Writing the Fairytale

di Harriet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Sorprese ***
Capitolo 2: *** II - Night ***
Capitolo 3: *** III - Celebrity Skin ***
Capitolo 4: *** IV - Ghost Stories ***
Capitolo 5: *** V - Writing the Fairytale ***
Capitolo 6: *** VI - I am because... ***
Capitolo 7: *** VII - La città liberata ***



Capitolo 1
*** Sorprese ***


Writing the Fairytale

Quando ti accorgi che una storia è una bella storia? Ad esempio, quando fa agitare, scattare e lavorare la mia mente e la mia fantasia. Quando la storia non finisce lì, dopo che l’ho letta, ma resta dentro e germoglia.
E a volte fa germogliare fanfictions…
Ergo, ne consegue che God Child e tutte le avventure del signor Cain sono una bellissima storia, per me.
Queste sono brevi riflessioni, scene, piccole songfic e simili. Il titolo, spero lo capirete strada facendo… Dovrebbe pensarci la signorina Maryweather a spiegarcelo, tra qualche capitolo.

Disclaimer:
God Child è di Kaori Yuki, quella donna meravigliosa (che sarebbe una mangaka perfetta se solo la piantasse di giocare con gli incesti… =___=) e assolutamente folle. Da questa fic non ricavo nulla, se non un po’ di divertimento nello scriverla. Spero che voi ci ricaviate un po’ di piacere nel leggerla.

Questo capitolo è tuuuuutto dedicato a Lilie e Leryu, le mie colleghe di cosplay, oltre che care amiche. Ho interpretato Cain, mentre loro erano due stupendissime Micheila e Jezzino… ç__ç *si commuove al ricordo*

Buona lettura…


I – Sorprese

Un raggio di sole sfiorò le coperte, poi salì lievemente e arrivò a toccare il viso della persona che dormiva, ma nemmeno questo ruppe quel sonno tranquillo, che durava già da un po’.
Già da un po’ troppo.
Lentamente l’addormentato aprì gli occhi. Un risveglio assolutamente normale. “Prima”, nella sua “altra vita”, aveva sempre dormito bene, e da quando era entrato a servizio in quella casa aveva ritrovato la sua abituale serenità e quiete. Beh, questo prima di conoscere certe cose nascoste agli occhi di tutti…
Però di sicuro dormiva.
E si svegliava bene.
Si svegliava presto, ottemperava ai suoi doveri.
Ecco, appunto, si svegliava che il sole a malapena illuminava il cielo e…
- Cosa?-
Gettò via le coperte, fissando incredulo la luce che veniva da fuori. Il sole era ben alto nel cielo… Decisamente aveva passato il suo orario abituale di sveglia!
- Non è possibile…-
Confuso e mortificato, si vestì in fretta. Non era così grave, certo, però…
“E il signor Cain, non l’ha svegliato nessuno?”
Sospirò. No, certamente no. E siccome suo padre in quei giorni era fuori per un viaggio, probabilmente anche il ragazzo aveva dormito più del solito. Almeno, quella era una cosa buona.
Uscì dalla sua stanza, e incrociò una delle cameriere. Si salutarono con cortesia un po’ formale, come sempre.
- Margaret, perdonami. Il signor Cain sta ancora dormendo?-
- Se non l’hai svegliato tu…-
- No, ecco… io… Mi sono appena alzato.-
Lei si fermò a guardarlo, con un sorriso divertito.
- Ma tu pensa, Riff che si fa cogliere di sorpresa dal sonno! Dov’eri ieri notte?-
- Non ho fatto nulla di speciale.- rispose lui, imbarazzato. Lei ridacchiò, e poi se ne andò. Trovare un aneddoto divertente sul quel cameriere così esemplare era una cosa rara…
La notte precedente…La notte precedente era rimasto fino a tardi a parlare col signor Cain. Accidenti, ma l’età delle domande non finisce intorno ai dieci anni? Ogni volta che Riff aveva provato a dirgli che forse era il caso di andare a dormire, Cain aveva qualcos’altro da chiedere. Avrebbe avuto un futuro da filosofo, il ragazzo. Domande profonde, e i suoi occhi assolutamente seri. Esigeva una risposta. E Riff si era impegnato per rispondere. Così la conversazione era andata avanti all’infinito… Già, una sera che non c’era l’incubo di suo padre, il signor Cain poteva essere rilassato e azzardare di fare una cosa che fanno i ragazzini: stare sveglio oltre l’orario consentito.
Sì, e anche Riff ne aveva fatto le spese…
Sorrise. Era divertito dalla cosa. Entrò nella camera di Cain, sicuro di trovare le tende chiuse e il ragazzo nel letto.
- Signor Cain.-
Ma la luce inondava la stanza, il letto era disfatto, e Cain non era lì. Riff rabbrividì. Si sentì un po’ in colpa per averlo lasciato solo. Si chiese se qualcuno l’avesse visto (Riff, idiota, certo che lo vedono, è lui che dice di…)
Chiuse la porta e corse per il corridoio, guardandosi intorno. Intimandosi di stare tranquillo. Non c’erano rischi e non c’era nemmeno nulla di male, se il ragazzo aveva preso l’iniziativa di fare tutto da solo…
Incontrò Margaret con un’altra serva, ed entrambe gli sorrisero in modo non molto innocente. Riff ebbe voglia di maledirle, ma si trattenne.
- Sapete dov’è il signor Cain?-
Scossero la testa, e si allontanarono senza dargli molta attenzione.
E questo avvenne con praticamente tutte le persone che incontrò. Nessuno sapeva dov’era il ragazzo. Diamine, non era mica compito loro badarlo, no? Loro in teoria non dovevano nemmeno considerarlo. Per loro non esisteva, figuriamoci se sapevano dov’era…

Dov’era.
Lui era quello che sapeva sempre dov’era Cain, no?
Ma lo stava cercando già da quasi due ore, e da nessuna parte, in nessuno dei luoghi cari al ragazzo, c’era traccia di lui. Adesso Riff aveva paura. Era uscito chissà per quale capriccio. Forse lo attraeva la prospettiva di essere libero per qualche giorno… E magari si era messo nei guai. Si era fatto male e non riusciva a tornare indietro. O forse…
No, il panico non è un buon punto di partenza…
Sì, ma anche se si imponeva di stare calmo e pensare, alla fine non arrivava a nulla!
Quando è triste, io penso a cosa sta provando e riesco a capire dov’è…
E allora perché questa volta…
Forse perché non è triste?
E allora perché è fuggito?
Beh, magari non è fuggito…
E allora che accidenti sta facendo?

Era già pomeriggio inoltrato, quando il ragazzo, infangato e divertito oltre ogni dire, comparve davanti ad un disperato Riff.
- Signor Cain!-
Era così felice di vederlo che tutti i rimproveri morirono prima di salirgli alle labbra. - Scommetto che mi stavi cercando…-
- Io… lei… Insomma! Ma le sembra il modo? Mi ha fatto preoccupare! E poi dov’è stato?-
- Avevo qualcosa da trovare.- rispose lui, sorridendo. Nascondeva un oggetto dietro la schiena, e sembrava molto compiaciuto di questa cosa.
- Sta bene? Non si è fatto male?-
- No, sto bene. Ma ti sei davvero preoccupato?-
- Certo che mi sono preoccupato! Non la trovavo e… Ed ero anche dispiaciuto di non essermi svegliato, e…-
- Per fortuna non ti sei svegliato. O non avrei mai potuto fare quello che volevo.-
- Cosa?-
Cain sorrise, un sorriso così pieno di gioia e soddisfazione che contagiò anche Riff.
- Allora, mi dice cosa doveva trovare di tanto importante da farmi rischiare un infarto?-
Il ragazzo mostrò a Riff cosa stava nascondendo. Una scatola di legno, molto semplice.
- Non è granché. Questa l’ho trovata tra le cose inutili in uno degli scantinati.-
- E’ sceso negli scantinati?-
- Stamattina. Mentre tu dormivi. E poi sono uscito. Per cercare quello che c’è dentro alla scatola.-
Riff rimase immobile, mentre il ragazzo gli tendeva l’oggetto. Comprese che doveva prendere la scatola. Magari doveva anche aprirla.
- Io…-
- Sì, è per te.- disse Cain, alzando gli occhi al cielo, come per dire che era proprio seccato della lentezza del suo cameriere. Riff prese lo strano dono, stupito.
- Lo apro?-
- Certo che lo devi aprire!-
Riff si affrettò a far scattare il meccanismo del coperchio della scatola. Poi lo sollevò, e guardò dentro. La meraviglia riempì il suo sguardo, e la curiosità lo invase.
Sassi colorati, piccoli fiori, foglie…
- Signor Cain, questo…-
Poi notò una cosa. Non erano “sassi colorati”, erano sassi azzurri, varie tonalità di azzurro, come quelli che si trovavano vicino al torrente, poco lontano da lì, appena fuori dai limiti del parco del castello.
E poi non si trattava di semplici fiori o foglie. C’era un rametto di forstizia fiorito, piccole stelle gialle sul ramo fine. E un fiore colto da qualche albero da frutto, appena germogliato, in quella primavera che aveva voglia di esplodere. Una foglia di alloro, lunga e perfetta.
Le sue piante preferite.
La sua mente tornò alle domande della sera prima…

“Ma perché le persone hanno bisogno di circondarsi delle cose che piacciono loro?”
“Perché le cose belle sono quelle che ti fanno sentire a casa. E’ qualcosa che conosci, no?”
“Uhm, forse…Riff, a te cosa piace?”
“A me? Mmmm… vediamo… Le piante ed i fiori, ad esempio. Se avessi una casa mia, sarebbe piena di piante e fiori.”
“Quali sono i tuoi preferiti?”
“Beh, ce ne sono molti… Mi piace la forsizia, quella pianta che si riempie di fiorellini gialli a primavera, e d’estate ha delle foglie fini, verde scuro. Poi mi piacciono gli alberi da frutto in fiore. Mi piacciono i cespugli di alloro, gli aceri,…”
“E poi? Cos’altro ti piace? Cosa metteresti in casa?”
“Uhm… ecco, mi piacciono i sassi colorati.”
“Cosa? Ma che senso hanno?”
“Ha mai visto ad esempio quei piccoli sassi di una pietra dal colore azzurro, come quelli che si trovano giù al torrente?”
“No.”
“Sono molto belli. Hanno delle sfumature che non si potrebbero mai riprodurre in alcun modo.”

- Sai che avevi ragione, Riff? I sassi azzurri sono veramente belli. Sono strani…-
Riff sollevò gli occhi sul ragazzo, e sorrise, incredulo. Cain godette di quella sorpresa.
- Signor Cain, come ha fatto a trovare…-
- Le tue cose preferite? Beh, io me lo ricordo, quello che dici.-
- Intendevo, come ha riconosciuto tutte le piante?-
- Ho preso un libro in biblioteca.-
- Nella biblioteca... Insomma, da solo?-
- Certo. E tutto prima che ti svegliassi. Hai dormito tantissimo, per fortuna.-
Riff finalmente realizzò bene l’accaduto, e si lasciò andare ad una risata.
- E’ stato incredibile, signor Cain!- commentò. – Mi complimento. E soprattutto, la ringrazio…-
- Sai, ho pensato che a stare sempre dietro a me, tu hai poco tempo per te, e per guardare le cose che ti piacciono. Ho pensato di portartele io. Lo so che i fiori appassiranno . Magari puoi metterli dentro un libro ed essiccarli. Almeno fino alla prossima primavera. E poi usa la scatola anche per altre cose, se vuoi.-
Riff annuì, guardando con affetto il ragazzo e lo strano dono.
- Ne terrò di conto, può starne certo.- rispose. Poi chiuse delicatamente la scatola.
- Spero non ti sia preoccupato troppo.- mormorò Cain, facendosi improvvisamente serio, perdendo un po’ della baldanza allegra che aveva reso così felice Riff.
- Mi sono preoccupato, ma l’importante è che lei sia qui.-
- Non te la sei presa?-
- No, assolutamente. Anzi, sono felice del suo regalo.-
- Bene, allora!-
- Ora però vada a lavarsi! E’ completamente ricoperto di fango!-
- Per prendere i sassi sono sceso al torrente. Non so se lo sai, ma l’acqua bagna il terreno, e produce del fango…-
- Signor Cain, mi sta prendendo in giro?-
Mentre si dirigevano verso il castello, le loro risate risuonavano nell’aria, raggiungendo le orecchie stupite di chi le ascoltava. Un suono insolito. Una rottura nella continuità del silenzio di quel luogo. Una sfida.

Quella sera appoggiò la scatola sulla sua scrivania. Poi decise di metterla in un cassetto. Il padrone era entrato nella sua camera all’improvviso, qualche volta, e se in futuro lo avesse fatto di nuovo, Riff non avrebbe avuto molta voglia di spiegargli l’origine di quell’oggetto.
Oggi in fondo è stata una bella giornata.
Sì, ma non resterà un bambino per sempre. Anzi, non lo è quasi più. Lo vedi, vero? Lo vedi bene…Ora puoi sentirti felice nel crescere questa specie di fratello che ti è stato affidato, puoi vivere per la tua missione di aiutarlo nella sua sofferenza, ma poi crescerà, e anche se si scrollerà di dosso quello che gli succede adesso, non potrà mai essere una persona normale…Sarà un uomo molto presto, e giocherà con le tenebre. Gli si legge negli occhi. Forse non avrà più bisogno di te. O magari ti trascinerà nelle sue ombre, e segnerà la tua vita. Non ti farà mai avere quello che desideri. A rimanere qui, rischi di perdere tutto.
Beh, che devo fare, lasciarlo solo?
Non puoi, eh? No, non posso.
Ricordati cosa succederà, però.
Sarà una vita piena di sorprese, allora.

La mattina dopo si svegliarono tutti e due all’orario giusto. Appena Riff era entrato nella camera di Cain c’era stato uno scambio di sguardi, e tutti e due erano scoppiati a ridere. L’avventura del giorno prima li aveva legati ancora di più, erano complici.
Nella luce mattutina, Riff sedeva, leggendo la corrispondenza del padrone, un compito che Alexis Hargreaves gli aveva affidato prima di andarsene. Poco distante Cain stava giocando con qualcosa di non ben definito.
Sospirò, ripensando alle riflessioni della sera prima.
Che venga quel che deve venire. Prima facevo molti progetti, e sognavo una vita tutto sommato tranquilla. Ora prendo quel che viene ogni giorno, e mi si prospetta davanti un’esistenza alquanto movimentata, almeno a giudicare da quel che vedo…
- Spero solo che non mi faccia morire di infarto.-
- Riff, hai detto qualcosa?-
- Eh? - Realizzò solo allora di aver parlato ad alta voce. Sorrise. – No, niente.- Poi rivolse uno sguardo più attento alle mani del ragazzo. Alle cose con cui stava “giocando”. – Signor Cain! Quella è una pianta velenosa!-
- Lo so.-
- Ecco, appunto… Insomma… Che sta facendo?-
- Voglio vedere se riesco a sintetizzare un veleno da solo. Potrei aggiungerlo a quelli della mia famiglia.-
- Ma… E’ pericoloso!-
- E’ per questo che è divertente.-
Riff aprì la bocca per protestare, ma non trovò le parole.
Gli si legge negli occhi. Giocherà con le tenebre. Già ha iniziato. Già non è più un bambino, almeno nell’atteggiamento…
- Signor Cain…Stia attento!-
Un guizzo di divertimento negli occhi verde e oro.
- Ma certo…-
Riff annuì, sedendosi di nuovo con le sue lettere, lanciando ogni tanto un’occhiata perplessa alle manovre del ragazzo.
Sarà una vita piena di sorprese…



Fine primo capitolo You know where I am and you know I wait for you… yumemi@hotmail.it

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Capitolo 2
*** II - Night ***


Mi intrigava l’idea di indagare l’inizio della mania di Cain di risolvere i misteri, e anche di immaginare una delle prime volte in cui Riff e Cain si tirano fuori dai guai a vicenda…
Ringrazio chi ha letto il primo capitolo e chi lo ha commentato.
Saya-chan: …sono senza parole, mi hai detto delle cose assolutamente troppo belle…^///////^ …aiuto…Spero davvero di riuscire a “interpretare” bene questi personaggi!
Ethlinn: Ti ringrazio! Il titolo? Beh, aspetta ancora un po’, e Mary ci rivelerà cosa significa…
Lally: Mi cara, sei sempre fedele nel leggere e commentare! Grazie!

Dedicato a tutte le persone che hanno reso speciale la mia Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia! Grazie!



II – Night

- …se farete così, non avremo il minimo problema…-
-…se dovessero scoprire che…-
- Oh, andiamo, siamo praticamente a posto! Non c’è modo di…-
Si fermò a pochi passi dalla porta semiaperta. Dalla stanza poteva cogliere quei frammenti di dialogo, che confermavano ogni suo sospetto.
- Ma il padrone non…-
- Lascia perdere. Ancora poco e avremo finito.-
Se la situazione non fosse stata disperata, avrebbe sorriso, e si sarebbe congratulato con se stesso per la sua abilità e il suo intuito. Sì, lo avrebbe fatto… Se non fosse stato tanto terrorizzato che gli era difficile persino respirare.

Erano due giorni che stava dietro a quella faccenda. Loro non vedevano lui, ma lui vedeva loro, oh, sì. E aveva notato l’inquietudine, gli scambi di sguardi, e poi quel messaggio passato di nascosto…In modo così goffo che era stato troppo semplice recuperarlo e scoprire dove e quando si erano dati appuntamento i tre camerieri e una delle cuoche…

- La roba che avete preso è già al sicuro. Prendete il resto, stanotte, e scappiamo, no?-
Come aveva temuto, dunque. C’era stato un furto, e la vicenda non era ancora conclusa…
Poi, all’improvviso, una voce diversa dalle altre. Risuonò, limpida, tra le voci infide in quella stanza, e allo stesso tempo riuscì a raggelarlo e a riscuoterlo.
- Che cosa state facendo qui?-
- No…- sussurrò, avvicinandosi alla porta. Vinse il terrore e guardò dentro.
C’erano i tre servi e la donna, attorno al tavolo, con alcune mappe del castello e delle armi gettate sul tavolo. E dall’altra parte della stanza, dall’altra porta, era entrato lui. – No, no…- ansimò di nuovo, temendo quello che sarebbe successo.
Uno dei tre uomini afferrò una pistola e la puntò contro di lui.
- Riffer. Che cosa ci fai qua?-
- Voi, cosa state facendo, piuttosto!- gridò il giovane, infuriato, quasi non avesse visto l’arma che gli veniva puntata contro.
- Ci arricchiamo e ce ne andiamo.- rispose l’uomo, ridendo. Poi abbassò la pistola, e si avvicinò di qualche passo a Riff. – Vuoi unirti a noi?-
- Come osi anche solo farmi una proposta simile?-
- Come vuoi. Allora morirai.- rispose l’uomo, tornando a minacciare Riff con la pistola.

E lui per un istante vide dentro di sé la scena successiva.
No.
Si guardò attorno freneticamente, e vide un grande vaso di ceramica, accanto a sé. Senza pensarci troppo, lo afferrò e lo scagliò a terra.
L’uomo con la pistola lanciò un grido e si voltò di scatto, spaventato dal rumore. Riff gli si gettò addosso, strappandogli l’arma di mano e rivolgendola contro di lui.
- Adesso fermi!- gridò, ansimando. In un istante li aveva resi immobili e terrorizzati.

Dietro la porta, il ragazzo vide ogni cosa, e riuscì a respirare liberamente di nuovo solo quando vide la pistola saldamente stretta nelle mani di Riff, che aveva il controllo della situazione.
Il rumore avrebbe richiamato qualcun altro, pensò. Riff sarebbe stato aiutato.
Poi sentì i passi di coloro che erano stati svegliati, e comprese che lui non sarebbe dovuto essere lì. Sì, ma non poteva tornare in camera adesso, non senza riattraversare il corridoio dove tutti coloro che stavano arrivando lo avrebbero visto!
Si guardò attorno, col cuore che batteva forte. C’era un lungo tavolo, attorniato da sedie, in un angolo della sala. Vi si precipitò sotto, pregando di non essere visto, ed attese.

- Che succede?-
- Cos’era quel rumore?-
- Aiuto!- Questa era la voce di Riff. – Aiuto, vi prego!-
In un attimo la stanza dove i servi traditori si erano raccolti fu invasa da tutti coloro che si erano svegliati.
- Riffer!-
- Che sta succedendo?-
- Ma cosa…-
Il ragazzo, dal suo rifugio, li guardò entrare di corsa nella stanza, e sentì le loro voci. I servi negavano ogni cosa, tentarono anche di dare la colpa a Riff… se gli altri ci avessero creduto? Ma no, non poteva essere…
Se ci avessero creduto, sarebbe uscito di là e avrebbe detto ciò che aveva visto. Poi, improvviso come un brivido gelido, arrivò suo padre. Lo vide entrare, e al suo ingresso seguì il silenzio.
Forse per la prima volta nella sua vita, la voce di Alexis Hargreaves gli fu veramente gradita e rassicurante. Dette ordine ad alcuni servi di legare e rinchiudere i traditori, e di chiamare in fretta la polizia. Non prestò fede nemmeno un istante alle proteste e alle pretese che fosse Riff il vero colpevole.
Bene, le cose erano state rimesse a posto…Chiuse gli occhi e dimenticò ogni timore. In breve tutti sarebbero andati a letto, e lui sarebbe tornato senza problemi nella sua stanza. E la luce del sole avrebbe cacciato via ogni residuo di paura di quell’esperienza.
Quando riaprì gli occhi, se n’erano andati tutti, tranne suo padre. Era fermo, sulla soglia, e stava guardando qualcosa.
Lo vide chinarsi, raccogliere un oggetto. Un frammento di ceramica. Lo tenne davanti agli occhi, come domandandosi da dove venisse, e lo fissava con la sua solita espressione incomprensibile.
Ad un tratto fu raggiunto da Riff.
- Signor Alexis, c’è bisogno della mia testimonianza con la polizia?-
- Sì, certo. Ma chissà quando arriveranno. Vai pure in camera a riposare. E prima controlla che mio figlio non si sia svegliato.-
- Va bene.-
Il ragazzo trattenne il respiro, e fissò con orrore Riff che si avviava.
Si avviava verso la sua stanza. Dove non lo avrebbe trovato.
E poi?

Riff aprì lentamente la porta, e lasciò che la luce del corridoio penetrasse nella stanza appena un po’, per vedere il sonno del ragazzo. Non aveva dubbi che il signor Cain fosse lì, addormentato. Non c’era modo che si fosse svegliato, la sua camera era troppo distante dal teatro degli eventi.
A stento trattenne un grido, quando vide il letto vuoto.
- Signor Cain…- mormorò, rendendosi conto di essere stato colto da un tremito improvviso. – Oh, dov’è andato?- gemette, scostando le coperte, col desiderio irrazionale di trovarlo nascosto là sotto.
Poi qualcosa gli tornò alla mente. Un rumore…Quel rumore improvviso che aveva distratto l’uomo che stava per ucciderlo, consentendogli di salvarsi… Perché continuava a ricordarlo?
Perché era stato provocato da qualcuno, ecco. E di tutte le persone che potevano essersi trovate lì in quel momento…
Uscì dalla stanza e chiuse la porta. Con calma, avrebbe potuto risolvere la situazione.
- Sta dormendo?-
La voce di Alexis lo fece trasalire. Si voltò, e si sforzò di sorridere.
- Sì. Non si preoccupi.- mentì.
- Bene. Vai pure nella tua stanza.-
Riff lo salutò e si diresse verso la sua stanza, lì vicino. Vi entrò, nel buio, e chiuse la porta. E attese. Attese il tempo in cui, facendo qualche calcolo, Alexis sarebbe tornato nella sua camera.
Finalmente Riff riaprì la porta, e lasciò la stanza. Nel buio, a tentoni, ripercorse il corridoio fino al luogo dove poco prima aveva rischiato di morire.

Arrivò nella sala del lungo tavolo, debolmente illuminata dalla luna, la cui luce entrava dalla finestra. Si guardò attorno, notò il vaso rotto e comprese.
- Signor Cain!-
Non era un nome, era una specie di preghiera. Perché se non fosse stato lì…
La preghiera ricevette risposta.
- Riff!-
Il giovane si chinò, e rintracciò subito il proprietario della voce.
- Signor Cain!-
Il ragazzino uscì in fretta dal nascondiglio, e corse incontro all’altro, gettandosi tra le sue braccia.
- Hai rischiato di morire!-
- Ma lei mi ha salvato. E’ stato lei a far cadere quel vaso, vero?-
- Sì.-
- Come mai era qui?-
- Avevo capito che nascondevano qualcosa, e… Oh, tu stai bene?-
Riff sorrise, e scompigliò i capelli del ragazzo.
- Stia tranquillo. Sto bene.-
- Mio padre si è accorto che non sono in camera?-
- Certamente no. Venga, la riporto io.-
Cain dette la mano a Riff e lo lasciò guidare, fino a raggiungere il corridoio dove si aprivano le loro stanze. Il buio era quasi completo, l’unica luce veniva dalla luna, che entrava da una finestra distante, in fondo al corridoio. La casa aveva un che di irreale. Ma Riff avanzava senza indugio, con sicurezza, sfiorando appena il muro ogni tanto, per avere la certezza di camminare senza ostacoli. Dimenticate le preoccupazioni, Cain si stava quasi divertendo…
Prima che al rumore dei loro passi se ne sovrapponesse un altro.
- Chi è? Chi è ancora sveglio?-
Cain si strinse a Riff e chiuse gli occhi.
- Signor Alexis…- mormorò il giovane, abbracciando il ragazzino, e pregando che davvero Alexis stesse andando in giro senza alcuna luce.
- Riffer? Non riesci a dormire? Perché te ne vai in giro al buio?-
La voce era in avvicinamento, e la figura si faceva visibile. Riff fece un passo indietro, trascinando con sé anche Cain.
- Avevo bisogno di un po’ d’acqua.- rispose Riff, riconquistando la padronanza della sua voce, e facendo nascondere il ragazzo dietro di sé. Dall’ombra emerse Alexis, che si fermò a pochi passi da Riff. Il giovane rimase immobile.
- Capisco. Ora però è il caso che tu dorma.- disse il padrone.
- Sì. Vado subito.-
Come un alito di vento freddo, Alexis transitò accanto a Riff. E passò oltre. Il buio questa volta aveva aiutato il giovane e il ragazzo.

- Se n’è andato.- mormorò Riff dopo un interminabile minuto silenzioso. Cain non rispose. Riff lo sentiva tremare accanto a sé. – Stia tranquillo, se n’è andato.-
Poi guidò il ragazzo attraverso le ombre, fino alla sua stanza. Entrarono, e in fretta Riff lo riportò tra le coperte.
- Ora dorma e non pensi a nulla.-
- Riff…-
- Che c’è?-
- Margaret è davvero sbadata, non trovi? Appoggiare quel vaso così in bilico, sulla mensola…-
Nel buio, Riff sorrise.
- Stia tranquillo.- ripeté. – Non dirò una parola su quel vaso. Parlerò di un rumore improvviso assolutamente provvidenziale.-
- Buonanotte Riff.-
- Dorma bene. Non pensi a tutto ciò che è successo.-
- Sei tu che stavi per morire…-

Uscì dalla stanza, chiuse la porta, ascoltò il buio. Non c’era nessuno, e poté tornare nella sua stanza, dove non dormì, ma fu comunque un’insonnia a cuor leggero.



Fine secondo episodio Olé! Sì! Che soddisfazione! Ho scritto una fic in cui Alexis viene fregato…
Bene, miei cari, tutta la strada che avete fatto dal primo capitolo al secondo vi sia ricompensata. Vi adoro.

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Capitolo 3
*** III - Celebrity Skin ***


Una songfic su una canzone meravigliosa, “Celebrity skin” delle Hole.
Un particolare: nella traduzione, mi sono permessa di togliere un paio di versi (dove ho lasciato i puntini di sospensione), e ho volto la canzone al maschile (ovviamente!^^;). Non so se ciò va contro le regole della songfic. Se è così, chiedo perdono, però la canzone mi sembrava davvero troppo adatta…
Un’altra cosina: non ho tolto la frase “in my make-up”, in quanto il make-up, in inglese, è il trucco nel senso di cosmetico, ma è anche il trucco teatrale. Non volevo insinuare che Cain faccia uso di cosmetici…O__o;;; …volevo dire che a volte interpreta un personaggio! Infatti, mi sono presa la libertà di tradurre con “nel mio trucco di scena”…
Ho colto il personaggio di Cain, secondo voi, in questa songfic? Lo spero…
Io mi prostro e mi inchino a Saya, Ethlinn e Lally, fedeli lettrici e commentatrici! (Ethlinn, dear, se vuoi raccontarmi com’è andata la tua GMG, ne sono ben felice!^^ Manda una mail…)
yumemi@hotmail.it -> Harriet is here, per qualsiasi cosa.
Vi amo tutti!
Il capitolo è dedicato a Giulia. E a chi sennò???? Una songfic su questa canzone…E poi a te dedico tutto volentieri.
Buona lettura…



Celebrity skin


“Oh, lasciami andare!
Sono tutto ciò che voglio essere
Uno studio ambulante in demonologia


Oh, la mia esistenza notturna e sfavillante, la mia figura elegante che vaga per la città, la mia risata che li inquieta, li scuote, li scandalizza, li affascina, li eccita…Risveglio la loro curiosità più perversa, sono affamati di dettagli, di sempre più oscuri particolari…
Sì, dipingono nella loro mente la mia storia, la mia presenza tenebrosa, e mi immaginano con piacere e terrore, demone, spettro, creatura delle ombre, incubo incarnato…

Così mi vedono, così mi immaginano.

Così sono. Perché io sono una graziosa menzogna, un’ombra iridescente, un filo di nebbia che prende consistenza solo quando è immaginato, richiamato, evocato dalla curiosità morbosa e dal desiderio segreto.

Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta
Ora ce l’hai fatta davvero
Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta

E dietro a quegli sguardi feroci e ammirati, sprezzanti e desiderosi, c’è un velo che non si può cancellare, sottile ed infido: l’invidia, perché io ce l’ho fatta, ho tutto ciò che si può desiderare, nella loro mente superficiale e abbagliata dalle luci del mondo meravigliosamente vuoto e ipocrita in cui viviamo.
Io ce l’ho fatta, e loro lo sanno, lo vedono. Ho il nobile nome della mia famiglia, la mia ricchezza, la mia bellezza e la mia giovane età, e questo incantesimo malvagio che fa voltare verso di me gli occhi e attira a me gli animi, quando passo, quando sorrido, quando parlo…
Ho sempre qualcosa in più di loro. Nessuno ha tutto questo. Nessuno ha la mia perfezione. Così mi guardano, sorridono, e bruciano di invidia velenosa.

Oh, guardami in faccia!
Il mio nome è “avrebbe potuto essere”
Il mio nome è “non è mai stato”
Il mio nome è dimenticato


Sì, ma guardatemi davvero.
Cosa vedete?
Non dite il mio nome, quello che conoscete, accompagnato dal titolo nobiliare, pronunciato con l’accento che si ferma sul cognome, segno della mia appartenenza ad una delle famiglia più nobili e famose, antiche e rinomate. Non dite quel nome. Almeno, non dite il mio nome con leggerezza, come se non significasse niente, come se non sapeste tutti chi è che per primo portò il mio nome, come se fosse soltanto il risultato di un capriccio dei miei genitori, il nome spaventoso che porto, e che mi si addice tanto.
Guardatemi negli occhi, e leggete il vero significato del mio nome.
Significa tutto ciò che sarebbe potuto essere. Tutto ciò che non c’è mai stato. Tutto ciò che ho perduto prima ancora di conoscerlo.
Significa tutto ciò che non avrò mai. Tutto ciò che desidererò per sempre, senza poterlo raggiungere mai. La mia corsa infinita ed infruttuosa.
Dite il mio nome, e nella vostra voce non risuona niente. Perché voi non dite il mio nome, in realtà, ma solo il modo in cui tutti mi chiamano.
Il mio nome, in realtà, è dimenticato.

Sì, sono così felice che tu ce la faccia
Ora ce l’hai fatta davvero!
Sì, siamo rimasti solo noi

E poi, ancora i vostri inchini e i vostri sorrisi. Vi congratulate per la mia bella esistenza. Esprimete la vostra contentezza nel trovarvi qui con me. Nutrite la vostra brama segreta di affacciarvi per un attimo nel mio mondo di tenebre.
E non avete idea di cosa significhi.

Quando mi sveglio, nel mio trucco di scena
è troppo presto per quel vestito
Appassito e svanito da qualche parte…
Sono felice di essere arrivato qui, con la tua libbra di carne.


E qualche volta la notte vince le mie resistenze, e mi lascio trascinare da lei, vagando per le sue stanze, in cerca di compagnia o solitudine, e compro amore con un sorriso, o alzo le cortine che coprono qualche mistero oscuro.
E poi torno a casa all’alba, e il sonno mi vince. Quando il sole mi sveglia, ho dimenticato tutto.
A volte però, non appena i miei occhi si aprono al giorno, un attimo prima che la mia mente cancelli ogni pensiero notturno che si è attardato, sento il vuoto e il nulla. Sento la solitudine senza senso e le ombre che mi inseguono. Resto al buio, non è ancora tempo di alzarmi, e posso tormentarmi ancora, tra le braccia delle tenebre.
E a volte, sì, a volte accade che mi congratuli con me stesso per quanto in basso sono riuscito a cadere.

Nessun secondo avviso
perché sei una star, ora
Oh… loro non sono puttane come te
Meravigliosa spazzatura, meravigliosi vestiti
Riesci a stare in piedi, o cadrai a terra?


Ma ormai ho preso questa strada, no?
E non si torna indietro.
Compro amore con un sorriso, ma in realtà mi svendo io stesso per primo. Il mio incedere divertito, tra le luci, tra le ricchezze, tra la folla ammirata e sconvolta, è solo uno svendersi. La più nobile puttana di Londra.
E vado, tra la folla estatica, tra vesti superbe e superbia che nasconde i segreti più orribili. Perché se io sono un demone, tutti loro sono solo candide stanze dai begli ornamenti…ma provate ad aprire gli armadi e le piccole porte segrete…
In realtà, io rimango in piedi solo perché ho il coraggio – o la spavalderia – di indossare le mie ombre.

Meglio stare attento a ciò che desideri
meglio che sia qualcosa per cui vale la pena morire…

Che cosa desidero davvero?
Non lo so…
A volte, quando è giorno, quando ho dismesso i miei panni di attore, quando non c’è il passato a farmi compagnia, perverso fantasma, quando riesco anche a guardarmi senza provare ribrezzo…Ecco, in quei momenti, vorrei solo che il tempo si fermasse.
Sì, il mio desiderio è questo.
Quali sono quei momenti?
…quelli in cui loro sono con me. In cui vivo dei loro sorrisi, delle loro mani, del loro abbraccio. I momenti in cui respiro la loro dolcezza, la loro premura. Il loro modo diverso di volermi bene, di curare le mie ferite, di lottare per me. I momenti in cui la loro voce infrange le tenebre e rende ridicole le ombre.
Allora non sono più una menzogna, sono semplicemente io, piccolo, meschino, sciocco, macchiato, eppure con una fragile speranza di…di redenzione, forse.
Ed è tutto merito loro.
Se li perdessi, io…
Ecco, io vorrei che loro ci fossero sempre, e per il loro amore, vorrei imparare a vivere davvero. Sì, credo che valga la pena anche di morire, per questo desiderio.

Sì, sono così felice che tu ce l’abbia fatta
Ora ce l’hai fatta davvero
Sì, siamo rimasti solo noi


Chissà, se dicessi alla folla rumorosa e superba che questo è il mio desiderio, che cosa direbbero?
Se rivelassi che il mio vero orgoglio non è il mio nome, ma il sorriso di una bambina…
Se cercassi di spiegare che la mia vera ricchezza non è il patrimonio della famiglia, ma la presenza di una figura nell’ombra, sempre accanto a me, a darmi la forza di cui ho bisogno…
E così via.
No, non credo che capirebbero.

Quando mi sveglio nel mio trucco di scena
ti sei mai sentito così usato?
E’ tutto così senza zucchero…
…forse sono soltanto senza nome


Però io dimentico il mio orgoglio e la mia ricchezza, e torno a perdermi nelle tenebre, garantendomi notti senza coscienza e risvegli colmi di terrore.
Perché?
Perché non riesco a dimenticare la mia maledizione. Perché ormai ho giocato così tanto con l’oscurità, che non posso più farne a meno. Perché a volte ho l’impressione che, per quanti innocenti io cerchi di salvare, non potrò mai pareggiare i conti con quel che sono.
Io non desidero il male. Io credo di odiare il male. Ma a volte, quando cerco di “fare giustizia”, ho l’impressione di cedere molto più al male, dentro di me, che alla luce.
Io non vorrei essere solo questa maschera senza consistenza, ma il mio nome – quello che nessuno pronuncia davvero – mi ricorda sempre che ormai è così.

… lui è pieno di veleno
ha annientato tutto ciò che ha baciato
e adesso sta appassendo da qualche parte…
Sono felice di essere arrivato qui, con la tua libbra di carne


E la gente, la gente di tutto questo non vede che l’apparenza, e si riempie la bocca di parole, narrando le mie imprese da demone e da servo della notte. Parla di veleni e di rovina, quella che mi accompagna sempre.
E io…
…io mi sento quasi benedetto e consolato da questa maldicenza.
E’ come un risultato, per me. Il mio animo diviso sente la ferita di quelle parole, e allo stesso tempo ne gioisce. Sono arrivato in alto. Tutto ciò che tocco, viene corroso dal mio veleno.
Sono arrivato davvero in alto...

Vuoi una parte di me?
Beh, non mi vendo a poco.

Volete avvicinarvi, vedere, toccare, inventare un’altra leggenda su di me?
Ma certo, io non aspetto altro.
Sappiate però che è molto rischioso…”

Sorride, nella sua stanza in penombra. Davanti al suo specchio. Lui lo odia, quello specchio, però è sempre lì, perché possa ammirarsi in tutto il suo splendore maledetto.
Sorride, e ride di sé, così bello, così stupido. Sta per uscire, come sempre. Il mantello giace sul letto, adesso lo prenderà e correrà fuori, il passo veloce e sostenuto. Ci sarà una carrozza ad aspettarlo, e lui vi salirà sopra, dimenticando tutto e proiettando la mente verso il piacere di passare un’altra notte in giro per la città, che è quasi più maledetta di lui.
Così esce dalla stanza, in fretta.
- Non so quando tornerò.- dice, facendo un cenno di saluto al giovane uomo che lo attende, a fianco della porta.
- Sarò ad aspettarla.-
Esce, sale sulla carrozza, che parte, lasciando entrare dal finestrino l’aria fredda e la notte.

“Sarò ad aspettarla”.
Quelli che ti amano, ti aspettano.

Lo coglie un brivido. Volge lo sguardo verso la sua casa, che si allontana, e sparisce dalla sua vista.

Se non avesse promesso che non avrebbe pianto mai più, ora piangerebbe. Perché sa che, per quanto si senta macchiato e perduto, ha ancora qualcosa, qualcosa per cui morire. E sa che la sua vita veloce, la sua reputazione terribile, la sua maledizione e il suo ostinarsi ad esserne vittima, fanno soffrire anche loro.

Ma l’incantesimo della notte è forte, e lui non sa come difendersi. Così allontana il pensiero grazie ad un’arma infallibile: il ricordo. Da sempre ho fatto soffrire quelli che amavo. Da sempre ho ritenuto giusto fare quel che desideravo. Ormai è così. E torna a calarsi nel suo stato d’animo combattuto, nel suo sentire lacerato, e gli va bene così.

Ma in realtà è solo un bambino perso nella notte, lo stesso che anni prima si nascondeva tra gli alberi e piangeva da solo, e faceva penare il suo unico amico, quando non riusciva a trovarlo. E tutti i bambini hanno paura del buio.

“Vuoi una parte di me?
Beh, non mi vendo a poco.


Volete avvicinarvi, vedere, toccare, inventare un’altra leggenda su di me? Ma certo, io non aspetto altro.
Sappiate però che è molto rischioso…”



Fine terzo capitolo You came till here and I thak you all. *si inchina*

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Capitolo 4
*** IV - Ghost Stories ***


IV – Ghost Stories

- E così il giovane signore che la cameriera credeva di avere ucciso era lì, di fronte a lei…E la guardava, sorridendo, come se non fosse mai accaduto niente, mentre la donna lo fissava, colma di terrore…-
Ci risiamo.
Guardò il gruppetto di giovani dame, ragazzi e anche qualche signora non più esattamente giovane, che si era raggruppato attorno al ragazzo, e sospirò. Tutti erano protesi verso di lui, in attesa delle sue parole, avvinti dal fascino del suo racconto e della sua persona.
E lui naturalmente dava spettacolo, era nella sua natura. Stava raccontando una raccapricciante storia di fantasmi. Gli riusciva piuttosto bene…e la cosa sembrava essere gradita al suo pubblico. Cosa c’è di meglio che farsi catturare da un’oscura novella, e lasciarsi terrorizzare da vicende di sangue e rovina, quando si è seduti in un lussuoso salotto nobiliare, circondati da luci e bei volti splendenti?
Peccato che spesso nella stanza accanto a questi salotti, si consumino drammi degni delle più spaventose storie di paura. E peccato che quelle che lui racconta non siano solo storie.
- “Hai sepolto le mie ossa sotto il ginepro, e il ginepro mi ha fatto tornare in vita!”, disse il ragazzo, e lei…-
Una delle ragazze rabbrividì, e il narratore le sorrise, prendendole la mano, come per cacciare la sua paura…quasi non fosse stato lui a procurarla. Per la gioia della ragazza, che arrossì, abbassando gli occhi.
Ormai quelle manovre non avevano segreti, per l’osservatore, per quanto avessero sempre effetto sul pubblico femminile che circondava l’affascinante narratore.
Il ragazzo riprese a raccontare, modulando la voce per adattarla alle parole. L’osservatore scosse la testa, rabbrividendo al finale della storia.
- Si dice che la donna sia morta di paura…-
Basta. Per favore.
Oh, le aveva già vissute una volta, perché adesso doveva riviverle, trasfigurate da quella voce apparentemente divertita e rilassata?
No, non morì di paura, e lo sappiamo bene. Ma preferisco questo finale, a quello vero.
La memoria gli andò a quei momenti…Beh, a dire il vero quella era stata una delle poche volte in cui non avevano rischiato la loro vita. Ma non era un ricordo piacevole comunque. E poi non gli piaceva sentire quelle storie, e basta.
Finalmente il racconto era terminato, ed il gruppetto lentamente si sciolse. Qualcuno ancora si attardava accanto al narratore, per fargli un’altra domanda o complimentarsi per la sua fantasia. Gentilmente lui li congedò uno dopo l’altro, e raggiunse la persona che lo aveva osservato da lontano, e che lo aspettava in un angolo del salone, da solo.
- Credo sia l’ora di andare.- disse, con un sorriso.
- Come vuole.-
Quando in realtà avrebbe voluto dire “sì, andiamocene, è notte fonda, e io non ne posso più di stare qui a sentire i momenti della mia vita trasformati in novelle da intrattenimento di nobili annoiati…”
Ma non lo avrebbe mai fatto.
Gli mise sulle spalle il mantello, e lo seguì nella notte.
Cosa che, in fondo, faceva sempre.

La casa enorme e apparentemente vuota li accolse. Tutti dormivano a quell’ora. Tutti tranne loro, e forse i fantasmi. Quelli di coloro che avevano trovato la morte durante il cammino della loro vita, forse proprio perché la loro strada aveva avuto la sventura di incrociare la via del conte Hargreaves e della sua famiglia.
- No, per favore…- gemette, portando una mano alla testa.
A volte i ricordi sembravano acquistare consistenza, ed era orribile…
Dannate storie di fantasmi!
- Riff, che hai?-
La nota allarmata nella voce dell’altro lo richiamò alla realtà.
- Stia tranquillo, sto bene.-
- Sembravi sofferente.-
I grandi occhi verdi erano pieni di ansia genuina. Passato un primo istante in cui si sentì lusingato per questa, Riff si premurò di farla sparire.
- Sono solo un po’ stanco. Non deve preoccuparsi.-
- Io mi preoccupo, se stai male!-
- Si fidi di me.-
Ecco che lentamente l’ansia spariva. Ma in fondo, l’aveva ingannato.
Dimenticò quell’atto, dimenticò se stesso, e lo aiutò a prepararsi per la notte, prima di sparire nella sua stanza.

Lo stesso scenario: luci, sorrisi, una sagoma nera e fascinosa attorniata da ammiratori adoranti, in attesa di ascoltare ancora una storia tenebrosa, partorita dalla fervida mente del giovane conte.
Storia che, come sempre, sarebbe stata drammaticamente vera.
- La bambina viveva da sola nella grande casa, insieme alla sua serva…-
Voltò la testa, stizzito. Basta, aveva raggiunto un limite! Tornò a lanciare un’occhiata al suo padrone, attorniato dai soliti ammiratori, poi distolse lo sguardo di nuovo.
- …e tutti coloro che ella avrebbe desiderato tenere con sé per sempre, li trasformava in terribili bambole vive, perché non potessero lasciarla mai…-
Perché mi disturba così, il fatto che racconti con tanta leggerezza le vicende che ha vissuto veramente, degradandole a racconti di intrattenimento?
Perché?

Riff sollevò il viso, e incontrò per un istante lo sguardo vivace del conte.
Io… devo dirglielo.

Non disse nulla, mentre gli apriva lo sportello della carrozza, e tenne la bocca chiusa mentre lo faceva entrare in casa. Non parlò nemmeno mentre riponeva il mantello del conte e il proprio, poi mentre lo conduceva in camera, e lo aiutava a svestirsi.
All’improvviso però si fermò, stringendo convulsamente tra le mani la giacca che aveva appena tolto al ragazzo, con gli occhi bassi e il viso contratto in un’espressione addolorata. Subito gli occhi del conte si riempirono di quell’ansia completa e quasi disperata.
- Che hai, Riff?-
- Perché lo fa? Perché ha bisogno di raccontare le sue vicende alla gente, come fossero fiabe? Perché non rispetta la pace di quei morti? E perché vuole che la sua vita diventi una storia? Lei è… è vivo, e…-
Tacque, arrossendo violentemente, come pentendosi di quelle parole.
Cain rimase in silenzio a lungo. Poi, freddo e distante, cercò di ridere.
- Ti senti meglio, dopo questa predica?-
- Sì.- mormorò Riff. Alzò gli occhi. – Perché almeno sono stato sincero.-
Cain ricambiò lo sguardo con un’occhiata sprezzante.
- Bene. Grazie di avermi fatto sapere cosa pensi.- rispose il conte, voltandogli le spalle.
- Si è almeno reso conto di ciò che intendevo dirle?- gemette il maggiordomo. Il ragazzo strinse i pugni, e non si voltò.
- Qualunque cosa volessi dirmi, non m’importa!-
Si girò verso il maggiordomo, gli rivolse lo sguardo più furioso di cui era capace.
Se potesse vedersi ora, cosa direbbe?
E all’improvviso quell’espressione crudele abbandonò il suo volto, e il ragazzo abbassò gli occhi.
- Perdonami, Riff, non volevo. Non so perché ho detto quelle cose, io…-
- Va bene.- lo interruppe Riff, sentendosi improvvisamente in colpa, senza motivo.
- No, non va bene! Mi dispiace!-
Sembrava sconvolto lui stesso della capacità delle sue parole di ferire.
- E’ normale esagerare, qualche volta.-
- No! Non dovrei farlo, con te!-
- Signor Cain, adesso non…-
- Lo sai perché lo faccio? Lo sai perché racconto quelle cose? E’ perché vorrei che fosse veramente una storia di fantasmi, e nient’altro!-
Finalmente ebbero il coraggio di guardarsi negli occhi di nuovo, gli occhi chiari e sinceramente preoccupati di Riff in quelli agitati e confusi di Cain.
- Mi credi? Mi capisci?-
- Sì.-
Anche se…
Riff sorrise, decise che era troppo tardi per continuare a confonderlo e metterlo in crisi.
- Mi scusi ancora se le mie parole sono state eccessive.- disse soltanto. Cain si sforzò di sorridere anche lui. Riff riprese a svestirlo, chiedendosi se avesse fatto più danno o beneficio, con quelle parole.
- Tutte le cose spaventose che viviamo…Non è facile conviverci.- disse Cain all’improvviso. Fissava il se stesso nel grande specchio davanti a lui. – Credi che lo desideri davvero, di portare alla morte così tanta gente? Innocenti o colpevoli… A volte sento le loro voci, non mi fanno dormire. Non mi abbandonano mai. Qualunque cosa io abbia fatto, per qualsiasi motivo, ho sempre provocato solo morte e dolore, anche quando desideravo sinceramente tutto il contrario!- Si interruppe, la sua voce vibrava di tristezza.
- No, signor Cain, lei…- mormorò Riff, spiazzato dallo sfogo dell’altro.
- La verità è che sono un demone! Alla fine, la mia vita è davvero una storia di fantasmi. Perché io sono uno spettro. Un demone. Nient’altro.-
Lo specchio rimandava la sua figura esile ed elegante, il suo viso sconsolato. E poi le cicatrici, il suo segreto, e Riff si accorse che gli occhi di Cain erano tornati lì.
Non disse nulla, si limitò a fare un passo.
Un passo tra Cain e lo specchio.
- Non è un demone, signor Cain.- La sua solita voce bonaria e dolce, ma anche ferma, e rassicurante. Adesso Cain non vedeva più se stesso, di fronte a sé, ma Riff. – E poi, signor Cain… In realtà c’è anche un altro motivo per cui non mi piace sentirla raccontare quelle storie. Io so che abbiamo vissuto molte vicende difficili, oscure. Però sono le nostre vicende. La nostra vita. Ci sono state anche cose buone, non crede? Cose che io voglio ricordare. E… spero anche lei.-
- Riff…- Incredulo, spalancò gli occhi in modo ingenuo. – Io mi ricorderò delle cose buone.- promise, con l’impeto di un bambino.
Riff sorrise.
- Stare in questa casa è una gioia per me, e nonostante tutto ciò che attraversiamo, io sono felice.- confessò il maggiordomo. – La prego, non pensi solo ai morti. Io lo so che lei non desidera questa maledizione. Non ricordi solo i fantasmi, si ricordi anche delle persone che le vogliono bene… di me…-
Cain fece cenno di sì con la testa, poi cedette alla tentazione di farsi abbracciare da Riff, come un tempo, come ogni tanto avveniva ancora. Riff lo strinse per un attimo, poi lo sciolse dall’abbraccio.
- E’ tardi. Domani deve partecipare ad almeno tre ricevimenti ufficiali.- disse Riff, comprendendo che il momento di libertà da ogni maschera era finito, e che Cain si sarebbe rimesso i panni del solito conte arrogante e indifferente.
In un certo senso, significava che il momento difficile era stato superato.
- Oh, beh, aspetteranno…- borbottò Cain, infilandosi sotto le coperte. – Buonanotte, Riff.-
- Buonanotte.-
Il giovane uscì dalla stanza in punta di piedi, quasi Cain si fosse già addormentato e lui volesse evitare qualsiasi rumore.

Lei è tanto oscuro e macchiato dalle ombre quando dolce, angelico e lucente. Non può evitarlo. Tutti quelli che la vedono, e sanno guardare oltre le apparenze, se ne rendono conto. Può ingannare il mondo, ma non noi, che l’amiamo.
Noi sappiamo la verità su di lei, e io per primo so che lei è tutto, tranne un demone.
I morti si lamentano, e io stanotte pregherò per le loro anime.
Perché trovino pace.
Perché concedano anche a lei un po’ di pace.


Fantasmi e spiriti, dormite… E lasciate dormire anche noi.




Fine IV capitolo

…non ho veramente idea di come tutto ciò sia germogliato nella mia mente… O__o
yumemi@hotmail.it
Dedicato a Jez, Micheila, Riff e Mary…Voglio fare cosplay finché vivo!!!

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Capitolo 5
*** V - Writing the Fairytale ***



V – Writing the Fairytale


Once there was a child`s dream…
Once there was a child`s heart…
Once I knew all the tales…
Once I wished for this night…

(Dark chest of wonders – Nightwish)




Chiedi cos’è una fiaba, e ti verrà risposto che serve per far chiudere gli occhi ad un bambino la sera. Ma se leggerai tu stesso una fiaba, scoprirai cose più oscure di quanto non si creda, dietro innocenti parole. Una fiaba ti trasporta in un altro mondo. In ogni viaggio verso un altro mondo si perde qualcosa, non c’è scampo. L’eroe più puro che torna dalla sua ricerca ha negli occhi una goccia in meno di quella luce di stupore che lo illuminava un tempo. Il principe che ha sconfitto il mago malvagio ha una consapevolezza in più degli orrori della vita.
Interrogati su cos’è una fiaba. Vedrai che la risposta è più sfaccettata e complicata di quella che tutti ti danno.
In una fiaba è racchiuso un piccolo mondo. La cristallizzazione di un attimo di vita. Lo specchio di un’anima, a volte.
Chiedi cos’è una fiaba e nessuno ti dirà la verità.

*

La maggior parte dei bambini si facevano leggere le fiabe dai genitori, o dai servitori, se erano figli di famiglie benestanti. La bambina bionda che sedeva sulla panchina più solitaria, nel grande parco, leggeva da sola, affacciata su un libro più grande di lei, con una serietà incredibile nei grandi e meravigliosi occhi azzurri.
Poco distante giocavano gli altri bambini, ma lei non si univa. Doveva essere abituata a divertirsi da sola, e probabilmente si sentiva a disagio, all’idea di mescolarsi a quella piccola folla vivace. Preferiva il mondo invisibile rivelato dalle pagine, che i suoi occhi percorrevano velocemente. Era la fine di marzo, quando ormai l’inverno è finito ma non si può dire ancora che sia primavera. Le gemme stavano per esplodere nella loro fioritura sontuosa, il vento era lieve, il sole gentile. Insomma, la stagione perfetta per una fiaba.
C’erano anche degli adulti, sparsi per il parco, per la maggior parte giovani serve: accompagnavano i bambini, e mentre li aspettavano, si raggruppavano ai lati del parco, parlando tra sé. Poi c’erano due giovani uomini, separati da tutto il resto. Erano due piccole macchie scure nel grande spazio aperto, indubbiamente insoliti.
Il più giovane parlava all’altro, guardandosi attorno, muovendosi con disinvoltura ed eleganza. L’altro ascoltava, senza mostrare particolari emozioni, o almeno così sarebbe sembrato, ad un osservatore superficiale. Ogni tanto lanciavano un’occhiata obliqua al lato opposto del parco, dove la bimba bionda sedeva sulla sua panchina, dimentica del mondo. A quello sguardo, gli occhi dal singolare colore del più giovane si accendevano di fierezza e amore, mentre il suo serio compagno si concedeva un sorriso.
La bambina però continuava a leggere, persa in un altro luogo. Nel luogo delle fiabe.
Chiedendosi perché tutti gli eroi e i cavalieri, i principi e i viandanti, le dame e i maghi, le figlie minori e le ragazze dai capelli biondi, prima di giungere alla felicità perfetta, devono sempre attraversare il buio e la sofferenza.

*

Nel mondo reale, intanto, i due giovani che la osservavano poco distante avevano deciso che era il momento di tornare a casa. La raggiunsero e lei sollevò il visino dalle pagine, guardandoli con la solita adorabile serietà.
- E’ già l’ora di andare?- chiese, la voce a metà tra il lamentoso e l’arrabbiato.
Chiuse il libro, e il più vecchio del terzetto lo prese, mentre l’altro le dava la mano.
Insieme si avviarono lungo la strada piastrellata di bianco che attraversava il parco, e sparirono, dietro le fronde verdi, nella luce forte del tramonto.

*

Nelle stanze della villa, la sera e la notte potevano essere davvero spaventose, anche se quelle stanze le conoscevi bene. Maryweather era seduta in camera sua, immersa di nuovo in quel libro che tanto l’aveva catturata, ma dalle finestre strisciava nella stanza il buio della notte in arrivo, e la bambina non aveva molta voglia di affrontarlo da sola. Così si alzò ed andò in cerca di compagnia, trascinandosi dietro l’enorme libro, quasi fosse una sorta di talismano contro ogni magia oscura.
Attraversò i corridoi in cerca del fratello, ma il giovane conte si era eclissato chissà dove. Un po’ seccata per la poca attenzione che il fratello continuava a riservarle, la bambina si rassegnò ad aspettarlo in uno dei graziosi salottini della villa.
- Signorina Mary, ha bisogno di qualcosa?-
Si voltò, per regalare un sorriso a Riff. Lui era l’unico che poteva chiamarla “Mary”, tra tutti i domestici della casa. Forse perché lui non era un domestico, nemmeno un po’. Ma cosa fosse, Mary non lo sapeva dire. Però era bello che ci fosse.
- Dov’è mio fratello, Riff?-
- Si sta divertendo nella sua stanza.- sospirò il maggiordomo.
- Sempre con quei veleni!- si lamentò lei. Riff sorrise e le si sedette accanto.
- Cosa sta leggendo?-
Gli occhi di lei si illuminarono per un attimo, mentre gli mostrava il volume. Riff notò che non c’erano molte illustrazioni, ma in compenso la scrittura era fitta. Erano fiabe, sì, ma non sembrava proprio un classico libro per bambini.
- Fiabe.- notò lui, sfogliando alcune pagine.- Ma queste sono fiabe da grandi, se ne è accorta anche lei, vero?-
- Sì. Sono molto tristi.-
Riff sorrise a quelle parole ingenue.
- Ma finiscono bene, no?-
- Sì, però, se uno ci pensa, è molto triste lo stesso.- replicò lei. – Tutti quei personaggi potevano essere felici e basta, e invece hanno dovuto affrontare ogni tipo di vicissitudine!-
- In effetti…- balbettò lui, senza parole, stupito da quell’improvvisa affermazione. Maryweather non gli dette tempo di pensare ad una risposta.
- Riff, perché devono passare tutti attraverso tante prove, se vogliono essere felici?-
Non avrebbe mai saputo spiegare perché, ma un brivido gelido lo attraversò completamente, a quelle parole.
Stava parlando dei personaggi delle fiabe?
- Perché a quanto pare la felicità va conquistata.- le rispose, incerto se quelle fossero le parole giuste.
- Perché? Perché uno non può essere felice e basta?-
La mano del giovane uomo tremò, e Riff chiuse il libro di scatto.
- Non lo so, signorina Mary. Ma è così.-
- Perché ci sono sempre quelli che invidiano la felicità degli altri, o che vogliono solo fare del male?-
Perché i bambini fanno delle domande così semplici e vere?
Perché stava prendendo tanto sul serio le domande della bambina?
- Forse non riescono a conquistare la felicità, perché non vogliono soffrire per averla.- rispose infine lui. – No? E poi finiscono per soffrire lo stesso.-
- Non è vero.- negò lei, decisa. – Quelli che fanno del male non soffrono.-
- Oh, io credo di sì, invece. Più profondamente di quanto non si possa pensare, signorina Mary.- Il suo sguardo si era perso nel vuoto, la sua voce era risuonata distante e stonata, finché non aveva pronunciato il nome della bambina. Allora tutto era tornato al suo posto.
Ma stavano ancora parlando delle fiabe?
- Comunque non sono convinta.- riprese lei. – Non credo che le cose possano andare veramente in quel modo.-
- In che modo?-
- Come nelle fiabe. I protagonisti trovano sempre chi li aiuta, quando sono nei guai. Hanno mille oggetti magici, mille poteri. Ma nella realtà, se qualcuno ti fa del male, tu sei solo e basta.-
- Sì.- Un accenno di sorriso. – Sì e no, signorina Mary.-
- Come?-
- Non lo so spiegare. Ma credo che le fiabe siano più vere di quel che sembra. A volte anche noi abbiamo i nostri aiutanti fedeli, i nostri maghi e i nostri oggetti magici.-
Maryweather lo guardò con sospetto, ma Riff adesso stava sorridendo apertamente, e sorrideva con tanta convinzione che la ragazzina non riuscì a dirgli di no.
- E poi, pensi bene, signorina Mary. Forse, mentre percorrevano la loro strada così difficile, tutti quei personaggi hanno hanno vissuto qualcosa che ricorderanno. Qualcosa che non vorranno mai dimenticare, che non dimenticheranno nemmeno dopo, quando avranno trovato la felicità.-
Rimasero per un po’ in silenzio, finché la voce chiara di lei non lo ruppe.
- Forse è vero. Anch’io ho i pezzi per scrivere la mia fiaba.-
Riff annuì, chiedendosi quanto in profondità la bambina avvertisse il peso della vita folle e senza equilibrio che si viveva in quella casa. Chiedendosi a cosa stesse pensando, quando le aveva dato le proprie risposte.
Chi saresti, tu, in questa nostra fiaba bizzarra?
Si alzarono, e videro che il loro lungo dialogo aveva avuto un osservatore silenzioso. Il conte era sulla porta, e li contemplava con il suo solito mezzo sorriso un po’ arrogante.
- Io te l’ho sempre detto che sei una principessa da fiaba, no?- le disse Cain, con quell’aria fiera che assumeva sempre quando la guardava.
- No, il protagonista di questa fiaba sei tu.- rispose lei, sorridente ma tremendamente seria. Abbracciò il fratello, e poi corse via, lasciando il conte e il maggiordomo da soli.
- Domande impegnative, eh?- commentò Cain, ridendo.
- E’ una bambina saggia.- rispose Riff, pensieroso.

*

C’era una volta un principe che un giorno dovette abbandonare tutto quel che aveva, per trasformarsi in un povero esule in fuga, costretto a portare una maschera davanti a tutti, senza mai poter mostrare il proprio vero volto.
Un viandante solo e smarrito, perseguitato da un nemico antico e terribile. A poco a poco quel principe dimenticò quale fosse, il suo vero volto.
Ma non era solo nel cammino, perché il protagonista di una fiaba non è mai solo. Ci sono i suoi alleati, con tutta la loro magia, piccola e impercettibile, ma eternamente viva e presente.
E anche quel principe aveva i suoi alleati, quelle persone che ancora ricordavano com’era il suo volto più sincero. Loro conoscevano la luce profonda dei suoi occhi, quella che solo loro potevano vedere e custodire.
Non lo lasceranno vagare da solo, ma insieme lo aiuteranno a ritrovare la sua luce.
Ecco, questi sono i pezzi per scrivere la mia fiaba.

*

- Cosa stai facendo?-
La notte era scesa da tempo, ma, come spesso accadeva, Cain non sembrava avvedersene. Adesso era fermo sulla porta della stanza di Riff, proteso in avanti e curioso. Non gli era mai sembrato molto grave irrompere nella privacy delle persone che abitavano la sua casa. Beh, si potrebbe dire che non gli era mai sembrato grave infrangere la privacy in generale. Anzi, gli riusciva piuttosto bene. E gli piaceva anche. Non era forse lui, quello che se ne andava in giro a portare alla luce le faccende oscure di mezza Londra?
Riff era uno di quelli a cui non importava niente se Cain entrava nella sua stanza o nella sua vita senza troppi riguardi. Anzi, sembrava che avesse fatto di tutta la sua vita nient’altro che una porta aperta.
Quando Cain entrò, il maggiordomo era seduto sul letto e aveva qualcosa sulle ginocchia. Qualcosa che guardava con un’espressione indecifrabile: nostalgia, dolcezza, malinconia, desiderio…
- Ti ho chiesto cosa fai.-
Riff alzò la testa e sorrise. Era più di una risposta, era un invito a guardare e toccare di persona, per capire.
C’era una vecchia scatola di legno, davanti a lui, e nella scatola c’era una miriade di oggetti: sassi, fiori essiccati, e un piccolo nastro nero, una specie di braccialetto d’argento, un pezzo di carta piegato più volte, il frammento di ceramica di un vaso…
Non c’era uno solo di quegli oggetti che non raccontasse una storia. Erano doni, o ricordi di vicende che balzarono improvvise alla mente di Cain, nel momento in cui posava gli occhi su di essi.
- Quegli oggetti…tu…- mormorò Cain, chinandosi sulla scatola, colmo di stupore.
- Li ricorda?- mormorò Riff.
- Certo che li ricordo!- Cain prese un piccolo fiocco azzurro dalla scatola: il primo dono spontaneo che Mary aveva fatto a Riff, segno che sanciva l’amicizia tra i due. Lo lasciò andare, e raccolse un oggetto conosciuto, che non avrebbe avuto ragione di essere lì: l’orologio contenente un antidoto alle droghe, che aveva recentemente salvato la vita di entrambi, in casa di lord Gladstone. Riff aveva pensato bene di tenere anche quello.
- Tu li hai conservati! Perché?- domandò il conte, incredulo.
- Perché sono un pezzo della sua e della mia storia, semplicemente.- sospirò Riff. .- Ogni oggetto ha un senso, per me. Sono i miei oggetti magici. I pezzi della mia fiaba.-
Cain abbassò la testa, come messo a disagio da quelle parole.
- Io non ne ho, invece. Non riesco a vivere in una fiaba. Non potrei. Non so conservare niente di bello.-
- Questo non è un problema.- rispose Riff. – Ci siamo noi. Abbiamo conservato tutto per lei, e lo faremo per sempre. Come direbbe sua sorella, nessun eroe di nessuna fiaba è mai da solo.-
- Sì, ma nessun protagonista di nessuna fiaba è una creatura oscura.-
- Nemmeno lei lo è.-
- Ti sbagli, Riff.-
- No, si sbaglia lei.-
Cain mise una mano nella scatola e sfiorò quasi con dolcezza il suo contenuto.
- Allora tieni con cura questi oggetti magici.- disse, ritraendo la mano. – Usali quando sarò nei guai.-
Poi voltò le spalle all’altro e lo lasciò da solo.
- Sì, ma lei non si dimentichi di chiamare, quando è nei guai.- mormorò Riff, chiudendo la scatola magica.



Fine quinto capitolo



Questo capitolo era più che altro un flash, una suggestione…Non ha molto senso, eppure in teoria dà il senso all’intera fic.
Grazie a tutti!
yumemi@hotmail.it
Harriet

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Capitolo 6
*** VI - I am because... ***


VI – I AM because…


- TU NON SEI MAI VISSUTO!-

Per la prima volta in cui ho aperto gli occhi, anche se sono stato creato da un paio d’occhi malvagi…
Per la prima volta in cui ho visto il cielo, portando nel cuore ricordi non veri, ma miei, miei come nient’altro, l’unica cosa che avessi, allora…
Per la prima volta in cui ho provato quel dolore immenso, per un passato mai avvenuto, se non per me e per la mia anima infranta…per quel dolore che ho sopportato a lungo, senza provare nient’altro, per quel dolore che mi opprimeva, ma mi dava la misura dell’essere vivo, perché era indubbio che io stessi provando un sentimento…
Per il desiderio di smettere di vivere, che ebbe la meglio su di me più volte, e che per grazia del Cielo non giunse mai al suo compimento…
…per tutto questo, IO SONO VISSUTO.

- TU NON SEI CHE UN’ILLUSIONE!-

Per la prima volta in cui mi sentii vivo di nuovo, dopo tanto tempo, con una prospettiva davanti ai miei occhi…
Per la prima volta in cui guardai il cielo e mi sentii sereno, e non distrutto…
Per la prima volta in cui avvertii di essere stato come perdonato, sebbene il mio passato pesasse ancora su di me…
Per ogni viso che incontrai, per ogni voce che udii allora, e per tutti i desideri, i sogni e per tutta la vita che germogliò in me in quei momenti…
…per tutto questo, IO NON SONO UN’ILLUSIONE.

- TU NON SEI CHE UN’OMBRA CREATA PER FERIRE LUI!-

Per la prima volta in cui lo vidi, tra le ombre della notte, solo, irrimediabilmente solo, ed indifeso…
Per il desiderio che provai di proteggerlo, da subito, da quel primo incontro…
Per la fiducia che lui mi dette subito, e che io cercai di conservare come meglio potevo…
Per il momento in cui mi resi conto che avevo nuovamente un motivo per vivere…
…per tutto questo, IO NON SONO UN’OMBRA!

- TU NON SEI VIVO!-

Per ogni passo, ogni parola, ogni respiro, ogni grido, ogni pensiero che ha costituito la mia vita in questi anni…
Per ogni persona incontrata, per ogni parola regalata, per ogni sentimento che questi incontri mi hanno portato…
Per ogni rapporto intrecciato, per ogni affetto donato, per ogni sorriso ricevuto…
…per tutto questo, IO SONO VIVO!

- TU NON PUOI VIVERE!-

Per tutte le volte che sono rimasto ad aspettarlo di notte, angosciato perché conosco la sua passione per ciò che è oscuro, eppure anche fiducioso nel suo ingegno e nel suo animo…
Per tutte le volte che ho chiamato nonostante il silenzio, ho pregato nonostante il dubbio, ho sperato nonostante niente mi concedesse la speranza…
Per tutte le volte che ho atteso, perché sapevo che un passo in più sarebbe stato un tradimento, anche se l’attesa era dolorosa, per me…
Per tutte le volte in cui ho dovuto usare tutta la mia fantasia e il mio spirito per trovare modi sempre nuovi ed efficaci di offrire consolazione e sostegno…
Per tutte le volte in cui ho dovuto parlare, anche se non avevo parole, per tutte le volte che ho costretto al silenzio le parole che volevano liberarsi…
Per tutte le volte che ho lasciato me stesso dietro, per mettere davanti a tutto lui…
…per tutto questo IO POSSO VIVERE!

- TU NON ESISTI!-

Per ogni volta che mi sono messo tra lui e la morte, senza pensare, lasciando che il cuore prendesse il sopravvento su tutte le altre facoltà…
Per tutte le volte in cui ho guardato la mia vita, chiedendomi se avessi scelto la strada giusta, e la sensazione di forza e dolcezza sprigionata dal mio ruolo di custode silente mi ha detto di sì, che forse non stavo sbagliando…
Per tutte le cose che ho imparato, che forse i re nei loro palazzi e le signore dall’alto delle loro ricchezze non conosceranno mai…
Per tutte le meraviglie che ho visto, nel sorriso di una bambina, negli occhi e nel cuore di lui…
Perché, anche se sono solo un’illusione, un’ombra, un progetto astuto e crudele, la parte più oscura di un piano di menzogna e morte, io in realtà respiro, vedo, parlo, grido, amo…
Perché qualcuno mi ha voluto, chiamato, amato…
…per tutto questo, IO ESISTO!

IO SONO.

IO.

…e non tu.

Tu sei la vera anima, io solo un’illusione.
Ma tu sei l’ombra e io sono l’Amore.
Allora, chi è più vivo?
Chi ha la forza di resistere?

- TU NON SEI NIENTE!-
No, ti sbagli. Tu forse eri, ma adesso non sarai più.
IO SONO.
IO.
…ma non per me.
Tu sei la morte, io sono l’Amore. E per questo io sono.
Tu sei la fine, io sono l’Amore. E non puoi vincermi.
Perché voi servi delle ombre fate sempre i conti senza l’Amore?

- TU…-

Addio.
IO SONO.
IO.
per chi mi ama. Perché io amo.
IO SONO.






Fine episodio VI

…vi prego, non chiedetemi come è uscita questa cosa. So solo che quando nel manga arrivai alla scena in cui, dopo la “lotta” interiore, Riff si volta verso Cain e sorride, e si capisce che ha vinto il lato buono…Mi sono venuti i brividi. E ho capito che avrei finito per scrivere una fic su quel momento...
Io non sono una sostenitrice del lato “shounen-ai” di God Child, perché il rapporto dei due protagonisti mi affascina così com’è, senza definizioni precise, e la connotazione di innamoramento secondo me toglie fascino alla faccenda. Però non si poteva che usare la parola “amore”, in questo capitolo, nel suo significato più esteso.
yumemi@hotmail.it

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Capitolo 7
*** VII - La città liberata ***


VII – La città liberata

Alzerò il bicchiere
Farò un brindisi
Un brindisi in tuo onore
Ti sento ridere…

(Tori Amos)



Londra, 1947

Sulla banchina ad attenderla c’era un vecchio.
Non tanto vecchio come se lo aspettava, comunque.
- Grazie per essere venuto!- Gli sorrise, con il candore e il fascino con cui aveva imparato a sorridere, da donna. Lui le fece un inchino cortese.
- Bentornata a Londra, signora.- Lei si fermò qualche istante ad osservarlo. Dovette indugiare troppo sul suo viso, però, perché lui se ne accorse. – Vi aspettavate una creatura decrepita, vero?-
- Sì.- ammise lei. – Sembrate poco più vecchio di me. Eppure... Voi... Con quello che...-
- Un ultimo regalo della Delilah, immagino.- sospirò lui. – Anch’io pensavo che sarei durato poco, in questo corpo non mio. Beh, non so cosa mi abbiano fatto, che tecnica abbiano usato, ma sembra che siano riusciti ad allungarmi la vita. Come se non avessi vissuto abbastanza!-
La nota straziante nella voce del vecchio fu il primo particolare che la rigettò nei tempi lontani in cui viveva a Londra, ed era prigioniera del suo incantesimo. Da tanti anni ormai viveva in America, con suo marito e i suoi tre figli. Di tutta la disperazione del passato non c’era più traccia. C’erano solo i dolori e le fatiche che ogni vita fa incontrare, insieme alle meraviglie di ogni giorno.
Ma da quando si era lasciata Londra alle spalle aveva dimenticato anche che potesse esistere una disperazione così profonda.
- Non potevate andarvene da qui?- gli domandò.
- Non lo so.- sospirò lui. – Sì, potevo. Ma se me ne fossi andato, avrei finito per dimenticare. Succede sempre, sapete. Si dimentica per sopravvivere, e io non mi meritavo di dimenticare.-
- Tutto quello che ci è successo... Non è stato abbastanza per cancellare le colpe?- mormorò lei.
- Non lo so. Però voi non avevate colpe. Voi siete una delle vittime innocenti di tutto quel che ci è successo.-
- Ma io ho avuto una vita felice, una volta lasciata Londra. Ho ancora una vita felice. C’è mio marito, ad aspettarmi, e i miei figli e nipoti, e...-
- Non vi siete pentita di aver rinunciato al titolo nobiliare e a quel che avevate qui?-
Si guardarono negli occhi per la prima volta, in quel momento. - Mai. A che sarebbe servito rimanere qui, mentre il mondo che conoscevamo appassiva? Il dono che mio fratello mi ha fatto è stato... La vita, e la fiducia in me stessa, non certo il titolo nobiliare. Quando ho trovato la mia strada e qui non c’era più niente da fare, anche il compito di guidare la famiglia non aveva più senso. In realtà, non c’era più una famiglia da guidare. E poi, è molto meglio che il nome maledetto di quella famiglia si sia estinto, finalmente.-
- Voi siete...- Si fermò, imbarazzato.
- Io sono?- incalzò lei, senza capire.
- Siete diventata una bellissima donna.-
- Oh Cielo!- Rideva di gusto, era divertita da quel complimento così tenero e goffo. – Ho quasi sessant’anni!-
- E siete ancora una bellissima donna.-
- Per fortuna Oscar non è qui con me, o dovreste fare i conti con lui!-
- Come sta Oscar?-
- Non molto bene.- S’incupì, ma l’attimo buio passò in fretta. – Non sta bene nel fisico, ma ha la stessa energia di sempre. Insieme siamo riusciti a superare tante difficoltà, e così sarà anche per questa.-
- E’ per questo, per la sua salute, che siete venuta da sola?-
Lei scosse la testa, incerta se dire la verità o meno. Decise di sì, alla fine.
- Anche per questo. Ma il vero motivo è un altro. So che dopo non potrò farlo mai più. Sono fuggita da questa città che avevo vent’anni, perché nonostante la felicità di mio marito e del mio primo figlio c’era ancora qualcosa di maligno, sotto questo cielo, che mi toglieva il respiro. Eppure, una parte di me è rimasta legata alla mia città. Io... Volevo rivederla. Sentire di nuovo la sua magia. Io avevo bisogno di dirle addio.-
- E perché avete chiesto di vedermi?-
- Perché siete l’ultima persona che conosco, qui. Mio zio Neal, mia zia Kathleen, la signorina Luchia, il signor Cleador... Sono tutti morti. Tutti i vecchi amici di Londra. Tranne voi.-
Sembrò quasi sconvolto da quella frase così innocua.
- ... amico?-
E lei si sentì molto fiera di averlo colto di sorpresa, con quella frase per niente innocua.
- Siamo stati nemici una volta, è vero. E allora? Il tempo trasforma tutto, Casian.-
- Sì, ma...-
- Ditemi, vi prendete ancora cura di quella tomba?-
Casian si arrese al fatto sconcertante che la signora Maryweather Gabril lo considerasse un amico, e sospirò.
- Stupido, eh? E’ che... Oh, ma voi non avete mai sentito il bisogno di avere una tomba da visitare, in tutti questi anni?-
- A dire il vero, no. Ho imparato che le persone care sanno essere con noi in ogni istante.-
Casian sembrò meditare su quelle parole, nei lunghi momenti di silenzio che seguirono.
Intanto si muovevano tra le vie, che una volta le erano familiari. Senza paura, dai quartieri più poveri alle strade scintillanti. Itinerari compiuti mille volte da entrambi. Era tutto diverso: il mondo aveva cambiato faccia, dall’ultima volta in cui la donna aveva visto la sua città. Il tempo trasforma tutto, davvero.
- Signora Maryweather. Pensate che... Se c’è... qualcosa come un Dio... Pensate che li abbia perdonati? Almeno un po’?- La domanda gli uscì di bocca con un’urgenza dolorosa e la lasciò senza parole.
Però capì che doveva rispondere, e quindi raccolse il coraggio e ci provò.
- In questi anni ci ho pensato tanto. E ho capito due cose. Che non si può pretendere di capire cosa c’è nella mente di Dio. E soprattutto, che non si può mai sapere cosa c’è nel cuore degli uomini, fino alla fine. Se è vero che cose come l’amore o il sacrificio cancellano le colpe peggiori... Io credo di sì. Credo che alla fine siano stati perdonati.-
- Siete diventata anche una donna saggia, oltre che bella.-
- Oh, Casian, la volete smettere di lusingarmi così?-
Rise ancora, e si sentì sollevata. Forse aveva bisogno di dirle a voce alta, quelle cose, proprio lì tra le vie del luogo dov’era cresciuta, e dove aveva visto cose bellissime e cose terribili.

Rimase in città dieci giorni, ospite dell’unica casa che aveva conservato, di tutto il patrimonio familiare. Rivide Casian l’ultimo giorno, prima di imbarcarsi. Quando la raggiunse, ebbe l’impressione che fosse più curvo del giorno in cui l’aveva accolta, e le sue mani avevano preso a tremare leggermente.
- Com’è andato il vostro addio, Maryweather?-
- E’ tutto un altro mondo.- rispose lei. – E’ strano. Devono essere successe così tante cose. Due guerre, nella vecchia Europa. Di là dal mare è un po’ difficile da capire. Mi vengono i brividi. Eppure... Non so, ho come l’impressione che da quei giorni bui, alla fine dello scorso secolo, la città sia stata come liberata. Ah, lascia perdere, sono le fantasie di una vecchia!-
- Non sono fantasie. E’ così. Quella società che indagava il senso della vita giocando con le leggi naturali... Il loro incantesimo era molto forte, anche se rimaneva nascosto. La città è stata davvero liberata. E gli eroi... Noi li conosciamo molto bene.-
- Gli eroi... Messa così, sembra una specie di fiaba. Gli eroi che combattono contro l’incantesimo malvagio che tiene prigioniera la città. Solo che questa fiaba non è finita così bene.-
- Mah. Chi lo sa. Forse, nemmeno così male.-
Si sorrisero, e lei all’improvviso si sentì colma di una pace, come mai le era successo. Ebbe davanti agli occhi tutta la sua esistenza, con tutti i frammenti al posto giusto, con tutti i fili riuniti in un unico intreccio, che aveva senso, finalmente!
- Forse è davvero così.- mormorò. Poi decise che era il momento della sorpresa finale. Tirò fuori dalla borsa un foglio e lo porse a Casian. – Avete detto che negli ultimi anni avete aiutato la gente dei quartieri poveri, no? Beh, ora potete usare la mia casa, l’ultima che mi era rimasta.-
- Ma cosa...-
- E’ vostra. E’ l’atto di passaggio di proprietà. L’ho fatto redigere ieri da un notaio. Usatela bene... e state tranquillo, non ci sono cose strane, di quelle che piacevano tanto ai membri della mia famiglia.-
Casian accettò il foglio tra le mani tremanti, e le fece un inchino, incapace di ringraziarla in altro modo.
- Maryweather...-
- Fate un brindisi in nostro onore, vi chiedo solo questo. Alla salute della famiglia Gabril, che prospera oltreoceano. E in memoria di tutti quelli che sono morti nei giorni più bui della nostra vita, quelli che abbiamo amato e perso... No, quelli che abbiamo amato, e mai perso! Fate un brindisi speciale per il vostro dottore, e per mio fratello. Nella speranza che si siano incontrati... E abbiano sanato la maledizione di Caino e Abele.-
Casian aveva nascosto il viso tra le mani, e anche se lei non poteva vedere i suoi occhi, sapeva che stava piangendo.
- ... lo farò. Ve lo prometto.-
Le baciò la mano, e poi l’accompagnò fino alla gradinata d’imbarco, in silenzio. Un ultimo sguardo, un “buon viaggio” sussurrato, e poi...
- Può darsi che stessi aspettando proprio questo, per partire anch’io.- mormorò lui, e furono le ultime parole che lei sentì, prima di essere trasportata dalla folla fin dentro la nave. E sorrise, con quel sorriso innocente e vissuto che aveva sempre avuto e che non aveva perso con gli anni.
Quando fu a bordo continuò a dare le spalle a Londra. Non si voltò più, nemmeno per rivederla un’ultima volta. L’addio era dato. L’incantesimo sciolto per sempre. Il cerchio chiuso, finalmente.

E questa volta è davvero tutto.


FINE



Due anni dopo, post-rilettura del manga. L’ultimo capitolo che volevo scrivere a tutti i costi, e che nella mia mente ha cambiato forma mille volte. Alla fine è uscito così.
Piccola nota sull’anno in cui è svolta questa storia. Allora... Jack the Ripper ha commesso i suoi omicidi nel 1888. Ma la regina Vittoria compì 60 anni di regno nel 1898. Immagino che o la signora Yuki ha fatto un po’ di arrosto cronologico, visto che entrambi gli eventi sono citati nel manga, o il Jack del “Sigillo” era un emulo del Jack vero. O era un secondo Jack - e anche il primo e più famoso probabilmente era assoldato dalla Delilah, forse? Non lo so, ma comunque io ho considerato il sessantesimo della regina come data di riferimento (ricordate? Il finale della storia si svolge per l’appunto durante quella festa...) Per cui, se Mary aveva circa 10-11 anni nel 1898, ne ha quasi 60 nel 1947.
Grazie per aver amato questa storia, negli anni passati...XD E grazie per aver atteso così tanto questo finale. Beh, vi saluto. Grazie a tutti, davvero.
Grazie alla signora Yuki che, nonostante follie, esagerazioni, incesti e angst oltre i limiti consentiti dalla legge, ha creato una bella storia, con tante belle idee e splendidi personaggi, nella quale è un piacere rituffarsi, tutte le volte.

(Uh, e visto che sono arrivata alla fine di quest'impresa, un commento lo lasciate, vero?XD Grazie! ^_^)

I’m at: Dark Chest of Wonders

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