che la sua risposta fu
un'espressione da bimbo preso con la marmellata sulle mani e spalmata
in faccia; sparì alla svelta furtivo come un gatto.
Per la contentezza mi tagliai con la
carta.
(Avevo detto che ci sarebbe stato un capitolo bonus, ma lo sezionerò per ragioni di lunghezza).
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** La Vigilia di Natale (1) ***
Non è che la odiavo... ma forse stava
bene dov'era sempre stata. Perché mai sforzarsi di creare un
rapporto inesistente? Boh.
La mamma se ne accorse e mi fissò
storto:
-Che c'è?
-C'è che non ha senso.
-Cody... se per Brian ha senso, lo ha
anche per noi. Intesi?
-Ma a te va così bene? Perdonato e
tutti contenti come prima? -Nella vita a volte ci si perde: capita
di fare errori di percorso.
-Oh no! Adesso non mi dire che dalla
tua parte ho un fratello biondo e svedese che si chiama Ralph.
-Allora non te lo dico...
Chiuse mamma, intenta ad asciugare i
piatti, sorridendo sadica.
-Mammaaa! Per fargliela pagare aprii
il rubinetto e le gettai qualche schizzo d'acqua addosso. Al che lei
cercò quasi di affogarmi -bonariamente per quanto possa esserlo-
sotto al getto del lavandino.
Eppure l'avevo visto, quel fantasma di
tristezza galleggiarle negli occhi. Come se lei fosse stata in quella
stanza quando lui scempiava il corpo di un'altra donna. A questo
punto deduco che lei lo abbia sempre immaginato e che abbia aspettato
con pazienza che venisse fuori.
La mamma era una roccia. La scogliera
che permetteva ancora a quel mare di mio padre di accostarsi e
infrangersi ancora. Forse si conoscevano troppo a vicenda per non
aspettarsi ciò che era successo tra loro. Lei è sempre stata
consapevole, che il mare non sa stare fermo e quell'incostanza è più
forte di lui. Fa parte della sua instabile natura. Il mare ha sempre
saputo, che lo scoglio sarebbe rimasto perché non può spostarsi
nemmeno volendo: è incatenato lì dalla sua stessa natura.
E io probabilmente non dovevo per forza
capire, dal momento che quel legame pieno di strappi ricuciti,
funzionava lo stesso. Non era affar mio indagare su qualcosa che ha
fatto il suo corso senza il mio permesso. Io ero solo il risultato di
nature più forti di loro, di quelle catene che da un lato li
strattonavano via, dall'altro li rendevano indissolubili.
La realtà è che non si sono lasciati,
perché una parte dell'uno sarebbe stata sempre persa nell'altro. E
quello che accadeva in mezzo tagliava, feriva, ma era solo di
passaggio.
Capii in pochi giorni, che papà da
entusiasta era davvero troppo. Forse è per questo che certe persone
nascono completamente senza equilibri: se fossero sempre a mille,
tutti sarebbero infastiditi da quella strabordante elettricità. Era
quasi come avere Babbo Natale in giro per casa, con i campanellini
che canticchiava allegramente. E canticchiava allegramente... e
ricanticchiava imperterrito senza rendersi conto che era il momento
di finirla. Sgattaiolai via dalla cucina solo saltuariamente, per
dare un'occhiata a chi veniva.
I primi a giungere furono Steve e il
piccolo Tim...cioè, Fiona. Scusate, ma con quel fare saltellante per
via della stampella, non ho resistito. Era troppo buffa: non ci
sapeva camminare e credo non avrebbe imparato nemmeno facendo un
corso. Invece di salutare, le risi direttamente in faccia; lei,
senza scomporsi un minimo, minacciò di farmi camminare uguale
tirandomi una stampella sulla gamba. Fui galante ugualmente e cercai
di aiutarla a sedersi a travola, ma zio Steve fu un fulmine nel
precedermi. Se non parlassi di zio Steve e zia Fiona, giurerei quasi
che tra i due ci fosse del tenero... ma si sa, che ultimamente ho
troppa fantasia.
Olsdal arrivò ovviamente scompagnato;
ci salutò col suo solito entusiasmo contagioso, per poi cercare papà
come se non lo avesse visto mai in vita sua. Ok, mi sentivo un
po' acido: è tanto evidente? -Ma il mio non lo incarti?
Fece mamma per distrarmi, come se le
importasse davvero del regalo.
-Non posso mica incartarlo davanti a
te; a quello ci pensa papà.
-Quanti te ne mancano? È quasi pronto,
gli ospiti sono tutti in salotto. Non è ora di tornare a socializzare di
là? Anzi; vai ad aprire, che hanno suonato!
-Devo andare proprio io?
-Vedi altri Cody in giro?
Non chiedetemi perché mamma è così
contenta di rispondere alle domande con altre domande.
Mi trascinai, rotolai fino alla porta
per accogliere in malo modo colei che stavo aspettando con ansietà...
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** La Vigilia di Natale (2) ***
Una sensazione di disagio mi paralizzò
all'istante. Ragazzi, un conto era parlare di Jamie senza guardarla
negli occhi, un conto è cercare di essere crudele con lei quando ti
dice “Buon Natale” e senza rifletterci due volte, ti si lancia
addosso abbracciandoti di cuore. A vederci per certi versi eravamo
simili (escludendo il suo aspetto nettamente americano rispetto mio),
ma lei aveva quel tocco in più che io non avrei mai avuto: quel modo
di fissare una persona minando alle basi la sua volontà, quel
riuscire perfettamente a far sentire uno schifo chiunque non l'avesse
amata. Come se avesse una voracità d'affetto e non facesse nulla per
nasconderla. Ma era più una pretesa orgogliosa, che una richiesta
gentile. Ecco... lei in questo era una vera Molko; io mi accontentavo
di essere semplicemente un Berg. Non sapevo ipnotizzare nessuno, né
costringerlo a passare sopra ai miei sbagli con la sola forza di un
sorriso. No, non avevo il carisma di mio padre... ma in Jamie era una
luce lampante, innata, che nessuno avrebbe negato. Una bonaria
furbizia che tornava sempre utile.
Io sapevo solo sperare di
esistere per le persone che amavo, ma non brillavo affatto. Non
attiravo l'attenzione di nessuno, semplicemente varcando la soglia di
una stanza. Anzi, bastava fissarmi un po' per capire che sarebbe
stato molto facile prendere la mia fiducia e ferirla.
Lei un
felino; io un cane.
Bene, la scena fu la seguente: lei si
sganciò dalla sua stessa stretta; io rimasi impalato come un
cretino, senza nemmeno levare in alto un braccio. Dissi solamente
“ciao”.
Mi scrutò dentro e storse il labbro
tinto di rosso scuro, tremò nel cappottino bianco che ti veniva
voglia di toccarlo e mise una mano in tasca.
-Ti prego, aprilo qui. Non mi va che lo
scarti davanti a tutti.
Mi porse un pacchetto con quella manina
delicata, laccata di smalto nero opaco.
Era un incarto piccolo e fragile come
lei. Lo presi senza troppa convinzione; lo aprii ed emisi un verso
strano, molto simile a una risatina.
-Lo so che sarai abituato a ben altri
regali...
Oh no: ancora con la storia del ragazzo
ricco che potrebbe comprare il mondo con lo schiocco delle dita. Mi
faceva davvero così snob?
-Oh....ma è
bellissima!
Era una penna usb a
forma di violino, nera con le corde bianche. Qualcosa di così
semplice e particolare nel contempo, da togliermi il fiato.
Che ci crediate o
no, nessuno aveva mai pensato a farmi un regalo del genere. Qualcosa
che colpisse così a fondo e mirasse ai miei interessi in modo tanto
analitico.
Con la mia
esclamazione si rasserenò: l'espressione tirata divenne un sorriso.
Si ravviò quei capelli lunghissimi che avevano l'abitudine di
sfuggire al suo controllo.
-Davvero ti piace?
Mi sembrava che al meet & greet avessi detto che eri un amante
degli archi.
L'ho detto? Nemmeno
lo ricordavo. Fatto sta che aveva indubbiamente indovinato e mi fece
sentire una persona infida e orribile per non averle fatto doni.
Sorrisi,
impacciatissimo.
-Grazie mille: mi è
piaciuta davvero tanto. Entra.
Fu così, che
l'aroma dolciastro di vaniglia invase l'atrio di casa.
L'ora che seguì,
fu a dir poco terribile per due motivi: era seduta vicino a me e non
riuscivo a guardarla senza fare pensieri strani per cui cambiavo
colore; sapeva ogni minima cosa sul lavoro di papà e dell'intera
band... e sto parlando di ogni singola canzone, intervista, frase,
aneddoto, curiosità. Non c'era praticamente niente che non
conoscesse già ed era divenuta il perno della conversazione. Non mi
sono permesso di chiederle dove Brian aveva i nei solo per non
restare completamente traumatizzato dalla risposta. Forse qualche
altro centimetro da fare in altezza, ce l'avevo ancora.
Ingoiavo bocconi di
cibo senza fissarla, mi giravo spesso verso destra in cerca di Helena
anche col pretesto di dire cose stupide. Lei sembrava divertita dalla
situazione quanto il resto del gruppo, non si curava granché del mio
senso opprimente di disagio e fastidio. Rispose sempre con
tranquillità, senza permettermi di monopolizzare la sua attenzione.
Jamie era
affascinante e intelligente, fin troppo... appunto per questo la
volevo lontano e mi sentivo chiuso in una bolla.
E non ditemi
anche voi che sto comportandomi come un bambino, vi prego.
Ah, già...
dimenticavo il comportamento di suo, ehm nostro padre. Seduto alla
sinistra di lei e alla destra di Stef, pendeva letteralmente dalle
sue labbra. Li scrutavo solo gesticolare e sorridere in modo
frenetico. Non facevano altro che esistere solo loro. La mia testa
era così occupata da questi foschi pensieri, che si scoprì
completamente vuota quando lui chiese la mia opinione.
-Cody? Cosa ti dico
sempre in proposito?
Domandò, allegro
come l'avevo visto rare volte in vita mia.
Sembravo Bambi
prima che sparassero alla madre e la caricassero sul furgone. Il
criceto che caricava le idee nel mio cervello, aveva smesso di
correre.
-Ehm, scusa non mi
sento un granché bene.
Mi alzai, e mi
diressi verso la camera, lasciando gli altri un tantino perplessi.
Fu
allora che zio Steve rimuginò una ventina di secondi. Poi lo vidi
corrermi dietro.
Mi sedetti sul
letto e lui mi fu al fianco.
-Tutto a posto,
ragazzo?
-Sì, zio. Ho solo
tanto mal di testa.
-Ma adesso ci
scambiamo i regali. Sei sicuro di non voler venire di là?
Sbuffai sfinito.
-È fantastica,
vero?
Commentai
stizzito.
-Non dovrebbe esserlo?
-Nono, anzi...pensa
se fosse stata anche antipatica. Sarebbe stato un dramma.
-E allora!
-Allora niente. Mi
sento comunque giù.
-Vuoi che ti faccia
il solletico come quando avevi quattro anni? Magari funziona ancora.
-No, ti
prego...questo risparmiamelo.
Esclamai perplesso.
Poi proseguii.
-Lei è
così...così... non lo so descrivere. E io mi sento solo.
Steve inarcò un
sopracciglio.
-Ok, qui ci vuole
una ragazza!
Disse, ridacchiando da solo. Io lo fissai serio.
-Dai, come sei
natalizio stasera! Ma spiegami un po': con quella ragazza che ti
piace, ti senti ancora?
-Non l'ho sentita
proprio.
Bofonchiai
sconfortato.
-Ah.
-Tutto qui?
-Allora “B”.
-Che battuta
pessima; sei sempre il solito!
Guardò alla svelta
l'orologio e cambiò espressione: si fece più serio, più materno.
La bocca inarcata all'insù per la soddisfazione; lo sguardo fermo,
sereno. Paterno.
Ricevetti una pacca
pesante sulla spalla.
-È mezzanotte:
Buon Natale, piccolo Cody.
Le luci di là
erano sparite. La sala era completamente affondata nel buio. Dal
salone proveniva solo una voce tanto sottile quanto metallica e roca.
Senza dubbio papà.
-Buon Natale a
tutti. Grazie perché quest'anno, più che mai, siamo davvero una
famiglia completa.
Camminammo a
tentoni; io inciampai come un cretino e percorsi il corridoio
saltellando su un piede solo. Lo zio rideva alle mie spalle così
rumorosamente, che solo poi misi a fuoco un suono in lontananza.
Mi bastava giungere
nella camera a fianco, per incontrare il canto strappalacrime del
violino. Triste e depresso quasi quanto me.
-Zia Fiona?
Urlai,
ma tutti rimasero in silenzio. Solo lo zio sussurrò qualcosa al mio
orecchio.
-Che aspetti? Vai.
Restò appoggiato
al muro, in attesa di una mia mossa.
Stetti al gioco ed evitai di
mettere mano all'interruttore.
Inciampai altre tre
volte, di cui una che mi portò quasi sul tavolo al posto del
dessert.
Poggiai la mano
sulla porta e l'aprii lentamente.
Crollai in
ginocchio con le lacrime agli occhi; l'emozione era così violenta da
non sapere come contenerla.
Il perimetro dello
studio era totalmente invaso da una scia di candele rosse. Morbide
fiammelle che galleggiavano e confondevano lo sguardo. Tanto che, per
vederla impiegai una manciata di secondi.
La veste bianca le
ondulava addosso, leggera come una nuvola. Le braccia esili, sottili,
vibravano come corde: una delle due completamente coperta dalla
manica bianca; l'altra, scoperta.
Ballava lentamente,
come una foglia d'autunno che fa l'ultima danza prima dell'addio.
Era una dea: la mia
dea.
Mi bastò cadere
nei suoi occhi di smeraldo, per quietare ogni tipo d'angoscia e non
aver più bisogno di niente. Avrei voluto solo affondare una mano in
quelle ciocche castane, accarezzarla e chiudere quella giornata
allacciato alle sue braccia.
Ora sì che è veramente Natale. Non
poteva esserci regalo migliore.
Attesi per tutto il
tempo che terminasse, come una preghiera. Mi alzai e avvicinai a
quell'angelo, con la costante paura che, con un tocco, volasse via.
-Natalie! Ma che ci
fai qui?
Ricambiò il mio
sorriso con un'espressione felice, vera.
-Tu non venivi;
così sono venuta io.
Arrossii,
tremendamente imbarazzato e in difficoltà.
-Avrei tanto voluto
esserci, ma è stata una faccenda anche difficile da spiegare...
-Non ti
preoccupare: so già tutto...e Buon Natale.
Per un attimo mi
chiesi cosa intendesse per “tutto”, poi decisi di fregarmene
altamente e godermi il momento senza rovinarlo. Già ad averla vicino
mi veniva la pelle d'oca; mi sentivo stupido anche solo ad aver
pensato che mia sorella fosse bellissima. Natalie era capace di far
sbiancare la notte con un sorriso.
Lentamente, posò
le sue labbra sulla mia guancia e ciò mi diede lo slancio istintivo
di baciarla dritta in bocca, ma mi bloccai al pensiero che c'era
l'intera famiglia di là. Sarebbe stato terribile e volevo qualcosa
di più magico per lei.
Fu da lì che capii
che, probabilmente ero perfettamente ricambiato.
-Buon Natale.
Sussurrai roco.
La presi per mano e
la portai a testa alta a conoscere una famiglia strana che a volte
non capivo, a volte era disgregata e a volte non sembrava proprio una
famiglia; ma era pur sempre composta da persone di cui potevo andare
fiero.
_______________________________________________________________________________
Il mio ringraziamento va ai Soulmates che si sono letti questa fanfiction fino alla fine (che poi con Jamie potrebbe non essere esattamente chiusa così; staremo a vedere). Se avete gradito lasciate una recensione, che mi fa sempre piacere e nutre la mia precaria autostima.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2333526
|