Hana ni kaze (Fiori nel vento)

di PerseoeAndromeda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 3 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


HANA NI KAZE

(Fiori nel vento)

 

-1-

 

Gli ultimi petali ancora volteggiavano, soffici, trascinati nella delicata danza dell'aria che, dopo averli cullati, li depositava sullo specchio d'acqua accogliente. E lì, avvolti dal liquido abbraccio, svanivano, come la vita che da poco si era dissolta tra le braccia di Ryo: la piccola Luna, vittima innocente di un perverso scontro tra forze sovrannaturali, colpevole solo di aver voluto rendere giustizia ad un fratello che, prima di lei, era incorso nella medesima sorte.

Ryo, in piedi sul parapetto del ponte, sembrava piccolo e smarrito, così in bilico nel vuoto che lo circondava, sopra e sotto di lui e che sembravavolerlo portare via da un momento all'altro. Shin temeva quasi di vederlo cadere.

Neanche quando i festosi richiami di Nasty e Jun, accompagnati dallo zio Chin, attrassero la loro attenzione, la cupezza scomparve del tutto dai volti di Rekka e compagni; Shu e Shin accennarono un sorriso, ma era difficile mantenerlo in una situazione simile.

Mentre riprendevano il cammino verso i loro alloggi, lo sguardo di Shin corse alternativamente dall'uno all'altro dei compagni; voleva essere un'occhiata rassicurante, ma il senso di oppressione che emanava dai loro spiriti gravati dalla tristezza gli artigliava il cuore e il loro dolore si univa al suo, si rifletteva nel suo, amplificandolo ed alimentandolo senza risoluzione.

Devo essere forte per loro, devo essere forte per loro...”.

Era come un mantra che ripeteva senza sosta a se stesso, perché le sue capacità empatiche non lo conducessero alla follia.

Non crollare per sostenere i loro crolli emotivi, questo era il suo appiglio.

Ognuno dei compagni aveva più di un motivo per lasciarsi sopraffare dal dolore: Shu e Ryo... e il legame che avevano instaurato con Luna... un legame che forse, per la prima volta, li aveva messi di fronte ad un'attrazione autentica nei confronti di una ragazza; che, forse, aveva fatto loro mettere in discussione lo stesso sentimento che nutrivano l'uno per l'altro... ed entrambi per Shin.

Il samurai dell'acqua deglutì per sciogliere il groppo che gli si era formato in gola, si morse le labbra... non doveva pensare a quello, non era giusto! Luna era morta, erano reduci da una tragedia autentica e la sua capricciosa gelosia non doveva trovare spazio... un sentimento così egoistico... e superficiale... di fronte alla vastità dell'accaduto...

E Luna era morta perché...

Lo sguardo di Suiko si rivolse a Seiji e il ragazzo non poté trattenere un sospiro: il volto del samurai del Nimbo era impassibile, non lasciava trasparire nulla, imperscrutabile come i suoi pensieri. Persino le capacità empatiche di Shin andavano a sbattere contro un muro insormontabile. Eppure, in quel muro vi era qualche crepa attraverso la quale filtravano ondate di dolore acute come urla di agonia: il cuore di Shin ad esse non poteva rimanere insensibile. Era perfettamente consapevole quali fossero i tormenti che sconvolgevano lo spirito di Seiji: era stata la sua yoroi, manipolata al fine di votarla al male, a seminare morte e distruzione per le strade di New York ed era già abbastanza per rischiare di impazzire.

Senza contare che, di riflesso, Korin era responsabile dello stato d'animo sofferente di Ryo e Shu, responsabile della morte di qualcuno che i compagni avevano... amato? Di colei che si era impadronita dei loro cuori?

Un'ondata di nausea risalì lungo le viscere di Shin e lui si sforzò ancora di mettere a tacere i propri tormenti nello stesso istante in cui gli giunse un frammento di pensiero molto chiaro dall'anima di Seiji che, evidentemente, aveva per un attimo smarrito il controllo su se stesso:

Tutto perché sono caduto in una trappola nella maniera più sciocca! Tutto perché sono un incapace e non ho saputo impormi su Korin... e Korin ha ucciso... è come se fossi io l'assassino, è così!”.

Shin sobbalzò, il suo viso si mosse fino a incontrare quello di Seiji e non poté nascondere la propria espressione sconvolta: quale terribile idea, quale inaccettabile agonia straziava il cuore del suo amico!

E il volto di Seiji era immutato, fisso davanti a sé, nulla traspariva... o forse...

Era la fissità di quel pensiero che lo rendeva così duro?

Assassino... sono un assassino...”.

Shin strinse i denti e le palpebre, gli era sempre più difficile arginare l'ondata di lacrime.

In quel momento Touma, che non lasciava le spalle di Seiji tanto da sembrare simile ad un fedele cane da guardia, incontrò il suo sguardo e Shin non ebbe alcuna difficoltà a leggergli dentro; Tenku era angosciato almeno quanto lui e un senso di impotenza lo mandava interiormente in pezzi. In quell'occhiata, Shin lesse una richiesta di aiuto.

Ti sembro... così forte... Touma?” avrebbe voluto chiedergli, “non leggi anche nei miei occhi il disperato bisogno di aiuto che ho? Non so se ce la faccio da solo, resta con me... io non sono forte... e non sono sereno...”.

Ricacciò di nuovo tutto, anche le lacrime e... sorrise... sorrise a Touma mentre si spostava verso di lui e gli circondò le spalle in un abbraccio.

Anche questa volta... è finita...”.

Non se la sentì di aggiungere la parolina 'bene'; come poteva anche solo pensare che fosse finita bene quando una delle loro yoroi si era scagliata contro inermi esseri umani privandoli della vita e i suoi nakama avevano i cuori in pezzi?

Touma lo sorprese arrestando i propri passi e posandogli una mano sulla guancia:

Shin... non sforzarti solo di cogliere ed assorbire il nostro malessere, cerca anche di guarire il tuo... pensa un poco a te...”.

Suiko indietreggiò, per sottrarsi a quel tocco; se si impegnava, per il bene degli altri era in grado di mettere da parte se stesso e nascondere quanto stava male, ma se veniva anche solo accennata una lieve comprensione nei suoi confronti, non poteva evitare di mettersi a nudo e far risalire in superficie ogni istinto emotivo, senza più essere in grado di far tacere il proprio cuore.

Assorbire il...” balbettò.

Cosa aveva voluto dire Touma?

Non era la prima volta che accennava a qualcosa del genere. E non solo Touma...

Qualcuno glielo aveva già detto... non ricordava chi... Kaosu forse? I suoi familiari, Sayoko-Neesan?

Tu sai ascoltare il dolore altrui e fai di tutto per assorbirlo dentro di te... per attirarlo... sperando in questo modo di sottrarne il più possibile a chi soffre...”.

Anche Touma intendeva questo?

Scosse il capo; lui non era così generoso, non si sentiva tale, come poteva esserlo? Mentre intorno a lui tutti soffrivano per tragedie autentiche, lui si struggeva di gelosia nei confronti di una povera ragazza che aveva perso la vita e non poteva farci niente; gli era troppo difficile accettare che tra lui, Shu e Ryo quella magia, quell'incanto che si era creato, fosse finito così, tra le strade di una New York sconvolta dal male.

La voce di Nasty sovrastò il suo malsano rincorrersi di autodistruttive riflessioni:

Ripartiamo subito? O preferite rimanere qui qualche giorno per riprendervi e rimettervi in forma?”.

Erano molto tesi e si vedeva come la domanda li avesse colti tutti di sorpresa: fu così lo zio di Shu a prevenire ogni risposta dei diretti interessati:

Ma certo che vi fermate, dovete riposare, in fondo le scuole non sono ancora riprese in Giappone, vero?”.

La prima cosa che colpì Shin fu la mancanza assoluta di reazione da parte di Ryo, mentre Shu si guardava intorno come sperduto, ad attendere indicazioni dai compagni; Touma posò i propri occhi su Seiji, che sembrava lui stesso in attesa, un po' rigido. Non era necessario a Shin ricorrere alla sua abilità nel leggere i cuori altrui per indovinare cosa il samurai della luce stesse pensando: l'idea di restare a New York non lo attirava, dopo quel che era accaduto in quella città allo spirito di Seiji non faceva certo bene.

Possiamo, Niichan?” trillò la vocina squillante di Jun, rivolto a nessuno in particolare ma a tutto quel gruppo di fratelloni acquisiti.

Non... so...” cominciò Touma, ma era lui stesso come bloccato.

Shin si guardò ancora intorno, sperando di leggere un minimo accenno di desiderio negli occhi dei tre compagni così poco reattivi: desideravano restare? Desideravano tornare in Giappone?

Si fece coraggio e affrettò il proprio passo per portarsi vicino a Shu e a Ryo, che camminavano poco distanti davanti a lui, quindi li prese entrambi a braccetto, un modo come un altro per spingerli a reagire.

Voi che ne dite?” si sforzò anche di rendere la propria voce allegra, quasi spensierata, temendo persino di risultare fuori luogo.

Ryo rimase con lo sguardo fisso e cupo puntato a terra, non si ritrasse ma nemmeno mostrò il minimo interesse, non rispose; era probabile, pensò Shin, che non avesse neanche colto la sua domanda. Ma ciò che sconvolse maggiormente il guerriero dell'acqua fu la reazione di Shu, che sciolse il legame con lui e si distanziò, infilando le mani in tasca e scrutando davanti a sé, infondendo rabbia nelle parole che pronunciò:

Tanto cosa cambia? Per me possiamo fare quello che volete!”.

Shin sussultò, guardandolo ad occhi sgranati, ma non ribatté nulla; si limitò ad abbassare il viso, puntando lo sguardo a terra, per un solo istante però, perché non desiderava lasciar trapelare quanto male gli avesse fatto il rifiuto di Shu nei suoi confronti. Era normale che fosse nervoso, era il minimo che ci si potesse attendere.

Nello stesso istante in cui Kongo diffuse intorno a sé quell'energia negativa, Rekka sospirò, rintanò ancor più il viso tra le spalle e... dava l'idea di voler scomparire da lì, di volersi trovare in tutt'altro luogo.

Ma poi sorprese tutti quando la sua voce soffiò alcune deboli parole:

Restiamo ancora un po'...”.

Shin sospirò, indovinando cosa passava per la testa di Ryo: sentiva di doverlo a Luna, sentiva di non poterla ancora abbandonare. Luna non apparteneva più al mondo dei vivi, ma parte della sua anima di sicuro aleggiava ancora tra le strade di New York e Ryo desiderava... darle quello che in vita non aveva fatto in tempo a darle... forse...

Dopo essersi abbassato per qualche istante, il capo di Suiko si risollevò, cercò la figura di Ryo poco distante: avrebbe voluto dirgli qualcosa, che non era sicuro gli avrebbe fatto bene, che, forse, sarebbe stato meglio, per lui... e per Seiji... allontanarsi di lì al più presto... ma gli bastò incrociare la sua espressione... e quella di Shu... ed ogni risoluzione scomparve. Si rifugiò ancora nel suo mutismo, infilò le mani in tasca e si mise a fissare distrattamente il grigio asfalto dal quale si sentiva inghiottire.

 

***

 

Era stata una colazione triste, persino Shu non sembrava aver trovato, nel cibo, la solita gratificazione. Ciò che maggiormente pesava era il silenzio, calato come un sudario su di loro; Touma, Jun e Nasty avevano cercato, a tratti, di ravvivare la situazione, ma ben presto avevano rinunciato, l'atmosfera tesa contagiò il loro umore e Touma si rifugiò nella sua stanza a leggere, mentre Nasty, con la scusa di una gita per le strade di New York, pensò bene di sottrarre Jun a tutta quella cupezza.

Shin si rese ben presto conto che intorno a lui non era rimasto nessuno, ciascuno isolato da qualche parte, probabilmente, ognuno di loro smarrito nel personale tormento; ma non erano forse quelli i momenti in cui avrebbero dovuto restare uniti? Che significato poteva avere il legame? Solo quello di farli combattere fianco a fianco per renderli più forti?

Scosse il capo, per poi affondarlo nelle mani: non era così, doveva esserci altro, per forza di cose, non poteva accettare che fosse solo quello.

Si alzò dalla sedia con uno scatto nervoso ed imboccò le scale che conducevano alle camere che lo zio Chin aveva messo a loro disposizione; la sua casa era spaziosa, aveva il posto necessario per ospitare cinque ragazzi, una ragazza e un bambino ed era accogliente, quasi come la casa di Nasty; ma l'umore che gravava su di loro li rendeva disinteressati a qualunque particolare gradevole. Shin si fermò nel corridoio; non aveva alcuna idea di dove si trovassero Seiji, Shu e Ryo, se fossero chiusi in alcune di quelle stanze o fuori, lontano; ma sapeva che dietro una di quelle porte avrebbe trovato qualcuno... e di quel qualcuno aveva bisogno, in quel momento, perché rimanere così, da solo, senza sentire l'affetto e senza poter essere utile lo riduceva ad una nullità senza alcun senso nel mondo.

Fece ancora qualche passo, per fermarsi davanti ad una porta e bussò leggermente.

Avanti...”.

Era cupa la voce di Touma, Suiko riconobbe quel tono che indicava pessimo umore; aprì un poco, appena uno spiraglio, e scrutò timidamente all'interno. Come aveva immaginato, Seiji non era con lui; ciò significava che era da solo da qualche parte... o con Shu o Ryo... ma data la situazione ne dubitava, per quanto il legame fosse ugualmente saldo con tutti, era Touma che di solito raccoglieva le sue confidenze.

E in quel frangente forse Touma era quello più saldo, lui e Touma erano i più saldi, perché meno coinvolti degli altri e...

Non era vero... erano coinvolti perché tutt'uno con i nakama e Shin non era saldo, gli sembrava quasi di percepire il pericoloso vibrare dei propri nervi prossimi a spezzarsi... e forse anche il cuore, ma non voleva pensarci, non voleva ascoltare.

Shin, ti vedo, vuoi entrare o preferisci continuare a spiarmi come un ladro?”.

Arrossì vistosamente; Touma era sdraiato prono sul letto e non aveva neanche sollevato lo sguardo dal libro: il legame tuttavia era forte a tal punto da permettere loro di percepire la presenza reciproca senza vedersi. A maggior ragione le cose avrebbero dovuto essere diverse, nessuno di loro avrebbe dovuto restare da solo nella propria tristezza.

Obbedì all'invito di Touma e si chiuse la porta alle spalle, rimanendovi però poggiato contro per qualche istante. Osservò il compagno, letteralmente sdraiato su un enorme tomo che sicuramente rasentava il migliaio di pagine... in inglese...

Gliel'aveva già visto in mano, quando l'avevano raggiunto a New York, l'aveva comprato appena giunto nella città americana per ingannare i momenti di noia aveva detto: certo, solo Touma, per non annoiarsi, avrebbe optato per il saggio di vastità spropositata di un certo Rutherford sulla storia di New York. E ne divorava paginate al giorno, come stava divorando il pacchetto di patatine posato al suo fianco.

Sembra... pesante quel libro” buttò lì Shin, tanto per attaccare conversazione.

L'altro gli rispose, insistendo nel mantenere lo sguardo ben fisso sulle pagine:

Sei prevenuto, è scritto come un romanzo, mi deludi se giudichi un libro dalla quantità di pagine, proprio tu”.

Shin fece una smorfia:.

Non intendevo questo... dicevo... così per dire... per dire qualcosa...”.

Accorgendosi del borbottio intimidito e dimesso, Touma finalmente distolse gli occhi dalla propria occupazione per posarli sul ragazzo fermo, in piedi, a pochi passi da lui.

Che fai lì come una statuina?”.

Il rossore sulle guance di Shin si fece più vistoso.

Eri così intento che... temevo di averti disturbato...”.

Touma si tirò su, fino a mettersi seduto con le gambe incrociate sul letto, le mani posate sulle caviglie.

Dev'esserci proprio qualcosa che non va se fai così il timido...”.

Non faccio il timido!”.

La risposta giunse con una piccola linguaccia ed un sorriso monello che, tuttavia, non riuscì a fugare del tutto la malinconia e Touma se ne accorse, così passò dalla modalità canzonatoria a quella confortante; era bravo in questo.

E' stato tutto... molto pesante, non è vero?”.

Shin sospirò, abbassò il capo in cenno di assenso, ma non lo risollevò più.

Tante persone morte... è... persino... difficile da credere... che sia davvero accaduto...”.

Fu scosso da un brivido ed istintivamente si abbracciò, sfregando le braccia con le mani, quasi a volersi dare calore da solo. Touma scosse il capo, impietosito, intenerito, rattristato egli stesso e si alzò, portandosi davanti all'amico: gli pose le mani poco sotto le spalle e lo accarezzò con massaggi gentili.

Non possiamo farcene una colpa, lo sai, noi...”.

Fu Suiko a scuotere il capo, interrompendolo, con tono dimesso:

Abbiamo fatto del nostro meglio, lo so... ma se ci fossimo accorti prima che Seiji era in pericolo... forse avremmo potuto impedire il peggio... salvare tante vite... e proteggere il suo cuore...”.

Le mani di Touma si bloccarono, si irrigidirono sulle braccia del compagno, la sua voce tremò:

Oh... Shin...”.

La testa di Shin si abbassò, la fronte si appoggiò sulla spalla di Tenku.

Mi dispiace... scusami... so quanto sei preoccupato per lui e io non riesco... non riesco... a fare nulla per nessuno... e non so... cos'altro potrei fare...”.

Touma levò gli occhi al cielo, un respiro che voleva essere di finta esasperazione, per spingerlo a reagire, anche con il solito, energico piglio da squaletto stizzito, ma era consapevole che, questa volta, la situazione era opprimente... troppo opprimente per tutti... e Shin non solo partecipava del loro dolore comune, ma assorbiva, amplificandolo dentro di sé e moltiplicandolo, il malessere di chi gli stava intorno.

Tenku gli mise le mani sulle spalle, lo scostò un po' da sé per guardarlo in faccia, ma gli occhi di Shin continuavano a sfuggire.

Seiji è forte... è il più forte di tutti...”.

Touma!” Il capo di Shin si scosse, disperato, “questa volta... è troppo anche per lui!”.

Le mani di Touma ricaddero; la tristezza, padrona di pensieri ed azioni, diventò improvvisamente impossibile da sopportare. Indietreggiò di qualche passo e tornò a sedersi sul letto, lo sguardo inizialmente fisso sulla figurina di Shin, talmente indifesa da renderlo quanto di più lontano si potesse immaginare da un samurai d'altri tempi; poi gli occhi di Tenku non poterono sostenere altro e ricaddero sulle proprie mani che, nervose, si intrecciarono in grembo.

Dovrei... essere con lui, adesso... vero, Shin? Non dovrei essere qui...”.

Il viso di Suiko si risollevò di scatto, gli occhi verdi sgranati sull'amico.

Touma... io...”.

La sua mente troppo fervida, troppo attiva, troppo catturata da turbinosi, disordinati pensieri, tornava a rimproverarsi, ancor più severamente.

Pensavo che potessimo donarci un conforto reciproco, almeno noi due e invece... non solo non sono utile a nessuno, ma sto facendo sì che Touma stia ancora più male del necessario...”.

Uno sbuffo scosse il corpo di Tenku, mentre affondava il viso nelle mani e raccoglieva una gamba sul letto, lasciando l'altro piede a terra.

E' che lui è... è un enigma quando sta male, non sai se sta male, non sai cosa pensi, non sai cosa... non sai se vuole... se ti vuole vicino, o se preferirebbe mandarti a quel paese... ti fa sentire...”.

Impotente...” lo interruppe Shin, “lo so...”.

Intanto si avvicinò, si sedette sul letto accanto a Touma, una sua mano si mosse, si posò dolcemente tra i capelli dell'altro. Le braccia dell'Etere ricaddero e lui tornò a fissarsi le mani, sbuffando ancora, la voce che si faceva più bassa, calma e incrinata:

Tu non immagini quanto vorrei essere con lui, quanto vorrei che me lo permettesse... quanto vorrei stringerlo e... non lasciarlo solo ma...”.

Scosse il capo, un altro sbuffo, si sentiva soffocare dalla tempesta di parole e bisogni che gli ribolliva dentro:

Ma... sono incapace in questo... lo sono sempre stato...”.

Oh... no...” Shin scosse il capo, “no... è solo che è difficile, loro non...”.

Si bloccò, deglutì, stava per dire qualcosa che suonava troppo brutto... ed anche cattivo... ma fu Touma a dirlo al suo posto:

Non ci vogliono... persi in loro stessi, se ne stanno da soli e lasciano soli anche noi, senza aiutarci ad aiutarli...”.

Ma loro... stanno male...”.

Non aveva previsto la reazione di Touma, che si alzò, sottraendosi con violenza al suo contatto e si infervorò, gesticolando come un ossesso davanti a lui.

E noi stiamo bene, Shin? Anche noi stiamo male, anche noi siamo qui a struggerci e non solo per quello che è successo, ma anche per loro che... che...”.

Ringhiò, strinse i pugni, stornò un attimo lo sguardo, poi lo puntò sul compagno, ancora più agguerrito.

Guardati, Shin... sei l'ombra di te stesso e quei tre non se ne accorgono e io, io non pretendo che mi considerino, io sono egoista, io non so essere di sostegno, ma tu... non meriti di stare così, maledizione!”.

Io sto bene!” scattò Shin, alzandosi a sua volta, fronteggiandolo e rendendosi conto di avere parlato a voce troppo alta, “e smettila anche tu di trattarti male, non lo sopporto!”.

L'istante successivo era aggrappato a lui, in preda ad un attacco di pianto irrefrenabile che non aveva saputo prevedere; gli accadeva a volte, quando l'autocontrollo veniva meno, quando i nervi cedevano definitivamente e lo portavano a scoppiare.

Si sentiva in colpa, non aveva ancora pianto, non aveva pianto neanche per Luna, la sua freddezza aveva sconvolto lui stesso... o forse non era freddezza, era solo... l'autocontrollo... la sua arma maggiore per mantenersi saldo, per ricoprire il ruolo di spalla su cui piangere, per essere quello forte che poi, come in quel momento, non reggeva e tutto sgorgava, in una volta, in un'unica ondata emotiva come un maremoto che non risparmiava nulla e soprattutto non risparmiava la sua anima. Era in quei momenti che si sentiva inadeguato, sbagliato, troppo debole per essere la persona forte, per essere lo scudo... troppo fragile per essere utile.

Vedo come stai bene” sospirò Touma, abbracciandolo un po', cullandolo, per poi staccarsi e tenergli le mani sulle spalle, una mano si posò sotto il mento di Suiko e lo sollevò. “E' un momento difficile per tutti, ma ce la caveremo pesciolino, non avere paura”.

Suiko tirò su col naso, più calmo, lo fissò con espressione imbronciata.

Ma tu... tu... non trattarti male... davvero... non stai meglio di me... lo so che soffri anche tu e non è vero che non sai dimostrarlo...”.

La mano di Touma gli arruffò i capelli.

Non farti carico anche dei miei problemi, ok? Ne hai già abbastanza”.

Anche... anche tu...”.

Un ennesimo sbuffo precedette il lamento di Touma:

E smettila di rigirare le cose a modo tuo!”.

Ma non lo faccio!”.

Sì che lo fai”.

Touma!”.

Touma ridacchiò e con il dito indice gli spinse la punta del naso.

Non osare contraddirmi, sono io il genio!”.

Ma vai al diavolo, baka!”.

Shin afferrò dal letto un cuscino e lo proiettò con tutta la propria forza contro la faccia di Touma, che fu lesto ad afferrarlo, con una risata, stringendoselo poi al petto.

Quando risollevò lo sguardo su Suiko, questi stava sorridendo, malinconico, ma era sempre bello vederlo sorridere, risollevava l'animo; Touma non poté fare a meno di pensare che a Seiji, Ryo e Shu, avrebbe fatto bene, in quel momento, vedere quel sorriso.

Touma... grazie...”.

Cos'aveva poi da ringraziare...

Il samurai del cielo gli arruffò nuovamente i capelli.

Andrà tutto bene, Seiji si riprenderà e anche gli altri due. Riavrai presto i tuoi due corteggiatori adoranti”.

Ma... non è questo... che dici?” si schernì Shin, la testa che si rifugiava tra le spalle, sembrava volerla ritrarre come fanno le tartarughe.

Immaginare Shin come tartaruga strappò a Touma una risatina.

Sei buffo...”.

Piantala...” sospirò Suiko, il capo che stavolta si abbassava, finché la fronte si poggiò sulla spalla del compagno.

Indifeso e disarmante... gli aggettivi che maggiormente potevano associarsi a Shin in momenti come quello, tutt'altro che sicuro di sé, al di là delle sue doti comunicative. Touma e gli altri avevano ormai imparato a comprenderlo, ma era anche doloroso scoprire tutta quella fragilità sotto una facciata così aperta e solare. E tutto perché Shin, sotto la sua socievolezza, era in realtà riservato e discreto quando si trattava di mettersi a nudo; Touma temeva che di tutto quel pudore ne avrebbe fatto le spese prima o poi.

La porta della stanza si aprì e Shin sussultò tra le braccia del compagno, a dimostrazione di quanto fossero tesi i suoi nervi; il viso di Touma si levò sulla figura di Seiji, che si stagliava immobile sulla soglia, osservandoli come se fosse stupito di trovarli lì... o forse non osservando realmente nulla... come l'ombra nei suoi occhi d'ametista lasciava presagire.

Anche Shin si voltò verso il nuovo arrivato e fu proprio lui il primo ad interrompere l'imbarazzato silenzio che subito era sceso nella stanza:

Bentornato Seiji... come ti senti?”.

Gli corse incontro, con il chiaro intento di studiarlo più da vicino; il samurai del Nimbo era uscito provato dall'esperienza di prigionia, aveva subito ferite fisiche e psicologiche, anche se non si lamentava... d'altronde Korin non si lamentava mai, preferiva chiudersi in se stesso ed affrontare da solo i propri problemi. Nell'osservare i due amici in piedi l'uno di fronte all'altro, Touma non poté fare a meno di pensare quante affinità avessero, anche se, di sicuro, la fragilità di Shin poteva dare più preoccupazioni.

Tuttavia, quel che aveva subito Seiji nelle mani di Shikaisen non poteva in alcun modo non aver messo a dura prova persino il suo equilibrio, la sua invidiabile stabilità emotiva: perdere quell'equilibrio in Seiji era un'ipotesi fin troppo angosciante, soprattutto in un momento in cui l'atmosfera del gruppo non pareva proprio rosea.

La mano di Shin si sollevò a sfiorare il viso di Korin.

Dove sei stato? Dovresti stare un poco a riposo, lo so che sei forte, ma...”.

Il guerriero della luce interruppe ogni altra parola, scostandosi con una certa foga da quel contatto.

Fammi il favore di non essere assillante, so badare a me stesso, d'accordo?!”.

La reazione e le parole indussero Touma a scrutarlo stringendo le palpebre, mentre Shin lasciava ricadere la mano, balbettando qualche parola di scuse: un Seiji in quella disposizione d'animo non poteva far altro che intimidire, soprattutto una persona emotiva come Shin.

Seiji Date avanzò fino al suo letto, si sfilò la maglia, rimanendo a petto nudo e, dopo averla ripiegata con cura, la posò sulle coperte e si passò la mano tra i capelli, prima di avviarsi verso il bagno adiacente:

Vado a fare una doccia, ci vediamo dopo”.

Touma finse di non far caso al fatto che Seiji non l'avesse quasi salutato, ma non poté fare a meno di tenere per un po' lo sguardo fisso sulla porta del bagno richiusasi alle spalle del compagno.

Lo distolse dalla contemplazione la mano di Shin che si posò sulla sua spalla.

Stai bene?”.

I loro occhi si specchiarono gli uni in quelli dell'altro, Touma sbuffò e circondò con le dita la mano sulla spalla.

Mi dispiace per come ti ha respinto... non sembra proprio, ora, che la cortesia sia la sua massima virtù”.

Shin scosse lentamente il capo.

E' solo scosso, credo lo sarebbe ognuno di noi al suo posto... io personalmente... non so neanche immaginare come mi sentirei...”.

D'accordo, hai ragione, ma... non dovrebbe sfogarsi contro chi desidera stargli vicino...”.

Il naso un po' all'insù di Shin si arricciò, il volto assunse un'espressione decisa che voleva rendere severa, ma che su di lui risultò solo buffa e si erse in tutta la sua altezza... che in realtà era ben poca cosa.

Tenku no Touma, io esigo che da questo momento tu abbandoni ogni recriminazione nei suoi confronti e ti impegni unicamente a stargli vicino!”.

L'altro sbatté le palpebre, indeciso se mettersi a coccolare il compagno come avrebbe fatto con un cucciolo o se scoppiargli a ridere in faccia; ma Shin non gli diede il tempo di fare nulla di tutto questo, perché aveva già raggiunto la porta quando gli rivolse l'ultimo avvertimento:

Adesso vi lascio soli, nessuno può aiutarlo meglio di te, mi fido Touma, mi raccomando”.

E la porta si era già richiusa alle sue spalle quando Touma allungò una mano nel tentativo di replicare o di fermarlo.

Allora sbuffò, si passò una mano tra i capelli in disordine ed andò a sedersi sul bordo del letto, lo sguardo che si posava, nervoso, sulla porta del bagno testardamente serrata.

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Capitolo 2
*** 2 ***


-2-


Le mani affondate nelle tasche della sua giacca elegante, indossata a dispetto della calura estiva, Shin si ritrovò a vagare senza meta per le strade di New York, immerso nella sua solitudine, tra le onde di folla che non lo aiutavano a sentirsi meno solo. E sentirsi solo era ciò che Shin Mori detestava di più al mondo.
Il suo cuore desiderava tornare indietro, nella stanza di Seiji e Touma, per poter far percepire a Seiji la propria vicinanza ed essere di sostegno a Touma, ma in quel momento si sarebbe sentito di troppo... e gli era fin troppo facile sentirsi di troppo, sempre più facile.
Non gli era chiaro da quanto tempo quella terribile vocina che gli si insinuava nell'animo aveva preso a tormentarlo, eppure c'era e a tratti si faceva pressante. Da quando quella loro ultima avventura aveva raggiunto il suo apice era diventata pressoché insopportabile.
Si fermò e si decise a sollevare gli occhi per la prima volta; si avvide così come il caso l'avesse condotto fino al ponte di Brooklyn... o forse, dopotutto, non si trattava del caso?
L'immagine di Ryo, in piedi sul parapetto, lo sguardo triste perso tra l'acqua e l'orizzonte, senza vedere realmente nulla, si era impressa in maniera indelebile nel suo animo e se la sarebbe portata dentro per sempre.
Per questo, forse, credette in una visione quando scorse la figurina che, così da lontano, sembrava minuscola, un puntino affacciato nel vuoto, in balia del vento che quel giorno, nonostante il sole a picco, soffiava un poco. Sbatté più volte le palpebre e si riscosse, tornando di colpo alla realtà e rendendosi conto che non si trattava di immaginazione.
“Oh... Ryo...” mormorarono le sue labbra e il suo corpo avrebbe desiderato muoversi, raggiungere quell'esserino che appariva ora così indifeso e fragile, avrebbe desiderato stringerlo ed abbracciarlo. Eppure, le sue gambe non gli obbedirono subito, rimase anzi immobile e rigido e non capiva perché; aveva paura? Paura di Ryo?
Più probabilmente delle sue reazioni, aveva paura di venire respinto ancora, com'era accaduto con Seiji... ma quello era Ryo... Ryo non sarebbe stato capace di respingere nessuno.
Anche se vi erano vari modi per respingere e la tristezza del ragazzo del fuoco, in qualche modo, si ergeva come una barriera intorno a lui, intrisa di rifiuto.
Nonostante questo l'amore, il bisogno di essergli accanto prevalsero e Shin impose al suo corpo di collaborare, di muovere un passo dopo l'altro, finché non giunse abbastanza vicino all'amico da poter richiamare la sua attenzione. Non lo fece subito, rimase anzi in silenzio per parecchi istanti, a fissarlo e si sentiva piccolo, minuscolo sotto al suo capo, così in alto, così maestoso, la fierezza negli occhi selvaggi che non riusciva ad essere del tutto offuscata dal dolore.
Si appoggiò con le braccia al parapetto.
“Ryo...”
Il richiamo uscì più come un sussurro, troppo timido, troppo dimesso... e spaventato? Cosa gli stava accadendo?
Rekka non diede segno di averlo udito e Shin sospirò tristemente, possibile che non percepisse più la sua presenza?
La sua mano si sollevò, fu più forte di lui, non fece in tempo a richiamarla ed andò a sfiorare la gamba del compagno, appena, un lieve tocco che ottenne tuttavia di suscitare una reazione; il viso di Rekka si mosse, con una lentezza quasi irreale e i loro occhi, finalmente, si incontrarono. Ma la schiena di Shin venne attraversata da un brivido, perché le belle iridi blu sembrarono passare attraverso di lui, attraverso la sua presenza, senza vederlo realmente, senza neanche tentare di guardarlo. E, subito dopo, il viso tornò nella posizione precedente, Shin perse di nuovo di vista i suoi occhi, ma poté udire la sua voce:
“Fa male... troppo...”.
Il tocco della mano di Shin si fece più energico, le dita si aggrapparono alla stoffa dei jeans, perché per un istante ebbe l'impressione di vederlo vacillare, in bilico sul nulla.
“Lo so, Ryo... lo so...”.
Si impegnò per rendere la propria voce più alta, chiara, rassicurante, ma era difficile e la sentì tremare, incrinarsi fino a richiamare una lacrima che lottò per non lasciar sfuggire oltre le ciglia.
“Sembra assurdo che possa dirlo io, che l'avevo appena conosciuta... ma immaginare che questa città ha perso per sempre un raggio di sole che mai nessuno aveva considerato prima...”.
“Non è assurdo, Ryo, non serve tanto tempo per...imparare a voler bene ad una persona...”.
Suiko deglutì, colpito dal significato che, mentre le pronunciava, quelle parole assumevano per lui; quanto avevano impiegato, loro cinque, ad amarsi? Il tempo di uno sguardo?
Ma era il legame del destino, quello che forse nessun altro al mondo avrebbe potuto condividere. Tra Ryo e Luna si era da subito instaurato un altro genere di alchimia.
Ma anche il nostro è legame del cuore... e non delle yoroi” pensò febbrilmente, il senso di colpa che lo aggrediva per quella nuova ondata di gelosia mal riposta e gli occhi che restavano fissi sul ragazzo di Yamanashi, con quella capigliatura selvaggia che volteggiava intorno al suo volto cupo.
“Già” mormorò semplicemente Rekka e tra loro ridiscese il silenzio, teso, tanto diverso da quello che era solito instaurarsi nell'intimità, quando era sufficiente stare insieme, senza parole, per far correre tra loro un contatto inscindibile.
“Mi è stato fin troppo facile volerle bene... una meteora che ha incrociato la mia strada per scomparire subito...”.
Shin si chiese se Ryo stesse davvero parlando con lui o soprattutto a se stesso; fu sfiorato dal pensiero che la sua presenza gli fosse alquanto indifferente. E al tempo stesso si rimproverò ancora, accusò se stesso di essere ingiusto nei confronti dell'amico.
Un piede di Ryo si mosse e tutto il suo corpo fu destabilizzato per un attimo; riprese immediatamente l'equilibrio, ma Shin fu colto da un impeto di paura.
“Ryo...” sussurrò, insicuro, “non... non scenderesti di lì? Ti va di... venirmi vicino?”.
Non sapeva perché gliel'avesse chiesto con tutta quell'incertezza, come se lo stesse implorando... o forse lo stava davvero facendo? Era diventato così patetico da supplicare pur di avere accanto un nakama che, in quel momento, di sicuro, aveva altri pensieri per la testa?
Tuttavia, con mosse indifferenti e distratte, Ryo gli diede retta e con un piccolo balzo si ritrovò al suo livello; non smise però di guardare lontano, in quel punto indefinito, come se contemplasse... forse il posto dove lei si trovava adesso, al di là del tempo e della realtà.
Continuò a tenere lo sguardo fisso anche mentre si appoggiava al parapetto e Shin ne fu certo: stava fallendo, non riusciva ad arrivare al suo cuore, troppo oppresso, troppo cupo e triste.
“Ryo... lo so che non è solo questo che ti fa stare male, so che è difficile trovare le parole giuste ma... almeno questo... non sentirti responsabile... non potevamo... fare niente per evitare la sua morte”.
Un movimento fulmineo e gli occhi di Rekka, ora accesi come fiamme, taglienti come acciaio, si piantarono nei suoi e lo trafissero, ancor di più lo trafisse il tono della sua voce:
“Ne sei certo?! Siamo stati noi ad accettare di portarcela dietro, noi non l'abbiamo tenuta al sicuro, pur sapendo quanto sarebbe stato pericoloso, noi siamo responsabili della sicurezza di chi non potrebbe mai difendersi da solo contro simili nemici e tu dici che non potevamo evitarlo?!”
Forse improvvisamente consapevole di aver alzato la voce, rendendola persino aggressiva, Ryo si bloccò, la sua espressione, da furiosa, si fece solo disperata, le sue labbra si strinsero, così come le palpebre, barriere contro un'ondata di lacrime che premeva per uscire.
Shin era rimasto del tutto immobile, solo un piccolo tremito negli occhi e nelle membra ad indicare il suo stato d'animo infelice, poi abbassò il capo e tentò di parlare:
“Io capisco tutto... non intendevo sembrarti insensibile ma... almeno... almeno... accetta di condividerlo questo tuo senso di colpa... non prenderlo tutto sulle tue spalle...”.
“Lei ha cercato me! Non sono solito scaricare sugli altri le mie colpe!”.
Poi mise una mano sulla spalla del compagno e lo spinse di lato, per passare oltre; prima ancora che Shin potesse rendersi contro di quel gesto, troppo sgarbato per essere stato compiuto da Ryo, prima che potesse razionalizzare e superare lo sgomento, Rekka si era già allontanato di parecchi passi; il samurai dell'acqua tese una mano, mosse le labbra con l'intento di richiamarlo, ma non uscì un suono. In qualche modo temeva che sarebbe stato inutile, l'atteggiamento di Ryo non incoraggiava ulteriori tentativi di avvicinamento, in quel momento era chiaro come arrivare a lui fosse praticamente impossibile.
Tornò ad appoggiare le braccia al parapetto e in esse fece scomparire il volto, con un piccolo lamento:
“Che cosa posso fare?”
Cosa avrebbe fatto in altri momenti? Aveva bisogno di un confidente quando nel gruppo c'era malumore e lui lo assorbiva sotto la pelle, aveva bisogno di qualcuno rimasto lucido cui aggrapparsi, con cui condividere e parlare.
Touma era fuori discussione, aveva il suo bel daffare con Seiji.
C'era una persona in particolare che era il suo sostegno, dal momento stesso in cui il gruppo si era formato, era il suo porto e la sua salvezza nei momenti in cui l'emotività rischiava di sopraffarlo. Il nome di Shu lo aggredì, con violenza, tanto intenso era il bisogno di averlo al proprio fianco, ma lo stesso Shu era sommerso da qualcosa cui non riusciva a far fronte e non era in grado di stare vicino a nessuno... e, a quanto pareva, neanche di tollerare la vicinanza di nessuno.
A Shin mancava terribilmente, era ormai avvezzo a rifugiarsi nel suo abbraccio ogni volta che non ce la faceva più, troppo abituato a poter contare su di lui, dopo anni in cui si era convinto di potercela fare da solo. Risollevò il viso, un sorriso amaro sulle labbra: quanto poteva riuscire ad essere bugiardo con se stesso? Lui da solo non era mai stato in grado di fare nulla, si era solamente illuso, bambino di dieci anni, di poter sopportare la perdita del padre così bene da prendersi cura della madre e della sorella maggiore, si era illuso, fin da allora, di essere tanto grande e maturo da poter andare incontro ad ogni avversità solo con la forza della fiducia e dell'onestà e tutto sarebbe andato bene, perché la sua volontà incorruttibile sarebbe bastata.
Scosse il capo, consapevole di essere sempre stato... troppo duro con se stesso? O ipocrita forse... non nei confronti degli altri, ma del proprio animo che chiedeva solo comprensione.
“Shin-Niichan!”
La vocetta infantile fu accompagnata dal tocco di una mano sul suo fianco; colto alla sprovvista, sussultò e rimase incantato, nell'abbassare lo sguardo, quando affondò i propri occhi in quelli grandi e preoccupati del piccolo Jun, la manina aggrappata ad una falda della sua giacca. Trasalì ad un nuovo tocco sulla sua spalla e questa volta il suo sguardo si posò su quello di Nasty; Suiko scosse appena il capo, confuso, in parte imbarazzato per essere stato sorpreso in quell'atteggiamento poco dignitoso, in preda ad un malessere che l'aveva reso incurante persino della folla che sempre sfilava per le strade di New York.
“Stai bene?” gli domandò la ragazza, premurosa e Shin le sorrise, perché in lei aveva trovato un'altra sorella maggiore. Nasty li aveva adottati tutti e presi sotto la propria ala, con una responsabilità che lo riempiva di ammirazione; anche lei era giovane, aveva subito perdite dolorose ed era sola, eppure si faceva carico di tutto con un'incrollabile determinazione e senza mai piangersi addosso. Si morse le labbra, riflettendo sul fatto che, in realtà, al di là di yoroi e battaglie, Nasty era molto più forte di lui, lui che si imponeva di essere maturo si sarebbe sempre sentito piccolo, indifeso e fragile di fronte a lei.
Si sforzò di sorriderle:
“Sì... certo...”
“Ti hanno lasciato tutti da solo?”
La giovane sorrise a propria volta, con una sorta di tenerezza. Shin arrossì, distolse lo sguardo:
“Oh... no... sono io che...”
Non riuscì a terminare e si sentiva goffo, perché faticava persino a trovare le parole da dire; era un periodo strano per lui, lo sentiva dentro di sé che, in qualche modo, stava cambiando e non in meglio. Temeva che avrebbe finito per non conoscersi più... ma si era mai realmente conosciuto?
Nasty sospirò e gli accarezzò una guancia:
“Non sai cosa fare, vero? Vorresti tirarli su di morale ma ti senti impotente... ti capisco...”
Il gesto di Nasty accentuò il suo imbarazzo e si ritrovò a ritrarre la testa tra le spalle.
“Vi stavamo cercando” proseguì la ragazza senza interrompere il contatto “e immaginavamo di poter trovare almeno qualcuno di voi qui... speravamo di trovarvi tutti insieme a dire il vero...”
Tutti insieme... che bel suono avevano quelle parole.
“Touma e Seiji sono... nella loro stanza...” sussurrò. “Ryo era qui poco fa, ma...”
Deglutì, poi risollevò il viso di scatto e affondò i propri occhi speranzosi in quelli di Nasty:
“Non avete visto neanche Shu, vero?!”
Nasty sbatté le palpebre, colpita da quella reazione improvvisa, poi scosse il capo:
“Se non sei tu a sapere dove si trova Shu, credo nessuno possa saperlo, sai?”
Il viso di Shin si abbassò di nuovo, un'ondata di tristezza che risaliva dal suo cuore: fino a poco tempo prima era così, ma Nasty ancora non aveva capito che le cose stavano cambiando? Che, di colpo, era tutto diverso, le illusioni di un gruppo di ragazzini stavano per sgretolarsi in una crescita per loro ancor più dolorosa di quanto avrebbe dovuto normalmente esserlo? Cosa si aspettava, ancora, il destino da loro? Cos'altro avrebbero dovuto sopportare quando il fondo sembrava toccato?
“Credo che... questa volta sia stato troppo... Nasty...”
La mano della ragazza ricadde, ma non smise di accarezzare l'amico più giovane con gli occhi, anche se lui si ostinava a guardare altrove.
“In realtà, Shin, io penso che sia troppo da sempre; a nessun ragazzo dovrebbe essere richiesto tanto”.
Pronunciò quelle parole con una sorta di solennità e Shin non poté fare a meno di sorriderle con gratitudine, anche mentre lei continuava:
“Se tu sapessi quante volte mi sono ripetuta che era ingiusto e quanto avrei desiderato fare qualunque cosa per sottrarvi al vostro destino, essere abbastanza forte per proteggervi, mentre voi proteggevate me!”
Gli occhi di Shin si inumidirono e gli parve incredibile, perché quelle parole echeggiarono dentro di lui e le sentì vicine al suo cuore. Avrebbe voluto dire a Nasty che non doveva fare quei pensieri, che senza di lei loro sarebbero stati incompleti, che la sua forza li aveva sostenuti ogni istante e che del loro destino era stata altrettanto vittima e partecipe.
Ma non ci riuscì, perché il discorso di Nasty era diventato specchio dei suoi pensieri, la ragazza aveva espresso ciò che lui non era mai riuscito ad esprimere: desiderio di proteggere, senza essere abbastanza forte per farlo e trovarsi anzi lui stesso ad avere bisogno di protezione.
Era sempre stato così, probabilmente anche in famiglia e ora con i nakama.
Eppure, essere protetto non era così male, essere stretto da braccia forti, annullarsi in esse... affidarsi a Shu...
Quanto gli mancava!
Prima che i suoi ragionamenti contorti degenerassero, lo salvò la vocetta lamentosa di Jun:
“Sono tutti tristi... mi dispiace per Luna, mi dispiace per i fratelloni, vorrei trovare il modo per farli stare meglio”.
Anche quel povero bambino condivideva con loro la sua parte di tristezza per tutto ciò che era accaduto, trascinato dagli eventi e Shin si chiedeva perché non si convincessero mai a lasciarlo a casa, perché dovessero ogni volta cedere al suo desiderio di restare al loro fianco se poi doveva correre pericoli e soffrire insieme a loro. Ryo aveva ragione, erano degli irresponsabili, anche per quello.
E anche Jun aveva quel bisogno di sentirsi utile che non vi era possibilità di soddisfare.
La mano di Shin si mosse e si posò fra i capelli del piccolo amico, in una carezza affettuosa.
“Andrà tutto bene, Jun-chan”.
Il piccolo annuì, perché ogni gesto, ogni atteggiamento, in Shin, era sempre volto a rassicurare e a trasmettere fiducia, quella sicurezza e quella fiducia che il ragazzo di Hagi non riusciva mai a provare dentro di sé, neanche la metà di quella che sapeva donare agli altri.


***


All'ora di cena Shin trovò intorno al tavolo solo Nasty, Jun e Shu, ma il silenzio che regnava tra loro aveva qualcosa di distorto; quello di Shu soprattutto strideva come tante note stonate che ferivano l'anima.
Non appena si accorse dell'arrivo di Suiko, Jun scivolò giù dalla propria sedia e gli si fece incontro, poi mise la sua piccola mano su quella più grande ma altrettanto delicata dell'amico adolescente:
“Shin-Niichan, Shu-Niichan sembra non voler parlare neanche con me, non puoi fare qualcosa? Sei quello che ascolta di più!”
Il sussurro a fil di voce del bambino attraversò lo spirito di Shin e gli giunse chiaramente l'essenza di quelle parole appena udibili; si morse le labbra ed abbassò lo sguardo sulla testolina scura, avrebbe voluto rassicurarlo, ma la sua riserva di pensieri positivi da rivolgere al prossimo andava esaurendosi.
Giunse ancora Nasty a salvarlo dall'imbarazzo, una mano sulla spalla e sorriso rassicurante, ma le sue parole ebbero su di lui un effetto tutt'altro che positivo:
“Vi lasciamo un po' da soli... solo tu puoi arrivare a lui adesso”.
Il ragazzo non fece in tempo a ribattere nulla, perché già l'amica si stava allontanando con Jun, seguita dai suoi occhi sgranati, colmi di terrore, come se gli avessero appena rivelato che doveva affrontare da solo il più temibile dei nemici.
Ma era Shu, nient'altro che Shu... il suo Shu... non poteva fargli paura, non aveva senso!
Inghiottì, strinse le labbra imponendosi un'espressione risoluta e, i pugni stretti lungo i fianchi, si avviò verso il tavolo dove Kongo stava divorando la sua cena, occhi fissi nel piatto, seriosi... e troppo pieni di rabbia perché lo stato emotivo di Shin potesse restare saldo di fronte ad essi.
Non era certo la prima volta che scorgeva in essi quella furia quasi selvaggia, ma l'aveva sempre condivisa con i nakama, era stata generata dai pericoli che, tutti insieme, correvano, dalla paura di perderli, dal desiderio di proteggerli. Questa volta, invece, loro non c'entravano e sembrava volerli tenere fuori.
Per questo a Shin faceva tanta paura? Perché, come mai era accaduto, la rabbia di Shu lo tagliava fuori dal suo mondo, quasi cacciandolo, quasi... non desiderandolo?
Era davvero possibile che Shu non lo desiderasse al suo fianco?
Spostò la sedia e si sedette alla sommità del tavolo, in modo da avere l'amico al proprio fianco e al tempo stesso poterlo guardare in viso; gli era terribilmente difficile accettare che Shu, come prima Ryo, sembrava non notare neanche la sua presenza... o forse non la voleva notare?
Incrociò le braccia sul tavolo, poi vi posò sopra la guancia, osservando il compagno dal basso in alto sperando, forse inconsciamente, di attirare la sua attenzione; in fondo vi erano alcuni atteggiamenti e sguardi tipici di Shin ai quali difficilmente Shu sapeva resistere... un tempo...
Un lieve respiro tra le sue labbra diede voce a un richiamo, un poco intriso di supplica:
“Shu...?”
Le bacchette che raccoglievano mucchietti di riso si fermarono a mezz'aria, poi ricaddero nella ciotola, ma gli occhi di Shu non subirono mutamenti, né cambiarono direzione.
“Cosa c'è, Shin?”
Non era incoraggiante, proprio per nulla; nella gola di Shin si formò un nodo, deglutì nel vano tentativo di scioglierlo, eppure non si arrese. Si agitò, strofinando la guancia sulle braccia e, con tutta la dolcezza di cui era capace, tornò all'attacco:
“Non ti va... di parlare un po'?”
Le labbra di Kongo tremarono, si strinsero, se possibile i suoi occhi si fecero più furiosi e le membra di Shin vennero scosse da un tremito involontario.
“A che servirebbe? Non credo ci sia molto da dire”.
Nel frattempo le bacchette risalirono nervosamente alle labbra, la mano poco ferma provocò la perdita di alcuni chicchi, che ricaddero nella ciotola. L'altra mano di Shu si strinse a pugno sul tavolo e fu proprio quella mano che Shin rincorse con la propria, la catturò, la strinse forte:
“Serve sempre... tra noi è sempre servito...”
La voce di Suiko venne fuori sottile, incrinata; avrebbe voluto evitarlo, ma non poté.
“In questo caso, Shin, è un po' diverso”.
Non sfuggì al samurai dell'acqua la lotta che la mano di Shu intraprese per liberarsi della sua e comprese quanto grave fosse la situazione per loro due, una cosa del genere non era mai accaduta. Shin non poté fare a meno di aggrapparsi ad essa ancor di più, come se ne andasse della sua stessa vita, del loro stesso rapporto.
“Perché è diverso? Tu stai male e io sono qui, come sempre... e come sempre, lo sai che con me puoi parlare... di tutto... di qualunque cosa...”
“Di questo no!”.
Kongo accompagnò la lapidaria sentenza con uno strappo deciso della mano e Shin lo trovò in piedi, a torreggiare su di lui, senza tuttavia ricevere da parte sua neanche uno sguardo; il Torrente tremò, si raccolse in se stesso facendosi più piccolo e lui stesso finì per distogliere lo sguardo dal compagno. Ma non rinunciò ai propri tentativi di rinsaldare quel contatto che sembrava perduto:
“Perché dici così? Io... non sono un estraneo...”
Shu spinse la sedia malamente, si allontanò, le braccia incrociate sul petto, il mento abbassato, camminando verso la finestra.
“Non dire stupidaggini, perché dovresti essere un estraneo?”
Il tono si era ammorbidito, ma Shin non riusciva comunque a tollerare quell'indifferenza, quella distanza e, al tempo stesso, non sopportava il proprio egoismo che lo faceva pensare solo a se stesso... a loro.
Il senso di colpa divampò nuovamente e nascose per qualche istante il volto tra le mani. In un altro momento Shu, vedendolo così, sarebbe accorso presso di lui, pronto a sostenerlo, a stringerlo a sé. Si odiò ancora di più: nuovamente finiva per ripiegarsi su se stesso quando era Shu ad avere bisogno di sostegno, era Shu che doveva trovare al proprio fianco un... un amico...
Le mani ricaddero e il ragazzo si alzò, si portò alle spalle del compagno; sollevò di nuovo una mano ma, prima di posarla sulla spalla dell'altro, la bloccò, con un tremito:
“Io... vorrei solo starti vicino, Shu”.
Il guerriero della terra fece un passo in avanti, scostandosi ancora di più, Shin continuava a vedere solo la sua schiena.
“Lo so, Shin, ma me la caverò, smettila di preoccuparti, per favore”.
Un moto di rabbia scosse il corpo di Suiko; come poteva chiederglielo?
“Come... come posso? Io...”
Non poté prevedere il movimento di Shu, che in una frazione di secondo si voltò, gli afferrò le spalle con una tale foga che Shin, suo malgrado, tentò di arretrare con un gemito di sorpresa, e gli occhi di Kongo si puntarono contro i suoi, feroci:
“La devi smettere di preoccuparti! Vuoi credermi?!”
Resistendo ai tremiti violenti che gli attraversavano le membra, Shin scosse il capo:
“No... finché sarai in questo stato... finché... sarai così irriconoscibile!”
Le mani di Shu lasciarono la presa, ma rimasero a fissarsi, anche se lo sguardo di Shin tendeva a fuggire in ogni direzione.
“E'... la situazione pesante Shin e...”
Shin allargò le braccia, gesticolando per la frustrazione:
“Ma lo so... per questo vorrei... vorrei... che mi permettessi di restarti vicino!”
“Ma tu non potresti capire!”
Il guerriero dell'acqua sussultò e ammutolì di colpo, come se il compagno gli avesse dato uno schiaffo in pieno viso, le braccia ricaddero e lo sguardo si fece angosciato:
“Perché, Shu? Spiegami perché non potrei capire. Credi che io non ci stia male? Credi che io sia così insensibile? Credi che... Luna... e quel che è accaduto a Seiji... che niente di tutto questo possa toccarmi?”
Eppure Shu lo sapeva, Shu lo conosceva così bene, forse meglio di chiunque altro, sapeva quanto fosse per lui distruttivo quello che mai aveva considerato un dono, quello che era, anzi, una condanna, la sua capacità di percepire tutto, di attirare dentro di sé ogni frammento di emozione che vibrasse intorno a lui. Shu lo sapeva, aveva accolto tra le proprie braccia i suoi crolli, aveva calmato il suo cuore con la semplice vicinanza della sua mano grande e protettiva, tante di quelle volte ormai.
“Come... puoi pensare... che io non capisca?”
Kongo scosse il capo, ora sul suo viso c'era qualcos'altro, forse una traccia di senso di colpa? Un dolore aggiunto ad altro dolore?
“Lo sai... che non intendevo questo...”
Shin scosse il capo, un tentativo di minimizzare; il cuore gli faceva male, ma non avrebbe dato a Shu ulteriori preoccupazioni.
“Lo so Shu... lo so...”
“Sono... confuso, Shin, per questo voglio stare da solo. Ryo sta male, Seiji sta male, Luna...” ringhiò, scosse il capo, “è tutto un gran disastro!”
“Anche tu stai male...”
“Certo che sì, ti sembra così strano?”
Ancora quel tono alterato, aggressivo, che a Shin faceva male più di qualunque altra cosa; inghiottì, ma rimase saldo, un altro cenno negativo del capo:
“No... non saresti tu altrimenti... e proprio perché ti conosco troppo bene vorrei... che mi permettessi di restare con te...”
“Shin, non voglio trattarti male, quindi fermati...”
Quella freddezza, che rendeva Shu tanto distante... quello non era lo Shu sempre tanto tenero con lui, sempre pronto a concedere coccole e a chiederne; era così evidente che non voleva aggrapparsi a lui proprio perché...
“Shu... abbiamo perso tutti una persona che Ryo aveva eletto a nostra nakama... che sarebbe forse potuta diventare una di noi... ma...”
Ad ogni parola il tono si faceva più basso ed anche gli occhi scappavano, perché Shin era consapevole delle implicazioni del proprio discorso, eppure non riusciva a fermarsi, neanche sentendo addosso a sé lo sguardo di Shu che si faceva tagliente.
“...Ma... tu... tu ti stavi... innamorando... vero?”
Attimi di silenzio assoluto, gli occhi di Shin avevano ormai raggiunto terra e lui desiderava ardentemente non aver detto nulla; eppure sapeva anche che, se fosse tornato indietro, avrebbe parlato comunque. Sempre contorto, sempre contraddittorio... ed incomprensibile persino a se stesso.
E Shu taceva, ma il suo tormento scese nell'animo di Shin mischiandosi a quello che già lui stesso provava, si acutizzarono a vicenda, come un urlo d'agonia interiore che faceva accelerare il battito del cuore, troppo forte, troppo violento, in modo troppo doloroso.
Era sul punto di portarsi una mano al petto, ma si trattenne, questa volta non l'avrebbe fatto, non avrebbe lasciato che Shu si accorgesse come si sentiva realmente, non avrebbe gravato su di lui, non questa volta.
Quel silenzio feriva più di mille parole, di ogni grido di rabbia e, lentamente, gli occhi di Shin si levarono a cercare quelli di Shu, terrorizzato al pensiero di cosa avrebbe potuto trovare in essi e forse cercando ciò che non sperava di trovare.
Proprio quando i loro sguardi si specchiarono, le labbra di Shu si mossero a formulare parole dal tono pacato, ma terribili nella loro essenza alle orecchie di Shin:
“Lei aveva scelto Ryo, giusto? E' un problema che non si sarebbe posto e si pone ancora meno adesso... e io sono... sono...”
Diede le spalle a Shin che, con occhi sgranati, seguì i suoi passi, lo vide allontanarsi, lasciando aleggiare altre parole dietro di sé:
“Sono abominevole, perché... mi sono arrabbiato con Ryo... e non sapevo bene di cos'ero geloso... di chi... e ancora provo rabbia, perché vorrei che lei avesse scelto me... o forse no... non è questo... non lei, ma...” deglutì, prima di continuare, “e ora lei è morta e io... io mi sento... l'essere più... abbietto sulla faccia della terra e non so se mi sento così perché temo di essere ancora arrabbiato con Ryo... e persino con lei... perché lo sono stato... perché sentivo che qualcosa mi veniva portato via... o perché...”
Quando il suo sfogo raggiunse il culmine era giunto sulla soglia della stanza e lì arrestò passi e parole, si voltò a lanciare un'ultima occhiata a Shin.
“Vedi perché volevo stare solo? Adesso ho finito per scaricare tutto su di te e...” si arruffò nervosamente i capelli, “oh, al diavolo!”
Lo sguardo di Shu tornò dalla parte opposta e, insieme a quell'ultima esclamazione, le orecchie di Shin vennero ferite dallo sbattere violento della porta.
E i suoi occhi rimasero a fissare quella porta chiusa, il vuoto lasciato da una presenza ora volata via, senza che in tutto questo il suo corpo riuscisse a muovere un dito, mentre avrebbe desiderato corrergli dietro, abbracciarlo, stringerselo al petto e fargli capire che non doveva pensare quelle cose di se stesso.
Ma il malessere che lo assalì era così insopportabile che si ritrovò a respirare con affanno, il cuore sembrava sul punto di ridursi in tanti pezzettini, il groppo nella gola inestricabile e soffocante. Quando si accorse di tremare in maniera incontrollata le lacrime già scorrevano lungo le sue guance e le tempie e il collo erano intrisi di sudore freddo.
Ormai solo lasciò che la mano salisse al petto, artigliò la stoffa della camicia, doveva esserci un modo per fermare quel cuore impazzito, per impedire che scoppiasse... anche fermarlo del tutto.
Scosse il capo, tra le lacrime, senza capire perché a volte nella sua mente vorticassero idee tanto assurde... non erano da lui... forse... ma cos'era da lui? A volte non lo sapeva più.
“Shin!”
Sussultò al suo nome evocato con tanta energia; non era quello il momento, Touma non doveva vederlo così, non era giusto, non era...
Non si voltò, per impedire a Touma di scorgere il suo viso stravolto, si mosse verso il tavolo, fingendo disinteresse, un'ostentata normalità e si mise a raccogliere i resti del pranzo, a riordinare... impegnarsi in qualcosa di pratico per mascherare ogni cosa.
“Hai fame, Touma?”
Il falso tono tranquillo risuonò come distorto e irreale, Shin si rese conto di non essere riuscito a renderlo credibile, come avrebbe potuto l'amico non accorgersene? Shin non sapeva fingere e Touma era troppo arguto.
“Be', è troppo che non mangio...”
Il suo tono era già inquisitorio... o si trattava solo di un'impressione?
I suoi passi erano più vicini, diventava una presenza incombente ed ingombrante, eppure come sarebbe stato bello potersi gettare tra le sue braccia, implorare il suo aiuto.
Ma Touma doveva occuparsi di Seiji, in realtà tutti loro avrebbero dovuto occuparsi di Seiji.
“Non è golosità stavolta, lo so che stavi per apostrofarmi dandomi dell'ingordo senza speranza, che stavi per dirmi che sono peggio di Shu e...”
Eccolo che cominciava a sproloquiare con quella vocetta da pettegolo e quando faceva così era perché... aveva percepito qualcosa di sbagliato nell'aria.
“Come sta Seiji?” lo interruppe Suiko, impilando piatti e posate, facendo di tutto, senza troppo successo, per rendere meno nervosi i propri movimenti.
“Mi ha imposto il silenzio e si è addormentato dopo pochi minuti... anche se temo che all'inizio facesse finta... ora dorme sul serio”.
Una posata scivolò via dalle dita di Shin e cadde per terra con un tintinnio stridente; al ragazzo sfuggì un'imprecazione e si chinò per raccoglierla. Barcollò, preda di un capogiro, nuove lacrime volevano uscire e aveva la sensazione di respirare a fatica... e quel maledetto tremore che non si arrestava!
Forse per questo la posata gli sfuggì ancora e il suono delle sue stesse parole pulsò in lui in maniera strana:
“Dovresti tornare da lui... ti porto qualcosa in camera...”
Stava per riposare la mano sulla forchetta, ma la mano di Touma lo precedette, avvolgendo la sua.
“Bocchan...”
Un tremito più forte si mutò in autentico sussulto che lo fece barcollare e cadere all'indietro, ma la mano di Touma si serrò intorno al suo polso e lo trattenne.
“Va... vai da Seiji... vi porto qualcosa io... anche lui deve mangiare... non ha mangiato ancora niente...”
Non andava bene, la voce era troppo incrinata, poco convinta, le parole troppo incoerenti.
“Shin!”
Il richiamo di Touma si era fatto troppo energico, troppo severo, lo fece sussultare ancora, lo stava spaventando, ma era assurdo; un velo di confusione scese davanti agli occhi e si impossessò di sensi e mente. Si agitò, per sottrarre la mano alla stretta di Touma, ottenendo unicamente di stare ancora più male, il capogiro si accompagnò ad un'ondata di nausea e, per un attimo, gli occhi non videro più nulla.
“Ma la vuoi smettere?!”
Un altro strattone accompagnò il rimprovero, ora davvero duro, di Touma e Shin si ritrovò con il viso contro il suo petto, senza poter dire in che momento i singhiozzi fossero esplosi in maniera dirompente, senza neanche poter gestire le sue mani che andarono ad aggrapparsi al petto del compagno con una furia che sembrava volessero strappargli i vestiti di dosso... e non si trattava solo di singhiozzi, stava cercando di riprendere il controllo del proprio respiro, perché era sicuro che, di lì a poco, sarebbe morto soffocato.
“Per quanto ancora volevi fingere di stare bene? Per quanto ancora pensavi di recitare, piccolo stupido?”
Non parlarmi così Touma, smettila, sii gentile... almeno tu... sii gentile, ne ho un tale bisogno...”
Avrebbe voluto che Touma potesse ascoltare i suoi pensieri, perché non era in grado di formulare neanche una parola, il petto e la gola troppo rotti da singhiozzi e respiri stentati.
La stretta di Touma si accentuò, una mano accarezzava i suoi capelli, poi cercò di sollevargli il volto, con una certa urgenza, sfidando la sua rigidità:
“Ma che cos'hai? Mi stai facendo preoccupare così!”
Il viso di Shin sfuggì a quella mano e si rifugiò ancora contro il petto di Tenku, si stava rendendo minuscolo, perché l'abbraccio potesse circondarlo tutto ed arginare quei tremiti che lo stavano mandando in pezzi... e sperava potesse anche fermare quel cuore che pulsava rumorosamente dentro di lui.
“Shin... pesciolino... Bocchan...”
La voce di Touma era davvero gentile adesso, una serie di sussurri colmi di ansia, ma Shin li udiva come aliti di vento da un universo lontano, che sfioravano a malapena i suoi sensi.
Poi, accanto a quella di Touma ne giunsero altre, ancor più distanti:
“Touma, cos'è successo?”
“Che cos'ha Shin-Niichan?!”
Non piangere Jun, avrebbe voluto dire Shin, non piangere per colpa mia, ho già troppe colpe che gravano su di me, non sopporterei di far soffrire anche te.
Ovviamente non riuscì a formulare un suono, mentre Touma lo stringeva forte:
“Un attacco di panico credo... Nasty...”.
“Fallo sdraiare e cerca di calmarti anche tu, ha bisogno di qualcuno che lo tranquillizzi adesso!”
“Ma ha qualcosa di grave?”
“No Jun, no... non è niente, vedrai che tra poco gli passa...”.
Anziché diminuire, nell'udire quelle voci preoccupate, quell'affaccendarsi intorno a lui, l'agitazione di Shin si fece ancor più accentuata, il cuore pulsò più forte, il dolore al petto si fece insostenibile, era stanco di creare problemi, lui non voleva creare problemi.
Si sentì sollevare e trasportare per un piccolo pezzo, poi quelle stesse braccia lo deposero su una superficie morbida, forse l'ampio divano in un angolo della stanza.
“Stai con lui e rassicuralo, Touma, c'è poco altro da fare con gli attacchi di panico, io vado a preparare una tisana”.
“Io cosa posso fare?”
“Vieni a dare una mano a me, Jun. A Shin ora basta Touma”.
Era vero che gli bastava Touma, era vero che voleva sentire l'affetto dei nakama, almeno di uno dei suoi nakama ma... Touma doveva andare da Seiji... doveva...
Tra un respiro affannoso e l'altro, un palpito doloroso del cuore e l'altro, una mano si posò sulla sua guancia, ad asciugare lacrime, un'altra sul suo petto a calmare i singhiozzi e il cuore impazzito.
“Come batte il tuo cuore, Shin... il tuo bellissimo cuore... solo un cuore come il tuo può battere con tutta questa passione...”.
Un tremito più forte attraversò le membra di Suiko e, a quel punto, come a voler fermare anche i sussulti delle sue spalle, Touma lo abbracciò nel chinarsi su di lui, per poi posare un lieve bacio a fior di labbra, raccogliendo il sapore salato delle sue lacrime.
Gli occhi di Shin si sgranarono, si specchiarono in quelli intensi di Touma, intensi e colmi di qualcosa, di tutto quello di cui Shin aveva bisogno per calmarsi. Vi era tanto affetto in essi... no... affetto era riduttivo, era la pienezza del sentimento che legava tutti loro.
“Ricordati sempre che io ci sono, pesciolino. Quei due sono degli idioti e Seiji è un testone, ma io sono io, sono sempre io e sarà così per sempre... e anche gli altri... tutto si sistemerà, te lo prometto”.
Il discorso di Tenku si concluse con un nuovo bacio, questa volta sulla gota, a raccogliere una lacrima.
Shin singhiozzò alcune volte, poi i singhiozzi si trasformarono in colpi di tosse, che Touma fece cessare sollevando il ragazzo per le spalle e carezzandogli il capo e la schiena. Suiko gli avvolse il busto in un abbraccio pieno di trasporto, le sue mani si incontrarono sulla schiena del nakama e si aggrapparono alla sua maglia.
Dopo aver ricambiato l'abbraccio, Touma lo staccò da sé e gli posò di nuovo una mano sul cuore:
“Fa sentire”.
Tentò di utilizzare un tono spensierato, sereno e sorrise:
“Sì, va molto meglio adesso. Il tuo cuoricino sembra un po' meno iperattivo”.
Shin abbassò il capo, tirò su col naso:
“Sto... sto meglio... grazie...”.
Tenku gli sollevò il mento, con dolcezza:
“Non andrà meglio del tutto finché il mio Bocchan preferito non mi farà un sorriso”.
“Smettila di parlarmi come se fossi un bambino” ribatté Suiko, ma nel frattempo lo accontentò. Non si trattò di fingere per lui; era davvero grato a Touma, gli aveva davvero riscaldato il cuore, lo aveva alleggerito, cominciò a pensare che, forse, sì, Touma aveva ragione, tutto si sarebbe sistemato, anche se non sapeva come. In un modo o nell'altro... l'importante era che i suoi nakama tornassero ad essere sereni.

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Capitolo 3
*** 3 ***


-3-

 

Quando Shu uscì dalla stanza e si immerse nelle strade di New York, sentì spezzarsi qualcosa dentro di sé, come se alle spalle avesse lasciato tutta la propria vita, come se qualcosa stesse andando, irrimediabilmente, in frantumi.

Vagò senza una meta, non sapeva neanche lui per quanto tempo i suoi passi furono inarrestabili.

Una cosa era certa: sapeva di essersi comportato malissimo con una delle persone che gli erano più care al mondo.

Non capiva il proprio cuore: cosa provava, adesso, per Shin? Una parte di lui non aveva più certezze; forse non una parte, le sue certezze erano state infrante.

Cos'era accaduto dentro di lui? Cosa l'aveva reso tanto insicuro riguardo ad un sentimento che da mesi, ormai, costituiva un punto fermo essenziale, una di quelle sicurezze che si ritengono incrollabili, inscalfibili da ogni evento, fosse anche il più traumatico? Tutto per una ragazza entrata come un fulmine nella loro vita e subito scomparsa?

I suoi passi lo portarono lontano, tanto lontano come sembrava essere il suo cuore nei confronti di tutto ciò che aveva sempre sentito sacro. Anche la folla intorno a lui era distante, sembrava che fosse lui stesso a non essere più parte del mondo che lo circondava, era assente, a se stesso e a tutto il resto, tutto ciò che aveva sempre contato.

Luna era stata davvero così importante, nonostante i pochi giorni che avevano condiviso, battibeccando quasi tutto il tempo? Era stata la sua morte a renderla importante?

Tutto ciò che era accaduto, quei giorni terribili culminati con la morte della ragazza, gli facevano vedere ogni cosa in maniera distorta, decisamente poco lucida.

Lui era sempre stato certo dei propri sentimenti; se c'era una cosa che mai aveva messo in discussione era ciò che sentiva nei confronti di chiunque. Eppure, in quella situazione, la confusione gli rendeva tutto incomprensibile.

Una parola continuava a turbinargli nella mente: gelosia.

Gelosia nei confronti di chi?

Di Luna?

Di Ryo?

Il legame che si stava instaurando tra Ryo e Luna, ad un certo punto, lo aveva reso furioso, ferito, smarrito, tutto gli era crollato sotto i piedi.

Era per Ryo, si era detto; quella ragazza glielo stava portando via. Aveva messo i suoi occhi su di lui come un cacciatore con la sua preda.

Poi Luna era stata uccisa e il pianto di Shu era esploso, inatteso. Dopotutto era logico: una ragazza sotto la loro responsabilità aveva perso la vita. Era normale soffrire, giusto?

Eppure, da quel momento, i dubbi e le incertezze di Shu erano diventati soffocanti. Forse avrebbe voluto essere lui il prescelto di quella ragazza così ammaliante, vivace? Aggressiva all'apparenza, ma che nascondeva dentro di sé una grande fragilità?

Sembrava che il loro Ryo non riuscisse più a staccarsi da quel ponte, da quelle acque che riflettevano ricordi, tanto brevi quanto dolorosi: riflettevano un sorriso, raccoglievano lacrime e sofferenza di una ragazza che dal mondo non aveva mai avuto nulla. E ora riflettevano le lacrime di Ryo, che per la morte di quella ragazza non sapeva darsi pace.

Shu rimase immobile per parecchi istanti, rapito anche lui dai ricordi ma, forse, ancora di più da quel ragazzo angosciato.

"Avremmo potuto evitarlo?" mormorò Shu tra sé e, quasi l'avesse udito, Ryo mosse il capo nella sua direzione, cosicché i loro sguardi si incrociarono. L' espressione dei loro volti non mutò, le labbra rimasero immobili, eppure, tramite quell'occhiata, comunicarono; sapevano ancora farlo...

Comunicare con il cuore... in qualche modo Shu ne fu sollevato, ma in quel momento non bastò a fargli tornare il sorriso. E come si poteva trovare la forza di sorridere?

Ryo gli fece un cenno, dopo istanti che sembrarono secoli, e Shu non poté non obbedire; dopotutto, Ryo era il capo, giusto? A Ryo bisognava sempre obbedire... Ryo era... Ryo... e per lui Ryo era tutto, i suoi nakama erano tutto e, semplicemente, era ora di smetterla, aveva già fatto fin troppi danni. Così si mosse, un passo dopo l'altro, sfidando la pesantezza delle proprie gambe, finché giunse ai piedi del ponte, gli occhi che restavano fissi su colui che tornava ad essere il suo punto di riferimento. Come aveva potuto non capire subito che era quella la soluzione, cercarsi, sostenersi a vicenda... amarsi, come e più di prima, per superare qualsiasi cosa?

Una mano di Ryo si tese verso di lui, offrendogli il palmo, mentre l'espressione sul volto rimaneva la stessa; quella di Shu, invece, si stava sciogliendo. Forse tornava, lentamente, se stesso?

Rispose all'invito, dopotutto non aspettava altro e ne era finalmente consapevole; non immaginava cosa volesse ora Ryo da lui, ma assecondò la sua volontà quando si sentì trascinare verso l'alto e gli parve di essere leggero, proprio lui, mentre Ryo lo tirava al proprio fianco, sulla balaustra del ponte. Barcollò, ma neanche per un istante ebbe paura di cadere... Ryo non l'avrebbe lasciato cadere.

Ryo però continuava a guardare lontano, troppo lontano, mentre Shu guardava lui, ormai aveva occhi solo per lui, perché cercava il suo aiuto, cercava perdono e...

"Perdonami...".

Sussultò; le labbra di Ryo si erano mosse, leggermente, avevano lasciato uscire un alito che aveva dato forma a quella parola.

Lui perdonare Ryo? Ma perché?! Non vi era motivo.

"Io... non..." riuscì solo a balbettare e un nuovo sussulto gli scosse le spalle quando, infine, anche il volto di Ryo si mosse e i loro occhi tornarono a cercarsi... e ad incontrarsi. Ma Shu non sostenne a lungo quell'occhiata e dovette distogliere lo sguardo.

"Non credo... di doverti perdonare niente" riuscì tuttavia a mormorare.

"E invece sì, ho perso di vista molte cose... troppo importanti...".

Sui lineamenti di Shu si dipinse un sorriso, non quello allegro, gioioso, che era tipico del samurai della Terra, ma un sorriso umile... e troppo triste per essere il suo.

"Beh, non sei l'unico".

Il volto di Ryo si chinò finalmente a guardarlo, i suoi begli occhi blu dal taglio sensuale e selvaggio si strinsero e il cuore di Shu perse un battito, mentre le gambe si illanguidirono a tal punto da farlo barcollare: istintivamente, la sua mano si aggrappò con maggior forza a quella di Rekka.

"Abbiamo... smarrito la strada... non è vero, Shu?".

Cosa stava facendo Ryo? Chiedeva pareri a lui? Rassicurazioni a lui? Lui che, da giorni, non commetteva altro che danni?

"Mi aiuti...a ritrovarla?".

Gli occhi di Ryo si strinsero di più, Shu ebbe l'impressione di scorgere in essi un luccichio, poi il ragazzo di Yamanashi distolse lo sguardo.

"Se tu... aiuti me... perché io... non so...".

"Io so che siete due testoni!".

Si voltarono di scatto e, contemporaneamente, i loro occhi misero a fuoco la figurina decisa di Nasty che, gambe larghe e mani sui fianchi, li puntava con sguardo severo, dal basso in alto.

"Smettetela di guardarmi come due cuccioli bastonati e scendete di lì, che state solo attirando l'attenzione, non siete tra i monti o in mezzo a un bosco!".

Era ovvio che si dovesse obbedire, e senza una sola parola di obiezione quando la sorellona assumeva quel tono; così i due ragazzi saltarono a terra, mentre lo sguardo di Nasty passava da quello di mammina autorevole a quello di mammina intenerita, nel momento in cui notò le loro mani intrecciate, che non si erano sciolte neanche nel salto. I due ragazzi non se ne erano neanche resi conto, dato che arrossirono in maniera vistosa e si staccarono, nascondendo le mani dietro la schiena.

Lei trattenne a stento una risatina e fece finta di niente. Ma quando si rivolse di nuovo a loro era seria, quasi malinconica.

"Quando vi deciderete a tornare tra noi? A condividere con noi quello che provate?".

Sussultarono, i loro occhi si fecero più grandi, le labbra si aprirono, ma restarono mute, furono invece quelle di Nasty a parlare ancora:

"Perché fate così?".

Adesso c'era pura tristezza nella sua voce e gli occhi dei due ragazzi fuggirono a terra.

"Credete che non potremmo capirvi? Che i vostri nakama non sappiano comprendere cosa avete nel cuore?".

"No!".

Un'esclamazione corale e convinta, mentre i loro visi si sollevarono, con un un unico scatto.

La ragazza fece qualche passo, finché le sue mani poterono allungarsi e posarsi sulle loro spalle.

"Siamo tutti addolorati, ma c'è un compagno, vivo, che ha bisogno di avere i suoi nakama vicini, ora più che mai".

Il riferimento a Seiji strappò ad entrambi un moto di colpevole tristezza, ma Nasty ne aveva ancora:

"Touma mette da parte tutto il suo malessere per restargli accanto e, in più, si preoccupa per voi…e per Shin".

Si morsero le labbra: era incredibile come riuscissero a sembrare due gemelli, spesso, nelle reazioni, soprattutto le più infantili.

"E Shin che si preoccupa per tutti e nessuno che si prenda cura di lui... ed è così impegnato ad occuparsi dei problemi altrui, da non rendersi neanche conto del bisogno che ha di affetto... di sentirsi amato... da due persone in particolare...".

Un unanime mordersi di labbra ma, questa volta, a quelle di Shu sfuggì un borbottio:

"Sono... uno stronzo...".

Alla buon'ora pensò Nasty, un segno di consapevolezza.

"Io lo sono...".

Ed ecco Ryo... due testoni, due piccoli, adorabili, inguaribili testoni.

"Avete intenzione di restare qui a fare a gara a chi insulta meglio se stesso, o pensate di tornare tra noi, in tempi brevi?".

Un violento rossore e quelle espressioni, così da... da bimbi... Nasty resistette a stento all'impeto di avvolgerli in un unico abbraccio; le veniva spesso facile, con tutti e cinque, entrare nel ruolo della sorella maggiore ma, quando si trattava di Shu e Ryo, era particolarmente semplice e scontato.

"Shin è... è a casa?" domandò Shu in uno slancio improvviso e, a quel punto, Nasty sorrise.

"È a casa, a vegliare su Seiji... e ad attendervi. Ha bisogno del vostro calore e voi avete bisogno del suo".

Abbassarono il capo.

"Tanto" mormorò Shu.

"Sì" mugugnò Ryo.

Le mani sui fianchi, Nasty sospirò e levò gli occhi al cielo, con un lamento:

"E dovevo essere io a farvelo notare?".

"L'ho... trattato male... prima...".

Shu si stava raccogliendo in se stesso, facendosi piccolo piccolo, l'immagine della vergogna e del senso di colpa.

"Gli ho detto cose bruttissime e la cosa peggiore è che non me ne rendevo neanche conto...".

"Ma te lo ricordi" asserì Nasty, " ed è il primo passo per rimediare".

"Io l'ho...ignorato" intervenne Ryo, "e lui voleva solo starmi vicino, darmi conforto... ho finito per sminuire il suo dolore...".

"Anche io" gli fece eco Shu.

"Non è a me che dovete tutte queste spiegazioni".

Nasty aveva abbandonato ogni traccia di severità e ironia per rispolverare la sua espressione più tenera, protettiva e materna.

Il viso di Ryo riuscì finalmente a sollevarsi.

"Credi che... potremmo andare da lui... adesso?".

Lei sorrise.

"No che non potete, dovete andare e anche in fretta, testoni!".

Al contrario di Ryo, Shu rintanò ancor più la testa tra le spalle, gli occhi sempre più a terra.

"Credi che... ci perdonerà?".

Nasty scosse il capo con un sospiro e un fare condiscendente.

"Non deve perdonarvi, perché vi posso assicurare che non ce l'ha con voi. Si rammarica che non gli permettiate di starvi vicino".

Gli occhi dei due ragazzi si accesero di lacrime, le loro espressioni talmente disarmanti che Nasty non resse e dovette posare una carezza sulle loro guance, poi fece un passo indietro.

"Io comincio ad andare a casa, prendetevi un po' di tempo, ma ricordatevi che vi aspettiamo".

Non osarono guardarla mentre si allontanava, restarono così, immobili e muti per parecchi istanti. Infine la mano di Ryo tornò a stringere, con forza quasi disperata, quella di Shu.

"Anche a te devo chiedere scusa, scimmietta...".

Percepì il suo sussulto sotto le proprie dita, prima di udire la sua voce nervosa, insicura:

"Non dire sciocchezze, non ho fatto altro che comportarmi come uno scemo da quando... lei... è entrata nelle nostre vite...".

"Per andarsene troppo presto" mormorò Ryo, chiaramente sull'orlo del pianto.

Seguirono istanti di pesante silenzio, infine Shu si staccò dalla mano del compagno e gli diede le spalle, camminò fino alla balaustra del ponte, vi appoggiò i gomiti, lasciando che il proprio sguardo si perdesse in quell'acqua... che sembrava così scura e triste... l'acqua... la tristezza dell'acqua era qualcosa di insopportabile, era... contagiosa. Ma al tempo stesso sapeva rendere chiare tante cose, innanzitutto che non si poteva non amarla. Nessuno al mondo avrebbe mai potuto sostituire la sua acqua... come poteva aver dubitato, anche per poco? Aveva un tale bisogno di correre da Shin, di stringerlo tra le proprie braccia, ma prima... prima…

"Ryo...".

Solo a quel punto Rekka si riscosse, ebbe un sobbalzo e si voltò a guardarlo, gli occhi da gatto impaurito che sembrava non comprendere bene dove si trovasse.

"Vieni qui vicino a me? Parliamo un po' ?".

Il guerriero del fuoco non poté resistere a quell' invito, formulato con un tono tanto morbido, dolce.

Si affiancò all'amico ed assunse la medesima posizione. Rimase però silenzioso, in attesa, mentre Kongo cercava il coraggio di fargli una domanda complicata.

Nonostante la paura, la sua voce risultò stranamente ferma quando ci riuscì:

"Ryo, tu... l'amavi?".

Il viso di Rekka si sollevò, gli occhi si sgranarono davanti a sé.

Shu lo scrutò, preoccupato, poi riabbassò lo sguardo, cercando rifugio nell'acqua e borbottò:

"Scusami...".

"No...".

Quell'unica parola si sovrappose a quella di Shu, che risollevò subito il volto e tornò a guardarlo, a bocca aperta.

"Non era amore... nel senso che intendi tu...".

"Ryo...".

"E' che... mi è facile affezionarmi... lei si era legata così tanto a me che... forse... ho reagito legandomi a lei... come a una sorellina...".

Le labbra di Shu si schiusero, sentiva il bisogno di dire qualcosa, ma nessuna parola risalì in superficie. Fu invece Ryo a parlare ancora:

"Mi sono sentito come se dovessi prendere il posto di suo fratello... forse sarebbe stato diverso se lei non avesse dimostrato tanto affetto per me... o forse no. Fatto sta che l'affetto spontaneo che ho provato e provo per lei é diverso da...".

Si fermò, il suo viso si mosse finché gli occhi dei due ragazzi si incontrarono e si legarono, avvinti, a quel punto impossibilitati a separarsi.

"Da...?" mormorò Shu, appena udibile, quasi preda di un incantesimo.

"Dall' amore... come forse tu lo intendevi...".

Shu aprì la bocca, ma uscì solo un gemito e la richiuse subito.

"Quello che intendi tu... quello... é solo per voi... non potrebbe essere altrimenti...".

Se Shu fosse stato in grado di essere il solito Shu, a quel punto, oltre che arrossire sarebbe saltato al collo di Ryo o lo avrebbe sollevato tra le sue forti braccia, facendolo volteggiare finché a entrambi non fosse girata la testa. Invece rimase immobile, a tremare come un bambino timido, un groppo in gola che non si sciolse neanche quando deglutì.

"E tu, Shu? Tu mi ami? Perché io... ne ho tanto bisogno, adesso".

Le ultime parole furono per Kongo il limite oltre il quale l'emozione non poteva spingersi senza esplodere; l'istante successivo si era gettato tra le braccia di Rekka, con tale foga che entrambi barcollarono e rischiarono di cadere a terra. Ryo lo accolse e si mantenne saldo, sorreggendo anche il compagno ed affondando il viso tra i suoi capelli.

"Ryo...".

Senza mutare la propria posizione, il samurai del fuoco rispose, calmo, a quel richiamo:

"Dimmi, scimmietta...".

"Andiamo da Shin? Ho... tanta voglia di vederlo".

Ryo sorrise, il suo primo sorriso da quando quell'ennesima battaglia si era conclusa: sollevò lo sguardo e cercò quello di Shu. Annuì.

"Anche io, sai?".

"E lui... sarà triste... per come l'ho trattato?".

Shu era insicuro, spaventato, così Rekka tenne salde le dita sulle sue spalle.

"L'ho fatto anche io, anche io l'ho trattato male, ma adesso andremo da lui e gli dimostreremo quanto lo amiamo".

Kongo annuì, ma era ancora tormentato.

"E... Seiji... non ci siamo... presi cura di lui".

Ryo deglutì, le mani sulle spalle di Shu si fecero meno sicure ed ebbero un tremito.

"Non... accadrà più... rimedieremo, non li lasceremo più soli".

Anche Shu inghiottì il groppo che gli si era formato nella gola, i suoi occhi luccicarono con più decisione.

"Allora...andiamo?".

Ryo annuì.

"Andiamo...".

Così presero a camminare, lungo il ponte, poi per le strade di New York e, per tutto il tragitto, si tennero per mano, disinteressandosi di possibili occhiate: esistevano unicamente l'uno per l'altro e per la meta verso la quale tendevano. Avevano combattuto e sofferto, ragazzi smarriti in guerre per la salvezza del mondo; si ritenevano in diritto, almeno per una volta, di pensare unicamente ai bisogni propri e dei compagni, a proteggere equilibri e serenità di un gruppo che aveva condiviso battaglie, esperienze di vita e... di morte.

Più che mai era giunto il momento di prendersi cura del loro personale futuro.

 

***

 

Touma contemplava la figura che giaceva sul letto accanto al suo, gli occhi colmi di tristezza. Era certo che, questa volta, Seiji non facesse finta di dormire: non era assolutamente in grado di fingere un tale abbandono, una simile parvenza di fragilità, non avrebbe mai accettato di mostrarsi così senza difese.

In quella situazione, costretto, suo malgrado, a cedere alla stanchezza, lasciava trapelare tutta la sofferenza, tutto il male che gli era stato fatto.

La mano di Touma posata sulla coscia fremette e si serrò in un pugno, alle sue labbra sfuggì un ringhio; la rabbia che provava giunse quasi a spaventarlo, una parte di lui avrebbe desiderato riportare in vita i loro ultimi nemici, perché avrebbe voluto che pagassero ancora, loro che avevano osato ferire in quel modo la Luce, deturpare la sua purezza con il loro cinismo.

"Touma...".

Sollevò lo sguardo e vide Shin, fermo nella cornice della porta, un vassoio tra le mani ed un'espressione comprensiva e partecipe. Dopo aver attirato l'attenzione del compagno, reclinò il capo su una spalla e gli regalò un sorriso di fronte al quale Touma fu prossimo a sciogliersi.

"Riusciremo a fare ancora risplendere la sua luce, te lo prometto...".

Caro Shin, con la sua miracolosa capacità di leggere i pensieri altrui e di sfiorarli e carezzarli con delicatezza, la sua dolcezza che sempre sapeva trovare le parole più semplici e giuste: come riusciva a non risultare mai inopportuno, neanche nelle situazioni più critiche?

Touma ricambiò il sorriso e annuì.

"È solo che mi fa male vederlo così, insomma... stiamo parlando di Seiji e...".

Shin si mosse, fece qualche passo verso di lui.

"Non devi darmi spiegazioni, capisco perfettamente cosa intendi e hai ragione".

Si sedette accanto a lui, dopo aver posato il vassoio su un comodino.

"Spero che almeno, quando si sveglierà, voglia mangiare qualcosa, ne ha bisogno".

Come Touma prima di lui, anche Shin si perse ad osservare Seiji: in quell'atteggiamento di assoluta inconsapevolezza, al fascino innato che gli era proprio, il samurai della Luce univa una sorta di tenero incanto, che gli apparteneva invece un po' meno e che, forse, proprio per questo, risultava tanto struggente da far male al cuore.

La mano di Touma gli sfiorò la fronte, riportandolo alla realtà.

"Touma... cosa c'è?".

"Hai gli occhi lucidi, volevo sentire se hai la febbre".

Suiko arrossì con violenza e distolse, un po' goffamente, lo sguardo.

"N... no... forse sono solo... stanco…".

"Ah, ah, ho ottenuto una vittoria, te l'ho fatto ammettere, per una volta!".

Il rossore si fece più intenso e la testa di Shin si rannicchiò tra le spalle.

"Da quanto tempo non dormi, eh, Bocchan" lo incalzò Touma, "Tenendo presente che il tuo svenimento non è contemplato come momento di sonno".

Il rossore si trasformò in fuoco e Touma si stupì, una volta di più, di quanto il suo amico sapesse rendersi piccolo, simile a un cucciolo in determinati momenti; accadeva soprattutto quando si intimidiva perché troppo al centro dell'attenzione per i suoi gusti.

Shin non fece in tempo a rendersi conto del sorriso monello che comparve sul volto di Tenku: si sentì sollevare e si ritrovò tra le sue braccia. Per non svegliare Seiji si morse le labbra, soffocando l'urletto di sorpresa che uscì in una sorta di squittio, e si aggrappò d'istinto alla maglia del compagno.

Siccome il suo viso aveva ormai attraversato tutte le gradazioni del rosa e del rosso, per reazione passò ad un variegata miscela di colori, che si susseguirono e si alternarono senza tregua.

Solo quando furono fuori dalla stanza, siccome Tenku non si decideva a fornire spiegazioni, si concesse di alzare la voce:

"Touma, cosa vuoi fare?".

"Ti porto a nanna" rispose il samurai del Cielo, come fosse la cosa più naturale del mondo. Shin arricciò le labbra e il naso con un ringhietto.

"Chi te l'ha chiesto?".

"Non ho bisogno che me lo si chieda".

"Ma io voglio sentirmelo chiedere prima che si prendano decisioni arbitrarie a mio riguardo!".

"Se tu non sai decidere per te stesso, decido io".

"Touma!".

"Pesciolino...".

"Smettila di scimmiottarmi!".

"Il pesciolino si sta alterando" cantilenò Touma, aprendo la porta dell'altra camera loro offerta dallo zio di Shu, con un po' di fatica a causa del fardello che si dimenava tra le sue braccia.

Andò a mollarlo, con non troppa delicatezza, su uno dei due letti e fece un balzo indietro, appena in tempo per non essere colpito da una manina inferocita; intanto scoppiò a ridere: era sempre così, era troppo divertente, per lui, farlo arrabbiare... anche perché poi, di solito, si arrivava alle coccole.

"Uffa!" brontolò Shin, voltandosi su se stesso fino ad assumere una posizione prona e affondando la faccia nel cuscino.

Touma smise di ridere, ma sulle sue labbra rimase il sorriso, che passò da dispettoso a intenerito. Shin rimase fermo in quella posizione e il compagno andò a sedersi vicino a lui, sul bordo del letto; allungò una mano e la posò tra i suoi capelli, strappandogli un mugolo ed un appena percettibile movimento del capo, che mise tuttavia allo scoperto l'inconfondibile profilo dal nasino all'insù.

"Sei troppo poco reattivo per non essere stanco".

Era un'altra battuta, ma non pronunciata con tono canzonatorio; prese tra le dita una ciocca di capelli di Shin e ci giocò, sollevandola e intrecciandola intorno alle proprie dita. Suiko sospirò, dimostrando che non aveva più neanche l'energia sufficiente a negare.

"Il Bocchan ha tanto sonno..." sussurrò Touma.

Le labbra di Shin emisero un flebile lamento di disappunto, non troppo convinto. Quella mancanza di reazione incoraggiò Touma a rincarare la dose.

"Le coccole ti conciliano, eh?".

"Touma...".

Quello avrebbe dovuto essere un avvertimento, ma la voce continuava ad essere morbida... e troppo bassa per risultare agguerrita. Alle orecchie del ragazzo di Osaka risuonò più come rassegnazione e gradimento.

Touma si lasciò scivolare a terra e si mise in ginocchio, incrociò le braccia sul materasso e vi posò sopra il mento, vicinissimo al viso di Shin. Poté così vedere che i suoi occhi erano assenti, non del tutto aperti, velati dal sonno.

"Anche io sono così carino, quando sto per addormentarmi?".

Gli occhi di Shin tentarono, senza successo, di aprirsi per bene, ma fu sufficiente la nuova ondata di rossore a rendere evidente l'effetto che quelle parole avevano avuto su di lui.

"Non sforzarti di darmi a tutti i costi una lezione, cucciolo, arrenditi al sonno".

Non lo stava prendendo in giro in quel momento, era serissimo e voleva davvero che il suo compagno si arrendesse alla stanchezza, all'evidenza che aveva bisogno di riposare.

"Fai il bravo, chiudi gli occhietti".

"Touma... dai, smettila...".

Questa volta era un pigolio, accompagnato da un abbarbicarsi al cuscino quasi volesse rifugiarsi in esso.

"Promettimi di dormire un po' e io la smetto".

"E tu smettila di parlarmi come se fossi un bambino piccolo e, forse, proverò a dormire".

"Quando la smetterai di parlare con un tono da bimbo, io la smetterò di giocare a fare il papi".

Mentre pronunciava le ultime parole, Touma era sul punto di scoppiare a ridere, ma volle trattenersi, perché Shin era chiaramente prossimo a crollare; non voleva rischiare di risvegliarlo del tutto.

"Touma…".

Quello era il richiamo che, di solito, accompagnava il totale abbandono.

"Dimmi, Shin-chama...".

"Mi... accarezzi ancora?".

Il sorriso di Tenku si fece più intenso: come sottrarsi a una simile richiesta? Riportò la mano tra i suoi capelli e si diede, senza farsi pregare oltre, ad una serie di grattini affettuosi.

Scesero tra loro alcuni istanti di silenzio, tanto che Touma si convinse di avere ormai ottenuto la completa vittoria ma, dopo un po'...

"Touma...".

Sorrise ancora, rassegnato.

"Che c'è?".

"Dovresti... andare da Seiji...".

"Appena sarò certo che farai il bravo, ci andrò".

Sotto gli occhi già chiusi comparve una smorfietta.

"Io sono sempre bravo...".

"Già...".

In quel momento non credeva di poter rispondere altro, lo riteneva fin troppo vero.

Proseguì in silenzio con i grattini, finché...

"Touma...".

Un sospiro un po' esasperato gli scosse il petto.

"Ora, però, non stai facendo tanto il bravo".

"Cattivo...".

"Dai, dimmi" ridacchiò.

Shin non rispose subito, solo dopo parecchi istanti le orecchie di Touma furono sfiorate da un carezzevole sussurro:

"Grazie...".

Touma sbuffò.

"Quanto fiato sprecato, dormi!".

"Ingrato... " mugugnò Shin ma, con ogni evidenza, le sue reazioni erano sempre più lente .

"É che tu chiacchieri troppo anche quando stai già praticamente dormendo".

Rimase in attesa di una nuova protesta che, tuttavia, non giunse mai; interruppe i grattini e lo osservò più attentamente.

Gli occhi erano inequivocabilmente chiusi, dalle labbra appena aperte fuoriusciva il respiro fattosi profondo; il sorriso di Touma divenne trionfante, lo contemplò per alcuni istanti, quindi si allungò a posargli un bacio sulla guancia, ben attento a sfiorarlo appena. Poi sussurrò, mentre si alzava:

"Cerca di rilassarti un po', pesciolino, almeno nei sogni".

Ora sì che sarebbe andato da Seiji. Il suo Seiji che aveva bisogno di aiuto, ma che non l'avrebbe mai ammesso, tanto più difficile recare conforto a lui di quanto lo fosse donarlo a Shin. Eppure doveva farlo, perché quello che gli era stato fatto era troppo difficile da sopportare, anche per una persona come Seiji.

Mentre percorreva la distanza che lo separava dalla sua meta, si rese conto di quanto battesse forte il suo cuore, tanto che sembrò volergli esplodere in petto nel momento in cui aprì la porta.

Seiji era ancora lì come l'aveva lasciato, sempre indifeso e, in un certo senso, Touma provava un senso di smarrimento profondo: era sempre stato Seiji il più forte tra loro, come si poteva proteggere uno come Seiji? Era facile, veniva quasi spontaneo proteggere Shin, Shu, a volte persino Ryo, ma Seiji era un'altra storia.

Seiji si tese un poco nel sonno ed emise un lamento leggero, tuttavia chiaro alle orecchie di Touma. Mai, prima d'allora, l'aveva udito lamentarsi nel sonno; era successo più volte a tutti loro, ma mai, assolutamente mai al samurai della luce e Touma non poteva sopportarlo.

Come non sopportava quella frustrante sensazione di impotenza; si fosse trattato di qualunque altro dei suoi nakama... Sobbalzò e, con passetti timidi e leggeri, si avvicinò di più al letto di Seiji, dove rimase fermo per qualche istante, con gli occhi sgranati. Era sul punto di commettere una follia?

Seiji era girato su un fianco, un ginocchio un poco ripiegato e le mani accanto al volto. Era scoperto, contrariamente al suo solito, indice che si era addormentato senza neanche rendersene conto... ed anche questo non era da lui. La sua stanchezza doveva avere superato tutti quei limiti oltre i quali neanche Seiji poteva spingersi.

Stanchezza... e disperazione anche.

Già mentre elaborava tutte quelle considerazioni si stava chinando e, dopo poco, si trovò accanto a Seiji, rannicchiato in un angolino, quasi timoroso alla sola idea di respirare, perché essergli così vicino, dopo averlo scoperto così fragile... come l'avrebbe presa, Seiji, se si fosse svegliato?

I loro volti si sfioravano, poteva percepire sulla pelle il respiro caldo e morbido del compagno; si perse a guardare quelle ciglia che vibravano un poco, agitate da qualche sogno che Touma sapeva non bello e avrebbe voluto fare qualcosa per renderlo appena un po' migliore, magari... posando un bacio proprio lì, sulle ciglia bellissime e lunghe.

Quando un nuovo lamento sfuggì alle labbra di Seiji, Touma non resistette, varcò la pochissima distanza che li separava e posò le labbra sulle sue palpebre, lievemente, le sfiorò appena e si ritrasse subito, spaventato come se avesse varcato una soglia proibita; ma quando Seiji si mosse, agitandosi maggiormente, lo spavento si mutò in terrore: l'aveva dunque svegliato? Come avrebbe preso la sua invadenza, nel vederlo lì?

Con un balzo si mise seduto e gli diede le spalle, pronto a fuggire via, sperando di riuscire a farlo prima che Seiji aprisse definitivamente gli occhi, ma gli fu impedito da una mano che si chiuse intorno al suo polso. Si irrigidì e un brivido lo attraversò da capo a piedi; non sapeva come reagire, così rimase immobile in attesa, aspettandosi tutto e niente.

"Touma...".

Sussultò, eppure quel richiamo... non vi era rabbia, seccatura. Qualcosa, in quel tono, lo spinse a voltarsi. Seiji lo stava guardando e in quegli occhi di ametista Touma lesse... supplica? Richiesta? Da parte di Seiji?

"Non te ne andare...".

Il samurai del cielo deglutì, la sua rigidità si accentuò per un istante, ma poi quello sguardo, quelle dita a contatto con la sua pelle... tutto, nell'atteggiamento di Seiji, contribuì a farlo sciogliere. Deglutì ancora.

"Lo vuoi... davvero?".

Che stupidaggine! Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire... Eppure lo sapeva benissimo che Seiji non avrebbe mai chiesto nulla se non l'avesse voluto davvero. Già il fatto che chiedesse qualcosa era da considerarsi straordinario.

Le dita sul suo polso ebbero un tremito e la loro stretta si allentò.

"Sempre che tu voglia...".

Touma si morse le labbra, era troppo da sopportare... quella timidezza, quella delicata cortesia e quella visione così eterea che colpiva i suoi occhi. Seiji sembrava quasi... malato...

Si inclinò all'indietro, verso di lui. Si sentì improvvisamente tanto preoccupato da non poter sopportare l'ansia.

"Stai bene?".

Altra domanda stupida; perché Seiji lo rendeva così irrazionale, lui che era la mente del gruppo?

"Il coglione del gruppo" borbottò tra sè, ma Seiji non potè non udirlo ed inclinò il viso in una muta domanda. E Touma si trovò a pensare che glielo facesse apposta a mostrarsi così disarmante, a tirare fuori lati di sè che nessuno avrebbe immaginato potessero esistere.

Si voltò del tutto verso Seiji e raccolse le gambe sul letto, quindi si sdraiò nuovamente accanto a lui, questa volta senza paura di venire aggredito, ma sempre con una buona dose di timore reverenziale; Seiji si mosse quel tanto che bastò per consentirgli una maggiore comodità e gli portò una mano alla tempia, giocando teneramente con i suoi capelli e facendolo avvampare dentro e fuori.

"Stavi vegliando su di me?".

Touma arrossì ulteriormente: in momenti come quello si sentiva davvero affine a Shin.

"M... mi... se... sembra... il minimo" balbettò ed inghiottì nervosamente.

"Sono davvero difficile da trattare, vero?".

"N... no.. o che... che dici?".

Incapace... si sentiva un totale incapace!

"Sì invece e ti devo chiedere scusa per come ti ho trattato".

"Ma... ma no, tu... tu hai... sei stato...".

Un dito si posò sulle sue labbra.

"Non provare a giustificarmi; anche a Shin dovrò chiedere scusa, sono stato odioso".

"Shin ha già dimenticato, credimi... lo sai come è fatto...".

"Ciò non toglie che non meritava il mio comportamento e...".

Fu la volta di Touma di posargli un dito sulle labbra; la sua sicurezza stava crescendo.

"Ascolta, Seiji, non siamo dei bambini, siamo in grado di capire quello che hai passato e ti vogliamo bene, e siamo anche in grado di capire che nessuno di noi sarebbe stato in grado di affrontarlo come l'hai affrontato tu...".

"Touma!".

Il ragazzo di Osaka si bloccò in un'espressione impaurita; il tono di Seiji si era fatto duro, nei suoi occhi era tornata a brillare l' antica luce. Ma fu un attimo e di nuovo quella luce si spense.

"La verità è che non l'ho affrontato, Touma, devo ancora trovare il modo".

Touma sbattè le palpebre, aprì le labbra e le richiuse, poi le aprì di nuovo e, questa volta, riuscì a pronunciare le parole che il cuore gli suggeriva:

"E allora lo affronteremo insieme, siamo sempre preparati a tutto se siamo insieme, non c'è stato nulla che non siamo stati in grado di affrontare!".

Seiji ricambiò il suo sguardo con una sorta di tristezza, che non scomparve neanche quando sul suo volto si formò un malinconico sorriso.

"Già..." mormorò.

"Non mi sembri convinto" borbottò Touma.

Anziché rispondere, Seiji gli accarezzò i capelli e mantenne quello strano sorriso.

"Touma... " chiamò dopo un po'.

Un sospiro rassegnato scosse il petto dell'arciere.

"Dimmi...".

"Torniamo a casa?".

Gli occhi di Tenku si sgranarono, il ragazzo rimase interdetto ed era ancora incerto quando balbettò:

"Lo... vuoi davvero?".

"Chiederei mai qualcosa che non voglio?".

"No... lo so...".

Tra loro intercorse un silenzio così intenso che neanche un fiume di parole si sarebbe rivelato più significativo, solo i loro sguardi parlavano e comunicavano ma, nonostante questo, vi era qualcosa, negli occhi di Seiji, che suggeriva a Touma come, in realtà, il cuore del compagno fosse più distante che mai, tanto da spaventarlo.

"Quando vuoi partire?" chiese, colto dall'improvviso bisogno di spezzare quella cappa di tensione che l'aveva colto.

"Il prima possibile, temo di non amare molto gli Stati Uniti".

"Posso capirti..." commentò Touma, serio serio.

Quell'espressione così contrita strappò a Seiji un mesto sorriso.

"È che mi manca il Giappone...".

"Anche a me, ma dovunque sei tu... io...".

Non riuscì a continuare, sperò ardentemente che Seiji terminasse la frase al suo posto, nel modo in cui Touma sperava, invece l'erede dei Date rimase in silenzio: anzi, Touma ebbe l'impressione che i suoi strani occhi d'ametista assumessero una sfumatura per lui inquietante, gli sembrò volessero estraniarsi.

"Vai a dire ai ragazzi se possiamo partire subito?".

Il ragazzo di Osaka si accigliò, perché quell'invito risuonò alle sue percezioni in tutt'altro modo, ovvero come: Mi lasci solo, per favore?

Molto educato... ma molto distante... troppo cortese, troppo formale.

Esitò, una parte di lui desiderava restare, ma era ancora tanto presente quel Touma che, di fronte ad alcuni aspetti di Seiji, aveva l'istinto di scappare via, il più lontano possibile... e Touma detestava quel lato di sé, amava Seiji a tal punto... che proprio nei momenti più difficili avrebbe dovuto sentire ancor più bisogno di stargli vicino.

Con un senso di oppressione sul petto, Touma si alzò, più goffamente di quanto avrebbe voluto; la distanza che lo separava dalla porta e che percorse, attendendo e sperando invano che Seiji gli parlasse, gli parve interminabile.

Aveva la mano sulla maniglia, la porta era ormai aperta per metà quando la sua speranza si concretizzò.

"Touma...".

Si voltò appena, mostrando al compagno il suo profilo.

"Dimmi, Seiii...".

"Grazie...".

In realtà aveva sperato in qualcos'altro; chinò il capo con un sospiro.

"Non devi ringraziarmi affatto...".

Quando si fu chiuso la porta alle spalle, l'oscurità del corridoio lo avvolse e, suo malgrado, dovette cacciar via nervosamente, con una mano, la presenza molesta di una lacrima.

 

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Capitolo 4
*** 3 ***


- 4 -


La porta di casa si aprì, lasciando che il chiarore del sole illuminasse un poco la penombra dell'interno; le figure di due ragazzi scivolarono dentro con fare un poco furtivo, guardandosi intorno, simili a due bimbi curiosi.
"Secondo te dove sarà Shin?" Chiese il primo.
"Forse... nella nostra camera" rispose il secondo.
Il ragazzino più piccolo e robusto storse il naso:
"La vostra, vorrai dire".
"Avanti, Shu, non ti metterai a fare il geloso".
"Certo che lo sono, lo sono eccome, di tutti e due!".
Il compagno gli si piazzò davanti, mani sui fianchi e naso arricciato:
"Lo sai benissimo come sono andate le cose, ti eri arrabbiato ed eri scappato, ancor prima che potessimo decidere di dormire tutti insieme!".
"Ma perché tu..." iniziò Shu, infervorandosi man mano, ma poi si bloccò e si arruffò i capelli con le mani. "Oh, accidenti! Stiamo ricominciando!"
"E allora smettiamola subito e andiamo a vedere se Shin é in camera".
Ci fu uno scambio di sguardi, labbra in fuori e naso arricciato, le mani di entrambi sui fianchi, passò così qualche istante di immobilità, poi entrambi annuirono e si diressero a passo sicuro verso le scale, ma quando le imboccarono si ostacolarono a vicenda. Da entrambi si levò un'esclamazione di disappunto:
"E sta attento!"
Shu fece un passo indietro e tese una mano ad indicare il piano di sopra, quindi levò il naso per aria:
"L'onore al grande capo".
I pugni di Ryo si strinsero lungo i fianchi, il viso si mutò in una smorfia quasi scandalizzata:
"Ma perché devi essere così scemo?"
Gli diede le spalle e salì le scale con espressione impettita, mentre Shu gli saltellava dietro ridacchiando.
"Chi apre?" domandò Ryo, fermandosi davanti alla porta della stanza, "sempre il grande capo?".
"Mai mandare avanti il capo davanti ad una porta chiusa" sentenziò Shu, "non si sa mai quali pericoli potrebbero nascondersi al di là".
Nel frattempo posò la mano sulla maniglia e fece per abbassarla, ma la mano di Ryo si posò sulla sua:
"Non sarà meglio bussare?".
"Ma voglio fargli una sorpresa!".
Senza attendere ulteriori commenti, abbassò la maniglia e aprì, ma lentamente, scoprendo così, a piccoli tratti, la figura addormentata sul letto, raccolta su un fianco, il viso rivolto nella loro direzione e le mani sollevate accanto ad esso.
Deglutirono nel medesimo istante mentre avanzavano di qualche passo.
"Quanto mi è mancato" sussurrò Shu, "e neanche me ne rendevo conto...".
"Avevo... un tale bisogno di lui... e non lo capivo..." gli fece eco Ryo.
Si mossero all'unisono, simili ad un reciproco riflesso di uno specchio, a piccoli passi, fino ad accovacciarsi entrambi ai piedi del letto, le espressioni così rapite da lasciar credere che stessero contemplando un'immagine sacra.
Rimasero assorti nei propri pensieri per un po', prima che un nuovo sussurro di Ryo si facesse udire:
"È tanto carino, vero?".
"È un pesciolino adorabile...".
"Sai una cosa, Shu?"
"Che cosa, Ryo?"
"Io credo che... sembriamo un po ' scemi".
Il dialogo si svolse senza che i due ragazzi mutassero l'espressione dei loro volti, ancora calamitati da quello che era, per entrambi, un magnete.
Il bacino di Ryo oscillò in avanti, tutta la sua figura si tese verso il bell'addormentato e finì per posargli un bacio sulla punta dal naso che si arricciò, mentre le labbra si schiusero e vennero lambite inconsapevolmente dalla lingua, appena spuntata. Lì accanto, Shu assistette ad ogni frammento di quelle reazioni di Shin e la sua testa prese a vorticare in preda ad una strana euforia.
Disturbato nel suo sonno, il fanciullo dell'acqua si mosse, stirò le proprie membra e si ritrovò in posizione supina, le braccia sollevate e le mani accanto al viso, i dorsi poggiati sul cuscino, un ginocchio appena ripiegato ed il volto morbidamente reclinato su una spalla. Gli sfuggì anche un sussurro, non comprensibile, forse non un'autentica parola, ma un semplice, piccolo lamento; tuttavia non si svegliò.
Un unanime sospiro scosse le spalle dei due ragazzi in contemplazione e, questa volta, il loro coro di innamorati penetrò i sogni della comune fonte di desideri, scosse i suoi sensi, spingendo le sue palpebre a tremolare un poco, fino a schiudersi. E la prima immagine che colpì la vista di Shin furono i due sorrisi estatici, le due paia di occhi brillanti ed incantati.
Lo sguardo di Shin si riempì di incertezza e smarrimento, evidentemente credeva di trovarsi ancora immerso in un sogno, non si era reso conto del proprio risveglio; aprì le labbra, uscì un flebile suono, ma non prese un senso compiuto. Eppure quell'espressione, quel lieve suono, segnarono per Ryo l'incapacità di resistere ancora. I suoi occhi si inumidirono, nella gola si formò un nodo che incrinò la parola cui le sue labbra diedero vita:
"Perdonami...".
Gli occhi di Shin si sgranarono, un altro gemito gli sfuggì, ma venne coperto dall'impeto di Shu:
"Perdona anche me, pesciolino!"
Il suono successivo fu il fruscio del lenzuolo, quando Shin tornò su un fianco e, appoggiandosi sulle mani, si sollevò un poco; era chiaro come l'emozione fosse sua padrona, le sue iridi di smeraldo erano ancora velate di confusione, paura persino... Paura di cosa? Di continuare ad illudersi?
Sollevò una mano a stropicciarsi gli occhi e, in quel momentaneo stato di cecità, si trovò assalito da quattro braccia che lo avvolsero, il suo viso venne bagnato dalle loro lacrime; ancora preda della propria inconsapevolezza, mosso dall'istinto, non potè fare altro che rispondere all'abbraccio, stranito, conscio unicamente del pulsare impazzito del cuore, del bruciore delle sue stesse lacrime che, però, non uscirono, rimasero sull'orlo delle palpebre, prevalse l'impulso che per il ragazzo di Hagi era sempre il più urgente: le sue mani presero a carezzare, la sua voce a sussurrare parole semplici che recavano conforto.
E nel balsamo lenitivo di quelle attenzioni affettuose, i singhiozzi dei due ragazzi finirono per placarsi, così ci furono istanti di silenzio, durante i quali Shu si accoccolò a terra, le braccia incrociate sul letto, il mento su esse, a contemplare Shin dal basso verso l'alto, l'espressione di un cucciolo adorante che supplicava continue attenzioni. Ryo invece si arrampicò sul letto, si mise carponi, tese il viso verso quello di Shin:
"Ci... perdoni?"
Le mani di Suiko raggiunsero le guance di Rekka, sulle sue labbra tornò il sorriso, il più spontaneo regalo e dimostrazione d'amore che sapeva rivolgere agli altri, ma ancora non aveva del tutto deposto la confusione, il timore che quelle due figure non fossero realmente lì, accanto a lui:
"Non... c'è niente che io debba perdonarvi, io... mi sentivo male perché... non sapevo come... come starvi vicino, come... esservi d'aiuto..."
Di riflesso, la mano di Ryo sfiorò la guancia di Shin:
"Siamo noi che non abbiamo saputo accettare il tuo aiuto... e non so perché. Forse... paura di noi stessi... e dei nostri animi confusi".
"E io ti ho anche trattato male!" piagnucolò Shu.
"Ma anche io l'ho trattato male" protestò Ryo.
"Di sicuro non quanto me! " ribattè Shu.
"Sicuramente anche di più" si impuntò Ryo, ergendosi in ginocchio sul letto, le mani sui fianchi. Stava diventando una questione di principio.
Shin non poteva crederci, si mettevano a litigare anche su chi si era comportato peggio con lui. I suoi occhi perplessi corsero un po' di volte dall'uno all'altro, poi si sollevò all'altezza di Ryo, con una risata mise una mano dietro al suo collo e l'altra dietro al collo di Shu e, imprimendo una forza invidiabile alle proprie manine, li tirò verso di sè, finché i loro volti affondarono nel suo grembo. Seguirono istanti di immobile silenzio, i due visi appena visibili divennero di fuoco, così come quello di Shin... quella posizione non aiutava certo l'autocontrollo e Shin non si era reso conto di essere...
"Eccitato?" fu il roco sussurro di Ryo, che però proseguì con curiosa sicurezza, "ti sei eccitato, pesciolino?"
Gli rispose un gridolino scandalizzato, mentre Suiko si copriva il volto con le mani.
"Ma che dici?" gnaulò in un sottile pigolio.
A questo punto, Rekka non trattenne una risatina:
"Dico quello che ho sentito".
Mentre Shin piagnucolava ancora, Shu si ritrasse, imbarazzato quasi quanto lui, borbottando qualcosa con occhi che vagavano ovunque.
L'imbarazzo di Ryo, invece, era svanito quasi subito, sostituito dalla prospettiva di un divertimento intrigante ed allettante; risultò bizzarramente simile a un gatto mentre strisciava in avanti, fino a trovarsi, pericoloso e sensuale, del tutto appiccicato a Shin, dal canto suo talmente terrorizzato da quelle inattese avances che arretrò fino ad appiattirsi contro il muro alle sue spalle. Purtroppo per lui, più indietro di così non poteva andare e Ryo lo serrò, senza via di scampo, tra se stesso e la parete; ciò che mise maggiormente in crisi Shin fu il suo strofinarglisi addosso. Ryo era un piccolo delinquente, sapeva benissimo quanta fatica facesse l'amico a resistere a certi approcci e, soprattutto, quanto gli fosse impossibile non rispondere; per questo, pochi istanti dopo, Shu assistette agli eccitanti movimenti del bacino di Shin che si strusciava contro quello di Ryo, mentre un disperato fanciullo dell'acqua gemeva sussurrando al fanciullo del fuoco di smetterla.
"Ma io voglio farmi perdonare" ansimò Ryo, mentre con il viso cercava di costringere l'altro a sollevare il proprio e riuscendo, infine, a mettere in contatto i loro nasi.
"Non c'è nulla di cui devi farti perdonare" piagnucolò Shin, i pugnetti sollevati davanti alla bocca, gli occhi serrati perché in momenti come quello non osava guardare in faccia chi lo circondava... e in qualche modo si illudeva di perdere di vista persino se stesso.
"Ma io...devo dimostrarti che ti amo...".
La voce di Ryo si era addolcita, non era malizia la sua, solo la più spontanea sincerità.
"Io lo so che mi ami...".
Certo che lo sapeva, solo aveva creduto che un certo tipo di amore fosse finito, aveva temuto...
L'impulso del momento si era placato, di fronte al sopraggiungere della complessa realtà nella quale si trovavano immersi; le mani di Shin ricaddero in grembo e, con un sospiro, il ragazzo prese a fissarsele, mesto.
Anche Ryo aveva abbassato lo sguardo, quella città lo stava opprimendo, sentiva il bisogno di tornare in Giappone, alla realtà cui apparteneva e che conosceva, anche se non avrebbe potuto non portarsi dietro i ricordi.
D'altronde, dimenticare tutto avrebbe significato dimenticare Luna e certo non era quello che avrebbe voluto.
" Dovremo... prenderci cura di Seiji, da questo momento in poi...".
Shu sembrava avergli letto nel pensiero. Certo, Seiji era la priorità e Ryo aveva tutta l'intenzione, adesso che era tornato in sé, di dedicare ogni energia a dare il proprio contributo, perché il suo compagno si lasciasse alle spalle la tragedia e i sensi di colpa. Ma come si poteva pretendere che una persona come Korin non si sentisse responsabile per tutte quelle morti causate dalla sua yoroi?
Shin scambiò uno sguardo triste con Shu ed annuì.
"Purtroppo... è così evidente che non sta bene... " mormorò, abbassando di nuovo gli occhi, "anche se cerca di fare finta di nulla, ma... se lo si conosce é impossibile non rendersene conto...".
Un sussulto lo scosse quando la mano di Ryo si posò sulla sua:
"Tu e Touma non sarete più da soli a prendervi cura di lui" .
La mano di Shu raggiunse quella del compagno:
"Saremo insieme... e scusaci pesciolino, scusaci ancora tanto...".
Shin riuscì solo a scuotere il capo, perché sapeva che, se avesse provato a rispondere, non sarebbe riuscito a frenare il pianto.
Ryo, invece, neanche ci provò, le lacrime sfuggirono copiose al suo controllo e si passò l'avambraccio sugli occhi, sfregandoli con una tale energia da irritarli.
Di fronte a quel nuovo crollo del loro leader, neanche Shu poté trattenersi oltre ed una nuova ondata di pianto gli fece, dapprima, tremare solo le spalle, per poi riversarsi all'esterno, i singhiozzi soffocati sulle cosce di Shin che, intanto, accarezzava i suoi capelli e trascinava Ryo al suo fianco. Così, i visi di Ryo e di Shu si trovarono di nuovo vicini, sulle gambe di Shin e lui continuò ad accarezzarli, imponendosi di non piangere lui stesso, perché l'importante era che i suoi nakama ricevessero tutto il conforto di cui avevano bisogno; li aveva ritrovati, erano lì con lui e per lui era questo l' essenziale.
Le sue dita tra i loro capelli, l'intimità così speciale finalmente ritrovata, lenirono, lentamente, i tormenti ed il pianto si trasformò in dolce abbandono; dai loro respiri regolari e profondi, Shin intuì che erano piombati nel sonno. Sorrise, rassegnato alla prospettiva di dover restare, per un bel po', in quella posizione non troppo comoda e prevedendo che quando avrebbe potuto muoversi le sue gambe sarebbero state anchilosate; eppure, non avrebbe mutato quella condizione per niente al mondo.
Continuando a sorridere chiuse gli occhi e gettò indietro la testa, imponendo a se stesso di concentrarsi unicamente sulla sensazione di benessere che derivava dal contatto con i loro corpi.
E ci sarebbe riuscito se la porta non si fosse aperta con un'energia ben poco contenuta, non tanta da strappare al sonno i due ragazzi, ma abbastanza da far sobbalzare Shin, il cui sguardo si incrociò, subito dopo, con quello di un Touma sorridente come non lo vedeva da giorni.
Le iridi cobalto di Tenku corsero da lui ai due addormentati e, dopo l'attimo di stupore, il sorriso si accentuò, assumendo i connotati, così da lui, di un ghigno dispettoso:
“La mammina ha cullato i suoi due cuccioli e magari ha anche cantato una ninna nanna? Come siete carini!”
Il “baka” ferocemente sussurrato per non svegliare i 'cuccioli' ed il cuscino che attraversò la stanza furono pressoché contemporanei; Touma fu abbastanza lesto da fare dietro front e chiudere la porta dietro di sé, cosicché il cuscino sbatté contro la superficie di legno, lasciando incolume il bersaglio predestinato.
Passò solo qualche istante di sospensione e la porta si riaprì, mettendo l'uno di fronte all'altro, un visetto imbronciato ed un altro, che faceva capolino, dispettoso e provocante:
“E comunque, il signorino Date ha espresso il desiderio di tornare a casa!”
Shin tirò su le spalle e sbatté le palpebre, il broncio si trasformò in stupore, poi in sorriso gioioso.
Tornare a casa... che bel suono avevano quelle poche parole, era il messaggio di speranza, la consapevolezza che tutto sarebbe andato bene, se solo l'avessero voluto.
Ombre, paure... c'erano, ci sarebbero sempre state, ma non voleva pensarci, ora c'era Seiji, c'era da guarire l'anima di un amico e l'avrebbero fatto insieme.
Annuì, non vi era altro da aggiungere, se non trovare, nelle proprie stesse parole, la conferma che la luce sarebbe tornata a splendere:
“Va bene... torniamo a casa...”.











 

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