While my world was falling, you were still there

di Anaslover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


L'avevo persa. Avevo perso una delle poche persone con le quali sentivo di poter essere me stessa, una delle persone più importanti della mia vita. 
Rimasi in disparte, con le lacrime che mi offuscavano la vista, mentre quella fredda bara veniva portata fino alla macchina. Riuscivo solo a fissarla. Intorno a me le persone mi chiedevano se mi sentissi bene, ma non rispondevo. Sentivo che le parole non sarebbero bastate ad esprimere l'immenso dolore che provavo, quindi tanto valeva stare zitta. Mentre stavo rivivendo tutti i momenti passati con Janice tutto intorno a me si fermò. Fu il motore della macchina a svegliarmi, quella macchina che me la stava portando via per sempre. Ora ero sola. Non avevo più la mia migliore amica, uno stupido incidente stradale me l'aveva portata via.
"Summer, andiamo a una festa stasera, vieni anche tu?", mi domandò Trey, il mio ragazzo.
Come poteva chiedermi se volessi andare ad una festa il giorno del funerale della mia migliore amica?
Mi limitai a scuotere la testa.
"Austin?", chiese poi.
"No, amico. Non mi sembra il caso.", rispose Austin, che non mi ero accorta fosse dietro di me.
Austin. Almeno avevo ancora lui. Un'altra di quelle poche persone su cui sapevo di poter contare. Avevo sempre capito tutto e non mi ero mai opposta alle decisioni di Trey, in fin dei conti lui era il capo. Capo di cosa non lo sapevo, sapevo solo che per fare qualsiasi cosa chiedevano a lui. Come biasimarli. Capitano della squadra di football, rappresentante degli studenti, faceva girare la testa a tutte le ragazze. Dovevo considerarmi fortunata ad averlo tutto per me. Peccato che tutto per me lui non lo era mai stato. Lui usciva con le altre ragazze. Lui si portava a letto le altre ragazze. Questo aveva contribuito a far si che io mi facessi quella bella reputazione da poco di buono, ma aveva contribuito anche al mio non sentirmi mai abbastanza. Se Trey voleva le altre era perché io non gli bastavo, e se io non gli bastavo la colpa era mia. Elementare. Inoltre era grazie a lui se io ero quello che ero. Era grazie a lui se ero il capitano della squadra delle cheerleader. Era grazie a lui se ero segretaria dell'assemblea degli studenti. In una parola? Ero dipendente da lui. Solo con due persone sulla faccia della terra mi sentivo libera di essere quella che ero in realtà, ovvero non la ragazza che se ne portava uno diverso a letto ogni sera, ma la ragazza che voleva far parte del club di chimica, ma alla quale era stato vietato perché "roba da deficienti", e quelle persone erano Janice ed Austin. Loro mi capivano perché erano come me, intrappolati in un meccanismo che ormai girava e che senza di noi avrebbe smesso di funzionare. Janice però me l'avevano portata via e ora non mi era rimasto che il ragazzo moro dietro di me e quel gruppo di persone che progressivamente si allontanavano.
"Vai a casa?", mi chiese Austin. Il suo sguardo era spento e la sua voce tremava. Ma di lacrime non se ne parlava. Lui non piangeva. Lui era quello forte. Quello che tutte le volte doveva consolare me o Janice perché ci avevano chiamate puttane. Quello che doveva tirare ogni volta un pugno in pieno viso a qualcuno in discoteca se si fosse azzardato ad alzare le mani, perché i nostri ragazzi non avrebbero alzato un dito, a loro non interessava. Lui doveva mostrarsi forte altrimenti prima o poi saremmo crollati tutti e tre.
"Si.", risposi con voce flebile. Non volevo risultate scortese ma in quel momento non volevo avere nessuno intorno.
Mi avviai per la strada senza neanche salutarlo. Presi le chiavi della macchina in mano, ma quando la raggiunsi, la superai. I miei piedi andavano da soli, avevano una meta.
Arrivai nel giardino dove mio nonno portava me e Janice a giocare da bambine, quello stesso giardino dove, in 17 anni, non avevamo mai smesso di andare. Quello era il nostro posto. In modo così rapido si fecero le 8 ed era buio. Avevo paura a stare li da sola, ma non volevo andarmene. Vidi una figura nell'ombra avanzare verso di me, ma non ne fui spaventata. L'avevo riconosciuto.
"Che ci fai qui, Austin?".
"Ho provato a chiamarti ma il tuo telefono è spento, così ho chiamato a casa tua e tua madre mi ha detto che ancora non eri tornata. Sapevo che saresti venuta qui. Summer, io sono preoccupato per te.", rispose lui.
Corsi tra le sue braccia e nascosi il viso nel suo petto, piangendo a singhiozzi. 
"Lo so, so quanto è dura. Non piangere ti prego.", continuò a sussurrarmi queste parole fino a quando non mi calmai. Tra le sue braccia mi sentivo al sicuro.
"Ti prego Austin, non lasciarmi mai. Giuramelo, ti prego." dissi tra i singhiozzi, in un disperato tentativo di aggrapparmi all'unica certezza che mi era rimasta nella vita.
"Non ti lascerò mai da sola, lo sai. Te lo giuro."

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Il giorno dopo insistetti per andare a scuola, avevo bisogno di distrarmi, ma anche di stare nei luoghi dove abitualmente stavo con Janice. Mia madre era sorpresa quando mi vide davanti a lei già pronta, abitualmente non mettevo la sveglia e arrivavo sempre in ritardo a scuola. Presi una tazza di caffè e uscii senza dire nulla.
Parcheggiai l'auto al solito posto e varcai la soglia del cancello. Una mano che sventolava attirò la mia attenzione, era Trey. Mi avvicinai al gruppo e gli diedi un leggero bacio sulle labbra, poi mi sedetti al tavolo. Davanti a me, Austin era in piedi. Mi chiese se andava tutto bene. Risposi di si, ma lui sapeva che non era così, non mi credette, gli si leggeva in faccia. Mi conosceva bene.
Suonò la campanella e andai nell'aula di fisica. La prof era già in classe e dovetti prendermi un ritardo sul registro anche una delle poche volte che ero effettivamente arrivata in orario. Mi sedetti al primo posto che vidi libero, accanto a un ragazzo che faceva parte di un programma di scambio. Era italiano ed era a San Antonio da meno di un mese. Questo significava poca conversazione, se non nulla, ed era proprio ciò che volevo.
Finita l'ora mi diressi verso l'armadietto per prendere i libri per la lezione successiva, storia dell'arte.
Durante il tragitto mi venne vicino una ragazza che faceva parte della squadra delle cheerleader, Debby. Usciva anche con noi, faceva parte del giro, ma non le avevo mai prestato troppa attenzione.
"Sai Summer, ieri sera alla festa ho visto Trey con una ragazza, una mai vista prima. Io indagherei se fossi in te.", mi disse.
"Ti ringrazio, Debby. Vedrò quello che posso fare.". Non la sopportavo. La verità era che moriva per Trey e ogni occasione era buona per lei per farci avere dei problemi. Feci il sorriso più falso che potevo, ma volevo solo invogliarla ad andarsene.
"A proposito, ho sentito Trey dire agli altri che ieri sera eri uno schianto!", aggiunsi. Sapevo che non avrebbe risposto, ma che sarebbe balzata nell'altra direzione per andare a cercarlo. 
Ripresi a camminare ma dall'aula di fianco a me mi sentii chiamare.
Mi voltai e vidi la professoressa di diritto che si alzava frettolosamente dalla sedia per raggiungermi.
"Ciao cara.", mi salutò. Cara? Da quando in qua mi chiamava cara? 
"Salve prof.", risposi dubbiosa.
"Devo parlarti Summer. Sai, io credo che sia opportuno che tu veda lo psicologo della scuola. Quello che è successo ci ha scossi tutti, ma per te è indubbiamente più dura. Sarebbe opportuno che ne parlassi con qualcuno..".
La bloccai: "Non credo di averne bisogno professoressa.".
"Credimi, ti sentirai molto meglio dopo. Mi sono presa la libertà di prenderti un appuntamento.", disse porgendomi un foglietto giallo con il nome dello psicologo, il giorno, l'ora e l'aula dove riceveva. Mi sentii spiazzata. Non avevo idea di cosa dire. Solo perché Janice non c'era più non voleva dire che sarei diventata pazza.

"Dallo psicologo? È assurdo!", disse Austin, passandomi la palla da basket. Ci trovavamo nel piccolo spazio dietro casa sua.
"Lo so! - esclamai sentendomi finalmente capita da qualcuno - voglio dire, io non mi sento mentalmente instabile. Lo sono?", domandai tirando nel canestro.
"Non più di quanto tu non lo sia abitualmente.", mi rassicurò recuperando la palla.
Raccolsi i capelli in una coda per stare più comoda.
"Quanto sei divertente!", affermai sarcasticamente posizionandomi sotto il canestro per far tirare lui che, come al solito, fece centro.
"Fanno 9-4! Vuoi davvero continuare?", chiese.
Feci la linguaccia prima di girarmi al suono di un clacson.
"Aust!", una voce stridula proveniva dall'interno dell'auto.
"Chi è?", chiesi curiosa.
"Una che Trey che mi ha appioppato.", rispose con tono rassegnato. 
La ragazza scese dalla macchina e si avvinghiò al collo di Austin sotto i miei occhi stupiti. Sembrava quasi volesse strozzarlo. Avevo voglia di staccarla da lui e rimetterla in macchina. Non ero gelosa. Davvero, non lo ero! Solo che quella li mi infastidiva.
Una volta staccatasi mi squadrò dalla testa ai piedi con tanto disprezzo da farmi abbassare gli occhi per controllare se avessi qualcosa che non andava. Indossavo una canottiera e un paio di pantaloncini da ginnastica, niente di mai visto.
"Io me ne vado.", affermai in fine decisa.
Quella stava per dire qualcosa, non ero sicura fosse un saluto o un urlo di gioia, ma Austin la interruppe.
"No! Il compito! Ti sei dimenticata? Come faccio se non mi aiuti, non posso prendere un'altra insufficienza. Nicole, ora sono un tantino impegnato, ti dispiace lasciarci soli? Dobbiamo studiare.".
La ragazza sembrò inorridita, anzi, per meglio dire, umiliata dal fatto che Austin preferisse passare il suo tempo con una che portava la tuta piuttosto che con una che indossava il tacco 12 per strozzare le persone. Un assassina di classe, non c'è che dire.


ANGOLO AUTRICE
Ciao a tutti! Scusate ma premetto già che quest'angolo sarà un po' lungo dato che avevo cercato di inserirlo nel primo capitolo, ma non ci ero riuscita. Allora, tanto per cominciare scusate se non ci dovesse essere lo spazio tra il capitolo e l'angolo autrice oppure tra i diversi momenti della storia nello stesso capitolo, ma purtroppo non sono molto tecnologica, inoltre questa è la prima volta che pubblico qualcosa, quindi non sono capace in poche parole. 
Vi preannuncio che questa storia era nata per essere una one-shot, ma scrivendo mi sono resa conto che non era possibile sviluppare tutto ciò che avevo in mente in un solo capitolo. Ad ogni modo non ho intenzione di scrivere molto, ho pensato ad una decina di capitoli. 
Vi chiedo scusa già da ora se non sarò sempre costante ad aggiornare, ma non ho la storia già scritta e con la scuola e tutto non è sempre facile fermarsi a scrivere.
Ma ora passiamo al capitolo. Il primo sarà probabilmente sembrato un po' pesante ma era importante che io dessi un ambientazione alla storia e che facessi capire già da subito il punto di vista di Summer. Questo capitolo vi sarà forse sembrato un po' povero di contenuti ma sto lavorando sul rapporto tra Summer e Austin e su come cambia il modo in cui si vedono. 
L'ultimissima cosa e poi ho finito: non ho voluto dare la descrizione dei personaggi perché secondo me è essenziale che ognuno li immagini come meglio preferisce. Io, ad esempio, ho pensato a Summer come bassina, mora, con i capelli lunghi e gli occhi marroni e a Trey come alto, biondo e con gli occhi chiari. Austin poi lo sappiamo perfettamente come è fatto! 
Spero di non avervi annoiato troppo e vi prometto che i miei prossimi commenti non saranno così lunghi, ma ci tenevo a precisare alcune cose!
Un bacione,
Anaslover

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Stavo aspettando da una decina di minuti sulle poltroncine scomodissime davanti l'aula, quando ne uscì una ragazza del mio corso di biologia, Paige, seguita da un uomo alto sulla quarantina e.. decisamente piacente.
"Ci vediamo giovedì Paige.", le diede appuntamento l'uomo.
Nelle mani della ragazza c'era un opuscolo, ma non riuscii neanche a leggerne il titolo.
"Sei tu Summer Evans?", mi domandò l'uomo. Annuii e fui invitata a seguirlo. Mi sedetti e risposi a tutte quelle stupide domande del tipo "hai tanti amici?" o "come vai a scuola?". Domande che mi facevano solo accreditare la mia ipotesi, e cioè che il fatto che mi trovassi li fosse incredibilmente stupido. 
"La tua insegnante mi ha parlato di ciò che è successo. Come ti senti?"
Quell'uomo mi stava prendendo in giro? Tante, troppe persone mi avevano chiesto come mi sentissi. Cosa si aspettava che rispondessi?
"Male.", dissi secca.
"Tutto qui?".
"Cosa vuole sentirsi dire?", risposi.
Fui maleducata e me ne accorsi, ma quell'uomo mi stava sfidando.
"Quello che provi, voglio capirti.". Quelle parole mi fecero scattare.
"Capirmi? Lei non può capirmi. Lei non conosceva Janice."
"Allora parlami di lei.". 
Silenzio. Cosa dovevo dire? Con sole quattro parole mi aveva zittita. Dalla sua morte, il dottore era stato l'unico, a parte Austin, a tornare sull'argomento. A parlare direttamente di lei.
"Lei.. era fantastica. Mi capiva. Era proprio come me. Era una persona solare e sempre allegra, nonostante ogni difficoltà, Janice sorrideva sempre. E il suo sorriso era contagioso, non si poteva vederla felice e non esserlo a propria volta. Non si meritava tante cosa che le sono state dette e fatte, ma, a un certo punto, non si torna più indietro, giusto?", mi bloccai, accorgendomi che stavo dicendo troppe cose. Cose che Janice non voleva si sapessero e, per quel che mi riguardava, quelle informazioni erano morte con lei.
"Che intendi?", domandò il dottore.
"Niente - mi affrettai a dire in preda al panico - ora devo andare.".
Presi il foglio firmato che mi avrebbe permesso di tornare in classe dalla scrivania, raccolsi la borsa ed uscii velocemente dalla stanza, chiudendo la porta alle mie spalle.
Il dottore ne uscì mentre io mi avviavo per il corridoio.
"Solo un'ultima cosa!", disse frettolosamente per bloccarmi.
Mi girai.
"Ho dato un'occhiata al tuo fascicolo. Hai dei voti molto buoni. Mi ha stupito vedere che non partecipi a nessun corso pomeridiano.".
"Io... non credo di avere abbastanza tempo.", mi giustificai.
"Sei una cheerleader e hai gli allenamenti due volte a settimana e poi laboratorio teatrale il martedì. Si, ho fatto bene i miei compiti.", disse notando il mio sguardo perplesso.
"Ci penserò. Buona giornata.", mi girai e mi avviai verso la classe.
Vidi l'orologio e mancavano 10 minuti all'ora di pranzo, così decisi di non rientrare in classe e di aspettare gli altri nella mensa.
Dopo qualche minuto dal suono della campanella, arrivarono alcune ragazze della squadra, dopo un po' i ragazzi. Mi guardavo intorno per cercare Austin ma non lo vedevo arrivare.
"Dov'è Austin?", chiesi infine.
"Lo ha fermato il professore di scienze.", rispose Debby.
Volevo dirgli del mio tanto strano quanto forzato incontro con lo psicologo, così andai a cercarlo.
Arrivai giusto in tempo per vederlo uscire dall'aula.
"Qualcosa non va?".
"Se non frequento qualche corso che da credito in scienze, quest'anno non passo.", rispose.
Sapevo che se la vedeva brutta, ma non pensavo rischiasse addirittura l'anno.
Mi dispiaceva molto per lui, quando io lo aiutavo a studiare riusciva a capire le cose, non era stupido. Volevo aiutarlo. Poi mi venne in mente un'idea che sarebbe potuta essere vantaggiosa per entrambi.
"Iscriviti al club di chimica con me! - sentenziai - ti prego!", aggiunsi in tono supplichevole sotto la sua espressione perplessa.
"Chimica? Io? Tu non hai capito che non posso andare male o quello mi boccia!"
"L'ho capito benissimo - precisai - hai due scelte, chimica o biologia. Solo che in chimica io potrei darti una mano.".
"D'accordo - sentenziò dopo un'attesa che mi sembrò infinita - ma solo perché non ho altra scelta.", precisò.
Gli balzai al collo, ringraziandolo un milione di volte.
"Andiamo allora!", dissi prendendogli la mano e sfrecciando per il corridoio.
"Dove?".
"A iscriverci!".


ANGOLO AUTRICE
Ciaooo amici! Scusate tanto per tutto il tempo che è passato dall'ultima volta che ho aggiornato, ma tra la scuola e tutto, chi trova il tempo? Sono sicura che mi possiate capire.
Inoltre proprio non riuscivo a scrivere il capitolo e tutt'ora non ne sono molto soddisfatta. Avrei voluto sviluppare di più alcuni concetti, specialmente l'incontro di Summer con lo psicologo, ma non ci sono riuscita.
Ci tenevo a ringraziare tanto http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=442410 e http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=189780 per aver rispettivamente lasciato un commento alla storia e averla inserita tra le seguite.
Alla prossima, un bacio,
Anaslover.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


"Ho saputo che ti sei iscritta al club di chimica."
Guardai i suoi occhi blu quanto il mare. Avrei potuto affogarci dentro, se non fosse che ogni volta che avevo l'opportunità di fissarli a lungo era per sentire un rimprovero.
"È così, Trey, e non ho intenzione di uscirne solo perché tu pensi che sia roba da cretini.", sentenziai.
Da quando in qua passare il proprio tempo con persone intelligenti era "roba da cretini"?
"Non ti ho detto di uscire."
"L'avresti fatto, se non ti avessi risposto."
Fece una smorfia, alzando le spalle. Aveva capito che era meglio lasciar perdere. 
Una cameriera venne a prendere l'ordinazione. Non potei non notare come Trey le guardò il sedere quando si girò.
Roteai gli occhi, ci ero abituata. Trey non era cattivo e tantomeno lo faceva per farmi soffrire. Mi voleva bene e io gliene volevo. Da morire. Ma era amore? Da un po' di giorni quella domanda mi ronzava in testa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per me, ne ero certa. Ma forse il problema non era se l'affetto tra di noi ci fosse o meno. C'era sicuramente. Ma forse era mutato. Stavamo insieme da tre anni. Cosa era cambiato? Forse non c'era più spontaneità tra di noi. La mattina, per esempio, quando lo baciavo, lo facevo perché era di routine, non perché me la sentissi di farlo. Decisamente io e Trey non ci amavamo più. Ci volevamo bene, e c'era differenza. Non eravamo decisamente anime gemelle. Semplicemente non ci eravamo mai posti il problema. Chi lo avrebbe fatto al nostro posto? Il quarterback e la cheerleader. Una certezza. Ma allora cosa era andato storto? Il mio sentimento nei confronti di Trey era cambiato. Ed ero abbastanza certa che per lui fosse lo stesso.
"A che pensi?", mi chiese addentando l'hamburger.
"A niente. Domani ho un'interrogazione e sono un po' preoccupata."

"Cos'è l'energia di ionizzazione?"
"La tendenza di un atomo a cedere elettroni per raggiungere la stabilità, propria degli elementi dei primi gruppi della tavola periodica.", rispose Austin.
"E l'affinità elettronica?"
"La tendenza ad acquistare elettroni per raggiungere l'ottetto. Adesso possiamo fare una pausa."
"Elettronegatività e per oggi abbiamo finito."
"La capacità di un atomo di attrarre a se gli elettroni condivisi con un altro atomo in un legame.", rispose alzandosi con un gesto plateale dalla sedia.
Lo seguii in cucina.
"Dov'è tua madre?", chiesi sedendomi sul bancone.
"Non lo so, sarà uscita."
Guardai fuori dalla finestra, pioveva a dirotto. Nell'ultima settimana le temperature si erano abbassate drasticamente. Ma a me piaceva la pioggia. La adoravo. Cosa c'era di meglio che mettersi sul divano con una coperta, una cioccolata calda e un film?
Mi girai per guardare Austin, che armeggiava dentro il frigo. Tirò fuori il latte e lo mise in un pentolino con la polvere di cacao. Mi aveva letto nel pensiero. Prese un vassoio e ci posò due tazze, in cui versò la cioccolata, con un pacco di biscotti.
Si mise davanti a me e posò le mani sul bancone, ai lati delle mie gambe.
Gli tolsi il cappello, posizionandolo sui miei capelli già spettinati, nella treccia che portavo da quella mattina.
"Come fai a portare il cappello anche dentro casa?"
"Questione di abitudine.", disse mentre prendeva il vassoio e si dirigeva verso la sala.
Ancora una volta, lo seguii.
Mi sedetti sul divano, posizionandomi sulle gambe la coperta che si trovava già li. Intanto Austin aveva fatto partire un dvd e mi aveva raggiunto. Hunger Games. Il mio film preferito, tratto dal mio libro preferito, con alcuni dei miei attori preferiti.
Si posizionò accanto a me e si sistemò la coperta addosso.
Tutto perfetto, no? Janice sarebbe stata contenta di stare li con noi. Ma non c'era.
"Che hai?", domandò Austin.
"Cosa? - mi ridestai dai miei pensieri - N-niente."
Non dovevo essere risultata molto convincente, me ne rendevo conto.
"Summer.", mi richiamò.
"Mi manca Janice. Le penso sempre, Austin. Fa così male. - una lacrima rigò il mio viso - Sembra che a nessuno importi niente. È come se ci fosse un muro tra me e il resto del mondo. Un muro di indifferenza. Mia madre non la nomina più. Trey non la nomina più. Jack non la nomina più. Era la sua ragazza, Austin, e sembra che se lo sia dimenticato. Domani è un mese. Se ne è andata solo da un mese e noi siamo tutti già tornati alla nostra vita."
Dire quelle parole mi faceva male. Mi faceva incredibilmente male ammettere che le persone a me più care sembravano essersi dimenticate l'accaduto. Era come ricevere un pugno, no, una coltellata, nello stomaco.
"Non piangere. - Austin mi attirò tra le sue braccia e mi strinse forte - Nessuno l'ha dimenticata, solo che cercano di andare avanti, è questo quelli che lei vorrebbe.", cercò di tranquillizzarmi. 
Strinsi la sua maglia nel mio pugno, più forte che potevo.
"Non è vero. Lei vorrebbe sapere che ci sono persone che l'hanno amata e che la ameranno per sempre."
"Ma questo lo sa. Ascolta, Summer, non pensare che il fatto che la gente non la nomina davanti a noi significhi che nessuno pensi a lei. Noi eravamo la sua seconda famiglia. Non ne parlano per non farci soffrire. Adesso basta, ti prego, non voglio vederti piangere."
Si sentiva impotente, lo sapevo. 
Mi prese il viso tra le mani e mi portò a guardare i suoi occhi. Poi, con molta cautela, asciugò le mie lacrime, concludendo baciandomi la fronte, per poi poggiarla sulla sua. Le nostre mani erano adesso intrecciate e i nostri occhi incapaci di lasciarsi.
"Tu sei tutto quello che mi è rimasto, Summer. Non voglio vederti stare male."
Annuii a quelle parole, perché sapevo che erano sincere.
Lentamente unimmo le nostre labbra in un bacio casto e innocente. Immediatamente una sensazione di calore mi pervase tutto il corpo. Mi sentivo sicura, protetta.
Pensai a Trey. Tecnicamente stavo tradendo il mio ragazzo. Ma sentivo che quello che stavo facendo era giusto. In quel momento mi trovavo nel posto giusto, con la persona giusta, e non c'era nessun altro posto in cui volessi essere.
In modo delicatissimo lasciò le mie mani e mi prese dalla vita, attirandomi ancora più vicina a lui.
Sentire le sue morbidissime labbra sulle mie mi faceva vedere le stelle.
Tutto era così perfetto e avrei voluto che non finisse mai.


ANGOLO AUTRICE
Rieccomi qui! Allora, che ne pensate? Mi sono impegnata molto per scrivere questo capitolo, soprattutto alla fine. Ho cercato di descrivere al meglio i sentimenti di Summer. E ho anche cercato di rendere il tutto quanto più realistico possibile.
So che i capitoli sono corti, ma non riesco proprio a farli più lunghi, ho paura di diventare logorroica.
Oggi non ho molto da dire, se non che è scoppiata la bomba! Chissà questo bacio cosa comporterà!
Ho dovuto menzionare Hunger Games, era d'obbligo, come ho detto sopra, i miei libri preferiti, i miei film preferiti, con i miei attori preferiti (soprattutto Isabelle Fuhrman, la ragazza che fa Clove, il tributo femmina del distretto 2, ma non credo che questo vi interessi!).
Era d'obbligo per me anche fare il siparietto sulla chimica, la adoro!
Ho finito di annoiarvi, vi chiederei di lasciare un piccola recensione, significherebbe tanto per me, anche perché così è davvero destabilizzante, perché non so se vi piaccia o meno la storia, quindi, vi supplico, scrivetemi qualcosa!
Alla prossima,
Anaslover!

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


"Tra due giorni c'è la partita e ancora non sei venuta a fare una prova, come pensi di eseguire una coreografia che non sai?" Ancora quella voce fastidiosa. Debby. Ancora quegli occhi inquisitori su di me, come ogni altro giorno di quella settimana. Britney era con lei. Cara. Jessica. Hanna. Tutte le cheerleader. 
"Farò un salto non appena possibile." Tentai di girarmi e di andarmene, ma fu inutile.
"Noi siamo preoccupate per te, siamo tue amiche."
Davvero credevano di essere mie amiche? Perché se lo pensavano c'era davvero stato qualche fraintendimento. 
"Dicci se c'è qualcosa che non va."
"Non c'è niente che non vada - sbottai girandomi nuovamente verso di loro - sono sempre io! Oggi verrò a fare queste maledette prove, ora posso andarmene?"
Non aspettai comunque una risposta. Mi voltai e andai verso il mio armadietto per posare i libri e mettere finalmente fine a quella giornata, a quella settimana infernale. Volevo solo andare a casa, chiudermi in camera mia e non saperne più nulla del mondo intero per tutto il fine settimana. Uscii nel cortile e mi diressi direttamente verso il cancello, senza salutare nessuno. Arrivai a casa in un baleno e senza pranzare mi segregai tra le pareti protettive della mia stanza. Ma non potevo rimanere li per sempre. Ascoltai un po' di musica, feci qualche compito, lessi. Ma il tempo non passava lo stesso. Istintivamente presi il telefono dal comodino, "Passi da me?", le mie dita composero in automatico quelle parole e cercarono il numero a cui inviarle.
Dieci minuti dopo qualcuno bussò alla mia porta.
"Si può?"
"Avanti." Dissi senza neanche alzarmi dal letto.
Austin si avvicinò al letto, sedendosi all'angolo.
Iniziai a pensare a cosa avremmo potuto fare. Ma tutti i miei pensieri venivano interrotti da quell'immagine. Quella bellissima immagine di me e Austin che ci baciavamo sul divano di casa sua. Quella stessa immagine che avevo cercato più volte di convincermi fosse solo stata un sogno. Quell'immagine che ci aveva portato quasi ad evitarci per una settimana intera.
"Mi sei mancato." Non ci pensai. Lo dissi e basta. Infondo non c'era nulla di male. Alzai il busto e mi misi seduta per aspettare la sua risposta.
"Anche tu." Abbassò lo sguardo perché si aspettava le mie parole successive, che non tardarono ad arrivare. Se in quel momento avessi voluto dire una stupidaggine e ci avessi pensato, non avrei comunque potuto dire cosa peggiore di quella che lasciò le mie labbra.
"Riportiamo tutto a come era prima."
Lunghi attimi di silenzio si crearono tra di noi. Nessuno di noi voleva ammettere che non volevamo che le cose tornassero come prima, o almeno per me non era così.
Stavo per richiamare la sua attenzione quando parlò.
"Come fai a non capirlo Summer? Le cose non possono tornare come erano prima, non si può tornare indietro. Io non ti vedo più come un'amica ora..."
"Ma questo è sbagliato Austin." Lo interruppi, e mi ci volle tutta la forza del mondo per farlo, perché quello che stava dicendo mi riempiva il cuore di gioia. Ma dovevo dar retta alla mia parte razionale, e quella mi diceva che era tutto un grosso errore.
"Perché?" Il suo tono di voce era più alto, era scattato in piedi e aveva i pugni serrati. Mi alzai di conseguenza mentre cercavo di spiegare le mie ragioni.
"Perché tu sei mio amico."
"Smettila Summer, chi vuoi convincere? Me o te stessa? Stai con Trey da anni anche se non ti rende più felice solo per convenzione, hai paura di stare sola. E va bene perché tu sei fragile e hai bisogno di qualcuno che si occupi di te, ma lascia che a farlo sia la persona giusta." La distanza tra noi si era ridotta, era quasi inesistente. La sua voce si era di nuovo affievolita, era dolce. 
"Austin, ti prego." Il mio era un appello alla sua coscienza. Perché non ragionava come stavo facendo io? Anche io avrei voluto sprofondare nelle sue braccia e non uscirne più, ma non potevo farlo.
"Dimmi che non provi nulla per me e io non ti dirò mai più nulla su questo argomento."
"I-io non provo nulla, Austin."
"Non sarei dovuto venire." Senza che neanche io me ne rendessi conto era uscito, sbattendo violentemente la porta di ingresso. Ero pentita di tutto. Ero pentita di averlo baciato la prima volta. Ero pentita di aver fatto finta di niente i giorni seguenti, di aver premuto invio. Ma soprattutto, ero pentita di aver detto quelle parole. Io non provo nulla Austin. 
L'avevo perso. Anche lui mi aveva abbandonata. Ero sola. E avevo paura. Si, perché lui aveva ragione quando aveva detto che mi spaventava rimanere sola, avevo bisogno di qualcuno che mi avrebbe accudito. E a quella persona avrei dato tutto ciò che avevo. 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Quel giorno ero andata a fare le prove, forse per distrarmi, forse perché effettivamente mi ero resa conto della mancanza di tempo. Stranamente non mi avevano chiesto nulla, non mi avevano detto di "volermi aiutare" senza neanche sapere quale fosse il problema. E ne ero felice perché pensavo avessero finalmente capito che io il loro aiuto non lo volevo. 
Ripensai a quel pomeriggio mentre ero in macchina, diretta verso la scuola e in ritardo. Parcheggia ed entrai dal retro per raggiungere più in fretta gli spogliatoi. Le ragazze erano già fuori. Guardai l'orologio appeso al muro. 19.54. In 6 minuti dovevo essere fuori ad aprire la partita. Non si poteva iniziare in ritardo, non era mai successo e non sarei certo stata io a farlo accadere la prima volta. Avevo paura delle conseguenze. Se c'era qualcosa su cui la nostra scuola puntava era lo sport. Football, pallavolo, basket, calcio, qualsiasi cosa fosse c'era una squadra. E queste erano le "attività maggiori", così diceva il preside. Poi c'erano le "attività minori", tutti i corsi di lingua, i club scientifici, le attività di volontariato, che non erano minimamente prese in considerazione. Non avevamo neanche una squadra di decatlon. 
19.56. Avevo messo la gonna, mi stavo infilando il top. 
19.57. Avevo messo le scarpe.
Mi stavo raccogliendo i capelli in una coda alta. 19.59
Ero fuori. Appena in tempo per prendere il mio posto nella formazione. Tutte le altre avevano tirato un sospiro di sollievo nel vedermi arrivare. Una quindicina di secondi dopo partì la musica e accompagnammo l'ingresso dei giocatori in campo. E poi l'arbitro fischiò l'inizio della partita.
"Avevamo paura che non saresti venuta!" affermò Debby, asciugandosi il sudore.
Ma che voleva da me quella ragazza? Negli ultimi giorni era stata una presenza assillante. Non era mai voluta essere mia amica ne tantomeno io volevo che lo fosse. Senza contare che aveva sempre cercato di rubarmi il ragazzo.
Guardai in campo appena in tempo per vedere Trey segnare un touch down. Mi alzai ed esultai, anche se contro voglia. Ero li per quello.
Continuai a scrutare i giocatori finché non trovai Austin.
"Perché Austin gioca così indietro?" domandai confusa. In genere lui giocava avanti, al pari di Trey.
"Questa settimana in allenamento non ha preso una palla e il coach lo ha messo dietro."
Feci un cenno di assenso, bevendo un po' d'acqua. Austin era tra i più bravi. Possibile che era stato talmente assente con la testa da sbagliare anche durante gli allenamenti?
"Chissà cosa gli è preso ultimamente? Anche a scuola, ha preso D al test di fisica."
Spalancai gli occhi. Una D era un'insufficienza pesante, contando i voti poco favorevoli che aveva.
Non prestai attenzione al resto della partita, se non quando un ragazzo segnò il punto che portò la nostra squadra alla vittoria. E mentre tutti esultavano, corsi verso Trey per abbracciarlo. Stavo per andare da Austin, ma si era già seduto sulla panchina. Il sudore gli brillava sulla fronte, le sue labbra erano ancora più carnose del solito... No, sbagliato! Era tutto sbagliato. Mi girai nuovamente.
"Tutti da me a festeggiare!" urlò Trey nel bel mezzo del campo. E in meno di un'ora casa sua era piena di persone, conosciute e sconosciute.
I genitori di Trey non c'erano, il che significava che il tutto sarebbe finito nel peggiore dei modi.
Chiesi a Trey di Austin.
"Non viene." urlò per la musica troppo alta.
Cercai di chiedere spiegazioni ma alzò le spalle e si congedò con un "Vado a prendere altra birra in garage".
Girai un po' per la casa, raccogliendo bicchieri vuoti, spostando oggetti fragili che avrebbero potuto rompersi.
Un ragazzo cercò di ballare con me, tirandomi a lui e infilando poco elegantemente la mano sotto la gonna striminzita della mia divisa e posizionandola sul mio sedere.
Lo spinsi via con forza, allontanandomi schifata. Si capiva, o meglio, si sentiva, a giudicare dal suo odore, che era ubriaco. Proseguii verso la cucina, e mi sembrava di sentire ancora la sua mano sul mio fondo schiena. Se ci fosse stato Austin quello li non se la sarebbe cavata così facilmente. Ma Austin non c'era.
Cara e Hanna erano vicino al bancone intente a preparare un cocktail che a me sembrava contenere al 90% solo vodka.
"Dov'è Trey?" dovetti ripeterlo un paio di volte per farglielo capire.
Hanna scosse la testa per indicare che non lo sapeva.
"È finita la birra." mi informò Cara.
Avvicinai il capo per farle ripetere ciò che aveva detto. Mi agitò una bottiglia vuota di birra in faccia e capii che non ce ne era più. Feci segno che sarei andata a prenderne dell'altra, interrogandomi sul perché Trey non fosse ancora risalito con qualche cassa.
Entrai in garage e mi diressi verso il mobiletto accanto al quale vi erano ammassate molte casse di birra. Ne presi un paio nel buio più totale e mi girai per tornare indietro. Notai però che la serranda del garage era un po' aperta, così posai il mio carico a terra e mi avvicinai per chiuderla. Lanciai un'occhiata fuori e quello che vidi mi lasciò attonita.
Ecco dove era Trey. Ed ero quasi certa che qualcuno, nell'arco della serata, mi aveva chiesto dove fosse Debby. Beh, li avevo trovati. Appiccicati. Mentre si scambiavano effusioni decisamente poco caste. 
Il mio respiro si fece affannoso. Gli occhi si annebbiarono. Mi voltai e corsi di sopra, facendomi spazio tra la gente. Dopo aver raccolto la mia borsa ne estrassi le chiavi e corsi in macchina, mettendo subito in moto. Uscii dal vialetto pieno di auto.
Ero riuscita a trattenere le lacrime dentro casa ma una volta fuori non ce l'avevo fatta più. Mi lasciai andare in un pianto esasperato. Lo sapevo che Trey mi tradiva, con molte ragazze. Ma non avevo mai detto nulla perché il nostro era un equilibrio precario, e non volevo essere io a romperlo. Ma vederlo, avere la prova certa, che tutto quello che mi era stato riferito negli ultimi anni, era un'altra cosa. Mi aveva fatto sentire stupida, ingenua. Ed ero sola. Accostai al lato della strada a causa delle troppe lacrime che mi rendevano difficile la vista e poggiai la fronte sul volante, continuando a darmi della cretina. Mi odiavo. Come avevo fatto a sopportare a quella situazione per tutto quel tempo? Occhio non vede, cuore non duole. Così diceva qualcuno. E forse era così.
Nonostante fosse maggio, quando alzai lo sguardo vidi alcune goccioline sul parabrezza. Uscii dalla macchina e la chiusi a chiave, lasciandola li dov'era. Non ce la facevo a guidare. 
Mi avviai per la strada mentre le goccioline si facevano più pesanti e frequenti, come le mie lacrime. Era come se il cielo stesse piangendo con me.

Guardai l'orologio quando raggiunsi la porta della casa. Era mezzanotte passata. Riflettei se andare via o suonare. Ma quando feci un passo indietro e tornai di nuovo sotto la pioggia, notai che la luce del salotto era accesa. Corsi di nuovo al riparo e suonai il campanello due volte.
Non appena la porta si aprì sprofondai tra le braccia dell'unica persona di cui avevo veramente bisogno.
"Austin, ti prego, aiutami." lo supplicai.
"Che ti è successo?"
Mi allontanò posando le mani sulle mie spalle e mi esaminò. Non dovevo essere un bello spettacolo. I miei capelli e la divisa erano zuppi. Sembrava fossi appena uscita dalla doccia.
Afferrò la giacca da football che probabilmente aveva posato sull'attaccapanni una volta rientrato dopo la partita e me la posò sulle spalle, attirandomi nuovamente a se.
Strinsi la sua maglia in un pugno, mentre singhiozzavo contro il suo petto.
"Ehi, sta calma. Io sono qui."
Austin non mi avrebbe abbandonata. E in quel momento ne avevo avuto la certezza.
"Facciamo così - continuò - ora va ad asciugarti, così ti tranquillizzi. Io ti prendo dei vestiti. E poi se ti va mi racconti tutto, ok?"
Annuii e forse per un momento sorrisi anche inconsapevolmente. Si stava rivolgendo a me con tono pacato e consolatorio, come ci si rivolge ad un bambino che piange perché non ha ricevuto il regalo che voleva a Natale.
Mi condusse di sopra, nella sua camera, e mi diede un asciugamano, per poi uscire. Mi tolsi i vestiti bagnati, lasciandoli sul pavimento, e mi avvolsi nell'asciugamano. Andai in bagno ed utilizzai il phon per asciugarmi i capelli. Quando furono solo un po' umidi li raccolsi.
Una volta tornata in camera di Austin trovai dei vestiti piegati sul letto, il pantalone di una tuta e una maglia, e li indossai.
Quando fui pronta mi guardai allo specchio e cercai di rimuovere con le mani il residuo di trucco calato sulle mia guance.
Scesi timidamente le scale e trovai Austin seduto sul divano a fissare lo schermo spento della tv.
"Dove sono i tuoi?" chiesi sottovoce, fermandomi sull'ultimo scalino.
Si girò al suono delle mie parole e si alzò per raggiungermi.
"Mio padre è fuori per lavoro e mamma è da zia Judy."
"Oh..." 
Mi guardai intorno. Sembrava essere passata un'eternità dall'ultima volta che ero stata in quella casa, mentre era solo poco più di una settimana.
"Stai bene con i miei vestiti." affermò d'improvviso, posizionandosi proprio di fronte a me.
Sorrisi, ringraziandolo.
Eravamo alla stessa altezza. 
"Hai tutta la maglia bagnata, scusa." indicai le chiazze sul suo ventre.
Si guardò l'addome e alzò le spalle.
Poi improvvisamente si fece serio, mi guardò negli occhi. Tirò dietro il mio orecchio un ciuffo di capelli uscito dalla coda.
"Che ti è successo, Summer?"
Alzai gli occhi per trattenere le lacrime. Non avrei pianto di nuovo.
"Ho visto Trey c-con Debby... E non stavano parlando."
Una sola lacrima oltrepassò la mia forza di volontà, ma fu prontamente asciugata da Austin. Afferrai la sua mano prima che potesse abbassarla.
"Io ho bisogno di te." sentenziai guardandolo negli occhi. Cercò di dire qualcosa ma lo bloccai.
"Austin, io da sola non ce la faccio. Sembra che nell'ultimo periodo mi vogliano tutti mettere alla prova, ma io non ce la faccio. L'altro giorno mi hai detto che ero l'unica cosa che ti era rimasta. Beh, anche tu sei tutto quello che ho. Sei l'unica persona di cui mi fidi e anche l'unico che mi conosce veramente per quella che sono. Ti prego, non lasciarmi mai più, neanche per una sola settimana."
Abbassò la testa, sorridendo. E non capii perché. Non c'era niente da ridere in quello che avevo detto.
"Sediamoci - mi invitò - Sai Summer, io credo che tu non abbia capito. Io non ho mai avuto intenzione di lasciarti sola. Volevo solo che ti rendessi conto delle persone che ti circondano. Non sto parlando male di Trey, lui è mio amico, ma sappiamo entrambi come è fatto.
Guarda adesso, tu sei venuta piangendo da me perché lo hai visto con un'altra. Ma tu eri già consapevole di quello che lui fa con le altre."
Stavo per rispondere. Stavo per difendermi, in un certo senso. Stavo per dire che tra saperlo e constatarlo con i proprio occhi sono due cose diverse.
"E non dirmi che saperlo non è come vederlo e averne la prova."
Presi un cuscino e lo posai sulla mia pancia, stritolandolo. Non mi piaceva  sentir dire quelle cose. Mi dava fastidio perché mi faceva sentire debole, fragile. Ma sapevo di esserlo.
"Devi capire che un ragazzo che ti tradisce non ti merita. E poi tu sei fantastica Summer, non solo sei bella, ma sei intelligente e simpatica. Non sono qualità che hanno tutti."
"Lo dici solo perché sei mio amico."
"Lo dico perché lo penso - pose la meno sotto il mio mento, facendo ruotare la mia testa e costringendomi a guardarlo - Devi smettere di sottovalutarti così."
E qui tornava sempre il solito discorso. Il mio non sentirmi mai abbastanza. L'immagine di me che Trey aveva plasmato. Era un vestito che mi aveva cucito addosso ma che ormai cominciava a starmi stretto. E iniziavo finalmente a rendermene conto.
"Grazie Austin." lo abbracciai. E per la prima volta in quei dieci giorni mi sentii finalmente capita, accettata, protetta. E, al contrario dei giorni precedenti, non mi sentivo sola.



ANGOLO AUTRICE
Ciaooooo! Si, sono viva. Scusate tanto, ma in questo periodo sono stata occupata dalla scuola e tutto e ho anche iniziato un'altra storia sui 5 Seconds Of Summer (che vi invito a leggere, se vi piacciono) che mi ha preso un po'. 
Non ho molto da dire sul capitolo. Finalmente Summer ha aperto gli occhi e ha realizzato, ma questo lo sapeva già prima, che senza Austin non riesce a stare.
Di lasciare una recensione non ve lo chiedo neanche, tanto non lo fate manco se vi supplico.
Ci si vede al prossimo capitolo, sperando che mi venga l'ispirazione.
Kiss kiss,
Anaslover

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


I corridoi della scuola brulicavano di gente in fermento. L'orologio nell'atrio segnava le ventitré in punto. Chi l'avrebbe mai detto che tutti quei ragazzi sarebbero stati contenti di trovarsi in quell'edificio più delle dovute ore di lezione. Ma nonostante tutto quel movimento, ogni cosa mi sembrava statica. Tutti si mostravano felici, e sicuramente la maggior parte di loro lo era, ma quante persone, proprio come me, in quel momento si sentivano vuote? Eppure, apparentemente, a me non mancava nulla. Ero cinta in un meraviglioso vestito azzurro, i miei capelli acconciati alla perfezione, un ragazzo, anzi, il ragazzo per eccellenza al mio fianco. Le ragazze avevano un motivo per invidiarmi, ma se solo avessi potuto, avrei detto loro che era tutta una trappola. La mia vita poteva sembrare perfetta ma non lo era affatto.
E pensare che io, a quel ballo, avevo insistito per non andarci. Al che mia madre mi aveva caricata in macchina e portata a comprare il vestito, poche settimane prima.
"Molto probabilmente diventerai reginetta, Summer. - aveva detto - Non mancherai, a costo di essere trascinata lì dalla sottoscritta."
Ne avevo già due di quelle corone, sulla mensola della mia camera, risalenti ai due anni precedenti. A cosa mi serviva una terza? Se avessi potuto, mi sarei ritirata dalla candidatura.
Avevo passato molto tempo a fissarle nell'ultimo periodo. La prima volta che mi avevano posato la corona sulla testa, ero al settimo cielo. Uscivo con Trey da poco più di tre mesi. Lui era già stato re l'anno prima. Il che significava che quell'anno sarebbe stato il quarto di fila per lui - perché non c'erano dubbi che avrebbe vinto. A quei tempi, si, potevo dire che la mia vita era perfetta, per il semplice fatto che ero quella che tutte sarebbero volute essere. È stupido come ragionamento, ma in fin dei conti, a scuola, non ci si può aspettare altro. C'è l'ape regina e ci sono le operaie.
La seconda volta che ero stata incoronata regina avevo capito che i miei compagni mi votavano perché ero la conseguenza di Trey. Ma questa consapevolezza ancora non la avevo. Quindi andava bene così. La mia vita era ancora perfetta in quel momento, fidanzato perfetto, amici perfetti, reputazione e condotta perfette.
E la terza volta, sarei crollata sotto il peso di quella piccola e insignificante coroncina, che tra l'altro era solo il simbolo di una ridicola convenzione sociale: c'è chi comanda e chi non vale nulla. E io non volevo più essere quella importante, non dopo aver scoperto che comportava il totale annullamento di me stessa. A quel punto, la mia vita di perfetto non aveva più nulla, Janice non c'era più, Trey non era la persona che credevo e Austin, beh, per lui avevo solo paura. In quel momento vedevo solo l'oblio, mi sembrava di essere in caduta libera e non volevo trascinarlo giù con me.
Tutti i ragazzi defluivano in palestra, da dove proveniva la musica sommessa. La sala era interamente addobbata ed era piuttosto di buon gusto. Certo, il tema "Magia sulla neve" non era il massimo dell'originalità, ma non potevo lamentarmi, visto che mi ero tirata fuori dai preparativi.
"Summer? Ci sei?"
"Si, Diane, perdonami. Stavo ammirando le decorazioni." mi giustificai.
"Davvero ti piacciono? Ne sono felice! Sai ci sei mancata nel comitato organizzativo." mi disse la ragazza.
"Mi sarebbe piaciuto aiutarti, ma, sai, tra le prove, i compiti, non ne sono proprio stata in grado."
Diane non sembrava affatto convinta della mia spiegazione, ma a lei interessava crederci quanto a me interessava che ci credesse. Per niente.
Mi misi a vagare per la stanza alla ricerca di Trey, di Austin o di qualche faccia conosciuta. Non mi andava di essere lì, ma tanto valeva intrattenersi o la serata mi sarebbe sembrata infinita. C'era qualcosa nell'atmosfera di quella sala, in tutto quel bianco, che mi piaceva, mi sembrava quasi familiare.
Uscii fuori, percorrendo il retro degli spalti del campo di football. Era risaputo che Trey si recava lì con le sue "conquiste". Mentre camminavo, pensai seriamente di essere malata. Quale ragazza va in cerca del suo ragazzo, consapevole che potrebbe trovarlo con un'altra? Quale ragazza lo fa, se non una che non è sana di mente? Si, forse ero pazza, ma non mi importava più di tanto. Il mio equilibrio mentale negli ultimi mesi era stato talmente messo alla prova, che non mi interessava minimamente negarmi la verità. Infatti lui era lì, ma non con una qualsiasi, bensì con Debby.
"Forse questo è sbagliato." diceva lei. Mi sembrava strano il suo interesse, Trey era tutto ciò che aveva sempre desiderato.
"Da quando ti interessa di Summer?" chiese lui.
"Non è che mi importa di lei... non mi sta neanche simpatica. - ora il tutto mi sembrava più veritiero - È una cattiveria, però. E nessuno lo merita."
Mi sorpresi quasi delle sue parole. Se lo riteneva sbagliato, però, nessuno la obbligava.
"Senti, io voglio bene a Summer, - esordì Trey, modo carino per cominciare, ci sarebbe stato un "ma" però - ma non è più quello di cui ho bisogno."
Pensai seriamente di mettermi a ridere a quel punto. Di cosa aveva bisogno lui? Di una schiavetta, forse. Di qualcuno disposto a stare alle sue regole. Ma io lo facevo. Cosa c'era che non andava, allora?
"In questo momento è troppo fragile, ma glielo dirò." concluse.
Ecco il problema. Ero troppo fragile. Buono a sapersi, almeno avevo la certezza di essere l'unica artefice dei tradimenti di Trey. Non ero abbastanza, ancora una volta. Ma non sarebbe andata così, non di nuovo.
Ecco cosa c'era di familiare nell'atmosfera invernale della sala della festa. La neve. Io ero come la neve. Io ero la neve. E forse lo avevo sempre saputo. Solo che la neve ha bisogno del freddo per esistere. E in tutti quegli anni io avevo creduto che il mio freddo fosse Trey. Invece no, Trey era il mio sole, lui mi scioglieva, faceva si che io non esistessi.
Tutto vedono nel sole una cosa bella, quando in realtà è solo qualcosa di estremamente pericoloso. Se sei la neve, come me, ti scioglie. Se invece sei anche tu una sorta di palla di fuoco o roba del genere, lui brucerà sempre più di te. In entrambi i casi, se ti avvicini troppo smetti di esistere... ecco cosa mi era successo, mi ero avvicinata troppo al sole.
"Sai, Trey, ne sono a conoscenza da un po' di tempo."
"Summer." Debby si spostò freneticamente da lui.
Sui loro volti c'era compassione ma questo non glielo avrei permesso. Avrei dimostrato a tutti e due che non dovevano ritenermi come un cucciolo ferito.
"Non è come sembra, lascia che ti spieghi." tentò lui, avvicinandosi. Tipica frase da film.
"Non mi toccare, Trey." la mia voce suonò abbastanza ferma che non ci fu bisogno di allontanarmi, si fermò sul posto all'istante.
"Non è stata così dura, in fin dei conti. Non come quando vi ho visto alla festa a casa tua. Suppongo che fossi preparata, questa volta."
"Ascoltami, Summer. Non trarre conclusioni affrettate."
Mi lasciai andare ad una fragorosa risata. I loro sguardi erano perplessi. Dovevo sembrare davvero pazza. Ma stavo affrontando Trey per la prima volta ed ero viva. Se dare l'impressione di essere pazzi comportava il sentirsi vivi, non mi importava. Mi piaceva. Io sapevo di non essere malata e questo mi bastava.
"Non ho voglia di dilungarmi qui con voi. Sono stata la tua ombra per anni, non ho fatto altro se non assecondarti. - mi avvicinai a Trey, guardandolo dritto negli occhi - E mi faccio pena. Come ho fatto a non capire che per te non ero diversa? Lo sapevo, che mi tradivi, ma non ho mai voluto crederci. Pensavo di poterti cambiare. Che stupida, eh. Poco male, ho avuto una lezione."
"Io ti voglio bene."
Era sincero.
"Anche io te ne voglio. Moltissimo. Ma tu non mi ami, non lo so il perché, ma è da tanto tempo che non mi ami più. E io non ti amo perché quello che sentivo nei tuoi confronti era tutt'altro che amore. Era bisogno. Senza di te non mi sentivo completa. Ma ho capito che lo sono, e non mi servi tu per riconoscerlo."
Mi spostai di fronte a Debby.
"Adesso mi odierai." constatò.
Ma odiarla sarebbe stato troppo facile.
"No, non ti odio. E non ti auguri neanche che lui ti tratti come ha trattato me. Non ho nulla contro di te. Lo so come ci si sente, quando ti dice che nessuna al mondo è come te, che lo rendi felice."
Lei scoccò un'occhiata alle mie spalle, confermandomi che quello che avevo detto era vero.
"Non giocare col fuoco però, rischi di bruciarti." conclusi, allontanandomi da loro.
Ma prima di essere abbastanza lontana, mi voltai di nuovo per rivolgermi a Debby.
"Prendi la mia corona. Io non ne ho bisogno."
Non pensai neanche di rientrare in palestra, sapevo già dove dovevo andare.
Arrivai dopo una ventina di minuti al parco dove giocavo con Janice quando eravamo piccole. L'ultima volta che ero andata lì era stato dopo il suo funerale. C'era qualcosa di magico in quel posto. Da piccole ci giocavamo, quando eravamo un po' più grandi ci andavamo per non farci trovare, da adolescenti era diventato il luogo per le nostre confidenze. Era come se lei fosse con me. La sentivo vicina.
"Avresti dovuto vedermi. - iniziai - Saresti stata fiera di me. È stato tutto più difficile da quando te ne sei andata, ma finalmente mi sembra che le cose si stiano aggiustando."
Mi sforzai di non piangere. A Janice non piaceva quando piangevo. Quella che piangeva di più tra noi, era lei in ogni caso.
"Ci manchi. Io e Austin ti pensiamo sempre. Niente è più lo stesso. Comunque sei una di noi e ti vogliamo bene come a nessun altro, questo non dimenticarlo mai."
"Sono certo che lei lo sappia."
Strizzai gli occhi per distinguere la figura davanti a me nel buio, anche se sapevo già chi era.
"Sei bellissima." mi disse lui.
Mi riavviai una ciocca di capelli dietro le spalle, certa che fossero scomposti. Apprezzavo comunque il complimento.
"Tu sei bellissimo."
E lo era davvero. Non ero abituata a vedere Austin vestito in quella maniera, ed era innegabilmente mozzafiato. I suoi jeans e le sue scarpe da ginnastica non mancavano, ma rendevano il suo look più personale. La camicia e la giacca erano quanto fosse necessario per ricreare l'eleganza richiesta da un tipo di evento come un semplice ballo della scuola.
Sulla sua testa era posizionata una corono che mi era piuttosto familiare.
"Sei tu il re?" domandai, stupita.
"Sono sorpreso almeno quanto te. Neanche il preside sembrava crederci quando ha letto la busta. E per il quarto anno di fila, il re del ballo è... Mahone? Austin Mahone." risi al suo tentativo di riprodurre la voce del preside.
"Sei un pessimo imitatore. - constatai - Immagino la faccia di Trey."
"Non sembrava granché dispiaciuto in realtà."
Trovavo difficile crederlo, per Trey era importante diventare re.
"E la reginetta?"
"Beh, la nostra reginetta non c'era, e la seconda in graduatoria era Debby. - mi spiegò - Non ci crederai mai, ma non ha voluto accettare. E visto che non c'era una terza candidata, non ho la mia regina."
"Mi dispiace."
"Anche a me. Cos'è un re senza una regina? - tirò fuori la corona dalla sua giacca - Forse dovresti accettare. Le altre ragazze pagherebbero oro per averla."
"Per quanto mi riguarda, possono averla anche gratis." sentenziai.
"Ma i ragazzi hanno scelto te. - disse, posizionandola sulla mia testa - Fallo per loro. Fallo per me. Non pensare a quello che comporta."
Forse avrei dovuto accettare. Non era quello che pensavo dopotutto. Austin era stato eletto re e questo cambiava le carte in tavola. Se fosse stato Trey, avremmo dovuto fingere di essere la coppia felice che non eravamo. Se prima non eravamo felici, ora non eravamo più neanche una coppia.
"Oh, quasi dimenticavo! Ho scordato il mazzo di fiori a scuola, accontentati di questi." si chinò raccogliendo qualche fiorellino dal prato, per poi posizionarli tra i miei capelli e la corona, così da non farli cadere.
"Credo che tu ora mi debba un ballo."
Austin mi prese una mano e posizionai l'altra sulla sua spalla.
"Trey mi ha detto quello che è successo. Sono fiero di te."
"Anche io sono fiera di me. Sai, Austin, ho capito tante cose in questo periodo. Io non voglio più essere quella che non sono per qualcun altro. Da oggi cambieranno molte cose, cambierà la mia vita."
"E io ci sono, nella tua nuova vita?"
"Non sarebbe tale senza di te."





ANGOLO AUTRICE
Ok, è da mesi che non aggiorno e mi scuso per questo. Questo è l'ultimo capitolo della storia, ma penso che scriverò un'epilogo nei prossimi giorni. Mi piangeva il cuore a lasciare tutto così in sospeso, ma sapete bene che non ero più soddisfatta di questa storia, il fatto di non ricevere neanche un commento mi ha indotto a pensare che non fosse bella. Ma, in fin dei conti, a me è piaciuto scriverla e in particolare sono soddisfatta di quest'ultimo capitolo. Non avrei voluto che finisse così presto, ma pazienza.
Ad ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno seguito la storia perché mi avete reso davvero felice. E se avete voglia di lasciare una recensione, meglio tardi che mai!
Un bacio a tutti,
Anaslover

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


Dalla sera del ballo la mia vita era cambiata radicalmente. Non era certo stato facile lasciarsi tutto alle spalle, e non ero sicura di poter affermare con sicurezza di averlo fatto, ma la situazione era cambiata. Io ero cambiata.
Non ce l'avevo con nessuno. Né con Trey, né con Debby. Potrebbe forse suonare ipocrita, ma quella ragazza non aveva mai avuto un ruolo nella mia vita e continuava a non averlo. La ignoravo come facevo prima. E forse era proprio questo che mi permetteva di non odiarla.
Con Trey, invece, non ce l'avevo perché sembrava aver capito davvero i suoi errori, e ne ero sinceramente stupita.
Erano passati pochi giorni da quella sera quando, armatosi del coraggio necessario, aveva bussato alla mia porta.
"Mi dispiace - aveva detto - Sono un bastardo e mi faccio schifo. Se mi odi non ti biasimo, ma io, ecco, volevo sapessi una cosa."
Uscii di casa, chiudendomi la porta alle spalle. Mia madre era rincasata prima dal lavoro e non aveva preso bene la notizia della rottura tra me e Trey, quindi pensavo a limitare i danni in quel momento.
"Cosa?" domandai.
"È stato tutto vero. Quello che ho provato per te, intendo. Io non volevo che tu ne dubitassi."
Mi ero irrigidita a quelle parole, ma non in senso negativo. Ero come rimasta pietrificata perché sentirglielo dire significava tanto per me.
"Lo so. Solo, Trey, dimmi una cosa."
Il suo volto era teso, la mascella contratta, ogni muscolo del suo corpo non accennava a rilassarsi. Lo sapeva quello che stavo per chiedergli.
"Perché? Avresti potuto lasciarmi."
"Non volevo farti soffrire. E sono stato un'idiota perché è proprio quello che ho ottenuto. Non mi perdonerò mai per questo."
La mia mano scivolò sulla sua, mentre con l'altra mi portavo una ciocca di capelli dietro la spalla.
"Non devi. Io non ce l'ho con te, solo, dovevo chiedertelo."
Lasciai la sua mano e mi accorsi di non aver provato nulla nel toccarlo.
"Sei una ragazza speciale, Summer. Troverai un ragazzo che ti amerà come meriti."
Gli rivolsi un timido sorriso prima di vederlo allontanarsi lungo il vialetto di casa mia.


Fermai i miei capelli con un fermaglio in modo che non mi ricadessero davanti agli occhi. Fuori dalla finestra il caldo sole del Texas batteva in quella che mi era sembrata la giornata più calda dell'anno.
Le vacanze estive erano cominciate da poco più di una settimana.
Austin strimpellò con il clacson fuori casa, così afferrai la borsa, mi stirai le pieghe sul vestito che indossavo e scesi di sotto.
"Che ne diresti di andare al cinema?" mi chiese.
"Al cinema?"
"Si, c'è un drive-in non molto distante da qui."
Acconsentii senza pensarci troppo. L'alternativa sarebbe stata vedere un film a casa sua. Sempre di film si parlava.
Ci impiegammo forse una ventina di minuti ad arrivare ma il film non era iniziato. Austin parcheggiò l'auto al primo posto libero che trovò, anche se la vista non era ottimale. File e file di pick-up erano posteggiati il più vicino possibile allo schermo... O il più lontano possibile. Dipende se l'intenzione di chi ci stava dietro era vedere il film o altro.
"È arrivata la lettera." disse Austin tutto d'un fiato.
Spalancai gli occhi, sorpresa che non me lo avesse detto subito. Erano settimane che aspettava, che aspettavamo con ansia quella lettera. 
L'ammissione al college veniva spesso annunciata con una lettera diverse settimane prima la fine della scuola. A me era arrivata. Ero stata accettata a una delle più facoltose università e ne ero incredibilmente felice. Erano anni che studiavo e mi impegnava ardentemente per il college.
Mi era giunta voce che anche Trey era entrato in una facoltà. Non sapevo quale, però. Io e Trey non parlavamo mai del futuro. Come avremmo potuto, se già il nostro presente era in bilico?
Sapevo solo che aveva ottenuto una borsa di studio per il football e non c'era da stupirsi.
Anche Austin aveva richiesto una borsa di studio per essere ammesso, ed era una fortuna che fosse un ottimo giocatore visto che purtroppo i suoi voti non erano eccellenti.
Il film era iniziato, ma non ci avevo fatto nemmeno caso. Mi sembravano passate ore da quando Austin aveva parlato e non sembrava minimamente intento a proseguire.
"E?" azzardai.
Scosse la testa.
"Non andremo alla stessa università."
In quel momento, scommetto che nei miei occhi passarono delusione, rimpianto e anche un pizzico di rabbia.
Era importante per me averlo vicino.
"C-come è possibile? Deve esserci un errore - iniziai a balbettare in preda alla confusione - Tu sei un bravissimo giocatore, non possono non averti accettato. Sai cosa? Ora cerchiamo subito la mail su internet e li invitiamo a rivalutare la tua scheda, altrimenti... Altrimenti..."
Altrimenti cosa?
"Ehm... Altrimenti faremo ricorso." bofonchiai, estraendo il cellulare dalla borsa.
Austin mi prese entrambi i polsi per bloccarmi nella mia frenetica danza alla ricerca del sito internet giusto.
Mi voltai con sguardo interrogativo. Perché mi aveva fermata?
In quel momento però realizzai. Non si parlava di me? Non c'entrava il fatto che io lo volessi vicino. L'importante era che lui sarebbe voluto andarci. Ed era deluso.
"Quando è arrivata?"
"Qualche giorno fa."
"Perché non me lo hai detto?"
"Volevo aspettare che fossimo soli."
Ancora incredula, cercai di aggrapparmi a una vana speranza.
"Deve esserci per forza un errore, Austin. Qualcosa che non va. Forse hanno sbagliato fascicolo. O indirizzo."
Austin rise, ma per davvero. E per un momento la delusione lo abbandonò.
"Non hanno sbagliato, Summer. Quelli lì sono fiscali, figurati se fanno cazzate come sbagliare l'indirizzo."
"Non c'è altra spiegazione."
"Si, c'è. E te la direi se stessi zitta per un momento."
Lasciò i miei polsi - non mi ero accorta li tenesse ancora fermi. Nel frattempo il mio cellulare era caduto chissà dove.
Proseguì, quando vide che non proferivo parola.
"A scuola avevano detto che avrebbero mandato qualcuno a vederci giocare, ma neanche il preside sapeva quando. Beh, pare che questo tipo, che poi era l'allenatore della squadra dell'università, è venuto la sera che abbiamo perso, sai, quella in cui sei arrivata tardi. Quando dopo la festa sei venuta da me."
Ricordai improvvisamente quella sera e come Austin fosse preso da tutto meno che dalla partita.
Mi sembrava tutto tremendamente ingiusto. E mi sentivo in colpa. Avevamo litigato pochi giorni prima della partita ed era stata tutta colpa mia.
"Mi dispiace."
"Non importa." borbottò.
Certo che importava.
"No, sul serio. Mi dispiace, è colpa mia." ammisi.
"E perché mai sarebbe colpa tua?"
Sembrava divertito dalle mie parole.
"I-io, voglio dire tu... Avevamo litigato e tu non c'eri con la testa..."
Rise, ma con una punta di amarezza.
"Non era per quello. O meglio, indirettamente era per quello, ma..."
"Cos'era successo?" i giri di parole non funzionavano.
"Vuoi davvero sapere perché è andata così quella sera, Summer?"
Annuii, non del tutto certa della mia risposta affermativa.
Gli occhi di Austin vagarono nel vuoto, pur di non fissarsi nei miei. La luce della luna rischiarava solo una parte del suo viso.
"Cosa?"
Qualcuno mi ammonì dalla macchina vicina, a causa del mio tono incalzante di voce.
"Dopo il bacio e tutto quello che era successo - abbassai io lo sguardo stavolta, tanto quell'argomento mi metteva a disagio - non ero certo che le cose sarebbero tornate come prima. Ho fatto una cosa che non avrei dovuto fare. Ero frustrato ed arrabbiato."
"Con me?" lo interruppi.
"Con tutti. Con te. Con me. Non avrei certo dovuto baciarti. Era una cosa che avrei voluto fare milioni di volte prima, ma mi sono sempre fermato."
"Austin, ma che dici?"
Mi voleva baciare già da tempo? Come era possibile? Noi eravamo solo amici.
"Sei così innocente. È questo che mi piace di te - spostò una ciocca dei miei capelli, sfuggita dal fermaglio, dietro il mio orecchio e fece poi scorrere le dita sulla mia guancia - Janice l'ha sempre detto che non te ne saresti mai accorta."
Accorta di cosa? Non capivo cosa stava cercando di dirmi.
La sua mano intanto continuava con lentezza estenuante il suo percorso fino alla mia spalle, poi giù lungo il braccio, sfiorandomi appena, con delicatezza.
"Io sono stato con un'altra."
Quelle parole mi piombarono addosso come se fossero dinamite. Il suo tocco si tramutò in un instante in una miriade di aghi sulla mia pelle.
Non avrei dovuto prenderla male. Non c'era nulla di più di un'amicizia tra noi. Allora perché sentivo quel vuoto nello stomaco.
"La conosco?" fu l'unica cosa che riuscii a dire. Cos'era? Un patetico tentativo di risollevare la mia autostima? 
Scosse la testa.
"Pensavo solo a te." si giustificò.
Non avrebbe dovuto darmi una spiegazione. Io non ero la sua ragazza.
"Ma quella non ero io."
Le lacrime mi pizzicavano gli occhi.
Il solo pensiero di Austin che baciava un'altra, che toccava un'altra come aveva fatto con me, mi faceva venire da piangere.
"Pensavo che mi avrebbe aiutato a... superarlo. Sai come funziona, chiodo scaccia chiodo."
"Ha funzionato?" domandai.
Ancora non avevo avuto il coraggio di guardarlo negli occhi.
Intrecciò le nostre dita e fui sconcertata dalla perfezione con cui combaciavano.
"No. Non credo che sia quello che tu voglio sentirti dire adesso, ma avrei voluto che ci fossi tu al suo posto. Avrei voluto baciarti, tenerti tra le mie braccia, fare l'amore con te."
L'impatto di quelle parole fu talmente forte che non potei fermare la lacrima che scese silenziosamente sulla mia guancia. Lo guardai negli occhi però, fu come un impulso che mi spinse a guardarlo, a capire se diceva la verità. Ed era vero.
"Perché lo hai fatto, se volevi me."
"Sai, a volte noi ragazzi non ci fermiamo a pensare troppo sulle cose. Le facciamo e basta, anche se sappiamo che sono sbagliate. E speriamo che abbiano l'effetto desiderato."
Ok, forse dovevo ammettere a me stessa che provavo qualcosa per Austin e questo mi spaventava. Più che altro, mi spaventava non essere abbastanza per lui. La vecchia me si stava facendo spazio di nuovo, ma non glielo avrei permesso.
"Ed ha funzionato? Chiodo scaccia chiodo, intendo."
Mi guardò come se fosse divertito dalla mia confusione, ma capivo che non avrebbe voluto dovermi raccontare tutta la faccenda.
"Non hai capito, vero? - in realtà no, non avevo capito - Summer, ti sto dicendo che sono innamorato di te."
Dovevo essere impallidita parecchio, poiché mi strinse la mano, quasi per farmi ridestare da una sorta di stato di trance.
"Lo so che non è il periodo migliore e che hai dovuto sopportare già troppo, ma tutto quello che ti chiedo è una possibilità. So di poterti amare come meriti - certo che poteva, ne ero sicura - Voglio farti sentire come una regina. Voglio baciarti in ogni momento della giornata. Voglio vederti con indosso le mie magliette. Voglio sentire il tuo profumo, accarezzarti, toccarti i capelli. Voglio vederti e sapere che sei mia."
Trassi un respiro profondo per paura di andare in debito d'aria.
Sapevo che avrebbe potuto continuare all'infinito ma non avevo bisogno di nessuna dimostrazione da lui, ero certa che quelle parole fossero vere.
Non c'erano molti modi per fermarlo, se non premendo le labbra sulle sue, gesto che probabilmente non si era aspettato. Dopo un attimo di smarrimento, portò la mano dietro la mia nuca per eliminare tra noi la distanza che in realtà aveva smesso di esistere. 
Era un bacio urgente, che voleva essere sentito. Come se le nostre labbra avessero bisogno di sentirsi, come se da un momento all'altro tutto sarebbe potuto finire. Ma, anche in quel caso, il tutto era lento ed intriso di dolcezza, pieno di amore.
Eravamo quasi senza fiato quando ci allontanammo, ma dovevo dirgli quelle parole, meritava di sentirle.
"Sono tua."







ANGOLA AUTRICE
Et voilà!!! (Spero di averlo scritto bene). Ci siamo, questa è la fine, quella vera. Ancora una volta, debbo scusarmi del tempo che ho impiegato per scrivere il capitolo.
Ad ogni modo, devo essere sincera, Summer ed Austin rimarranno nel mio cuore e sono contenta del finale, perché meritavano di essere felici l'uno con l'altra. Alla fine, nonostante la poca "popolarità", chiamiamola così, di questa storia, sono contentissima di averla scritta.
Ci tengo a ringraziare tutte le persone che l'hanno seguita silenziosamente. Ma, in particolare, devo ringraziare Austinsmile, che in realtà è la persona grazie alla quale questo epilogo esiste.
Sto pensando, ma è solo un'ipotesi, si scrivere una one-shot universitaria, giusto per vedere come andrebbe tra Austin e Summer. Vedremo se la cosa va in porto.
Ancora un grazie enorme a chi è arrivato a leggere fin qui... Vi chiederei di lasciare una recensione che, dai, almeno nell'epilogo ci sta tutta!
Un bacio,
Anaslover

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