Edgar Lyѻnel

di SalazarSerpeverde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Edgar VS Darkness [Parte I] ***
Capitolo 2: *** Edgar VS Darkness [Parte II] ***
Capitolo 3: *** Edgar VS Darkness [Parte III] ***
Capitolo 4: *** Edgar VS Darkness [Parte IV] ***
Capitolo 5: *** Edgar VS Darkness [Parte V] ***
Capitolo 6: *** Edgar VS Darkness [Parte VI] ***



Capitolo 1
*** Edgar VS Darkness [Parte I] ***


Edgar VS Darkness [I]
Edgar Trevor Lyonel è un insolito detective privato londinese. Lui stesso scherza di continuo sulla sua carriera di investigatore inglese, dicendo che essere un detective nativo d’Inghilterra è uno stereotipo molto frequente.
Capire se Edgar è impegnato nella risoluzione di un caso non è affatto complicato: non si rade mai la barba e dorme relativamente poco rispetto ad un giorno in cui la sua mente è sgombra da pensieri intricati. Questa sua passione, o meglio, ossessione per i casi gialli è nata durante la sua fanciullezza. Dai suoi 7 anni passa buona parte delle giornate a leggere romanzi polizieschi, ed è anche grazie ai romanzi che la sua tecnica deduttiva è andata migliorando negli anni. Edgar si ritiene molto soddisfatto del suo nome, dato che è lo stesso di uno dei più grandi scrittori di gialli del mondo, forse il primo in assoluto e probabilmente l’inventore del genere poliziesco che al giovane Edgar appassiona così tanto.
Nei suoi 32 anni di età Edgar ne ha risolti parecchi di casi. Adesso la sua barba era appena stata rasata e sotto i suoi occhi c’erano due preoccupanti curve bluastre che sembravano lividi. Quelle erano le conseguenze di quasi due settimane con la barba incolta e di 45 ore senza dormire.
Edgar trascinò le sue membra stanche sul divano in salotto. Era troppo stanco per arrivare al letto, sarebbe crollato sicuramente prima, sul pavimento freddo. Quindi si accontentò del divano. Si stese e soffocò la sua testa sotto una spessa coperta di tweed. Rinchiuso li sotto sentiva solo la puzza dei suoi capelli sporchi e tanfo di polvere, inoltre i suoi piedi all’altra estremità del divano, uscivano fuori dalla coperta. Tuttavia si addormentò in meno di un minuto, e non era un sonno tranquillo, ma un vero e proprio baccano tra il suo incessante russare ed il suo agitarsi nel sonno. Probabilmente i fantasmi delle vittime che aveva visto in passato erano tornati ancora una volta a disturbare il suo riposoʊ. Non era stata certo la dormita più gratificante del mondo, ma dopo ben 14 ore, Edgar si alzò dal divano, totalmente riposato. Le sue occhiaie livide sotto gli occhi si erano schiarite, ed i suoi muscoli lo ringraziavano per il meritato riposo. Si sollevò dall’ammasso di trapunte spiegazzate ed arrotolate dentro cui il detective si era agitato tutto il pomeriggio e la notte precedente e si diresse in bagno. Una volta fatta una doccia, Edgar era finalmente rimesso a nuovo. Il suo appartamento in Cross Road 24 non era certo quello che i canoni definivano “lusso”. Anzi, era esattamente il contrario. Appena varcata la porta d’ingresso, si apriva un piccolo salone quadrato che sembrava ormai abbandonato al suo disordine. Poi c’era una cucina, e proprio li nel lavandino, una torre spaventosamente alta di piatti da lavare. Dalla cucina si accedeva ad uno stretto corridoio pieno di quadri di pessimo gusto appesi alle pareti, messi tanto per rendere il corridoio meno spoglio. Dal corridoio si aprivano solo altre due porte. Una portava ad un bagno abbastanza grande se si pensa alla grandezza delle altre stanze. La porta alla destra del bagno portava invece in camera di Edgar, dove c’era un letto che non era certo in condizioni migliori del divano, una scrivania piena di scartoffie che riguardavano il caso Gerard, un lavoro di addirittura due mesi prima.
Ma era nell’angolo della parete destra della camera del detective, proprio accanto al letto, che c’era l’unica cosa davvero ordinata in quella casa: la libreria.
La libreria di Edgar era composta da quattro piccoli scaffali di mogano nero a cinque ripiani ciascuno. Ogni ripiano di ogni scaffale era stipato di libri che contrariamente a quanto si potesse pensare, erano tutti lucidi e senza traccia di polvere. Quella era l’inestimabile (almeno per Edgar) collezione di gialli accumulati negli anni. Spiccavano molti dei romanzi di Edgar Allan Poe ma soprattutto del celebre Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle.  
Ma l’ordine e la grandezza della casa non erano certo i pensieri ricorrenti di Edgar. Lui poteva ritenersi soddisfatto della sua vita leggendo almeno un centinaio di pagine di un romanzo giallo al giorno e rimanere con la testa occupata a scervellarsi su un possibile movente di un’omicida.
Quella fredda mattina invernale di inizio Dicembre, Edgar la iniziò prendendo da un mobiletto sopra il lavandino, l’ultima tazza pulita. Si preparò del porridge che poi abbandonò sul tavolo per il suo pessimo sapore. Così uscì di casa con i primi abiti presentabili che gli capitarono sottomano, che poi coprì con un lungo impermeabile grigio, prese il romanzo che era ancora intento a leggere nei tre giorni precedenti ed uscì. La sua macchina era parcheggiata nel minuscolo garage sotto casa. Talmente minuscolo che doveva chiudere gli specchietti laterali per non farli strisciare contro le pareti del box. Una volta ingranata la retromarcia, Edgar percorse la stradina bordata da siepi che bisognavano essere potate. Aprì con un telecomando un cancello di ferro a chiusura automatica e partì per fare una colazione decente.
Non sentiva Derryl Bright, il suo contatto che lavorava a Scotland Yard che di solito lo informava di un nuovo caso da risolvere, da ben tre giorni. Ma Edgar non dubitava che appena ce ne fosse stato bisogno l’avrebbe chiamato come prima risorsa. Anche se Edgar non era sicuro che Derryl lo informasse di tutti i casi nuovi che venivano aperti, dato che a volte non lo chiamava di proposito. In fondo però, il suo ultimo caso Edgar l’aveva risolto soltanto la scorsa mattina, ed ora non ci trovava niente di male in un po’ di riposo.
Non era vero. Quella era solo una bugia che Edgar cercava di raccontare a se stesso. In realtà gli piaceva rasentare i limiti della pazzia investigando su un caso che sembrava impossibile, gli piaceva crollare di sonno sopra un mare di scartoffie riguardanti il suo caso dopo che non dormiva da oltre un giorno, gli piaceva mangiare un boccone al volo mentre ancora rifletteva su cosa avrebbe dovuto investigare quel pomeriggio. Insomma, gli piaceva il suo lavoro, questo era certo a tutti quelli che solitamente facevano squadra con lui, anche se, ed Edgar non aveva timore a dirlo, si trovava meglio a lavorare in solitario. Fermò la sua Chevrolet nera davanti ad un piccolo caffè chiamato Pancake’s Factory, luogo divenuto abituale per le sue colazioni “fast” a prima mattina. Ma adesso non aveva alcun motivo di consumare il suo pasto al volo, d’altronde, oltre a leggere libri, non aveva nessun altro programma particolare per oggi. Ma si sbagliava, e di grosso anche.
Dopo che Philip, il proprietario del locale, salutò Edgar, quest’ultimo si voltò, ed un luccichio nei suoi occhi si accese al passaggio di quattro volanti della polizia di Londra che schizzavano a tutta velocità con le sirene accese, in direzione opposta a quella percorsa da Edgar per arrivare al caffè.
“Cosa ti preparo oggi Edgar?” chiese cortesemente l’uomo di mezza età dietro il bancone, le mani già strette attorno alla macchinetta per riscaldare i cappuccini.
“Un piatto di pancake. Inizia a preparali, io torno subito!” esclamò Edgar fiondandosi di nuovo alla porta e mettendo in moto l’auto per partire all’inseguimento delle quattro auto di Scotland Yard.
Philip sorrise guardando la porta d’ingresso con la campanella che ancora tintinnava tanto che Edgar era uscito di corsa. Sapeva fin troppo bene che il detective non sarebbe tornato.
L’investigatore ingranò la quarta ed iniziò a correre a tutta velocità verso la strada percorsa dalle auto della polizia. Non erano lontane e non avevano svoltato da nessuna parte dato che quella strada era dritta e portava nel cuore della città. Poi si sentivano ancora chiaramente le sirene che avvertivano gli automobilisti di farsi da parte al passaggio della polizia.
In breve tempo Edgar li raggiunse e rallentò. Non era certo quello il momento di una contravvenzione e di una multa da pagare. Le auto della polizia continuarono a viaggiare spedite lungo quella strada bordata da diverse case. Di tanto in tanto si scorgevano persone che si portavano la mano alla bocca al passaggio delle macchine, chiedendosi cosa fosse successo. Le quattro volanti svoltarono successivamente alla seconda strada a destra, poi ancora e destra ed infine a sinistra. Si fermarono davanti alla scuola superiore St. George, molto vicina al cuore di Londra.
Otto poliziotti scesero al volo dalle macchine ed entrarono. A quanto pare non erano i primi ad arrivare, c’era anche la macchina che Edgar riconobbe subito come quella di Derryl Bright.
Edgar si insospettì: sembrava davvero una cosa seria ed il detective respirava nuovamente aria di sfida.
Entrò facendosi largo tra una folla crescente di ragazzi che uscivano da scuola e genitori che abbracciavano sollevati i loro figli. Dopo qualche minuto riuscì a raggiungere il secondo piano, dove si erano radunati tutti gli agenti. Derryl quasi non mostrò alcuna emozione di sorpresa alla vista di Edgar, anzi, negli occhi il detective colse una punta di contrarietà.
“Cosa è successo?” chiese senza nemmeno salutare.
“Un omicidio.” rispose Derryl. Gli occhi di Edgar tornarono ad illuminarsi. Si fece largo tra la calca di poliziotti che ispezionavano l’aula, ovvero la scena del crimine, ed agenti che cercavano di raccogliere informazioni sulla vittima.
La vittima in questione era ancora seduta sulla sua sedia. Indossava un noioso completo beige in pieno stile insegnante e c’era ancora un’espressione terrorizzata sul suo volto snello.
La causa della sua morte era proprio li, al confine tra la fronte ed i suoi folti capelli castani e scombinati: un foro di proiettile gli aveva attraversato il cranio, perforato il cervello ed era uscito nuovamente fuori, conficcandosi nella lavagna appena dietro di se. Lavagna che conteneva ancora date ed avvenimenti di una lezione di storia del giorno prima, scritti con un gesso bianco, ora tutto macchiato di sangue cremisi. 




Angolo Autore
Salve a tutti lettori e recensori. Prima di tutto devo ringraziarvi per la lettura a questo primo capitolo. Vorrei fare una piccola premessa: non sono un maestro nello scrivere gialli (MA VA?). Comunque sia, questo primo capitolo non faceva un grande accenno di trama. Più che altro troviamo brevi presentazioni qua e la, ma è solo alla fine che iniziano un po' a smuoversi le acque. Quindi non giudicate il tutto da questo primo capitolo, ma fatemi comunque sapere che cosa vi è parsa di questa introduzione e quanto la valutate da 1 a 10, dove 1 sta a: Rinchiuditi in una casa di riposo e non uscirne più e 10 sta a: ...SEI DIO!
Ovviamente scherzo eh. Quindi ricapitolando: grazie per aver letto ed arrivederci al prossimo capitolo ;D
SalazarSerpeverde

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Capitolo 2
*** Edgar VS Darkness [Parte II] ***


Edgar VS Darkness [II]
“Come si chiamava la vittima?” chiese Edgar ad un agente, interrompendo uno strano silenzio nell’aula.
“Joe. Joe Wales.” rispose il poliziotto controllando la carta d’identità sfilata dal suo portafogli.
“Joe Wales... Joe Wales... Joe Wales...” iniziò a ripetere il detective a bassa voce mentre ispezionava l’aula a grandi linee.
Era quadrata, grande poco più del soggiorno della casa di Edgar e c’erano due finestre spalancate, che con la porta aperta, formavano una corrente fredda non di poco conto. C’erano 25 piccoli tavoli di legno, e proprio davanti alla vittima c’era una scrivania grande esattamente due banchi messi di fianco. Sulla scrivania c’era solo un registro, ancora chiuso. Probabilmente la vittima era arrivata in anticipo in aula e aspettava i suoi alunni, quando il suo aggressore l’ha ucciso.
Dopo che Edgar ebbe constatato che sui muri, per terra o sotto i banchi non ci fosse nessun possibile indizio, cominciò ad esaminare la scrivania e la lavagna.
Il proiettile che era costato la vita a Joe Wales si era conficcato in una data ancora riconoscibile come 1564, succeduta da un’altra: 1616.
“Ah Shakespeare, quanto mi manca!” sospirò Edgar con entusiasmo, esaminando il foro del proiettile proprio nel numero ‘64’ e senza badare al cadavere a pochi centimetri da lui.
“L’aggressore ha anche estratto il proiettile dalla lavagna. Molto cauto. In questo modo non possiamo nemmeno determinare il calibro della pistola usata, ne tantomeno scoprire chi di recente ha acquistato quell’arma e così restringere il campo dei sospetti.” continuò Edgar, sempre parlando più a se che agli agenti presenti.
“Possiamo?” gli fece il verso Derryl, che fino ad ora era rimasto in disparte. “Non mi sembra che qualcuno ti abbia chiamato Edgar.” continuò con una risatina sarcastica ma che suonò comunque molto seccata.
“Lo sai che non c’è bisogno di chiamarmi, Derryl.” rispose immediatamente l’investigatore, non degnando nemmeno di uno sguardo il suo amico.
“Comunque sia. Attento a non muovere il cadavere. Non prima delle foto del delitto almeno.” sospirò Derryl facendo cadere il bandolo della conversazione.
“Diresti mai ad un panettiere come si inforna il pane?” domandò Edgar con un tono totalmente sarcastico.
Derryl uscì dall’aula estraendo dalla sua tasca il suo cellulare con una chiamata in arrivo, ma non prima di aver sbuffato e borbottato qualcosa di incomprensibile.
Mentre altri due agenti segnavano le generalità della vittima, Edgar continuò ad esaminare la lavagna. Intorno al foro provocato dal proiettile, si era posato un sottile strato di polvere da sparo, ma oltre a quello ed alle noiose date della vita di Shakespeare, non c’era niente. Allora il detective iniziò a concentrarsi sulla vittima. Nella tasca superiore del suo completo non c’era niente, nemmeno in quelle dei suoi pantaloni.
“Avete preso voi il cellulare della vittima?” chiese Edgar a gran voce.
I due agenti distolsero per un momento lo sguardo dal loro compito attuale, proferirono un ‘no’ all’unisono, poi tornarono a scrivere.
“Niente cellulare. Strano.” osservò Edgar, strofinandosi le dita sulle sue guance lisce appena rasate.
Facendo attenzione a non urtare la vittima, Edgar prese il registro posato sulla cattedra e lo sfogliò. Era tutto nella norma. C’erano solo rapporti disciplinari, orari delle lezioni, alunni assenti e date di uscite anticipate. Nel cassetto della cattedra invece c’era solo un rozzo block notes con il foglio di testa ancora bianco e parecchi foglietti già stracciati, ed il cassino per cancellare alla lavagna insieme a minuscoli pezzetti di gesso.
“Che cos’hai lì?” domandò una voce autoritaria dall’esterno dell’aula.
“Un block notes vuoto.” rispose Edgar.
“Mpf.”
Nascondendosi dagli occhi di tutti, Edgar si infilò il piccolo block notes nella tasca dell’impermeabile, poi fece per prendere il telefono e compose il numero di un alunno dell’ex professor. Wales.
Rispose una giovane voce maschile che non sembrava affatto turbata dall’accaduto.
“Chi è?” chiese rozzamente una voce giovane.
“Parlo con Harry Worth?”
“Si, chi è?” continuò con lo stesso tono.
“Polizia di Scotland Yard. Agente Edgar Lyonel. Le dispiacerebbe rispondere ad una mia domanda?”
“Guarda che è illegale spacciarsi per un agente di polizia Lyonel!” tuonò la stessa voce di prima, ma Edgar lo ignorò questa volta.
Il tono del ragazzo si fece improvvisamente più serio. Deglutì rumorosamente e rispose un ‘sì’ soffocato rivolto alla richiesta di Edgar.
“Sa per caso dirmi se il vostro insegnante, il signor Wales, aveva un telefono cellulare?” disse Edgar.
“Oh sì.” rispose il ragazzo, con un tono altamente sollevato. “Spesso durante la lezione qualche suo amico lo chiamava. Tutti odiavamo quel telefono con quel ridicolo foderino da panda.”
“E sa se ieri il professor. Wales aveva con se questo cellulare?” chiese ancora Edgar.
“Oh si, è stato a telefono per ben quindici minuti ieri, non posso sbagliarmi.” rispose il ragazzo.
“La ringrazio.” borbottò Edgar e poi riattaccò senza nemmeno sentire il ‘prego’ dell’alunno.
“Non sei un agente Lyonel!” esclamò ancora l’agente fuori la porta. “E non hai l’autorizzazione di chiamare chi ti pare.”
“Bene.” disse Edgar sottovoce ignorando ancora una volta l’agente che lo guardava con occhi rabbiosi. “Adesso so che la vittima aveva un cellulare. Ma non l’aveva con se. Non resta che controllare casa sua.” disse congedandosi da solo, ma prima, frugò nel taschino dove aveva controllato prima e prese la chiave del suo appartamento. Se la infilò in tasca prima che Vincent Brown, l’agente che continuava ad inveirgli contro, potesse negargli quel lusso. Certo, avrebbe avuto tutte le ragioni a togliergli le chiavi, ma Edgar non poteva lasciare nelle mani di Scotland Yard un oggetto così prezioso per le indagini.
Uscendo dall’aula, Edgar si avvicinò ai due agenti che scrivevano le generalità della vittima e chiese il suo indirizzo di casa. Dopodiché uscì di tutta fretta dalla scuola, mise in moto la sua auto e si diresse verso Second Street, qualche miglio più lontano della scuola.
Viaggiando, Edgar aveva perso completamente la fame e non sentiva più un briciolo di sonno. Finalmente era tornato all’azione, ed anche se era passato così poco tempo, la sua mente aveva concepito quell’ultimo giorno come un’eternità.
Attraversò le trafficate strade di una Londra che si svegliava velocemente. Nonostante il clima, il vetro della Chevrolet era abbassato, ma Edgar non faceva caso all’aria fredda che gli frustava le guance. Quando si infilava in una coda di auto, non faceva altro che tamburellare le dita sul volante, come se servisse a velocizzare la fila. Passarono ventidue minuti e finalmente Edgar parcheggia rozzamente la sua auto in un piccolo spiazzo erboso all’altro lato della strada dove si trovava l’abitazione di Joe Wales. Mentre il detective attraversava la strada, ripeteva nella sua mente il suo obiettivo: trovare il cellulare.
Avvicinandosi, vide che il professore abitava in un palazzo di quattro piani. Edgar entrò, ed ogni volta che saliva una rampa di scale, controllava i cognomi degli inquilini sul campanello. Arrivato al terzo piano, nell’ingresso B trovò scritto il nome J. Wales.
Recuperò la chiave dalla tasca del suo impermeabile, si guardò intorno circospetto e poi la rigirò nella serratura. Dopo quattro click la serratura scattò ed Edgar fu libero di entrare.
Già dall’ingresso e dal piccolo salone che si apriva subito dopo, si notavano i chiari segni di una vita solitaria: parquet disordinato e con un sottile strato di polvere che lo ricopriva, oggetti sparsi in modo disordinato ed incurante ed avanzi di cena ai piedi di un divano che si trovava a pochi metri da una piccola televisione spenta. Quell’insegnante era talmente disordinato che Edgar non poté non notare le somiglianze col suo appartamento. Dopo una rapida occhiata non sembravano ci fossero collegamenti tra quella casa e l’omicidio del proprietario, quindi Edgar iniziò ad ispezionare i luoghi più ovvii dove si potesse trovare un cellulare: sul divano, sul tavolo in cucina, sul davanzale di un bagno e su un comodino della camera da letto. Niente.
Edgar fece un sorrisetto, quasi fosse stato più contento di non aver trovato un indizio così rilevante, poi uscì dalla casa e tornò in auto. La sua prossima destinazione era proprio Scotland Yard, dove era diretto più per scoprire se c’erano novità che per comunicare la scoperta che aveva fatto.
Per raggiungere la sede della polizia londinese, Edgar impiegò quasi trenta minuti di stressante tragitto in auto. Una volta sceso dall’auto, si diresse con sicurezza attraverso i corridoi e le camere dell’edificio della polizia di Londra, finché non raggiunse una porta con una targhetta di ottone che diceva: NEW SCOTLAND YARD - Derryl Bright.
Bussò tre volte e senza attendere la risposta, entrò. L’ufficio era abbastanza squallido e disordinato. C’era un armadietto di ferro pieno di documenti, una scrivania che occupava quasi tutto lo spazio libero ed un piccolo quadro astratto appeso al muro. Trovò Derryl seduto sulla sua vecchia ed impolverata sedia girevole. Era intento a scrivere una relazione al computer da spedire a chissà chi e stringeva tra i denti un mozzicone di sigaretta consumato con ancora l’estremità che bruciava. Derryl rivolse un’occhiata curiosa ad Edgar e lui soddisfò la sua curiosità spiegandogli ciò che aveva scoperto. Prima di parlare aprì la finestra alle spalle di Derryl e tirò una boccata d’aria pulita.
“Sono stato nell’appartamento di Joe Wales...” iniziò il detective.
“TU COSA?” tuonò Derryl. “Non sei un agente di polizia. Lo sai che non puoi!”
“Sono stato nell’appartamento di Wales. Ho controllato dappertutto, non c’è traccia di un cellulare. Eppure lo aveva.” spiegò Edgar.
“Andiamo Edgar, non potrebbe averlo semplicemente perso?” chiese Derryl, arrendendosi alla caparbietà di Edgar.
“Oppure aveva dei segreti, su quel cellulare. Segreti che potevano condurre al suo assassino. E proprio per evitare che si venissero a sapere questi segreti, magari l’assassino ha preso con se il suo cellulare.” ribatté l’investigatore.
“E spiegami perché non potrebbe averlo perso.” disse Derryl schiacciando il mozzicone consumato in un posacenere dove traboccavano altre decine di sigarette.
Edgar sorrise. Era da quando aveva messo piede in quell’ufficio che sperava che gli veniva posta quella domanda.
“Te lo spiego subito perché non l’aveva perso. A casa sua, il comodino in camera da letto era vuoto. Non c’era nessuna sveglia. A meno che la vittima non avesse avuto un orologio incorporato, cosa molto improbabile, viene naturale pensare che usava il suo telefono cellulare come sveglia al mattino. Anche questa mattina il signor. Wales è arrivato al lavoro in anticipo e so’ per certo che ieri l’insegnante aveva con se il suo cellulare. Quindi deve averlo ‘perso’ nel lasso di tempo tra le sette e le otto del mattino, ovvero quando era a scuola. Quindi con ogni probabilità il suo aggressore l’aveva fatto fuori, aveva occultato le prove ed aveva preso con se il cellulare di Wales.” spiegò Edgar senza quasi prendere fiato.
Derryl sbruffò e cercò in tutti i modi di non ammettere la ragione del detective, poi disse: “Bé, comunque tieni a freno le emozioni. Il caso è archiviato.”
Edgar venne scosso da quelle parole, ed il suo sorriso compiaciuto scomparve del tutto.
“N-non potete archiviare il caso.” balbettò. Edgar non poteva farsi scivolare sotto il naso una tale opportunità di sfida per il suo intelletto.
“Possiamo invece. La scena del delitto è spoglia di indizi, i pochi conoscenti che Wales aveva sono già stati interrogati ed hanno confermato i loro alibi. Non possiamo più proseguire le indagini.” spiegò Derryl accendendosi un’altra sigaretta.
Edgar uscì sdegnato dalla porta dell’ufficio di Derryl. Si diresse a casa sua cercando qualsiasi pretesto per cercare di far riaprire le indagini su quel caso. Ma non c’era niente che si potesse fare. L’assassino di Joe Wales aveva fatto proprio le cose per bene.
Una volta arrivato nel suo appartamento, Edgar sprofondò in una poltrona senza nemmeno togliersi di dosso l’impermeabile. Continuò a pensare al caso di quella mattina. Doveva per forza aver tralasciato qualcosa. Non poteva essere.
Poi gli venne in mente il block notes che si era infilato in tasca un paio d’ore prima. Lo sfilò dall’impermeabile e dopo solo una breve occhiata confermò quello che aveva constatato prima: quello era un semplice block notes.
Solo dopo un’attenta analisi, Edgar notò i segni di qualcosa che era stato scritto pesantemente sul foglio superiore a quello, ormai stracciato. Bastò ricalcare a matita quel foglietto per far venire chiaramente alla luce una frase: La Luce Nelle Tenebre.  

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Capitolo 3
*** Edgar VS Darkness [Parte III] ***


Edgar VS Darkness [III]
Edgar rilesse più e più volte quel messaggio apparso sulla pagina del block notes. Ma più lo rileggeva, meno ci capiva. Tutto faceva presagire che la persona che aveva scritto quel messaggio sul primo foglio del blocchetto che poi era stato strappato, fosse proprio Joe Wales, ma il motivo era ancora sconosciuto.
Edgar però non si scoraggiò, anzi, vide quel messaggio enigmatico come una fonte di luce in fondo ad un lungo tunnel. Quel foglietto poteva essere un indizio per far riaprire il caso Wales, ma al contempo c’erano le stesse probabilità che si trattasse di una frase scarabocchiata a perditempo, senza alcun significato particolare. Un appunto, magari.
Edgar però, non poté negare a se stesso quel brivido di eccitazione al ritrovamento di un enigma tale da risolvere. Passò tutto il resto della mattina a rifletterci su, senza risultati. Non trovava possibili collegamenti col suo omicidio, e nessuno aveva mai affermato che c’entrasse davvero qualcosa con l’omicidio dell’insegnante. Dopotutto perché qualcuno dovrebbe scrivere una cosa simile su un block notes? Joe Wales non sapeva mica della sua prossima morte, perché avrebbe dovuto seminare bricioline di pane sul percorso per la risoluzione all’enigma?
Il vecchio orologio a pendolo nel soggiorno scoccò le due del pomeriggio. Lo stomaco di Edgar era chiuso in una stretta morsa e non sentiva i morsi della fame in alcun modo. Ora come ora, avrebbe potuto resistere senza cibo per almeno una settimana. Ma sapeva bene che la mancanza di cibo avrebbe portato alla stanchezza, e la stanchezza non era ammessa con un tale compito da svolgere. Quindi si preparò un toast molto rapidamente prendendo delle fettine di pane un po’ indurite da un cartoccio nella dispensa e ci infilò dentro un po’ di formaggio che poi fece sciogliere nel tostapane. Il detective consumò in fretta il pasto. Ad ogni boccone, posava il sandwich nel piatto e tornava a tormentarsi su quel messaggio: La Luce Nelle Tenebre. Che cosa poteva significare? Qual era il bisogno di Joe Wales di scrivere una cosa simile su un foglietto ritrovato sulla scena del crimine? E poi aveva strappato lui il foglietto superiore su cui era stato scritto originariamente il messaggio? Se così non fosse stato, Edgar aveva la certezza che quel messaggio potesse essere un indizio, che anche stavolta l’assassino aveva portato con se. Terminato il toast tornò a sedersi su una disordinata poltrona in salotto, le mani congiunte, una vecchia lampada accesa sul tavolino davanti a se che illuminava la scritta ritrovata da Edgar.
Le ore continuavano a scorrere. Edgar non distoglieva lo sguardo dal biglietto nemmeno per sbattere le palpebre. Ben presto si accorse che le mura della sua casa non facevano altro che opprimerlo senza produrre risultati, e per Edgar c’era solo un altro posto dove poter pensare in santa pace oltre casa sua. Così facendo, prese il block notes e corse difilato in auto. Guidò per circa un quarto d’ora. Fortunatamente a quell’ora, Londra era sgombra del solito caos quotidiano. Poi ecco che il detective ferma l’auto non lontano dall’entrata del parco Primrose Hill, un’ampia collina verdeggiante che prende il nome dalle numerose primule che crescono sul suo suolo. Solitamente c’era molta gente a sostare nel parco, ma Edgar conosceva un posticino sempre stranamente tranquillo. Si trattava di una semplice panchina all’ombra di un pino sul limitare del parco, circondato da molti altri alberi. Solitamente le persone non si spingevano oltre l’ampio spiazzo verdeggiante all’ingresso. Camminando a passo spedito con la testa bassa ed il taccuino stretto tra le mani dietro la schiena, raggiunse la ‘sua’ panchina. Scostò con le mani un paio di foglioline seghettate cadute dall’albero soprastante e poi si sedette. Si stava davvero in pace seduti li. Edgar si sentiva così lontano da tutti eppure non era mai stato così vicino al resto del mondo. Era una sensazione che nemmeno lui riusciva a spiegarsi. Passata la prima mezz’ora senza ottenere risultati, il detective sollevò di poco lo sguardo verso l’orizzonte. Il sole stava cominciando a tramontare ed il cielo aveva assunto una gradevole sfumatura rosa-arancio. Dopo essersi stropicciato gli occhi, che ormai gli bruciavano per quanto erano rimasti focalizzati per troppo su un solo obiettivo, Edgar iniziò a sentire lo scalpiccio di piedi sulla soffice erba del parco. Si voltò e vide una giovane ragazza che teneva nelle mani una piccola bambina molto graziosa. Dagli zigomi facciali, Edgar notò subito che non erano inglesi. La bambina, a cui Edgar non diede più di sei anni, stringeva tra le piccole ed affusolate dita la corda di un aquilone azzurro che si librava alto nel cielo. Ma la bambina era troppo distratta a guardare in alto che nemmeno si accorse di essersi pestata il piede da sola, così cadde con un pesante tonfo per terra. “EMMA! STAI BENE?” urlò la donna, fermandosi di colpo. L’investigatore confermò così la sua ipotesi che le due non erano inglesi. Si alzò dalla panchina e si stiracchiò i muscoli. Poi raggiunse le due e si accovacciò con gentilezza sulla piccola, che sanguinava da un ginocchio.
“Chi è lei?” chiese la donna con fare protettivo nei riguardi della bambina, facendo sfoggio di un inglese davvero notevole.
“Aspetti, dovrei avere delle garze.” disse Edgar, e prese a controllarsi nelle tasche dell’impermeabile. Ne tirò fuori delle piccole bende sterilizzate ancora sigillate nella loro bustina di plastica. La donna lasciò fare al detective, che adesso puliva la ferita con dell’acqua, non avendo niente di meglio, poi la asciugò e strinse forte le bende attorno al ginocchio della piccola.
“Ecco fatto.” disse. “Sei davvero una brava bambina. Nemmeno un lamento.”
La donna prese in braccio la piccola e la portò sulla panchina dov’era seduto Edgar. Insieme iniziarono a parlare della loro ferita e la piccola iniziò a chiedere se era simile a quella inferta ad un uomo morto che aveva visto durante le indagini della mamma. Edgar ascoltava con molta attenzione. Non molte persone parlerebbero di cadaveri così schiettamente con la propria figlia.
“Lei è un poliziotto?” chiese Edgar in un italiano che lasciava un po’ a desiderare.
La risposta arrivò in inglese. Un inglese che faceva sfigurare il bizzarro accento italiano di Edgar. “Si. Ma siamo qui per delle indagini.”
“Oh, anche io sono un detective.” disse Edgar fissando dritto negli occhi profondi della donna.
“Scotland Yard?” disse lei, tenendo alta la gamba fasciata della piccola.
“Non proprio.” si limitò a dire Edgar.
Da allora iniziò una chiacchierata davvero molto ricostituente per Edgar. Scoprì di trovarsi molto in sintonia con quella donna italiana. Parlarono del loro lavoro, e del fatto che la bambina, di nome Emma, era stata adottata da lei, Victoria.
“E le indagini di questo suo caso come vanno?” chiese ancora Edgar.
“Si brancola nel buio purtroppo.” disse lei con una nota d’esasperazione nella voce. “Indagare è davvero stressante. Ci sono enigmi su enigmi da risolvere e alla fine non fai altro che trovarti al punto di partenza!” continuò ad inveire Victoria.
Edgar non poté far a meno di essere d’accordo, dato quel block notes che lo tormentava da ore ormai.
“Io credo che il segreto stia dal guardare una cosa da prospettive diverse. Non tutto si dimostra sempre essere quello che sembra alla fine.” cominciò Edgar fissando il cielo sempre più scuro. “A volte le cose hanno più vite. Anche gli oggetti. Prendi quella bottiglia di plastica.” indicò Edgar per terra. “Oggi quella è una bottiglia, ma domani potrà diventare della plastica per un quaderno.”
Ma la risposta di Victoria non arrivò subito. Anzi, non arrivò proprio. Negli occhi di lei si accese come un fuoco, poi balzò subito in piedi, come se si fosse seduta su un ago. Poi prese con gentilezza la mano di Emma ed iniziarono a correre via.
Dopo qualche metro, la donna si fermò e disse rivolgendosi ad Edgar: “Grazie di tutto! Abbiamo un caso da risolvere!”
Edgar sorrise. Non biasimò affatto la corsa improvvisa della donna. Probabilmente aveva avuto un lampo di genio. E quel lampo di genio doveva assolutamente venire anche ad Edgar, prima di raggiungere la pazzia interiore.
Così decise di seguire il suo stesso consiglio: guardare la cosa da un altro aspetto. Invece di restarsene li fermo a guardare un pezzo di carta che ormai sembrava odiarlo, avrebbe provato ad investigare seguendo un’altra pista. Tornò a casa con molta calma e ci restò per tutta la serata. Per quello che doveva fare, aveva bisogno che fosse mattina.
Così Edgar tentò di dormire, e quella mattina si svegliò. Aveva avuto un sonno molto disturbato. Immagini di sangue, pezzettini di carta e pistole gli erano passate davanti agli occhi dalle due (orario in cui era andato a letto) alle quattro del mattino, quando si era svegliato.
In quel primo mattino fece le cose con molta calma. Doveva andare a Scotland Yard, e certo non avrebbe trovato Derryl a quell’ora assurda. Scoccarono le sette. La colazione di Edgar consistette in una crosta del toast mangiato il giorno prima, abbandonata sul tavolo.
Prese con se il block notes e si diresse verso la sede della polizia inglese. Occhiaie violacee ripresero a comparire sotto gli occhi del detective. Un folto accenno di barba pungente iniziava a ricoprirgli il volto ed i suoi capelli sudaticci iniziarono a cadergli sulla fronte. Arrivato a destinazione, percorse a memoria il percorso che portava allo studio di Derryl Bright.
Lo trovò seduto con aria stanca sulla solita sedia girevole. Una sigaretta già mezza consumata tra le labbra e la schermata del suo vecchio computer fissa su una e-mail, che lo stesso Derryl cancellò appena l’investigatore arrivò nel suo ufficio senza bussare.
“A chi scrivevi?” chiese Edgar con interesse.
“Non sono affari tuoi. Cosa vuoi di prima mattina?” rispose brusco Derryl. Di mattina non era certo un modello di gentilezza e cordialità.
“Sono venuto a chiedere informazioni riguardo all’omicidio di Joe Wales.” rispose Edgar con tranquillità.
Ma quelle parole fecero irritare non poco Derryl, che subito iniziò ad inveire contro Edgar, non badando al tono di voce.
“Ancora insisti? Il caso è chiuso. STOP. BASTA! L’abbiamo archiviato. Ed a meno che non possiedi un indizio rilevante, non lo riapriremo certo perché non ti sta bene lasciare le cose a metà!” urlò Derryl sputacchiando saliva e fumo.
Edgar rispose con tono sempre calmo: “In realtà, sulla scena del delitto c’era questo block notes. Ricalcando a matita vengono fuori dei segni di un messaggio scritto dalla vittima in precedenza. Vedi? Dice: La Luce Nelle Tenebre.”
“E con questo?” lo interruppe Derryl. “Sulla lavagna c’erano anche annotazioni su Shakespeare, ma non ci mettiamo mica ad indagare il perché quel giorno quel povero Cristo stesse spiegando appunto Shakespeare! Lascia stare Edgar. Se proprio non ti sta bene avere la mente libera, pensa a trovare il movente della morte della signora Valerie South.” continuò Derryl porgendogli un fascicolo.
Edgar lo sfogliò per qualche secondo, poi lo rigettò sulla scrivania dicendo con indifferenza: “Lei tradiva suo marito. Lui è venuto a saperlo e si è vendicato. Sempre le solite cose.” poi fece un finto sbadiglio.
TSK!” esclamò Derryl. “Comunque rassegnati, non troverai altro che pazzia se continuerai a seguire le indagini su Wales.”
Edgar uscì sdegnato dall’ufficio. Non aveva alcuna intenzione di darsi per vinto, soprattutto dopo aver visto di quali casi banali avrebbe dovuto occuparsi se avesse smesso di indagare su quello Wales.
Si stropicciò gli occhi stanchi ed iniettati di sangue, poi si diresse alla scuola dove insegnava la vittima. Notò da subito che era ancora chiusa per lutto. Fuori al cancello principale vide una tendina viola che incorniciava un manifesto che diceva: Joe Wales. Riposa in pace. I tuoi studenti ed i tuoi amici ti ricorderanno per sempre.
All’interno dell’ampio parcheggiò trovò solo poche macchine che appartenevano ad alcuni bidelli ed alcuni membri della segreteria didattica, che lavoravano anche con il lutto.
Ma per il compito che doveva svolgere Edgar non c’erano bisogno gli studenti, quindi meglio che non ci fosse troppa gente tra i piedi. Salì le scale che già un paio di giorni prima aveva salito quando avevano ritrovato il cadavere. L’aula in cui era morto era stata pulita dal sangue. La lavagna era stata cambiata ed ovviamente il corpo era stato rimosso. Adesso sembrava banale come le altre. Si diresse allora verso la segreteria scolastica e si rivolse alla prima persona che gli capito sott’occhio.
“Come posso aiutarla?” chiese una donna sulla quarantina che scriveva dei dati al computer. Dalla faccia sembrava leggermente sconcertata, probabilmente per l’aspetto trasandato di Edgar, ma mantenne la sua diplomazia senza scomporsi troppo.
“Detective Edgar Lyonel. Potrebbe per favore rispondere ad una mia domanda riguardo a Joe Wales?” chiese con rigidità.
La donna a quel punto smise di armeggiare con i suoi dati al computer e rivolse la completa attenzione all’investigatore. “Dica pure.”
“Sa forse dirmi se la vittima che faceva parte del vostro corpo docenti, era solito dimostrare comportamenti strani, sospetti od inusuali?” domandò Edgar strizzando gli occhi.
“Strano che mi faccia questa domanda, detective Lyonel. In effetti il docente di storia Wales, nell’ultima settimana sembrava diverso.” rispose la donna con tranquillità.
“Si spieghi meglio.” disse Edgar, ormai completamente catturato dalle parole della signora.
“Come dicevo. Negli ultimi giorni aveva sempre l’aria stanca e affaticata. Non sembrava dormire molto e sempre più spesso si tratteneva dopo le lezioni nella biblioteca della scuola, a volte anche per ore. Chiunque gli chiedesse cosa faceva, riceveva una risposta vaga accompagnata da una risatina nevrotica e poi cercava sempre di cambiare argomento.” spiegò esaurientemente la segretaria.
“E lei conosce il motivo delle sue frequenti visite in biblioteca?” chiese ancora il detective.
“No. Come le ho detto è stato molto riservato in questi giorni.” rispose la donna con un sospiro.
“Io credo che il professor. Wales abbia lasciato qualche indizio riguardante la sua morte. Lei crede che in qualche modo possa avere a che fare con la vostra biblioteca?”
La segretaria squadrò per un attimo gli occhi di Edgar, poi disse: “Non credo. Penso che il povero Joe andasse sempre in biblioteca perché è una delle poche aule a cui si può accedere una volta finite le lezioni. Inoltre, le persone che lo vedevano non hanno quasi mai accennato al fatto che stesse leggendo un libro. Forse non voleva semplicemente tornare a casa.”
“La ringrazio della disponibilità.” sbottò Edgar dopo qualche lungo minuto di riflessione, poi fece per alzarsi e percorrere il breve corridoio della segreteria per uscire.
Le parole della segretaria non avevano convinto molto Edgar, anche se c’erano buone probabilità che avesse ragione. Ma dato che ormai era in quella scuola, che cosa gli costava controllare la biblioteca?
Si diresse quindi a rapidi passi verso una porta con sopra una targhetta che diceva: Biblioteca. Fare silenzio.
Edgar girò lentamente la maniglia d’ottone e notò con sua gioia che non c’era nessuno. Senza gente tra i piedi avrebbe pensato meglio e nessuno l’avrebbe disturbato di certo. La biblioteca del St. George si presentava come un’enorme aula rettangolare. Il pavimento era rivestito dalle stesse mattonelle stile ‘lastricato’ dell’intero istituto. A pochi metri dall’ingresso c’erano grossi scaffali in legno alti circa cinque metri. Gli scaffali erano tutti di legno ed erano tutti stipati di vecchi libri, contrassegnati dal genere. Dopo la prima fila di scaffali c’erano diversi tavolini dove si riunivano gli studenti solitamente.
Edgar restò per circa un’ora a girovagare tra quegli scaffali, cercando di notare qualcosa di insolito. Nemmeno lui sapeva dire cosa in realtà, ma il detective non rinunciava mai al suo istinto ed anche al suo orgoglio. Se infatti ha pensato che ci fosse qualche indizio nascosto in quella biblioteca, gli risultava difficile ammettere di avere torto. Era fatto così.
Ma anche l’orgoglio più grande si deve arrendere di fronte all’evidenza. Non c’era niente in quella biblioteca. Niente se non migliaia di libri e volumi scolastici. Edgar però decise di rimanere ancora, anche se era per puro intrattenimento. Doveva rilassarsi e sciogliere i mille pensieri che gli affollavano la testa. Solo un libro giallo poteva soddisfarlo al meglio.
Attraversò quindi tutta la biblioteca e si fermò al reparto ‘Gialli e Polizieschi’ su cui aveva buttato gli occhi già parecchie volte durante la sua perlustrazione. Scorse con gli occhi tutti i titoli di uno dei ripiani più bassi: Orchidee Nere... Uno Studio in Rosso... Morto Che Parla... La Luce Nelle Tenebre...     

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Capitolo 4
*** Edgar VS Darkness [Parte IV] ***


Edgar VS Darkness [IV]
Edgar quasi non si rese conto della sua scoperta di quel libro tra tutte quelle altre centinaia. Aveva prestato così tanta attenzione a quella frase nelle ultime ore che ormai la vedeva materializzarsi anche nell’aria. Eppure il titolo di quel libro non era affatto frutto della sua immaginazione.
Dopo altri attimi di esitazione, Edgar gettò per terra gli altri romanzi che stringeva tra le mani e corse sulla prima sedia che gli capitò a tiro con quell’unico libro stretto tra le mani.
Lo poggiò su un piccolo tavolino in legno, dove in passato alcuni studenti avevano inciso un cuoricino, oppure uno scarabocchio o ancora una scritta ormai illeggibile. Il libro era abbastanza vecchio. La copertina era di un giallo canarino ormai sbiadito e le pagine erano secche ed ingiallite. Il detective lesse e rilesse il titolo che sovrastava mezza copertina: non si era sbagliato.
Allora si chiese se quel libro fosse proprio l’obiettivo che si era posto Joe Wales quando aveva scritto l’indizio strappato sul block notes.
Così Edgar, rinvigorito completamente dalla sua scoperta, cominciò ad esaminare il libro pagina per pagina. Se Wales non aveva nascosto alcun altro indizio all’interno di quel libro, non avrebbe avuto senso scrivere quelle parole sul block notes. Partì dall’introduzione, poi passò ai ringraziamenti dell’autrice, al sommario, al primo capitolo. Niente. Sembrava tutto normale. Ma Edgar non si perdeva d’animo così facilmente. Andò avanti fino ad oltre metà libro, e poi lo trovò. Trovò la sua moneta d’oro tra tutte le altre d’argento. Trovò la sua ricompensa dopo tutte quelle ore a scervellarsi. C’era un sottile foglio di carta tra pagina 356 e pagina 357. Era stata messa lì di recente, dato che non era ingiallito come il resto delle pagine del libro. C’erano alcuni appunti scritti a mano alquanto rapidamente. La calligrafia era di Joe Wales, il che confermò la sua ipotesi quasi accertata che a scrivere ‘La Luce Nelle Tenebre’ era stato proprio lui, e non l’assassino per metterlo su una falsa pista.
Il foglietto diceva: Midnight Caffè. Londra. 06/12/2013. 18:30.
Fortunatamente quella volta non c’era bisogno di indugiare ore e ore sul significato del nuovo indizio, dato che la cosa risultava alquanto ovvia. Wales voleva che chiunque avesse trovato il suo indizio, doveva essere presente a quel dato caffè di Londra in quell’orario prestabilito, a quella data prestabilita.
Un particolare solo scosse leggermente Edgar: l’appuntamento era fissato per l’indomani!
Il che significava che aveva ben poco tempo per agire. Cosa doveva fare? Chiamare Scotland Yard? Il detective scartò subito questa ipotesi. Non sapeva in cosa consisteva l’appuntamento sul foglio, quindi l’intervento delle forze dell’ordine sarebbe potuto essere inutile, e poi, in cuor suo, Edgar non se la sentiva di chiedere ‘aiuto’ a quelle persone che per prime gli avevano consigliato insistentemente di lasciar perdere quel caso. Inoltre Edgar le sue migliori ‘performance’ le aveva esibite in solitario.
Quindi non gli restava altro da fare se non raggiungere il luogo scritto sul biglietto, per vedere cosa sarebbe successo. Quindi Edgar uscì finalmente dall’istituto scolastico. La sera era calata e le strade erano poco affollate fortunatamente, quindi il ritorno a casa fu decisamente rapido. Appena arrivato a casa, Edgar prese il biglietto trovato nel libro della biblioteca e si infilò subito nel letto. Il letto nella camera del detective era un totale disordine. Edgar era sporco ed aveva ancora i vestiti addosso. Inoltre aveva sonno, ma sapeva già da subito che non avrebbe dormito. Avrebbe passato la nottata in bianco, a cercare di collegare tutti i frammenti raccolti fino a quel momento.
Per prima cosa iniziò a riflettere sulle sue scoperte delle ultime ore. ‘La Luce Nelle Tenebre’ ovvero il messaggio lasciato da Wales sul blocchetto, era una pista per arrivare ad un omonimo libro della biblioteca della scuola dove insegnava. La segretaria della scuola aveva riferito a Edgar che nell’ultima settimana prima di morire, Wales passava molto tempo in biblioteca e sembrava lunatico e preoccupato. Il suo obiettivo in quella biblioteca era quello di lasciare un indizio, in modo da aiutare la polizia, e questo confermava l’ipotesi del detective che Joe Wales sapeva già che sarebbe dovuto morire, per un motivo ancora sconosciuto. Wales era stato anche astuto perché aveva lasciato un indizio vago, in modo che a prima vista non sarebbe potuto risultare un indizio. Ma il suo assassino era stato due volte più astuto, dato che per precauzione aveva comunque strappato il foglietto su cui in origine era stato scritto il messaggio, non calcolando, ovviamente, che bastava ricalcare a matita il foglio sottostante per leggere chiaramente il messaggio. Ora bisognava scoprire che cosa aveva spinto l’assassino di Joe Wales ad ucciderlo e ovviamente catturarlo. Probabilmente, ulteriori risposte Edgar le avrebbe trovate l’indomani, presentandosi all’appuntamento scritto sul foglio trovato nel libro.
Passò il resto della nottata a riflettere più e più volte su un qualcosa che nemmeno lui sapeva spiegarsi, ma di dormire proprio non se la sentiva, anche se il suo corpo ne aveva assolutamente bisogno.
Giunse la mattina. Come sempre Edgar se la prese con molta calma. Lui odiava fare le cose di fretta. E poi quella mattina non avrebbe dovuto fare niente di particolare. Doveva aspettare le 18:30. Aveva meditato sul foglietto nascosto da Wales per tutta la nottata. Adesso l’aveva imparato a memoria e se lo ripeteva fino alla nausea. Uscì per fare una sostanziosa colazione, poi tornò dritto a casa, senza nemmeno passare per Scotland Yard ad avvertire qualcuno. Tornato a casa, recuperò il giallo che ancora stava leggendo, anche se aveva risolto il caso nella storia già prima di quell’imbranato di David Kurt. Ma visto che quel gialletto da quattro soldi non richiedeva una massima attenzione nella lettura, Edgar riuscì a passare la mattinata con la mente sempre concentrata sul da farsi.
Con una lentezza esasperante, che portarono Edgar sull’orlo della pazzia (il detective non riusciva a stare con le mani in mano sapendo che di lì a poco avrebbe potuto ricevere informazioni che lo avrebbero fatto avanzare con le indagini), giunsero finalmente le 18:00. Edgar aveva pianificato tutto più e più volte. Ci sarebbero voluti 6 minuti per raggiungere il Midnight Caffè, 13 se ci fosse stato traffico per le strade di Londra, cosa molto probabile a quell’ora. Sarebbe quindi arrivato un quarto d’ora prima dell’orario prestabilito. Quella data e quell’orario probabilmente alludevano ad un incontro di due o più persone conoscenti di Wales, dato che lui aveva scritto quegli appunti essendo già a conoscenza della sua morte.
Scoccarono le 18:02 minuti. L’investigatore non faceva altro che controllare l’orologio. Gli sembrava di aspettare quella data da anni, e non aveva intenzione di sbagliare tutto all’ultimo momento. Per raggiungere il caffè londinese, Edgar si tolse il suo solito impermeabile che sarebbe potuto saltare all’occhio di qualcuno. Si mise un semplice pantalone smunto ed una vecchia camicia a quadri. Ora sembrava proprio un classico lavoratore di classe media. Arrivò al Midnight Caffè con puntualità svizzera. Conosceva abbastanza bene il locale. All’interno era rettangolare ed abbastanza ampio. D’estate era solito organizzare feste ed eventi ovviamente al solo scopo di trarne più profitto. Un quarto dell’interno era occupato da un lungo bancone che andava dalla parete destra fino alla porta del bagno degli uomini. Dietro il bancone, il proprietario faceva sfoggio di una notevole collezione di liquori e superalcolici. Un’altra buona parte del locale era occupata da tavolini in vetro e sedie. All’interno era abbastanza pieno. Solo poco più della metà dei tavolini era occupata da persone che chiacchieravano mentre si godevano un aperitivo pre-cena, ma c’era troppa confusione ugualmente, alimentata dalla musica a volume decisamente fastidioso. Fuori invece c’erano un’altra decina di tavolini disposti in fila sotto dei gazebi. Solo un paio sul lato sinistro erano occupati e c’era un solo cameriere a prendere le ordinazioni. Con ogni probabilità, le persone che Edgar aspettava si sarebbero messe all’esterno, sul lato destro, dove non c’era momentaneamente nessuno. Era un luogo adatto per parlare comodamente, ed anche con una certa privatezza. Senza cercare di dare nell’occhio, Edgar raggiunse di nuovo la sua auto posteggiata proprio vicino all’ingresso. Prese un giornale comprato apposta per la situazione ed iniziò a fingere di leggere. Sembrava proprio che nessun tipo sospetto era ancora arrivato, quindi Edgar aveva fatto in tempo ad arrivare.
Vedendolo sedersi, un cameriere giovane, probabilmente uno studente universitario, gli si avvicinò con garbo per prendere la sua ordinazione. Ovviamente non poteva restarsene li spaparanzato con la scusa di star aspettando dei tipi sospetti quindi ordinò un caffè semplice ed un muffin.
Dopo un paio di minuti il suo ordine arrivò, servito su due piccoli piattini, ma Edgar non sorseggiò il caffè né tantomeno assaggiò il pasticcino. Scoccarono le 18:27. Ecco arrivare due persone con indosso lo stesso impermeabile nero e cappello scuro. Edgar si sarebbe giocato un braccio che erano quelle le persone che stava aspettando da quando aveva ritrovato il foglietto nel libro. Le due persone si avviarono all’interno del bar, ma vedendolo troppo affollato, optarono per l’esterno. Dopotutto era una piacevole giornata autunnale, e c’era un tempo molto primaverile. Si sedettero nel tavolo ad un paio di metri da quello di Edgar, ancora intento a fingere di leggere un articolo su una noiosa prima di un film. In realtà il detective era pronto a catturare ogni loro parola, senza farsi scoprire ovviamente.
I due cominciarono ad aprir bocca quando il solito cameriere si avvicinò. Evidentemente infastiditi, i due ordinarono due caffè e lo fecero dileguare con molta fretta. Prima di tornare a concentrarsi su loro due, Edgar gettò un occhio davanti all’ingresso del caffè. I due erano arrivati con auto diverse, quindi ancora dovevano incontrarsi e parlare di qualcos’altro.
Poi ecco che iniziano a parlare.
“Perché dobbiamo parlare in un posto pubblico come questo? Potrebbero esserci sbirri.” disse il primo uomo, un losco figuro alto e tarchiato.
“Lo sai che non abbiamo libero accesso alla base in questo momento Simon. E poi nessuno sbirro avrebbe ragione di essere qui, ne avrebbe avuto modo di sapere come fare.” rispose l’altro, un tipo più mingherlino e con la faccia volpina.
Adesso Edgar era sicuro di trovarsi davanti due tipi che erano coinvolti con la morte di Wales, ma a conferma gli arrivò immediatamente.
“Wales è morto Philip?” chiese Simon abbassando notevolmente il tono di voce. Edgar avvicinò un po’ di più la testa per percepire quella frase. Fortunatamente non si fece sfuggire nulla. Aveva sentito bene.
“Adesso Edgar lo sapeva. Era a contatto con i responsabili della morte di Wales. Ma non sapeva ancora il movente e fare una scenata improvvisa per arrestarli sarebbe stata pericolosa e inutile, dato che non aveva alcun mandato di cattura.
Non gli restava altro da fare che rimanere in ascolto.
“Comunque posso sapere il motivo del suo assassinio?” chiese la persona chiamata Philip. “Io sono stato in Galles fino a questo punto per ordini di Kevin.”
“Mia moglie e la sua amica non fanno altro che discutere tra loro!” iniziò a lamentarsi Simon alzando notevolmente il tono di voce.
Edgar restò per un momento spiazzato da quella risposta, poi vide una donna avvicinarsi di molto al loro tavolo. In realtà voleva prendere solo un penny che le era caduto, ma Simon era stato cauto, credendo che si trattasse di un poliziotto in incognito. Edgar approfittò anche lui della situazione, sgranchendosi la gola e commentando con tono esasperato una notizia di un rapimento che leggeva ora sul giornale. Facendo in questo modo avrebbe abbassato eventuali sospetti su di lui. La donna prese lo spicciolo da terra e si allontanò verso l’uscita.
“Correva voce che Wales volesse uscire dalla Darkness.” riprese Simon, calando nuovamente la voce.
“Maddai! Davvero?” sbottò Philip facendosi sfuggire un’imprecazione.
“Era sempre molto scontento e insicuro ultimamente. Aveva paura che qualcuno prima o poi lo scoprisse e che quindi avrebbe passato il resto della sua vita a marcire in prigione. Ha anche parlato a Kevin di alcune possibili dimissioni, ma lui gliel’ha proibito.”
“E poi cos’è successo?” chiese Philip sempre più incuriosito.
“Ha iniziato a comportarsi in modo strano. Sudava come un maiale quando uno di noi gli affidava un incarico, figurati. Comunque pian piano ha cominciato a non farsi più vedere. Ovviamente non era difficile rintracciare una persona di cui già si conosce nome, residenza e luogo di lavoro, ma a lui non importava. Eppure sapeva che alcuni di noi l’avrebbero cercato. Dopotutto una persona che lascia un’organizzazione a delinquere, non fa mai una bella fine. Avrebbe potuto spifferare tutto a quei farabutti di Scotland Yard e quindi ci avrebbero rintracciato prima o poi, anche con le nostre precauzioni.” spiegò Simon facendo un ghigno di disapprovazione.
“E quell’idiota ha preferito la morte ad un po’ d’ansia insensata di essere scoperto?” domandò incredulo Philip. “Che idiota!”
Edgar era totalmente preso dalle parole dei due uomini. Non poteva credere alle sue orecchie. Stava sentendo più di quello che avrebbe sperato. Ma l’eterno difetto di Edgar era che si lasciava prendere fin troppo dai suoi incarichi, tanto che a volte dimenticava anche dove fosse. E così accadde anche in quel momento.
Philip fece un gesto con il capo a Simon. Lui si girò.
Edgar si era piegato più in avanti con la schiena per tentare di avvicinarsi, aveva il giornale abbassato sulle gambe ed uno sguardo attento e concentrato, proprio come se stesse guardando un film in prima fila e non volesse perdersi nemmeno un dettaglio. Ma adesso era nei guai. Solitamente i film che guardi non vogliono ucciderti.
“Chi sei?” chiese Simon con tono burbero. Philip intanto lo squadrava dall’alto in basso.
“I-io. Ehm...”
Edgar era stato colto totalmente alla sprovvista. E con quell’ “I-io. Ehm...” si era appena giocato ogni possibilità di risultare credibile. Se quei due l’avessero perquisito, non solo avrebbero trovato i numeri di alcuni agenti di Scotland Yard sul suo cellulare, ma anche il biglietto lasciato da Joe prima di morire con la data e l’ora dell’appuntamento di Simon e Philip.
“Allora?!” insisté Simon. “Dicci chi sei e per chi lavori!”
Edgar continuava a cercare una possibile scusa, ma proprio in quel momento non riusciva a pensare a nulla di concreto da dire.
“Simon! Questo non parla!” esclamò Philip con più furia del collega.
“Alzati! Tu vieni con noi!” sbottò Simon, che si alzò insieme al compagno. Philip lo prese per le spalle e lo costrinse a sollevarsi. Edgar analizzò la situazione. Di andare con loro non se ne parlava. Avevano ucciso Joe Wales perché aveva paura, quindi ad una spia che loro credono essere un agente di Scotland Yard riserveranno come minimo lo stesso trattamento.
La sua auto era vicina all’ingresso, la loro poco più lontano.
Philip lo teneva ancora per le spalle e lo spintonava verso l’uscita. Edgar sentì la lunga canna di una pistola nella tasca dell’uomo che lo spingeva. Non si prometteva un viaggio di piacere. I tre varcarono l’ingresso. Edgar passò proprio davanti alla sua auto ma continuò a camminare. Arrivarono dopo pochi secondi, alla macchina dei due. Simon si mise subito al volante. Philip aprì la portiera di dietro e costrinse Edgar a salire. Il detective fece per abbassarsi e sedersi sul sedile posteriore, quando alzò la gamba e colpì violentemente lo stinco dell’uomo dietro di se. Philip urlò e cadde a terra, mantenendosi la gamba. Edgar sfrecciò fuori. Simon intanto guardò indietro e vide che Edgar stava dandosela a gambe. Così uscì anch’esso.
“Cattura quel figlio di puttana e mandagli un po’ di piombo su per il cervello!” urlò Philip ancora ululante di dolore per la sua gamba appena colpita.
Edgar era a mezzo metro dalla sua auto. Simon era appena sceso dalla sua. Estrasse una piccola pistola infilata nel pantalone. Tolse la sicura con un click e sparò senza indugiare, anche se si trovava fuori un caffè in una strada frequentata. Il proiettile si scontrò contro la portiera e viaggiò fino allo specchietto destro dell’auto, facendolo staccare di netto dalla carrozzeria. Con molta fretta Edgar si fiondò nella sua auto e partì giusto in tempo, perché un secondo proiettile si conficcò nell’asfalto, proprio dove prima c’era la marmitta dell’auto.     

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Capitolo 5
*** Edgar VS Darkness [Parte V] ***


Edgar VS Darkness [V]
Edgar aveva appena messo in moto l’auto. Dietro di lui, vide chiaramente l’uomo chiamato Simon che aiutava il suo collega Philip a salire sulla loro auto, dopo il colpo assestatogli da Edgar. Adesso il detective viaggiava a 50 chilometri orari e guadagnava quanta più velocità gli permettevano quelle strade affollate. I suoi inseguitori sarebbero stati altrettanto più rispettosi delle norme della strada?
Ora il tachimetro della macchina segnava i 70. Dallo specchietto retrovisore vide gli abbaglianti dell’auto dei due uomini accendersi, e poi una sgommata che segnò la partenza della loro BMW annata 2007. La loro auto guadagnava velocità più in fretta di quella di Edgar, che adesso svoltava in Fulham Road, una stretta stradina costeggiata da condomini molto poco affollata se non si contavano le macchine parcheggiate. Ovviamente era troppo presto per avere la certezza di aver seminato i due inseguitori, così Edgar continuò a viaggiare spedito col piede destro premuto a tutta forza sull’acceleratore. Adesso Edgar raggiungeva quasi i 100. Vedeva i contorni delle strade muoversi e scomparire sempre più velocemente, mentre il motore della sua vecchia auto cominciava a protestare per il troppo sforzo.
Un’altra occhiata al lucido specchietto sopra la sua testa e l’investigatore vide un puntino nero diventare sempre più grande all’inizio della strada. Tornato a guardare avanti, Edgar si accorse giusto in tempo dell’auto che gli si trovava davanti e che correva nettamente più piano di lui. Sterzò con una violenta sgommata, si asciugò la gocciolina di sudore che gli scorreva da sotto gli unti capelli e tornò a sgommare verso destra per evitare l’altra auto che viaggiava nella carreggiata opposta. Il guidatore dell’auto che Edgar aveva evitato lo mandò a quel paese senza troppi preamboli, ma il detective aveva ben altro a cui pensare. L’ultima virata gli costò uno scontro contro un marciapiede all’esterno di un condominio, che gli fece perdere parecchia velocità. Ma l’investigatore non aveva tempo di fermarsi a controllare i danni alla sua storica macchina. Riprese a pestare il pedale col piede destro, e l’auto tornò ad acquistare velocità. Terminata Fulham Road, il mezzo svoltò con imprudenza in Abbey Road. Ma tempo una manciata di secondi che la macchina guidata da Simon era dietro di lui. Tramite lo specchietto retrovisore, Edgar vide anche il viso contorto dalla rabbia di Simon, che sembrava premere l’acceleratore con la stessa potenza di un rinoceronte. Edgar tornò a toccare i 100, ma presto sarebbe stato raggiunto. Evitò un altro paio di auto per un pelo, ma quella dietro di lui proprio non riuscì a evitarla. Dopo un tentativo fallito di depistaggio, la grossa BMW si scontrò col bagagliaio della Chevrolet di Edgar, con un urto devastante. Edgar tenne le mani ben salde sul suo volante per evitare di finire con la testa nello spesso vetro del suo mezzo. Aveva chiaramente sentito il portabagagli accartocciarsi dopo l’urto di quell’auto di stazza nettamente maggiore. Il detective non demorse, e nemmeno gli inseguitori. 
L’unica possibilità di Edgar di uscire illeso da quella colluttazione tra auto era usare l’intelletto, dato che la sua malridotta auto non gli permetteva di superare un mostro rombante su quattro ruote. Dopotutto conosceva le strade di Londra come il palmo delle sue mani. Mentre tornava ancora una volta ad acquistare velocità, Edgar cercò di tornare lucido mentalmente. Adesso si trovava in Abbey Road. In meno di venti secondi avrebbe potuto svoltare in Second Street se fosse andato a sinistra oppure in Green Street se fosse andato a destra. 
Un altro impatto da dietro lo fece sobbalzare. Sentì i sedili di dietro muoversi paurosamente. L’ennesima botta permise a Simon e Philip di raggiungerlo lateralmente. Adesso la portiera della BMW si strofinava con un rumore fastidiosissimo di lamiere metalliche contro la portiera posteriore dell’auto di Edgar. Il detective non perse la concentrazione. Se avesse svoltato in Second Street si sarebbe trovato in una larga strada affollata, dove la Chevrolet di Edgar non avrebbe avuto speranze. Ma quello che probabilmente i suoi inseguitori non sapevano, era che si poteva imboccare una stretta stradina sterrata e scomoda una volta arrivati in Second Street. Quella stradina avrebbe portato Edgar di nuovo in Abbey Road e questo Simon e Philip di certo non se lo aspettano. Crederanno sicuramente che Edgar sia continuato ad andare spedito in Second Street. Ma adesso doveva cercare di sbarazzarsi della BMW il più possibile. Se l’auto degli inseguitori fosse stata alle calcagna dell’investigatore, avrebbero visto che la macchina girava nella stradina in Second Street. Quindi non gli restava che mettere un po’ di vantaggio tra le due auto, e sapeva già come fare. 
Adesso era a circa tre quarti di Abbey Road. Corse per un’altra decina di metri acquistando velocità e la BMW non lo mollava, ma improvvisamente Edgar lasciò l’acceleratore e schiacciò il freno. L’auto fece una terrificante e rumorosa sgommata sull’asfalto, mentre la Chevrolet scendeva in fretta da 100 a 0. La BMW ovviamente si accorse subito della frenata di Edgar e Philip girò subito la sua auto per tornare all’inseguimento. Ma il piano di Edgar non era tornare indietro. Con coraggio, tornò a premere il pedale per accelerare e la Chevrolet tornò a viaggiare spedita in avanti. Adesso aveva un notevole vantaggio rispetto alla grossa macchina nera, che per quando sarebbe tornata a girare per rimettersi dritta, avrebbe perso totalmente ogni vantaggio. Finalmente Edgar svoltò in Second Street e riuscì a dare velocemente un’ultima occhiata alla macchina degli inseguitori che adesso si era girata ed era tornata a percorrere Abbey Road.
Dopo qualche secondo di corsa, Edgar svoltò nella storta stradina ghiaiosa prima di un semaforo. Cercando di non ribaltarsi con l’auto, Edgar rallentò un po’. Era a strada inoltrata adesso e probabilmente Philip e Simon adesso erano appena arrivati in Second Street. Però sicuramente non pensavano a notare quella stradina stretta mentre una gigantesca Second Street gli si apriva davanti. 
Il detective continuò a percorrere il viottolo e presto si ritrovò in Abbey Road, che tornò a percorrere all’inverso a tutta velocità. Continuò così per un altro paio di strade finché non ebbe la certezza di non essere più pedinata dai due.
Finalmente arrestò la corsa e scese. Era tutto sudato ed il suo cuore e il suo stomaco sembravano fondersi, tanto che era scosso. Senza esitazione si diresse dietro la sua auto. La carrozzeria posteriore della sua Chevrolet era tutta ridotta ad una massa informe ed i suoi fanali tutti distrutti, mentre la portiera sinistra di dietro era tutta scheggiata e la vernice era quasi tutta venuta via.
Ma adesso non c’era tempo per pensare al suo mezzo. Per la prima volta dopo circa dieci minuti di folle inseguimento, Edgar tirò un respiro profondo e sembrò stare meglio.
Tornò nell’auto e si allungò sul sediolino accanto al posto del guidatore per pendere una penna. Poi prese il taccuino di Joe Wales e scrisse all’ultima pagina di esso una serie di numeri e lettere che aveva imparato a memoria quando era ancora seduto al bar: la targa dell’auto di Simon e Philip.
Anche se dopo quel folle inseguimento, Edgar aveva bisogno di un meritato riposo accompagnato da un rigenerante bagno caldo, non fece niente di ciò. Montò ancora una volta a bordo della sua auto e raggiunse New Scotland Yard, con una guida più prudente e tranquilla. Adesso era in possesso di un vero indizio per dare una svolta a quel caso talmente spinoso e misterioso. Come sempre, la sua prima tappa era l’ufficio di Derryl, che non fu affatto felice una volta che Edgar gli spiegò il motivo della sua visita.
“Fammi capire. Tu ti sei quasi fatto ammazzare perché sei un ficcanaso?” domandò Derryl con tono inquisitorio ed al limite della sopportazione.
“Sono ancora vivo se non sbaglio.” rispose secco Edgar. “Ma non capisco il perché difendi la chiusura di questo caso con tanta insistenza.”
“Dico solo che ci sono cose ben più importanti da risolvere dell’assassinio di un povero insegnante di storia.” continuò Derryl sbruffando.
“Comunque sia. Ho preso il numero di targa della macchina dei miei inseguitori. Possiamo risalire al proprietario ed alla sua abitazione.” sbottò Edgar dopo qualche attimo di silenzio.
“Fa come vuoi. Io per i prossimi giorni sarò via. Ho degli impegni. Chiedi ad altri agenti.” rispose con indifferenza Derryl, chiudendo in fretta un paio di finestre sul suo computer.
“Dove vai?” chiese Edgar scrutandolo con curiosità.
“Ficcare il naso in affari che non ti riguardano non ti ha già procurato abbastanza grane per oggi?” rispose Derryl con una punta di finta condiscendenza.
“Probabilmente vai nello stesso posto dove sei stato ieri notte.” disse Edgar con innata calma mentre Derryl usciva dal suo ufficio.
“Come?” chiese lasciando trasparire un po’ di stupore sul suo viso.
“Andiamo, è ovvio che ieri non sei stato a casa. Basta osservare i tuoi occhi. Ma a casa ci sei tornato ugualmente stamattina, anche se per poco tempo. Inoltre tua moglie è via da un paio di giorni, tre al massimo, ma non ti stai vedendo con nessun altra donna, quindi l’unico mistero che resta è: dove sei stato?” 
“Come fai a sapere tutte queste cose?!”
“I tuoi occhi. Sono leggermente socchiusi e si intravede un accenna di borse sotto di essi. Sei tornato a casa stamattina, anche se solo per pochi minuti. In quel lasso di tempo hai fatto tutto il più in fretta possibile, tra cui la barba. Hai ancora un goccio di schiuma da barba dietro l’orecchio, segno che non hai dedicato troppo tempo a raderti. Il tuo abbigliamento è nettamente più trasandato in questi ultimi giorni, segno che manca una presenza femminile in casa tua da un po’ di tempo a questa parte. Inoltre tua moglie ti avrebbe fatto notare la schiuma dietro l’orecchio, ma dato che è assente tu sei uscito di casa senza accorgertene. Non sei stato con nessuna amante. La tua fede nuziale non è stata rimossa nelle ultime ore, lo si capisce dal segno continuo che lascia sul tuo anulare. Inoltre addosso non hai alcun tipo di profumo e dagli abiti spiegazzati che hai indosso posso capire che sono gli stessi che portavi ieri notte e che quindi non ti sei cambiato.”
Derryl lo ascoltò lanciandogli frecciatine, poi si tolse la schiuma da dietro l’orecchio ed uscì borbottando qualcosa contro Edgar.
Ma il detective adesso non aveva tempo di scoprire cosa faceva il suo compagno. Aveva delle informazioni nelle mani e non voleva perdere ulteriore tempo. Uscendo dall’ufficio di Derryl, incrociò un’altra sua vecchia conoscenza nella polizia londinese.
“Chris! Che fortuna incontrarti.” disse Edgar con rapidità, per liquidare i soliti convenevoli di inizio conversazione con più velocità di quanto non si dovrebbe.
“Oh Edgar!” lo salutò con un sorriso il piccolo poliziotto in uniforme che attraversava il corridoio. “Possa aiutarti?”
“Certamente. Mi chiedevo se potevi farmi accedere al database delle targhe automobilistiche registrate a Londra.”
“Oh, niente di più semplice!” esclamò Chris con un sorrisetto. “Vai al piano di sopra alla prima porta a destra. Dovrebbe esserci Anthony. Digli che ti mando io. Adesso devo andare.” e così si liquidò.
“Bene.” borbottò Edgar più a se stesso che a Chris.
Il detective non perse altro tempo. Individuate le scale, iniziò a salire al piano successivo, salendo i gradini tre alla volta. C'era euforia nella sua camminata, ed effettivamente, per Edgar era Natale quando gli capitava tra le mani un indizio simile per risolvere un caso che tutti davano per chiuso.
Dopo una salita di pochi gradini, che a Edgar sembravano interminabili, arrivò finalmente da Anthony, che si trovava in un piccolo stanzino contrassegnato da una targa in ottone sulla porta che diceva: Database Automobili [Londra]
La stanza era ampia, ma riusltava stretta e scomoda, dato che tra scaffali traboccanti di documenti e computer, c'era poco spazio per muoversi. Tutti gli scaffali e gli archivi erano chiusi ed in ordine. Anthony era seduto ad una scrivania e la sua postazione era l'unica cosa in disordine li dentro. C'erano gli avanzi di un panino ormai tutto mangiucchiato ed una bibita ancora piena. Appena sentì la porta aprirsi, Anthony Warren si voltò sulla sua sedia girevole. Anthony era un uomo sulla cinquantina, con un accenno avanzato di calvizia, occhi piccoli, ma ingigantiti da uno spesso paio di occhiali e stazza molto superiore a quella del detective. Nonostante l'aspetto buffo e minuto, aveva una voce profonda, e salutò Edgar. I due in realtà non si conoscevano molto, ma in un recente passato avevano collaborato per un altro caso. Il lavoro di Anthony consisteva proprio in questo: sistemare tutti gli archivi informatici con targhe automobilistiche e schedari con i relativi dati sui proprietari delle vetture e fare una copia cartacea di ogni documento, che poi avrebbe riposto nell'apposito archivio sugli scaffali alla destra della sua disordinata scrivania.
C'era puzza di chiuso misto a salame in quella stanza. Evidentemente, nessuno disturbava Anthony da almeno un paio d'ore. La voce di Edgar che si schiariva sembrava aver rotto un lungo silenzio.
"Ciao Anthony. Dovrei accedere alle informazioni riguardanti una targa automobilistica." esordì il detective, sventolando il taccuino di Wales sul quale aveva segnato la combinazione di numeri e lettere.
"Oh Edgar! Certo, certo. Accomodati, accomodati pure. Prendi... prendi una sedia." gli rispose Anthony Warren, liberando una seconda sedia girevole da un fasciolo chiuso con un elastico.
"Allora, detta quando sei pronto." dice Anthony, aprendo una cartella con centinaia di sottocartelle e migliaia di file.
"HY-58-BUH." dettò Edgar rapidamente.
Le dita tozze ed abili di Anthony, digitarono in un paio di secondi la targa e premendo INVIO sull'ipostazione CERCA, venne fuori in un attimo, il file che Edgar cercava.
Un paio di click sull'unto mouse di Warren e finalmente si aprì il file ricercato del detective.
"Mh." commentò Edgar secco.
"Cosa c'è?" chiese Anthony, alzandosi gli occhiali che gli scivolavano sul naso.
"Come immaginavo, l'automobile non è intestata a nessuno dei miei due inseguitori. Sarà stata un'auto rubata. Qui dice che il proprietario è un certo Philip Harrison, 45 anni, deceduto quattro mesi fa." 
Edgar sembrava semplicemente ragionare a voce alta più che parlare con Anthony, ma lui lo stava a sentire attentamente.
"Allora? Se volevi rintracciare i tuoi inseguitori, adesso non hai un indirizzo dove dirigerti, o sbagl..."
"Sbagli." lo interruppe Edgar di colpo. "Vedi, la BMW che ha quasi accartocciato la mia Chevrolet è un modello uscito soltanto un anno fa. Tutte le auto che sono sul mercato da tre anni a questa parte, hanno un GPS incorporato, in caso di furto. Basta usare una semplice applicazione per rintracciare l'auto usando la targa e sapremo dove si nascondono quei due."
"Geniale." pensò a voce alta Anthony.
Ma mentre Anthony faceva quel commento stupito, Edgar era già ad armeggiare con un'applicazione sul suo cellulare, e dopo aver inserito nuovamente la targa, sullo schermo del telefono apparve una mappa generale di Londra, con un puntino luminoso che lampeggiava fermo in Old Street.
"Old Street. Trovati!" commentò Edgar precipitandosi fuori dalla stanza.     


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Capitolo 6
*** Edgar VS Darkness [Parte VI] ***


Edgar VS Darkness [VI]

"Old Street. Trovati!"
Un secondo dopo essersi precipitato fuori la porta degli archivi automobilistici, Anthony Warren lo raggiunse, tirandosi su i calzoni con una mano e tenendo gli occhiali con l'altra.
"Non vorrai mica andare da solo a casa di quelli che volevano ucciderti vero?"
Per un momento Edgar si fermò. Effettivamente quei due erano armati, e potevano avere compagnia nel luogo dove erano fermi adesso. Edgar non aveva nemmeno l'autorizzazione per tenere con se una pistola. Per quanto odiasse la collaborazione con la polizia, non poteva andare da nessuna parte senza di loro. Allora decise di andare da Derryl, per organizzare una scorta. E poi lui avrebbe saputo a chi rivolgersi per emettere un mandato d'arresto.
Così, il detective, invece di scendere al piano terra ed uscire, si diresse da Derryl. Lo trovò nel suo ufficio, a fumare in panciolle sulla sua sedia. Sembrava stressato e stanco. Molto stanco.
"Cosa c'è?" chiese Derryl in tono brusco, trattenendo un violento sbadiglio quanto poteva.
"Ho trovato l'assassino di Wales. Un certo Philip, non conosco il cognome, ma so dove trovarlo."
"Ah si?" rispose Derryl, spegnendo la sigaretta consumata nel posacenere. "E tu che ne sai?"
"Sono testimone della sua confessione."
"E chi mi conferma le tue parole?" continuò Derryl.
"Lo sai che sto indagando su questo caso. E poi io non sono mica un giovanotto che ha assistito per caso ad un crimine. Le mie parole sono attendibili. Direi che incriminare questo Philip per omicidio ed anche per il mio tentato omicidio insieme al suo compagno sia abbastanza per sbatterli in galera. In realtà ci sarebbe anche l'accusa di guida spericolata, ma su quello lasciamo correre che anche io sono colpevole."
Su questo, Derryl non poteva protestare. Effettivamente Edgar aveva aiutato non solo una volta a risolvere un caso e la sua parola era sempre risultata attendibile.
"Bé, almeno dopo aver arrestato quei due la finirai con questa storia di Joe Wales." accettò Derryl.
"Certo." rispose Edgar. Ma non era vero. C'era ancora una cosa che interessava a Edgar al momento riguardante l'omicidio Wales, anche più importante del delitto stesso. Ma per evitare che Derryl si indispettisse inutilmente, Edgar tenne per se questa informazione. Ne avrebbe parlato direttamente con Simon e Philip dopo il loro arresto, dato che erano loro i diretti interessati.
"Ok, contatto subito Terence. Tra pochi minuti il mandato d'arresto sarà pronto per entrambi e potremmo partire per...?" domandò Derryl, alzandosi di botto dalla sedia.
"Old Street." sbottò Edgar, tutto euforico.
Mentre l'agente Terence emetteva i due mandati e Derryl organizzava una scorta di cinque poliziotti più Edgar, quest'ultimo controllava e ricontrollava l'applicazione sul suo cellulare che gli aveva permesso di scoprire l'ubicazione dei due criminali. Erano ancora fermi in una casa a Old Street. Il detective sapeva benissimo come poterci arrivare da New Scotland Yard, ma controllava sempre la mappa per assicurarsi che l'auto dei due non partisse alla volta di qualche altro luogo.
Dopo dieci lunghi minuti, Edgar ebbe la conferma che la squadra di poliziotti era pronta per partire. Lui per primo schizzò in testa alla squadra. Non vedeva l'ora di raggiungere quei due ed ottenere le informazioni sperate. I cinque poliziotti più detective sarebbero saliti in due macchine. Edgar avrebbe avuto un posto riservato nella prima, in modo da dare indicazioni al poliziotto al posto del guidatore ed anche alla vettura dietro.
Finalmente, dopo che tutti erano a bordo delle auto, si poteva partire. Edgar era alla sinistra di Henry Newell, che guidava. Le sirene di entrambe le auto erano spente, per evitare di dare nell'occhio una volta arrivati in Old Street. Edgar continuava a dare indicazioni su dove svoltare per arrivare il prima possibile e in nemmeno un quarto d'ora arrivarono. La casa dove era ferma la BMW di Simon e Philip era in fondo alla strada. Le due vetture della polizia si fermarono e scesero tutti, mano alla fondina, mentre Edgar stringeva in mano i due mandati d'arresto.
Con fare esperto, due poliziotti sfondarono la porta d'ingresso con due spallate. Mentre entravano, tutti i poliziotti mettevano mano alla pistola. Henry Newell diede l'ordine di sparpagliarsi per l'abitazione, finché da una stanza in fondo ad un lungo corridoio non giunse una voce.
"Trovato!"
Tutta la squadra si diresse alla fonte della voce, e trovarono un altro poliziotto che metteva le manette ad un uomo inginocchiato a terra, mentre con l'altra mano teneva la canna della pistola puntata sul cranio dell'uomo.
"E' lui?" domandò velocemente Henry.
Edgar lo osservò più a lungo di quanto avrebbe dovuto. "No." rispose infine.
L'uomo che aveva davanti infatti, non aveva niente a che fare con Philip o Simon, o almeno così sembrava a prima vista.
"Un giretto a Scotland Yard non ti farà male." concluse Henry Newell, dando ordine di scortarlo in una delle due auto. L'uomo in manette fu molto collaborativo. Non aveva molte chance in effetti, circondato da tutti quei poliziotti ed in manette.
Newell fece prima un rapido giro della casa, per assicurarsi che fosse solo, poi salì di nuovo al volante della vettura con Edgar al suo fianco e partì di nuovo alla volta di Scotland Yard.
"Dobbiamo interrogarlo?" esordì a metà strada un poliziotto nel retro dell'auto.
"No. L'abbiamo invitato per prendere del tè con i biscotti." rispose ironico Henry.
"L'auto degli assassini di Wales era nella sua proprietà. Che lo voglia o no ci dirà qualcosa." disse Edgar, guardando il poliziotto dietro di se attraverso lo specchietto retrovisore.
Il resto del viaggio fu accompagnato da un silenzio pesante. Le due auto raggiunsero Scotland Yard. Ormai le prime tenebre serali avevano oscurato il cielo londinese, ma c'era ancora una sfumatura rosea del sole che contornava le nuvole più basse.
Henry Newell ed un altro agente, scortarono l'uomo nel seminterrato di Scotland Yard, dove una cella aperta attendeva il nuovo ospite. Tutte le altre celle di quel piano erano vuote. Dopotutto, quelle erano solo celle provvisorie per imputati non ancora sotto processo.
Dopo aver chiuso la cella dell'uomo, Newell prese una sedia, la girò al contrario, e si sedette a guardare fisso l'interno della "gabbia".
Sotto le deboli luci del seminterrato di Scotland Yard, gli zigomi di Newell erano più pronunciati. Aveva gli occhi piccoli, con un accenno di rughe sotto di essi. Aveva i capelli color biondo sbiadito e sembrava che quella faccia da Poliziotto Cattivo gli venisse naturale, quasi l'avesse fatta chissà quante altre volte prima di allora. E probabilmente era proprio così. Henry Newell era un vero e proprio agente veterano, e lo si capiva da come tutti lo rispettassero ed anche da come aveva preso da solo l'iniziativa dell'arresto di quella sera, facendosi poi seguire da tutta la squadra.
"Allora." iniziò Henry, schiarendosi la gola.
Il prigioniero alzò lo sguardo e lo guardò negli occhi per solo un attimo, quasi avesse paura di accecarsi se fosse rimasto a guardarlo per un secondo di più.
"P-perché mi avete portato qui? Io non ho fatto niente." disse il prigioniero, cercando di sfilarsi inutilmente le manette.
"L'auto di un omicida era parcheggiata nel tuo giardino e tu ci dirai perché. Io credo che se ci risparmiamo le menzogne, andremmo tutti prima a casa." ribatté Newell con voce decisa.
Il prigioniero iniziò a scuotere la testa a quelle parole.
"No." disse. "No. Per me è tardi ormai. Non tornerò mai più a casa."
"Iniziamo con qualcosa di semplice. Non siamo qui per maltrattarla, signore. Ci dica il suo nome, prego."
"L-Lawrence. Vincent Lawrence."
"Bene signor Lawrence. Le consiglio di essere collaborativo..."
"A che serve tanto? Ormai sono morto." ripetè ancora Vincent, trattendeno delle lacrime.
"Perché ripete sempre questa cosa?" domandò Newell, tutto serio.
"Perché è vero. Ora che mi hanno arrestato, non mi lasceranno mai andare." continuò Lawrence, con un tono sempre più malinconico.
"INSOMMA!" sbottò Newell adirato. "Di cosa sta parlando? Non vorrà mica che la sua pena aumenti per l'accusa di intralcio alla giustizia?"
"Basta!" intervenne Edgar dal fondo della stanza. Finora era rimasto ad osservare attentamente il prigioniero, ma era arrivato il momento di intervenire. "C'entra la Darkness. Non è forse così?"
Lawrence sgranò gli occhi, all'udire quel nome. Newell, osservando lo stupore di Vincent, chiese spiegazioni al detective.
"Non ho idea di cosa sia di preciso. Immagino un'associazione a delinquere. E' l'ipotesi più avvalorata. I tuoi cari amichetti Philip e Simon si sono lasciati sfuggire questo nome quando si sono incontrati. Ho anche sentito che Joe Wales era un affiliato, che è stato ucciso appunto perché voleva tagliare ogni rapporto con questa Darkness. Ma immagino che un'associazione mafiosa non possa assumere e licenziare membri senza alcuna precauzione, quindi hanno pensato che liquidare letteralmente il problema Wales fosse la cosa migliore e più semplice. Adesso che la polizia ha catturato un altro membro, immagino che questa Darkness voglia uccidere anche lei. Nemmeno io mi fiderei più di una persona che potrebbe aver spifferato qualche informazione importante al mio nemico, in questo caso, la polizia. Quindi probabilmente c'è già una lapide col suo nome scritto sopra da qualche parte qui fuori caro Lawrence."
Tutti i presenti pendevano dalle labbra di Edgar. Vincent Lawrence fece una smorfia nevrotica e si sedette di peso sulla branda all'interno della cella.
"Tutto esatto signor Lyonel. La classe non è acqua dopotutto. La Darkness ha fatto bene a tenerla d'occhio per tutto questo tempo. Ma immagino che se continuerà ad immischiarsi, costruiranno una lapide anche per lei, ben presto."
"Al contrario di lei, io non ho affatto paura della Darkness." ribatté Edgar convinto.
"Tutta questa sicurezza la farà uccidere caro detective." rispose Lawrence, fissando Edgar negli occhi.
"Se voi due avete finito di chiacchierare, io procederei con l'interrogatorio." intervenne ancora Newell, seduto sempre sulla sedia davanti alla cella.
Il volto di Lawrence tornò ad incupirsi.
"Parlaci di questa Darkness. Dove operate, e da quando." chiese Henry con calma.
"E' inutile agente. Non le dirò niente. Rimango fedele alla Darkness, nonostante ormai sia morto. Il mio unico rimpianto è il non poter vedere la Darkness che schiaccia il povero Edgar Lyonel. La Darkness è troppo forte. I demoni della Darkness sono dovunque, anche all'interno. Non c'è niente da fare ormai... Le mie ultime parole sono... NON RIMPIANGO NULLA."
Tutta la squadra di agenti che avevano catturato Vincent erano attenti ad ogni sua parola, Edgar compreso.
Dopo le ultime parole di Vincent, il tempo sembrò fermarsi. Quest'ultimo fece un ultimo sorrisetto triste, poi alzò la manica destra della camicia che aveva indosso ed iniziò ad armeggiare con qualcosa.
Henry Newell si insospettì, si alzò di scatto dalla sedia ed aprì la cella, per paura che Vincent stesse comunicando con qualcuno attraverso un piccolo dispositivo che aveva nascosto addosso. In realtà, Vincent non comunicava con nessuno. Stretto nella mano aveva un piccolo telecomando che emetteva una debole luce rossa. Newell rimase fermo davanti a Lawrence per qualche secondo, poi la sua attenzione si rivolse alla pancia di Lawrence... si stava illuminando.
L'agente di Scotland Yard osservò la scena con sconcerto. Poi capì tutto in un lampo. Quello nella mano di Lawrence era un piccolo detonatore, quella nel suo stomaco era una bomba in detonazione.
Gli ultimi secondi di vita di Lawrence furono accompagnati da una sua grossa risata di scherno, poi scoppiò il finimondo nell'attimo successivo. Una luce accecante investì l'intero seminterrato. L'urlo di Henry Newell che ordinava a tutti i presenti di allontanarsi, uno scoppio fragoroso che recise in meno di un secondo, l'intero corpo di Lawrence, che esplose in lago di sangue, coinvolgendo anche Newell, che aveva capito troppo tardi le intenzioni del prigioniero. Il braccio ed un pezzo di busto di Newell si staccarono di netto dal corpo. Il suo urlo straziato mentre moriva fu coperto dal rombo della bomba. Successivamente la cella andò in pezzi, coinvolgendo anche quelle laterali, il soffitto ed anche il piano di sopra.
Macerie sporche di sangue e polvere si disperesero dappertutto, mentre Edgar, l'ultimo ancora ad uscire dal seminterrato, si tuffava a peso morto il più lontano possibile, schiantandosi sulle scale di pieno petto, ma almeno salvandosi la vita, mentre il resto del piano saltava in aria, sollevando macerie dovunque.
Quelli che seguirono furono secondi interminabili. La polvere cominciò a diradarsi, Edgar si alzò da terra con la testa sanguinante ed il braccio scorticato ed entrò in quello che fino a pochi attimi prima era un seminterrato per i prigionieri. C'era tanfo di macerie, fumo e sangue. Dove prima c'era la cella di Lawrence, ora c'era una montagna di detriti che splendeva rosso crrmisi grazie al suo sangue. Nemmeno un metro più in la, c'era il corpo mutilato di Henry Newell, che giaceva senza vita, con i vestiti a brandelli inzuppati del suo sangue. Il suo braccio era andato polverizzato nell'esplosione insieme all'intero Lawrence. Ormai non c'erano speranze di farlo risvegliare.
Presto sarebbero accorse ondate di altri agenti per vedere che cosa era successo in quel minuto infernale e ancora dopo sarebbero venuti i vigili del fuoco, accompagnati dalle ambulanze, alle quali toccava il compito di raccattare quel che rimaneva di Henry Newell da terra.
Edgar salì di corsa le scale che portavano al pian terreno, tamponandosi la ferita alla testa con un lembo del suo impermeabile. Uscì indisturbato mentre tutti si affrettavano a scendere nel seminterrato.
Non aveva ne il tempo e ne la voglia di assistere agli sguardi stupiti degli altri agenti e sentire i racconti strappalacrime della squadra di poliziotti sopravvissuta. Tutto ciò non gli sarebbe stato di alcuna utilità per risolvere il caso. Quello che era appena successo infatti, non aveva in alcun modo scalfito la determinazione di Edgar di portare a termine il suo compito. Non ora che aveva delle informazioni, seppur incomplete, su cosa si era andato a mettere contro. Per Edgar il gioco era solo iniziato.     ​†

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