Up in Flames

di redbullholic
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il treno corre veloce, diretto a Capitol City.
Haymitch è chiuso nella sua cabina, accasciato sul pavimento cosparso di bottiglie vuote e abiti sgualciti, annebbiato dai fumi dell’alcol. Odia gli Hunger Games, odia Capitol City, che lo ha privato per sempre degli unici affetti che aveva, della sua famiglia. Odia fare da mentore, ed essere costretto ogni anno ad assistere impotente alla morte di ventitre ragazzini, alcuni poco più che bambini a volte.
E quest’anno, il settantaquattresimo degli Hunger Games, per lui si prospetta ancora più duro. A complicargli le cose è il tributo femmina sorteggiato, o meglio, volontario, per entrare nell’arena: Katniss Everdeen.
Gli è bastato incrociare lo sguardo di quella ragazza per qualche secondo a scombussolarlo, a farlo cadere nuovamente in preda a quei ricordi che cerca di annegare ogni giorno in litri e litri d’alcol.
Katniss è identica a lei. Lei, che non sopporterebbe vederlo in quelle condizioni, e probabilmente minaccerebbe di spaccargli in testa la bottiglia di liquore che ha in mano se non smette di bere quella robaccia.
Haymitch si ritrova quasi a sorridere a quel pensiero. Ma è un sorriso triste e amaro. Butta giù un altro sorso che gli infiamma la bocca e la gola. Con la mano libera stringe convulsamente il grosso coltello dal quale non si separa mai, dopo la sua esperienza nell’arena.
Appoggia la testa contro il muro alle sue spalle, rassegnato, e si prepara ad essere travolto da un’ondata di ricordi dolorosi che neanche l’alcol è in grado di soffocare.





Spazio autrice
Invado anche il fandom di Hunger Games ahahaha :3
Allora, si tratta della mia prima storia in questa sezione. Uno dei due protagonisti principali è uno dei miei personaggi preferiti della saga, ovvero il nostro adorato mentore ubriacone, Haymitch. L'altra è una mia OC (quindi la lei di cui si parla in questo pezzettino non è Maysilee).
L'ispirazione mi è venuta qualche giorno fa in macchina mentre ascoltavo la canzone dei Coldplay Up in Flames, che non a caso da il titolo alla storia, canzone che mi ha accompagnato durante la stesura dei primi capitoli.
Non ho ancora letto Il Canto della Rivolta, perciò siate clementi su eventuali castronerie riguardo al passato dei personaggi della saga ç_ç In ogni caso sono ben accette anche le critiche, aiutano a migliorare.
A presto :3

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


-Prima le signore!- trillò entusiasta l’accompagnatrice dei tributi del Distretto 12, saltellando verso la brocca che conteneva i nomi delle ragazze. Haymitch la osservava disgustato dalla sua postazione, a lato del palco accanto al sindaco. Cosa ci fosse di tanto entusiasmante nella mietitura, lo sapeva solo lei.
-Elanor Graves!- esclamò la donna, sventolando il fogliettino davanti al microfono. Subito il gruppo delle ragazze si aprì in due e quella che doveva essere Elanor si incamminò verso il palco.
Haymitch la guardò: il suo volto non lasciava trasparire alcuna emozione, ma la mascella contratta lasciava intendere che prima o poi sarebbe scoppiata. Aveva la pelle olivastra, come tutti gli abitanti del Giacimento, e i capelli castani. A differenza di tutte le altre ragazze e donne del distretto però, i suoi capelli erano corti e scompigliati, il che le conferiva un’aria un po’ ribelle. Teneva le braccia dritte lungo i fianchi e i pugni serrati. Si intuiva facilmente che ogni singolo muscolo del suo corpo doveva essersi irrigidito nel momento in cui era stato estratto il suo nome.
Haymitch era talmente preso dallo studiare quella strana ragazza che neanche comprese il nome del tributo maschio, e solo quando i due ragazzi furono portati all’interno del Palazzo di Giustizia per l’ultimo saluto ai familiari si riscosse.
Quello era il suo quarto anno da mentore, e non se la cavava molto bene. Per lui era inaccettabile preparare ogni anno due ragazzini poco più piccoli di lui e poi guardarli morire nell’arena. In più, era da solo. Quasi tutti gli altri distretti avevano almeno due vincitori e quindi più mentori a disposizione, mentre nel Distretto 12 c'era stata solo una vincitrice che, essendo anziana, era morta qualche anno prima.
Qualche ora dopo, Haymitch salì sul lussuoso treno che li avrebbe portati a Capitol City, seguito dai due tributi e dall’accompagnatrice.
Dopo aver mostrato ai ragazzi le loro cabine, i quattro si recarono nel vagone ristorante per la cena, dove su un enorme tavolo spiccavano cibi che gli abitanti del Giacimento potevano solo immaginare.
-Allora, qual è la tua strategia?- esordì Elanor, seduta di fronte a Haymitch, non appena presero posto.
Haymitch, colto alla sprovvista, sussultò -Come?-.
-La strategia. Sei il nostro mentore, no?- rispose la ragazza con tono seccato.
-Innanzitutto, via quel tono acido e fai un bel sorriso- fece Haymitch di rimando -Devi piacere alla gente. Più piaci, più gente ti vuole sponsorizzare, più aiuti ricevi. Chiaro, dolcezza?-.
Elanor lo trafisse con lo sguardo -Come mi hai chiamato?- sibilò.
-Cominciamo male, dolcezza. Cosa ti ho appena detto riguardo al sorridere?-.
Haymitch si stava per addentare il grosso pezzo di carne che penzolava dalla sua forchetta quando un coltello volò a pochi millimetri dal suo orecchio e si conficcò nella parete di legno alle sue spalle. Il tutto suscitò gridolini spaventati da parte dell’accompagnatrice e sguardi di profonda ammirazione da parte del tributo maschio, Mikah.
Per Haymitch fu impossibile trattenere lo stupore, il che non sfuggì a Elanor, che sfoderò un sorrisetto compiaciuto.
-Gran bel colpo- biascicò il mentore, con la bocca piena -Dolcezza- aggiunse poi, una volta che ebbe ingoiato, enfatizzando quel nomignolo che tanto irritava la ragazza.
Elanor sbuffò. Fu tentata dal rubare il coltello a Mikah e lanciarlo di nuovo contro Haymitch, ma si trattenne. Mangiò avidamente tutto quello che aveva nel piatto, sotto gli occhi disgustati della sua accompagnatrice, dopodiché si alzò senza dire niente e si ritirò nella sua cabina.
 
Finalmente sola, Elanor scoppiò finalmente in un pianto liberatorio. Solo poche ore prima era a casa sua nel Giacimento, con suo padre, e ora stava andando incontro alla morte immersa nel lusso più sfrenato. Non aveva alcuna possibilità di vincere e tornare a casa. Era evidente che il suo mentore la odiava, e il sentimento era reciproco. E poi, chi mai avrebbe sponsorizzato una ragazza del Distretto 12, il distretto dei minatori? Per di più una come lei, che era l’esatto opposto di una ragazza normale. Non aveva lunghi capelli morbidi che le ricadevano sulle spalle, li preferiva corti, erano più pratici e le stavano meglio, e non sapeva comportarsi da bambolina sorridente di fronte alle telecamere. Sapeva già in partenza che una volta entrata nell’arena avrebbe dovuto contare solo sulle sue forze, perché non sarebbero mai piovuti dal cielo piccoli paracaduti argentati destinati a lei.
Nascose il volto con le mani e pianse ancora più forte, pianse tutte le lacrime che aveva fino ad addormentarsi.
 
Nei due giorni che avevano passato sul treno, Haymitch aveva cercato di osservare e studiare i comportamenti di Elanor il più possibile. Non si spiegava il motivo, ma dentro di se era convinto che quella ragazzina avesse del potenziale, per quanto scorbutica e irritante potesse essere. Per un momento si illuse che il Distretto 12 potesse avere un altro vincitore, anzi, una vincitrice. Ma scacciò quasi subito quel pensiero. Meglio non illudersi prima del tempo, ancora non conosceva le vere capacità di cavarsela di Elanor. E meglio evitare di legare troppo con i tributi, per lui era già abbastanza dura vederli combattere e morire attraverso uno schermo. Se tra di loro fosse nato un sentimento più forte del normale rapporto tra mentore e tributo, Haymitch sarebbe stato spacciato. Per quanto si comportasse da arrogante e strafottente, l’amicizia per lui era un valore quasi sacro, tanto che si sentiva disposto a dare la vita per le persone a cui teneva.
E i tributi non potevano essere suoi amici. Perché con molta probabilità avrebbero perso la vita nell’arena e lui non li avrebbe mai più rivisti. Quattro anni da mentore erano bastati a  far sì che questo fosse il suo principio fondamentale.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Una volta giunti a Capitol City, Elanor si rese conto di quanto i vistosissimi abiti della sua accompagnatrice fossero da considerarsi casual in confronto a quelli degli abitanti della capitale. I colori dell’abbigliamento, dei capelli e del trucco della folla che si accalcava intorno al treno per vedere i tributi facevano quasi male agli occhi tanto erano fosforescenti, carichi, luminosi.
Accanto a lei Mikah sollevò appena una mano e iniziò a salutare timidamente la folla urlante.
-Questo è il momento buono per iniziare con la nostra strategia, dolcezza- Haymitch comparve alle spalle della ragazza e la colse di sorpresa, facendola trasalire.
Elanor si voltò appena per lanciargli un’occhiataccia, poi tornò a guardare fuori dal finestrino e a malincuore si rese conto che il suo odioso mentore aveva ragione. Doveva almeno provare a convicere qualche sponsor. Così gli angoli della sua bocca si piegarono appena, facendo comparire un sorriso leggero sul suo volto, e anche lei prese a salutare con la mano.
Haymitch non poté trattenersi dal pensare quanto quel sorriso illuminasse il viso di Elanor, sempre contratto in un’espressione carica di odio e rabbia. Scacciò immediatamente quel pensiero e si sforzò di convincersi che era una ragazza come tutte le altre degli altri distretti.
Una volta scesi dal treno, i tributi furono consegnati nelle mani dei loro stilisti e preparatori, che li lavarono e privarono con pinzette e dolorosissime cerette di qualsiasi pelo superfluo crescesse sul loro corpo. Elanor rispettò le raccomandazioni della sua accompagnatrice di non lamentarsi, qualsiasi cosa le avessero fatto, perché così facendo avrebbe solo irritato l’equipe di preparatori e sarebbe partita col piede sbagliato, ma non riuscì a trattenersi quando il suo stilista le annunciò che le avrebbe applicato delle extension ai capelli per renderla più femminile. Minacciò di strapparsele durante la sfilata, davanti a tutta Capitol City, e l’uomo dovette desistere, senza nascondere il suo dissenso.
Dopo aver concesso ai preparatori di pettinare i capelli a patto di lasciarli corti, a Elanor venne fatto indossare il classico costume che rappresentava il suo distretto: una tutina nera aderentissima, un casco da minatore e polvere nera sulle parti che la tuta lasciava scoperte, ovvero viso e mani, che rappresentava il carbone.
Durante la sfilata Elanor si sforzò di imitare il suo compagno di disretto, che agitava fin troppo vivacemente una mano in direzione della folla, nonostante si sentisse estremamente ridicola in quella tutina.
Terminata la sfilata, i tributi vennero condotti al Centro di Addestramento. A ogni distretto era assegnato un piano dell’edificio, e a Elanor e Mikah spettava l’attico. Quando vi entrarono, tutto quel lusso tolse il fiato a entrambi. Passato l’attimo di stupore però, la ragazza non poté fare a meno di sentirsi disgustata: al Giacimento morivano di fame, non avevano l’acqua calda e a volte neanche la corrente elettrica, mentre a Capitol City quasi non sapevano che farne di tutto quel lusso.
Si fiondò immediatamente nella sua stanza e si tuffò sotto il getto caldo e piacevole della doccia, lavando via gli ultimi resti di trucco e polvere nera. Quando uscì si asciugò velocemente e tamponò i capelli con l’asciugamano, lasciandoli asciugare da soli in modo che prendessero una piega ben precisa. “Alla faccia del mio stilista” pensò, compiaciuta.
Tornò in camera e aprì le ante dell’enorme guardaroba; c’erano vestiti di ogni genere. Scelse gli abiti più comodi che riuscì a trovare e li indossò, prima di lasciarsi cadere sul letto, talmente morbido che le diede l’impressione di sprofondare. Rimase per un po’ così, a fissare il soffitto e a pensare a cosa avrebbe fatto una volta nell’arena. Si chiese se sarebbe stata in grado di uccidere, anche se la risposta era chiarissima. Proprio lei, che non era mai stata capace di uccidere neanche un animale, lei che odiava la morte… come avrebbe a cavarsela in mezzo a quel bagno di sangue?
Un paio di colpetti alla porta la riportarono alla realtà e la voce squillante della sua accompagnatrice la informò che era ora di cena. Nonostante non ci tenesse a vedere né lei, né Mikah né tantomeno il loro mentore, il suo stomaco protestò rumorosamente e la costrinse ad andare.
Prese posto il più lontano possibile da Mikah, di fronte ad Haymitch. Il suo mentore le tolse il coltello ancora prima che iniziasse a mangiare e le lanciò un’occhiatina di sfida. Elanor constatò che anche la forchetta poteva essere una buona arma, ma decise di lasciar perdere le sue provocazioni e usò la posata per riempirsi il più possibile lo stomaco di quel cibo delizioso. Era decisamente denutrita, e irrobustirsi un po’ prima di entrare nell’arena le sembrò un’ottima idea. Inoltre, l’indomani sarebbero cominciate le sessioni di allenamento, e voleva essere il più in forma possibile.
Dopo essersi riempiti fino a scoppiare e aver ascoltato le ultime raccomandazioni di Haymitch riguardo all’allenamento,  i due tributi furono spediti nelle loro camere a riposare.
 
Quando anche l’accompagnatrice se ne fu andata, Haymitch rimase finalmente da solo, nel salone. Si lasciò cadere sul divano, mentre con una mano corse a cercare l’impugnatura del coltello che teneva saldamente fissato alla cintura, nascosto dalla maglia. Era scesa la sera, il momento che più detestava. Il momento in cui le tenebre lo avvolgevano e lo trascinavano con se, in cui era costretto a rivivere le terribili immagini dei suoi giochi, ancora troppo vivide da sembrare reali, in incubi che sembravano durare un’infinità.
Il suo sguardo cadde su un mobiletto di vetro appoggiato alla parete di fronte al divano. Conteneva delle bottiglie, anch’esse di vetro, finemente decorate. Al loro interno c’era un liquido trasparente, che di sicuro era tutto meno che acqua. Incuriosito si alzò, aprì l’anta del piccolo mobile e prese una di quelle bottiglie. Tolse il tappo, e un odore pungente di alcol gli invase le narici. Doveva essere senza dubbio liquore.
Haymitch non ne aveva mai bevuto prima, anche perché nel Giacimento non era così facile da reperire, costava molto. Incerto, inclinò appena la bottiglia e fece cadere qualche goccia sulla lingua, poi in gola.
Sul momento gli sembrò che prima la sua bocca poi la sua gola prendessero fuoco, ma quella sgradevole sensazione lasciò quasi subito il posto a un gusto nuovo, piacevole.
Questa volta ne prese un sorso abbondante. Di nuovo gli sembrò di andare a fuoco, poi la sensazione piacevole. Un altro sorso, e iniziò a sentirsi annebbiato, scombussolato. Eppure non sentiva dolore, non vedeva continuamente le immagini dei suoi Hunger Games, dei tributi che erano finiti nell’arena con lui morenti ai suoi piedi. Non vedeva niente, e gli piaceva. Si illuse di poter dormire una notte finalmente tranquillo, grazie a quella roba, così si alzò e portò la bottiglia con se in camera sua. Avendo cura di lasciare comunque la luce accesa si infilò sotto le coperte ancora vestito, con una mano che stringeva il coltello e l’altra che reggeva la bottiglia mentre tracannava avidamente gli ultimi sorsi di liquore.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Il primo giorno di allenamento Elanor lo trascorse a cercare di apprendere tecniche che non sapeva o nelle quale era carente, come la mimetica o il realizzare trappole per la selvaggina. Evitò accuratamente coltelli, lance e tutte le armi che erano presenti nella palestra. Haymitch aveva suggerito a lei e Mikah di tenere nascoste le proprie qualità, e di mostrarle solo nella sessione privata, quando sarebbero soli con gli Strateghi. Per la seconda volta si trovò a dare ragione al suo mentore: mostrare subito agli altri tributi di cosa era capace sarebbe stato senza dubbio controproducente, in quanto li avrebbe avantaggiati.  Poco prima che finisse la sessione si concesse qualche minuto per osservare gli altri. Si chiese se anche loro avesso ricevuto il suo stesso suggerimento, cosa altamente probabile.
Guardando gli altri tributi allenarsi perse anche quel minimo di speranza di riuscire a tornare a casa che le restava. Contro di loro aveva perso in partenza. Come avrebbe fatto a sopravvivere a uno scontro con uno di loro? Perché era sicura che prima o poi sarebbe successo, per mano degli Strateghi, il cui unico interesse era quello di offrire spettacolo alla gente di Capitol City. Anche se non riusciva proprio a capire cosa ci fosse di tanto eccitante nel vedere un ragazzo ben piazzato uccidere senza pietà una minuta ragazzina del Giacimento.
Finalmente la sessione terminò e i tributi furono liberi di tornare ai loro alloggi. Elanor salì in ascensore con Mikah, ma i due non si degnarono neanche di uno sguardo. Sembrava che anche lui avesse capito che non era conveniente anche solo tentare di essere amici. Una volta arrivati trovarono Haymitch da solo sul divano. Elanor notò subito che non aveva una bella cera, ma non gli chiese nulla. Pochi minuti dopo la loro accompagnatrice arrivò sprizzando come sempre allegria da tutti i pori, e li invitò a sedersi a tavola per la cena, che fu estremamente silenziosa. Solo la sua vocetta stridula rompeva ogni tanto il silenzio per fare domande sulla sessione di addestramento conclusasi poco prima e sugli altri tributi, domande a cui riceveva risposte monosillabiche da entrambi i ragazzi.
Come la sera prima, Elanor si riempì finché non sentì di non poterne più e fuggì in camera sua, dove riusciva a stare un po’ più tranquilla e in pace. Si sfilò la tuta da addestramento e la lasciò ai piedi del letto. Si sciacquò la faccia con l’acqua fredda, prima di infilarsi in un morbido pigiama che aveva trovato nell’armadio. Cercando di pensare il meno possibile che l’arena era sempre più vicina, si rintanò sotto le lenzuola.
 
Era notte fonda quando un grido la strappò al sonno agitato nel quale era piombata. Scattò a sedere, mentre un brivido freddo le scendeva lungo la schiena. Era sicura di non averlo sognato, e che provenisse da una delle stanze accanto. Fece mente locale: la sua si trovava tra quella di Mikah e quella di Haymitch. E qualcosa le diceva che non era stato il suo compagno di distretto a gridare in quel modo.
Quasi senza rendersene conto si ritrovò in corridoio, in pigiama e scalza. Camminava piano e attenta a non fare rumore, nonostante stesse camminando sulla moquette, verso la stanza del suo mentore. Una volta giunta di fronte alla porta fece un respiro profondo. Mille domande sul perché avesse deciso di andare a controllare o perché se ne stesse preoccupando tanto iniziarono ad affiorarle in testa, ma le ricacciò subito indietro. Se le avesse prese in considerazione sarebbe tornata in camera sua, nel suo letto, e si sarebbe semplicemente convinta di aver sognato.
Un altro respiro profondo e aprì piano la porta, quel tanto che bastava per poter infilare la testa. Ciò che vide la sconvolse: avvertendo probabilmente la presenza di qualcuno, Haymitch era balzato in piedi, al centro della stanza, e brandiva un grosso coltello. Lo teneva teso di fronte a se, puntato in direzione della porta, ma la mano con cui lo stringeva tremava incontrollabilmente. Il suo volto era pallidissimo, i capelli madidi di sudore e appiccicati alla fronte, così come i vestiti -gli stessi che indossava dalla sera prima- che aderivano al corpo.
-Vattene!- le intimò Haymitch, con la voce che tremava più della sua mano. La fissava con un’espressione stralunata, innaturale.
Superato lo shock iniziale che l’aveva praticamente paralizzata, Elanor assunse la sua solita espressione dura, quasi di rimprovero,  ed entrò nella stanza chiudendosi la porta alle spalle -Che cavolo è successo?- chiese.
-Mi hai sentito? Vattene via!- gridò di nuovo il suo mentore.
La ragazza ignorò le sue parole -Ti ho sentito gridare-.
Per un momento Haymitch, in un impeto di rabbia, sentì l’impulso di scargliarsi addosso a Elanor e buttarla fuori dalla sua stanza a calci. Ma qualcosa dentro di lui lo fermò. Qualcosa scattò, come un interruttore, e lo fece desistere. La rabbia lasciò il posto al dolore, alla paura. Lasciò cadere il coltello e le sue ginocchia cedettero. Si accasciò a terra e scoppiò in lacrime.
Di fronte a quella scena, tutto l’astio di Elanor nei confronti del suo mentore sparì e sentì il cuore stringersi in una morsa. Si sentiva terribilmente triste per lui e sentiva di dover far qualcosa per aiutarlo. Abbandonò definitivamente la sua maschera da dura e si inginocchiò di fronte a lui. Gli prese il mento tra il pollice e l’indice della mano sinistra e gli sollevò delicatamente il viso, in modo da poterlo guardare negli occhi.
Haymitch non oppose resistenza, e si perse in quelle grandi iridi color nocciola, più uniche che rare nel Giacimento, che lo fissavano cariche di preoccupazione. Si ritrovò a pensare quanto quella ragazza fosse bella, senza trucco e soprattutto senza quell’espressione di chi ce l’ha perennemente col mondo intero.
-Che ti succede, Haymitch?- domandò Elanor con voce dolce.
-Quando vinci, esci solo fisicamente dall’arena- farfugliò Haymitch, abbassando di nuovo lo sguardo -Le ferite del corpo si rimarginano, le cicatrici ti vengono cancellate dai più bravi chirurghi di Capitol City. Ma niente e nessuno potrà mai cancellare quello che hai visto… quello che hai fatto…- una nuova ondata di singhiozzi lo travolse.
Elanor sentì le lacrime pungerle gli occhi, e li serrò per non farle uscire. Si avvicinò di più ad Haymitch e lo strinse in un abbraccio. Il corpo del ragazzo s’irrigidì a quel contatto. Era evidente che nessuno aveva mai fatto un gesto del genere nei suoi confronti da quando era tornato vincitore dagli Hunger Games.
Poco dopo Elanor sciolse a malincuore l’abbraccio e prese le mani del suo mentore, aiutandolo ad alzarsi. Lo condusse fino al bagno, dove aspettò che si desse una ripulita e indossasse abiti puliti, poi lo fece stendere sul letto.
-Non andare… per favore- mormorò un Haymitch imbarazzatissimo, mentre Elanor gli sistemava le coperte.
L’ombra di un sorriso fece capolino sul volto della ragazza, altrettanto imbarazzata -Non ne avevo alcuna intenzione- rispose, scivolando sotto le coperte insieme a lui.




Spazio autrice
Mi intrufolo solo per avvisare che i prossimi capitoli arriveranno con un po' di ritardo, sembrerà assurdo ma durante le feste sono più indaffarata che nei giorni normali D:

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Elanor si svegliò non appena i primi raggi di sole le colpirono la faccia. Era ancora nella stanza di Haymitch, nel suo stesso letto. Accanto a lei, il suo mentore dormiva, forse prima volta sereno e rilassato.
Rimase qualche istante seduta a osservarlo, invasa da una strana sensazione di piacere che mai aveva provato in vita sua. Si rese conto che anche lei, per la prima volta da quando era stato estratto il suo nome, aveva dormito tranquilla come se si trovasse a casa sua, nel Giacimento.
Poi il piacere si tramutò in dolore che le strinse il cuore così tanto da toglierle il respiro. Era tutto terribilmente sbagliato; lei probabilmente non sarebbe più tornata, non poteva e non doveva affezionarsi a qualcuno che non avrebbe più rivisto e che avrebbe sofferto per la sua perdita, a pochi giorni dall'ingresso nell'arena. Guardò un'altra volta il volto rilassato di Haymitch e gli occhi le si riempirono di lacrime.
Attenta a non fare il minimo rumore per non svegliarlo, sgusciò fuori dalla stanza e si rintanò nella sua. Si cambiò in fretta, fece colazione da sola e arrivò in palestra prima di tutti gli altri tributi. Si sedette ad aspettare e si perse nella contemplazione delle armi. Per un momento fu sfiorata dalla tentazione di ignorare il consiglio del suo mentore e di passare l’intera giornata ad allenarsi con le armi. Ne sentiva un bisogno quasi viscerale, per lei era l’unico modo di dimenticare per qualche ora il dolore che la divorava dentro. Raccolse tutte le sue forze e scacciò quella tentazione. Doveva resistere, la sessione privata con gli Strateghi sarebbe stata il giorno dopo.
Così, non appena gli altri tributi fecero il loro ingresso in palestra, si dedicò ad esercizi che le permettessero di potenziare la muscolatura e rimase piacevolmente sopresa nello scoprire che non era così debole come pensava. Passò tutta la giornata così, tanto che a fine sessione il sudore le aveva incollato la tuta al corpo e ogni singolo muscolo del corpo in tensione. Si trascinò fino all’ascensore e, una volta raggiunto il loro alloggio, direttamente sotto la doccia, senza neanche spogliarsi. Lasciò la tuta fradicia sul pavimento della doccia e si avvolse in un asciugamano e si gettò sul letto. Rimase così finché non sentì che la candida stoffa aveva assorbito ogni goccia dal suo corpo e si vestì. Lo stomaco le ricordò con un sonoro brontolio che doveva essere ora di cena.
Era più affamata che mai quel giorno, dopo tutta quella fatica, ma una volta raggiunto il salone il stomaco sembrò serrarsi alla vista di Haymitch. Non si erano più incontrati e non avevano avuto modo di chiarire quello che fosse successo quella notte. Nessuno dei due ne sentiva realmente il bisogno, in effetti, ma parlarne prima avrebbe sicuramente alleviato l’imbarazzo di trovarsi faccia a faccia a cena, di fronte a Mikah, l’accompagnatrice e gli stilisti.
Il mentore abbassò immediatamente lo sguardo non appena la vide entrare, e Elanor giurò di aver intravisto un lieve rossore comparire sulle sue guance. Era così diverso dal ragazzo sfrontato e irritante che la prima sera al Centro di Addestramento le aveva tolto il coltello con aria provocatoria…
Anche Elanor cenò senza alzare gli occhi dal proprio piatto, e per quanto si imponesse di riempirsi il più possibile visto che di lì a qualche giorno quel ben di Dio lo avrebbe rivisto solo in sogno, il suo stomaco sembrava chiuso ermeticamente e non voleva saperne di far entrare altro cibo. Fu costretta a fermarsi quando sentì di essere sul punto di vomitare.
Si ritirò in silenzio in camera sua e scivolò sotto le coperte ma, nonostante la stanchezza, il sonno non arrivava. Ogni volta che chiudeva gli occhi il grido di Haymitch le rieccheggiava nelle orecchie, così forte e disperato da farle male. Qualcosa dentro di lei le urlava di correre da lui, di non lasciarlo solo. L’immagine del volto di quel ragazzo costretto a crescere troppo in fretta sembrava stampata sulle palpebre, tanto era vivida nella sua mente.
In quel momento capì che se fosse rimasta lì né lei né Haymitch sarebbero riusciti a chiudere occhio o sarebbero stati tormentati dagli incubi. Per quanto fosse assurdo e surreale, avevano bisogno l’uno dell’altra.
Con il cuore in gola, attese finché non sentì anche la voce stridula della sua accompagnatrice spegnersi e lasciò la sua stanza. Quando arrivò di fronte alla porta di Haymitch il cuore le batteva talmente forte che per un momento  credette potesse tradirla. Spinse piano la maniglia ed entrò.
Haymitch era seduto sul letto, completamente disfatto. Sentendo il rumore della porta si era irrigidito, tanto che le nocche della mano che stringeva il coltello erano diventate bianche. Elanor rabbrividì al solo pensiero di cosa avesse subito per non separarsi mai da quell’arma.
-Che vuoi?- l’accolse Haymitch, sforzandosi di essere il più brusco possibile, ma la sua voce tradì una punta di sollievo.
Elanor fece spallucce -Solo parlare-.
-Beh allora sei con la persona sbagliata. Non sono un tipo molto loquace-.
In realtà, sotto quella corazza con la quale Haymitch si difendeva, una voce gridava ad Elanor di rimanere. E la ragazza parve sentirla, perché ancora una volta ignorò il suo mentore e si avvicinò al letto. Si sedette di fronte a lui, a gambe incrociate.
Haymitch inarcò un sopracciglio -Sei dura d’orecchi per caso?-.
-Può darsi- rispose lei, non riuscendo a trattenere un’espressione divertita.
-Fa come ti pare allora, ho bisogno di dormire- bofonchiò il ragazzo. Senza lasciare il coltello si distese e si tirò le coperte fino al naso.
Elanor si accucciò accanto a lui -Buonanotte- disse. Haymitch rimase interdetto da quel gesto, ma non la cacciò.
 
Si era addormentato da poco quando, puntuali come ogni notte, arrivarono gli incubi.
Era di nuovo nell’arena e correva a perdifiato verso il precipizio, con un profondo squarcio al ventre che sanguinava copiosamente, indebolendolo di più a ogni passo e togliendogli il respiro. Ma doveva continuare a correre. Arrivò sull’orlo del dirupo, quello che lui solo sapeva essere il limite dell’arena. Sentì le forze abbandonare del tutto il suo corpo e si accasciò. La ragazza del Distretto 1 lo raggiunse, l’ascia stretta in mano e l’orbita vuota sanguinante. Anche lei era sul punto di cedere. Facendo appello alle ultime forze che le restavano, scagliò l’ascia verso di lui. Haymitch si appiattì sul terreno appena in tempo perché l’arma precipitasse nel dirupo, passando a pochi centimetri dalla sua testa. La ragazza sbuffò, stava per avventarsi su di lui quando l’ascia tornò indietro velocissima e si piantò nel suo cranio.
Le ultime cose che Haymitch ricordava dell’arena erano l’occhio sbarrato della ragazza, e il colpo di cannone subito sovrastato dal rumore dei fuochi d’artificio in suo onore. Poi il buio, quel buio che tanto lo spaventava, che lo faceva sentire solo, in trappola, che gli dava l’impressione di soffocare…
Aveva bisogno di aiuto, che qualcuno lo tirasse fuori dall’oscurità… qualcuno che non sarebbe arrivato.
E gridò.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


-Haymitch… Haymitch svegliati!- Elanor lo chiamava, scuotendolo appena per le spalle -E’ solo un incubo…-.
Haymitch spalancò gli occhi e annaspò in cerca d’aria. Con la mano libera dal coltello si stringeva il ventre e sul suo volto era dipinta un’espressione di puro terrore.
-Calmati, non sei solo- la ragazza gli  posò una mano sulla guancia -Hai solo fatto un brutto sogno-.
Ma il suo giovane mentore non accennava a calmarsi. A quel punto Elanor lo abbracciò di nuovo, come la sera prima. Lo strinse forte contro il suo corpo e inizio a cullarlo piano, avanti e indietro, finché non sentì il respiro di Haymitch regolarizzarsi.
-Shh- sussurrava al suo orecchio -Era solo un incubo, ora sei qui e non sei solo, ci sono io-.
Haymitch lasciò andare il coltello e, tremante, ricambiò la stretta. Quel calore era così piacevole, così rassicurante, che non voleva che Elanor lo lasciasse andare. E lei non lo fece.
-Ti va di parlarne?- chiese dopo un po’ la ragazza.
Seguì un silenzio che interpretò come una risposta negativa, e decise di non infierire ulteriormente. Stava per proporgli di stendersi di nuovo e provare a rilassarsi, quando Haymitch parlò.
-Sono nell’arena…- esordì, la voce roca e incrinata -Come tutte le notti. Sto correndo, per salvarmi la vita…- si interruppe e deglutì, nel tentativo di sciogliere il nodo che sentiva in gola. Era la prima volta che parlava dei suoi incubi e della sua esperienza nell’arena con qualcuno -Sono arrivato al limite dell’arena. C’è… un campo di forza. Solo io lo so. Sento che sto per morire, sono ferito…- si portò una mano al ventre, nel punto in cui era stato colpito -La ragazza dell’1 mi insegue… è l’unica rimasta, oltre me- continuò -Ha un’ascia, e io non ho niente. Ma anche lei è ferita gravemente… ha diversi tagli e… le manca un occhio- a quelle parole Elanor rabbrividì; sapeva ciò di cui stava parlando Hayimtch, aveva visto quell’edizione, la seconda Edizione della Memoria. Aveva fatto di tutto per dimenticare quelle scene, tra le più cruente che avesse mai visto. Aveva solo tredici anni, ed era alla sua seconda Mietitura, quell’anno.
 -Io sono a terra, non ho più forze… lei mi lancia l’ascia, ma non mi colpisce. L’ascia urta il campo di forza e…- un fremito scosse il corpo di Haymitch.
-Sì, so com’è andata a finire…- lo tranquillizzò Elanor.
-E poi… quando non riesco a svegliarmi...- proseguì lui -Torno a casa, e loro non ci sono più…- le ultime parole vennero distorte da un singhiozzo.
-Loro?- domandò Elanor, senza capire. Dopo aver vinto gli Hunger Games non aveva saputo più nulla di Haymitch, solo che il Distretto 12 avrebbe finalmente avuto un altro mentore, dopo che l’altra vincitrice era morta.
-La mia famiglia- il ragazzo tremava incontrollabilmente, stava per scoppiare. Sciolse l’abbraccio per poter fissare Elanor negli occhi -Li hanno uccisi… per punirmi-.
Elanor continuava a non capire, ma non disse nulla. Lasciò che fosse lui a raccontare, e si limitò a stringergli le mani tremanti.
-Hanno detto che è stata una fuga di gas. Una scintilla… ma no, non ci ho mai creduto… li ha uccisi Capitol City… mia madre, mio fratello e la mia ragazza…- a quel punto scoppiò in lacrime e si appoggiò alla spalla di Elanor, che tornò a stringerlo senza parlare, lasciando che si sfogasse.
Improvvisamente ricordò. Erano da poco finiti gli Hunger Games quando ci fu una violenta esplosione nel Giacimento. Una casa saltò in aria, e non ne rimase niente. Per i tre occupanti non ci fu via di scampo, morirono prima ancora di rendersi conto di cosa stesse succedendo. Era la famiglia di Haymitch. Elanor sentì una stretta al cuore mentre rimetteva insieme i pezzi della vita del suo mentore. Usando il campo di forza come arma aveva sfidato inconsciamente Capitol City. E loro lo avevano punito. Gli avevano tolto tutto ciò che aveva di più caro al mondo, lo avevano lasciato da solo, senza più nessuno. Provò ancora più odio nei confronti della capitale, alla quale evidentemente spesso non bastava mandare a morte ventritre ragazzini all’anno.
Quando Haymitch si fu calmato, i due tornarono a raggomitolarsi sotto le coperte, senza sciogliere l’abbraccio. Il ragazzo si addormentò quasi subito, mentre Elanor riuscì a prendere sonno solo qualche ora prima dell’alba.
 
La mattina dopo Elanor scese in palestra con la testa appesantita dalla stanchezza e dagli avvenimenti di quella notte. Dopo pranzo ci sarebbero state le sessioni private con gli Strateghi, e tutti i tributi sembravano su di giri solo a pensarci, mentre il suo unico pensiero era rimanere abbastanza lucida fino a fine giornata per ottenere un punteggio decente. Essendo il tributo femmina del Distretto 12, lei sarebbe stata l’ultima.
La maggior parte dei tributi trascorse la mattinata a sedere in qualche angolo nascosto della palestra; evidentemente si sentivano sicuri e volevano conservare il più possibile le forze per il pomeriggio. Elanor invece si allenò al suo solito ritmo, attirando l’attenzione degli altri. C’era chi la guardava con superiorità, compatendola forse per il suo fisico troppo minuto e esile, e chi invece azzardava uno sguardo di ammirazione.
Pranzò come gli altri giorni da sola e lontano da tutti, persino da Mikah, che invece si sedeva sempre con i tributi del Distretto 11. Dopo un tempo che parve fin troppo breve -il pranzo di Elanor era ancora quasi tutto nel vassoio, complice anche il suo scarso appetito- i tributi vennero radunati in una piccola sala d’attesa, mentre il ragazzo del Distretto 1 veniva chiamato per la sessione privata.
Elanor si appoggiò alla parete dietro di lei e chiuse gli occhi. Là dentro avrebbe trovato sicuramente lance e coltelli, e probabilmente qualche bersaglio. Sarebbe riuscita a sorprendere gli Strateghi? Probabilmente no, ma l’importante era ottenere un punteggio non troppo basso, per gli sponsor era importante. La parola ‘sponsor’ deviò immediatamente i suoi pensieri verso il suo mentore. Le tornò in mente il racconto di quella notte, e cosa Capitol City aveva fatto ai suoi cari. Lo immaginò completamente solo, nella sua casa nel Villaggio dei Vincitori. Quell’immagine fece scattare qualcosa nella sua testa, una sensazione del tutto nuova. Era determinata a vincere gli Hunger Games. Per la prima volta da quando il suo nome era stato estratto, aveva qualcosa, o meglio qualcuno, per cui valeva la pena lottare, oltre suo padre: un amico. O qualcosa del genere. Non era sicura di poter considerare Haymitch un vero e proprio amico, ma l’amicizia era la cosa che più si avvicinava al loro rapporto.
-Elanor Graves, Distretto 12- gracchiò una voce metallica, riportandola ai suoi pensieri. Riaprì gli occhi e si accorse di essere rimasta completamente sola nella saletta. Era il suo turno. Fece un respiro profondo ed entrò.
Gli Strateghi la osservavano da una specie di balconata, comodamente seduti in morbide poltroncine e circondati da vassoi di cibo di ogni genere. Elanor provò un’ondata di disgusto, ma la sua attenzione venne subito attirata dal piccolo tavolo al centro della stanza, sul quale erano allineati coltelli d’ogni forma e dimensione e qualche lancia. Prese un coltello e lo strinse saldamente in mano, soppesandolo; aveva una lama affilata e tagliente ma non troppo lunga, e l’impugnatura che sembrava essere stata fatta apposta per lei. Soddisfatta della sua prima scelta, si guardò intorno ma non vide nessun bersaglio. Nessun manichino. La stanza era completamente vuota. Guardò in direzione degli Strateghi con aria interrogativa, proprio mentre uno di loro premeva un pulsante su una specie di telecomando. In quel momento un ologramma dalle forme umane comparve a pochi metri da lei, lasciandola per un istante paralizzata, incerta sul da farsi. Fortunatamente si riscosse in fretta e lanciò con decisione il coltello, colpendo l’ologramma che correva verso di lei nel punto esatto in cui ci sarebbe dovuto essere il cuore. Un altro olgramma comparve alle sue spalle, questa volta più veloce. Rapidissima afferrò un’altra arma e gliela scagliò contro. Ne comparvero altri ancora, anche più di uno alla volta e sempre più vicini a lei, alcuni armati di arco e frecce che le sembravano vere quando le passavano a pochi centimetri dal volto, finché la ragazza non ebbe utilizzato anche l’ultima lancia rimasta. Era ansimante e grondante di sudore quando le venne dato il permesso di lasciare la stanza.
Raggiunse l’ascensore trascinando i piedi. I punteggi sarebbero arrivati di lì a qualche ora. Mentre l’ascensore saliva lentamente fino all’attico, nella mente di Elanor rimbalzava una sola domanda: era stata in grado di convincere gli Strateghi?

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