Night and Day

di Sakyo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nuova vita ***
Capitolo 2: *** La scuola ***
Capitolo 3: *** Guai in vista ***
Capitolo 4: *** Castighi e nuovi incontri ***
Capitolo 5: *** Gioielli e bernoccoli ***
Capitolo 6: *** A casa di Castiel ***
Capitolo 7: *** Ricordi del passato ***
Capitolo 8: *** Regali inaspettati ***
Capitolo 9: *** La gita - 1ª parte ***
Capitolo 10: *** La gita - 2ª parte ***
Capitolo 11: *** Dolce amaro ***
Capitolo 12: *** Incomprensioni ***
Capitolo 13: *** La fine e l'inizio ***
Capitolo 14: *** Fuga ***
Capitolo 15: *** Night and Day ***



Capitolo 1
*** Nuova vita ***


Night and Day
Capitolo 1



Non mi erano mai piaciuti i traslochi.
Non tanto per il doversi separare dalle persone e dai luoghi, quanto per il fatto che erano una vera e propria rottura. Dove avrei infilato tutte le mie indispensabili cianfrusaglie? Mi ci sarebbe voluta come minimo un'eternità, e la mia indole pigra di certo non aiutava nell'impresa.
Ero comodamente seduta sul mio letto a gambe incrociate, caramelle gommose alla mia destra e tutta l'attenzione rivolta alla rivista di basket poggiata sulle cosce. Già, basket. Di primo acchito potrebbe risultare un hobby un po' particolare per una ragazza, ma particolare è un aggettivo che viene usato spesso per descrivermi. E poi, al di là di tutto, i giocatori di basket sono fighi da far paura. Mi sono sempre piaciuti gli uomini alti e belli grossi! Ma non divaghiamo...
Ero comodamente seduta sul mio letto a non far nulla di produttivo per la società quando mio padre bussò alla porta della stanza. Come al solito, non si preoccupò di aspettar risposta prima di entrare.
- Papà - lo richiamai con tono rassegnato - Non ti è venuto in mente che aprendo la porta avresti potuto trovare tua figlia impegnata in calorose effusioni con un ragazzo? -
Mio padre, un uomo giovanile di quarantasette anni, sgranò gli occhi sbalordito.
- Da quando hai un ragazzo?! -
- Non è questo il punto... - dissi esasperata. Ma con lui, era sempre così. Non lo dico con cattiveria o altro, è semplicemente una constatazione obiettiva: mio padre è un po' tonto. Questa sua caratteristica mi diverte e mi innervosisce allo stesso tempo. Ormai però lo conosco da diciassette anni, posso dire di averci fatto abbastanza l'abitudine.
- Piccola, io alla tua età non pensavo all'amore - esordì con tono contrariato e vagamente filosofico.
Ecco, come dire... La sua faccia da ragazzotto invecchiato, con la barba incolta e le occhiaie pronunciate (per non parlare dei capelli, si è mai visto un uomo di mezza età senza l'ombra di un capello bianco?) mal accompagna quel tipo di frasi che tanto ama pronunciare. Ahimè, ancora non si capacita che avanzando di età si dovrebbero mitigare alcuni atteggiamenti.
- Oh, quindi deduco che le foto di te e mamma ventenni sposini novelli siano solo fotomontaggi - dedussi io, curiosa della sua risposta.
Lui stette in silenzio qualche istante, come a pensare a chissà quale interessante teoria, poi esordì:
- Erano altri tempi, quelli -
Vi aspettavate una frase intelligente? Beh, io no.
- Mmmh, certo... - dissi, prendendo una caramella gommosa a forma di orsetto e portandomela alla bocca.

- E quelle cosa sono? - chiese mio padre guardando la bustina di caramelle accanto a me.
Elefanti rosa, avrei voluto rispondere, ma decisi di rimanere in silenzio.
- Non ti fa bene mangiare quella roba, Emma. -
Lo guardai inarcando le sopracciglia. - Questo momento-rimprovero andrà avanti per molto? No, perché avrei anche altro da fare... - dissi, sfogliando una pagina del giornale e imbattendomi in una pubblicità di una famosa marca sportiva con due modelli stranieri semi nudi da far venire la bava alla bocca.
- Dovresti pensare a inscatolare la tua roba, piuttosto - mi riprese papà, con gli occhi fissi sulla montagna di vestiti che avevo tolto dall'armadio e buttato a casaccio in mezzo alla stanza. - Tra una settimana dobbiamo sgomberare tutto - mi ricordò.
- Lo so, lo so... Tra poco inizio, promesso -
- Questo l'hai detto anche ieri, e l'altro ieri, e il giorno prima ancora...-
Mi buttai all'indietro sul letto, e la mia testa fece un piccolo tonfo poggiandosi sul cuscino. Portai gli occhi al soffitto prima di rivolgermi a mio padre - Devi dirmi qualcos'altro? - sperai che capisse che il mio desiderio in quel momento era vederlo uscire dalla porta della mia stanza.
- Uhm, in effetti mi stavo chiedendo... Hai visto per caso la mia salopette grigia? E gli scarponi beige? In bagno c'è un cumulo di vestiti ma non oso metterci mano... -
Chiusi gli occhi, trattenendo un sospiro. Addio pomeriggio di ozio.
- E' in momenti come questo che sento di più la mancanza di mamma... - conclusi sarcasticamente, sebbene la mia frase nascondesse un fondo di verità.

Quando tre settimane prima papà venne ad annunciarmi il trasferimento, non la presi tanto male in realtà. Mi spiegò che l'azienda dove lavorava si stava per scindere in due parti, una parte dei dipendenti avrebbe continuato il lavoro nella nostra attuale cittadina, l'altra invece sarebbe stata trasferita in un comune della California di nome Fairfield. Ovviamente mio padre era stato destinato al secondo gruppo.
Di amicizie ne avevo ben poche. Ero da sempre una tipa abbastanza solitaria per carattere. Non per questo mi precludevo un po' di svago e divertimento con i miei amici, però avevo bisogno di alternare momenti di compagnia a periodi di conoscenza interiore con me stessa, semplicemente definibili come “non rompetemi le scatole” times.
Le persone che vennero a sapere del trasferimento furono tre. Io in realtà lo dissi solo a due, Alisha e Kate, le mie migliori amiche. La lingua lunga di Alisha però arrivò fino a Kentin detto Ken, un mio compagno di classe esageratamente appiccicoso e asfissiante. Non è che sia antipatico, però non ho mai digerito i tipi troppo opprimenti come lui. Fosse almeno un bel ragazzo, la cosa mi farebbe anche piacere... Ma obiettivamente madre natura è stata un tantino crudele con lui. Insomma, per quanto grave possa essere la sua miopia, non capisco perché si ostini a portare quegli orrendi fondi di bottiglia. Siamo nel ventunesimo secolo, che diamine!
Comunque la notizia giunse anche a lui, che decise in modo davvero poco saggio di auto invitarsi all'appuntamento che avevo organizzato con le mie amiche per salutarle prima di partire.
- Ken, cosa diavolo ci fai qui?! - chiesi irritata quando lo vidi seduto accanto a Kate sulla panchina di fronte la stazione.
In risposta lui mi sfoderò un sorriso che la diceva lunga sulla sua situazione dentale. In uno slancio di sentito altruismo sperai per lui che l'apparecchio che portava risolvesse presto i suoi problemi.
- Mi dispiace essere piombato qui di colpo senza avvisarti Emma, ma devo parlarti! -
Ecco, ci siamo, pensai. Il momento era arrivato. L'indole coraggiosa e romantica di Ken aveva deciso di uscire fuori proprio prima della mia partenza, e già mi immaginavo una squallida scenetta da film sentimentale di seconda categoria.
- Ehm, non ho molto tempo... Vorrei scambiare quattro parole con Alisha e Kate, sai, tra qualche ora dovrò affrontare un lungo viaggio e... - insomma Ken, fuori dalle scatole, conclusi nella mia mente.
Kate mi lanciò uno sguardo strano, come un genitore che non sa come dire al figlioletto che dovrà curare una profonda carie. Mi preoccupai.
Alisha mi diede un bacio sulla guancia e prese Kate sottobraccio. - Ci vediamo tra poco Em, ti aspettiamo dentro il bar! - mi disse prima di allontanarsi.
Ehi! Non esisteva un detto riguardo agli amici e a un fantomatico momento del bisogno?!
Lanciai un'occhiataccia a Ken, che di rimando mi regalò uno sguardo colmo d'amore e di fermento. Non stava più nella pelle. Pensai che con gli atteggiamenti che assumevo nei suoi confronti, dichiararsi sarebbe stato un atto assolutamente masochista da parte sua, e nemmeno molto giusto poiché mi avrebbe messo in evidente difficoltà. Decisi quindi di non lasciar spazio ai sensi di colpa.
- Allora... Cosa c'è? -
Ken congiunse le sue mani in segno di tensione. Quando parlò, la voce era molto pastosa, ma allo stesso tempo elettrizzata. - N... Non sarai sola nella nuova città!-
Io assunsi un'espressione interrogativa. - Eh? - Non capii bene cosa significasse ciò che aveva appena detto. Voleva farmi capire che non dovevo sentirmi sola?
- Emma... Anche io mi trasferisco a Fairfield! -
Quella frase risuonò nella mia testa per degli istanti che mi parvero interminabili, tanto che mi sembrò di sentirne addirittura l'eco.
- Cos... - Non riuscii a far uscire altro dalla mia bocca.
- Ricordi che i nostri genitori lavorano nella stessa azienda? Mia madre era stata assegnata al gruppo locale, ma una sua collega che doveva partire ha dei problemi e le ha chiesto se fosse disponibile a fare un cambio. Così, lei rimane qui mentre io e la mia famiglia ci stabiliremo a Fairfield! - il suo volto sprizzava gioia da tutti i pori.
Come avevo potuto dimenticare quel minuscolo ma indispensabile particolare? La madre di Ken era una collega di mio padre... Ma non avrei mai pensato che fosse di animo così gentile da prendere una decisione così importante per aiutare un'amica di lavoro. E dire che l'idea del trasferimento stava quasi iniziando a piacermi. Oltretutto non potevo neanche confidare nelle poche possibilità che lui si fosse iscritto ad un liceo diverso dal mio, dato che documentandomi su Fairfield avevo scoperto che era una cittadina davvero piccola e non abbondava di istituti scolastici.
Ken continuava a guardarmi e pian piano l'allegria descritta sul suo viso andava scemando.
- Emma... Non sei contenta? - mi chiese.
Non ti dico quanto, pensai. Il mio umore stava diventando pessimo. Avevo sempre tenuto un atteggiamento distaccato ma civile con Ken, facendogli capire che c'erano dei limiti da non superare. A quanto pare lui non l'aveva affatto compreso. Ma cosa potevo fare ormai? Per quanto mi potesse dar fastidio quella situazione, di certo non avevo il diritto di metter bocca su una decisione presa dalla sua famiglia.
Dovevo mettere le cose in chiaro, prima che fosse troppo tardi. Dovevo fargli entrare nella testa che era vietato farsi illusioni e che lui per me sarebbe rimasto in eterno un compagno di scuola secchione e rompiscatole. Dovevo... Prima che lui mi saltò letteralmente addosso stritolandomi in un abbraccio.
- Oh Emma! Scusami, ma non riesco proprio a trattenere la mia felicità! - esclamò in estasi.
- Ehi, ehi, ehi! Levati di dosso! -

Il resto del pomeriggio passò con l'euforia di Ken alternata al mio muso lungo e alle pacche poco incoraggianti delle mie due amiche.
Qualche ora dopo salutai le ragazze promettendo loro di scrivere molte e-mail. Ken invece sarebbe partito qualche giorno dopo di me. Tentò di salutarmi, ma me la filai prima che potesse anche solo sfiorarmi per sbaglio.
Quando tornai a casa, aiutai mio padre a caricare valigie e scatoloni dentro la macchina. Poi, con un ultimo sguardo alla mia vecchia casa e un nodo alla gola sempre più stretto, partimmo. Destinazione: la nostra nuova vita.



Note autrice: Salve! Era davvero tanto, troppo tempo che non pubblicavo una storia! L'ultima risale al  2008... Spero di non essere troppo arrugginita =S comunque... Ho deciso di tornare a scrivere occupandomi del GdR del momento: Dolce Flirt! Penso che se siate finite qui già sapete di cosa si tratta... Io l'ho scoperto da un mesetto, e devo dire che mi sta appassionando molto! Peccato per i PA, che credo siano la croce di molte xD Essendo ancora al quinto capitolo del gioco, alcune cose della storia di Dolce Flirt mi sono sconosciute, perciò se questa ficition vi appassionerà vedrò di stare al passo, di modo da non perdermi informazioni importanti da poter inserire anche nella mia storia. Se avete letto questo capitolo, avrete visto che dei due figoni ancora non v'è ombra (a proposito, il titolo 'Night and Day' si riferisce proprio a Castiel e Nathaniel) Per adesso ho solo voluto dare un'idea generale di Emma, la protagonista, e del rapporto che è costretta ad avere con il povero Ken... Ma non mi dilungo oltre... Nel prossimo capitolo ho intenzione di proporvi un esperimento! Per ora spero che questo sia di vostro gradimento!

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Capitolo 2
*** La scuola ***


Night and Day
Capitolo 2



Fairfield non era poi tanto diversa dalla cittadina dove avevo vissuto per diciassette anni. Un paio d'ore di esplorazione per le strade principali furono abbastanza per soddisfare le mie curiosità. Ero sicura che mi sarei abituata in fretta a quel posto nuovo ma in qualche modo familiare.
Una sera, pochi giorni dopo il nostro arrivo, diedi un'occhiata al depliant informativo del liceo Dolce Amoris a cui mi ero iscritta. Scoprii che era uno degli istituti più moderni della città, e che aveva una marea di club a cui potersi iscrivere... Quello che mi colpì fu il club di basket. Quando avevo undici anni la mamma si era finalmente convinta del fatto che non sarei mai diventata una ballerina ma che il mio futuro sportivo probabilmente risiedeva proprio nel basket. Qualche tempo dopo mi portò a fare un allenamento di prova che si concluse con una gamba rotta e un braccio fratturato. Un primo approccio decisamente passionale. Alle medie mi iscrissi al circolo scolastico di basket, ma ero l'unica femmina in mezzo a una dozzina di ragazzini puzzolenti e in avanzato sviluppo ormonale, e non riuscendo ad abituarmi a quell'ambiente finii per abbandonarlo quasi subito.
- Bisogna sempre dare una terza possibilità! - esclamai con spirito ottimista.

La metà di settembre era arrivata. La mattina del mio primo giorno di scuola mi sentivo un po' tesa. Sapevo per esperienza che le nuove conoscenze sociali mi rendevano sempre un po' impacciata, perciò sperai che quel giorno tutto filasse liscio come l'olio. Come abbigliamento, optai per qualcosa di molto semplice e poco appariscente: un jeans scuro e un dolcevita azzurro. Legai i capelli castani in una coda, lasciando scivolare sul collo e ai lati del viso qualche ciocca ribelle.
Arrivata in cucina, presi al volo dal tavolo una fetta di pane tostato che infilai in bocca e salutai mio padre.
- Aspetta, Em! -
- Fh fhè, babà? -
- Ieri sera ho ricevuto una mail dalla mamma di Ken, ho saputo che anche lui si è iscritto al tuo stesso liceo. Non è una bella notizia? -
Le mie speranze erano precipitate in un burrone e il malumore per il primo giorno di scuola aumentò fino a tramutarsi in un fastidioso mal di pancia.
- Fantastica - borbottai, poggiando il pezzo di pane sul tavolo. - Augurami buona fortuna papà, ne avrò bisogno -

Quando arrivai davanti l'edificio scolastico, dovetti farmi strada tra la folla di ragazzi che bloccavano il cancello dell'entrata. Il loro chiacchiericcio superava perfino il rumore delle automobili che sfrecciavano sulla strada adiacente.
- Permesso, permesso.. - dopo aver urtato all'incirca una dozzina di studenti, riuscii finalmente a raggiungere il portone d'ingresso. Ma ebbi l'improvvisa voglia di fare dietrofront.
- Emma! - Ken e il suo sorriso metallico si fiondarono giù dalle scale per venirmi incontro.
- Oh - fu l'unica parola che riuscii a pronunciare, sinonimo perfetto del mio entusiasmo.
- Come mai non hai risposto ai miei messaggi? Ti avevo chiesto di vederci prima che iniziasse la scuola... Beh, non importa, ora siamo qui! Insieme! Chissà se capiteremo anche nella stessa classe... -
Ti prego, ti prego, ti prego, risparmiami almeno questo. Prometto che imparerò a stirare le camicie di papà!
Il suono della prima campanella mi salvò da quel tormento, e con la scusa di trovare il bagno scappai letteralmente a gambe levate.
Dopo qualche minuto di continuo girovagare mi persi per i corridoi. Arrivai di fronte a una fila interminabile di armadietti e vidi che su uno di questi era poggiato un ragazzo con i capelli rossi e una giacca di pelle nera. Decisi di avvicinarmi per chiedergli indicazioni.
- Scusa, sto cercando il bagno... -
Ma lui aveva gli occhi chiusi, le mani nelle tasche dei jeans e fischiettava a bassa voce.
-Ehm, scusa... -
Ancora nessuna risposta. Che maleducato! Gli picchiettai la spalla con le dita, per cercare di catturare la sua attenzione. La mia vescica stava per scoppiare!
Al mio tocco, lui sgranò gli occhi e cacciò un urlo di spavento.
- Ma sei scema?! - mi rimproverò, portandosi una mano al cuore. Rimasi di stucco. Quel tipo aveva qualche rotella fuori posto.
- Ti stavo parlando ma tu non mi ascoltavi! - gli risposi giustificandomi. Lui mi lanciò un'occhiataccia e indicò le sue orecchie. Le cuffiette! Stava ascoltando la musica, ma non me n'ero accorta perché i suoi capelli erano abbastanza lunghi da coprire le cuffie.
- Ehm... - che figuraccia. - Volevo solo sapere dove fosse il bagno delle ragazze -
- Sei una novellina? Quanti anni hai, quattordici? - mi chiese con una smorfia beffarda.
- Ne ho diciassette! - risposi, e la mia faccia dovette risultare parecchio imbronciata in quel momento, perché il ragazzo dai capelli rossi non riuscì a trattenere una risata. La cosa mi diede alquanto fastidio, perché la sua era una risata di scherno. Ma chi si credeva di essere?
- Ho capito, faccio da sola - sentenziai, e feci per andarmene.
- Da quella parte, a destra - disse lui alla fine, indicando il corridoio dietro di noi che si diramava in due direzioni.Stavo per aprire bocca al fine di ringraziarlo anche se non ne avevo poi così voglia, ma lui me la fece passare del tutto, quando bisbigliò tra se e se - Molestatrice impertinente... -
- Come ti perm... - iniziai io, pronta a sfoderare i peggiori insulti che tenevo in serbo per situazioni come quella, ma qualcuno interruppe il mio primo sgradevole incontro con lo studente più antipatico che avessi mai conosciuto.
- Castiel! - la voce acuta di una ragazza ci raggiunse. Mentre avanzava velocemente verso di noi, notai i suoi lunghissimi capelli biondi e mossi. Mi diede subito l'impressione di essere un'ochetta, e potei confermare la mia teoria pochi istanti dopo, quando si avvicinò al ragazzo e gli cinse un braccio appoggiandogli la testa su una spalla, con fare teatrale. Giurai di aver visto lui alzare gli occhi al cielo.
- Ti avevo chiesto di aspettarmi all'ingresso, così saremmo entrati insieme... - gli disse guardandolo con occhi da cerbiatta ferita.
- Non è giornata, Amber... - Seppi allora i nomi dei due prototipi di immancabili studenti standard presenti ogni liceo: Amber l'ochetta e Castiel lo stronzo.
- E la tua amichetta, chi sarebbe? - domandò la bionda, squadrandomi dall'alto in basso come se fossi l'ultimo vestito di un outlet non troppo interessante. Prima che quella situazione potesse continuare (e peggiorare) decisi di togliere il disturbo. Nel mentre, un'orda senza fine di studenti si stava avvicinando agli armadietti dove eravamo anche noi. Tra questi, riconobbi Ken.
- Em! Aspettami! - urlò a qualche metro da noi. Parecchie teste, tra cui anche quelle di Amber e Castiel, si girarono verso di lui. La biondina assunse un'espressione a dir poco schifata.
- Ehm... Sapete dove si trova la sala delegati? Io ed Emma siamo nuovi e dobbiamo ancora ufficializzare la nostra iscrizione - disse Ken. Meno informazioni avrebbe dato, più semplice sarebbe stata la mia vita in quel liceo.
- E chi se ne frega? Trovatela da soli! - rispose Amber. Trattenni l'istinto di stampare uno schiaffo su quel visino da prima donna. - Andiamo Ken... A quanto pare a questa gente non è mai stata insegnata l'ospitalità - sentenziai, e senza aspettare risposta voltai le spalle a quei due maleducati e me ne andai insieme al mio compagno di sventure che mi seguiva a mo' di cagnolino. Castiel borbottò qualcosa che non riuscii a captare, sentii solamente Amber rispondergli con tono offeso - Io dico quello che voglio! - Tsk, che principessina viziata.
La seconda campanella che annunciava l'inizio delle lezioni suonò, e mentre tutti si dirigevano nelle rispettive classi per cominciare una nuova giornata scolastica, io e Ken arrivammo di fronte alla porta della sala delegati e bussammo, in attesa che il segretario venisse ad aprirci.




Note autrice: Salve! In questo capitolo Emma fa la conoscenza del primo ragazzo, Castiel, e dell'odiosa Amber. La prima impressione sarà davvero quella che conta?
Per quanto riguarda l'esperimento che volevo proporre, penso che aspetterò un po' perché prima vorrei sapere se la storia vi piace e se vale la pena continuarla... Quindi lasciate un commentino, se vi va! A presto!

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Capitolo 3
*** Guai in vista ***


Night and Day
Capitolo 3



Ad aprire la porta fu un ragazzo alto e biondo, occhi marroni e un sorriso gentile.
- Voi dovete essere i nuovi studenti. Accomodatevi, prego - ci indicò con la mano due sedie di fronte a una scrivania piena zeppa di scartoffie varie. Io e Ken prendemmo posto, e aspettammo che anche lui facesse lo stesso.- Non capita spesso di avere ben due nuovi iscritti contemporaneamente... Sapete, Fairfield è una cittadina poco famosa – disse, - Io comunque sono Nathaniel, piacere - aggiunse infine.
Accidenti, che nome lungo, pensai. All'apparenza anche lui sembrava uno studente, ma ciò non era possibile dato che era un impiegato della segreteria scolastica. Fui tentata di chiedergli quanti anni avesse, però molto probabilmente sarei sembrata troppo indiscreta quindi decisi di tenere per me quella domanda.
Dopo aver sistemato le varie questioni burocratiche Nathaniel ripose i nostri documenti in un cassetto e si rivolse nuovamente a noi - Seguitemi, vi porto nella vostra nuova classe -
Due rampe di scale più tardi, arrivammo davanti la porta della nostra nuova aula. Riuscivo a sentire la gioia di Ken per l'essere capitati nella stessa classe, e per questo dovetti combattere contro la voglia di scappare per sempre in un paese lontano dove non lo avrei più avuto in mezzo alle scatole.
Entrati nell'aula, una ventina di sguardi erano puntati su di noi. Io feci la vaga fissando insistentemente la cattedra, per non dare a vedere il mio imbarazzo. Nathaniel scambiò qualche parola con il professor Hoskins, un ometto calvo e tarchiato, poi tornò verso di noi. - Ho bisogno delle vostre fototessere entro domani. Non ve ne dimenticate, mi raccomando - disse, e nel passare accanto a me per uscire dall'aula lasciò una scia di profumo non troppo intensa, che riuscii ugualmente a cogliere. Sembrava l'odore dei panni appena usciti dalla lavatrice. Probabilmente proveniva proprio dalla sua camicia bianca, immacolata e senza l'ombra di una piega. Era decisamente un buon odore.
La voce del professore mi fece subito destare da questo pensiero. - Ragazzi, vi presento i vostri nuovi compagni di classe - annunciò. Dopo aver scritto i nostri nomi sul registro, ci mandò a sedere in posti abbastanza lontani l'uno dall'altra. Almeno questo me lo meritavo, pensai.
Durante la ricreazione un gruppetto di ragazze si avvicinò al mio banco. Iniziarono a farmi delle domande a proposito del mio trasferimento, e finimmo a parlare del più e del meno. Poco dopo mi voltai verso il banco di Ken e proprio in quel momento lui si era alzato e si era messo a seguire una ragazza dai tratti orientali. I due uscirono dall'aula, e questo provocò in me un sospetto. Cosa voleva quella ragazza da lui? Durante la lezione di storia avevo fatto una panoramica generale dei miei nuovi compagni e lei non faceva neanche parte della nostra classe. Oltretutto Ken non poteva nemmeno lontanamente essere considerato un ragazzo interessante a primo impatto. La cosa mi puzzava... Con una scusa mi congedai dalle mie compagne e uscii nel corridoio.
Senza farmi vedere li seguii fino al cortile. La ragazza orientale svoltò dietro un angolo e fece segno a Ken di avanzare. Mi nascosi dietro un albero e vidi che ad attenderli c'erano altre due ragazze, e notai che una delle due era Ambra, l'oca bionda che avevo avuto il dispiacere di conoscere quella mattina. Quel fatto non mi piaceva per niente... Da dove ero appostata non riuscivo a sentire nulla di quello che dicevano, perciò senza farmi notare mi guardai in giro per trovare un nascondiglio migliore. Ma qualcuno mi aveva tanata. Il cuore mi arrivò in gola quando sentii nel mio orecchio un sussurro minaccioso. - Allora sei proprio una molestatrice - Mi voltai di scatto e mi trovai di fronte Castiel.
- Fatti gli affari tuoi! - dissi a bassa voce guardandolo male.
- Cos'è, stai lavorando per l'F.B.I? - mi chiese con un ghigno.
Purtroppo la pazienza non era una delle mie qualità migliori, perciò mi misi sotto il suo naso e inchiodai i miei occhi nei suoi, in segno di sfida - Senti caro il mio bulletto da quattro soldi, non mi piace avere problemi e tu potresti diventarlo. Che ne dici di portare il tuo bel visino fuori dal mio campo visivo? Al momento ho altro da fare e non posso perdere tempo a osannarti, come piace fare alla tua amichetta - tirai fuori tutto il mio fastidio che gli arrivò come uno sputo in un occhio.
Lui rimase qualche secondo imbambolato, evidentemente quel colpo era tosto da digerire per un tipo come lui. Quando si riprese, mi lanciò un'occhiata che non riuscii a definire. Sembrava incuriosito ma al tempo stesso accigliato. Non era difficile capire che il suo orgoglio era grande quanto un palazzo.
Stranamente non mi rispose, anzi fece forse la cosa che meno mi sarei aspettata di vedere: si sporse dall'albero e guardò nella direzione di Amber in modo sospetto.
- Quello non è il tuo fidanzatino? - mi chiese riferendosi a Ken.
Era inutile rispondergli il contrario, quindi mi limitai ad annuire continuando a spiare il gruppo. Trascorsero alcuni istanti in cui non volò una mosca, poi Castiel si voltò per andarsene lasciandomi con una frase che non lasciava presagire nulla di buono - Sta' attenta ad Amber. Potrebbe diventare il tuo incubo peggiore -
Se decisi di tornare in classe non era perché l'avvertimento di Castiel mi aveva intimorita, semplicemente non volevo passare dalla parte del torto e darla vinta ad Amber. In realtà non avevo idea di cosa si fossero detti nel cortile, ma ero convinta che piombare come un'intrusa nel mezzo del discorso non sarebbe stata affatto una buona idea. Avrei parlato con Ken in un altro momento e solo dopo avrei deciso se intervenire o meno.
La campanella annunciò la fine della giornata scolastica. Mentre tutti erano intenti a raccogliere le proprie cose io andai verso il posto di Ken.
- Ehi, torniamo a casa insieme? -
Solitamente a un invito del genere da parte mia avrebbe fatto come minimo i salti di gioia, invece in quel momento tutto mi sarei aspettata tranne un'espressione di chiaro disagio.
- Mi spiace Em, devo fare una cosa... -
- Che cosa? - avevo notato che cercava di non incrociare il mio sguardo.
- Non... Non posso dirtelo. Ci vediamo domani – rispose prima di volatilizzarsi.
Dire che mi lasciò letteralmente a bocca aperta non è un'esagerazione. In altre circostanze Ken non mi avrebbe mai dato risposte del genere. Cosa era successo?
Tornai a casa piena di dubbi. No, la piega che stava prendendo quella storia non mi piaceva affatto.
La sera chattai con Kate e Alisha e raccontai loro ciò che era successo quel giorno. Come avevo previsto, non ero l'unica a pensare che qualcosa non quadrava. Le mie amiche mi consigliarono di cercare di saperne di più ma senza dare troppo nell'occhio. Si sa, i rapporti tra ochetta di turno e nuova arrivata non sono mai dei migliori, e dal canto mio volevo avere a che fare il meno possibile con Amber. Non ero sicura però che sarei riuscita a seguire il loro consiglio.

Il giorno dopo mi ritrovai da sola davanti l'ufficio di Nathaniel. Strano, Ken era un maniaco della puntualità.
- Buongiorno, Emma - il sorriso di Nathaniel mi accolse nella stanza.
- Buongiorno. Ho portato la fototessera – nel consegnargliela, sfiorai per un attimo la sua mano. Trovai piacevole quel piccolo contatto.
- Ti ringrazio. Mi fa piacere che tu ti sia ricordata, pensa che ho alcune iscrizioni dell'anno scorso ancora incomplete - mi spiegò con una nota di disappunto nella voce. - Non sembra ma il lavoro qui è molto. E' difficile gestire tutto, e sarebbe opportuno che ogni cosa fosse in ordine - sentenziò in maniera molto professionale. Più che a me, sembrava si stesse rivolgendo a se stesso.
- Ah, ma a te non interessano queste cose. Perdonami - disse con un sorriso imbarazzato.
- Non preoccuparti. E' da molto che lavori qui? - chiesi.
- Questo è il secondo anno. Ho ancora molte cose da imparare, ma devo dire che questo lavoro mi piace -
Più lo guardavo, più pensavo che fosse davvero un bel ragazzo. Aveva le spalle larghe e un fisico asciutto, e quando gesticolava diventava dannatamente attraente.
- ...Mi stai ascoltando? -
Oddio. Gli stavo fissando le labbra senza sentire un accidenti di ciò che aveva detto. Per l'amor del cielo, Emma, riprenditi!
- Scusa Nathaniel, ho un po' di pensieri per la testa... - sperai di risultare credibile con quella misera giustificazione.
- Nulla di grave spero. Comunque, che fine ha fatto il tuo amico Ken? -
- Me lo sto chiedendo anche io. Ha un carattere debole, non vorrei si fosse cacciato in qualche guaio -
- Cosa intendi? -
Parlarne con Nathaniel sarebbe stata una buona idea? Forse avrebbe potuto aiutarmi a capirci qualcosa...
- Credo che abbia qualche problema con Amber -
Al nome della ragazza Nathaniel sospirò - Cos'ha fatto stavolta? -
Da quelle parole dedussi che l'ochetta aveva molto probabilmente dei precedenti.
- Beh, in realtà non lo so. Forse non ha fatto nulla. Ma ieri Ken ha avuto degli atteggiamenti un po' strani... -
Nathaniel si passò una mano tra i capelli a mo' di “paladino della giustizia in stato di disperazione”. Una posa alquanto affascinante. Stette qualche secondo a rimuginare tra se e se, poi si avvicinò a me e mi poggiò una mano sulla spalla. Arrossii.
- Ascolta, Emma. Nel caso dovesse succedere qualcosa, non esitare a venire da me. D'accordo? -
- D'accordo - risposi, guardandolo negli occhi. Mi sorrise nuovamente. - Ora è meglio che tu vada, se non vuoi arrivare tardi alla lezione di matematica
-
Guardai l'orologio appeso alla parete di fronte a me. Già, era decisamente l'ora di andare.
Nel corridoio mi chiesi come facesse Nathaniel a sapere che la mia prima lezione della giornata era matematica. Ma non ci pensai troppo, d'altronde essendo segretario forse conosceva a memoria gli orari di ogni sezione... Forse. La risposta che mi diedi non mi convinse troppo, e ciò mi provocò un gradevole solletico allo stomaco.
Ken non arrivò alla prima ora. Non arrivò nemmeno in tempo per la seconda, e questo fu un campanello d'allarme. Durante l'intervallo chiesi a Iris, una mia compagna di classe, se conoscesse la classe e la sezione di Amber.
- Si, la conosco. Se vuoi ti ci accompagno -
Mentre camminavamo nel corridoio, la curiosità fu più forte di lei - Scusa, ma... Come mai cerchi Amber? Sei una sua amica? -
- Preferirei baciare il professor Hoskins piuttosto che diventare sua amica -
Iris rise. - Chiaro. E allora perché stiamo andando da lei? -
- Lo sapremo tra poco, spero... -
Con mia grande sorpresa, oltre Amber e il suo gruppo di amiche in aula trovammo anche Ken. Quest'ultimo appena mi vide piantò lo sguardo a terra.
- Ehi! Che stai facendo qui? -
Amber, che era seduta a gambe incrociate su un banco, si girò dalla mia parte e mi guardò storto. - Cosa vuoi? -
Mi feci largo tra la folla di ragazzi nell'aula, mentre Iris aspettava sulla porta.
- Non sto parlando con te - dissi, rivolta alla bionda.
Amber scese dal banco e si puntò a un centimetro dal mio naso. - Credo sia ora di mettere due cose in chiaro, carina. Forse ancora non l'hai capito che qui comando io. Ergo, ti conviene filare via seduta stante se non vuoi fare una brutta fine -
Infischiandomene della sua minaccia, presi per il braccio Ken e lo strattonai. - Mi vuoi spiegare che diavolo stai combinando? -
Ken aveva le lacrime agli occhi. - Emma, io... -
Amber sbottò - Taci! Nessuno ti ha ordinato di parlare! -
Le serbai un'occhiata carica di odio. - Chi sei tu per dargli ordini? -
Tutta la classe seguiva la scena col fiato sospeso. Sentivo l'aria farsi carica di tensione. - Andiamo, Ken - lo presi per mano e lo portai via da lì. Le sue dita strinsero forti le mie.
- Dove credi di andare, bamboccio? Torna qui! - urlò Amber, ma Iris le aveva praticamente chiuso la porta in faccia.
Quando tornammo nella nostra aula chiesi spiegazioni a Ken, anche se un'idea me l'ero già fatta. Dovevo solo verificare che fosse corretta, e poi avrei fatto pentire quell'arpia delle sue azioni.
- Allora, che cavolo è successo? -
- Em, io devo tornare lì... -
- Cosa?! Sei impazzito per caso? -
- Mi dispiace... -
- Falla finita, Ken! Cosa ti ha detto Amber? - poggiai i palmi delle mani sul banco. Ero a dir poco furiosa.
Vedendo l'espressione poco cordiale che avevo assunto, Ken si decise a sputare il rospo.

Andai a passo spedito verso il gruppo di Amber con un obiettivo ben chiaro: spaccarle la testa. Se Ken non voleva farlo, ci avrei pensato io.
Iris, che aveva più o meno capito la situazione, mi correva dietro cercando di calmarmi. Ken non aveva avuto il coraggio di venire insieme a noi.
- Non va bene ricorrere alla violenza! Sono sicura che spiegandole bene capirà - ma nemmeno lei pareva molto convinta delle sue parole.
- Ha superato il limite - pronunciai tra i denti, prima di arrivare di fronte all'arpia dai capelli ossigenati. Ventiquattro ore erano state più che sufficienti per capire che razza di persona fosse.
Sembrava che mi stesse aspettando. Il sorrisetto malefico stampato sulle sue labbra era un'evidente dichiarazione di guerra.
- Emma, ti metterai nei guai... - bisbigliò Iris in preda al panico, ma la ignorai.
- Costringere le persone a diventare i tuoi servetti personali è uno dei tuoi passatempi preferiti?! - ringhiai.
Amber assunse una posizione provocatoria incrociando le braccia e avvicinandosi a me sempre di più. - Io non ho costretto proprio nessuno, bella. Non è colpa mia se il tuo amichetto non ha le palle per dire di no. Sono sicura che la notte scorsa avrà bagnato il letto per la fifa - le ragazze intorno a lei scoppiarono in una risata.
La mia mano partì come un razzo e un istante dopo sulla guancia di Amber era quasi visibile il segno delle mie dita. Prima che potessi rendermi conto di quello che avevo appena fatto, due braccia mi presero da dietro e mi portarono via. Gli insulti di un'Amber a dir poco inferocita mi raggiunsero fino a che non uscimmo dall'aula.
- Lasciami! Ehi! -
Castiel mi stava trasportando per il corridoio come un sacco di patate. Tentai di dimenarmi ma era molto più forte di me.
Quando arrivammo nel cortile mi lasciò finalmente andare. - Sei una cretina! - mi rimproverò.
- Ma di cosa ti impicci, tu? Avevo una questione sospesa con lei -
- Nessuno ha questioni in sospeso con Amber. Ti avevo detto di starle alla larga! -
L'istinto di tirare un ceffone in faccia anche a lui mi pervase. Perché non si faceva gli affaracci suoi?
- Non la passerà liscia quando andrò a raccontare a Nathaniel che cosa ha fatto - sentenziai. Castiel chiuse gli occhi e scosse la testa. - Idiota -
- Hai finito di insultarmi? - dissi infastidita.
- Quei due sono fratelli. Amber la passerà liscia, mentre il tuo schiaffo no -
Cosa? Amber e Nathaniel erano fratelli? E da quando?! Oh, cavolo. Ero davvero, davvero nei guai.
- Ma... lei non può comportarsi in quel modo! Ha approfittato della fragilità di Ken per farlo diventare il suo burattino! Stamattina non è nemmeno venuto a lezione perché era impegnato a compiere il suo dovere di cagnolino da guardia! - sbraitai. Tutto questo non era passibile di sanzione?
- Certo che il tuo fidanzatino dovrebbe imparare a badare un po' di più a se stesso -
Non potei ribattere, perché Castiel aveva ragione. Ma Ken era troppo debole per affrontare una cosa del genere. Se non fossi intervenuta, chissà per quanto tempo ancora sarebbe andata avanti quella storia.
Poco dopo la figura di Nathaniel apparve davanti a noi come un fantasma.
Castiel sbuffò e se ne andò senza dire una parola, mentre io rimasi lì impalata.
- Emma, seguimi - si limitò a dire.
Non ero pentita per quello che avevo fatto. Avrei accettato le conseguenze della mia azione, ma per nessun motivo avrei permesso che Amber la passasse liscia.



Note autrice: Salve! In questo capitolo la nostra Emma inizia a tirare fuori il suo caratterino. Anche il personaggio di Castiel sta uscendo pian piano fuori, mentre nel prossimo capitolo vedremo la reazione di Nathaniel a tutto questo casino. La storia sta iniziando a prendere forma e spero che vi stia piacendo! Me lo lasciate un commentino? =P
Ciao ciao!

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Capitolo 4
*** Castighi e nuovi incontri ***


 

Night and Day
Capitolo 4



La serietà sul viso di Nathaniel non lasciava presagire nulla di buono. Durante il tempo che impiegammo per arrivare nel suo ufficio non spiccicò parola. Io camminavo dietro di lui cercando di tenere il suo passo svelto.
Arrivati a destinazione, mi fece cenno di sedermi, dopodiché prese posto di fronte a me. Sollevai gli occhi sul suo viso e notai che aveva le guance arrossate. Mi odiava, lo sentivo. Avevo alzato le mani su sua sorella e me l'avrebbe fatta pagare cara. I secondi passavano ma lui rimaneva in silenzio. Aveva incrociato le mani sotto al mento e guardava fisso la scrivania. Mi sentii a disagio, quindi decisi di parlare.
«Senti, Nathaniel, so di aver sbagliato ma credo sia giusto che tu conosca tutta la st... » mi fu impossibile terminare la frase, perché con mia grande sorpresa Nathaniel aveva compiuto l'azione che meno avrei creduto possibile in quel contesto: era scoppiato a ridere.
«Ma... Perché stai ridendo?» chiesi, confusa. Qualcuno aveva raccontato una barzelletta e non ci avevo fatto caso?
Nonostante in quel momento fosse inappropriato (anche se non ne ero certa, dato che nemmeno la risata di Nathaniel sembrava molto adatta alla situazione) pensai che avesse un sorriso bellissimo, e che quando rideva il suo volto diventava più luminoso. Mi riscossi subito da quelle riflessioni perché Nathaniel si era finalmente deciso a parlare.
«Scusa, scusa» disse, asciugandosi le lacrime dagli occhi. «Accidenti, questo non è per niente professionale» aggiunse rivolgendosi a se stesso. Tentò di assumere un'espressione seria, ma ottenne il risultato opposto scoppiando in un'altra risata. L'aria si era fatta più leggera, ma io ero sempre più confusa.
«E' che... Nessuno si era mai permesso di fare una cosa simile ad Amber!»
disse continuando a sghignazzare. «Hai davvero del fegato!»
Avrei dovuto prenderlo come un complimento?
«Mia sorella è un po' problematica» continuò «Immagino ci sia un motivo che giustifichi il tuo gesto»
A quel punto raccontai per filo e per segno ciò che mi aveva riferito Ken qualche ora prima.
Finito il racconto, Nathaniel era visibilmente deluso «Non capisco perché si comporti così... Con me non si confida mai»
Forse i due fratelli avevano dei problemi. Ma io non avevo un rapporto tale con Nathaniel che mi permettesse di saperne di più.
«Comunque, per quanto i tuoi motivi siano più che validi, il gesto che hai compiuto non potrà restare impunito» disse, poi aggiunse sottovoce, «Mi dispiace»
Sapevo sin dall'inizio che la conseguenza minima sarebbe stata una punizione, perciò ero pronta ad accettarla di buon grado, a patto che anche Amber ne avesse avuta una. Poco dopo il mio desiderio venne esaudito. Nathaniel telefonò alla direttrice che quel giorno era assente, e insieme concordarono sei giorni di doposcuola per entrambe.
«Cosa si intende precisamente per “doposcuola”?» chiesi, stupita dal fatto che non fosse stata menzionata alcuna sospensione.
«Diciamo che tu ed Amber dovrete farvi trovare qui in ufficio tutti i pomeriggi dopo le lezioni ed io vi assegnerò dei lavoretti da fare» mi spiegò.
Benché ignorassi che tipo di lavoretti avremmo dovuto svolgere, la mia pigrizia non aveva preso bene la notizia. Ma pensai che dovevo ritenermi fortunata per non aver ricevuto una sospensione.
Al ritorno da scuola trovai un Ken avvilito che mi aspettava davanti la porta di casa. Quando mi vide, notai che tratteneva a stento le lacrime.
«Volevo ringraziarti Emma... E chiederti scusa»
«Lascia stare» tagliai corto, non mi piacevano le situazioni come quella. «Piuttosto, impara a farti rispettare di più»
Ken strinse i pugni e puntò lo sguardo per terra. Non lo avevo mai visto così.
«Hai ragione. Ci vediamo domani» disse, e se ne andò. Potevo immaginare che quello doveva essere stato un duro colpo per lui e sperai che lo prendesse come esempio per fortificare un po' il suo carattere.
A cena raccontai a mio padre le vicende scolastiche che mi avevano vista come protagonista in quella giornata. Il suo unico, profondo commento fu: «Sei proprio mia figlia, Em» seguito da una vigorosa pacca di ammirazione sulla mia povera schiena.

Il giorno dopo ebbi modo di accorgermi che Ken aveva preso le distanze da me, ma non mi soffermai molto su questa cosa perché sapevo che aveva bisogno di tempo per digerire quella batosta. Finite le lezioni andai da Nathan e trovai lui e sua sorella Amber impegnati in un'accesa discussione. Quando mi videro però smisero di parlare e la biondina mi lanciò uno sguardo carico di astio. Se avesse potuto, mi avrebbe incenerita con gli occhi. Ovviamente io non fui da meno e le passai di fianco guardandola in cagnesco.
«Dunque, ragazze. Per la vostra incolumità ho deciso di non farvi svolgere le stesse attività che prevede la vostra punizione» ci spiegò Nathan. Entrambe tirammo un sospiro di sollievo.
«Amber, tu oggi ti occuperai del club di giardinaggio. Il presidente del club ha bisogno di qualcuno che vada a comprare semi e alcune attrezzature. Capirai cosa significa lavorare per gli altri» Nathaniel sottolineò bene quelle ultime parole, e io ebbi l'istinto di saltargli addosso. Era proprio quello che si meritava quell'arpia!
«Tu Emma» disse rivolgendosi a me «Andrai al club di basket. C'è bisogno di dare una bella sistemata agli spogliatoi»
Oh, no. Le pulizie non erano proprio il mio forte, ma non ero nella posizione di ribellarmi. Cercai di prenderla bene pensando che avrei avuto l'opportunità di dare un'occhiata al club e decidere se in futuro sarebbe valsa la pena iscrivermi. Inoltre, in tre giorni di scuola avevo già combinato fin troppi danni, non era il caso di peggiorare il mio curriculum più di così.
La palestra del club si trovava proprio accanto all'edificio scolastico quindi non fu difficile raggiungerla. Dentro non c'era anima viva, e l'eco dei miei passi rimbombava in quello spazio enorme. Percorsi tutto il lato del campo fino ad arrivare alla porta degli spogliatoi. Bussai, ma non rispose nessuno, così decisi di entrare.
Ad accogliermi furono gli addominali scolpiti di Castiel, da cui non riuscii a togliere gli occhi.
«Cosa ci fai qui?!» esclamò lui. Era intento a infilarsi la divisa rossa del club ma si bloccò quando mi vide.
«I...io...» balbettai. La vista di Castiel mezzo nudo non era qualcosa da cui riprendersi facilmente.
«Sono sempre più convinto del fatto che tu sia una molestatrice coi fiocchi» borbottò, infilandosi la canottiera.
Mi feci rossa come un peperone. «Guarda che ho bussato! Sei tu che non hai risposto!» Avevo appena scoperto a quale club apparteneva il rosso e ne fui un po' sorpresa. Non sembrava un tipo da basket, anche se quella divisa gli stava tremendamente bene.
Mi guardò accigliato «E perché avrei dovuto? Qui non entra nessuno al di fuori dei membri del club» sentenziò. Poi andò verso uno specchio che si trovava accanto alle panche e si raccolse i capelli in una coda disordinata. I ciuffi ribelli gli ricadevano sulla fronte e sul collo robusto.
«Oggi ho il permesso di entrare» dissi, avvicinandomi titubante nel punto in cui era lui.
«E perché?» mi chiese e si voltò a guardarmi. «Ehi, cosa vuoi fare?»
Lo avevo preso per un braccio e spingendogli una spalla verso il basso lo costrinsi a sedersi su una panca.
«E tu questa la chiami coda?» domandai ironica. Delicatamente sfilai il laccio che raccoglieva i suoi capelli, i quali scivolarono prepotentemente sulle spalle rifilandogli quell'aria ribelle che lo caratterizzava. Li raccolsi in una nuova coda, migliore della sua, scoprendo che al tocco erano ancora più lisci e morbidi che alla vista.
«Ecco fatto, ora sei accettabile»
Castiel rimase immobile. Essendo dietro di lui, non potevo vedere il suo viso e ignoravo cosa stesse pensando. Ma quando si alzò vidi che era arrossito impercettibilmente.
«Quanta confidenza» disse in maniera un po' impacciata. Castiel si era imbarazzato a causa mia? Beh, forse ero stata un po' audace, ma nel compiere quel gesto non avevo avuto nessun secondo fine. Sorrisi. Non era poi così duro come voleva far credere!
«Chi è il presidente del club?» chiesi per cambiare discorso.
«Steve, del quinto anno. Ma perché ti interessa? Non dirmi che vuoi iscriverti!»
«Ora che so che ci sei tu qui, ho cambiato idea» lo punzecchiai.
«Come no. Scommetto invece che dentro di te stai morendo dalla gioia. Molestatrice!»
Aveva sempre la risposta pronta, quel ragazzaccio. Non gliela diedi vinta «Mi spiace deluderti, ma sono qui per conto di Nathaniel»
Sentendo pronunciare quel nome cambiò immediatamente espressione. «Non m'interessa» disse bruscamente, e uscì dallo spogliatoio lasciandomi sola. Chissà che rapporti avevano quei due... Probabilmente non dei migliori.
Dopo una decina di minuti arrivarono gli altri membri del club tra cui Steve. Questi mi diede le chiavi dello sgabuzzino dove si trovavano le attrezzature per pulire e mi augurò buona fortuna. Dopo due ore capii il perché: non avrei dimenticato tanto facilmente il disordine dello spogliatoio e la sporcizia dei suoi bagni. Dannati maschi!

Il resto dei giorni di punizione mi dedicai ad altri lavori: riempii due sacchi di spazzatura raccolta in cortile, feci rifornimento di cancellini e gessi al centro di Fairfield, sistemai alcuni documenti dell'archivio scolastico e portai a spasso l'inutile cagnolino della Direttrice.
L'ultimo giorno, trovai Nathaniel più sorridente del solito.
«Oggi lavoreremo insieme» mi comunicò non appena misi piede nell'ufficio. «Dobbiamo catalogare dei libri in biblioteca»
Anche se già sapevo che sarebbe stato un lavoraccio, la notizia di passare il tempo insieme a lui rese quell'ultimo compito meno faticoso degli altri.
Trascorremmo il pomeriggio tra gli scaffali della biblioteca e ebbi modo di conoscerlo un po' meglio. Scoprii che aveva ventuno anni e che adorava i gatti. Gli dissi che piacevano anche a me, ma preferivo i cani. Lui storse il naso e sorridendo disse che i gatti erano più intelligenti.
«Ma più infidi» osservai.
«Il loro tradimento è una conseguenza, non agiscono senza un motivo» rispose guardandomi negli occhi. La luce del sole pomeridiano che filtrava dalla finestra si rispecchiava nei suoi occhi dorati.
Sentii che la sua frase non era stata proferita tanto per dare una risposta alla mia domanda. Sotto c'era un'allusione più profonda, ma come spaventato dall'idea di essersi esposto troppo, lui cambiò subito argomento.
«Comunque ho apprezzato molto il fatto che tu abbia accettato la punizione senza lamentarti. Con Amber mi ci è voluta un'intera serata per farle capire che aveva sbagliato. Anche se non credo che abbia afferrato bene il concetto» disse scuotendo la testa.
«E' una testa calda, tua sorella»
«Senti chi parla» rispose sorridendomi. Ogni volta che lo faceva, mi sentivo terribilmente goffa.
«Già. Anche io ho un carattere un po' irruento» affermai mentre scrivevo l'ennesimo titolo di un libro di storia parecchio malandato.
«Sei adorabile»
Se il mio udito non mi aveva ingannata, Nathaniel aveva appena detto una cosa estremamente carina. Okay, il batticuore ci stava, ma non dovevo assolutamente assumere l'espressione ebete da ragazzina imbarazzata.
Ovviamente fu proprio quello che feci. Cercai almeno di non incrociare il suo sguardo, altrimenti sarebbe finita. Mi avrebbe catalogata come “fallita totale” nella sezione “Storie di complimenti del Segretario”.
Nathaniel accompagnò la sua frase sfiorandomi la punta del naso con due dita, un un gesto che, per quanto innocuo, mi fece rabbrividire.
«Avevi della polvere» disse.
«Grazie...» sussurrai.
Finimmo di compilare le schede che avevamo davanti sprofondando nel silenzio più totale. Quando si fece l'ora di tornare a casa, lo salutai frettolosamente e scappai via.
Accidenti a me. Perché dovevo essere così cretina in situazioni come quella?! “Carattere irruento”, ma chi volevo prendere in giro? Mi ero comportata da perfetta scaloppina! Quel piccolo contatto con lui mi aveva provocato le farfalle allo stomaco. Se per sbaglio mi avesse sfiorato la mano, cosa avrei fatto, sarei svenuta? «Riprenditi Emma» mi dissi. «Evita queste figure da idiota, la prossima volta»
Il fatto era che Nathaniel aveva tutti le caratteristiche del ragazzo perfetto di cui innamorarsi. Era bello, dolce, gentile e con un'innata predisposizione per il lavoro e per la serietà. Tutte le volte che mi ero ritrovata in sua compagnia mi aveva dato modo di rafforzare queste idee, anche se quel pomeriggio, oltre alla mia figura da beota, mi colpì particolarmente la sua reazione al mio commento sui gatti. Chissà cosa aveva voluto intendere... Di sicuro, i piccoli felini non c'entravano granché in quella storia.

Era passato già un mese dall'inizio della scuola e le persone con cui avevo legato maggiormente erano Iris e Nathaniel. Lei era un'ottima compagna di classe e una buona amica, spesso ci incontravamo a casa dell'una o dell'altra per studiare insieme e spettegolare un po' delle novità del Dolce Amoris. Lui invece dall'episodio della biblioteca non era cambiato, anzi si era fatto più amichevole anche se nell'ultimo periodo avevo avuto poche occasioni di incontrarlo perché sia per lo studio che per il lavoro eravamo entrambi molto impegnati. Non erano cambiate nemmeno le cose con Ken, lo vedevo sempre più afflitto e distante. Ad essere sincera mi dispiaceva un po', infatti avevo provato a riavvicinarmi a lui ma pareva proprio che avesse deciso di erigere un muro bello alto tra di noi, perciò non insistetti troppo e lasciai che continuasse ad evitarmi.
Chi sparì dalla circolazione fu Castiel. Non essendo della stessa classe, le uniche volte che l'avevo intravisto erano state durante gli intervalli, ma dopo la rispostaccia che mi diede in palestra non avevo motivo per avvicinarmi ancora a lui. Il destino però non la pensava come me...

Una mattina di fine ottobre a causa della sveglia rotta mi ritrovai a dover correre contro il tempo per non arrivare tardi a scuola. Ero quasi in procinto di complimentarmi con me stessa per essere riuscita a vincere quella competizione quando di colpo mi scontrai con qualcuno sulle scale del primo piano.
Signore e signori, un bell'applauso ad Emma per il record “caduta dell'anno”!
«Accidenti, che volo» borbottai passandomi una mano sul sedere indolenzito.
Una mano delicata e leggermente abbronzata venne tesa davanti al mio viso. Quando alzai la testa per vedere a chi appartenesse, rimasi senza fiato. Davanti a me c'era la ragazza più bella che avessi mai visto.
«Scusami, ti sei fatta male?» la sua voce cristallina risuonò nelle mie orecchie come il canto di un usignolo. Rimasi a fissarla a bocca aperta per qualche secondo. Il fisico snello e slanciato ben si adattava alla sua altezza e i capelli lunghi e argentati le scivolavano morbidi su tutta la lunghezza della schiena, ondeggiando con grazia ad ogni suo movimento. Gli occhi erano color dell'oro e mi guardavano ipnotici.
La sua mano era ancora davanti a me, e senza esitare la afferrai e mi tirai su.
«No... Ero di fretta perché mi sono svegliata tardi» dissi grattandomi la testa. Quella ragazza aveva il potere di far sentire a disagio solo con la sua presenza.
«Anche io ho fatto tardi oggi, ma per fortuna il mio professore non è ancora arrivato» mi disse sorridendo. Non mi sarei meravigliata se avessi visto di colpo fiorellini rosa e farfalle colorate sventolare intorno a lei.
Poi, come se si fosse appena ricordata di qualcosa di importante, si mise a setacciare il pavimento con gli occhi.
«Stai...cercando qualcosa?» chiesi.
«Oh, si. Ho perso una cosa molto importante» mi spiegò. «Ne soffrirei molto, se non riuscissi più a trovarla»
«Posso aiutarti a cercarla, se vuoi» le dissi, dimenticando completamente che in quel momento avrei dovuto essere seduta al banco a seguire la lezione di matematica.
«Non preoccuparti. E' meglio che tu vada in classe» mi consigliò dolcemente. Improvvisamente l'impulso di abbracciarla si impossessò di me.
«Comunque io sono Rosalya»
Anche sforzandomi, non sarei riuscita a trovare un nome più adatto a lei.
«Emma» dissi accennando un debole sorriso.
«Lieta di averti conosciuta, Emma» mi salutò con una mano prima di scendere le scale, e quando mi passò di fianco fui avvolta da un profumo che sembrava un misto tra miele e vaniglia.
Un pensiero mi passò per la testa mentre seguivo con lo sguardo la sua sagoma che si allontanava: se fossi stata un uomo, mi sarei innamorata di lei a prima vista.
Mi ripresi quando vidi che le lancette dell'orologio segnavano minacciosamente un ritardo di quindici minuti. Salii di corsa le scale ma mi bloccai di nuovo prima dell'ultimo gradino perché notai che qualcosa brillava sotto i miei piedi. Lo raccolsi e scoprii che era un piccolo anello d'argento con una minuscola pietra rossa incastonata sulla parte superiore. Forse la cosa che cercava Rosalya era proprio quell'anello? Lo misi in tasca con l'intenzione di restituirglielo durante l'intervallo, e ripresi decisa la corsa verso la mia aula.


Note autrice: Hola! Che dire di questo capitolo... La nostra Emma si è ritrovata protagonista delle prime situazioni imbarazzanti con i due ragazzi ma essendo troppo presto ancora non ha idee ben precise in mente (io si però :P) quindi direi che i suoi tentennamenti siano più che legittimi per il momento. Vediamo anche l'arrivo di un nuovo personaggio, Rosalya, che in questa storia avrà una parte importante e abbastanza diversa da quella che ha nel gioco, più avanti vedremo cosa succederà... Beh per il momento non ho altro da aggiungere, ringrazio di cuore chi recensisce e chi ha aggiunto la storia tra le seguite! Continuate a supportarmi (anche le critiche costruttive sono ben accette)! Bye bye! Ps. Come avrete notato ho sostituito le lineette (- -) a un nuovo simbolo per i dialoghi, perché le prime mi creavano un po' di problemi durante l'adattamento del testo sul sito.

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Capitolo 5
*** Gioielli e bernoccoli ***


Night and Day
Capitolo 5


 

«Così questo anello appartiene a Rosalya...»
Stavo raccontando ad Iris del mio incontro di quella mattina mentre lei scrutava attentamente l'anello che avevo trovato sulle scale.
«Mi ha detto che cercava una cosa molto importante, quindi presumo che sia suo» spiegai.
Iris poggiò una mano sotto il mento mentre con l'altra rigirava il piccolo oggetto fissandolo con aria sognante. «Forse gliel'ha regalato il suo ragazzo...»
«Rosalya è fidanzata?» chiesi, ma la cosa non mi stupì. Ovvio che lo fosse, bella com'era.
«Certo! Ormai sono parecchi mesi che lei e Leigh stanno insieme»
«Leigh?»
«E' fratello di Lysander, il tipo di quinta con l'eterocromia»
«Etero che...?» chiesi confusa.
Iris scosse la testa sorridendo «Significa che hai gli occhi di colore diverso» mi spiegò. Non a caso era la secchiona della classe...dopo Ken, ovviamente.
Pensai che se avessi incontrato una persona dalle iridi policromatiche, probabilmente mi avrebbe fatto un po' impressione.
«Comunque, Rosalya è all'ultimo anno quindi temo sia impossibile che tu oggi riesca a riconsegnarle questo anello» sentenziò Iris con tono deciso.
«E perché?» domandai.
«Le quinte oggi hanno il corso di arte alla sede secondaria. Forse ti conviene lasciarlo in segreteria, sicuramente Rosalya andrà a cercarlo anche lì» mi consigliò, sorridendo sotto i baffi.
Certo che Iris era informata davvero su tutto. Feci proprio come mi disse, e andai da Nathaniel non appena terminò l'ultima ora di lezione.
«Un anello?» mi chiese, con l'espressione un po' confusa. Era piegato davanti a un cassetto pieno zeppo di cartelline, tutte impilate secondo un ordine preciso. Era molto indaffarato, e lo capii dal fatto che aveva una manica della camicia tirata in alto e l'altra abbassata. Quella svista no, non era proprio da Nathaniel.
«Si, l'ho trovato stamattina sulle scale» spiegai. Lui si alzò da quella posizione e si parò di fronte a me. In quel momento potei notare la differenza di altezza tra noi due. Nathaniel era davvero alto rispetto a me. Beh, non che io fossi un gigante, anzi. La mia testa arrivava a malapena alle sue spalle.
«Ecco, credo che qualcuno l'abbia perso» dissi con un po' di difficoltà. Averlo troppo vicino mi creava sempre qualche scompenso ormonale.
«Capisco... Posso vederlo?»
Alla sua richiesta tirai fuori l'anello dalla tasca dei jeans e gli porsi la mano. Lui me la prese delicatamente con la sinistra, mentre con la destra afferrò l'anello, e io trovai improvvisamente interessanti le mattonelle del pavimento, tanto da fissarle con insistenza. Aveva le mani calde e asciutte, e quel pensiero mi occupò piacevolmente la testa per circa cinque secondi, prima che qualcos'altro catturasse la mia attenzione. Nathaniel aveva assunto un'espressione molto dura.
«Di chi è?» chiese, ma dal tono della sua voce sembrava che già lo sapesse.
«Beh, in realtà non ne sono sicura ma... Credo sia di Rosalya, una ragazza di quinta»
Nathaniel allora serrò ancor di più le mascelle e distolse gli occhi dall'anello, lanciando un'occhiata fuori dalla finestra «Il regolamento scolastico vieta di indossare gioielli o oggetti preziosi» ora dalla sua voce non trapelava alcun sentimento, sembrava quasi un robot incaricato di ripetere le stesse cose ogni volta.
«Questo non lo sapevo» dissi «Però... Ho come l'impressione che questa regola non sia molto rispettata» azzardai. Lui tornò a guardare l'anello, poi me, e alla fine i suoi muscoli si distesero. «Hai ragione» disse accennando un sorriso. La tensione sul suo viso era sparita. Ormai sapevo che Nathaniel poneva il suo lavoro praticamente sopra ogni cosa, ma non pensavo che trasgredire una regola non così essenziale del regolamento lo portasse ad assumere atteggiamenti di quel tipo. Sinceramente, lo considerai un po' esagerato.
«Insomma, ero venuta per lasciartelo in custodia, nel caso Rosalya lo venisse a cercare qui»
«Non credo lo farà» sussurrò. Non compresi il significato di quella frase. Mi balenò alla mente che forse lui non sopportasse molto quella ragazza. Magari lei aveva avuto dei precedenti, ma... Non riuscivo a immaginarmi Rosalya come una studentessa trasgressiva. Comunque, decisi di lasciar perdere la cosa.
All'uscita incontrai nuovamente Iris che mi propose di andare a fare un giro al centro della città.
«Vorrei passare in libreria» disse. «Ti va di accompagnarmi?»
«Perché no?»
Andammo a mangiare in un fast food dopodiché iniziammo a girare per i negozi. Alla cassa Iris pagò ben quattro libri sotto il mio sguardo allibito.
«Dove lo trovi il tempo di leggere tutta questa roba? Io ho la nausea solo a dover sfogliare i testi scolastici»
«Sono cose diverse, Emma» disse un po' imbronciata. «Una cosa è leggere per studiare, un'altra è farlo perché ti piace»
«Mmh, sarà» non ero mai stata una gran lettrice, a parte qualche fumetto e le riviste di basket la mia libreria aveva un aspetto abbastanza triste.
«Dovresti iniziare ad ampliare i tuoi orizzonti letterari» disse Iris quando uscimmo dal negozio «Sai, per fare colpo»
«Fare colpo?! E su chi?» le chiesi interrogativa.
«Ma come, su Nathaniel!»
Mi bloccai di colpo. Come aveva fatto Iris a giungere a quella conclusione?
«Guarda che a me non piace Nathaniel...»
«Si certo, e io ho preso l'insufficienza all'ultimo compito di matematica» disse roteando gli occhi.
Iris non mi aveva nemmeno mai visto in compagnia del biondino, quindi come faceva a supporre una cosa del genere?
Come se fosse riuscita a leggermi nel pensiero, mi rispose «Sei la studentessa del Dolce Amoris che passa più tempo in segreteria di chiunque altro»
Beh, forse era vero. Di solito cercavo qualsiasi scusa per poter varcare la soglia di quell'ufficio. Ma...probabilmente il mio era un riflesso condizionato dal fatto che Nathaniel era il primo ragazzo con cui avevo stretto amicizia nel nuovo liceo. Già, era sicuramente così.
«Ti sbagli, Nathaniel è solo un amico» affermai decisa.
Iris scosse la testa ridendo «Capisco, e la segreteria ha degli scaffali così affascinanti che non riesci proprio a stargli lontana!»
Risi a quella sua uscita dandole una pacca sulla testa.
«Sei proprio una scema»

Continuammo a camminare finché non arrivammo davanti la vetrina di un negozio di vestiti per ragazze.
Entrammo, e Iris mi indicò con un cenno della testa il ragazzo che stava dietro al bancone.
«Lui è Leigh, il fidanzato di Rosalya» sussurrò.
Spinta dalla curiosità sbirciai di sottecchi verso il bancone e osservai quel ragazzo che stava ripiegando alcune magliette dai colori scuri. Aveva i capelli neri tagliati in modo irregolare che paradossalmente gli conferivano un'aria molto elegante, insieme agli strani vestiti che indossava. Sembrava un personaggio uscito da un quadro ottocentesco.
Il ragazzo notò i nostri sguardi poco discreti e assunse un'espressione annoiata.
«Starà pensando che siamo entrate per attaccare bottone con lui» disse Iris a bassa voce.
Per cercare di uscire da quella situazione imbarazzante mi avvicinai a lui ed esordii senza troppi preamboli «Scusami, tu sei il ragazzo di Rosalya?»
In risposta mi beccai un'occhiataccia ostile.
«E tu saresti...?»
«Mi chiamo Emma, frequento il suo stesso liceo» spiegai. Iris intanto cercava di interessarsi con poca attenzione al vestiario del negozio, ma avrei giurato che le sue orecchie fossero totalmente concentrate ad ascoltare il nostro discorso.
«Come posso aiutarti?» chiese cercando di risultare educato, ma non mi sfuggì la leggera nota di fastidio nella sua voce.
«Volevo solamente farti sapere che oggi ho ritrovato il suo anello, o almeno credo che appartenga a lei. Se lo cerca puoi dirle che l'ho lasciato nella segreteria della nostra scuola» nemmeno il mio tono era dei più amichevoli. Chi si credeva di essere quel tipo?
Leigh mi guardò perplesso. «Un anello? Mh, capisco. Va bene» si limitò a rispondere.
Strano, pensai. Non mi aspettavo una reazione del genere, considerando che probabilmente era un regalo che le aveva fatto proprio lui.
Esposi i miei pareri a Iris quando uscimmo dal negozio.
«Anche io penso che Leigh sia un tipo abbastanza ambiguo» disse lei pensierosa «Quando ho saputo che si erano messi insieme, ci sono rimasta di sasso»
In effetti in quella storia c'era qualcosa che mi puzzava. Nonostante non conoscessi affatto né Rosalya né Leigh, da ciò che avevo potuto appurare in quella giornata alcune cose non quadravano. Ma scrollai le spalle, mentre ritornavo a casa, pensando che dopotutto a me non sarebbe dovuto importare nulla degli affari di una coppia quasi sconosciuta.

«Papà, sono tornata»
Non feci nemmeno in tempo a richiudere la porta, che fui assalita dalle urla furiose di mio padre. Dal telefono che teneva all'orecchio capii che non erano rivolte a me.
«E con questo?! Non credere che una chiamata alla settimana possa giustificare il tuo comportamento!»
Sospirai. Quell'atteggiamento da cane rabbioso mio padre lo riservava solo ed unicamente ad una persona: la mamma.
Presi dalla borsa il mio mp3 e andai in camera, socchiudendo piano la porta alle mie spalle. Mi buttai sul letto e alzai il volume della musica, cercando di scacciare via qualsiasi tipo di pensiero negativo. Ma la voce di papà superava di gran lunga il volume della canzone che stavo ascoltando in quel momento.
Nascosi la testa sotto il cuscino e rimasi così per un tempo che mi parve infinito.
«Non capisci Kathleen, non hai mai capito niente!»
Mi sforzai di pensare ai compiti che avevo per domani, ma non ne venni a capo. Ogni parte del mio sistema nervoso era imprigionato nell'ascolto di quella conversazione telefonica.
«Emma se la cava benissimo anche senza di te!»
Mi alzai dal letto e infilai le scarpe da ginnastica, poi ancora con le cuffie alle orecchie mi diressi a passo svelto fuori dalla stanza e uscii di casa, stavolta chiudendo la porta con uno scatto secco e rumoroso.

Non conoscevo molti posti di quella cittadina, e non avevo nemmeno voglia di trovarmi in un luogo in particolare, quindi senza pensarci troppo mi ritrovai a percorrere la strada che facevo tutte le mattine per andare a scuola. Scavalcai facilmente il cancelletto che circondava il giardino posteriore dell'edificio e mi sentii un po' una ladra.
La palestra di basket a quell'ora era buia e silenziosa come una chiesa. I passi rimbombavano ancora più del solito in quello spazio tanto grande e ciò mi provocò un piccolo brivido lungo la schiena. Pensai ai film horror ambientati dentro le scuole di notte e mi venne un groppo alla gola.
Come se fossi improvvisamente la protagonista di un film del genere, trasalii nel sentire dei rumori provenire dall'interno degli spogliatoi.
Erano quasi le otto di sera, chi diavolo poteva esserci a scuola a quell'ora? ...Forse qualcuno che come me non aveva niente di meglio da fare che passeggiare alla cieca in una palestra.
La porta dello spogliatoio si aprì. Se qualcuno della dirigenza mi avesse trovata lì non l'avrei affatto passata liscia, quindi mi accucciai velocemente dietro un'alta cesta di palloni da basket.
Tutto ciò che accadde dopo fu una sequenza confusa di azioni nel buio che mi avrebbero infine causato un bernoccolo di dimensioni non indifferenti sulla fronte.
I passi di un'ombra scura che non riuscii a identificare si fecero strada fino al centro della palestra, e quel qualcuno senza volto e senza nome doveva indubbiamente avere un pallone tra le mani perché iniziò a palleggiare nel buio dell'enorme area contrassegnata dalle linee verticali ed orizzontali che delimitavano il campo di gioco.
Mi sporsi un po' dalla mia postazione per cercare di capire cosa stesse succedendo, ma non avevo notato che la cesta che mi copriva era in realtà un carrello con le ruote, il quale non resse il peso del mio appoggio e sfrecciò in avanti facendomi cadere a terra.
Il pallone che fino a pochi istanti prima sbatteva contro il pavimento si fermò di colpo, e i passi misteriosi si avvicinarono dove io ero caduta.
Feci per alzarmi, ma sentii tra il naso e la fronte una tremenda sensazione che associai subito al dolore. Di colpo persi le forze, e caddi nuovamente a terra, stavolta inerme.

Quando riaprii gli occhi pensai di star ancora sognando. Davanti a me, un cane dall'aspetto minaccioso mi guardava nello stesso modo in cui si guarda una succulenta bistecca al sangue. Spalancai gli occhi terrorizzata, cercando di bloccare ogni muscolo per non fare il minimo movimento, ma il bestione si accorse che mi ero svegliata e tirò fuori la lingua lasciandomi un litro di bava sul collo e sui capelli.
L'importante è che non mostri i denti, pensai impietrita.
Ma dove cavolo mi trovavo?
Mi misi a sedere su quello che scoprii essere un divano beige e mi guardai intorno. Decisamente, ero in un salotto. Quando mi alzai, il cane tirò fuori un abbaio così potente da far quasi tremare le mura di quella casa, azione che decise di farmi prontamente riprendere il posto che avevo appena lasciato.
«Demon!»
Una voce familiare raggiunse le mie orecchie. Sembrava proprio quella di Castiel.
Già.
Un momento... Cosa ci faceva lì Castiel?
Mi correggo, cosa diamine ci facevo io a casa sua?!


Note autrice: Hola! Accidenti, è passato tantissimo dalla pubblicazione dell'ultimo capitolo, ma sono stata impegnata con la sessione d'esami e non ho avuto molto tempo per scrivere.
In questo capitolo il mistero intorno all'anello di Rosalya si infittisce.. chissà cosa c'è dietro! :3
Scopriamo anche che la vita familiare di Emma non è delle migliori, e l'ultima telefonata del padre l'ha portata nel luogo 
sbagliat giusto al momento giusto! :P cosa darei per svenire e risvegliarmi a casa di Castiel *_*
Il prossimo capitolo non dovrebbe arrivare tardi comunque.. spero che vi sia piaciuto e mi farebbe tanto piacere ricevere qualche commentino! Un saluto a tutte e grazie per il supporto!
P.S: Qui sotto ho allegato un'immagine che rappresenta il modo in cui io immagino Emma... Spero che si veda!

 

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Capitolo 6
*** A casa di Castiel ***


Night and Day
Capitolo 6



«C...Castiel?!»
In quel momento la mia espressione doveva essere un misto tra panico e incredulità. Mi guardai intorno, poi guardai lui, poi l'elefante di nome Demon, poi di nuovo lui. Ero confusa. E il guaio era che non ricordavo assolutamente nulla di quello che era successo.
«Ehi, cos'è quello sguardo da pesce lesso?! Fino a prova contraria la molestatrice sei tu, e pure pervertita aggiungerei»
«Cos... Ma che diavolo stai dicendo?» provai ad alzarmi dal divano una seconda volta ma un giramento di testa improvviso mi costrinse a tornare seduta.
«Attenta» disse Castiel «Hai preso una bella botta»
Con la mano mi toccai piano la fronte e sussultai leggermente. Il bernoccolo che si stava formando doveva essere di dimensioni enormi. Sospirai.
«Ma cosa è successo? Ricordo solo che la palestra era buia, e...»
«E dovresti trovarti un altro hobby, visto che spiare i bei ragazzi sta diventando controproducente...» disse indicando col mento il mio bozzo dolente.
Non sapevo se soffermarmi prima sull'attività di spionaggio di cui Castiel mi aveva ingiustamente accusata o sul suo narcisismo che l'aveva portato a classificarsi senza ombra di indugio tra la categoria dei bei ragazzi.
Beh, sulla seconda questione dovevo ammettere che non c'erano dubbi, quindi mi preoccupai di risolvere l'altra.
«Non ti stavo spiando...»
«Ah no? E cosa ci facevi alle otto di sera a scuola?»
Non volevo raccontargli della mia fuga da casa, quindi inventai una balla.
«Ero... ero uscita a fare due passi, e... Non conoscendo bene la città, mi sono ritrovata a scuola» farfugliai, ma Castiel non la bevve.
«Sì, come no. Ammettilo che mi stavi pedinando, piccola stalker pervertita!» mi canzonò con un ghigno.
Presi il cuscino che stava alla mia destra e glielo tirai addosso, ma lui prontamente lo schivò.
«Sarebbe questo il tuo modo di ringraziarmi?» la sua espressione corrucciata mi fece sorridere.
«Ringraziarti per avermi dato un pugno in faccia? Oh beh, grazie tante Castiel, domani a scuola sarò di sicuro la studentessa più additata» dissi sarcastica. Il rosso incrociò le braccia e scosse la testa con un mezzo sorriso.
«Perché eri lì?» mi domandò per la seconda volta.
Io lo guardai per qualche istante, poi socchiusi la bocca ma qualcosa mi frenò e la richiusi subito dopo. Mi incupii.
«Non avevo nulla da fare, davvero» poi continuai cercando di cambiare discorso «E comunque potrei chiederti la stessa cosa»
«Beh, volevo fare due tiri» disse semplicemente.
«E come hai fatto ad aprire la port...» ma il mio quesito fu interrotto da un sonoro abbaio di Demon.
Castiel si inginocchiò di fronte al molosso e gli carezzò dolcemente il collo massiccio. Demon in risposta gli spalmò la lingua su tutto il viso in segno d'affetto. Mi ritrovai a pensare che quella scena fosse stata terribilmente tenera; terribile si, ma anche tenera. Due aggettivi contraddittori che però si addicevano perfettamente a una descrizione su Castiel.
Senza dire più nulla, Castiel abbandonò il salotto insieme al cagnolone che gli trotterellava dietro.
E io che ci facevo ancora lì? Dovevo tornare a casa prima che si facesse troppo tardi.

Mi alzai per l'ennesima volta dal divano e barcollai fino a raggiungere la cucina, dove Castiel stava riempiendo la ciotola di croccantini a Demon.
La botta sulla fronte mi faceva male e continuava a provocarmi un fastidioso giramento di testa. Mi coprii gli occhi con una mano, mentre con l'altra mi appoggiai allo stipite della porta.
«Io... Adesso vado»
Quando riaprii gli occhi e guardai in direzione di Castiel mi accorsi che non riuscivo a focalizzare bene le immagini. Feci un passo in avanti ma le forze mi vennero meno e mi sarei spiaccicata dritta sul pavimento se Castiel non fosse accorso ad aiutarmi. Senza che me ne accorgessi mi ritrovai tra le sue braccia e per non perdere del tutto l'equilibrio mi aggrappai con forza al suo collo.
Ci ritrovammo così, in quella posizione non voluta ma perfetta, i nostri visi a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro. I capelli lunghi di Castiel mi solleticavano la fronte e il suo profumo pungente arrivò fino alle mie narici.
Per qualche secondo restammo a guardarci negli occhi: era la prima volta che li osservavo bene, e ne rimasi ipnotizzata. Profondi, intensi, neri come la pece.
«Adatti» mi ritrovai a pronunciare senza accorgermene.
Castiel mi guardò interrogativo.
«I tuoi occhi... Sono proprio adatti a te» affermai convinta.
«Ma che cavolo stai dicendo?» disse distogliendo lo sguardo e ponendo fine a quel contatto visivo.
Poi d'improvviso mi resi realmente conto della nostra posizione e avvampai.
«Scusa...» bisbigliai e feci per allontanarmi, ma lui me lo impedì tenendomi stretta.
«Scema» disse, sollevandomi da terra e prendendomi in braccio senza difficoltà.
In quel modo i miei occhi caddero sul suo collo robusto contornato da un paio di vene gonfie e, probabilmente a causa del suo profumo così ravvicinato, strani pensieri si impossessarono di me.
Sgranai gli occhi. Forse Castiel era un serial killer di ultima generazione che usava una fragranza alla droga con cui intontiva le sue vittime per poi darle in pasto alla sua belva canina.
...Emma, ti vuoi dare una calmata?
Castiel intanto mi aveva portato in camera sua e mi aveva stesa sul suo letto.
«Ora stai buona qui e non muoverti» aveva detto prima di uscire dalla stanza.
Feci come mi disse anche perché non volevo aggravare la mia salute fisica e mentale più di quanto non avessi già fatto. Supina ma presa dalla curiosità, diedi uno sguardo intorno. D'altronde ero niente popò di meno che nella camera di Castiel!
In realtà non era granché interessante, anzi era la tipica stanza di un qualsiasi ragazzo: il disordine regnava sovrano. Cercai di non soffermarmi più del necessario su un paio di boxer neri appesi su una sedia e passai oltre, arrivando a notare una chitarra elettrica appoggiata accuratamente sulla parete di fronte al letto.
E così questa è la passione di Castiel, pensai. Chissà da quanto tempo la suonava...
Continuando con la mia occhiata di perlustrazione a trecentosessanta gradi, arrivai alle mensole proprio sopra il letto e sopra la mia testa, su una di queste era poggiata una cornice con una foto annerita. Qualcuno – forse Castiel – ci aveva passato sopra un pennarello indelebile, e non si vedeva più nulla, né lo sfondo né i soggetti.
Che senso aveva lasciarla lì in bella vista sulla mensola?
Ma il mio pensiero fu interrotto dal ritorno di Castiel con in mano un... Panino?
«Tieni» disse goffamente, e si sedette sul letto accanto a me. «Mangia»
Castiel aveva preparato quel panino per me?
«E' velenoso?» chiesi scrutandolo attentamente tra le mani. «Sai, visto il pugno in faccia di prima, non posso escludere del tutto un tentato omicidio»
«Se non lo vuoi me lo mangio io» disse lui storcendo le labbra.
L'immagine di Castiel in cucina impegnato a imburrare una fetta di pane per me mi fece piacere e allo stesso tempo mi fece ridere. Ma lui non la prese bene e tentò di sfilarmi il panino dalle mani.
«No, questo è mio!» dissi ridendo, e lo addentai. Lui mi bloccò le mani che reggevano il pane e lo addentò a sua volta, e i nostri visi si trovarono nuovamente a pochissima distanza tra loro. I suoi occhi socchiusi mi stavano sfidando. In quel momento dovevamo risultare abbastanza ridicoli, simili a due cani che si contendevano un osso.
Castiel iniziò a tirare con la bocca il panino verso la sua parte, ma io di scatto lasciai andare la presa, mossa che lo colse alla sprovvista facendo cadere gran parte del ripieno sulla sua maglietta. Scoppiai in una risata ancora più fragorosa.
«Accidenti!» disse lui contrariato, e le guance gli si imporporarono lievemente di rosso.
«Non si gioca con il cibo» gli feci la linguaccia e mi distesi nuovamente, mangiando la metà del panino che non era andata sprecata.
«Però dai, ammetto che è buono»
«Quale onore» disse ironicamente, poi andò ad aprire l'armadio e ne estrasse una felpa. Si sfilò con un solo gesto la maglia di fronte al mio sguardo sbigottito. Non ero psicologicamente pronta per uno spogliarello improvvisato.
«Non guardare, pervertita!» urlarono i muscoli contratti della sua schiena.
Imbarazzata, voltai il viso verso la parete mentre si infilava una felpa grigio scuro.
Non appena ripresi le forze Castiel mi accompagnò a casa, che scoprii non essere molto lontana dalla sua. Arrivati davanti il portone mi salutò con un buffetto sulla testa, mise le mani nelle tasche e andò via. Mentre guardavo la sua figura scomparire nel buio della sera, mi resi conto che quel ragazzo era riuscito senza volerlo a farmi dimenticare l'esistenza dei pensieri negativi che si erano affollati nella mia testa da quando ero uscita di casa.
Mi sentivo decisamente... Leggera.
Quando entrai in casa però, mi beccai lo sguardo accusatorio di mio padre con annessa ramanzina serale. In effetti ci stava tutta: l'orologio segnava le undici e mezza.

Il giorno dopo a scuola Iris mi stava mangiando con gli occhi.
«E poi?» chiese avidamente.
«E poi cosa?»
«Nient'altro? Che so, un bacio...»
«Ma come ti salta in mente?»
La delusione si impossessò del suo viso, ma un secondo dopo sembrò riprendersi. «Beh, giustamente a te piace Nathaniel»
«Ancora con questa storia, Iris?»
«Tranquilla, non dirò niente a nessuno» disse con un sorriso furbetto.
Stavo per controbattere quando vidi qualcuno avvicinarsi ai nostri banchi.
Quel qualcuno era Ken.
Dall'episodio di Ambra non mi aveva più rivolto la parola, quindi mi fece strano sentire la sua voce rivolgersi a me.
«Ciao Emma» disse evitando di incontrare i miei occhi.
«Ciao» mi limitai a rispondere.
«Volevo solo dirti che domani parto... Torno nella nostra vecchia città»
La notizia mi stupì. Non erano passati nemmeno due mesi dal nostro trasferimento... Per quale motivo se ne tornava laggiù?
«Mio padre ha inviato la richiesta di iscrizione presso l'Accademia Militare. Da domani inizierò a frequentarla»
«Cosa...?» non riuscivo a capire. «Perché?»
«Dice che devo imparare ad essere un uomo, e che quello è il posto migliore per diventarlo» dietro i suoi spessi occhiali, intravedevo la sua espressione rassegnata.
Probabilmente in un altro contesto quella notizia mi avrebbe fatta ridere, ma in quel momento non mi sembrava affatto divertente.
«Capisco» era difficile trovare delle parole adatte «Buona fortuna, allora»
Sembrava che Ken stesse lottando contro l'impulso di dire o fare qualcosa, lo capii dai suoi pugni e dalle mascelle serrate.
«Grazie» disse in un sussurro, e tornò al suo posto.
Iris mi lanciò un'occhiata interrogativa, che non trovò alcuna risposta da parte mia.

Durante l'intervallo andai in cortile e mi sedetti su una panchina a mangiare il mio pranzo in tutta tranquillità. Iris era andata in biblioteca a restituire dei libri presi in prestito e mi avrebbe raggiunta più tardi.
In lontananza vidi Castiel appoggiato ad un muretto sorseggiare una cola, insieme a lui c'era la civetta bionda che gli svolazzava intorno.
Quando Amber gli prese un laccio della felpa e se lo rigirò tra le dita con fare da gatta morta provai una stretta allo stomaco, ma non ci feci caso e mi ripresi quasi subito pensando che quella era la stessa felpa grigia con cui si era cambiato la sera precedente. Amber non sapeva e probabilmente non avrebbe mai saputo che ieri ero stata a casa sua. Questa convinzione non so perché mi fece sentire soddisfatta.
Mentre ero intenta ad osservare quell'interessante scenetta, qualcuno mi picchiettò la spalla con un dito. Voltandomi mi ritrovai di fronte il sorriso mozzafiato di Nathaniel.
«Ehi!» esclamai sorpresa «Che ci fai qui?»
«Anche i segretari hanno la pausa pranzo» disse facendomi l'occhiolino. «Disturbo?»
«No, no. Siediti pure» gli feci spazio sulla panchina, e lui prese posto accanto a me.
«Non sei con la tua amica?» mi chiese.
«Iris? E' passata in biblioteca, tra poco dovrebbe essere qui»
«Capisco. Ma...» Nathaniel volse lo sguardo verso il punto della fronte dove si trovava il bernoccolo. Il mio tentativo di nasconderlo sotto la frangetta era miseramente fallito. «Cos'hai fatto lì?»
«Oh. Ehm...» mi portai una mano sulla fronte per smuovere i capelli in modo da coprire meglio quel punto. «Sono caduta»
Di certo non potevo rivelargli che ero entrata a scuola senza permesso. Trattandosi di Nathaniel, sarebbe stato come confessare di aver rubato di fronte a un poliziotto.
Nathaniel passò dolcemente due dita sulla mia fronte, stando attento a non toccare il bernoccolo. Poi mi spostò alcuni capelli più lunghi portandoli dietro l'orecchio e provocandomi un leggero solletico.
«Stai attenta» mi disse sorridendo.
«Sì...» lo guardai negli occhi arrossendo.
Nathaniel era l'essenza della dolcezza fatta a persona. I suoi gesti non erano mai esagerati, e mi piacevano davvero le piccole attenzioni che mi dedicava.
Ma forse avevo parlato troppo presto...
La sua mano tracciò una linea immaginaria dalla mia fronte fino alla guancia, per poi scendere sotto il mento. Le iridi color del miele erano incastonate nelle mie come diamanti in un anello. Avvicinò il busto e il viso verso di me per poi ritrovarmi le sue labbra a un soffio dalle mie...
«Emma?»
Il cuore mi era arrivato in gola, e il cervello pure.
Iris aveva interrotto probabilmente qualcosa su cui avrei avuto molto da pensare.
Un momento... Quella voce non apparteneva a Iris.
Io e Nathaniel ci voltammo, a pochi metri da noi Rosalya ci stava fissando con un'espressione enigmatica, o almeno così mi parve di notare. In realtà in quel momento avrebbe potuto piombarmi anche un aereo sulla testa, non credo che me ne sarei accorta.
«Perdonatemi. Ho forse interrotto qualcosa?»
Mi tastai le labbra con le dita, come se sentissi il calore emanato dalla vicinanza di un marchio di fuoco che però non mi aveva toccata.
Rosalya posò gli occhi su di Nathaniel, poi su di me, e infine sorrise inclinando la testa.
Feci per aprir bocca ma Nathaniel mi precedette.
«Di cosa hai bisogno?» il tono non era molto gentile, mi faceva strano sentirlo parlare così.
Rosalya si rivolse a lui mestamente «Ho saputo da Leigh che il mio anello è nel tuo ufficio...»
Nathaniel evitava di incrociare lo sguardo di lei «Esattamente»
«Bene. Passerò a prenderlo dopo le lezioni, allora»
L'aria intorno a noi si era fatta estremamente gelida. Io me ne ero rimasta zitta poiché non sapevo assolutamente cosa dire.
«Dunque, a dopo» Rosalya si volse verso di me, sorridendomi nuovamente ma in modo diverso da prima... Un freddo sorriso di circostanza. «Arrivederci, Emma»
Dopodiché fece la sua uscita di scena allontanandosi da noi con i lunghi capelli argentei che sventolavano attorno alle sue esili spalle.
Quando girai il capo verso Nathaniel, questo si era alzato in piedi.
«Scusa Emma, devo andare» disse frettolosamente e mi lasciò da sola, con una montagna di punti interrogativi ad aleggiare sulla mia testa.
Non sapevo davvero cosa pensare. A partire dal gesto di Nathaniel nei miei confronti, fino ad arrivare al botta e risposta con Rosalya... Più mi ponevo delle domande, più queste non trovavano risposta.
Poi, come folgorata, concepii un'idea che non mi sembrò poi tanto impossibile.
Possibile che tra quei due ci fosse stato qualcosa in passato?
Ciò che me l'aveva fatto supporre erano stati gli atteggiamenti improbabili di Nathaniel verso la ragazza.
Improvvisamente, un uccellino in volo sfrecciò alla mia destra costringendomi a seguirlo con gli occhi, finché non si posò sul muretto dove era ancora appoggiato Castiel, che mi stava osservando con uno sguardo impenetrabile.
«Eccomi! Scusa se ci ho messo tanto, Em» Iris si parò di fronte a me col fiatone.
«Ancora non ho mangiato! Ma sai, quegli scaffali pieni zeppi di libri mi hanno rapita di nuovo e ho perso la cognizione del tempo! Dici che faccio in tempo a... Emma?»
Non avevo sentito una parola di quello che aveva detto la mia amica.
Avevo la testa completamente, irrimediabilmente fusa.


Note autrice: Ciao ragazze! Alla fine è passato comunque non poco tempo dall'ultima pubblicazione, mi dispiace :( spero che mi perdonerete leggendo questo nuovo capitolo! Mi ci sono impegnata molto e ne sono abbastanza soddisfatta, quindi vorrei che piacesse anche a voi. Ovviamente accetterò tutti i tipi di recensioni, positive o negative che siano, quindi mi raccomando... Commentate! :P

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Capitolo 7
*** Ricordi del passato ***


Night and Day
Capitolo 7

Ho ritenuto opportuno inserire qui di seguito l'età dei vari personaggi (che non segue quella del gioco) per non creare troppa confusione:

Emma: 17 anni
Castiel: 18 anni
Rosalya: 19 anni
Nathaniel: 21 anni

 



Il cervello decise di abbandonarmi durante le due ore di chimica che andavano a concludere quella giornata. Poco male, se fossi stata in possesso delle mie facoltà mentali avrei comunque pensato ad altro piuttosto che alle noiose e incomprensibili formulette che occupavano tutta l'area della lavagna.
Nathaniel.
Le sue labbra così vicine alle mie erano diventate l'immagine fissa che si era impossessata della mia testa dalla fine dell'intervallo.
Se Rosalya non fosse arrivata proprio in quell'istante, chissà cosa sarebbe successo...
Inutile girarci intorno, la risposta era ovvia: mi avrebbe baciata.
E io avrei ricambiato quel bacio?
La voce acuta della professoressa mi fece tornare bruscamente alla realtà.
«Signorina Turner, sarebbe così gentile da seguire la lezione come tutti i suoi compagni?»
L'aria sognante che aveva assunto il mio volto sparì e tentai di ricompormi.
«Mi scusi, professoressa»
Mentalmente lessi le formule alla lavagna e scribacchiai qualcosa sul quaderno. Per un minuto provai a concentrarmi e a ragionare su ciò che i miei occhi avevano davanti ma fu inutile.
I comportamenti di Nathaniel e Rosalya erano troppo ambigui. Non potevo esserne certa, ma l'intuito mi diceva che sotto si nascondeva qualcosa di importante. Grazie al discorso a cui avevo assistito poche ore prima, mi resi conto di una cosa: volevo saperne di più. Se c'era davvero qualcosa a legare quei due ragazzi, io volevo venirne a conoscenza.
Guardai fuori dalla finestra. L'albero alla mia sinistra aveva ormai perso quasi tutte le foglie che erano andate a formare un letto rosso scuro ai piedi del tronco. L'autunno inoltrato stava per lasciare il posto all'inverno.
«Signorina Turner, insomma! Se continuerà a distrarsi mi vedrò costretta a spedirla dritta in presidenza!»
Quell'ammonimento bastò e avanzò a scacciar via temporaneamente gli ingarbugliati pensieri che si affollavano dentro di me come uno sciame di api ronzanti.
Volente o nolente, la chimica mi avrebbe accompagnata fino alla fine della giornata scolastica.

«Ci vediamo domani, Em» Iris mi diede un bacio sulla guancia e corse via per non perdere il pullman.
Prima di uscire dall'edificio mi fermai davanti l'armadietto per prendere gli snack che mi erano avanzati. A pochi metri da me c'erano due persone che stavano discutendo animatamente.
Mi voltai in modo discreto verso la loro direzione, e fu sorpresa quando mi accorsi che quelle due persone erano Rosalya e... Castiel.
Distolsi subito lo sguardo per non dare nell'occhio e tornai a fissare l'interno del mio armadietto.
Che cosa avevano in comune quei due? Di cosa stavano parlando?
La curiosità mi spinse a rimanere lì, immobile, in attesa di un qualsiasi indizio che arrivò presto.
Voltai il viso quel poco che bastava per assistere ad un'azione che avrebbe sconvolto ancora di più le ipotesi che avevo partorito.
Rosalya aveva assestato un sonoro schiaffo sulla guancia di Castiel. Subito dopo era scappata via, uscendo dall'atrio in lacrime.
Vidi Castiel portarsi una mano sul punto dove la ragazza lo aveva colpito e cercai di intravedere qualcosa nella sua espressione, ma non ci riuscii. Se in quel momento il rosso stava provando una qualsiasi emozione, era riuscito a nasconderla davvero bene.
Poco dopo, anche lui girò i tacchi e se ne andò.
Io rimasi impalata a fissare il vuoto per qualche istante, poi mi decisi ad incamminarmi verso l'uscita insieme alla confusione più totale nella testa che a quel punto avevo perso definitivamente.
«Mangia Em, altrimenti si raffredda»
Il piatto di maccheroni davanti a me aveva un aspetto succulento e appetitoso, ma quella sera il mio stomaco non voleva saperne di ingurgitare nulla di commestibile o meno.
«A dire il vero non ho molta fame, papà»
Mio padre mi guardò come se avessi appena affermato di essere un alieno sceso sulla Terra con intenzioni poco pacifiche.
«Non hai fame? Cos'è, uno scherzo?»
Posai la forchetta sul tavolo e bevvi un lungo sorso d'acqua, scuotendo la testa in risposta a mio padre, che a quel punto fece per alzarsi e andare verso il telefono.
«Urge un dottore» disse con fare melodrammatico.
«Eddai, smettila. Capita anche a me di non avere appetito»
Lui mi guardava con fare accigliato, sempre più sospettoso. «Non farai uso di droghe?» se ne uscì improvvisamente.
«Ma che cavolo dici?!»
«Scherzo, scherzo» disse lui portandosi le mani davanti al viso a mo' di scusa, prima di ricevere un pezzetto di pane sul naso.
«Sei uno scemo, papà» Risi e mi alzai dal tavolo per sparecchiare.
Dieci minuti dopo ero buttata sul letto in stile sacco di patate, con il libro di letteratura aperto accanto a me e gli occhi a fissare l'interessante soffitto.
Avevo appena deciso di mettermi seriamente a studiare quando qualcuno suonò il campanello.
«Emma, è per te!»
Strabuzzai gli occhi quando mi trovai di fronte un Nathaniel visibilmente a disagio.
«Ciao» disse, grattandosi la testa «Sai, speravo che fossi tu ad aprire» sussurrò.
Feci cenno a mio padre di lasciarci soli ma lui rimase impalato a scrutare il biondino con aria poco rassicurante. Scossi la testa e uscii dalla porta d'ingresso socchiudendola.
«Scusa l'improvvisata» disse Nathaniel «Avevo bisogno di parlarti, e ho trovato l'indirizzo sul tuo dossier»
Della frase mi colpì solo la prima parte. Voleva parlarmi... Beh, e io volevo sapere.
«Facciamo una passeggiata?» chiesi.
La camminata di Nathaniel era decisa ma lenta, nonostante questo un suo passo richiedeva due dei miei.
«Non volevo che andasse così oggi» la sua voce si insinuò nella mia riflessione costringendomi a destare le orecchie.
Il suo volto un po' imbronciato mi ricordò quello di un bambino e mi suscitò tenerezza.
«A volte le cose non vanno come vorremmo» dissi e guardai il cielo. Non v'era traccia di stelle ma solo di grandi nuvoloni che regnavano sovrani su quella tela scura che si ergeva sopra le nostre teste.
«Le cose non vanno mai come vorrei» Nathaniel pronunciò questa frase con così tanta enfasi che mi portò a voltarmi verso di lui, e rimasi colpita dal suo sguardo forte e intenso.
«Tempo fa... Ero innamorato di Rosalya»
Non riuscivo a staccare gli occhi dai suoi. Fu lui ad abbassare la testa poco dopo, e io non capii il motivo di quel gesto.
Le parole sgorgavano dalla sua bocca come un fiume in piena e nemmeno per un secondo ebbi l'intenzione di porvi un argine.
«Non fu qualcosa di improvviso, quello che provavo per lei cresceva gradualmente di giorno in giorno. Più passavamo del tempo insieme e più mi accorgevo di esserne attratto. Bellezza a parte, mi innamorai completamente di lei al punto da non capire più nulla»
Fece una pausa, poi serrò i pugni e continuò.
«Sempre a quel tempo... Io e Castiel eravamo buoni amici»
Vedendo la mia espressione scioccata, si sbrigò a continuare la sua spiegazione.
«Già, può sembrare strano. Due tipi così diversi come noi... Ma ti assicuro che ci trovavamo bene insieme. Probabilmente lui iniziò ad avvicinarsi a me proprio perché mi vedeva così differente dal suo modo di essere» disse «O forse semplicemente perché gli facevo pena, sempre impegnato in mezzo a mille scartoffie burocratiche» un sorriso amaro si dipinse sul suo volto andando a stonare con la solita espressione delicata che lo caratterizzava.
«Gli raccontai dei miei sentimenti per Rosalya, convinto che mi avrebbe aiutato o quanto meno capito. Ma mi sbagliavo»
Di colpo iniziò a piovere. Malgrado in poco tempo io e Nathaniel ci inzuppammo quasi completamente, non ci spostammo di un millimetro dalla posizione in cui eravamo.
«Ricordo quel giorno come fosse ieri» le mascelle contratte erano il segno visibile della sua sofferenza interiore. «Come succede raramente, avevo finito di lavorare un po' prima, perciò presi le mie cose e mi diressi verso l'aula di Rosalya per riaccompagnarla a casa... Ma non la trovai. Così decisi di usare l'uscita del sottoscala, meno affollata di quella principale, e lì...»
Nathaniel chiuse gli occhi come per scacciare via un incubo tremendo, poi fece un respiro profondo e continuò «C'erano loro due. Castiel e Rosalya, e si stavano baciando»
Quell'ultima frase mi spiazzò completamente.
Non potevo crederci, o meglio, non volevo crederci. Castiel non sembrava quel tipo di persona, eppure aveva baciato Rosalya, la ragazza di cui era innamorato il suo amico.
L'acqua aveva inzuppato del tutto il maglione bianco di Nathaniel, in più cominciava a fare freddo, ma lui sembrava non accorgersi di nulla.
«Dopo quell'episodio non rivolsi più la parola a Castiel»
«E... lei?» chiesi titubante.
Il suo sguardo ferito mi trapassò come una lama tagliente.
«Rosa... Alla fine le confessai quello che provavo e ci mettemmo insieme. Ma la nostra storia non durò molto, il tempo di capire che non ero la persona giusta per lei e mi lasciò per mettersi poco dopo con Leigh.
La verità è che allora ero accecato dalla rabbia e dalla delusione. Mi sentivo tradito. Così, nel momento in cui capii che anche Castiel era interessato a Rosa, non ci pensai due volte prima di proporle di metterci insieme. Sì, lo feci perché mi piaceva, ma anche per vendicarmi di lui»
Ad un tratto ricordai la frase che Nathaniel aveva pronunciato mesi prima in biblioteca a proposito dei gatti e ne compresi il significato.
Il loro tradimento è una conseguenza, non agiscono senza motivo.
Era a se stesso, che si riferiva.
«Quell'anello... Non è un regalo di Leigh» disse.
«Gliel'hai regalato tu?»
«Sì.»
L'abbondanza e la portata delle informazioni incamerate mi sconvolse ma non al punto da perdere il lume della ragione.
Sapevo quello che volevo fare e lo feci senza indugiare.
Abbracciai Nathaniel più forte che potei e avvertii con un brivido il suo corpo bagnato attaccarsi al mio. Aveva smesso di piovere, ma piccole goccioline scendevano dalle punte dei suoi capelli fino a posarsi sui miei. Nathaniel ricambiò il mio abbraccio, la sua stretta era forte ma allo stesso tempo gentile. Sentii il suo naso inspirare l'odore dei miei capelli arruffati dall'acqua. Alzai il viso mentre lui lo abbassò e ci guardammo senza dire una parola.
Quel momento non doveva essere rovinato da nessun altro gesto, protagonisti solo i nostri sguardi che si persero insieme in una profondità di sensazioni diverse. Grazie a quel contatto mi parve di poter percepire l'immenso dolore che aveva accompagnato Nathaniel per tutto il tempo.
«Da quanto tenevi dentro tutto questo?»
«Tanto...»
Adagiai la mia testa sul suo petto e chiusi gli occhi. I respiri irregolari di Nathaniel, dovuti alla rabbia scaturita da quei brutti ricordi, mi cullarono per un tempo che mi sembrò incalcolabile.
Fu Nathaniel a interrompere per primo il nostro abbraccio.
«Andiamo, si è fatto tardi»
Prese la mia mano, la strinse forte e uniti percorremmo in silenzio la strada buia e deserta, con in sottofondo solo il rumore dei nostri passi sull'asfalto bagnato.
Ciò che mi aveva raccontato quella sera non erano fatti da poco conto. Nathaniel aveva deciso di aprirmi il suo cuore rievocando dei momenti così amari che di sicuro avrebbe preferito rinchiudere in un cassetto fittizio e dimenticare.
La cosa di cui non riuscivo a capacitarmi era il comportamento di Castiel. Possibile che avesse veramente agito in quel modo?
Prima di addomentarmi ripensai allo schiaffo di Rosalya e mi convinsi definitivamente delle parole di Nathaniel.
Una cosa però non quadrava... Della mattina in cui incontrai Rosalya per la prima volta ricordavo chiaramente un particolare che fino a quel momento era passato in secondo piano. Aveva definito l'anello che stava cercando come “una cosa molto importante” e aveva persino aggiunto che ne avrebbe sofferto se non l'avesse più ritrovato. Perché mai la perdita di quell'oggetto l'avrebbe potuta rattristare tanto? Dopotutto, Nathaniel era il suo ex, e a detta di quest'ultimo la loro storia non era andata a gonfie vele...
Proprio mentre il mio spirito da Sherlock Holmes stava per tornare all'attacco per l'ennesima volta, fui colta da una forte emicrania e stabilii che per quel giorno potesse bastare così. D'altronde anche i detective più famosi avevano bisogno di riposare il cervello, ogni tanto.

Forse le intenzioni che mi ero portata a scuola il giorno seguente non erano delle più pacifiche, ma così come ero partita a razzo con la voglia di interpretare la crocerossina della situazione, avrei avuto presto modo di scoprire che dovevo ricredermi su una determinata persona che in quella storia c'entrava quanto i cavoli a merenda.
Puntai Castiel in cortile che beveva la sua solita coca e in men che non si dica mi ritrovai faccia a faccia con lui.
«Non riesci proprio a resistermi, eh?» il suo solito ghigno strafottente non mi fece effetto quella volta.
«Come hai potuto?» mi ritrovai a sputargli tutto il mio sdegno senza riuscire a trattenermi.
Castiel mi guardò senza capire. «Eh?»
«Tu... E Rosalya... Sapevi che Nathaniel era innamorato di lei!»
Nel proferire quelle parole ci fu un momento in cui ebbi realmente la lucidità per capire che la prima a non dover intromettersi in quella storia ero proprio io. Ma la rabbia prevalse e spazzai via tutto ciò che potesse distogliermi dal mio obiettivo.
Castiel capì immediatamente a cosa mi stavo riferendo e la sua espressione mutò improvvisamente da ignara a consapevole. La luce nei suoi occhi però la diceva lunga sul sentimento che in quel momento provava verso di me.
«Tu non sai» cominciò, «Non sai assolutamente nulla! Come osi venire a giudicarmi? Credi che una sola versione dei fatti possa bastare a raccontare come sono andate veramente le cose?»
L'odio nel suo sguardo mi fece sussultare.
«Ma... Quello che hai fatto...» esitai.
Castiel mi fece indietreggiare di qualche passo fino a ritrovarmi con la schiena al muro. Sbarrò gli occhi in un lampo di livore e sbatté ferocemente un pugno sui mattoni, proprio alla destra del mio viso.
«Io non ho fatto nulla» disse scandendo bene ogni parola che si incise profondamente dentro di me.
L'inchiostro nero delle sue iridi mi terrorizzò. Castiel mi faceva paura.
Poco dopo abbassò il braccio e vidi che la sua mano sanguinava.
Avevo la bocca asciutta e non dissi una parola, aspettai solo che lui si allontanasse per buttarmi a terra con le gambe tremanti.
Ero stata una stupida, una completa idiota.
Castiel aveva ragione. Chi ero io per mettermi in mezzo?
Il mio carattere impulsivo mi aveva sopraffatta ancora, ma questa volta sentivo che non avrebbe portato a nulla di buono.


Note dell'autrice: Saaalve! Ecco qui il settimo capitolo! Finalmente vengono svelate alcune cose importanti :3 che ne dite? Penso che questo capitolo sia finora il più "intenso" di tutti... Però la nostra Emma stavolta non ha fatto la scelta giusta agendo così impulsivamente, non credete?
Ringrazio tutte le ragazze che commentano questa storia e anche chi la tiene tra le seguite ^^

Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate :D
Un bacione!
P.S. Credo che il prossimo capitolo uscirà con un po' di ritardo perché la settimana che viene sarò parecchio impegnata. Perdono!

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Capitolo 8
*** Regali inaspettati ***


Night and Day
Capitolo 8



Lo specchio che avevo di fronte rifletteva l'immagine di una Emma così avvilita e depressa che fui quasi tentata di assestare un pugno sul vetro per far sparire quelle profonde occhiaie che mi facevano assomigliare più a un panda che a un essere umano.
La notte appena trascorsa non ero riuscita a chiudere occhio per colpa di Castiel e del suo sguardo feroce che mi aveva perseguitata per tutto il tempo.
Già, colpa sua...
In parte anche mia, forse.
Il mio viso nello specchio assunse le fattezze di un perfetto viso colpevole.
Chi volevo prendere in giro? La colpa era solo e unicamente mia.
Se Castiel aveva reagito in quel modo era perché io avevo indubbiamente esagerato ad accanirmi contro di lui.
Ma non riuscivo a restare indifferente a quella storia, Nathaniel mi aveva fatto entrare nel suo passato e io volevo definire il puzzle dei suoi ricordi.
Mi diedi due schiaffi sulle guance e spalancai la bocca per sfogare uno sbadiglio sintomo della nottata in bianco.
Sbarrai gli occhi alla vista di un ex punto nero che durante i miei dilemmi interiori aveva avuto il tempo di trasformarsi in un enorme brufolo rosa che tiranneggiava prepotentemente al centro del mio mento.
Di tutta l'area del corpo umano, perché proprio sul mento?!
«Papààà, non posso andare a scuola oggi!» urlai dalla mia camera cercando di imitare meglio che potevo la voce di una bambina.
«Che succede? Stai male?» mio padre accorse con l'aria preoccupata.
Nel frattempo io mi ero infilata nel letto tirandomi le lenzuola fin sotto gli occhi.
«Sì, sto malissimo» piagnucolai.
Papà incrociò le braccia e mi fissò torvo.
«E cosa avresti di così terribile da impedirti di andare a scuola?»
Sbattei le ciglia e mi sforzai di risultare convincente «Un male... Un male ripugnante. Perderei quel poco di vita sociale che mi è rimasto se oggi varcassi la soglia di questa casa»
Di colpo le coperte finirono ai miei piedi e mi trovai completamente scoperta.
«Su, alzati e non fare i capricci» mi liquidò uscendo dalla stanza.
«Ma perché devi fare la parte del padre intransigente proprio adesso?»
Controvoglia mi alzai e borbottando andai verso l'armadio.
Il mio piano era penosamente fallito. La scuola mi stava aspettando.

Se avevo sperato di riuscire a evitare qualsiasi chioma rossa almeno fino all'intervallo, beh, quel giorno la fatina dei desideri era sicuramente arrabbiata con me.
Mi scontrai con Castiel e il suo fedele broncio non appena voltai l'angolo del corridoio che portava alla mia classe. Farfugliai un “buongiorno” ma in risposta ricevetti un'occhiataccia ostile e nessuna parola.
Quella situazione non mi andava giù. Ma come potevo chiedergli dei chiarimenti, visto che dopo la mia fantastica uscita del giorno precedente ero sicuramente finita nella sua lista nera?
Poi d'improvviso mi venne un'idea che avrei messo in atto quello stesso pomeriggio. O la va o la spacca, pensai.
Anche se peggio di così indubbiamente non poteva andare.

I teneri cagnolini disegnati sull'insegna del negozio di animali che avevo di fronte contrastavano appena appena con il ricordo del fedele bisonte di Castiel.
Feci un respiro profondo e mi addentrai nel negozio con fare deciso, forse fin troppo dato che la commessa corrugò la fronte per poi lasciarsi scappare una risatina silenziosa.
Non passò molto prima di perdermi tra tutti quegli scaffali che contenevano i prodotti per animali più disparati.
Da dove potevo cominciare?
Alla mia destra, il ripiano dei giochi. Alla sinistra quello dei cibi.
Bene, almeno sul bivio della scelta avevo le idee chiare. Mi rivolsi a sinistra e iniziai a scrutare con aria perplessa le varie etichette dei croccantini per cani: Puppy, Junior, Adult...
E cosa cavolo ne sapevo io della fascia di età di Demon?
Scossi la testa e avanzai un altro po' fino ad arrivare ai bocconcini. Subito mi saltò agli occhi una confezione di biscottini a forma di osso.
Perfetti! Demon ne sarebbe andato ghiotto.
Stavo per avvicinarmi alla casa quando una voce molto familiare arrivò alle mie orecchie e mi fece sobbalzare.
«Vuole una busta?»
«Sì, grazie»
Castiel era lì, a meno di due metri da me.
...Quale entità divina godeva così tanto nel farmi disperare?
Non ero pronta psicologicamente per affrontarlo. Già mi sentivo fin troppo idiota a scegliere un regalo per lui e per il suo cane, dato che nella migliore delle ipotesi mi figuravo un Castiel furibondo che mi costringeva a mangiare a forza quei biscotti con un sorriso maligno stampato sul volto.
In punta di piedi mi nascosi dietro un grande contenitore di collari ed altri accessori dalla dubbia utilità e rimasi in attesa di sentire i suoi passi uscire dal negozio.
Per un istante ebbi un déjà vu e istintivamente mi portai la mano sulla fronte come a cercare un bernoccolo ormai inesistente.
Rimasi col fiato sospeso e attizzai le orecchie, ma il rumore dei passi sembrava sparito di colpo.
Forse era uscito mentre io mi stavo nascondendo...
Feci capolino con la testa oltre il contenitore e mi accorsi troppo tardi delle quattro paia di occhi puntati su di me e sulla mia posizione assurda.
Castiel e la commessa mi osservavano con un'espressione tra lo stupito e l'esterrefatto, quasi fossi un fenomeno da baraccone.
Beh, in quel momento avrei preferito essere in un tendone da circo insieme a scimmie ed elefanti piuttosto che lì, alla mercé di quelle iridi colore della pece che continuavano a fissarmi astiose.
La parte egoista di me aveva sperato fino all'ultimo di sentire l'appellativo con cui aveva preso ormai il vizio di chiamarmi, “molestatrice”. Già, perché paradossalmente anche quella situazione sembrava essere stata escogitata per un attacco di spionaggio di livello professionistico.
Ma la sua bocca rimase chiusa come una cerniera.
«Castiel...» sussurrai.
Sentendo il suo nome uscire dalla mia bocca il rosso si irrigidì, voltò le spalle e uscì dal negozio facendo un cenno secco alla commessa. Mi aveva completamente ignorata, e questa consapevolezza mi ferì una seconda volta nell'arco della giornata.
«Castiel, aspetta!» urlai con un groppo in gola, e precipitosamente mi diressi al bancone per pagare i biscotti.
Uscii dal negozio talmente di corsa da non accorgermi del gradino che precedeva la porta. Quella volta però Castiel era troppo lontano per permettersi un altro salvataggio eroico, quindi caddi a terra sbattendo il sedere sul duro cemento del marciapiede.
«Ahio...» piagnucolai.
Accidenti a me e alle mie stupide idee.
Con la coda dell'occhio vidi Castiel voltarsi verso di me, scuotere la testa esasperato e fare dietro front.
«Devi sempre farmi perdere tempo, tu?!» disse mentre mi aiutava a rialzarmi.
Avevo una voglia matta di massaggiarmi il sedere indolenzito ma pensai che non era il caso. Seppur controvoglia Castiel mi aveva rivolto la parola e io dovevo approfittarne.
«Senti... Volevo parlarti di quello che è successo ieri» iniziai.
Il suo sguardo si fece di nuovo duro e si scagliò come un'ascia nei miei occhi mortificati.
«Non c'è nulla da dire» rispose prontamente lui con l'intenzione di voler mettere subito fine a quel discorso.
«E invece si» dissi guardandolo intensamente, poi abbassai lo sguardo a terra. «Mi dispiace Castiel, sono stata una stupida»
Il rosso rimase in silenzio e io approfittai di quella che mi parve una minuscola sospensione delle ostilità per offrirgli il regalo che gli avevo appena comprato.
«Ta-daaan» mormorari impacciata porgendogli la busta.
Evidentemente Castiel non si aspettava nulla del genere perché restò imbambolato a guardare me e la busta come se si trovasse di fronte a uno di quegli indovinelli quasi impossibili da risolvere.
«E' per te. Cioè, per Demon... Non so se possano piacergli, ma... Ecco...»
Stavo di nuovo facendo la figura dell'ebete. In un impeto di pessimismo mi convinsi che scusarmi in quel modo fosse stata un'idea davvero scadente, e provai un forte imbarazzo.
Ma Castiel fece una cosa che sarebbe un eufemismo definire sorprendente. Si portò una mano a coprirsi gli occhi per tentare di nascondere il suo visibile imbarazzo, poiché nel giro di pochi secondi il colore del suo viso aveva assunto le sfumature rossicce dei suoi capelli.
La reazione inaspettata a cui avevo appena assistito mi rese le cose un po' più difficili dato che avevo scommesso che quel mio gesto non l'avrebbe affatto scalfito. E invece mi ero sbagliata.
«Ehm... Allora, tieni»
Di nuovo il rosso mi sbalordì rifiutando la busta e mugugnando una frase che mi aprì il cuore.
«E' per Demon, no? Allora devi darlo a lui...» detto ciò si rimise in marcia verso la strada che stava percorrendo prima del nostro discorso, ma stavolta le sue falcate erano più lente, come a farmi intendere di seguirlo.
Senza farmelo ripetere due volte mi ritrovai a camminare dietro di lui con lo sguardo fisso sulla sua schiena ampia coperta dall'immancabile giacchetto di pelle nera.
D'improvviso mi resi conto di una cosa che fino ad allora sembrava quasi assopita dentro di me.
L'essere stata male per la sua reazione, l'aver comprato quei biscotti e il disagio di fronte alla sua espressione così dura...
Il motivo per cui stavo facendo tutto quello era perché a me premeva conoscere anche il suo punto di vista, mi importava sapere cosa lui ne pensasse e quali erano stati i suoi sentimenti durante lo svolgersi di quella vicenda.
Desideravo conoscere Castiel ancora più a fondo, perché mi importava di lui.

Il giardino di casa sua era piccolo ma accogliente. Il ringhiare minaccioso di Demon era l'unica nota stonata in quel piccolo paradiso verde, ma se non volevo buttare tutto all'aria mi conveniva tenere per me determinate battutine sarcastiche sul suo bel cagnolone.
Appena Demon avvistò il padrone corse verso di noi a passo di elefante mentre la sua coda cominciò a roteare follemente di gioia.
Ci mancò poco che dovessi chiamare un'ambulanza vedendo Castiel steso a terra con trenta o quaranta chili di massa corporea pelosa sopra la pancia.
«Smettila, Demon!» disse lui, e io mi resi conto che quella era la prima volta da quando lo conoscevo che lo vedevo ridere in modo così solare.
Il suo viso sempre impostato con quell'aria da duro cambiò completamente e mi ritrovai a pensare che fosse ancora più bello...
Poco dopo si alzò e cercò di scrollarsi di dosso l'erba e la terra che gli si erano appiccicati ai jeans scuri, poi con la mano fece segno di avvicinarmi.
Titubante feci come mi disse tenendo gli occhi ben fissi sul cane che ora ansimava con un metro di lingua penzolante dalla bocca.
«Non aver paura» disse, aprendo la busta dei biscotti e mettendomene un paio nel palmo della mano. Poi delicatamente poggiò il suo palmo sul mio dorso e lo avvicinò al muso di Demon. Quest'ultimo prima annusò diffidente ma presto si convinse che se la mia mano odorava di cibo, probabilmente ero un individuo abbastanza interessante per il suo stomaco, così prese gli ossicini dalla mia mano e li sgranocchiò con gusto.
Il respiro che avevo trattenuto fino a quel momento uscì tutto fuori e mi voltai sorridente verso Castiel.
«Visto?» mi disse, ma non completamente soddisfatto prese di nuovo la mia mano e la poggiò sotto il muso del cane, che distrattamente odorava intorno a sé alla ricerca di altre leccornie da divorare.
«E' morbido» constatai, continuando ad accarezzarlo compiaciuta.
«Vedi di non intenerirti troppo, altrimenti te lo scaglio contro» disse Castiel col solito tono burbero e non troppo sincero.
Sorrisi e mi sedetti sullo scalino della veranda accanto a me.
«Eravate molto amici, vero?»
Il rosso sembrò cadere dalle nuvole.
«Tu e Nathaniel, intendo»
Ero stata avventata ad uscirmene di nuovo con quella storia senza alcun preavviso, ma non avevo altra scelta. Oltretutto se Castiel aveva deciso di passare del tempo con me certamente aveva anche intuito le mie intenzioni.
Si distese nuovamente sul prato e portò una mano dietro la testa a mo' di protezione contro lo scomodo terreno erboso, mentre con l'altra aveva cominciato a lanciare un sassolino sopra la sua testa.
«Mah...» si limitò a dire.
Forse quando si parlava di cose come quella non era un tipo molto loquace.
«Ti trovavi bene insieme a lui?» lo spronai.
«Fammi capire, ti stai esercitando per una dubbia carriera da psicologa?»
Sospirai. «Sto solo cercando di capire quanto per te era importante questo rapporto»
Castiel scrutò il cielo con occhi imperturbabili.
«Lo avevo sopravvalutato» disse, «Credevo fosse più maturo»
Con lui sapevo di dover stare attenta a calibrare accuratamente ogni parola, ma l'istinto era più forte di me e senza accorgermene i miei pensieri si tramutarono in voce. «Così maturo da accettare il fatto che il suo migliore amico aveva baciato la ragazza di cui era innamorato?»
Castiel si alzò sui gomiti e mi guardò rabbioso. «Io non l'ho baciata!»
«...Come?»
«Io non ho mai baciato Rosalya, dannazione. Ti sembra il tipo di ragazza a cui potrei fare il filo?!»
Pensandoci due secondi... In effetti anche sforzandomi non riuscivo a immaginare lei e Castiel come una coppia. Decisamente no.
«Ma Nathaniel vi ha visti...»
Lanciò con forza il sassolino nel punto più lontano possibile, poi continuò.
«E ha visto male. Quel giorno... Rosa era venuta a parlarmi»
Un brutto presentimento si insinuò nella mia mente, ma non dissi nulla e lasciai che terminasse il suo racconto.
«Inizialmente pensavo che volesse sapere qualcosa riguardo Nathaniel, visto che da un po' di tempo lui la riaccompagnava spesso a casa dopo le lezioni...»
Demon spalancò la bocca dando vita a un profondo sbadiglio, incurante di tutto e di tutti.
«Non immaginavo che sarebbe venuta a farmi una dichiarazione»
«Un momento... Quindi Rosalya era innamorata di te?»
«Così pare. Io le dissi subito che non ero interessato, ma lei iniziò a piangere e mi baciò senza che potessi fare nulla per fermarla»
«Insomma, tu non hai ricambiato quel bacio»
«No che non l'ho ricambiato. Ma il caro segretario» sottolineò quell'appellativo con una buona dose di sarcasmo mista a qualcosa che mi sembrò delusione, poi andò avanti «Si fece una sua idea e se ne convinse senza chiedermi alcuna spiegazione»
«E perché non sei andato tu a chiarire quell'equivoco?»
A quel punto Castiel si mise in piedi e girò lo sguardo verso di me, di nuovo una nota di amarezza nella sua voce. «Perché avrei dovuto? Era lui ad avere un problema con me, non io»
Infilò le mani in tasca e mi passò accanto per entrare in casa attraverso la porta sulla veranda, lasciandomi sola.
Dunque Nathaniel aveva frainteso tutto... Non era Castiel ad essere interessato a Rosalya, bensì il contrario!
La loro amicizia era terminata a causa di un equivoco, e non era assolutamente giusto.
Intanto Castiel era tornato ed aveva con sé una ciotola di acqua che poggiò per terra vicino a un Demon sonnecchiante.
«Io penso che dovresti parlargliene» dissi, fissando un fiorellino giallo ai miei piedi.
«E di cosa? Ormai non abbiamo più nulla da dirci» rispose lui ponendo fine al discorso.
Potevo capire che Castiel fosse rimasto ferito dal comportamento del suo amico, d'altra parte ero consapevole del fatto che il suo orgoglio non gli avrebbe mai permesso di sbloccare quella spiacevole situazione.
Ma continuavo a ripetermi che non era giusto, che le cose non sarebbero dovute andare così.
Prima di uscire da casa di Castiel passai di fronte la sua camera e buttai l'occhio sulla mensola dove era posata la foto che avevo visto la prima volta che avevo messo piede lì.
Per l'ennesima volta il mio carattere impulsivo parlò al posto mio.
«In quella foto siete tu e...?»
Ma Castiel non rispose. Da quel gesto però capii che ci avevo azzeccato. La foto annerita ritraeva lui e Nathaniel probabilmente in tempi migliori di questo.
Una rottura non voluta era fonte di sofferenza per entrambi, perché avevo capito che la loro amicizia era stato un sentimento importante in passato.
Sebbene la voglia di aiutarli si fosse già radicata dentro di me, sapevo che per far sì che si presentasse un'opportunità di riappacificazione sarebbe stato necessario parlare con un'altra persona.
Rosalya.


Note dell'autrice: Ehilà! Chiedo umilmente perdono per il ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo, anche se più o meno lo avevo preannunciato nello scorso... Purtroppo è un periodaccio e le vacanze di Pasqua non sistemeranno le cose poiché ho in programma un viaggio quindi altro poco tempo per scrivere.
Però ce la sto mettendo tutta a scrivere questa storia e spero davvero che continui a piacervi!
Mi aspetto i vostri commentini che mi spronano ad andare avanti :3 un bacione a tutte e a presto!

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Capitolo 9
*** La gita - 1ª parte ***


Night and Day
Capitolo 9



I giorni trascorsero velocemente e con essi anche l'autunno, che lasciò il suo posto al freddo e secco inverno.
Proprio quando i primi fiocchi di neve iniziavano a scendere dal cielo e a posarsi sui tetti e sui prati di Fairfield, tutta la scuola entrò in fibrillazione per l'imminente gita scolastica invernale.
Sebbene il clima non fosse dei migliori la gita era vista come uno degli eventi più attesi dell'anno e presto capii il perché.
«La leggenda del Dolce Amoris narra che gli amori più duraturi sono nati proprio durante la gita invernale...» spiegò Iris con il suo fare da sapientona a cui mi ero ormai abituata.
«Ah, sì? Fammi un esempio, allora...»
«Beh» iniziò lei «Come puoi non esserti accorta dell'amore che lega la Direttrice al suo cagnolino?»
Le mie sopracciglia aggrottate spinsero Iris a continuare il discorso.
«L'ha trovato proprio durante un'escursione in montagna, e da allora non se ne è più separata!»
Scoppiai in una risata nel sentire quella buffa storiella. «Avrei preferito un altro esempio, ma mi accontento»
La mia amica fece la linguaccia e si buttò sul mio letto.
«Allora, questa valigia?»
«Non so cosa portare, non ho nulla che vada bene» mi lagnai.
«Scommetto che il tuo armadio non è dello stesso parere» disse «Aprilo, dai»
Feci come mi disse e spalancai le ante del mio armadio le quali rivelarono una caterva di vestiti che occupavano disordinatamente cassetti e ripiani.
«Questo sarebbe “nulla”?» chiese Iris sconvolta. «Hai una marea di roba!»
«Sì, ma...»
Prima che potessi controbattere lei si alzò dal letto e prese una stampella che reggeva un maglioncino rosso.
«Cosa vuoi dire a questo?»
«Ha una scollatura che non mi piace...»
Iris mi fissò per qualche istante e scosse la testa, poi continuò con una lunga maglia beige. «E questa? Guarda che carina...»
«L'ho messa troppe volte...»
«A questa camicia azzurra manca solo la parola»
«I bottoni sono antichi!»
Non ci volle molto perché capisse che con me era tempo sprecato.
«Oh Em, fa' come ti pare. Alla fine sono solo due giorni e una notte in montagna, non andiamo mica ad un gran galà!»
Sospirai depressa mentre tentai di sistemare alla bell'e meglio il caos nell'armadio.
«Sai...» cominciò Iris, sfogliando una rivista senza troppo interesse «Ho sentito dire che anche Nathaniel parteciperà alla gita...»
«Davvero?» in cuor mio la domanda però era un'altra: chissà se anche Castiel sarebbe venuto? Dalla mia bocca però non uscì nulla. Non avevo ancora raccontato a Iris degli ultimi sviluppi e nemmeno in quel momento sapevo come intraprendere il discorso. Un po' scoraggiata, pensai anche che in fin dei conti tra me e Castiel non c'era nulla, quindi nemmeno nulla di cui parlare con la mia amica.
Iris dovette notare il mio cambiamento di espressione perché aggiunse in tono curioso «Hai il suo numero?»
«Eh? Di chi?»
«Ma come di chi? Di Nathaniel!»
Ah già, stavamo parlando di lui.
«Sì» dissi, ripiegando un cardigan nero e adagiandolo piano sul letto «Me l'ha dato tempo fa, quando erano successi quei casini con Ambra. Mi aveva detto che se avessi avuto altri problemi, avrei potuto chiamarlo»
Iris rimase a bocca aperta. «Wow! Accidenti Em, non è da tutti ricevere il numero del segretario!»
«Dici?» ma la mia mente era completamente altrove. Pensavo che Castiel non fosse tipo da cellulare, mi dava l'impressione di essere uno di quelli che meno lo usava, meglio stava. Magari ne aveva uno, modello vecchio catorcio, ma lo teneva sempre in camera e a volte si dimenticava perfino della sua esistenza.
Sorrisi tra me e me.
Iris colse la palla al balzo facendo chissà quali congetture fra me e Nathaniel, ma non potendo entrare nel mio vortice di pensieri mentali ignorava che in realtà era Castiel il ragazzo a cui stavo dedicando le mie funzioni cerebrali in quel preciso momento.
«Perché non gli mandi un messaggio?»
«Ma non avrà nemmeno il cellulare...»
Iris rimase in silenzio per un po' e mi scrutò come se non riuscisse a comprendere la mia vera natura. «Terra chiama Emma... Che cavolo stai blaterando? Mi hai appena detto che ti ha dato il suo numero!»
Spalancai gli occhi e mi diedi un buffetto sulla fronte. Ero totalmente fuori.
«Oh, ehm, sì. Scusa Iris, sono confusa»
Il proprietario della chioma rossa stava insinuandosi troppo spesso nella mia testa in quei giorni, e me ne accorsi perché ero diventata più rimbambita del solito.
Iris rinunciò al suo intento di estrapolare qualche informazione essenziale dalla mia bocca e a malincuore si dedicò nuovamente all'anonima rivista.

La mattina della partenza era finalmente arrivata. Nel cortile del liceo erano ammassati un centinaio di studenti divisi in quattro gruppi, che corrispondevano alle classi partecipanti alla gita invernale. Quasi subito intercettai tra la folla sia la testa di Castiel che quella di Nathaniel, il primo si trovava in mezzo a un gruppo di ragazzi della sua classe, tra cui mi parve di scorgere anche il famoso Lysander, l'altro invece era impegnato in una discussione con la direttrice e alcuni professori.
Come sentendosi osservati, entrambi volsero il capo nella mia direzione. Nathaniel mi salutò con un cenno della testa e un sorrisino abbozzato, per poi tornare a rivolgersi ai suoi superiori insieme a un'abbondante dose di professionalità, Castiel rimase per un istante incollato ai miei occhi senza mostrare alcun tipo di sentimento sul volto pallido. Dentro di me pensai che non volevo porre fine a quel contatto visivo, ma un'Iris energica più che mai mi si piazzò davanti per rintronarmi di chiacchiere come suo solito, costringendomi così a posare gli occhi su di lei.
La voce squillante della direttrice ci ordinò di sistemare zaini e valigie sui pullman e prendere velocemente posto all'interno. Mezz'ora dopo eravamo in viaggio, risa e gridolini facevano da sottofondo insieme a strofe di canzoni stonate. Nell'aria l'eccitazione era quasi palpabile.

Passeggiare per sentieri sdrucciolosi e irregolari, ma soprattutto in salita, sicuramente non rientrava nei miei passatempi preferiti. Fu proprio questo però che mi tenne impegnata per tutto il pomeriggio. Verso le sette rientrammo nel nostro albergo ed ebbi il tempo di fare una doccia lampo prima di rimpinzarmi la pancia con tutto il ben di Dio che trovai nella sala ristorazione. Alle nove ero spalmata sul letto insieme ad Iris e ad un'altra compagna di classe, Violet, una ragazza molto timida il cui nome rispecchiava il colore dei suoi capelli.
Stavo quasi per addormentarmi quando Iris se ne uscì con una proposta che lì per lì mi sembrò tutto tranne che interessante.
«Ragazze, siamo in gita, giusto?» chiese, sciogliendo i capelli color arancio dalla spessa treccia che usualmente portava.
«Sì» rispose Violet, con un'espressione che stava per mi pare la cosa più ovvia del mondo.
«Quindi... Dobbiamo approfittarne!»
I muscoli delle mie gambe, pulsanti per la fatica a cui non ero abituata, gridarono silenziosi insulti rivolti a Iris.
Mi rigirai nel letto e misi le mani sotto il cuscino «Che sonno...» dissi con uno sbadiglio, facendo finta di non aver sentito le parole della mia amica.
«Oh, che vecchiacce! Forza, alzatevi»
Di colpo mi sentii tirare per un braccio e caddi sulla moquette con un tonfo secco. Subito dopo, qualcuno bussò alla porta.
Violet, che era riuscita ad alzarsi da sola prima che l'uragano Iris lo facesse al posto suo, andò ad aprire.
Una voce profonda e pacata che non avevo mai sentito prima arrivò alle mie orecchie.
«Buonasera, ragazze... Disturbo?»
Feci capolino con la testa per vedere a chi appartenesse quella voce dalla tonalità così piacevole, per scoprire un secondo dopo che un argenteo Lysander si accingeva a fare il baciamano ad una Violet morente d'imbarazzo.
Quando mi accorsi che il vittoriano era niente popò di meno che in pigiama, trattenni con tutta me stessa una risata. Era la visione più buffa che mi si fosse mai presentata dinanzi agli occhi.
Il suo viso, così bello e delicato tanto da temere si potesse rompere in mille pezzi di porcellana da un momento all'altro, mal si opponeva ad un pigiama di raso a righe verdognole, dello stesso colore di uno dei suoi magnifici occhi.
Iris non si fece scappare quell'occasione prelibata e si avvicinò al ragazzo sorridendo contenta.
«Ciao, Lys!»
Sentendosi chiamare, Lysander si voltò verso di lei «Oh, che piacere rivederti, Iris»
Dopo una breve ma intensa presentazione, grazie alla quale ebbi la possibilità di esaminare meglio le sue iridi così diverse, il ragazzo sembrò dar voce ai pensieri della mia amica.
«Sapete, io e gli altri ragazzi ci stavamo chiedendo se per caso aveste voglia di prendere un tè con noi, nell'altra stanza»
A quella proposta vidi le guance di Violet assumere sfumature che passarono dal rosa pallido al viola livido in un batter d'occhio e provai tenerezza per lei.
Ovviamente, cosa poteva rispondere Iris?
«Ma certo! Dateci cinque minuti e arriviamo»
Come promesso, cinque minuti dopo eravamo nella stanza dei ragazzi insieme ad altra gente che conoscevo solo di vista. Con mia sorpresa scoprii che anche Castiel era nel tè-party con noi.
Nonostante fossimo in montagna e fuori nevicasse, il rosso, sfidando ogni legge della fisica, indossava solamente una classica canotta nera e dei pantaloni grigi che dovevano fungere da pseudo pigiama. Come temevo, il cuore non perse tempo ed andò presto in tachicardia.
Presi posto nel cerchio che si era creato sulla moquette accanto a Violet e ad un ragazzo di nome Alexy, mentre Lysander era tutto impegnato a riscaldare l'acqua in un bollitore da viaggio.
«E dire che credevo la sua fosse soltanto una scusa per fare baldoria...» sussurrai a Violet.
Ma pensandoci bene, invitare compagni random a prendere il tè in una stanza d'albergo era proprio ciò che ci si poteva aspettare da un tipo come lui.
«Bene» esordì ad un tratto Alexy, il ragazzo accanto a me «E' ora di iniziare!»
«Iniziare cosa?» chiese qualcuno.
«Ma è ovvio: il gioco della bottiglia!»
Il disagio si impossessò di me. A parte le mie amiche, Castiel e Lysander appena conosciuto, tutti gli altri erano per me solo volti intravisti qualche volta nei corridoi del liceo. Sentii che non era il caso di cimentarmi in quel gioco troppo azzardato, perciò mi alzai e andai ad aiutare Lysander nella preparazione del tè. Con mia grande sorpresa, Violet rimase in gioco e anzi si avvicinò di qualche centimetro ad Alexy sfruttando lo spazio che avevo lasciato tra di loro.
Poco dopo anche Castiel si unì a noi. Dentro di me, apprezzai il fatto che avesse deciso di non partecipare al gioco della bottiglia.
«Ohi» disse, dandomi un buffetto in testa.
«Ehi...» risposi, sorridendo.
Era la prima volta che riuscivamo a parlarci dall'inizio della giornata. Ne fui felice.
«Come mai non giochi?» gli chiesi, anche se immaginavo già la risposta.
«Ti risulta che io mi cimenti con queste robette da poppanti?» il sorrisino ironico e mezzo accennato che accompagnava quella frase mi fece ridere.
In realtà, sapevo che cose come quella gli ricordavano un passato difficile da digerire. Amicizie rovinate a causa di baci non voluti... No, il gioco della bottiglia non faceva proprio per Castiel.
Lysander si intromise per chiedere a Castiel quale fragranza di tè preferisse.
«Alla fragola» rispose lui, e io non credetti alle mie orecchie.
«Alla fragola? Tu?!» esclamai, ridendo a crepapelle.
«Beh, qualche problema?» rispose indispettito.
«Scusa, ma...» dissi tra le lacrime «Tu dovresti essere più un tipo da, che so, tè nero! Ma non da fragole!» conclusi, asciugandomi gli occhi bagnati per le troppe risate.
Castiel arrossì e in tutta risposta mi prese per i fianchi e iniziò a punzecchiarmeli con le dita.
«No, il solletico no! Fermo!»
«Ritira ciò che hai detto, molestatrice!»
Ma le nostre risate furono interrotte dagli schiamazzi dei presenti che guardavano nella nostra direzione.
«Ehi, Cas, sei uscito tu!» urlò un ragazzo.
Entrambi ci voltammo verso il gruppo seduto a terra e notammo che il collo della bottiglia di plastica al centro del cerchio era puntata proprio verso di lui.
«Io non gioco» affermò Castiel secco, per poi voltarsi di spalle e riempire un bicchiere con l'acqua calda.
«Mi spiace, ti tocca!» ribattè Alexy senza curarsi della decisione del rosso, e girò di nuovo la bottiglia.
Nonostante avessi deciso di non partecipare a quel gioco, per un piccolissimo, microscopico istante me ne pentii e nel mio stomaco percepii una fitta di aspettativa. Sentimento che quasi mi scoppiò in pancia quando vidi la bottiglia fermarsi proprio su di me.
Iris cacciò un gridolino eccitato. «Devi baciare Castiel, Em!»
La gola mi si seccò all'istante e dalla bocca non uscì il minimo suono.
Sentii Castiel irrigidirsi accanto a me, e alzai di poco gli occhi per notare un lieve rossore sulle sue guance bianche.
«Ehi, io non ho deciso un bel niente!» esclamò, stringendo i pugni.
«E dai Cas, non fare il bambino... Baciala!»
Di colpo ritrovai le mie facoltà intellettive e capii che Castiel si trovava in difficoltà. I suoi pensieri su di me mi erano sconosciuti, ma una cosa di cui potevo essere certa era che un bacio dato in quel modo gli avrebbe fatto solo del male. E ad essere sincera, per quanto in quel momento sentissi le farfalle nello stomaco, nemmeno io volevo riceverne uno così... Inadeguato.
«Ragazzi» dissi, ritrovando la forza di parlare «Non è il caso, davvero»
Dodici paia di occhi sprigionavano delusione in mia direzione, ma non ci feci caso perché i miei erano puntati su Castiel che stava abbandonando la stanza.
Quasi senza accorgermene, mi ritovai a correre alle sue calcagna. Avevo deciso di non stare al gioco proprio per non ferirlo ulteriormente, ma a quanto pareva ciò non era servito a nulla.
Le gambe doloranti non mi permettevano di camminare troppo velocemente, perciò dopo averlo seguito per tutto il corridoio fino ad una grande terrazza mi fermai, portandomi le mani sulle ginocchia e lamentandomi in una smorfia di dolore.
«Cavolo, sei proprio un testone!»
A quella mia affermazione Castiel si fermò.
«Avevo detto che non volevo giocare» disse semplicemente, poi si ammutolì.
Certe volte sembrava proprio un bambino.
«Nessuno ti avrebbe obbligato a farlo. Sei così impulsivo!»
Lui voltò mezzo viso in mia direzione e mi scrutò con la coda dell'occhio «Senti chi parla» mi sbeffeggiò.
Misi il muso, sebbene sapevo che non aveva affatto torto. Ero l'ultima persona che poteva permettersi di fare ramanzine su un difetto quale l'impulsività, visto che io ne detenevo il primato assoluto.
Un'improvvisa folata di vento mi fece rabbrividire e istintivamente portai le braccia a cingere le spalle.
Incredibilmente, Castiel non accennava il minimo segno di infreddolimento.
Con i gomiti poggiati sulla ringhiera della terrazza, osservava il cielo costellato di tanti, piccoli puntini luminosi.
Rimasi a guardarlo, ipnotizzata dai suoi capelli rossi che sventolavano dolcemente nell'aria scura e gelida.
Avrei voluto dirgli qualcosa, ma non sapevo bene cosa. L'unica certezza che avevo era che desideravo con tutta me stessa rimanere lì, insieme a lui.
Tutto il resto poteva anche scomparire.
Come se fosse riuscito a leggermi nella mente, Castiel si voltò e si avvicinò di qualche passo al mio corpo. Dovetti alzare il mento di qualche centimetro per arrivare a guardarlo negli occhi.
Una nuova folata di vento mi regalò la fragranza forte e pungente del suo collo. A giudicare dall'espressione che assunse il suo volto, anche lui dovette captare il mio profumo, perché socchiuse gli occhi e inspirò profondamente l'aria intorno a noi.
Castiel si abbassò quel che bastava per sfiorare il mio naso con la punta del suo, e incastonare le sue iridi scure come la notte alle mie. Era la seconda volta che me lo ritrovavo a distanza così ravvicinata, e ancora non riuscivo a farci l'abitudine.
Deglutii piano, senza staccare gli occhi dai suoi.
Lui li socchiuse leggermente, poi mi sussurrò sulle labbra «Non volevo baciarti...»
Fu come se d'un tratto un enorme meteorite mi avesse colpita in pieno.
Allora quel piccolo barlume di speranza che era nato dentro di me... Era tutto frutto della mia immaginazione?
Abbassai lo sguardo, cercando di nascondere la delusione che si era impossessata del mio cuore e del mio volto.
Ma lui mi prese il mento tra le dita, e lo rialzò alla sua altezza.
«Non volevo baciarti... In quel modo» disse, e tutto parve farsi improvvisamente stupendo.
Quelle parole dal suono roco mi sembrarono bellissime. Castiel mi stava dimostrando una cosa molto importante, e non me la sarei persa per nulla al mondo.
Chiusi gli occhi e mi lasciai trasportare dalle sensazioni che stavo provando. Le labbra di Castiel si poggiarono sulle mie nel modo più casto e dolce che si possa immaginare. Mi baciò la bocca, poi si staccò e mi solleticò il contorno della mandibola con il naso. A quel punto gli buttai le braccia dietro il collo e presi in mano la situazione, stampandogli un altro bacio sulle labbra rosse e carnose. Passai lentamente la lingua sulla linea di chiusura delle sue labbra per spronarlo ad aprirle, cosa che fece senza farselo ripetere due volte.
Le nostre lingue si incontrarono e si conobbero, dapprima con garbo e pacatezza, poi con meno attenzione ai dettagli. Mi cinse forte in vita e mi carezzò delicatamente la schiena, fino ad arrivare ai capelli, che si ritrovarono stretti in una morsa decisa della sua mano.
Quel bacio durò il tempo che bastò a farmelo ricordare per tutta la vita.
Quando ci staccammo, le nostre labbra erano ancora più gonfie e rosse di prima.
«...Maialini» disse Castiel, corrucciando le sopracciglia.
«Eh?»
«Questi cosetti rosa» disse, indicando la maglia del mio pigiama «Mi hanno scrutato minacciosamente per tutto il tempo. Per colpa loro, adesso sono io a sentirmi un molestatore» disse in tono offeso.
Risi di gusto, scuotendo la testa. «Sei un idiota»
Mentre ripercorrevamo il corridoio per tornare in stanza, mi tornarono in mente le parole che Iris disse il giorno prima riguardo quella famosa leggenda scolastica...
«Che hai da sorridere?» mi chiese il rosso.
«Niente, niente» dissi io, prima di richiudermi la porta alle spalle, con i piedi a un metro da terra per la felicità.


Note dell'autrice: Hola ragazzeeee! \*_*/
Basta, ormai non ho più scuse per il ritardo. ;_; In realtà una ce n'è: per il continuo della storia ho dovuto scrivermi degli appuntini su un foglio, una specie di scaletta che devo rispettare assolutamente per non creare casini e/o intoppi con la trama. Il problema è che speravo di far rientrare tutti gli appuntini in questo capitolo, ma non ci sono riuscita e ho dovuto dividerlo in due parti, scegliendo per bene quali scene mettere in una parte e quali nell'altra. Ecco giustificato (in parte) il mio ritardo pazzesco!
Cosa ne pensate di questo bacino? Vi piace? A me personalmente è piaciuto tanto scriverlo. Come avete visto ho inserito anche Violet, Lysander e Alexy, ma vi dico subito che sono solamente comparse e non resteranno come personaggi fissi.
Quello che dovevo dire mi pare che l'ho detto, quindi non mi resta che salutarvi invitandovi a lasciare un commentino! Please!
Un bacio a tutte <3

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Capitolo 10
*** La gita - 2ª parte ***


Night and Day
Capitolo 10



Quella notte non sognai assolutamente nulla. E la mattina dopo ero così stanca che, invece di spegnere la sveglia del
cellulare, diedi uno schiaffo in fronte a Iris che dormiva accanto a me. L'unico modo per farmi perdonare fu quello di cederle a malincuore metà del croissant che mi spettava per colazione.

Il ricordo del bacio della sera prima si presentò senza preavviso come un uragano non appena intercettai una ormai famosa testa rossa che faceva il suo ingresso nella sala da pranzo dell'albergo. Istantaneamente trovai interessantissimo il contenitore dello zucchero che Violet stava in quel momento versando con abbondanza nel suo cappuccino.

Come temevo, a Iris non sfuggì il mio repentino cambio d'umore.

«Qualcosa non va?»

Per quanto le volessi bene, non avevo ancora intenzione di dirle cos'era successo tra me e Castiel. Iris aveva la lingua lunga e non potevo essere completamente certa che il segreto sarebbe rimasto tra di noi soltanto.

«Tutto bene» dissi, addentando la metà del croissant che mi spettava di diritto.

«Emma...»

«Uh?»

«La carta gli da più sapore?»

Abbassai lo sguardo sul croissant e mi accorsi che avevo mangiato anche il fazzoletto di carta che lo avvolgeva. Masticai per qualche secondo e buttai giù a fatica il boccone stopposo che avevo in bocca.

Non andava bene proprio per niente.

 

Trascorremmo la mattinata tra musei e cattedrali, finché non arrivò il primo pomeriggio e con esso la libertà.

Senza i professori alle calcagna, ci dividemmo in gruppetti e ci dedicammo allo shopping di souvenir. Dopo un'oretta decisi che ne avevo abbastanza di camminare.

«Vado a riposarmi in quel parco laggiù, quando avete fatto raggiungetemi» dissi alle mie amiche che avevano ancora voglia di gironzolare.

Con le cuffie alle orecchie mi distesi sull'erba e chiusi gli occhi. In quel giorno invernale il sole si era fatto coraggio e riscaldava timidamente il paesaggio circostante.

La quiete si impossessò del mio corpo, e poco dopo aver trovato una posizione sufficientemente comoda mi arresi ad un sonnellino ristoratore.

Di preciso non seppi quanto avevo dormito quando i miei sensi furono risvegliati da un leggero solletico sulle guance.

La prima cosa che vidi quando aprii faticosamente gli occhi furono dei fili argentati ricadermi sul viso.

«Mh...?»

Nonostante il sonno cercai di mettere a fuoco chi o cosa avevo davanti, e con stupore mi resi conto che si trattava della bella Rosalya.

Mi tirai su di scatto, alcuni ciuffi d'erba incastrati tra i capelli. Rosalya sorrise.

«Scusami, non volevo spaventarti» disse, inclinando un po' il capo.

La sua presenza mi metteva sempre a disagio. Inoltre, da quando ero a conoscenza della connessione del suo passato con quello di Nathaniel e Castiel, non riuscivo a tenere a bada lo stomaco ogni volta che la vedevo. Provavo parecchi sentimenti contrastanti, sul suo conto.

«Posso esserti utile?» domandai, curiosa di sapere perché mi stesse osservando mentre dormivo.

Rosalya fissò le nuvole sopra di noi con aria assente. «Mi chiedevo se ti andasse di fare una passeggiata» disse infine.

Una passeggiata? Io e lei? Iniziavo a temere il peggio. D'altra parte, avevo intenzione di intraprendere una discussione con lei, prima o poi. Il fatto era che non sapevo in che modo farlo, dato che eravamo solamente due conoscenti, quindi con una buona dose di diffidenza colsi l'occasione e acconsentii alla sua richiesta.

Ci incamminammo in un lungo viale alberato che dal parco conduceva al centro della città, per i primi minuti il silenzio regnò sovrano. Alla fine la prima a rompere il ghiaccio fu Rosalya, con una domanda del tutto inaspettata.

«Non vorrei sembrare indiscreta, ma mi preme davvero chiederti una cosa»

Mi voltai a guardarla con lo sguardo all'erta. «Sì?»

«Sei interessata ad uno dei due?»

Serrai la mascella per non farle intravedere il mio disagio. Ovviamente, sapevo perfettamente a chi si riferisse.

Per quanto Rosalya potesse essere brava nell'interpretare la parte della damigella graziosa ed educata, avevo capito che agiva in quel mondo unicamente per i suoi scopi e di certo non sarei stata vittima di quel gioco egoista.

«Temo che tu non abbia il diritto di saperlo»

Grazie alla mia risposta vidi per la prima volta un'incrinatura sulla maschera che portava. Il solito sorriso sulle labbra rosee aveva ora lasciato posto ad un'espressione fin troppo seria.

«Invece credo di doverlo sapere, Emma. Conosco quei due molto meglio di te»

«Giusto, e sei riuscita anche a rovinare la loro amicizia. Complimenti, Rosa!»

Un lampo di astio accecò i suoi occhi dorati. Si bloccò in mezzo alla strada, costringendomi a fermare il passo.

«La colpa non è mia, sono stati loro ad aver interpretato male. Non impicciarti di cose che non ti riguardano» sibilò tra i denti, la maschera ormai quasi del tutto crepata.

«Potrei dire lo stesso a te. Il tuo egoismo li ha fatti stare malissimo, e ancora oggi le loro ferite sono rimaste aperte» ormai avevamo iniziato quella guerra ed io non avevo alcuna intenzione di perderla.

Rosalya parve optare per una diversa strategia. Respirò profondamente, poi iniziò.

«Ascolta Emma, non è bello attaccarci in questo modo. Sarò sincera con te... Io sono innamorata di Castiel, e voglio che anche lui mi ricambi» disse con tutta la calma del mondo, scandendo ogni parola alla perfezione. «Però... Ho come l'impressione che tu possa rappresentare un ostacolo al raggiungimento di questo obiettivo»

Ancora una volta, la sua avarizia aveva prevalso su tutto il resto. Ignorai la sua ultima sentenza e risposi a tono.

«Mi è parso di capire che Castiel ti abbia già rifiutata in passato...»

Quella frecciatina fu più forte di me. Esagerata o meno, non mi pentii di averla fatta uscire dalla mia bocca.

A quel punto ottenni l'effetto sperato: la bambolina esplose come un vulcano.

«Era una situazione complicata! Castiel conosceva i sentimenti di Nathaniel verso di me, e non voleva ferirlo»

Sentendo quelle parole, la miccia che Rosalya aveva alimentato arrivò a far scoppiare la bomba dentro di me. «Oh, certo... Tu invece non ci hai pensato due volte prima di ferire entrambi, vero? Metterti con Nathaniel è stato un ripiego al rifiuto di Castiel, o forse eri troppo amareggiata e ferita nell'orgoglio?»

Le certezze della mia rivale barcollarono. «Ho... Ho provato a riavvicinarmi a Nathaniel, ma lui è così testardo...»

«Riavvicinarti a lui?» domandai incredula. Poi ripensai alla storia dell'anello che tanto mi aveva tormentata. C'era qualcosa che non capivo... Rosalya aveva appena ammesso di essere sempre stata innamorata di Castiel, perché allora cercare di riappacificarsi con l'altro?

Ormai Rosalya stava arrivando al capolinea. «Speravo in cuor mio che tornando da Nathaniel, lui avrebbe posato il suo sguardo su di me...»

Capii che quel “lui” indicava Castiel. Per una frazione di secondo, provai pena per lei. Amava a tal punto il rosso da escogitare dei mezzi così subdoli... Ma Castiel non era il tipo da cadere in questi tranelli. Lui era migliore.

Senza che io dicessi nulla, lei continuò. «Mi ero imposta di mettere fine a tutto questo dopo averci parlato l'ultima volta, ma non ci riesco...»

Mi tornò alla mente l'incontro in corridoio tra Rosalya e Castiel in cui assistetti da esterna e ricordai che lei lo aveva schiaffeggiato con rabbia.

«...dopo avergli aperto per l'ennesima volta il mio cuore, lui non ha saputo far altro che sputarmi in faccia tutte le sue parole cariche di rabbia!»

Era ovvio che si stesse riferendo proprio a quell'episodio. Di colpo, si ammutolì.

Non riuscivo ad accettarla, ma al tempo stesso non riuscivo nemmeno a pensare che avrebbe dovuto mettersi una volta per tutte il cuore in pace. Rosalya aveva tutto il diritto di amare Castiel, ciò che non le spettava era il perdono dei due ragazzi.

«Non rendere le cose ancora più complicate...» sussurrai alla fine.

Rosalya girò il volto appena in tempo per nascondermi le lacrime che strariparono dai suoi occhi distrutti.

Né io né lei aggiungemmo altro, prima di congedarci definitivamente.

 

Mancavano venti minuti alla fine del tempo che ci avevano concesso gli insegnanti e io ancora non avevo trovato le mie amiche. Mentre stavo controllando per l'ennesima volta tutte le zone soleggiate del parco, la mia testa si scontrò con un petto incappottato in un trench beige.

«...Nathaniel!» esclamai.

«Felice di averti trovata, Em» il suo sorriso mozzafiato era più aperto che mai. «Cosa stavi facendo?» chiese.

«Cercavo Iris e Violet... Le hai viste, per caso?»

«Uhm, no... Però potrebbero essere al centro, visto che tra poco dobbiamo radunarci tutti lì» disse. Poi, guardandomi contento, aggiunse «Ti accompagno?»

«Va bene» risposi sorridendo. Né lui né Castiel avrebbero mai saputo della mia conversazione con Rosalya. Ciò che avevano passato bastava e avanzava, perciò rincarare la dose non sarebbe servito a niente.

Parlando del più e del meno arrivammo nel centro della cittadina pieno di negozi e bancarelle.

«Gli altri dovrebbero essere poco lontano da qui...» disse Nathaniel, guardandosi intorno. Nel giro di perlustrazione i suoi occhi si posarono sull'insegna di un negozio di fronte a noi, che io non riuscivo a vedere perché un grande albero mi bloccava la visuale.

Nathaniel abbassò poi lo sguardo su di me e un sorriso da bambino si impossessò delle sue labbra. «Che ne dici di un dolce?»

Mi spostai quel che bastava per scorgere il negozio e i miei occhi si spostarono come saette da Nathaniel alla vetrina. Un senso di panico mi pervase.

«Non... Non posso» sibilai, instabile.

Gli occhi iniziarono a bruciarmi.

Non dovevo piangere, ma i ricordi mi avevano travolta all'improvviso.

Nathaniel mi guardò spaesato. «Beh, non fa niente...» disse, non riuscendo a comprendere la mia reazione.

«Scusa, Nath...» dissi, e corsi via lasciandolo solo e confuso.


Note dell'autrice: Dopo quasi tre mesi di assenza, torno a pubblicare. Questa storia era finita un po' nel dimenticatoio, ma ora sono tornata più carica che mai. Mi dispiace per il ritardo, spero però che qualcuna continuerà a seguirmi. Un bacione a tutte e fatemi sapere cosa ne pensate! <3

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Capitolo 11
*** Dolce amaro ***


Night and Day
Capitolo 11



 

Fuggii da Nathaniel con la stessa foga di un topolino che scappa da un gatto, ma la verità era che non volevo affrontare di nuovo i miei ricordi, usciti fuori così d'improvviso dai meandri della mia memoria. Nel preciso istante in cui voltai le spalle al biondo non mi importò affatto di aver potuto in qualche modo offenderlo o quant'altro.

Volevo solo proteggere me stessa dal... Dolore.

Avanzando dritta per la strada mi imbattei quasi subito nel gruppo dei miei compagni riuniti nel luogo dell'appuntamento. Lì in mezzo c'era anche Iris, che sventolò una mano verso di me per farsi notare. Io mi bloccai a qualche metro da loro, guardando la mia amica per farle capire che non avevo voglia di avvicinarmi più di così. A quel punto fu lei a venirmi incontro con aria preoccupata.

«Stai bene?»

«Sì. E' solo che...» nuovamente, mi bruciarono gli occhi. Impiegai tutte le mie forze allo scopo di non piangere. Non volevo che Iris si allarmasse più di così.

Ma prima che potessi fare o dire qualsiasi cosa, una mano calda e decisa mi cinse la vita costringendomi a voltarmi.

Era lui. Castiel.

Trovandomi davanti quel volto pallido, quegli occhi scuri e le morbide labbra che avevo baciato la sera prima, fu come se tutto d'un tratto ogni pensiero scivolasse via dalla mia mente.

A giudicare dalla sua espressione, non dovevo avere una bella faccia.

«Te la rubo un attimo» disse a Iris, poi mi prese per mano e ci allontanammo insieme.

La mia amica, confusa più che mai, riuscì solo ad urlarci dietro «Non fate tardi, o la Preside si arrabbierà!»

 

A passi svelti ci allontanammo di poco per appartarci in una piccola piazzetta desolata da dove avremmo potuto tenere sotto controllo il resto del gruppo scolastico.

Senza capire le dinamiche dei suoi gesti, mi ritrovai con la schiena contro il duro tronco di un albero, con una mano di Castiel poggiata accanto alla mia testa.

Le sue iridi color della notte penetrarono nella mia anima senza farmi del male.

«Cosa ti ha fatto?» mi chiese, serrando la mascella.

A primo impatto non capii quello che stava dicendo. «Chi?»

«Ma come chi? Nathaniel!» rispose, non riuscendo a trattenere un sentimento di disgusto nel pronunciare quel nome tanto odiato.

Allora compresi. «Ci hai visti?» gli domandai.

«Vuoi rispondermi o no?» cambiò totalmente il tono della voce. Sembrava arrabbiato.

«Non è successo niente... Mi sono tornate in mente delle cose, così... Sono andata via» spiegai, evitando il suo sguardo.

Castiel parve rilassarsi. Tolse la mano dall'albero e abbassò la testa, chiudendo gli occhi. «Se è così, allora...»

Io stetti un istante a riflettere sulle sue parole. Si era preoccupato per me?

Mi sentii un po' sollevata e sorrisi.

Ma Castiel non era ancora completamente tranquillo. «C'è qualcosa di diverso...» la voce gli vibrò appena «...in te.» terminò, avvicinando il suo viso al mio.

Bastò un attimo. Giusto il tempo che le sue parole mi arrivarono al cervello, e scoppiai finalmente a piangere.

Il pianto fu talmente forte che cominciai ad avere alcune piccole convulsioni.

Castiel mi prese forte tra le braccia e non disse una parola. Restò a proteggermi e a rassicurarmi in silenzio, accarezzandomi di tanto in tanto i capelli.

Trascorse qualche minuto prima che riuscii a calmarmi. Tirando su col naso inspirai tutto l'odore sprigionato dal suo corpo. Rabbrividii per il piacere che quel profumo riusciva a darmi ogni volta che le nostre distanze di sicurezza venivano riempite.

«Ehi...» sussurrò, alzandomi il mento con un dito.

Senza accorgermene feci un suono con il naso che assomigliava al grugnito di un maiale. Il rosso spalancò gli occhi e scoppiò a ridere.

Io arrossii violentemente per quella gaffe e lo spinsi via. «Non c'è niente da ridere!»

Castiel continuò a sghignazzare per qualche altro secondo, poi mi tirò di nuovo a lui.

Amavo quel nostro contatto fisico. Era dura ammetterlo, ma ci sapeva proprio fare.

Stretta delicatamente tra le sue forti braccia mi sentivo al sicuro da tutto.

«Allora...» iniziò.

«Allora...» ripetei incerta, poi tacemmo entrambi. Feci un profondo respiro e mi decisi a parlare.

«Si tratta della mia infanzia. Un brutto ricordo... Legato alla mia infanzia» non lo guardavo negli occhi perché avevo paura di crollare una seconda volta.

«Successe quando i miei genitori stavano ancora insieme. Io avevo circa sei anni»

Una breve pausa e poi continuai. «Uscivo da scuola e ad aspettarmi c'era sempre la mamma...»

 

Catapultata nelle fragili memorie.

 

«Emma, Tesoro!»

Ecco la mia mamma. E' così bella e sorridente anche oggi.

Si avvicina a me, mi sfila lo zainetto e lo mette in spalla. Poi mi prende per mano.

«Com'è andata oggi a scuola?»

«La maestra mi ha fatto leggere una storia» annuncio tutta contenta.

«Davvero? Avrà già capito che sei una bambina super intelligente, no?»

Arrossisco. La mia mamma è sempre tanto buona...

Mi accarezza la testa e si abbassa alla mia altezza. «Sai cosa facciamo adesso? Ci andiamo a prendere un bel dolcetto! Che ne pensi?»

Le rivolgo un ampio sorriso, a stento trattengo la felicità. «Sì!»

 

La pasticceria mi ricorda un film. E' un posto molto elegante, e io mi sento a disagio.

La mamma mi tiene ancora per mano. Prima di entrare si è sistemata i capelli a caschetto e si è ripassata il rossetto sulle labbra.

Anche io vorrei mettere un po' di trucco, ma lei dice che sono ancora troppo piccola.

Ci avviciniamo al bancone, dove una ragazza gentile ci chiede cosa desideriamo.

«Prendi ciò che vuoi, Emma» mi dice la mamma.

Mi alzo sulla punta dei piedi e guardo la vetrina davanti a me. Ci sono così tanti dolci che non so proprio cosa scegliere. Questi biscotti al cioccolato sembrano così buoni...

All'immagine dei biscotti si sovrappone quella di un uomo. Corruccio la fronte, ma poco dopo capisco che il viso dell'uomo si rispecchia nel riflesso della vetrina. Mi volto, e l'uomo mi sorride. Ma io non lo conosco...

Poi, sorride alla mamma. E' un sorriso strano, però. Arriva davanti a noi, e saluta la mamma con un bacio sulla guancia. Lei ridacchia e gli da una spintarella sul petto.

Subito dopo si gira verso di me e mi incita a scegliere qualcosa.

Ma è come se di colpo mi fosse passata la voglia di mangiare.

L'uomo sussurra qualcosa alla mamma e le indica un tavolo con tre sedie. Lei annuisce contenta. Poggio nuovamente gli occhi sulla vetrina, stavolta però non guardo i biscotti, ma l'uomo e la mamma. Loro credono che io non li veda. Noto che fanno delle cose strane, come quelle che tempo fa facevano la mamma e il papà. Si danno la mano e i baci sulla bocca.

Quando mi volto verso di loro, la mamma si stacca da lui. Viene vicino a me e mi sorride nervosa. «Allora, hai deciso? Ogni volta che verremo qui, potrai prendere ciò che vuoi!» Si guarda intorno un paio di volte, poi torna su di me «Non dire niente al papà. Questo sarà il nostro segreto, d'accordo?»

 

Poi, tornare faticosamente al presente.

 

«Non passò molto tempo prima che papà lo scoprisse. Ovviamente si separarono, ed io... So che è davvero stupido, ma da allora...» mi coprii il viso con le mani «da allora non riesco più a mettere piede in una pasticceria»

Castiel non fiatò per tutto il tempo che impiegai a raccontare quella storia e non disse nulla nemmeno quando finii di parlare.

Riferendomi più a me stessa che a lui, bisbigliai «Non lo avevo mai detto a nessuno»

Quell'ultima frase scatenò qualcosa in Castiel, che mi abbracciò tanto forte da stritolarmi.

«Ahi» le mie ossa doloranti non avrebbero resistito ancora a lungo.

«Grazie...» disse Castiel, le labbra vicine al mio orecchio. «Per avermelo raccontato»

Dopo quelle parole, avevo di nuovo voglia di piangere. Castiel se ne accorse e precedette la fuoriuscita delle mie lacrime con un dito.

«Però la passione per i dolci non ti è passata...»

Incrociai le braccia e misi un finto broncio. Poi gli sorrisi. Sentii che aver condiviso quel pezzo della mia vita con lui ci aveva portato ad acquisire una nuova intimità e al di là di ogni logica ne fui davvero felice.

«E' ora di tornare dagli altri» dissi guardando l'orologio.

 

Sul pullman, di ritorno da quella gita così piena di emozioni, mi convinsi a raccontare a Iris del bacio con Castiel. La sua bocca assunse delle fattezze che non credevo possibili per il corpo umano.

«Oh mio Dio» sibilò alla fine, dopo avermi fissata insistentemente per svariati minuti.

Era come se non riuscisse a capacitarsene. «Io... Avrei giurato che ti piacesse Nath»

Quel nome mi ricordò che qualche ora prima la mia educazione era andata a farsi friggere. Povero Nathaniel, non si meritava un comportamento simile.

«Non è che non mi piaccia, ma...»

«Ma non resisti al fascino tenebroso del buon vecchio Castiel» sul volto di Iris tornò l'aria da “so tutto io” che tanto adoravo.

 

Riabituarsi alle lezioni era difficile anche dopo aver trascorso due soli giorni lontani da scuola. Con aria pesantemente assonnata e la sciarpona di lana a cingermi il collo per sopravvivere al freddo pungente di Fairfield, varcai l'ingresso del liceo e mi buttai tra la folla di studenti e il loro fastidioso chiacchiericcio mattutino.

Ma alla mia vista, quel vociare cessò di colpo e tanti occhi presero la mira su di me.

Istintivamente abbassai le ciocche dei miei capelli credendo di non averli pettinati decentemente, ma non servì a nulla.

Cosa cavolo hanno da guardare?, pensai irritata.

Alzai la sciarpa fino a coprire il naso e continuai a camminare. Tra gli studenti intenti a fissarmi c'era anche Amber, la cara oca bionda con cui ero contenta di non aver avuto più nulla a che fare.

«Stai cercando di metterti in mostra? La regina qui resto sempre io» disse quando le passai accanto. Le lanciai uno sguardo scocciato ma lei schioccò le labbra e girò i tacchi.

A suon di spintoni e spallate raggiunsi finalmente la porta della mia classe dove mi accolse una Iris molto giù di tono.

«Ma che hanno tutti?» le chiesi non appena poggiai la cartella sotto il banco.

«Non so come sia successo, Em...» farfugliò lei.

«Successo cosa?»

«L'intera scuola sa che tu e Castiel vi siete baciati»

Di colpo mi passò il sonno. «Ma... Sei stata tu?» le chiesi a bassa voce, la rabbia che cominciava a salire.

«No, no! Davvero, io non ho detto nulla»

Non ero molto convinta della sua sincerità. Se Iris non aveva tenuto la lingua a freno non l'avrei perdonata facilmente.

 

Note autrice: ...Quattro giorni? Solo quattro miseri giorni per aggiornare? Non ci credo nemmeno io O.O
Sarà che di colpo mi è tornata tanta voglia di scrivere, e sarà che non voglio studiare per gli esami (sobsob)... Insomma, ecco qui l'undicesimo capitolo! Emma si apre con Castiel raccontandogli un suo brutto ricordo. Le cose poi sembrano andare per il meglio ma ci sono sempre tante sorprese dietro l'angolo! Chissà se Iris avrà davvero esagerato sta volta... Vi lascio con il dubbio *uhuh* e con un'immagine che ho trovato tempo fa su internet grazie alla quale ho partorito l'idea della pasticceria.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Se è così... Me lo lasciate un commentino? =) grazie e a presto!

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Capitolo 12
*** Incomprensioni ***


Night and Day
Capitolo 12




L'ora di storia non lasciava spazio alle spiegazioni.
Ero quasi sicura che Iris avesse raccontato a qualcuno del bacio tra me e Castiel e che poi da quel qualcuno la notizia fosse passata di bocca in bocca fino a comprendere tutta la scuola.
Iris provò a parlarmi ma un'occhiataccia del nostro insegnante la convinse a zittirsi del tutto, quindi si sedette al suo posto lanciandomi di tanto in tanto sguardi supplichevoli.
Sbuffai e fissai gli occhi sul libro fino alla fine della lezione. Alle undici avevo stabilito di non avere la minima voglia di ascoltare le spiegazioni della mia amica perciò mi alzai e in fretta e furia abbandonai l'aula con il mio fedele sandwich al tonno tra le mani.
Volevo starmene seduta da sola sotto un albero spoglio e mostrare al mondo la mia silenziosa depressione. Sì, avrei passato così la pausa pranzo.
Ma un Nathaniel a cui dovevo delle scuse mi portò a pensare che forse non era il momento migliore per crogiolarmi egoisticamente nei miei dilemmi interiori.
Avevo appena finito il panino quando lo vidi passare rapidamente accanto a me. Lo chiamai per nome ma la sua risposta fu un misero cenno con il capo che doveva corrispondere a “Ciao Emma, scusa ma non ho proprio voglia di vederti”.
Mi alzai di scatto e lo raggiunsi, prendendolo per una manica del maglione.
Il biondo si girò verso di me e finalmente si fermò. Per la prima volta sul suo volto non c'era traccia del solito sorriso a trentadue denti. Al contrario, il mio tocco lo portò a contrarre le mascelle e a deviare i miei occhi.
«L'ho combinata grossa, vero?» azzardai, lasciando andare il suo braccio.
Nathaniel fece un respiro profondo e io mi sentii una vera bambina.
«A volte mi sembra di avere davanti un enigma che non riesco a risolvere» disse con dello sconforto nella voce «E' così...frustrante» quell'ultima parola, accompagnata dai suoi occhi dorati nei miei, mi fece uno strano effetto.
«So che potrà sembrarti stupido, ma in quel momento non mi sono sentita bene...»
Ed ecco spuntare il sorriso che lo rendeva così Nathaniel. Mi prese dolcemente una spalla inclinando il capo con leggerezza e scombinando in quel modo la sua frangia color del grano. Quella posizione lo rendeva ancora più affascinante del solito. «Ciò che vorrei tu capissi» fece una pausa, come per trovare le parole adatte «E' che sarebbe bello se riuscissi a parlare, invece che scappare»
«Sì... Mi dispiace» riuscii a biascicare. Puntai un sassolino davanti le mie scarpe e rimasi in silenzio. Che stupida ero stata.
«Ehi» Nathaniel mi spostò una ciocca di capelli dietro un orecchio per poi darmi un buffetto sulla fronte. «Non mi piace quella faccia»
Lo guardai e accennai un mezzo sorriso.
«E' proprio il massimo che riesci a fare? Va beh, mi accontento» disse facendomi l'occhiolino. Quel ragazzo era un vero tesoro.
«Ti va di andare a prendere un caffè dopo la scuola?» dissi quasi senza rendermene conto, ma non me ne pentii affatto. Volevo scusarmi definitivamente con lui per il mio pessimo comportamento.
Le iridi dorate gli si illuminarono ancora di più. «Certamente» rispose, poi andò via.

Evitai Iris per tutto il resto della giornata e appena suonò la campanella mi defilai dall'aula per andare in Sala Delegati da Nathaniel. Non feci in tempo a percorrere metà del corridoio che il mio cellulare squillò.
«Pronto?»
«Emma, sono Nathaniel. Ascolta, la direttrice mi ha chiesto di sbrigarle dei servizi e temo di averne ancora per molto...» la sua voce, seppur metallica, sembrava desolata.
«Capisco... Quindi niente caffè?»
«Mi dispiace, davvero... Sarà per la prossima volta, ok?»
«Va bene, non preoccuparti. Buon lavoro, Nath!»
Riagganciai e misi il telefono in tasca. La verità era che avevo in mente di chiedere una cosa al biondino, ma a quanto pareva avrei dovuto aspettare ancora un po'.
Mi guardai intorno sperando di incrociare Castiel, ma di lui non v'era nemmeno l'ombra. Non lo vedevo dalla fine della gita e la cosa mi dispiaceva. Oltretutto, non sapevo se la notizia del bacio fosse arrivata anche alle sue orecchie. Conoscendo ormai abbastanza bene quella scuola, avevo in realtà pochissimi dubbi al riguardo.
Non ho nemmeno il suo numero di telefono, pensai amareggiata e mentre ero intenta a scorrere i numeri della mia rubrica, notai con la coda dell'occhio una chioma bianca e un foulard verde smeraldo passarmi accanto.
«Lysander!»
Sentendosi chiamato, il ragazzo smise di prendere annotazioni sul suo taccuino e bloccò la camminata moderata per volgere la sua attenzione a me.
«Emma, non ti avevo vista» disse, come per scusarsi. «E' un piacere rivederti»
I suoi modi così gentili mi imbarazzavano e mi lusingavano allo stesso tempo, infondendomi una bella sensazione. «Anche per me» cercai di sembrare il più naturale possibile ma ottenni l'effetto contrario riuscendo soltanto ad accennare un sorriso impacciato. Lysander sorrise lieto.
«Hai visto Castiel, per caso?» gli domandai, con una nota di aspettativa nella voce forse dalla tonalità un po' troppo elevata.
«E' già andato a casa... Ti serviva qualcosa?» rimasi delusa dalla sua risposta.
«Oh... In effetti si, volevo parlargli»
Lysander annuì convinto nel sentire la mia frase, poi incrociò le braccia e portò pollice ed indice sotto il mento. Sembrava impegnato a riflettere su chissà che cosa. «Sì, anche io credo che tu debba parlargli» asserì pochi istanti dopo.
La sua sicurezza mi procurò una brutta sensazione allo stomaco. Forse Castiel si era arrabbiato per quelle voci? Molto, molto probabile. Bastava un nonnulla per accendere la sua irascibilità, figurarsi uno scoop che lo vedeva coprotagonista!
Ringraziai Lysander e uscii dal liceo per tornarmene a casa, pensando che avrei trovato l'occasione giusta per parlare con Castiel il giorno seguente.

I giorni passarono ma Castiel sembrava sparito. Qualche volta avevo provato a cercarlo nella sua classe durante l'intervallo ma dai suoi amici venivo a sapere che era già uscito in cortile, e quando mettevo piede in quest'ultimo ovviamente non c'era traccia di lui. Iniziavo sinceramente ad infastidirmi.
Con Iris la situazione non migliorò, anzi, in risposta al mio mutismo anche lei aveva cominciato a non parlarmi più. Una volta me la presi addirittura con Violet che aveva messo da parte la sua timidezza per cercare di convincermi a fare la pace. I sensi di colpa per essermi arrabbiata con lei mi tormentarono per un'intera nottata, tanto che il giorno dopo mi scusai varie volte per il mio comportamento infantile. Quel periodo era diventato insostenibile. La mia unica consolazione era Nathaniel con cui ormai passavo la maggior parte dei miei intervalli scolastici. Stare con lui mi era sempre piaciuto e durante quelle giornate mi era di grande aiuto perché riusciva a distrarmi almeno per il tempo di mangiare un panino.
Stavo chiacchierando tranquillamente con lui e mi sentivo in totale relax, quando di colpo vidi Castiel che usciva dalla palestra. La mia prima impressione fu che si trattasse della mia immaginazione. Chiusi e riaprii gli occhi e Castiel era ancora lì. Nathaniel mi stava raccontando qualcosa riguardo un pasticcio che aveva combinato la sua collega Melody ma alla vista della chioma rossastra avevo perso il filo del discorso. «Scusa, Nath...» provai ad alzarmi ma lui mi prese per un braccio.
«Vai da lui?» mi chiese, guardandomi serio.
Mi morsi le labbra. L'aveva visto anche Nathaniel... «Devo risolvere una questione importante»
Il biondo si alzò in piedi e si avvicinò a me, guardandomi dall'alto «Più importante del nostro pranzo?» l'intensità con cui proferì quella domanda fu incredibilmente profonda, come a volermi far intendere che dovevo pensare bene alla risposta.
«E' che sono giorni che non lo vedo, e devo assolutamente parlargli» pronunciai incerta. Nathaniel sorrise mesto, forse per nascondere ciò che davvero pensava, e lasciò la manica della mia maglia.
Improvvisamente però pensai a quello che avevo in mente di fare qualche giorno prima e prendendolo per mano esclamai con enfasi «Vieni con me!»
Così, cominciai a incamminarmi velocemente seguita da un Nathaniel visibilmente sconcertato.

«Castiel!» esclamai correndo nel corridoio. Qualcuno mi guardò male, ma non gli diedi troppa importanza.
Il rosso si voltò con una faccia che avrebbe intimorito persino Demon. Squadrò me, poi Nathaniel, poi di nuovo me, infine ci diede le spalle.
Quel gesto mi fece salire il sangue al cervello. Alla fine scoppiai.
«Vuoi smetterla di comportarti così?!»
Non dovetti aspettare molto per una sua risposta. «Così come?» chiese noncurante.
«Sono giorni che mi eviti! Perché non sei venuto a chiedermi spiegazioni?»
Castiel si voltò completamente verso di me, se fosse stato possibile i suoi occhi avrebbero lanciato saette cariche di astio. «Non mi servono spiegazioni, mi sono già fatto un'idea chiara sul tipo di persona che sei»
Quelle parole mi ferirono profondamente. Una sgradevolissima sensazione percorse tutto il mio corpo fino a concentrarsi nello stomaco. Ma la rabbia era più forte di tutti gli altri sentimenti che provavo in quel preciso momento.
«Non hai proprio capito niente...» sussurrai, scuotendo la testa.
Nathaniel, che era rimasto sempre in silenzio dietro di me, parlò. «Io vado, Em...»
Mi ricordai solo in quel momento della sua presenza e feci per rispondere, ma Castiel mi precedette. «Cosa diavolo ci fai lui qui?»
«Io... Volevo farvi parlare» dissi, cercando di contenere il tono della voce ancora scosso per lo scambio di frasi di poco prima.
Entrambi i ragazzi mi guardarono sbigottiti.
«Questo è abbastanza» disse Castiel stringendo i pugni «Smettila di impicciarti di tutto e di tutti, sei terribilmente fastidiosa» pronunciò in mezzo ai denti prima di andarsene.
Rimasi pietrificata. Perché era andata a finire così? Avevo sbagliato ancora?
Sentii i passi di Nathaniel avvicinarsi a me finché non me lo trovai davanti, alzai lo sguardo da terra e fissai i suoi occhi pacifici e tranquilli. Al contrario di me, non sembrava affatto scosso da ciò che era appena successo.
«Lui è fatto così» disse, «Non pensa davvero quelle cose»
Stava cercando di confortarmi? Annuii piano alle sue parole senza staccare gli occhi dai suoi. «Volevo solo aiutarvi... Non pensavo che...» mi bloccai al tocco della sua mano sui miei capelli. Mi mise un dito sulla bocca, come per zittirmi, e mi fece cenno di seguirlo, finché non ci ritrovammo nel sottoscala deserto. A interrompere il silenzio solo i passi lontani di qualche studente che si affrettava a tornare in classe dopo la pausa.
«So che l'hai fatto in buona fede, e lo apprezzo» disse Nathaniel sorridendomi.
Mi sentivo ferita nel profondo del cuore e le sue parole furono un toccasana.
«Non so cosa fare...» sussurrai, passandomi una mano sugli occhi per non piangere.
Nathaniel mi avvolse in un abbraccio dolcissimo che mi impresse tanta tranquillità. Mi aggrappai alla sua schiena come una bambina ma non me ne vergognai per niente.
Sapevo di dover tornare in classe, ma non volevo staccarmi da lui. E anche Nathaniel trascurò il suo lavoro per me, per noi, per quel momento solo nostro.
Ripensai al nostro primo abbraccio e sorrisi tra me e me. Stavolta fu lui a consolarmi.
«Grazie... Grazie.»

Arrivò venerdì accompagnato dalle due ore di educazione fisica. Il ciclo, insieme al mio pessimo umore avevano convinto papà a firmarmi la giustificazione per saltare la partita di pallavolo.
«Anche tu rifuggi dagli allenamenti?»
Lysander si era palesato di fronte a me senza che me ne accorgessi e mi fece sussultare. Non potei fare a meno di notare che la tenuta ginnica lo rendeva al tempo stesso buffo e ammaliante.
«Già, oggi proprio non ne ho voglia»
Quando si sedette accanto a me provai invidia per le sue gambe affusolate.
«Personalmente non gradisco molto questa disciplina» annunciò lui.
«Chissà perché me l'aspettavo» dissi sorridendogli, e lui ricambiò il gesto.
«Gli hai parlato, alla fine?» se ne uscì di colpo.
«Sì, ma... Non è andata poi così bene» dissi, portando le gambe al petto e cingendole con le braccia.
«Capisco. Castiel è molto orgoglioso, dovresti saperlo»
«Lo so, però non può comportarsi così. Si è messo in testa chissà cosa solo dopo aver sentito quelle voci... Sono sicura che pensa che sia stata io ad averlo raccontato a tutti» gettai fuori i miei pensieri quasi senza che me ne rendessi conto.
«Questo è quello che gli ha detto lei» rispose Lysander, che stava osservando il campo di gioco senza troppo interesse.
«Lei chi?»
«Rosalya, la ragazza di mio frat...»
Ma non fece in tempo a finire la frase perché io mi ero già messa in piedi per correre fuori dalla palestra insieme ad un forte istinto omicida.
Rosalya, di nuovo lei. Stavolta aveva superato ogni limite.



Note autrice: Buh! E anche questa volta il capitolo non ha tardato troppo... Solo otto giorni dall'ultimo aggiornamento, sto diventando un mito u.u
Che dire di questo capitolo... Ovviamente le cose non possono andare sempre bene, no? Bene, eccovi servito un vassoio di problemi che hanno mandato in tilt la povera Emmina <3
Signorina Gozaru, lei ci ha preso, lo sa? Quando avevo letto il suo commento sullo scorso capitolo mi sono cucita la bocca per non dire nulla, ma come vede ci ha azzeccato alla grande. Mi spiace solo che per lei la "sorpresa" di scoprire la padrona della lingua lunga non c'è stata (perché sto continuando a darti del lei? xD)
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, dovevo dire qualche altra cosa ma non ricordo più quindi vi saluto e aspetto le vostre recensioni! Grazie a tutte coloro che hanno inserito la storia tra le preferite e tra le seguite, vi adoro <3

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Capitolo 13
*** La fine e l'inizio ***


Night and Day
Capitolo 13


Convincere il professore di educazione fisica a mandarmi in infermeria non fu difficile. Bastò nominare la parola ciclo alla sua domanda sul perché avessi così tanto bisogno di riposo, e l’assenso arrivò in men che non si dica.
Rosalya “bel faccino/brutta linguaccia” perse un po’ del suo aspetto statuario e impassibile quando mi vide correre verso di lei come una furia. Anzi, come un toro rabbioso pronto a caricarla con tutta la sua forza.
«Non dovresti essere a lezio…»
«Sta’ zitta» la ammonii, mentre il sangue nelle vene mi ribolliva sempre di più.
Ero cieca, cieca dalla rabbia. Desideravo soltanto riempire di schiaffi quel suo visino ipocrita e bugiardo, prenderla per i capelli e lanciarla dalla finestra, non prima di averle assestato qualche pugno nello stomaco.
Lei capì all’istante le mie intenzioni perché assunse una posizione difensiva e offensiva allo stesso tempo incrociando le braccia e parandosi davanti a me, immobile.
«Che coincidenza. Se non avessi chiesto il permesso per andare al bagno, mi sarei persa questa Emma così aggressiva…» un sorrisetto beffardo accompagnò la sua frase.
Osava anche prendermi in giro, dopo tutto quello che mi aveva fatto passare! Non so come ma riuscii a trattenermi dal metterle le mani addosso. Grazia divina, probabilmente.
«Tu… Non devi permetterti di interferire nella mia vita privata, chiaro?» l'autorità con cui pronunciai quelle parole meravigliò anche me, ma solo per un istante. Nessuna pietà per l'arpia che aveva rovinato il mio rapporto con Castiel.
«Per lui sono disposta a fare di tutto, Emma. Pensavo che l'avessi capito, evidentemente mi sbagliavo»
Nell'ostentare il suo amore solenne, il suo sguardo deviò impercettibilmente rotta dalla mia testa ad un qualcosa che si trovava dietro di me. «Non puoi accusarmi ingiustamente! Io non ho detto nulla!» aggiunse di colpo, come se stesse recitando con tutta se stessa una parte per un ruolo da attrice protagonista.
Ma io mi ero accorta della deviazione dei suoi occhi e con un terribile presentimento mi voltai indietro.
Castiel, davanti la porta del bagno, ci fissava con espressione indecifrabile.
No, no, no! Ero sicura, come lo era anche Rosalya, che avesse sentito solo l'ultima frase che le era uscita dalla bocca. E tutto stava andando di nuovo dannatamente a rotoli.
A quel punto, però, era giunta l'ora di finirla. Speravo che Castiel fosse abbastanza ragionevole da ritenere vera la mia versione dei fatti. In caso contrario... Sarebbe finito tutto.
O meglio, nulla sarebbe iniziato.
Il rosso stava andando via senza dire una parola, quando gli urlai dietro «Scegli a chi credere, Castiel!»
Confuso, si voltò a guardarmi.
«Ormai m'importa solo sapere a cosa credi tu» dissi con un fil di voce, tutta la sicurezza di un attimo prima era sparita come per magia.
Rosalya stette in silenzio, anche lei in attesa della risposta definitiva da parte del ragazzo che tanto amava.
«Mi stai chiedendo a chi credo?» ripeté lui, fingendosi accigliato. «Pensi davvero di essere così importante da potermi fare una domanda del genere?»
Per l'ennesima volta, quella dolorosa stretta allo stomaco.
Perché, perché mi trattava in quel modo? Per una volta che le cose stavano andando nel modo giusto senza che io me ne uscissi con qualche genialata per rovinare tutto... Perchè quella volta, forse la più importante, non voleva fidarsi di me?
«Pensavo che quel bacio significasse qualcosa per te...» sussurrai, ormai ogni mia convinzione vacillava.
Castiel si avvicinò talmente tanto che potevo distinguere perfettamente il contorno della piccola pupilla nera dalle sue iridi scure. «Mi hai baciato, ti ho baciata. E adesso, a distanza di due settimane, ti ritrovo attaccata con la colla al Segretario Delegato. Che diavolo di significato dovrei dare a quel maledetto bacio?»
All'inizio rimasi spiazzata. Cosa c'entrava Nathaniel? Castiel non poteva immaginare il rapporto che c'era tra di noi. Inoltre tutto quello non aveva nulla a che vedere con la storia di cui stavamo discutendo.
«Non mi sembra il caso di tirar fuori terze persone» affermai, alterandomi. «Il vero problema è che tu hai preferito credere a delle stupide voci, invece che a me!»
«Non incolpare me. Pensa piuttosto a correggere i tuoi atteggiamenti» sputò fuori con odio, prima di infilare le mani in tasca e girare i tacchi.
Rosalya, che nel frattempo era rimasta in silenzio a godersi la scena, affrettò il passo per raggiungerlo e bisbigliargli qualcosa. Alla fine del corridoio si separarono ed entrarono nelle rispettive classi.
Io rimasi lì, impietrita, arrabbiata, delusa, amareggiata. Non era così che sarebbe dovuta andare. La verità era un'altra, ma per qualche motivo Castiel non voleva saperne di credermi.
Le labbra mi tremavano appena, sintomo della sgradevole sensazione che stava facendosi spazio nel mio corpo.
Ne avevo abbastanza. Per quanto la cosa potesse rattristarmi, i miei nervi non riuscivano più a sopportare quella farsa. Rosalya era una povera schizzata e Castiel il ragazzo più ridicolo che avessi mai conosciuto.
Nemmeno i bambini si comportano in questo modo. Andasse al diavolo! pensai tra me e me.
Aveva deciso di chiudere i ponti? Bene, benissimo. Dal canto mio non gli avrei più rivolto una parola. Ne avevo piene le tasche della sua stupidità.
Stupido Castiel e stupida me, che l'avevo baciato.

Adesso il vero problema era un altro, ossia Iris.
Come potevo scusarmi con lei? Avevo preso un granchio bello grosso accusandola così ingiustamente, e ora mi vergognavo troppo per chiederle di perdonarmi.
«Sono convinta che andrà tutto bene, se le parlerai» mi rassicurò Violet mentre stavamo tornando a casa, dopo la fine di quella pesantissima giornata scolastica.
Ma i suoi occhi dolci e la serenità che infondeva solo standomi accanto non erano bastati a rendermi altrettanto sicura di ciò che aveva suggerito.
«Il guaio è che l'ho combinata davvero grossa, Violet. Al posto suo, non credo che mi perdonerei con tanta facilità»
Le piccole mani strette sulla cartella, il viso incontaminato da qualsiasi perplessità «Dimentichi che tu non sei lei, Emma»
Già, Violet aveva ragione. Per quanto potessi essere impulsiva e guastafeste, di certo non mi esentavo dall'assumermi le responsabilità di ogni mia azione. Avrei chiamato Iris lo stesso pomeriggio, con le dita incrociate e le più serie intenzioni di pace.
La madre di Iris non riuscì a trattenere un sospiro di desolazione misto a esasperazione quando sentì per la quinta volta la mia voce attraverso la cornetta telefonica.
«Emma, apprezzo le tue buone intenzioni, ma come avrai capito...»
«...Iris non ha la minima intenzione di parlare con me» conclusi la frase sospirando.
Una pausa dall'altra parte del ricevitore «Mi dispiace tanto, cara»
Potevo comprendere i sentimenti della mia amica. Ciò nonostante il suo silenzio mi faceva male, soprattutto in quel momento dove tutto nella mia vita sembrava andare storto.
«Signora, non la disturberò più. Però... Può dire a Iris che mi dispiace? Che sono una stupida irrecuperabile, e che mi manca da morire?»
Anche se non potevo vederla, ebbi l'impressione che la madre della mia amica stesse sorridendo dolcemente.
«Glielo riferirò, hai la mia parola»
Riagganciai e con un sospiro lunghissimo mi buttai sul letto. Se pensavo che il giorno dopo a scuola mi sarebbe aspettata una giornata probabilmente peggiore di quella che avevo appena vissuto, mi veniva da piangere. Strinsi forte il cuscino tra le braccia e vi sprofondai con il viso, cercando di cacciar via ogni brutto pensiero dalla mente, ma era difficile, molto difficile.
Poi d'improvviso squillò il cellulare.
Con un balzo mi tirai su sperando con tutto il cuore che la mia Iris avesse deciso di darmi un'altra chance. Quando risposi non guardai nemmeno il nome sullo schermo, tanta era la mia aspettativa.
«Finalmente!» esclamai felice. Ma la voce dall'altra parte di certo non apparteneva ad una ragazza.
«Ehi, quanto entusiasmo» disse Nathaniel sorpreso.
«Oh, sei tu Nath...» dissi con un filo di delusione che non sfuggì al biondino.
«Beh, scusami se sono io...!»
L'ultima cosa che volevo in quel momento era litigare con un'altra persona.
«No, non intendevo questo... Ho passato l'intero pomeriggio a tentare di salvare un'amicizia, ma non ho ottenuto grandi risultati»
Nathaniel dovette fiutare il mio pessimo umore «Ti ci vorrebbe proprio un momento di svago, eh?»
«Se solo avessi due biglietti di sola andata per le Hawaii... Anche le Bahamas non mi dispiacerebbero» sognai ad occhi aperti una distesa infinita di spiaggia e mare, e come sfondo un'enorme insegna in cui troneggiava a caratteri cubitali la scritta 'qui non sono ammessi problemi'. Il paradiso!
«Frena con la fantasia. Ho solo due biglietti per il cinema, se ti accontenti»
Il suo invito senza preavviso un po' mi sorprese ma allo stesso tempo mi fece molto piacere. Era proprio quello che mi piaceva di Nathaniel. La sua spontaneità mai esagerata, il suo modo semplice di essere carino con me. Senza dubitare, accettai immediatamente. Avevo così bisogno di staccare la spina che la sua proposta capitò proprio a pennello.
Quando arrivò sabato pomeriggio il mio umore si era vagamente stabilizzato. Quella serata l'avrei dedicata unicamente al mio benessere. E a quello di Nathaniel, ovviamente.
Feci una doccia veloce e come outfit optai per una camicetta verde acqua e una minigonna nera. Tentai anche di truccarmi un po', benché fossi parecchio negata per quell'attività, ma il risultato fu soddisfacente. Ogni tanto mi faceva piacere valorizzarmi, e quella volta come non mai ne sentivo assoluto bisogno. Mio padre purtroppo non era dello stesso avviso.
Mi ci vollero venti minuti buoni per tranquillizzarlo e fargli capire che non stavo uscendo con un maniaco sessuale, ma semplicemente con un mio amico. Secondo lui però, quelle due parole avevano lo stesso identico significato. Quindi decisi di rinunciare con quel caso umano irrecuperabile e, dopo aver ripassato alcuni boccoli con la piastra, uscii di corsa per non fare ritardo.
Nathaniel mi aspettava davanti al cinema appena fuori dalla fila di gente che si era creata per comprare i biglietti.
Quando mi vide, mi salutò con la mano e sorrise raggiante. Io ricambiai il saluto e nell'avvicinarmi a lui notai che mi osservò così attentamente da farmi pensare a un radiologo mentre studiava una lastra. Si accorse poi del mio sorrisino compiaciuto e imbarazzato si grattò la nuca. «Allora... Dato che biglietti già li abbiamo, vogliamo entrare?»
«Certamente!»
Non seppi che si trattava di un film horror finché non me ne uscii con un urlo imbarazzante in mezzo alla sala gremita di gente. La bambina davanti al mio posto mi ammonì con un’occhiataccia e giurai di averla sentita lamentarsi di certa gente che “dovrebbe proprio darsi un contegno”. Sprofondai nella poltrona rossa come un peperone, mettendo il broncio a Nathaniel che se la rideva di gusto accanto a me. 
«Potevi dirmelo che si trattava di un horror…» sussurrai. Ero una fifona inguaribile e quel genere di film non faceva al caso mio.
«Perdono…» le mani unite a mo’ di scusa mi convinsero a perdonarlo.
«Rimango qui dentro solo perché non voglio aggiungere altre figuracce a questa serata» dissi ironicamente.
Nathaniel mi sorrise come non aveva mai fatto prima. Fu un sorriso complice, intimo. Il cuore mancò di un battito e rimasi a guardarlo come ipnotizzata. Lui si fece improvvisamente serio e fissò intensamente i miei occhi, poi prese la mia mano sul bracciolo la intrecciò alle sue dita lunghe e affusolate. Io cominciai a sentire caldo, un caldo tremendo, nonostante fuori si sfioravano i cinque gradi.
Lo stomaco mi si chiuse totalmente e non riuscii più a concentrarmi sul film. Tutto il mio corpo era paralizzato, compresa la mano che Nathaniel continuava a stringere e ogni tanto ad accarezzare con il pollice.
Finito il film, uscimmo dal cinema e lo sbalzo di temperatura si fece subito sentire.
«Brrr» fece Nathaniel, portandosi le mani a coprire la bocca per soffiarci dentro. «Il film ti ha spaventato così tanto?»
Dal momento in cui c’era stato quel contatto tra di noi non avevo più spiccicato parola. Il gesto di Nathaniel era inequivocabile, e io me ne ero accorta quando ormai era troppo tardi. Forse uscire con lui era stato un errore.
«No… Non mi sento molto bene» dissi senza guardarlo.
Il biondino si allarmò «Forse hai preso un colpo di freddo… Andiamo a bere qualcosa di caldo, dai» e per la seconda volta mi prese per mano.
«A…aspetta, Nath»
Lui mi guardò interrogativo, senza capire la mia titubanza.
Non sapendo bene cosa dire, indicai le nostre mani con la punta del naso. Allora capì, ma continuò a guardarmi ingenuamente «Ti da fastidio?»
«Non è questo. E’ che…» il vuoto totale. Le sue attenzioni mi piacevano, ma fino a quel momento non erano arrivate ad essere così intime. Non sapevo bene come prenderla. Forse mi stavo facendo troppi problemi.
Nathaniel non proferì parola per qualche secondo, prima di lasciarmi la mano e portarsi la sua tra i capelli come per riorganizzare le idee.
«La verità è che questa serata aveva uno scopo» mi rivelò con voce mesta.
«Pensavo che lo avessi capito»
Lo avevo sospettato, ma ero troppo presa dai miei problemi e dalla voglia di rifugiarmi in un attimo di relax che avevo finito con il mettere da parte i sentimenti di Nathaniel. E non era la prima volta che calpestavo i suoi sentimenti.
«Devo chiederti scusa, Emma» se ne uscì di colpo il biondino, ma non capii cosa intendesse dire.
«Forse io mi approfitto troppo di te, dei tuoi stati d’animo…»
Stupida, stupida Emma. Quel ragazzo era fantastico. Arrivava addirittura a prendersi colpe che non aveva affatto.
«Non dirlo Nath, io sto bene con te…»
«E allora permettimi di renderti felice»
Una frase che arrivò come una cannonata in pieno petto. Mi sentii così confusa e inibita, come se mi fossi svegliata improvvisamente da un’anestesia totale.
Col dorso della mano mi carezzò la guancia nel modo più dolce possibile, mentre mi confessava il suo amore sincero.
«Sono innamorato di te, Emma»
Io ero felice e triste nello stesso tempo. Nathaniel era stupendo, un ragazzo tanto serio e bello da morire, e una parte di me avrebbe sinceramente voluto prendere in considerazione la sua proposta. Una parte del mio cuore si era riempita di gioia nel sentire che lui mi aveva così a cuore, nel sapere che io ero la ragazza che lui desiderava avere accanto a se. Ma un’altra parte mi diceva che accettare i suoi sentimenti non era la cosa giusta da fare, per quanto ammetterlo mi costava troppa fatica.
Desideravo prendergli le mani, abbracciarlo, unire le mie labbra alle sue.
Ma desideravo ancora di più non farlo.
Il mio cuore era contorto, così come i miei pensieri. Non mi ero mai sentita così raggiante e frustrata nel medesimo istante.
«Non mi aspetto una risposta immediata, ma vorrei che ci pensassi»
«…D’accordo» fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«Fantastico. E adesso, andiamoci a prendere un bel tè bollente»
Nonostante tutto il suo sorriso era sempre lì, pronto a confortarmi.











Note autrice: La qui presente Sakyo è ufficialmente tornata! No, non ho affatto abbandonato questa storia. Semplicemente l'università ce l'ha con me. Sono andata in vacanza il 25 luglio e il 5 settembre dovevo già dare un altro esame. Vi sembra giusto? T.T Quindi, insomma, agosto è passato così velocemente che mi sono ritrovata di nuovo sui maledetti libracci da studiare. E ovviamente ho dovuto trascurare la ff, ma adesso ecco un nuovo capitolo (che ho scritto nonostante tra tre giorni abbia un ennesimo esame u.u)! Nulla da dire se non che al 90% questo sarà il penultimo capitolo della storia. Forse potrebbe essere il terzultimo, ma non credo. Ormai siamo giunti quasi al capolinea, tutte le vicende stanno per concludersi. Fatemi sapere cosa ne pensate (sempre che vi ricordiate ancora di questa storia xD) lasciando un commentino! Baciii <3


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Capitolo 14
*** Fuga ***


Night and Day
Capitolo 14


La mattina seguente avevo un febbrone da cavallo. Il mio comodino era diventato un tutt'uno con l'ammasso di fazzoletti usati che vi avevo poggiato sopra, troppo debilitata per alzarmi dal letto e arrivare fino al cestino sotto la scrivania. Quando ero tornata a casa la sera prima mi ero ritrovata il cappotto di Nathaniel sulle spalle ma nel momento in cui me ne accorsi lui se n'era già andato. Maledetta la mia idea di uscire con la minigonna a dicembre. Ora i sensi di colpa mi attanagliavano, e non solo a causa dell'immagine di Nathaniel che percorreva la strada di casa con solo un maglioncino addosso. Oltre al cappotto, mi aveva donato anche i suoi sentimenti. Li aveva svelati come se fossero la cosa più naturale del mondo e questo mi aveva fatto un enorme piacere. Ma adesso anche sforzandomi non riuscivo a focalizzare alcun pensiero logico con la testa che sentivo estremamente calda e pesante.
Mio padre entrò nella stanza con la grazia di un elefante e il vassoio che teneva in mano tremò pericolosamente quando i suoi piedi inciamparono in un qualcosa di indefinito che si trovava per terra.
«Ti ho portato la medicina, tesoro»
Chissà perché la sua voce mi risultò di due note più alta.
Bofonchiai un grazie non troppo sentito, e con una smorfia di disgusto bevvi tutto il contenuto del bicchiere che mi porse.
«Ti ho preparato anche il latte caldo con il miele, vedrai che ti aiuterà»
Gli chiesi di poggiare il vassoio sulla scrivania e mi girai dall'altra parte del letto dandogli le spalle. Mi sentivo troppo intontita e volevo solamente riposare.
Ma come al solito, nemmeno quella volta mio padre capì il mio desiderio inespresso.
Restò in silenzio in piedi di fronte al mio letto, mossa che mi costrinse a domandargli cosa volesse.
«Vedi Emma, se ieri sera non fossi uscita con quel ragazzo probabilmente ora non staresti così male» disse con tono serio e profondo.
Roteai gli occhi e mi tirai le coperte fino al naso «Papà, ti prego... Nathaniel non è di certo un portatore di virus febbrili»
«Vuoi dire che tu e lui... Vi siete...»
«Oddio» sussurrai esasperata. «Non è quello che intendevo. Non è successo nulla, sta' tranquillo» e con le ultime forze che mi erano rimaste gli dissi che volevo provare ad addormentarmi. Chiusi gli occhi sperando di sentire i suoi passi abbandonare la mia stanza.
«Meglio così allora» lo sentii sospirare pesantemente, come se si fosse alleggerito dopo essersi liberato di un grande peso «Sai anche tu di essere ancora troppo piccola per...»
«Papà!» esclamai esasperata.
«Va bene, va bene. Ti lascio riposare» detto questo, finalmente mi lasciò sola.

La febbre mi fece compagnia per tre giorni. All'inizio del quarto mi era rimasto solo un leggero raffreddore e la voce un po' nasale che però non convinsero papà a farmi rimanere a casa.
Uscii armata di maglia di lana, felpa, cappotto, guanti e uno sciarpone più grande di me, ma soprattutto uscii insieme ad una buona dose di desolazione.
Il problema non fu tanto arrivare a scuola, quanto varcare il suo cancello. Restai lì davanti, impalata come una statua, a fissare la pomposa insegna del Dolce Amoris come se fosse la prima volta che la vedevo realmente. Da quando ero arrivata in quel liceo ne erano successe davvero molte, e nonostante avessi imparato ad apprezzare quel luogo per tutto ciò che mi aveva regalato, in quel  momento non riuscivo a mettere un piede dietro l'altro per entrare lì dentro. Il motivo era fin troppo semplice. Andare a scuola significava vedere Iris, Nathaniel, Castiel. Significava affrontarli,  nel bene o nel male. Ed io non ero pronta per questo, non lo ero assolutamente.
Sbirciai da dietro la colonna destra del cancello per vedere se ci fosse qualche inserviente o qualche professore nei paraggi, e appena appurai che nel cortile vi fossero soltanto studenti, mi girai verso la strada da cui  ero venuta e allungai il passo.
Stavo scappando, ne ero consapevole. Ma era l'unica cosa che potessi fare nella situazione in cui mi trovavo.

«Vuoi venire qui domani? Ma... Tuo padre lo sa?» la voce di Alisha rispecchiava la sua preoccupazione.
Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci eravamo telefonate, e ora che stavo parlando con lei mi accorsi di quanto mi era mancata.
«Glielo dirò quando sarò in viaggio» se avessi detto a papà che avevo intenzione di tornare per qualche giorno nella mia vecchia città, lui me l'avrebbe sicuramente impedito. In primis perché avrei saltato un altro giorno di scuola, e poi perché mi ero da poco ripresa dall'influenza e permettermi di fare un viaggio da sola significava essere facile preda di chissà quali pericoli pseudo-mortali.
La mia amica si era resa disponibile ad accogliermi in casa sua per due o tre giorni, dopodiché sarei tornata a Fairfield.
Il viaggio in treno fu particolarmente stressante. Le cinque ore che mi separavano dalla vecchia città si fecero sentire una per una e sembravano non finire più. Cercai di dormire ma il ragazzino seduto di fronte non la smetteva di muoversi freneticamente assestandomi dei calci sugli stinchi e pestandomi i piedi come fossero uva da trasformare in vino. Sbuffai per far capire alla madre che esistevano due termini, "educazione" e "immobilità" - a lei probabilmente ignoti - che avrebbero facilmente risollevato il mio umore se fossero stati messi in pratica dal suo simpatico figlioletto.
Presi l'ipod dalla borsa e riuscii a rilassarmi per una buona mezz'oretta prima che la batteria arrivasse a segnare lo zero per cento sullo schermo. Mi morsi le labbra per non imprecare. Solo una cosa mi ero ripromessa di non fare durante quel viaggio: pensare. Ma sembrava che tutto e tutti si stessero prendendo gioco di me. Lanciai un'occhiataccia al marmocchio che di rimando mi fissò imbambolato per parecchio tempo, e poggiando il mento sulla mano mi dedicai alla visione del paesaggio invernale che sfrecciava fuori dal finestrino.
Il treno si fermò ad una stazione delimitata da due grandi aceri spogli. L'inverno li aveva denudati di tutte le foglie, ma ai miei occhi il loro rosso fiamma risaltava contro le pareti grigiastre dell'insulso edificio urbano. Il mio cuore accelerò il battito e desiderai ardentemente che quegli alberi si rivestissero di colpo della loro naturale bellezza. Desideravo vedere ancora una volta le sfumature di quella chioma, e ricordai con nostalgia quel giorno in palestra in cui avevo tenuto tra le mani i suoi capelli e mi ero resa conto della loro strabiliante morbidezza. Già, che strano. Quei capelli non sembravano affatto morbidi alla vista...
Una morsa allo stomaco mi costrinse a spazzar via tutti i pensieri dalla testa.
Non dovevo più pensare a lui, mi ero fatta questa promessa e volevo a tutti i costi rispettarla.
Chiusi gli occhi e poggiai la testa contro lo scomodo e freddo finestrino e nelle mie orecchie risuonò soltanto il roboante fischio del treno che segnalava la sua partenza.

L'abbraccio di bentornato in cui mi avvolsero Alisha e Kate sapeva di casa.
Quella stessa sera organizzammo un mini pigiama party tra di noi per raccontarci le novità più succulente. Le suddette riguardavano quasi esclusivamente i ragazzi e sebbene ne fossi cosciente, non ero ancora psicologicamente pronta per affrontare i quattro mesi della mia vita appena trascorsi e tutti gli avvenimenti nei quali avevo rivestito un misero ruolo da vittima ai miei occhi, probabilmente da carnefice agli occhi delle mie amiche.
«Questo Nathaniel è proprio il mio tipo» affermò Kate con espressione sognante «Peccato che abitiamo così lontani, altrimenti mi sarei occupata io di lui»
Sorrisi debolmente sgranocchiando una patatina.
«Ma ti sembra il caso di pensare a Nathaniel quando c'è in gioco uno come Castiel?» esclamò Alisha accigliata «Da come l'ha descritto Emma dev'essere un tipo tremendamente sexy»
«Potrà essere sexy quanto ti pare, ma se dopo un bacio si comporta peggio di un bambino per me non vale un centesimo» controbatté l'altra più che convinta.
«Invece sono sicurissima che Emma sceglierà lui... Vero?» chiese Alisha rivolgendosi a me.
«Non lo so...» fu l'unica frase sentita che riuscii a dire a riguardo.
«Dai, non farle pressione. E' normale che sia confusa, anche io lo sarei»
Era proprio come aveva detto Kate. Mi sentivo così confusa che pensare a quei due non mi avrebbe portato a nessuna soluzione. Gli avvenimenti accaduti nell'ultimo periodo erano ancora troppo vivi, troppo impressi dentro di me e riuscire ad essere obiettiva sembrava un'impresa titanica. Ma forse l'obiettività non c'entrava poi granché...
«L'unica cosa che conta è che la scelta che farai deve venire solo e unicamente dal tuo cuore. Intese?» disse Kate facendomi l'occhiolino.
Già, era al cuore che spettava ogni decisione. Se solo fossi riuscita a farlo capire alla mia testa, tutto avrebbe trovato una propria conclusione logica e naturale.

Al mio risveglio la mattina dopo trovai un post-it di Alisha sul tavolo in cucina, assieme al cartone del latte e a un cornetto al cioccolato.
"Sono a scuola, i miei sono al lavoro.
Ci vediamo alle due!
Baci
Ps. Non è che potresti dare una sistematina alla camera?"
Sorrisi leggendo l'ultima riga e dopo aver fatto colazione mi rimboccai le maniche per eseguire gli ordini della mia amica.
Come ringraziamento della sua ospitalità avevo deciso di prepararle un pranzetto coi fiocchi. Il frigorifero cercò di ostacolare la mia missione, ma armata di buoni propositi mi vestii e uscii di corsa per andare a fare la spesa.
Che bello essere di nuovo qui, pensai.
La signora del negozio di alimentari mi riconobbe e iniziò a tempestarmi di domande. Com'era la vita nella nuova città, se mi ero ambientata bene, come stava mio padre... Sì, ero convinta che da sempre avesse un debole per papà.
Mentre ero intenta a chiacchierare allegramente con lei, qualcuno alle mie spalle si impegnò in un sonoro colpo di tosse.
Effettivamente io e la signora avevamo monopolizzato la cassa. Mi voltai all'indietro per scusarmi, ma le parole mi morirono in gola.
Qualcuno che assomigliava incredibilmente a Ken mi sovrastava dall'alto del suo metro e ottanta circa. Se non fosse stato per un fisico scolpito e un paio di occhi smeraldini che non ricordavo di aver mai visto, avrei messo la mano sul fuoco riguardo la sua identità. Il Ken che ricordavo io era mingherlino, alto quanto me e con gli inseparabili fondi di bottiglia sul viso.
Non poteva essere lui, però...
«Ken?» io stessa riuscii a sentire a malapena la mia voce pronunciare il suo nome.
Il ragazzo scosse la testa, la frangia castana ricadde prepotentemente sui suoi occhi mozzafiato.
«Ti stai sbagliando...»
Quasi tirai un sospiro di sollievo. Era ovvio che non potesse essere lui. Come mi era venuto in mente di scambiarlo per il mio vecchio compagno di classe?
«Io mi chiamo Kentin»
Spalancai gli occhi e ci mancò poco che la busta della spesa mi cadesse per terra.
«Cosa diavolo ti hanno fatto?!» esclamai senza rendermene conto.

«Sono quasi quattro mesi che mi alleno all'Accademia, è ovvio che il mio fisico sia cambiato»
Certo, sì, era ovvio. Come poteva essere ovvio che io avevo le branchie.
La sua presenza così diversa mi faceva ancora uno strano effetto nonostante fossero passati dieci minuti buoni dal nostro casuale incontro.
«Cavoli Ken, sei proprio un'altra persona» dissi con l'espressione di un pesce lesso. Forse lo stavo guardando un po' troppo e ebbi l'impressione che la cosa lo turbasse.
«Smettila di chiamarmi così. Piuttosto, tu che ci fai qui?»
Un momento. Il suo tono non era un po' troppo rude? Il Ken che conoscevo io mi sarebbe come minimo saltato addosso se mi avesse rivista dopo tanti mesi di lontananza.
«Diciamo che ho intrapreso un viaggio di riflessione...» spiegai non troppo convinta.
Lui sogghignò «Rifletti su cosa? Se sia meglio mangiare tutte le provviste di biscotti o lasciarne un po' per il letargo?»
Lo fissai accigliata. «Cosa ne hai fatto dell'altro te stesso?»
Kentin mi lanciò uno sguardo astioso ma rimase in silenzio. Ci dirigemmo al parco poco lontano dalla nostra vecchia scuola senza spiccicare una parola e ci sedemmo su una panchina.
Quel mutismo mi stava creando disagio, ma di azzardare altre battute non se ne parlava proprio, perciò me ne uscii con un noiosissimo commento sul tempo e sul fatto che il parco non era proprio il luogo ideale per passare una mattinata in compagnia.
«Se vuoi sei libera di andartene, nessuno ti ha obbligata a venire fin qui»
Adesso stava esagerando. «Si può sapere cosa ti ho fatto?»
La sua testa scattò come una molla verso la mia, gli occhi verdi riflessi nei miei.
«Non mi hai fatto proprio nulla»
Era come se in realtà quegli occhiali spessi fossero ancora lì, poggiati sul suo naso. Il colore delle sue iridi doveva essere abbagliante, eppure risultava spento. Completamente vuoto, come quando le lenti gli incorniciavano il piccolo viso bambinesco.
D'un tratto fui assalita da una forte malinconia. Sapevo di non averne il diritto, ma sentivo la mancanza del Ken dolce e imbranato di una volta.
Così, senza volerlo, due lacrime calde bagnarono le mie guance infreddolite dall'inverno.
Kentin rimase spiazzato dalla mia reazione e lo vidi agitarsi notevolmente. Era come se uno spiraglio del vecchio se stesso fosse tornato improvvisamente a trovarmi.
«Scusa» bofonchiai «E' che sei così diverso...»
Il ragazzo accanto a me abbassò la testa e mise le mani incrociate sulle ginocchia. Il suo fisico, ora, era a tutti gli effetti quello di un uomo.
«Vuoi dire che prima ti piacevo di più?» disse sorridendo amaramente.
«Ken...»
«Sto scherzando. So bene di non esserti mai piaciuto» tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e me lo porse senza degnarmi di uno sguardo.
Mi asciugai gli occhi e mi pentii di essermi messa a piangere per quel motivo. Aveva dovuto passare un periodo davvero difficile per subire un cambiamento del genere e io non potevo di certo lasciarmi andare a stupidi sentimentalismi, conoscendo più che bene i suoi sentimenti per me.
«Il tuo è una fuga d'amore solitaria?» disse improvvisamente.
«Potrei definirla così, sì» risposi. Era sempre stato un ragazzo fin troppo sensibile, magari era per questo che l'aveva capito al volo. «Non riesco a prendere una decisione» aggiunsi.
«Le decisioni non sono facili da prendere» lui doveva saperlo bene.
«Già»
Il vento soffiava forte e il mio naso si era ghiacciato e arrossato per colpa del freddo. Stavo per coprirlo con la sciarpa, prima che Kentin mi baciasse.
Le sue labbra gelide toccarono le mie e subito dopo la sua lingua provò ad infilarsi prepotentemente nella mia bocca. Non vi era alcun sentimento in quel gesto, né da parte sua né dalla mia. Ma ci fu un qualcosa che captai, un lieve tremore si impossessò di me nel momento in cui sovrapposi la sua immagine con quella di un altro ragazzo.
La razionalità tornò da me non appena mi resi conto della situazione e con uno spintone scansai via Kentin dal posto in cui si trovava. Lui nemmeno mi guardò, si limitò a prendere la busta della sua spesa e ad andarsene via, lasciandomi da sola.
Poco dopo compresi. Non mi aveva baciata per amore o per chissà cos'altro.
L'aveva fatto per aiutarmi a capire. Per aiutarmi a fare la mia scelta.
E finalmente avevo capito.
Avevo fatto la mia scelta.



Note autrice: Yay! Ce l'ho fatta! Questo capitolo mi frullava in testa già da un po' ma non riuscivo a scriverlo. L'ho iniziato qualche giorno fa poi mi sono bloccata, e quando questo succede mi viene un nervoso e di solito non riesco più ad andare avanti per parecchio tempo. Fortunatamente stavolta è passato solo qualche giorno, ed oggi a distanza da 48 da un esame ho finito il penultimo capitolo! (Nel frattempo mi ucciderò per non aver studiato. Che tempismo perfetto che ho). Forse è un capitolo un po' meno movimentato degli altri anche perché non ci sono i bad boys, ma almeno è tornato Kentin :D dunque aspetto i vostri pareri e spero che la storia continui a piacervi anche se sta per giungere al capolinea! Un bacio <3

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Capitolo 15
*** Night and Day ***


Night and Day
Capitolo 15


Il bacio di Kentin aveva senza ombra di dubbio dato il via ad un processo di sblocco e di autoconvincimento per il quieto vivere che vedeva come protagonisti indiscussi la mia testa e il mio cuore. Ero sicura che per lui quel gesto non stava ad indicare qualcosa in particolare, ma tutto ciò che aveva passato quel ragazzo quando ancora vestiva i panni del semplice Ken fece leva sui miei sensi di colpa. Decisi allora di scrivergli un messaggio.
 
Ripensando a ieri, non vorrei che tu abbia frainteso qualcosa, Ken…

Dopo averla scritta, rilessi la frase che spiccava sullo schermo del cellulare e mi resi conto che era assolutamente inadatta. Cancellai tutto e riprovai.
 
Sei stato davvero carino ad aiutarmi a capire, anche se forse avrei preferito un modo meno particolare.

No, non ero proprio nella posizione adatta per fare la pretenziosa. E poi quel “carino”… Certo, era diventato un gran pezzo di ragazzo, ma con lui non mi ero mai sbilanciata così tanto. Meglio evitare.
 
Grazie, e scusa.

Sì, così poteva andare. Kentin avrebbe capito quello che intendevo dirgli. Me ne convinsi durante il viaggio di ritorno verso casa.
Passarono due ore senza che ricevetti risposta. Poi, finalmente, il suono di un messaggio in arrivo mi ridestò dal sonno in cui ero caduta e in tutta fretta premetti il pulsante di apertura del testo, scoprendo però che il mittente non era chi mi aspettavo che fosse.

 
Tutto bene, Em? Sono giorni che non ti si vede a scuola, ho saputo che stai male. Spero che non c’entri quello che ti ho detto l’ultima volta che ci siamo visti…
Rimettiti presto!
Nath

Nathaniel si preoccupava per me… Sempre così discreto, sempre così giusto. Era inevitabile non apprezzarlo. E pure quella volta, la mia stima nei suoi confronti crebbe ancora. Ero felice che un ragazzo come lui provasse qualcosa nei miei confronti, la cosa mi provocava una sensazione particolare e difficile da spiegare. Non era motivo di vanto, piuttosto mi faceva sentire realmente bene. Perché in lui non riuscivo a vedere altro che bontà, e ogni emozione che mi trasmetteva si palesava inevitabilmente in un sorriso sulle mie labbra.
Volevo fargli sapere tutte queste cose, ma il telefono era il mezzo meno adatto principalmente per due motivi. Con Nathaniel i miei comportamenti erano stati spesso ingiusti. La decisione di partire -o meglio, fuggire- dopo che lui mi aveva confessato i suoi sentimenti, da qualsiasi parte la si guardasse era stata un’ennesima coltellata alle spalle. Una coltellata indolore, almeno, poiché per quanto ne sapesse io ero ancora a casa con la febbre. Più volte mi ero ripetuta che lui non meritava di soffrire così, ma anche dopo che credevo di essermene convinta tornavo nuovamente a ferirlo con le mie stupidaggini. Però, dopo l’incontro con Kentin, avevo deciso di voltare finalmente pagina. Basta comportamenti da ragazzina, basta tenere il piede in due scarpe.
Il secondo motivo per cui non volevo sentirlo per telefono era semplice ed evidente. Il tempo di parlare era arrivato, ma tutto sarebbe stato chiarito a voce. Un discorso del genere non poteva assolutamente essere affrontato diversamente.
Non vedevo l’ora di averli entrambi davanti a me. L’attesa adesso mi divorava, e fino all’ultimo sentivo nello stomaco un ingarbugliarsi di agitazione e incertezza. Alisha e Kate avevano notato il mio cambiamento repentino e capirono all’istante lo stato d’animo in cui riversavo non appena raccontai loro del mio incontro con Kentin. Erano dispiaciute perché non avevo nemmeno fatto in tempo ad arrivare che già me ne ripartivo, d’altra parte compresero e appoggiarono la mia scelta di tornare.

«Prima sparisci senza dirmi nulla, e ora torni perché devi assolutamente andare a scuola?» sbraitò mio padre con il viso rosso per la collera appena mi vide entrare in casa «Sei una ragazza irresponsabile Emma, e da oggi sei in puniz…»
Lo bloccai con una mano prima che potesse finire una frase che non mi avrebbe portato nulla di buono. «Hai ragione, sono un’irresponsabile…» dissi con il tono più colpevole che la mia voce permetteva, mentre tiravo fuori dalla borsa una confezione di plastica trasparente a lui molto familiare. Non feci in tempo a rialzare lo sguardo che le sue braccia si erano già allungate verso la scatola come un ago ad una calamita. «Ma quale altra figlia al mondo avrebbe riportato le ciambelline glassate al suo papà?»
«Oh…» il livello della sua voce tornò ad essere stabile. La rabbia svanì gradualmente, grazie al mio contrattacco calcolato giorni prima. Conoscevo bene il mio pollo. Poteva resistere a tutto, tranne alle ciambelline glassate, il famoso emblema della nostra città natale. E quelle furono l’arma dolce e letale che mi permise di scampare la tremenda punizione di papà.
Con passi pesanti e gli occhi semichiusi per la stanchezza arrivai in camera. In tre giorni avevo fatto più di dieci stressanti ore di viaggio in treno e quando infilai le ciabatte che mi attendevano fedeli dietro la porta sentii l’ultima flebile scarica di energia attraversarmi il corpo, dopodiché la fiacca regnò sovrana.
«Sono esausta…» mormorai, stropicciandomi la faccia perché non volevo ancora cedere al sonno.
«A chi lo dici»
Spalancai gli occhi e le mie mani rimasero a mezz’aria all’altezza del viso, impietrite.
Sdraiata sul letto c’era Iris, che leggeva una mia rivista con la massima naturalezza. Senza nemmeno guardarmi sfogliò una pagina e sbadigliando disse «Saranno due ore che ti aspetto»
«Come… Come facevi a sapere…?» biascicai confusa.
«L’altro giorno tuo padre mi ha telefonata per sapere dove ti fossi cacciata. Allora ho chiamato Violet che mi ha raccontato della tua piccola vacanza» spiegò lei, ancora concentrata ad osservare le immagini che le scorrevano davanti.
Quindi Iris era preoccupata per me… Questo significava che mi aveva perdonata?
«Iris, per favore ascoltami…» iniziai avvicinandomi al letto.
Lei si rizzò a sedere, si sistemò la treccia sulla spalla destra e chiuse finalmente la rivista.
«Stop. Non voglio sentire le tue scuse ancora una volta»
La guardai con occhi infinitamente tristi. Se non voleva fare pace, allora perché era lì?
Poi continuò, senza darmi il tempo di arrivare ad una risposta convincente.
«Violet mi ha anche spiegato più o meno la situazione, il tuo battibecco con Rosalya e la tua presa di coscienza sul fatto che non ero stata io a fare la spia…»
Alla sua pausa annuii, trattenendo il fiato.
Iris, con fare teatrale, mi lanciò uno sguardo penetrante e sentii la mia testa spostarsi all’indietro di qualche centimetro. «Questo è un ultimatum. Se ci dovesse essere una prossima volta, non provare più ad accusarmi ingiustamente senza nemmeno permettermi di dire la mia, altrimenti non ci sarà più nessuna Iris che ti aiuterà con le verifiche di matematica. Sono stata abbastanza chiara?»
Quelle parole furono la cosa più bella che mi capitò dopo tanto tempo. Arricciai la bocca per non far scendere le lacrime di sollievo che mi si erano posate negli occhi e saltai addosso alla mia amica buttandole le braccia al collo.
«Scusa, scusa, scusa!» le urlai nelle orecchie.
«Emmaaaa!» esclamò irritata, ma subito dopo ricambiò il mio abbraccio stringendomi più forte che poté.

Il microfono che la Direttrice stringeva tra le mani grassocce sembrava urlare pietà al mondo intero, mentre le casse posate dietro di lei avevano l’infausto compito di far riecheggiare la sua voce squillante, e al tempo stesso straziante, per tutto il perimetro della palestra scolastica. Il caratteristico cinguettio della rosea donnetta era molto più fastidioso del solito, fatto confermato da tutti gli studenti seduti per terra che sentendo le orecchie dolenti morivano dalla voglia di tapparsele, ma soprattutto dalle smorfie dei poveri professori la cui posizione era la più vicina al punto in cui si trovavano le casse portatrici di sventure.
Io ero seduta tra Iris e Violet in un angolo della palestra, attorniata da centinaia di altri studenti con cui stavo condividendo il medesimo destino. Le vacanze di Natale erano ormai alle porte, e giunto questo periodo il liceo Dolce Amoris si apprestava ad allestire con scarso entusiasmo il mercatino di beneficenza e i pomposi addobbi che andavano a decorare ogni centimetro dell’edificio.
Con una Direttrice come la nostra ci si poteva aspettare questo ed altro. In realtà era l’unica a sprizzare gioia da ogni poro nell’organizzare il tutto, proprio perché a lei spettava solo il compito di impartire ordini. Chi doveva sgobbare eravamo noialtri, noi poveri studenti schiavizzati da un enorme confetto rosa.
«Nel mio vecchio liceo l’unico elemento che rappresentasse il Natale era un minuscolo alberello esposto in portineria» sussurrai a Iris.
«Ti invidio…» disse sospirando.
«Guardate il lato positivo» disse Violet, «Per i prossimi tre giorni non avremo lezioni!»
«Sì, ma in compenso sgobberemo come degli asini» conclusi, riportando lo sconforto in mezzo a noi.
La Direttrice stava finendo di illustrare i vari compiti che aveva assegnato ad ogni classe. Fortunatamente il lavoro più lungo e faticoso, alias il mercatino di beneficenza, spettava ai primini. Noi per i prossimi due giorni ci saremmo occupati di addobbare la scuola.
«Mi raccomando miei cari, vedete di impegnarvi come si deve… Altrimenti Babbo Natale vi punirà!» urlò la Direttrice nel microfono con fare minaccioso, per poi esibirsi in un’amorevole risatina spacca timpani.
Mentre ero bloccata tra la folla di gente che usciva dalla palestra intravidi Alexy, il ragazzo conosciuto in gita, che spostava le casse nell’atrio e si improvvisava deejay della situazione sparando a tutto volume i remix delle classiche canzoni natalizie. Sorrisi, cominciando a sentire dentro di me una puntina di quell’entusiasmo di cui la Direttrice era tanto affetta.

Il cortile fu inondato da una marea di persone. Studenti e professori si misero al lavoro aiutandosi a vicenda. Con il sottofondo musicale e il brusio ininterrotto di voci impegnate, l’atmosfera iniziò a farsi decisamente più piacevole.
Un Lysander vestito da folletto di Babbo Natale ci portò uno scatolone pieno di palline colorate da appendere all’enorme albero che avrebbe occupato il centro del cortile.
«Buongiorno ragazze, tutto bene? Mi hanno chiesto di riferirvi che ci sarebbe da dividere tutte le palline in base al colore» l’aria seriosa e tranquilla e quelle parole così innaturali pronunciate da un adolescente stonavano terribilmente con il costume verde che gli fasciava il corpo.
«Lysander…» “come ti sei conciato?”, avrei voluto dirgli. Invece dalla bocca mi uscì tutt’altro. «Sei un folletto perfetto!»
Il ragazzo sorrise pacatamente ma soddisfatto, e si allontanò con il pon pon del capello che ad ogni passo ballonzolava sulla sua testa.

Erano ormai passate le dieci ma non avevo ancora visto chi davvero avevo bisogno di vedere. Loro due. Il cortile era stracolmo di gente e non era facile riuscire a trovarli in una giornata del genere. Sicuramente anche loro stavano dando una mano con i preparativi, da qualche parte…
Prendevo due palline rubino dalla scatola, le trasferivo in un’altra, mi guardavo intorno e ne prendevo altre due. Speravo che in uno di quei istanti in cui potevo lanciare un’occhiata a destra e a sinistra avrei finalmente avvistato una chioma rossa e una bionda in un qualche punto del cortile, ma fino ad allora le mie aspettative erano state vane.
Violet aveva notato la mia agitazione e quando si accorse che anche io la stavo guardando, mi incoraggiò con un sorriso ad occhi bassi. Ricambiai il sorriso e continuai a ispezionare le palline.
D’improvviso un fragoroso applauso e delle grida di approvazione fecero sfumare la concentrazione alla quale mi ero abbandonata, costringendomi a voltare lo sguardo nella direzione da cui proveniva il chiasso.
Alcune persone non ben identificate stavano trasportando un mastodontico albero di Natale facendosi largo tra gli studenti, che avevano creato un passaggio per permettere loro di arrivare a destinazione senza che nessuno si facesse male.
Fu solo quando ebbero oltrepassato la piazzola di fronte all’entrata che riuscii a osservare il volto delle persone incaricate di trascinare il grande abete.
Castiel e Nathaniel camminavano a passo lento alle due estremità del tronco con lo sguardo concentrato sulle braccia che lo sorreggevano. Il primo aveva la bocca serrata e le sopracciglia corrucciate, mentre l’altro, le guance arrossate dallo sforzo, combatteva con i ciuffi di capelli che gli cadevano fastidiosamente sugli occhi.
Sembrava passato tanto tempo dall’ultima volta che li avevo visti, e invece era trascorso solamente qualche giorno. Ora di nuovo vicini a me, ma ancora così distanti…
I miei occhi si spostavano dall’uno all’altro senza tregua, seguendo ogni singolo movimento dei loro corpi. Castiel si accucciò per incastrare il tronco ad una pedana rettangolare e il cappello di lana gli si sfilò dalla testa cadendo per terra. Nathaniel lo raccolse e glielo porse; uno sguardo scettico da parte del rosso, la mascella contratta, ma alla fine lo prese dalle mani dell’altro. Mi si strinse il cuore nel vedere quella scena. Come avrei voluto vedere anche solo il più piccolo segno di resa sul volto di Castiel.

Continuammo a lavorare per tutta la mattinata e anche dopo l’ora di pranzo. L’albero troneggiava sfarzoso nel cortile aspettando solo di essere completato. Poi avrebbe potuto mostrarsi con fierezza in tutto il suo splendore.
L’aria si era fatta pungente, ma il sole continuava a uscire a sprazzi da dietro le spesse nuvole bianche dipinte nel cielo di dicembre.
Seduta su un muretto in lontananza, mi riposavo osservando quel piccolo mondo dove avevo vissuto pochi mesi della mia vita e dove dovevo passarne ancora molti altri.
Mesi che avrei voluto vivere insieme a lui.
Era giunto il momento di prendere in mano quella situazione che si protraeva ormai da troppo tempo.
Nathaniel, alla mia destra, chiacchierava amichevolmente con alcuni ragazzi insieme ai quali stava sistemando una lunga fila di luci a intermittenza sulla ringhiera che circondava il giardino. Il suo sorriso rischiarava l’atmosfera ovattata e la sua risata arrivava cristallina alle mie orecchie.
Castiel, a sinistra, reggeva con aria imbronciata la scala adiacente all’albero su cui era salito un professore. Lo sguardo che gli lanciò la diceva lunga sul livello a cui era arrivata la sua pazienza.
Erano lì, il giorno e la notte. Opposti ma indispensabili.
«Devo andare» dissi a Iris e soprattutto a me stessa.
Lei annuì e mi abbracciò forte. Con un salto scesi dal muretto e accorciai la distanza che mi separava da loro.
Avevo fatto la mia scelta. Sin dall’inizio sapevo cosa fare, a frenarmi era la paura. Ora però ogni tassello andava messo al posto giusto, ed io ero finalmente pronta.
Era la scelta giusta, la scelta del mio cuore.
«Nath…»
Sentendo il suo nome si voltò di scatto rimanendo immobile per pochi istanti mentre mi fissava con la bocca semi aperta, un’immagine davvero poco consona al Nathaniel che conoscevo. Ma si ridestò immediatamente e le iridi gli si illuminarono come non mai.
Sorrisi imbarazzata, ma non staccai nemmeno per un secondo gli occhi dai suoi.
«Ragazzi, scusate un attimo» disse rivolto ai suoi compagni di lavoro. Ci allontanammo da loro per metterci un poco in disparte.
Da quanto aspettavi questo momento, Nath?
Il sole ormai debole si tratteneva ancora nel cielo, ma il suo compito quotidiano stava per giungere al termine.
Non smettevo di torturarmi le mani incrociate l’una nell’altra, e a lui non sfuggì.
Ancora non aveva detto una parola ed era giusto così. Aveva già detto tutto quanto, a parlare stavolta toccava a me. Ma nemmeno allora risparmiò il suo sorriso dolcissimo che mi colpì dritto nel petto. Avevo il battito a mille e temevo che il cuore potesse uscirmi fuori per l’emozione.
«Nath… Ti voglio bene»
La luce dell’ultimo raggio di sole ci colpì in pieno viso accecandoci per un istante. Il sole era appena tramontato e il giorno si ritirava, per lasciare spazio alla notte, carica di aspettative.
«E mi piaci, mi piaci davvero. Ma…»
Quella luce che poco prima aveva illuminato le sue iridi rendendole oro colato svanì di colpo, ma la forza del suo sguardo rimase invariata.
Aveva capito. E lo accettava.
Non c’era bisogno di continuare la frase a voce. Il finale era evidente ad entrambi.
“Ma c’è lui.”
«E’ incredibile» disse, alzando gli occhi verso il cielo che stava arricchendosi di sfumature arancioni. Rimasi in silenzio aspettando che continuasse.
«Lui… Riesce sempre a portarmi via le cose più importanti»
Un’ennesima fitta al petto. Mi ero ripromessa di non farlo più soffrire, e invece lo feci fino alla fine. Nonostante avessi deciso finalmente di chiarire i miei sentimenti, avevo portato altro dolore nel suo cuore. Come se non ce ne fosse già abbastanza.
«Mi dispiace…» bisbigliai con voce tremante. Poi la mia mano, senza che me ne accorgessi, andò a posarsi sul suo braccio. Un gesto tanto spontaneo quanto incosciente. Ma quella volta no, Nathaniel non avrebbe sopportato. Fu quasi incredibile assistere al movimento secco del suo braccio che mi scansava. La mascella serrata talmente forte da fargli socchiudere gli occhi, i muscoli delle spalle che mi imploravano di andare via.
Non aggiunse altro. Avevamo entrambi esaurito le parole, poiché continuare quel discorso non avrebbe avuto senso. Tutte le frasi che mi ero preparata con cura, tutto quello che mi sentivo in dovere di dirgli... Senza che dicessi nulla, lui l'aveva capito.
Mi guardò un’ultima volta, prima di rivolgermi un cenno di congedo e tornare dai suoi compagni. La sua professionalità lo guidò anche in quel momento, sebbene io sapessi con chiarezza che quella schiena larga e rigida fasciata dalla solita camicia inamidata, nascondeva un’amara delusione, visibile soltanto a me.

Il cielo si era completamente tinto di rosso. Il brusio di voci della gente che mi circondava arrivava alle mie orecchie come un suono lontano. Ero concentrata soltanto sulla chioma che ora rispecchiava il colore del tramonto.
L’ultima volta che avevamo parlato mi aveva rivolto parole dure come pietre e nelle mie tasche non avevo alcuna certezza che sarei riuscita a trasmettergli quello che provavo. Soprattutto, non ero sicura che lui volesse ascoltarmi. Ma dovevo provarci, perché lui era ciò che desideravo più di ogni altra cosa.
Castiel.
Il nostro primo incontro non troppo tenero. La volta in cui mi portò via da Amber prima che potessi assestarle altri dieci schiaffi. La sensazione dei suoi capelli lisci come la seta tra le mie mani, mentre ero impegnata a fargli la coda negli spogliatoi del club di basket. Il risveglio a casa sua e il ricordo dei nostri visi così vicini… Scoprire del suo passato, collegato a quello di Nathaniel e Rosalya e andargli contro senza immaginare quali potessero essere le sue vere emozioni. Il pomeriggio insieme a lui e Demon, e l’essere riuscita ad entrare un po’ nel suo cuore. Quel bacio a cui ripensavo ogni singolo istante delle mie giornate. Il dolore che avevo dentro e che ero riuscita a spiegare soltanto a lui. I nostri cuori a contatto ma per così poco tempo. Poi, il muro che aveva deciso di erigere ingiustamente contro di me.
Castiel mi aveva fatto vivere tutto questo.
Volevo abbattere quel muro e fargli capire che si sbagliava. Non sapevo davvero come avrei fatto, ma ce l’avrei messa tutta per arrivare a lui.
Distavo da lui più o meno una decina di metri quando Iris venne da me per dirmi che lei e Violet dovevano andare a prendere degli attrezzi nel sottoscala per ordine di un insegnante.
«Ho detto al prof che sei in bagno, vedi di non farti trovare altrimenti ti spedisce sotto da noi»
«Grazie, Iris» sorrisi alla mia amica che mi lanciò uno strano sguardo. Subito dopo però si voltò e io rimasi a guardarla mentre si allontanava. Non feci in tempo a chiedermi del perché di quella sua espressione, che una sensazione anomala si fece largo nel mio stomaco. Il profumo che avevo tanto sperato di poter risentire arrivò dritto nelle mie narici, salendo fino al cervello. Socchiusi gli occhi, inebriata.
Possibile riuscire a sentirlo così forte da quella distanza?
L’impressione che avevo nella mente si tramutò poco dopo in certezza.
Lui era lì, dietro di me.
Ero convinta che non mi avesse vista, eppure sentivo chiaramente la sua presenza a due passi di distanza dalla mia schiena.
Mi voltai di scatto e l’immagine del suo viso marchiata nei miei occhi mi fece sussultare. Castiel mi guardava enigmatico con la bocca corrucciata e lo sguardo concentrato, sembrava come se mi stesse vedendo per la prima volta.
Feci un piccolo passo verso di lui e dovetti alzare un poco la testa per continuare a perdermi nei suoi pozzi scuri e profondi. Castiel non si mosse di un centimetro, ed entrambi rimanemmo immobili come in attesa di qualcosa. Ma non accadde nulla.
Poi, come se di colpo fosse riemerso dai suoi pensieri, tirò fuori la mano dalla tasca e prese la mia, stringendola così forte da farmi male. Salimmo frettolosamente i gradini che portavano all’ingresso e camminammo a passo veloce finché Castiel non deviò strada svoltando in un lungo corridoio buio e deserto. L’unica luce era quella lieve e soffusa del tramonto che stava ormai per scomparire. Entrava dalla grande finestra che sormontava la parete di fianco a noi e illuminava i nostri volti rendendo quella situazione inspiegabilmente surreale.
Scrutando la sua fronte e le dure sopracciglia ammorbidite dal contrasto che la luce creava su di esse mi resi effettivamente conto di quanto mi era mancato averlo così vicino. E dentro di me un nuovo sentimento di fiducia mi suggeriva che forse non tutto era ancora perduto.
Fu lui il primo a rompere quel silenzio prolungato.
«Sei stata afflitta da una febbre eterna?» mi chiese con un ghigno.
«Mi dispiace che il mio corpo non sia virile come il tuo, mister “sfido il clima invernale boicottando il cappotto”» rispondere a tono alla sua provocazione fu un gesto istintivo.
Castiel arricciò il labbro superiore facendo un passo verso di me e accorciando ancora di più la poca distanza che separava i nostri corpi.
«Al contrario tuo, io oggi ho sudato» disse lentamente, guardandomi dall’alto con fare di superiorità.
«Ma fammi il piacere… Mentre trasportavi l’albero eri l’incarnazione della disperazione»
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che ci eravamo punzecchiati in quel modo così spensierato? Mi pareva impossibile parlare con lui senza sentir volare parole poco piacevoli.
Castiel mise subito fine a quella piccola sfida di provocazioni iniziando a frugare nelle sue tasche alla ricerca di chissà cosa.
C’era una questione rimasta in sospeso tra noi e non sapevo se effettivamente volesse risolverla discutendone con me in modo ragionevole.
Ma Castiel sembrava non avere la minima intenzione di parlare del nostro litigio. Continuai a osservare le sue mani che si muovevano nelle tasche dei pantaloni, finché non tirò fuori un piccolo oggettino rosa che a prima vista non riuscii a identificare.
Il rosso si grattò dietro la nuca con fare vago mentre con l’altra mano posava quell’oggetto nella mia.
Quando aprii il palmo vi trovai sopra un piccolo portachiavi con la forma di un maialino rosa. Dapprima non dissi nulla, troppo disorientata da ciò che Castiel aveva appena fatto.
Poco a poco realizzai che avevo appena ricevuto un regalo da lui e per quel motivo dovevo assolutamente controllare se la terra stesse ancora girando nel verso giusto.
Le miriadi di espressioni che assunse la mia faccia dovettero innervosirlo un bel po’, perché si schiarì la gola per poi riallungare la mano verso di me.
«Se non lo vuoi me lo riprendo» disse scocciato, ma le sue guance leggermente arrossate tradivano un certo imbarazzo.
Guardai lui, poi di nuovo il pupazzo, e infine di nuovo lui. Mi decisi a chiudere la bocca e sfoderai un sorriso grande quasi quanto l’affetto che provavo per il ragazzo di fronte a me.
Probabilmente non si aspettava una reazione del genere, perciò iniziò a farfugliare qualcosa per non cedere troppo a quel fastidioso imbarazzo che proprio non gli si addiceva.
«Non è che l’abbia comprato apposta… Era in una vetrina insieme a tanti altri maiali… E visto quel tuo ridicolo pigiama ho pensato che…»
Quelle parole così confuse suonarono meravigliose alle mie orecchie. Mi stava trasmettendo un messaggio estremamente importante. Castiel non era il tipo che chiedeva scusa dopo essersi accorto di aver sbagliato. Te lo avrebbe dimostrato, certo, ma non nel modo in cui ti saresti aspettato. Un portachiavi a forma di maialino era la sua richiesta di perdono.
Nemmeno la mia risposta aveva bisogno di parole.
Il suo petto sporgeva verso di me e le sue labbra rosse per il freddo erano l’unica cosa che i miei occhi visualizzavano da quando mi aveva presa e portata in quel corridoio.
Mi fiondai su di lui senza aspettare un secondo di più e gli gettai le braccia intorno al collo. Lo baciai con forza divorandogli quelle labbra che avevo assaporato tempo prima senza mai più perdere la sensazione che avevano lasciato sulle mie. Ero elettrizzata perché Castiel restò sbalordito dalla mia iniziativa. Ma non dovetti aspettare molto prima di sentire le sue mani cingere con vigore i miei fianchi, alzandomi da terra e poggiandomi non troppo dolcemente sul davanzale della finestra. L’oscurità ormai avvolgeva i nostri corpi da cui traboccava una bramosia senza limiti.
Castiel mi desiderava quanto io desideravo lui, e quella consapevolezza mi fece provare una sensazione incredibile. Era mio, finalmente mio. Soltanto questo contava.

Ci staccammo solo dopo che la luce automatica illuminò di colpo tutto il corridoio, facendoci sobbalzare. Mi sentivo come un ladro beccato con l’oro tra le mani.
Castiel si sistemò i capelli scompigliati dalla frenesia del momento, lanciandomi una finta occhiataccia.
«Attenta a non sciuparmi…» disse con voce roca.
«Falla finita» dissi, indicando il succhiotto sul mio collo gonfio.
Posò le mani sul davanzale ai lati delle mie gambe e poggiò la fronte contro la mia.
«Mi spieghi perché ogni volta dobbiamo avere questi maiali come spettatori?» chiese con espressione serissima.
«Non dirmi che riescono a metterti tanto a disagio» lo provocai, sorridendo.
«Sei tu che mi metti a disagio, molestatrice!»
Scoppiai a ridere e lo spinsi via, mentre il mio cuore urlava di felicità.

Si era fatto tardi ormai, alunni e professori si preparavano per tornare a casa.
Non capivo se fosse solo frutto della mia immaginazione, ma da un po’ sentivo lo sguardo di qualcuno sulle spalle. La cosa in realtà non mi disturbava più di tanto, avendo la testa proprio da tutt’altra parte in quel momento. Ero tornata ad aiutare le mie due amiche e insieme sistemavamo le ultime cose prima di andare via anche noi.
Immersa nei miei pensieri, tornai alla realtà quando sentii qualcuno chiamare a gran voce un nome a me -purtroppo- familiare.
«Rosalya!»
Di scatto seguii con la testa la direzione da cui proveniva quella voce e mi ritrovai a fissare gli occhi dorati di quella terribile e bellissima ragazza.
Stava parlando con l’amica che l’aveva chiamata, ma il suo sguardo era puntato su di me al pari di un segugio intento a scrutare la sua preda.
Aveva perso, ma l’unica a saperlo ero io.
Sentendomi per la prima volta così sicura di me, le lanciai un sorrisetto beffardo che ero certa avrebbe scatenato la sua ira. Avrei tanto voluto mostrare a tutti quell’anima da iena che covava dentro di se, ma decisi di accontentarmi della mia vittoria a lei ancora ignota.
Fu Castiel a compiere la vendetta al posto mio. Il cortile si era svuotato quasi del tutto quando venne da me dopo aver salutato i suoi amici.
«Hai finito di non lavorare?»
«Veramente ho sgobbato molto più di te, che non hai fatto altro che chiacchierare con i tuoi amici…»
Castiel strabuzzò gli occhi «Dannata molestatrice… Smettila di spiarmi sempre!»
Violet sorrise timidamente per il nostro scambio di battute, mentre Iris lanciava uno sguardo d’intesa al rosso.
Sospettavo che ci fosse il suo zampino dietro la resa di Castiel, ed anche per questo le ero molto grata. Mi ero ripromessa di costruire una statua in suo onore prima di morire.
Poi anche lui si accorse che Rosalya, poco lontano da noi, ci stava guardando. Io serrai le mascelle facendo finta di niente, ora che avevo trovato la felicità non volevo rovinare nulla perciò restai in silenzio.
Non so dire quante giravolte fece il mio stomaco quando Castiel mi prese per mano e si diresse verso Rosalya, passandole vicino prima di lasciare il liceo.
E ad essere sincera, ricordare il suo bel visino che assumeva espressioni deformi dettate dall’odio per un piccolo gesto voluto da Castiel, valse più di ogni mia altra vendetta.

Noi due soli, la strada sotto i piedi, la fine di un’apparentemente normalissima giornata scolastica, i lampioni che illuminavano le nostre figure in quel tardo pomeriggio di dicembre.
Come potevo sentire freddo quando c’era il suo calore a pervadermi?
Castiel, il mio buio travolgente, la mia notte oscura, mi riaccompagnava a casa.
Ed io, certa di non sognare, assaporavo quell’anelata normalità come la cosa più bella del mondo.
 


 
Night and Day

Fine


 
Note autrice: T.T ho scritto davvero "fine"...?
Sì, è davvero la fine. Sono un po' triste, ad essere sincera. Perché mi sono affezionata a questa storia, nonostante la miriade di errori (di tutti i tipi) presente in essa. Ma sono anche felice perché è la prima fanfiction lunga che riesco a concludere. Vi svelerò un segreto: da anni e anni ormai, in un'impolverata cartella del mio pc dormono tanti documenti di word contenenti storie iniziate e mai portate a termine. Il mio buonsenso mi ha sempre detto di non pubblicarle poiché sapevo bene che non era facile terminarle, ma con Night and Day ce l'ho fatta. Ed anche se è acerba e imperfetta, ho finalmente raggiunto questo traguardo. Sono fiera di me!
Prima di passare ai saluti voglio spiegare un paio di cosette che magari potrebbero risultare non troppo chiare.
Il fatto che Kentin non risponda al messaggio di Emma è sintomo della sua decisione di voler chiudere i ponti con lei. Essendone sempre stato innamorato, ha deciso di non soffrire più sapendo che il suo amore non sarebbe mai stato corrisposto, ma comunque legato dall'affetto che prova per lei la aiuta per l'ultima volta a far chiarezza nei suoi sentimenti. Dopo aver portato a termine questo "compito" sparisce dalla sua vita, e la sua non risposta all'sms conferma tutto questo.
Un'altra cosa che temo non si sia capita è la questione apparentemente irrisolta tra Nathaniel e Castiel. Il primo grazie ad Emma ha capito che la storia tra Castiel e Rosalya era stata equivocata e da parte sua probabilmente c'è un minimo di volontà a riappacificarsi con l'ex amico, ma per Castiel è stato un colpo davvero duro, per questo non vuole nemmeno provare a riavvicinarsi a lui (almeno per il momento, in futuro...chissà). In qualche modo ho voluto rendere questa situazione abbastanza realistica, anche perché sarebbe stato troppo strano vedere il gatto e il topo sopportarsi a vicenda...no?
Queste erano le cose che volevo chiarire... Alla fine, come penso si fosse già capito, Emma ha scelto Castiel. Mi dispiace per tutte le fan di Nath (me compresa) che speravano di vederlo felice in questa storia y.y quanto sono stata cattiva... Purtroppo c'è sempre qualcuno che deve soffrire!
E' ora di passare ai ringraziamenti!
Ringrazio tutte le persone che hanno letto e recensito la mia storia, ringrazio chi l'ha aggiunta alle seguite/preferite/ricordate, ed anche quelle persone che l'hanno visualizzata (e magari letta) senza lasciar traccia...
Ringrazio in particolare la carissima Gozaru che è stata con me fino alla fine, supportandomi sempre! Grazie mille <3
Night and Day vi saluta... Speriamo di rileggerci in un'altra storia, magari!

Sakyo

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