Love will show you everything

di MarySmolder_1308
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ~ A chance to catch. ***
Capitolo 2: *** Chasing cars. ***
Capitolo 3: *** The showdown. ***
Capitolo 4: *** Salvation. ***
Capitolo 5: *** Shattered. ***
Capitolo 6: *** Let the truth sting. ***
Capitolo 7: *** We'll be there for you. ***
Capitolo 8: *** Only hope. ***
Capitolo 9: *** Unexpected. ***
Capitolo 10: *** Rise up. ***
Capitolo 11: *** Time has come Today. ***
Capitolo 12: *** Didn't we almost have it all? ***
Capitolo 13: *** There’s a time for everything. ***



Capitolo 1
*** Prologue ~ A chance to catch. ***


Portai le valige al piano di sotto, giusto in tempo per accogliere Jessica in casa.
“Eccomi qua – disse di fretta, chiudendo il portone d’ingresso alle sue spalle – Scusami per il ritardo” fece una smorfia mortificata.
“Tranquilla, Jess – le sorrisi – Anzi, grazie perché terrai Moke, Thursday, Damon e Polar”
“Lo faccio con piacere, lo sai – si guardò intorno – Tutto pronto per la partenza?”
“Sì” affermai con convinzione.
“Bene. Sono felice che tu faccia questo passo, finalmente – mi abbracciò forte – anche se mi mancherai”
“Anche tu, Jess, anche tu – la strinsi – ma Londra chiama”.
Jess sciolse l’abbraccio, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
Guardai anch’io.
La sera stava calando. La luna non era ancora alta.
Non si muoveva una foglia. Tutto era calmo.
Era una serata primaverile bellissima.
L’unica fonte di luce proveniva dai fari del taxi, che era appena arrivato.
Dovevo andare. 

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Capitolo 2
*** Chasing cars. ***


POV Nina
Ian: << Ehi, non so rispondere alla prima domanda. Perché no? Mi va di passare un pranzo fuori casa di nuovo. Passo a prenderti io, tra un paio d’ore. Un bacio :* Ah, e grazie! >>.
Sorrisi e bloccai il cellulare.
Presi Lynx in braccio e scesi al piano di sotto.
Joseph stava guardando la televisione, spaparanzato sul divano.
“Che guardi?” gli chiesi dolcemente, dirigendomi verso la cucina.
“Quel canale di gossip. Sapevi che il fidanzato di Jennifer Aniston ha baciato la moglie di Sting? E si dovevano sposare!” mi rispose divertito, sgranocchiando un cracker.
“Sei un pettegolo” scoppiai a ridere.
Poggiai Lynx a terra e le presi una scatoletta.
La aprii e versai il suo contenuto nella ciotola della mia gatta.
“Ecco qua, Lynx. Buon appetito” sorrisi.
“E sapevi anche che tu e Ian siete stati avvistati a pranzo l’altro ieri? I fans non si arrendono con voi”.
Alzai gli occhi al cielo e tornai di là.
“Beh, dovrebbero, perché io sto con te e Ian sta con Mary… più o meno” conclusi la fase titubante e afferrai anch’io un cracker.
“Credo sia proprio questo il loro problema. Io sto simpatico, per carità, ma non sia mai che ‘il mitico e figo da paura e cucciolo e fantastico’ – fece le virgolette, imitando alcune fans di Ian – Ian Somerhalder possa innamorarsi di una persona che non sia la ‘bellissima e fantastica e sorridente e splendida’ – imitò alcuni miei fans – Nina Dobrev, giusto?”.
Scoppiai a ridere, nonostante avesse ragione.
“Ah, ma quando lo lasceranno in pace, povero figlio” Joseph brontolò.
“Non lo so – mi accucciai sul suo petto – Forse mai. Forse dovremmo abituarci a tutte queste intrusioni nelle nostre vite”
“No. Le nostre condizioni sentimentali non sono affari mondiali, come le nostre condizioni lavorative. Siamo persone, come le altre! E come le altre difendono la loro privacy a spada tratta, anche noi dovremmo avere la possibilità di farlo. Cosa che ci viene negata”
“Sei saggio, JoMo”
“E’ per questo che ti piaccio”
“Per questo e – sottolineai la congiunzione – per il tuo accento”
“Ah, mi stai dicendo che non ti piaccio per i miei baci? Dannazione” brontolò.
“Beh, non te la prendere. Si può sempre migliorare, giusto?” sorrisi, guardandolo.
Joseph ricambiò il sorriso, sgranando i suoi meravigliosi occhi.
“Giusto, Niki” mi diede un bacio stampo.
“Resterei qui su di te per tutto il giorno” lo strinsi.
“Allettante – Joseph annuì, d’accordo – Sto aspettando il ‘ma’”
“Ma tra qualche ora vado”
“Pranzo con Ian?”
“Sì. Spero non ti dispiaccia. Ha bisogno di me”
“Oddio, i Nian sono a piede libero, chiamate la stampa” urlò come una ragazzina.
“Joseph” gli diedi uno schiaffo scherzoso sul petto.
“Scusa, mi sono lasciato trascinare – fece una risatina – Comunque è ovvio che, sebbene voglia averti sopra di me per tutto il giorno, non mi dispiace. Spero, tuttavia che risolvano presto. Non possono continuare così”
“Lo so – sospirai – Vedremo cosa succederà”.
 
“JoMorgasm, sto andando, d’accordo?” presi la borsa al volo e guardai il corridoio, aspettando una sua risposta.
“Ciao, tesoro! E mi raccomando”
“Cosa?”
“Salutami quando la telecamera ti inquadra, ci tengo” fece capolino dalla cucina, ridendo.
“Sei un cretino” risi anch’io.
Corsi velocemente e lo baciai.
"Buon lavoro" gli sussurrai, poi uscii di casa.
Ian mi guardò sorridente e mi aprì lo sportello della sua Audi.
“Uh, Smolder si ricorda le buone maniere, ne sono lusingata” dissi ironica, entrando nell’abitacolo.
Ian salì in macchina e mise la cintura di sicurezza.
“Stai bene?” mi guardò confuso.
“Sì – sorrisi – Perché?”
“Sembri molto felice oggi”
“Lo sono. Al contrario di un certo trentaquattrenne che non si decide a chiarire con la sua ragazza”
“Dobbiamo toccare questo tasto per forza?”
“Oh, sì. Non puoi scappare”
“Che Dio me la mandi buona” alzò gli occhi al cielo.
“Metti in moto, scemo, su” gli diedi una spintarella.
Ian accennò un sorriso e fece come gli avevo detto.
Guidò silenziosamente per tutto il tempo.
Non appena arrivammo al ristorante dell’altro giorno, Bone’s, Ian parcheggiò e mi fece scendere.
Entrammo insieme al ristorante e chiedemmo dello stesso tavolo.
“Mi dispiace, signori, ma oggi tutti i posti sono presi – ci disse mortificato il cameriere – Eccezion fatta per quel tavolo” ce lo indicò.
Era un tavolo per due persone attaccato alla grande vetrata su cui era scritto il nome del ristorante.
“Se non ci sono proprio altri posti” disse Ian vago con la faccia rassegnata.
“Seguitemi, vi ci accompagno” il cameriere ci sorrise e ci accompagnò.
Ci fece accomodare, poi ci consegnò i menù.
“Allora, vi siete sentiti?”
“Uh, potrei provare questo piatto oggi – Ian mi ignorò, guardando attentamente il menù – Oppure questo. O quest’altro”
“Ian, non potrai ignorarmi a lungo. Tra massimo dieci minuti il cameriere si porterà via questi… questi cosi di carta – gli abbassai il menù, costringendolo a guardarmi – e ti ritroverai il mio bel faccino davanti”
“Ti prego, mi ha fatto la predica Jess stamattina. Potremmo parlare d’altro?”
“Ian, sarò chiara. Di nuovo. Non. Puoi. Scappare – sillabai, divertita dentro di me – Rassegnati”
“No, non mi sono fatto sentire e no, non si è fatta sentire nemmeno lei. Ok? Risparmiati la lezione sul fottuto orgoglio, me l’ha già fatta Jess. Ho capito, abbiamo sbagliato entrambi, ma non riesco a metterlo da parte, questo mio fottuto orgoglio. E’ vivo e molto presente, non posso ingoiarlo, come se niente fosse successo”
“Nemmeno se potessi perderla? Ian, ti ricordi cosa mi hai detto tre giorni fa?” gli chiesi.
Si ammutolì.
“Ti rinfresco la memoria. Mi hai detto che hai paura di perderla. Beh, se è davvero così, allora fa’ qualcosa, perché altrimenti la perdita è sicura al cento per cento”
“Lo so, ma”
“Avete deciso cosa ordinare?”.
Il cameriere sorridente interruppe Ian.
“Io prendo una bistecca” gli risposi, sorridendo gentilmente.
“Io… io prendo un’insalata per ora”.
Il cameriere appuntò tutto sul taccuino, poi se ne andò, portando i menù con sé.
“Continua pure”
“Nina, io so che tutta questa situazione è assurda. So che mi sto comportando come un bambino di dieci anni. So che potrei perderla. So che dovrei chiamarla o mandarle un messaggio o chissà che altro, ma… ma una parte di me pensa che tutto questo non si possa aggiustare”
“Ian, possiamo avere anche pensieri contrastanti dentro di noi, ma poi spetta sempre a noi la scelta. E, se tu al momento non riesci a ingoiare il tuo orgoglio, è perché stai dando ascolto all’ ‘io’ sbagliato. Stai dando ascolto all’ ‘io’ che pensa negativo. Pensa che potete risolvere. Pensa che potete tornare a sorridere. Pensa che potete tornare a essere felici. Pensa positivo. Pensare negativo non porta a niente”
“Hai ragione. E Jess ha ragione” sospirò.
Rimanemmo in silenzio, fin quando non arrivarono le nostre ordinazioni.
“Buon pranzo” disse cordialmente il cameriere.
“Grazie” dicemmo entrambi.
Cominciammo a mangiare.
“Quindi – dissi, dopo aver inghiottito un pezzo di carne – cos’hai intenzione di fare?”.
Non appena finii la frase, l’Iphone di Ian squillò.
“Chi è?” chiesi.
“Non lo so, è un numero privato. Lo lascio suonare”
“No, no. Rispondi”
“E va bene – sospirò e premette il tasto di risposta – Pronto?”
“Conosco un’idiota che ha fatto l’idiota con un uomo che non lo meritava”
“Mary?!” disse sorpreso.
Mi sporsi per sentire meglio.
“L’idiota si chiama proprio così, ma come hai fatto a indovinare? – rispose ironica, poi tornò seria – Ian, non so davvero come scusarmi. Ho avuto dei comportamenti pessimi in queste settimane e ti ho fatto soffrire tanto. Non volevo farti stare male, credimi”
“Mary…” disse Ian titubante.
“No, aspetta. Hai ragione, io scappo via, non affronto le situazioni. Sono sempre stata così, ma non so perché. Forse è semplicemente paura di affrontare la realtà o paura di soffrire, ma non importa, perché questo riguarda la mia persona, non te. Perciò non dovevo assolutamente prendermela con te. Ian, ti prego”
“Mary, non so davvero che dire”
“Non dire niente. Guarda solo alla tua… alla tua destra” disse dolcemente.
Ci voltammo entrambi.
Mary era dall’altra parte della strada, con il telefono attaccato a un orecchio e qualche pacchetto ai suoi piedi.
Accennò un saluto a Ian con le dita della mano sinistra.
Ian non perse tempo. Uscì dal locale in fretta.
Li guardai camminare l’uno verso l’altra teneramente, poi addentai un altro boccone di carne.
“Questa bistecca è davvero” pensai adorante, ma non completai la frase.
Delle ruote stridettero sull’asfalto, come se qualcuno avesse dato più gas a un’auto.
Si sentì un forte rumore, poi un tonfo.
Mi voltai verso la loro direzione.
 
POV Ian
“Nina, basta! – dissi esasperato, stanco dei nostri continui litigi – Sembri” mi arrestai.
Non potevo continuare la frase.
“Oh, adesso ti fermi? Non continui la frase? Andiamo, Ian, so cosa stavi per dire! Dillo e basta”
“Sembri un’adolescente, va bene?”
“Perché, rispetto a te, lo sono, dannazione! Sono una donna di ventitre anni, che, quando è in tua compagnia, diventa una ragazzina. Una ragazzina fottutamente gelosa” mi urlò contro.
“Ti ho mai dato motivo per esserlo?”
“Sì!”
“Non riesco a credere che tu possa dire una cosa simile”
“Beh, l’ho detta e la penso” incrociò le braccia, guardandomi duramente.

“Vaffanculo, Nina” dissi e mi avvicinai al portone d’ingresso, esitante.
“Vattene, su. Scappa dai nostri problemi, coraggio!”
“Chiamami quando cresci”.
Scossi la testa e, adirato, me ne andai, sbattendo la porta.
Misi in moto l’auto e me ne andai il più lontano possibile da quella casa.
Sorpassai gli studios e mi fermai al bar, sperando che non ci fosse nessuno dei miei colleghi. Avevo bisogno di bere e avevo bisogno di farlo da solo.
Spensi l’auto e scesi. Chiusi la macchina ed entrai.
Mi guardai intorno attentamente.
Nessuno in vista.
Perfetto.
Mi avvicinai ad Austin.
“Buonasera al mio barista preferito” sfoggiai il mio sorrisetto sghembo.
“Buonasera, Ian. Non fare il ruffiano, non ti si addice” fece una smorfia.
Risi.
“Allora, cosa posso portarti da bere?”
“Un bourbon andrà benissimo” dissi, mettendomi a sedere.
 
Dopo aver passato la maggior parte della serata a bere, decisi che dovevo tornare a casa.
Mi alzai un po’ barcollante dallo sgabello.
“Ian, non hai la macchina, vero?” Austin mi guardò.
“Sì. Non preoccuparti. Sto benone”
“Non è vero. Andiamo, ti chiamo un taxi”
“No, no. Chiamo John”
“Va bene” Austin alzò le mani in segno di resa e andò a servire altri clienti.
Presi l’Iphone e, con dita tremanti, composi il numero del mio autista.
“Pronto? Mr. Somerhalder?” John rispose dopo il primo squillo.
“John, sono Ian. Sono da Austin con la mia macchina. Vieni”
“Quanto ha bevuto, Mr. Somerhalder?”
“Giusto un po’. Andiamo, per favore”
“Mi faccia prendere la macchina”
“No, no. Vieni a piedi, guidi la mia Audi stratosferica” feci una risatina.
“Agli ordini” sospirò e riattaccò.
Non appena John arrivò, gli diedi le chiavi della macchina e, salutato Austin, lo seguii fuori. Salii in auto e John mise in moto.
“Grazie, John” dissi a bassa voce.
“Si figuri. Litigato ancora?” mi lanciò un’occhiata dallo specchietto retrovisore.
“Sì. Mi chiedo quanto possiamo durare ancora”
“Solo il tempo potrà dirlo. Solo il tempo”.
La nostra conversazione finì lì.
Ben presto le strutture di Atlanta lasciarono il posto agli alberi. Eravamo giunti in periferia. Mancava ancora un po’ a casa.
“John” lo chiamai.
“Sì, Mr. Somerhalder?”
“Lasciami qui”
“Qui dove?” chiese confuso.
“Qui. Per strada”
“Mr. Somerhalder, non può chiedermi una cosa simile. E’ troppo pericoloso”
“Ti prego, John. Vado a piedi”
“Ma manca ancora tanto a casa sua”
“Farò una passeggiata, davvero. Ora, fermati, per favore, e lasciami qua”
“Come vuole”.
Detto questo, John accostò a destra e mi fece scendere.
Dopodiché, fece inversione di marcia e tornò verso Atlanta, dove si trovava il suo appartamento.
Non appena vidi la mia auto svanire definitivamente, cominciai a camminare barcollante. “Ian, chi era quella donna?”
“Ian, dov’eri?”
“Dobbiamo davvero continuare così?”
“Non era nessuno”
“Mi trascuri per quasi un mese, trovo foto tue con un’altra donna e dovrei credere che questa donna non sia nessuno?”
“Perché stiamo ancora insieme?”
“Sembri un’adolescente, va bene?”
“Scappa dai nostri problemi, coraggio!”.
Le voci infuriate mie e di Nina si mescolarono nella mia mente.
“Ah!” mi toccai le tempie con forza, sperando che tutte quelle voci finissero.
Niente da fare.
Lasciai ricadere le braccia lungo i fianchi mollemente, mentre il mio sguardo si perdeva nell’oscurità dell’asfalto.
Senza pensarci due volte, mi sdraiai.
La strada era fredda, ma era davvero rilassante starsene lì, a guardare il cielo.
Certo che a Damon piaceva farlo!
Sghignazzai, pensando che mai e poi mai avrei pensato di sdraiarmi per strada.
Improvvisamente dei fari cominciarono a illuminare l’asfalto, divenendo sempre più vicini.
L’auto frenò di botto, producendo un rumore fastidioso, che per le mie orecchie da sbronzo era insopportabile.
Strizzai gli occhi e feci una smorfia.
Si chiuse una portiera.
“Signore, è ferito?” disse una voce femminile timorosa, mentre dei piccoli passi riecheggiavano dappertutto.
“No, mi sono solo perso” risposi secco.
“E si sdraia in mezzo alla strada?” chiese, confusa da ciò che avevo detto.
“Non perso in quel senso. Metaforicamente” ribattei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Mi ricorda molto la scena di un telefilm” sussurrò.
Nonostante fossi sbronzo, capii a cosa si riferiva. Questa donna o ragazza o quello che era guardava The Vampire Diaries.
Mi voltai verso dove proveniva la voce.
Non vedevo bene il suo volto, era in controluce.
Quando si spostò, permettendo ai fari della sua auto di illuminarmi, riuscii a vederla più chiaramente.
Dei capelli castani, lunghi e ricci le incorniciavano quel piccolo volto, quasi rotondo.
Un paio di occhiali con la montatura nera e le lenti medio-grandi contornava i suoi occhi.
E che occhi.
Il verde e il castano si mescolavano perfettamente dentro quelle iridi.
Le labbra sembravano disegnate.
La bocca era lievemente spalancata.
Da un momento all’altro sarebbe uscita anche la bava?
Ah, mi aveva riconosciuto.
“Se te lo stai chiedendo, sì, sono io” dissi, spezzando quel silenzio che si era creato.
“C-come h-hai f-fatto a c-capire c-che” balbettò, ancora sorpresa.
“Fanno tutte quella faccia quando capiscono chi sono”.
La donna si chinò e mi prese un braccio, portandolo attorno al suo collo.
Dopo, cercò di alzarmi.
“Coraggio, Signor Somerhalder, si tiri su, non siamo sul set di ‘The Vampire Diaries’, poteva investirla qualcuno”.
 
La macchina accelerò e io tornai in me.
“Poteva investirla qualcuno” le parole di Mary mi tornarono in mente.
Ebbi brividi di terrore.
“Mary, no!” urlai, mentre quella macchina si avvicinava sempre di più.
Mi slanciai verso il corpo di Mary.
Lo sentii per qualche attimo contro il mio.
Chiusi gli occhi, imprimendomi la sua figura nella mente, poi la spinsi via.
Paraurti. Cofano anteriore. Parabrezza. Asfalto.
Femore sinistro. Schiena. Petto. Testa.
Queste sequenze erano successe così in fretta, che non me ne ero nemmeno reso conto del tutto.
“Ian! Ian!” sentii Mary urlare il mio nome.
La sua voce trasmetteva un dolore allucinante, tremendo.
I suoi passi veloci riecheggiarono nella mia testa.
“Ian, svegliati”.
Sentii le sue mani scrollarmi le spalle delicatamente, poi toccarmi tutto il corpo, forse cercando di capire che danni avessi. Sentii qualcosa di liquido sul mio volto. Stava piangendo?
“Mary, sto bene!” provai a dire per tranquillizzarla, ma non ci riuscii.
Era come se le mie corde vocali si rifiutassero di collaborare.
Dovevo guardarla. Così facendo, avrebbe capito che stavo bene.
Cercai di aprire gli occhi, ma anche le palpebre si rifiutavano di aiutarmi.
Era come essere bloccati all’interno di un fantoccio fatto a pezzi.
La gamba, la schiena, il petto e la testa cominciarono a fare più male. Molto più male.
Sembrava un incubo.
Iniziai a gridare.
“Ti prego, Mary, falli smettere! Fanno male! Ti prego!” la imploravo, ma lei non riusciva a sentirmi.
Le urla restavano dentro di me.
Dannazione, perché?
“No, no, no, no! Ti prego, no!” la voce singhiozzante di Mary cominciava a diventare più distante.
Capii.
Stavo perdendo conoscenza.
 
POV Nina
“Ian! Ian!” urlò Mary, trapanandomi i timpani.
Mi alzai dal tavolo immediatamente.
Ian era a terra e non si muoveva.
“Oh mio Dio” dissi scioccata.
Presi il cellulare con mani tremolanti e chiamai il 911.
“Pronto 911, buon pomeriggio. Qual è l’emergenza?” rispose una donna.
“C’è stato un incidente. Il m-mio amico è stato investito” risposi, cominciando ad agitarmi.
“Si tranquillizzi, signorina. Dove si trova?”
“3130 P-piedmont…”
“Ho capito dov’è, non si preoccupi. Il paziente è cosciente?”
“Io n-n-n-non lo so”
“Signorina, deve dirmelo. Controlli, per favore. Qualcuno l’ha soccorso?”
“L-la sua ragazza è un m-medico del Saint J-jospeh”
“Bene. Mi dica le condizioni del paziente ora”
“O-ok” uscii dal locale e andai verso Mary.
Era voltata di spalle.
Ian era ancora a terra al suo fianco.
“Mary, ma che diavolo è successo?” chiesi scossa.
Mary fece per voltarsi, ma un rumore assordante la arrestò.
Cadde a terra come un sacco di patate e potei vedere chiaramente una donna bionda, probabilmente sulla trentina, tenere in mano saldamente una pistola.
“Signorina, tutto bene? Che cos’era quel rumore?” disse la donna del 911 agitata.
“Una donna bionda ha sparato alla ragazza del mio amico. Venite presto” dissi con tono spento e riattaccai.
L’occhio mi ricadde nuovamente su Ian.
Decisamente non era cosciente.
Del sangue, proveniente dalla sua testa, colava lentamente sull’asfalto.
Distolsi lo sguardo e strizzai gli occhi, cercando di trattenere le lacrime.
Quando ci riuscii, mi voltai verso Mary.
Aveva gli occhi sbarrati ed era percorsa da lievi convulsioni, come se respirasse a fatica. Anche il suo sangue, proveniente dall’addome, colava inesorabilmente sull’asfalto, allargando sempre di più la pozza rosso vivo.
Non avevo visto così tanto sangue vero in tutta la mia vita.
Con gli occhi fissi su di lei, mi avvicinai cautamente per provare a dare una mano.
La donna, però, mi bloccò il passaggio, ponendosi davanti a me.
“Signorina, si sente bene?” chiesi con voce tremante, ancora spaventata dall’arma che teneva in mano.
“Elena, finalmente sei qui! Prendi Damon appena si riprende e fuggite, così questa sgualdrina non starà più in mezzo ai piedi” disse trionfante, guardando Mary e stringendomi una spalla.
La rabbia mi ribollì nelle vene.
Dissi furiosa: “Damon ed Elena non esistono, sono solo i personaggi di un telefilm!”
“Telefilm? Elena, ma che stai dicendo? O forse… sei Katherine?” mi guardava confusa.
Ero adirata. Perché parlava in quel modo? Perché aveva investito Ian e sparato a Mary?
Si sentirono delle sirene in lontananza. Mi voltai.
 
POV Mary
Guardai l’orologio di sfuggita, mentre mangiavo distratta una mela.
Erano già le tre del pomeriggio.
Addentai nuovamente la mela, poi sgranai gli occhi.
“Merda” imprecai sottovoce.
Infilai il cellulare nella borsa, la presi e uscii in fretta dalla mensa, con ancora la mela in bocca.
La lezione stava per riprendere. Come avevo fatto a essere così sbadata?
Cominciai a correre verso l’aula magna, in cui quel giorno si stavano tenendo le lezioni.
Arrivata, presi un bel respiro ed entrai con calma.
Mi sedetti al solito posto.
Recuperai il registratore, il quaderno e la penna e aggiustai la coda, con cui avevo acconciato i capelli quel giorno.
Accavallai le gambe e cominciai a prestare attenzione al professore.
“Bene. Cominciamo. Nella seconda parte di questa lezione, come avevo anticipato pocanzi, tratteremo le ferite d’arma da fuoco. Queste si dividono in due grandi gruppi: uno è il gruppo delle ferite penetranti; il secondo delle ferite non penetranti. Per quanto riguarda il primo gruppo, esso è caratterizzato da tre sottogruppi. Il primo sottogruppo tratta le ferite a fondo cieco, ferite da codice rosso, in quanto presentano solamente un foro d’uscita; il secondo tratta quelle trapassanti, che presentano un foro d’entrata e uno d’uscita e che attraversano una parte del corpo già affossata; il terzo tratta quelle a setole, caratterizzate anch’esse da un foro d’entrata e uno d’uscita, con la differenza che in questo caso il proiettile attraversa una parte del tessuto non affossata naturalmente, lacerandola. Il gruppo delle ferite non penetranti tratta tutte quelle ferite dette ‘a semicanale’, in quanto hanno colpito la cute solamente di striscio. Tuttavia, sebbene alcune ferite possano sembrare meno gravi delle altre, è bene prestare sempre la massima attenzione a tutte. Le ferite d’arma da fuoco sono imprevedibili e tutte differenti. Non si sanno mai le conseguenze sul paziente”.
  
Aprii gli occhi di scatto.
Il sole sembrava più giallo. Il mio respiro più veloce. I miei polmoni richiamavano più ossigeno.
Sempre di più.
I miei occhi guardavano fissi quella figura in piedi a qualche metro da me.
Nina.
Li sentivo bruciare, mentre con tutta me stessa provavo a urlare il suo nome, a chiederle aiuto. Sentii una lacrima solcarmi la guancia. I miei sforzi erano vani. La mia bocca non si apriva di un millimetro.
Provai a muovere lievemente la testa verso sinistra. Ci riuscii. Ero ancora cosciente. Non si poteva dire la stessa cosa di Ian, ancora immobile.
Volevo chiamarlo, ma anche quel tentativo fu inutile.
Ero come improvvisamente paralizzata.
Cosa diavolo era successo? Abbassai lo sguardo verso il mio corpo, attirata da un dolore improvviso.
Sgranai gli occhi scioccata. Riuscivo a vedere chiaramente il mio sangue fluire fuori dal mio corpo. Riuscivo chiaramente a sentire i miei organi protestare, lacerati brutalmente dalla pallottola.
Quella donna mi aveva sparato.
La testa cominciò a girare. Voci confuse aleggiavano attorno a me. Delle sirene in lontananza. Poi buio e silenzio.
 
POV Nina
Le ambulanze arrivarono poco dopo e uno dei paramedici, oltre a prendere Ian e Mary con le barelle insieme ai colleghi, si rivolse alla donna.
“Miss Evans, sta bene?” chiese.
“B-bene” rispose sconvolta.
“Bene – ripeté lui, annuendo – Mi segua, su”
“Dove? Dove?” la donna cominciò ad agitarsi.
“Andiamo in un bel posto, promesso. Però, miss Evans, deve mettere questa”.
Il paramedico dispiegò l’indumento che teneva in mano. Era una camicia di forza.
“No, no – la donna iniziò a urlare – Io devo finire ciò che ho cominciato, devo finire ciò che ho cominciato!” guardò sprezzante verso l’ambulanza, in cui era stata posta Mary.
“Lo finirà. Mi guardi – il paramedico le sorrise – Deve solo farsi mettere questa”.
La donna annuì e lasciò che il paramedico le facesse indossare la camicia.
Il paramedico fece sì con la testa e la invitò a salire sull’ambulanza di Mary.
“Ma che sta facendo? Quella donna” dissi.
Feci alcuni passi per raggiungerli.
Era impazzito?
Se quella donna fosse stata in ambulanza con Mary, avrebbe davvero finito ciò che aveva cominciato.
“Miss Evans non sa distinguere la realtà dalla finzione. E’ una paziente psichiatrica, è scappata da casa sua circa tre giorni fa. Suo fratello l’ha cercata dappertutto…” concluse sottovoce, poi salì sull’ambulanza di Mary, seguito dalla donna.
“Dove andiamo?” chiese con voce cristallina, come se non avesse fatto niente.
Osservai la scena senza parole, poi guardai l’ambulanza di Ian.
Il secondo paramedico mi guardò attentamente.
“Che c’è?” gli chiesi.
“Non sale con noi?” indicò con un cenno del capo l’ambulanza.
“S-sì” farfugliai, annuendo.
“E comunque non si preoccupi. Il mio collega sa il fatto suo” accennò un sorriso.
Guardai un’ultima volta l’altra ambulanza, poi salii su quella di Ian.
Il paramedico chiuse le portiere.
Partimmo.
Il viaggio sembrò infinito, scandito solamente dai ‘tic’ dell’elettrocardiogramma a cui Ian era stato attaccato.
Era completamente legato alla barella.
Il sangue non usciva più dalla sua testa.
Era un segno buono o cattivo?
Non sapevo dirlo.
E Mary come stava?
Non sapevo nemmeno questo.
Mi presi il volto tra le mani.
Com’era potuto succedere tutto questo?
L’ambulanza si arrestò.
Eravamo arrivati?
Il paramedico aprì le portiere, cominciando a dire le condizioni di Ian.
Scesi dall’ambulanza con il suo aiuto.
Non appena misi piede a terra, sentii una voce sempre più vicina dire: “No, no, no! Mary!”.
Le porte scorrevoli del pronto soccorso si aprirono, mostrando una Rose nel panico.
I suoi occhi verdi brillavano per la paura, mentre le sue ciglia cominciavano a imperlarsi di lacrime.
Rose corse incontro alla barella su cui era adagiata Mary.
“Ehi, Stakanovista, sono io. Apri gli occhi. Aprili! Da quanto tempo sei incosciente? Apri gli occhi! – cominciò a singhiozzare – Mary, ti prometto che guarirai, ok? Ci penso io a te, ci penso io” le carezzò il volto.
Nel mentre, il paramedico di quell’ambulanza aiutò miss Evans a scendere dall’ambulanza.
Un altro medico uscì dal pronto soccorso, prese per le spalle la donna e le parlò sottovoce.
Dall’atteggiamento che aveva sembrava le stesse dicendo cose dolcissime.
La stava ammaliando.
Che fosse lo psichiatra?
Li seguii con lo sguardo, finché non sparirono oltre le porte del pronto soccorso.
“Rose, spostati, su”.
Focalizzai nuovamente la mia attenzione su Rose.
Steve era al suo fianco.
“No, io devo aiutarla, io”
“No, tu devi farti da parte. Sei troppo coinvolta”
“Steve, no, ti prego. Devo… devo… l-lei” singhiozzò più forte.
Giunsero altri colleghi di Mary, due uomini bruni e una donna castana.
“Al, portati Rose. Ti chiamo se ho bisogno di te. Ora muoversi. Dobbiamo. Salvare. Queste. Vite – scandì le parole e si avvicinò a me, mentre i paramedici avevano già sceso la barella di Ian – Margaret, Jason, occupatevi di Mary – disse alla donna castana e all’altro uomo; guardò Ian, poi me – Ciao, Nina”
“Steve, salvali”
“Senz’altro”.
Steve, Jason e Margaret sparirono dentro la struttura con le barelle.
Mi guardai intorno un po’ spaesata.
Cosa dovevo fare?
Scossi la testa, sentendomi una stupida.
Dovevo avvisare i parenti di Ian e Mary.
Presi l’Iphone e aprii la rubrica.
Mentre cercavo il numero di Robyn, sentii delle voci.
“Alex, ti prego, fammi entrare. Io devo provare a fare qualcosa per lei”
“Rose, non puoi fare niente. Dovresti guardarti. Sei chiaramente sconvolta. In queste condizioni non aiuteresti di certo Mary. Calmati, su”
“Almeno lascia che avvisi le loro famiglie” singhiozzò.
“Va bene. Questo puoi farlo”.
Camminai verso quelle voci.
Girato l’angolo, trovai Rose e Alex seduti su una panchina.
“Rose, se vuoi posso darti il numero dei genitori di Ian o dei suoi fratelli”
“S-sì, grazie. Tu avvisa i tuoi colleghi, se vuoi” si asciugò le lacrime.
Annuii.
Le diedi i numeri, poi mi allontanai da loro e composi il numero di Joseph.
“Ti sei abbuffata già di cibo? Siete stati veloci stavolta” sghignazzò.
“Joseph, è successa u-una cosa”
“Nina, che hai?” la sua voce divenne seria.
“S-sono in o-ospedale, raggiungimi, ti prego”
“Perché? Nina, che succede? Stai bene?”
“Una psicopatica ha investito Ian e poi sparato a Mary” cominciai a piangere.
“Arrivo subito”.
Riattaccammo.
Chiamai tutti i miei colleghi e Jessica, piangendo e singhiozzando, senza riuscire a fermarmi.
Mentre li aspettavo, entrai in ospedale.
 
“Oggi parleremo di un luogo, che spesso e volentieri viene sottovalutato. Chi sa dirmi cos’è?” disse Mary, sedendosi sulla cattedra del laboratorio.
“Il laboratorio?” Daniel tirò a indovinare.
“Risposta scontata. No, mi dispiace” Mary scosse la testa.
“La caffetteria” Paul agitò l’indice.
“No, decisamente no” Mary ci sorrise.
“Non ne ho la minima idea” sbuffai.
“Questo luogo è… rullo di tamburi – Mary batté le mani sulla cattedra, simulando il tamburo – la sala d’attesa”
“Perché, che ha di speciale la sala d’attesa?” chiese Steven incredulo.
“Steven, visto? La stai già sottovalutando! La sala d’attesa è l’arma a doppio taglio degli ospedali. La sala d’attesa è quel luogo in cui le persone aspettano le notizie dei propri cari, tesi, preoccupati, ma allo stesso tempo speranzosi. Questa speranza a volte viene ricompensata. Allora la sala d’attesa si colma di gioia. Le persone, che prima attendevano silenziose e con occhi persi, ora sorridono, piangono perché i loro cari sono sani e salvi, si abbracciano. Purtroppo, però, la sala d’attesa può colmarsi anche di tristezza. Allora i singhiozzi e le urla di dolore la dominano. Tutte le persone, che prima attendevano silenziose e con occhi persi, ora si disperano e si chiedono quale sia il motivo di tutto ciò; ora si arrabbiano; ora si riempiono di tutti i rimpianti possibili e immaginabili. Pensateci bene. Se voi foste queste persone, la sala d’attesa non sarebbe il vostro tutto?”.
 
Guardai quella sedia con la vista offuscata dalle lacrime.
Senza pensarci due volte, mi accomodai.
La speranza si impossessò di me.
Ian e Mary dovevano farcela.
Chiusi gli occhi e mi aggrappai al mio tutto, mentre attendevo notizie.








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Note dell'autrice:
Eccomi finalmente con un nuovo capitolo!
Scusate il ritardo e il periodo di silenzio, ma tra tutte le fatiche scolastiche e le feste, ho potuto pubblicare solo oggi! Chiedo venia!
Allora, questo capitolo... che dire?
La donna che ha investito Ian e sparato a Mary è una psicopatica. Ve l'aspettavate? Vi ho delusi? XD
Ian e Mary sono arrivati in ospedale. Vedremo come e SE se la caveranno.
Adoro Joseph in questo capitolo e spero sia piaciuto anche a voi! Con le sue battutine e le sue imitazioni ha parlato di un argomento che mi sta molto a cuore (ma credo si sia già notato dagli ultimi capitoli di "Friendzone?").
Ci sono stati dei flashback, che spero non vi abbiano confusi.
Non so che altro aggiungere, perciò grazie per aver letto, grazie a chi ha messo la storia di già tra le seguite, grazie a chi lo farà, grazie a chi recensirà, grazie a tutti quei lettori silenziosi!
Nei prossimi giorni penso proprio che creerò un gruppo su fb per parlare della storia, dato che in pagina non mi fa interagire -.-
Perciò, nel prossimo capitolo metterò il link di questo gruppo! Spero che vi uniate, tengo davvero tanto ai vostri pareri, per questo vorrei saperli :)
Buon Natale (anche se in ritardo); auguri a tutti i Stefano e le Stefania, che magari leggeranno e... auguri anche di un felice anno nuovo (li faccio ora per sicurezza, non so quando pubblicherò!) :)


Alla prossima, 
Mary :*

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Capitolo 3
*** The showdown. ***


POV Nina
Mi risvegliai di soprassalto, toccando d’istinto l’altra parte del letto, la Sua parte.
Era vuota.
Lui non c’era.
Quello che avevo vissuto la sera precedente era successo davvero. Non era stato un semplice sogno.
Assolutamente no. Io conserverò questi tre anni sempre nel mio cuore, lo prometto”
“Ti amo”
“Anch’io”.

Strizzai gli occhi pizzicanti e mi toccai inconsciamente le labbra.
Riuscivo a percepire ancora il suo sapore.
Riuscivo ancora a percepire le sue labbra sulle mie, così morbide, così…
Scossi la testa violentemente.
Non dovevo pensare che quello era stato il nostro ultimo bacio.
Non dovevo pensare che quello era stato il nostro ultimo ‘ti amo’.
Non dovevo piangere.
Non dovevo e non volevo.
Fu tutto inutile.
Le lacrime cominciarono a scendere sulle lenzuola bianche, mentre il mio petto era scosso da singhiozzi.
Non riuscivo a credere che fosse finita.
Come avrei fatto ad andare avanti?
Come avrei fatto ad andare a lavoro, a uscire di casa?
Mi presi il volto tra le mani.
Ero persa.
Definitivamente.
Sospirai, mentre lasciavo le lacrime scorrere lungo le mie guance, brucianti sotto il loro flebile e veloce tocco.
Scesi dal letto e indossai le pantofole, stringendomi le braccia.
Da sola.
Andai al piano di sotto, mentre l’oscurità mi faceva compagnia.
I miei piedi non facevano rumore. Ero silenziosa, come un felino.
E a proposito di felini… cercai con gli occhi, abituatisi al buio, la mia compagna fidata.
La trovai dopo poco. Lynx dormiva in salotto sul divano.
Era così dolce e così serena.
Al contrario della sua padrona in quel momento.
Andai in cucina e guardai l’orologio.
Erano solo le quattro del mattino.
Aprii il frigorifero e presi il latte. Non appena lo richiusi, notai una foto in particolare, tra le tante che avevo attaccato.
La foto ritraeva me, Ian e Mary il giorno del suo compleanno.
Ricordavo perfettamente quando l’avevamo scattata.
Mary ci aveva appena dato i biglietti gratis per il centro benessere e, contenti, avevamo chiesto ad Austin di farci una foto.
Austin aveva preso volentieri l’Iphone di Ian e in un attimo, ecco la nostra prima foto.
Tutti e tre insieme.
I nostri volti erano sorridenti e felici.
Asciugai le lacrime nuovamente sgorgate con il dorso della mano, prima che bagnassero la foto.
Dovevo smetterla di piangere.
Non ero un’adolescente. Ero una donna.
Dovevo risollevarmi, camminare a testa alta.
Una rottura non poteva condizionarmi e segnarmi per sempre.
Dovevo essere forte.
Ma…
Come si poteva essere forti in momenti simili?
Come si poteva non piangere, pensando a quei tre anni andati in fumo, così, in un niente?
Passai una mano tra i capelli, togliendoli dal viso.
Purtroppo non era stato un niente a far finire tutto.
Era stata la gelosia. Verso tante donne.
Verso lei.
Lei, sempre sorridente, così altruista, così timida.
Lei, sempre pronta ad aiutare, così semplice, così spontanea.
Mi morsi il labbro inferiore.
Provai una grande rabbia nei suoi confronti.
Mollai un pugno al bancone.
“Ti dovrebbe succedere qualcosa” biascicai, guardando il suo volto sorridente nella foto.
 
“Niki!”.
Tornai con i piedi per terra.
Joseph era accanto a me, in piedi, che mi scrollava le spalle.
“Joseph” sussurrai.
Mi alzai di scatto e lo abbracciai forte.
“Così mi stritoli, Niki” mormorò mestamente al mio orecchio.
Lo strinsi di più e continuai a singhiozzare.
“Niki, calmati! Vedrai che i colleghi di Mary salveranno la vita a entrambi”
“N-n-non capisci, n-non capisci”.
Sciolsi l’abbraccio e mi presi il volto tra le mani, nascondendomi per la vergogna.
“Che succede?”.
Riuscivo a percepire lo sguardo preoccupato di Joseph su di me.
Come potevo spiegargli l’enorme colpa che era emersa?
Mi prese per le spalle, cautamente, con delicatezza, come se stesse toccando la porcellana più rara tra tutte, e mi fece accomodare sulle sue gambe.
“Cos’è che non capisco?”
“Io ho fatto una cosa brutta”
“Cos’hai fatto?”
“Quando io e Ian ci siamo lasciati ero in pessime condizioni. Piangevo praticamente sempre a casa e-e”
“E? Non hai fatto niente di brutto, è normale essere così dopo una rottura”
“E ho desiderato che a Mary succedesse qualcosa di brutto. L’ho desiderato con tutto il mio cuore, con tutta la mia mente, con tutte le mie forze. E ora una psicopatica le ha sparato!” tirai su con il naso.
“Ti senti in colpa per un pensiero omicida che hai fatto quasi cinque mesi e mezzo fa, mentre eri arrabbiata e frustrata per il post-rottura?”.
Annuii, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
“Niki, oh, dolce Niki! Non devi sentirti in colpa! Secondo te tutto questo è successo per colpa tua? Non è assolutamente così. Purtroppo queste cose succedono. Succedono e basta”.
Joseph lasciò che nascondessi il mio volto nell’incavo del suo collo, finché una voce, rotta dalle lacrime non ci destò.
“Com’è successo?” disse singhiozzando.
Uscii fuori dal mio nascondiglio e guardai Jessica.
Aveva gli occhi azzurri gonfi e arrossati.
Paul la teneva saldamente.
“Una psicopatica credeva che Ian fosse davvero Damon e voleva che stesse con me e non con Mary e… e voleva farla fuori, investendola, credo. Ian, però, non so come, l’ha salvata e la macchina ha preso lui in pieno. La psicopatica, non soddisfatta, ha sparato a Mary” le spiegai con tono spento.
“Tutto ciò è assurdo” singhiozzò più forte, trovando rifugio tra le braccia del marito.
“Lo so” sussurrai.
La mia voce sembrava morta. Priva di ogni tipo di vita.
“Avete avvisato Butch?” chiese Joseph.
“Sì – rispose Paul – Avete avvisato la famiglia?”
“Ci ha pensato una collega di Mary”
“Capisco – annuì – Avanti, Jess, accomodiamoci” le sussurrò dolcemente all’orecchio.
“No, io non… non posso, noi” lasciò cadere la frase, guardandolo e sgranando quei suoi meravigliosi occhi.
“Jess, non possiamo fare niente. Meglio accomodarsi, su”
“Ok” Jessica sospirò.
Si sedettero vicino me e Joseph.
“In che trauma center sono?” chiese Paul.
“Non lo so, li hanno portati dentro prima che entrassi” risposi.
Dopo qualche attimo di silenzio mi alzai.
“Niki, dove vai?” mi domandò Joseph apprensivo.
“Ho bisogno di un caffè. Torno subito” accennai un sorriso.
Andai verso la macchinetta del caffè, in fondo al corridoio a destra.
Stavo per arrivare a destinazione, quando vidi Ian e Mary essere trasportati verso gli ascensori.
“Mi scusi – mi rivolsi d’un tratto agitata a un’infermiera – Dove li stanno portando?”
“In sala operatoria, signorina”
“Sala operatoria? Ma cos’hanno? Sono gravi?”
“Lei è una parente?”
“N-no, un’amica” balbettai.
“Allora non posso fornirle queste informazioni, mi dispiace” fece per andarsene, ma la bloccai.
“La prego, ho assistito all’incidente, devo sapere”
“Posso solo dirle che non hanno delle ferite lievi e che l’uomo è più grave. Mi dispiace di non poterle dire altro” disse mortificata e si allontanò.
Presi il caffè meccanicamente e tornai in sala d’attesa.
“Niki, che succede?” Joseph fu al mio fianco in un attimo.
“Li ho visti. Li stavano portando in sala operatoria. L’infermiera ha detto che”
“Che?” Jessica mi incitò a continuare.
“Che Ian è più grave” abbassai lo sguardo, bevendo un sorso di caffè.
 
Afferrai il mio Iphone e cercai tra i contatti Robyn.
“Che vuoi fare, mh?” Ian fece capolino dalla mia spalla, abbracciandomi da dietro.
“Voglio chiamare tua sorella e avere informazioni sul tuo angelo custode”
“D’accordo. Che hai in mente?”
“Di rintracciarla”
“L’avevo intuito. E poi?”
“Di ringraziarla. Uh, e magari invitarla a uscire” lo guardai con la coda dell’occhio.
“Chiederle di uscire? Lei con noi? Vuoi farla morire d’infarto, per caso?”
“No, certo che no! Però, non ti ha investito, ti ha accudito per una notte intera con discrezione, ha permesso la nostra riconciliazione, mi sembra il minimo che possiamo fare in confronto a quello che ha fatto lei. E, dato che so quello che stai pensando, rispondo subito: no, un caffè non è abbastanza”.
Ian scoppiò a ridere e mi fece la linguaccia.
“E Robyn sia” alzò le braccia al cielo in segno di resa.
“Ehi, non ho detto che potevi togliere le mani”
“Mi scusi, signorina Dobrev” sghignazzò e mi abbracciò nuovamente.
Risi anch’io e composi il numero di Robyn.
 
Ian guidava la sua Audi rilassato, con la fronte finalmente distesa, dopo giorni e giorni di discussioni e litigi.
Chiunque fosse quest’angelo custode, era entrato nelle mie grazie. Anzi, entrata.
“Robyn ha detto che ora dovremmo svoltare a destra” dissi, indicando a Ian un incrocio.
“Agli ordini” scalò la marcia e imboccò la prima strada a destra.
Dopo qualche minuto, giungemmo in un cortile.
La casa che avevamo davanti era splendida.
Una casa semplice, di color bianco sporco, a due piani, sommersa dagli alberi.
Come aveva fatto una specializzanda del terzo anno a guadagnarsi una meraviglia simile?
Ian parcheggiò vicino a una Land Rover Freelander 2 azzurra metallizzata.
Che fosse l’auto dell’angelo custode?
Sempre più sorpresa, scesi dall’auto con l’aiuto di Ian.
Ci avvicinammo al portico e suonammo.
Dei passi veloci percorsero il pavimento.
Si sentì uno scatto, poi la porta si aprì.
Ne uscì una donna normale, con indosso un’enorme e deforme felpa blu notte e dei jeans stretti. Aveva il volto radioso, seppur stanco; i capelli castani, lunghi, ricci, che le ricadevano disordinatamente sulle spalle; gli occhi, incorniciati da un paio di occhiali neri, castani e verdi in perfetta armonia all’interno di quelle iridi, sgranate per la sorpresa; le guance un po’ arrossate; le labbra rosee spalancate.
Era rimasta imbambolata.
L’avevamo shockata?
“Ian mi ha detto che devo ringraziare te per la sorpresa e… per aver evitato che qualcuno lo investisse – accennai un sorriso e strinsi la mano di Ian – Perciò, grazie”.
Speravo sentisse quel ringraziamento.
Veniva dal profondo del mio cuore, tutto per lei, Maria Chiara Floridia.
 
“Nina”
“Sì?” guardai Joseph, tornata in me.
“Tutto ok?”
“Sì, pensavo a – lasciai cadere la frase e scossi la testa – Lascia perdere. Dimmi”
“Mary è appena uscita dalla sala operatoria”
“Che ore sono?”
“Sono quasi le otto”
“E’ stata dentro per quasi tutto il pomeriggio?”.
Joseph annuì.
“E Ian?”
“Non si sa ancora niente”
“Capisco. Joseph, vado a vedere Mary. Se ci sono novità, di qualsiasi tipo, chiamami, ok?”
“Non vuoi che ti faccia compagnia?”.
Feci no con il capo.
“Voglio andare da sola”
“D’accordo, Niki” mi diede un bacio sulla fronte.
Mi alzai e andai al bancone delle infermiere della terapia intensiva, terzo piano.
“Mi scusi, ho saputo che la dottoressa Floridia è uscita dalla sala operatoria. Si è svegliata?”
“Ancora no, ma l’operazione è andata bene, quindi credo che presto riaprirà gli occhi”
“E’ possibile vederla? Io ho assistito all’incidente e-e”
“Ma certo, stanza 1308”.
Sorrisi per la coincidenza. Il numero della stanza era l’unione dei loro giorni di nascita.
“Grazie mille”
“Signorina Dobrev, posso chiederle un favore?”
“Sa che io sono” mi spiazzò.
“Ma certo, è molto famosa – l’infermiera accennò un sorriso – Le chiedo solo di non rilasciare interviste. Fuori dall’ingresso principale della struttura è pieno di giornalisti, che vogliono notizie sulle condizioni di Mary, relativamente, e soprattutto di Ian. Il capo Richardson sta cercando di guadagnare tempo e di far calmare le acque, perciò se lei può contribuire”
“Certamente! Non andrei mai in un momento simile a parlare con loro – le presi una mano – Grazie per avermi detto il numero della camera” sorrisi un’ultima volta. 
Quando mi avvicinai alla stanza giusta, un medico mi fermò.
“Signorina Dobrev, giusto?”
“Sì, sono io”
“Sbaglio o non è una familiare della dottoressa?” mi chiese.
“Infatti, sono solo un’amica”
“Allora non può stare qui”
“La prego, lei… lei la conosce, non ha nessun parente qui, mi permetta di restare” lo supplicai.
“D’accordo” sussurrò lui, passandosi una mano tra i capelli corvini.
“Chiedo troppo se le chiedo le lesioni di Maria Chiara e Ian?” domandai.
“In teoria sì, ma dato che al momento non c’è nessuno per loro… Maria Chiara aveva un lieve trauma cranico e maggiori danni nell’addome, dove la pallottola l’ha colpita. Sono stati danneggiati fegato, pancreas, colecisti e persino il rene sinistro, la pallottola l’ha sicuramente colpita in modo obliquo; ma, nonostante qualche difficoltà, siamo riusciti a stabilizzarla. Inoltre, aveva una lieve lussatura, perciò l’ortopedico le ha aggiustato la spalla destra. Per il signor Somerhalder la situazione è più grave. Ha un trauma cranico più esteso, delle costole rotte, il polmone destro danneggiato, un paio di vertebre incrinate e il femore sinistro fratturato . Lo stanno ancora operando, perciò non so dirle di più”
“Rischiano la vita?”
“Maria Chiara no, a meno che l’emorragia causata dalla pallottola non riprenda. Il signor Somerhalder…” il medico lasciò cadere il discorso.
Fu chiamato da un’infermiera e si congedò in fretta.
Mi sedetti accanto a Mary e cominciai a piangere.
Le stetti accanto, stringendole la mano, fin quando non vidi arrivare Rose e Steve.
Rose mi si avvicinò.
“Nina” mi toccò una spalla.
“Sì?” mi voltai a guardarla.
“Paul, Jessica, Joseph, Paul e Torrey sono di là con la famiglia di Ian. Se vuoi andare da loro” mi sussurrò.
“Sono arrivati anche gli altri?”
“Sì, ma stanno aspettando in sala d’attesa”
“L’operazione di Ian si è conclusa?” chiesi.
“Proprio adesso” Rose sorrise amaramente.
I suoi occhi erano gonfi. Aveva sicuramente pianto di nuovo.
Annuii vagamente e uscii da quella stanza.
Guardai l’orologio, erano quasi le dieci. Ero stata in compagnia di una Mary addormentata per quasi due ore.
Sbloccai la tastiera dell’Iphone e chiamai Joseph per sapere dove fossero di preciso.
Mentre camminavo verso la stanza, in cui Ian era stato sistemato, guardai fuori da una finestra.
Era buio ormai.
La luna splendeva serena nel cielo, accompagnata dalle sue fidate stelle.
Qualche lampione illuminava flebilmente il cortile principale dell’ospedale.
Tutto sembrava così ordinario, così normale.
Ma non lo era. Affatto.
Come si poteva ritenere normale una cosa del genere?
Le lacrime uscirono nuovamente dai miei occhi.
L’unica colpa che aveva avuto Mary era stata quella di innamorarsi di Ian.
“L’amore, però, è una cosa bella. E’ quel sentimento che fa svegliare al mattino con la voglia di vedere l’altro, respirarlo, stringerlo, viverlo; è quel sentimento che fa disperare, quando le cose non vanno. Quando si urla, quando le parole e le lacrime vanno a braccetto. E’ il sentimento per eccellenza, è il più altruista, è il più gentile, è il più devastante, è il più amato, è il più odiato. Come può l’amore muovere una persona a tentare un omicidio? Come può l’amore portare a tutto questo?” pensai, prendendomi il volto tra le mani.
Asciugai le lacrime con un fazzoletto striminzito e proseguii il mio cammino.
Quando la mamma di Ian mi vide, mi corse incontro.
“Hanno messo Ian in coma farmacologico in attesa che si stabilizzi. Ma com’è successo?” disse tra i singhiozzi.
“Una donna…” fu tutto ciò che riuscii a dire e la strinsi forte.
Non me la sentivo di dirle che il figlio era stato investito perché quella pazza credeva fosse davvero un vampiro con capacità auto-curative.
Mentre ero ancora stretta in un abbraccio con Edna, vidi Robyn uscire dalla stanza di Ian.
“Robyn” sussurrai.
Edna sciolse l’abbraccio e guardò la figlia.
“Sembra sereno, come se stesse dormendo – mormorò colei che una volta era stata mia cognata; poi si rivolse a me – Nina, posso chiederti una cosa?”
“Ma certamente” annuii, sperando non mi chiedesse la dinamica dell’incidente.
“Joseph mi ha detto che eri nella stanza di Mary”
“Sì” confermai, avvicinandomi al mio ragazzo.
“E come sta?”
“Dicono che l’operazione sia andata bene, ma sono rimasta in sua compagnia per ben due ore e non si è svegliata. Non si è nemmeno mossa. Spero non sia una cosa negativa” conclusi mormorando e abbassai lo sguardo.
 
“Nina, stiamo andando a prendere un caffè. Vuoi venire?” Edna mi sorrise mestamente.
Guardai il volto sereno di Joseph dormire sulla mia spalla.
Annuii a Edna e, scostatami lentamente per non svegliare Joseph, mi alzai.
Andammo in mensa. Ordinati i caffè, ci accomodammo a un tavolo, vicino al televisore, posto in alto vicino al bancone.
Stava andando in onda il telegiornale serale.
“Passiamo ora a una notizia che ha scioccato moltissime persone nel mondo. Tutti i social network stanno impazzendo, strapieni di preghiere per l’attore trentaquattrenne Ian Somerhalder, che all’ora di pranzo ha avuto un brutto incidente. Abbiamo intervistato alcune persone che si trovavano nei dintorni, sentiamo il servizio”.
Apparve il cameriere che ci aveva servito il pranzo.
Guardando il giornalista, disse: “Ian era a pranzo con la sua collega, Nina. Improvvisamente è uscito, non so per quale motivo, e poi è avvenuto l’incidente”.
Fu ripresa una donna anziana.
“Una donna lo scuoteva e urlava il suo nome. Sembrava disperata”.
Il giornalista intervistò una giovane donna.
“La donna che l’ha investito ha poi sparato alla donna che ha cercato di soccorrerlo, che aveva i capelli ricci e castani. Credo fosse proprio la sua nuova compagna. Stavo per chiamare l’ambulanza, quando mi sono accorta che altri l’avevano già chiamata”.
Il piccolo servizio terminò e fu inquadrato nuovamente il giornalista in studio.
“Abbiamo intervistato in serata anche il Capo di chirurgia dell’ospedale, il dottor Craig Richardson, per conoscere le condizioni dell’attore e della sua compagna”
“Il signor Somerhalder e la dottoressa Floridia hanno subìto un’operazione difficile questo pomeriggio. Entrambe le operazioni hanno avuto successo. Al momento si trovano tutti e due in terapia intensiva. La dottoressa Floridia non si è ancora svegliata, ma è stabile. Il signor Somerhalder è stato messo in coma farmacologico per stabilizzare la sua condizione. Questo è tutto ciò che posso dirvi su entrambi. Arrivederci” il Capo parlò con professionalità e si allontanò in fretta, mentre i giornalisti lo inseguivano con i microfoni.
Degli uomini della sicurezza, però, li bloccarono.
Vidi la donna al bancone scuotere amaramente la testa e cambiare canale.
Anche lei aveva gli occhi un po’ gonfi.
Tutti in quell’ospedale volevano bene a Mary.
Sospirai e sorseggiai un altro po’ di caffeina, tenendo lo sguardo basso.
Non osavo guardare Edna, Bob e Robyn in faccia in quel momento.
“Nina, scusami” una voce flebile e dolce attirò la mia attenzione.
Mi voltai.
Rose e Steve erano in piedi accanto a me.
“Dimmi”
“Non vorrei disturbarti, capisco che vuoi stare con i tuoi colleghi e i familiari di Ian, però” Rose sospirò, non riuscendo a continuare la frase.
“Però Mary è sola. Siamo state con lei fino a ora, ma purtroppo sono arrivati dei feriti al pronto soccorso e dobbiamo tornare a lavoro e la sua famiglia non è ancora arrivata. Un’ora fa ci hanno chiamato, dicendoci che erano all’aeroporto di Londra. Stanno sicuramente per prendere il volo e questo vuol dire che impiegheranno tutta la notte per venire, anzi, di più. Perciò ci chiedevamo se”
“Se tu potessi farle un po’ di compagnia. Di nuovo. Non per tutto il tempo. Non appena uno tra noi due – Rose indicò sé stessa e Steve – si libera, o anche altri nostri colleghi, veniamo e le teniamo noi compagnia”
“Sì, certo” annuii.
“Grazie” dissero entrambi riconoscenti e se ne andarono, diretti al pronto soccorso.
Guardai Edna, Bob e Robyn un po’ mortificata.
Stavo per parlare, quando Robyn mi bloccò: “Vai e non preoccuparti. Non è giusto lasciarla sola. Se ci sono novità, ti faccio sapere”
“D’accordo. Grazie” accennai un sorriso e uscii dalla mensa.
Entrai nella stanza di Mary.
C’era un silenzio inquietante, rotto costantemente dai segnali dell’elettrocardiogramma.
Ah, anche l’intervento di Mary era stato difficile e non si era ancora svegliata. La guardai dormire beatamente e mi avvicinai. Era così serena. Sembrava che niente potesse farle del male. Chissà come avrebbe preso la notizia di Ian. Le sfiorai una mano. In quell’esatto momento le sue dita si mossero.
 
POV Mary
La campanella suonò.
Tutti ci alzammo, mostrando così il nostro rispetto al professore in uscita.
La prima ora era andata. Avanti la seconda!
Ci catapultammo tutti fuori dalla classe, come consuetudine, per bighellonare in giro per i corridoi.
Improvvisamente, vedemmo la professoressa di italiano e latino arrivare.
“Ragazzi, tutti dentro! Se ci vede, è la fine” pronunciai quelle parole velocemente.
Subito rientrammo tutti, accomodandoci ai nostri posti.
“Buongiorno, ragazzi” esordì la professoressa, chiudendo la porta.
Dopo aver posato i suoi libri e le sue borse, si assicurò che fossimo tutti presenti, dopo di che si avvicinò alla lavagna e prese un gessetto.
Scrisse due parole, poi si rivolse a noi con un sorriso a trentadue denti.
“Sapete che parole sono? Le conoscete?”.
Le guardai.
Ovviamente.
“Carpe diem. Cogli l’attimo” dissi.
“Esatto, Maria Chiara. Bene, ragazzi. Oggi parleremo proprio di quest’ode di Orazio. Ho scelto questo testo non solo perché è una delle sue odi più famose, ma perché racchiude in sé uno degli insegnamenti più importanti per la vita di una persona. Sigilla al suo interno l’augurio che personalmente posso fare a tutti voi, che vi state affacciando alla vita solo ora”.
Detto questo si accomodò.
Letto il testo latino, ci guardò.
“Chi vuole tradurlo?”.
In classe scese il silenzio. Non importava che si facessero lezioni noiose o appassionanti, i miei compagni si ammutolivano, non appena si chiedeva loro di interagire. Fare qualcosa.
Sentii il richiamo di quel ‘Cogli l’attimo’ e alzai la mano timidamente.
“Maria Chiara – la professoressa mi sorrise – avanti, traduci”
Tu non chiedere, non è lecito saperlo, quale termine gli dei abbiano assegnato a me, a te, o Leuconoe, e non tentare i calcoli babilonesi. Come è meglio sopportare tutto quello che accadrà! Sia che Giove ti abbia assegnato ancora molti inverni, o che questo sia l’ultimo, che ora su opposte scogliere fiacca il mar Tirreno, sii saggia, filtra il vino e contieni la tua lunga speranza entro un breve spazio. Mentre parliamo, il tempo, invidioso, è già volato via: cogli l’attimo, facendo il meno possibile affidamento su quello che verrà”
“Benissimo. Secondo te cosa vuol dire?”.
Quella domanda mi spiazzò.
Quel testo mi aveva scosso.
Mi aveva provocato delle emozioni, che decisamente non potevo condividere con i miei compagni di classe. Per quanto li amassi, loro non potevano comprendere certi aspetti di me, certe mie sfaccettature. Non avevano il tempo per scavare dentro di me e conoscermi del tutto. Perlomeno la maggior parte di loro.
Come poteva la professoressa chiedermi di mettermi a nudo così?
Mi agitai sulla sedia, a disagio.
“Professoressa, io non” abbassai lo sguardo, non riuscendo a continuare la frase.
“Oh, so benissimo cosa stai per dire: ‘Professoressa, io non so cosa dire, mi vergogno a parlare’ e così via. Beh, devi superare questa timidezza. E, soprattutto, devi dirmi cosa pensi di quest’ode. Su! Non voglio ripetertelo un’altra volta” concluse con un tono di voce più stridulo.
“D’accordo – annuii lievemente con la testa e alzai lo sguardo – Secondo me quest’ode è ricca di significato, soprattutto oggi. Ai giorni nostri, infatti, ciò che ciascun uomo fa maggiormente è ‘dare per scontato’, perché crede che tutto resterà sempre così e com’è, che niente cambierà mai; ma non è così. Ci sono persone che non hanno da mangiare e che non hanno molti vestiti e noi sprechiamo tutto così, non curandoci di questi dettagli, dandoli, appunto, per scontato. Il problema è che non lo si fa solo con i beni materiali, ma  anche con le persone. Spesso e volentieri molte persone non si curano di coloro che gli stanno dietro, che li amano così come sono e che non cambierebbero neanche una virgola di quello che sono. Non si rendono conto che un giorno potrebbero perderle. E, dicendo questo, non sto andando fuori tema, perché credo che quello che Orazio ci voglia insegnare è che non bisogna sprecare il tempo. Non bisogna dare tutto per scontato, perché in un attimo le cose cambiano. La tua vita può mutare così velocemente, che non te ne rendi nemmeno conto. E poi diventi un cumulo di ricordi e rimpianti vivente. E poi ti penti di molte tue azioni e cominci a non andare più avanti con la tua vita, perché rivivi costantemente nel passato, come un giradischi rotto, che ripropone sempre lo stesso stralcio di canzone. E anche questo è sbagliato. Orazio ci insegna che bisogna imparare a vivere pienamente ogni istante che la vita ci offre. Ti manca una persona? Diglielo. Ami qualcuno? Dichiarati. Vorresti correre sulla spiaggia durante un giorno di pioggia? Fallo. Fai tutto ciò che desideri, esponi tutto ciò che vuoi dire da sempre, fai in modo di non rimpiangere niente, perché la vita è troppo breve per essere vissuta in questo modo. Non possiamo trascorrerla aggrappandoci alle cose sbagliate. Dobbiamo fare le cose che amiamo, abbracciare le persone che amiamo e dir loro quanto le amiamo, perché un giorno potremmo non essere più nella posizione di farlo. E i rimpianti potrebbero attanagliarci lo stomaco e impadronirsi di noi e non lasciarci più. Ecco cosa penso che significhi quest’ode. Ecco cosa penso che significhi il ‘Cogli l’attimo’”.
 
Mi sentivo aleggiare nell’aria, senza vincoli, senza ostacoli, senza paure. Era come essere distaccati dal resto del mondo, catapultati in un mondo bianco e puro. Che posto era quello? Come ci ero arrivata? E perché mi trovavo lì?
Provai con ogni singolo neurone a ricordare. All’inizio continuai a vedere quella luce bianca calda, serena e avvolgente, poi i ricordi mi invasero, come dei potenti lampi.
Accecanti.
Dolorosi.
La chiamata a Ian.
I nostri passi, l’uno verso l’altra.
Un rumore.
Una macchina.
Ian al suolo, incosciente.
Sentivo ancora le mie urla di dolore trapanarmi le orecchie.
Poi un altro rumore, stavolta più pomposo.
E poi me a terra.
Il sangue.
Ah già, quella donna mi aveva sparato.
Mentre metabolizzavo ancora quelle informazioni amare, cercando di capire se ci si sentiva così leggeri e tranquilli quando si affrontava la morte, sentii un tocco.
Mi toccai la mano sinistra incredula.
Allora capii. Non ero morta. Stavo ancora lottando per me.
Risposi automaticamente a quel tocco così affettuoso e familiare e, senza alcuna previsione, riuscii finalmente ad aprire gli occhi.
La stessa figura, che avevo visto prima di svenire, mi sorrideva. Il suo sguardo era brillante, felice, sollevato, ma nonostante ciò, si intravedevano tocchi di tristezza nel gonfiore e nel rossore dei suoi occhi.
“N-nina?” farfugliai, mettendola meglio a fuoco.
“Sì, sono io. Ti sei svegliata” disse felice.
“Dove sono?” sussurrai.
“Sei in ospedale. Hai avuto un brutto incidente, ricordi?”
“S-sì. D-dov’è I-ian?” chiesi ancora debole, guardando lievemente a destra e a sinistra.
Non c’era. Eravamo sole.
Nina si paralizzò, poi cominciò a guardarsi intorno, evidentemente agitata.
“Ecco, Ian…” cominciò a balbettare.
Andai nel panico.
“Dov’è Ian?” la mia voce si spezzò e sentii i miei occhi velarsi di lacrime.
“Ian è in coma farmacologico”.
Fu come essere colpita da un treno, un aereo, un accetta, un’altra pallottola, uno squalo. Tutto quanto contemporaneamente.
Era in coma farmacologico. Significava che il cervello doveva essere protetto. Aveva danni cerebrali consistenti.
“Cosa? No!” urlai con voce strozzata.
Cominciai a divincolarmi nel letto. Sentivo il sangue ribollirmi nelle vene, pulsare febbrilmente nelle orecchie e nelle tempie.
Il monitor della pressione segnalò un aumento vertiginoso, le bende cominciarono a bagnarsi di sangue. Inizialmente Nina tentò di bloccarmi, ma, non riuscendoci, fu costretta a chiamare qualcuno.
“Mary, calmati” disse l’infermiera Carol.
“No, devo andare da Ian, è tutta colpa mia, devo andarci! Lasciami andare, ti prego” continuai a urlare straziata tra le lacrime.
Carol dovette sedarmi, per evitare che mi facessi ancora del male.
Nonostante lottassi per oppormi al sedativo, questi vinse.
Il mio corpo smise di obbedirmi e si accasciò beatamente sul letto. Le urla si placarono, lasciando il posto a dei singhiozzi sommossi. Non appena mi calmai definitivamente, Carol chiamò il dottor Ross, che suturò nuovamente la mia ferita.
Usciti entrambi, anche Nina si diresse verso la porta per uscire dalla mia stanza.
“Ti prego, resta. Non voglio restare da sola” sussurrai scossa.
“D’accordo” tornò indietro e si sedette al mio fianco.
“Mi sento una stupida. In queste settimane non ho fatto altro che aggredirlo e farlo stare male, gli ho persino detto di tornare da te! E ora… lo sto perdendo e tutti quei litigi e quelle urla e quelle parole mi sembrano così senza senso. E… e” non riuscii a continuare.
Mi strinse la mano e rispose: “Non dire così. Non sta per”
“Ti invidio, sai? Tu hai passato con lui i suoi ultimi giorni”
“Mary, no! Quelli che abbiamo passato insieme non sono i suoi ultimi giorni. Lui si sveglierà e starà bene! Dobbiamo crederlo insieme, sperare insieme”.
Il suo tentativo di infondermi coraggio non stava funzionando benissimo, nonostante lo facesse con tutta sé stessa.
Guardandola, mi resi conto che non avevo ancora avuto occasione di parlarle seriamente, dopo tutto quello che era successo.
“Carpe diem”
“Cosa?” mi guardò confusa.
“Nina”
“Sì?”
“Io devo dirti una cosa. E’ una cosa che ho sempre pensato, ma che non ho mai detto ad alta voce. E’ una cosa che ti devo”
“Mary, di che parli?”
“Nina, mi dispiace. S-s-scusami se mi sono innamorata di lui – dissi con fatica – Quando mi sono resa conto di amarlo, mi sono sentita un verme. Mi sono vergognata di me stessa. Tu mi reputavi tua amica e io pure e, davvero, ho cercato di tenermi tutto dentro per non farti del male, perché tenevo a te e ci tengo tuttora. Credimi, ci ho provato con tutta me stessa, anche dopo che l’ho lasciato andare. E’ stata la cosa più difficile e più distruttiva che io abbia mai fatto, in tutta la mia vita. Ma forse non ci sono riuscita. Scusami, davvero”.
Nina sgranò i suoi grandi occhi e in pochi secondi cominciò a piangere.
“Non volevo farti piangere” dissi in fretta e cercai di alzarmi, ma me lo impedì.
“Non sforzarti! Anch’io tengo a te e non hai niente da scusare. Ricorda queste parole, Mary, imprimile nella tua mente e non dimenticarle mai: noi non possiamo scegliere di chi innamorarci. L’amore… l’amore accade e basta. Mary, non è colpa tua se ci siamo lasciati. Sono convinta che, anche se non ci fossi stata tu, questa rottura sarebbe avvenuta ugualmente. C’era una spaccatura, che, quando Ian ti ha conosciuto, era già profonda ed evidente. Non è colpa tua” mi sorrise.
Restò a parlare con me per un altro po’, poi uscì per lasciarmi riposare.
Prima di riaddormentarmi stanca, sorrisi per la discussione che avevamo appena avuto.






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Note dell'autrice:
Mi dispiace non aver aggiornato prima, ma domani riapre la scuola e ho dovuto studiare. Certo, non ho studiato molto, ma pazienza, non si può ottenere tutto dalla vita ahahah
Comunque, ecco qui il capitolo 2.
I flashback continuano, vedendo che sono piaciuti nel 1° capitolo, ho deciso di metterli anche in questo capitolo. Spero vi siano piaciuti e vi abbiano aiutato anche stavolta a capire di più.
Mary si è finalmente svegliata, mentre Ian è in coma farmacologico. Si stabilizzerà presto?
Mary e Nina si sono riconciliate. Scrivendo questa scena ho sospirato di sollievo. Finalmente! Era dal capitolo 13 di "Friendzone?" che aspettavo di scrivere questa scena. Nessun momento precedente mi è sembrato più adatto di QUESTO!
Carpe diem, right? ;)
Spero che il capitolo sia piaciuto e spero di aggiornare presto.
Ringrazio chi mi lascia recensioni, chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite e ringrazio anche i lettori silenziosi.
Come vi avevo detto nelle note precedenti, avevo intenzione di creare un gruppo.
Beh, l'ho creato: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Se vi va, iscrivetevi. Vi accetterò volentieri :3
Alla prossima,
Mary :*

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Capitolo 4
*** Salvation. ***


POV Mary
Il profumo delle lenzuola bianche.
Musica casuale in sottofondo.
Sole caldo e accogliente entrante dalla finestra.
Il suo tocco deciso e delicato sulla mia pelle nuda.
Era una mattinata perfetta.
Sorrisi, sfregando il viso contro la mano destra.
“Non muoverti – mi ammonì scherzoso – Rovini la mia opera se metti i muscoli in tensione”
“Mi perdoni. Non era tra le mie intenzioni tentare di sabotarla” dissi sarcastica.
Ian fece una risatina e fermò le sue mani. Dopo qualche secondo, sentì i suoi denti sul mio collo.
“Ahi, mi hai morso!” protestai, muovendomi e cercando di farlo cadere.
“Non mi provocare” disse con voce gutturale vicino al mio orecchio destro, premendo il suo bacino contro il mio corpo e reggendosi sui gomiti.
Smisi per qualche secondo di respirare, mentre il divertimento di Ian era abbastanza palpabile.
“Bastardo provocatore” mugugnai, dopo aver rigettato l’aria che avevo trattenuto.
“Ci siamo dati ai complimenti stamattina” sghignazzò, continuando a massaggiarmi le spalle e la schiena.
“Complimenti che ti meriti”
“Se continui così, mi offendo e non continuo più a fare questo” sottolineò l’ultima parola, affondando le sue dita esperte a fondo nella mia schiena.
Deglutii, mentre i miei muscoli si arrendevano al suo tocco. Senza nemmeno lottare.
“Non sia mai”
“Ecco. Allora silenzio e, soprattutto, ferma”.
Una canzone si concluse. Non sapevo nemmeno quale. Ero troppo presa da lui per farci caso.
“Non avevo mai passato un giorno prima degli esami in questo modo” espirai rilassata, chiudendo gli occhi.
Ian non rispose, ma riuscii a percepire il suo sorriso. Era contento. In fondo era l’ultimo giorno in cui potevamo vederci. Il giorno seguente sarebbero cominciati gli esami di fine anno. Esami di fine anno. Esami di…
“Non pensare agli esami, signorinella” Ian mi rimproverò.
“Come fai a sapere che ci stavo pensando?”
“Intuito. Ti sei contratta in un decimo di secondo”.
Stavo per rispondere, quando il suono forte e delicato di un pianoforte cominciò a risuonare per la stanza.
“Nooo! Ian, cambia canzone”
“Perché?”
“I’m not a stranger
No I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore”.
“Ma questa non è…?” Ian non completò la frase.
“Sì, è ‘Cut’ di Plumb”
“Sbaglio o è una colonna sonora Stelena?”
“Sì” risposi improvvisamente infastidita.
“E che ci fa nel tuo mp4, santuario di canzoni Delena?” concluse la frase con ironia.
“Scommessa con Steve l’anno scorso. Dai, cambiala, che poi mi vengono in mente brutti pensieri su Stefan ed Elena. Bleah!” finsi di avere i brividi.
Ian rise. Si scostò un attimo da me e premette il tasto ‘successivo’.
Ci fu qualche secondo di silenzio, poi cominciò una melodia a noi conosciuta. Molto conosciuta. Come non dimenticarla?
Immediatamente l’immagine di Ian che ballava in casa Salvatore con la camicia nera sbottonata e gli addominali in bella vista invase la mia mente.
“Mmm, questa può restare” dissi, sorridendo.
Ian non rispose.
“Ian?” lo chiamai.
Niente.
Ma dove diavolo era finito?
Mi issai sui gomiti, guardando alla mia destra e alla mia sinistra.
Non c’era.
Stavo per alzarmi, quando improvvisamente mi ritrovai a pancia in su.
“All I’ve wanted
All I’ve needed is you
In my arms” cantò Ian, irrompendo nel mio campo visivo e muovendo la testa a ritmo di musica.
Scoppiai a ridere.
“Che c’è?” mostrò i palmi delle mani, non smettendo di fare su e giù con la testa.
“Niente, sei troppo tenero mentre segui il ritmo della canzone” lo imitai con il capo.
“Non voglio essere tenero – corrucciò la fronte – Voglio essere il tuo bastardo manipolatore”
“Lo sei già”
“Allora voglio essere una pantera”.
Pantera? Non era il suo simbolo a letto?
Arrossii di colpo e, mentre cominciava a baciarmi il collo, cercai di protestare: “Ian, aspetta. E se arrivasse la tua domestica? Non voglio che” mi arrestai di colpo.
Ian era sceso al seno.
Baciava, mordicchiava ogni centimetro della mia pelle senza pietà.
Che tortura era mai questa?
Mi arresi.
Senza lottare.
Come avevano fatto i miei muscoli poco prima.
“Cosa sei, Ian Somerhalder?” sussurrai, mentre il mio respiro cominciava a essere più affannato.
Fermò i suoi baci e mi prese le mani, stringendole alle sue e portandole sopra il mio capo.
“Sssh, ‘Enjoy the silence’” mi disse, sorridendo sghembo.
Senza aspettare che rispondessi, prese a baciarmi le labbra.
Le dischiusi, lasciando che le nostre lingue si unissero.
Mentre le nostre bocche non si staccavano e le nostre mani si torturavano a vicenda, Ian entrò in me, cominciando a muoversi, lento e deciso.
Pieno di desiderio.
Pieno di passione.
Pieno di amore.
 
Mi morsi il labbro inferiore nel vano tentativo di frenare le lacrime.
Singhiozzavo silenziosamente, mentre i Depeche Mode continuavano a cantare, quando improvvisamente le cuffie scivolarono via.
Portandosi quella canzone.
Quelle lacrime.
Quei ricordi.
Aprii gli occhi un po’ spiazzata.
Nonostante avessi la vista annebbiata da quelle gocce salate, riuscii a mettere a fuoco la figura di Rose e il suo sguardo amorevole e preoccupato.
“Che succede?” mormorai.
“Giro visite, niente di che – mi sussurrò, poi andò vicino ai suoi specializzandi; li osservò uno per uno, dopo di che schioccò le dita e aggiunse – Ted, esponi il caso”.
Mi asciugai velocemente le lacrime con la mano sinistra e guardai Ted.
Era lo specializzando più timido dell’ospedale. Arrossiva quando visitava tutti i suoi pazienti, balbettava. Persino i suoi occhi castani riflettevano tutte le sue incertezze. Erano occhi insicuri, da cerbiatto.
“Coraggio, Bambi, non ho ucciso tua madre nei boschi e non mordo mica” gli sorrisi, incitandolo a parlare.
“Ehmmm, sì – disse con voce tremante, grattandosi la nuca – Maria Chiara Floridia, 28 anni, ricoverata lo scorso pomeriggio per una ferita d’arma da fuoco all’addome. I segni vitali sono stabili. Per lenire il dolore dobbiamo somministrare ogni tre ore 500 mg di paracetamolo”
“Bene. Erika, prendile una vena” Rose parlò con tono serio.
La guardai allibita.
“Erika no!” urlai nella mia testa.
Era una degli specializzandi meno delicati di sempre. Quando doveva fare le analisi ai pazienti, faceva loro sempre un gran male.
Ebbi i brividi. Non volevo un ematoma per colpa sua.
Erika si passò una mano tra i capelli biondi, poi usò un prodotto per lavare le mani velocemente.
Le sfregò una contro l’altra e si avvicinò al mio letto.
“Mary” sentii chiamarmi in italiano da una voce familiare.
Troppo familiare.
Era la voce che mi aveva coccolata, che mi aveva permesso tante volte di dormire serenamente, che mi aveva tranquillizzata e consolata dopo incubi, cattive giornate e delusioni.
Guardai l’ingresso della camera.
“Mamma” sussurrai.
La donna che mi aveva messo al mondo si sporse verso la mia direzione e in un attimo fu al mio fianco a carezzarmi il viso, mentre singhiozzava e sorrideva.
“Sei sveglia. S-sei viva” disse tra le lacrime, baciandomi i capelli.
“Oh, mamma!” ricambiai l’abbraccio con la mano sinistra.
Nonostante fossi debole, mi aggrappai a lei con tutta la forza che avevo.
“Vi lasciamo sole” disse Rose, uscendo con al seguito tutti i suoi specializzandi.
Inclusa Erika.
Evviva!
“Mamma, lasciala respirare e, soprattutto, lasciala salutare anche a noi” disse una voce, concludendo in tono ironico.
Riconobbi subito quella voce.
Ovviamente.
Sorrisi istintivamente, preparando a vedere la figura snella e un po’ trasandata del mio gemello mancato.
Mia madre sciolse l’abbraccio e si voltò verso di lui.
“Giorgio, smettila di prendermi in giro” bofonchiò, sorridendogli.
“Non ti prendevo in giro, non sia mai – alzò le mani al cielo – Il mio era solo un dato di fatto” si avvicinò al letto e si sedette.
“Ciao” lo guardai, cercando di non piangere.
Di nuovo.
Potevo passare la mia vita a piangere?
“Ah, Mary, non piangere. Puoi passare la tua vita a piangere? No! Perciò, su, non farlo. E’ tutto passato” mi toccò la mano sinistra, stringendola subito dopo con la sua.
Sorrisi.
Eccolo.
Colui che mi conosceva più di quanto mi conoscessi io.
Colui che mi aveva imparato il vero significato di ‘essere fratelli’.
Colui che mi leggeva nel pensiero.
Colui che veniva scambiato sempre per il mio gemello, nonostante avessimo età diverse.
Eccolo.
Il mio gemello mancato.
“Giorgio, queste proprio sarebbero lacrime di gioia” ribattei, lasciandomene scappare solo una.
“Allora te la concedo”
“Mary” mio padre arrivò sulla soglia della stanza.
“Papà” lasciai andare la mano di Giorgio e la tesi verso di lui, che aveva sempre agito per il mio bene.
Anche quando io non ci stavo.
Anche quando io non capivo.
Papà sorrise e si avvicinò.
Mi baciò la mano e se la portò vicino alla guancia.
“Sono felice di vederti tutta intera”
“Oddio, tutta intera – feci una smorfia, indicando con lo sguardo il braccio destro – Per modo di dire”
“Beh, l’importante è che tu sia viva”
“Festa privata o posso aggregarmi?”.
Mi voltai verso la porta.
Mancava solo una persona all’appello.
“No, Michele, non c’è più posto – gli feci una linguaccia – vieni, su” gli feci cenno con la testa di entrare.
Non se lo fece ripetere due volte.
Tutti erano attorno al mio letto.
Per la prima volta non pensai a tutto ciò che di spiacevole era accaduto nei giorni precedenti.
Alle lacrime di dolore.
Alle urla disperate.
A Ian in coma.
Perché, dopo tanto tempo, i Floridia erano riuniti nella stessa stanza.
E questo era un evento che doveva essere ricordato.
“Aggrappati alle cose belle, Mary. Il dolore è sempre dietro l’angolo, può aspettare” pensai tra me e me, poi sorrisi alla mia famiglia.
 
“Quest’anno non torni in Sicilia?” mi chiese Candice.
Scossi la testa.
“Come fai a star lontana così tanto dalla tua famiglia e dai tuoi amici? Vi sentite spesso almeno?” Steven si intromise nella discussione.
“A volte sì, a volte no, infatti le volte in cui non ci sentiamo mi danno sempre per dispersa – feci una smorfia – Ma non posso farci niente. Quando sono di turno anche per tre giorni consecutivi, non posso staccare e chiamare parenti e amici, come se niente fosse”
“Ti mancano?”
“Certamente. Tutti loro sono una parte di me di cui non posso fare a meno. Sono tutti le mie rocce. Senza di loro non sarei qui in America” sorrisi adorante, pensandoli.

Come potevano non mancarmi?
Mia madre e i suoi dolci sorrisi, mio padre e i suoi sguardi amorevoli, i miei fratelli e i nostri battibecchi, mia cognata, mio nipote, la mia famiglia, le mie sorelle per scelta e tutti i miei amici.
Quando non riuscivo a chiamarli, mi sentivo vuota, come se un pezzo di me mancasse. Mi sentivo persa e piangevo.
Piangevo a dirotto.
Stavo per eclissarmi, stavo per lasciarmi trascinare da tutti i ricordi della mia Sicilia, quando la sua voce mi riportò con i piedi per terra.
“Cambiamo discorso, su. Non vogliamo di certo renderti nostalgica” disse Ian, sorridendomi di sfuggita.
“Esatto! Oggi non è una giornata di tristezza, bensì di svago e relax. Perciò, Mary, togliti il vestitino. Sei l’unica che non è ancora in costume e io voglio andare a fare un bagno” Rose mi incitò.

Sentii le guance avvampare. Quanto ero imbarazzata da uno a dieci?
Lanciai un’occhiata a Ian, senza che se ne accorgesse. Mi sarei mai abituata alla sua presenza?
Forse no.
Mi morsi il labbro inferiore e presi gli estremi del mio vestitino azzurro. La stoffa era leggera e fresca, al contrario della mia pelle infuocata, al solo pensiero dei suoi occhi color oceano che mi guardavano.
Sfilai il vestitino dall’alto e il mio corpo uscì allo scoperto, fasciato solo da un costume a due pezzi color verde acqua.
Mi guardai vagamente, mentre piegavo il vestitino.
Non era un costume elaborato, tutto il contrario. Era un costume semplicissimo ed era stato l’unico al negozio a non farmi piangere. Non adoravo il mio corpo, questa non era di certo una novità, però questo costume mi aveva fatto sorridere.
Riposi il vestitino nella borsa di paglia e sorrisi.
In fondo non mi stava così male.
Forse.
“Il primo che si butta in acqua ha il pranzo gratis” disse Steve, distogliendomi dai miei pensieri.
Tutti cominciammo a correre.

Percepii la sabbia scorrermi sotto i piedi.
In breve tempo mi ritrovai in acqua.
Era calda.
Sorrisi, pensando al mare della mia terra.
Misi le mani una sopra l’altra sopra la testa e mi tuffai.
Senza pensarci due volte.
Mentre espiravo, non permettendo all’acqua di invadermi le narici, nuotai serena, agitando con sincronia le braccia e le gambe.
Il mio segno zodiacale era pesci. Ed era perfetto.
Io amavo l’acqua.
Amavo sentirmi leggera, lontano dalla frenesia del mondo esterno.
Amavo i miei capelli, mossi e sparsi disordinatamente in quella distesa oceanica.
Amavo toccare la sabbia e osservare i pesci.
Amavo tutto quello che concernesse questo elemento, che rispecchiava anche il mio carattere.
Trasparente, adeguabile a tutto, libero.
Riemersi.
Il calore del sole inondò il mio volto.
Riaperti gli occhi, mi guardai intorno e gridai: “Vittoria!”, ridendo spensieratamente.
Mentre Steve brontolava, notai che Ian mi stava guardando.
Il suo sorriso a trentadue denti era indescrivibile. E la cosa che più mi mandava in panne era che quel sorriso era per me.
Non per qualcun’altra.
Per me.
Steven e Paul cominciarono a bagnarsi, includendo tutti in una battaglia acquatica.
Io, con molta nonchalance, sgattaiolai al fianco di Ian.
“Perché mi sorridevi?” gli chiesi, continuando a guardare tutti quegli amorevoli bambinoni che si inzuppavano a vicenda.
“Perché questo costume ti sta d’incanto e noto che non ti fa sentire a disagio con il tuo corpo e, per quanto non mi piaccia affatto il fatto che tu non ti apprezzi, adoro non vederti imbarazzata o impacciata o che tenti in tutti i modi di trattenere il respiro per non mostrare la ‘pancetta’, come la chiami tu – mi sfiorò la pancia e io arrossii – perché, non appena sei riemersa dall’acqua, avevi un sorriso che mi ha lasciato senza parole. Si vede che l’acqua è il tuo elemento. Quando sei a contatto con essa, diventi spensierata e felice e niente può buttarti giù in quel momento. Diventi come invincibile. Ed è bellissimo vederti così. L’acqua rispecchia molto chi sei. Trasparente; adeguabile a tutto, a ogni tipo di situazione; libera e, soprattutto, un bene prezioso di cui tutti non riescono a fare a meno. Né la tua famiglia, né i tuoi amici, italiani o americani che siano – lo guardai, sorpresa da tutte quelle parole – e nemmeno io” Ian concluse sorridendomi nuovamente.
 
“Mary, guardami” disse Rose agitata.
Cercai di mettere a fuoco gli oggetti, le persone, ma non ci riuscii.
Tutto ciò che mi circondava era vittima di un vortice così devastante, che non lasciava integra nemmeno la mia mente.
Cosa mi stava succedendo?
Sentii un freddo indescrivibile.
“Mary, resta sveglia, ti prego” la voce di Rose divenne più distante, poi più presente.
Mi sentivo come in un oblio.
Stavo o non stavo per perdere conoscenza?
“Il mare – dissi, come se da quella parola dipendesse la mia vita – il mare” ripetei con voce fioca.
Il buio piombò su quella stanza e, soprattutto, sui miei occhi.
 
POV Nina
“Stop!” urlò Julie, scendendo dalla sua sedia.
Si passò una mano tra i capelli biondi e mi si avvicinò.
“H-ho sbagliato qualcosa?” dissi incerta.
“No, Niki, tranquilla – Julie sorrise – Dobbiamo semplicemente fermarci qui con le riprese per oggi”
“Come mai?” la guardai interrogativa.
Caroline mi si avvicinò, sventolando il copione tristemente.
“Ma come, Niki? Non ricordi che scene ci sono ora? – dopo qualche attimo di silenzio riprese – Da ora fino alla fine della puntata ci sono le scene con Damon e Ian… Beh, lo sai” abbassò lievemente lo sguardo.
“Oh. Giusto” mormorai, mordendomi la lingua subito dopo.
Ian era ancora in coma.
Stupida, ovvio che non si potevano girare quelle scene!
“Ci vediamo domani. Cominceremo a leggere i copioni della 5x05 – disse Julie e congedò tutti, eccetto me – Vai in ospedale ora?” mi chiese con tono pacato.
Annuii.
“Devo. Sono passati tre giorni dall’incidente e una parte di me è convinta che toglieranno Ian dal coma oggi. Non so dirti perché. Ho questa sensazione”
“Speraci, Niki. Salutami i suoi” mi sorrise e se ne andò.
Cambiatami, mi diressi verso la mia auto. Partii in direzione dell’ospedale.
Mentre guidavo, sorridevo. Quella sensazione era davvero forte e tutto sembrava alimentarla. Il sole cocente che illuminava tutta Atlanta e che faceva risplendere le foglie degli alberi e sorridere le persone, dagli anziani ai bambini. Il vento leggero che soffiava, scompigliando i capelli e refrigerando l’atmosfera afosa cittadina. Era bellissimo. Tutto quel giorno pareva gridare: “Oggi è una giornata bellissima. Ian verrà tolto dal coma”.
Senza quasi accorgermene, giunsi nel cortile dell’ospedale. Parcheggiai e scesi dall’auto, portando una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro. Entrai nell’edificio e salutai, dopo di che mi diressi verso la stanza di Ian, al terzo piano.
“Buongiorno, Ian” esordii, entrando.
Ovviamente non ricevetti alcuna risposta.
Lo guardai attentamente.
Aveva la testa completamente fasciata. I suoi occhi erano ancora chiusi. In bocca aveva ancora un tubo, indice che non poteva ancora respirare da solo. Dunque, era ancora in coma. Mi sedetti al suo fianco.
Sai – gli presi la mano sinistra – cominciamo davvero a sentire la tua mancanza. Stamattina abbiamo iniziato a girare delle scene della 5x04 alle cinque del mattino. Non sai che scene sono perché non hai ancora letto il copione. Tu, infondo, sei fermo alla 5x03 – sospirai – Comunque, durante la prima pausa, Paul va in saletta, reclamando il caffè a gran voce. Non vedendolo, ti ha chiamato, come suo solito. Ha detto – schiarii la voce, cercando poi di imitare la voce di Paul in astinenza da caffè – ‘SmouldyPants, Smolder, Smolderhotter o come ti pare, muovi il tuo bel sederino e porta la caffeina. Tipo ora!’, concludendo la frase ad alta voce. Solo dopo si è ricordato che… beh, che tu sei qui. Anche io l’avevo dimenticato. Sono qui proprio perché abbiamo finito di girare, perché nelle scene a seguire servi tu. Serve il tuo talento, servono le tue battute, i tuoi errori, i tuoi commenti alla scena. Serve il tuo Damon. Perciò – strinsi quella mano, chiudendo gli occhi, sperando che magari si svegliasse – torna. Lotta per tornare. Non ti arrendere. Mi hai capita? Anche perché penso che una dottoressa ricciolina e occhialuta non ti perdonerebbe mai se tu ti arrendessi. Lei non l’ha fatto, quindi non farlo nemmeno tu. Torna, Ian”.
Sentii un rumore. Mi voltai e trovai Edna, Robyn, Robert e Bob a guardarmi.
“Ciao – lasciai la mano a Ian e mi alzai, andando loro incontro – sono entrata giusto per un saluto”
“Tranquilla, puoi venire a trovarlo tutte le volte che vuoi” Edna sorrise e mi abbracciò forte.
La sua stretta esprimeva bisogno di affetto, di conforto e, soprattutto, di forza.
“Che succede?”.
Edna non rispose.
“Edna, qualcosa non va?” sciolsi l’abbraccio e la guardai negli occhi.
I suoi occhi si velarono presto di lacrime, il che fece aumentare la mia preoccupazione.
“Ma cos’è successo?” mormorai agitata.
Robyn fece un passo avanti e porse un fazzoletto alla madre, poi mi sorrise.
“Steve, il collega di Mary, ci ha detto che oggi toglieranno Ian dal coma. Certo, non si sa comunque quando si sveglierà, però è un inizio. Significa che è stabile. Spetta a lui ‘riuscire a tornare’ diciamo. Non sono lacrime di tristezza. Sono lacrime di gioia” annuì lievemente con il capo, accennando nuovamente un sorriso.
“Davvero? – dissi contenta – Ma è una splendida notizia! Hanno intenzione di dirlo a”
“A Mary? Mi ha detto di sì. Anche se non so se glielo diranno prima o dopo la procedura”
“Capisco. Allora spero non mi sfugga questo particolare ora” le feci l’occhiolino.
“Stai andando a trovarla?”
“Sì” sorrisi.
“Salutamela”
“Lo farò”.
Lo sguardo di Robyn si incupì lievemente.
“Ehi, cos’è questa tristezza? Oggi è una bellissima giornata”
“Lo so, lo so. Mi dispiace solo di non essere andata a trovarla”
“Credo che lei capirà, tranquilla” l’abbracciai forte, felice per la notizia che mi aveva dato.
Mi congedai dai familiari di Ian e andai nella stanza di Mary.
Arrivata alla soglia, mi arrestai.
La stanza era vuota. Non c’era nemmeno il letto. Dov’era finita?
Mi guardai intorno, alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi. Notai un’infermiera, appena uscita da un’altra stanza di quel corridoio.
“Infermiera, ehi!” dissi un po’ ad alta voce, agitando la mano e cercando di attirare la sua attenzione.
La donna accelerò il passo. I suoi capelli rossicci rimbalzavano di qua e di là, raccolti in un’alta coda.
“Signorina, non sa che non si urla negli ospedali?” disse con tono grave.
“Mi scusi, non era mia intenzione alzare la voce – feci una smorfia mortificata – Volevo semplicemente delle informazioni riguardo un’amica che si trova in questo piano”
“Di chi si tratta?”
“Di Maria Chiara Floridia. Sono entrata nella sua stanza, ma non c’è. Dov’è?” indicai di sfuggita la stanza vuota alle mie spalle.
L’infermiera si guardò intorno con occhi tristi. Non riuscendo a sottrarsi al mio sguardo indagatore, sospirò.
“Non lo sa, vero?”
“Sapere cosa?” chiesi.
“La dottoressa Floridia è in sala operatoria al momento”
“Come mai?”
“Intervento d’urgenza. Stamattina ha avuto una crisi respiratoria ed è collassata. Causa infezione, suppongo”
“Oh mio Dio” sgranai gli occhi.
“Se vuole aspettare che esca, può accomodarsi in sala d’attesa”
“S-sì” balbettai e me ne andai.
Lontana da quella stanza.
Lontana da quel piano.
Entrai in mensa e ordinai un caffè, accomodandomi in un tavolo isolato.
Scossi la testa, passando una mano tra i capelli.
Perché se si aggiustava la situazione da una parte doveva sfasciarsi dall’altra?
E se Ian si fosse svegliato e Mary non…
Sorseggiai un po’ di quella bevanda per distrarmi. Non dovevo pensarci.
Dovevo sperare che la sua operazione sarebbe andata bene.
Dovevo essere positiva.
Restai seduta lì, isolata dalla massa di medici in pausa, a sorseggiare caffè per un tempo indefinito, fin quando l’infermiera di prima non mi raggiunse di corsa.
“Ma lei non doveva essere in sala d’attesa?” mi domandò con il fiatone.
“Mi scusi, alla fine ho preferito restare qui. Ha notizie?”
“Sì – annuì decisa – La dottoressa Floridia è uscita dalla sala operatoria. E’ andato tutto bene. I suoi familiari erano in albergo, sono stati avvisati. Se vuole, può andare lei a trovarla adesso. Le farà piacere” sorrise.
“Ma certo. Grazie mille” strinsi una mano all’infermiera e corsi verso gli ascensori.
 
POV Mary
“Dai, fateci sentire. Moriamo di curiosità” disse Candice, battendo le mani.
“Non è il caso. Non è niente di che, davvero” Rose scosse la testa, sorridendo imbarazzata.
“Non fatevi pregare, ragazzi. Andiamo!” Nina agitò i pugni in aria per motivarci.
“D’accordo, d’accordo – Steve alzò gli occhi al cielo e le mani in segno di resa, poi aggiunse – Mary, agguanta la chitarra acustica, su”
“Sai suonare la chitarra?” Ian mi guardò gasato.
Divenni immediatamente rossa. Annuii velocemente, poi, indossate le ciabatte, corsi in macchina a recuperare la chitarra. Quando tornai in spiaggia, trovai tutti seduti a cerchio. Vicino a Rose c’era una sedia sdraio. Mi sedetti lì e uscii la chitarra dal fodero.
Cominciai a smuovere quelle corde, con delicatezza, mentre Steve cominciava a cantare ‘Some nights’ dei Fun.
Non appena pronunciò la parola ‘Anymore’, cominciai a suonare gli accordi della canzone.
Il ritmo divenne coinvolgente. Iniziai a battere un piede, ad agitare la testa, con i capelli bagnati che ondeggiavano, raccolti in un mezzo chignon improvvisato.
Chiusi gli occhi, mentre la mia voce e quella di Rose si univano per il controcanto.
Ben presto finimmo di cantare e suonare, troppo imbarazzati per fare la canzone per intero.
Quando le mie dita finirono di far vibrare quelle corde, tutti gli attori applaudirono, urlando estasiati.
“Siete fenomenali!” Steven sorrise a trentadue denti, continuando a battere le mani.
“Ce la caviamo, non siamo così bravi” dissi, arricciando il naso.
“Non fate i modesti. Siete davvero grandiosi. E io me ne intendo” Kat ci guardò, annuendo.
“Suonare mi ha fatto venire sete – mi alzai dalla sdraio, poggiandoci sopra la chitarra – Chi vuole qualcosa?”
“Tranquilla, stiamo bene così” Claire sorrise.
“D’accordo. Allora torno subito”.
Corsi fino al bar, quasi dall’altra parte della spiaggia, e ordinai un succo di frutta all’ananas.
Mentre lo bevevo lentamente, godendomi quel gusto dolciastro e quella freschezza, sentii una voce familiare alle mie spalle.
“Complimenti alla musicista per caso”.
Mi voltai e Ian, sorridente, iniziò a battere le mani. Lentamente.
“Molte grazie” risposi, cercando di non mostrare le mie gote rosse.
Per colpa sua.
Di nuovo.
Ian si sedette al mio fianco.
“E’ inutile che nascondi il tuo visino, percepisco il tuo arrossire da qui. Ne sono diventato un esperto ormai”.
Lo guardai e lui mi sorrise sghembo.
Finii il succo in silenzio, percependo il suo sguardo su di me.
Quando il bicchiere si svuotò, Ian prese un dollaro e lo diede al barista.
“Ma” cercai di ribattere, ma non mi fu possibile.
L’indice destro di Ian era sulle mie labbra.
“Niente ‘ma’, dottoressa” mi sorrise nuovamente.
“D’accordo” mormorai.
Tornammo sulla spiaggia e cominciammo a camminare in riva al mare, con i piedi toccati delicatamente dall’acqua, ogniqualvolta un’onda si infrangeva sulla battigia.
“Come mai mi hai raggiunta?” gli chiesi, guardando qualche bambino che costruiva un castello di sabbia.
“Avevo sete”
“Ma se non hai ordinato niente”
“Volevo stare un po’ da solo con te”
“I tuoi colleghi potrebbero capire”
“Non mi importa più”
“Posso chiederti come mai?” mi arrestai, guardandolo negli occhi.
Pessima mossa!
Mi persi in quell’oceano indescrivibile.
“Mary, non ti imbambolare, altrimenti mi vergogno” Ian mi passò una mano davanti al viso e scoppiò a ridere.
“Scusa – rinsavii e feci una smorfia – Dicevi?”
“Bella giornata oggi” rispose con enfasi, guardando il sole alto e lucente.
“Non cambiare argomento – gli diedi una spintarella – Piuttosto sputa il rospo”
“Mary, nonostante la clandestinità sia molto eccitante, non mi va che ci impedisca di stare insieme quando ne abbiamo voglia. Prima o poi il mondo scoprirà di noi. Chissà quando e chissà come, ma lo farà. Succederà. Non possiamo evitarlo in alcun modo. Quindi, perché continuare nascondersi? Perché continuare a vivere come se fossimo dei criminali? Come se la nostra relazione fosse illegale? Perché non fare quello che ci pare, senza che il giudizio degli altri ci possa bloccare? E con altri intendo sia fans che colleghi. Io voglio stare con te, Mary, perciò ci sto. Semplice” mi sorrise.
“Ian Joseph Somerhalder, se potessi, ti bacerei”
“Perché non farlo?”
“Perché ci sono delle persone intorno a noi?” le indicai con un lieve cenno del capo.
“Beh, in tal caso si tratta solo di allontanarsi dalla massa”.
“Oppure basta limitarsi a questo – gli diedi un bacio sulla guancia – Solo per il momento, sia chiaro” gli feci l’occhiolino.
Ian sorrise e riprendemmo a camminare.
“Posso chiederti un’altra cosa?” dissi, interrompendo il silenzio che si era creato.
“Dimmi”
“Quando hai partorito questi pensieri eccelsi?”
“Ti riferisci a quello che ti ho detto prima?”.
Annuii.
“Ci penso già da un po’, in realtà”
“E come mai me ne hai parlato solo oggi?”
“A dire il vero non avevo intenzione di parlartene, ma… diciamo che il mare mi ha ispirato. Non mi prendere per malato di mente, ma io sento il mare parlarmi. Sento i suoi consigli. Sento i suoi ringraziamenti. Sento le sue sofferenze. Il mare parla chiaro. Perciò dovevo parlare chiaro anche io. Mi sembra abbastanza giusto, soprattutto nei tuoi confronti”.
Lo guardai con la coda dell’occhio e sorrisi, poi cominciai a correre verso gli altri, sfidandolo a una gara improvvisata.
 
Aprii gli occhi disorientata.
Dove mi trovavo?
E cos’era successo?
Cercai di mettere gli oggetti a fuoco. Dopo parecchi sforzi, ci riuscii.
Ero nella mia stanza d’ospedale. Sembrava tutto normale.
Guardai di sfuggita la finestra. Il sole era alto nel cielo e illuminava tutta la stanza.
Riuscii a percepirne il calore, seppur vagamente.
Quel calore fece tornare vivida nella mia mente quella fatidica giornata al mare. Quanto ci eravamo divertiti. Quanto era stato dolce Ian. Quanto aveva sorriso.
Sospirai.
Come stava?
Il mare gli avrebbe parlato ancora?
Mi portai la mano sinistra al petto, stringendo il camice.
Reclinai il capo all’indietro, socchiudendo gli occhi per un attimo.
Lui doveva farcela.
“Mary, tutto ok?”.
Riaprii gli occhi e guardai l’ingresso della stanza.
Nina era in piedi e mi guardava.
Aveva i capelli sciolti, l’aria stanca e preoccupata, ma allo stesso tempo contenta.
“Nina – le sorrisi, invitandola a entrare – Che ci fai qui?”
“Sono venuta a trovare sia te che Ian”
“E le riprese?”
“Domani – si limitò a dire; aggiunse, cambiando discorso – Allora, cosa ti è capitato?”
“Cosa.. cosa mi è capitato?” la guardai confusa.
“L’operazione. Hai subìto un’operazione stamattina. Non lo ricordi?”
“Oh!”
“Tranquilla, credo sia normale. Un’infermiera mi ha detto che è successo tutto così in fretta – Nina lasciò cadere il discorso per qualche secondo, poi mi prese la mano – Per fortuna stai bene. Devo proprio darti una notizia”
“Che succede?”
“Robyn mi ha detto che Steve oggi toglierà Ian dal coma. Non sa per certo se si sveglierà subito, ma intanto possono sospendere il coma. E’ diventato stabile. Non è fantastico?” sorrise contenta.
Il mio cuore si arrestò per un secondo.
Subito dopo cominciò a battere all’impazzata.
Ian non più in coma.
Ian stabile.
Ian vicino all’essere di nuovo tra noi.
Cominciai a piangere, come una cretina, al solo pensiero che avrei potuto rivederlo sorridere, parlargli ancora, specchiarmi nei suoi occhi, accarezzarlo, abbracciarlo e, soprattutto, amarlo.
Amarlo come non avevo saputo fare prima.
Amarlo senza limiti.
“Non piangere, Mary. E’ una bellissima notizia”
“Piango appunto per questo – singhiozzai e mi sporsi per abbracciarla forte, ignorando i nuovi punti che protestavano un pochino – Grazie, grazie per questa notizia!”.
 
POV Ian
Fu come rinascere un’altra volta.
Fu come essere strappati da qualcosa di caldo, accogliente, sicuro.
Improvviso.
D’impatto.
“Ecco fatto. Ora spetta a lui” disse una voce maschile.
Autorevole.
Delicata.
Conosciuta.
Era Steve, l’amico di Mary, ne ero sicuro.
“Non sa davvero dire quando si sveglierà, dottore?” domandò una voce sommessamente.
Quella voce sapeva di coccole.
Sapeva di miele.
Era dolce, tenera.
“Mamma! Sono qui. Ti sento” provai a dire estasiato.
Ancora una volta la mia bocca non si aprì.
Ero ancora bloccato in quel corpo-fantoccio?
Ma perché?
“Signora Somerhalder, mi dispiace, ma davvero non so dirglielo. Queste cose sono del tutto imprevedibili”
“Capisco”
“Con permesso” Steve lasciò la stanza.
I suoi passi riecheggiarono nella mia testa.
Un senso di spossatezza mi pervase.
Cominciai a sentirmi debole, stanco.
Ancora.
Provai a lottare contro quella sensazione, ma non ci fu niente da fare.
Mi vinse.
 
POV Mary
Era passato un altro giorno dall’incidente e non mi avevano ancora permesso di vedere Ian. Per sapere come stava, dovevo rubare informazioni alle infermiere che mi visitavano, ma, sfortunatamente, mi rifilavano sempre la stessa frase: “L’hanno tolto dal coma farmacologico, è stabile, lo sai, ma non si è ancora svegliato. Magari domani”.
Cominciai a credere seriamente che non volessero farmelo vedere, perché stava morendo.
O forse stava bene, ma non si sarebbe più svegliato.
Forse aveva dei danni permanenti.
Forse..
“Ahi!” quel pizzico mi distolse dai miei pensieri.
“Non faccia l’esagerata, dottoressa, non le ho fatto niente” Erika roteò gli occhi e si allontanò.
Guardai il mio braccio sinistro, che quella maleducata aveva brutalmente bucherellato con un ago per la flebo.
Stavo per trucidarla con uno sguardo, quando intervenne Rose, esasperata: “Erika, gradirei che portassi un po’ più di rispetto verso i pazienti. Quello che a te sembra ‘niente’, agli altri può sembrare tanto, dato che hai la delicatezza di un elefante in una cristalleria – rivolse il suo sguardo anche agli altri specializzandi – Ah, sparite tutti dalla mia vista! Sono già stanca di voi”.
Gli specializzandi non se lo lasciarono ripetere due volte.
Presa la mia cartella, se ne andarono a gambe levate.
Rose scosse la testa e io scoppiai a ridere.
“Qualcosa non va? Non sei mai stata così nervosa di prima mattina” sghignazzai.
“Ah, niente, non preoccuparti! – Rose si sedette sul letto e mi prese la mano – Sono solo preoccupata per te”
“E come mai? Li hai sentiti i tuoi specializzandi stamattina? Sto benone”
“Sì, se non fosse che ieri sei quasi morta tra le mie braccia”
“Esagerata”
“Non esagero! – Rose alzò di poco la voce, enfatizzando quell’esclamazione – Mi hai fatto prendere un bello spavento ieri”
“Mi dispiace” abbassai lo sguardo.
“Nah, non rattristirti. Ora sei qui e va tutto bene – mi sorrise – credo. Mary, posso farti una domanda?”
“Dimmi” la guardai.
“Come sta la tua anima?”.
Spalancai la bocca, sorpresa da quella domanda decisamente inaspettata.
“Perché mi guardi così?”
“Non credevo mi ponessi una domanda del genere”
“Perché no? Mary, ascoltami. Noi possiamo guarire tutte le infezioni che vuoi, così che il tuo fisico possa ristabilirsi in modo sano, ma… ma francamente è la tua anima che mi preoccupa. Sei inquieta. Le tue labbra riusciranno pure a nascondere ciò con un bel sorriso, ma i tuoi occhi non ci riescono. Brillano di una luce malinconica. Hai uno sguardo che è pieno di rimpianti e di tristezza. Perciò, come sta la tua anima?”.
Sbattei le palpebre e presi un lungo respiro, prima di rispondere.
“La mia anima sta male. La mia anima reclama la verità, il diritto di conoscerla e di metabolizzarla. La mia anima pretende di vedere Ian. Non importa che sia addormentato, fasciato, ingessato, davvero. L’importante è che io lo veda, perché non riesco a togliermi dalla testa il fatto che mi stiate mentendo. Tutti. Mi dispiace dirlo, io mi fido ciecamente di voi, però… però non mi fate vedere Ian, siete vaghi e questo mi fa pensare che lui non sta bene come dite voi” dissi quasi tutto d’un fiato.
“Bene, in tal caso” Rose lasciò cadere il discorso e si alzò.
“Dove vai? Non volevo offenderti, resta, ti prego” aprii il palmo sinistro della mano.
Rose mi sorrise, ma non disse una parola.
Semplicemente uscì dalla stanza.
Dopo un po’, il dottor Richardson arrivò.
“Buongiorno, Floridia”
“Capo” lo salutai educatamente.
“Davis mi ha detto che hai una richiesta. A dire il vero non è l’unica che me l’ha detto. E’ da tre giorni che ogni singola persona dell’ospedale mi fa sapere questa tua richiesta, ogni volta che mi incontra” fece una piccola smorfia.
“Mi dispiace” dissi d’istinto.
“Niente di cui scusarti, Floridia – mi diede una pacca sulla mano sinistra, poi staccò l’ago dal mio braccio – così è meglio”
“Mi avevano messo quella flebo da poco” mormorai un po’ confusa.
Meglio per cosa?
Stavo per chiederlo, quando Rose tornò in stanza con una sedia a rotelle.
“Finalmente ce l’ho fatta! – disse entusiasta – Ho dovuto lottare per averla. Mi si è rotta persino un’unghia” guardò il suo indice destro un po’ contrariata.
“A che serve una sedia a rotelle?” chiesi.
“Come vorresti andare nella stanza di Somerhalder, strisciando?” mi rispose Rose, sorridendo a trentadue denti.
“Capo – girai la testa di scatto verso la sua direzione – prima intendeva dire che posso… sì, insomma, che posso andare da Ian?”
“Sì” disse.
Sì secco.
Lo abbracciai con la solita mano d’istinto, dimenticandomi che fosse un mio superiore.
Quel gesto affettuoso, fortunatamente non sembrò dargli fastidio.
Mi fece alzare dal letto, mi sostenne e mi fece accomodare nella sedia a rotelle, dopo di che andammo in camera di Ian.
Quando entrai, era solo. Vederlo con la testa fasciata e il busto e una gamba ingessati, mi fece girare la testa.
“Oh mio Dio” cominciai a singhiozzare.
“Ti riporto in stanza? Forse è troppo. Puoi riprovare un’altra volta. Non scappa via” mi disse il Capo, parlando pacatamente.
“No, anzi. Voglio restare sola con lui, se è possibile” cercai di ricompormi e lo guardai.
“Ma certo” mi lasciò lì e se ne andò.
Mi avvicinai e gli presi una mano.
 
POV Ian
Tante voci mi riecheggiavano nella testa.
Riuscivo a distinguere chiaramente quelle dei miei genitori e dei miei fratelli, quella di Paul, di Nina, ma non mi importavano tantissimo in quel momento, perché dovevo trovare quella essenziale voce cristallina, pura e dolce, che con la sua allegria e gioia aveva sovrastato e sovrastava sempre tutte le altre.
Quella voce, purtroppo, non c’era.
Non mi davo per vinto, però, e continuavo a cercarla.
Ah, che dolore dappertutto!
E quanto buio intorno a me.
Da quanto tempo mi trovavo lì?
Minuti? Ore? Giorni?
Non sapevo dirlo con certezza.
Sapevo che quello stato di semi-coscienza durava da parecchio.
Anche troppo per i miei gusti.
Smisi di pensare a me e tornai a focalizzarmi sulla voce che volevo disperatamente sentire.
La forza di lottare mi stava abbandonando, ma ero certo che se avessi ascoltato un’altra, piccola volta quella voce, l’avrei riacquistata completamente.
Era la speranza a cui mi stavo aggrappando da quando finalmente avevo ricominciato a sentire cose intorno a me.
Da quando, in base a quello che avevo sentito, ero stato risvegliato da un coma farmacologico.
Improvvisamente percepii qualcosa.
“Voglio restare sola con lui, se è possibile” disse sommessamente qualcuno.
Era una voce femminile.
Il tono era debole, affranto, ma super riconoscibile.
Era lei, l’avevo trovata.
La mia mano sinistra fu avvolta dalla sua, poi la sua voce toccò ogni singola cellula del mio corpo: “Non mi piace ammetterlo, ma dico un sacco di bugie. Mentivo anche quando ero piccola, inventandomi allergie, passaggi segreti, persino tenute regali in cui, dicevo, andavo a vivere in estate. Assurdo, no? Ah, ma quando le raccontavo, tutti i miei amici mi credevano. E, Ian, mi duole ammetterlo, ma ho mentito anche a te. Ricordi? Ho mentito quando ho detto che dovevi andartene sei mesi fa, perché in realtà volevo restassi con me. Solo che non l’ho fatto solo quella volta. Ho mentito quando, appena arrivato a Barcellona per la convention, mi hai chiamato e chiesto se avevo consumato tutti i kleenex, quelli che mi avevi comprato per colmare scherzosamente la tua assenza, e io ho risposto di no. Beh, in realtà avevo già finito tutti e tre i pacchi – una risatina sommossa si fece largo tra i suoi singhiozzi – Ma soprattutto ho mentito spudoratamente quando ho detto che non avevo bisogno di te, perché in realtà è esattamente il contrario. Ho bisogno di te, tu sei l’unica persona che permette al mio cuore di battere e ai miei polmoni di respirare veramente; tu sei l’uomo che mi permette tutti i giorni di andare avanti. Prima di te la mia vita non era vita. Io non vivevo, ma sopravvivevo e basta, eccetto quando lavoravo. Ma con te, tutto è cambiato. Ogni volta che incontravo un uomo credevo di aver trovato l’amore, magari quello vero con cui sarei stata tutta la vita. Ma non era mai così. Con te, però, ho visto il vero volto dell’amore: solare, gioioso, pieno d-di… di vita, appunto. E mi è piaciuto. Sei la persona che mi ha salvato e che ora sta combattendo per sé. Ian, non puoi mollare ora, mi senti? Combatti perché… perché io ti amo, dannazione! Ti amo e non voglio perderti. Ti amo, ti amo tanto, ti amo più di quanto qualcuno possa immaginare” pianse più forte e le sue labbra catturarono il palmo della mia mano.
Il mio corpo si rianimò.
La forza vitale cominciò nuovamente a scorrermi nelle vene.
Mi sentii invincibile.
Era questa l’energia che cercavo.
La mia speranza a cui mi ero disperatamente aggrappato era qui.
E mi aveva salvato.
Riuscii ad aprire le palpebre.
Le prime cose che vidi furono delle lenzuola bianche, tipiche dell’ospedale, la mia gamba sinistra ingessata e la luce troppo abbagliante della stanza.
Mentre i ‘tic’ dell’elettrocardiogramma vibravano costantemente, alzai delicatamente la mano destra indolenzita e la poggiai sui suoi splendidi ricci.
“E’-è la prima volta” balbettai con voce fioca, poi tossii.
Alzò il volto, sorpresa.
Era pazzesco come anche con gli occhi gonfi e rossi per le lacrime riuscisse a essere bellissima.
Sorrisi debolmente.
Pianse più forte, baciando con gratitudine la mia mano.
“Ti sei svegliato!”.
 
POV Mary
Pioggia leggera cominciò a battere sulla finestra della mia camera.
Aprii gli occhi, osservando quelle gocce scendere giù per il vetro casualmente.
Mi guardai attorno.
Non c’era nessuno.
Lentamente, facendo attenzione a quei punti che avevo ignorato così tanto, mi alzai e indossai le ciabatte.
Cominciai a camminare adagio per i corridoi semi-illuminati del piano, fin quando non raggiunsi la stanza di Ian.
Mi appoggiai allo stipite della porta, stanca per quella passeggiata.
Sospirai.
Il mio corpo non era ancora forte. Tutt’altro.
Scossi lievemente la testa e mi concentrai sulla sua figura.
Dormiva, mentre i ‘tic’ dell’elettrocardiogramma scandivano i suoi battiti costantemente.
Il suo volto sembrava sereno finalmente.
“C-che ci fai qui?” mormorò.
“Sei sveglio” dissi, avvicinandomi.
“Ho dormito per quattro giorni, mi pare. Credo siano abbastanza” aprì gli occhi e mi guardò.
Le sue pupille si dilatarono visibilmente.
Senza pensarci due volte, mi sdraiai al suo fianco, dalla parte destra del letto.
“Che stai facendo?” mi chiese.
“Faccio quello che non mi hanno permesso di fare per quattro giorni. Ti sto vicino” risposi.
Passai il braccio sinistro lungo le sue spalle e lo strinsi a me, facendogli poggiare il capo sul mio petto.
“Pioggia. Letto. Noi due. Mi mancava questo” disse.
“Anche a me” ammisi.
“Mary”
“Sì?” lo guardai.
“Ti amo anch’io”.





















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Note dell’autrice:
Finalmente sono riuscita ad aggiornare! Questo capitolo è stato davvero un parto per me! Non perché fosse difficile da scrivere, ma perché ho passato un periodo complicato tra fine quadrimestre e vari blocchi dello scrittore, ma ora eccolo qui! Non so sinceramente cosa vi aspettavate, spero comunque di essere riuscita a fare bene J
Ian si è svegliato dal coma.
Mary gli ha detto ‘Ti amo’ per la prima volta.
Lui ha ricambiato.
Devo ammettere che quando ho scritto POV Ian il mio cuore ha fatto una capriola all’indietro. Non scrivevo da fin troppo tempo dal suo punto di vista, mi mancava >.<
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Ringrazio chi ha letto, chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite, chi recensirà, chi leggerà e basta e chi si vorrà unire al gruppo fb https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Grazie ancora J
Alla prossima, spero di non farvi aspettare tanto!
Mary :*

 

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Capitolo 5
*** Shattered. ***


POV Mary
C’era solo il ticchettio dell’orologio a farmi compagnia in quella stanza, che ormai conoscevo come le mie tasche.
Guardai le lenzuola bianche del letto di Ian e le toccai delicatamente, persa nell’attesa di ricevere notizie.
Cominciai a battere il piede, seguendo il ritmo dell’orologio.
Sbuffai e le dita presero a tamburellare sulle lenzuola.
Dopo non molto, Ian rientrò in stanza in compagnia di Steve.
“Finalmente! – mi alzai – Allora?” chiesi ansiosa.
Steve alzò le mani e uscì dalla stanza, non proferendo parola.
Inclinai il capo di lato.
Perché aveva reagito così?
Guardai Ian, ancora confusa per quel gesto.
“Tutto confermato. Domani mattina uscirò finalmente da questa stanza” concluse con un sorriso.
Sgranai gli occhi.
Le mie labbra si schiusero in un sorriso.
Ian poteva tornare a casa.
“Evviva” urlai al settimo cielo, alzando un braccio al cielo.
Immediatamente corsi ad abbracciarlo.
La sedia a rotelle andò lievemente indietro, mentre mi fiondavo tra le braccia del mio uomo, che infondevano sicurezza.
Erano un rifugio di cui non potevo fare a meno.
Gli carezzai i capelli e strofinai il mio naso contro il suo collo, prima di lasciargli un bacio casto sulle labbra.
Ian scoppiò a ridere.
“Voglio l’accoglienza domani, non oggi”
“Contaci – sciolsi l’abbraccio e gli strizzai l’occhio – Questo, tuttavia, non vuol dire che non possa accennare qualcosina” sorrisi.
“Mi sembra giusto”.
Le sue labbra si riavvicinarono alle mie.
“Sono contenta” ammisi, dopo, arrossendo.
“Come mai?”
“Domani torni a casa. Ora davvero sono certa che andrà tutto bene” tornai a stringerlo forte e chiusi gli occhi.
Finalmente serena.
Forse.
Strizzai gli occhi per non pensarci.
Un colpo di tosse ci fece sciogliere quell’abbraccio.
Riaprii gli occhi e guardai l’ingresso della stanza.
“Barbara” dissi sorpresa.
“Buonasera – Barbara sorrise – E’ permesso o devo ripassare più tardi?” mi fece l’occhiolino.
“Entra dai” le feci un cenno col capo, alzandomi.
“Che ci fai qui?” chiese Ian.
“Vi devo parlare di una cosa”
“Cos’è successo?” sospirò.
“Oh, no, niente, tranquillo. Anzi, questa cosa che devo dirvi è proprio stata ideata per evitare che succedano determinate cose”
“Non ti sto capendo” storsi la bocca in una smorfia pensosa.
O forse confusa.
“Siediti, Mary, così vi spiego tutto”
“D’accordo”.
Feci come mi aveva detto. Accavallai le gambe e strinsi una mano a Ian.
Ci scambiammo uno sguardo intenso, poi chiedemmo insieme a Barbara: “Allora?”
“Quello che vi è successo non è una cosa normale. Affatto. Perciò, in qualità di tua manager, Ian – lo indicò distrattamente – ho pensato a qualcosa che magari potesse risollevare un po’ la situazione. E credo di averla trovata. E’ qualcosa che potrebbe sembrarvi strana e priva di senso, ma credetemi se vi dico che invece ne ha molto”
“E cosa sarebbe di preciso?” chiesi.
“Dovreste essere più presenti nei social network. Uscire di più insieme. Partecipare a più eventi. Farvi vedere. Farvi conoscere un po’ di più. Specie tu, Mary” mi guardò.
“Cosa? Barbara, hai sbattuto la testa di recente?” domandò Ian, stranito da quelle parole.
“Riflettete, ragazzi. I fans in generale danno di matto quando escono nuove foto dei loro idoli o quando si scoprono più notizie sul loro conto. Quando questo accade si sentono più vicini a voi. Magari perché hanno scoperto che alcuni dei vostri gusti corrispondono ai loro o chissà. Perciò, se voi foste un poco più attivi, magari potrebbero arrivare ad accettare la vostra storia e a non attentare alla vostra vita. Inoltre, tutto il mondo ormai sa di voi, quindi perché continuare a nascondersi? Se ci sono eventi particolari e tu vai da solo, beh, non sarebbe molto normale. Allora, che ne dite?”.
Il silenzio scese in quella stanza.
Non vedendoci convinti, Barbara riprese a parlare: “Non voglio obbligarvi e, ovviamente, non vi sto chiedendo di fotografare o descrivere ogni istante del giorno. Non lo farei mai. La privacy è pur sempre la privacy, nonostante non ne abbiate molta oramai. Però, avete a disposizione dei social network che vi possono aiutare, che possono evitare situazioni spiacevoli, proprio mostrando che siete persone normalissime, che non avete niente da nascondere. Perché non sfruttarli?”
“Non lo so, Barbara. Siamo stati già esposti tantissimo. E non ha portato a molto, tutt’altro, come puoi ben vedere” Ian concluse con un sospiro.
“Ian, sono stati i giornalisti a esporvi. Se lo fate voi, è un altro paio di maniche. Quanto potrete stare insieme prima che a un altro pazzoide venga la stessa idea geniale di quella donna? Quanto potrete stare insieme prima che i giornalisti tornino ad assillarvi per ogni minimo passo che compite? Quando domani uscirai da quest’ospedale, mio caro, dovremo fare in modo che le cose cambino. E se non facciamo niente, non cambierà niente. Quindi perché non provarci?”.
Ian stava per rispondere, ma lo precedetti io: “Barbara, mi hai convito. Hai perfettamente ragione. In fondo si tratta solo di condividere qualcosa in più, mica tutta la vita! E poi già condividevo parecchio su social come Facebook, quindi non è un problema. Anzi. E’ una cosa molto fattibile secondo me. Per gli eventi, beh, mi sembra una cosa ovvia. Non lo lascerei mai andare solo, a meno che il Capo non mi conceda giorni o lui non voglia” indicai Ian con il capo.
“Sai benissimo che ti vorrei al mio fianco ovunque, ma”
“Ma prima non potevamo farlo per la clandestinità. Ora si può. E, alla fine, io posso parlarne con il Capo. Non è assolutamente un problema. Grazie per averci pensato e quindi aiutato – sorrisi a Barbara, poi mi rivolsi a Ian – Proviamo e vediamo come va. Non ci costa davvero niente e, francamente, meglio qualche foto o altro in più che un’altra pallottola” storsi il naso.
“D’accordo. Che prova sia”.
 
POV Ian
“Tadaaaa!” Mary urlò estasiata, mostrando la camera degli ospiti al piano di sotto.
Mi guardai attorno sorpreso.
Sembrava cambiata da quando ci avevo dormito la prima volta.
Per un attimo mi lasciai avvolgere la mente da quel ricordo.
 
“Sicuro che non vuoi che ti dia una mano?” Mary mi guardò, dopo aver chiuso la porta d’ingresso con un calcio.
“No, tranquilla. Davvero”
“Come vuoi” alzò le mani, forse in segno di resa?, e, posate le chiavi dell’auto e della casa, mi oltrepassò.
Restai immobile a guardarla, mentre si toglieva le scarpe e indossava le babbucce di Paperino.
Che eterna bambina!
Sorrisi.
“Allora, vieni o no?” Mary si girò di scatto, sorprendendomi a guardarla.
“Ehm, sì” scossi lievemente la testa e cominciai a camminare, portando avanti le stampelle.
“Eccoci qua” disse, aprendo la porta della stanza degli ospiti.
Si mise da parte per lasciarmi entrare.
La guardai di nuovo per un attimo.
Anche lei lo faceva, con incertezza.
Chissà a cosa stava pensando.
Si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e distolse lo sguardo, un po’ imbarazzata.
Mi focalizzai sulla camera che avevo davanti.
Era una stanza grande ed essenziale.
Il pavimento era in parquet scuro, perfettamente intonato con le pareti beige chiaro.
Una grande porta finestra lasciava entrare la fioca luce di una tipica mattina di Febbraio.
Mi avvicinai lentamente, con l’ausilio delle stampelle, al letto matrimoniale e mi ci sedetti sopra.
Era comodo.
“Grazie, Mary, davvero. E’ tutto perfetto” le sorrisi sincero.
“P-p-prego” balbettò lei, lievemente arrossita.
 
Tornai con i piedi per terra, sorridendo per quel particolare.
Già da quel gesto avrei dovuto capire i suoi sentimenti.
Scossi lievemente la testa e tornai a focalizzarmi sulla camera.
Come quella volta.
Era come vivere in un dejà-vu.
La stanza era luminosa e accogliente.
Più del solito.
Cosa c’era di diverso?
“Rose e Steve mi hanno aiutato a ridipingere le pareti” disse Mary, guardando contenta sia me che i muri.
Avevano scelto il colore azzurro. Il colore, per convenzione, dell’oceano.
“Ma è meraviglioso” li guardai tutti e tre, sorridendo a trentadue denti.
“Felici che ti sia piaciuto” dissero tutti e tre in coro, facendo un inchino.
Mary, che si trovava al centro, spintonò sia Rose che Steve.
In breve tempo cominciarono a battibeccare come dodicenni.
Scoppiai a ridere.
Era bellissimo guardarli.
Non importava ciò che si dicessero.
Gesticolavano, facevano facce serie, avanzavano con il petto in fuori come per fare i duri, ridevano.
La loro amicizia era come una boccata d’aria fresca, di quelle che faceva prendere lunghi respiri piacevoli, specie quando tutto quello intorno sembrava opprimere fin troppo.
“Beh, non sono io quella che non può fare sesso con il suo compagno!” Rose fece una linguaccia a Mary, canzonandola.
“Oh! – Mary sgranò gli occhi, dandole uno schiaffo sul braccio – Come osi?”.
Rose, per tutta risposta, fece una faccia buffa e si allontanò da Mary.
“Ah, la mettiamo così? Allora sai che ti dico?”
“Cosa?”
“Me ne vado con Steve ora” Mary girò la testa di scatto verso l’amico.
Dopo di che, lo prese per un braccio e uscì dalla stanza.
“Non eravate seri, vero?” guardai Rose un po’ perplesso.
“No, tranquillo – Rose sorrise – Sono andati di là per parlare delle tue cure a casa. Sai, medicine e tutto il resto”
“Però sulla frase che hai detto prima eri seria, vero?”
“Eh sì, caro mio! Ma questo lo sapevi già”
“Lo so, però speravo che cambiaste idea”
“Rassegnati – Rose sghignazzò, dandomi una pacca sulla spalla; dopo, però, si fece seria – Ian, posso parlarti di una cosa?”
“Ma certo. Dimmi”.
Ci accomodammo sul letto.
Rose cercava di non guardarmi e si torturava le dita.
“Rose, che succede?” chiesi, cominciando a preoccuparmi.
“Tu sai che Mary ha dormito da noi dopo essere stata dimessa, giusto?”
“Sì, perché non se la sentiva di stare sola a casa”
“Esatto. Ecco, devo dirti una cosa che la riguarda”
“Ha qualcosa che non va?”
“Tu la vedi serena?” Rose mi guardò finalmente in faccia.
Occhi azzurri contro occhi verdi.
Attesa contro preoccupazione.
“Beh, sì. Non dovrei?”.
Rose sospirò.
“Non so proprio come dirtelo senza allarmarti troppo”
“Parla e basta”
“Tutte le notti Mary fa un incubo. Sempre uguale. Urla straziata, si agita nel letto, piange. Ne abbiamo parlato insieme con una collega di psicologia”
“E cosa vi ha detto?” mormorai, un po’ spiazzato da quella notizia.
“La nostra collega le ha detto che l’incidente l’ha segnata. Ne è rimasta traumatizzata. Tuttavia, cerca di non darlo a vedere. Sorride, si comporta come sempre. E questo causa lo scatenarsi del suo subconscio la notte. Te lo sto dicendo per questo. Per te oggi sarà la prima notte”
“E sei sicura che accadrà anche stanotte?”
“Sì. Ian, quando accadrà, non svegliarla di scatto. Cerca di trattarla con dolcezza e falle capire che andrà tutto bene. Io e Steve ci abbiamo sempre provato nel corso di queste settimane, ma ovviamente con te sarà diverso”
“Non vedo come possa esserlo”
“Ian, Mary non è rimasta traumatizzata per lo sparo, per l’aver sentito quella pallottola squarciarle la pelle, ma per te. Il vedere te, l’uomo che ama, a terra e privo di conoscenza l’ha sconvolta. L’incubo è sempre quello. Mary rivive sempre quella scena, con la piccola differenza che lì muori all’istante. Lo so che non è bello da dire o da immaginare, ma l’idea di perderti la distrugge”
“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
“Per prepararti – mi prese una mano – e per avvisarti. Non deve soffrire più per causa tua. Chiaro?” agitò l’indice sotto il mio naso seria.
Istintivamente la abbracciai.
“Rose, sei davvero un’amica meravigliosa. Grazie per tutto quello che fai per lei, davvero”.
 
Mi svegliai un po’ intontito.
Che ore erano?
Guardai alla mia sinistra. L’orologio segnava le quattro del mattino.
Sospirai e mi passai la lingua tra le labbra. Erano secche. Dovevo bere.
Scostai un poco le lenzuola per scendere e afferrai le stampelle.
Mi alzai con la massima cautela, guardando attentamente Mary per paura di svegliarla.
Era avvinghiata il cuscino in posizione fetale.
I riccioli le avevano coperto il volto.
Il suo respiro era regolare.
Sereno.
Sorrisi istintivamente.
Forse Rose si era sbagliata.
Uscii dalla camera lentamente e diedi uno sguardo al salotto.
Moke, Thursday e Damon dormivano beatamente, accoccolati qua e la per la stanza.
Andai in cucina e aprii il frigo. Preso un bicchiere, stavo versando l’acqua fresca, quando sentii delle urla.
La voce era squillante e terrorizzata.
Mary!
“No! No! Ian! No!” gridava.
Posai la bottiglia sul tavolo e cercai di affrettarmi.
Arrivato in camera da letto, la guardai.
Mary stava gridando addolorata, mentre agitava le braccia.
La serenità di poco prima era sparita.
Completamente.
Al suo posto solo agitazione e sofferenza.
“No, perché? No, ti prego torna da me. Torna. Non so come fare senza te, torna, ti prego” ripeteva, come se stesse recitando una litania, mentre piangeva a dirotto.
Le sue mani stringevano il vuoto disperatamente, mentre i suoi singhiozzi squarciavano continuamente il silenzio della notte.
Mi si strinse il cuore a vederla in quello stato.
Mi avvicinai, mi sedetti sul letto e, presale una mano, la strinsi.
“Mary” la chiamai, parlandole all’orecchio.
Si svegliò d’improvviso, sbattendo le palpebre.
Le lacrime, che prima le imperlavano le ciglia, scesero lentamente sugli zigomi.
Le asciugai dolcemente, lasciandole dei baci su entrambe le guance.
“Ian, cosa…?” mormorò con voce confusa e angosciata.
“Sssh. Va tutto bene”
“I-io…” si passò una mano tra i capelli.
“Ho detto che va tutto bene – le sorrisi con amore – non preoccuparti. Mi vedi? Sono qui davanti a te. Mi senti? E’ proprio la mia voce che ti parla. Riesci a percepire quest’odore? E’ il mio profumo. Riconosci questo corpo? – con la mano che stringevo le feci accarezzare il mio viso – Mi stai toccando – le diedi un bacio stampo sulle labbra – E questo… Questo è il sapore delle mie labbra” le dissi con voce pacata.
Mary mi guardava ancora spaventata con il respiro affannoso.
Sempre con la massima delicatezza, la presi per le spalle e la feci appoggiare sul mio petto, così che avesse un orecchio in corrispondenza del mio cuore.
“Mary, ascolta. E’ il mio cuore. Senti come batte”
“Sei qui” mi strinse, come se se ne stesse rendendo conto effettivamente solo in quel momento.
“Sì e non ho intenzione di andarmene”.
La strinsi anch’io.
Aspettai che si calmasse e si riaddormentasse.
Non appena lo fece, le carezzai impercettibilmente una guancia.
“Andrà davvero tutto bene, te lo prometto, piccola mia”.
Sospirai.
Senza spostarla o svegliarla, ci coprii con le lenzuola, poi lasciai che Morfeo mi riaccogliesse tra le sue braccia.
 
“Sveglia dormiglione” sussurrò una voce lontana.
Aprii gli occhi lentamente.
Mi ritrovai davanti una Mary sorridente, con alcuni riccioli davanti al viso, che teneva in mano un enorme vassoio in legno.
Come non riconoscerlo?
“Colazione a letto!” disse estasiata, guardandomi.
Sbattei le palpebre più volte per svegliarmi meglio, dopo di che mi sedetti, sistemandomi il cuscino dietro la schiena.
“Ecco qua” posò il vassoio in corrispondenza delle cosce.
Vi era un piatto con almeno cinque cialde, una spremuta d’arancia e una tazzina di caffè.
Una colazione perfetta.
“Non dovevi” dissi grato con la voce ancora impastata dal sonno.
“Scusa, forse avrei dovuto aspettare che ti svegliassi un po’ meglio” fece una smorfia e prese il vassoio.
“No, no, va bene così – la bloccai – davvero”
“Ok” fece spallucce e lasciò il vassoio al suo posto.
“Grazie” dissi, attirandola a me e lasciandole un bacio sulle labbra.
“Grazie a te – rispose, inchiodandomi con i suoi occhi – Per tutto. La scorse notte, io… scusami, avrei dovuto parlartene – sospirò – E’ che non sapevo come dirtelo. Mi dispiace”
“Non preoccuparti. Capisco benissimo. E non devi ringraziarmi. Vorrei solo che tu ricordassi la tua promessa”
“Hai ragione – arricciò il naso, poi scosse lievemente la testa e indicò il vassoio – Allora, buon appetito” concluse con un sorriso a trentadue denti.
“Mi sembra di vivere un dejà-vu, di nuovo. Se sai cosa intendo”
“Sì, lo so benissimo. Per questo ti dico che stavolta – sottolineò quella parola, alzando un indice – l’impasto delle cialde è senza glutine”.
 
POV Mary
Non appena finii di dire la frase, Ian sorrise.
Subito quel ricordo partì, come un film, nella mia mente.
 
Sfregai le mani e ammirai la mia opera d’arte. Quel vassoio era una meraviglia.
Un piatto di cialde calde e fumanti, un bicchiere di spremuta d’arancia e una tazzina di caffè lo riempivano. Inspirai ed espirai profondamente, lasciando che quel misto di profumi mi inebriasse.
“Mh, spero gli piaccia” storsi le labbra e presi il vassoio, sperando che non mi cadesse.
Data la mia goffaggine, tutto era possibile.
Lo poggiai sul mobiletto vicino alla camera degli ospiti, dopo di che aprii la porta della camera e lo ripresi.
Come uno stupida, rischiai di farlo cadere, non appena vidi Ian dormire beatamente.
Il suo petto faceva su e giù ritmicamente e i suoi capelli erano scompigliati.
Sembrava un angioletto. Sembrava un bambino innocente.
Cominciai a respirare più velocemente, sperando di recuperare ossigeno.
Forse percependo la mia presenza, Ian cominciò ad agitarsi lievemente.
Dopo poco aprì gli occhi, guardandosi intorno, fin quando non si fermò su di me.
Sentii le guance avvampare e avanzai frettolosamente, rischiando di inciampare un paio di volte.
“Attenta” disse con la voce bassa, tipica del mattino.
“Che maldestra – risi nervosamente; cominciai a balbettare – I-ian, q-questo qui è-è” mi arrestai.
Era tutto inutile.
Non riuscivo a controllarmi in sua presenza.
“Mary?” mi guardò dubbioso, inclinando la testa di lato.
“E’ un vassoio”
“Lo vedo”
“Sì e c’è la tua colazione dentro” parlai meccanicamente.
“Mi hai preparato la colazione? Ma grazie” la sua voce si alzò di tonalità.
Subito si sedette, sistemandosi il cuscino dietro la schiena.
“Ecco qua, spero ti piaccia” dissi, poggiando il vassoio in corrispondenza delle sue cosce.
“L’aspetto è invitante. Grazie ancora”.
Non perse tempo e cominciò a mangiare, deliziato, mentre io lo ammiravo.
Seppur silenziosamente.
 
Sentii dei rumori sospetti.
Corsi verso la camera degli ospiti e spalancai la porta.
Ian respirava affannosamente.
Tremava.
“Che succede?”
“S-scusami. Ho rigettato la colazione” mi guardò mortificato, con gli occhi sgranati.
“Oh” sussurrai.
Ripulito il pavimento, accompagnai Ian sul divano e lo feci sdraiare.
“Mi dispiace tanto, Ian. Non so cosa abbia potuto farti stare male” abbassai lo sguardo, dispiaciuta.
“Le cialde erano senza glutine?”
“Perché me lo chiedi?”
“Sono celiaco” mi disse, guardandomi.
“Oh! – sgranai gli occhi, poi mi diedi un pugno sulla fronte – Sono una stupida! Nina me l’aveva detto il giorno del tuo compleanno e io? Io che ho fatto? Me ne sono completamente dimenticata. Stupida, deficiente, cretina, idiota!”
“Mary, tranquilla, non fa niente”
“Non fa niente? Cosa? Ma se ora ti senti uno straccio” aggrottai la fronte, irritata da me stessa.
Come avevo potuto dimenticare una cosa simile?
“Starò bene. Non preoccuparti. Davvero”
“Ma”
“Niente ma. Piuttosto, vieni qui. Avvicinati”.
Mi avvicinai a lui.
Sentii il mio volto arrossire e il mio cuore accelerare immediatamente.
Ian mi prese il volto tra le mani e mi baciò la fronte.
“Grazie per la colazione. Sono ancora qui, dopotutto, perciò va tutto bene. Okay?” mi sorrise.
Quel sorriso, quello sguardo amichevole e quelle dita cominciarono a sciogliermi l’anima.
Lentamente.
Senza che potessi fermarle.
“Okay” mormorai, mentre il mio cuore mi suggeriva tutti i miei sentimenti nei confronti dell’uomo che avevo davanti.
 
“Mary?”.
Ritornai con i piedi per terra, scuotendo la testa.
“Sì?”
“Tutto ok?” Ian mi guardò preoccupato.
“Mi ero lasciata trascinare dai ricordi. Tutto qua – gli sorrisi – Buon appetito” gli carezzai una guancia.
Non appena Ian finì di mangiare, lavai tutto e lo accompagnai in soggiorno.
“Ma qui è tutto diverso! Quando sono apparse tutte queste foto?” mi disse, guardandosi attorno.
“Finalmente dopo un’eternità ho avuto il tempo di spargere i miei ricordi qua e là per la casa. Avevo sempre desiderato di sommergere la mia dimora di foto, ma non ne avevo mai avuto il tempo”
“Wow. Sono davvero tantissime”
“Già –le guardai anche io, poi gli toccai un braccio – Andiamo, ora siediti o sdraiati sul divano. Non ti devi affaticare, ricordi?”
“Agli ordini capo”.
Ian si sedette sul sofà, continuando a guardare incantato le foto, che ritraevano momenti indimenticabili della mia vita.
“Vorrei vederle da più da vicino, se non ti dispiace” mi disse.
“Tutte quante?”.
Annuì, accennando un sorriso.
“Ok”.
Presi tutte le cornici e le poggiai sul tavolino basso accanto al divano.
Dopo di che, ne presi una e la mostrai.
Ritraeva me, mio padre e Giorgio.
“Quando è stata scattata?”
“Se ricordo bene nel 1990. Eravamo in gita a Venezia. Una città meravigliosa e magica. Mio padre prese quel piccione e io e Giorgio lo accarezzammo. Mia madre riuscì a immortalarci”
“Aspetta, quella cosetta piccolina con i riccioli sei tu? – mi sorrise intenerito – Ma eri piccolissima!”
“Lo so. Dovevi vedermi dopo. Ero così contenta di aver accarezzato la testa del piccione che volevo dargli da mangiare. Mio padre comprò il cibo adatto a loro e me ne mise un poco sulla mano. In meno di un attimo sparii. I piccioni mi avevano assalita” risi.
Ian rise pure.
Man mano gli mostrai tutta la mia vita. Le foto tra i banchi di scuola; la laurea e la festa; la foto sull’aereo che mi avrebbe portato ad Atlanta, mentre sullo sfondo si intravedeva la sera scendere su Londra; il giorno del trasloco in quella casa con l’aiuto di Jodie; le foto in ospedale con Steve, Rose e gli altri colleghi.
Ogni momento che avevo passato stava finendo tra le sue mani.
Non ero mai stata così nuda dinanzi a lui.
Riposi una cornice sul ripiano di un cassettone e tornai a sedermi accanto a Ian.
Mancava solo una cosa da mostrargli.
Presi quel quadro.
“Questo è un collage” dissi, facendoglielo vedere.
“Chi sono tutte queste persone?”
“Sono coloro che mi hanno cambiato la vita. Ricordi quando ti dissi che nella mia adolescenza ho passato molti momenti bui? Che ero riuscita a superarli grazie alla mia famiglia e ai miei angeli barra amici meravigliosi? Bene. Eccoli qui. La mia famiglia, tutta per intero, non può mancare, ovviamente – gli indicai una foto in cui non mancava nessuno – I miei nonni e i miei zii hanno saputo donarmi una forza indescrivibile. Sono stati i primi a insegnarmi che non dovevo mollare. Erano e sono tuttora consapevoli che la vita non è facile. Stessa cosa per i sogni. In un periodo di smarrimento totale, avevo deciso di non provare più a entrare in medicina. Sono stati loro a farmi cambiare idea. Non potrò mai dimenticare quella domenica. Mi fecero sedere sul divano e mi dissero queste esatte parole: ‘Tenta, Mary. Potresti pentirtene. Se ti sembra troppo dura, se tutto quello che vedi al momento è una strada in salita, allora chiudi gli occhi e pensa. Non a come sia ripida. Non a come sia dura camminare. Pensa a come sarai soddisfatta se riuscirai a salire. Pensa a quando vedrai la bellezza della natura da lassù’”
“Mio Dio. Che meraviglia” Ian mi guardò a bocca aperta.
“Puoi dirlo forte. Poi ci sono loro – indicai un’altra foto – Conosci già me e Giorgio”
“Gli altri chi sono?”
“Il biondino che sembra avere la testa per aria è mio cugino Stefano. Ha 26 anni e vive a Barcellona. E’ uno sportivo. Fa parte di un’importante squadra di pallavolo, di cui mi sfugge sempre il nome – feci una smorfia – E’ una persona che non dimostra spesso il suo affetto, ma quando lo fa… Beh, è l’incarnazione della tenerezza. La ricciolina con la pelle olivastra è mia cugina Serena. Meglio conosciuta come ‘mia sorella’. Anche lei ha 26 anni e vive a Brisbane. Il suo nome calza a pennello, perché è la persona più serena che abbia mai conosciuto. Dice sempre quello che pensa e dona tutta sé stessa alle persone che ama. E’ di quelle che ti abbraccia senza perché. Di quelle che, se dice ‘ti voglio bene’, lo pensa davvero. E l’altra donna con i ricci accanto a lei? E’ sua sorella, Francesca. Ha 32 anni. Vive anche lei a Barcellona. E’ stata il mio modello perfetto. Lei è la prima persona che ho visto lottare per il suo futuro. Non si è arresa. Non ha buttato la spugna e cambiato strada, no. Ha uscito gli artigli per realizzare il suo sogno. E ci è riuscita. E vedere il suo sorriso, quando è successo, è stato indescrivibile. Era quella la soddisfazione di cui parlavano i miei parenti. Ed era quello il sorriso che volevo avere anche io”
“Sono davvero sconvolto. Non in senso cattivo, o-ovviamente. Mary, hai davvero una famiglia splendida”
“Non è finita qui – indicai una foto di gruppo, la più grande tra tante – Questa foto è stata scattata il giorno prima che iniziasse il mio quarto anno di liceo. Le vedi loro? Loro sono le mie rocce. Oltre Serena, ci sono Iris, Nadia e Tatia. Iris è quella con i capelli castani ricci e lunghissimi e ha la mia età. Nadia è quella con i capelli castani corti ed è un anno più grande, mentre Tatia e quella con i capelli lisci e nero corvino ed è un anno più piccola. Loro tre sono sorelle. Iris vive a Catania ed è una persona solare, forte. Forse la più forte. Ed è di una bellezza straordinaria. Ovviamente perché è mia amica” feci una risatina.
“Ovviamente” ripeté Ian, alzando gli occhi al cielo.
“Dai, scherzavo! Comunque, non per questo è arrogante o egocentrica. E’ una persona umile e altruista. L’ho sempre paragonata a una canna di bambù. Si piega al vento, ma non si spezza. E poi la sua positività è spiazzante. C’è una tempesta in corso, con tanto di vento forte e fulmini vicini? Lei ti dice: ‘Non c’è niente di più bello che ammirare l’arcobaleno che seguirà’. E, non appena finisce di parlare, tu pensi: ‘Cavolo, non ci avevo proprio pensato’ – sorrisi – Nadia vive a Roma insieme a Tatia. Hanno tipo le case collegate e ognuna di noi ha la sua camera in una delle due case, così andarle a trovare non è un problema. E’ una cosa davvero fantastica! Comunque, sto divagando”
“Giusto un pochino” Ian mi prese in giro.
“Sssh, dettagli. Allora, Nadia è una persona un po’ differente. E’ più introversa, più timida. A volte ha paura delle conseguenze di una sua azione”
“Ti somiglia molto da questo punto di vista”
“Già. Però, nonostante ciò, non nasconde il suo affetto per gli altri. E’ una persona schietta, ma allo stesso tempo fragile. E’ come una rosa. Quando sboccia, è meravigliosa. Ti toglie il fiato. Tuttavia, ci sono le spine. E non bisogna mai dimenticarsene”
“Continua a somigliarti. Sicura che tu non stia parlando di te stessa?”
“Sicurissima. Le sue spine e le mie si sono ritrovate e hanno cercato di curarsi a vicenda. Lei c’è sempre stata. Il suo supporto nei miei confronti non è mai mancato, come il mio non è mai mancato per lei. Tatia, invece, è la psicologa del gruppo. E’ una grande ascoltatrice e consigliatrice. Con poche parole ti scava letteralmente l’anima. E’ un meraviglioso strazio essere la sua ‘paziente’. Loro, tutte quante insieme, mi hanno permesso di rinascere dalle mie ceneri, come una fenice, dopo”
“Mary, ci sono altre due ragazze nella foto”
“Dopo che i rapporti con queste due ragazze sono andati distrutti, frantumati, come un bicchiere di vetro che incontra il pavimento. Ho detto di aver messo in questo collage tutti coloro che mi hanno cambiato la vita. Da brava masochista che sono, ho messo anche chi me l’ha cambiata in modo drastico. Queste due ragazze sono sorelle. Si chiamano Fabiana e Ludovica. Fabiana ha la stessa età di Nadia, mentre Ludovica la stessa di Tatia. Anche loro erano due tra le mie rocce. Poi tutto è andato perduto. Chissà come. Chissà perché” abbassai lo sguardo.
“Che è successo?”.
In un attimo mi ritrovai a raccontare quel pomeriggio di Ottobre del 2003.
 
Io e Iris entrammo a casa loro, dopo chissà quanto tempo.
Il solo mettere piede in quell’abitazione mi fece male al cuore. Troppi bei ricordi tra quelle quattro mura. Ricordi che non mi permettevano di andare avanti, che bloccavano la mia vita, facendola andare a rallentatore.
“Tutto bene?” lo sguardo preoccupato di Iris si posò su di me.
Le presi la mano e la strinsi.
Aveva insistito per accompagnarmi.
Non voleva lasciarmi da sola, perché sapeva che cosa significava per me essere in quel posto.
Dopo mesi di tentativi di comunicazione.
Dopo mesi di mancate risposte.
Aveva fatto bene.
Annuii lievemente.
“Ciao Mary – Fabiana e Ludovica mi salutarono serie – Iris” dissero, accennando un saluto con il capo.
Le guardai spiazzata.
Nemmeno un saluto decente dopo mesi di silenzio?
Incassai il colpo.
Ci fecero accomodare sui divani.
Dopo ore e ore di discussione sui mesi che erano trascorsi, su ciò che avevamo fatto, sulla frattura che si era creata, cominciai a innervosirmi.
Io volevo sapere solo una cosa da loro.
E non la stavano dicendo.
Perché ci giravano intorno?
Strinsi i pugni.
Presi un lungo respiro, poi ebbi il coraggio di guardarle negli occhi.
Il loro sguardo vitreo non mi fermò dal dire loro: “Basta giri di parole. Non voglio essere distratta con altri discorsi. Voglio solo sapere la verità. E credo di meritarmela dopo tutto quello che abbiamo passato, sia di bello che di brutto. Mi avete voluta bene?”
“Certamente!” risposero entrambe con ovvietà.
“Bene. Allora perché non mi avete mai risposto quest’estate? Perché quando io cercavo di ricostruire un qualcosa voi non avete dato segni di vita? Perché?”.
Entrambe sospirarono, irrigidendosi.
“Ditelo e basta”
“Va bene – Fabiana si passò una mano tra gli ormai lunghi capelli mori – Non l’ho fatto perché non mi importa di te. Non più”
“Idem” fu tutto quello che disse Ludovica.
Sentii le gambe cedere, le lacrime arrivare.
Inghiottii e annuii.
“Bene. Ho ottenuto la risposta che volevo”.
Io e Iris ci alzammo e uscimmo da quella casa.
Quasi di corsa.
Per non far vedere loro le lacrime che stavano riempiendo il mio volto.
Per non far vedere ancora una volta la mia fragilità.
Per non tornarci più.
 
POV Ian
Mary concluse quel piccolo aneddoto.
Aveva lo sguardo perso nel vuoto e un sorriso amaro stampato sul volto.
Io ero davvero senza parole.
Cosa potevo dire, d’altronde, dopo una cosa del genere?
Teneva ancora saldamente quel collage di foto, osservando il volto di quelle due ragazze.
Quel ricordo sembrava dilaniarla.
Riuscivo a vedere ancora l’enorme ferita sul suo cuore aprirsi e trascinarla in un mondo di rimpianti.
Senza pensarci due volte, la abbracciai forte.
Mary lasciò cadere il quadro sulle sue ginocchia e ricambiò l’abbraccio, aggrappandosi a me con tutta la forza possibile.
Sentii le sue lacrime bagnarmi il collo.
“Non devi piangere. E’ passato. L’hai superato”
“Ormai sì – sciolse l’abbraccio – solo che è stato così difficile”
“Non pensarci. L’importante è che tu ci sia riuscita. Anche io ho avuto di queste esperienze. Sono brutte. Anzi, tremende. Ti disintegrano in un millisecondo. Però, da esse devi trarre forza. Devi riuscire a ricostruirti. Devi fare in modo di rimettere insieme i pezzi, senza che gli altri ti guardino come un giocattolo rotto. E secondo me tu ci sei riuscita alla grande. Queste esperienze servono proprio a questo. A permetterti di crescere e di ritrovarti.”
“Grazie, Ian – accennò un sorriso, poi mi disse – Che sbadata! Non ti ho parlato di quella pazza di Melania”.
Alzò gli occhi al cielo e si asciugò le lacrime con il dorso della mano.
“Chi è?”
“Questa donnetta qui – indicò una ragazza mora con i capelli lisci – E’ un anno più piccola di me. Ci siamo conosciute a Firenze durante l’università. Lei frequentava il primo anno di lingue, io il secondo di medicina. Abbiamo legato subito e l’anno dopo siamo diventate coinquiline. Ora vive a Londra. E’ una persona scatenata, allegra. Con lei non puoi essere triste. Basta guardarla che cominci a sorridere. Con lei non ci si annoia mai. E’ una di quelle persone che ti fa dire: ‘Ciao vita, sei bellissima’” disse, sorridendo come un’ebete.
“Hai attorno delle persone splendide, sia Italiane che Americane, ricordalo sempre”
“Oh, lo so bene! Sono la mia volontà di vivere. Il mio amore per loro è ineffabile. E tu ricorda sempre che sei una di quelle”
“Onorato di esserlo”.
Mary posò il quadro sul tavolino e mi baciò.
“Grazie di esistere, Ian” mi sussurrò dolcemente all’orecchio.      
“Comunque ritienimi offeso. Non ci sono nostre foto” sussurrai al suo.
“Oh, ma le ho messe. Solo non qui” Mary sorrise.
“E dove sono?”
“In camera da letto” sorrise nuovamente, stavolta aggiungendo una tonnellata di malizia.
“Ah, la stanza in cui al momento non posso mettere piede! Giusto!” dissi sarcastico.
“La stanza delle tentazioni – mi corresse Mary – Pensa a come sarà bello tornarci”.
Mary mi carezzò la fronte, poi l’inizio del cuoio capelluto.
“Steve ha proprio fatto un bel lavoro. I tuoi capelli sono più lunghi e questa cicatrice non si vede praticamente più” delicatamente mi baciò il punto in cui vi era la cicatrice.
Chiusi gli occhi, sentendo la dolcezza delle sue labbra su una delle ferite più profonde che avessi mai avuto.
Dopo si avvicinò lentamente alla mia bocca.
Un attimo dopo eravamo uniti in un bacio.
Le nostre lingue cominciarono a intrecciarsi, mentre le nostre mani vagavano dentro le nostre magliette.
Mary si aggrappò alla mia schiena.
Volevo mettermi sopra di lei e unirmi a lei su quel divano, ma bastò un piccolo movimento che la gamba cominciò a protestare.
“Mary – dissi il suo nome in un soffio, staccandomi a malincuore dalle sue labbra; cercai di tornare a respirare normalmente – dovremmo fermarci qui”
“Hai ragione. Scusa”.
Mary poggiò la sua fronte contro la mia.
Dopo avermi lasciato un altro bacio stampo, si alzò e andò a posare il collage al suo posto.
Mentre lo stava appendendo alla parete più grande del salotto, notai che continuava a fissarlo con amore.
E nostalgia.
Un’idea balenò nella mia mente.
Sorrisi.
 
POV Nina
“Mary, pronta?” chiesi piegandomi sulle ginocchia alla sua altezza.
“Per cosa?” mi guardò con gli occhi vispi, nonostante avesse dormito per poco tempo.
“Per i nostri fan francesi. Ogni anno succede qualcosa” rispose Paul al posto mio, appoggiandosi al sedile davanti a noi.
“Come quando mi hanno buttato a terra” Ian fece una smorfia.
“O quando ci hanno circondati e non avevamo via di fuga. Inquietante” Joseph scrollò le spalle.
“O quando mi hanno insultata. E fatto piangere. E” cominciai a dire io, ma Ian mi interruppe: “Calma, Dobrev, le tue avventure a Parigi sono troppe. Non avresti il tempo di raccontarle tutte”.
Gli feci una linguaccia, poi tornai a concentrarmi su Mary: “Il punto è: Parigi è sublime, davvero, ma devi essere pronta a tutto. Non farti trovare impreparata” conclusi con tono molto serio.
“Ok, basta spaventarla, su – Ian le passò un braccio attorno alle spalle – Speriamo, piuttosto, che quest’anno non accada niente”
“Si avvisano i gentili passeggeri che stanno per cominciare le manovre di atterraggio e si preghino di tornare ai propri posti e allacciare le cinture. Grazie per aver scelto la nostra compagnia. Al prossimo viaggio” disse l’hostess, prima in inglese, poi nelle altre lingue.
Mi alzai e mi accomodai al mio posto, dietro Mary, accanto a Joseph.
Non appena atterrammo, scendemmo dal mezzo e andammo immediatamente al ritiro bagagli.
Erano le nove del mattino e il sole splendeva limpido.
Eravamo stati in viaggio per nove ore e mezza.
Avevamo bisogno di andare in albergo per poterci rinfrescare un po’.
La mia valigia arrivò per prima. La presi e aspettai gli altri.
 
POV Mary
Sbuffai, cominciando a battere il piede.
“Rilassati” mi canticchiò Ian all’orecchio, improvvisando una canzoncina.
“Come posso rilassarmi? Sono così sfigata che la mia valigia non è ancora arrivata” corrugai la fronte.
“Arriverà. Di certo non si è persa nei meandri dell’oceano”
“Ah, non lo dire! Potrebbe essere successo davvero. Tutto è possibile con me. Sono più sfortunata di Paperino” sbuffai nuovamente.
“Uh, guarda! Eccola lì” Ian mi sorrise, indicando la mia valigia con un cenno del capo.
Corsi a prenderla.
“Visto che non sei poi così sfortunata?” Ian mi fece l’occhiolino, venendomi incontro con le stampelle.
Presi sia la mia che la sua valigia e cominciammo a camminare.
“In realtà è la tua influenza. Se non ci fossi stato tu, la mia valigia probabilmente sarebbe finita in Cambogia – cominciai a parlare a ruota libera – Quasi tre anni fa, quando sono andata con Rose da Steve in California, la compagnia ha perso la mia valigia. Non puoi capire la mia disperazione, era la mia valigia preferita. La ritrovarono tre giorni dopo. L’avevano per sbaglio messa sull’aereo che era partito insieme a noi e che, senti un po’? Era diretto a Toronto. Chiamala fortuna, insomma”
“Mary” Ian mi interruppe e si arrestò, guardandomi divertito.
“Cosa?”
“Non straparlare. Rilassati”
“Oh, parla l’uomo più logorroico del mondo!” gli feci una linguaccia.
Ian scosse la testa e riprese a camminare.
Lo seguii.
Non appena cominciammo tutti insieme a dirigerci verso l’uscita dell’aeroporto, le guardie del corpo presero a camminare al nostro fianco.
Avevano fatto bene.
Ben presto fummo circondati dai paparazzi e dai fans urlanti.
“Santa Madre di Dio! – esclamai allibita – Allora io sembro così pazza davanti ai miei personaggi famosi preferiti” guardai Ian a bocca aperta.
“Giusto un pochino” Ian fece una faccia buffa, strizzando gli occhi.
Ben presto riuscimmo a uscire dalla struttura.
Le guardie del corpo non avevano permesso a nessuno di avvicinarsi a noi, perciò avevano potuto solamente scattare foto e fare video.
Sospirai di sollievo.
“Tutto ok?” mi chiese Ian, dopo essere saliti sulle limousine dell’albergo.
Annuii.
“Non ho dovuto subire domande imbarazzanti o irritanti. Va tutto a meraviglia” gli sorrisi.
Ben presto partimmo.
Non riuscivo a staccarmi dal finestrino, mentre la maggior parte dei luoghi di Parigi mi passava davanti.
Parigi.
Era strano essere in quella città.
Scossi la testa, facendo una risatina.
“Che c’è?” chiese Ian curioso.
Mentre continuavo a guardare rapita tutte quelle case, tutti quei negozi e, soprattutto, l’acqua cristallina della Senna, risposi: “Ai tempi del liceo solevo ripetere che non avrei mai e poi mai messo piede a Parigi”
“Come mai?”
“Perché è la capitale dell’amore e ai tempi ero l’unica zitella della mia classe. E perché odiavo il francese. Anzi, odio. Anche se, purtroppo, lo so parlare. Comunque, e ora eccomi qui, con il volto spiaccicato sul finestrino perché questa città è semplicemente splendida. Ma come facevo a odiarla? E’ così solare. Serena. Mi trasmette pace” mi voltai verso Ian.
“Allora sono felice che tu sia venuta con me” Ian sorrise.
“E io sono felice di aver accettato”
“Sono certo che saranno tre giorni indimenticabili”
“A meno che i fans francesi non combineranno qualcosa. In quel caso, credo che il loro obiettivo sarei io. Magari arriverò ad accumulare più avventure francesi di Nina” feci una risatina, seppur amara.
Per un attimo quei racconti mi avevano ricordato l’incidente.
“Non accadrà niente. Non dobbiamo nemmeno pensarlo. Lasciamo i pensieri negativi fuori da qui – Ian mimò con le mani l’atto di cacciarli via – Siamo solo io e te” mi prese la mano.
“E Parigi” mi avvicinai al suo viso.
“E Parigi” ripeté, sorridente.
Ci baciammo, continuando a stringerci la mano.
 
Non appena aprii la porta della camera, mi fiondai al suo interno, portando le valige con me.
Subito mi guardai intorno.
I miei occhi luccicavano, ne ero sicura.
Quella stanza era il paradiso.
La carta da parati era azzurra, dello stesso colore che avevo usato per ridipingere la stanza degli ospiti di casa mia.
Le lenzuola del grande letto a baldacchino si intonavano perfettamente a quelle mura, riprendendone il colore. Mi sembrava di stare tra le nuvole. O in mezzo al mare. Ed era una sensazione bellissima.
Mollai le valige al centro della stanza e corsi, esausta, verso il letto.
La morbidezza del materasso mi avvolse.
Scoppiai a ridere e cominciai a urlare estasiata.
“Tutto questo è meraviglioso!”.
Sentii il rumore delle stampelle di Ian divenire sempre più forte.
Mi issai sui gomiti e mi voltai a guardarlo.
“Sembri una dodicenne” scosse la testa, ridendo anche lui.
“Chi ti dice che io non lo sia?” mi alzai dal letto e andai verso di lui, con il petto in fuori.
Ian guardò attentamente la scena, reggendosi con le stampelle.
Le sue pupille si erano dilatate.
Si passò la lingua tra le labbra.
“Non provocarmi, Mary”
“Altrimenti?”
“Altrimenti rischierei di farmi male – indicò di sfuggita la gamba – perché trasgredirei gli ordini del dottore”.
I suoi occhi si posarono sulle mie labbra.
Avanzai verso di lui lentamente.
“Non vorrei mai che tu ti facessi male” dissi, con voce persa.
Deglutii, cominciando anch’io a osservargli quella bocca perfetta che si ritrovava.
“Solo la bocca? – disse una vocina nella mia testa – Mary, lui è tutto perfetto”.
Gli diedi un bacio stampo e mi allontanai di poco, tornando ad ammirarlo.
Ian mollò una stampella per terra e mi prese il volto, riunendo così le nostre bocche.
I suoi baci erano aggressivi, esigenti.
Era da un mese che per via della gamba e della riabilitazione potevamo solamente ridurci a quello. E a nient’altro.
Lo assecondai, lasciandomi andare.
In breve tempo, la ragione andò a farsi benedire.
Ian si sedette sul letto e mi trascinò vicino a lui con la mano libera.
Mi sedetti a cavalcioni su di lui e mi tolsi la maglietta, tornando poi a baciare quelle labbra.
Ian mi mordicchiò il labbro inferiore, dopo di che prese a baciarmi il collo.
Mentre scendeva al seno, intrecciai le dita tra i suoi capelli, lasciandomi scappare qualche gemito.
Stavo letteralmente andando in estasi con poco, ma non potevo controllare il mio corpo in quel momento.
Esso bramava il contatto con quello di Ian e non potevo fare niente per inibire quel desiderio.
Ian si tuffò nuovamente sulle mie labbra.
Cominciai a premere il bacino contro il suo, troppo presa dalla foga.
Ian protestò, staccandosi per un attimo.
Immediatamente mi alzai, accaldata e mortificata.
I miei polmoni mi ringraziarono, potendo finalmente riprendere l’ossigeno.
“Non volevo, i-io” balbettai.
“Non preoccuparti. Mi sono lasciato andare anche io” Ian si alzò, riprendendo la stampella al centro della camera.
Io indossai nuovamente la maglietta e, preso il cellulare, dissi: “Vado giù a prendere un po’ d’acqua. O un succo. O una vodka. Qualcosa di… di fresco insomma”.
Uscii dalla stanza e presi l’ascensore, scendendo nella hall.
Quell’enorme androne era pieno zeppo di ragazzi, tutti eccitati, per quei giorni di convention.
Si guardavano intorno estasiati, scattandosi miriadi di foto con i cartoni raffiguranti gli attori del cast.
Sorrisi a quella visione, poi mi diressi al bar.
“Desidera?” chiese il barista in francese.
“Avete del succo d’ananas?” risposi con la stessa lingua, sperando di non aver sbagliato qualcosa.
Mi sedetti sullo sgabello e posai il cellulare sul bancone.
“Glielo porto subito” il barista mi sorrise.
“Ok”.
Mentre aspettavo che quell’uomo tornasse, un altro si sedette accanto a me.
Mi voltai a guardarlo.
Alto, moro, occhi scuri, sulla quarantina, sorriso gentile.
Era l’uomo della reception, che mi aveva consegnato le chiavi poco prima.
“Mi scusi, lei è la signorina Maria Chiara Floridia della stanza 1809, giusto?” mi chiese in inglese.
“Sì, sono io”
“Può seguirmi? C’è una chiamata per lei sulla linea dell’albergo”
“D’accordo”.
Scesi dallo sgabello e afferrai il cellulare.
Giunta alla reception, quell’uomo mi passò la cornetta.
“Pronto?” dissi.
“Maria Chiara Floridia?” rispose una voce maschile.
“Sì?”
“Sono Nicholas Evans, avvocato di Valerie. Ho provato a contattarla in ospedale, ma mi hanno detto che era fuori città, quindi ho richiesto il numero dell’albergo, se non le dispiace”
“Avvocato di chi, mi scusi?”
“Di Valerie”.
Aggrottai la fronte.
Quel nome non mi era familiare.
Perché quell’avvocato mi stava contattando?
“Mi scusi, non capisco. Io non conosco nessuna Valerie. Chi sareb”
“Ne è sicura?”
“Certo. Ripeto, questo nome non mi dice nulla”
“In realtà l’ha conosciuta. Il ventotto Agosto per la precisione. Valerie è la donna che le ha sparato”.






















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Note dell'autrice:
Allora! Sono davvero mortificata di questo ritardo çç
Ma, purtroppo, tra scuola e test non ho avuto molto tempo per scrivere.. e per un altro po' sara così :(
Comunque, ecco qui il capitolo 4.
Vi è un salto temporale, anche se effettivamente non si nota. Da fine settembre, quando Ian infatti torna a casa, ci spostiamo a fine ottobre, periodo della convention di Halloween a Parigi.
Non ho molto da dire, a eccezione di una domanda: Cosa vorrà l'avvocato di Valerie da Mary?
Ringrazio per la pazienza che avete avuto.
Ringrazio anche le canzoni che mi hanno ispirata, "So cold" di Ben Cocks, "Stay" di Rihanna, "Kiss the rain" di Yiruma, "Parigi ha la chiave del cuor" di Anastasia (xD), "You and me" di Lifehouse e "Addicted to love" di Florence and the Machine. Senza queste canzoni non ci sarebbe il capitolo.
Ringrazio pure la mia consigliatrice fidata, Giù.
Spero vi sia piaciuto, nonostante sia più un capitolo di passaggio.
Recensite se vi va :)
Grazie per aver letto e grazie a chi ha inserito ultimamente la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Se vi va, unitevi al gruppo fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Dolce notte e al prossimo capitolo :*
Mary :* 

 

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Capitolo 6
*** Let the truth sting. ***


POV Mary
“In realtà l’ha conosciuta. Il ventotto Agosto per la precisione. Valerie è la donna che le ha sparato”.
Mi pietrificai, trattenendo il respiro.
Quella data.
Quel giorno.
Quel gesto.
Cominciai ad avere dei violenti capogiri.
Mi appoggiai al marmo del bancone, come se da quest’ultimo dipendesse la mia vita.
“Dottoressa Floridia, è ancora lì?” chiese l’avvocato, quasi con un tono preoccupato.
“S-sì – balbettai – Mi scusi è-è solo che mi ha colto d-di” conclusi con voce tremante.
“Sorpresa?”
“Ehm, sinceramente? Sì – mi morsi il labbro, mentre il mio corpo si rifiutava di smettere di tremare – Non capisco perché mi abbia contattato. Perché ora”
“Valerie è in cura dal giorno dell’incidente. Ha lavorato duramente con degli esperti per curare questa sua – l’avvocato s’interruppe per un attimo, poi, dopo un sospiro, riprese – definiamola malattia”
“Mi chiedo perché non l’abbiano curata prima” risposi un po’ acida, stringendo la cornetta.
Involontariamente.
Forse.
“Dottoressa – l’avvocato sospirò nuovamente – è-è complicato. Comunque, adesso è migliorata e mi ha chiesto di contattarla”
“Perché?”
“Vorrebbe semplicemente parlare. E, soprattutto, scusarsi. Con lei e con il signor Somerhalder. Sempre che glielo permettiate”.
Quelle parole mi lasciarono spiazzata.
“Ehm…” mormorai incerta.
“So che siete a Parigi al momento. Ma vi supplico di pensarci, per quando tornerete ad Atlanta. Per Valerie è davvero importante continuare il suo percorso di guarigione e un colloquio con voi è… è vitale, dottoressa”
“Ne parlerò con il signor Somerhalder e la richiamerò io. Può lasciare il suo numero all’albergo, per favore? Ora dovrei proprio andare”
“Ma certamente. Si figuri. Grazie per avermi ascoltato. Ci sentiamo al suo ritorno, dottoressa”
“Arrivederci” dissi freddamente e passai la cornetta all’uomo della reception.
Tornai al bar e bevvi quel succo d’ananas tutto d’un sorso.
La testa non smetteva di girare.
Il mio corpo di tremare.
Gli incubi, cominciati quel giorno, riemersero, tutti in una volta.
Strizzai gli occhi, stringendo forte la maglietta che indossavo.
“Smettila, smettila, smettila. Ti prego” supplicai.
Non servì a niente.
“Ian!” sentii le mie urla rimbombarmi nelle orecchie.
Mi sembrò quasi di toccare nuovamente il suo corpo inerme, di vedere il sangue uscire dalla sua testa.
Mi toccai d’stinto l’addome, come se avessi accolto nuovamente quella pallottola in esso.
Mi venne la nausea.
“Signorina, si sente bene?” mi chiese il barista.
Lo guardai di sfuggita con gli occhi improvvisamente lucidi.
“S-sì, grazie” risposi in francese, accennando un sorriso.
Pagai il succo di frutta e gli lasciai la mancia, poi tornai velocemente in camera.
La nausea non cessava.
“Mary, eccoti qui! – Ian sorrise, vedendomi sulla soglia della nostra camera – Stavamo decidendo dove andare questo pomeriggio. Noi siamo stati a Parigi già”
“Parecchie volte” aggiunse Nina.
“E dato che per te è la prima volta – Paul si alzò, sventolando una cartina – Dove ti va di andare?”.
Cominciai a respirare affannosamente, stringendo lo stomaco con una mano.
“Mary?” Ian mi guardò preoccupato.
“Scusate” dissi di fretta e mi catapultai in bagno.
Alzai la tavoletta del water e cominciai a vomitare.
Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance.
Ian era così sereno ora.
Come potevo dargli una notizia del genere?
Singhiozzai, rigettando ancora.
“Mary, stai bene?” disse la voce di Nina.
“Andate tutti via, per favore” dissi con voce rotta, portando una ricciolo dietro l’orecchio.
 
POV Nina
Guardai Mary inginocchiata davanti al water, poi mi voltai verso Ian e Paul.
“Uscite” dissi in labiale e feci segno loro con la mano.
“Io resto” Ian rispose ad alta voce.
“Ian, sto bene. Solo non voglio farmi vedere così. Vi prego, uscite” singhiozzò Mary.
Ian sospirò e si alzò dal letto, facendosi porgere le stampelle da Paul.
Mi avvicinai a loro.
“Resto io, non preoccupatevi” sussurrai.
“Ha detto che dobbiamo uscire tutti” mi rispose Paul con un filo di voce.
“Beh, sì, questo è un po’ un codice per noi donne. Lo dico spesso anche io, quando in realtà – lasciai cadere la frase e scossi lievemente la testa – Andate, tranquilli. Se si sente meglio usciamo e andiamo in giro. Voi continuate a decidere le mete” sorrisi e diedi a entrambi una spintarella con le mani.
Non appena se ne andarono, mi sedetti sul letto, mentre Mary continuava a piangere e a tossire.
Mi focalizzai per un po’ sui colori della stanza, così freschi e allegri. L’azzurro emanava serenità e solarità. Forse per questo riuscivo a collegarlo istintivamente a Mary. Nonostante la mia gelosia, nonostante tutto, lei era riuscita a farsi volere bene.
Era riuscita a farmi sorridere, scopo principale di Jules, Riawna, Morgan, Erika, Hilary e le altre.
Sorrisi, ripensando a quel giorno.
25 Febbraio 2012.
 
Un conato di vomito si fece largo lungo l’esofago.
Corsi in bagno e cominciai a rigettare la colazione.
Non ce la facevo più.
Non potevo reggere ancora per molto.
Cominciai a piangere.
Per l’ennesima volta.
Sembrava l’unica cosa che in quel momento mi riusciva bene.
Lacrime su lacrime.
Nient’altro.
Sentii qualcuno bussare alla porta d’ingresso, poi suonare il campanello.
Ignorai il tutto e continuai a stare lì, davanti al water, a piangere.
“Quanto dolore può sopportare una persona?” pensai.
Una volta se l’era chiesto Damon.
Mi ricordavo bene quell’episodio.
Ian era stato male per giorni per colpa di quella scena.
La porta sul retro si aprì e si richiuse.
Chi era entrato?
Mi portai due ciocche dietro le orecchie e scesi al piano di sotto.
“Chi c’è?” dissi con voce tremante, ancora un po’ rotta per le lacrime.
“Nina? Sono Mary” la sua voce incerta divenne un poco più forte.
Sceso l’ultimo scalino me la ritrovai davanti.
Riccioli sparsi lungo le spalle.
Occhiali sulla testa.
Felpa enorme e sacchi della spesa.
“Che ci fai qui?” chiesi, corrugando la fronte.
“Giorno libero. Rose e Steve lavorano. Ian mi ha detto che oggi non dovevi girare – alzò le buste – Ho preso schifezze da mangiare in compagnia. Ti va?” mi sorrise a trentadue denti.
Mi morsi il labbro inferiore e sospirai.
“Mary, sei stata gentile a passare, davvero, ma… oggi non è giornata. Ti prego, potresti andare?”.
Mary mi osservò meglio.
“Occhi gonfi. Viso pallido. Stai bene?”
“Non proprio, ma non preoccuparti. Andrà meglio”
“Nina, non prendermi in giro. Che hai?”
“Ho appena rigettato la colazione e-e… ripeto, non è giornata. Tutto qua”
“Ok, allora forse è meglio mettere patatine, hamburger e salse da un’altra parte – posò i sacchi sul divano, poi tornò vicino a me e si sedette su uno scalino – Dimmi tutto”
“Mary, tranquilla, puoi andare. Sarà stata un’indigestione, niente di che”
“Indigestione? – si mise a ridere – Nina, non sono nata ieri. Avrai anche vomitato, ma non stai male fisicamente. Cosa ti turba? Se ti va, me ne puoi parlare” mi sorrise e batté dolcemente la mano sullo scalino.
Mi sedetti accanto a lei e sospirai nuovamente.
“Come l’hai capito?”
“Diciamo che ho un sesto senso per queste cose. Allora? Non ti voglio costringere, sia chiaro, ma sembra che tu ne voglia parlare”
“Ci vorrebbe troppo tempo”
“Ho il giorno libero, tutto il tempo che vuoi” mi sorrise di nuovo.
“Okay. Forse ti sembrerò un’emerita idiota, ma non riesco più a reggere tutto questo”
“A cosa ti riferisci?”
“Ti sembra strano se ti dico che penso ancora alla litigata con Ian di un mese e mezzo fa?”
“No. Non sono proprio la massima esperta in amore, ma credo che le litigate non si dimentichino facilmente. Come, d’altronde, accade con ogni cosa che ci causa un dispiacere o sofferenza. Vuoi dirmi come ti senti riguardo alla litigata?”
“Tu ne sai qualcosa?”
“Ian non me ne ha mai parlato. So che avete litigato perché ripeteva in continuazione il tuo nome quella notte, mentre abbracciava morente il water. Era una scena adorabile”.
Feci una risatina, poi tornai seria.
“Mesi fa gli ho detto che mi sentivo trascurata, così lui ha fatto di tutto per non permetterlo. E’ stato davvero molto dolce, ma… un mese e mezzo fa ho trovato delle sue foto con altre donne. Lui sembrava così allegro e spensierato. E…”
“E?”
“E mi sono ingelosita. Da morire. Insomma, prima lui era così con me”
“E avete discusso perché gli hai detto questi tuoi pensieri?”
“Sì” risposi abbattuta.
“Ma ora avete fatto pace. Non mi sembra che ti trascuri. Non mi sembra che le cose vadano tanto male – sorrise, ma non vedendomi allegra tornò seria – No?” chiese con incertezza.
“Io credo che… che siamo tornati punto e a capo. E’ una situazione sfibrante. Deve sempre lavorare, o per TVD, o per la fondazione, o per altro. Non sta mai fermo. E io… io lo amo, Mary, con ogni fibra del mio corpo. Adoro vederlo sorridere, appassionato; adoro sentire il suo respiro, i battiti del suo cuore, il suo profumo; solo che…” mi arrestai.
“Che vorresti averlo più vicino. Vorresti poter sentirlo tuo più spesso. Vorresti ballare e urlare e divertirti al suo fianco. Vorresti baciarlo e appartenergli per sempre. Tuttavia, ciò non sta accadendo”
“Mi hai letto nel pensiero. Ora crederai che io sia una bambina e, sai cosa? Forse hai ragione. Forse sono solo una ragazzina, innamorata persa di un uomo troppo grande”
“Non sei una ragazzina. Certo, è vero che non avete la stessa età, ma che importa quanti anni avete? Quando vi guardate, mia cara, esprimete amore. Quando vi guardate, quando vi sorridete, quando vi parlate, fate venire voglia agli altri di innamorarsi e viversi, così come fate voi. Ciò non è affatto negativo, Niki. Anzi! E’ amore! Se io ne trovassi uno così non me lo lascerei scappare – Mary mi sorrise – E poi è normale che tu desideri queste cose. Non sei una settantenne, è ovvio che vuoi uscire e divertirti. Non sei affatto un’aliena. Sei una donna di ventitré anni. E, come tutte le ventenni, vuoi sorridere fino a svenire”
“Anche tu eri così ai tempi che furono?”
“Ehi, ho avuto la tua età solo tre anni fa, quasi quattro! Mi credi così vecchia?” aggrottò le sopracciglia, in disappunto.
Scoppiai a ridere.
“Non oserei mai” sghignazzai.
“Comunque, per rispondere alla tua domanda, no, non ero così alla tua età. Ero piena di lavoro e studio, conciliare l’università di medicina con il part-time non è stato facile. Il tempo di divertirsi era ben poco, perciò quando lo avevo, non andavo a ballare”
“Allora che facevi?”
“Leggevo un buon libro, se ero sola; se, invece, ero in compagnia, andavo al parco con le mie colleghe o con Mel, la mia coinquilina, andavo al mare con le mie amiche o più semplicemente stavamo a casa. Pizze, birre, una coperta, tre divani e un film. Sai le risate. Sono cose semplici, ma bellissime. In fondo, non è importante il luogo in cui vai. L’importante è avere al tuo fianco delle persone che facciano sembrare divertente persino una tragedia greca. Ma non stiamo parlando di me. Io sono sempre andata un po’ controcorrente” accennò un sorriso.
“Beh, andare controcorrente non è mai un male. Cosa dovrei fare secondo te?”
“Dovresti ballare. Ridere. Ubriacarti e divertirti. Se Ian è impegnato, fallo ugualmente. Essere fidanzati non significa dipendere l’uno dall’altra. Esci con le tue amiche. Loro sono fondamentali”
“Non vorrei farlo arrabbiare” abbassai lo sguardo.
“Arrabbiare? Ah, se si arrabbia, è un coglione. Ripeto, hai ventitré anni, mica settanta. Hai diritto a fare queste cose. Lui le ha fatte e, secondo me, quando ha tempo le fa ancora. Magari non ballare, ma bere qualcosa con i suoi amici sì. Perché tu non dovresti farlo? C’è una legge che te lo vieta? Io credo di no”
“Mary?”
“Sì?”
“Grazie” la abbracciai.
“Di niente, quando vuoi” mi strinse.
“Ti va di venire a ballare con me stasera?”.
Mary mi guardò a bocca aperta.
“Che c’è? Mi hai detto che devo divertirmi con le amiche” sorrisi.
“Lo faccio solo per te, sia chiaro” scosse la testa ridendo e mi abbracciò nuovamente.
 
Ritornai con i piedi per terra, notando che Mary si era calmata.
Mi alzai e la raggiunsi in bagno.
La trovai rannicchiata accanto al water, con la testa tra le mani.
“Non avevo detto a tutti di uscire? Cosa ci fai qui?”
“Passavo di qua” mi strinsi nelle spalle e mi sedetti di fronte a lei, osservandola attentamente.
“Mmm” dissi, storcendo la bocca in una smorfia.
“Che c’è?” mi rispose.
“Occhi gonfi. Viso pallido. Che succede?”
“Come hai potuto ben notare, ho vomitato. Benvenuta a Parigi” si sforzò di sorridere, alzando un pugno in aria, come in segno di vittoria.
“A me non sembra un’indigestione”
“Aaah, rievochiamo situazioni passate ora?”
“Dejà – vu invertito, direi – accennai un sorriso – Allora?”
“E’ successa una cosa. La definirei intensa”
“Cosa?”
“Nina, sto per dirti una cosa importante. Non deve uscire da questo bagno”
“Certamente”.
“Ha chiamato un avvocato, Nicholas Evans”
“Non mi dire che qualcuno ti ha denunciato!” la guardai a bocca aperta.
“No, no. La definirei una cosa peggiore – esitò un po’, poi disse – E’ l’avvocato di Valerie, la donna che ha investito Ian e mi ha sparato” abbassò lo sguardo.
“Oddio – sgranai gli occhi, di certo non mi aspettavo una cosa simile – E che voleva?”
“Ha detto che Valerie è ricoverata in una clinica da quando c’è stato l’incidente. Ha detto che ci vuole parlare e che sarebbe molto importante per il suo percorso di guarigione se acconsentissimo a farlo. E-e… io non me lo aspettavo. E’ stato come un uragano di informazioni e-e… come posso dirlo a Ian?”
“Mary, è giusto che lo sappia”
“Lo so! – rispose in modo enfatico e amaro allo stesso tempo – Ne sono perfettamente consapevole, ma… non posso”
“Perché non puoi?”.
 
POV Mary
“Mary, perché non puoi?” mi disse Nina.
Alzai lo sguardo e cominciai a raccontare.
 
Aprii gli occhi lentamente. Riuscivo a riconoscere le caratteristiche tipiche di una stanza ospedaliera. Le lenzuola, il pavimento, le pareti, ma… ma non era la mia stanza. Ricordai dov’ero non appena mi voltai alla mia sinistra, attirata da un respiro caldo sul mio petto. Ian dormiva beatamente. Sorrisi nel vederlo. Aveva le guance rosse e le labbra sporte in un broncio tenerissimo. Chissà cosa stava sognando. Trattenni l’istinto di accarezzarlo e guardai l’orologio. Erano le sei del mattino. Entro mezz’ora i miei colleghi avrebbero scoperto che non ero in stanza, ma qui. Tolsi la mano sinistra dalle spalle di Ian e cercai di scostarmi senza svegliarlo. Fallii.
“Non c’è bisogno che scappi” mormorò con la voce ancora impastata dal sonno.
“Tra mezz’ora comincerà il giro visite. Devo andare se non voglio farmi scoprire”
“Non andare” Ian si aggrappò al mio camice.
Il tessuto sfregò sui punti.
“Ahi!” protestai.
“Che ho fatto?” Ian si ritrasse.
Sgranò gli occhi, visibilmente preoccupato.
Spalancai e richiusi la bocca circa tre volte, indecisa se dirlo o meno.
“Mary, cosa ti è successo?” mi guardò serio.
Mi arresi. Doveva sapere.
“Ehm… sono i punti…” dissi vagamente, distogliendo lo sguardo.
“Punti per? Che mi sono perso mentre ero incosciente-barra-morente?” chiese ironico, cercando di nascondere la sua angoscia per tutto quello che avevamo passato e stavamo passando e di smorzare un po’ l’atmosfera tesa che in meno di un attimo si era creata in quella stanza.
“Quella donna mi ha sparato” dissi la frase lentamente.
Subito dopo lo guardai.
“C-cosa?” anche Ian mi guardò.
Le sue iridi sembravano ghiaccio fuso, ma allo stesso tempo sembravano infiammate.
“Ma sono qui ora. E’ andato tutto bene. Solo che i punti fanno male qualche volta” sorrisi.
Vedendo che non rispondeva, continuai: “Cosa perfettamente normale. Si deve dare alla ferita il tempo di guarire e non devo nemmeno tenerli per tanto tempo. Solo due settimane. E già una è a metà. Il tempo passa in fretta, eh?”.
Lo guardai nuovamente.
Non si muoveva. Sembrava una statua. Eccezion fatta per il respiro, ovviamente.
“Ian, dovrò stare in ospedale per altre due settimane e mezzo, non è la fine del mondo tenere i punti per un altro po’. Non credi?”.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
“Ian, per favore, parla” dissi preoccupata, carezzandogli una mano.
Non appena feci quel gesto, scattò.
“Quella… quella puttana ti ha sparato!” Ian urlò, facendomi spaventare.
 
“Oh – Nina commentò, storcendo la bocca – Non l’ha presa nel migliore dei modi”
“Direi di no – sospirai – Perciò come posso dargli una notizia del genere?”
“Mary, purtroppo non so cosa dirti – mi prese la mano – però so che in questo momento sei a Parigi e che, dopo i mesi passati in riabilitazione, meriti un po’ di riposo. E anche Ian lo merita”
“Non posso pensare a Parigi, sapendo di Valerie”
“Invece puoi. Questo è un enorme problema, è vero, ma, fino a quando sei qui in Francia, non puoi risolverlo. Quindi perché pensarci fin da ora? Tra tre giorni saremo nuovamente ad Atlanta. Ci penserai tra tre giorni. Non muore nessuno se ti godi un po’ di serenità e divertimento per – fece un conto con le mani – circa settantadue ore o mi sbaglio?”
“Hai ragione”
“Lo so – sorrise contenta – perciò, non pensarci!”
“D’accordo”
“E ora – si alzò e mi tese la mano – lavati la faccia e seguimi. Abbiamo una città da visitare” mi fece l’occhiolino e uscì dal bagno.
Feci come mi aveva detto.
 
POV Ian
Mi sedetti sul letto di Paul, non smettendo di muovere la gamba sana.
Sospirai lasciando le stampelle da parte e stringendo i pugni.
“Non fare quella faccia da film drammatico, ti scongiuro, Ian” Paul catturò la mia attenzione con il suo tono ironico, enfatizzato dal roteare degli occhi.
Voleva smorzare l’agitazione.
Accennai un sorriso.
“Sono solo preoccupato”
“Ha solo rigettato un po’ di cibo, non si muore mica per queste cose!”
“Lo so, ma prima di scendere nella hall stava bene – ripensai ai baci che ci eravamo scambiati, sentendo improvvisamente arrossire le guance – Benissimo” aggiunsi.
“Ma guardati, sembri una ragazzina alla prima cotta – Paul scoppiò a ridere – Comunque secondo me non stava poi così bene. Magari l’atterraggio l’ha scombussolata, ma non voleva farti preoccupare, quindiiii” prolungò la vocale, agitando la mano destra per aria con teatrale lentezza.
“E se fosse successo qualcosa mentre era nella hall?”
“Cosa, una chiamata stile ‘The Ring’? – cambiò voce, sembrando un esorcizzato – Sette giorni”.
Scoppiammo a ridere.
“Smettila, coglione, cerco di essere serio”
“Tu serio?! La battuta dell’anno” si mise a braccia conserte.
“Lasciamo perdere – lo guardai mentre sorrideva divertito – Magari le è successo qualcos’altro”
“Ian, accetta il fatto che sei l’incarnazione della paranoia. Ti prego, fallo e vai avanti” mi diede una pacca sulla spalla.
“E’ permesso?” dissero due voci femminili in coro, mentre la porta si apriva.
Mary e Nina varcarono la soglia sorridenti.
Presi le stampelle e scattai in piedi, andando loro incontro.
“Hai ripreso colore in viso! – dissi sollevato – Come ti senti?” chiesi apprensivo.
“Meglio” rispose, continuando a sorridere.
“Ne sei sicura?” mollai una stampella a terra e le carezzai la guancia.
Era liscia e calda.
Mary chiuse gli occhi a quel tocco, annuendo poco dopo lievemente.
Non appena li riaprì, disse: “Allora, mete scelte?”
“Yep! – Paul si alzò dal letto e posò la cartina sul tavolo – Sono due dei luoghi più famosi e belli e pieni di vita di Parigi. Sono due luoghi che ispirano serenità e allegria. Rullo di tamburi” simulò quello strumento a percussioni battendo le mani sul tavolo.
Lo guardai di sfuggita.
Non appena mi fece cenno col capo, parlai.
“Tour Eiffel e Champs Élisée!”.
Paul fece la ola entusiasta.
“Sì! – Nina contenta strinse il pugno destro, abbassandolo un poco – Vado subito a dirlo a Joseph”
“Ma a proposito, dov’è finito?” domandai.
“E’ andato in letargo provvisorio dopo che abbiamo fatto la doccia”
“Oppure l’hai sfinito tu” Paul le fece una linguaccia.
Nina fece una faccia sconvolta e scoppiammo tutti a ridere.
Anche lei stessa, dopo qualche secondo.
“Piuttosto che fare battute per niente volgari – cominciò Nina in tono ironico – perché non vai a recuperare Torrey?”
“Perché, dov’è?” domandò Mary, guardandosi attorno.
Solo in quel momento si era accorta che non era in camera con noi.
“A fare un giretto per i negozi che si trovano nella hall. Questo vuol dire che, come minimo,  ha prosciugato tre quarti del patrimonio di Paul” risposi io, facendo una risatina.
Paul, ancora sorridente, divenne serio.
“Oh” mormorò.
Subito uscì dalla stanza, correndo disperato, come se stesse per perdere il treno.
Ridemmo nuovamente.
“Vado da JoMo, altrimenti non ci muoviamo più” Nina scosse la testa divertita e uscì anch’ella dalla stanza.
 
“Perché dobbiamo farlo?” dissi, guardando con la coda dell’occhio la fotocamera interna del mio Iphone.
“Perché non sono mai stata qui. E poi perché è praticamente il nostro primo viaggio insieme. Certo, tu stai lavorando, ma che importa? Siamo a Parigi. Siamo insieme. E questi ricordi devono essere catturati, così potremo guardarli e riguardarli sempre e lasciarci scappare un sorriso. E potremo avere una bella memoria di questi giorni. Ho detto abbastanza? Perché potrei”.
La interruppi, baciandola.
Quando le nostre labbra si separarono, fecero un po’ di rumore.
“Continuare” Mary finì la frase con un filo di voce.
“Era un modo per dirti ‘ok, tutto chiaro’” sorrisi.
Mary ricambiò il sorriso e mi strinse a lei, tenendo contemporaneamente il telefono.
“Lo capisci che quel gioiellino potrebbe caderti da un momento all’altro? Dallo a me” la guardai.
“Nah, sono brava! E poi come dovresti tenerlo se hai le stampelle in mano? Lascia fare a me” alzò le spalle e sorrise, ostentando la sua superiorità.
Scossi la testa divertito, poi mi soffermai nuovamente a guardarla.
Guardava a destra, a sinistra e in alto velocemente. I suoi occhi brillavano, mentre ammiravano una Parigi solare, piena di vita.
“Ci credi, amore? Siamo sotto la Tour Eiffel! Che bello!” sorrise esaltata, spostando un po’ il telefono verso l’alto, per inquadrare meglio quel monumento, che aveva rubato il cuore a milioni di turisti.
“Lo è davvero! Vieni qui – i nostri volti si avvicinarono e ci baciammo – Che ne dici se saliamo? La vista è mozzafiato da lassù”
“Sìììì – urlò eccitata e guardò verso l’obiettivo della fotocamera – Ian mi porta sulla Tour Eiffel! E’ bello da dire. Tour Eiffel. Ha un bel suono” rise e staccò il video.
Risi con lei, poi ci incamminammo verso gli ascensori, che ci avrebbero portato in vetta.
 
POV Nina
“Siete pronti per ordinare?” chiese il cameriere gentilmente in francese.
“Ehm, ancora no. Potrebbe passare tra un po’? Stiamo aspettando due persone” rispose Paul, un po’ mortificato.
Non appena il cameriere se ne andò, Paul cominciò a tamburellare le dita sul tavolo.
“Ma si può sapere dove sono finiti? Dovrebbero essere già qui” borbottò.
“Paul, caro, calmati. Mary è a Parigi per la prima volta, sicuramente è voluta restare di più in cima alla Tour Eiffel. Non spazientirti”
“Ha ragione Torrey. Sono certa che arriveranno presto” sorrisi a Paul, poi mi voltai a guardare l’ingresso del ristorante.
Forse stavano ritardando davvero per via della Tour Eiffel, tuttavia la mia mente non riusciva a smettere di pensare a quella telefonata, a quell’avvocato.
Che Mary avesse vuotato il sacco?
“Niki? – mi chiamò Joseph, facendomi tornare con i piedi per terra – Tutto ok?”
“S-sì, sto benissimo! Solo che ho – esitai un momento, cercando di trovare una scusa per il mio essere sovrappensiero – ho dimenticato di chiamare mia madre. Meglio se lo faccia subito”.
Detto questo, mi alzai e mi allontanai dal tavolo.
Stavo per chiamare Mary, chiederle se lei e Ian avessero parlato, quando mi ritrovai Joseph davanti.
“Che c’è?” chiesi, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
“Non mi bevo la chiamata a tua madre”
“Come mai? E’ vero!” agitai l’Iphone in aria.
“L’hai chiamata prima di uscire dall’albergo. Ecco perché”
“Oh. Beccata” risi nervosamente.
“Allora, che succede?” Joseph incrociò le braccia.
Cominciai a battere il piede, guardando a destra e a sinistra, fin quando Joseph non mi prese il volto tra le mani, costringendomi a guardarlo.
“Allora?”
“Eccooo… diciamo che Mary mi ha confidato una cosa che al momento non si sente di dire a Ian e io non so per quanto potrò mantenere il silenzio stampa”
“Oh mio Dio, è incinta, vero? Per questo ha vomitato! Ma certo, tutto chiaro! Oh, Smolder papà” Joseph cominciò a esaltarsi.
“No, no, Mary non è incinta. Che io sappia – corrugai lievemente la fronte, poi scossi la testa – Il segreto è un altro”
“Sputa il rospo”
“JoMo, non tentarmi. Non posso”
“E’ una cosa grave?”
“Non so dirlo”
“Niki, prometto di non dirlo a Ian. Anzi, a nessuno. Però parla, non posso vederti così pensierosa e preoccupata” i suoi occhioni azzurri mi fecero sciogliere.
“Mary ha ricevuto una chiamata in hotel da parte di un avvocato”
“Avvocato? E’ stata denunciata?”
“No, l’avvocato d-di Valerie, la donna che ha provocato il loro incidente” conclusi la frase con un filo di voce.
“Ah. E che voleva da lei?”
“Le ha comunicato il desiderio di Valerie, cioè vedere lei e Ian per parlare. Mary non sa come dirlo a Ian, perché, beh, si sta ancora riprendendo e” non continuai più la frase, abbassando lo sguardo.
“E quindi ora tu pensi che stanno ritardando perché lei ha deciso di dirglielo?”.
Annuii.
“Nah, non credo. Non la conosco benissimo, ma credo che non gli rovinerebbe mai questi tre giorni”
“Io le ho consigliato di dirglielo quando si torna ad Atlanta”
“Buon consiglio. In questi tre giorni ci si deve solo divertire e rilassare. E lavorare per noi, ma dettagli. Il resto fuori da Parigi” mimò il gesto con le mani.
“Già”
“Anche la tua preoccupazione, mia cara” sorrise.
“D’accordo” ricambiai il sorriso.
Stavamo per baciarci, quando una ragazzina si schiarì la voce.
La guardammo.
Aveva i capelli corti, castani, e ci osservava con due grandi occhi azzurri.
Poteva avere massimo undici anni.
“Scusate, i-io – esitò, rossa in volto – siete Nina Dobrev e Joseph Morgan?” disse in inglese timidamente.
“Sì, siamo noi” rispondemmo insieme.
“Potrei fare una foto con voi? Io amo The Vampire Diaries e” non continuò la frase, abbassando lo sguardo.
“Ma certo” sorridemmo.
La ragazzina, entusiasta, sorrise a trentadue denti e, preso il suo cellulare, scattò una fotografia con la telecamera interna.
“Gr-grazie” balbettò.
“Ehi, come ti chiami?” chiese Joseph, abbassandosi alla sua altezza.
“I-io? Grace”
“A presto, Grace” Joseph le diede un bacio sulla guancia.
La ragazzina lo guardò sorpresa, poi mormoro ‘A presto’ e corse da sua madre.
“Sei dolcissimo” dissi, carezzandogli il volto.
“Le tue labbra di più” rispose malizioso, strappandomi un bacio.
“Ragazzi! Ehi!” sentii una voce femminile gridare.
A malincuore mi distaccai dalle labbra di Joseph e guardai l’altro lato della strada.
Mary si stava sbracciando, mentre Ian scuoteva la testa, reggendosi sulle stampelle.
Non appena attraversarono la strada, ci vennero incontro.
“Finalmente vi abbiamo trovati – disse Mary, piegandosi sulle ginocchia – Ian pensava che foste andati in un altro ristorante” gli lanciò un’occhiataccia.
“Beh, per discolparmi posso dire che non li avremmo mai persi se tu ti fossi scollata prima dalla vetta della Tour Eiffel” le fece una linguaccia.
“Mi sarei scollata volentieri se solo tu ti fossi scollato prima dalle mie labbra” ricambiò la linguaccia.
Ian alzò gli occhi al cielo.
Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere.
“Andiamo dentro, bambini, su, così vi diamo la pappa e vi calmate” disse Joseph con voce paterna, come se stesse parlando davvero a dei bambini, facendomi ridere di più.
“Prendete pure in giro, ma bravi” Mary rispose, scuotendo la testa amaramente.
Subito dopo sorrise.
Entrammo tutti insieme.
 
POV Ian
“Qualcun altro ha domande per i nostri beniamini?” disse la nostra traduttrice ai fans, che erano in sala.
“Io avrei una domanda” disse una ragazza in prima fila.
Dalla voce sembrava irlandese. Aveva i capelli lunghi, lisci e neri. Gli occhiali e l’apparecchio. Sedici anni al massimo.
“Ok – la traduttrice sorrise – Passatele il microfono”.
Non appena la ragazza prese il microfono tra le mani, la traduttrice disse: “A chi vuoi fare la domanda?”
“In realtà non è una vera e propria domanda. E’ più una cosa che ho da dire”
“A chi?”
“A Ian”
“Dimmi, piccola” mi intromisi, sorridendole.
“Io volevo semplicemente dire che – la sua voce, improvvisamente s’indurì – che non puoi competere con Paul, così come Damon non può competere con Stefan. I due ruoli sono completamente diversi! Stefan è così romantico e premuroso! Damon sa solo uccidere la gente e far soffrire tutti. Come può Elena anche solo stargli vicino? C’è qualcosa sotto, vero? Magari un incantesimo, perché la vera Elena, quella che abbiamo conosciuto nella prima stagione, odia Damon e ama Stefan. Il loro amore è epico e non finirà mai. Quindi, Damon non esiste. Il Delena non esiste. Dovevi perire in quell’incidente, così anche Damon si sarebbe finalmente tolto dalle scatole!”.
Spalancai la bocca, incapace di rispondere.
Cercai di calmare i bollenti spiriti e di trovare una risposta gentile e matura.
Una cosa come ‘Non si può piacere a tutti’.
Stavo per parlare, quando sentii un rumore strano, come se delle tende fossero state aperte.
Spalancai gli occhi e guardai la donna di fronte a me.
Mary era uscita fuori ed era sul palco.
E sembrava incazzata nera.       
 
POV Mary
“Dovevi perire in quell’incidente, così anche Damon si sarebbe finalmente tolto dalle scatole!”.
Avevo ascoltato quel breve monologo a pugni stretti, ma queste parole erano state il colpo di grazia. Come si permetteva un’adolescente a dire queste cose davanti a tutti? Cose comunque non di certo leggere, ma delicate e di un grande peso.
Cercai di resistere il più possibile alla mia voglia di uscire allo scoperto e dirgliene quattro, ma non riuscii a trattenermi a lungo.
Mi alzai dallo sgabello, su cui ero stata appollaiata fino a poco prima, scostai la tenda che mi divideva dal palco e mi catapultai fuori.
Esattamente davanti a Ian.
“Chi ha parlato?” chiesi seria, con tono secco.
La ragazzina insolente sventolò il microfono.
“Di solito sono una persona che sa controllarsi. Di solito. Oggi, tuttavia, non è questo il caso. Deve essere divertente piombare qui, a soli sedici anni, credo, e realizzare il tuo sogno di vedere i tuoi idoli. Contenta per te, davvero, ma – mi arrestai, sottolineando quel contrastivo – di certo non lo è dire determinate cose a una persona. Numero uno: dici di amare Stefan. Sai che, però, Stefan ama suo fratello? E viceversa? Ora, con quale bel faccino vieni qui a sperare nella morte della persona che Stefan ama di più al mondo? Che ama più di Elena? Questo, mia cara, vuol dire non guardare bene e attentamente uno show televisivo; vuol dire essere superficiali su un rapporto di fratellanza intenso e meraviglioso, che ci regala momenti così forti, da lasciarci senza parole; vuol dire non aver capito un tubo del messaggio che i produttori vogliono trasmettere con questo rapporto. Numero due, molto più importante: conosci la differenza tra la realtà e la finzione? Perché Damon, Stefan e tutti gli altri sono personaggi inventati. Frutto di una fantasia simpatica. E questi signori che vedi qui, seduti su questo palco, che parlano dei loro personaggi e un po’ anche delle loro vite, che sorridono, che vi adorano, che hanno sempre tempo per donarvi una foto o un autografo, si chiamano attori. Loro recitano le parti di questi personaggi fittizi. Ora, secondo te, desiderare che una persona vera muoia in un incidente solo per non averla in mezzo ai piedi in un telefilm, è essere sani di mente? A mio parere no. Hai voluto esprimere una tua opinione. Hai fatto benissimo. Si deve dire ciò che si pensa, è vero, ma si deve sempre ricordare che non bisogna confondere la libertà di pensiero e di parola con la libera facoltà di sparare cazzate. Quell’incidente non può essere nominato, perché reale. Non può essere nominato, perché è stato un evento delicatissimo, che poteva costare la vita, quanto a Ian, quanto a me. Perciò chiudi la bocca e distingui la prossima volta. Lieta di averti conosciuto” conclusi sorridendo e tornai dietro le quinte, rossa in volto.
 
“Perché non riesco a tenere mai la bocca chiusa?” mugugnai, picchiandomi la fronte con il pugno destro.
“Perché, quando non ti controlli, sei una donna istintiva e meravigliosa? – Ian sfoggiò un sorriso a trentadue denti, ma non mi fece stare meglio – Dai, non ci pensare. Hai fatto e detto quello che ritenevi giusto. Non è stato un errore. Certo, l’hai detto di fronte a tantissime fans che già”
“Che già mi odiano, quindi devo aspettarmi un attentato terroristico sull’aereo. Vi consiglio di non imbarcarvi” sorrisi sarcasticamente per un attimo, guardando non solo Ian, ma anche Nina, Joseph, Paul e Torrey.
“Smettila. Presto tutti dimenticheranno questo… mmmm… definiamolo episodio” Ian annuì lievemente, cercando di convincermi.
“Non per alimentare chissà quale fuoco, ma io non ne sarei tanto sicuro” disse Paul, cercando di trattenere le risate.
“Perché?” lo guardai, alzando un sopracciglio.
“Beh, qualcuno deve averti ripreso, perché sei su Youtube! E questo video sta praticamente inondando Twitter” agitando il suo Iphone.
“Cosa?!” strillai, afferrando il suo telefono e scorrendo le sue notifiche di Twitter.
“Chissà, magari diventi pure un trend mondiale” Paul non riuscì più a resistere e scoppiò in una fragorosa risata.
“Non posso crederci! – sbarrai gli occhi, diventando rossa – Posso trasformarmi in struzzo all’istante?”
“Non credo che ti salverebbe da questo” Paul continuò a ridere, scuotendo la testa.
“Ian, sotterrami da qualche parte, ti imploro!” lo guardai, facendo il labbruccio.
“Tesoro, non potrei mai! Considera tutto questo come una sorta di rito di iniziazione! Ora sei ufficialmente accettata, nel bene e nel male, diciamo”.
Sbuffai e andai a comprare una bottiglietta d’acqua al bar dell’aeroporto.
Mancava poco all’imbarco effettivo, ma non potevo aspettare che decollassimo.
Ero troppo nervosa.
Strano, anzi, che non stavo comprando alcolici.
O patatine e dolci.
“Grazie” dissi al barista in francese.
“Di niente” mi sorrise.
Non appena uscii dal piccolo locale, trovai Nina ad aspettarmi.
“Posso dirti una cosa?” chiese, accennando un sorriso.
“Certo”
“Non ti preoccupare. Quello che hai fatto, a mio parere, può solo far bene alla tua figura. So che ti piacerebbe restare nascosta agli occhi degli altri, ma comunque vivere la tua storia. E credimi se ti dico che lo capisco. Purtroppo, però, non è possibile. Avere una storia con qualcuno del nostro mondo non è facile, ma te la stai cavando davvero bene. Certo, forse potevi moderarti un pochetto, ma è anche vero che parlare di quello che avete passato non è stato per niente di buon gusto. In fondo, solo chi ha vissuto la paura di quel giorno può capirlo. Perciò, non vergognarti. Sii fiera di quello che hai detto. Ecco, l’ho detto”
“Nina – la guardai commossa, poi la abbracciai – Grazie. Davvero. Non sai quanto vogliano dire per me queste tue parole!”
“Credo di saperlo. Ti voglio bene” mi strinse.
“Anche io”.
 
Entrai nella stanza che mi aveva indicato l’infermiera.
Era molto accogliente, con un’ampia finestra che dava sulla spiaggia. Tende bianche oscillavano per il vento. A parte loro,  niente si muoveva.
Ma dov’era?
Feci qualche passo incerta e mormorai: “Valerie? Sono Maria Chiara. F-floridia” finii la frase balbettando.
Non rispose nessuno. Mi voltai per andarmene, ma me la ritrovai davanti.
I capelli biondi lasciati mossi sulle spalle.
Gli occhi azzurri splendenti, ma nonostante ciò sempre inquietanti.
Distolsi lo sguardo, che ricadde sulle sue mani.
Deglutii con forza, mentre cercavo di non pensare a loro che, più di due mesi prima, avevano tenuto saldamente una pistola contro di me.
“E’ venuta” disse Valerie con tono spento.
“S-sì. Il suo amico avvocato mi ha detto che voleva vedermi. Cosa posso fare per lei?”.
Strinse i denti. Restai immobile in attesa di una risposta, che non arrivò mai.
Le sue mani si chiusero a coppa sul mio collo.
Stringevano con forza. In brevissimo tempo mi ritrovai con i piedi per aria, che si agitavano. Provai a combatterla, cercando di allontanarla con le mani, ma inutilmente. Era molto più forte di me.
Cominciai a boccheggiare, mentre mi abbandonavo alla morte, fissando i suoi spietati occhi azzurro ghiaccio.
Mi svegliai di soprassalto.
“Ehi, tutto ok?” Ian mi guardò preoccupato, accarezzandomi la schiena con la mano destra.
Mi guardai intorno velocemente, prima di rispondergli.
Eravamo ancora sull’aereo.
“Sì – respirai profondamente , quasi per accertarmi che i miei polmoni stessero davvero bene – Ho solo fatto un sogno così strano” la voce mi morì in gola.
“Ah, tranquilla! Era solo un sogno. Qui ci sono io, sei al sicuro” mi baciò dolcemente.
“Si pregano i gentili passeggeri di riallacciare le cinture di sicurezza. Il volo A478, partito da Parigi, sta per cominciare le manovre di atterraggio” disse la hostess al microfono, prima in francese, poi in inglese.
“Allacciamo questa cintura” Ian sorrise.
Allacciò prima la mia, poi la sua, in modo che potessimo restare abbracciati.
“Ti senti meglio?”
“Sì, tesoro, grazie – sorrisi, stringendolo – Uh, guarda, si vede Atlanta!” indicai con un dito il finestrino.
“Siamo a casa” mi strinse.
“Già” lo abbracciai ancora, cercando di non far notare il mio turbamento.
Non appena l’aereo atterrò, mi alzai, presi le stampelle di Ian e gliele porsi, aiutandolo ad alzarsi.
“Non vedo l’ora di liberarmi di queste” le guardò.
“E impedirmi di farti da baby sitter? Crudele” sorrisi sarcastica.
Dopo essere scesi dall’aereo e aver preso i nostri bagagli, salutammo gli altri e ci dirigemmo verso l’uscita dell’aeroporto.
“Spero che John sia già arrivato, voglio tornare a casa e spaparanzarmi sul divano e non fare niente” mi disse Ian.
“Lo spero anche io! Dopo tre giorni fuori casa ci vuole proprio un po’… un po’ di casa”.
Mancava poco all’uscita, quando due ragazzine ci fermarono.
Una era mora con gli occhi verdi, l’altra bionda con gli occhi castani.
Potevano avere al massimo quattordici anni.
“Tu sei Ian Somerhalder, vero?” disse la mora, con lo sguardo pieno di speranza.
“Sì, piccola, sono proprio io” Ian rivolse a entrambe uno dei suoi splendidi sorrisi.
“Oh mio Dio! – il volto della seconda ragazzina si riempì di gioia – Possiamo chiederti una foto?”
“Ma certo! Mary?” mi guardò.
Annuii, poi mi rivolsi alle due ragazzine: “Se mi date la vostra macchina fotografica o il vostro cellulare, posso scattarvela io”
“A dire il vero – disse la prima ragazzina timidamente – volevamo chiederti di unirti alla foto”
“Oh! – rimasi sorpresa da quella risposta – Ok” sorrisi.
La bionda diede il suo cellulare alla madre, poi insieme all’amica si avvicinò a me e Ian.
Appena il flash finì di brillare,riprese il telefono; ammirata la foto, disse timidamente: “Grazie davvero a tutti e due. Siete una bella coppia secondo noi” e se ne andò insieme all’amica.
“Che simpatiche!” le guardai, mentre si allontanavano sempre più.
“Andiamo anche noi, su” Ian riprese a camminare con le stampelle e io lo seguii, trascinandomi dietro le valige.
All’uscita trovammo John, che prese i bagagli e ci accompagnò a casa di Ian.
“Grazie mille, John. Una buona serata” gli sorrisi, dopo aver scaricato tutte le valige.
“Di niente, miss Floridia”
“Mary, mi chiamo Mary” lo ammonì sorridendo.
“Mary – sorrise, dopo aver fatto una smorfia – Una buona serata anche a voi” salì in macchina e se ne andò.
Rientrai in casa. Ian si era sdraiato sul divano.
Ovviamente.
“Come se non fossimo stati seduti per undici ore di volo” lo guardai dall’alto.
“Ma come sei spiritosa” si issò sui gomiti, fin quando non trovò le mie labbra.
Gli carezzai il volto e ricambiai. Mentre il bacio continuava, includendo le nostre lingue, si udì un brontolio. Posi fine al bacio e risi.
“Era il tuo stomaco?” lo guardai.
“Sì, lo ammetto” Ian si nascose il volto con un cuscino.
“Vado a preparare la cena allora” gli tolsi il cuscino e lo baciai.
“Il mio stomaco sentitamente ringrazia” rise e mi lasciò andare.
Spesi un’abbondante ora tra i fornelli, preparando pasti sfiziosi a base di ortaggi e cibo senza glutine.
“Spero sia di tuo gradimento, oh mio principino!” lo aiutai ad accomodarsi.
“Zucchine al forno con mozzarella. Beh, dopo tutte le ‘schifezze’ – fece il segno delle virgolette con le dita – che abbiamo mangiato a Parigi un pasto più leggero ci voleva”
“Ne sono contenta. Buona cena” sorrisi, poi cominciammo a mangiare.
Lavati i piatti, accesi il mio computer portatile e raggiunsi Ian sul divano.
“Che stai facendo?” mi chiese, mettendosi a sedere per lasciarmi un po’ di spazio.
“Devo controllare la mail, per vedere se mi hanno cambiato l’orario del turno di domani” spiegai, mentre accedevo alla mia casella di posta.
“Dopo vai su Facebook?”
“Perché?”
“Voglio vedere che succede nel mondo virtuale dei comuni mortali”
“O meglio, vuoi vedere che dicono sul nostro conto” scossi la testa divertita.
“Beccato” alzò le mani in segno di resa.
Risi e controllai che con i turni fosse tutto regolare, poi accontentai Ian ed entrai su Facebook.
Mi ritrovai ben 70 notifiche, per la maggior parte richieste di amicizia dalle fan di Ian, inviti alle pagine su Ian o su me e Ian, queste ultime in netta minoranza.
“Alla faccia. Vediamole una per una” si mise comodo.
“Come fanno a divertirti queste cose? – risi – Ricordati che non troverai chissà quali gran commenti, i tuoi fan mi odiano, specie dopo la scenata che sta spopolando sul web!”
“Non quelle due all’aeroporto”
“Due su milioni, confortante” risposi ironica.
“Apri le notifiche” cambiò discorso.
Rifiutai la maggior parte delle richieste d’amicizia, dato che erano dei curiosoni che volevano notizie sulla mia relazione.
Accettai, però, le richieste delle due ragazzine all’aeroporto, Kayla B. e Maya Evans. Pochi secondi dopo mi arrivò un tag da parte di Kayla. Guardai Ian, poi aprii la notifica.
La foto scattata all’aeroporto riempì lo schermo.
Le ragazzine guardavano l’obiettivo emozionate, con un sorriso a trentadue denti.
Ian stringeva le sue stampelle, lasciandosi accarezzare dalle due ragazzine, e sorrideva tranquillo.
Per lui il tutto era routine.
Per me no.
L’unica nota stonata in quella foto ero io. Al contrario del mio amato ragazzo, che poteva attraversare il deserto del Sahara e sembrare dopo un dio greco comunque, io sembravo un’esaurita e stremata donna comune, con i capelli a cavolo e i segni della stanchezza ben visibili sul mio viso.
Sospirai.
“Che c’è?” mi chiese Ian.
“Ma guardami! Sembro una deficiente!”
“Non è assolutamente vero. Eri appena atterrata da un viaggio lungo, normale che fossi un po’ tanto distrutta”
“E com’è che tu sembri un dio sceso in terra? Abbiamo fatto lo stesso viaggio”
“Non pensare a me!”
“Ci penso invece. Se ci metti vicini, sembriamo due opposti” abbassai lo sguardo.
“Non studiavi fisica una volta? Nessuno ti ha mai detto che gli opposti si attraggono?” mi prese il mento, facendomi riposare gli occhi sui suoi.
“Ero una capra in fisica” feci una smorfia.
“Ok, può succedere. Ma ora lo sai” mi baciò.
“Grazie per la lezione” gli risposi.
“Di niente. Ora, torniamo alla foto” Ian mi sorrise, poi guardò nuovamente il computer.
La foto era stata pubblicata insieme a una descrizione.
“Io e @Maya Evans ci sentiamo le ragazze più fortunate del mondo perché abbiamo incontrato all’aeroporto l’uomo più perfetto di questo pianeta e la sua ragazza, @Maria Chiara Floridia, dolcissima e simpaticissima. Al diavolo tutte le malelingue! Grazie per questa foto e per la vostra disponibilità J”.
Dopo questo commento, vi erano tre pagine taggate, tutte su me e Ian. Due di queste pagine avevano già commentato, così come alcune amiche delle due ragazze.
“Questa Kayla è davvero dolcissima. Che dicono i  commenti?” chiese Ian.
Scesi per leggerli meglio.
“Allora, alcune sue amiche scrivono che sono state molto ma molto fortunate ad averti incontrato così casualmente e che avrebbero voluto conoscere anche me per vedere di presenza che tipo fossi – premetti la freccia rivolta verso il basso per continuare – mentre le pagine su di noi hanno scritto che confermano che siamo una bellissima coppia e che vorrebbero incontrarci di presenza. E che ci adorano” finii la frase con una punta di superbia.
“Ma guardati, ti metteresti persino a saltellare in questo momento” mi sorrise.
“Beh, sì, lo ammetto. Mi fa piacere che esistano persone che non mi conoscono e che non mi giudichino male, nonostante ciò”
“Chi ti giudica male imparerà ad amarti come fanno già queste persone” mi baciò la guancia sinistra.
“Che non sono più di dieci per pagina”
“Dieci per tre fa trenta” mi fece notare.
“Ma magari sono sempre le stesse persone – feci una smorfia, ironica, poi risposi a Kayla – Siamo felici di aver reso te e @Maya Evans così contente. E’ stato un bell’incontro! J un bacio da me e Ian :* - scrissi – Va bene?” lo guardai.
“Perfetto. Invialo”.
Premetti il tasto ‘invio’.
“La tua sete di auto-gossip è finita adesso?”
“Sì, credo – rise – ma ormai completiamo il tuo giro di notifiche”.
Selezionai come ‘già lette’, tutti gli inviti e i ‘mi piace’ a link, commenti e foto. Restava solo una notifica da guardare, da parte di Rose. Cliccai e si aprì la foto di una camera, piena di candele, rose e foto.
“Che stanza meravigliosa!” commentò Ian.
“E’ il soggiorno di Rose e Steve. Questa foto risale al tre Maggio dell’anno scorso” sorrisi, già commossa.
“Cos’è successo quel giorno?”.
Dopo aver guardato un’ultima volta quella foto, lessi la descrizione che Rose aveva scritto per rispondere alla sua domanda: “Esattamente un anno e mezzo fa ho trovato questo spettacolo nel mio soggiorno. Non dimenticherò mai quel giorno, così essenziale e importante per me. Grazie @Maria Chiara Floridia per aver aiutato quel pazzoide del mio futuro marito a realizzare tutto ciò. Senza il tuo aiuto, probabilmente l’anno prossimo non ci sarebbe un giorno così vitale; non ci sarebbe il giorno sicuramente più bello della mia vita. Ti voglio bene <3 ps. Per la cronaca, il mio futuro marito è @Steve Crane”
“Le ha fatto la proposta con quest’atmosfera? Wow!” gli occhi di Ian brillavano.
“Non hai la minima idea di quanto abbiamo faticato per crearla e per non farle capire niente. Il mio di soggiorno sembrava una sala per il decupage”.
Ian rise.
“Come mai non si sono ancora sposati?” mi chiese.
Mi rabbuiai un pochino, ripensando all’anno precedente.
“Mary, ho per caso detto qualcosa di male?”
“No, non preoccuparti. Inizialmente le nozze erano state pensate per il Gennaio di quest’anno. Già dal Luglio scorso, infatti, sia Rose che Steve si erano mobilitati per i preparativi, per la chiesa, che a dire il vero è ancora sconosciuta”
“Persino a te?” mi guardò incredulo.
“Sì, persino a me – accennai un sorriso – Ma alla fine furono rinviate”
“Come mai?”
“Ad Agosto, circa una settimana dopo il nostro ritorno dalla vacanza in Sicilia, Rose cominciò a stare male. Si sentiva sempre spossata, senza forze. Alla fine si scoprì che – esitai – che aveva in corso un aborto. Era il secondo che le capitava, il primo l’aveva avuto ai tempi dell’università e… beh, non se l’è sentita di organizzare il matrimonio. Era troppo sconvolta”
“Oh, mi dispiace”
“Già – abbassai lo sguardo, ma poi scossi la testa e sorrisi – Ma ora sta bene ed è più agguerrita che mai per queste nozze”
“E’ una donna forte. Come te” mi diede un bacio stampo.
“Ruffiano – ricambiai il bacio – Ora rispondo al commento, poi stacchiamo. Non voglio che ti venga qualche altra strana idea di gossip – lo guardai, poi cominciai a rispondere a Rose – Non sai quanto bene ti voglia io! E’ stato un piacere aiutarlo e poi per ben una settimana intera il mio soggiorno profumava ancora di rose bianche ahahah vi voglio davvero bene ragazzi <3 e quel giorno sarà, come dire, EPICO! :P – premetti invio – Bene, adesso mi scollego”
“No, alt! Perché non vai in una delle pagine in cui parlano di noi?”
“Ian!”
“Dai, questa è l’ultima cosa che ti chiedo per stasera, promesso. Parola di scout!”
“Sei assurdo” risi.
Andai nuovamente nella sezione notifiche e presi una pagina a caso. Guardai la bacheca della pagina e scoppiai a ridere.
“Che c’è?” Ian mi guardò.
“Guarda tu stesso” risposi a fatica tra le risate.
“Buonasera ragazze, sono io, la vostra Elena. Purtroppo stasera non potrò stare con voi, è il compleanno di mio padre, ma per farmi perdonare vi lascio questa bellissima foto scattata ai nostri Iary a Parigi. Una buona notte e spero cresciate di numero :* <3 – Ian lesse ad alta voce e rise – Iary? Ma che nome è?”
“Non ne ho la minima idea” mi calmai.
“No, io devo rispondere” mi tolse il computer dalle mani, poi cliccò su ‘commenta’.
“Ian, no, sei con il mio profilo, ti prego!” protestai, cercando di impossessarmi di nuovo del computer.
“Tranquilla, non scriverò chissà che cosa – rise, poi cominciò a muovere le sue dita sui tasti – Nome fantasioso, non c’è che dire! Una buona serata a te J un bacio, Mary e Ian – si fermò per un attimo, dopo aver inviato il commento – Forse, però, avrei dovuto scrivere ‘Iary’” rise di nuovo.
“Forse – risi anch’io – ma adesso basta!” ripresi il controllo del mio computer e uscii da Facebook.
 
“E finisce sempre con le sue mani attorno al mio collo e… beh, con la mia morte”
“Sogno strano” commentò Rose, sorseggiando il suo caffè.
“Cosa vorrà dire?” sospirai.
“Forse che hai paura di schiattare davvero stavolta direttamente per mano sua?”
“Potrebbe essere, secondo te?”
“Beh, sei quasi morta per colpa di una pallottola che ha sparato lei, poi contando quello che ha fatto a Ian… la tua paura è giustificata. Così come tu – sottolineò il pronome – sarai giustificata se deciderai di non incontrarla”
“Ma il suo amico avvocato mi ha detto che le farebbe bene vedere me e Ian. Ah, e dovrei dirlo a Ian” mi presi il volto tra le mani.
“Non gli hai ancora detto niente?”.
Scossi la testa.
“Mary! – mi rimproverò – Ricordi la promessa?”
“Lo so, e mi sento in colpa per questo, però… Ian ha dovuto portare il busto per un mese pieno, ha avuto controlli cerebrali fino allo sfinimento, ha ancora le stampelle, non ha ancora finito del tutto la sua riabilitazione post-incidente… al momento non può lavorare, escludendo la convention di Halloween a Parigi. E’ vivo e non ha lesioni cerebrali, né spinali, né respiratori davvero per chissà quale miracolo. Secondo te come reagirebbe se gli dicessi ‘Ehi, tesoro, la tizia che ti ha investito e mi ha sparato ci vuole vedere per, così dice, scusarsi. Ci stai?’”
“Magari accetta!” Rose finì il suo caffè.
“Non lo so” mormorai.
“Mary, tesoro, so che vuoi proteggerlo e so anche che, se fosse stato lui a ricevere questa chiamata, avrebbe esitato a parlartene per proteggere te. Avrebbe fatto la stessa cosa; con la differenza, però, che lui, nonostante la paura, alla fine ti avrebbe detto tutto. Dopo un giorno. Massimo due. Devi dirglielo, non puoi tenerlo all’oscuro. Sono passati quattro giorni”
“D’accordo” annuii.
“Ora andiamo a lavoro, su” mi sorrise.
Ci alzammo dagli sgabelli del bar e ci dirigemmo verso la zona per il ritiro delle analisi.
Improvvisamente vedemmo Steve correrci incontro, tutto affannato.
“Amore, che succede?” Rose gli si avvicinò, con gli occhi colmi di preoccupazione.
“Grandi notizie, amore mio: il sacerdote ci ha dato l’okay! Ci sposiamo a Santa Fe. Il venticinque Gennaio è confermato” nonostante Steve fosse stanco per la corsa, sfoderò un sorriso a trentadue denti, pieno di gioia.
“Davvero?! Ah, che splendida notizia” Rose gli gettò le braccia al collo, poi lo baciò.
“Santa Fe? Che mi sono persa?” chiesi confusa.
“Santa Fe è una città che si trova tra la California e l’Alabama, più o meno. Così non avvantaggiamo nessuna delle nostre famiglie, facendo automaticamente offendere l’altra – Rose sorrise – E poi lì c’è una chiesa molto speciale”.
Notando sicuramente la mia espressione ancora confusa, Steve raccontò l’aneddoto: “Era l’estate tra l’ultimo anno di università e il primo anno di tirocinio, perciò il duemilanove. Giusto?”.
Rose annuì.
“Bene. Io e Rose stavamo insieme da quasi un anno e la stavo portando a conoscere finalmente i miei genitori ed era molto agitata.  L’auto si fermò a Santa Fe e l’agitazione di Rose aumentò, fin quando non ci ritrovammo casualmente davanti a una chiesa, la cattedrale di Saint Francis. Entrammo e assistemmo a una messa. All’uscita, Rose era completamente rilassata”
“E il primo incontro con i miei suoceri andò benissimo. Ecco perché ho scelto quella chiesa come luogo dove coronare il mio sogno d’amore. Ah, ora finalmente possiamo stampare gli inviti!”.
Steve baciò Rose sulla guancia. I loro occhi brillavano.
“Ragazzi, sono così felice per voi” li abbracciai, un po’ goffamente.
L’abbraccio fu interrotto dal mio cercapersone.
“Si va definitivamente a lavoro” staccai il cercapersone, li lasciai e mi diressi al pronto soccorso.
 
“Sono a casa” dissi, richiudendo il portone.
“Ehi, amore” Ian si voltò e mi guardò.
Era sdraiato sul divano.
Di nuovo.
“Tu e il divano avete una relazione amorosa? – chiesi ironica e Ian rise – Tesoro, sei raggiante oggi” sorrisi e mi avvicinai, alzandogli accuratamente le gambe e ponendole sulle mie ginocchia.
“Anche tu. Che succede?”
“Beh, devo dirti che il venticinque Gennaio mi servi”
“Per?”
“Sarai il mio accompagnatore”
“Uh, dove mi porti?”
“Al matrimonio dell’anno” sorrisi.
“Vuoi dire che”
“Mh mh – annuii – Rose e Steve hanno vuotato il sacco: venticinque Gennaio duemilaquattordici, Santa Fe. Una data, un luogo, un amore, un unione” parlai fiera.
“Sembri la testimonial di una pubblicità – rise – Signorina Floridia, le farò da accompagnatore molto volentieri” sorrise.
“Ne sono contenta. La gamba come va?” cominciai a massaggiargli delicatamente la coscia sinistra.
“Oggi va lievemente meglio. Forse la fisioterapia sta cominciando a dare i suoi frutti”
“Allora smetto di far lavorare le mie dita” mi fermai.
“Non intendevo questo”.
Ian si mise a sedere, un po’ a fatica, e toccò le mie mani.
Le mie dita avvertirono una scossa elettrica. Le nostre labbra si avvicinarono meccanicamente, attrattesi a vicenda. Prima che si toccassero, però, lo fermai.
Rose aveva ragione.
Non potevo e non dovevo lasciarlo all’oscuro.
“Ian, ti devo parlare” sospirai.
“E devi parlare proprio ora?” mormorò, guardando intensamente le mie labbra.
Mi desiderava.
Deglutii, provando con tutte le mie forze a resistergli.
“S-sì, d-devo” balbettai.
“Ti do cinque secondi, prima che la mia bocca si unisca alla tua. Poi, potrai parlare solo dopo le ‘coccole’ – fece le virgolette, sorrise malizioso e guardò il suo orologio da polso – Vai”
“Mentre eravamo a Parigi, mi è arrivata una chiamata da un avvocato, che si è rivelato amico di Valerie, che sarebbe la donna che ti ha investito e mi ha sparato” dissi tutto d’un fiato.
















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Note dell'autrice:
http://24.media.tumblr.com/tumblr_m4oux8ycXA1qlx6t0o1_250.gif
ahahahahahaahh
Tralasciando il tempo IMMANE che è passato dall'ultimo capitolo pubblicato, ecco qua il 5, tanto atteso! Mi scuso davvero tanto, ma tra test ed esami di stato, trovare il tempo per scrivere questo capitolo è stato davvero difficile :(
Allora, eravamo rimasti alla chiamata ricevuta da Mary. Ci siamo ritrovati con Parigi, Niseph, Iary (xD), ma soprattutto tanti momenti di amicizia. Personalmente non credevo fosse possibile un rapporto del genere tra Mary e Nina, non l'avevo programmato. Ma, boh, le loro scene escono fuori spontanee. Come se si scrivessero da sole. Ecco perché mi piace tanto la loro amicizia! :)
Come, d'altronde, amo pure il rapporto tra Mary, Rose e Steve! <3
Mary ha vuotato il sacco.
Che reazione avrà Ian?
Lo scoprirete presto, credo che non passerà più tutto questo tempo di stacco.
Spero, nonostante il ritardo, che abbiate potuto ugualmente apprezzare.
Ringrazio per le recensioni e per chi ha messo la storia tra le seguite/ricordate/preferite.
Ma anche chi legge silenziosamente. Nel suo piccolo è importante, Ovviamente! u.u
Non so più che dire, se non rinnovare nuovamente le mie scuse :(
E invitarvi al piccolo gruppo che ho creato su fb per questa piccola storia: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Vi aspetto!
Alla prossima <3
Mary :*

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Capitolo 7
*** We'll be there for you. ***


POV Ian
“Cosa? E cosa voleva?” sgranai gli occhi allibito.
“Come ho detto, è un suo amico e mi ha chiamato per conto di Valerie. Mi ha detto che dopo l’incidente è stata portata in una clinica e così ha potuto curarsi. Ora, diciamo che le servirebbe il nostro aiuto”
“Vale a dire?”
“Nel processo di guarigione, spesso e volentieri, i dottori consigliano di parlare con le ‘vittime’. Più precisamente di scusarsi per il male che hanno causato loro”
“Ah, quindi lei vorrebbe che noi andassimo fin lì per sentire le sue scuse?”
“Sì” Mary annuì, sottolineando la risposta.
Strinsi i pugni.
“Quando è arrivata questa telefonata?”
“Il primo giorno. Il tizio della hall mi ha raggiunta al bar e poi mi ha accompagnata al telefono”.
“E poi sei tornata in camera e sei stata male”
“Già. E’ che… mi ha sorpresa. Parecchio”.
Scossi la testa, incredulo, ripensando alla discussione che avevo avuto con Paul quel giorno.
La telefonata stile ‘The ring’!
“Questo è… è troppo” dissi, un po’ amareggiato, alzandomi dal divano.
Recuperai una stampella e andai verso l’ingresso della casa.
Presi la giacca che era appesa sull’attaccapanni e cercai l’accendino.
“Ian, che stai facendo?”
“Ho bisogno di uscire. E di fumare. Decisamente di fumare – la voce mi tremò – Perché tu non imparerai mai, vero?” mi voltai, bloccando con lo sguardo ogni suo tentativo di avvicinarsi.
“Per favore, calmati”.
La ignorai, mentre mandavo un messaggio con l’Iphone.
<< John, cortesemente potresti venire a casa di Mary? Non posso ancora guidare e devo andare da una parte. Grazie in anticipo >>.
“A chi stai scrivendo? Ian!”
“Mary, non posso calmarmi! Mi hai tenuto all’oscuro di questa cosa per cinque giorni. Perché non me l’hai detto prima?”
“Non volevo rovinarti la convention”
“E? Sento che questa frase continua”
“E volevo proteggerti”
“Proteggermi? E da cosa, se mi posso permettere di chiedere?”
“Lei ti ha investito. Sei vivo e sei riuscito a riprenderti quasi del tutto per chissà quale miracolo. Come potevo dirti una cosa simile?”
“Mary, dimentichi il fatto che quella donna ha sparato a te. Non sono stato solo io una sua ‘vittima’” feci le virgolette.
“Hai ragione, ma”
“Niente ‘ma’. Avresti dovuto mettermi al corrente di tutto ciò, non appena messo piede su territorio americano. Mi spiace, Mary, ma hai sbagliato”.
Vidi dei fari riflettere la loro luce sulla finestra.
“C’è John, perfetto” mi accesi una sigaretta e infilai la giacca, reggendomi su una stampella.
“Ian, dove credi di andare?”
“Non sono affari tuoi”
“Oh, io credo proprio di sì”
“No. Non sei riuscita nemmeno a mantenere la promessa che mi hai fatto” borbottai, chiudendo il discorso in quel modo.
Aprii il portone di casa.
“Bravo, va’ pure! Adesso chi è quello che scappa? Eh, Ian?” mi urlò Mary, poco prima che mi chiudessi il portone alle spalle.
Salii in macchina.
“Dove siamo diretti?”
“Roulotte”.
John partì.
“Ma come diavolo ha potuto nascondermi una cosa simile?” pensai, guardando con la fronte corrucciata fuori dal finestrino, mentre ci allontanavamo sempre di più dalla casa di Mary.
“Signor Somerhalder?” mi chiamò John.
“Sì?” distolsi lo sguardo dal panorama e guardai il mio fidato autista.
“Posso chiederle perché lei e Mary avete litigato?”
“Noi non – cercai di pararmi il sedere, ma era inutile; John capiva sempre tutto – Mi ha nascosto una cosa, che non doveva nascondere”
“E quindi ora si rifugia in mezzo ai boschi per?”
“Ho bisogno di pensare”
“Giusto” commentò, annuendo lievemente con la testa.
Non fiatò per tutto il resto del viaggio. Quando arrivammo alla mia roulotte, lo ringraziai per il passaggio e andai dentro.
Com’era accogliente e serena! Si sentiva solo il fruscio delle foglie.
Sospirai, sedendomi sul letto.
Istintivamente presi l’Iphone e scrissi un messaggio a Mary.
<< Scusa per la scenata. Sono alla roulotte. Dammi solo un po’ di tempo per pensare. Ti amo, sempre e comunque >>.
Non riuscii a premere invio.
Era più forte di me.
Dannato fottutissimo orgoglio!
Cancellai il messaggio e scrissi un tweet, mentre accendevo un’altra sigaretta. Almeno indirettamente avrebbe ricevuto ugualmente il messaggio.
 
POV Mary
“Addio coccole! – borbottai incacchiata, tornando a sedere sul divano – Lo odio quando fa così” sbruffai, accasciandomi sulla parte libera del mobile.
Afferrai distrattamente il telecomando e cominciai a fare zapping. Avevo appena trovato un episodio replica di ‘Once upon a time’, quando il cellulare trillò. Lo presi dal tavolinetto su cui era appoggiato e controllai chi fosse. Era una notifica di twitter. Ian aveva appena scritto un tweet. Cliccai e lo lessi: << Sto per lasciare il telefono Dio solo sa dove. Solo gli alberi stanno a sentirmi… e spero anche tu. Ci risentiamo tra un paio di giorni, twitterverse. #tempodipensare >>.
Gettai il telefono dall’altra parte del divano.
Ah, se l’avessi avuto davanti una sberla non gliel’avrebbe tolta nessuno!
Mi portai le ginocchia al petto, pensando a cosa diavolo potessi fare.
“Lasciagli il suo tempo” pensò una vocina nella mia testa.
“Oppure vai alla roulotte e digliene quattro” replicò una seconda.
“No, si arrabbierebbe. Lasciagli i suoi spazi”
“Ma perché lui si può arrabbiare un giorno sì e l’altro pure e tu devi startene seduta su un divano a incassare colpi, peggio di un pugile incapace? Non è giusto. Queste cose si dovrebbero risolvere all’istante. L’estate non ha insegnato niente?”.
Mi presi il volto tra le mani, massaggiandomi le tempie e mettendomi a pancia in su.
C’era più confusione nella mia mente che in una piazza del mercato.
Ripresi il cellulare e andai sul mio profilo, cliccando poi su ‘Scrivi un tweet’.
<< Once upon a time. Pizza. Birra. La serata perfetta >>.
Lo guardai, un po’ indignata, e lo cancellai.
Non potevo fare il suo stesso gioco. Non eravamo adolescenti con gli ormoni sballati, eravamo adulti e dovevamo comportarci in modo più maturo. Perlomeno avremmo dovuto.
Anzi, avrebbe dovuto!
“Ian Joseph Somerhalder, non so che ti farei in questo momento! E ora mi è pure venuta voglia di pizza e birra!” brontolai in italiano, spazientita.
Mi alzai e andai in cucina.
Stappai una bottiglia di birra e misi a riscaldare una pizza surgelata.
“Guardami, Somerhalder, sto facendo una cosa e non la sto scrivendo, come vivrò ora?” parlottai con voce lamentosa, non riuscendo a capire perché cavolo avesse scritto quel tweet.
Non appena il microonde trillò, segnando che la pizza era cotta, suonarono alla porta, facendomi tornare con i piedi per terra.
“Chi è?” chiesi ad alta voce.
“L’uomo nero” disse duramente.
Dopo qualche secondo si sentì una risata cristallina. Inconfondibile.
Mi diressi verso l’ingresso, mentre la donna fuori dalla porta diceva: “No, non è vero, sono Nina”.
Spalancai la porta e l’abbracciai.
“Sei una manna dal cielo!” esclamai, stringendola.
“Posso entrare o dobbiamo restare sul portico tutta la sera?”
“Oh! Certo – feci una risatina, un po’ mortificata – Prego, entra” sciolsi l’abbraccio e mi scansai, permettendole di varcare la soglia.
Aveva i capelli mossi sciolti, tenuti in ordine da una semplice fascia nera.
Indossava un paio di leggings scuri e una felpa fucsia.
“Sei reduce da un pomeriggio di palestra?”
“In realtà no, ho impiegato il mio tempo a sistemare il mio grandissimo e disordinatissimo armadio”.
Sghignazzai.
Andai in cucina, prendendo sia la birra aperta che la pizza, poi presi una birra chiusa e tornai in soggiorno.
Non appena ci accomodammo sul divano, mangiucchiando e bevendo, Nina mi squadrò da capo a piedi.
“Cosa?” chiesi incerta.
“Chi è stato stavolta?”.
Sospirai.
“Hai letto quel tweet enigmatico, vero?”
“Già, perciò ora parla”
“Gli ho detto di Valerie e se n’è uscito con un ‘Non imparerai mai’, poi con un ‘Dovevi dirmelo appena messo piede su territorio americano’ – parlai imitandolo – e poi ha fatto venire John per accompagnarlo chissà dove”
“Alla roulotte”
“Già l’ho scoperto dopo con quel tweet”
“Mmmm”
“E’ colpa mia di nuovo, vero?”
“No. Ha sbagliato lui stavolta. E’ vero che non ne hai parlato subito, ma ventiquattro ore avrebbero davvero fatto la differenza? Siete tornati ieri, in fondo. Andiamo!”
“E’ quello che penso anch’io! Me lo spieghi perché è un bellissimo coglione permaloso?”
“Semplice: perché è un uomo”
“Razza evoluta mi dicevano” feci una smorfia.
Nina scoppiò a ridere e io la seguii a ruota.
“Allora, che ne pensi di fare una serata tra donne improvvisata? Potremmo così ultimare la cena” mi propose.
“Ci sto! Dove?”
“McDonald’s?”
“Le buonissime schifezze sono proprio le cose che ci vogliono stasera – dissi, già con l’acquolina in bocca – Mi vesto e arrivo” le sorrisi e corsi al piano di sopra.
 
POV Nina
Guidai a tutta velocità con la musica a tutto volume, mentre io e Mary cantavamo a squarciagola le canzoni dei Lifehouse, specie ‘Had enough’, una tra le preferite di entrambe.
“Everytime I reach for you
There's no one there to hold on to
Nothing left for me to miss
I'm letting go, letting go of this
Lost my mind thinking it through
The light inside has left me too
Now I know what empty is
I've had enough, had enough of this”
Non appena arrivate, ordinammo e ci accomodammo. Prima di cominciare a ingurgitare i nostri cheeseburgers, la invitai a scattare delle foto.
Ne facemmo circa una decina, tra selfie e cibo.
Mentre stavo caricando un collage con le foto su Instagram, Mary mi chiamò.
“Sì?” la guardai.
“Grazie. Davvero”
“Non c’è bisogno di ringraziarmi. Lo sto facendo con piacere”
“Beh, ti ringrazio comunque” Mary sorrise e cominciò a mangiare.
Addentai il mio cheeseburger anch’io, mentre mi arrivava una notifica di Instagram.
Ian aveva messo un cuore al collage.
Scossi la testa, un po’ sorpresa, un po’ divertita.
Era davvero un pirla patentato!
“Nina, che succede?”
“Succede che penso che presto Ian ti contatterà”
“Cosa te lo fa credere?”
“Prima fa tutto il duro, fanculizzando il telefono e qualsiasi contatto con il mondo esterno e soprattutto con te, poi spulcia Instagram e mette cuori alle foto di stasera. Si è palesemente pentito della scenata che ha fatto”
“Lo spero – Mary sospirò e bevve un po’ di 7Up – Non parliamo di lui, su! Che serata tra donne è se si torna a parlare di uomini?”
“Hai ragione. In alto i calici – entrambe alzammo i nostri bicchieri di cartone – A noi e a una serata senza uomini, sia in teoria che in pratica”
“Cin cin” disse, bevendo ancora.
 
POV Mary
“Hey, I just met you
And this is crazy
But here’s my number
So call me maybe” cantai insieme alla piccola umana che avevo come paziente.
Jennifer Hogan, sedici anni.
Biondina, occhi azzurri, sbarazzina, sempre solare.
“Adoro questa canzone” disse, ridendo.
“Lo so, è per questo che la cantiamo quasi ogni volta che vengo a visitarti” la guardai, facendola ridere di più.
Scossi la testa, scoppiando a ridere anch’io, poi staccai il suo cellulare.
“Avanti, tempo di serietà. Devo vedere come stai oggi”
“Agli ordini” Jennifer fece il gesto da militare e si mise a sedere, guardandomi seria.
Presi lo stetoscopio e la auscultai, notando che respirava più a fatica.
“Da quanto hai maggiori problemi a respirare?”
“Stanotte”
“Mmmm” mormorai, riponendo l’attrezzo nella tasca del camice bianco.
“Cosa?”
“Niente. Devo prescriverti degli esami. Lo dico ai tuoi genitori e cerchiamo di farli in giornata. D’accordo?” sorrisi, cercando di rassicurarla.
“D’accordo” fece spallucce.
Le strinsi la mano e uscii dalla camera. I suoi genitori mi vennero incontro.
Si vedeva lontano un miglio che erano stremati. Avevano entrambi i capelli biondi scombinati, gli occhi gonfi, delle occhiaie profonde, i vestiti spiegazzati. Non facevano altro che dormire in sala d’attesa. Nemmeno i dormitori dei medici andavano bene per loro. Sarebbero stati troppo lontani dalla loro piccola Jen.
“Allora?” chiesero entrambi contemporaneamente.
“Beh, ho notato che il respiro peggiora. Devo prenotare una TAC”
“Mi sta dicendo che” cominciò la madre.
“Che dobbiamo controllare se per caso il tumore sta intaccando sempre di più i polmoni”
“In tal caso cosa dovremmo fare?”
“Posso provare ad aprirla e, in base alla situazione che ho davanti, a rimuoverlo, ma non posso dirlo ora con certezza. Meglio fare la TAC”
“D’accordo. Grazie dottoressa Floridia”
“Di niente. Prenoto subito. Con permesso” accennai un sorriso e andai a consegnare la cartella di Jennifer al bancone delle infermiere.
Dopo aver prenotato la TAC, andai in mensa per un caffè.
Non appena mi sedetti a un tavolo, mi ritrovai John davanti, smagliante, in divisa.
Non indossava il cappello, scoprendo così i suoi capelli brizzolati.
“Mary” mi salutò, sorridendo.
“John – dissi sorpresa – Che ci fai qui?”
“Mi chiedevo se proprio in questo momento tu fossi impegnata” cominciò a tamburellare con le dita sulla superficie del tavolo.
“Te lo chiedevi tu o l’attore tutto muscoli e orgoglio per cui lavori?”.
Mi guardò esitante per un po’.
“Il secondo” rispose alla fine.
“Bene. Sono molto impegnata al momento. Devo finire il mio caffè e fare delle analisi a una ragazzina di sedici anni, dopodiché visitare i post-operatori del mio superiore Wilson. Riferiscilo all’attore tutto muscoli e orgoglio” stavo per alzarmi, quando John mi bloccò per il polso.
“Mary, solo un’ora”
“Un’ora per?”
“Andare, parlare con lui e tornare. Non è molto”.
Lo guardai, tentennando ancora un po’, poi sbuffai.
“E va bene. Giusto il tempo di spartire queste analisi tra i miei specializzandi e avvisare il Capo. Ci vediamo all’ingresso tra dieci minuti, ok?”
“D’accordo” John sorrise e mi lasciò andare.
 
POV Ian
Erano solo le sette del mattino. Il sole era sorto da qualche minuto. I suoi deboli raggi già illuminavano sia la roulotte che la natura che mi circondava. Feci un respiro profondo, godendo appieno dell’aria fresca e pulita che entrava nei miei polmoni. Bevvi tutto d’un sorso un bicchiere d’acqua e poggiai il bicchiere sul tavolino. Guardai la sedia vuota davanti a me e sospirai.
“Presto sarai riempita. Per così dire. Almeno si spera”.
Guardai nuovamente l’orologio. Le sette e due minuti.
Guardai in alto, storcendo la bocca.
Doveva venire.
Doveva.
Un rumore mi fece distogliere lo sguardo e focalizzare sulla stradina, che conduceva alla mia roulotte.
Era l’Audi nera di John.
Sospirai di sollievo, presi le stampelle e andai incontro ai passeggeri dell’auto.
Mary scese velocemente, chiudendo lo sportello.
“Allora, sbrighiamoci, perché devo tornare a lavoro” disse seria, sorpassandomi e accomodandosi sulla sedia.
Mi voltai e tornai a sedere anche io, mentre John borbottava un ‘Vi lascio da soli’.
Non appena ci ritrovammo fronte a fronte, Mary sbottò: “Allora, Ian, hai smesso di fare il dodicenne o quest’inutile guerra fredda deve continuare? Perché è dall’altro ieri che stai qui in mezzo ai boschi a giocare al ‘Dottor Stranamore’ – fece le virgolette – e a tenere il broncio per una cosa che di per sé è ridicola. E”
“Posso dire una cosa?” la interruppi.
“No. Prima finisco di parlare. Dicevo che sinceramente questo comportamento mi ha lasciata molto amareggiata. Io capisco che ti ha dato molto fastidio il fatto di essere stato tenuto all’oscuro, ma di certo non l’ho fatto perché  l’idea mi piacesse. Inoltre, non ho preso nessuna decisione senza di te, dato che in un futuro imminente o più lontano prevedevo comunque di metterti al corrente di tutto questo. E il tuo comportarti come un adolescente in piena fase ormonale non aiuta, in queste occasioni. Non voglio continuare questo discorso, non voglio continuare a discutere, voglio solo far presente che tu hai il diritto di agire così e di arrabbiarti e di fare quello e quell’altro e io no. Perché? Davvero tu, se per ipotesi avessi ricevuto quella telefonata al posto mio, mi avresti informata subito? Perché io penso di no. Ma io non avrei reagito così. Ti avrei compreso. Quello che quella donna ci ha fatto passare è stato orribile. Come ti ho detto due sere fa, siamo vivi per miracolo, soprattutto tu. Lo sai che per la lesione che avevi al cervello potevi anche non svegliarti più? Lo sai che Steve mi ha confidato che quando ti sei svegliato era sorpreso? Perché credeva che non ti saresti più svegliato. Credeva che saresti stato un vegetale. E sinceramente lo credevo anch’io, quando ti ho visto a terra sull’asfalto, prima che – mi arrestai – Quella donna mi ha sparato a sangue freddo. Perciò, è normale avere paura, non credi? E per quanto riguarda la promessa… non sono riuscita a farlo per molto tempo. Pian piano sto capendo che ne sono capace. Tuttavia, sto ancora imparando a farlo e non me ne puoi dare una colpa. In fondo è come imparare a camminare, secondo me. Forse più difficile come cosa, perciò”.
Mary non ultimò quel monologo.
Mi ero sporto abbastanza da poterla baciare.
Lasciò che la mia lingua si insinuasse prepotentemente nella sua bocca e si intrecciasse con la sua. Il tavolino che ci separava cadde sull’erba. Poco dopo cadde anche la sedia su cui Mary era seduta.
Mi ritrovai sopra di lei, ancora preso a baciarla, avido, come se non ne avessi abbastanza. Il femore protestava e tanto, ma non potevo staccarmi da lei.
Fu, invece, lei a farlo.
“Non sarà un bacio a far smettere la guerra fredda, Ian. Per quanto sia bello baciarti” disse, guardandomi le labbra e carezzandomi una guancia.
“Mary, ho esagerato. Sono un permaloso coglione patentato. Hai ragione, anche io avrei agito al tuo stesso modo, con la differenza che tu mi avresti compreso e io non l’ho fatto. Non subito. Sono un idiota. Dovevamo parlarne subito, invece me ne sono andato. Sono scappato. Come hai fatto tu. Mi sono nascosto”
“Non posso fartene proprio una colpa, perché capisco benissimo cosa vuol dire. So che l’importante è risolvere, ma, Ian, ti supplico: promettimi che da oggi risolveremo qualsiasi cosa possa capitare nell’immediato. Per favore. Perché io non posso sopportare il silenzio tra noi. Mi fa male. E sono sicura che fa male anche a te. Ti prego”
“D’accordo. Lo prometto”
“Bene. Adesso abbiamo due promesse da mantenere”
“Già”
“Ian”
“Sì?”
“Potresti scostarti? Il tuo femore starà sicuramente imprecando in aramaico in questo momento e io stessa sono bloccata e dolorante. Stare seduta su una sedia rovesciata non è il massimo, sai?”.
Scoppiai a ridere e mi scostai, aderendo all’erba con la schiena.
“Mary”
“Sì?” rispose, mentre si alzava dalla sedia, facendo una capovolta all’indietro, e si sdraiava sull’erba accanto a me.
“Cosa sei, una ginnasta? – sghignazzai – Comunque… hai salvato il numero dell’avvocato?”
“Sì, perché?”
“Chiamalo e dì di no”
“Perché? Se Valerie vuole scusarsi” lasciò cadere il discorso.
“Mary, da ciò che hai detto prima e dal tuo tono si capisce chiaramente che non credi pienamente a queste parole. Nessuno ci assicura quali siano effettivamente le sue intenzioni. Non voglio che ti accada nuovamente qualcosa a causa sua. Perciò, decisione presa. La risposta è no”
“Ma, Ian, quest’incontro potrebbe essere un modo per avvicinarla alla completa guarigione. Anche se, è vero, lo ripeto, il solo pensiero di rivederla mi fa paura, non posso anche negare che per lei potrebbe essere un bene. Vuoi negarle tu questa possibilità?”
“Perché hai un cuore così grande? – sospirai – E va bene, dì di sì. Ma, sia chiaro, se quando andiamo lì c’è il minimo sospetto che possa accaderti qualcosa, ti prendo in spalla e ti porto via da quella clinica alla velocità della luce”
“Forse dovrei portarti io in spalla. Ti faccio notare che hai le stampelle”
“In realtà queste stampelle sono il corrispettivo degli occhiali di Clark Kent”
“Stai cercando di dirmi che sei un supereroe?”
“Beh, sì, non posso più nascondertelo” scossi lievemente la testa.
“Sei un cretino” scoppiò a ridere e mi diede una spintarella.
“Stai maltrattando e offendendo una persona debole – indicai le stampelle con un cenno del capo – vergognati. Meriteresti una lezione”
“Che tipo di lezione?” si soffermò automaticamente sulle mie labbra.
“Mmm… vediamo” feci finta di pensarci, mentre con due dita mi toccavo il mento.
Mary si avvicinò alle mie labbra, ma non riuscì a toccarle. Mi ero allontanato. Corrugò la fronte e ci riprovò, ma mi allontanai nuovamente.
“Ah ah, credo che questa lezione sia molto efficace” sorrisi.
“Sei un bambino. E sei crudele. Lasciatelo dire” mi lanciò un’occhiataccia.
“Dì pure quello che vuoi! La lezione non cambia”
“Ti stai divertendo in una maniera incredibile, maledetto”
“Io sono schiavo del divertimento” scoppiai a ridere e, con cautela, mi alzai.
Mary si alzò pure e mi recuperò le stampelle.
“Grazie”
“Prego”
“Forse è meglio che tu vada a recuperare John. Dovresti tornare a lavoro o sbaglio?”
“Non sbagli. Ci vediamo stasera?”
“Mi troverai a casa quando tornerai” le sorrisi rassicurante.
“A stasera, allora – mi diede un bacio sulla guancia – Ciao, dottor Stranamore” alzò la mano come gesto di saluto e andò a cercare John.
 
Io e Mary entrammo nella clinica con passo esitante.
L’aria calda del condizionatore ci avvolse, mandando via il freddo dell’esterno, mentre entrambi ci guardavamo attorno, come timorosi di un agguato.
L’ambiente era abbastanza accogliente, ricco di colori caldi, come l’azzurro e il color sabbia, che richiamavano il mare e la spiaggia.
Quel posto mi sarebbe piaciuto, se non fosse stato per il fatto che era una clinica per malati di mente.
Una donna, massimo di venticinque anni, con i capelli rossi avvolti in una cuffietta, ci venne incontro sorridendo.
“Il signor Somerhalder e la signorina Floridia, suppongo. Sono Vanessa” sorridendo, porse la mano prima a me, poi a Mary.
“Nicholas mi ha contattato circa una settimana fa e mi ha detto che Valerie voleva vederci” Mary parlò con tono sommesso, quasi come se avesse paura che una parola sbagliata potesse scatenare una guerra.
“Proprio così. Seguitemi, vi porto nella sua stanza” Vanessa sorrise nuovamente, poi girò i tacchi e cominciò a camminare.
Salimmo almeno quattro rampe di scale, sfortunatamente per me, prima che Vanessa si fermasse davanti a una porta marrone. Sulla porta vi era il numero duecentotredici e il nome Valerie, scritto in viola con delle rose bianche disegnate attorno.
“Eccoci qua – Vanessa aprì la porta – Se avete bisogno, vicino al letto c’è un pulsante rosso per chiamarci” detto questo, se ne andò.
“Valerie? – pronunciai quel nome incerto, mentre entravo in quella camera, con Mary al seguito – Ci sei? Sono Ian. S-somerhalder – balbettai – Con me c’è anche Maria Chiara Floridia. Il tuo amico Nicholas ci ha contattati. Ha detto che volevi vederci. Ricordi?”.
Non appena finii quella specie di monologo, il silenzio tornò a regnare in quella stanza.
Guardai Mary, la quale si strinse nelle spalle.
Che Valerie fosse uscita senza che le infermiere se ne accorgessero?
“Siete venuti davvero. Ah, ne sono felice!” un uomo con i capelli brizzolati fece capolino dal bagno, sfregandosi le mani sui jeans.
“Lei è l’amico di Valerie?” chiese Mary.
“Sono Nicholas, sì, ma… in realtà sono il fratello di Valerie”
“Non è quello che mi ha detto al telefono” sbottò.
Nicholas fece una smorfia, mentre i suoi occhi azzurri danzavano dal suo volto al mio.
“Non ho detto la verità per paura. Pensavo che mi avreste ritenuto di parte e non avreste accettato di vederla. Seguitemi, Valerie è in terrazza”.
Il suo tono era gentile, pacato.
Io e Mary ci guardammo nuovamente, prima di seguirlo.
Valicata una porta finestra, ci ritrovammo in una deliziosa terrazza, con il pavimento in terracotta e la ringhiera possente in marmo. Al centro della terrazza vi era un gazebo, sotto il quale si trovava un tavolo in vetro.
Seduta accanto al tavolo a sorseggiare un succo, vi era una donna bionda, massimo sulla trentina.
Doveva essere per forza Valerie, perché, appena si voltò mostrando i suoi occhi azzurri, Mary si irrigidì e si voltò immediatamente per non farsi vedere.
“Mary, tutto ok?” le sussurrai all’orecchio.
Annuì lievemente.
“Siete venuti. Vi ringrazio. Prego, accomodatevi” la voce cristallina di Valerie mi distolse da Mary.
Feci come mi aveva detto e mi accomodai di fronte a lei, posando le stampelle vicino alla sedia. Dopo qualche secondo, Mary ci guardò sorridendo e si sedette al mio fianco.
“Posso offrirvi qualcosa?” chiese Nicholas.
“Nichie, caro, potresti portare altro succo!” Valerie gli sorrise.
Nicholas obbedì e sparì dentro.
“Hai proprio una bella… stanza” dissi, sorridendo nel modo più naturale possibile.
“Grazie, Da – si arrestò – Ian” concluse.
Nel suo volto c’era una smorfia di dolore, come se si fosse davvero sforzata con tutta sé stessa di dire il nome giusto.
Continuai a osservarla con discrezione.
Aveva chiuso gli occhi, respirando lentamente.
Quando suo fratello tornò con quattro bicchieri di succo all’ace, Valerie riaprì gli occhi, visibilmente più tranquilla.
“Ok – disse, dopo aver bevuto – andiamo dritti al punto. Sono passati due mesi e circa due settimane da quel giorno. In questi mesi ho lavorato con molte persone, avendo sempre il mio caro Nichie accanto” gli strinse la mano.
Il quadretto familiare era veramente adorabile. Mi voltai distrattamente verso Mary. Teneva gli occhi bassi. Aveva i pugni stretti. Sporsi una mano, cercando la sua e la trovai. Mi stringeva forte ed era molto calda. Avvertivo la sua agitazione da quel calore.
Continuando a tenere la sua mano stretta, rivolsi nuovamente lo sguardo a Nicholas e Valerie.
“In questo periodo, ho avuto il tempo di metabolizzare e accettare i miei errori e di meditare su me stessa. E ora, grazie a tutte le persone che mi sono state accanto, ho capito che c’era qualcosa di sbagliato che non andava nella mia mente. C’era un meccanismo che non scattava, quello che riesce a farci distinguere a realtà dalla finzione. Ho lavorato molto per riuscire a compiere quest’impresa, per me titanica, ma ora finalmente e con soddisfazione posso dire di essere guarita. E che, inoltre, mi dispiace di averti investito, Ian. Quelle – esitò – quelle stampelle ti servono a causa mia?”
“Sì, Valerie” confermai, guardandole.
“Oh, mi dispiace così tanto – la sua voce si spezzò, il suo volto ricordava quello di una bambina indifesa – Potrò mai avere il tuo perdono?”
“Lo puoi avere già adesso. Ti perdono, Valerie” le sorrisi.
“E’ bellissimo sentirlo e saperlo – ricambiò il sorriso, poi tornò seria e timorosa, rivolgendosi a Mary – Maria Chiara, giusto?” la sua voce era esitante, come se non volesse disturbarla.
Mary, però, continuava a tenere lo sguardo basso, fissando le nostre mani intrecciate.
“Mary” sussurrai.
“Scusatemi” Mary mi lasciò la mano e corse dentro.
Valerie rimase turbata da quel gesto. Sembrava davvero una bambina innocente, non in grado di comprendere tutte le cose che le accadevano intorno.
Senza pensarci due volte, presi le stampelle e la raggiunsi.
 
POV Mary
L’impatto con l’asfalto fu tremendo, enfatizzato da un rumore atroce.
Cominciai a rotolare, fin quando non sfiorai il marciapiede con un gomito.
La testa mi stava esplodendo, avevo preso una bella botta.
Cos’era successo?
Riaprii gli occhi confusa.
Ian era a terra e non si muoveva.
Ecco cos’era quel rumore.
L’auto nera, poco più in là rispetto a lui, doveva averlo preso in pieno.
“Ian! Ian!” urlai.
Mi alzai velocemente, ignorando la spalla destra che protestava, e corsi verso di lui.
“Ian, svegliati” mi inginocchiai al suo fianco e cominciai a scuoterlo, mentre le lacrime scendevano, ricadendo sul suo volto.
Niente da fare, continuava a essere incosciente.
Mentre cercavo di capire che danni avesse, vidi del sangue uscire dalla sua testa.
“No, no, no, no! Ti prego, no!” singhiozzai più forte e provai a chiamare l’ospedale con le mani che mi tremavano.
Purtroppo, né il mio né il telefono di Ian funzionavano.
Erano spenti. Andati.
“Dannazione!” imprecai.
“Scusami, Damon, non miravo a te. L’auto fallisce, questa no” disse la donna che l’aveva investito, dopo che era scesa dall’auto.
“Il suo nome è Ian. Che problema ha?” ribattei tra le lacrime, gridando e guardandola negli occhi, azzurri. Glaciali.
“Mary, ma che diavolo è successo?” la voce di Nina era scioccata.
Mi voltai per risponderle, ma non feci in tempo.
Un rumore assordante echeggiò.
Un tepore si fece largo nel mio addome.
Guardai in basso, mentre il sangue si faceva strada nei miei vestiti, poi caddi a terra.
 
“Mary” Ian mi chiamò.
Riaprii gli occhi.
“Mary” disse nuovamente il mio nome.
“Scusami, è solo che non ce la faccio. Sta riaffiorando tutto, tutto quanto. Tu privo di sensi sull’asfalto; la sua voce gelida che dice che non mirava a te; il sangue che ti colava dalla testa; il tuo sguardo… sembravi privo di vita! E-e poi” mi guardai intorno agitata, non riuscendo a continuare.
Tutto era confuso, non riuscivo a pensare lucidamente, troppo sopraffatta dai ricordi delle mie urla.
I miei polmoni cominciarono a reclamare sempre più aria.
Mi massaggiai il petto, mentre il mio respiro diveniva più affannoso.
“Ok, Mary, calmati! Respira! Non pensare a quello che è successo, ma a ciò che mi hai detto per trascinarmi qui: parlare con noi e vederci le sta facendo bene. Ha fatto un percorso ed è praticamente guarita. Noi siamo alla fine del percorso e siamo le pedine più importanti, perché siamo le vittime, insieme a lei, di tutto questo. Hai visto la sua faccia quando le ho detto che la perdonavo? Pensa alla faccia che farà quando tu la perdonerai. Pensa a questo, tesoro”
“Mi dispiace. Io non posso” lo guardai mortificata e uscii dalla stanza.
 
POV Ian
Guardai Mary andare via e tornai in terrazza.
Sia Valerie che Nicholas mi guardavano, in attesa.
“M-mi dispiace. Mary se n’è andata” balbettai.
“Oh” fu tutto quello che disse Valerie.
Stavo per continuare a parlare, quando Nicholas mi bloccò: “Non si preoccupi, signor Somerhalder. Semplicemente non era ancora pronta”
“Parla come se un giorno lo sarà”
“Naturale. Ne sono certo” mi sorrise.
“Scusate quest’inconveniente, chiamiamolo così. Una buona serata” accennai un sorriso e uscii anch’io da quella stanza.
Quando andai nel parcheggio, trovai Mary appoggiata alla macchina.
“Ian – disse il mio nome, tenendo lo sguardo basso – io non so come scusarmi”
“Mary, tranquilla. Non fa niente”
“Ne sei sicuro?”
“Ma certo! Nicholas ha detto che non eri pronta e, beh, ha ragione. Quel giorno tu… beh… diciamo che hai visto più di me. Di conseguenza, è normale che tu abbia bisogno di più tempo”
“Sono davvero mortificata”
“Sssh, tutto bene – la baciai in fronte – Torniamo a casa, su”.
 
POV Mary
Uscii dalla doccia e avvolsi il mio corpo con il mio telo azzurro. Asciugai i piedi e indossai le pantofole, dopodiché spannai il vetro. Raccolsi i capelli in un asciugamano e spalmai una crema viso, il tutto mentre dal mio cellulare proveniva la calda e splendida voce di Michael Bublé.
“Baby, don't you know I love you so?
Can't you feel it when we touch?
I will never, never let you go
I love you, oh, so much” canticchiai, mentre mi muovevo lievemente col bacino.
Appena la canzone si concluse, presi il telefono per sceglierne un’altra, quando notai l’orario.
“Merda!” dissi.
Erano già le dodici e trenta. Dovevo preparare il pranzo.
Scesi velocemente al piano di sotto e corsi in cucina.
Affettai la cipolla e misurai la pasta, in modo che bastasse per due persone, poi presi i cubetti di prosciutto dal frigorifero.
“We live in cities you'll never see on screen
Not very pretty, but we sure know how to run things
Living in ruins of the palace within my dreams
And you know we're on each other's team” cantai insieme a Lorde, mentre maneggiavo con una padella.
Fattala riscaldare abbastanza, vi misi la cipolla affettata e i cubetti di prosciutto, cominciando a mescolare.
Dopo aver sentito il portone richiudersi, sentii delle mani prendermi per i fianchi, coperti ancora solo dal telo doccia.
“Buongiorno” disse Ian, soffiando sul mio collo.
“Buongiorno – risposi, sorridendo – Sto preparando la pasta alla carbonara oggi. Avevo voglia di Italia”
“Oh, io penso che la pasta possa aspettare!”
“Cosa te lo fa credere?”.
Ian non rispose. Perlomeno non a parole. Mi sentii invasa dal suo tocco, ovunque, specie nelle mie parti più intime.
Quel gesto mi colse piacevolmente di sorpresa. Lasciai il manico della padella e mi appoggiai al bancone.
“Cosa stai facendo?” dissi lentamente con voce roca.
“Sto servendo l’antipasto”
“Ian, noi non”
“Possiamo? Da oggi sì. Steve mi ha dato l’okay stamattina. Le stampelle sono andate per sempre” mi spiegò tranquillamente, continuando quella dolce tortura.
“Capisco” mi aggrappai al suo collo, mentre la mia schiena aderiva perfettamente al suo petto.
Ian allungò la mano libera e spense i fornelli sia della padella che della pentola, dopodiché mi sfilò il telo doccia e l’asciugamano che avvolgeva i miei capelli, che ricaddero ancora umidi sulle mie spalle.
Mi voltò. Ero completamente nuda dinanzi a lui. Senza permettermi di parlare, smise di toccarmi e fece sì che le mie gambe cingessero i suoi fianchi.
“Buon pranzo, tesoro” mi disse sogghignando, visibilmente eccitato.
Cominciammo a baciarci con foga, mentre mi portava al piano di sopra, nella stanza che finalmente potevamo riutilizzare.
 
“All this feels strange and untrue
And I won't waste a minute without you
My bones ache, my skin feels cold
And I'm getting so tired and so old
The anger swells in my guts
And I won't feel these slices and cuts
I want so much to open your eyes
'Cos I need you to look into mine
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes
Tell me that you'll open your eyes”.
Afferrai il cellulare e staccai la sveglia, il tutto con la testa ancora riparata dalle coperte.
Le cinque del mattino.
Ma il mio turno cominciava tra tre ore!
Chi cavolo aveva messo quella sveglia?
Strizzai ancora di più gli occhi, cercando di ricordare.
 
“Ecco qua” disse Steve sogghignando.
“Cosa?” lo guardai incuriosita.
“Ti ho puntato la sveglia sul cellulare, così domani mattina non avrai problemi ad alzarti” mi sorrise, scompigliandomi i capelli.
“Non ti so dire. Sono così distrutta che penso neanche una cannonata riuscirà a svegliarmi”
“Vedremo! – rise e mi abbracciò – A domani, Mary”.
 
“Io ammazzo lui e la sua ironia, figlio di” borbottai, facendo capolino dalle coperte.
Corressi la sveglia e la spostai di un’ora e mezza, impostando nuovamente come canzone ‘Kiss me’ di Ed Sheeran; dopodiché posai il cellulare sul comodino e tornai a dormire.
Quando fui nuovamente strappata dal mondo dei sogni, mi alzai e cominciai ufficialmente quella giornata. Mi lavai e mi vestii, poi scesi al piano di sotto, dove nessun felino mi accolse. Subito aprii la conversazione di Whatsapp con Ian e gli scrissi: << Ti sei pure portato i nostri cuccioli. Ti odio. Mi sento sola. >>.
Premetti invio e andai in cucina a prepararmi una colazione consolatoria.
Mentre rigiravo i pancakes, il cellulare squillò.
Ian mi stava chiamando.
“Pronto?” risposi.
“E così mi odi? Considerami ferito”
“Ferito tu? Non solo sei circondato da famiglia e amici, pure dai felini. Proprio oggi”
“Ma manchi tu. E anche tanto. E’ da tre giorni che non ci vediamo. I felini mi tengono compagnia nei momenti più deprimenti, come Paul e Torrey o Nina e Joseph che si baciano davanti a me”
“Oh povero piccolo cucciolo leso! – ironizzai un pochino – Potevi almeno lasciarmi Damon”
“Lo terrò a mente per la prossima volta – riuscii quasi a percepire il suo sorriso – Come va?”
“A parte il fatto che Steve mi aveva impostato la sveglia all’orario sbagliato, facendomi svegliare di soprassalto, e che mi manchi tanto anche tu, bene. Sono pronta per affrontare la giornata che da’ inizio alle feste. Specie in ospedale” conclusi sghignazzando.
“Per la teoria Grey’s Anatomiana che durante le feste ci sono più incidenti e più persone che finiscono in ospedale?”
“Esatto – risposi contenta – Stai diventando un esperto, eh?”
“Già. Sai, la mia ragazza è patita di questo telefilm, quindi sono obbligato a vederlo, altrimenti si arrabbia”
“Che stronza, vero?”.
Ian scoppiò a ridere. Stava per parlare, quando in lontananza si sentì la voce di Julie che lo chiamava.
“Devo andare” sbuffò.
“Non preoccuparti. Almeno avrai tempo per meditare sui tuoi misfatti”
“Simpatica lei”.
Risi.
“Buona giornata, Ian”
“A te, ti amo”
“Anche io” riattaccammo.
Finii di cucinare e mangiai, poi partii in direzione dell’ospedale.
Arrivata, salutai le infermiere di turno all’ingresso e andai verso lo spogliatoio.
Cambiatami, richiusi il mio armadietto e mi rivolsi allo specchio. Raccolsi i miei capelli in una coda, dopodiché indossai le scarpe.
“Buongiorno” mormorò Rose, spalancando la porta.
“Buongiorno, tesoro. Ricordami di strangolare il tuo futuro marito” le sorrisi ironicamente dallo specchio, ma lei non sembrò notarlo.
Mi voltai.
“Che succede?”
“Succede che in questo momento vorrei strangolarlo io”
“Come mai?” mi avvicinai a lei, mentre si cambiava.
“Due giorni fa si è rotta la caldaia, allora gli ho detto: ‘Tesoro mio, luce dei miei occhi, gioia del mio cuore, puoi chiamare il tecnico? Sarebbe anche bello farsi una doccia rinfrescante, peccato che siamo a fine Novembre e non ci tengo a congelarmi’. Lui ha risposto tutto carino che l’avrebbe fatto e indovina?”
“Non l’ha fatto” dissi, scuotendo lievemente la testa.
“E non l’ha fatto! – ripeté Rose ancora più alterata – Se n’è dimenticato. Come si fa a dimenticare una cosa simile? Lo prenderei a sprangate sulle gengive, dannato! Stamattina rischiavo l’ipotermia solo per lavarmi. Ci rendiamo conto?”
“Rose, capisco il nervosismo, ma succede di dimenticare le cose. Tu, una volta al secondo anno, hai dimenticato di pagare la bolletta dell’acqua e vi siete ritrovati completamente a secco. Fortuna che c’ero io a ospitarvi – finii la frase con una punta di superbia; poi aggiunsi, nuovamente con tono normale – Comunque, il punto è che quella volta Steve avrebbe potuto dirti di tutto e di più, ma non l’ha fatto. E’ stato comprensivo. Certo, dopo una piccolissima incazzatura, ma dettagli. Non potete provare a chiarire?”
“Cosa dovrei chiarire? Poteva venirmi una congestione!”.
Stavo per rispondere, quando la porta dello spogliatoio venne nuovamente spalancata. Steve entrò di fretta, guardando Rose di sottecchi.
“Buongiorno, Steve”
“Puoi anche togliere il ‘buon’, grazie” disse, nervoso, aprendo l’armadietto.
“Piaciuta la doccia congelata, amore?” Rose sottolineò l’ultima parola, mentre lo fulminava con lo sguardo.
“Oh sì, tesoro caro, proprio come tu ti sei goduta la rasatura della barba?” borbottò, facendole notare la barba pungente sul suo viso.
“Steve, perché non ti sei rasato?” chiesi.
“Perché la qui presente signorina ha fatto saltare il contatore. Quante volte ti ho detto di non attaccare più cose contemporaneamente? Ma no, ovviamente non potevi ascoltarmi, perché dovevi per forza asciugare i capelli, passare la piastra, azionare la lavatrice, caricare il cellulare e accendere la radio nello stesso momento e nella stessa presa, giusto?” Steve tirò fuori il camice e chiuse l’armadietto, sbattendo l’anta.
“Meglio se vado a lavoro – dissi, alzando le mani in segno di resa e allontanandomi da entrambi – Buon giorno del ringraziamento” sospirai e uscii dallo spogliatoio.
“Fortuna che non mi sono arrabbiata con lui per la sveglia” mormorai tra me e me.
Andai a chiamare i miei specializzandi, poi cominciammo il giro visite.
Controllato che l’ultimo paziente fosse stabile, andai in mensa a prendere un caffè. Mentre aspettavo che Claudine lo preparasse, sentii una voce femminile chiedere: “Sa dov’è il pronto soccorso?”
“Al momento lei si trova in mensa, perciò al pian terreno dell’ala nord dell’ospedale. Il pronto soccorso e sullo stesso piano, ma nella parte ovest” risposi meccanicamente, senza nemmeno voltarmi.
Cominciai a tamburellare le dita sul bancone.
“Sa dov’è il pronto soccorso?” ripeté.
“Già detto. Al momento lei è nell’ala nord della struttura. Deve andare nell’ala ovest. Non è difficile, insomma si nota subito, quando entra nell’edificio” risposi nuovamente.
“Sa dov’è il pronto soccorso?” ripeté di nuovo.
“Oh, ma insomma, le ho risposto per ben due volte, che vuole sapere anc” mi voltai di scatto, rimanendo a bocca aperta.
Iris, Nadia, Tatia, Serena e Melania erano proprio davanti a me.
“Cos’è, ora non riconosci nemmeno la mia voce?” Iris disse in italiano.
Cominciai a urlare, abbracciandole forte.
“Ma voi cosa ci fate qui?” chiesi in italiano, stringendole.
Sciolsero tutte e cinque l’abbraccio.
“Sediamoci, su” Nadia sorrise.
“Ok un attimo” ricambiai il sorriso e mi voltai nuovamente verso il bancone.
Ordinati altri cinque caffè, mi accomodai insieme a loro a un tavolo.
Cominciarono a sorseggiare il caffè, facendo smorfie.
“Lo so, non è il massimo purtroppo, ma sto impartendo lezioni a Claudine per imparare a preparare quello italiano”.
Scoppiarono a ridere.
Non appena tornarono serie, chiesi nuovamente: “Allora, cosa ci fate qui? Quando siete arrivate?”
“Siamo arrivate un paio d’ore fa. Siamo atterrate, abbiamo ritirato i bagagli e li abbiamo lasciati in custodia all’aeroporto e siamo venute qui” spiegò Serena.
“Diciamo che abbiamo ricevuto in regalo un weekend gratis qui ad Atlanta” Tatia parlò vagamente, mentre le altre concordavano.
“Chi è stato così pazzo da regalarvi dei biglietti aerei Australia-Italia-Inghilterra direzione Stati Uniti?” corrugai la fronte, bevendo un po’ di caffè.
“Ma non ci sei arrivata?” Melania mi guardò dubbiosa.
“Il tuo ragazzo. Ovviamente” Iris svelò il mistero.
Per poco non mi strozzai col caffè.
“Cosa? – chiesi tossendo – E perché mai” interruppi la frase a metà, lasciandomi trasportare dal ricordo di quel pomeriggio.
 
Riappesi il collage a muro, sospirando. Dopo praticamente dodici anni ancora non mi davo pace. Era davvero impossibile che un’amicizia potesse finire in quel modo. Incomprensibile il modo in cui fosse avvenuto.
Storsi la bocca in una smorfia amara e mi voltai, tornando a riempire il mio povero ragazzo provvisoriamente storpio di attenzioni.
Mi fissava sorridendo.
“Che c’è?” chiesi curiosa.
“Mm, niente. Pensavo”
“E a cosa pensavi?”
“Che non vedi i tuoi amici italiani molto spesso. E’ un po’ triste questa cosa”
“Li vedo quando torno in patria. A volte capita che loro sono via, ma purtroppo non possiamo farci niente. Anche loro hanno i loro lavori e le loro vite, come me, e, per quanto sia triste, beh, il bene che ci vogliamo non svanisce per la distanza – sorrisi – E poi ci sentiamo. Sai, Skype, Whatsapp – nominai quelle applicazioni vagamente – Insomma, diciamo che ci accontentiamo in questo modo”
“E’ bello che comunque siate rimaste unite. Sono mai venute qui?”
“Mm, purtroppo no. Considera che nemmeno la mia famiglia è mai venuta qui. A visitare la mia casa e la città intendo, dato che comunque quando abbiamo avuto quell’incidente si trovavano in città. Sono sempre stata io a spostarmi. I biglietti aerei costano. E’ quasi un miracolo che io possa permettermi i miei”
“Un giorno mi svelerai questo segreto”
“Semplice, so cogliere le occasioni al volo. Sono iscritta a un sito in cui ci sono molte offerte tra l’Europa e gli Stati Uniti”
“Bello!” Ian mi fece segno di sdraiarmi insieme a lui sul divano.
“Già” feci come mi aveva indicato.
Mentre eravamo abbracciati, lo chiamai.
“Dimmi” mi guardò sorridendo.
“Come mai tutte queste considerazioni sui miei amici?”
“I miei amici, anche se in stati diversi, si trovano tutti qui negli Stati Uniti. Voi, invece, siete un po’ sparpagliate per il mondo. Ero curioso”.
 
E ancora.
 
Sbuffai.
“Dai, non fare così” Ian mi alzò il mento con un dito, permettendomi così di guardarlo.
“E come dovrei fare? Starai via per due settimane e mezzo. Non potremo ringraziarci giovedì. Non potremo festeggiare la tua vecchiaia. Non è giusto” mi lamentai.
“Sempre gentile con me, davvero” Ian mi diede una spintarella, fingendosi offeso.
“Beh, è la verità. Compi la bellezza di trentacinque anni. Ti definisci un giovincello? Lo sono io, che ancora non ho nemmeno raggiunto la soglia dei trenta” lo guardai con aria di superiorità.
“Beh, per questo motivo ci rivediamo tra meno di un anno e mezzo, non preoccuparti – mi fece una linguaccia, mentre entrambi ridevamo; quando tornammo seri, mi abbracciò e aggiunse – So che ti mancherò, ma non sarai sola. Te lo assicuro”
“Lo spero – sciolsi l’abbraccio e lo baciai – Ora vai, altrimenti perdi l’aereo!”
“Giusto”

“Buon viaggio, buone riprese e buona famiglia. Ci sentiamo quando atterri”
“Logico! – mi sorrise – Ti amo”
“Anche io”.
 
“Si riferiva a voi!” dissi senza fiato, tornando con i piedi per terra.
“Quando?” disse Iris.
“Chi?” sopraggiunse Melania.
“Come? Perché?” dissero contemporaneamente Nadia, Tatia e Serena.
“Ian all’aeroporto mi ha detto di stare tranquilla, perché non sarei stata da sola. Lui vi ha donato a me in questi giorni per non sentirmi sola”
“Beh, è un gran gentiluomo, non c’è che dire” commentò Tatia.
“Anche se ti ha fatto soffrire” proseguì Serena.
“Oltre a essere comunque un gran gnocco americano” Melania parlò con gli occhi che le luccicavano.
Scoppiai a ridere.
Mi erano mancate, troppo.
Era inutile negare. Con loro, anche il posto più conosciuto come l’ospedale, diventava davvero casa.
 
POV Ian
“Sto dicendo che… Elena, lascio la città stasera”
“Cosa? No, non puoi lasciarmi, non te lo permetterò”
“Me lo permetterai, invece – la baciai, mentre le toglievo la nuova collana, piena zeppa di verbena, che Stefan le aveva regalato; dopo aggiunsi – Non ricorderai niente di questa discussione. Io non sono mai passato da qui stasera. Ti amo, Elena”.
Le diedi un altro bacio sulle labbra.
“Stop!” urlò Julie.
Feci un lungo respiro e alzai le braccia, stiracchiandomi.
“Andava bene ora? Io sembravo abbastanza mortificata e lui abbastanza disperato?” chiese Nina, citando ciò che aveva detto Julie poco prima.
“Sì, ora poteva andare – scosse la testa divertita, poi batté le mani – Okay, si preparino Nina e Candice. Dobbiamo girare l’ultima scena della puntata”
“Uh, per oggi ho finito – sorrisi – E’ stato un piacere, signore” feci un piccolo inchino, mentre sventolavo la mano e sorridevo in modo sghembo.
“Ci vediamo domani, Ian. Non dimenticarti che domani mattina la lettura del copione della nona puntata è anticipata” disse Julie, corrugando la fronte e agitando l’indice.
“Sì, lo so, lo so – annuii – A domani” diedi un bacio sulla guancia sia a lei che a Nina e Candice e andai verso la mia roulotte.
Chiusa la porta, mi tolsi la camicia nera, tipica di Damon, e, preso il telefono, scrissi un messaggio a mia Robyn: << Ho già finito di girare. Pronto a passare il resto della giornata con le mie adorabili pesti. Ma non posso farlo, se la mia bellissima sorellona non passa a prendermi L ;) Ti aspetto >>.
Inviai e poco dopo arrivò la sua risposta: << Ruffiano. Arrivo :* >>.
Scossi la testa, scoppiando a ridere. Slacciai le scarpe e le tolsi, ponendole vicino le scalette all’ingresso. Abbassai la lampo e feci per togliere i pantaloni, quando il cellulare cominciò a suonare. Era Mary.
“Pronto? Qui è Ian Joseph Somerhalder che parla”
“Tu sei – si arrestò – Ti stuprerei per la felicità”
“Oh, maledizione, perché mi trovo a Covington?”
“Eeeh, tesoro mio, hai voluto la bicicletta, ora pedali”
“A meno che non facciamo sesso telefonico” commentai malizioso.
“Mi dispiace per te, ma sto lavorando. So che per te è un concetto molto complicato da capire in un giorno di festa, ma che ci vuoi fare”
“Sei troppo spiritosa. Davvero. E comunque ho lavorato fino a ora”
“Ian, sono le dieci del mattino, hai tutta la giornata davanti. Io finisco stasera alle sette. Fortuna che le ragazze sono italiane e non americane e quindi cenano un po’ più tardi, altrimenti mi avrebbero già linciata”
“Okay, sei messa peggio! – mi arresi, sorridendo – A proposito delle ragazze, piaciuta la sorpresa?”
“Da morire! Secondo te perché vorrei stuprarti in questo momento?”
“Ma mi scusi, dottoressa Floridia, come può parlare di stupro in un luogo pubblico?”
“Semplicemente sto aspettando delle analisi al bancone e l’infermiera che me le deve consegnare è sparita. Credo che si sia persa nei meandri dell’archivio”
“Bene, allora hai tempo. Cosa indossi, eh? Io sono mezzo nudo”
“Ian! – mi rimproverò, ridendo – Non farò sesso telefonico con te”
“Ma perché? E’ divertente”
“Perché è più divertente di presenza! – ci fu un attimo di silenzio – Per la cronaca, ti ho fatto l’occhiolino”
“Maria Chiara Floridia, cosa ti farei in questo momento”
“Dimmelo dopo, caro, l’infermiera sta tornando. Aspetta un attimo – la sua voce divenne lontana – Finalmente!”
“Mi scusi, dottoressa, ma al laboratorio avevano confuso le analisi” l’infermiera parlò sommessamente.
“Bello. Davvero. Guarda, meglio se la prossima volta non mi dici queste cose. Pazzesco – Mary sbuffò – Buona giornata, Tess – la sua voce divenne nuovamente più presente – Okay, ci sono di nuovo. Mi devi spiegare come hai fatto”
“Semplice. Dopo che mi hai parlato di loro, ho rubato i loro numeri dalla tua rubrica, le ho contattate tutte, ho detto che avrei pagato tutto io et voilà”
“Sei un pazzo”
“Beh, pazzoide, ho seguito il tuo esempio. Inoltre, le tue amiche mi hanno detto che l’ultima volta che vi siete viste è stata la settimana di Pasqua dello scorso anno, a parte Serena che è venuta in Marzo. Ma comunque, troppo, troppo tempo. Sicuramente ti mancavano. Io sono via, perciò… ho colto quest’occasione e, sorpresa! Quattro giorni da dedicare totalmente a loro. Più o meno”
“Sì, certo, c’è l’ospedale, ma ci si può organizzare. Grazie, davvero tanto, Ian”
“L’ho fatto con piacere. Ora dove sono? Cosa farete stasera?”
“Ho dato loro le chiavi di casa, così possono sistemarsi e rilassarsi. Quando torno a casa, prepariamo la cena tutte insieme, poi chissà. Non ci vediamo da così tanto, che credo che passeremo il resto della serata a parlare. Sai, un conto è sapere delle cose via Skype, un conto è saperle di presenza. Ha tutto un altro sapore”
“Sì, lo capisco” sorrisi.
“Ian, scusami, sono arrivata dal mio paziente. Devo staccare”
“Non preoccuparti. Ci sentiamo quando esci da lavoro o, boh, quando vuoi tu”
“Certamente. Porta i miei saluti a tutti. Ti amo”
“Anche tu. Anche io” riattaccammo.
 
POV Mary
Chiusi la lavastoviglie e tornai in salotto, giusto in tempo per vedere Serena versare un po’ di vino bianco in sei bicchieri.
“Siediti ora, dottoressa. Rilassati” disse Nadia, invitandomi ad accomodarmi vicino a loro.
Feci come mi aveva detto. Serena ci porse i bicchieri.
“Mary, a te l’onore del brindisi”
“Uh, ok. Allora, in alto i calici – alzai il mio bicchiere – Dato che oggi è il giorno del ringraziamento, mi permetto di spendere due parole intanto per ringraziare chi ha permesso di farvi venire qui”
“Oh, ringrazi anche se non è presente. Siete dei cuccioli” Melania mi guardò intenerita.
“Sssh, la stai interrompendo – Iris la guardò con la coda dell’occhio, facendole poi una linguaccia – Su, Mary, continua”
“Ian ha centrato il punto: siamo tutte disperse in giro per il mondo; ognuna ha le proprie vite; ci vediamo raramente. Ecco perché queste sorprese sono sempre ben gradite. Ci ricordano che, anche se ci vogliamo sempre bene e che non importa a nessuna di noi la lontananza, a volte si ha bisogno di un abbraccio; di sentire la vicinanza; di parlare faccia a faccia con un calice di vino davanti; di tornare le sei ragazze che per cinque anni si sono riunite in un appartamento di Firenze in un weekend d’estate. Perciò, vi ringrazio per essere qui e per aver rinfrescato la mia anima. Questo giorno del ringraziamento è completamente e totalmente dedicato a voi. Cin cin!”
“Eeeh, che parole! – risposero in coro – Cin cin”.
I bicchieri tintinnarono.
Bevemmo contemporaneamente.
Mentre si cominciava il secondo giro di vino, dissi: “Allora – le guardai tutte – partiamo in ordine alfabetico?” sorrisi.
“D’accordo, questo vuol dire che – Tatia si rivolse a Melania – Amato, tocca a te”
“Ok – si mosse sul divano, sedendosi meglio – Allora, innanzitutto non vi ho detto che… suspense… Sto con una persona”
“Cosa?!” urlai io.
“E quando avevi intenzione di dircelo?” Serena la guardò sbalordita.
“Ma da quanto?” chiese Nadia.
“Racconta, forza!” Iris la esortò.
“Allora, innanzitutto non ve l’ho detto subito, perché volevo assicurarmi che fosse il solito coglione di turno. Il suo nome è Luca, ha 29 anni. Ha origini italiane, di Pisa per la precisione, e lavora come infermiere al London Memorial”.
Feci un salto dal divano.
“London Memorial? Sposatelo. Tipo ora”
“Mary, tutto ok?” mi chiese Tatia.
“Il London Memorial è uno degli ospedali più famosi del mondo intero. Anche il semplice fatto di essere un inserviente di quella struttura è un grandissimo onore, figurarsi un infermiere. Mel, sono seria. Non lasciartelo scappare”
“Ci sto provando con tutte le mie forze. L’ho conosciuto un mese e mezzo fa, mentre vagavo per Portobello Road. Cercavo qualcosa da comprare a mio padre, come un giaccone retrò, e, beh, abbiamo preso lo stesso indumento contemporaneamente”
“Sembra la scena di un film” Iris sghignazzò.
“Già – Melania sorrise – Insomma, abbiamo battibeccato per il giaccone”
“Scommetto che sei stata un’acida testa dura” la guardai di sottecchi.
“Può darsi”.
Scoppiammo tutte a ridere.
“Comunque, mi ha ceduto il giaccone. Quando sono tornata a casa, ho tolto il cartellino per lavarlo, quando dalla tasca è caduto un bigliettino. Mi aveva lasciato il suo numero – sorrise – L’ho chiamato, siamo usciti a cena, un appuntamento tira l’altro et voilà: stiamo insieme da un mese”
“E’ una cosa dolcissima, Mel. Sono contentissima per te” mi alzai dal divano e l’abbracciai.
“Anche io. Finora va tutto bene e spero continui così” mi strinse.
Dopo che tornai al mio posto, Iris si tolse le scarpe e si sedette come un indiano a terra.
“Allora, tocca a me. Con Matt va tutto a meraviglia”
“Aggiungerei un ‘finalmente’” Tatia la interruppe, ridendo sotto i baffi.
“Già – si aggiunse Nadia – Almeno per una volta non si tirano piatti addosso”
“Ragazze – le ripresi, cercando di non ridere – Le liti aiutano a consolidare il rapporto”
“Ha parlato l’esperta” Tatia mi fece una linguaccia.
“Scusa, signora psicologa, non volevo ferire i tuoi sentimenti” le diedi una spintarella.
“Posso continuare?” Iris batté le mani, richiamando la nostra attenzione.
“Cerruto numero due, continua pure” Serena le sorrise.
“Grazie – ricambiò il sorriso – David cresce forte. E’ molto vivace, ma, nonostante ciò, capisce quando comportarsi in modo più composto. E’ dolcissimo”
“Confermo” dissero Nadia e Tatia in coro.
“Non riesco a credere che abbia già quattro anni. Ricordo ancora quando hai partorito” parlai con tono adorante.
“Nemmeno io riesco a crederlo. Insomma sembra ieri il giorno in cui era un fagottino, piccolino. Ora è una piccola peste che parla sempre e chiede da dove vengono i bambini un giorno  sì e l’altro pure”.
Ridemmo tutte.
“Ok, tocca a me, tocca a me” disse Nadia esaltata.
“Cerruto uno, a te il testimone” affermò Iris con un sorriso.
“Allora, anche tra me e Andrea va tutto bene e anche Christian cresce bene”
“Christian – ripetei il nome – Quell’anno è stato un parto continuo – risi – Insomma, in meno di tre mesi mi sono ritrovata zia di ben due nipotini”
“Lo ammettiamo, io e Nadia ci siamo messi d’accordo per rimanere incinte più o meno nello stesso periodo” Iris alzò le mani.
“Sì, certo” ribattemmo io, Serena e Melania.
“Vado io, che è meglio – Tatia bevve l’ultimo sorso di vino presente sul fondo del suo bicchiere – La sottoscritta, Cerruto numero tre, può affermare con gioia che con Francesco è tutto a posto e Gabriele ha cominciato a camminare”
“Piccolo amore di casa” gli occhi mi brillarono.
“Sì, questo vuol dire che presto dovrò mettere cancelli e salvavita dappertutto. Che lavoraccio” fece una smorfia.
“Beh, questo ‘lavoraccio’ – Serena fece le virgolette – l’ho già fatto. Finalmente Francesco cammina, da un bel po’ ormai” sorrise.
“Ehm, mi scusi, Spadaro, ma toccava a me” incrociai le braccia al petto.
“Ops, scusa” fece una smorfia.
“Tranquilla, ormai continua”
“Okay – mi guardò contenta – Con Daniel va davvero a gonfie vele. Abbiamo viaggiato parecchio nell’ultimo periodo, tra il suo lavoro e il mio, lasciando Francesco a sua mamma”
“Vi siete divertiti, eh?” Iris le diede una spintarella, molto maliziosa.
“Può darsi”.
Urlammo tutte quante, applaudendo.
“Ok, ok, calma tutte quante” scoppiò a ridere.
“Se continuate così, Francesco si ritroverà presto con una dozzina di fratelli e sorelle” osservai.
“Ha parlato la casta del gruppo – Serena mi guardò di sottecchi – Dì un po’, cara, quanti preservativi avete consumato tu e Ian da Maggio a ora?”
“Ehmmm” mormorai, non riuscendo a rispondere.
“Ecco, appunto” commentò.
Ridemmo nuovamente tutte quante.
“Allora, come procede tra voi?” chiese Iris.
“Va tutto bene. A volte discutiamo, ma poi paragoniamo queste questioni con ciò che ci è accaduto ad Agosto e risolviamo tutto – sorrisi; dopo aver esitato un attimo aggiunsi – Con lui mi sento forte e al sicuro. Mi sento libera. Anche se, molto spesso, dobbiamo separarci per motivi di lavoro, questa cosa non pesa poi così tanto, perché”
“Certo, rimediate quando vi rivedete” Nadia mi diede una spintarella, ridendo, seguita dalle altre.
“Dicevo, perché in fondo lo sento sempre accanto. Mi sento come se stessi con il mare”
“Il tuo luogo preferito in assoluto” commentò Tatia, guardandomi piacevolmente sorpresa.
“Esatto”
“Mary, mi sa che hai trovato l’altra metà della mela” commentò Iris, sorridendomi.
“Davvero?” chiesi.
“Davvero! Brava Mary” tutte mi trapanarono i timpani con le loro urla.
Sorrisi tra me e me, poi le abbracciai.
Approvavano Ian. Erano al mio fianco.
Ero la donna più felice del mondo.
 
POV Ian
Recuperai il mio bagaglio e i gatti e andai verso l’uscita.
Non appena le porte scorrevoli mi permisero di passare, intravidi una figura, dall’altra parte della sala, correre veloce. Verso di me.
In poco tempo mi ritrovai delle braccia al collo, dei riccioli sparpagliati sul volto, un corpo molto conosciuto tra le mie di braccia.
“Sei tornato” disse Mary, soffiando sul mio collo.
La strinsi.
“Ebbene sì” le alzai il mento con due dita e la baciai.
“Sei davvero tornato” squittì contenta e tornò  a posare le labbra sulle mie.
Mollai la borsa e ci ritrovammo avvinghiati. Le morsi il labbro inferiore, mentre i nostri respiri si univano in uno solo.
Qualcuno alle mie spalle tossì.
“Ragazzi, cercatevi una stanza o, perlomeno, tornate a casa prima. Qui ci sono occhi indiscreti” Paul ci fece tornare con i piedi per terra.
Ops! Aveva ragione. Mi staccai dalle labbra di Mary e le misi un braccio attorno al collo.
“Riserviamoci la festa di benvenuto appena varchiamo la soglia di casa, che ne dici?” le sussurrai all’orecchio.
“Grazie per la dritta, Paul” si sporse dal mio braccio, voltandosi, e sorrise.
Mi voltai anch’io.
“Di niente, ventose” Paul scoppiò a ridere.
“Spiritoso, sul serio, fratello” scossi la testa e ripresi la valigia.
“Ci vediamo lunedì, fratello” sottolineò l’ultima parola, poi se ne andò con Torrey.
Io e Mary uscimmo, stranamente in modo tranquillo e sereno, dall’aeroporto. John ci riaccompagnò a casa sua.
“Eccoci qua – dissi contento, abbracciandola e avvicinando il mio bacino al suo – Dov’eravamo rimasti?”.
“Sono contenta che tu sia qui” Mary mi baciò e si allontanò.
“Ehi, aspetta! Dove stai andando?”
“A dormire. Ho fatto un turno di ben 120 ore in ospedale. Ogni qualvolta stavo per tornare a casa, succedeva qualcosa che mi costringeva a stare là. Sparatoria vicino a una chiesa, crollo delle fondamenta di un condominio di nove piani, fuga di gas che ha causato un’esplosione in una farmacia e in un negozio d’abbigliamento. Insomma, ci mancava solo un attacco terroristico – sbadigliò – Ho davvero bisogno di una bella dormita. La festa di benvenuto dovrà aspettare che io sia più riposata” mi diede una pacca sulla spalla e un bacio sulla guancia e salì di sopra.
Liberai Moke, Thursday e Damon dalle gabbiette e cominciai a giocherellarci.
Dopo un po’, andai al piano di sopra, in camera da letto.
Mary si era addormentata a pancia in giù, vestita, con ancora le scarpe addosso.
Sorrisi intenerito. Le tolsi le scarpe, le aggiustai la coperta e mi sdraiai accanto a lei, sprofondando anch’io ben presto nel mondo dei sogni.
 
“Capisco che tu abbia, ovviamente, ancora bisogno di muoverti per far guarire meglio il tuo corpo e che la tua dolce metà ti faccia compagnia, ma che c’entriamo noi due?” disse Paul, indicando se stesso e Nina.
“Me lo spieghi perché devi chiederlo tutti i santi giorni?” chiesi curioso.
Paul sbuffò e io scoppiai a ridere, poi, voltandoci, vedemmo Mary e Nina fermarsi.
“Ragazze, riprendete!” le esortò Paul.
“Col cavolo, da qui in poi cammino” urlò Mary stremata e Nina fu d’accordo con lei.
Mentre ci allontanavamo sempre di più da loro, sorrisi.
“Amico, perché sorridi?”
“Sono felice. Dopo l’incidente Mary e Nina hanno legato di più e beh… Mary, dopo tutta la faccenda di Valerie, è riuscita finalmente a mantenere la promessa che mi aveva fatto in ospedale, anche se per lei quella faccenda è ancora aperta”
“Cioè? Quale promessa?”.
Quel momento, avvenuto tre mesi e mezzo prima, tornò vivido nella mia mente.
 
“Come sta il mio ragazzo preferito?” chiese Mary, incrociando le braccia.
“Ah ah, ma come siamo spiritose! Comunque, mi sento bene”
“Bene” sorrise e, avvicinatasi, mi diede un bacio stampo.
“Tu, piuttosto, stai bene?” le accarezzai il volto.
“Certamente! Non noti niente?”.
Si allontanò da me e cominciò a girare su sé stessa.
“Noto che hai un bel sedere; ma questo lo avevi già” sorrisi.
“Non mi riferivo al mio sedere, comunque grazie per il complimento”
“Ma cosa dovrei notare?”
“Guardami attentamente”.
La osservai.
I capelli le ricadevano sulle spalle sempre alla stessa lunghezza; gli occhi vivaci erano incorniciati dai soliti occhiali da vista; le braccia le tremavano, come fosse in trepidazione per qualcosa. Le braccia. Le…
“Oh mio Dio! Non hai più la fasciatura al braccio destro!”
“Esatto! Alex me l’ha tolta stamattina – si riavvicinò trotterellando e si accomodò sul letto – Certo, dovrò fare fisioterapia, ma posso tornare a lavoro e occuparmi delle cose burocratiche. Meglio di niente” sorrise.
“Anche io vorrei avere la tua fortuna e non essere bloccato dentro tutto questo gesso”
“Coraggio, hai passato tre settimane chiuso in ospedale e impacchettato dentro questi – toccò il gesso del busto e quello della gamba contemporaneamente – cosa vuoi che sia una settimana in più?”
“Hai ragione” sospirai.
“Oh, lo so! – accennò un sorriso e si guardò le mani, poi disse titubante – Ian”
“Dimmi”
“Ho avuto davvero tantissima paura, quando Nina mi ha detto che eri in coma. Voglio”
“Devi continuare a ripeterlo? Mary, ormai è successo. Non scusarti, l’hai già fatto tante volte e, altrettante volte, ti ho ripetuto che non è stata colpa tua. E non dirmi cose come ‘Voglio sdebitarmi’ o chissà che altro, perché quello – indicai l’Iphone nuovo di zecca che  aveva comprato – e la nuova scheda che è al suo interno sono già abbastanza”
“Non vedo come potrebbero essere abbastanza, dato che ho fatto la stessa cosa per me e – mostrò di sfuggita il suo nuovo cellulare, un Samsung s4 bianco – dato che mi hai costretto a pagare con la tua carta di credito. Entrambi i cellulari” posò il telefono e intrecciò la sua mano alla mia.
“Era ovvio che non facessi pagare te”
“Comunque, non è certo di cellulari che voglio parlarti”
“Di cosa vuoi parlarmi?” guardai sorridendo le nostre mani intrecciate.
“Voglio farti una promessa”
“Promessa?!” la guardai sorpreso.
“In queste settimane hai conosciuto il mio lato più oscuro. E’ peggio di un demone e quando si libera… beh, non sono più me stessa. Ho sempre cercato di evitare uno scontro con questo mio lato, ecco perché prevale così facilmente. Ma i nostri litigi e quest’incidente mi hanno fatto capire che posso perderti in qualsiasi momento. Ecco perché ho intenzione di combattere questo mio lato e vincerlo! Sarò una persona migliore per te, perché non voglio perderti”.
Le pizzicai una guancia e le dissi: “Baciami”.
 
“Ok, non voglio sapere i dettagli del dopo” disse scherzosamente Paul, riportandomi alla realtà.
Lo ignorai e lui tornò serio.
“E ora come va? Ha davvero combattuto questo suo lato?”
“Sì, e credo abbia vinto. Te l’ho detto, è migliorata. Nonostante non sia riuscita ad affrontare quella donna, ora è più sicura a lavoro e con me e, appena ci sono dei problemi, me ne parla. E’ cambiata davvero tantissimo”
“Beh, credo che, dopo un’esperienza come la vostra, tutti cambierebbero”
“Può darsi – dissi e mi voltai a guardare Nina e Mary – Comunque sono davvero fiero di lei. E poi, dico, guardale: non le vedevo così in sintonia da quando io e Nina l’abbiamo conosciuta” sorrisi e urlai i loro nomi.
“Arriviamo” dissero in coro e ripresero a correre.
Dopo esserci congedati da Paul e Nina, io e Mary tornammo a casa.
“No” sbuffai, guardando il mio portico.
Robyn ci salutò con la mano e sorrise. Mary scese dall’auto in fretta e l’abbracciò, poi la fece entrare. Dopo aver parcheggiato, le raggiunsi.
“Che ci fai qui?” le chiesi.
“Sono un messaggero di mamma” disse sorridendo, passandosi distrattamente una mano tra i capelli biondi.
“Sputa il rospo”
“Vorrebbe che tutta la famiglia passasse Natale e Capodanno insieme a Covington. E nella parola ‘famiglia’ include anche Mary e la sua famiglia, oltre a papà”.
Guardammo entrambi meccanicamente Mary. La sua espressione era cambiata in un attimo.
Si era pietrificata ed era impallidita di colpo.
“No, dai, non posso accettare. Sarebbe il primo incontro ufficia” abbassò il tono della voce e il pallore del suo volto lasciò il posto a un rosso fuoco.
Solo un altro poco e sarebbe esplosa. Trattenni una risatina, per non farla imbarazzare di più.
“Ma andiamo, la nostra famiglia ti conosce già! Ricordi il compleanno di Ian dell’anno scorso?” il tono di Robyn era lamentoso.
“Perfettamente, ma Ian stava con Nina” le fece notare.
“In ospedale allora”
“Dove Ian stava lasciando le penne?”
“Il compleanno di quest’anno”
“Che avete festeggiato solo voi perché io dovevo recuperare ore lavorative” continuò Mary.
Robyn alzò gli occhi al cielo e disse: “C’è sempre una prima volta, non puoi restare nell’ombra per sempre. Tutto il mondo sa che state insieme e vi ha visti insieme, perciò, esci allo scoperto anche con la tua famiglia acquisita”.
Mary sospirò.
“I-io – balbettò vagamente – Scusate un momento, devo raccogliere i vestiti” e uscì.
 
POV Mary
Andai nel cortile sul retro e cominciai a controllare quali vestiti fossero asciutti e quali no. Improvvisamente, sentii una presenza dietro di me.
“Disturbo?” mi chiese Robyn.
Mi voltai e mi sorrise, poi tornai a occuparmi dei vestiti.
“Dimmi pure”
“Cosa ti turba così tanto, da non voler conoscere ufficialmente gli altri?”
“Non è niente, Robyn. Non preoccuparti”
“Non è affatto vero. Parla, su. Non mordo mica”.
Feci una risatina e sospirai.
“E’ una cosa piccola. Insignificante” le risposi, stringendo ciò che avevo tra le mani.
“Mary, non torturare quelle povere lenzuola – Robyn avvolse le mie mani nelle sue; mi fece lasciare le lenzuola e mi fece sedere su uno scalino – Avanti”
“E’ solo che – esitai – Beh, credo che non sarò molto ben accetta” abbassai lo sguardo.
“E come mai pensi questo?”
“Beh, perché – mi arrestai – Andiamo, non posso dirlo. E’ davvero una cosa ridicola”
“Non lo è poi così tanto se ti inquieta”
“E’ un presentimento, tutto qua”
“Ma non c’è motivo di averlo – Robyn mi sorrise – a meno che – si arrestò; ci fu qualche attimo di silenzio – Oh! Ho capito”
“Davvero?”
“Nina e Ian sono stati insieme per tre anni. Pensi che, dato che sei la nuova fiamma, non verrai vista di buon occhio. Pensi che i miei genitori, mio fratello, i miei figli e i miei nipoti ti vedranno come una ‘nemica’ che li ha separati. Pensi che”
“Okay, basta” Mary mi fermò.
“O sbaglio, forse?”
“No, non sbagli”
“Mary, io ti capisco. Sai, io e Barney ci siamo messi insieme dopo che lui aveva chiuso una storia di ben dieci anni. Dieci anni con la stessa persona. Stavano per arrivare al matrimonio e puf! L’amore è svanito. Qualche mese dopo la loro rottura, ci siamo conosciuti. Puoi immaginare come mi sono sentita quando sono andata a conoscere la sua famiglia. Ero spaesata. Ero convinta che, siccome quella donna ormai era stata accettata dalla sua famiglia, io sarei stata vista come un ripiego o chissà che altro”
“E invece?”
“Invece mi hanno accolta a braccia aperte. E lo stesso avverrà con te. I ragazzi non vedono l’ora di conoscerti. Certo, erano abituati a chiamare Nina ‘zia’, ma questo non vuol dire che non sapranno volerti bene. Credimi!”
“Sono una stupida, vero?”
“Assolutamente no. Ripeto, io ci sono passata e ti comprendo perfettamente. Vedrai, andrà tutto magnificamente – mi sorrise – E poi, se mia madre non ti potesse vedere, non ti avrebbe di certo invitato a stare in casa sua per praticamente due settimane”
“Giusto” sussurrai.
“Torniamo dentro ora. Ti va?” si alzò e mi tese la mano.
La strinsi e mi alzai anch’io. Rientrammo in casa insieme.
Ian alzò lo sguardo, osservandoci entrambe.
“Tutto ok?” chiese.
“Sì. Mary si è convinta” Robyn mi strinse le spalle.
“Bene – Ian sorrise a trentadue denti – Andate in salotto, mie adorate donne, preparo io la cena”.
Facemmo come aveva detto. Nell’attesa, chiamammo prima mia madre, poi la loro. Entrambe le telefonate furono piene di gioia. Le famiglie non vedevano l’ora di conoscersi. Non appena la cena fu pronta, mangiammo tutti e tre insieme.
Lavati i piatti, Robyn tornò a casa sua da Barney e i bambini.
Io e Ian riordinammo la cucina, poi ci lavammo i denti e andammo a letto.
“Quando è successo?” gli chiesi, accucciandomi al suo fianco.
“Parli del divorzio dei miei genitori?” mi guardò.
“Sì” annuii.
“Avevo tredici anni. Non so dirti di preciso il perché, ma avvenne”
“Ci sei stato male?”
“Certo, però l’ho superato. Anche perché non mi hanno mai fatto pesare il loro divorzio.  Poi sono comunque rimasti in buoni rapporti. Paradossalmente, vanno più d’accordo da quando non sono più marito e moglie. Inoltre, comunque, ai tempi, continuarono ad avere fiducia in me e a infondermi coraggio per la mia fiorente carriera, perciò li sentivo ancora come un fronte unico”
“Capisco” mi rabbuiai un po’.
“Ehi, che ti prende?”
“Ti immagino piccolo e fragile e…” non conclusi la frase e lo abbracciai forte.
“Tranquilla, è tutto ok, davvero” mi strinse anche lui.
Ci fu qualche attimo di silenzio.
“Mary”
“Sì?”
“Di che avete parlato tu e Robyn? Come ti ha convinta a venire?”
“Beh, mi ha raccontato di come lei e Barney si sono conosciuti e della volta in cui ha conosciuto la sua famiglia”
“Se te l’ha raccontata c’è solo un motivo. Eri intimorita dalla mia famiglia?”
“Intimorita dall’idea che possono avere di me, più che altro”
“Non temere. Ti adoreranno tutti”
“Come fai a esserne così sicuro?”
“Diciamo che è la figura di Robyn a dimostrarlo. Sai, tutti in famiglia si fidano del suo giudizio. Per esempio, lei non vedeva di buon occhio persone come Megan, Ashley o Maggie. Di conseguenza, la mia famiglia è stata sempre molto restia nei loro confronti. Robyn ti adora. Di conseguenza, anche loro ti adoreranno”
“Lo spero”
“Andrà così”
“Grazie” lo strinsi.
Ci addormentammo abbracciati.






















------------------------------
Note dell'autrice:
Finalmente ecco qua il nuovo capitolo! Si sviluppa tutto nell'arco di un mese, da più o meno metà Novembre a metà Dicembre. Ian e Mary hanno battibeccato, ma sono comunque riusciti a risolvere. L'amicizia tra Nina e Mary si è consolidata e lo stesso Ian l'ha notato. Abbiamo conosciuto un po' di più le amiche italiane di Mary, già citate nel capitolo 4: Serena, Melania e le sorelle Nadia, Iris e Tatia! Che ne pensate di loro? 
Mary ha accettato di conoscere ufficialmente la famiglia di Ian... la faranno sentire a suo agio?
Ecco le canzoni citate in questo capitolo:
Had enough, Lifehouse: https://www.youtube.com/watch?v=rnOTG0uCs5A
Call me maybe, Carly Rae Jepsen: https://www.youtube.com/watch?v=n0XguJCwIVc
Save the last dance for me, Michael Bublè: https://www.youtube.com/watch?v=1tXUxVWtyaU
Team, Lorde: https://www.youtube.com/watch?v=f2JuxM-snGc
Open your eyes, Snow Patrol: https://www.youtube.com/watch?v=fk1Q9y6VVy0
Kiss me, Ed Sheeran: https://www.youtube.com/watch?v=kFfKb_WEkCE
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Vi ringrazio per aver letto!
Ringrazio chi recensisce e chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Vi ricordo che potete unirvi al piccolo gruppo fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Alla prossima! ;)
Mary :*

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Capitolo 8
*** Only hope. ***


POV Mary
“Mary, esci fuori. Dai!” sentii Rose dirlo dall’altra stanza.
Mi guardai un’ultima volta allo specchio.
Il vestito che indossavo era beige, con una scollatura a cuore che mi cingeva il petto e una fascia, sempre di quel colore delicato, che distingueva il corpetto dalla gonna lunga e morbida.
“Andiamo, non vorrà fare aspettare la sposa” la commessa mi sorrise.
Indossai il paio di decolleté nere che Rose aveva scelto e uscii dal camerino.
I suoi occhi brillarono, non appena mi vide.
“S-sei… non ho parole, sembri una dea” si alzò di fretta dalla sedia e mi abbracciò forte, commossa.
“La dea sarai tu, mia cara – la strinsi – Io sarò un’umile ancella. La tua umile ancella” sciolsi l’abbraccio e mimai un inchino.
“Al mio servizio?”
“Esattamente, mia signora” feci una risatina.
“Allora, signorina Davis, cosa ne pensa del vestito?”
“Il vestito è perfetto. E’ tutto beige, senza un elemento che spezzi, è vero, tuttavia è bellissimo così com’è. E’ delicato e non pesante alla vista. Inoltre si intona perfettamente con la carnagione della mia damigella, né troppo chiara né troppo scura. Le scarpe poi sono magnifiche. Stanno davvero bene col capo. Il pizzo nero rende l’insieme più vivace, più elaborato, essendo il vestito più semplice. E’ davvero… perfetto” Rose sorrise a trentadue denti estasiata.
“Ma le scarpe non si vedono molto, sicura che” feci per aggregarmi a quella conversazione, ma mi interruppe: “Ti ricordo la borsa abbinata. Mary, sono davvero entusiasta di questo outfit. Spero piaccia anche a te”
“Giusto – annuii, ripensando alla pochette nera con le decorazioni in pizzo che avevamo comprato la settimana scorsa – Se piace a te, piace a me” le sorrisi e la abbracciai nuovamente.
“Allora va bene così?” chiese la commessa, guardandoci sorridente.
“Sì. Tutto perfetto” dicemmo insieme.
Sciolto l’abbraccio, andai in camerino e mi cambiai. Pagai il vestito e le scarpe e uscii dal negozio in compagnia di Rose. Riaccompagnatala in ospedale per il turno notturno, tornai a casa. Non appena varcai la soglia, il cellulare cominciò a squillare in modo inusuale.
Sbloccai la tastiera e notai che era una chiamata di Giorgio da Skype.
Risposi: “Ehi, fratellone, sono appena tornata a casa. Richiama tra due minuti che ti rispondo dal computer. D’accordo?”
“Ai suoi ordini, dottoressa. A tra poco” e riattaccò.
Chiusi il portone, indossai le pantofole, salutai Damon, Thursday e Moke e corsi nello studio per recuperare il computer portatile.
Lo accesi e accedetti a Skype, in tempo per ricevere nuovamente la chiamata di mio fratello.
“Buonasera” gli sorrisi, facendo ciao con la mano in direzione della webcam.
“A te, sorellina. Come te la passi?”
“Egregiamente. Oggi pomeriggio sono stata con Rose a comprare il vestito da damigella per il suo matrimonio”
“Davvero? Wow! E com’è?”
“Segreto – gli feci una linguaccia – lo vedrai direttamente dalle foto di quel giorno”
“Come vuoi – Giorgio alzò le mani in segno di resa – Allora, hai controllato il sito dei voli? Mamma, papà e Michele hanno prenotato il volo Catania-Londra e Londra-Catania per cinque persone”
“Cinque?”
“Sì. Ti ricordo che nonna e nonno sono inclusi”
“Giusto! Hanno prenotato per?”
“Partono il ventidue mattina e arrivano qui verso mezzogiorno. Perciò, devi regolarti più o meno con quest’orario per l’altro volo”
“Il ritorno?”
“Il ritorno è giorno otto di pomeriggio”
“Ok. Allora – ridussi Skype a una piccola icona e aprii il motore di ricerca, cliccando l’icona con l’aereo tra i miei preferiti – Ho appena aperto il sito. Solo un momento che digito” sorrisi.
“Ok”.
Scrissi ‘Londra-Atlanta’, precisando come data il 22 Dicembre all’andata e il 7 Gennaio per il ritorno . Non appena cliccai ‘invio’, il sito evidenziò la mancanza di voli.
“Ehm, Giorgio” dissi esitante.
“Che succede?”
“Per il 22 non ci sono voli da Londra ad Atlanta. Stessa cosa al contrario per il 7. Mi sa che i posti sono tutti pieni”
“Cosa? E adesso che si fa?”
“Non lo so, sinceramente”
“Ian che dice?”
“Ian non è a casa. Al momento è agli studios, sta girando”
“Uh, a che episodio sono arrivati?”
“Episodio 11 della quinta serie”
“Quando smetterà di girare?”
“Il 20 e il 21 saremo già a Covington” tamburellai con le dita sulla scrivania.
“Non sei per niente agitata” mi guardò, borbottando.
“Giusto un po’ – sorrisi nervosamente – Comunque, un attimo lo chiamo”.
Presi il cellulare e cliccai su ‘ultimi numeri’. Cercai ‘Ian <3’, dopodiché strisciai il dito, avviando così la chiamata.
“Pronto?” disse dopo mezzo squillo.
“Veloce” sorrisi.
“Ehi – la sua voce si addolcì; potei percepire il suo sorriso – come stai? Vestito deciso?”
“Sto benissimo e tu? Sì, vestito molto deciso”
“Bene, a parte il fatto che siamo bloccati su una scena da circa un’ora e mezza. Se solo – si arrestò – Comunque, dimmi”
“Ecco, non farmi spoiler – feci una risatina – Sono in collegamento Skype con mio fratello, stiamo cercando i voli. Ora, i miei hanno già acquistato i biglietti per il volo Catania-Londra e viceversa, tuttavia non abbiamo trovato voli e offerte per il Londra-Atlanta. Qualche idea?”
“Mmm fammi pensare – per qualche attimo regnò il silenzio – Potresti provare con New York e Montgomery”
“Cosa intendi?”
“Prova a cercare voli intercontinentali Londra-New York, dopodiché cerchi voli nazionali New York-Montgomery. Quest’ultima è collegata a Covington grazie agli autobus, perciò”
“Giusto! Hai ragione – risposi contenta – faccio subito”
“Ian, muovi il culo” sentii la voce di Julie urlare.
“Mary, devo staccare”
“Non preoccuparti. Ci sentiamo più tardi”
“Ma certo. Ti amo”
“Anche io” gli mandai un bacio e riattaccai.
“Allora?” Giorgio attirò la mia attenzione, sventolando le mani davanti alla webcam.
“Ian mi ha detto di controllare tra New York e Montgomery. Un momento”.
Digitai ‘Londra-New York’ per sette adulti e un bambino e il sito mi diede dei risultati.
Appuntai il volo più economico, dopodiché cercai voli ‘New York-Montgomery’, facendo la stessa cosa.
“Mary, mi vuoi includere nella tua ricerca?” Giorgio sorrise sfacciato.
“Allora – mollai la penna sulla scrivania – Londra-New York il 22 alle tre del pomeriggio, arrivereste nella Grande Mela all’una meno venti di mattina; poi New York-Montgomery ha come orario le tre, dunque arrivereste in città verso le nove. Infine, da Montgomery a Covington avreste un autobus alle, vediamo se ho fatto bene i miei calcoli – cercai velocemente sul sito dei bus della città dell’Alabama – Sì, sono un piccolo genio matematico – mi pavoneggiai un pochino – Arrivereste esattamente alle due e mezza del pomeriggio”
“E brava la mia sorellina” Giorgio fece finta di applaudire.
“Dopodiché giorno 2 nel primo pomeriggio tornate a Montgomery col bus e prendete l’aereo Montgomery-Atlanta, arrivando circa alle sei e mezza”
“Del mattino?” chiese Giorgio, incredulo.
“No, di sera! – risposi con ovvietà – Da Montgomery per venire qui ci vuole solo un’oretta di aereo. Comunque, poi il 7 avete un aereo molto mattiniero Atlanta-New York alle quattro, così da arrivare alle sei e un quarto e poter beccare la coincidenza New York-Londra delle otto e arrivare a Londra alle sette di sera”
“E’ perfetto. Finalmente avremo un po’ di tempo per vedere Atlanta. Nonostante, comunque, tu abbia dei turni di lavoro”
“Lo so, ma meglio di niente, no?”
“Hai ragione” Giorgio sorrise.
“Bene. Ho già prenotato tutto” premetti invio sui vari ordini.
“M-ma, Mary” balbettò.
“Che c’è? Piccolo regalo di Natale per tutti voi”
“No, non è giusto. Non stai offrendo il biglietto a una persona, bensì a sette. Sono un sacco di soldi. No, assolutamente no”
“Troppo tardi, l’ho fatto”
“Mary”
“No – lo interruppi – Ascoltami bene. Mamma, papà, voi tutti, insomma, avete sempre fatto dei grandi sacrifici per me. Questa cosa che vivremo, lo stare insieme alla famiglia della persona che amo, è una cosa grossa. Oserei dire enorme! – enfatizzai – E riguarda principalmente me e Ian. Ecco perché ci siamo divisi la spesa” sorrisi.
“Ma così i tuoi risparmi” lasciò la frase a metà.
“Farò dei turni in più. Non c’è nessun problema – sorrisi nuovamente – Ciò che conta al momento è solo questo vostro viaggio. E il vedere in maniera decente Atlanta e casa mia” sottolineai le ultime due parole.
“Ehi, non è colpa mia se quando hai avuto quell’incidente mamma e papà non hanno avuto il coraggio di prendersi le chiavi di casa e hanno prenotato un hotel”
“Vi vorrei ancora strangolare tutti per quella storia – scossi la testa – Non fatelo mai più!”
“Agli ordini” Giorgio mimò il gesto da militare.
Risi, mentre Addison faceva capolino dalla cucina.
“Tutto fatto?” chiese, mentre si asciugava le mani su un grembiule arancione.
“Oh sì – Giorgio si sfregò le mani – A parte il fatto che per i voli intercontinentali e compagnia hanno voluto pagare i due piccioncini”.
Addison mi guardò a bocca aperta; sventolato l’indice, mi disse: “No, non si fa, signorinella!”
“Ti ricordo che dieci anni fa avete pagato voi il mio primo biglietto per Londra”
“E io ti ricordo che era un’andata e un ritorno per una persona, non sette”
“Ormai è fatta” feci una smorfia.
Chiacchierammo per un’altra mezz’oretta, poi riattaccammo.
In Inghilterra era quasi l’una di notte, mentre da noi era quasi ora di cena.
Uscii dallo studio e mi diressi in cucina per mettermi ai fornelli, in attesa che Ian tornasse a casa.
 
POV Ian
“Mary, andiamo!” le urlai, mentre suonavo il clacson dell’Audi.
“Arrivo” rispose lei, con la stessa tonalità.
Dopo qualche minuto, chiuse il portone di casa sua, con al seguito una borsa, una tracolla e ben due valige. Enormi.
“Ma stai partendo per un anno?” le dissi, sghignazzando.
“No. E non ridere. Sono due settimane di Dicembre, le più importanti di Dicembre. La roba pesante è ingombrante”
“Ti sei portata un armadio” scossi la testa, rassegnato.
“Piuttosto di guardare me – mi fissò in malo modo – Hai davvero intenzione di portarti la tua piccola auto?”
“Piccola? – ribattei incredulo – Ma la vedi bene?”
“Certamente. Sarà anche grande per i tuoi bagagli”
“Usa il singolare, grazie” precisai, accennando un piccolo sorriso beffardo.
“Per il tuo bagaglio, ma i miei non ci entreranno mai. Ci portiamo la mia bellissima e spaziosa macchina, non si discute”
“Come comanda, Sua Maestà” mimai un inchino.
Scesi le gabbiette dei gatti e il mio bagaglio dall’auto. Posate le chiavi in casa, presi quelle della macchina di Mary. Caricammo tutto nel cofano. Indossate le cinture, accesi il motore e partimmo. Mary accese la radio e partì una canzone Disney.
“Non ce n'è, per nessuno ormai,
di tutta la Grecia è il più esaltante degli eroi.
Ercole sa come si fa ad affascinare tutta quanta la città.
Ieri era zero
-Zero, zero.
-Oggi è un guerriero
-E il più fiero
E chi l'avrebbe pensato mai, oggi è il più grande che sia esistito mai”.
“Ma questa non è una canzone di  Hercules?” la guardai con la coda dell’occhio.
“Sì. In italiano” rispose un po’ secca, torturandosi le mani.
“Quanti anni hai, cinque?” scoppiai a ridere.
“Guarda che non si è mai vecchi per i film Disney, mai – sottolineò, sventolando l’indice sinistro vicino alla mia guancia – E poi sono canzoncine allegre. Mi distraggono”
“Da cosa, la tua morte imminente?”
“Non prendermi in giro – sospirò – E’ una cosa – arrossì – Non riesco nemmeno a pensarci. Ma perché ho accettato?!” disse con fare tragico, sbattendo lievemente la testa sul cruscotto.
“Tesoro, ascoltami”
“Parla, sono tutta orecchie” rispose, continuando quell’atto.
“Allora, innanzitutto, smetti di battere il tuo osso frontale sul cruscotto della tua preziosa auto. Cosa vuoi, una commozione cerebrale?” conclusi con la stessa tragicità, usata da lei poco prima.
“Simpatico. Davvero” rispose sarcastica, mentre alla radio cominciava una canzone del nuovo Disney, Frozen.
“Secondo – continuai il mio discorso – non devi prenderla così male. Non farne una tragedia. Stai solamente incontrando i miei genitori ufficialmente come mia ragazza. Tutto qua”
“Tutto qua? Come fai a dire ‘Tutto qua’? E’ un passo importantissimo. Che cosa dovrei fare? Come dovrei comportarmi?”
“Mary, sarò sincero: io mi sono innamorato di te per la tua persona. Sei una donna straordinaria, forte, bella e divertente. Non puoi semplicemente essere te stessa?”
“M-me stessa?”
“Sì”
“Ma sono impacciata. E goffa. E”
“E allora? – mi interruppe – E’ anche quest’aspetto che ti rende vera. Credimi”.
Mary sorrise. Senza slacciarsi la cintura, si sporse, abbastanza da poter avvicinare il suo volto alla mia guancia destra, e mi diede un bacio.
“Con le parole ci sai proprio fare” mi sussurrò.
Non appena si sedette nuovamente composta, cambiai la marcia e lasciai che la mia mano toccasse il suo ginocchio.
Continuammo a viaggiare in quella posizione, mentre la radio ci proponeva altre canzoni, sempre della Disney.
 
POV Mary
Ampio cortile ciottolato. Prato curato. Alti alberi sempreverdi. Tutto questo panorama incorniciava la casa dei genitori di Ian, in cui quest’ultimo aveva passato la maggior parte della propria infanzia. Quel posto, così sereno e naturale era meraviglioso. E la casa non era da meno.
Un edificio molto semplice, a due piani, la cui facciata era completamente di mattoni marroni. Aveva delle grandi finestre e un piccolo portico.
Da lontano potevano scorgersi anche una modica dependance e un garage.
Guardai il tutto imbambolata e l’unica cosa che uscì dalla mia bocca fu: “Santa Madre di Dio”.
Ian scoppiò a ridere e mi sussurrò: “Benvenuta a casa mia”.
Subito dopo condusse l’auto nel vialetto.
“Tutto ok?” mi chiese, fermando l’auto.
“Sì, è che… niente, casa tua ricorda vagamente casa Salvatore”
“Può darsi” ricambiò il sorriso e, un attimo dopo, era vicino a me con la portiera aperta e una mano tesa.
“Signorina” disse elegantemente, accennando un inchino.
“Che galantuomo” gli presi la mano.
Quando scesi dall’auto, quattro gatti ci vennero incontro. Uno era a macchie, uno grigio perla e due miele. Lasciai immediatamente la mano di Ian e cominciai ad accarezzarli affettuosamente, facendo voci stupide.
Dopo un po’ vidi la madre di Ian avvicinarsi.
Edna aveva un sorriso a trentadue denti, travolgente. Anche i suoi splendidi occhi azzurri, caratteristica di famiglia, sembravano sorridere, attraverso gli occhiali. Aveva i capelli lisci, come quelli di Robyn, legati in una coda. Indossava un paio di jeans e un grande maglione bordeaux.
Era proprio come me la ricordavo.
 “E questi?” chiese il mio fidanzato, sorpreso.
“Che dire, mi hai contagiata con il tuo spirito di angelo custode nei confronti degli animali” Edna si strinse nelle spalle.
“Questo è interessante – sorrise e la abbracciò – Oh, a proposito, ciao mamma”
“Ciao figliolo” sorrise, ricambiando l’abbraccio, e mi guardò.
Smisi di accarezzare i gatti e mi alzai.
“Finalmente ci conosciamo in vesti ufficiali” disse contenta e abbracciò anche me.
“Già” mi limitai a dire e, impacciata, lo ricambiai.
“Su, entriamo!” parlò energicamente e mi trascinò con lei, lasciando a Ian il compito di prendere i bagagli.
Quando entrammo in casa, il padre di Ian mi si avvicinò.
Anche lui aveva degli occhi azzurri disarmanti. Battei le palpebre più volte per non incantarmi davanti a quello sguardo.
Robert senior portava i capelli all’indietro e aveva un po’ la barba incolta, che mimetizzava i baffi e il pizzetto.
Indossava una tuta e una felpa, entrambe grigie e nere.
“E’ un piacere averti qui con noi, Maria Chiara” tese la mano.
Sorrisi e gliela strinsi.
“Il piacere è tutto mio, signor Somerhalder”
“Dammi del tu, cara, e chiamami pure Robert” sorrise.
“O-ok, Robert” balbettai imbarazzata.
Sentii la voce di Robyn avvicinarsi e, poco dopo, la vidi arrivare dal salotto.
“Finalmente siete arrivati! Stavo cominciando a perdere le speranze – fece una smorfia, poi un occhiolino, mentre i suoi capelli biondi ondeggiavano – Su, vieni con me”.
Mentre Robyn mi faceva vedere la casa, o forse sarebbe stato meglio definirla una reggia, si sentirono dei rumori da una stanza.
Robyn bussò seccamente alla porta, su cui era fisso un cartello, che diceva ‘Alla larga’.
Ok, lì dentro c’era un adolescente.
“Peyton, abbassa il volume dello stereo!” ordinò l’unica sorella di Ian.
“Non posso, zia, lo sai quanto mi aiuta la musica alta, mentre studio l’italiano del cavolo! Ma dico io, siamo in America, perché si studia l’italiano?” disse il ragazzo.
Robyn aprì la porta e mi trascinò dentro.
“Lei è Mary, la nuova ragazza di Ian. E si dia il caso che sia Italiana” Robyn lo guardò male.
“Oh! Vero” Peyton arrossì di colpo e non potei fare a meno di ridere.
“Tranquillo, non ti imbarazzare, anch’io detestavo la letteratura quando la studiavo” gli sorrisi.
“Davvero?! Mi sento meglio” sorrise contento.
Peyton aveva i capelli marroni corti e a caschetto. I segni dell’adolescenza sul suo volto non si erano ancora rivelati, mentre già la voce aveva cominciato a cambiare. Sembrava graffiante, sicura, molto simile a quella di Ian e suo padre. Poi, ovviamente, gli immancabili occhi azzurri!
Mi fece cenno di avvicinarmi.
“Cosa state studiando di preciso?” mi sedetti accanto a lui.
“Francesco Petrarca o una cosa simile, ma io non lo capisco, che cosa può fregarmene del suo amore per Laura e tutte quelle cose lì? Odio il mio professore d’italiano” brontolò.
“Francesco Petrarca, eh? Lo detestavo anch’io. Ricordo che una volta la mia professoressa mi ha chiesto cosa ne pensavo e io le ho detto chiaro e tondo che secondo me era un auto-lesionista. Insomma, come poteva continuare ad amare e a esporsi in quel modo, senza essere ricambiato? Per me era inconcepibile. Davvero”.
“E lei?”
“Si vendicò interrogandomi – sorrisi amaramente – Ma nonostante lo detestassi, lo conoscevo molto bene. Presi un ottimo voto in quell’interrogazione”
“Grande. Allora potresti spiegarmelo?” sorrise supplichevole.
Quel gesto mi ricordò molto Ian.
“Si vede che sei nipote di tuo zio – feci una risatina, seguita da Robyn – Comunque, Petrarca è un autore che vive un grande conflitto interiore, proprio a causa dell’amore che prova. Da adolescenti non si può ben comprendere. Bisogna essere un po’ più grandi per avere più chiara la sua situazione”
“Perché?”
“Beh, perché da adolescenti non si pensa di certo all’amore non ricambiato. E’ una cosa impossibile per dei ragazzini che si affacciano alla vita. Non voglio offenderti, in fondo come ho detto prima anche io non lo capivo. Ma poi si cresce e si vivono determinate esperienze e allora lo comprendi. Come l’amore abbia mille sfaccettature. Esiste quello ‘completo’ – feci le virgolette – pieno di arcobaleni e unicorni, come esiste anche quello a metà. Una persona ne ama un’altra, ma all’altra non interessa. Nonostante ciò, nonostante il dolore, la tristezza e la depressione, la persona rifiutata ha questo sentimento, che non può essere di certo ignorato. Perciò, sai che fa? Ci convive. Comincia a esternarlo, anche se è sbagliato e fa male e tutti la reputano una masochista; comincia ad accettarlo, perché è l’unico modo per sopravvivere. E secondo me è proprio questo che fa Petrarca. Esalta un amore non corrisposto, impossibile, ma che tuttavia lui sente. Certo, poi in un certo senso abbandonerà questo sentimento, ma comunque nelle prime fasi della sua poetica è molto presente, perciò…” lasciai il discorso in sospeso, guardando il nipote di Ian con la coda dell’occhio.
“Wow! Sembra quasi che tu l’abbia vissuto in prima persona” disse sincero, guardandomi a bocca aperta.
“Ehm, beh” risi nervosamente.
“Maria Chiara, grazie mille”
“Chiamami Mary” gli diedi una pacca sulla spalla.
“Bene, ora che ti è più chiaro, abbassa il volume dello stereo” disse Robyn amorevolmente e mi invitò a uscire dalla stanza con lei.
“Tuo nipote è simpatico” le dissi sinceramente.
“E non hai visto il resto della piccola truppa” sorrise e continuammo il giro della casa.
Mentre mi guardavo intorno, una sensazione di pace si insinuò dentro me. Quelle sarebbero state due settimane davvero lunghe, ma ora, improvvisamente, non ne avevo più paura.
 
Dopo aver fatto il tipico pranzo dei Somerhalder, fatto da pasta e verdure, ovviamente tutti prodotti biologici, non preconfezionati e senza glutine, io e Ian andammo alla stazione dell’autobus, in attesa che arrivasse il bus da Montgomery.
Il primo a scendere dal mezzo fu Lucas.
“Amore mio, vieni qua!” dissi allargando le braccia.
“Zia Mary” urlò contento e si tuffò fra le mie braccia.
“E’ da tanto che non ti vedo, come sei cresciuto! Come stai?” lo strinsi forte, respirando il suo dolce profumo.
“Bene” disse convinto.
“Sicuro?”
“Sì” affermo, annuendo con la testa.
“Sicuro, sicuro, sicuro?” alzai il tono della voce e cominciai a fargli il solletico, cadendo così entrambi a terra.
Lucas scoppiò a ridere a crepapelle, mentre mi supplicava di smetterla.
Quando gli diedi un po’ di tregua, lo presi in braccio e mi alzai.
Non mi diede nemmeno il tempo di aprire bocca, che si sporse dalla mia spalla destra e guardò Ian, con fare inquisitore: “Sei tu, quindi, il fidanzato di mia zia?”.
I suoi occhi verdi si sgranarono, mentre attendevano una risposta.
“Sì, piccolo” Ian sorrise.
Quella peste stava per aggiungere qualcosa, quando Addison lo interruppe: “Luke, non importunare tua zia e Ian – si avvicinò – Ciao ragazzi” sorrise.
Lasciai andare Lucas e andai verso Addison.
“Hai cambiato pettinatura?”
“Sì – Addison scosse la testa, facendo così ondeggiare i suoi capelli castano chiari e la frangetta – Ti piacciono? Fanno molto”
“Lexie Grey, ottava serie”
“Esatto!”
“Mi piacciono – la abbracciai – So che hai rinunciato al Natale con la tua famiglia, quindi grazie. Per essere qui” le sussurrai all’orecchio, mentre ci stringevamo.
“Sono qui con piacere. E, inoltre, i miei genitori hanno capito. Non c’è stato alcun problema. Questa cosa è importantissima ed emozionante. Ti serve più supporto possibile. O sbaglio?”
Era inutile nasconderlo, adoravo mia cognata. Come Giorgio e le mie amiche, era in grado di capirmi al volo. Non che ci volesse molto. Per tutti i miei cari ero un enorme libro aperto.
“Non sbagli affatto, ma ti dirò che non mi fa più tanta paura. Già dall’altro ieri, dal nostro arrivo, sono stati tutti così accoglienti e calorosi”
“Ovviamente. Sei tu che ispiri questi comportamenti, credimi”.
Sciogliemmo l’abbraccio.
“Allora, com’è stato il viaggio?” chiesi, ora a voce più alta.
“Un po’ lunghetto,  infatti Giorgio l’ha passato a lamentarsi” roteò gli occhi.
“Tipico” risi e salutai tutti gli altri componenti della mia famiglia.
Mentre stringevo ancora mia madre e mia nonna, Ian tossì.
Sciolsi immediatamente quel piccolo abbraccio di gruppo ed esordii, dicendo: “Okay – cominciai dal piccolino di famiglia – Lucas, Addison, Giorgio, Michele, mamma, papà, nonno, nonna – parlai in italiano e guardai Ian – quest’uomo è il mio Ian. Ian – parlai in inglese e indicai i miei familiari – Loro sono la mia famiglia”
“E’ davvero un piacere conoscervi. Ufficialmente, intendo. Ne sono davvero onorato” sorrise.
Tradussi quanto detto, poi ascoltai la risposta di mia nonna.
“Oh, nonna!” le dissi commossa.
“Cos’ha detto?”
“Ti ha risposto che è per loro un onore conoscerti; che sei una persona davvero a posto, riesce a vederlo dai tuoi occhi. Il modo in cui mi e ci guardi è davvero sincero ed emozionato e lei è semplicemente felice che io abbia trovato un uomo come te. E ha aggiunto che sono una donna fortunata”.
Ian si avvicinò a mia nonna e le strinse le mani tra le sue.
“Sono io a essere fortunato, mi creda” disse con un italiano incerto.
“ E da quando sai parlare la nostra lingua?” Giorgio parlò in inglese, sorpreso.
“Ho vissuto in Italia per un bel po’ di tempo, ma non so dire molto”
“Tranquillo, Mary ti impartirà delle lezioni. Giorgio mi ha torturato fino a quando non ho imparato a usare e a distinguere congiuntivo e condizionale, più o meno” Addison fece una smorfia divertita.
Risi, poi, aiutato mio padre a caricare tutti i bagagli nelle due auto, partimmo per tornare alla dimora Somerhalder.
Vedere i nostri genitori che si stringevano le mani fu strano, ma emozionante.
“Ehi, tutto ok? Li stai fissando in un modo inquietante” mi sussurrò Ian dolcemente, mentre i nostri genitori parlavano tramite Giorgio.
“Sì, sono felice – distolsi lo sguardo e gli sorrisi – Insomma, i nostri genitori si sono finalmente conosciuti e non riesco a smettere di pensare che questo sia un passo davvero importante. E imbarazzante. E so che sono ripetitiva, perché te l’avevo già detto, ma… semplicemente non riesco a credere che stia succedendo davvero. Forse dovresti darmi un pizzicotto, sai, per sapere se questo è un sogno o è reale” sussurrai.
“Non ce n’è di bisogno. E’ reale. E puoi ripetere che è un passo importante quante volte vuoi, perché hai ragione. E anche a me fa un certo effetto, lo ammetto” parlò anche lui sussurrando.
Mi sorrise e mi prese la mano.
“Ma come, tu ti ‘emozioni’ – feci le virgolette – per una cosa simile? Non ci credo nemmeno se ti metti a piangere per la commozione”
“Perché?”
“Perché avrai vissuto quest’esperienza un sacco di volte”
“Perché, tu no?” mi guardò.
“Io, ehm… Ehi, senti un po’! Giorgio non riesce più a tradurre, devo andare a dargli una mano” cercai miseramente di cambiare discorso.
Mi slanciai verso mio fratello, ma Ian mi bloccò.
“Con permesso – disse ad alta voce, attirando l’attenzione dei nostri parenti – Andiamo un attimo di là a prendere… a prendere una cosa” mi trascinò via dal soggiorno e mi condusse in cucina.
“No, seriamente, spiegami come hanno fatto a darti tutti quei premi, se poi non sai nemmeno inventarti una scusa decente” feci una risatina.
Ian non mi considerò, chiudendo la porta della cucina a chiave.
“Mary, davvero non hai mai presentato un ragazzo alla tua famiglia?”
“Non è che ne abbia avuti così tanti. Al liceo neanche uno”
“E il tizio del tuo primo bacio?”
“Ci stavamo solo frequentando, niente di ufficiale ed eclatante ed è finita prima che potessi anche nominarlo ai miei. All’università solo uno”
“Quello del sesso sulla panchina?”
“Ah, vedo che i particolari li ricordi! – scoppiammo a ridere – Comunque, sì, lui. Tuttavia ci siamo lasciati qualche settimana prima che lo presentassi ufficialmente alla mia famiglia. Poi più nessuno e poi è cominciata la sfilza di relazioni brevi e senza senso qui in America. Sai, quelle piccole storielle sfigate e senza un futuro, cominciate anche grazie a te”
“Le ricordo bene” sbottò.
“Non fare quella voce, non ti chiedevo di certo io di accasarmi” feci una smorfia.
“Lo so – si avvicinò, intrecciando le sue mani alle mie – E ora ci sono io”
“E ora ci sei tu” ripetei.
“E dopo solo sette mesi di relazione mi presenti? Sbaglio o con Mister Panchina è durata di più?”
“Sì, ma… non so spiegartelo”
“Provaci”
“Leopoldo, o Mister Panchina come lo chiami tu, era un ragazzo davvero a posto. Gentile, simpatico. Siamo stati insieme per quasi due anni, ma… vedi, non ho mai avuto quell’istinto di mostrarlo. Non ho mai neanche lontanamente pensato di portarlo a casa e presentarlo ufficialmente. Per quanto mi piacesse, per quanto lo amassi, non sentivo la necessità di fare questo passo. Con te, invece, è stato diverso. Quando Robyn, Giorgio, i miei colleghi e i tuoi sono venuti a sapere di noi, io ho sentito quest’istinto”
“Di mostrarmi?”
“Sì”
“Verbo bruttino, sembriamo oggetti, come i gioielli, così” fece per imbronciarsi.
“E’ l’unico verbo che mi è venuto in mente. E poi dovresti esserne onorato. Sei l’unico gioiello che ho mostrato. Questo fa di te un diamante” sorrisi.
“Dal diamante nasce niente”
“E’ vero – arricciai le labbra – ma è anche vero che il diamante è una delle cose più preziose del mondo”
“Con le parole ci sai proprio fare” mi citò.
Mi prese per le gambe, facendo sì che si stringessero al suo bacino, e mi sedette sul tavolo.
Cominciammo a baciarci e a stuzzicarci.
Quando l’eccitazione di Ian stava per diventare più presente, bussarono alla porta.
“Ehi, piccioncini, indossate i cappotti. Si fa un giro fuori” disse il papà di Ian ad alta voce, sghignazzando.
Arrossii e mi staccai da Ian.
Passammo l’intero pomeriggio in giro per la città. Mentre i genitori di Ian cercavano di spiegare le storie di edifici importanti, notai che i miei si guardavano intorno estasiati, come se quella città fosse davvero grande. Restai un po’ indietro, rispetto al resto del gruppo, per osservarli meglio.
Chi l’avrebbe mai detto che due famiglie, linguisticamente e culturalmente diverse, si sarebbero affiatate così in fretta?
Persino i nostri nonni!
Mentre li ammiravo, l’occhio mi cadde su Ian, che passeggiava con il piccolo Jaxon, secondogenito di Robyn, sulle spalle. Lo teneva saldamente, gli spiegava le cose in un modo dolcissimo e semplicissimo, lo faceva ridere.
Sembrava un papà.
“Oh. Mio. Dio. Cos’ho appena pensato?! Cos’ho appena pensato?!?!” considerai sconvolta.
“A che pensi? Hai una faccia!” mi chiese Giorgio, prendendomi a braccetto e riportandomi alla terra ferma.
“Guarda mamma e papà, sembrano Lucas la mattina di Natale” risi, cercando di scacciare quel piccolo pensiero.
“E questa città non è nemmeno tanto grande! Vedessero meglio Londra… o Atlanta”
“Già” dissi.
“Ehi, asociali! Vi va una cioccolata calda?” disse Addison a gran voce, camminando al contrario per guardarci.
“Non si dice mai di no alla cioccolata calda” dicemmo in coro e corremmo verso il resto del gruppo.
 
“Allora buona cena della vigilia della Vigilia” dissi, prima in italiano e poi in inglese.
Tutti risposero nella propria lingua. Stavamo per cominciare a mangiare, quando un cellulare cominciò a squillare. Più precisamente, il mio.
“Sul serio? Anche qui?” Ian mi guardò.
“Scusatemi – dissi mortificata e mi alzai; risposi – Pronto?”
“Ehi, straniera!” disse Rose contenta.
“Rose, è urgente?”
“Perché?”
“Stavamo per cenare”
“Sì, il Capo ha indetto una riunione del personale e devi assistere anche tu”
“E come? Sono a Covington!”
“Oh, lo so bene, tesoro bello, ma, sai una cosa? Esiste Skype!” mi rispose con voce incredula.
“Quanto sei simpatica da uno a dieci?”
“Cinquanta, ovvio” disse con una punta di superbia.
“Chiamami, forza. Sbrigati prima che cambi idea”
“Agli ordini” riattaccò.
Mi voltai verso gli altri.
“Ehm… è lavoro”
“Vai, tranquilla” Robyn mi sorrise .
Il cellulare cominciò nuovamente a squillare.
“Cominciate pure a mangiare” sorrisi e andai in salotto.
Non appena cliccai sul tasto verde, la schermata del mio smartphone fu riempita dal primo piano di Rose.
“Oh, che bello vederti! Sei ancora tutta intera!” disse estasiata.
“La vuoi smettere?” feci finta di essere infastidita da quelle battutine, nonostante stessi per ridere.
“Va bene, va bene. Allora la comunicazione verrà data tra poco. Nell’attesa – sorrise a trentadue denti – non noti niente?”
“Cosa dovrei notare?  - osservai meglio lo sfondo; le scale, i pavimenti e le pareti erano sempre uguali – E’ tutto come l’ho lasciato”
“Va bene, te lo dico io. Non ti sto chiamando con il Samsung”
“E con cosa?”
“Io e Steve abbiamo anticipato lo scambio di regali, dato che sia domani che dopodomani siamo qui, al contrario di una certa persona che ha il nome che inizia per ‘M’ e finisce per ‘Aria Chiara Floridia’, perciò ti sto chiamando con il mio regalo. Rullo di tamburi – creò la suspense – Steve mi ha regalato un Ipad!” gridò esaltata.
“Ma non gli avevi preso anche tu un Ipad, patito com’è per la Apple?”
“Esatto – strillò – Siamo anime gemelle”
“Per un Ipad? Sì, certo” disse una terza voce reticente, togliendomi le parole di bocca.
La riconobbi subito. Non feci nemmeno in tempo a chiamarlo che la sua figura si palesò.
“Ehi, pasticcino” disse Alex, facendomi un occhiolino.
“Ehi” utilizzai lo stesso tono, usato da lui poco prima.
“Come siamo dolci oggi” disse, sfoggiando un sorriso beffardo e toccando con un dito il prezioso Ipad di Rose.
“Ehi, cavernicolo, giù le mani! – gli diede un buffetto sul polso – Si guarda ma non si tocca”
“Oh, scusami, non volevo oltraggiare il tuo oggetto dell’amore” alzò le mani in segno di resa.
Feci una risatina, senza trattenermi.
“Visto? Lo pensa anche lei” Alex mi indicò, come se fossi la sua ‘partner in crime’.
“Tesoro, lasciali perdere, non possono capire questa nostra connessione cosmica – sentii la voce di Steve farsi più vicina; dopo poco ecco anche lui, tutto sorridente – Ciao, Mary” sventolò la mano.
“Ciao, Steve” ricambiai il saluto, sorridendo.
“Colleghi, attenzione” la voce del Capo giunse autorevole.
“Uh, ecco, ci siamo. Mary, ci sei?” disse Rose sussurrando.
“Ci sento, forte e chiaro” alzai il pollice per conferma.
Il Capo cominciò a parlare: “Come sapete, il 2014 si avvicina. Quest’anno, tuttavia, non è come tutti gli altri. Infatti, nel mese di Giugno l’ospedale compirà ben 150 anni dalla sua apertura. Pertanto, ho stipulato un contratto con un canale televisivo per mandare in onda un documentario sulla vita in corsia. Questo documentario comincerà proprio all’aprirsi dell’anno nuovo e si concluderà in data 10 Giugno, giorno per l’appunto dell’anniversario. Questo documentario implica la presenza di telecamere ventiquattro ore su ventiquattro, sparse per tutta la struttura. Dunque, mi serve il consenso di tutti voi per il benestare alle riprese e a eventuali interviste”
“Mi scusi – chiese timidamente una delle nuove matricole, forse Coleen? – questo vuol dire che non esisterà privacy all’interno di queste quattro mura per quasi cinque mesi e mezzo?”
“Non esageriamo, dottoressa Jefferson. Ci sarà. Le telecamere non verranno inserite né negli stanzini né nelle stanze di guardia né negli spogliatoi, ma solo nei corridoi, negli ascensori, nelle sale conferenze, nelle sale operatorie, nei reparti e nel pronto soccorso”
“Capo, non vorrei portare alla luce dei problemi, ma, anche se tutti noi accettassimo, che si fa con i pazienti?” chiese Alex.
“Accidenti, ha fatto una domanda intelligente!” pensai impressionata.
“Ovviamente anch’essi dovranno firmare per permettere le riprese. Se non firmeranno, non saranno esposti, semplice. Altre domande?”
“Rose” chiamai la mia amica sussurrando.
“Che c’è?” rispose.
“Io sono fuori città fino al 2 Gennaio. Come faccio a dare l’autorizzazione?”
“Capo, la dottoressa Floridia è in collegamento Skype con noi al momento – disse Rose ad alta voce – e mi chiede come lei possa firmare il consenso, dato che è fuori città fino al 2 Gennaio”
“Esistono le e-mail e i fax, dottoressa Floridia”
“Giusto” mormorai.
Altri colleghi posero delle domande, dopodiché il Capo se ne andò e tutti tornarono alle loro occupazioni. Più o meno.
“Mary, che hai intenzione di fare?” mi chiese Steve.
“Beh, credo firmerò, dato che devo pur lavorare in questi mesi e le telecamere sono quasi ovunque”
“Ma non sarà per te come essere nella tana del lupo così?” disse Rose dubbiosa.
“Forse – mi morsi il labbro inferiore – Ne parlo con Ian e la sua manager, ok? Voi intanto mandatemi il documento via mail”
“Ok, sarà fatto” dissero insieme.
“Voi che avete intenzione di fare?”
“Penso firmeremo” parlarono nuovamente insieme, prima guardandosi negli occhi, poi guardando me.
“D’accordo. Scusate ragazzi, ma adesso devo proprio scappare. Ho una cena, ricordate?”
“Giusto. Ciao, tesoro, ci sentiamo” Rose mi mandò un bacio.
“Saluta Ian da parte nostra. Tra un paio d’ore ti mandiamo il documento” Steve sorrise.
Mandai anch’io un bacio e riattaccai.
Tornai in cucina.
“Tutto a posto?” mi chiese Edna.
“Sì” annuii e mi accomodai nuovamente al mio posto.
“Sicura?” mi sussurrò Ian.
“Ti spiego dopo” mormorai e addentai un pezzo di carne.
 
Lucas mormorò, mettendosi in posizione fetale. Mi scostai un po’, guardandolo meglio. Aveva i capelli castani tutti scompigliati e un’espressione serena sul volto. Gli carezzai una guancia e sorrisi, poi uscii dalla stanza e scesi al piano di sotto.
“Si è addormentato?” mi chiese Giorgio.
“Sì. E’ bastata solo una canzone stavolta” incrociai le braccia, sorridendo.
“Povero piccolo, era stremato” Addison sorseggiò un po’ di tisana digestiva.
“Nonno e nonna? Mamma e papà?” domandai.
“Tutti a letto” mi rispose Giorgio.
“Non mi hanno aspettato” mi imbronciai.
“Ti ho aspettato io” Ian mi abbracciò da dietro.
“Dov’eri?”
“A dare la buonanotte a Ruby, Jaxon e Maggie. Robyn e Dena li stanno addormentando” sciolse l’abbraccio e mi baciò una spalla, poi andò un attimo in soggiorno.
Lo guardai allontanarsi, mentre Addison finiva la tisana.
“Ora mi sento meglio! – esclamò e posò il bicchiere vicino al lavandino – Tempo della nanna anche per noi – prese la mano e Giorgio, si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia – Buonanotte e a domani, cognatina”
“A domani – ricambiai il bacio – Non svegliate Lucas, quando entrate”
“Agli ordini” Giorgio fece il gesto da militare e mi salutò con la mano libera.
Non appena entrambi salirono le scale, Ian tornò.
“Dove sei andato? – lo osservai meglio – Cosa nascondi dietro la schiena?”
“Tada! – tirò fuori una bottiglia – Pensavo che ne avessi bisogno”
“Non ho mai bevuto bourbon, sinceramente” dissi, leggendo l’etichetta.
“C’è sempre una prima volta – Ian sorrise; poggiata la bottiglia sul tavolo, prese due bicchieri di vetro, finemente curati – Ecco qua” li posò e scostò la sedia.
“Grazie” sorrisi e mi accomodai.
Ian si sedette accanto a me e versò un po’ di bourbon in entrambi i bicchieri.
“Cin cin!” alzai il bicchiere.
“Cin cin!” ripeté e fece tintinnare il suo bicchiere col mio.
Bevvi un sorso e feci una smorfia.
“Com’è?” Ian mi guardò.
“E’ molto forte. E brucia. Ma è buono” lo guardai anch’io.
“Allora, che cosa riguardava la chiamata di lavoro?”
“Il 10 Giugno dell’anno a venire, l’ospedale compirà 150 anni dalla sua apertura”
“Figo!”
“Infatti e proprio per questo il Capo ha stipulato un contratto con un canale televisivo. Dal 1 Gennaio al 10 Giugno ci saranno delle telecamere in quasi tutto l’ospedale per girare una sorta di documentario e ci sarà anche una troupe che farà interviste o simili. A breve riceverò una mail con i documenti per il consenso alle riprese e alle domande che mi porranno”
“Oh!” Ian annuì, quasi come se fosse sovrappensiero.
“Parla, ti prego. Io so che sarà come essere ‘nella tana del lupo’ – feci le virgolette – ne sono consapevole, me l’ha detto anche Rose; ma… devo pur lavorare. No?”
“Già. Non puoi stare per cinque mesi e qualcosa a non fare niente. Solo… sta’ attenta. Per favore”
“Potranno chiedermi di tutto. Sicuro che vada bene?” chiesi incerta.
“Sì. Devi semplicemente imparare a rispondere con discrezione; a dare le risposte che vogliono, senza entrare fin troppo nei dettagli. E’ un po’ difficile, ma ci riuscirai. Ne sono certo. Devi solo”
“Essere me stessa?”
“Esatto” sorrise.
Finimmo di bere il bourbon. Dopo aver posato la bottiglia nuovamente al suo posto, salimmo al piano di sopra. Ian aprì la porta della sua stanza e mi fece entrare.
Mi guardai intorno.
Era una stanza ordinaria, con i mobili in legno. Sulle mensole vi erano molte foto di famiglia e qualche trofeo, sicuramente di gare scolastiche.
Mi avvicinai e osservai le etichette.
Uh, gare di ippica!
Sorrisi. Ian richiuse la porta.
“Che c’è?” mi chiese.
“Niente, ti immagino qui da piccolino a fare i compiti, a rilassarti dopo le gare di ippica, a”
“Mia madre non doveva farti vedere tutte quelle foto” abbassò il capo.
“Quei capelli a caschetto non ti stavano poi così male – gli scompigliai i capelli – Anche se erano più carini i riccioli biondi. Forse dovrei chiamarti ‘Riccioli D’oro’, sai, per ricordare i bei tempi. Che ne dici?” sorrisi a trentadue denti.
“Mi stai prendendo in giro, eh? Brava, davvero” mugugnò.
Scoppiai a ridere.
“Fa’ piano, dormono tutti”.
“Ops, vero! – tornai seria – Allora, ci mettiamo il pigiama?”.
Ian mi guardò molto malizioso.
“Certamente” sorrise e mi si avvicinò, facendo aderire il suo bacino al mio.
Mi tolse la maglietta, poi mi baciò.
“Ian, intendevo letteralmente”
“Cosa? Andiamo!” mugugnò.
“Beh, non possiamo seriamente farlo qui. Ci sono le nostre famiglie assopite nelle stanze accanto”
“E allora? Facciamo piano”
“Se ci sentono, gli dico che hai abusato di me” gli feci una linguaccia.
“Non oseresti” mi guardò di sottecchi.
“E chi lo sa” arricciai le labbra e feci spallucce.
“Sei consapevole che facendo così in reggiseno, mi ecciti ancora di più?” sussurrò.
“Sì, lo sento” guardai di sfuggita in basso.
“Okay – disse Ian lentamente, scostandomi i capelli e mettendoli tutti da un lato – Sei bellissima” mormorò vicino al mio orecchio sinistro.
“Non fare il ruffiano, non funziona” gli carezzai il volto.
“Allora cosa funziona?” mi chiese, cominciando a strusciarsi su di me.
Non feci più opposizione e mi lasciai trascinare dalla passione di quel momento.
Mi slacciai i pantaloni e li allontanai con i piedi, mentre Ian mi teneva saldamente. Le sue mani scesero lentamente dalla schiena al sedere.
“Tu” dissi con voce gutturale.
Dopo avergli slacciato i pantaloni e sbottonato la camicia, lo buttai sul letto.
“Selvaggia” commentò lui, sorridendo.
“Ian, sta’ zitto” mormorai e salii su di lui a cavalcioni.
“Interessante” sussurrò, pieno di eccitazione, e si tirò su.
Ci togliemmo a vicenda gli indumenti intimi.
“Mary” mi chiamò in un soffio.
“Cosa?” domandai, in preda all’eccitazione, aggrappandomi forte alla sua schiena.
“Non mi sembra che io stia abusando di te o comunque che tu stia facendo – si arrestò, cominciando a muoversi più velocemente – qualcosa controvoglia” concluse la frase con calma.
Accennò un sorriso.
“Ian”
“Cosa?”
“Sta’ zitto” scossi la testa e riunii le mie labbra alle sue.
Le parole smisero di echeggiare nell’aria. Si sentivano solo i battiti del nostro cuore e i nostri respiri, ancora una volta combinati in uno solo, e il nostro amore.
 
Mi svegliai nel buio della camera di Ian. Tastai l’altra parte del letto e sentii che era vuota.
Dov’era finito il mio Somerhalder?
“Ma non è vero, sono davvero Babbo Natale” lo sentii dire in lontananza.
“No, sei zio Ian. Ormai ho tredici anni, non ci casco più. Comunque grazie per i regali anticipati di qualche ora” Peyton sghignazzò.
Mi alzai dal letto ancora assonnata, percorsi il corridoio e scesi in salotto.
“Ian, che ci fai vestito da Babbo Natale?” chiesi, con la voce impastata dal sonno.
 “Visto? Non la dai a bere a nessuno, zio” rise ancora.
Mi avvicinai a Ian e lo abbracciai.
“Il travestimento non ha funzionato” brontolò.
“Dai, è grande ormai, è normale non credere più a queste cose quando si cresce!”
“Non si smette mai di credere a Babbo Natale” si lamentò.
“Quanti anni hai, cinque?” borbottai, imitando la sua voce.
“Ah ah ah, come sei spiritosa! – mi guardò di sottecchi – E’ importantissimo credere a Babbo Natale, infonde gioia e speranza e”
“Ok, ok, come vuoi – sorrisi, scuotendo la testa, poi lo presi per mano – Ora, andiamo a letto, Babbo Natale: domani ci aspetta una lunga giornata – mi rivolsi a Peyton – E anche tu!”.
Stavamo per salire tutti e tre le scale, quando entrambi cominciarono a urlare: “Mary, guarda!”.
Mi voltai per vedere cosa stavano indicando. Il cortile si era riempito di neve in pochissimo tempo.
“Wow! La neve la notte di Natale è… magica!” balbettai meravigliata.
“Che succede?” chiesero assonati Ruby, Jaxon e Maggie, strabuzzandosi gli occhi.
“Bambini, c’è la neve. Vi va di uscire?” disse Ian dolcemente, guardandoli.
“M-m-ma tu sei Babbo Natale!” balbettarono loro, pieni di meraviglia.
“Sì, certo – Ian camuffò immediatamente la voce e cominciò a dire goffamente – Ohohoh, buon Natale! Bambini, voi siete stati davvero bravi quest’anno, perciò vi meritate un po’ di tempo con me sulla neve”
“Sìììì – esultarono felici – e anche con le tue renne?”
“Ehm, riguardo alle renne… Loro s-sono – deglutì – Le renne s-sono”
“Quelle non ci sono – sopraggiunsi io – Babbo Natale le ha fatte stancare tanto, stanno dormendo. Ma avete lui in persona, niente male” dissi sincera, sorridendo.
“Abbiamo Babbo Natale” ripeté Jaxon estasiato.
“Venite, su!” sorrisi nuovamente e li aiutai a scendere il resto delle scale.
Aiutai i bambini a indossare i cappottini, poi uscimmo insieme.
Ian e Peyton ci raggiunsero e cominciammo tutti a giocare con la neve, fin quando Robyn e Bob non uscirono infuriati.
“Che fate fuori con questo freddo?! Andate subito a letto” urlarono in coro.
Ruby, Jaxon, Peyton e Maggie brontolarono, poi seguirono i loro genitori dentro casa.
Io e Ian restammo ad ammirare la neve per un altro po’.
“Quindi, fammi capire, io devo essere presa in giro per le canzoni Disney, ma poi devo chiudere la bocca per Babbo Natale?”
“Mary?”
“Sì?”
“Sta’ zitta” mi diede una spintarella.
“Ti piace citarmi?”
“Un sacco” mi abbracciò da dietro, avvolgendomi con le sue braccia e stringendo il cappotto che avevo indossato.
“Ah, che bella!” esclamai, aprendo una mano per cogliere i fiocchi di neve.
“Ti sorprendi sempre” mi strinse.
“Sempre e comunque. E’ troppo magica, come si può prendere l’abitudine a vederla? A toccarla? Secondo me è impossibile”
“E’ per questo che ti amo” Ian ispirò il profumo dei miei capelli.
“Perché mi sorprendo per la neve?”
“Anche. Guardi il mondo con gli occhi di un bambino. Il che è straordinario. Ti meravigli anche e soprattutto per le piccole cose, il che è sorprendente. Solitamente molte persone perdono tutto questo, tu invece non te ne separeresti nemmeno per tutto l’oro del mondo. Sei semplice. Sei”
“Ok, basta - dissi imbarazzata – Ho capito – mi voltai e, individuate le sue labbra, lo baciai – Ti amo anch’io”.
Ian ricambiò il bacio.
“Rientriamo, su! Comincia a sentirsi di più il freddo” disse apprensivo.
Entrammo nuovamente in casa.
 
La lancetta dei secondi si spostò.
Non erano più le 23:59, bensì mezzanotte. Tuttavia, non era una mezzanotte qualunque. Era ufficialmente il 1 Gennaio 2014. Un nuovo anno era appena cominciato.
Tutti cominciammo a scambiarci gli auguri, quando fummo interrotti da un tintinnio.
Edna stava facendo vibrare con estrema delicatezza un cucchiaino e il flute che teneva in mano.
“Desidero fare un brindisi” disse a gran voce, facendo sì che tutti si placassero, anche chi non capiva l’inglese.
Io e Giorgio automaticamente ci avvicinammo ai nostri familiari, pronti a tradurre qualsiasi cosa la madre di Ian stesse per dire.
“Un nuovo anno ha appena avuto inizio. Solitamente, è proprio a Capodanno che le persone si riempiono di desideri e speranze, imponendosi dei propositi che si prega di rispettare. Anche io ho sempre agito così, dando poi la colpa al fato se qualcosa andava storto. Bene, quest’anno voglio cambiare. Niente più pronostici. Non mi aspetterò più niente. Spesso e volentieri, infatti, vogliamo che le cose vadano sempre in un certo modo e quasi non riusciamo ad accettarne un altro. Io ero così – Edna indicò con entrambe le mani, sia libera che occupata, due rette parallele – Ero come su un rettilineo senza fine e non avrei mai pensato che tutto questo potesse avvenire – indicò tutti noi – E’ stato come se dal rettilineo fossi stata spostata completamente da un’altra parte, perché, beh, mi sono ricreduta. Mio figlio è felice e vostra figlia è una donna straordinaria. Perciò… sono felice che siamo tutti qui insieme e che loro siano insieme. Auguri per questo anno nuovo. Che possano gli eventi inaspettati riempirci la vita sempre in questo modo così… meraviglioso!” sorrise.
“Auguri” dicemmo tutti insieme, facendo anche noi tintinnare i bicchieri.
Stavo bevendo un po’ di spumante, quando sentii chiamarmi: “Zia Mary”.
Qualcuno mi tirò il vestito da dietro. Mi voltai e vidi gli occhi di Lucas, Maggie, Ruby e Jaxon guardarmi timidamente.
“Che c’è, Luke?” gli domandai, sorridendo a tutti.
“Noi ci chiedevamo se” disse.
“Se tu potessi” continuò Maggie.
“Sì, insomma, siamo stanchi e ci chiedevamo se tu potessi” parlò Ruby, gesticolando.
“Metterci a letto” Jaxon concluse quella frase.
“Ma certo! – sorrisi a trentadue denti – Andiamo dalle vostre mamme, così vediamo se a loro va bene”
“Hanno già detto sì” dissero tutti insieme, dopo essersi scambiati un’occhiata, contenti.
“Ok, allora. Andiamo a nanna!” ci prendemmo tutti per mano e andammo al piano di sopra.
 
POV Ian
Mi guardai intorno. Non riuscivo a individuare Mary. Dov’era finita? Mi avvicinai a Robyn.
“Ehi, hai visto Mary?” le domandai, poggiando una mano sulla sua spalla.
“Ehm, sinceramente no, ma credo sia con i bambini. Prima Ruby e Jaxon mi hanno chiesto se oggi poteva metterli la zia Mary a letto”
“L’hanno chiamata zia?” dissi sorpreso.
Robyn annuì.
“Non so se davanti a lei lo facciano, ma con me sì. Dalla notte della Vigilia. Sai, quando avete fatto giocare tutti con la neve alle due di notte, non curanti del freddo”
“Avevano i cappotti”
“Ringrazia che a nessuno di loro sia venuto il raffreddore” mi sventolò un indice davanti al viso.
“Ok” alzai le mani, come in segno di resa.
“Comunque… Mary li ha conquistati” mi sorrise.
“Vado a cercarli” mi trattenei dal sorridere.
“Andiamo, Ian, manifesta la tua contentezza, su!” Robyn mi diede una spintarella.
“D’accordo, d’accordo, mi fa molto piacere” sorrisi a trentadue denti.
“Così va meglio” bevve un po’ dello spumante.
Mi diressi verso il corridoio. Salii le scale, mentre delle voci divenivano sempre più vicine.
“… E allora l’orso piccolo disse ‘Qualcuno si è seduto sulla mia sedia e l’ha rotta’  – Mary fece una voce più melensa; restò per un attimo in silenzio e aggiunse – Ragazzi, come fa a piacervi questa storia? Ce ne sono di più belle”
“Io infatti volevo Cenerentola” Maggie brontolò.
“Lo devi dire a lui” disse Ruby.
“Ma è bella anche questa! Ci sono gli orsi” ribatté Jaxon.
“Ti piacciono gli animali, eh?” domandò Mary.
“Sì, ha aiutato uno dei gatti della loro nonna a uscire da un vaso oggi pomeriggio” disse Lucas.
“Si era incastrato in un vaso?” chiese Mary.
“Sì e io l’ho salvato” Jaxon rispose in modo fiero.
“Sei proprio nipote di tuo zio” Mary parlò con dolcezza.
“Voglio diventare come lui da grande” ammise il mio più giovane nipote.
“Ma davvero?” Mary si sorprese.
“Sì e si sta facendo crescere i capelli per questo motivo – sopraggiunse Ruby – Lo zio Ian aveva i capelli lunghi una volta”
“Non lo sapevo”
“Mary” subentrò la vocina di Maggie.
“Dimmi Maggie”
“Sono felice che zio Ian stia con te”
“Oh, tesoro, grazie!”
“Anche io” puntualizzò Ruby.
“E anche io” disse Jaxon.
Mi affacciai lentamente dall’ingresso della camera, sperando che tutti e cinque non notassero la mia presenza.
Mary baciò tutti e quattro sulla guancia.
“Ehi, anche io voglio un bacino!” Lucas protestò, incrociando le braccia.
“Eccolo che arriva! – Mary sorrise e fece sballottare i suoi ricci sul volto del suo nipote, poi lo baciò – Contento?”
“Sì, va meglio” ridacchiò.
“Allora, riprendiamo la storia?”
“Sì” dissero tutti in coro.
“Ok, allora, i tre orsi, infine entrarono nella camera da letto” Mary riprese a raccontare.
Mi appoggiai al muro, ascoltando per un po’ il tono della sua voce, così dolce e… materno.
“Cosa mi passa per la testa?!” dissi tra me e me incredulo.
Scossi la testa e tornai al piano di sotto.
 
POV Mary
Entrai in camera felice. Era normalissimo che Lucas mi avesse chiesto di addormentarlo. Ogni qualvolta eravamo insieme, non c’era scusa che reggeva. Doveva essere la sua ‘zietta’ a metterlo a letto. La cosa davvero straordinaria era che Maggie, Ruby e Jaxon mi avessero cercato per quel motivo. Non me lo sarei mai e poi mai aspettato. Sospirai, contenta. Si erano affezionati. Mi avevano accettata. Incredibile!
“Robyn aveva ragione quella volta” sussurrai, ripensando a quel pomeriggio di due settimane fa e alla nostra chiacchierata in cortile.
Ah, che famiglia! Tutti così gentili e calorosi! Edna e Robert, nonostante avessero divorziato, erano riusciti a mantenere la famiglia affiatata e unita. Tutti e tre i figli erano in questo modo cresciuti con grande senso del dovere e sia Bob che Robyn avevano saputo fare lo stesso con i loro figli. Peyton, così adolescente da voler fare il duro, ma da rivelarsi invece un ragazzino tenero, amichevole e anche studioso. E poi Maggie, Ruby, Jaxon! Erano tre bambini dolcissimi e molto intelligenti per avere rispettivamente otto, sette e sei anni. Anche i loro occhi ricordavano molto quelli di Ian.
Chissà se i nostri figli avrebbero avuto quegli stessi occhi!
“Mary, ma a che diavolo pensi? Di nuovo?! Quel poco di alcol che hai bevuto deve averti dato alla testa” disse una vocina nella mia testa.
Aveva ragione. Cacciai quel pensiero nuovamente e mi spogliai.
Stavo indossando il pigiama, quando entrò anche Ian.
Senza dire una parola, mi abbracciò da dietro e cominciò a baciarmi e mordicchiarmi il collo.
“Ian, che stai facendo?” sussurrai.
“Volevo rifare ciò che abbiamo, mmm, come dire, sperimentato la settimana scorsa, più o meno, sai…” fece cadere il discorso e mi fece girare, poi mi appoggiò contro il muro.
Preso il mio volto tra le mani, cominciò a baciarmi sempre con più foga.
“Perché?” domandai ansimante, tra un bacio e l’altro.
“Per presentarti ufficialmente il mio metodo”
“Come scusa?”
“Il mio un metodo silenzioso! E’ quello che ho attuato l’altra sera e credo debba essere riproposto. Sai, chi fa sesso a Capodanno, fa sesso tutto l’anno” sorrise malizioso.
“Aspetta, tu hai chiamato metodo silenzioso il nostro rapporto dell’altra sera?” dissi un po’ troppo ad alta voce.
“Sssh, parla più piano! Vuoi farci scoprire? – rise, poi mi guardò ammiccante – Il metodo silenzioso comincia adesso” sorrise e riprese a baciarmi.
Stavo per cedere, nuovamente, quando bussarono alla porta.
Immediatamente, Ian si staccò da me.
“Avanti” dicemmo entrambi.
Giorgio fece capolino, con un’espressione mortificata sul volto.
“Uh, bene, non siete appiccicati come due sanguisughe!” disse, divenendo sollevato.
“Che intendi?”
“Beh, vi ho sentito parlottare e ho anche sentito dei sospiri molto, ehmmm, eccitati, perciò sono venuto qui per… ehm, p-per dirvi c-che” balbettò in difficoltà alla fine.
“Che? Fratellone, parla!” lo incitai.
“Se per favore potete evitare! Vicino a questa camera ci siamo io e Addison e, beh, la settimana scorsa vi abbiamo sentito. Non vi abbiamo detto niente, perché, beh, è molto imbarazzante, ma non vogliamo che ricapiti, perché è ancora più imbarazzante immaginare la propria sorellina fare – Giorgio disse tutto in una volta, poi si arrestò, fissando il vuoto per un momento e scosse la testa, riprendendosi – Quindi, grazie” sorrise e, molto goffamente, uscì dalla stanza, richiudendo la porta alle sue spalle e non lasciando a me e a Ian il tempo di dire qualcosa.
Ci guardammo.
“Metodo silenzioso, eh?” risi in modo soffocato.
Alzò gli occhi al cielo e mi ignorò.
“Su, dormiamo. Domani dobbiamo prepararci per il rientro”.
 
“Eccoci qui, arrivati a destinazione” disse Ian, sorridendo.
“E anche puntuali. Grazie mille” gli diedi un bacio stampo.
“Buon lavoro”
“Mi raccomando, sii carino con i miei”
“Ma certamente, sarà fatto”
“Grazie, davvero. Ci vediamo domani a pranzo. Spero di trovare leccornie a tavola”
“Con tua nonna, tua cognata e tua madre tra i fornelli credo che la tua speranza si avvererà”
“Bene” sorrisi, gli diedi un altro bacio e scesi dalla macchina.
Stavo per entrare, quando fui bloccata da un uomo sulla quarantina, coi capelli brizzolati e gli occhi color nocciola.
“Sì?” dissi.
“Lei è?” mi chiese.
“Sono la dottoressa Floridia. Lavoro qui da quasi cinque anni e mezzo”
“Cartellino, grazie”
“Ma lei chi sarebbe?” risposi in modo un poco alterato.
“Sono uno degli addetti per i controlli. Sa, il documentario”
“Ah, già, quello cominciato ieri – rovistai nella borsa e tirai fuori il badge – Ecco qui il mio cartellino di identificazione. Contento adesso?”
“Molto. Grazie” accennò un sorriso.
“Ma prego – risposi con fare sarcastico ed entrai nell’edificio – Buonasera, Denise” sorrisi all’infermiera di turno all’ingresso.
“Bentornata, Mary – Denise ricambiò il sorriso – Il Capo mi ha detto di dirti che devi andare nel suo ufficio. Deve parlarti”
“D’accordo – annuii – I miei pazienti?”
“Tutto okay, se ne stanno occupando i tuoi specializzandi con le rispettive matricole”
“Va bene, spero se la cavino”
“Se la sono cavata abbastanza bene in queste due settimane”
“Sì, chiamandomi un’ora sì e l’altra pure – mormorai con ironia; aggiunsi – Denise, chiamami subito se combinano qualcosa”
“Agli ordini” fece il gesto da militare.
“Grazie” sorrisi riconoscente e andai verso gli ascensori.
Salita al primo piano, mi trovai davanti all’ufficio del mio superiore. Presi un bel respiro e bussai.
“Avanti!” disse il dottor Richardson con voce stanca.
“Capo, buonasera. Voleva vedermi?” domandai, entrando nella stanza.
“Oh, buonasera dottoressa Floridia! – mi sorrise, facendo cenno di accomodarmi – Fatto un buon viaggio di ritorno?”
“Sì, signore. Ora sono prontissima per fare il mio primo turno notturno del nuovo anno”
“Benissimo”
“Denise all’ingresso mi ha detto che voleva vedermi”
“Esatto. Si ricorda di Bill Peterson?”
“Mmmm, se non sbaglio è stato un mio paziente al terzo anno. E’ arrivato durante un mio turno al pronto soccorso, necessitava di un – strizzai per un momento gli occhi per ricordare – doppio trapianto polmonare! Può essere? E se ricordo bene era, cioè, è anche un suo”
“Sì, Floridia, è un mio amico”
“Come mai mi ha chiesto di lui?”
“Cosa si ricorda del suo caso?”
“Beh, quella volta ricordo molto bene che il dottore supplente di cardio ha trapiantato solo un polmone, non entrambi, perché il secondo polmone è andato in necrosi. O forse no – arricciai le labbra – Comunque non era più utilizzabile”
“Esatto. Bene, Bill si trovava a Los Angeles per Capodanno e ha avuto una profonda crisi. Il polmone trapiantato stava bene prima, tuttavia ha cominciato ad affaticarsi fin troppo a causa del polmone mal funzionante. E’ giunto il momento di fare il secondo trapianto”
“Ok e mi ha convocata qui perchéé” prolungai l’ultima vocale, cercando di capire.
“Perché il mio collega al Saint Vincent Medical Center mi ha detto che Bill ha chiesto di lei. Perciò, non appena gli troveranno i polmoni, lei assisterà a questo trapianto. Potremmo farlo qui, tuttavia non è consigliabile spostarlo”
“Lo capisco bene” annuii.
“Lo farà?”
“Doppio trapianto polmonare. Certamente”
“Bene. Grazie. Significa molto per lui e… e anche per me”
“Di niente, signore. Per me è un piacere”
“Tenga presente che potrebbe partire per LA in qualsiasi momento”
“Sicuro” annuii nuovamente con convinzione.
“Bene. Può andare. Grazie ancora e buon turno”
“Grazie a lei” mi alzai.
Stavo per uscire, quando il Capo mi bloccò.
“Floridia”
“Sì, Capo?”
“Prima di andare in corsia, vada in sala riunioni mmmm nord”
“Perché?”
“Deve introdursi per il documentario” accennò un sorriso.
“Introdu – mi arrestai, spalancando la bocca – Che diavolo vuol dire ‘introdurmi’?”
“Beh, presentarsi. Sa, nome, cognome, reparto e via”.
Restai per un altro po’ a bocca aperta, poi dissi: “Sarà fatto, signore”
“Così si fa, Floridia” alzò entrambi i pollici e sorrise nuovamente, tornando poi a occuparsi di qualche scartoffia.
“Introdurmi” scossi la testa e uscii dall’ufficio.
Misi le mani nelle tasche del camice e cominciai a camminare verso la sala riunioni nord, come mi era stato detto. Non appena arrivai, un uomo sulla trentina, con i capelli ramati e gli occhi verdi, mi venne incontro e tese la mano destra.
“Buonasera. Lei è?” mi chiese, sorridendo.
“Il dottor Richardson mi ha mandata qui per ‘introdurmi’” feci le virgolette.
“Uh, bene! Si accomodi” mi rispose e mi fece cenno di accomodarmi.
Mi sedetti e lui di fronte a me. Fece segno al suo assistente di accendere luci e telecamere, poi disse: “Allora, come si chiama?”
“Il mio nome è – sorrisi – Maria Chiara Floridia”.
Quell’uomo cominciò a tossire.
“Un po’ d’acqua?” mormorò l’assistente, prendendo velocemente un bicchiere di plastica dal distributore.
“Sì grazie” disse l’altro con voce un po’ strozzata.
Cominciai a ridere mentalmente, esaltata dal fatto che quel giornalista, o quale diavolo fosse il suo mestiere, non mi avesse riconosciuto.
Dopo che quell’uomo ebbe bevuto, fece un respiro profondo.
“Quindi, tu sei Maria Chiara Floridia. Quella – sottolineò quell’aggettivo – Maria Chiara Floridia”
“Yep! Sono proprio io” annuii lievemente.
“Wow, davvero – l’uomo sorrise, facendo esaltare i suoi occhi verdi – In che reparto lavora?”
“Chirurgia e mi sto più precisamente specializzando nella chirurgia cardiopolmonare”
“Intenso”
“Già”
“A che anno di specializzazione è arrivata?”
“Sono al quinto anno ormai, perciò altri due anni e sarò un medico ufficiale. Non che ora non lo sia, ma… beh, tra due anni non sarò più una subordinata di qualcuno. Non dovrò fare la schiavetta e non dovrò più beccarmi i turni più brutti e le analisi più odiose per ripicca di un superiore. Perciò, sarà un gran bel passo. Sarà come uscire dal liceo. Di nuovo”
“Affascinante descrizione”.
Mentre quell’uomo mi fissava, realizzai di aver parlato un po’ troppo.
“Oh, mi dispiace, sono stata un po’ logorroica!” esclamai.
“Non fa niente, anzi ha detto delle cose davvero vere e sincere. Ci sarà da divertirsi da qui a Giugno”
“Vedremo” sorrisi.
Stava per pormi una domanda, forse, quando il mio cerca persone trillò squillante. Lo controllai, cliccando il bottone che avrebbe fatto smettere quel suono.
“E’ Denise. Che hanno combinato quei delinquenti?” borbottai e mi alzai dalla sedia.
“Dove sta andando? Non abbiamo finito!”
“Crede davvero che io abbia potuto finire ogni cosa che ho cominciato da quando sono diventata un medico? – scoppiai a ridere di gusto – Ah, oddio, ci sarà davvero da divertirsi!” scossi la testa divertita e uscii da quella sala.
Quando andai al pronto soccorso, Denise mi venne incontro frettolosa, con i capelli rossi che le balzavano talvolta davanti agli occhi.
“Cos’hanno combinato, eh?” chiesi rassegnata, mentre acceleravo il passo.
“Niente, stanno lavorando bene”
“Allora perché”
“Ti ho chiamata? E’ arrivata una tua paziente al pronto soccorso. Pensavo volessi saperlo”
“Chi?”
“Si chiama Sarah, ha sei-sette anni, credo. Se ricordo bene, il paramedico mi ha detto che è cardiopatica”
“Che le è capitato?” risposi agitata.
“E’ nel lettino cinque, in attesa che qualcuno le metta dei punti. Non so di preciso cos’è successo”
“Vado io” dissi, correndo verso quella postazione.
Stavo per scostare la tenda, quando il volto stanco e afflitto di Kevin mi si parò davanti, illuminandosi un poco.
“Mary, ciao” sorrise debolmente.
“Ehi – gli diedi una pacca sulla spalla – Come va?”
“Va bene – fece una smorfia – Diciamo”
“Cos’è successo?”
“Stavo cercando d-di stilare qualche curriculum. Mi hanno licenziato e sto… devo trovarmi un lavoro”
“Oh, Kevin, mi dispiace tanto!” dissi mortificata.
“E Sarah voleva uscire, ma non potevo portarla fuori. Così si è messa a giocare in salotto e ha battuto la testa”
“E’ scivolata o ha avuto una crisi?”
“Non lo so! Mary, non so più niente” si passò una mano tra i capelli, frustrato.
“D’accordo, non preoccuparti. Ora le metterò i punti e poi faremo dei controlli, ok?”
“Sì, certo. Sì” annuì.
“Non preoccuparti. Andrà tutto bene” gli sorrisi.
“Posso andare in mensa per un po’?”
“Certo, sto io con Sarah” risposi e scostai la tenda.
“Ciao Mary” Sarah mi sorrise.
I suoi capelli biondi erano legati in una treccia e l’attaccatura di questi ultimi era un po’ rossiccia, per via del sangue.
I suoi occhi erano vispi, ma sofferenti.
“Ehi, S – ricambiai il sorriso – Bel taglio” indicai la sua fronte.
“Ehm, sì” strizzò gli occhi, facendo una smorfia.
“Allora – mi sedetti sullo sgabello e avvicinai il tavolino, su cui vi erano un vassoio e tutti gli strumenti necessari per la sutura – Ora ti inietterò un anestetico, molto meno forte di quello a cui sei abituata, ma altrettanto efficace” presi il flaconcino e la siringa.
Prelevai il medicinale dal flaconcino, battei con due dita la siringa e mi avvicinai alla fronte di Sarah.
“Sicura che non mi farà male?” chiese incerta.
“Sentirai solo un pizzichino. Ok, forse più di uno, ma saranno piccole cose. Te lo prometto”
“Ok” Sarah annuì e chiuse gli occhi.
Premetti nel modo più delicatamente possibile l’ago della siringa sulla sua pelle, anestetizzando la sua fronte, di modo che non sentisse dolore, mentre la ricucivo.
“Fatto – allontanai l’utensile – Non è stato poi così terribile, no?”
“No”
“Ecco, appunto. Ora guariamo questa ferita” cominciai a suturare, mentre gli occhi azzurri di Sarah mi seguivano attentamente.
Non appena finii, presi una garza e la applicai sui punti, così da proteggerli.
“Tada! – le sorrisi a trentadue denti – Devo ricontrollarti tra cinque giorni per vedere se possiamo toglierli. D’accordo?”
“Sì”.
Fatte anche le analisi del sangue, chiesi a Denise se potesse portarle al laboratorio.
“Visto? Tutto fatto”
“Già – si guardò intorno – Dov’è papà?”
“E’ andato a prendere un caffè, tranquilla, arriverà presto” le presi la mano e gliela strinsi.
“Resti con me fino a quando non torna?”
“Ma certo, tesoro”
“Mary”
“Sì?”
“Mi manca la mamma. E anche a papà” disse, quasi sussurrando.
“Lo so, tesoro, lo so. Ma vedrai che andrà tutto bene”
“Voglio che vada tutto bene. Lo voglio per papà”
“E andrà tutto bene, non preoccuparti. Me ne occuperò io. Non permetterò che vi accada niente di brutto” mi sporsi e la abbracciai, stringendola.
Quella bambina aveva perso già abbastanza. Non poteva rischiare altro. Non meritava altre cose brutte. Dovevo impegnarmi per impedire altri eventi tristi.
Restai con l’unica figlia di Jodie fin quando Kevin non tornò, poi andai a compilare la sua cartella.
Avevo appena finito, quando Ian mi chiamò.
“Ehi”
“Come va?”
“Finora tutto bene. Spero di poter dire lo stesso a fine turno. A casa?”
“Tutto a posto, tranquilla. Addison è in cucina con tua madre e tua nonna a preparare la cena e gli uomini della tua famiglia, incluso il nanetto, stanno giocando a carte”
“E tu?”
“E io parlo con te”
“Potresti socializzare, no?”
“Stavo socializzando, lo giuro, ma poi ha chiamato Barbara e ho dovuto mettere da parte tutto per rispondere”
“Che è successo? Il piano che abbiamo architettato per evitare altre minacce di morte nei miei confronti non sta funzionando? Sta venendo un sicario a uccidermi con un’arma col silenziatore?”
“Ah ah, ma come sei simpatica! – Ian parlò lentamente con tono ironico – Comunque no. Non è questo. Abbiamo fatto quasi tutto quello che aveva proposto, eccetto una cosa, più o meno, e lei vorrebbe c-che”
“Cosa? Sono stata a Parigi con te, siamo stati più aperti nei social networks”
“Ecco, vedi, lei crede che la Con di Parigi non valga come evento pubblico, perché nonostante siano uscite nostre foto e i fans ti abbiano visto, beh, non era un evento ufficiale con red carpet e il resto, perciò lei si chiedeva se – esitò per un momento – se tu potessi accompagnarmi ai PCA la settimana prossima”
“Ai P-PC-CA? Stai scherzando? Ah, no, non se ne parla, ci sono tr-troppe persone, troppi occhi, troppi obbiettivi, troppi microfoni… No, davvero, no!”
“Mary”
“E poi non posso proprio. Dovrò prendermi già i tre giorni del weekend per il matrimonio di Rose, non posso chiedere al Capo anche un altro weekend”
“Ti ricordo che hai dieci settimane e tre giorni di ferie arretrate degli ultimi cinque anni! Io credo che il Capo possa concederti un altro weekend”
“Tesoro, mi dispiace. Non posso”
“D’accordo. Proverò a convincerti un altro giorno. Magari in soggiorno. Sul divano. Nudo. Quando la casa non sarà piena di tuoi familiari”.
Deglutii.
“Vedremo se cederò – mormorai, con nessun filo di sicurezza in voce – Ora devo andare. Tu sarai anche in fase relax natalizio al momento, ma io sono già in fase stress lavorativo, per cuiii”
“Ma certo, va’ pure. Buon lavoro e… pensa a quello che ti ho detto”
“Ho percepito il tuo occhiolino dall’altro capo del telefono, renditene conto”.
Ian scoppiò a ridere.
“A domani”
“A domani” scossi la testa divertita e riattaccai.
 
Mentre degli specializzandi portavano il signor Peterson in terapia intensiva, il dottor Norton, collega e amico del Capo, mi si avvicinò, afflitto.
“Devo dirlo io alla famiglia?”
“No. Vado io – lo guardai – mi sembra giusto così”
“Ok”.
Sospirai. Mi tolsi la cuffietta e mi sciolsi i capelli, dirigendomi in sala d’attesa. Subito notai la moglie di Bill, sempre stata al suo fianco, sempre preoccupata, ma non per questo meno tenace e speranzosa.
“Allora, Mary?” chiese in ansia, alzandosi.
“Dove sono i tuoi figli, Sue?”
“A mensa per mangiare qualcosa per pranzo”
“Forse dovremmo aspettarli allora”
“No. Dimmi adesso. Com’è andata?”
“Ecco – esordii, guardandomi per un attimo i piedi – avevamo appena trapiantato il primo polmone, quando ci siamo accorti che una parte stava andando in necrosi, come se lo stesse già rigettando. Abbiamo dovuto rimuoverlo, prima che provocasse danni. Al momento, Bill si trova in terapia intensiva attaccato a una macchina che respira per lui, dato che ha solo un polmone. Malandato”
“Oddio! – Sue cominciò a singhiozzare – E-e ora c-c-cosa s-succede?” balbettò.
“Abbiamo circa quindici ore di tempo per trovargli i polmoni nuovi. Se questo tempo dovesse scadere, non sappiamo ancora cosa potrà accadere”
“Sì”
“Scusa?”
“Sì che lo sai. Te lo leggo negli occhi. Se non troverete questi organi, mio marito morirà tra quindici ore”
“Beh, sì – sussurrai – Mi dispiace tanto. Ma, Sue, non dobbiamo abbatterci. Dobbiamo avere fede, perché troveremo questo polmone e tutto si risolverà”
“Come posso avere fede, se nemmeno ci credo?”
“Allora avrò fede io. Per entrambe – le presi una mano e la strinsi – D’accordo?”
“Ok” Sue annuì e mi abbracciò.
Restai a farle compagnia, fin quando non tornarono i suoi figli dalla mensa. Dopodiché andai nello spogliatoio dei medici visitatori e mi cambiai. Appena indossate le scarpe, il cellulare cominciò a squillare.
“Pronto?” risposi senza guardare.
“Ehi, sono fuori dall’ospedale con John. Com’è andata?” chiese Ian apprensivo.
“Male e ora abbiamo solo quindici ore di tempo per rimediare. Non so se me la sento di venire e sorridere e… sarei una cattiva persona”
“Non è vero”
“Sì, invece. Mi sentirei così, perché Bill e i suoi familiari resterebbero qui a lottare per la sua vita, mentre io me ne andrei agli eventi mondani, tutta elegante”
“Non lo faresti perché vuoi fregartene del tuo paziente, lo faresti per me, perché sono egregiamente riuscito a convincerti” concluse la frase con tono malizioso.
Tornai con la mente alla settimana scorsa, più precisamente al giorno in cui avevo accompagnato i miei all’aeroporto.
 
“Sono a casa” urlai, chiudendo il portone d’ingresso.
Tolsi il cappotto e le scarpe, posai la borsa, indossai le pantofole e, solo allora, mi guardai intorno.
Moke, Thursday e Damon giocherellavano con dei pupazzetti di lana ai piedi del divano. A parte quella dinamicità, il resto era tutto fermo immobile.
Dove cavolo era finito Ian?
Improvvisamente un odorino molto allettante giunse dalla cucina. Era un insieme di ingredienti, questo lo capivo, ma non riuscivo bene a identificarli. Cosa stava cucinando?
Incuriosita, mi avviai.
“Grazie per aver risposto al mio ‘Sono a ca” mi bloccai all'istante.
Ian era di spalle e aveva in mano una bottiglia di vino bianco, con cui stava sfumando qualsiasi cosa ci fosse all’interno della padella. Tuttavia, non era questa la cosa sconvolgente, bensì il fatto che riuscissi chiaramente a vedere il suo marmoreo lato B.
“Sa’” sussurrai, fissandolo e deglutendo.
“Oh, ciao” Ian si voltò, sfoggiando un sorriso beffardo.
“T-tu s-sei” balbettai, indicandolo imbarazzata.
“Cosa? Cosa sono?” disse divertito, poggiando la bottiglia di vino.
Subito dopo, spense i fornelli e mi si avvicinò lentamente.
“Nudo. Sei nudo. Stai cucinando nudo” mormorai sommessamente, non riuscendo nemmeno a guardarlo in faccia.
“Mary, cavolo, l’hai visto nudo milioni di volte, riprenditi!” pensai, schiaffeggiandomi mentalmente, ma era inutile.
“Sì, beh, te l’avevo detto che l’avrei fatto. O sbaglio?” chiese.
Non ricevette alcuna risposta.
“Mary, il mio viso è di qua” mi alzò il mento con due dita, cercando di trattenere una risata.
“Sei nudo. Stai cucinando nudo” ripetei, come se si fosse incantato un vecchio giradischi.
“Lo so” sorrise nuovamente e mi tolse il cardigan.
“Sei anti-igienico” ribattei, cercando di essere razionale e restare ferma nella mia decisione.
“Non è vero, mica ho cucinato con il grande Smolder” mi fece notare, togliendomi la maglietta.
“Non sei divertente”
“Difatti – si interruppe, baciandomi prima una spalla e poi l’altra, mentre mi privava del reggiseno – non è mia intenzione esserlo”
“Sei uno stronzo. E uno scorretto. Uno stronzo scorretto”
“Può darsi. Ma ricorda sempre che sono il tuo – sottolineò quell’aggettivo -  stronzo scorretto – detto questo, cominciò a baciarmi la pancia, scendendo sempre più giù, mentre mi slacciava i pantaloni – Vieni con me ai PCA. Sii la mia accompagnatrice”.
Cominciai a respirare affannosamente, mentre Ian mi toglieva le pantofole, i pantaloni e le calzette.
“Di’ di sì, dai!” mi incitò con voce sensuale, sottraendomi anche gli slip e baciandomi in corrispondenza di un osso del bacino. Pian pianino baciò sempre più in basso.
Chiusi gli occhi, cercando di trovare qualcosa a cui appigliarmi. Reclinai il capo e mi morsi il labbro inferiore.
“Mary” mi chiamò con un sussurro, mentre era ancora in ginocchio dinanzi a me.
“Al diavolo” riaprii gli occhi, lo feci alzare e, spintolo a muro, cominciai a baciarlo, facendo aderire il mio corpo al suo.
 
“Sì, beh, non è che tu mi abbia lasciato molta scelta” commentai, lanciandogli un’occhiataccia, nonostante non potesse vedermi.
Ian scoppiò a ridere.
“Vuoi dirmi che non ti è piaciuto? Strano, da quante volte hai gridato il mio nome pensavo di sì”
“Vaffanculo”
“Ti aspetto fuori, su”.
Riattaccammo.
 
POV Ian
“Avanti, venite fuori” dicemmo io e Joseph in coro, bussando al camerino delle donne.
Nina aprì la porta e uscì raggiante. Indossava un abito lungo, blu scuro e tempestato di diamanti sul lato destro. I capelli erano completamente raccolti, intrecciati tra loro. Ricordavano molto l’oceano.
“Wow, tesoro, sei straordinaria!” Joseph esclamò estasiato.
“Grazie” Nina sorrise molto elegantemente e gli diede un bacio sulla guancia.
“Ilaria e Riawna hanno fatto proprio un bel lavoro oggi” sorrise beffardo.
Entrambe uscirono dal camerino, dicendo in coro: “Perché, vorresti dire che le altre volte abbiamo fatto un brutto lavoro?”
“Non sia mai. Non surriscaldatevi, donzelle” Joseph sghignazzò, scuotendo la testa.
“Ma la mia dama dov’è finita?” m’intromisi, guardando l’ingresso del camerino.
“E’ sparita, andata, si è calata giù con un lenzuolo, mentre nessuno la guardava” disse Mary ad alta voce, forse dal bagno?
“Scema – risi – Esci fuori, dai! Tra poco ci sarà il red carpet”
“Non nominarlo – ribatté con voce lamentosa – Non posso accompagnarti da qui? Facciamo una chiamata Skype. Vedrai, sarà divertente” cercò di essere convincente.
“No e no. Esci fuori, su! Scommetto che sei bellissima”
“Sfortunatamente per te, non è vero”
“Sta’ un po’ zitta, Mary – s’intromise Nina – Sei meravigliosa”
“Zitta tu, dea scesa in terra. Oggi stai un incanto. Non voglio uscire, sul serio”.
Alzai gli occhi al cielo.
“Ok, a mali estremi, estremi rimedi. Signorinella, sto rientrando. Preparati, perché ti farò uscire a calci in quel tuo bel culetto italiano. Chiaro?” Nina corrugò la fronte, provando a fare una voce da dura.
Mary borbottò qualcosa e, dopo non molto, uscì dal bagno. Restai imbambolato. Indossava un abito lungo tra l’indaco e il grigio, con una lieve arricciatura in corrispondenza del bacino per via di una spilla dorata. I capelli erano semiraccolti, in modo che si notassero gli orecchini, anch’essi dorati, abbinati alle scarpe, a due bracciali e alla pochette.
“Ian, di’ qualcosa o torno in bagno” Mary richiamò la mia attenzione, impacciata.
“S-sei… mozzafiato” parlai quasi senza fiato.
Mary divenne rossa. Mi avvicinai a lei.
“Dove sono i tuoi occhiali?”
“Riawna mi ha fatto mettere le lentine. Ha detto che gli occhiali avrebbero rovinato l’insieme”
“Beh, aveva ragione” mi voltai verso Riawna, sorridendo.
“Cosa credi, Smolder? So fare il mio lavoro” rispose con tono superbo.
“Oh, lo so! – mi rivolsi nuovamente a Mary e le porsi il braccio – Andiamo?”.
Mary si avvicinò al mio collo e depositò un bacio nell’incavo.
“Ian, davvero, credo di avere un attacco di panico. Il tuo mondo mi odia, non sono certa che tutto questo sia una buona idea” mi sussurrò poi all’orecchio.
“Ti prometto che le nostre mani saranno sempre intrecciate. Non ti lascerò nemmeno per un secondo. A meno che non vinco, in tal caso dovrei salire sul palco e non credo tu voglia raggiungermi”
“Assolutamente no” scosse la testa velocemente.
“Eccetto quei momenti, starò sempre al tuo fianco. Permettimi di mostrare il mio diamante”
“Copyright 2013 Maria Chiara Floridia”.
Feci una risatina e Mary mi seguì a ruota. Quando tornammo seri, era visibilmente più serena. Infatti, senza che aggiungessi altro, si aggrappò al mio braccio.
“Ah! Sono più alta di te stasera” mi fece la linguaccia.
“Te lo concedo. Solo per oggi, sia chiaro”.
Ci demmo un bacio stampo e raggiungemmo, insieme a Nina e Joseph, tutti gli altri, pronti per i People Choice Award.
 
Guardai Mary e le presi la mano.
“Visto?” dissi.
Osservò le nostre mani intrecciate e annuì.
“Pronta?”
“Sì” sorrise, alzando lo sguardo verso di me.
Scendemmo dall’auto e subito i flash ci travolsero. Mentre percorrevamo il red carpet mano nella mano, si avvicinarono alcuni giornalisti.
“Ian, quando verrà trasmessa la quinta stagione di ‘The Vampire Diaries’?” chiese uno di loro, avvicinandomi il microfono.
“Abbiamo avuto degli ostacoli, ma finalmente il 23 Gennaio andrà in onda la prima puntata. La cosa positiva è che ci saranno meno pause televisive e alcune puntate verranno mandate in onda in coppia”
“I fans saranno contenti”
“Già” sorrisi.
“Questi ostacoli hanno a che fare con l’incidente che tu e la tua fidanzata avete avuto verso la fine Agosto?” domandò un’altra.
Strinsi la mano a Mary e risposi: “Diciamo che… ha avuto la sua importanza. Dopo, per via della convalescenza, non ho potuto lavorare molto e la serie ne ha risentito. Ma, comunque, gli autori e tutti i miei colleghi del cast sono stati molto bravi, girando tante scene dove non ero presente. Almeno non siamo completamente indietro con le riprese” conclusi con un sorriso.
“Puoi anticiparci qualcosa della prima puntata?”
“Posso solo dirvi che ne vedrete delle belle. La quarta stagione si è conclusa con la tanto attesa dichiarazione di Elena, la quinta inizierà con le conseguenze di questa dichiarazione”.
Un giornalista si rivolse a Mary: “Lei può dirci qualcosa in più?”
“Sfortunatamente no, sono all’oscuro anch’io di cosa accadrà nelle nuove puntate” mentì ovviamente.
Pensai al primo giorno di riprese, quando alla fine i giornalisti ci avevano scoperti. Mary si era divertita tantissimo agli studios e aveva assistito alla lettura del copione della prima puntata. Almeno su quella sapeva tutto.
“Team Stelena o Delena?”
“Delena – disse, come se fosse la cosa più normale del mondo; aggiunse – Ovviamente”
“E’ di parte? Ma non è un po’ strano tifare per una coppia di ex?”
“Non sono di parte, li ho amati sin dalla prima puntata. Quando Damon esordì con quel ‘Ciao, fratellino’, ricordo che quasi saltai dalla sedia. Fu difficile riprendermi”
“Addirittura” commentai, intromettendomi e guardandola con la coda dell’occhio.
“Non interrompere – mi guardò sorridendo – Comunque, poi quando ha detto a Stefan che Elena gli aveva tolto il respiro, beh, li ho amati. Tanto. Li voglio insieme da allora. Un bel po’ – fece una risatina – E poi non li considero ex. Damon ed Elena non sono effettivamente mai stati una coppia, quindi meritano un’opportunità! Abbiamo avuto praticamente quattro stagioni di Stelena, perciò adesso l’ideale sarebbe… cambiare”
“Che rapporti ha con Nina Dobrev?”
“Siamo amiche” sorrise.
“Non è imbarazzante?”
“All’inizio forse poteva esserlo, ma ora non più”
“Crede che stasera Ian possa vincere?”
“Ne sono certa” mi guardò.
“Grazie mille per esservi fermati”
“Di niente” dicemmo contemporaneamente.
Ci fermammo nuovamente per scattare qualche foto, poi entrammo.
 
“Dovrei salvare il tuo numero nell’Iphone come Nostradamus” dissi a Mary, mentre ingurgitava un piattino di antipasti.
“Che?” mi chiese con la bocca piena, voltandosi per guardarmi.
Scoppiai a ridere.
“Cosa? Che ho fatto?” corrugò la fronte, guardandomi con disappunto.
“Niente, è che sembri un adorabile scoiattolo con annessa ghianda al momento. Non so, però, decidere se tu sia Cip o Ciop”.
Mary inghiottì e mi diede una spintarella.
“Ma come sei simpatico! Ah ah, guarda, muoio dalle risate – alzò gli occhi al cielo – Comunque, tornando a discorsi più seri, perché ‘Nostradamus’?”
“Perché hai detto che secondo te avrei vinto stasera. Ed effettivamente è stato così. Per ben due volte”
“Aaah, beh, non è di certo una novità – si avvicinò, sorridendo – E, dimmi, io non merito un premio per aver predetto la tua vittoria? Anzi, le tue vittorie?”
“Mm, può darsi. Mi farò venire in mente qualcosa” le diedi un bacio stampo.
“O potresti continuare su questa strada. Non sbaglieresti di sicuro” ricambiò il bacio.
Le presi il volto tra le mani.
“Grazie del consiglio” le diedi un altro bacio, stavolta un po’ meno casto del precedente.
Cominciammo a stringerci e a punzecchiarci, mentre le nostre labbra non si separavano.
“Ragazzi!” una voce ci ammonì.
Non appena io e Mary smettemmo di sbaciucchiarci, notammo Paul a braccia conserte.
Mary arricciò le labbra e io mi rivolsi a lui.
“Che c’è? Ho vinto. Siamo a una festa. Festeggiamo, no?” ammiccai.
“Beh, semplicemente ci sono una marea di giornalisti che possono fotografarvi e chissà che altro e voi potete non accorgervene, dato che state limonando come due dodicenni”
“Giusto” annuii.
“Già, ho sempre ragione – constatò – Comunque, hai sentito? – cambiò espressione, divenendo più contento; i suoi occhi verdi brillavano – Per festeggiare la messa in onda della prima puntata, parteciperemo a una convention a Santa Fe il 23, il 24 e il 25! Non so perché abbiano scelto proprio a Santa Fe, forse per cambiare, dato che andiamo sempre negli stessi posti, però che figata! Non sono mai stato a Santa Fe, non vedo l’ora di visitarla. Dicono che Santa Fe sia”
“Aspetta, Paul, cosa?! – lo interruppi – No, io non posso, il 25 c’è il matrimonio di Rose e Steve e devo accompagnare Mary”
“Non ti preoccupare. Il matrimonio è proprio lì! Mi raggiungerai dopo la fine della con. Sarò sola solo durante la cerimonia, non è un problema” mi tranquillizzò Mary.
“No, non se ne parla” dissi fermo.
“Ha a che fare con Alex, vero?” Mary mi guardò.
“Quel… quel tizio sarà lì e… ha le mani decisamente troppo lunghe” le feci notare.
“E ti ricordo che per fare i massaggi si deve per forza toccare la pelle della persona, anche se il massaggiatore è un coglione patentato, che aspetta solamente il giorno in cui… beh, in cui riuscirà a sfilarmi le mutandine, in sostanza”
“Mi sono perso qualcosa?” chiese Paul.
“Alex è quel mio collega ortopedico-barra-fisioterapista pervertito, te lo ricordi?”
“Oh, Alex, ma certo che me lo ricordo! Il mitico ed esilarante Don Giovanni del Saint Joseph, che è andato a letto con tutte le dipendenti dell’ospedale, fatta eccezione per te e Rose” sghignazzò.
“Ecco, proprio lui. Mi ha fatto alcune sedute di massaggi nel periodo di convalescenza e Ian si è ingelosito” gli spiegò Mary.
“Certo, quest’uomo l’ha toccata in zone proibite al pubblico, come il fondoschiena!”
“Era il suo lavoro, proprio in quelle occasioni” continuò Mary.
“Non è detto – m’imbronciai – Aspetta, che intendi con ‘proprio in quelle occasioni’?” mi alterai.
“Gelosone” disse Paul affettuosamente.
“Non sono geloso! – li guardai – Ok, forse sono un po’ geloso” incrociai le braccia.
“E’ normale averne un po’, Smolder” Paul mi diede una pacca sulla spalla e tornò da Torrey.
“Sei davvero tenero quando fai il geloso. Hai la fronte corrucciata, il musone – Mary mi pizzicò le guance e sorrise, poi mi sussurrò all’orecchio – Comunque non hai niente di cui preoccuparti. Lui ci ha sempre provato, sempre. Ma io l’ho sempre ignorato, perciò – mi diede un bacio sul collo – Non preoccuparti”
“Dici?” la guardai.
“Dico – mi abbracciò e mi diede un bacio stampo – Ora, che ne dici se continuiamo ciò che è stato interrotto poco fa? Magari”
“In un luogo più appartato?”
“Esatto”.
Ci scambiammo uno sguardo complice. Stavamo per svignarcela, quando improvvisamente sentimmo delle ruote stridere sull’asfalto, poi una frenata. Infine un botto. E un altro ancora. Istintivamente abbracciai Mary, così forte quasi da stritolarla. Finimmo a terra. Sentii il suo respiro divenire sempre più accelerato. Riaprì subito gli occhi, cercandomi.
“Sono qui, sta’ tranquilla” le sussurrai.
“C-c-cos’è successo? P-perché ricordava” balbettò, spaventata.
“Quel giorno, lo so, ma tranquilla va tutto bene” le diedi un bacio stampo.
Dopo averla liberata dalla mia ‘morsa’, mi alzai e le tesi una mano. Mary si tirò su a fatica, come se avesse perso tutte le forze.
Ci guardammo intorno. Molte persone facevano la stessa cosa. Solo quando guardammo l’ingresso dell’edificio, notammo che una jeep si trovava dentro la sala e che il muro era stato completamente abbattuto.
“Ma che diavolo?” chiesi senza parole.
Un uomo uscì da quella jeep con la fronte sanguinante.
“C’è un medico?” urlò.
Io e Mary ci guardammo nuovamente.
“Sì” rispose con lo stesso tono di voce.
La paura svanì immediatamente dal suo volto. Si tolse le scarpe col tacco e corse verso l’auto. Mi avvicinai anch’io.
“State tutti bene?” chiesi, rivolgendomi a chi, come me e Mary, si trovava dentro quella sala.
“Sembrerebbe di sì – Mary si guardò nuovamente intorno, non notando persone vicino al muro abbattuto e all’auto – Cos’è successo?” chiese, mentre analizzava a quell’uomo la ferita sulla fronte.
“I-io non lo so. Stavo guidando e a un certo punto ho visto un’auto e una motocicletta danneggiate, allora ho cercato di deviare per non scontrarmi e”
“E si è scontrato contro un palazzo, pieno di persone milionarie in abito da sera” commentai impressionato.
“La macchina non ha risposto più ai comandi”
“Poteva ferire qualcuno”
“S-sì, m-ma”
 “Ian, smettila – Mary mi zittì – Allora, signore, la ferita non è molto profonda, ma ci vorranno dei punti. Ian – tornò a rivolgersi a me – chiama il 911 e avvisa dell’incidente”
“Agli ordini, mia signora” mimai un mezzo inchino e afferrai l’Iphone.
Individuati Paul, Nina e Joseph, fece cenno loro di avvicinarsi.
Composi il numero d’emergenza, mentre Mary invitava i miei tre colleghi ad aiutarla a stabilire le condizioni degli altri pazienti, così come avevamo imparato in ospedale.
Uscirono fuori correndo.
“911, buonasera. Come posso aiutarla?” rispose una donna con tono professionale.
“Uh, buonasera! Mi trovo in Chick Hearn Ct e c’è stato un incidente”
“Quant’è grave?”
“Ehm, onestamente, non ne ho la minima idea. So che un uomo ha abbattuto un muro con la sua jeep, ma non ha lesioni gravi e, inoltre, che c’è stato uno scontro tra un’altra auto e una motocicletta”
“Ok e quei pazienti come stanno?”
“Non lo so, mi trovo all’interno dell’edificio con il muro abbattuto”
“Mi potrebbe fare il favore di uscire fuori? Senza offesa, ma non posso mandare ambulanze e quant’altro senza sapere quanto siano gravi i feriti”
“Certo, mi scusi. Solo un attimo – uscii fuori anch’io e mi avvicinai agli altri – Ragazzi, la donna del 911 vuole sapere i danni di queste persone”
“L’uomo al volante ha perso conoscenza, ma i segni vitali sono pressoché stabili. L’addome non è teso, quindi dovrebbe essere tutto ok” disse Mary.
“La donna ha le pupille reattive, tuttavia credo che abbia un’emorragia interna all’addome, perché, beh, non ha un bell’aspetto” commentò Paul, come se stesse parlando da solo.
“Il bambino ha perso i sensi e ha i segni vitali molto deboli, quindi credo che i paramedici debbano portare qualcosa per rianimarlo e che Mary dovrebbe dargli un’occhiata” disse Nina, un poco incerta.
“Arrivo” rispose Mary e si alzò.
“Ehm, io credo che Mary debba venire prima qui” parlò Joseph.
“Perché, che cos’hai?”
“Il motociclista ha una parte della testa completamente aperta. Mi sa che era senza casco”
“Vedi materia grigia a terra?” chiese, mentre si chinava sul bambino.
“Che aspetto ha la materia grigia?”
“Beh, è una sostanza che è composta dai neuroni. Non è proprio grigiastra, ma non è nemmeno trasparente. Allora?”
“Allora credo di sì”
“Joseph, lascia perdere, è cerebralmente morto” parlò con tono quasi autoritario, mentre cominciava a rianimare il piccolo paziente.
“M-ma”
“Joseph, davvero”
“Ma il cuore sembra battere; inoltre”
“Cosa?”
“Sulla patente c’è scritto che è un donatore di organi”.
Mary alzò lo sguardo, non interrompendo le compressioni al torace del bambino.
“Di che gruppo è?”
“C-come?”
“Joseph, dimmi subito il gruppo sanguigno del motociclista”
“A positivo. Perché?”
“Joseph, comincia immediatamente le compressioni al torace dell’uomo. Ian, di’ alla donna di mandarci delle ambulanze attrezzate, tipo subito. Dobbiamo impedire che il bambino muoia e che il cuore del motociclista si fermi”
“Perché? Se è cerebralmente morto” lasciai la frase in sospeso.
“Perché quest’uomo è compatibile con il mio paziente. Se riusciamo a mantenere in vita gli organi, potrei impiantare i polmoni a Bill e così potrebbe vivere”
“Ma certo! Signora, ha per caso sentito?” tornai a riferirmi alla donna del 911.
“Ambulanze attrezzate, certo. Arrivo previsto in quindici minuti”
“D’accordo, grazie mille”.
 
“E se fosse andata male? Insomma, potrebbe essere che qualcosa sia andata storta” la moglie del paziente di Mary parlò con tono agitato, mentre camminava avanti e indietro per la sala d’attesa.
“Signora, dove sono i suoi figli? Non ha detto loro di questo secondo trapianto?” domandò Nina, andandole dietro, cercando di aiutarla.
“N-no, stanno dormendo. Non volevo disturbarli, l-loro sono stati così impegnati e in pensiero. Bill non vorrebbe che li svegliassi”
“Ok. Allora mi dica cosa possiamo fare per lei”
“Signorina – la donna si voltò, guardando Nina negli occhi – non può fare niente per me. E’ molto gentile, ma la smetta di girarmi intorno, perché”
“Signora, si calmi. Non ha bisogno di agitarsi, perché l’operazione andrà bene” mi intromisi.
“Come può andare bene? Come fa a saperlo?”
“Lo so e basta”
“Vede il futuro?”
“No”
“Allora come?”
“Semplicemente ho fede. La mia partner è molto brava nel suo mestiere. Ho fede in lei e nei suoi colleghi”
“Beh, la sua partner e i suoi colleghi hanno già sbagliato il trapianto una volta, perché dovrebbe essere diverso ora?”
“Perché adesso è andato tutto bene. Davvero stavolta – la donna si voltò, palesando la figura di Mary, in piedi davanti a tutti noi, con ancora la cuffietta addosso – Bill è in terapia intensiva. Dovrebbe svegliarsi massimo tra una mezz’oretta circa. I polmoni sono diventati rosei e hanno cominciato a respirare, non appena terminata la procedura. Abbiamo controllato più volte che non ci fossero tessuti necrotici e così è. Bill ha due polmoni nuovi, che funzionano. Sue, è andato tutto bene” Mary finì di parlare e sorrise.
La moglie di Bill ridusse le distanze tra lei e Mary e la abbracciò forte.
“Grazie, grazie!” singhiozzò contenta.
“Le avevo detto che avrei avuto fede per entrambe e… beh, così è stato – Mary ricambiò l’abbraccio; dopo un po’ lo sciolse – Ora mi scusi, ma devo aggiornarmi su altri pazienti”
“Ma certo, faccia pure. Grazie ancora” Sue le strinse una mano, poi afferrò il suo cellulare e corse fuori ad avvisare i figli.
Il loro padre stava bene. Era giusto che lo sapessero.
“Stai andando a vedere come stanno gli altri coinvolti nell’incidente?”
“Sì. Se volete andare via, potete, non preoccupatevi. Anche perché”
“No, restiamo qui. Ti aspettiamo” Nina annuì, decisa.
“Ma”
“Niente ‘ma’. Li abbiamo soccorsi noi. Mi sembra il minimo venire a sapere se ce l’abbiano fatta o meno”
“Hai ragione. Torno subito – Mary si diresse verso gli ascensori; premuto il bottone, si voltò verso di noi – Nina?”
“Sì?”
“Buon compleanno” Mary sorrise.
 
POV Nina
“Sei sicura che vuoi semplicemente rientrare a casa di Kevin e basta?” mi chiese Joseph apprensivo, toccandomi delicatamente una coscia.
“Sì, davvero, non preoccuparti. Il compleanno è un giorno come gli altri! Niente di che – mi strinsi nelle spalle – E poi ho ricevuto il mio regalo” alzai il premio, vinto quella sera, accennando un sorriso.
“E hai anche contribuito a salvare delle vite”
“Già, cosa si dovrebbe chiedere di meglio?” domandai, mentre, scesi dalla macchina, ci avviavamo verso il portone d’ingresso.
Mi guardai un attimo intorno. Erano le quattro del mattino. Qualche lampione smetteva di illuminare la strada talvolta, ma comunque era tutto tranquillo. Il vento non soffiava più, non si muoveva una foglia.
“Nina” Joseph disse il mio nome, sussurrando.
“Arrivo” posai il mio sguardo nuovamente su di lui e sorrisi.
Non appena aprì il portone con le chiavi di riserva, le luci furono accese e un mucchio di persone saltarono fuori, gridando: “Sorpresa!”.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca, incapace di proferir parola. C’erano Mary, Ian, Paul, Julie, Kevin, Julianne, Riawna, Ilaria e poi…
I miei occhi cominciarono a velarsi di lacrime, automaticamente, senza che potessi controllarli.
“Alex! Mamma!” esclamai singhiozzando e fiondandomi tra le loro braccia.
“Credevi davvero che ci saremmo persi il tuo venticinquesimo compleanno?” Alex parlò sottovoce, stringendomi.
“Mai” mia madre sciolse l’abbraccio e mi guardò, anch’ella commossa.
Guardai tutti i presenti, sicuramente con un’espressione da ebete stampata sul volto. Pian piano li salutai, mentre le lacrime non smettevano di scorrere.
“Che ne dici se adesso smettiamo di piangere? Capisco che abbiano usato il trucco waterproof per stasera, ma non esageriamo” Jules mi parlò con tono dolce, mentre mi asciugava gli zigomi.
“Giusto – feci una risatina – ma non so come fare. Sono lacrime di gioia, non di tristezza e-e sono così felice”
“Ok cominciamo con l’andare vicino al tavolo” disse con convinzione, non smettendo di sorridere.
“Che c’è al tavolo?”
“Guarda e basta”.
Mi avvicinai lentamente, curiosa.
Al centro del tavolo vi era una torta rotonda, decorata con candeline e con i fiori di pasta di zucchero. A lato la scritta in corsivo ‘Tanti auguri Nina’ in viola. Era una torta semplice, ma comunque bellissima.
Mi voltai.
“Grazie, davvero”.
Spensi le candeline, mentre tutti quanti cantavano la canzoncina, scattammo un sacco di foto e mangiammo la torta.
Non appena Kevin si alzò per aiutare Joseph a riempire i bicchieri di champagne, Julianne, Ilaria e Riawna si avvicinarono con un pacchetto fucsia.
“Tada, venticinquenne!” esclamarono tutte e tre insieme, porgendomelo.
“Ragazze – dissi con tono di rimprovero – non dovevate”
“Certo che sì. Avanti, apri” mi incitarono.
“D’accordo – presi quel pacchetto in mano e strappai la carta fucsia – Non ci credo” mormorai, guardando ciò che avevo in mano.
Quella scatolina era marcata Tiffany. La aprii immediatamente e vi trovai un paio di orecchini a forma di cuore.
“Abbiamo pensato a questo regalo, perché” esordì Ilaria.
“Molti amori potranno andare e venire, ma” continuò Riawna.
“Ma il bene che ti vogliamo resterà per sempre, Niki” concluse Julianne.
“Ragazze, non so cosa farei senza di voi” risposi con commozione e le abbracciai, quasi stritolandole.
Aperti i regali di Joseph, mio fratello, mia madre e poi quello di Kevin, Julie, Paul e Ian, bevemmo lo champagne.
Quando finimmo di festeggiare, erano ormai le sei e trenta del mattino. Paul, Jules, Riawna e Ilaria dovettero scappare immediatamente all’aeroporto, mentre mia madre e Alex si sistemarono in una stanza al piano di sopra, vicino a quella mia e di Joseph.
“Micaela, è stato un piacere rivederti” Ian le sorrise.
“Grazie, anche per me, Ian – mia madre lo abbracciò, poi aggiunse – Non vedo la tua compagna in giro. Salutamela”
“Ma certo – Ian salutò anche Alex, poi mi si avvicinò – Dov’è finita Mary?” sussurrò.
“Non ne ho la minima idea, pensavo fosse già fuori”
“Potresti aiutarmi a cercarla?”
“Ma certo”
“Ok. Io guardo qui, tu vedi di sopra”
“Ok” annuii e salii le scale.
Guardai camera per camera. Quando aprii la mia, la trovai seduta sul letto come un’indiana.
“Ehi” richiamai la sua attenzione.
“E’ la tua camera, vero? – mi chiese, guardandomi – Cioè, quella in cui dormi quando sei a LA”
“Sì – confermai, poi con esitazione dissi – Tutto ok?”
“S-sì, scusa – sorrise, alzandosi e indossando nuovamente le scarpe col tacco – Avevo bisogno di un momento per togliere quei trampoli, ma avevo paura di andare in bagno. Sai, potevo cadere o chissà che altro, sono parecchio maldestra – fece una risatina agitata – Ian ha già chiamato John?”
“Sì, è qui fuori, aspetta solo di portarvi a casa”
“Perfetto – mi si avvicinò e mi diede un bacio sulla guancia – Ancora auguri, Nina” mi sorrise e se ne andò.
Stavo per tornare di sotto, quando notai un piccolo pacchetto sul letto. Mi avvicinai e lo presi. Era blu e aveva allegato un grande biglietto. Lo aprii e cominciai a leggere: “Cara Nina, chiedo scusa per non essere sicuramente riuscita a darti questo regalo davanti a tutti, ma, beh, mi vergognavo per tutto quello che siamo state in precedenza, anche se so benissimo che le cose sono cambiate, che il rancore è svanito e che l’amicizia si è potuta consolidare di più, rispetto a prima. Tuttavia, questa mia vergogna non svanisce. Ecco perché ho pensato di donarti questa cosa. Io e le mie amiche italiane ne portiamo tutte uno. Ci ricorda tutti i giorni che, nonostante i litigi e tutte le discussioni, siamo ancora qui, a volerci bene; che possiamo urlarci contro quanto vogliamo, ma continueremo a esserci, l’una per l’altra. Spero tu possa accettare questo ‘simbolo di pace’ e spero di mantenere questa promessa: di non lasciarti, anche nel peggiore delle ipotesi. In questi anni, seppur pochi, ho imparato a volerti davvero bene, Niki, e questo non svanirà mai. Buon compleanno! Mary”.
Mi asciugai le lacrime e aprii il pacchetto. Ne tirai fuori un braccialetto, con una piccola clessidra come ciondolo.
Lo indossai immediatamente, poi afferrai l’Iphone e composi il suo numero.
“Ho dimenticato qualcosa, vero? Ah, Ian mi ammazza, siamo partiti ormai!” brontolò.
“No, Mary, davvero? Chi è al telefono?” domandò Ian.
“Mary, tranquillizzalo – le dissi, sorridendo, ancora con la voce rotta dalla commozione – Volevo solo ringraziarti. E’ stato un pensiero bellissimo”
“Di niente, cara. L’ho fatto con il cuore”
“Ti voglio bene”
“Anche io”.
 
POV Mary
Il giornalista di sempre aveva preparato quattro sedie per noi. Prima feci sedere Alex, dopodiché Steve, Rose e infine mi accomodai io.
L’assistente prontamente accese la telecamera e il giornalista poté cominciare.
“Stamattina il vostro Jim vi augura il buongiorno con un nuovo gruppo di specializzandi del quinto anno del Saint Joseph Hospital. Cominciamo con il ripetere i vostri nomi e i reparti in cui lavorate” ci fece segno con le mani.
“Il mio nome è Alex Walker e sono specializzando in ortopedia e fisioterapia”
“Io sono Steve Crane e sono specializzando in neurochirurgia”
“Io mi chiamo Rose Davis e mi sto specializzando in chirurgia generale”
“Davis ancora per poco” sussurrò istintivamente Steve, sorridendo.
“Il mio nome è Maria Chiara Floridia e mi sto specializzando in chirurgia cardiotoracica” parlai immediatamente, sperando che magari al giornalista fosse sfuggito il commento di Steve.
“Bene. Avete cominciato insieme questo percorso?”
“Sì, tutti e quattro insieme” ripeté Steve.
“Quindi vi conoscete da ben cinque anni. Notevole”
“Beh, alcuni di noi si conoscono da un po’ più di tempo. Io, Steve e Rose siamo praticamente stati compagni di college. Quando abbiamo cercato i programmi di specializzazione e abbiamo trovato quello del Saint Joseph, abbiamo deciso di intraprendere quest’avventura insieme. Nessuno di noi è della Georgia, perciò significava andare in un altro stato. Ancora”
“Dove siete stati al college?”
“Stanford. Ma io sono di Birmingham, Alabama” disse Rose.
“Io di San Francisco” Steve alzò la mano.
“Io di Cleveland”
“E poi ci sono io, che sbuco dall’Italia” li guardai e feci una risatina.
“Dottoressa Floridia, lei da dove viene precisamente?”
“Da una cittadina della Sicilia, Italia meridionale”
“Com’è finita a lavorare in un ospedale americano?”
“Il mio sogno è da sempre stato quello di conciliare le mie due grandi passioni: l’inglese e la medicina. Per questo, ai tempi della scelta universitaria, provai a entrare nella facoltà di medicina, insegnata in inglese. Purtroppo fallii, ma non mi lasciai abbattere da quel risultato. Riuscii a entrare in medicina, insegnata in italiano, a Firenze e persino a laurearmi in anticipo! Uno dei miei professori, vedendo il mio impegno, mi propose per una borsa di studio americana, fatta apposta per gli stranieri. Il dottor Richardson notò il mio curriculum e… ed eccomi qua” sorrisi.
“E’ stato difficile ambientarsi?”
“I primi due mesi sono stati difficilissimi per me. Soffrivo un po’ la solitudine, non conoscendo molte persone. Avevo anche qualche problema con le regole sanitarie”
“Sì, questa pazza accanto a me una volta  ha rischiato il visto per aver curato una donna incinta senza assicurazione, vogliamo parlarne?” si intromise Rose, indicandomi indignata.
“Non potevo di certo lasciarla morire! E, comunque, giusto per farlo notare, alla fine tutto è andato bene. Mi sono beccata una sospensione, un mese di turni ancora più insostenibili del solito e alla fine ho imparato”
“Com’è essere uno specializzando del primo anno?”
“Può chiederlo ai poveretti di quest’anno” Steve scosse la testa, quasi avvilito per loro.
“Dottor Crane, se potesse tornerebbe al suo primo anno?”
“Nemmeno morto! Sono felice che quella fase sia ormai passata”
“Come mai?”
“Beh, sai, il primo anno, quando sei una matricola, ti trattano come fossi feccia. Io e i miei colleghi avevamo orari davvero estenuanti”
“Orari estenuanti e sballati” commentò Alex.
“Una volta per un mese abbiamo confuso la notte con il giorno, ve lo ricordate?” domandò Rose.
“Oh, sì! E’ stato più o meno il terzo mese di tirocinio, dopo Halloween. Avevamo sempre i turni di notte, quindi andavamo via dalle nostre case alle sei del pomeriggio e tornavano alle sette di mattina, perciò passavamo tutta la mattina a dormire” risposi.
“E poi facevamo un brunch verso le quattro del pomeriggio e cominciavamo a prepararci per un altro turno. Alla fine del mese le ragazze avevano delle occhiaie pazzesche” Steve scoppiò a ridere.
“Ma guardati tu!” esclamammo insieme io e Rose, altezzose.
“Chi tra voi ha fatto il turno più lungo?”
“Oh, penso che in questo campo ci equivaliamo. Una volta abbiamo fatto un turno lunghissimo di novanta ore… quasi quattro giorni, rinchiusi in queste quattro mura a lavorare! Però, non ci siamo arresi. Sostenendoci a vicenda, pian piano ci siamo abituati e siamo diventati amici. Più o meno” Steve, sempre istintivamente, lanciò un’occhiata a me e ad Alex.
“Cosa intende?”
“E’ una lunga storia” cercai di liquidarlo e passare ad altro in quel modo.
“Che comprende i miei disperati tentativi di far cadere la dottoressa Floridia ai miei piedi, ma niente! Il mio piccolo cuoricino è spezzato” Alex fece il labbruccio e finse di asciugarsi le lacrime.
“Sì, certo, è il cuoricino a essere spezzato” lo guardai di sottecchi.
“Mary, sta’ calma” Rose mi prese una mano e cominciò a stringerla.
“Che succede?” chiese il giornalista e si mise a sedere meglio sulla sedia.
Le sue orecchie ormai sembravano due parabole.
“Che quest’uomo qui è riuscito a farsi tutto lo staff femminile dell’ospedale, eccetto due persone. E queste due persone si trovano in questa stanza adesso. E no, una delle due persone non è Steve” incrociai le braccia e accavallai le gambe.
“Sì, va bene, mi sono fatto tutte tranne te e Rose! Cos’è, ti da’ fastidio?” Alex si sporse dalla sedia per guardarmi.
“Dovrebbe darmi fastidio una cosa simile? Ah, sei fuori di testa!”
“Sì, certo”
“Comunque – subentrò Steve, aumentando il tono della sua voce – Grazie a questi turni pazzeschi la solitudine, che un po’ provava ognuno di noi, è sparita”
“E poi abbiamo insegnato a Mary come essere una vera americana insieme alla sua amica Jodie. Che giorni quelli!” Rose fece una risatina.
“Giusto – tornai a rilassarmi e sorrisi, ricordando Jodie; dopo un po’ aggiunsi – Uh, comunque credo di aver battuto il record di ore in ospedale”
“Ma quando, scusa?” chiese Steve incredulo.
“La prima settimana di Dicembre, quando ho fatto il turno di 120 ore. Ogni volta che stavo per tornare a casa, avveniva qualche tragedia ed ero costretta a rimanere: sparatoria vicino a una chiesa, crollo delle fondamenta di un condominio di nove piani, fuga di gas che ha causato un’esplosione in una farmacia e in un negozio d’abbigliamento. Insomma, ci mancava solo un attacco terroristico in quel periodo e le avevo viste tutte”
“Aaah, giusto!” esclamò.
“Dottori, qual è stato il paziente più strampalato che avete avuto in questi cinque anni?”
 “Sicuramente – ci pensammo un po’ tutti e quattro, guardandoci, poi sgranammo gli occhi e tornammo a rivolgerci al giornalista, parlando contemporaneamente – l’uomo zucca del secondo anno!”.
Detto ciò scoppiammo in una fragorosa risata.
Il giornalista ci guardò perplessi.
“Chi comincia?” chiese Rose.
“Io voglio dire la parte più avvincente!” alzai la mano, esaltata.
“D’accordo, comincio io – Alex iniziò a raccontare – Halloween 2010. Eravamo tutti e quattro di turno al pronto soccorso. Quel giorno arrivò un paziente in uno stato semicosciente e, nonostante sentisse molto dolore, si vergognava a farsi visitare”
“E noi non riuscivamo a capire che diavolo avesse e perché si vergognasse tanto. Ci siamo confrontati e abbiamo deciso che era meglio non aggredirlo, ma approcciarsi a lui con tatto. Ecco perché Mary e Rose sono entrate in azione” Steve passò metaforicamente il testimone a Rose.
“Io mi sono avvicinata per prima con una scusa. Parlavo di quanto fosse bello Halloween e delle cose che avremmo fatto io e il mio fidanzato, non appena concluso il turno, ma lui stava zitto. Non spiccicava una parola. Riprovai più volte a metterlo a proprio agio e quindi farlo parlare, ma niente. Mi guardava sempre con quello sguardo spaesato e basta. A questo punto si avvicinò pure Mary e gli disse, testuali parole eh: ‘Io non so quale cavolo sia il suo problema, ma è venuto in ospedale e non si fa toccare. Lei crede che io e i miei colleghi abbiamo tempo da perdere? Che siamo qui al pronto soccorso perché non abbiamo altro da fare? Errore! Ma lei è qui e non si fa toccare e così facendo rende inutili noi, i suoi medici. Può, per favore, dirci cosa le è successo, così da renderci più facile il nostro lavoro?’” Rose imitò la mia voce.
“Menomale che avevamo detto di approcciarci con tatto” Steve fece una risatina.
“Beh, ma almeno dopo questa strigliata ha parlato – subentrai io, fremendo sulla sedia – Ci disse che aveva sbagliato più volte la zucca per sua figlia, allora, per non deluderla, voleva farne un’altra. Tuttavia, aveva esaurito le zucche, perciò utilizzò la sua pancia. Alla fine, disse alla piccola di aver finito e lei tutta contenta avvisò i suoi amici che di lì a poco sarebbe uscita con la sua fantastica zucca. Il poveretto, non sapendo come fare, prese una decisione”
“Quale?” chiese il giornalista curioso.
“Cominciò a segarsi la pancia! Capisce? Ecco perché era in stato semicosciente! Non appena ha finito di raccontare, abbiamo spostato le sue mani, premute accuratamente contro l’addome e, beh, era peggio di un film horror là dentro – esclamammo più o meno tutti insieme – Ah, Halloween è una delle feste migliori del mondo!” sghignazzammo.
“Oddio! – il giornalista fece una smorfia, disgustato; dopo, cercò di ricomporsi – Allora, parliamo d’altro. Che programmi avete per il weekend? Dottoressa Floridia?”
“Beh, domani partiamo per Santa Fe, vedremo la prima puntata di The Vampire Diaries della nuova stagione e poi… Ehm… Ragazzi – mi voltai verso Rose e Steve – ditelo voi”
“Ok – si presero per mano – E poi andremo a un matrimonio. Il nostro” sorrisero.
“Ecco perché quel commento prima, dottor Crane! Auguri allora!” il giornalista ricambiò il sorriso.
 
La porta si aprì e io cominciai a percorrere la navata, con un sottofondo di violini che mi accompagnava. Appena arrivai all’altare, sorrisi a Steve. Alex mi fece l’occhiolino, ma lo ignorai. Mi voltai verso il grande portone, da cui ero uscita, giusto in tempo per vedere Rose entrare. Era davvero splendida. I suoi capelli ramati erano stati raccolti in uno chignon molto elegante, che ricordava molto una rosa; il velo era tempestato di diamantini e di pizzi. L’abito era interamente di pizzo, con scollo a cuore, corpetto aderente e strascico lunghissimo, tempestato di diamantini luccicanti. Tuttavia, il particolare più bello erano i suoi occhi, di un verde smeraldo così luminoso, che brillavano più di tutti i diamanti messi insieme. Rose era emozionata e al settimo cielo. Stava coronando il suo sogno.
I violinisti cominciarono a suonare ‘Only Hope’ degli Switchfoot, la loro canzone.
Gli occhi iniziarono a pizzicare e dovetti contrastarli con tutta me stessa per non far scendere le lacrime e rovinarmi il trucco. Rose arrivò e mi porse il bouquet, poi si mise davanti a Steve e la cerimonia iniziò. Dopo una lunga omelia del prete e le promesse, Rose e Steve si scambiarono le fedi.
“Vi dichiaro marito e moglie – disse cordialmente il prete, poi si rivolse a Steve – Puoi baciare la sposa” e sorrise.
Steve la baciò dolcemente e tutta l’assemblea cominciò ad applaudire. Non riuscii più a trattenermi e piansi lacrime di gioia, specie quando abbracciai entrambi per congratularmi.
Dopo qualche foto, uscimmo dalla Saint Francis Cathedral e ci avviammo verso l’ ‘Inn and Spa at Loretto’, l’hotel del ricevimento e in cui avevamo alloggiato i due giorni precedenti.
La prima cosa che Rose volle fare appena arrivati, fu il lancio del bouquet.
Vidi tutte le nostre colleghe e tantissime altre donne appostarsi con forza davanti a lei per prenderlo, agguerrite come lottatrici di Sumo, ma lei non lo lanciò.
“Mary, se non sei nella mischia, non lancio!” urlò al microfono.
“Io passo” sorrisi gentilmente.
Rose borbottò qualcosa e si voltò.
“Questo bouquet finirà alla prossima sposa da festeggiare! Tre, due, uno…” disse entusiasta.
Un uomo mi spinse per sbaglio, facendomi finire nella mischia. La donna, che era davanti a me, cadde e trascinò con sé altre donne, come un effetto domino. Prima che potessi fare mente locale, il bouquet mi cadde tra le mani. Lo guardai senza parole, rossa di vergogna per il significato di quel gesto, e Rose scoppiò a ridere.
“Ma non avevi detto che passavi?”.
Alzai le spalle e sorrisi nervosamente, poi lo posai al mio tavolo e andai a prendermi un drink. Mentre bevevo serenamente, qualcuno picchiettò sulla mia spalla sinistra. Mi voltai.  Alex mi tese una mano. La guardai per un po’, poi gli chiesi irritata: “Perché?”
“Il ballo tra damigella e testimone” sorrise esageratamente, già sicuramente un po’ brillo.
“Stai scherzando, vero?” dissi seria.
“No, l’ha appena detto Steve al microfono. Da loro si usa così prima dei discorsi dei testimoni e del banchetto”.
Guardai verso Steve implorante, ma lui scosse la testa.
Sbuffai e presi la mano di Alex.
 
POV Ian
Dopo aver firmato centinaia di autografi e aver fatto migliaia di foto con ragazzine urlanti tutte esaltate, indossai lo smoking e chiamai un taxi. Appena arrivai all’ingresso dell’hotel, rimasi allibito.
Era un hotel da sogno.
L’ambiente esterno ricordava molto un’oasi arabica, quello interno un palazzo orientale molto sofisticato. L’entrata dell’edificio era piena di tappeti persiani, molto eleganti.
Un uomo mi venne incontro sorridente.
“E’ uno degli invitati alle nozze Crane-Davis?” mi chiese.
“Sì, esatto” risposi.
“Bene. La accompagno al salone del ricevimento” mi disse cordialmente.
Lo seguii e, presto, mi ritrovai davanti un salone immenso.
Il pavimento era di marmo; i lampadari, che illuminavano tutta la stanza, erano di cristallo; vi erano delle decorazioni azzurre sparse per tutta la sala, sia sui tendaggi, che sui tavoli dei vari invitati. Cominciai a squadrare tutti i volti delle persone per trovare Mary.
La notai subito. Aveva un vestito lungo beige, i capelli semiraccolti e dei boccoli che le scendevano sulle spalle elegantemente. Era davvero mozzafiato.
Dopo essermi ripreso da quella visione, cominciai ad avvicinarmi, quando mi accorsi che non era sola.
Stava ballando con Alex.
Mi irrigidii immediatamente, poi accelerai il passo e cominciai a respirare profondamente con il naso.
“Calmo, Ian, calmo, non vorrai fare una scenata di gelosia davanti a tutta questa gente, vero?” sussurrai tra me e me.
Riuscii a controllarmi e con passo elegante mi diressi verso la mia donna. All’improvviso la mano di Alex cominciò a scendere sempre più giù, puntando al fondoschiena.
“Eh no, questo proprio no!” pensai imbestialito, mentre mi guardavo intorno con un sorriso isterico, che mi faceva sicuramente sembrare un ebete. O uno psicopatico. O tutti e due.
Prima di avvicinarmi e spaccare la faccia a quel tizio, li osservai ancora per un po’.
“Avanti, Mary, fa’ qualcosa. Difendi il tuo… il mio territorio, andiamo!” mormorai.
Come se mi avesse letto nel pensiero, la mano di Mary prese quella di Alex e la riportò sulla vita, giusto in tempo per la fine del ballo.
Molti applaudirono, per poi dirigersi al piano bar, mentre Mary tornò al suo tavolo infastidita. Sorrisi e senza farmi sentire, le toccai i fianchi.
“Aleeeeeex, levami immediatamente le mani di – si voltò con la mano pronta a mollarmi una sberla, quando la abbassò e sorrise dolcemente – Ciao”.
Scoppiai a ridere, era cambiata in un niente.
“Ciao anche a te, occhi a cuoricino!”
“Non ho gli occhi a cuoricino”
“Tu non puoi vederti dall’esterno, mia cara” sorrisi beffardo.
Prima che potesse controbattere, il cantante della band ingaggiata disse al microfono: “E ora, carissimi invitati, a breve ascolteremo i discorsi della damigella d’onore e del testimone”
“Tocca a me” farfugliò nervosa, dimenticandosi di ribattere.
“Andrai benissimo” le toccai gentilmente il fondoschiena, fiero di poterlo fare, poi la spinsi verso il palchetto.
Dopo essersi schiarita la voce, Mary disse: “Buonasera a tutti gli invitati, che oggi sono qui per festeggiare queste due persone fantastiche che hanno scelto di essere straordinari insieme e di unirsi per l’eternità! Certo, probabilmente entrambi prima di prendere questa decisione saranno stati troppo a lungo esposti ai raggi x senza le dovute protezioni, ma sono sicura che ciò li ripagherà con la cura e la dedizione che riusciranno a darsi a vicenda! – tutti ridemmo e lei continuò – Sapete, la vita è un continuo sorteggio alla lotteria, non si sa mai che combinazione ti capita. Io stessa non pensavo di incontrare due persone così splendide, dolci, amorevoli, disponibili per qualsiasi cosa e a qualsiasi ora! E pensare che la prima volta che li ho visti, stavano per investirmi” fece una smorfia.
Si sentì Rose alzare la voce per farsi sentire: “Per colpa tua, mia cara” concluse ridendo.
Mary le rivolse uno sguardo affettuoso, poi continuò: “Così come non conosciamo le varie combinazioni che la vita ci può offrire in amicizia, non conosciamo anche e soprattutto quelle che ci riserva in amore. E infatti, quando meno te lo aspetti, ecco che esce la tua combinazione e ti arricchisci. E loro due, dopo esattamente sei anni, hanno finalmente ufficializzato la loro vittoria e si sono arricchiti grazie all’unica cosa che fa stare veramente bene, che ti fa sentire la persona più felice e più fortunata del mondo, che non ti fa desiderare nient’altro: l’amore! Amore che è paziente, gentile, mai geloso; amore che non è pieno di sé, che rispetta, che non porta rancore; che permette di superare qualsiasi tempesta! Questi piccoli attributi dell’amore sono davvero incarnati in Rose e Steve. Non importa cosa loro in questi sei lunghi anni abbiano dovuto affrontare. Le difficoltà non li hanno vinti, bensì li hanno rinforzati, rendendoli sempre più innamorati l’uno dell’altra. Sono fiera di essere capitata nella vostra vita e, soprattutto, sono fiera di essere testimone del vostro amore, che mi ha insegnato tanto – mi guardò, poi alzò il bicchiere e rivolse lo sguardo Rose e Steve – Auguri signor e signora Crane, vi voglio bene”
“Non prenderò il suo cognome, ma grazie” Rose sorrise, visibilmente commossa, e tutti applaudimmo.
Sia lei che Steve stavano per alzarsi e raggiungere Mary, probabilmente per stritolarla, quando sul palchetto si presentò Alex, barcollante con un bicchiere fin troppo vuoto. La capacità di quell’uomo di ubriacarsi era incredibilmente scioccante.
“Tocca a me adesso, giusto?” disse al microfono e rise.
Mary si voltò per scendere dal palchetto, ma Alex la bloccò.
“Alt, aspetta! Mi sto ricollegando al tuo discorso, resta qua! – la tirò verso di sé – Allora, come stava dicendo la mia collega-barra-damigella d’onore” rise e le palpò il sedere.
“Ma che fai?” urlò lei sconvolta.
Non riuscii più a trattenermi. Salii sul palco e gli mollai un pugno in pieno viso.
“Così impari” dissi.
 
POV Mary
Guardai Alex, poi Ian, poi di nuovo Alex, poi di nuovo Ian. Ero sorpresa, non mi aspettavo che Ian potesse fare una cosa del genere, ma non mi dispiaceva affatto che l’avesse fatto. Dopo che un mio collega di ortopedia gli controllò la mano, Rose e Steve ci si avvicinarono.
“Come sta la mano?” chiesero.
“Sta benone, non preoccupatevi” dissi velocemente e sorrisi.
“Bene! In tal caso – mi porse una busta – questo è per voi” Rose sorrise.
La aprii e trovai vari biglietti.
Ne presi uno a caso. Era un biglietto aereo.
“C-c-ci avete regalato u-un viaggio?!” balbettai sorpresa.
“Due settimane in Norvegia, soli soletti, tutte per voi” disse Steve.
“Non dovevate, davvero”
“Sì invece, tu sei la mia damigella d’onore e una nostra carissima amica. E, ragazzi, vi meritate una vacanza, lontani da giornalisti e psicopatiche, munite di patente e pistola, sulla via della redenzione” continuò Rose con molto sarcasmo.
Aveva ragione.
Senza parole li abbracciai.
“Grazie, davvero” li strinsi.     
 
POV Ian
Passammo l’intero viaggio a coccolarci e a dormire. Non vedevo l’ora di passare quelle due settimane con Mary da solo, senza che lavoro o emergenze varie ci interrompessero.
Scesi dal taxi, ci ritrovammo davanti all’hotel.
“No, davvero, non posso sopravvivere” disse Mary a bocca aperta.
“Dai, non esagerare” la stuzzicai.
“Non esagerare?! Questo hotel è… wow! Non riesco nemmeno a descriverlo”
“L’ho notato – risi – Su, entriamo! Ci aspettano due settimane magiche” sorrisi e le porsi il braccio.
Subito dopo entrammo nel ‘Clarion Collection Hotel Folketeateret’ di Oslo, dove Rose e Steve avevano prenotato per noi. La hall era davvero immensa, ma non mi sorprendevo più di tanto. Era una hall normalissima per un hotel lussuoso. Mary, invece, non smetteva di fare foto a destra e a sinistra, come se non avesse mai vissuto una cosa del genere. Sorrisi. Era anche questo che mi piaceva di lei. Ogni cosa per lei era una nuova scoperta, una nuova avventura da affrontare, era sensazionale.
“Posso sapere come diavolo fai a restare lì senza muoverti, come se tutto questo fosse normalissimo?” mi chiese euforica.
“Ho visto tanti hotel simili” mi limitai a dire.
“Ah, vero, dimenticavo chi sei, ‘Mr. HoPraticamenteVistoTuttoIlMondo’” mugugnò divertita.
Risi, poi ci avvicinammo alla reception.
“Salve, è stata prenotata una stanza doppia per noi per le prossime due settimane” dissi cordialmente.
“Salve, mi lasci controllare. Il cognome è Somerhalder?” rispose la signorina in un perfetto inglese.
Annuii.
“Il famoso Somerhalder di ‘The Vampire Diaries’?! Potrebbe farmi un autografo?” chiese discretamente. 
“Ma certo” mi feci dare un foglietto e una penna e le feci una dedica.
Dopo avermi ringraziato, la signorina mi porse una chiave magnetica.
“La stanza è al sedicesimo piano. Se la chiave viene persa, potete richiederne un’altra qui alla reception”
“Lo faremo senz’altro”
“Buona permanenza” la signorina sorrise, poi ordinò a un ragazzo di prendere le nostre valige.
La ringraziammo e prendemmo l’ascensore insieme a lui. Dopo avergli dato una bella mancia, entrammo in stanza. Fu come entrare in un altro mondo: un enorme salotto in granito scuro ci si proiettò davanti, con un piccolo piano bar sulla sinistra e dei divani di pelle bianca attorno a un caminetto sulla destra. Davanti a noi una splendida porta a vetri con delle tende bianche, che dava su un’immensa terrazza sul mare, e un’elegante scala a chiocciola.
“Oh mio Dio! L’ho già detto che non posso sopravvivere?” mi sussurrò Mary.
Dopo essermi ripreso dalla bellezza di quella stanza, portai le valige dentro e chiusi la porta alle mie spalle. Andammo immediatamente di sopra, spinti dalla curiosità. Un letto a due piazze con lenzuola bianche e cuscini rossi sovrastava quella stanza e sembrava invitarci a provarlo. Mary non aspettò un secondo di più, prese la rincorsa e si buttò.
“E’ magnifico” urlò esaltata, poi mi fece cenno di sdraiarmi accanto a lei.
Scossi la testa divertito.
“Perché no?” brontolò, mettendo il muso.
“Voglio controllare una cosetta prima” le feci l’occhiolino e aprii la porta scorrevole bianca di fronte al letto.
Nascondeva una meravigliosa sala da bagno, con le pareti e le piastrelle del pavimento dello stesso granito del salotto e tutti i componibili in ceramica bianco lucida. La prima cosa che notai fu la vasca da bagno, una Jacuzzi grandissima, ad ‘alta carica erotica’. Non appena mi voltai, vidi l’immensa doccia: il box era tutto in vetro, il piano doccia una continuazione del pavimento. Tutto era indescrivibile in quella camera d’albergo.
Un pensiero malizioso mi travolse: “Su questo vetro, con un po’ di vapore, si potrebbe riprodurre la scena del ‘Titanic’”.
Risi da solo per la mia perversione, pensando anche a tutto ciò che avrei vissuto con Mary in quelle due settimane di relax. Ne avevamo passate tante nei mesi precedenti, Rose e Steve avevano ragione, avevamo davvero bisogno di una vacanza. Sentii Mary ridere di gusto e uscii dal bagno.
“Che succede?” la guardai curioso.
“Giuro, non riesco a smettere di ridere, ascolta – disse tra le lacrime – I doppiatori sono inquietanti qui” e continuò a ridere.
Guardai verso il televisore e vidi me e Nina parlare. Era un episodio della quarta serie di ‘The Vampire Diaries’. Alzai gli occhi al cielo e presi Mary in braccio, come fosse una principessa.
“Ehi, ma che fai?” disse divertita.
“Avrai tempo per sentire Damon parlare norvegese, ma ciò che ti sto per mostrare è più importante e… urgente” mi limitai a dire e la portai in bagno.
Chiusi immediatamente la porta, la feci scendere e le indicai la vasca.
Mentre la guardava ancora sorpresa, l’accesi e azionai l’idromassaggio, poi le cinsi i fianchi e la baciai. 
“Benvenuta in Norvegia” le sussurrai tra un bacio e l’altro.
“Anche tu” sorrise e mi sbottonò la camicia.
“Vedo che mi hai capito al volo” sorrisi malizioso.
“Come potrei non farlo? Siamo troppo telepatici in queste… situazioni” concluse la frase e si passò la lingua sulle labbra secche.
Quel gesto mi eccitò ancora di più.
Nonostante fossimo ancora entrambi vestiti, la ripresi in braccio ed entrai in vasca.
“No, adesso abbiamo tutti i vestiti bagnati” si lamentò.
“Meglio” le tolsi la camicetta bagnata e la buttai sul pavimento.
Si sentì un piccolo tonfo, ma Mary non ci fece molto caso. L’avevo dolcemente spinta verso il punto più forte dell’idromassaggio, quindi non era molto concentrata sui vestiti che lentamente stava perdendo per colpa mia.
“Non avevi mai provato l’idromassaggio della Jacuzzi?” sussurrai, mentre mi liberavo dei miei vestiti.
“Assolutamente no” mormorò, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dai massaggi.
“C’è sempre una prima volta, giusto?” sorrisi.
Annuì compiaciuta. Tolsi i calzini e la baciai castamente.
“E, dimmi, avevi mai sperimentato l’idromassaggio di coppia?”.
Mary scosse la testa debolmente, come se fosse incapace di proferir parola.
I suoi occhi, tra il castano e il verde, brillavano eccitati, in attesa.
“Anche per questo c’è sempre una prima volta” mormorai vicino al suo orecchio.
Con uno scatto delicato, ma deciso presi le sue cosce e le feci aderire al mio bacino. Ben presto entrai in lei, esigente, mentre i nostri corpi venivano sollecitati anche dell’idromassaggio.

POV Mary
Erano state due settimane davvero spettacolari. Avevamo visitato la Norvegia in lungo e in largo, ammirando le splendide città, come Oslo, Bergen, Tromso e Roros, e i meravigliosi paesaggi dell’Alesund, del Geiranger e del Fjærland. Avevamo trascorso gli ultimi giorni a visitare alcuni tra i più famosi parchi naturali ed era stato magico essere così a stretto contatto con la natura, nel silenzio più totale. Era come se tutto il paese fosse escluso dalla frenesia del mondo, forse per questo Rose e Steve avevano scelto quella meta per noi. 
Ian al suo seguito aveva portato le sue ‘signore’, le adorate macchine fotografiche di cui non poteva mai fare a meno, era più forte di lui. In quelle settimane aveva scattato come minimo un migliaio di foto. Ogni essere vivente e non, diventava protagonista del suo folle set, per non parlare dei miliardi di fotografie che mi aveva scattato. Essere al centro di un obiettivo era davvero imbarazzante per me, persino ai compleanni; ma con lui era divertente, specie quando mi coglieva di sorpresa. Le foto venivano ancora più belle.
Il nostro penultimo giorno in quel bianco paradiso terrestre andammo a visitare lo zoo di Oslo. Passammo lì tutta la giornata immersi nella passione più grande di Ian: gli animali!
“Mary, guarda qua!” mi raggiunse quasi saltellando e mi mostrò una foto appena sfornata dalla sua polaroid.
“Ma guardala, non è tenerissima?”
“Certo Ian” sghignazzai amorevolmente. 
Nella foto, la parte destra era occupata da Ian che faceva il labbruccio, mentre l’altra parte dal muso di una foca monaca che curiosa aveva uscito la testa dall’acqua.
Quella giornata era stata spettacolare, era stato come fare un viaggio in un mondo diverso da quello reale. Era come essere in una favola, tutto era puro e semplice. 
“Mary! Mary! Oddio! Devi vedere, devi vedere” non completò la frase e mi trascino con sé.
“Cosa devo vedere?”
“Io lo voglio, prendiamolo!”.
Rimasi pietrificata. Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. Davanti a me c’era un orso polare, che teneramente schiacciava un pisolino. 
“Ma… ma… quello è un…” balbettai intontita.
“Già!” rispose estasiato lui.
La pace interiore e la tranquillità, che quel giorno mi aveva donato, furono guastate dai continui brontolii di Ian.
Tornai con i piedi per terra e lo osservai. 
“Dai” gli diedi una spintarella e sorrisi.
“Uffa, era bellissimo, carino e coccoloso” continuò lui, sbuffando.
“Ma era normale che non potevi portartelo dietro!” usai la chiave magnetica per entrare in stanza.
Ian richiuse la porta, ancora amareggiato.
“Ma che male c’era?”
“Mi spieghi come avrebbe fatto a resistere un orso polare ad Atlanta?! Andiamo, non è nemmeno il suo habitat”
“Bastava il mio amore”
“Stai dicendo sul serio?” cercai di trattenere una risata.
“Antipatica” mi guardò di sottecchi.
“La verità brucia” dissi quasi canticchiando.
Ian mi buttò sul letto e mi prese i polsi.
“Ritira immediatamente quello che hai detto” disse serio.
“No” sorrisi.
“Ritiralo” sorrise anche lui.
Scossi la testa. Cominciò a farmi il solletico.
“No, il solletico no” urlai tra le risate.
“Mi hai costretto tu, ricordalo” disse beffardo.
Riuscii a liberarmi dalla sua presa e mi misi sopra di lui.
“Non lo ritiro” sorrisi vittoriosa.
“Ok, credo che stavolta abbia vinto tu – disse vago, poi sussurrò con voce fioca e amorevole – Buon San Valentino, mio piccolo orso polare”.
Risi. Dopo, intenerita, cominciai a baciarlo.
“Mi hai dato dell’antipatica, meriti una punizione”
“Sei veloce a cambiare argomento, sai? – sorrise – E sentiamo, che punizione avresti in mente?”
“Beh, diciamo che forse non è proprio una punizione” risi e ripresi a baciarlo.
“Come al solito, mia cara” commentò lui ridendo.
Cominciammo a baciarci e, in breve tempo, ci ritrovammo nudi, l’uno perso nell’amore dell’altra. Chiusi gli occhi, assaporandomi il momento e, soprattutto, lui.
Stavamo insieme ormai da nove mesi, ma ancora non riuscivo ad abituarmi a quella relazione. Era una continua sorpresa, un continuo travolgerci a vicenda. L’amore che provavamo mi lasciava sempre senza parole.
“Mary” Ian sussurrò il mio nome con voce roca.
“Sì?” domandai, riaprendo gli occhi.
Intrecciò le sue dita con le mie, portando le nostre mani sopra i nostri volti. Mi diede un bacio stampo, poi cominciò a lasciare piccoli baci lungo le guance e il collo.
“Ti amo” mormorò al mio orecchio.
“Anch’io”.
Restammo in quel modo ancora a lungo, uniti. Quando riuscimmo a staccarci, Ian cinse le mie spalle col suo braccio destro. Mi accoccolai sul suo petto scolpito e cominciai ad accarezzarlo delicatamente con le unghie.
“Non dirmi che pensi ancora all’orso polare” risi.
“No, tranquilla” rise anche lui, giocando con i miei capelli.
“Allora, a cosa stai pensando?”
“Penso solo che queste due settimane siano volate troppo in fretta e che… beh, non sarebbe stato male stare qui per un altro po’. Nonostante sia un paese abbastanza freddo, la Norvegia è spettacolare”
“Già” lo guardai e gli baciai il petto, poi mi alzai e indossai la vestaglia.
“Dove vai?” mi chiese curioso.
“A darmi una rinfrescatina! Se mi cerchi sono sotto la doccia” ammiccai.
“Era un invito? Comunque, torna presto” accarezzò il mio lato del letto con quel labbruccio, che mi faceva tanto dare di matto.
“Contaci” gli feci l’occhiolino ed entrai in bagno.
Stavo prendendo il telo per coprirmi dopo la doccia quando per sbaglio feci cadere il mio beauty-case.
“Che maldestra che sono, è finito tutto a terra!”.
“Tutto bene lì dentro?” urlò Ian.
“Sì, tranquillo! Mi è solo caduto il beauty-case” risposi.
Parlando tra me e me, cominciai a fare l’elenco delle cose che man mano riassettavo dentro il beauty.
“Allora, crema corpo, crema mani, dentifricio, spazzolino, astuccio, assorben…. “.
Mi fermai a riflettere un attimo, facendo dei calcoli, e immediatamente sussultai.
“Oddio! No, no, non è possibile… non è possibile… h-ho un …. ritardo!”. 


















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Note dell'autrice:
E' passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ho pubblicato, ma questo capitolo è stato così ricco di avvenimenti che ha richiesto il suo tempo. E, finalmente, dopo 62 pagine, eccomi qua :D E' un nuovo record per me xD
Abbiamo assistito all'incontro tra le famiglie, abbiamo visto l'inizio del documentario, i PCA, il compleanno di Nina, il matrimonio, la Norvegia e poi, beh, i nostri protagonisti molto toccati dalla passione ahahahah 
Questa passione, tuttavia, ha portato a un ritardo.. Mary sarà davvero incinta o è un falso allarme?!
Lo scoprirete nel prossimo capitolo ;)
Spero che sia valsa la pena aspettare! Io, al solito, mi sono impegnata e ho cercato di conciliare tutto quanto :)
Ringrazio anticipatamente chi leggerà silenziosamente e chi lascerà recensioni; chi darà solo un'occhiata e chi metterà la storia tra le preferite/ricordate/seguite! Siete tutti importanti :)
Vi lascio con il link della canzone di Rose e Steve, Only Hope di Switchfoot: https://www.youtube.com/watch?v=4kC3r_poOl8 e anche con il link del gruppo della storia su fb: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Passate se vi va ;D
Alla prossima,
Mary :*

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Capitolo 9
*** Unexpected. ***


POV Mary
Delle voci avevano affollato la mia testa, ognuna diceva la sua.
“No, non può essere”
“Chissà, magari è un semplicissimo ritardo che non implica nient’altro”
“Mary, non essere idiota, sai benissimo che l’interruzione del ciclo è il primo sintomo di una gravidanza”
“Già, ma ci sono altri sintomi. Per esempio? Le nausee mattutine. A me non sembra di aver avuto nausee mattuti”.
La mia mente mi ripropose la mattina del matrimonio di Rose e Steve.
 
“Ti vuoi andare a mettere quel dannato vestito? Sto bene” dissi per l’ennesima volta, mentre ero in ginocchio sul pavimento del bagno.
“La mia damigella d’onore ha rimesso due volte, come posso minimamente pensare di vestirmi?” Rose mi guardò con disappunto, inarcando un sopracciglio.
“Forse dovresti semplicemente pensare al fatto che, se non ti vesti oggi, non ci sarà nessun matrimonio” le feci notare.
“Questo è vero, ma – si inginocchiò accanto a me, poggiando una mano sulla mia spalla – non posso farlo, senza te accanto. Sei la persona più vicina a una sorella che ho. Devi essere lì al mio fianco, a camminare lungo la navata prima di me e a sorridere – si arrestò un attimo – e a piangere – scoppiammo entrambe a ridere, poi continuò – Steve è l’uomo che amo e sogno questo giorno da sempre, davvero. Semplicemente voglio il tuo sostegno. Chiaro?”
“Cristallino – le accennai un sorriso, poi sospirai – E va bene. Iniezione sia!”.

 
“Ok, manteniamo la calma, non deve essere per forza una gravidanza. Magari era un’indigestione, una coincidenza”
“Non essere fin troppo ottimista, non ci spererei tanto”
“E tu non essere pessimista”
“Ah, ti odio!”
“Tranquilla, il sentimento è ricambiato”
“Ok, basta voi due” dissi, forse un po’ troppo ad alta voce.
Ma che diavolo stavo facendo? Rimproveravo me stessa? Che situazione!
“Allora, pensiamo: il ciclo sarebbe dovuto arrivare verso i primissimi giorni della vacanza, perciò – sussurrai – Avrà usato protezioni il mese scorso, giusto?”.
 
“Sono a casa” urlai, chiudendo il portone d’ingresso.
Tolsi il cappotto e le scarpe, posai la borsa, indossai le pantofole e, solo allora, mi guardai intorno.
Moke, Thursday e Damon giocherellavano con dei pupazzetti di lana ai piedi del divano. A parte quella dinamicità, il resto era tutto fermo immobile.
Dove cavolo era finito Ian?
Improvvisamente un odorino molto allettante giunse dalla cucina. Era un insieme di ingredienti, questo lo capivo, ma non riuscivo bene a identificarli. Cosa stava cucinando?
Incuriosita, mi avviai.
“Grazie per aver risposto al mio ‘Sono a ca” mi bloccai all'istante.
Ian era di spalle e aveva in mano una bottiglia di vino bianco, con cui stava sfumando qualsiasi cosa ci fosse all’interno della padella. Tuttavia, non era questa la cosa sconvolgente, bensì il fatto che riuscissi chiaramente a vedere il suo marmoreo lato B.
“Sa’” sussurrai, fissandolo e deglutendo.
“Oh, ciao” Ian si voltò, sfoggiando un sorriso beffardo.
“T-tu s-sei” balbettai, indicandolo imbarazzata.
“Cosa? Cosa sono?” disse divertito, poggiando la bottiglia di vino.
Subito dopo, spense i fornelli e mi si avvicinò lentamente.
“Nudo. Sei nudo. Stai cucinando nudo” mormorai sommessamente, non riuscendo nemmeno a guardarlo in faccia.
“Mary, cavolo, l’hai visto nudo milioni di volte, riprenditi!” pensai, schiaffeggiandomi mentalmente, ma era inutile.
“Sì, beh, te l’avevo detto che l’avrei fatto. O sbaglio?” chiese.
Non ricevette alcuna risposta.
“Mary, il mio viso è di qua” mi alzò il mento con due dita, cercando di trattenere una risata.
“Sei nudo. Stai cucinando nudo” ripetei, come se si fosse incantato un vecchio giradischi.
“Lo so” sorrise nuovamente e mi tolse il cardigan.
“Sei anti-igienico” ribattei, cercando di essere razionale e restare ferma nella mia decisione.
“Non è vero, mica ho cucinato con il grande Smolder” mi fece notare, togliendomi la maglietta.
“Non sei divertente”
“Difatti – si interruppe, baciandomi prima una spalla e poi l’altra, mentre mi privava del reggiseno – non è mia intenzione esserlo”
“Sei uno stronzo. E uno scorretto. Uno stronzo scorretto”
“Può darsi. Ma ricorda sempre che sono il tuo – sottolineò quell’aggettivo -  stronzo scorretto – detto questo, cominciò a baciarmi la pancia, scendendo sempre più giù, mentre mi slacciava i pantaloni – Vieni con me ai PCA. Sii la mia accompagnatrice”.
Cominciai a respirare affannosamente, mentre Ian mi toglieva le pantofole, i pantaloni e le calzette.
“Di’ di sì, dai!” mi incitò con voce sensuale, sottraendomi anche gli slip e baciandomi in corrispondenza di un osso del bacino. Pian pianino baciò sempre più in basso.
Chiusi gli occhi, cercando di trovare qualcosa a cui appigliarmi. Reclinai il capo e mi morsi il labbro inferiore.
“Mary” mi chiamò con un sussurro, mentre era ancora in ginocchio dinanzi a me.
“Al diavolo” riaprii gli occhi, lo feci alzare e, spintolo a muro, cominciai a baciarlo, facendo aderire il mio corpo al suo.
Ian mi prese le gambe e ribaltò le nostre posizioni. Il muro era gelido. Ebbi i brividi.
“Ok, cambiamo posto” disse, quasi senza fiato, mentre le sue labbra cercavano di divorare ogni centimetro del mio corpo.
“Meglio” dissi, respirando più affannosamente.
Inizialmente si diresse verso il divano, poi deviò verso il tavolo del soggiorno.
“Ci reggerà?” chiesi incerta.
“Scopriamolo” ammiccò.
Mi sdraiò su quella superficie legnosa e per un attimo si arrestò, ammirandomi. Non appena si mise sopra di me, cominciò nuovamente a baciarmi ovunque. Volto, spalle, seno, addome. Ogni parte della mia struttura corporea stava cadendo vittima di quelle labbra. Quando per la seconda volta arrivò alle mie zone più intime, non potei fare altro che aggrapparmi ai lati del tavolo e perdermi in quella sensazione indescrivibile. Ian passò chissà quanto tempo a torturarmi in quel modo, mentre le sue mani spaziavano delicatamente lungo il resto del corpo. Questo rendeva quel supplizio ancora più soddisfacente. La mia razionalità andava sempre più perdendosi. Iniziai a boccheggiare, quando le cose divennero più gradevoli, di quanto non fossero prima.
Non resistetti più e urlai il suo nome, innumerevoli volte, mentre un’ondata di piacere mi avvolgeva.
“Hai chiamato?” chiese lui, sghignazzando, a lavoro ultimato.
“Sei davvero anti-igienico” gli lanciai un’occhiataccia per via di quella risata, mentre cercavo di riprendermi.
Ian scosse la testa divertito.
“Non ti muovere” ammiccò di nuovo e sparì per qualche secondo.
 
“Ok, quindi in quel momento è andato a prendere i preservativi. O sbaglio?” battei la testa un paio di volte a muro, mentre cercavo di non considerare i miei ormoni, completamente attivi per quel ricordo, bensì di far tornare alla mente altri particolari di quel giorno.
 
“Rieccomi” disse, quasi gongolando, ancora nudo.
“Dove sei stato?” domandai, quasi esitante, ancora nuda sopra il tavolo.
“In bagno – si scrollò nelle spalle, dopodiché mi fece mettere a sedere – Sai, di solito, dopo l’antipasto viene servito il primo piatto”
“Stai facendo allusione al fatto che siamo sopra un tavolo?”
“Può darsi” sorrise sghembo ed entrò in me, senza chiedere.
Lo guardai sorpresa, mentre il sorriso non svaniva dal suo volto.
Mi ritrovai sopraffatta, ancora e ancora, da quell’uomo passionale, che mi aveva totalmente rapita.
Ogni singola stanza di casa mia divenne protagonista dei nostri istinti.
 
“Non si è mai staccato. Abbiamo fatto orario continuato per tutta casa, quel pomeriggio. Questo vuol dire c-che… c-che… non l’ha messoooo!” dissi disperata con voce strozzata e mi presi il volto tra le mani.
“Mary, sicura che vada tutto bene?” chiese Ian preoccupato, bussando alla porta.
“Sì, non preoccuparti – risposi nervosamente – Torna a letto, ti seguo a ruota”.
Come potevo spiegargli che avevo già una specie di embrione tra i 4 e i 7 millimetri, annidato dolcemente nel mio utero?
Sentii i suoi passi e dopo un po’ uscii dal bagno e mi sedetti sul letto.
“Allora, dove eravamo rimasti?” Ian cominciò a baciarmi il collo dolcemente.
Avrei voluto strappargli il lenzuolo e fregarmene della situazione, ma non potevo. Riuscii a rifiutarlo a malapena.
“N-n-no, aspetta” dissi con la voce tremante per l’agitazione, allontanando il suo volto dal mio corpo.
Mi guardò confuso e continuai ancora più agitata: “Perché invece di… sai – cominciai a gesticolare, indicando le nostre parti intime che si univano – non parliamo un pochino?! Parlare fa bene. In un rapporto, la comunicazione è importante”
“Vuoi parlare, adesso?” trattenne a stento una risata.
Provò nuovamente a baciarmi.
Rifiutarlo fu ancora più difficile, ma riuscii nell’impresa.
“Va bene – si sdraiò e mise le mani dietro il capo – Di che vuoi parlare?”.
Mi appoggiai sul suo petto.
“Non so, ad esempio… Cosa vorresti in questo momento che senti che manca nella tua vita? Rispondi sinceramente”
“Mmm vediamo… Allora, quel mitico orso polare, anche se so che è impossibile; riportare i miei amati gatti a casa, cosa che farò tra breve, appena rientriamo; nuotare con i delfini, credo sarebbe una cosa incredibile; salvare uno o due cani dal canile e adottarli, sempre se tu voglia, dato che ne hai paura; costruire una riserva per uccelli in giardino; adottare un corvo, mi sono innamorato dei corvi facendo Damon; e per finire, come ciliegina sulla torta…”
“Ecco ci siamo! – pensai speranzosa, probabilmente con una faccia da emerita idiota – Ora dirà ‘figlio’ e tutto andrà per il meglio”
“Un cavallo nero purosangue! – mi guardò estasiato, peggio di un bambino – Dio, sarebbe splendido! Già mi immagino cavalcarlo ad Halloween per Atlanta vestito da Zorro. Paul morirebbe d’invidia” scoppiò a ridere.
Mi paralizzai.
“Non ha detto ‘figliooo’!” urlai dentro di me nel panico.
Attorno a me tutto divenne nero, finché una luce non mi illuminò dall’alto.
“Ma che? Dove mi trovo?” dissi confusa.
Mi guardai intorno, poi gridai sorpresa: avevo un pancione enorme! Ian apparve davanti ai miei occhi vestito da Zorro, sul suo purosangue nero.
“Ian, aspetta!” dissi disperata.
“No, Mary, avevo detto purosangue nero, non figlio. Perciò… addio!” rispose secco e in modo profondo, poi cavalcò lontano da me.
“Ian, no, ti prego!” urlai a squarciagola.
“Mary?” Ian mi toccò una spalla e mi riportò alla realtà.
“Sì?” chiesi, ancora scossa dal flash che la mia mente idiota aveva appena sfornato.
“Ma a che pensavi?”
“Niente, niente” scossi la testa e sorrisi.
“E tu? Cosa vorresti ora come ora nella tua vita che senti ti manca?” mi accarezzò i capelli.
“Non ci ho ancora pensato – risi nervosamente e guardai l’orologio – Uh, ma guarda, si è fatto tardi! Notte” conclusi in fretta, gli diedi un bacio stampo e chiusi gli occhi.
Ian brontolò qualcosa sulla passione e spense la luce.
 
Dopo aver ritirato i bagagli, un’ondata di giornalisti ci venne incontro.
“Ma non dormono mai questi?” sussurrai a Ian sorridendo forzatamente.
“A quanto pare” rise.
I giornalisti si avvicinarono abbastanza da poter porre delle domande.
“Ian, la Norvegia è un paese accogliente?”
“Siamo stati continuamente aggiornati dai tuoi tweet e dalle vostre foto pubblicate su Instagram, ma c’è ancora qualche aneddoto da raccontare?”
“Hai sentito la mancanza di Atlanta?”
“Come avete trascorso il giorno di San Valentino?”
“Com’era il cibo?”.
Ian si schiarì la voce e, sorridendo, cominciò a rispondere: “Uno alla volta per favore. La Norvegia è abbastanza accogliente, un po’ freddina, però, sapete, questo fattore viene nascosto dalla straordinaria bellezza dei paesaggi. Consiglio vivamente di visitarla. Aneddoti da raccontare? Preferirei evitare” rise.
“Perché? Aneddoti imbarazzanti?” chiese uno di loro con malizia indiscreta.
I primi pensieri che mi vennero in mente furono l’orso polare carino e coccoloso e l’imitazione della scena vaporosa di Titanic.
 
L’acqua scorreva sui nostri corpi, mentre continuavamo ininterrottamente a baciarci. Nemmeno fossimo alla nostra prima esperienza di coppia.
Era il nostro terzo giorno in Norvegia e non riuscivamo ancora a darci un contegno. Era come rivivere le prime settimane della nostra fresca relazione, quando ogni secondo era buono per appartenerci. Stessa identica situazione. Ogni volta che si era in albergo, fare qualcosa di diverso ci era quasi proibito dai nostri corpi, che continuavano a richiamarsi a vicenda, anche durante il giorno. Era un qualcosa di insostenibile e tremendamente bellissimo allo stesso tempo.
Ian mi prese il volto tra le mani, lasciandomi dapprima un bacio stampo, poi schiudendo le sue labbra. Attorcigliai le dita tra i suoi capelli e gli morsi il labbro inferiore. Ian ricambiò quel gesto afferrandomi le ginocchia. In breve tempo mi ritrovai avvinghiata a lui.
Il vapore cominciò a palesarsi sempre di più, mentre Ian si insinuava in me.
“Oddio!” mi lasciai sfuggire quell’esclamazione, presa dalla foga del momento.
Intanto che mi tenevo stretta alla sua schiena con una mano, battei l’altra sul box doccia in vetro e la trascinai sempre più in basso, finché non presi a toccare il marmoreo lato B del mio uomo.
“L’ho detto io che questo faceva molto Titanic – disse Ian con voce affannata – Nonostante Jack e Rose non fossero dentro una doccia in Norvegia”
“Every night in my dreams” cominciai a canticchiare, anche se non avevo molto fiato in quel momento.
“Ma finiscila”.
Scoppiamo entrambi a ridere.
 
Ovviamente non riuscii a trattenere la mia tipica risatina imbarazzata.
I giornalisti mi guardarono in modo strano e Ian continuò a parlare: “Sta sicuramente pensando all’orso polare” mi strinse la mano.
“Sì, certo, all’orso polare” commentai mentalmente.
“Mi hai beccato” dissi, alzando la mano libera in segno di resa.
Dopo aver raccontato tutto l’aneddoto riguardante la mancata adozione dell’adorabile palla di pelo bianca, Ian rispose alle altre domande, permettendo così ai giornalisti di congedarsi e andare via abbastanza soddisfatti e a noi di tornare a casa indisturbati con John.
“Ah, casa dolce casa!” disse Ian sereno, entrando le valige, dopo aver salutato il suo fidato autista-amico.
“Dio, sono stanchissima! E’ una fortuna che domani sia il mio giorno libero. Rose e Steve hanno davvero pensato a tutto” sospirai e mi avvicinai al divano.
Ian mi seguì e mi fece accoccolare su di lui con aria trionfante.
“Che hai?” lo guardai.
“Niente, sono solo felice di poterti avere tutta per me per un altro giorno. Che ti va di fare?” mi sussurrò romantico, cominciando ad accarezzarmi delicatamente le mani e le gambe.
Quel tono e quel tocco furono un campanello d’allarme.
Scattai immediatamente  all’in piedi e cominciai a gesticolare.
“Potremmo uscire” gli risposi.
“Uscire ad Atlanta, dove, ti cito testualmente, ‘ci sono giornalisti anche dentro i cassonetti e non potremmo nemmeno darci un bacetto sulla guancia’? Ma sei sicura di star bene? Forse hai la febbre…” lasciò la frase in sospeso e mi guardò.
“No, sto benissimo, è solo che… mi va di fare shopping domani. Dai” addolcii la voce per convincerlo.
“Ma, ma – cercò di controbattere, poi sospirò – E shopping sia”
“Ah, il mio angelo! – lo baciai contenta – Ora andiamo a letto, su” gli tesi una mano e sorrisi.
 
Avevamo passato un’intera mattinata all’insegna dello shopping più sfrenato e ci eravamo fermati in un piccolo ristorante in centro per pranzare. Stavamo per andarcene, quando Ian notò un suo amico, Martin, al tavolo vicino con la moglie e la figlioletta e subito mi trascinò con lui per salutarlo. Dopo esserci presentati, loro continuarono a parlare del più e del meno e io mi intrattenni con la moglie, Naomi.
“Da quanto tempo siete sposati?” le chiesi.
“Oh, io e Martin ci siamo sposati prestissimo, circa ventenni. Quindi, mmm – corrugò la fronte – accidenti, sono già quindici anni! E tu e Ian da quanto tempo state insieme?”
“Nove mesi”
“Siete una coppia giovane ancora, ma splendida, davvero. Non fartelo scappare, è veramente un uomo d’oro”
“Lo terrò a mente” sorrisi.
Naomi ricambiò il sorriso e, solo quando si toccò il cappotto in corrispondenza del ventre, notai una piccola sporgenza e capii che non era sola.
“A che mese sei?”
“Quinto inoltrato”
“Sapete già il sesso?”
“Sì, è una femminuccia. Almeno terrà compagnia all’altra – sorrise e rivolse lo sguardo alla bambina che Martin aveva in braccio, che poteva avere al massimo un anno – Mary, ti dispiacerebbe prendermi il passeggino di Leah?” tornò a guardarmi, facendo una smorfia imbarazzata, e lo indicò.
“Ma certo che no” sorrisi e lo presi.
Guardai il passeggino per un po’ imbambolata, poi provai ad aprirlo per aiutare la moglie di Martin, ma niente.
Provai di nuovo, niente.
“Mi dispiace, non riesco ad aprirlo. Ho avuto a che fare con dei bambini, ho un sacco di nipoti, sia ‘veri’ – feci le virgolette – che acquisiti, quindi non è la prima volta che maneggio un passeggino, ma chissà perché”.
Stavo per continuare a straparlare, ma Naomi, sorridendo, mi disse: “Tranquilla, è normale per chi non ha ancora dei figli in casa riuscire subito nell’intento” e aprì quell’aggeggio.
Guardai istintivamente la mia pancia. Il ciclo non era ancora arrivato e questo confermava ancora di più la mia ipotesi.
Ogni attimo che passava, una piccola cellula si aggiungeva a quel piccolo essere.
Oppure no.
Stavo impazzendo.
Con la scusa del bagno, mi allontanai un momento e chiamai Rose.
“Ehi, tesoro, pronta per tornare domani? Io e Steve siamo tornati a lavoro oggi, uffa, mi mancano le Galapagos. Ma sai che”
“Rose, aspetta. Io devo dire una cosa. In teoria non dovrei dirla a te, però non posso dirla a lui, perché non ne sono sicura, ma tutto sembra confermare questa cosa e”
“Ok, Mary, calma, respira. Cos’è successo?”
“Credo di essere incinta” sussurrai.
“Tu cosa? Oh Cristo, e Ian come l’ha presa?”
“Non l’ha presa, non lo sa. Te l’ho appena det”
“Non lo sa?! Ma sei impazzita? Cos’è, vuoi urlargli ‘sorpresa’ mentre sei in travaglio?”
“To – completai sommessamente la frase, poi risposi alla sua strigliata – Ma no, è che ancora non ne sono sicura al cento per cento”
“Vieni in ospedale, subito. Prenderemo un test di gravidanza e vedremo”
“D’accordo, a tra poco” riattaccai.
Tornai al fianco di Ian.
“Ehi, ma dov’eri finita?” sorrise, cingendomi un fianco.
“Ero in bagno. E, a tal proposito, io” la mia voce si ridusse a un sussurro.
“Tu?” Ian mi guardò con aria interrogativa.
“Io devo andare in ospedale adesso”
“Come mai? Stai bene?” mi guardò preoccupato, prendendomi il volto tra le mani.
“No. Cioè: sì, sto bene, è solo c-che – cominciai ad agitarmi – ci devo andare per fare una cosa”
“Che cosa?”
“E che cosa? – balbettai a bassa voce, poi feci una risatina nervosa – E sai, cose da ospedale! Scusami” gli diedi un bacio stampo, poi salutai Naomi, Martin e la loro piccola Leah e andai verso il mio luogo di lavoro.
Era una fortuna che non fosse così distante o avrei dovuto aspettare il taxi e quindi Ian avrebbe potuto fare più domande.
Sospirai di sollievo, mentre pian piano mi avvicinavo alla meta.
“Mary!” Rose mi corse incontro, non appena misi piede al pronto soccorso.
“Crane! Non si urla in ospedale. E decisamente non si corre” il Capo sventolò l’indice, riprendendo la mia folle amica e facendola arrestare di colpo.
“Capo, ce l’ha con me?” chiese, di rimando, innocente.
“Sì”
“Beh, solo per informarla, mantengo il mio cognome, quindi” lasciò la frase in sospeso e arricciò le labbra.
“Che il tuo cognome sia Crane o Davis non importa, il concetto rimane quello. Chiaro? – non appena finì di parlare, il Capo mi notò – Floridia! – esclamò sorpreso – Cosa ci fa qui?”
“Io in realtà non sono qui. Nel senso che non sono in servizio, perché ricomincio domani”
“Appunto. Quindi perché è qui?”
“Perché Rose mi deve dare una cosa, che… ehm… può darmi solo oggi, perché… ehm… domani potrebbe non esserci più” parlai con esitazione, più o meno citando ‘Grey’s Anatomy’.
Conclusi annuendo col capo, per enfatizzare quella pessima performance.
Beh, almeno io avevo la scusa di non fare l’attrice come mestiere!
“Ok – il Capo se ne lavò metaforicamente le mani e si diresse verso una sala trauma – L’importante è che non tocca pazienti mentre è fuori servizio” disse con un tono di voce lievemente più alto.
“Ma non aveva detto che non si poteva alzare la voce in ospedale?” chiese Rose perplessa.
Il dottor Richardson si voltò.
“Ma io sono il Capo, Davis” scoppiò in una fragorosa risata e proseguì il suo cammino.
La moglie di Steve sbuffò.
“Rose, non pensarci. Piuttosto, concentriamoci. Dobbiamo fare il tutto senza farci beccare da quelle” indicai lievemente con la testa le telecamere.
“O da quelli” Rose puntò l’indice contro la troupe vicino al bancone delle infermiere.
“Giusto”
“Ok, dobbiamo agire come spie in incognito. Ci servono dei nomi in codice” parlò esaltata, battendo le mani alla fine per l’idea, secondo lei, geniale.
“Assolutamente no”
“Dai, sarà divertente!”
“D’accordo – roteai gli occhi – Che nomi desideri?”
“Beh, per te ‘Orsa’ senza ‘mamma’ e per me mmm”
“’Mosca’? Guarda ovunque, quindi è circospetta”
“Ci sto! E chiameremo il tutto… rullo di tamburi… ‘Operazione Cobra’”
“Hai riguardato ‘Once Upon A Time’ di recente?”
“Sì, ma questo non c’entra. Il cobra striscia silenziosamente e noi dobbiamo strisciare fino alla farmacia silenziosamente per afferrare la nostra preda, ovvero il test” mentre parlava, si mosse come un serpente.
“Ok, muoviamoci”
“Bene, che l’ ‘Operazione Cobra’ abbia inizio”.
Andammo verso la parte sud della struttura. Volevamo aspettare che Sally, di turno in farmacia, si allontanasse dalla sua postazione per rubare uno o due test, ma, vedendo che non si smuoveva da lì, la affrontammo direttamente.
“Mary, ma non dovevi tornare domani?”
“Già, ma… sai, non riuscivo a stare lontana da questo posto” risi, sperando di essere credibile.
“Allora, di che avete bisogno? Che posso fare per voi?” sorrise.
“Eccoo” sussurrò Rose.
“Ci servirebbero dei test… di gravidanza” pronunciai le ultime due parole così velocemente, che Sally mi chiese di ripetere più e più volte.
“Insomma, ci servono dei” Rose stava per rispondere esasperata, gridandolo a gran voce, ma la fermai.
“Abbassa la voce, ti prego”
“Uh, giusto!” si avvicinò alla nostra collega e le sussurrò all’orecchio.
“Ma certo” Sally mi sorrise.
Allontanatasi dalla sua postazione, tornò dopo qualche minuto con un sacchetto.
“Privacy assicurata così. Poi fammi sapere però, eh” mi fece l’occhiolino.
“Ma certo – ricambiai il sorriso – Grazie” dissi riconoscente.
Rose mi prese a braccetto e ci dirigemmo verso i bagni.
 
POV Ian
Rientrai in casa, sistemando al proprio posto tutto ciò che io e Mary avevamo comprato prima di pranzo. Mi era dispiaciuto davvero tanto che fosse dovuta correre in ospedale, ponendo così fine al suo ultimo giorno di ferie, però cominciavo a sospettare che ci fosse qualcosa che non andava affatto. Negli ultimi due giorni e mezzo si era comportata in modo fin troppo strano, come se avesse voluto deliberatamente evitarmi.
Ma perché lo faceva? Avevo fatto per caso qualcosa di sbagliato in Norvegia?
Mille dubbi cominciarono a divorarmi e non mi lasciarono in pace, finché Mary non rientrò. Determinato a parlarle, mi avvicinai.
“Mary” cominciai, ma lei mi interruppe subito: “No, aspetta, prima devo parlarti io”.
Mi fece accomodare sul divano e continuò: “Sono certa che in questi ultimissimi giorni hai notato i miei comportamenti strani e mi scuso per questi. Il fatto è che avevo un dubbio e dovevo risolverlo prima di darti delle spiegazioni, solo che non l’ho fatto subito perché ero spaventata dalla tua reazione e poi… Dio, quel cavallo purosangue era quello che volevi, non”.
La guardai sempre più confuso e la bloccai: “Dubbi su cosa? E che c’entra il cavallo?”
“Ecco – il suo volto diventò sempre più rosso – credevo di essere incinta e che mi avresti lasciata per il cavallo e tutte le altre cose che desideri”
“Ma… perché?”
“Perché in quel discorso, l’ultima sera in albergo, non hai detto ‘figlio’”.
Scoppiai in una fragorosa risata e mi alzai.
“Non l’ho detto perché credevo fosse sottinteso, sciocchina – sorrisi e le accarezzai il volto, poi la pancia – E perciò se-sei” balbettai.
“Non lo so. Ti spiego, ho un ritardo di ben tre settimane. Pensavo mi dovessero venire i primi giorni della vacanza, ma in realtà dovevano arrivare già al weekend del matrimonio di Rose e Steve. Cosa che ho constatato in bagno con Rose. Insomma, non riesco nemmeno a farmi dei conti corretti, che razza di”
“Mary, non divagare. Perché ancora non ne sei sicura?”
“Avevamo l’acqua, avevamo i test, dovevo solo bere e fare pipì sopra quei bastoncini, ma... non ci sono riuscita. Non ero sicura della tua reazione e poi i test possono dare dei falsi risultati, perciò ho restituito i test e abbiamo optato per un modo più sicuro”
“Quale?”
“Le analisi del sangue – Mary tirò fuori una busta bianca dalla borsa – Le abbiamo fatte di nascosto e le abbiamo portate in laboratorio. Abbiamo contrattato con un nostro collega, affinché esaminasse subito quella fiala. Alla fine, quando ho preso in mano la busta, Rose mi ha detto che non era giusto che scoprissi con lei l’esito, positivo o negativo che fosse. Quindi, eccomi qui, con una busta in mano che segnerà la nostra vita. Credo” mi guardò.
La strinsi forte.
“Ti amo e, se arriveranno, amerò anche i nostri figli. Perciò aprila” le diedi un bacio sui capelli e sciolsi l’abbraccio.
“Ok” annuì.
Strappò la parte superiore della busta e tirò fuori i fogli, leggendo attentamente le analisi.
“Ian”
“Allora?”
“Ho il valore di BhCG a 1500”
“Quindi?”
“Quindi sono incinta” alzò lo sguardo con le lacrime agli occhi.
“Aspettiamo un bambino” dissi, sorridendo a trentadue denti.
“Aspettiamo un bambino” ripeté senza fiato.
Ci guardammo per un altro istante, poi ci abbracciammo, stringendoci come mai prima di quel momento.
“Aspettiamo un bambino” dicemmo in coro.
 
POV Mary
Entrai nello spogliatoio, in anticipo rispetto all’inizio del turno, certa che avrei trovato la mia Davis lì.
“Buongiorno” Rose mi sorrise estasiata, non appena si voltò.
Mi venne incontro e mi abbracciò.
“Giorno – mormorai, stringendola – Ancora non ci credo”
“Ma devi, perché è reale”
“Lo so, ma ancora ci sono tanti controlli da fare e comunque prima del primo trimestre non bisogna cantare vittoria” sciolsi l’abbraccio, dubbiosa.
“Mary, ma finiscila! E’ una cosa bella e dovete esserne felici. Non rovinarti la gioia di questo momento, piuttosto abbracciala” sorrise nuovamente.
“Ti voglio davvero tanto bene”
“Anche io”
“Vai a casa ora, giusto?”
“Yep! Steve sta per finire il turno, quindi avremo tutta una mattinata e il primo pomeriggio per riposare, mangiare e altro” parlò vagamente.
“Siete due bestie insaziabili” feci una risatina.
“Ha parlato la castità fatta persona – sgranò gli occhi, toccandomi la pancia e canzonandomi – Piuttosto che parlare con me, cerca Kate. Sbaglio o hai un’ecografia da pianificare?”
“Non sbagli – stavolta fui io a sorridere istintivamente, sfiorando il mio ventre con la mano destra – Spero non sia già impegnata in qualche emergenza”.
Chiacchierammo un altro po’, dopodiché arrivò Steve e i due sposini se ne andarono.
Mi cambiai, poi chiesi a qualcuno se avesse visto Kate.
L’ultima infermiera l’aveva notata al pronto soccorso per un consulto. Scesi e cominciai a guardarmi intorno, peggio di un avvoltoio. A un certo punto, mi arrestai. Kate stava camminando verso gli ascensori. Dovevo raggiungerla. Presi delle cartelle dal bancone delle infermiere, senza che Jo se ne accorgesse, tutta presa da una telefonata. Quasi muovendomi in punta di piedi, cominciai a camminare dietro alla nostra personalissima Izzie. Tuttavia, improvvisamente si voltò. Le cartelle, che tenevo tra le braccia, caddero per terra.
“Oh, non ti avevo vista” disse seria, piegandosi sulle ginocchia per raccoglierle.
“Non preoccuparti” le sorrisi.
Prese tutte e tre, me le porse.
“Grazie” sorrisi nuovamente.
“Ci si vede” mi salutò in modo strano, quasi ‘obbligato’, riprendendo a camminare.
Dopo qualche secondo, avevo appena ripreso a muovermi anch’io, quando si voltò di nuovo, per poco non facendomi cadere.
“Mi stai seguendo?” mi domandò con aria interrogativa, infilando le mani nelle tasche del camice bianco.
“Io? N-no, che dici – scoppiai a ridere, nervosamente, mettendo delle ciocche di capelli dietro le orecchie – Non ti seguo. Affatto”
“Ok. Allora buon lavoro”
“A te” la salutai con la mano, in maniera impacciata.
Eravamo sul punto di ripetere la stessa scenetta, ma Kate sbuffò, guardandomi nuovamente.
“Mary, quale diavolo è il tuo problema?” mi chiese, alterata.
“Non ho nessun problema”
“Allora smettila di seguirmi. Oggi davvero non è giornata. Se non è per lavoro, proprio oggi non ti voglio tra i piedi”
“Kate – pronunciai il suo nome, dopo essermi ripresa da quell’insolita reazione – Non volevo farti arrabbiare, scusami”
“Oh, non volevi fare molte cose, ma non è che tu ci sia riuscita”
“Si può sapere a cosa ti stai riferendo? I-io non capisco” scossi lievemente la testa, confusa, accantonando definitivamente l’idea di dirle della gravidanza.
“Inizialmente non capivo perché, ma avevo bisogno, quasi disperatamente, che tu mi dicessi che sono una persona orribile. Davvero orribile”
“Perché?” mi allarmai.
“Perché ero di turno l’ultimo dell’anno, il che è deprimente, perché tutti eravate a divertirvi, mentre io ero qui, praticamente da sola, con nulla da fare, perché tutti sono troppo impegnati a fare il conto alla rovescia che a farsi male per permettermi di curarli, perciò sono andata a letto con Alex. Nella stanza del medico di guardia. Più di una volta. E non solo quella sera. In quest’ultimo mese e mezzo ho continuato e continuato e ogni volta quel senso d-d-di – balbettò per un momento – colpa non faceva altro che ingrandirsi. Fino a stanotte. Stanotte tutto è cambiato” sorrise smagliante.
“Kate, davvero non capisco”
“Perché ho realizzato – continuò il suo discorso, quasi ignorandomi – che non dovevo essere io a sentirmi una persona orribile, ma tu. Ti senti così matura e pura e poi non ti rendi nemmeno conto di aver preso il cuore di una persona e di averlo stritolato, quasi fino a lasciarne solo un cumulo di ceneri. Quindi la persona orribile sei tu, non io. Io sto cercando semplicemente di riparare ciò che tu hai rotto”
“Kate, ma che”
“Mentre stava per arrivare uno degli orgasmi più belli della mia vita, lui mi ha chiamata ‘Mary’. Ecco a cosa mi riferisco. Non ho la minima idea di cosa sia successo tra voi e del perché tu lo odi così tanto, ma, davvero, parlatene, perché la situazione sta degenerando. Sempre di più. Specie per lui”.
Detto questo, girò i tacchi e se ne andò.
Ero ancora a bocca aperta, quando il cercapersone cominciò a trillare. Emergenza in arrivo. Scossi la testa per quella discussione e andai all’ingresso dell’edificio, giusto in tempo per vedere un’ambulanza arrivare.
Aprii l’ombrello per non bagnarmi e mi avvicinai.
“Cos’abbiamo?” chiesi, quando le porte dell’ambulanza si aprirono e i paramedici scesero una barella.
“Mandy Kingston, 50 anni, svenuta al supermercato. Ha avuto delle convulsioni, mentre venivamo qui, che abbiamo trattato con 5 mg di Diazepam, adesso stabile” Matthew mi informò sulle sue condizioni e mi accompagnò fin dentro il trauma center 3.
Non appena spostammo la donna sul lettino dell’ospedale, ebbe nuovamente delle convulsioni. Le somministrammo anche stavolta il Diazepam, così che il suo corpo potesse acquietarsi.
“Ok chiamate Crane di neurochirurgia, grazie” ordinai alle infermiere.
“Crane è fuori servizio”
“Giusto. Ehm, chiamate chi è di turno”
“Abbiamo qualcosa di ortopedico qui?” disse una voce alle mie spalle.
Mi voltai.
“No, tornatene pure da dove sei venuto” risposi, un po’ più acida del solito.
“Oh, dolcezza, andiamo! Perché oggi quest’improvviso caratter” Alex, che stava parlando con tono beffardo, si arrestò.
Sgranò gli occhi e boccheggiò per qualche secondo, incapace anche solo di prendere aria.
Dopo aver riacquistato lucidità, blaterò un ‘Ok, non è un caso ortopedico’ e andò via.
Guardai quella reazione un po’ stranita.
Subito dopo la porta si aprì e il dottor Perry, primario di neurochirurgia, fece il suo ingresso.
“Allora, cos’ha questa donna?”.
Diedi tutte le informazioni con tono professionale, poi uscii da quella saletta. Non aveva problemi all’apparato cardiopolmonare. Non era una mia paziente precedente. Non c’era motivo per cui io restassi lì.
Salii su un ascensore per andare in reparto. Le porte stavano per chiudersi, quando Alex si insinuò tra di esse, facendole riaprire.
“A che piano vai?” mi chiese, esitante ma comunque sorridente, come se quel momento di perdizione fosse svanito nel nulla.
O, perlomeno, come se stesse cercando di farlo svanire.
“Al quarto. Tu?”
“Al terzo” disse, premendo il bottone.
Le porte si chiusero e l’ascensore cominciò a salire.
“E non potevi salire dopo?” chiesi secca.
“E perdermi l’ebbrezza di una conversazione con te?” scosse la testa, facendo una risatina.
“Ti ignoro, che è meglio”.
Alex stava per controbattere, quando il mezzo tremò. Di colpo si accese la luce d’emergenza.
“No. No, no, no! Si è fermato!” dissi esasperata, guardando allibita quella flebile luce e cominciando a pigiare più tasti, sperando magari di ottenere qualche risultato.
Invano.
“Così non lo fai ripartire, tutt’altro” disse con nonchalance.
“Ma bene, perfetto! Ora sono bloccata in questo buco con l’ultimo uomo con cui vorrei essere di tutto il pianeta”.
Alex scosse la testa.


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=AmK7QMj_tNg




“Certo che sei incredibile – mi guardò – Riesci a leggere nel profondo tutti quelli che varcano la soglia di quest’ospedale, riesci a comprendere quasi tutta la popolazione mondiale, ma me no. Perché me no?” alzò la voce.
Strinsi i pugni, cercando di mascherare la sorpresa. Non mi aveva mai parlato con quel tono così frustrato. Kate aveva ragione. Tutto questo lo stava distruggendo. Nonostante mi dispiacesse, ripensai istintivamente a tutti quei momenti irritanti e di disagio che avevo passato per causa sua e non potei fare a meno di alterarmi anch’io.
“Forse perché negli ultimi cinque anni hai saputo solamente fare apprezzamenti sessuali sulla mia persona? Forse perché, da quando ti ho conosciuto, non hai fatto altro che cercare di scoparmi? Scoparmi e basta? E allora perché cavolo io dovrei cercare di conoscerti, quando è palesemente evidente che tu ti vuoi avvicinare a me solo per potermi sbattere, in tutti i sensi, contro la parete di questo dannato ascensore? Non sono una figurina rara che ancora non sei riuscito a ottenere e non lo diventerò, stanne certo. Sono una persona, maledizione” gli urlai contro, gesticolando.
“E tu come cavolo hai fatto a non capire che il sesso, l’essere beffardo e tutto il resto fanno parte di una cazzo di maschera e basta? I-io… sai chi è la paziente che è arrivata? Quella con le convulsioni? – indicò le porte dell’ascensore, come se quella donna fosse appostata lì dietro – E’ mia madre. La riconosco, perché ho una sua foto nel portafogli, non per altro, perché ha abbandonato me e mio padre, quando io avevo solo due anni. Da quel momento, mio padre ha cominciato a bere. Sempre di più. Non era mai abbastanza. Ricordo ancora che, quando ero un po’ più grande, sui sei anni, ogni volta che collassava, prendevo un’aspirina e la preparavo, attendendo il momento in cui si sarebbe svegliato. Ho vissuto così fino ai miei undici anni. Poi mio padre è morto e hanno iniziato a mandarmi in tante famiglie. La mia permanenza in ognuna non durava più di due mesi”
“Alex”
“Non ho mai pensato davvero al lavoro del medico, fin quando non ho aiutato un ragazzo, mentre ero di turno al bar in cui lavoravo, durante il liceo. Si era fratturato un braccio, non ricordo come, e io, senza sapere qualcosa sulla medicina, fermai l’emorragia e steccai il braccio con un pezzo di compensato, trovato in ufficio. Poi”
“Alex, ti prego, non”
“Capisci adesso? Il sesso è una maschera, perché… perché, Mary, tu sei buona. Sei davvero una delle persone più buone e compassionevoli di questo mondo. Forse la più buona e compassionevole. E io ho bisogno di un po’ di buono e di compassione nella mia vita, perché, per il resto, eccetto Rose e Steve, sono circondato da merda, che mi ha rovinato, che mi ha reso chi sono ora, un bastardo e stronzo gigolò. Ho bisogno che tu mi veda, non che tu mi guardi. Ho bisogno che tu mi legga, come un libro aperto. Ho bisogno che tu mi capisca, perché io… io… Io ti amo, perché mi fai credere che ci sia ancora speranza per me; che, nonostante sia stato ripudiato quasi da tutti quanti, io possa essere salvato – si avvicinò sempre di più – Essere amato. Nonostante il mio pessimo passato. Nonostante la mia quasi ormai insormontabile corazza, ricca di cinismo e ironia”
“Alex – pronunciai il suo nome tesa, avendo capito le sue intenzioni; indietreggiai – non avvicinarti di più, ti pre”.
La mia frase restò spezzata.
Le labbra di Alex avvolsero le mie con esigenza e sofferenza. Le sue mani contornavano il mio volto. Mi spinse verso la parete dell’ascensore, bloccandomi le braccia con le sue, senza tuttavia permettere alle sue mani di distaccarsi dal mio volto.
“Non è mai stata mia intenzione farti credere di essere una figurina da collezione, seppur rara. Tu vali molto di più di questo. Tu s-sei… sei come un angelo custode per me. T-tu” non continuò la frase, piuttosto riavvicinò le sue labbra alle mie.
Riuscii a liberare una mano, con cui lo presi per le spalle e lo allontanai da me con delicatezza, cercando di trattenermi dal mollargli un ceffone.
“Perché hai aspettato tutto questo tempo per dirmelo? Perché non hai cercato di approcciarti in modo diverso da ‘Belle mutandine’ o ‘Gattina’ o da ‘Buongiorno, Mary’,  detto mentre ti facevi un’infermiera per caso?”
“Avrebbe fatto differenza?”.
Restai per un attimo senza parole.
“Mary, rispondi alla mia domanda” Alex sgranò gli occhi, guardandomi.
“No – abbassai lo sguardo, per poi rialzarlo poco dopo – Tuttavia non capisco perché ora. Alex, io sto con Ian”
“Lo so”
“E non ti amo”
“So anche questo. Ti si legge in faccia” sorrise amaramente, per poi fare una smorfia.
“Allora cosa ti aspetti che faccia, scusami?”.
Non ebbe il tempo di rispondere alla domanda. Le luci si riaccesero e l’ascensore ripartì. Ben presto arrivammo al terzo piano.
“Devo andare” mormorò e uscì.
Mi toccai le labbra senza parole.
 
“Dottoressa Floridia” dissero i nuovi tirocinanti del reparto perplessi.
“Sì?” mormorai con voce flebile, scuotendo lievemente la testa e tornando coi piedi per terra.
“Le sta suonando il cercapersone” una di loro lo indicò con timore, forse spaventata dalla mia reazione.
Afferrai quell’aggeggio. Era la sala operatoria 4, dunque, la mamma di Alex.
“Ehm, voi restate qui a compilare le cartelle, io devo scendere” spiegai velocemente e uscii dal reparto di cardiochirurgia.
Arrivata in presala, mi lavai velocemente, poi entrai nella camera operatoria.
“Ho fatto più in fretta che pote” mi arrestai, guardandoli più attentamente.
Erano tutti fermi, con le mani perse in aria.
Solo allora sentii un suono acustico costante divenire sempre più forte.
“No” sussurrai, sgranando gli occhi.
“E’ andata in fibrillazione quando l’abbiamo staccata dal bypass e non c’è stato niente da fare – il dottor Perry parlò con tono serio, professionale – C’è qualcuno da avvisare?”.
 
POV Nina
Battei il piede sul pavimento, tamburellando con le dita sul tavolo, fin quando non mi ritrovai davanti Ian, che mi sventolava una mano vicino al volto.
“Stai bene?” mi chiese.
“Ma certo – annuii con convinzione, cercando di sorridere – Benissimo. Mai stata meglio. Davvero mai. In tutta la mia vita”
“Ok, che succede?” si sedette accanto a me.
“Non è niente. E’ solo un presentimento che ho e non va bene averlo, sul serio. Non fa proprio bene, perché”
“Nina, che cos’è?”.
Sospirai, abbassando per un secondo lo sguardo. Non appena presi coraggio, lo rialzai e sussurrai: “Credo di essere incinta”.
Ian restò per un attimo imbambolato, fin quando non disse: “Anche tu?”.
Subito dopo, si coprì la bocca con entrambe le mani.
Sgranai gli occhi.
“Mary è incinta?!”
“Sì, l’abbiamo scoperto ieri” sorrise istintivamente.
“Ma è una splendida notizia!” esclamai e lo abbracciai.
“Sì, lo so. Spero vada tutto bene. Ancora non ha ultimato il primo trimestre, quindi non vuole dirlo in giro, perciò” lasciò la frase in sospeso.
Sciolsi l’abbraccio e lo guardai.
“Bocca cucita, non preoccuparti” mimai la chiusura di quest’ultima con una chiave.
Ian rise, dopodiché disse, parlando sottovoce, con discrezione: “Torniamo a te. Hai un ritardo di?”
“Qualche giorno. Quasi una settimana – presi un respiro profondo – Non può succedere. No” abbassai lo sguardo di nuovo.
“Nina, non preoccuparti. Può capitare. Stasera parliamo con Mary e vediamo di fare delle analisi. D’accordo?”
“Ok” annuii debolmente.
“Tranquilla. Non bagnarti prima di piovere – mi carezzò i capelli e me li baciò delicatamente – Torniamo sul set ora?” mi chiese, con voce delicata.
“Ok” rialzai lo sguardo.
Stavamo per andarcene, quando notammo che il televisore era acceso, benché fosse in modalità muto.
Uno degli ascensori del Saint Joseph riempiva lo schermo. Nonostante l’illuminazione fosse data solo dalle luci di emergenza, riuscivo a distinguere i due individui. Erano Mary e il suo collega Alex, senza ombra di dubbio. Anche Ian dovette capirlo, perché afferrò il telecomando. Stava per togliere il muto, quando, nella penombra dell’ascensore ancora bloccato, Alex baciava Mary e le sussurrava qualcosa.
Spalancai la bocca.
Mary lo respinse, ma tutta quella scena restava comunque sconvolgente.
Guardai Ian.
“Devo andare” mormorò a denti stretti e uscì.
“Ogni giorno succede qualcosa. Divertente, questa vita!” scossi la testa e uscii anch’io dalla saletta.
 
POV Mary
Cercai Alex al suo reparto, ma non lo trovai. Cominciai a vagare di qua e di là, fin quando non me lo ritrovai davanti, vicino al bancone del bar, a pochi passi da me.
Non appena mi vide, salutò il suo interlocutore e cominciò a camminare in direzione opposta. Corsi e lo raggiunsi, bloccandolo per un braccio. Prima che potesse liberarsi dalla mia debole presa, lo trascinai con me.
“Dove stiamo andando?” mi chiese più volte, senza ottenere risposta.
Stavamo per arrivare in una delle varie stanze del medico di guardia, quando, stufo, si oppose con forza. I ruoli si invertirono. Mi portò nuovamente in ascensore. Premette il bottone del quinto piano, ma, non appena l’ascensore partì, lo arrestò col bottone di stop.
“Allora, sputa il rospo. Che vuoi?” mi guardò con gli occhi spenti.
“Quattro anni fa”
“Cosa?”
“Quattro anni fa avrebbe fatto differenza”.
Alex sgranò gli occhi e mi guardò a bocca aperta, non riuscendo a proferir parola.
Con voce sommessa, quasi terrorizzata, continuai a parlare, esternando tutto quello che tenevo dentro da tutto quel tempo: “L’ho capito quando hai aiutato un paziente, che avevamo tutti e quattro preso in cura, a dire addio alla persona che più amava e che, proprio per amore, aveva lasciato andare più di cinquant’anni prima. E’ stato un gesto così amorevole, così poco da ‘Alex che tutti noi conosciamo’ – feci le virgolette – che mi lasciò stupita. Quel giorno per la prima volta pensai che forse non eri così male, che magari meritavi un’occasione. Non l’ho mai detto a nessuno. Fino a oggi”
“C-cosa?” riuscì a balbettare, senza fiato.
“La sera di quel giorno, dopo essermi cambiata, volevo invitarti a bere qualcosa al bar, ma ti vidi baciare un’infermiera. Ecco, proprio in quel momento mi sono sentita la famosa figurina. E da quel momento mi sono inacidita, seppellendo quella sensazione positiva quasi vicino al nucleo della terra”.
Alex scosse la testa, quasi impercettibilmente.
“Perché tu – sottolineò quel pronome – me lo stai dicendo proprio ora?”
“Perché la prossima cosa che sto per dirti non sarà facile da digerire e voglio che tu sappia che oggi quella sensazione positiva è tornata. Non hai avuto una vita facile. Non ti sei ‘auto-reso’ così. E’ stato proprio tutto ciò che hai vissuto a farlo. E adesso l’ho capito – accennai un sorriso amaramente – Certo, non è il sentimento di quattro anni fa. Non è quello che vorresti tu da me. Ma è pur sempre qualcosa, che ti aiuterà”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
“Ti sto offrendo la mia spalla, Alex”
“Io n-non capisco”
“Tua madre è morta. Il cuore non ha retto l’intervento al cervello”
“C-cosa?” il suo sguardo divenne appannato, spezzato.
Il suo corpo sembrò barcollare. Immediatamente annullai le distanze tra noi e lo abbracciai.
“Sssh, andrà tutto bene. Ora potrà solo andare meglio. Sssh” cominciai a cullarlo, riducendo la mia voce a un sussurro.
 
POV Ian
Parcheggiai l’auto quasi di fronte al pronto soccorso. Probabilmente mi sarei beccato una denuncia, ma in quel momento non importava. Avevo una rabbia dentro che cresceva, sempre di più. Come aveva osato baciarla e toccarla? Grugnii, facendo il mio ingresso nel posto di lavoro di Mary, guardandomi intorno, cercandola. O meglio, cercando Alex.
Un’infermiera mi venne incontro con passi brevi ma veloci. Sembrava indossasse le pattine o una cosa simile.
“Posso aiutarla?” chiese con voce gentile.
Presi un profondo respiro, cercando di non far uscire una voce violenta, poi dissi: “Sto cercando il dottor… ehm… mi pare si chiamasse Walker?” conclusi con esitazione.
“Ah, intende Alex!” rispose stizzita.
Che si fosse fatto pure lei?
“Sì, proprio lui. Dove lo posso trovare?”
“Veramente è andato via poco fa con la dottoressa Floridia”
“Cosa?” risposi, un po’ troppo ad alta voce.
Quell’affermazione mi aveva totalmente colto di sorpresa. Cos’era successo tra loro? Cosa mi ero perso?
Biascicai un ‘Grazie’ di fretta e corsi fuori da quel posto. Quando girai la chiave nel quadro, il mio istinto mi sussurrò di andare a casa di Mary. Era certo che li avrei trovati lì.
Lo seguii. Non appena giunsi nel vialetto, illuminai l’auto di Mary con i fanali della mia.
Aveva avuto ragione.
Scesi dal mio mezzo di trasporto e, prese le chiavi di casa, corsi ad aprire. Mi ritrovai davanti un salone vuoto, con la tavola imbandita. Sgranai gli occhi per un attimo, impaurito. Anzi, terrorizzato.
Stavo per urlare il nome della mia donna a gran voce, quando la vidi arrivare dal corridoio.
“Sei qui” mi abbracciò forte, inspirando il mio profumo.
“Dov’è?” domandai a bassa voce, sembrando più che altro un leone ringhiante.
“Calma i tuoi bollenti spiriti, Mufasa, e, soprattutto, non pensare male. Assolutamente”
“Mufasa?”
“Sì, sembrava stessi ringhiando poco fa”
“Oooh, dillo di nuovo!” imitai una delle iene de ‘Il Re Leone’, citando una delle scene del film Disney.
“Mufasa, Mufasa, Mufasa!” Mary mi assecondò, scoppiando a ridere.
Subito dopo mi baciò, delicatamente ma in modo sicuro e puro.
Quel gesto mi calmò. Chiusi gli occhi per un momento, mentre Mary si scostava dalle mie labbra, avvicinandosi al mio orecchio sinistro.
“Sono certa che hai visto qualcosa in televisione. Ti spiegherò tutto perfettamente, per filo e per segno, sarò più scrupolosa di Julie quando si fissa su una scena, ma per ora ti basta sapere c-che… non ha passato una bella giornata. Forse è stata una delle peggiori della sua vita e-e io non potevo lasciarlo andare così. Non sapendo quello che ora so e che per molto tempo ho ignorato. Sei hai visto quello che penso, allora capirai che glielo devo, Ian. Tu raccogli i randagi per strada. Immaginalo così, come un cucciolo che si è semplicemente perso. Ed è completamente sommerso dalla confusione mentale. E si guarda intorno, cercando di capirci qualcosa, sperando di riuscirci, ma invano. Immaginalo così e permettigli di restare. Immaginalo così e metti da parte la rabbia o la voglia di mollargli un pugno. Anche due. Perché non ha bisogno di questo. Ha bisogno di cure e, soprattutto, di comprensione. Ti prego, Ian” mi guardò implorante.
Come facevo a contraddire quel faccino e quel discorso praticamente perfetto?
“E va bene” sbuffai, sospirando.
“Vieni a salutarlo, su” accennò un sorriso.
Mi prese la mano e mi condusse alla stanza degli ospiti, la stessa stanza in cui avevo dormito io, solo e insieme a lei, migliaia di volte.
“Chissà se le lenzuola profumano di noi” mi domandai, mentre Mary apriva la porta, quasi di soppiatto.
“Alex? – lo chiamò insicura – Ian è tornato a casa”.
Aprì completamente la porta. Entrammo insieme.
Alex, che era seduto sul letto, si alzò immediatamente e mi venne incontro.
I capelli mori scompigliati. Gli occhi castani un po’ gonfi e turbati.
“So che è casa di Mary, ma… grazie per l’ospitalità” disse, cordiale, tendendo una mano.
Non sembrava nemmeno lui!
Chi avevo davanti?
“Figurati” sorrisi, stringendogliela.
“Perfetta recitazione maschera sorpresa, Ian!” pensai, facendo una pernacchia mentale a Mary, che mi prendeva sempre in giro per le mie doti recitative al di fuori del set.
“Avete già cenato?” domandai, guardandoli.
“Oh, no, non mi va molto di cenare. Tra poco vado a letto – Alex guardò improvvisamente a terra, davanti a sé – posso chiederti Mary in prestito per un attimo, Ian?” i suoi occhi si posarono nuovamente su di me.
Un mini Ian dentro di me cominciò ad agitare i pugni, ma la parte più razionale ripensò alle parole di Mary di poco prima.
“Ma certo” risposi, annuendo lievemente.
Mi voltai e uscii da quella stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
A quel punto, esitai. Per un momento pensai di appostarmi lì con un bicchiere e ascoltare, ma, effettivamente, non era giusto.
Presi un altro profondo respiro, cosa che sembrava essere la mia azione preferita in quella serata, e andai in cucina a vedere cosa Mary avesse preparato per noi e per i gatti.
 
POV Mary


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=tT7lQp-ZnBg




Guardai Ian chiudere la porta. Apparentemente tranquillo, ma sicuramente combattuto interiormente. Trattenni per un po’ il respiro, pensando a come si dovesse essere sentito vedendo me e Alex dentro un ascensore fin troppo stretto a urlarci contro.
Mi morsi il labbro inferiore e tornai alla realtà,voltandomi e poggiando i miei occhi nuovamente su Alex.
I suoi occhi, gonfi e spenti per le lacrime di poco prima, ora apparivano pieni.
Che mi stesse mangiando con gli occhi?
“Cosa volevi dirmi?” interruppi quel silenzio assordante.
Alex rispose dopo qualche minuto: “Scusa, ero immerso nell’ammirarti”
“Alex” sospirai il suo nome, quasi rassegnata.
Quel giorno avevamo passato fin troppe cose insieme, non poteva continuare a comportarsi in quel modo.
“Non dirmi così, ti prego. Mi rendi le cose difficili e, soprattutto, le rendi difficili a te stesso, perché”
“Lo so. Hai messo le cose in chiaro in modo eccelso in ascensore, perciò so benissimo che non mi ami. Ma, nonostante ciò, nonostante l’aver perso definitivamente una persona che avrei sempre voluto poter ritrovare di nuovo, ho avuto una piccola vittoria oggi – annullò le distanze tra noi, prese poco prima in presenza di Ian – perché per la prima volta ho visto quello sguardo che hai sempre cercato di nascondere. Per la prima volta i tuoi occhi mi hanno guardato con affetto ed empatia, quando invece prima erano sempre colmi di rabbia e disprezzo. Oggi, per la prima volta, hai abbattuto le tue barriere, anche con me. E, devo ammetterlo, per quanto non sia andata come voglio io, poter guardare chi realmente sei, non con gli altri, ma con me, Alex Walker, è una vittoria più che soddisfacente. Io ti amo. So che tu non ricambi, ma l’amore è anche questo. L’amore non è per forza scambiarsi le labbra, i corpi, o scattarsi selfies orribili – accennò un sorriso – L’amore è anche guardare chi ami essere felice con un altro uomo ed essere felice per lei, nonostante il sentirsi morire dentro. L’amore è accettare che l’altra persona provi questo grande e accecante sentimento non nei tuoi confronti, ma in quelli di un attore di 35 anni, famoso in tutto il mondo. Non mi serviva che tu mi amassi, Mary. Ciò di cui avevo bisogno era semplicemente la possibilità di farti capire chi sono, cosa provo e di vedere uno sguardo differente nei tuoi occhi. E ho ricevuto tutto questo – mi sfiorò una guancia, delicatamente – Potrò non avere il tuo profumo addosso, potrò non avere il privilegio di assaggiarti e di sentirti ansimare grazie alle mie straordinarie doti, ma finalmente anche io ti ho avuta. Come Steve. Come Rose. Come ogni singola persona che capisce quanto tu sia meravigliosa e bella. Dentro e fuori. Questo mi basta. Stranamente” fece una risatina e avvicinò il suo viso al mio.
“Non puoi farlo di nuovo” sussurrai, completamente spiazzata da quelle parole.
Come avevo fatto a non vedere un animo così complicato e profondamente bello in cinque anni?
“Lo so – disse semplicemente, baciandomi sulla guancia – Buonanotte, Mary” si allontanò da me e si riavvicinò al letto.
“Buonanotte, Alex” accennai un sorriso e uscii da quella stanza.
Entrai in cucina, bramosa di un bicchiere d’acqua.
Mi misi in punta di piedi per arrivare all’armadietto sopra il lavandino.
“Allora?” sussurrò Ian, sopraggiungendo alle mie spalle.
“No, non è stato inquietante, tranquillo” mi voltai, arricciando il naso.
Ian fece una risatina e richiuse l’anta.
“Ehi!” protestai.
“Ho preparato un po’ di bourbon per me e un succo per te di là. Credo sia meglio di semplice acqua dopo la cena. Soprattutto per me” fece una smorfia.
“D’accordo”.
Lasciai che mi prendesse la mano e che mi conducesse in soggiorno.
Mangiammo silenziosamente.
Dopo aver sparecchiato e lavato i piatti, ci accomodammo sul divano.
Prendemmo i rispettivi bicchieri e cominciammo a sorseggiare.
“Ok – presi un bel respiro e lo guardai – Stamattina avevo intenzione di dire a Kate tu sai cosa, tuttavia non ho potuto, perché era molto ostile nei miei confronti”
“Come mai?”
“Ecco – mi arrestai un attimo, esitante – mi ha detto che, da un mese e mezzo a questa parte, va a letto con Alex e che ieri notte quando stava per… sai, raggiungere ‘l’apice’ – feci le virgolette – lui ha detto il mio nome, al posto del suo. Perciò Kate era arrabbiata con me, per tutta questa situazione un po’ imbarazzante. Effettivamente non deve essere carino sentirsi chiamare in un altro modo, mentre stai per avere un orgasmo, anzi, dev’essere proprio orribil”
“Ok, Mary, va’ avanti” Ian annuì, sorridendo.
Stavo straparlando.
“Scusa – risi mortificata – Comunque, poi è arrivata una paziente in pronto soccorso e Alex era strano al riguardo e, beh, alla fine in ascensore ho scoperto che quella donna era sua madre”
“Era? Hai usato il verbo al passato per caso oppure”
“E’ morta oggi pomeriggio”
“Ah”
“E sono stata io ad avvertire Alex, perché ero l’unica a sapere la vera identità di quella donna. E lui è crollato. E-e io non me la sentivo di lasciarlo solo. Non potevo. N-non posso. I-io”
“Mary – Ian poggiò il bicchiere sul vassoio, prendendomi poi una mano – per quanto voglia spaccargli la faccia per essersi avvicinato alle tue labbra, hai ragione. E, soprattutto, hai fatto bene. Non potevi lasciarlo da solo. Non potevi allontanarlo ulteriormente. E ti parlo così, perché ci sono passato. E so cosa vuol dire essere cacciato da te, nel momento in cui se ne ha più bisogno”
“Questo è un colpo basso” mormorai, stringendogli la mano e ripensando alla sera del 10 Marzo dell’anno precedente.
La fatidica sera in cui avevo lasciato andare Ian per il bene della sua relazione.
“Non volevo rinfacciartelo, hai capito male! Volevo solamente dire che quando si passa un momento difficile, si ha bisogno di qualcuno al proprio fianco. Dato che io ho sperimentato l’opposto, capisco perfettamente la situazione e sono fiero di te per non aver lasciato Alex al suo destino e per esserti aperta con lui. Ovviamente non in senso fisicamente letterale. Altrimenti la spaccatura di faccia avrebbe il sopravvento seduta stante” sorrise, come se fosse un angioletto.
Scoppiai a ridere.
“Ehi, piccoletto, tuo padre è una grande persona” sussurrai, toccandomi il ventre.
“E tua madre è un meraviglioso angelo custode” rispose lui, poggiando la mano sulla mia.
Avvicinai le mie labbra alle sue, baciandolo castamente.
“Ti amo”
“Anch”.
Il mio cellulare cominciò a squillare.
“Rimanda la tua dichiarazione a dopo, Smolder” gli feci l’occhiolino.
Tornai in cucina velocemente, sperando che Alex non si fosse svegliato, e afferrai il dispositivo, guardando chi fosse.
“Pronto, Nina?”
“Mary, ti prego, aiutami” rispose la Dobreva con voce affannata.
 
POV Nina
Cominciai a battere il piede, mentre il cronometro dell’Iphone mi mostrava velocemente i secondi che stavano passando.
Mi morsi il labbro inferiore.
“Calma, Nina, calma! – mormorai – Tra poco scoprirai la verità e andrà tutto bene” cercai di rassicurarmi, nonostante avessi in testa il discorsetto di Ian su quegli aggeggi.
I tre minuti passarono.
Era giunto il momento.
“Ok. Diamo un’occhiata” girai il test di gravidanza e osservai il risultato.
Linea blu.
Linea fottutamente blu.
Il test era positivo.
Cominciai a respirare affannosamente.
Non poteva essere.
Istintivamente afferrai il cellulare e chiamai Mary.
“Pronto, Nina?” rispose dopo tre squilli.
“Mary, ti prego, aiutami” dissi agitata.
“Nina, che succede?” il tono di Mary divenne preoccupato.
“I-io ho appena fatto un test di gravidanza ed è positivo. Non sono pronta per un bambino. Sono carini e dolci e teneri, per carità, ma proprio no. Non ne voglio uno ora. E’ troppo presto. Ho venticinque anni. N-non posso. Aiutami” parlai, mentre camminavo su e giù per il bagno, torturandomi i capelli.
“Ok, Nina, calma. D’accordo? Intanto cerca di respirare. Non pensarci, va tutto bene”
“Come posso non pensarci se – alzai il tono della voce, abbassandolo subito dopo – se ho un minuscolo esserino che sta crescendo dentro di me? Non posso non pensarci”
“Sei sola a casa?”
“Sì, Joseph stasera è sul set. Per fortuna. Oddio, cosa farò?” dissi con voce lamentosa.
“Ok, facciamo così: adesso tu vieni qui e passi la notte qui”
“Non vorrei disturbare”
“Oh, non disturbi! C’è già Alex nella stanza degli ospiti”
“E se Alex è lì, io dove dovrei dormire?”
“Ti farei dormire nell’altra stanza, ma è un disastro. Perciò… tu lettone con me e Ian sul divano. Circondato dai gatti. Starà benissimo”
“Ne sei proprio sicura?”
“Sì, non preoccuparti. Coraggio, vieni. Domani mattina mi accompagni in ospedale per il turno e parliamo con Kate e vediamo se è tutto vero o no. Ok?”
“O-ok” balbettai e riattaccai.
Uscii dal bagno, portandomi dietro tutto ciò che avesse avuto a che fare con il test di gravidanza. Joseph non poteva trovare qualche indizio e magari esserne felice. Assolutamente no. Non era una situazione per cui esserlo. Le mani ripresero a tremare.
“Ok, no. Nina, calmati! Devi convincerti che andrà tutto bene” mi dissi ad alta voce.
Passai una mano tra i capelli e tornai in camera. Presi un pigiama e un cambio per il giorno dopo e infilai tutto in una borsa nera. Indossai il cappello bordeaux di lana e il cappotto nero, salutai Lynx, poi andai verso l’auto.
Guidai così velocemente, che arrivai a casa di Mary in meno di dieci minuti.
Mary spalancò il portone e si appoggiò allo stipite.
Scesi dall’auto, ormai spenta, e le corsi incontro.
Mi accolse a braccia aperte.
“Entra, su, che fa freddo!” mi disse affettuosamente.
Chiuso il portone, notai Ian sul divano, già con un paio di coperte addosso.
“Visto? Non ci voleva tanto a farlo sloggiare per una notte” Mary mi sorrise, indicando Ian.
“Ma come sei spiritosa! Sappi che lo sto facendo solo perché si tratta di Nina. Non mi va di certo giù che questa casa stia diventando un ostello” incrociò le braccia, facendo il broncio.
“Si dia il caso che questa – Mary si guardò intorno, poi alzò gli occhi verso il soffitto – sia casa mia – sottolineò quel pronome – ed è stata sempre un punto di riferimento per i ‘randagi’, dal primo anno di specializzazione”
“Non citare ‘Grey’s Anatomy’”
“Va bene, come vuoi, ma il dato di fatto rimane quello, lo sai benissimo. Lo  fai pure tu, seppur con gli animali” Mary fece una linguaccia.
Feci una risatina, mentre si avvicinava a lui.
“Buonanotte, tesoro” mormorò, carezzandogli il volto.
Ian si mise a sedere. Le prese il mento e, una volta alla sua altezza, la baciò.
“Notte a te. E a te” le fece il solletico sulla pancia.
“E a me” commentai sarcastica.
“E a te” Ian ripeté, sorridendo.
Mary mi fece cenno di salire le scale. Non appena mi raggiunse, spense la luce del soggiorno. Insieme, andammo al piano di sopra.
“Va tutto bene?” mi chiese, non appena si mise anche lei a letto.
“Sì” dissi, annuendo col capo, forse per auto-convincermi.
“Capisco che sei preoccupata, ma non bagniamoci prima di piovere. I test”
“Possono risultare falsi positivi. Lo so. Ian me l’ha detto, quando mi ha detto di te – le guardai con la coda dell’occhio la pancia – Come fai a sentirti pronta? Hai ventinove anni! Sei un cucciolo anche tu”
“Nina, siamo semplicemente due persone diverse – mi guardò sorridendo – Io mi sentivo pronta ad avere figli a sei anni. Li ho sempre desiderati, tantissimo. Mi sono sempre immaginata con tanti cuccioli umani attorno, che mi chiamano ‘mamma’ e che tendono le loro braccine paffute verso il mio volto. Tu no. Questo non toglie che non li vorrai in futuro, ma comunque al momento no. Capisco la paura, credimi, ma, davvero, sta’ tranquilla. Domani controlleremo e, da ciò che risulterà, vedremo il da farsi. D’accordo?”
“Ok. Notte Mary”
“Notte Niki”
“E grazie”
“Non ce n’è di bisogno, lo sai” mi sorrise nuovamente, poi spense le luci.
Ben presto Morfeo accolse entrambe tra le sue braccia.
 
Mi risvegliai di soprassalto, avvertendo dei rumori strani.
Guardai l’altro lato del letto. Mary non c’era.
Scostai le lenzuola e mi diressi in bagno, dove la trovai inginocchiata vicino al water.
“Tutto ok?” le domandai, cercando di non andarle dietro.
Il vomito non mi aveva mai fatto un bell’effetto.
“S-sì, non preoccuparti. Sono le nausee mattutine. Non le ho spesso, infatti prima le scambiavo per indigestioni insignificanti. Anche se” si arrestò, prendendo un bel respiro.
Subito dopo, vomitò ancora.
Istintivamente mi voltai, aspettando che finisse.
“Scusa” mormorò, asciugandosi gli occhi e la bocca.
“Non preoccuparti – la guardai, sorridendo – Anche se?” ripetei.
“Anche se stamattina va peggio delle altre poche volte. Non te lo so spiegare. Mi sento come più appesantita”
“Come posso aiutarti?”
“Non puoi, ma non preoccuparti. Tra poco mi riprendo” mi sorrise e si alzò.
Si sciacquò il volto e le mani, poi spalancò la finestra e spruzzò un prodotto per il bagno.
“Scendiamo per la colazione, su – disse energica, come se fino a due secondi prima non fosse stata morente – e ricordati che c’è anche il mio collega Alex. Perciò, acqua in bocca sulla gravidanza. Chiaro?”
“Cristallino”
“Bene” mi prese a braccetto e scendemmo al piano di sotto.
Moke, Thursday e Damon ci accolsero dolcemente, così come un profumo invitante di pancakes.
“Mmm, che odorino! Ian si è proprio superato stamat” Mary si arrestò.
Ian era ancora beatamente addormentato sul divano. Aveva il viso angelico, rilassato, e un braccio che penzolava fuori dalle coperte.
Mary aggrottò la fronte, poi scoppiò in una fragorosa risata.
Ian si svegliò immediatamente, mettendosi a sedere.
Contemporaneamente, Alex ci venne incontro dalla cucina, sfregandosi le mani.
Ci guardammo tutti e quattro silenziosamente per non so quanto tempo, fin quando Ian, con voce ancora impastata dal sonno, non disse: “Mh. Ieri sera sembrava meno imbarazzante la cosa”.
Arricciò un po’ le labbra, poi se ne andò al piano di sopra, per rendersi più presentabile.
Io e Mary facemmo una risatina.
“Buongiorno Alex – calmatasi, la Floridia guardò il suo collega, smagliante – ti ricordi di Nina?”
“Ma certamente – Alex sorrise beffardo, ricordandomi molto Damon – E’ un vero piacere rivederti – mimò un baciamano; dopo una piccola pausa di silenzio, riprese – Posso darti del tu, vero?”
“Se proprio non puoi farne a meno” sorrisi forzatamente e ritrassi la mano.
Alex e Mary scossero la testa divertiti.
“Che c’è?” domandai curiosa.
“Niente. Andiamo a mangiare, su” Mary fece cenno con la testa di andare in cucina.
Ci accomodammo tutti e tre e, non appena Ian ci raggiunse, cominciammo a mangiare.
“Dormito bene?” chiese Mary.
“Magnificamente, grazie” rispose Alex, addentando un pancake.
“Anche io” sorrisi.
“Io sul divano sono stato come in paradiso. Sul serio” Ian sorrise, palesemente sarcastico.
“Bene” Mary mormorò, guardando con la coda dell’occhio tutti quanti, per poi riprendere a mangiare.
Quello fu l’unico scambio di battute per tutta la durata della colazione. Finito il pasto, io, Mary e Alex salutammo Ian e andammo in macchina.
Mentre la dottoressa era concentrata totalmente nella guida, notai dallo specchietto retrovisore che Alex non faceva altro che osservarmi.
“Che c’è?”
“Niente, solo che non mi ricordavo che fossi così sexy” mi fece l’occhiolino.
“Nina, ignora. Alex, non hai imparato niente?” Mary lo guardò per un attimo, alzando le sopracciglia, in disappunto.
“Per tua informazione, sono felicemente impegnata” risposi con tono stizzito.
“Potrai pure esserlo, ma un giorno cederai al mio tremendo fascino” accennò un sorriso divertito.
“Alex, basta!” Mary lo rimproverò, come se fosse alle prese con un bambino.
“Non ci spererei tanto” gli feci una linguaccia.
“Nina, cosa non ti è chiaro della parola ‘Ignora’?”
“Già una donna mi ha parlato così – Alex guardò Mary con la coda dell’occhio, soffermandosi su di lei per qualche secondo – Credimi farò in modo che sarà l’unica. Quindi, sì, un giorno accadrà”
“Oh! – Mary sbottò, dandosi uno schiaffo sulla fronte – Mi arrendo, ditevi quello che volete”
“Mi dispiace davvero ferire il tuo ego – portai una mano al petto, fingendomi dispiaciuta – ma io sarò la seconda donna sulla faccia della terra a non caderti ai piedi. Né in questa, né in altre vite. Posso affermarlo con certezza”
“Ok. Come dici tu” Alex fece spallucce e tornò a guardare il paesaggio al di là del finestrino.
Passai il resto del viaggio un po’ irritata dal battibecco, avuto con quel medico.
Ma come poteva essere così arrogante? Come si permetteva?
Cadere ai suoi piedi!
Ma in quale universo?
Scossi la testa, basita.
Senza che me ne rendessi conto, forse perché troppo immersa nei miei pensieri, arrivammo dopo poco tempo in ospedale.
Alex fu il primo a scendere dall’auto.
“Grazie, Mary. A presto, Cupcake” i suoi occhi caddero su di me.
Mi fece un occhiolino, poi entrò nell’edificio.
“Come fai a sopportarlo?” mi voltai verso Mary, alterata.
“Un giorno capirai” si limitò a dire, accennando un sorriso.
Scendemmo dal mezzo e, una volta entrate, cercammo Kate.
Quando la trovammo, Mary le disse: “Ok, so che al momento non sono la persona più simpatica del pianeta per te, ma questa mia amica ha bisogno del tuo aiuto – le si avvicinò all’orecchio, guardando con diffidenza verso le telecamere e le sussurrò – Crede di essere incinta”
“Ok, vedrò di confermare o smentire questa gravidanza – mormorò a Mary con tono freddo, poi mi guardò – Vieni con me, su!”.
 
POV Mary
Uscii dal bagno, dopo aver vomitato per la sesta volta in quella mattinata. Possibile che al posto di sparire, questi sintomi aumentassero? Sospirai, sperando che nessuno mi avesse vista entrare di corsa per rimettere la colazione.
Portai delle ciocche di capelli dietro le orecchie, poi andai verso gli ambulatori. La mia giornata non era ancora cominciata, ma quella di Nina sì. Guardai l’orologio.
“Sì, dovrebbe aver finito adesso” pensai tra me e me.
Non ebbi il tempo di entrare nella zona ambulatoriale, che Nina ne uscì tutta contenta, abbracciandomi calorosamente.
“Avevi ragione, Mary! Non dovevo bagnarmi prima di piovere”
“Che ti ha fatto?” le domandai.
“Le analisi del sangue – sciolse l’abbraccio – Ha detto al tipo del laboratorio di sbrigarsi, perché era ‘questione di vita o di morte’ – fece le virgolette – Se fossi stata incinta, sarei dovuta essere di quasi sei settimane. Più cinque che sei. Comunque, mi ha spiegato che a quel punto della gravidanza, il valore di BhCG dovrebbe essere tra i 2160 e i – strizzò gli occhi per un attimo – e gli 83000 circa. Quando l’esito è arrivato, mi ha fatto vedere che il valore è zero. Quindi quel test era decisamente difettoso” mi sorrise esaltata e mi abbracciò nuovamente.
“Sono felice che si sia risolto tutto – la strinsi – Ora che fai?”
“Corro sul set. Non so quante chiamate perse di Julie io abbia sul telefonino” mi lasciò andare e fece una smorfia.
“Vai, vai, non fare aspettare Grande Capo” risi.
“Grazie, Mary, davvero! – sorrise a trentadue denti – Ci sentiamo” mi mandò un bacio con la mano e se ne andò.
Il cercapersone cominciò a trillare.
Corsi al pronto soccorso. Non appena spalancai la porta, mi pietrificai.
Capelli biondi.
Occhi azzurri.
Tratti del viso inconfondibili.
Era lei.
Era qui.
Di fronte a me.
Di nuovo.
“Valerie Evans, 30 anni, ricoverata nella clinica per malati mentali dal 28 Agosto dello scorso anno, dopo che” disse Ben, il mio specializzando, per informarmi.
“Ha investito Ian e sparato a me” completai la sua frase.
“S-sì” balbettò, guardando prima la paziente, poi me.
“Allora, cos’ha?”
“Ha tentato di togliersi la vita con un bicchiere rotto. Ha lesioni ai polsi, ai palmi delle mani e qualcuna anche al collo. Inoltre ha una tibia rotta. Il fratello dice di averla trovata per le scale priva di sensi. Abbiamo chiamato il dottor Walker per controllarla e abbiamo cominciato”.
Non lo sentii più.
Ero focalizzata su quella figura.
Una donna inerme, quasi serena, ricoperta di sangue.
Perché aveva cercato di suicidarsi?
L’ultima volta in cui i nostri cammini si erano incrociati, sembrava star bene. Sembrava si fosse ripresa.
“Mary” mi chiamò Alex, facendomi sobbalzare.
“Sì?” risposi, quasi distratta.
“Tutto bene?” mi guardò.
“N-no – scossi la testa – s-scusatemi” uscii immediatamente da quella saletta e mi rifugiai sotto le scale, che portavano al primo piano.
Mi accomodai laggiù, beandomi di quel silenzio, sperando che magari mi impedisse di tornare con la mente a quel giorno, che aveva irrimediabilmente segnato e cambiato la mia vita.
Mi presi il viso tra le mani, mordendomi il labbro inferiore.
“Mary” Alex chiamò nuovamente il mio nome con tono così dolce, da farmi scoppiare in lacrime.
“V-vai via, Alex, ti prego” singhiozzai, portandomi le ginocchia al petto.
“E perché mai?” domandò.
Percepii il suo corpo accanto al mio. Si era seduto. Una delle sue mani mi accarezzò la schiena, lentamente.
“Perché non voglio che tu mi veda in queste condizioni”
“Tu mi hai visto in condizioni peggiori meno di ventiquattro ore fa, eppure sei ancora viva. Quindi credo sopravvivrò anche io a vederti così triste”.
Lo guardai e lui accennò un sorriso.
“Non so cosa fare. Tre mesi fa ha cercato il nostro perdono e Ian è riuscito a darglielo, mentre io… io no. Sono scappata. Non sono riuscita ad andare oltre l’incidente. E, ora, eccola qui, che ha cercato di togliersi la vita. E se in mezzo a questa decisione ci fosse la mia scelta, presa a Novembre? Se lei non fosse riuscita a superare il ‘rifiuto’ del perdono? Alex… se avesse provato a uccidersi per colpa mia?” tirai su col naso, sconvolta da quel pensiero.
“Anche se fosse, Mary, non è riuscita nell’intento”
“Sì, ma ha comunque tentato”
“Ma ha fallito. Questo magari vuol dire che è stata mandata qui per un motivo”
“Quale? Farmi venire un opprimente senso di colpa?”
“No. Permetterti di perdonarla adesso. Niente avviene per caso, Mary. Sei riuscita ad avvicinarti a me, dopo cinque anni. E se questo fosse avvenuto ieri proprio perché io potessi parlarti in questo modo oggi? Pensaci bene” mi sorrise, guardando per un attimo in alto.
“Pensi che sia un Suo segno?” toccai il braccialetto con la croce, che indossavo sempre sul polso destro.
“Di solito è Lui ad agire in questo modo. Così incomprensibile, ma allo stesso tempo così pieno di significato” tirò fuori una collana che aveva come ciondolo la mia stessa croce.
“La Tau di San Francesco!” dissi sorpresa.
“La porto sempre con me, come fai tu! – la strinse per un attimo, dopodiché la rimise dentro il camice, si alzò e mi tese una mano – Andiamo, Valerie è ancora viva. Se si sveglia, le potrai parlare”
“D’accordo” afferrai la sua mano, permettendogli di tirarmi su.
Tornammo in saletta.
Valerie era sveglia e un’infermiera le stava mettendo una flebo.
Non appena uscì, Alex mi spinse dentro.
“Ti aspetto dov’eravamo prima. Per sapere com’è andata” mi sussurrò all’orecchio.
Lo sentii inspirare il mio profumo, poi se ne andò.
Guardai la porta chiudersi, dopo mi voltai verso una Valerie con gli occhi sbarrati.
Un misto tra il disorientamento e la sorpresa.
“Ciao” accennai un sorriso.
Valerie continuò a fissarmi con quello sguardo, senza proferir parola.
“Posso accomodarmi?”.
Annuì.
Mi sedetti al suo fianco. Lentamente, scacciando il pensiero di quella pistola, le presi la mano sinistra, quasi del tutto fasciata.
“Sono passati tre mesi e mezzo, lo so. Sono stata una donna abbastanza egoista e ostile nei tuoi confronti, anche se ti sei impegnata per migliorare. Per riuscire a guardarmi negli occhi. Per ritrovare quella serenità, che, nella consapevolezza di una malattia più grande di te, era andata perduta” mi arrestai un attimo, sentendo una piccola fitta al ventre.
“Oh, no! Non vomitare adesso! Che figura ci fai? Insomma, Mary!” mi rimproverai mentalmente.
Presi un bel respiro, cercando di non pensare alla nausea, bensì alla donna che avevo davanti.
Ripresi: “E so che dopo tre mesi è difficilissimo poter ascoltare ciò che qualcuno ha da dire, perché ti sembra solo tanto sbagliato che quel ‘qualcuno’ non abbia avuto il coraggio di parlare prima. Ma eccomi qui. Al tuo capezzale. Non a perdonarti, ma a chiedere il tuo perdono. Perché, per quanto la mia reazione potesse essere comprensibile, non è stata giusta nei tuoi confronti. Hai fatto quel che hai fatto. Sei stata condannata abbastanza per questo e-e non dovevo fartela pesare. Non dovevo continuare a serbare rancore. Dovevo semplicemente comprenderti – annuii lievemente con il capo – e lasciar andare quel che è stato, così che tu potessi aggrapparti a quel che sarà. Mi dispiace. Davvero tanto” abbassai lo sguardo e mi morsi le guance internamente.
“T-ti ho perdonata – parlò con voce rauca, poi schiarendola – quando sei fuggita via. Perché non eri ancora pronta. E l’ho capito”.
Alzai gli occhi e le sorrisi, commossa.
Le carezzai il volto.
Dopo aver controllato che fosse tutto nella norma, feci entrare suo fratello.
“Con permesso, ora vado a controllare altri pazienti”
“Dottoressa Floridia” mi chiamò Nicholas.
“Sì?”
“L’avevo detto al signor Somerhalder che un giorno sarebbe stata pronta – mi sorrise; poi, guardandomi meglio, corrugò la fronte – Si sente bene? Sembra un po’ pallida”
“Tutto bene, non si preoccupi. Ci vediamo dopo” accennai un sorriso e uscii da quella stanza.
Raggiunsi Alex.
“Allora, com’è andata?” mi guardò, smagliante.
“Bene”
“Bravissima! Vieni qui” allargò le braccia.


SOUNDTRACK DEL MOMENTO: https://www.youtube.com/watch?v=B-P8Ezj2vGI




Lo abbracciai, aggrappandomi al suo camice, come se fosse un’ancora di salvezza.
Cominciò a mancarmi il respiro.
“Mary, mi sembri affannata – Alex sciolse l’abbraccio, angustiato – Tutto ok?”
“Io n-non”.
Il mondo sembrò girarmi intorno, poi divenne tutto nero.
 
Ho il valore di BhCG a 1500”
“Quindi?”
“Quindi sono incinta” alzai lo sguardo con le lacrime agli occhi.
“Aspettiamo un bambino” disse Ian, sorridendo a trentadue denti.
“Aspettiamo un bambino” ripetei senza fiato.
Ci guardammo per un altro istante, poi ci abbracciammo, stringendoci come mai prima di quel momento.
“Aspettiamo un bambino” dicemmo in coro.
 
“Tutto ok?” mi domandò Nina.
“S-sì, non preoccuparti. Sono le nausee mattutine. Non le ho spesso, infatti prima le scambiavo per indigestioni insignificanti. Anche se” mi arrestai, prendendo un bel respiro.
Subito dopo, vomitai ancora.
“Scusa” mormorai, asciugandomi gli occhi e la bocca.
“Non preoccuparti – mi guardò, sorridendo – Anche se?” ripeté.
“Anche se stamattina va peggio delle altre poche volte. Non te lo so spiegare. Mi sento come più appesantita”
“Come posso aiutarti?”
“Non puoi, ma non preoccuparti. Tra poco mi riprendo” le sorrisi e mi alzai.
 
“Se fossi stata incinta, sarei dovuta essere di quasi sei settimane. Più cinque che sei. Comunque, Kate mi ha spiegato che a quel punto della gravidanza, il valore di BhCG dovrebbe essere tra i 2160 e i – Nina strizzò gli occhi per un attimo – e gli 83000 circa”.
 
Riaprii gli occhi di scatto, non riuscendo ancora a respirare bene.
“Mary! Ehi!” Alex mi chiamò urlando, agitato.
I suoi occhi castani erano sbarrati.
“I-il b-bambino – balbettai – Qua-a-alcosa n-non v-va c-col b-bamb-bin-no” gli strinsi con tutta la forza che avevo il braccio, poi persi conoscenza. 
















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Note dell'autrice: 
Buonasera ragazzi! Chiedo perdono per l'immenso ritardo, ma ho avuto un sacco di virus nel computer e, essendo una studentessa fuori sede oramai, dovevo aspettare di tornare a casa mia per poterlo portare dal tecnico. Ma comunque, bando alle ciance! 
Questo capitolo, a mio parere, è stato molto intenso, soprattutto per le parti tra Alex e Mary e per la scena finale!
Cosa ne pensate di Alex?
Cosa pensate che abbia il baby Smolder?
Siete felici che Nina in realtà non sia incinta (così come era felice lei)?
Spero valga la pena leggere dopo tutto questo tempo. Io mi sono impegnata come sempre! 
Grazie in anticipo a chi recensirà, metterà la storia tra preferite/seguite/ricordate o semplicemente leggerà silenziosamente! Per chi volesse aggregarsi al gruppo fb, lascio il link qui di seguito: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Ancora una volta, grazie!
Al prossimo capitolo!
Una buona fine e un buon inizio dell'anno!
Mary :* 

 

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Capitolo 10
*** Rise up. ***


POV Alex
Fissavo quel certificato senza osservarlo veramente. La mia mente era completamente da un’altra parte. Nel giorno appena trascorso avevo vissuto fin troppe cose per potermi definire normale. Per poter andare in giro per l’ospedale con l’aria da sbruffone e fingere. Per potermi nascondere dietro la solita maschera. Ma in quel momento ne avevo bisogno. Allora che fare? Come comportarmi? Non lo sapevo. Era tutto così confuso. E privo di senso.
Sospirai.
“Dottor Walker, non deve farlo per forza, s-se – la voce profonda del Capo mi riportò alla realtà – se al momento non se la sente, ecco”
“N-non è questo – scossi la testa, quasi impercettibilmente – me la sento, solo… stavo pensando. Forse non ho il diritto di stare qui. Magari si sarà rifatta una vita, dopo avermi abbandonato. Allora non sarebbe meglio cercare chi ha il diritto di poter firmare il suo certificato di morte? E organizzarle un degno funerale? E”
“Alex, so benissimo che è difficile, ma”
“Capo, con tutto il rispetto, non può saperlo. Mi sono sempre chiesto, da quando se n’è andata, se avessi sbagliato io a fare qualcosa. S-se magari non ero chi volesse e, per questo, ci avesse lasciato. Ho sempre desiderato, quasi con ossessione, che lei un giorno si mostrasse, che mi cercasse e trovasse e mi spiegasse tutto. E adesso è morta. Eravamo nella stessa città, Capo. E non mi ha cercato. E adesso è morta e-e… e io sono così furioso con lei. Mi ha lasciato per la seconda volta, senza nemmeno degnarmi di una spiegazione. Come si può fare così? Come si può mettere al mondo qualcuno e poi lasciarlo così allo sbaraglio?” sgranai gli occhi, respirando più affannosamente.
“Alex, calmati, va tutto bene” il dottor Richardson mi prese una mano e la strinse.
Non era un grande gesto, tutt’altro, ma mi calmò all’istante.
Mi aveva ricordato Mary. La donna più inafferrabile di tutte ieri mi era stata accanto come non mai. Riuscivo ancora a percepire il sapore delle sue labbra, le sue braccia avvolgermi in un abbraccio, la sua voce flebile rivelarmi che quattro anni fa sarebbe stato diverso. Forse sarebbe stato migliore.
Presi un bel respiro e annuii lievemente all’affermazione del Capo.
“Va tutto bene” ripetei.
Strinsi la penna che avevo in pugno e firmai quel foglio.
“Ecco qui” gli porsi il documento.
Riposta la penna in tasca, uscii dall’ufficio del primario. Stavo dirigendomi al mio reparto, quando il cercapersone trillò.
‘Emergenza in pronto soccorso, trauma center 3’ diceva.
Cambiai immediatamente direzione e corsi al piano terra. Quando arrivai, trovai Mary imbambolata davanti alla porta della saletta. Aveva la bocca lievemente aperta e gli occhi sgranati. Era un misto di paura e sconvolgimento.
“Mary” la chiamai, cautamente.
Sobbalzò, rispondendo poco dopo, con aria quasi distratta: “Sì?”
“Tutto bene?” la guardai, cercando di capire cosa avesse potuto turbarla così tanto.
“N-no – scosse la testa – s-scusatemi” uscì da quella stanza correndo.
“Chi è?” mi rivolsi a Ben, lo specializzando di Mary.
“Valerie Evans”.
Sobbalzai all’udire quel nome. Certo che fosse sconvolta!
“La paziente è stabile ortopedicamente parlando?”
“Sì, dottore”
“Bene. Medica le ferite ai polsi, attento a probabili lesioni più profonde. Io arrivo subito” gli dissi con voce distaccata.
Uscii anch’io dal trauma center e andai nell’unico posto, in cui Mary avesse potuto rifugiarsi.
Giunsi sotto le scale. Come la conoscevo bene!
Era seduta sul pavimento, con il volto tra le mani.
“Mary” la chiamai nuovamente dolcemente.
Non mi piaceva vederla in quello stato.
Scoppiò in lacrime.
“V-vai via, Alex, ti prego” singhiozzò, rannicchiandosi su se stessa.
“E perché mai?” domandai, ignorando la sua richiesta.
Mi accomodai al suo fianco e le accarezzai la schiena delicatamente.
“Perché non voglio che tu mi veda in queste condizioni”
“Tu mi hai visto in condizioni peggiori meno di ventiquattro ore fa, eppure sei ancora viva. Quindi credo sopravvivrò anch’io a vederti così triste”.
Mi guardò e le accennai un sorriso.
“Non so cosa fare. Tre mesi fa ha cercato il nostro perdono e Ian è riuscito a darglielo, mentre io… io no. Sono scappata. Non sono riuscita ad andare oltre l’incidente. E, ora, eccola qui, che ha cercato di togliersi la vita. E se in mezzo a questa decisione ci fosse la mia scelta, presa a Novembre? Se lei non fosse riuscita a superare il ‘rifiuto’ del perdono? Alex… se avesse provato a uccidersi per colpa mia?” tirò su col naso, sconvolta da quel pensiero.
“Anche se fosse, Mary, non è riuscita nell’intento”
“Sì, ma ha comunque tentato”
“Ma ha fallito. Questo magari vuol dire che è stata mandata qui per un motivo”
“Quale? Farmi venire un opprimente senso di colpa?”
“No. Permetterti di perdonarla adesso. Niente avviene per caso, Mary. Sei riuscita ad avvicinarti a me, dopo cinque anni. E se questo fosse avvenuto ieri proprio perché io potessi parlarti in questo modo oggi? Pensaci bene” le sorrisi nuovamente, guardando per un attimo in alto.
“Pensi che sia un Suo segno?” toccò il braccialetto con la croce, che indossava sempre sul polso destro.
“Di solito è Lui ad agire in questo modo. Così incomprensibile, ma allo stesso tempo così pieno di significato” tirai fuori una collana che aveva come ciondolo la sua stessa croce.
“La Tau di San Francesco!” disse sorpresa.
“La porto sempre con me, come fai tu! – la strinsi per un attimo, dopodiché la rimisi dentro il camice, mi alzai e le tesi una mano – Andiamo, Valerie è ancora viva. Se si sveglia, le potrai parlare”
“D’accordo” afferrò la mano, permettendomi di tirarla su.
Tornammo in saletta.
Valerie era sveglia e un’infermiera le stava mettendo una flebo.
Non appena uscì, la spinsi dentro.
“Ti aspetto dov’eravamo prima. Per sapere com’è andata” le sussurrai all’orecchio.
Inspirai per un attimo il suo profumo, poi me ne andai.


Vidi Mary camminare verso la mia direzione.
“Allora, com’è andata?” la guardai, smagliante.
“Bene”
“Bravissima! Vieni qui” allargai le braccia.
Mi abbracciò, aggrappandosi al mio camice, come se fosse un’ancora di salvezza.
Sentii il suo respiro come spezzarsi.
“Mary, mi sembri affannata – sciolsi l’abbraccio, angustiato – Tutto ok?”
“Io n-non”.
Mary si lasciò andare tra le mie braccia per qualche secondo.
“Che succede? Ehi, non scherzare” mi inginocchiai, per poter reggere meglio il suo peso.
Cominciai a darle dei buffetti sul viso, di modo che magari potesse riprendersi.
Riaprì gli occhi di scatto, non riuscendo ancora a respirare bene.
“Mary! Ehi!” la chiamai urlando, agitato.
“I-il b-bambino – balbettò – Qua-a-alcosa n-non v-va c-col b-bamb-bin-no” mi strinse con tutta la forza che aveva il braccio, poi perse conoscenza.
Bambino?
Avevo sentito bene?
La guardai priva di sensi per qualche attimo, senza parole, prima di riprendermi. Scattai in piedi e la accolsi tra le mie braccia, dirigendomi di corsa al pronto soccorso.
“Aiutatemi!” urlai, facendomi così notare.
Kate mi si avvicinò allarmata.
“Che le succede?”
“E’ svenuta, ma prima ha detto che qualcosa non va con il suo bambino”
“Bambino? E’ incinta?” spalancò la bocca.
“A quanto pare non l’aveva detto nemmeno a te. Chiama Rose, a lei non l’avrà tenuto nascosto” dissi agitato con tono autoritario e, al tempo stesso, tremante.
“Alex, permettimi di capire cos’ha che non va. Poggiala su un lettino e chiama tu Rose, mentre la visito”
“No! Assolutamente – scossi la testa, era improponibile – Non posso lasciarla sola”
“D’accordo, la faremo chiamare da uno specializzando. Ma adesso portiamola in una saletta” annuì secca e mi fece cenno di seguirla.
Giunti al trauma center 1, poggiai Mary sul lettino.
“Andrà tutto bene” le sussurrai, carezzandole i capelli.
Kate ordinò a una matricola di correre a cercare la dottoressa Davis, dopodiché rientrò e attivò l’ecografo. Scoprì l’addome della Floridia, vi pose sopra un po’ di gel e usò la sonda.
Dopo un po’ sospirò amaramente.
“Che succede?” le chiesi preoccupato, non allontanandomi dal capezzale di Mary.
“Diciamo che non importa di quante settimane sia”
“Perché?”
“Alex, rintraccia Ian”
“Kate, parla, diamine!”
“Devo portare urgentemente Mary in sala operatoria. La gravidanza è ectopica. Si è rotta la tuba. Non so quando, quindi è da tempo che sanguina internamente. Chiama Ian e digli di correre qui”.
Non appena finì la frase, Rose entrò di corsa in saletta.
“Che succede?” chiese col fiatone.
“Te lo spiego mentre andiamo in sala, avvertili che stiamo arrivando”
“Ma che diavolo”
“Rose, sbrigati! E’ urgente! Al momento ti basta sapere questo”
“O-ok” Rose guardò con la coda dell’occhio la sua amica, sdraiata priva di sensi sul lettino, poi afferrò la cornetta del telefono interno e avvertì l’infermiera di turno.
Quando furono pronte per andare, Kate mi passò lo smartphone della donna che amavo.
“Sbrigati” disse duramente.
In meno di un minuto, svanirono, lasciandomi solo. Con le dita che tremavano, cercai in rubrica il numero di Ian. Trovatolo, strisciai il polpastrello sullo schermo. La chiamata si avviò.
“Ehi, amore – disse dolcemente l’attore, dopo due squilli – Nina mi ha detto che non è incinta. Grazie per averla aiutata”.
Riuscivo a percepire il suo sorriso da qui.
Come potevo rovinargli tutto?
Mi tremarono le labbra.
“Mary?” chiese dubbioso Ian dall’altro capo del telefono.
“Sono Alex. Vieni in ospedale. E’ per il bambino” parlai con voce spenta.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=2xUaNrx7TGU
 
POV Ian
“Sono Alex. Vieni in ospedale. E’ per il bambino”.
Alex aveva pronunciato quelle parole con voce meccanica, persa.
Sentii la mia razionalità, il mio controllo annullarsi. Le gambe e le braccia divennero improvvisamente leggere. Il cellulare cadde sopra il tavolo.
“Ian, tutto bene?” chiesero voci confuse.
Non sapevo identificarle.
Tutto era svanito per via di quella frase.
La vista cominciò ad appannarsi, la testa a girare, l’intero corpo, come ravvivato da una scossa pesante, a tremare.
“I-io d-devo a-andare” parlai con voce traballante, mentre mi alzavo e recuperavo l’Iphone.
“Che succede?”.
Mi guardai intorno, comunque non riuscendo a capire chi parlasse.
“Ehm, è l’ospedale. Mary si è s-sentita male, c-credo. Scusatemi” mi allontanai da tutto e tutti.
Recuperata la giacca all’interno della mia roulotte personale, strinsi le chiavi dell’auto, poco prima di mettere in moto il mezzo.  
Guidai quasi come Crudelia Demon, ansioso di giungere al Saint Joseph.
Quando arrivai, entrai di corsa al pronto soccorso. In breve tempo trovai Alex, accomodato in sala d’attesa, con il telefono di Mary in mano, che fissava il vuoto.
“Alex! – la mia voce tuonò in quell’androne – Che le hai fatto, eh? Dopo tutto quello che lei ha fatto per te nelle ultime ventiquattro ore?” lo presi per il colletto del camice bianco.
“Non ho fatto niente, Mary è-è”.
Non fece in tempo a finire la frase, che lo colpii con un destro.
Il dottore indietreggiò un poco per effetto del pugno.
Stavo per picchiarlo nuovamente, quando arrivò qualcuno da dietro a fermarmi.
“Ian, che diamine stai facendo?!”
“Mi ha detto che a mio figlio è successo qualcosa! Che hai fatto a Mary, eh?!” gli urlai di nuovo contro, mentre Steve mi braccava.
“Alex non ha fatto niente! La gravidanza di Mary era scritta per finire”
“Che intendi?” il volume della voce diminuì velocemente.
Mollai la presa su Alex.
Steve mi lasciò andare, poi disse: “Era una gravidanza ectopica, vale a dire che – fece una pausa e sospirò – che l’embrione non si è annidato nell’utero, bensì da un’altra parte. In questo caso, nella tuba. Non dovrebbe crescere lì. Perciò la tuba non ha retto più e… si è rotta”.
Non appena non sentii più la voce del collega di Mary, mi voltai.
“C-cosa? – parlai flebilmente – E-e adesso come sta? Dov’è? C-cosa succederà?”
“Kate ha fermato l’emorragia. Ora sta rimuovendo l’embrione, dopodiché cercherà di fare il possibile per salvarle la tuba”
“Oh” sussurrai.
Rimasi lì inerme, con le labbra lievemente spalancate e gli occhi sgranati, in mezzo a due dottori, senza alcuna idea sul da farsi. Quel bambino, che tanto avevamo acclamato meno di quarantotto ore prima, che aveva riempito le nostre vite, che ci aveva completato, che era stato inaspettato, ma fin da subito amato e coccolato, stava per cessare di esistere. Come era possibile che stesse tutto per finire? Come era possibile che ogni dannata volta ci fosse qualcosa di storto in queste nostre vite? Che non si potesse respirare un minimo di serenità, che subito un vento quasi Shondaniano ci accoglieva con violenza tra le sue braccia? Sentii le mie gambe cedere. Mi guardai intorno disorientato, cercando un appiglio a cui sorreggermi.
“Ian – Steve mi chiamò, dopo l’aver interrotto un ‘beep’ – l’operazione si è appena conclusa”.
 
POV Mary
Essere svegliati da un rumore improvviso di solito non era il massimo, ma quel caso era una perfetta eccezione. Aprii gli occhi deliziata. Sgattaiolai fuori dal letto e, indossate le pantofole, andai nella stanza di fronte. Le tende bianche sventolavano dolcemente verso una grande culla in faggio, posta al centro della camera.
“Cosa ti affligge, eh, tesoro?” sporsi le mie braccia verso il piccolo fagottino nella culla.
Le sue guanciotte rosse, i suoi piccoli occhi chiusi e le sue labbra tremanti mi lasciavano senza fiato. Ok, non era proprio il ritratto della felicità, ma come si poteva non ammirare quella creatura così fragile e meravigliosa?
“L’anestesia sta svanendo. Tra poco si sveglierà” disse una voce lontana, distraendomi da quella stupenda visione.
Aggrottai la fronte, cercando di capire il motivo per cui Kate parlasse di anestesia.
“D’accordo” Ian parlò sommessamente.
Anche lui così distante.
Ma che diamine stava succedendo?
La culla svanì, portando con sé quella piccola creatura.
E a me non restò altro da fare se non… risvegliarmi.
Mi guardai intorno confusa.
Ero abbastanza consapevole di trovarmi in una stanza d’ospedale, quello che mi sfuggiva era il perché mi trovassi al posto del paziente. E non dall’altro lato.
“Ehi” Ian attirò la mia attenzione, compiendo lo sforzo, quasi immane, di sorridermi.
Benché lo facesse, i suoi occhi erano arrossati e sconvolti.
“C-cos’è successo?” parlai con voce impastata, come se mi fossi appena svegliata da una nottata di sonno piena, ma sfibrante.
Cercai di tirarmi su, ma un dolore fastidioso si diramò dal ventre, facendomi fare una smorfia.
“Resta sdraiata. N-non sforzarti” Ian mi carezzò il volto delicatamente.
“Vuoi dirmi cos’è successo o devo chiamare un codice blu per saperlo?”.
Prese un respiro profondo, poi parlò: “Alex mi ha chiamato col tuo numero. Quando sono arrivato qui, Steve mi ha informato che Kate ti stava operando d’urgenza, perché – si arrestò per un attimo, lanciando un’occhiata verso l’alto – Mary, era una gravidanza extrauterina tubarica. Kate h-ha fermato l’emorragia, ma… beh, ha dovuto rimuovere l’embrione e la tuba” concluse quel discorso a fatica.
“La solita fortuna – scoppiai a ridere, mentre i punti tiravano – giusto? Ma chi ha scritto la storia della mia vita, Shonda Rhimes?” continuai, incredula a cosa avevano appena udito le mie orecchie.
“Mary”
“No, sul serio. Chi ha scritto per me tutto questo, eh? – alzai il tono della voce, guardando il soffitto – Perché non è possibile c-che puntualmente – le lacrime cominciarono a sgorgarmi dagli occhi – succeda qualcosa”
“Oh, Mary” Ian si sdraiò accanto a me e mi accolse tra le sue braccia.
Le parole svanirono, lasciando il posto ai singhiozzi.
 
Mi guardai davanti allo specchio. Capelli legati, divisa carta da zucchero, scarpe blu, camice bianco e, soprattutto, volto incerto. Una via di mezzo tra ‘vorrei tornare a casa’ e ‘ok, passiamo questa giornata’. Arricciai le labbra, mi aggiustai gli occhiali, richiusi l’armadietto e uscii dallo spogliatoio, ora vuoto. Mentre camminavo distrattamente, direzione ascensori, un ragazzo biondo mi affiancò.
“Dottoressa Floridia?” domandò.
“Chi lo vuole sapere?” chiesi di rimando.
“Dovrebbe seguirmi in sala conferenze nord”.
Roteai gli occhi. Sapevo chi mi aspettava in quel luogo.
Non appena varcammo la soglia della porta, mentre mi accomodavo su una sedia, dissi: “Allora, Jim, tocca di nuovo a me, eh?”.
Il giornalista mi sorrise smagliante, rispondendo in questo modo alla domanda. Non appena si sedette di fronte a me, l’assistente accese le telecamere.
“Dottoressa Floridia, bentornata”
“Grazie” accennai un sorriso.
“Allora, come ci si sente a essere nuovamente tra queste quattro mura?”
“Beh, è un sollievo”
“Non è stata bene a casa, in pieno relax?”.
 
Probabilmente ero una donna morta. O probabilmente lo avevo ucciso con un infarto. Non riuscivo a stabilire con precisione quale delle due alternative mi aspettasse a casa. Ma, qualunque fosse, l’avrei scoperta presto. Parcheggiai sul mio vialetto e scesi dal mezzo. Subito Ian uscì fuori dalla casa, compiendo grandi passi verso di me.
Ok, decisamente sarei morta!
“Tesoro, ciao! – cercai di addolcire la pillola, sorridendo – Già a casa?”
“Secondo te com’è rientrare e scoprire che la tua convalescente ragazza, che si suppone stia a letto o sul divano, è completamente sparita? Dissolta nel nulla? – agitò le mani, mentre sfuriava – Dove diavolo eri?”
“Ho una spiegazione per tutto”
“Sentiamo” incrociò le braccia al petto.
“Ecco – per un attimo abbassai lo sguardo, calciando via un ciottolo con il piede sinistro – non riuscivo più a stare in casa con le mani in mano. Avevo i miei libri, le mie serie tv, la possibilità di cucinare, di ascoltare musica e di cantare a squarciagola, ma dovevo evadere. Dovevo trovare qualcosa di diverso, perché – sospirai – beh, la settimana scorsa non abbiamo vissuto un bel momento, né tantomeno uno facile. E stiamo ancora cercando di superarlo. Cosa che comunque non accadrà nell’imminente futuro, perché, beh, perdere un bambino non è esattamente come perdere una scarpa o il biglietto della metropolitana, perciò i-io… avevo semplicemente bisogno di superare qualcosa. E, improvvisamente, mentre ero completamente abbandonata sul divano, ho realizzato che esisteva qualcosa che potevo superare. Perciò – sorrisi e, aperto lo sportello anteriore del passeggero, tirai fuori una gabbietta – dai il benvenuto al nuovo membro della famiglia”.
Detto ciò, la posai a terra e ne sganciai il piccolo lucchetto di sicurezza. Poco dopo, molto timidamente, un musino bianco ne fece capolino.
“H-hai – Ian sgranò gli occhi, sorridendo a trentadue denti – hai comprato un cane?”
“Adottato, per la precisione! Dai il benvenuto a Polar, cucciolo bianco di Schnauzer nano”
“Polar? Nome curioso”
“In onore dell’orso polare che non hai potuto portare con te”
“Sei incredibile” mi diede un bacio stampo, poi cominciò a familiarizzare con il nuovo arrivato.
 
Scossi quasi impercettibilmente la testa, tornando alla realtà.
“Si sente bene?”
“Sì, scusami. Comunque, sai, lo stare in convalescenza è molto utile per riprendere le forze, però dopo un po’ al posto di rilassarti ti stressi e basta, semplicemente perché vuoi tornare alla vita di sempre! Per quanto sia bello passare del tempo a recuperare le serie tv e a prendersi cura degli animali domestici, beh, si ha bisogno anche di quella sana adrenalina, che solo una giornata di lavoro ti può dare. Si ha bisogno di uscire, di evadere da quella tranquillità, di tornare in azione. Perciò, sono sollevata e felice di essere qui”
“Ci dica, cosa consiglierebbe adesso alle donne che stanno passando cioè che sta vivendo lei?”

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“Beh, direi loro di cercare di non farsi sopraffare dai mille pensieri che affollano la mente. E’ naturale abbandonarsi a questi ultimi, pensare che magari si poteva fare più attenzione, che bisognava sottoporsi a meno stress e tanto altro, perché è semplicemente impensabile che prima si abbia un bambino in grembo e che poi, l’attimo dopo, svanisca. E’ impensabile che l’attimo prima si sia incinta e l’attimo dopo ci si risvegli in una camera d’ospedale, sapendo dal tuo partner che quella piccola creatura non esiste più. E si comincia a pensare che forse si è compiuto un atto di malvagità immane in una vita precedente per meritare tutto questo, ma la verità è che – esitai per un attimo – che tu non hai fatto niente. E non hai niente che non vada. Semplicemente queste cose accadono. Non c’è un motivo, non c’è una colpa. Sono cose imprevedibili. Non puoi prevedere che, mentre vai a lavoro in bicicletta, qualcuno ti investa o che, mentre sei in banca per estinguere il mutuo, tu sia vittima di una rapina a mano armata. Non puoi prevedere che, nonostante tu stia mangiando sano, facendo attività fisica e sia lontano da qualsiasi cosa dannosa, dentro di te stia crescendo un tumore. Così come non puoi prevedere che il tuo bambino non stia crescendo all’interno dell’utero, posto accogliente e sicuro, ma da un’altra parte. A cui non appartiene. In cui non dovrebbe essere. E in cui può fare solo danni. E’ tutto un’incognita e non è affatto colpa nostra. Piuttosto che pensare a cosa si sarebbe potuto evitare, a cosa si avrebbe potuto fare, piuttosto che vivere di rimorsi, cominciamo, invece, a pensare al fatto di essere vive. E di avere, dunque, una seconda possibilità. Sperando che la prossima volta vada semplicemente… meglio. Forse è un discorso contorto, ma questo è quello che direi, perché questo è quello che mi sono ripetuta nelle ultime due settimane”.
Jim restò per qualche attimo con la bocca aperta, cercando di dire qualcosa.
Alla fine, semplicemente, accennò un sorriso e mi strinse una mano.
“Grazie per questa testimonianza, dottoressa. Ancora bentornata. E buon lavoro”
“Grazie a voi” sorrisi, poi uscii da quella stanza.
Era strano camminare nuovamente per quei corridoi. Sembrava tutto uguale e tutto ordinario. Come sempre. Invece, qualcosa di diverso c’era. Io ero diversa. Sembrava fossero passati decenni dall’ultima volta in cui ero stata bene in quella struttura. Dall’ultima volta in cui ero stata davvero felice qui dentro. Mi toccai distrattamente il ventre, vuoto, adornato solo da una cicatrice. L’ennesima in un anno.
Scossi la testa e continuai a camminare, tuttavia a testa alta, come se non stessi affogando nei miei stessi pensieri, nei miei stessi gesti, così impulsivi, così dolorosi.
Il cercapersone trillò, facendomi riacquistare nuovamente padronanza di me stessa. Facendomi sentire nuovamente un medico, non per l’ennesima volta spettatrice o, peggio, protagonista delle vicende in quell’edificio.
Giunsi in pronto soccorso e trovai Hilary ad accogliermi.
“Dottoressa Floridia” sorrise smagliante.
“Hilary – le ricambiai il sorriso – cos’abbiamo?”
“Emma Jones, 17 anni, cardiopatica, è svenuta a scuola durante l’ora di matematica”
“Cosa le è stato somministrato in ambulanza?”
“Niente, ha rifiutato qualsiasi tipo di farmaco. Di fatto, la pressione è instabile e la frequenza cardiaca va e viene. Come il suo stato di coscienza”
“Perché si è rifiutata?”
“Dice di essere incinta. Ma non ne è certa. I genitori sono stati avvisati, ma non sanno di questa presunta gravidanza, quindi”
“Quindi li informeremo, solo dopo aver stabilito se questa notizia sia vera o meno. Allora, fatele immediatamente le analisi del sangue e cercate un farmaco che possa stabilizzarla, senza nuocere all’ipotetico embrione”
“D’accordo”.
 
Emma aprì pian piano gli occhi, azzurri come il mare, un po’ come quelli di Ian, e si guardò intorno confusa.
“Cos’è successo?” chiese con voce flebile.
“Hai avuto un collasso a scuola. Ti trovi al Saint Joseph. Abbiamo stabilizzato la pressione e la frequenza e”
“Il b-bambino?” domandò con voce improvvisamente strozzata, sgranando gli occhi.
Era visibilmente terrorizzata dal fatto che potesse succedere qualcosa a quel piccolo esserino dentro il suo grembo.
Oh, com’era familiare quella sensazione!
Le presi una mano spontaneamente e gliela strinsi.
“Non preoccuparti, il feto non ha risentito dei farmaci”
“E’ già un feto?”
“Sì. Emma, sei di sedici settimane”.
La piccola Jones sorrise a trentadue denti con gli occhi luccicanti. Colmi di gioia e, soprattutto, d’amore.
“I tuoi genitori sono appena arrivati – proseguii con indecisione – ed essendo tu minorenne, dovremo dire loro della gravidanza”
“Cosa? – smise di sorridere – No. Assolutamente. Non mi permetterebbero di tenerlo”
“Mi spiace, ma siamo costretti a riferirlo – le strinsi nuovamente la mano – ma non preoccuparti. Sarò dalla tua parte! Difenderò il tuo pensiero. Sta’ tranquilla”.
Stetti al suo capezzale a rasserenarla un altro po’, dopodiché uscii e mi diressi verso la sala d’attesa, per confrontarmi con i coniugi Jones.
Non appena arrivata, li chiamai ad alta voce.
Subito accorsero due persone. Entrambi vicini ai quarant’anni o poco più. Entrambi preoccupati, ma così composti.
La donna aveva i capelli biondi legati in un elegantissimo chignon; indossava un tailleur di Chanel, a detta della voce di Ilaria Urbinati nella mia testa; niente era fuori posto. Manicure perfetta, trucco impeccabile. Nemmeno io, appena uscita dal camerino la notte dei PCA, ero così curata. E dire che ero stata vittima di donne straordinarie per un intero pomeriggio.
L’uomo aveva i capelli brizzolati, indossava un completo nero e una camicia bianca, con il colletto slacciato.
Ma erano usciti da lavoro o da un ballo regale?
“Signori Jones, buongiorno. Sono la dottoressa Floridia. Sono il medico di vostra fig”
“Cos’ha nostra figlia?” domandò la madre.
“Beh, come credo saprete, lei è cardiopatica”
“Sì, dottoressa, certo che lo sappiamo. Lei non viene pagata per dirci cose che sappiamo già. Perciò… cos’ha nostra figlia?” ripeté lei, incalzante, quasi squittendo.
“Vostra figlia è svenuta a scuola, perché il suo fisico è sottoposto a un grande stress al momento, dato che”
“Emma è nata cardiopatica. Non è un qualcosa che è sorto dall’oggi al domani, improvvisamente. Non capisco cosa lei possa intendere per questo grande stress” la signora Jones roteò gli occhi, visibilmente infastidita dalla mia presenza.
“Magari sarebbe più soddisfatta, se mi facesse finire di parlare, che ne pensa?” risposi stizzita, fulminandola con uno sguardo.
“Scusi il comportamento di mia moglie, dottoressa Floridia. E’ semplicemente preoccupata. Come me d’altronde. Allora, senza ulteriori interruzioni... potrebbe dirci cos’ha la nostra Emma?”
“La signorina Jones è incinta di sedici settimane”.
La donna sgranò gli occhi. Atterrita.
“Come, prego? Potrebbe ripetere?”
“Emma è incinta”
“Ne è sicura?” chiese il marito.
“Sì. Abbiamo rilevato il battito, quando ancora vostra figlia era incosciente. Il feto sta bene e non ha risentito dei farmaci, ma dobbiamo tenerlo meglio sotto controllo, vista la situazione clinica di Emma”.
Per qualche attimo, il silenzio divenne padrone sia di me che dei miei interlocutori. Loro erano abbastanza scossi dalla notizia, mentre io non volevo proseguire. Perlomeno non prima di aver avuto un qualsiasi tipo di risposta da loro.
Improvvisamente, la madre di Emma sbuffò.
“Oh, beh, dottoressa, non c’è proprio nulla da tenere sotto controllo. Mia figlia non terrà questo bambino. L’aborto è consentito fino alle ventidue settimane, giusto? Benissimo, si proceda” cominciò a battere il piede, in attesa che eseguissi i suoi ordini.
“Signora Jones, con tutto il rispetto, sua figlia vuole tenere questo bambino. Ed è sano. Non c’è motivo per cui si debba ricorrere all’aborto” parlai, tentando di mantenere la calma.
“Invece c’è. Lei forse non lo sa, ma la nostra famiglia è molto importante in città. Mio marito è un potentissimo funzionario finanziario. Non possiamo permettere che questo bambino rovini la sua reputazione. Non le pare?”
“E perché dovrebbe rovinarla, mi scusi? Da quando i bambini sono motivo di vergogna e non di fierezza e amore?”
“Mia figlia ha diciassette anni. Non è sposata. Il suo ragazzo l’ha lasciata. Non possiamo permettere che la figura di una ragazza madre, ormai single, si insinui nella nostra famiglia. Assolutamente no. Sicuramente Emma è un po’ accecata da questa nuova situazione per farci un dispetto. Ah, che ragazza! – alzò gli occhi al cielo e batté le mani – Ora vado a parlarle e tutto si sistemerà. James, andiamo”.
Guardai la scena sbigottita. Il marito la seguì a ruota, nemmeno fosse un cagnolino da compagnia. E quello era un importantissimo funzionario?
Seguii i coniugi Jones anch’io, fin dentro la stanza della figlia.
Avevo promesso a Emma che sarei stata al fianco suo e del bambino. Che mi sarei battuta per loro.  E così avrei fatto.
“Cos’è questa storia?!” sbraitò la madre, senza nemmeno chiederle come stesse.
Senza nemmeno salutarla.
“Mamma, per favore” Emma cominciò a parlare, ma sua mamma la interruppe: “No. Non voglio sentire assolutamente alcuna spiegazione. Tu adesso firmerai il consenso per l’IVG. Chiaro?”
“IVG?! Che diavolo è? Che dici?” la ragazzina non capiva.
Guardava la madre spaesata.
“Interruzione Volontaria di Gravidanza” intervenni io, svelando il significato dell’acronimo.
“Interruzio – la piccola Jones sgranò gli occhi sconvolta – Mamma, stai scherzando?! Non esiste che io rinunci a questo bambino! Assolutamente no” cominciò a urlare.
“Come osi alzare la voce? Emma Kristen Jones, io sono tua madre e farai come dico io.  Il discorso è chiuso”
“No, non lo è affatto! Non rinuncerò a questo bambino. Per nulla al mondo”
“Ma a che scopo? Quel ragazzo ti ha pure lasciata. Che senso ha avere il promemoria di quanto sia stato infimo?”
“Perché non lo è stato! – Emma cominciò a piangere – E’ stata la persona più amorevole e meravigliosa che potessi avere al mio fianco, prima che…”
“Che?” mi intromisi, guardando la famiglia Jones al completo.
“Prima che morisse – la madre di Emma roteò gli occhi e si mise al fianco di sua figlia – Mia cara, nessuno voleva succedesse. Ma, che senso ha tutto ciò? Andiamo, non fare i capricci!”
“Tu parli così, solo perché credevi non mi amasse, che mi stesse semplicemente prendendo in giro. Tu hai tirato persino un sospiro di sollievo, quando è morto. Era troppo inferiore per i tuoi gusti. Ma sai una cosa, mamma? Non tutto gira intorno al potere e al denaro. Anzi, niente gira intorno a queste cose. Puoi essere ricco quanto vuoi, ma se non hai al tuo fianco una persona che ama te e non il tuo denaro, allora sei la persona più povera di questo mondo. E io e Killian ci siamo amati follemente, fino a quando non se n’è andato per sempre. E’ stato l’amore della mia vita. Non ucciderò questo bambino. E’ tutto ciò che mi rimane di lui. Di… noi. E starà con me. Non verrà abortito o dato in adozione. Io sono sua madre”
“Ma dimentichi che sei minorenne. Non puoi prendere queste decisioni da sola, mia cara”
“E tu dimentichi che, quando scatterà la mezzanotte oggi, io sarò ufficialmente maggiorenne. E potrò decidere per me e per questo bambino” la ragazzina fulminò la madre con lo sguardo, determinata più che mai.
“Bene, allora… quand’è così – la madre mi guardò – Dottoressa, mi dia i moduli. Procederemo subito”.
Detto questo, se ne andò, portando con sé il rumore dei tacchi, fastidiosamente assordanti.
“Dottoressa, non può farlo! La prego – Emma guardò suo padre, con le guance rosse e gli occhi gonfi – Papà, convincila”
“Tesoro, quando tua madre prende una decisione, è inutile controbattere. Sai com’è fatta. Sai che è così, perché sua madre l’ha sempre trattata in questo modo”.
Il padre aveva continuato a parlare, cercando invano di consolare la figlia, ma mi ero fermata a quella frase. Biascicai delle scuse e uscii di corsa da quella stanza, raggiungendo la madre della mia piccola paziente. Si trovava in sala d’attesa. Sempre impeccabile, certo, ma con lo sguardo incrinato. Perso nel vuoto. Teneva una sigaretta in mano.
“Non può fumare dentro l’edificio, lo sa?” le dissi, accomodandomi al suo fianco.
Non mi rispose, continuando a girare e rigirare quella sigaretta tra le dita.
“Sa, io ho capito. Suo marito ha detto a sua figlia che lei è in questo modo, perché è stata educata così. Perché sua madre l’ha sempre trattata così. Allora mi sono chiesta se questa scenata non fosse solo per una questione di immagine che, diciamocelo, sarebbe migliorata, vista la disgrazia che ha colpito il fidanzato di sua figlia. Questa scenata non ha niente a che vedere con il mantenere alto il nome di famiglia. Le ha ricordato qualcosa che ha passato pure lei. Non è vero? Quando è successo?”
“A quindici anni. Poco prima di conoscere mio marito. E’ stato colpo di fulmine, ma – esitò un attimo – lui non era del mio stesso rango sociale. Sembra stupido dirlo, ma ancora in determinate zone funziona così. Mia madre non voleva permettere una cosa del genere. Perciò fece in modo che se ne andasse. Lo pagò profumatamente per farlo. E quando scoprii di essere incinta, beh – sospirò – era la fine degli anni ottanta, queste cose non erano ben viste. Affatto. Perciò, mi fece abortire di nascosto”
“Signora Jones, ma dato quello che ha passato, perché impedire a sua figlia di tenerlo? Perché fare lo stesso errore?”
“Perché un bambino a quest’età ti frena. Ti impedisce di andare avanti. D-di fare qualcosa della tua vita”
“Signora, non è affatto detto. Conosco persone che hanno avuto bambini durante l’adolescenza e, con sacrificio e pazienza, sono riuscite a trovare la loro strada, a trovare qualcosa che amassero a livello lavorativo. Ed Emma non ha niente in meno rispetto a quelle persone. Ce l’hanno fatta loro. Ce la farà brillantemente anche lei. Mi creda” accennai un sorriso e le presi una mano.
Dopo qualche attimo di silenzio, mi alzai e andai via, lasciandole un po’ di spazio.
 
POV Ian
“Mary?” urlai il suo nome, non appena chiuso il portone di casa mia.
Polar mi venne subito incontro, scodinzolando e saltellando, seguito da Moke, Thursday e Damon, di gran lunga più tranquilli.
“Ma ciao” salutai dolcemente tutti gli animali miei e della dottoressa.
Li accarezzai per un po’, poi andai in cucina. Magari aveva parcheggiato nel piccolo cortile sul retro. Guardai dalla finestra, ma niente. Non era ancora tornata a casa.
Mi lavai le mani e cominciai a cucinare. Qualche verdura grigliata, un po’ di pesce, cose molto salutari. Il primo giorno di Mary sarebbe finito a breve, doveva essere stremata. Questo pasto le avrebbe dato un po’ di forze. Iniziai persino a canticchiare, mentre maneggiavo con le padelle.
Improvvisamente il portone si aprì e chiuse velocemente.
“Freddo!” urlò la mia donna.
Andai ad accoglierla e la trovai già avvolta in una coperta, intenta ad accendere il camino.
“Bentornata” le dissi, sorridente.
“Come fai a essere allegro? Si congela. Insomma, siamo quasi a Marzo, la primavera è praticamente alle porte e invece? Sembra di stare al polo Nord. O ad Arendelle. Siamo tornati in Norvegia, per caso?” parlò di fretta, come suo solito, mentre mi veniva incontro.
In breve tempo mi ritrovai tra le braccia un plaid umano.
“Dimentichi che io sono abituato alla differenza tra Hotlanta e Coldlanta. Anzi, è strano che non lo sia tu. Vivi qui da cinque anni!”
“Una siciliana è geneticamente programmata per provare sulla propria pelle le variazioni di temperatura ma non abituarsi mai a queste ultime. A meno che non riguardino le temperature alte. In quel caso siamo abituati a sopravvivere” alzò il capo, guardandomi.
“Fortuna che esistono le coperte allora. E i camini. Non oso immaginare dove saresti senza”
“Beh, se non avessi queste cose – si arrestò un attimo, posando gli occhi sulle mie labbra – troveresti comunque il modo di riscaldarmi” sorrise maliziosamente.
Stava per baciarmi, quando mi scansai lievemente. Mary mi guardò dubbiosa.
“Andiamo a cenare, su” parlai, quasi meccanicamente e la condussi in cucina.
Mangiammo abbastanza serenamente, a stento parlando. Dopo aver ingurgitato anche una mela ciascuno, le chiesi come fosse andata il primo giorno in ospedale.
“Non è andata male, affatto. Sai, ho avuto a che fare con una paziente incinta”.
All’udire quella parola mi rabbuiai.
Mary proseguì: “Sua madre non voleva lo tenesse, ma alla fine l’ho fatta riflettere e l’ho convinta. E seguirò sua figlia in questo percorso. E’ stata proprio una bella giornata”.
Annuii col capo, quasi assente.
“Ian, si può sapere che ti prende?”
“Come fai a parlarne così tranquillamente? A nominare la parola ‘incinta’? A”
“Ian, due settimane fa abbiamo perso un bambino. E’ un dato di fatto. Non è qualcosa che possiamo cambiare. Ovvio che non sono tranquilla. Ovvio che mi dispiace. Ovvio che – prese un bel respiro – al solo pensiero vorrei piangere. Ma non possiamo restare bloccati in questa cosa negativa che ci è successa. Possiamo e dobbiamo andare avanti. E se adesso non è andata bene, proveremo e riproveremo. Fino a quando non avremo successo. Fino a quando non avremo un pargoletto fra le braccia. D’accordo?” mi carezzò una guancia, non curandosi della barba, che le pizzicava il palmo della mano.
“Provare e riprovare, eh?” mi alzai e andai al suo fianco.
“E’ tutto quello che ci resta” si alzò anche lei e prese ad accarezzarmi le braccia.
La baciai di scatto. Sembravo completamente un altro Ian da quello che poco prima aveva evitato le labbra della sua ragazza.
Mary ricambiò il bacio, schiudendo la bocca e mettendo le braccia attorno al mio collo.
Mi staccai solo per un attimo da lei per ammirarla, permettendole così di prendere il controllo della situazione e, soprattutto, di me. Mi fece accomodare sulla sedia con irruenza, sedendosi sulle mie ginocchia, continuando a baciarmi, famelica, passionale. Mi ricordava molto il periodo che avevamo passato in Norvegia. Sempre insieme. Sempre uniti. Premette il suo bacino contro il mio più e più volte, ma, non appena la sedia cominciò a cigolare, ci arrestammo. E scoppiammo a ridere.
“Forse dovremmo spostarci” le dissi.
Non le diedi nemmeno il tempo di rispondere. La presi in braccio e la portai al piano di sopra, dritta in camera.
“Mmh, questo sa molto di ‘old fashion way’ (NDR: alla vecchia maniera)” parlò con voce elettrica, eccitata.
Toltici i rispettivi vestiti, lasciai che il mio corpo prendesse il sopravvento. La sua mano sinistra era sul mio petto. La presi con decisione e la posi sopra la sua testa, mentre, avanzando col bacino, entravo in lei. I miei gomiti le facevano da barriera, come se in quel momento potesse scappare. Ma non c’era via d’uscita. I nostri corpi erano una cosa sola, ancora. Non era di certo una cosa nuova. Eppure, ogni volta, assumeva un valore differente, una sfumatura diversa. Ogni volta sembrava la prima, ma con più complicità. Più legame. Più amore. Mi avvicinai al suo volto e la baciai, castamente, mentre, con voce affannata e il corpo sempre più pregno di lei, di noi, le sussurrai: “Ti amo”.
 
“Devi proprio farlo?” mi chiese Mary, a braccia conserte, mentre osservava attentamente John porre la mia ventiquattro ore all’interno della sua auto.
“Amore, so benissimo che preferiresti che io restassi qui. Io preferirei di gran lunga restare qui, piuttosto che lasciarti da sola con quegli impiccioni, ma”
“Non dire alcun ‘ma’ e resta. Andiamo!” mi supplicò, facendo il labbruccio.
Poggiò delicatamente le sue mani sul mio petto, battendo persino le ciglia.
Stava cercando di farmi crollare.
“Ma il lavoro chiama e sai benissimo che non posso disdire un impegno preso due mesi fa”.
Mary sbuffò.
“Dai, tornerò prestissimo. Non ti renderai nemmeno conto della mia assenza”
“Impossibile – sospirò – E va bene. Fai buon viaggio. Avvisami appena arrivi a LA”
“Certamente” le diedi un bacio stampo e la strinsi forte, prima di salire sull’auto.
 
Una donna finì di sistemarmi e mi invitò ad andare. Controllai che il microfono fosse a posto, poi sentii chiamare il mio nome e salii sul palco. Mi accomodai vicino a Paul. Subito dopo al mio fianco giunse Nina. Ci sorridemmo tutti e tre e guardammo la giornalista.
Presentati gli altri componenti del cast mancanti, parlò: “Vorrei dare innanzitutto un caloroso benvenuto al cast di ‘The Vampire Diaries’. Ormai avervi al Paley Fest è una tradizione – rise – Allora, stasera è appena andata in onda l’ottava puntata della stagione e non è stata proprio una puntata con lieto fine. Julie, hai riflettuto molto prima di scrivere questo finale?”.
Julie rispose: “Beh, diciamo che anche questa parte della puntata ha richiesto il suo tempo”
“E’ stato un caso che la coppia Delena si sia ritrovata a soffrire nuovamente? O forse dovrei nominare solamente Damon”
“Ci prova gusto a farmi soffrire effettivamente” m’intromisi e la guardai sorridendo.
“No, dai, è capitato” Julie rise.
“Capitato?” dissi sorpreso, scuotendo la testa.
Paul prese la parola: “Non è vero! Appena Damon ed Elena fanno un passo avanti, gliene fai fare subito un centinaio indietro. Povero Damon”
“La prossima volta non seguo il copione e mi metto a improvvisare” guardai Paul.
“E io ti assecondo” mi sorrise.
“I figli si ribellano alla madre” Julie si limitò a dire e ridemmo tutti di gusto.
La giornalista riprese: “Nina, qual è stata la tua reazione quando hai letto il copione di questa puntata?”
“L’ho letto e riletto più volte, non ci credevo, poi ho pensato: ‘No, non è possibile, ma ho sbagliato copione? Magari ho preso quello di Katherine’”
“Perché, cosa ti aspettavi?”
“Tutto, fuorché questo. Insomma, Elena aveva finalmente aperto gli occhi alla fine della serie, perciò mi aspettavo qualche passo avanti. E invece… no! Non solo non è riuscita nel corso delle settimane a dire completamente a Stefan della dichiarazione a Damon, ma neanche a lasciarlo, facendo andare via Damon definitivamente dalla città”
“Non me lo ricordare” le dissi, pieno di sconforto.
“Ian, secondo te cosa mancherà di più a Damon di Mystic Falls?”
“Di certo non Elena, è stata cattiva – guardai Nina ridendo e tutta l’assemblea urlò – Credo comunque che gli mancheranno la sua stanza e il suo adorato bagno”
“Ehi, grazie!” Nina incrociò le braccia.
“Non prendertela con me, dillo a Julie”
“Si torna sempre nello stesso punto, eh?” disse Julie ridendo.
Annuii divertito, poi aggiunsi: “Dai, in fondo ti vogliamo bene” e sorrisi.
“Solo che ora devi scavare un po’ di più” disse Paul e scoppiammo nuovamente a ridere.
La giornalista chiese di mandare in onda il promo delle puntate successive.
Le luci si spensero e il promo cominciò.
“La settimana prossima, doppio appuntamento!” disse una voce fuori campo.
“Com’è possibile che io sia qui dentro?” Caroline, nel corpo di Elena, urlò adirata.
“Quello che vedi non è quello che sembra” continuò la voce.
“Ho provato a praticare la magia nera e… credo che qualcosa sia andata storta” Bonnie abbassò lo sguardo, mentre Stefan la fissava.
“L’amore” proseguì la voce.
“Troveremo una soluzione, vedrai” Stefan baciò Elena, nel corpo di Caroline.
“L’amicizia” disse la voce.
“Dobbiamo tornare nei nostri corpi. Adesso!” Elena alzò la voce.
“Saranno messe a dura prova dal pericolo” la voce si fece più cupa.
“Hanno preso Elena, ignari che ci sia Caroline nel suo corpo. Dobbiamo salvarla” disse Tyler.
“Chi. Salverà. Caroline?” disse chiaramente la voce, mentre Elena, Stefan e Tyler venivano ripresi in primo piano a turno.
“Credo di aver trovato il modo. Ma non vi piacerà” disse Bonnie, guardando Elena.
Subito dopo, si vide Elena in lacrime, abbracciata a Bonnie.
“The vampire diaries, le nuove puntate. Giovedì prossimo, alle venti, nel canale The CW” concluse la voce, ponendo fine al promo.
Le luci si riaccesero. Si sentivano adrenalina e curiosità nell’aria.
“Molto… intenso” sgranai gli occhi e tutti annuirono, d’accordo con me.
 La giornalista si rivolse a Kat, seduta al fianco di Paul: “Abbiamo appena visto un abbraccio doloroso tra Bonnie ed Elena. Cosa succede? Puoi dirci qualcosa?”
Kat cominciò: “Posso solo dire che tra le due ci sarà un momento di forte amicizia. Ho pianto dopo aver girato quella scena”
“Nina, si comincia a sospettare una transizione vicina per Elena, se sai che intendo, e il promo sembra confermarcelo, specie nella brevissima scena tra Elena e Bonnie. Questo nostro sospetto avverrà presto?”
“Non posso dirlo – rise – Sono cose che si devono scoprire guardando le puntate. Julie e tutti i fans mi pianterebbero un paletto nel cuore, se spoilerassi qualcosa”
“A proposito di” risi.
“Il cuore di Elena o di Katherine?” chiese la giornalista.
“Chi lo sa” si limitò a dire.
“Siete fin troppo misteriosi” ribatté con disappunto.
“Il mistero è parte integrante dello show” affermò Julie.
“Sì, e ormai è entrato nel nostro sangue” continuò Paul.
Dopo tantissime domande, la giornalista si rivolse a Candice e disse: “Allora… Caroline, Tyler, Kalus…”
“Non molla, Klaus proprio non molla” Candice sorrise e guardò Joseph.
“Io lo farei mollare, ma spetta a Julie” le fece notare Morgan, sogghignando.
“Ma perché ce l’avete solo con me oggi? Dite qualcosa anche a Kevin” Julie incrociò le braccia.
“E perché tu devi mettere in mezzo me? Io non ho fatto niente di male” Kevin rise.
“Vero! Se vuoi due foste due poliziotti” cominciò Paul.
“Tu, Kevin, saresti quello buono, che sorvola sulle multe” conclusi io.
“Si completano le frasi a vicenda, sono proprio anime gemelle” si intromise Michael.
“Siamo o non siamo il mitico ‘Team Salvatore’, scusa!?” Paul rise e mi diede il cinque.
“A proposito di anime gemelle – la giornalista guardò Torrey – Com’è lavorare con il proprio marito?”
“Non ci sopportiamo più – rise, stringendogli la mano – No, scherzo, è divertente, non dobbiamo nemmeno chiederci come abbiamo passato la giornata, perché siamo stati sullo stesso set”
“Nella terza e nella quarta serie hai avuto una gran bella storia con Alaric e”
“Oh, Alaric! Mi manca Alaric” sussurrai afflitto.
I fans cominciarono a urlare ‘Dalaric’ a gran voce.
La giornalista mi guardò e scosse la testa, poi riprese: “Dicevo, e qualche flirt con Damon. E’ stato imbarazzante girare quelle scene?”
“Dipende dai vari punti di vista. Dal canto mio, ero abbastanza tranquilla a ogni scena, ma solo perché Paul non guardava” rise.
“Ian, i vostri punti di vista?”
“Io e Matt chiedevamo il permesso a testa bassa per ogni singola scena” dissi, abbassando lo sguardo anche in quel momento, come se fossi un cane bastonato.
Tutti risero, poi la giornalista continuò: “Tornando al triangolo di Caroline… avrà mai una fine o è come quello di Elena?”
“Che intendi con ‘come quello di Elena’?” domandò Candice, inclinando il capo.
“Beh, presente fino all’ultimo”
“Ah, no! Io spero proprio abbia una fine. Secondo me è questa la cosa migliore per il mio personaggio, ha bisogno di stabilità sentimentale”
“E quale sarebbe secondo te la fine ideale per il triangolo?”
“Non so, ma una cosa è sicura: non comprende Klaus. Cioè, anche se c’è molta intesa tra loro, non credo sia la cosa ideale. Credo che il Forwood sia la relazione di Caroline, punto. Senza offesa, Joseph” rise.
“Sopravvivrò” rise anche lui.
“Joseph, cosa pensi sarebbe meglio per Klaus? Prima hai detto che lo faresti mollare nei confronti di Caroline”
“Mm, non so. Io lo farei provare con Elena. Sai, gli ricorda Tatia, Katerina…”.
In assemblea si elevò un boato e partirono gli applausi.
Joseph rise, mentre Nina diveniva un po’ rossa.
La Dobreva, poi, rispose: “No, grazie, non sono interessata a un quadrato, mi basta già il benedetto triangolo”
“Ahi” dissi io e scoppiai a ridere, seguito da tutti.
Mentre ridevamo ancora di gusto, la giornalista disse, molto curiosa: “Siamo circondati da coppie in questo cast – mi guardò – A proposito di coppie, Ian, la tua compagna è qui a LA con te?”
“No, è rimasta ad Atlanta, per il suo lavoro” mi accomodai meglio sulla sedia.
“E’ un medico, giusto?”
“Sì, perciò non si poteva allontanare”
“Cosa le diresti in questo preciso momento?”
“Le direi di guardare le prossime puntate prima di inviare lettere minatorie a Julie” risi.
“Addirittura! E’ proprio una Delena agguerrita”
“Già. Anche se lei preciserebbe dicendo che è ‘Team Damon’, specie quando Elena commette cattiverie nei suoi confronti”
“Un po’ di parte”
“No, lo adora dalla sua prima apparizione”
“Non vi conoscevate ancora ai tempi?”
“No, ci siamo conosciuti quando la terza stagione era a metà del suo percorso”
“Capisco. Guardate le puntate insieme il giovedì sera?”
“Spesso no, un po’ perché le vede in ospedale con i colleghi, se non ci sono emergenze ovviamente, un po’ perché si vergogna a commentare, quando sono presente”
“Come mai?”
“Diciamo che è famosa per commentare in modo mooolto animato” scoppiai a ridere, portando alla mente quelle puntate che avevamo visto insieme.
“E, quando le guardate insieme, come si comporta?”
“Mi fa ridere, per alcune scene si dispera proprio”
“Scene come?”
“Se Damon soffre, se Elena lo tratta male, alcune scene Stelena. E’ molto esilarante e coinvolgente. Ci mette proprio passione quando commenta. E’ come se fosse parte integrante della serie tv. Si immedesima molto” scossi la testa divertito.
“Un po’ come quando, tempo fa, parlò apertamente durante il momento delle domande alla con di Parigi?”
“Ehm, diciamo di sì” non appena parlai, mi morsi per un breve attimo il labbro inferiore.
Mary si vergognava da morire di quella scenata. Sperava fosse finita nel dimenticatoio.
“Mi hai incuriosito. Credo che proverò a convincerla a guardare un episodio insieme”
“Non ci riuscirai così facilmente” risi.
“Il suo episodio preferito?”
“Il dodicesimo della seconda serie”
“Gran bell’episodio! Ma, dimmi – la donna drizzò la schiena – se ci sono delle scene in cui Damon bacia Elena o altre donne, come si comporta?”
“Se bacia Elena, urla dalla gioia; se bacia le altre urla disperata, perché non sta baciando Elena. Ovviamente in tutto questo il personaggio di Rose è escluso. O, meglio dire, era”
“E perché?”
“Perché era il suo personaggio preferito femminile. Batteva persino Elena e Katherine”
“Wow! Ma quindi… per quanto riguarda il tuo lavoro è abbastanza tranquilla”
“Sì, sa che nel mio lavoro si devono fare anche scene di questo genere. Questo lato non la preoccupa minimamente. Inizialmente, i primi tempi, non riuscivo ad abituarmi a questo. Perciò, ogni qualvolta baciavo qualcuna sul set, non appena rientravo a casa, glielo dicevo. Mi sembrava la cosa più onesta e giusta da fare. E, invece, lei puntualmente mi sorrideva e mi pregava di smetterla. Non perché le desse fastidio. Semplicemente, secondo lei, non ero proprio io a baciare, ma il personaggio. Sembra un po’ contorta come cosa, ma, beh, fondamentalmente è la verità”
“E fuori dal lavoro?”
“Tutti siamo un po’ gelosi, anch’io” risposi vago e sorridente.
“E’ un difetto questo?”
“No, io credo che sia invece una cosa importante. Ti fa capire quanto tu tenga a quella persona! Certo, ovviamente non deve essere una gelosia esagerata, perché poi sfocerebbe in mancanza di fiducia e quella è una cosa negativa. Quindi, meglio parlare di gelosia moderata”
“Parlando di difetti… lei ne ha qualcuno?”
“Ha la lacrima molto facile. Piange persino con alcuni cartoni animati! Ma, sinceramente, non so se definirlo un difetto o un pregio. Dimostra la sua bellissima umanità in fondo” sorrisi.
“E secondo lei tu ne hai qualcuno?”
“Uno solo”
“E quale sarebbe?” mi guardò accigliata.
“Detesta il fatto che io fumi. Ovviamente, essendo un medico, detesta ciò che può nuocere gravemente alla salute. Anche se a volte si concede un po’ di cibo spazzatura” scossi lievemente la testa.
“Ah, credevo fosse peggio”
“No, no, potete stare tranquilli” risi.
“E’ la prima partner al di fuori del tuo mondo?”
“No, non è la prima, però… beh, ecco… è senz’altro la prima a essere così comprensiva con me. Molte altre non lo erano, mi dicevano di scegliere tra loro e il mio lavoro e io ci stavo male. Invece lei è… diversa! Non avrei mai pensato di poter amare così tanto qualcuno al di fuori del mio mondo. Lei è semplice, bella, dolce, divertente, pazza al punto giusto, sexy – sorrisi istintivamente – Mi completa. Credo non debba aggiungere altro – sentii il mio volto diventare sempre più rosso – Anzi, una cosa ci sarebbe: buon compleanno, piccola,  mi dispiace di non essere lì con te” sorrisi alla telecamera e le mandai un bacio, mentre tutta l’assemblea applaudiva intenerita.
 
POV Mary
Chiusi il portone alle mie spalle, incerta. Presi un respiro profondo, cercando di convincermi che tutto sarebbe andato per il meglio.
“Mary, finalmente sei tornata! Credevo non avrei fatto in tempo a salutarti prima di parti – Ian giunse in soggiorno allegro, ma si arrestò subito, nel momento in cui si rese conto che non eravamo soli – E voi siete?” domandò.
“Una piccola troupe, che, al momento, lavora in ospedale. Siamo qui, perché domani è la giornata vissuta dal punto di vista della dottoressa Floridia. Quindi staremo con lei dall’inizio fino alla fine” parlò un ragazzo rossiccio con gli occhi color ghiaccio.
“Non mi ricordavo questa clausola nel contratto”
“Beh, invece c’è. Gli altri dottori hanno accettato, non vedo perché con la sua compagna dovrebbe essere differente”
“Non lo è. Mi spiace solamente non essere presente a tutto questo – Ian gli lanciò un’occhiataccia, quasi con aria di sfida; la sua attenzione venne distolta da un paio di fari – A tal proposito, il mio autista è appena arrivato”
“Di già?” chiesi con voce flebile, guardandolo tristemente.
“Sì. Mary, tu va’ fuori. Io prendo la ventiquattro ore e ti raggiungo – poi si rivolse alla troupe – quanto a voi, accomodatevi sul divano e godetevi la permanenza”.
Feci quanto aveva detto e andai fuori. John mi venne incontro sorridente.
“Parti anche tu, Mary?”
“Oh, purtroppo no! Sai, come il lavoro di Ian chiama, lo fa anche il mio”
“Capisco perfettamente, non preoccuparti”.
Ian si unì al piccolo gruppo formatosi.
“Quelli lì non mi piacciono. Io te lo dico”
“Ian, lo so, nemmeno a me. Ecco perché vorrei che restassi. Se dovesse sfuggirmi qualcosa su di te o su di noi che loro non possono sapere, che farei? Che faremmo?”
“Non pensiamoci adesso. Potrebbe andare anche tutto bene” accennò un sorriso.
“Devi proprio farlo?” gli chiesi, a braccia conserte, mentre osservavo attentamente l’autista porre la ventiquattro ore all’interno della sua auto.
“Amore, so benissimo che preferiresti che io restassi qui. Io preferirei di gran lunga restare qui, piuttosto che lasciarti da sola con quegli impiccioni, ma”
“Non dire alcun ‘ma’ e resta. Andiamo!” lo supplicai, facendo il labbruccio.
Poggiai delicatamente le mie mani sul suo petto, battendo persino le ciglia.
“Ma il lavoro chiama e sai benissimo che non posso disdire un impegno preso due mesi fa”.
Sbuffai. Tentativo di arruffianamento fallito.
“Dai, tornerò prestissimo. Non ti renderai nemmeno conto della mia assenza”
“Impossibile – sospirai – E va bene. Fai buon viaggio. Avvisami appena arrivi a LA”
“Certamente” mi diede un bacio stampo e mi strinse forte, prima di salire sull’auto.
Non appena il mezzo non fu più visibile dai miei occhi, rientrai.
“Tutto bene, doc?” chiese il rosso di poco prima.
“Certamente – sorrisi forzatamente – Ora vi mostro casa mia. Perlomeno le zone che potete vedere” giunsi le mani e mi incamminai verso la cucina.
In breve tempo mostrai loro quasi tutta casa, eccetto lo studio improvvisato di Ian, la mia, ormai nostra, camera e le stanzette, vuote perché destinate a futuri bambini. Dopo cena, augurata la buona notte ai nostri animali domestici, portai i miei ospiti, assetati di gossip, proprio sulla soglia della stanza da letto.
“Eccoci qua. Allora – mi dondolai lievemente sul posto – buona notte”
“A lei, doc! Tenga questa videocamera. Abbiamo fatto in modo che si attivi alla stessa ora della sua sveglia. Così, poi, i nostri spettatori cominceranno quella giornata con lei”
“D’accordo. A domani” presi quell’aggeggio un po’ esitante, dopodiché entrai e chiusi la porta alle mie spalle.
 
La sveglia suonò, distogliendomi dal mondo dei sogni.
Mi alzai, notando immediatamente il puntino rosso della videocamera. Era accesa.
“Buongiorno – spalancai le tende, permettendo al sole di entrare nella stanza – Sono la dottoressa Maria Chiara Floridia e oggi vivrete una mia giornata tipo” cercai di fare una voce più limpida possibile.
Accennai un sorriso all’obiettivo, poi, presi dei vestiti puliti, andai in bagno.
Lavatami e vestitami, tornai in camera, prendendo in mano quell’affare tecnologico.
“Oggi ho il turno pomeridiano in ospedale. Questo è molto comodo, in quanto puoi svegliarti un po’ più tardi del solito e prepararti con più calma”.
Improvvisamente sentii dei rumori al piano di sotto. Polar cominciò ad abbaiare.
Che stavano combinando quei ficcanaso dei giornalisti?
Mi diressi al piano inferiore della mia casa.
Polar giunse ai miei piedi. Scodinzolava. Continuava ad abbaiare, ma… non era un segno d’allarme. Era più… felicità!
“Ma che diavolo…?” borbottai.
Non ebbi il tempo di completare la frase, che dalla cucina sbucarono fuori Rose, Steve e Alex.
“Buon compleanno, Mary!” urlarono tutti insieme, suonando le trombette giocattolo, lanciando coriandoli e agitando le mani, nemmeno fossero tutti cheerleader.
Vederli tutti lì sorridenti, un gruppo come mai prima d’ora, mi commosse.
“Andiamo, Floridia, è l’ultimo anno in cui appare il numero 2 come prima cifra, il pianto non è giustificato! L’anno prossimo sì” Rose mi fece una linguaccia.
“Scema” risi e corsi ad abbracciarli, dimenticandomi completamente di avere ancora la videocamera in mano.
Dopo esserci stretti tutti e quattro, così forte da soffocarci a vicenda, andammo tutti insieme in cucina.
Lì mi aspettava una grande tavola imbandita. Tovaglia, bicchieri di carta e color carta da zucchero,  due grandi brocche di succo d’arancia e una piccola torta tonda, in cui era riprodotta una foto. Raffigurava noi quattro. Era stata scattata nel mio periodo di convalescenza. Nonostante fossi dilaniata dentro, nonostante trovassi tutti i modi possibili e immaginabili per sentirmi in colpa, in quella foto sorridevo. Perché, sì, avevo perso il mio bambino, ma avevo anche trovato un amico. Uno di quelli che ‘Noi due amici? Tzé, scordatelo!’. Uno di quelli che mai avrei pensato di ritrovare al mio fianco.
“Ragazzi, è-è davvero stupendo. Grazie” li abbracciai nuovamente.
Dopo aver spento le candeline, mangiammo la torta tutti insieme. Giornalisti inclusi.
 
Dopo aver videochiamato i miei familiari e le mie ‘sorelle per scelta’ sparse per il mondo,  diedi da mangiare a Damon, Moke, Thursday e Polar, quella mattina più affettuosi del solito. Portai Polar a fare i bisognini in cortile, dopodiché uscimmo di casa. Era già ora di andare a lavoro.
Mentre ci dirigevamo in ospedale, i miei colleghi in un auto e io e i miei ‘ospiti’ in un’altra, questi ultimi cominciarono a fare domande.
“Come si sente mentre va a lavoro?”
“E’ una bella sensazione. Ogni giorno penso un po’ al motto di Derek Shepherd, di Grey’s Anatomy, che sarebbe: ‘E’ una bella giornata per salvare delle vite’, e mi rallegro. Arrivo in ospedale di buon umore e volenterosa di fare e di aiutare. Non dico che questo sia il comportamento più corretto del mondo, ma aiuta davvero tanto. Un conto è arrivare con il musone, senza alcuna voglia di lavorare, un conto è arrivare con il sorriso. E questo non influenza solo te e il tuo lavoro, ma anche gli altri, non importa che siano colleghi o pazienti. Con un semplice sorriso, con una piccola parola di conforto, hai la possibilità di cambiare la giornata di qualcuno. E questo, nel caso dei pazienti, insieme al tentativo di salvargli la vita, è davvero un grande dono”
“Capitano mai dei giorni in cui lei non abbia voglia di lavorare?”
“Beh, è successo. A volte per, come dire, dei retroscena della mia vita al di fuori dell’ospedale, altre volte per aver passato una notte insonne. Ma, in fondo, è più che normale. Io amo il mio lavoro, ma le ‘giornate no’ fanno parte di ognuno di noi. Nessuno ne è esente. In quei casi, prima di arrivare in ospedale, cerco di rianimarmi ascoltando musica. Non quella del cellulare, che mi accompagna tutti i giorni; bensì quella della radio. A volte mandano in onda delle canzoni che sembrano fatte apposta per me e per quello specifico momento. E mi migliorano la giornata”.
L’uomo coi capelli rossi stava per pormi un’altra domanda, quando notai un po’ di confusione sulla carreggiata sinistra. Che diavolo era successo?
“Dottoressa?” chiesero dubbiosi.
Senza pensarci due volte, accostai. Scesa dall’auto, corsi verso quel gruppo di persone.
“Che succede?” chiesi, rimboccandomi già le maniche.
Sdraiata al suolo, priva di conoscenza, vi era una bambina. Sei anni al massimo. Aveva i capelli biondi acconciati in una treccia, indossava il casco. Al suo fianco, una bicicletta rosa, con ancora una ruota che girava.
“Hanno investito la mia bambina. Lei ha investito la mia bambina!” urlò straziata una donna, coi capelli biondi raccolti in uno chignon, indicandone un’altra.
Mora, con lo sguardo perso, molto incinta.
“Signora, i-io – strizzò gli occhi per un attimo, prima di proseguire il discorso – è sbucata all’improvviso, non sono riuscita a evitarla. M-mi dispiace, i-io” si interruppe, toccandosi il pancione.
Riuscii a intravedere dal suo vestito un po’ di sangue.
“Che succede?” chiesero in coro Rose, Steve e Alex alle mie spalle.
“Alex, questa bambina è stata investita, mentre andava in bicicletta. Tu e Steve controllatele i parametri vitali. Credo si sia fratturata una gamba, comunque. Guarda l’angolazione”
“Sì, quasi sicuramente. Gran bella vista, Quattr’occhi” Alex si complimentò, sorridendomi beffardo, poi si chinò per esaminare la piccola paziente.
“Rose, aiutami con questa donna incinta e chiama un’ambulanza” dissi io, poco prima che la donna in gravidanza si piegasse in due per il dolore.
Ci mobilitammo immediatamente, come dei bravi soldatini su un campo di battaglia. In breve tempo arrivarono le ambulanze e portarono via le nostre pazienti. Subito dopo, risalimmo sulle nostre auto e seguimmo quei mezzi di trasporto, che avevano spiegato le sirene. Giunti al Saint Joseph, non avemmo nemmeno il tempo di cambiarci. Subito indossammo dei camici ed entrammo nei rispettivi trauma center.
“Donna sconosciuta, trent’anni al massimo, incinta di circa – esaminai un attimo l’addome, prima di proseguire – ventisette settimane. Segni vitali alterati, pressione centosessanta su cento. Emorragia antepartum in corso, sospetto distacco di placenta. Hilary – mi rivolsi a una dei miei specializzandi, mentre gli altri continuavano a sbracciarsi per la paziente – avvisa Kate di ginecologia e avverti le sale operatorie. Questa è un’emergenza”.
 
Uscii dalla sala operatoria, con Kate al fianco. Insieme, ci dirigemmo verso la sala d’attesa. Era arrivata una chiamata, durante l’operazione, che ci aveva avvisato dell’avvenuto riconoscimento della paziente. Margaret Dallas, trent’anni, moglie di David Dallas, trentacinque anni. Ci avevano detto che fosse lì ad aspettare. Non appena vi giungemmo, ci togliemmo entrambe la cuffietta e chiamammo il nome del marito della nostra paziente.
“Come sta Maggie? E la bambina?” domandò affannato, alzandosi di fretta dalla sedia e venendoci incontro.
“Sua moglie soffre di ipertensione arteriosa. Oggi ha avuto un incidente improvviso, ha investito una bambina in bicicletta e” dissi.
“Sì, sono stato avvertito di ciò al telefono. Mi hanno detto che era sotto i ferri. Come stanno?”
“Sua moglie sta benissimo. Adesso è in terapia intensiva, in attesa che si svegli”
“E mia figlia?”
“Essendosi distaccata la placenta, fonte di nutrimento, di ossigeno e di ‘scarico’ – Kate fece le virgolette – per la bambina, sono stata costretta a fare un taglio cesareo ed estrarre il feto. Le sue condizioni sono critiche, ma è stata subito intubata e posta in un’incubatrice. Io e i miei colleghi intendiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per portarla fuori pericolo”
“D’accordo – David annuì lievemente, con le sopracciglia aggrottate per la preoccupazione – Quando potrò vedere mia moglie?”
“Può andare anche adesso. La accompagno, se vuole” mi pronunciai, accennandogli un sorriso.
“Grazie, è molto gentile”
“Allora mi segua”.
Camminammo fianco a fianco, in silenzio, fin quando non giungemmo dinanzi la stanza di una Margaret ancora addormentata.
“Ecco qui. Può starla accanto tutto il tempo che vuole. Nessuno la verrà a disturbare, se non per le visite a sua moglie o per informazioni riguardanti la bambina”
“Grazie” mi toccò una spalla.
Dopo di che entrò.
Passate un paio d’ore, la mia paziente si svegliò. Stavo per darle un’occhiata, quando Hilary entrò di corsa dentro la stanza.
“Che succede?” le chiesi un po’ perplessa.
“Dottoressa Floridia, potrebbe uscire un attimo?”
“Ma certo”.
Seguii la mia specializzanda fino al corridoio.
“I Dallas dovrebbero scegliere in fretta un nome per la bambina e farla battezzare, se credono”
“Non mi dire che”
“Sì. Le resta poco da vivere. Ora, le infermiere della terapia intensiva neonatale vorrebbero sapere di che religione sono, così da poter chiamare qualcuno per il rito”
“Dannazione! – imprecai, dispiaciuta – D’accordo – rientrai e, preso un bel respiro, chiesi – Di che religione siete?”
“Siamo cattolici. Come mai?” David mi guardò stranito.
“Le infermiere della terapia intensiva neonatale vorrebbero chiamare un prete per voi p-per – sentii gli occhi inumidirsi, ma dovevo resistere – per battezzare la vostra bambina e salutarla”
“No – Margaret cominciò subito a piangere – Cosa!? No, no, non posso salutarla, n-no!”.
Mentre singhiozzava e continuava a pregare che non venisse presa, David le si sedette accanto, tentando di consolarla e di spingerla a fare quello che fosse più giusto. Uscii ben presto da quella camera, con la scusa di avvertire le infermiere della TIN, ma la verità era che non potevo restarvi dentro più di un altro secondo. Ricordi dolorosi e fin troppo recenti stavano riemergendo, facendosi strada con quante più lame possibili, squartando e dilaniando tutto ciò che capitava loro sotto tiro.
 
“Kate, ti prego” supplicai la mia collega a mani giunte, mentre in quella stanza eravamo ancora sole.
Ian era andato a prendersi un caffè pomeridiano. Aveva detto per mettere qualcosa dentro lo stomaco, ma sapevo benissimo che la verità era un’altra. Doveva semplicemente evadere per un po’ da quella realtà così cruda e malsana. E dalla mia folle idea di vedere il prodotto del nostro amore, prima che venisse buttato via. Era ancora un embrione, non un feto, perciò contava come rifiuto organico.
“Mary, ti rendi conto di quanto sia macabra come cosa?”
“Perché non è macabra a ventiquattro settimane, ma lo è a quasi sette? Andiamo! Poteva essere il mio bambino. Anzi, lo era! Perché non posso vederlo, prima che venga gettato nel dimenticatoio, in tutti i sensi?”
“Ian vuole farlo?” mi domandò, osservandomi profondamente.
“No. Solo io. E non è un modo per confermare la realtà. Ho ben in mente il fatto di non essere più incinta e di aver perso una tuba. Voglio solo… voglio solo dirgli addio. Mi sembra una cosa giusta o sbaglio?”.
Kate non ribatté più. In breve tempo, mi procurò una sedia a rotelle e un albero per la flebo. Facendo molta attenzione ai punti, mi fece sedere, dopodiché mi portò nel blocco operatorio. Sala 8. Non appena aprì la porta, almeno cinque infermieri si voltarono, interrompendo la loro attività di pulizia e sterilizzazione della stanza.
“Stai scherzando? Così dovremo ricominciare tutto da capo!” si lamentò uno di loro, guardandoci in malo modo.
“Sto eseguendo il volere della mia paziente. Tutto qui. Presto torneremo in stanza e voi potrete continuare il vostro lavoro. Dov’è? E’ stato già buttato?”
“Non ancora. Perché?”
“La dottoressa Floridia vorrebbe vederlo”.
Quell’infermiere, di cui non ricordavo minimamente il nome in quel momento, borbottò qualcosa, prima di prendere un contenitore trasparente, quasi come una provetta, non troppo grande.
“Ecco qui. Sbrigatevi”.
 
“E’ permesso?” chiese Ian, sorridendo amaramente.
“Certamente! Sono appena stata visitata e ho cenato – guardai il piatto vuoto dinanzi a me – se così si può chiamare” feci una smorfia.
“Che hai mangiato di mm commestibile?”
“Avendo appena subìto un intervento, mi hanno servito del brodo. Sembrava più acqua sporca, ma, si sa, il cibo dei pazienti da queste parti è un po’ disgustoso”.
Ian rise.
Fattogli cenno di avvicinarsi, si sdraiò accanto a me, cosicché potessi poggiare il capo sul suo petto.
“Non ti ho trovata in stanza dopo il caffè. Sei andata?”
“Sì”

“E – Ian esitò un attimo, sentii il suo respiro divenire pesante – com’era?”
“Era incredibilmente piccolo. Un centimetro al massimo. Sembrava un mirtillo. Ma, nonostante questa piccolezza, era incredibilmente umano. Bellissimo. Aveva due occhi, l’accenno delle orecchie. Aveva le manine e i piedini. Non so dirti se avremmo avuto un maschietto o una femminuccia. So solo che sarebbe stato un bambino bellissimo” lo strinsi forte, mentre gli occhi mi si velavano nuovamente di lacrime.
 
Era difficile riuscire a respirare, dopo esperienze del genere. Era difficile andare avanti, se ogni cosa puntualmente rimandava a quel tuo immenso dolore. Mi appoggiai al muro, cercando di riprendermi. Incapace di muovermi da quella posizione, avvisai il TIN dal cellulare. Dopo non molto, la stanza di Margaret si affollò. Vidi chiaramente tutta la breve celebrazione del battesimo e, successivamente, il dolore di due genitori palesarsi, tra urla maggiori, mentre stringevano a loro l’ormai inerme corpicino della loro bambina.
Ripresi a muovermi. Non potevo restare lì. Non mi era concesso. La loro sofferenza era qualcosa di privato. Camminai velocemente per svariati piani, fin quando non mi rinchiusi in una delle stanze del medico di guardia, sperando che la troupe, assegnata a me quel giorno, non venisse a chiedermi cos’avessi e non mi spingesse a parlare. Chiamai Rose e mi sdraiai in posizione fetale. Come una bambina indifesa e fragile.
La porta si spalancò nuovamente dopo un minuto e mezzo.
“La Floridia chiama e la Davis risponde” disse, cercando di farmi scappare un sorriso.
Lo accennai, mentre si sdraiava accanto a me.
“Che succede?”
“La mia paziente di oggi, quella incinta”
“Sì?”
“Ha avuto un distacco di placenta, suppongo per via dell’incidente e per la sua ipertensione. La bambina non è sopravvissuta e”
“E tu hai pensato a ciò che ti è successo. Non è così?”.
Annuii.
“Mary, lo so che è difficile. E sai benissimo che, forse, non c’è persona al mondo che possa capirti più di me. Insomma, dopo due aborti, credo di essere tristemente diventata un’esperta in materia. L’elaborazione di tutto quanto è assurda e dolorosa. Ma devi superarla. Non puoi vivere nel passato per sempre. Perché, così facendo, ti precludi a tutto ciò che la vita può offrirti nel ‘dopo’. E se, dopo quest’esperienza negativa, arrivasse un altro bambino a riempirvi il cuore? E se addirittura ne arrivassero due in una volta? Non si vive di ‘se’ e di ‘ma’, è vero. Tuttavia, bisogna pensarci. Come puoi scoprire se puoi essere felice, se puoi ricevere altre creature in dono, se ti chiudi in ciò che ti è successo?”
“Sai, ho fatto un discorso simile a Ian la settimana scorsa. Prima che facessimo l’amore” mi morsi il labbro superiore.
“Ma pensa te! E io spreco le mie preziosissime perle di saggezza e amore per te? Va’ al diavolo, Floridia, non te le meriti” mi tirò un cuscino.
“Ehi!” protestai, alzandomi di scatto e controbattendo.
Rose mi tese la mano.
“Torniamo al mondo esterno, ti va?”
“Sì” risposi convinta, afferrandogliela.
“A proposito, i tuoi amici giornalisti ti stanno cercando”
“Ehw” mormorai disgustata.
“Com’è toccato a me, tocca pure a te. Fa’ vedere chi sei, Xena”.
Scossi la testa divertita.
Uscimmo da quella stanza, facendoci riaccogliere dalla realtà.
Separatami dalla mia grande amica americana, mi diressi verso la caffetteria, certa che avrei trovato i miei ‘amichetti per un giorno’ lì.
Difatti, non appena aprii la porta che dava all’esterno, eccoli lì, comodamente seduti vicino al bancone, intenti a mangiare un panino.
Guardai l’orologio. Le sette del pomeriggio. Presa com’ero dal mio lavoro, non avevo nemmeno fatto uno spuntino o cenato. Mi avvicinai anch’io al bancone.
“Ciao Claudine” sorrisi.
“Oh, ciao, Mary! E buon compleanno – ricambiò il sorriso – Cosa posso offrirti?”
“Un panino fesa di tacchino e mozzarella può andare”
“Arriva subito”.
Mi voltai verso i giornalisti.
“Oh, ciao!” salutai ironica.
“Dov’era finita, Doc?”
“I miei pazienti non avevano firmato per avere le telecamere intorno. Sono stata con loro fino a ora”
“Dovremmo continuare le riprese”
“D’accordo, ma – Claudine mi porse il panino contenta – Grazie, cara. Dicevo, posso prima mangiare?”
“Certamente”.
Dopo aver letteralmente ingurgitato quel panino, seguii l’uomo rossiccio fino a una stanza del medico di guardia. Mentre la sua troupe preparava le luci e il resto, io mi accomodai sul lettino inferiore del letto a castello, prendendo un bel respiro.
“Cominciamo?” domandai a bassa voce, improvvisamente agitata.
Sentivo che quel giro di domande non sarebbe stato facile.
“Dottoressa Floridia – chiese il solito intervistatore, dopo che un faro fu acceso – come sta passando il giorno del suo compleanno? Ha avuto casi interessanti? Racconti un po’, dato che non abbiamo potuto assistere”
“Non ne posso parlare molto. La mia paziente non ha firmato per il documentario, perciò il segreto professionale in questo caso non può essere rotto. Posso solo dire che è stato uno di quei casi che ti scuote dentro. Uno di quelli che ti ritrovi a vivere e che non sempre puoi migliorare. Il tipico caso che ti mostra come il medico non sia Dio, non sia onnipotente. Il medico è una persona come tutte le altre. Ha i suoi successi, ma ha anche i suoi fallimenti. Come dissi tempo fa alla crew di ‘The Vampire Diaries’, colui che intraprende il percorso del medico deve mettersi in testa che non tutto è rose e fiori. Che puoi lottare con le unghie e con i denti quanto vuoi, ma, purtroppo, non puoi salvare tutti. E devi accettare anche questo. Soprattutto questo”
“E lei l’ha accettato?”
“Da un po’, sì. Non è semplice. E’, diciamo, un mettersi continuamente in discussione. E’ un accettare il proprio limite”
“Quindi lei non ha cominciato a lavorare già con quest’idea di fondo?”
“Purtroppo no. Sono sempre stata consapevole di non essere Dio o un supereroe, questo sì. Ma solo la scorsa estate ho pienamente accettato il mio ruolo. Sai, ci sono determinati pazienti, determinate storie, che non sono solo di passaggio. A volte capita di beccare qualcuno che fa parte di te, già prima che metta piede in questa struttura. E lì apprendi veramente cosa vuol dire essere umano. Cosa vuol dire fare il possibile e non riuscire. E, francamente, ti distrugge. Ti riduce quasi in cenere. Ma, se davvero vuoi continuare a fare questo mestiere, devi essere pronto a rialzarti. E non devi pretendere di farlo da solo, no. Non c’è niente di più sbagliato. Devi accogliere l’altro nella tua vita e permettergli di aiutarti”
“Lei ha permesso a Ian Somerhalder di aiutarla?”
“Mi chiedevo quando ci sarebbe arrivato” feci un sorrisetto sarcastico.
“Beh, doveva aspettarselo”
“Sarò sincera, all’inizio no. Sfortunatamente, è più che normale. Tutti siamo passati da quella fase in cui si pensa solamente al starsene per conto proprio, al voler lasciarsi andare e all’abbandonarsi alla tristezza. Poi, improvvisamente, mi sono guardata allo specchio e mi sono chiesta che diavolo stessi facendo e – ripensai per un attimo alle continue discussioni fino all’incidente – e poi mi ha salvata. Letteralmente” chiusi per un attimo gli occhi, accennando un sorriso amaro.
“Si riferisce all’incidente?”
“Esattamente”
“Momento tosto quello”
“Oh, non sa quanto!” scossi la testa, passandomi una mano tra i capelli.
Pregai con tutto il cuore che non prendesse quell’argomento e mi chiedesse altro.
“Posso farle una domanda un po’ personale?”
“Dipende. Sentiamo” mi agitai un po’ sul letto, accavallando le gambe.
“Come vi siete conosciuti?”
“Ehmm – feci una risatina nervosa, comunque sollevata – ha presente la scena tra Damon e Jessica nel dodicesimo episodio della seconda stagione? Identico modo, solo che io non sono finita stesa sull’asfalto con la carotide a pezzi”
“Spiritosa – il giornalista rise – cos’ha pensato di lui, non appena l’ha visto?”
“Cosa dovevo pensare? Ero troppo impegnata a sbavare – risi – Ok, no, questo non dovevo dirlo – mi diedi uno schiaffo sulla fronte – A parte gli scherzi, sono rimasta imbambolata per qualche secondo. Nella mia testa pensavo: ‘Oddio, oddio, è davvero lui?’, mentre sicuramente all’esterno avevo una faccia da ebete. Poi mi sono ripresa e l’ho aiutato ad alzarsi”
“Aspetta, quindi era seria sulla dinamica della scena?”
“Io non mento mai”
“Ma che ci faceva Somerhalder sdraiato per strada?”
“Lo chieda a lui?”
“Giusto. E’ stato amore a prima vista?”
“Ma lei è proprio curioso, lo sa?” controbattei sarcastica.
“Andiamo, è una domanda innocente!”
“Innocentissima! – sospirai – Per quanto fosse così bello e perfetto da disarmarmi, no, non è stato amore a prima vista. Inizialmente lo vedevo come l’amichetto figo e popolare, che è presente in tutte le comitive! Con la sola differenza che lui non era un semplice amichetto figo e popolare, ma un attore famoso pluripremiato”
“Allora quando ha capito di essere innamorata di lui?”
“Ho la strana impressione che, se non rispondo, mi porrà tante altre domande, forse peggiori di questa. Sbaglio?”
“Non sbaglia. Proceda” il giornalista era davvero divertito e gli occhi gli brillavano per le informazioni che stavo dando.
Sperai con tutto il cuore che Ian e Barbara non mi uccidessero, poi risposi: “Natale duemiladodici. Quel giorno, Ian mi portò a LA a mia insaputa mentre dormivo, solo per farmi vedere un paesaggio familiare. Quel Natale, infatti, non ero potuta tornare in Sicilia e questo mi aveva rattristato parecchio. E lui mi portò in una spiaggia, molto simile a quelle della mia terra, per farmi sentire a casa. E’ stato molto dolce da parte sua ed è stato un gesto che non mi è rimasto indifferente” sorrisi, ripensando a quel giorno.
“Com’è stare con qualcuno che conoscono tutti?”
“E’ strano. Insomma, non accade tutti i giorni che qualcuno di così importante ti sconvolga la vita. Perché è questo che ha fatto. E, improvvisamente, ti rendi conto di essere dentro un vortice, completamente dentro. E non c’è sensazione più bella. E, ok, magari è un po’ inquietante rientrare dopo una cenetta fuori e trovare foto della cenetta in questione su internet, però, ti dirò, avere a che fare con i fans è bellissimo. Magari in giro non si sa, ma io sono una vera e propria telefilm addicted. Seguo tante serie tv, seguo gli attori nei social network, insomma sono una nerd – risi – perciò essere a contatto con altre persone simili a me, anche se più piccole, è straordinario. E poi li capisco. Incontrare i propri beniamini è esilarante”
“A Ian piace questo suo lato?”
“Ovviamente. Gli ho fatto cominciare tanti telefilm. In primis, Grey’s Anatomy. Insomma, non puoi intraprendere una relazione con me, senza aver visto il mio telefilm preferito”.
Il giornalista scoppiò a ridere. Stava per pormi un’altra domanda, quando Alex spalancò la porta della stanza, tutto di fretta.
“Mary, eccoti qui! Andiamo, su”
“Dove?” mi alzai, tentennante.
“Mi servi nella zona delle ingessature”
“Come mai? Tutto ok?”
“Vieni e basta” mi prese per un braccio.
“D’accordo, non agitarti” mi feci trascinare.
I giornalisti, nel mentre, continuarono a riprendere, sperando forse che ci fosse qualcosa di piccante sotto.
Non appena giungemmo in quella stanza, notai che sul lettino vi era la piccola che Margaret aveva investito.
“Penny ha paura che l’ingessatura della gamba le faccia male, perciò le ho promesso che una mia cara amica le avrebbe cantato la sua canzone preferita di ‘Frozen’. Ci stai, vero?”.
Mi chinai sulla piccola, che, per la paura, aveva serrato gli occhi.
“Penny, tesoro” la chiamai dolcemente.
“Ho paura” piagnucolò.
“Non averne. Andrà tutto bene! – le carezzai la fronte – Qual è la tua canzone preferita, tesoro?”
“La canzone dell’estate” mi rispose, con voce debole.
Mi schiarii la voce, poi, sperando di imitare il più possibile il divertentissimo pupazzo di neve, cominciai a cantare: “Bees'll buzz, kids'll blow dandelion fuzz
And I'll be doing whatever snow does in summer.
A drink in my hand, my snow up against the burning sand
Prob'ly getting gorgeously tanned in summer.
I'll finally see a summer breeze, blow away a winter storm.
And find out what happens to solid water when it gets warm!
And I can't wait to see, what my buddies all think of me.
Just imagine how much cooler I'll be in summer.
Dah dah, da doo, uh bah bah bah bah bah boo
The hot and the cold are both so intense,
Put 'em together it just makes sense!
Rrr Raht da daht dah dah dah dah dah dah dah dah doo
Winter's a good time to stay in and cuddle,
But put me in summer and I'll be a, happy snowman!
When life gets rough, I like to hold on to my dream,
Of relaxing in the summer sun, just lettin' off steam.
Oh the sky would be blue, and you guys will be there too
When I finally do what frozen things do in summer.
In summer!”.
Mentre cantavo, avevo subito notato il rilassamento quasi immediato della piccola. Aveva aperto pian piano gli occhi, canticchiando insieme a me, non curandosi di Alex, intento a ingessarle la gamba.
“Allora, sentito niente?” le sfiorai il naso con l’indice, facendole cenno col capo di guardare giù.
La piccola si sporse, notando il gesso rosa.
“No” ammise.
“Visto?” le diedi un bacio sulla fronte.
“Grazie” mi disse Alex riconoscente.
“Di niente – sorrisi – Con permesso” pizzicai la guancia a Penny, dopodiché uscii dalla stanza e tornai dai giornalisti.
“Complimenti, ha proprio una bella voce” disse l’intervistatore, sorridendo.
“Grazie” ricambiai il sorriso, visibilmente imbarazzata.
“Non pensavo che una persona vicina ai trent’anni potesse essere appassionata dei cartoni Disney”
“Scherza?! Io li adoro. Che posso dire, ho un animo da eterna bambina! E, onestamente, non me ne vergogno. Credo fermamente che serva un lato del genere in una persona. Per quanto riguarda me, credo che se non avessi il mio compagno”
“Può chiamarlo con il suo nome, lo sa?”
“Ok – scoppiai a ridere – Se non avessi Ian, i nostri animali, i miei e nostri amici, le mie serie tv e cartoni, i bei libri, il canto e chi ne ha più ne metta, impazzirei. Essere un medico, avere la vita degli altri nelle proprie mani non è una passeggiata. Spesso e volentieri, ci sono decisioni da prendere così difficili, che è impossibile non portarti quel senso di stravolgimento a casa. E, dato che non puoi parlare per la privacy, ti senti quasi soffocare. Quindi, perché restare in queste condizioni pietose, quando puoi rifocillarti con una bella serata di pizza, coccole e film? Ovviamente non dovete prendere le mie parole come un ‘Ah, ma allora sfrutti tutte queste cose per distrarti’. Semplicemente lascio tutto ciò che riguarda il lavoro all’interno di queste quattro mura e vivo la mia vita al di fuori, cercando di non farmi condizionare dalla giornata appena trascorsa. In fin dei conti è quello che fanno tutti. Ed è meglio così. Perché tornare a casa con quel senso di impotenza e inutilità non giova né a te stesso né a chi ti sta intorno. Non serve a riportare in vita il paziente che hai perso. Non serve a farlo migliorare”
“Beh, ha ragione! Sa, dottoressa, devo proprio dirglielo: mi piace come risponde alle domande. Sembra così a suo agio, parla come se stesse chiacchierando con una persona amica e le stesse dando consigli. E la cosa che lascia senza parole è che non lo fa per mettersi in mostra, tutt’altro!”.
Sentii le guance avvampare. Non sapendo come reagire, risi.
“Credo che sia semplicemente il mio modo di essere. Anche se tutti mi definiscono incredibilmente logorroica. Il che è vero, ma dettagli”
“Secondo lei essere logorroica è un difetto?”
“Sì – continuai a ridere – ma non è il solo. Sono un po’ ipocondriaca, il che è il colmo per un medico; sono un po’ paranoica; piango facilmente con parecchie cose”
“Per ‘Frozen’ ha pianto?”
“Anna si sacrifica per Elsa ed Elsa la abbraccia e – feci il labbruccio, ricordando quel momento toccante – Comunque, tornando seri, quello che volevo dire è semplicemente che nessuno è perfetto. Ognuno ha i suoi difetti, ma non per questo si vuole loro meno bene. Non per questo si devono giudicare. Per esempio, io detesto da morire il fatto che Ian fumi. Soprattutto se, dopo, deve venirmi accanto, pieno della puzza di sigaretta, per baciarmi. A me da’ fastidio, non sopporto l’odore, tossisco – feci una smorfia – quindi non lo deve fare! Ma, nonostante il fumo non sia una fonte di salute, non per questo gli vieto di farlo. O lo amo di meno, perché lo fa. Assolutamente” non appena finii di parlare, mi resi conto di aver detto fin troppo.
Mi morsi il labbro inferiore, grattandomi il campo e pensando a tutti i modi in cui Ian e Barbara avrebbero uccidermi.
Improvvisamente, alle mie spalle, avvertii una presenza. Mi voltai e notai Rose e Alex che tentavano di fare delle facce innocenti.
“Che state combinando?” inarcai un sopracciglio.
“Niente, volevamo farti spaventare, prima di portarti con noi” spiegò Alex.
“Con voi dove?”
“Emergenza” Rose irruppe in quella discussione con voce secca.
“Che emergenza? Il mio cercapersone non ha suonato”
“Sarà rotto, che posso dirti? Vieni con noi e basta”.
Camminammo velocemente fino agli ascensori. Non appena quest’ultimo cominciò a scendere, i miei colleghi mi bendarono.
“Ehi, che state facendo? Ragazzi, non scherzate, sapete che ho paura del buio. E una benda non aiuta. Vi prego” li implorai, andando subito nel panico.
“Com’è che, quando ti ha bendato Ian due anni fa, non hai battuto ciglio?”
“Ma che c’entra, lui mi ha mostrato la benda, ero psicologicamente preparata. Voi mi avete attaccata” feci una linguaccia, chissà dove.
“Ian ti ha bendata?” Alex parlò maliziosamente.
“Beh, non pensare male, cinquanta sfumature di Walker! – esclamai – Era il mio compleanno e lui e Nina mi bendarono per portarmi sul set”
“Se lo dici tu” sghignazzò.
“Se potessi, ti darei un cazzotto. Credimi”
“Certo” mi canzonò.
Grugnii, mentre le porte dell’ascensore si spalancavano, dopo il segnale acustico.
Non riuscivo a capire dove mi stessero portando. Sinistra, destra, di nuovo sinistra.
“Ma stiamo uscendo dall’ospedale, per caso?” domandai, incerta.
“Mary, tu e l’orientamento siete proprio su due pianeti diversi” Rose scoppiò a ridere, seguita da Alex.
“Ehi, non insultatemi! – brontolai – Vi ricordo che voi riuscite a vedere, io no”
“Non ancora per molto, cara”.
In breve tempo, riacquistai la vista.
Subito tante persone cominciarono a cantarmi la canzoncina del compleanno.
“Oddio! Non posso crederci” imbarazzata, ma con un sorriso a trentadue denti, mi avvicinai a tutti i miei amati colleghi.
Eravamo nella sala delle infermiere. Vi era un tavolo imbandito e le tende colorate del reparto di pediatria.
“Sarebbero i festoni?” li indicai, ridendo.
“Accontentati, sorella” Rose mi diede una spintarella.
Ero davvero senza parole. Ovviamente in senso positivo.
C’erano tutti gli specializzandi del mio anno, i miei, il mio mentore, il Capo, tantissime infermiere. Erano tutti lì per me.
Il dottor Richardson si avvicinò con la torta, a forma di stetoscopio.
“Floridia, le candeline”
“Io credo siate tutti impazziti. Qui curiamo le persone solitamente”
“Qualche volta è necessario vivere le cose come le persone normali. E poi – guardò con la coda dell’occhio Rose – non si può di certo dire no a Davis. Specie per qualcosa che riguarda te. Ne hai passate tante, Floridia. Te lo meriti”
“Capo” mi morsi il labbro superiore, visibilmente commossa.
“E poi, non appena finito, toccherà a te pulire, quindi tutto risolto” Rose mi prese per le spalle, parlando ad alta voce.
“Simpatica – le feci una linguaccia – Allora, ora soffio. Uno, due, tre”.
Spensi le candeline, mentre tutti quanti applaudivano.
Dopo aver mangiato quella bellissima torta, ci demmo una mano a vicenda per rimettere tutto a posto.
Tornando nuovamente alle nostre occupazioni, mi fermai un attimo a pensare a quanto fossi fortunata. Certo, mancavano Ian, la mia famiglia e le mie migliori amiche, ma ero circondata da persone che mi amavano. E che io amavo. Facevano parte di quella strana seconda vita, che avevo sempre sognato e che avevo finalmente intrapreso cinque anni e mezzo prima.
Nonostante non fosse tutto rose, fiori, arcobaleni e unicorni, nonostante ci fossero costantemente problemi, in quell’esatto momento ero felice.
 
“Ciao a tutti, siamo qui oggi riuniti in questa saletta buia e contenente un televisore per guardare una serie televisiva chiamata ‘The Vampire Diaries’. Dopo la puntata, ci sarà il Paleyfest, quindi, per stasera, niente ‘Grey’s Anatomy’”
“Ma tanto vediamo la puntata domani” Rose fece spallucce, entrando nella visuale della videocamera.
“La puntata sta per iniziare e la videocamera verrà messa vicino al televisore, così si sente l’audio” spiegai, come se fosse una delle cose più complicate del mondo.
“E così verremo ripresi tutti. Steve è rimasto fuori” la Davis si voltò a guardare suo marito triste.
“Com’è che tenete così tanto a mostrare la vostra idiozia da Delena, mentre guardate una serie tv?”
“Ma lo senti come parla?” lo indicai, guardando Rose.
“Lo so, viene voglia di chiedere la separazione, quando fa così – la dottoressa scosse la testa, mestamente; poi aggiunse – Ovviamente stiamo scherzando, non prendeteci sul serio. Buona visione di TVD”.
Sistemai la videocamera vicino al televisore.
“E della loro follia da fan girl” Steve scosse la testa, facendo una linguaccia.
Durante la puntata e la pubblicità, io e Rose avevamo passato minuti a urlare contro Elena, perché, nonostante si fosse dichiarata a Damon, si ostinava a stare con Stefan.
“La puntata sta per concludersi e credo che non finirà bene. Perlomeno non per noi” disse Rose amareggiata.
“No, sono certa che Elena dirà tutto a Stefan. O almeno la parte che gli ha nascosto, cioè la dichiarazione”
“Nei tuoi sogni, forse! Cara Mary, Elena non lo farà mai per paura che Stefan possa soffrire”
“Hai ragione, dannazione. Che odio, la Gilbert! Cioè, la adoro, però”
“Ragazze, sta ricominciando” ci disse Steve.
Io e Rose ci ricomponemmo. La puntata riprese. Elena uscì dal suo bagno e trovò Damon seduto sul suo letto, come sempre.
“Damon” sussurrò Elena sorpresa.
“Non gliel’hai ancora detto, eh?” lui la guardò amareggiato.
“Ecco, guarda, la faccia di Damon esprime tutto quello che penso” parlò Rose, indicandolo.
“Io non… Damon, sono riuscita a dirgli solo che ti ho baciato. Io vorrei dirgli tutto, ma non ci riesco”
“Capisco, naturalmente” rispose con velato sarcasmo, poi si alzò.
“Damon, non ti arrabbiare, ti prometto che lo farò. Mi serve solo un po’ più di tempo! Io e Stefan stiamo insieme da due anni e mezzo e, per quanto sia innamorata di te, non posso lasciarlo così”
“Elena, mi dispiace, ma non sono disposto ad aspettare oltre. Io ti amo e tu mi ricambi e non ce la faccio più. E’ crudele da parte tua mentire a tutti quanti così spudoratamente, specialmente a lui”
“Damon, cosa stai cercando di dirmi?”
“Mary, cosa sta cercando di dirle?”
“Io ho un brutto presentimento”
“Cioè?”
“Ora la soggioga”
“No, dai”
“Ora lo fa”.
Dopo qualche attimo di assoluto silenzio, Damon la guardò profondamente con i suoi occhi color ghiaccio e fece un bel respiro.
“Sto dicendo che… Elena, lascio la città stasera”
“Eccolo che parte, c’è bisogno di prendere decisioni così avventate?” Rose si diede uno schiaffo sulla fronte.
“Cosa? No, non puoi lasciarmi, non te lo permetterò” Elena rispose determinata.
“Me lo permetterai, invece – il Salvatore la baciò, mentre le toglieva la nuova collana, piena zeppa di verbena, che Stefan le aveva regalato; dopo aggiunse – Non ricorderai niente di questa discussione. Io non sono mai passato da qui stasera. Ti amo, Elena”.
Le diede un altro bacio sulle labbra.
Finito il soggiogamento, Damon sparì.
“Che ti avevo detto?” dissi con voce distrutta, battendo la testa lievemente sul tavolo ripetutamente.
“Sei una veggente, ti odio” mi rispose, triste anche lei per la scena Delena.
Elena chiuse la finestra. Stava per mettersi a letto, quando cadde.
Quando si rialzò, si guardò intorno confusa.
“Che ci faccio nella stanza di Elena?”.
Si guardò allo specchio e, scioccata, sussurrò: “Oh mio Dio. Sono nel corpo di Elena”.
Nello stesso momento, nella stanza di Caroline, quest’ultima si guardò allo specchio allibita.
“Ma che diavolo? Sono nel corpo di Caroline” sussurrò con tono sorpreso.
La scritta ‘The Vampire Diaries’ apparve, ponendo fine alla puntata.
Dopo aver visto il promo delle puntate seguenti, in attesa del Paley Fest, io e Rose cominciammo a commentare animatamente, mentre Steve si faceva due risate.
“No, basta, io non posso farcela. Ma stiamo scherzando?!” disse Rose, gesticolando.
“La prossima volta che vado agli studios, mi presento con una mazza da baseball, deciso. Non si fanno queste cose!” finsi di piangere, mentre la Davis mi consolava.
Steve prese a fischiettare, sogghignando.
“Ora lo uccido. Dammi il permesso, ti prego” Rose mi guardò implorante.
“A me lo chiedi? – scoppiai a ridere – E’ tuo marito, mica il mio”.
Steve e Rose mi seguirono a ruota.
“Ragazzi, siamo da ricovero” scossi la testa, divertita
“Voi lo siete. Io me ne tiro tranquillamente fuori”
“Ti ricordo che, quando hai conosciuto Paul, hai urlato come una ragazzina. ‘Paul, oddio, sono un fan sfegatato di Stefan’” Rose lo imitò, facendo delle facce buffe.
“Sfegatato” ripresi a ridere, immaginandomi la scena.
“Ridete, ridete” Crane si mise a braccia conserte, facendo il labbruccio.
“Ma no, amore, in fondo ti amo” Rose gli parlò con voce affettuosa.
“Davvero?” Steve alzò lo sguardo, rincuorato.
“Ma certo –  lo accarezzò – solo che amo più Damon Salvatore”
“Ecco lo sapevo” tornò a fingersi triste, mentre io e Rose ridevamo fino a lacrimare.
Dopo un po’, riuscimmo stranamente a calmarci e cominciammo a guardare il Paley Fest, sperando che Julie spiegasse tutto.
La rabbia e lo shock per la puntata svanirono presto, lasciando il posto alle risate. Non riuscivamo a smettere, l’intero cast insieme era davvero una bomba.
Mi aspettavo che la giornalista chiudesse la prima parte, mandando la pubblicità; invece, preso l’argomento delle coppie, pose a Ian una domanda.
“A proposito di coppie, Ian, la tua compagna è qui a Los Angeles con te?”.
Aumentai il volume del televisore e ascoltai attentamente quella e tutte le risposte a seguire.
Il mio cuore sembrava scoppiare, batteva troppo forte, non ce la faceva a reggere un’emozione del genere; e nemmeno il mio volto, che era diventato più rosso di un pomodoro.
“Oh mio Dio, ti ha fatto gli auguri in diretta, ti ha fatto gli auguri in diretta!” urlò Rose contenta, ma non la sentivo.
Ero imbambolata per le sue parole. Non mi sarei mai aspettata un discorso del genere in televisione, davanti all’intervistatrice e ai fans e mi aveva davvero commossa. Per la prima volta aveva parlato apertamente, ignorando il fatto che non fosse solo e soprattutto che fosse davanti a una telecamera, come se in quell’esatto istante ci fossimo stati solo noi due, vicini, anche se lontani.
“Almeno non mi ucciderà per aver detto qualcosa di noi ai giornalisti di qua” fu tutto ciò che riuscii a dire ai miei colleghi, ancora preda della commozione per quel momento.
La giornalista mandò la pubblicità e, dopo, cominciò la seconda parte, quella delle domande al cast.
Inizialmente, molti fans posero domande a Julie, Nina e al resto del cast, escludendo Ian. Dopo che furono saturi di risposte, cominciarono a rivolgersi a lui, tuttavia non per sapere del maggiore dei Salvatore.
“Ian, come hai conosciuto la tua attuale ragazza?” chiese timidamente una ragazzina.
“Oh, non mi aspettavo questa domanda! – rise imbarazzato – Anche se, probabilmente, dopo quello che ho detto, avrei dovuto. Beh, diciamo che io e Mary ci siamo conosciuti sul set di TVD. Non che stessi recitando, ma ero sdraiato in mezzo alla strada. Molto Damon da parte mia – rise nuovamente – Lei stava guidando, ha frenato ed è scesa dall’auto. E ci siamo visti”.
Un’altra ragazza prese il microfono e chiese curiosa: “E cos’hai pensato la prima volta che l’hai vista?”
“E’ difficile ricordare, perché quella sera ero ubriaco. Ancora più Damon, eh? – accennò un sorriso – Ok, forse questo non dovevo ammetterlo – fece una smorfia, in disappunto con se stesso – Comunque, la prima cosa che ho pensato di lei da sobrio è stato che doveva essere un angelo, perché non mi aveva investito e mi aveva aiutato, restando accanto a me tutta la notte. Non dovevo essere un bello spettacolo quella volta” concluse con una risatina.
Un’altra persona chiese di porgli una domanda.
Appena ebbe il microfono in mano, disse: “E’ stato amore a prima vista?”
“Accidenti, ragazze, a qualcuno non interessa Damon stasera? – disse scherzosamente, poi bevve un sorso d’acqua e rispose – No, inizialmente eravamo solo amici. Ma, amore a prima vista o no, le riconoscevo già delle doti straordinarie, come ad esempio la sua allegria contagiosa o la sua passione per la medicina e per gli altri. O i suoi capelli. Anche da amico ero innamorato dei suoi capelli. Insomma, li avete visti? Sono praticamente delle molle naturali, fantastici!” terminò estasiato, facendo il gesto di una molla.
Un ragazzo prese la parola: “Quando hai capito di esserti innamorato di lei?”
“Dieci Aprile duemilatredici. Non potrò mai dimenticare questa data. Ero a Mosca per una con e l’ultima sera gli organizzatori avevano ricreato il ballo originals della quattordicesima puntata della terza stagione. Noi attori dovevamo ballare con dei fans che venivano sorteggiati. Destino volle che la mia dama si chiamasse Mary. Quella cosa mi turbò parecchio e, insieme alla canzone di Ed Sheeran, mi fece riflettere e… e mi fece sentire con chiarezza i miei sentimenti”.
Una ragazzina in prima fila chiese il microfono per parlare.
“Ian, posso porti due domande?”
“Sono su Damon?” chiese.
“No” ammise imbarazzata.
“Poni pure” sospirò, continuando comunque a sorridere.
“Quando vi siete messi insieme?”
“Oh, forse proprio questo non dovrei dirlo” scosse la testa.
Tra il pubblico si elevò un boato, per incitarlo a rispondere.
“Va bene, va bene, state calmi – gesticolò, poi si grattò il capo e disse – Tredici Maggio duemilatredici. Quella sera, Mary si presentò a casa mia, completamente bagnata per colpa della pioggia. Con molto coraggio si dichiarò. Dopo le dissi che la ricambiavo. E’ stato un momento davvero romantico! E non posso dirvi nient’altro – sorrise imbarazzato – Qual è la seconda domanda?”
“Vivete insieme?”
“Ehm, non proprio. Ufficialmente ognuno vive in casa sua ma, beh, diciamo che ci veniamo a trovare spesso. Per così dire”
“Grazie per aver risposto” la ragazzina sorrise imbarazzata e si sedette.
“Ok, adesso voglio domande esclusivamente su Damon. Mi dispiace che sia rimasto in disparte” Ian sorrise.
Tutte le domande successive furono sul bel Salvatore.
Ero rimasta nuovamente sorpresa da quelle domande e da quelle risposte.
Pensando che prima la maggior parte dei suoi fans mi odiava perché venivo nel ‘post-Nian’, tutte quelle considerazioni per me erano state una gran bella soddisfazione.
Ci volle un bel po’, prima che Rose mi riportasse con i piedi per terra.
 
Dopo essermi cambiata, visitai qualche paziente e firmai le ultime cartelle, poi andai in sala conferenze, per concludere la giornata dal mio punto di vista.
Jim mi invitò ad accomodarmi di fronte a lui.
“I miei collaboratori l’hanno trattata bene?”
“Certo, Jim, tranquillo” lo rassicurai.
“Bene. Cominciamo”.
L’assistente accese la luce.
“Allora, dottoressa Floridia, eccoci alla fine di questo giorno. Cosa vorrebbe dirci, prima di tornare a casa?”
“Sarò sincera, come sempre: non mi sarei mai aspettata di vivere un giorno del genere. Credevo sarebbe stato orribile e imbarazzante mostrare a tutti una mia ‘giornata tipo’”
“Anche se oggi non è stato proprio così, giusto? Visto il suo compleanno”
“Già” sorrisi, diventando lievemente rossa.
“Invece com’è stato?”
“E’ stato sopportabile. Meno orribile del previsto – ammisi – ma non prendeteci l’abitudine” sorrisi nuovamente, nascondendo una velata minaccia.
Jim scoppiò a ridere e rispose: “Naturalmente. Allora, dottoressa Floridia, grazie per averci mostrato il suo punto di vista”
“Prego! Spero di avervi fatto compagnia. Ci vediamo in giro” mi alzai.
“Come concluderà il suo compleanno?”
“Suppongo, guardando ‘Grey’s Anatomy’ con gli animali. Tutti insieme, accoccolati sul diavano”
“Idilliaco”
“Molto – risi – A domani, Jim” sorrisi un’ultima volta, poi uscii da quella sala e, finalmente, mi diressi verso casa, stanca, ma comunque felice per quella meravigliosa giornata.
Quando scesi dall’auto, però, mi bloccai.
Il portone era completamente spalancato e di certo non avevo potuto spalancarlo io.
Ian era a LA, perciò chi altri poteva essere stato?
Timorosa, entrai lentamente in casa e presi un ombrello dall’ingresso, poi cominciai ad andare di stanza in stanza, facendo attenzione a non fare rumore. All’improvviso, sentii qualcuno alle mie spalle e mi voltai, pronta all’attacco.
“Ehi, ehi, sono io, sono io!” disse Ian velocemente.
“Dio, Ian, sei impazzito?!  Mi hai fatto prendere un colpo” abbassai l’ombrello.
“Ma che volevi fare?”
“La porta era aperta, mi sono spaventata a morte, credevo fosse entrato qualcuno”
“E volevi colpirlo con un ombrello?!” mi guardò stranito, inarcando un sopracciglio.
“Non prendermi in giro, è stata la prima quasi arma che ho visto”
“Quasi arma” ripeté e scoppiò a ridere.
Dopo essersi calmato, guardò l’orario e continuò: “Se non sbaglio, è ancora il tuo compleanno… perlomeno, ancora per sette minuti” accese lo stereo e mi abbracciò.
“Ma come hai fatto ad essere qui in tempo? Solo due ore fa eri in diretta al Paley Fest”
“Mi hai visto?”.
Annuii.
“Ne sono contento – sorrise e aggiunse – Non sai che sono un uomo dalle mille risorse?”
“No, ma lo terrò a mente, promesso” risposi divertita.
“Brava ragazza” mi sussurrò dolcemente, mentre cominciavamo a ballare un lento.
“Hai passato una bella giornata?” mi chiese, dopo un po’ di silenzio.
“Sì. Se guarderai il documentario, potrai vedere tu stesso” parlai contro il suo petto, completamente rilassata.
“Devo aspettarmi sorprese?” potei percepire il suo sopracciglio inarcarsi.
“Niente che tu non abbia già detto a mezzo mondo oggi. Siamo stati telepatici senza saperlo” lo guardai, facendo una risatina.
Mi fece fare una giravolta, per poi far aderire la mia schiena al suo petto.
“Sai, ci sono le prove della mia reazione ai tuoi auguri in diretta e a tutte le risposte ai fans in una videocamera. E’ tutto molto esilarante. Non so se lo manderanno in onda ma, ti dirò, non mi importa. Sono felice. Non sono stati commenti da ‘minaccia di morte’, quindi non ho fatto brutte figure da ‘Perché tutti mi odiano?’ – finsi di piangere – E’ stato tutto molto più da ‘Oh mio Dio, qualcuno mi ama!’”
“Te l’avevo detto che avrebbero imparato a farlo, non dovevi sorprendertene” sussurrò, scoprendomi una spalla e baciandola.
“Ian, la canzone non è finita” presi un respiro profondo.
“Lo so, ma – la baciò nuovamente, mentre con delicatezza mi toccava i fianchi – direi che è meglio concludere questo meraviglioso compleanno con qualcosa di altrettanto meraviglioso. E dinamico”.
Scoppiai a ridere.
“Sei un po’ superbo”
“No, ammetto solo le mie egregie qualità – mi fece nuovamente fare una giravolta, per poi baciarmi – Buon compleanno, amore mio”.
 
POV Ian
“S-sto bene, tranquilla” dissi a Mary tra violenti colpi di tosse.
“Prendi questo, su, ti allevierà il dolore” mi rispose apprensiva e mi porse un cucchiaio.
Quella sostanza emetteva un odore riprovevole, arricciai il naso.
“No, scordatelo, non prenderò questa robaccia!” ribattei disgustato.
“Invece sì, devi” continuò lei decisa.
“Dai, mi fa schifo, ti prego!” la supplicai.
“No, prendilo e basta”
“Antipatica” mandai giù lo sciroppo con il naso tappato.
Mary continuò a parlarmi con tono preoccupato: “Forse è meglio se domani resti a riposo in hotel”
“Non se ne parla! Mary, è il primo giorno del ‘Let’s get dirty’ di quest’anno, non posso starmene in camera a girarmi i pollici. Dai, tranquilla, sai che a Marzo comincia la mia stagione delle allergie”
“Sì, però la settimana scorsa hai avuto la febbre alta”
“La febbre a 38 gradi non è tanto alta. Lo so io e lo sai pure tu. Anzi, lo sai più tu. E poi era solo dovuta a uno sbalzo di temperatura, niente di serio”
“Però” cominciò.
“Però niente. Non preoccuparti, d’accordo?” le sorrisi rassicurante e l’abbracciai.
“Come vuoi” si arrese e mi strinse.
 
“Benvenute a tutte le scuole della Florida qui presenti, ma anche a tutte quelle che ci stanno guardando e che sono in spiaggia come noi. Sono Ian Somerhalder e sono davvero felice della vostra adesione a un progetto così importante per me. Questo è il terzo anno per ‘Let’s get dirty’, ma è sempre un’emozione vedere con quanta voglia di fare e con quanta dedizione le persone, sia grandi che piccine, si impegnino per pulire le spiagge del nostro paese in così poco tempo! Certo, è comunque un lavoro che non va fatto solo nel corso di queste manifestazioni, però è un punto di partenza: spero che con questa manifestazione annuale della mia fondazione, si prenda più coscienza del fatto che il nostro pianeta, per continuare a essere definito tale, deve essere salvaguardato e protetto da noi. Ma non voglio dilungarmi troppo, passiamo ai fatti: buon lavoro a noi” sorrisi e tutti applaudirono entusiasti.
Scesi dal palchetto, da cui avevo tenuto il mio discorso, e i giornalisti mi si avvicinarono. Dopo aver risposto a qualche domanda, mi misi a lavoro anch’io.
Era più forte di me, non riuscivo a smettere di sorridere: stare all’aria aperta, sentire i raggi del sole fin dentro la mia pelle, pulire la spiaggia, ridere e scherzare con i bambini, erano cose che bastavano a rendermi felice, specie se Mary le condivideva con me. Lei adorava questi eventi, più dei red carpet, perché in queste situazioni non era solo la mia fidanzata, ma anche una donna volenterosa di contribuire alla salvaguardia dell’ambiente. Era una donna normale, non obbligata a sorridere a dei riflettori o a mettersi in posa.
Mentre raccoglievo delle lattine di tè freddo dalla sabbia, mi soffermai a guardarla. Stava aiutando alcuni bambini, di cinque anni al massimo, a raccogliere degli oggetti taglienti. Li guardava in modo apprensivo, dolce… materno!
Mi bloccai su quella parola. Era l’unica che, da quando c’era stata la gravidanza extra uterina, si era insinuata nella mia mente in maniera molto silenziosa e appariva nei momenti meno aspettati, facendomi pensare a cose e situazioni, a cui prima non avrei mai pensato. Non così presto perlomeno. Non senza prima pensare alla fatidica chiesa e alla fatidica navata.
Chiusi gli occhi e vidi un bambino venirmi incontro. Aveva i capelli corti, castani e ricci, gli occhi azzurri e un sorriso smagliante.
“Papà” disse felice e tese le braccia verso di me.
“Papà” sentii nuovamente e riaprii gli occhi.
Una dei bambini, che prima era con Mary, correva verso di me con le braccia aperte. Solo dopo che mi superò, capii che stava correndo verso l’uomo alle mie spalle. Guardai il sole un po’ confuso, mentre un nuovo e strano sentimento si faceva strada dentro di me. Era come se mi incitasse a costruire qualcosa di solido e di stabile, non di materiale, ma proprio a livello sentimentale. Guardai nuovamente Mary. Quel sentimento non mi incitava alla convivenza, ma al per sempre. Mi incitava a pensare prima alla fatidica chiesa e alla fatidica navata, per poi passare a una famiglia vera e propria.
Mi sorpresi di me stesso. Chi avrebbe mai pensato che un sentimento così forte potesse travolgermi, dopo soli dieci mesi dalla sera, in cui le nostre labbra si erano trovate per la prima volta?
Continuai a pensarci fino all’ora di pranzo, poi non riuscendo più a trattenermi, mi allontanai con una scusa.
Stavo per chiamare Paul, quando, invece, ricevetti una chiamata proprio da lui.
“Wes? Ehi, stavo per chiamarti io” risposi dopo il primo squillo.
“Ehi, ti ho visto in televisione stamattina. Come procede?” disse contento.
In modo palesemente finto.
“Tutto bene – cercai di rispondere con la stessa felicità – Che succede?” tornai serio.
“Devo parlarti di una cosa delicata. Molto delicata”
“Devo preoccuparmi?”
“Ecco – esitò un po’ – Som, io e Torrey siamo al capolinea. Stamattina presto siamo andati dall’avvocato e abbiamo firmato i documenti per il divorzio. E adesso sono in hotel e penso e ripenso a questa cosa e mi sento così strano. E”
“Ehi, amico, rallenta. Avete divorziato? Ma che è successo? Sembrava andasse tutto bene tra voi”
“Purtroppo era una felicità di facciata. Non riuscivamo più a non litigare ogni singolo giorno. La serenità era letteralmente svanita dalla nostra casa. Abbiamo deciso entrambi che era meglio chiuderla. Ma non riesco a capire perché”
“Paul, siete stati sposati per tre anni. E’ normalissimo sentirsi mal”
“No, non sto male. Mi sento…  sollevato. Mi sento come se finalmente avessi preso la decisione giusta. Come se tre anni fa avessi fatto un grande errore a sposarmi”
“Oh” presi un respiro profondo.
Improvvisamente tutte le mie certezze crollarono.
Paul e Torrey erano sempre stati il nostro punto di riferimento da ‘Quando l’amore chiama, si risponde’. Non stavano insieme da nemmeno un anno, quando si erano uniti in matrimonio.
E se questo fosse un segno? Che dovevo prendermi del tempo e riflettere bene, prima di fare un passo così importante?
“Scusa se non ti ho parlato della situazione. Solo che ho provato fino alla fine a far quadrare tutto, ma niente. Al Paleyfest quando quell’intervistatrice ci ha posto quelle domande ci siamo sentiti molto a disagio, perché, per la prima volta, abbiamo mentito. Credo sia stato proprio lì che abbiamo capito che, beh, non poteva continuare oltre”
“Mi spiace, Wes, davvero tanto. Però, se ti senti in questo modo, hai fatto la cosa giusta. Non potevi continuare a portare avanti qualcosa che non ha più ‘basi’, mettiamola così”
“Esatto. Grazie per aver capito”
“Ovviamente, non appena rientro da Miami, vieni a stare da me”
“Som, sei il mio angelo. Sul serio”
“Ma figurati! Non ti permetterei mai di rimanere in un hotel” sorrisi, nonostante Paul non potesse vedermi.
Ci fu un attimo di silenzio. L’istinto di riattaccare fu grande, per evitare domande sul perché volessi chiamar-
“Ian, a proposito, tu perché volevi chiamarmi?”
“Ehm – risposi esitante – niente di che, volevo semplicemente sentirti. Scusami, ma devo scappare. Ti auguro un buon pomeriggio, fratello”
“Ma” non gli lasciai il tempo di controbattere.
Riattaccai.
Raggiunsi Mary, che stava passeggiando in riva al mare.
“Ehi, tutto bene?” mi domandò.
“Certamente” accennai un sorriso e la presi per mano.
La strinsi forte, mentre il mio cuore si incupiva sempre di più.














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Note dell'autrice:
E dopo quasi 5 mesi eccoci qua! Innanzi tutto volevo seriamente scusarmi per l'infinita attesa, che manco un telefilm durante la pausa estiva. Non è stato facile non scrivere in questi mesi, ma spero davvero di aver soddisfatto le aspettative. Altrimenti, via agli insulti gratuiti, me li merito dopo questo lungo intervallo.
Non ho molto da dire, se non sulla parte finale del capitolo: Ian che sente di voler costruire qualcosa con Mary, ma ecco i dubbi palesarsi. Secondo voi qual è la cosa giusta da fare? Agire o aspettare? E, sempre secondo voi, cosa farà?
Grazie mille a chi leggerà, a chi metterà la storia tra le seguite/preferite/ricordate e a chi recensirà.
E grazie mille per aver pazientato!
Alla prossima, Mary :*

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Capitolo 11
*** Time has come Today. ***


POV Mary
Camminare in riva al mare era sempre così rilassante e rivelatore. Specie quando il proprio compagno non sputava il rospo su qualsiasi cosa lo affliggesse. Avevo capito immediatamente che qualcosa non andava, quando Ian si era alzato di scatto e si era allontanato con una scusa alquanto banale. “Mi manca il mio Wasilewski” aveva detto, prima di fuggire. Non che fosse banale la mancanza, ma da quando lo chiamava in quel modo? Da quando ammetteva la sua mancanza così apertamente? L’affetto c’era, se non di più, era vero. Quei due sembravano gemelli siamesi, talvolta. Non era strano che gli mancasse, quanto più il modo in cui aveva espresso il suo pensiero. Voce tremante, sguardo vagante. Non era stato minimamente credibile. E anche in quel momento. Era lì accanto a me, a stringermi la mano. Era lì a camminare al mio fianco. Era lì, ma allo stesso tempo non lo era.
“Senti, non riesco a fingere che non sia successo qualcosa. Mi vuoi spiegare? E’ da poco fa che sembri così strano” improvvisamente inchiodai, parlando apertamente.
Ian mi guardò sbalordito. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi venne letteralmente trascinato via da alcuni ragazzini, che non vedevano l’ora di raccogliere le erbacce ‘con il grande e grosso vampiro’.
Scossi la testa, mentre lo vedevo allontanarsi sempre di più.
Immediatamente tirai fuori il telefono e mi collegai su Skype, pregando che le mie sorelle per scelta fossero sveglie e collegate. Niente da fare. Composi il numero di Rose.
“Pronto?” rispose lei, dopo il secondo squillo.
“Conferenza stampa” pronunciai le paroline magiche velocemente, quasi con tono allarmante.
Stavano per ‘Emergenza, attiva il viva voce, ho bisogno di voi’. Avevamo inventato questo metodo al primo anno, per evitare sempre mille e mille giri di parole. Era sempre stata qualcosa mia, sua e di Steve, ma negli ultimi mesi avevamo aggiunto anche Alex. Inutile dire quanto ne fosse rimasto entusiasta. Sembrava un bambino, quando c’erano simili cose in mezzo.
“Eccoci qua, a rapporto” parlò Steve.
“Qual è il grande problema? Troppo sole? Troppo mare? Essere una Floridia in Florida è strano?” Alex pose quelle domande con un crescendo di ironia.
“Ti senti spiritoso e molto molto figo al momento, vero?” dissi con tono acido.
“In effetti sì”
“Ragazzi, smettetela. Allora – sbottò Rose – quale sarebbe l’emergenza?”
“Ho paura che Ian mi stia nascondendo qualcosa di grande e importante e non so come accertarmene”
“Che è successo?”
“Stamattina sembrava sereno, poi a pranzo ha iniziato a essere molto evasivo, distante. Sta nascondendo qualcosa di grosso, me lo sento”
“Cosa intendi con ‘qualcosa di grosso’? Tipo un tradimento?” domandò Steve innocentemente.
“Tradimen-” Rose borbottò.
Subito dopo si sentì un botto.
“Ahi!” Steve protestò.
“Sei un idiota – Rose lo rimproverò, alterata – Potrebbe essere la qualunque, perché innescarle il dubbio del tradimento?”
“La qualunque come per esempio?”
“Un anello di fidanzamento?” propose Alex dal nulla.
“Che?” rispondemmo tutti e tre in coro, colti completamente alla sprovvista.
“Pensateci. La ama così tanto, che si è beccato una macchina contro il proprio corpo; è stato molto male per la storia della gravidanza extra uterina, quindi vuole dei figli con lei. Magari oggi l’ha vista circondata di bambini, dolce e materna e ha pensato all’anello. Al matrimonio. Al voler costruire una vita concreta con lei, insomma. Cioè, non mi sembra molto fuori dal mondo. Non credi anche tu, Mary?”
“I-io non so cosa pensare” mormorai, mentre il mio cuore rallentava i suoi battiti.
Che stessi per morire?
“Intanto respira, perché sono supposizioni. Ma potrebbe essere. Insomma, ha più senso del ‘mi butto sotto una macchina per te, ma poi faccio sesso con altre donne’, non ti pare?”.
Aprì la bocca per parlare, quando qualcosa mi toccò la coscia destra.
Mi voltai di scatto, ritrovandomi di fronte non un ‘qualcosa’, bensì un ‘qualcuno’.
Per la precisione, una bambina bionda con le trecce, massimo di sei anni.
“Ragazzi, devo andare, scusate – riattaccai, poi mi piegai sulle ginocchia, arrivando alla sua altezza – Ehi, piccolina, ti sei fatta male?” le chiesi.
“E’ a terra e si muove in modo strano” mi rispose, indicando una zona non molto lontana della spiaggia.
“Chi, tesoro?”
“Quell’uomo vampiro”.
Mi sentii il mondo crollare addosso.
Entrai indaffarata nella tenda della guardia medica, afferrai una borsa di primo soccorso, poi corsi con la bambina dal ‘vampiro’.
“Ian! – urlai disperata e corsi verso di lui – Ehi, parlami” gli diedi qualche buffetto sulla guancia gonfia.
Lui mi prese la mano debole e mi guardò.
Non riusciva a respirare bene.
“Andrà tutto bene, promesso” gli sorrisi, cercando di essere rassicurante, e gli strinsi la mano.
Aprii velocemente la borsa e la tasca interna, prendendo una piccola siringa con l’etichetta gialla.
Tolsi i jeans a Ian, esponendo la parte antero-laterale della coscia destra.
“Che cos’ha?” chiese la bambina spaventata.
“Non preoccuparti, tesoro – iniettai il farmaco – questa è una medicina. Si chiama adrenalina. Lo farà stare meglio, credimi” conclusi la frase, guardandola.
La bambina mi sorrise, più tranquilla. Controllai che la pressione e i respiri tornassero regolari, poi mi feci aiutare da un maestro per portare Ian in auto.
 
POV Ian
Riaprii gli occhi lentamente, mentre il tramonto cominciava a sovrastare il panorama della Florida.
“Che è successo?” chiesi un po’ confuso, con la voce ancora impastata dal sonno.
“Siamo in hotel, dovevi riposare” rispose Mary, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Accennò un sorriso, seppur preoccupato, deviando poi il suo sguardo verso la finestra.
“Ma la giornata non era finita” dissi, mentre cercavo di mettermi a sedere.
“Ma per te sì – si avvicinò velocemente e mi aiutò – Mi hai fatto prendere un colpo, mannaggia a te!” sospirò, carezzandomi il volto.
Abbassai lo sguardo.
“Dovevo stare più attento, lo so, ma fortunatamente c’era il mio angelo a proteggermi” tentai di rallegrarla, ponendo la mia mano sopra la sua.
“E se io non ci fossi stata? Se il Capo non mi avesse dato il permesso e tu oggi pomeriggio fossi stato solo? Chi ti avrebbe aiutato dal non morire per shock anafilattico?”
“Me la sarei cavata – risposi con convinzione – e, comunque, cerca di non pensare a ‘cosa sarebbe potuto accadere’, piuttosto al ‘non è successo’. Tu c’eri e l’adrenalina pure e ora eccomi qui”
“Lo so, è solo che – batté le palpebre più volte – lasciamo perdere, hai ragione. E’ tutto a posto” si morse lievemente il labbro inferiore, prima di sdraiarsi accanto a me e far appoggiare il mio capo sul suo petto.
Riuscivo a sentire il suo cuore perfettamente. Batteva come un forsennato, mentre pian piano tentava di tornare al suo ritmo regolare.
Mary continuava ad accarezzarmi, lentamente e delicatamente.
“Adoro quando mi coccoli così” sorrisi e mi strusciai su di lei, come un gatto riconoscente.
“Idiota” mi diede un buffetto, facendo una risatina.
 
“Looking out from underneath,
Fractured moonlight on the sea
Reflections still look the same to me,
As before I went under.
And it's peaceful in the deep,
Cathedral, you cannot breathe,
No need to pray, no need to speak
Now I am under.
And it's breaking over me,
A thousand miles onto the sea bed,
Found the place to rest my head.
Never let me go, never let me go.
Never let me go, never let me go.
And the arms of the ocean are carrying me,
And all this devotion was rushing out of me,
And the crashes are heaven, for…”
Sobbalzai.
Il sole del primo mattino splendeva mollemente e io non mi ero nemmeno reso conto di essermi addormentato.
Ma da quanto tempo suonava il telefono?
“Vai a rispondere, è il tuo” borbottai a Mary, dandole delle deboli spintarelle.
Si alzò lentamente e rispose.
“Dottoressa Floridia, sono il dottor Richardson. Disturbo?” sentii dall’altro capo del telefono.
“No, non si preoccupi, mi dica” rispose la mia partner, tentando di non far sentire la sua voce mattutina.
“Ha un volo per Londra a mezzogiorno, perciò deve tornare ad Atlanta”
“No, si sbaglia, non ho prenotato nessun volo per”
“Il volo è stato prenotato dal dottor Milton. E’ stata richiesta la sua presenza in un’equipe chirurgica del London Memorial”
“I-i-il London Memorial?!” balbettò sorpresa, come se avesse ricevuto una nomination per gli Oscar.
I suoi occhi brillavano di luce propria, le sue labbra si erano increspate in un sorriso, poco prima che la sua mascella si serrasse.
Riuscivo a percepire la sua felicità e riconoscenza, impregnava tutta la stanza, tuttavia non del tutto. C’era qualcosa che la bloccava, che le impediva di saltellare di qua e di là, di aprire la finestra e urlare al mondo della sua grande opportunità.
“Capo, senta, so che è una cosa abbastanza consistente, però…” fece cadere il discorso e mi  guardò con la coda dell’occhio.
La guardai con la bocca aperta. Ero io il motivo? Per via di quello che era successo? Subito mi alzai e le strappai il telefono dalle mani. Non era corretto che rinunciasse a tutto per me.
“Salve, dottor Richardson, la richiamiamo tra poco, d’accordo? – dissi di fretta e riattaccai, poi la guardai – Fai immediatamente le valige, torna ad Atlanta e prendi quel volo. E non accetto un ‘no’ o un ‘Ian, ma’ come risposta”
“Ian, tranquillo, non fa niente”
“Non accetto neanche questa. Mary, devi. Da come ti brillano gli occhi, si capisce che è un’occasione imperdibile e non ti permetterò di buttarla via solo – tossii – solo per una stupida allergia”
“Ian, non posso lasciarti così. Se dovesse succedere di nuovo quello che è succ”
“Non succederà – le presi le mani – Mary, tu mi hai appoggiato sempre, ti sei fatta sommergere dai giornalisti, pur di accompagnarmi agli eventi occasionali del mio mondo, perciò ora parti e goditi qualcosa che riguarda il tuo di mondo. Potresti pentirtene se non lo fai e non voglio che accada. E poi, guardami: il mio volto è tornato normale, i miei polmoni respirano… non c’è niente di cui preoccuparsi”
“D’accordo, d’accordo. Partirò”.
L’abbracciai felice e, mentre lei chiamava il dottor Richardson per confermare, io chiamai l’aeroporto di Miami per cercare di prenotare un volo immediato per Atlanta. Sfortunatamente, però, prima di mezzogiorno non c’era nessun volo.
“Merda” sussurrai.
“Che succede?”
“Non ci sono voli per Atlanta”
“Ma il volo per Londra è tra cinque ore circa, non ce la farò ad imbarcarmi, se”
“Forse mi è venuta un’idea” le feci l’occhiolino, carezzandole un braccio, poi andai a fare una chiamata.
 
 POV Mary
Era trascorsa un’ora e mezza, da quando avevo ricevuto quella telefonata. Ora e mezza in cui io e Ian avevamo fatto di tutto per organizzare il mio soggiorno nella capitale inglese. Melania e Luca erano rientrati in Italia per le ferie, perciò stare da loro era stato escluso subito. Fortunatamente per me, Giorgio, Addison e Luke non mi diedero nemmeno il tempo di completare la mia umile richiesta: stavano già sistemando la stanza per permettermi di stare lì.
“Grazie, fratellone, cognatina e nipotino. Sul serio. Se avessi potuto, avrei avvisato prima, ma è stato tutto così improvviso”
“Non preoccuparti, sorella! – Giorgio rispose entusiasta – Il tuo volo durerà circa nove ore e venti minuti, noi avremo tutto il tempo per sistemare con calma e farti trovare tutto pronto all’arrivo. A proposito, verrai direttamente qui o prima passerai in ospedale?”
“Penso di andare prima lì. Giusto per presentarmi, sai. Anche perché credo mi aspettino per introdurmi il caso”
“D’accordo. Ricordi la via da comunicare al tassista?”
“Sì”
“Perfetto. Ci vediamo presto”
“A presto” riattaccai.
Guardai per un attimo spaesata la valigia. Stava succedendo davvero? Sì. Sarei stata all’altezza di uno degli ospedali più rinomati a livello mondiale? Chi poteva dirlo!
Improvvisamente, un forte rombo costante smosse i miei pensieri. Ian prese la mia valigia e mi invitò a seguirlo. Arrivati sul tetto dell’albergo, trovammo un elicottero. Dopo aver dato la valigia a un uomo, Ian tornò al mio fianco, fiero di se stesso.
“H-hai fatto v-venire un elicottero?!” spalancai la bocca.
“Dave mi doveva un favore – mi spiegò – Torna ad Atlanta, vola a Londra e mostra a tutti che medico straordinario sei”
“Ti amo, ti amo, ti amo” lo abbracciai forte.
Lui mi baciò i capelli e sciolse l’abbraccio.
“Anch’io! Ora va’” sorrise e mi diede una pacca sul sedere.
Gli diedi un bacio stampo e salii sul mezzo.
 
Recuperai la valigia e andai verso l’androne principale dell’aeroporto. Lì trovai ad aspettarmi un uomo con un cartello, su cui era scritto il mio cognome.
“Buonasera, sono la dottoressa Floridia” gli porsi la mano.
“Lieta di conoscerla, dottoressa. Il dottor Milton mi ha incaricato di portarla in ospedale. Mi porga il suo bagaglio, per favore, e venga con me” disse, ricambiando la stretta di mano, in un tono gentilissimo, ovviamente.
Cosa ci si poteva aspettare da un Britannico, se non educazione e gentilezza?
Seguii quell’uomo e, ben presto, mi ritrovai in un’auto nera, che sfrecciava per le vie londinesi. Ero stata altre vote a Londra, era vero, ma era sempre affascinante guardarsi intorno e vederne la bellezza. I palazzi, i prati, le strade, la gente che camminava, presa dai suoi impegni. Tutto era meraviglioso e magico. Persino il tempo, spesso e volentieri piovoso!
Giungemmo in ospedale dopo circa quaranta minuti. L’uomo mi aprì la portiera.
“Grazie” dissi, sorridendogli.
“Si figuri” rispose nuovamente con una gentilezza disarmante e con quell’accento meraviglioso.
Ah, gli uomini inglesi! Come si faceva a non amarli perdutamente?
Non appena misi piede in quella meravigliosa struttura, una donna rossa mi venne incontro.
“Ciao, tu devi essere Maria Chiara, io sono Beth, benvenuta al London Memorial. Il capo verrà tra pochi minuti, intanto se mi vuoi porgere la tua valigia – sorrise, tendendo la mano verso il bagaglio – la terremo al sicuro, mentre fai il giro della struttura” squittì.
“Grazie” sorrisi forzatamente, ma gentilmente e gliela porsi, poi mi guardai intorno.
Quell’ospedale era… mozzafiato. Il pavimento e le scale erano in marmo chiaro, che contrastava con i pannelli d’ebano alle pareti; gli ascensori erano di vetro, così come l’alto soffitto dell’ingresso; vi erano piante dappertutto. Mentre guardavo ancora estasiata il soffitto, vidi il capo dell’ospedale avvicinarsi. Era un uomo incredibilmente giovane per essere primario di un intero ospedale, massimo sulla quarantina, alto, con i capelli biondo-castani e gli occhi grigi. Una volta Rose mi aveva detto che Sophie, una sua amica che lavorava qui, aveva ammesso che tutte le donne single dell’ospedale gli correvano dietro. E ci credevo, era un bellissimo uomo!
“Dottoressa Floridia, se non erro” mi sorrise e tese una mano.
Il suo accento inglese era ammaliante. Impeccabile. Bellissimo.
Ero a Londra da meno di un’ora e già ero completamente dipendente da quell'accento, quasi come se stessi assumendo una droga e non fosse mai abbastanza.
“Dottor Milton, è un piacere e un onore conoscerla” ricambiai il sorriso con professionalità e gli strinsi la mano.
“Il piacere è tutto mio, mi creda. Sa, devo proprio dirglielo, la foto del suo profilo ospedaliero non le rende giustizia”
“Grazie” risi nervosamente e imbarazzata.
Ma ci stava provando?
Milton cambiò discorso: “Allora, il volo è andato bene? Mi è dispiaciuto darle così poco preavviso”
“Non si preoccupi, è andato tutto benissimo”
“E’ stanca? Magari vuole riposare un po’”
“No, davvero, va tutto magnificamente” sorrisi.
“Perfetto! Mi segua, per favore”.
Annuii e lo seguii. Dopo aver visitato l’immensa struttura, ci fermammo davanti a una porta.
“Sa perché è stata convocata?” mi chiese.
“Effettivamente no”
“Dottoressa Floridia, mi dica, cosa sa riguardo le cellule staminali usate in cardiologia e nella chirurgia cardiotoracica?”
“Si stanno facendo degli studi per vedere se possono essere usate per risanare il cuore dopo un infarto del miocardio”
“Giusto”
“Allora è per questo motivo che…?”.
Milton scosse la testa.
“No, è molto, molto meglio” sorrise trionfante e aprì la porta.
“Wow” fu tutto quello che riuscii a dire, completamente affascinata.
 Le pareti della sala innanzi a me e al primario inglese erano piene di monitor: alcuni raffiguravano degli elettrocardiogrammi, altri il cuore ideale per un bambino, altri ancora un piccolo cuore danneggiato e malformato; al centro della stanza vi era un grande tavolo da laboratorio. Il dottor Milton mi invitò ad avvicinarmi.
“Q-queste s-sono” balbettai ancora rapita da quei vetrini.
“Cellule staminali. Owen Kay, il nostro paziente, è nato prematuro e con un difetto genetico. Alla madre si sono rotte le acque due giorni fa e noi abbiamo cercato di ritardare il parto quanto più possibile, ma non è stato avverabile. La nascita pretermine, solo a trentadue settimane, e il già presente difetto hanno causato un ulteriore grave danno sia allo sviluppo che al funzionamento del cuore. Avrebbe bisogno di un trapianto, ma è troppo piccolo, perciò abbiamo avviato questa sperimentazione, in tutta fretta, nella speranza che il cuore si possa guarire autonomamente e dall’interno. Ecco perché il poco preavviso”.
Ascoltai attentamente e senza parole la presentazione del dottor Milton.
Stava continuando a parlare, quando trovai il coraggio di bloccarlo e di porgli la fatidica domanda: “Mi scusi, è davvero un onore partecipare a un caso del genere, perché è davvero straordinario e senza precedenti, però… perché ha scelto me?! Sono certa che i suoi col”
“Ho sentito molte voci sul suo conto da parte del dottor Richardson. Consideri questa un’occasione per dimostrare se quelle voci siano vere. Per quel che mi riguarda, sento che è così”
“Ma se era solo per questo, ammesso che comunque sia vero, potevo dimostrarlo da Atlanta. Perché…?”
“Questo caso è estremamente delicato, perciò necessito dei chirurghi migliori. E lei, nonostante sia ancora uno specializzando del quinto anno, è una delle migliori. Ha un talento innato, sarebbe un peccato non usarlo. Non crede anche lei?” mi guardò.
Ero sicuramente diventata rossa, quelle parole mi avevano davvero lusingata e non sapevo come rispondere.
Vedendo che il mio silenzio persisteva, il dottor Milton cambiò discorso. Mi portò fuori dalla stanza e tornammo all’ingresso, dove Beth, che io avevo ribattezzato ‘colei che ha la voce portatrice di emicrania’, mi restituì la valigia.
“Allora – il dottor Milton tese la mano – domani alle otto prenderà servizio qui”.
Gli strinsi la mano.
“Già. Senta, ma quanto potrebbe durare il tutto?”
“L’intervento è fissato tra due settimane, speriamo funzioni”
“Sento che funzionerà – sorrisi – Allora a domani”.
Stavo per andarmene, quando Beth squittì: “Se non hai un posto dove stare, puoi venire da me”
“Non preoccuparti, ce l’ho. Grazie comunque, sei stata molto gentile” le sorrisi e uscii dall'ospedale.
Chiamato un taxi, giunsi presto a casa di mio fratello. Giorgio spalancò la porta e Lucas uscì a braccia aperte.
“Zia Mary” urlò.
Lasciai il trolley sul vialetto e corsi ad abbracciarlo.
“Ciao amore mio! Ma come stai?” chiesi dolcemente, stringendolo e accarezzandogli i capelli.
“Sto bene” sorrise.
“La scuola?”
“Bene. Zia, ma lo sai che studiamo il nostro corpo a scuola?”
“Davvero? – mi finsi sorpresa – E oggi l’avete studiato?”
“Sì, come funziona il cuore”
“Ma che bello” gli sorrisi.
Lucas continuò a raccontarmi della sua giornata, di cosa gli avesse spiegato la maestra e di come si fosse vantato di sapere già qualcosa grazie a me con i suoi compagni, ma io non riuscii ad ascoltarlo del tutto, troppo intenta a soffermarmi, invece, sui suoi gesti e sulla felicità che mostrava, mentre mi parlava. Stava cominciando solo allora a scoprire veramente il mondo, a conoscere e a rapportarsi con gli altri ed era davvero entusiasta di farlo. Mi ricordò un po’ me da piccola.
“Luke, non farai stare tua zia fuori per tutta la notte, vero?” Addison sorrise.
“Non ricordi che dobbiamo dirle una cosa? Come possiamo farlo, se non la fai entrare?” continuò Giorgio.
Lucas brontolò qualcosa, poi mi prese la valigia e tornò dentro.
“Che succede?” guardai Giorgio.
“Per ora entra” sorrise.
Chiusi il portone alle mie spalle e Addison mi si avvicinò.
“Ti ho preparato la cena, starai morendo di”.
Non fece in tempo a finire la frase, che il mio stomaco brontolò violentemente. Scoppiammo a ridere e andammo in cucina. Mentre mi abbuffavo di cibo, notai che mi guardavano in modo strano.
“Avete messo del veleno nel cibo per caso?” li guardai di sottecchi.
“No, ma che dici!” disse subito la mia dolce cognata, ridendo nervosamente.
“E allora cosa dovete dirmi?”
“E’ una piacevole novità, non preoccuparti” Giorgio sorrise, poi simulò un tamburo con le mani, mentre Luke lo imitava.
“Sono di nuovo incinta” disse Addison felice e si toccò il ventre.
“Olè” urlarono i maschietti di casa.
“Oh mio Dio! – esclamai contenta – Di quanto sei?”
“Un mese… o forse due – rise, poi mi toccò una spalla – Ma non è tutto: vorremmo che tu e Ian foste i padrini”.
Li guardai a bocca aperta.
“Davvero?”
“Mh mh” annuirono i futuri genitori al quadrato.
“Ma che domande, certo! – mi alzai dal tavolo e li abbracciai forte – Sono così felice”
“Anche noi”.
Dopo aver festeggiato un altro po’, misi Lucas a letto. Non era abituato a stare in piedi fino a tardi ed era stremato.
“Zia Mary, secondo te sarò bravo come fratello maggiore?”
“Ma certo, amore! Sarai bravissimo” gli carezzai il volto.
“Vorrei avere una sorellina. Così potrei guidarla, come ha fatto papà con te”
“Hai detto una cosa molto dolce. Sarai un fratello maggiore meraviglioso, ne sono certa. Ora dormi, però. O domani a scuola ti addormenterai sul banco” feci una risatina e gli diedi un bacio sulla fronte.
“Oh, no, sarebbe alquanto spiacevole! – scosse il capo; poi, ridendo, aggiunse – Ti voglio bene, zia Mary. E ne voglio anche a zio Ian. E all’embrione” completò la frase mormorando.
Chiuse gli occhi e, in breve tempo, Morfeo lo accolse fra le sue braccia.
Lo guardai dormire, rapita dal suo volto angelico, poi andai in camera. Presi immediatamente il telefono e composi un numero.
 
POV Ian
Avevo passato tutto il secondo giorno del ‘Let’s Get Dirty’ nella spiaggia al sud di Miami, la più grande di tutta la Florida. Era una delle spiagge più belle del mondo, trascurando il fattore ‘inquinamento’, ma grazie ai volontari, che mi avevano aiutato, era tornata a splendere.
Il giorno successivo alla manifestazione, dopo pranzo, mi mobilitai per tornare ad Atlanta. Non avevo ricevuto ancora notizie di Mary, chissà come stava.
Quando arrivai a casa, trovai Paul ad aspettarmi. Feci un bel respiro e scesi dall’auto.
“Ti sei appostato qui da due giorni?” gli sorrisi.
“Tu mi hai staccato in faccia, cattivone, e non hai ancora risposto alla mia domanda. Inoltre, mi hai detto che potevo stare qui da te, quindi – tirò fuori una valigia dalla sua auto – eccomi qui. Ah! Non puoi sfuggirmi, ti sei tradito da solo”
“Rispondere a che domanda? Tradito? Non so di cosa tu stia parlando” risposi, mentre posavo dentro il mio bagaglio.
“Ah, non lo sai?! Ti rinfresco la memoria: ‘Perché mi hai chiamato?’”.
Mentre parlava con un tono di voce tra l’esasperato e il ‘sto morendo di curiosità, ti prego, parla e metti fine alla mia sofferenza’, chiusi il portone di casa.
“Allora, tu puoi sistemarti nella stanza degli ospiti al piano di sotto. Domani dobbiamo ricordarci che dopo le riprese dobbiamo passare da Jess a prendere i gatti e il cane – mi sfregai le mani – Che ti va per cena? Onestamente, non so cosa ci sia in frigo”
“Ian, non farlo”
“Fare che?”
“Ignorarmi. E dai, voglio solo la conferma di quello che ho pensato”
“Parla, Wasilewski. La conferma arriverà successivamente”
“Secondo me tu stai pensando al matrimonio con Mary. Da sempre hai voluto costruirti una famiglia. Insomma, ho perso il conto di quante persone volessi sposare. Prima volevi sposare Megan, ma ti sei innamorato di Nina; poi hai pensato ‘Ehi, potrei chiedere alla bulgara di sposarmi, la amo da morire’, ma il tuo pensiero non si è concretizzato, perché vi siete mollati e poi ti sei reso conto di amare Mary. E ora – esitò un attimo – penso che tu stia riflettendo sul da farsi. Penso che tu voglia farlo, con tutto il cuore, ma che tu abbia paura. Perché ogni volta che hai pensato di compiere il grande passo, qualcosa è andato storto, ma sai che ti dico? Che secondo me le cose sono andate male, proprio perché tu potessi compiere questo passo importante con Mary. Insomma, sei finito sotto una macchina per lei. Avete quasi avuto un figlio insieme. Avete vissuto più esperienze ed emozioni forti in quasi un anno voi rispetto a coppie che stanno insieme da decenni. Avete cose in comune e cose che vi differiscono, ma non per questo lasciate che vi divida. Anzi, lo rendete il vostro punto di forza. Vi completate. Cosa c’è di meglio? E, giusto per dire eh, se per caso il mio divorzio ti abbia spaventato ancora di più, ti do una sberla. Questa è la mia vita, il mio errore. Non il tuo. Solo perché io mi sono sposato presto ed è finita male, non vuol dire che anche tra voi andrà così. Io credo che il vostro amore sia di quelli rari. E non deve essere sprecato. Perciò, se davvero ci stai pensando, fallo. Proponile di sposarti”
“Wes, sei uno psicologo mancato. E’ vero, ci sto pensando sul serio. E, sì, sono terrorizzato all’idea che qualcosa possa andare storto. Ma, nonostante tutti questi dubbi, è tutto in stand-by al momento”
“Come mai?”
“E’ andata a Londra, è stata convocata per un caso medico. Non so ancora quanto resterà via, quindi”
“Quindi, al posto di mettere in stand-by tutti i modi in cui potresti chiederglielo”
“Non sono quelli a esserlo, ma proprio il ‘glielo chiedo o meno?’”
“No, abbiamo già stabilito che glielo chiederai”
“L’hai stabilito tu”
“Ian, non farti condizionare dal passato. E’ andata male le altre volte, è vero, ma… diamine, siete sopravvissuti a tantissime cose quest’anno. Lei ha avuto il coraggio di farsi avanti e dichiararti il suo amore, tu di salvarla da una psicopatica, hai parlato di lei al Paleyfest! Davanti a milioni di persone! E l’hai fatto come se fosse la cosa più naturale del mondo! Hai bisogno di ulteriori prove? Perché ogni singolo giorno che avete trascorso insieme è la risposta. Ed è un sì. Lei è la donna della tua vita”
“Hai ragione, ma la paura mi blocca”
“Non permetterglielo. Sei già felice con lei, giusto?”
Annuii.
“Bene. Questa è la tua occasione di essere ancora più felice. Non sprecarla”
“Mi hai con” interruppi la frase.
Il telefono stava squillando.
Mary mi stava chiamando.
“Ehi” risposi dolcemente.
“Ciao, volevo ringraziarti per avermi convinto a partire. Farò parte della storia della medicina” mi disse estasiata.
Subito dopo mi raccontò del caso che aveva e di tutti gli annessi e i connessi. La ascoltai attentamente e, mentre mi parlava, la immaginai gesticolare e camminare da un lato all’altro della stanza tutta elettrizzata.
“E quando opererete?” chiesi interessato.
“Purtroppo l’intervento è tra due settimane”
“Purtroppo?”
“Beh, non potrò tornare ad Atlanta fin quando non opereremo, perciò…” fece cadere il discorso.
“No, e dai, non vale! Vuoi dire che non potrò vederti per due lunghe settimane?”
“Adesso puoi capire cosa provo, quando vai in giro per il mondo senza di me”
“Oppure no. Potresti usare il tuo lato da ragazzaccia dark per importi e tornare”.
Tornai per un breve attimo con la mente a quel momento.
 
“Kev, andiamo. Stiamo tutti facendo il turno di notte e siamo tutti stanchi. Perché non ci dai una mano, consegnandoci le analisi, senza fare storie?” disse Mary, appoggiata al bancone del laboratorio analisi.
Erano le due e mezza del mattino. I corridoi erano praticamente vuoti, eccezion fatta per la mia squadra, che era di turno insieme alla mia dottoressa preferita.
“Doc, senti, io capisco che vuoi fare bella figura di fronte a questi quattro attori, ma io stanotte sono da solo! E non devo esaminare solo i vostri campioni, ma anche quelli di tutti gli altri. Ci vuole il tempo che ci vuole”
“Sì, ma i miei sono urgenti”
“Anche gli altri”
“Ah, vuoi dirmi che tutto l’ospedale ha bisogno del risultato di un fottutissimo ago aspirato per confermare un tumore alla tiroide? Sei serio?”
“Sono altri tipi di analisi. Con altri tipi di priorità”l’operatore, Kevin, guardò Mary con aria di sfida.
“Allora, sai che ti dico? – fece un salto e si sedette sul bancone, ritrovandosi, così, dall’altro lato – Tu esamina i tuoi preziosissimi campioni con ‘altri tipi di priorità’ – fece le virgolette con le dita – mentre io esamino il campione del mio paziente. Vinciamo tutti”
“Senta, non può entrare qui, saltando dal bancone. Quest’area non è per lei”
“Senta lei! – Mary gli puntò il dito contro – Io ho bisogno del referto di quel campione, per poter confermare a un mio paziente, di già cardiopatico, la diagnosi di tumore o la completa incompetenza del suo endocrinologo. Ne ho bisogno, perché il mio paziente ha diritto di sapere che diamine sta succedendo nel suo corpo e ne hanno il diritto anche sua moglie e i suoi meravigliosi piccoli figli. E, visto che lei è troppo impegnato ad analizzare i campioni delle dottoresse single per poi poterci provare con loro, piuttosto che darmi retta, faccio da me. E se ha qualcosa da ridire, chiamo il dottor Richardson e la faccio sospendere per intralcio alla diagnosi. Qui dobbiamo pensare a salvare le persone. Non a rimorchiare”
“D’accordo, ehm – Kevin deglutì – il campione è di là in saletta”
“Bene. Grazie per la disponibilità – Mary sorrise, scacciando la minaccia dal suo volto; poi si rivolse a noi, inermi spettatori – Ragazzi, entrate! C’è del lavoro da fare”
 
“Ian – scoppiò a ridere – Quella volta stavo solo facendo il mio dovere! – percepii la sua testa scuotersi – E come dovrei fare per l’intervento?”
“Non sembrava proprio – sorrisi maliziosamente – Comunque, semplice, poi torni a Londra tra due settimane”
“Sai che non si può fare, vero?”
“Non vuoi usare quel tuo lato così sexy?” sorrisi maliziosamente, nonostante non potesse vedermi.
“Non parlare di quel lato, mi imbarazza”.
Ci furono attimi di silenzio.
“Devo andare”
“D’accordo” sospirai.
“Uh, ma prima di staccare devo darti una notizia: mia cognata è di nuovo incinta”
“Davvero?! Che bello” dissi felice.
“Già, e noi saremo i padrini”
“Cosa?”
“Me l’ha comunicato stasera”
“Sarà un grande onore, ringraziala”
“Ma certo, senz’altro – continuò contenta – Ora stacco davvero, il volo mi ha stremata. Ah, e da domani mi aspettano delle lunghe giornate in laboratorio”
“Vai tranquilla e fa’ gli auguri ad Addison da parte mia – sorrisi – Dormi bene, amore. Mi manchi già”
“Anche tu per entrambe le cose. Anche se effettivamente da te sono solo le sette e mezza del pomeriggio, quindi non penso tu stia andando a dormire – fece una risatina – Dettagli! Ti amo”
“Anch’io” e riattaccai.
Guardai il monitor del telefono per un po’, poi mi rivolsi a Paul: “Wes, abbiamo due settimane di tempo per organizzare la proposta più bella del secolo”
“Quindi ti ho convinto?”
“Decisamente” sorrisi.
 
POV Mary
Ci accomodammo in sala conferenze e poco dopo ci raggiunsero i giornalisti. Dopo aver permesso a questi ultimi di scattare qualche foto, il dottor Milton prese la parola, espose il caso e, in seguito, cominciò a presentare l’equipe. Eravamo divisi in due gruppi: un gruppo stava in sala operatoria nella prima parte dell’intervento, mentre il secondo gruppo, in cui c’ero io, subentrava nella seconda parte, nel momento in cui si dovevano inserire le cellule staminali nel cuore del piccolo Owen. Essendo la specializzanda più anziana, ero stata nominata capo del gruppo e, di conseguenza,  secondo chirurgo nella seconda parte dell’intervento.
Nelle due settimane che avevo trascorso lì a Londra, avevo passato la maggior parte delle giornate in laboratorio a esercitarmi. Era un intervento fin troppo delicato e, nonostante pensassi che l’esercizio non servisse a molto, dovevo farlo per non fallire e non deludere, così, tutti quanti. Chiusi per un momento gli occhi, cercando di rilassarmi. Il solo pensare all’intervento mi riempiva di adrenalina, sì, ma anche di ansia. Ma non c’era posto per quest’ultima, non doveva esserci.
“Capo del secondo gruppo d’equipe, Maria Chiara Floridia” annunciò il dottor Milton al microfono.
Battei le palpebre, lasciando i miei pensieri altrove. Mi alzai e mi presentai in maniera garbata, poi mi accomodai nuovamente e cominciarono le domande.
“Dottoressa Floridia, come si è sentita quando ha scoperto di essere stata convocata per questo caso? Lei è l’unica dottoressa dell’equipe che non lavora qui a Londra, bensì negli Stati Uniti”
“Se devo essere sincera, quando sono arrivata qui, ero all’oscuro di tutto. Solo giunta in ospedale, sono stata informata dal dottor Milton del caso e… beh, mi sono sentita fin da subito molto onorata e lusingata. Ciò che domani si cercherà di fare in sala operatoria non si è mai visto prima ed è davvero… straordinario” sorrisi.
“Ci può dire come mai? Dal suo punto di vista, ovviamente”
“Beh, è un momento importante, sia dal punto di vista medico, che umano. Molti, ai giorni attuali, pensano che ormai la maggior parte delle persone voglia diventare un medico per i soldi, per godere di agevolazioni nella sanità e chissà che altro. Magari per qualcuno è così, ma questo caso dimostra che non lo è per tutti! Il caso di Owen è estremamente delicato, specie perché nessuno ha mai sperimentato una cosa del genere. E il fatto che il dottor Milton, primario del London Memorial, si sia da subito impegnato così tanto per trovare qualcosa che possa aiutarlo e per mettere su una squadra in grado di provarci, è davvero lodevole. E fa ben sperare sul fatto che il medico non è chi guadagna molto; bensì un umile operatore, che cerca di aiutare il prossimo. Si farà la storia della medicina con quest’intervento, verissimo; ma non bisogna mai dimenticare che, soprattutto, si farà la storia di Owen Kay. Questo bambino ha l’opportunità di avere una vita migliore. E’ ancora piccolo, ma ha già la speranza in sé. Ed è meraviglioso. E ti fa sentire così grato il tutto, proprio perché ti da la possibilità di aiutare e di essere utile”
“Parole emozionanti, doc. Quale sarà il suo compito?”
“Io e il mio gruppo resteremo a tenere d’occhio le cellule staminali in laboratorio, poi, quando ci daranno un segnale, le porteremo in sala operatoria e il mio dovere sarà aiutare il chirurgo principale, il dottor Sparks, a immetterle nel cuore. Sembra facile, ma non lo è affatto”
“Si è esercitata per questo?”
“Sì, tantissimo, ma ovviamente non si può pretendere che l’operazione sia uguale all’esercitazione. Come dice il mio Capo, il dottor Richardson, che approfitto per salutare: ‘L’imprevisto è sempre dietro l’angolo’, e ha ragione. In sala operatoria può succedere di tutto, perciò a volte l’esercizio può anche non servire”
“Perché, mi scusi?”
“Perché nell’esercitazione se fai un errore o trovi un intoppo, puoi resettare tutto e ricominciare, mentre ciò ovviamente non può accadere in sala operatoria: se fai un errore, puoi uccidere il paziente; se c’è un intoppo, devi risolverlo altrimenti il paziente muore, perciò… esercitarsi sì, ma non fare troppo affidamento su questo”
“Com’è stato lavorare in un ambiente diverso da Atlanta?”
“E’ stato entusiasmante e poi i colleghi sono stati molto gentili con me”
“Un’ultima domanda, che abbiamo posto a tutti: come si sente riguardo l’intervento di domani?”
“Non voglio sembrare ripetitiva, ma, essendo un caso che capita forse solo una volta nella vita, sono molto elettrizzata. Però, sono anche un po’ spaventata perché, come ha già detto il dottor Milton, è un caso molto delicato su un paziente molto fragile. Si deve stare molto attenti”
“Grazie, dottoressa Floridia”
“Di niente” sorrisi e il dottor Milton continuò la presentazione del secondo gruppo.
Quando finì, scattammo qualche altra foto e controllammo che tutto fosse pronto per l’intervento, poi fummo liberi di tornare a casa.
Dopo qualche ora di relax sul letto con l’Ipod acceso, Giorgio entrò e mi disse di accendere la televisione sul canale ‘U(K)SA-World’, canale in comune alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti, perché stavano trasmettendo la conferenza stampa.
Dopo che una voce fuori campo ebbe spiegato che il video a seguire era stato registrato qualche giorno prima, fu inquadrato un giornalista, posto davanti alla casa di Ian, ad Atlanta. Quando uscì, il giornalista si avvicinò.
“Ian, mi perdoni il disturbo. Sono un giornalista della sezione scientifica di ‘U(K)SA-World’. Ha per caso sentito ciò che la sua fidanzata farà tra qualche giorno a Londra?”
“Sì, certamente. Me ne ha parlato al telefono e sono davvero felice per lei. Nonostante sia difficile e complicato, è un’operazione sensazionale e importante. Si aggiunge come esperienza al suo bagaglio professionale e anche umano” sorrise.
“E, mi dica, come ci si sente a essere fidanzato con una dottoressa, che potrebbe diventare di fama mondiale nel campo medico, dopo un caso del genere?”.
Scoppiai a ridere e presi immediatamente il telefono, ignorando automaticamente il televisore.
 
POV Ian
Il telefono squillò puntuale.
“Sei come un orologio svizzero” risi, ma dall’altro lato non rispose nessuno.
“Mary?”
“Mi dica, come ci si sente a essere fidanzato con una dottoressa, che potrebbe diventare di fama mondiale nel campo medico, dopo un caso del genere? – disse e rise a crepapelle – Sto ridendo talmente tanto, che non ho nemmeno sentito la risposta, perciò ti prego di dirmela”
“Non sei affatto divertente, quindi non te la dirò”
“Allora guarderò l’intervista su Youtube – rise un altro po’, poi tornò seria – Come stai?”
“Bene e tu?”
“Sono stanca morta e non vedo l’ora di tornare e di dormire almeno per dodici ore”
“Pochine” scoppiai a ridere.
“E tu avrai un ruolo estremamente fondamentale in tutto ciò”
“E sarebbe?”
“Sarai il mio cuscino comodissimo!”
“Contaci”.
Ridemmo.
“E ora che stai facendo? Relax o preparazione psicologica per la grande operazione di domani?”
“Ah, non me ne parlare, sono tesa come una corda di violino. In realtà, ti sto guardando” fece una risatina.
Mi bloccai.
“I-i-in che s-senso, scusa?” balbettai.
“Volevo cercare l’intervista su youtube, ma poi sono andata su ‘Google Immagini’. Ti sto guardando. Sai, cominciavo a non ricordare più che aspetto avessi – rise, mentre la immaginavo fare una linguaccia – Ian, mi manchi tanto”
“Anche tu, ma pensa che dopodomani ci rivedremo e recupereremo queste due settimane” finii la frase con malizia.
“E’ un bel programma, che però potrà realizzarsi solo dopo le mie dodici ore di sonno”
“Sì, ma prima di sabato. Non penso che in Sicilia da te potremo concludere qualcosa”
“Potremmo sempre usare il metodo silenzioso”
“Continui a prendermi in giro? Sei crudele”
“Ti prenderò in giro a vita, mio caro. Quella notte è indimenticabile” fece una risatina.
“Proprio perché è indimenticabile, forse dovremmo evitare di ripeterla in casa tua”
“Hai ragione”
“Perciò, tesoro, tieni duro e pensa al nostro ricongiungimento”
“Al momento riesco solo a pensare a domani. Se dovessi sbagliare qualcosa”
“Non sbaglierai niente. Sei bravissima nel tuo lavoro, sii sicura di te e vedrai che tutto andrà per il meglio”
“Te l’ho mai detto che hai delle capacità calmanti straordinarie? Grazie per tutto davvero”
“E’ il mio dovere e lo svolgo con piacere, non c’è bisogno di ringraziarmi”.
Si sentirono dei mormorii, poi Mary sbuffò.
“Devo scendere per la cena. Ti chiamo appena finito, d’accordo?”
“D’accordo, a più tardi. Ti amo”
“Anch’io”
“Mary, prima di riattaccare”
“Dimmi”
“Sono fiero di te”
“Sei sempre troppo buono” mi mandò un bacio e riattaccò.
Sospirai di sollievo. Per un attimo avevo davvero creduto che mi avesse beccato, invece non sospettava ancora niente. L’avevo sviata bene.
 
Portai le valige al piano di sotto, giusto in tempo per accogliere Jessica in casa.
“Eccomi qua – disse di fretta, chiudendo il portone d’ingresso alle sue spalle – Scusami per il ritardo” fece una smorfia mortificata.
“Tranquilla, Jess – le sorrisi – Anzi, grazie perché terrai Moke, Thursday, Damon e Polar”
“Lo faccio con piacere, lo sai – si guardò intorno – Tutto pronto per la partenza?”
“Sì” affermai con convinzione.
“Bene. Sono felice che tu faccia questo passo, finalmente – mi abbracciò forte – anche se mi mancherai”
“Anche tu, Jess, anche tu – la strinsi – ma Londra chiama”.
Jess sciolse l’abbraccio, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra.
Guardai anch’io.
La sera stava calando. La luna non era ancora alta.
Non si muoveva una foglia. Tutto era calmo.
Era una serata primaverile bellissima.
L’unica fonte di luce proveniva dai fari del taxi, che era appena arrivato.
Dovevo andare.

“Chiamami, non appena arrivi. Mi raccomando, eh!” Jess agitò l’indice.
“Che mammina premurosa” le sorrisi, abbracciandola nuovamente.
“Staccati o perderai il volo”
“Non lo perderò, tranquilla. Solo, prima di lasciarti andare, vorrei un favore da te”
“Che favore?”
“Più precisamente una promessa: se dovesse andare male, aiutami a raccogliere i cocci della mia vita. Te ne prego. Perché non credo di poter superare tutto questo un’altra volta”

“Ian, capisco la paura, ma non andrà come le altre volte. Non sei nemmeno riuscito a comprare un anello in quelle. Adesso sì. E’ perfetto per lei e per l’occasione. Sono certa che andrà tutto per il meglio. Ve lo meritate. Perciò, non ti prometto un bel niente. Perché, quando tornerete, non ci saranno cocci da raccogliere; bensì, un matrimonio da organizzare – annuì decisa – Chiaro?”
“Ti voglio bene. Ci vediamo presto”
“Contaci” 
 
 Il servizio in camera arrivò e cominciai a cenare, mentre il Big Ben sovrastava la vista della mia stanza. Ero lì, arrivato da qualche ora. Ero nella capitale inglese anch’io. Ero pronto. E sicuro. Come mai in vita mia. Sorrisi, mentre pensavo al giorno successivo e al grande passo che avrei compiuto.
 
POV Mary
Sophie entrò in laboratorio e ci fece segnale di andare. Tutti ci alzammo e ci dirigemmo verso la sala operatoria quattro, trasportando con la massima cautela le cellule. Demmo  le cellule al primo gruppo, poi ci lavammo e ci sostituimmo a loro per iniziare la seconda parte dell’intervento.
Presi posizione di fronte al dottor Sparks e cominciai ad aiutarlo. Dopo non molto tempo notai la sua mano tremare.
Lo guardai. Sembrava pallido e sudato. Respirava affannosamente.
“Dottor Sparks, sta bene?”
“I-io” disse a fatica e cadde a terra, facendo lacerare gran parte del miocardio del bambino.
“Beth, aiuta il dottor Sparks; Cole, passami un quattro zeri, presto!” dissi in fretta.
Mentre cercavo di riparare il danno, chiesi a Beth come stesse lo strutturato di cardiochirurgia.
“Ha un infarto in corso” mi rispose, lo pose su una barella, con l’aiuto di alcuni colleghi, e si allontanò dalla sala.
Dopo pochissimo tempo, arrivò il dottor Milton.
“Come sta Sparks?” chiesi preoccupata.
“Se ne stanno occupando. Owen?”
“Non bene. Quando Sparks è svenuto, il divaricatore è stato tirato e ha lacerato gran parte del cuore. Sto cercando di ripararlo, ma non so se ci sto riuscendo, il cuore è troppo piccolo e fragile. E poi, anche se ci riuscissi, non potremmo continuare l’intervento senza Sparks. Non ci voleva”
“Sì che possiamo, ti sei esercitata per questo”
“Sta scherzando, vero?” lo guardai di sfuggita, mentre cercavo di recuperare il cuore del piccolo.
“No, non potrei mai scherzare con una situazione del genere in corso. Ti darò più aiuto possibile, ma sarai tu a operare. E’ la sfida finale, ricordalo”.
Feci un respiro profondo.
“Mary, andrà bene. Fidati di te per una volta!” pensai, tentando di calmarmi.
“D’accordo. Muoviamoci, colleghi” parlai più decisa.
“Come posso aiutarti?” chiese il primario del London Memorial.
“Cerchiamo di arrestare l’emorragia. Al momento conta solo quello. Non appena si ferma, possiamo procedere con l’inserimento delle cellule”
“Non sarebbe meglio se il cuore fosse più riparato?”
“Sì, totalmente vero. Tuttavia, ci servirebbero degli innesti, di cui al momento non disponiamo. Di conseguenza, avremmo bisogno di tempo per ottenerli, ma Owen non ne ha molto a disposizione. Se fermiamo l’emorragia ed evitiamo che ulteriore sangue venga perso, spero che l’immissione delle cellule permetta di riparare anche il danno causato”
“Potrebbe funzionare”
“Deve farlo, signore, o il piccolo Kay non sopravvivrà a quest’intervento” scossi la testa, continuando a lavorare.
 
Non riuscivo a dire da quanto tempo fossi all’interno di quella sala operatoria. Succedeva a ogni intervento che il tempo si fermasse, era vero. Ma quella situazione era diversa dalle altre operazioni, cui avevo preso parte. Era diversa persino dal mio intervento da primo. Era un’operazione, che, se fosse riuscita, sarebbe finita negli annali della medicina; che sarebbe diventata grande storia; che avrebbe fatto molto bene alla vita del bambino e anche alla mia carriera. Quindi il tempo era, proprio per questo, ancora più indefinito. Battei più volte le palpebre per qualche secondo, di modo da mantenermi vigile. Sospirai rumorosamente.
Era giunto il momento.
Nonostante il tempo generico fosse nullo, quello dell’intervento aveva raggiunto il punto di non ritorno. Quello per cui o avevo avuto successo o avevo fallito. Era la prova del nove.
Guardai il dottor Milton e incrociai le dita, poi comandammo che Owen venisse staccato dal bypass.  Respirai pesantemente di nuovo, in ansia, mentre guardavo il monitor. Se le cellule staminali avessero funzionato, il cuore avrebbe cominciato a pompare, molto debole. Sarebbe servito il bypass per far sì che il cuore si rinforzasse, ma comunque rappresentava il successo. Se, invece, non avessero funzionato, probabilmente Owen sarebbe morto in meno di un minuto.
I rumori dell’elettrocardiogramma cominciarono a rimbombare nella stanza deboli, ma più o meno costanti.
“Ha funzionato” balbettai contenta, mentre gli occhi pizzicavano leggermente e tutti applaudivano, primo fra tutti il dottor Milton.
Dopo aver posto nuovamente il piccolo sotto bypass e averlo richiuso, uscii dalla sala e andai dai genitori.
La madre mi venne incontro ansiosa. Aveva i capelli castani scombinati, raccolti maldestramente in una coda. Gli occhi erano colmi di preoccupazione e bramosi di risposte.
“Come sta? Ha funzionato? Perché ha gli occhi lucidi? Il mio bambino è-è” chiese tremante.
“Owen sta bene – affermai immediatamente, accennando un sorriso – Ovviamente il cuore non è forte come quello degli altri bambini, però pompa il sangue e l’importante è questo. Per le prime settimane comunque resterà attaccato alle macchine. Il suo cuore deve acquisire più forza, non dobbiamo farlo affaticare, però, ecco, ha funzionato”
“Grazie, grazie” urlò e mi abbracciò forte.
“Dovere, signora” la strinsi.
Permisi anche al marito di abbracciarmi, in modo più impacciato, poi lasciai informare loro tutti i parenti sull’esito dell’intervento.
Mi diressi felice verso lo spogliatoio, ma fui bloccata da Hannah, l’assistente del dottor Milton.
“Mary, devi seguirmi” disse velocemente, camminando con altrettanta velocità.
“Ma dove mi stai portando?” chiesi, mentre mi trascinava per un polso per i corridoi.
“La stampa sta aspettando, devi metterti un abito decente e parlare”
“Perché io?!”
“Perché sei stata tu a salvare la vita a Owen, dopo che Sparks l’ha quasi ucciso. Devi parlare tu”
“Madonna Santa, devo proprio? Io non sono fatta per queste cose” sbuffai.
“Oggi sì” rispose seccamente.
Non che fosse arrabbiata, semplicemente molto di fretta. Giungemmo dinanzi a una stanza chiusa a chiave. Hannah la aprì e mi invitò a entrare.
“Ho cercato di capire dai tuoi vestiti nell’armadietto che taglia potessi avere. Questo è l’unico vestito, tra quelli che ho trovato, che mi piacesse. Vedi un po’ se ti sta. Io aspetto qui fuori” e richiuse la porta alle proprie spalle.
Mi avvicinai timidamente al vestito, che mi aveva indicato.
Era indubbiamente molto elegante. Ma era adatto? Potevo presentarmi a una conferenza stampa in quel modo?
Cercai di non pensarci e lo indossai. Poco prima di uscire, mi guardai allo specchio.
Mi sentivo incredibilmente a disagio. La sensazione non svaniva. L’abito era lungo e molto semplice, non c’erano eccessive decorazioni, questo andava a suo favore; ma, il fatto che fosse rosso scuro, che ci fosse uno spacco e che indossassi persino le scarpe col tacco andava a sfavore.
“Mary, allora?” chiese Hannah ad alta voce.
Non sapevo dire precisamente per quale motivo, ma scoppiai in lacrime.
Hannah entrò di corsa.
“Ehi, che succede? Guarda che ti sta d’incanto” cercava di consolarmi, dandomi delle pacche sulla spalla sinistra.
“Non è per il vestito, credo. Cioè è un bel vestito, anche se mi fa sentire un po’ a disagio”
“Allora, come mai stai piangendo?”.
Sbarrai gli occhi per un secondo, realizzando che non erano lacrime di dolore o di tristezza, bensì di gioia. Raramente nella mia vita mi ero sentita davvero all’altezza e davvero in grado di riuscire in qualcosa. E, in quel momento, guardando la me del presente allo specchio e paragonandola a quella del passato, potevo solo essere Fiera di me stessa. Per la prima volta.
“I-io ce l’ho fatta” accennai un sorriso in mezzo alle lacrime.
“Sì, l’hai fatto davvero. Hai cambiato la vita di quel bambino. Non conosco la tua storia, ma è davvero bellissimo vederti reagire così. Non hai fallito, Mary. Ti sei messa in gioco, hai lavorato duro e adesso puoi festeggiare questo bellissimo risultato. Devi essere molto fiera di te stessa e di ciò che hai fatto”
“Grazie, Hannah – mi asciugai le lacrime col dorso della mano destra – Ora sono pronta per andare. Anche se, effettivamente, sarebbe utile un po’ di trucco in questo momento”
“Arriva!” Hannah mi sorrise.
Truccatami, uscimmo insieme da quella stanza. Andammo nella sala conferenze.
Tutti i giornalisti, visibilmente sorpresi dal mio abbigliamento e dal mio aspetto, cominciarono a fotografarmi, poi cominciò l’intervista sull’intervento.
Risposi a tutte le domande che mi posero in modo sicuro e professionale, poi lasciai la parola al dottor Milton.
“Sono davvero onorato di aver conosciuto la dottoressa Floridia. E’ una donna tenace, non si arrende mai, cerca sempre di dare il massimo, anche quando non sempre le circostanze lo rendono possibile. Due settimane fa, l’ho convocata per questo caso per vedere se le voci sul suo conto fossero vere. Ebbene oggi, Diciassette Aprile Duemilaquattordici, posso confermare queste voci. La dottoressa Floridia è una degli specializzandi più competenti che io abbia mai incontrato e, nel corso della mia carriera, ne ho incontrati tanti” mi sorrise.
Ci fecero qualche altra domanda, poi se ne andarono soddisfatti delle nostre risposte. Stavo per uscire dalla stanza, quando il dottor Milton mi bloccò.
“Le devo parlare” disse gentilmente.
“E’ successo qualcosa?”
“No, non si preoccupi. Volevo solo… chiederle… ecco” rise un po’ a disagio.
Mi allarmai. Ma che voleva chiedermi?
“Vuole entrare a far parte ufficialmente del mio staff ospedaliero a partire dall’anno prossimo?” mi guardò.
Ricambiai lo sguardo sorpresa. Restai per parecchio tempo immobile e incapace di proferire una parola, ma poi riuscii a riprendermi e risposi: “Dottor Milton, è davvero un’offerta inattesa e grandiosa, davvero, però… non posso accettare. Il mio posto è ad Atlanta”
“Ha a che fare anche con il fatto che è la fidanzata di Ian Somerhalder?”
Arrossii immediatamente.
“E’ un insieme di cose – balbettai – Ovviamente c’entra anche Ian, ma c’entrano anche i miei colleghi. E’ stato un onore lavorare qui, davvero, però… io appartengo a quell’ospedale, mi dispiace”
“C’ho provato” il dottor Milton rise, poi chiamò il mio Capo.
“Craig, avevi ragione. Ha rifiutato” esordì il dottor Milton.
“Che posso dire, conosco i miei dipendenti – rise – Sono contento che il tuo corteggiamento lavorativo non abbia funzionato”
“Tentar non nuoce” rise il dottor Milton.
“Floridia, siamo davvero fieri di te e ti aspettiamo ansiosi qui, a casa” disse il Capo dolcemente, poi continuò a parlare con Milton.
Mi congedai e uscii da quella sala.
Dopo essermi intrattenuta con i miei colleghi di quelle settimane, uscii e presi un taxi per tornare a casa. Lungo la via, ricevetti una chiamata Skype. Immediatamente la accettai. Lo schermo dello smartphone si suddivise in sei.
“Mary!” urlarono le mie sorelle per scelta.
“Ragazze – le salutai contenta – sto tornando a casa dall’ospedale”
“Com’è andata?” chiese Melania.
“Mel, ma che domande! Guarda com’è vestita elegante – Iris agitò l’indice – Sono certa che ti hanno fatto vestire così per la conferenza stampa, perché è andato tutto bene. E’ vero? Ho ragione?”
“Sì, hai ragione” dissi, ridendo per la convinzione della mia amica.
“Lo sapevamo! Sei grandiosa” disse Serena, battendo le mani.
“Hai cambiato la vita di quel bambino! Sei meravigliosa, tesoro” proruppe Nadia.
“Dici sempre di non essere abbastanza, ma non ti rendi conto di quanto sei capace? Questo ne è la prova” Tatia concluse il discorso, annuendo per le sue parole.
“Ragazze, grazie infinite! Siete troppo buone con me”
“Non dirlo neanche per scherzo, è semplicemente la verità, signorinella” Iris aggrottò la fronte e gonfiò le guance, facendo finta di essere arrabbiata.
“Purtroppo non possiamo restare collegate ancora per molto, ma sappi che ti vogliamo bene” Serena sorrise.
“E che siamo molto fiere di te” anche Melania lo fece.
“E devi goderti questi complimenti e tutto il resto, perché, semplicemente” Nadia lasciò la frase in sospeso.
“Te lo meriti, completamente!” dissero Tatia e Iris in coro.
Gli occhi ripresero a pizzicare, mentre le mie sorelle per scelta mi battevano le mani, felici.
“Ragazze, vi adoro. Siete speciali! Non vedo l’ora di essere con voi tra qualche giorno”
“Anche noi. Ora dobbiamo proprio andare. Ci vediamo in Sicilia, sorella” ribadirono in coro e riattaccammo.
Per il resto del tragitto, passai il tempo a rispondere ai numerosi messaggi dei miei familiari italiani e dei miei amici americani. Nonostante fossi contenta che mi stessero pensando, non ero del tutto felice. Ian non si faceva sentire dalla sera precedente. Stava bene? Perché non mi aveva ancora chiamata?
Ripensai per un attimo alla brutta sensazione che avevo avuto due settimane prima. Quell’averlo accanto, ma non averlo davvero al mio fianco. Che avesse aspettato la fine dell’intervento per farmi capire la realtà della nostra relazione? Che avesse cercato di non farmi pesare il suo malessere in questi giorni di lontananza?
Non sapevo dirlo.
Non sapevo nemmeno cosa pensare.
Sapevo solo che il mio cuore era stretto nella morsa dell’ignoto e non era piacevole. Affatto.
“Signorina, siamo arrivati a destinazione” il tassista mi fece tornare coi piedi per terra.
Mi voltai sulla destra, notando la casa singola di mio fratello.
“Ok, grazie, quanto le devo?” domandai, aprendo lo sportello.
Non feci in tempo a mettere un piede fuori dall’auto, che Lucas e Giorgio mi ci ricacciarono.
“Ma che fate?!” chiesi un po’ infastidita.
“E’ arrivata questa per te. Non so cosa sia, però credo ti servirà il taxi” Giorgio sorrise a Lucas complice, poi rientrò in casa con lui.
“Allora, scende o no?” mi chiese il tassista.
Lo ignorai e aprii la busta. Dentro vi erano un Ipod e un biglietto, scritto al computer.
<< Questo percorso devi iniziare per alla meta finale arrivare. Essa molto importante è: vai presso il Tower Bridge e scoprirai dov’è >>.
Lo guardai confusa, poi risposi al tassista: “La pago il doppio, se mi accompagna dove le chiedo”.
Al tassista si illuminarono gli occhi a forma di Pound, poi mi chiese la meta.
“Tower Bridge” sorrisi e accesi l’Ipod.
Quando premetti il tasto play, partì una canzone.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=foZM3se9uO8


It’s alright with me
As long as you are by my side
Talk or just say nothing
I don’t mind your looks never lie
I was always on the run
Finding out
What I was looking for and
I was always insecure
Just until I found you
You were always on my mind
You, you’re the one I’m living for
You, you’re my everlasting fire
You’re my always shining star.
L’ascoltai un paio di volte, poi il tassista mi disse che eravamo arrivati.
“Grazie, resti qui, per favore”.
Scesi dal taxi e corsi verso il ponte. Non avevo la minima idea di dove cercare. Cominciai a guardarmi intorno, mentre le auto non smettevano di suonare. Non mi ero cambiata dalla conferenza stampa, che vergogna!
Sbuffai. Dove cavolo poteva essere questa meta finale che menzionava il biglietto?
Decisi di tornare al taxi, probabilmente era stato solo uno scherzo. Ero molto vicina, quando mi scontrai con un uomo.
“Oh mio Dio, mi scusi tanto, non l’avevo vista” dissi mortificata.
“Non si preoccupi, signorina, non mi sono fatto niente” sorrise e se ne andò.
Lo vidi allontanarsi, poi guardai per caso in basso e trovai una busta.
“Signore, le è caduta una busta” urlai, ma non mi sentì.
Un pensiero mi travolse la mente. E se era una busta come quella già ricevuta? La raccolsi in fretta e la aprii. Un altro Ipod e un altro biglietto, come avevo immaginato.
<< Quanta strada devi fare per la meta finale poter toccare. Orsù dunque, corri in fretta, qualcosa di clamoroso ti aspetta. Che sbadato, il prossimo posto non ti ho indicato. Alto, magro, più volte rintocca. Hai capito cos’è? Scusami, con queste cose non sono ferrato, perciò non far molto caso al verso mancato >>.
Scoppiai a ridere, avendo capito chi fosse l’autore di quella strana caccia al tesoro.
Avevo sempre preso un po’ in giro Ian per la sua mancata abilità nel comporre particolari rime. Che dolce! Il peso, che mi opprimeva il cuore, si alleggerì, facendo posto alla curiosità.
Ma che stava architettando?
Tornai al taxi e chiesi al tassista di accompagnarmi al Big Ben, poi accesi il secondo Ipod e ascoltai l’unica canzone che vi era dentro.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=IzdPeMQSPqM


Is this the end of the moment
Or just a beautiful unfolding
Of a love that will never be?
Or maybe be
Everything that I never thought could happen
Or ever come to pass and
I wonder if maybe, maybe I could be
All you ever dreamed
Cause you are beautiful inside, so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, I know that its true
That I'd rather be anywhere but here without you
Anywhere but here
Is this a natural feeling
Or is it just me bleeding?
All my thoughts and dreams
In hope that you will be with me or
Is this a moment to remember
Or just a cold day in December?
I wonder if maybe, oh, maybe I could be
All you ever dreamed
Cause you are beautiful inside, so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, I know that it's true
That I'd rather be anywhere but here without you
Anywhere but here, anywhere but here
Is this the end of the moment
Or just a beautiful unfolding
Of a love that will never be
For you and me?
Cause you are, you're beautiful inside, you're so lovely and I
Can't see why I'd do anything without you, you are
And when I'm not with you, yeah, I know that its true
That I'd rather be anywhere but here without you
Whoa, ooh yeah, no, no, no, no, no.
Mi lasciai trasportare così tanto da quella canzone, che il tassista dovette chiamarmi svariate volte. Scesi e guardai il Big Ben. Era davvero imponente e, al tramonto, assumeva un aspetto più magico del solito. Mi avvicinai. Nonostante non fosse la prima volta a Londra, era sempre un’emozione stare vicino a delle strutture così meravigliose. Anche se ero ancora incantata, riuscii a notare la terza busta, attaccata a un palo della luce, e subito la aprii.
<< A Buckingham Palace, che serata, tutte le guardie sono in sfilata! Attenzione, però, una di loro non lo è: se vuoi sapere il prossimo posto, devi scoprire chi è >>.
“Buckingham Palace, presto” dissi, rientrando nel taxi.
Indossai le cuffie e ‘All of me’ mi invase.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=450p7goxZqg


What would I do without your smart mouth
Drawing me in, and you kicking me out
You got my head spinning, no kidding, I can't pin you down
What's going on in that beautiful mind
I'm on your magical mystery ride
And I'm so dizzy, don't know what hit me, but I'll be alright
My head's underwater
But I'm breathing fine
You're crazy and I'm out of my mind
'Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you, oh
How many times do I have to tell you
Even when you're crying you're beautiful too
The world is beating you down, I'm around through every mood
You're my downfall, you're my muse
My worst distraction, my rhythm and blues
I can't stop singing, it's ringing in my head for you
My head's underwater
But I'm breathing fine
You're crazy and I'm out of my mind
'Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you, oh
Give me all of you, oh oh
Cards on the table, we're both showing hearts
Risking it all though it's hard
Cause all of me
Loves all of you
Love your curves and all your edges
All your perfect imperfections
Give your all to me
I'll give my all to you
You're my end and my beginning
Even when I lose I'm winning
Cause I give you all of me
And you give me all of you
I give you all of me
And you give me all, of you, oh oh oh.
Scoppiai in lacrime. Non avevo la più pallida idea di dove Ian volesse arrivare, ma ero già senza parole e con quel peso sul cuore definitivamente sparito.
Tante volte, nel corso della mia vita, avevo desiderato un uomo che mi capisse al volo, che riuscisse a calmarmi in un millisecondo, che fosse capace di farmi sentire l’unica al mondo con gesti semplici, ma allo stesso tempo eclatanti, però non ero mai riuscita a trovarlo, finché non avevo incontrato lui. Amico, complice e anima gemella, era stato l’unico che era riuscito a farmi sentire tutto ciò. Con lui mi sentivo al sicuro, non temevo niente e sapevo di poter sempre contare su di lui, me l’aveva dimostrato. L’amore che sentivo per lui era indescrivibile.
“Signorina, tutto bene?” il tassista mi distolse dai miei pensieri.
Annuii, asciugandomi le lacrime, e lui continuò: “Siamo arrivati. Devo aspettarla?”
“Sì, grazie” sorrisi e scesi.
Osservai attentamente le guardie. Quale tra loro poteva non esserlo? Cominciai a camminare avanti e indietro, finché non lo notai.
Risi, in effetti era abbastanza semplice da capire.
Mi avvicinai al mimo e gli diedi cinque Pounds. Subito cominciò a muoversi e, sorridendo, mi porse una busta.
<< Fuoco fuochino, il posto è sempre più vicino: accanto al Tamigi, con il sole discendente, si trova un parco, di verde splendente. Vai lì, ormai che ti costa? Ci sei quasi, non fare una sosta >>.
Rientrai nel taxi e chiesi al tassista di che parco potesse trattarsi. Lui ci pensò su un bel po’, poi mi rispose: “Il Battersea Park. Sì, credo proprio sia quello”.
Mi sorrise e partì a tutta birra. Mentre osservavo Londra dal finestrino, ascoltai la canzone di quell’Ipod.


CANZONE: https://www.youtube.com/watch?v=SPUJIbXN0WY


You're a falling star, You're the getaway car.
You're the line in the sand when I go too far.
You're the swimming pool, on an August day.
And you're the perfect thing to say.
And you play it coy, but it's kinda cute.
Ah, When you smile at me you know exactly what you do.
Baby don't pretend, that you don't know it's true.
Cause you can see it when I look at you.
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
You're a carousel, you're a wishing well, 
And you light me up, when you ring my bell.
You're a mystery, you're from outer space, 
You're every minute of my everyday.ng.html ]
And I can't believe, uh that I'm your man, 
And I get to kiss you baby just because I can.
Whatever comes our way, ah we'll see it through, 
And you know that's what our love can do.
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing
You're every line, you're every word, you're everything.
So, La, La, La, La, La, La, La
So, La, La, La, La, La, La, La
And in this crazy life, and through these crazy times
It's you, it's you, You make me sing.
You're every line, you're every word, you're everything.
You're every song, and I sing along.
'Cause you're my everything.
Yeah, yeah
So, La, La, La, La, La, La, La
So, La, La, La, La, La, La, La, La, La, La, La.
La commozione aveva ormai preso il sopravvento, non riuscivo a trattenerla. Portai una mano al petto, come se, tramite quel gesto, potessi calmare il mio cuore, che batteva all’impazzata.
Continuavo a non capire dove Somerhalder volesse arrivare, ma inconsciamente un’idea stava facendosi strada. Mentre guardavo la capitale inglese dal finestrino, indossando ancora le cuffie e riascoltando il magnifico Bublé, ripensai alle parole di Alex durante la ‘conferenza stampa’.
 
Un anello di fidanzamento?” propose Alex dal nulla.
“Che?” rispondemmo tutti e tre in coro, colti completamente alla sprovvista.
“Pensateci. La ama così tanto, che si è beccato una macchina contro il proprio corpo; è stato molto male per la storia della gravidanza extra uterina, quindi vuole dei figli con lei. Magari oggi l’ha vista circondata di bambini, dolce e materna e ha pensato all’anello. Al matrimonio. Al voler costruire una vita concreta con lei, insomma. Cioè, non mi sembra molto fuori dal mondo. Non credi anche tu, Mary?”
“I-io non so cosa pensare” mormorai, mentre il mio cuore rallentava i suoi battiti.
Che stessi per morire?
“Intanto respira, perché sono supposizioni. Ma potrebbe essere. Insomma, ha più senso del ‘mi butto sotto una macchina per te, ma poi faccio sesso con altre donne’, non ti pare?”.
 
“Mary, non pensarci troppo! Magari stai fraintendendo tutto” pensai, chiudendo per un attimo gli occhi e cercando di respirare profondamente.
Poteva essere. Come poteva essere qualsiasi altra sorpresa.
Dovevo smettere di pensare e vivere quel momento. Stop. In fondo, quella strana caccia al tesoro stava per concludersi.
Ben presto, arrivammo al parco.
Scesi dal mezzo di trasporto alla velocità della luce, sperando che fosse l’ultima tappa, spinta dalla curiosità di sapere che stesse succedendo, dal desiderio di dar ragione o torto a quell’adorabile scemo di Alex e dalla voglia di abbracciare quel dolce pazzo che aveva fatto tutto questo per me. Appena misi piede sul prato verde, mi tolsi le scarpe col tacco e cominciai a gironzolare, sentendo la freschezza dell’erba tra le dita. All’improvviso, sopra una panchina vicino al fiume, vidi la solita busta. Corsi e la aprii. Stavolta, c’era solo un foglio. Che fosse finita, come speravo, quella folle corsa per Londra?
Lessi ad alta voce, ancora scossa da qualche singhiozzo: “Per un momento la rima finirà, così potrò parlare in libertà ;).
Mary,
ti conosco esattamente da due anni, tre mesi e una settimana e ringrazio il cielo ogni giorno per essermi sdraiato in mezzo alla strada quella sera, nonostante non sia stata proprio una mossa da ‘persona sana di mente’.
Mi rendo conto di essere un tipo abbastanza logorroico, che ha sempre la parola pronta per tutti e per tutto, che potrebbe parlare per giorni interi, senza stancarsi mai, ma… con te è diverso. Ogni termine mi sembra inadatto per descrivere i miei sentimenti per te.
Una volta, una donna saggia mi disse che non per forza bisogna saper esprimere a parole un rapporto o una persona; ciò che conta davvero è che si dimostri a quella persona quanto vale; quanto quel rapporto sia essenziale per la nostra vita; quanto non se ne possa più fare a meno, una volta provato.
Questa persona è mia madre.
Tante volte, nel corso della mia vita, ho pensato di aver trovato la persona giusta. La mia anima gemella. La mia complice. Ma mai queste bellissime parole mi sono tornate in mente. Mai. Perlomeno, fino a quando non ho conosciuto te.
Riflette perfettamente la nostra storia. Ci sono state parole, è vero; ma, soprattutto ci sono stati gesti.
Il tuo salvarmi dalla strada, nel nostro primo incontro.
Il mio portarti al mare, per farti sentire a casa nel giorno di Natale.
Il tuo presentarti sul portico di casa, nel bel mezzo di un temporale, per dirmi che sei innamorata di me.
Il mio proteggerti da una macchina in corsa.
La tua straordinaria capacità di avermi cambiato la vita in meglio e di arricchirmela ancora, ogni giorno di più.
Tutto questo rende quelle parole vere. Concrete.
Tuttavia, adesso, la rima deve tornare, anche se preferirei evitare. Sento che devo ribadire il concetto per far apparire tutto perfetto: da soli undici mesi insieme stiamo, ma tanto ci amiamo. Tante avventure abbiamo passato, ma con il nostro amore tutto abbiamo superato.
Mi sento un po’ stupido a parlare in rima, nonostante comunque sia una cosa carina.
Ora, molto, ma molto imbarazzato, solo una cosa mi resta da fare: chiederti” il biglietto finì lì.
“Chiederti?” ripetei, con il cuore che stava per uscirmi dal petto, mentre le lacrime continuavano a scendere sulle mie guance.
“Mi vuoi sposare?” sentii la voce di Ian alle mie spalle, tremante, ma decisa.
 
 
 
 
 
 
 
 
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Note dell'autrice: 
Eccomi qua! In ritardo, come sempre, spero mi perdoniate! 
Non è un capitolo molto lungo, in tutto 20 pagine. Ma, credetemi, non so quante volte mi sono commossa scrivendolo, rileggendolo e revisionandolo.
Non ho molto da dire, perché credo che parli da solo.
Spero solo che sia stato all'altezza dell'attesa.
Ringrazio tutti voi per la pazienza, i lettori silenziosi, chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite, chi lascia le recensioni e le pazze del gruppo su FB, che mi fanno sempre sorridere e mi spronano, quando ci sono i momenti di "crisi da pagina bianca". Per chi volesse iscriversi, il link è questo: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/ .
Grazie per seguire la storia. Grazie perché mi permettere di raccontarvi quello che immagino.
Grazie a nome mio e dei personaggi.
Alla prossima, spero non tanto lontana!
Mary :*

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Capitolo 12
*** Didn't we almost have it all? ***


POV Ian
Il momento stava per arrivare. Riuscivo a vederla, in quell’abito bordeaux, coi tacchi in mano, intenta a leggere l’ultima lettera. Era riuscito tutto benissimo, chi l’avrebbe mai detto?
Adesso, però, mi toccava palesarmi. La domanda non sarebbe stata posta da un po’ di inchiostro su un pezzo di carta, no. Doveva essere la mia voce a esprimerla. Poco importava che si incrinasse per l’emozione o uscisse un po’ più gutturale per la gola secca. Dovevo essere io a porla.
Prima di avvicinarmi, quanto più silenziosamente possibile, alla mia amata, guardai per un’ultima volta L’anello.
 
Deglutii rumorosamente. Ero completamente disorientato, troppo colmo di consigli da persone diverse, per sapere veramente come agire. Jessica e Paul si erano offerti di accompagnarmi, ma avevo declinato. Dovevo farlo da solo, dovevo scegliere senza che qualcuno potesse ‘influenzare’ quell’idea. Avevano entrambi capito. E, seppur in modo diverso, entrambi, sorridendo, mi avevano detto la stessa cosa: “Allora cerca di chiarire l’idea che hai di lei nel tuo cuore. E di scegliere di conseguenza”.
Mai consiglio era stato più appropriato. Sembrava provenisse da mia madre, anche se non poteva essere. Non ne sapeva niente, ovviamente. Se lei avesse rifiutato, almeno ci sarebbero state meno persone da avvertire e meno che avrebbero provato pietà per me.
“Ok, Ian – sospirai – Devi entrare”.
Annuii, facendomi forza, e varcai la soglia della gioielleria.
Subito una donna mi venne incontro.
“Buongiorno, posso esserle utile?”mi sorrise.
“Buongiorno – ricambiai il sorriso – Ehm, io sarei venuto per un anello”
“Un anello o L’anello?” sottolineò la commessa.
“Il secondo” affermai, imbarazzato, mentre le gote diventavano più rosee.
“Uh, oh mio Dio! Queste cose mi esaltano alquanto!” alzò la voce eccitata.
Molte persone all’interno del negozio si voltarono a guardarci.
“Lo vedo” sorrisi nervosamente, sperando non facesse così per ogni anello.
Fino a quel momento nessuno mi aveva riconosciuto. Non volevo che a Mary giungesse la voce della proposta per qualche chiacchierone non in grado di farsi gli affari suoi.
“Ok, venga con me, le mostro subito gli anelli che, al momento, si stanno usando di più”
“Ehm, no, chiariamo subito che non voglio anelli sgargianti. Lei è una donna molto acqua e sapone, molto semplice. Voglio che l’anello la rispecchi. Inoltre, vorrei che fosse di oro bianco, lo ama; e, se possibile, che la pietra fosse del colore dell’acqua del mare”
“Ma certo, possiamo rendere possibile tutto questo” sorrise nuovamente, anche se in modo diverso.
Che l’avessi messa in difficoltà?
Dopo anelli su anelli, uno più sbagliato dell’altro, capii che effettivamente non aveva capito cosa volessi davvero. La commessa si allontanò un attimo, chiamata da, forse, il suo capo.

Ne approfittai per curiosare un po’ in giro, sperando magari di avere più fortuna da solo.
E così fu.
Non molto tempo dopo, me lo ritrovai davanti.
Un anello in oro bianco con una pietra color Acquamarina al centro e tre diamantini per lato.
Era particolare, certo, ma non come gli altri. Era più singolare. Era più da lei. Non sapevo descrivere bene la sensazione che stavo percependo, ma ero sicuro di una cosa: mi trovavo davanti all’anello giusto. Ne ero proprio certo.
Già la mia mente vagava al momento in cui gliel’avrei consegnato, affidandomi completamente a lei e al nostro amore; al modo fiero in cui l’avrebbe indossato, sempre se avesse accettato.
“Rieccomi, mi scusi, ma al mio capo servivano dei chiarimenti”
“Non si preoccupi – sorrisi, stavolta non per convenevoli, ma vittorioso – L’ho trovato”.
 
“Ok, ce la possiamo fare” mi diedi nuovamente forza e avanzai.
La sentii, mentre leggeva l’ultima parte della lettera. Aveva la voce completamente stravolta, come se stesse piangendo.
Aspettai in silenzio, fin quando, con voce sempre più emozionata, non esclamò: “Chiederti?”.
A quel punto mi inginocchiai, ignorando che lo smoking potesse rovinarsi. Aprì la scatoletta e, cercando di mantenere un tono di voce pacato, dissi: “Mi vuoi sposare?”.
Mary si voltò lentamente, forse temendo che non l’avessi detto davvero, che stesse sognando. Ma non era frutto della sua immaginazione. Stava succedendo davvero.
“Oddio!” esclamò, tentando di asciugarsi le lacrime.
Mentre lentamente mi alzavo, cominciai a parlare: “Ho preso questo, perché, beh, è oro bianco e a te piace; poi la pietra principale, anche se non sono sicuro si dica pietra, è acquamarina, come il posto che ti rende invincibile e il colore dei miei occhi. I tre diamantini per lato non erano previsti, ma alla fine non lo appesantiscono, per così dire, quindi credo possa and”
“Ian”
“Sì?” la guardai negli occhi.
“Taci” disse, secca, prima di fiondarsi sulle mie labbra.
Per poco non cademmo entrambi per terra, mentre la sua lingua cercava esigente la mia, mentre le sue dita mi scompigliavano i capelli. Cercai di sostenere il peso di entrambi, ricambiando quel bacio inaspettato.
“Ho una domanda” le sussurrai, mentre le nostre labbra erano ancora molto vicine.
“Spara” mi diede un bacio stampo.
“Questa limonata vale come un ‘sì’?”
“No, guarda, volevo sbaciucchiarti un po’ e illuderti prima di lasciarti”.
L’ironia era palese, ma stetti al gioco.
“Ah – abbassai lo sguardo, triste – allora dovrò riportare questo gioiellino al negozio” feci per andarmene, ma Mary mi bloccò.
“Tu non vai proprio da nessuna parte” mi diede un altro bacio, afferrando l’anello e mettendoselo all’anulare sinistro.
“Ti sta proprio bene” mormorai, incantato.
“Ecco fatto. Adesso sono ufficialmente tua”
“Perché, prima di chi eri?”
“Mmm” sorrise maliziosamente.
“Mary!” la guardai, fingendo di essere inorridito.
Scoppiò a ridere, ammirando l’anello tutta contenta. La presi in braccio, di modo che la sua pancia aderisse alla mia spalla sinistra.
“Ian, che fai?” rise ancora di più, agitando le gambe.
“Sta’ ferma o ti si vede tutto – scossi la testa – comunque, ho avvisato tuo fratello che avremmo ritardato a cena”
“Perché? Possiamo rientrare in tempo”
“Mary”
“Che c’è? E’ vero!”
“Passiamo prima dall’hotel”
“Perché dovremmo passare prima dal – interruppe la frase, arrivandoci – Oh. Sì, ok, faremo tardi. Decisamente tardi” parlò eccitata.
 
Aprì la porta della stanza molto tranquillo. Era stato difficile mantenere i bollenti spiriti dentro i pantaloni per tutto il tragitto, specie perché quella disgraziata amorevole della mia, ormai, fidanzata aveva fatto di tutto per aiutare la mia eccitazione a mostrarsi. Non aveva smesso nemmeno un secondo di accarezzarmi, dal petto ai gioielli di famiglia. E viceversa.
“Prima di lei, signorina non ancora per molto” accennai un inchino, indicandole la stanza.
“Grazie mille, è proprio un gentiluomo” entrò con una grazia inaudita.
Sembravamo due persone dell’ottocento. Ovviamente, non appena chiusi la porta a chiave, la situazione cambiò.
Mi voltai verso Mary, quasi mi fiondai su di lei, spingendola verso il muro. Le scarpe con il tacco e i collant volarono da qualche parte nella stanza, stessa cosa per le mie scarpe e i pantaloni. Le afferrai le cosce, permettendole di stringere le sue gambe intorno alla mia vita. Le spinsi la gonna del vestito più su.
“Non strapparlo, non è nemmeno mio” mi avvertì, senza fiato.
“Nessun problema, si può tranquillamente togliere. Tanto stai meglio senza” sorrisi malizioso e sfilai il vestito dall’alto.
Mentre ci spogliavamo a vicenda, le nostre bocche non riuscivano a starsene tranquille. Continuavamo a cercare ognuno le labbra dell’altro, a bramare le nostre parti del corpo. Non ero mai stato così eccitato in vita mia. Forse il tutto era accentuato dal fatto che per due settimane eravamo stati lontani o forse dalla proposta, non sapevo dirlo con certezza.
Le feci toccare i piedi per terra per un attimo, mentre le toglievo le mutandine coi denti.
“Stronzo” si morse il labbro inferiore.
“E’ uno dei miei nomi effettivamente, non so se ricordi” le sorrisi beffardo, mentre lasciavo che i boxer smettessero di avvolgermi il bacino.
Nel momento in cui le sue gambe riavvolsero il mio bacino, entrai in lei. Mentre andavo più in fondo, le nostre mani spaziavano lungo i nostri dorsi e i nostri petti. Era tutto un toccarsi, un desiderarsi sempre di più, come se non fosse mai abbastanza.
Mary inizialmente cercò di trattenersi; ben presto non riuscì più a farlo e si lasciò completamente andare, mentre, con tutto l’amore e l’energia di questo mondo, cercavamo di appagarci.
Restammo in quella posizione per più tempo del solito. Raggiunto l’apice del piacere, poggiai il volto sul seno della mia italiana. Per tutta risposta, lei mi accarezzò i capelli, mentre il suo respiro tornava normale.
“Se ogni volta che parto, mi ripaghi così, mi sa proprio che andrò via di casa più spesso” appoggiò il mento sul mio capo, ridendo.
Mi aveva citato.
“Dovresti solo provarci” ricambiai, citando lei, poi le diedi un pizzicotto sul sedere, seguendola a ruota subito dopo.
Stavo per farla scendere, quando, contenta, mi disse: “No, aspetta. Restiamo un altro po’ così. E’ bello”
“Non senti freddo?” le domandai.
“No. Sento solo il tuo corpo che mi avvolge. Non potrei chiedere niente di meglio”
“Attenta, la tua vena romantica si sta mostrando”
“Che si mostri! Tu oggi mi hai sorpreso in un modo che non credevo possibile. Ti meriti questo e ben altro – mi carezzò il volto – Ti amo”
“Anche io”.
 
POV Mary
Era stato davvero complicato stare al fianco di mio fratello Giorgio, mia cognata e mio nipote, senza far trasparire la felicità per la proposta. La difficoltà era aumentata appena atterrati in Sicilia, dove non dovevamo far attenzione solo a tre persone, bensì a due famiglie intere.
Finalmente, tuttavia, il giorno era arrivato: la domenica di Pasqua.
Avevamo deciso che, a pranzo da nonna, avremmo annunciato il lieto evento.
Stavamo passeggiando tutti insieme, quando la famiglia di Ian propose di fermarci a bere qualcosa, prima di pranzo.
Colsi la palla al balzo. Era l’occasione perfetta per passare da San Giorgio da soli, senza destare sospetti, e poter, in questo modo, avere una data orientativa per le nozze.
“Voi andate pure – dissi, sorridendo – io ormai volevo portare Ian a vedere San Giorgio, una delle chiese barocche di questa città”
“Ma lui è già venuto in Sicilia, non l’ha già vista?” chiese Robyn, inarcando un sopracciglio.
Ian giunse in mio soccorso: “Verissimo, ma era da tempo che le chiedevo di tornarci. Quale migliore occasione, se non la domenica di Pasqua, con il sole che ci bacia dall’alto?” sorrise anche lui.
Annuii, cercando di far risultare le sue parole convincenti.
“Ok, allora ci vediamo da tua nonna, Mary?” disse Edna.
“Sì, sì, va benissimo. A dopo e buona bevuta! Mi raccomando, però, non bevete troppo, altrimenti a pranzo non mangerete molto”
“Non preoccuparti, ricordiamo ancora la cena di Natale da noi a Covington. Cercheremo di tenere gli stomaci abbastanza vuoti” Bob mi fece l’occhiolino, sghignazzando.
Io e Ian ci avviammo verso la chiesa. Cominciò a battermi forte il cuore, presa dall’emozione. Avevamo già parlato con il mio sacerdote e lui aveva accettato di sposarci. Dovevamo solo fargli sapere la data.
‘Solo’.
Saliti tutti gli scalini, giungemmo all’ingresso. Mentre Ian non riusciva, nuovamente, a distogliere lo sguardo dalle decorazioni barocche dell’interno, io girovagai qua e là, cercando il sacerdote di quella chiesa.
Improvvisamente dalla sacrestia uscì una donna in lacrime. Il sacerdote la seguì, guardandola tristemente.
Assistetti a quella scena con il cuore stretto. Cosa le era successo? Sperai nulla di grave.
La stavo ancora osservando, mentre si allontanava sempre di più, quando il sacerdote mi domandò cosa volessi.
“Mi scusi – risposi, stringendogli la mano – Buongiorno e buona Pasqua, saremmo qui per chiedere orientativamente quando ci potremmo sposare” sorrisi.
 
Mentre tutti gli altri parlavano animatamente tra di loro, io e Ian eravamo molto silenziosi, presi semplicemente ad accarezzare le rose, che i miei nonni coltivavano. Era davvero una bella giornata. Il sole splendeva, l’aria era calda e accogliente. Il chiasso dei grandi e i bimbi che giocavano rendevano quel panorama ancora più Familiare. Era incredibile come due famiglie, così lontane e linguisticamente e tradizionalmente diverse, si fossero ritrovate a legare. Ancora più incredibile era la velocità con cui questo legame si era formato. Le nostre nonne andavano d’accordo, nonostante non si capissero senza mediatore; i bambini si rincorrevano; i nostri genitori parlavano del più e del meno, sfruttando Giorgio.
L’atmosfera, effettivamente, era identica a quella natalizia, con una sola differenza. A Natale io e Ian non eravamo fidanzati ufficialmente.
“Quando credi dovremmo dirglielo?” gli sussurrai nervosamente.
“Sta tranquilla, o penseranno che abbiamo qualcosa da nascondere”
“Ma noi abbiamo qualcosa da nascondere! Mi hai chiesto la mano tre giorni fa e non lo sa ancora nessuno. Rischio di urlarlo adesso in modo isterico, se non ci diamo una mossa”
“Non ne avresti il coraggio”
“Potrei trovarlo”
“Uh, la tua versione da ragazzaccia sta per uscire alla luce del sole? Allora dovremmo prenderci una stanza” disse malizioso e mi toccò i fianchi.
“Non scherzare – gli diedi una spintarella – Piuttosto… lo diciamo o no?”
“D’accordo, d’accordo. Appena prima di pranzo vuotiamo il sacco”
“Signori, il pranzo è servito!” annunciò mio nonno contento, sfregandosi le mani sul grembiule a quadri, da cui non si separava mai.
Sorrisi. Era il grembiule che io, i miei fratelli e i miei cugini gli avevamo regalato per il suo settantottesimo compleanno, ultimo compleanno festeggiato, prima che quasi tutti ci sparpagliassimo per lavoro.
“Che ha detto?” mi chiese Ian, distogliendomi dai miei pensieri.
“Che il pranzo è pronto. Ci siamo!” risposi.
Mi prese la mano e mi portò vicino al tavolo, poi disse: “Prima che il pranzo cominci, io e Mary ci terremmo a dire una cosa”.
Ripetei la sua frase in italiano per i miei parenti, poi lo guardai, incitandolo a continuare.
“Come sapete, se non lo sapete lo dico io adesso, io e Mary stiamo insieme da quasi un anno. In quest’anno il nostro rapporto ha fatto un bel cammino, fatto di alti, ma anche di bassi. Questi bassi ci hanno colpito più volte, ma siamo riusciti a superarli con tenacia e coraggio – Ian si fermò, per darmi il tempo di tradurre tutto, poi riprese – Tre giorni fa, Mary era ancora a Londra dopo le due settimane di servizio al London Memorial. Io l’ho raggiunta di nascosto con l’aiuto di Giorgio, ma non ho detto nemmeno a lui il perché. Vedere Londra? Ipotesi plausibile. Mi mancava? Sicuramente. Ma non sono queste le motivazioni. La verità è che… Creiamo la suspance” sorrise.
“Al posto di tenerci sulle spine, parla!” s’intromise Robyn e Ian rise.
“D’accordo, d’accordo. La verità è che, poco prima che partisse, ho realizzato che la amo davvero in un modo non proprio descrivibile. Perciò tre giorni fa l’ho raggiunta di nascosto per chiederle la mano”
“E io ho detto sì” sorrisi e strinsi la mano di Ian.
L’anello tornò in un attimo al suo posto, il mio anulare sinistro. Era bellissimo poterlo indossare nuovamente.
Tutti ci guardarono sconvolti, poi si alzarono in piedi e cominciarono ad abbracciarci di qua e di là.
“E chi se l’aspettava. Stavolta non ho capito niente nemmeno dal tuo sguardo, sorellina” disse Giorgio, mentre mi stringeva.
“Almeno questo sono riuscita a nasconderlo – risi – è stato davvero difficile”
“Immagino. Avete già in mente qualcosa?” domandò Robyn.
“Ehm, sì. Ecco, c’è di più – diventai rossa, mordendomi il labbro inferiore – Ho chiesto a Ian se ci potessimo sposare qui, nella mia città natale. Lui ha accettato, per cui oggi siamo andati a San Giorgio per sapere più o meno una data orientativa per le nozze” mentre parlavo, gesticolavo.
“Parlando col sacerdote, ci ha detto che c’è una lista lunghissima di matrimoni eccetera, eccetera, ma ci ha anche detto che siamo arrivati in un momento fortunato. Infatti, poco prima di noi, una donna ha disdetto le sue nozze, quindi si è liberato un posto. Per cui”
“Per cui ci sposiamo il 13 Maggio, fra tre settimane!” urlammo insieme, nelle nostre rispettive lingue.
“Cosa?!” esclamarono tutti in coro.
“Ma come faremo a organizzare tutto?” mia madre cominciò a sventolarsi con un tovagliolo.
“E i voli da prenotare” Edna si guardava intorno intontita.
“E gli invitati da avvisare, la lista nozze, insomma, è un macello” Addison fece una smorfia.
“Ci rendiamo conto che è molto presto – cercai di tranquillizzare le famiglie – ma tra il 13 Maggio, per altro giorno in cui ci siamo messi insieme, e un giorno a caso tra tre anni, abbiamo preferito così. Ci rendiamo anche conto che sarà difficile organizzare un matrimonio in tre settimane, quando, di solito, ci vogliono minimo sei mesi; ma speriamo vivamente che ciascuno di voi contribuisca. Non vi chiediamo soldi o quant’altro di materiale. Vi chiediamo semplicemente di darci una mano con l’organizzazione”.
Ci fu qualche momento di silenzio. Mi stava prendendo l’ansia. Erano tutti così confusi e sorpresi.
Ma, alla fine, esclamarono: “Per voi questo e altro, cari ragazzi!”.
Dopo aver riempito dei calici, brindammo tutti a me e Ian.
Finito di pranzare, dovevamo vederci con i miei parenti e amici italiani per sputare il rospo anche con loro. Sospirai profondamente, poco prima che cominciassimo quel lungo giro.
“Tutto ok?” domandò Ian, stringendomi una mano.
“Sì. Sono solo un po’ preoccupata”
“Per cosa?”
“Beh, intanto il matrimonio è fra tre settimane. C’è così poco preavviso che probabilmente molti non riusciranno a venire. E poi penso che Iris mi ammazzerà per non averglielo detto il secondo dopo che quest’anello è finito intorno al mio dito” feci una risatina.
“Per il poco preavviso lo capisco. E’ una cosa che preoccupa anche me. Ma – esitò un attimo – non pensarci adesso. Magari tutti gli invitati ‘esteri’ hanno le ferie arretrate come te e possono prendersi dei giorni” mi sorrise e mi diede un bacio.
“Carino, davvero – scossi la testa, ricambiando comunque il bacio – andiamo, su, o non finiremo mai”.
Andammo prima dai parenti. Alcuni dei miei cugini non erano potuti venire per le vacanze di Pasqua, quindi fu parecchio esilarante comunicarglielo via Skype insieme ai miei zii e ai cugini, invece, presenti. Inutile dire che tutti avevano esultato, non solo complimentandosi, ma anche dicendo, in termini diversi, un bell’ ‘Era ora!’.
Per Stefano e Francesca, dalla Spagna con furore, non era un grande problema prenotare un volo.
“Non devi preoccuparti di niente, cugi, sul serio. Abbiamo tutto sotto controllo e ci saremo! Non potremmo mai mancare” avevano detto entrambi, sorridendo.
Colei che mi preoccupava era Serena. Non era vicina come loro, non era in Europa. Australia. Maledizione, era lontanissima! Come avrebbe fatto a trovare un volo per un tempo così ravvicinato? Appena ricevuta la data del matrimonio, anche lei aveva visibilmente tentennato, sicuramente facendo il mio stesso pensiero.
Subito parlai: “Scusami, forse avevi bisogno di più preavviso, ma è successo tutto così in fretta, che”
“Non dirlo neanche! – mi interruppe subito, mostrando nuovamente sicurezza – Lavoro tutti i giorni instancabilmente da Capodanno! Posso permettermi una settimana di ferie per tornare a casa. Ci sarò, stanne certa”
“Mi fai commuovere con la tua sicurezza”
“Commuoviti pure, non ti giudicherò. Come al solito” mi fece una linguaccia.
“Ti voglio davvero bene”
“Anche io”
“Uh, cugi, un’ultima cosa”
“Dimmi”
“Tu, Giorgio e Iris sarete i miei testimoni”
“Ovviamente” sorrise fiera.
Scoppiai a ridere.
“Effettivamente, non c’era bisogno di dirvelo. Lo sapete già da parecchi anni”
“Già, ma anche non sapendolo – tenne il fiato sospeso per un attimo – sei dannatamente prevedibile, Mary”
“Anche” scossi la testa.
“Devo lasciarti e mettere Francesco a letto. Però, Mary, credimi: sono felicissima per te e per voi”
“Ti credo. Vai tranquilla! Salutami il mio figlioccio e Daniel. Ci sentiamo presto, d’accordo?”
“Ma certo, baci” riattaccammo.
Ultimato il giro dei parenti, ci dirigemmo verso il pub per parlare con gli amici, rientrati per la settimana santa.
Prima, però, dovevo dirlo a Mel. Lei, ovviamente, non era qui, essendo originaria di Torino e vivendo a Londra. Sapevo che fosse rientrata, quindi cercai in rubrica il numero italiano. Stavo per premere sul tasto ‘chiama’, quando fu lei a chiamarmi.
“Mel? – dissi sorpresa – Stavo per chiamarti io”
“Ma davvero? Toh, siamo proprio telepatiche – fece una risatina – Come va in Sicilia, rockstar della medicina?”
“Bene e tu?”
“Bene pure. Ehm, ho una notizia da darti”
“Pure io. Chi comincia?”
“Inizia tu, dai. Magari è più importante”
“Non dirlo neanche per scherzo. Devo preoccuparmi?”
“No – sospirò – semplicemente – esitò un attimo, accrescendo la mia ansia – Luca mi ha chiesto la mano oggi. Riesci a crederci? Cioè, abbiamo iniziato a frequentarci a ottobre e siamo ad aprile e sembra una pazzia, forse siamo davvero usciti di senno, ma, comunque, ho accettato, perciò a ottobre avrai un matrimonio a Torino – parlò d’un fiato, non riuscendo a trattenere l’eccitazione – Ovviamente se Ian sarà libero, potrà venire pure lui”
“Mel”
“Sì?”
“Scherzi?”
“No, perché? Pensi che sia una pessima idea?” la sua voce divenne incerta.
“No, è che… Ian mi ha chiesto la mano tre giorni fa e ci sposiamo fra tre settimane” parlai intontita.
Che si fossero messi d’accordo?
“Cosa?! Oddio, non ci posso credere – Melania quasi urlò dall’altro capo del telefono – Oddio, Mary, ti rendi conto? E’ come se Luca e Ian avessero deciso insieme”
“L’ho pensato pure io” feci una risatina.
“Aspetta, ma hai detto ‘tre settimane’?”
“Sì, ehm, ci sposiamo il 13 Maggio”
“Ok, Mary, perdonami, ma dobbiamo riattaccare. Devo volare a prenotare tutto. Non posso mancare”
“Certo che non puoi, sei una delle damigelle”.
Mel urlò.
“Sì, sì, sì! – continuò estasiata – Mi raccomando, scegli bene i vestiti o non so che ti faccio”
“Tranquilla, sarai divina sicuramente”
“E mi raccomando, tu non dovrai mancare a ottobre”
“Puoi contarci – sorrisi – Mel, ti voglio bene”
“Anche io, sposina numero uno”
“Buona serata, sposina numero due”
“Anche a te” riattaccammo.
“Mel e Luca si sposano?” Ian era incredulo.
“Sì, a Ottobre. Non so ancora il giorno, ma penso sia quello in cui si sono messi insieme”
“Copioni” fece una smorfia, ironico.
“Ma smettila – lo baciai – Pronto per l’ultimo round con gli italiani?”
“Sì – sorrise – e tu sei pronta al mega round con tutti gli amici americani stanotte?”
“Uh, è vero – stavolta fui io a fare la smorfia – mi ero dimenticata che dovessimo avvertirli. Ora che ci penso, Rose, Steve e Alex non saranno poi così sorpresi”
“Come mai?”
“Beh, a Miami ti vedevo strano, perciò ho chiesto consiglio a loro e, mentre Steve ipotizzava una relazione clandestina, mandandomi ancora di più nel panico, Alex aveva già pensato che potesse esserci una proposta di mezzo”
“Ragazzo perspicace”
“Molto – la mia espressione mutò, ricordando una cosa – Ian, se i miei amici sono in ospedale, le telecamere riprenderanno il momento”
“Ti da’ fastidio che il mondo possa saperlo?”
“No, è che vorrei che quel momento fosse nostro, non ripreso e mandato in onda in una tv nazionale”
“Questo è vero. Beh, se sei d’accordo, dopo averlo detto a tutti, possiamo anche mettere una foto sui social con cui annunciamo quest’evento”
“Si potrebbe fare”
“Bene, ora scendiamo o i ragazzi ci ammazzano – fece una risatina – pronta?”
“Come non mai” sorrisi convinta e scesi dall’auto.
Entrammo nel locale di sempre, che aveva caratterizzato tutta la mia adolescenza e ogni mio ritorno a casa da Firenze. Quel locale in cui, dopo le prove del coro, ci riunivamo a divorare cibo, come se non avessimo mai messo qualcosa sotto i denti; in cui avevo annunciato la mia partenza per gli Stati Uniti; in cui Mattia aveva proposto a Iris di sposarlo; in cui le tre Cerruto avevano annunciato le loro rispettive gravidanze. Insomma, quel posto era come il McLaren’s di How I met your mother, come il Central Perk di Friends. Era il nostro punto di riferimento.
Varcai la soglia del locale, mano nella mano con Ian, mentre il mio cuore cominciava a battere all’impazzata.
“Rilassati, andrà tutto bene” Ian mi sussurrò.
“Sono l’ultima del gruppo siciliano che si sposa, l’agitazione ci sta. No?” lo guardai con la coda dell’occhio.
“Ssssh” si limitò a dire, mentre Iris si sbracciava.
Come se non sapessi che tavolo avessero preso!
“Buonasera a tutti” esordimmo, sorridendo.
“Ciao ragazzi” ci salutarono in coro.
“Come mai Giorgio non è venuto?” domandò Nadia.
“Addie non si sentiva molto bene” abbassai un attimo lo sguardo, incerta se sapessero della seconda gravidanza di mia cognata.
“Sì, purtroppo nel primo trimestre è sempre così”
“Già, scusami, dimenticavo che stavo parlando con l’ostetrica del gruppo” sorridemmo entrambe.
Una volta accomodati, con Ian ci guardammo un attimo, per poi posare i nostri occhi sulla parte di comitiva presente.
“Dove sono i marmocchi?” mi guardai intorno, non vedendoli da nessuna parte.
“A casa coi nonni. Avevamo bisogno di una sera di pausa” Tatia si passò una mano tra i capelli.
“E poi nonna Cerruto è felice di avere a che fare con tre maschietti, dopo aver allevato tre femminucce”
“Giustamente – risi, poi sospirai – Ascoltate, devo parlarvi di una cosa” divenni molto seria.
Le tre sorelle si agitarono sulla sedia, divenendo immediatamente preoccupate.
Matt, Andrea e Francesco posarono lo sguardo su Ian, cercando di capire cosa stesse succedendo, cosa – apparentemente – mi turbasse.
“Ecco, io” lasciai il discorso sospeso, mentre, con le mani sotto il tavolo, rimettevo l’anello all’anulare sinistro.
“Mary, ci stai facendo venire l’angoscia!” disse Iris, quasi esasperata.
“Esatto! Vuoi parlare o no?” Nadia e Tatia corrugarono la fronte.
“Ecco, io – tirai fuori la mano sinistra, cambiando l’espressione del volto – mi sono ufficialmente fidanzata!” alzai il tono della voce, estasiata.
Il momento divenne uno di quelli da inserire negli annali e ricordare per sempre.
Le ragazze e i rispettivi mariti guardarono me, Ian e l’anello con la bocca aperta minimo dieci volte, prima di alzarsi in piedi e farci le congratulazioni.
Nemmeno a specificarlo, le ragazze stavano urlando come matte.
“Ragazze, prima di prenotare da mangiare, dobbiamo tirare fuori il foglio” fece notare Tatia.
“Oh mamma! Ma ve lo portate dietro?” mi misi le mani ai capelli.
“Certo che sì! Non si può mai sapere nella vita. Allora, Ian, preparati” Iris si legò i capelli, nemmeno dovesse picchiare qualche teppistello.
Matto scoppiò a ridere.
“Che succede?” Ian lo guardò dubbioso.
“Oh, vedrai!” dissero Andrea, Francesco e Matt in coro.
“Allora – spiegò Tatia – questa è una lista che già Andrea, Francesco, Matt e Daniel conoscono. L’abbiamo stipulata noi tutte insieme una volta a Firenze da Mary e Mel e si legge ogniqualvolta una del gruppo sta per sposarsi. Diciamo che comprende una serie di raccomandazioni da parte nostra in modo molto tranquillo”
“Diciamo tranquillo, sì” Iris sventolò l’indice, d’accordo con la sorella.
“Nota bene: la presente lista è stata scritta quando avevamo circa 20 anni. E ho detto tutto”.
Distolsi lo sguardo da Ian, in imbarazzo, ripensando a quella sera di Maggio in cui, mezze ubriache, avevamo creato questo ‘mostro’.
 
“Ok, ragazze, calma. Cosa scriviamo in  questa fatidica lista? E come la chiamiamo?” chiese Mel.
“Il più o meno decalogo prematrimonio?” propose Nadia.
“Mmm, naah” commentammo in coro.
“Le 13 regole da osservare in vista del matrimonio con una del gruppo”disse Serena.
“Oppure ‘Le 13 regole che il povero Cristo che si prende in sposa una del gruppo deve conoscere prima del matrimonio’” propose Iris entusiasta.
“Iris, tesoro, prima di finire la frase, il matrimonio è già stato celebrato, la coppia di sposi è tornata dal viaggio di nozze e ha avuto il tempo di andare in ospedale per la nascita del primogenito” le feci notare.
Scoppiammo tutte a ridere.
“Dai, ok, accettiamo il titolo di Serena” rispose Iris stizzita.
“Ok, dai, due regole ciascuno. Chi ha idee? Venghino, signori, venghino! Non abbiate paura”disse Nadia, imitando un presentatore del circo.
“Io ho seriamente paura di cosa potrebbe venire fuori” dissi, nascondendomi gli occhi.
“No, dai, Mary, sarà divertente!” dissero tutte in coro, versandomi da bere.
 
“Non potremmo saltare questa parte?” proposi, continuando a non guardare Ian.
“No, no, è la nostra tradizione. Si fa, punto” non vollero sentire ragioni.
“Allora – Iris cominciò a parlare in inglese, tirando fuori il fatidico foglio dalla borsa – Queste sono le 13 regole da osservare in vista del matrimonio con una del nostro gruppo, caro Ian. Ovviamente, non tutte le regole parlano di Mary, diciamo che sono quasi tutte nominali, perciò ti leggo quelle che si riferiscono a lei. Pronto?”.
Ian annuì, un poco spaventato.
“Regola n. 4: questa regola riguarda Mary. Visto che crede di rimanere gattara a vita e che nessuno le farà mai avere un orgasmo, si prega il futuro marito della Floridia di donarle un orgasmo a settimana. Iris lo prega di regalargliene uno al giorno, considerando la tensione e l’ansia perenne in cui vive sta ragazza, ma ci accontentiamo anche di uno a settimana. Sappiamo benissimo che soddisferai questa nostra richiesta, così da ammutolire quella deficiente – per ora – gattara; regola n. 8: turno di Mary, parte 2. Preghiamo il futuro marito della Floridia, che sia un Ermenegildo o un John, di avere cura di lei. E’ un fiore molto delicato e paranoico, che talvolta ha bisogno di supporto psicologico. Sembra che stiamo parlando di una matta, rinchiusa in un manicomio, e potrebbe essere, visto che abbiamo bevuto un po’ troppo, ma… il punto non è quanto abbiamo bevuto, ma che Mary, nonostante i mille difetti, ha mille e uno pregi. E merita di essere amata per tutte queste cose. Possibilmente tu, o futuro marito, ti sarai fermato alla parola “paranoico” o “manicomio” e sarai già fuggito via, confermando la nostra idea per cui non tutti meritano una donna come Mary. Ma, nel caso in cui tu non sia fuggito, sappi che ti ammiriamo. Vuol dire che la ami davvero, tanto da voler fare una famiglia con lei. E anche perché magari sei anche il tipo della regola n. 4 (parte scritta da Iris, un po’ fissata stasera con il sesso, perché le manca Mattia)”
“Oh, amore mio” Matt fece la voce dolce, carezzandole una mano.
“Sì, amore, lo so – Iris gli diede un bacio stampo, proseguendo poi la lettura – Comunque, sappi che se riuscirai ad andare oltre alla paranoia, alla bipolarità occasionale e all’ipocondria, ti troverai per le mani una persona d’oro, molto rara di questi tempi (Sì, Carlo, ci stiamo riferendo a te e a quella zoccola e speriamo che non sia tu l’uomo a cui stiamo leggendo questo foglio)”
“Ma chi è Carlo?” Ian interruppe la lettura, quasi non curandosi di tutte le altre cose imbarazzanti scritte.
“Un coglione, ma non importa al momento” Tatia lo liquidò.
Iris riprese a leggere: “E, infine, regola n. 13: questa regola riguarda tutte. Ognuna di noi è molto protettiva nei confronti dell’altra. Non importa se non tutte siamo sorelle di sangue, perché lo siamo diventate per scelta nostra. Pertanto, se uno dei sei futuri mariti di queste stratosferiche ragazze si ritrova a tradirle o comunque a fare loro del male, il gruppo interverrà. E la castrazione, come minima punizione, sarà assicurata. Sottolineiamo la parola minima. Nessuna di noi sei si merita di soffrire. Quindi siete avvisati. E mezzi salvati. Fine”.
Ian mi prese la mano e guardò Iris, Nadia e Tatia: “Ragazze, credetemi se vi dico che non ho la benché minima intenzione di fare del male a Mary. Tutt’altro. Voglio solo renderla felice per come merita, starle accanto per il resto della mia vita e donarle orgasmi ogni volta che vuole, visto che li avete citati”.
Scoppiammo tutti a ridere.
Ian riprese: “Davvero. Credetemi. Sono sincero. Ho avuto molte donne nella mia vita, ma nessuna è stata come lei. Nessuna mi ha fatto sentire di poter avere tutto. Nessuna mi ha fatto sentire l’istinto di costruirmi una famiglia. Questo mi ha fatto capire che è Lei, la donna giusta. E lo sarà per sempre”.
Mi voltai sconvolta. E, ovviamente, con le lacrime agli occhi.
“Grazie, Ian. Lo apprezziamo molto” le tre sorelle erano visibilmente commosse.
Andarono ad abbracciarlo e poi abbracciarono me.
La serata poté proseguire, tra cibo e risate.
 
POV Ian
“Ragazzi, sì, ma, quello che vorrei dirvi è” cercava di parlare Mary, mentre i suoi colleghi non la consideravano minimamente.
Continuavano imperterriti a guardare lo schermo dell’Ipad di Steve, commentando qualcosa.
“No, dai, secondo me è impossibile che si siano potute ridurre così per un palo. Mi rifiuto di crederci” Alex scuoteva la testa, convinto.
“Al adesso avrà il terrore dei pali per tutta la vita” Rose commentò, scoppiando a ridere.
“Ragazzi, ma che dite?” cercò di intromettersi Mary.
“E’ venuto quest’individuo al pronto soccorso, lamentando dolore inguinale. Steve va per visitarlo, quando – Alex creò la suspense – Sbam!” disse ad alta voce.
“Questo aveva i gioiellini di famiglia tutti tumefatti e strani” Rose storse la bocca.
“Lui mi ha detto per l’anamnesi che è successo perché si è imbattuto in un palo della luce. Ma io non credo che un palo della luce possa provocare questi danni” Steve parlava, continuando a indicare qualsiasi cosa ci fosse sullo schermo del suo prodotto Apple.
“Nessuno ci crede. Sembrano sopravvissuti a un conflitto mondiale, e dai!” Alex si passò una mano tra i capelli.
“Ok, sebbene passerei davvero volentieri il mio tempo per dormire, visto che, per la cronaca, qui sono le tre, a parlare di gioiellini di famiglia con voi, ho ben di meglio da dirvi”
“Sarebbe? Perché noi entro domani mattina dobbiamo scoprire il materiale di questo fantomato palo, se ha ridotto i testic” Alex non concluse la frase.
Mary parlò prima che potesse.
“Io e Ian ci sposiamo il 13 Maggio, qui nella mia città natale e siete tutti invitati” disse d’un fiato, prima che le impedissero nuovamente di dare la notizia.
Rose e Steve cominciarono a urlare come dei forsennati, congratulandosi prima con noi e poi andando a dare la notizia a mezzo ospedale, mentre Alex, con un sorriso a trentadue denti, a mio parere un po’ troppo tirato, ci disse: “Ragazzi, ne sono davvero contento. Vi meritate tutta la felicità di questo mondo. Congratulazioni! – ci fece l’occhiolino, o forse solo a Mary, poi disse – Ora vado a recuperare quei due, buona notte” e concluse la chiamata.
“Adesso lo sanno” carezzai la spalla a Mary, sorridendole.
Lei, tuttavia, non sembrava soddisfatta.
“Non potevi di certo aspettarti che anche lui facesse i salti di gioia” commentai serio.
“No, non è questo – scosse la testa – E’ solo che – esitò per un momento – che nei suoi occhi si leggeva quanto stesse soffrendo. Mi sento una persona orribile. Forse non avrei dovuto dirglielo davanti agli altri o a te” scossa nuovamente il capo, passando una mano tra i capelli e sospirando.
“Mary, ricordi cosa disse Meredith Grey verso la fine della seconda stagione? Quando Denny si propone a Iz”
“Non possiamo decidere di chi innamorarci”
“Esatto. Non possiamo. Tu ti sei innamorata di me, mentre io non ero disponibile e mi hai lasciato andare. Certo, siamo finiti insieme noi due, ma non è questo il punto. Il punto è che mi hai permesso di provare a salvare la mia relazione, l’hai permesso pure a Nina, nonostante non fosse la cosa giusta per te, nonostante ti facesse stare male. Lui sta facendo questo. Ti sta lasciando andare. Ti ama, ma… ti sta lasciando a me”
“Hai ragione” sospirò nuovamente.
Le diedi un bacio sulla fronte.
“Sperò solo possa trovare una persona che lo renda felice. Se lo merita. So che sembra strano che io parli così, ma – esitò un attimo – prima non lo conoscevo bene. O, perlomeno, quasi non mi ero sforzata di conoscerlo bene, mentre adesso sì. E di questo sono felice – sorrise, poi batté le mani – Ok, adesso dobbiamo dirlo al tuo amato cast. Stanno girando in questo momento?”
“Credo di sì. Chiamiamo” sorrisi anche io, eccitato di poter dare quella notizia.
Skype squillò un paio di volte a vuoto, poi rispose Nina.
“Ciao ragazzi!” sventolò la mano.
“Ciao – salutò Mary contenta – come va?”
“Bene, bene, siamo in pausa dalle riprese notturne. E a tal proposito – Nina lasciò il discorso in sospeso, smuovendo il computer – salutate” urlò, riprendendo tutti gli altri membri della crew, rilassati sul divano.
“Ciao!” si udì un boato.
“Ciao, ragazzi, mi mancate – dissi ad alta voce, cercando di non svegliare comunque nessuno – Vorrei darvi una notizia e vorrei darvela proprio adesso che siete in pausa. Posso?”
“Ma certo” dissero tutti in coro.
Li guardai tutti, riuniti nello schermo, per un attimo, soffermandomi su Paul, che già sapeva tutto, e sorridendo.
“Beh, ecco, il 13 Maggio qui a Modica, in Sicilia, siete invitati a un matrimonio: il nostro”
“Ci sposiamo” Mary mi strinse il braccio, sorridendo e mostrando a tutti l’anello.
Tutti cominciarono a urlare felici. Anche Nina. Ma il suo sguardo diceva ben altro.
Ripensai per un attimo al giorno dopo la nostra rottura.
 
“Ehi, Nina, sei in casa? Sono venuto a prendere le mie cose e a lasciarti le chiavi. Questa è l’ultima volta che le uso, lo prometto – mi guardai intorno, notando che era tutto in ordine e non c’era anima viva; persino Lynx sembrava sparita nel nulla, quando, solitamente, mi accoglieva passandomi tra le gambe – Nina?”la chiamai nuovamente.
Niente.
Sospirai e salii al piano di sopra, lentamente, diretto al mio studio.
Non appena aprii la porta, notai Nina appollaiata con Lynx sulla mia sedia nera.
Teneva qualcosa tra le mani, anche se non riuscivo a capire cosa.
“Ehi” mormorai, cercando di attirare la sua attenzione.
Non mi rispose, né tantomeno mi guardò.
“Ok” mi limitai a dire, andando verso la libreria con uno scatolone in mano.
“Avevi intenzione di dirmelo o” parlò secca la Dobreva, girando la sedia e guardandomi.
Mi voltai anch’io verso di lei e, finalmente, capii. Aveva trovato l’anello di fidanzamento che avrei voluto darle.
“Non c’è stata mai occasione e poi – rimasi in silenzio per qualche secondo – è cambiato tutto ormai”
“Come puoi dire così? Avevi comprato il fottutissimo anello”
“Nina, smettila”
“No, non posso smetterla. Come puoi comprare l’anello e poi non proporti? Anzi, addirittura lasciarmi?”
“Non mi pare che tu fossi così contrariata al lasciarci andare, visto che non funzionava più”
“Sì, ma tu hai comprato l’anello”
“Prima che tutto questo uragano ci inondasse. Prima che la nostra storia finisse. L’ho comprato in un momento di pazzia e non sono mai riuscito a dartelo, perché”
“Perché non c’è stata occasione. Certo. Come no. Credici, Ian, credici. Ma se l’unico. Io non ci credo. A meno che”lasciò la frase in sospeso, sgranando gli occhi.
Non riuscii a reggere e abbassai lo sguardo.
“Ah. Adesso capisco. Non è che non c’è stata occasione. E’ che ti sei pentito di averlo comprato. Ci hai ripensato. Non è così?”.
Rimasi in silenzio.
Purtroppo era vero. C’era stato un momento in cui avevo seriamente pensato che potesse essere lei, ma poi… poi mi ero dovuto confrontare con la realtà. E la realtà non prevedeva questo. Tuttavia, non ero mai riuscito a riportare indietro quel gioiello.
“E’ così – ammisi – Scusami”.
“Solo una domanda e pretendo sincerità: perché?”
“Vuoi sincerità?”
“Sì. Credo di meritarmela”
“Perché ci stavamo distruggendo a vicenda, ecco perché. Perché non sembravamo più una coppia da ‘ti amo e voglio passare il resto della mia vita con te’, più una coppia da ‘fingiamo che vada tutto bene, anche se stiamo cadendo a pezzi’”
“Come puoi dire questo? Sai benissimo che ti amo”
“A tal punto da impegnarti così tanto da sposarmi? Da costruire una famiglia con me? Non credo”.
Nina non rispose.
Quando il silenzio stava ormai diventando fin troppo assordante, continuai: “O non è così? Ora voglio io – sottolineai quel pronome – porti una domanda e anche io pretendo sincerità, perché anche io credo di meritarmela: mi vuoi davvero far credere che, se mi fossi proposto, tu avessi accettato su due piedi? Che, se mi fossi proposto, mi avresti sposato?”
“Gradirei non rispondere”
“L’hai appena fatto” scossi la testa, tornando a sistemare quei libri sulla fondazione e sull’ambiente all’interno dello scatolone.
Non parlammo più. Svolsi quella mansione in silenzio e, non appena ebbi finito, uscii da quella stanza, sperando di non tornarci mai più.
 
Tornato alla realtà, parlammo ancora un po’ tutti insieme, dopodiché riattaccammo. Si erano fatte le quattro, dovevamo decisamente andare a dormire o non avremmo mai superato la giornata di Pasquetta.
Ero in bagno a lavarmi i denti, quando l’Iphone vibrò.
<< So che hai notato il mio sguardo. Ammetto che sono rimasta un po’ intontita, ma vorrei dirti la conclusione a cui sono giunta. Posso chiamarti?>>
<< Ti chiamo io con FaceTime. Ma posso stare davvero poco.>>
<< D’accordo.>>
Finii di lavarmi i denti, poi, prima di indossare il pigiama, tornai nuovamente in salotto, dicendo a Mary di aver dimenticato di dire una cosa alla mia collega bulgara.
L’Iphone squillò un paio di volte, prima che il volto della Dobreva invadesse il mio schermo.
“Ehi, sono tutt’orecchie” affermai, accennando un sorriso.
“Ho capito dai tuoi occhi che hai ripensato a quel giorno. Lo so, perché, beh, ci ho pensato anch’io. Ma, ecco, volevo darti finalmente una risposta a quella domanda. Possibilmente tu l’avevi già capita allora, ma io non proprio, perciò”
“Nina, non c’è bisogno”
“Sì, invece. Sento che devo farlo”
“D’accordo – sospirai – continua”
“La risposta è no. Se tu ti fossi proposto, la mia risposta sarebbe stata no. Una parte di me già lo sapeva, ma il resto di me la opprimeva, come se questa verità non dovesse venir fuori. E ho davvero realizzato questa cosa dopo che abbiamo entrambi affermato di non essere le nostre anime gemelle. Lì questa mia parte completamente consapevole ha preso il sopravvento. Ma mi sono vergognata di dirtelo”
“Perché lo stai dicendo adesso?”
“Perché credo sia giusto. Non solo. Sono certa che non stai facendo una cazzata, come sarebbe stato con me, perché sei riuscito a darle l’anello. Sei riuscito a proporti. Ed è una cosa meravigliosa. Sono davvero felice per voi, ragazzi – sorrise – e sono fiera di dire ciò”
“Niki, grazie. Davvero” sorrisi anche io.
“D’accordo, ti lascio andare a nanna. Dolce notte, Ian”
“A te, Nina”.
 
POV Mary
Mi buttai come un sacco di patate sul divano. Ero stremata. Era passata una settimana da quando avevamo annunciato le nozze e da allora non ci eravamo più fermati un momento. Prima di rientrare ad Atlanta eravamo riusciti a prenotare il ristorante per il ricevimento e qualche addobbo floreale. Dagli Stati Uniti, invece, ero in trattativa con i fotografi e gli animatori della serata. Sapevo che parlarne via Skype non era l’ideale, ma fare tutto in loco era risultato impossibile. Il tempo non era stato abbastanza, ergo dovevamo accontentarci di Skype. Nel mentre, le mie damigelle mi stressavano per il loro abito, Edna per il mio, mia madre per quello di Ian. Capivo benissimo che il tempo era poco, ma tra i preparativi e l’ospedale ero davvero stanca. Senza contare i giornalisti, stressanti più del solito per via della foto che avevamo messo su Instagram, annunciando la bella notizia sui social. Ah, basta! Non sapevo più dove sbattere la testa. La schiena faceva male, le occhiaie si accentuavano ogni giorno di più. Se continuavo così, il giorno del matrimonio non mi sarei presentata per un ricovero in ospedale. E non era molto carina come prospettiva. Sospirai, chiudendo gli occhi per qualche secondo, fin quando la porta di casa non si aprì.
Guardai con la coda dell’occhio Ian posare il cappello, per poi venirmi a salutare.
“Buonasera, dottoressa”
“Mmmh” risposi con voce grave.
“Stanca?” mi prese i piedi e, accomodatosi, li mise sopra le sue ginocchia, iniziando a massaggiarmeli.
“Non sai quanto” sospirai nuovamente.
“Se ti dicessi che ho il modo di farti rilassare?”
“Sarebbe?”
“Mia madre ha prenotato l’appuntamento per l’abito”
“Per quando?”
“Dopodomani”
“Dopodomani ho il turno di notte”
“Ma domani di mattina o sbaglio?”
“Sbagli, è di pomeriggio”
“Non è vero, è di mattina, ti ho fatto fare cambio turno con Steve”
“Perché?”
“Perché così, a fine turno, verrà a prenderti John, per accompagnarti all’aeroporto”
“Aeroporto? – lo guardai perplessa – Dove sarebbe questo appuntamento per l’abito?”
“Kleinfeld, New York”.
Saltai giù dal divano, sconvolta.
“C-c-c-c-cosa stai dicendo?! Cosa?!” sgranai gli occhi, mentre balbettavo.
“Che c’è? Ci teneva, nonostante per me sia un negozio come un altro”
“Non è un negozio come un altro. Nemmeno lontanamente. Ian, perché gliel’hai concesso? E’ troppo caro. Sai benissimo che non voglio spendere i milioni per questo matrimonio. Sai benissimo che non me lo posso permettere. E so che tu vuoi che questo giorno sia perfetto, ma può esserlo anche con semplicità. Ti prego, annullalo”
“Tesoro, non posso annullarlo. Ci rimarrebbe malissimo. Lei vuole che tu trovi l’abito dei tuoi sogni e Kleinfeld è il negozio più fornito, tutto qui”
“Spenderemo un sacco e i miei genitori si sentiranno estremamente in colpa. Senza contare che, per permettermelo, dovrò intaccare i risparmi ‘viaggi’, quelli che uso per tornare a casa e questo vorrebbe dire non tornare a Modica per un po’. Non posso, sul serio”
“Mary, dimentichi che questo matrimonio è anche mio. Non devi pensare come se dovessi pagare solo tu. Ci sono anche io. E anche la mia famiglia. E siamo più che felici di alleggerire le tue e le vostre spese”.
Non sapevo come ribattere, divenni rossa per l’imbarazzo, se non bordeaux. Apprezzavo che volessero aiutare, ma questo mi lasciava una sensazione di amarezza dentro, come se…
 
“In sostanza, ti senti come se stessero facendo la carità a te e alla tua famiglia? O come se loro stessero mostrando i loro soldi, tutti fieri di poterli spendere in questo giorno?” gracchiò Alex, mangiucchiando un cornetto.
“Purtroppo sì. E’ vero che le spese dei matrimoni si fanno in due, perché le famiglie coinvolte sono due, ma così loro pagherebbero molto di più rispetto a noi. E mio padre è orgoglioso, non credo lo permetterebbe. E, pur di non permetterlo, finirebbe per indebitarsi. E’ una situazione alquanto spiacevole” mormorai, a testa bassa.
“Mary, secondo me non devi prenderla così – Rose mi carezzò una mano, cercando di rassicurarmi – non vederla in questo modo,  vedila come un ‘non trattenetevi in certe cose per via del budget, perché noi possiamo contribuire’. E secondo me non deve essere per forza negativo. Per esempio, ok, da Kleinfeld spesso hanno abiti che costano quanto casa mia, ma non sempre è così. E tu puoi chiedere alla commessa di aiutarti in questo. Vuoi un abito semplice, non pomposo e non troppo costoso? Benissimo, stai sicura che lo troverà. Insomma, è Kleinfeld! Se non fossero così assortiti, non sarebbero così famosi in tutto il mondo. Pensa a questo” sorrise.
“Hai ragione. Ci proverò” le strinsi la mano.
“Va bene. Ora possiamo tornare a lavoro? Queste ‘emergenze matrimonio’ si stanno facendo troppo numerose, non so se saprò reggere tutte queste cose così femminili” Alex parlò disgustato.
“Vai pure” dicemmo in coro io e la Crane.
Subito si alzò dal tavolo della mensa e se ne andò.
Finito il caffè, anche io e Rose rientrammo a lavoro.
“Gli hai parlato?” chiese, mentre camminavamo fianco a fianco.
Nonostante non avesse fatto nomi, io avevo capito.
“No. Sono tornata da una settimana e non abbiamo minimamente toccato l’argomento. Io c’ho provato, ma lo incontro solo quando non siamo soli. Credo mi stia evitando”
“Costringilo a rimanere solo con te. Fai una cosa alla ‘Grey’s Anatomy’, quando Meredith blocca George in ascensore per dirgli quello che pensa”
“Credi che mi ascolterebbe?”
“Secondo me sì. Deve. Insomma, è stato lui ad azzeccare che Ian volesse farti la proposta, se ha pensato una cosa del genere vuol dire che si era già mentalmente preparato a quest’evenienza. Non può tenerti il muso adesso”
“Forse non voleva che glielo dicessi davanti a voi e a lui”
“Non lo so, ma comunque è successo. E se davvero entrambi tenete all’amicizia che si sta costruendo, dovete parlarne”
“Grazie, Rose” la abbracciai.
“Di niente” ricambiò l’abbraccio.
Dopodiché, lei tornò in chirurgia, io andai verso pediatria, reparto in cui ero stata assegnata per i consulti di quella settimana.
Non appena varcai la soglia del reparto, lo strutturato, la dottoressa Melanie White, mi ordinò di andare al pronto soccorso con una certa urgenza.
“Che succede?” domandai preoccupata.
“Sarah è tornata e non sta bene”.
Sgranai gli occhi e corsi giù per le scale, più in fretta che potevo. Strinsi il ciondolo della collanina di Jodie, mentre, senza fiato, giungevo al pronto soccorso.
“Che succede alla mia paziente?” dissi ad alta voce, incrociando lo sguardo terrorizzato sia della piccola che del padre.
“Non voleva alzarsi dal letto, credevo fossero capricci, ma quando sono entrato si toccava il petto spaventata e respirava malissimo”
“Aveva l’ossigeno?”
“Sì, ma respirava comunque affannata. I-io non so che dire – Kevin si passò una mano tra i capelli – Puoi fare qualcosa, vero, Mary?”
“Faremo un’ECG su in reparto e vediamo – presi un respiro profondo e fermai Nancy, l’infermiera, sussurrandole – Nancy, se è quello che penso io, avvisate il centro trapianti. Non so quanto sia grave, ma se Sarah non avrà il cuore entro questa settimana, potrebbe” lasciai la frase in sospeso.
“Certo, dottoressa, avviso subito che deve eseguire un’ECG d’urgenza su, le faranno trovare tutto pronto” parlò ad alta voce, per sviare Kevin.
La ringraziai con un cenno del capo, portando poi la piccola su.
Ordinariamente, dovevo lasciar eseguire questo tipo di esami agli specializzandi più giovani, essendo io ormai del quinto anno, ma non potevo con Sarah. Dovevo essere io a fare tutto.
Lo dovevo a Jodie.
Cercai di calmare la piccola il più possibile, per eseguire l’esame.
Il quadro clinico non era dei migliori e, purtroppo, avevo visto giusto: il cuore di Sarah stava iniziando a cedere. Non importava più quanto lei cercasse di evitare sforzi per preservarsi, il cuore stava arrivando al capolinea. Scossi la testa, staccai il referto dell’esame dal macchinario e feci per dirigermi dalla dottoressa White, quando Sarah mi bloccò, afferrandomi il camice.
Tolse per un attimo la maschera dell’ossigeno e sussurrò: “Va male, vero?”.
Chiusi per un attimo gli occhi, poi mi voltai e le risposi: “Tesoro, non preoccuparti. Farò il possibile per farti stare meglio. D’accordo?”.
Annuì col capo, indossando nuovamente la mascherina.
Sorrisi e andai da Melanie.
“Allora?” mi chiese, tendendo una mano per visualizzare il referto.
“Non va affatto bene. Siamo arrivati al grado più alto del danno. Ci serve un cuore entro la fine della settimana”
“A giudicare dall’ECG, la tua prognosi qual è?”
“Cinque giorni. Massimo. Se peggiora così velocemente, anche prima. Vorrei sbagliarmi, però, quindi dimmi che”
“Purtroppo hai ragione” Melanie sospirò.
“Mel, come possiamo fare? Se non chiamano per il cuore, morirà”
“Lo so”.
Chinai il capo, non riuscendo a sopportare quell’opzione. Non poteva succedere, proprio no.
“Mary, devo rimuoverti dal caso? Sei troppo coinvolta emotivamente, non credo sia una buona idea”
“No, per favore, non farlo. Voglio occuparmene io. Voglio fare tutto il possibile. Per favore”
“D’accordo. Ma non voglio scenate come quella estiva, sia chiaro”
“Mi scuso ancora”
“Non devi scusarti, il modo di affrontare la morte di un paziente e di un amico è diverso per tutti, ma purtroppo in un ambiente come questo non possiamo permetterci di crollare. Non davanti agli altri. E’ brutto da dire, ne sono consapevole, ma”
“Ma è così. Lo so. E non succederà, promesso”
“Bene”.
 
Roteai gli occhi, cercando di respirare il più possibile. Adoravo davvero tanto Edna e Robyn, ma a volte esageravano fin troppo.
“Dai, ma che ha che non va?” lo indicò la madre di Ian, con gli occhi che brillavano.
“Semplicemente non rispecchia ciò che voglio. Nemmeno lontanamente. E non mi valorizza. Io non sono un belvedere a livello fisico, questo lo so, ma almeno il giorno del matrimonio vorrei essere più presentabile” borbottai.
“Tesoro, ma se stai d’incanto”
“Beh, io non lo credo. E credo che la mia opinione sia importante!”.
Mi rendevo conto di sembrare infantile, ma quell’abito era davvero un no per me. Quasi tutto il vestito era luccicante con degli strani addobbi floreali, persino a livello delle spalline, insomma era appariscente. E stretto. Sembravo un tacchino bianco, reso bello per il giorno del Ringraziamento. E non volevo sembrare un tacchino il giorno del matrimonio, ma una sposa, maledizione!
Sospirai, forse per la centesima volta in quella mattinata. Era, probabilmente, il settimo vestito che provavo e nessuno era andato bene, anzi, tutt’altro. I vestiti erano stati, per altro, scelti tutti dalle donne Somerhalder. Questo rendeva il rifiutarli ancora più difficile. Loro li adoravano, perché “Sembri una bellissima principessa”, testuali parole di entrambe.
Era così difficile da capire che io non volevo sembrarlo? Che, nonostante fosse il mio giorno, volevo risultare il più sobria possibile?
Ma no, ovviamente no. Avevo provato di tutto, pizzo, brillantini, taffetà, ancora brillantini, ancora pizzo, gonne pompose.
Non sapevo dire quanto ancora avrei retto.
Vera Skenderis, colei che era stata affidata a me per scegliere l’abito, prese in mano la situazione, possibilmente vedendomi sul punto di esplodere.
“Mary, che ne dici se facciamo un po’ una pausa e ci parli un altro po’ di te e di Ian? E poi proseguiamo con la ricerca dell’abito” sorrise.
“D’accordo” ricambiai il sorriso e, dopo aver indossato nuovamente i miei vestiti, la seguii nello stanzino di qualche ora fa.
Mi accomodai nuovamente dove mi indicò.
“Prima che iniziamo, volevo scusarmi. Di solito non sono così irascibile, ma è un periodo davvero stressante, tra il matrimonio e un caso difficile in ospedale” ripensai a Sarah.
Poco prima di entrare da Kleinfeld, avevo chiamato Melanie. Non c’erano novità sul cuore, ma almeno Sarah si era stabilizzata nel corso della notte. Non solo, anche un’altra delle bambine cardiopatiche, Elizabeth ‘Liz’ Williams, stava cominciando a peggiorare. Non sembrava ancora essere al livello di Sarah in quanto a gravità, ma comunque non scherzava.
Mi rabbuiai un po’ e la mia consulente per l’abito lo notò.
“Non preoccuparti” Vera mi strinse una mano, rassicurante, poi si accomodò di fronte a me e accese la telecamera.
“Allora, Mary, prima ci hai raccontato di quando tu e Ian vi siete conosciuti, ma da quanto tempo state insieme?”
“Quasi un anno. A dire il vero ci sposiamo proprio il giorno in cui ci siamo messi insieme”
“E’ stato un caso o è stata una scelta voluta?”
“No, è stato totalmente un caso. Vedi, Vera, eravamo in vacanza nella mia terra natia per le vacanze di Pasqua la settimana scorsa e”
“Lui si era già proposto?”
“Sì. Gli avevo chiesto se potessi sposarmi nella mia città, è stato sempre uno dei miei sogni. Lui ha accettato, per cui siamo andati nella Chiesa Madre, per chiedere orientativamente quando avremmo potuto sposarci. Il caso ha voluto che ci fosse un posto disponibile quel giorno”
“Il prossimo disponibile quando sarebbe stato?”
“Beh, essendo San Giorgio una chiesa molto importante, avremmo dovuto aspettare minimo due anni e mezzo. Cosa che non ci avrebbe fermati dal compiere il passo, anzi eravamo pronti a sentire una, come dire, durata di tempo simile – gesticolai – ma quando ci hanno nominato il 13 Maggio… insomma, l’abbiamo visto come un segno. E abbiamo accettato”
“Molto romantico. Ma, dimmi, come si è proposto?”
“Quel pazzo ha organizzato una caccia al tesoro per Londra. Può sembrare assurdo, lo so – risi, scuotendo la testa – Mi trovavo lì per lavoro e lui ha organizzato tutto e mi ha raggiunta. Ed è stato folle, strappalacrime, bellissimo. Londra è una delle città che conservo nel mio cuore, per cui ricevere la proposta lì, al tramonto è stato… sì, mi ha lasciata senza parole. Così come il fatto che abbia scelto la caccia al tesoro, che è essenzialmente un gioco infantile, per farmela. Una cosa semplicissima ma tanto speciale”
“Con il rischio di farti arrossire, devo dirti che ti stanno brillando gli occhi”
“Sì, beh, per quanto io cerchi di nasconderlo, sono un’inguaribile romantica, per cui queste cose hanno un certo effetto su di me”.
Vera sorrise e spense la telecamera.
“Torniamo di là, ti va?”
“Sì, ma ho una richiesta”
“Dimmi”
“Posso farmi un giro tra gli abiti tra cui posso scegliere?”
“Ma certo, sei tu la sposa – sorrise – ma alle tue future suocera e cognata lo dici tu”
“D’accordo” risi.
Tornammo di là. Edna mi corse subito incontro, esaltata.
“Mary, ci sono altri abiti che abbiamo scelto che potresti”
“Edna, apprezzo che vogliate darmi una mano, ma – lanciai uno sguardo a Vera – voglio provare a scegliere qualcosa io. So che la sposa dovrebbe risaltare secondo voi e questo implica pizzi e luccichii, ma per me non è così. Per me la sposa deve sentirsi a proprio agio in quel giorno e questo implica scegliere un abito che più si addice al carattere della sposa. In questo caso, al mio. Per favore”
“D’accordo – Edna sorrise – ma se non trovi niente, provi questi che abbiamo trovato adesso”
“Ci sto”.
Vagai per un po’ con Vera in giro per il negozio, fin quando non venni attirata da un abito. Non sapevo dire cosa mi colpisse a primo impatto, ma sentivo che mi apparteneva. Che era Mio.
“Voglio provare questo” le dissi.
La Skenderis lo prese, controllò il cartellino, assicurandosi che il prezzo fosse accessibile e che ci fosse la mia misura, e lo portò nel mio camerino. Mi aiutò a indossarlo, mi pose una tiara sui capelli, tuttavia non mi permise di osservarmi. Mi pregò di chiudere gli occhi, almeno fino a quando non saremmo state dinanzi alle mie accompagnatrici.
“Ok” affermai.
Ritornai in sala guidata da Vera.
“Eccoci qua – disse ad alta voce; poi aggiunse – Ok, puoi tornare a vedere”.
Quando riaprii gli occhi, Edna e Robyn erano in lacrime e i fazzoletti che avevano in mano non bastavano.
“E’ così brutto?” chiesi titubante.
Vera scoppiò a ridere, facendomi semplicemente segno di voltarmi e guardarmi.
Lo scollo a cuore, con il tessuto arricciato, risaltava il mio petto, senza esagerare; l’arricciatura del corpetto si congiungeva lateralmente con dei brillantini, non troppo appariscenti, per poi cadere morbidamente verso il basso, come una cascata di tessuto. La tiara riprendeva questo ritmo ondulatorio del vestito.
Vennero le lacrime anche a me. Non era un sacco della spazzatura anonimo, ma non era nemmeno un’esplosione di visibilità. Era una straordinaria ed equilibrata via di mezzo.
Vera mi passò un fazzoletto, che accettai volentieri.
“E’ l’abito giusto?” mi chiese.
Mi guardai un’ultima volta, immaginandomi in quel giorno.
“Sì. E’ questo” affermai, senza pensarci ancora.
Edna, Robyn e Vera esultarono contente.
L’avevo trovato come volevo io.
Ero splendida.
L’avevo trovato.
 
POV Alex
Turno di notte.
Fantastico.
Più cercavo di evitarla, più il destino sembrava mettermi i bastoni tra le ruote per avvicinarmi a lei. Sapevo benissimo che stavamo finalmente costruendo un rapporto, cosa che non si era minimamente avverata negli anni precedenti, ma, non appena avrebbe varcato la soglia dello spogliatoio, avrebbe iniziato a parlare di quanto fosse meraviglioso l’abito, del fatto che l’avesse trovato, di quanto fosse perfetto per lei e io… beh, non riuscivo a capire se avrei retto quel discorso. Ero felice per lei, sul serio, ma… mentre per lei quell’abito e quel giorno rappresentavano l’inizio di una nuova fase della sua vita, per me segnavano la fine. Insomma, chi sarebbe stato così matto da amare una persona anche dopo il suo matrimonio? Ah, faceva male il solo pensiero di vederla attraversare la navata, diretta verso un altro uomo! Ma che potevo fare?
Scossi la testa, sorridendo amaramente.
Non potevo fare niente. Dovevo solo lasciare che questo giorno arrivasse ed essere lì per lei.
Diamine, che masochista!
Fui distolto dai miei pensieri, quando, giunto nello spogliatoio, notai che lei era già arrivata.
In mutande.
Come al solito.
Battei le palpebre un paio di volte, giusto per non soffermarmi sulle sue curve, e indossai la mia maschera preferita, quella da sbruffone.
“Sera, Mary – dissi ad alta voce – Sfoggiamo la carrozzeria per qualcuno in particolare stasera?”
“Quanto sei idiota – Mary alzò gli occhi al cielo, con voce irritata – Sto per indossare i pantaloni, se te lo stessi chiedendo”
“Mh, peccato” abbassai lo sguardo.
A Mary quel gesto non scappò.
Dannazione, mi ero fatto beccare!
“Al, scherzo – addolcì immediatamente il tono – comunque, vorrei parlarti. Se non hai da fare adesso, potremmo”
“Mi spiace, ma sì, ho da fare. Devo cambiarmi e poi andare subito in reparto”
“D’accordo, sarà per un’altra volta”.
Il silenzio scese in quella stanza. Mary si cambiò in fretta e uscì.
Sospirai.
Mi sentivo tremendamente in colpa a comportarmi in quel modo, ma… non me la sentivo di parlare.
 
Guardai l’orologio. Erano ancora le due. Che palle, perché quel turno sembrava non passare mai?
Avevo ancora sei ore da trascorrere nel mio luogo di lavoro e non c’era molto da fare. Le infermiere si riposavano a turno, gli specializzandi studiacchiavano per gli esami di specializzazione, il che era assurdo visto che i primi cominciavano a luglio. Ma dettagli.
Io non riuscivo a smettere di pensare. Dovevo trovarmi qualcosa da fare.
“Care, vado a prendere un caffè giù alle macchinette. Ne vuoi uno?”
“Ti fa schifo la macchinetta in fondo al nostro corridoio?” l’infermiera Caroline fece una risatina.
“No, voglio solo sgranchirmi di più le gambe”
“D’accordo, maratoneta, ma al ritorno prendi l’ascensore o i nostri caffè verranno bevuti dalle scale dell’ospedale e le signore delle pulizie tra sei ore ti faranno il sederino”
“Giusto” sorrisi.
Andai al piano terra già più sveglio di prima. Presi i caffè e prenotai l’ascensore. Al primo piano, tuttavia, le porte si aprirono e…
“Alex” Mary mi salutò con un cenno del capo.
Merda!
Ma perché?
Cazzo, avrei dovuto fare le scale o utilizzare la macchinetta del piano.
Stupido, Alex, stupido, stupido!
“Mary” ricambiai il saluto, cercando di non lasciarmi scappare qualche imprecazione.
Non appena le porte si richiusero e l’ascensore ripartì, Mary fece scattare l’allarme.
“Bene, adesso sei bloccato con me e non puoi uscire” si voltò trionfante, guardandomi negli occhi.
“Emuli Grey’s? Sul serio?”
“Mi hai costretto tu – incrociò le braccia – Alex, ti prego. Mi sento una merda, perché sono certa che non te la stai passando tanto bene, per favore, parliamone”
“Cosa dovrei dirti?”
“La verità, per esempio!”
“La verità è che verrò al matrimonio, perché ci tieni e perché io tengo a te, ma non mi chiedere altro. Per favore”
“Il problema è che c’è dell’altro e io non riesco a metterlo da parte, solo perché io sono felice”
“Mary, ma porca miseria! – alzai la voce, senza nemmeno rendermene conto; la Floridia sussultò – Vuoi davvero che ti dica quanto sia doloroso sforzarsi di lasciarti andare, convincersi di averlo fatto, guardarti da lontano e ricominciare tutto da capo? Bene. Lo ammetto. E’ doloroso. Estremamente. Da morire. Ma devo farlo, perché tu tra non molto sarai sposata e io non posso continuare a stare male per te. Tengo al rapporto che stiamo costruendo e non voglio che vada perso, ma perdonami se fa comunque un mal”.
Mary non mi fece finire la frase. Si sbilanciò in avanti, abbracciandomi forte.
“E cane” conclusi con un sussurro, mentre ricambiavo inevitabilmente l’abbraccio.
“Scusami. Ti ho messo in una situazione orribile”
“Mary, non è colpa tua. La saggia Meredith Grey diceva che non si sceglie di chi ci si innamora ed è così. E, come non me ne faccio una colpa io, non devi neanche tu. Al cuor non si comanda”
“Al, puoi anche non venire. Non voglio che tu stia male. Sul serio” intrecciò le sue mani alle mie.
Volevo rispondere, anzi, stavo per farlo, quando il cercapersone di Mary suonò.
“Oh mio Dio” disse senza fiato, rispondendo alla chiamata, dopo aver mollato la presa.
Subito sbloccò l’ascensore.
“Che succede?” chiesi.
“Hanno trovato un cuore per Sarah”.
 
POV Mary
Uscii dall’ascensore alla velocità della luce, mi catapultai in reparto, urlando per la gioia.
“Kevin, Kevin” svegliai il marito di Jodie alla velocità della luce.
“C-cosa?” chiese, visibilmente spaventato.
Immediatamente guardò Sarah, che, tuttavia, continuava a dormire, mentre l’ossigeno non la abbandonava mai.
“C’è un cuore. Lo stanno andando a prendere. Dobbiamo preparare Sarah per l’intervento, c’è un cuore”
“Oddio – i suoi occhi si velarono di lacrime – non è uno scherzo, vero?”
“Ti sembra che io stia scherzando?” sorrisi.
Kevin mi abbracciò forte.
“Corri, fai tutto quel che devi” mi diede una spintarella, piangendo di gioia.
 
Eravamo tutti lì.
Equipe pronta.
Sarah addormentata.
Guardai il contenitore del suo quasi cuore e sorrisi.
“Bisturi dieci” dissi con decisione, sorridendo attraverso la mascherina.
L’infermiera mi passò lo strumento.
Avvicinai le mie mani al torace della piccola, quando la porta si aprì di scatto.
“Mary, ferma, metti giù quel bisturi!” Melanie parlò ad alta voce, agitata.
“Mel, che succede?”
“Esci un momento” mi fece cenno col capo.
Seguii lo strutturato di pediatria al di fuori della sala operatoria.
“Il centro trapianti si è riunito e”
“Perché?”
“Questo cuore non spetta a Sarah”
“Cosa? Le sue condizioni sono gravi, è in cima alla lista”
“Sì, ma, per quanto gravi, il suo cuore batte ancora. Quello di Liz no”
“Cosa? Che succede a Liz? – sgranai gli occhi, pensando all’altra bimba cardiopatica del reparto – L’ho visitata prima di prepararmi per l’intervento, non ho notato niente che non andasse”
“Invece il cuore ha ceduto. La saturazione è scesa drasticamente, l’abbiamo mandata di corsa in sala operatoria e l’abbiamo aperta. Il ventricolo sinistro è praticamente andato, necrotico e il resto del cuore lo sta raggiungendo. Non c’è nemmeno il tempo per pensare a un cuore artificiale. Abbiamo avvertito il centro trapianti e”
“Ed essendo compatibile con questo stesso cuore la priorità spetta a lei. Non è così?”
“Sì”
“Capisco. Quante probabilità ci sono di trovare un altro cuore compatibile entro un giorno e mezzo per Sarah?”
“Non lo so, Mary. I trapianti sono imprevedibili”
“Potremmo – agitai l’indice, annuendo – potremmo dare il cuore a Liz, ma operare ugualmente Sarah. Il cuore artificiale potrebbe andare a lei. E’ fattibile, giusto? Perché non ci abbiamo pensato prima?”
“Potrebbe funzionare. Tentiamo” anche Mel annuì.
“Bene. Liz in che sala si trova?”
“Sala otto”
“Ok, allora, tieni d’occhio Sarah in questa sala e organizza il tutto per l’impianto di un cuore artificiale, io vado a trapiantare il cuore a Liz”
“Non c’è una modulistica per richiederlo?”
“Sì e solitamente si impiegano giorni per avere l’autorizzazione, ma non abbiamo giorni, abbiamo ore. Chiama il Capo, capirà l’urgenza e ti darà una mano volentieri”
“Bene. Andiamo”.
Rientrai in sala e, spiegata la situazione a tutti i miei colleghi, mi diressi verso la sala otto, dove un’altra piccola umana era in attesa di quel cuore.
 
POV Nina
“Ok, possiamo andare tutti in pausa! – urlò Julie – Riprendiamo tra un’ora”.
Corsi verso la sala relax degli studios, bramosa di caffè. Lì trovai già Ian, intento a far funzionare la macchinetta.
“Che succede?” gli domandai.
Sembrava nervoso.
“La macchinetta non vuole far scendere il dannato caffè e mi sto innervosendo” sbottò, colpendo la parte superiore del macchinario.
“Strano che non vada, il tecnico l’ha riparata la settimana scorsa” mi avvicinai lentamente per dargli una mano.
La osservai per un po’, poi, facendo una risatina, dissi: “Ian, sicuro di aver seguito tutti i passaggi?”
“Sì, perché?”
“Perché hai dimenticato la cialda – lo guardai con aria di superiorità, scuotendo la testa divertita – La povera spia rossa sta cercando di fartelo capire da un bel po’”
“Oh, chiaro – si passò una mano sui capelli – giusto, non ci avevo pensato”.
Decisamente qualcosa non andava e non era la macchinetta il problema!
Ian era fin troppo serio. Se fosse stato solo il caffè il problema, a quest’ora starebbe ridendo a crepapelle.
“Ian, davvero, che succede?” incrociai le braccia.
“E’ che Mary, rientrata da New York, è andata direttamente in ospedale per il turno di notte e ancora non mi ha chiamato. Sono un po’ preoccupato”
“Vedrai che non sarà niente. Possibilmente, appena tornata a casa, si è buttata a peso morto sul letto, cadendo in un sonno profondo. Non ricordi quanto sono sfibranti le notti?”
“Sì, però è strano. Non lo so, sento che qualcosa non va”
“Mm – poggiai una mano sulla sua spalla, cercando di essergli di conforto – riproviamo a chiamarla insieme? Ti va?”
“D’accordo”
“Bene” sorrisi e tirai fuori il cellulare.
Cercai velocemente il numero di Mary in rubrica, poi premetti il tasto verde sullo schermo.
Dopo un paio di squilli, Mary rispose.
“Pronto?” domandò stanca, come sul punto di sbadigliare.
“Mary, ehi, sono Nina – dissi allegra – Come va?”
“Sono molto stanca, sto andando a casa proprio adesso e non vedo l’ora di mettermi a letto. Tu?”
“Aspetta, sei in macchina? Ma non avevi il turno di notte?”
“Mh mh”
“E perché stai rientrando a casa alle cinque del pomeriggio?”
“Perché ho dovuto fare due interventi e si sono protratti parecchio – sbadigliò – ma fortunatamente entrambe le mie pazienti stavano benone, quando sono andata via, perciò non mi importa di rientrare a casa a quest’ora” sbadigliò nuovamente.
“Ok, spero per te che tu sia quasi arrivata, perché stai sbadigliando un po’ troppo, non vorrei ti succedesse qualcosa”
“Non preoccuparti. Piuttosto, tutto bene? Come mai hai chiamato?”
“Perché qui un certo Ian non riesce nemmeno a far funzionare la macchinetta del caffè per via della tua mancanza – feci una risatina – Fallo rinsavire tu, ti prego, altrimenti viene fuori un Damon moscio” detto ciò, misi il vivavoce.
“Amore, stai tranquillo, sto tornando a casa a riposare. Perché eri preoccupato?”
“Perché non ti sentivo da ieri sera”
“Scusami, è stato proprio un turno difficile – sospirò – per che ora rientri oggi?”
“Spero per le nove o le dieci”
“Bene, allora io adesso mi riposo, così quando torni a casa mi trovi sveglia. D’accordo?”
“Va bene” Ian rispose anche annuendo con la testa, come se Mary potesse vederlo.
“A dopo, ti amo”
“Anche io”
“Ciao Nina e grazie per aver chiamato”
“Ciao a te, Mary”.
Riattaccammo.
Preso il caffè con Ian, tornammo sul set per proseguire le riprese.
 
Mentre Ian e Paul stavano girando una scena, il mio cellulare cominciò a vibrare. Mi alzai dalla sedia e mi allontanai, in modo da non disturbare le riprese.
Era Mary.
“Pronto? Hai sbagliato numero?” domandai ironica.
“Nina, Ian sta ancora girando, vero?” rispose con voce spenta.
“Sì, perché? – guardai l’orologio, erano le dieci e mezza – Oh, è in ritardo! Scusalo, non è affatto colpa sua, Julie si è impuntata in una scena e non sta lasciando andare a casa nessuno stasera”
“N-no, solo digli che sono dovuta tornare in ospedale e che non so a che ora rientrerò a casa”
“Mary, ma che succede?”
“Niki, per favore, riferisci il messaggio. D’accordo?”
“Va bene” mormorai.
Mary riattaccò.
Guardai il telefono basita. Che le era preso? Perché era dovuta tornare in ospedale? Tornai sul set, mentre Julie rimproverava Paul di non essere al massimo.
“Direi! E’ la sesta volta che proviamo questa scena e ancora non ti va bene – incrociò le braccia – Stiamo iniziando a scocciarci”
“Beh, allora la rifaremo mille volte, se non vi impegnate come si deve. Non mi importa se vi scocciate. Il lavoro deve essere fatto bene” sbottò Julie.
Ian roteò gli occhi.
“Psst” sussurrai, cercando di attirare la sua attenzione.
Tutti, non solo Ian, si voltarono a guardarmi.
“Sì, Niki?” Kevin mi guardò interrogativo.
“E’ che dovrei dire una cosa a Ian” sorrisi nervosamente.
“D’accordo, cinque minuti di pausa” dichiarò Julie.
Ian si avvicinò disinvolto.
“Dimmi”
“Mi ha chiamato Mary, mi ha detto che è dovuta tornare in ospedale e che non sa se rientrerà stasera”
“Per quale motivo?”
“Non me l’ha detto, ma sembrava abbastanza provata”
“Non ci voleva. Io sono bloccato qui, non posso nemmeno andare da lei” sbuffò.
“Se Julie acconsente, potrei andare io”
“Lo faresti?”
“Sì, con piacere. Mi sto preoccupando anche io”
“Va bene, chiedi a Julie”.
Diedi una pacca sulla spalla a Somerhalder, dopodiché andai dal mio capo per chiederle il favore di lasciarmi andare via. Per lei non ci furono problemi, le mie scene potevo anche girarle il giorno dopo. La ringraziai di cuore e corsi verso l’auto, dirigendomi immediatamente verso il Saint Joseph.
Non appena misi piede in ospedale, notai parecchia calma. Perché diamine Mary era stata richiamata in servizio, se non c’era nemmeno un uomo morente in pronto soccorso?
Sempre più sospettosa, andai verso il bancone delle infermiere.
“Buonasera, so che questo non è il centro informazioni, ma vorrei sapere dove si trova la dottoressa Floridia” sorrisi.
“Penso la troverà o agli spogliatoi o a mensa, insieme al dottor Walker, al dottor Crane e alla dottoressa Davis. Non è stata una bella giornata per lei”
“Oh – mi rabbuiai un attimo – grazie mille, vado subito a trovarla”.
Andai prima agli spogliatoi, ma non c’erano. Mi diressi, allora, verso la mensa, dove li vidi. Mary e Alex erano abbracciati, mentre Mary stava chiaramente piangendo.
Mi avvicinai titubante.
 
POV Alex
Mi risvegliai di botto, rendendomi conto di non essere a casa, bensì ancora in ospedale.
“Aaah, ma chi è?” risposi arrabbiato al telefono.
“Al, conferenza stampa. Urgente. E’ successo un casino” Steve parlò serio.
“Dove? Cosa? Perché? Diamine, Steve, stavo dormendo!” grugnii.
“Beh, Mary ha bisogno di noi. Muovi il culo a mensa” riattaccò.
Che diavolo era successo? Mary aveva spifferato a Steve della nostra bizzarra chiacchierata? Possibile, ma non sembrava una cosa tanto grave, da farlo agitare in quel modo. Mi diressi verso la mensa ancora assonnato.
Mary era china sul tavolo, coperta dalle braccia, mentre Rose e Steve le accarezzavano la schiena e le parlavano.
No, ma seriamente… che diamine era successo?
“Ragazzi” mormorai, non appena li raggiunsi.
Mi accomodai di fronte a Mary, senza ancora aver capito un tubo.
Rose mi guardò tristemente e scrisse su un tovagliolo, che mi passò.
<< Sarah è morta. >>
Il sangue mi si gelò nelle vene.
Maledizione!
Guardai la Floridia intontito, incapace di accarezzarla.
“Mi dispiace, Mary” dissi serio, chinando il capo.
Rimanemmo per un bel po’ in silenzio, con i soli singhiozzi della donna italiana che rimbombavano.
I cercapersone di Rose e Steve suonarono, interrompendoli.
“Maledizione, dobbiamo proprio andare” sospirarono.
“Non preoccupatevi, resto io con lei” sorrisi loro, sedendomi al fianco di Mary.
Rose annuì, Steve mi ringraziò, dopodiché andarono verso gli ascensori.
“Posso fare qualcosa? Magari ti chiamo Ian” proposi tentennante.
“Ho già avvisato Nina, non preoccuparti” sollevò lievemente il capo, guardandomi.
Aveva gli occhi rossi, le ciglia imperlate di lacrime, le guance bagnate, il labbro inferiore che tremava.
“Oh, Mary!” la guardai tristemente, mentre si buttava tra le mie braccia.
Il suo volto trovò rifugio nel mio petto. Circondai il suo corpo, ricambiando l’abbraccio.
“Madre e figlia sono morte per mano mia. Sono morte per colpa mia” disse disperata.
“Vuoi dirmi com’è successo? Non credo nemmeno per un secondo che è stata colpa tua”.
Mi raccontò di come avesse dovuto trapiantare il cuore a Liz, dell’intervento per l’inserimento del cuore artificiale a Sarah, di come entrambe stessero bene, quando lei le aveva lasciate, fino alla drammatica morte della piccola per un’inarrestabile emorragia, incrementata dagli anticoagulanti.
Continuai a stringerla, mentre i brividi percorrevano la mia schiena.
“Quindi, sì, è colpa mia” concluse.
“Mary, non lo è affatto. Gli anticoagulanti erano necessari, sai benissimo anche tu quanti trombi possono formarsi dopo interventi così delicati. Tu hai agito bene, hai fatto di tutto per salvare la piccola. Non sei stata negligente, non sei stata ‘non abbastanza’, anzi!”
“Meriterei una denuncia. Kevin era distrutto” singhiozzò più forte.
“Non meriti una denuncia. E’ stato un orribile scherzo del destino. Secondo me Kevin lo sa. E’ normale che stia soffrendo, ha perso sua figlia. Ma non ti farà causa. Sa quanto vali e sa quanto ti sei impegnata per salvare la vita della bambina. Purtroppo questi eventi fanno parte del nostro lavoro. C’è la gioia, c’è la celebrazione della vita, ma tutto questo è presente insieme all’altra faccia della medaglia. Forse dicendo così non sono molto d’aiuto, scusami”
“Scusami tu, ti ho bagnato tutto il camice”
“Non fa niente, piccola”
“Al”
“Cosa?”
“Non chiamarmi piccola” fece una smorfia.
“Ok, scusa” sorrisi, stringendola nuovamente.
“E, soprattutto, grazie”.
Riuscii a percepire il suo sorriso.
“Ehm, scusatemi, tutto bene?” disse una voce femminile.
Alzai il capo e mi ritrovai Nina Dobrev davanti.
“Oh, ma guarda, oggi è il mio giorno fortunato. Riecco la seconda Europea che dice di resistere al mio fascino” parlai beffardo.
Mary alzò il capo e, vedendo la bulgara, si separò da me, abbracciando lei.
“Dico solo la verità – Nina mi guardò in cagnesco, per poi ricambiare l’abbraccio dell’amica – Mary, cosa ti è capitato? Ian non poteva allontanarsi, perciò sono venuta io, siamo entrambi preoccupati per te”
“Ti ricordi la mia amica morta durante un nostro turno? Quando voi facevate volontariato” mormorò Mary.
“Sì, mi pare si chiamasse Jodie, giusto?”
“Sì – annuì – beh, stasera è morta sua figlia, la piccola cardiopatica. Ed è colpa mia”
“Non è colpa sua, non le credere”scossi la testa, convinto.
Nina prese per mano Mary e si accomodarono nuovamente.
“Ti va di parlarne?” chiese amorevolmente.
“Ne ha parlato fino a ora, forse è meglio farla distrarre un po’” proposi, cercando di sviare il discorso.
“Hai ragione, scusami, Mary”la bulgara sospirò.
“Ah, mi stai dando ragione! Attenta, la terra potrebbe allontanarsi dal proprio asse, se continui così”
“Non sei per niente spiritoso – Nina tornò a rivolgersi alla Floridia – Ti va se andiamo a casa mia o a casa tua, mangiamo qualche schifezza e guardiamo un film? E poi, appena Ian finisce di girare, può raggiungerci”
“D’accordo. Vado a cambiarmi allora” Mary parlò come se fosse un’automa.
“Ti aspetto all’ingresso – rispose apprensiva, poi mi disse con tono scocciato – Tanti saluti”
“A lei” feci un semi inchino.
Non appena l’attrice andò via, accompagnai Mary agli spogliatoi.
Ci cambiammo entrambi in silenzio, un po’ come a inizio turno.
“Senti, se vuoi – parlai impacciato – potrei farvi compagnia anche io”
“Credo che Nina ti farebbe volare dalla finestra”
“Uh, la defenestrazione di Atlanta!” dissi, sperando scoppiasse a ridere.
Lo fece.
Il mio cuore perse un battito. Era questo il bello di lei. Cadere mille volte e rialzarsi mille e uno. Piangere e disperarsi, ma poi tornare a sorridere, per quanto fosse faticoso. Aveva una forza micidiale e nemmeno se ne rendeva conto.
Feci un respiro profondo e distolsi lo sguardo, prima che potesse prendermi in giro per averla fissata un po’ troppo.
“Al, non preoccuparti – mi diede una pacca sulla spalla – e grazie. Sul serio. Dolce notte”
Soppressi con tutto me stesso l’istinto di baciarla.
“A te” risposi, accennando un sorriso.
Mary uscì dallo spogliatoio.
 
POV Nina
Dopo essere rientrate a casa e aver divorato degli hamburger, ci sistemammo sul divano, cercando di decidere quale film guardare. Mary si muoveva lentamente, come se fosse sofferente. Io, dal canto mio, ero infinitamente preoccupata. Quando aveva perso Jodie, era iniziato quell’orribile periodo nero, sfociato poi nell’incidente.
E se si ripetesse?
Scossi lievemente la testa.
Non dovevo pensarci. Dovevo semplicemente cercare di essere lì per lei.
“Allora, hai deciso quale film” cominciai a dire, ma Mary mi bloccò: “Sai, questo film una volta lo vidi insieme a Jodie, Sarah e Kevin. In teoria Sarah non poteva vederlo, insomma – agitò il dvd de ‘Il matrimonio del mio migliore amico’ in aria – è un bel film, per carità, ma in certi momenti ci sono delle scene che una bambina di cinque anni non dovrebbe conoscere” fece una risatina amara.
“Mary”
“L’ho praticamente vista crescere” scosse la testa, guardando nel vuoto.
“Mary, hai fatto tutto quello che potevi”
“E adesso il cuore destinato a lei aiuterà una bambina a crescere, mentre lei marcirà sotto terra, accanto a sua madre – i suoi occhi si velarono di lacrime – è orribile”
“Vieni qui” tesi le braccia nella sua direzione, accogliendola.
“Scusami, Niki, sto rovinando la serata anche a te”
“Scherzi? Sarei dovuta rimanere sola a casa, perché Joseph gira stasera, oppure sul set a rompermi le scatole, giusto per rientrare a casa con lui. Invece no, sono con te, questo mi fa piacere, seppur per una motivazione triste. Dimmi, come vanno i preparativi del matrimonio?”
“Bene, ho trovato il vestito” sorrise tra le lacrime.
“Sul serio? – sorrisi anche io – E com’è?”
“Non riesco nemmeno a descriverlo per quanto è bello e perfetto per me. Lo vedrai quel giorno, ma è davvero semplicissimo. Ed è proprio questo che lo rende speciale”
“Ti stanno brillando gli occhi! Sarai una sposa bellissima, ne sono certa” la strinsi.
“Niki, tu sei troppo buona”
“Non è vero. Tu e Ian lo meritate. Sono sincera”
“Grazie”
“Mary?”
“Sì?”
“Ti voglio bene”
“Anche io”.
Restammo in silenzio abbracciate per un po’, mentre dentro di me non potevo fare a meno di essere preoccupata. Sempre di più. Il pensiero che quel periodo nero poteva essere vissuto nuovamente, mi faceva accapponare la pelle. Dovevo parlare.
“Mary, sono preoccupata per te. Non voglio rattristarti, è solo che – esitai un attimo – l’ultima volta sei stata malissimo, c’è stato quel periodo orribile, poi l’incidente… insomma, ho paura che si ripresenti e non voglio che tu passi nuovamente tutto questo. Non te lo meriti, sei così brava nel tuo lavoro. Non dovresti nemmeno incolparti, il centro trapianti ha dato quel cuore a un’altra bambina, non tu. Anzi, tu hai cercato in tutti i modi di accontentare entrambe e magari è finita male, ma, vorrei ricordarti le parole che dicesti a me e agli altri una volta e cioè che non siete dei, siete Umani – sottolineai quel termine – E a volte questo non basta. E possibilmente sto straparlando, ma ci tenevo solo a dirti tutto questo”
“Niki – mi guardò negli occhi – non ho nessuna intenzione di ricadere nel baratro. Sono disperata per Sarah, mi prenderei a sprangate, mi autodenuncerei, se potessi. Ma il baratro – si arrestò per qualche secondo – no, quello sta benissimo dov’è”
“Sono felice di sentirti parlare così. Piangi le sconfitte e non evitarle, ma non lasciarti sopprimere da esse. Abbi sempre il coraggio di andare avanti”.
Mary sorrise.
“Allora, che film vediamo?”.
La vedevo e la percepivo molto più tranquilla. Mi rilassai anche io, poi le indicai ‘Una settimana da Dio’.
 
POV Ian
“Rose, mi senti?” sussurrò Mary, chiudendosi in bagno.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi disse: “No, parlo piano perché Ian sta ancora dormendo. Stanotte è tornato alle quattro per colpa delle riprese e sono solo le otto, non mi va di svegliarlo”.
Il silenzio tornò, finché Mary non disse: “Uffa, e va bene, arrivo. Ma potevo aiutarvi anche da qui”.
Riattaccò e uscì dal bagno.
“Amore, apprezzo il fatto che non volessi svegliarmi, ma ti avviso che l’hai fatto lo stesso” brontolai, aprendo gli occhi per guardarla.
“Oddio, scusami, davvero – il suo volto apprensivo mi guardò dall’alto – Solo che Rose ha chiamato all’improvviso e beh, il bagno era il posto più vicino per rispondere. Mi dispiace”
“Non preoccuparti – mi misi a sedere – Cosa devi fare in ospedale? E’ il tuo giorno libero!”
“Come sai, il 10 Giugno ci sarà l’anniversario dell’ospedale e la serata conclusiva dell’anniversario. Dovendo organizzare qualcosa si questa serata, ci siamo buttati su una cosa che ha proposto – si arrestò un attimo, riflettendo – chi diamine l’aveva proposto? Vabeh, comunque – scosse la testa, cominciando a gesticolare – il punto è che questa cosa era tipo su tutta la storia dell’ospedale, ma molto, molto noiosa; noi abbiamo accettato solo perché il Capo aveva dato il suo ok, ma a quanto pare stamattina si è svegliato e vuole qualcosa di diverso, ergo dobbiamo nuovamente decidere. E non ne abbiamo la minima idea” si sedette scoraggiata al mio fianco.
“Su cosa dovrebbe basarsi questa serata?”
“Non saprei sinceramente. Dovrebbe essere qualcosa di spettacolare, ma non saprei dirti cosa”
“Perché non provate con una serata a tema? Sono divertenti. Noi le facciamo spesso a fine riprese, oppure anche le serate di beneficenza, tipo quelle che organizziamo per la fondazione” dissi con la voce bassa per il sonno, sperando di essere d’aiuto.
Mary mi guardò per un po’, poi sfoggiò il suo sorriso smagliante e mi baciò.
“Sei un genio – mi baciò nuovamente, poi disse – Torno tra un’oretta, anche meno se accettano la mia proposta, promesso” mi carezzò il volto e se ne andò.
“Lieto di essere stato d’aiuto” pensai e tornai a dormire.
 
POV Mary
Corsi in ospedale. Ian mi aveva dato un’idea a dir poco geniale e dovevo assolutamente dirla agli altri.
Arrivai all’ingresso col fiatone.
Poco prima di entrare, trovai Kevin, in piedi, di fronte all’edificio.
“Kevin! – dissi sorpresa – Cosa ci fai qui?”.
Si voltò con uno sguardo vuoto e confuso, poi disse: “Sono venuto a prendere le cose della mia Sarah”
“Oh – mi avvicinai – Vorresti una mano?”
“No, tranquilla. Farò da solo. Devo. Nessuno può aiutarmi. Solo una cosa”.
Il suo tono di voce cambiò. Mi sembrò più rabbioso.
Feci un respiro profondo e risposi: “E cosa sarebbe ciò che può aiutarti?”
“Rendere giustizia alla mia piccola Sarah. Non voglio trattenerti oltre. Entra, tranquilla. Io me la caverò”
“D’accordo – annuii, anche se poco convinta – Buona giornata, Kevin”
“Oh, lo sarà di sicuro!” biascicò.
Turbata per quell’incontro, entrai in ospedale, con l’idea di Ian ancora in testa.
“Buongiorno, Mary. Ma oggi non è il tuo giorno libero?” mi chiese l’infermiera Amy all’ingresso.
“Buongiorno a te, Amy. Lo è, ma sono stata chiamata da Rose per risolvere una cosuccia. A tal proposito, sai dov’è?”
“Sala riunioni sud”
“Ok, grazie, ci vediamo dopo” le sorrisi e corsi verso la sala.
“Ma lo capisci che è impossibile?” Rose sembrava fuori di sé.
“Ma sarebbe divertente!” ribatté Kate.
“Che succede?” chiesi, mettendo piede in sala.
“Kate avrebbe proposto una cosa, ma a me sembra molto impossibile da mettere in atto” Rose alzò gli occhi al cielo.
“Quale sarebbe?” mi incuriosii.
“Fare qualcosa simile a un film per narrare la storia dell’ospedale”
“Sarebbe una bella idea” sorrisi verso Kate.
“Sì, ma Rose ha ragione. Abbiamo un mese per organizzare il tutto e realizzare progetti del genere è un po’ difficile. Ci vorrebbero più tempo” Steve scosse la testa.
“Ragazzi, io avrei avuto un’idea – dissi esitante – A dire il vero, è stata di Ian, ma dato che avete bocciato quella di Kate, credo che anche la mia”
“Spara, tranquilla, siamo tutti orecchi”
“Che ne pensate se facessimo una serata di beneficenza? I soldi raccolti andrebbero all’ospedale e magari ogni tot potrebbe essere destinato a ogni reparto”
“E’ una bellissima idea, Mary – Rose sorrise – come quella di Kate, d’altronde; ma una serata di beneficenza ha bisogno di qualcosa che faccia, come dire, versare dei soldi da parte delle persone! Cosa dovremmo fare?”
“Io proporrei l’asta umana. Non ci vorrebbero di certo lavori impegnativi” Alex sorrise beffardo.
“Al, i pensieri sconci ti si leggono in faccia!” gli diedi una spintarella disgustata.
“Che ne dite di uno spettacolo? Con musica dal vivo e anche qualche video che narra la storia dell’ospedale, dalla costruzione ai giorni nostri”
“Steve, è un’idea meravigliosa! Potremmo cantare noi stessi senza ingaggiare una band e organizzare persino un corpo di ballo. O una cosa simile. E poi, montare i video sarà semplicissimo, ne abbiamo a migliaia” dissi io, esaltandomi.
“Sì, ma per cantare noi dovremmo prima provare. Quando dovremmo farlo? Secondo me è impegnativo tanto quanto il film”
“Non è detto. Kate sa ballare benissimo, inventare coreografie semplicissime per accompagnare le canzoni non deve essere così difficile; Steve e Alex sono portentosi nel suonare e cantare; Rose, tu hai una voce fantastica e conosci tantissime canzoni – mi voltai verso gli altri colleghi – e poi, Jason, Margaret, Lisa e Graham sono bravissimi nel montaggio. Considerate tutti gli altri dello staff ospedaliero, infermiere, tecnici e paramedici inclusi, e abbiamo un gran numero di persone con dei talenti. Secondo me, se dopo la fine dei nostri turni ci organizziamo, riusciremo a fare tutto quello che è necessario. In fondo, nei vostri licei canto, ballo e, perché no, anche montaggio sono corsi regolari. Sono certa che quasi tutti in questo ospedale riescono a fare queste cose! Non solo, potremmo pure fare, non so, un paio di canzoni e un paio di montaggi a reparto, così da dividerci i compiti e non gravare tutto su pochi”
“Sei stata convincente” Rose si illuminò.
“Allora, chi è d’accordo, a parte Mary e me?” disse Steve.
“Io ci sto” Rose, Alex e gli altri colleghi risposero all’unisono.
“Perfetto, andiamo a comunicarlo al Capo” Steve sorrise e andò con Rose nell’ufficio del Dr. Richardson.
Contenta, stavo per dirigermi verso la mensa per prendere un caffè, giusto per svegliarmi bene, prima di guidare verso casa, quando pensai a Liz, la piccola a cui avevo trapiantato il cuore la settimana precedente, che aveva ricevuto il cuore al posto della bimba di Kevin.
Chiusi per un attimo gli occhi, ricordando quel giorno di fuoco, cominciato con la felicità di un cuore per Sarah, concluso con il risveglio di Liz e la morte di Sarah.
Mi rattristai, ripensando al volto di Kevin. Doveva stare d’inferno.
Cambiai direzione e presi le scale. Kevin non poteva sopportare di vedere e rassettare le cose della sua bambina da solo, aveva bisogno d’aiuto, anche se l’aveva rifiutato.
Mentre salivo le scale, sentii l’altoparlante gracchiare.
“Avviso a tutti i dipendenti, i pazienti e i parenti. A breve arriveranno le forze armate. Non allarmatevi! Vengono per controlli di routine” la voce del Capo, solitamente calma, era segnata da un filo di agitazione e nervosismo, come se stesse nascondendo qualcosa.
In effetti, era stato un avviso molto strano. Quando mai le forze dell’ordine erano venute per controlli? In cinque anni e mezzo non era mai successo.
Scossi la testa, stranita da quella comunicazione e continuai a salire.
Arrivata al quinto piano, in pediatria, mi sorpresi. C’erano molte persone, tutte ammassate che parlottavano. Alcune urlavano addirittura.
“Ma che…?” dissi curiosa, avvicinandomi.
Mi feci strada tra la gente. Arrivata in prima fila, mi bloccai.
Tutte le immagini della morte di Jodie e di quella di Sarah mi passarono davanti, come tanti flash, uno più doloroso dell’altro: Jodie, piena zeppa di ferite, sorridente nonostante il dolore; il suo cuore forte che non ne voleva sapere di riprendere a battere; la sua espressione serena, appena morta; Sarah, forte tanto quanto la madre, che cercava di infondere speranza nel padre dopo l’inserimento del cuore artificiale; il suo monitor che, improvvisamente dopo qualche ora, segnalava un’anomalia; il suo cuore che si arrendeva sotto le mie mani.
Tornai alla realtà, incredula per la scena che avevo davanti.
Kevin era in piedi con una pistola e teneva in ostaggio Liz.
Non era venuto per prendere le cose di Sarah.
Ecco perché aveva detto che doveva renderle giustizia.
“Mary, che diavolo ci fai qui?” mi rimproverò Melanie, il primario di pediatria, distogliendomi dai miei ragionamenti.
“Ero venuta ad aiutare Kevin. Mi aveva detto c-che doveva prendere le cose di sua… s-sua figlia” balbettai e fissai la pistola, sbilanciandomi in avanti.
“Non ti avvicinare, potrebbe sparare” Melanie mi bloccò per un braccio.
“Non lo farà”
“Mary, il Capo ha già avvisato la polizia. Arriveranno a breve, perciò”
“Ha sparato a qualcuno?”
“Mary”
“Mel, rispondimi. Ha sparato a qualcuno?” mi liberai dalla stretta.
“No, Mary. Non ha sparato a nessuno. Non ancora perlomeno”
“Mel, non dire così. Lo sai che lo conosco, non userà la pistola. Lasciami parlare con lui – la guardai e lei acconsentì; cautamente mi avvicinai di poco a lui – Kevin, che stai facendo?”
“Lei è la causa del mio dolore. E’ tutta colpa sua!” urlò con rabbia e strinse la presa sulla bambina.
“No, la prego mi fa male” piagnucolò Liz.
“Kevin, sta’ calmo. Abbassa la pistola e spiegami tutto quanto” dissi.
“Lei ha avuto il cuore al posto suo. E non doveva, lo sai bene. Il cuore era di Sarah, non suo. L’ha rubato! E ora merita di morire”
“Kevin, questa bambina stava peggio di Sarah. Non è colpa sua se Sarah non ha avuto il cuore”
“Ma Sarah è morta! Le serviva quel cuore, dannazione!”.
Le sue urla di dolore erano strazianti.
Ebbi i brividi.
“Kevin, ascoltami. E’ vero, Sarah non ha avuto il cuore e purtroppo non ce l’ha fatta. Hai ragione a essere così straziato, in meno di un anno hai perso tua moglie e tua figlia; ma non puoi fare così, non puoi minacciare quella bambina. Questo gesto non rende di certo giustizia a Sarah, né tantomeno alla persona buona e gentile che in realtà sei. Abbassa la pistola, su”
“Quella persona è morta per ben due volte. Non esiste più”
“Non dirlo, io so che è dentro di te. Cosa penserebbero Jodie e Sarah di questo? Ragiona, non agire d’istinto. Colpire questa bambina non ti farà riavere Sarah. Niente potrà farti riavere indietro tua moglie e tua figlia. Non fare qualcosa di cui sicuramente ti pentirai”
“E’ troppo tardi”
“No, non lo è. Ancora non hai fatto alcun male. Sei ancora in tempo. Lasciala andare, coraggio” accennai un sorriso, sperando di essere convincente.
Kevin annuì, guardando il vuoto, e lasciò andare la bambina, che corse verso Melanie.
“Bravissimo – il mio sorriso divenne più grande, ma l’agitazione che scatenava quella pistola era sempre presente – Ora, io mi avvicinerò, ti prenderò per mano e ti toglierò quella pistola e così sarà tutto finito, d’accordo?”
“No, non ti avvicinare o sparo” i suoi occhi puntarono su di me.
Così come la sua pistola.
Deglutii terrorizzata.
































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Note dell'autrice: 
Ce l'ho fattaaaaaaa!!!! Ecco qua il nuovo capitolo! Sono successe parecchie cose, alcune felici, altre un po' meno, scriverlo non è stato affatto semplice, ma spero che attendere sia valsa la pena!
Cosa succederà a Mary? Kevin sparerà o no? 
Chi lo sa :P lo scopriremo nel prossimo capitolo (o forse dovrei dire "scoprirete", visto che io già lo so ahahahah :P)


Grazie mille per aver letto/recensito/messo la storia tra seguite/ricordate/preferite e per aver atteso con tanta tanta tantissima pazienza!! Siete i migliori!!


Ricordo il link del gruppo per chi si volesse unire: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/


Alla prossima, 
Mary :*

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Capitolo 13
*** There’s a time for everything. ***


POV Mary
Il mio corpo si era paralizzato all’improvviso, invaso dalla paura. Rivissi in un niente il giorno in cui Valerie mi aveva sparato.
Mi ci vollero tutta la mia forza mentale e la mia auto-convinzione per sbloccarmi. Non l’avrebbe fatto, dovevo convincermi che non l’avrebbe fatto. Non sarei tornata su un letto d’ospedale con una pallottola conficcata in corpo.
I piedi cominciarono a fare un passo, seguito da un altro e da un altro ancora, fin quando non mi ritrovai faccia a faccia con Kevin. Gli presi la mano libera dalla pistola e sorrisi nuovamente.
“Respira, va tutto bene”
“Io volevo solo che la mia bambina stesse bene. Perché è dovuto succedere tutto questo?”
“So come ti senti. Impotente, inutile, in colpa”
“Come fai a saperlo?”
“Mi sono sentita così quando hanno investito il mio ragazzo e, invece, il bersaglio ero io. Ma non devi sentirti così, perché non è stata assolutamente colpa tua. Purtroppo, sono cose che succedono e tutto quello che ci resta da fare è provare ad andare avanti. Non rovinarti così, Kevin. Jodie e la tua piccola Sarah non vorrebbero questo. Ti prego, dammi la pistola e troviamo una soluzione a tutto questo dolore, perché credimi se ti dico che la soluzione c’è!” gli strinsi la mano.
“La soluzione è solamente una. Grazie di tutto, Mary” mi sorrise e puntò la pistola sotto il suo mento.
La sua mano scivolò dalla mia e il corpo cadde a terra senza vita, dopo quello sparo assordante.
“No!” urlai e cominciai a piangere.
 
POV Ian
Dopo essermi svegliato, feci un’abbondante colazione e mi spaparanzai sul divano, in attesa che Mary rientrasse. Che noia! Ma non aveva detto che ci avrebbe messo poco? Accesi il televisore per passare il tempo e trovai uno stupido reality show che, poco dopo, fu interrotto. Al suo posto venne trasmessa un’edizione straordinaria del telegiornale.
“Interrompiamo i programmi per parlare di un fatto che stamane ha scosso i cittadini di Atlanta, rendendo ancora una volta evidente il disagio e la disperazione di molte persone. Oggi, alle otto e trenta del mattino, un uomo si è presentato armato nell’ospedale di Saint Joseph. Il primario dell’ospedale ha prontamente chiamato la polizia e solo qualche minuto fa lo stato di allerta è finito. Vediamo le immagini, riprese dalle nostre telecamere, che ricordiamo erano state montate prima dell’accaduto, per il documentario ospedaliero in corso nel nostro canale”.
Il servizio cominciò. Dopo aver ripreso quel pazzoide che, in evidente agitazione, entrava nella struttura, la scena cambiò. Era il piano di pediatria, lo ricordavo bene, e quell’uomo teneva in ostaggio una bambina. Dopo qualche minuto, arrivò Mary e cominciò a parlarci. Non finii nemmeno il servizio, indossai un paio di scarpe e presi la macchina, guidando in direzione dell’ospedale.
Arrivato, fui bloccato da un agente di polizia.
“Lei non può entrare. Lo stato di allerta sarà pure finito, ma quest’edificio è ancora off-limits” disse.
“La prego, voglio solo vedere se la mia ragazza sta bene”
“Alan, è quell’attore famoso. La sua ragazza è un medico. Lascialo entrare” disse un secondo agente, sopraggiunto proprio in quel momento.
“Grazie” lo guardai riconoscente ed entrai.
Chiesi di Mary e andai a cercarla.
Quando mi vide, sorrise.
“Ehi”.
Stava per abbracciarmi, ma le bloccai i polsi fortemente.
“Ma che ti prende?” mi guardò spiazzata.
“Ho visto il servizio al telegiornale. Ti sei messa a fermare pure i pazzi armati adesso? Mary, ma che fai?” urlai arrabbiato.
“Conoscevo quell’uomo! Pensavo che, se gli avessi parlato, avrebbe lasciato andare l’ostaggio e così ha fatto”
“Poteva prendere te come ostaggio. Non ci hai pensato?”
“Ian, non è successo, quindi perché preoccuparsene? Non fare una scenata qui, calmati e ne parliamo a casa”
“No, invece ne parliamo proprio qui e in questo momento. Cosa sarebbe successo se avesse ferito te? Cos’è, volevi riprovare l’ebbrezza di sentire una pallottola in corpo?”
“Ian, per favore” chiuse gli occhi per qualche istante, inspirando profondamente.
Non riuscivo a calmarmi. Ero troppo arrabbiato con lei. Come aveva potuto mettersi in pericolo in quel modo?
“Io non mi calmo. Dovevi stare più attenta. Ma cosa ti diceva la testa?” alzai ancora la voce, stringendole di più i polsi.
“La testa mi diceva di non permettere al marito di una cara amica morta di fare stronzate! E lasciami andare, mi stai facendo male” mi rispose con lo stesso tono.
Le lasciai immediatamente i polsi. Si erano notevolmente arrossati.
Mary li toccò entrambi, poi girò i tacchi e cominciò a camminare.
“Ti faccio notare che la discussione non è finita”
“Lo so benissimo, ma non ho intenzione di continuarla urlando per i corridoi, mentre tutti i miei colleghi ci guardano” sbottò e se ne andò verso gli sgabuzzini.
Ci chiudemmo in uno di quelli.
“Ian, non volevo assolutamente provare nuovamente quella sensazione” disse seria, abbassando lo sguardo.
“Scusa se te l’ho ricordata” sussurrai mortificato, nonostante l’arrabbiatura non fosse ancora svanita.
Ricordarle l’incidente era stato davvero un colpo basso.
“Ascoltami. Volevo solo aiutarlo. Sai chi era? Il marito di Jodie, la mia amica agente immobiliare. Ricordi? E’ morta durante il mio turno, quando ancora facevate volontariato qui. Sua figlia Sarah è peggiorata e necessitava di un cuore. Tre giorni fa”
“Mary, mi ricordo questi avvenimenti, non c’è bisogno che li ripeti”
“Tre giorni fa avevamo trovato quel cuore, ma purtroppo Liz, un’altra bambina del piano, era più grave – prese un respiro profondo – perciò il cuore destinato a Sarah spettò all’altra bambina. Io stessa feci quel trapianto. A Sarah, invece, misi un cuore artificiale; tuttavia si è infettato ed è morta e-e io volevo solo”
“Capisco che volessi aiutare quella persona, credimi, ma hai corso un rischio troppo alto! Mary, credo che non dovresti lavorare per un po’. Magari se ti prendessi un altro periodo di ferie”
“Ferie? Cosa?! Stai scherzando. Dimmi che stai scherzando!” mi guardò incredula e arrabbiata.
“Non sto affatto scherzando. Credo che ti farebbe bene”
“No, no, assolutamente no. Ma che dici? Io non rinuncio a lavorare, solo perché oggi è successa questa cosa”
“Mary, prova a ragionare, per favore”
“Ragionare?! – alzò la voce, ancora più arrabbiata – Allora sai che ti dico? Devi prenderti le ferie pure tu”
“E adesso che c’entra il mio lavoro?” ribattei.
Non aveva senso.
“Beh, mentre io sono qui a suturare ferite, potrebbe caderti un meteorite addosso mentre giri una scena. Perciò, non andarci nemmeno tu”
“Mary, questo discorso non regge, è assurdo”
“Bene, te ne sei reso conto. Ian, non puoi dirmi di prendermi un periodo di ferie. Queste cose potrebbero succedere anche al mio rientro. Sono situazioni e tragedie che non possiamo controllare”
“Su questo hai ragione – sospirai – Ma, dimmi una cosa… mentre pensavi a far ragionare quell’uomo, hai pensato a me? Cosa ne sarebbe stato di me se quell’uomo ti avesse fatto del male?”
“No, non parlare così” chiuse gli occhi.
“E invece io parlo proprio così. Mary – la presi per le spalle – guardami. Non mi sarei mai perdonato se ti fosse successo qualcosa. Tu sei la mia ragazza, sei la mia futura moglie, dannazione, e i-io non posso vivere s-se”.
Mary non mi fece finire la frase.
“Sssh, scusami, scusami, scusami” disse mortificata tra le lacrime e mi abbracciò forte.
La strinsi anch’io. La paura e la preoccupazione svanirono con quel gesto.
Senza lasciarla andare, trovai le sue labbra e cominciai a baciarla. Mentre i nostri corpi si avvinghiavano l’uno all’altro, anche i nostri spiriti bollenti si calmarono, lasciando il posto solo alla passione.
I vestiti volarono chissà dove.
Presi Mary in braccio, a cavalcioni, ed entrai in lei. Ci appoggiammo al muro, poco sotto la finestra, con i raggi del sole che riscaldavano i nostri corpi.
“Non osare mai più farmi questo. Non sono niente senza di te. Niente” le sussurrai all’orecchio, ansimante.
“Oh, Ian” mormorò, stringendomi.
Stavamo continuando a rapportarci fisicamente, quando Mary esclamò: “Oh, mamma! Stacchiamoci"
"Cosa? Io non ho finito e di certo nemmeno tu o ti avrei sentita” feci il mio sorriso sghembo, tentando di baciarla.
“No, Ian, dico sul serio” smosse le gambe, fin quando non la lasciai andare.
Subito dopo prese il camice e si coprì.
Era rossa in volto, come se si vergognasse.
“Ma che succede?”
“Guarda lì in alto” rispose, per poi abbassare il capo nuovamente.
Seguii con lo sguardo il punto che indicava il suo dito. Vi era un puntino rosso, che lampeggiava a intermittenza.
“Credo che abbiamo appena litigato e risolto, più che risolto, molto più che semplicemente risolto, davanti a una telecamera” disse, presa d’imbarazzo.
“Telecamere anche negli sgabuzzini? – sbottai – Ah, usciamo di qui e torniamo a casa!” scossi la testa e uscimmo da quella stanza.
“D’accordo, ma prima” mi prese per mano e mi portò in un’altra stanza.
“Salve” disse cordialmente al tecnico televisivo.
“Dottoressa Floridia, giusto?”
“Esatto” sorrise.
“Cosa posso fare per lei?”
“Beh, potrebbe cominciare con il darmi una certa cassetta, o quello che è, appena registrata”
“Ah, intende quella in cui lei e il suo ragazzo famoso continuate il litigio cominciato in corridoio e poi ci date dentro come due adolescenti che non riescono a controllarsi? Mmm, spiacente, quella registrazione potrebbe tornarmi utile, se va in onda oggi pomeriggio”
“Lo sa che è un insolente?” feci un passo avanti, ma Mary mi bloccò.
“Ci penso io” disse.
Il suo tono di voce era strano. Sembrava tra il cattivo e il divertito.
Alzai le mani in segno di resa.
“Tutto tuo” risposi.
Lei mi sorrise, poi si avvicinò al tecnico.
“Qual è il tuo nome?”
“Grayson”
“Ascoltami, Grayson. Io sono un medico e sono molto brava ad aggiustare, per così dire, i corpi delle persone. Ma, in quanto medico, conosco pure i punti vitali, che possono essere facilmente raggiunti e portarti in fin di vita, se gravemente danneggiati”
“Non lo farebbe mai”
“Ah, davvero? Ne è proprio sicuro?” sorrise.
“A dire il vero no” disse Grayson un po’ spaventato.
“Bene, allora facciamo così: lei mi dia pure la registrazione, così io non le faccio pagare quasi duemila dollari di spese ospedaliere. Che ne dice?”
“Direi che è perfetto” prese la cassetta e gliela porse.
“Felice che abbiamo trovato un accordo” Mary accettò l’oggetto e tornò al mio fianco.
Stavamo per andarcene, quando si voltò nuovamente.
“Ah, Grayson”
“Sì?”
“Stavo solo scherzando! Non ci riuscirei mai. Non ho nemmeno la forza di colpire una mosca” si mise a ridere e mi prese a braccetto.
Prendemmo le nostre auto e tornammo a casa.
Non appena rientrò, le andai incontro e cominciai a toccarle i fianchi.
“Ian?” disse il mio nome, già ammaliata.
“Dimmi, cara” continuai a toccarla.
“Che stai facendo?”
“Ti tocco i fianchi. E’ forse vietato?”
“No, certo che no – fece una risatina – Ma perché?”
“Perché sono rimasto piacevolmente sorpreso. Non conoscevo questo tuo lato, mmm come dire… dark?” risi, baciandole il collo.
“Non è niente di che. A volte mi diverto a fare la ragazzaccia”
“Saresti un’attrice straordinaria”
“Errore, io sono timida”
“Non mi sei sembrata molto timida prima”
“L’apparenza può ingannare”
“Non stavolta” smisi di accarezzarle i fianchi.
“Non smettere, mi piaceva” si lamentò in modo sensuale.
“Lo so. Ma credo che questo ti piacerà di più – sorrisi e la presi in braccio – Preferenze?”
“Credo che una doccia sarebbe l’ideale” mi guardò maliziosa.
Mi diressi verso il bagno, mentre le nostre bocche non riuscivano a separarsi.
 
POV Mary
Aprii gli occhi lentamente, mentre Ed Sheeran cantava sulle note di “Kiss me”.
Staccai il telefono e guardai l’orario.
Erano le nove.
Il giorno era arrivato.
Mi guardai intorno, sorridente e compiaciuta di me stessa.
Il sole entrava deciso dalla grande porta finestra, che dava sul terrazzo, e illuminava tutta la mia stanza, mai stata così bella prima di allora.
Strinsi le lenzuola a me con fare possessivo, mentre cercavo di trattenere dentro di me la felicità per quel preciso evento.
Il telefono vibrò nuovamente, stavolta facendo echeggiare un ‘toc toc’.
Sbloccai la tastiera e lessi il messaggio.
<< Buongiorno, splendido raggio di sole! Oggi è il grande giorno *-* chi avrebbe detto che sarebbe arrivato così all’improvviso? Il mio bouquet aveva ragione :P Come ti senti? Non vedo l’ora di vederti, sarai bellissima! Ti voglio bene :* >>.
Sorrisi.
Rose aveva proprio ragione. Ricordai, stringendo più forte a me le lenzuola bianche, il giorno del matrimonio di Rose e Steve, quando, senza alcuna previsione, avevo preso il bouquet.
Al solo pensiero di quel mazzo di fiori color indaco tra le mie mani, arrossii.
Quello, anche se per puro caso, era stato il primo indizio di tutto quello che stavo per vivere.
Cliccai lo spazio per rispondere e le scrissi: << Già, la ‘leggenda del bouquet’ questa volta ci ha preso! Io non vedo l’ora di abbracciarti! Ti voglio bene anche io :* >>.
Inviai il messaggio e lo guardai imbambolata per un po’, poi mi voltai verso la porta, che aveva appena scricchiolato.
“E’ permesso?” disse mia madre, entrando di soppiatto con un vassoio.
“La colazione a letto? Addirittura” risposi, ancora un po’ assonnata.
“Beh, credo oggi calzi a pennello” sorrise, porgendomi il vassoio.
Lo osservai attentamente. Solo succo di frutta, pane tostato e marmellata di albicocche.
“Ti ho preparato solo queste cose perché suppongo tu non abbia molta fame, ma, se mi sono sbagliata, corro subito a prepararti altro”
“No, va benissimo così” sorrisi e cominciai a mangiare.
Ad accompagnare quella colazione semplice e deliziosa c’era una rosa bianca. La presi e una goccia di rugiada cadde sul lenzuolo.
“I nonni l’hanno portata stamattina. Direttamente dal loro giardino paradisiaco, solo per te” mi disse, poi uscì dalla stanza, lasciandomi sola.
Ah, che nonni cari! Se stavano provando ad aggiungere perfezione a quella giornata ci stavano riuscendo benissimo.
Chiusi gli occhi per un momento. Mentre respiravo profondamente, ricordai l’ultima volta che ero stata in quel magico posto.
Pasqua, solo tre settimane prima. Accanto a me c’era Ian e dovevamo annunciare a tutti il matrimonio.
Riaprii gli occhi, ancora sorridente per quella memoria, così recente, ma che sembrava così lontana.
Le tre settimane successive a quel giorno, infatti, erano state un vero inferno anche per via dei preparativi, oltre che per il lavoro. Se non avessi ricevuto una mano da mia madre, Serena, Iris, Tatia, Nadia, Mel, Rose, Edna e Robyn non ce l’avrei mai fatta a organizzare tutto in tempo. Tante volte avevo pianto per qualcosa in ritardo o non andata per il verso giusto, ma loro nove mi avevano sempre sostenuta e consolata, facendomi arrivare a quel giorno più tranquilla.
“Toc toc” Serena irruppe nella stanza, con in mano il mio vestito.
Era elettrizzata, il suo volto sprizzava felicità da tutti i pori.
“Accidenti, S, ci manca solo che ti metti a fare le capriole con triplo salto mortale – risi – Ovviamente non con il mio vestito in mano”.
Mi fece una linguaccia ridendo, poi, sistemato l’abito accuratamente, si sedette vicino a me e mi abbracciò.
“Sono solo felice per la mia grande cugina! Non posso esserlo?”
“Certo che puoi. Sono felice anch’io” la strinsi.
“E’ bello sentirtelo dire”
“Ci credo. Dopo anni e anni di ‘rimarrò zitella’ e simili, sarai sollevata”
“Questo sicuramente – ridemmo, poi tornò seria – Ho una cosa da darti” mi fece l’occhiolino e uscì dalla stanza.
Qualche secondo dopo tornò con un pacchetto in mano.
“Aprilo” mi sorrise.
“Che cos’è?” la guardai, corrugando lievemente la fronte.
“Per questo devi aprirlo” rise.
“Ok” presi il pacchetto in mano e lo scartai.
I miei occhi cominciarono a velarsi di lacrime.
“Lo ricordi? Era il mio ‘qualcosa di nuovo’ il giorno del mio matrimonio e me lo avevi regalato tu. Probabilmente starai pensando: ‘Ma perché mi stai dando qualcosa che ti ho regalato io?’. La risposta è molto semplice. Questo è il simbolo più bello del nostro ‘essere cugine’, della nostra amicizia, della nostra sorellanza. Questa è una delle cose più care che ho e voglio che in questo giorno così importante, che aspetti praticamente da quando sei nata, questa sia il tuo ‘qualcosa di prestato’”.
Guardai attentamente la collana di oro bianco con il ciondolo a forma di infinito.
Ciondolo forse un po’ scontato, talvolta utilizzato da tanti in modo superficiale, ma era il simbolo perfetto per noi.
Mai avevamo litigato, sempre ci eravamo sostenute, sempre ci eravamo incluse nei nostri progetti futuri. Nonostante ci fosse la distanza fisica a separarci, mai avevamo permesso che ci fosse quella emotiva. Il nostro legame era davvero inscindibile.
“S, io…” non riuscii a continuare la frase, le lacrime mi avevano invasa.
“Ho fatto bene a dartela adesso, se avessi ritardato ti saresti rovinata tutto il trucco – sorrise e mi abbracciò – Ti voglio bene”
“Non sai quanto te ne voglia io” dissi tra le lacrime e la strinsi forte.
“E’ permesso?” disse Giorgio, con al suo seguito mio cugino Stefano e mia cugina Francesca.
“Ragazzi, ma che ci fate tutti qui stamattina?” sorrisi, asciugandomi velocemente le lacrime.
“Siamo venuti recando doni” Francesca sorrise e mi porse un pacchetto.
“Anche tu?” mi limitai a dire e, con le mani tremanti, lo scartai.
Un paio di orecchini blu mi ammaliò completamente.
“Ho fatto questi orecchini per te. Sono il tuo ‘qualcosa di blu’”
“Fra, non dovevi”
“Sì, invece. Auguri” sorrise e mi abbracciò.
“Ne abbiamo uno anche noi due” Giorgio e Stefano sghignazzarono, mentre me lo porgevano.
Lo aprii.
“Non è divertente!” li guardai.
“E’ il tuo ‘qualcosa di nuovo’” disse Giorgio.
“E poi è tradizione americana” aggiunse Stefano.
Presi la giarrettiera bianca in mano.
“Non ho intenzione di farmi togliere questa cosa dalla coscia d-davanti a tutti”
“Sei diventata rossissima” Stefano mi canzonò.
“Sarà imbarazzante” sbottai.
“Questo vuol dire che lo farai” Giorgio rise.
“Ho scelta?”
“Ovviamente no!”.
Ridemmo tutti quanti, poi ci abbracciammo.
“Possiamo unirci alla festa?” Mel, Iris, Nadia e Tatia fecero capolino dalla porta.
“Siamo venute per portare il ‘qualcosa di vecchio’” disse Mel, sorridendo.
Si scambiarono tutti uno sguardo complice.
“E cosa sarebbe?” chiesi io, incerta se sorridere o esserne spaventata, considerata già la giarrettiera.
“Beh – avanzò con passo esitante Nadia – in realtà sono due cose. Molto vecchie. Direi che hanno almeno – avvicinò il pollice e l’indice al mento, per pensare – che dici, Tatia? Almeno una decina d’anni. Giusto?”
“Giustissimo – sopraggiunse Tatia – e, anche se è malconcio e per questo motivo è stato sostituito, beh, tutte lo conserviamo ancora” sorrise.
Sorridemmo tutte.
Avevo capito di cosa si trattava.
Quando Tatia tirò fuori il mio braccialetto, con incise le nostre iniziali, delle ‘sorelle per scelta’, non fui sorpresa. Era il qualcosa di vecchio più azzeccato che potessero trovare.
Il primo braccialetto che avevamo preso tutte insieme a Firenze, nel secondo anno di università.
Il primo di una lunga serie, con i segni evidenti del tempo, con l’attaccatura arrugginita, con il cuoio colorato di azzurro un po’ sbiadito, ma bellissimo.
Porsi il polso destro, per permettere a Tatia di legarmelo.
“Dopo il matrimonio ovviamente torna nel tuo mausoleo, Mary” disse Nadia, agitando l’indice, come se fosse una madre che raccomandava il figlio.
“Ovviamente – risi – Ma, a proposito, perché avete detto che le cose vecchie sono due?”
“Mi permetto di aggiungere al ‘qualcosa di vecchio’ una cosa prettamente nostra, ancora più vecchia del braccialetto azzurro – disse Iris, sorridendo – una cosa che è con me da ben undici anni, modificata da otto, che non indosso sempre o si rovina ancora di più; che non sembra, ma tengo con cura; che non è di oro, ma è tra le cose più preziose che possiedo. E mi dispiace per il colore” concluse con una smorfia.
Anche in quel caso, mi ci volle solo un attimo per capire.
Non appena il mio pensiero si collegò a quel secondo braccialetto, quest’ultimo si materializzò davanti ai miei occhi, tra le mani di Iris.
Il braccialetto di cuoio colorato di fucsia, con su inciso ‘Persona’ era davanti ai miei occhi.
Quella parola per i ‘comuni mortali’ era una parola ordinaria, ma per chi, come me, era da sempre una fan sfegatata di ‘Grey’s Anatomy’ sapeva quanto fosse importante. E, soprattutto, sapeva quanto quella parola ci appartenesse. Proprio per questo motivo, nonostante le avessi regalato quel braccialetto prima di partire per l’università, lo avevo riportato al negozio nel 2006 per far aggiungere quella parola, per farla incidere, così che fosse sempre con lei e, quindi di conseguenza, che anch’io lo fossi.
“E’ forse la cosa che più ci rappresenta, questa parola. Perché come Mer e Cri, non ci siamo mai abbandonate. C’è stata la lontananza fisica, è vero, ma mai, mai sentimentale. Ci siamo sempre dette le cose con schiettezza, ci siamo sempre dette quando sbagliavamo e quando, invece avevamo ragione. Ci siamo sempre supportate. Le nostre spalle hanno visto le nostre lacrime. I nostri occhi hanno visto i nostri sorrisi. E, anche se non possiamo vederci o sentirci tutti i giorni, sappiamo che ci siamo. E che ci saremo sempre. Per questo, in un giorno così importante, ci tengo che tu abbia questa parola accanto” mi legò il braccialetto accanto all’altro.
“Oh, Persona mia!” esclamai piangendo, mentre ci abbracciavamo forte.
“Adesso corri a fare la doccia. Parrucchiera e truccatrice saranno qui a momenti” disse la mia persona dopo qualche attimo, sorridendo.
Sciolto l’abbraccio, mi diede una spintarella verso il bagno.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=_mIZCiXPv0w
 
Mio padre mi teneva ben salda, mentre le mie amiche italiane e Rose erano pronte a sfilarmi davanti, stringendo i loro bouquet.
Serena, Iris e Giorgio, in qualità di testimoni, erano già all’interno della chiesa.
“Pronta?” mi chiese mio padre.
“Sì” dissi decisa e feci segno alle mie amiche di procedere.
Più salivamo, più Ian si faceva vicino. Ero emozionatissima, il cuore mi batteva a mille, sentivo le gambe cedere, ma non importava. Dovevo continuare, dovevo salire tutti gli scalini, dovevo arrivare in cima, solo così il mio sogno si sarebbe coronato. Arrivata a metà strada, prima di proseguire, mi voltai a guardare il paesaggio.
Ricordavo perfettamente il giorno in cui avevo deciso di sposarmi nella chiesa madre della mia città natale, San Giorgio.
Era il Giugno del duemiladue e avevo diciassette anni. Era uno di quei periodi strani. Pensavo sempre al principe azzurro che mi avrebbe salvata, che mi avrebbe permesso di donare tutto l’amore che potevo offrire e che mi avrebbe amata, ma non arrivava mai. Era una situazione triste, perché tutte le ragazze della mia classe ne avevano, invece, a bizzeffe. Mi veniva sempre la voglia di sprofondare e di piangere e la speranza, che tutti mi consigliavano di avere, sembrava ormai sparita, dissolta.
Quel giorno, però, era cambiato tutto. Le campane erano in festa per il matrimonio di amici di famiglia e, quando avevo salito tutti gli scalini, l’imponenza della chiesa e l’immenso paesaggio dinanzi a lei mi avevano stregato talmente tanto, che tutta quella frustrazione era svanita nel nulla. Era stata una sensazione splendida, di serenità, di pace, come se in quel momento non avesse avuto importanza il fatto che fossi l’unica ragazza a non essere fidanzata della mia classe. Dentro di me si era insinuata quella speranza che più volte mi era stata menzionata. In quell’esatto istante avevo finalmente realizzato che non dovevo cercare e cercare, a volte anche con disperazione, ma semplicemente… aspettare. Quell’atmosfera mi aveva donato quel pensiero, perciò il minimo che potessi fare era realizzare quel pensiero proprio lì.
“Tutto ok?” mi sussurrò mio padre.
“Sì, pensieri giovanili, niente di che” sorrisi e proseguimmo.
Arrivati in cima, riuscii a intravedere Ian in tutto il suo splendore.
Era vicino all’altare. Indossava un abito nero, completo di panciotto e papillon, anch’essi neri.
Sentii le guance avvampare. Non riuscivo a credere che tutto stesse accadendo davvero.
Cominciai a percorrere la navata al fianco di uno dei miei genitori, mentre il mio amato coro, la mia seconda famiglia dall’età di 15 anni, cantava gioioso per il mio ingresso. Giunti vicini a Ian, mio padre gli cedette la mia mano e lui l’accolse dolcemente, poi mi tolse il velo e mi baciò in fronte.
“Ciao splendore” mi sussurrò.
“Ciao a te” la mia voce faceva trasparire tutta la mia emozione.
“Andiamo a sposarci” sorrise.
“Sposarci? Credevo fossimo qui per visitare la chiesa” sussurrai a mia volta, sarcastica.
Ian mi strinse la mano e sorrise, poi la cerimonia iniziò e il sacerdote ci fece accomodare. Cominciarono le letture.
Scoppiai in lacrime come una bambina, quando Giorgio, tutto ben vestito, cominciò a cantare per me. Avevo sempre pianto quando cantava, era vero, però, stavolta c’era una variazione. Tutte le note e le parole che intonava contenevano quella passione da fratelli che ci legava, nonostante i litigi che avevano caratterizzato la nostra infanzia e la lontananza fisica che aveva caratterizzato la nostra maturità.
Non appena finì di cantare, mi disse ‘ti voglio bene’ al microfono e tornò a sedere.
La cerimonia continuò e arrivò il momento del matrimonio vero e proprio. Il sacerdote si avvicinò e invitò me e Ian ad alzarci, poi a porci uno di fronte all’altra. Dopo una serie di formule, il sacerdote ripeté prima in italiano, poi in inglese: “Se, dunque, è vostra intenzione unirvi in matrimonio, datevi la mano destra ed esprimete, davanti a Dio e alla Sua Chiesa, il vostro consenso” e porse il microfono a Ian.
“Io, Ian Joseph Somerhalder, accolgo te, Maria Chiara Floridia, come mia legittima sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” mi sorrise.
Il microfono passò a me: “Io, Maria Chiara Floridia, accolgo te, Ian Joseph Somerhalder, come mio legittimo sposo e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita” finii la frase con commozione e Lucas accorse per portarmi i fazzoletti.
Dopo aver asciugato le lacrime di gioia, il sacerdote consegnò a Dio il nostro amore e consacrò le fedi, poi diede nuovamente il microfono a Ian.
“Maria Chiara, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” e mi mise l’anello al dito.
“Ian, ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” sorrisi e gli misi l’anello.
“Per il potere conferitomi dalla Chiesa, vi dichiaro marito e moglie” il sacerdote sorrise e tutti ci applaudirono.
Il resto della cerimonia passò in fretta e ben presto arrivò la benedizione del sacerdote, che segnava la fine della messa.
Io e Ian ci voltammo e vedemmo arrivare una massa di persone.
Dopo auguri, baci e abbracci, Ian mi prese a braccetto e, mentre la marcia nuziale suonava autorevole, percorremmo la navata per uscire dalla chiesa.
 
“Oddio, no, è troppo imbarazzante – mi coprii il volto con le mani – per favore, abbiate pietà!” implorai, ma invano.
Quasi tutti gli invitati erano disposti di modo che si formasse un cerchio tra me e Ian.
Il lancio del bouquet c’era già stato, l’aveva preso Nina, con sua grande sorpresa e, soprattutto, imbarazzo.
Ora, teoricamente, spettava alla giarrettiera.
Al centro del cerchio, proprio tra me e Ian, vi era una sedia. Dovevo, sempre teoricamente ovviamente, appoggiare un piede lì e permettere a mio marito di togliermi con i denti quella sottospecie di fascia. Il tutto, per la mia gioia, mentre tutti gli invitati ci fissavano.
“Mary, dai! E’ solo una giarrettiera!” disse Ian per incoraggiarmi.
“Non è ‘solo’ una giarrettiera – precisai, borbottando a bassa voce, così che sentisse solamente lui – ti devi infilare in mezzo alle mie cosce per toglierla” diventai bordeaux, davanti agli occhi divertiti del mio consorte.
“Chiudi gli occhi e sarà tutto finito in men che non si dica” sussurrò beffardo, facendomi l’occhiolino.
Brontolai, poi appoggiai il piede sulla sedia. Tutti, soprattutto gli uomini, cominciarono a urlare, mentre Ian si chinava e percorreva il profilo della mia gamba destra con la guancia.
Non appena arrivò all’altezza della giarrettiera, prima che cominciasse a toglierla, salì un po’ più su e mi diede un bacio sull’inguine.
Trattenni il respiro per un attimo, mentre il disgraziato a mano a mano veniva fuori con la giarrettiera tra i denti.
Tutti gli invitati urlarono molto di più, applaudendo.
Ian, radunati gli uomini, procedette con il lancio della giarrettiera.
Lo prese Alex.
Il fotografo incitò i due vincitori a posare insieme con i loro bottini per immortalare quel momento.
Fu estremamente comico assistere alla scena.
Nina teneva il bouquet a disagio, chiaramente non contenta di cosa rappresentasse, mentre Alex, già evidentemente parecchio ubriaco, era così fiero di aver preso la giarrettiera, che se la mise in testa, come fosse una corona.
La foto venne scattata e Nina tornò immediatamente da Joseph, cercando di allontanarsi il più possibile dal mio collega.
Poco prima che potesse essere annunciato il primo ballo tra me e Ian, l’animatore della serata propose un momento di discorsi, per cui chiunque poteva dire qualcosa a noi come singole persone o come coppia, se avesse voluto.
Gli invitati cominciarono a mettersi in fila, mentre ci accomodavamo mano nella mano.
Tra colleghi, conoscenti e parenti vari, arrivò finalmente il turno di Jess e Paul, i migliori amici in assoluto di Ian.
“Ian, caro, uno dei ‘miei ragazzi’ – disse Jessica, virgolettando le parole – come dice Amelia Pond al suo Dottore e al suo amato Rory – sorrise – Il giorno del mio matrimonio celebrasti tutto emozionato il nostro Amore, esaltandolo, sottolineando come l’Amore Vero sia un sentimento quanto raro quanto immediato da trovare. Perché quando vedi quella persona, semplicemente lo sai. Senti proprio dentro che potrebbe essere La – sottolineò quell’articolo – persona, quella con cui passare il resto della propria vita. E non è facile. E anche per voi non lo è stato, lo sapete voi e lo sappiamo pure noi che, nel nostro piccolo, abbiamo accompagnato la vostra storia; però vedervi adesso in questo giorno, felici, sereni e innamorati è così bello che fa ammettere che ne è valsa la pena. Aspettare, scappare, rinnegare, tornare e finalmente amare, proprio tutto ciò che vi ha condotto qui, l’uno davanti all’altra. Mi sembra di essere la Lily della situazione, davanti a Ted e Tracy di ‘How I met your mother’, tutta contenta di dire che ce l’abbiamo fatta finalmente. Non so se questo discorso abbia senso, ma”
“Possibilmente no” si intromise Paul, dandole una spintarella.
“Ma finiscila – sghignazzò Jess – Dicevo, ma sono davvero felice, così come anche Paul, di essere qui oggi e di vedere celebrato questo amore! Vi vogliamo bene! Congratulazioni, ragazzi!” applaudirono, sorridendoci, poi lasciarono il posto alle mie sorelle per scelta.
“Avevamo pensato di dire una cosa come, per esempio, quanto avessimo ragione a dire alla carissima Floridia che non sarebbe rimasta sola, ma, piuttosto che ricordare questo” Serena sorrise.
“Abbiamo pensato di ricordarle una cosa, che effettivamente ha a che fare con questo discorso, che abbiamo ascoltato per – Tatia corrugò la fronte, guardando Nadia – quanti anni, sorella? Tredici anni circa?”
“Sì, anno più, anno meno, sono stati circa tredici anni” anche Nadia sorrise.
“Ragazze, mi state spaventando” ammisi, agitandomi sulla sedia.
“Beh, fai bene – Iris si impadronì del microfono sghignazzando – perché, visto che avevamo ragione noi, tu hai perso una certa scommessa, fatta nel”
“Nel 2004, oh mamma!” esclamai, ridendo istericamente.
 
“Mary, non rimarrai una gattara a vita”Mel avvicinò un altro shot al mio volto.
“Sì, invece, perché chi vuoi che mi prenda?” risi, mentre buttavo giù l’alcolico.
“Mary, ok, visto che non ci darai mai ragione a parole, ma sicuramente a fatti sì, facciamo una scommessa” Iris batté le mani, guardandomi ammiccante.
“Sentiamo”
“Se un giorno ti sposerai, al tuo matrimonio dovrai bere cinque shots, uno per ognuna di noi, visto che quel giorno sarà la conferma del fatto che abbiamo sempre avuto ragione” incrociò le braccia.
“D’accordo – risi più forte – tanto non accadrà mai”
“Ok, brindiamo e suggelliamo questa promessa” disse Serena, versando il vino bianco nei calici.
“Cin cin, promessa sia” dicemmo tutte insieme.
 
 “Esattamente, perciò, abbiamo fatto preparare i cinque shots che dovrai bere di fila: rum e pera, vodka liscia, scotch single malt, bourbon e, per finire, tequila, insieme a sale e limone”
“E fu così che Mary andò in coma etilico” mi auto canzonai, guardandole implorante.
“Ah, ah – Mel agitò un indice – gli occhi da cucciolo non funzioneranno in questo momento”
“Uffa” brontolai, roteando gli occhi.
Cercai di aggrapparmi al braccio di Ian, ma fu inutile. Del tutto inutile.
Le mie sorelle per scelta mi strapparono da lui, avvicinandomi al tavolo.
“Ian” lo chiamai, lagnosa.
“Beh, una scommessa è una scommessa” disse divertito.
“E va bene, va bene” scossi la testa.
Presi un bel respiro, poi cominciai a svuotare i bicchierini velocemente. Per ultimo, leccai l’incavo della mano destra, in cui avevo messo il sale, bevvi la tequila e poi presi la polpa del lime.
Sgranai gli occhi, cercando di rimanere in equilibrio.
“Ce l’hai fatta” urlarono quelle disgraziate, battendo le mani.
Ian mi si avvicinò, tenendomi da dietro.
“Tutto ok?” mi chiese.
“Sì, non preoccuparti” mi voltai, sorridendogli.
“Ora, però, abbiamo un’altra sorpresa” Nadia sorrise, porgendo a me e Ian un microfono ciascuno.
“Eh?” prima ci guardammo entrambi, per poi guardare loro.
“Sì, esatto, perché dovrete cantare! – Iris parlò eccitata – più precisamente questa canzone. Via!” fece segnale all’animatore, di modo che facesse partire la base.
Subito la riconobbi e sorrisi.
Era la seconda parte di ‘A thousand years’ di Christina Perri.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=9RbcR_KSRB8
 
The day we met,
Frozen I held my breath
Right from the start
I knew that I'd found a home for my heart
Beats fast
Colors and promises
How to be brave?
How can I love when I'm afraid to fall
But watching you stand alone
All of my doubt suddenly goes away somehow
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
Time stands still
Beauty in all she is
I will be brave
I will not let anything take away
What's standing in front of me
Every breath
Every hour has come to this
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more
I'll love you for a thousand more
Ohh
One step closer
I have died everyday waiting for you
Darling don't be afraid I have loved you
For a thousand years
I'll love you for a thousand more
And all along I believed I would find you
Time has brought your heart to me
I have loved you for a thousand years
I'll love you for a thousand more
La canzone si concluse, ma la base strumentale continuò a essere suonata.
L’animatore raccolse i microfoni e ci invitò a danzare proprio su quelle note, che, grazie alle mie donne di sempre, io e Ian ci eravamo appena dedicati. Ian mi prese la mano destra e con l’altra mi cinse i fianchi. Cominciammo a volteggiare e volteggiare. Improvvisamente, tutto il mondo circostante era svanito. C’eravamo solo noi e la dolce musica.
Alla fine del ballo, avvertendo un capogiro, mi aggrappai più fortemente a mio marito, che mi strinse.
Tutti applaudirono, poi presero anch’essi a danzare.
 
POV Ian
Aprii la porta della stanza d’albergo, poi presi Mary in braccio.
“Ma che fai?” sussurrò, scoppiando a ridere.
“Beh, è tradizione – sorisi – o mi sbaglio?”
“No, non sbagli, è che mi gira tutto” Mary continuò a ridere.
“Ti prego non dirmi che sei veramente ubriaca la nostra prima notte di nozze” dissi, mentre chiudevo la porta alle mie spalle.
“Ubriaca io? Sai benissimo che reggo bene l’alcol”
“Oh, lo so! Ma quei cinque shots”
“Quei cinque shots mi hanno solo rallegrata, non preoccuparti” mi fece l’occhiolino.
Non appena le permisi di poggiare i piedi per terra, le cinsi i fianchi.
“Allora” le sussurrai all’orecchio.
“Ce l’abbiamo fatta, eh? Questa giornata è passata – sospirò di sollievo – ed è andata incredibilmente bene”
“Esatto, ma questo non mi sorprende più di tanto, cara mogliettina”
“Oh! – sorrise chiudendo gli occhi – Dillo di nuovo”
“Tipo le iene con il nome di Mufasa?”
“Esatto” rise.
“Mogliettina” ripetei, carezzandole il fondo schiena.
“Caro maritino, ho i brividi”
“Spero di piacere” ammisi.
Restammo per un silenzio in quel modo. Io in apnea, lei, ancora con gli occhi chiusi, concentrata sulle mie mani.
Dopo un po’, riaprì gli occhi, molto più maliziosi di prima.
“Perciò, siamo sposati”
“Eh già” sorrisi.
“Molto bene” disse.
Cominciò a toccarmi il petto, su e giù, su e giù.
Nonostante fossero dei semplici tocchi, io ero già elettrizzato.
“Maritino, avrei una richiesta” sorrise, allontanando le sue mani.
“Dimmi”
“O forse più che altro dovrei chiamarla una cortesia” continuò vagamente.
Corrugai la fronte, cercando di capire se dietro quelle parole ci fosse davvero qualcosa o se stesse solo vaneggiando per l’alcol.
Mary, nel frattempo, si era allontanata da me e si era voltata. Scostati i capelli, mi guardò.
Riprese: “Mi abbasseresti la lampo del vestito?”
“Oh” risposi, con le dita che fremevano.
Feci come mi aveva chiesto. Mary fu, così, in grado di sbarazzarsi del vestito; appoggiatolo, poi, accuratamente su una sedia, tornò di fronte a me in intimo, con ancora indosso i tacchi.
Non era mai stata così bella come in quel momento. La stavo letteralmente divorando con gli occhi, fin quando non disse: “Potresti pure toccare, non solo guardare, sai, maritino caro?” ridendo.
Non me lo feci ripetere due volte. Mi tolsi la giacca e le cinsi i fianchi, cominciando a baciarla con desiderio. La mia – forse ubriaca – consorte, di rimando, mi tolse la camicia e mi sbottonò i pantaloni. In men che non si dica ci ritrovammo tra le lenzuola, l’una tra le braccia dell’altro.
“Ti amo” mi sussurrò.
“Anche io, tanto” le sorrisi, carezzandole il volto.
Anche lei sorrise.
Gli intimi volarono. Mary mi baciò il petto, poi salì a cavalcioni su di me e cominciò a muoversi.
Quelle dichiarazioni d’amore sussurrate furono le ultime parole di quella notte.
 
“Cosa si aspetta da stasera? Lei sa qualcosa circa questo spettacolo?” mi chiese un giornalista, su uno strampalato red carpet.
“Onestamente no, ma sono davvero eccitato. I ragazzi si sono impegnati tanto per divertire il pubblico e per fare in modo che ci siano delle donazioni a favore dell’ospedale, scopo primario per celebrare la storia di questa struttura, per cui sono certo che sarà tutto straordinario e che andrà tutto bene”
“E’ strano per lei sapere che sarà seduto a guardare la moglie su un palco? Non è un po’ un’inversione di ruolo?”
“No, anzi non vedo l’ora di vedere quale sarà il suo di ruolo” sorrisi, cercando di tenere a freno la lingua e non rispondere con un doppio senso.
I giochi di ruolo, infatti, a me e a quella pazza di Mary piacevano molto.
“Pensa che l’idea del documentario sia stata buona?”
“In fin dei conti sì. Insomma, ci sono stati dei momenti in cui l’ho odiata, davvero tanto, però, beh, ecco, adesso credo sia stata davvero una cosa buona. E’ servita per l’ospedale, perché dopo centocinquant’anni di attività si meritava una grande festa e poi anche per chi ci lavora. Queste professioni vengono acclamate, ma spesso passano in secondo piano, rispetto, per esempio, alla professione che svolgo io, quando in realtà dovrebbero essere più in evidenza. Qui lottano con le unghie e con i denti per salvare delle vite. Già dire solo questo fa capire come siano tutti straordinari”
“Grazie mille, Ian” il giornalista sorrise.
“Di niente” ricambiai il sorriso e proseguii.
Nonostante sapessi che tutti i componenti dell’ospedale avevano oltrepassato il red carpet molto prima di me, non potevo fare a meno di guardarmi intorno alla ricerca di Mary.
Trovai, invece, Nina e Joseph.
“Ciao, ragazzi” sorrisi, agitando la mano.
“Niki, per favore – Joseph roteò gli occhi, poi mi notò – Oh, Ian, ciao!” sorrise.
“Che succede?” chiesi, guardandoli entrambi.
“Nina non vuole stare qui stasera, perché la presenza di quell’Alex la irrita” mi spiegò Morgan.
“Oh! Fa a tutti quell’effetto, non preoccuparti”
“Sì, ma da quando ha vinto quella giarrettiera, ogni volta che mi guarda ammicca e mi infastidisce, non lo reggo” strinse i pugni.
“Pensa che sei venuta per vedere Mary, lascia perdere quel troglodita”
“Hai ragione, Jo, però” abbassò il capo.
“Niente ‘però’. Su, prendiamo posto o non riusciremo a vedere niente”.
 
Era stato tutto incredibilmente perfetto.
Non c’erano altre parole per descrivere quella serata.
Tutto era stato azzeccato, curato, fantastico.
I dialoghi erano stati mirati, perfetti per far capire la storia dell’ospedale e il suo significato, sia fisico per la città che sentimentale per lo staff.
Le foto erano state sorprendenti, perfette per far notare la crescita di quella struttura, che ai tempi dell’ottocento era una semplice casa per poi arrivare alla grandezza dell’attualità.
I video erano stati divertenti e commoventi, perfetti per evidenziare quanto sia delicato quel mestiere, quanto non sia affatto facile essere un medico, un chirurgo, un infermiere, un’ostetrica, un paramedico e così via.
Era stato bello vedere quei ragazzi – e soprattutto Lei – a lavoro. Effettivamente noi avevamo avuto la fortuna di vederli dal vivo, cosa sottolineata nel corso della serata, essendo il nostro volontariato stato un evento importante, ma era stato comunque straordinario osservarli in quelle registrazioni, prima tutti concentrati per una visita o un’operazione e poi un po’ più spensierati in saletta. Queste differenze permettevano di realizzare come, nonostante tutto, fossero umani. Esattamente come tutti gli altri. Capaci della grandezza e del fallimento. Capaci di soffrire, ma anche di gioire con le famiglie dei loro pazienti e con i pazienti stessi.
E, infine, ma non meno importanti, le canzoni. Ah, quelle canzoni! Semplicemente perfette.
Era impossibile non ripetere quell’aggettivo per ogni cosa.
Le canzoni erano state tantissime ed emozionanti, partendo da ‘The story’ di Brandi Carliel e ‘Saturn’ di Sleeping at last, cantate egregiamente dalla mia consorte, arrivando fino a ‘Viva la vida’ e ‘Fix you’ dei Coldplay, ‘How to save a life’ dei The Fray, ‘Eye of the tiger’ di Survivor, ‘To build a home’ dei Cinematic Orchestra, ‘Stay with me’ di Sam Smith, ‘Human’ di Christina Perri, ‘Try’ di Pink e molte, moltissime altre.
Il palco si illuminò nuovamente, segno che lo spettacolo stava per proseguire.
Venne fuori Mary, vestita in divisa, come se stesse per andare a lavoro. Si avvicinò al microfono.
“Signore e signori, bambini e donzelle, a nome di tutto lo staff ospedaliero, vi ringrazio per aver partecipato a questa serata di beneficenza. Il ricavato, come già detto, andrà all’ospedale, che finanzierà ogni singolo reparto. Non vi ringrazio solo per la vostra gentilezza nel donare delle somme di denaro, ma anche e soprattutto per un'altra cosa, molto più importante di quest’ultimo. Grazie per averci donato il vostro tempo e per averci permesso di mostrare la dedizione e la passione che ogni singola persona all’interno di questo ospedale mette nel suo lavoro; l’allegria e la simpatia che si mostrano verso i pazienti, che non sono solo incubatrici di malattie, anche se a volte queste sono fantasticamente affascinanti, ma persone che vanno curate e rispettate e che meritano di sorridere, nonostante il grave peso di una malattia. Questo è ciò che avete osservato in questi mesi  tramite il documentario che il nostro primario, il dottor Craig Richardson, ha permesso di girare. Stasera, però, avete scoperto un’altra cosa. Noi medici, noi chirurghi, noi ostetriche, noi infermieri, noi paramedici e noi tecnici non siamo delle persone strane che pensano alla scienza e basta. Noi siamo persone capaci di amare e di essere amati; capaci di avere degli hobby e altre passioni al di fuori della medicina. Noi siamo come una grande famiglia, che gioisce per il successo di un membro e consola la sfortuna di un altro. Sono fiera di far parte del Saint Joseph e spero che, grazie a questo periodo di tempo trascorso insieme e soprattutto a questa sera, voi possiate essere felici di averci al vostro servizio. Grazie a tutti di cuore. Ora vi lasciamo con un’ultima, ma non meno importante, canzone. Buona visione” sorrise e prese il microfono tra le mani.
Mentre lo strumentale cominciava e tantissimi dello staff entravano in divisa con i microfoni, dei video partirono sullo schermo, arricchendo maggiormente quella performance.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=H3CDz-vsF50
 
Hope when you take that jump, you don't fear the fall
Hope when the water rises, you built a wall
Hope when the crowd screams out, they're screaming your name
Hope if everybody runs, you choose to stay
Hope that you fall in love, and it hurts so bad
The only way you can know is give it all you have
And I hope that you don't suffer but take the pain
Hope when the moment comes, you'll say
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Hope that you spend your days, but they all add up
And when that sun goes down, hope you raise your cup
Oh, I wish that I could witness all your joy and all your pain
But until my moment comes, I'll say
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Oh, oh, oh, oh
With every broken bone, I swear I lived
With every broken bone, I swear I
I, I did it all
I, I did it all
I owned every second that this world could give
I saw so many places, the things that I did
With every broken bone, I swear I lived
Oh, oh, oh, oh
I swear I lived, ohhh
I swear I lived, ohhh
 Non appena la canzone finì, tutti urlarono un ‘Grazie’. Le luci sul palco si spensero.
Cominciammo tutti ad applaudire, ci alzammo in piedi, urlammo anche noi.
Era stato davvero perfetto.
 
POV Mary
Lo spettacolo era andato benissimo, noi ci eravamo divertiti e il pubblico aveva apprezzato tantissimo, specie tutti i video che parlavano della storia dell’ospedale dalla costruzione ai giorni nostri, per non parlare delle varie esibizioni di tutto lo staff ospedaliero.
La spensieratezza, provocata da quella magica serata, sparì, però, molto presto. Mentre organizzavamo l’evento, infatti, Rose aveva fatto il sorteggio per decidere chi avrebbe scritto e letto il discorso di ringraziamento. La mia amata amica sfortuna fece pescare il mio nome.
Ah, non mi sentivo le gambe, né la voce!
“Mary, tocca a te, su!” Rose mi fece cenno di salire sul palco.
“No, Rose, non ci riesco. La voce e le gambe mi tremano, non ce la posso fare” farfugliai, scuotendo la testa.
“Hai detto la stessa cosa quando dovevi cantare e ci sei riuscita benissimo. Perciò vai e basta” mi diede una spintarella.
Non mi restò altro da fare che salire sul palco. Le luci si accesero su di me.
Mi avvicinai al microfono e cominciai a parlare, sperando che non si notasse il mio imbarazzo: “Signore e signori, bambini e donzelle, a nome di tutto lo staff ospedaliero, vi ringrazio per aver partecipato a questa serata di beneficenza. Il ricavato, come già detto, andrà all’ospedale, che finanzierà ogni singolo reparto. Non vi ringrazio solo per la vostra gentilezza nel donare delle somme di denaro, ma anche e soprattutto per un'altra cosa, molto più importante di quest’ultimo. Grazie per averci donato il vostro tempo e per averci permesso di mostrare la dedizione e la passione che ogni singola persona all’interno di questo ospedale mette nel suo lavoro; l’allegria e la simpatia che si mostrano verso i pazienti, che non sono solo incubatrici di malattie, anche se a volte queste sono fantasticamente affascinanti, ma persone che vanno curate e rispettate e che meritano di sorridere, nonostante il grave peso di una malattia. Questo è ciò che avete osservato in questi mesi  tramite il documentario che il nostro primario, il dottor Craig Richardson, ha permesso di girare. Stasera, però, avete scoperto un’altra cosa. Noi medici, noi chirurghi, noi ostetriche, noi infermieri, noi paramedici e noi tecnici non siamo delle persone strane che pensano alla scienza e basta. Noi siamo persone capaci di amare e di essere amati; capaci di avere degli hobby e altre passioni al di fuori della medicina. Noi siamo come una grande famiglia, che gioisce per il successo di un membro e consola la sfortuna di un altro. Sono fiera di far parte del Saint Joseph e spero che, grazie a questo periodo di tempo trascorso insieme e soprattutto a questa sera, voi possiate essere felici di averci al vostro servizio. Grazie a tutti di cuore. Ora vi lasciamo con un’ultima, ma non meno importante, canzone. Buona visione” sorrisi e presi il microfono tra le mani.
Ce l’avevo fatta!
Sorrisi tra me e me elettrizzata.
Mentre lo strumentale cominciava e gli altri entravano in divisa con i microfoni, gli ultimi video partirono sullo schermo. Non erano delle ripetizioni dei video precedenti, anzi! Non li avevamo utilizzati appositamente, proprio perché più adatti a quell’ultima canzone. Rappresentavano, infatti, tutti quei piccoli momenti vissuti, partendo dai primi fotogrammi del 1920 fino a quell’anno. C’erano tante parti che io stessa avevo vissuto ed era così bello poterli trasmettere agli altri. Gli scherzi negli spogliatoi, i balletti in saletta durante il turno di notte, i canti natalizi in sala operatoria,  la visione degli episodi di alcuni telefilm e così via.
Iniziammo a cantare, effettuando quell’ultima ma speciale performance.
Non appena la canzone si concluse, urlammo un ringraziamento tutti insieme, poi scendemmo dal palco. Subito ci abbracciammo tutti insieme, urlando ancora.
“Siamo stati grandiosi” dicemmo, ancora una volta in coro.
In mezzo alla folla, io, Rose, Steve e Alex ci trovammo, abbracciandoci ancora una volta.
Mentre Rose e Steve si baciavano felici, Alex si congratulò con me, sussurrando al mio orecchio.
“Oh, grazie, Al! Anche tu sei stato bravissimo” sorrisi e lo abbracciai.
Notai che impiegò un po’ di tempo sia per ricambiare l’abbraccio, che, per poi, lasciarmi andare.
Volevo parlargli, ma
“Carissimi colleghi – il Capo venne dietro le quinte, applaudendo e impedendomi di farlo – siete stati una potenza! – sorrise – E, con molto piacere, voglio dirvi che stasera abbiamo raccolto un milione e mezzo di dollari”
“Quanti?” dissero alcuni, “Cosa?” altri, tutti sorpresi.
“Già e questo è solo merito vostro. Congratulazioni, miei cari!”.
 
“Ciao, ragazzi! – agitai la mano, sorridendo – Come state?”
“Bene, Mary, voi?” Rose e Steve, ricambiarono il saluto, entusiasti.
“Tutto a posto, anche se abbiamo vissuto attimi di panico a pranzo” Ian mi guardò, facendo una risatina.
“Che intendi, Somerhalder?”
“Mary ha preso una pietanza tipica, non rendendosi conto che ci fosse il piccante. Dico solo questo”
“Ohw – fecero delle smorfie, allontanandosi dall’obbiettivo della fotocamera interna – Come ti senti adesso?”
“Beh, diciamo che in quei momenti ho creduto seriamente di morire, perché mi è venuto pure il reflusso, però dopo pranzo Ian mi ha coccolato ed è andata meglio”
“Ehi, piccioncini – Steve ammiccò – vi state dando alla pazza gioia, eh?”
“Beh, insomma, dobbiamo pur approfittarne, siamo in luna di miele! O sbaglio?” disse Ian, carezzandomi una spalla.
“Ma state comunque visitando l’India, vero? O restate in camera tutto il giorno e tutta la notte?” Rose ci guardò di sottecchi.
“Ovviamente la stiamo visitando! – risposi – Ho sempre sognato di venirci, di certo non faccio sfumare questo sogno solo perché il signorino qui presente è parecchio eccitato” mi misi a braccia conserte.
“Non mi sembra che tu protesti, quando ti propongo le cosacce” mi diede una spintarella.
“Non mi lasci altra scelta – lo guardai, poi cambiai discorso – Comunque, ragazzi, voi che mi dite? In ospedale come va?”
“Oh, tutto bene, non preoccuparti! – subentrò Alex, di cui notai subito la faccia da spaccone; che avesse sentito poco prima? – Sempre la solita routine. Soliti turni, solite patologie, solite manfrine coi pazienti e le loro famiglie, insomma, non ti stai perdendo niente”
“Sei sempre così simpatico” rispose Ian, un po’ scontroso.
“Alex, devi dirci qualcosa?” chiesero in coro i coniugi Crane.
“Sì, ho un caso per voi dal pronto soccorso, mi servirebbe un vostro consulto. Ovviamente volevo pure salutare la sposina – mi guardò di sfuggita, senza soffermarsi troppo – ma principalmente era per questo”
“Ragazzi, andate pure – sorrisi – ci sentiamo un’altra volta, d’accordo?”
“Va bene! Un bacione e una buonanotte, piccioncini” dissero in coro e la videochiamata finì.
Il mio cellulare vibrò.
Era un messaggio su Whatsapp.
<< Ti sta molto bene quell’abito azzurro. E’ un vestito locale? >>
Alex.
Sospirai.
Mi aveva solo guardato di sfuggita, come aveva fatto a notarlo?
<< Sì, l’ho comprato qualche giorno fa. L’ho visto e come potevo resistere? Buon lavoro >>
Scrissi qualche smile e lo inviai.
“Tutto bene?” mi chiese Ian, tentando di sbirciare.
“Sì, è solo che – esitai – non so, credo di non essere molto corretta nei confronti di Alex”
“Di nuovo con questa storia?” mi guardò accigliato.
“Ian, non lo faccio apposta, ma credo seriamente che stia soffrendo e io non posso tollerare questo, mi sento troppo in colpa”
“Amore, i suoi sentimenti sono importanti, ok? Ma lo sono anche i tuoi. E tu non puoi impedirti di vivere certi momenti, perché altrimenti gli fai del male. Non sarebbe giusto nei confronti di te stessa. Lo so che sembra un discorso egoista, ma è così”
“Ian, scusami, davvero – chinai il capo – ma io non la penso allo stesso modo. Non è affatto corretto”
“Allora, sentiamo, come vorresti risolvere questa cosa? – notai una variazione nella sua voce, si stava surriscaldando – Dargli un bel bacino così magari si placa? Dirgli che le nozze non sono valide? Annullarle? Allora?”
“Ian” cercai di avvicinarmi a lui per carezzarlo, ma si allontanò con uno scatto da me.
“No, Mary”
“No che cosa? Non sto dicendo che farei qualcosa tra quelle che hai elencato, non potrei mai! Come hai potuto minimamente pensare ciò? Io ti amo! Sei l’amore della mia vita, credimi! Semplicemente mi dispiace che una persona in cui ho trovato un amico soffra per causa mia, ma non dubitare mai dei miei sentimenti per te, mai” parlai alterata.
“Ridillo”
“Che cosa?”
“Che mi ami”
“Perché, dubitavi?”
“No, ma è stato molto bello sentirlo con quella passione, quella voce graffiante. Sembravi una leonessa”
“Ti amo. Sei l’amore della mia vita. Sei il mio lieto fine. Il mio capitan Uncino, il mio Owen Hunt, il mio”
“Damon Salvatore?” sorrise.
“Esatto. Devo continuare o facciamo pace?”.
Ian sospirò.
“La seconda”
“Bene, anche perché è davvero triste litigare in luna di miele” puntualizzai.
Dopo qualche secondo, mi abbracciò.
“E comunque anche io ti amo. E anche tu sei l’amore della mia vita” mi sussurrò all’orecchio.
“Non hai inventiva, mi spiace”
“Ok, allora – sciolse l’abbraccio, guardandosi un attimo intorno, poi si schiarì la gola – Se c’è una crisi, tu non ti blocchi, tu vai avanti e fai andare avanti anche tutti noi, perché hai visto di peggio, al peggio sei sopravvissuta e sai che anche noi sopravvivremo. Dici di essere cupa e triste, ma non è una difetto, è una forza. Una forza che fa di te quello che sei.”
“Così sei scorretto” affermai, riconoscendo fin da subito le parole di Derek Shepherd dedicate a Meredith durante la sua proposta di matrimonio nella 5x19 di Grey’s Anatomy.
“Io ti amo, Maria Chiara Floridia, e voglio passare il resto della mia vita con te – sorrise – Pace fatta?”
“Pace fatta”.
Ci baciammo.
 
Sorseggiavo beatamente il mio cocktail, mentre sentivo il calore del sole penetrarmi la pelle.
Ah, che sensazione meravigliosa!
"Grazie a voi, siete meravigliosi" sentii Ian dire, mentre tornava al mio fianco.
"Hai la mascella bloccata a forza di sorrisi?" chiesi sarcasticamente.
Scoppiò a ridere e mi prese la mano, cominciando a giocherellarci.
"Ti stai rilassando?" domandò.
"Ovviamente. Specie quando non siamo insieme" aprii gli occhi sorridendo.
I raggi del sole invasero il mio campo visivo, rendendo Ian simile a un’ombra.
"Ah sì? Bene" Ian si alzò e cominciò a camminare in direzione dell'hotel.
Scattai in piedi, ignorando un piccolo capogiro, e lo raggiunsi, saltandogli sulla schiena.
"Ma dove credi di andare?" gli sussurrai all'orecchio.
"Riconosco quando non sono desiderato" mi guardò con la coda dell'occhio.
"Non mi sembra affatto – gli diedi un bacio sul collo, poi scesi dalla sua schiena – ma se proprio lo pensi" mi voltai e mi avviai verso la tovaglia su cui ero stata sdraiata fino a poco prima.
"E riconosco anche quando è il momento perfetto per gettare mia moglie in acqua" urlò.
In meno di un secondo mi ritrovai in aria, con la pancia sulla sua spalla, subito dopo sott'acqua.
Appena riemersi, notai Ian sorridere beffardamente.
"Chi le ha insegnato le buone maniere?" mi avvicinai a lui pian piano.
"Mi scuso, signora. Mi permetta di rimediare" si avvicinò anche lui.
"Rimediare?" cominciai involontariamente a fissargli quelle labbra perfette.
"Dimostrarle che ho le buone maniere" sorrise e mi baciò.
Le nostre dita cominciarono a spaziare. Le mie gli toccavano i capelli, le sue la schiena e il volto. I nostri respiri si combinarono in uno solo e fu difficile staccarsi.
"Adesso ci siamo" sorrisi, senza fiato.
"Felice di aver rimediato"
"Mi mancherà tutto questo" mi guardai intorno.
"Sono state tre settimane magiche"
"Tranne per il piccolo allarme di sei giorni fa"
"Almeno stavolta me ne hai parlato subito"
"Anche se negativo di nuovo"
"Tempo al tempo, Mary. Abbiamo tutta la vita per procreare" mi baciò la fronte.
"Lo so – cambiai discorso – Che ne dici se oggi pomeriggio facciamo snorkeling? Mi piacerebbe rifare quest'esperienza prima di ripartire"
"Ogni suo desiderio è un ordine , signora Somerhalder"
"Chi ti ha detto che prendo il tuo cognome?".
Ridemmo.
"Andiamo a pranzo, su" Ian mi prese in braccio e mi portò fuori dall'acqua, mentre il sole splendeva caldo su Sharm El Sheik.
 
Ian trascinava con una mano il carrello pieno di valige, mentre con l’altra stringeva la mia. Mentre camminavamo verso il grande atrio dell’aeroporto di Atlanta, non riuscivo a smettere di guardare la bellissima collana che avevo comprato a Sharm.
“La consumerai guardandola” Ian sghignazzò.
“Ah ah ah, com’è spiritoso mio marito” lo guardai.
“Marito… Mmm, suona meglio ogni giorno di più, dillo di nuovo”
“Mio marito” gli sussurrai all’orecchio.
“Dillo di nuovo”
“Marito”
“Non mi abituerò mai a questo sostantivo” mi sorrise e mi baciò una guancia.
“Come io non mi abituerò mai al termine ‘moglie’” lo guardai sincera e mi strinsi al suo braccio.
Inspirai e il suo odore invase le mie narici. Era uno dei profumi migliori del mondo, così dolce, buono, frizzante, travolgente. Rispecchiava la sua bellissima persona.
Sfregai il naso contro il suo braccio per cercare di catturare più particolari di quell’odore paradisiaco.
“Che fai?” mi chiese curioso.
“Ti respiro”
“Romantico, Polar” mi strinse di più la mano, mentre ridevamo, e mi baciò i capelli.
Le possibili moine da coppia neo sposata vennero presto interrotte.
I giornalisti, puntuali come orologi svizzeri e, ovviamente, onnipresenti, ci vennero incontro, inondandoci di flash.
Ian sorrise e mi sussurrò di rilassarmi.
“Ian, siete appena rientrati dal viaggio di nozze, giusto?” chiese uno.
“Esatto”
“Come mai siete partiti così tardi? Vi siete sposati a metà Maggio, due mesi fa”
“Beh, mia moglie doveva affrontare gli esami di fine anno e io avevo un giro di convention da affrontare. E’ stata la scelta migliore dopotutto”
“Come mai?”
“Sharm a Luglio è molto più bella e calda” sorrise.
Una giornalista mi squadrò dalla testa ai piedi un po’ con disgusto. Aveva i capelli raccolti in una coda e delle unghie chilometriche laccate di rosso. Mi pose il microfono davanti alla bocca.
“Si è divertita in queste tre settimane?”
“Certamente! E’ stato anche rilassante dopo mesi sui libri”
“Siete stati solo a Sharm?”
“No, il viaggio è cominciato in India, terra che avevo sempre sognato di ammirare e poi contro ogni previsione siamo stati anche a Suez… e al Cairo” completai la frase con un entusiasmo evidente.
La giornalista mantenne sempre un’aria di sufficienza, che cambiò meccanicamente non appena si rivolse a Ian.
I suoi occhi divennero pozzi profondi e colmi di piacere. Mancava solo la bava e il ritratto era completo.
“Per niente carina questa qui” pensai, guardandola in cagnesco.
“Ian, cosa pensa di queste tre settimane?”
“Anche per me sono state molto rilassanti. Sì, insomma, dopo convention in tutto il mondo avevo proprio bisogno di stare un po’ con mia moglie” si voltò verso di me e sfoggiò il suo sorriso disarmante, attirandomi a lui.
“Capisco” il tono della giornalista era deluso.
Dentro di me mi elevai trionfante, ridendo.
Dopo qualche altra domanda, ci ringraziarono per esserci fermati a parlare con loro e ci lasciarono andare, sicuramente scattandoci qualche altra foto di spalle.
Mentre ci dirigevamo verso l’uscita, dove John ci aspettava, Ian mi cinse le spalle con un braccio e mi sussurrò: “Adoro il tuo sguardo possessivo”
“Te ne sei accorto, eh?”
“Io noto sempre tutto, tesoro mio” mi baciò la guancia.
 
Io, Serena, Iris, Nadia e Tatia uscimmo fuori dall’auto, mentre il sole faceva capolino tra le nuvole.
La giornata, in quel di Torino, non era cominciata nel migliore dei modi, vista la pioggia, ma pian piano stava andando meglio.
Ci guardammo tutte, contentissime. Era l’ultimo matrimonio di gruppo. Come si soleva dire nel nostro dialetto, ‘ci eravamo accasate tutte’. Sembrava tanto strano, ma allo stesso tempo naturale. Come se fossimo tutte consapevoli del fatto che doveva andare così. Sembrava… destino!
“Siete meravigliose” dissero senza fiato i nostri consorti.
“Avete ragione” rispondemmo in coro, ridendo.
Mel aveva scelto davvero bene il colore degli abiti, un azzurro delicatissimo, che, tuttavia, spiccava sulle pelli di tutte, anche delle più bianche. La monospalla che contribuiva ad arricciare il corpetto era davvero elegante. Un cinturino di seta separava il corpetto dalla lunga gonna, liscia.
Era semplice, ma perfetto. Come tutti i vestiti che avevamo scelto per i matrimoni di tutte, d’altronde. Sorrisi. Anche in queste piccole cose mi rendevo conto di come fossimo anime compatibili, armoniose, familiari. Di come fossimo Sorelle.
“Pronta ad andare?” mi chiese Ian, porgendomi il braccio.
“Certamente – risposi, aggrappandomi a lui; guardai dietro di me, intravedendo l’auto di Melania arrivare, poi continuai – e comunque anche tu non sei niente male oggi” ammiccai.
“Riservati i complimenti per dopo, Matt mi ha detto che ha dato una sbirciatina alla suite di stanotte. Melania e Luca non hanno badato a spese, abbiamo tutti quelle di lusso con idromassaggio e quant’altro”
“Sarà molto interessante, allora” ammiccai nuovamente.
“Mary, non farlo più o finisce che ti prendo in braccio e fuggiamo dalla chiesa”.
Feci una risatina, mentre proseguivamo lungo la navata.
Non appena arrivammo e arrivarono anche le altre, cominciò la marcia nuziale, segno che Melania stava per fare il suo ingresso.
L’avevo già vista con il vestito indosso in foto e in video, ma vederla dal vivo, tutta emozionata, fu diverso. Il pizzo, più visibile sul corpetto ma presente su tutto l’abito, esaltava quella grazia, che da sempre aveva avuto. Lo scollo a cuore, che si intravedeva al di sotto del pizzo, le avvolgeva il petto delicatamente, per poi scendere morbidamente lungo i fianchi, aprendosi in una gonna sontuosa, ma comunque non eccessiva. Anche lei aveva un cinturino di seta, bianca ovviamente, a cingerle la vita. A parole sembrava sontuoso, da principessa o da bambola di porcellana, ma nei fatti non era niente di tutto ciò. Era meraviglioso e semplice, era… suo. Quell’abito gridava ‘Melania’ da tutti i pori. Ebbi subito le lacrime agli occhi. Mentre avanzava, ripensai a tutti i momenti che avevamo passato insieme in quegli anni. Era proprio vero che certi legami erano destinati a essere. Nonostante il tempo, le distanze, la logica. Per sempre. E quello con lei era uno di questi. Ne ero proprio certa.
“Vuoi un fazzoletto?” mi propose Ian.
“No, non preoccuparti. Va tutto bene, sono solo contenta” gli sorrisi, tornando poi a guardare Mel.
La mia piccola grande Mel. La mia pazza e dolce coinquilina. La mia Dugonga. Risi al ricordo di quel buffo animale.
 
“Mel, che ne pensi di schiodarti da quel divano? Vedi più quello che l’università” le dissi scherzosamente.
"Non è colpa mia se ci amiamo – si resse per qualche attimo sui gomiti – so bene che non puoi comprendere questa relazione fino in fondo, ma siamo anime gemelle, fattene una ragione”
“D’accordo – alzai le mani, in segno di resa – Se, però, ti vengono le piaghe da decubito, io non ti curo. Ti porto in geriatria e ci pensano loro”
“Esagerata – scosse la testa, facendo una risatina – Dai, Mary, è bellissimo rilassarsi qui e poltrire, senza pensare agli esami”
“Lo so – sorrisi – Lo sai a chi mi somigli?”
“A chi?”
“A un dugongo. Sono animali che amano da morire poltrire. Praticamente sei la loro personificazione”.
Mel scoppiò a ridere e si alzò di scatto, venendomi incontro.
“Sono la tua Dugonga domestica allora – rise abbracciandomi – e tu sei il mio Koala domestico, perché non ti scolli più dopo un abbraccio”
“Affare fatto” la strinsi di rimando.
 
E ci chiamavamo con quei nomignoli ormai da otto anni. Com’era passato velocemente il tempo? Non sapevo dirlo, non sapevo spiegarlo. Eppure era successo. Eravamo lì, con carriere attive, alcune anche con i figli. Insomma, stavamo vivendo un futuro che fino a poco tempo prima era solo un sogno. E la cosa più bella è che non dovevamo essere svegliate. Perché quella era la nostra realtà ormai. Ed era stupenda.
 
POV Ian
Aprii gli occhi di scatto per via di un rumore e guardai la sveglia.
Era finalmente il mio giorno libero dopo una settimana sfibrante di riprese e io mi svegliavo giustamente alle 7 del mattino.
Cos’era stato quel rumore?
“Scusa, amore – Mary fece una smorfia mortificata – non volevo svegliarti!”
“No, non preoccuparti – strabuzzai gli occhi – Com’è andata in ospedale?”
“Tutto bene – sbadigliò – Ti scoccia se dormo un pochettino? Tanto la mattina riesco a prendere sonno solo per un paio d’ore, lo sai” si tolse le scarpe e, una volta messo il pigiama, si sdraiò, guardandomi.
“Dormi, tranquilla” le sorrisi e le diedi un bacio in fronte.
Cercai di riprendere sonno anche io.
Quando mi risvegliai, cercai Mary con la mano, ma non c’era.
Mi issai sui gomiti, guardandomi intorno ancora un po’ stordito, cercando di capire se fosse ancora all’interno della stanza.
La trovai vicino alla finestra, con indosso una giacca.
“Potevi svegliarmi” mormorai, con la voce ancora grave.
Si voltò, battendo più volte le palpebre. Sorrise, anche se… sembrava un sorriso amaro.
“Eri così bello che non mi andava di destarti dal sonno”
“Tutto bene, tesoro?” mi sedetti sul letto, a mano a mano mettendo meglio a fuoco ciò che mi circondava.
 
SOUNDTRACK: https://www.youtube.com/watch?v=4b2M5K7sbc0
 
Riuscii a inquadrare meglio anche Mary. Aveva le gote rosse e gli occhi lucidi.
Aveva pianto.
“Che succede?” insistetti, non notando alcuna risposta.
“Oggi è l’undici di Ottobre”
“Ricorre qualche anniversario, per caso? Sei arrabbiata perché non ricordo qualcosa?” mi alzai immediatamente, grattandomi la nuca.
Quella data non mi diceva assolutamente niente. Cos’avevo dimenticato?
“Ma no – fece una risatina, sempre amara – non hai dimenticato niente. Oggi in teoria non succede niente. Non è avvenuto, né sta avvenendo qualcosa. Oggi è il giorno in cui si ricorda il ‘cosa’ sarebbe potuto accadere. L’evento che, avvenendo, ci avrebbe potuto stravolgere la vita. Oggi è un giorno di condizionali e di periodi ipotetici, non di presenti o periodi certi”
“Mary – mi avvicinai cautamente a lei, guardandola – che succede? Perché questo giorno ti sta turbando così tanto?”
“Oggi, undici Ottobre duemilaquattoridici, sarebbe potuto nascere nostro figlio o nostra figlia. Il giorno previsto teoricamente per il parto era questo” non riuscì più a sostenere il mio sguardo e abbassò il suo, cominciando nuovamente a singhiozzare.
“Oh, tesoro!” esclamai, avvolgendola immediatamente tra le mie braccia.
“Perché non riesco” pronunciò queste parole, spezzate dai singhiozzi, non riuscendo nemmeno a finire la domanda, che, comunque, avevo intuito.
“Smettila – le presi il volto tra le mani, costringendola a guardarmi – Non è colpa tua! Mi senti? Non è colpa tua! – le asciugai le lacrime con i pollici – Vuol dire che per ora deve andare così, ma non sarà sempre così, ok? Magari il piccoletto o la piccoletta di casa, chiunque sia, ci vuole fare i dispetti e quindi per ora non arriva e poi sbam! – alzai il tono della voce – Eccolo che spunta dal nulla per farci una bellissima sorpresa, quando meno ce lo aspettiamo! Non pensare ai condizionali e agli ipotetici – sorrisi – Pensa al presente. Lo so che è difficile, lo so che è stata davvero dura da superare, però siamo qui, insieme, innamorati e in salute. Possiamo ancora riuscire ad avere un figlio. Possiamo provarci quanto vuoi, anzi! Magari se faremo più pratica, più si deciderà ad arrivare” sorrisi nuovamente, stavolta più ammiccante, sperando di strapparle un sorriso.
Ci riuscii.
“Sì, beh, provare non è poi così male”
“Non è poi così male?! – ripetei incredulo – Guarda che mi offendo”
“Sì, beh, a volte potresti fare di più” Mary cercò di trattenere una risata.
“Ah, sì?” – le lasciai il viso; la presi dai fianchi e la buttai sul letto, mettendomi sopra di lei – Ora ti faccio vedere io” la guardai con aria di superiorità.
Mary, per tutta risposta, mi carezzò il volto con una mano.
“Quanto ti amo!” disse, adorante.
“Anche io” mi sdraiai al suo fianco.
La feci appoggiare sul mio petto.
Ci scambiammo un bacio stampo e facemmo intrecciare le nostre mani.
Restammo per un bel po’ di tempo in quella posizione.
Io, lei e i nostri cuori in sincronia.









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Note dell'autrice:
Tra esami e wifi inesistenti, finalmente ce l'abbiamo fatta!
E' stato un capitolo abbastanza pieno di avvenimenti e abbastanza saltuario, visto che da aprile si arriva a ottobre, ma spero non sia stato troppo confusionario e spero soprattutto vi sia piaciuto. Mi dispiace pubblicare ormai così raramente, ma cerco sempre di conciliare tutto, perché amo parlare di questi personaggi, per cui, nonostante i 200 impegni, cerco sempre di dedicare loro (e quindi di conseguenza voi) del tempo.
Ringrazio tutti quelli che hanno letto e coloro i quali lasceranno magari una recensione!
Questo è il link del gruppo: https://www.facebook.com/groups/265941193578737/
Alla prossima, 
Mary

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