La leggenda dei principi di Imladris

di Jadis96
(/viewuser.php?uid=71639)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risa nella foresta ***
Capitolo 2: *** Paura e accordi ***
Capitolo 3: *** Sangue rosso, sangue nero ***
Capitolo 4: *** Il Passo Cornorosso ***
Capitolo 5: *** Al tramonto ***
Capitolo 6: *** Imladris avvelenata ***
Capitolo 7: *** Sull'orlo del baratro ***
Capitolo 8: *** Verso Ovest ***
Capitolo 9: *** I due principi ***
Capitolo 10: *** Gli Uomini dell'Ovest ***
Capitolo 11: *** Figlio di nessuno ***
Capitolo 12: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 13: *** Dalle Terre Selvagge ***
Capitolo 14: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 15: *** Appena sbocciato ***
Capitolo 16: *** La vigilia della battaglia ***
Capitolo 17: *** Sul campo ***
Capitolo 18: *** Dolore ***
Capitolo 19: *** I due fratelli ***
Capitolo 20: *** Il Serpente strangolatore ***
Capitolo 21: *** Il Presagio si avvera ***
Capitolo 22: *** Spezzato ***
Capitolo 23: *** Nei regni dei Dùnedain ***
Capitolo 24: *** Inverno ***
Capitolo 25: *** Segni del tempo ***
Capitolo 26: *** Riuniti ***
Capitolo 27: *** La caduta del Capitano ***
Capitolo 28: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 29: *** Risposte ***
Capitolo 30: *** Assenza ***
Capitolo 31: *** Viaggio a Lórien ***
Capitolo 32: *** Doveri ***
Capitolo 33: *** Partenze e arrivi - parte 1 ***
Capitolo 34: *** Partenze e arrivi - parte 2 ***



Capitolo 1
*** Risa nella foresta ***


 Mae g'ovannen! E’ con grande piacere che posto (finalmente) la mia prima fanfiction in questa sezione. La mia passione per Il Signore degli Anelli e, in generale, per tutti gli scritti di Tolkien, è nata anni fa, e da allora ha accompagnato ogni fase della mia vita. Tante volte ho pensato di scrivere qualcosa su questa magnifica saga, ma mi ha trattenuta dal farlo la paura di poter in qualche modo “profanare” la storia originale. Per questo ho deciso di dedicarmi a due personaggi appena accennati nei libri: Elladan ed Elrohir. Chi ha visto solo i film potrebbe non conoscerli, visto che lì non sono presenti, ma comunque non dovrebbe avere problemi a leggere questa ff. Vi basta sapere che sono i figli gemelli di Elrond, fratelli maggiori di Arwen. Spero che questo primo capitolo vi piaccia; se avete suggerimenti, critiche, inviti a darmi all’ippica, commenti ecc… non esitate a farvi vivi.
 
 
Un suono cristallino risuonò nella foresta. Un suono dolce e raro come la pioggia d'estate. Erano le risa di due bambini. Le loro fattezze erano del tutto identiche per chiunque non avesse avuto modo di conoscerli a fondo. I capelli scuri e lisci, gli occhi grigi come il cielo in tempesta, la pelle candida e le orecchie a punta denotavano la loro appartenenza alla nobile razza degli Elfi.
I gemelli fingevano di affrontarsi in combattimento brandendo spade di legno dagli spigoli smussati. Attorno a loro, la foresta era silenziosa in maniera innaturale. L'aria era immobile e gli alberi stavano lentamente perdendo le loro foglie, che ormai ricoprivano ogni angolo di terreno.
I piccoli elfi erano così concentrati nel loro gioco che non si accorsero della voce preoccupata che chiamava i loro nomi. Il combattimento era tanto serrato quanto attentamente misurato: ciascuno si impegnava a non ferire accidentalmente l’altro. Il legame che univa i due fratelli era speciale e misterioso. Sin dalla nascita, i gemelli erano in grado di scambiarsi pensieri ed emozioni, con effetti non sempre gradevoli per entrambi. Il dolore, per esempio, era la sensazione che più facilmente condividevano, volenti o nolenti.
Solo quando il richiamo si fece più vicino e più allarmato, i bambini abbassarono le spade e si guardarono intorno in cerca della provenienza di quella voce familiare.
<< Elladan! Elrohir! >>.
Gli elfi corsero nella direzione dalla quale erano venuti, i sorrisi spensierati ancora dipinti in volto.
<< Adar! >>, esclamò Elrohir quando scorse l'alta figura che veniva verso di loro. Elrond, figlio di Earendil, Signore di Gran Burrone, era preoccupato e al contempo sollevato per aver ritrovato i propri figli.
<< Vi avevo detto di non allontanarvi >>, disse con tono severo.
Elladan abbassò lo sguardo, ammettendo silenziosamente le proprie colpe; Elrohir, invece, replicò, << Non ci siamo allontanati molto, eravamo solo... >>.
<< Non importa. Ora camminate svelti e in silenzio, restate dietro di me >>.
Solo allora i gemelli compresero che c'era qualcosa che non andava. Elrond teneva la mano destra sull'elsa della spada e sembrava pronto a sfoderarla al più presto. Fino a pochi istanti prima non avevano provato altro che eccitazione e orgoglio per essere riusciti finalmente a convincere Elrond a portarli con sé durante un'ispezione della foresta adiacente a Gran Burrone. Si erano incamminati con una compagnia di otto elfi armati di arco e spada, alcuni tra le migliori guardie della città.
Ma quando avevano visto la preoccupazione nello sguardo del padre avevano capito che il pericolo era vicino. Elladan chiese in un sussurro, << Man presta le, adar? Prestad? >>, chiese Elladan.
Elrond rispose senza voltarsi. Per qualche secondo l'unico rumore udibile fu il fruscio dei passi degli elfi sul terreno coperto di foglie.
<< Hanno avvistato degli orchi>>.
<< Ias? >>.
<< Andrete ad ucciderli? >>, chiese Elrohir.
<< Solo dopo che sarete tornati a casa >>.
Nessuno dei due osò protestare. Desideravano ardentemente vedere una vera battaglia, ma sapevano che Elrond non glie l'avrebbe permesso finché non fossero cresciuti.
Quando raggiunsero il resto della compagnia videro molte spade sfoderate e le guardie che parlavano sommessamente.
<< Gli orchi non sembrano essersi accorti di noi, ma marciano verso i nostri confini. Siamo in numero sufficiente per sconfiggerli senza subire perdite significative >>, disse uno di loro non appena vide Elrond.
<< Ogni perdita è significativa. Teliadir, accompagna a casa i miei figli e invia dieci guerrieri. Li attaccheranno frontalmente, mentre noi arriveremo alle loro spalle >>.
<< Sì, signore >>.
Teliadir, uno dei guerrieri meno esperti, dal viso gioviale e lo sguardo sereno, si avvicinò portando per le redini il piccolo cavallo sul quale cavalcavano i gemelli.
Elrond s'inginocchiò per guardarli negli occhi e disse, << Un giorno questo compito spetterà a voi. Non abbiate fretta di crescere, poiché sono pochi gli anni che trascorrerete nella spensieratezza e molti negli affanni che la sapienza comporta >>, la sua voce si era addolcita e aveva perso quella nota di rimprovero che li aveva intimiditi poco prima.
Prese le loro spade di legno, li aiutò a salire in sella e poi glie le riconsegnò.
<< Mi affido a voi affinché badiate a Teliadir >>, sussurrò.
I piccoli elfi sorrisero, dimenticando la paura.
Si guardarono indietro un'ultima volta mentre il loro cavallo galoppava verso Gran Burrone, l'Ultima Casa Accogliente.

 
Traduzione delle frasi in Sindarin.
Adar: padre
Man presta le, adar?:  Cosa ti turba, padre?
Prestad?: C'è pericolo?
Ias?: Dove?
 
P.s. ho scritto alcuni dialoghi in Sindarin (e talvolta in Quenya) per rendere più verosimili le conversazioni. Nonostante ciò non sono un’esperta di lingua elfica, quindi, se doveste notare degli errori, fatemelo sapere e li correggerò.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Paura e accordi ***


Salve a tutti! Grazie alle due persone che hanno recensito il primo capitolo… adesso spero di leggere anche qualche altra opinione, positiva o negativa che sia. Questo secondo capitolo è ambientato quando i gemelli hanno circa sedici anni.
 
 
Elrohir tese l'arco fino a sentire l'impennaggio della freccia sfiorargli la guancia, i muscoli delle braccia che dolevano per lo sforzo. Quella mattina era riuscito a sgattaiolare nell'armeria e a prendere uno degli archi più belli. Sospettava che appartenesse a Glorfindel. "Lo prendo solo in prestito, lo restituirò presto", si era detto.
Mirò al bersaglio di paglia posizionato di fronte a sé e rilasciò la corda. La freccia tagliò l'aria, mancò il bersaglio e andò a conficcarsi nel tronco di un albero.
"Forse avrei dovuto calcolare la direzione del vento", pensò. Ma l'aria era immobile e tiepida. Elrohir non si diede per vinto e incoccò un'altra freccia. Tendere quell'arco troppo grande diventava sempre più difficile, ma il giovane elfo riuscì nell'impresa. La seconda freccia si fermò sul bordo del bersaglio.
Elrohir accolse con soddisfazione il miglioramento, ma poi pensò con amarezza: "Elladan è sempre stato più bravo di me con l'arco". Suo fratello riusciva a centrare il bersaglio la maggior parte delle volte, e ogni volta che si esercitava scopriva di poter tirare più lontano e con più precisione. Elrohir, invece, eccelleva nel combattimento con la spada. Aveva iniziato da poco a prendere lezioni, ma era già in grado di sferrare colpi rapidi e forti.
L'elfo stava tendendo la corda per la terza volta, quando qualcosa lo costrinse a fermarsi.
Paura e dolore s'insinuarono nella sua mente come un'erba velenosa. Elrohir si guardò intorno, allarmato. Era in uno dei giardini di Gran Burrone, il cielo era limpido e il silenzio era interrotto solo dal basso chiacchierare degli elfi che passeggiavano. Accanto a lui c'erano altri che facevano pratica di tiro con l'arco, ma nessuno sembrava condividere il suo disagio.
Elrohir capì che non si trattava del senso di pericolo che talvolta lo metteva in guardia quando usciva dai confini di notte oppure quando stava per arrivare una tempesta, era puro terrore. D'istinto pensò ad Elladan. Non sapeva dove fosse. Odiava non sapere.

La paura aumentò, così come il dolore, acuto e penetrante.
Elrohir lasciò cadere a terra l'arco. All'improvviso aveva capito. Era Elladan ad essere in pericolo. Quella sensazione non gli era del tutto nuova: quando suo fratello provava forti emozioni o quando aveva bisogno di lui, Elrohir poteva sentirlo.
Strinse l'elsa del pugnale che portava al fianco. Era stato un regalo di suo padre per il suo quindicesimo compleanno. Aveva inciso sull'elsa la parola "Laich”, a rappresentare il suo temperamento fiero e impetuoso. Elladan ne aveva ricevuto uno uguale, ma con la scritta "Arod", riferita alla sua nobiltà d’animo. Quelle parole avevano il potere di racchiudere la loro essenza, tanto che spesso le utilizzavano al posto dei loro nomi.
Elrohir si chiese se non dovesse avvisare qualcuno, ma cosa avrebbe potuto dire? Avrebbe solo perso tempo per spiegare il motivo della sua agitazione. Decise di agire da solo.
Prese il suo cavallo, Nòrui. << Gwaem! Noro! >>.

Attraversò i confini della città ignorando le domande affrettate che gli posero le sentinelle. Ogni volta che chiudeva gli occhi, Elrohir vedeva di sfuggita i rami della foresta, taglienti e dolorosi come fruste, poi l'oscurità. Mentre guidava il suo cavallo tra i fitti tronchi degli alberi sapeva istintivamente dove andare, ed era come se Nòrui assecondasse i suoi pensieri.
<< Daro >>, disse all'improvviso. Aveva riconosciuto un albero dalla particolare forma inclinata. Lo ricordava, anche se i suoi occhi non l'avevano mai visto. Scese da cavallo e proseguì a piedi, guardandosi intorno con circospezione. Sentiva che Elladan era vicino. La sua paura era come la punta di una spada dietro la schiena.
Arrivò ad esaminare l'albero inclinato. Scoprì che in realtà era stato sradicato e un grosso buco era stato scavato dove un tempo poggiavano le sue radici. Elrohir agì senza riflettere. La fossa era abbastanza larga perché lui potesse entrarci senza fatica. Allargò le gambe, facendo presa con i piedi sulle pareti di terra, e si aiutò a scendere con le braccia. Era più profondo di quanto si era aspettato. Non poteva essere un luogo di origine naturale.
Quando finalmente riuscì a toccare il fondo era esausto. L'oscurità era quasi totale, ma Elrohir poteva intravedere una sorta di tunnel sotterraneo.
<< Elladan! >>, chiamò, sentendo forte la presenza del fratello.
Un fruscio lo fece voltare di scatto. Prese il pugnale e avanzò tenendolo davanti a sé. << Elladan >>, chiamò di nuovo.
<< Muindor >>, fu poco più che un sussurro, ma Elrohir lo udì chiaramente. Rinfoderò il pugnale e seguì la voce di Elladan. Presto scoprì di poter udire anche il suo respiro affannoso. << Sto arrivando. Non muoverti >>.
Elrohir percorse a tentoni gli ultimi passi quando intravide la sagoma di Elladan accovacciata sul terreno. S'inginocchiò accanto a lui e poggiò le mani sulle sue. Stava tremando. << Stai bene? >>, chiese Elrohir allarmato.
Dal momento in cui toccò Elladan non ebbe più bisogno di parole per capire cosa fosse successo. Era quel luogo piccolo e buio a terrorizzarlo. Le pareti strette attorno a lui erano come il peggiore degli incubi fatto realtà. Era paralizzato dalla paura.
<< Av 'osto. Aphado nin >>.
Elrohir lasciò che Elladan si appoggiasse a lui per alzarsi, ma non gli sfuggì il suo gemito di dolore.
<< Sei ferito? >>.
<< N-non è niente d-di grave >>. La sua voce era debole e incerta.
<< Usciamo di qui >>. Elrohir gli prese la mano e lo guidò dove la luce indicava la via di uscita.
Salire fu più difficile che scendere.
Elladan andò per primo, mentre Elrohir lo seguì subito dopo, pronto ad aiutarlo se la sua presa avesse ceduto. Non ce ne fu bisogno: sembrava che la vista della luce avesse dato nuova forza a Elladan.

Quando Elrohir riuscì ad uscire, suo fratello non si era ancora mosso. Respirava profondamente e teneva lo sguardo fisso verso l'alto. I suoi abiti erano sporchi e macchiati di sangue all'altezza delle gambe. Doveva essersi ferito durante la caduta.
<< Goheno nin. Non so cosa... >>, tentò di scusarsi Elladan, ma Elrohir lo interruppe.
<< Non ce n'è alcun bisogno >>.
Attese di udire il respiro di Elladan calmarsi prima di parlare di nuovo.
<< Cosa è successo?>>.
<< Il mio cavallo si è spaventato ed è corso via. Non ho fatto attenzione a dove camminavo. C’era...qualcosa. Una presenza… >>.
<< Credo che questa fossa sia stata una trappola in origine >>. Elrohir non concluse la sua supposizione. C’erano forze malvagie all’opera in quel luogo, e non era certo di voler scoprire altro.
Elladan annuì. Elrohir notò solo allora che i suoi occhi erano ancora lucidi e arrossati. "Sarei dovuto arrivare prima", pensò.
<< Hannon le >>, disse Elladan.
Prima che Elrohir potesse rispondere si sentì cingere dalle braccia ancora tremanti di Elladan. Ricambiò l'abbraccio e sentì finalmente la paura, la sua e quella del fratello, svanire. Fu come liberarsi di un grosso peso.
Restarono aggrappati l'uno all'altro per un tempo che sembrò lunghissimo, poi Elladan sciolse l'abbraccio e guardò il fratello negli occhi.
<< Non dirlo a nessuno >>.
<< Non c'è nulla di cui tu debba vergognarti. Tutti hanno paura di qualcosa >>. "Anche io oggi ho avuto paura", pensò.
Elladan scosse la testa. << Ada non ha paura di niente >>.
Elrohir stava per concordare, ma poi ricordò una conversazione che aveva avuto con Elrond due lune prima, una sera in cui il cielo era coperto di nuvole grigie e i tuoni annunciavano l'imminente arrivo di una tempesta.
<< Ada mi ha confessato che c'è qualcosa di cui ha paura >>.
Elladan si sporse in avanti, curioso e sorpreso. << Di cosa si tratta? >>.
<< Elegys >>.
Elladan rimase interdetto. Mai avrebbe immaginato che suo padre potesse temere qualcosa di così comune come la pioggia e i fulmini. Quel pensiero contribuì a faro sentire meglio, ma non tanto da fargli cambiare idea.
<< Però devi promettermi di non dire a nessuno quello che è successo oggi >>, ribadì.
<< D'accordo. Resterà tra noi >>.
Quel giorno i fratelli sigillarono un accordo. Nessuno dei due l'avrebbe mai dimenticato nei secoli a venire.

 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Laich: fiamme
Arod: nobile
Nòrui: Giugno
Gwaem! Noro!: Andiamo! Corri!
Daro: fermo
Muindor: fratello
Av 'osto: non aver paura
Aphado nin: seguimi
Goheno nin: mi dispiace
Hannon le: grazie
Ada: papà
Elegys: tempeste

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Sangue rosso, sangue nero ***


Scusate per il ritardo. I prossimi aggiornamenti saranno più rapidi ;)
 
“His sword was long, his lance was keen,
His shining helm afar was seen,
The countless stars of heaven’s field,
Were mirrored in his silver shield”

 
 
Lady Celebrìan, Signora di Gran Burrone, suscitava rispetto e benevolenza nei cuori di coloro che la osservavano. Era alta, più della maggior parte delle donne della sua razza, il suo portamento era fiero, il suo sguardo gentile e i suoi capelli,  neri come la notte e leggermente ondulati, le cingevano la vita. Quella sera c'era un'ombra di inquietudine nei pensieri di Celebrìan.
Stava osservando le stelle dalla piccola terrazza che comunicava con la sua stanza. L'aria era fredda, segno che l'inverno era alle porte, e la luna non era che una sottile striscia bianca nel cielo. Celebrìan si accorse di non essere sola solo quando udì una voce alle sue spalle. << Sei turbata? >>.
L'elfa si voltò di scatto, mentre Elrond veniva verso di lei.

<< Domani i nostri figli si uniranno agli altri maethor e combatteranno contro un gruppo di orchi >>, disse, lasciando trasparire tutta la sua angoscia.
<< Han iston. Hanno avuto la mia approvazione >>, rispose Elrond.
<< Temo per loro. Sono ancora giovani e inesperti e non voglio che affrontino quelle orribili creature >>.
<< Sono ottimi combattenti, ed è tempo che abbiano modo di mettere alla prova il loro coraggio >>. La voce di Elrond era tranquilla, tanto che l'elfa si chiese fino a che punto fosse tranquillo lui stesso. Celebrìan non poté che concordare con le parole di suo marito, ma ribatté: << Non dubito del loro coraggio, ma non posso lasciarli partire a cuor leggero sapendo che potrebbero essere feriti...o peggio >>.
Elrond posò la sua mano su quella di Celebrìan. << Anche io ho paura, ma sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Domani ci sarò io a proteggerli, non lascerò che gli accada nulla >>.
Celebrìan sospirò. Elrond era riuscito ad infonderle parte della sua calma, ma, nonostante ciò, sapeva che quella notte né lei né suo marito avrebbero dormito sonni tranquilli.

Elrohir strinse la presa sull'elsa della spada, più per tensione che per necessità. Avevano trascorso l'intera mattinata a seguire le tracce del passaggio degli orchi, fino a giungere dove gli alberi si diradavano e la foresta terminava. Erano rimasti in attesa, alcuni di loro pronti a correre in campo aperto con le spade sguainate, altri con gli archi tesi e il compito di proteggere i compagni.
Elladan era tra questi. Bastò solo un breve sguardo per capire che il fratello era nervoso quanto lo era lui: erano eccitati ed allo stesso tempo spaventati. Da bambini avevano spesso fantasticato sulle battaglie e i valorosi eroi di cui narravano le canzoni, ma non avevano mai immaginato di provare un tale terrore una volta che il loro desiderio si fosse avverato. Guardò Elrond nella sua armatura che rifletteva i raggi del sole. Era in prima fila, poco lontano da Elrohir.“Un giorno, quando condurrai un esercito ai tuoi comandi, dovrai combattere in prima fila, così da infondere coraggio ai tuoi uomini. Se mostri di avere paura, anche loro l’avranno. Infine, sarai l’ultimo a mettersi in salvo durante la ritirata”, gli aveva detto Elrond anni prima. Quelle parole erano rimaste impresse a fuoco nella sua memoria.


La battaglia iniziò in un attimo e colse Elladan impreparato. Aveva appena intravisto le sagome degli orchi che marciavano nel campo di erba secca, senza il riparo degli alberi, che gli elfi dell'avanguardia si erano già lanciati al loro inseguimento, rapidi e silenziosi.
Elladan, così come gli altri arcieri, fu costretto a correre in avanti per avere gli orchi a tiro.
Scoccò la prima freccia sull'orco che si stava avventando su Elrohir. Un attimo dopo, suo fratello era circondato e combatteva in un groviglio di sangue e metallo. Elladan attese di avere una visuale chiara della sua posizione prima di scagliare altre frecce. Avvertiva il suo cuore battere frenetico di paura e stanchezza.
Elrohir abbatteva la spada su qualsiasi sagoma nera gli capitasse a tiro, senza mai soffermarsi a guardare coloro che aveva ucciso. Le frecce sibilavano ad un palmo dal suo orecchio, ma Elrohir non aveva paura. Qualsiasi cosa fosse successa, sapeva che Elladan lo proteggeva da lontano, sapeva che le sue spalle erano coperte e che suo fratello non avrebbe mai sbagliato mira.

Quando il numero di orchi da combattere si ridusse a tal punto da permettere ad Elrohir di guardarsi intorno, il giovane elfo osservò gli orrori della battaglia. Il sangue rosso intenso dei suoi compagni si fondeva con quello nero degli orchi, che aveva inumidito il terreno come se si fosse trattato di pioggia. Elrohir osservò con profonda tristezza che, nella morte, anche la nobile razza degli elfi era in qualche modo simile ai suoi nemici. E fu questo pensiero che tolse ogni eroismo e ogni poeticità alla battaglia che stava avvenendo davanti ai suoi occhi.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Han iston: lo so
Maethor: guerrieri

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il Passo Cornorosso ***


Per scusarmi dell’immenso ritardo, ecco un capitolo più lungo del solito.



Elrohir si inginocchiò sul prato del rigoglioso giardino di Gran Burrone. Volse lo sguardo in alto e si specchiò negli occhi scuri di Thiliel. L’elfa aveva un viso dolce, incorniciato da folti riccioli biondi.
<< Thiliel, ci velethril e-guil nîn >>, disse Elrohir.
<< Sevig i veleth nîn >>, rispose Thiliel. La sua voce era lieve come una carezza.
Elrohir l’aveva conosciuta appena due inverni prima e da allora erano stati uniti da un legame speciale. Thiliel era dolce e riservata, ma sapeva come maneggiare il carattere impulsivo di Elrohir.
<< Galo Anor erin râd gîn, gûr nîn níniatha n'i lû n'i a-govenithanc >>.
<< Ci rivedremo presto, hiril vuin >>.
Continuarono a passeggiare, ma la serenità che li aveva accompagnati nelle ultime ore era svanita, sostituita da un insistente senso di inquietudine.

Elrond prese il mantello di viaggio di Celebrìan dallo scaffale più alto dove era stato riposto e glie lo poggiò sulle spalle. << Non andare >>, disse, dando voce al pensiero che l'aveva tormentato durante gli ultimi giorni.
Celebrìan si voltò con espressione leggermente divertita. Era raro che Elrond manifestasse così apertamente le sue preoccupazioni più intime.

<< Perché dici questo? >>, chiese.
<< Ho un brutto presentimento >>.
Celebrìan tornò seria. Le mani di suo marito erano ancora poggiate sulle sue spalle, come se avesse paura di lasciarla andare.
<< Non temere. Partirò con i nostri figli e, anche se così non fosse, sono in grado di difendermi da sola dai pericoli che si nascondono tra gli alberi >>.
Elrond non rispose; distolse lo sguardo e Celebrìan poté percepire tutto il suo sconforto.
Ricordò quando, appena dieci anni prima, avevano avuto una discussione simile poco prima che i loro figli partissero per la loro prima battaglia. Era come se la storia si ripetesse, con l’unica differenza che adesso i loro ruoli erano invertiti. Celebrìan seguì Elrond con lo sguardo mentre passeggiava nervosamente nella stanza.
<< Ho fatto dei sogni >>, disse, << Ho visto cose terribili >>.
<< Perché non me l'hai detto prima? >>.
Elrond si fermò e la guardò negli occhi. << Non volevo spaventarti >>, disse.
<< Mi stai spaventando adesso >>.
Celebrìan pronunciò quell'ultima frase senza celare la propria irritazione. Suo marito sapeva bene che non sopportava che le fossero nascoste delle informazioni.
<< Scusami, non era mia intenzione offenderti >>. Elrond abbassò lo sguardo. Aveva capito di essersi inoltrato in acque pericolose.
<< Allora finisci quello che hai iniziato: raccontami in cosa consistono i tuoi presagi >>. Celebrìan aveva parlato con voce neutra, nel tono distaccato che assumeva quando era sulla difensiva. Elrond lo percepì all'istante.
Gli affiorarono alla mente visioni di dolore e morte, di sangue nero e urla di terrore. Sapeva che non poteva impedire a Celebrìan di partire; la sua indole era troppo fiera per lasciarsi intimidire da quelle parole.
<< Non importa. I sogni restano tali >>, disse infine.
Celebrìan uscì dalla stanza senza aggiungere altro.

Tre ore più tardi, la partenza era imminente. Venti elfi erano stati incaricati di scortare la Signora di Gran Burrone e i suoi figli fino a Lòrien.
Celebrìan cavalcava un cavallo grigio, mentre Elladan e Elrohir montavano due stalloni sauri, identici tra loro.
Elrohir cercò con lo sguardo Thiliel tra la folla di coloro che erano venuti ad assistere alla partenza, ma scoprì poco dopo che l’elfa non c'era. Si erano già salutati prima, si disse, non c’era ragione di aspettare di vederla di nuovo. Tuttavia, in cuor suo, Elrohir era deluso.

Raggiunse Elladan, che stava parlando con Elrond.

La loro conversazione fu breve e formale. Sembrava che Elrond stesse per aggiungere qualcosa, quando Arwen, la loro sorella minore, s’intromise e gli raccomandò di tornare presto. Elrond osservò con muto divertimento l'esuberanza della figlia, ancora così giovane, e quasi dimenticò le sue preoccupazioni.
Si congedò dai gemelli e si diresse verso l'ultima persona che avrebbe salutato. Celebrìan stava vagando con lo sguardo in cerca di qualcuno, e solo quando vide Elrond venire verso di lei si fermò, con un lieve sorriso in volto.
<< Volevo scusarmi per la reazione scortese che...>>.
<< Non devi scusarti >>, la interruppe Elrond, << E’ giusto che tu manifesti il tuo sdegno, ma è altrettanto giusto che io mi preoccupi per te >>.

Celebrìan fece del suo meglio per sorridere. Voleva rendere quella separazione il più serena possibile. Rispose con un abbraccio, che Elrond ricambiò con trasporto. << Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle, melamin >>, le sussurrò.

Erano trascorsi quattro giorni dalla partenza.
Elrohir ed Elladan cavalcavano in testa alla compagnia, attenti a rilevare eventuali pericoli. Quel giorno il cielo era terso, mentre un vento leggero rendeva la temperatura piacevole. L'umore generale era alto, in parte per via del clima favorevole, in parte per la tranquillità con cui il viaggio si stava svolgendo.
Elladan osservò l'espressione attenta e concentrata del fratello. << Aspiri a diventare una sentinella? >>, gli chiese con tono canzonatorio.
Elrohir rispose a metà tra il divertito e l'irritato. << Se ci fosse un pericolo te ne accorgeresti solo dopo esserci passato sopra. Fortuna che non sei tu la sentinella >>. Elladan rise. In quei casi suo fratello amava ribadire che era lui il più vecchio, e pertanto era normale che fosse anche il più responsabile. "Sette minuti, Elrohir", gli ricordava ogni volta Elladan, "Sei nato solo sette minuti prima di me".
Si voltò verso il resto della compagnia. Stavano avanzando lentamente, ma in compenso si concedevano il minor numero possibile di pause. Lady Celebrìan stava chiacchierando con un'elfa che cavalcava al suo fianco; quando incrociò lo sguardo di Elladan gli sorrise. Tutte le loro preoccupazioni riguardo alla partenza si erano rivelate infondate: andava tutto per il meglio.
<< E’ arrivata l'ora di far sgranchire le zampe ai nostri cavalli, non credi? >>.
Elrohir sospirò al sentire quelle parole. Sin da quando erano bambini il gioco che amavano di più era spronare i cavalli al galoppo e, dopo aver stabilito un punto di arrivo, fare a gara a chi riusciva ad arrivare per primo. Non c'era mai stato un vincitore ricorrente, giacché i due gemelli finivano spesso per discutere su chi avesse davvero vinto. Anche da adulti avevano mantenuto quello strano passatempo, solo che le corse si erano fatte sempre più lunghe e terminavano solo quando entrambi erano esausti.
<< Non è prudente allontanarci >>, rispose Elrohir.
<< Non ci allontaneremo di tanto >>.
Prima che Elrohir potesse ribattere, Elladan era già partito a tutta velocità. Lo stava sfidando. Elrohir sorrise tra sé e spronò il suo cavallo fino a raggiungere quello di Elladan. Per pochi, preziosi secondi, non udirono niente al di fuori del rumore del vento e del battito degli zoccoli dei cavalli sul terreno. Era un momento di pura pace. Si fermarono per muto accordo in prossimità di una radura. Elladan era arrivato per primo. << Ma solo perché sei partito prima >>, precisò Elrohir.
<< O forse perché sono più veloce >>, rispose Elladan sorridendo.
Restarono fermi per qualche minuto per dare tempo ai cavalli di riprendere fiato, e intanto si guardarono intorno.

<< Sembra tutto tranquillo qui >>, disse Elladan. In quel punto della foresta gli alberi erano più radi e lasciavano libero accesso ai raggi del sole.
<< C’è qualcosa che non mi convince >>, ribatté Elrohir. << Ascolta attentamente >>.
Il silenzio era assoluto. << Non sento niente >>, disse Elladan.
<< Esatto. C’è troppo silenzio >>.
Era come se tutti gli animali avessero abbandonato quel luogo. Anche i loro cavalli sembravano impazienti di tornare indietro. Qualcuno era passato di lì prima di loro.
<< Andiamocene >>, disse Elrohir.
Elladan concordò e si affrettò a seguirlo. Successivamente gli elfi deviarono dal loro percorso originale in maniera da evitare quel luogo desolato. La loro meta distava ormai pochi giorni di cammino, ma il passo più pericoloso doveva ancora arrivare.
 
Il Passo Cornorosso era un luogo ostile e tetro. La vegetazione era quasi assente ed il sentiero era costeggiato da picchi rocciosi. Il clima era gelido e la nebbia rendeva difficile individuare eventuali pericoli.
Gli elfi iniziarono la traversata di Cornorosso dopo sette giorni dalla partenza.
<< Gli arcieri si disporranno sul lato esterno. Gli altri restino in guardia e in silenzio >>, ordinò Elrohir.
Elladan impugnò il suo arco. Nulla era rimasto del buonumore che li aveva accompagnati durante la prima parte del viaggio. Adesso erano nervosi e attenti.
Elrohir si voltò e rivolse una breve occhiata a Celebrìan. L’elfa sostenne il suo sguardo e annuì. Bastò quel breve gesto per infondergli sicurezza. Si convinse che sarebbe andato tutto per il meglio.
 
La traversata era iniziata da poco più di due ore, quando un grido di allarme giunse dal retro della compagnia. Elladan ed Elrohir si voltarono di scatto, ma la nebbia rendeva impossibile vedere da dove era provenuto quel suono. Presto li raggiunse Glorfindel sul suo cavallo nero. L’elfo era uno degli amici più fidati di Elrond ed era stato come un secondo padre per i gemelli. I suoi consigli e la sua abilità con la spada si erano rivelati indispensabili in più di un’occasione. << Un gruppo di orchi. Ci stanno attaccando >>, disse.
Elrohir sguainò la spada. << Restiamo compatti. Glorfindel, vieni con me. Elladan, con gli arcieri >>.
Elladan esitò. Non voleva lasciare suo fratello da solo. D'altronde avevano sempre combattuto insieme in passato.
Stava per ribattere, ma Elrohir lo interruppe. << Ho bisogno che sia tu a condurre gli arcieri, così non si disperderanno >>, sussurrò.
<< Mi fido di te >>, aggiunse.
Elladan infine annuì. Spronò il suo cavallo al galoppo per raggiungere gli arcieri, che puntavano i loro archi verso le rocce. Cercò brevemente sua madre e la vide accanto ad Elrohir e Glorfindel, anch’essa pronta a combattere con la sua spada.
<< No dirweg! >>, disse.
Il primo orco sembrò comparire dal nulla. Venne verso di loro ringhiando e brandendo un’ascia.
<< Dago den! >>, ordinò Elladan. Un attimo dopo, l’orco cadde trafitto da tre frecce. << Presto arriveranno gli altri. Qualsiasi cosa accada, restate uniti >>.
Gli orchi si riversarono su di loro come un fiume nero. Per un tempo che sembrò interminabile Elladan non fece altro che scoccare frecce, una dopo l’altra. Ma per ogni orco che uccideva, ne arrivavano altri due. Erano troppi.
Presto furono costretti ad arretrare.
 
Elrohir era circondato. Aveva perso di vista la maggior parte degli altri elfi, ma la battaglia era così frenetica da non lasciargli neanche un istante per voltarsi a cercarli.
Non riusciva a vedere Elladan, ma lo percepiva. Sentiva la sua stanchezza e il suo dolore, frutto di qualche ferita superficiale. Neanche lui avrebbe resistito ancora per molto.
Era appena riuscito a crearsi un varco tra i nemici, quando vide qualcosa che gli fece gelare il sangue nelle vene. Celebrìan, impaurita e sporca di sangue nero, era stata immobilizzata da due orchi. Quella terribile visione distrasse Elrohir, che colse appena lo scintillio della lama che stava per colpirlo. Poi, il dolore.
 
Elladan, così come gli altri arcieri, era stato costretto ad estrarre la propria spada, in quanto gli orchi si erano avvicinati troppo per essere alla portata degli archi.
Finalmente parve che i nemici diminuissero ed Elladan poté brevemente riprendere fiato.
Molti, troppi elfi giacevano in laghi di sangue. Alcuni di loro erano stati suoi amici, altri erano stati dei valorosi compagni di viaggio. Elladan pensò che era tutto terribilmente ingiusto.
Aveva appena ucciso uno degli ultimi orchi nei paraggi, quando un dolore lancinante al fianco gli mozzò il respiro. All’inizio fu certo di essere stato colpito, ma quando abbassò lo sguardo non vide segni di ferite.
Un attimo dopo realizzò che il dolore che avvertiva non proveniva da lui, ma da Elrohir.
Guardò suo fratello, e fu come guardare se stesso. Lo vide cadere in ginocchio, mentre una macchia di sangue si allargava sui suoi abiti e una spada nera si abbatteva su di lui.
Elladan era paralizzato. Non poteva fare nulla, poteva solo guardare.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Ci velethril e-guil nîn: sei l’amore della mia vita
Sevig i veleth nîn: ti amo anche io (lett: anche tu hai il mio amore)
Galo Anor erin râd gîn: che il sole risplenda sulla tua strada
gûr nîn níniatha n'i lû n'i a-govenithanc: attenderò con ansia il tuo ritorno (lett: il mio cuore piangerà finché non ci rivedremo)
hiril vuin: mia dama
Aa’ menle nauva calen ar’ ta hwesta e’ ale’quenle, melamin: Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti, amore mio
No dirweg: fate attenzione
Dago den!: Uccidetelo!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Al tramonto ***


Per farmi perdonare dei ritardi nell'aggiornare (causa: esame di maturità), il prossimo capitolo arriverà per la prossima settimana :)

Il tempo sembrò rallentare, poi fermarsi.

La spada nera, che un attimo prima stava per abbattersi sull’elfo ferito, si bloccò a mezz’aria, e poi cadde sollevando una nuvola di polvere.
Era accaduto tutto in pochi secondi, ma ad Elladan era sembrata un’eternità. Per quel breve periodo di tempo non era stato se stesso: era come se la sua coscienza si fosse allontanata dal proprio corpo per tentare di raggiungere Elrohir. Tuttavia, fallendo nell’impresa, era rimasta sospesa nel vuoto, inerme e disorientata. Solo quando Elladan vide l’orco cadere trafitto dalla spada di Glorfindel, capì cosa era successo. L’elfo più anziano aveva agito per lui e aveva salvato le loro vite.
<< Posso affrontare da solo i pochi che sono rimasti, tu resta con tuo fratello >>. La voce profonda e decisa di Glorfindel lo riportò alla realtà. Doveva agire.

La seconda cosa che Elrohir avvertì, dopo il dolore, fu l’angoscia di suo fratello. Un attimo dopo, Elladan era lì, che ispezionava la lunga ferita sul suo fianco.
<< Non è profonda, ma dovrò cercare di fermare il sangue >>.
Elrohir annuì. Non si fidava della propria voce abbastanza per parlare.
Si stese sui gomiti, tentando di concentrarsi su qualcosa che non fosse la macchia rossa che si allargava sui suoi abiti. Osservò Elladan mentre estraeva il pugnale e lo utilizzava per tagliare dei lembi di tessuto dal proprio mantello. Poi li dispose come una rudimentale fasciatura. Elrohir s’irrigidì quando una fitta di dolore pervase il suo intero corpo. Per un attimo, anche le mani di Elladan esitarono, ma ripresero subito dopo con più decisione.
Elrohir si guardò attorno: gli ultimi orchi si stavano ritirando tra i picchi rocciosi, correndo sui corpi dei loro compagni caduti. Tra gli elfi, soltanto cinque erano rimasti.
Ad un tratto, fu pervaso da un senso di terrore.
Celebrìan non era tra loro.
Guardò Elladan, che aveva appena terminato di legargli le bende attorno alla vita.
<< Dov’è nostra madre? >>, chiese, temendo la risposta.
Ricordò la terribile visione che aveva avuto degli orchi che la trattenevano, e del sangue che ricopriva ogni cosa. Tentò di alzarsi a sedere, ma il dolore lo costrinse a restare fermo.

Elladan non credeva di poter sopportare altre perdite. La domanda di Elrohir sollevava un dubbio atroce. Tra tutti quei cadaveri poteva esserci quello di sua madre.
Scattò in piedi. << Glorfindel! >>, chiamò.
L’elfo biondo si avvicinò. Dalla sua spada ancora gocciolava sangue nero.
<< Lady Celebrìan è scomparsa >>, disse, prevedendo la domanda che gli stava per essere posta.
Elladan avrebbe voluto urlare. Strinse i denti ed ascoltò Glorfindel.
<< Stiamo controllando tra i morti e i feriti, ma non c’è traccia di lei. Gli orchi potrebbero averla rapita >>. Quell’ultima frase raggelò l'aria.
<< Prepara un cavallo. Li inseguirò e li ucciderò, o morirò provandoci >>, disse Elladan. Il suo tono di voce era cambiato repentinamente. Adesso era il tono di un comandante.
<< Ne preparerò due e verrò con te >>, rispose Glorfindel.
Elladan non osò controbattere. Sapeva di non avere l'autorità né l'esperienza per contraddire Glorfindel. << Ben iest gîn >>, rispose.

Elrohir aveva seguito la loro conversazione fino a quel momento senza intervenire, ma non appena Glorfindel si fu allontanato di nuovo, si rivolse ad Elladan.
<< Vengo con voi >>, disse.
<< Non se ne parla >>, ribatté Elladan.
<< Non ti stavo chiedendo il permesso >>.
<< Sei ferito, non puoi affrontare altri combattimenti >>.
<< Posso ancora combattere meglio di te >>.
<< Non è il momento di scherzare >>.
<< Hai ragione, è il momento di agire >>, concluse Elrohir.
A fatica, riuscì ad alzarsi. Elladan lo scrutò attentamente. Era pallido e sofferente, ma non era in pericolo di vita. Non ancora, almeno.
<< Ci ben-ind >>, mormorò Elladan, irritato.

Poco tempo dopo, Glorfindel e i gemelli cavalcavano seguendo le tracce degli orchi fuggiti.
I sentieri diventavano sempre più stretti e accidentati e la nebbia si infittiva. Glorfindel sembrò riconoscere la via che stavano percorrendo. << Si dirigono a Mordor >>, disse.
Elrohir spronò il cavallo ad aumentare il passo. Ad ogni sobbalzo il dolore ritornava più intenso, ma in quel momento non era importante. L'unica cosa che contava era salvare Celebrìan.
Ogni volta che pensava a lei, gli affioravano alla mente immagini delle orribili torture che gli orchi erano soliti infliggere ai loro prigionieri. Pochi di loro sopravvivevano.
Elrohir scacciò subito quel pensiero. Sua madre era forte e ce l'avrebbe fatta.
Al tramonto i tre elfi raggiunsero gli orchi in fuga. Elrohir combatté con un'ira che non immaginava di poter possedere. Lui ed Elladan erano, ancora una volta, in perfetta sintonia.
Gli orchi erano pochi e disorganizzati e non fu difficile avere la meglio. L'odio nei confronti di quelle deplorevoli creature dava forza al suo braccio ad ogni colpo di spada. Il dolore e la stanchezza erano ormai soltanto leggeri fastidi relegati in un angolo della sua mente.
Gli ultimi due orchi tentarono di fuggire.
<< Lasciateli andare >>, disse Glorfindel. << Abbiamo altro a cui pensare >>.
Ma Elladan non lo ascoltò. Tese l'arco e, con gelida calma, scagliò due frecce. Gli orchi caddero uno dopo l'altro, urlando e contorcendosi sul terreno. Elladan non sbagliava mai mira: avrebbe potuto ucciderli con un colpo solo, se avesse voluto. Invece li aveva volontariamente colpiti a poca distanza dal cuore. Elrohir provò una perversa soddisfazione nell'udire le loro urla agonizzanti rimbombare tra le rocce.

Quando trovarono Celebrìan, i gemelli stentarono a riconoscere l'elfa coraggiosa e gioviale che li aveva cresciuti. I suoi abiti erano ridotti a brandelli e perdeva sangue da molte ferite. Ma la cosa peggiore era il suo sguardo, animato soltanto da un cieco terrore. Quando Elladan tentò di rassicurarla, nulla sembrò cambiare. << E' finita >>, disse.
Celebrìan scosse la testa, tremante.
Non era finita. Non sarebbe mai finita.
Elrohir ripensò ad una frase che suo padre gli aveva detto tanti anni prima.
Il male non tocca mai Imladris, al massimo ci passa vicino”.
Non era del tutto vero.
In quel momento qualcosa di terribile aveva toccato Gran Burrone, ed i suoi affetti sarebbero stati devastanti.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Ben iest gîn: come desideri

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Imladris avvelenata ***


Il viaggio di ritorno a Gran Burrone si trasformò presto in una disperata corsa verso casa. Il cavallo di Elrohir era rimasto ucciso duarnte lo scontro con gli orchi, e quest'ultimo era stato costretto a cavalcare con Elladan. Glorfindel, invece, si occupò di Celebrìan. L'elfa non proferì parola durante la prima parte del viaggio. Elladan le chiese più volte se avesse bisogno di fermarsi, ma lei rispose ogni volta con un cenno di diniego. Voleva tornare a casa il prima possibile.
Avevano viaggiato per un giorno e una notte senza sosta, quando fu Glorfindel a chiedere di fermarsi. C'era qualcosa che non andava.
Celebrìan era troppo pallida e il suo respiro era affannoso. I suoi occhi erano umidi, come coperti da un velo. L'elfa disse soltanto una parola mentre Elladan la aiutava a scendere da cavallo, << Saew >>, e mostrò il palmo della mano sinistra. La pelle era gonfia e annerita attorno ad un piccolo taglio. << Ci occorrono foglie di athelas >>, disse Elladan. Aveva soltanto sentito parlare dei veleni utilizzati dagli orchi, ma ricordava che la Foglia di Re era il rimedio più efficace in mancanza di soluzioni migliori. Tuttavia sapeva anche che non sarebbe bastata a salvare la vita di Celebrìan. Dovevano tornare a Gran Burrone. A quel punto, l'esperienza di Elrond era la sua unica speranza.
<< Ripartiremo il prima possibile >>, disse.

Elrohir non ricordava quasi nulla dell'ultima parte del viaggio. Le bende sulla sua ferita erano ormai impregnate di sangue. Ne aveva perso troppo.
L'ambiente attorno a lui era diventato un insieme informe di macchie di colore, mentre il dolore, che nelle ultime ore era stato una costante nella sua mente, era stato sostituito da un lieve intorpidimento. L'unica cosa che in seguito riuscì a ricordare con chiarezza furono le parole che gli rivolse Elladan.
<< Ascoltami bene. Se mai dovessimo morire, lo faremo insieme. Ma per adesso, non prendere iniziative e non pensare neanche di lasciarmi solo >>.
Elrohir ebbe voglia di ridere. Suo fratello gli aveva parlato come se spettasse a lui decidere se vivere o morire. Ciò nonostante, si ripropose di accontentarlo.
Si accorse di essere nei pressi di Gran Burrone quando iniziò a riconoscere le forme e gli odori della foresta. Poco dopo, udì delle voci allarmate.
<< Siamo a casa >>, gli sussurrò Elladan, ma le sue parole erano lontane.
Pensate a lei, avrebbe voluto gridare, Salvate lei.

Elladan si sentiva esausto, svuotato. Non sapeva quanto tempo era trascorso dal suo ritorno a casa: sembravano solo pochi minuti, ma sospettava che si fosse trattato di ore.
Elrond aveva affidato Elrohir alle cure migliori dopo essersi accertato che non fosse in pericolo immediato, poi si era occupato di Celebrìan.
Elladan e Arwen non poterono fare altro che aspettare. La giovane elfa aveva insistito per rendersi utile, ma Elrond si era opposto con fermezza: doveva agire da solo.
Elladan osservò sua sorella e, per la prima volta, notò quanto somigliasse a Celebrìan. Era sempre stato così, ma soltanto ultimamente era apparso qualcosa nella sua espressione, qualcosa che ricordava la forza e la determinazione di sua madre.
Da quando era tornato non aveva ancora raccontato a nessuno cosa era accaduto al Passo Cornorosso, ed era lieto che Glorfindel si fosse preso quell'incarico al suo posto. Non aveva avuto neanche l'occasione di parlare con suo padre e, più quel momento di avvicinava, più lo temeva. Aveva disubbidito agli insegnamenti che Elrond gli aveva impartito sin da quando era bambino, aveva sopravvalutato le proprie forze e si era lasciato condizionare dai sentimenti. Tutti errori che stavano per costare la vita ad Elrohir e Celebrìan.

Elrond tornò da loro solo alcune ore più tardi. Appariva stanco e scoraggiato, come se avesse anch'egli combattuto una battaglia. << Vostra madre sopravviverà >>, disse.
Elladan avrebbe dovuto accogliere con gioia quella notizia, ma non riusciva a provare altro che sconforto. << Va' a riposare, parleremo domani >>, aggiunse Elrond.

Elladan credeva che la stanchezza gli avrebbe permesso di addormentarsi facilmente, ma, nell'oscurità della sua stanza, si sentiva perseguitato dai pensieri. Restò a fissare il soffitto, finché non udì il leggero cigolio che lo avvertiva della porta che stava per aprirsi. Istintivamente allungò la mano verso il pugnale che teneva accanto al letto, rilassandosi solo quando riconobbe la figura indistinta di Arwen, che esitava sulla soglia.
<< Posso entrare? >>, chiese.
Elladan si alzò a sedere e le fece spazio sul bordo del letto. << Certo >>.
Arwen entrò e chiuse la porta in silenzio. << Non riuscivo a dormire >>, disse.
<< Neanche io >>.
<< Mi hanno raccontato di quello che è successo al Passo Cornorosso >>.
<< Avresti potuto chiederlo a me >>.
<< Credevo che non ti andasse di parlarne >>.
<< No, infatti >>, ammise Elladan.
<< Ma sembra che nessuno sappia cosa è successo a nostra madre >>.
Elladan non rispose. Per qualche minuto, il silenzio fu così assoluto che i due elfi poterono ascoltarsi respirare.
Solo in seguito Elladan parlò con tono grave. << Non lo sapremo mai, ed è meglio così, perché non vogliamo davvero saperlo >>.

Elrond vagò insonne fino alle prime luci dell'alba. Erano anni che non provava un'ira così profonda quanto irrazionale. Era furioso con se stesso per non aver dato peso ai suoi presentimenti e, soprattutto, per non esserci stato quando la sua famiglia aveva avuto bisogno di lui.
Desiderò che quelle creature maledette che avevano osato toccare Celebrìan fossero ancora vive, così avrebbe potuto ucciderle con le proprie mani.
<< Gwador >>, una voce familiare interruppe i suoi pensieri. Glorfindel si era cambiato gli abiti e appariva meno provato da quando Elrond gli aveva parlato poco tempo prima.
<< Mellon-nin >>, rispose.
<< Da quando sono tornato un pensiero mi tormenta, e temo che non me ne libererò finché non te ne avrò parlato >>.
Elrond conosceva Glorfindel da secoli e raramente l'aveva visto così inquieto. << Dimmi cosa ti turba e farò il possibile per aiutarti >>.
Glorfindel esitò per qualche istante prima di iniziare a raccontare. << Quando eravamo nel mezzo della battaglia, il mio primo pensiero era adempiere alla promessa che ti avevo fatto prima di partire: proteggere Lady Celebrìan ad ogni costo. Ho visto gli orchi che si avventavano su di lei e stavo per intervenire, quando ho visto che anche Elrohir aveva bisogno di aiuto. Sapevo che, se fosse morto uno dei gemelli, neanche l'altro sarebbe sopravvissuto. Così ho deciso di salvare loro. In seguito ho perso di vista Celebrìan e... >>. La sua voce si spezzò. Due lacrime comparvero agli angoli dei suoi occhi. << Ho bisogno del tuo perdono, giacché è l'unica cosa che mi permetterà di convivere con la mia colpa >>.
Elrond era incredulo. << Non dire altro >>. Gli poggiò una mano sulla palla nella speranza di confortarlo. << Nulla di quello che è accaduto è colpa tua, neanche in minima parte. Non hai bisogno del mio perdono, perché hai agito solo nelle migliori intenzioni. Ti posso offrire soltanto la mia eterna gratitudine, e non sono sicuro che sia sufficiente dopo tutto quello che hai fatto per noi >>. Glorfindel abbassò la testa, ma Elrond riuscì ad intravedere un debole sorriso.
Soddisfatto, si congedò dall'amico. << Per quanto apprezzi la tua compagnia, in questo momento è la solitudine che cerco >>.
Il Signore di Imladris si allontanò, curvo sotto il peso di tanti affanni, alla ricerca della solitudine in cui soleva rifugiarsi nei periodi più difficili.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Saew: veleno
Gwador: parola che descrive un rapporto fraterno tra due persone non imparentate. Letteralmente: fratello giurato.
Mellon-nin: amico mio

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Sull'orlo del baratro ***


Questo capitolo è un po' breve, ma segna un momento molto importante nella vita dei nostri personaggi. Nel prossimo si concluderà l'arco narrativo della storia di Celebrìan.
Adesso torno a studiare, altrimenti all'esame di maturità comincerò a parlare di elfi e orchi, il che sarebbe poco opportuno ;)
A presto!

Celebrìan prese il fiore appassito e se lo rigirò tra le mani.
Era trascorso un ciclo di luna dal suo ritorno dal Passo Cornorosso, ma sembrava che nulla fosse cambiato da allora. Ogni giorno che passava si sentiva più in forze, ed era stata rassicurata che sarebbe presto guarita del tutto. Ma loro non potevano capire, nessuno poteva.
Da quando aveva cominciato a stare meglio, suo marito le aveva fatto trovare un mazzo di fiori accanto alla finestra ogni mattina. Per quanto apprezzasse i suoi tentativi di aiutarla, non riusciva a vedere alcuna bellezza in quei fiori, così come non riusciva a vederla in nessun'altra cosa.
Quel giorno aveva notato un piccolo fiore appassito che stonava con il resto del mazzo. Celebrìan staccò i suoi petali uno ad uno e poi lo lasciò cadere sul pavimento. Si sentiva esattamente come quel fiore, ormai separato dal terreno e destinato ad una morte lenta e solitaria.
Sapeva quale sarebbe stata la cosa più saggia da fare, ma le mancava il coraggio per farla. C'era ancora un legame, sottile come il filo di una ragnatela, che la teneva attaccata alla vita.

Elrohir osservò la propria immagine riflessa nello specchio della sua stanza. Il lungo taglio sul suo fianco era ridotto ad una pallida linea appena visibile. Probabilmente, gli avevano assicurato i guaritori, sarebbe presto scomparsa anche quella. Era incredibile come i segni di un evento così terribile potessero scomparire così in fretta, come se nulla fosse accaduto.
Qualcuno bussò alla porta. Elrohir sapeva già che si trattava di Elladan, prima ancora di vederlo.
<< Avanti >>, disse.
<< Come stai? >>, chiese Elladan, chiudendosi la porta alle spalle.
<< Mai stato meglio >>, rispose Elrohir con una punta di ironia, mentre si rimetteva i vestiti.
<< Thiliel ha chiesto di te >>.
Elrohir sospirò. << Non saprei cosa dirle >>.
<< Vuole soltanto aiutarti. E' da quando siamo tornati che la eviti >>.
Elrohir si sedette ed invitò Elladan a fare lo stesso. << Stavo per chiederla in sposa >>, ammise, << Volevo farlo prima di partire, ma qualcosa mi ha frenato. Forse, inavvertitamente, sapevo che c'era la possibilità che non sarei tornato. Adesso sento di non essere più la stessa persona di prima. In questo momento, non potrei portarle altro che tristezza >>.
<< Parli come se avessi perso la speranza. Nostra madre non vorrebbe che tu rinunciassi a qualcuno che ti è caro solo perché stiamo vivendo un brutto periodo. Presto passerà, Celebrìan starà meglio e sarà felice di assistere alla vostra unione >>.
Elrohir non ebbe il coraggio di contraddire suo fratello. Elladan era sempre stato il più ottimista, a volte persino ingenuo.
<< Ieri ho parlato con lei >>, disse, cauto. << Era fredda e distante, appariva profondamente infelice, come se avesse perso ogni amore per la vita >>.
<< E' comprensibile, le occorrerà tempo per riprendersi >>.
Elrohir decise di non commentare oltre. Sapeva che Elladan aveva bisogno della speranza per affrontare le difficoltà. D'altro canto, il suo più grande timore era che le condizioni di Celebrìan fossero destinate soltanto a peggiorare.

Il cupo presentimento di Elrohir si avverò tre mesi dopo, durante una notte di luna piena.
Celebrìan si trovava nel punto più alto di Gran Burrone.
Guardò il precipizio sotto di sè e si chiese se la caduta l'avrebbe uccisa. Si avvicinò il più possibile al bordo e cercò di indovinare a che altezza si trovasse. Era così in alto da non riuscire a vedere il fondo: di certo la caduta l'avrebbe uccisa.
Non aveva davvero intenzione di saltare, le piaceva soltanto accarezzare l'idea della morte. Sapere che c'era una via di fuga alle sue sofferenze era l'unica consolazione che poteva concedersi.

Quando Elrond la vide, in piedi sull'orlo del dirupo, illuminata dai raggi della luna, fu come se tutte le sue paure si fossero materializzate davanti ai suoi occhi. Si avvicinò lentamente, accertandosi che lei lo sentisse arrivare. << Ti ho cercata a lungo >>, disse.
Celebrìan lo guardò brevemente. << Non è come pensi >>.
I suoi occhi erano colmi di tristezza, a tal punto che per Elrond era doloroso guardarli.
<< Penso che tu sia la creatura più bella che abbia mai camminato su queste terre, e che non cercheresti mai la morte di tua volontà >>, disse Elrond.
Celebrìan rispose con l'ombra di un sorriso, lanciando un ultimo sguardo al precipizio.
Elrond sfiorò la sua mano: era gelida.
<< Dimmi cosa posso fare per te >>, disse, cercando di non far trapelare la disperazione nella sua voce.
<< Quanto sei disposto a fare? >>.
<< Qualsiasi cosa >>, rispose Elrond, senza esitazione.
<< Allora lasciami andare >>, sussurrò sua moglie.
Elrond esitò. Sapeva cosa significava quella richiesta: significava che aveva già perso ciò a cui più teneva al mondo. << Non posso farlo >>, disse. Circondò Celebrìan in un abbraccio, quasi a voler ribadire le sue parole. << Non lo farò >>, ripeté, ma non c'era più la stessa convinzione nella sua voce.

Correva l'anno 2510 della Terza Era quando Celebrìan, figlia di Celeborn e Galadriel e signora di Gran Burrone, decise di lasciare per sempre la Terra di Mezzo.


Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Verso Ovest ***


Sono sopravvissuta all'esame di maturità, finalmente potrò dedicarmi interamente alla fic ed aggiornerò più spesso. Con questo capitolo si conclude la triste storia di Celebrìan.

L'annuncio dell'imminente partenza di Celebrìan fu come un tuono abbattutosi su Gran Burrone.

Quella sera stessa Elrond riunì i suoi figli nel suo studio. Era una stanza ampia e dall'arredamento essenziale. Le pareti erano in gran parte celate da una vasta libreria, colma di libri di ogni dimensione, dai tomi che contenevano trattati sulle erbe curative, alle favole sulle quali Elrohir ed Elladan avevano imparato a leggere. La quantità di ricordi contenuta tra quelle pagine ingiallite era tale da incutere un timore reverenziale anche ora che i gemelli erano ormai adulti.
<< Prima che parliate con Celebrìan, voglio la vostra parola che rispetterete la sua scelta. Non è stata una decisione facile per lei, e la vostra opposizione non farebbe che causarle altro dolore >>, disse Elrond. La sua voce non lasciava trapelare emozioni, la sua espressione era indecifrabile come una maschera. Arwen ed Elladan acconsentirono a malincuore.
Elrohir, invece, non disse nulla, mentre passeggiava nervosamente nella stanza. Si sentiva arrabbiato e tradito, e avvertiva gli stessi sentimenti provenire da Elladan. Tuttavia, mentre il fratello minore riusciva a mantenere un comportamento moderato, Elrohir era sopraffatto dalle emozioni.
<< Avevi detto che nostra madre sarebbe guarita >>, disse. Non appena pronunciò quelle parole si rese conto che, ogni volta che aveva confortato Elladan, non aveva fatto altro che confortare se stesso.
Elrond rispose con evidente risentimento, << Vostra madre soffre di un male che io non sono in grado di curare >>.
Elrohir avrebbe voluto piangere, urlare e distruggere ogni cosa nelle vicinanze. << Avevi detto che l'avresti salvata >>, disse a denti stretti. Un attimo dopo, Elrond fu in piedi di fronte a lui, lo sguardo colmo di severa disapprovazione. << Credi che non abbia fatto tutto il possibile? >>, chiese.
Per qualche attimo i due elfi si fronteggiarono, i loro visi ad un palmo l'uno dall'altro, in una silenziosa battaglia di sguardi. Elrohir scorse negli occhi di suo padre lo specchio delle proprie emozioni. Fu solo allora che si rese conto di quanto le sue parole suonassero irriverenti. Abbassò la testa. << Díheno nin, adar. Ho parlato senza riflettere >>.
Lo sguardo di Elrond si addolcì. << Condividiamo lo stesso dolore, Elrohir, non dimenticarlo >>.
La conversazione continuò in toni più pacifici, mentre il sole tramontava su Gran Burrone e il momento della partenza si avvicinava sempre di più.

Elfi vennero da ogni dove per salutare Lady Celebrìan prima che salpasse per Valinor. Tanti erano coloro che l'avevano conosciuta e amata, ed erano rattristati dalla sua partenza. L'elfa decise di salutare per ultimi i membri della sua famiglia. Dopo essersi trattenuta a lungo con i suoi genitori, Galadriel e Celeborn, si rivolse ai gemelli.
<< Venite, passeggiamo >>, disse. Nei suoi occhi, insieme alla tristezza che mai li abbandonava, c'era una rinnovata speranza. << Stamattina, mentre percorrevo un'ultima volta i corridoi di Imladris, ho ripensato al giorno in cui nasceste. Vedervi per la prima volta fu una delle più grandi gioie della mia vita. Durante i vostri primi giorni ero l'unica che riusciva a distinguervi l'uno dall'altro. Vostro padre non lo ammetterà mai, ma persino lui vi ha confuso ogni tanto per le prime settimane >>.
Elladan rise. << Questo non ce l'aveva mai raccontato >>.
Celebrìan ricambiò con un lieve sorriso, << Capimmo da subito che c'era qualcosa di speciale nel vostro legame, prima ancora che lo capiste voi stessi. Da bambini non permettevate a nessuno di separarvi, neanche per pochi minuti; e fu solo al compimento dei dieci anni che decideste di dormire in camere separate. A volte era come se le vostre menti funzionassero all'unisono >>. Lo sguardo di Celebrìan s'incupì. << Sto dicendo questo perché mi preoccupo per il vostro futuro. Dovrete affrontare una scelta difficile, una scelta da non prendere alla leggera. Il privilegio che vi è stato concesso, quello di decidere se vivere come esseri immortali o condividere il destino degli Uomini, può rivelarsi una benedizione o una maledizione. Non vi dirò cosa è meglio per voi, non ne avrei il diritto, ma ho solo una raccomandazione da farvi: scegliete il medesimo destino. Quando vostro padre e suo fratello intrapresero strade diverse, sapevano che uno di loro avrebbe vissuto per l'eternità in solitudine. Adesso, per quanto Elrond ci ami profondamente, nulla potrà sostituire il legame che un tempo lo univa a Elros >>.
I gemelli non avevano mai riflettuto a fondo sulla scelta che li attendeva. Era sempre apparsa come qualcosa di astratto, di infinitamente lontano dalla realtà. Il legame che li univa, invece, era concreto, era presente, ed entrambi sapevano che non sarebbero sopravvissuti alla sua rottura.
Celebrìan lesse quel timore nelle loro espressioni, e aggiunse, << Mancano ancora molte centinaia di inverni, e tante cose accadranno nel frattempo. Per allora sarete persone diverse >>.
<< Sceglieremo con saggezza, naneth, hai la nostra parola >>, disse Elrohir.
<< Non ho dubbi a riguardo >>, rispose Celebrìan.
Parlarono ancora per un tempo che parve brevissimo, ma lo spostamento del sole indicava diversamente. Almeno due ore erano trascorse, quando Celebrìan li salutò per l'ultima volta.
Se sceglieremo di vivere come gli edain, questa sarà l'ultima volta che vedremo nostra madre, pensò Elladan.
Dopo di loro fu il turno di Arwen, e infine di Elrond.
I due parlarono a lungo e, prima di sperararsi, si strinsero in un lungo abbraccio. << Galo Anor erin râd gîn...na lû n'i a-goveninc >>, sussurrò Elrond all'orecchio di Celebrìan.
Quando la barca salpò verso l'orizzonte, i gemelli la seguirono con lo sguardo, e in quel momento, per la prima volta in vita loro, videro gli occhi di Elrond brillare di lacrime a stento trattenute.
Il sole iniziò a calare, offuscato dalle nuvole, e infine tramontò, tingendo di grigio il mare.

Quella notte la luna non era che una sottile striscia bianca nel cielo e persino le stelle sembravano aver perso parte del loro splendore.
Elrohir disse ad Elladan che aveva bisogno di trascorrere del tempo da solo. In altri tempi avrebbe accettato di buon grado il conforto di suo fratello. Avrebbero condiviso i loro pensieri, il dolore, i timori per l'avvenire, senza proferire neanche una parola.
Ma le cose erano cambiate. I sentimenti di Elladan erano nobili, colmi di speranza e desiderio di superare le avversità. Elrohir, invece, non riusciva a liberarsi della propria rabbia e se ne vergognava profondamente.
"L'ira è ciò che più di ogni altra cosa ha il potere di avvelenare il cuore degli uomini. Può rendere schiavi anche i re più potenti e in battaglia si rivela più letale per chi la prova piuttosto che per chi la subisce. Non lasciare mai che ti possieda", le parole di Glorfindel gli tornarono alla mente, chiare e prepotenti. Le aveva pronunciate durante un discorso alla vigilia di una battaglia, e da allora Elrohir non le aveva mai dimenticate.
Le ripetè più volte tra sè e sè, nella speranza di convincersi che il suo desiderio di vendetta fosse nient'altro che un breve momento di debolezza.
Quella notte Elrohir non dormì sonni tranquilli. Sognò una barca che si dirigeva al Passo Cornorosso navigando sulla nuda roccia. Sognò il rosso del sangue e il rumore delle lame. Sognò gli orchi che si avventavano su Celebrìan e il suo sguardo terrorizzato dopo che l'avevano ritrovata. Ma ad un tratto, tutto cambiò. Si ritrovò in una foresta, dissimile da quella che circondava Gran Burrone e da qualsiasi luogo che avesse mai visto. Elladan era poco lontano e rivolgeva la sua attenzione a qualcosa che Elrohir non poteva vedere.
Ai suoi piedi, lento e sinuoso, strisciava un serpente. Era del colore delle foglie appassite, con striature beige. I suoi minuscoli occhi sembravano brillare di malizia e ostilità.
Elrohir provò un profondo terrore al vedere quell'animale. Non ne sapeva il motivo, ma il suo istinto gli diceva che era pericoloso e che doveva essere eliminato al più presto. Tentò di muoversi, ma scoprì di non esserne in grado: era come paralizzato. Poteva soltanto guardare, mentre il serpente strisciava, la sua paura aumentava e il sogno si dissolveva come ghiaccio sul fuoco.
Elrohir si svegliò di soprassalto, l'immagine del serpente ancora impressa nella mente. Un tocco gentile sulla spalla lo riportò alla realtà. Si trovava nella sua stanza, era ancora notte fonda, e si udiva in lontananza un canto dolce e triste. Riconobbe la voce di Arwen, insieme a tante altre.
Elladan era inginocchiato accanto al suo letto, visibilmente inquieto.
<< Stai bene? >>, chiese.
Elrohir riusciva ad udire il battito frenetico del proprio cuore, un lascito del terrore che aveva provato, ed era certo che anche Elladan riuscisse a sentirlo.
<< Era solo un incubo >>, rispose.
<< Vuoi che resti con te? >>.
<< Non è necessario >>, disse Elrohir, << Era soltanto un sogno >>.
Elladan gli rivolse un ultimo sguardo preoccupato, poi uscì dalla stanza silenzioso come era entrato.

Quando tornò nel suo letto, Elladan sapeva che non avrebbe dormito per il resto della notte. Restò ad ascoltare il canto di Arwen, colmo di pacata malinconia.

Estel lómenna sintuva
Ter mordor lantal' et lúmell', enyalie
Áva quete: nalve metyales
Loss' hrestar yalir
Met omentuva ata
Ar nauval ranconyassen er lorna.


Poco tempo dopo, la porta della stanza si aprì lentamente. << Posso restare quì? >>, chiese la voce esitante di Elrohir.
Elladan si concesse un breve sorriso ironico. Si spostò di lato e sollevò la coperta, lasciando spazio ad Elrohir, come avevano fatto tante volte da bambini. Non dissero altro, non ne avevano bisogno. Elladan sperò soltanto di riuscire, con la sua sola presenza, ad alleviare il dolore di Elrohir, condividendolo ed accogliendone una parte.
Restarono svegli ed ascoltarono quel magnifico canto, fino a quando gli ultimi versi non risuonarono nell'aria, accompagnati dal fruscio del vento.

Man cenil han menelo hresta?
Manan i maiw' yalir?
Arta Ear Sil néca orta
Ciryar símen marenna colien
Ilqu' ahyuva hyellenna sil
Cal nenes, hisw' ciryar autuvar
Minna Númen


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Díheno nin, adar: perdonami, padre
Naneth: madre
Edain: Uomini (inteso come esseri umani)
Galo Anor erin râd gîn.... na lû n'i a-goveninc: possa il sole risplendere sul tuo cammino...fino al nostro prossimo incontro

Traduzione della canzone in Quenya:
La speranza svanisce nel mondo della notte
nelle tenebre che stanno scendendo
fuori dalla memoria e dal tempo.
Non dire che siamo giunti alla fine,
le bianche coste ci stanno chiamando,
io e te ci rivedremo.

Cosa riesci a vedere all'orizzonte?
Perché i bianchi gabbiani chiamano?
Sul mare sorge una pallida luna,
le barche sono giunte per riportarti a casa.
E tutto si trasformerà in vetro argentato,
una luce sull'acqua.
Navi grigie vanno
verso Ovest

La canzone è "Into the West" di Annie Lennox tradotta in lingua elfica. La si può ascoltare durante i titoli di coda de "Il Ritorno del Re".

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** I due principi ***


In uno dei suoi scritti Tolkien ci racconta di come i figli di Elrond aiutarono i futuri uomini di Rohan (la fondazione di Rohan deve ancora avvenire) in una battaglia contro gli orchi. In questo capitolo scopriamo cosa accadde, dal punto di vista di un valoroso cavaliere.
Spero che vi piaccia :)


Rowson, figlio di Renfred, era conosciuto tra i suoi compagni d'armi per il suo coraggio. Lo chiamavano "il Senza Paura", "l'Impavido" e altri soprannomi tanto sontuosi quanto ironici. D'altro canto, i Rohirrim erano tutti abili guerrieri e per Rowson era un onore cavalcare tra le loro file.
Aveva combattuto molte battaglie, aveva guardato la morte negli occhi e aveva fronteggiato il Male nelle sue forme più insidiose: credeva che non ci fosse più niente in grado di stupirlo. Ma si sbagliava.
Quel giorno era iniziato non diversamente da molti altri: i Rohirrim stavano eliminando un gruppo di orchi che aveva sconfinato nelle loro terre. Le sentinelle ne avevano avvistati dieci o poco più, troppo pochi per causare problemi ai guerrieri, ma fu presto evidente che i loro calcoli non erano esatti. Gli orchi avevano ricevuto dei rinforzi e stavano lentamente circondando i Rohirrim.
I primi cavalieri caddero sotto le spade nere, mentre altri iniziarono a indietreggiare, avvicinandosi sempre di più gli uni agli altri. Presto ci chiuderanno in una morsa e ci attaccheranno da ogni lato,
pensò Rowson. Contrattaccare in fretta era l'unico modo per tenerli a bada.
Rowson passò in prima fila e, partendo alla carica con il suo cavallo, tentò di rompere le righe degli orchi. Fu allora che li vide. Dapprima pensò che si trattasse di spettri, perché mai prima di allora aveva visto due esseri così perfettamente identici. Erano alti, più della maggior parte degli uomini, non indossavano armatura e tendevano i loro archi senza apparente fatica.
All'inizio Rowson aveva visto soltanto le loro frecce, tanto precise da conficcarsi nella fessura tra due placche dell'armatura degli orchi, uccidendoli all'istante. Poi gli elfi si erano avvicinati ed avevano estratto dei pugnali. Entrambi avevano una spada al fianco, ma parvero preferire quelle lame più corte e maneggevoli. Molti Rohirrim si fermarono a guardarli, stupefatti. I loro movimenti erano rapidi e precisi, privi di qualsiasi esitazione. I loro volti senza età erano come congelati in un'espressione indecifrabile. La battaglia si protrasse a lungo e, mentre gli uomini erano rallentati dalla stanchezza, gli elfi non si concessero tregua fino a quando non ebbero ucciso l'ultimo orco. Ogni loro movimento era perfettamente coordinato, come se i loro corpi fossero un'estensione della stessa mente. Rowson li udì parlare tra loro soltanto una volta, in una lingua che non comprendeva.
Quando la battaglia finì, come era sua abitudine, Rowson ringraziò il fato di avergli permesso di sopravvivere. Il suo secondo pensiero fu di ringraziare gli elfi, ma di loro non c'era traccia.
Per qualche attimo sospettò di esserseli immaginati. << Dove sono andati? >>, chiese ai suoi uomini.
<< Scomparsi come spettri >>, rispose qualcuno.
Rowson si guardò intorno. Il fatto di essere ancora vivo era l'unica prova dell'esistenza di quelle due figure misteriose. Gli uomini erano attoniti, sussurravano tra loro per chiedere conferma di ciò che avevano visto.
<< Sono elfi di Gran Burrone >>, disse infine il più anziano, << Ho riconosciuto i loro abiti >>.
"Sono prìncipi", lo corresse mentalmente Rowson, "non possono che essere dei principi".


Elladan immerse il suo pugnale nel fiume per ripulirlo dal sangue nero. Poco a poco l'acqua riportò la lama alla sua lucentezza originale e rivelò la scritta incisa sull'elsa: Arod.
Era ormai trascorso un anno dalla loro partenza da Imladris. La decisione di lasciare il luogo in cui erano nati e cresciuti non era stata facile, soprattutto dopo i tragici eventi che avevano colpito la loro famiglia, ma entrambi sapevano che il modo più efficace per affrontare il dolore era canalizzare le energie verso qualcosa di utile. Combattere gli orchi e proteggere coloro che non potevano proteggersi da soli era, in quel momento, la missione più onorevole che potessero intraprendere.
Elrohir ripensò al giorno della sua partenza. Comprensibilmente Elrond non era stato felice della loro decisione. "Sono ormai finiti i tempi in cui potevo vietarvi di fare qualcosa. Adesso non mi resta che affidarmi alla vostra saggezza", aveva detto.
Ma l'addio più doloroso per Elrohir era stato quello con Thiliel. L'elfa aveva reagito con una freddezza che non era propria dei suoi modi. "Hai fatto la tua scelta. Va' e presta attenzione, ma sappi che al tuo ritorno non sarò qui ad aspettarti", aveva detto.
"Non pensare che ti stia abbandonando", aveva risposto Elrohir, "In questo momento porto con me tanto rancore e temo che, se facessi ciò che il mio cuore desidera e restassi con te, non potrei offrirti la felicità che meriti. Al mio ritorno sarò una persona diversa e spero che allora potrò offrirti solo il mio amore, nella sua forma più pura".
"Anche il fiore più bello ha le sue imperfezioni e anche l'acqua più limpida ha le sue increspature: nulla è puro in natura, e questo vale anche per noi. Se resterai, io accetterò ogni aspetto di te, anche quelli che tu stesso non riesci ad accettare, ma se te ne andrai, non puoi volere che io trascorra centinaia di inverni, se non di più, in attesa del tuo ritorno", aveva detto Thiliel.
"Le tue parole sono sagge e veritiere, dalla prima all'ultima. Ma ormai ho deciso: farò ciò che ritengo giusto, e sono certo che anche tu farai altrettanto".

"Devo dimenticarla", si disse Elrohir, mentre era inginocchiato sulla riva del fiume, intento a fare provviste d'acqua. "Il destino ci è stato avverso".
Era ancora immerso nei suoi pensieri, quando uno spruzzo d'acqua fredda lo colpì, facendolo sobbalzare. Si voltò alla sua sinistra con un'espressione tra l'irritato e il divertito: Elladan sorrideva di sottecchi. << Perché l'hai fatto? >>, chiese Elrohir.
<< Per la puzza di orco >>.
<< Mi sembra naturale, visto che ne avrò uccisi almeno cinquanta oggi >>.
<< Cinquanta? >>, lo provocò ancora Elladan con un sorriso di sfida, << Secondo i miei calcoli non erano più di... >>, ma non ebbe modo di finire la frase.
Elrohir scattò verso di lui e lo inseguì ridendo lungo la riva del fiume. In poco tempo si ritrovarono entrambi completamente bagnati, impegnati in una lotta a colpi di schizzi d'acqua. Dopo una giornata trascorsa tra il sangue e la morte, quel gioco infantile era tutto ciò che desideravano.
<< Ho sentito quegli uomini definirci "principi" >>, disse ad un tratto Elladan, << Cosa direbbero se ci vedessero adesso? >>.
<< Probabilmente penserebbero di essersi sbagliati >>, rispose Elrohir, ancora senza fiato per le risate. Ringraziò mentalmente suo fratello per averlo spinto a concedersi qualche momento di svago. Era esattamente ciò di cui aveva bisogno.
Ma il sole stava per tramontare e delle nuvole grigie incombevano su di loro. << Presto pioverà >>, osservò Elladan, << Dobbiamo trovare un riparo per la notte >>.
Elrohir annuì e tornò ad occuparsi delle provviste a cuor leggero. Senza il peso del passato sulle spalle, anche il presente sembrava più sostenibile.
Ma quello che Elrohir non sapeva era che, anche quella notte, un serpente era in agguato per lui nei suoi sogni.

Note finali:
in "History of Middle-earth", Tolkien ci fornisce per la prima volta una descrizione fisica (relativamente) accurata dei gemelli. E' interessante l'utilizzo dell'aggettivo "great", letteralmente "grande", che potrebbe significare che Elladan ed Elrohir siano più robusti della maggior parte degli elfi, forse a causa della loro discendenza umana. Viene inoltre specificato che gli orchi "fuggivano davanti a loro". Ho preferito omettere questo particolare per adesso e aspettare i prossimi capitoli per alimentare la loro fama di cacciatori di orchi. D'altra parte, secondo le fonti ufficiali, i gemelli trascorreranno i successivi 500 anni a sterminare queste adorabili creature. Nei prossimi capitoli incontreremo i Dùnedain e successivamente un certo Arathorn, padre di qualcuno che conosciamo bene...

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Gli Uomini dell'Ovest ***


Questo capitolo è ambientato nell'anno 2912 della Terza Era. Sono trascorsi circa 400 anni dal capitolo precedente. Inoltre vi presenterò altri due personaggi di mia invenzione... sperando che vi piacciano ^^

Quando Elrohir ed Elladan avevano deciso di lasciare Imladris, erano certi che avrebbero viaggiato completamente soli, senza fermarsi a lungo nello stesso luogo e senza prendere ordini da nessuno. Per questo motivo quando i gemelli incontrarono i Dùnedain, gli uomini dell'Ovest, non credevano che sarebbero rimasti a lungo con loro. La vita che Elladan ed Elrohir avevano scelto li aveva trasformati in temibili guerrieri, affinando i loro sensi e le loro tecniche di combattimento e rendendoli sempre più distaccati nei confronti dei sentimenti. Avevano versato fiumi di sangue nero e avevano compiuto la loro vendetta, non una, ma migliaia di volte. Gli orchi temevano i loro nomi e la maggior parte di loro non osava neanche affrontarli. Tra gli Uomini, gli elfi divennero noti come "i principi di Imladris", nonostante non possedessero realmente quel titolo.
Gli elfi conoscevano i Dùnedain come discendenti di Elros, fratello di Elrond, che aveva rinunciato all'immortalità e dato inizio ad una nobile stirpe. Grazie al loro sangue elfico, la vita dei Dùnedain era più lunga di quella degli altri Uomini, ma anch'essi erano soggetti alla vecchiaia e alla morte.
Nel corso degli anni gli incontri tra gli Uomini dell'Ovest e i figli di Elrond si erano fatti sempre più frequenti e vantaggiosi per entrambe le parti. Per questo motivo, quando gli elfi accettarono di unirsi a loro per vivere e combattere insieme, ricevettero una calda accoglienza. Gli Uomini ammiravano la loro abilità in battaglia e desideravano apprendere il più possibile dalla loro saggezza. Nell'anno 2912 Arador, figlio di Argonui, divenne il quattordicesimo Capitano dei Dùnedain in seguito alla morte del padre. Come ogni membro della sua stirpe, Arador era nato a Gran Burrone ed era stato allevato da Elrond. Aveva appreso la lingua e le usanze elfiche, fino a considerarsi quasi come uno di loro.

Durante quella primavera i Dùnedain si erano stabiliti in un piccolo accampamento a ridosso di una collina. Elladan ed Elrohir si erano adattati facilmente a quella vita priva di comodità e sicurezza, e avevano scoperto che la compagnia degli Uomini era molto più piacevole di quanto avessero immaginato. Molti diventarono loro amici, oltre che compagni d'armi.
Quel giorno Elrohir era intento a lucidare il suo pugnale, quando una voce familiare richiamò la sua attenzione.
<< Spero di non disturbarti, ma il Capitano richiede la tua presenza >>. Era stato Maedir a parlare. Era uno dei più giovani ad impugnare una spada, ma già da allora era stato chiaro che non sarebbe mai diventato un grande guerriero. Sembrava molto più interessato allo studio delle erbe curative piuttosto che alla ricerca della gloria. Accanto a lui trotterellava un segugio nero a cui Maedir aveva insegnato a fiutare l'odore degli orchi. In molte occasioni quel cane si era rivelato più abile di qualsiasi sentinella.
<< Grazie, Maedir, mi recherò subito nella sua tenda >>.
Gli alloggi del Capitano non erano molto diversi da quelli degli altri, ed Elrohir fu felice di constatare che, con l'arrivo di Arador, nulla era cambiato. Prima di allora aveva conosciuto il nuovo Capitano solo di sfuggita e non aveva mai combattuto sotto la sua guida.
<< E' un piacere rivederti, Elrohir >>, disse Arador non appena l'elfo si trovò al suo cospetto.
Nonostante le sue parole fossero cortesi, la sua espressione era severa, mentre osservava Elrohir con sguardo indagatore.
<< Altrettanto >>, rispose l'elfo, cauto.
<< Non ho avuto il piacere di conoscervi a fondo, ma la vostra fama vi precede. "I principi di Imladris", se non erro >>.
<< Un titolo non del tutto esatto, considerato che nostro padre non è un re e che Gran Burrone non è un regno >>, puntualizzò Elrohir.
<< Lo so bene, ma sono certo che chi vi ha attribuito questo appellativo si riferisse ad un altro tipo di nobiltà >>.
Elrohir incontrò gli occhi chiari del Capitano, chiedendosi il motivo per cui l'aveva convocato. Aveva imparato ormai da tempo che i Dùnedain, a differenza degli elfi, non erano soliti soffermarsi a lungo sui convenevoli e preferivano parlare con schiettezza.
Arador sembrò leggergli nel pensiero. << Mio padre ha sempre parlato di voi con rispetto e ammirazione. La vostra abilità in battaglia è pari alla disciplina e al senso dell'onore, ma c'è qualcosa che vorrei mettere in chiaro adesso che sono io a guidare i Dùnedain. I miei uomini sottostanno ai miei ordini e la loro fedeltà appartiene a me, senza riserve. Ma voi due non fate parte dei miei uomini, non siete obbligati a seguirmi, eppure mettete le vostre spade al mio servizio. Io prediligo le cose semplici, lineari, e la vostra posizione nei miei confronti non lo è. Per questo vi chiedo: farete ufficialmente parte dei Dùnedain, così che io possa ritenervi miei uomini a tutti gli effetti? >>.
Per Elrohir la conversazione si era improvvisamente rivelata di grande interesse. Aveva avuto la conferma definitiva che Arador era diverso dal padre e che sarebbe stato un Capitano altrettanto abile. Doveva soltanto capire meglio chi aveva di fronte.
<< Vedo che parli al plurale rivolgendoti a me soltanto. Forse non sei a conoscenza del fatto che mio fratello ed io siamo persone molto diverse, a prescindere dalle apparenze, e che la sua opinione in merito a molte questioni è ben lontana dalla mia. Per questo, se desideravi interpellare entrambi, dovevi convocarci entrambi. Ad ogni modo, risponderò alla tua domanda parlando anche a nome di Elladan >>.
Arador non sembrò infastidito dalle parole di Elrohir. Al contrario, ammise il suo errore senza battere ciglio. << Ti porgo le mie scuse, non intendevo arrecarti offesa >>.
Un capo pronto a riconoscere di aver sbagliato ha il potenziale per diventare un grande capo, pensò Elrohir.
<< Per quanto riguarda la nostra posizione nei tuoi confronti, non sarà diversa da com'era in passato. I Dùnedain hanno la nostra fedeltà ed amicizia e il loro Capitano ha la nostra obbedienza laddove i suoi ordini siano accettabili per noi. Anche in caso contrario, in nessun caso nutriremo ostilità verso di voi >>.
Arador lo scrutò a lungo. Era evidente che la risposta di Elrohir non l'aveva soddisfatto, ma aveva anche capito che non avrebbe ottenuto altro dall'elfo. << Ripongo in voi la mia fiducia >>, disse infine.
<< Ne faremo buon uso >>, rispose Elrohir. Era sul punto di congedarsi, ma Arador aveva altro da dire. << Presto manderemo degli uomini a nord, verso un villaggio di contadini che ha subito numerosi attacchi da parte degli orchi. Vorrei che andaste con loro >>.
Elrohir accettò senza esitazione. Erano ormai quattro inverni che non aveva occasione di brandire la spada per ragioni diverse dall'allenameno ed era impaziente di ritrovare il brivido della battaglia.
<< Sarà Daven a guidarvi >>, aggiunse Arador.

Daven era stato l'uomo più fidato di Argonui e di suo padre. Nessuno tra i Dùnedain ancora in vita aveva visto più inverni di lui, e nonostante ciò restava un temibile guerriero. Si ostinava ad apostrofare Elrohir "ragazzo" e il più delle volte non riusciva a distinguere l'uno dall'altro i gemelli.
"Con tutto il rispetto, sono abbastanza certo di essere più vecchio di te, e non di poco", aveva puntualizzato Elrohir un giorno.
"Non discutere, Elladan", aveva borbottato Daven.
Elrohir sorrise ripensando a quella conversazione. Avere a che fare con Daven era irritante e divertente allo stesso tempo.

La mattina della partenza Elladan si svegliò all'alba ed iniziò a preparare l'occorrente per il viaggio verso nord. Era felice di fornire aiuto a degli innocenti, ma aveva iniziato ad apprezzare anche la tranquillità in cui aveva vissuto negli ultimi anni. Il suo desiderio di vendetta era passato in secondo piano, fino a diventare non più di un pensiero di fondo. Elrohir, invece, lo vedeva diversamente.
Ad un tratto Elladan avvertì i battiti del proprio cuore accelerare di colpo, mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Non era la prima volta che accadeva e ormai sapeva che si trattava di Elrohir e del suo incubo ricorrente. Quando cercava di parlarne Elrohir evitava l'argomento e rifiutava il suo aiuto. Si ostina a credere che la questione riguardi soltanto lui, pensò, ma non si rende conto che condivido ogni attimo della sua paura?

Erano circa venti uomini, un numero sufficiente per difendere un piccolo villaggio senza subire troppe perdite. Viaggiavano da appena mezza giornata, con Daven che cavalcava in testa e Maedir che li seguiva timidamente, quando Elladan disse, << Raccontami il tuo sogno >>.
Per un attimo Elrohir sembrò sorpreso da quella richiesta a bruciapelo; stava per rispondere come era suo solito, che non voleva parlarne, ma qualcosa nello sguardo di Elladan gli fece cambiare idea.
<< Un serpente >>, disse.
<< Solo questo? >>. Elladan era sorpreso. Non si sarebbe mai aspettato che la fonte di tanto terrore fosse un semplice animale.
<< A volte vedo anche un corso d'acqua, a volte solo il serpente. Nel sogno ci sei anche tu, ma non dici nulla e guardi qualcosa che io non riesco a vedere >>, spiegò Elrohir.
<< Hai sempre avuto paura dei serpenti, sin da bambino. È normale sognare cose di cui abbiamo paura >>.
<< Non è questo. Il serpente del mio sogno appartiene ad una specie che non ho mai visto prima... non dovrei essere in grado di sognarlo se non lo conosco >>.
<< Descrivimelo >>, disse Elladan.
<< Era marrone scuro con venature beige, lungo e massiccio, occhi neri. Si muoveva lentamente, senza mai alzare la testa dal terreno >>.
Elladan rifletté a lungo. A Gran Burrone aveva imparato a riconoscere le vipere dalla forma triangolare della loro testa e le bisce dal loro corpo sottile, ma non ricordava di aver mai visto un animale che corrispondesse alla descrizione di Elrohir.
<< Forse il serpente rappresenta il veleno >>, ipotizzò, << Potrebbe trattarsi di una lama avvelenata oppure... >>.
<< Non è velenoso >>, s'intromise Maedir. Quando i due elfi si voltarono a quardarlo, questi abbassò lo sguardo. << Mi dispiace, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra conversazione >>, disse, imbarazzato.
<< Non importa >>, lo rassicurò Elladan, << Cosa stavi per dire? >>.
Maedir continuò a parlare guardando in basso. << La specie che hai descritto vive in questi boschi, ma caccia soltanto di notte. Non è pericoloso per le persone e non ha veleno >>.
<< Allora come uccide le sue prede? >>, chiese Elrohir.
<< Le soffoca >>, rispose Maedir.

Elrohir trascorse in silenzio il resto del viaggio, ignorando i tentativi di Elladan e Maedir di conversare. Ripensò ai suoi incubi e si chiese il motivo per cui aveva tanta paura di qualcosa che non poteva fargli del male. L'unica spiegazione possibile era che il sogno fosse in realtà un presagio e che l'animale rappresentasse qualcos'altro.
La mattina dopo erano quasi giunti a destinazione, quando il cane di Maedir corse verso di loro abbaiando: aveva fiutato qualcosa.

Note finali:
Per chi volesse un riferimento per immaginare Elladan ed Elrohir, consiglio la visione del fan film "Born of Hope", dove sono interpretati dai gemelli Sam e Matt Kennard. Nei capitoli futuri mi ispirerò (vagamente) ai fatti avvenuti nel film, ovviamente mettendo in primo piano gli scritti di Tolkien.
Per chi se lo stesse chiedendo (pochi, immagino), il serpente che ha descritto Elrohir è un Pitone birmano, una specie appartenente alla famiglia dei costrittori. Non ho menzionato il nome corretto dell'animale perché parto dal presupposto che nella Terra di Mezzo non esista una Birmania.
Colgo l'occasione per invitare i lettori fino ad ora "silenziosi" ad esprimere la loro opinione sulla piega che sta prendendo la storia... ogni commento sarà apprezzato :)
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Figlio di nessuno ***


Ciao a tutti! Avevo finito questo capitolo già da un po’, ma al momento mi trovo a fare i conti con un computer che è convinto che io sia tedesca. Di conseguenza segna come errore ogni parola che scrivo e mi punisce rifiutandosi di connettersi ad internet. Comunque, dopo qualche parolina dolce e qualche imprecazione in elfico stretto, sono finalmente riuscita a postare il capitolo. Spero che vi piaccia!
 
<< Restate dove siete, non fate troppo rumore e forse li coglieremo di sorpresa. Maedir, con me in prima fila, e zittisci quel cane o lo farò io. El... chiunque tu sia, prendi sette uomini con te e raggiungete in fretta il villaggio per assicurarvi che gli abitanti restino al sicuro. Gli altri si preparino all'attacco >>, ordinò Daven.
Elrohir scelse i suoi sette uomini. Sapeva che Daven aveva compiuto un gesto di grande fiducia affidandogli, anche solo temporaneamente, il comando.
Forse ha un'opinione di me più alta di quanto credessi, pensò.

Elladan estrasse la spada. Non si trovava del tutto a proprio agio quando doveva combattere lontano da Elrohir, ed era certo che anche Daven lo sapesse, ma in quel momento doveva concentrarsi su altre priorità.
Maedir mandò via il suo cane per allontanarlo dalla battaglia ed estrasse maldestramente la spada. Dapprima l'animale abbaiò contrariato, ma non appena vide la lama decise che in fondo era più conveniente eseguire gli ordini.

Non sa neanche impugnarla correttamente, pensò Elladan, Maedir sarà tra i primi a morire.
Si avvicinò a Daven e, quando nessun altro poteva sentirlo, disse, << Non puoi mandarlo in prima fila, è troppo inesperto >>.
<< L'esperienza non si guadagna allenandosi con lame smussate >>, rispose Daven con tono pacato.
<< L'esperienza si guadagna restando vivi >>, ribatté Elladan.
<< Allora sarà tuo compito assicurarti che resti vivo >>, concluse bruscamente Daven.

I cavalli erano irrequieti. Alcuni avvertivano un pericolo indefinito, non sapendo cosa stava per accadere; altri, invece, avevano imparato ad associare l'odore di orco al terrore e alla morte. Questi ultimi stavano diventando difficili da trattenere e trasmettevano parte del loro nervosismo ai cavalieri.
<< Hai mai visto degli orchi? >>, chiese Elladan.
<< Sì >>, rispose Maedir.
<< Ne hai mai ucciso uno? >>.
<< No >>.
<< Allora ascoltami attentamente. La maggior parte di loro indossa armature pesanti di pessima fattura, che li rendono lenti e imprecisi nei movimenti. Mira alla gola e non esitare quando colpisci, neanche per un istante >>.
Maedir annuì. Cercava di apparire sicuro di sé, ma il tremore delle sue mani tradiva il suo vero stato d'animo.
<< Qualsiasi cosa accada, resta vicino a me >>, aggiunse Elladan.
Lo sguardo di Maedir s'illuminò. << Grazie >>, disse.
<< Mi ringrazierai alla fine >>.

Gli orchi credevano di trovarsi di fronte un villaggio indifeso, che avevano già saccheggiato in passato senza incontrare difficoltà. Per questo, quando i Dùnedain li attaccarono, si trovarono del tutto impreparati ad affrontarli.
Per Elladan combattere era ormai diventato naturale come respirare. Ogni suo colpo era letale, senza eccezioni e senza pietà. I suoi nemici erano null'altro che bersagli in movimento, da colpire con rapidità e precisione. Ma un angolo della sua mente era sempre riservato a Elrohir. Ogni volta che batteva le palpebre, per quell'istante in cui i suoi occhi si chiudevano poteva quasi vedere ciò che vedeva Elrohir. I suoi colpi erano ancora più potenti, ancora più rabbiosi.
Maedir dimostrò un eccezionale coraggio: non indietreggiò neanche una volta e riuscì ad uccidere due orchi senza l'aiuto di Elladan. Era ancora troppo lento e i suoi movimenti erano sgraziati, ma non lasciava che la paura prendesse il sopravvento. Ho visto uomini possenti scappare in preda al panico al primo accenno di pericolo, mentre questo ragazzo non ha mai lasciato il suo posto, sarebbe morto obbedendo agli ordini, pensò Elladan.
Non perse mai di vista Maedir e in più di un'occasione gli salvò la vita. Quando l'ultimo orco morì sotto la spada di Daven, Elladan trasse un sospiro di sollievo.
Non c'erano state vittime tra loro, solo lievi feriti.
<< Ben fatto, Elladan >>, disse Daven, << Maedir, prendi un cavallo e raggiungi gli uomini che ho mandato al villaggio. Qualcuno potrebbe avere bisogno delle tue doti curative >>.
<< Sì, signore >>, rispose Maedir. Era visibilmente sollevato dal dover lasciare il campo di battaglia. Non apparteneva a quel luogo.
Parlerò con Arador e farò in modo che Maedir non sia più costretto a combattere. Quel ragazzo è nato per curare, non per uccidere, si propose Elladan.
I Dùnedain si adoperarono per raccogliere le frecce ed ispezionare i dintorni. Elladan legò il suo cavallo ad un albero e si addentrò tra gli alberi. Era importante che si assicurassero di aver eliminato ogni pericolo prima di avvicinarsi al villaggio.

Elladan camminava in silenzio, tenendo la mano poggiata sull'elsa del pugnale, attento ad ogni minimo rumore. Mentre il suo corpo era teso, pronto a scattare, la sua mente continuava a ritornare ad Elrohir. C'era qualcosa di nuovo nei suoi sentimenti, qualcosa che Elladan non riusciva ad identificare del tutto. Tristezza, paura, colpa, tutte emozioni che non si addicevano al campo di battaglia; non per quanto riguardava Elrohir. Di solito l'unico sentimento che si concedeva di provare era la rabbia: una furia cieca e inarrestabile. Ma quella volta era diverso.
 
Qualcosa colpì Elladan alle spalle, cogliendolo di sorpresa. Non avrei dovuto distrarmi, pensò, mentre affondava il pugnale nella gola dell'orco che l'aveva attaccato. Elladan si rimproverò per non averlo udito arrivare. Si rialzò e ne uccise un altro, che era riuscito ad avvicinarsi a lui pericolosamente. Prima ancora che il corpo dell'orco cadesse a terra, Elladan si voltò per fronteggiarne il terzo e ultimo. Ma qualcosa lo indusse a fermarsi bruscamente. Una lama nera si trovava ad un palmo dai suoi occhi, mentre la creatura che la impugnava era immobile. Elladan restò come pietrificato, finché non notò la spada che fuoriusciva dall'armatura dell'orco. Questi cadde un attimo dopo con un tonfo secco, rivelando l'identità dell'uomo che aveva salvato Elladan.
Il suo aspetto rivelava la sua appartenenza al popolo dei Dùnedain, ma l'elfo era certo di non averlo mai visto prima.
<< Dimmi il tuo nome >>, disse Elladan, il respiro ancora affannoso, << Così che io sappia a chi devo la mia gratitudine >>.
L'uomo lo fissò intensamente per qualche secondo. Era alto e dal fisico imponente, aveva lunghi capelli neri e occhi verdi. Era giovane, ma la sua pelle era attraversata da lievi rughe premature.
<< Ti dirò il mio nome se tu mi dirai il tuo >>, rispose l'uomo.
Elladan era ancora certo di non conoscerlo, ma notò qualcosa di vagamente familiare nella sua voce e nei suoi lineamenti spigolosi. Appartiene di certo ad una nobile stirpe, ma i suoi modi sono arroganti e scortesi, pensò l'elfo.
<< Sono Elladan, figlio di Elrond >>, dichiarò.
<< Dareon, figlio di nessuno >>, disse l'uomo, con un sorriso ironico.
<< Ti ringrazio, Dareon. Se non fosse stato per la tua prontezza, forse quell'orco mi avrebbe ucciso >>.
Prima che Dareon avesse modo di rispondere, un cavallo galoppò verso di loro. << Elladan! >>. La voce allarmata di Maedir era inconfondibile. Quando il giovane Dùnedain li raggiunse il suo sguardo si soffermò sui tre orchi che giacevano morti, per poi essere attraversato da un lampo di paura non appena incrociò quello di Dareon.
<< E' un piacere rivederti. L'ultima volta eri poco più di un bambino >>. Dareon sembrava vagamente divertito.
<< Non dovresti essere qui >>, rispose Maedir con freddezza. Poi si rivolse ad Elladan. << Tuo fratello... >>.
<< ...è ferito? >>, chiese Elladan. Non lo è, pensò, altrimenti lo saprei.
<< No, è soltanto... sconvolto. Non so cosa sia successo, ma credo che abbia bisogno di te >>.
<< Accompagnami da lui >>.
 
Elrohir era inginocchiato in una pozza di sangue nero, il pugnale ancora stretto tra le dita. Intorno a lui c’erano tredici cadaveri di orchi. Poco distante il suo cavallo giaceva agonizzante, a causa di un profondo taglio sul ventre. Elladan si avvicinò con cautela, mentre Elrohir sembrò non accorgersi della sua presenza. S’inginocchiò accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Solo allora Elrohir lo guardò, con occhi colmi di tristezza. << Cosa sono diventato? >>, chiese con un filo di voce.
<< Hai contribuito a salvare gli abitanti del villaggio. Se lo chiedessi a loro direbbero che sei un eroe >>, rispose Elladan.
Elrohir scosse impercettibilmente la testa. << C’era un bambino, prima. Avrà avuto dieci anni o poco più. Si era nascosto tra i cespugli, era terrorizzato. Mentre combattevo mi sono assicurato che restasse al sicuro. Ero così…furioso. Sono trascorsi tanti anni da quando nostra madre venne catturata, eppure non sono mai riuscito a liberarmi dall’odio. Ne ero accecato, e non me ne accorgevo. Oggi ho guardato negli occhi di quel bambino ed ho visto la paura. Non soltanto degli orchi, ma di me. Aveva paura di me. Ha visto un essere dominato dall’odio e, per la prima volta, sono riuscito a vederlo anche io >>.
<< Posso capire quello che provi… >>.
<< No, non puoi >>, lo interruppe Elrohir. << Sei diverso da me. Tu non provi piacere nell’uccidere >>.
Quell’affermazione colse Elladan impreparato. Non sapeva cosa dire e allo stesso tempo temeva che, se fosse restato in silenzio, avrebbe confermato le parole di Elrohir.
<< Ti sbagli >>, disse, << In passato anche io ho provato piacere nell’uccidere e non ne vado fiero >>.
<< La verità è che sono stanco. Stanco di mettere la mia spada e la mia vita al servizio della vendetta. Nostra madre non avrebbe voluto questo >>, confessò Elrohir.
Elladan non poté che concordare.
I lamenti del cavallo morente si fecero più insistenti, più disperati. Elrohir sembrò ricordarsi all’improvviso della sua presenza. << Sta soffrendo. Devo… >>.
<< Ci penso io >>, disse Elladan. Hai visto abbastanza morte per oggi, aggiunse tra sè.
 
Elladan estrasse il suo pugnale ed esaminò un’ultima volta la ferita sul ventre del cavallo. Era troppo profonda: in ogni caso l’animale sarebbe morto tra atroci sofferenze. Appoggiò la punta della lama in corrispondenza del cuore. << Savo hîdh nen gurth, mellon nîn >>, sussurrò e, con un colpo secco, pose fine al suo dolore.
In lontananza poteva vedere i Dùnedain che tornavano al villaggio, accolti con gioia dai suoi abitanti. In testa cavalcava Daven e dietro di lui, a piedi, c’era Dareon.
Elladan tornò da Elrohir. << Guarda questo momento come una parte della tua vita che finisce e una nuova che inizia. Non dovrai più permettere che la rabbia prenda il sopravvento su di te: devi essere l’unico padrone delle tue azioni >>.
Elrohir sorrise all’udire quelle parole così familiari. << Glorfindel ha cercato di insegnarcelo per anni. Cosa farebbe se ci vedesse adesso? >>.
<< Assumerebbe quell’aria imbronciata che conosciamo ormai benissimo e direbbe qualcosa che comincia con: “Se solo mi aveste ascoltato mentre cercavo di insegnarvi qualcosa…” >>, rispose Elladan. Sembrava trascorsa un’eternità dall’ultima volta in cui avevano visto Glorfindel. Ma nonostante ciò era come se una parte di lui fosse lì con loro: i suoi insegnamenti erano sempre presenti e spesso si rivelavano indispensabili. << Li renderemo fieri >>, aggiunse Elladan, << Quando torneremo a casa, saranno fieri di noi >>.
 
Nel frattempo, a miglia di distanza, due lame smussate s’incrociavano nel campo di addestramento di Imladris. Elrond e Glorfindel si fronteggiavano in un duello che, se fosse stato reale, sarebbe diventato materia di canzoni e poemi per i secoli a venire. Ma non c’era aggressività in quel combattimento, al contrario, i due elfi conversavano serenamente tra un colpo e l’altro.
<< Se solo mi avessero ascoltato mentre cercavo di insegnargli qualcosa… >>, disse Glorfindel, mentre schivava agilmente un affondo di Elrond.
<< …se ascoltassero tutto quello che diciamo non sarebbero i gemelli testardi che conosciamo e amiamo >>, concluse Elrond.
Da quando Elladan ed Elrohir erano partiti, non passava giorno in cui non pensasse a loro. I confini di Gran Burrone erano diventati più sicuri, probabilmente perché gli orchi non osavano avvicinarsi al territorio dei cosiddetti “Principi di Imladris”. Quando Elrond aveva avuto notizia dell’appellativo che era stato attribuito ai suoi figli, aveva reagito con un divertito stupore. Sono forse diventato un re a mia insaputa?, aveva pensato.
La spada di Glorfindel intrappolò la sua e fu sul punto di colpirlo, ma Elrond si liberò con un rapido movimento del polso e fece un passo indietro.
<< Non ho loro notizie da tre inverni >>, disse.
<< Forse si trovano in un accampamento. Non ovunque sono disponibili carta, inchiostro e un messaggero >>.
I due elfi si fermarono per qualche istante. Entrambi iniziavano ad essere stanchi e nessuno era ancora riuscito a colpire l’altro. Le spade smussate rendevano il duello sicuro, ma non meno faticoso. << Considerando le voci che girano su di loro >>, osservò Glorfindel, << sembrerebbe che stiano portando onore al tuo nome >>.
Io non voglio l’onore, pensò Elrond, voglio che i miei figli tornino sani e salvi.
Le spade s’incrociarono ancora una volta. Glorfindel scattò in avanti, la lama di Elrond intercettò la sua una prima e una seconda volta, ma alla terza trovò via libera. Elrond ricevette una dolorosa stoccata alla spalla sinistra.
<< Non eri del tutto concentrato >>, disse Glorfindel, << altrimenti non sarei riuscito a colpirti >>.
<< Ho la mente occupata da altri pensieri >>, ammise Elrond, massaggiandosi la spalla.
<< Se ben ricordo, lo scopo di questo combattimento era proprio quello di distrarre la tua mente dagli altri pensieri >>, disse Glorfindel.
Entrambi abbassarono le spade. Per il momento l’allenamento si era concluso. Elrond non riusciva a dimenticare le proprie preoccupazioni, per quanto ci provasse, e Glorfindel era l’unico che riusciva a capirlo appieno.
<< Se gli dovesse accadere qualcosa… >>, disse Elrond.
<< Non succederà. Se i tuoi figli hanno anche soltanto la metà della tua saggezza e della tua forza, possono affrontare qualsiasi cosa il destino abbia in serbo per loro >>, rispose Glorfindel, deciso.
Elrond si concesse un breve sorriso. Glorfindel sapeva sempre cosa dire.
La giornata era ancora lunga e c’erano tante faccende che richiedevano la sua attenzione. Questioni che necessitavano del Signore di Gran Burrone, e non di un padre preoccupato.
I miei doveri richiedono che io sia concentrato e che pensi lucidamente. La prossima volta la lama potrebbe essere affilata e potrebbe non essere Glorfindel ad impugnarla.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Savo hîdh nen gurth, mellon nîn: possa tu trovare la pace nell’aldilà, amico mio 
 
Note finali:
nel caso in cui qualcuno se lo stesse chiedendo, il cane di Maedir è un Bloodhound, una razza nata nel Medioevo e utilizzata per le battute di caccia. E’ notoriamente il cane con l’olfatto più sviluppato.
I nomi di Daven e Dareon (soltanto i nomi) sono stati “presi in prestito” dai libri di George R.R. Martin, sperando che non gli dispiaccia :)

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Un nuovo inizio ***


Salve a tutti :) Questo capitolo è ambientato subito dopo il precedente. L'ho scritto di fretta e non ho avuto tempo di controllarlo con attenzione, quindi chiedo scusa in anticipo se ci sono errori o imprecisioni.

I Dùnedain decisero all’unanimità di trascorrere i successivi due giorni al villaggio, dopo i numerosi inviti da parte dei contadini. La maggior parte di loro avrebbe voluto che gli Uomini dell’Ovest vivessero stabilmente con loro, ma Daven mise subito in chiaro che non sarebbe accaduto. C’erano altri villaggi che avevano bisogno della loro protezione, senza contare che Arador aveva specificamente ordinato che i suoi uomini tornassero entro la successiva luna.
Quella notte si svolsero grandi festeggiamenti in onore della pace appena conquistata. I campi, precedentemente razziati dagli orchi, erano stati riseminati e avrebbero fornito sostentamento all’intero villaggio durante l’inverno.
Elrohir si offrì di prendere il primo turno di guardia e si allontanò dal banchetto prima ancora che iniziasse. Elladan non ebbe bisogno di chiederlo per sapere che suo fratello non voleva la compagnia di nessuno. Si unì alla festa, sotto gli occhi curiosi di alcuni bambini che evidentemente non avevano mai visto un elfo prima di allora. Uno di loro sussurrò, << Quello è il guerriero che ho visto nella foresta >>, non appena lo vide.
Quello era Elrohir, lo corresse mentalmente Elladan, prima di tornare a concentrarsi sul modesto banchetto. Non era nulla in confronto alle celebrazioni a cui aveva preso parte a Gran Burrone, ma sapeva che era il meglio che quella gente aveva da offrire loro, e pertanto non poteva non esserne profondamente grato.
La sua attenzione si spostò su Maedir, seduto di fronte a lui. Appariva pensieroso, poco partecipe all'entusiasmo generale. Elladan era certo di sapere a cosa stava pensando.
<< Dareon resterà con noi? >>, chiese con disinvoltura.
Maedir sollevò lo sguardo dal tavolo. << Non gli sarà concesso >>, rispose.
<< Per quale motivo? >>.
<< Anni fa... ha fatto una cosa terribile >>. Maedir rabbrividì.
<< Cosa? >>, insistette Elladan.
<< Il crimine peggiore che tu possa immaginare >>.
Maedir tornò a guardare in basso, rendendo chiaro che non intendeva discutere ulteriormente sull'argomento. Elladan rispettò la sua scelta e si trattenne dal porre altre domande. Era evidente che Maedir aveva assistito a qualcosa che l'aveva sconvolto, qualcosa a cui non voleva ripensare.
Elladan riempì il proprio calice di vino e decise che, almeno per le due ore successive, i suoi pensieri avrebbero dovuto essere consoni ad una festa. Dopodiché avrebbe preso il secondo turno di guardia ed utilizzato il resto della notte per riflettere su questioni più serie.

Elrohir si scaldò le mani vicino al fuoco. Quella sera l'aria era fredda e il cielo nuvoloso. Lontano dal centro del villaggio, il silenzio rendeva facile avvertire eventuali pericoli, ma Elrohir era certo che, almeno per quella notte, non sarebbe stato necessario sfoderare le spade. Nonostante fossero trascorse ore dal combattimento, continuava a vedere immagini di sangue ogni volta che chiudeva gli occhi. Ricordò la sua prima battaglia, quando si era sentito sopraffatto dalla violenza che aveva commesso e subìto. I suoi sentimenti in quel momento erano gli stessi. È questo che dovrebbe provare un guerriero, pensò, ribrezzo e inquietudine. Dovrebbe uccidere unicamente per dovere, mai per piacere.
Un rumore di passi lo fece scattare sull'attenti, la mano pronta sull'elsa della della spada. Si rilassò qualche istante dopo quando capì che il rumore veniva dall'interno, non dall'esterno. Intravide due sagome che si erano allontanate dal banchetto. L'oscurità gli impediva di riconoscere il loro aspetto, ma nel silenzio poteva ascoltare chiaramente le loro voci concitate.
<< Non avevi nessun diritto di seguirci! La morte di Argonui non ha posto fine al tuo esilio >>. La voce di Daven rimbombò nel silenzio. Elrohir non riusciva a distinguere la sua espressione, ma capì che era furioso.
<< Chiedo soltanto una seconda possibilità >>. La seconda voce era bassa e profonda, ma carica di tensione.
<< Credi che io non sappia perché hai atteso fino ad ora? Aspettavi che Arador prendesse il posto di suo padre sperando che avrebbe revocato la sua condanna >>.
<< Adesso ha un buon motivo per farlo: ho salvato la vita del figlio di Elrond >>.
Solo allora Elrohir capì chi era il secondo uomo. Elladan gli aveva vagamente parlato di Dareon, dicendo solamente che non era riuscito a capire appieno chi fosse e quali fossero i suoi scopi.
Quell'ultima frase sembrò far infuriare Daven ancora di più. Elrohir aveva visto l'anziano guerriero arrabbiato molte volte, ma fino a quel momento non l'aveva mai udito alzare la voce.
<< Per quanto mi riguarda potresti anche aver ucciso un Balrog, ma la mia opinione non cambia >>.
<< Allora ti chiedo scusa, evidentemente durante la mia assenza sei diventato il Capitano dei Dùnedain senza che io ne fossi al corrente >>.
<< Attento, Dareon. Non provocarmi >>.
Il tono di Daven si era fatto minaccioso. Dareon, infatti, fece un passo indietro.
<< Arador avrebbe il diritto di condannarti a morte per non aver rispettato l'esilio >>, aggiunse Daven.
<< E immagino che saresti contento di occupartene di persona. È strano che nella tua lunga vita di impavido guerriero tu non abbia mai ucciso un uomo. Forse... >>. Non ebbe modo di finire la frase. Daven lo colpì così forte che il rumore delle sue nocche contro la guancia di Dareon risuonò nel buio. Questi sputò del sangue e per qualche secondo sembrò sul punto di reagire. Elrohir era già pronto ad intervenire se fosse stato necessario, ma Dareon non si mosse.
<< Chiederò ad Arador una seconda possibilità >>, disse, << E, se dovesse concedermela, dovrai trattarmi con lo stesso rispetto che riservi alla tua gente. In caso contrario, insisterò che sia tu stesso ad impugnare la spada che porrà fine alla mia vita >>.
Daven non rispose e andò via senza voltarsi indietro. Solo quando Elrohir notò che si stava dirigendo verso di lui si rese conto che il suo turno di guardia era già finito da tempo. Il secondo sarebbe toccato ad Elladan e l'ultimo a Daven. Senza accorgersene, Elrohir aveva coperto da solo i primi due turni. Il mio caro fratellino banchetta mentre io assolvo ai suoi doveri, pensò, trattenendo un sorriso.
Quando Daven lo raggiunse, Elrohir non osò menzionare la conversazione che aveva udito. Nonostante fosse curioso di saperne di più, capiva che quello non era il momento adatto per parlare dell'argomento. Tutta la rabbia che aveva percepito nella voce di Daven sembrava scomparsa. Adesso, nel suo sguardo, c'era soltanto tristezza.
<< Tu sei... >>.
<< Elladan >>, rispose Elrohir d'impulso. Di solito è lui a coprirmi le spalle, pensò, adesso tocca a me.
Daven si avvicinò alla luce del fuoco. Sembrava invecchiato di molti anni in quelle ultime ore, come se il confronto con Dareon l'avesse prosciugato di ogni energia. Ad Elrohir ricordò suo padre appena dopo la partenza di Celebrìan. Desiderò di poter fare o dire qualcosa per confortarlo, ma non riuscì a pensare a nulla di adeguato.
<< Sembri stanco >>, disse infine, << Lascia che continui io stanotte >>.
Daven stava per ribattere, ma Elrohir lo anticipò. << Hai più bisogno tu di riposo di quanto ne abbia io >>. Daven lo guardò intensamente per qualche istante, poi annuì, << Grazie, ragazzo >>.

La mattina seguente il clima era mite e il cielo era terso. Elrohir si sentiva molto meglio del giorno precedente, nonostante la stanchezza che inevitabilmente accompagnava una notte insonne. Era come se il dolore che aveva provato si fosse infine rivelato qualcosa di positivo. L'aveva aiutato ad aprire gli occhi, a ricordare che poteva avere il totale controllo su di sé. Aveva finalmente toccato con mano la prospettiva di essere libero, di non dover più inseguire una smania di vendetta che avrebbe portato soltanto morte e sofferenza. Ricordò una frase che aveva letto su una vecchia pergamena nella libreria di Imladris, tanti anni prima: “Io vivo per dominare la vita, non per esserne schiavo”. Suo padre aveva detto che l'autore era stato suo fratello Elros, poco prima di compiere la scelta che l'aveva reso mortale. Erano parole perfette per la sua situazione.


Elrohir aveva l'impressione che i suoi passi fossero più leggeri mentre assisteva agli ultimi preparativi prima del viaggio di ritorno. Non mancò di notare che non c'era traccia di Elladan. Si diresse verso la sua tenda, entrò senza annunciarsi e curandosi di far entrare più luce possibile.
<< Suil, tithen muindor! >>, disse.
Elladan era ancora sepolto tra le coperte, da cui emergevano soltanto ciocche di capelli scompigliati.
<< Qualcuno ha esagerato con il vino ieri sera >>, notò Elrohir.
<< Non io >>, mormorò Elladan, la voce attutita dalla coperta.
Elrohir ridacchiò. << Allora a cosa dobbiamo questo mal di testa che ti, anzi che ci tormenta? >>.
<< Continuavano a bere alla mia salute... Se avessi rifiutato si sarebbero offesi >>.
<< Non ho dubbi. Adesso ci vorresti degnare della tua presenza, o dobbiamo partire senza di te? >>.
Solo allora Elladan riemerse di colpo dalle coperte, l'espressione vagamente confusa. << È già mattina >>, constatò.
<< Ancora per poco. Il sole è nel suo punto più alto >>.
<< Ho dimenticato il mio turno di guardia. Mi dispiace >>, disse Elladan, con aria mortificata.
<< Non importa. Ho detto di essere te e l'ho fatto al tuo posto >>.
<< Grazie >>.
Elladan si alzò, cercando di ristabilire l'equilibrio sulle proprie gambe. Elrohir trovava quella situazione a dir poco esilarante.
<< Ti serve aiuto? >>, chiese, sorridendo.
Elladan scosse la testa, pentendosene subito dopo per via della fitta che ne seguì.
<< Allora andrò a sellare il tuo cavallo >>, concluse Elrohir.
Elladan cambiò repentinamente espressione al sentir nominare il cavallo. Probabilmente la sola idea di cavalcare lo nauseava. Prima di uscire dalla tenda Elrohir lo udì borbottare qualcosa che finiva con "...la prima e ultima volta".

Buona parte degli abitanti del villaggio si era radunata per assistere alla partenza dei Dùnedain. Elladan aveva fatto tutto il possibile per recuperare la sua compostezza, ed era abbastanza certo di essere tornato ad essere indistinguibile dal gemello. Ne ebbe la conferma quando un bambino, con altri quattro al seguito, si avvicinò per parlargli dopo averlo osservato a lungo da lontano.
<< Siete uguali >>, disse, indicando Elrohir che, poco lontano, era intento a controllare le provviste per il viaggio. << Perché siete uguali? >>, chiese.
Una donna, presumibilmente la madre, intervenne con aria di scusa. << Non è buona educazione fare domande indiscrete agli estranei >>, lo rimproverò, e fece per portarlo via.
<< Non importa >>, disse Elladan, << La curiosità è una virtù >>.
S'inginocchiò per arrivare all'altezza del bambino. << Siamo simili perché siamo nati insieme >>, spiegò.
Il bambino rifletté brevemente sulla risposta che gli era stata data e pose la seconda domanda di fretta, forse per paura che la madre lo rimproverasse di nuovo.
<< Questa è tua? >>, chiese, mostrando una freccia che aveva estratto da una piccola faretra di legno.
Elladan la osservò con stupore. << Dove l'hai presa? >>.
<< Mio padre è un cacciatore >>, rispose il bambino con orgoglio, << Un giorno mi ha portato questa freccia... Ha detto che è fatta dagli elfi >>.
<< Mi permetti di vederla meglio? >>.
Quando Elladan la prese, notò che qualcuno aveva arrotondato la punta, rendendola inoffensiva, ma anche così la sua fattura era inconfondibile.
<< Non è mia, ma tuo padre ha ragione: apparteneva ad un elfo >>, disse, poi si rivolse alla donna. << Dove è stata trovata? >>.
<< Non lontano dal villaggio. Un branco di Mannari è passato vicino alla nostra terra due lune fa. Non hanno fatto del male a nessuno e non ci saremmo neanche accorti del loro passaggio se mio marito non li avesse trovati durante una battuta di caccia. Erano tutti morti, trafitti da spade e frecce come questa >>, spiegò la donna.
Elladan restituì la freccia, li ringraziò e si congedò il più in fretta possibile. Raggiunse Elrohir e disse, << E' probabile che presto avremo compagnia >>.

Elrohir gli rivolse uno sguardo interrogativo.
<< Elfi silvani >>, rispose Elladan.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Suil, tithen muindor: salve, fratellino

Note finali:

non so se qualcuno l'ha notato, ma la frase di Elros: “Io vivo per dominare la vita, non per esserne schiavo” è tratta dal film “L'attimo fuggente” con Robin Williams. Ho voluto inserire questo piccolo tributo alla scomparsa di un mito.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Dalle Terre Selvagge ***


In questo capitolo ci saranno un po' di "salti" da un punto di vista all'altro. Spero che la cosa non risulti confusionaria e, come sempre, spero che vi piaccia :)

Elrond ripiegò la lettera e la gettò nel fuoco. Era un'abitudine dura a morire, quella di distruggere le lettere degli alleati che comunicavano importanti informazioni strategiche; un'abitudine che, in tempo di guerra, avrebbe potuto decretare la differenza tra la vittoria e la sconfitta. Tuttavia, nel suo studio a Imladris, non c'era pericolo che le lettere finissero in mani sbagliate: chiunque vivesse lì era degno di fiducia. Nonostante Elrond continuasse a ripeterselo, si ritenne davvero soddisfatto solo quando vide la carta che, avvolta tra le fiamme, lentamente si tramutava in cenere. Elros aveva sempre trovato divertente questa sua strana abitudine. Tu conservi tutto, diceva, anche il più insignificante pezzo di carta, anche se sai benissimo che non ti servirà più. Ma appena ricevi qualcosa che somigli minimamente ad un messaggio strategico, la distruggi come se fosse velenosa. È una bizzarra contraddizione...non credi?
Elrond ricordò con nostalgia e affetto il modo in cui Elros ironizzava sui suoi difetti, che conosceva bene quanto i propri.
Nel corso degli anni aveva accumulato un grande numero di lettere e vecchi libri, che conservava fino a quando non venivano distrutti dal tempo. Da quando Celebrìan se n'era andata, avevano cominciato ad ammucchiarsi in maniera disordinata. D'ora in poi dovrò occuparmene io, pensò Elrond.
La lettera che aveva appena distrutto era arrivata qualche giorno prima da Re Thranduil in persona. Lo avvertiva che c'erano stati innumerevoli attacchi ai suoi confini da parte di un gruppo di Mannari delle Terre Selvagge, cavalcati da orchi bene addestrati ed organizzati. I confini di Bosco Atro erano al sicuro e la maggior parte dei Mannari era stata messa in fuga, ma Thranduil aveva mandato un piccolo contingente sulle loro tracce per assicurarsi che venissero eliminati prima di invadere altre terre. Avvertiva Elrond di aumentare la sorveglianza sui confini di Imladris e di prestare particolare attenzione ad eventuali attacchi da est e da sud.
Devono averlo fatto arrabbiare oltre ogni misura per convincerlo a mandare un contingente così lontano dal suo territorio, era stato il primo pensiero di Elrond. Il secondo, era andato ai suoi figli. Non sapeva esattamente dove si trovassero, ma temeva che potessero essere coinvolti nello scontro. Quando aveva riferito a Glorfindel il contenuto della lettera, questi si era offerto di guidare una spedizione oltre i confini di Gran Burrone per accertarsi che non ci fosse un pericolo immediato. Quella proposta non aveva sorpreso Elrond. Sapeva che, in seguito a lunghi periodi di inattività, Glorfindel diventava impaziente di tornare a combattere. Non perché amasse il brivido della battaglia, ma perché odiava l'idea che degli innocenti morissero quando lui avrebbe potuto evitarlo.
Elrond gliel'aveva concesso.
Nella migliore delle ipotesi la spedizione sarebbe stata infruttuosa, rivelando che il pericolo era lontano. In alternativa, Elrond sperava che Thranduil si sbagliasse in merito al livello di organizzazione dei Mannari e degli orchi che li cavalcavano.

Qualcuno bussò alla porta del suo studio. << Avanti >>, disse Elrond.
Era Teliadir. Da tempo ormai l'elfo aveva abbandonato le armi per dedicarsi interamente all'attività di guaritore, che aveva conciliato con la sua innata curiosità di viaggiatore. Aveva visitato città lontane e terre sconosciute, mettendo la sua conoscenza al servizio di chiunque ne avesse bisogno. In quel periodo aveva fatto ritorno ad Imladris prima di partire per il suo prossimo viaggio.
<< Mio signore, stanno tornando >>, disse Teliadir, nel suo solito tono formale.
Elrond avrebbe dovuto essere sollevato da quella notizia, ma non lo era del tutto. Dovevano tornare non prima di due giorni. Significa che non tutto è andato come previsto.
<< Accompagnami da loro >>, rispose, cercando di celare la propria preoccupazione.

Nel momento in cui vide gli elfi di ritorno, capì che le sue speranze erano state fin troppo ottimiste. Alcuni cavalcavano in due sulla stessa sella, segno che avevano perso dei cavalli. Alcuni erano feriti, ma a prima vista non sembrava che fossero gravi. Elrond si concesse un sospiro di sollievo quando capì che non c'erano stati morti. Poi la sua attenzione si spostò su Glorfindel.
<< Chiama altri guaritori >>, disse a Teliadir, << Di Glorfindel mi occuperò io >>.
L'elfo biondo perdeva sangue da un taglio che si estendeva dalla base del collo alla spalla destra. Smontò da cavallo con disinvoltura, come se si fosse dimenticato del sangue che gli colava lungo il braccio. Evidentemente lo considerava un elemento di secondaria importanza.
<< Ci stavamo dirigendo ad est quando... >>, Glorfindel cominciò a raccontare, ma Elrond lo interruppe.
<< Questo può aspettare. Sei ferito >>, disse.
Solo allora Glorfindel guardò la propria spalla con la noncuranza di chi osserva un dolore che non gli appartiene. << Non è nulla >>, rispose.
<< Questo sarò io a deciderlo >>.

A miglia di distanza, il contingente proveniente da Bosco Atro attraversava le prime terre a sud della foresta. Re Thranduil aveva affidato il comando a Merethor, uno dei suoi uomini più fidati. Lo scopo della loro spedizione era apparentemente semplice: inseguire un gruppo di Mannari in fuga da Bosco Atro e ucciderli fino all'ultimo. Ma portare a termine la missione stava diventando sempre più difficile. Le creature a cui davano la caccia erano troppe, e spesso gli elfi avevano l'impressione che non stessero davvero fuggendo da loro. Sembrava, invece, che aspettassero il momento giusto per cambiare direzione ed attaccarli. Merethor lo sapeva, ma era convinto che per allora i suoi guerrieri sarebbero stati pronti ad affrontarli.
Due giorni prima erano riusciti ad uccidere alcuni Mannari che erano rimasti indietro rispetto agli altri, non lontanto da un piccolo villaggio, ma la maggior parte restava ancora a piede libero. Tuttavia non era questa la preoccupazione principale di Merethor. Il terreno su cui si trovavano era molto diverso da quello di Bosco Atro. C'erano agglomerati di rocce che interrompevano la visuale delle sentinelle, lunghe distese di arida terra tra le quali era impossibile trovare rifugio, e spesso la nebbia li costringeva a camminare alla cieca. Era in quei momenti che la sicurezza di Merethor vacillava.
Quel giorno non era diverso dai precedenti. Il sole era appena sorto e gli elfi Silvani si preparavano a rimettersi in viaggio.
La sera prima Saeliel, l'unica elfa della compagnia, nonché seconda in comando, aveva avvistato un accampamento non lontano da lì. << Credo sia abitato da edain >>, aveva ipotizzato.
<< Allora lo eviteremo. Non voglio coinvolgerli nella nostra missione >>, aveva risposto Merethor. Era già difficile eseguire i suoi doveri senza che dei mortali in cerca di gloria s'intromettessero.
Saeliel era la figlia di uno dei consiglieri del re ed era stata educata dal padre così come un generale addestra le sue truppe. Era diventata forte e sicura di sé, ligia alle regole eppure pronta a contestarle. Se possedeva anche qualità tipiche femminili come la sensibilità e la dolcezza, le teneva ben celate in presenza degli altri guerrieri. Merethor sapeva che, in caso di bisogno, avrebbe potuto fidarsi di lei.
Gli elfi si erano messi in cammino da poche ore, quando uno di loro udì l'ormai familiare ringhio dei Mannari echeggiare nella vallata alle loro spalle. << Ci attaccano! >>, esclamò qualcuno. Erano stati accerchiati.
Merethor non fece in tempo a sfoderare la spada. Una pioggia di frecce si abbatté su di loro. Una di esse sibilò ad un palmo dalla sua testa, la seconda non mancò il bersaglio. Merethor avvertì un'esplosione di dolore alla schiena, che gli mozzò il fiato e gli oscurò la vista. Il suolo si rovesciò sotto di lui e un attimo dopo poteva sentire l'odore acre del terreno, insieme a quello metallico del sangue.
<< Ritirata! >>, la voce di Saeliel giungeva attutita, deformata. Merethor riuscì a stento ad ascoltarla mentre dava ordini al suo posto. << Rifugiamoci all'accampamento! >>. Il suo primo ordine è quello di disobbedire al mio ultimo, fu il suo ultimo pensiero cosciente.

Elrond immerse una pezza nell'acqua ed osservò mentre il liquido diventava rosso. La ferita di Glorfindel non era grave, e una volta pulita sembrava che sarebbe guarita senza complicazioni, a meno che...
<< Non era avvelenata >>, disse Glorfindel, come se gli avesse letto nel pensiero. << Se lo fosse stata il veleno avrebbe già fatto effetto >>.
Elrond trasse un sospiro di sollievo. Osservò il taglio che intanto aveva smesso di sanguinare e, per un istante, quell'immagine si sovrappose con il ricordo di Celebrìan di ritorno dal Passo Cornorosso.
<< Cosa è successo? >>, chiese.
<< Non ci eravamo allontanati di molto dai confini di Gran Burrone. Credevamo di trovarci ancora in territorio sicuro, considerato che gli orchi non osano avvicinarsi così tanto a noi da molti anni. Invece erano lì, numerosi e sfrontati. Non eravamo pronti ad affrontarli, per questo ho ordinato la ritirata >>.
Solo allora Elrond capì qual era il sentimento che aveva visto sul volto dell'amico e che non era riuscito a riconoscere. Glorfindel era deluso. Avrebbe voluto combattere, e invece i suoi nemici erano ancora in vita, probabilmente diretti verso le terre di qualcun altro.
Elrond voleva che Glorfindel sapesse di aver fatto la cosa giusta. << Se io avessi affidato il comando ad altri, probabilmente avrebbero combattuto e nessuno di loro sarebbe qui adesso. Per questo confido in te più di chiunque altro >>.
<< Soltanto uno stolto avrebbe deciso di combattere in una situazione simile >>, ribatté Glorfindel.
<< Potrei dire la stessa cosa di chi ha affrontato da solo un Balrog >>.
Glorfindel sorrise e disse, << All'epoca cercavo la grandezza, adesso cerco qualcosa di più importante >>.

Elrohir era felice di essere tornato all'accampamento. Tornare alle vecchie abitudini, ai soliti luoghi e alle solite persone era rassicurante. Anche se, in quel caso, le persone non erano esattamente le stesse. Arador aveva concesso a Dareon di restare con loro, e da allora questi si era comportato con gentilezza e rispetto nei confronti di tutti. Gli altri Dùnedain l'avevano trattato dapprima con distacco, e talvolta con un'ostilità a stento celata, ma con il passare del tempo alcuni di loro avevano iniziato a conversare abitualmente con lui, fino ad arrivare a considerarlo parte del gruppo.
Daven lo evitava il più possibile. Era raro che incrociasse il suo sguardo e gli rivolgeva la parola soltanto quando era Dareon a parlare per primo.

L'inverno è alle porte, pensò Elladan, mentre raccoglieva la legna per il fuoco. Il cielo era tinto di rosso e gli ultimi raggi di sole non erano più sufficienti ad illuminare e riscaldare. Stormi di uccelli attraversavano i cieli come piccole nuvole nere in cerca di luoghi più caldi, sospinti dal vento e incuranti di ciò che si lasciavano alle spalle. Elladan si concesse qualche momento di pausa per osservarli, finché non scomparvero dietro l'orizzonte sempre più buio, poi continuò a raccogliere la legna. Desiderò che il tempo rallentasse per prolungare quel momento di pace il più a lungo possibile, ma sembrava che il destino avesse per lui altri piani.
Il cane di Maedir fece irruzione nell'accampamento abbaiando ed ululando. Elladan lasciò cadere la legna e raggiunse Maedir.
<< Orchi? >>, chiese
<< No, estranei >>, rispose il ragazzo. Era l'unico che sapesse interpretare i pensieri del cane a seconda del tono di voce con cui abbaiava o dal modo in cui posizionava le orecchie.
Gli estranei si rivelarono essere un contingente di Elfi Silvani in cerca di rifugio. Elladan aveva visitato Bosco Atro in passato e conosceva alcuni dei suoi abitanti, ma non vide nessun viso familiare tra loro.
<< Cosa vi insegue? >>, fu la prima domanda che pose Arador.
Il Capitano dei Dùnedain era una persona pratica, e come tale considerava di importanza secondaria la provenienza e la razza a cui appartenevano gli elfi. Era fondamentale, invece, sapere se aiutarli poteva rivelarsi pericoloso per i suoi uomini.
Elladan ed Elrohir si erano posizionati al fianco di Arador, pronti ad intervenire se fosse stato necessario un intermediario che potesse trovare un accordo con entrambe le parti.
Una donna, l'unica del gruppo, si fece avanti e parlò a nome di tutti.
<< Mannari delle Terre Selvagge. Ieri abbiamo subito un attacco, nel quale è rimasto ucciso, tra tanti, anche il nostro capitano. Chiediamo di poterci stabilire con voi in attesa di ricevere rinforzi da Bosco Atro >>.
Elladan non smise mai di guardare l'elfa, a stento consapevole delle altre presenze attorno a lui. Portava un arco e una spada ancora insanguinata; i suoi abiti erano maschili, del tutto diversi dai lunghi vestiti tipici delle donne di Imladris. Non era particolarmente alta, ma i suoi lineamenti affilati le conferivano un'aria di importanza. I suoi capelli erano del colore del bronzo, legati con un nastro e parzialmente coperti da un cappuccio verde, gli occhi neri come la notte scrutavano Arador in attesa di una risposta.
<< Potete restare quanto desiderate e, quando arriveranno i rinforzi, i Dùnedain combatteranno al vostro fianco >>.
L'elfa non mostrò emozioni e si limitò a ringraziare chinando leggermente la testa in segno di rispetto. Solo allora il suo sguardo incontrò quello di Elladan. Per un istante il suo volto tradì una certa confusione al vedere i due gemelli, che ai suoi occhi dovevano apparire del tutto identici. Elladan era ormai abituato a vedere quell'espressione negli estranei e fino ad allora non ne era stato mai infastidito. Invece, per la prima volta, si ritrovò a desiderare di essere diverso da Elrohir, solo per poter essere riconosciuto da lei. Sapeva che, da quel momento in poi, i loro volti sarebbero rimasti fusi insieme nella sua mente, come se fossero stati una sola persona.
Elrohir sembrò cogliere al volo i suoi pensieri e si rivolse ad Arador. << Se permetti, andrò ad assicurarmi che i Mannari non attacchino l'accampamento cogliendoci impreparati. Dubito che lo faranno, considerando che sarebbe un rischio troppo grande per loro, ma preferirei esserne certo >>.
Arador acconsentì e chiamò Maedir per occuparsi dei feriti. Elladan ringraziò mentalmente suo fratello per averlo lasciato solo. Non ne sapeva il motivo, ma sentiva il bisogno di parlare con l'elfa, di scoprire chi era e qual era la sua storia.
Decise di presentarsi. << Gi nathlam hi. Sono Elladan, figlio di Elrond. Permettimi di accompagnarti all'interno >>.
<< Saeliel di Bosco Atro, ni veren an gi ngovaned >>.
Elladan non mancò di notare che l'elfa non si era presentata con il nome del padre. Per lui era naturale portare con fierezza il nome di Elrond, ma evidentemente per lei non era lo stesso. La accompagnò nell'accampamento, sentendosi felice senza un motivo preciso. Saeliel lo seguiva, camminando silenziosamente e lanciandogli di tanto in tanto una breve occhiata indagatrice.
Non dovrei essere tanto soddisfatto, si rimproverò Elladan, potrebbero attaccarci da un momento all'altro. La pace che abbiamo faticosamente conquistato è in bilico sulla lama di un coltello. Eppure non riusciva a smettere di pensare a Saeliel, al suo sguardo penetrante e alla sua espressione seria. Pensò che era bellissima.


Traduzione delle frasi in Sindarin
Gi nathlam hi: sei la benvenuta (lett. ti diamo il benvenuto qui)
ni veren an gi ngovaned: lieta di conoscerti

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Nuove conoscenze ***


Con il capitolo 14 questa fanfiction diventa ufficialmente la più lunga che io abbia mai scritto :) Buona lettura!

Nei giorni successivi Saeliel osservò i Dùnedain con lo stesso interesse con cui avrebbe osservato un animale raro o un evento inspiegabile. Aveva conosciuto degli edain in passato, ma non aveva mai avuto occasione di vivere con loro. Erano goffi e immaturi in confronto agli elfi, ma c'era qualcosa di affascinante nel loro modo di vivere. Il tempo era una costante onnipresente nella loro mentalità: ogni giorno doveva essere sfruttato appieno, perché era un giorno in meno da vivere. La morte era una realtà, concreta e terrificante, non un'eventualità. Per loro vivere è come leggere un libro di cui si conosce già il finale, e nel frattempo provare il più possibile ad apprezzarlo, pensava Saeliel.
Dopo la morte di Merethor, spesso si era chiesta se la responsabilità che era ricaduta su di lei non fosse eccessiva. Era diventata seconda in comando soltanto grazie alla fiducia che lui aveva nutrito nei suoi confronti, ed era certa che, non appena fosse tornata a casa, sarebbe tornata ad eseguire ordini invece di impartirli. Anzi, probabilmente Thranduil avrebbe nominato un nuovo comandante non appena avesse ricevuto notizia della sconfitta che avevano subito.

Saeliel si diresse verso il campo di addestramento, curiosa di osservare le tecniche di combattimento degli uomini che forse sarebbero stati suoi alleati in battaglia.
Prima ancora di arrivare, udì il rumore di due lame che stridevano una contro l'altra, mentre un gruppetto di persone circondava i due combattenti. Saeliel scoprì che si trattava di Elladan ed Elrohir, gli unici elfi che abitavano l'accampamento al momento del suo arrivo. I gemelli si stavano esercitando nel combattimento con il pugnale. L'elfa li osservò combattere, stupendosi della rapidità e della precisione dei loro movimenti, fluidi come passi di danza. Le due lame descrivevano cerchi nell'aria, si sfioravano e s'incrociavano rendendo piacevole come una melodia anche il rumore del metallo. I due elfi erano concentrati, ma non eccessivamente assorti, come se eseguissero un'attività non particolarmente difficile. Eppure i pugnali passavano ad un palmo dalla loro pelle, in un movimento così fulmineo che un piccolo errore avrebbe potuto risultare molto pericoloso per entrambi. Saeliel pensò che quelle lame così lucide e raffinate non potevano essere semplici pugnali di addestramento.
<< Si allenano usando lame vere? >>, chiese ad un ragazzo, mentre anch'egli osservava con ammirazione i due elfi.
<< Affilate e appuntite >>, rispose, << E non si sono mai fatti neanche un graffio >>.
<< Come fanno? >>, chiese Saeliel, stupefatta.
<< Nessuno lo sa, e credo che neanche loro lo sappiano. Sono in completa sintonia >>.
Da quel momento Saeliel li guardò con occhi diversi. Ogni volta che la lama passava troppo vicino ad uno dei gemelli un brivido le correva lungo la schiena, ma a loro non importava: sembrava che non avessero paura di sbagliare.
Saeliel sapeva che erano i figli di Elrond Peredhel, il Signore di Imladris, e pertanto dovevano essere in parte umani. Cercò di individuare le caratteristiche che denotavano la loro appartenenza alla stirpe mortale. I lunghi capelli castani, gli occhi grigi e le orecchie a punta non differivano dall'aspetto usuale degli elfi, ma un osservatore più attento poteva notare dei piccoli particolari che stonavano con l'insieme. La loro carnagione era leggermente più scura della maggior parte degli Eldar e la loro muscolatura era più pronunciata, visibile anche attraverso gli abiti. Saeliel si chiese quale dei due fosse Elladan, ma in quel momento distinguerli era del tutto impossibile.

Non appena Elladan si accorse della presenza di Saeliel si distrasse per un attimo ed Elrohir fu costretto a rallentare il ritmo dei suoi colpi. Elladan riprese la concentrazione, ma continuò a guardare l'elfa con la coda dell'occhio fino al termine del combattimento.
<< Vai a parlare con lei >>, gli sussurrò Elrohir, mentre entrambi riprendevano fiato.
<< Io... >>.
<< Non vorrai continuare a fissarla per tutto il tempo? >>.
<< No >>.
<< Allora cosa aspetti? Hai forse paura? >>.
Elrohir guardò con soddisfazione Elladan che si allontanava e, timidamente, proponeva a Saeliel di fare una passeggiata con lui.
Era stato chiaro sin dal primo momento che suo fratello era attratto da lei. Elrohir conveniva che l'elfa era molto bella, ma non condivideva i sentimenti di Elladan. E meno male, pensò, altrimenti potremmo diventare i protagonisti di una nuova ballata: i due gemelli che si contendono la stessa donna.
Ogni volta che guardava Saeliel, suo malgrado Elrohir la confrontava con Thiliel. Non avevano quasi nulla in comune: Thiliel era più esile, aveva i capelli biondi, gli occhi dolci e il suo modo di comportarsi non aveva nulla a che vedere con quello di Saeliel. Thiliel era sfuggente, sceglieva accuratamente le parole da dire per essere sicura di non dire mai troppo o troppo poco; Saeliel, invece, era più diretta: aveva l'aria di essere qualcuno che dice ciò che pensa senza mezzi termini, e raramente si dimostrava insicura. Elladan avrebbe dovuto darsi da fare per conquistarla.

Elrohir stava tornando alla sua tenda dal campo di addestramento, quando vide qualcosa che non credeva avrebbe mai visto, e che allo stesso tempo gli gelò il sangue nelle vene.
Maedir era seduto all'ombra di un albero intento a leggere un libro, mentre ai suoi piedi il segugio nero si godeva l'ultimo calore dell'autunno. In quel momento Dareon passava di lì. Maedir non distolse gli occhi dalla pagina, ma il suo cane alzò la testa e scoprì leggermente i denti. Dareon non si accorse di nulla e continuò a camminare seguendo il sentiero di terra battuta che attraversava l'intero accampamento. Non appena la strada lo portò vicino a Maedir, il cane scattò in avanti ringhiando e gli morse la caviglia. Maedir e Dareon vennero ugualmente colti di sorpresa dal comportamento inusuale dell'animale, ma, mentre il primo reagì sobbalzando, immobilizzato dallo stupore, il secondo fu rapido ad estrarre il pugnale che portava alla cintura. Dareon afferrò il cane per la pelle cadente del collo e lo immobilizzò puntandogli la lama all'altezza dell'occhio. Il cane non si mosse, ubbidendo ai richiami del padrone, ma continuò a tenere i denti scoperti in un muto avvertimento. Maedir si frappose tra loro, alzando le mani tremanti e implorando Dareon di fermarsi.
Elrohir accorse, pronto a sfoderare il suo pugnale se necessario.
<< Mi dispiace, non aveva mai aggredito nessuno prima. Ma, ti prego, non fargli del male >>. La voce di Maedir, colma di paura, suonava più acuta, come quella di un bambino. Teneva il libro davanti a sé, quasi volesse usarlo come uno scudo. Ad Elrohir sembrò più indifeso che mai.
<< Ha detto che gli dispiace. Adesso lascia andare il cane >>, gli intimò Elrohir.
Per un attimo credette che Dareon avrebbe ucciso l'animale, ma, dopo una breve esitazione, allentò la presa ed allontanò il pugnale. La scintilla d'ira che aveva brillato per un istante nei suoi occhi era quasi riuscita a spaventare anche Elrohir.
<< Tieni a bada la tua bestia, o me ne occuperò io >>, disse Dareon, il tono basso e minaccioso.
Maedir indietreggiò, mentre Elrohir fece un passo avanti. << Qualunque cosa farai a Maedir ti ritornerà per mano mia >>, disse, la mano ancora sull'elsa del pugnale.
Dareon gli rivolse un sorriso ironico. La maschera di cortesia che aveva indossato fino a quel momento era caduta, e sembrava che avesse definitivamente rinunciato a raccoglierla. Giocherellò con disinvoltura con la lama che teneva tra le mani, come se fosse indeciso su come usarla. << Potresti pentirti delle tue minacce prima di quanto credi >>.
<< Invece temo che sarai tu a pentirtene >>, rispose Elrohir. Dopo quell'ultimo combattimento nei boschi trovava molto più facile mantenere la calma, anche in situazioni in cui avrebbe voluto agire d'impulso. Se adesso agissi d'impulso, gli punterei la lama alla gola così velocemente che se ne accorgerebbe solo dopo aver sentito il freddo sulla pelle, pensò Elrohir.
Dareon sembrò temporaneamente indeciso sul da farsi, come se l'idea di combattere contro un elfo non lo preoccupasse minimamente.
<< Cosa sta succedendo? >>, la voce nervosa di Daven interruppe il loro piccolo scontro. Maedir, sollevato dall'arrivo dell'anziano guerriero, spiegò brevemente cosa era accaduto. Il perché quel cane così docile avesse attaccato Dareon senza apparente motivo, restava un mistero.
<< Non tollero che due Dùnedain incrocino le lame uno contro l'altro >>.
<< Lui non è uno di noi >>, ribatté Dareon, indicando Elrohir.
Daven lo ignorò. << Adesso rinfoderate i pugnali. Non li punterete contro niente che non sia un orco, un troll o Melkor in persona. Sono stato chiaro? >>.
Entrambi obbedirono, vinti dall'autorità nella voce di Daven.
<< Sei stato chiarissimo, padre >>, rispose Dareon, enfatizzando quell'ultima parola come se fosse un insulto. Subito dopo, andò via continuando per la sua strada.
Elrohir credette di aver capito male. Guardò Maedir, in cerca di conferme, ma il ragazzo non sembrava sorpreso.
Allora si rivolse a Daven. << Dareon è tuo figlio? >>, chiese.
<< Forse lo era un tempo. Adesso è poco più di un estraneo >>, rispose Daven.

Figlio di nessuno, pensò Elrohir, è così che si è presentato; con l'appellativo degli orfani e dei figli rinnegati dai padri.

Elladan condusse Saeliel in cima alla collina, dove c'era una buona vista delle terre circostanti. L'elfa sembrava particolarmente interessata al paesaggio, ma Elladan sospettava che fosse soltanto per motivi strategici. Guardava il terreno arido e gli alberi spogli e vedeva un campo di battaglia.
<< Un tempo ho attraversato questo luogo per visitare Bosco Atro. Sono trascorsi molti inverni da allora, ma sono certo che ricorderei il tuo viso, se l'avessi già visto >>, disse Elladan. Sperava così di dare inizio ad una conversazione più varia.
<< Probabilmente non ero ancora nata >>, rispose Saeliel, mentre scrutava l'orizzonte. Elladan fu tentato di chiederle quanti inverni avesse visto, ma si trattenne dal farlo. Deve avere la metà dei miei anni, pensò, se non di meno. Eppure in sua presenza si sentiva insicuro, come se fosse tornato ad essere un ragazzino. L'elfa, invece, sembrava del tutto a proprio agio.
<< Prima vi ho visti combattere >>, disse, << Siete molto abili >>.
<< Grazie >>, rispose Elladan. Ricevere complimenti da Saeliel lo intimidiva, ma allo stesso tempo era fiero che lei l'avesse notato.
<< Non temete di ferirvi accidentalmente? >>.
<< Non è pericoloso come sembra. Anche quando uno di noi sbaglia, l'altro riesce ad anticiparlo. Tu hai fratelli? >>.
Il tono di voce di Saeliel cambiò leggermente quando rispose alla domanda. << I miei genitori morirono prima che io compissi due anni. Ero la loro unica figlia >>.
<< Mi dispiace per la tua perdita >>, si affrettò a dire Elladan, pentendosi di aver toccato quell'argomento.
<< Saeliel non è il nome che mi avevano dato >>, aggiunse l'elfa.
<< Allora qual è l'origine del tuo nome, se posso chiederlo? >>.
In Lingua Corrente il nome di Saeliel significava letteralmente “figlia del saggio”. Elladan era sempre più incuriosito e affascinato da lei.
<< Sono stata adottata da uno dei consiglieri di Re Thranduil. Un elfo onesto ed rispettabile, soprannominato da tutti "Il Saggio". Da allora ho portato un nuovo nome, fino a dimenticare quasi del tutto quello vecchio >>.
<< Sarà orgoglioso di te per essere entrata in comando di un contingente >>.
<< Non ha mai mostrato di essere orgoglioso di me, quindi non vedo perché debba esserlo adesso >>, disse Saeliel, con una punta di amarezza nella voce.
Seguirono dei minuti di silenzio. Elladan sapeva che gli Elfi Silvani avevano usanze diverse da quelle a cui lui era abituato, e pertanto fece attenzione a non elargire giudizi su questioni che non conosceva appieno. Mentre camminavano, riscaldati dall'ultimo sole d'autunno, Elladan si chinò a raccogliere un fiore. Aveva i petali viola, sottili e fragili come le ali di una farfalla, e il bulbo di un giallo acceso. Lo porse a Saeliel.
<< Questo fiore è estremamente raro nelle terre in cui sono cresciuto, dove il clima è troppo mite per permettergli di sopravvivere. Cresce dove l'acqua è scarsa e l'ambiente inospitale. La sua bellezza è pari alla sua temerarietà >>, spiegò Elladan.
<< Perché l'hai colto? >>, chiese Saeliel.
<< Per darlo a te >>.
<< Cogliendolo l'hai ucciso. Adesso è destinato ad appassire >>.
Elladan restò senza parole. Quello che avrebbe dovuto essere un semplice atto di gentilezza stava diventando arduo come scalare una montagna.
Saeliel sembrò accorgersene e si affrettò ad accettare il fiore. << E' bellissimo, ti ringrazio >>.
Elladan capì subito che non sarebbe riuscito a conquistare l'amicizia dell'elfa così facilmente.
<< Tra la mia gente non è usanza diffusa regalare fiori >>, disse Saeliel, quasi a volersi giustificare per non aver apprezzato quel dono dal primo momento.
<< Allora imparerò nuove usanze. Se un uomo volesse conquistare il favore di una donna, secondo le vostre tradizioni, cosa dovrebbe fare? >>, chiese Elladan.
Saeliel sorrise. << Compiere grandi imprese in suo nome >>, rispose.
Il suo sorriso è bellissimo, pensò Elladan, voglio vederlo ancora e voglio esserne io la causa.

Quella sera Elladan non riuscì a prendere sonno fino a notte fonda. Provava sensazioni mai provate prima. Paragonabili, forse, a quando era ragazzo e non cessava mai di fare nuove scoperte, di esplorare e meravigliarsi anche delle cose più semplici. Era come se il mondo avesse assunto una tonalità più brillante, permettendogli così di vedere ciò che prima era celato dall'ombra. Un attimo si sentiva invincibile e l'attimo dopo era intimidito dall'enormità dei propri sentimenti.
A lungo aveva creduto di aver vissuto abbastanza da conoscere tutto ciò che l'esperienza poteva insegnare, ma si era sbagliato. C'era ancora un mondo intero da scoprire.

Elrohir osservò il serpente che strisciava davanti a lui. Era terrorizzato, ma l'impulso di seguire l'animale era troppo forte. Si dirigeva verso un precipizio. Elrohir non osava avvicinarsi per guardare giù, ma sapeva che era così profondo che nessuno sarebbe stato in grado di riemergerne. In piedi, rivolto verso il precipizio e girato di spalle rispetto ad Elrohir, c'era Elladan. Suo fratello sembrava ignaro del serpente che, lentamente, si avvicinava a lui.
Elrohir tentò di metterlo in guardia, di avvertirlo dell'animale alle sue spalle e, soprattutto, di intimargli di allontanarsi dal bordo del burrone. Ma non riuscì a dare voce ai suoi pensieri.
Fu costretto a guardare mentre il serpente strisciava sulla schiena di Elladan, fino ad arrivare sulle sue spalle, e infine si avvolgeva attorno al suo collo. Le sue spire si strinsero sempre di più, soffocando Elladan ed Elrohir allo stesso tempo.

Elrohir si svegliò di colpo. Per qualche secondo gli mancò l'aria, come se il suo sogno fosse diventato realtà. Sentiva ancora il serpente stretto attorno alla sua gola, nonostante la ragione gli dicesse che non era vero, che esisteva soltanto nella sua mente.
Si alzò di scatto ed uscì dalla tenda, respirando a fondo l'aria fredda della notte. Lentamente tornò a rilassarsi, ma decise comunque che non avrebbe tentato ancora di dormire. Si stese sull'erba umida ed osservò le stelle. Il cielo era limpido, di un nero intenso, senza traccia di nuvole e senza luna. Ogni tanto una scia luminosa brillava nel buio, soltanto per pochi istanti, prima di svanire. Da bambino Elrohir aveva chiesto a suo padre dove andassero a finire le stelle che cadevano. Diventano polvere, aveva risposto Elrond, e poi vanno nel mare, nell'erba, sul terreno, persino su di te, anche se non te ne accorgi. Ci sono minuscoli pezzi di stelle in ciascuno di noi e in ogni cosa che vediamo, per questo non dobbiamo mai cessare di stupirci della bellezza del mondo.
Si trattava di sentimenti remoti, che Elrohir aveva ormai dimenticato quasi del tutto.
Da Elladan, invece, provenivano solo emozioni positive. Elrohir era felice per lui, ed era ben determinato a non trasmettergli le sue preoccupazioni. Per questo motivo, quando udì i suoi passi che si avvicinavano e, con la coda dell'occhio, lo vide che si stendeva accanto a lui, ebbe l'impulso di allontanarlo. << Torna a dormire >>, disse, cercando di non apparire troppo brusco.
Elladan lo ignorò, si spostò in una posizione più comoda e chiese, << Ancora il serpente? >>.
Elrohir sospirò. << Sì, ancora lui >>.
<< Ma questa volta è diverso >>, osservò Elladan.
<< Come fai a dirlo? >>.
<< Sembri sconvolto >>.
Elrohir non rispose. Poteva percepire la spensieratezza di Elladan che si riduceva progressivamente, mentre una leggera inquietudine si faceva strada tra i suoi pensieri.
<< Non voglio parlarne adesso, non farebbe che renderlo più reale. Raccontami invece dei tuoi incontri con Saeliel >>.
Un sorriso illuminò il viso di Elladan non appena sentì pronunciare il nome dell'elfa.
<< E' unica, non saprei come altro descriverla. Quando sono in sua presenza vedo ogni cosa sotto una luce diversa >>, disse.
<< So come ci si sente >>, rispose Elrohir. Se si fosse trovato a fare la stessa conversazione con qualcun altro, gli avrebbe augurato ogni felicità, ma con Elladan non ce n'era bisogno. La felicità per loro era un bene in comune, non potevano desiderare altrimenti l'uno per l'altro.
Dopo aver contato cinque stelle cadenti, Elladan si alzò.
<< Domani scriverò a nostro padre >>, annunciò.
<< D'accordo >>, disse Elrohir.
<< E gli racconterò del tuo sogno >>, aggiunse.
<< Tu...cosa? >>.
<< Lui potrà aiutarti >>.
<< Non faresti che aumentare le sue preoccupazioni. E' soltanto... >>.
<< Non provare a ripetere che è soltanto un sogno! Sai bene che non lo è >>.
Elrohir si arrese alla determinazione del fratello ed annuì rassegnato. Aveva sbagliato a pensare di poter sviare quell'argomento così facilmente.
<< Adesso torna nella tua tenda e cerca di dormire almeno fino all'alba >>, disse Elladan.
Elrohir si alzò a sua volta. << Quando riconoscerai che non puoi dare ordini a tuo fratello maggiore? >>.
<< Quando il sole sorgerà ad Ovest >>, rispose Elladan.
La risata di Elrohir risuonò nel silenzio della notte. La volta stellata incombeva su di loro, come un enorme essere vivente che li osservava, tenendoli sotto la sua protezione ed offrendogli l'inafferrabile spettacolo della sua magnificenza.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Saeliel: figlia del saggio
Peredhel: mezzelfo
Edhil: Elfi

Note finali:
-Se qualcuno si stesse chiedendo quanti anni hanno i gemelli a questo punto della storia, ho fatto un breve calcolo per scoprirlo: ne hanno ben 2773.
-Visto il mio interesse per l'astronomia, mi sono chiesta quali fossero le nozioni degli elfi in materia. Purtroppo non ho avuto modo di scoprirlo, ma ho ipotizzato che in epoca medievale non si sapesse spiegare il fenomeno delle stelle cadenti in maniera scientifica. Oggi sappiamo che non sono altro che meteoriti che entrano nell'atmosfera terrestre, ma probabilmente all'epoca credevano che fossero davvero stelle che cadevano.
-Infine, mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate della svolta che ha preso la storia con la scoperta (più o meno) dell'identità di Dareon. Ogni opinione sarà apprezzata :)

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Appena sbocciato ***


Imploro umilmente perdono per il colossale ritardo. Le prime settimane dell'università sono state a dir poco frenetiche e non mi hanno lasciato molto tempo per scrivere. Comunque sappiate che non ho dimenticato la ff e che sono tornata a dedicarmi con impegno ai nostri gemelli preferiti.
Sono a buon punto con la stesura del prossimo capitolo ed ho già iniziato a scrivere la fatidica battaglia...
P.s. Vi avverto che le scene romantiche non sono il mio forte, quindi siete liberi di dare sfogo a qualsiasi critica/lamentela/invito a darmi all'ippica e chi più ne ha più ne metta.
Buona lettura :)

Cari Elladan ed Elrohir,
Apprendo con tristezza che i miei timori si sono avverati. Quando Re Thranduil mi ha informato del pericolo che ha lasciato le sue terre, ho sperato a lungo che non incontrasse voi e che non foste costretti a misurarvi con un male così insidioso.
Nonostante io abbia piena fiducia nel vostro coraggio e nella vostra abilità in combattimento, vi chiedo di essere prudenti: gli esseri che vi accingete ad affrontare non sono comuni orchi e pertanto è bene che non li prendiate alla leggera.
Elladan, da quanto hai accennato nella tua lettera, posso intuire che hai trovato la felicità in una delle sue forme più dolci e pericolose. Ti raccomando di assaporare ogni istante di questa nuova gioia e di rispettare l'oggetto del tuo amore, senza fare l'errore di considerarlo di tua proprietà. Non ho mai avuto l'onore di conoscere l'elfa di cui mi hai parlato, ma al vostro ritorno sarei felice di accoglierla ad Imladris fino a quando vorrà restare.
Elrohir, dovresti essere grato a tuo fratello per non aver sottovalutato la tua situazione e per aver deciso di avvertirmi. Un incubo ricorrente non è qualcosa da ignorare, ma da analizzare e comprendere. Non tutti gli elfi possiedono il dono della preveggenza e non sempre coloro che lo possiedono riescono a capire appieno le sue manifestazioni. La mente è un luogo oscuro e misterioso, e talvolta al di là dalla nostra comprensione. Dovresti considerare questi sogni particolari come la maniera attraverso la quale la tua mente tenta di comunicarti, o forse di avvertirti, in merito a qualcosa che deve ancora avvenire. Posso provare ad interpretare le descrizioni che mi hai fornito, ma nessuno meglio di te può riuscirci. L'elemento presente in tutti gli incubi, il serpente, potrebbe significare l'imminenza di un evento che ti suscita timore. Il precipizio potrebbe rappresentare qualcosa d'irraggiungibile, ma la cosa che mi preoccupa di più è la presenza di Elladan nel tuo sogno. Considera l'eventualità che stia per accadere qualcosa a lui, non a te. Nonostante io desideri fortemente che torniate a casa per potervi aiutare in qualsiasi cosa il fato abbia in serbo per voi, so che l'onore e l'amicizia vi vincola ai vostri alleati. Pertanto non vi chiedo di abbandonarli, solo di prestare attenzione a ciò che vi circonda, poiché il Male ha molte forme, e non tutte possono essere sconfitte con un colpo di spada.
In risposta all'ultima parte della vostra lettera vi informo con piacere che Arwen sta bene. Risiede ancora a Lòrien e lì, lontano dai tristi ricordi che popolano Imladris, sta ritrovando la spensieratezza con cui un tempo illuminava le nostre giornate. Nelle sue lettere mi chiede spesso di voi, insiste nel voler sapere se siete al sicuro e quando tornerete. Io non sono in grado di rispondere alle sue domane, per questo spero che vogliate scriverle di vostro pugno per rassicurarla sulle vostre condizioni. Sarà felice di ricevere vostre notizie.
Negli ultimi tempi viaggiare è particolarmente pericoloso, anche per i messaggeri, pertanto mi asterrò dal mandare lettere da Gran Burrone per questioni che non siano di primaria importanza.
Sappiate, tuttavia, che che siete sempre al centro dei miei pensieri e che attendo con impazienza il vostro ritorno.

Con affetto,
il vostro ada.


Elrohir piegò la lettera con cura e la ripose nella tasca interna del proprio mantello. Per la prima volta da quando aveva lasciato Gran Burrone, una parte di lui provava il desiderio di tornare a casa.
Sentiva la mancanza degli ampi giardini, delle stanze accoglienti, del senso di sicurezza che aveva provato soltanto all'interno dei confini di Imladris e, soprattutto, della sua famiglia. Decise di fare una promessa a se stesso: Appena tutto questo sarà finito, torneremo a casa. Sapeva che Elladan avrebbe accettato senza esitazione.

Quel giorno nell'accampamento si respirava un'aria carica di tensione. I Mannari e gli orchi si erano fermati a poche miglia da loro, e attendevano a loro volta rinforzi. Era lecito pensare che avrebbero attaccato i Dùnedain non appena il loro numero fosse aumentato ulteriormente. Era evidente che non sapevano degli elfi in arrivo dal Bosco Atro, altrimenti non avrebbero rischiato di doversi confrontare con un altro contingente di Eldar.
Elrohir sapeva che avrebbe dovuto comunicare al più presto le nuove informazioni ad Elladan ed a Saeliel, ma preferì concedere ad entrambi qualche momento in più di tranquillità. Non poté fare a meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato del loro amore appena sbocciato una volta conclusasi la battaglia.

Un dolce canto pervase l'aria.

<< ...Egor ennas dû alfanui
Brethil lilthol celir
'eil edhellin, silivrin mîr,
Min finnel în ngylfu >>.
Elladan unì la sua voce a quella di Saeliel nell'ultimo verso.
<< Conosci questa canzone? >>.
<< L'ho udita spesso quando vivevo a Gran Burrone >>.
<< Era una donna a cantarla per te? >>, chiese Saeliel, con una nota di malizia nella voce.
<< Sì >>, rispose Elladan, osservando di sottecchi la reazione dell'elfa, << Era l'unica donna la cui bellezza è paragonabile alla tua >>.
Saeliel evitò il suo sguardo nel porre la successiva domanda. << Di chi stai parlando? >>.
<< Arwen, mia sorella minore >>. Elladan non riuscì ad impedirsi di ridere quando osservò il modo in cui Saeliel tentava di mascherare il suo sollievo nell'udire quell'ultima frase.
<< Sei perfido >>, mormorò Saeliel, con un sorriso.
<< Ne sono consapevole >>, disse Elladan.
Poi accadde tutto troppo velocemente per riflettere. Elladan le prese una mano e l'attirò a sé. Il suo cuore iniziò a battere frenetico, come dopo una lunga corsa. Poi la baciò. Fu un gesto improvviso, del tutto istintivo. Fino ad un attimo prima di toccare le labbra di Saeliel, Elladan temette che la sua inesperienza risultasse fin troppo evidente, ma oltre ogni cosa temette di essere respinto. Saeliel, colta di sorpresa, esitò per un istante, poi ricambiò il bacio.
Fino a quel momento Elladan non avrebbe mai ritenuto possibile provare una gioia così profonda. Da quel bacio, improvvise come esplosioni di luce, si sprigionarono innumerevoli emozioni diverse. L'unica che Elladan fu in grado di riconoscere sin dal primo momento fu la felicità nella sua forma più pura. Chiuse gli occhi ed assaporò ogni attimo di quel momento perfetto, finalmente convintosi di aver fatto la cosa giusta, di aver realizzato il desiderio che entrambi avevano osato formulare soltanto nelle proprie menti.
<< Guren min gaim lìn >>, sussurrò Saeliel.
<< Le melin >>, disse Elladan. C'erano stati altri momenti, da quando aveva conosciuto l'elfa, in cui aveva pensato di dirlo, ma non era mai riuscito a trasformare i pensieri in parole. Quando finalmente ci riuscì, si sentì sollevato. Erano soltanto parole, Elladan ne era consapevole, ma allo stesso tempo era importante che lei sapesse.

Saeliel era sul punto di rispondere, quando una terza presenza li interruppe.
<< Mi dispiace disturbarvi, novelli Beren e Lùthien, ma ci sono importanti questioni strategiche che richiedono la vostra attenzione >>.
Elrohir si avvicinò con disinvoltura, come se non fosse sorpreso di ciò che aveva visto.
Elladan e Saeliel fecero simultaneamente un passo indietro, entrambi visibilmente imbarazzati per essere stati interrotti in un momento così intimo.
<< Grazie, El >>, mormorò Elladan a denti stretti.
Elrohir fece strada verso l'accampamento, lasciando che loro lo seguissero camminando qualche passo più indietro.
<< La prima volta che vi ho visti ho pensato che foste identici >>, disse Saeliel, << Adesso mi chiedo come abbia fatto a non notare sin da subito la vostra profonda diversità. Tu ed Elrohir siete come il giorno e la notte, opposti e complementari >>.
Quando Elladan udì quelle parole, si rese conto di quanto fosse importante per lui che Saeliel riuscisse a riconoscerlo senza esitazione, che riuscisse a vederlo per come era davvero, come solo pochi erano in grado di fare.
Fu in quel momento che capì che il legame che aveva stabilito con Saeliel era speciale. Il pensiero lo spaventava e lo eccitava allo stesso tempo. Come dovrò comportarmi adesso?, si chiese.

Elrohir li condusse nella tenda di Arador, dove erano in atto gli ultimi preparativi per la battaglia. I Dùnedain avrebbero attaccato gli orchi da tre diverse direzioni, sperando di circondarli sin dal primo momento. Con l'appoggio degli Elfi Silvani che erano ancora in viaggio dal Bosco Atro, il loro numero sarebbe diventato sufficiente a sconfiggere i nemici.
Quando Saeliel venne interrogata in merito alla posizione e alla strategia che gli elfi al suo comando avrebbero assunto, rispose ad ogni domanda con precisione e sicurezza. Se aveva delle incertezze, riuscì a mascherarle alla perfezione.
Ben presto Elladan si rese conto che la sua presenza era superflua, in quanto aveva già appreso tutte le informazioni che lo riguardavano. Si congedò ed uscì dalla tenda proprio mentre qualcun altro era intento ad entrare. Era Dareon. Elladan lo superò senza proferire parola, evitando persino di incrociare il suo sguardo. Non voleva avere a che fare con lui più di quanto non fosse strettamente necessario. Il solo pensiero di dover combattere al suo fianco era sufficiente a metterlo a disagio.

Elladan non rivide Saeliel fino a dopo il tramonto, quando l'unica fonte di luce erano le fiaccole che circondavano l'accampamento.
L'elfa era intenta a conversare con qualcuno che Elladan non riuscì ad identificare sin da subito, poiché si trovava nella zona in ombra tra due fiaccole. Quando Saeliel lo vide, venne verso di lui. Fu in quel momento che Elladan riuscì a vedere l'uomo con cui l'elfa stava parlando un attimo prima. Dareon salutò Elladan con un cenno della testa e si allontanò in silenzio.
<< Perché parlavi con lui? >>, chiese Elladan, cercando di non far suonare quelle parole come un rimprovero.
<< Ti disturba che io parli con altri uomini? >>, disse Saeliel, con un tono tra il divertito e l'irritato.
<< No, mi disturba che parli con Dareon >>, rispose Elladan.
<< Lo dici come se spettasse a te decidere >>.
<< Voglio solo metterti in guardia. Non c'è da fidarsi di lui >>.
<< Non ho bisogno di instaurare un rapporto di fiducia per conversare con qualcuno >>, disse Saeliel, ormai sulla difensiva, << E certamente non ho bisogno che tu mi protegga da un qualsiasi adan >>.
Elladan sapeva che l'elfa era del tutto sincera ed era certo che fosse in grado di difendersi da sola da chiunque, ma non poteva impedirsi di essere preoccupato.
<< Hai frainteso le mie parole >>, disse in tono di scusa, << Non era mia intenzione offenderti >>.
Lo sguardo di Saeliel si addolcì leggermente. << Non importa >>, disse.
<< Vorrei che d'ora in poi parlassimo solo di argomenti piacevoli >>, aggiunse.
<< Così sarà fatto >>, disse Elladan.
Ma, al contempo, entrambi sapevano che la guerra non avrebbe lasciato spazio per nulla che non fosse morte e disperazione. Nessuno dei due aveva l'ingenuità di pensare che il loro amore sarebbe bastato a contrastare le insidie del Male.

Arador distese la mappa sul tavolo ed vi avvicinò una candela per vedere meglio. Rappresentava in maniera approssimativa il territorio sul quale si apprestavano a combattere.
Daven era seduto dalla parte opposta del tavolo ed indicava la parte sinistra della mappa. << Il gruppo più consistente dovrebbe attaccare da ovest, così da costringere i nemici a combattere contro sole. Mentre il secondo, da est, arriverà in contemporanea >>.
Arador annuì. Spesso, prima di una battaglia, si affidava all'esperienza di Daven per decidere quale strategia adottare. I suoi consigli si erano sempre rivelati preziosi quanto la sua abilità con la spada, ma, quella sera, Arador aveva un altro motivo per voler conferire con lui.
<< Gli Elfi Silvani potrebbero attaccare da sud, ma per saperlo con certezza dovremmo aspettare di conoscere con precisione il loro numero >>, proseguì Daven.
Arador ascoltava a malapena, troppo impegnato a decidere come comunicare a Daven la sua decisione senza provocarne l'ira.
<< Riconosco quello sguardo. È lo stesso che avevi da bambino quando prendevi il mio arco di nascosto >>, disse Daven, << C'è qualcosa che vorresti dirmi? >>.
Arador esitò. Non aveva più senso aspettare oltre.
<< Ho preso una decisione >>, disse, << Non parteciperai alla battaglia >>.
Le sue parole furono accompagnate da un lungo silenzio. L'espressione di Daven era indecifrabile.
<< I guaritori e tutti coloro che non sono in grado di combattere o che scelgono di non farlo resteranno all'accampamento. Alcuni uomini dovranno proteggerli e tu sarai tra loro >>.
Daven gli rivolse un sorriso ironico. << È senza dubbio un compito onorevole, ma potrebbe essere svolto da chiunque altro. Credevo che il mio posto sarebbe stato a capo del secondo contingente e tu non ti sei disturbato a contraddirmi >>.
<< Non è stata una decisione facile da prendere... >>.
<< Temi che non sopravviverei >>, lo interruppe Daven. Non era una domanda, ma una semplice constatazione.
Arador sospirò. Mentire sarebbe stato inutile.
<< Sì, è questo che temo >>, rispose.
<< Credi che io voglia morire così? Dispensando saggi consigli ai giovani? >>.
Si alzò bruscamente e camminò nervosamente per la stanza. << Io voglio morire sotto i colpi di una spada o trafitto da una freccia, sporco del sangue dei miei nemici. Una morte onorevole >>.
<< Non hai bisogno che ci sia onore nella tua morte, ce n'è stato a sufficienza durante tutta la tua vita >>, ribatté Arador.
<< È della vita di un guerriero che stai parlando, tienilo a mente >>.
Arador si alzò a sua volta ed appoggiò le mani sul tavolo, protendendosi leggermente verso Daven.
<< È della tua vita che sto parlando. Io ho ancora bisogno di te... E anche Arathorn ne avrà bisogno quando io non ci sarò più >>.
<< Cosa ti fa pensare che io possa vivere più a lungo di te? >>, chiese Daven, perplesso.
Arador si rese conto di aver rivelato troppo.
<< C'è qualcosa che non mi hai detto >>, disse Daven. Il suo sguardo indagatore trafisse Arador come se intendesse leggergli nel pensiero. Ha ragione, pensò Arador, con rammarico, Ma ci sono informazioni che non posso condividere con lui.
<< Ti ho detto tutto ciò che avevi bisogno si sapere. Ti chiedo soltanto di fidarti del mio giudizio >>.
Daven lo fissò a lungo, poi cambiò repentinamente espressione.
<< D'accordo >>, disse, con tono pacato, << Il Capitano sei tu, la scelta spetta a te >>. Tornò a sedersi e concentrò la sua attenzione sulla mappa.
Arador sapeva che Daven non si sarebbe mai rassegnato così in fretta se non per un motivo ben preciso. Tuttavia, si astenne dal commentare. Posso fidarmi che rispetterà la mia decisione, e per adesso è più che sufficiente, pensò.
<< Sai già chi comanderà il secondo contingente? >>, chiese Daven.
<< Uno dei figli di Elrond >>, rispose Arador, lieto del cambio di argomento, << L'altro verrà con me >>.
<< Non saranno felici di combattere separati >>, osservò Daven.
<< Non importa. Il loro legame è straordinario e potrà tornarci molto utile in battaglia. Se uno di loro si trovasse in pericolo, l'altro lo saprebbe in quello stesso istante: è il modo più rapido e sicuro per comunicare sul campo. Sapremo esattamente dove e quando inviare rinforzi qualora ce ne fosse bisogno >>, spiegò Arador.
<< E' una buona idea, devo ammetterlo >>.

<< E per quanto riguarda Dareon? >>, chiese Arador.
Daven gli lanciò uno sguardo di rimprovero, prima di rispondere con tono sbrigativo, << Farà ciò che più gli aggrada. Per me il suo destino è irrilevante >>.
<< Non sembrava che fosse così, quando mi hai persuaso a risparmiare la sua vita. Avevo deciso di condannarlo a morte, e l'avrei fatto se tu non fossi intervenuto >>.
Daven abbassò lo sguardo e sospirò. << Non desidero la sua morte, sebbene sia ciò che merita >>.
Arador colse un grande dolore nella sua voce, un rimpianto senza possibilità di redenzione. Non menzionò ulteriormente quell'argomento: sapeva che l'anziano guerriero non aveva nessun piacere nel parlarne.
<< Se non c'è altro di cui dobbiamo discutere, tornerò nella mia tenda >>.
<< Grazie, Daven, continueremo domani >>, disse Arador.

Non appena Daven sollevò un lembo della tenda per uscire, una folata di vento gelido turbinò all'interno e spense le candele.
Arador restò solo, nell'oscurità più assoluta, mentre il freddo s'insinuava in ogni angolo, attraversando i suoi abiti e penetrando fino alle sue ossa.
Poteva sentirlo: l'inverno stava arrivando.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Egor ennas dû alfanui in questa notte senza nuvole
Brethil lilthol celir i faggi ondeggiano portando
'eil edhellin, silivrin mîr, stelle elfiche come bianchi gioielli
Min finnel în ngylfu tra i loro capelli di rami

Guren min gaim lìn: il mio cuore ti appartiene
Le melin: ti amo
Adan: uomo (singolare di edain)

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** La vigilia della battaglia ***


Buonasera a tutti. Siamo alla vigilia della fantomatica battaglia. Questo capitolo sarà formato principalmente da brevi scene riguardanti lo stato d'animo dei nostri protagonisti prima del grande giorno. E una rivelazione sulla genealogia di qualcuno che conosciamo...

Gli Elfi Silvani arrivarono all'accampamento in un giorno di pioggia.
Dapprima Saeliel li osservò da lontano. Erano affaticati per il lungo viaggio, ma nessuno di loro era ferito, segno che non avevano incontrato pericoli lungo la strada. Erano almeno il doppio degli uomini che erano stati affidati a Merethor e che adesso spettavano a lei.
Saeliel attese che Arador terminasse di conferire con il loro comandante prima di farsi avanti.
Con sua grande sorpresa riconobbe Halben, suo compagno di addestramento. Questi le comunicò gli ultimi ordini impartiti dal re: da quel momento e fino al loro ritorno a casa, Saeliel aveva il comando di tutti gli Elfi Silvani che avrebbero preso parte alla battaglia.
Detto questo, le porse una lettera.

Elrohir attraversò l'accampamento, vibrante di preparativi e voci concitate.
Aveva vissuto circondato da soli Uomini per così tanti anni che credeva sarebbe stato felice di incontrare altri elfi. Tuttavia, quando i nuovi arrivati si stabilirono al fianco dei Dùnedain, Elrohir provò la stessa sensazione di estraneità che aveva provato con questi ultimi la prima volta che li aveva conosciuti. Non appartengo a nessuna delle due razze, nonostante abbia le caratteristiche di entrambe, pensò.
Il pensiero di accettare o rifiutare la prospettiva dell'immortalità apparve ancora più spaventoso. Scegliere avrebbe significato rinunciare per sempre ad una delle due metà del suo essere, e non era certo di essere pronto a farlo.

Elrohir raggiunse l'area dell'accampamento adibita a stalla, composta da una fila di paletti di legno sormontati da un rudimentale rifugio di paglia. Lì vi trovò Maedir, intento a ferrare gli zoccoli di un cavallo.
<< Non sapevo che questo rientrasse tra i tuoi compiti >>, commentò Elrohir.
Maedir rispose senza distogliere l'attenzione dal suo lavoro. << Non dovrebbe. Io mi occupo soltanto di quelli dal temperamento più difficile, come questa giumenta, che si rifiuta di essere ferrata. L'ultimo che ci ha provato ha rischiato di brutto >>.
<< Eppure mi sembra piuttosto tranquilla in tua presenza >>, disse Elrohir.
<< Suppongo che sia solo questione di infondere fiducia >>, rispose Maedir con modestia.
Elrohir sapeva che Maedir aveva una particolare abilità nel rapportarsi con gli animali, ma solo in quel momento notò quanto la sua presenza influisse positivamente sul comportamento del cavallo.
<< E' stato qualcuno ad insegnartelo? >>, chiese Elrohir, sperando di trovare conferma ad un'ipotesi che andava formandosi nella sua mente.
<< Mia sorella, che ha imparato da mio padre, che a sua volta ha imparato da suo padre. Prima di legarsi ai Dùnedain, i miei antenati erano Rohirrim, Signori dei Cavalli >>.
<< Adesso mi spiego da dove proviene il tuo talento >>, disse Elrohir.
Maedir sorrise timidamente. << Eppure non mi dispiacerebbe aver ereditato anche un po' di dimestichezza con la spada >>, disse.
<< Hai ereditato il coraggio che, secondo il mio punto di vista, vale anche di più. Immagino sia anche questo un tratto di famiglia >>, disse Elrohir.
<< Potrebbe esserlo. Uno dei miei antenati si chiamava Rowson, detto "l'Impavido". Si dice che non conoscesse paura >>, spiegò Maedir con un sorriso ironico, come a sottolineare la differenza tra le gesta dei suoi avi e le proprie, << Fu lui ad imparentarsi con i Dùnedain, sposando la sorella di Arahad, che allora era Capitano >>.
Elrohir trovò finalmente conferma alla sua ipotesi: Maedir era un discendente dei Rohirrim che lui ed Elladan avevano aiutato tanti anni prima. Ricordava bene quel giorno, quando erano intervenuti in una situazione che era sul punto di aggravarsi. Se non fossimo arrivati, probabilmente Rowson sarebbe morto, pensò Elrohir.
<< Perché stai sorridendo? >>, chiese Maedir, che intanto si stava dedicando a stringere le cinghie di una sella.
<< Nessun motivo >>, rispose Elrohir. Il pensiero di essere indirettamente responsabile della nascita di Maedir era troppo difficile da concepire. Decise che non ne avrebbe parlato con lui: sarebbe stata una storia troppo lunga da raccontare.
<< Eri venuto per un motivo in particolare? >>, chiese Maedir.
<< Mi occorre un cavallo. Il mio è morto di recente e speravo di trovare un degno sostituto >>, spiegò Elrohir.
Maedir annuì. << In questo posso aiutarti >>, disse.
Indicò un cavallo grigio dall'aspetto fiero. Sembrava il genere di destriero che avrebbe potuto accompagnare l'eroe protagonista di una leggenda.
<< Lui è senza dubbio il più adatto a te >>, disse Maedir.
Ma l'attenzione di Elrohir era stata già catturata da qualcos'altro. Un cavallo nero, leggermente più piccolo, legato dal lato opposto della staccionata.
<< Cosa mi dici di quello? >>, chiese Elrohir.
<< Il suo nome è Manadh, ed è uno dei miei preferiti >>, rispose Maedir.
Non appena ebbe udito il suo nome, il cavallo si voltò a guardarli, e fu solo allora che Elrohir riuscì ad avere una visuale completa dell'animale. Il suo orecchio sinistro era stato tranciato di netto, rendendo il suo aspetto asimmetrico in maniera quasi grottesca.
Elrohir distolse lo sguardo. << Cosa gli è successo? >>, chiese.
<< E' stato colpito da una freccia >>, spiegò Maedir, << Mi sono occupato a lungo di lui, e infine è guarito del tutto, ma non c'era niente che avrei potuto fare per l'orecchio... >>.
<< Appartiene a qualcuno? >>, chiese Elrohir.
<< Non più. Sarà tuo, se lo vuoi >>.
Elrohir incrociò ancora una volta lo sguardo dell'animale. Lo stava esaminando, come se spettasse a lui scegliere il suo cavaliere. Era diffidente come avrebbe potuto esserlo un essere umano nei confronti di un estraneo.
Elrohir si avvicinò lentamente ed allungò una mano. Il cavallo l'annusò, senza mai smettere di guardarlo negli occhi, poi si voltò dalla parte opposta.
<< Questo significava: "ti ho degnato a sufficienza della mia attenzione" >>, disse Maedir, << E' il suo modo di comunicare >>.
Elrohir sorrise. << Prenderò lui >>, disse.

Il sole era coperto da nuvole grigie e la pioggia cadeva in sottilissime gocce.
Elladan sollevò un lembo della tenda, restando però all'esterno.
<< Non ti ho vista oggi. Stai bene? >>.
Saeliel era seduta sul bordo del suo letto. Elladan non mancò di notare il gesto fulmineo con cui l'elfa si asciugò le lacrime dal viso.
<< Posso entrare? >>.
Saeliel annuì.
Elladan si tolse il mantello bagnato di pioggia prima di sedersi accanto a lei. L'elfa stringeva una lettera tra le mani.
<< Brutte notizie? >>, chiese Elladan.
<< Non esattamente. Vogliono che sia io a comandare gli elfi >>.
<< Credevo che ne saresti stata felice >>.
Saeliel scosse la testa. << Questa è da parte di mio padre >>, disse, indicando la lettera, << Dice che non avrei dovuto chiedere aiuto ai Dùnedain, che avrei dovuto combattere fino alla fine. Ha usato la sua influenza sul re per fare in modo che il comando fosse affidato a me, così che io possa rimediare ai miei errori >>.
<< Non posso che dissentire. Se non aveste chiesto il nostro aiuto, io non ti avrei mai conosciuta e, peggio ancora, se aveste combattuto fino alla fine molti di voi sarebbero morti >>, rispose Elladan.
<< Oltretutto >>, aggiunse, << Tuo padre non è qui. Le sue aspettative influenzeranno le tue scelte solo fin quando tu lo vorrai, non per un istante di più >>.
Saeliel si concesse un breve sorriso. << Suppongo che tu abbia ragione >>.
<< Certo che ho ragione >>, disse Elladan.
Ma quel giorno Saeliel non era l'unica ad aver ricevuto notizie spiacevoli. Elladan aveva avuto una lunga conversazione con Arador, che l'aveva lasciato teso e scoraggiato. L'elfa percepì all'istante la sua preoccupazione.
<< C'è qualcosa che ti turba >>, disse.
Elladan sospirò. << Arador vuole che io sia a capo della seconda metà dei Dùnedain >>, spiegò.
<< Sono certa che sarai all'altezza del compito >>.
<< Lo sarei, se Elrohir fosse al mio fianco. Vogliono che combattiamo separatamente >>.
Elladan era sul punto di spiegare a Saeliel il motivo per cui avere suo fratello accanto a sé in battaglia fosse così importante, ma gli bastò guardarla per un solo istante per capire che non era necessario. Lei lo sapeva già.
<< Ho paura >>, confessò Elladan, << Se dovesse accadergli qualcosa io sentirei tutto, ma non sarei in grado di aiutarlo >>.
<< Andrà tutto per il meglio. So che sarà così >>, disse Saeliel, senza neanche una nota di incertezza nella voce.
Elladan annullò la distanza che li separava e le posò un lieve bacio sulla guancia. << Sono fortunato ad averti >>, sussurrò, indugiando con le dita tra i suoi capelli.
<< Le melin >>, rispose Saeliel.

La notte prima della battaglia era sempre una notte fredda.
Elrohir avvicinò le mani al fuoco, senza quasi percepirne il calore, mentre guardava la propria armatura come un oggetto estraneo e pericoloso. Aveva sempre preferito combattere senza nulla che gli rallentasse i movimenti, ma era stato costretto a riconoscere che in quel caso ne avrebbe avuto bisogno. Dimmi, ragazzo, preferisci essere comodo o restare vivo?, gli aveva chiesto Daven quando Elrohir aveva esternato i suoi dubbi.

Elladan, intanto, si apprestava a tornare nella sua tenda. Aveva fatto visita a Saeliel per augurarle la buonanotte e poco prima di andarsene aveva trovato il coraggio di porre una domanda a cui non riusciva a smettere di pensare dall'inizio della giornata. Resta con me stanotte, aveva detto.
Saeliel aveva risposto con cortese fermezza che avrebbe trascorso la notte nella propria tenda. Aveva intenzione di impiegare il tempo che la separava dalla battaglia per riposare e raccogliere le idee, senza alcuna distrazione.

I Dùnedain attaccarono all'alba.
Arador era in prima fila sul suo destriero bianco. Non pronunciò discorsi d'incoraggiamento quel giorno, ma la sua presenza fu sufficiente ad infondere coraggio agli uomini al suo seguito.
Anche Elrohir era in prima fila su Manadh, il cavallo nero già reduce da una battaglia. Alle sue spalle c'erano duecento altri guerrieri, tutti in attesa di un ordine.
Il terreno sul quale si apprestavano a combattere era secco, punteggiato da cespugli ed alberi spogli, quasi del tutto privo di altre forme di vita. La visuale verso nord era chiara. I Mannari erano visibili come macchie grigie in lontananza. Alcuni cavalli percepirono la loro presenza e tentarono di indetreggiare, ma Manadh non si mosse.
<< Il vento sta cambiando >>, disse Arador, << Dobbiamo attaccare subito, o sentiranno il nostro odore e perderemo l'effetto sorpresa >>.
E l'ordine arrivò.
I Dùnedain iniziarono la carica nello stesso istante, in un fragore di spade sguainate e zoccoli sul terreno. Le macchie grigie si trasformarono in forme ben distinte. Gli orchi li avevano avvistati ed avevano formato una prima linea di difesa, ma la maggior parte di loro era ancora impreparata. Elrohir si concentrò sul fischio del vento, escludendo ogni altro rumore e, per pochi istanti, sembrò calare il silenzio.
La prima linea era sempre più vicina ed era stata affiancata da una seconda, composta principalmente da arcieri.
Manadh s'impennò. Elrohir sollevò la spada e le due lame s'incrociarono. Grigio lucente e nero opaco. Quella fu la prima nota, seguita subito dopo da tante altre, unite a formare una melodia aspra e dissonante.
La battaglia era iniziata.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Manadh: fato, fortuna
Le melin: ti amo

Note finali:
Non è mia abitudine "pubblicizzare" fanfiction riguardanti altre sezioni, ma farò un'eccezione per questa volta. Si avvicina una data importante: il 5 novembre.
Chi conosce il fumetto o il film "V per Vendetta" saprà perché questo giorno merita di essere ricordato. Una mia tradizione qui su efp è di postare una one-shot su V per Vendetta il 5 novembre di ogni anno.
Tra due giorni posterò la mia sesta fanfiction incentrata su V.
Se qualcuno fosse interessato, può trovarla nella relativa sezione.
Se non avete idea di cosa io stia dicendo, non temete. Il diciassettesimo capitolo è già work in progress :)
A presto!
Jadis

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Sul campo ***


Cari lettori, questo è ufficialmente il capitolo più lungo che io abbia mai scritto, nonché uno dei più ardui. Spero che vi piaccia :)

Elladan guidò gli uomini al suo seguito in un attacco fulmineo da est. Come Arador aveva previsto, gli orchi non sapevano di dover combattere su due fronti e in un primo momento la loro linea di difesa fu sul punto di cedere.
I Dùnedain iniziarono a combattere con più sicurezza quando si accorsero di conquistare rapidamente terreno, ma Elladan sapeva che presto i loro nemici si sarebbero riorganizzati e voleva essere certo di essere pronto per allora.
<< Arcieri! >>, chiamò, << Mirate ai Mannari >>.
I Lupi delle Terre Selvagge erano di gran lunga più pericolosi degli orchi in un combattimento serrato. Erano più agili e più veloci dei cavalli, e potevano uccidere un uomo prima che questi riuscisse ad avvicinarsi abbastanza da brandire la spada.
Avremmo dovuto armare più uomini con le lance, pensò Elladan.
Guardò verso ovest e, schermandosi gli occhi dal sole, riuscì ad intravedere gli Elfi Silvani che scagliavano piogge di frecce.
Elladan incitò i Dùnedain a stringere le file per completare l'accerchiamento del nemico. Se riuscissimo ad avanzare ancora un po' potrei ricongiungermi con Saeliel, pensò.

Elrohir estrasse la spada dal fianco di un Lupo e un istante dopo la sua lama trapassò l'armatura dell'orco che lo cavalcava.
Arador combatteva poco distante da lui. Di tanto in tanto gli lanciava uno sguardo interrogativo per informarsi sulle condizioni degli uomini capitanati da Elladan.
Elrohir faceva il possibile per mantenere la sua connessione con il fratello il più forte possibile, nella speranza di riuscire a percepire in tempo un'eventuale situazione di pericolo.
Arador crede che sia facile, che il nostro scambio di emozioni sia preciso come uno scambio epistolare, non si rende conto della concentrazione necessaria per distinguere il normale senso di pericolo che si avverte in battaglia dall'effettivo bisogno di rinforzi, aveva pensato Elrohir, quando il Capitano aveva espresso il suo piano di separare i gemelli sul campo.
L'assenza di Elladan lo rendeva nervoso, ma allo stesso tempo era rassicurato dal senso di sicurezza che proveniva dal fratello. Evidentemente dalla sua parte del campo non c'erano stati imprevisti.
Elrohir spronò Manadh al galoppo per raggiungere due Mannari in procinto di attaccare degli uomini a piedi. Le creature erano feroci e spietate, oltre che prive dell'istinto di sopravvivenza tipico di ogni animale. Quando gli orchi li spronavano in direzione del pericolo, i Mannari ubbidivano senza esitazione, andando incontro alla morte senza alcuna paura. Quando un essere vivente cessa di temere la morte, diventa più pericoloso di qualunque altro, pensò Elrohir.

Elladan si rese presto conto che gli orchi con cui avevano a che fare non erano gli stessi che aveva fronteggiato innumerevoli altre volte in passato. Erano più forti, meglio addestrati e i loro capi più abili nella tattica. Se dapprima i Dùnedain erano riusciti ad avanzare facilmente, adesso faticavano a mantenere le loro posizioni. La stanchezza rallentava i loro movimenti e gli attacchi serrati degli orchi non concedevano neanche pochi istanti di tregua.
Elladan raggiunse la prima fila, nell'intento di utilizzare al meglio le forze che, a causa della sua appartenenza alla razza elfica, erano superiori a quelle degli Uomini. Allo stesso tempo, sperò di provvedere un incoraggiamento per quanti potevano vederlo. Il primo durante l'attacco e l'ultimo durante la ritirata, ricordò Elladan.

Erano trascorse due ore dall'alba, quando Elladan individuò uno dei capi degli orchi.
Cavalcava un Lupo nero, più grande degli altri, ed urlava ordini in linguaggio nero. Elladan osservò con attenzione i suoi movimenti, sperando di coglierlo a portata di freccia. Uccidere il loro capo avrebbe reso gli orchi più insicuri e disorganizzati e avrebbe infuso nuovo coraggio negli Uomini.
Elladan stava riflettendo su quale fosse il modo più sicuro per arrivare all'orco, quando qualcuno lo anticipò.
Gli Elfi Silvani erano vicini e tre di loro si stavano facendo strada a colpi di spada verso il centro dello schieramento degli orchi, dove il loro capo osservava la battaglia a distanza di sicurezza.
Elladan cercò Saeliel con lo sguardo e non riuscì a tranquillizzarsi finché non la vide, intenta a combattere contro due orchi allo stesso tempo. Elladan trasse un sospiro di sollievo nel constatare che l'elfa non era ferita e non sembrava in difficoltà. Ciò che invece preoccupava Elladan era il fatto di essersi ricongiunto con gli elfi così in fretta. Significa che siamo riusciti ad avanzare di molto, il che è improbabile, oppure che loro sono stati costretti a ripiegare, pensò. Se la seconda ipotesi si fosse rivelata corretta, significava che gli altri Dùnedain, ed Elrohir con loro, rischiavano di ritrovarsi accerchiati prima ancora di rendersene conto.

Due dei tre elfi morirono trafitti dalle frecce dei nemici, mentre il terzo riuscì ad avvicinarsi al capo degli orchi abbastanza da tagliare la gola al Lupo nero.
L'orco si avventò su di lui con furia, brandendo una spada a due mani. L'elfo evitò agilmente i suoi colpi ed attaccò a sua volta. I suoi movimenti erano precisi e aggraziati, mentre l'orco faceva affidamento sulla pura forza. Fu un combattimento serrato, che Elladan riuscì a seguire solo a tratti. Non poteva distogliere la propria attenzione dalla battaglia per più di qualche secondo, senza mettere in pericolo se stesso e coloro che prendevano ordini da lui. Ma, allo stesso tempo, non riusciva ad impedirsi di tenere d'occhio Saeliel. Avrebbe potuto raggiungerla in poco tempo se avesse voluto, ma i Dùnedain erano ancora bloccati dall'assalto degli orchi ed Elladan non poteva abbandonarli.

Il combattimento tra l'elfo e il capo degli orchi ebbe una fine tanto brusca quanto terribile. Gli altri orchi, che dapprima avevano mantenuto le distanze dal duello, intervennero non appena capirono che l'elfo stava per avere la meglio.
Una freccia lo colpì alle spalle, trapassando l'armatura. Il capo degli orchi lanciò uno sguardo colmo d'ira in direzione di colui che aveva scagliato la freccia ed allontanò tutti gli altri con un gesto. L'elfo era caduto in ginocchio, lasciando cadere la spada.
L'orco si avvicinò a lui, già trionfante per una vittoria che non gli apparteneva, ed appoggiò la spada sulla gola dell'elfo. Questi sembrò fare appello a tutte le sue forze per estrarre il pugnale che teneva alla cintura e sollevarlo contro l'essere che stava per ucciderlo. Ma fu troppo lento. La spada dell'orco aprì uno squarcio nella sua gola e il sangue schizzò in ogni direzione. Pochi secondi dopo, il pugnale cadde.
L'elfo era morto.
Nel fragore della battaglia, tra i rumori del metallo, le grida, i ruggiti, il fischio del vento, il cozzare delle frecce sugli scudi, un suono si fece largo e sembrò sovrastare tutti gli altri.
<< Halben! >>.
Era Saeliel. Elladan vide la rabbia, animata da un immenso dolore, negli occhi dell'elfa mentre urlava il nome dell'amico caduto.
Fu allora che decise cosa avrebbe fatto.

Elrohir iniziò a comprendere che non tutto stava andando come previsto. Gli ordini di Arador erano sempre più incerti e vaghi, mentre nella sua voce compariva una nota di disperazione.
L'accerchiamento che avevano sperato di realizzare sin dall'inizio non era riuscito, forse per problemi dal lato opposto del campo di battaglia, e adesso i Dùnedain subivano gli attacchi degli orchi da ogni lato.
Elrohir era stanco. Ad ogni minuto che passava i suoi riflessi erano più lenti e la spada sembrava più pesante.
Sapeva che presto anche il contingente di Elladan sarebbe stato circondato, ma non c'era nulla che potesse fare. Arador lo sapeva, e sapeva anche che non era in condizione di inviare rinforzi, considerando che i suoi uomini riuscivano a malapena a mantenere le loro posizioni.
Elrohir aveva appena ucciso un orco, uno dei tantissimi trafitti dalla sua lama, quando un movimento improvviso alla sua sinistra lo colse di sorpresa. Uno dei Mannari che giacevano al suolo, erroneamente scambiato per morto, si rialzò e si avventò su Elrohir con le fauci aperte.
L'elfo indietreggiò per darsi il tempo di reagire e, un attimo prima che la sua spada trapassasse il fianco del Lupo, questi addentò la sua mano sinistra. Elrohir udì il rumore della propria pelle che si lacerava prima ancora di avvertire il dolore. Riuscì a ritrarre la mano sanguinante solo quando l'essere cadde morto.
L'elfo si fermò, ansimante e in preda al dolore.
Sono fortunato ad averla ancora, la mano, pensò.
I rumori della battaglia si fecero più vicini: una nuova ondata di orchi era in arrivo ed Elrohir non poteva fermarsi. Raccolse uno stendardo che giaceva abbandonato sul campo e ne strappò un lembo con la spada. Entrambe le sue mani tremavano, mentre il sangue sgorgava copioso da tre ferite piccole ma profonde. Elrohir utilizzò il tessuto per farne una fasciatura e fermare la fuoriuscita di sangue, cercando di ignorare il dolore che si faceva sempre più intenso.
Ma non c'era tempo di riposare, né di riflettere. Elrohir sollevò la spada, ancora più pesante di quanto non lo fosse stata pochi minuti prima, e tornò a combattere.

Saeliel aveva assistito a tante morti, così tante che a volte i volti di coloro che aveva perso si confondevano nella sua mente. Aveva a lungo creduto di esserne abituata, di aver assistito fino in fondo alla crudeltà della guerra. Ma la visione di Halben, suo amico d'infanzia e compagno d'armi, che moriva in maniera così brutale sotto i colpi sleali di un orco, le aveva provocato una profonda sofferenza . Era come se una parte di lei, in qualche modo ancora intoccata dal male, fosse stata macchiata dagli stessi schizzi di sangue che avevano bagnato la spada di quell'orco.
Aveva urlato il nome di Halben, perfettamente consapevole che nessuno l'avrebbe udita. Il suo secondo impulso era stato di cercare Elladan con lo sguardo, in un disperato tentativo di ricevere conforto dalla sua presenza. Saeliel colse la tristezza nei suoi occhi, mista a determinazione, e fu quest'ultima a preoccuparla.
Elladan sussurrò qualcosa ad un uomo che combatteva al suo fianco e, inaspettatamente, lasciò la sua posizione di comandante. Scattò in avanti, verso lo schieramento nemico.
Saeliel trattenne il fiato mentre l'elfo si faceva strada tra gli orchi e i Mannari, avanzando sul campo di battaglia come se nulla potesse fermarlo. Delle frecce furono scagliate nella sua direzione, ma i suoi movimenti erano troppo rapidi per permettere agli arcieri nemici di mirare con precisione.
La determinazione di Elladan vacillò solo per un istante, quando sembrò che qualcosa l'avesse colpito. L'elfo guardò la propria mano sinistra, come se aspettasse di vederla sanguinare. Ma l'incertezza durò solo pochi istanti, e l'elfo continuò ad avanzare. Infine, il suo scopo fu chiaro: intendeva affrontare il capo degli orchi.
Saeliel su costretta ad assistere, impotente, mentre colui che amava sfidava la morte. Ad ogni istante che passava, l'elfa temeva che ad Elladan sarebbe toccato lo stesso destino di Halben.

Ma presto anche lei si rese conto che c'era un elemento fondamentale che distingueva Elladan da Halben: gli orchi lo conoscevano. La leggenda dei Principi di Imladris aveva dato ai due gemelli la fama di spietati cacciatori di orchi, e quando Elladan estrasse il pugnale e la scritta "Arod" scintillò al sole, molti di loro fuggirono in preda al terrore. Il capo, invece, restò ad aspettarlo a testa alta
Quando Elladan arrivò di fronte a lui ansimava per la fatica, ma non sembrava meno determinato di prima. I due si studiarono a distanza per qualche secondo, poi l'orco colpì per primo.
Elladan era incredibilmente veloce, ma Saeliel l'aveva visto combattere altre volte nel campo di addestramento e sapeva che in quel momento c'era qualcosa che lo rallentava.
Desiderò che Elrohir fosse lì. Lui avrebbe potuto aiutarlo, mentre lei non poteva fare altro che guardare, mentre gli elfi al suo comando tentavano di avanzare tra le file nemiche.
Il duello proseguì per un tempo che parve lunghissimo. L'orco era un combattente esperto; inoltre sapeva chi si trovava davanti e voleva a tutti costi essere lui ad ucciderlo.
Saeliel notò che i Dùnedain erano riusciti ad avanzare di appena qualche passo; sembrava che stessero recuperando terreno, anche se molto lentamente. Potrebbe essere sufficiente per avere gli orchi a tiro?, sperò ardentemente Saeliel.
Elladan era circondato da orchi che, pur non osando disobbedire all'ordine di non avvicinarsi, erano pronti ad intervenire alla prima occasione. Gli arcieri elfici non erano abbastanza vicini da averli a tiro, ma i Dùnedain erano sul punto di esserlo.
Saeliel cercò il più possibile di non distogliere l'attenzione dal pericolo nelle immediate vicinanze, mentre seguiva Elladan con lo sguardo. L'elfo riusciva abilmente a schivare i colpi dell'avversario, ma raramente riusciva ad attaccare a sua volta. L'orco era rimasto in disparte per la maggior parte del tempo durante la battaglia e non risentiva della stanchezza, al contrario di Elladan, che aveva combattuto tra le prime file sin dall'inizio. I colpi dell'orco diventarono più veloci e impetuosi, fino a quando non trovarono un punto debole nella difesa di Elladan. La lama riuscì a penetrare nell'armatura dell'elfo, all'altezza della spalla sinistra. Elladan perse l'equilibrio per qualche istante e fu costretto ad indietreggiare.
Saeliel strinse la presa sull'elsa della propria spada, maledicendo se stessa per non essere lì ad aiutarlo. Ma Elladan aveva già visto combattere quell'orco prima di allora ed aveva capito una cosa di lui: amava indugiare sul nemico ferito. Voleva prendersi tutto il tempo necessario, voleva il suo momento di gloria.
Elladan abbassò la spada e, per due lunghissimi, terribili secondi, Saeliel temette che l'orco l'avrebbe ucciso. Ma, proprio mentre questi incombeva sull'elfo, pronto ad assaporare la sua vittoria, Elladan si spostò dalla sua traiettoria e, con un gesto fulmineo, conficcò la sua spada tra gli occhi dell'orco.
Saeliel sorrise. Era un gesto inconsueto, del tutto inadeguato all'atmosfera di un campo di battaglia, così come il senso di felicità che l'elfa provava mentre Elladan veniva verso di lei.
Dopo la morte del loro capo, gli orchi non si erano scagliati contro Elladan, come Saeliel aveva previsto, ma avevano iniziato a scontrarsi tra di loro per chi dovesse prendere il comando. I Dùnedain avevano approfittato del momento di scompiglio per sfondare definitivamente le difese degli orchi ed aiutare Elladan a liberarsi.
L'elfo lasciò i suoi uomini mentre recuperavano terreno e raggiunse Saeliel di corsa.
Nel frattempo anche gli altri elfi erano riusciti ad avanzare e si stavano ricongiungendo con i Dùnedain.
Saeliel resistette all'impulso di abbracciare Elladan non appena questi si avvicinò. La placca dell'armatura che proteggeva la sua spalla era stata lacerata dalla spada dell'orco ed era ora bagnata dal sangue. Tuttavia, non sembrava una ferita grave ed Elladan non sembrava esserne troppo provato.
<< Ho temuto per la tua vita, fino all'ultimo momento >>, disse Saeliel.
Elladan la guardò negli occhi, mentre diceva, << Un giorno mi dicesti che fa parte delle usanze del tuo popolo accompagnare una dichiarazione d'amore con una prova di coraggio. Questo è per te >>.
Detto questo, le porse un pugnale. Era sporco di sangue e terra, ma Saeliel non ebbe difficoltà a riconoscerlo: apparteneva ad Halben. Elladan doveva averlo trovato accanto al suo corpo.
Ha fatto tutto questo per me, per vendicare la morte di Halben al mio posto, realizzò Saeliel.
C'erano tante cosa che avrebbe voluto dire. Avrebbe voluto essere arrabbiata con lui per aver rischiato la vita in maniera così sconsiderata e, allo stesso tempo, avrebbe voluto ringraziarlo per aver fatto ciò che nessun altro aveva mai fatto per lei. Prese il pugnale, indugiando un istante di troppo sulla mano di Elladan, senza sapere quali fossero le parole più adatte da dire.
Presto qualcosa interruppe il loro silenzioso scambio di sguardi. Saeliel vide un lampo di luce agli angoli della sua visuale e volse gli occhi al cielo.
Un oggetto incandescente volò attraverso il campo di battaglia, per poi conficcarsi nel terreno, poco lontano dal punto in cui gli Elfi Silvani combattevano. Era una freccia infuocata.
<< Questa è follia! >>, esclamò Saeliel, << Quando il fuoco divamperà ucciderà indistintamente, orchi, uomini ed elfi >>.
<< È il loro ultimo gesto disperato in previsione della sconfitta >>, disse Elladan.
Una piccola fiamma stava già nascendo lì dove la freccia si era posata e, allo stesso tempo, altre frecce venivano lanciate in direzioni diverse. Saeliel seguì con lo sguardo la loro traiettoria per individuare coloro che le stavano scagliando. Erano tre orchi, muniti di arco e di una fiaccola accesa. Il terreno sul quale si trovavano era ricoperto di vegetazione secca e di corpi senza vita, l'ambiente più adatto per la propagazione di un incendio.
<< Devo fermarli, o resteremo tutti intrappolati tra le fiamme >>, disse Saeliel.
<< Andremo insieme, e porteremo degli uomini con noi >>, rispose Elladan.
Saeliel scosse la testa. Non poteva chiedere a qualcun altro di rischiare la vita e non poteva permettere che Elladan, stanco e ferito, venisse con lei.
<< Andrò da sola, così potrò avvicinarmi non vista ed ucciderli prima che facciano altri danni >>.
Elladan era sul punto di ribattere, ma Saeliel non avrebbe cambiato idea in nessun caso. << Non dire nulla >>, disse, << La mia decisione è presa >>.

Elladan la vide allontanarsi, armata solo di spada e della sua determinazione. Sapeva che non poteva fermarla. Come gli era stato ricordato altre volte prima di allora, Elladan non aveva nessun potere sulle sue scelte, poteva solo accettarle.
Mentre tornava tra i suoi uomini, decimati ma fiduciosi, un volto familiare emerse tra gli altri. Dareon aveva combattuto con coraggio sin dall'inizio, obbedendo ciecamente agli ordini e dimostrandosi un ottimo guerriero. Tuttavia, il suo sguardo era stato spesso rivolto a Saeliel, talvolta con preoccupazione, talvolta con orgoglio. La loro amicizia era diventata più intensa durante i giorni precedenti alla battaglia ed Elladan era stato costretto ad accettarla, dopo essersi assicurato che il comportamento di Dareon fosse sempre gentile e rispettoso. Il Dùnedain non aveva smesso di rapportarsi agli altri con arroganza, ma in presenza di Saeliel era come se il suo intero essere subisse una radicale trasformazione. Per questo motivo, quando Elladan lo vide abbandonare il suo posto, per la prima volta dall'inizio della battaglia, sapeva già quale sarebbe stata la sua richiesta.
<< Lascia che vada con lei >>, disse Dareon. Nel suo sguardo non era rimasto nulla dell'ironia tagliente con cui si era spesso rivolto ad Elladan, c'era solo una sincera speranza.
<< Saeliel desidera andare da sola, così che possa più facilmente celarsi agli occhi dei nemici >>, rispose Elladan.
<< La proteggerei a costo della mia vita >>, insistette Dareon.
<< Torna al tuo posto >>.
<< Ti prego >>, implorò Dareon.
Solo allora Elladan comprese appieno la natura dei suoi sentimenti per Saeliel. Amore, pensò, È questo che prova.
Poteva accettare che Dareon fosse in amicizia con Saeliel, ma il solo pensiero che una persona così detestabile fosse innamorata di lei lo riempiva di gelosia.
E fu proprio la gelosia a dettare le sue ultime parole. << È un ordine. Non lo ripeterò un'altra volta >>.

La luce si affievoliva sempre di più, mentre il sole iniziava la sua discesa nel cielo. In lontananza si levavano nuvole di fumo grigio.
Fu allora che accadde.
Elrohir lo avvertì come una lama nel cuore. Aveva appena teso l'arco e stava prendendo la mira, quando un dolore, acuto e penetrante, offuscò i suoi sensi. A lungo gli fu impossibile pensare ad altro che non fosse pura agonia, incapace di muoversi mentre la battaglia infuriava attorno a lui.
Poi una rivelazione lo riportò alla realtà: quel dolore non gli apparteneva, ma proveniva da Elladan. E non era un dolore fisico, era qualcosa di più intenso e forse altrettanto letale.
Ancora confuso, si voltò appena in tempo per vedere la spada di un orco che si abbatteva su di lui. Elrohir non avrebbe avuto il tempo né la forza di reagire, se un'altra lama non si fosse insinuata tra lui e l'orco. Era Arador, corso in suo aiuto come tante volte l'elfo aveva fatto per lui.
Uccise due orchi e, dopo essersi assicurato che non ne arrivassero altri, posò una mano sulla spalla di Elrohir. << Ho sbagliato ogni cosa >>, disse, << Ho sottovalutato il mio nemico e molti dei miei uomini hanno pagato con le loro vite >>.
Le parole di Arador suonavano distanti, come se un rumore più forte le sovrastasse, ed Elrohir non si fidava abbastanza della propria voce per rispondere.
<< Va' da Elladan>>, disse il Capitano.
Solo allora Elrohir riuscì a concentrarsi davvero su di lui. << Avete bisogno di me qui >>, disse in un sussurro.
<< Tuo fratello ne ha più bisogno >>.
Elrohir guardò ad est, dove l'incendio si stava propagando a vista d'occhio.
<< Grazie >>, disse.

Elrohir aveva paura. Il dolore diventava sempre più forte quanto più si avvicinava ad Elladan. Il campo di battaglia era quasi vuoto nel tratto che separava la divisione dell'esercito nemico in due parti. Elrohir lo attraversò di corsa, calpestando stendardi lacerati e pezzi di armature macchiate di sangue. Dei cavalli, terrorizzati dalle fiamme e dal ruggito dei Mannari, erano fuggiti e si rifugiavano in quel luogo desolato, al centro tra due battaglie in atto. Elrohir iniziò ad intravedere, attraverso il fumo, i Dùnedain che combattevano al fianco degli elfi.
Gli orchi erano ormai in netta minoranza, privati delle loro cavalcature e della loro guida, ed indietreggiavano verso nord, l'unica via di fuga rimasta.
Elrohir avrebbe dovuto essere sollevato da quella visione, ma non riusciva a pensare ad altro che non fosse Elladan. Qualcosa di terribile era accaduto, qualcosa di irreparabile.

I Dùnedain avevano perso la maggior parte degli arcieri, pertanto alcuni elfi si erano uniti alle loro file e stavano fornendo il loro aiuto. Allo stesso modo, alcuni Uomini armati di lance proteggevano gli elfi in prima fila dagli attacchi degli ultimi due Mannari rimasti.
Elrohir si avvicinò quanto bastava per distinguere i loro volti e cercò quello di Elladan. La paura cresceva ogni istante di più, e si trasformò in terrore quando Elrohir si rese conto che suo fratello non era tra loro.
<< Elladan! >>, chiamò qualcuno.
Elrohir si voltò in direzione della voce. Era stato un elfo a chiamarlo.
<< Non sono Elladan >>, rispose Elrohir, ripetendo una delle frasi che aveva pronunciato più spesso in vita sua.
Raggiunse l'elfo, che si era fermato leggermente in disparte dalla battaglia. Accanto a lui, qualcuno era inginocchiato sul terreno, in preda ad una grande disperazione. L'uomo sollevò lo sguardo all'udire la voce di Elrohir e lo guardò con occhi colmi di dolore, lo stesso tipo di dolore che affliggeva lui stesso.
Era Dareon, e stava piangendo.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Dolore ***


Buonasera a tutti. Ritorno con un capitolo che è stato piuttosto deprimente da scrivere, ma che purtroppo è necessario per gli sviluppi futuri della storia. Buona lettura :)

Elrohir ignorò tutti gli avvertimenti. Se si fosse avvicinato al fronte nemico avrebbe rischiato di essere colpito dalle frecce dei suoi stessi alleati, che non potevano mirare con precisione a causa del fumo, oltre che dagli ultimi orchi sopravvissuti. Le fiamme avevano separato le due armate, che arrivavano allo scontro diretto solo in alcuni punti.
Ma ad Elrohir non importava del pericolo. Doveva trovare Elladan.

Era avvenuto tutto in un istante.
Elladan rivide quella scena innumerevoli volte nella sua mente, come se non si fosse mai conclusa, ma si ripetesse all'infinito.
Continuava a rivivere quel momento, incapace di sopportare la realtà che vedeva con i suoi occhi, rifugiandosi in quell'attimo appena passato, terribile, ma non straziante come il presente.
Saeliel aveva ucciso abilmente due dei tre orchi e, mentre, affrontava il terzo, aveva fatto un passo falso.
Ogni volta che ripensava a quel momento, Elladan si stupiva di come l'errore di Saeliel fosse stato banale: aveva messo un piede in fallo e la sua sicurezza aveva vacillato per un attimo. All'orco era bastato e, rapido e spietato, l'aveva colpita una volta sola, al cuore.
Elladan aveva dimenticato ogni altra cosa e si era lanciato tra la coltre di fumo per andare da lei. Aveva pregato tutti i Valar di trovarla viva, così da poter fare qualcosa per aiutarla. Ma nessuno aveva esaudito le sue preghiere.

Elrohir lo vide come un'ombra sfocata tra il fumo.
Le fiamme li circondavano e si espandevano lentamente. Ma Elrohir sapeva che non sarebbe stato il fuoco ad ucciderlo, bensì la mancanza di aria respirabile.
Elladan era a pochi passi da lui.
Elrohir lo chiamò, ma non ottenne risposta. Suo fratello non diede segni di averlo sentito.
Elrohir si avvicinò, preoccupato e spaventato come mai era stato in vita sua, e finalmente vide la fonte dell'immenso dolore di Elladan.
Saeliel giaceva in una pozza di sangue, circondata da altri cadaveri, di orchi, uomini ed elfi. Una spada le aveva trafitto il petto, lacerando la sua armatura. L'orco più vicino, probabilmente colui che aveva impugnato quella spada, era stato trafitto da una freccia elfica.
Elrohir trattenne le lacrime e si costrinse a distogliere lo sguardo. Non poteva lasciarsi sopraffare dalla disperazione, non in quel momento. La battaglia non era lontana e l'incendio divampava sempre di più: non potevano restare lì.
<< El... dobbiamo andare >>, disse Elrohir, tra un colpo di tosse e l'altro, ma non ottenne risposta.
Elladan era in piedi a pochi passi dal corpo senza vita di Saeliel, come se non osasse avvicinarsi oltre. I suoi occhi erano umidi a causa del fumo, ma non stava piangendo. Era immobile, come pietrificato. Elrohir individuò una ferita alla sua spalla sinistra che perdeva ancora sangue, ma a prima vista non sembrava grave.
<< Appena saremo al sicuro estingueremo le fiamme prima che arrivino fin qui. Ma dobbiamo andarcene subito, o moriremo anche noi >>, disse Elrohir.
Elladan lo ignorò ancora una volta. Fece un passo in avanti, verso Saeliel.
Elrohir gli poggiò una mano sulla spalla sana, nel tentativo di fermarlo, ma Elladan continuò ad avanzare. Fu allora che Elrohir capì che le parole non sarebbero servite a nulla. Circondò Elladan con le braccia e, attento a non fargli del male, tentò di allontanarlo dal pericolo. Elladan si oppose alla sua presa, senza mai distogliere lo sguardo da Saeliel, con una forza che stupì Elrohir. Le ferite sul palmo della sua mano si riaprirono e ricominciarono a sanguinare, ma Elrohir se ne accorse appena. Gli parve di trovarsi in una versione più violenta dei giochi di lotta che aveva spesso fatto da bambino, a Gran Burrone, gli stessi per cui sua madre l'aveva rimproverato tante volte. Ma quello non era un gioco, era la nuda realtà.
<< Elladan, ascoltami! >>, esclamò Elrohir.
Solo allora Elladan si voltò verso di lui e sembrò tornare alla realtà. La sofferenza che Elrohir sentiva come fosse propria era tutta concentrata negli occhi di suo fratello, rendendo doloroso anche solo guardarlo.
Elrohir allentò la stretta. << Dobbiamo andare >>, ripeté.
Elladan si guardò intorno per qualche istante, poi annuì debolmente.
Elrohir lo prese per mano per assicurarsi di non perderlo ancora e lo guidò verso lo schieramento alleato.
Quando tornarono nelle vicinanze della battaglia i Dùnedain erano ormai in netto vantaggio. Elrohir avvertì la mano di Elladan che stringeva la sua non appena riuscì ad intravedere gli ultimi orchi rimasti. Elrohir si affrettò ad allontanarsi dal campo di battaglia, rendendo chiaro che non intendeva combattere ancora. In quel momento, nessuno dei due ne sarebbe stato in grado.

Elladan si lasciò condurre lontano da tutto. Una parte di lui avrebbe voluto impugnare di nuovo la spada ed irrompere tra le file nemiche, uccidendo quanti più orchi possibili prima di morire. Ma la disperazione sovrastava la rabbia, sovrastava ogni cosa.
La realtà attorno a lui sembrava sfuggente come il ricordo di un incubo dopo il risveglio. Ed era ciò che Elladan continuava a pregare: che fosse stato tutto un sogno, che prima o poi si sarebbe svegliato.
Ma c'era qualcosa che lo teneva ancorato alla realtà, che lo costringeva, quasi con prepotenza, a continuare a vivere: la presenza di Elrohir al suo fianco.


I due elfi si allontanarono dal campo, quando il cielo era ormai illuminato soltanto dalla luce della luna e il calore del fuoco era a stento percepibile.
Elrohir assistette da lontano alla fine della battaglia, troppo spaventato per lasciare Elladan da solo.
I Dùnedain e gli elfi sconfissero gli ultimi orchi e si diressero ad ovest in aiuto del primo contingente. Da allora Elrohir li perse di vista.
Trascorse l'ora successiva con Elladan, che evitò il suo sguardo e non proferì parola. Elrohir mantenne a sua volta il silenzio. Sapeva che non avrebbe potuto confortare suo fratello con le parole, né con le azioni, poteva soltanto proteggerlo ed accogliere una parte del suo dolore.

Quando gli uomini tornarono dalla battaglia, sui loro volti non c'era traccia di trionfo. Arador ordinò che i feriti tornassero subito all'accampamento per ricevere cure, mentre tutti gli altri sarebbero rimasti ad estinguere l'incendio ed a recuperare i morti. Ad Elrohir fu restituito il suo cavallo dopo che, durante la prima parte del conflitto, l'aveva affidato ad un altro cavaliere rimasto a piedi. Manadh era sporco e stanco, ma stava bene e si mostrò felice di rivedere il suo proprietario.
Dapprima Elladan non aveva avuto intenzione di lasciare quel luogo, ma, dopo le insistenze di Elrohir e l'esplicito ordine di Arador, accettò di tornare all'accampamento.
Elrohir era più preoccupato ogni minuto che passava. Il dolore di Elladan non era diminuito, poteva sentirlo, continuo e penetrante, più intollerabile di qualsiasi ferita fisica. Ma nulla di tutto ciò sarebbe stato visibile ad un occhio esterno, dal momento che neanche una lacrima aveva bagnato il suo visto durante tutto il tragitto.

Una volta giunti all'accampamento, i sopravvissuti furono accolti con gioia e sollievo. Dopo aver provveduto a togliersi l'armatura e lavarsi dal sangue e dalla sporcizia della guerra, si recarono dai guaritori. Elrohir perse di vista Elladan per qualche minuto mentre Maedir si occupava di lui. Il ragazzo tornò da Elrohir visibilmente preoccupato appena dopo aver terminato di esaminare suo fratello.
<< Elladan starà bene >>, disse, << Ho curato al meglio delle mie possibilità tutte le ferite visibili, ma sento che ce ne sono altre, più profonde, che non spetta a me guarire >>.
<< Purtroppo hai ragione >>, rispose Elrohir, << Oggi Elladan ha subito una grande perdita >>.
Maedir esitò nel parlare. Aveva capito a chi Elrohir si riferiva, ma non osava dirlo ad alta voce.
Infine, fu Elrohir a pronunciare quelle parole. << Saeliel è morta in battaglia >>, disse.
Seguirono alcuni secondi di silenzio, in cui Maedir distolse lo sguardo per nascondere le lacrime che bagnavano le sue guance.
<< Dov'è Elladan, ora? >>, chiese Elrohir, non riuscendo ad individuarlo nelle immediate vicinanze.
<< È tornato nella sua tenda >>, rispose Maedir, la voce ancora incerta.
Elrohir fece per allontanarsi, ma il guaritore lo richiamò. << Anche tu sei ferito >>, disse, alludendo alla sua mano sinistra.
<< Non è nulla di grave >>, rispose Elrohir.
<< Sono tagli molto profondi, anche se piccoli. Se non curati, si infetteranno >>.
<< Allora ti prego di fare in fretta >>.

Elrohir entrò nella tenda di Elladan con una punta di timore. Suo fratello era appoggiato al bordo di un tavolo, curvo come se portasse un enorme peso sulle spalle.
Elrohir si avvicinò. << El... >>, sussurrò.
Solo allora Elladan sollevò lo sguardo e lo guardò, con occhi colmi di lacrime. Sul suo viso c'erano tutte le emozioni che aveva celato fino a quel momento. Le sua gambe cedettero, ma Elrohir lo afferrò prima che potesse cadere e lo strinse in un abbraccio.
Elladan si aggrappò a lui, come se si fosse trovato sull'orlo di un precipizio ed Elrohir fosse stato l'ultimo appiglio rimasto e, finalmente, pianse.
Anche Elrohir si lasciò sfuggire qualche lacrima, ma non di più: adesso toccava a lui essere forte per entrambi. Da lui Elladan avrebbe ottenuto soltanto coraggio, non altro dolore.
Tenne stretto a sé suo fratello, scosso dai singhiozzi e pervaso da una sofferenza insostenibile per una persona sola.
Elrohir sentì il bisogno di dire qualcosa, ma in quel momento nessuna parola sembrava adeguata. Già in passato si era trovato in condizione di dover confortare i familiari di uomini che erano morti combattendo per lui. In quei casi offriva loro frasi di circostanza, ma non per questo meno sentite. Frasi come: "
sono vicino al vostro dolore" o "il suo sacrificio non sarà dimenticato". Parole appropriate alla situazione, parole che non avrebbero davvero alleviato il dolore di una perdita, ma avrebbero dato l'impressione a chi soffriva di non essere solo.
Tuttavia quel momento era diverso. Tra le sue braccia c'era Elladan, l'unica persona con la quale non avrebbe dovuto aver bisogno di parole, ed era devastato. Elrohir si sentiva impotente, del tutto impreparato ad affrontare una situazione come quella. Decise di dire soltanto una cosa, che era la sua unica certezza in quel momento. << Non sei solo >>, disse.

Durante la notte successiva alla battaglia, Elladan non chiuse occhio. Nonostante fosse esausto dopo il lungo combattimento, non osava addormentarsi per timore di ciò che avrebbe visto in sogno. Non voleva rivivere altre volte quella scena che era già impressa a fuoco nella sua mente. Voleva invece ricordare ogni singolo momento trascorso insieme a Saeliel, a partire da quando l'aveva conosciuta, a quando si erano baciati per la prima volta, eliminando ogni evento a partire dall'inizio della battaglia. Ma il senso di vuoto non faceva che aumentare.
Quando i miei ricordi di lei cesseranno di esistere, sarà davvero morta, pensò.
Elrohir aveva insistito per restare con lui quella notte, ma Elladan l'aveva convinto a tornare nella sua tenda. Era costantemente grato della presenza di Elrohir, che, in quel momento, era l'unica cosa che lo teneva in vita, ma riusciva anche ad avvertire il suo impellente bisogno di riposare e non voleva essere la causa di un'altra notte insonne.
Una volta rimasto solo, Elladan sentì il peso di tutto ciò che era accaduto cadergli sulle spalle. Si pentì di aver mandato via Elrohir. Da solo ogni cosa era più difficile.

Il giorno successivo si tennero le cerimonie funebri in onore dei caduti, Dùnedain ed Elfi. Elrohir si accertò che i due eventi si tenessero in momenti diversi, in maniera da poter assistere ad entrambi.
Ci furono elogi, canti, lacrime. Per la prima volta Arador si dilungò in un discorso per i suoi uomini, in cui parlò di coraggio e sacrificio.
Allo stesso modo il Capitano porse i suoi omaggi agli Elfi Silvani, dedicando loro dei versi da lui composti in lingua elfica.
Elrohir fu sorpreso di notare che anche Dareon aveva preso parte alla cerimonia. Dopo la battaglia era come scomparso ed alcuni avevano iniziato a credere che fosse morto. Invece era lì, in disparte, lo sguardo adombrato di tristezza fisso sul corpo di Saeliel.
L'immagine dell'elfa che Elrohir aveva in mente dopo l'ultima volta che l'aveva vista era completamente diversa da ciò che si trovò di fronte durante la cerimonia. Non c'erano tracce di sangue sui suoi vestiti, i suoi capelli del colore del bronzo erano puliti ed incorniciavano perfettamente il suo viso ricadendo in tutta la loro lunghezza.

Elladan s'inginocchiò a pochi passi da
lei. Sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista e sapeva anche che non era così che voleva ricordarla. La sua vitalità, il suo orgoglio, la sua dolcezza, questo voleva ricordare di lei.
Elladan avvertì le presenze degli altri elfi dietro di lui.
Si aspettano che io dica qualcosa, pensò.
Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, le uniche parole che sembravano adeguate provenivano da un antico canto, che Elladan aveva udito tanti anni prima, in circostanze tristemente simili.

<< Estel lómenna sintuva
Ter mordor lantal' et lúmell', enyalie
Áva quete: nalve metyales
Loss' hrestar yalir
Met omentuva ata
Ar nauval ranconyassen er lorna.

Man cenil han menelo hresta?
Manan i maiw' yalir?
Arta Ear Sil néca orta
Ciryar símen marenna colien
Ilqu' ahyuva hyellenna sil
Cal nenes, hisw' ciryar autuvar
Minna Númen >>.

Le prime parole parvero perdersi nel vento, ma, con il verso successivo, altre voci si unirono alla sua. Elladan intrise d'amore il suo canto, mentre le voci degli elfi si levavano all'unisono, raccontando di bianchi gabbiani e pallide lune.

Quella notte Elladan cedette alla stanchezza e, finalmente, si addormentò.
Elrohir si ritrovò a passeggiare nell'accampamento, immerso nei propri pensieri, intento ad approfittare degli ultimi giorni di luna piena per godere della sua luce.
Presto notò un bagliore in lontananza, poco lontano dal punto in cui di solito si trovava chi montava la guardia. Si diresse verso la luce, attratto dalla prospettiva del calore del fuoco. Riconobbe la sagoma dell'uomo seduto accanto al falò prima ancora di distinguerne le fattezze. Era Daven.
<< Elrohir >>, disse, alzando lo sguardo, << Non ho avuto ancora modo di parlare con tuo fratello, sono addolorato per la disgrazia che l'ha colpito >>.
Elrohir ricordò un momento simile, avvenuto non molto tempo prima, in cui aveva incontrato Daven appena dopo una battaglia. Ma allora Elrohir aveva mentito sulla sua identità e Daven non si era accorto dell'inganno, mentre adesso era stato riconosciuto al primo sguardo. Qualcosa in sé era cambiato, qualcosa che l'aveva reso diverso da Elladan anche nell'aspetto esteriore.
<< Elaborare il lutto richiederà tempo, ma ci riusciremo >>, rispose Elrohir.
Daven annuì, come se la risposta l'avesse scarsamente convinto. << Vieni vicino al fuoco >>, disse, invitando Elrohir a sedersi.
L'elfo accettò. Raramente Daven si era dimostrato così gentile nei suoi confronti.
Prima mi vedeva per come apparivo, pensò, come un giovane con pochi inverni alle spalle. Adesso, per la prima volta, mi ha visto per come sono: qualcuno che ha vissuto tanto, forse troppo tempo.
<< La guerra porta sempre via qualcosa a chi vi partecipa, anche e soprattutto ai vincitori >>, disse Daven, volgendo lo sguardo alle fiamme.
<< Nessuno di noi è un vincitore >>, disse Elrohir.
Seguì un lungo silenzio, interrotto solo dal crepitio del fuoco.
Il cielo era coperto di nuvole, che impedivano di osservare le stelle ed oscuravano a tratti anche la luna. Presto avrebbe piovuto.

<< Oggi ho visto Dareon. Anche lui ha perso qualcuno che gli era caro, forse dovresti... >>, iniziò Elrohir.
<< Dubito fortemente che mio figlio sia in grado di provare affetto nei confronti di qualcuno >>, lo interruppe bruscamente Daven.
<< Perché? >>, chiese infine Elrohir, << Cosa può aver fatto per meritare l'odio del suo stesso padre? >>.

<< Se desideri saperlo te lo racconterò. Ma, ti avverto, non è una bella storia... >>, rispose Daven.


Note finali:
- Nonostante a volte Tolkien accenni a delle sepolture, avevo ancora qualche dubbio su quali fossero le usanze funebri degli elfi, quindi ho preferito sorvolare sulla questione.
-La canzone che canta Elladan è la stessa che era stata dedicata a Celebrìan nel capitolo 8.

P.s. Sono consapevole di avervi lasciati con il fantomatico "cliffhanger", pertanto cercherò di postare il prossimo capitolo il prima possibile, di sicuro prima dell'uscita del terzo film de Lo Hobbit.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** I due fratelli ***


Eccomi, a soli due giorni dall'uscita dell'ultimo film ambientato nella Terra di Mezzo. Ditemi che non sono l'unica che prova già un po' di nostalgia...
Tornando a noi, in questo capitolo verrà finalmente svelata la storia di Dareon, spero che sia all'altezza delle vostre aspettative.
Buona lettura!

<< Dicono che i tratti del carattere si tramandino di padre in figlio al pari dei tratti del viso o del colore dei capelli. Io non voglio crederci, perché significherebbe essere condannato a diventare come mio padre. Non ti parlerò a lungo di lui, ti dirò soltanto che era intransigente e violento, e che era reputato un uomo senza onore. Quando gli dissi che ero intenzionato a sposare una contadina, rispose che se l'avessi fatto non avrei più potuto portare il suo nome. Senza esitazione decisi di sposare colei che amavo, Edith, e da allora iniziai a presentarmi come "figlio di nessuno". Lei era una donna di rara bellezza, dolce e fiera come una guerriera. Avevamo a lungo desiderato avere dei figli, ma il destino ce li concesse solo anni dopo. Dareon nacque in un caldo giorno d'estate. Durante i suoi primi anni sembrava che nulla potesse scalfire la nostra felicità, ma ben presto ci rendemmo conto che nostro figlio aveva una doppia natura. Mentiva con sorprendente facilità, era violento con i suoi coetanei e non rispettava la nostra autorità. Con il passare degli anni la situazione non migliorò. Dareon era forte, e non solo fisicamente; riusciva a manipolare gli altri per usarli a suo vantaggio. L'unica persona per cui provava rispetto e, forse, affetto era sua madre. Edith riusciva a capirlo e lo amava incondizionatamente a prescindere da cosa facesse. Io ero sempre più frustrato: avevo creduto di essere un padre migliore di come lo era stato il mio, ma stavo iniziando a dubitarne.
Quando mia moglie restò incinta per la seconda volta, la mia speranza era che avere un fratello o una sorella avrebbe temperato l'indole di Dareon, che allora aveva sedici anni. Ma, ancora una volta, il destino non ci fu favorevole >>.
Daven si fermò. Il riflesso delle fiamme brillava nei suoi occhi, rivolti al passato. Elrohir aveva ascoltato avidamente, dimenticando ogni pensiero che fino a poco prima l'aveva afflitto, completamente coinvolto nella storia.
<< Qualcosa nel parto non andò come previsto. Nel villaggio in cui vivevamo c'erano pochi guaritori, e dissero tutti la stessa cosa: che il bambino stava nascendo troppo presto ed era probabile che né lui né la madre sarebbero sopravvissuti. Edith li supplicò di fare il possibile per salvare il bambino ad ogni costo. Stava soffrendo dolori inimmaginabili e non c'era nulla che io potessi fare per lei. Dareon era disperato: non poteva accettare l'idea che qualcosa accadesse a sua madre. Andò a cercare aiuto in un villaggio vicino, in cui si diceva che fosse di passaggio un elfo esperto nelle arti curative. Disse che non sarebbe tornato fin quando non fosse riuscito a trovare qualcuno in grado di salvare Edith. Io restai con lei, mentre attendevamo la nascita del bambino, pregando e sperando che le previsioni dei guaritori non si avverassero. Presto Dareon tornò portando l'aiuto promesso. L'elfo veniva da Gran Burrone ed era in viaggio nelle nostre terre. Accettò di occuparsi di Edith rifiutando ogni ricompensa che gli avevamo offerto. Disse che il bambino non era pronto per nascere, così come Edith non era pronta per partorirlo, ma stava avvenendo tutto ugualmente. L'elfo restò al suo fianco per un giorno intero, curandola con erbe di cui non conoscevo l'esistenza e parole in una lingua che non comprendevo. Gli altri guaritori osservarono sbalorditi alla nascita del bambino il giorno dopo. Era un maschio, così piccolo che quando lo tenni in braccio per la prima volta ebbi paura di fargli del male. Dareon non degnò suo fratello neanche di uno sguardo. Era concentrato solo su sua madre, esausta dopo il lungo parto.
L'elfo era visibilmente addolorato mentre ci disse che difficilmente sarebbero sopravvissuti entrambi, madre e figlio. Ancora una volta Edith lo pregò di salvare il bambino e lasciarla al suo destino. Fino a pochi attimi prima io avrei voluto urlare, “Salvate lei, è lei che merita di vivere”, ma non appena presi in braccio il neonato persi il coraggio di oppormi ad Edith. L'elfo restò con noi per i quindici giorni successivi, occupandosi personalmente del bambino insieme ad una levatrice e dando precise istruzioni ai guaritori che assistevano Edith. Mia moglie si era ammalata di febbre e non accennava a migliorare. Con grande dolore decidemmo di tenere il neonato lontano da lei, per salvaguardare la sua salute ancora troppo fragile >>.
Daven fece una pausa e, dalle lacrime agli angoli dei suoi occhi, Elrohir dedusse quali sarebbero state le sue prossime parole.
<< Edith morì nel sonno, uccisa dalla febbre. Il bambino, invece, sopravvisse. Decisi di chiamarlo Gelion, un nome gioioso, nella speranza che la sua vita non fosse triste come le circostanze della sua nascita. L'elfo, Teliadir era il suo nome, riprese il suo viaggio solo dopo essersi assicurato che il suo aiuto non fosse più necessario. Io lo ringraziai innumerevoli volte e mi offrii di ripagarlo in qualsiasi modo, ma egli rifiutò ancora una volta. Mi disse che non sentiva di meritare una ricompensa per essere riuscito a salvare solo una delle persone che aveva promesso di aiutare. Inoltre, appena prima di partire, mi mise in guardia su Dareon. Disse che aveva visto la malvagità nel suo cuore, come una fiamma che fino a quel momento non aveva avuto nulla che la alimentasse, e che adesso era destinata a crescere sempre di più, incrementata dall'odio. Dapprima non compresi appieno le parole di Teliadir, ma non trascorsero molti anni prima che riuscissi a vedere con i miei occhi l'odio che albergava nell'animo di Dareon >>.
Elrohir fu sorpreso di riconoscere nell'elfo saggio ed esperto di cui Daven aveva parlato l'amico giovane ed immaturo con cui lui ed Elladan erano cresciuti ad Imladris.
<< Conosco Teliadir, anche se è ormai trascorso molto tempo dall'ultima volta che l'ho visto. Sei stato fortunato ad incontrarlo >>, disse Elrohir.
<< Ne sono consapevole >>, rispose Daven.
Elrohir non poté fare a meno di pensare a quanto tempo aveva trascorso lontano da casa. Era molto più di quanto avesse immaginato quando aveva deciso di partire. Era tempo di tornare, lo sentiva. Tornò ad ascoltare la storia, che sembrava stesse per giungere alla sua parte peggiore.
<< Anche Gelion non aveva un carattere facile da gestire >>, continuò Daven, << Era riservato e silenzioso. Non riuscivo mai a capire cosa pensasse o cosa provasse, perché era sempre chiuso in se stesso. Sin dal giorno in cui era nato, Dareon l'aveva trattato con ostilità e disprezzo, talvolta sfociando anche nella violenza. Anche da adulto, Gelion non è mai stato forte quanto Dareon e spesso toccava a me frappormi tra di loro. Gelion restava un enigma irrisolvibile. Raramente esprimeva i suoi sentimenti a parole, e in quei casi scoprivo che non conoscevo mio figlio bene come avevo creduto. C'era tanta rabbia in lui e, soprattutto, tanto senso di colpa. Dareon l'aveva, in maniera del tutto irragionevole, ritenuto responsabile della morte della madre. Capii che dovevo intervenire al più presto, per evitare che la situazione peggiorasse ulteriormente. Per questo decisi di unirmi nuovamente ai Dùnedain, con cui, dalla morte di Edith, avevo soltanto avuto dei contatti sporadici. Da quel momento in poi i miei figli sarebbero vissuti separati, ma avrebbero combattuto insieme. Con il passare del tempo il loro rapporto non migliorò, ma accadde qualcos'altro che rianimò le mie speranze. Gelion conobbe Maedir, che all'epoca aveva appena undici anni, ed instaurarono una forte amicizia. Maedir aveva appena perso i genitori a causa di un male incurabile e viveva con sua sorella maggiore, che faceva il possibile per occuparsi di tutti i suoi bisogni. Il ragazzo era molto simile a Gelion, aveva simili problemi a rapportarsi con gli altri, e presto svilupparono una grande affinità. Per la prima volta, vidi Gelion confidarsi con qualcuno, lo vidi conversare con Maedir più di quanto non avesse mai parlato con me fino a quel momento. Entrambi beneficiarono di quell'amicizia ed io non potevo che esserne felice >>.
Daven si fermò bruscamente e rimase in silenzio così a lungo che Elrohir si chiese se avesse intenzione di continuare. Il vento si alzò e spinse delle foglie secche nel fuoco, provocando un sibilo simile al verso di un serpente.
<< Cosa accadde dopo? >>, chiese Elrohir, cercando di non sembrare impaziente.
Daven gli rivolse uno sguardo indecifrabile, poi continuò la sua storia.
<< Sono trascorsi dieci anni da quel giorno e i miei ricordi di esso sono sfocati, come se fosse tutto accaduto in un'altra vita. Dareon e Gelion litigarono di nuovo, ma quella volta fu diversa dalle altre. Entrambi avevano alle spalle anni di conflitti irrisolti, di odio malcelato, di sentimenti repressi. Io non ero presente in quel momento, pertanto non so esattamente cosa accadde, ma so che Gelion rinfacciò a Dareon ogni torto che gli aveva arrecato. Le sue parole furono taglienti come spade, erano tutte le parole che non aveva pronunciato negli anni precedenti, tutte le volte che avrebbe potuto difendersi e non l'aveva fatto. Per la prima volta non si nascose nel silenzio, ma alzò la voce e si oppose. Dareon non la prese bene; quelle parole lo spaventarono, gli fecero intravedere chi era davvero, provocando ancora di più qualcosa che era già dentro di lui, ma non si era mai manifestata. Dareon era più forte di Gelion, lo era sempre stato ed entrambi lo sapevano >>.
Daven parlò lentamente, come se avesse difficoltà ad articolare le parole. << Per quanto ripensi continuamente a quel giorno, non riesco a ricordare dove mi trovavo quando Maedir venne da me, in lacrime, dicendo che c'era un assoluto bisogno del mio intervento. Aveva soltanto undici anni ed aveva assistito a qualcosa che avrebbe sconvolto anche un adulto, qualcosa che non poteva comprendere. Giunsi sul luogo di corsa, ma era troppo tardi. Dareon aveva ucciso Gelion a mani nude >>. Daven si asciugò con rabbia le lacrime che cadevano copiose suo malgrado.
Elrohir non riusciva a capire. Il solo pensiero di perdere Elladan o Arwen era di per sé terribile, ma l'idea di fare loro del male, quella era del tutto inconcepibile. Non riusciva ad immaginare come fosse possibile compiere un atto così efferato ed essere ancora in grado di vivere con sé stesso.
<< So che hai vissuto per innumerevoli vite mortali e che noi umani dobbiamo sembrare come bambini ai tuoi occhi, ma nonostante ciò ci sono ancora cose di cui non hai esperienza, né comprensione. Non cercare di capire il gesto di Dareon, non ci riusciresti >>.
Elrohir fu costretto a concordare con Daven. Era la sua natura elfica che gli rendeva così estraneo il pensiero di uccidere un suo simile. Forse sono più elfo che umano dopotutto, pensò.
Daven continuò a raccontare, ma Elrohir non era più impaziente di ascoltare. Nel breve periodo di tempo in cui aveva conosciuto Dareon, mai aveva immaginato che il suo passato potesse essere così oscuro. E, allo stesso modo, ogni volta che aveva visto la tristezza negli occhi di Daven, mai avrebbe creduto che derivasse da un dolore così intenso.
<< Dareon si mostrò stupito di ciò che aveva fatto, come se il responsabile dell'accaduto fosse stato un altro. Mi spiegò con estrema calma che non aveva inteso ucciderlo, che aveva agito spinto da un attacco d'ira, ma nessuna di queste parole sembrava un pretesto per giustificarsi. Mai una volta vidi nel suo sguardo il senso di colpa, mai una volta mi chiese perdono. Una parte di me avrebbe voluto vendicare Gelion, ma un'altra parte, più crudele, decise di lasciare in vita Dareon, per ricordare a me stesso il mio fallimento, come padre e come essere umano. Dissi Dareon che non gli era più concesso di portare il mio nome, aveva ormai perso quel diritto. L'allora Capitano dei Dùnedain lo condannò all'esilio, sperando così di aiutarmi a dimenticare, come se fosse possibile per un padre dimenticare un figlio morto prematuramente, ucciso dal suo stesso fratello maggiore. Il ricordo di Gelion mi tormenta ogni giorno e ogni notte. Il fato ha fatto sì che l'assassino di mio figlio, la persona che dovrei odiare di più al mondo, sia l'unica che non potrò mai odiare, a cui non potrei mai fare del male.
Quando Dareon è tornato, dopo dieci anni trascorsi in esilio, sapevo che non avrebbe cercato di ottenere il mio perdono. Arador era deciso a condannarlo a morte, una punizione più che giusta per il suo crimine e per aver infranto la precedente sentenza, ma io gliel'ho impedito. Io stesso non so perché mi ostino a proteggere qualcuno che mi ha portato via così tanto >>.
Elrohir strinse i pugni, avvertendo una fitta di dolore laddove le sue unghie si conficcarono nelle ferite non ancora rimarginate. Ricordò l'espressione di puro terrore che aveva visto sul volto di Maedir quando Dareon aveva afferrato il suo cane. Il ragazzo aveva visto quelle stesse mani uccidere il suo migliore amico senza alcuna pietà, ed aveva temuto più di ogni altra cosa di rivivere quel momento.
Elrohir guardò Daven, immerso nei suoi pensieri, mentre le fiamme proiettavano ombre sul suo viso e riflessi di luce nei suoi occhi cupi. Si sentì giovane ed ingenuo, per aver creduto nell'illusione che il male risiedesse unicamente in creature deplorevoli come orchi e Mannari, e non nell'animo umano.
Non disse nulla a Daven. Non c'era nulla che valesse la pena dire.
<< Puoi accettare un consiglio da me? >>, disse Daven, cambiando improvvisamente argomento. Elrohir annuì.
<< Tornate a casa, tu ed Elladan. Tornate da vostro padre e da vostra sorella e lasciate che siano loro a lenire il vostro dolore >>.
Lo farò, pensò Elrohir, Non appena Elladan sarà guarito, torneremo a Gran Burrone.

I due giorni successivi furono dominati da una pioggia fitta ed incessante. Per quanto Elrohir cercasse il più possibile di stare vicino ad Elladan, questi era sfuggente e silenzioso. Le sue ferite stavano guarendo bene, ma il suo dolore era diminuito ben poco. Spesso si allontanava per ore, dicendo che aveva bisogno di camminare e rifiutando con gentilezza le offerte di Elrohir di accompagnarlo. Quella notte Elladan si era allontanato per più tempo del solito e, nonostante Elrohir si fosse prefissato di aspettarlo nella sua tenda, presto scivolò in un sogno inquieto accompagnato dal suono delle gocce di pioggia e dal fischio del vento.

Elladan si strinse nel mantello, insufficiente a proteggerlo dal freddo e dalla pioggia, ed accelerò il passo. Aveva scoperto che passeggiare era un ottimo modo per non pensare a Saeliel. Nel buio, al gelo, i suoi sensi erano all'erta per percepire eventuali pericoli, il dolore alla spalla si intensificava, come un fastidioso rumore di fondo che oscurava gli altri pensieri. Erano quelli i momenti in cui Elladan riusciva quasi a trovare pace.
Di solito durante le sue passeggiate notturne evitava istintivamente i luoghi che aveva frequentato con Saeliel, ma quella volta fu diverso. Prima ancora di deciderlo razionalmente, si ritrovò ai piedi della collina sulla quale era solito guardare il tramonto con lei. Nulla era cambiato e, allo stesso tempo, tutto era diverso.
C'era un albero, alto e sottile, che proiettava una lunga ombra sul terreno. Un lampo illuminò il cielo per un istante, rivelando una figura fino a quel momento celata dall'ombra.
<< Iniziavo a pensare che mi stessi evitando >>, disse. Le sue parole furono accompagnate dal tuono che seguiva il lampo.
<< Ti sbagli >>, rispose Elladan, << Sono pronto ad affrontare le conseguenze delle mie azioni >>.

Note dell'autrice:
-Per creare il personaggio di Dareon mi sono ispirata ad alcune ricerche che avevo fatto sulla psicopatia. Tratti tipici dello psicopatico sono: propensione a mentire, totale distacco dalle emozioni (su questo mi sono presa delle libertà), incapacità di distinguere tra bene e male, mancanza di rimorso, tendenza all'aggressività e all'uso della violenza. Ovviamente Daven non saprà mai che il “male” che albergava nel cuore del figlio era in realtà un disturbo mentale noto come psicopatia, ma ho pensato fosse importante che voi lettori lo sapeste.
-Il personaggio di Edith ha questo nome in onore di Edith Bratt, moglie di J.R.R. Tolkien, nonché colei che ispirò il personaggio dell'elfa Lùthien.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Il Serpente strangolatore ***


Avevo intenzione di postare questo capitolo il giorno di Natale, ma per problemi tecnici non mi è stato possibile. Anyway, buon Natale e felice anno nuovo a tutti!

Elladan si tolse il mantello, ormai inutile perché intriso d'acqua, e lo lasciò cadere ai suoi piedi. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare Dareon, l'aveva saputo sin da quando aveva assistito alla morte di Saeliel. Ma, forse inconsciamente, aveva ritardato quel momento per giorni.
Dareon non era più nascosto dall'ombra, era in piedi davanti ad Elladan, incurante della pioggia che gli bagnava il viso. << Io l'avrei protetta, avrei dato la mia vita per lei. Tu lo sapevi, ma eri accecato dalla gelosia. Non potevi accettare che qualcun altro la amasse come la amavi tu, piuttosto avresti preferito perderla >>. La voce di Dareon era calma, ma era evidente che per ogni parola ce n'erano molte altre non dette.
Elladan lo guardò negli occhi, mentre rispondeva, << Non avrei sacrificato la sua vita per nulla al mondo. Ho fatto ciò che ritenevo giusto e tu hai fatto altrettanto dal momento in cui hai rispettato il mio ordine >>.
Dareon fece un passo avanti, Elladan lo imitò.
<< Cosa credevi di fare, quindi? Dimostrare a noi di avere il controllo della situazione? Oppure dimostrare a lei di essere alla sua altezza? >>.
<< Non ho mai avuto bisogno di dimostrare qualcosa, lei mi aveva già scelto >>.
All'udire quelle ultime parole, un lampo d'ira brillò negli occhi di Dareon. Elladan si trattenne dall'indietreggiare.
<< Lei è morta, e la colpa è tua >>. Con quelle parole ogni parvenza di calma scomparve dal tono di voce di Dareon.
<< È quello che ripeti a te stesso nella speranza di crederci >>, rispose Elladan. Si stava rendendo conto poco a poco di non provare soltanto dolore per quello che era accaduto, ma anche rabbia, e le accuse di Dareon non facevano che alimentarla.
<< Ti sarai pentito, immagino, di avermi salvato la vita quel giorno >>, continuò Elladan, << Se non l'avessi fatto, io non sarei stato lì a dare ordini. Non ti sei chiesto se, in realtà, la colpa di ciò che è successo a Saeliel non fosse proprio tua? >>.
Elladan si pentì di quello che aveva detto un attimo dopo, ma, prima ancora che potesse dire altro, Dareon scattò in avanti, ormai posseduto dall'ira.
Elladan non fu abbastanza veloce da evitarlo e, prima ancora di rendersene conto, si ritrovò a terra. La ferita alla spalla si riaprì con un'esplosione di dolore, mentre Dareon torreggiava su di lui.
L'istinto di Elladan, temprato da molte battaglie, si preparò a reagire. Ma c'era un pensiero che risuonava nella sua mente. "È stata colpa tua". All'inizio aveva finto di ignorare le parole di Dareon, ma, suo malgrado, queste si erano fatte strada dentro di lui. Se non fosse stato per me Saeliel sarebbe ancora viva, disse una voce nella sua mente. E fu quella voce ad impedirgli di reagire mentre le mani di Dareon si stringevano attorno al suo collo. Sono più forte di lui, pensò, Potrei difendermi.
Ma non lo fece. Da un lato, ogni cellula del suo corpo implorava di ricevere aria, dall'altro, c'era la prospettiva del nulla, della fine di ogni sentimento e ogni dolore. Quest'ultima era senza dubbio più invitante.
La pioggia continuava a cadere, trasformando l'uomo che lo stava uccidendo in un'entità senza volto. La sua vista si oscurava, la realtà si fondeva con i suoi pensieri, il freddo diventava a stento percepibile. Ma all'improvviso un'immagine comparve nella sua mente. Elrohir. Come aveva potuto fare questo ad Elrohir?
La mia vita non è soltanto mia, pensò, E, se morirò oggi, lui morirà con me.
In un istante si rese conto di cosa stava permettendo che accadesse, si rese conto di quanto la disperazione avesse offuscato il suo giudizio. Tentò di opporsi, ma i suoi arti sembravano rifiutarsi di rispondere alla sua volontà. Ogni suo movimento era lento, troppo debole in confronto alla fredda determinazione di Dareon. Le sue mani rafforzarono la presa, rendendo vano qualsiasi tentativo di resistenza.
Lentamente, Elladan fu avvolto dall'oscurità.

Il precipizio si avvicinava sempre di più mentre Elrohir correva lungo il sottile corso d'acqua. Sebbene temesse più di ogni altra cosa quello che sapeva sarebbe accaduto, non poteva fuggire. Doveva correre verso il pericolo, perché sapeva che, in piedi a pochi passi dal bordo, c'era Elladan. Il flusso d'acqua, che scorreva rapido nonostante il terreno non fosse in pendenza, lo guidò nella direzione giusta. Elrohir corse senza sosta, fino a giungere lì dove era già stato in passato. Il serpente si avvicinò ad Elladan, che, invece di ignorarlo come era accaduto le altre volte, lo guardò con occhi tristi mentre strisciava lungo la sua schiena ed arrivava ad avvolgersi al suo collo.
Elrohir non tentò di avvertirlo. Elladan era ben consapevole della presenza del serpente, che stringeva sempre di più le sue spire.
Elrohir non sapeva come agire. Aveva rivisto quella scena tante volte, ma solo adesso si rendeva conto che non poteva aiutare Elladan, semplicemente perché egli non voleva essere aiutato. Elrohir non riusciva a respirare. Sentiva la stretta del serpente come se si trovasse attorno alla sua gola. Tentò di chiamare il nome di Elladan, ma la mancanza d'aria gli impediva di parlare. Per pochi istanti, i gemelli furono una sola persona, un solo corpo che agognava l'ossigeno, una sola mente che si confrontava con la prospettiva della morte.
Elrohir si svegliò bruscamente. Laddove ci sarebbe dovuto essere il sollievo di essere tornato alla realtà, c'era solo panico. Elrohir si portò una mano alla gola. Gli mancava ancora il respiro, come se il sogno non fosse mai finito. D'istinto afferrò il pugnale che teneva accanto al letto, ma non c'era nessuno contro cui brandirlo, nessuna presenza umana o animale.
Ad un tratto Elrohir realizzò. Non era lui che stava soffocando, era Elladan.
Strinse l'elsa del pugnale tra le dita e corse all'esterno, dove imperversava la pioggia battente. Ricordò un momento simile che aveva vissuto da bambino quando aveva percepito il pericolo in cui si trovava Elladan e l'aveva raggiunto senza sapere dove si trovasse. Elrohir si lasciò guidare dallo stesso istinto che tanti anni prima gli aveva indicato la strada. Attraversò l'accampamento, e proprio mentre iniziava a dubitare di trovarsi nel luogo giusto, li vide.
Elladan era a terra, Dareon era su di lui. Elrohir annullò la distanza che li separava in poche falcate e spinse Dareon di lato con tutta la sua forza. Il pugnale diventò improvvisamente più pesante quando Elrohir lo sollevò davanti a sé. In un movimento fulmineo pugnalò la mano di Dareon, che era sul punto di rialzarsi. La lama affondò nella carne dell'uomo, fermandosi all'osso. Dareon urlò di dolore, mentre il sangue sgorgava copioso sotto le gocce di pioggia. Ma Elrohir non si curò di lui. S'inginocchiò accanto ad Elladan, mentre un cieco terrore s'impossessava di lui. Suo fratello era immobile, non dava segni di vita. Elrohir gli prese una mano, gelida e bagnata dalla pioggia. Elladan non stava respirando.

Elrond camminò tra gli alti alberi di Lothlórien.
Cupo era il cielo al di sopra delle foglie dorate, ma nessun'ombra poteva oscurare la pallida luce che sempre illuminava quei luoghi. Ai piedi degli alberi fiori di ogni colore ondeggiavano sui loro esili steli, ignari dei rigori dell'inverno che imperversava all'esterno. Le fiamme nelle lanterne argentate tremolavano ad ogni goccia di pioggia che riusciva ad insinuarsi al loro interno, ma non accennavano a spegnersi.
Ogni cosa nella terra dei Galadhrim, dalle limpide acque dei suoi ruscelli ai dolci canti che si levavano accompagnando il fruscio del vento, emanava pace e tranquillità.
Eppure, nessuna luce riusciva a tenere a bada l'ombra che andava insinuandosi nei pensieri del Signore di Imladris.
Elrond sapeva che, a miglia di distanza, qualcosa di orribile era accaduto. Riusciva a sentirlo, nonostante la serenità che pervadeva ogni angolo di Lòrien tendesse a mitigare il suo umore.
A lungo aveva conversato con Galadriel, la Dama di Lòrien, chiedendole consiglio su come agire. L'elfa non aveva tentato di rassicurarlo, aveva anzi implicitamente confermato i suoi timori. "Un grande male grava sui tuoi figli, ma sappi che non è in tuo potere fermarlo, né con le parole, né con la forza della tua spada. Devi lasciare che affrontino da soli il loro nemico più infido, quello che non possono vedere o toccare con mano. Trascorri con Arwen il tempo che ti resta, poiché lunga potrebbe essere la vostra prossima separazione", furono le ultime parole di Galadriel.
Elrond percorse l'ampio talan che costituiva l'alloggio personale di Arwen. L'elfa sollevò lo sguardo dal libro che stava leggendo e sorrise. Nonostante tutte le preoccupazioni che affollavano la sua mente, Elrond non poté fare a meno di ricambiare il sorriso. Arwen era diversa dall'ultima volta in cui l'aveva vista, appena dopo la partenza di Celebrìan. Era più serena, più felice, il suo stesso viso era cambiato, tornando quasi ad essere quello di una volta.
<< Ti ho cercato stamattina. Ieri avevi detto che saremmo andati a Cerin Amroth >>, disse.
<< Perdonami, Arwen. Sono stato impegnato a conferire con Galadriel >>, rispose Elrond. Come ho potuto dimenticare una promessa fatta a mia figlia?, pensò.
Arwen posò il libro e si alzò, percependo il disagio di suo padre. << Non importa, ci andremo domani >>, disse.
<< Ma per stasera potresti mostrarmi questa parte del bosco, non ci sono mai stato da quando sono attivato >>, propose Elrond. Le sue parole erano vere solo parzialmente: in passato era già stato in quei luoghi e li conosceva ormai bene. Sospettava che Arwen lo sapesse, ma lei non disse nulla. Lo accompagnò sui sentieri tra gli alberi, raccontando dei momenti sereni che vi aveva trascorso.
<< Quanto tempo resterai? >>, chiese ad un tratto.
<< Fino alla prossima luna >>, rispose Elrond.
Arwen abbassò lo sguardo. << Speravo che restassi più a lungo >>.
<< Non c'è nulla che desidererei di più, ma questi sono tempi difficili e, per quanto mi fidi ciecamente di lui, non posso affidare a Glorfindel il comando di Gran Burrone per troppo tempo. È una responsabilità che spetta a me >>.
Arwen annuì. << Lo capisco >>, disse. << Sei preoccupato per Elladan ed Elrohir >>.
Quella frase suonò più come una constatazione che come una domanda. Elrond esitò nel rispondere. Non voleva trasmettere ad Arwen le sue inquietudini proprio mentre sembrava che avesse superato il dolore causato dalla partenza della madre, ma allo stesso tempo non voleva mentirle.
<< E' vero, temo per loro, ma ho anche fiducia. Finché saranno insieme, potranno affrontare qualsiasi cosa >>, disse.
Solo allora Elrond si accorse che stavano percorrendo una via familiare. I rami di due alberi adiacenti s'intrecciavano a mezz'aria, creando una sorta di ponte, al di sotto del quale la luce delle lanterne non riusciva a penetrare.
<< Ricordi questo luogo? >>, chiese Arwen, poggiando una mano sulla corteccia dell'albero.
Elrond sorrise. Non riusciva a ricordare l'ultima volta in cui aveva sorriso.
<< Certo che lo ricordo. E sono stupito che lo ricordi anche tu >>, rispose.
Tanti anni prima, durante la quarta estate dalla nascita di Arwen, la piccola elfa aveva preso parte al suo primo viaggio. Elrond e Celebrìan l'avevano portata con sé a Lòrien per incontrare il Signore e la Dama dei Boschi.
Arwen era instancabile e curiosa. Faceva domande su qualsiasi cosa vedesse ed era impaziente di imparare il più possibile.
Una sera, proprio mentre il sole iniziava la sua discesa nel cielo e gli elfi accendevano le prime lanterne, Elrond aveva perso di vista Arwen. Nonostante le molte raccomandazioni che aveva avuto di non allontanarsi da sola, Arwen sembrava scomparsa.
Elrond l'aveva cercata per un tempo che era parso lunghissimo, fino a giungere nel luogo dove si trovavano in quel momento. L'elfa si era arrampicata sui rami intrecciati e stava tentando di raggiungere uno dei due alberi. Elrond era stato così spaventato che aveva rischiato lui stesso di inciampare nel groviglio di rami mentre andava verso di lei. Arwen aveva riso a lungo al vedere quella scena e presto anche Elrond si era unito a lei.
Adesso i rami intrecciati apparivano enormemente più piccoli e gli alberi più bassi, tanto che Arwen avrebbe potuto sedersi nel punto esatto in cui da bambina si era trovata sospesa nel vuoto.
<< Non ho mai avuto il coraggio di raccontare a tua madre quello che accadde quel giorno >>, confessò Elrond.
<< Credo che l'avesse capito ugualmente >>, ribatté Arwen.
<< Lo credo anch'io. Lei riusciva a capire anche quello che non dicevo >>.
Per qualche ragione a lui ignota, persino il ricordo di Celebrìan, che di solito era velato di tristezza, a Lòrien appariva quasi gioioso. Elrond guardò Arwen e capì perché amasse tanto quei luoghi. Capì perché sarebbe stato inutile chiederle di tornare con lui a Gran Burrone.
Il suo posto è qui, ed è giusto che sia così, pensò.
<< Domani andremo a Cerin Amroth, il giorno dopo sceglieremo un'altra meta ed entro la prossima luna recupereremo tutto il tempo perduto. Sei d'accordo? >>.
Arwen finse di pensarci su. << E' una proposta accettabile >>, rispose
Le foglie di Lòrien trattenevano la pioggia che infuriava all'esterno, lasciando passare solo qualche goccia sottile. Nel reame dei boschi e nei cuori dei suoi abitanti regnava una pace assoluta.



Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Il Presagio si avvera ***


Salve a tutti. Ecco il primo capitolo del 2015, dopo appena sei giorni dal precedente e in onore del compleanno di J.R.R. Tolkien. Il prossimo verrà postato il 14 gennaio, il giorno del primo anniversario di questa fanfiction :)

Oscurità.
Era solo.
Solo e al buio.
L'assenza di tutto era così confortante che Elladan fu tentato di lasciarsi avvolgere completamente da essa.
Ma c'era qualcos'altro, in lontananza, che lo teneva legato alla realtà.
Un urlo. Una voce familiare. Un tocco gentile sul viso. Il freddo e il bagnato. Il dolore.
Tutte quelle sensazioni significavano vita. Più si concentrava su di esse, più diventavano reali. Significava che il suo corpo era lì, reale e vivo, e non sommerso dall'oscurità.
La voce, prima bassa e indistinta, diventò appena udibile. << Valar...vi prego... Non questo >>. Era Elrohir, si trovava lì. Ma perché stava piangendo?
L'urlo s'intensificò, fondendosi con il rumore di un tuono. Elladan riconobbe anche quella seconda voce.
All'improvviso tutte le sensazioni che prima erano parse lontane, accantonate in un angolo della sua mente, tornarono con prepotenza, riempendo quel vuoto che era stato tanto confortevole.
I suoi polmoni si dilatarono dolorosamente, accogliendo tutta l'aria che riuscivano a contenere. La sua gola bruciava, come se avesse inghiottito un liquido bollente.
I suoni diventarono più nitidi, la voce di Elrohir invocò il suo nome.
Elladan tentò di rispondere, ma anche solo aprire gli occhi sembrava un'impresa impossibile. Si concentrò sull'unica azione che riusciva a compiere: respirare.
La testa gli doleva a causa della prolungata mancanza d'aria e gli rendeva difficile pensare con chiarezza. Lentamente gli tornò alla mente quello che era accaduto e la consapevolezza di essere stato così vicino alla morte lo colpì con violenza.
Elladan aprì gli occhi. La prima cosa che vide fu l'espressione di sollievo sul volto di Elrohir che, nonostante tutto, gli fece venire voglia di sorridere.

Elrohir ringraziò mentalmente qualunque entità fosse stata responsabile del suo destino. Elladan era fin troppo pallido e tremava violentemente, ma era vivo.
Elrohir resistette all'impulso di abbracciarlo e si mantenne ad una distanza tale da permettergli di respirare più agevolmente.
Se non fosse stato per quel sogno, se fossi arrivato un istante dopo..., pensò Elrohir.
Elladan tentò di parlare, ma riuscì soltanto a tossire, mentre Elrohir lo aiutava a mettersi seduto.
Attorno a loro si iniziava a radunare una piccola folla, attirata dalle urla di Dareon. Elrohir tenne gli altri a distanza con un gesto.
Sapeva che Elladan voleva andare via da lì al più presto, ma sapeva anche che in quel momento non era in grado di riuscirci da solo. Elrohir si chinò su di lui e, dopo aver ricevuto una silenziosa conferma, lo sollevò senza sforzo.
<< Che nessuno lo tocchi finché non sarò tornato >>, disse, rivolto a coloro che erano in procinto di soccorrere Dareon. Gli uomini obbedirono, intimiditi dall'autorità che emanava la sua voce.
Elrohir portò Elladan nella sua tenda, lo aiutò a togliersi gli abiti bagnati ed a metterne di nuovi. Vedendo che l'elfo non aveva smesso di tremare, gli poggiò una coperta sulle spalle.
<< Torno tra poco >>, disse Elrohir. Aveva un'ultima cosa da fare.
Ripercorse i suoi passi e raggiunse il punto in cui la folla stava diventando sempre più densa. Dareon era esattamente dove l'aveva lasciato e, nel vederlo, tentò di indietreggiare.
Elrohir s'inginocchiò per trovarsi alla sua altezza ed afferrò l'elsa del pugnale. Dareon si morse il labbro fino a farlo sanguinare pur di restare in silenzio.
<< L'unica ragione per cui sei ancora vivo è il profondo rispetto che provo nei confronti di tuo padre. Ma, se ti avvicinerai ancora a me o a mio fratello, non avrò pietà >>, disse e, senza preavviso, estrasse la lama.
Dareon urlò ancora ed il sangue schizzò abbondante. Fu solo allora che Elrohir vide il punto esatto in cui il suo pugnale aveva colpito. Non la mano, ma il polso.
La pioggia lavò il metallo in pochi secondi, lasciandolo quasi del tutto pulito. Ma il sangue che fuoriusciva dalla ferita non accennava a fermarsi.
Elrohir fece un passo indietro, permettendo agli altri di avvicinarsi per aiutare Dareon.

Quando tornò nella tenda di Elladan, questi sollevò brevemente lo sguardo. << Grazie >>, disse, la voce ancora roca.
Elrohir si sedette accanto a lui. << Non dovresti ringraziarmi >>, rispose.
Un tempo non ci sarebbe stato bisogno di dirlo, pensò.
<< Ma potresti spiegarmi >>, proseguì Elrohir, << Perché hai lasciato che lui avesse la meglio >>.
Elladan evitò il suo sguardo. Appariva meno infreddolito, ma i lividi attorno al suo collo iniziavano a diventare visibili. Vederli riempiva Elrohir di rabbia.
<< Cosa vuoi che risponda? Che desideravo la morte? >>, disse Elladan.
Elrohir ripensò alle parole che Elladan gli aveva rivolto, anni prima, durante il viaggio di ritorno dal Passo Cornorosso, "Se mai dovessimo morire, lo faremo insieme. Non pensare neanche di lasciarmi solo".
Stentava a credere che la persona che si trovava di fronte fosse la stessa di allora. Non sapeva come comportarsi con lui, non riusciva a capirlo.
Si alzò. << Vado a chiamare un guaritore, temo che la tua ferita si sia riaperta >>, disse.
Fece per uscire, ma qualcosa lo fermò sulla soglia. << Erano tre... >>, aveva detto Elladan, in un sussurro appena udibile.
Elrohir tornò indietro. << Di cosa parli? >>, chiese.
Elladan parò lentamente. << Erano tre gli orchi che Saeliel stava affrontando. Ne aveva uccisi due, il terzo, invece... >>, si fermò, come se non osasse completare la frase. << Sarebbe bastato l'aiuto di una persona sola. Se non avessi impedito a Dareon di andare da lei... >>.
Elrohir lo interruppe. << Non è stata colpa tua >>.
Ma Elladan era oltre ogni conforto. Le parole di Elrohir non avevano alcun effetto su di lui.
<< El, guardami >>, disse.
Elladan sollevò lo sguardo.
<< Io sapevo che Dareon aveva già ucciso in passato. Non te l'ho detto perché non volevo aggiungere altro dolore a quello che già ti affligge, ma adesso rimpiango di non averti messo in guardia. Se l'avessi fatto, forse nulla di tutto ciò sarebbe accaduto >>.
Elladan scosse la testa. << Non puoi incolpare te stesso. Anche se avessi saputo di cosa era capace Dareon, non avrei agito diversamente >>, ribatté.
<< Allora neanche tu puoi incolparti per la morte di Saeliel. Il principio è lo stesso >>, disse Elrohir.
Elladan stava per ribattere, ma Elrohir lo anticipò. << Continueremo questa conversazione domani. Per adesso, cerca di riposare >>.

Erano trascorsi due giorni dal temporale ed il cielo era tornato ad essere terso.
Elladan non aveva mai smesso di ripensare a quanto era stato vicino alla morte. È stato un comportamento da debole, desiderare la fine di tutto. Si era pentito di averlo anche solo pensato.
Ma c'era qualcos'altro che aveva capito quella notte: che Elrohir non poteva comprenderlo. Il legame che li univa non era più sufficiente a trasmettersi sentimenti così complessi, né tanto meno a condividerli, quando era chiaro che non appartenevano ad entrambi.
Elladan non sapeva come avrebbe gestito quella nuova rivelazione, ma sapeva che l'avrebbe fatto da solo.

Elrohir strappò in due il penultimo foglio che gli era rimasto. Voleva scrivere a suo padre per chiedere consiglio, ma non riusciva a trovare le parole giuste per descrivere la situazione in cui si trovava.
<< Elrohir, posso parlarti un attimo? >>.
L'elfo si era a stento accorto della presenza di Maedir alle sue spalle.
Ripose l'ultimo foglio, ancora in bianco, e rivolse al Dùnedain la sua attenzione.
<< Certo, di cosa si tratta? >>.
Maedir attese qualche istante prima di rispondere. Elrohir lo conosceva abbastanza da capire quando era insicuro.
<< Dareon... è morto >>, disse Maedir.
Elrohir fece il possibile per non tradire nessuna emozione, ma, nel momento stesso in cui ebbe udito la parola "morto", il suo cuore accelerò i battiti.
<< Com'è accaduto? >>, chiese. << Parla liberamente >>, aggiunse, vedendo che Maedir esitava.
<< La ferita che tu gli hai provocato ha reciso una vena. La perdita di sangue l'ha ucciso >>, spiegò.
Elrohir stava per dire che uccidere non era il suo intento, ma all'ultimo momento non riuscì a pronunciare quelle parole, che sarebbero suonate come una menzogna.
Neanche io so qual era il mio intento, pensò.
<< Ti ho visto tante volte brandire il pugnale e la tua assoluta precisione non ha mai cessato di sorprendermi. Mi riuscirebbe difficile credere che sia stato un incidente >>, disse Maedir.
Elrohir lo guardò negli occhi e pose la stessa domanda che stava facendo a se stesso, << Tu mi riterresti capace di uccidere un essere umano? >>.
Maedir spostò il peso da una gamba all'altra, visibilmente a disagio.
<< Dieci anni fa Dareon è stato responsabile della morte di qualcuno che mi era caro e, quando ho visto Elladan, quando ho visto i segni delle mani ancora impressi sulla sua pelle, ho rivisto ogni attimo di quella tragedia >>, rispose, << Quando un essere umano si macchia di crimini così atroci, non merita più di essere considerato tale >>.
<< Dimostri di essere più saggio di quanto la tua età possa far credere >>, commentò Elrohir.
Maedir abbassò lo sguardo, come era solito fare quando gli veniva rivolto un elogio. << È merito della mia lunga frequentazione con gli Eldar >>, disse.
<< Daven è già stato informato? >>, chiese Elrohir.
Maedir annuì. << Ha detto di voler restare da solo >>.
<< Dovrò andare a parlargli >>, disse Elrohir, più a sé stesso che a Maedir.
Il ragazzo si congedò, ma appena prima di andarsene disse, << Io ho una sorella. Per lei avrei fatto esattamente le stesse cose che tu hai fatto per Elladan >>.

Una volta rimasto solo, Elrohir iniziò a scrivere.
"Caro ada,
È con il cuore colmo di tristezza che ti scrivo questa lettera. Tanto è accaduto in questi ultimi giorni, più di quanto io stesso possa concepire.
Elladan ha perso colei che amava in battaglia e da allora il suo dolore è stato per me un compagno costante. Per quanto tenti di aiutarlo, per quanto tenti di alleggerire il suo fardello, non posso fare a meno di pensare a quanto la sua condizione sia sempre più simile a quella di nostra madre. Due giorni fa mi sono confrontato con la mia peggiore paura, che stava per diventare realtà davanti ai miei occhi. Qualcuno ha tentato di uccidere Elladan e, se non fosse stato per quel sogno che ho tanto odiato, non sarei riuscito ad impedirglielo. Adesso capisco cosa rappresentava quel serpente: era l'uomo che avrebbe cercato di strangolare mio fratello ed allo stesso tempo era la mia paura di restare solo, qualcosa che in passato mi rifiutavo persino di considerare razionalmente. Il corso d'acqua rappresentava le circostanze nelle quali sarebbe accaduto, in una notte di pioggia, mentre il precipizio... Ho riflettuto a lungo per capire cosa significasse. Lo comprendo soltanto ora che lo vedo davanti a me. Elladan ha scavato un enorme baratro attorno a sé. Io posso guardarlo, posso parlargli se riesco ad alzare abbastanza la voce, ma mai sfiorarlo. Devo accontentarmi di restare seduto sull'orlo del precipizio, perché non posso oltrepassarlo. È questa la sensazione che provo costantemente in presenza di Elladan. Si sta allontanando ed io non sono in grado di raggiungerlo.
Speravo che saremmo tornati a casa dopo la battaglia, ma ogni volta che introduco l'argomento Elladan diventa ancora più schivo e silenzioso. Non vuole tornare, ma non ha il cuore di dirmelo, sapendo che lo desidero.
Spero che il tuo consiglio possa ancora una volta indicarmi qual è la via più giusta da percorrere.
Con affetto,
Elrohir"

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Spezzato ***


Buonasera, mellyn nìn.
Oggi per me è un giorno importante. Esattamente un anno fa pubblicavo il primo capitolo di questa fanfiction, partendo dalla semplice immagine di due bambini che giocano con delle spade di legno. Adesso sono cambiate un bel po’ di cose, sia nella realtà, sia nella storia, ma posso dire con certezza che sono felice di essere arrivata fino a questo punto (sorvolando sul fatto che ho pubblicato soltanto 22 capitoli in un anno). Rimando a dopo i ringraziamenti, visto che probabilmente siete qui per leggere il capitolo e non per sentirmi blaterare.
Buona lettura!

Elrond serbava in sé il ricordo dei giorni trascorsi a Lórien come qualcosa di prezioso, come un luogo in cui era solito tornare attraverso la mente, per trovare rifugio nei momenti di sconforto.
Quando aprì la lettera, capì immediatamente che c'era qualcosa che non andava: le parole erano state scritte da una sola mano, quella di Elrohir. Elrond conosceva bene la sua calligrafia, dal momento che era stato lui stesso ad insegnargli a scrivere. Lo stato d'animo di suo figlio traspariva da ogni pausa tra una parola e l'altra, da ogni piccola sbavatura dell'inchiostro, più chiaro di ciò che era scritto tra le righe.
Quando ripiegò la lettera, Elrond seppe tristemente di aver avuto conferma ad ogni suo timore. Ma non ebbe tempo di pensare o agire, che qualcuno bussò alla sua porta.
<< Avanti >>, disse Elrond.
<< Hîr vuin, la spedizione ricognitiva è pronta a partire. Glorfindel mi manda a chiederti quando vuoi che vadano >>.
<< Al più presto. Riferisci che guiderò io stesso la spedizione >>.

Elrohir tese l'arco. Indirizzò la punta della freccia dapprima verso il centro del bersaglio, poi la spostò leggermente a sinistra per controbilanciare la spinta del vento dall'ovest.
Rilasciò la corda e la freccia sibilò nell'aria, conficcandosi appena più in basso del punto a cui aveva mirato. Avrei dovuto correggere la traiettoria verso l'alto per compensare la lontananza dal bersaglio, pensò.
Il campo di addestramento era scarsamente frequentato in quel periodo: il ricordo della battaglia appena trascorsa era ancora troppo vicino perché gli uomini impugnassero di nuovo le armi.
Elrohir, d'altro canto, non aveva nessun desiderio di tornare a combattere, era lì perché tirare con l'arco lo aiutava a svuotare la mente e a rilassarsi. Concentrarsi sulla traiettoria delle frecce gli impediva di pensare ad Elladan, che in quel momento era vicino a lui e allo stesso tempo lontano tante miglia, ed a Dareon, al suo sangue lavato dalla pioggia. Quel sangue è ancora sulle mie mani, anche se invisibile, si disse.

Elladan era intento ad affilare la sua spada, un'azione dettata più dall'abitudine che dall'effettivo bisogno di usarla. Pensava agli Elfi Silvani, che quella sera avrebbero lasciato l'accampamento, ed ai Dùnedain, che due giorni dopo sarebbero partiti per l'Arthedain. Tra tante incertezze, l'unica cosa che gli era chiara era che voleva lasciare quel luogo il prima possibile e, considerando che tutti erano in procinto di partire, a lui toccava soltanto scegliere dove andare. Un tempo la scelta sarebbe stata facile: avrebbe seguito Elrohir, ma in quel momento era tutto infinitamente più difficile.
Non voleva tornare a Gran Burrone, non prima di aver fatto pace con se stesso. Il mio dolore non deve pesare sulle spalle di Elrohir, né su quelle di mio padre, pensò.
La sua mano fece un movimento falso e scivolò sulla parte tagliente della spada. Elladan si lasciò sfuggire un gemito quando la lama aprì un piccolo taglio alla base del suo dito.
<< El, stai bene? >>, disse Elrohir, che aveva interrotto il suo tiro con l'arco e si era voltato verso di lui.
<< Sì, non preoccuparti >>, rispose Elladan.
Quando vide la crescente preoccupazione sul volto di Elrohir, sollevò una mano in sostegno delle sue parole.

Elladan aveva ragione. Il taglio era appena visibile ed aveva perso poche gocce di sangue, ma non era quello che preoccupava Elrohir. Era il fatto che, quando suo fratello aveva provato dolore, lui non aveva sentito nulla. Era questo che lo terrorizzava, la quasi totale mancanza di empatia. Qualcosa tra noi... si è spezzato, pensò.
Elrohir scoccò un'ultima freccia, che ancora una volta mancò il centro del bersaglio.

Elrond spronò il suo cavallo al galoppo.
<< Northo! >>. Un attimo dopo, ne seguì un fragore di zoccoli alle sue spalle. Erano le migliori guardie di Imladris, amici e compagni d'armi, ed erano pronti a seguirlo ovunque.
Erano anni che Elrond non provava quella sensazione, spaventosa e soddisfacente allo stesso tempo, nel guidare un'incursione contro gli orchi. Se non posso aiutare i miei figli, allora aiuterò degli sconosciuti liberando le loro terre da questi mostri, pensò, mentre la sua spada si abbatteva sul primo orco.
Così iniziò lo scontro.
<< No dirweg! >>, ordinò Elrond, vedendo che gli orchi avevano smesso di fuggire e adesso li affrontavano direttamente.
Ma gli elfi erano già pronti. Rapidi e silenziosi, gli arcieri protessero i loro compagni da lontano, rendendo vani i tentativi degli orchi di accerchiarli. Elrond combatté dapprima dalla sicurezza del suo cavallo, poi a terra, sul terreno bagnato di pioggia. Erano trascorsi anni dall'ultima volta in cui aveva brandito la sua spada contro una minaccia reale, ma ai suoi occhi sembrava passato non più di un giorno. Il suo corpo conosceva bene ogni movimento, il suo istinto dava rapidità ai colpi anche quando la mente non riusciva a stare al passo. Era come sfogliare un vecchio libro a lungo dimenticato e ricordarne poco a poco le parole.
Tuttavia, se quelle circostanze gli risultavano ormai familiari, Elrond si rese conto che i nemici che stava affrontando erano diversi dal solito. Ricordò le parole di Glorfindel, quando, ferito e deluso al termine di una spedizione infruttuosa, gli aveva raccontato di un nuovo tipo di orchi particolarmente pericolosi.
Immerso nella tranquillità dei giardini di Gran Burrone non potevo rendermi davvero conto di cosa stesse accadendo all'esterno, pensò.
Il combattimento si protrasse fino al tramonto, quando, alla fievole luce degli ultimi raggi di sole, l'ultimo orco cadde trafitto dalla spada di Elrond.

I Dùnedain salutarono calorosamente gli Elfi Silvani al momento della loro partenza. Durante la loro seppur breve convivenza avevano avuto modo di stringere amicizia e molti di loro si riproposero di rivedersi. Elladan guardò con una punta di divertimento lo strano legame che si era formato tra quelle persone così diverse. Sono unioni che nascono in tempi di guerra, pensò, mentre osservava i loro timidi tentativi di scambiarsi dei doni. Infine gli elfi s’incamminarono verso nord e scomparvero alla vista.
Elladan rimase solo con se stesso. C'era un pensiero che lo accompagnava ovunque andasse e di cui non riusciva a liberarsi. Una scelta che, suo malgrado, doveva compiere, e doveva farlo quella notte.
Elrohir, perdonami.

Aveva ricominciato a piovere, Elrohir poteva udire il ticchettio delle gocce sottili sul tessuto della sua tenda. Nonostante fosse notte fonda, c'era qualcosa che lo teneva sveglio e vigile. Un'intuizione, forse, oppure semplice istinto. Qualsiasi cosa fosse, stava mettendo Elrohir in guardia. Visti gli eventi degli ultimi giorni, l'elfo aveva imparato che non fidarsi dei propri istinti poteva essere pericoloso. Indossò il mantello ed uscì dalla tenda. L'accampamento era silenzioso, le tende che erano appartenute agli elfi erano state rimosse ed i Dùnedain si stavano preparando a fare lo stesso con le loro. Arador era impaziente di partire per riunirsi con i suoi familiari, in particolare con suo figlio Arathorn, pertanto aveva ordinato di abbandonare l’accampamento il prima possibile.
Elrohir si guardò attorno, circospetto. Restò a lungo in ascolto, finché non distinse, tra i tenui rumori della notte, qualcosa di insolito. La sua mente, sollecitata dal triste senso di familiarità provocato da quell’atmosfera già vissuta, creò delle ipotesi, ma nulla avrebbe mai potuto prepararlo a quello che stava per vedere.
Elladan era al limitare dell'accampamento, intento a sellare il suo cavallo; indossava abiti da viaggio ed aveva radunato delle magre provviste.
<< Dove pensi di andare? >>, chiese Elrohir, incredulo.
Elladan sembrò altrettanto sorpreso nel vederlo. Per un istante il rimorso fu ben visibile sul suo viso, ma subito dopo scomparve, sostituito da una maschera indecifrabile.
<< Non posso restare qui. Andrò a nord, forse a Bosco Atro >>, disse.
Elrohir fece un passo avanti. Era chiaro che l'ultima parte di quella frase era stata omessa: "...da solo".
<< Quando me l'avresti detto? >>, chiese.
<< Appena prima di partire >>, rispose Elladan, dopo un momento di esitazione.
Elrohir sospettò che mentisse. Un tempo suo fratello non sarebbe riuscito a nascondergli qualcosa, anche volendo, ma in quel momento Elrohir non era in grado di distinguere una menzogna dalla verità.
<< Sono giorni che ti propongo di tornare a casa, pensavo che questo ti avrebbe aiutato >>, disse Elrohir, tentando di mantenere ferma la propria voce.
<< Non posso tornare, non adesso >>.
<< Credi che io preferirei restare qui, da solo, senza neanche sapere dove ti trovi? >>.
Elladan lo guardò negli occhi quando rispose, << Non puoi aiutarmi, Elrohir >>.
<< Se c'è una cosa che ho capito negli ultimi tempi è proprio questa, che non posso aiutarti >>, replicò Elrohir, con un tono di voce più alto del solito, << Ma voglio ugualmente restarti accanto >>.
Elladan abbassò lo sguardo e restò in silenzio.
Elrohir continuò a parlare. << Fuggire non servirà a nulla, il tuo dolore ti seguirà ovunque andrai >>.
<< Proprio tu dici questo >>, obiettò Elladan, << Tu che fuggisti da Gran Burrone in cerca di vendetta, abbandonando Thiliel, l'unica persona che forse era in grado di darti conforto >>.
Quelle parole furono per Elrohir come uno schiaffo improvviso e violento.
Elladan parve non accorgersene. << Saresti potuto restare per nostro padre, per Arwen... >>.
Ma non ebbe modo di completare la frase. Prima ancora di riflettere su quello che faceva, Elrohir si avventò su di lui e lo spinse contro il fianco del cavallo.
<< Non ricordo particolari obiezioni da parte tua in quell'occasione >>, ribatté a denti stretti.
Elladan non reagì a quell'improvviso sprazzo di violenza. I due si guardarono per qualche istante, entrambi increduli di essere arrivati fino a quel punto.
Elrohir indietreggiò, guardando le proprie mani come se avessero agito senza il suo consenso. Cosa ho fatto?, pensò.
Elladan evitò il suo sguardo, montò a cavallo e presto scomparve nell'oscurità.

Cosa ho fatto?, si chiese Elladan. Aveva approfittato del legame che lo univa ad Elrohir per sapere esattamente quali parole l’avrebbero ferito di più. L’elfo avvertì lo stesso profondo senso di colpa di chi ha profanato qualcosa di sacro.
Spinse il cavallo al galoppo senza neanche badare a dove si stava dirigendo, nel disperato tentativo di allontanarsi il più possibile dall’accampamento. Quando fu costretto a rallentare, sentì l’impulso di tornare indietro e chiedere perdono.
Quello che ho fatto va oltre il perdono, disse una voce nella sua mente.
Decise di andare avanti , verso nord. Sapeva che Elrohir non avrebbe tentato di seguirlo e quel pensiero lo riempì d’inquietudine.
Per la prima volta nella sua vita, Elladan era davvero solo.

Elrond si assicurò che non ci fossero feriti bisognosi di cure immediate, prima di ordinare il ritorno a Gran Burrone.
<< Posso mostrarti qualcosa prima di andare? >>, chiese Glorfindel.
Elrond acconsentì. Si lasciò condurre su un'altura priva di alberi, dalla quale era possibile osservare la vallata sottostante.
Glorfindel indicò un piccolo villaggio ai piedi dei monti. Era un agglomerato di capanne costruite attorno a dei campi di grano, i cui abitanti non potevano essere più di due centinaia.
<< Questo villaggio non esisterebbe più se non fosse per noi >>, disse Glorfindel.
<< E nessuno di loro ne è al corrente >>, osservò Elrond.
Ma non importava. Il pensiero di aver protetto quelle persone era sufficiente a farlo sentire più sereno, come non lo era stato da molto tempo.
<< Ben fatto, mellon nìn >>.


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Hîr vuin: mio signore
Northo: carica
No dirweg: prestate attenzione
 
Note dell’autrice:
La vita reale si è messa d’impegno per sabotare in tutti i modi la stesura di questo capitolo.  Ma non potevo lasciare che accadesse, a costo di arrivare all’esame di storia moderna e parlare delle ripercussioni della Guerra dell’Anello sull’economia di Arda. Un po’ frettolosamente, lo devo ammettere, sono riuscita a postare con puntualità.
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito questa storia, in particolare le mie due recensitrici (si dice così?) più fedeli, tyelemmaiwe e melianar,  che hanno commentato ogni singolo capitolo con pazienza, costanza e un pizzico di spirito critico. Vi ringrazio profondamente per i vostri consigli e per i vostri incoraggiamenti.
Molti autori di fanfiction esordiscono, spesso nel primo capitolo, dicendo che non continueranno a scrivere a meno che non ricevano un numero tot. di recensioni. Io non sono una di loro, ma se mai avessi avuto dubbi sulla continuazione di questa storia, sarebbero bastati i vostri commenti a dissuadermi. In sostanza, un enorme grazie a tutti.
Colgo l’occasione per invitare tutti i lettori “silenziosi” ad esprimere le loro opinioni sulla svolta che ha preso la trama. Avere i gemelli separati per la prima volta mi rende un po’ insicura e mi piacerebbe tanto sapere dei vostri pensieri/suggerimenti/obiezioni/critiche ecc…
Non voglio che questo sembri un discorso di ringraziamento agli Oscar, quindi mi astengo dal dire altro.
A presto,
Jadis
 
P.s. mi scuso profondamente con coloro che avevano recensito il capitolo precedente per non aver risposto. Sappiate comunque che ho letto le vostre recensioni e le ho apprezzate molto :)

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Nei regni dei Dùnedain ***


Salve a tutti. Vorrei innanzitutto scusarmi per il madornale ritardo, dovuto a una combinazione di problemi tecnici (perdita di tutti i dati nel pc), universitari e una brutta crisi da pagina bianca. Ma adesso sono tornata a lavorare sulla ff con dedizione e farò il possibile per recuperare il tempo perso. Il prossimo capitolo è già a buon punto e spero di postarlo la settimana prossima.
Tanti auguri di buona Pasqua a tutti e buona lettura!

L’Arthedain era uno dei tre regni nati dalla scissione di Arnor, avvenuta con la morte dell’Alto Re Earendur.
Nonostante Elrohir conoscesse la storia di quei territori, prima di allora non li aveva mai visitati di persona.
Il viaggio fu lungo, ma non impervio. Per un lungo tratto a ridosso delle colline Elrohir cavalcò al fianco di Arador, che gli raccontò la storia delle terre dei Dùnedain e della loro rovina.
<< Il grande Arnor era diviso e, tra i tre regni, Arthedain era il più vulnerabile. Un enorme esercito proveniente dal tetro regno di Angmar attaccò i territori del mio popolo e conquistò la città di Fornost. I Dùnedain non riuscirono a tenere testa ad una tale potenza e furono costretti a ripiegare, abbandonando il cuore stesso del loro dominio. Con la morte dell’ultimo re, gli Uomini dell’Ovest persero definitivamente l’Arthedain. In seguito accorsero in loro aiuto gli elfi di Lòrien e gli uomini di Gondor, il cui re Eärnur, figlio di Eärnil, sconfisse l’esercito di Angmar. Ancora oggi si compongono canzoni e poesie sulla battaglia di Fornost; non esiste bambino, tra i Dùnedain, che non conosca la storia dell'incontro tra Eärnur e colui che si rivelò essere il Re Stregone di Angmar. La sua stessa presenza bastava a terrorizzare i cavalli ed insinuare il dubbio nel cuore degli uomini. Ma quel giorno molte vite furono risparmiate grazie all’intervento degli elfi, capitanati da Glorfindel, l’unico di cui il Re Stregone avesse timore. Il re dell’armata di Angmar fuggì ed Eärnur fece per inseguirlo, ma l'elfo glielo impedì. In seguito Glorfindel predisse che quell'immonda creatura non sarebbe caduta per mano di un uomo. Il mio popolo non ha mai dimenticato le sue parole >>.
Durante le loro conversazioni Elrohir scoprì di non aver mai conosciuto davvero Arador. Lì dove prima c'era un Capitano austero e imparziale, adesso c'era un uomo nostalgico, preoccupato per il futuro e impaziente di rivedere suo figlio.
Erano tanti gli uomini che di lì a poco avrebbero rivisto i loro familiari e la loro aspettativa era quasi tangibile nell'aria. Più loro si avvicinano alle loro famiglie, più io mi allontano dalla mia, pensò Elrohir con una punta di amarezza.
Subito dopo pensò a Daven, che cavalcava poco più avanti, leggermente curvo sulla sella.
<< Non temere >>, disse Arador, intuendo i suoi pensieri, << Non incolpa te di quello che è accaduto >>.
<< Eppure non mi ha rivolto la parola da allora >>, rispose Elrohir.
<< E' soltanto il suo modo di affrontare il dolore. Sa che avresti fatto qualsiasi cosa per difendere Elladan e non può biasimarti. Ha bisogno di tempo, e il minimo che possiamo fare per lui è concederglielo >>, disse Arador.
Elrohir non poté che acconsentire.
Il paesaggio cambiò considerevolmente durante il viaggio. Il terreno non era più arido e spoglio, ma ricoperto d'erba sottile ed alberi piegati dal vento. Era come se l'aria stessa fosse diventata più respirabile, più predisposta alla vita. Persino il gelo dell'inverno sembrava essersi attenuato.
Infine giunsero in vista della città.

Annùminas era stata la capitale del regno di Arnor, fondata da Elendil, padre di Isildur, poi andata in rovina e a lungo abbandonata. Quando Elrohir iniziò ad intravedere i resti delle sue mura, gli parve già di avvertire l'energia emanata da quell'antico luogo. Le tracce dell'epoca di splendore della civiltà dei Dùnedain erano ancora visibili, tra le fondamenta dei castelli e le alte torri in lontananza.
In molti vennero ad accoglierli ai confini della città. Lì Elrohir incontrò per la prima volta Arathorn, il figlio di Arador, un giovane energico, molto simile al padre nell'aspetto. Dietro di lui c'erano centinaia di mogli, figli e fratelli, ansiosi di rivedere i loro cari. In principio Elrohir era ben deciso a restare in disparte, ma presto Maedir attirò la sua attenzione. Il ragazzo era raggiante, riusciva a stento a contenere la propria gioia, mentre il suo cane lo seguiva scodinzolando, partecipe di un entusiasmo di cui non comprendeva la ragione. << Vieni con me >>, disse, << Vorrei che conoscessi mia sorella >>.
Elrohir non ebbe il coraggio di rifiutare, vedendo quanto era radioso il sorriso del ragazzo. << Sarà un piacere >>, rispose.
Pochi istanti dopo, Maedir si aggirava frettoloso tra la folla, alzandosi sulle punte dei piedi per guardare più lontano. Elrohir sfruttò la sua vista più acuta per tentare di aiutarlo, ma non sapeva che aspetto avesse colei che stava cercando. Il suo sguardo vagò tra i molti volti sconosciuti, alcuni felici, altri speranzosi, fino a soffermarsi su una donna distante dal resto del gruppo. Condivideva la stessa espressione impaziente della maggior parte di loro, ma c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa nel suo sguardo che Elrohir non riusciva ad identificare. I suoi lineamenti erano familiari e i suoi lunghi capelli castani erano della stessa tonalità di quelli di Maedir, ma il particolare che confermò l'ipotesi di Elrohir fu il cane seduto al suo fianco, intento a scrutare chiunque si avvicinasse alla padrona. Non poteva che essere lei la donna che stavano cercando.
L'elfo non poté fare a meno di sorridere nel vedere Maedir che si precipitava ad abbracciare la sorella, mentre i loro cani si studiavano a vicenda, perplessi e sospettosi. Elrohir si avvicinò con discrezione, e fu allora che capì cos'era che aveva visto in lei. Il suo sguardo era spento e fisso nel vuoto e la gioia sul suo viso non riusciva a raggiungere gli occhi. La donna era cieca.
Elrohir ripensò a tutte le volte in cui Maedir aveva parlato di lei con un misto di orgoglio e tristezza e capì a cosa si era riferito. Pensò a quanto la loro vita dovesse essere stata difficile dopo la scomparsa dei genitori.
I due Dùnedain si scambiarono poche parole sommesse per informarsi l'uno sulle condizioni dell'altra. Maedir promise di raccontarle ogni cosa in seguito, evidentemente intenzionato ad evitare ogni argomento spiacevole.
Non molto tempo dopo il ragazzo si voltò a cercare Elrohir con lo sguardo e gli fece cenno di avvicinarsi.
<< Melwen, vorrei presentarti Elrohir, un caro amico senza il quale forse non sarei qui >>.
Elrohir si avvicinò, indeciso su come comportarsi. << È un onore conoscerti >>, disse.
Melwen guardò nella sua direzione e, sebbene Elrohir sapesse che non poteva essere visto, si sentì osservato. << Elrohir di Gran Burrone? Ho sentito parlare di te e delle tue imprese >>, disse, rivolgendogli un ampio sorriso.
Elrohir si stupì delle sue parole. Era la prima volta che uno sconosciuto si rivolgeva a lui al singolare, senza affiancare il suo nome a quello di Elladan come se fossero la stessa persona. << Sei gentile, mia signora, ma spesso le leggende modificano e ingigantiscono la realtà >>, rispose Elrohir.
<< Non è questo il caso. Elrohir e suo fratello Elladan sono gli uomini migliori che i Dùnedain abbiano mai avuto >>, s'intromise Maedir, << Elladan non è venuto con noi, ma forse in futuro ci raggiungerà >>, disse, guardando Elrohir in cerca di conferma.
<< Sono certa che arriverà al Bosco Atro senza incontrare pericoli >>, disse Melwen, con tono cortese e misurato.
Quella frase, che avrebbe dovuto essere di conforto, lasciò Elrohir stupefatto. Nessuno sapeva dove Elladan era diretto, neanche lui stesso ne era certo, eppure Melwen sembrava esserne al corrente. Prima che Elrohir potesse fare domande, qualcuno si avvicinò e interruppe bruscamente la conversazione. Era Arador.
<< Vorrei parlare con Melwen in privato, se è possibile >>, disse, con lo stesso tono con cui si rivolgeva a coloro a cui dava ordini. Era improvvisamente tornato ad essere il Capitano dei Dùnedain, così come Elrohir lo conosceva.
Il sorriso di Melwen si affievolì. Evidentemente aveva riconosciuto Arador dalla voce. << Sono felice che tu sia tornato, ero preoccupata per te. Adesso Maedir ed io abbiamo molto di cui parlare, ma sarò lieta di conferire con te domani >>, disse. La sua voce era diventata impercettibilmente più fredda.
<< Non ti tratterrò a lungo, hai la mia parola >>, insistette Arador.
Melwen esitò appena un istante, poi rispose, << D'accordo. Elrohir potrà stare nella casa accanto alla nostra. Maedir, mostragli la strada >>.
Melwen richiamò il suo cane con un fischio e lo tenne per un laccio di cuoio legato al collare. Dopo che lei ebbe mormorato un comando, il cane iniziò a camminare, guidandola oltre gli ostacoli e rendendo futile l'aiuto che Arador le aveva offerto.
<< Come faceva a sapere di Elladan? >>, chiese Elrohir, non appena si furono allontanati.
<< È una lunga storia >>, rispose Maedir, << Ma te la racconterò se lo desideri. Potrebbe stupirti >>.
Il ragazzo lo accompagnò tra le case dei Dùnedain. Erano per lo più di solido legno, ma alcune avevano fondamenta di pietra. La popolazione sembrava condurre una vita semplice ed agiata.
<< Melwen inizò a perdere la vista quando aveva sei anni, all'epoca io ero appena nato. Per la nostra famiglia fu una disgrazia, fu come una maledizione abbattutasi sulle nostre vite. I saggi ci insegnano che ciò che perdiamo non è perso per sempre, ma si trasforma in qualcosa di uguale valore. Io non sono mai stato d'accordo: per me una perdita è una perdita >>. Maedir sospirò. La sua voce iniziava a suonare più adulta e, più la storia proseguiva, più il suo tono diventava grave, << In quel periodo Melwen iniziò a fare sogni estremamente nitidi; quando erano incubi, si svegliava in lacrime. I guaritori credettero che fosse una diretta conseguenza della perdita della vista, ma presto i sogni di Melwen iniziarono ad avverarsi, da quelli più piacevoli a quelli terrificanti. Mia sorella aveva acquisito un altro tipo di vista, quello che alcuni definirebbero un dono. La preveggenza è molto più rara tra i Dùnedain di quanto non lo sia tra gli elfi, ma non ci sono dubbi che ciò che Melwen vede si avveri, in un modo o nell'altro. Con il passare degli anni la sua abilità si manifestò anche in altre circostanze, diverse dal sogno, s'intensificò e divenne quasi infallibile. Allo stesso modo Melwen imparò a controllarla, ad ignorare la maggior parte delle visioni per evitare che influenzassero la sua vita e, soprattutto, a non rivelare agli altri informazioni importanti sul loro futuro. Attualmente facciamo il possibile per condurre una vita ordinaria secondo gli insegnamenti dei nostri genitori. Mia sorella ha un animo dolce, ma è anche forte. Non ha lasciato che nulla la privasse della felicità che sapeva di meritare >>.
<< Eppure conosceva la destinazione di Elladan senza averlo mai conosciuto. Com'è possibile questo? >>, chiese Elrohir.
<< Le nostre vite s'incrociano e s'influenzano in modi che non sempre comprendiamo.
Melwen deve avervi visto perché il mio futuro è in qualche modo collegato al vostro >>, spiegò Maedir.
Restarono in silenzio mentre Elrohir rifletteva su ciò che aveva appreso. Si chiese come fosse possibile per un essere umano convivere con una tale abilità, quando a lui una sola visione del futuro aveva causato tanti affanni.
<< Ciò che Melwen vede si avvera sempre? >>, chiese a Maedir.
<< Quasi sempre. Ma non è consigliabile tentare di impedire agli eventi di verificarsi: le conseguenze potrebbero rivelarsi terribili >>.

In seguito a quelle parole, Elrohir si chiese se Maedir stesse ancora parlando di sua sorella o se si stesse riferendo a qualcos'altro.
<< Intendi forse dire che non avrei dovuto intromettermi per salvare Elladan dopo aver visto che Dareon avrebbe tentato di ucciderlo? >>, chiese.
Maedir si fermò di colpo. << Certo che no, come potrei pensare una cosa simile? Hai visto che Elladan sarebbe morto se tu non fossi intervenuto, ma quel futuro teneva già conto del tuo intervento >>.

Elrohir non aveva mai considerato la situazione da quel punto di vista. << Quindi non sono davvero riuscito ad evitarlo, come credevo >>, disse.
<< È davvero importante? >>.
<< No, immagino di no. L'importante è che non sia accaduto il peggio >>, concluse Elrohir.
Intanto erano quasi giunti al limitare della città. Maedir indicò due case adiacenti, non tra le più sontuose, ma abbastanza grandi da ospitare comodamente una famiglia. << Potrai vivere qui, se lo vorrai. Un tempo era dei miei genitori, ma adesso è disabitata. Io e Melwen viviamo in quella accanto >>, disse Maedir.
<< È perfetta, ti ringrazio >>, rispose Elrohir. Eppure quelle parole sembravano insufficienti a descrivere la sensazione di serenità che stava iniziando a provare per la prima volta dopo tanto tempo. Maedir sembrò notarlo, e disse, << Sono davvero felice che tu sia venuto con noi, ma non posso evitare di chiedermi il perché. Saresti potuto andare con Elladan, o tornare a Gran Burrone... >>.
Elrohir sospirò e, in quell'attimo ebbe l'impressione che Maedir si fosse pentito della domanda che aveva posto. Il ragazzo sembrava costantemente preoccupato di dire qualcosa di sbagliato.
<< Elladan non desiderava che lo seguissi ed io ho dovuto rispettare il suo volere. Adesso, sebbene una parte di me voglia tornare a casa, sento che non sarebbe giusto farlo senza di lui. Inoltre, il mio ruolo qui non si è ancora concluso >>.


Elrohir riuscì ad ambientarsi nella città dei Dùnedain più facilmente di quanto si fosse aspettato. In quei luoghi la vita era semplice, ma mai monotona; le persone erano amichevoli ed allo stesso tempo orgogliose. Nutrivano una certa curiosità per Elrohir, che esprimevano con discrezione e cortesia. Più di una volta l'elfo si ritrovò a raccontare ad un gruppo di bambini storie delle battaglie a cui aveva partecipato, delle avventure che aveva vissuto con Elladan e a rispondere ad infinite domande sulla vita a Gran Burrone e sulle imprese che suo padre aveva compiuto. Ma presto scoprì che era Glorfindel il protagonista delle loro storie preferite. Egli era un eroe di guerra ed un modello di saggezza per i Dùnedain, e più di una volta Elrohir ebbe l'impressione che il solo fatto di conoscerlo fosse sufficiente a guadagnarsi la benevolenza degli Uomini.
Scoprì anche che, nonostante non avesse mai rimpianto le comodità della vita ad Imladris durante il periodo trascorso nell'accampamento, apprezzava il fatto di vivere nuovamente sotto un tetto e di dormire in un vero letto. Avrebbe anche potuto sentirsi a casa, se non fosse stato così lontano dalle persone che amava.
Tuttavia, con il trascorrere dei giorni, riuscì ad abituarsi anche a quel nuovo tipo di solitudine.

Elladan raggiunse gli Elfi Silvani alla fine del primo giorno di viaggio. Fu solo allora che si rese conto di quanto era stato veloce. Quando lo video arrivare gli elfi non posero molte domande, cosa di cui Elladan fu grato, e gli permisero di unirsi a loro per percorrere insieme l'ultima parte del viaggio.
La compagnia era silenziosa e i turni di guardia continui. Era come se ognuno di loro si aspettasse di incontrare degli orchi da un momento all'altro, memori della battaglia appena trascorsa. Durante i primi due giorni la marcia continuò ininterrottamente e senza pericoli in vista. Per Elladan la mente del fratello era a stento percepibile. Durante le attività quotidiane avvertiva un grande senso di vuoto, e solo quando si concentrava intensamente riusciva a scorgere, sottile e inafferrabile come fumo, il legame che, nonostante tutto, ancora lo univa ad Elrohir. Sapeva che suo fratello si trovava al sicuro e stava bene, e non poteva che accontentarsi di quella magra rassicurazione.
Il viaggio fu faticoso e apparve incredibilmente lungo. Le pause erano sporadiche e brevi, ma Elladan non volle chiedere agli elfi di fermarsi più a lungo. Ignorando la stanchezza, percorse un miglio dopo l'altro con la fretta di un fuggitivo. Ma da cosa stesse fuggendo neanch'egli sapeva dirlo.
Mentre la compagnia s'inoltrava sempre più in profondità nella fitta foresta che precedeva il Reame Boscoso, i pensieri di Elladan si focalizzavano sul presente e i rimpianti del passato passavano in secondo piano. La foresta era tetra e silenziosa; gli elfi parlavano tra loro tramite bisbigli, come timorosi di turbarne la quiete.

Fu un'ombra tra gli alberi a materializzare i suoi timori. Elladan prese l'arco e un attimo dopo la punta della sua freccia era rivolta verso la presenza estranea che ancora non riusciva a vedere.
Trasse un respiro profondo, mentre attendeva di avere la visuale libera.
Poi una mano afferrò il suo arco, così bruscamente che Elladan quasi perse la presa.
<< Daro! No dirweg, mellon nìn, essi sono amici, non nemici. Siamo entrati nel Reame Boscoso, e non c'è nulla qui che tu debba temere >>.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Daro: fermo
No dirweg, mellon nìn: presta attenzione, amico mio


Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Inverno ***


Ciao a tutti! Non sono riuscita a postare questo capitolo quando avrei voluto, ma in compenso è un po' più lungo del solito. Nel prossimo ci sarà un "salto temporale" di qualche anno.
Buona lettura!

Elladan si affrettò a riporre l'arco una volta accertatosi che le presenze che aveva intravisto fossero effettivamente amici. Come scoprì poco dopo, si trattava di un piccolo contingente di Elfi Silvani in ricognizione appena fuori i confini del Reame Boscoso.
Elladan avvertì immediatamente i loro sguardi che lo esaminavano con sospetto. Abbassò il cappuccio che gli copriva parzialmente il viso per dimostrare che, nonostante fosse vestito alla maniera degli Uomini, non era uno di loro, poi si presentò. Gli elfi cambiarono repentinamente espressione non appena udirono menzionare il nome di Elrond ed accolsero Elladan con rispetto e cortesia. Percorsero insieme l'ultimo tratto di sentiero che conduceva ad un maestoso ponte. Due enormi alberi si ergevano ai lati del Portale del Re, come giganti guardiani del regno di Thranduil.
La notizia dell'esito della battaglia era evidentemente giunta prima di loro, perché gli elfi furono accolti con ogni onore e venne annunciato che presto sarebbero stati ricevuti dal re. Ma, prima di allora, fu Legolas, il figlio di Thranduil, a dare loro il benvenuto.
Elladan l'aveva incontrato brevemente in passato durante una visita al Bosco Atro, e una seconda volta appena dopo la nascita di Arwen, quando il seguito di Thranduil era venuto a Gran Burrone a porre i suoi omaggi. L'elfo biondo sembrava sinceramente felice di vederlo. << Gi nathlam hì >>, disse, e in quel momento Elladan percepì il suo disagio nel non riuscire a riconoscere quale dei due gemelli si trovasse di fronte. Elladan ringraziò per l'accoglienza e gli ricordò il proprio nome. << Goheno nin >>, si affrettò a scusarsi Legolas, << Non ero ben sicuro... >>.
<< Non importa >>, lo interruppe Elladan con un gesto di noncuranza, << È una situazione che capita più spesso di quanto non si pensi >>.
<< La tua visita è molto gradita, anche se inaspettata. Posso chiederti cosa ti porta nei nostri domini? >>.
Elladan raccontò brevemente la propria storia, soppesando con cura quali dettagli rivelare e quali omettere. Sapeva che Legolas era degno di fiducia, ma era comunque poco più di un estraneo ed Elladan aveva a cuore la propria riservatezza. Raccontò della battaglia e, infine, di Saeliel.
<< Sono vicino al tuo dolore. Non la conoscevo di persona, ma conosco suo padre e so quanto sia grave la perdita che noi tutti abbiamo subito. Sei libero di restare fin quando lo desideri, o fin quando non avrai trovato pace da ciò che ti insegue >>, disse Legolas.
Elladan non seppe cosa rispondere. Quell'ultima affermazione l'aveva lasciato senza parole.
<< Riconosco un fuggitivo quando lo vedo >>, spiegò Legolas, << Io stesso lo sono stato a lungo e a volte lo sono ancora. Molti di noi hanno partecipato a così tante battaglie da credere di essere dei guerrieri, ma in realtà sono soltanto fuggitivi >>.

Il regno degli Elfi Silvani era silenzioso, a tratti tenebroso. I suoi abitanti erano riservati e cauti nelle relazioni personali, almeno quanto erano impulsivi e letali sul campo di battaglia. Più di una volta Elladan pensò che non avrebbe mai voluto avere qualcuno di loro come nemico, ma era ben lieto di averli come alleati.
Poco dopo il suo arrivo il re chiese di vederlo. Elladan aveva conosciuto Thranduil tramite i suoi sporadici incontri con Elrond. "Tratterete con rispetto i re di altre terre, a prescindere dalle vostre opinioni personali. L'ostilità tra Eldar appartiene ormai al passato. Oggi, invece, non possiamo permetterci di fare a meno dell'appoggio reciproco", soleva dire suo padre. Thranduil sembrava pensarla allo stesso modo, in quanto rese chiaro, con l'atteggiamento solenne e distaccato che lo contraddistingueva, che Elladan sarebbe stato trattato come un ospite d'onore.
L'elfo si ritrovò sempre più spesso a vagare per il Reame Boscoso senza una meta. A volte Legolas lo accompagnava, mostrandogli i luoghi che erano più cari agli elfi dei boschi e raccontandogli la loro storia. Elladan era lieto di ascoltare e, prima ancora di accorgersene, iniziò a raccontare di sé, confrontando quei due modi di vivere così intrinsecamente diversi. Intuì che Legolas, pur mantenendo un'apparenza schiva e austera, confacente al figlio di un re, aveva un animo sensibile e comprendeva la sua situazione meglio di quanto Elladan avesse creduto.
Un giorno, senza preavviso, Legolas lo condusse tra gli alloggi dei consiglieri e delle guardie di Thranduil, fino a giungere ad una piccola stanza. Elladan si bloccò sulla soglia. Non aveva bisogno di chiedere per sapere chi aveva vissuto lì, l'odore era sufficiente a riportargli alla mente una miriade di emozioni e ricordi. Saeliel.
<< Ho pensato che avresti voluto vedere dove viveva >>, disse Legolas. Subito dopo si congedò, lasciando Elladan da solo.
L'elfo non sapeva se avrebbe dovuto essergli grato o biasimarlo. Restò a lungo immobile sulla soglia, circondato solo dalle voci concitate dei passanti e dal suono del proprio respiro accelerato. Qualcosa nella sua mente lo esortò a tornare sui propri passi, ma Elladan avanzò, come incantato, ed entrò nella stanza. Un letto, un tavolo, un armadio, ormai coperti da un sottile strato di polvere, costituivano gli unici oggetti di arredamento. Ma uno sguardo più attento poteva cogliere senza difficoltà i segni della presenza di Saeliel. Una candela che sembrava essere stata spenta da poco, delle lettere poggiate sul tavolo, una delle quali ancora incompiuta, dei disegni di paesaggi che Elladan non aveva mai visto e ritratti di persone che non conosceva. C'era ancora così tanto da dirsi, così tanto da fare. Se le avessi chiesto di più sulla sua vita, adesso non mi sentirei un intruso in casa di un estraneo, pensò Elladan.
L'elfo si sedette sul pavimento, evitando il letto senza un motivo preciso, lasciandosi circondare dall'odore di Saeliel come in un abbraccio intangibile. Non molto tempo dopo iniziò ad avvertire il calore delle lacrime sulle guance. Elladan si alzò, maledicendo la propria debolezza, e si affrettò ad uscire dalla stanza. Non posso perdere il controllo, pensò.
Aveva appena varcato la soglia, quando per poco non si scontrò con qualcuno che veniva dalla direzione opposta. << Chiedo scusa >>, disse.
L'elfo, che fino ad un attimo prima si era diretto verso la stanza di Saeliel, si fermò a guardare Elladan, ignorando le scuse che aveva ricevuto. Era alto, aveva lineamenti affilati e capelli neri, portati sciolti sulle spalle. Prima ancora che proferisse parola Elladan avvertì un'ondata di ostilità provenire da lui.
<< Qual è il tuo nome e perché ti trovi qui? >>, chiese, mentre il suo sguardo indagatore esaminava Elladan. Questi si sentì vulnerabile per un attimo, prima di riprendere la propria compostezza e rispondere freddamente, << Sono Elladan, figlio di Elrond. Qui viveva colei che io amo >>.
L'elfo dai capelli neri sollevò un sopracciglio. << Il mio nome è Saeldir >>, disse.
Saeldir. Il Saggio.
Elladan aveva creato un'immagine di lui nella propria mente in seguito ai racconti di Saeliel, e non si stupì nel constatare che il suo pensiero non si era discostato di molto dalla realtà.
<< Colei che amavi non vive più. Qualunque cosa tu stia cercando, non la troverai qui >>, disse Saeldir.
Elladan indietreggiò istintivamente verso la stanza che si era lasciato alle spalle. << Certamente potrai capire il mio desiderio di trovare pace >>, disse cautamente, << E, se il mio comportamento è stato in qualche modo inadeguato, spero mi perdonerai, in nome del dolore che condividiamo >>.
Saeldir sembrò infastidito dalla condiscendenza con cui Elladan si era rivolto a lui. << Io e te condividiamo ben poco. Sangue umano scorre nelle tue vene >>, rispose.
Solo allora Elladan realizzò qual era l'origine di tanta ostilità. Non l'aver amato Saeliel, ma il semplice fatto di essere uno straniero.
<< Ogni goccia di sangue umano è per me motivo di orgoglio, così come lo è l'aver conosciuto Saeliel, seppur per breve tempo >>, rispose Elladan. Il suo tono non era più cordiale come lo era stato fino a poco prima, ma tagliente.
Nessuna emozione turbò la maschera inespressiva che era il viso di Saeldir, ma per la prima volta Elladan riuscì ad intravedere qualcosa nei suoi occhi scuri. Non solo ostilità, ma anche dolore e rabbia, magistralmente tenuti a bada.
<< Eri con lei quando fu uccisa? >>, chiese Saeldir, il tono leggermente meno aspro.
<< Sì, ho combattuto al suo fianco >>. La voce di Elladan tremò, suo malgrado, ed egli fu costretto a fare una pausa per riprenderne il controllo. << Ha guidato i suoi uomini con coraggio, fino all'ultimo momento. Ha dato la propria vita per vincere una battaglia alla quale era stata condotta dal suo stesso padre. Dovresti essere fiero di lei e provare vergogna per te stesso >>.
Detto questo, Elladan andò via, lasciando Saeldir da solo. Appena prima di voltarsi gli parve di intravedere piccole crepe nella studiata compostezza dell'elfo. Vide il rimpianto, un'enorme sofferenza non più perfettamente celata e, mentre era ormai alla fine del corridoio, udì un sussurro. << Lo sono >>.

L'inverno giunse su Annùminas, ricoprendo ogni cosa con il suo manto bianco. Elrohir partecipò assiduamente alla caccia, alla raccolta della legna ed a tutte le attività finalizzate a prepararsi al gelo imminente. Scoprì di essere inesperto in molti dei lavori manuali a cui i Dùnedain erano invece abituati e dovette permettere loro di insegnargli prima di essere in grado di collaborare. Tuttavia Elrohir non considerava il lavoro fisico come un sacrificio, anzi, ben presto imparò ad apprezzarlo. Tenersi impegnato significava allontanare la mente da ogni altro pensiero, significava focalizzarsi sul presente e non sul passato, ed era esattamente questo che Elrohir desiderava.
L'unica occasione in cui si rivelava necessario prendere le armi era durante le ricognizioni, nelle quali era estremamente raro avvistare orchi. Solitamente Arador ordinava di non combattere quando non era strettamente necessario, mentre Arathorn desiderava più di ogni altra cosa mettersi alla prova e testare il proprio coraggio. Il rapporto tra i due non era facile. Arathorn era un guerriero straordinariamente dotato, ma era giovane e impulsivo, e la guida del padre gli era ancora indispensabile.

Elrohir strinse rapporti di amicizia con la maggior parte degli abitanti di Annùminas, ma le persone di cui apprezzava maggiormente la compagnia rimasero Maedir e Melwen.
Quest'ultima divenne presto un'amica preziosa per Elrohir. Ogni mattina, quando il sole era alto nel cielo, l'elfo la vedeva dalla finestra della propria casa, affiancata e guidata espertamente dal suo cane bianco, che si apprestava a passeggiare lungo il sentiero che attraversava la parte nord della città e infine tornava indietro verso casa. Spesso Elrohir chiedeva di poterla accompagnare e quasi sempre Melwen accettava, tranne in rare occasioni in cui spiegava gentilmente di voler trascorrere del tempo in solitudine. Elrohir capì subito che ella era estremamente gelosa della propria indipendenza e quelle passeggiate giornaliere non erano che un modo per dimostrare a se stessa e agli altri di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno. Elrohir imparò pertanto a rispettare il suo volere e ad apprezzare ancora di più la fiducia che Melwen riponeva in lui. Le loro conversazioni erano lunghe e piacevoli, e toccavano qualsiasi argomento, dai più leggeri ai più impegnativi. Melwen era un'attenta ascoltatrice, capace di intuire i sentimenti altrui dal più piccolo cambiamento nel tono di voce; amava profondamente la vita, in tutte le sue forme, ed aveva un'insaziabile sete di conoscenza.

L'arrivo dell'inverno non sembrò ostacolare le sue abitudini. Infatti quel giorno Melwen percorse il suo solito cammino ed Elrohir pose la sua solita richiesta. Poco dopo, i due passeggiavano lungo il sentiero innevato, raccontandosi dei loro inverni passati.
<< Da bambina amavo giocare con la neve, al contrario di mio fratello, che sopportava malvolentieri il freddo >>, disse Melwen.
<< Era lo stesso per me ed Elladan. Suo malgrado tornava sempre a casa bagnato e infreddolito >>, raccontò Elrohir con un sorriso. Quei giorni lontani erano sfocati come i dettagli di un sogno, ma sempre presenti nell'eccellente memoria dell'elfo. Ogni ricordo era prezioso, custodito con cura come un tesoro di rara bellezza.
Ne seguì un lungo silenzio. Entrambi si trovavano ugualmente a loro agio sia con le parole, sia con l'assenza di esse, pertanto nessuno dei due si sentì in dovere di continuare la conversazione.
Il sentiero li condusse attraverso il centro della città, all'ombra dell'imponente Torre Occidentale, poi svoltò per tornare indietro. Il terreno era irregolare a causa della neve non omogenea e presto Elrohir notò che Melwen aveva difficoltà a camminare agevolmente. Il cane non era in grado di guidarla con precisione sui dislivelli e più di una volta dall'inizio della passeggiata Melwen aveva rischiato di inciampare.
<< Posso aiutarti? >>, chiese Elrohir.
La donna esitò prima di rispondere. Prima di allora, forse per orgoglio, non aveva mai accettato l'aiuto di qualcuno che non fosse Maedir. Per questo, quando Melwen rispose con un semplice: "ti ringrazio" e poggiò la mano sul braccio che Elrohir le offriva, l'elfo rimase stupito. Avere la fiducia quasi completa di qualcuno era una sensazione che non provava da tempo; lo rendeva felice ed allo stesso tempo timoroso.
<< Maedir mi è sembrato sfuggente negli ultimi giorni. Anche tu hai notato qualcosa di diverso in lui? >>, chiese Melwen, come se all'improvviso il silenzio l'avesse messa a disagio.
<< Ha incontrato una ragazza di recente e da allora trascorre molto del suo tempo con lei >>, rispose Elrohir.
<< Dovrei parlare con lui >>, mormorò Melwen, pensierosa.
La sua espressione assorta fece sorridere Elrohir. << Ti comporti come una madre apprensiva >>, osservò.
<< Hai ragione >>, ammise Melwen, << A volte dimentico che Maedir è ormai adulto e in grado di badare a se stesso >>.
<< È il destino di noi fratelli maggiori. Mi ci sono voluti anni prima di abituarmi all'idea che Arwen non avesse più bisogno di me >>, disse Elrohir.
<< Avranno sempre bisogno di noi, anche se non lo ammettono facilmente >>, rispose Melwen.
Inevitabilmente il pensiero di Elrohir andò ad Elladan. Si chiese se avessero davvero bisogno l'uno dell'altro, come avevano sempre creduto, o se fosse possibile continuare a vivere separati, il loro legame irrimediabilmente reciso.
<< Lo rivedrai >>, disse Melwen, come se gli avesse letto nel pensiero, << E quando avverrà sarete ancora più diversi, e ancora più uniti >>.
<< Grazie, Melwen. Questo conta molto per me >>.

Elladan trascorse i successivi tre inverni nel regno degli Elfi Silvani, prima di avvertire il desiderio di mettersi nuovamente in viaggio. Decise che sarebbe partito con l'arrivo della primavera, e per allora un piccolo contingente di elfi, con a capo il principe Legolas, fu radunato per accompagnarlo oltre i confini del Bosco Atro.
Il giorno della partenza furono numerosi gli addii, ma uno in particolare colse Elladan impreparato.

Era Saeldir, il Saggio. L'elfo si avvicinò quando Elladan era ormai in procinto di andare e non disse che poche parole, << Io non ti conosco, ma conoscevo Saeliel e sapevo quanto fosse forte e orgoliosa. Pertanto, so per certo che non avrebbe scelto te se non fossi stato degno di lei. Mi dispiace di non averlo capito sin dall'inizio >>.
Detto questo, sembrò sul punto di andarsene, per poi cambiare idea. << Vorrei che tu avessi questo >>, aggiunse.
Elladan riconobbe all'istante il piccolo nastro verde che Saeldir gli porgeva: era uno di quelli che Saeliel era solita indossare per legare i capelli.
<< Le athae >>
<< Galu, ù-firo i laiss e-guileg >>, rispose il Saggio.


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Gi nathlam hì: benvenuto
Goheno nin: perdonami
Le athae: grazie (formale)
Galu, ù-firo i laiss e-guileg: Addio, e che le foglie della tua vita non appassiscano mai

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Segni del tempo ***


Buonasera a tutti. Ancora una volta mi scuso per il ritardo... questo capitolo non voleva proprio scriversi. Spero di essere perdonata e soprattutto spero che vi piaccia! Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto atteso ricongiungimento.

Trascorsero gli inverni, uno dopo l'altro. Prima di allora Elrohir non era mai stato così consapevole dello scorrere del tempo. Tuttavia, adesso che poteva vedere ogni giorno che passava inciso sui visi delle persone che vivevano attorno a lui, il tempo aveva assunto un valore del tutto diverso.
Manadh, il suo fedele destriero, era morto pacificamente un pomeriggio d'autunno all'età di ventidue anni. Aveva avuto una vita lunga, secondo la media della sua specie, ma Elrohir sentiva che non era stata sufficiente. Prima di allora non si era mai affezionato tanto ad un animale e, alla sua morte, aveva scoperto di provare un sentimento simile a quello che associava alla scomparsa di un amico.
Ma il tempo continuava a scorrere inesorabile, incurante di tutto. I bambini ai quali Elrohir raccontava storie erano adesso adulti, e alcuni di loro avevano a loro volta dei figli. Maedir, dal canto suo, aveva trovato la persona con cui trascorrere il resto della sua vita. Il suo nome era Hanneth e la loro intesa era stata istantanea. Nonostante ciò, il loro rapporto aveva richiesto tempo per svilupparsi e lentamente era diventato qualcosa che nessuno dei due aveva mai sperimentato prima.
Un giorno Maedir bussò alla porta di Elrohir.
<< Prego, entra >>, disse Elrohir, vedendo la gioia e la trepidazione sul volto dell'amico. Maedir non era più il timido ragazzo che aveva conosciuto, era ormai un adulto, ma nei suoi occhi si poteva ancora intravedere lo scintillio di entusiasmo per la vita che l'aveva sempre caratterizzato.
<< C'è qualcosa che vorrei chiederti >>, disse Maedir, con una nota di trepidazione malcelata.
<< Siediti >>, disse Elrohir, indicando il tavolo e le due sedie disposte sotto una finestra rivolta verso ovest. Aguzzando lo sguardo, da quella stessa finestra era possibile osservare la Torre Occidentale che toccava il cielo in tutta la sua maestosità.
<< Come già sai, Hanneth ed io ci sposeremo presto >>, disse Maedir.
Elrohir annuì.
<< È consuetudine tra il nostro popolo che lo sposo sia accompagnato da un testimone >>, proseguì Maedir, << Ci ho riflettuto a fondo e vorrei che fossi tu. So che queste tradizioni non ti appartengono e forse... >>.
<< Maedir >>, lo interruppe Elrohir, con una punta di divertimento << Sarà un onore per me. Avete già deciso quando avverrà? >>.
<< Alla prossima luna >>, rispose Maedir, << Manca poco ormai, ma allo stesso tempo sembra che manchi un'eternità >>.
<< È naturale che tu sia agitato >>, disse Elrohir, << Anche io lo sarei se mi trovassi al tuo posto >>.
Dopo qualche attimo di silenzio, Maedir abbassò lo sguardo e chiese, << Ti sei mai trovato al mio posto? >>.
Elrohir fu colto impreparato da quella domanda. << No >>, rispose semplicemente.
Innumerevoli ricordi si risvegliarono tutti allo stesso tempo, ricordi che sembravano appartenere ad una vita passata.
<< Tuttavia ho amato, a lungo e intensamente, qualcuno che forse non meritavo >>, aggiunse.
<< Cosa è accaduto? >>, chiese Maedir, onestamente curioso.
<< Il suo nome è Thiliel, ci siamo incontrati a Gran Burrone tanti anni fa. Siamo stati felici insieme, in quel luogo senza tempo, magnifico e protetto da ogni pericolo. Poi accadde qualcosa, qualcosa di terribile. Dopo la partenza di mia madre non potevo più sopportare di restare lì, anche se avesse significato lasciare Thiliel. Ero accecato dalla rabbia e dal desiderio di vendetta, tanto da non riuscire a capire che era proprio di lei che avevo bisogno >>.
<< Forse non era così >>, disse Maedir.
<< Cosa intendi dire? >>, chiese Elrohir, perplesso.
<< Forse lei non era la persona giusta. Altrimenti ti avrebbe seguito oppure tu non avresti sentito il bisogno di andartene >>.
<< Amare la persona sbagliata non è qualcosa che accade spesso tra gli eldar >>, spiegò Elrohir.
<< Tu sei anche umano, e in compenso questo accade di continuo tra gli umani >>, ribatté Maedir.
<< Non avevo mai considerato questo punto di vista, ma suppongo che potresti avere ragione >>, ammise Elrohir.
<< Chi l'avrebbe mai detto che un giorno sarei stato io a consigliare te >>, disse Maedir con un finto tono solenne.
<< Non abituarti >>, disse Elrohir, dandogli una spinta giocosa.

Il matrimonio fu celebrato una mattina di sole, con una cerimonia semplice, ma venne l'intera città ad assistervi, con l'aggiunta di alcuni parenti di Maedir venuti da Rohan.
Elrohir fu contagiato dalla gioia che vedeva sui volti di chiunque incontrasse e non riuscì a pensare a nulla di negativo per il resto della giornata.
Conobbe Ivorwen, un'amica comune di Hanneth e Melwen, e sua figlia Gilraen, una ragazza dai capelli dorati che si apprestava a diventare una bellissima donna.
Poi vide Daven. Gli anni che erano trascorsi erano più evidenti su di lui che su chiunque altro. I suoi capelli erano ormai bianchi, le sue mani tremanti, il suo passo era sempre più lento e incerto. Aveva definitivamente smesso di accompagnare i guerrieri nelle ricognizioni e nelle battute di caccia e trascorreva la maggior parte del suo tempo da solo o in compagnia di pochi amici. Ma quel giorno era diverso. Lui ed Elrohir parlarono del più e del meno, come se il passato fosse ormai dimenticato e fossero tornati ad essere vecchi amici. C'erano tante cose che Elrohir avrebbe voluto dirgli, ma non poteva infrangere il tacito accordo di rispettare lo spirito di quella giornata. Avremo altre occasioni, pensò.

Appena un anno dopo quel lieto giorno, Elrohir, Melwen e Maedir si ritrovarono insieme ad attendere al di fuori della casa di quest'ultimo in una calda mattina d'estate.
Maedir camminava nervosamente avanti e indietro, fermandosi di tanto in tanto per ascoltare eventuali rumori provenienti dall'interno.
<< Non capisco perché Hanneth abbia insistito affinché io restassi fuori >>, disse.
<< Forse temeva che non riuscissi a mantenere la calma >>, suggerì Melwen.
<< Sono un guaritore esperto e sono perfettamente in grado di controllarmi >>, ribatté Maedir.
<< Certo, è evidente >>, disse Melwen, con un sorriso ironico.
Elrohir non aveva mai visto Maedir così agitato. D'altronde non poteva biasimarlo: un figlio in procinto di nascere non era cosa da poco.
Si udì un urlo provenire dall'interno della casa. Non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo, ma Maedir sobbalzava ogni volta.
<< Vieni qui >>, disse Melwen sospirando.
Maedir si avvicinò e prese le mani che la sorella gli tendeva.
<< Andrà bene >>, disse lei.
<< È quello che mi dicono tutti, ma non posso evitare di preoccuparmi >>, rispose Maedir.
<< Ma adesso sono io a dirtelo >>.
Il volto di Maedir s'illuminó.
<< Grazie, questo è stato davvero utile >>, disse.
Da allora sembrò leggermente più calmo, ma non smise di camminare nervosamente e lanciare occhiate furtive attraverso le finestre. L'attesa si concluse improvvisamente non molto tempo dopo, con l'inconfondibile suono del pianto di un neonato. Maedir corse all'interno, quasi travolgendo una delle levatrici che era in procinto di aprire la porta.
Elrohir e Melwen concordarono di restare all'esterno finché non fossero stati invitati ad entrare.
Elrohir ripensò al giorno della nascita di Arwen, e a come suo padre si era comportato in maniera non dissimile da Maedir. Ricordò il sollievo nell'udire il primo vagito di sua sorella appena nata e la gioia che aveva provato quando l'aveva vista per la prima volta. << Benvenuta al mondo >>, avevano detto lui ed Elladan all'unisono.
Il cigolio della porta che si apriva distrasse Elrohir dai suoi pensieri.
<< È una bambina. Sia lei, sia la madre stanno bene. Potete entrare >>, disse la levatrice.
Elrohir guidò Melwen nella casa.
Hanneth era a letto. Il suo bel viso era segnato profondamente dalla fatica e dal dolore, ma allo stesso tempo addolcito da un ampio sorriso. Teneva tra le braccia la bambina appena nata, avvolta in una coperta bianca.
<< Vuoi tenerla? >>, disse Hanneth a Maedir, che fino a quel momento non aveva distolto lo sguardo dalla figlia neanche per un istante. Maedir esitò e lanciò una breve occhiata a Melwen ed Elrohir in cerca di conferma. Poi tese le braccia e prese la bambina che Hanneth gli porgeva, così piccola che Maedir avrebbe potuto tenerla in una mano sola. La neonata ricominciò a piangere e il padre si immobilizzò. << È normale che pianga così tanto? >>, chiese.
<< Sarebbe anormale il contrario >>, rispose Hanneth.
<< Bene >>, mormorò Maedir, << Ed è normale che pianga anche il padre? >>, aggiunse tra le lacrime.
Hanneth ridacchiò. << Immagino che sia normale anche questo >>, rispose.
<< Sei bellissima >>, sussurrò Maedir alla figlia, << E forse vorrai conoscere i tuoi zii >>. Fece cenno ad Elrohir e Melwen di avvicinarsi.
Elrohir si stupì della disinvoltura con cui Maedir l'aveva incluso tra i membri della sua famiglia. Provò un'inquietudine che egli stesso non riusciva a spiegare e che lo spinse a restare indietro mentre Melwen si avvicinava alla neonata e le sfiorava il viso in una carezza.
La bambina smise brevemente di piangere ed afferrò un dito di Melwen con le sue minuscole mani.
<< Vorrei che... potessi vedela >>, disse Maedir.
<< L'ho già vista, in un sogno, e so che è bellissima >>, rispose Melwen.

La bambina venne chiamata Edeniel e visse i primi anni della sua vita in un periodo di pace. Mostrò ben presto di avere un'indole vivace e gentile, era estroversa ed ansiosa di conoscere il mondo che la circondava.
Edeniel aveva appena compiuto sei anni e da poco aveva scoperto che avrebbe presto avuto un fratello o una sorella minore, quando qualcosa sconvolse la tranquillità che aveva sempre fatto parte della sua vita.
Elrohir, Hanneth e Maedir si trovavano nella piazza principale di Annuminas, mentre Edeniel era poco distante e stava giocando con degli altri bambini. I suoi capelli erano della stessa tonalità di castano del padre, gli occhi azzurri erano simili a quelli della madre, mentre i suoi lineamenti erano un perfetto misto tra i due. Il suo sorriso, invece, ricordava quello di Melwen.

<< Elrohir! >>, una voce si levò tra la folla.
Elrohir avvertì il senso di pericolo prima ancora di riuscire a capire chi era stato a chiamarlo. Si alzò in piedi e vide uno degli uomini di Arador che attraversava di corsa la piazza per giungere da lui.
<< Abbiamo bisogno di te, Arathorn ed i suoi compagni di viaggio sono stati attaccati sulla via per Fornost. Dobbiamo inviare rinforzi prima che sia troppo tardi >>, disse tutto in un fiato.
Poche ore prima Arathorn era partito con altri sette uomini per visitare le rovine di Fornost secondo la tradizione della sua famiglia.
<< Arador ci attende ai piedi della Torre Occidentale, ti prego di venire al più presto >>.
<< Andrò a prendere arco e spada e vi raggiungerò lì a breve >>, rispose Elrohir.
<< Avremo bisogno anche di un guaritore. Potrebbero esserci feriti bisognosi di cure immediate >>, disse l'uomo, questa volta rivolgendosi a Maedir.
Questi si alzò a sua volta e rispose, << Verrò >>.
L'uomo annuì e tornò sui suoi passi con la stessa fretta con cui era arrivato.

<< Anche noi abbiamo bisogno di te. Non dimenticarlo >>, disse Hanneth, una mano poggiata sul proprio ventre a protezione del figlio non ancora nato.
<< Compierò il mio dovere e poi tornerò da voi, è una promessa >>, rispose Maedir.
Elrohir si affrettò ad andarsene per lasciare ai due la loro intimità e si diresse verso la propria casa, dove aveva lasciato spada e arco. Il pugnale, invece, era sempre alla sua cintura.

Arador e una dozzina di uomini erano pronti a partire. Mai prima di allora Elrohir aveva visto una spedizione pronta in così poco tempo.
<< Elrohir, con me >>, ordinò il Capitano dei Dùnedain, << Maedir, nell'ultima fila >>.
Elrohir prese le redini del cavallo che fu messo a sua disposizione e, scacciando il ricordo di Manadh, vi montò. Arador non proferì altre parole finché non si furono tutti messi in marcia. Solo allora diede risposta alle silenziose domande che Elrohir aveva posto.
<< Arathorn ed i suoi uomini sono stati attaccati e accerchiati da un gruppo di orchi. Anche Daven era con loro >>, spiegò Arador.
Elrohir avvertì i battiti del suo cuore accelerare all'improvviso all'udire quell'ultima frase.
<< Perché Daven è partito con loro? >>, chiese, tenendo a stento a bada l'irritazione che traspariva dalla sua voce.
<< Non si aspettavano di dover combattere. Se ne avessero avuto il sospetto avrebbero portato con sé più uomini, ed io sarei andato con loro >>.
Elrohir si rese conto che anche Arador si stava sforzando di controllare il tono della propria voce. Era visibilmente preoccupato.
<< Come hanno fatto gli orchi ad arrivare fin qui? >>, chiese Elrohir. Sarebbero dovuti passare per Gran Burrone, aggiunse tra sé e sé.
<< Probabilmente si sono distaccati da un gruppo più grande. Spesso nascono delle dispute per il comando, che finiscono con una fazione che viene esiliata, se sceglie di non combattere. È inusuale che accada, ma spesso sono proprio questi ultimi ad essere i più pericolosi. Devono aver aggirato i confini di Gran Burrone, forse erano inseguiti >>, disse Arador.
Elrohir non aveva mai ritenuto rilevante informarsi sugli usi e sulle dinamiche sociali degli orchi, in quanto li aveva sempre considerati esseri privi di razionalità. Tuttavia, in quel momento, fu costretto ad ammettere che conoscere il nemico prima di affrontarlo poteva soltanto essere un vantaggio.
<< Uno dei nostri è riuscito a fuggire, sotto ordine di Arathorn, per chiedere aiuto. Ci ha riferito che due uomini sono morti, mentre uno è ferito. In seguito gli altri si sono rifugiati in un bosco per compensare l'inferiorità numerica >>, continuò Arador.
Elrohir aguzzò la vista ed osservò il cammino di fronte a sé. << Inizio a vedere gli alberi >>, disse.
I Dùnedain spronarono i cavalli ad aumentare la velocità, e presto giunsero abbastanza vicini da intravedere ombre nere tra gli alberi.
<< Proseguiamo a piedi >>, ordinò Arador, << Nel bosco i cavalli ci rallenteranno ed annunceranno la nostra presenza con largo anticipo >>.
Elrohir fu il primo ad addentrarsi nella selva. Nonostante i Dùnedain sapessero essere rapidi e furtivi, l'elfo era ancora più abile.
Impugnò l'arco e seguì l'odore che gli portava il vento. Avvertì subito il proprio cuore che accelerava i battiti, conferendogli l'energia di cui avrebbe presto avuto bisogno. Era come tornare nella propria casa d'infanzia, come rivedere un vecchio amico a lungo perduto. Gli esseri che Elrohir stava cacciando non gli avevano recato altro che sofferenza e sconforto, ma egli ne aveva quasi sentito la mancanza. Nonostante avesse apprezzato una vita priva di pericoli, in fondo Elrohir sapeva che il suo posto era quello.
Arrivò abbastanza vicino agli orchi per vederli chiaramente. Avevano circondato i Dùnedain, che si nascondevano abilmente tra gli alberi, sferrando piccoli attacchi di tanto in tanto. Era l'unico modo per evitare uno scontro aperto e aveva permesso loro di sopravvivere tanto a lungo nonostante l'inferiorità numerica, tuttavia orchi non avevano intenzione di lasciare la loro posizione. Era solo questione di tempo prima che stringessero il cerchio ed intrappolassero definitivamente gli uomini, togliendo loro ogni possibilità di sopravvivenza.
Elrohir scoccò la prima freccia. L'orco cadde morto un istante dopo e due dei suoi compagni si avvicinarono cauti. L'elfo li eliminò entrambi prima ancora che si rendessero conto di ciò che stava accadendo, poi avanzò.
Arador e i suoi uomini avevano cambiato direzione, in modo da attaccare lateralmente ed allo stesso tempo lasciare ad Elrohir la visuale libera. Altri tre orchi furono trafitti da altrettante frecce, poi Elrohir estrasse la spada. Corse in avanti, consapevole del fatto che gli orchi l'avevano ormai scoperto, e ne uccise uno con un solo colpo. Gli altri fuggirono invece di affrontarlo, cosicché Elrohir fu costretto ad utilizzare nuovamente l'arco per impedire loro di allontanarsi. C'era qualcosa di intrinsecamente sbagliato nel colpire qualcuno alle spalle, anche se un nemico, ma Elrohir non aveva scelta. Dopo essersi liberato individuò gli uomini di Arador che combattevano in difesa dei compagni. Ma, tra i membri della spedizione di Arathorn, tre non erano lì, tra cui Daven e lo stesso Arathorn.
Elrohir scambiò una breve occhiata con Arador. Vuole che trovi suo figlio, comprese Elrohir.
Restò immobile per qualche istante, in ascolto, finché non udì il familiare rumore dei pesanti passi degli orchi sul terreno. Elrohir corse al massimo delle proprie capacità e pregò di arrivare da Arathorn prima che fosse troppo tardi.
Il futuro Capitano dei Dùnedain stava fronteggiando tre orchi. Teneva la spada di fronte a sé, apparentemente incurante del fatto di essere in minoranza, pronto a morire combattendo. Accanto a lui, a terra, c'erano i due uomini che Elrohir aveva sperato di poter salvare, distesi in un lago di sangue. L'elfo sapeva che uno dei due doveva necessariamente essere Daven. La sua paura si era in parte avverata: non era arrivato in tempo per tutti loro.
Si avvicinò senza curarsi di essere silenzioso. Gli orchi, infatti, persero tutta la loro sicurezza non appena lo videro. Arathorn colse l'occasione per ucciderne due, mentre il terzo toccò ad Elrohir. La lama tagliò la gola dell'orco con un movimento fulmineo. Uno schizzo di sangue nero, poi il silenzio.
Che mi abbiano davvero riconosciuto?, si chiese Elrohir, È improbabile che mi abbiano già visto, ma potrebbero aver incontrato Elladan.
<< Elrohir! >>, la voce allarmata di Arathorn lo distolse dai suoi pensieri.
Dei due uomini a terra soltanto uno era morto. Daven, invece, era ancora vivo. Aveva un'ampia ferita sul fianco, dalla quale aveva già perso una grande quantità di sangue. Il rumore del suo respiro era simile a quello di un uomo che annega. Elrohir sapeva cosa significava, ma non osava dirlo. La lama ha trapassato i polmoni, pensò l'elfo, mentre un brivido gli correva lungo la schiena.
Per qualche attimo sia lui sia Arathorn restarono pietrificati, inginocchiati sul terreno sporco di sangue rosso e nero accanto all'uomo morente. Poi Elrohir strappò un lembo di tessuto dal proprio mantello e lo diede ad Arathorn. << Usalo per fermare il sangue. >>, disse.
Arathorn obbedì, con mani tremanti. << Quando Elion è morto, Daven ha preso la sua spada. Ne ha uccisi due prima che lo colpissero. Se non fosse stato per lui, non ce l'avrei fatta a resistere fino al vostro arrivo >>, disse.
Elrohir non rispose. Non riusciva a distogliere lo sguardo da Daven. C'era paura nei suoi occhi, un sentimento che mai Elrohir aveva associato a lui, ma che aveva visto molte volte sul volto di chi si ritrovava faccia a faccia con la morte.

Un fruscio avvertì l'elfo che qualcuno si stava avvicinando. Con un gesto disse ad Arathorn di restare dov'era, poi prese l'arco e si alzò. Mirò di fronte a sé, pronto a colpire il nemico non appena fosse entrato nel suo campo visivo. Tuttavia si rese presto conto che i passi che aveva udito non erano quelli di un orco, bensì quelli di un uomo.
Provò un immenso sollievo nel vedere Maedir che veniva verso di lui.
<< Affrettati, abbiamo bisogno di te >>, disse Elrohir.

Ma c'era ben poco che il guaritore potesse fare. Si adoperò per fermare la fuoriuscita di sangue, con mani abili ed esperte. Impartì brevi comandi ad Arathorn ed Elrohir, sforzandosi di mantenere chiara la propria voce. Ma ad ogni minuto che passava Daven faceva più fatica a respirare, e Maedir era costretto ad assistere impotente.
L'anziano guerriero guardò Elrohir negli occhi e tentò di parlare, ma il sangue che aveva invaso i suoi polmoni glie lo impedì. L'elfo gli prese una mano e Daven la strinse al meglio delle sue forze, trapassando Elrohir con il suo sguardo. Fu allora che l'elfo capì cosa stava cercando di dirgli: Daven l'aveva perdonato. << Grazie >>, disse Elrohir.

Lentamente i respiri diventarono più brevi e radi, finché non si arrestarono del tutto, e infine la vita lasciò gli occhi di Daven, guerriero dei Dùnedain.
Arathorn si alzò e si allontanò di qualche passo, per nascondere le proprie lacrime. Ma Elrohir e Maedir restarono dov'erano. In loro non c'era spazio per la vergogna mentre piangevano la morte dell'amico. Il dolore era quasi fisico per Elrohir, era come una ferita sempre aperta, una sensazione tanto estranea quanto amara. Tutto ciò che lo circondava era scomparso, relegato ad un angolo della sua mente, mentre l'immagine della morte che si era abbattuta su di loro non lasciava spazio ad altro.
<< Savo hidh nen gurth >>, sussurrò Elrohir.

I Dùnedain tornarono alla loro città sconfitti e scoraggiati. Arador non proferì parola, ma la sua rabbia era palpabile, ancora più della tristezza. Sapeva che quelle morti avrebbero potuto essere evitate: se solo fossero stati più lungimiranti il suo fidato amico e consigliere sarebbe stato ancora al suo fianco.
Elrohir si allontanò dai suoi compagni per entrare ad Annuminas non visto. Lasciò che Maedir raggiungesse la propria famiglia e si dileguò prima che essi si accorgessero della sua assenza. Trovò rifugio ai piedi della Torre Occidentale e delle rovine che la circondavano. Si sedette su un tappeto di foglie secche e lì vi restò per un tempo indeterminato.
Pensò ad Elladan. Si chiese dove fosse, se fosse tornato a casa, se avesse davvero incontrato quegli orchi, così terrorizzati da lui, da loro. Cercò nella propria mente il residuo di quel legame che una volta condividevano e scoprì di riuscire a stento a percepirlo. Non era in grado di percepire i sentimenti di Elladan, così come non era in grado di percepire dove fosse, tutte cose che in passato erano state facili come respirare. Elrohir sapeva che, se anche il fratello fosse stato con lui, non avrebbe potuto alleviare il suo dolore, ma avrebbe potuto condividerlo e accoglierne una parte. E, in quel momento, era tutto ciò di cui Elrohir aveva bisogno.

Il cielo si tinse di rosso mentre il sole calava e le prime stelle annunciavano l'imminente arrivo dell'oscurità. L'elfo udì un rumore familiare. Un fruscio di zampe sulle foglie. Per un attimo fu tentato di allontanarsi, di sparire silenziosamente tra i resti delle antiche mura, ma, mentre una parte di lui desiderava la solitudine, allo stesso tempo agognava la compagnia. Elrohir attese che il cane fiutasse il suo odore e lo raggiungesse, attraversando cautamente ogni ostacolo per evitare che la padrona vi inciampasse. Raramente Melwen si allontanava così tanto da casa propria, ma quello non era un giorno come gli altri.
<< Sono qui >>, disse Elrohir.
Melwen seguì la sua voce e si sedette accanto a lui, poi lasciò libero il cane. Questi restò fermo per qualche secondo, in attesa di una carezza che sapeva di meritare. Dopo che l'ebbe ottenuta, si apprestò ad esplorare i dintorni, annusando il terreno con grande interesse.
<< Lo sapevi? >>, chiese Elrohir, riuscendo a stento a celare il tono di accusa che traspariva dalle sue parole.
<< Sì >>, rispose Melwen.
<< Perché non me l'hai detto prima che accadesse? >>.
<< Avresti provato ad evitarlo, non ci saresti riuscito e adesso staresti incolpando te stesso invece di incolpare me >>.
Non sto incolpando te, pensò Elrohir, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Non sarebbe stato del tutto vero.
<< Conoscevo Daven e sapevo da tempo che questo sarebbe stato il giorno della sua morte, ma dirlo non avrebbe cambiato i fatti, avrei soltanto costretto qualcun altro a condividere il mio fardello >>, spiegò Melwen.
<< Non avrei dovuto incolparti, e di questo mi dispiace. Forse sarà difficile per te da credere, ma non sono ancora riuscito ad abituarmi al concetto della morte. Ho visto tanti eldar morire in battaglia, ma mai nessuno di loro invecchiare o ammalarsi, e vedere tutto ciò accadere a Daven, per poi perderlo per mano di una lama nera, mi ha colmato il cuore di rabbia >>, disse Elrohir.
<< Daven era venuto a patti con l'idea della morte tanto tempo fa, ed io so che avrebbe preferito combattere un'ultima battaglia e finire i suoi giorni come un guerriero, piuttosto che avere una vita più lunga e rinunciare ad ogni occasione di dimostrare il proprio valore >>, rispose Melwen.
<< Questo lo so. Le nostre lacrime non sono per lui, sono per noi stessi >>.
Melwen poggiò la testa sulla spalla di Elrohir. << Non sei solo >>, disse.
Erano le stesse parole che Elrohir aveva detto ad Elladan quando aveva tentato di confortarlo per la perdita di Saeliel.
Ha ragione: non sono solo, sono...incompleto.

Il giorno dopo i Dùnedain si riunirono per rendere omaggio a Daven. Ognuno gli dedicò qualche parola, un aneddoto o un ricordo significativo. Elrohir fu l'ultimo a parlare.
<< Ho sempre saputo che, se mai avessi deciso di essere immortale, sarei voluto essere come mio padre. Solo negli ultimi anni ho conosciuto il vostro modo di vivere ed ho imparato cosa significa essere edain. Daven era molto più giovane di me, ma era in grado di darmi lezioni di vita come se fossi un ragazzino inesperto. Se deciderò di legare il mio destino ai Dùnedain, sarà lui il mio modello di vita >>.

Elladan aveva vagato a lungo dopo la partenza dal Reame Boscoso, dirigendosi dapprima a sud, poi ad ovest. Lì, dalla cima di un pendio, aveva avvistato qualcosa di insolito. C'era un contingente di orchi, stanziato non lontano da un piccolo villaggio, che sembrava essersi diviso in due schieramenti, intenti a combattersi fra loro. Elladan iniziò ad avvicinarsi lentamente, confidando nell'incapacità degli orchi di risolvere i loro diverbi in modo pacifico. Dovrei ringraziarli per il loro prezioso aiuto, senza il quale sarebbe impossibile per me sconfiggerli da solo, pensò Elladan.
Iniziò ad avvicinarsi lentamente, sperando che lo scontro durasse il più a lungo possibile. Lì il terreno era piano e, se gli orchi avessero prestato attenzione ai dintorni, l'avrebbero visto. Ma non accadde.
I due schieramenti continuarono ad affrontarsi finché uno dei due, il più piccolo, si distaccò dal gruppo e fu costretto a fuggire verso ovest.
Elladan si trovò di fronte ad una scelta. Gli orchi in fuga si dirigevano verso Imladris, mentre gli altri erano pericolosamente vicini al villaggio. Il suo primo istinto era quello di accorrere in difesa della propria terra, ma fu un pensiero breve: c'erano tante guardie a difesa di Gran Burrone e quegli orchi non sarebbero neanche riusciti ad avvicinarsi. Gli abitanti del villaggio, invece, erano indifesi.
Elladan si avvicinò il più possibile e scoccò la prima freccia. Gli orchi credettero di vederlo comparire dal nulla e per qualche attimo restarono prede dello stupore. I loro compagni in fuga si fermarono brevemente. Elladan li osservò con la coda dell'occhio, temendo che potessero decidere di tornare indietro. Ma non lo fecero. Gli orchi ripresero la loro fuga e lasciarono i compagni vincitori in balia delle frecce e del luminoso acciaio elfico.
Hanno presto imparato a temermi, pensò Elladan, mentre estraeva la spada e si preparava a combattere.
La battaglia fu lunga ed estenuante. Non avere qualcuno che gli coprisse le spalle rendeva il tutto più difficile, ma Elladan non provava paura.
Con il passare del tempo era gradualmente riuscito a sconfiggere lo sconforto che sembrava seguirlo ovunque andasse e, nel momento in cui aveva di nuovo impugnato il proprio arco, era stato pervaso dalla serenità. Aveva combattuto senza rabbia e senza odio, pensando con freddezza e lucidità. E, infine, era rimasto solo, circondato dai corpi dei suoi nemici e da un lago di sangue nero. Solo allora si era concesso il riposo di cui aveva bisogno.

Era trascorso poco più di un giorno dalla battaglia, quando Elladan avvertì qualcosa. Fu come imbattersi per caso in un oggetto che sembrava perso da tempo e ricordarsi all'improvviso che una volta lo si possedeva. Era quella parte della sua mente che sin dalla nascita lo collegava ad Elrohir come una corda invisibile, permettendogli di percepire di suoi sentimenti e di condividere i propri.
Il legame che Elladan aveva tentato a lungo di ignorare si risvegliò prepotentemente, rovesciando nei suoi pensieri un'ondata di dolore, senso di solitudine e profonda ira. Era la prova definitiva che tutti i suoi sforzi per ritrovare la pace sarebbero stati inutili finché fosse rimasto solo.
Elrohir gli aveva inconsapevolmente mandato una richiesta di aiuto, ed Elladan non poteva continuare ad ignorarla.
E' giunta l'ora di tornare, pensò l'elfo.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Savo hidh nen gurth: che tu possa trovare pace nella morte

Volevo dedicare qualche rigo alla recente scomparsa di Sir Christopher Lee, non solo un grande attore, ma un maestro di vita.

Invito tutti i lettori ad ascoltare la canzone "Magic of the Wizard's Dream", che Lee ha cantato con la band "Rhapsody". E' stata una delle "colonne sonore" che hanno accompagnato la stesura di questo capitolo.


Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Riuniti ***


Salve a tutti! Ancora una volta mi dispiace di avervi fatto attendere, ma questo capitolo conteneva alcune scene importanti a cui volevo dedicare la giusta attenzione. Nel prossimo (già in lavorazione) incontreremo Aragorn per la prima volta.
Buona lettura!

Ivorwen guardò suo marito Dìrhael mentre tagliava la legna da ardere. Ad ogni colpo d'ascia la sua irrequietezza aumentava.
<< Non posso permetterlo >>, disse, << Nostra figlia è giovane ed inesperta, e colui che la chiede in sposa ha il doppio dei suoi anni. Un giorno diventerà Capitano dei Dùnedain ed io e te sappiamo che la sua vita sarà breve. Se Gilraen sposerà Arathorn, conoscerà il dolore prima ancora di conoscere appieno la felicità >>.
L'ascia tagliò un altro tronco e Dìrhael preparò il successivo.
<< Ciò che dici è vero >>, intervenne Ivorwen, << Ma dimentichi qualcosa di importante: il loro amore è intenso e sincero. Non è in nostro potere impedire loro di amarsi e, anche se dovessimo ostacolare la loro unione, non proteggeremmo nostra figlia >>.
Dìrhael non rispose, ma Ivorwen lo conosceva abbastanza da sapere che non era più del tutto convinto della sua decisione.
<< Il nostro è un nobile sangue, come lo è quello della stirpe di Arathorn. Un figlio nato dalla loro unione riporterebbe tra la nostra gente la speranza a lungo perduta >>.
Dìrhael guardò Ivorwen negli occhi. Si era sempre fidato ciecamente di lei e non poteva ignorare le sue parole in un momento così vitale.
<< Devo riflettere. Ti prego, lasciami solo >>, disse, e continuò a svolgere il suo lavoro.

<< Galu. Man i eneth gîn? >>, disse Elrohir.
<< Im Edeniel eston. Onnen mi Annùminas. A gin? >>.
<< Im Elrohir eston. Dorthon mi Annùminas, ach onnen mi Imladris >>.
<< Sei diventata molto brava >>, osservò Elrohir.
Edeniel si era sempre mostrata curiosa nei confronti della cultura elfica ed aveva tempestato Elrohir di domande su tutto ciò che riguardava gli eldar. La sua ultima richiesta era stata imparare la lingua degli elfi.
Elrohir aveva accettato ed era rimasto sorpreso dall'impegno che la bambina aveva messo nell'imparare. Era fiero di lei, ed allo stesso tempo soddisfatto per essere stato un bravo insegnante.
<< La prossima volta ti insegnerò i nomi delle stagioni, ma per oggi abbiamo finito >>, disse Elrohir.
<< Così presto? Manca ancora tempo al tramonto >>, protestò Edeniel.
<< Lo so, ma il mio turno di guardia inizierà a breve e non posso tardare >>, rispose Elrohir.
Dalla morte di Daven i turni di guardia erano stati prolungati, sia di giorno che di notte. Arador aveva chiesto ad Elrohir di tornare a far parte delle sentinelle, per via della sua vista più acuta. L'elfo aveva accettato, ricordando una conversazione che aveva avuto con Elladan tanti anni prima, durante il loro ultimo viaggio con Celebrìan.
"Aspiri a diventare una sentinella?", gli aveva chiesto Elladan.
"Se ci fosse un pericolo te ne accorgeresti solo dopo esserci passato sopra. Fortuna che non sei tu la sentinella", aveva risposto Elrohir.

<< Mi insegnerai anche a tirare con l'arco? >>, chiese Edeniel.
Elrohir non riuscì ad impedirsi di ridere. Mai aveva visto una bambina così seria nelle sue richieste e così impaziente di apprendere.
<< Certo >>, la rassicurò, << Te lo insegnerò dopo che avrai chiesto il permesso ai tuoi genitori >>.
Edeniel sorrise. << Le athae >>.

Elrohir la accompagnò fino al punto in cui le loro strade si separavano, poi si assicurò che arrivasse a casa e proseguì da solo.
La torre di guardia era un edificio spoglio, costruito in tempi recenti. Da lì Elrohir poteva vedere il lago Evendim, i Colli di Vesproscuro e una parte del territorio circostante sufficiente per avvistare eventuali pericoli con largo anticipo.
Quel giorno l'aria era tiepida e ferma. Elrohir riusciva ad udire le conversazioni delle guardie che, ai piedi della torre, parlavano del recente annuncio del fidanzamento di Arathorn e Gilraen.
La famiglia di quest'ultima e quella di Maedir erano legate da una lunga amicizia, pertanto Elrohir aveva indirettamente partecipato all'agitazione causata dalla nascita della relazione tra Gilraen ed Arathorn. Sapeva che i genitori della futura sposa si erano dapprima opposti alla loro unione, ma in seguito avevano dato il loro consenso. Arador, invece, aveva da subito accettato di buon grado la decisione del figlio, forse spinto dalla paura che la propria stirpe potesse finire con Arathorn.
Ascoltando i discorsi delle guardie, Elrohir capì che tutti loro avevano fiducia in Arathorn e in molti iniziavano a chiedersi perché Arador non avesse ancora lasciato che il figlio lo succedesse, adesso che aveva indubbiamente raggiunto l'età per farlo.
Elrohir rivolse la sua attenzione altrove, vagamente infastidito dal tono dubbioso con cui alcuni parlavano del proprio Capitano. Conosceva bene Arador e si fidava delle sue decisioni.
Il suo turno di guardia si svolse in tutta tranquillità e si concluse quando la luna era ormai alta nel cielo. La calma prima della tempesta, si ritrovò a pensare Elrohir, mentre era intento a tornare a casa.
Poco lontano, alla pallida luce della luna, due sagome passeggiavano tenendosi per mano. Elrohir sapeva di chi si trattava e il vedere quell'immagine così perfetta gli regalò un sorriso.
Per i giorni successivi riprese quello stesso turno di guardia, felice di poter contribuire a proteggere coloro che ormai considerava come la propria gente.
Come aveva promesso, insegnò a Edeniel a tirare con l'arco. I suoi primi maldestri tentativi non andarono a buon segno: le frecce dalla punta smussata, adattate ad un arco a misura di bambino, oltrepassavano ogni volta il bersaglio. Ma, al quarto giorno, una delle frecce si fermò sul bordo del paglione. Edeniel fu estremamente orgogliosa del risultato e ringraziò il suo insegnante con un maldestro tentativo di parlare in Sindarin. Tuttavia quel giorno la lezione non sarebbe durata a lungo. Fu Maedir ad interromperli. Non appena Edeniel lo vide, indicò il bersaglio e, contenendo a stento l'entusiasmo, disse, << Hai visto? Ci sono riuscita! >>.
<< Sei bravissima! >>, esclamò Maedir, fingendosi sorpreso, << Ancora un paio d'anni e potrai unirti ai cacciatori >>.
Elrohir e Maedir si scambiarono uno sguardo complice.
<< Adesso è ora che torni a casa, tua madre vuole che ti prepari per il matrimonio >>, aggiunse Maedir.
L'entusiasmo di Edeniel si affievolì. Andò a riprendere la freccia e si diresse verso casa mormorando una fievole protesta.

<< Hanneth ed io ti siamo molto grati per aver trascorso del tempo con Edeniel. Da quando è nato Gelion le nostre attenzioni si sono concentrate maggiormente su di lui e temiamo che Edeniel si senta trascurata >>.
Maedir aveva chiamato il suo secondogenito Gelion, come l'amico morto anni prima. Era ben deciso a restituire a quel nome il suo originario significato di gioia e felicità, dando a Gelion la vita che il suo omonimo non aveva mai avuto.
<< Non dovete ringraziarmi. Il tempo che trascorro con Edeniel è istruttivo per me almeno quanto lo è per lei >>, rispose Elrohir.
Si udì un suono di campane in lontananza. I festeggiamenti per il matrimonio di Arathorn e Gilraen erano cominciati.
<< Sarà meglio che ci prepariamo anche noi >>, disse Maedir.
Elrohir annuì. Ripensò ai giorni di festa a Gran Burrone, alla musica, ai doni e agli ospiti provenienti da terre lontane. Per quanto amasse la vita tra i Dùnedain, nulla che gli umani potessero fare eguagliava l'atmosfera che si respirava a casa propria.

Il matrimonio fu celebrato nella parte più antica della città. Gli sposi recitarono i voti e, con la benedizione di entrambi i loro padri, piantarono il seme di un albero, a simboleggiare la nascita di qualcosa che un giorno sarebbe diventato grande e solido.
Qualsiasi dubbio fosse sorto in merito all'unione di Arathorn e Gilraen svanì durante la cerimonia: era chiaro a tutti che i Valar avevano unito le loro anime e che nessun essere mortale avrebbe mai potuto separarli.
La festa si protrasse fino a notte inoltrata. Hanneth aveva riportato a casa Gelion ed Edeniel; quest'ultima così stanca che non aveva neanche opposto resistenza.
Mentre i festeggiamenti volgevano al termine, Elrohir e Melwen si congedarono dagli ultimi presenti e s'incamminarono verso casa.
L'elfo si era distrattamente complimentato con lei per la sua bellezza. Quella sera Melwen indossava un abito celeste e tra i suoi capelli erano intrecciati fiori dello stesso colore. Agli occhi di Elrohir, la sua presenza aveva oscurato persino quella di Gilraen.

Si erano incamminati da poco, ascoltando i rumori della festa che diventavano sempre più attutiti, quando un altro suono, ben più inquietante, echeggiò nell'aria. Era il corno che chiamava a raccolta tutte le guardie: una sentinella doveva aver avvistato qualcosa.
Elrohir si voltò verso Melwen. << Riuscirai a tornare a casa? >>, chiese.
<< Conosco bene questa via. Va' e presta il tuo aiuto >>, rispose Melwen, con un tono che non lasciava spazio ad obiezioni.
Elrohir arrivò alla torre di volata e lì vi trovò Arador, Arathorn e due arcieri con gli archi tesi, in attesa di ordini.
<< È troppo veloce per essere un Uomo, ma se fosse stato un nemico non si sarebbe fatto avvistare così facilmente >>, disse uno degli arcieri, << Elrohir, forse tu riesci a vederlo. Ai nostri occhi è poco più di un'ombra nel buio >>.
Elrohir seguì con lo sguardo la punta delle frecce, che a loro volta seguivano lo sconosciuto. Anche l'elfo aveva difficoltà a vedere i dettagli da quella distanza e nel buio più profondo, ma gli bastò individuare una sagoma, una sagoma che avrebbe riconosciuto ovunque, per capire che colui che si avvicinava non era né un adan, né un nemico.
<< Non tirate! >>, ordinò agli arcieri, << Potete riporre l'arco. Non vi servirà stanotte >>.
Gli arcieri guardarono Arador, che gli fece un cenno di assenso.
Elrohir ignorò le domande che gli venivano poste e scese dalla torre. Oltrepassò le guardie e si fermò al limitare della città. Lì, improvvisamente insicuro su come comportarsi, attese.

Elladan uscì dall'ombra e si fermò alla luce delle fiaccole, a pochi passi da Elrohir.
Era vestito alla maniera degli elfi silvani ed alla sua cintura era annodato un sottile nastro verde. Appariva stanco, ma Elrohir capì dal primo sguardo che stava bene, molto meglio rispetto a quando era partito.
Elladan avanzò di qualche passo, anch'egli indeciso su cosa dire o fare. Alla mente di Elrohir riaffiorò il ricordo dell'ultima volta in cui si erano visti, della rabbia e del dolore che avevano utilizzato come arma l'uno contro l'altro.
Elladan ridusse ulteriormente la distanza che li separava e disse una parola soltanto, appena sussurrata. << Goheno nin >>.
Elrohir ricordava bene quanto le parole di Elladan l'avessero profondamente ferito, ma ricordava altrettanto bene la sua reazione violenta ed il senso di colpa che ne era seguito. Aveva già perdonato Elladan tanto tempo prima e sentiva di essere stato perdonato a sua volta.
<< Che il passato resti tale >>, rispose.
Pochi istanti dopo, i due elfi erano stretti in un abbraccio. Ad Elrohir parve di sentire la parte perduta della propria anima che si risaldava e tornava ad essere integra. Allo stesso tempo ricominciò ad avvertire i sentimenti di Elladan, forti ed intensi almeno quanto i propri. Solo allora si rese conto di quanto avesse sentito la mancanza di quel legame e di quanto la sua vita fosse stata incompleta fino a quel momento.

I due fratelli trascorsero il resto della notte passeggiando per le vite quasi deserte della città. Avevano molto da raccontarsi e tanto tempo da recuperare. I pochi Dùnedain che incrociavano il loro cammino li guardavano con stupore, ma Elladan non poté fare a meno di notare che negli occhi delle persone non c'era più quello sguardo confuso che ormai era abituato a ricevere. In quel momento lui ed Elrohir non erano più l'immagine speculare l'uno dell'altro.
Elladan ascoltò il racconto degli anni che Elrohir aveva trascorso ad Annùminas. Apprese dei nuovi membri della famiglia di Maedir e, con grande dolore, della morte di Daven. Rimpianse di non essere stato presente durante tutti quegli avvenimenti, ma non dubitò neanche per un istante della sua scelta di partire. Quel tempo trascorso in solitudine era stato indispensabile.
Raccontò ad Elrohir del suo viaggio, del Reame Boscoso e dei lunghi giorni passati ad errare senza una meta.
Non omise nulla dal suo racconto, poiché sapeva che, anche se l'avesse fatto, sarebbe stato inutile. Le loro menti erano collegate e non c'era più un motivo valido per nascondersi qualcosa. Ma c'era un'ultima informazione che esitava a rivelare. Entrambi erano felici di essersi riuniti ed Elladan voleva protrarre quel momento il più a lungo possibile.
<< Hai avuto notizie di nostro padre e di Arwen? >>, chiese ad Elrohir.
<< Ci siamo scritti delle lettere. Di recente Arwen è tornata a Gran Burrone, ma non è restata a lungo. Erano preoccupati per te, ed io non potevo in alcun modo rassicurarli >>.
Elladan sentì una fitta di senso di colpa. Avrebbe dovuto inviare una lettera mentre si trovava ancora nel Reame Boscoso, dove i collegamenti con Gran Burrone erano lenti, ma affidabili.
<< Pensi che sia arrivata l'ora di tornare a casa? >>, chiese Elrohir, intuendo i suoi pensieri.
<< Sì, è giunta l'ora. Ma temo che abbiamo ancora un compito da svolgere qui >>, disse Elladan.
Notò che Elrohir appariva quasi sollevato all'idea di trattenersi ancora con i Dùnedain. Doveva aver stretto solidi legami con loro, ancora più solidi di quelli che avevano consolidato in passato.
<< A cosa ti riferisci? >>, chiese Elrohir.
Era arrivato il momento di rivelare l'ultima informazione che Elladan aveva tenuto per sé.
<< Mentre mi dirigevo qui >>, iniziò a raccontare, << Ho visto delle impronte di Troll delle Colline. Si dirigevano verso sud e temo che si siano fermati nelle vicinanze del Lago Evendim. Non ho proseguito oltre perché i Troll erano almeno in quattro ed ho ritenuto più saggio informare prima i Dùnedain >>.
Elrohir rifletté per qualche istante, poi disse, << Sono felice che tu abbia deciso di procedere con cautela. Non so come avrei trovato il coraggio di annunciare a nostro padre che eri diventato la cena di un Troll >>.
Entrambi risero all'assurdità di quell'affermazione. Per qualche motivo persino la consapevolezza di dover presto tornare ad affrontare dei nemici non riusciva ad impensierirli.
Informarono Arador ed Arathorn dell'avvistamento, e tutti concordarono che avrebbero atteso fino al giorno successivo per decidere come agire.

La mattina dopo le attività quotidiane tardavano ad iniziare a causa dei festeggiamenti della notte precedente. Tuttavia, c'era qualcuno che non tardava mai.
Quando il clima era più caldo, Melwen era solita uscire di casa prima che il sole fosse alto. A volte Elrohir aveva l'impressione che trascorresse intere notti insonni, ma la conosceva abbastanza da sapere che non desiderava domande in proposito.
Quel giorno, Elrohir corse da lei e la prese per mano. << Voglio presentarti qualcuno >>, disse.
La condusse da Elladan, che l'aveva conosciuta soltanto tramite i racconti di Elrohir.
<< Melwen, ti presento mio fratello Elladan >>, disse.
<< Finalmente ci incontriamo >>, disse Melwen, con un sorriso spontaneo.

Elladan studiò attentamente quella donna così misteriosa, di cui Elrohir aveva parlato con grande affetto e rispetto, ed ebbe l'impressione che anche lei lo stesse studiando, nonostante non potesse vederlo. Si ripromise di conoscerla meglio non appena ne avesse avuta l'occasione.
Poco dopo rivide Maedir, in compagnia della moglie e dei suoi due figli. Elladan non poté evitare di notare come il tempo aveva modificato il suo aspetto. Colui che aveva di fronte era un uomo adulto, un marito ed un padre.
La sua primogenita, una bambina di nome Edeniel, stava osservando Elladan intensamente, spostando lo sguardo da lui ad Elrohir con crescente stupore. Evidentemente non riusciva a spiegarsi come i due fratelli potessero somigliarsi così tanto. Il secondogenito non doveva avere più di un anno, aveva i capelli scuri e gli occhi grigi, e portava il nome di Gelion.

<< Padre, ho bisogno di parlarti in privato >>.
Arador era nella propria tenda, nel mezzo di un'importante discussione con due dei suoi uomini, quando Arathorn fece irruzione.
Arador si impose di non lasciar trapelare la propria irritazione finché non fosse rimasto solo con suo figlio. Congedò i due uomini e, guardando Arathorn negli occhi, disse, << Potrò scusare il tuo comportamento soltanto se mi porrai una questione della massima urgenza >>.
Arathorn sostenne il suo sguardo, e rispose, << Spetta a te decidere in che misura una questione sia importante oppure no, così come spetta a te decidere in merito a molte altre cose >>.
<< Il tempo stringe, dì ciò che devi >>.
<< Ho sentito dire che non intendi portarmi con te oggi. Spero che tu possa smentire questa diceria >>.
<< Non posso, perché è la verità. I Troll sono creature estremamente pericolose e per combatterle mi occorreranno i migliori lancieri. I figli di Elrond sono più forti di qualsiasi Uomo, per questo porterò loro. Tu resterai qui a proteggere la tua terra. Non ritengo che sia un ruolo inadatto al futuro Capitano dei Dùnedain >>.
Arathorn era furioso. Arador lo sapeva bene, e sapeva anche che era suo compito mantenere la propria compostezza.
<< Quando sei stato via per anni, mi lasciasti qui dicendo che non ero abbastanza esperto per seguirti, ed io rispettai il tuo volere. Ma adesso non voglio sottostare ad altri pretesti. Mi addestro a combattere da tutta la vita, ho imparato a brandire la lancia quando avevo quindici anni e da allora non ho mai smesso di fare pratica. Sono cresciuto leggendo delle gesta dei miei antenati, e tu non puoi privarmi dell'opportunità di dare il mio contributo alla grandezza della nostra stirpe >>.
<< Cenere >>, disse Arador, << Questo è tutto ciò che resterà della nostra stirpe se morirai prima di avere un erede. Nessuno, io meno di tutti, ha messo in dubbio il tuo coraggio o la tua abilità ed in futuro avrai tante occasioni di mostrare il tuo valore, ma adesso la tua prima responsabilità è verso la tua famiglia >>.
Arathorn distolse finalmente lo sguardo e si voltò verso l'uscita della tenda.
<< Ho sempre rispettato le tue richieste prima ancora che diventassero ordini, ma non questa volta. Mi unirò alla spedizione; modifica i tuoi piani di conseguenza >>.
Detto questo, Arathorn uscì senza voltarsi.
Arador strinse i pugni fino a graffiarsi la pelle. Mai prima di allora qualcuno gli aveva disobbedito così apertamente, e il fatto che si trattasse di suo figlio rendeva tutto più difficile. In parte è colpa mia, pensò, Non avrei dovuto lasciarlo solo per così tanto tempo.
Arador trasse un profondo respiro ed uscì dalla tenda.
<< Prepararsi a partire >>, disse, << Chi prenderà parte alla spedizione prenderà ordini da me e da Arathorn, coloro che resteranno a difesa della città saranno sotto il comando di Elrohir ed Elladan fino al nostro ritorno >>.

Elladan aveva sempre saputo di non avere una grande attitudine per il comando, ma quando gli fu annunciato che non avrebbe preso parte alla spedizione una parte di lui trasse un respiro di sollievo. Era stanco di combattere e di fuggire. Non aveva dimenticato Saeliel, non avrebbe mai potuto dimenticarla, ma si era costretto ad accettare che i loro destini erano ormai separati e non poteva prevedere se si sarebbero riuniti in futuro oppure no.
<< Possiamo restare qui >>, disse ad Elrohir il giorno successivo, << Finché non sarai pronto a tornare. So che questo luogo è diventato una seconda casa per te e non voglio che ti senta costretto a lasciarla >>.
<< Sono combattuto >>, rispose Elrohir. << Ieri ne ho parlato con Melwen, sperando che potesse consigliarmi su come agire. Ha detto che tu ed io dobbiamo restare con i Dùnedain, perché presto la nostra presenza sarà indispensabile >>.
<< Non hai considerato che le sue parole potrebbero non essere del tutto sincere? D'altra parte ha detto esattamente quello che sapeva ti avrebbe fatto restare >>, disse Elladan.
<< Melwen ha tutta la mia fiducia. E perché dovrebbe spingermi a restare? >>, chiese Elrohir.
Solo allora Elladan si rese conto che il fratello non aveva idea di cosa lui stesse parlando. Non seppe se esserne divertito o preoccupato. << Elrohir, Melwen ti ama. Credevo te ne fossi reso conto molto prima >>.
Elrohir fece per negare, ma si bloccò a metà di una frase. Restò in silenzio a lungo, immerso nei propri pensieri. Poi disse, << Scusami, devo andare >>, e scomparve tra le vie di Annùminas.

Arador indietreggiò per la terza volta, subito seguito dalla prima fila. Uno dei Troll giaceva morto, accanto a lui tre uomini a cui era toccato lo stesso destino. Il secondo era stato trafitto da una lancia e sarebbe morto a breve, ma gli altri due erano forti e colmi d'ira. La lancia di Arador sembrava diventare sempre più pesante e, con il passare del tempo, i suoi colpi diventavano più deboli ed imprecisi. Alle sue spalle, protetti dalle lance, gli arcieri scagliavano una pioggia di frecce sulle gigantesche creature, scalfendo a malapena la loro pelle robusta.
Arathorn era instancabile. Aveva finito con un colpo secco il Troll morente e senza esitazioni era tornato a combattere al fianco del padre.
<< Mirate agli occhi! >>, ordinò Arador agli arcieri. Ma il Troll si muoveva velocemente, seppur goffamente, e rendeva difficile mirare con precisione.
Poi accadde il peggio. Il Troll afferrò una lancia e la strattonò verso di sé. L'uomo che la reggeva mantenne la presa fino a quando non si sentì sollevare, allora lasciò e ricadde a terra. Arador si spostò verso di lui nel tentativo di difenderlo, ma il Troll fu più rapido. Trafisse l'uomo con la sua stessa lancia e fece lo stesso con il suo vicino, ad un palmo da Arador. Il sangue gli bagnò il viso e gli fece perdere la concentrazione per un istante. Si rese conto che, finché fossero stati costretti a combattere due Troll allo stesso tempo, non ce l'avrebbero fatta.
Si rivolse ad Arathorn, senza mai perdere di vista il bersaglio, e disse, << Mantieni la tua posizione >>.
Arathorn annuì.
<< Sono stato chiaro? >>, insistette Arador.
Solo allora Arathorn distolse lo sguardo dalla battaglia e rispose, << Sì, signore >>.
Arador guardò suo figlio, come per imprimersi la sua immagine nella mente, poi strinse la presa sulla lancia ed abbandonò la prima fila. Corse in avanti, tanto veloce quanto la sua età gli permetteva. Il Troll fu colto di sorpresa e tardò a reagire, così Arador poté approfittare del breve vantaggio.
Sollevò la lancia e, infondendo tutta la sua forza in quell'unico colpo, la conficcò nell'occhio del Troll, spingendola in profondità nella testa. L'urlo della creatura ferita fu assordante. Arador lanciò una breve occhiata al secondo Troll, l'ultimo, e decise di sfidare il destino per l'ultima volta. Lasciò andare la lancia, sarebbe stato inutile tentare di riprenderla, e diede le spalle al Troll che si era accasciato a terra. Poi estrasse la spada, la cui lama era ancora pulita, e si rivolse verso l'ultimo nemico. Ma non riuscì a muovere più di un passo. Qualcosa lo colpì alle spalle con una tale forza da farlo cadere in avanti prima ancora che se ne rendesse conto. Il Troll doveva averlo trafitto appena prima di esalare l'ultimo respiro.
Arador udì un turbinio confuso di urla e rumori. Tentò di rialzarsi, ma scoprì che la sola volontà era inutile quando i suoi arti erano come paralizzati dal dolore. Restò a terra, guardando la spada che si sporcava del suo stesso sangue, mentre il mondo attorno a lui diventava sempre più indefinito. Pensava che sarebbe stata quella l'ultima cosa che i suoi occhi avrebbero visto, ma non era così.
Non sapeva quanto tempo fosse passato quando intravide il volto di Arathorn, come immerso in una fitta nube.
Raccolse ancora una volta tutte le sue forze e tentò di parlare.
<< Padre, io... >>, iniziò Arathorn.
Ma Arador sapeva di non avere ancora molto tempo e non poteva limitarsi ad ascoltare. Nonostante il dolore che annebbiava la sua mente, sapeva esattamente cosa dire. In quel momento le sue priorità erano molto chiare.
<< Sono fiero di te >>, disse. Non sapeva come le sue parole suonassero a chi ascoltava, non sapeva neanche se fossero comprensibili. << Hai già portato onore al tuo nome >>. Tentò di trarre un respiro, ma sembrava che i suoi polmoni si rifiutassero di accogliere aria. Le sue ultime parole furono appena un sussurro. << Di' a Melwen...che mi dispiace >>.

Correva l'anno 2930 della Terza Era quando Arador, figlio di Argonui e Capitano dei Dùnedain, trovò la morte in battaglia.

Traduzione delle frasi in Sindarin:
Galu. Man i eneth gîn?: Salve, come ti chiami?
Im Edeniel eston. Onnen mi Annùminas. A gin?: Mi chiamo Edeniel, sono nata ad Annùminas. E tu?
Im Elrohir eston. Dorthon mi Annùminas, ach onnen mi Imladris: Mi chiamo Elrohir. Vivo ad Annùminas, ma sono nato a Gran Burrone.
Le athae: grazie
Goheno nin: perdonami

P.s. Mi scuso con tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo per non aver risposto individualmente, ma sono riuscita a connettermi appena il tempo di postare questo. Comunque vi ringrazio di cuore per avermi dato la vostra opinione e vi risponderò come si deve appena potrò. Nel frattempo... sentitevi liberi di commentare (o anche criticare!)

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** La caduta del Capitano ***


Eccovi il nuovo capitolo, finito di correggere alla vigilia di un esame. Nel prossimo assisteremo al ritorno degli elfi a Gran Burrone.
Enjoy!

"Melwen ti ama".
Elrohir non riusciva a smettere di pensare a quelle parole. Elladan poteva essersi sbagliato, ma più Elrohir ci rifletteva, più iniziava a credere che avesse ragione. Sapeva che avrebbe dovuto parlarne con Melwen, ma qualcosa lo tratteneva. Cosa avrebbe mai potuto dirle? Non voleva che lei soffrisse a causa sua, ma se Elladan aveva ragione significava che Melwen aveva già sofferto a lungo.
Decise di parlarne con Maedir. Lui doveva saperlo.

Andò da lui mentre Hanneth ed Edeniel erano fuori e Gelion dormiva nella stanza accanto.
<< Parla a bassa voce >>, disse Maedir, << O si sveglierà >>.
Elrohir raccontò brevemente il motivo della sua visita. L'espressione di Maedir quando ebbe finito era indecifrabile, ma Elrohir colse una scintilla di timore nei suoi occhi.
<< Elladan è un buon osservatore >>, disse Maedir, vagando nervosamente con lo sguardo.
<< Perché Melwen non me l'ha detto? >>, chiese Elrohir.
<< Perché sa che il destino vi è avverso. E probabilmente sa che i suoi sentimenti non sono come i tuoi >>.
Elrohir esitò nel rispondere. Non sapeva fino a che punto Maedir avesse ragione. << Per me lei è importante >>, disse infine.
<< Lo so >>, rispose Maedir, << Ma fa' attenzione, Melwen ha già sofferto abbastanza >>.
Elrohir era inquieto e confuso. Forse l'avevo già capito, ma non volevo ammetterlo a me stesso per non dover affrontare questo momento, pensò.
Ma non riuscì a concludere quella conversazione, perché un presentimento, unito a dei vaghi rumori in lontananza, invase i suoi pensieri. Voci allarmate ed una sequenza di suoni provenienti da un corno, il significato dei quali Elrohir non conosceva. Non era il segnale di pericolo, ma qualcosa di altrettanto angosciante.
Il bambino nella stanza accanto iniziò a piangere e Maedir andò da lui. Elrohir, invece, si diresse verso il confine ovest della città. A metà strada incontrò Elladan, anch'egli visibilmente preoccupato.
La spedizione partita due giorni prima era tornata, e anche da lontano Elrohir capì che non tutti coloro che erano partiti avevano fatto ritorno. Ma presto arrivò una notizia ben più grave. Tra i morti c'era stato anche Arador, Capitano dei Dùnedain.

Elladan fu profondamente addolorato nell'apprendere l'accaduto, ma avvertì un dolore ancora più grande provenire da Elrohir. Questi aveva conosciuto Arador più a lungo e ne avrebbe maggiormente sentito la mancanza.
La notizia della morte di Arador si diffuse con estrema velocità e ben presto l'intera popolazione si radunò a porre omaggio al loro capitano. Arathorn, mostrando un contegno ed una forza d'animo degne di un re, prese il comando immediatamente ed organizzò le cure per i feriti e gli onori ai caduti.
Elrohir non aveva mai dubitato che Arathorn sarebbe diventato un degno successore di Arador, ma osservarlo in quel momento gli diede la conferma che gli Uomini dell'Ovest erano in buone mani.
Poche ore erano trascorse dal ritorno della spedizione, quando Arathorn venne da lui.
Aveva gli occhi arrossati, ma non c'erano tracce di lacrime sul suo viso.
<< Mio padre ha espresso un'ultima volontà prima di morire: voleva che riferissi qualcosa a Melwen. So che vi conoscete e vorrei che mi indicassi dove si trova la sua casa >>, disse, la voce ferma ed autorevole.
Elrohir esaudì la richiesta e condusse Arathorn lungo quel sentiero che gli era ormai familiare. Quando bussarono alla porta di Melwen, fu Maedir ad aprire.
<< Mi dispiace per la tua perdita, mio signore >>, disse Maedir, << Cosa ti porta qui? >>.
<< Desidero parlare con Melwen in privato. È in casa? >>.
Maedir fece un passo avanti, socchiudendo la porta alle sue spalle. << La notizia della morte di Arador l'ha sconvolta. Al momento non vorrà vedere altre persone >>, disse.
Ma, prima ancora che Arathorn potesse insistere, la voce di Melwen giunse dall'interno. << Potete entrare >>, disse.
Melwen era seduta ad un tavolo; anche lei, come Arathorn, portava sul viso i segni del pianto. Quando Elrohir la vide, ripensò a quello che aveva scoperto nelle ultime ore ed alle parole di Maedir.
Poi si rese conto di non aver detto nulla, pertanto non sapeva se lei fosse consapevole della sua presenza.
<< Puoi tornare a casa, io sto bene >>, la udì sussurrare a Maedir.
Quando quest'ultimo uscì, lasciando soli Melwen e Arathorn, Elrohir lo seguì. Ma, mentre Maedir andava per la sua strada, per qualche motivo a lui stesso sconosciuto Elrohir restò lì, appena fuori dalla porta. Abbastanza vicino da tenere d'occhio la zona, ma non abbastanza da ascoltare la conversazione che si teneva all'interno.
Non molto tempo dopo, Arathorn uscì a sua volta, mormorò un saluto e tornò sui suoi passi. Elrohir si avvicinò alla casa, indeciso su cosa fare. C'erano cose importanti che doveva dire a Melwen, ma in quel momento così delicato il meglio che poteva fare era ascoltare, e rimandare tutto il resto ad una situazione più adatta.
Bussò alla porta.
Dapprima il silenzio fu assoluto, tanto che Elrohir pensò che Melwen non l'avesse sentito. Ha un ottimo udito, deve avermi sentito, rifletté subito dopo.
<< Sono Elrohir >>, disse.
Dopo un'altra pausa, finalmente ebbe una risposta. << Entra >>.

Elrohir non aveva mai visto Melwen piangere prima di allora. L'aveva sempre considerata un esempio di forza, e vederla in un momento di debolezza lo colpì a tal punto da fargli dimenticare qualsiasi cosa avesse pensato di dire.
Si sedette accanto a lei e restò in silenzio.
<< Ho fatto un grande errore >>, disse Melwen, mentre si asciugava le lacrime dal viso, << Ed oggi ho perso ogni speranza di porvi rimedio >>.
La sua voce era spezzata, fragile ed allo stesso tempo carica di rabbia.
<< Se nulla potrà rimediare, non puoi fare altro che perdonare te stessa ed accettare i tuoi errori >>, disse Elrohir.
<< I miei errori possono ferire più di una spada, possono rovinare una vita >>, rispose Melwen. Mai Elrohir aveva udito da lei parole così aspre.
<< È quello che è successo con Arador? >>, chiese Elrohir.
Melwen non rispose subito, forse riflettendo su quanto dovesse rivelare. << Vuoi davvero saperlo? >>, disse
<< Soltanto se pensi che raccontarlo ti aiuti a mettere ordine tra i tuoi pensieri >>, rispose Elrohir.
Melwen fece un breve sorriso, colmo di amarezza. << Suppongo di sì. Avere la tua opinione non potrà che aiutarmi >>.
Iniziò a raccontare, con lo sguardo rivolto di fronte a sé ed una mano poggiata su quella di Elrohir.
<< Anni fa Arador decise di partire ed incamminarsi verso ovest, accompagnato da un cospicuo numero di uomini, tra cui Daven e Maedir. È stato durante questo viaggio che vi siete incontrati, quindi potresti non sapere cosa accadde prima. Arador era preoccupato perché sapeva che avrebbe lasciato suo figlio da solo per molti inverni e non sapeva se avrebbe mai fatto ritorno. In quello stesso periodo io sognai la sua morte. Avevo ormai imparato a distinguere un normale sogno da una visione e sapevo bene che quello che avevo visto si sarebbe avverato, presto o tardi. Non era la prima volta che vedevo la morte di qualcuno e non sarebbe stata l'ultima, per questo non ebbi nessun dubbio quando decisi di non dirgli nulla. Tuttavia accadde qualcosa che non avevo previsto. Scoprii di essermi confidata con la persona sbagliata e, in qualche modo, la notizia arrivò ad Arador. Questi venne da me in cerca di risposte, ben determinato ad ottenerle e ben consapevole che io non intendevo rivelarle. Fece leva sulle mie debolezze, mi disse cose crudeli, forse sentendosi giustificato dal fatto che doveva sapere. Alla fine ho ceduto. Ero così arrabbiata che gli rivelai tutto perché sapevo che così facendo gli avrei fatto del male, e non una volta, ma per il resto della sua vita. Gli dissi che sarebbe morto in battaglia, colpito alle spalle mentre tentava di allontanarsi da un nemico morente. Ma non era questo che Arador voleva sapere. Il tempo, questo era importante. Voleva sapere se avrebbe mai fatto ritorno dal suo viaggio e se, al momento della sua morte, Arathorn sarebbe stato in grado di andare avanti senza il suo appoggio. Ma io non potevo rivelare anche questo, non ero neppure ben certa di sapere quando si svolgeva la mia visione. Arador se ne andò deluso e non ebbi sue notizie fino al suo ritorno. Quel giorno eri presente e, forse lo ricorderai, lui venne da me. Si scusò per come si era comportato e mi raccontò che, mentre era via, aveva preso parte ad una battaglia con la certezza che lì avrebbe incontrato la morte. Aveva persino ordinato a Daven di non combattere così da avere qualcuno che in seguito avesse potuto aiutare Arathorn. Mi disse che le mie parole erano rimaste impresse a fuoco nella sua mente, influenzando ogni momento della sua vita e ricordandogli perennemente che la sua fine si avvicinava. Nessuno dovrebbe conoscere il proprio destino, anche se è lui stesso a chiederlo. Nel momento in cui lo scopre, inizia a desiderare di non averlo mai saputo >>.
Melwen si fermò, stringendo impercettibilmente la stretta sulla mano di Elrohir.
<< Non mi stupisce >>, continuò qualche secondo dopo, << che Arador e Arathorn abbiano avuto i loro diverbi. Arador combatteva come se ogni giorno fosse l'ultimo, Arathorn combatte come se fosse immortale >>.
Melwen sospirò, Quando ebbe la certezza che il racconto era terminato, Elrohir parlò, << Se tu fossi una persona qualsiasi, ti direi di non addossarti la colpa delle decisioni di qualcun altro. Ma ormai ti conosco bene, e so che nulla che io possa dire ti impedirà di rimpiangere il tuo errore, per questo ti darò qualcos'altro su cui riflettere: le tue azioni potrebbero non essere state dannose quanto credi. Arador è stato un Capitano prudente e riflessivo, e solo adesso capisco quanto la tua rivelazione abbia avuto un ruolo in questo. Forse è stato proprio il tuo avvertimento a salvargli la vita per tanti anni. È vero che nessuno dovrebbe conoscere il proprio futuro, ma non sempre conoscerlo è un male assoluto. Non tormentarti, ciò che è stato, è stato >>.
Adesso nuove lacrime brillavano negli occhi di Melwen, diverse da quelle che Elrohir aveva visto poco prima. << Vorrei che tu ed io ci fossimo incontrati in un'altra vita >>, disse.
Elrohir capì che si stavano addentrando in un discorso diverso. << Anche io lo vorrei >>, rispose.
Seguì un lungo silenzio. Elrohir iniziò a credere che la conversazione volgesse al termine, quando decide di dar voce alla domanda che lo tormentava, e a cui solo Melwen poteva rispondere con sincerità.
<< Perché non me l'hai mai detto? >>, chiese. Non ebbe bisogno di specificare a cosa si riferisse: lei capì subito di cosa stava parlando.
<< Perché sapevo quale sarebbe stata la tua risposta e dirlo avrebbe soltanto fatto soffrire entrambi, oltre a mettere a rischio tutto quello che abbiamo costruito in questi anni >>, rispose Melwen.
<< Quello che abbiamo è prezioso per me, e non permetterò che vada perduto. Ma come puoi conoscere la mia risposta se neanche io sono certo di conoscerla? >>.
<< Tu la conosci >>, rispose semplicemente Melwen.
C'erano momenti in cui Elrohir aveva l'impressione che lei lo conoscesse meglio di quanto lui conosceva se stesso, e quello era uno di quei momenti.
<< Abbiamo percorso strade adiacenti, ma un giorno queste strade si separeranno, e noi dobbiamo essere pronti >>, disse.
Non appena l'ebbe pronunciata, capì che era questa la risposta che Melwen aveva previsto.
La donna strinse impercettibilmente le labbra e disse, << Adesso vorrei restare sola >>.
Elrohir si alzò e fece per andarsene, ma, prima ancora che arrivasse alla porta, Melwen aggiunse, << Se lo vorrai, domani passeggeremo insieme come era nostra abitudine >>.
<< Con molto piacere >>, rispose Elrohir, sollevato.

L'ombra gettata dalla morte di Arador fu irradiata da un raggio di luce appena un anno dopo.
Una sera di primavera, dopo un intero giorno di attesa con il fiato sospeso, Arathorn annunciò con gioia che suo figlio era venuto al mondo. Il bambino venne chiamato "Aragorn", rendendolo il secondo della sua stirpe a portare quel nome.
Non appena Elladan lo vide per la prima volta, seppe per istinto che un giorno Aragorn avrebbe compiuto grandi imprese e che il suo ruolo negli eventi a venire sarebbe stato fondamentale. Il destino del figlio di Arathorn non poteva che essere questo.
Ma, in seguito a quella lieta notizia, non tutto andò per il meglio. C'erano state delle complicazioni durante la nascita di Aragorn e, sebbene fosse certo che Gilraen si sarebbe presto ripresa del tutto, i guaritori raccomandavano che non provasse ad avere altri figli, almeno per il momento.
Arathorn, d'altro canto, si era prodigato per rendere sicure le terre circostanti ed aveva trascorso la maggior parte del suo tempo ad organizzare spedizioni per combattere una nuova ondata di orchi che aveva invaso le terre dell'Ovest. Con la nascita di Aragorn, le spedizioni diventarono sempre più frequenti, in quanto Arathorn voleva assicurarsi che il figlio non corresse alcun pericolo. Il Capitano dei Dùnedain era sempre in prima linea a guidare i suoi uomini ed il più delle volte Elrohir ed Elladan combattevano al suo fianco. Da tempo ormai non era più soltanto il senso del dovere a spingerli ad aiutare i Dùnedain, ma il desiderio di proteggere il sangue del loro sangue. Elladan aveva visto qualcosa in Arathorn, e prima di lui in Arador: non un tratto specifico, ma qualcosa di indefinito che gli aveva ricordato se stesso da giovane, nonché l'impulsività di Elrohir e la solennità di Elrond. Tutti loro condividevano un legame di sangue, un vincolo indissolubile.
Un giorno, ad appena due lune dalla nascita di Aragorn, Arathorn disse qualcosa ad Elladan, qualcosa che l'elfo non avrebbe mai dimenticato.
<< Se mi accadesse qualcosa, portate Gilraen e Aragorn a Gran Burrone, lì saranno al sicuro >>.
Gli antenati di Arathorn erano nati e cresciuti ad Imladris, ma lui aveva interrotto questa tradizione. "Un viaggio sarebbe stato troppo pericoloso in questo momento", aveva detto ad Elladan, quando questi gli aveva chiesto il motivo della sua insolita scelta, "Finché sarò in grado di proteggerli, voglio che mia moglie e mio figlio restino con me".

Elladan, come Elrohir prima di lui, si era presto inserito nella quotidianità della città di Annùminas. Era bello tornare a vivere sotto un tetto, non doversi guardare continuamente le spalle e soprattutto poter contare sulla presenza di Elrohir.
Due interi cicli di stagioni trascorsero ancora prima che Elladan se ne rendesse conto.
Il piccolo Aragorn cresceva a vista d'occhio, muoveva i primi passi e tentava di pronunciare le sue prime parole. Nel frattempo, la minaccia degli orchi diventava gradualmente meno impellente e quando Arathorn chiese ad Elrohir ed Elladan di unirsi a lui per una spedizione, entrambi erano certi che sarebbe stata l'ultima.
Partirono alle prime luci dell'alba, diretti verso nord. Era pieno inverno e lo spesso strato di neve rallentava il loro cammino, ostacolando l'andatura del cavalli. Elladan non poté fare a meno di pensare che avrebbero proseguito più velocemente a piedi, ma sapeva che i Dùnedain non avrebbero gradito la proposta. Nonostante fossero capaci di camminare veloci e furtivi quasi quanto gli elfi, andare a cavallo consentiva loro di risparmiare le forze ed avere una migliore visuale dei dintorni.
Con questa nebbia e i raggi di sole riflessi dalla neve, la nostra visuale non potrebbe essere peggiore, osservò Elladan, mentre si stringeva nel mantello.
Il cammino proseguì con lentezza. Arathorn era in testa e, sebbene guidasse la compagnia con sicurezza, Elladan sospettava che non fosse del tutto certo di dove stessero andando.
Nessuno parlò e per la maggior parte del tempo gli unici suoni udibili furono il fischio del vento e l'ansimare dei cavalli. Tuttavia, fu proprio il vento a mettere in guardia gli uomini su ciò che stava per accadere, dando loro un esiguo vantaggio sugli aggressori. Iniziò con un odore che gli elfi conoscevano fin troppo bene. Arrivò ad Elladan ed Elrohir, e subito dopo ai cavalli, che iniziarono a nitrire ed a battere gli zoccoli sulla neve.
<< Loro sono qui >>, sussurrò Elladan ad Arathorn. Non possono essere lontani, aggiunse tra sé.
Gli uomini estrassero silenziosamente le spade, guardandosi intorno nel tentativo di individuare i nemici.
Poi, il familiare rumore della punta di una freccia che fende l'aria e, un istante dopo, uno degli uomini era a terra. Ma quella freccia bastò ad indicare la posizione dell'arciere che l'aveva scagliata. << Veniva da est >>, disse Elladan.
Tese l'arco ed aguzzò la vista fino ad individuare delle vaghe macchie nere dietro una duna di neve. Gli orchi erano lì. Scoccò una freccia, quasi alla cieca, senza sapere se avesse colpito il bersaglio.
Subito dopo ne arrivò un'altra in risposta, che però andò a vuoto. Sanno di essere stati scoperti ed hanno perso la loro sicurezza.
I Dùnedain attaccarono, e ben presto gli orchi uscirono dal nascondiglio per fronteggiarli, forti della protezione degli arcieri.
Altre due frecce uccisero altrettanti uomini ed una terza si conficcò nel fianco del cavallo di Elrohir, colpendo di striscio la sua caviglia.
Elladan avvertì il bruciore come fosse proprio, come se qualcuno stesse tenendo una fiamma accesa sulla sua pelle.
Elrohir saltò giù dal cavallo per evitare che l'animale cadesse su di lui. I gemelli ebbero appena il tempo di scambiarsi uno sguardo per assicurarsi di stare entrambi bene, prima che una nuova ondata di frecce iniziasse ad abbattersi su di loro.
<< Prendi il mio cavallo >>, disse Elladan, << E va' avanti con i Dùnedain. Io mi occuperò degli arcieri >>.
<< Se resti qui non avranno difficoltà a prenderti di mira >>, ribatté Elrohir.
<< Non gliene darò il tempo >>, rispose Elladan.
Elrohir non sembrava felice del piano, ma fece come Elladan aveva detto. In fondo sapeva che il fratello era ancora il più abile con l'arco.
Elladan mirò alle figure indistinte che sapeva essere gli arcieri degli orchi, superando la tentazione di mirare a quelli più vicini, che stavano combattendo faccia a faccia con i Dùnedain.
Dovevano essere quattro o cinque e, più tempo passava, più il vento disperdeva la nebbia e rendeva la visuale più chiara. Elladan ne eliminò due, ma fallì nel centrare il terzo. Fece un secondo tentativo, notando di sfuggita che presto avrebbe esaurito le frecce. Colpì il terzo orco e subito mirò al quarto. Con la coda dell'occhio intravide il penultimo arciere rimasto che impiegava più tempo per prendere la mira. Stava puntando un bersaglio specifico, ma Elladan era troppo lontano per capire quale fosse. Poi, accadde qualcosa l'elfo non avrebbe mai previsto. Osservò la freccia nell'aria, seguendo la sua traiettoria come se il tempo stesso fosse rallentato al solo scopo di ricordargli quanto fosse impotente. Quando la freccia colpì Arathorn, ad Elladan mancò il fiato. Restò immobile a lungo, aggrappandosi alla vana speranza che il Capitano dei Dùnedain fosse in qualche modo sopravvissuto, ma il dolore che avvertiva provenire da Elrohir lasciava ben pochi dubbi.
Così Elladan si costrinse ad agire, respirò a fondo e scagliò le ultime due frecce, uccidendo per primo l'orco che aveva colpito Arathorn.
Poi corse verso la battaglia, che stava per volgere al termine. I Dùnedain erano più numerosi degli orchi, e la morte del loro Capitano li aveva riempiti di rabbia. Senza più la minaccia degli arcieri, per gli Uomini non fu difficile sconfiggere gli ultimi orchi rimasti. Solo quando la battaglia fu definitivamente conclusa, i Dùnedain si avvicinarono lentamente al loro Capitano, i loro cuori increduli e al contempo colmi di orrore.
La freccia aveva trafitto l'occhio di Arathorn, che teneva ancora la spada stretta in pugno, come se fosse pronto a rialzarsi per ricominciare a combattere. Qualcuno sussurrò delle parole d'addio, ma la maggior parte di loro restò in silenzio.
Elrohir non sembrava intenzionato a distogliere lo sguardo dal sangue sulla neve, una pozza rossa che si allargava inghiottendo il bianco.

Il ritorno ad Annùminas fu lento, come se tutti volessero ritardare il più possibile il momento in cui avrebbero dovuto dire a Gilraen che suo marito era morto ed al piccolo Aragorn, che aveva appena due anni, che non aveva più un padre.
Hanneth allontanò i suoi figli, portando con sé anche Aragorn, per evitare che vedessero la terribile scena di Gilraen che piangeva sul corpo di Arathorn. Maedir si occupò di chi aveva bisogno di cure, tra cui Elrohir, il quale non si era accorto di avere la parte inferiore della gamba interamente coperta di sangue.
Furono momenti surreali, come se fossero parte di un sogno. Ma, per quanto lo volessero, nessuno di sarebbe svegliato al sicuro nel proprio letto.
Elladan sapeva che spettava a lui prendere in mano la situazione, ed aveva ben chiare le ultime volontà di Arathorn.
Aspettò fino alla mattina successiva, quando la veglia funebre in onore di Arathorn si era ormai conclusa, poi andò da Gilraen.
La donna aveva terminato le sue lacrime e nascondeva il suo dolore dietro una maschera di impassibilità. Tra le sue braccia, il figlio si guardava intorno spaesato. L'idea della morte era inafferrabile per un bambino così piccolo, nessuna spiegazione poteva giustificare il fatto che suo padre fosse scomparso per sempre.
Probabilmente non lo ricorderà da adulto, il che sarà un bene, pensò Elladan.
<< Mia signora >>, disse, scegliendo un appellativo che raramente utilizzava per rivolgersi a chiunque, << Sono profondamente addolorato, e consapevole che niente che io possa dire allevierà la tua sofferenza >>.
<< Ti ringrazio, Elladan, figlio di Elrond. È vero, nessuna delle tue parole è di conforto, ma c'è molto che tu e tuo fratello potreste fare per me >>, rispose Gilraen.
<< La volontà di Arathorn mi è ben nota, e sarò lieto di scortarti, con Elrohir e tutti gli uomini che vorrai portare, a Gran Burrone >>.
Gilraen allora si voltò a guardarlo, ed Elladan vide per la prima volta l'abisso di tristezza e disperazione che colmava i suoi occhi. Fu come rivedere sua madre, appena dopo essere stata sottratta alle torture degli orchi. Rivide quell'ombra che si allargava lentamente e seppe che Gilraen ne sarebbe stata sopraffatta, presto o tardi.
<< Partiamo adesso. Aragorn non è al sicuro qui, e con ogni ora che passa il pericolo aumenta: le forze del male non si fermeranno finché non avranno distrutto la stirpe di Isildur >>, disse Gilraen.
<< A Gran Burrone saremo sotto la protezione di Elrond, e nessun male potrà raggiungerci. Organizzerò la partenza al più presto; quanti uomini ci accompagneranno? >>, chiese Elladan.
<< Nessuno. Un contingente numeroso sarebbe più facile da individuare e il viaggio procederebbe a rilento. Voi due basterete e, se dovessero attaccarci, vi affiderò Aragorn affinché lo portiate al sicuro, procedendo senza di me >>.
Elladan sapeva che, se si fossero trovati in circostanze simili, non avrebbe mai acconsentito a quel piano, ma decise di accettare ugualmente, confidando nell'aiuto della fortuna.

Elrohir non aveva ancora pienamente realizzato cosa era accaduto il giorno precedente. Aveva visto Arathorn nei suoi ultimi istanti di vita, intento a combattere senza un'ombra di paura in volto, e un attimo dopo la sua esistenza di era spenta, come una piccola fiamma preda del vento.
Elladan venne a sedersi accanto a lui, sulla soglia della porta di casa, alla luce del sole appena sorto.
<< Sei turbato >>, osservò Elrohir.
<< Lo siamo tutti >>, rispose Elladan.
Il sole sembrava non aver alcun effetto sul gelo che attanagliava l'aria, e la neve non accennava a sciogliersi.
<< Gilraen vuole che partiamo subito >>, disse Elladan, << Dobbiamo metterci in marcia prima del tramonto >>.
Elrohir aveva saputo che quel momento sarebbe presto arrivato. Pensò a Melwen, a Maedir, alla piccola Edeniel ed a Gelion. Avrebbe dovuto dire loro addio, almeno per il momento.
<< Sarò pronto non appena avrò salutato tutti >>, disse Elrohir.

Andò per primo da Maedir, spiegandogli il motivo della sua partenza così repentina.
<< La nostra casa sarà per sempre aperta a te ed alla tua famiglia, anche per le prossime generazioni. Spero di rivederti presto >>, disse Elrohir.
<< Appena viaggiare tornerà ad essere sicuro, vi faremo visita >>, rispose Maedir, trattenendo a stento le lacrime.
Edeniel insisté per andare con lui a Gran Burrone. << Quando sarai più grande potrai venire quando vorrai. Io ti aspetterò >>, promise Elrohir.
Prolungò quei momenti il più possibile e, tra gli abbracci e i saluti, pose una domanda che attendeva paziente nella sua mente. << Dov'è Melwen? >>.
<< L'ho vista uscire poco fa >>, rispose Maedir, << Credo che voglia salutarti da sola >>.

Come previsto, Elrohir la incontrò ai confini della città, dove poco lontano Elladan e Gilraen erano ormai pronti a partire.
<< Infine la tua visione si è avverata >>, disse Elrohir.
Melwen accennò un sorriso. << Come spesso accade >>, disse.
Elrohir fece un passo avanti, riducendo la distanza che li separava. Sapeva di non avere molto tempo.
<< Ti farò una domanda. Sei libera di non rispondere, e anche di rimproverarmi di avertelo chiesto, ma lo farò ugualmente. Tu ed io ci rincontreremo? >>, chiese Elrohir.
Melwen alzò una mano e la poggiò delicatamente sul viso dell'elfo, tracciandone i lineamenti fino a soffermarsi sulle orecchie a punta. << Ho visto il nostro incontro, ma non so dirti se si tratti di un evento futuro o un semplice sogno. Il mio cuore mi inganna, e mai prima d'ora l'avvenire è stato così incerto >>.
<< Na lû n'i a-goveninc, muin Melwen >>, rispose Elrohir. A stento si accorse di aver parlato nella propria lingua, ma seppe con certezza che Melwen aveva capito.
La salutò con un bacio sulla guancia e, prima di voltarsi, si soffermò un'ultima volta con lo sguardo su di lei.
Quel giorno non ci furono lacrime: ognuno dei due ricordò l'altro con un sorriso per tutti gli anni a venire.

Elladan si guardò alle spalle ed ammirò la bellezza di Annùminas sotto una coltre di neve. Quando anche Elrohir montò a cavallo, i quattro partirono. Non ci furono squilli di trombe o grandi addii, solo il gelo ed il silenzio. I due elfi sollevarono i cappucci e Gilraen sistemò la coperta che proteggeva Aragorn dal freddo, ed il loro viaggio iniziò.
Infine si ritorna a casa, pensarono i gemelli all'unisono.


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Na lû n'i a-goveninc, muin Melwen: fino al nostro prossimo incontro, mia cara Melwen

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Ritorno a casa ***


Il viaggio proseguì senza sosta fino a notte inoltrata. Il vento era calato, ma il gelo era ancora intenso e penetrante. Per Gilraen la fatica era di gran lunga superiore a quella degli altri, in quanto doveva cavalcare portando in braccio il figlio, troppo piccolo per stare in sella da solo.
Elladan si era offerto di portare Aragorn con sé, ma il bambino non voleva in nessun modo separarsi dalla madre.
<< Fermiamoci qui >>, disse Gilraen ad un tratto.
Elladan sapeva che lei aveva sperato di poter arrivare a destinazione prima dell'alba, ma, se aveva chiesto una pausa, significava che ne aveva davvero bisogno.
Si fermarono ai piedi di un grande albero, le cui radici offrivano un comodo appoggio al riparo dalla neve.
<< Dobbiamo accendere un fuoco >>, disse Elrohir.
<< Se lo facciamo, segnaleremo la nostra presenza. Potremmo non superare la notte >>, rispose Elladan, sussurrando.
<< Se non lo facciamo, il bambino potrebbe morire di freddo >>, ribatté Elrohir.
A quel punto Elladan non poteva obiettare. << Vado a raccogliere la legna >>, disse, << Tu riposati, riesco a sentire che la tua ferita si è riaperta durante il viaggio >>.

Quando Elladan fu di ritorno, Aragorn si era già addormentato avvolto in due strati di coperte, mentre Elrohir distribuiva le magre provviste che avevano preparato per il viaggio. Ma l'unica cosa che diede loro un vero sollievo dalla fatica fu il calore del fuoco. Gilraen ringraziò Elladan per averle ceduto la sua coperta, ma non sembrò intenzionata a dormire.
Teme i sogni che potrebbero assalirla, pensò Elladan.
<< Siamo ormai vicini >>, disse l'elfo, << E più ci avviciniamo, più saremo al sicuro >>.
<< Una volta superata la notte >>, aggiunse Gilraen.
<< Sarò io di guardia >>, la rassicurò Elladan, << Nessuno si avvicinerà non visto >>.
Lanciò un'occhiata ad Elrohir che, appoggiato alla corteccia dell'albero ed avvolto nel mantello, appariva addormentato. Ma Elladan sapeva che l'elfo era in realtà vigile e pronto a cogliere qualsiasi rumore sospetto. Allo stesso tempo, poteva sentire l'eco dei suoi pensieri, rivolti a quello che si erano lasciati alle spalle ad Annùminas ed all'ultima parte del viaggio che li attendeva.
Elladan si massaggiò distrattamente la caviglia, un gesto istintivo quanto inutile, in quanto non aveva alcun potere su un dolore che non gli apparteneva.
<< Puoi sentire tutto quello che lui prova? >>, chiese Gilraen, guardandolo per la prima volta con una nota di curiosità.
Solo allora Elladan si rese davvero conto di quanto Gilraen fosse giovane. Conosce ben poco del mondo, eppure ha già conosciuto la sua parte peggiore, pensò.
<< Sì. Spesso le sensazioni più lievi, come questo dolore, sono le più difficili da distinguere: cessano di essere mie o sue e diventano nostre >>, rispose Elladan.
<< Lo stesso vale anche per i pensieri? >>, chiese Gilraen, affascinata dall'argomento.
<< Con i pensieri è diverso. Il dolore è impersonale e può essere condiviso senza timori. I pensieri, invece, appartengono soltanto a chi li crea. Le nostre menti sono collegate, ma molto diverse: io posso affacciarmi alla sua e lui alla mia, ma ad entrambi qualcosa è celato. I pensieri più reconditi restano al sicuro nelle profondità della mente, mentre a ciascuno di noi spetta decidere se affidarli alle parole oppure no >>, spiegò Elladan.
Gilraen aveva ascoltato attentamente. Probabilmente si stava chiedendo cosa avrebbe provato se avesse potuto condividere il suo dolore con qualcuno.
<< C'è qualcosa che posso fare per te? >>, chiese Elladan, desideroso di alleggerire il fardello che Gilraen portava sulle spalle.
<< Nulla che tu non stia già facendo, e di questo ti saremo sempre grati >>, rispose lei, lanciando una breve occhiata ad Aragorn.

Quando i primi raggi di sole iniziarono a schiarire il cielo, i viaggiatori erano già pronti a ripartire. Elladan era grato per aver trascorso una notte tranquilla, nonostante la linea di fumo che segnalava la loro presenza.
Tuttavia, non voleva sfidare ancora la sorte e propose di partire immediatamente, soluzione che Gilraen accettò senza esitazione.
Il piccolo Aragorn rese chiaro che avrebbe preferito restare dov'era, comodo e al riparo dal freddo, piuttosto che tornare in sella, dove ad ogni passo temeva di cadere. Ma non appena Elrohir ripeté l'esportazione della madre, il bambino ammutolì e fece come gli era stato chiesto.
<< Tuo figlio ha paura di noi? >>, chiese Elrohir a Gilraen poco dopo.
Questi sorrise brevemente, per la prima volta da quando avevano lasciato Annùminas, e rispose, << Non ha mai visto persone così alte e così diverse nell'aspetto rispetto a coloro a cui è abituato, per questo non ha ancora capito bene come comportarsi in vostra presenza >>.
Aspetta solo che incontri Elrond..., commentò Elrohir tra sé.

Elrond era nella Sala del Fuoco, intento a leggere un libro. Negli ultimi giorni quel luogo era diventato il preferito dagli abitanti di Imladris, in quanto il fuoco sempre acceso era una fonte costante di calore. Quel giorno il vento faceva tremolare anche le fiamme più grandi e fischiava attraverso le fessure delle ampie finestre.
Elrond tentò di concentrarsi sul testo che aveva di fronte, una poesia che in altre circostanze avrebbe sicuramente apprezzato. Ma, in quel momento, qualcos'altro occupava i suoi pensieri: un presentimento, uno di quelli che Elrond aveva imparato a non ignorare.
Per questo motivo, non appena venne avvertito dell'arrivo ai confini di Imladris di alcuni viaggiatori, interruppe all'istante la sua lettura ed uscì all'esterno.
Accadeva spesso, soprattutto in inverno, che dei viandanti passassero per Gran Burrone e chiedessero di poter usufruire dell'ospitalità del suo signore, il quale era ben lieto di offrire rifugio e assistenza. Ma, quel giorno, Elrond sapeva che non avrebbe incontrato degli anonimi viaggiatori.
Raggiunse le guardie che sorvegliavano la sponda est del fiume Bruinen, ormai del tutto ghiacciato. Tre cavalli, con altrettanti cavalieri, si accingevano ad attraversare il ponte che collegava le due rive del fiume e conduceva all'interno dei confini di Imladris.
Elrond dimenticò qualsiasi cosa, dal gelo che gli entrava nelle ossa alla presenza di una terza persona che non riusciva ad identificare.
Elladan fu il primo ad arrivare. Il suo sguardo si soffermò brevemente sulla magnifica vista di Imladris innevata, poi incontrò quello di Elrond. Smontò da cavallo e, per pochi istanti, sembrò indeciso su come approcciarsi.
Elrond fugò i suoi dubbi in un istante. Annullò la distanza che lo separava dal figlio e lo abbracciò, incurante di qualsiasi altra cosa. Non poteva esprimere in altro modo quanto fosse felice del loro ritorno. Saperli lì, al sicuro, a casa, lo ripagava di ogni preoccupazione che l'aveva tormentato negli ultimi anni.
Appena dopo venne il turno di Elrohir, che ricambiò l'abbraccio con calore. Anche loro erano felici di essere tornati, Elrond poteva sentirlo.
Sciolse l'abbraccio per poterli guardare negli occhi. I gemelli erano più diversi che mai: nei loro sguardi Elrond poteva vedere la gioia e il dolore, innumerevoli storie da raccontare e infine un'ombra, lasciata dal tempo sulle loro anime. Nel vederla provò un impellente desiderio di tenerli al sicuro, di concedergli una tregua da tutte le loro afflizioni.
<< Bentornati a casa >>, disse, affidando i suoi sentimenti a quelle tre semplici parole.
Entrambi sorrisero. << Siamo felici di essere qui >>, disse Elladan.
Elrond li scrutò attentamente, cercando di capire quali fossero le loro condizioni, ben consapevole che, se l'avesse chiesto direttamente a loro, avrebbero risposto in maniera non del tutto veritiera. Erano entrambi infreddoliti ed affaticati, ed Elrohir aveva una ferita ancora sanguinante all'altezza della caviglia, ma non sembrava nulla che richiedesse un intervento immediato.
<< Conosco questo sguardo: ci stai ispezionando >>, osservò Elrohir.
<< Siete sfuggiti alle mie ispezioni per troppo tempo, adesso non potete opporvi >>, rispose Elrond.
Elrohir ridacchiò. << Non oseremmo >>, disse.
Il terzo viaggiatore, che era rimasto in disparte fino a quel momento, si fece avanti. Elrond constatò che si trattava di una donna umana e, particolare che non aveva notato la prima volta, portava con sé un bambino.
<< Padre, lei è Gilraen, figlia di Dìrhael, e suo figlio Aragorn >>, li presentò Elladan.
<< Sono lieto di conoscervi >>, disse Elrond. Ho lasciato che restassero al gelo fino ad ora, si rimproverò.
<< Verrete accompagnati all'interno e, quando vi sarete riposati e riscaldati, parleremo. >>, stabilì Elrond e, vedendo che sia la donna che il bambino apparivano ancora cauti, aggiunse, << Siete sotto la mia protezione adesso, e nulla di male potrà capitarvi >>.
Gilraen chinò la testa in segno di rispetto. << Ti sono immensamente grata per il tuo aiuto >>, disse, << Le athae >>.
Elrond chiamò una delle guardie. << Trova loro una stanza e fa' che ricevano cibo e abiti adeguati >>, ordinò.
<< Hir vuin >>, rispose la guardia.

Non appena Gilraen ed Aragorn si furono allontanati, Elrond si rivolse ai suoi figli.
<< Quel bambino è il figlio di Arathorn? >>, chiese. Aveva conosciuto Arathorn quando aveva pressappoco quella stessa età e la somiglianza era innegabile.
<< Sì, ed è in grave pericolo >>, disse Elladan, << Suo padre è stato ucciso due giorni fa e questo è l'unico luogo in cui si troverà al sicuro >>.
Elrond ripensò ad Arathorn. Sembravano trascorsi pochi giorni da quando l'aveva visto l'ultima volta, e saperlo morto era difficile da concepire. << Com'è accaduto? >>, chiese.
<< Una freccia degli orchi >>, rispose Elrohir, << Noi eravamo al suo fianco, ma non siamo riusciti ad impedirlo. Poco dopo ci siamo messi in viaggio per venire qui, per rispettare l'ultima volontà di Arathorn e salvare la sua stirpe >>.
Elrond capì che dietro quelle parole c'era una storia più ampia, più dolorosa, per questo non fece altre domande in proposito.
<< So che in questo modo abbiamo messo in pericolo anche Imladris, ma... >>, disse Elladan.
<< Avete fatto la cosa giusta >>, lo interruppe Elrond. Li guardò entrambi negli occhi, affinché sapessero che ogni sua parola era sincera, e disse, << Sono fiero di voi >>.
Entrambi abbassarono lo sguardo, come se non fossero certi di meritare la sua approvazione. << Andiamo all'interno >>, disse Elrond, fingendo di non averlo notato, << Abbiamo tanto di cui parlare >>.

Elladan ed Elrohir furono accolti con affetto da tutti coloro che li conoscevano. Glorfindel versò persino una lacrima nel vederli, e fu l'unico in grado di distinguerli l'uno dall'altro. Elrond notò con orgoglio che anche chi aveva soltanto sentito parlare di loro era sinceramente felice che fossero tornati a casa sani e salvi.
Ma l'ora dei festeggiamenti non era ancora giunta. Infatti, Elladan ed Elrohir tornarono dal padre appena dopo aver salutato gli amici più stretti.
<< Vorremmo tornare nelle nostre stanze >>, disse Elladan.
Elrond poteva capirli: dopo un viaggio lungo e faticoso il loro primo desiderio non poteva che essere quello di riposare nei luoghi in cui più si sentivano al sicuro.
Le stanze di Elrohir ed Elladan, adiacenti, si trovavano a pochi passi da quella di Elrond e, un tempo, di Celebrìan. Sullo stesso corridoio, alloggiavano Gilraen ed Aragorn.
Elrond aveva fatto sì che le stanze dei suoi figli fossero lasciate com'erano al tempo della loro partenza, ma allo stesso tempo mantenute pulite e libere dalla polvere.
Prima di lasciarli per far visita a Gilraen, insistette per occuparsi della ferita di Elrohir, nonostante quest'ultimo gli avesse assicurato che non era nulla di cui doversi preoccupare.

Gli occhi esperti di Elrond riconobbero subito l'impronta della punta di una freccia, che aveva lasciato dietro di sé una scia di pelle lacerata in profondità, fin quasi all'osso. Elrond provò una fitta di profonda rabbia nei confronti di chiunque fosse stato a scagliare quella freccia.
<< C'era un principio di infezione, ma qualcuno è intervenuto prima di me >>, osservò.
<< Un amico >>, rispose semplicemente Elrohir.
<< È un ottimo guaritore >>.
<< Sarebbe immensamente felice di sentirtelo dire >>, disse Elrohir, con una nota di divertimento nella voce.
<< Allora spero di poterlo incontrare un giorno >>.
<< Lo spero anche io >>, rispose Elrohir, tornando serio.

Quando il sole aveva ormai iniziato la sua discesa nel cielo, Elrond bussò alla porta di Gilraen.
La donna lo invitò ad entrare e ribadì la sua gratitudine. La stanza era una delle più spaziose, con un ampio letto ed una culla, dalla quale Aragorn lo osservava con curiosità. Di muto accordo i due si spostarono dal lato opposto della stanza, in maniera che il bambino riuscisse a vederli, ma non ad ascoltare le loro parole.
<< Ho saputo della tua perdita e ne sono addolorato >>, disse Elrond.
<< Arathorn ha sempre parlato con affetto di te e di Imladris. Sono certa che sarebbe felice di saperci qui al sicuro >>, rispose Gilraen. Elrond non poté evitare di notare quanto la bellezza del suo viso fosse oscurata dalla tristezza nei suoi occhi. Il suo cuore è freddo come l'aria invernale, come... quello di Celebrìan dopo il Passo Cornorosso, pensò.
<< Ed io ricordo lui con lo stesso affetto >>, rispose l'elfo.
Gilraen lanciò un breve sguardo ad Aragorn, come per assicurarsi che fosse ancora lì, poi disse, << Non fingerò di non sapere quanto la nostra presenza qui vi sottoponga ad un grave rischio >>.
<< Apprezzo molto la tua onestà, e sarò felice di ricambiarla >>, rispose Elrond, << Ciò che hai appena detto sarebbe appropriato se voi foste dei normali ospiti che chiedono rifugio nei confini di Gran Burrone, ma non lo siete >>, poi indicò Aragorn, << Nelle sue vene scorre anche il mio sangue, e questo vi rende parte della famiglia, pertanto vi invito a considerare Imladris come una casa, non come un mero rifugio. Proteggerò Aragorn come proteggerei uno dei miei figli: con ogni mezzo >>.
Gilraen apparve vagamente sollevata dopo quella dichiarazione, ma era evidente che il suo stato d'animo era ancora inquieto. << Ho preso precauzioni per ridurre i rischi legati al nostro arrivo: siamo partiti in tutta segretezza e la nostra destinazione era nota a pochi >>, disse.
Elrond sospirò. << Temo che non sia sufficiente. Considerando che Aragorn resterà qui almeno fino all'età adulta, occorre prendere misure più durature >>.
<< Cosa proponi, quindi? >>, chiese Gilraen.
<< Terremo nascosta a tutti, anche a lui stesso, l'identità di Aragorn. Avrà un nuovo nome e non verrà a conoscenza della stirpe a cui appartiene >>.
Gilraen esitò. Era evidente che non gradiva l'idea, ma in cuor suo sapeva che era il modo migliore per proteggere suo figlio. << Sarà un sacrificio necessario >>, rispose.
Elrond guardò Aragorn, che intanto si era disinteressato a loro. Ogni volta che un bambino Dùnedain veniva portato a Gran Burrone, Elrond non riusciva a non notare che c'era qualcosa che tutti avevano in comune. Qualcosa di indefinibile, nello sguardo, che gli ricordava Elros. Ogni volta ripeteva a se stesso che erano passate troppe generazioni per notare ancora una somiglianza, ed ogni volta restava sorpreso. Negli occhi grigi di Aragorn, nella sua espressione concentrata mentre tentava di comprendere i discorsi degli adulti, c'era l'ultima essenza di Elros, il prodotto del suo sacrificio.
<< Lui è la nostra speranza >>, disse Elrond.
<< Speranza... >>>, mormorò Gilraen, improvvisamente pensierosa. << Estel >>, disse poi, << È questo il termine? >>.
<< Sì, è esatto >>, rispose Elrond.
<< Estel... >>, disse ancora una volta, come per verificarne il suono. << Potrebbe essere questo il nuovo nome di Aragorn >>.
<< Sono d'accordo >>, rispose Elrond.
Gilraen sorrise. Per la prima volta da quando era arrivata ad Imladris, sembrava davvero che avesse iniziato a sperare nel meglio.


Elladan si guardò allo specchio. Era tornato ad indossare gli abiti tipici di Imladris, con l'aggiunta del nastro annodato alla cintura, in ricordo di Saeliel. Si preparava ad uscire e, per la prima volta da quando era partito, non portava con sé il pugnale. Persino nella sicurezza dei confini di Annùminas, Elladan aveva sempre portato con sé un'arma. Ma adesso, tra le sale ed i giardini nei quali era cresciuto, non ne sentiva più il bisogno.
Era finalmente a casa.

Quella sera la cena fu servita nella sala principale. A capotavola sedeva Elrond, mentre i posti alla sua destra e sinistra erano riservati ad Elrohir ed Elladan. Di regola il posto a destra era destinato al figlio maggiore, ma nel caso dei gemelli quella consuetudine valeva ben poco. In passato Elrohir ed Elladan erano soliti scambiarsi di posto di tanto in tanto per il gusto di confondere gli altri commensali, che faticavano sempre di più a riconoscerli. Nel caso di sedute diplomatiche, invece, i gemelli erano ben lieti di cedere i posti più importanti a Glorfindel ed Erestor.
Quella sera Elrohir si sedette accanto a Glorfindel, mentre Elladan era tra Elrond e Gilraen. Aragorn, che sembrava essersi già ambientato, correva da un capo all'altro del tavolo, impegnato in un gioco con due dei commensali. Gli elfi erano felici di averlo con loro: i bambini erano così rari tra gli Eldar che la presenza di Aragorn era vista come una piacevole novità.
<< Sembra che si stia divertendo >>, osservò Elladan.
Gilraen annuì. << Apprezza questo luogo. Penso che lo faccia sentire al sicuro >>, disse.
<< Ed il suo nuovo nome? >>, chiese Elladan.
<< Si abituerà presto. "Estel" è una parola che riesce facilmente a pronunciare, a differenza di "Aragorn" >>, spiegò Gilraen.
Elladan ammirò la capacità di Gilraen di trovare un aspetto positivo anche in quella situazione. Rinunciare al nome di Aragorn significava anche rinunciare alla memoria di Arathorn, e della sua stessa famiglia. Era un prezzo equo per la sicurezza di Aragorn, di Estel, si corresse Elladan mentalmente, ma non per questo insignificante.

Estel, intanto, si accinse a tornare dalla madre. Mentre correva, inciampò nei suoi stessi piedi e cadde in avanti. Elladan fece per alzarsi, ma Gilraen lo fermò.
<< Lascia che si rialzi da solo >>, disse, << Dovrà cadere altre volte, ed il meglio che possiamo fare è insegnargli a rimettersi in piedi >>.
Estel, infatti, dopo qualche istante di perplessità, si alzò e continuò il suo tragitto, come se non fosse accaduto niente.
Questo dovrò tenerlo a mente, pensò Elladan.

Elrohir non si era mai accorto di quanto gli fosse mancata la musica. I Dùnedain avevano le loro melodie, e canzoni per ogni occasione, ma i ritmi e l'intensità della musica elfica erano unici. Un tempo Elrohir sapeva suonare, mentre Elladan componeva splendide poesie. Negli ultimi anni non ci siamo dedicati a nessuna arte che non fosse quella della guerra, pensò Elrohir con una punta di amarezza.
Durante la cena ebbe modo di rivedere dei vecchi amici, volti familiari che gli riportavano alla mente la sua infanzia. Uno di loro fu Teliadir, che si preparava a lasciare nuovamente Imladris. Elrohir ascoltò i suoi racconti di viaggio e ne raccontò di propri, menzionando di aver conosciuto Daven e Dareon, nomi che Teliadir avrebbe certamente ricordato. L'elfo fu felice di avere notizie di coloro che aveva aiutato, ma non seppe mai della tragedia che aveva colpito quella famiglia non molto tempo dopo. Daven l'aveva raccontato ad Elrohir in confidenza, e questi non aveva intenzione di violare la sua fiducia, neanche dopo la sua morte. Inoltre, era certo che Teliadir si sarebbe attribuito la colpa di non aver fatto abbastanza per aiutarli. Per questo, Elrohir non menzionò il nome di Gelion e Teliadir, per tacito accordo, non chiese di lui.

Gilraen fu la prima a ritirarsi per la notte. Estel era sul punto di addormentarsi e anche lei iniziava a sentirsi stanca. Poco dopo Elladan ed Elrohir fecero lo stesso. Difficilmente l'avrebbero ammesso, ma anche loro avevano accumulato una buona dose di stanchezza.
Elrond osservò mentre uno ad uno i posti si svuotavano, la musica cessava e le voci diventavano mormorii. L'elfo restò al suo posto a sorseggiare vino, sereno come di rado era stato in vita sua.
Glorfindel sembrava dello stesso umore, Elrond poteva percepirlo.
<< Adesso che Estel è qui dobbiamo far recintare lo stagno >>, disse Elrond, riflettendo ad alta voce, << Non voglio che si ripeta quello che è accaduto con Elrohir ad Elladan >>.
<< All'epoca proponesti di prosciugarlo >>, rispose Glorfindel.
<< Per adesso recintarlo andrà bene >>, disse Elrond.
<< Estel ti ricorda loro. Per questo vuoi proteggerlo >>, osservò Glorfindel.
<< È un bambino innocente, non ho bisogno di un motivo per volerlo proteggere >>, rispose Elrond, con una nota di rimprovero nella voce.
Ma Glorfindel lo conosceva troppo bene per lasciarsi intimidire. << Istinto paterno? >>.
<< Non sono suo padre >>.
<< Potresti diventarlo >>, suggerì Glorfindel.
<< Abbiamo ospitato altri bambini Dùnedain in passato. Per loro sono stato un mentore e un protettore, ma mai un padre. Questa volta non è diversa >>, disse Elrond.
<< Gli altri avevano già un padre, Estel non ce l'ha >>.
Elrond sospirò. << Non credo che sarei un buon genitore per lui >>, confessò.
<< Ci sono prove del contrario. Tre, per la precisione... >>, disse Glorfindel.
<< Elrohir, Elladan ed Arwen >>, lo anticipò Elrond, << Sono fiero di loro, ma da quando Celebrìan non c'è più le mie decisioni non hanno portato a nulla di buono. Sento di aver perso le redini >>.
<< Dal mio punto di vista, sei tu ad aver tenuto le redini fino a questo momento >>, disse Glorfindel. Elrond sollevò lo sguardo ed incrociò il suo, per convincersi della sua sincerità. Avere dei momenti di insicurezza era inevitabile, ma per Elrond era importante che tutti coloro che facevano affidamento su di lui lo vedessero sempre sicuro e fiducioso. Solo a Glorfindel, di tanto in tanto, era permesso di guardare oltre la superficie. I suoi consigli erano saggi e onesti, e in un modo o nell'altro mostravano ad Elrond un punto di vista al quale non aveva pensato prima.
<< Se non ti sbagli, significa che dovrò tenere le redini ancora un po'. E, forse, insegnare ai miei figli a fare lo stesso. In futuro uno di loro, se non entrambi, potrebbe prendere il mio posto >>, disse Elrond. E anche se questo è l'ultimo dei loro pensieri, non è l'ultimo dei miei, aggiunse tra sé.

Elladan sospirò. Era trascorso un anno da quando era tornato a Gran Burrone e suo padre aveva deciso che lui ed Elrohir avrebbero dovuto essere più responsabili. Il che significa, a quanto pare, trascorrere ore intere davanti a pile di documenti o presiedere ad interminabili riunioni.
L'elfo guardò la pergamena di fronte a sé. Lettere a cui rispondere, decisioni da prendere, documenti da ricopiare e nessuna gratificazione. Elladan guardò attraverso la finestra socchiusa e, osservando la posizione del sole, fece un breve calcolo del tempo trascorso da quando aveva iniziato il lavoro. Credo sia ora che Elrohir prenda il mio posto, pensò.
Si diresse verso il giardino a nord, dove sapeva che avrebbe trovato Elrohir ed Estel. Il bambino Dùnedain cresceva a vista d'occhio, mentre tutto attorno a lui restava invariato. Il suo passo era più sicuro ed il suo parlato più articolato, anche se non aveva ancora imparato a distinguere tra la Lingua Comune ed il Sindarin: il risultato era che Estel parlava con un buffo misto tra le due lingue, in grado di strappare un sorriso a chiunque lo ascoltasse.
In quel periodo non c'erano altri bambini a Gran Burrone, per cui erano stati Elladan ed Elrohir ad assumere il ruolo di compagni di giochi. I gemelli erano felici di tornare ad essere dei fratelli maggiori, come lo erano stati per Arwen tanto tempo prima.
Estel era sensibile ed attento ad ogni cosa che lo circondava, era pieno di energie e rapido a sorridere. Non aveva memoria della morte del padre e della fuga da Annùminas, ma in qualche modo quegli eventi l'avevano comunque segnato. A volte era impaurito senza essere ben consapevole del perché e spesso sognava di dover fuggire, senza sapere chi o cosa lo stesse inseguendo.
Nonostante il rapporto di affetto e fiducia che stava costruendo con Elrohir ed Elladan, era da Elrond che Estel cercava rifugio e conforto quando era inquieto. Elrond sapeva di essere una fonte di sicurezza per il bambino, e ben presto aveva scoperto il metodo più efficace per rassicurarlo: raccontare storie. L'elfo conosceva un'infinità di favole, canzoni e leggende, ed Estel amava ascoltare. Era ancora troppo presto per insegnargli a leggere, ma Elrond era certo che in futuro avrebbe apprezzato la grande quantità di libri di cui disponevano a Gran Burrone.

<< Dov'è Estel? >>, chiese Elladan, fingendo di non vedere i piccoli piedi che spuntavano tra le foglie di una pianta. Giocare a nascondersi era uno dei passatempi preferiti di Estel.
<< Non lo so >>, rispose Elrohir, complice, << Non riesco a trovarlo da nessuna parte >>.
<< Hai provato a cercarlo da quella parte? >>, suggerì Elladan, indicando la pianta.
<< Ottima idea, forse lo troverò lì... >>.
Elrohir si avvicinò di soppiatto. << Non sapevo che avessimo una pianta con i piedi >>.
Solo allora Estel saltò fuori dal nascondiglio nell'imitazione di un agguato. << Sono io! >>, disse, ridendo.
<< Ah, finalmente! >>, esclamò Elrohir.
Estel vacillò mentre tentava di liberarsi da un arbusto nel quale era rimasto impigliato. Ci riuscì restando in piedi, ma portò con sé delle foglie secche tra i capelli. Elladan non poté che sorridere a quella vista.
<< 'Dan, giochi anche tu con noi? Adesso tocca a 'Ro nascondersi >>, disse, non appena vide Elladan.
<< Elrohir adesso deve finire un lavoro >>, spiegò Elladan, lanciando uno sguardo solidale al fratello.
<< È vero >>, confermò Elrohir, << Ma ci rivedremo presto >>.
Il sorriso di Estel si affievolì. Non gli piaceva l'idea che il gioco finisse.
Dopo che Elrohir se ne fu andato, Elladan s'inginocchiò per arrivare all'altezza di Estel e gli tolse le foglie dai capelli. << Cosa vorresti fare adesso? >>, chiese.
In fondo Elladan sapeva che Elrohir era il più bravo a rapportarsi con i bambini, forse grazie al tempo che aveva trascorso con Edeniel, la figlia di Maedir.
<< Andiamo nella stanza grande? >>, chiese Estel, dopo un breve momento di riflessione.
<< Certamente. E come vorresti arrivarci? >>, disse Elladan.
Estel lo guardò interdetto.
<< Intendo dire: camminando o volando? >>, specificò Elladan.
Lo sguardo di Estel s'illuminò a quella proposta. Da sempre aveva amato guardare le cose dall'alto, dalle finestre o semplicemente dalle spalle di qualcuno. Allungò le mani, nel gesto che universalmente esprimeva la richiesta di essere preso in braccio, ed Elladan lo fece sedere sulle proprie spalle. Anche senza vederlo, riusciva a percepire la sua felicità e ne fu subito contagiato. Sapeva che anche Elrohir, pur non essendo presente, avrebbe sentito quella stessa gioia.
Mio caro Estel, quando imparerai il significato del tuo nome, capirai che non ti è stato assegnato invano.

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Risposte ***


Buona sera a tutti e buone feste.
Come piccolo regalo di Natale, posterò il prossimo capitolo prima dell'anno nuovo. Nel frattempo.... buona lettura!

Elladan ed Elrohir attraversarono il corridoio che conduceva allo studio di Elrond. Era una piovosa sera di primavera e, nonostante il clima fosse mite, la pioggia non accennava a diminuire.
I due elfi restarono sulla soglia, in attesa di essere invitati ad entrare. Elrond appariva immerso nei suoi pensieri, lo sguardo rivolto verso la finestra che dava sui giardini sottostanti, e in un primo momento non si accorse della loro presenza.
<< Ada? Volevi vederci? >>, esordì Elladan.
<< Sì, entrate >>, disse Elrond.
Ai gemelli bastò un'occhiata per sapere che c'era qualcosa che non andava. Il giorno seguente sarebbero partiti con Estel per una visita ai dintorni di Imladris, la prima da quando erano arrivati quasi tre anni prima. Gli elfi avevano concordato che Estel avrebbe avuto bisogno di conoscere luoghi nuovi e di vedere il mondo al di fuori di Gran Burrone. Naturalmente erano tutti ben consapevoli dei rischi ed avevano pianificato quell'uscita in maniera che fosse del tutto sicura. Il sentiero che avrebbero percorso, infatti, era troppo vicino ai confini per essere considerato pericoloso e, per fugare ogni dubbio, era stato pattugliato appena poche ore prima.
<< Volevo parlarvi prima che partiste >>, disse Elrond.
<< Qualcosa ti preoccupa? >>, chiese Elrohir.
Elrond non rispose immediatamente ed Elrohir ebbe l'impressione che stesse valutando cosa dire.
<< Sedetevi ed ascoltate >>, disse.
I gemelli obbedirono, prendendo posto ai lati della scrivania, mentre Elrond restò in piedi ed iniziò a raccontare.
<< Voi sapete che io ho a lungo combattuto sotto il comando di Gil-Galad >>.
<< Conosciamo bene le sue gesta, ma la tua modestia ci ha impedito di conoscere anche le tue >>, rispose Elladan.
Elrond non prestò attenzione a quell'osservazione ironica. << Gil-Galad ispirava fiducia e devozione in chiunque lo conoscesse. Elros ed io abbiamo combattuto sotto il suo comando sin dalla nostra prima battaglia, abbiamo imparato da lui e ci siamo sentiti fieri di essere suoi discendenti. Dopo che mio fratello divenne il Primo Re di Nùmenor, io diventai il consigliere di Gil-Galad e restai al suo fianco per molti anni ancora, fino all'Ultima Alleanza tra Elfi e Uomini. Ne seguì una guerra feroce, i cui eventi voi già conoscete. Ma c'è una parte della storia che non ho mai raccontato e che ritengo sia ora che voi conosciate. Prima, tuttavia, ho bisogno della vostra parola che non rivelerete mai a nessuno cosa vi dirò, a nessuno e per nessun motivo >>.
Elrohir ed Elladan si scambiarono un breve sguardo, entrambi leggermente irrequieti.
<< Hai la mia parola >>, disse Elrohir.
<< Ed hai la mia >>, aggiunse Elladan.
Solo allora Elrond proseguì nel suo racconto.
<< Gil-Galad aveva stabilito che io avrei dovuto guidare una parte dell'esercito nell'Eregion, mentre lui avrebbe affiancato Elendil e l'esercito dei Dùnedain. Appena prima che ci separassimo, Gil-Galad mi rivelò che egli era il custode di Vilya, uno dei Tre Anelli Elfici, gli unici ad essere stati forgiati senza l'influenza malvagia di Sauron. Era importante che l'identità dei custodi degli Anelli restasse nascosta e, infatti, in un primo momento non capii perché Gil-Galad avesse deciso di rivelare un tale segreto. Poi tutto divenne chiaro: Gil-Galad aveva intenzione di affidare a me Vilya. Promisi di tenere al sicuro l'Anello durante la battaglia ma anche che glie l'avrei restituito al termine della stessa. Tuttavia, come ben sapete, Gil-Galad morì combattendo. Dopo la sua morte in molti si aspettavano che diventassi il suo successore, ma io rifiutai quello che era stato il suo titolo. In seguito tornai a Gran Burrone ed utilizzai il potere di Vilya per proteggerla >>.
Quando Elrond ebbe finito di parlare, nella stanza calò il silenzio.
Elladan tentò di mettere ordine tra i propri pensieri e tra le centinaia di domande che avrebbe voluto porre, ma non era un compito facile e, a renderlo ancora più arduo, c'era un'ondata di risentimento che proveniva da Elrohir.
Elladan capiva il motivo della sua irritazione, egli stesso ne condivideva una parte, ma era anche consapevole che quello non era il momento adatto per esternarla.
<< Perché non ce l'hai detto prima? Non ti fidavi abbastanza di noi? >>, chiese Elrohir.
Elladan gli lanciò uno sguardo di rimprovero. Ricordava fin troppo bene cosa era accaduto quando Elrond li aveva informati della decisione di Celebrìan di andarsene e non voleva che una simile situazione si ripetesse.
Ma ad Elrond non sfuggì l'astio nella voce di Elrohir e apparve sinceramente turbato dalla sua insinuazione. << Vi affiderei la mia stessa vita senza pensarci due volte, ma questo è diverso. Se fino ad ora non vi ho rivelato qualcosa che avrebbe potuto mettervi in pericolo l'ho fatto soltanto per il vostro bene. È vero che i Tre Anelli non sono stati toccati dal male, ma è anche vero che l'Unico Anello è stato forgiato per dominare tutti gli altri e nessuno di noi sa cosa accadrebbe se Sauron tornasse in suo possesso >>, rispose Elrond.
<< L'Anello è andato perduto dopo la morte di Isildur >>, osservò Elrohir.
<< È vero, e dobbiamo pregare che non venga mai ritrovato >>.
<< Se invece venisse trovato... Questo potrebbe metterti in pericolo? >>, chiese Elrohir. Il suo tono di voce era cambiato, adesso che si era reso conto di quanto la sua rabbia fosse stata male indirizzata.
<< Non è per me stesso che sono preoccupato >>, rispose Elrond.
<< Ma lo siamo noi >>, intervenne Elladan, << Pertanto vogliamo sapere il più possibile. Dove si trova Vilya adesso? >>.
<< Porto l'Anello al dito dal giorno in cui mi fu affidato. Lo tolgo molto di rado >>, rispose Elrond. Detto questo, si sfilò l'Anello e lo mostrò ai suoi figli. Elladan ed Elrohir osservarono sbalorditi quell'anello che era sempre stato lì, in vista ed allo stesso tempo celato. Erano stati consapevoli della sua presenza, ma solo in quel momento riuscivano davvero a vederlo. Vilya era perfetto in ogni aspetto: una banda d'oro con uno zaffiro incastonato, di un blu intenso, finemente levigato.
Elrond anticipò la domanda che stava per ricevere e disse, << Il potere di Vilya è quello di preservare e curare e, così come gli altri due Anelli, riesce a celare se stesso dallo sguardo di chiunque non sia un Portatore. Per questo è passato inosservato fino a questo momento >>.
Elladan ammirò l'Anello e si chiese come fosse possibile per un oggetto così piccolo contenere un potere così grande da influenzare l'intera valle di Imladris.
<< È Vilya la fonte delle tue abilità di guaritore? >>, chiese Elladan.
Elrond apparve vagamente divertito dalla domanda. << Le mie abilità di guaritore sono il frutto di tanto studio e tanta esperienza, ma nei casi più gravi mi servo di Vilya per fare cose che normalmente sarebbero al di fuori della mia portata. Quando vostra madre tornò dal Passo Cornorosso, utilizzai Vilya per trasferire parte della mia stessa energia vitale in lei e salvare così la sua vita >>.
Erano trascorsi tanti inverni da quegli eventi, ma il dolore era ancora vicino, come se avesse definitivamente impregnato l'aria.
<< Ma c'è ancora qualcosa che non mi è chiaro >>, disse Elladan, nel tentativo di allontanare i loro pensieri da ricordi così tristi, << Perché hai deciso di dircelo proprio adesso? >>.
<< Perché qualcosa sta per cambiare >>, rispose Elrond, << Avverto un grande male, qualcosa che sta per accadere e che riguarderà noi tutti. Devo consultarmi con gli altri custodi degli Anelli, Galadriel e Mithrandir, per decidere cosa fare >>.
<< Mithrandir è in possesso di uno degli anelli elfici? >>, chiese Elladan, sorpreso. Come tutti gli altri eldar, egli conosceva e rispettava lo stregone, ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere il custode di un oggetto così importante.
<< Mithrandir è un amico degli Elfi da così tanto tempo che abbiamo iniziato a considerarlo come uno di noi. Fu Cìrdan ad affidargli l'Anello >>, disse Elrond.
<< Non oserei dubitare del giudizio di Cìrdan >>, disse Elladan, << Così come non dubito di quello di Gil-Galad >>.
Elrond rispose a quel velato complimento con un sorriso. << Gli eventi che verranno ci diranno se le tua fede in me è ben riposta >>, disse. Poi si rivolse anche ad Elrohir ed aggiunse, << Prevedo di partire per Lòrien alla prossima luna. In mia assenza dovrete occuparvi di Estel e svolgere alcuni compiti per mio conto >>.
<< Noi vorremmo venire con te >>, disse Elrohir, dopo aver lanciato un'occhiata ad Elladan per avere conferma di potersi esprimere anche per lui, << È da tanto tempo che non vediamo Arwen e vorremmo farle visita il più presto possibile >>.
<< So che anche voi siete impazienti di andare a Lòrien, ma vi chiedo di aspettare ancora un po'. Estel non è così sereno come appare in superficie e temo che, se andassimo via tutti allo stesso tempo, ne soffrirebbe molto >>, disse Elrond.
I due elfi non poterono obiettare a quello che entrambi sapevano essere vero. Estel aveva bisogno di loro e forse erano anche loro ad aver bisogno di lui.
<< Mancano poche ore all'alba: vi consiglio di impiegarle per riposare in vista della lunga giornata che vi aspetta domani. Avremo modo di continuare questa conversazione quando avremo più tempo da dedicarvi >>.
Se crede che riusciremo a dormire dopo quello che ci ha detto..., pensò Elladan.

La mattina successiva, dopo un'intera notte di pioggia, il sole sorse in un cielo limpido. Estel fece irruzione nella camera di Elrohir alle prime luci dell'alba, già pronto a mettersi in cammino. Elrohir aveva trascorso una buona parte della notte a riflettere sulla conversazione della sera precedente e, poco tempo prima che la porta si aprisse, aveva tentato di prendere sonno.
Tentativo inutile, pensò.

<< 'Ro, stai dormendo? >>, chiese Estel.
<< No, non più >>, rispose Elrohir.
<< Allora perché sei steso sul letto? >>.
Elrohir dovette riconoscere la sensatezza di quella domanda. << Forse dovresti andare da Elladan e controllare che sia pronto >>, suggerì.
<< Ci sono appena andato, e mi ha detto la stessa cosa che hai detto tu >>, rispose Estel.
<< D'accordo, allora vai ad aspettarci nella sala principale >>, disse Elrohir.
La felicità di Estel era contagiosa e incontenibile, così intensa che sembrava portare luce ovunque egli si trovasse.
<< Va bene, 'Roir, ma fai presto >>, disse Estel.
<< Dimentichi qualcosa? >>.
<< Fai presto, "per favore" >>.
Detto questo corse via con lo stesso entusiasmo con cui era entrato. Almeno adesso il mio nome ha guadagnato altre due lettere, osservò Elrohir.

Il cammino iniziò da un sentiero in salita, contornato da una fitta vegetazione. Il terreno era ancora umido e fangoso a causa della pioggia della notte precedente e di tanto in tanto erano visibili le impronte degli elfi che l'avevano pattugliato ore prima. Nonostante tutte le precauzioni, sia Elrohir che Elladan portavano la spada al fianco, ben preparati a qualsiasi evenienza.
Estel li precedeva di qualche passo, osservando ogni cosa con meraviglia, incurante di qualsiasi pericolo. Nella sua mente non c'era spazio per alcuna preoccupazione.
<< Ho ripensato a ieri >>, disse Elrohir, dopo essersi assicurato di non essere alla portata dell'orecchio di Estel, << Nostro padre vuole che restiamo qui e le sue ragioni sono più che valide, ma ancora una volta si preoccupa per gli altri più che per se stesso. Il viaggio verso Lòrien è pericoloso, come in passato abbiamo constatato in prima persona, e Vilya ci ha già dato un avvertimento. Ada non ammetterà mai di aver bisogno del nostro aiuto, ma io preferirei che almeno uno di noi lo accompagni >>.
<< Anche io ho pensato la stessa cosa >>, rispose Elladan, << E mi trovo d'accordo con quanto hai detto >>.
<< Allora non ci resta che decidere chi di noi dovrà partire >>, disse Elrohir.
<< Credo che dovresti andare tu >>, disse Elladan, dopo un breve momento di silenzio.
Elrohir, che non si era aspettato una risposta così rapida, guardò il fratello con tono interrogativo.
<< Sai quanto io sia impaziente di rivedere Arwen, ma pensavo che tu avessi anche un altro motivo per voler tornare a Lòrien >>, disse Elladan.
<< Thiliel si trova lì >>, concluse Elrohir. Anche solo pronunciare il suo nome gli suscitava sentimenti contrastanti.
<< Pensavo che volessi vederla >>, disse Elladan, che improvvisamente non sembrava più così sicuro.
<< È così >>, rispose Elrohir, << Ma una parte di me teme il momento del nostro incontro >>.
<< Hai affrontato situazioni ben più ardue >>, disse Elladan, << Confido che riuscirai anche in questa >>.

Il sentiero li condusse sempre più in alto, fino a quando non riuscirono a vedere l'intera valle di Imladris sotto di loro. Quella vista, emozionante persino agli occhi degli elfi, per Estel era sbalorditiva. Il bambino, che non conosceva nulla al di fuori del luogo in cui aveva trascorso gli ultimi tre anni, restò estasiato nello scoprire un mondo così vasto.
<< Guarda, lì ad ovest si trova l'Eriador, e quello è il Fiume Bianco; ad est, invece, c'è l'Antica Via Silvana, che conduce al Bosco Atro >>, disse Elladan, indicando uno ad uno i luoghi che nominava. Estel ascoltò con estrema attenzione, soffermandosi con lo sguardo sull'imponente catena montuosa, di cui non si riusciva a vedere la fine.
<< Cosa c'è oltre? >>, chiese, aguzzando lo sguardo nel tentativo di guardare più lontano.
<< Tantissime cose. Quando torneremo a casa ti farò vedere una mappa, così la prossima volta che verremo qui sarai tu a dirmi i nomi dei luoghi >>, rispose Elladan.
Estel annuì, entusiasta dell'idea.

Poco dopo gli elfi decisero di fare una pausa prima di rimettersi in cammino per tornare indietro. Per Estel, tuttavia, il concetto di riposo era leggermente diverso. Anche solo convincerlo a restare seduto non era un'impresa facile, ed Elrohir dovette ricorrere ad un espediente. Raccolse dei bastoncini di legno e qualche filo d'erba e chiese ad Estel se sarebbe stato in grado di usarli per costruire una piccola capanna. Il bambino raccolse la sfida e, qualche attimo dopo, era già completamente concentrato sul compito.
<< Questo lo terrà occupato per un po' >>, disse l'elfo.
<< Era lo stesso passatempo che avevamo noi da bambini >>, commentò Elladan
Elrohir annuì. << Ricordi quando facevamo a gara a chi riusciva per primo a costruire una capanna che stesse in piedi? >>.
<< Ricordo che tu distruggesti la mia >>, disse Elladan.
<< E tu mi inseguisti armato di un bastoncino di legno >>, aggiunse Elrohir, << Nostra madre dovette separarci >>.
Elladan ripercorse con una punta di nostalgia quel ricordo sbiadito dal tempo. << Estel ci riporta nel passato ed allo stesso tempo ci mostra il futuro >>, osservò.
Nel frattempo Estel aveva quasi completato la sua costruzione e si stava dirigendo verso un cespuglio.
<< Cosa stai facendo? >>, chiese Elrohir.
<< Mi servono dei rami più grandi per fare il tetto >>, spiegò Estel, che intanto era quasi del tutto scomparso tra le foglie.
Elrohir lo seguì con lo sguardo, controllando che non si allontanasse troppo.
<< C'è... qualcosa >>, mormorò Estel, presumibilmente riferendosi a qualcosa che aveva visto nel cespuglio.
Elrohir lo raggiunse in un attimo e si inginocchiò nel tentativo di vedere quello che lui vedeva. Per prima cosa udì un ronzio, il genere di rumore che non poteva preannunciare nulla di buono. Poi, un'immagine che sembrava la materializzazione di una delle sue paure: Estel, attratto da quell'insolito rumore, tendeva una mano verso un alveare, mentre le api che lo abitavano si preparavano a difendersi dall'intruso.
Elrohir lo tirò via, ignorando le sue proteste e, proprio mentre lo sciame d'api si alzava in volo di fronte a loro, iniziò a correre.
Elladan, che un attimo prima aveva percepito la sua agitazione, era stato sul punto di chiedere qualcosa, ma si era fermato non appena aveva visto da cosa i due stavano fuggendo. Gli elfi, con Estel in braccio ad Elrohir, corsero nella direzione da cui erano arrivati, a stento consapevoli che, nella fretta di allontanarsi, avevano abbandonato il sentiero che segnava la via più sicura. Tuttavia, in quel momento, nessuno sembrò preoccuparsene. La via che fino a quel momento avevano percorso in salita, adesso era tutta in discesa, e percorrerla di corsa divertiva non soltanto Estel.
Presto gli elfi si lasciarono alle spalle le api, ma continuarono la loro corsa, godendosi il sole e il vento, come avevano fatto tante volte in passato.
Tuttavia, per Elrohir, quel breve momento di serenità s'interruppe bruscamente. Al di fuori del sentiero la vegetazione era fitta e, sebbene fosse attento e vigile, non fece in tempo a notare quello che un tempo era stato un laghetto e che adesso era un misto di acqua stagnante e fango. All'ultimo istante prima di sprofondare nel terreno umido e finire direttamente nel pantano, Elrohir cercò un appiglio, ma non avrebbe comunque potuto far nulla senza lasciare andare Estel.

Elladan si fermò appena in tempo per non cadere a sua volta e per avere una chiara visuale di Elrohir immerso fino alla vita nel pantano, mentre teneva sollevato Estel nel vano tentativo di mantenere almeno lui pulito.
Ma il bambino non sembrava preoccupato di sporcarsi. Al contrario, sembrava trovare quella situazione particolarmente divertente.
<< Non c'è nulla da ridere >>, disse Elrohir, irritato.
<< Ma guardaci >>, rispose Estel, come per evidenziare lo stato in cui entrambi si trovavano, completamente ricoperti di fango.
Ben presto anche Elrohir colse la ridicolaggine del momento e reagì come avrebbe fatto quando aveva avuto l'età di Estel.
Con l'aiuto di Elladan, i due uscirono dal pantano. << Credo sia arrivata l'ora di tornare a casa >>, disse Elladan.
Elrohir non aveva mancato di notare come suo fratello era stato attento a mantenersi pulito anche mentre offriva il suo aiuto. Decise di approfittare dell'occasione.

<< Estel, non ti sembra che Elladan si senta un po' solo? >>, disse Elrohir.
Estel lo guardò, senza capire a cosa si riferisse.
<< Credo che abbia bisogno di un abbraccio >>, specificò allora Elrohir.
Estel realizzò all'istante. << Hai ragione >>, disse, e si diresse verso Elladan a braccia aperte.
<< Non c'è bisogno >>, si affrettò a dire Elladan, indietreggiando.
<< Vuoi forse dire che non vuoi un abbraccio dai tuoi fratelli preferiti? >>, disse Elrohir, fingendosi offeso.
Elladan non fece in tempo a rispondere che si ritrovò stretto in un caloroso abbraccio tra Elrohir ed Estel, entrambi attenti a sporcarlo il più possibile.
Nessuno dei due elfi fece caso alla naturalezza con cui Elrohir aveva usato la parola "fratelli" e nessuno notò il leggero cambio di espressione di Estel nell'udire quel termine.

<< Porterò dieci uomini con me a Lòrien >>, disse Elrond.
L'elfo incaricato di portare a termine gli ultimi preparativi per la partenza ribatté, << È prudente, mio signore, viaggiare con appena dieci uomini? >>.
Piuttosto mi chiedo se sia prudente privare Imladris di dieci spade e archi, pensò Elrond, ma rispose, << Basteranno >>.

<< In mia assenza risponderete ai miei figli >>, aggiunse, << La loro autorità avrà lo stesso valore della mia >>.
Poco dopo, quasi a sottolineare la sua affermazione, vide che Elrohir, Elladan ed Estel erano di ritorno in anticipo rispetto a quanto stabilito.
Tuttavia, le condizioni in cui erano tornati erano a dir poco discutibili. Tutti e tre, in particolare Elrohir ed Estel, erano ricoperti da capo a piedi di quello che sembrava essere fango. Quando incrociarono lo sguardo di Elrond, i gemelli abbassarono il proprio, con un'espressione tra il divertito e il colpevole, mentre Estel lo salutò con la mano, visibilmente entusiasta di quello che era successo, qualsiasi cosa fosse.
Elrond avrebbe dovuto rendere chiara la sua disapprovazione, ma per qualche motivo riuscì soltanto a sorridere, segretamente felice del fatto che i suoi figli fossero ancora in grado di apprezzare un semplice divertimento infantile.

Alcune ore dopo, quando le ultime luci del tramonto erano ormai scomparse, Gilraen soffiò sull'ultima candela ancora accesa nella stanza e si mise a letto. Di recente Estel aveva iniziato a dormire con lei, dopo aver deciso di essere troppo grande per la culla. Presto avrebbe chiesto un letto tutto per sé.
<< Mamma? >>, sussurrò Estel.
Gilraen si voltò verso di lui e constatò che non accennava a volersi addormentare.
<< Dimmi >>, rispose.
<< Dov'è la mamma di 'Ro e 'Dan? >>.
Gilraen restò interdetta. Estel, come tutti i bambini della sua età, faceva domande in continuazione e su qualsiasi argomento, e Gilraen era sempre pronta a dissipare i suoi dubbi. Ma quella volta la domanda fu più difficile del previsto.
<< Se n'è andata >>, rispose, dopo qualche istante di esitazione.
<< Dove? >>, insistette Estel.
<< Non lo so >>, disse Gilraen.
<< Posso chiederlo a loro? >>.
<< Di alcune cose è meglio non parlare. Se glielo chiedi potrebbero diventare tristi >>, spiegò Gilraen
<< Non voglio che siano tristi >>, si affrettò a dire Estel.
<< Allora saranno loro a parlartene quando saranno pronti >>.
Gilraen iniziava a credere che Estel avesse terminato le domande, ma capì presto di sbagliarsi.
<< Il mio papà se n'è andato come la mamma di 'Ro e 'Dan? >>, chiese il bambino.
Gilraen fu sorpresa da quella domanda. Estel non ricordava suo padre e di questo lei era stata grata, sapendo che non ne avrebbe sentito la mancanza. Tuttavia tentare di spiegare il concetto di morte ad un bambino di cinque anni restava un'impresa ardua e delicata.
<< Perché pensi questo? >>, chiese Gilraen, sperando di poter così evitare l'argomento.
<< Perché tu diventi sempre triste quando qualcuno parla di lui >>, disse Estel.
Gilraen restò senza parole. Dovette ammettere di aver sottovalutato la capacità di osservazione di Estel.
<< Questo... questo è un argomento molto difficile. Te ne parlerò quando sarai più grande, te lo prometto >>, disse Gilraen, sforzandosi di controllare la propria voce.
Ringraziò mentalmente di aver spento la luce così che Estel non potesse vedere le lacrime che stava cercando di trattenere.
<< Buona notte, nana >>.
<< Buona notte... Estel >>.


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Nana: mamma

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Assenza ***


Buon anno a tutti! Come promesso sono riuscita a pubblicare l'ultimo capitolo del 2015.
Buona lettura!
 
Era il giorno precedente alla partenza, quando Elrond si accorse di avere una seconda ombra che lo seguiva ovunque andasse. Si trattava di Estel.
Elrond sapeva che il bambino non aveva preso bene la notizia della sua partenza e che quello era il suo modo di esprimere quanto l'idea lo intimorisse, pertanto finse di non notare quel comportamento insolito
Estel smise brevemente di seguirlo in una sola occasione: quando Elrond entrò nell'armeria per prendere la propria spada. Il bambino sapeva bene che quel luogo era assolutamente proibito e sapeva che infrangere un divieto in presenza di Elrond non avrebbe portato a nulla di buono.
Elrond rivolse ad Estel un sorriso di approvazione quando al suo ritorno lo trovò sull'esatta linea che separava il fuori dal dentro, a dimostrazione del fatto che aveva seguito la regola alla lettera.
<< Perché prendi la spada? >>, chiese Estel.
<< Per affilarla >>, rispose Elrond.
<< Che cosa significa? >>.
<< Vieni, te lo mostro >>.

Estel osservò affascinato mentre Elrond affilava la lunga lama, un oggetto tanto liscio e perfetto quanto letale.
<< Questa spada è stata forgiata tantissimi anni fa >>, spiegò Elrond.
<< Prima che io nascessi? >>, chiese Estel.
<< Prima che anche io nascessi >>, rispose Elrond.
Estel annuì, palesemente ignaro di quale fosse la portata di un tale lasso di tempo.
<< Apparteneva ad un elfo, un grande guerriero ed esperto navigatore >>, disse Elrond.
Quella frase bastò a stuzzicare l'interesse di Estel. Il bambino era sempre stato interessato ai racconti di battaglie e a tutto ciò che riguardava il mare.
Nella sua breve vita non ha mai visto né il mare, né una battaglia, pensò Elrond, è da qui che scaturisce il suo interesse.

Estel si sedette a gambe incrociate sulla morbida erba del giardino, pronto ad ascoltare una nuova storia. Elrond aveva notato che la passione di Estel per i racconti non discriminava tra leggende e storie reali. Spesso, infatti, non sembrava particolarmente interessato a sapere se quello che stava ascoltando era davvero accaduto.
<< L'elfo era molto coraggioso e, durante una battaglia, si ritrovò ad affrontare un drago, il più grande che sia mai esistito. Nessun altra creatura del male era così forte e terribile, ma l'elfo non aveva paura: con sé aveva un arco, questa spada e, cosa più importante, un Silmaril >>, disse Elrond.
<< Che cos'è un Silmaril? >>, chiese Estel, incuriosito da quel nuovo termine.
<< I Silmaril sono oggetti enormemente preziosi, gemme magiche che brillano di luce propria. Ne esistono tre e l'elfo della nostra storia ne custodiva uno >>, spiegò Elrond.
<< Come un'arma segreta? >>.
<< No, Estel, un Silmaril non è un'arma. Ma le forze del male temono la luce e la purezza allo stesso modo in cui a volte noi temiamo l'oscurità. Per questo Ancalagon, così si chiamava il drago, provò paura per la prima volta in vita sua, nonostante fosse più grande di una montagna e il Silmaril fosse così piccolo da stare sul palmo della mano dell'elfo >>.
Estel guardò la spada, come se volesse cercare sulla lama dei segni di ciò che era accaduto in un lontano passato, ma non c'erano graffi né imperfezioni sul liscio metallo.
<< L'elfo lo colpì tante volte e, dopo un intero giorno di combattimento, Ancalagon fu sconfitto. Da allora nessun drago così grande e potente fu più visto nei cieli della Terra di Mezzo >>.
<< Come si chiamava l'elfo? >>.
<< "Eärendil", ma in molti lo conoscevano con un altro nome: "Gil-estel" >>.
Estel sorrise, orgoglioso della somiglianza tra i loro nomi. Elrond non aveva scelto quella storia casualmente: sperava che restasse nella memoria di Estel, così che, quando fosse cresciuto, avrebbe meglio compreso il significato del proprio nome.
Elrond stesso, crescendo, si era chiesto cosa fosse davvero un nome: un attributo, una parola senza significato, un destino già scritto, oppure qualcosa a cui aspirare. Se l'era chiesto ogni volta che si era presentato come "figlio di Eärendil", con il nome di un padre che per lui non era stato davvero un padre, ma una figura misteriosa a metà tra leggenda e realtà. "Estel ed io abbiamo più cose in comune di quanto entrambi crediamo", pensò Elrond.
<< Estel? Sei qui? >>, la familiare voce di Gilraen interruppe il filo dei suoi pensieri.
Abbigliata alla maniera degli elfi, ad un primo sguardo Gilraen avrebbe potuto essere scambiata per una di loro: il suo portamento e la sua bellezza erano degni di un'elfa. Tuttavia, allo stesso tempo, c'era un'inflessione nella sua voce che testimoniava come l'elfico non fosse la sua lingua madre ed i suoi capelli erano sempre legati alla maniera dei Dùnedain, forse per ricordare a se stessa e agli altri che Imladris non era sempre stata la sua casa.
<< Aur vaer, Elrond >>, disse Gilraen.
<< Aur vaer >>, rispose l'elfo.
Gilraen si rivolse al figlio. << Ti ho cercato ovunque. Hai lasciato i tuoi giocattoli nel corridoio, vai a metterli in ordine prima di cena >>.
Estel sospirò, annoiato: era evidente che avrebbe preferito ascoltare altre storie di draghi e battaglie, ma obbedì ugualmente. Prima di andarsene, pero, lanciò uno sguardo ad Elrond, come se fosse preoccupato di non trovarlo più lì al suo ritorno.
<< Tranquillo, ti prometto che non partirò senza prima averti salutato >>, disse l'elfo.
Quella promessa sembrò rassicurare Estel, almeno per il momento.
<< Ho saputo che partirà anche Elrohir, è così? >>, chiese Gilraen.
<< Sì, me l'ha annunciato questa mattina, incurante del mio parere contrario >>, rispose Elrond, senza nascondere il proprio disappunto.
<< Estel ne soffrirà, ma forse la scelta di Elrohir è stata la più responsabile >>, disse Gilraen.
<< È un buon modo di vederla >>, disse Elrond, ormai rassegnato di fronte alla caparbietà del figlio.
L'elfo rinfoderò la spada, soddisfatto del proprio operato. Spero soltanto di non doverla usare, pensò.

La mattina della partenza tredici elfi ed altrettanti cavalli si prepararono ad affrontare il viaggio, portando con sé soltanto armi e le provviste necessarie.
Tra gli adulti, i saluti furono brevi e concisi; Estel, invece, sembrava inconsolabile.
Elrohir sentì una stretta al cuore nel vedere il bambino che piangeva sommessamente, guardando in alternanza lui ed Elrond, ed allo stesso tempo tenendo d'occhio Elladan e Gilraen, per assicurarsi che almeno loro restassero lì.
<< Andiamo >>, disse Elrond, << Più a lungo restiamo, più sarà doloroso per lui e per noi >>.
Elrohir dovette concordare. Salutò Glorfindel e, per ultimo, Elladan, dopodiché spronò il cavallo al trotto, posizionandosi accanto a suo padre, in testa alla compagnia.

La valle di Imladris diventava sempre più piccola alle loro spalle e, più il terreno diventava accidentato, più si avvicinava il Passo Cornorosso. All'approssimarsi di quel luogo gli elfi diventavano nervosi e persino i cavalli iniziavano ad essere irrequieti.

<< Rallentare al passo >>, ordinò Elrond.
Elrohir avrebbe preferito restare lì il meno possibile, ma sapeva che procedere di fretta su quel tipo di terreno avrebbe significato rischiare di far del male ai cavalli, un rischio inutile che non valeva la pena di correre.
<< Stai mantenendo i contatti con i Dùnedain? >>, chiese Elrond, in un evidente tentativo di riempire il silenzio.
<< Sì, regolarmente >>, rispose Elrohir. Da quando aveva lasciato Annùminas scriveva spesso lettere a Maedir e alla sua famiglia, ma, nonostante comunicasse con loro, ne sentiva ugualmente la mancanza, soprattutto di Melwen.
<< Hai lasciato lì una parte di te >>, osservò Elrond.
<< È vero. Ho trovato un secondo luogo da chiamare "casa" e persone da considerare come membri della famiglia >>, rispose Elrohir.
<< Di questo sono felice. Durante la vostra assenza ho a lungo temuto che foste soli in luoghi inospitali, soprattutto quando ho saputo che avevate preso strade diverse >>, disse Elrond.
<< Abbiamo avuto fortuna. Elladan ha trovato qualcuno nel Reame Boscoso di cui potesse fidarsi e che lo aiutasse a superare la perdita che aveva subito. Intanto io ho conosciuto una persona importante, unica nel suo genere, che senza saperlo mi ha insegnato molto. Il suo nome è Melwen >>, disse Elrohir.
<< Ricordo che mi accennasti di lei. Tuttavia non ho mai capito di che natura sia il legame che vi unisce >>.
Elrohir esitò: neanche lui era ben certo di sapere la risposta a quel quesito.
<< Rispetto, affetto, fiducia. È questo che ci lega >>, rispose infine.
Ma c'era anche un'altra parte della storia, una parte che Elrohir non aveva mai raccontato a suo padre e che i freddi pendii del Passo Cornorosso gli avevano riportato alla mente. Elrond lo capì e restò in silenzio finché Elrohir non fu pronto a parlare.
<< Una notte, poco dopo la battaglia che uccise Saeliel, accadde qualcosa di terribile. Io ho...ucciso un uomo >>.
Dopo aver pronunciato quella frase, Elrohir non osò guardare suo padre negli occhi. Temeva di percepire in lui la delusione, ed in quel momento nulla avrebbe potuto ferirlo di più.
<< Perché? >>, chiese Elrond. Fu una semplice domanda, posta con il suo solito tono pacato, privo di qualsiasi giudizio.
<< Tentò di uccidere Elladan e, se io non fossi intervenuto, ci sarebbe riuscito. All'inizio ho detto a me stesso che si era trattato di un incidente, ma mentivo. Sapevo che l'avrei ucciso >>, rispose Elrohir.
<< È per questo che l'hai fatto, per difendere Elladan? >>, chiese Elrond.
<< Quale altro motivo avrebbe potuto esserci? >>.
<< Quello più umano: l'hai ucciso perché lo odiavi >>, disse Elrond.
Solo allora Elrohir lo guardò. Suo padre non sembrava né arrabbiato né deluso, soltanto triste.
<< È vero, lo odiavo >>, confessò Elrohir, << E provavo rabbia per tutto il male che aveva fatto agli altri >>.
<< Tutto si ricollega alla rabbia, infine >>, disse Elrond, alludendo anche al luogo stesso in cui si trovavano.
<< Ma non è finita qui >>, disse Elrohir, << Non c'è solo rabbia in questa storia, c'è anche speranza >>.
<< Melwen? >>, chiese Elrond.
<< Sì, Melwen. Quando l'ho incontrata ho subito percepito la calma che emanava, il senso di serenità che trasmetteva a tutti coloro che la circondavano. Poi, dopo aver imparato a conoscerla, ho visto tante emozioni appena al di sotto della superficie. C'era dolore, paura, inquietudine, senso di colpa, ma non la rabbia. Eppure quella donna così forte avrebbe avuto tutte le ragioni di essere arrabbiata, dopo tutto quello che aveva perso, per mano del fato e per mano degli altri. L'unica volta in cui mi ha confessato di aver provato rabbia nei confronti di qualcuno e di aver agito di conseguenza, ho constatato con i miei occhi quanto l'odio sia stato un veleno per la sua anima. Ho capito quanto era grande il rischio che correvo e che corro tutt'ora >>, disse Elrohir. Alcune delle cose di cui aveva appena parlato non aveva neanche osato dirle a se stesso, pensieri che fino a quel momento erano rimasti nascosti in un angolo remoto della sua mente.
<< Nel corso degli anni hai affrontato tante prove ed ognuna di queste ha lasciato un segno su di te. So che sei insoddisfatto di te stesso, ma, come tu stesso mi hai appena dimostrato, sei in grado di riconoscere e cambiare gli aspetti che sai essere negativi. Ho fiducia nel fatto che, con il tempo, capirai che genere di persona vuoi essere e riuscirai a diventare quella persona senza bisogno dell'aiuto di nessuno >>, disse Elrond.
Elrohir non poté fare a meno di notare che, mentre per tutta la durata di quella conversazione aveva temuto che suo padre non fosse soddisfatto di lui, la preoccupazione principale di Elrond sembrava essere che lui non fosse soddisfatto di se stesso.
<< Credo di averlo capito adesso >>, disse Elrohir.
In quel momento si trovavano vicini all'esatto luogo in cui Celebrìan era stata rapita dagli orchi e, per la prima volta, Elrohir non si lasciò sopraffare dalla tristezza. Appoggiò la mano sull'elsa della spada ed attraversò il Passo Cornorosso senza paura.

A Gran Burrone i giorni immediatamente successivi alla partenza di Elrond ed Elrohir non furono facili per Elladan.
A Glorfindel era stato raccomandato di lasciare tutte le decisioni più importanti ad Elladan e di aiutarlo soltanto qualora fosse necessario. L'elfo aveva fatto come gli era stato detto ed aveva osservato con una punta di divertimento mentre Elladan si ritrovava ad occupare un ruolo di cui non aveva mai compreso appieno la difficoltà.
Per Estel, invece, se in un primo tempo aveva sofferto la solitudine, da quel giorno sembrava che le cose sarebbero presto cambiate. Una piccola compagnia di elfi silvani era venuta in visita a Gran Burrone e con loro c'erano due bambini che avevano pressappoco la stessa età di Estel.
Quel giorno Glorfindel aveva deciso di andare al campo di addestramento per fare pratica con l'arco. Aveva posizionato il bersaglio il più lontano possibile e contava sul vento leggero per rendere il tutto ancora più difficile.
Era sul punto di scoccare la sua prima freccia, quando delle voci lo distrassero. Poco lontano i due elfi bambini giocavano a rincorrersi. Le loro risate ed i loro sorrisi colmavano l'aria di gioia, una visione di fronte alla quale Glorfindel non poteva restare indifferente. Tuttavia, sperava che avrebbe visto anche Estel con loro, considerando che per la prima volta il bambino aveva l'occasione di socializzare con altri suoi coetanei. Il piccolo Dùnadan, invece, li osservava in disparte, come se non sapesse cosa dire o fare.
Ha soltanto bisogno di tempo per vincere la timidezza, pensò Glorfindel.

Le prime due frecce si fermarono appena al di fuori dell'anello centrale del bersaglio. Glorfindel era insoddisfatto del risultato, ma quando tese l'arco una terza volta con l'intento di ottenere un risultato migliore, fu nuovamente distratto, questa volta da una presenza alle sue spalle. Era Estel.
L'elfo gli lanciò un breve sguardo per assicurarsi che restasse dov'era, poi tornò a concentrarsi sul centro del bersaglio, tentando allo stesso tempo di prevedere lo spostamento causato dal vento.
<< 'Findel? >>, lo chiamò Estel, proprio mentre l'elfo rilasciava la corda dell'arco e un leggero sussulto della sua mano rovinava la traiettoria della freccia, così attentamente calcolata.
Glorfindel sospirò nel vedere la freccia che mancava del tutto il bersaglio.
<< Cosa c'è, Estel? >>.
<< È vero che hai ucciso un Ballog? >>.
<< Un Balrog >>, lo corresse Glorfindel, << Chi è stato a dirtelo? >>.
<< Ho sentito loro che ne parlavano >>, rispose Estel, indicando i due bambini.
<< Perché non vai a giocare con loro invece di guardarli da lontano? >>, propose l'elfo.
Estel abbassò lo sguardo. << Loro sono diversi da me >>, spiegò.
<< Non vogliono stare con te perché sei diverso? >>, chiese Glorfindel.
<< No, ma non conosciamo gli stessi giochi >>, rispose Estel.
<< Forse potresti chiedergli di insegnarti i loro giochi. E sono certo che ci sono tante cose che puoi insegnare tu a loro >>.
Nella pausa che seguì Glorfindel immaginò che Estel stesse cercando una scusa per non seguire il suo suggerimento.
<< Facciamo un patto: tu proverai a fare amicizia con quei bambini e dopo io ti racconterò la storia del Balrog >>, propose Glorfindel.
<< D'accordo >>, acconsentì subito Estel.
Glorfindel lo guardò mentre si avvicinava timidamente ai due elfi e, pochi minuti dopo, i tre stavano parlando animatamente di qualcosa che sembrava divertirli ed entusiasmarli.
Soddisfatto, Glorfindel tornò al suo bersaglio. Il terzo lancio fu di gran lunga migliore dei primi due ed il quarto fu quasi perfetto.
L'elfo tese l'arco per la quinta volta, convinto che quello sarebbe stato il lancio decisivo.
<< 'Findel? >>.
L'elfo trasse un respiro profondo e si appellò a tutta la sua pazienza. Quando si voltò non trovò soltanto Estel, ma tutte e tre i bambini.
<< Avevi detto che avresti raccontato la storia del Balrog >>, disse Estel.
In un attimo Glorfindel si ritrovò trafitto da tre sguardi in attesa, ai quali non ebbe il coraggio di dire di no.
<< Va bene >>, disse.
Suppongo che oggi non sia il giorno adatto per il tiro con l'arco... c'è troppo vento, pensò rassegnato.


Traduzione delle frasi in Sindarin:
Aur vaer: buona giornata

P.s. gli eventi narrati nel capitolo precedente, ovvero l'episodio dell'alveare e quello del pantano sono entrambi ispirati ad eventi realmente accaduti, uno dei quali è toccato alla sottoscritta...

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Viaggio a Lórien ***



Buona domenica a tutti! Mi dispiace di averci messo così tanto, ma questo capitolo è stato un osso duro. Spero che vi piaccia!

La foresta di Lòrien era un luogo unico nel suo genere. Gli alberi imponenti, le lanterne argentate che rischiaravano la notte, la presenza silenziosa degli elfi, ogni cosa sembrava congelata nel tempo, immune dal male che imperversava all'esterno.
Erano trascorsi innumerevoli inverni dall'ultima volta in cui Elrohir era stato lì, ma ebbe l'impressione che in sua assenza nulla fosse cambiato.
Gli elfi di Lothlórien li accolsero in maniera amichevole, ma discreta. Haldir ed i suoi fratelli, Rùmil ed Orophin, diedero loro il benvenuto e li accompagnarono nel cuore della foresta.
Tra gli abitanti di Lothlórien Elrohir rivide visi familiari, ed allo stesso tempo si stupì di quanti fossero gli estranei. Elrond, invece, sembrò riconoscere ognuno di loro.
Nel rispetto delle regole della cortesia, Elrohir si sforzò di ricordare i nomi di tutti coloro che aveva già conosciuto in precedenza, ma ben presto si rese conto che erano loro per primi ad essere indecisi su come chiamarlo. Quando non era con Elladan per gli altri diventava ancora più difficile distinguerlo dal gemello e, per i più, restava impossibile.
<< Elrohir >>.
Una voce familiare emerse dal vociare indistinto che li circondava, una voce di cui Elrohir aveva a lungo sentito la mancanza, più di quanto lui stesso si fosse reso conto.
Arwen era esattamente come Elrohir la ricordava prima degli eventi del Passo Cornorosso, serena e raggiante. Il suo sorriso era contagioso e, quando abbracciò Elrohir, questi avvertì tutta la sua gioia.
<< Sono felice di rivederti >>, disse Arwen, << Iniziavo a pensare che stessi aspettando la prossima era per venire a trovarmi >>.
<< Aspettavo soltanto il momento giusto >>, rispose Elrohir.
Elrond, che nel frattempo era rimasto in disparte, si schiarì la voce con finta noncuranza.
<< Scusami, ada >>, disse Arwen e corse a salutare anche lui. Ma Elrohir conosceva suo padre abbastanza da sapere che nulla lo rendeva più felice che essere testimone dell'affetto che legava i suoi figli.
<< Dov'è Elladan? >>, chiese Arwen, dopo aver lanciato una breve occhiata agli elfi che erano arrivati con loro.
<< È rimasto a casa per ora, ma verrà a farti visita dopo che noi saremo tornati >>, rispose Elrohir.
Arwen accolse la notizia con una punta di delusione, ma soltanto per un momento. C'era ben poco che potesse scalfire suo entusiasmo.

Gli elfi furono ricevuti da Galadriel e Celeborn, signori di Lothlórien. Essi apparivano immuni al passare del tempo, eterni e immortali come la foresta attorno a loro. Ogni volta che Elrohir si trovava in loro presenza, in lui nasceva un senso di soggezione, derivato dalla sensazione, o forse dalla consapevolezza, di essere scrutato fino alle profondità della propria anima. Il rapporto che lui ed Elladan avevano con i nonni materni era sempre stato di rispettosa ammirazione, ma raramente di familiarità, soprattutto da quando Celebrìan aveva lasciato la Terra di Mezzo. Tuttavia, c'erano poche persone al mondo la cui saggezza era paragonabile a quella dei signori di Lothlórien ed Elrohir nutriva una cieca fiducia in loro.

Dal momento del loro arrivo divenne subito chiaro ad Elrohir che suo padre, Galadriel e Mithrandir, giunto a Lòrien poche ore prima, erano impazienti di conferire in privato.
Anche Arwen se ne rese conto e, senza fare domande alle quali sapeva che non avrebbe avuto risposta, propose ad Elrohir di recuperare il tempo perduto. Lo condusse tra i sentieri che attraversavano la foresta con il passo esperto di chi ripercorre un luogo familiare. Elrohir non era certo che sarebbe riuscito a trovare la strada senza la guida di Arwen. Adesso questa è casa sua, pensò, non senza una punta di amarezza, Come un tempo lo è stato Imladris.
I due elfi giunsero in uno dei luoghi più alti di Lórien e, dopo una lunga salita, Elrohir iniziò a riconoscere i dintorni. Vide i sentieri di Caras Galadhon, che conducevano tutti alla collina ove si trovava l'alto palazzo di Celeborn e Galadriel.
<< Io vivo qui. Volevano che mi trasferissi al palazzo, ma ho preferito restare. Qui si vive in maniera più semplice, più simile a come ero abituata a Gran Burrone >>, disse Arwen.
<< È bellissimo >>, osservò Elrohir.
Le stanze erano ampie e luminose, prive di oggetti superflui e accuratamente ordinate, esattamente come lo erano state quelle che un tempo Arwen aveva abitato a Gran Burrone.
<< Nelle ultime lettere che ho ricevuto da Imladris si parlava spesso del bambino Dùnadan che da qualche anno vive con voi. Sono curiosa di sapere come ha cambiato le vostre vite >>, disse Arwen.
<< In meglio, senza dubbio, e aggiungerei anche irrimediabilmente >>, rispose Elrohir, << È una grande gioia per Elladan e me poter essere di nuovo dei fratelli maggiori e lo è altrettanto per nostro padre. Non so fino a che punto se ne sia reso conto, ma ha adottato Estel, ed Estel ha adottato lui come padre >>.
<< Sono impaziente di conoscerlo >>, disse Arwen.
<< Potresti venire con noi al ritorno >>, propose Elrohir.
Arwen abbassò lo sguardo. << Ne dubito. Almeno per adesso, resterò qui >>, disse, << Ma ho già deciso che in futuro tornerò a Gran Burrone. Non so ancora dirti quando, e forse per allora Estel sarà già adulto, ma so che tornerò >>.
<< Prenditi tutto il tempo che ti occorre. Ognuno di noi ha avuto bisogno di allontanarsi per un po' dai cattivi ricordi. Elladan ed io siamo riusciti a tornare a casa soltanto tre inverni fa >>, la rassicurò Elrohir.
<< Mi conforta sapere che riesci a capirmi >>, disse Arwen.
Elrohir era spesso tentato di dimenticare che sua sorella aveva affrontato il suo stesso dolore, con la differenza che lei non aveva avuto qualcuno che le stesse vicino come lui aveva avuto Elladan.

Dall'ampia terrazza che sovrastava Lòrien, Elrohir ed Arwen assisterono al tramonto. Il sole si abbassava sugli alberi, lasciando sfumature di arancione e rosa a riflettersi sui marmi bianchi ed una stella, la prima a comparire, come debole sostituta della sua luce.
<< È per Thiliel che sei venuto qui? >>, chiese Arwen.
Quella domanda a bruciapelo colse di sorpresa Elrohir. << Non soltanto per lei, ma... sì, vorrei vederla >>, rispose.
<< Quando voi partiste da Gran Burrone, lei ti aspettò. Io ero già arrivata qui, ma nostro padre mi parlò di lei nelle sue lettere. Attese a lungo, ma non sapeva quando o se saresti tornato, per questo decise di trasferirsi a Lothlórien, dove vivevano i suoi genitori >>, disse Arwen.
Qualcosa nel suo tono presagiva una cattiva notizia, ed Elrohir non era certo di volerla ascoltare.
<< Ti ha parlato di me? >>, chiese, percependo l'esitazione nella sua stessa voce.
<< No >>, rispose Arwen, << Non fino all'ultimo, quando mi disse che la sua famiglia era diretta ai Porti Grigi e che lei aveva intenzione di seguirla. Pensai di scriverti una lettera, ma non avresti comunque avuto il tempo di arrivare prima che lei partisse. Quando le chiesi se avevate avuto modo di parlarvi un'ultima volta, lei disse che, se il destino vi fosse stato favorevole, vi sareste incontrati nelle Terre Immortali >>.
Elrohir immaginò la voce melodiosa di Thiliel che pronunciava quelle parole aspre. Sapere che lei non c'era l'aveva deluso più di quanto avesse immaginato, ed Arwen parve leggerlo nei suoi occhi.
<< Mi dispiace >>, disse l'elfa, << Forse avrei dovuto dirtelo prima >>.
<< Non sarebbe cambiato nulla. Non biasimo te per non avermelo detto e non biasimo Thiliel per aver fatto questa scelta >>.
<< Credi che... La rivedrai? >>, chiese Arwen. Una nota di disagio nella sua voce rendeva chiaro quanto fosse consapevole delle implicazioni nella sua domanda.
<< Non lo so >>, rispose Elrohir, completamente onesto, << Ma da adesso la mia scelta è diventata soltanto più difficile: scegliendo una vita mortale, non rivedrò più Thiliel >>.
<< Hai tutto il tempo che ti occorre per fare una scelta consapevole >>, disse Arwen.
<< E tu? >>, si arrischiò a chiedere Elrohir, << Hai già deciso? >>.
<< Credo che partirò con nostro padre e, lo spero, con te ed Elladan. Non c'è nient'altro che mi tiene legata a questa terra >>, rispose Arwen.
Elrohir ammirava la sua risoluzione, ma c'era ancora tanto tempo a separarli dal momento decisivo e non riteneva prudente fare scelte affrettate. Tuttavia Elrohir tenne per sé le sue considerazioni e si limitò ad assistere agli ultimi minuti di luce, mentre il manto dell'oscurità calava su di loro.

Elrond attraversò i sentieri tra gli alberi illuminati dalla luce argentea delle lanterne, scegliendo il percorso più lungo e solitario per aver modo di poter riflettere in tranquillità. La presenza di Vilya con gli anni era diventata parte di lui, fino ad apparire quasi impercettibile, ma in quel momento Elrond la avvertiva con un'intensità tale da impedirgli di pensare a qualsiasi altra cosa. I consigli di Galadriel erano stati rassicuranti, ma per la prima volta Elrond aveva avuto l'impressione che neanche la Dama dei Galadhrim sapesse come agire. Tutti avevano avvertito qualcosa di insolito, tuttavia nulla al di fuori di visioni oscure e confuse aveva fornito loro altri indizi su quello che avrebbero dovuto affrontare.
Elrond aveva sperato di poter trovare delle risposte a Lothlórien, ma solo in quel momento si rendeva conto di quanto le sue speranze fossero state vane.
<< Galadriel e Mithrandir condividono le mie preoccupazioni, avendo percepito loro stessi l'inquietudine degli Anelli. Abbiamo concordato che, di qualunque cosa si tratti, non rappresenta un pericolo immediato >>, aveva detto quella sera ad Elrohir, poco prima di ritirarsi nella sua stanza.
<< Nient'altro? >>.
<< Temo di no. Ma Mithrandir ha ipotizzato che potrebbe trattarsi dell'Unico Anello >>.
<< E tu sei d'accordo con lui? >>, aveva chiesto Elrohir, senza neanche tentare di nascondere la sua paura.
<< So solo che spero sia in errore. Se qualcuno si impossessasse dell'Anello le conseguenze sarebbero inimmaginabili >>.
<< Vorrei tornare a casa >>, aveva detto Elrohir, dopo aver riflettuto per qualche attimo, << Se credete che non ci sia motivo di preoccuparsi subito mi fido del vostro giudizio, ma continuo a pensare che, se accadesse qualcosa, voglio che Elladan ed Estel siano con me. Arwen è al sicuro qui, e sono certo che nulla di spiacevole potrà mai accaderle finché sarà sotto la protezione di Celeborn e Galadriel, ma senza di noi Gran Burrone non gode della stessa sicurezza >>.
Elrond era stato positivamente sorpreso all'udire quelle parole. << Resteremo ancora qualche giorno, poi partiremo. Lascerò a te il piacere di informare tua sorella che ce ne andremo con la stessa fretta con cui siamo arrivati >>, disse, congedandosi da Elrohir con un accenno di sorriso.

L'ultimo giorno che gli elfi trascorsero a Lothlórien si concluse con una visita a Cerin Amroth, alla quale si unirono anche Celeborn e Galadriel.
Quel luogo, uno dei preferiti di Arwen, aveva visto il passare delle ere e conservava, tra i suoi alberi dalle forme uniche, dei frammenti di passato. Resti di quello che era stato il talan abitato da Amroth, signore di Lòrien, erano ancora visibili, ricoperti dalla vegetazione. Piccoli niphredil, fiori bianchi candidi come fiocchi di neve, punteggiavano il terreno e profumavano l'aria.
Elrohir osservò ed ascoltò con attenzione, per fissare nella propria memoria quei momenti e conservarli il più a lungo possibile. Aveva l'impressione che non sarebbe tornato presto a Lothlórien e voleva avere delle immagini da rievocare qualora ne avesse sentito la mancanza.
Elrond e Celeborn stavano conversando, parlando di un passato che Elrohir non aveva vissuto, mentre Galadriel ed Arwen camminavano fianco a fianco, come avevano fatto tante altre volte tra gli alberi di Lòrien.
Un giorno tutti loro se ne andranno, si ritrovò a pensare Elrohir. Potrei davvero restare qui sapendo che non li rivedrei più?.
Pensò a Thiliel, e subito dopo a Melwen. L'immagine della prima era sfocata, come se appartenesse ad un sogno, mentre la seconda era reale e viva, seppur lontana.
Elrohir sospirò. All'improvviso era impaziente di tornare ad Imladris, e sedersi di fronte al camino della Sala del Fuoco con Elladan ed Estel.

Si trattennero a Lothlórien per altri tre giorni, al termine dei quali si rimisero in cammino. I saluti furono tristi, e per qualche attimo Elrohir fu tentato di insistere affinché Arwen venisse con loro, ma presto capì che non sarebbe stato leale da parte sua chiederlo. Il posto di Arwen era Lórien, e così sarebbe stato finché lei non avesse deciso altrimenti.
La prima parte del viaggio si svolse senza impedimenti. Gli elfi procedevano a passo sostenuto, ma senza fretta. Le pause erano sufficienti a mantenere i cavalli in forze e quando le circostanze lo permettevano la compagnia si fermava per la notte.
Elrond camminava sempre in testa, come si addiceva ad un capo, mentre Elrohir aveva deciso di trascorrere il tempo a tentare di conoscere meglio i suoi compagni di viaggio. Sapeva quali erano i loro nomi, ma erano soltanto due o tre quelli che Elrohir poteva dire di conoscere davvero.
<< Devi sempre conoscere coloro che seguono la tua guida >>, gli aveva detto Elrond, << Un giorno la tua vita potrebbe dipendere da loro, e quel giorno vorrai sapere fino a che punto puoi fidarti >>.
Il suggerimento era stato piuttosto chiaro, ed Elrohir non esitò a seguirlo. Scoprì che molti di loro conoscevano lui ed Elladan soltanto grazie alle leggende sui Principi di Imladris, ed erano genuinamente curiosi di ascoltare le loro avventure. Elrohir si rese conto di avere molto da raccontare, ed allo stesso tempo di avere tanto da ascoltare. Ma su quelle piacevoli conversazioni calò il silenzio non appena gli elfi giunsero in vista del Passo Cornorosso.
Elrond si era fermato, e con lui anche tutti gli altri. Ad Elrohir bastò guardare la posizione del sole per capire il motivo dell'esitazione del padre. Proseguire il cammino a quell'ora del giorno significava che il sole sarebbe tramontato prima che gli elfi fossero riusciti ad arrivare dall'altra parte, mentre fermarsi lì per aspettare l'alba del giorno seguente significava rendersi un bersaglio facile in un luogo bel lontano dall'essere sicuro.
Gli elfi, in totale silenzio, attendevano ordini. Elrohir avanzò fino ad affiancarsi ad Elrond e disse, << Bisogna decidere in fretta >>.
<< Io ho già deciso >>, rispose Elrond, << Ma voglio conoscere la tua opinione. Cosa faresti se la scelta fosse tua? >>.
Il fatto che suo padre avesse chiesto la sua opinione non era del tutto inaspettato per Elrohir, ma il modo in cui Elrond aveva parlato gli suggeriva che quello che avrebbe detto sarebbe stato non solo tenuto da conto, ma avrebbe avuto un peso nella decisione finale. Per questo motivo, soppesò bene cosa dire prima di rispondere.
<< Io procederei adesso. Correremo dei rischi in entrambi i casi, ma restando qui renderemo più facile a chiunque avvistarci da lontano >>.
Elrond annuì. << Avrei detto la stessa cosa >>, rispose, << E credo che anche gli altri preferiscano agire così >>.
L'espressione sollevata degli elfi quando venne annunciato loro che avrebbero proseguito il cammino confermò che Elrond aveva ragione.
Quel giorno il vento sferzava sulle rocce aguzze, fischiando e sollevando vortici di polvere. Il sole proiettava lunghe ombre, che si inclinavano e deformavano quanto più il pomeriggio su avvicinava al termine.
Quando attraversarono il luogo in cui era avvenuto il rapimento di Celebrìan la notte era ormai calata e l'unica luce ad illuminare il loro cammino era quella della luna quasi piena. La tensione li accompagnò per tutto il tempo in cui si trovarono in vista di quell'area. Nonostante l'oscurità Elrohir sapeva esattamente dove si trovavano: ogni dettaglio era impresso a fuoco nella sua mente.
Il tempo trascorse lentamente, tra il rumore degli zoccoli sulla pietra ed il fruscio del vento.

Il sentiero tortuoso che costituiva l'ultima parte del Passo era il letto di un fiume ormai prosciugato, costeggiato da alte rocce ed alberi dal tronco sottile. Il paesaggio non era di aspetto più accogliente rispetto a quello che si erano lasciati alle spalle, ma per Elrohir era sempre un sollievo trovarsi lì, in quanto significava che la fine era vicina.
Tuttavia, quando gli elfi percorsero la svolta che li avrebbe condotti all'ultimo tratto di sentiero, qualcosa li portò a fermarsi di colpo. Una frana aveva bloccato parte del passaggio. Era accaduto altre volte che la caduta di massi ostacolasse l'attraversamento del Passo Cornorosso, soprattutto in seguito ad un temporale, pertanto nessuno ne fu sorpreso.
<< Potremmo aggirare la frana, ma sarà più facile farci strada tra... >>, tentò di dire Elrohir.
<< No dhìnen! >>, lo interruppe bruscamente Elrond. L'elfo era in ascolto, immobile e concentrato.
Elrohir si guardò intorno, cercando di cogliere qualsiasi movimento tra le sagome buie che costeggiavano il sentiero. Intravide qualcosa che si distingueva dal paesaggio immobile, ma prima che potesse dire o fare qualsiasi cosa, Elrond si frappose tra lui e l'ombra sospetta e disse, allarmato, << Abbassati! >>.
Il primo istinto di Elrohir fu quello di estrarre la spada, ma Elrond fu più rapido e, con uno strattone, lo costrinse a chinarsi sul dorso del cavallo. Un attimo dopo, una freccia sibilò nell'aria attraversando l'esatto punto in cui un istante prima si trovava la testa di Elrohir. L'elfo non osò muoversi per i secondi successivi, sentendo un brivido che gli correva lungo la schiena al pensiero di essere stato quasi colpito. Erano caduti in un'imboscata: gli orchi si erano nascosti tra le rocce, coperti dall'oscurità, e si trovavano in posizione rialzata rispetto agli elfi, i quali non avevano altra scelta che combattere. Anche agli occhi di Elrohir, che di solito disdegnava la sola idea di fuggire da un combattimento, la ritirata appariva come la scelta più sensata, ma in quel momento erano in trappola, non c'era nessun luogo in cui rifugiarsi.
<< Attaccate ai lati e non indietreggiate per nessun motivo, altrimenti ci circonderanno >>, disse Elrond. Gli elfi eseguirono gli ordini prima ancora che Elrond terminasse di pronunciarli.
Il primo attacco con le frecce aveva provocato almeno due morti tra gli elfi alla fine del gruppo, e quel numero sarebbe aumentato in fretta se qualcuno non avesse eliminato gli arcieri degli orchi al più presto. Quel compito così importante sarebbe spettato ad Elrohir, qualsiasi cosa ne dicesse suo padre.
Senza dare ad Elrond nessun preavviso, Elrohir smontò da cavallo e scattò di lato, nella direzione in cui sapeva si trovavano gli orchi. Era fondamentale che gli elfi riuscissero a spostare la battaglia su un terreno in cui avevano più libertà di movimento, ed uccidere gli arcieri avrebbe facilitato il compito a tutti, oltre a salvare delle vite.
Elrohir si arrampicò sulle rocce, tentando di essere rapido e silenzioso allo stesso tempo. C'erano due orchi appostati nella posizione più alta, che miravano agli elfi nella valle sottostante, ed altri tre sulla sponda opposta.
Avevano organizzato tutto nei dettagli, ma il vento li ha rallentati, pensò Elrohir, vedendo quanta attenzione gli orchi mettevano nell'atto di prendere la prima. L'elfo attese che fossero completamente assorti, poi estrasse il pugnale. Aveva scelto quell'arma più piccola in quanto la spada avrebbe intralciato i suoi movimenti ed avrebbe rischiato di urtare la pietra rivelando la sua posizione. Prese gli orchi alle spalle, dando loro a malapena il tempo di accorgersi di essere stati attaccati. Con la coda dell'occhio vide che due elfi, tra cui Elrond, si stavano occupando degli orchi dalla parte opposta del sentiero, mentre più avanti elfi ed orchi si stavano affrontando frontalmente. Elrohir rinfoderò il pugnale ed estrasse la spada, mentre si dirigeva verso il fragore della battaglia.

Quando Elrond perse di vista Elrohir dovette costringersi a non distogliere l'attenzione dal combattimento. Restavano ancora due orchi nelle vicinanze, mentre la parte centrale della battaglia si era concentrata altrove; per questo motivo Elrond ordinò all'elfo che era con lui di andare dove la sua spada sarebbe stata più utile e restò da solo ad occuparsi dei due orchi.
Elrond ne uccise uno con un singolo colpo di spada ben assestato, mentre il secondo si rivelò un avversario più abile. L'orco era alto e imponente, ma allo stesso tempo rapido e vigile. Elrond sapeva cosa fare: segnò mentalmente tutti i punti in cui avrebbe potuto colpire l'orco e, mentre incrociavano le spade, attese che uno soltanto di quei punti restasse scoperto per un istante, per sferrare il colpo di grazia. Ma c'era qualcosa che non aveva previsto: dalla mischia emersero altri tre orchi in soccorso del compagno in difficoltà. Probabilmente è il loro capo, altrimenti non cercherebbero di aiutarlo, pensò Elrond.
L'elfo fu costretto a fare un passo indietro. Non aveva previsto di doverne affrontare quattro allo stesso tempo, e già iniziava a pentirsi di aver mandato via l'unico aiuto su cui avrebbe potuto contare. Maledetto orgoglio, disse tra sé, quando vide che due degli orchi si preparavano ad attaccarlo alle spalle. Allora Elrond fece l'unica cosa che gli orchi non si sarebbero aspettati da lui. Si voltò verso la parete di roccia e saltò su un masso, così da trovarsi in posizione rialzata rispetto ai nemici. Come previsto, gli orchi furono colti di sorpresa ed agirono con un istante di ritardo. Elrond si voltò appena in tempo per schivare un colpo e, con un movimento fulmineo, tranciò di netto la mano dell'orco che aveva osato attaccarlo per primo. L'elfo si trovava in una posizione di vantaggio, ma stare così in alto significava anche avere meno libertà di movimento. Almeno così non mi arriveranno alle spalle, pensò. L'orco a cui aveva tagliato la mano si contorceva dal dolore mentre il suo sangue nero sgorgava a flutti. Normalmente Elrond gli avrebbe concesso il colpo di grazia, ma in quel momento non poteva permettersi di abbassare la guardia neanche per un istante: gli orchi attendevano soltanto quello. Il capo si fece avanti, forse preoccupato di perdere il rispetto dei suoi sottoposti se avesse continuato a lasciar combattere loro, ed Elrond colse al volo l'occasione. Finse di abbassare leggermente la guardia e, quando l'orco si illuse di avere un bersaglio facile, Elrond lo colpì di taglio, aprendogli uno squarcio nella gola.
Gli ultimi due orchi si lanciarono sull'elfo, che per i successivi minuti fu costretto a limitarsi a difendersi. Elrond lanciò una breve occhiata alle proprie spalle, dalla parte opposta del muro di roccia, valutando la possibilità di saltare giù. L'altezza era considerevole, ma avrebbe potuto farcela senza gravi danni. Tuttavia, nel momento stesso in cui Elrond fece quel pensiero, seppe che non lo avrebbe messo in pratica. Avrebbe combattuto fino all'ultimo, la ritirata non era un'opzione.

Gli orchi capirono di poter ancora sfruttare il vantaggio di essere in due contro uno e, mentre uno di loro teneva occupato Elrond, l'altro si arrampicava sullo stesso scomodo appiglio che aveva utilizzato l'elfo.
Elrond capì di dover agire in fretta. Azzardò un affondo, che l'orco riuscì prontamente a bloccare, e in quel momento, quando il nemico era sul punto di contrattaccare, Elrond estrasse il pugnale e lo conficcò nel suo fianco.
Senza perdere neanche un istante, si voltò verso il secondo, l'ultimo, orco, ma non fu abbastanza rapido. L'orco fece qualcosa che Elrond non si era aspettato: invece di attaccarlo con la spada, si lanciò su di lui con tutto il proprio peso, trascinandolo verso il vuoto alle loro spalle.
Con un'arma per ogni mano, Elrond fu costretto a lasciare andare il pugnale per tentare di trovare un appiglio, ma fu inutile. Caddero entrambi, Elrond rinunciò a tentare di frenare la caduta e, nell'istante prima di toccare il suolo, riuscì a trafiggere l'orco. Un attimo dopo, si schiantò contro uno spuntone roccioso. Il dolore si propagò su tutto il lato sinistro del suo corpo, da un taglio profondo sul palmo della mano al fianco, dove raggiungeva la sua massima intensità.
L'elfo restò senza fiato per alcuni istanti, ma si costrinse a rialzarsi per assicurarsi che l'orco fosse morto. Con grande sollievo constatò che la ferita e la caduta l'avevano ucciso sul colpo. Solo allora si concesse di fermarsi per riprendere fiato e valutare le proprie condizioni. Costole rotte, forse due. Il resto non è grave, pensò.


<< Adar! >>, la voce di Elrohir risuonò dall'alto. Quando Elrond tardò a rispondere, Elrohir insistette. << Stai bene? >>, chiese, e sembrò sul punto di cercare una via sicura per calarsi giù.
<< Sì, non preoccuparti >>, rispose Elrond, bloccandolo con un gesto. Per sottolineare la veridicità delle sue parole, rinfoderò la spada e risalì lungo la parete di roccia, aggrappandosi agli stessi spuntoni rocciosi che l'avevano ferito quando era caduto insieme all'orco. Elrohir si sporse il più possibile e tese una mano per aiutarlo ad arrampicarsi. Per Elrond ogni movimento significava una fitta di dolore un po' più intensa della precedente, pertanto fu grato dell'aiuto.
Una volta in cima, notò che la battaglia non era ancora terminata.
<< Perché hai lasciato il combattimento? >>, chiese.
<< Ho visto l'elfo che era con te tornare da solo, poi ho visto tutti quegli orchi venire da questa parte... Ed ho visto questo >>, concluse Elrohir, mostrando il pugnale di Elrond.
Elrond non poté negare di essere rimasto toccato dall'apprensione di Elrohir. Di solito era lui a preoccuparsi per i suoi figli, ed era strano vedere che quella volta i loro ruoli erano invertiti.
<< Non ripeterò mai più questa frase: sono contento che tu abbia disobbedito quando a casa ti ho detto di non venire >>, disse Elrond, ma prima che Elrohir avesse il tempo di rispondere aggiunse, << Torniamo a combattere >>.
Elrohir esitò per qualche istante, chiedendosi se suo padre fosse in grado di continuare a combattere, ma decise di non dar voce ai suoi dubbi. Sapeva che, in ogni caso, Elrond non avrebbe mai accettato di restare in disparte mentre i suoi uomini combattevano al suo posto. Quando arrivarono, la battaglia era quasi terminata, cosa di cui Elrohir fu grato.
Dovettero soltanto assicurarsi che gli orchi che cercavano di fuggire non andassero lontano, ma quello era principalmente un lavoro per gli arcieri.
Alle prime luci dell'alba l'ultimo orco fu ucciso. << Ancora una volta del sangue elfico bagna il Passo Cornorosso >>, disse Elrond, più a se stesso che agli altri, mentre osservava le gocce di sangue che cadevano dalla punta delle sue dita e si univano alla pozza rossa che si allargava sotto uno degli elfi caduti.
Le perdite erano sei in tutto, mentre tre erano i feriti, ma nessuno in maniera grave.
<< Govano i nothrim in adh i mellyn in mi Mannos >>,  mormorò Elrohir. In quel momento si era quasi pentito di aver voluto conoscere meglio i suoi compagni di viaggio: alla luce di quello che avevano condiviso, perderli era stato ancora più doloroso.
Mio padre starà facendo pensieri simili. Si sentirà in colpa per averli condotti in una trappola, pensò Elrohir. Ma non c'era tempo per indugiare sui sensi di colpa. Dopo aver pattugliato i dintorni per essersi assicurati di aver eliminato tutti i nemici e dopo aver fornito le prime cure ai feriti, gli elfi si rimisero in marcia.
<< A metà strada incontreremo Elladan. Non appena ci hanno attaccati l'ha saputo tramite me ed ha riunito alcuni uomini per venire in nostro aiuto. Sapeva che non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per partecipare alla battaglia, ma... >>, spiegò Elrohir.
<< ...ma non sarebbe neanche riuscito a restare senza far nulla mentre noi eravamo in pericolo >>, concluse Elrond.

Quando Elladan aveva osservato il tramonto di quella giornata, non avrebbe mai immaginato che non molto tempo dopo si sarebbe ritrovato al galoppo nell'oscurità, con una ventina di elfi al seguito, per raggiungere il Passo Cornorosso il prima possibile.
La cavalcata fu lunga, e la distanza che lo separava dalla meta sembrava interminabile, ma infine, quando era ormai mattina, Elladan li vide. Per alcuni di loro questo è stato l'ultimo viaggio, osservò.
Sapeva che Elrohir stava bene, poteva avvertirlo, ma sentiva lo stesso il bisogno di accertarsene di persona.
<< Abbiamo affrontato di peggio in passato >>, fu la risposta di Elrohir. Ma Elladan non poteva essere ingannato da lui: era perfettamente consapevole di quanto suo fratello fosse scosso. Allo stesso tempo notò che Elrond era chiaramente sofferente.
<< Ci vaer? >>, chiese Elladan.
<< Costole rotte, niente di grave >>, rispose Elrond.
<< Non dovresti cavalcare >>, osservò Elladan.
<< È vero, ma non ho alternative. Starò bene a meno che qualcuno non decida di andare al trotto >>, disse Elrond.
Elladan dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.

La valle di Imladris fu una piacevole vista per i viaggiatori: significava che la loro terribile avventura si era finalmente conclusa.
<< Elladan >>, disse Elrond, << Precedici ed assicurati che Estel non sia presente al nostro arrivo. Non voglio che ci veda così >>.
Elladan obbedì. Arrivò a Gran Burrone di corsa, precedendo di gran lunga gli altri. Per prima cosa informò Glorfindel sull'esito della spedizione, poi chiese a Gilraen di portare Estel all'interno e restare lì fino a quando gli elfi non si fossero cambiati gli abiti sporchi di sangue.

Un'ora dopo, Elrond attraversava l'ampio salone che precedeva la Sala del Fuoco.
Dopo essersi preso cura degli altri, aveva dedicato del tempo a prendersi cura di se stesso, poi, dopo essersi assicurato che la sua presenza non fosse richiesta altrove, si era diretto dove sapeva avrebbe trovato Estel.
La Sala del Fuoco era tiepida e accogliente. Il piccolo Dùnadan era seduto sul pavimento, intento a giocare con dei cubetti di legno che uno degli elfi aveva intagliato per lui in maniera che si potessero incastrare uno sull'altro. Anche Gilraen era lì, con Elladan ed Elrohir.
Non appena Estel vide che Elrond era tornato, il suo viso si illuminò di gioia, lasciò cadere quello che aveva in mano e corse verso di lui.
Ma non fu quella la scena che portò Elrond sull'orlo delle lacrime. Fu una parola, molto breve, che Elrond aveva già udito innumerevoli volte, ma che non si sarebbe mai aspettato di sentire da Estel.
<< Ada! >>.
Elrond restò interdetto per qualche istante, incredulo di fronte alla totale spontaneità di Estel. Il bambino esitò, forse spaventato dalla prospettiva di un rifiuto. Ma quella era l'ultima cosa che Elrond avrebbe voluto: s'inginocchiò e strinse Estel in un abbraccio.
Nella sua mente riecheggiava ancora il fragore delle spade e l'odore del sangue, i suoi pensieri erano rivolti alle commemorazioni dei caduti che si sarebbero svolte quella sera, ma nonostante ciò, in quel momento Elrond si sentì sereno, quasi felice.

La mattina successiva, Gilraen rifletté molto su quanto era accaduto la sera prima.
Una parte di lei aveva temuto che, se Estel avesse iniziato a considerare Elrond come un padre, questo avrebbe significato perdere ogni legame rimasto con Arathorn. Ma lei stessa riconosceva quanto quel pensiero fosse irrazionale. Estel non aveva idea di essere Aragorn, figlio di Arathorn e futuro Capitano dei Dùnedain e non aveva nessun ricordo del padre, pertanto Gilraen non poteva volere che restasse fedele a qualcuno che per lui non era nient'altro che un nome. Quando Elrond era entrato nella Sala del Fuoco ed Estel era andato ad abbracciarlo, tutti i dubbi di Gilraen avevano cessato di esistere. Dapprima Elrond era parso sorpreso, e forse un po' preoccupato, ma poi aveva ricambiato l'abbraccio e Gilraen aveva visto l'orgoglio e la gioia nei suoi occhi.
Gilraen non aveva avuto bisogno di vedere altro per capire che la sua opinione in proposito era superflua.

Pochi giorni dopo il ritorno degli elfi da Lòrien, a Gran Burrone giunse una lettera da Annùminas. Gilraen si teneva regolarmente in contatto con i suoi familiari e con coloro che in passato erano stati agli ordini di suo marito.
Ma, quella mattina, giunsero notizie tanto inaspettate quanto terribili.
Troppo a lungo ho vissuto nella tranquillità e nella sicurezza di Imladris. Dovevo immaginare che la pace non sarebbe durata, pensò Gilraen.


Traduzione delle frasi in Sindarin:

No dhìnen!: Silenzio!
Govano i nothrim in adh i mellyn in mi Mannos: che tu possa ricongiungerti con i tuoi cari nell'aldilà
Ci vaer?: come stai?

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Doveri ***


Ciao a tutti, dopo un'assenza così lunga sono pronta ad accogliere lanci di pomodori, lamentele varie e, perché no, anche un po' di freddezza. Vi chiedo scusa per questa pausa non dichiarata, ma a quanto pare la vita di tutti i giorni si è messa d'impegno per impedirmi di scrivere e, giusto per abbondare, anche l'ispirazione mi ha lasciata per un lungo periodo. Ma adesso sono tornata, ho già iniziato a scrivere il prossimo capitolo e vi posso promettere che non vi lascerò più a mani vuote per così tanto tempo, perlomeno non senza avvisare. La fanfiction continua e spero anche i vostri bellissimi commenti. Buona lettura!
 
Lo studio di Elrond si trovava nella posizione ideale per cogliere la luce mattutina, tuttavia quel giorno la stanza era illuminata soltanto dagli sporadici raggi di sole che attraversavano le nuvole.
Un tempo ai gemelli non era concesso di entrare in quella stanza quando il padre non era presente e, sebbene quel divieto avesse cessato di esistere ormai da tanto tempo, Elladan continuava a rispettarlo. Pertanto, nel periodo in cui Elrond era stato a Lòrien, Elladan aveva preferito limitarsi ad usare la propria stanza.
 
<< Elladan, oggi andremo a controllare lo stato delle provviste per l'inverno >>.
Elrond, seduto alla sua scrivania, era intento ad ordinare vecchi documenti per fare spazio a dei nuovi.
<< L'ho già fatto >>, rispose Elladan.
Elrond sollevò lo sguardo, vagamente sorpreso. << Bene. Allora anticiperò la mia visita al fiume, devo verificare i danni arrecati al ponte dall'ultima piena >>.
<< Ho fatto anche questo >>, disse Elladan.
Elrond alzò un sopracciglio. << Quando? >>.
<< Appena prima di venire qui >>, spiegò Elladan, e mentre parlava tentò di interpretare l'espressione di suo padre per capire se fosse irritato o soltanto perplesso.
<< Posso sapere il perché di tanta dedizione? >>, chiese Elrond.
Elladan capì all'istante che mentire non gli avrebbe portato alcun bene, per questo optò per la verità. << Hai detto agli elfi rimasti feriti di riposare e di non far nulla che possa aggravare le loro condizioni, ma adesso sei tu che non segui il tuo stesso consiglio >>.
Elladan temette per un momento di aver osato troppo, ma la risposta che ottenne fu pacata.
<< Apprezzo la tua preoccupazione, ma so bene dov'è il mio limite >>.
Elladan non ne era convinto, ma sebbene suo padre non si fosse arrabbiato, il suo tono rendeva chiaro che la discussione era finita lì. Dal momento che Elladan non poteva insistere, decise tra sé e sé che avrebbe attuato il suo piano anche il giorno successivo e quello dopo se fosse stato necessario. Sapeva che Elrond non si trovava in pericolo, ma sapeva anche che la cavalcata del giorno prima aveva aggravato le sue condizioni e che in quel momento era tormentato dal dolore. Poteva vederlo nei suoi occhi e nella sua espressione, che a tratti era attraversata da una fulminea ondata di sofferenza, così lieve che ben pochi oltre ad Elladan sarebbero stati in grado di notarla.
<< Avevi intenzione anche di tenere la riunione di questo pomeriggio al mio posto? >>, chiese Elrond.
<< Ho pensato di farlo, ma Elrohir ha detto che ti saresti arrabbiato >>.
<< Elrohir aveva ragione. Per adesso puoi andare, mi limiterò a scrivere delle lettere, se non hai nulla in contrario >>, disse Elrond, conferendo a quell'ultima frase un tocco di ironia.
Quando Elladan era in procinto di uscire, si ritrovò faccia a faccia con Gilraen, che, avendo trovato la porta già aperta, stava per bussare sullo stipite. Appariva inquieta e impaziente, e tra le mani stringeva una lettera ripiegata.
<< Avanti >>, disse Elrond, indicando una sedia vuota.
Gilraen, però, restò in piedi. << Vorrei parlarti di una questione di grande importanza >>, disse. Poi aggiunse, rivolta ad Elladan, << Resta, per favore, vorrei anche il tuo consiglio >>.
Elladan fu segretamente contento di poter restare. Era curioso di scoprire cosa aveva turbato così tanto Gilraen.
<< Ho ricevuto pessime notizie da Annùminas. Sapete già che, dopo la morte di mio marito, la responsabilità di svolgere le funzioni di Capitano dei Dùnedain spettava a me, fino a quando mio figlio non fosse cresciuto abbastanza. Tuttavia prima che venissi qui ho affidato il comando all'uomo di cui Arathorn si fidava di più, Badhor, che ha ricoperto il suo ruolo con valore, dimostrandosi degno della fiducia >>.
Elladan pensò subito a Maedir, a Melwen, alla piccola Edeniel, e pregò che nulla fosse accaduto a qualcuno di loro. Aveva quasi timore di ascoltare ciò che Gilraen stava per dire, ma lei non sembrava avere nessuna intenzione di nascondere qualcosa.
<< Poco fa una lettera mi ha informata che Badhor ed altri venticinque Dùnedain erano in un accampamento, diretti verso un villaggio vicino, quando sono stati attaccati da un gruppo di orchi e da due Mannari. Non erano preparati a combattere e, se uno dei cani di Maedir non avesse fiutato i nemici in tempo, a quest'ora sarebbero tutti morti. Badhor... è stato ucciso >>, con l'ultima frase calò il silenzio, mentre le implicazioni di quell'evento risuonavano in tutta la loro gravità.
<< Tra i feriti c'è anche mio padre >>, continuò Gilraen, << Mia madre dice che starà bene, ma temo lo stesso per lui, e in ogni caso non potrà essere lui a prendere il posto di Badhor, almeno non adesso >>.
Prima di venire a conoscenza della gravità della situazione Elladan aveva creduto di essere in grado di dispensare buoni consigli. Ma in quel momento l'unica cosa che riuscì a fare fu guardare suo padre in attesa che fosse lui il primo ad esprimere un'opinione.
<< Hanno bisogno di te, e subito >>, constatò Elrond.
<< Se dipendesse soltanto da me, partirei seduta stante >>, rispose Gilraen, << Ma non è così. Non posso lasciare Estel >>.
<< Non puoi neanche portarlo con te. Posso darti una scorta, ma non lascerei che Estel affrontasse un viaggio del genere neanche con un esercito al seguito. Sappiamo bene quanto è pericoloso >>, disse Elrond.
Prima di allora Elrond non si era mai intromesso nelle decisioni che riguardavano la vita e il benessere di Estel, rifletté Elladan. Aveva dato consigli ed espresso il proprio parere quando Gilraen lo richiedeva, ma mai aveva imposto il proprio volere come aveva fatto in quel momento.
Gilraen sembrò sorpresa, ma dovette riconoscere che riportare Estel tra i Dùnedain non sarebbe stata una scelta saggia.
<< Cosa dovrei fare, quindi? >>, chiese Gilraen, trattenendo a stento la propria impazienza.
Elrond distolse lo sguardo da lei. Elladan percepiva quanto suo padre fosse combattuto: qualsiasi decisione avessero preso, non sarebbe stata facile.
<< Non posso ignorare la responsabilità che è ricaduta su di me e non posso continuare ad affidare ad altri i miei doveri >>, disse Gilraen.
Elladan era certo che Elrond avrebbe concordato con Gilraen, ma invece la sua risposta lo stupì ancora una volta.
<< Estel si sentirà abbandonato >>, disse. Era una considerazione semplice, quasi banale se inserita in un discorso così pratico, ma importante ugualmente.
<< Ne sono ben consapevole >>, rispose Gilraen.
Fu allora che Elladan decise di intervenire nella conversazione. << Estel è destinato a diventare un capo dei Dùnedain. Facendo il bene del popolo, farai anche il bene di tuo figlio >>, disse. Poi aggiunse, questa volta guardando Elrond, << E purtroppo, per questa volta, il suo dolore è anche il suo bene >>.
Elrond non era solito parlare del suo passato, ma Elladan conosceva abbastanza da capire che per suo padre quella situazione era ben più personale di quanto non sembrasse. Elrond era forse l'unico, in quel momento, a poter davvero capire cosa avrebbe provato Estel.
Gilraen sospirò. Le parole di Elrond non avevano che aggravato il suo senso di colpa e reso la sua scelta ancora più gravosa.
<< Qualunque sia la tua decisione, io la appoggerò. Se sceglierai di partire, mi assicurerò che il tuo viaggio sia sicuro e... mi prenderò cura di Estel >>, disse Elrond.
Non era stato facile per lui pronunciare quelle parole, Elladan se ne accorse e sperò che se ne rendesse conto anche Gilraen.
<< Io ho deciso. Forse avevo già deciso prima di entrare in questa stanza >>, disse Gilraen, << Partirò domani stesso e tornerò non appena avrò trovato qualcuno a cui affidare la guida dei Dùnedain >>.
<< D'accordo >>, fu l'unica risposta di Elrond. Per quanto ci avesse provato, neanche Elladan riuscì a capire cosa si nascondeva dietro quel tono così freddo.
La loro conversazione terminò lì, ma la parte più difficile doveva ancora arrivare. Gilraen avrebbe dovuto dire ad Estel che era in procinto di partire.
A tal proposito a nessuno degli elfi fu chiesto un parere, né un aiuto. Gilraen chiamò suo figlio nella loro stanza e restò con lui per quasi un'ora. Elladan non seppe mai quali furono le parole utilizzate da Gilraen per spiegare al figlio il motivo della sua partenza, ma restò fortemente sorpreso nel sapere qual era stata la reazione del bambino. Non ci furono lacrime, né proteste. Quando lo vide, Elladan percepì una moltitudine di emozioni contrastanti appena al di sotto della superficie del suo sguardo, ma nessuna di queste emozioni emerse con chiarezza.
 
Trascorsero delle ore e, con l'arrivo della sera, sembrò che nulla fosse cambiato. Estel si comportava in maniera non dissimile dal solito e soltanto un occhio attento avrebbe potuto notare in lui un'inquietudine che appariva fuori posto sul viso di un bambino di cinque anni. Durante la cena, Elladan ne parlò con suo padre. << Sembra che sia andata meglio di quanto avessimo immaginato >>, disse.
Ma Elrond non era d'accordo. Osservava Estel con crescente preoccupazione, come se fosse l'unico a vedere qualcosa che era celato a tutti gli altri. << Chiederemo a Teliadir di unirsi alla spedizione >>, disse, cambiando di proposito argomento.
<< Sarà felice di rimettersi in viaggio >>, rispose Elladan, ben consapevole che quando suo padre non intendeva parlare di qualcosa era impossibile fargli cambiare idea.
Al termine della cena Elladan si diresse verso la Sala del Fuoco, dove sapeva che avrebbe trovato Teliadir. Nonostante amasse viaggiare, l'elfo era piuttosto abitudinario quando si trovava a Gran Burrone, ed ogni sera trascorreva il tempo seduto ad un tavolo, nel posto più lontano dal fuoco e di conseguenza dalla maggior parte delle persone, a leggere o scrivere lettere da spedire verso luoghi lontani.
Ma quella sera Teliadir non era presente. Al suo posto, seduta tra una pila di libri e di fogli macchiati d'inchiostro, c'era un'elfa. Elladan l'aveva conosciuta di sfuggita quando era tornato a Gran Burrone dopo il periodo trascorso ad Annùminas, ma non aveva mai avuto modo di parlare con lei. Úriel, questo era il suo nome, era l'unica elfa ad Imladris la cui età si avvicinasse, anche solo lontanamente, a quella di Gilraen, ed era stato forse questo il motivo per cui le due erano diventate amiche.
 
<< Stai cercando Teliadir? Sarà qui a breve >>, disse Úriel, sollevando brevemente lo sguardo dal libro che stava leggendo.
Elladan restò momentaneamente spiazzato dal tono confidenziale con cui l'elfa si era rivolta a lui. Le conversazioni a Gran Burrone erano di solito ben più ricche di convenevoli.
<< Hannon le >>, rispose Elladan, ed Úriel tornò a concentrarsi sulla lettura. I capelli dell'elfa erano rossi e con ogni probabilità erano anche la ragione del suo nome, che conteneva la parola "fuoco".
Trascorsero appena pochi minuti, ma Elladan iniziò subito ad essere impaziente. I preparativi per la partenza di Gilraen dovevano essere ultimati entro il giorno successivo e c'era ancora molto da fare. Tuttavia, andare di persona a parlare con Teliadir invece di mandare qualcun altro al suo posto era un segno di rispetto a cui Elladan non voleva rinunciare, anche se avesse significato impiegare del tempo prezioso.
Per ingannare l'attesa, Elladan diede uno sguardo ai libri che Úriel stava leggendo. Erano perlopiù volumi antichi, molti dei quali provenienti dalla libreria di Elrond. Alla fine, la curiosità ebbe la meglio.
<< Cosa stai leggendo? >>, chiese.
<< Un trattato sulle erbe curative. Teliadir vuole che lo impari a memoria >>, rispose l'elfa.
<< Sei la sua apprendista? >>, disse Elladan, non senza una buona dose di stupore.
<< Lo sono >>.
Elladan conosceva bene Teliadir ed era certo che l'elfo non volesse avere apprendisti.
Possibile che abbia cambiato idea così repentinamente?, si chiese.
<< È stato difficile >>, disse Úriel, in risposta a quella silenziosa domanda, << All'inizio Teliadir era riluttante, ma io sono stata determinata. Adesso mi sta mettendo alla prova, ed io sto facendo del mio meglio per non deludere le sue aspettative >>.
<< Confido che ci riuscirai >>, disse Elladan, appena in tempo per intravedere Teliadir che entrava dal portone principale.
<< Mellon nin! >>, esclamò l'elfo.
Elladan non perse altro tempo e spiegò a Teliadir la delicata situazione in cui si trovavano. Si rendeva conto che la sua non era una richiesta da poco e che non tutti avrebbero accettato di buon grado di prepararsi in poche ore per un viaggio senza neanche avere una data di ritorno prevista. Ma non Teliadir. Dopo appena qualche attimo di riflessione, l'elfo rispose, << Ci sarò, senza alcun dubbio >>.
<< Bene, partirete all'alba. Sarà Glorfindel a guidare la spedizione >>, spiegò Elladan.
Prima che Teliadir potesse ribattere, Úriel, che fino a quel momento sembrava non aver prestato attenzione alla conversazione, si alzò in piedi e disse, << Vorrei venire anche io. Potrò essere d'aiuto a Teliadir e Gilraen >>.
<< No >>, rispose bruscamente Teliadir, << Potrai renderti utile qui, completando i tuoi studi >>.
<< Pensi davvero che imparerei di più restando qui piuttosto che venendo in viaggio con te? >>, chiese Úriel, questa volta con un malcelato tono di sfida.
<< Qualcuno direbbe che il miglior modo per imparare a nuotare è tuffarsi in un lago. Potrebbe anche avere ragione, ma, se così non fosse, annegherebbe >>, disse Teliadir, << Impara a stare a galla e poi ti insegnerò a nuotare. Questo fu Elrond a dirmelo una sera di tanti anni fa, dopo avermi mandato via appena prima di una battaglia. Quel suo gesto potrebbe avermi salvato la vita e, se sei saggia, farai anche tu tesoro delle sue parole >>.
Úriel restò in silenzio, mentre la risposta che aveva pensato di dare le moriva sulle labbra.
Elladan percepì il disagio dell'elfa nel rendersi conto che non sarebbe riuscita ad avere la meglio in una discussione con Teliadir, così, in un attimo, prese una decisione.
<< Se ritieni di essere pronta, potrai unirti alla spedizione. Teliadir non ha l'autorità per impedirtelo >>, disse.
Úriel abbassò lo sguardo e mormorò un ringraziamento. Teliadir, invece, non proferì parola.
 
Mentre lasciava la Sala del Fuoco, Elladan si interrogò sulla decisione che aveva preso. Fino a quel momento era accaduto molto di rado che lui o Elrohir utilizzassero l'autorità di cui erano in possesso. Solitamente si limitavano a seguire le indicazioni di Elrond, oppure a lasciare che ognuno agisse secondo la propria coscienza. Persino quando Elrohir ed Elrond erano partiti per Lórien, Elladan aveva sempre fatto ciò che immaginava avrebbe fatto suo padre nella stessa situazione. Quella volta, invece, aveva semplicemente seguito il suo istinto, e si era comportato di conseguenza. Si chiese se non fosse proprio quello il suo destino: restare ad Imladris ed esserne il custode.
<< El! >>, Elrohir lo raggiunse a passo svelto e disse, frettolosamente, << Glorfindel vuole discutere con me in merito a quale sia il percorso più sicuro per raggiungere Annùminas, andresti tu da lui al mio posto? >>.
<< Speri che non si accorga della differenza? >>, chiese Elladan, vagamente divertito.
<< No, ma tu conosci quei luoghi bene quanto me ed io ho una faccenda importante di cui occuparmi >>, spiegò Elrohir.
<< D'accordo, andrò subito, ma poi dovrai spiegarmi di che si tratta >>.
<< Ti ringrazio >>, disse Elrohir, ed andò via con la stessa fretta con cui era arrivato.
Elladan sospirò. Lo attendeva una lunga notte.
 
Il giorno successivo, a miglia di distanza, le prime luci dell'alba illuminarono Annùminas. Gli ultimi giorni non erano trascorsi serenamente per nessuno degli abitanti della città e, di conseguenza, l'aria era carica di tensione. Una persona sola, seduta sull'uscio della propria casa, appariva completamente calma.
Melwen aveva fiducia nel futuro. Perlomeno, era questo che continuava a ripetersi nella speranza che prima o poi avrebbe iniziato a crederci davvero. Ascoltò il rumore di un battito d'ali, un uccello si era posato a pochi passi da lei. Un vago odore di legna bruciata, il fruscio delle piante mosse dal leggero tocco del vento. Poi, un rumore di passi. L'uccello volò via.
Melwen riconobbe l'andatura di Maedir, un passo inconfondibile. << Com'è andata la notte? >>, chiese.
Maedir si sedette accanto a lei. << Meglio di quanto mi aspettassi, ma alcuni feriti sono ancora in condizioni gravi >>, rispose, la voce carica di tensione. Poi aggiunse, sospirando, << Spero che Gilraen torni da noi. Non avere una guida rende tutto più difficile >>.
<< Tornerà >>, disse Melwen, << Ne sono certa >>.
Ne era davvero certa: aveva visto gli elfi pronti a partire da Gran Burrone. Con loro aveva visto anche Elrohir che consegnava a Gilraen un piccolo oggetto, un regalo. Melwen non sapeva cosa fosse, ma poco importava l'oggetto in sé. Sapere che, nonostante la lontananza, Elrohir continuava a pensare a lei la rendeva felice più di quanto fosse lecito.
<< Sei di buon umore >>, commentò Maedir. Solo allora Melwen si accorse di star sorridendo e, subito dopo, si sentì in colpa. Non avrebbe dovuto essere felice per qualcosa di così piccolo, non quando c'erano questioni ben più gravi di cui preoccuparsi.
<< Lo so che non mi dirai cosa ti passa in quella mente tormentata, ma per me saperti sorridente è abbastanza. Significa che le cose miglioreranno >>, disse Maedir.
<< Ho soltanto fiducia nel futuro >>, rispose Melwen, con una mezza verità. Non sapeva se effettivamente le cose sarebbero migliorate perché non era riuscita a vedere oltre il dono che Elrohir le aveva mandato.
<< Allora prenderò in prestito un po' del tuo ottimismo e lo porterò a casa con me. È da ieri che non vedo Hanneth, è meglio che vada >>, disse Maedir.
<< Va', prima che ti richiamino all'opera >>, rispose Melwen, << Io resterò qui ancora per un po' >>.
Un fruscio, passi che si allontanavano, l'abbaiare di un cane, un sospiro, l'odore della terra, il calore del sole.
 
In quello stesso momento l'alba illuminò anche Imladris e la compagnia degli elfi.
I cavalli erano sellati e, tenuti per le redini dai loro cavalieri, iniziavano a scalciare per l'impazienza. Gli elfi erano silenziosi, parlavano tra loro a bassa voce e, se non fosse stato per l'occasionale stridio delle spade, qualcuno avrebbe potuto camminare a pochi metri di distanza senza accorgersi della loro presenza.
In fondo al gruppo, Elladan riconobbe Úriel e, accanto a lei, Teliadir, che evitava di proposito il suo sguardo. Si riappacificheranno presto, pensò Elladan.
Il cavallo di Gilraen era pronto, posizionato poco dopo quello di Glorfindel, ma non c'era ancora traccia né della donna, né di Estel.
Elladan ed Elrohir osservarono con un malcelato orgoglio la spedizione che erano riusciti ad organizzare autonomamente nell'arco di un solo giorno, seppur con il prezioso aiuto di Elrond. Era un gruppo molto più numeroso di quello che aveva viaggiato verso Lórien e, con Glorfindel alla guida, era difficile immaginare chi o cosa avrebbe mai potuto rappresentare un pericolo per loro.
Gilraen arrivò poco dopo, tenendo per mano Estel ed indossando dei comodi abiti da viaggio al posto delle lunghe vesti elfiche. In quel momento gli elfi presero posto, pronti a partire al comando di Glorfindel. Quest'ultimo stava concordando con Elrond gli ultimi dettagli in merito a come si sarebbero tenuti in contatto dopo la partenza.
Elrohir approfittò di quegli ultimi attimi per raggiungere Gilraen e chiedere, << Porteresti qualcosa ad Annùminas da parte mia? >>.
<< Con piacere >>, rispose Gilraen.
L'oggetto in questione non era che un piccolo sacchetto di cuoio chiuso con un laccio. << È per Melwen >>, disse Elrohir.
Gilraen prese il sacchetto e lo osservò con evidente curiosità, ma non pose domande, si limitò a promettere che l'avrebbe portato a destinazione. Elrohir la conosceva abbastanza da sapere che, per quanto potesse esserne incuriosita, Gilraen non l'avrebbe mai aperto prima di consegnarlo alla sua legittima destinataria.
Elrohir ringraziò e si allontanò per dare modo ad Estel di trascorrere quegli ultimi momenti con sua madre.
 
<< Cos'era quello? >>, chiese Elladan poco dopo.
Elrohir pensò di non rispondere. Una parte di lui voleva che quel regalo per Melwen restasse soltanto tra loro. Voleva compensare per le lettere che si erano scambiati, tutte lettere che, inevitabilmente, non sarebbero mai state private.
Tuttavia, rifletté, nascondere qualcosa ad Elladan sarebbe stato del tutto insensato.
<< Sono dei semi >>, rispose infine Elrohir, << A Melwen piace indossare fiori, quindi ho pensato che le sarebbero piaciuti anche questi. Non li ho mai visti al di fuori dei giardini di Imladris, ed il loro profumo è unico >>.
Elladan sorrise, dicendo, << È un regalo perfetto >>.
<< Avrei voluto pensare a qualcosa di meglio, ma non ne ho avuto il tempo >>.
<< È perfetto >>, ripeté Elladan, << Melwen ne sarà felice. Non sorpresa, probabilmente, ma felice nondimeno >>.
<< Sorprenderla va ben oltre le mie capacità >>, disse Elrohir.
Fu allora che Elladan percepì qualcosa in lui, un sentimento che lo investì in pieno in tutta la sua semplicità. Era un'ondata di affetto, così forte e profonda che Elladan quasi si chiese come facessero tutti gli altri a non notarla. Ed era, naturalmente, connessa al pensiero di Melwen.
Come primo istinto Elladan ne fu felice, ma subito dopo arrivò la preoccupazione. Sapeva bene che provare un sentimento così intenso per qualcuno era pericoloso, soprattutto se la persona in questione era un'umana, la cui vita sarebbe durata, anche nel migliore dei casi, un tempo molto breve.
Dopo le ultime raccomandazioni e gli ultimi saluti, la compagnia si mise in marcia. Estel restò in silenzio, a guardare Gilraen che si allontanava. Il bambino non pianse, ma i suoi occhi arrossati indicavano che forse aveva già terminato le sue lacrime tempo prima.
Gilraen si voltò a guardare indietro per un'ultima volta, rivolgendo un sorriso rassicurante ad Estel ed uno sguardo eloquente ai tre elfi. Il suo significato era chiaro: Gilraen stava affidando a loro il futuro del suo popolo e mai, prima di allora, si era fidata a tal punto di qualcuno.
Adesso tocca a noi la parte più difficile, pensò Elrohir e, scambiando una breve occhiata con Elrond, constatò che anche lui stava pensando la stessa cosa. Dovevano dimostrarsi degni della fiducia che era stata riposta in loro.
Elrond ordinò che, da quel giorno in poi, ci sarebbero stati doppi turni di guardia. Un attacco diretto ai confini era altamente improbabile, ma con così pochi uomini rimasti ad Imladris sentirsi al sicuro sarebbe stato un grave errore.
 
La giornata trascorse in fretta per Elrond, così indaffarato che a stento si rese conto del trascorrere del tempo. Infine, a tarda sera, si ritirò nella propria stanza, mentre tentava di contrastare il senso di gelo che lo attanagliava.
Forse era la stanchezza, mista alla preoccupazione per la partenza di Gilraen, oppure il brutto presentimento che già da tempo gravava sui suoi pensieri, o forse era l'insieme di tutto.
Come spesso faceva in momenti simili, Elrond si chiese cosa avrebbe detto Celebrìan se fosse stata presente. Avrebbe detto che ho una grande abilità nel preoccuparmi del pericolo quando questi è lontano, mentre, quando il pericolo è vicino, mi comporto come se non ci fosse, pensò, riportando alla mente qualche vago ricordo di una conversazione avuta innumerevoli inverni prima.
 
Un fruscio di passi distolse l'elfo dai suoi pensieri. Dopo aver trascorso una grossa fetta di vita sui campi di battaglia, Elrond aveva imparato a non abbassare mai la guardia e, nonostante si trovasse nella propria stanza, entro gli impenetrabili confini di Imladris, scattò in piedi all'udire il fievole rumore di passi furtivi. Era una camminata così leggera che dapprima Elrond pensò si trattasse di un elfo, ma più la fonte del rumore si avvicinava, più quell'ipotesi si dimostrava errata. Quando Estel si adoperava per non farsi vedere o sentire, la sua abilità era tale che avrebbe potuto essere scambiato per un piccolo eldar.
Il bambino si affacciò timidamente dalla porta socchiusa. Elrond aveva immaginato che quella notte Estel non avrebbe dormito sonni sereni, ma non credeva che avrebbe cercato conforto lì, da lui, invece che da Elrohir ed Elladan.
<< Non riesci a dormire? >>, chiese.
Estel scosse la testa.
A quel punto Elrond avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che sua madre era al sicuro e che sarebbe tornata presto, ma bastò un'occhiata al suo sguardo triste e malinconico per fargli capire che nessuna parola avrebbe avuto effetto. Allora decise di tentare qualcosa di diverso.
<< Usciamo per un po', sei d'accordo? >>, disse.
<< Possiamo? >>, chiese Estel, incerto. In un giorno come gli altri a quell'ora così tarda non gli sarebbe stato concesso di uscire.
<< Solo per questa volta. Vai a prendere il tuo mantello >>, disse Elrond.
Estel non se lo fece ripetere due volte.
 
Poco dopo, Elladan ed Elrohir li videro da una finestra che affacciava sul giardino.
Elrond ed Estel erano seduti sull'erba, ad osservare le stelle. Per i gemelli fu come guardare da una finestra sul passato, un ricordo lontano che improvvisamente tornava ad essere vivido. Avevano trascorso tante serate nella loro vita in maniera simile, immaginando disegni nel cielo ed imparando i nomi delle stelle più luminose.
<< Sembra che finalmente Estel sia più sereno >>, osservò Elrohir.
<< Nostro padre sapeva esattamente cosa fare per tranquillizzarlo >>, disse Elladan.
<< Io non credo che l'abbia fatto soltanto per Estel, credo che in parte l'abbia fatto per se stesso >>.
<< Forse hai ragione >>, rispose Elladan, << E per oggi la nostra presenza non sarà più richiesta, possiamo ritirarci nelle nostre stanze sapendo che Estel è in buone mani >>.
Ma Elrohir continuò a guardare attraverso la finestra. I suoi pensieri non erano più rivolti al passato, ma al futuro. Con una nota di incertezza nella voce pose una domanda che prima di allora aveva fatto solo a se stesso. << Credi che noi potremmo, un giorno... >>, si fermò, rendendosi conto di quanto fosse insolito quello che stava per dire. Ma Elladan aveva capito. L'avrebbe capito anche se Elrohir non avesse detto niente, tanto era rumoroso il suo pensiero.
 
<< Avere dei figli? >>, disse, incredulo, << Non pensi che ne avremo abbastanza dopo la fatica che faremo per crescere Estel? >>.
<< Intendevo dire in futuro >>, specificò Elrohir.
<< Non io, di questo sono certo. Tu, forse >>, rispose Elladan.
<< Non so come mi sia venuto in mente, non ci avevo mai pensato prima >>, confessò Elrohir.
<< Forse lo so io: da quando ci troviamo al sicuro è più facile riflettere sul futuro >>, disse Elladan.
<< Questa sera sai troppe cose, da quando sei diventato così saggio? >>, chiese Elrohir, accompagnando quella velata provocazione con un sorriso di sfida. Aveva deciso che l'argomento che aveva introdotto era troppo lungo e complesso per essere affrontato in quel momento e sperava di poterlo accantonare per quando fosse stato di umore più consono.
<< Da quando svolgo i miei doveri invece di preparare pegni d'amore >>, rispose Elladan. Quella risposta gli valse una spinta scherzosa da parte di Elrohir, che subito ribatté, << Non era un pegno d'amore >>.
<< Allora dovresti spiegarlo a Melwen. L'ultima volta che io ho regalato un fiore a qualcuno il suo significato era esattamente quello >>. Per un attimo il ricordo di Saeliel balenò nella mente di Elladan, fulmineo e doloroso come la puntura di un ago.
Elrohir lo avvertì con la stessa intensità e, in un attimo, tornò serio.
<< Mi dispiace che tu debba essere sottoposto anche a questo >>, disse Elladan, senza incrociare il suo sguardo. Si sentiva imbarazzato per aver rovinato quel momento di buonumore al termine di una giornata così stancante.
<< Non dirlo, lo sai che sbagli a pensarla così. Posso sopportare tutti i nostri dolori insieme, ma la solitudine... >>, rispose Elrohir, << La solitudine mi ucciderebbe >>.
La conversazione terminò lì. Una cosa era chiara ad entrambi gli elfi: con il passare degli anni, trovare attimi di leggerezza stava diventando sempre più difficile.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Hannon le: grazie
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Partenze e arrivi - parte 1 ***


Ancora una volta gli eventi della vita reale hanno ritardato l'uscita del capitolo. A causa della sua lunghezza, questo sarà diviso in due parti (la seconda verrà pubblicata entro la prima settimana di aprile). Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi ed invito tutti i lettori a lasciare un commento, anche di poche righe, per farmi sapere cosa pensano di questa storia.
 
Dal giorno della partenza di Gilraen, Elladan ed Elrohir si resero conto di quanto fosse difficile prendersi cura di Estel a tempo pieno. Non si erano illusi che sarebbe stato facile, ma neanche avevano immaginato di dovervi dedicare la maggior pare della loro giornata. Estel era in possesso di una sensibilità rara per un bambino così piccolo, osservava con attenzione tutto ciò che lo circondava e, quando gli si parlava, ascoltava in silenzio. Eppure, ascoltare non sempre significava obbedire. Estel non perdeva occasione per agire di testa propria, spesso contravvenendo alle raccomandazioni degli elfi. Era determinato e testardo, abbastanza da mettere a dura prova la pazienza di Elrohir ed Elladan. I gemelli arrivarono presto a sentirsi inadeguati di fronte alla loro apparente incapacità di controllare Estel.
Elrond, invece, si rapportava con il piccolo Dùnadan con estrema naturalezza. Sapeva esattamente come comportarsi con Estel: quando assecondarlo, quando imporsi e quando rimproverarlo.
<< Voi non eravate molto diversi, alla sua età >>, aveva detto Elrond ai gemelli, << Devo a voi la mia buona dose di pratica >>.
Elrohir ed Elladan, invece, avevano acquisito la loro esperienza durante l'infanzia di Arwen. O così credevano.
Arwen era sempre stata una bambina riflessiva ed obbediente, un'elfa in tutto e per tutto, mentre i gemelli, a detta dei loro genitori, erano piccoli elfi che si comportavano come umani. Estel, al contrario, era un umano, ma parlava e camminava come un elfo.
 
<< Estel! Scendi subito da quell'albero >>.
Elladan sospirò, mentre cercava di ricordare quante volte avesse già rimproverato Estel per essersi arrampicato su un albero. Aveva perso il conto.
<< Guarda >>, disse Estel, indicando un ramo sotto di sé, << Ieri ero arrivato fino a lì. Oggi sono salito ancora più in alto! >>.
Il bambino era così fiero di sé che per un attimo Elladan ne fu intenerito. Ma al contempo era consapevole che qualsiasi segno di cedimento da parte sua avrebbe significato ritrovarsi in quella stessa situazione anche il giorno successivo.
<< Ho visto, e non voglio più vederti lassù. Ti ho già spiegato che è pericoloso >>, disse Elladan.
<< Ma... >>, Estel fu sul punto di protestare, ma si fermò di colpo.
Elrond stava arrivando. Quando lo vide, Estel scese dall'albero così in fretta che Elladan temette di vederlo cadere. Sperava forse di non essere stato visto, ma inutilmente.
Quando Elrond arrivò, disse soltanto, << Vieni con me >>.
Elladan li guardò allontanarsi, sorridendo alla vista del piccolo Dùnadan che correva per riuscire a stare al passo con l'alto elfo.
 
Estel sapeva di essersi messo nei guai, l'aveva capito dallo sguardo severo di Elrond. Con Elladan ed Elrohir era sempre più facile infrangere le regole: loro si arrabbiavano più spesso, ma poi finivano per essere complici delle sue piccole malefatte.
Elrond, invece, sembrava che non si arrabbiasse mai sul serio. Era sempre calmo e non alzava mai la voce, né con Estel, né non nessun altro, eppure tutti facevano ciò che lui chiedeva loro di fare. Era forse per questo motivo che Estel, mentre seguiva Elrond nel suo studio, era sereno, pur sapendo che avrebbe presto ricevuto un rimprovero. Accanto ad Elrond si sentiva protetto, persino in quella situazione.
Seduto su una sedia troppo grande per lui, Estel sperò soltanto di non ricevere anche una punizione. Ricordava ancora con rammarico l'ultima punizione che aveva ricevuto: non poter mangiare il dolce dopo cena. Sapeva che quella sera avrebbero servito la torta di mele, una delle sue preferite, pertanto pregò silenziosamente che Elrond fosse più bendisposto dell'ultima volta.
<< Adesso hai sei anni >>, disse l'elfo, << Dovresti trovare un modo migliore per impiegare il tuo tempo >>.
Estel non rispose. Non voleva mettere a repentaglio la torta di mele.
<< È ora che impari a leggere e scrivere >>, continuò Elrond.
Quella proposta suonò estremamente bizzarra alle orecchie di Estel. Nella sua breve esperienza leggere e scrivere erano attività che solo i "grandi" potevano svolgere.
<< Posso imparare anche io? >>, chiese, incerto.
<< Certo che puoi, e sarò io ad insegnarti >>.
Estel continuava a dubitare di poter arrivare a decifrare quei misteriosi segni sulla carta, ma l'idea di riuscire a leggere le storie che tanto amava senza dover chiedere a qualcuno di farlo per lui era decisamente allettante, troppo per non decidere di provare.
 
Così Estel iniziò i suoi studi. Elrond gli insegnò a riconoscere le lettere, associando ciascuna di loro ad un suono, poi a riprodurne la forma con un gessetto. Estel era uno studente volenteroso, ma si annoiava facilmente e, quando accadeva, la lezione poteva anche considerarsi terminata. Elrond, dal canto suo, aveva imparato ad essere un insegnante paziente.
 
La prima lettera da Annùminas giunse a distanza di un mese dalla partenza di Gilraen.
Come gli elfi avevano immaginato, le previsioni che la donna aveva fatto in merito ai tempi del suo viaggio erano state troppo ottimistiche. Le notizie che arrivavano dalle terre dei Dùnedain non erano rassicuranti: le pattuglie di orchi venivano avvistate molto più spesso rispetto a soli cinque anni prima. Elrond sospettava che fossero a conoscenza dell'esistenza di Estel.
Sperano di ucciderlo prima che diventi adulto, rifletté.
Anche Gilraen doveva averlo capito, le sue parole non lasciavano spazio a fraintendimenti: "Inizio a pensare che sappiano di Estel. L'ultima volta che ho lasciato Annùminas erano in pochi a conoscere la mia meta, ma i Dùnedain sono un popolo di viaggiatori e le informazioni viaggiano con loro. Per mio ordine, da adesso in poi nessuno tra la mia gente pronuncerà il nome di Aragorn. Se avremo fortuna, si spargerà la voce che Arathorn sia morto senza eredi, mentre Estel sarà soltanto un bambino umano ospite del Signore di Imladris".
Elrond dubitava che un provvedimento così semplice potesse essere la soluzione al loro problema, ma era comunque meglio di attendere senza agire. Una cosa era certa: Estel sarebbe tornato tra la sua gente non prima di aver raggiunto l'età adulta.
 
Nel frattempo, all'ombra della torre di Annùminas, Maedir svolgeva il proprio lavoro giorno dopo giorno. Il ritorno di Gilraen aveva giovato all'umore della popolazione, mentre gli elfi avevano fornito un aiuto prezioso nella protezione dei territori dei Dùnedain.
Glorfindel aveva guidato numerose spedizioni, brevi ma efficaci, allo scopo di rendere sicuri i dintorni di Annùminas e degli accampamenti vicini. Con pochi elfi al suo comando aveva eliminato tre piccoli gruppi di orchi, dei troll e quella che sembrava la base per un allevamento di Mannari. Gli elfi erano precisi, disciplinati, letali. Glorfindel era esattamente come lo descrivevano le leggende: saggio e risoluto, mentre camminava tra le vie della città non c'era persona che non alzasse lo sguardo per ammirarlo. Tutti, adulti e bambini, osservavano con deferenza l'elfo che aveva sconfitto un Balrog e che era riuscito a mettere in fuga il Re stregone di Angmar, Maedir non faceva eccezione. Aveva accolto l'arrivo degli elfi con un misto di felicità ed amarezza: era grato agli elfi per la loro protezione, ma allo stesso tempo vederli gli aveva ricordato quanto sentisse la mancanza di Elladan ed Elrohir. Sua figlia, intanto, non faceva che rinnovare la sua richiesta di visitare Gran Burrone e Gelion, che spesso tendeva ad imitare la sorella maggiore, faceva lo stesso.
<< Oggi ho parlato con Gilraen >>, disse Hanneth una sera, mentre erano a casa, di fronte alla fioca luce di una candela, << Ha detto che presto torneranno ad Imladris >>.
<< Lo immaginavo, hanno fatto fin troppo per aiutarci >>, rispose Maedir.
<< Gilraen ha anche detto che gli elfi torneranno per un'ultima breve visita entro il prossimo inverno, per assicurarsi che i nostri territori siano ancora sicuri >>.
Quelle parole diedero a Maedir l'occasione giusta per dar forma al pensiero che occupava la sua mente già da giorni.
<< Stavo pensando ai nostri figli. Non hanno mai visto nulla al di fuori di Annùminas e Fornost.
<< Stai pensando di andare a Gran Burrone? >>, lo anticipò Hanneth.
<< Potremmo andarci con gli elfi il prossimo anno, se accetteranno di accompagnarci >>.
Hanneth rifletté per qualche istante, poi disse, << Scrivi una lettera ad Elrohir, sono certa che appoggerà la tua idea >>.
<< È probabile >>, rispose Maedir.
<< È sicuro >>, lo corresse Hanneth, con un sorriso, << E credo che, nonostante Melwen non ami viaggiare, questa volta vorrà unirsi a noi >>.
 
Due lune dopo, Gran Burrone era avvolta dal gelo dell'inverno.
Elladan era a cavallo, di pattuglia ai confini, quando li vide. Non più di una sagoma indistinta, ma inconfondibile. Era la compagnia degli elfi, di ritorno da Annùminas.
Alla testa del gruppo, si intravedevano il cavallo bianco di Glorfindel e quello nero di Gilraen. Elladan, in preda all'impazienza, spronò il suo cavallo al galoppo, tornando indietro sui propri passi. Si fermò brevemente in corrispondenza delle guardie per avvertire dell'imminente arrivo degli elfi, poi proseguì verso i giardini di Imladris.
Lì, come aveva immaginato, trovò Estel, che, avvolto in due strati di pellicce, giocava con il sottile strato di ghiaccio che si era formato sull'erba. Il bambino era in trepidante attesa della prima neve dell'anno, ignaro che di lì a poco qualcos'altro avrebbe occupato i suoi pensieri.
<< Salta su, c'è una sorpresa per te >>, disse Elladan.
Estel non se lo fece ripetere due volte. Si avvicinò al cavallo e lasciò che Elladan lo sollevasse per poi metterlo sulla sella, di fronte a sé.
Estel si aggrappò saldamente al mantello di Elladan con entrambe le mani. Aveva un vago timore di andare a cavallo, perché non gli era stato ancora insegnato come stare in sella. Gilraen aveva affidato di buon grado ad Elrond l'educazione di suo figlio, ma aveva detto di voler essere lei ad insegnargli a cavalcare. "Fu mia madre ad insegnarlo a me e sarò io ad insegnarlo a lui. È una tradizione di famiglia".
Quando Elladan ordinò al cavallo di tornare indietro nuovamente, l'animale gli lanciò un breve sguardo confuso, come se si chiedesse il perché di tanta indecisione, poi, rassegnato, obbedì.
<< Dove andiamo? >>, chiese Estel.
<< Al confine >>, rispose Elladan.
<< Perché? >>.
<< Lo vedrai >>.
<< Vedrò cosa? >>.
Elladan attraversò il ponte sul fiume, oltrepassando il confine di Imladris. Ma non intendeva allontanarsi di molto, soltanto il necessario per riuscire a sorprendere Gilraen ed Estel allo stesso tempo. Quando il bambino vide dove erano diretti, Elladan dovette trattenerlo per impedirgli di alzarsi in piedi sulla sella.
<< Gi suilannon, trevaded and? >>, disse Elladan, mentre porgeva Estel alle braccia tese di Gilraen.
<< Gwannas lû and, mellon nin >>, disse Glorfindel.
Elladan poteva leggere nel suo sguardo colmo di orgoglio che la missione si era conclusa con successo. Quando Glorfindel era di ritorno a Gran Burrone, Elladan riusciva spesso ad indovinare qual era stato l'esito della spedizione soltanto guardandolo negli occhi. Se qualcuno perdeva la vita sotto il suo comando, Glorfindel avvertiva su di sé il peso di quella perdita. Il suo era un dolore silenzioso, discreto, nascosto appena sotto la superficie. In questo era simile ad Elrond.
Se mai si fosse trovato in una posizione di comando, Elladan aveva un'idea ben chiara su come avrebbe voluto essere.
Quel pensiero lo riportò alla conversazione che aveva avuto con Teliadir prima che partisse. Aveva ripensato alla freddezza con cui si erano salutati ed aveva sentito il bisogno di essere rassicurato.
<< Spero che la nostra amicizia non sia stata compromessa >>, disse Elladan, appena dopo aver dato il benvenuto a Teliadir.
<< La nostra amicizia è come una quercia secolare: non si farà certo abbattere dal primo colpo di vento >>, rispose l'elfo.
<< Anche il vento, prima o poi, riesce a spezzare i rami di una quercia. Non voglio che accada >>.
<< Non accadrà. So perché hai detto quello che hai detto: vuoi che la tua voce venga ascoltata e vuoi essere l'artefice di qualche piccolo cambiamento >>, disse Teliadir.
<< Adesso che l'hai detto sembra un'impresa impossibile. Noi due abbiamo viaggiato abbastanza da capire che Gran Burrone è immune ai cambiamenti, per quanto piccoli possano essere >>, rispose Elladan.
<< Non esserne così sicuro. Prima di te ed Elrohir non ricordo nessuno che avesse l'appellativo di "principe di Imladris" >>, ribatté Teliadir, divertito.
Elladan abbassò lo sguardo, imbarazzato. << Non siamo stati noi a sceglierlo >>.
<< Troppo tardi, mellon nin, è un fardello che dovrai portare ancora a lungo >>.
Alla fine di quella conversazione, Elladan sentì di essersi liberato di un peso. Gli elfi tornarono a Gran Burrone, Gilraen tornò alle sue abitudini, mentre ad Annùminas Dìrhael faceva le veci di Capitano.
Estel reagì con gioia al ritorno di sua madre, ma fu presto chiaro a Gilraen che durante la sua assenza qualcosa era cambiato. Estel era ormai abituato a dormire da solo e ad aggirarsi per Gran Burrone da solo. Si esercitava a scrivere senza bisogno di qualcuno al suo fianco e, solo una volta finito, andava da Elrond a mostrare il suo lavoro. Gilraen capì che il suo ruolo non aveva più l'importanza di un tempo.
 
Era trascorso mezzo ciclo di luna dall'arrivo degli elfi, quando una mattina giunse un messaggero e, con lui, una lettera da Annùminas.
<< Elrohir sembrava più felice del solito oggi, c'è qualcosa di cui non sono al corrente? >>, chiese Elrond ad Elladan.
<< Ha ricevuto una lettera che portava buone notizie >>, rispose Elladan. L'allegria che proveniva da Elrohir era per Elladan come un filo di vento fresco in una giornata afosa: impossibile non sentirlo, impossibile non trarne beneficio.
<< Dev'essere stato qualcosa di inusuale, dal momento che entrambi state sorridendo da quando, all'alba, è arrivato il messaggero >>, commentò Elrond.
<< Maedir e Melwen verranno a farci visita >>.
Elladan era ben consapevole di essere contagiato dall'entusiasmo di suo fratello, ma più tempo passava, più si chiedeva cosa sarebbe successo una volta che Melwen fosse arrivata ad Imladris. Non sapeva se, riflettendo a mente lucida, avrebbe avuto la stessa reazione gioiosa.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Gi suilannon, trevaded and?: Bentornati, è stato un lungo viaggio?
Gwannas lû and, mellon nin: Fin troppo lungo, amico mio

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Partenze e arrivi - parte 2 ***


Ed ecco la seconda parte!
 
Quando voleva, Estel sapeva essere eccezionalmente furtivo. Avvicinarsi ad un elfo senza essere notati era impossibile, ma con il passare del tempo Estel stava diventando sempre più abile ad aggirarsi per Imladris non visto.
Quel giorno, Estel era riuscito a salire sulla cima di un albero che si trovava ai limiti della vallata di Gran Burrone. Aguzzando la vista, riusciva a vedere i confini e le guardie che li pattugliavano. Trovarsi lì avrebbe significato scatenare l'ira di sua madre e di Elrond, ma ne sarebbe valsa la pena. Da lassù la vista era emozionante: poteva osservare i confini, l'unico grande limite che Estel non avrebbe mai osato oltrepassare. Provava un brivido di paura anche solo a guardarli.
 
Ad un tratto, un elfo tornò indietro dal confine. Estel restò immobile ed in silenzio mentre l'elfo passava proprio sotto il suo albero e tirò un sospiro di sollievo quando constatò di non essere stato scoperto. Incuriosito, Estel tentò di capire chi o cosa avessero visto gli elfi, ma invano: si trovava troppo in alto e troppo lontano.
Farei bene a scendere, prima che qualcuno mi veda, pensò.
Un attimo dopo Estel vide quello stesso elfo che tornava verso il confine, questa volta accompagnato da Elladan ed Elrohir. Sembrava avessero fretta, ma non c'era preoccupazione sul loro volto. Che Glorfindel fosse tornato dal suo secondo viaggio ad Annùminas?
 
Elrohir attraversò il ponte sul fiume con il cuore a mille, speranzoso ad impaziente. In testa al gruppo c'era Glorfindel, poi seguivano gli altri elfi della compagnia, in una formazione pressoché identica a quella che avevano adottato quasi un anno prima, la prima volta che erano andati nelle terre dei Dùnedain.
Ma questa volta, al centro della formazione, c'erano dei visi familiari. In sella ad un cavallo grigio, c'era Maedir; accanto a lui, su un cavallo dello stesso colore, sua moglie Hanneth con un bambino dai capelli scuri, che aveva all'incirca la stessa età di Estel. Doveva essere Gelion. Mentre alle loro spalle, in sella ad un cavallo sauro legato a quello di Maedir, c'erano Edeniel, ormai tredicenne, e Melwen.
Gli anni trascorsi dal loro ultimo incontro erano stati, per Elrohir, rapidi come un soffio di vento. Tuttavia, nei volti di coloro che aveva lasciato, vedeva la verità. Nei suoi ricordi, Edeniel era una bambina curiosa e allegra, mentre adesso, guardandola, era facile intravedere la donna che sarebbe diventata. Ma fu soprattutto su Melwen che lo sguardo di Elrohir si soffermò, per un tempo che sembrò infinito. Indossava abiti da viaggio, i capelli più lunghi di quanto Elrohir ricordasse e, sul suo viso, c'erano piccole rughe, appena visibili.
Maedir fu il primo a vederli ed il primo a correre loro incontro. Quando Maedir era felice, era impossibile trovarsi in sua presenza e non essere travolti dalla sua gioia. Il suo era il sorriso di chi aveva il proprio passato alle spalle, invece che sopra di esse. Melwen, invece, era indecifrabile a chiunque non la conoscesse in profondità. Chiunque posasse gli occhi su di lei finiva per chiedersi cosa stesse pensando e, infine, per desiderare la sua compagnia.
Dopo aver salutato gioiosamente Edeniel, Hanneth ed il piccolo Gelion, che non aveva alcuna memoria degli elfi, Elrohir si avvicinò a Melwen. Era appena scesa da cavallo e teneva ancora in mano le redini, con un'espressione che Elrohir conosceva bene: era in attento ascolto, per familiarizzare con una situazione ed un luogo sconosciuti.
<< Benvenuta >>, disse Elrohir.
Melwen lo riconobbe all'istante. Basandosi soltanto sulle loro voci, riusciva sempre a distinguere i due gemelli. "Parlate in maniera completamente diversa: se gli altri ascoltassero con più attenzione, non vi scambierebbero l'uno per l'altro", aveva detto in passato.
<< Êl síla erin lû e-govaned 'wîn >>, disse Melwen, pronunciando quasi alla perfezione il saluto elfico.
Elrohir si sentì improvvisamente a corto di parole. Indeciso su cosa fare e cosa dire, e preoccupato di risultare fuori posto, fu quasi grato ad Elladan per averli interrotti, dicendo, << Amici, seguitemi, non voglio che restiate qui al gelo per un minuto di più >>.
<< Agli ordini, capitano >>, rispose Maedir.
 
Quella sera venne organizzato in banchetto in onore degli ospiti. Nella sala principale fu allestito un lungo tavolo ed il miglior vino fu prelevato dalle cantine.
Elrond fu felice di conoscere coloro di cui aveva spesso sentito parlare. In un primo momento aveva avuto l'impressione che Maedir fosse una persona riservata e silenziosa, ma dopo avergli rivolto la parola per primo, scoprì di essersi sbagliato. Maedir era affascinato dalla bellezza di Gran Burrone ed impaziente di parlarne, ma, soprattutto, era intensamente appassionato di arti curative. Non appena ne ebbe l'occasione, rivolse ad Elrond domande mirate e complesse, che rispecchiavano una profonda conoscenza dell'argomento. Ben sapendo quanto Maedir fosse stimato tra la sua gente e ben sapendo quanto spesso avesse curato Elrohir ed Elladan in sua assenza, Elrond fu lieto di condividere con lui il suo sapere.
L'elfo, inoltre, era incuriosito da Melwen, colei di cui aveva sempre sentito parlare come una persona fuori dal comune. Era facile, anche solo dal primo sguardo, capire perché esercitasse un tale fascino su Elrohir. Melwen era bella, di una bellezza inconsueta, era elegante ed allo stesso tempo sagace. Guardandola, Elrond aveva l'impressione di essere guardato di rimando, pur sapendo che fosse impossibile. Lei ed Elrohir trascorsero buona parte della serata parlando sommessamente, soli nonostante la presenza di altri.
 
Tornato in camera dopo l'abbondante cena, Elrohir scoprì di non riuscire a prendere sonno. Quella notte la sua mente era affollata dai ricordi della sua permanenza ad Annùminas e, prima ancora, di quella nell'accampamento dei Dùnedain. In breve tempo, si ritrovò a vagare per i giardini di Imladris, che da sempre erano la meta preferita degli insonni. Senza neanche accorgersene si ritrovò a passare in corrispondenza della camera di Melwen e, con grande sorpresa, la trovò seduta nella piccola terrazza che dava sul giardino. Ai suoi piedi, un cane dormiva, anch'egli ignaro della presenza di Elrohir. L'elfo considerò per un breve momento l'idea di andarsene in silenzio, ma la abbandonò subito.
<< Melwen? >>, sussurrò.
Lei, che fino ad un attimo prima era immersa nei propri pensieri, trasalì. Allo stesso tempo, il cane sollevò la testa scrutò l'elfo con diffidenza.
<< Perdonami >>, mormorò Elrohir.
<< Nulla da perdonare >>, rispose Melwen, << Stai facendo un giro di ricognizione anticipato? >>, chiese, con una punta di ironia.
<< Una semplice passeggiata notturna. Vorresti unirti a me? >>.
Melwen esitò, e per un attimo Elrohir credé che stesse per rifiutare, ma poi sembrò cambiare idea. << Con piacere >>, rispose.
Poi chiamò il suo cane, che nel frattempo aveva ricominciato a dormire, e lo incitò ad alzarsi.
<< Almeno qualcuno qui ha voglia di riposare >>, commentò Elrohir, << Lascialo qui, te ne sarà grato >>.
Melwen acconsentì.
 
Per un po' camminarono in silenzio, la mano di Melwen sulla spalla di Elrohir, come avevano fatto tante volte ad Annùminas.
<< In passato mi parlasti di una cascata che cade sulla valle, te lo ricordi? >>, disse Melwen.
<< Sì >>.
<< Mi piacerebbe andarci >>.
<< Per arrivare fino a lì c'è da salire una lunga gradinata >>, disse Elrohir.
<< Non preoccuparti, una volta arrivata in cima ti aspetterò >>, rispose Melwen.
Elrohir rise. << Come desideri >>.
 
Elrohir aveva sempre amato quel luogo. Nascosta a chiunque non conoscesse Imladris, una lunga scala scolpita nella roccia conduceva ad una caverna naturale. Al di sopra di essa, un corso d'acqua terminava e, in alcuni periodi dell'anno, una cascata attraversava la bocca della caverna, cadendo sulla vallata sottostante.
Dopo la lunga salita, Melwen impiegò qualche attimo per riprendere fiato. Elrohir, nel frattempo, ammirò la bellezza dell'acqua che rifletteva la fioca luce della luna. Poi chiuse gli occhi: voleva sentire soltanto quello che lei avrebbe sentito. Il rumore dell'acqua che scorreva copriva qualsiasi altro suono, minuscole gocce d'acqua portate dal vento lo investivano, il gelo della cascata impregnava l'aria, mentre l'odore della terra bagnata era un dolce profumo. Nel buio, Elrohir cercò la presenza di Melwen e, spinto dal bisogno di averla più vicino, la abbracciò. Nessun gesto sarebbe stato più adatto a suggellare la perfezione di quel momento. Elrohir si sentì completo, come poche volte nel corso della sua lunga vita, e, allo stesso tempo, si sentì completamente al sicuro. Melwen si appoggiò lievemente a lui ed Elrohir notò che i suoi capelli avevano lo stesso profumo dei fiori che lui le aveva regalato. Non poté fare a meno di sorridere.
Restarono in silenzio, al cospetto della luna, incuranti del freddo. Elrohir non si rese conto dello scorrere del tempo, fino a quando non fu Melwen per prima a sciogliere l'abbraccio. << È ora di tornare >>, disse.
Elrohir tornò alla realtà e, a malincuore, acconsentì.
 
Il sole sorse e tramontò su Imladris per tre volte. Elrond osservò che la presenza degli ospiti aveva avuto un effetto positivo sull'umore degli abitanti di Gran Burrone. Con l'arrivo di Gelion, Estel ebbe per la prima volta l'occasione di fare amicizia con un bambino umano della sua età, pertanto nessuno restò sorpreso quando i due diventarono inseparabili. Edeniel, invece, trascorreva tutto il suo tempo con gli elfi, con qualsiasi elfo fosse disposto a stare in sua compagnia. In lei c'era la stessa vivace curiosità di suo padre.
 
Intanto Elrond iniziò la piacevole abitudine di incontrare Melwen ogni mattina, sulla via per la colazione. L'elfo era spesso il primo ad alzarsi, ancora prima dei suoi figli, e non era abituato a trovare compagnia a quell'ora del mattino.
Melwen non parlava spesso di sé, ma amava ascoltare da Elrond piccoli aneddoti sui gemelli ai tempi della loro infanzia. Elrond, dal canto suo, iniziava a chiedersi quale fosse la reale natura del rapporto che legava Melwen ed Elrohir. Non poteva negare di sentirsi inquieto al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere, ma scacciò le proprie preoccupazioni ricordandosi di come entrambi fossero stati felici negli ultimi giorni.
Quella mattina Melwen aveva chiesto il motivo per cui lo stagno nel giardino frontale era stato recintato. Elrond non amava raccontare quell'episodio, ma non riuscì a rifiutare la richiesta di Melwen.
<< Ci fu un incidente, tanti anni fa, quando i gemelli avevano circa tre anni. Mia moglie ed io eravamo con Elrohir, quando Elladan si allontanò senza che ce ne accorgessimo. Fu Elrohir che, inavvertitamente, ci fece capire che suo fratello era in pericolo. Iniziò a piangere e disse che stava per soffocare, ma lui stesso non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Poi capimmo che doveva trattarsi di Elladan >>.
<< Era caduto nello stagno >>, completò Mewlen.
<< Sì, arrivammo giusto in tempo. Da quel giorno decidemmo di recintare lo stagno >>.
Nel frattempo erano arrivati nella sala principale. Il cane che guidava Melwen iniziò a fiutare il cibo nell'aria e si protese verso la grande tavola al centro della sala.
<< Posso chiederti un favore? >>, disse Melwen. Fu come se il racconto di Elrond le avesse fatto venire in mente qualcosa di importante.
<< Certamente >>, rispose Elrond.
<< Ho bisogno di aiuto per fare qualcosa che non posso fare da sola. Ma nessuno oltre noi dovrà saperlo >>.
Elrond era intrigato. Da quando Melwen era arrivata a Gran Burrone, Elrond non l'aveva mai sentita chiedere aiuto a nessuno, neanche a Maedir. Si chiese cosa potesse mai spingerla a rivolgersi proprio a lui.
<< Puoi fidarti di me >>, rispose.
 
Trascorsero ancora sette giorni ed Elrohir si ritrovò a desiderare che gli ospiti non avessero fissato una data di partenza. Il pensiero del loro ritorno ad Annùminas era l'unica ombra in quelle giornate altresì colme di luce.
Quel giorno aveva piovuto copiosamente sin dalle prime luci dell'alba, quando Elrohir ed Elladan erano partiti a cavallo per un giro di ricognizione. Il loro compito era, come d'abitudine, quello di ispezionare le terre più vicine ad Imladris per assicurarsi che non ci fossero pericoli imminenti. La pioggia aveva reso il tutto più difficoltoso ed i due elfi si erano incamminati sulla via del ritorno quando il sole aveva ormai iniziato la sua discesa nel cielo.
<< I nostri amici resteranno qui ancora per pochi giorni >>, disse Elladan, mentre attraversavano i confini per rientrare ad Imladris.
<< Lo so, Maedir me l'ha detto >>, rispose Elrohir.
<< Non sembrava che lo sapessi >>.
<< Cosa intendi dire? >>, chiese Elrohir.
<< Che continui a comportarti come se avessi davanti tutto il tempo del mondo >>, disse Elladan.
<< Noto un vago rimprovero >>, commentò Elrohir.
<< È soltanto un consiglio, anche se non hai bisogno di me per sapere di aver fatto degli errori negli anni passati. Adesso hai una seconda possibilità, non aspettare di scoprire se ci sarà una terza >>.
 
Elrohir tornò a casa, lasciò il suo cavallo nelle stalle e s'incamminò verso i sentieri attraverso i prati che conducevano alla sua abitazione. Lungo la strada, al riparo di un'ampia arcata, vide Edeniel e Melwen.
<< Zia, è tornato Elrohir! >>, esclamò Edeniel.
L'elfo le raggiunse di corsa. Si tolse il mantello, constatando che dopo tutte quelle ore trascorse sotto la pioggia si sarebbe bagnato ugualmente anche se non lo avesse indossato.
<< Hai visto degli orchi? >>, chiese Edeniel, con l'entusiasmo di chi non poteva essersi mai trovato in presenza di un orco.
<< Neanche l'ombra >>, rispose Elrohir, << Siamo al sicuro >>.
Edeniel si voltò verso Melwen e disse, << Visto? Non c'era bisogno di preoccuparsi per loro >>.
Melwen non rispose, era evidentemente imbarazzata per la schiettezza con cui Edeniel aveva rivelato ad Elrohir le sue paure.
<< È quasi il tramonto, dovresti andare a prepararti per la cena >>, disse Elrohir ad Edeniel e, prima che lei potesse protestare, aggiunse << Se farai tardi di nuovo, i tuoi genitori si arrabbieranno >>.
Edeniel sospirò, annoiata, ed iniziò a dirigersi verso i suoi alloggi, correndo per bagnarsi il meno possibile.
Una volta rimasti soli, Melwen, quasi come a volersi giustificare, disse, << Non credevo che un giro di ricognizione potesse durare così a lungo, iniziavo a temere che qualcosa vi avesse trattenuti >>.
<< La pioggia rende più difficile individuare eventuali tracce. Inoltre, ci siamo spinti più lontano del solito per controllare il sentiero che percorrerete per tornare a casa >>, spiegò Elrohir.
Melwen poggiò una mano sul suo braccio. << Hai freddo >>, constatò.
Quel semplice tocco era il modo che Melwen aveva per osservarlo, Elrohir ne era consapevole. Tuttavia, quel poco fu sufficiente a dargli il coraggio di fare ciò che aveva a lungo segretamente desiderato. Si avvicinò a lei, il suo cuore accelerò di colpo ed il suo respiro si fece più rapido. Melwen avvertì la sua vicinanza e capì cosa stava per accadere. Elrohir era certo di sapere quale sarebbe stata la sua reazione, era certo che in quel momento fossero entrambi in perfetta sintonia. Ma si sbagliò. La consapevolezza di aver sbagliato lo colpì come uno schiaffo, quando Melwen indietreggiò appena prima che le loro labbra si toccassero. << No >>, disse, la voce leggermente tremante, ma inequivocabile nel suo rifiuto.
<< Credevo che lo volessi >>, disse Elrohir. Non aveva previsto di essere respinto e, anche in quel caso, non avrebbe mai immaginato di provare un dolore così intenso. << Hai lasciato che io lo credessi >>, aggiunse l'elfo.
<< Proprio tu dici questo. Ti devo ricordare quante volte negli anni passati hai scritto di volermi rivedere, senza però far nulla di concreto in proposito? >>, disse Melwen. Adesso c'era una nota di rabbia nella sua voce, c'era un rancore a lungo celato che minacciava di rendersi manifesto.
<< Ho dei doveri qui >>, rispose Elrohir.
<< Sono passati più di sei inverni, non fingere di non aver avuto il tempo. Hai vissuto tra gli umani abbastanza da capire fino a che punto il nostro modo di percepire il tempo sia diverso, ma hai deciso di ignorarlo. La verità è che sei indeciso e spaventato >>.
Elrohir fu colto alla sprovvista. << Non sono né indeciso, né spaventato >>, ribatté, ma persino a lui quelle parole suonarono come una debole menzogna. Non poteva negare di provare inquietudine al pensiero di cosa significasse davvero amare Melwen.
Per qualche secondo entrambi restarono in silenzio, consapevoli dell'importanza, da quel momento in poi, di pesare attentamente le parole prima di pronunciarle.
<< C'è qualcun altro? >>, chiese Elrohir, temendo la risposta.
<< No, non c'è nessun altro >>, rispose Melwen. Sembrò aver percepito lo stato d'animo di Elrohir e, infatti, la sua espressione si addolcì. << Non intendevo causarti dolore, è l'ultima cosa che voglio >>.
<< Ma hai preferito prendere al mio posto una decisione che ritieni essere per il mio bene >>, disse Elrohir.
Non ottenne risposta. Melwen era tornata ad essere indecifrabile ed Elrohir capì che la loro conversazione era terminata.
S'incamminò verso casa, infreddolito ed amareggiato.
Fino ad ora non avevo fatto altro che agire con ragionevolezza, ed ho sbagliato. Adesso agisco d'istinto, e sbaglio ugualmente. Ho rifiutato Melwen quando era il momento giusto, adesso lei rifiuta me, rispose Elrohir. Iniziava a credere che i Valar gli fossero avversi.
 
Traduzione delle frasi in Sindarin
Êl síla erin lû e-govaned 'wîn: Una stella brilla sul nostro incontro

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2400892