La leggenda dei principi di Imladris di Jadis96 (/viewuser.php?uid=71639)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Risa nella foresta ***
Capitolo 2: *** Paura e accordi ***
Capitolo 3: *** Sangue rosso, sangue nero ***
Capitolo 4: *** Il Passo Cornorosso ***
Capitolo 5: *** Al tramonto ***
Capitolo 6: *** Imladris avvelenata ***
Capitolo 7: *** Sull'orlo del baratro ***
Capitolo 8: *** Verso Ovest ***
Capitolo 9: *** I due principi ***
Capitolo 10: *** Gli Uomini dell'Ovest ***
Capitolo 11: *** Figlio di nessuno ***
Capitolo 12: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 13: *** Dalle Terre Selvagge ***
Capitolo 14: *** Nuove conoscenze ***
Capitolo 15: *** Appena sbocciato ***
Capitolo 16: *** La vigilia della battaglia ***
Capitolo 17: *** Sul campo ***
Capitolo 18: *** Dolore ***
Capitolo 19: *** I due fratelli ***
Capitolo 20: *** Il Serpente strangolatore ***
Capitolo 21: *** Il Presagio si avvera ***
Capitolo 22: *** Spezzato ***
Capitolo 23: *** Nei regni dei Dùnedain ***
Capitolo 24: *** Inverno ***
Capitolo 25: *** Segni del tempo ***
Capitolo 26: *** Riuniti ***
Capitolo 27: *** La caduta del Capitano ***
Capitolo 28: *** Ritorno a casa ***
Capitolo 29: *** Risposte ***
Capitolo 30: *** Assenza ***
Capitolo 31: *** Viaggio a Lórien ***
Capitolo 32: *** Doveri ***
Capitolo 33: *** Partenze e arrivi - parte 1 ***
Capitolo 34: *** Partenze e arrivi - parte 2 ***
Capitolo 1 *** Risa nella foresta ***
Mae
g'ovannen! E’
con grande piacere che posto (finalmente) la mia
prima fanfiction in questa sezione. La mia passione per Il Signore
degli Anelli
e, in generale, per tutti gli scritti di Tolkien, è nata
anni fa, e da allora
ha accompagnato ogni fase della mia vita. Tante volte ho pensato di
scrivere
qualcosa su questa magnifica saga, ma mi ha trattenuta dal farlo la
paura di
poter in qualche modo “profanare” la storia
originale. Per questo ho deciso di
dedicarmi a due personaggi appena accennati nei libri: Elladan ed
Elrohir. Chi
ha visto solo i film potrebbe non conoscerli, visto che lì
non sono presenti,
ma comunque non dovrebbe avere problemi a leggere questa ff. Vi basta
sapere
che sono i figli gemelli di Elrond, fratelli maggiori di Arwen. Spero
che questo
primo capitolo vi piaccia; se avete suggerimenti, critiche, inviti a
darmi all’ippica,
commenti ecc… non esitate a farvi vivi.
Un suono cristallino
risuonò
nella foresta. Un suono dolce e raro come la pioggia d'estate. Erano le
risa di
due bambini. Le loro fattezze erano del tutto identiche per chiunque
non avesse
avuto modo di conoscerli a fondo. I capelli scuri e lisci, gli occhi
grigi come
il cielo in tempesta, la pelle candida e le orecchie a punta denotavano
la loro
appartenenza alla nobile razza degli Elfi.
I gemelli fingevano di affrontarsi in combattimento brandendo spade di
legno
dagli spigoli smussati. Attorno a loro, la foresta era silenziosa in
maniera
innaturale. L'aria era immobile e gli alberi stavano lentamente
perdendo le
loro foglie, che ormai ricoprivano ogni angolo di terreno.
I piccoli elfi erano così concentrati nel loro gioco che non
si accorsero della
voce preoccupata che chiamava i loro nomi. Il combattimento era tanto
serrato
quanto attentamente misurato: ciascuno si impegnava a non ferire
accidentalmente l’altro. Il legame che univa i due fratelli
era speciale e
misterioso. Sin dalla nascita, i gemelli erano in grado di scambiarsi
pensieri
ed emozioni, con effetti non sempre gradevoli per entrambi. Il dolore,
per
esempio, era la sensazione che più facilmente condividevano,
volenti o nolenti.
Solo quando il richiamo si fece più vicino e più
allarmato, i bambini
abbassarono le spade e si guardarono intorno in cerca della provenienza
di
quella voce familiare.
<< Elladan! Elrohir! >>.
Gli elfi corsero nella direzione dalla quale erano venuti, i sorrisi
spensierati ancora dipinti in volto.
<< Adar!
>>, esclamò
Elrohir quando scorse l'alta figura che veniva verso di loro. Elrond,
figlio di
Earendil, Signore di Gran Burrone, era preoccupato e al contempo
sollevato per
aver ritrovato i propri figli.
<< Vi avevo detto di non allontanarvi >>,
disse con tono severo.
Elladan abbassò lo sguardo, ammettendo silenziosamente le
proprie colpe;
Elrohir, invece, replicò, << Non ci siamo
allontanati molto, eravamo
solo... >>.
<< Non importa. Ora camminate svelti e in silenzio,
restate dietro di me
>>.
Solo allora i gemelli compresero che c'era qualcosa che non andava.
Elrond
teneva la mano destra sull'elsa della spada e sembrava pronto a
sfoderarla al
più presto. Fino a pochi istanti prima non avevano provato
altro che
eccitazione e orgoglio per essere riusciti finalmente a convincere
Elrond a
portarli con sé durante un'ispezione della foresta adiacente
a Gran Burrone. Si
erano incamminati con una compagnia di otto elfi armati di arco e
spada, alcuni
tra le migliori guardie della città.
Ma quando avevano visto la preoccupazione nello sguardo del padre
avevano
capito che il pericolo era vicino. Elladan chiese in un sussurro,
<< Man presta le, adar? Prestad?
>>,
chiese Elladan.
Elrond rispose senza voltarsi. Per qualche secondo l'unico rumore
udibile fu il
fruscio dei passi degli elfi sul terreno coperto di foglie.
<< Hanno avvistato degli orchi>>.
<< Ias?
>>.
<< Andrete ad ucciderli? >>, chiese Elrohir.
<< Solo dopo che sarete tornati a casa >>.
Nessuno dei due osò protestare. Desideravano ardentemente
vedere una vera
battaglia, ma sapevano che Elrond non glie l'avrebbe permesso
finché non
fossero cresciuti.
Quando raggiunsero il resto della compagnia videro molte spade
sfoderate e le
guardie che parlavano sommessamente.
<< Gli orchi non sembrano essersi accorti di noi, ma
marciano verso i
nostri confini. Siamo in numero sufficiente per sconfiggerli senza
subire
perdite significative >>, disse uno di loro non appena
vide Elrond.
<< Ogni perdita è significativa. Teliadir,
accompagna a casa i miei figli
e invia dieci guerrieri. Li attaccheranno frontalmente, mentre noi
arriveremo
alle loro spalle >>.
<< Sì, signore >>.
Teliadir, uno dei guerrieri meno esperti, dal viso gioviale e lo
sguardo
sereno, si avvicinò portando per le redini il piccolo
cavallo sul quale
cavalcavano i gemelli.
Elrond s'inginocchiò per guardarli negli occhi e disse,
<< Un giorno
questo compito spetterà a voi. Non abbiate fretta di
crescere, poiché sono
pochi gli anni che trascorrerete nella spensieratezza e molti negli
affanni che
la sapienza comporta >>, la sua voce si era addolcita e
aveva perso
quella nota di rimprovero che li aveva intimiditi poco prima.
Prese le loro spade di legno, li aiutò a salire in sella e
poi glie le
riconsegnò.
<< Mi affido a voi affinché badiate a Teliadir
>>, sussurrò.
I piccoli elfi sorrisero, dimenticando la paura.
Si guardarono indietro un'ultima volta mentre il loro cavallo galoppava
verso
Gran Burrone, l'Ultima Casa Accogliente.
Traduzione
delle frasi in Sindarin.
Adar:
padre
Man
presta le, adar?:
Cosa
ti turba, padre?
Prestad?:
C'è
pericolo?
Ias?:
Dove?
P.s.
ho scritto alcuni dialoghi in Sindarin (e
talvolta in Quenya) per rendere più verosimili le
conversazioni. Nonostante ciò
non sono un’esperta di lingua elfica, quindi, se doveste
notare degli errori,
fatemelo sapere e li correggerò.
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Capitolo 2 *** Paura e accordi ***
Salve a tutti! Grazie
alle due persone che hanno recensito il primo capitolo…
adesso spero di leggere
anche qualche altra opinione, positiva o negativa che sia. Questo
secondo
capitolo è ambientato quando i gemelli hanno circa sedici
anni.
Elrohir tese l'arco fino a
sentire l'impennaggio della freccia sfiorargli la guancia, i muscoli
delle
braccia che dolevano per lo sforzo. Quella mattina era riuscito a
sgattaiolare
nell'armeria e a prendere uno degli archi più belli.
Sospettava che
appartenesse a Glorfindel. "Lo prendo solo in prestito, lo
restituirò
presto", si era detto.
Mirò al bersaglio di paglia posizionato di fronte a
sé e rilasciò la corda. La
freccia tagliò l'aria, mancò il bersaglio e
andò a conficcarsi nel tronco di un
albero.
"Forse avrei dovuto calcolare la direzione del vento",
pensò. Ma
l'aria era immobile e tiepida. Elrohir non si diede per vinto e
incoccò
un'altra freccia. Tendere quell'arco troppo grande diventava sempre
più
difficile, ma il giovane elfo riuscì nell'impresa. La
seconda freccia si fermò
sul bordo del bersaglio.
Elrohir accolse con soddisfazione il miglioramento, ma poi
pensò con amarezza:
"Elladan è sempre stato più bravo di me con
l'arco". Suo fratello
riusciva a centrare il bersaglio la maggior parte delle volte, e ogni
volta che
si esercitava scopriva di poter tirare più lontano e con
più precisione.
Elrohir, invece, eccelleva nel combattimento con la spada. Aveva
iniziato da
poco a prendere lezioni, ma era già in grado di sferrare
colpi rapidi e forti.
L'elfo stava tendendo la corda per la terza volta, quando qualcosa lo
costrinse
a fermarsi.
Paura e dolore s'insinuarono nella sua mente come un'erba velenosa.
Elrohir si
guardò intorno, allarmato. Era in uno dei giardini di Gran
Burrone, il cielo
era limpido e il silenzio era interrotto solo dal basso chiacchierare
degli
elfi che passeggiavano. Accanto a lui c'erano altri che facevano
pratica di
tiro con l'arco, ma nessuno sembrava condividere il suo disagio.
Elrohir capì che non si trattava del senso di pericolo che
talvolta lo metteva
in guardia quando usciva dai confini di notte oppure quando stava per
arrivare
una tempesta, era puro terrore. D'istinto pensò ad Elladan.
Non sapeva dove
fosse. Odiava non sapere.
La paura
aumentò, così come il
dolore, acuto e penetrante.
Elrohir lasciò
cadere a terra
l'arco. All'improvviso aveva capito. Era Elladan ad essere in pericolo.
Quella
sensazione non gli era del tutto nuova: quando suo fratello provava
forti
emozioni o quando aveva bisogno di lui, Elrohir poteva sentirlo.
Strinse l'elsa del pugnale che portava al fianco. Era stato un regalo
di suo
padre per il suo quindicesimo compleanno. Aveva inciso sull'elsa la
parola "Laich”, a
rappresentare il suo
temperamento fiero e impetuoso. Elladan ne aveva ricevuto uno uguale,
ma con la
scritta "Arod", riferita
alla sua nobiltà d’animo. Quelle parole avevano il
potere di racchiudere la
loro essenza, tanto che spesso le utilizzavano al posto dei loro nomi.
Elrohir si chiese se non dovesse avvisare qualcuno, ma cosa avrebbe
potuto
dire? Avrebbe solo perso tempo per spiegare il motivo della sua
agitazione.
Decise di agire da solo.
Prese il suo cavallo, Nòrui. << Gwaem!
Noro! >>.
Attraversò i
confini della
città ignorando le domande affrettate che gli posero le
sentinelle. Ogni volta
che chiudeva gli occhi, Elrohir vedeva di sfuggita i rami della
foresta,
taglienti e dolorosi come fruste, poi l'oscurità. Mentre
guidava il suo cavallo
tra i fitti tronchi degli alberi sapeva istintivamente dove andare, ed
era come
se Nòrui assecondasse i suoi pensieri.
<< Daro
>>, disse
all'improvviso. Aveva riconosciuto un albero dalla particolare forma
inclinata.
Lo ricordava, anche se i suoi occhi non l'avevano mai visto. Scese da
cavallo e
proseguì a piedi, guardandosi intorno con circospezione.
Sentiva che Elladan
era vicino. La sua paura era come la punta di una spada dietro la
schiena.
Arrivò ad esaminare l'albero inclinato. Scoprì
che in realtà era stato
sradicato e un grosso buco era stato scavato dove un tempo poggiavano
le sue
radici. Elrohir agì senza riflettere. La fossa era
abbastanza larga perché lui
potesse entrarci senza fatica. Allargò le gambe, facendo
presa con i piedi
sulle pareti di terra, e si aiutò a scendere con le braccia.
Era più profondo
di quanto si era aspettato. Non poteva essere un luogo di origine
naturale.
Quando finalmente riuscì a toccare il fondo era esausto.
L'oscurità era quasi
totale, ma Elrohir poteva intravedere una sorta di tunnel sotterraneo.
<< Elladan! >>, chiamò, sentendo
forte la presenza del fratello.
Un fruscio lo fece voltare di scatto. Prese il pugnale e
avanzò tenendolo
davanti a sé. << Elladan >>,
chiamò di nuovo.
<< Muindor
>>, fu poco
più che un sussurro, ma Elrohir lo udì
chiaramente. Rinfoderò il pugnale e
seguì la voce di Elladan. Presto scoprì di poter
udire anche il suo respiro
affannoso. << Sto arrivando. Non muoverti
>>.
Elrohir percorse a tentoni gli ultimi passi quando intravide la sagoma
di
Elladan accovacciata sul terreno. S'inginocchiò accanto a
lui e poggiò le mani
sulle sue. Stava tremando. << Stai bene?
>>, chiese Elrohir
allarmato.
Dal momento in cui toccò Elladan non ebbe più
bisogno di parole per capire cosa
fosse successo. Era quel luogo piccolo e buio a terrorizzarlo. Le
pareti
strette attorno a lui erano come il peggiore degli incubi fatto
realtà. Era
paralizzato dalla paura.
<< Av 'osto. Aphado nin
>>.
Elrohir lasciò che Elladan si appoggiasse a lui per alzarsi,
ma non gli sfuggì
il suo gemito di dolore.
<< Sei ferito? >>.
<< N-non è niente d-di grave >>.
La sua voce era debole e incerta.
<< Usciamo di qui >>. Elrohir gli prese la
mano e lo guidò dove la
luce indicava la via di uscita.
Salire fu più difficile che scendere.
Elladan andò per primo, mentre Elrohir lo seguì
subito dopo, pronto ad aiutarlo
se la sua presa avesse ceduto. Non ce ne fu bisogno: sembrava che la
vista
della luce avesse dato nuova forza a Elladan.
Quando Elrohir
riuscì ad
uscire, suo fratello non si era ancora mosso. Respirava profondamente e
teneva
lo sguardo fisso verso l'alto. I suoi abiti erano sporchi e macchiati
di sangue
all'altezza delle gambe. Doveva essersi ferito durante la caduta.
<< Goheno nin. Non so
cosa...
>>, tentò di scusarsi Elladan, ma Elrohir lo
interruppe.
<< Non ce n'è alcun bisogno >>.
Attese di udire il respiro di Elladan calmarsi prima di parlare di
nuovo.
<< Cosa è successo?>>.
<< Il mio cavallo si è spaventato ed
è corso via. Non ho fatto attenzione
a dove camminavo. C’era...qualcosa. Una presenza…
>>.
<< Credo che questa fossa sia stata una trappola in
origine >>.
Elrohir non concluse la sua supposizione. C’erano forze
malvagie all’opera in
quel luogo, e non era certo di voler scoprire altro.
Elladan annuì. Elrohir notò solo allora che i
suoi occhi erano ancora lucidi e
arrossati. "Sarei dovuto arrivare prima", pensò.
<< Hannon le
>>, disse
Elladan.
Prima che Elrohir potesse rispondere si sentì cingere dalle
braccia ancora
tremanti di Elladan. Ricambiò l'abbraccio e sentì
finalmente la paura, la sua e
quella del fratello, svanire. Fu come liberarsi di un grosso peso.
Restarono aggrappati l'uno all'altro per un tempo che sembrò
lunghissimo, poi
Elladan sciolse l'abbraccio e guardò il fratello negli occhi.
<< Non dirlo a nessuno >>.
<< Non c'è nulla di cui tu debba vergognarti.
Tutti hanno paura di
qualcosa >>. "Anche io oggi ho avuto paura",
pensò.
Elladan scosse la testa. << Ada
non ha paura di niente >>.
Elrohir stava per concordare, ma poi ricordò una
conversazione che aveva avuto
con Elrond due lune prima, una sera in cui il cielo era coperto di
nuvole
grigie e i tuoni annunciavano l'imminente arrivo di una tempesta.
<< Ada mi ha confessato che c'è qualcosa di
cui ha paura >>.
Elladan si sporse in avanti, curioso e sorpreso. << Di
cosa si tratta?
>>.
<< Elegys
>>.
Elladan rimase interdetto. Mai avrebbe immaginato che suo padre potesse
temere
qualcosa di così comune come la pioggia e i fulmini. Quel
pensiero contribuì a
faro sentire meglio, ma non tanto da fargli cambiare idea.
<< Però devi promettermi di non dire a nessuno
quello che è successo oggi
>>, ribadì.
<< D'accordo. Resterà tra noi >>.
Quel giorno i fratelli sigillarono un accordo. Nessuno dei due
l'avrebbe mai
dimenticato nei secoli a venire.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Laich:
fiamme
Arod: nobile
Nòrui:
Giugno
Gwaem!
Noro!:
Andiamo! Corri!
Daro:
fermo
Muindor:
fratello
Av
'osto:
non aver paura
Aphado
nin: seguimi
Goheno
nin:
mi
dispiace
Hannon
le: grazie
Ada:
papà
Elegys:
tempeste
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Capitolo 3 *** Sangue rosso, sangue nero ***
Scusate
per il ritardo. I prossimi aggiornamenti
saranno più rapidi ;)
“His sword was long, his lance
was keen,
His shining helm afar was seen,
The countless stars of heaven’s field,
Were mirrored in his silver shield”
Lady Celebrìan,
Signora di
Gran Burrone, suscitava rispetto e benevolenza nei cuori di coloro che
la osservavano.
Era alta, più della maggior parte delle donne della sua
razza, il suo
portamento era fiero, il suo sguardo gentile e i suoi capelli,
neri come
la notte e leggermente ondulati, le cingevano la vita. Quella sera
c'era
un'ombra di inquietudine nei pensieri di Celebrìan.
Stava osservando le stelle dalla piccola terrazza che comunicava con la
sua
stanza. L'aria era fredda, segno che l'inverno era alle porte, e la
luna non
era che una sottile striscia bianca nel cielo. Celebrìan si
accorse di non
essere sola solo quando udì una voce alle sue spalle.
<< Sei turbata?
>>.
L'elfa si voltò di scatto, mentre Elrond veniva verso di
lei.
<< Domani i
nostri
figli si uniranno agli altri maethor
e
combatteranno contro un gruppo di orchi >>, disse,
lasciando trasparire
tutta la sua angoscia.
<< Han iston. Hanno
avuto la
mia approvazione >>, rispose Elrond.
<< Temo per loro. Sono ancora giovani e inesperti e non
voglio che
affrontino quelle orribili creature >>.
<< Sono ottimi combattenti, ed è tempo che
abbiano modo di mettere alla
prova il loro coraggio >>. La voce di Elrond era
tranquilla, tanto che
l'elfa si chiese fino a che punto fosse tranquillo lui stesso.
Celebrìan non
poté che concordare con le parole di suo marito, ma
ribatté: << Non dubito
del loro coraggio, ma non posso lasciarli partire a cuor leggero
sapendo che
potrebbero essere feriti...o peggio >>.
Elrond posò la sua mano su quella di Celebrìan.
<< Anche io ho paura, ma
sapevo che questo momento sarebbe arrivato. Domani ci sarò
io a proteggerli,
non lascerò che gli accada nulla >>.
Celebrìan sospirò. Elrond era riuscito ad
infonderle parte della sua calma, ma,
nonostante ciò, sapeva che quella notte né lei
né suo marito avrebbero dormito
sonni tranquilli.
Elrohir strinse la presa sull'elsa della spada, più per
tensione che per
necessità. Avevano trascorso l'intera mattinata a seguire le
tracce del
passaggio degli orchi, fino a giungere dove gli alberi si diradavano e
la
foresta terminava. Erano rimasti in attesa, alcuni di loro pronti a
correre in
campo aperto con le spade sguainate, altri con gli archi tesi e il
compito di
proteggere i compagni.
Elladan era tra questi. Bastò solo un breve sguardo per
capire che il fratello era
nervoso quanto lo era lui: erano eccitati ed allo stesso tempo
spaventati. Da
bambini avevano spesso fantasticato sulle battaglie e i valorosi eroi
di cui
narravano le canzoni, ma non avevano mai immaginato di provare un tale
terrore
una volta che il loro desiderio si fosse avverato. Guardò
Elrond nella sua
armatura che rifletteva i raggi del sole. Era in prima fila, poco
lontano da
Elrohir.“Un giorno, quando condurrai
un
esercito ai tuoi comandi, dovrai combattere in prima fila,
così da infondere
coraggio ai tuoi uomini. Se mostri di avere paura, anche loro
l’avranno.
Infine, sarai l’ultimo a mettersi in salvo durante la
ritirata”, gli aveva
detto Elrond anni prima. Quelle parole erano rimaste impresse a fuoco
nella sua
memoria.
La battaglia iniziò in un attimo e colse Elladan
impreparato. Aveva appena
intravisto le sagome degli orchi che marciavano nel campo di erba
secca, senza
il riparo degli alberi, che gli elfi dell'avanguardia si erano
già lanciati al
loro inseguimento, rapidi e silenziosi.
Elladan, così come gli altri arcieri, fu costretto a correre
in avanti per
avere gli orchi a tiro.
Scoccò la prima freccia sull'orco che si stava avventando su
Elrohir. Un attimo
dopo, suo fratello era circondato e combatteva in un groviglio di
sangue e
metallo. Elladan attese di avere una visuale chiara della sua posizione
prima
di scagliare altre frecce. Avvertiva il suo cuore battere frenetico di
paura e
stanchezza.
Elrohir abbatteva la spada su qualsiasi sagoma nera gli capitasse a
tiro, senza
mai soffermarsi a guardare coloro che aveva ucciso. Le frecce
sibilavano ad un
palmo dal suo orecchio, ma Elrohir non aveva paura. Qualsiasi cosa
fosse
successa, sapeva che Elladan lo proteggeva da lontano, sapeva che le
sue spalle
erano coperte e che suo fratello non avrebbe mai sbagliato mira.
Quando il numero di orchi
da
combattere si ridusse a tal punto da permettere ad Elrohir di guardarsi
intorno, il giovane elfo osservò gli orrori della battaglia.
Il sangue rosso
intenso dei suoi compagni si fondeva con quello nero degli orchi, che
aveva
inumidito il terreno come se si fosse trattato di pioggia. Elrohir
osservò con
profonda tristezza che, nella morte, anche la nobile razza degli elfi
era in
qualche modo simile ai suoi nemici. E fu questo pensiero che tolse ogni
eroismo
e ogni poeticità alla battaglia che stava avvenendo davanti
ai suoi occhi.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Han
iston:
lo
so
Maethor: guerrieri
|
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Capitolo 4 *** Il Passo Cornorosso ***
Per
scusarmi dell’immenso ritardo, ecco
un capitolo più lungo del solito.
Elrohir
si
inginocchiò sul prato del rigoglioso giardino di Gran
Burrone. Volse lo sguardo
in alto e si specchiò negli occhi scuri di Thiliel.
L’elfa aveva un viso dolce,
incorniciato da folti riccioli biondi.
<< Thiliel,
ci
velethril e-guil nîn >>, disse Elrohir.
<< Sevig i
veleth nîn
>>, rispose Thiliel. La sua voce era lieve come una
carezza.
Elrohir l’aveva
conosciuta appena
due inverni prima e da allora erano stati uniti da un legame speciale.
Thiliel
era dolce e riservata, ma sapeva come maneggiare il carattere impulsivo
di
Elrohir.
<< Galo Anor
erin râd
gîn, gûr nîn níniatha n'i
lû n'i a-govenithanc >>.
<<
Ci
rivedremo presto, hiril vuin >>.
Continuarono
a passeggiare, ma la serenità che li aveva accompagnati
nelle ultime ore era
svanita, sostituita da un insistente senso di inquietudine.
Elrond
prese il mantello di viaggio di Celebrìan
dallo scaffale più alto dove era stato riposto e glie lo
poggiò sulle spalle.
<< Non andare >>, disse, dando voce al
pensiero che l'aveva
tormentato durante gli ultimi giorni.
Celebrìan
si voltò con espressione leggermente
divertita. Era raro che Elrond manifestasse così apertamente
le sue
preoccupazioni più intime.
<<
Perché dici questo? >>, chiese.
<<
Ho un brutto presentimento >>.
Celebrìan
tornò seria. Le mani di suo marito
erano ancora poggiate sulle sue spalle, come se avesse paura di
lasciarla
andare.
<<
Non temere. Partirò con i nostri figli
e, anche se così non fosse, sono in grado di difendermi da
sola dai pericoli
che si nascondono tra gli alberi >>.
Elrond
non rispose; distolse lo sguardo e
Celebrìan poté percepire tutto il suo sconforto.
Ricordò
quando, appena dieci anni prima, avevano
avuto una discussione simile poco prima che i loro figli partissero per
la loro
prima battaglia. Era come se la storia si ripetesse, con
l’unica differenza che
adesso i loro ruoli erano invertiti. Celebrìan seguì Elrond
con lo sguardo
mentre passeggiava nervosamente nella stanza.
<<
Ho fatto dei sogni >>, disse,
<< Ho visto cose terribili >>.
<<
Perché non me l'hai detto prima?
>>.
Elrond
si fermò e la guardò negli occhi.
<< Non volevo spaventarti >>, disse.
<<
Mi stai spaventando adesso >>.
Celebrìan
pronunciò quell'ultima frase senza
celare la propria irritazione. Suo marito sapeva bene che non
sopportava che le
fossero nascoste delle informazioni.
<<
Scusami, non era mia intenzione
offenderti >>. Elrond abbassò lo sguardo.
Aveva capito di essersi
inoltrato in acque pericolose.
<<
Allora finisci quello che hai iniziato:
raccontami in cosa consistono i tuoi presagi >>.
Celebrìan aveva parlato
con voce neutra, nel tono distaccato che assumeva quando era sulla
difensiva.
Elrond lo percepì all'istante.
Gli
affiorarono alla mente visioni di dolore e
morte, di sangue nero e urla di terrore. Sapeva che non poteva impedire
a
Celebrìan di partire; la sua indole era troppo fiera per lasciarsi
intimidire
da quelle parole.
<<
Non importa. I sogni restano tali
>>, disse infine.
Celebrìan
uscì dalla stanza senza aggiungere
altro.
Tre
ore più tardi, la partenza era imminente.
Venti elfi erano stati incaricati di scortare la Signora
di Gran Burrone e
i suoi figli fino a Lòrien.
Celebrìan
cavalcava un cavallo grigio, mentre
Elladan e Elrohir montavano due stalloni sauri, identici tra loro.
Elrohir
cercò con lo sguardo Thiliel tra la
folla di coloro che erano venuti ad assistere alla partenza, ma
scoprì poco
dopo che l’elfa non c'era. Si erano già salutati
prima, si disse, non c’era
ragione di aspettare di vederla di nuovo. Tuttavia, in cuor suo,
Elrohir era
deluso.
Raggiunse
Elladan, che stava parlando con Elrond.
La
loro conversazione fu breve e formale.
Sembrava che Elrond stesse per aggiungere qualcosa, quando Arwen, la
loro
sorella minore, s’intromise e gli raccomandò di
tornare presto. Elrond osservò
con muto divertimento l'esuberanza della figlia, ancora così
giovane, e quasi
dimenticò le sue preoccupazioni.
Si
congedò dai gemelli e si diresse verso
l'ultima persona che avrebbe salutato. Celebrìan stava vagando con lo
sguardo
in cerca di qualcuno, e solo quando vide Elrond venire verso di lei si
fermò, con
un lieve sorriso in volto.
<<
Volevo scusarmi per la reazione
scortese che...>>.
<<
Non devi scusarti >>, la
interruppe Elrond, << E’ giusto che tu
manifesti il tuo sdegno, ma è
altrettanto giusto che io mi preoccupi per te >>.
Celebrìan
fece del suo meglio per sorridere. Voleva rendere quella separazione il
più
serena possibile. Rispose con un abbraccio, che Elrond
ricambiò con trasporto.
<<
Aa’
menle nauva calen ar’ ta hwesta e’
ale’quenle, melamin >>, le sussurrò.
Erano trascorsi quattro giorni dalla partenza.
Elrohir
ed Elladan cavalcavano in testa alla
compagnia, attenti a rilevare eventuali pericoli. Quel giorno il cielo
era
terso, mentre un vento leggero rendeva la temperatura piacevole.
L'umore
generale era alto, in parte per via del clima favorevole, in parte per
la
tranquillità con cui il viaggio si stava svolgendo.
Elladan
osservò l'espressione attenta e
concentrata del fratello. << Aspiri a diventare una
sentinella? >>,
gli chiese con tono canzonatorio.
Elrohir
rispose a metà tra il divertito e
l'irritato. << Se ci fosse un pericolo te ne accorgeresti
solo dopo
esserci passato sopra. Fortuna che non sei tu la sentinella
>>. Elladan
rise. In quei casi suo fratello amava ribadire che era lui il
più vecchio, e
pertanto era normale che fosse anche il più responsabile.
"Sette minuti,
Elrohir", gli ricordava ogni volta Elladan, "Sei nato solo sette
minuti prima di me".
Si
voltò verso il resto della compagnia. Stavano
avanzando lentamente, ma in compenso si concedevano il minor numero
possibile
di pause. Lady Celebrìan stava chiacchierando con un'elfa che cavalcava
al suo
fianco; quando incrociò lo sguardo di Elladan gli sorrise.
Tutte le loro
preoccupazioni riguardo alla partenza si erano rivelate infondate:
andava tutto
per il meglio.
<<
E’ arrivata l'ora di far sgranchire le
zampe ai nostri cavalli, non credi? >>.
Elrohir
sospirò al sentire quelle parole. Sin da
quando erano bambini il gioco che amavano di più era
spronare i cavalli al
galoppo e, dopo aver stabilito un punto di arrivo, fare a gara a chi
riusciva
ad arrivare per primo. Non c'era mai stato un vincitore ricorrente,
giacché i
due gemelli finivano spesso per discutere su chi avesse davvero vinto.
Anche da
adulti avevano mantenuto quello strano passatempo, solo che le corse si
erano
fatte sempre più lunghe e terminavano solo quando entrambi
erano esausti.
<<
Non è prudente allontanarci >>,
rispose Elrohir.
<<
Non ci allontaneremo di tanto >>.
Prima
che Elrohir potesse ribattere, Elladan era
già partito a tutta velocità. Lo stava sfidando.
Elrohir sorrise tra sé e
spronò il suo cavallo fino a raggiungere quello di Elladan.
Per pochi, preziosi
secondi, non udirono niente al di fuori del rumore del vento e del
battito degli
zoccoli dei cavalli sul terreno. Era un momento di pura pace. Si
fermarono per
muto accordo in prossimità di una radura. Elladan era
arrivato per primo.
<< Ma solo perché sei partito prima
>>, precisò Elrohir.
<<
O forse perché sono più veloce
>>, rispose Elladan sorridendo.
Restarono
fermi per qualche minuto per dare
tempo ai cavalli di riprendere fiato, e intanto si guardarono intorno.
<<
Sembra tutto tranquillo qui >>, disse Elladan. In quel
punto della
foresta gli alberi erano più radi e lasciavano libero
accesso ai raggi del
sole.
<<
C’è
qualcosa che non mi convince >>, ribatté
Elrohir. << Ascolta
attentamente >>.
Il
silenzio
era assoluto. << Non sento niente >>, disse
Elladan.
<<
Esatto. C’è troppo silenzio >>.
Era
come se
tutti gli animali avessero abbandonato quel luogo. Anche i loro cavalli
sembravano impazienti di tornare indietro. Qualcuno era passato di
lì prima di
loro.
<<
Andiamocene
>>, disse Elrohir.
Elladan
concordò e si affrettò a seguirlo.
Successivamente gli elfi deviarono dal loro
percorso originale in maniera da evitare quel luogo desolato. La loro
meta
distava ormai pochi giorni di cammino, ma il passo più
pericoloso doveva ancora
arrivare.
Il
Passo
Cornorosso era un luogo ostile e tetro. La vegetazione era quasi
assente ed il
sentiero era costeggiato da picchi rocciosi. Il clima era gelido e la
nebbia
rendeva difficile individuare eventuali pericoli.
Gli
elfi
iniziarono la traversata di Cornorosso dopo sette giorni dalla partenza.
<<
Gli
arcieri si disporranno sul lato esterno. Gli altri restino in guardia e
in
silenzio >>, ordinò Elrohir.
Elladan
impugnò il suo arco. Nulla era rimasto del buonumore che li
aveva accompagnati
durante la prima parte del viaggio. Adesso erano nervosi e attenti.
Elrohir
si
voltò e rivolse una breve occhiata a Celebrìan.
L’elfa sostenne il suo sguardo
e annuì. Bastò quel breve gesto per infondergli
sicurezza. Si convinse che
sarebbe andato tutto per il meglio.
La
traversata era iniziata da poco più di due ore, quando un
grido di allarme
giunse dal retro della compagnia. Elladan ed Elrohir si voltarono di
scatto, ma
la nebbia rendeva impossibile vedere da dove era provenuto quel suono.
Presto
li raggiunse Glorfindel sul suo cavallo nero. L’elfo era uno
degli amici più
fidati di Elrond ed era stato come un secondo padre per i gemelli. I
suoi consigli
e la sua abilità con la spada si erano rivelati
indispensabili in più di
un’occasione. << Un gruppo di orchi. Ci stanno
attaccando >>,
disse.
Elrohir
sguainò la spada. << Restiamo compatti.
Glorfindel, vieni con me.
Elladan, con gli arcieri >>.
Elladan
esitò.
Non voleva lasciare suo fratello da solo. D'altronde avevano sempre
combattuto
insieme in passato.
Stava
per
ribattere, ma Elrohir lo interruppe. << Ho bisogno che
sia tu a condurre
gli arcieri, così non si disperderanno >>,
sussurrò.
<<
Mi
fido di te >>, aggiunse.
Elladan
infine annuì. Spronò il suo cavallo al galoppo
per raggiungere gli arcieri, che
puntavano i loro archi verso le rocce. Cercò brevemente sua
madre e la vide
accanto ad Elrohir e Glorfindel, anch’essa pronta a
combattere con la sua spada.
<<
No
dirweg! >>, disse.
Il
primo
orco sembrò comparire dal nulla. Venne verso di loro
ringhiando e brandendo
un’ascia.
<<
Dago
den! >>, ordinò Elladan. Un attimo dopo,
l’orco cadde
trafitto da tre frecce. << Presto arriveranno gli altri.
Qualsiasi cosa
accada, restate uniti >>.
Gli
orchi si
riversarono su di loro come un fiume nero. Per un tempo che
sembrò
interminabile Elladan non fece altro che scoccare frecce, una dopo
l’altra. Ma
per ogni orco che uccideva, ne arrivavano altri due. Erano troppi.
Presto
furono
costretti ad arretrare.
Elrohir
era
circondato. Aveva perso di vista la maggior parte degli altri elfi, ma
la
battaglia era così frenetica da non lasciargli neanche un
istante per voltarsi
a cercarli.
Non
riusciva
a vedere Elladan, ma lo percepiva. Sentiva la sua stanchezza e il suo
dolore,
frutto di qualche ferita superficiale. Neanche lui avrebbe resistito
ancora per
molto.
Era
appena
riuscito a crearsi un varco tra i nemici, quando vide qualcosa che gli
fece
gelare il sangue nelle vene. Celebrìan, impaurita e sporca di sangue
nero, era
stata immobilizzata da due orchi. Quella terribile visione distrasse
Elrohir,
che colse appena lo scintillio della lama che stava per colpirlo. Poi,
il
dolore.
Elladan,
così
come gli altri arcieri, era stato costretto ad estrarre la propria
spada, in
quanto gli orchi si erano avvicinati troppo per essere alla portata
degli
archi.
Finalmente
parve che i nemici diminuissero ed Elladan poté brevemente
riprendere fiato.
Molti,
troppi elfi giacevano in laghi di sangue. Alcuni di loro erano stati
suoi
amici, altri erano stati dei valorosi compagni di viaggio. Elladan
pensò che
era tutto terribilmente ingiusto.
Aveva
appena
ucciso uno degli ultimi orchi nei paraggi, quando un dolore lancinante
al
fianco gli mozzò il respiro. All’inizio fu certo
di essere stato colpito, ma quando
abbassò lo sguardo non vide segni di ferite.
Un
attimo
dopo realizzò che il dolore che avvertiva non proveniva da
lui, ma da Elrohir.
Guardò
suo
fratello, e fu come guardare se stesso. Lo vide cadere in ginocchio,
mentre una
macchia di sangue si allargava sui suoi abiti e una spada nera si
abbatteva su
di lui.
Elladan
era
paralizzato. Non poteva fare nulla, poteva solo guardare.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Ci
velethril e-guil nîn: sei l’amore della mia
vita
Sevig
i veleth nîn: ti amo anche io (lett: anche tu
hai il mio amore)
Galo
Anor erin râd gîn: che il sole risplenda sulla tua
strada
gûr
nîn níniatha n'i lû n'i a-govenithanc: attenderò con ansia il
tuo ritorno (lett: il mio
cuore piangerà finché non ci rivedremo)
hiril
vuin: mia
dama
Aa’
menle nauva calen ar’ ta hwesta
e’ ale’quenle, melamin:
Possano le tue strade essere verdi e possa il vento accompagnarti,
amore mio
No
dirweg: fate
attenzione
Dago
den!:
Uccidetelo!
|
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Capitolo 5 *** Al tramonto ***
Per farmi perdonare dei ritardi
nell'aggiornare (causa: esame di maturità), il prossimo
capitolo
arriverà per la prossima settimana :)
Il
tempo sembrò rallentare, poi fermarsi.
La
spada nera, che un attimo prima stava per abbattersi
sull’elfo
ferito, si bloccò a mezz’aria, e poi cadde
sollevando una nuvola
di polvere.
Era
accaduto tutto in pochi secondi, ma ad Elladan era sembrata
un’eternità. Per quel breve periodo di tempo non
era stato se
stesso: era come se la sua coscienza si fosse allontanata dal proprio
corpo per tentare di raggiungere Elrohir. Tuttavia, fallendo
nell’impresa, era rimasta sospesa nel vuoto, inerme e
disorientata.
Solo quando Elladan vide l’orco cadere trafitto dalla spada
di
Glorfindel, capì cosa era successo. L’elfo
più anziano aveva
agito per lui e aveva salvato le loro vite.
<<
Posso affrontare da solo i pochi che sono rimasti, tu resta con tuo
fratello >>. La voce profonda e decisa di Glorfindel lo
riportò
alla realtà. Doveva agire.
La
seconda cosa che Elrohir avvertì, dopo il dolore, fu
l’angoscia di
suo fratello. Un attimo dopo, Elladan era lì, che
ispezionava la
lunga ferita sul suo fianco.
<<
Non è profonda, ma dovrò cercare di fermare il
sangue >>.
Elrohir
annuì. Non si fidava della propria voce abbastanza per
parlare.
Si
stese sui gomiti, tentando di concentrarsi su qualcosa che non fosse
la macchia rossa che si allargava sui suoi abiti. Osservò
Elladan
mentre estraeva il pugnale e lo utilizzava per tagliare dei lembi di
tessuto dal proprio mantello. Poi li dispose come una rudimentale
fasciatura. Elrohir s’irrigidì quando una fitta di
dolore pervase
il suo intero corpo. Per un attimo, anche le mani di Elladan
esitarono, ma ripresero subito dopo con più decisione.
Elrohir
si guardò attorno: gli ultimi orchi si stavano ritirando tra
i
picchi rocciosi, correndo sui corpi dei loro compagni caduti. Tra gli
elfi, soltanto cinque erano rimasti.
Ad
un tratto, fu pervaso da un senso di terrore.
Celebrìan
non era tra loro.
Guardò
Elladan, che aveva appena terminato di legargli le bende attorno alla
vita.
<<
Dov’è nostra madre? >>, chiese,
temendo la risposta.
Ricordò
la terribile visione che aveva avuto degli orchi che la trattenevano,
e del sangue che ricopriva ogni cosa. Tentò di alzarsi a
sedere, ma
il dolore lo costrinse a restare fermo.
Elladan
non credeva di poter sopportare altre perdite. La domanda di Elrohir
sollevava un dubbio atroce. Tra tutti quei cadaveri poteva esserci
quello di sua madre.
Scattò
in piedi. << Glorfindel! >>,
chiamò.
L’elfo
biondo si avvicinò. Dalla sua spada ancora gocciolava sangue
nero.
<<
Lady Celebrìan è scomparsa >>,
disse, prevedendo la domanda
che gli stava per essere posta.
Elladan
avrebbe voluto urlare. Strinse i denti ed ascoltò
Glorfindel.
<<
Stiamo controllando tra i morti e i feriti, ma non
c’è traccia di
lei. Gli orchi potrebbero averla rapita >>.
Quell’ultima
frase raggelò l'aria.
<<
Prepara un cavallo. Li inseguirò e li ucciderò, o
morirò
provandoci >>, disse Elladan. Il suo tono di voce era
cambiato
repentinamente. Adesso era il tono di un comandante.
<<
Ne preparerò due e verrò con te >>,
rispose Glorfindel.
Elladan
non osò controbattere. Sapeva di non avere
l'autorità né
l'esperienza per contraddire Glorfindel. << Ben
iest gîn >>,
rispose.
Elrohir
aveva seguito la loro conversazione fino a quel momento senza
intervenire, ma non appena Glorfindel si fu allontanato di nuovo, si
rivolse ad Elladan.
<<
Vengo con voi >>, disse.
<<
Non se ne parla >>, ribatté Elladan.
<<
Non ti stavo chiedendo il permesso >>.
<<
Sei ferito, non puoi affrontare altri combattimenti >>.
<<
Posso ancora combattere meglio di te >>.
<<
Non è il momento di scherzare >>.
<<
Hai ragione, è il momento di agire >>,
concluse Elrohir.
A
fatica, riuscì ad alzarsi. Elladan lo scrutò
attentamente. Era
pallido e sofferente, ma non era in pericolo di vita. Non ancora,
almeno.
<<
Ci
ben-ind
>>, mormorò Elladan, irritato.
Poco
tempo dopo, Glorfindel e i gemelli cavalcavano seguendo le tracce
degli orchi fuggiti.
I
sentieri diventavano sempre più stretti e accidentati e la
nebbia si
infittiva. Glorfindel sembrò riconoscere la via che stavano
percorrendo. << Si dirigono a Mordor >>,
disse.
Elrohir
spronò il cavallo ad aumentare il passo. Ad ogni sobbalzo il
dolore
ritornava più intenso, ma in quel momento non era
importante.
L'unica cosa che contava era salvare Celebrìan.
Ogni
volta che pensava a lei, gli affioravano alla mente immagini delle
orribili torture che gli orchi erano soliti infliggere ai loro
prigionieri. Pochi di loro sopravvivevano.
Elrohir
scacciò subito quel pensiero. Sua madre era forte e ce
l'avrebbe
fatta.
Al
tramonto i tre elfi raggiunsero gli orchi in fuga. Elrohir
combatté
con un'ira che non immaginava di poter possedere. Lui ed Elladan
erano, ancora una volta, in perfetta sintonia.
Gli
orchi erano pochi e disorganizzati e non fu difficile avere la
meglio. L'odio nei confronti di quelle deplorevoli creature dava
forza al suo braccio ad ogni colpo di spada. Il dolore e la
stanchezza erano ormai soltanto leggeri fastidi relegati in un angolo
della sua mente.
Gli
ultimi due orchi tentarono di fuggire.
<<
Lasciateli andare >>, disse Glorfindel. <<
Abbiamo altro
a cui pensare >>.
Ma
Elladan non lo ascoltò. Tese l'arco e, con gelida calma,
scagliò
due frecce. Gli orchi caddero uno dopo l'altro, urlando e
contorcendosi sul terreno. Elladan non sbagliava mai mira: avrebbe
potuto ucciderli con un colpo solo, se avesse voluto. Invece li aveva
volontariamente colpiti a poca distanza dal cuore. Elrohir
provò una
perversa soddisfazione nell'udire le loro urla agonizzanti rimbombare
tra le rocce.
Quando
trovarono Celebrìan, i gemelli stentarono a riconoscere
l'elfa
coraggiosa e gioviale che li aveva cresciuti. I suoi abiti erano
ridotti a brandelli e perdeva sangue da molte ferite. Ma la cosa
peggiore era il suo sguardo, animato soltanto da un cieco terrore.
Quando Elladan tentò di rassicurarla, nulla
sembrò cambiare. <<
E' finita >>, disse.
Celebrìan
scosse la testa, tremante.
Non
era finita. Non sarebbe mai finita.
Elrohir
ripensò ad una frase che suo padre gli aveva detto tanti
anni prima.
“Il
male non tocca mai Imladris, al massimo ci passa
vicino”.
Non
era del tutto vero.
In
quel momento qualcosa di terribile aveva toccato Gran Burrone, ed i
suoi affetti sarebbero stati devastanti.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Ben
iest gîn:
come desideri
|
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Capitolo 6 *** Imladris avvelenata ***
Il viaggio di ritorno a Gran Burrone si
trasformò presto in una disperata corsa verso casa. Il
cavallo di
Elrohir era rimasto ucciso duarnte lo scontro con gli orchi, e
quest'ultimo era stato costretto a cavalcare con Elladan. Glorfindel,
invece, si occupò di Celebrìan. L'elfa non
proferì parola durante
la prima parte del viaggio. Elladan le chiese più volte se
avesse
bisogno di fermarsi, ma lei rispose ogni volta con un cenno di
diniego. Voleva tornare a casa il prima possibile.
Avevano viaggiato per un giorno e una
notte senza sosta, quando fu Glorfindel a chiedere di fermarsi. C'era
qualcosa che non andava.
Celebrìan era troppo pallida e il suo
respiro era affannoso. I suoi occhi erano umidi, come coperti da un
velo. L'elfa disse soltanto una parola mentre Elladan la aiutava a
scendere da cavallo, << Saew >>,
e mostrò il
palmo della mano sinistra. La pelle era gonfia e annerita attorno ad
un piccolo taglio. << Ci occorrono foglie di athelas
>>,
disse Elladan.
Aveva soltanto
sentito parlare dei veleni utilizzati dagli orchi, ma ricordava che
la Foglia di Re era il rimedio più efficace in mancanza di
soluzioni
migliori. Tuttavia sapeva anche che non sarebbe bastata a salvare la
vita di Celebrìan. Dovevano tornare a Gran Burrone. A quel
punto,
l'esperienza di Elrond era la sua unica speranza.
<<
Ripartiremo il prima possibile >>, disse.
Elrohir non
ricordava quasi nulla dell'ultima parte del viaggio. Le bende sulla
sua ferita erano ormai impregnate di sangue. Ne aveva perso troppo.
L'ambiente attorno
a lui era diventato un insieme informe di macchie di colore, mentre
il dolore, che nelle ultime ore era stato una costante nella sua
mente, era stato sostituito da un lieve intorpidimento. L'unica cosa
che in seguito riuscì a ricordare con chiarezza furono le
parole che
gli rivolse Elladan.
<< Ascoltami
bene. Se mai dovessimo morire, lo faremo insieme. Ma per adesso, non
prendere iniziative e non pensare neanche di lasciarmi solo
>>.
Elrohir ebbe voglia
di ridere. Suo fratello gli aveva parlato come se spettasse a lui
decidere se vivere o morire. Ciò nonostante, si ripropose di
accontentarlo.
Si accorse di
essere nei pressi di Gran Burrone quando iniziò a
riconoscere le
forme e gli odori della foresta. Poco dopo, udì delle voci
allarmate.
<< Siamo a
casa >>, gli sussurrò Elladan, ma le sue
parole erano lontane.
Pensate a lei, avrebbe
voluto gridare, Salvate lei.
Elladan si sentiva
esausto, svuotato. Non sapeva quanto tempo era trascorso dal suo
ritorno a casa: sembravano solo pochi minuti, ma sospettava che si
fosse trattato di ore.
Elrond aveva
affidato Elrohir alle cure migliori dopo essersi accertato che non
fosse in pericolo immediato, poi si era occupato di
Celebrìan.
Elladan e Arwen non
poterono fare altro che aspettare. La giovane elfa aveva insistito
per rendersi utile, ma Elrond si era opposto con fermezza: doveva
agire da solo.
Elladan osservò
sua sorella e, per la prima volta, notò quanto somigliasse a
Celebrìan. Era sempre stato così, ma soltanto
ultimamente era
apparso qualcosa nella sua espressione, qualcosa che ricordava la
forza e la determinazione di sua madre.
Da quando era
tornato non aveva ancora raccontato a nessuno cosa era accaduto al
Passo Cornorosso, ed era lieto che Glorfindel si fosse preso
quell'incarico al suo posto. Non aveva avuto neanche l'occasione di
parlare con suo padre e, più quel momento di avvicinava,
più lo
temeva. Aveva disubbidito agli insegnamenti che Elrond gli aveva
impartito sin da quando era bambino, aveva sopravvalutato le proprie
forze e si era lasciato condizionare dai sentimenti. Tutti errori che
stavano per costare la vita ad Elrohir e Celebrìan.
Elrond tornò da
loro solo alcune ore più tardi. Appariva stanco e
scoraggiato, come
se avesse anch'egli combattuto una battaglia. << Vostra
madre
sopravviverà >>, disse.
Elladan avrebbe
dovuto accogliere con gioia quella notizia, ma non riusciva a provare
altro che sconforto. << Va' a riposare, parleremo domani
>>,
aggiunse Elrond.
Elladan credeva che
la stanchezza gli avrebbe permesso di addormentarsi facilmente, ma,
nell'oscurità della sua stanza, si sentiva perseguitato dai
pensieri. Restò a fissare il soffitto, finché non
udì il leggero
cigolio che lo avvertiva della porta che stava per aprirsi.
Istintivamente allungò la mano verso il pugnale che teneva
accanto
al letto, rilassandosi solo quando riconobbe la figura indistinta di
Arwen, che esitava sulla soglia.
<< Posso
entrare? >>, chiese.
Elladan si alzò a
sedere e le fece spazio sul bordo del letto. << Certo
>>.
Arwen entrò e
chiuse la porta in silenzio. << Non riuscivo a dormire
>>,
disse.
<< Neanche io
>>.
<< Mi hanno
raccontato di quello che è successo al Passo Cornorosso
>>.
<< Avresti
potuto chiederlo a me >>.
<< Credevo
che non ti andasse di parlarne >>.
<< No,
infatti >>, ammise Elladan.
<< Ma sembra
che nessuno sappia cosa è successo a nostra madre
>>.
Elladan non
rispose. Per qualche minuto, il silenzio fu così assoluto
che i due
elfi poterono ascoltarsi respirare.
Solo in seguito
Elladan parlò con tono grave. << Non lo
sapremo mai, ed è
meglio così, perché non vogliamo davvero saperlo
>>.
Elrond vagò
insonne fino alle prime luci dell'alba. Erano anni che non provava
un'ira così profonda quanto irrazionale. Era furioso con se
stesso
per non aver dato peso ai suoi presentimenti e, soprattutto, per non
esserci stato quando la sua famiglia aveva avuto bisogno di lui.
Desiderò che
quelle creature maledette che avevano osato toccare
Celebrìan
fossero ancora vive, così avrebbe potuto ucciderle con le
proprie
mani.
<<
Gwador
>>,
una voce familiare interruppe i suoi pensieri. Glorfindel
si era cambiato gli abiti e appariva meno provato da quando Elrond
gli aveva parlato poco tempo prima.
<<
Mellon-nin
>>, rispose.
<<
Da quando sono tornato un pensiero mi tormenta, e temo che non me ne
libererò finché non te ne avrò parlato
>>.
Elrond
conosceva Glorfindel da secoli e raramente l'aveva visto
così
inquieto. << Dimmi cosa ti turba e farò il
possibile per
aiutarti >>.
Glorfindel
esitò per qualche istante prima di iniziare a raccontare.
<<
Quando eravamo nel mezzo della battaglia, il mio primo pensiero era
adempiere alla promessa che ti avevo fatto prima di partire:
proteggere Lady Celebrìan ad ogni costo. Ho visto gli orchi
che si
avventavano su di lei e stavo per intervenire, quando ho visto che
anche Elrohir aveva bisogno di aiuto. Sapevo che, se fosse morto uno
dei gemelli, neanche l'altro sarebbe sopravvissuto. Così ho
deciso
di salvare loro. In seguito ho perso di vista Celebrìan e...
>>.
La sua voce si spezzò. Due lacrime comparvero agli angoli
dei suoi
occhi. << Ho bisogno del tuo perdono, giacché
è l'unica cosa
che mi permetterà di convivere con la mia colpa
>>.
Elrond
era incredulo. << Non dire altro >>. Gli
poggiò una mano
sulla palla nella speranza di confortarlo. << Nulla di
quello
che è accaduto è colpa tua, neanche in minima
parte. Non hai
bisogno del mio perdono, perché hai agito solo nelle
migliori
intenzioni. Ti posso offrire soltanto la mia eterna gratitudine, e
non sono sicuro che sia sufficiente dopo tutto quello che hai fatto
per noi >>. Glorfindel abbassò la testa, ma
Elrond riuscì ad
intravedere un debole sorriso.
Soddisfatto,
si congedò dall'amico. << Per quanto apprezzi
la tua
compagnia, in questo momento è la solitudine che cerco
>>.
Il
Signore di Imladris si allontanò, curvo sotto il peso di
tanti
affanni, alla ricerca della solitudine in cui soleva rifugiarsi nei
periodi più difficili.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Saew:
veleno
Gwador:
parola che
descrive un rapporto
fraterno tra due persone non imparentate. Letteralmente: fratello
giurato.
Mellon-nin:
amico mio
|
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Capitolo 7 *** Sull'orlo del baratro ***
Questo capitolo è un po' breve, ma
segna un momento molto importante nella vita dei nostri personaggi.
Nel prossimo si concluderà l'arco narrativo della storia di
Celebrìan.
Adesso torno a studiare, altrimenti
all'esame di maturità comincerò a parlare di elfi
e orchi, il che
sarebbe poco opportuno ;)
A presto!
Celebrìan prese il fiore appassito e
se lo rigirò tra le mani.
Era trascorso un ciclo di luna dal suo
ritorno dal Passo Cornorosso, ma sembrava che nulla fosse cambiato da
allora. Ogni giorno che passava si sentiva più in forze, ed
era
stata rassicurata che sarebbe presto guarita del tutto. Ma loro non
potevano capire, nessuno poteva.
Da quando aveva cominciato a stare
meglio, suo marito le aveva fatto trovare un mazzo di fiori accanto
alla finestra ogni mattina. Per quanto apprezzasse i suoi tentativi
di aiutarla, non riusciva a vedere alcuna bellezza in quei fiori,
così come non riusciva a vederla in nessun'altra cosa.
Quel giorno aveva notato un piccolo
fiore appassito che stonava con il resto del mazzo.
Celebrìan staccò
i suoi petali uno ad uno e poi lo lasciò cadere sul
pavimento. Si
sentiva esattamente come quel fiore, ormai separato dal terreno e
destinato ad una morte lenta e solitaria.
Sapeva quale sarebbe stata la cosa più
saggia da fare, ma le mancava il coraggio per farla. C'era ancora un
legame, sottile come il filo di una ragnatela, che la teneva
attaccata alla vita.
Elrohir osservò la propria immagine
riflessa nello specchio della sua stanza. Il lungo taglio sul suo
fianco era ridotto ad una pallida linea appena visibile.
Probabilmente, gli avevano assicurato i guaritori, sarebbe presto
scomparsa anche quella. Era incredibile come i segni di un evento
così terribile potessero scomparire così in
fretta, come se nulla
fosse accaduto.
Qualcuno bussò alla porta. Elrohir
sapeva già che si trattava di Elladan, prima ancora di
vederlo.
<< Avanti >>, disse.
<< Come stai? >>, chiese
Elladan, chiudendosi la porta alle spalle.
<< Mai stato meglio >>,
rispose Elrohir con una punta di ironia, mentre si rimetteva i
vestiti.
<< Thiliel ha chiesto di te >>.
Elrohir sospirò. << Non saprei
cosa dirle >>.
<< Vuole soltanto aiutarti. E' da
quando siamo tornati che la eviti >>.
Elrohir si sedette ed invitò Elladan a
fare lo stesso. << Stavo per chiederla in sposa
>>,
ammise, << Volevo farlo prima di partire, ma qualcosa mi
ha
frenato. Forse, inavvertitamente, sapevo che c'era la
possibilità
che non sarei tornato. Adesso sento di non essere più la
stessa
persona di prima. In questo momento, non potrei portarle altro che
tristezza >>.
<< Parli come se avessi perso la
speranza. Nostra madre non vorrebbe che tu rinunciassi a qualcuno che
ti è caro solo perché stiamo vivendo un brutto
periodo. Presto
passerà, Celebrìan starà meglio e
sarà felice di assistere alla
vostra unione >>.
Elrohir non ebbe il coraggio di
contraddire suo fratello. Elladan era sempre stato il più
ottimista,
a volte persino ingenuo.
<< Ieri ho parlato con lei >>,
disse, cauto. << Era fredda e distante, appariva
profondamente
infelice, come se avesse perso ogni amore per la vita >>.
<< E' comprensibile, le occorrerà
tempo per riprendersi >>.
Elrohir decise di non commentare oltre.
Sapeva che Elladan aveva bisogno della speranza per affrontare le
difficoltà. D'altro canto, il suo più grande
timore era che le
condizioni di Celebrìan fossero destinate soltanto a
peggiorare.
Il cupo presentimento di Elrohir si
avverò tre mesi dopo, durante una notte di luna piena.
Celebrìan si trovava nel punto più
alto di Gran Burrone.
Guardò il precipizio sotto di sè e si
chiese se la caduta l'avrebbe uccisa. Si avvicinò il
più possibile
al bordo e cercò di indovinare a che altezza si trovasse.
Era così
in alto da non riuscire a vedere il fondo: di certo la caduta
l'avrebbe uccisa.
Non aveva davvero intenzione di
saltare, le piaceva soltanto accarezzare l'idea della morte. Sapere
che c'era una via di fuga alle sue sofferenze era l'unica
consolazione che poteva concedersi.
Quando Elrond la vide, in piedi
sull'orlo del dirupo, illuminata dai raggi della luna, fu come se
tutte le sue paure si fossero materializzate davanti ai suoi occhi.
Si avvicinò lentamente, accertandosi che lei lo sentisse
arrivare.
<< Ti ho cercata a lungo >>, disse.
Celebrìan lo guardò brevemente. <<
Non è come pensi >>.
I suoi occhi erano colmi di tristezza,
a tal punto che per Elrond era doloroso guardarli.
<< Penso che tu sia la creatura
più bella che abbia mai camminato su queste terre, e che non
cercheresti mai la morte di tua volontà >>,
disse Elrond.
Celebrìan rispose con l'ombra di un
sorriso, lanciando un ultimo sguardo al precipizio.
Elrond sfiorò la sua mano: era gelida.
<< Dimmi cosa posso fare per te
>>, disse, cercando di non far trapelare la disperazione
nella
sua voce.
<< Quanto sei disposto a fare?
>>.
<< Qualsiasi cosa >>,
rispose Elrond, senza esitazione.
<< Allora lasciami andare >>,
sussurrò sua moglie.
Elrond esitò. Sapeva cosa significava
quella richiesta: significava che aveva già perso
ciò a cui più
teneva al mondo. << Non posso farlo >>,
disse. Circondò
Celebrìan in un abbraccio, quasi a voler ribadire le sue
parole. <<
Non lo farò >>, ripeté, ma non
c'era più la stessa
convinzione nella sua voce.
Correva l'anno 2510 della Terza Era
quando Celebrìan, figlia di Celeborn e Galadriel e signora
di Gran
Burrone, decise di lasciare per sempre la Terra di Mezzo.
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Capitolo 8 *** Verso Ovest ***
Sono sopravvissuta all'esame di
maturità, finalmente potrò dedicarmi interamente
alla fic ed
aggiornerò più spesso. Con questo capitolo si
conclude la triste
storia di Celebrìan.
L'annuncio dell'imminente partenza di
Celebrìan fu come un tuono abbattutosi su Gran Burrone.
Quella sera stessa Elrond riunì i suoi
figli nel suo studio. Era una stanza ampia e dall'arredamento
essenziale. Le pareti erano in gran parte celate da una vasta
libreria, colma di libri di ogni dimensione, dai tomi che contenevano
trattati sulle erbe curative, alle favole sulle quali Elrohir ed
Elladan avevano imparato a leggere. La quantità di ricordi
contenuta
tra quelle pagine ingiallite era tale da incutere un timore
reverenziale anche ora che i gemelli erano ormai adulti.
<< Prima che parliate con
Celebrìan, voglio la vostra parola che rispetterete la sua
scelta.
Non è stata una decisione facile per lei, e la vostra
opposizione
non farebbe che causarle altro dolore >>, disse Elrond.
La sua
voce non lasciava trapelare emozioni, la sua espressione era
indecifrabile come una maschera. Arwen ed Elladan acconsentirono a
malincuore.
Elrohir, invece, non disse nulla,
mentre passeggiava nervosamente nella stanza. Si sentiva arrabbiato e
tradito, e avvertiva gli stessi sentimenti provenire da Elladan.
Tuttavia, mentre il fratello minore riusciva a mantenere un
comportamento moderato, Elrohir era sopraffatto dalle
emozioni.
<< Avevi detto che nostra madre
sarebbe guarita >>, disse. Non appena
pronunciò quelle parole
si rese conto che, ogni volta che aveva confortato Elladan, non aveva
fatto altro che confortare se stesso.
Elrond rispose con evidente
risentimento, << Vostra madre soffre di un male che io
non sono
in grado di curare >>.
Elrohir avrebbe voluto piangere, urlare
e distruggere ogni cosa nelle vicinanze. << Avevi detto
che
l'avresti salvata >>, disse a denti stretti. Un attimo
dopo,
Elrond fu in piedi di fronte a lui, lo sguardo colmo di severa
disapprovazione. << Credi che non abbia fatto tutto il
possibile? >>, chiese.
Per qualche attimo i due elfi si
fronteggiarono, i loro visi ad un palmo l'uno dall'altro, in una
silenziosa battaglia di sguardi. Elrohir scorse negli occhi di suo
padre lo specchio delle proprie emozioni. Fu solo allora che si rese
conto di quanto le sue parole suonassero irriverenti.
Abbassò la
testa. << Díheno
nin, adar.
Ho
parlato senza riflettere >>.
Lo sguardo di
Elrond si addolcì. << Condividiamo lo stesso
dolore, Elrohir,
non dimenticarlo >>.
La conversazione continuò in toni più
pacifici, mentre il sole tramontava su Gran Burrone e il momento
della partenza si avvicinava sempre di più.
Elfi vennero da ogni dove per salutare
Lady Celebrìan prima che salpasse per Valinor. Tanti erano
coloro
che l'avevano conosciuta e amata, ed erano rattristati dalla sua
partenza. L'elfa decise di salutare per ultimi i membri della sua
famiglia. Dopo essersi trattenuta a lungo con i suoi genitori,
Galadriel e Celeborn, si rivolse ai gemelli.
<< Venite, passeggiamo >>,
disse. Nei suoi occhi, insieme alla tristezza che mai li abbandonava,
c'era una rinnovata speranza. << Stamattina, mentre
percorrevo
un'ultima volta i corridoi di Imladris, ho ripensato al giorno in cui
nasceste. Vedervi per la prima volta fu una delle più grandi
gioie
della mia vita. Durante i vostri primi giorni ero l'unica che
riusciva a distinguervi l'uno dall'altro. Vostro padre non lo
ammetterà mai, ma persino lui vi ha confuso ogni tanto per
le prime
settimane >>.
Elladan rise. << Questo non ce
l'aveva mai raccontato >>.
Celebrìan ricambiò con un lieve
sorriso, << Capimmo da subito che c'era qualcosa di
speciale
nel vostro legame, prima ancora che lo capiste voi stessi. Da bambini
non permettevate a nessuno di separarvi, neanche per pochi minuti; e
fu solo al compimento dei dieci anni che decideste di dormire in
camere separate. A volte era come se le vostre menti funzionassero
all'unisono >>. Lo sguardo di Celebrìan
s'incupì. <<
Sto dicendo questo perché mi preoccupo per il vostro futuro.
Dovrete
affrontare una scelta difficile, una scelta da non prendere alla
leggera. Il privilegio che vi è stato concesso, quello di
decidere
se vivere come esseri immortali o condividere il destino degli
Uomini, può rivelarsi una benedizione o una maledizione. Non
vi dirò
cosa è meglio per voi, non ne avrei il diritto, ma ho solo
una
raccomandazione da farvi: scegliete il medesimo destino. Quando
vostro padre e suo fratello intrapresero strade diverse, sapevano che
uno di loro avrebbe vissuto per l'eternità in solitudine.
Adesso,
per quanto Elrond ci ami profondamente, nulla potrà
sostituire il
legame che un tempo lo univa a Elros >>.
I gemelli non avevano mai riflettuto a
fondo sulla scelta che li attendeva. Era sempre apparsa come qualcosa
di astratto, di infinitamente lontano dalla realtà. Il
legame che li
univa, invece, era concreto, era presente, ed entrambi sapevano che
non sarebbero sopravvissuti alla sua rottura.
Celebrìan lesse quel timore nelle loro
espressioni, e aggiunse, << Mancano ancora molte
centinaia di
inverni, e tante cose accadranno nel frattempo. Per allora sarete
persone diverse >>.
<< Sceglieremo con saggezza,
naneth, hai la nostra parola >>, disse
Elrohir.
<< Non ho dubbi a riguardo >>,
rispose Celebrìan.
Parlarono ancora per un tempo che parve
brevissimo, ma lo spostamento del sole indicava diversamente. Almeno
due ore erano trascorse, quando Celebrìan li
salutò per l'ultima
volta.
Se sceglieremo di vivere come gli
edain, questa sarà l'ultima volta che vedremo nostra madre, pensò
Elladan.
Dopo di loro fu il
turno di Arwen, e infine di Elrond.
I due
parlarono a lungo e, prima di sperararsi, si strinsero in un lungo
abbraccio. << Galo
Anor erin râd gîn...na lû n'i a-goveninc >>,
sussurrò Elrond all'orecchio di Celebrìan.
Quando la barca
salpò verso l'orizzonte, i gemelli la seguirono con lo
sguardo, e in
quel momento, per la prima volta in vita loro, videro gli occhi di
Elrond brillare di lacrime a stento trattenute.
Il sole iniziò a
calare, offuscato dalle nuvole, e infine tramontò, tingendo
di
grigio il mare.
Quella notte la
luna non era che una sottile striscia bianca nel cielo e persino le
stelle sembravano aver perso parte del loro splendore.
Elrohir disse ad
Elladan che aveva bisogno di trascorrere del tempo da solo. In altri
tempi avrebbe accettato di buon grado il conforto di suo fratello.
Avrebbero condiviso i loro pensieri, il dolore, i timori per
l'avvenire, senza proferire neanche una parola.
Ma le cose erano
cambiate. I sentimenti di Elladan erano nobili, colmi di speranza e
desiderio di superare le avversità. Elrohir, invece, non
riusciva a
liberarsi della propria rabbia e se ne vergognava profondamente.
"L'ira è ciò che più di ogni
altra cosa ha il potere di avvelenare il cuore degli uomini.
Può
rendere schiavi anche i re più potenti e in battaglia si
rivela più
letale per chi la prova piuttosto che per chi la subisce. Non
lasciare mai che ti possieda", le
parole di Glorfindel gli tornarono alla mente, chiare e prepotenti.
Le aveva pronunciate durante un discorso alla vigilia di una
battaglia, e da allora Elrohir non le aveva mai dimenticate.
Le ripetè più
volte tra sè e sè, nella speranza di convincersi
che il suo
desiderio di vendetta fosse nient'altro che un breve momento di
debolezza.
Quella notte
Elrohir non dormì sonni tranquilli. Sognò una
barca che si dirigeva
al Passo Cornorosso navigando sulla nuda roccia. Sognò il
rosso del
sangue e il rumore delle lame. Sognò gli orchi che si
avventavano su
Celebrìan e il suo sguardo terrorizzato dopo che l'avevano
ritrovata. Ma ad un tratto, tutto cambiò. Si
ritrovò in una
foresta, dissimile da quella che circondava Gran Burrone e da
qualsiasi luogo che avesse mai visto. Elladan era poco lontano e
rivolgeva la sua attenzione a qualcosa che Elrohir non poteva vedere.
Ai suoi piedi,
lento e sinuoso, strisciava un serpente. Era del colore delle foglie
appassite, con striature beige. I suoi minuscoli occhi sembravano
brillare di malizia e ostilità.
Elrohir provò un
profondo terrore al vedere quell'animale. Non ne sapeva il motivo, ma
il suo istinto gli diceva che era pericoloso e che doveva essere
eliminato al più presto. Tentò di muoversi, ma
scoprì di non
esserne in grado: era come paralizzato. Poteva soltanto guardare,
mentre il serpente strisciava, la sua paura aumentava e il sogno si
dissolveva come ghiaccio sul fuoco.
Elrohir si svegliò
di soprassalto, l'immagine del serpente ancora impressa nella mente.
Un tocco gentile sulla spalla lo riportò alla
realtà. Si trovava
nella sua stanza, era ancora notte fonda, e si udiva in lontananza un
canto dolce e triste. Riconobbe la voce di Arwen, insieme a tante
altre.
Elladan era
inginocchiato accanto al suo letto, visibilmente inquieto.
<< Stai bene?
>>, chiese.
Elrohir riusciva ad
udire il battito frenetico del proprio cuore, un lascito del terrore
che aveva provato, ed era certo che anche Elladan riuscisse a
sentirlo.
<< Era solo
un incubo >>, rispose.
<< Vuoi che
resti con te? >>.
<< Non è
necessario >>, disse Elrohir, << Era
soltanto un sogno
>>.
Elladan gli rivolse
un ultimo sguardo preoccupato, poi uscì dalla stanza
silenzioso come
era entrato.
Quando
tornò nel suo letto, Elladan sapeva che non avrebbe dormito
per il
resto della notte. Restò ad ascoltare il canto di Arwen,
colmo di
pacata malinconia.
Estel
lómenna sintuva
Ter mordor lantal' et lúmell', enyalie
Áva
quete: nalve metyales
Loss' hrestar yalir
Met omentuva ata
Ar
nauval ranconyassen er lorna.
Poco
tempo dopo, la porta della stanza si aprì lentamente.
<< Posso
restare quì? >>, chiese la voce esitante di
Elrohir.
Elladan
si concesse un breve sorriso ironico. Si spostò di lato e
sollevò
la coperta, lasciando spazio ad Elrohir, come avevano fatto tante
volte da bambini. Non dissero altro, non ne avevano bisogno. Elladan
sperò soltanto di riuscire, con la sua sola presenza, ad
alleviare
il dolore di Elrohir, condividendolo ed accogliendone una parte.
Restarono
svegli ed ascoltarono quel magnifico canto, fino a quando gli ultimi
versi non risuonarono nell'aria, accompagnati dal fruscio del vento.
Man
cenil han menelo hresta?
Manan i maiw' yalir?
Arta Ear Sil néca
orta
Ciryar símen marenna colien
Ilqu' ahyuva hyellenna
sil
Cal nenes, hisw' ciryar autuvar
Minna Númen
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Díheno
nin, adar: perdonami,
padre
Naneth:
madre
Edain:
Uomini
(inteso come esseri
umani)
Galo
Anor erin râd gîn.... na lû n'i
a-goveninc:
possa
il sole risplendere sul tuo cammino...fino al nostro prossimo
incontro
Traduzione
della canzone in Quenya:
La
speranza svanisce nel mondo della notte
nelle
tenebre che stanno scendendo
fuori
dalla memoria e dal tempo.
Non
dire che siamo giunti alla fine,
le
bianche coste ci stanno chiamando,
io
e te ci rivedremo.
Cosa
riesci a vedere all'orizzonte?
Perché
i bianchi gabbiani chiamano?
Sul
mare sorge una pallida luna,
le
barche sono giunte per riportarti a casa.
E
tutto si trasformerà in vetro argentato,
una
luce sull'acqua.
Navi
grigie vanno
verso
Ovest
La
canzone è "Into the West" di Annie Lennox tradotta in
lingua elfica. La si può ascoltare durante i titoli di coda
de "Il
Ritorno del Re".
|
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Capitolo 9 *** I due principi ***
In
uno dei suoi scritti Tolkien ci racconta di come i figli di Elrond
aiutarono i futuri uomini di Rohan (la fondazione di Rohan deve
ancora avvenire) in una battaglia contro gli orchi. In questo
capitolo scopriamo cosa accadde, dal punto di vista di un valoroso
cavaliere.
Spero
che vi piaccia :)
Rowson, figlio
di Renfred, era
conosciuto tra i suoi compagni d'armi per il suo coraggio. Lo
chiamavano "il Senza Paura", "l'Impavido" e altri
soprannomi tanto sontuosi quanto ironici. D'altro canto, i Rohirrim
erano tutti abili guerrieri e per Rowson era un onore cavalcare tra
le loro file.
Aveva
combattuto molte battaglie, aveva
guardato la morte negli occhi e aveva fronteggiato il Male nelle sue
forme più insidiose: credeva che non ci fosse più
niente in grado
di stupirlo. Ma si sbagliava.
Quel giorno
era iniziato non
diversamente da molti altri: i Rohirrim stavano eliminando un gruppo
di orchi che aveva sconfinato nelle loro terre. Le sentinelle ne
avevano avvistati dieci o poco più, troppo pochi per causare
problemi ai guerrieri, ma fu presto evidente che i loro calcoli non
erano esatti. Gli orchi avevano ricevuto dei rinforzi e stavano
lentamente circondando i Rohirrim.
I primi
cavalieri caddero sotto le
spade nere, mentre altri iniziarono a indietreggiare, avvicinandosi
sempre di più gli uni agli altri. Presto ci chiuderanno
in una
morsa e ci attaccheranno da ogni lato,
pensò
Rowson. Contrattaccare in fretta
era l'unico modo per tenerli a bada.
Rowson
passò in prima fila e, partendo alla carica con il suo
cavallo,
tentò di rompere le righe degli orchi. Fu allora che li
vide.
Dapprima pensò che si trattasse di spettri,
perché mai prima di
allora aveva visto due esseri così perfettamente identici.
Erano
alti, più della maggior parte degli uomini, non indossavano
armatura
e tendevano i loro archi senza apparente fatica.
All'inizio
Rowson aveva visto soltanto le loro frecce, tanto precise da
conficcarsi nella fessura tra due placche dell'armatura degli orchi,
uccidendoli all'istante. Poi gli elfi si erano avvicinati ed avevano
estratto dei pugnali. Entrambi avevano una spada al fianco, ma
parvero preferire quelle lame più corte e maneggevoli. Molti
Rohirrim si fermarono a guardarli, stupefatti. I loro movimenti erano
rapidi e precisi, privi di qualsiasi esitazione. I loro volti senza
età erano come congelati in un'espressione indecifrabile. La
battaglia si protrasse a lungo e, mentre gli uomini erano rallentati
dalla stanchezza, gli elfi non si concessero tregua fino a quando non
ebbero ucciso l'ultimo orco. Ogni loro movimento era perfettamente
coordinato, come se i loro corpi fossero un'estensione della stessa
mente. Rowson li udì parlare tra loro soltanto una volta, in
una
lingua che non comprendeva.
Quando
la battaglia finì, come era sua abitudine, Rowson
ringraziò il fato
di avergli permesso di sopravvivere. Il suo secondo pensiero fu di
ringraziare gli elfi, ma di loro non c'era traccia.
Per
qualche attimo sospettò di esserseli immaginati.
<< Dove sono
andati? >>, chiese ai suoi uomini.
<<
Scomparsi come spettri >>, rispose qualcuno.
Rowson
si guardò intorno. Il fatto di essere ancora vivo era
l'unica prova
dell'esistenza di quelle due figure misteriose. Gli uomini erano
attoniti, sussurravano tra loro per chiedere conferma di ciò
che
avevano visto.
<<
Sono elfi di Gran Burrone >>, disse infine il
più anziano, <<
Ho riconosciuto i loro abiti >>.
"Sono
prìncipi", lo corresse mentalmente Rowson, "non possono
che essere dei principi".
Elladan
immerse il suo pugnale nel fiume per ripulirlo dal sangue nero. Poco
a poco l'acqua riportò la lama alla sua lucentezza originale
e
rivelò la scritta incisa sull'elsa: Arod.
Era
ormai trascorso un anno dalla loro partenza da Imladris. La decisione
di lasciare il luogo in cui erano nati e cresciuti non era stata
facile, soprattutto dopo i tragici eventi che avevano colpito la loro
famiglia, ma entrambi sapevano che il modo più efficace per
affrontare il dolore era canalizzare le energie verso qualcosa di
utile. Combattere gli orchi e proteggere coloro che non potevano
proteggersi da soli era, in quel momento, la missione più
onorevole
che potessero intraprendere.
Elrohir
ripensò al giorno della sua partenza. Comprensibilmente
Elrond non
era stato felice della loro decisione. "Sono
ormai finiti i tempi in cui potevo vietarvi di fare qualcosa. Adesso
non mi resta che affidarmi alla vostra saggezza",
aveva detto.
Ma
l'addio più doloroso per Elrohir era stato quello con
Thiliel.
L'elfa aveva reagito con una freddezza che non era propria dei suoi
modi. "Hai
fatto la tua scelta. Va' e presta attenzione, ma sappi che al tuo
ritorno non sarò qui ad aspettarti",
aveva detto.
"Non
pensare che ti stia abbandonando", aveva
risposto Elrohir,
"In questo momento porto con me tanto rancore e temo che, se
facessi ciò che il mio cuore desidera e restassi con te, non
potrei
offrirti la felicità che meriti. Al mio ritorno
sarò una persona
diversa e spero che allora potrò offrirti solo il mio amore,
nella
sua forma più pura".
"Anche
il fiore più bello ha le sue imperfezioni e anche l'acqua
più
limpida ha le sue increspature: nulla è puro in natura, e
questo
vale anche per noi. Se resterai, io accetterò ogni aspetto
di te,
anche quelli che tu stesso non riesci ad accettare, ma se te ne
andrai, non puoi volere che io trascorra centinaia di inverni, se non
di più, in attesa del tuo ritorno",
aveva detto Thiliel.
"Le
tue parole sono sagge e veritiere, dalla prima all'ultima. Ma ormai
ho deciso: farò ciò che ritengo giusto, e sono
certo che anche tu
farai altrettanto".
"Devo
dimenticarla",
si disse Elrohir, mentre era inginocchiato sulla riva del fiume,
intento a fare provviste d'acqua. "Il
destino ci è stato avverso".
Era
ancora immerso nei suoi pensieri, quando uno spruzzo d'acqua fredda
lo colpì, facendolo sobbalzare.
Si voltò alla sua sinistra con un'espressione tra l'irritato
e il
divertito: Elladan sorrideva di sottecchi. <<
Perché l'hai
fatto? >>, chiese Elrohir.
<<
Per la puzza di orco >>.
<<
Mi sembra naturale, visto che ne avrò uccisi almeno
cinquanta oggi
>>.
<<
Cinquanta? >>, lo provocò ancora Elladan con
un sorriso di
sfida, << Secondo i miei calcoli non erano più
di... >>,
ma non ebbe modo di finire la frase.
Elrohir
scattò verso di lui e lo inseguì ridendo lungo
la riva del fiume. In poco tempo si ritrovarono entrambi
completamente bagnati, impegnati in una lotta a colpi di schizzi
d'acqua. Dopo una giornata trascorsa tra il sangue e la morte, quel
gioco infantile era tutto ciò che desideravano.
<<
Ho sentito quegli uomini
definirci "principi" >>, disse ad un tratto Elladan,
<< Cosa direbbero se ci vedessero adesso?
>>.
<<
Probabilmente penserebbero di
essersi sbagliati >>, rispose Elrohir, ancora senza fiato
per
le risate. Ringraziò mentalmente suo fratello per averlo
spinto a
concedersi qualche momento di svago. Era esattamente ciò di
cui
aveva bisogno.
Ma il sole
stava per tramontare e delle
nuvole grigie incombevano su di loro. << Presto
pioverà >>,
osservò Elladan, << Dobbiamo trovare un riparo
per la notte
>>.
Elrohir
annuì e tornò ad occuparsi
delle provviste a cuor leggero. Senza il peso del passato sulle
spalle, anche il presente sembrava più sostenibile.
Ma quello che
Elrohir non sapeva era
che, anche quella notte, un serpente era in agguato per lui nei suoi
sogni.
Note
finali:
in
"History of Middle-earth", Tolkien ci fornisce per la prima
volta una descrizione fisica (relativamente) accurata dei gemelli. E'
interessante l'utilizzo dell'aggettivo "great",
letteralmente "grande", che potrebbe significare che
Elladan ed Elrohir siano più robusti della maggior parte
degli elfi,
forse a causa della loro discendenza umana. Viene inoltre specificato
che gli orchi "fuggivano davanti a loro". Ho preferito
omettere questo particolare per adesso e aspettare i prossimi
capitoli per alimentare la loro fama di cacciatori di orchi. D'altra
parte, secondo le fonti ufficiali, i gemelli trascorreranno i
successivi 500 anni a sterminare queste
adorabili creature.
Nei prossimi capitoli incontreremo i Dùnedain e
successivamente un
certo Arathorn, padre di qualcuno che conosciamo bene...
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Capitolo 10 *** Gli Uomini dell'Ovest ***
Questo capitolo è ambientato
nell'anno 2912 della Terza Era. Sono trascorsi circa 400 anni dal
capitolo precedente. Inoltre vi presenterò altri due
personaggi di
mia invenzione... sperando che vi piacciano ^^
Quando Elrohir ed
Elladan avevano deciso di lasciare Imladris, erano certi che
avrebbero viaggiato completamente soli, senza fermarsi a lungo nello
stesso luogo e senza prendere ordini da nessuno. Per questo motivo
quando i gemelli incontrarono i Dùnedain, gli uomini
dell'Ovest, non
credevano che sarebbero rimasti a lungo con loro. La vita che Elladan
ed Elrohir avevano scelto li aveva trasformati in temibili guerrieri,
affinando i loro sensi e le loro tecniche di combattimento e
rendendoli sempre più distaccati nei confronti dei
sentimenti.
Avevano versato fiumi di sangue nero e avevano compiuto la loro
vendetta, non una, ma migliaia di volte. Gli orchi temevano i loro
nomi e la maggior parte di loro non osava neanche affrontarli. Tra
gli Uomini, gli elfi divennero noti come "i principi di
Imladris", nonostante non possedessero realmente quel titolo.
Gli elfi
conoscevano i Dùnedain come discendenti di Elros, fratello
di
Elrond, che aveva rinunciato all'immortalità e dato inizio
ad una
nobile stirpe. Grazie al loro sangue elfico, la vita dei
Dùnedain
era più lunga di quella degli altri Uomini, ma anch'essi
erano
soggetti alla vecchiaia e alla morte.
Nel corso degli
anni gli incontri tra gli Uomini dell'Ovest e i figli di Elrond si
erano fatti sempre più frequenti e vantaggiosi per entrambe
le
parti. Per questo motivo, quando gli elfi accettarono di unirsi a
loro per vivere e combattere insieme, ricevettero una calda
accoglienza. Gli Uomini ammiravano la loro abilità in
battaglia e
desideravano apprendere il più possibile dalla loro
saggezza.
Nell'anno 2912 Arador, figlio di Argonui, divenne il quattordicesimo
Capitano dei Dùnedain in seguito alla morte del padre. Come
ogni
membro della sua stirpe, Arador era nato a Gran Burrone ed era stato
allevato da Elrond. Aveva appreso la lingua e le usanze elfiche, fino
a considerarsi quasi come uno di loro.
Durante quella
primavera i Dùnedain si erano stabiliti in un piccolo
accampamento a
ridosso di una collina. Elladan ed Elrohir si erano adattati
facilmente a quella vita priva di comodità e sicurezza, e
avevano
scoperto che la compagnia degli Uomini era molto più
piacevole di
quanto avessero immaginato. Molti diventarono loro amici, oltre che
compagni d'armi.
Quel giorno
Elrohir era intento a lucidare il suo pugnale, quando una voce
familiare richiamò la sua attenzione.
<< Spero di
non disturbarti, ma il Capitano richiede la tua presenza
>>.
Era stato Maedir a parlare. Era uno dei più giovani ad
impugnare una
spada, ma già da allora era stato chiaro che non sarebbe mai
diventato un grande guerriero. Sembrava molto più
interessato allo
studio delle erbe curative piuttosto che alla ricerca della gloria.
Accanto a lui trotterellava un segugio nero a cui Maedir aveva
insegnato a fiutare l'odore degli orchi. In molte occasioni quel cane
si era rivelato più abile di qualsiasi sentinella.
<< Grazie,
Maedir, mi recherò subito nella sua tenda >>.
Gli alloggi del
Capitano non erano molto diversi da quelli degli altri, ed Elrohir fu
felice di constatare che, con l'arrivo di Arador, nulla era cambiato.
Prima di allora aveva conosciuto il nuovo Capitano solo di sfuggita e
non aveva mai combattuto sotto la sua guida.
<< E' un
piacere rivederti, Elrohir >>, disse Arador non appena
l'elfo
si trovò al suo cospetto.
Nonostante le sue
parole fossero cortesi, la sua espressione era severa, mentre
osservava Elrohir con sguardo indagatore.
<<
Altrettanto >>, rispose l'elfo, cauto.
<< Non ho
avuto il piacere di conoscervi a fondo, ma la vostra fama vi precede.
"I principi di Imladris", se non erro >>.
<< Un titolo
non del tutto esatto, considerato che nostro padre non è un
re e che
Gran Burrone non è un regno >>,
puntualizzò Elrohir.
<< Lo so
bene, ma sono certo che chi vi ha attribuito questo appellativo si
riferisse ad un altro tipo di nobiltà >>.
Elrohir incontrò
gli occhi chiari del Capitano, chiedendosi il motivo per cui l'aveva
convocato. Aveva imparato ormai da tempo che i Dùnedain, a
differenza degli elfi, non erano soliti soffermarsi a lungo sui
convenevoli e preferivano parlare con schiettezza.
Arador sembrò
leggergli nel pensiero. << Mio padre ha sempre parlato di
voi
con rispetto e ammirazione. La vostra abilità in battaglia
è pari
alla disciplina e al senso dell'onore, ma c'è qualcosa che
vorrei
mettere in chiaro adesso che sono io a guidare i Dùnedain. I
miei
uomini sottostanno ai miei ordini e la loro fedeltà
appartiene a me,
senza riserve. Ma voi due non fate parte dei miei uomini, non siete
obbligati a seguirmi, eppure mettete le vostre spade al mio servizio.
Io prediligo le cose semplici, lineari, e la vostra posizione nei
miei confronti non lo è. Per questo vi chiedo: farete
ufficialmente
parte dei Dùnedain, così che io possa ritenervi
miei uomini a tutti
gli effetti? >>.
Per Elrohir la
conversazione si era improvvisamente rivelata di grande interesse.
Aveva avuto la conferma definitiva che Arador era diverso dal padre e
che sarebbe stato un Capitano altrettanto abile. Doveva soltanto
capire meglio chi aveva di fronte.
<< Vedo che
parli al plurale rivolgendoti a me soltanto. Forse non sei a
conoscenza del fatto che mio fratello ed io siamo persone molto
diverse, a prescindere dalle apparenze, e che la sua opinione in
merito a molte questioni è ben lontana dalla mia. Per
questo, se
desideravi interpellare entrambi, dovevi convocarci entrambi. Ad ogni
modo, risponderò alla tua domanda parlando anche a nome di
Elladan
>>.
Arador non sembrò
infastidito dalle parole di Elrohir. Al contrario, ammise il suo
errore senza battere ciglio. << Ti porgo le mie scuse,
non
intendevo arrecarti offesa >>.
Un capo pronto
a riconoscere di aver sbagliato ha il potenziale per diventare un
grande capo, pensò
Elrohir.
<< Per quanto riguarda la nostra posizione nei tuoi
confronti,
non sarà diversa da com'era in passato. I
Dùnedain hanno la nostra
fedeltà ed amicizia e il loro Capitano ha la nostra
obbedienza
laddove i suoi ordini siano accettabili per noi. Anche in caso
contrario, in nessun caso nutriremo ostilità verso di voi
>>.
Arador lo scrutò a lungo. Era evidente che la risposta di
Elrohir
non l'aveva soddisfatto, ma aveva anche capito che non avrebbe
ottenuto altro dall'elfo. << Ripongo in voi la mia
fiducia >>,
disse infine.
<< Ne faremo buon uso >>, rispose Elrohir.
Era sul punto
di congedarsi, ma Arador aveva altro da dire. << Presto
manderemo degli uomini a nord, verso un villaggio di contadini che ha
subito numerosi attacchi da parte degli orchi. Vorrei che andaste con
loro >>.
Elrohir accettò senza esitazione. Erano ormai quattro
inverni che
non aveva occasione di brandire la spada per ragioni diverse
dall'allenameno ed era impaziente di ritrovare il brivido della
battaglia.
<< Sarà Daven a guidarvi >>,
aggiunse Arador.
Daven era stato l'uomo più fidato di Argonui e di suo padre.
Nessuno
tra i Dùnedain ancora in vita aveva visto più
inverni di lui, e
nonostante ciò restava un temibile guerriero. Si ostinava ad
apostrofare Elrohir "ragazzo" e il più delle volte non
riusciva a distinguere l'uno dall'altro i gemelli.
"Con tutto
il rispetto, sono abbastanza certo di essere più vecchio di
te, e
non di poco", aveva
puntualizzato Elrohir un giorno.
"Non
discutere, Elladan", aveva
borbottato Daven.
Elrohir sorrise ripensando a quella conversazione. Avere a che fare
con Daven era irritante e divertente allo stesso tempo.
La mattina della partenza Elladan si svegliò all'alba ed
iniziò a
preparare l'occorrente per il viaggio verso nord. Era felice di
fornire aiuto a degli innocenti, ma aveva iniziato ad apprezzare
anche la tranquillità in cui aveva vissuto negli ultimi
anni. Il suo
desiderio di vendetta era passato in secondo piano, fino a diventare
non più di un pensiero di fondo. Elrohir, invece, lo vedeva
diversamente.
Ad un tratto Elladan avvertì i battiti del proprio cuore
accelerare
di colpo, mentre un brivido gli correva lungo la schiena. Non era la
prima volta che accadeva e ormai sapeva che si trattava di Elrohir e
del suo incubo ricorrente. Quando cercava di parlarne Elrohir evitava
l'argomento e rifiutava il suo aiuto. Si ostina a credere che
la
questione riguardi soltanto lui, pensò, ma
non si rende conto
che condivido ogni attimo della sua paura?
Erano circa venti uomini, un numero sufficiente per difendere un
piccolo villaggio senza subire troppe perdite. Viaggiavano da appena
mezza giornata, con Daven che cavalcava in testa e Maedir che li
seguiva timidamente, quando Elladan disse, << Raccontami
il tuo
sogno >>.
Per un attimo Elrohir sembrò sorpreso da quella richiesta a
bruciapelo; stava per rispondere come era suo solito, che non voleva
parlarne, ma qualcosa nello sguardo di Elladan gli fece cambiare
idea.
<< Un serpente >>, disse.
<< Solo questo? >>. Elladan era sorpreso.
Non si sarebbe
mai aspettato che la fonte di tanto terrore fosse un semplice
animale.
<< A volte vedo anche un corso d'acqua, a volte solo il
serpente. Nel sogno ci sei anche tu, ma non dici nulla e guardi
qualcosa che io non riesco a vedere >>, spiegò
Elrohir.
<< Hai sempre avuto paura dei serpenti, sin da bambino.
È
normale sognare cose di cui abbiamo paura >>.
<< Non è questo. Il serpente del mio sogno
appartiene ad una
specie che non ho mai visto prima... non dovrei essere in grado di
sognarlo se non lo conosco >>.
<< Descrivimelo >>, disse Elladan.
<< Era marrone scuro con venature beige, lungo e
massiccio,
occhi neri. Si muoveva lentamente, senza mai alzare la testa dal
terreno >>.
Elladan rifletté a lungo. A Gran Burrone aveva imparato a
riconoscere le vipere dalla forma triangolare della loro testa e le
bisce dal loro corpo sottile, ma non ricordava di aver mai visto un
animale che corrispondesse alla descrizione di Elrohir.
<< Forse il serpente rappresenta il veleno
>>, ipotizzò,
<< Potrebbe trattarsi di una lama avvelenata oppure...
>>.
<< Non è velenoso >>,
s'intromise Maedir. Quando i due
elfi si voltarono a quardarlo, questi abbassò lo sguardo.
<<
Mi dispiace, ma non ho potuto fare a meno di ascoltare la vostra
conversazione >>, disse, imbarazzato.
<< Non importa >>, lo rassicurò
Elladan, << Cosa
stavi per dire? >>.
Maedir continuò a parlare guardando in basso.
<< La specie che
hai descritto vive in questi boschi, ma caccia soltanto di notte. Non
è pericoloso per le persone e non ha veleno >>.
<< Allora come uccide le sue prede? >>,
chiese Elrohir.
<< Le soffoca >>, rispose Maedir.
Elrohir trascorse in silenzio il resto del viaggio, ignorando i
tentativi di Elladan e Maedir di conversare. Ripensò ai suoi
incubi
e si chiese il motivo per cui aveva tanta paura di qualcosa che non
poteva fargli del male. L'unica spiegazione possibile era che il
sogno fosse in realtà un presagio e che l'animale
rappresentasse
qualcos'altro.
La mattina dopo erano quasi giunti a destinazione, quando il cane di
Maedir corse verso di loro abbaiando: aveva fiutato qualcosa.
Note
finali:
Per
chi volesse un
riferimento per immaginare Elladan ed Elrohir, consiglio la visione
del fan film "Born of Hope", dove sono interpretati dai
gemelli Sam e Matt Kennard. Nei capitoli futuri mi ispirerò
(vagamente) ai fatti avvenuti nel film, ovviamente mettendo in primo
piano gli scritti di Tolkien.
Per
chi se lo stesse
chiedendo (pochi, immagino), il serpente che ha descritto Elrohir
è
un Pitone birmano, una specie appartenente alla famiglia dei
costrittori. Non ho menzionato il nome corretto dell'animale
perché
parto dal presupposto che nella Terra di Mezzo non esista una
Birmania.
Colgo
l'occasione per
invitare i lettori fino ad ora "silenziosi" ad esprimere la
loro opinione sulla piega che sta prendendo la storia... ogni
commento sarà apprezzato :)
A
presto!
|
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Capitolo 11 *** Figlio di nessuno ***
Ciao a tutti!
Avevo finito questo capitolo già da
un po’, ma al momento mi trovo a fare i conti con un computer
che è convinto
che io sia tedesca. Di conseguenza segna come errore ogni parola che
scrivo e
mi punisce rifiutandosi di connettersi ad internet. Comunque, dopo
qualche
parolina dolce e qualche imprecazione in elfico stretto, sono
finalmente
riuscita a postare il capitolo. Spero che vi piaccia!
<< Restate dove
siete, non fate troppo rumore e forse li coglieremo di sorpresa.
Maedir, con me
in prima fila, e zittisci quel cane o lo farò io. El...
chiunque tu sia, prendi
sette uomini con te e raggiungete in fretta il villaggio per
assicurarvi che
gli abitanti restino al sicuro. Gli altri si preparino all'attacco
>>,
ordinò Daven.
Elrohir scelse i suoi sette uomini. Sapeva che Daven aveva compiuto un
gesto di
grande fiducia affidandogli, anche solo temporaneamente, il comando.
Forse ha un'opinione di me più alta
di
quanto credessi, pensò.
Elladan estrasse la spada. Non si trovava del tutto a proprio agio
quando
doveva combattere lontano da Elrohir, ed era certo che anche Daven lo
sapesse,
ma in quel momento doveva concentrarsi su altre priorità.
Maedir mandò via il suo cane per allontanarlo dalla
battaglia ed estrasse
maldestramente la spada. Dapprima l'animale abbaiò
contrariato, ma non appena
vide la lama decise che in fondo era più conveniente
eseguire gli ordini.
Non sa neanche
impugnarla correttamente,
pensò Elladan, Maedir
sarà tra i
primi a morire.
Si avvicinò a Daven e, quando nessun altro poteva sentirlo,
disse, << Non
puoi mandarlo in prima fila, è troppo inesperto
>>.
<< L'esperienza non si guadagna allenandosi con lame
smussate >>,
rispose Daven con tono pacato.
<< L'esperienza si guadagna restando vivi
>>, ribatté Elladan.
<< Allora sarà tuo compito assicurarti che
resti vivo >>, concluse
bruscamente Daven.
I cavalli erano irrequieti. Alcuni avvertivano un pericolo indefinito,
non
sapendo cosa stava per accadere; altri, invece, avevano imparato ad
associare
l'odore di orco al terrore e alla morte. Questi ultimi stavano
diventando
difficili da trattenere e trasmettevano parte del loro nervosismo ai
cavalieri.
<< Hai mai visto degli orchi? >>, chiese
Elladan.
<< Sì >>, rispose Maedir.
<< Ne hai mai ucciso uno? >>.
<< No >>.
<< Allora ascoltami attentamente. La maggior parte di
loro indossa
armature pesanti di pessima fattura, che li rendono lenti e imprecisi
nei
movimenti. Mira alla gola e non esitare quando colpisci, neanche per un
istante
>>.
Maedir annuì. Cercava di apparire sicuro di sé,
ma il tremore delle sue mani
tradiva il suo vero stato d'animo.
<< Qualsiasi cosa accada, resta vicino a me
>>, aggiunse Elladan.
Lo sguardo di Maedir s'illuminò. << Grazie
>>, disse.
<< Mi ringrazierai alla fine >>.
Gli orchi credevano di trovarsi di fronte un villaggio indifeso, che
avevano
già saccheggiato in passato senza incontrare
difficoltà. Per questo, quando i
Dùnedain li attaccarono, si trovarono del tutto impreparati
ad affrontarli.
Per Elladan combattere era ormai diventato naturale come respirare.
Ogni suo
colpo era letale, senza eccezioni e senza pietà. I suoi
nemici erano null'altro
che bersagli in movimento, da colpire con rapidità e
precisione. Ma un angolo
della sua mente era sempre riservato a Elrohir. Ogni volta che batteva
le
palpebre, per quell'istante in cui i suoi occhi si chiudevano poteva
quasi
vedere ciò che vedeva Elrohir. I suoi colpi erano ancora
più potenti, ancora
più rabbiosi.
Maedir dimostrò un eccezionale coraggio: non
indietreggiò neanche una volta e
riuscì ad uccidere due orchi senza l'aiuto di Elladan. Era
ancora troppo lento
e i suoi movimenti erano sgraziati, ma non lasciava che la paura
prendesse il
sopravvento. Ho visto uomini possenti
scappare in preda al panico al primo accenno di pericolo, mentre questo
ragazzo
non ha mai lasciato il suo posto, sarebbe morto obbedendo agli ordini, pensò
Elladan.
Non perse mai di vista Maedir e in più di un'occasione gli
salvò la vita.
Quando l'ultimo orco morì sotto la spada di Daven, Elladan
trasse un sospiro di
sollievo.
Non c'erano state vittime tra loro, solo lievi feriti.
<< Ben fatto, Elladan >>, disse Daven,
<< Maedir, prendi un
cavallo e raggiungi gli uomini che ho mandato al villaggio. Qualcuno
potrebbe
avere bisogno delle tue doti curative >>.
<< Sì, signore >>, rispose
Maedir. Era visibilmente sollevato dal
dover lasciare il campo di battaglia. Non apparteneva a quel luogo.
Parlerò con Arador e
farò in modo che
Maedir non sia più costretto a combattere. Quel ragazzo
è nato per curare, non
per uccidere, si propose Elladan.
I Dùnedain si adoperarono per raccogliere le frecce ed
ispezionare i dintorni.
Elladan legò il suo cavallo ad un albero e si
addentrò tra gli alberi. Era
importante che si assicurassero di aver eliminato ogni pericolo prima
di
avvicinarsi al villaggio.
Elladan camminava in
silenzio, tenendo la mano poggiata sull'elsa del pugnale, attento ad
ogni
minimo rumore. Mentre il suo corpo era teso, pronto a scattare, la sua
mente
continuava a ritornare ad Elrohir. C'era qualcosa di nuovo nei suoi
sentimenti,
qualcosa che Elladan non riusciva ad identificare del tutto. Tristezza,
paura,
colpa, tutte emozioni che non si addicevano al campo di battaglia; non
per
quanto riguardava Elrohir. Di solito l'unico sentimento che si
concedeva di
provare era la rabbia: una furia cieca e inarrestabile. Ma quella volta
era
diverso.
Qualcosa colpì Elladan
alle spalle, cogliendolo di sorpresa. Non avrei dovuto
distrarmi, pensò,
mentre affondava il pugnale nella gola dell'orco che l'aveva attaccato.
Elladan
si rimproverò per non averlo udito arrivare. Si
rialzò e ne uccise un altro,
che era riuscito ad avvicinarsi a lui pericolosamente. Prima ancora che
il
corpo dell'orco cadesse a terra, Elladan si voltò per
fronteggiarne il terzo e
ultimo. Ma qualcosa lo indusse a fermarsi bruscamente. Una lama nera si
trovava
ad un palmo dai suoi occhi, mentre la creatura che la impugnava era
immobile.
Elladan restò come pietrificato, finché non
notò la spada che fuoriusciva
dall'armatura dell'orco. Questi cadde un attimo dopo con un tonfo
secco,
rivelando l'identità dell'uomo che aveva salvato Elladan.
Il suo aspetto rivelava la
sua appartenenza al popolo dei Dùnedain, ma l'elfo era certo
di non averlo mai
visto prima.
<< Dimmi il tuo nome
>>, disse Elladan, il respiro ancora affannoso,
<< Così che io
sappia a chi devo la mia gratitudine >>.
L'uomo lo fissò
intensamente per qualche secondo. Era alto e dal fisico imponente,
aveva lunghi
capelli neri e occhi verdi. Era giovane, ma la sua pelle era
attraversata da
lievi rughe premature.
<< Ti dirò il mio
nome se tu mi dirai il tuo >>, rispose l'uomo.
Elladan era ancora certo
di non conoscerlo, ma notò qualcosa di vagamente familiare
nella sua voce e nei
suoi lineamenti spigolosi. Appartiene di certo ad una nobile
stirpe, ma i suoi
modi sono arroganti e scortesi, pensò l'elfo.
<< Sono Elladan,
figlio di Elrond >>, dichiarò.
<< Dareon, figlio di
nessuno >>, disse l'uomo, con un sorriso ironico.
<< Ti ringrazio,
Dareon. Se non fosse stato per la tua prontezza, forse quell'orco mi
avrebbe
ucciso >>.
Prima che Dareon avesse
modo di rispondere, un cavallo galoppò verso di loro.
<< Elladan!
>>. La voce allarmata di Maedir era inconfondibile.
Quando il giovane
Dùnedain li raggiunse il suo sguardo si soffermò
sui tre orchi che giacevano morti,
per poi essere attraversato da un lampo di paura non appena
incrociò quello di
Dareon.
<< E' un piacere
rivederti. L'ultima volta eri poco più di un bambino
>>. Dareon sembrava
vagamente divertito.
<< Non dovresti
essere qui >>, rispose Maedir con freddezza. Poi si
rivolse ad Elladan.
<< Tuo fratello... >>.
<< ...è ferito?
>>, chiese Elladan. Non lo è, pensò,
altrimenti lo saprei.
<< No, è soltanto... sconvolto. Non so cosa
sia
successo, ma credo che abbia bisogno di te >>.
<< Accompagnami da
lui >>.
Elrohir era inginocchiato
in una pozza di sangue nero, il pugnale ancora stretto tra le dita.
Intorno a
lui c’erano tredici cadaveri di orchi. Poco distante il suo
cavallo giaceva
agonizzante, a causa di un profondo taglio sul ventre. Elladan si
avvicinò con
cautela, mentre Elrohir sembrò non accorgersi della sua
presenza. S’inginocchiò
accanto a lui e gli poggiò una mano sulla spalla. Solo
allora Elrohir lo
guardò, con occhi colmi di tristezza. << Cosa
sono diventato? >>,
chiese con un filo di voce.
<< Hai contribuito a
salvare gli abitanti del villaggio. Se lo chiedessi a loro direbbero
che sei un
eroe >>, rispose Elladan.
Elrohir scosse
impercettibilmente la testa. << C’era un
bambino, prima. Avrà avuto dieci
anni o poco più. Si era nascosto tra i cespugli, era
terrorizzato. Mentre
combattevo mi sono assicurato che restasse al sicuro. Ero
così…furioso. Sono
trascorsi tanti anni da quando nostra madre venne catturata, eppure non
sono
mai riuscito a liberarmi dall’odio. Ne ero accecato, e non me
ne accorgevo.
Oggi ho guardato negli occhi di quel bambino ed ho visto la paura. Non
soltanto
degli orchi, ma di me. Aveva paura
di
me. Ha visto un essere dominato dall’odio e, per la prima
volta, sono riuscito
a vederlo anche io >>.
<< Posso capire
quello che provi… >>.
<< No, non puoi
>>, lo interruppe Elrohir. << Sei diverso
da me. Tu non provi
piacere nell’uccidere >>.
Quell’affermazione colse
Elladan impreparato. Non sapeva cosa dire e allo stesso tempo temeva
che, se
fosse restato in silenzio, avrebbe confermato le parole di Elrohir.
<< Ti sbagli
>>, disse, << In passato anche io ho
provato piacere nell’uccidere
e non ne vado fiero >>.
<< La verità
è che
sono stanco. Stanco di mettere la mia spada e la mia vita al servizio
della
vendetta. Nostra madre non avrebbe voluto questo >>,
confessò Elrohir.
Elladan non poté che
concordare.
I lamenti del cavallo
morente si fecero più insistenti, più disperati.
Elrohir sembrò ricordarsi
all’improvviso della sua presenza. << Sta
soffrendo. Devo… >>.
<< Ci penso io
>>, disse Elladan. Hai visto
abbastanza morte per oggi, aggiunse tra sè.
Elladan estrasse il suo
pugnale ed esaminò un’ultima volta la ferita sul
ventre del cavallo. Era troppo
profonda: in ogni caso l’animale sarebbe morto tra atroci
sofferenze. Appoggiò
la punta della lama in corrispondenza del cuore. << Savo
hîdh nen gurth,
mellon nîn >>, sussurrò e, con un
colpo secco, pose fine al suo dolore.
In lontananza poteva
vedere i Dùnedain che tornavano al villaggio, accolti con
gioia dai suoi
abitanti. In testa cavalcava Daven e dietro di lui, a piedi,
c’era Dareon.
Elladan tornò da Elrohir.
<< Guarda questo momento come una parte della tua vita
che finisce e una
nuova che inizia. Non dovrai più permettere che la rabbia
prenda il sopravvento
su di te: devi essere l’unico padrone delle tue azioni
>>.
Elrohir sorrise all’udire
quelle parole così familiari. << Glorfindel ha
cercato di insegnarcelo
per anni. Cosa farebbe se ci vedesse adesso? >>.
<< Assumerebbe
quell’aria imbronciata che conosciamo ormai benissimo e
direbbe qualcosa che
comincia con: “Se solo mi aveste
ascoltato mentre cercavo di insegnarvi qualcosa…”
>>, rispose
Elladan. Sembrava trascorsa un’eternità
dall’ultima volta in cui avevano visto
Glorfindel. Ma nonostante ciò era come se una parte di lui
fosse lì con loro: i
suoi insegnamenti erano sempre presenti e spesso si rivelavano
indispensabili.
<< Li renderemo fieri >>, aggiunse Elladan,
<< Quando
torneremo a casa, saranno fieri di noi >>.
Nel frattempo, a miglia di
distanza, due lame smussate s’incrociavano nel campo di
addestramento di
Imladris. Elrond e Glorfindel si fronteggiavano in un duello che, se
fosse
stato reale, sarebbe diventato materia di canzoni e poemi per i secoli
a
venire. Ma non c’era aggressività in quel
combattimento, al contrario, i due
elfi conversavano serenamente tra un colpo e l’altro.
<< Se solo mi avessero
ascoltato mentre cercavo di insegnargli qualcosa…
>>, disse Glorfindel,
mentre schivava agilmente un affondo di Elrond.
<< …se
ascoltassero
tutto quello che diciamo non sarebbero i gemelli testardi che
conosciamo e
amiamo >>, concluse Elrond.
Da quando Elladan ed
Elrohir erano partiti, non passava giorno in cui non pensasse a loro. I
confini
di Gran Burrone erano diventati più sicuri, probabilmente
perché gli orchi non
osavano avvicinarsi al territorio dei cosiddetti “Principi di
Imladris”. Quando
Elrond aveva avuto notizia dell’appellativo che era stato
attribuito ai suoi
figli, aveva reagito con un divertito stupore. Sono
forse diventato un re a mia insaputa?, aveva pensato.
La spada di Glorfindel
intrappolò la sua e fu sul punto di colpirlo, ma Elrond si
liberò con un rapido
movimento del polso e fece un passo indietro.
<< Non ho loro
notizie da tre inverni >>, disse.
<< Forse si trovano
in un accampamento. Non ovunque sono disponibili carta, inchiostro e un
messaggero >>.
I due elfi si fermarono
per qualche istante. Entrambi iniziavano ad essere stanchi e nessuno
era ancora
riuscito a colpire l’altro. Le spade smussate rendevano il
duello sicuro, ma
non meno faticoso. << Considerando le voci che girano su
di loro
>>, osservò Glorfindel, <<
sembrerebbe che stiano portando onore al
tuo nome >>.
Io non voglio
l’onore, pensò
Elrond, voglio che i miei figli tornino
sani e salvi.
Le spade s’incrociarono
ancora una volta. Glorfindel scattò in avanti, la lama di
Elrond intercettò la
sua una prima e una seconda volta, ma alla terza trovò via
libera. Elrond
ricevette una dolorosa stoccata alla spalla sinistra.
<< Non eri del tutto
concentrato >>, disse Glorfindel, <<
altrimenti non sarei riuscito
a colpirti >>.
<< Ho la mente
occupata da altri pensieri >>, ammise Elrond,
massaggiandosi la spalla.
<< Se ben ricordo,
lo scopo di questo combattimento era proprio quello di distrarre la tua
mente
dagli altri pensieri >>, disse Glorfindel.
Entrambi abbassarono le
spade. Per il momento l’allenamento si era concluso. Elrond
non riusciva a
dimenticare le proprie preoccupazioni, per quanto ci provasse, e
Glorfindel era
l’unico che riusciva a capirlo appieno.
<< Se gli dovesse
accadere qualcosa… >>, disse Elrond.
<< Non succederà.
Se
i tuoi figli hanno anche soltanto la metà della tua saggezza
e della tua forza,
possono affrontare qualsiasi cosa il destino abbia in serbo per loro
>>,
rispose Glorfindel, deciso.
Elrond si concesse un
breve sorriso. Glorfindel sapeva sempre cosa dire.
La giornata era ancora
lunga e c’erano tante faccende che richiedevano la sua
attenzione. Questioni
che necessitavano del Signore di Gran Burrone, e non di un padre
preoccupato.
I miei doveri
richiedono che io sia concentrato e che pensi lucidamente. La
prossima volta la lama potrebbe essere affilata e potrebbe non essere
Glorfindel ad impugnarla.
Traduzione delle
frasi in Sindarin:
Savo
hîdh nen gurth, mellon nîn: possa tu trovare la pace
nell’aldilà, amico mio
Note finali:
nel caso in cui
qualcuno se lo stesse chiedendo,
il cane di Maedir è un Bloodhound, una razza nata nel
Medioevo e utilizzata per
le battute di caccia. E’ notoriamente il cane con
l’olfatto più sviluppato.
I nomi di Daven e
Dareon (soltanto i nomi) sono
stati “presi in prestito” dai libri di George R.R.
Martin, sperando che non gli
dispiaccia :)
|
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Capitolo 12 *** Un nuovo inizio ***
Salve
a tutti :) Questo capitolo è ambientato subito dopo il
precedente.
L'ho scritto di fretta e non ho avuto tempo di controllarlo con
attenzione, quindi chiedo scusa in anticipo se ci sono errori o
imprecisioni.
I
Dùnedain decisero all’unanimità di
trascorrere i successivi due
giorni al villaggio, dopo i numerosi inviti da parte dei contadini.
La maggior parte di loro avrebbe voluto che gli Uomini
dell’Ovest
vivessero stabilmente con loro, ma Daven mise subito in chiaro che
non sarebbe accaduto. C’erano altri villaggi che avevano
bisogno
della loro protezione, senza contare che Arador aveva specificamente
ordinato che i suoi uomini tornassero entro la successiva luna.
Quella
notte si svolsero grandi festeggiamenti in onore della pace appena
conquistata. I campi, precedentemente razziati dagli orchi, erano
stati riseminati e avrebbero fornito sostentamento all’intero
villaggio durante l’inverno.
Elrohir
si offrì di prendere il primo turno di guardia e si
allontanò dal
banchetto prima ancora che iniziasse. Elladan non ebbe bisogno di
chiederlo per sapere che suo fratello non voleva la compagnia di
nessuno. Si unì alla festa, sotto gli occhi curiosi di
alcuni
bambini che evidentemente non avevano mai visto un elfo prima di
allora. Uno di loro sussurrò, << Quello
è il guerriero che ho
visto nella foresta >>, non appena lo vide.
Quello
era Elrohir, lo
corresse mentalmente Elladan,
prima di tornare a concentrarsi sul modesto banchetto. Non era nulla
in confronto alle celebrazioni a cui aveva preso parte a Gran
Burrone, ma sapeva che era il meglio che quella gente aveva da
offrire loro, e pertanto non poteva non esserne profondamente grato.
La
sua attenzione si spostò su Maedir, seduto di fronte a lui.
Appariva
pensieroso, poco partecipe all'entusiasmo generale. Elladan era certo
di sapere a cosa stava pensando.
<<
Dareon resterà con noi? >>, chiese con
disinvoltura.
Maedir
sollevò lo sguardo dal tavolo. << Non gli
sarà concesso >>,
rispose.
<<
Per quale motivo? >>.
<<
Anni fa... ha fatto una cosa terribile >>. Maedir
rabbrividì.
<<
Cosa? >>, insistette Elladan.
<<
Il crimine peggiore che tu possa immaginare >>.
Maedir
tornò a guardare in basso, rendendo chiaro che non intendeva
discutere ulteriormente sull'argomento. Elladan rispettò la
sua
scelta e si trattenne dal porre altre domande. Era evidente che
Maedir aveva assistito a qualcosa che l'aveva sconvolto, qualcosa a
cui non voleva ripensare.
Elladan
riempì il proprio calice di vino e decise che, almeno per le
due ore
successive, i suoi pensieri avrebbero dovuto essere consoni ad una
festa. Dopodiché avrebbe preso il secondo turno di guardia
ed
utilizzato il resto della notte per riflettere su questioni
più
serie.
Elrohir
si scaldò le mani vicino al fuoco. Quella sera l'aria era
fredda e
il cielo nuvoloso. Lontano dal centro del villaggio, il silenzio
rendeva facile avvertire eventuali pericoli, ma Elrohir era certo
che, almeno per quella notte, non sarebbe stato necessario sfoderare
le spade. Nonostante fossero trascorse ore dal combattimento,
continuava a vedere immagini di sangue ogni volta che chiudeva gli
occhi. Ricordò la sua prima battaglia, quando si era sentito
sopraffatto dalla violenza che aveva commesso e subìto. I
suoi
sentimenti in quel momento erano gli stessi. È
questo che dovrebbe provare un guerriero,
pensò, ribrezzo e
inquietudine. Dovrebbe uccidere unicamente per dovere, mai per
piacere.
Un
rumore di passi lo fece scattare sull'attenti, la mano pronta
sull'elsa della della spada. Si rilassò qualche istante dopo
quando
capì che il rumore veniva dall'interno, non dall'esterno.
Intravide
due sagome che si erano allontanate dal banchetto.
L'oscurità gli
impediva di riconoscere il loro aspetto, ma nel silenzio poteva
ascoltare chiaramente le loro voci concitate.
<<
Non avevi nessun diritto di seguirci! La morte di Argonui non ha
posto fine al tuo esilio >>. La voce di Daven
rimbombò nel
silenzio. Elrohir non riusciva a distinguere la sua espressione, ma
capì che era furioso.
<<
Chiedo soltanto una seconda possibilità >>. La
seconda voce
era bassa e profonda, ma carica di tensione.
<<
Credi che io non sappia perché hai atteso fino ad ora?
Aspettavi che
Arador prendesse il posto di suo padre sperando che avrebbe revocato
la sua condanna >>.
<<
Adesso ha un buon motivo per farlo: ho salvato la vita del figlio di
Elrond >>.
Solo
allora Elrohir capì chi era il secondo uomo. Elladan gli
aveva
vagamente parlato di Dareon, dicendo solamente che non era riuscito a
capire appieno chi fosse e quali fossero i suoi scopi.
Quell'ultima
frase sembrò far infuriare Daven ancora di più.
Elrohir aveva visto
l'anziano guerriero arrabbiato molte volte, ma fino a quel momento
non l'aveva mai udito alzare la voce.
<<
Per quanto mi riguarda potresti anche aver ucciso un Balrog, ma la
mia opinione non cambia >>.
<<
Allora ti chiedo scusa, evidentemente durante la mia assenza sei
diventato il Capitano dei Dùnedain senza che io ne fossi al
corrente
>>.
<<
Attento, Dareon. Non provocarmi >>.
Il
tono di Daven si era fatto minaccioso. Dareon, infatti, fece un passo
indietro.
<<
Arador avrebbe il diritto di condannarti a morte per non aver
rispettato l'esilio >>, aggiunse Daven.
<<
E immagino che saresti contento di occupartene di persona. È
strano
che nella tua lunga vita di impavido guerriero tu non abbia mai
ucciso un uomo. Forse... >>. Non ebbe modo di finire la
frase.
Daven lo colpì così forte che il rumore delle sue
nocche contro la
guancia di Dareon risuonò nel buio. Questi sputò
del sangue e per
qualche secondo sembrò sul punto di reagire. Elrohir era
già pronto
ad intervenire se fosse stato necessario, ma Dareon non si mosse.
<<
Chiederò ad Arador una seconda possibilità
>>, disse, <<
E, se dovesse concedermela, dovrai trattarmi con lo stesso rispetto
che riservi alla tua gente. In caso contrario, insisterò che
sia tu
stesso ad impugnare la spada che porrà fine alla mia vita
>>.
Daven
non rispose e andò via senza voltarsi indietro. Solo quando
Elrohir
notò che si stava dirigendo verso di lui si rese conto che
il suo
turno di guardia era già finito da tempo. Il secondo sarebbe
toccato
ad Elladan e l'ultimo a Daven. Senza accorgersene, Elrohir aveva
coperto da solo i primi due turni. Il
mio caro fratellino banchetta mentre io assolvo ai suoi doveri,
pensò, trattenendo un sorriso.
Quando
Daven lo raggiunse, Elrohir non osò menzionare la
conversazione che
aveva udito. Nonostante fosse curioso di saperne di più,
capiva che
quello non era il momento adatto per parlare dell'argomento. Tutta la
rabbia che aveva percepito nella voce di Daven sembrava scomparsa.
Adesso, nel suo sguardo, c'era soltanto tristezza.
<<
Tu sei... >>.
<<
Elladan >>, rispose Elrohir d'impulso. Di
solito è lui a coprirmi le spalle,
pensò, adesso
tocca a me.
Daven
si avvicinò alla luce del fuoco. Sembrava invecchiato di
molti anni
in quelle ultime ore, come se il confronto con Dareon l'avesse
prosciugato di ogni energia. Ad Elrohir ricordò suo padre
appena
dopo la partenza di Celebrìan. Desiderò di poter
fare o dire
qualcosa per confortarlo, ma non riuscì a pensare a nulla di
adeguato.
<<
Sembri stanco >>, disse infine, << Lascia
che continui io
stanotte >>.
Daven
stava per ribattere, ma Elrohir lo anticipò.
<< Hai più
bisogno tu di riposo di quanto ne abbia io >>. Daven lo
guardò
intensamente per qualche istante, poi annuì,
<< Grazie,
ragazzo >>.
La
mattina seguente il clima era mite e il cielo era terso. Elrohir si
sentiva molto meglio del giorno precedente, nonostante la stanchezza
che inevitabilmente accompagnava una notte insonne. Era come se il
dolore che aveva provato si fosse infine rivelato qualcosa di
positivo. L'aveva aiutato ad aprire gli occhi, a ricordare che poteva
avere il totale controllo su di sé. Aveva finalmente toccato
con
mano la prospettiva di essere libero, di non dover più
inseguire una
smania di vendetta che avrebbe portato soltanto morte e sofferenza.
Ricordò una frase che aveva letto su una vecchia pergamena
nella
libreria di Imladris, tanti anni prima: “Io
vivo per dominare la vita, non per esserne schiavo”. Suo
padre aveva detto che l'autore era stato suo fratello Elros, poco
prima di compiere la scelta che l'aveva reso mortale. Erano parole
perfette per la sua situazione.
Elrohir
aveva l'impressione che i suoi passi fossero più leggeri
mentre
assisteva agli ultimi preparativi prima del viaggio di ritorno. Non
mancò di notare che non c'era traccia di Elladan. Si diresse
verso
la sua tenda, entrò senza annunciarsi e curandosi di far
entrare più
luce possibile.
<<
Suil,
tithen
muindor!
>>, disse.
Elladan
era ancora sepolto tra le coperte, da cui emergevano soltanto ciocche
di capelli scompigliati.
<<
Qualcuno ha esagerato con il vino ieri sera >>,
notò
Elrohir.
<<
Non io >>, mormorò Elladan, la voce attutita
dalla
coperta.
Elrohir
ridacchiò. << Allora a cosa dobbiamo questo
mal di testa che
ti, anzi che ci
tormenta? >>.
<<
Continuavano a bere alla mia salute... Se avessi rifiutato si
sarebbero offesi >>.
<<
Non ho dubbi. Adesso ci vorresti degnare della tua presenza, o
dobbiamo partire senza di te? >>.
Solo
allora Elladan riemerse di colpo dalle coperte, l'espressione
vagamente confusa. << È già mattina
>>, constatò.
<<
Ancora per poco. Il sole è nel suo punto più alto
>>.
<<
Ho dimenticato il mio turno di guardia. Mi dispiace >>,
disse
Elladan, con aria mortificata.
<<
Non importa. Ho detto di essere te e l'ho fatto al tuo posto
>>.
<<
Grazie >>.
Elladan
si alzò, cercando di ristabilire l'equilibrio sulle proprie
gambe.
Elrohir trovava quella situazione a dir poco esilarante.
<<
Ti serve aiuto? >>, chiese, sorridendo.
Elladan
scosse la testa, pentendosene subito dopo per via della fitta che ne
seguì.
<<
Allora andrò a sellare il tuo cavallo >>,
concluse
Elrohir.
Elladan
cambiò repentinamente espressione al sentir nominare il
cavallo.
Probabilmente la sola idea di cavalcare lo nauseava. Prima di uscire
dalla tenda Elrohir lo udì borbottare qualcosa che finiva
con "...la
prima e ultima volta".
Buona
parte degli abitanti del villaggio si era radunata per assistere alla
partenza dei Dùnedain. Elladan aveva fatto tutto il
possibile per
recuperare la sua compostezza, ed era abbastanza certo di essere
tornato ad essere indistinguibile dal gemello. Ne ebbe la conferma
quando un bambino, con altri quattro al seguito, si avvicinò
per
parlargli dopo averlo osservato a lungo da lontano.
<<
Siete uguali >>, disse, indicando Elrohir che, poco
lontano,
era intento a controllare le provviste per il viaggio. <<
Perché siete uguali? >>, chiese.
Una
donna, presumibilmente la madre, intervenne con aria di scusa.
<<
Non è buona educazione fare domande indiscrete agli estranei
>>,
lo rimproverò, e fece per portarlo via.
<<
Non importa >>, disse Elladan, << La
curiosità è una
virtù >>.
S'inginocchiò
per arrivare all'altezza del bambino. << Siamo simili
perché
siamo nati insieme >>, spiegò.
Il
bambino rifletté brevemente sulla risposta che gli era stata
data e
pose la seconda domanda di fretta, forse per paura che la madre lo
rimproverasse di nuovo.
<<
Questa è tua? >>, chiese, mostrando una
freccia che aveva
estratto da una piccola faretra di legno.
Elladan
la osservò con stupore. << Dove l'hai presa?
>>.
<<
Mio padre è un cacciatore >>, rispose il
bambino con orgoglio,
<< Un giorno mi ha portato questa freccia... Ha detto che
è
fatta dagli elfi >>.
<<
Mi permetti di vederla meglio? >>.
Quando
Elladan la prese, notò che qualcuno aveva arrotondato la
punta,
rendendola inoffensiva, ma anche così la sua fattura era
inconfondibile.
<<
Non è mia, ma tuo padre ha ragione: apparteneva ad un elfo
>>,
disse, poi si rivolse alla donna. << Dove è
stata trovata?
>>.
<<
Non lontano dal villaggio. Un branco di Mannari è passato
vicino
alla nostra terra due lune fa. Non hanno fatto del male a nessuno e
non ci saremmo neanche accorti del loro passaggio se mio marito non
li avesse trovati durante una battuta di caccia. Erano tutti morti,
trafitti da spade e frecce come questa >>,
spiegò la
donna.
Elladan
restituì la freccia, li ringraziò e si
congedò il più in fretta
possibile. Raggiunse Elrohir e disse, << E' probabile che
presto avremo compagnia >>.
Elrohir
gli rivolse uno sguardo interrogativo.
<<
Elfi silvani >>, rispose Elladan.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Suil,
tithen muindor: salve,
fratellino
Note
finali:
non
so se qualcuno l'ha notato, ma la frase di Elros: “Io
vivo per
dominare la vita, non per esserne schiavo” è
tratta dal film
“L'attimo fuggente” con Robin Williams. Ho voluto
inserire questo
piccolo tributo alla scomparsa di un mito.
|
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Capitolo 13 *** Dalle Terre Selvagge ***
In
questo capitolo ci saranno un po' di "salti" da un punto di
vista all'altro. Spero che la cosa non risulti confusionaria e, come
sempre, spero che vi piaccia :)
Elrond
ripiegò la lettera e la gettò nel fuoco. Era
un'abitudine dura a
morire, quella di distruggere le lettere degli alleati che
comunicavano importanti informazioni strategiche; un'abitudine che,
in tempo di guerra, avrebbe potuto decretare la differenza tra la
vittoria e la sconfitta. Tuttavia, nel suo studio a Imladris, non
c'era pericolo che le lettere finissero in mani sbagliate: chiunque
vivesse lì era degno di fiducia. Nonostante Elrond
continuasse a
ripeterselo, si ritenne davvero soddisfatto solo quando vide la carta
che, avvolta tra le fiamme, lentamente si tramutava in cenere. Elros
aveva sempre trovato divertente questa sua strana abitudine. Tu
conservi tutto,
diceva, anche il
più insignificante pezzo di carta, anche se sai benissimo
che non ti
servirà più. Ma appena ricevi qualcosa che
somigli minimamente ad
un messaggio strategico, la distruggi come se fosse velenosa.
È una
bizzarra contraddizione...non credi?
Elrond
ricordò con nostalgia e affetto il modo in cui Elros
ironizzava sui
suoi difetti, che conosceva bene quanto i propri.
Nel
corso degli anni aveva accumulato un grande numero di lettere e
vecchi libri, che conservava fino a quando non venivano distrutti dal
tempo. Da quando Celebrìan se n'era andata, avevano
cominciato ad
ammucchiarsi in maniera disordinata. D'ora
in poi dovrò occuparmene io,
pensò Elrond.
La
lettera che aveva appena distrutto era arrivata qualche giorno prima
da Re Thranduil in persona. Lo avvertiva che c'erano stati
innumerevoli attacchi ai suoi confini da parte di un gruppo di
Mannari delle Terre Selvagge, cavalcati da orchi bene addestrati ed
organizzati. I confini di Bosco Atro erano al sicuro e la maggior
parte dei Mannari era stata messa in fuga, ma Thranduil aveva mandato
un piccolo contingente sulle loro tracce per assicurarsi che
venissero eliminati prima di invadere altre terre. Avvertiva Elrond
di aumentare la sorveglianza sui confini di Imladris e di prestare
particolare attenzione ad eventuali attacchi da est e da sud.
Devono
averlo fatto arrabbiare oltre ogni misura per convincerlo a mandare
un contingente così lontano dal suo territorio,
era stato il primo pensiero di Elrond. Il secondo, era andato ai suoi
figli. Non sapeva esattamente dove si trovassero, ma temeva che
potessero essere coinvolti nello scontro. Quando aveva riferito a
Glorfindel il contenuto della lettera, questi si era offerto di
guidare una spedizione oltre i confini di Gran Burrone per accertarsi
che non ci fosse un pericolo immediato. Quella proposta non aveva
sorpreso Elrond. Sapeva che, in seguito a lunghi periodi di
inattività, Glorfindel diventava impaziente di tornare a
combattere.
Non perché amasse il brivido della battaglia, ma
perché odiava
l'idea che degli innocenti morissero quando lui avrebbe potuto
evitarlo.
Elrond
gliel'aveva concesso.
Nella
migliore delle ipotesi la spedizione sarebbe stata infruttuosa,
rivelando che il pericolo era lontano. In alternativa, Elrond sperava
che Thranduil si sbagliasse in merito al livello di organizzazione
dei Mannari e degli orchi che li cavalcavano.
Qualcuno
bussò alla porta del suo studio. << Avanti
>>, disse
Elrond.
Era
Teliadir. Da tempo ormai l'elfo aveva abbandonato le armi per
dedicarsi interamente all'attività di guaritore, che aveva
conciliato con la sua innata curiosità di viaggiatore. Aveva
visitato città lontane e terre sconosciute, mettendo la sua
conoscenza al servizio di chiunque ne avesse bisogno. In quel periodo
aveva fatto ritorno ad Imladris prima di partire per il suo prossimo
viaggio.
<<
Mio signore, stanno tornando >>, disse Teliadir, nel suo
solito
tono formale.
Elrond
avrebbe dovuto essere sollevato da quella notizia, ma non lo era del
tutto. Dovevano
tornare non prima di due giorni. Significa che non tutto è
andato
come previsto.
<<
Accompagnami da loro >>, rispose, cercando di celare la
propria
preoccupazione.
Nel
momento in cui vide gli elfi di ritorno, capì che le sue
speranze
erano state fin troppo ottimiste. Alcuni cavalcavano in due sulla
stessa sella, segno che avevano perso dei cavalli. Alcuni erano
feriti, ma a prima vista non sembrava che fossero gravi. Elrond si
concesse un sospiro di sollievo quando capì che non c'erano
stati
morti. Poi la sua attenzione si spostò su Glorfindel.
<<
Chiama altri guaritori >>, disse a Teliadir,
<< Di
Glorfindel mi occuperò io >>.
L'elfo
biondo perdeva sangue da un taglio che si estendeva dalla base del
collo alla spalla destra. Smontò da cavallo con
disinvoltura, come
se si fosse dimenticato del sangue che gli colava lungo il braccio.
Evidentemente lo considerava un elemento di secondaria importanza.
<<
Ci stavamo dirigendo ad est quando... >>, Glorfindel
cominciò
a raccontare, ma Elrond lo interruppe.
<<
Questo può aspettare. Sei ferito >>, disse.
Solo
allora Glorfindel guardò la propria spalla con la noncuranza
di chi
osserva un dolore che non gli appartiene. << Non
è nulla >>,
rispose.
<<
Questo sarò io a deciderlo >>.
A
miglia di distanza, il contingente proveniente da Bosco Atro
attraversava le prime terre a sud della foresta. Re Thranduil aveva
affidato il comando a Merethor, uno dei suoi uomini più
fidati. Lo
scopo della loro spedizione era apparentemente semplice: inseguire un
gruppo di Mannari in fuga da Bosco Atro e ucciderli fino all'ultimo.
Ma portare a termine la missione stava diventando sempre più
difficile. Le creature a cui davano la caccia erano troppe, e spesso
gli elfi avevano l'impressione che non stessero davvero fuggendo da
loro. Sembrava, invece, che aspettassero il momento giusto per
cambiare direzione ed attaccarli. Merethor lo sapeva, ma era convinto
che per allora i suoi guerrieri sarebbero stati pronti ad
affrontarli.
Due
giorni prima erano riusciti ad uccidere alcuni Mannari che erano
rimasti indietro rispetto agli altri, non lontanto da un piccolo
villaggio, ma la maggior parte restava ancora a piede libero.
Tuttavia non era questa la preoccupazione principale di Merethor. Il
terreno su cui si trovavano era molto diverso da quello di Bosco
Atro. C'erano agglomerati di rocce che interrompevano la visuale
delle sentinelle, lunghe distese di arida terra tra le quali era
impossibile trovare rifugio, e spesso la nebbia li costringeva a
camminare alla cieca. Era in quei momenti che la sicurezza di
Merethor vacillava.
Quel
giorno non era diverso dai precedenti. Il sole era appena sorto e gli
elfi Silvani si preparavano a rimettersi in viaggio.
La
sera prima Saeliel, l'unica elfa della compagnia, nonché
seconda in
comando, aveva avvistato un accampamento non lontano da lì.
<<
Credo sia abitato da edain
>>, aveva ipotizzato.
<<
Allora lo eviteremo. Non voglio coinvolgerli nella nostra missione
>>, aveva risposto Merethor. Era già difficile
eseguire i suoi
doveri senza che dei mortali in cerca di gloria
s'intromettessero.
Saeliel
era la figlia di uno dei consiglieri del re ed era stata educata dal
padre così come un generale addestra le sue truppe. Era
diventata
forte e sicura di sé, ligia alle regole eppure pronta a
contestarle.
Se possedeva anche qualità tipiche femminili come la
sensibilità e
la dolcezza, le teneva ben celate in presenza degli altri guerrieri.
Merethor sapeva che, in caso di bisogno, avrebbe potuto fidarsi di
lei.
Gli
elfi si erano messi in cammino da poche ore, quando uno di loro
udì
l'ormai familiare ringhio dei Mannari echeggiare nella vallata alle
loro spalle. << Ci attaccano! >>,
esclamò qualcuno.
Erano stati accerchiati.
Merethor
non fece in tempo a sfoderare la spada. Una pioggia di frecce si
abbatté su di loro. Una di esse sibilò ad un
palmo dalla sua testa,
la seconda non mancò il bersaglio. Merethor
avvertì un'esplosione
di dolore alla schiena, che gli mozzò il fiato e gli
oscurò la
vista. Il suolo si rovesciò sotto di lui e un attimo dopo
poteva
sentire l'odore acre del terreno, insieme a quello metallico del
sangue.
<<
Ritirata! >>, la voce di Saeliel giungeva attutita,
deformata.
Merethor riuscì a stento ad ascoltarla mentre dava ordini al
suo
posto. << Rifugiamoci all'accampamento! >>.
Il
suo primo ordine è quello di disobbedire al mio ultimo,
fu il suo ultimo pensiero cosciente.
Elrond
immerse una pezza nell'acqua ed osservò mentre il liquido
diventava
rosso. La ferita di Glorfindel non era grave, e una volta pulita
sembrava che sarebbe guarita senza complicazioni, a meno che...
<<
Non era avvelenata >>, disse Glorfindel, come se gli
avesse
letto nel pensiero. << Se lo fosse stata il veleno
avrebbe già
fatto effetto >>.
Elrond
trasse un sospiro di sollievo. Osservò il taglio che intanto
aveva
smesso di sanguinare e, per un istante, quell'immagine si sovrappose
con il ricordo di Celebrìan di ritorno dal Passo Cornorosso.
<<
Cosa è successo? >>, chiese.
<<
Non ci eravamo allontanati di molto dai confini di Gran Burrone.
Credevamo di trovarci ancora in territorio sicuro, considerato che
gli orchi non osano avvicinarsi così tanto a noi da molti
anni.
Invece erano lì, numerosi e sfrontati. Non eravamo pronti ad
affrontarli, per questo ho ordinato la ritirata >>.
Solo
allora Elrond capì qual era il sentimento che aveva visto
sul volto
dell'amico e che non era riuscito a riconoscere. Glorfindel era
deluso. Avrebbe voluto combattere, e invece i suoi nemici erano
ancora in vita, probabilmente diretti verso le terre di qualcun
altro.
Elrond
voleva che Glorfindel sapesse di aver fatto la cosa giusta.
<<
Se io avessi affidato il comando ad altri, probabilmente avrebbero
combattuto e nessuno di loro sarebbe qui adesso. Per questo confido
in te più di chiunque altro >>.
<<
Soltanto uno stolto avrebbe deciso di combattere in una situazione
simile >>, ribatté Glorfindel.
<<
Potrei dire la stessa cosa di chi ha affrontato da solo un Balrog
>>.
Glorfindel
sorrise e disse, << All'epoca cercavo la grandezza,
adesso
cerco qualcosa di più importante >>.
Elrohir
era felice di essere tornato all'accampamento. Tornare alle vecchie
abitudini, ai soliti luoghi e alle solite persone era rassicurante.
Anche se, in quel caso, le persone non erano esattamente le stesse.
Arador aveva concesso a Dareon di restare con loro, e da allora
questi si era comportato con gentilezza e rispetto nei confronti di
tutti. Gli altri Dùnedain l'avevano trattato dapprima con
distacco,
e talvolta con un'ostilità a stento celata, ma con il
passare del
tempo alcuni di loro avevano iniziato a conversare abitualmente con
lui, fino ad arrivare a considerarlo parte del gruppo.
Daven
lo evitava il più possibile. Era raro che incrociasse il suo
sguardo
e gli rivolgeva la parola soltanto quando era Dareon a parlare per
primo.
L'inverno
è alle porte,
pensò Elladan, mentre raccoglieva la legna per il fuoco. Il
cielo
era tinto di rosso e gli ultimi raggi di sole non erano più
sufficienti ad illuminare e riscaldare. Stormi di uccelli
attraversavano i cieli come piccole nuvole nere in cerca di luoghi
più caldi, sospinti dal vento e incuranti di ciò
che si lasciavano
alle spalle. Elladan si concesse qualche momento di pausa per
osservarli, finché non scomparvero dietro l'orizzonte sempre
più
buio, poi continuò a raccogliere la legna.
Desiderò che il tempo
rallentasse per prolungare quel momento di pace il più a
lungo
possibile, ma sembrava che il destino avesse per lui altri piani.
Il
cane di Maedir fece irruzione nell'accampamento abbaiando ed
ululando. Elladan lasciò cadere la legna e raggiunse Maedir.
<<
Orchi? >>, chiese
<<
No, estranei >>, rispose il ragazzo. Era l'unico che
sapesse
interpretare i pensieri del cane a seconda del tono di voce con cui
abbaiava o dal modo in cui posizionava le orecchie.
Gli
estranei si rivelarono essere un contingente di Elfi Silvani in cerca
di rifugio. Elladan aveva visitato Bosco Atro in passato e conosceva
alcuni dei suoi abitanti, ma non vide nessun viso familiare tra
loro.
<<
Cosa vi insegue? >>, fu la prima domanda che pose Arador.
Il
Capitano dei Dùnedain era una persona pratica, e come tale
considerava di importanza secondaria la provenienza e la razza a cui
appartenevano gli elfi. Era fondamentale, invece, sapere se aiutarli
poteva rivelarsi pericoloso per i suoi uomini.
Elladan
ed Elrohir si erano posizionati al fianco di Arador, pronti ad
intervenire se fosse stato necessario un intermediario che potesse
trovare un accordo con entrambe le parti.
Una
donna, l'unica del gruppo, si fece avanti e parlò a nome di
tutti.
<<
Mannari delle Terre Selvagge. Ieri abbiamo subito un attacco, nel
quale è rimasto ucciso, tra tanti, anche il nostro capitano.
Chiediamo di poterci stabilire con voi in attesa di ricevere rinforzi
da Bosco Atro >>.
Elladan
non smise mai di guardare l'elfa, a stento consapevole delle altre
presenze attorno a lui. Portava un arco e una spada ancora
insanguinata; i suoi abiti erano maschili, del tutto diversi dai
lunghi vestiti tipici delle donne di Imladris. Non era
particolarmente alta, ma i suoi lineamenti affilati le conferivano
un'aria di importanza. I suoi capelli erano del colore del bronzo,
legati con un nastro e parzialmente coperti da un cappuccio verde,
gli occhi neri come la notte scrutavano Arador in attesa di una
risposta.
<<
Potete restare quanto desiderate e, quando arriveranno i rinforzi, i
Dùnedain combatteranno al vostro fianco >>.
L'elfa
non mostrò emozioni e si limitò a ringraziare
chinando leggermente
la testa in segno di rispetto. Solo allora il suo sguardo
incontrò
quello di Elladan. Per un istante il suo volto tradì una
certa
confusione al vedere i due gemelli, che ai suoi occhi dovevano
apparire del tutto identici. Elladan era ormai abituato a vedere
quell'espressione negli estranei e fino ad allora non ne era stato
mai infastidito. Invece, per la prima volta, si ritrovò a
desiderare
di essere diverso da Elrohir, solo per poter essere riconosciuto da
lei. Sapeva che, da quel momento in poi, i loro volti sarebbero
rimasti fusi insieme nella sua mente, come se fossero stati una sola
persona.
Elrohir
sembrò cogliere al volo i suoi pensieri e si rivolse ad
Arador. <<
Se permetti, andrò ad assicurarmi che i Mannari non
attacchino
l'accampamento cogliendoci impreparati. Dubito che lo faranno,
considerando che sarebbe un rischio troppo grande per loro, ma
preferirei esserne certo >>.
Arador
acconsentì e chiamò Maedir per occuparsi dei
feriti. Elladan
ringraziò mentalmente suo fratello per averlo lasciato solo.
Non ne
sapeva il motivo, ma sentiva il bisogno di parlare con l'elfa, di
scoprire chi era e qual era la sua storia.
Decise
di presentarsi. << Gi
nathlam hi. Sono
Elladan, figlio di Elrond. Permettimi di accompagnarti all'interno
>>.
<<
Saeliel di Bosco Atro, ni
veren an gi ngovaned
>>.
Elladan
non mancò di notare che l'elfa non si era presentata con il
nome del
padre. Per lui era naturale portare con fierezza il nome di Elrond,
ma evidentemente per lei non era lo stesso. La accompagnò
nell'accampamento, sentendosi felice senza un motivo preciso. Saeliel
lo seguiva, camminando silenziosamente e lanciandogli di tanto in
tanto una breve occhiata indagatrice.
Non
dovrei essere tanto soddisfatto,
si rimproverò Elladan, potrebbero
attaccarci da un momento all'altro. La pace che abbiamo faticosamente
conquistato è in bilico sulla lama di un coltello.
Eppure non riusciva a smettere di pensare a Saeliel, al suo sguardo
penetrante e alla sua espressione seria. Pensò che era
bellissima.
Traduzione
delle frasi in Sindarin
Gi
nathlam hi: sei
la benvenuta (lett. ti diamo il benvenuto qui)
ni
veren an gi ngovaned: lieta
di
conoscerti
|
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Capitolo 14 *** Nuove conoscenze ***
Con
il capitolo 14 questa fanfiction diventa ufficialmente la
più lunga
che io abbia mai scritto :) Buona lettura!
Nei
giorni successivi Saeliel osservò i Dùnedain con
lo stesso
interesse con cui avrebbe osservato un animale raro o un evento
inspiegabile. Aveva conosciuto degli edain
in passato, ma non aveva mai avuto occasione di vivere con loro.
Erano goffi e immaturi in confronto agli elfi, ma c'era qualcosa di
affascinante nel loro modo di vivere. Il tempo era una costante
onnipresente nella loro mentalità: ogni giorno doveva essere
sfruttato appieno, perché era un giorno in meno da vivere.
La morte
era una realtà, concreta e terrificante, non
un'eventualità. Per
loro vivere è come leggere un libro di cui si conosce
già il
finale, e nel frattempo provare il più possibile ad
apprezzarlo,
pensava Saeliel.
Dopo
la morte di Merethor, spesso si era chiesta se la
responsabilità che
era ricaduta su di lei non fosse eccessiva. Era diventata seconda in
comando soltanto grazie alla fiducia che lui aveva nutrito nei suoi
confronti, ed era certa che, non appena fosse tornata a casa, sarebbe
tornata ad eseguire ordini invece di impartirli. Anzi, probabilmente
Thranduil avrebbe nominato un nuovo comandante non appena avesse
ricevuto notizia della sconfitta che avevano subito.
Saeliel
si diresse verso il campo di addestramento, curiosa di osservare le
tecniche di combattimento degli uomini che forse sarebbero stati suoi
alleati in battaglia.
Prima
ancora di arrivare, udì il rumore di due lame che stridevano
una
contro l'altra, mentre un gruppetto di persone circondava i due
combattenti. Saeliel scoprì che si trattava di Elladan ed
Elrohir,
gli unici elfi che abitavano l'accampamento al momento del suo
arrivo. I gemelli si stavano esercitando nel combattimento con il
pugnale. L'elfa li osservò combattere, stupendosi della
rapidità e
della precisione dei loro movimenti, fluidi come passi di danza. Le
due lame descrivevano cerchi nell'aria, si sfioravano e
s'incrociavano rendendo piacevole come una melodia anche il rumore
del metallo. I due elfi erano concentrati, ma non eccessivamente
assorti, come se eseguissero un'attività non particolarmente
difficile. Eppure i pugnali passavano ad un palmo dalla loro pelle,
in un movimento così fulmineo che un piccolo errore avrebbe
potuto
risultare molto pericoloso per entrambi. Saeliel pensò che
quelle
lame così lucide e raffinate non potevano essere semplici
pugnali di
addestramento.
<<
Si allenano usando lame vere? >>, chiese ad un ragazzo,
mentre
anch'egli osservava con ammirazione i due elfi.
<<
Affilate e appuntite >>, rispose, << E non
si sono mai
fatti neanche un graffio >>.
<<
Come fanno? >>, chiese Saeliel, stupefatta.
<<
Nessuno lo sa, e credo che neanche loro lo sappiano. Sono in completa
sintonia >>.
Da
quel momento Saeliel li guardò con occhi diversi. Ogni volta
che la
lama passava troppo vicino ad uno dei gemelli un brivido le correva
lungo la schiena, ma a loro non importava: sembrava che non avessero
paura di sbagliare.
Saeliel
sapeva che erano i figli di Elrond Peredhel,
il Signore di Imladris, e pertanto dovevano essere in parte umani.
Cercò di individuare le caratteristiche che denotavano la
loro
appartenenza alla stirpe mortale. I lunghi capelli castani, gli occhi
grigi e le orecchie a punta non differivano dall'aspetto usuale degli
elfi, ma un osservatore più attento poteva notare dei
piccoli
particolari che stonavano con l'insieme. La loro carnagione era
leggermente più scura della maggior parte degli Eldar
e
la loro muscolatura era più pronunciata, visibile anche
attraverso
gli abiti. Saeliel si chiese quale dei due fosse Elladan, ma in quel
momento distinguerli era del tutto impossibile.
Non
appena Elladan si accorse della presenza di Saeliel si distrasse per
un attimo ed Elrohir fu costretto a rallentare il ritmo dei suoi
colpi. Elladan riprese la concentrazione, ma continuò a
guardare
l'elfa con la coda dell'occhio fino al termine del combattimento.
<<
Vai a parlare con lei >>, gli sussurrò
Elrohir, mentre
entrambi riprendevano fiato.
<<
Io... >>.
<<
Non vorrai continuare a fissarla per tutto il tempo? >>.
<<
No >>.
<<
Allora cosa aspetti? Hai forse paura? >>.
Elrohir
guardò con soddisfazione Elladan che si allontanava e,
timidamente,
proponeva a Saeliel di fare una passeggiata con lui.
Era
stato chiaro sin dal primo momento che suo fratello era attratto da
lei. Elrohir conveniva che l'elfa era molto bella, ma non condivideva
i sentimenti di Elladan. E
meno male,
pensò, altrimenti
potremmo diventare i protagonisti di una nuova ballata: i due gemelli
che si contendono la stessa donna.
Ogni
volta che guardava Saeliel, suo malgrado Elrohir la confrontava con
Thiliel. Non avevano quasi nulla in comune: Thiliel era più
esile,
aveva i capelli biondi, gli occhi dolci e il suo modo di comportarsi
non aveva nulla a che vedere con quello di Saeliel. Thiliel era
sfuggente, sceglieva accuratamente le parole da dire per essere
sicura di non dire mai troppo o troppo poco; Saeliel, invece, era
più
diretta: aveva l'aria di essere qualcuno che dice ciò che
pensa
senza mezzi termini, e raramente si dimostrava insicura. Elladan
avrebbe dovuto darsi da fare per conquistarla.
Elrohir
stava tornando alla sua tenda dal campo di addestramento, quando vide
qualcosa che non credeva avrebbe mai visto, e che allo stesso tempo
gli gelò il sangue nelle vene.
Maedir
era seduto all'ombra di un albero intento a leggere un libro, mentre
ai suoi piedi il segugio nero si godeva l'ultimo calore dell'autunno.
In quel momento Dareon passava di lì. Maedir non distolse
gli occhi
dalla pagina, ma il suo cane alzò la testa e
scoprì leggermente i
denti. Dareon non si accorse di nulla e continuò a camminare
seguendo il sentiero di terra battuta che attraversava l'intero
accampamento. Non appena la strada lo portò vicino a Maedir,
il cane
scattò in avanti ringhiando e gli morse la caviglia. Maedir
e Dareon
vennero ugualmente colti di sorpresa dal comportamento inusuale
dell'animale, ma, mentre il primo reagì sobbalzando,
immobilizzato
dallo stupore, il secondo fu rapido ad estrarre il pugnale che
portava alla cintura. Dareon afferrò il cane per la pelle
cadente
del collo e lo immobilizzò puntandogli la lama all'altezza
dell'occhio. Il cane non si mosse, ubbidendo ai richiami del padrone,
ma continuò a tenere i denti scoperti in un muto
avvertimento.
Maedir si frappose tra loro, alzando le mani tremanti e implorando
Dareon di fermarsi.
Elrohir
accorse, pronto a sfoderare il suo pugnale se necessario.
<<
Mi dispiace, non aveva mai aggredito nessuno prima. Ma, ti prego, non
fargli del male >>. La voce di Maedir, colma di paura,
suonava
più acuta, come quella di un bambino. Teneva il libro
davanti a sé,
quasi volesse usarlo come uno scudo. Ad Elrohir sembrò
più indifeso
che mai.
<<
Ha detto che gli dispiace. Adesso lascia andare il cane
>>, gli
intimò Elrohir.
Per
un attimo credette che Dareon avrebbe ucciso l'animale, ma, dopo una
breve esitazione, allentò la presa ed allontanò
il pugnale. La
scintilla d'ira che aveva brillato per un istante nei suoi occhi era
quasi riuscita a spaventare anche Elrohir.
<<
Tieni a bada la tua bestia, o me ne occuperò io
>>, disse
Dareon, il tono basso e minaccioso.
Maedir
indietreggiò, mentre Elrohir fece un passo avanti.
<<
Qualunque cosa farai a Maedir ti ritornerà per mano mia
>>,
disse, la mano ancora sull'elsa del pugnale.
Dareon
gli rivolse un sorriso ironico. La maschera di cortesia che aveva
indossato fino a quel momento era caduta, e sembrava che avesse
definitivamente rinunciato a raccoglierla. Giocherellò con
disinvoltura con la lama che teneva tra le mani, come se fosse
indeciso su come usarla. << Potresti pentirti delle tue
minacce
prima di quanto credi >>.
<<
Invece temo che sarai tu a pentirtene >>, rispose
Elrohir. Dopo
quell'ultimo combattimento nei boschi trovava molto più
facile
mantenere la calma, anche in situazioni in cui avrebbe voluto agire
d'impulso. Se
adesso agissi d'impulso, gli punterei la lama alla gola così
velocemente che se ne accorgerebbe solo dopo aver sentito il freddo
sulla pelle,
pensò Elrohir.
Dareon
sembrò temporaneamente indeciso sul da farsi, come se l'idea
di
combattere contro un elfo non lo preoccupasse minimamente.
<<
Cosa sta succedendo? >>, la voce nervosa di Daven
interruppe il
loro piccolo scontro. Maedir, sollevato dall'arrivo dell'anziano
guerriero, spiegò brevemente cosa era accaduto. Il
perché quel cane
così docile avesse attaccato Dareon senza apparente motivo,
restava
un mistero.
<<
Non tollero che due Dùnedain incrocino le lame uno contro
l'altro
>>.
<<
Lui non è uno di noi >>, ribatté
Dareon, indicando
Elrohir.
Daven
lo ignorò. << Adesso rinfoderate i pugnali.
Non li punterete
contro niente che non sia un orco, un troll o Melkor in persona. Sono
stato chiaro? >>.
Entrambi
obbedirono, vinti dall'autorità nella voce di Daven.
<<
Sei stato chiarissimo, padre
>>, rispose Dareon, enfatizzando quell'ultima parola come
se
fosse un insulto. Subito dopo, andò via continuando per la
sua
strada.
Elrohir
credette di aver capito male. Guardò Maedir, in cerca di
conferme,
ma il ragazzo non sembrava sorpreso.
Allora
si rivolse a Daven. << Dareon è tuo figlio?
>>,
chiese.
<<
Forse lo era un tempo. Adesso è poco più di un
estraneo >>,
rispose Daven.
Figlio
di nessuno, pensò
Elrohir, è
così che si è presentato; con l'appellativo degli
orfani e dei
figli rinnegati dai padri.
Elladan
condusse Saeliel in cima alla collina, dove c'era una buona vista
delle terre circostanti. L'elfa sembrava particolarmente interessata
al paesaggio, ma Elladan sospettava che fosse soltanto per motivi
strategici. Guardava il terreno arido e gli alberi spogli e vedeva un
campo di battaglia.
<<
Un tempo ho attraversato questo luogo per visitare Bosco Atro. Sono
trascorsi molti inverni da allora, ma sono certo che ricorderei il
tuo viso, se l'avessi già visto >>, disse
Elladan. Sperava
così di dare inizio ad una conversazione più
varia.
<<
Probabilmente non ero ancora nata >>, rispose Saeliel,
mentre
scrutava l'orizzonte. Elladan fu tentato di chiederle quanti inverni
avesse visto, ma si trattenne dal farlo. Deve
avere la metà dei miei anni, pensò,
se
non di meno. Eppure
in sua presenza si sentiva insicuro, come se fosse tornato ad essere
un ragazzino. L'elfa, invece, sembrava del tutto a proprio agio.
<<
Prima vi ho visti combattere >>, disse, <<
Siete molto
abili >>.
<<
Grazie >>, rispose Elladan. Ricevere complimenti da
Saeliel lo
intimidiva, ma allo stesso tempo era fiero che lei l'avesse notato.
<<
Non temete di ferirvi accidentalmente? >>.
<<
Non è pericoloso come sembra. Anche quando uno di noi
sbaglia,
l'altro riesce ad anticiparlo. Tu hai fratelli? >>.
Il
tono di voce di Saeliel cambiò leggermente quando rispose
alla
domanda. << I miei genitori morirono prima che io
compissi due
anni. Ero la loro unica figlia >>.
<<
Mi dispiace per la tua perdita >>, si affrettò
a dire Elladan,
pentendosi di aver toccato quell'argomento.
<<
Saeliel non è il nome che mi avevano dato >>,
aggiunse l'elfa.
<<
Allora qual è l'origine del tuo nome, se posso chiederlo?
>>.
In
Lingua Corrente il nome di Saeliel significava letteralmente
“figlia
del saggio”. Elladan era sempre più incuriosito e
affascinato da
lei.
<<
Sono stata adottata da uno dei consiglieri di Re Thranduil. Un elfo
onesto ed rispettabile, soprannominato da tutti "Il Saggio".
Da allora ho portato un nuovo nome, fino a dimenticare quasi del
tutto quello vecchio >>.
<<
Sarà orgoglioso di te per essere entrata in comando di un
contingente >>.
<<
Non ha mai mostrato di essere orgoglioso di me, quindi non vedo
perché debba esserlo adesso >>, disse Saeliel,
con una punta
di amarezza nella voce.
Seguirono
dei minuti di silenzio. Elladan sapeva che gli Elfi Silvani avevano
usanze diverse da quelle a cui lui era abituato, e pertanto fece
attenzione a non elargire giudizi su questioni che non conosceva
appieno. Mentre camminavano, riscaldati dall'ultimo sole d'autunno,
Elladan si chinò a raccogliere un fiore. Aveva i petali
viola,
sottili e fragili come le ali di una farfalla, e il bulbo di un
giallo acceso. Lo porse a Saeliel.
<<
Questo fiore è estremamente raro nelle terre in cui sono
cresciuto,
dove il clima è troppo mite per permettergli di
sopravvivere. Cresce
dove l'acqua è scarsa e l'ambiente inospitale. La sua
bellezza è
pari alla sua temerarietà >>,
spiegò Elladan.
<<
Perché l'hai colto? >>, chiese Saeliel.
<<
Per darlo a te >>.
<<
Cogliendolo l'hai ucciso. Adesso è destinato ad appassire
>>.
Elladan
restò senza parole. Quello che avrebbe dovuto essere un
semplice
atto di gentilezza stava diventando arduo come scalare una montagna.
Saeliel
sembrò accorgersene e si affrettò ad accettare il
fiore. <<
E' bellissimo, ti ringrazio >>.
Elladan
capì subito che non sarebbe riuscito a conquistare
l'amicizia
dell'elfa così facilmente.
<<
Tra la mia gente non è usanza diffusa regalare fiori
>>, disse
Saeliel, quasi a volersi giustificare per non aver apprezzato quel
dono dal primo momento.
<<
Allora imparerò nuove usanze. Se un uomo volesse conquistare
il
favore di una donna, secondo le vostre tradizioni, cosa dovrebbe
fare? >>, chiese Elladan.
Saeliel
sorrise. << Compiere grandi imprese in suo nome
>>,
rispose.
Il
suo sorriso è bellissimo, pensò
Elladan, voglio vederlo ancora e voglio esserne
io la
causa.
Quella
sera Elladan non riuscì a prendere sonno fino a notte fonda.
Provava
sensazioni mai provate prima. Paragonabili, forse, a quando era
ragazzo e non cessava mai di fare nuove scoperte, di esplorare e
meravigliarsi anche delle cose più semplici. Era come se il
mondo
avesse assunto una tonalità più brillante,
permettendogli così di
vedere ciò che prima era celato dall'ombra. Un attimo si
sentiva
invincibile e l'attimo dopo era intimidito dall'enormità dei
propri
sentimenti.
A
lungo aveva creduto di aver vissuto abbastanza da conoscere tutto
ciò
che l'esperienza poteva insegnare, ma si era sbagliato. C'era ancora
un mondo intero da scoprire.
Elrohir
osservò il serpente che strisciava davanti a lui. Era
terrorizzato,
ma l'impulso di seguire l'animale era troppo forte. Si dirigeva verso
un precipizio. Elrohir non osava avvicinarsi per guardare
giù, ma
sapeva che era così profondo che nessuno sarebbe stato in
grado di
riemergerne. In piedi, rivolto verso il precipizio e girato di spalle
rispetto ad Elrohir, c'era Elladan. Suo fratello sembrava ignaro del
serpente che, lentamente, si avvicinava a lui.
Elrohir
tentò di metterlo in guardia, di avvertirlo dell'animale
alle sue
spalle e, soprattutto, di intimargli di allontanarsi dal bordo del
burrone. Ma non riuscì a dare voce ai suoi pensieri.
Fu
costretto a guardare mentre il serpente strisciava sulla schiena di
Elladan, fino ad arrivare sulle sue spalle, e infine si avvolgeva
attorno al suo collo. Le sue spire si strinsero sempre di
più,
soffocando Elladan ed Elrohir allo stesso tempo.
Elrohir
si svegliò di colpo. Per qualche secondo gli
mancò l'aria, come se
il suo sogno fosse diventato realtà. Sentiva ancora il
serpente
stretto attorno alla sua gola, nonostante la ragione gli dicesse che
non era vero, che esisteva soltanto nella sua mente.
Si
alzò di scatto ed uscì dalla tenda, respirando a
fondo l'aria
fredda della notte. Lentamente tornò a rilassarsi, ma decise
comunque che non avrebbe tentato ancora di dormire. Si stese
sull'erba umida ed osservò le stelle. Il cielo era limpido,
di un
nero intenso, senza traccia di nuvole e senza luna. Ogni tanto una
scia luminosa brillava nel buio, soltanto per pochi istanti, prima di
svanire. Da bambino Elrohir aveva chiesto a suo padre dove andassero
a finire le stelle che cadevano. Diventano polvere, aveva
risposto Elrond, e poi vanno nel mare, nell'erba, sul
terreno,
persino su di te, anche se non te ne accorgi. Ci sono minuscoli pezzi
di stelle in ciascuno di noi e in ogni cosa che vediamo, per questo
non dobbiamo mai cessare di stupirci della bellezza del mondo.
Si
trattava di sentimenti remoti, che Elrohir aveva ormai dimenticato
quasi del tutto.
Da
Elladan, invece, provenivano solo emozioni positive. Elrohir era
felice per lui, ed era ben determinato a non trasmettergli le sue
preoccupazioni. Per questo motivo, quando udì i suoi passi
che si
avvicinavano e, con la coda dell'occhio, lo vide che si stendeva
accanto a lui, ebbe l'impulso di allontanarlo. << Torna a
dormire >>, disse, cercando di non apparire troppo brusco.
Elladan
lo ignorò, si spostò in una posizione
più comoda e chiese, <<
Ancora il serpente? >>.
Elrohir
sospirò. << Sì, ancora lui
>>.
<<
Ma questa volta è diverso >>,
osservò Elladan.
<<
Come fai a dirlo? >>.
<<
Sembri sconvolto >>.
Elrohir
non rispose. Poteva percepire la spensieratezza di Elladan che si
riduceva progressivamente, mentre una leggera inquietudine si faceva
strada tra i suoi pensieri.
<<
Non voglio parlarne adesso, non farebbe che renderlo più
reale.
Raccontami invece dei tuoi incontri con Saeliel >>.
Un
sorriso illuminò il viso di Elladan non appena
sentì pronunciare il
nome dell'elfa.
<<
E' unica, non saprei come altro descriverla. Quando sono in sua
presenza vedo ogni cosa sotto una luce diversa >>, disse.
<<
So come ci si sente >>, rispose Elrohir. Se si fosse
trovato a
fare la stessa conversazione con qualcun altro, gli avrebbe augurato
ogni felicità, ma con Elladan non ce n'era bisogno. La
felicità per
loro era un bene in comune, non potevano desiderare altrimenti l'uno
per l'altro.
Dopo
aver contato cinque stelle cadenti, Elladan si alzò.
<<
Domani scriverò a nostro padre >>,
annunciò.
<<
D'accordo >>, disse Elrohir.
<<
E gli racconterò del tuo sogno >>, aggiunse.
<<
Tu...cosa? >>.
<<
Lui potrà aiutarti >>.
<<
Non faresti che aumentare le sue preoccupazioni. E' soltanto...
>>.
<<
Non provare a ripetere che è soltanto un sogno! Sai bene che
non lo
è >>.
Elrohir
si arrese alla determinazione del fratello ed annuì
rassegnato.
Aveva sbagliato a pensare di poter sviare quell'argomento
così
facilmente.
<<
Adesso torna nella tua tenda e cerca di dormire almeno fino all'alba
>>, disse Elladan.
Elrohir
si alzò a sua volta. << Quando riconoscerai
che non puoi dare
ordini a tuo fratello maggiore? >>.
<<
Quando il sole sorgerà ad Ovest >>, rispose
Elladan.
La
risata di Elrohir risuonò nel silenzio della notte. La volta
stellata incombeva su di loro, come un enorme essere vivente che li
osservava, tenendoli sotto la sua protezione ed offrendogli
l'inafferrabile spettacolo della sua magnificenza.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Saeliel:
figlia del
saggio
Peredhel:
mezzelfo
Edhil:
Elfi
Note
finali:
-Se
qualcuno si stesse chiedendo quanti anni hanno i gemelli a questo
punto della storia, ho fatto un breve calcolo per scoprirlo: ne hanno
ben 2773.
-Visto
il mio interesse per l'astronomia, mi sono chiesta quali fossero le
nozioni degli elfi in materia. Purtroppo non ho avuto modo di
scoprirlo, ma ho ipotizzato che in epoca medievale non si sapesse
spiegare il fenomeno delle stelle cadenti in maniera scientifica.
Oggi sappiamo che non sono altro che meteoriti che entrano
nell'atmosfera terrestre, ma probabilmente all'epoca credevano che
fossero davvero stelle che cadevano.
-Infine,
mi piacerebbe davvero tanto sapere cosa ne pensate della svolta che
ha preso la storia con la scoperta (più o meno)
dell'identità di
Dareon. Ogni opinione sarà apprezzata :)
|
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Capitolo 15 *** Appena sbocciato ***
Imploro
umilmente perdono per il colossale ritardo. Le prime settimane
dell'università sono state a dir poco frenetiche e non mi
hanno
lasciato molto tempo per scrivere. Comunque sappiate che non ho
dimenticato la ff e che sono tornata a dedicarmi con impegno ai
nostri gemelli preferiti.
Sono
a buon punto con la stesura del prossimo capitolo ed ho già
iniziato
a scrivere la fatidica battaglia...
P.s.
Vi avverto che le scene romantiche non sono il mio forte, quindi
siete liberi di dare sfogo a qualsiasi critica/lamentela/invito a
darmi all'ippica e chi più ne ha più ne metta.
Buona
lettura :)
Cari
Elladan ed Elrohir,
Apprendo
con tristezza che i miei timori si sono avverati. Quando Re Thranduil
mi ha informato del pericolo che ha lasciato le sue terre, ho sperato
a lungo che non incontrasse voi e che non foste costretti a misurarvi
con un male così insidioso.
Nonostante
io abbia piena fiducia nel vostro coraggio e nella vostra
abilità in
combattimento, vi chiedo di essere prudenti: gli esseri che vi
accingete ad affrontare non sono comuni orchi e pertanto è
bene che
non li prendiate alla leggera.
Elladan,
da quanto hai accennato nella tua lettera, posso intuire che hai
trovato la felicità in una delle sue forme più
dolci e pericolose.
Ti raccomando di assaporare ogni istante di questa nuova gioia e di
rispettare l'oggetto del tuo amore, senza fare l'errore di
considerarlo di tua proprietà. Non ho mai avuto l'onore di
conoscere
l'elfa di cui mi hai parlato, ma al vostro ritorno sarei felice di
accoglierla ad Imladris fino a quando vorrà restare.
Elrohir,
dovresti essere grato a tuo fratello per non aver sottovalutato la
tua situazione e per aver deciso di avvertirmi. Un incubo ricorrente
non è qualcosa da ignorare, ma da analizzare e comprendere.
Non
tutti gli elfi possiedono il dono della preveggenza e non sempre
coloro che lo possiedono riescono a capire appieno le sue
manifestazioni. La mente è un luogo oscuro e misterioso, e
talvolta
al di là dalla nostra comprensione. Dovresti considerare
questi
sogni particolari come la maniera attraverso la quale la tua mente
tenta di comunicarti, o forse di avvertirti, in merito a qualcosa che
deve ancora avvenire. Posso provare ad interpretare le descrizioni
che mi hai fornito, ma nessuno meglio di te può riuscirci.
L'elemento presente in tutti gli incubi, il serpente, potrebbe
significare l'imminenza di un evento che ti suscita timore. Il
precipizio potrebbe rappresentare qualcosa d'irraggiungibile, ma la
cosa che mi preoccupa di più è la presenza di
Elladan nel tuo
sogno. Considera l'eventualità che stia per accadere
qualcosa a lui,
non a te. Nonostante io desideri fortemente che torniate a casa per
potervi aiutare in qualsiasi cosa il fato abbia in serbo per voi, so
che l'onore e l'amicizia vi vincola ai vostri alleati. Pertanto non
vi chiedo di abbandonarli, solo di prestare attenzione a ciò
che vi
circonda, poiché il Male ha molte forme, e non tutte possono
essere
sconfitte con un colpo di spada.
In
risposta all'ultima parte della vostra lettera vi informo con piacere
che Arwen sta bene. Risiede ancora a Lòrien e lì,
lontano dai
tristi ricordi che popolano Imladris, sta ritrovando la
spensieratezza con cui un tempo illuminava le nostre giornate. Nelle
sue lettere mi chiede spesso di voi, insiste nel voler sapere se
siete al sicuro e quando tornerete. Io non sono in grado di
rispondere alle sue domane, per questo spero che vogliate scriverle
di vostro pugno per rassicurarla sulle vostre condizioni.
Sarà
felice di ricevere vostre notizie.
Negli
ultimi tempi viaggiare è particolarmente pericoloso, anche
per i
messaggeri, pertanto mi asterrò dal mandare lettere da Gran
Burrone
per questioni che non siano di primaria importanza.
Sappiate,
tuttavia, che che siete sempre al centro dei miei pensieri e che
attendo con impazienza il vostro ritorno.
Con
affetto,
il
vostro ada.
Elrohir
piegò la lettera con cura e la ripose nella tasca interna
del
proprio mantello. Per la prima volta da quando aveva lasciato Gran
Burrone, una parte di lui provava il desiderio di tornare a casa.
Sentiva
la mancanza degli ampi giardini, delle stanze accoglienti, del senso
di sicurezza che aveva provato soltanto all'interno dei confini di
Imladris e, soprattutto, della sua famiglia. Decise di fare una
promessa a se stesso: Appena tutto questo sarà
finito, torneremo
a casa. Sapeva che Elladan avrebbe accettato senza
esitazione.
Quel
giorno nell'accampamento si respirava un'aria carica di tensione. I
Mannari e gli orchi si erano fermati a poche miglia da loro, e
attendevano a loro volta rinforzi. Era lecito pensare che avrebbero
attaccato i Dùnedain non appena il loro numero fosse
aumentato
ulteriormente. Era evidente che non sapevano degli elfi in arrivo dal
Bosco Atro, altrimenti non avrebbero rischiato di doversi confrontare
con un altro contingente di Eldar.
Elrohir
sapeva che avrebbe dovuto comunicare al più presto le nuove
informazioni ad Elladan ed a Saeliel, ma preferì concedere
ad
entrambi qualche momento in più di tranquillità.
Non poté fare a
meno di chiedersi cosa ne sarebbe stato del loro amore appena
sbocciato una volta conclusasi la battaglia.
Un
dolce canto pervase l'aria.
<<
...Egor ennas
dû alfanui
Brethil
lilthol celir
'eil
edhellin, silivrin mîr,
Min
finnel în ngylfu >>.
Elladan
unì la sua voce a quella di Saeliel nell'ultimo verso.
<<
Conosci questa canzone? >>.
<<
L'ho udita spesso quando vivevo a Gran Burrone >>.
<<
Era una donna a cantarla per te? >>, chiese Saeliel, con
una
nota di malizia nella voce.
<<
Sì >>, rispose Elladan, osservando di
sottecchi la reazione
dell'elfa, << Era l'unica donna la cui bellezza
è paragonabile
alla tua >>.
Saeliel
evitò il suo sguardo nel porre la successiva domanda.
<< Di
chi stai parlando? >>.
<<
Arwen, mia sorella minore >>. Elladan non
riuscì ad impedirsi
di ridere quando osservò il modo in cui Saeliel tentava di
mascherare il suo sollievo nell'udire quell'ultima frase.
<<
Sei perfido >>, mormorò Saeliel, con un
sorriso.
<<
Ne sono consapevole >>, disse Elladan.
Poi
accadde tutto troppo velocemente per riflettere. Elladan le prese una
mano e l'attirò a sé. Il suo cuore
iniziò a battere frenetico,
come dopo una lunga corsa. Poi la baciò. Fu un gesto
improvviso, del
tutto istintivo. Fino ad un attimo prima di toccare le labbra di
Saeliel, Elladan temette che la sua inesperienza risultasse fin
troppo evidente, ma oltre ogni cosa temette di essere respinto.
Saeliel, colta di sorpresa, esitò per un istante, poi
ricambiò il
bacio.
Fino a quel
momento Elladan non avrebbe mai ritenuto possibile provare una gioia
così profonda. Da quel bacio, improvvise come esplosioni di
luce, si
sprigionarono innumerevoli emozioni diverse. L'unica che Elladan fu
in grado di riconoscere sin dal primo momento fu la felicità
nella
sua forma più pura. Chiuse gli occhi ed assaporò
ogni attimo di
quel momento perfetto, finalmente convintosi di aver fatto la cosa
giusta, di aver realizzato il desiderio che entrambi avevano osato
formulare soltanto nelle proprie menti.
<<
Guren
min gaim lìn >>,
sussurrò Saeliel.
<<
Le
melin >>,
disse Elladan. C'erano stati altri momenti, da quando aveva
conosciuto l'elfa, in cui aveva pensato di dirlo, ma non era mai
riuscito a trasformare i pensieri in parole. Quando finalmente ci
riuscì, si sentì sollevato. Erano soltanto
parole, Elladan ne era
consapevole, ma allo stesso tempo era importante che lei
sapesse.
Saeliel era
sul punto di rispondere, quando una terza presenza li interruppe.
<<
Mi dispiace disturbarvi, novelli Beren e Lùthien, ma ci sono
importanti questioni strategiche che richiedono la vostra attenzione
>>.
Elrohir si
avvicinò con disinvoltura, come se non fosse sorpreso di
ciò che
aveva visto.
Elladan e
Saeliel fecero simultaneamente un passo indietro, entrambi
visibilmente imbarazzati per essere stati interrotti in un momento
così intimo.
<<
Grazie, El >>, mormorò Elladan a denti stretti.
Elrohir
fece strada verso l'accampamento, lasciando che loro lo seguissero
camminando qualche passo più indietro.
<<
La prima volta che vi ho visti ho pensato che foste identici
>>,
disse Saeliel, << Adesso mi chiedo come abbia fatto a non
notare sin da subito la vostra profonda diversità. Tu ed
Elrohir
siete come il giorno e la notte, opposti e complementari
>>.
Quando
Elladan udì quelle parole, si rese conto di quanto fosse
importante
per lui che Saeliel riuscisse a riconoscerlo senza esitazione, che
riuscisse a vederlo
per
come era davvero, come solo pochi erano in grado di fare.
Fu
in quel momento che capì che il legame che aveva stabilito
con
Saeliel era speciale. Il pensiero lo spaventava e lo eccitava allo
stesso tempo. Come dovrò
comportarmi adesso?, si
chiese.
Elrohir li
condusse nella tenda di Arador, dove erano in atto gli ultimi
preparativi per la battaglia. I Dùnedain avrebbero attaccato
gli
orchi da tre diverse direzioni, sperando di circondarli sin dal primo
momento. Con l'appoggio degli Elfi Silvani che erano ancora in
viaggio dal Bosco Atro, il loro numero sarebbe diventato sufficiente
a sconfiggere i nemici.
Quando
Saeliel venne interrogata in merito alla posizione e alla strategia
che gli elfi al suo comando avrebbero assunto, rispose ad ogni
domanda con precisione e sicurezza. Se aveva delle incertezze,
riuscì
a mascherarle alla perfezione.
Ben
presto Elladan si rese conto che la sua presenza era superflua, in
quanto aveva già appreso tutte le informazioni che lo
riguardavano.
Si congedò ed uscì dalla tenda proprio mentre
qualcun altro era
intento ad entrare. Era Dareon. Elladan lo superò senza
proferire
parola, evitando persino di incrociare il suo sguardo. Non voleva
avere a che fare con lui più di quanto non fosse
strettamente
necessario. Il solo pensiero di dover combattere al suo fianco era
sufficiente a metterlo a disagio.
Elladan
non rivide Saeliel fino a dopo il tramonto, quando l'unica fonte di
luce erano le fiaccole che circondavano l'accampamento.
L'elfa
era intenta a conversare con qualcuno che Elladan non riuscì
ad
identificare sin da subito, poiché si trovava nella zona in
ombra
tra due fiaccole. Quando Saeliel lo vide, venne verso di lui. Fu in
quel momento che Elladan riuscì a vedere l'uomo con cui
l'elfa stava
parlando un attimo prima. Dareon salutò Elladan con un cenno
della
testa e si allontanò in silenzio.
<<
Perché parlavi con lui? >>, chiese Elladan,
cercando di non
far suonare quelle parole come un rimprovero.
<<
Ti disturba che io parli con altri uomini? >>, disse
Saeliel,
con un tono tra il divertito e l'irritato.
<<
No, mi disturba che parli con Dareon >>, rispose Elladan.
<<
Lo dici come se spettasse a te decidere >>.
<<
Voglio solo metterti in guardia. Non c'è da fidarsi di lui
>>.
<<
Non ho bisogno di instaurare un rapporto di fiducia per conversare
con qualcuno >>, disse Saeliel, ormai sulla difensiva,
<<
E certamente non ho bisogno che tu mi protegga da un qualsiasi adan
>>.
Elladan sapeva
che l'elfa era del tutto sincera ed era certo che fosse in grado di
difendersi da sola da chiunque, ma non poteva impedirsi di essere
preoccupato.
<< Hai
frainteso le mie parole >>, disse in tono di scusa,
<<
Non era mia intenzione offenderti >>.
Lo
sguardo di Saeliel si addolcì leggermente. <<
Non importa >>,
disse.
<< Vorrei
che d'ora in poi parlassimo solo di argomenti piacevoli
>>,
aggiunse.
<<
Così
sarà fatto >>, disse Elladan.
Ma,
al contempo, entrambi sapevano che la guerra non avrebbe lasciato
spazio per nulla che non fosse morte e disperazione. Nessuno dei due
aveva l'ingenuità di pensare che il loro amore sarebbe
bastato a
contrastare le insidie del Male.
Arador
distese la mappa sul tavolo ed vi avvicinò una candela per
vedere
meglio. Rappresentava in maniera approssimativa il territorio sul
quale si apprestavano a combattere.
Daven
era seduto dalla parte opposta del tavolo ed indicava la parte
sinistra della mappa. << Il gruppo più
consistente dovrebbe
attaccare da ovest, così da costringere i nemici a
combattere contro
sole. Mentre il secondo, da est, arriverà in contemporanea
>>.
Arador
annuì.
Spesso, prima di una battaglia, si affidava all'esperienza di Daven
per decidere quale strategia adottare. I suoi consigli si erano
sempre rivelati preziosi quanto la sua abilità con la spada,
ma,
quella sera, Arador aveva un altro motivo per voler conferire con
lui.
<< Gli
Elfi
Silvani potrebbero attaccare da sud, ma per saperlo con certezza
dovremmo aspettare di conoscere con precisione il loro numero
>>,
proseguì Daven.
Arador
ascoltava a malapena, troppo impegnato a decidere come comunicare a
Daven la sua decisione senza provocarne l'ira.
<<
Riconosco quello sguardo. È lo stesso che avevi da bambino
quando
prendevi il mio arco di nascosto >>, disse Daven,
<< C'è
qualcosa che vorresti dirmi? >>.
Arador
esitò. Non aveva più senso aspettare oltre.
<<
Ho preso una decisione >>, disse, << Non
parteciperai
alla battaglia >>.
Le
sue parole furono accompagnate da un lungo silenzio. L'espressione di
Daven era indecifrabile.
<<
I guaritori e tutti coloro che non sono in grado di combattere o che
scelgono di non farlo resteranno all'accampamento. Alcuni uomini
dovranno proteggerli e tu sarai tra loro >>.
Daven
gli rivolse un sorriso ironico. << È senza
dubbio un compito
onorevole, ma potrebbe essere svolto da chiunque altro. Credevo che
il mio posto sarebbe stato a capo del secondo contingente e tu non ti
sei disturbato a contraddirmi >>.
<<
Non è stata una decisione facile da prendere...
>>.
<<
Temi che non sopravviverei >>, lo interruppe Daven. Non
era una
domanda, ma una semplice constatazione.
Arador
sospirò. Mentire sarebbe stato inutile.
<<
Sì, è questo che temo >>, rispose.
<<
Credi che io voglia morire così? Dispensando saggi consigli
ai
giovani? >>.
Si
alzò bruscamente e camminò nervosamente per la
stanza. << Io
voglio morire sotto i colpi di una spada o trafitto da una freccia,
sporco del sangue dei miei nemici. Una morte onorevole >>.
<<
Non hai bisogno che ci sia onore nella tua morte, ce n'è
stato a
sufficienza durante tutta la tua vita >>,
ribatté Arador.
<<
È della vita di un guerriero che stai parlando, tienilo a
mente
>>.
Arador si
alzò
a sua volta ed appoggiò le mani sul tavolo, protendendosi
leggermente verso Daven.
<<
È della tua
vita che sto parlando. Io ho ancora bisogno di te... E anche Arathorn
ne avrà bisogno quando io non ci sarò
più >>.
<<
Cosa ti fa pensare che io possa vivere più a lungo di te?
>>,
chiese Daven, perplesso.
Arador
si rese conto di aver rivelato troppo.
<<
C'è qualcosa che non mi hai detto >>, disse
Daven. Il suo
sguardo indagatore trafisse Arador come se intendesse leggergli nel
pensiero. Ha
ragione,
pensò Arador, con rammarico, Ma
ci sono informazioni che non posso condividere con lui.
<<
Ti ho detto tutto ciò che avevi bisogno si sapere. Ti chiedo
soltanto di fidarti del mio giudizio >>.
Daven
lo fissò a lungo, poi cambiò repentinamente
espressione.
<<
D'accordo >>, disse, con tono pacato, << Il
Capitano sei
tu, la scelta spetta a te >>. Tornò a sedersi
e concentrò la
sua attenzione sulla mappa.
Arador
sapeva che Daven non si sarebbe mai rassegnato così in
fretta se non
per un motivo ben preciso. Tuttavia, si astenne dal commentare. Posso
fidarmi che rispetterà la mia decisione, e per adesso
è più che
sufficiente,
pensò.
<<
Sai già chi comanderà il secondo contingente?
>>, chiese
Daven.
<< Uno
dei
figli di Elrond >>, rispose Arador, lieto del cambio di
argomento, << L'altro verrà con me
>>.
<<
Non saranno felici di combattere separati >>,
osservò
Daven.
<< Non
importa. Il loro legame è straordinario e potrà
tornarci molto
utile in battaglia. Se uno di loro si trovasse in pericolo, l'altro
lo saprebbe in quello stesso istante: è il modo
più rapido e sicuro
per comunicare sul campo. Sapremo esattamente dove e quando inviare
rinforzi qualora ce ne fosse bisogno >>,
spiegò Arador.
<<
E' una buona idea, devo ammetterlo >>.
<<
E per quanto riguarda Dareon? >>, chiese Arador.
Daven
gli lanciò uno sguardo di rimprovero, prima di rispondere
con tono
sbrigativo, << Farà ciò che
più gli aggrada. Per me il suo
destino è irrilevante >>.
<<
Non sembrava che fosse così, quando mi hai persuaso a
risparmiare la
sua vita. Avevo deciso di condannarlo a morte, e l'avrei fatto se tu
non fossi intervenuto >>.
Daven
abbassò lo sguardo e sospirò. <<
Non desidero la sua morte,
sebbene sia ciò che merita >>.
Arador
colse un grande dolore nella sua voce, un rimpianto senza
possibilità
di redenzione. Non menzionò ulteriormente quell'argomento:
sapeva
che l'anziano guerriero non aveva nessun piacere nel parlarne.
<<
Se non c'è altro di cui dobbiamo discutere,
tornerò nella mia tenda
>>.
<<
Grazie, Daven, continueremo domani >>, disse Arador.
Non
appena Daven sollevò un lembo della tenda per uscire, una
folata di
vento gelido turbinò all'interno e spense le candele.
Arador
restò solo, nell'oscurità più
assoluta, mentre il freddo
s'insinuava in ogni angolo, attraversando i suoi abiti e penetrando
fino alle sue ossa.
Poteva
sentirlo: l'inverno stava arrivando.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Egor
ennas dû alfanui in
questa notte senza nuvole
Brethil
lilthol celir i
faggi
ondeggiano portando
'eil
edhellin, silivrin mîr, stelle
elfiche come bianchi gioielli
Min
finnel în ngylfu tra
i loro capelli di rami
Guren
min gaim lìn: il mio cuore ti
appartiene
Le
melin: ti amo
Adan:
uomo
(singolare di edain)
|
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Capitolo 16 *** La vigilia della battaglia ***
Buonasera a tutti.
Siamo alla vigilia della fantomatica battaglia. Questo capitolo
sarà
formato principalmente da brevi scene riguardanti lo stato d'animo
dei nostri protagonisti prima del grande giorno. E una rivelazione
sulla genealogia di qualcuno che conosciamo...
Gli Elfi Silvani
arrivarono all'accampamento in un giorno di pioggia.
Dapprima Saeliel li
osservò da lontano. Erano affaticati per il lungo viaggio,
ma
nessuno di loro era ferito, segno che non avevano incontrato pericoli
lungo la strada. Erano almeno il doppio degli uomini che erano stati
affidati a Merethor e che adesso spettavano a lei.
Saeliel attese che Arador
terminasse di conferire con il loro comandante prima di farsi avanti.
Con sua grande sorpresa
riconobbe Halben, suo compagno di addestramento. Questi le
comunicò
gli ultimi ordini impartiti dal re: da quel momento e fino al loro
ritorno a casa, Saeliel aveva il comando di tutti gli Elfi Silvani
che avrebbero preso parte alla battaglia.
Detto questo, le porse una
lettera.
Elrohir attraversò
l'accampamento, vibrante di preparativi e voci concitate.
Aveva vissuto circondato
da soli Uomini per così tanti anni che credeva sarebbe stato
felice
di incontrare altri elfi. Tuttavia, quando i nuovi arrivati si
stabilirono al fianco dei Dùnedain, Elrohir provò
la stessa
sensazione di estraneità che aveva provato con questi ultimi
la
prima volta che li aveva conosciuti. Non appartengo a nessuna
delle due razze, nonostante abbia le caratteristiche di entrambe,
pensò.
Il
pensiero di accettare o rifiutare la prospettiva
dell'immortalità
apparve ancora più spaventoso. Scegliere avrebbe significato
rinunciare per sempre ad una delle due metà del suo essere,
e non
era certo di essere pronto a farlo.
Elrohir
raggiunse l'area dell'accampamento adibita a stalla, composta da una
fila di paletti di legno sormontati da un rudimentale rifugio di
paglia. Lì vi trovò Maedir, intento a ferrare gli
zoccoli di un
cavallo.
<<
Non sapevo che questo rientrasse tra i tuoi compiti >>,
commentò Elrohir.
Maedir
rispose senza distogliere l'attenzione dal suo lavoro. <<
Non
dovrebbe. Io mi occupo soltanto di quelli dal temperamento
più
difficile, come questa giumenta, che si rifiuta di essere ferrata.
L'ultimo che ci ha provato ha rischiato di brutto >>.
<<
Eppure mi sembra piuttosto tranquilla in tua presenza >>,
disse
Elrohir.
<<
Suppongo che sia solo questione di infondere fiducia >>,
rispose Maedir con modestia.
Elrohir
sapeva che Maedir aveva una particolare abilità nel
rapportarsi con
gli animali, ma solo in quel momento notò quanto la sua
presenza
influisse positivamente sul comportamento del cavallo.
<<
E' stato qualcuno ad insegnartelo? >>, chiese Elrohir,
sperando
di trovare conferma ad un'ipotesi che andava formandosi nella sua
mente.
<<
Mia sorella, che ha imparato da mio padre, che a sua volta ha
imparato da suo padre. Prima di legarsi ai Dùnedain, i miei
antenati
erano Rohirrim, Signori dei Cavalli >>.
<<
Adesso mi spiego da dove proviene il tuo talento >>,
disse
Elrohir.
Maedir
sorrise timidamente. << Eppure non mi dispiacerebbe aver
ereditato anche un po' di dimestichezza con la spada >>,
disse.
<<
Hai ereditato il coraggio che, secondo il mio punto di vista, vale
anche di più. Immagino sia anche questo un tratto di
famiglia >>,
disse Elrohir.
<< Potrebbe esserlo.
Uno dei miei antenati si chiamava Rowson, detto "l'Impavido".
Si dice che non conoscesse paura >>, spiegò
Maedir con un
sorriso ironico, come a sottolineare la differenza tra le gesta dei
suoi avi e le proprie, << Fu lui ad imparentarsi con i
Dùnedain, sposando la sorella di Arahad, che allora era
Capitano >>.
Elrohir trovò finalmente
conferma alla sua ipotesi: Maedir era un discendente dei Rohirrim che
lui ed Elladan avevano aiutato tanti anni prima. Ricordava bene quel
giorno, quando erano intervenuti in una situazione che era sul punto
di aggravarsi. Se non fossimo arrivati, probabilmente Rowson
sarebbe morto, pensò
Elrohir.
<< Perché stai
sorridendo? >>, chiese Maedir, che intanto si stava
dedicando a
stringere le cinghie di una sella.
<< Nessun motivo >>,
rispose Elrohir. Il pensiero di essere indirettamente responsabile
della nascita di Maedir era troppo difficile da concepire. Decise che
non ne avrebbe parlato con lui: sarebbe stata una storia troppo lunga
da raccontare.
<< Eri venuto per un
motivo in particolare? >>, chiese Maedir.
<< Mi occorre un
cavallo. Il mio è morto di recente e speravo di trovare un
degno
sostituto >>, spiegò Elrohir.
Maedir annuì. << In
questo posso aiutarti >>, disse.
Indicò un cavallo grigio
dall'aspetto fiero. Sembrava il genere di destriero che avrebbe
potuto accompagnare l'eroe protagonista di una leggenda.
<< Lui è senza
dubbio il più adatto a te >>, disse Maedir.
Ma l'attenzione di Elrohir
era stata già catturata da qualcos'altro. Un cavallo nero,
leggermente più piccolo, legato dal lato opposto della
staccionata.
<< Cosa mi dici di
quello? >>, chiese Elrohir.
<< Il suo nome è
Manadh, ed
è uno dei miei
preferiti >>, rispose Maedir.
Non
appena ebbe udito il suo nome, il cavallo si voltò a
guardarli, e fu
solo allora che Elrohir riuscì ad avere una visuale completa
dell'animale. Il suo orecchio sinistro era stato tranciato di netto,
rendendo il suo aspetto asimmetrico in maniera quasi grottesca.
Elrohir
distolse lo sguardo. << Cosa gli è successo?
>>, chiese.
<<
E' stato colpito da una freccia >>, spiegò
Maedir, << Mi
sono occupato a lungo di lui, e infine è guarito del tutto,
ma non
c'era niente che avrei potuto fare per l'orecchio... >>.
<<
Appartiene a qualcuno? >>, chiese Elrohir.
<<
Non più. Sarà tuo, se lo vuoi >>.
Elrohir
incrociò ancora una volta lo sguardo dell'animale. Lo stava
esaminando, come se spettasse a lui scegliere il suo cavaliere. Era
diffidente come avrebbe potuto esserlo un essere umano nei confronti
di un estraneo.
Elrohir
si avvicinò lentamente ed allungò una mano. Il
cavallo l'annusò,
senza mai smettere di guardarlo negli occhi, poi si voltò
dalla
parte opposta.
<<
Questo significava: "ti ho degnato a sufficienza della mia
attenzione" >>, disse Maedir, << E' il suo
modo di
comunicare >>.
Elrohir
sorrise. << Prenderò lui >>,
disse.
Il
sole era coperto da nuvole grigie e la pioggia cadeva in sottilissime
gocce.
Elladan
sollevò un lembo della tenda, restando però
all'esterno.
<<
Non ti ho vista oggi. Stai bene? >>.
Saeliel
era seduta sul bordo del suo letto. Elladan non mancò di
notare il
gesto fulmineo con cui l'elfa si asciugò le lacrime dal viso.
<<
Posso entrare? >>.
Saeliel
annuì.
Elladan
si tolse il mantello bagnato di pioggia prima di sedersi accanto a
lei. L'elfa stringeva una lettera tra le mani.
<<
Brutte notizie? >>, chiese Elladan.
<<
Non esattamente. Vogliono che sia io a comandare gli elfi
>>.
<<
Credevo che ne saresti stata felice >>.
Saeliel
scosse la testa. << Questa è da parte di mio
padre >>,
disse, indicando la lettera, << Dice che non avrei dovuto
chiedere aiuto ai Dùnedain, che avrei dovuto combattere fino
alla
fine. Ha usato la sua influenza sul re per fare in modo che il
comando fosse affidato a me, così che io possa rimediare ai
miei
errori >>.
<<
Non posso che dissentire. Se non aveste chiesto il nostro aiuto, io
non ti avrei mai conosciuta e, peggio ancora, se aveste combattuto
fino alla fine molti di voi sarebbero morti >>, rispose
Elladan.
<<
Oltretutto >>, aggiunse, << Tuo padre non
è qui. Le sue
aspettative influenzeranno le tue scelte solo fin quando tu lo
vorrai, non per un istante di più >>.
Saeliel
si concesse un breve sorriso. << Suppongo che tu abbia
ragione
>>.
<<
Certo che ho ragione >>, disse Elladan.
Ma
quel giorno Saeliel non era l'unica ad aver ricevuto notizie
spiacevoli. Elladan aveva avuto una lunga conversazione con Arador,
che l'aveva lasciato teso e scoraggiato. L'elfa percepì
all'istante
la sua preoccupazione.
<<
C'è qualcosa che ti turba >>, disse.
Elladan
sospirò. << Arador vuole che io sia a capo
della seconda metà
dei Dùnedain >>, spiegò.
<<
Sono certa che sarai all'altezza del compito >>.
<<
Lo sarei, se Elrohir fosse al mio fianco. Vogliono che combattiamo
separatamente >>.
Elladan
era sul punto di spiegare a Saeliel il motivo per cui avere suo
fratello accanto a sé in battaglia fosse così
importante, ma gli
bastò guardarla per un solo istante per capire che non era
necessario. Lei lo sapeva già.
<<
Ho paura >>, confessò Elladan,
<< Se dovesse accadergli
qualcosa io sentirei tutto, ma non sarei in grado
di aiutarlo
>>.
<<
Andrà tutto per il meglio. So che
sarà così >>, disse
Saeliel, senza neanche una nota di incertezza nella voce.
Elladan
annullò la distanza che li separava e le posò un
lieve bacio sulla
guancia. << Sono fortunato ad averti >>,
sussurrò,
indugiando con le dita tra i suoi capelli.
<<
Le melin >>, rispose Saeliel.
La
notte prima della battaglia era sempre una notte fredda.
Elrohir
avvicinò le mani al fuoco, senza quasi percepirne il calore,
mentre
guardava la propria armatura come un oggetto estraneo e pericoloso.
Aveva sempre preferito combattere senza nulla che gli rallentasse i
movimenti, ma era stato costretto a riconoscere che in quel caso ne
avrebbe avuto bisogno. Dimmi, ragazzo, preferisci essere
comodo o
restare vivo?, gli aveva chiesto Daven quando Elrohir aveva
esternato i suoi dubbi.
Elladan,
intanto, si apprestava a tornare nella sua tenda. Aveva fatto visita
a Saeliel per augurarle la buonanotte e poco prima di andarsene aveva
trovato il coraggio di porre una domanda a cui non riusciva a
smettere di pensare dall'inizio della giornata. Resta con me
stanotte, aveva detto.
Saeliel
aveva risposto con cortese fermezza che avrebbe trascorso la notte
nella propria tenda. Aveva intenzione di impiegare il tempo che la
separava dalla battaglia per riposare e raccogliere le idee, senza
alcuna distrazione.
I
Dùnedain attaccarono all'alba.
Arador
era in prima fila sul suo destriero bianco. Non pronunciò
discorsi
d'incoraggiamento quel giorno, ma la sua presenza fu sufficiente ad
infondere coraggio agli uomini al suo seguito.
Anche
Elrohir era in prima fila su Manadh, il cavallo nero già
reduce da
una battaglia. Alle sue spalle c'erano duecento altri guerrieri,
tutti in attesa di un ordine.
Il
terreno sul quale si apprestavano a combattere era secco, punteggiato
da cespugli ed alberi spogli, quasi del tutto privo di altre forme di
vita. La visuale verso nord era chiara. I Mannari erano visibili come
macchie grigie in lontananza. Alcuni cavalli percepirono la loro
presenza e tentarono di indetreggiare, ma Manadh non si mosse.
<<
Il vento sta cambiando >>, disse Arador, <<
Dobbiamo
attaccare subito, o sentiranno il nostro odore e perderemo l'effetto
sorpresa >>.
E
l'ordine arrivò.
I
Dùnedain iniziarono la carica nello stesso istante, in un
fragore di
spade sguainate e zoccoli sul terreno. Le macchie grigie si
trasformarono in forme ben distinte. Gli orchi li avevano avvistati
ed avevano formato una prima linea di difesa, ma la maggior parte di
loro era ancora impreparata. Elrohir si concentrò sul
fischio del
vento, escludendo ogni altro rumore e, per pochi istanti,
sembrò
calare il silenzio.
La
prima linea era sempre più vicina ed era stata affiancata da
una
seconda, composta principalmente da arcieri.
Manadh
s'impennò. Elrohir sollevò la spada e le due lame
s'incrociarono.
Grigio lucente e nero opaco. Quella fu la prima nota, seguita subito
dopo da tante altre, unite a formare una melodia aspra e dissonante.
La
battaglia era iniziata.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Manadh:
fato, fortuna
Le
melin: ti amo
Note finali:
Non è mia abitudine "pubblicizzare"
fanfiction riguardanti altre sezioni, ma farò un'eccezione
per
questa volta. Si avvicina una data importante: il 5 novembre.
Chi conosce il fumetto o il film "V
per Vendetta" saprà perché questo giorno merita
di essere
ricordato. Una mia tradizione qui su efp è di postare una
one-shot
su V per Vendetta il 5 novembre di ogni anno.
Tra due giorni posterò la mia sesta
fanfiction incentrata su V.
Se qualcuno fosse interessato, può
trovarla nella relativa sezione.
Se non avete idea di cosa io stia
dicendo, non temete. Il diciassettesimo capitolo è
già work in
progress :)
A presto!
Jadis
|
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Capitolo 17 *** Sul campo ***
Cari lettori, questo è
ufficialmente il capitolo più lungo che io abbia mai
scritto, nonché
uno dei più ardui. Spero che vi piaccia :)
Elladan guidò gli uomini al suo
seguito in un attacco fulmineo da est. Come Arador aveva previsto,
gli orchi non sapevano di dover combattere su due fronti e in un
primo momento la loro linea di difesa fu sul punto di cedere.
I
Dùnedain iniziarono a combattere con più
sicurezza quando si
accorsero di conquistare rapidamente terreno, ma Elladan sapeva che
presto i loro nemici si sarebbero riorganizzati e voleva essere certo
di essere pronto per allora.
<< Arcieri! >>, chiamò,
<< Mirate ai Mannari >>.
I Lupi delle Terre Selvagge
erano di gran lunga più pericolosi degli orchi in un
combattimento
serrato. Erano più agili e più veloci dei
cavalli, e potevano
uccidere un uomo prima che questi riuscisse ad avvicinarsi abbastanza
da brandire la spada.
Avremmo dovuto armare più uomini con le
lance, pensò Elladan.
Guardò verso ovest e, schermandosi gli
occhi dal sole, riuscì ad intravedere gli Elfi Silvani che
scagliavano piogge di frecce.
Elladan incitò i Dùnedain a
stringere le file per completare l'accerchiamento del nemico. Se
riuscissimo ad avanzare ancora un po' potrei ricongiungermi con
Saeliel, pensò.
Elrohir estrasse la spada dal fianco di
un Lupo e un istante dopo la sua lama trapassò l'armatura
dell'orco
che lo cavalcava.
Arador combatteva poco distante da lui. Di tanto
in tanto gli lanciava uno sguardo interrogativo per informarsi sulle
condizioni degli uomini capitanati da Elladan.
Elrohir faceva il
possibile per mantenere la sua connessione con il fratello il
più
forte possibile, nella speranza di riuscire a percepire in tempo
un'eventuale situazione di pericolo.
Arador crede che sia
facile, che il nostro scambio di emozioni sia preciso come uno
scambio epistolare, non si rende conto della concentrazione
necessaria per distinguere il normale senso di pericolo che si
avverte in battaglia dall'effettivo bisogno di rinforzi,
aveva
pensato Elrohir, quando il Capitano aveva espresso il suo piano di
separare i gemelli sul campo.
L'assenza di Elladan lo rendeva
nervoso, ma allo stesso tempo era rassicurato dal senso di sicurezza
che proveniva dal fratello. Evidentemente dalla sua parte del campo
non c'erano stati imprevisti.
Elrohir spronò Manadh al galoppo
per raggiungere due Mannari in procinto di attaccare degli uomini a
piedi. Le creature erano feroci e spietate, oltre che prive
dell'istinto di sopravvivenza tipico di ogni animale. Quando gli
orchi li spronavano in direzione del pericolo, i Mannari ubbidivano
senza esitazione, andando incontro alla morte senza alcuna paura.
Quando un essere vivente cessa di temere la morte, diventa
più
pericoloso di qualunque altro, pensò Elrohir.
Elladan si
rese presto conto che gli orchi con cui avevano a che fare non erano
gli stessi che aveva fronteggiato innumerevoli altre volte in
passato. Erano più forti, meglio addestrati e i loro capi
più abili
nella tattica. Se dapprima i Dùnedain erano riusciti ad
avanzare
facilmente, adesso faticavano a mantenere le loro posizioni. La
stanchezza rallentava i loro movimenti e gli attacchi serrati degli
orchi non concedevano neanche pochi istanti di tregua.
Elladan
raggiunse la prima fila, nell'intento di utilizzare al meglio le
forze che, a causa della sua appartenenza alla razza elfica, erano
superiori a quelle degli Uomini. Allo stesso tempo, sperò di
provvedere un incoraggiamento per quanti potevano vederlo. Il
primo durante l'attacco e l'ultimo durante la ritirata,
ricordò
Elladan.
Erano trascorse due ore dall'alba, quando Elladan
individuò uno dei capi degli orchi.
Cavalcava un Lupo nero, più
grande degli altri, ed urlava ordini in linguaggio nero. Elladan
osservò con attenzione i suoi movimenti, sperando di
coglierlo a
portata di freccia. Uccidere il loro capo avrebbe reso gli orchi
più
insicuri e disorganizzati e avrebbe infuso nuovo coraggio negli
Uomini.
Elladan stava riflettendo su quale fosse il modo più
sicuro per arrivare all'orco, quando qualcuno lo anticipò.
Gli
Elfi Silvani erano vicini e tre di loro si stavano facendo strada a
colpi di spada verso il centro dello schieramento degli orchi, dove
il loro capo osservava la battaglia a distanza di sicurezza.
Elladan
cercò Saeliel con lo sguardo e non riuscì a
tranquillizzarsi finché
non la vide, intenta a combattere contro due orchi allo stesso tempo.
Elladan trasse un sospiro di sollievo nel constatare che l'elfa non
era ferita e non sembrava in difficoltà. Ciò che
invece preoccupava
Elladan era il fatto di essersi ricongiunto con gli elfi
così in
fretta. Significa che siamo riusciti ad avanzare di molto, il
che
è improbabile, oppure che loro sono stati costretti a
ripiegare,
pensò. Se la seconda ipotesi si fosse rivelata corretta,
significava
che gli altri Dùnedain, ed Elrohir con loro, rischiavano di
ritrovarsi accerchiati prima ancora di rendersene conto.
Due
dei tre elfi morirono trafitti dalle frecce dei nemici, mentre il
terzo riuscì ad avvicinarsi al capo degli orchi abbastanza
da
tagliare la gola al Lupo nero.
L'orco si avventò su di lui con
furia, brandendo una spada a due mani. L'elfo evitò
agilmente i suoi
colpi ed attaccò a sua volta. I suoi movimenti erano precisi
e
aggraziati, mentre l'orco faceva affidamento sulla pura forza. Fu un
combattimento serrato, che Elladan riuscì a seguire solo a
tratti.
Non poteva distogliere la propria attenzione dalla battaglia per
più
di qualche secondo, senza mettere in pericolo se stesso e coloro che
prendevano ordini da lui. Ma, allo stesso tempo, non riusciva ad
impedirsi di tenere d'occhio Saeliel. Avrebbe potuto raggiungerla in
poco tempo se avesse voluto, ma i Dùnedain erano ancora
bloccati
dall'assalto degli orchi ed Elladan non poteva abbandonarli.
Il
combattimento tra l'elfo e il capo degli orchi ebbe una fine tanto
brusca quanto terribile. Gli altri orchi, che dapprima avevano
mantenuto le distanze dal duello, intervennero non appena capirono
che l'elfo stava per avere la meglio.
Una freccia lo colpì alle
spalle, trapassando l'armatura. Il capo degli orchi lanciò
uno
sguardo colmo d'ira in direzione di colui che aveva scagliato la
freccia ed allontanò tutti gli altri con un gesto. L'elfo
era caduto
in ginocchio, lasciando cadere la spada.
L'orco si avvicinò a
lui, già trionfante per una vittoria che non gli
apparteneva, ed
appoggiò la spada sulla gola dell'elfo. Questi
sembrò fare appello
a tutte le sue forze per estrarre il pugnale che teneva alla cintura
e sollevarlo contro l'essere che stava per ucciderlo. Ma fu troppo
lento. La spada dell'orco aprì uno squarcio nella sua gola e
il
sangue schizzò in ogni direzione. Pochi secondi dopo, il
pugnale
cadde.
L'elfo era morto.
Nel fragore della battaglia, tra i
rumori del metallo, le grida, i ruggiti, il fischio del vento, il
cozzare delle frecce sugli scudi, un suono si fece largo e
sembrò
sovrastare tutti gli altri.
<< Halben! >>.
Era
Saeliel. Elladan vide la rabbia, animata da un immenso dolore, negli
occhi dell'elfa mentre urlava il nome dell'amico caduto.
Fu allora
che decise cosa avrebbe fatto.
Elrohir iniziò a comprendere
che non tutto stava andando come previsto. Gli ordini di Arador erano
sempre più incerti e vaghi, mentre nella sua voce compariva
una nota
di disperazione.
L'accerchiamento che avevano sperato di
realizzare sin dall'inizio non era riuscito, forse per problemi dal
lato opposto del campo di battaglia, e adesso i Dùnedain
subivano
gli attacchi degli orchi da ogni lato.
Elrohir era stanco. Ad
ogni minuto che passava i suoi riflessi erano più lenti e la
spada
sembrava più pesante.
Sapeva che presto anche il contingente di
Elladan sarebbe stato circondato, ma non c'era nulla che potesse
fare. Arador lo sapeva, e sapeva anche che non era in condizione di
inviare rinforzi, considerando che i suoi uomini riuscivano a
malapena a mantenere le loro posizioni.
Elrohir aveva appena
ucciso un orco, uno dei tantissimi trafitti dalla sua lama, quando un
movimento improvviso alla sua sinistra lo colse di sorpresa. Uno dei
Mannari che giacevano al suolo, erroneamente scambiato per morto, si
rialzò e si avventò su Elrohir con le fauci
aperte.
L'elfo
indietreggiò per darsi il tempo di reagire e, un attimo
prima che la
sua spada trapassasse il fianco del Lupo, questi addentò la
sua mano
sinistra. Elrohir udì il rumore della propria pelle che si
lacerava
prima ancora di avvertire il dolore. Riuscì a ritrarre la
mano
sanguinante solo quando l'essere cadde morto.
L'elfo si fermò,
ansimante e in preda al dolore.
Sono fortunato ad averla ancora, la
mano, pensò.
I rumori della battaglia si fecero più vicini:
una nuova ondata di orchi era in arrivo ed Elrohir non poteva
fermarsi. Raccolse uno stendardo che giaceva abbandonato sul campo e
ne strappò un lembo con la spada. Entrambe le sue mani
tremavano,
mentre il sangue sgorgava copioso da tre ferite piccole ma profonde.
Elrohir utilizzò il tessuto per farne una fasciatura e
fermare la
fuoriuscita di sangue, cercando di ignorare il dolore che si faceva
sempre più intenso.
Ma non c'era tempo di riposare, né di
riflettere. Elrohir sollevò la spada, ancora più
pesante di quanto
non lo fosse stata pochi minuti prima, e tornò a
combattere.
Saeliel aveva assistito a tante morti, così tante
che a volte i volti di coloro che aveva perso si confondevano nella
sua mente. Aveva a lungo creduto di esserne abituata, di aver
assistito fino in fondo alla crudeltà della guerra. Ma la
visione di
Halben, suo amico d'infanzia e compagno d'armi, che moriva in maniera
così brutale sotto i colpi sleali di un orco, le aveva
provocato una
profonda sofferenza . Era come se una parte di lei, in qualche modo
ancora intoccata dal male, fosse stata macchiata dagli stessi schizzi
di sangue che avevano bagnato la spada di quell'orco.
Aveva urlato
il nome di Halben, perfettamente consapevole che nessuno l'avrebbe
udita. Il suo secondo impulso era stato di cercare Elladan con lo
sguardo, in un disperato tentativo di ricevere conforto dalla sua
presenza. Saeliel colse la tristezza nei suoi occhi, mista a
determinazione, e fu quest'ultima a preoccuparla.
Elladan sussurrò
qualcosa ad un uomo che combatteva al suo fianco e, inaspettatamente,
lasciò la sua posizione di comandante. Scattò in
avanti, verso lo
schieramento nemico.
Saeliel trattenne il fiato mentre l'elfo si
faceva strada tra gli orchi e i Mannari, avanzando sul campo di
battaglia come se nulla potesse fermarlo. Delle frecce furono
scagliate nella sua direzione, ma i suoi movimenti erano troppo
rapidi per permettere agli arcieri nemici di mirare con
precisione.
La determinazione di Elladan vacillò solo per un
istante, quando sembrò che qualcosa l'avesse colpito. L'elfo
guardò
la propria mano sinistra, come se aspettasse di vederla sanguinare.
Ma l'incertezza durò solo pochi istanti, e l'elfo
continuò ad
avanzare. Infine, il suo scopo fu chiaro: intendeva affrontare il
capo degli orchi.
Saeliel su costretta ad assistere,
impotente, mentre colui che amava sfidava la morte. Ad ogni istante
che passava, l'elfa temeva che ad Elladan sarebbe toccato lo stesso
destino di Halben.
Ma presto anche lei si rese conto
che c'era un elemento fondamentale che distingueva Elladan da Halben:
gli orchi lo conoscevano. La leggenda dei Principi di Imladris aveva
dato ai due gemelli la fama di spietati cacciatori di orchi, e quando
Elladan estrasse il pugnale e la scritta "Arod"
scintillò al sole, molti di loro fuggirono in preda al
terrore. Il
capo, invece, restò ad aspettarlo a testa alta
Quando Elladan
arrivò di fronte a lui ansimava per la fatica, ma non
sembrava meno
determinato di prima. I due si studiarono a distanza per qualche
secondo, poi l'orco colpì per primo.
Elladan era incredibilmente
veloce, ma Saeliel l'aveva visto combattere altre volte nel campo di
addestramento e sapeva che in quel momento c'era qualcosa che lo
rallentava.
Desiderò che Elrohir fosse lì. Lui avrebbe potuto
aiutarlo, mentre lei non poteva fare altro che guardare, mentre gli
elfi al suo comando tentavano di avanzare tra le file nemiche.
Il
duello proseguì per un tempo che parve lunghissimo. L'orco
era un
combattente esperto; inoltre sapeva chi si trovava davanti e voleva a
tutti costi essere lui ad ucciderlo.
Saeliel notò che i Dùnedain
erano riusciti ad avanzare di appena qualche passo; sembrava che
stessero recuperando terreno, anche se molto lentamente. Potrebbe
essere sufficiente per avere gli orchi a tiro?,
sperò
ardentemente Saeliel.
Elladan era circondato da orchi che, pur non
osando disobbedire all'ordine di non avvicinarsi, erano pronti ad
intervenire alla prima occasione. Gli arcieri elfici non erano
abbastanza vicini da averli a tiro, ma i Dùnedain erano sul
punto di
esserlo.
Saeliel cercò il più possibile di non distogliere
l'attenzione dal pericolo nelle immediate vicinanze, mentre seguiva
Elladan con lo sguardo. L'elfo riusciva abilmente a schivare i colpi
dell'avversario, ma raramente riusciva ad attaccare a sua volta.
L'orco era rimasto in disparte per la maggior parte del tempo durante
la battaglia e non risentiva della stanchezza, al contrario di
Elladan, che aveva combattuto tra le prime file sin dall'inizio. I
colpi dell'orco diventarono più veloci e impetuosi, fino a
quando
non trovarono un punto debole nella difesa di Elladan. La lama
riuscì
a penetrare nell'armatura dell'elfo, all'altezza della spalla
sinistra. Elladan perse l'equilibrio per qualche istante e fu
costretto ad indietreggiare.
Saeliel strinse la presa sull'elsa
della propria spada, maledicendo se stessa per non essere lì
ad
aiutarlo. Ma Elladan aveva già visto combattere quell'orco
prima di
allora ed aveva capito una cosa di lui: amava indugiare sul nemico
ferito. Voleva prendersi tutto il tempo necessario, voleva il suo
momento di gloria.
Elladan abbassò la spada e, per due
lunghissimi, terribili secondi, Saeliel temette che l'orco l'avrebbe
ucciso. Ma, proprio mentre questi incombeva sull'elfo, pronto ad
assaporare la sua vittoria, Elladan si spostò dalla sua
traiettoria
e, con un gesto fulmineo, conficcò la sua spada tra gli
occhi
dell'orco.
Saeliel sorrise. Era un gesto inconsueto, del tutto
inadeguato all'atmosfera di un campo di battaglia, così come
il
senso di felicità che l'elfa provava mentre Elladan veniva
verso di
lei.
Dopo la morte del loro capo, gli orchi non si erano scagliati
contro Elladan, come Saeliel aveva previsto, ma avevano iniziato a
scontrarsi tra di loro per chi dovesse prendere il comando. I
Dùnedain avevano approfittato del momento di scompiglio per
sfondare
definitivamente le difese degli orchi ed aiutare Elladan a
liberarsi.
L'elfo lasciò i suoi uomini mentre recuperavano
terreno e raggiunse Saeliel di corsa.
Nel frattempo anche gli
altri elfi erano riusciti ad avanzare e si stavano ricongiungendo con
i Dùnedain.
Saeliel resistette all'impulso di abbracciare Elladan
non appena questi si avvicinò. La placca dell'armatura che
proteggeva la sua spalla era stata lacerata dalla spada dell'orco ed
era ora bagnata dal sangue. Tuttavia, non sembrava una ferita grave
ed Elladan non sembrava esserne troppo provato.
<< Ho temuto
per la tua vita, fino all'ultimo momento >>, disse
Saeliel.
Elladan la guardò negli occhi, mentre diceva,
<<
Un giorno mi dicesti che fa parte delle usanze del tuo popolo
accompagnare una dichiarazione d'amore con una prova di coraggio.
Questo è per te >>.
Detto questo, le porse un pugnale. Era
sporco di sangue e terra, ma Saeliel non ebbe difficoltà a
riconoscerlo: apparteneva ad Halben. Elladan doveva averlo trovato
accanto al suo corpo.
Ha fatto tutto questo per me, per
vendicare la morte di Halben al mio posto,
realizzò
Saeliel.
C'erano tante cosa che avrebbe voluto dire. Avrebbe
voluto essere arrabbiata con lui per aver rischiato la vita in
maniera così sconsiderata e, allo stesso tempo, avrebbe
voluto
ringraziarlo per aver fatto ciò che nessun altro aveva mai
fatto per
lei. Prese il pugnale, indugiando un istante di troppo sulla mano di
Elladan, senza sapere quali fossero le parole più adatte da
dire.
Presto qualcosa interruppe il loro silenzioso scambio di
sguardi. Saeliel vide un lampo di luce agli angoli della sua visuale
e volse gli occhi al cielo.
Un oggetto incandescente volò
attraverso il campo di battaglia, per poi conficcarsi nel terreno,
poco lontano dal punto in cui gli Elfi Silvani combattevano. Era una
freccia infuocata.
<< Questa è follia! >>,
esclamò
Saeliel, << Quando il fuoco divamperà
ucciderà
indistintamente, orchi, uomini ed elfi >>.
<< È il
loro ultimo gesto disperato in previsione della sconfitta
>>,
disse Elladan.
Una piccola fiamma stava già nascendo lì dove la
freccia si era posata e, allo stesso tempo, altre frecce venivano
lanciate in direzioni diverse. Saeliel seguì con lo sguardo
la loro
traiettoria per individuare coloro che le stavano scagliando. Erano
tre orchi, muniti di arco e di una fiaccola accesa. Il terreno sul
quale si trovavano era ricoperto di vegetazione secca e di corpi
senza vita, l'ambiente più adatto per la propagazione di un
incendio.
<< Devo fermarli, o resteremo tutti intrappolati
tra le fiamme >>, disse Saeliel.
<< Andremo insieme, e
porteremo degli uomini con noi >>, rispose Elladan.
Saeliel
scosse la testa. Non poteva chiedere a qualcun altro di rischiare la
vita e non poteva permettere che Elladan, stanco e ferito, venisse
con lei.
<< Andrò da sola, così
potrò avvicinarmi non
vista ed ucciderli prima che facciano altri danni >>.
Elladan
era sul punto di ribattere, ma Saeliel non avrebbe cambiato idea in
nessun caso. << Non dire nulla >>, disse,
<< La mia
decisione è presa >>.
Elladan la vide allontanarsi,
armata solo di spada e della sua determinazione. Sapeva che non
poteva fermarla. Come gli era stato ricordato altre volte prima di
allora, Elladan non aveva nessun potere sulle sue scelte, poteva solo
accettarle.
Mentre tornava tra i suoi uomini, decimati ma
fiduciosi, un volto familiare emerse tra gli altri. Dareon aveva
combattuto con coraggio sin dall'inizio, obbedendo ciecamente agli
ordini e dimostrandosi un ottimo guerriero. Tuttavia, il suo sguardo
era stato spesso rivolto a Saeliel, talvolta con preoccupazione,
talvolta con orgoglio. La loro amicizia era diventata più
intensa
durante i giorni precedenti alla battaglia ed Elladan era stato
costretto ad accettarla, dopo essersi assicurato che il comportamento
di Dareon fosse sempre gentile e rispettoso. Il Dùnedain non
aveva
smesso di rapportarsi agli altri con arroganza, ma in presenza di
Saeliel era come se il suo intero essere subisse una radicale
trasformazione. Per questo motivo, quando Elladan lo vide abbandonare
il suo posto, per la prima volta dall'inizio della battaglia, sapeva
già quale sarebbe stata la sua richiesta.
<< Lascia che
vada con lei >>, disse Dareon. Nel suo sguardo non era
rimasto
nulla dell'ironia tagliente con cui si era spesso rivolto ad Elladan,
c'era solo una sincera speranza.
<< Saeliel desidera andare
da sola, così che possa più facilmente celarsi
agli occhi dei
nemici >>, rispose Elladan.
<< La proteggerei a costo
della mia vita >>, insistette Dareon.
<< Torna al tuo
posto >>.
<< Ti prego >>, implorò Dareon.
Solo
allora Elladan comprese appieno la natura dei suoi sentimenti per
Saeliel. Amore, pensò, È
questo che prova.
Poteva
accettare che Dareon fosse in amicizia con Saeliel, ma il solo
pensiero che una persona così detestabile fosse innamorata
di lei lo
riempiva di gelosia.
E fu proprio la gelosia a dettare le sue
ultime parole. << È un ordine. Non lo
ripeterò un'altra volta
>>.
La luce si affievoliva sempre di più, mentre il
sole iniziava la sua discesa nel cielo. In lontananza si levavano
nuvole di fumo grigio.
Fu allora che accadde.
Elrohir lo
avvertì come una lama nel cuore. Aveva appena teso l'arco e
stava
prendendo la mira, quando un dolore, acuto e penetrante,
offuscò i
suoi sensi. A lungo gli fu impossibile pensare ad altro che non fosse
pura agonia, incapace di muoversi mentre la battaglia infuriava
attorno a lui.
Poi una rivelazione lo riportò alla realtà: quel
dolore non gli apparteneva, ma proveniva da Elladan. E non era un
dolore fisico, era qualcosa di più intenso e forse
altrettanto
letale.
Ancora confuso, si voltò appena in tempo per vedere la
spada di un orco che si abbatteva su di lui. Elrohir non avrebbe
avuto il tempo né la forza di reagire, se un'altra lama non
si fosse
insinuata tra lui e l'orco. Era Arador, corso in suo aiuto come tante
volte l'elfo aveva fatto per lui.
Uccise due orchi e, dopo essersi
assicurato che non ne arrivassero altri, posò una mano sulla
spalla
di Elrohir. << Ho sbagliato ogni cosa >>,
disse, <<
Ho sottovalutato il mio nemico e molti dei miei uomini hanno pagato
con le loro vite >>.
Le parole di Arador suonavano distanti,
come se un rumore più forte le sovrastasse, ed Elrohir non
si fidava
abbastanza della propria voce per rispondere.
<< Va' da
Elladan>>, disse il Capitano.
Solo allora Elrohir riuscì a
concentrarsi davvero su di lui. << Avete bisogno di me
qui >>,
disse in un sussurro.
<< Tuo fratello ne ha più bisogno
>>.
Elrohir guardò ad est, dove l'incendio si stava
propagando a vista d'occhio.
<< Grazie >>,
disse.
Elrohir aveva paura. Il dolore diventava sempre più
forte quanto più si avvicinava ad Elladan. Il campo di
battaglia era
quasi vuoto nel tratto che separava la divisione dell'esercito nemico
in due parti. Elrohir lo attraversò di corsa, calpestando
stendardi
lacerati e pezzi di armature macchiate di sangue. Dei cavalli,
terrorizzati dalle fiamme e dal ruggito dei Mannari, erano fuggiti e
si rifugiavano in quel luogo desolato, al centro tra due battaglie in
atto. Elrohir iniziò ad intravedere, attraverso il fumo, i
Dùnedain
che combattevano al fianco degli elfi.
Gli orchi erano ormai in netta
minoranza, privati delle loro cavalcature e della loro guida, ed
indietreggiavano verso nord, l'unica via di fuga rimasta.
Elrohir avrebbe dovuto essere sollevato
da quella visione, ma non riusciva a pensare ad altro che non fosse
Elladan. Qualcosa di terribile era accaduto, qualcosa di
irreparabile.
I Dùnedain avevano perso la
maggior parte degli arcieri, pertanto alcuni elfi si erano uniti alle
loro file e stavano fornendo il loro aiuto. Allo stesso modo, alcuni
Uomini armati di lance proteggevano gli elfi in prima fila dagli
attacchi degli ultimi due Mannari rimasti.
Elrohir si avvicinò quanto bastava per
distinguere i loro volti e cercò quello di Elladan. La paura
cresceva ogni istante di più, e si trasformò in
terrore quando
Elrohir si rese conto che suo fratello non era tra loro.
<< Elladan! >>, chiamò
qualcuno.
Elrohir si voltò in direzione della
voce. Era stato un elfo a chiamarlo.
<< Non sono Elladan >>,
rispose Elrohir, ripetendo una delle frasi che aveva pronunciato
più
spesso in vita sua.
Raggiunse l'elfo, che si era fermato
leggermente in disparte dalla battaglia. Accanto a lui, qualcuno era
inginocchiato sul terreno, in preda ad una grande disperazione.
L'uomo sollevò lo sguardo all'udire la voce di Elrohir e lo
guardò
con occhi colmi di dolore, lo stesso tipo di dolore che affliggeva
lui stesso.
Era Dareon, e stava piangendo.
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Capitolo 18 *** Dolore ***
Buonasera a tutti.
Ritorno con un capitolo che è stato piuttosto deprimente da
scrivere, ma che purtroppo è necessario per gli sviluppi
futuri
della storia. Buona lettura :)
Elrohir ignorò
tutti gli avvertimenti. Se si fosse avvicinato al fronte nemico
avrebbe rischiato di essere colpito dalle frecce dei suoi stessi
alleati, che non potevano mirare con precisione a causa del fumo,
oltre che dagli ultimi orchi sopravvissuti. Le fiamme avevano
separato le due armate, che arrivavano allo scontro diretto solo in
alcuni punti.
Ma ad Elrohir non importava del pericolo. Doveva
trovare Elladan.
Era avvenuto tutto in un istante.
Elladan
rivide quella scena innumerevoli volte nella sua mente, come se non
si fosse mai conclusa, ma si ripetesse all'infinito.
Continuava a
rivivere quel momento, incapace di sopportare la realtà che
vedeva
con i suoi occhi, rifugiandosi in quell'attimo appena passato,
terribile, ma non straziante come il presente.
Saeliel aveva
ucciso abilmente due dei tre orchi e, mentre, affrontava il terzo,
aveva fatto un passo falso.
Ogni volta che ripensava a quel
momento, Elladan si stupiva di come l'errore di Saeliel fosse stato
banale: aveva messo un piede in fallo e la sua sicurezza aveva
vacillato per un attimo. All'orco era bastato e, rapido e spietato,
l'aveva colpita una volta sola, al cuore.
Elladan aveva
dimenticato ogni altra cosa e si era lanciato tra la coltre di fumo
per andare da lei. Aveva pregato tutti i Valar di trovarla viva,
così
da poter fare qualcosa per aiutarla. Ma nessuno aveva esaudito le sue
preghiere.
Elrohir lo vide come un'ombra sfocata tra il
fumo.
Le fiamme li circondavano e si espandevano lentamente. Ma
Elrohir sapeva che non sarebbe stato il fuoco ad ucciderlo,
bensì la
mancanza di aria respirabile.
Elladan era a pochi passi da
lui.
Elrohir lo chiamò, ma non ottenne risposta. Suo fratello non
diede segni di averlo sentito.
Elrohir si avvicinò, preoccupato e
spaventato come mai era stato in vita sua, e finalmente vide la fonte
dell'immenso dolore di Elladan.
Saeliel giaceva in una pozza di
sangue, circondata da altri cadaveri, di orchi, uomini ed elfi. Una
spada le aveva trafitto il petto, lacerando la sua armatura. L'orco
più vicino, probabilmente colui che aveva impugnato quella
spada,
era stato trafitto da una freccia elfica.
Elrohir trattenne le
lacrime e si costrinse a distogliere lo sguardo. Non poteva lasciarsi
sopraffare dalla disperazione, non in quel momento. La battaglia non
era lontana e l'incendio divampava sempre di più: non
potevano
restare lì.
<< El... dobbiamo andare >>, disse
Elrohir, tra un colpo di tosse e l'altro, ma non ottenne
risposta.
Elladan era in piedi a pochi passi dal corpo senza vita
di Saeliel, come se non osasse avvicinarsi oltre. I suoi occhi erano
umidi a causa del fumo, ma non stava piangendo. Era immobile, come
pietrificato. Elrohir individuò una ferita alla sua spalla
sinistra
che perdeva ancora sangue, ma a prima vista non sembrava grave.
<<
Appena saremo al sicuro estingueremo le fiamme prima che arrivino fin
qui. Ma dobbiamo andarcene subito, o moriremo anche noi
>>,
disse Elrohir.
Elladan lo ignorò ancora una volta. Fece un passo
in avanti, verso Saeliel.
Elrohir gli poggiò una mano sulla
spalla sana, nel tentativo di fermarlo, ma Elladan continuò
ad
avanzare. Fu allora che Elrohir capì che le parole non
sarebbero
servite a nulla. Circondò Elladan con le braccia e, attento
a non
fargli del male, tentò di allontanarlo dal pericolo. Elladan
si
oppose alla sua presa, senza mai distogliere lo sguardo da Saeliel,
con una forza che stupì Elrohir. Le ferite sul palmo della
sua mano
si riaprirono e ricominciarono a sanguinare, ma Elrohir se ne accorse
appena. Gli parve di trovarsi in una versione più violenta
dei
giochi di lotta che aveva spesso fatto da bambino, a Gran Burrone,
gli stessi per cui sua madre l'aveva rimproverato tante volte. Ma
quello non era un gioco, era la nuda realtà.
<< Elladan,
ascoltami! >>, esclamò Elrohir.
Solo allora Elladan si
voltò verso di lui e sembrò tornare alla
realtà. La sofferenza che
Elrohir sentiva come fosse propria era tutta concentrata negli occhi
di suo fratello, rendendo doloroso anche solo guardarlo.
Elrohir
allentò la stretta. << Dobbiamo andare
>>,
ripeté.
Elladan si guardò intorno per qualche istante, poi
annuì
debolmente.
Elrohir lo prese per mano per assicurarsi di non
perderlo ancora e lo guidò verso lo schieramento alleato.
Quando
tornarono nelle vicinanze della battaglia i Dùnedain erano
ormai in
netto vantaggio. Elrohir avvertì la mano di Elladan che
stringeva la
sua non appena riuscì ad intravedere gli ultimi orchi
rimasti.
Elrohir si affrettò ad allontanarsi dal campo di battaglia,
rendendo
chiaro che non intendeva combattere ancora. In quel momento, nessuno
dei due ne sarebbe stato in grado.
Elladan si lasciò condurre
lontano da tutto. Una parte di lui avrebbe voluto impugnare di nuovo
la spada ed irrompere tra le file nemiche, uccidendo quanti
più
orchi possibili prima di morire. Ma la disperazione sovrastava la
rabbia, sovrastava ogni cosa.
La realtà attorno a lui sembrava
sfuggente come il ricordo di un incubo dopo il risveglio. Ed era
ciò
che Elladan continuava a pregare: che fosse stato tutto un sogno, che
prima o poi si sarebbe svegliato.
Ma c'era qualcosa che lo teneva
ancorato alla realtà, che lo costringeva, quasi con
prepotenza, a
continuare a vivere: la presenza di Elrohir al suo fianco.
I due elfi si
allontanarono dal campo, quando il cielo era ormai illuminato
soltanto dalla luce della luna e il calore del fuoco era a stento
percepibile.
Elrohir assistette da lontano alla fine della
battaglia, troppo spaventato per lasciare Elladan da solo.
I
Dùnedain e gli elfi sconfissero gli ultimi orchi e si
diressero ad
ovest in aiuto del primo contingente. Da allora Elrohir li perse di
vista.
Trascorse l'ora successiva con Elladan, che evitò il suo
sguardo e non proferì parola. Elrohir mantenne a sua volta
il
silenzio. Sapeva che non avrebbe potuto confortare suo fratello con
le parole, né con le azioni, poteva soltanto proteggerlo ed
accogliere una parte del suo dolore.
Quando gli uomini
tornarono dalla battaglia, sui loro volti non c'era traccia di
trionfo. Arador ordinò che i feriti tornassero subito
all'accampamento per ricevere cure, mentre tutti gli altri sarebbero
rimasti ad estinguere l'incendio ed a recuperare i morti. Ad Elrohir
fu restituito il suo cavallo dopo che, durante la prima parte del
conflitto, l'aveva affidato ad un altro cavaliere rimasto a piedi.
Manadh era sporco e stanco, ma stava bene e si mostrò felice
di
rivedere il suo proprietario.
Dapprima Elladan non aveva avuto
intenzione di lasciare quel luogo, ma, dopo le insistenze di Elrohir
e l'esplicito ordine di Arador, accettò di tornare
all'accampamento.
Elrohir era più preoccupato ogni minuto che
passava. Il dolore di Elladan non era diminuito, poteva sentirlo,
continuo e penetrante, più intollerabile di qualsiasi ferita
fisica.
Ma nulla di tutto ciò sarebbe stato visibile ad un occhio
esterno,
dal momento che neanche una lacrima aveva bagnato il suo visto
durante tutto il tragitto.
Una volta giunti all'accampamento,
i sopravvissuti furono accolti con gioia e sollievo. Dopo aver
provveduto a togliersi l'armatura e lavarsi dal sangue e dalla
sporcizia della guerra, si recarono dai guaritori. Elrohir perse di
vista Elladan per qualche minuto mentre Maedir si occupava di lui. Il
ragazzo tornò da Elrohir visibilmente preoccupato appena
dopo aver
terminato di esaminare suo fratello.
<< Elladan starà bene
>>, disse, << Ho curato al meglio delle mie
possibilità
tutte le ferite visibili, ma sento che ce ne sono altre, più
profonde, che non spetta a me guarire >>.
<< Purtroppo
hai ragione >>, rispose Elrohir, << Oggi
Elladan ha
subito una grande perdita >>.
Maedir esitò nel parlare.
Aveva capito a chi Elrohir si riferiva, ma non osava dirlo ad alta
voce.
Infine, fu Elrohir a pronunciare quelle parole. <<
Saeliel è morta in battaglia >>, disse.
Seguirono alcuni
secondi di silenzio, in cui Maedir distolse lo sguardo per nascondere
le lacrime che bagnavano le sue guance.
<< Dov'è Elladan,
ora? >>, chiese Elrohir, non riuscendo ad individuarlo
nelle
immediate vicinanze.
<< È tornato nella sua tenda >>,
rispose Maedir, la voce ancora incerta.
Elrohir fece per
allontanarsi, ma il guaritore lo richiamò. <<
Anche tu sei
ferito >>, disse, alludendo alla sua mano sinistra.
<<
Non è nulla di grave >>, rispose Elrohir.
<< Sono
tagli molto profondi, anche se piccoli. Se non curati, si
infetteranno >>.
<< Allora ti prego di fare in fretta
>>.
Elrohir entrò nella tenda di Elladan con una punta
di timore. Suo fratello era appoggiato al bordo di un tavolo, curvo
come se portasse un enorme peso sulle spalle.
Elrohir si avvicinò.
<< El... >>, sussurrò.
Solo allora Elladan sollevò
lo sguardo e lo guardò, con occhi colmi di lacrime. Sul suo
viso
c'erano tutte le emozioni che aveva celato fino a quel momento. Le
sua gambe cedettero, ma Elrohir lo afferrò prima che potesse
cadere
e lo strinse in un abbraccio.
Elladan si aggrappò a lui, come se
si fosse trovato sull'orlo di un precipizio ed Elrohir fosse stato
l'ultimo appiglio rimasto e, finalmente, pianse.
Anche Elrohir si
lasciò sfuggire qualche lacrima, ma non di più:
adesso toccava a
lui essere forte per entrambi. Da lui Elladan avrebbe ottenuto
soltanto coraggio, non altro dolore.
Tenne stretto a sé suo
fratello, scosso dai singhiozzi e pervaso da una sofferenza
insostenibile per una persona sola.
Elrohir sentì il bisogno di
dire qualcosa, ma in quel momento nessuna parola sembrava adeguata.
Già in passato si era trovato in condizione di dover
confortare i
familiari di uomini che erano morti combattendo per lui. In quei casi
offriva loro frasi di circostanza, ma non per questo meno sentite.
Frasi come: "sono
vicino al vostro
dolore" o "il
suo sacrificio non sarà dimenticato".
Parole appropriate alla situazione, parole che non avrebbero davvero
alleviato il dolore di una perdita, ma avrebbero dato l'impressione a
chi soffriva di non essere solo.
Tuttavia quel momento era
diverso. Tra le sue braccia c'era Elladan, l'unica persona con la
quale non avrebbe dovuto aver bisogno di parole, ed era devastato.
Elrohir si sentiva impotente, del tutto impreparato ad affrontare una
situazione come quella. Decise di dire soltanto una cosa, che era la
sua unica certezza in quel momento. << Non sei solo
>>,
disse.
Durante la notte successiva alla battaglia, Elladan non
chiuse occhio. Nonostante fosse esausto dopo il lungo combattimento,
non osava addormentarsi per timore di ciò che avrebbe visto
in
sogno. Non voleva rivivere altre volte quella scena che era
già
impressa a fuoco nella sua mente. Voleva invece ricordare ogni
singolo momento trascorso insieme a Saeliel, a partire da quando
l'aveva conosciuta, a quando si erano baciati per la prima volta,
eliminando ogni evento a partire dall'inizio della battaglia. Ma il
senso di vuoto non faceva che aumentare. Quando
i miei ricordi di lei cesseranno di esistere, sarà davvero
morta,
pensò.
Elrohir aveva insistito per restare con lui quella notte,
ma Elladan l'aveva convinto a tornare nella sua tenda. Era
costantemente grato della presenza di Elrohir, che, in quel momento,
era l'unica cosa che lo teneva in vita, ma riusciva anche ad
avvertire il suo impellente bisogno di riposare e non voleva essere
la causa di un'altra notte insonne.
Una volta rimasto solo,
Elladan sentì il peso di tutto ciò che era
accaduto cadergli sulle
spalle. Si pentì di aver mandato via Elrohir. Da solo ogni
cosa era
più difficile.
Il giorno successivo si tennero le cerimonie
funebri in onore dei caduti, Dùnedain ed Elfi. Elrohir si
accertò
che i due eventi si tenessero in momenti diversi, in maniera da poter
assistere ad entrambi.
Ci furono elogi, canti, lacrime. Per la
prima volta Arador si dilungò in un discorso per i suoi
uomini, in
cui parlò di coraggio e sacrificio.
Allo stesso modo il Capitano
porse i suoi omaggi agli Elfi Silvani, dedicando loro dei versi da
lui composti in lingua elfica.
Elrohir fu sorpreso di notare che
anche Dareon aveva preso parte alla cerimonia. Dopo la battaglia era
come scomparso ed alcuni avevano iniziato a credere che fosse morto.
Invece era lì, in disparte, lo sguardo adombrato di
tristezza fisso
sul corpo di Saeliel.
L'immagine dell'elfa che Elrohir aveva in
mente dopo l'ultima volta che l'aveva vista era completamente diversa
da ciò che si trovò di fronte durante la
cerimonia. Non c'erano
tracce di sangue sui suoi vestiti, i suoi capelli del colore del
bronzo erano puliti ed incorniciavano perfettamente il suo viso
ricadendo in tutta la loro lunghezza.
Elladan s'inginocchiò a
pochi passi da lei.
Sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista e
sapeva anche che non era così che voleva ricordarla. La sua
vitalità, il suo orgoglio, la sua dolcezza, questo voleva
ricordare
di lei.
Elladan avvertì le presenze degli altri elfi dietro di
lui. Si
aspettano che io dica qualcosa,
pensò.
Tra tutte le cose che avrebbe potuto dire, le uniche
parole che sembravano adeguate provenivano da un antico canto, che
Elladan aveva udito tanti anni prima, in circostanze tristemente
simili.
<< Estel
lómenna sintuva
Ter mordor lantal' et lúmell', enyalie
Áva
quete: nalve metyales
Loss' hrestar yalir
Met omentuva ata
Ar
nauval ranconyassen er lorna.
Man cenil han
menelo hresta?
Manan i maiw' yalir?
Arta Ear Sil néca
orta
Ciryar símen marenna colien
Ilqu' ahyuva hyellenna
sil
Cal nenes, hisw' ciryar autuvar
Minna Númen >>.
Le prime parole
parvero perdersi nel vento, ma, con il verso successivo, altre voci
si unirono alla sua. Elladan intrise d'amore il suo canto, mentre le
voci degli elfi si levavano all'unisono, raccontando di bianchi
gabbiani e pallide lune.
Quella notte
Elladan cedette alla stanchezza e, finalmente, si addormentò.
Elrohir
si ritrovò a passeggiare nell'accampamento, immerso nei
propri
pensieri, intento ad approfittare degli ultimi giorni di luna piena
per godere della sua luce.
Presto notò un bagliore in lontananza,
poco lontano dal punto in cui di solito si trovava chi montava la
guardia. Si diresse verso la luce, attratto dalla prospettiva del
calore del fuoco. Riconobbe la sagoma dell'uomo seduto accanto al
falò prima ancora di distinguerne le fattezze. Era Daven.
<<
Elrohir >>, disse, alzando lo sguardo, <<
Non ho avuto
ancora modo di parlare con tuo fratello, sono addolorato per la
disgrazia che l'ha colpito >>.
Elrohir ricordò un momento
simile, avvenuto non molto tempo prima, in cui aveva incontrato Daven
appena dopo una battaglia. Ma allora Elrohir aveva mentito sulla sua
identità e Daven non si era accorto dell'inganno, mentre
adesso era
stato riconosciuto al primo sguardo. Qualcosa in sé era
cambiato,
qualcosa che l'aveva reso diverso da Elladan anche nell'aspetto
esteriore.
<< Elaborare il lutto richiederà tempo, ma ci
riusciremo >>, rispose Elrohir.
Daven annuì, come se la
risposta l'avesse scarsamente convinto. << Vieni vicino
al
fuoco >>, disse, invitando Elrohir a sedersi.
L'elfo
accettò. Raramente Daven si era dimostrato così
gentile nei suoi
confronti. Prima
mi vedeva per come
apparivo,
pensò, come
un giovane con pochi inverni alle spalle. Adesso, per la prima volta,
mi ha visto per come sono: qualcuno che ha vissuto tanto, forse
troppo tempo.
<< La guerra
porta sempre via qualcosa a chi vi partecipa, anche e soprattutto ai
vincitori >>, disse Daven, volgendo lo sguardo alle
fiamme.
<<
Nessuno di noi è un vincitore >>, disse
Elrohir.
Seguì un
lungo silenzio, interrotto solo dal crepitio del fuoco.
Il cielo
era coperto di nuvole, che impedivano di osservare le stelle ed
oscuravano a tratti anche la luna. Presto avrebbe piovuto.
<< Oggi ho
visto Dareon. Anche lui ha perso qualcuno che gli era caro, forse
dovresti... >>, iniziò Elrohir.
<< Dubito fortemente
che mio figlio sia in grado di provare affetto nei confronti di
qualcuno >>, lo interruppe bruscamente Daven.
<<
Perché? >>, chiese infine Elrohir,
<< Cosa può aver
fatto per meritare l'odio del suo stesso padre? >>.
<< Se desideri
saperlo te lo racconterò. Ma, ti avverto, non è
una bella storia...
>>, rispose Daven.
Note finali:
- Nonostante a volte Tolkien accenni
a delle sepolture, avevo ancora qualche dubbio su quali fossero le
usanze funebri degli elfi, quindi ho preferito sorvolare sulla
questione.
-La canzone che canta Elladan è la
stessa che era stata dedicata a Celebrìan nel capitolo 8.
P.s. Sono consapevole di avervi
lasciati con il fantomatico "cliffhanger", pertanto
cercherò di postare il prossimo capitolo il prima possibile,
di
sicuro prima dell'uscita del terzo film de Lo Hobbit.
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Capitolo 19 *** I due fratelli ***
Eccomi, a soli due
giorni dall'uscita dell'ultimo film ambientato nella Terra di Mezzo.
Ditemi che non sono l'unica che prova già un po' di
nostalgia...
Tornando a noi, in
questo capitolo verrà finalmente svelata la storia di
Dareon, spero
che sia all'altezza delle vostre aspettative.
Buona lettura!
<< Dicono che i
tratti del carattere si tramandino di padre in figlio al pari dei
tratti del viso o del colore dei capelli. Io non voglio crederci,
perché significherebbe essere condannato a diventare come
mio padre.
Non ti parlerò a lungo di lui, ti dirò soltanto
che era
intransigente e violento, e che era reputato un uomo senza onore.
Quando gli dissi che ero intenzionato a sposare una contadina,
rispose che se l'avessi fatto non avrei più potuto portare
il suo
nome. Senza esitazione decisi di sposare colei che amavo, Edith, e da
allora iniziai a presentarmi come "figlio di nessuno". Lei
era una donna di rara bellezza, dolce e fiera come una guerriera.
Avevamo a lungo desiderato avere dei figli, ma il destino ce li
concesse solo anni dopo. Dareon nacque in un caldo giorno d'estate.
Durante i suoi primi anni sembrava che nulla potesse scalfire la
nostra felicità, ma ben presto ci rendemmo conto che nostro
figlio
aveva una doppia natura. Mentiva con sorprendente facilità,
era
violento con i suoi coetanei e non rispettava la nostra
autorità.
Con il passare degli anni la situazione non migliorò. Dareon
era
forte, e non solo fisicamente; riusciva a manipolare gli altri per
usarli a suo vantaggio. L'unica persona per cui provava rispetto e,
forse, affetto era sua madre. Edith riusciva a capirlo e lo amava
incondizionatamente a prescindere da cosa facesse. Io ero sempre
più
frustrato: avevo creduto di essere un padre migliore di come lo era
stato il mio, ma stavo iniziando a dubitarne.
Quando mia moglie
restò incinta per la seconda volta, la mia speranza era che
avere un
fratello o una sorella avrebbe temperato l'indole di Dareon, che
allora aveva sedici anni. Ma, ancora una volta, il destino non ci fu
favorevole >>.
Daven si fermò. Il riflesso delle fiamme
brillava nei suoi occhi, rivolti al passato. Elrohir aveva ascoltato
avidamente, dimenticando ogni pensiero che fino a poco prima l'aveva
afflitto, completamente coinvolto nella storia.
<< Qualcosa
nel parto non andò come previsto. Nel villaggio in cui
vivevamo
c'erano pochi guaritori, e dissero tutti la stessa cosa: che il
bambino stava nascendo troppo presto ed era probabile che né
lui né
la madre sarebbero sopravvissuti. Edith li supplicò di fare
il
possibile per salvare il bambino ad ogni costo. Stava soffrendo
dolori inimmaginabili e non c'era nulla che io potessi fare per lei.
Dareon era disperato: non poteva accettare l'idea che qualcosa
accadesse a sua madre. Andò a cercare aiuto in un villaggio
vicino,
in cui si diceva che fosse di passaggio un elfo esperto nelle arti
curative. Disse che non sarebbe tornato fin quando non fosse riuscito
a trovare qualcuno in grado di salvare Edith. Io restai con lei,
mentre attendevamo la nascita del bambino, pregando e sperando che le
previsioni dei guaritori non si avverassero. Presto Dareon
tornò
portando l'aiuto promesso. L'elfo veniva da Gran Burrone ed era in
viaggio nelle nostre terre. Accettò di occuparsi di Edith
rifiutando
ogni ricompensa che gli avevamo offerto. Disse che il bambino non era
pronto per nascere, così come Edith non era pronta per
partorirlo,
ma stava avvenendo tutto ugualmente. L'elfo restò al suo
fianco per
un giorno intero, curandola con erbe di cui non conoscevo l'esistenza
e parole in una lingua che non comprendevo. Gli altri guaritori
osservarono sbalorditi alla nascita del bambino il giorno dopo. Era
un maschio, così piccolo che quando lo tenni in braccio per
la prima
volta ebbi paura di fargli del male. Dareon non degnò suo
fratello
neanche di uno sguardo. Era concentrato solo su sua madre, esausta
dopo il lungo parto.
L'elfo era visibilmente addolorato mentre ci
disse che difficilmente sarebbero sopravvissuti entrambi, madre e
figlio. Ancora una volta Edith lo pregò di salvare il
bambino e
lasciarla al suo destino. Fino a pochi attimi prima io avrei voluto
urlare, “Salvate lei, è lei che merita di
vivere”, ma non
appena presi in braccio il neonato persi il coraggio di oppormi ad
Edith. L'elfo restò con noi per i quindici giorni
successivi,
occupandosi personalmente del bambino insieme ad una levatrice e
dando precise istruzioni ai guaritori che assistevano Edith. Mia
moglie si era ammalata di febbre e non accennava a migliorare. Con
grande dolore decidemmo di tenere il neonato lontano da lei, per
salvaguardare la sua salute ancora troppo fragile >>.
Daven
fece una pausa e, dalle lacrime agli angoli dei suoi occhi, Elrohir
dedusse quali sarebbero state le sue prossime parole.
<<
Edith morì nel sonno, uccisa dalla febbre. Il bambino,
invece,
sopravvisse. Decisi di chiamarlo Gelion, un nome gioioso, nella
speranza che la sua vita non fosse triste come le circostanze della
sua nascita. L'elfo, Teliadir era il suo nome, riprese il suo viaggio
solo dopo essersi assicurato che il suo aiuto non fosse più
necessario. Io lo ringraziai innumerevoli volte e mi offrii di
ripagarlo in qualsiasi modo, ma egli rifiutò ancora una
volta. Mi
disse che non sentiva di meritare una ricompensa per essere riuscito
a salvare solo una delle persone che aveva promesso di aiutare.
Inoltre, appena prima di partire, mi mise in guardia su Dareon. Disse
che aveva visto la malvagità nel suo cuore, come una fiamma
che fino
a quel momento non aveva avuto nulla che la alimentasse, e che adesso
era destinata a crescere sempre di più, incrementata
dall'odio.
Dapprima non compresi appieno le parole di Teliadir, ma non
trascorsero molti anni prima che riuscissi a vedere con i miei occhi
l'odio che albergava nell'animo di Dareon >>.
Elrohir fu
sorpreso di riconoscere nell'elfo saggio ed esperto di cui Daven
aveva parlato l'amico giovane ed immaturo con cui lui ed Elladan
erano cresciuti ad Imladris.
<< Conosco Teliadir, anche se è
ormai trascorso molto tempo dall'ultima volta che l'ho visto. Sei
stato fortunato ad incontrarlo >>, disse Elrohir.
<<
Ne sono consapevole >>, rispose Daven.
Elrohir non poté
fare a meno di pensare a quanto tempo aveva trascorso lontano da
casa. Era molto più di quanto avesse immaginato quando aveva
deciso
di partire. Era tempo di tornare, lo sentiva. Tornò ad
ascoltare la
storia, che sembrava stesse per giungere alla sua parte peggiore.
<<
Anche Gelion non aveva un carattere facile da gestire >>,
continuò Daven, << Era riservato e silenzioso.
Non riuscivo
mai a capire cosa pensasse o cosa provasse, perché era
sempre chiuso
in se stesso. Sin dal giorno in cui era nato, Dareon l'aveva trattato
con ostilità e disprezzo, talvolta sfociando anche nella
violenza.
Anche da adulto, Gelion non è mai stato forte quanto Dareon
e spesso
toccava a me frappormi tra di loro. Gelion restava un enigma
irrisolvibile. Raramente esprimeva i suoi sentimenti a parole, e in
quei casi scoprivo che non conoscevo mio figlio bene come avevo
creduto. C'era tanta rabbia in lui e, soprattutto, tanto senso di
colpa. Dareon l'aveva, in maniera del tutto irragionevole, ritenuto
responsabile della morte della madre. Capii che dovevo intervenire al
più presto, per evitare che la situazione peggiorasse
ulteriormente.
Per questo decisi di unirmi nuovamente ai Dùnedain, con cui,
dalla
morte di Edith, avevo soltanto avuto dei contatti sporadici. Da quel
momento in poi i miei figli sarebbero vissuti separati, ma avrebbero
combattuto insieme. Con il passare del tempo il loro rapporto non
migliorò, ma accadde qualcos'altro che rianimò le
mie speranze.
Gelion conobbe Maedir, che all'epoca aveva appena undici anni, ed
instaurarono una forte amicizia. Maedir aveva appena perso i genitori
a causa di un male incurabile e viveva con sua sorella maggiore, che
faceva il possibile per occuparsi di tutti i suoi bisogni. Il ragazzo
era molto simile a Gelion, aveva simili problemi a rapportarsi con
gli altri, e presto svilupparono una grande affinità. Per la
prima
volta, vidi Gelion confidarsi con qualcuno, lo vidi conversare con
Maedir più di quanto non avesse mai parlato con me fino a
quel
momento. Entrambi beneficiarono di quell'amicizia ed io non potevo
che esserne felice >>.
Daven si fermò bruscamente e rimase
in silenzio così a lungo che Elrohir si chiese se avesse
intenzione
di continuare. Il vento si alzò e spinse delle foglie secche
nel
fuoco, provocando un sibilo simile al verso di un serpente.
<<
Cosa accadde dopo? >>, chiese Elrohir, cercando di non
sembrare
impaziente.
Daven gli rivolse uno sguardo indecifrabile, poi
continuò la sua storia.
<< Sono trascorsi dieci anni da
quel giorno e i miei ricordi di esso sono sfocati, come se fosse
tutto accaduto in un'altra vita. Dareon e Gelion litigarono di nuovo,
ma quella volta fu diversa dalle altre. Entrambi avevano alle spalle
anni di conflitti irrisolti, di odio malcelato, di sentimenti
repressi. Io non ero presente in quel momento, pertanto non so
esattamente cosa accadde, ma so che Gelion rinfacciò a
Dareon ogni
torto che gli aveva arrecato. Le sue parole furono taglienti come
spade, erano tutte le parole che non aveva pronunciato negli anni
precedenti, tutte le volte che avrebbe potuto difendersi e non
l'aveva fatto. Per la prima volta non si nascose nel silenzio, ma
alzò la voce e si oppose. Dareon non la prese bene; quelle
parole lo
spaventarono, gli fecero intravedere chi era davvero, provocando
ancora di più qualcosa che era già dentro di lui,
ma non si era mai
manifestata. Dareon era più forte di Gelion, lo era sempre
stato ed
entrambi lo sapevano >>.
Daven parlò lentamente, come se
avesse difficoltà ad articolare le parole. <<
Per quanto
ripensi continuamente a quel giorno, non riesco a ricordare dove mi
trovavo quando Maedir venne da me, in lacrime, dicendo che c'era un
assoluto bisogno del mio intervento. Aveva soltanto undici anni ed
aveva assistito a qualcosa che avrebbe sconvolto anche un adulto,
qualcosa che non poteva comprendere. Giunsi sul luogo di corsa, ma
era troppo tardi. Dareon aveva ucciso Gelion a mani nude
>>.
Daven si asciugò con rabbia le lacrime che cadevano copiose
suo
malgrado.
Elrohir non riusciva a capire. Il solo pensiero di
perdere Elladan o Arwen era di per sé terribile, ma l'idea
di fare
loro del male, quella era del tutto inconcepibile. Non riusciva ad
immaginare come fosse possibile compiere un atto così
efferato ed
essere ancora in grado di vivere con sé stesso.
<< So che
hai vissuto per innumerevoli vite mortali e che noi umani dobbiamo
sembrare come bambini ai tuoi occhi, ma nonostante ciò ci
sono
ancora cose di cui non hai esperienza, né comprensione. Non
cercare
di capire il gesto di Dareon, non ci riusciresti >>.
Elrohir
fu costretto a concordare con Daven. Era la sua natura elfica che gli
rendeva così estraneo il pensiero di uccidere un suo simile.
Forse
sono più elfo che umano dopotutto,
pensò.
Daven continuò a
raccontare, ma Elrohir non era più impaziente di ascoltare.
Nel
breve periodo di tempo in cui aveva conosciuto Dareon, mai aveva
immaginato che il suo passato potesse essere così oscuro. E,
allo
stesso modo, ogni volta che aveva visto la tristezza negli occhi di
Daven, mai avrebbe creduto che derivasse da un dolore così
intenso.
<< Dareon si mostrò
stupito di ciò che aveva fatto, come se il responsabile
dell'accaduto fosse stato un altro. Mi spiegò con estrema
calma che
non aveva inteso ucciderlo, che aveva agito spinto da un attacco
d'ira, ma nessuna di queste parole sembrava un pretesto per
giustificarsi. Mai una volta vidi nel suo sguardo il senso di colpa,
mai una volta mi chiese perdono. Una parte di me avrebbe voluto
vendicare Gelion, ma un'altra parte, più crudele, decise di
lasciare
in vita Dareon, per ricordare a me stesso il mio fallimento, come
padre e come essere umano. Dissi Dareon che non gli era più
concesso
di portare il mio nome, aveva ormai perso quel diritto. L'allora
Capitano dei Dùnedain lo condannò all'esilio,
sperando così di
aiutarmi a dimenticare, come se fosse possibile per un padre
dimenticare un figlio morto prematuramente, ucciso dal suo stesso
fratello maggiore. Il ricordo di Gelion mi tormenta ogni giorno e
ogni notte. Il fato ha fatto sì che l'assassino di mio
figlio, la
persona che dovrei odiare di più al mondo, sia l'unica che
non potrò
mai odiare, a cui non potrei mai fare del male.
Quando Dareon è tornato,
dopo dieci anni trascorsi in esilio, sapevo che non avrebbe cercato
di ottenere il mio perdono. Arador era deciso a condannarlo a morte,
una punizione più che giusta per il suo crimine e per aver
infranto
la precedente sentenza, ma io gliel'ho impedito. Io stesso non so
perché mi ostino a proteggere qualcuno che mi ha portato via
così
tanto >>.
Elrohir strinse i pugni,
avvertendo una fitta di dolore laddove le sue unghie si conficcarono
nelle ferite non ancora rimarginate. Ricordò l'espressione
di puro
terrore che aveva visto sul volto di Maedir quando Dareon aveva
afferrato il suo cane. Il ragazzo aveva visto quelle stesse mani
uccidere il suo migliore amico senza alcuna pietà, ed aveva
temuto
più di ogni altra cosa di rivivere quel momento.
Elrohir guardò Daven,
immerso nei suoi pensieri, mentre le fiamme proiettavano ombre sul
suo viso e riflessi di luce nei suoi occhi cupi. Si sentì
giovane ed
ingenuo, per aver creduto nell'illusione che il male risiedesse
unicamente in creature deplorevoli come orchi e Mannari, e non
nell'animo umano.
Non disse nulla a Daven.
Non c'era nulla che valesse la pena dire.
<< Puoi accettare un
consiglio da me? >>, disse Daven, cambiando
improvvisamente
argomento. Elrohir annuì.
<< Tornate a casa,
tu ed Elladan. Tornate da vostro padre e da vostra sorella e lasciate
che siano loro a lenire il vostro dolore >>.
Lo farò, pensò
Elrohir, Non appena Elladan sarà
guarito, torneremo a Gran
Burrone.
I due
giorni successivi furono dominati da una pioggia fitta ed incessante.
Per quanto Elrohir cercasse il più possibile di stare vicino
ad
Elladan, questi era sfuggente e silenzioso. Le sue ferite stavano
guarendo bene, ma il suo dolore era diminuito ben poco. Spesso si
allontanava per ore, dicendo che aveva bisogno di camminare e
rifiutando con gentilezza le offerte di Elrohir di accompagnarlo.
Quella notte Elladan si era allontanato per più tempo del
solito e,
nonostante Elrohir si fosse prefissato di aspettarlo nella sua tenda,
presto scivolò in un sogno inquieto accompagnato dal suono
delle
gocce di pioggia e dal fischio del vento.
Elladan
si strinse nel mantello, insufficiente a proteggerlo dal freddo e
dalla pioggia, ed accelerò il passo. Aveva scoperto che
passeggiare
era un ottimo modo per non pensare a Saeliel. Nel buio, al gelo, i
suoi sensi erano all'erta per percepire eventuali pericoli, il dolore
alla spalla si intensificava, come un fastidioso rumore di fondo che
oscurava gli altri pensieri. Erano quelli i momenti in cui Elladan
riusciva quasi a trovare pace.
Di
solito durante le sue passeggiate notturne evitava istintivamente i
luoghi che aveva frequentato con Saeliel, ma quella volta fu diverso.
Prima ancora di deciderlo razionalmente, si ritrovò ai piedi
della
collina sulla quale era solito guardare il tramonto con lei. Nulla
era cambiato e, allo stesso tempo, tutto era diverso.
C'era
un albero, alto e sottile, che proiettava una lunga ombra sul
terreno. Un lampo illuminò il cielo per un istante,
rivelando una
figura fino a quel momento celata dall'ombra.
<<
Iniziavo a pensare che mi stessi evitando >>, disse. Le
sue
parole furono accompagnate dal tuono che seguiva il lampo.
<<
Ti sbagli >>, rispose Elladan, << Sono
pronto ad
affrontare le conseguenze delle mie azioni >>.
Note
dell'autrice:
-Per
creare il personaggio di Dareon mi sono ispirata ad alcune ricerche
che avevo fatto sulla psicopatia. Tratti tipici dello psicopatico
sono: propensione a mentire, totale distacco dalle emozioni (su
questo mi sono presa delle libertà), incapacità
di distinguere tra
bene e male, mancanza di rimorso, tendenza all'aggressività
e
all'uso della violenza. Ovviamente Daven non saprà mai che
il “male”
che albergava nel cuore del figlio era in realtà un disturbo
mentale
noto come psicopatia, ma ho pensato fosse importante che voi lettori
lo sapeste.
-Il
personaggio di Edith ha questo nome in onore di Edith Bratt, moglie
di J.R.R. Tolkien, nonché colei che ispirò il
personaggio dell'elfa
Lùthien.
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Capitolo 20 *** Il Serpente strangolatore ***
Avevo intenzione di
postare questo capitolo il giorno di Natale, ma per problemi tecnici
non mi è stato possibile. Anyway, buon Natale e felice anno
nuovo a
tutti!
Elladan si tolse il
mantello, ormai inutile perché intriso d'acqua, e lo
lasciò cadere
ai suoi piedi. Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare
Dareon, l'aveva saputo sin da quando aveva assistito alla morte di
Saeliel. Ma, forse inconsciamente, aveva ritardato quel momento per
giorni.
Dareon non era più nascosto dall'ombra, era in piedi
davanti ad Elladan, incurante della pioggia che gli bagnava il viso.
<< Io l'avrei protetta, avrei dato la mia vita per lei.
Tu lo
sapevi, ma eri accecato dalla gelosia. Non potevi accettare che
qualcun altro la amasse come la amavi tu, piuttosto avresti preferito
perderla >>. La voce di Dareon era calma, ma era evidente
che
per ogni parola ce n'erano molte altre non dette.
Elladan lo
guardò negli occhi, mentre rispondeva, << Non
avrei
sacrificato la sua vita per nulla al mondo. Ho fatto ciò che
ritenevo giusto e tu hai fatto altrettanto dal momento in cui hai
rispettato il mio ordine >>.
Dareon fece un passo avanti,
Elladan lo imitò.
<< Cosa credevi di fare, quindi?
Dimostrare a noi di avere il controllo della situazione? Oppure
dimostrare a lei di essere alla sua altezza? >>.
<<
Non ho mai avuto bisogno di dimostrare qualcosa, lei
mi aveva
già scelto >>.
All'udire quelle ultime parole, un lampo
d'ira brillò negli occhi di Dareon. Elladan si trattenne
dall'indietreggiare.
<< Lei è morta, e la colpa
è
tua >>. Con quelle parole ogni parvenza di calma
scomparve dal
tono di voce di Dareon.
<< È quello che ripeti a te stesso
nella speranza di crederci >>, rispose Elladan. Si stava
rendendo conto poco a poco di non provare soltanto dolore per quello
che era accaduto, ma anche rabbia, e le accuse di Dareon non facevano
che alimentarla.
<< Ti sarai pentito, immagino, di avermi
salvato la vita quel giorno >>, continuò
Elladan, << Se
non l'avessi fatto, io non sarei stato lì a dare ordini. Non
ti sei
chiesto se, in realtà, la colpa di ciò che
è successo a Saeliel
non fosse proprio tua? >>.
Elladan si pentì di quello che
aveva detto un attimo dopo, ma, prima ancora che potesse dire altro,
Dareon scattò in avanti, ormai posseduto dall'ira.
Elladan non fu
abbastanza veloce da evitarlo e, prima ancora di rendersene conto, si
ritrovò a terra. La ferita alla spalla si riaprì
con un'esplosione
di dolore, mentre Dareon torreggiava su di lui.
L'istinto di
Elladan, temprato da molte battaglie, si preparò a reagire.
Ma c'era
un pensiero che risuonava nella sua mente. "È stata
colpa
tua". All'inizio aveva finto di ignorare le parole di
Dareon, ma, suo malgrado, queste si erano fatte strada dentro di lui.
Se non fosse stato per me Saeliel sarebbe ancora viva,
disse
una voce nella sua mente. E fu quella voce ad impedirgli di reagire
mentre le mani di Dareon si stringevano attorno al suo collo. Sono
più forte di lui, pensò, Potrei
difendermi.
Ma non lo
fece. Da un lato, ogni cellula del suo corpo implorava di ricevere
aria, dall'altro, c'era la prospettiva del nulla, della fine di ogni
sentimento e ogni dolore. Quest'ultima era senza dubbio più
invitante.
La pioggia continuava a cadere, trasformando l'uomo che
lo stava uccidendo in un'entità senza volto. La sua vista si
oscurava, la realtà si fondeva con i suoi pensieri, il
freddo
diventava a stento percepibile. Ma all'improvviso un'immagine
comparve nella sua mente. Elrohir. Come aveva potuto fare questo ad
Elrohir?
La mia vita non è soltanto mia,
pensò, E, se
morirò oggi, lui morirà con me.
In un istante si rese conto
di cosa stava permettendo che accadesse, si rese conto di quanto la
disperazione avesse offuscato il suo giudizio. Tentò di
opporsi, ma
i suoi arti sembravano rifiutarsi di rispondere alla sua
volontà.
Ogni suo movimento era lento, troppo debole in confronto alla fredda
determinazione di Dareon. Le sue mani rafforzarono la presa, rendendo
vano qualsiasi tentativo di resistenza.
Lentamente, Elladan fu
avvolto dall'oscurità.
Il precipizio si avvicinava sempre di
più mentre Elrohir correva lungo il sottile corso d'acqua.
Sebbene
temesse più di ogni altra cosa quello che sapeva sarebbe
accaduto,
non poteva fuggire. Doveva correre verso il pericolo, perché
sapeva
che, in piedi a pochi passi dal bordo, c'era Elladan. Il flusso
d'acqua, che scorreva rapido nonostante il terreno non fosse in
pendenza, lo guidò nella direzione giusta. Elrohir corse
senza
sosta, fino a giungere lì dove era già stato in
passato. Il
serpente si avvicinò ad Elladan, che, invece di ignorarlo
come era
accaduto le altre volte, lo guardò con occhi tristi mentre
strisciava lungo la sua schiena ed arrivava ad avvolgersi al suo
collo.
Elrohir non tentò di avvertirlo. Elladan era ben
consapevole della presenza del serpente, che stringeva sempre di
più
le sue spire.
Elrohir non sapeva come agire. Aveva rivisto quella
scena tante volte, ma solo adesso si rendeva conto che non poteva
aiutare Elladan, semplicemente perché egli non voleva essere
aiutato. Elrohir non riusciva a respirare. Sentiva la stretta del
serpente come se si trovasse attorno alla sua gola. Tentò di
chiamare il nome di Elladan, ma la mancanza d'aria gli impediva di
parlare. Per pochi istanti, i gemelli furono una sola persona, un
solo corpo che agognava l'ossigeno, una sola mente che si confrontava
con la prospettiva della morte.
Elrohir si svegliò bruscamente.
Laddove ci sarebbe dovuto essere il sollievo di essere tornato alla
realtà, c'era solo panico. Elrohir si portò una
mano alla gola. Gli
mancava ancora il respiro, come se il sogno non fosse mai finito.
D'istinto afferrò il pugnale che teneva accanto al letto, ma
non
c'era nessuno contro cui brandirlo, nessuna presenza umana o
animale.
Ad un tratto Elrohir realizzò. Non era lui che stava
soffocando, era Elladan.
Strinse l'elsa del pugnale tra le dita e
corse all'esterno, dove imperversava la pioggia battente.
Ricordò un
momento simile che aveva vissuto da bambino quando aveva percepito il
pericolo in cui si trovava Elladan e l'aveva raggiunto senza sapere
dove si trovasse. Elrohir si lasciò guidare dallo stesso
istinto che
tanti anni prima gli aveva indicato la strada. Attraversò
l'accampamento, e proprio mentre iniziava a dubitare di trovarsi nel
luogo giusto, li vide.
Elladan era a terra, Dareon era su di lui.
Elrohir annullò la distanza che li separava in poche falcate
e
spinse Dareon di lato con tutta la sua forza. Il pugnale
diventò
improvvisamente più pesante quando Elrohir lo
sollevò davanti a sé.
In un movimento fulmineo pugnalò la mano di Dareon, che era
sul
punto di rialzarsi. La lama affondò nella carne dell'uomo,
fermandosi all'osso. Dareon urlò di dolore, mentre il sangue
sgorgava copioso sotto le gocce di pioggia. Ma Elrohir non si
curò
di lui. S'inginocchiò accanto ad Elladan, mentre un cieco
terrore
s'impossessava di lui. Suo fratello era immobile, non dava segni di
vita. Elrohir gli prese una mano, gelida e bagnata dalla pioggia.
Elladan non stava respirando.
Elrond camminò tra gli alti
alberi di Lothlórien.
Cupo era il cielo al di sopra delle foglie
dorate, ma nessun'ombra poteva oscurare la pallida luce che sempre
illuminava quei luoghi. Ai piedi degli alberi fiori di ogni colore
ondeggiavano sui loro esili steli, ignari dei rigori dell'inverno che
imperversava all'esterno. Le fiamme nelle lanterne
argentate tremolavano ad ogni goccia di pioggia che riusciva ad
insinuarsi al loro interno, ma non accennavano a spegnersi.
Ogni
cosa nella terra dei Galadhrim, dalle limpide acque dei suoi ruscelli
ai dolci canti che si levavano accompagnando il fruscio del vento,
emanava pace e tranquillità.
Eppure, nessuna luce riusciva a
tenere a bada l'ombra che andava insinuandosi nei pensieri del
Signore di Imladris.
Elrond sapeva che, a miglia di distanza,
qualcosa di orribile era accaduto. Riusciva a sentirlo, nonostante la
serenità che pervadeva ogni angolo di Lòrien
tendesse a mitigare il
suo umore.
A lungo aveva conversato con Galadriel, la Dama di
Lòrien, chiedendole consiglio su come agire. L'elfa non
aveva
tentato di rassicurarlo, aveva anzi implicitamente confermato i suoi
timori. "Un grande male grava sui tuoi figli, ma sappi che
non è in tuo potere fermarlo, né con le parole,
né con la forza
della tua spada. Devi lasciare che affrontino da soli il loro nemico
più infido, quello che non possono vedere o toccare con
mano.
Trascorri con Arwen il tempo che ti resta, poiché lunga
potrebbe
essere la vostra prossima separazione", furono le ultime
parole di Galadriel.
Elrond percorse l'ampio talan che
costituiva l'alloggio personale di Arwen. L'elfa sollevò lo
sguardo
dal libro che stava leggendo e sorrise. Nonostante tutte le
preoccupazioni che affollavano la sua mente, Elrond non poté
fare a
meno di ricambiare il sorriso. Arwen era diversa dall'ultima volta in
cui l'aveva vista, appena dopo la partenza di Celebrìan. Era
più
serena, più felice, il suo stesso viso era cambiato,
tornando quasi
ad essere quello di una volta.
<< Ti ho cercato stamattina.
Ieri avevi detto che saremmo andati a Cerin Amroth >>,
disse.
<< Perdonami, Arwen. Sono stato impegnato a conferire
con Galadriel >>, rispose Elrond. Come ho
potuto dimenticare
una promessa fatta a mia figlia?, pensò.
Arwen posò il libro
e si alzò, percependo il disagio di suo padre.
<< Non importa,
ci andremo domani >>, disse.
<< Ma per stasera
potresti mostrarmi questa parte del bosco, non ci sono mai stato da
quando sono attivato >>, propose Elrond. Le sue parole
erano
vere solo parzialmente: in passato era già stato in quei
luoghi e li
conosceva ormai bene. Sospettava che Arwen lo sapesse, ma lei non
disse nulla. Lo accompagnò sui sentieri tra gli alberi,
raccontando
dei momenti sereni che vi aveva trascorso.
<< Quanto tempo
resterai? >>, chiese ad un tratto.
<< Fino alla
prossima luna >>, rispose Elrond.
Arwen abbassò lo sguardo.
<< Speravo che restassi più a lungo
>>.
<< Non
c'è nulla che desidererei di più, ma questi sono
tempi difficili e,
per quanto mi fidi ciecamente di lui, non posso affidare a Glorfindel
il comando di Gran Burrone per troppo tempo. È una
responsabilità
che spetta a me >>.
Arwen annuì. << Lo capisco >>,
disse. << Sei preoccupato per Elladan ed Elrohir
>>.
Quella
frase suonò più come una constatazione che come
una domanda. Elrond
esitò nel rispondere. Non voleva trasmettere ad Arwen le sue
inquietudini proprio mentre sembrava che avesse superato il dolore
causato dalla partenza della madre, ma allo stesso tempo non voleva
mentirle.
<< E' vero, temo per loro, ma ho anche fiducia.
Finché saranno insieme, potranno affrontare qualsiasi cosa
>>,
disse.
Solo allora Elrond si
accorse che stavano percorrendo una via familiare. I rami di due
alberi adiacenti s'intrecciavano a mezz'aria, creando una sorta di
ponte, al di sotto del quale la luce delle lanterne non riusciva a
penetrare.
<< Ricordi questo
luogo? >>, chiese Arwen, poggiando una mano sulla
corteccia
dell'albero.
Elrond sorrise. Non
riusciva a ricordare l'ultima volta in cui aveva sorriso.
<< Certo che lo
ricordo. E sono stupito che lo ricordi anche tu >>,
rispose.
Tanti anni prima, durante
la quarta estate dalla nascita di Arwen, la piccola elfa aveva preso
parte al suo primo viaggio. Elrond e Celebrìan l'avevano
portata con
sé a Lòrien per incontrare il Signore e la Dama
dei Boschi.
Arwen era instancabile e
curiosa. Faceva domande su qualsiasi cosa vedesse ed era impaziente
di imparare il più possibile.
Una sera, proprio mentre
il sole iniziava la sua discesa nel cielo e gli elfi accendevano le
prime lanterne, Elrond aveva perso di vista Arwen. Nonostante le
molte raccomandazioni che aveva avuto di non allontanarsi da sola,
Arwen sembrava scomparsa.
Elrond l'aveva cercata per
un tempo che era parso lunghissimo, fino a giungere nel luogo dove si
trovavano in quel momento. L'elfa si era arrampicata sui rami
intrecciati e stava tentando di raggiungere uno dei due alberi.
Elrond era stato così spaventato che aveva rischiato lui
stesso di
inciampare nel groviglio di rami mentre andava verso di lei. Arwen
aveva riso a lungo al vedere quella scena e presto anche Elrond si
era unito a lei.
Adesso i rami intrecciati
apparivano enormemente più piccoli e gli alberi
più bassi, tanto
che Arwen avrebbe potuto sedersi nel punto esatto in cui da bambina
si era trovata sospesa nel vuoto.
<< Non ho mai avuto
il coraggio di raccontare a tua madre quello che accadde quel giorno
>>, confessò Elrond.
<< Credo che
l'avesse capito ugualmente >>, ribatté Arwen.
<< Lo credo anch'io.
Lei riusciva a capire anche quello che non dicevo >>.
Per qualche ragione a lui
ignota, persino il ricordo di Celebrìan, che di solito era
velato di
tristezza, a Lòrien appariva quasi gioioso. Elrond
guardò Arwen e
capì perché amasse tanto quei luoghi.
Capì perché sarebbe stato
inutile chiederle di tornare con lui a Gran Burrone.
Il suo posto è qui, ed
è giusto che sia così, pensò.
<<
Domani andremo a Cerin Amroth, il giorno dopo sceglieremo un'altra
meta ed entro la prossima luna recupereremo tutto il tempo perduto.
Sei d'accordo? >>.
Arwen
finse di pensarci su. << E' una proposta accettabile
>>,
rispose
Le
foglie di Lòrien trattenevano la pioggia che infuriava
all'esterno,
lasciando passare solo qualche goccia sottile. Nel reame dei boschi e
nei cuori dei suoi abitanti regnava una pace assoluta.
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Capitolo 21 *** Il Presagio si avvera ***
Salve a tutti. Ecco il primo capitolo del 2015, dopo appena
sei
giorni dal precedente e in onore del compleanno di J.R.R. Tolkien. Il
prossimo verrà postato il 14 gennaio, il giorno del primo
anniversario di questa fanfiction :)
Oscurità.
Era
solo.
Solo e al buio.
L'assenza di tutto era così confortante
che Elladan fu tentato di lasciarsi avvolgere completamente da
essa.
Ma c'era qualcos'altro, in lontananza, che lo teneva legato
alla realtà.
Un urlo. Una voce familiare. Un tocco gentile sul
viso. Il freddo e il bagnato. Il dolore.
Tutte quelle sensazioni
significavano vita. Più si concentrava
su di esse, più
diventavano reali. Significava che il suo corpo era lì,
reale e
vivo, e non sommerso dall'oscurità.
La voce, prima bassa e
indistinta, diventò appena udibile. <<
Valar...vi prego... Non
questo >>. Era Elrohir, si trovava lì. Ma
perché stava
piangendo?
L'urlo s'intensificò, fondendosi con il rumore di un
tuono. Elladan riconobbe anche quella seconda voce.
All'improvviso
tutte le sensazioni che prima erano parse lontane, accantonate in un
angolo della sua mente, tornarono con prepotenza, riempendo quel
vuoto che era stato tanto confortevole.
I suoi polmoni si
dilatarono dolorosamente, accogliendo tutta l'aria che riuscivano a
contenere. La sua gola bruciava, come se avesse inghiottito un
liquido bollente.
I suoni diventarono più nitidi, la voce di
Elrohir invocò il suo nome.
Elladan tentò di rispondere, ma
anche solo aprire gli occhi sembrava un'impresa impossibile. Si
concentrò sull'unica azione che riusciva a compiere:
respirare.
La
testa gli doleva a causa della prolungata mancanza d'aria e gli
rendeva difficile pensare con chiarezza. Lentamente gli
tornò alla
mente quello che era accaduto e la consapevolezza di essere stato
così vicino alla morte lo colpì con violenza.
Elladan aprì gli
occhi. La prima cosa che vide fu l'espressione di sollievo sul volto
di Elrohir che, nonostante tutto, gli fece venire voglia di
sorridere.
Elrohir ringraziò mentalmente qualunque entità
fosse stata responsabile del suo destino. Elladan era fin troppo
pallido e tremava violentemente, ma era vivo.
Elrohir resistette
all'impulso di abbracciarlo e si mantenne ad una distanza tale da
permettergli di respirare più agevolmente.
Se non fosse stato
per quel sogno, se fossi arrivato un istante dopo...,
pensò
Elrohir.
Elladan tentò di parlare, ma riuscì soltanto a
tossire,
mentre Elrohir lo aiutava a mettersi seduto.
Attorno a loro si
iniziava a radunare una piccola folla, attirata dalle urla di Dareon.
Elrohir tenne gli altri a distanza con un gesto.
Sapeva che
Elladan voleva andare via da lì al più presto, ma
sapeva anche che
in quel momento non era in grado di riuscirci da solo. Elrohir si
chinò su di lui e, dopo aver ricevuto una silenziosa
conferma, lo
sollevò senza sforzo.
<< Che nessuno lo tocchi finché non
sarò tornato >>, disse, rivolto a coloro che
erano in procinto
di soccorrere Dareon. Gli uomini obbedirono, intimiditi
dall'autorità
che emanava la sua voce.
Elrohir portò Elladan nella sua tenda,
lo aiutò a togliersi gli abiti bagnati ed a metterne di
nuovi.
Vedendo che l'elfo non aveva smesso di tremare, gli poggiò
una
coperta sulle spalle.
<< Torno tra poco >>, disse
Elrohir. Aveva un'ultima cosa da fare.
Ripercorse i suoi passi e
raggiunse il punto in cui la folla stava diventando sempre
più
densa. Dareon era esattamente dove l'aveva lasciato e, nel vederlo,
tentò di indietreggiare.
Elrohir s'inginocchiò per trovarsi alla
sua altezza ed afferrò l'elsa del pugnale. Dareon si morse
il labbro
fino a farlo sanguinare pur di restare in silenzio.
<<
L'unica ragione per cui sei ancora vivo è il profondo
rispetto che
provo nei confronti di tuo padre. Ma, se ti avvicinerai ancora a me o
a mio fratello, non avrò pietà >>,
disse e, senza preavviso,
estrasse la lama.
Dareon urlò ancora ed il sangue schizzò
abbondante. Fu solo allora che Elrohir vide il punto esatto in cui il
suo pugnale aveva colpito. Non la mano, ma il polso.
La pioggia
lavò il metallo in pochi secondi, lasciandolo quasi del
tutto
pulito. Ma il sangue che fuoriusciva dalla ferita non accennava a
fermarsi.
Elrohir fece un passo indietro, permettendo agli altri
di avvicinarsi per aiutare Dareon.
Quando tornò nella tenda
di Elladan, questi sollevò brevemente lo sguardo.
<< Grazie
>>, disse, la voce ancora roca.
Elrohir si sedette accanto a
lui. << Non dovresti ringraziarmi >>,
rispose.
Un
tempo non ci sarebbe stato bisogno di dirlo, pensò.
<<
Ma potresti spiegarmi >>, proseguì Elrohir,
<< Perché
hai lasciato che lui avesse la meglio >>.
Elladan evitò il
suo sguardo. Appariva meno infreddolito, ma i lividi attorno al suo
collo iniziavano a diventare visibili. Vederli riempiva Elrohir di
rabbia.
<< Cosa vuoi che risponda? Che desideravo la morte?
>>, disse Elladan.
Elrohir ripensò alle parole che Elladan
gli aveva rivolto, anni prima, durante il viaggio di ritorno dal
Passo Cornorosso, "Se mai dovessimo morire, lo faremo
insieme. Non pensare neanche di lasciarmi solo".
Stentava
a credere che la persona che si trovava di fronte fosse la stessa di
allora. Non sapeva come comportarsi con lui, non riusciva a
capirlo.
Si alzò. << Vado a chiamare un guaritore,
temo che la tua ferita si sia riaperta >>, disse.
Fece per
uscire, ma qualcosa lo fermò sulla soglia. <<
Erano tre... >>,
aveva detto Elladan, in un sussurro appena udibile.
Elrohir tornò
indietro. << Di cosa parli? >>, chiese.
Elladan parò
lentamente. << Erano tre gli orchi che Saeliel stava
affrontando. Ne aveva uccisi due, il terzo, invece... >>,
si
fermò, come se non osasse completare la frase.
<< Sarebbe
bastato l'aiuto di una persona sola. Se non avessi impedito a Dareon
di andare da lei... >>.
Elrohir lo interruppe. << Non
è stata colpa tua >>.
Ma Elladan era oltre ogni conforto.
Le parole di Elrohir non avevano alcun effetto su di lui.
<<
El, guardami >>, disse.
Elladan sollevò lo sguardo.
<<
Io sapevo che Dareon aveva già ucciso in passato. Non te
l'ho detto
perché non volevo aggiungere altro dolore a quello che
già ti
affligge, ma adesso rimpiango di non averti messo in guardia. Se
l'avessi fatto, forse nulla di tutto ciò sarebbe accaduto
>>.
Elladan scosse la testa. << Non puoi incolpare te
stesso. Anche se avessi saputo di cosa era capace Dareon, non avrei
agito diversamente >>, ribatté.
<< Allora neanche tu
puoi incolparti per la morte di Saeliel. Il principio è lo
stesso
>>, disse Elrohir.
Elladan stava per ribattere, ma Elrohir
lo anticipò. << Continueremo questa
conversazione domani. Per
adesso, cerca di riposare >>.
Erano trascorsi due giorni
dal temporale ed il cielo era tornato ad essere terso.
Elladan non
aveva mai smesso di ripensare a quanto era stato vicino alla morte. È
stato un comportamento da debole, desiderare la fine di tutto.
Si era pentito di averlo anche solo pensato.
Ma c'era
qualcos'altro che aveva capito quella notte: che Elrohir non poteva
comprenderlo. Il legame che li univa non era più sufficiente
a
trasmettersi sentimenti così complessi, né tanto
meno a
condividerli, quando era chiaro che non appartenevano ad
entrambi.
Elladan non sapeva come avrebbe gestito quella nuova
rivelazione, ma sapeva che l'avrebbe fatto da solo.
Elrohir
strappò in due il penultimo foglio che gli era rimasto.
Voleva
scrivere a suo padre per chiedere consiglio, ma non riusciva a
trovare le parole giuste per descrivere la situazione in cui si
trovava.
<< Elrohir, posso parlarti un attimo? >>.
L'elfo
si era a stento accorto della presenza di Maedir alle sue
spalle.
Ripose l'ultimo foglio, ancora in bianco, e rivolse al
Dùnedain la sua attenzione.
<< Certo, di cosa si tratta?
>>.
Maedir attese qualche istante prima di rispondere.
Elrohir lo conosceva abbastanza da capire quando era insicuro.
<<
Dareon... è morto >>, disse Maedir.
Elrohir fece il
possibile per non tradire nessuna emozione, ma, nel momento stesso in
cui ebbe udito la parola "morto", il suo cuore
accelerò i battiti.
<< Com'è accaduto? >>, chiese.
<< Parla liberamente >>, aggiunse, vedendo
che Maedir
esitava.
<< La ferita che tu gli hai provocato ha reciso una
vena. La perdita di sangue l'ha ucciso >>,
spiegò.
Elrohir
stava per dire che uccidere non era il suo intento, ma all'ultimo
momento non riuscì a pronunciare quelle parole, che
sarebbero
suonate come una menzogna.
Neanche io so qual era il mio
intento, pensò.
<< Ti ho visto tante volte brandire il
pugnale e la tua assoluta precisione non ha mai cessato di
sorprendermi. Mi riuscirebbe difficile credere che sia stato un
incidente >>, disse Maedir.
Elrohir lo guardò negli occhi e
pose la stessa domanda che stava facendo a se stesso, <<
Tu mi
riterresti capace di uccidere un essere umano? >>.
Maedir spostò il peso da
una gamba all'altra, visibilmente a disagio.
<< Dieci anni
fa Dareon è stato responsabile della morte di qualcuno che
mi era
caro e, quando ho visto Elladan, quando ho visto i segni delle mani
ancora impressi sulla sua pelle, ho rivisto ogni attimo di quella
tragedia >>, rispose, << Quando un essere
umano si
macchia di crimini così atroci, non merita più di
essere
considerato tale >>.
<< Dimostri di essere più saggio
di quanto la tua età possa far credere >>,
commentò
Elrohir.
Maedir abbassò lo sguardo, come era solito fare quando
gli veniva rivolto un elogio. << È merito
della mia lunga
frequentazione con gli Eldar >>, disse.
<< Daven è
già stato informato? >>, chiese Elrohir.
Maedir annuì. <<
Ha detto di voler restare da solo >>.
<< Dovrò andare
a parlargli >>, disse Elrohir, più a
sé stesso che a
Maedir.
Il ragazzo si congedò, ma appena prima di andarsene
disse, << Io ho una sorella. Per lei avrei fatto
esattamente le
stesse cose che tu hai fatto per Elladan >>.
Una volta
rimasto solo, Elrohir iniziò a scrivere.
"Caro ada,
È
con il cuore colmo di tristezza che ti scrivo questa lettera. Tanto
è
accaduto in questi ultimi giorni, più di quanto io stesso
possa
concepire.
Elladan ha perso colei che amava in battaglia e da
allora il suo dolore è stato per me un compagno costante.
Per quanto
tenti di aiutarlo, per quanto tenti di alleggerire il suo fardello,
non posso fare a meno di pensare a quanto la sua condizione sia
sempre più simile a quella di nostra madre. Due giorni fa mi
sono
confrontato con la mia peggiore paura, che stava per diventare
realtà
davanti ai miei occhi. Qualcuno ha tentato di uccidere Elladan e, se
non fosse stato per quel sogno che ho tanto odiato, non sarei
riuscito ad impedirglielo. Adesso capisco cosa rappresentava quel
serpente: era l'uomo che avrebbe cercato di strangolare mio fratello
ed allo stesso tempo era la mia paura di restare solo, qualcosa che
in passato mi rifiutavo persino di considerare razionalmente. Il
corso d'acqua rappresentava le circostanze nelle quali sarebbe
accaduto, in una notte di pioggia, mentre il precipizio... Ho
riflettuto a lungo per capire cosa significasse. Lo comprendo
soltanto ora che lo vedo davanti a me. Elladan ha scavato un enorme
baratro attorno a sé. Io posso guardarlo, posso parlargli se
riesco
ad alzare abbastanza la voce, ma mai sfiorarlo. Devo accontentarmi di
restare seduto sull'orlo del precipizio, perché non posso
oltrepassarlo. È questa la sensazione che provo
costantemente in
presenza di Elladan. Si sta allontanando ed io non sono in grado di
raggiungerlo.
Speravo che saremmo tornati a casa dopo la
battaglia, ma ogni volta che introduco l'argomento Elladan diventa
ancora più schivo e silenzioso. Non vuole tornare, ma non ha
il
cuore di dirmelo, sapendo che lo desidero.
Spero che il tuo
consiglio possa ancora una volta indicarmi qual è la via
più giusta
da percorrere.
Con affetto,
Elrohir"
|
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Capitolo 22 *** Spezzato ***
Buonasera, mellyn
nìn.
Oggi per me è un
giorno importante. Esattamente un anno fa pubblicavo il primo capitolo
di
questa fanfiction, partendo dalla semplice immagine di due bambini che
giocano
con delle spade di legno. Adesso sono cambiate un bel po’ di
cose, sia nella
realtà, sia nella storia, ma posso dire con certezza che
sono felice di essere
arrivata fino a questo punto (sorvolando sul fatto che ho pubblicato
soltanto
22 capitoli in un anno). Rimando a dopo i ringraziamenti, visto che
probabilmente siete qui per leggere il capitolo e non per sentirmi
blaterare.
Buona lettura!
Elrond
serbava in sé il ricordo dei giorni
trascorsi a Lórien come qualcosa di prezioso, come un luogo
in cui era solito
tornare attraverso la mente, per trovare rifugio nei momenti di
sconforto.
Quando
aprì la lettera, capì immediatamente che
c'era qualcosa che non andava: le parole erano state scritte da una
sola mano,
quella di Elrohir. Elrond conosceva bene la sua calligrafia, dal
momento che
era stato lui stesso ad insegnargli a scrivere. Lo stato d'animo di suo
figlio
traspariva da ogni pausa tra una parola e l'altra, da ogni piccola
sbavatura
dell'inchiostro, più chiaro di ciò che era
scritto tra le righe.
Quando
ripiegò la lettera, Elrond seppe tristemente
di aver avuto conferma ad ogni suo timore. Ma non ebbe tempo di pensare
o
agire, che qualcuno bussò alla sua porta.
<<
Avanti >>, disse Elrond.
<<
Hîr
vuin, la spedizione ricognitiva è pronta a
partire. Glorfindel mi manda a
chiederti quando vuoi che vadano >>.
<<
Al più presto. Riferisci che guiderò io
stesso la spedizione >>.
Elrohir
tese l'arco. Indirizzò la punta della
freccia dapprima verso il centro del bersaglio, poi la
spostò leggermente a
sinistra per controbilanciare la spinta del vento dall'ovest.
Rilasciò
la corda e la freccia sibilò nell'aria,
conficcandosi appena più in basso del punto a cui aveva
mirato. Avrei dovuto correggere la
traiettoria verso
l'alto per compensare la lontananza dal bersaglio,
pensò.
Il
campo di addestramento era scarsamente
frequentato in quel periodo: il ricordo della battaglia appena
trascorsa era
ancora troppo vicino perché gli uomini impugnassero di nuovo
le armi.
Elrohir,
d'altro canto, non aveva nessun
desiderio di tornare a combattere, era lì perché
tirare con l'arco lo aiutava a
svuotare la mente e a rilassarsi. Concentrarsi sulla traiettoria delle
frecce
gli impediva di pensare ad Elladan, che in quel momento era vicino a
lui e allo
stesso tempo lontano tante miglia, ed a Dareon, al suo sangue lavato
dalla
pioggia. Quel sangue è ancora sulle
mie
mani, anche se invisibile, si disse.
Elladan
era intento ad affilare la sua spada,
un'azione dettata più dall'abitudine che dall'effettivo
bisogno di usarla.
Pensava agli Elfi Silvani, che quella sera avrebbero lasciato
l'accampamento,
ed ai Dùnedain, che due giorni dopo sarebbero partiti per
l'Arthedain. Tra
tante incertezze, l'unica cosa che gli era chiara era che voleva
lasciare quel
luogo il prima possibile e, considerando che tutti erano in procinto di
partire, a lui toccava soltanto scegliere dove andare. Un tempo la
scelta
sarebbe stata facile: avrebbe seguito Elrohir, ma in quel momento era
tutto
infinitamente più difficile.
Non
voleva tornare a Gran Burrone, non prima di
aver fatto pace con se stesso. Il mio
dolore non deve pesare sulle spalle di Elrohir, né su quelle
di mio padre,
pensò.
La
sua mano fece un movimento falso e scivolò
sulla parte tagliente della spada. Elladan si lasciò
sfuggire un gemito quando
la lama aprì un piccolo taglio alla base del suo dito.
<<
El, stai bene? >>, disse Elrohir,
che aveva interrotto il suo tiro con l'arco e si era voltato verso di
lui.
<<
Sì, non preoccuparti >>, rispose
Elladan.
Quando
vide la crescente preoccupazione sul
volto di Elrohir, sollevò una mano in sostegno delle sue
parole.
Elladan
aveva ragione. Il taglio era appena
visibile ed aveva perso poche gocce di sangue, ma non era quello che
preoccupava Elrohir. Era il fatto che, quando suo fratello aveva
provato
dolore, lui non aveva sentito nulla. Era questo che lo terrorizzava, la
quasi
totale mancanza di empatia. Qualcosa tra
noi... si è spezzato, pensò.
Elrohir
scoccò un'ultima freccia, che ancora una
volta mancò il centro del bersaglio.
Elrond
spronò il suo cavallo al galoppo.
<<
Northo!
>>. Un attimo dopo, ne seguì un fragore di
zoccoli alle sue spalle. Erano
le migliori guardie di Imladris, amici e compagni d'armi, ed erano
pronti a
seguirlo ovunque.
Erano
anni che Elrond non provava quella
sensazione, spaventosa e soddisfacente allo stesso tempo, nel guidare
un'incursione contro gli orchi. Se non
posso aiutare i miei figli, allora aiuterò degli sconosciuti
liberando le loro
terre da questi mostri, pensò, mentre la sua spada
si abbatteva sul primo
orco.
Così
iniziò lo scontro.
<<
No
dirweg! >>, ordinò Elrond, vedendo
che gli orchi avevano smesso di
fuggire e adesso li affrontavano direttamente.
Ma
gli elfi erano già pronti. Rapidi e
silenziosi, gli arcieri protessero i loro compagni da lontano, rendendo
vani i
tentativi degli orchi di accerchiarli. Elrond combatté
dapprima dalla sicurezza
del suo cavallo, poi a terra, sul terreno bagnato di pioggia. Erano
trascorsi
anni dall'ultima volta in cui aveva brandito la sua spada contro una
minaccia
reale, ma ai suoi occhi sembrava passato non più di un
giorno. Il suo corpo
conosceva bene ogni movimento, il suo istinto dava rapidità
ai colpi anche
quando la mente non riusciva a stare al passo. Era come sfogliare un
vecchio
libro a lungo dimenticato e ricordarne poco a poco le parole.
Tuttavia,
se quelle circostanze gli risultavano
ormai familiari, Elrond si rese conto che i nemici che stava
affrontando erano
diversi dal solito. Ricordò le parole di Glorfindel, quando,
ferito e deluso al
termine di una spedizione infruttuosa, gli aveva raccontato di un nuovo
tipo di
orchi particolarmente pericolosi.
Immerso
nella tranquillità dei giardini di Gran
Burrone non potevo rendermi davvero conto di cosa stesse accadendo
all'esterno,
pensò.
Il
combattimento si protrasse fino al tramonto,
quando, alla fievole luce degli ultimi raggi di sole, l'ultimo orco
cadde
trafitto dalla spada di Elrond.
I
Dùnedain salutarono calorosamente gli Elfi
Silvani al momento della loro partenza. Durante la loro seppur breve
convivenza
avevano avuto modo di stringere amicizia e molti di loro si riproposero
di
rivedersi. Elladan guardò con una punta di divertimento lo
strano legame che si
era formato tra quelle persone così diverse. Sono
unioni che nascono in tempi di guerra, pensò,
mentre osservava
i loro timidi tentativi di scambiarsi dei doni. Infine gli elfi
s’incamminarono
verso nord e scomparvero alla vista.
Elladan
rimase solo con se stesso. C'era un
pensiero che lo accompagnava ovunque andasse e di cui non riusciva a
liberarsi.
Una scelta che, suo malgrado, doveva compiere, e doveva farlo quella
notte.
Elrohir,
perdonami.
Aveva
ricominciato a piovere, Elrohir poteva
udire il ticchettio delle gocce sottili sul tessuto della sua tenda.
Nonostante
fosse notte fonda, c'era qualcosa che lo teneva sveglio e vigile.
Un'intuizione, forse, oppure semplice istinto. Qualsiasi cosa fosse,
stava
mettendo Elrohir in guardia. Visti gli eventi degli ultimi giorni,
l'elfo aveva
imparato che non fidarsi dei propri istinti poteva essere pericoloso.
Indossò
il mantello ed uscì dalla tenda. L'accampamento era
silenzioso, le tende che
erano appartenute agli elfi erano state rimosse ed i
Dùnedain si stavano
preparando a fare lo stesso con le loro. Arador era impaziente di
partire per
riunirsi con i suoi familiari, in particolare con suo figlio Arathorn,
pertanto
aveva ordinato di abbandonare l’accampamento il prima
possibile.
Elrohir
si guardò attorno, circospetto. Restò a
lungo in ascolto, finché non distinse, tra i tenui rumori
della notte, qualcosa
di insolito. La
sua mente, sollecitata
dal triste senso di familiarità provocato da
quell’atmosfera già vissuta, creò
delle ipotesi, ma nulla avrebbe mai potuto prepararlo a quello che
stava per vedere.
Elladan
era al limitare dell'accampamento, intento
a sellare il suo cavallo; indossava abiti da viaggio ed aveva radunato
delle
magre provviste.
<<
Dove pensi di andare? >>, chiese
Elrohir, incredulo.
Elladan
sembrò altrettanto sorpreso nel vederlo.
Per un istante il rimorso fu ben visibile sul suo viso, ma subito dopo
scomparve, sostituito da una maschera indecifrabile.
<<
Non posso restare qui. Andrò a nord,
forse a Bosco Atro >>, disse.
Elrohir
fece un passo avanti. Era chiaro che
l'ultima parte di quella frase era stata omessa: "...da
solo".
<<
Quando me l'avresti detto? >>,
chiese.
<<
Appena prima di partire >>,
rispose Elladan, dopo un momento di esitazione.
Elrohir
sospettò che mentisse. Un tempo suo
fratello non sarebbe riuscito a nascondergli qualcosa, anche volendo,
ma in
quel momento Elrohir non era in grado di distinguere una menzogna dalla
verità.
<<
Sono giorni che ti propongo di tornare
a casa, pensavo che questo ti avrebbe aiutato >>, disse
Elrohir, tentando
di mantenere ferma la propria voce.
<<
Non posso tornare, non adesso >>.
<<
Credi che io preferirei restare qui, da
solo, senza neanche sapere dove ti trovi? >>.
Elladan
lo guardò negli occhi quando rispose,
<< Non puoi aiutarmi, Elrohir >>.
<<
Se c'è una cosa che ho capito negli
ultimi tempi è proprio questa, che non posso aiutarti
>>, replicò Elrohir,
con un tono di voce più alto del solito, << Ma
voglio ugualmente restarti
accanto >>.
Elladan
abbassò lo sguardo e restò in silenzio.
Elrohir
continuò a parlare. << Fuggire non
servirà a nulla, il tuo dolore ti seguirà ovunque
andrai >>.
<<
Proprio tu dici questo >>,
obiettò Elladan, << Tu che fuggisti da Gran
Burrone in cerca di vendetta,
abbandonando Thiliel, l'unica persona che forse era in grado di darti
conforto
>>.
Quelle
parole furono per Elrohir come uno
schiaffo improvviso e violento.
Elladan
parve non accorgersene. << Saresti
potuto restare per nostro padre, per Arwen... >>.
Ma
non ebbe modo di completare la frase. Prima
ancora di riflettere su quello che faceva, Elrohir si
avventò su di lui e lo
spinse contro il fianco del cavallo.
<<
Non ricordo particolari obiezioni da
parte tua in quell'occasione >>, ribatté a
denti stretti.
Elladan
non reagì a quell'improvviso sprazzo di
violenza. I due si guardarono per qualche istante, entrambi increduli
di essere
arrivati fino a quel punto.
Elrohir
indietreggiò, guardando le proprie mani
come se avessero agito senza il suo consenso. Cosa
ho fatto?, pensò.
Elladan
evitò il suo sguardo, montò a cavallo e
presto scomparve nell'oscurità.
Cosa
ho
fatto?,
si chiese Elladan. Aveva
approfittato del legame che lo univa ad Elrohir per sapere esattamente
quali
parole l’avrebbero ferito di più. L’elfo
avvertì lo stesso profondo senso di
colpa di chi ha profanato qualcosa di sacro.
Spinse
il cavallo al
galoppo senza neanche badare a dove si stava dirigendo, nel disperato
tentativo
di allontanarsi il più possibile
dall’accampamento. Quando fu costretto a
rallentare, sentì l’impulso di tornare indietro e
chiedere perdono.
Quello
che ho fatto va oltre il perdono, disse
una voce nella sua mente.
Decise
di andare avanti ,
verso nord. Sapeva che Elrohir non avrebbe tentato di seguirlo e quel
pensiero
lo riempì d’inquietudine.
Per
la prima volta nella
sua vita, Elladan era davvero solo.
Elrond
si assicurò che non ci fossero feriti
bisognosi di cure immediate, prima di ordinare il ritorno a Gran
Burrone.
<<
Posso mostrarti qualcosa prima di
andare? >>, chiese Glorfindel.
Elrond
acconsentì. Si lasciò condurre su
un'altura priva di alberi, dalla quale era possibile osservare la
vallata
sottostante.
Glorfindel
indicò un piccolo villaggio ai piedi
dei monti. Era un agglomerato di capanne costruite attorno a dei campi
di grano,
i cui abitanti non potevano essere più di due centinaia.
<<
Questo villaggio
non esisterebbe più se non fosse per noi >>,
disse Glorfindel.
<<
E nessuno di loro
ne è al corrente >>, osservò Elrond.
Ma
non importava. Il pensiero
di aver protetto quelle persone era sufficiente a farlo sentire
più sereno,
come non lo era stato da molto tempo.
<<
Ben fatto, mellon nìn
>>.
Traduzione delle
frasi in Sindarin:
Hîr
vuin: mio
signore
Northo: carica
No dirweg: prestate
attenzione
Note dell’autrice:
La vita reale si è
messa d’impegno per sabotare in tutti i modi la stesura di
questo capitolo. Ma
non potevo lasciare che accadesse, a costo
di arrivare all’esame di storia moderna e parlare delle
ripercussioni della
Guerra dell’Anello sull’economia di Arda. Un
po’ frettolosamente, lo devo
ammettere, sono riuscita a postare con puntualità.
Volevo ringraziare
tutti coloro che hanno letto e recensito questa storia, in particolare
le mie
due recensitrici (si dice così?) più fedeli,
tyelemmaiwe e melianar, che
hanno commentato ogni singolo capitolo
con pazienza, costanza e un pizzico di spirito critico. Vi ringrazio
profondamente per i vostri consigli e per i vostri incoraggiamenti.
Molti autori di
fanfiction esordiscono, spesso nel primo capitolo, dicendo che non
continueranno a scrivere a meno che non ricevano un numero tot. di
recensioni.
Io non sono una di loro, ma se mai avessi avuto dubbi sulla
continuazione di
questa storia, sarebbero bastati i vostri commenti a dissuadermi. In
sostanza,
un enorme grazie a tutti.
Colgo l’occasione
per invitare tutti i lettori “silenziosi” ad
esprimere le loro opinioni sulla
svolta che ha preso la trama. Avere i gemelli separati per la prima
volta mi
rende un po’ insicura e mi piacerebbe tanto sapere dei vostri
pensieri/suggerimenti/obiezioni/critiche ecc…
Non voglio che
questo sembri un discorso di ringraziamento agli Oscar, quindi mi
astengo dal
dire altro.
A presto,
Jadis
P.s. mi scuso
profondamente con coloro che avevano recensito il capitolo precedente
per non
aver risposto. Sappiate comunque che ho letto le vostre recensioni e le
ho
apprezzate molto :)
|
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Capitolo 23 *** Nei regni dei Dùnedain ***
Salve
a tutti. Vorrei innanzitutto scusarmi per il madornale ritardo,
dovuto a una combinazione di problemi tecnici (perdita di tutti i
dati nel pc), universitari e una brutta crisi da pagina bianca. Ma
adesso sono tornata a lavorare sulla ff con dedizione e farò
il
possibile per recuperare il tempo perso. Il prossimo capitolo
è già
a buon punto e spero di postarlo la settimana prossima.
Tanti
auguri di buona Pasqua a tutti e buona lettura!
L’Arthedain
era uno dei tre regni nati dalla scissione di Arnor, avvenuta con la
morte dell’Alto Re Earendur.
Nonostante
Elrohir conoscesse la storia di quei territori, prima di allora non
li aveva mai visitati di persona.
Il
viaggio fu lungo, ma non impervio. Per un lungo tratto a ridosso
delle colline Elrohir cavalcò al fianco di Arador, che gli
raccontò
la storia delle terre dei Dùnedain e della loro rovina.
<<
Il grande Arnor era diviso e, tra i tre regni, Arthedain era il
più
vulnerabile. Un enorme esercito proveniente dal tetro regno di Angmar
attaccò i territori del mio popolo e conquistò la
città di
Fornost. I Dùnedain non riuscirono a tenere testa ad una
tale
potenza e furono costretti a ripiegare, abbandonando il cuore stesso
del loro dominio. Con la morte dell’ultimo re, gli Uomini
dell’Ovest persero definitivamente l’Arthedain. In
seguito
accorsero in loro aiuto gli elfi di Lòrien e gli uomini di
Gondor,
il cui re Eärnur, figlio di Eärnil, sconfisse
l’esercito di
Angmar. Ancora oggi si compongono canzoni e poesie sulla battaglia di
Fornost; non esiste bambino, tra i Dùnedain, che non conosca
la
storia dell'incontro tra Eärnur e colui che si
rivelò essere il Re
Stregone di Angmar. La sua stessa presenza bastava a terrorizzare i
cavalli ed insinuare il dubbio nel cuore degli uomini. Ma quel giorno
molte vite furono risparmiate grazie all’intervento degli
elfi,
capitanati da Glorfindel, l’unico di cui il Re Stregone
avesse
timore. Il re dell’armata di Angmar fuggì ed
Eärnur fece per
inseguirlo, ma l'elfo glielo impedì. In seguito Glorfindel
predisse
che quell'immonda creatura non sarebbe caduta per mano di un uomo. Il
mio popolo non ha mai dimenticato le sue parole >>.
Durante
le loro conversazioni Elrohir scoprì di non aver mai
conosciuto
davvero Arador. Lì dove prima c'era un Capitano austero e
imparziale, adesso c'era un uomo nostalgico, preoccupato per il
futuro e impaziente di rivedere suo figlio.
Erano
tanti gli uomini che di lì a poco avrebbero rivisto i loro
familiari
e la loro aspettativa era quasi tangibile nell'aria. Più
loro si
avvicinano alle loro famiglie, più io mi allontano dalla
mia, pensò
Elrohir con una punta di amarezza.
Subito
dopo pensò a Daven, che cavalcava poco più
avanti, leggermente
curvo sulla sella.
<<
Non temere >>, disse Arador, intuendo i suoi pensieri,
<<
Non incolpa te di quello che è accaduto >>.
<<
Eppure non mi ha rivolto la parola da allora >>, rispose
Elrohir.
<<
E' soltanto il suo modo di affrontare il dolore. Sa che avresti fatto
qualsiasi cosa per difendere Elladan e non può biasimarti.
Ha
bisogno di tempo, e il minimo che possiamo fare per lui è
concederglielo >>, disse Arador.
Elrohir
non poté che acconsentire.
Il
paesaggio cambiò considerevolmente durante il viaggio. Il
terreno
non era più arido e spoglio, ma ricoperto d'erba sottile ed
alberi
piegati dal vento. Era come se l'aria stessa fosse diventata
più
respirabile, più predisposta alla vita. Persino il gelo
dell'inverno
sembrava essersi attenuato.
Infine
giunsero in vista della città.
Annùminas
era stata la capitale del regno di Arnor, fondata da Elendil, padre
di Isildur, poi andata in rovina e a lungo abbandonata. Quando
Elrohir iniziò ad intravedere i resti delle sue mura, gli
parve già
di avvertire l'energia emanata da quell'antico luogo. Le tracce
dell'epoca di splendore della civiltà dei
Dùnedain erano ancora
visibili, tra le fondamenta dei castelli e le alte torri in
lontananza.
In
molti vennero ad accoglierli ai confini della città.
Lì Elrohir
incontrò per la prima volta Arathorn, il figlio di Arador,
un
giovane energico, molto simile al padre nell'aspetto.
Dietro
di lui c'erano centinaia di mogli, figli e fratelli, ansiosi di
rivedere i loro cari. In principio Elrohir era ben deciso a restare
in disparte, ma presto Maedir attirò la sua attenzione. Il
ragazzo
era raggiante, riusciva a stento a contenere la propria gioia, mentre
il suo cane lo seguiva scodinzolando, partecipe di un entusiasmo di
cui non comprendeva la ragione. << Vieni con me
>>,
disse, << Vorrei che conoscessi mia sorella
>>.
Elrohir
non ebbe il coraggio di rifiutare, vedendo quanto era radioso il
sorriso del ragazzo. << Sarà un piacere
>>,
rispose.
Pochi istanti dopo, Maedir si aggirava frettoloso tra la
folla, alzandosi sulle punte dei piedi per guardare più
lontano.
Elrohir sfruttò la sua vista più acuta per
tentare di aiutarlo, ma
non sapeva che aspetto avesse colei che stava cercando. Il suo
sguardo vagò tra i molti volti sconosciuti, alcuni felici,
altri
speranzosi, fino a soffermarsi su una donna distante dal resto del
gruppo. Condivideva la stessa espressione impaziente della maggior
parte di loro, ma c'era qualcosa di diverso in lei, qualcosa nel suo
sguardo che Elrohir non riusciva ad identificare. I suoi lineamenti
erano familiari e i suoi lunghi capelli castani erano della stessa
tonalità di quelli di Maedir, ma il particolare che
confermò
l'ipotesi di Elrohir fu il cane seduto al suo fianco, intento a
scrutare chiunque si avvicinasse alla padrona. Non poteva che essere
lei la donna che stavano cercando.
L'elfo non poté fare a meno di
sorridere nel vedere Maedir che si precipitava ad abbracciare la
sorella, mentre i loro cani si studiavano a vicenda, perplessi e
sospettosi. Elrohir si avvicinò con discrezione, e fu allora
che
capì cos'era che aveva visto in lei. Il suo sguardo era
spento e
fisso nel vuoto e la gioia sul suo viso non riusciva a raggiungere
gli occhi. La donna era cieca.
Elrohir ripensò a tutte le volte
in cui Maedir aveva parlato di lei con un misto di orgoglio e
tristezza e capì a cosa si era riferito. Pensò a
quanto la loro
vita dovesse essere stata difficile dopo la scomparsa dei genitori.
I
due Dùnedain si scambiarono poche parole sommesse per
informarsi
l'uno sulle condizioni dell'altra. Maedir promise di raccontarle ogni
cosa in seguito, evidentemente intenzionato ad evitare ogni argomento
spiacevole.
Non molto tempo dopo il ragazzo si voltò a cercare
Elrohir con lo sguardo e gli fece cenno di avvicinarsi.
<<
Melwen, vorrei presentarti Elrohir, un caro amico senza il quale
forse non sarei qui >>.
Elrohir si avvicinò, indeciso su
come comportarsi. << È un onore conoscerti
>>,
disse.
Melwen guardò nella sua direzione e, sebbene Elrohir
sapesse che non poteva essere visto, si sentì osservato.
<<
Elrohir di Gran Burrone? Ho sentito parlare di te e delle tue imprese
>>, disse, rivolgendogli un ampio sorriso.
Elrohir si stupì
delle sue parole. Era la prima volta che uno sconosciuto si rivolgeva
a lui al singolare, senza affiancare il suo nome a quello di Elladan
come se fossero la stessa persona. << Sei gentile, mia
signora,
ma spesso le leggende modificano e ingigantiscono la realtà
>>,
rispose Elrohir.
<< Non è questo il caso. Elrohir e suo
fratello Elladan sono gli uomini migliori che i Dùnedain
abbiano mai
avuto >>, s'intromise Maedir, << Elladan
non è venuto
con noi, ma forse in futuro ci raggiungerà >>,
disse,
guardando Elrohir in cerca di conferma.
<< Sono certa che
arriverà al Bosco Atro senza incontrare pericoli
>>, disse
Melwen, con tono cortese e misurato.
Quella frase, che avrebbe
dovuto essere di conforto, lasciò Elrohir stupefatto.
Nessuno sapeva
dove Elladan era diretto, neanche lui stesso ne era certo, eppure
Melwen sembrava esserne al corrente. Prima che Elrohir potesse fare
domande, qualcuno si avvicinò e interruppe bruscamente la
conversazione. Era Arador.
<< Vorrei parlare con Melwen in
privato, se è possibile >>, disse, con lo
stesso tono con cui
si rivolgeva a coloro a cui dava ordini. Era improvvisamente tornato
ad essere il Capitano dei Dùnedain, così come
Elrohir lo
conosceva.
Il sorriso di Melwen si affievolì. Evidentemente aveva
riconosciuto Arador dalla voce. << Sono felice che tu sia
tornato, ero preoccupata per te. Adesso Maedir ed io abbiamo molto di
cui parlare, ma sarò lieta di conferire con te domani
>>,
disse. La sua voce era diventata impercettibilmente più
fredda.
<<
Non ti tratterrò a lungo, hai la mia parola
>>, insistette
Arador.
Melwen esitò appena un istante, poi rispose,
<<
D'accordo. Elrohir potrà stare nella casa accanto alla
nostra.
Maedir, mostragli la strada >>.
Melwen richiamò il suo cane
con un fischio e lo tenne per un laccio di cuoio legato al collare.
Dopo che lei ebbe mormorato un comando, il cane iniziò a
camminare,
guidandola oltre gli ostacoli e rendendo futile l'aiuto che Arador le
aveva offerto.
<< Come faceva a sapere di Elladan? >>,
chiese Elrohir, non appena si furono allontanati.
<< È una
lunga storia >>, rispose Maedir, << Ma te
la racconterò
se lo desideri. Potrebbe stupirti >>.
Il ragazzo lo
accompagnò tra le case dei Dùnedain. Erano per lo
più di solido
legno, ma alcune avevano fondamenta di pietra. La popolazione
sembrava condurre una vita semplice ed agiata.
<< Melwen
inizò a perdere la vista quando aveva sei anni, all'epoca io
ero
appena nato. Per la nostra famiglia fu una disgrazia, fu come una
maledizione abbattutasi sulle nostre vite. I saggi ci insegnano che
ciò che perdiamo non è perso per sempre, ma si
trasforma in
qualcosa di uguale valore. Io non sono mai stato d'accordo: per me
una perdita è una perdita >>. Maedir
sospirò. La sua voce
iniziava a suonare più adulta e, più la storia
proseguiva, più il
suo tono diventava grave, << In quel periodo Melwen
iniziò a
fare sogni estremamente nitidi; quando erano incubi, si svegliava in
lacrime. I guaritori credettero che fosse una diretta conseguenza
della perdita della vista, ma presto i sogni di Melwen iniziarono ad
avverarsi, da quelli più piacevoli a quelli terrificanti.
Mia
sorella aveva acquisito un altro tipo di vista, quello che alcuni
definirebbero un dono. La preveggenza è molto più
rara tra i
Dùnedain di quanto non lo sia tra gli elfi, ma non ci sono
dubbi che
ciò che Melwen vede si avveri, in un modo o nell'altro. Con
il
passare degli anni la sua abilità si manifestò
anche in altre
circostanze, diverse dal sogno, s'intensificò e divenne
quasi
infallibile. Allo stesso modo Melwen imparò a controllarla,
ad
ignorare la maggior parte delle visioni per evitare che
influenzassero la sua vita e, soprattutto, a non rivelare agli altri
informazioni importanti sul loro futuro. Attualmente facciamo il
possibile per condurre una vita ordinaria secondo gli insegnamenti
dei nostri genitori. Mia sorella ha un animo dolce, ma è
anche
forte. Non ha lasciato che nulla la privasse della felicità
che
sapeva di meritare >>.
<< Eppure conosceva la
destinazione di Elladan senza averlo mai conosciuto. Com'è
possibile
questo? >>, chiese Elrohir.
<< Le nostre vite
s'incrociano e s'influenzano in modi che non sempre
comprendiamo.
Melwen deve avervi visto perché il mio futuro è
in
qualche modo collegato al vostro >>, spiegò
Maedir.
Restarono
in silenzio mentre Elrohir rifletteva su ciò che aveva
appreso. Si
chiese come fosse possibile per un essere umano convivere con una
tale abilità, quando a lui una sola visione del futuro aveva
causato
tanti affanni.
<< Ciò che Melwen vede si avvera sempre?
>>,
chiese a Maedir.
<< Quasi sempre. Ma non è consigliabile
tentare di impedire agli eventi di verificarsi: le conseguenze
potrebbero rivelarsi terribili >>.
In
seguito a quelle parole, Elrohir si chiese se Maedir stesse ancora
parlando di sua sorella o se si stesse riferendo a qualcos'altro.
<<
Intendi forse dire che non avrei dovuto intromettermi per salvare
Elladan dopo aver visto che Dareon avrebbe tentato di ucciderlo?
>>,
chiese.
Maedir si fermò di colpo. << Certo che no,
come
potrei pensare una cosa simile? Hai visto che Elladan sarebbe morto
se tu non fossi intervenuto, ma quel futuro teneva già conto
del tuo
intervento >>.
Elrohir
non aveva mai considerato la situazione da quel punto di vista.
<<
Quindi non sono davvero riuscito ad evitarlo, come credevo
>>,
disse.
<< È davvero importante? >>.
<< No,
immagino di no. L'importante è che non sia accaduto il
peggio >>,
concluse Elrohir.
Intanto erano quasi giunti al limitare della
città. Maedir indicò due case adiacenti, non tra
le più sontuose,
ma abbastanza grandi da ospitare comodamente una famiglia.
<<
Potrai vivere qui, se lo vorrai. Un tempo era dei miei genitori, ma
adesso è disabitata. Io e Melwen viviamo in quella accanto
>>,
disse Maedir.
<< È perfetta, ti ringrazio >>,
rispose
Elrohir. Eppure quelle parole sembravano insufficienti a descrivere
la sensazione di serenità che stava iniziando a provare per
la prima
volta dopo tanto tempo. Maedir sembrò notarlo, e disse,
<<
Sono davvero felice che tu sia venuto con noi, ma non posso evitare
di chiedermi il perché. Saresti potuto andare con Elladan, o
tornare
a Gran Burrone... >>.
Elrohir sospirò e, in quell'attimo
ebbe l'impressione che Maedir si fosse pentito della domanda che
aveva posto. Il ragazzo sembrava costantemente preoccupato di dire
qualcosa di sbagliato.
<< Elladan non desiderava che lo
seguissi ed io ho dovuto rispettare il suo volere. Adesso, sebbene
una parte di me voglia tornare a casa, sento che non sarebbe giusto
farlo senza di lui. Inoltre, il mio ruolo qui non si è
ancora
concluso >>.
Elrohir
riuscì ad ambientarsi nella città dei
Dùnedain più facilmente di
quanto si fosse aspettato. In quei luoghi la vita era semplice, ma
mai monotona; le persone erano amichevoli ed allo stesso tempo
orgogliose. Nutrivano una certa curiosità per Elrohir, che
esprimevano con discrezione e cortesia. Più di una volta
l'elfo si
ritrovò a raccontare ad un gruppo di bambini storie delle
battaglie
a cui aveva partecipato, delle avventure che aveva vissuto con
Elladan e a rispondere ad infinite domande sulla vita a Gran Burrone
e sulle imprese che suo padre aveva compiuto. Ma presto
scoprì che
era Glorfindel il protagonista delle loro storie preferite. Egli era
un eroe di guerra ed un modello di saggezza per i Dùnedain,
e più
di una volta Elrohir ebbe l'impressione che il solo fatto di
conoscerlo fosse sufficiente a guadagnarsi la benevolenza degli
Uomini.
Scoprì anche che, nonostante non avesse mai rimpianto le
comodità della vita ad Imladris durante il periodo trascorso
nell'accampamento, apprezzava il fatto di vivere nuovamente sotto un
tetto e di dormire in un vero letto. Avrebbe anche potuto sentirsi a
casa, se non fosse stato così lontano dalle persone che
amava.
Tuttavia, con il trascorrere dei giorni, riuscì ad
abituarsi anche a quel nuovo tipo di solitudine.
Elladan
raggiunse gli Elfi Silvani alla fine del primo giorno di viaggio. Fu
solo allora che si rese conto di quanto era stato veloce. Quando lo
video arrivare gli elfi non posero molte domande, cosa di cui Elladan
fu grato, e gli permisero di unirsi a loro per percorrere insieme
l'ultima parte del viaggio.
La compagnia era silenziosa e i turni
di guardia continui. Era come se ognuno di loro si aspettasse di
incontrare degli orchi da un momento all'altro, memori della
battaglia appena trascorsa. Durante i primi due giorni la marcia
continuò ininterrottamente e senza pericoli in vista. Per
Elladan la
mente del fratello era a stento percepibile. Durante le
attività
quotidiane avvertiva un grande senso di vuoto, e solo quando si
concentrava intensamente riusciva a scorgere, sottile e inafferrabile
come fumo, il legame che, nonostante tutto, ancora lo univa ad
Elrohir. Sapeva che suo fratello si trovava al sicuro e stava bene, e
non poteva che accontentarsi di quella magra rassicurazione.
Il
viaggio fu faticoso e apparve incredibilmente lungo. Le pause erano
sporadiche e brevi, ma Elladan non volle chiedere agli elfi di
fermarsi più a lungo. Ignorando la stanchezza, percorse un
miglio
dopo l'altro con la fretta di un fuggitivo. Ma da cosa stesse
fuggendo neanch'egli sapeva dirlo.
Mentre la compagnia s'inoltrava
sempre più in profondità nella fitta foresta che
precedeva il Reame
Boscoso, i pensieri di Elladan si focalizzavano sul presente e i
rimpianti del passato passavano in secondo piano. La foresta era
tetra e silenziosa; gli elfi parlavano tra loro tramite bisbigli,
come timorosi di turbarne la quiete.
Fu
un'ombra tra gli alberi a materializzare i suoi timori. Elladan prese
l'arco e un attimo dopo la punta della sua freccia era rivolta verso
la presenza estranea che ancora non riusciva a vedere.
Trasse
un respiro profondo, mentre attendeva di avere la visuale libera.
Poi
una mano afferrò il suo arco, così bruscamente
che Elladan quasi
perse la presa.
<<
Daro! No dirweg, mellon nìn, essi
sono amici, non nemici. Siamo entrati nel Reame Boscoso, e non
c'è
nulla qui che tu debba temere >>.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Daro:
fermo
No
dirweg, mellon nìn: presta
attenzione, amico mio
|
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Capitolo 24 *** Inverno ***
Ciao
a tutti! Non sono riuscita a postare questo capitolo quando avrei
voluto, ma in compenso è un po' più lungo del
solito. Nel prossimo
ci sarà un "salto temporale" di qualche anno.
Buona
lettura!
Elladan
si affrettò a riporre l'arco una volta accertatosi che le
presenze
che aveva intravisto fossero effettivamente amici. Come
scoprì poco
dopo, si trattava di un piccolo contingente di Elfi Silvani in
ricognizione appena fuori i confini del Reame Boscoso.
Elladan
avvertì immediatamente i loro sguardi che lo esaminavano con
sospetto. Abbassò il cappuccio che gli copriva parzialmente
il viso
per dimostrare che, nonostante fosse vestito alla maniera degli
Uomini, non era uno di loro, poi si presentò. Gli elfi
cambiarono
repentinamente espressione non appena udirono menzionare il nome di
Elrond ed accolsero Elladan con rispetto e cortesia. Percorsero
insieme l'ultimo tratto di sentiero che conduceva ad un maestoso
ponte. Due enormi alberi si ergevano ai lati del Portale del Re, come
giganti guardiani del regno di Thranduil.
La
notizia dell'esito della battaglia era evidentemente giunta prima di
loro, perché gli elfi furono accolti con ogni onore e venne
annunciato che presto sarebbero stati ricevuti dal re. Ma, prima di
allora, fu Legolas, il figlio di Thranduil, a dare loro il
benvenuto.
Elladan
l'aveva incontrato brevemente in passato durante una visita al Bosco
Atro, e una seconda volta appena dopo la nascita di Arwen, quando il
seguito di Thranduil era venuto a Gran Burrone a porre i suoi omaggi.
L'elfo biondo sembrava sinceramente felice di vederlo. <<
Gi
nathlam hì
>>, disse, e in quel momento Elladan percepì
il suo disagio
nel non riuscire a riconoscere quale dei due gemelli si trovasse di
fronte. Elladan ringraziò per l'accoglienza e gli
ricordò il
proprio nome. << Goheno
nin
>>, si affrettò a scusarsi Legolas,
<< Non ero ben
sicuro... >>.
<<
Non importa >>, lo interruppe Elladan con un gesto di
noncuranza, << È una situazione che capita
più spesso di
quanto non si pensi >>.
<<
La tua visita è molto gradita, anche se inaspettata. Posso
chiederti
cosa ti porta nei nostri domini? >>.
Elladan
raccontò brevemente la propria storia, soppesando con cura
quali
dettagli rivelare e quali omettere. Sapeva che Legolas era degno di
fiducia, ma era comunque poco più di un estraneo ed Elladan
aveva a
cuore la propria riservatezza. Raccontò della battaglia e,
infine,
di Saeliel.
<<
Sono vicino al tuo dolore. Non la conoscevo di persona, ma conosco
suo padre e so quanto sia grave la perdita che noi tutti abbiamo
subito. Sei libero di restare fin quando lo desideri, o fin quando
non avrai trovato pace da ciò che ti insegue
>>, disse
Legolas.
Elladan
non seppe cosa rispondere. Quell'ultima affermazione l'aveva lasciato
senza parole.
<<
Riconosco un fuggitivo quando lo vedo >>,
spiegò Legolas, <<
Io stesso lo sono stato a lungo e a volte lo sono ancora. Molti di
noi hanno partecipato a così tante battaglie da credere di
essere
dei guerrieri, ma in realtà sono soltanto fuggitivi
>>.
Il
regno degli Elfi Silvani era silenzioso, a tratti tenebroso. I suoi
abitanti erano riservati e cauti nelle relazioni personali, almeno
quanto erano impulsivi e letali sul campo di battaglia. Più
di una
volta Elladan pensò che non avrebbe mai voluto avere
qualcuno di
loro come nemico, ma era ben lieto di averli come alleati.
Poco
dopo il suo arrivo il re chiese di vederlo. Elladan aveva conosciuto
Thranduil tramite i suoi sporadici incontri con Elrond. "Tratterete
con rispetto i re di altre terre, a prescindere dalle vostre opinioni
personali. L'ostilità tra Eldar appartiene ormai al passato.
Oggi,
invece, non possiamo permetterci di fare a meno dell'appoggio
reciproco",
soleva dire suo padre. Thranduil sembrava pensarla allo stesso modo,
in quanto rese chiaro, con l'atteggiamento solenne e distaccato che
lo contraddistingueva, che Elladan sarebbe stato trattato come un
ospite d'onore.
L'elfo
si ritrovò sempre più spesso a vagare per il
Reame Boscoso senza
una meta. A volte Legolas lo accompagnava, mostrandogli i luoghi che
erano più cari agli elfi dei boschi e raccontandogli la loro
storia.
Elladan era lieto di ascoltare e, prima ancora di accorgersene,
iniziò a raccontare di sé, confrontando quei due
modi di vivere
così intrinsecamente diversi. Intuì che Legolas,
pur mantenendo
un'apparenza schiva e austera, confacente al figlio di un re, aveva
un animo sensibile e comprendeva la sua situazione meglio di quanto
Elladan avesse creduto.
Un
giorno, senza preavviso, Legolas lo condusse tra gli alloggi dei
consiglieri e delle guardie di Thranduil, fino a giungere ad una
piccola stanza. Elladan si bloccò sulla soglia. Non aveva
bisogno di
chiedere per sapere chi aveva vissuto lì, l'odore era
sufficiente a
riportargli alla mente una miriade di emozioni e ricordi. Saeliel.
<<
Ho pensato che avresti voluto vedere dove viveva >>,
disse
Legolas. Subito dopo si congedò, lasciando Elladan da solo.
L'elfo
non sapeva se avrebbe dovuto essergli grato o biasimarlo.
Restò a
lungo immobile sulla soglia, circondato solo dalle voci concitate dei
passanti e dal suono del proprio respiro accelerato. Qualcosa nella
sua mente lo esortò a tornare sui propri passi, ma Elladan
avanzò,
come incantato, ed entrò nella stanza. Un letto, un tavolo,
un
armadio, ormai coperti da un sottile strato di polvere, costituivano
gli unici oggetti di arredamento. Ma uno sguardo più attento
poteva
cogliere senza difficoltà i segni della presenza di Saeliel.
Una
candela che sembrava essere stata spenta da poco, delle lettere
poggiate sul tavolo, una delle quali ancora incompiuta, dei disegni
di paesaggi che Elladan non aveva mai visto e ritratti di persone che
non conosceva. C'era
ancora così tanto da dirsi, così tanto da fare.
Se le avessi
chiesto di più sulla sua vita, adesso non mi sentirei un
intruso in
casa di un estraneo,
pensò Elladan.
L'elfo
si sedette sul pavimento, evitando il letto senza un motivo preciso,
lasciandosi circondare dall'odore di Saeliel come in un abbraccio
intangibile. Non molto tempo dopo iniziò ad avvertire il
calore
delle lacrime sulle guance. Elladan si alzò, maledicendo la
propria
debolezza, e si affrettò ad uscire dalla stanza. Non
posso perdere il controllo,
pensò.
Aveva
appena varcato la soglia, quando per poco non si scontrò con
qualcuno che veniva dalla direzione opposta. << Chiedo
scusa
>>, disse.
L'elfo,
che fino ad un attimo prima si era diretto verso la stanza di
Saeliel, si fermò a guardare Elladan, ignorando le scuse che
aveva
ricevuto. Era alto, aveva lineamenti affilati e capelli neri, portati
sciolti sulle spalle. Prima ancora che proferisse parola Elladan
avvertì un'ondata di ostilità provenire da lui.
<<
Qual è il tuo nome e perché ti trovi qui?
>>, chiese, mentre
il suo sguardo indagatore esaminava Elladan. Questi si sentì
vulnerabile per un attimo, prima di riprendere la propria compostezza
e rispondere freddamente, << Sono Elladan, figlio di
Elrond.
Qui viveva colei che io amo >>.
L'elfo
dai capelli neri sollevò un sopracciglio. <<
Il mio nome è
Saeldir >>, disse.
Saeldir.
Il Saggio.
Elladan
aveva creato un'immagine di lui nella propria mente in seguito ai
racconti di Saeliel, e non si stupì nel constatare che il
suo
pensiero non si era discostato di molto dalla realtà.
<<
Colei che amavi non vive più. Qualunque cosa tu stia
cercando, non
la troverai qui >>, disse Saeldir.
Elladan
indietreggiò istintivamente verso la stanza che si era
lasciato alle
spalle. << Certamente potrai capire il mio desiderio di
trovare
pace >>, disse cautamente, << E, se il mio
comportamento
è stato in qualche modo inadeguato, spero mi perdonerai, in
nome del
dolore che condividiamo >>.
Saeldir
sembrò infastidito dalla condiscendenza con cui Elladan si
era
rivolto a lui. << Io e te condividiamo ben poco. Sangue
umano
scorre nelle tue vene >>, rispose.
Solo
allora Elladan realizzò qual era l'origine di tanta
ostilità. Non
l'aver amato Saeliel, ma il semplice fatto di essere uno
straniero.
<<
Ogni goccia di sangue umano è per me motivo di orgoglio,
così come
lo è l'aver conosciuto Saeliel, seppur per breve tempo
>>,
rispose Elladan. Il suo tono non era più cordiale come lo
era stato
fino a poco prima, ma tagliente.
Nessuna
emozione turbò la maschera inespressiva che era il viso di
Saeldir,
ma per la prima volta Elladan riuscì ad intravedere qualcosa
nei
suoi occhi scuri. Non solo ostilità, ma anche dolore e
rabbia,
magistralmente tenuti a bada.
<<
Eri con lei quando fu uccisa? >>, chiese Saeldir, il tono
leggermente meno aspro.
<<
Sì, ho combattuto al suo fianco >>. La voce di
Elladan tremò,
suo malgrado, ed egli fu costretto a fare una pausa per riprenderne
il controllo. << Ha guidato i suoi uomini con coraggio,
fino
all'ultimo momento. Ha dato la propria vita per vincere una battaglia
alla quale era stata condotta dal suo stesso padre. Dovresti essere
fiero di lei e provare vergogna per te stesso >>.
Detto
questo, Elladan andò via, lasciando Saeldir da solo. Appena
prima di
voltarsi gli parve di intravedere piccole crepe nella studiata
compostezza dell'elfo. Vide il rimpianto, un'enorme sofferenza non
più perfettamente celata e, mentre era ormai alla fine del
corridoio, udì un sussurro. << Lo sono
>>.
L'inverno
giunse su Annùminas, ricoprendo ogni cosa con il suo manto
bianco.
Elrohir partecipò assiduamente alla caccia, alla raccolta
della
legna ed a tutte le attività finalizzate a prepararsi al
gelo
imminente. Scoprì di essere inesperto in molti dei lavori
manuali a
cui i Dùnedain erano invece abituati e dovette permettere
loro di
insegnargli prima di essere in grado di collaborare. Tuttavia Elrohir
non considerava il lavoro fisico come un sacrificio, anzi, ben presto
imparò ad apprezzarlo. Tenersi impegnato significava
allontanare la
mente da ogni altro pensiero, significava focalizzarsi sul presente e
non sul passato, ed era esattamente questo che Elrohir
desiderava.
L'unica
occasione in cui si rivelava necessario prendere le armi era durante
le ricognizioni, nelle quali era estremamente raro avvistare orchi.
Solitamente Arador ordinava di non combattere quando non era
strettamente necessario, mentre Arathorn desiderava più di
ogni
altra cosa mettersi alla prova e testare il proprio coraggio. Il
rapporto tra i due non era facile. Arathorn era un guerriero
straordinariamente dotato, ma era giovane e impulsivo, e la guida del
padre gli era ancora indispensabile.
Elrohir
strinse rapporti di amicizia con la maggior parte degli abitanti di
Annùminas, ma le persone di cui apprezzava maggiormente la
compagnia
rimasero Maedir e Melwen.
Quest'ultima
divenne presto un'amica preziosa per Elrohir. Ogni mattina, quando il
sole era alto nel cielo, l'elfo la vedeva dalla finestra della
propria casa, affiancata e guidata espertamente dal suo cane bianco,
che si apprestava a passeggiare lungo il sentiero che attraversava la
parte nord della città e infine tornava indietro verso casa.
Spesso
Elrohir chiedeva di poterla accompagnare e quasi sempre Melwen
accettava, tranne in rare occasioni in cui spiegava gentilmente di
voler trascorrere del tempo in solitudine. Elrohir capì
subito che
ella era estremamente gelosa della propria indipendenza e quelle
passeggiate giornaliere non erano che un modo per dimostrare a se
stessa e agli altri di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno.
Elrohir imparò pertanto a rispettare il suo volere e ad
apprezzare
ancora di più la fiducia che Melwen riponeva in lui. Le loro
conversazioni erano lunghe e piacevoli, e toccavano qualsiasi
argomento, dai più leggeri ai più impegnativi.
Melwen era
un'attenta ascoltatrice, capace di intuire i sentimenti altrui dal
più piccolo cambiamento nel tono di voce; amava
profondamente la
vita, in tutte le sue forme, ed aveva un'insaziabile sete di
conoscenza.
L'arrivo
dell'inverno non sembrò ostacolare le sue abitudini. Infatti
quel
giorno Melwen percorse il suo solito cammino ed Elrohir pose la sua
solita richiesta. Poco dopo, i due passeggiavano lungo il sentiero
innevato, raccontandosi dei loro inverni passati.
<<
Da bambina amavo giocare con la neve, al contrario di mio fratello,
che sopportava malvolentieri il freddo >>, disse Melwen.
<<
Era lo stesso per me ed Elladan. Suo malgrado tornava sempre a casa
bagnato e infreddolito >>, raccontò Elrohir
con un sorriso.
Quei giorni lontani erano sfocati come i dettagli di un sogno, ma
sempre presenti nell'eccellente memoria dell'elfo. Ogni ricordo era
prezioso, custodito con cura come un tesoro di rara bellezza.
Ne
seguì un lungo silenzio. Entrambi si trovavano ugualmente a
loro
agio sia con le parole, sia con l'assenza di esse, pertanto nessuno
dei due si sentì in dovere di continuare la conversazione.
Il
sentiero li condusse attraverso il centro della città,
all'ombra
dell'imponente Torre Occidentale, poi svoltò per tornare
indietro.
Il terreno era irregolare a causa della neve non omogenea e presto
Elrohir notò che Melwen aveva difficoltà a
camminare agevolmente.
Il cane non era in grado di guidarla con precisione sui dislivelli e
più di una volta dall'inizio della passeggiata Melwen aveva
rischiato di inciampare.
<<
Posso aiutarti? >>, chiese Elrohir.
La
donna esitò prima di rispondere. Prima di allora, forse per
orgoglio, non aveva mai accettato l'aiuto di qualcuno che non fosse
Maedir. Per questo, quando Melwen rispose con un semplice: "ti
ringrazio"
e poggiò la mano sul braccio che Elrohir le offriva, l'elfo
rimase
stupito. Avere la fiducia quasi completa di qualcuno era una
sensazione che non provava da tempo; lo rendeva felice ed allo stesso
tempo timoroso.
<<
Maedir mi è sembrato sfuggente negli ultimi giorni. Anche tu
hai
notato qualcosa di diverso in lui? >>, chiese Melwen,
come se
all'improvviso il silenzio l'avesse messa a disagio.
<<
Ha incontrato una ragazza di recente e da allora trascorre molto del
suo tempo con lei >>, rispose Elrohir.
<<
Dovrei parlare con lui >>, mormorò Melwen,
pensierosa.
La
sua espressione assorta fece sorridere Elrohir. << Ti
comporti
come una madre apprensiva >>, osservò.
<<
Hai ragione >>, ammise Melwen, << A volte
dimentico che
Maedir è ormai adulto e in grado di badare a se stesso
>>.
<<
È il destino di noi fratelli maggiori. Mi ci sono voluti
anni prima
di abituarmi all'idea che Arwen non avesse più bisogno di me
>>,
disse Elrohir.
<<
Avranno sempre bisogno di noi, anche se non lo ammettono facilmente
>>, rispose Melwen.
Inevitabilmente
il pensiero di Elrohir andò ad Elladan. Si chiese se
avessero
davvero bisogno l'uno dell'altro, come avevano sempre creduto, o se
fosse possibile continuare a vivere separati, il loro legame
irrimediabilmente reciso.
<<
Lo rivedrai >>, disse Melwen, come se gli avesse letto
nel
pensiero, << E quando avverrà sarete ancora
più diversi, e
ancora più uniti >>.
<<
Grazie, Melwen. Questo conta molto per me >>.
Elladan
trascorse i successivi tre inverni nel regno degli Elfi Silvani,
prima di avvertire il desiderio di mettersi nuovamente in viaggio.
Decise che sarebbe partito con l'arrivo della primavera, e per allora
un piccolo contingente di elfi, con a capo il principe Legolas, fu
radunato per accompagnarlo oltre i confini del Bosco Atro.
Il
giorno della partenza furono numerosi gli addii, ma uno in
particolare colse Elladan impreparato.
Era
Saeldir, il Saggio. L'elfo si avvicinò quando Elladan era
ormai in
procinto di andare e non disse che poche parole, << Io
non ti
conosco, ma conoscevo Saeliel e sapevo quanto fosse forte e
orgoliosa. Pertanto, so per certo che non avrebbe scelto te se non
fossi stato degno di lei. Mi dispiace di non averlo capito sin
dall'inizio >>.
Detto
questo, sembrò sul punto di andarsene, per poi cambiare
idea. <<
Vorrei che tu avessi questo >>, aggiunse.
Elladan
riconobbe all'istante il piccolo nastro verde che Saeldir gli
porgeva: era uno di quelli che Saeliel era solita indossare per
legare i capelli.
<<
Le athae >>
<<
Galu, ù-firo i laiss e-guileg >>, rispose
il Saggio.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Gi
nathlam hì: benvenuto
Goheno
nin: perdonami
Le
athae: grazie
(formale)
Galu,
ù-firo i laiss e-guileg: Addio,
e che le foglie della tua vita non appassiscano mai
|
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Capitolo 25 *** Segni del tempo ***
Buonasera a tutti. Ancora una volta
mi scuso per il ritardo... questo capitolo non voleva proprio
scriversi. Spero di essere perdonata e soprattutto spero che vi
piaccia! Nel prossimo capitolo ci sarà il tanto atteso
ricongiungimento.
Trascorsero gli inverni, uno dopo
l'altro. Prima di allora Elrohir non era mai stato così
consapevole
dello scorrere del tempo. Tuttavia, adesso che poteva vedere ogni
giorno che passava inciso sui visi delle persone che vivevano attorno
a lui, il tempo aveva assunto un valore del tutto diverso.
Manadh, il suo fedele destriero, era
morto pacificamente un pomeriggio d'autunno all'età di
ventidue
anni. Aveva avuto una vita lunga, secondo la media della sua specie,
ma Elrohir sentiva che non era stata sufficiente. Prima di allora non
si era mai affezionato tanto ad un animale e, alla sua morte, aveva
scoperto di provare un sentimento simile a quello che associava alla
scomparsa di un amico.
Ma il tempo continuava a scorrere
inesorabile, incurante di tutto. I bambini ai quali Elrohir
raccontava storie erano adesso adulti, e alcuni di loro avevano a
loro volta dei figli. Maedir, dal canto suo, aveva trovato la persona
con cui trascorrere il resto della sua vita. Il suo nome era Hanneth
e la loro intesa era stata istantanea. Nonostante ciò, il
loro
rapporto aveva richiesto tempo per svilupparsi e lentamente era
diventato qualcosa che nessuno dei due aveva mai sperimentato prima.
Un giorno Maedir bussò alla porta di
Elrohir.
<< Prego, entra >>, disse
Elrohir, vedendo la gioia e la trepidazione sul volto dell'amico.
Maedir non era più il timido ragazzo che aveva conosciuto,
era ormai
un adulto, ma nei suoi occhi si poteva ancora intravedere lo
scintillio di entusiasmo per la vita che l'aveva sempre
caratterizzato.
<< C'è qualcosa che vorrei
chiederti >>, disse Maedir, con una nota di trepidazione
malcelata.
<< Siediti >>, disse
Elrohir, indicando il tavolo e le due sedie disposte sotto una
finestra rivolta verso ovest. Aguzzando lo sguardo, da quella stessa
finestra era possibile osservare la Torre Occidentale che toccava il
cielo in tutta la sua maestosità.
<< Come già sai, Hanneth ed io
ci sposeremo presto >>, disse Maedir.
Elrohir annuì.
<< È consuetudine tra il nostro
popolo che lo sposo sia accompagnato da un testimone >>,
proseguì Maedir, << Ci ho riflettuto a fondo e
vorrei che
fossi tu. So che queste tradizioni non ti appartengono e forse...
>>.
<< Maedir >>, lo interruppe
Elrohir, con una punta di divertimento << Sarà
un onore per
me. Avete già deciso quando avverrà?
>>.
<< Alla prossima luna >>,
rispose Maedir, << Manca poco ormai, ma allo stesso tempo
sembra che manchi un'eternità >>.
<< È naturale che tu sia agitato
>>, disse Elrohir, << Anche io lo sarei se
mi trovassi al
tuo posto >>.
Dopo qualche attimo di silenzio, Maedir
abbassò lo sguardo e chiese, << Ti sei mai
trovato al mio
posto? >>.
Elrohir fu colto impreparato da quella
domanda. << No >>, rispose semplicemente.
Innumerevoli ricordi si risvegliarono
tutti allo stesso tempo, ricordi che sembravano appartenere ad una
vita passata.
<< Tuttavia ho amato, a lungo e
intensamente, qualcuno che forse non meritavo >>,
aggiunse.
<< Cosa è accaduto? >>,
chiese Maedir, onestamente curioso.
<< Il suo nome è Thiliel, ci
siamo incontrati a Gran Burrone tanti anni fa. Siamo stati felici
insieme, in quel luogo senza tempo, magnifico e protetto da ogni
pericolo. Poi accadde qualcosa, qualcosa di terribile. Dopo la
partenza di mia madre non potevo più sopportare di restare
lì,
anche se avesse significato lasciare Thiliel. Ero accecato dalla
rabbia e dal desiderio di vendetta, tanto da non riuscire a capire
che era proprio di lei che avevo bisogno >>.
<< Forse non era così >>,
disse Maedir.
<< Cosa intendi dire? >>,
chiese Elrohir, perplesso.
<< Forse lei non era la persona
giusta. Altrimenti ti avrebbe seguito oppure tu non avresti sentito
il bisogno di andartene >>.
<< Amare la persona sbagliata non
è qualcosa che accade spesso tra gli eldar >>,
spiegò
Elrohir.
<< Tu sei anche umano, e in
compenso questo accade di continuo tra gli umani >>,
ribatté
Maedir.
<< Non avevo mai considerato
questo punto di vista, ma suppongo che potresti avere ragione
>>,
ammise Elrohir.
<< Chi l'avrebbe mai detto che un
giorno sarei stato io a consigliare te >>, disse Maedir
con un
finto tono solenne.
<< Non abituarti >>, disse
Elrohir, dandogli una spinta giocosa.
Il matrimonio fu celebrato una mattina
di sole, con una cerimonia semplice, ma venne l'intera città
ad
assistervi, con l'aggiunta di alcuni parenti di Maedir venuti da
Rohan.
Elrohir fu contagiato dalla gioia che
vedeva sui volti di chiunque incontrasse e non riuscì a
pensare a
nulla di negativo per il resto della giornata.
Conobbe Ivorwen, un'amica comune di
Hanneth e Melwen, e sua figlia Gilraen, una ragazza dai capelli
dorati che si apprestava a diventare una bellissima donna.
Poi vide Daven. Gli anni che erano
trascorsi erano più evidenti su di lui che su chiunque
altro. I suoi
capelli erano ormai bianchi, le sue mani tremanti, il suo passo era
sempre più lento e incerto. Aveva definitivamente smesso di
accompagnare i guerrieri nelle ricognizioni e nelle battute di caccia
e trascorreva la maggior parte del suo tempo da solo o in compagnia di
pochi amici. Ma quel giorno era diverso. Lui ed Elrohir parlarono del
più e del meno, come se il passato fosse ormai dimenticato e
fossero
tornati ad essere vecchi amici. C'erano tante cose che Elrohir
avrebbe voluto dirgli, ma non poteva infrangere il tacito accordo di
rispettare lo spirito di quella giornata. Avremo altre
occasioni,
pensò.
Appena un anno dopo quel lieto giorno,
Elrohir, Melwen e Maedir si ritrovarono insieme ad attendere al di
fuori della casa di quest'ultimo in una calda mattina d'estate.
Maedir camminava nervosamente avanti e
indietro, fermandosi di tanto in tanto per ascoltare eventuali rumori
provenienti dall'interno.
<< Non capisco perché Hanneth
abbia insistito affinché io restassi fuori >>,
disse.
<< Forse temeva che non riuscissi
a mantenere la calma >>, suggerì Melwen.
<< Sono un guaritore esperto e
sono perfettamente in grado di controllarmi >>,
ribatté
Maedir.
<< Certo, è evidente >>,
disse Melwen, con un sorriso ironico.
Elrohir non aveva mai visto Maedir così
agitato. D'altronde non poteva biasimarlo: un figlio in procinto di
nascere non era cosa da poco.
Si udì un urlo provenire dall'interno
della casa. Non era il primo e non sarebbe stato l'ultimo, ma Maedir
sobbalzava ogni volta.
<< Vieni qui >>, disse
Melwen sospirando.
Maedir si avvicinò e prese le mani che
la sorella gli tendeva.
<< Andrà bene >>, disse
lei.
<< È quello che mi dicono tutti,
ma non posso evitare di preoccuparmi >>, rispose Maedir.
<< Ma adesso sono io a dirtelo
>>.
Il volto di Maedir s'illuminó.
<< Grazie, questo è stato
davvero utile >>, disse.
Da allora sembrò leggermente più
calmo, ma non smise di camminare nervosamente e lanciare occhiate
furtive attraverso le finestre. L'attesa si concluse improvvisamente
non molto tempo dopo, con l'inconfondibile suono del pianto di un
neonato. Maedir corse all'interno, quasi travolgendo una delle
levatrici che era in procinto di aprire la porta.
Elrohir e Melwen
concordarono di restare all'esterno finché non fossero stati
invitati ad entrare.
Elrohir ripensò al giorno della nascita di
Arwen, e a come suo padre si era comportato in maniera non dissimile
da Maedir. Ricordò il sollievo nell'udire il primo vagito di
sua
sorella appena nata e la gioia che aveva provato quando l'aveva vista
per la prima volta. << Benvenuta al mondo
>>, avevano
detto lui ed Elladan all'unisono.
Il cigolio della porta che si apriva
distrasse Elrohir dai suoi pensieri.
<< È una bambina. Sia
lei, sia la madre stanno bene. Potete entrare >>, disse
la
levatrice.
Elrohir guidò Melwen nella casa.
Hanneth era a letto. Il suo bel viso
era segnato profondamente dalla fatica e dal dolore, ma allo stesso
tempo addolcito da un ampio sorriso. Teneva tra le braccia la bambina
appena nata, avvolta in una coperta bianca.
<< Vuoi tenerla? >>, disse
Hanneth a Maedir, che fino a quel momento non aveva distolto lo
sguardo dalla figlia neanche per un istante. Maedir esitò e
lanciò
una breve occhiata a Melwen ed Elrohir in cerca di conferma. Poi tese
le braccia e prese la bambina che Hanneth gli porgeva, così
piccola
che Maedir avrebbe potuto tenerla in una mano sola. La neonata
ricominciò a piangere e il padre si immobilizzò.
<< È
normale che pianga così tanto? >>, chiese.
<< Sarebbe anormale il contrario
>>, rispose Hanneth.
<< Bene >>, mormorò
Maedir, << Ed è normale che pianga anche il
padre? >>,
aggiunse tra le lacrime.
Hanneth ridacchiò. << Immagino
che sia normale anche questo >>, rispose.
<< Sei bellissima >>,
sussurrò Maedir alla figlia, << E forse vorrai
conoscere i
tuoi zii >>. Fece cenno ad Elrohir e Melwen di
avvicinarsi.
Elrohir si stupì della disinvoltura
con cui Maedir l'aveva incluso tra i membri della sua famiglia.
Provò
un'inquietudine che egli stesso non riusciva a spiegare e che lo
spinse a restare indietro mentre Melwen si avvicinava alla neonata e
le sfiorava il viso in una carezza.
La bambina smise brevemente di piangere
ed afferrò un dito di Melwen con le sue minuscole mani.
<< Vorrei che... potessi vedela
>>, disse Maedir.
<< L'ho già vista, in un sogno,
e so che è bellissima >>, rispose Melwen.
La bambina venne chiamata Edeniel e
visse i primi anni della sua vita in un periodo di pace.
Mostrò ben
presto di avere un'indole vivace e gentile, era estroversa ed ansiosa
di conoscere il mondo che la circondava.
Edeniel aveva appena compiuto sei anni
e da poco aveva scoperto che avrebbe presto avuto un fratello o una
sorella minore, quando qualcosa sconvolse la tranquillità
che aveva
sempre fatto parte della sua vita.
Elrohir, Hanneth e Maedir si trovavano
nella piazza principale di Annuminas, mentre Edeniel era poco
distante e stava giocando con degli altri bambini. I suoi capelli
erano della stessa tonalità di castano del padre, gli occhi
azzurri
erano simili a quelli della madre, mentre i suoi lineamenti erano un
perfetto misto tra i due. Il suo sorriso, invece, ricordava quello di
Melwen.
<< Elrohir! >>, una voce si
levò tra la folla.
Elrohir avvertì il senso di pericolo
prima ancora di riuscire a capire chi era stato a chiamarlo. Si
alzò
in piedi e vide uno degli uomini di Arador che attraversava di corsa
la piazza per giungere da lui.
<< Abbiamo bisogno di te,
Arathorn ed i suoi compagni di viaggio sono stati attaccati sulla via
per Fornost. Dobbiamo inviare rinforzi prima che sia troppo tardi
>>,
disse tutto in un fiato.
Poche ore prima Arathorn era partito
con altri sette uomini per visitare le rovine di Fornost secondo la
tradizione della sua famiglia.
<< Arador ci attende ai piedi
della Torre Occidentale, ti prego di venire al più presto
>>.
<< Andrò a prendere arco e spada
e vi raggiungerò lì a breve >>,
rispose Elrohir.
<< Avremo bisogno anche di un
guaritore. Potrebbero esserci feriti bisognosi di cure immediate
>>,
disse l'uomo, questa volta rivolgendosi a Maedir.
Questi si alzò a sua volta e rispose,
<< Verrò >>.
L'uomo annuì e tornò sui suoi passi
con la stessa fretta con cui era arrivato.
<< Anche noi abbiamo bisogno di
te. Non dimenticarlo >>, disse Hanneth, una mano poggiata
sul
proprio ventre a protezione del figlio non ancora nato.
<< Compierò il mio dovere e poi
tornerò da voi, è una promessa >>,
rispose Maedir.
Elrohir si affrettò ad andarsene per
lasciare ai due la loro intimità e si diresse verso la
propria casa,
dove aveva lasciato spada e arco. Il pugnale, invece, era sempre alla
sua cintura.
Arador e una dozzina di uomini erano
pronti a partire. Mai prima di allora Elrohir aveva visto una
spedizione pronta in così poco tempo.
<< Elrohir, con me >>,
ordinò il Capitano dei Dùnedain, <<
Maedir, nell'ultima fila
>>.
Elrohir prese le redini del cavallo che
fu messo a sua disposizione e, scacciando il ricordo di Manadh, vi
montò. Arador non proferì altre parole
finché non si furono tutti
messi in marcia. Solo allora diede risposta alle silenziose domande
che Elrohir aveva posto.
<< Arathorn ed i suoi uomini sono
stati attaccati e accerchiati da un gruppo di orchi. Anche Daven era
con loro >>, spiegò Arador.
Elrohir avvertì i battiti del suo
cuore accelerare all'improvviso all'udire quell'ultima frase.
<< Perché Daven è partito con
loro? >>, chiese, tenendo a stento a bada l'irritazione
che
traspariva dalla sua voce.
<< Non si aspettavano di dover
combattere. Se ne avessero avuto il sospetto avrebbero portato con
sé
più uomini, ed io sarei andato con loro >>.
Elrohir si rese conto che anche Arador
si stava sforzando di controllare il tono della propria voce. Era
visibilmente preoccupato.
<< Come hanno fatto gli orchi ad
arrivare fin qui? >>, chiese Elrohir. Sarebbero
dovuti
passare per Gran Burrone, aggiunse tra sé e
sé.
<< Probabilmente si sono
distaccati da un gruppo più grande. Spesso nascono delle
dispute per
il comando, che finiscono con una fazione che viene esiliata, se
sceglie di non combattere. È inusuale che accada, ma spesso
sono
proprio questi ultimi ad essere i più pericolosi. Devono
aver
aggirato i confini di Gran Burrone, forse erano inseguiti
>>,
disse Arador.
Elrohir non aveva mai ritenuto
rilevante informarsi sugli usi e sulle dinamiche sociali degli orchi,
in quanto li aveva sempre considerati esseri privi di
razionalità.
Tuttavia, in quel momento, fu costretto ad ammettere che conoscere il
nemico prima di affrontarlo poteva soltanto essere un vantaggio.
<< Uno dei nostri è riuscito a
fuggire, sotto ordine di Arathorn, per chiedere aiuto. Ci ha riferito
che due uomini sono morti, mentre uno è ferito. In seguito
gli altri
si sono rifugiati in un bosco per compensare l'inferiorità
numerica
>>, continuò Arador.
Elrohir aguzzò la vista ed osservò il
cammino di fronte a sé. << Inizio a vedere gli
alberi >>,
disse.
I Dùnedain spronarono i cavalli ad
aumentare la velocità, e presto giunsero abbastanza vicini
da
intravedere ombre nere tra gli alberi.
<< Proseguiamo a piedi >>,
ordinò Arador, << Nel bosco i cavalli ci
rallenteranno ed
annunceranno la nostra presenza con largo anticipo >>.
Elrohir fu il primo ad addentrarsi
nella selva. Nonostante i Dùnedain sapessero essere rapidi e
furtivi, l'elfo era ancora più abile.
Impugnò l'arco e seguì l'odore che
gli portava il vento. Avvertì subito il proprio cuore che
accelerava
i battiti, conferendogli l'energia di cui avrebbe presto avuto
bisogno. Era come tornare nella propria casa d'infanzia, come
rivedere un vecchio amico a lungo perduto. Gli esseri che Elrohir
stava cacciando non gli avevano recato altro che sofferenza e
sconforto, ma egli ne aveva quasi sentito la mancanza. Nonostante
avesse apprezzato una vita priva di pericoli, in fondo Elrohir sapeva
che il suo posto era quello.
Arrivò abbastanza vicino agli orchi
per vederli chiaramente. Avevano circondato i Dùnedain, che
si
nascondevano abilmente tra gli alberi, sferrando piccoli attacchi di
tanto in tanto. Era l'unico modo per evitare uno scontro aperto e
aveva permesso loro di sopravvivere tanto a lungo nonostante
l'inferiorità numerica, tuttavia orchi non avevano
intenzione di
lasciare la loro posizione. Era solo questione di tempo prima che
stringessero il cerchio ed intrappolassero definitivamente gli
uomini, togliendo loro ogni possibilità di sopravvivenza.
Elrohir scoccò la prima freccia.
L'orco cadde morto un istante dopo e due dei suoi compagni si
avvicinarono cauti. L'elfo li eliminò entrambi prima ancora
che si
rendessero conto di ciò che stava accadendo, poi
avanzò.
Arador e i suoi uomini avevano cambiato
direzione, in modo da attaccare lateralmente ed allo stesso tempo
lasciare ad Elrohir la visuale libera. Altri tre orchi furono
trafitti da altrettante frecce, poi Elrohir estrasse la spada. Corse
in avanti, consapevole del fatto che gli orchi l'avevano ormai
scoperto, e ne uccise uno con un solo colpo. Gli altri fuggirono
invece di affrontarlo, cosicché Elrohir fu costretto ad
utilizzare
nuovamente l'arco per impedire loro di allontanarsi. C'era qualcosa
di intrinsecamente sbagliato nel colpire qualcuno alle spalle, anche
se un nemico, ma Elrohir non aveva scelta. Dopo essersi liberato
individuò gli uomini di Arador che combattevano in difesa
dei
compagni. Ma, tra i membri della spedizione di Arathorn, tre non
erano lì, tra cui Daven e lo stesso Arathorn.
Elrohir scambiò una breve occhiata con
Arador. Vuole che trovi suo figlio, comprese
Elrohir.
Restò immobile per qualche istante, in
ascolto, finché non udì il familiare rumore dei
pesanti passi degli
orchi sul terreno. Elrohir corse al massimo delle proprie
capacità e
pregò di arrivare da Arathorn prima che fosse troppo tardi.
Il futuro Capitano dei Dùnedain stava
fronteggiando tre orchi. Teneva la spada di fronte a sé,
apparentemente incurante del fatto di essere in minoranza, pronto a
morire combattendo. Accanto a lui, a terra, c'erano i due uomini che
Elrohir aveva sperato di poter salvare, distesi in un lago di sangue.
L'elfo sapeva che uno dei due doveva necessariamente essere Daven. La
sua paura si era in parte avverata: non era arrivato in tempo per
tutti loro.
Si avvicinò senza curarsi di essere
silenzioso. Gli orchi, infatti, persero tutta la loro sicurezza non
appena lo videro. Arathorn colse l'occasione per ucciderne due,
mentre il terzo toccò ad Elrohir. La lama tagliò
la gola dell'orco
con un movimento fulmineo. Uno schizzo di sangue nero, poi il
silenzio.
Che mi abbiano davvero
riconosciuto?, si chiese Elrohir, È
improbabile che mi
abbiano già visto, ma potrebbero aver incontrato Elladan.
<< Elrohir! >>, la voce
allarmata di Arathorn lo distolse dai suoi pensieri.
Dei due uomini a terra soltanto uno era
morto. Daven, invece, era ancora vivo. Aveva un'ampia ferita sul
fianco, dalla quale aveva già perso una grande
quantità di sangue.
Il rumore del suo respiro era simile a quello di un uomo che annega.
Elrohir sapeva cosa significava, ma non osava dirlo. La lama
ha
trapassato i polmoni, pensò l'elfo, mentre un
brivido gli
correva lungo la schiena.
Per qualche attimo sia lui sia Arathorn
restarono pietrificati, inginocchiati sul terreno sporco di sangue
rosso e nero accanto all'uomo morente. Poi Elrohir strappò
un lembo
di tessuto dal proprio mantello e lo diede ad Arathorn.
<<
Usalo per fermare il sangue. >>, disse.
Arathorn obbedì, con mani tremanti. <<
Quando Elion è morto, Daven ha preso la sua spada. Ne ha
uccisi due
prima che lo colpissero. Se non fosse stato per lui, non ce l'avrei
fatta a resistere fino al vostro arrivo >>, disse.
Elrohir non rispose. Non riusciva a
distogliere lo sguardo da Daven. C'era paura nei suoi occhi, un
sentimento che mai Elrohir aveva associato a lui, ma che aveva visto
molte volte sul volto di chi si ritrovava faccia a faccia con la
morte.
Un fruscio avvertì l'elfo che qualcuno
si stava avvicinando. Con un gesto disse ad Arathorn di restare
dov'era, poi prese l'arco e si alzò. Mirò di
fronte a sé, pronto a
colpire il nemico non appena fosse entrato nel suo campo visivo.
Tuttavia si rese presto conto che i passi che aveva udito non erano
quelli di un orco, bensì quelli di un uomo.
Provò un immenso sollievo nel vedere
Maedir che veniva verso di lui.
<< Affrettati, abbiamo bisogno di
te >>, disse Elrohir.
Ma c'era ben poco che il guaritore
potesse fare. Si adoperò per fermare la fuoriuscita di
sangue, con
mani abili ed esperte. Impartì brevi comandi ad Arathorn ed
Elrohir,
sforzandosi di mantenere chiara la propria voce. Ma ad ogni minuto
che passava Daven faceva più fatica a respirare, e Maedir
era
costretto ad assistere impotente.
L'anziano guerriero guardò Elrohir
negli occhi e tentò di parlare, ma il sangue che aveva
invaso i suoi
polmoni glie lo impedì. L'elfo gli prese una mano e Daven la
strinse
al meglio delle sue forze, trapassando Elrohir con il suo sguardo. Fu
allora che l'elfo capì cosa stava cercando di dirgli: Daven
l'aveva
perdonato. << Grazie >>, disse Elrohir.
Lentamente i respiri diventarono più
brevi e radi, finché non si arrestarono del tutto, e infine
la vita
lasciò gli occhi di Daven, guerriero dei Dùnedain.
Arathorn si alzò e si allontanò di
qualche passo, per nascondere le proprie lacrime. Ma Elrohir e Maedir
restarono dov'erano. In loro non c'era spazio per la vergogna mentre
piangevano la morte dell'amico. Il dolore era quasi fisico per
Elrohir, era come una ferita sempre aperta, una sensazione tanto
estranea quanto amara. Tutto ciò che lo circondava era
scomparso,
relegato ad un angolo della sua mente, mentre l'immagine della morte
che si era abbattuta su di loro non lasciava spazio ad altro.
<< Savo hidh nen gurth >>,
sussurrò Elrohir.
I Dùnedain tornarono alla loro città
sconfitti e scoraggiati. Arador non proferì parola, ma la
sua rabbia
era palpabile, ancora più della tristezza. Sapeva che quelle
morti
avrebbero potuto essere evitate: se solo fossero stati più
lungimiranti il suo fidato amico e consigliere sarebbe stato ancora
al suo fianco.
Elrohir si allontanò dai suoi compagni
per entrare ad Annuminas non visto. Lasciò che Maedir
raggiungesse
la propria famiglia e si dileguò prima che essi si
accorgessero
della sua assenza. Trovò rifugio ai piedi della Torre
Occidentale e
delle rovine che la circondavano. Si sedette su un tappeto di foglie
secche e lì vi restò per un tempo indeterminato.
Pensò ad Elladan. Si chiese dove
fosse, se fosse tornato a casa, se avesse davvero incontrato quegli
orchi, così terrorizzati da lui, da loro.
Cercò nella
propria mente il residuo di quel legame che una volta condividevano e
scoprì di riuscire a stento a percepirlo. Non era in grado
di
percepire i sentimenti di Elladan, così come non era in
grado di
percepire dove fosse, tutte cose che in passato erano state facili
come respirare. Elrohir sapeva che, se anche il fratello fosse stato
con lui, non avrebbe potuto alleviare il suo dolore, ma avrebbe
potuto condividerlo e accoglierne una parte. E, in quel momento, era
tutto ciò di cui Elrohir aveva bisogno.
Il cielo si tinse di rosso mentre il
sole calava e le prime stelle annunciavano l'imminente arrivo
dell'oscurità. L'elfo udì un rumore familiare. Un
fruscio di zampe
sulle foglie. Per un attimo fu tentato di allontanarsi, di sparire
silenziosamente tra i resti delle antiche mura, ma, mentre una parte
di lui desiderava la solitudine, allo stesso tempo agognava la
compagnia. Elrohir attese che il cane fiutasse il suo odore e lo
raggiungesse, attraversando cautamente ogni ostacolo per evitare che
la padrona vi inciampasse. Raramente Melwen si allontanava
così
tanto da casa propria, ma quello non era un giorno come gli altri.
<< Sono qui >>, disse
Elrohir.
Melwen seguì la sua voce e si sedette
accanto a lui, poi lasciò libero il cane. Questi
restò fermo per
qualche secondo, in attesa di una carezza che sapeva di meritare.
Dopo che l'ebbe ottenuta, si apprestò ad esplorare i
dintorni,
annusando il terreno con grande interesse.
<< Lo sapevi? >>, chiese
Elrohir, riuscendo a stento a celare il tono di accusa che traspariva
dalle sue parole.
<< Sì >>, rispose Melwen.
<< Perché non me l'hai detto
prima che accadesse? >>.
<< Avresti provato ad evitarlo,
non ci saresti riuscito e adesso staresti incolpando te stesso invece
di incolpare me >>.
Non sto incolpando te, pensò
Elrohir, ma non ebbe il coraggio di dirlo ad alta voce. Non sarebbe
stato del tutto vero.
<< Conoscevo Daven e sapevo da
tempo che questo sarebbe stato il giorno della sua morte, ma dirlo
non avrebbe cambiato i fatti, avrei soltanto costretto qualcun altro
a condividere il mio fardello >>, spiegò
Melwen.
<< Non avrei dovuto incolparti, e
di questo mi dispiace. Forse sarà difficile per te da
credere, ma
non sono ancora riuscito ad abituarmi al concetto della morte. Ho
visto tanti eldar morire in battaglia, ma mai
nessuno di loro
invecchiare o ammalarsi, e vedere tutto ciò accadere a
Daven, per
poi perderlo per mano di una lama nera, mi ha colmato il cuore di
rabbia >>, disse Elrohir.
<< Daven era venuto a patti con
l'idea della morte tanto tempo fa, ed io so che avrebbe preferito
combattere un'ultima battaglia e finire i suoi giorni come un
guerriero, piuttosto che avere una vita più lunga e
rinunciare ad
ogni occasione di dimostrare il proprio valore >>,
rispose
Melwen.
<< Questo lo so. Le nostre
lacrime non sono per lui, sono per noi stessi >>.
Melwen poggiò la testa sulla spalla di
Elrohir. << Non sei solo >>, disse.
Erano le stesse parole che Elrohir
aveva detto ad Elladan quando aveva tentato di confortarlo per la
perdita di Saeliel.
Ha ragione: non sono solo,
sono...incompleto.
Il giorno dopo i Dùnedain si riunirono
per rendere omaggio a Daven. Ognuno gli dedicò qualche
parola, un
aneddoto o un ricordo significativo. Elrohir fu l'ultimo a parlare.
<< Ho sempre saputo che, se mai
avessi deciso di essere immortale, sarei voluto essere come mio
padre. Solo negli ultimi anni ho conosciuto il vostro modo di vivere
ed ho imparato cosa significa essere edain. Daven
era molto più giovane di me, ma era in grado di darmi
lezioni di
vita come se fossi un ragazzino inesperto. Se deciderò di
legare il
mio destino ai Dùnedain, sarà lui il mio modello
di vita >>.
Elladan aveva vagato a lungo dopo
la partenza dal Reame Boscoso, dirigendosi dapprima a sud, poi ad
ovest. Lì, dalla cima di un pendio, aveva avvistato qualcosa
di
insolito. C'era un contingente di orchi, stanziato non lontano da un
piccolo villaggio, che sembrava essersi diviso in due schieramenti,
intenti a combattersi fra loro. Elladan iniziò ad
avvicinarsi
lentamente, confidando nell'incapacità degli orchi di
risolvere i
loro diverbi in modo pacifico. Dovrei ringraziarli per il
loro
prezioso aiuto, senza il quale sarebbe impossibile per me
sconfiggerli da solo, pensò
Elladan.
Iniziò ad
avvicinarsi lentamente, sperando che lo scontro durasse il
più a
lungo possibile. Lì il terreno era piano e, se gli orchi
avessero
prestato attenzione ai dintorni, l'avrebbero visto. Ma non accadde.
I due schieramenti
continuarono ad affrontarsi finché uno dei due, il
più piccolo, si
distaccò dal gruppo e fu costretto a fuggire verso ovest.
Elladan si trovò
di fronte ad una scelta. Gli orchi in fuga si dirigevano verso
Imladris, mentre gli altri erano pericolosamente vicini al villaggio.
Il suo primo istinto era quello di accorrere in difesa della propria
terra, ma fu un pensiero breve: c'erano tante guardie a difesa di
Gran Burrone e quegli orchi non sarebbero neanche riusciti ad
avvicinarsi. Gli abitanti del villaggio, invece, erano indifesi.
Elladan si avvicinò
il più possibile e scoccò la prima freccia. Gli
orchi credettero di
vederlo comparire dal nulla e per qualche attimo restarono prede
dello stupore. I loro compagni in fuga si fermarono brevemente.
Elladan li osservò con la coda dell'occhio, temendo che
potessero
decidere di tornare indietro. Ma non lo fecero. Gli orchi ripresero
la loro fuga e lasciarono i compagni vincitori in balia delle frecce
e del luminoso acciaio elfico.
Hanno presto imparato a temermi,
pensò
Elladan, mentre estraeva
la spada e si preparava a combattere.
La battaglia fu
lunga ed estenuante. Non avere qualcuno che gli coprisse le spalle
rendeva il tutto più difficile, ma Elladan non provava
paura.
Con il passare del
tempo era gradualmente riuscito a sconfiggere lo sconforto che
sembrava seguirlo ovunque andasse e, nel momento in cui aveva di
nuovo impugnato il proprio arco, era stato pervaso dalla
serenità.
Aveva combattuto senza rabbia e senza odio, pensando con freddezza e
lucidità. E, infine, era rimasto solo, circondato dai corpi
dei suoi
nemici e da un lago di sangue nero. Solo allora si era concesso il
riposo di cui aveva bisogno.
Era trascorso poco
più di un giorno dalla battaglia, quando Elladan
avvertì qualcosa.
Fu come imbattersi per caso in un oggetto che sembrava perso da tempo
e ricordarsi all'improvviso che una volta lo si possedeva. Era quella
parte della sua mente che sin dalla nascita lo collegava ad Elrohir
come una corda invisibile, permettendogli di percepire di suoi
sentimenti e di condividere i propri.
Il legame che
Elladan aveva tentato a lungo di ignorare si risvegliò
prepotentemente, rovesciando nei suoi pensieri un'ondata di dolore,
senso di solitudine e profonda ira. Era la prova definitiva che tutti
i suoi sforzi per ritrovare la pace sarebbero stati inutili
finché
fosse rimasto solo.
Elrohir gli aveva
inconsapevolmente mandato una richiesta di aiuto, ed Elladan non
poteva continuare ad ignorarla.
E' giunta l'ora di tornare, pensò
l'elfo.
Traduzione delle
frasi in Sindarin:
Savo hidh nen
gurth: che
tu possa trovare
pace nella morte
Volevo dedicare
qualche rigo alla recente scomparsa di Sir Christopher Lee, non solo
un grande attore, ma un maestro di vita.
Invito
tutti i
lettori ad ascoltare la canzone "Magic of the Wizard's Dream",
che Lee ha cantato con la band "Rhapsody". E' stata una
delle "colonne sonore" che hanno accompagnato la stesura di
questo capitolo.
|
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Capitolo 26 *** Riuniti ***
Salve a tutti! Ancora una volta mi
dispiace di avervi fatto attendere, ma questo capitolo conteneva
alcune scene importanti a cui volevo dedicare la giusta attenzione.
Nel prossimo (già in lavorazione) incontreremo Aragorn per
la prima
volta.
Buona lettura!
Ivorwen
guardò suo marito Dìrhael mentre tagliava la
legna da ardere. Ad
ogni colpo d'ascia la sua irrequietezza aumentava.
<< Non
posso permetterlo >>, disse, << Nostra
figlia è giovane
ed inesperta, e colui che la chiede in sposa ha il doppio dei suoi
anni. Un giorno diventerà Capitano dei Dùnedain
ed io e te sappiamo
che la sua vita sarà breve. Se Gilraen sposerà
Arathorn, conoscerà
il dolore prima ancora di conoscere appieno la felicità
>>.
L'ascia
tagliò un altro tronco e Dìrhael
preparò il successivo.
<<
Ciò che dici è vero >>,
intervenne Ivorwen, << Ma
dimentichi qualcosa di importante: il loro amore è intenso e
sincero. Non è in nostro potere impedire loro di amarsi e,
anche se
dovessimo ostacolare la loro unione, non proteggeremmo nostra figlia
>>.
Dìrhael non rispose, ma Ivorwen lo conosceva abbastanza
da sapere che non era più del tutto convinto della sua
decisione.
<<
Il nostro è un nobile sangue, come lo è quello
della stirpe di
Arathorn. Un figlio nato dalla loro unione riporterebbe tra la nostra
gente la speranza a lungo perduta >>.
Dìrhael guardò
Ivorwen negli occhi. Si era sempre fidato ciecamente di lei e non
poteva ignorare le sue parole in un momento così vitale.
<<
Devo riflettere. Ti prego, lasciami solo >>, disse, e
continuò
a svolgere il suo lavoro.
<< Galu. Man i eneth gîn?
>>, disse Elrohir.
<< Im Edeniel eston. Onnen mi
Annùminas. A gin? >>.
<< Im Elrohir eston. Dorthon
mi Annùminas, ach onnen mi Imladris >>.
<< Sei
diventata molto brava >>, osservò Elrohir.
Edeniel si era
sempre mostrata curiosa nei confronti della cultura elfica ed aveva
tempestato Elrohir di domande su tutto ciò che riguardava
gli eldar.
La sua ultima richiesta era stata imparare la lingua degli
elfi.
Elrohir aveva accettato ed era rimasto sorpreso dall'impegno
che la bambina aveva messo nell'imparare. Era fiero di lei, ed allo
stesso tempo soddisfatto per essere stato un bravo insegnante.
<<
La prossima volta ti insegnerò i nomi delle stagioni, ma per
oggi
abbiamo finito >>, disse Elrohir.
<< Così presto?
Manca ancora tempo al tramonto >>, protestò
Edeniel.
<<
Lo so, ma il mio turno di guardia inizierà a breve e non
posso
tardare >>, rispose Elrohir.
Dalla morte di Daven i turni di
guardia erano stati prolungati, sia di giorno che di notte. Arador
aveva chiesto ad Elrohir di tornare a far parte delle sentinelle, per
via della sua vista più acuta. L'elfo aveva accettato,
ricordando
una conversazione che aveva avuto con Elladan tanti anni prima,
durante il loro ultimo viaggio con Celebrìan.
"Aspiri a diventare una
sentinella?", gli aveva chiesto Elladan.
"Se ci fosse un pericolo te ne
accorgeresti solo dopo esserci passato sopra. Fortuna che non sei tu
la sentinella", aveva risposto Elrohir.
<< Mi
insegnerai anche a tirare con l'arco? >>, chiese
Edeniel.
Elrohir non riuscì ad impedirsi di ridere. Mai aveva
visto una bambina così seria nelle sue richieste e
così impaziente
di apprendere.
<< Certo >>, la rassicurò,
<< Te
lo insegnerò dopo che avrai chiesto il permesso ai tuoi
genitori
>>.
Edeniel sorrise. << Le athae
>>.
Elrohir
la accompagnò fino al punto in cui le loro strade si
separavano, poi
si assicurò che arrivasse a casa e proseguì da
solo.
La torre di
guardia era un edificio spoglio, costruito in tempi recenti. Da
lì
Elrohir poteva vedere il lago Evendim, i Colli di Vesproscuro e una
parte del territorio circostante sufficiente per avvistare eventuali
pericoli con largo anticipo.
Quel giorno l'aria era tiepida e
ferma. Elrohir riusciva ad udire le conversazioni delle guardie che,
ai piedi della torre, parlavano del recente annuncio del fidanzamento
di Arathorn e Gilraen.
La famiglia di quest'ultima e quella di
Maedir erano legate da una lunga amicizia, pertanto Elrohir aveva
indirettamente partecipato all'agitazione causata dalla nascita della
relazione tra Gilraen ed Arathorn. Sapeva che i genitori della futura
sposa si erano dapprima opposti alla loro unione, ma in seguito
avevano dato il loro consenso. Arador, invece, aveva da subito
accettato di buon grado la decisione del figlio, forse spinto dalla
paura che la propria stirpe potesse finire con Arathorn.
Ascoltando
i discorsi delle guardie, Elrohir capì che tutti loro
avevano
fiducia in Arathorn e in molti iniziavano a chiedersi perché
Arador
non avesse ancora lasciato che il figlio lo succedesse, adesso che
aveva indubbiamente raggiunto l'età per farlo.
Elrohir rivolse la
sua attenzione altrove, vagamente infastidito dal tono dubbioso con
cui alcuni parlavano del proprio Capitano. Conosceva bene Arador e si
fidava delle sue decisioni.
Il suo turno di guardia si svolse in
tutta tranquillità e si concluse quando la luna era ormai
alta nel
cielo. La calma prima della tempesta, si
ritrovò a pensare
Elrohir, mentre era intento a tornare a casa.
Poco lontano, alla
pallida luce della luna, due sagome passeggiavano tenendosi per mano.
Elrohir sapeva di chi si trattava e il vedere quell'immagine
così
perfetta gli regalò un sorriso.
Per i giorni successivi riprese
quello stesso turno di guardia, felice di poter contribuire a
proteggere coloro che ormai considerava come la propria gente.
Come
aveva promesso, insegnò a Edeniel a tirare con l'arco. I
suoi primi
maldestri tentativi non andarono a buon segno: le frecce dalla punta
smussata, adattate ad un arco a misura di bambino, oltrepassavano
ogni volta il bersaglio. Ma, al quarto giorno, una delle frecce si
fermò sul bordo del paglione. Edeniel fu estremamente
orgogliosa del
risultato e ringraziò il suo insegnante con un maldestro
tentativo
di parlare in Sindarin. Tuttavia quel giorno la lezione non sarebbe
durata a lungo. Fu Maedir ad interromperli. Non appena Edeniel lo
vide, indicò il bersaglio e, contenendo a stento
l'entusiasmo,
disse, << Hai visto? Ci sono riuscita! >>.
<<
Sei bravissima! >>, esclamò Maedir, fingendosi
sorpreso, <<
Ancora un paio d'anni e potrai unirti ai cacciatori >>.
Elrohir
e Maedir si scambiarono uno sguardo complice.
<< Adesso è
ora che torni a casa, tua madre vuole che ti prepari per il
matrimonio >>, aggiunse Maedir.
L'entusiasmo di Edeniel si
affievolì. Andò a riprendere la freccia e si
diresse verso casa
mormorando una fievole protesta.
<< Hanneth ed io ti
siamo molto grati per aver trascorso del tempo con Edeniel. Da quando
è nato Gelion le nostre attenzioni si sono concentrate
maggiormente
su di lui e temiamo che Edeniel si senta trascurata >>.
Maedir
aveva chiamato il suo secondogenito Gelion, come l'amico morto anni
prima. Era ben deciso a restituire a quel nome il suo originario
significato di gioia e felicità, dando a Gelion la vita che
il suo
omonimo non aveva mai avuto.
<< Non dovete ringraziarmi. Il
tempo che trascorro con Edeniel è istruttivo per me almeno
quanto lo
è per lei >>, rispose Elrohir.
Si udì un suono di campane
in lontananza. I festeggiamenti per il matrimonio di Arathorn e
Gilraen erano cominciati.
<< Sarà meglio che ci prepariamo
anche noi >>, disse Maedir.
Elrohir annuì. Ripensò ai
giorni di festa a Gran Burrone, alla musica, ai doni e agli ospiti
provenienti da terre lontane. Per quanto amasse la vita tra i
Dùnedain, nulla che gli umani potessero fare eguagliava
l'atmosfera
che si respirava a casa propria.
Il matrimonio fu celebrato
nella parte più antica della città. Gli sposi
recitarono i voti e,
con la benedizione di entrambi i loro padri, piantarono il seme di un
albero, a simboleggiare la nascita di qualcosa che un giorno sarebbe
diventato grande e solido.
Qualsiasi dubbio fosse sorto in merito
all'unione di Arathorn e Gilraen svanì durante la cerimonia:
era
chiaro a tutti che i Valar avevano unito le loro anime e che nessun
essere mortale avrebbe mai potuto separarli.
La festa si protrasse
fino a notte inoltrata. Hanneth aveva riportato a casa Gelion ed
Edeniel; quest'ultima così stanca che non aveva neanche
opposto
resistenza.
Mentre i festeggiamenti volgevano al termine, Elrohir
e Melwen si congedarono dagli ultimi presenti e s'incamminarono verso
casa.
L'elfo si era distrattamente complimentato con lei per la
sua bellezza. Quella sera Melwen indossava un abito celeste e tra i
suoi capelli erano intrecciati fiori dello stesso colore. Agli occhi
di Elrohir, la sua presenza aveva oscurato persino quella di
Gilraen.
Si erano incamminati da poco, ascoltando i rumori
della festa che diventavano sempre più attutiti, quando un
altro
suono, ben più inquietante, echeggiò nell'aria.
Era il corno che
chiamava a raccolta tutte le guardie: una sentinella doveva aver
avvistato qualcosa.
Elrohir si voltò verso Melwen. <<
Riuscirai a tornare a casa? >>, chiese.
<< Conosco
bene questa via. Va' e presta il tuo aiuto >>, rispose
Melwen,
con un tono che non lasciava spazio ad obiezioni.
Elrohir arrivò
alla torre di volata e lì vi trovò Arador,
Arathorn e due arcieri
con gli archi tesi, in attesa di ordini.
<< È troppo veloce
per essere un Uomo, ma se fosse stato un nemico non si sarebbe fatto
avvistare così facilmente >>, disse uno degli
arcieri, <<
Elrohir, forse tu riesci a vederlo. Ai nostri occhi è poco
più di
un'ombra nel buio >>.
Elrohir seguì con lo sguardo la punta
delle frecce, che a loro volta seguivano lo sconosciuto. Anche l'elfo
aveva difficoltà a vedere i dettagli da quella distanza e
nel buio
più profondo, ma gli bastò individuare una
sagoma, una sagoma che
avrebbe riconosciuto ovunque, per capire che colui che si avvicinava
non era né un adan, né un nemico.
<< Non tirate! >>,
ordinò agli arcieri, << Potete riporre l'arco.
Non vi servirà
stanotte >>.
Gli arcieri guardarono Arador, che gli fece un
cenno di assenso.
Elrohir ignorò le domande che gli venivano
poste e scese dalla torre. Oltrepassò le guardie e si
fermò al
limitare della città. Lì, improvvisamente
insicuro su come
comportarsi, attese.
Elladan uscì dall'ombra e si fermò alla
luce delle fiaccole, a pochi passi da Elrohir.
Era vestito alla
maniera degli elfi silvani ed alla sua cintura era annodato un
sottile nastro verde. Appariva stanco, ma Elrohir capì dal
primo
sguardo che stava bene, molto meglio rispetto a quando era
partito.
Elladan avanzò di qualche passo, anch'egli indeciso su
cosa dire o fare. Alla mente di Elrohir riaffiorò il ricordo
dell'ultima volta in cui si erano visti, della rabbia e del dolore
che avevano utilizzato come arma l'uno contro l'altro.
Elladan
ridusse ulteriormente la distanza che li separava e disse una parola
soltanto, appena sussurrata. << Goheno nin >>.
Elrohir
ricordava bene quanto le parole di Elladan l'avessero profondamente
ferito, ma ricordava altrettanto bene la sua reazione violenta ed il
senso di colpa che ne era seguito. Aveva già perdonato
Elladan tanto
tempo prima e sentiva di essere stato perdonato a sua volta.
<<
Che il passato resti tale >>, rispose.
Pochi istanti dopo, i
due elfi erano stretti in un abbraccio. Ad Elrohir parve di sentire
la parte perduta della propria anima che si risaldava e tornava ad
essere integra. Allo stesso tempo ricominciò ad avvertire i
sentimenti di Elladan, forti ed intensi almeno quanto i propri. Solo
allora si rese conto di quanto avesse sentito la mancanza di quel
legame e di quanto la sua vita fosse stata incompleta fino a quel
momento.
I due fratelli trascorsero il resto della notte
passeggiando per le vite quasi deserte della città. Avevano
molto da
raccontarsi e tanto tempo da recuperare. I pochi Dùnedain
che
incrociavano il loro cammino li guardavano con stupore, ma Elladan
non poté fare a meno di notare che negli occhi delle persone
non
c'era più quello sguardo confuso che ormai era abituato a
ricevere.
In quel momento lui ed Elrohir non erano più l'immagine
speculare
l'uno dell'altro.
Elladan ascoltò il racconto degli anni che
Elrohir aveva trascorso ad Annùminas. Apprese dei nuovi
membri della
famiglia di Maedir e, con grande dolore, della morte di Daven.
Rimpianse di non essere stato presente durante tutti quegli
avvenimenti, ma non dubitò neanche per un istante della sua
scelta
di partire. Quel tempo trascorso in solitudine era stato
indispensabile.
Raccontò ad Elrohir del suo viaggio, del Reame
Boscoso e dei lunghi giorni passati ad errare senza una meta.
Non
omise nulla dal suo racconto, poiché sapeva che, anche se
l'avesse
fatto, sarebbe stato inutile. Le loro menti erano collegate e non
c'era più un motivo valido per nascondersi qualcosa. Ma
c'era
un'ultima informazione che esitava a rivelare. Entrambi erano felici
di essersi riuniti ed Elladan voleva protrarre quel momento il
più a
lungo possibile.
<< Hai avuto notizie di nostro padre e di
Arwen? >>, chiese ad Elrohir.
<< Ci siamo scritti
delle lettere. Di recente Arwen è tornata a Gran Burrone, ma
non è
restata a lungo. Erano preoccupati per te, ed io non potevo in alcun
modo rassicurarli >>.
Elladan sentì una fitta di senso di
colpa. Avrebbe dovuto inviare una lettera mentre si trovava ancora
nel Reame Boscoso, dove i collegamenti con Gran Burrone erano lenti,
ma affidabili.
<< Pensi che sia arrivata l'ora di tornare a
casa? >>, chiese Elrohir, intuendo i suoi pensieri.
<<
Sì, è giunta l'ora. Ma temo che abbiamo ancora un
compito da
svolgere qui >>, disse Elladan.
Notò che Elrohir appariva
quasi sollevato all'idea di trattenersi ancora con i
Dùnedain.
Doveva aver stretto solidi legami con loro, ancora più
solidi di
quelli che avevano consolidato in passato.
<< A cosa ti
riferisci? >>, chiese Elrohir.
Era arrivato il momento di
rivelare l'ultima informazione che Elladan aveva tenuto per
sé.
<<
Mentre mi dirigevo qui >>, iniziò a
raccontare, << Ho
visto delle impronte di Troll delle Colline. Si dirigevano verso sud
e temo che si siano fermati nelle vicinanze del Lago Evendim. Non ho
proseguito oltre perché i Troll erano almeno in quattro ed
ho
ritenuto più saggio informare prima i Dùnedain
>>.
Elrohir
rifletté per qualche istante, poi disse, <<
Sono felice che tu
abbia deciso di procedere con cautela. Non so come avrei trovato il
coraggio di annunciare a nostro padre che eri diventato la cena di un
Troll >>.
Entrambi risero all'assurdità di
quell'affermazione. Per qualche motivo persino la consapevolezza di
dover presto tornare ad affrontare dei nemici non riusciva ad
impensierirli.
Informarono Arador ed Arathorn dell'avvistamento, e
tutti concordarono che avrebbero atteso fino al giorno successivo per
decidere come agire.
La mattina dopo le attività quotidiane
tardavano ad iniziare a causa dei festeggiamenti della notte
precedente. Tuttavia, c'era qualcuno che non tardava mai.
Quando
il clima era più caldo, Melwen era solita uscire di casa
prima che
il sole fosse alto. A volte Elrohir aveva l'impressione che
trascorresse intere notti insonni, ma la conosceva abbastanza da
sapere che non desiderava domande in proposito.
Quel giorno,
Elrohir corse da lei e la prese per mano. << Voglio
presentarti
qualcuno >>, disse.
La condusse da Elladan, che l'aveva
conosciuta soltanto tramite i racconti di Elrohir.
<<
Melwen, ti presento mio fratello Elladan >>, disse.
<<
Finalmente ci incontriamo >>, disse Melwen, con un
sorriso
spontaneo.
Elladan studiò attentamente quella donna così
misteriosa, di cui Elrohir aveva parlato con grande affetto e
rispetto, ed ebbe l'impressione che anche lei lo stesse studiando,
nonostante non potesse vederlo. Si ripromise di conoscerla meglio non
appena ne avesse avuta l'occasione.
Poco dopo rivide Maedir, in
compagnia della moglie e dei suoi due figli. Elladan non
poté
evitare di notare come il tempo aveva modificato il suo aspetto.
Colui che aveva di fronte era un uomo adulto, un marito ed un
padre.
La sua primogenita, una bambina di nome Edeniel, stava
osservando Elladan intensamente, spostando lo sguardo da lui ad
Elrohir con crescente stupore. Evidentemente non riusciva a spiegarsi
come i due fratelli potessero somigliarsi così tanto. Il
secondogenito non doveva avere più di un anno, aveva i
capelli scuri
e gli occhi grigi, e portava il nome di Gelion.
<<
Padre, ho bisogno di parlarti in privato >>.
Arador era
nella propria tenda, nel mezzo di un'importante discussione con due
dei suoi uomini, quando Arathorn fece irruzione.
Arador si impose
di non lasciar trapelare la propria irritazione finché non
fosse
rimasto solo con suo figlio. Congedò i due uomini e,
guardando
Arathorn negli occhi, disse, << Potrò scusare
il tuo
comportamento soltanto se mi porrai una questione della massima
urgenza >>.
Arathorn sostenne il suo sguardo, e rispose, <<
Spetta a te decidere in che misura una questione sia importante
oppure no, così come spetta a te decidere in merito a molte
altre
cose >>.
<< Il tempo stringe, dì ciò che
devi >>.
<<
Ho sentito dire che non intendi portarmi con te oggi. Spero che tu
possa smentire questa diceria >>.
<< Non posso, perché
è la verità. I Troll sono creature estremamente
pericolose e per
combatterle mi occorreranno i migliori lancieri. I figli di Elrond
sono più forti di qualsiasi Uomo,
per questo porterò loro. Tu resterai qui a proteggere la tua
terra.
Non ritengo che sia un ruolo inadatto al futuro Capitano dei
Dùnedain
>>.
Arathorn era furioso. Arador lo sapeva bene, e sapeva
anche che era suo compito mantenere la propria compostezza.
<<
Quando sei stato via per anni, mi lasciasti qui dicendo che non ero
abbastanza esperto per seguirti, ed io rispettai il tuo volere. Ma
adesso non voglio sottostare ad altri pretesti. Mi addestro a
combattere da tutta la vita, ho imparato a brandire la lancia quando
avevo quindici anni e da allora non ho mai smesso di fare pratica.
Sono cresciuto leggendo delle gesta dei miei antenati, e tu non puoi
privarmi dell'opportunità di dare il mio contributo alla
grandezza
della nostra stirpe >>.
<< Cenere >>, disse
Arador, << Questo è tutto ciò che
resterà della nostra
stirpe se morirai prima di avere un erede. Nessuno, io meno di tutti,
ha messo in dubbio il tuo coraggio o la tua abilità ed in
futuro
avrai tante occasioni di mostrare il tuo valore, ma adesso la tua
prima responsabilità è verso la tua famiglia
>>.
Arathorn
distolse finalmente lo sguardo e si voltò verso l'uscita
della
tenda.
<< Ho sempre rispettato le tue richieste prima ancora
che diventassero ordini, ma non questa volta. Mi unirò alla
spedizione; modifica i tuoi piani di conseguenza >>.
Detto
questo, Arathorn uscì senza voltarsi.
Arador strinse i pugni fino
a graffiarsi la pelle. Mai prima di allora qualcuno gli aveva
disobbedito così apertamente, e il fatto che si trattasse di
suo
figlio rendeva tutto più difficile. In parte
è colpa mia,
pensò, Non avrei dovuto lasciarlo solo per
così tanto
tempo.
Arador trasse un profondo respiro ed uscì dalla
tenda.
<< Prepararsi a partire >>, disse,
<< Chi
prenderà parte alla spedizione prenderà ordini da
me e da Arathorn,
coloro che resteranno a difesa della città saranno sotto il
comando
di Elrohir ed Elladan fino al nostro ritorno >>.
Elladan
aveva sempre saputo di non avere una grande attitudine per il
comando, ma quando gli fu annunciato che non avrebbe preso parte alla
spedizione una parte di lui trasse un respiro di sollievo. Era stanco
di combattere e di fuggire. Non aveva dimenticato Saeliel, non
avrebbe mai potuto dimenticarla, ma si era costretto ad accettare che
i loro destini erano ormai separati e non poteva prevedere se si
sarebbero riuniti in futuro oppure no.
<< Possiamo restare
qui >>, disse ad Elrohir il giorno successivo,
<< Finché
non sarai pronto a tornare. So che questo luogo è diventato
una
seconda casa per te e non voglio che ti senta costretto a lasciarla
>>.
<< Sono combattuto >>, rispose Elrohir.
<<
Ieri ne ho parlato con Melwen, sperando che potesse consigliarmi su
come agire. Ha detto che tu ed io dobbiamo restare con i
Dùnedain,
perché presto la nostra presenza sarà
indispensabile >>.
<<
Non hai considerato che le sue parole potrebbero non essere del tutto
sincere? D'altra parte ha detto esattamente quello che sapeva ti
avrebbe fatto restare >>, disse Elladan.
<< Melwen ha
tutta la mia fiducia. E perché dovrebbe spingermi a restare?
>>,
chiese Elrohir.
Solo allora Elladan si rese conto che il fratello
non aveva idea di cosa lui stesse parlando. Non seppe se esserne
divertito o preoccupato. << Elrohir, Melwen ti ama.
Credevo te
ne fossi reso conto molto prima >>.
Elrohir fece per negare,
ma si bloccò a metà di una frase.
Restò in silenzio a lungo,
immerso nei propri pensieri. Poi disse, << Scusami, devo
andare
>>, e scomparve tra le vie di Annùminas.
Arador
indietreggiò per la terza volta, subito seguito dalla prima
fila.
Uno dei Troll giaceva morto, accanto a lui tre uomini a cui era
toccato lo stesso destino. Il secondo era stato trafitto da una
lancia e sarebbe morto a breve, ma gli altri due erano forti e colmi
d'ira. La lancia di Arador sembrava diventare sempre più
pesante e,
con il passare del tempo, i suoi colpi diventavano più
deboli ed
imprecisi. Alle sue spalle, protetti dalle lance, gli arcieri
scagliavano una pioggia di frecce sulle gigantesche creature,
scalfendo a malapena la loro pelle robusta.
Arathorn era
instancabile. Aveva finito con un colpo secco il Troll morente e
senza esitazioni era tornato a combattere al fianco del padre.
<<
Mirate agli occhi! >>, ordinò Arador agli
arcieri. Ma il Troll
si muoveva velocemente, seppur goffamente, e rendeva difficile mirare
con precisione.
Poi accadde il peggio. Il Troll afferrò una
lancia e la strattonò verso di sé. L'uomo che la
reggeva mantenne
la presa fino a quando non si sentì sollevare, allora
lasciò e
ricadde a terra. Arador si spostò verso di lui nel tentativo
di
difenderlo, ma il Troll fu più rapido. Trafisse l'uomo con
la sua
stessa lancia e fece lo stesso con il suo vicino, ad un palmo da
Arador. Il sangue gli bagnò il viso e gli fece perdere la
concentrazione per un istante. Si rese conto che, finché
fossero
stati costretti a combattere due Troll allo stesso tempo, non ce
l'avrebbero fatta.
Si rivolse ad Arathorn, senza mai perdere di
vista il bersaglio, e disse, << Mantieni la tua posizione
>>.
Arathorn annuì.
<< Sono stato chiaro? >>,
insistette Arador.
Solo allora Arathorn distolse lo sguardo dalla
battaglia e rispose, << Sì, signore
>>.
Arador guardò
suo figlio, come per imprimersi la sua immagine nella mente, poi
strinse la presa sulla lancia ed abbandonò la prima fila.
Corse in
avanti, tanto veloce quanto la sua età gli permetteva. Il
Troll fu
colto di sorpresa e tardò a reagire, così Arador
poté approfittare
del breve vantaggio.
Sollevò la lancia e, infondendo tutta la sua
forza in quell'unico colpo, la conficcò nell'occhio del
Troll,
spingendola in profondità nella testa. L'urlo della creatura
ferita
fu assordante. Arador lanciò una breve occhiata al secondo
Troll,
l'ultimo, e decise di sfidare il destino per l'ultima volta.
Lasciò
andare la lancia, sarebbe stato inutile tentare di riprenderla, e
diede le spalle al Troll che si era accasciato a terra. Poi estrasse
la spada, la cui lama era ancora pulita, e si rivolse verso l'ultimo
nemico. Ma non riuscì a muovere più di un passo.
Qualcosa lo colpì
alle spalle con una tale forza da farlo cadere in avanti prima ancora
che se ne rendesse conto. Il Troll doveva averlo trafitto appena
prima di esalare l'ultimo respiro.
Arador udì un turbinio confuso
di urla e rumori. Tentò di rialzarsi, ma scoprì
che la sola volontà
era inutile quando i suoi arti erano come paralizzati dal dolore.
Restò a terra, guardando la spada che si sporcava del suo
stesso
sangue, mentre il mondo attorno a lui diventava sempre più
indefinito. Pensava che sarebbe stata quella l'ultima cosa che i suoi
occhi avrebbero visto, ma non era così.
Non sapeva quanto tempo
fosse passato quando intravide il volto di Arathorn, come immerso in
una fitta nube.
Raccolse ancora una volta tutte le sue forze e
tentò di parlare.
<< Padre, io... >>, iniziò
Arathorn.
Ma Arador sapeva di non avere ancora molto tempo e non
poteva limitarsi ad ascoltare. Nonostante il dolore che annebbiava la
sua mente, sapeva esattamente cosa dire. In quel momento le sue
priorità erano molto chiare.
<< Sono fiero di te >>,
disse. Non sapeva come le sue parole suonassero a chi ascoltava, non
sapeva neanche se fossero comprensibili. << Hai
già portato
onore al tuo nome >>. Tentò di trarre un
respiro, ma sembrava
che i suoi polmoni si rifiutassero di accogliere aria. Le sue ultime
parole furono appena un sussurro. << Di' a Melwen...che
mi
dispiace >>.
Correva l'anno 2930 della Terza Era quando
Arador, figlio di Argonui e Capitano dei Dùnedain,
trovò la morte
in battaglia.
Traduzione delle frasi in Sindarin:
Galu. Man i eneth gîn?: Salve,
come ti chiami?
Im Edeniel eston. Onnen mi
Annùminas. A gin?: Mi
chiamo Edeniel, sono nata ad Annùminas. E tu?
Im Elrohir eston. Dorthon mi
Annùminas, ach onnen mi Imladris: Mi
chiamo Elrohir. Vivo ad Annùminas, ma sono nato a Gran
Burrone.
Le
athae: grazie
Goheno nin:
perdonami
P.s. Mi scuso con tutti coloro che hanno recensito lo scorso capitolo
per non aver risposto individualmente, ma sono riuscita a connettermi
appena il tempo di postare questo. Comunque vi ringrazio di cuore per
avermi dato la vostra opinione e vi risponderò come si deve
appena
potrò. Nel frattempo... sentitevi liberi di commentare (o
anche
criticare!)
|
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Capitolo 27 *** La caduta del Capitano ***
Eccovi
il nuovo capitolo, finito di correggere alla vigilia di un esame. Nel
prossimo assisteremo al ritorno degli elfi a Gran Burrone.
Enjoy!
"Melwen ti ama".
Elrohir non riusciva a
smettere di pensare a quelle parole. Elladan poteva essersi
sbagliato, ma più Elrohir ci rifletteva, più
iniziava a credere che
avesse ragione. Sapeva che avrebbe dovuto parlarne con Melwen, ma
qualcosa lo tratteneva. Cosa avrebbe mai potuto dirle? Non voleva che
lei soffrisse a causa sua, ma se Elladan aveva ragione significava
che Melwen aveva già sofferto a lungo.
Decise di parlarne con
Maedir. Lui doveva saperlo.
Andò da lui mentre Hanneth ed
Edeniel erano fuori e Gelion dormiva nella stanza accanto.
<<
Parla a bassa voce >>, disse Maedir, << O
si sveglierà
>>.
Elrohir raccontò brevemente il motivo della sua visita.
L'espressione di Maedir quando ebbe finito era indecifrabile, ma
Elrohir colse una scintilla di timore nei suoi occhi.
<<
Elladan è un buon osservatore >>, disse
Maedir, vagando
nervosamente con lo sguardo.
<< Perché Melwen non me l'ha
detto? >>, chiese Elrohir.
<< Perché sa che il
destino vi è avverso. E probabilmente sa che i suoi
sentimenti non
sono come i tuoi >>.
Elrohir esitò nel rispondere. Non
sapeva fino a che punto Maedir avesse ragione. << Per me
lei è
importante >>, disse infine.
<< Lo so >>,
rispose Maedir, << Ma fa' attenzione, Melwen ha
già sofferto
abbastanza >>.
Elrohir era inquieto e confuso. Forse
l'avevo già capito, ma non volevo ammetterlo a me stesso per
non
dover affrontare questo momento, pensò.
Ma non riuscì a
concludere quella conversazione, perché un presentimento,
unito a
dei vaghi rumori in lontananza, invase i suoi pensieri. Voci
allarmate ed una sequenza di suoni provenienti da un corno, il
significato dei quali Elrohir non conosceva. Non era il segnale di
pericolo, ma qualcosa di altrettanto angosciante.
Il bambino nella
stanza accanto iniziò a piangere e Maedir andò da
lui. Elrohir,
invece, si diresse verso il confine ovest della città. A
metà
strada incontrò Elladan, anch'egli visibilmente preoccupato.
La
spedizione partita due giorni prima era tornata, e anche da lontano
Elrohir capì che non tutti coloro che erano partiti avevano
fatto
ritorno. Ma presto arrivò una notizia ben più
grave. Tra i morti
c'era stato anche Arador, Capitano dei Dùnedain.
Elladan fu
profondamente addolorato nell'apprendere l'accaduto, ma
avvertì un
dolore ancora più grande provenire da Elrohir. Questi aveva
conosciuto Arador più a lungo e ne avrebbe maggiormente
sentito la
mancanza.
La notizia della morte di Arador si diffuse con estrema
velocità e ben presto l'intera popolazione si
radunò a porre
omaggio al loro capitano. Arathorn, mostrando un contegno ed una
forza d'animo degne di un re, prese il comando immediatamente ed
organizzò le cure per i feriti e gli onori ai caduti.
Elrohir non
aveva mai dubitato che Arathorn sarebbe diventato un degno successore
di Arador, ma osservarlo in quel momento gli diede la conferma che
gli Uomini dell'Ovest erano in buone mani.
Poche ore erano
trascorse dal ritorno della spedizione, quando Arathorn venne da
lui.
Aveva gli occhi arrossati, ma non c'erano tracce di lacrime
sul suo viso.
<< Mio padre ha espresso un'ultima volontà
prima di morire: voleva che riferissi qualcosa a Melwen. So che vi
conoscete e vorrei che mi indicassi dove si trova la sua casa
>>,
disse, la voce ferma ed autorevole.
Elrohir esaudì la richiesta e
condusse Arathorn lungo quel sentiero che gli era ormai familiare.
Quando bussarono alla porta di Melwen, fu Maedir ad aprire.
<<
Mi dispiace per la tua perdita, mio signore >>, disse
Maedir,
<< Cosa ti porta qui? >>.
<< Desidero parlare
con Melwen in privato. È in casa? >>.
Maedir fece un passo
avanti, socchiudendo la porta alle sue spalle. << La
notizia
della morte di Arador l'ha sconvolta. Al momento non vorrà
vedere
altre persone >>, disse.
Ma, prima ancora che Arathorn
potesse insistere, la voce di Melwen giunse dall'interno.
<<
Potete entrare >>, disse.
Melwen era seduta ad un tavolo;
anche lei, come Arathorn, portava sul viso i segni del pianto. Quando
Elrohir la vide, ripensò a quello che aveva scoperto nelle
ultime
ore ed alle parole di Maedir.
Poi si rese conto di non aver detto
nulla, pertanto non sapeva se lei fosse consapevole della sua
presenza.
<< Puoi tornare a casa, io sto bene >>, la
udì sussurrare a Maedir.
Quando quest'ultimo uscì, lasciando
soli Melwen e Arathorn, Elrohir lo seguì. Ma, mentre Maedir
andava
per la sua strada, per qualche motivo a lui stesso sconosciuto
Elrohir restò lì, appena fuori dalla porta.
Abbastanza vicino da
tenere d'occhio la zona, ma non abbastanza da ascoltare la
conversazione che si teneva all'interno.
Non molto tempo dopo,
Arathorn uscì a sua volta, mormorò un saluto e
tornò sui suoi
passi. Elrohir si avvicinò alla casa, indeciso su cosa fare.
C'erano
cose importanti che doveva dire a Melwen, ma in quel momento
così
delicato il meglio che poteva fare era ascoltare, e rimandare tutto
il resto ad una situazione più adatta.
Bussò alla
porta.
Dapprima il silenzio fu assoluto, tanto che Elrohir pensò
che Melwen non l'avesse sentito. Ha un ottimo udito, deve
avermi
sentito, rifletté subito dopo.
<< Sono Elrohir >>,
disse.
Dopo un'altra pausa, finalmente ebbe una risposta. <<
Entra >>.
Elrohir non aveva mai visto Melwen piangere
prima di allora. L'aveva sempre considerata un esempio di forza, e
vederla in un momento di debolezza lo colpì a tal punto da
fargli
dimenticare qualsiasi cosa avesse pensato di dire.
Si sedette
accanto a lei e restò in silenzio.
<< Ho fatto un grande
errore >>, disse Melwen, mentre si asciugava le lacrime
dal
viso, << Ed oggi ho perso ogni speranza di porvi rimedio
>>.
La
sua voce era spezzata, fragile ed allo stesso tempo carica di
rabbia.
<< Se nulla potrà rimediare, non puoi fare
altro
che perdonare te stessa ed accettare i tuoi errori >>,
disse
Elrohir.
<< I miei errori possono ferire più di una
spada,
possono rovinare una vita >>, rispose Melwen. Mai Elrohir
aveva
udito da lei parole così aspre.
<< È quello che è
successo con Arador? >>, chiese Elrohir.
Melwen non rispose
subito, forse riflettendo su quanto dovesse rivelare. <<
Vuoi
davvero saperlo? >>, disse
<< Soltanto se pensi che
raccontarlo ti aiuti a mettere ordine tra i tuoi pensieri
>>,
rispose Elrohir.
Melwen fece un breve sorriso, colmo di amarezza.
<< Suppongo di sì. Avere la tua opinione non
potrà che
aiutarmi >>.
Iniziò a raccontare, con lo sguardo rivolto di
fronte a sé ed una mano poggiata su quella di Elrohir.
<<
Anni fa Arador decise di partire ed incamminarsi verso ovest,
accompagnato da un cospicuo numero di uomini, tra cui Daven e Maedir.
È stato durante questo viaggio che vi siete incontrati,
quindi
potresti non sapere cosa accadde prima. Arador era preoccupato
perché
sapeva che avrebbe lasciato suo figlio da solo per molti inverni e
non sapeva se avrebbe mai fatto ritorno. In quello stesso periodo io
sognai la sua morte. Avevo ormai imparato a distinguere un normale
sogno da una visione e sapevo bene che quello che avevo visto si
sarebbe avverato, presto o tardi. Non era la prima volta che vedevo
la morte di qualcuno e non sarebbe stata l'ultima, per questo non
ebbi nessun dubbio quando decisi di non dirgli nulla. Tuttavia
accadde qualcosa che non avevo previsto. Scoprii di essermi confidata
con la persona sbagliata e, in qualche modo, la notizia
arrivò ad
Arador. Questi venne da me in cerca di risposte, ben determinato ad
ottenerle e ben consapevole che io non intendevo rivelarle. Fece leva
sulle mie debolezze, mi disse cose crudeli, forse sentendosi
giustificato dal fatto che doveva sapere. Alla fine
ho ceduto.
Ero così arrabbiata che gli rivelai tutto perché
sapevo che così
facendo gli avrei fatto del male, e non una volta, ma per il resto
della sua vita. Gli dissi che sarebbe morto in battaglia, colpito
alle spalle mentre tentava di allontanarsi da un nemico morente. Ma
non era questo che Arador voleva sapere. Il tempo,
questo era
importante. Voleva sapere se avrebbe mai fatto ritorno dal suo
viaggio e se, al momento della sua morte, Arathorn sarebbe stato in
grado di andare avanti senza il suo appoggio. Ma io non potevo
rivelare anche questo, non ero neppure ben certa di sapere quando si
svolgeva la mia visione. Arador se ne andò deluso e non ebbi
sue
notizie fino al suo ritorno. Quel giorno eri presente e, forse lo
ricorderai, lui venne da me. Si scusò per come si era
comportato e
mi raccontò che, mentre era via, aveva preso parte ad una
battaglia
con la certezza che lì avrebbe incontrato la morte. Aveva
persino
ordinato a Daven di non combattere così da avere qualcuno
che in
seguito avesse potuto aiutare Arathorn. Mi disse che le mie parole
erano rimaste impresse a fuoco nella sua mente, influenzando ogni
momento della sua vita e ricordandogli perennemente che la sua fine
si avvicinava. Nessuno dovrebbe conoscere il proprio destino, anche
se è lui stesso a chiederlo. Nel momento in cui lo scopre,
inizia a
desiderare di non averlo mai saputo >>.
Melwen si fermò,
stringendo impercettibilmente la stretta sulla mano di Elrohir.
<<
Non mi stupisce >>, continuò qualche secondo
dopo, <<
che Arador e Arathorn abbiano avuto i loro diverbi. Arador combatteva
come se ogni giorno fosse l'ultimo, Arathorn combatte come se fosse
immortale >>.
Melwen sospirò, Quando ebbe la certezza che
il racconto era terminato, Elrohir parlò, <<
Se tu fossi una
persona qualsiasi, ti direi di non addossarti la colpa delle
decisioni di qualcun altro. Ma ormai ti conosco bene, e so che nulla
che io possa dire ti impedirà di rimpiangere il tuo errore,
per
questo ti darò qualcos'altro su cui riflettere: le tue
azioni
potrebbero non essere state dannose quanto credi. Arador è
stato un
Capitano prudente e riflessivo, e solo adesso capisco quanto la tua
rivelazione abbia avuto un ruolo in questo. Forse è stato
proprio il
tuo avvertimento a salvargli la vita per tanti anni. È vero
che
nessuno dovrebbe conoscere il proprio futuro, ma non sempre
conoscerlo è un male assoluto. Non tormentarti,
ciò che è stato, è
stato >>.
Adesso nuove lacrime brillavano negli occhi di
Melwen, diverse da quelle che Elrohir aveva visto poco prima.
<<
Vorrei che tu ed io ci fossimo incontrati in un'altra vita
>>,
disse.
Elrohir capì che si stavano addentrando in un discorso
diverso. << Anche io lo vorrei >>, rispose.
Seguì un
lungo silenzio. Elrohir iniziò a credere che la
conversazione
volgesse al termine, quando decide di dar voce alla domanda che lo
tormentava, e a cui solo Melwen poteva rispondere con
sincerità.
<<
Perché non me l'hai mai detto? >>, chiese. Non
ebbe bisogno di
specificare a cosa si riferisse: lei capì subito di cosa
stava
parlando.
<< Perché sapevo quale sarebbe stata la tua
risposta e dirlo avrebbe soltanto fatto soffrire entrambi, oltre a
mettere a rischio tutto quello che abbiamo costruito in questi anni
>>, rispose Melwen.
<< Quello che abbiamo è prezioso
per me, e non permetterò che vada perduto. Ma come puoi
conoscere la
mia risposta se neanche io sono certo di conoscerla? >>.
<<
Tu la conosci >>, rispose semplicemente Melwen.
C'erano
momenti in cui Elrohir aveva l'impressione che lei lo conoscesse
meglio di quanto lui conosceva se stesso, e quello era uno di quei
momenti.
<< Abbiamo percorso strade adiacenti, ma un giorno
queste strade si separeranno, e noi dobbiamo essere pronti
>>,
disse.
Non appena l'ebbe pronunciata, capì che era questa la
risposta che Melwen aveva previsto.
La donna strinse
impercettibilmente le labbra e disse, << Adesso vorrei
restare
sola >>.
Elrohir si alzò e fece per andarsene, ma, prima
ancora che arrivasse alla porta, Melwen aggiunse, << Se
lo
vorrai, domani passeggeremo insieme come era nostra abitudine
>>.
<<
Con molto piacere >>, rispose Elrohir, sollevato.
L'ombra
gettata dalla morte di Arador fu irradiata da un raggio di luce
appena un anno dopo.
Una sera di primavera, dopo un intero giorno
di attesa con il fiato sospeso, Arathorn annunciò con gioia
che suo
figlio era venuto al mondo. Il bambino venne chiamato "Aragorn",
rendendolo il secondo della sua stirpe a portare quel nome.
Non
appena Elladan lo vide per la prima volta, seppe per istinto che un
giorno Aragorn avrebbe compiuto grandi imprese e che il suo ruolo
negli eventi a venire sarebbe stato fondamentale. Il destino del
figlio di Arathorn non poteva che essere questo.
Ma, in seguito a
quella lieta notizia, non tutto andò per il meglio. C'erano
state
delle complicazioni durante la nascita di Aragorn e, sebbene fosse
certo che Gilraen si sarebbe presto ripresa del tutto, i guaritori
raccomandavano che non provasse ad avere altri figli, almeno per il
momento.
Arathorn, d'altro canto, si era prodigato per rendere
sicure le terre circostanti ed aveva trascorso la maggior parte del
suo tempo ad organizzare spedizioni per combattere una nuova ondata
di orchi che aveva invaso le terre dell'Ovest. Con la nascita di
Aragorn, le spedizioni diventarono sempre più frequenti, in
quanto
Arathorn voleva assicurarsi che il figlio non corresse alcun
pericolo. Il Capitano dei Dùnedain era sempre in prima linea
a
guidare i suoi uomini ed il più delle volte Elrohir ed
Elladan
combattevano al suo fianco. Da tempo ormai non era più
soltanto il
senso del dovere a spingerli ad aiutare i Dùnedain, ma il
desiderio
di proteggere il sangue del loro sangue. Elladan aveva visto qualcosa
in Arathorn, e prima di lui in Arador: non un tratto specifico, ma
qualcosa di indefinito che gli aveva ricordato se stesso da giovane,
nonché l'impulsività di Elrohir e la
solennità di Elrond. Tutti
loro condividevano un legame di sangue, un vincolo indissolubile.
Un
giorno, ad appena due lune dalla nascita di Aragorn, Arathorn disse
qualcosa ad Elladan, qualcosa che l'elfo non avrebbe mai
dimenticato.
<< Se mi accadesse qualcosa, portate Gilraen e
Aragorn a Gran Burrone, lì saranno al sicuro
>>.
Gli
antenati di Arathorn erano nati e cresciuti ad Imladris, ma lui aveva
interrotto questa tradizione. "Un viaggio sarebbe stato
troppo pericoloso in questo momento", aveva detto ad
Elladan, quando questi gli aveva chiesto il motivo della sua insolita
scelta, "Finché sarò in grado di
proteggerli, voglio che
mia moglie e mio figlio restino con me".
Elladan,
come Elrohir prima di lui, si era presto inserito nella
quotidianità
della città di Annùminas. Era bello tornare a
vivere sotto un
tetto, non doversi guardare continuamente le spalle e soprattutto
poter contare sulla presenza di Elrohir.
Due interi cicli di
stagioni trascorsero ancora prima che Elladan se ne rendesse
conto.
Il piccolo Aragorn cresceva a vista d'occhio, muoveva i
primi passi e tentava di pronunciare le sue prime parole. Nel
frattempo, la minaccia degli orchi diventava gradualmente meno
impellente e quando Arathorn chiese ad Elrohir ed Elladan di unirsi a
lui per una spedizione, entrambi erano certi che sarebbe stata
l'ultima.
Partirono alle prime luci dell'alba, diretti verso nord.
Era pieno inverno e lo spesso strato di neve rallentava il loro
cammino, ostacolando l'andatura del cavalli. Elladan non
poté fare a
meno di pensare che avrebbero proseguito più velocemente a
piedi, ma
sapeva che i Dùnedain non avrebbero gradito la proposta.
Nonostante
fossero capaci di camminare veloci e furtivi quasi quanto gli elfi,
andare a cavallo consentiva loro di risparmiare le forze ed avere una
migliore visuale dei dintorni.
Con questa nebbia e i raggi di
sole riflessi dalla neve, la nostra visuale non potrebbe essere
peggiore, osservò Elladan, mentre si stringeva nel
mantello.
Il
cammino proseguì con lentezza. Arathorn era in testa e,
sebbene
guidasse la compagnia con sicurezza, Elladan sospettava che non fosse
del tutto certo di dove stessero andando.
Nessuno parlò e per la
maggior parte del tempo gli unici suoni udibili furono il fischio del
vento e l'ansimare dei cavalli. Tuttavia, fu proprio il vento a
mettere in guardia gli uomini su ciò che stava per accadere,
dando
loro un esiguo vantaggio sugli aggressori. Iniziò con un
odore che
gli elfi conoscevano fin troppo bene. Arrivò ad Elladan ed
Elrohir,
e subito dopo ai cavalli, che iniziarono a nitrire ed a battere gli
zoccoli sulla neve.
<< Loro sono qui >>, sussurrò
Elladan ad Arathorn. Non possono essere lontani,
aggiunse tra
sé.
Gli uomini estrassero silenziosamente le spade, guardandosi
intorno nel tentativo di individuare i nemici.
Poi, il familiare
rumore della punta di una freccia che fende l'aria e, un istante
dopo, uno degli uomini era a terra. Ma quella freccia bastò
ad
indicare la posizione dell'arciere che l'aveva scagliata.
<<
Veniva da est >>, disse Elladan.
Tese l'arco ed aguzzò la
vista fino ad individuare delle vaghe macchie nere dietro una duna di
neve. Gli orchi erano lì. Scoccò una freccia,
quasi alla cieca,
senza sapere se avesse colpito il bersaglio.
Subito dopo ne arrivò
un'altra in risposta, che però andò a vuoto. Sanno
di essere
stati scoperti ed hanno perso la loro sicurezza.
I Dùnedain
attaccarono, e ben presto gli orchi uscirono dal nascondiglio per
fronteggiarli, forti della protezione degli arcieri.
Altre due
frecce uccisero altrettanti uomini ed una terza si conficcò
nel
fianco del cavallo di Elrohir, colpendo di striscio la sua
caviglia.
Elladan avvertì il bruciore come fosse proprio, come se
qualcuno stesse tenendo una fiamma accesa sulla sua pelle.
Elrohir
saltò giù dal cavallo per evitare che l'animale
cadesse su di lui.
I gemelli ebbero appena il tempo di scambiarsi uno sguardo per
assicurarsi di stare entrambi bene, prima che una nuova ondata di
frecce iniziasse ad abbattersi su di loro.
<< Prendi il mio
cavallo >>, disse Elladan, << E va' avanti
con i
Dùnedain. Io mi occuperò degli arcieri
>>.
<< Se
resti qui non avranno difficoltà a prenderti di mira
>>,
ribatté Elrohir.
<< Non gliene darò il tempo >>,
rispose Elladan.
Elrohir non sembrava felice del piano, ma fece
come Elladan aveva detto. In fondo sapeva che il fratello era ancora
il più abile con l'arco.
Elladan mirò alle figure indistinte che
sapeva essere gli arcieri degli orchi, superando la tentazione di
mirare a quelli più vicini, che stavano combattendo faccia a
faccia
con i Dùnedain.
Dovevano essere quattro o cinque e, più tempo
passava, più il vento disperdeva la nebbia e rendeva la
visuale più
chiara. Elladan ne eliminò due, ma fallì nel
centrare il terzo.
Fece un secondo tentativo, notando di sfuggita che presto avrebbe
esaurito le frecce. Colpì il terzo orco e subito
mirò al quarto.
Con la coda dell'occhio intravide il penultimo arciere rimasto che
impiegava più tempo per prendere la mira. Stava puntando un
bersaglio specifico, ma Elladan era troppo lontano per capire quale
fosse. Poi, accadde qualcosa l'elfo non avrebbe mai previsto.
Osservò
la freccia nell'aria, seguendo la sua traiettoria come se il tempo
stesso fosse rallentato al solo scopo di ricordargli quanto fosse
impotente. Quando la freccia colpì Arathorn, ad Elladan
mancò il
fiato. Restò immobile a lungo, aggrappandosi alla vana
speranza che
il Capitano dei Dùnedain fosse in qualche modo
sopravvissuto, ma il
dolore che avvertiva provenire da Elrohir lasciava ben pochi
dubbi.
Così Elladan si costrinse ad agire, respirò a
fondo e
scagliò le ultime due frecce, uccidendo per primo l'orco che
aveva
colpito Arathorn.
Poi corse verso la battaglia, che stava per
volgere al termine. I Dùnedain erano più numerosi
degli orchi, e la
morte del loro Capitano li aveva riempiti di rabbia. Senza
più la
minaccia degli arcieri, per gli Uomini non fu difficile sconfiggere
gli ultimi orchi rimasti. Solo quando la battaglia fu definitivamente
conclusa, i Dùnedain si avvicinarono lentamente al loro
Capitano, i
loro cuori increduli e al contempo colmi di orrore.
La freccia
aveva trafitto l'occhio di Arathorn, che teneva ancora la spada
stretta in pugno, come se fosse pronto a rialzarsi per ricominciare a
combattere. Qualcuno sussurrò delle parole d'addio, ma la
maggior
parte di loro restò in silenzio.
Elrohir non sembrava
intenzionato a distogliere lo sguardo dal sangue sulla neve, una
pozza rossa che si allargava inghiottendo il bianco.
Il
ritorno ad Annùminas fu lento, come se tutti volessero
ritardare il
più possibile il momento in cui avrebbero dovuto dire a
Gilraen che
suo marito era morto ed al piccolo Aragorn, che aveva appena due
anni, che non aveva più un padre.
Hanneth allontanò i suoi
figli, portando con sé anche Aragorn, per evitare che
vedessero la
terribile scena di Gilraen che piangeva sul corpo di Arathorn. Maedir
si occupò di chi aveva bisogno di cure, tra cui Elrohir, il
quale
non si era accorto di avere la parte inferiore della gamba
interamente coperta di sangue.
Furono momenti surreali, come se
fossero parte di un sogno. Ma, per quanto lo volessero, nessuno di
sarebbe svegliato al sicuro nel proprio letto.
Elladan sapeva che
spettava a lui prendere in mano la situazione, ed aveva ben chiare le
ultime volontà di Arathorn.
Aspettò fino alla mattina
successiva, quando la veglia funebre in onore di Arathorn si era
ormai conclusa, poi andò da Gilraen.
La donna aveva terminato le
sue lacrime e nascondeva il suo dolore dietro una maschera di
impassibilità. Tra le sue braccia, il figlio si guardava
intorno
spaesato. L'idea della morte era inafferrabile per un bambino
così
piccolo, nessuna spiegazione poteva giustificare il fatto che suo
padre fosse scomparso per sempre.
Probabilmente non lo
ricorderà da adulto, il che sarà un bene,
pensò Elladan.
<<
Mia signora >>, disse, scegliendo un appellativo che
raramente
utilizzava per rivolgersi a chiunque, << Sono
profondamente
addolorato, e consapevole che niente che io possa dire
allevierà la
tua sofferenza >>.
<< Ti ringrazio, Elladan, figlio di
Elrond. È vero, nessuna delle tue parole è di
conforto, ma c'è
molto che tu e tuo fratello potreste fare per me >>,
rispose
Gilraen.
<< La volontà di Arathorn mi è ben
nota, e sarò
lieto di scortarti, con Elrohir e tutti gli uomini che vorrai
portare, a Gran Burrone >>.
Gilraen allora si voltò a
guardarlo, ed Elladan vide per la prima volta l'abisso di tristezza e
disperazione che colmava i suoi occhi. Fu come rivedere sua madre,
appena dopo essere stata sottratta alle torture degli orchi. Rivide
quell'ombra che si allargava lentamente e seppe che Gilraen ne
sarebbe stata sopraffatta, presto o tardi.
<< Partiamo
adesso. Aragorn non è al sicuro qui, e con ogni ora che
passa il
pericolo aumenta: le forze del male non si fermeranno finché
non
avranno distrutto la stirpe di Isildur >>, disse Gilraen.
<<
A Gran Burrone saremo sotto la protezione di Elrond, e nessun male
potrà raggiungerci. Organizzerò la partenza al
più presto; quanti
uomini ci accompagneranno? >>, chiese Elladan.
<<
Nessuno. Un contingente numeroso sarebbe più facile da
individuare e
il viaggio procederebbe a rilento. Voi due basterete e, se dovessero
attaccarci, vi affiderò Aragorn affinché lo
portiate al sicuro,
procedendo senza di me >>.
Elladan sapeva che, se si fossero
trovati in circostanze simili, non avrebbe mai acconsentito a quel
piano, ma decise di accettare ugualmente, confidando nell'aiuto della
fortuna.
Elrohir non aveva ancora pienamente realizzato cosa
era accaduto il giorno precedente. Aveva visto Arathorn nei suoi
ultimi istanti di vita, intento a combattere senza un'ombra di paura
in volto, e un attimo dopo la sua esistenza di era spenta, come una
piccola fiamma preda del vento.
Elladan venne a sedersi accanto a
lui, sulla soglia della porta di casa, alla luce del sole appena
sorto.
<< Sei turbato >>, osservò
Elrohir.
<<
Lo siamo tutti >>, rispose Elladan.
Il sole sembrava non
aver alcun effetto sul gelo che attanagliava l'aria, e la neve non
accennava a sciogliersi.
<< Gilraen vuole che partiamo
subito >>, disse Elladan, << Dobbiamo
metterci in marcia
prima del tramonto >>.
Elrohir aveva saputo che quel momento
sarebbe presto arrivato. Pensò a Melwen, a Maedir, alla
piccola
Edeniel ed a Gelion. Avrebbe dovuto dire loro addio, almeno per il
momento.
<< Sarò pronto non appena avrò
salutato tutti >>,
disse Elrohir.
Andò per primo da Maedir, spiegandogli il
motivo della sua partenza così repentina.
<< La nostra casa
sarà per sempre aperta a te ed alla tua famiglia, anche per
le
prossime generazioni. Spero di rivederti presto >>, disse
Elrohir.
<< Appena viaggiare tornerà ad essere sicuro,
vi
faremo visita >>, rispose Maedir, trattenendo a stento le
lacrime.
Edeniel insisté per andare con lui a Gran Burrone.
<<
Quando sarai più grande potrai venire quando vorrai. Io ti
aspetterò
>>, promise Elrohir.
Prolungò quei momenti il più
possibile e, tra gli abbracci e i saluti, pose una domanda che
attendeva paziente nella sua mente. << Dov'è
Melwen? >>.
<<
L'ho vista uscire poco fa >>, rispose Maedir,
<< Credo
che voglia salutarti da sola >>.
Come previsto, Elrohir
la incontrò ai confini della città, dove poco
lontano Elladan e
Gilraen erano ormai pronti a partire.
<< Infine la tua
visione si è avverata >>, disse Elrohir.
Melwen accennò un
sorriso. << Come spesso accade >>, disse.
Elrohir fece
un passo avanti, riducendo la distanza che li separava. Sapeva di non
avere molto tempo.
<< Ti farò una domanda. Sei libera di
non rispondere, e anche di rimproverarmi di avertelo chiesto, ma lo
farò ugualmente. Tu ed io ci rincontreremo?
>>, chiese
Elrohir.
Melwen alzò una mano e la poggiò delicatamente
sul viso
dell'elfo, tracciandone i lineamenti fino a soffermarsi sulle
orecchie a punta. << Ho visto il nostro incontro, ma non
so
dirti se si tratti di un evento futuro o un semplice sogno. Il mio
cuore mi inganna, e mai prima d'ora l'avvenire è stato
così incerto
>>.
<< Na lû n'i a-goveninc, muin Melwen
>>,
rispose Elrohir. A stento si accorse di aver parlato nella propria
lingua, ma seppe con certezza che Melwen aveva capito.
La salutò
con un bacio sulla guancia e, prima di voltarsi, si soffermò
un'ultima volta con lo sguardo su di lei.
Quel giorno non ci
furono lacrime: ognuno dei due ricordò l'altro con un
sorriso per
tutti gli anni a venire.
Elladan si guardò alle spalle ed
ammirò la bellezza di Annùminas sotto una coltre
di neve. Quando
anche Elrohir montò a cavallo, i quattro partirono. Non ci
furono
squilli di trombe o grandi addii, solo il gelo ed il silenzio. I due
elfi sollevarono i cappucci e Gilraen sistemò la coperta che
proteggeva Aragorn dal freddo, ed il loro viaggio iniziò.
Infine
si ritorna a casa, pensarono i gemelli all'unisono.
Traduzione delle frasi
in Sindarin:
Na lû n'i a-goveninc,
muin Melwen: fino
al nostro prossimo incontro, mia cara Melwen
|
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Capitolo 28 *** Ritorno a casa ***
Il
viaggio proseguì senza sosta fino a notte inoltrata. Il
vento era
calato, ma il gelo era ancora intenso e penetrante. Per Gilraen la
fatica era di gran lunga superiore a quella degli altri, in quanto
doveva cavalcare portando in braccio il figlio, troppo piccolo per
stare in sella da solo.
Elladan
si era offerto di portare Aragorn con sé, ma il bambino non
voleva
in nessun modo separarsi dalla madre.
<<
Fermiamoci qui >>, disse Gilraen ad un tratto.
Elladan
sapeva che lei aveva sperato di poter arrivare a destinazione prima
dell'alba, ma, se aveva chiesto una pausa, significava che ne aveva
davvero bisogno.
Si
fermarono ai piedi di un grande albero, le cui radici offrivano un
comodo appoggio al riparo dalla neve.
<<
Dobbiamo accendere un fuoco >>, disse Elrohir.
<<
Se lo facciamo, segnaleremo la nostra presenza. Potremmo non superare
la notte >>, rispose Elladan, sussurrando.
<<
Se non lo facciamo, il bambino potrebbe morire di freddo
>>,
ribatté Elrohir.
A
quel punto Elladan non poteva obiettare. << Vado a
raccogliere
la legna >>, disse, << Tu riposati, riesco
a sentire che
la tua ferita si è riaperta durante il viaggio
>>.
Quando
Elladan fu di ritorno, Aragorn si era già addormentato
avvolto in
due strati di coperte, mentre Elrohir distribuiva le magre provviste
che avevano preparato per il viaggio. Ma l'unica cosa che diede loro
un vero sollievo dalla fatica fu il calore del fuoco. Gilraen
ringraziò Elladan per averle ceduto la sua coperta, ma non
sembrò
intenzionata a dormire.
Teme
i sogni che potrebbero assalirla,
pensò Elladan.
<<
Siamo ormai vicini >>, disse l'elfo, << E
più ci
avviciniamo, più saremo al sicuro >>.
<<
Una volta superata la notte >>, aggiunse Gilraen.
<<
Sarò io di guardia >>, la rassicurò
Elladan, << Nessuno
si avvicinerà non visto >>.
Lanciò
un'occhiata ad Elrohir che, appoggiato alla corteccia dell'albero ed
avvolto nel mantello, appariva addormentato. Ma Elladan sapeva che
l'elfo era in realtà vigile e pronto a cogliere qualsiasi
rumore
sospetto. Allo stesso tempo, poteva sentire l'eco dei suoi pensieri,
rivolti a quello che si erano lasciati alle spalle ad
Annùminas ed
all'ultima parte del viaggio che li attendeva.
Elladan
si massaggiò distrattamente la caviglia, un gesto istintivo
quanto
inutile, in quanto non aveva alcun potere su un dolore che non gli
apparteneva.
<<
Puoi sentire tutto quello che lui prova? >>, chiese
Gilraen,
guardandolo per la prima volta con una nota di curiosità.
Solo
allora Elladan si rese davvero conto di quanto Gilraen fosse giovane.
Conosce
ben poco del mondo, eppure ha già conosciuto la sua parte
peggiore,
pensò.
<<
Sì. Spesso le sensazioni più lievi, come questo
dolore, sono le più
difficili da distinguere: cessano di essere mie o sue e diventano
nostre >>, rispose Elladan.
<<
Lo stesso vale anche per i pensieri? >>, chiese Gilraen,
affascinata dall'argomento.
<<
Con i pensieri è diverso. Il dolore è impersonale
e può essere
condiviso senza timori. I pensieri, invece, appartengono soltanto a
chi li crea. Le nostre menti sono collegate, ma molto diverse: io
posso affacciarmi alla sua e lui alla mia, ma ad entrambi qualcosa
è
celato. I pensieri più reconditi restano al sicuro nelle
profondità
della mente, mentre a ciascuno di noi spetta decidere se affidarli
alle parole oppure no >>, spiegò Elladan.
Gilraen
aveva ascoltato attentamente. Probabilmente si stava chiedendo cosa
avrebbe provato se avesse potuto condividere il suo dolore con
qualcuno.
<<
C'è qualcosa che posso fare per te? >>, chiese
Elladan,
desideroso di alleggerire il fardello che Gilraen portava sulle
spalle.
<<
Nulla che tu non stia già facendo, e di questo ti saremo
sempre
grati >>, rispose lei, lanciando una breve occhiata ad
Aragorn.
Quando
i primi raggi di sole iniziarono a schiarire il cielo, i viaggiatori
erano già pronti a ripartire. Elladan era grato per aver
trascorso
una notte tranquilla, nonostante la linea di fumo che segnalava la
loro presenza.
Tuttavia,
non voleva sfidare ancora la sorte e propose di partire
immediatamente, soluzione che Gilraen accettò senza
esitazione.
Il
piccolo Aragorn rese chiaro che avrebbe preferito restare dov'era,
comodo e al riparo dal freddo, piuttosto che tornare in sella, dove
ad ogni passo temeva di cadere. Ma non appena Elrohir ripeté
l'esportazione della madre, il bambino ammutolì e fece come
gli era
stato chiesto.
<<
Tuo figlio ha paura di noi? >>, chiese Elrohir a Gilraen
poco
dopo.
Questi
sorrise brevemente, per la prima volta da quando avevano lasciato
Annùminas, e rispose, << Non ha mai visto
persone così alte e
così diverse nell'aspetto rispetto a coloro a cui
è abituato, per
questo non ha ancora capito bene come comportarsi in vostra presenza
>>.
Aspetta
solo che incontri Elrond...,
commentò Elrohir tra sé.
Elrond
era nella Sala del Fuoco, intento a leggere un libro. Negli ultimi
giorni quel luogo era diventato il preferito dagli abitanti di
Imladris, in quanto il fuoco sempre acceso era una fonte costante di
calore. Quel giorno il vento faceva tremolare anche le fiamme
più
grandi e fischiava attraverso le fessure delle ampie finestre.
Elrond
tentò di concentrarsi sul testo che aveva di fronte, una
poesia che
in altre circostanze avrebbe sicuramente apprezzato. Ma, in quel
momento, qualcos'altro occupava i suoi pensieri: un presentimento,
uno di quelli che Elrond aveva imparato a non ignorare.
Per
questo motivo, non appena venne avvertito dell'arrivo ai confini di
Imladris di alcuni viaggiatori, interruppe all'istante la sua lettura
ed uscì all'esterno.
Accadeva
spesso, soprattutto in inverno, che dei viandanti passassero per Gran
Burrone e chiedessero di poter usufruire dell'ospitalità del
suo
signore, il quale era ben lieto di offrire rifugio e assistenza. Ma,
quel giorno, Elrond sapeva che non avrebbe incontrato degli anonimi
viaggiatori.
Raggiunse
le guardie che sorvegliavano la sponda est del fiume Bruinen, ormai
del tutto ghiacciato. Tre cavalli, con altrettanti cavalieri, si
accingevano ad attraversare il ponte che collegava le due rive del
fiume e conduceva all'interno dei confini di Imladris.
Elrond
dimenticò qualsiasi cosa, dal gelo che gli entrava nelle
ossa alla
presenza di una terza persona che non riusciva ad
identificare.
Elladan
fu il primo ad arrivare. Il suo sguardo si soffermò
brevemente sulla
magnifica vista di Imladris innevata, poi incontrò quello di
Elrond.
Smontò da cavallo e, per pochi istanti, sembrò
indeciso su come
approcciarsi.
Elrond
fugò i suoi dubbi in un istante. Annullò la
distanza che lo
separava dal figlio e lo abbracciò, incurante di qualsiasi
altra
cosa. Non poteva esprimere in altro modo quanto fosse felice del loro
ritorno. Saperli lì, al sicuro, a casa, lo ripagava di ogni
preoccupazione che l'aveva tormentato negli ultimi anni.
Appena
dopo venne il turno di Elrohir, che ricambiò l'abbraccio con
calore.
Anche loro erano felici di essere tornati, Elrond poteva
sentirlo.
Sciolse
l'abbraccio per poterli guardare negli occhi. I gemelli erano
più
diversi che mai: nei loro sguardi Elrond poteva vedere la gioia e il
dolore, innumerevoli storie da raccontare e infine un'ombra, lasciata
dal tempo sulle loro anime. Nel vederla provò un impellente
desiderio di tenerli al sicuro, di concedergli una tregua da tutte le
loro afflizioni.
<<
Bentornati a casa >>, disse, affidando i suoi sentimenti
a
quelle tre semplici parole.
Entrambi
sorrisero. << Siamo felici di essere qui
>>, disse
Elladan.
Elrond
li scrutò attentamente, cercando di capire quali fossero le
loro
condizioni, ben consapevole che, se l'avesse chiesto direttamente a
loro, avrebbero risposto in maniera non del tutto veritiera. Erano
entrambi infreddoliti ed affaticati, ed Elrohir aveva una ferita
ancora sanguinante all'altezza della caviglia, ma non sembrava nulla
che richiedesse un intervento immediato.
<<
Conosco questo sguardo: ci stai ispezionando >>,
osservò
Elrohir.
<<
Siete sfuggiti alle mie ispezioni per troppo tempo, adesso non potete
opporvi >>, rispose Elrond.
Elrohir
ridacchiò. << Non oseremmo >>,
disse.
Il
terzo viaggiatore, che era rimasto in disparte fino a quel momento,
si fece avanti. Elrond constatò che si trattava di una donna
umana
e, particolare che non aveva notato la prima volta, portava con
sé
un bambino.
<<
Padre, lei è Gilraen, figlia di Dìrhael, e suo
figlio Aragorn >>,
li presentò Elladan.
<<
Sono lieto di conoscervi >>, disse Elrond. Ho
lasciato che restassero al gelo fino ad ora,
si rimproverò.
<<
Verrete accompagnati all'interno e, quando vi sarete riposati e
riscaldati, parleremo. >>, stabilì Elrond e,
vedendo che sia
la donna che il bambino apparivano ancora cauti, aggiunse,
<<
Siete sotto la mia protezione adesso, e nulla di male potrà
capitarvi >>.
Gilraen
chinò la testa in segno di rispetto. << Ti
sono immensamente
grata per il tuo aiuto >>, disse, << Le
athae >>.
Elrond
chiamò una delle guardie. << Trova loro una
stanza e fa' che
ricevano cibo e abiti adeguati >>, ordinò.
<<
Hir
vuin
>>, rispose la guardia.
Non
appena Gilraen ed Aragorn si furono allontanati, Elrond si rivolse ai
suoi figli.
<<
Quel bambino è il figlio di Arathorn? >>,
chiese. Aveva
conosciuto Arathorn quando aveva pressappoco quella stessa
età e la
somiglianza era innegabile.
<<
Sì, ed è in grave pericolo >>,
disse Elladan, << Suo
padre è stato ucciso due giorni fa e questo è
l'unico luogo in cui
si troverà al sicuro >>.
Elrond
ripensò ad Arathorn. Sembravano trascorsi pochi giorni da
quando
l'aveva visto l'ultima volta, e saperlo morto era difficile da
concepire. << Com'è accaduto?
>>, chiese.
<<
Una freccia degli orchi >>, rispose Elrohir,
<< Noi
eravamo al suo fianco, ma non siamo riusciti ad impedirlo. Poco dopo
ci siamo messi in viaggio per venire qui, per rispettare l'ultima
volontà di Arathorn e salvare la sua stirpe >>.
Elrond
capì che dietro quelle parole c'era una storia
più ampia, più
dolorosa, per questo non fece altre domande in proposito.
<<
So che in questo modo abbiamo messo in pericolo anche Imladris, ma...
>>, disse Elladan.
<<
Avete fatto la cosa giusta >>, lo interruppe Elrond. Li
guardò
entrambi negli occhi, affinché sapessero che ogni sua parola
era
sincera, e disse, << Sono fiero di voi >>.
Entrambi
abbassarono lo sguardo, come se non fossero certi di meritare la sua
approvazione. << Andiamo all'interno >>,
disse Elrond,
fingendo di non averlo notato, << Abbiamo tanto di cui
parlare
>>.
Elladan
ed Elrohir furono accolti con affetto da tutti coloro che li
conoscevano. Glorfindel versò persino una lacrima nel
vederli, e fu
l'unico in grado di distinguerli l'uno dall'altro. Elrond
notò con
orgoglio che anche chi aveva soltanto sentito parlare di loro era
sinceramente felice che fossero tornati a casa sani e salvi.
Ma
l'ora dei festeggiamenti non era ancora giunta. Infatti, Elladan ed
Elrohir tornarono dal padre appena dopo aver salutato gli amici
più
stretti.
<<
Vorremmo tornare nelle nostre stanze >>, disse Elladan.
Elrond
poteva capirli: dopo un viaggio lungo e faticoso il loro primo
desiderio non poteva che essere quello di riposare nei luoghi in cui
più si sentivano al sicuro.
Le
stanze di Elrohir ed Elladan, adiacenti, si trovavano a pochi passi
da quella di Elrond e, un tempo, di Celebrìan. Sullo stesso
corridoio, alloggiavano Gilraen ed Aragorn.
Elrond
aveva fatto sì che le stanze dei suoi figli fossero lasciate
com'erano al tempo della loro partenza, ma allo stesso tempo
mantenute pulite e libere dalla polvere.
Prima
di lasciarli per far visita a Gilraen, insistette per occuparsi della
ferita di Elrohir, nonostante quest'ultimo gli avesse assicurato che
non era nulla di cui doversi preoccupare.
Gli
occhi esperti di Elrond riconobbero subito l'impronta della punta di
una freccia, che aveva lasciato dietro di sé una scia di
pelle
lacerata in profondità, fin quasi all'osso. Elrond
provò una fitta
di profonda rabbia nei confronti di chiunque fosse stato a scagliare
quella freccia.
<<
C'era un principio di infezione, ma qualcuno è intervenuto
prima di
me >>, osservò.
<<
Un amico >>, rispose semplicemente Elrohir.
<<
È un ottimo guaritore >>.
<<
Sarebbe immensamente felice di sentirtelo dire >>, disse
Elrohir, con una nota di divertimento nella voce.
<<
Allora spero di poterlo incontrare un giorno >>.
<<
Lo spero anche io >>, rispose Elrohir, tornando serio.
Quando
il sole aveva ormai iniziato la sua discesa nel cielo, Elrond
bussò
alla porta di Gilraen.
La
donna lo invitò ad entrare e ribadì la sua
gratitudine. La stanza
era una delle più spaziose, con un ampio letto ed una culla,
dalla
quale Aragorn lo osservava con curiosità. Di muto accordo i
due si
spostarono dal lato opposto della stanza, in maniera che il bambino
riuscisse a vederli, ma non ad ascoltare le loro parole.
<<
Ho saputo della tua perdita e ne sono addolorato >>,
disse
Elrond.
<<
Arathorn ha sempre parlato con affetto di te e di Imladris. Sono
certa che sarebbe felice di saperci qui al sicuro >>,
rispose
Gilraen. Elrond non poté evitare di notare quanto la
bellezza del
suo viso fosse oscurata dalla tristezza nei suoi occhi. Il
suo cuore è freddo come l'aria invernale, come... quello di
Celebrìan dopo il Passo Cornorosso,
pensò.
<<
Ed io ricordo lui con lo stesso affetto >>, rispose
l'elfo.
Gilraen
lanciò un breve sguardo ad Aragorn, come per assicurarsi che
fosse
ancora lì, poi disse, << Non
fingerò di non sapere quanto la
nostra presenza qui vi sottoponga ad un grave rischio >>.
<<
Apprezzo molto la tua onestà, e sarò felice di
ricambiarla >>,
rispose Elrond, << Ciò che hai appena detto
sarebbe
appropriato se voi foste dei normali ospiti che chiedono rifugio nei
confini di Gran Burrone, ma non lo siete >>, poi
indicò
Aragorn, << Nelle sue vene scorre anche il mio sangue, e
questo
vi rende parte della famiglia, pertanto vi invito a considerare
Imladris come una casa, non come un mero rifugio. Proteggerò
Aragorn
come proteggerei uno dei miei figli: con ogni mezzo >>.
Gilraen
apparve vagamente sollevata dopo quella dichiarazione, ma era
evidente che il suo stato d'animo era ancora inquieto. <<
Ho
preso precauzioni per ridurre i rischi legati al nostro arrivo: siamo
partiti in tutta segretezza e la nostra destinazione era nota a pochi
>>, disse.
Elrond
sospirò. << Temo che non sia sufficiente.
Considerando che
Aragorn resterà qui almeno fino all'età adulta,
occorre prendere
misure più durature >>.
<<
Cosa proponi, quindi? >>, chiese Gilraen.
<<
Terremo nascosta a tutti, anche a lui stesso, l'identità di
Aragorn.
Avrà un nuovo nome e non verrà a conoscenza della
stirpe a cui
appartiene >>.
Gilraen
esitò. Era evidente che non gradiva l'idea, ma in cuor suo
sapeva
che era il modo migliore per proteggere suo figlio. <<
Sarà un
sacrificio necessario >>, rispose.
Elrond
guardò Aragorn, che intanto si era disinteressato a loro.
Ogni volta
che un bambino Dùnedain veniva portato a Gran Burrone,
Elrond non
riusciva a non notare che c'era qualcosa che tutti avevano in comune.
Qualcosa di indefinibile, nello sguardo, che gli ricordava Elros.
Ogni volta ripeteva a se stesso che erano passate troppe generazioni
per notare ancora una somiglianza, ed ogni volta restava sorpreso.
Negli occhi grigi di Aragorn, nella sua espressione concentrata
mentre tentava di comprendere i discorsi degli adulti, c'era l'ultima
essenza di Elros, il prodotto del suo sacrificio.
<<
Lui è la nostra speranza >>, disse Elrond.
<<
Speranza... >>>, mormorò Gilraen,
improvvisamente
pensierosa. << Estel
>>, disse poi, << È questo il
termine? >>.
<<
Sì, è esatto >>, rispose Elrond.
<<
Estel... >>, disse ancora una volta, come per verificarne
il
suono. << Potrebbe essere questo il nuovo nome di Aragorn
>>.
<<
Sono d'accordo >>, rispose Elrond.
Gilraen
sorrise. Per la prima volta da quando era arrivata ad Imladris,
sembrava davvero che avesse iniziato a sperare nel meglio.
Elladan
si guardò allo specchio. Era tornato ad indossare gli abiti
tipici
di Imladris, con l'aggiunta del nastro annodato alla cintura, in
ricordo di Saeliel. Si preparava ad uscire e, per la prima volta da
quando era partito, non portava con sé il pugnale. Persino
nella
sicurezza dei confini di Annùminas, Elladan aveva sempre
portato con
sé un'arma. Ma adesso, tra le sale ed i giardini nei quali
era
cresciuto, non ne sentiva più il bisogno.
Era
finalmente a casa.
Quella
sera la cena fu servita nella sala principale. A capotavola sedeva
Elrond, mentre i posti alla sua destra e sinistra erano riservati ad
Elrohir ed Elladan. Di regola il posto a destra era destinato al
figlio maggiore, ma nel caso dei gemelli quella consuetudine valeva
ben poco. In passato Elrohir ed Elladan erano soliti scambiarsi di
posto di tanto in tanto per il gusto di confondere gli altri
commensali, che faticavano sempre di più a riconoscerli. Nel
caso di
sedute diplomatiche, invece, i gemelli erano ben lieti di cedere i
posti più importanti a Glorfindel ed Erestor.
Quella
sera Elrohir si sedette accanto a Glorfindel, mentre Elladan era tra
Elrond e Gilraen. Aragorn, che sembrava essersi già
ambientato,
correva da un capo all'altro del tavolo, impegnato in un gioco con
due dei commensali. Gli elfi erano felici di averlo con loro: i
bambini erano così rari tra gli Eldar che la presenza di
Aragorn era
vista come una piacevole novità.
<<
Sembra che si stia divertendo >>, osservò
Elladan.
Gilraen
annuì. << Apprezza questo luogo. Penso che lo
faccia sentire
al sicuro >>, disse.
<<
Ed il suo nuovo nome? >>, chiese Elladan.
<<
Si abituerà presto. "Estel" è una parola che
riesce
facilmente a pronunciare, a differenza di "Aragorn" >>,
spiegò Gilraen.
Elladan
ammirò la capacità di Gilraen di trovare un
aspetto positivo anche
in quella situazione. Rinunciare al nome di Aragorn significava anche
rinunciare alla memoria di Arathorn, e della sua stessa famiglia. Era
un prezzo equo per la sicurezza di Aragorn, di
Estel,
si corresse Elladan mentalmente, ma non per questo
insignificante.
Estel,
intanto, si accinse a tornare dalla madre. Mentre correva,
inciampò
nei suoi stessi piedi e cadde in avanti. Elladan fece per alzarsi, ma
Gilraen lo fermò.
<<
Lascia che si rialzi da solo >>, disse, <<
Dovrà cadere
altre volte, ed il meglio che possiamo fare è insegnargli a
rimettersi in piedi >>.
Estel,
infatti, dopo qualche istante di perplessità, si
alzò e continuò
il suo tragitto, come se non fosse accaduto niente.
Questo
dovrò tenerlo a mente,
pensò Elladan.
Elrohir
non si era mai accorto di quanto gli fosse mancata la musica. I
Dùnedain avevano le loro melodie, e canzoni per ogni
occasione, ma i
ritmi e l'intensità della musica elfica erano unici. Un
tempo
Elrohir sapeva suonare, mentre Elladan componeva splendide poesie.
Negli
ultimi anni non ci siamo dedicati a nessuna arte che non fosse quella
della guerra,
pensò Elrohir con una punta di amarezza.
Durante
la cena ebbe modo di rivedere dei vecchi amici, volti familiari che
gli riportavano alla mente la sua infanzia. Uno di loro fu Teliadir,
che si preparava a lasciare nuovamente Imladris. Elrohir
ascoltò i
suoi racconti di viaggio e ne raccontò di propri,
menzionando di
aver conosciuto Daven e Dareon, nomi che Teliadir avrebbe certamente
ricordato. L'elfo fu felice di avere notizie di coloro che aveva
aiutato, ma non seppe mai della tragedia che aveva colpito quella
famiglia non molto tempo dopo. Daven l'aveva raccontato ad Elrohir in
confidenza, e questi non aveva intenzione di violare la sua fiducia,
neanche dopo la sua morte. Inoltre, era certo che Teliadir si sarebbe
attribuito la colpa di non aver fatto abbastanza per aiutarli. Per
questo, Elrohir non menzionò il nome di Gelion e Teliadir,
per
tacito accordo, non chiese di lui.
Gilraen
fu la prima a ritirarsi per la notte. Estel era sul punto di
addormentarsi e anche lei iniziava a sentirsi stanca. Poco dopo
Elladan ed Elrohir fecero lo stesso. Difficilmente l'avrebbero
ammesso, ma anche loro avevano accumulato una buona dose di
stanchezza.
Elrond
osservò mentre uno ad uno i posti si svuotavano, la musica
cessava e
le voci diventavano mormorii. L'elfo restò al suo posto a
sorseggiare vino, sereno come di rado era stato in vita
sua.
Glorfindel
sembrava dello stesso umore, Elrond poteva percepirlo.
<<
Adesso che Estel è qui dobbiamo far recintare lo stagno
>>,
disse Elrond, riflettendo ad alta voce, << Non voglio che
si
ripeta quello che è accaduto con Elrohir ad Elladan
>>.
<<
All'epoca proponesti di prosciugarlo >>, rispose
Glorfindel.
<<
Per adesso recintarlo andrà bene >>, disse
Elrond.
<<
Estel ti ricorda loro. Per questo vuoi proteggerlo >>,
osservò
Glorfindel.
<<
È un bambino innocente, non ho bisogno di un motivo per
volerlo
proteggere >>, rispose Elrond, con una nota di rimprovero
nella
voce.
Ma
Glorfindel lo conosceva troppo bene per lasciarsi intimidire.
<<
Istinto paterno? >>.
<<
Non sono suo padre >>.
<<
Potresti diventarlo >>, suggerì Glorfindel.
<<
Abbiamo ospitato altri bambini Dùnedain in passato. Per loro
sono
stato un mentore e un protettore, ma mai un padre. Questa volta non
è
diversa >>, disse Elrond.
<<
Gli altri avevano già un padre, Estel non ce l'ha
>>.
Elrond
sospirò. << Non credo che sarei un buon
genitore per lui >>,
confessò.
<<
Ci sono prove del contrario. Tre, per la precisione...
>>,
disse Glorfindel.
<<
Elrohir, Elladan ed Arwen >>, lo anticipò
Elrond, <<
Sono fiero di loro, ma da quando Celebrìan non
c'è più le mie
decisioni non hanno portato a nulla di buono. Sento di aver perso le
redini >>.
<<
Dal mio punto di vista, sei tu ad aver tenuto le redini fino a questo
momento >>, disse Glorfindel. Elrond sollevò
lo sguardo ed
incrociò il suo, per convincersi della sua
sincerità. Avere dei
momenti di insicurezza era inevitabile, ma per Elrond era importante
che tutti coloro che facevano affidamento su di lui lo vedessero
sempre sicuro e fiducioso. Solo a Glorfindel, di tanto in tanto, era
permesso di guardare oltre la superficie. I suoi consigli erano saggi
e onesti, e in un modo o nell'altro mostravano ad Elrond un punto di
vista al quale non aveva pensato prima.
<<
Se non ti sbagli, significa che dovrò tenere le redini
ancora un
po'. E, forse, insegnare ai miei figli a fare lo stesso. In futuro
uno di loro, se non entrambi, potrebbe prendere il mio posto
>>,
disse Elrond. E
anche se questo è l'ultimo dei loro pensieri, non
è l'ultimo dei
miei,
aggiunse tra sé.
Elladan
sospirò. Era trascorso un anno da quando era tornato a Gran
Burrone
e suo padre aveva deciso che lui ed Elrohir avrebbero dovuto essere
più responsabili. Il
che significa, a quanto pare, trascorrere ore intere davanti a pile
di documenti o presiedere ad interminabili riunioni.
L'elfo
guardò la pergamena di fronte a sé. Lettere a cui
rispondere,
decisioni da prendere, documenti da ricopiare e nessuna
gratificazione. Elladan guardò attraverso la finestra
socchiusa e,
osservando la posizione del sole, fece un breve calcolo del tempo
trascorso da quando aveva iniziato il lavoro. Credo
sia ora che Elrohir prenda il mio posto,
pensò.
Si
diresse verso il giardino a nord, dove sapeva che avrebbe trovato
Elrohir ed Estel. Il bambino Dùnedain cresceva a vista
d'occhio,
mentre tutto attorno a lui restava invariato. Il suo passo era
più
sicuro ed il suo parlato più articolato, anche se non aveva
ancora
imparato a distinguere tra la Lingua Comune ed il Sindarin: il
risultato era che Estel parlava con un buffo misto tra le due lingue,
in grado di strappare un sorriso a chiunque lo ascoltasse.
In
quel periodo non c'erano altri bambini a Gran Burrone, per cui erano
stati Elladan ed Elrohir ad assumere il ruolo di compagni di giochi.
I gemelli erano felici di tornare ad essere dei fratelli maggiori,
come lo erano stati per Arwen tanto tempo prima.
Estel
era sensibile ed attento ad ogni cosa che lo circondava, era pieno di
energie e rapido a sorridere. Non aveva memoria della morte del padre
e della fuga da Annùminas, ma in qualche modo quegli eventi
l'avevano comunque segnato. A volte era impaurito senza essere ben
consapevole del perché e spesso sognava di dover fuggire,
senza
sapere chi o cosa lo stesse inseguendo.
Nonostante
il rapporto di affetto e fiducia che stava costruendo con Elrohir ed
Elladan, era da Elrond che Estel cercava rifugio e conforto quando
era inquieto. Elrond sapeva di essere una fonte di sicurezza per il
bambino, e ben presto aveva scoperto il metodo più efficace
per
rassicurarlo: raccontare storie. L'elfo conosceva
un'infinità di
favole, canzoni e leggende, ed Estel amava ascoltare. Era ancora
troppo presto per insegnargli a leggere, ma Elrond era certo che in
futuro avrebbe apprezzato la grande quantità di libri di cui
disponevano a Gran Burrone.
<<
Dov'è Estel? >>, chiese Elladan, fingendo di
non vedere i
piccoli piedi che spuntavano tra le foglie di una pianta. Giocare a
nascondersi era uno dei passatempi preferiti di Estel.
<<
Non lo so >>, rispose Elrohir, complice, <<
Non riesco a
trovarlo da nessuna parte >>.
<<
Hai provato a cercarlo da quella parte? >>,
suggerì Elladan,
indicando la pianta.
<<
Ottima idea, forse lo troverò lì...
>>.
Elrohir
si avvicinò di soppiatto. << Non sapevo che
avessimo una
pianta con i piedi >>.
Solo
allora Estel saltò fuori dal nascondiglio nell'imitazione di
un
agguato. << Sono io! >>, disse, ridendo.
<<
Ah, finalmente! >>, esclamò Elrohir.
Estel
vacillò mentre tentava di liberarsi da un arbusto nel quale
era
rimasto impigliato. Ci riuscì restando in piedi, ma
portò con sé
delle foglie secche tra i capelli. Elladan non poté che
sorridere a
quella vista.
<<
'Dan, giochi anche tu con noi? Adesso tocca a 'Ro nascondersi
>>,
disse, non appena vide Elladan.
<<
Elrohir adesso deve finire un lavoro >>,
spiegò Elladan,
lanciando uno sguardo solidale al fratello.
<<
È vero >>, confermò Elrohir,
<< Ma ci rivedremo presto
>>.
Il
sorriso di Estel si affievolì. Non gli piaceva l'idea che il
gioco
finisse.
Dopo
che Elrohir se ne fu andato, Elladan s'inginocchiò per
arrivare
all'altezza di Estel e gli tolse le foglie dai capelli.
<< Cosa
vorresti fare adesso? >>, chiese.
In
fondo Elladan sapeva che Elrohir era il più bravo a
rapportarsi con
i bambini, forse grazie al tempo che aveva trascorso con Edeniel, la
figlia di Maedir.
<<
Andiamo nella stanza grande? >>, chiese Estel, dopo un
breve
momento di riflessione.
<<
Certamente. E come vorresti arrivarci? >>, disse Elladan.
Estel
lo guardò interdetto.
<<
Intendo dire: camminando o volando? >>,
specificò Elladan.
Lo
sguardo di Estel s'illuminò a quella proposta. Da sempre
aveva amato
guardare le cose dall'alto, dalle finestre o semplicemente dalle
spalle di qualcuno. Allungò le mani, nel gesto che
universalmente
esprimeva la richiesta di essere preso in braccio, ed Elladan lo fece
sedere sulle proprie spalle. Anche senza vederlo, riusciva a
percepire la sua felicità e ne fu subito contagiato. Sapeva
che
anche Elrohir, pur non essendo presente, avrebbe sentito quella
stessa gioia.
Mio
caro Estel, quando imparerai il significato del tuo nome, capirai che
non ti è stato assegnato invano.
|
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Capitolo 29 *** Risposte ***
Buona
sera a tutti e buone feste.
Come
piccolo regalo di Natale, posterò il prossimo capitolo prima
dell'anno nuovo.
Nel frattempo.... buona lettura!
Elladan
ed Elrohir attraversarono il corridoio che conduceva allo studio di
Elrond. Era
una piovosa sera di primavera e, nonostante il clima fosse mite, la
pioggia non
accennava a diminuire.
I
due
elfi restarono sulla soglia, in attesa di essere invitati ad entrare.
Elrond
appariva immerso nei suoi pensieri, lo sguardo rivolto verso la
finestra che
dava sui giardini sottostanti, e in un primo momento non si accorse
della loro
presenza.
<<
Ada? Volevi vederci?
>>, esordì
Elladan.
<<
Sì, entrate >>, disse Elrond.
Ai
gemelli bastò un'occhiata per sapere che c'era qualcosa che
non andava. Il
giorno seguente sarebbero partiti con Estel per una visita ai dintorni
di
Imladris, la prima da quando erano arrivati quasi tre anni prima. Gli
elfi
avevano concordato che Estel avrebbe avuto bisogno di conoscere luoghi
nuovi e
di vedere il mondo al di fuori di Gran Burrone. Naturalmente erano
tutti ben
consapevoli dei rischi ed avevano pianificato quell'uscita in maniera
che fosse
del tutto sicura. Il sentiero che avrebbero percorso, infatti, era
troppo
vicino ai confini per essere considerato pericoloso e, per fugare ogni
dubbio,
era stato pattugliato appena poche ore prima.
<<
Volevo parlarvi prima che partiste >>, disse Elrond.
<<
Qualcosa ti preoccupa? >>, chiese Elrohir.
Elrond
non rispose immediatamente ed Elrohir ebbe l'impressione che stesse
valutando
cosa dire.
<<
Sedetevi ed ascoltate >>, disse.
I
gemelli
obbedirono, prendendo posto ai lati della scrivania, mentre Elrond
restò in
piedi ed iniziò a raccontare.
<<
Voi sapete che io ho a lungo combattuto sotto il comando di Gil-Galad
>>.
<<
Conosciamo bene le sue gesta, ma la tua modestia ci ha impedito di
conoscere
anche le tue >>, rispose Elladan.
Elrond
non prestò attenzione a quell'osservazione ironica.
<< Gil-Galad ispirava
fiducia e devozione in chiunque lo conoscesse. Elros ed io abbiamo
combattuto
sotto il suo comando sin dalla nostra prima battaglia, abbiamo imparato
da lui
e ci siamo sentiti fieri di essere suoi discendenti. Dopo che mio
fratello
divenne il Primo Re di Nùmenor, io diventai il consigliere
di Gil-Galad e
restai al suo fianco per molti anni ancora, fino all'Ultima Alleanza
tra Elfi e
Uomini. Ne seguì una guerra feroce, i cui eventi voi
già conoscete. Ma c'è una
parte della storia che non ho mai raccontato e che ritengo sia ora che
voi
conosciate. Prima, tuttavia, ho bisogno della vostra parola che non
rivelerete
mai a nessuno cosa vi dirò, a nessuno
e per nessun motivo >>.
Elrohir
ed
Elladan si scambiarono un breve sguardo, entrambi leggermente
irrequieti.
<<
Hai la mia parola >>, disse Elrohir.
<<
Ed hai la mia >>, aggiunse Elladan.
Solo
allora Elrond proseguì nel suo racconto.
<<
Gil-Galad aveva stabilito che io avrei dovuto guidare una parte
dell'esercito
nell'Eregion, mentre lui avrebbe affiancato Elendil e l'esercito dei
Dùnedain.
Appena prima che ci separassimo, Gil-Galad mi rivelò che
egli era il custode di
Vilya, uno dei Tre Anelli Elfici, gli unici ad essere stati forgiati
senza
l'influenza malvagia di Sauron. Era importante che
l'identità dei custodi degli
Anelli restasse nascosta e, infatti, in un primo momento non capii
perché
Gil-Galad avesse deciso di rivelare un tale segreto. Poi tutto divenne
chiaro:
Gil-Galad aveva intenzione di affidare a me Vilya. Promisi di tenere al
sicuro
l'Anello durante la battaglia ma anche che glie l'avrei restituito al
termine
della stessa. Tuttavia, come ben sapete, Gil-Galad morì
combattendo. Dopo la
sua morte in molti si aspettavano che diventassi il suo successore, ma
io
rifiutai quello che era stato il suo titolo. In seguito tornai a Gran
Burrone ed
utilizzai il potere di Vilya per proteggerla >>.
Quando
Elrond ebbe finito di parlare, nella stanza calò il silenzio.
Elladan
tentò di mettere ordine tra i propri pensieri e tra le
centinaia di domande che
avrebbe voluto porre, ma non era un compito facile e, a renderlo ancora
più
arduo, c'era un'ondata di risentimento che proveniva da Elrohir.
Elladan
capiva il motivo della sua irritazione, egli stesso ne condivideva una
parte,
ma era anche consapevole che quello non era il momento adatto per
esternarla.
<<
Perché non ce l'hai detto prima? Non ti fidavi abbastanza di
noi? >>,
chiese Elrohir.
Elladan
gli lanciò uno sguardo di rimprovero. Ricordava fin troppo
bene cosa era
accaduto quando Elrond li aveva informati della decisione di
Celebrìan di
andarsene e non voleva che una simile situazione si ripetesse.
Ma
ad
Elrond non sfuggì l'astio nella voce di Elrohir e apparve
sinceramente turbato
dalla sua insinuazione. << Vi affiderei la mia stessa
vita senza pensarci
due volte, ma questo è diverso. Se fino ad ora non vi ho
rivelato qualcosa che
avrebbe potuto mettervi in pericolo l'ho fatto soltanto per il vostro
bene. È
vero che i Tre Anelli non sono stati toccati dal male, ma è
anche vero che
l'Unico Anello è stato forgiato per dominare tutti gli altri
e nessuno di noi
sa cosa accadrebbe se Sauron tornasse in suo possesso >>,
rispose Elrond.
<<
L'Anello è andato perduto dopo la morte di Isildur
>>, osservò Elrohir.
<<
È vero, e dobbiamo pregare che non venga mai ritrovato
>>.
<<
Se invece venisse trovato... Questo potrebbe metterti in pericolo?
>>,
chiese Elrohir. Il suo tono di voce era cambiato, adesso che si era
reso conto
di quanto la sua rabbia fosse stata male indirizzata.
<<
Non è per me stesso che sono preoccupato >>,
rispose Elrond.
<<
Ma lo siamo noi >>, intervenne Elladan, <<
Pertanto vogliamo sapere
il più possibile. Dove si trova Vilya adesso?
>>.
<<
Porto l'Anello al dito dal giorno in cui mi fu affidato. Lo tolgo molto
di rado
>>, rispose Elrond. Detto questo, si sfilò
l'Anello e lo mostrò ai suoi
figli. Elladan ed Elrohir osservarono sbalorditi quell'anello che era
sempre
stato lì, in vista ed allo stesso tempo celato. Erano stati
consapevoli della
sua presenza, ma solo in quel momento riuscivano davvero
a vederlo. Vilya era perfetto in ogni aspetto: una banda
d'oro con uno zaffiro incastonato, di un blu intenso, finemente
levigato.
Elrond
anticipò la domanda che stava per ricevere e disse,
<< Il potere di Vilya
è quello di preservare e curare e, così come gli
altri due Anelli, riesce a
celare se stesso dallo sguardo di chiunque non sia un Portatore. Per
questo è
passato inosservato fino a questo momento >>.
Elladan
ammirò l'Anello e si chiese come fosse possibile per un
oggetto così piccolo
contenere un potere così grande da influenzare l'intera
valle di Imladris.
<<
È Vilya la fonte delle tue abilità di guaritore?
>>, chiese Elladan.
Elrond
apparve vagamente divertito dalla domanda. << Le mie
abilità di guaritore
sono il frutto di tanto studio e tanta esperienza, ma nei casi
più gravi mi
servo di Vilya per fare cose che normalmente sarebbero al di fuori
della mia
portata. Quando vostra madre tornò dal Passo Cornorosso,
utilizzai Vilya per trasferire
parte della mia stessa energia vitale in lei e salvare così
la sua vita
>>.
Erano
trascorsi tanti inverni da quegli eventi, ma il dolore era ancora
vicino, come
se avesse definitivamente impregnato l'aria.
<<
Ma c'è ancora qualcosa che non mi è chiaro
>>, disse Elladan, nel
tentativo di allontanare i loro pensieri da ricordi così
tristi, <<
Perché hai deciso di dircelo proprio adesso?
>>.
<<
Perché qualcosa sta per cambiare >>, rispose
Elrond, << Avverto un
grande male, qualcosa che sta per accadere e che riguarderà
noi tutti. Devo
consultarmi con gli altri custodi degli Anelli, Galadriel e Mithrandir,
per
decidere cosa fare >>.
<<
Mithrandir è in possesso di uno degli anelli elfici?
>>, chiese Elladan,
sorpreso. Come tutti gli altri eldar, egli conosceva e rispettava lo
stregone,
ma non avrebbe mai immaginato che potesse essere il custode di un
oggetto così
importante.
<<
Mithrandir è un amico degli Elfi da così tanto
tempo che abbiamo iniziato a
considerarlo come uno di noi. Fu Cìrdan ad affidargli
l'Anello >>, disse
Elrond.
<<
Non oserei dubitare del giudizio di Cìrdan >>,
disse Elladan, <<
Così come non dubito di quello di Gil-Galad >>.
Elrond
rispose a quel velato complimento con un sorriso. << Gli
eventi che
verranno ci diranno se le tua fede in me è ben riposta
>>, disse. Poi si
rivolse anche ad Elrohir ed aggiunse, << Prevedo di
partire per Lòrien
alla prossima luna. In mia assenza dovrete occuparvi di Estel e
svolgere alcuni
compiti per mio conto >>.
<<
Noi vorremmo venire con te >>, disse Elrohir, dopo aver
lanciato
un'occhiata ad Elladan per avere conferma di potersi esprimere anche
per lui,
<< È da tanto tempo che non vediamo Arwen e
vorremmo farle visita il più
presto possibile >>.
<<
So che anche voi siete impazienti di andare a Lòrien, ma vi
chiedo di aspettare
ancora un po'. Estel non è così sereno come
appare in superficie e temo che, se
andassimo via tutti allo stesso tempo, ne soffrirebbe molto
>>, disse
Elrond.
I
due
elfi non poterono obiettare a quello che entrambi sapevano essere vero.
Estel
aveva bisogno di loro e forse erano anche loro ad aver bisogno di lui.
<<
Mancano poche ore all'alba: vi consiglio di impiegarle per riposare in
vista
della lunga giornata che vi aspetta domani. Avremo modo di continuare
questa
conversazione quando avremo più tempo da dedicarvi
>>.
Se
crede che riusciremo a dormire dopo quello che
ci ha detto...,
pensò Elladan.
La
mattina successiva, dopo un'intera notte di pioggia, il sole sorse in
un cielo
limpido. Estel fece irruzione nella camera di Elrohir alle prime luci
dell'alba, già pronto a mettersi in cammino. Elrohir aveva
trascorso una buona
parte della notte a riflettere sulla conversazione della sera
precedente e, poco
tempo prima che la porta si aprisse, aveva tentato di prendere sonno.
Tentativo
inutile,
pensò.
<<
'Ro, stai dormendo? >>, chiese Estel.
<<
No, non più >>, rispose Elrohir.
<<
Allora perché sei steso sul letto? >>.
Elrohir
dovette riconoscere la sensatezza di quella domanda. <<
Forse dovresti
andare da Elladan e controllare che sia pronto >>,
suggerì.
<<
Ci sono appena andato, e mi ha detto la stessa cosa che hai detto tu
>>,
rispose Estel.
<<
D'accordo, allora vai ad aspettarci nella sala principale
>>, disse
Elrohir.
La
felicità di Estel era contagiosa e incontenibile,
così intensa che sembrava
portare luce ovunque egli si trovasse.
<<
Va bene, 'Roir, ma fai presto >>, disse Estel.
<<
Dimentichi qualcosa? >>.
<<
Fai presto, "per favore"
>>.
Detto
questo corse via con lo stesso entusiasmo con cui era entrato. Almeno adesso il mio nome ha guadagnato
altre due lettere, osservò Elrohir.
Il
cammino iniziò da un sentiero in salita, contornato da una
fitta vegetazione.
Il terreno era ancora umido e fangoso a causa della pioggia della notte
precedente e di tanto in tanto erano visibili le impronte degli elfi
che
l'avevano pattugliato ore prima. Nonostante tutte le precauzioni, sia
Elrohir
che Elladan portavano la spada al fianco, ben preparati a qualsiasi
evenienza.
Estel
li
precedeva di qualche passo, osservando ogni cosa con meraviglia,
incurante di
qualsiasi pericolo. Nella sua mente non c'era spazio per alcuna
preoccupazione.
<<
Ho ripensato a ieri >>, disse Elrohir, dopo essersi
assicurato di non
essere alla portata dell'orecchio di Estel, << Nostro
padre vuole che
restiamo qui e le sue ragioni sono più che valide, ma ancora
una volta si
preoccupa per gli altri più che per se stesso. Il viaggio
verso Lòrien è
pericoloso, come in passato abbiamo constatato in prima persona, e
Vilya ci ha
già dato un avvertimento. Ada non ammetterà mai
di aver bisogno del nostro
aiuto, ma io preferirei che almeno uno di noi lo accompagni
>>.
<<
Anche io ho pensato la stessa cosa >>, rispose Elladan,
<< E mi
trovo d'accordo con quanto hai detto >>.
<<
Allora non ci resta che decidere chi di noi dovrà partire
>>, disse
Elrohir.
<<
Credo che dovresti andare tu >>, disse Elladan, dopo un
breve momento di
silenzio.
Elrohir,
che non si era aspettato una risposta così rapida,
guardò il fratello con tono
interrogativo.
<<
Sai quanto io sia impaziente di rivedere Arwen, ma pensavo che tu
avessi anche
un altro motivo per voler tornare a Lòrien >>,
disse Elladan.
<<
Thiliel si trova lì >>, concluse Elrohir.
Anche solo pronunciare il suo
nome gli suscitava sentimenti contrastanti.
<<
Pensavo che volessi vederla >>, disse Elladan, che
improvvisamente non
sembrava più così sicuro.
<<
È così >>, rispose Elrohir,
<< Ma una parte di me teme il momento
del nostro incontro >>.
<<
Hai affrontato situazioni ben più ardue >>,
disse Elladan, <<
Confido che riuscirai anche in questa >>.
Il
sentiero li condusse sempre più in alto, fino a quando non
riuscirono a vedere
l'intera valle di Imladris sotto di loro. Quella vista, emozionante
persino
agli occhi degli elfi, per Estel era sbalorditiva. Il bambino, che non
conosceva nulla al di fuori del luogo in cui aveva trascorso gli ultimi
tre
anni, restò estasiato nello scoprire un mondo
così vasto.
<<
Guarda, lì ad ovest si trova l'Eriador, e quello
è il Fiume Bianco; ad est,
invece, c'è l'Antica Via Silvana, che conduce al Bosco Atro
>>, disse
Elladan, indicando uno ad uno i luoghi che nominava. Estel
ascoltò con estrema
attenzione, soffermandosi con lo sguardo sull'imponente catena
montuosa, di cui
non si riusciva a vedere la fine.
<<
Cosa c'è oltre? >>, chiese, aguzzando lo
sguardo nel tentativo di
guardare più lontano.
<<
Tantissime cose. Quando torneremo a casa ti farò vedere una
mappa, così la
prossima volta che verremo qui sarai tu a dirmi i nomi dei luoghi
>>,
rispose Elladan.
Estel
annuì, entusiasta dell'idea.
Poco
dopo
gli elfi decisero di fare una pausa prima di rimettersi in cammino per
tornare
indietro. Per Estel, tuttavia, il concetto di riposo era leggermente
diverso.
Anche solo convincerlo a restare seduto non era un'impresa facile, ed
Elrohir
dovette ricorrere ad un espediente. Raccolse dei bastoncini di legno e
qualche
filo d'erba e chiese ad Estel se sarebbe stato in grado di usarli per
costruire
una piccola capanna. Il bambino raccolse la sfida e, qualche attimo
dopo, era
già completamente concentrato sul compito.
<<
Questo lo terrà occupato per un po' >>, disse
l'elfo.
<<
Era lo stesso passatempo che avevamo noi da bambini >>,
commentò Elladan
Elrohir
annuì. << Ricordi quando facevamo a gara a chi
riusciva per primo a
costruire una capanna che stesse in piedi? >>.
<<
Ricordo che tu distruggesti la mia >>, disse Elladan.
<<
E tu mi inseguisti armato di un bastoncino di legno >>,
aggiunse Elrohir,
<< Nostra madre dovette separarci >>.
Elladan
ripercorse con una punta di nostalgia quel ricordo sbiadito dal tempo.
<<
Estel ci riporta nel passato ed allo stesso tempo ci mostra il futuro
>>,
osservò.
Nel
frattempo Estel aveva quasi completato la sua costruzione e si stava
dirigendo
verso un cespuglio.
<<
Cosa stai facendo? >>, chiese Elrohir.
<<
Mi servono dei rami più grandi per fare il tetto
>>, spiegò Estel, che
intanto era quasi del tutto scomparso tra le foglie.
Elrohir
lo seguì con lo sguardo, controllando che non si
allontanasse troppo.
<<
C'è... qualcosa >>, mormorò Estel,
presumibilmente riferendosi a qualcosa
che aveva visto nel cespuglio.
Elrohir
lo raggiunse in un attimo e si inginocchiò nel tentativo di
vedere quello che
lui vedeva. Per prima cosa udì un ronzio, il genere di
rumore che non poteva
preannunciare nulla di buono. Poi, un'immagine che sembrava la
materializzazione
di una delle sue paure: Estel, attratto da quell'insolito rumore,
tendeva una
mano verso un alveare, mentre le api che lo abitavano si preparavano a
difendersi dall'intruso.
Elrohir
lo tirò via, ignorando le sue proteste e, proprio mentre lo
sciame d'api si
alzava in volo di fronte a loro, iniziò a correre.
Elladan,
che un attimo prima aveva percepito la sua agitazione, era stato sul
punto di
chiedere qualcosa, ma si era fermato non appena aveva visto da cosa i
due
stavano fuggendo. Gli elfi, con Estel in braccio ad Elrohir, corsero
nella
direzione da cui erano arrivati, a stento consapevoli che, nella fretta
di
allontanarsi, avevano abbandonato il sentiero che segnava la via
più sicura.
Tuttavia, in quel momento, nessuno sembrò preoccuparsene. La
via che fino a
quel momento avevano percorso in salita, adesso era tutta in discesa, e
percorrerla di corsa divertiva non soltanto Estel.
Presto
gli elfi si lasciarono alle spalle le api, ma continuarono la loro
corsa,
godendosi il sole e il vento, come avevano fatto tante volte in passato.
Tuttavia,
per Elrohir, quel breve momento di serenità s'interruppe
bruscamente. Al di
fuori del sentiero la vegetazione era fitta e, sebbene fosse attento e
vigile,
non fece in tempo a notare quello che un tempo era stato un laghetto e
che
adesso era un misto di acqua stagnante e fango. All'ultimo istante
prima di
sprofondare nel terreno umido e finire direttamente nel pantano,
Elrohir cercò
un appiglio, ma non avrebbe comunque potuto far nulla senza lasciare
andare
Estel.
Elladan
si fermò appena in tempo per non cadere a sua volta e per
avere una chiara
visuale di Elrohir immerso fino alla vita nel pantano, mentre teneva
sollevato
Estel nel vano tentativo di mantenere almeno lui pulito.
Ma
il
bambino non sembrava preoccupato di sporcarsi. Al contrario, sembrava
trovare
quella situazione particolarmente divertente.
<<
Non c'è nulla da ridere >>, disse Elrohir,
irritato.
<<
Ma guardaci >>, rispose Estel, come per evidenziare lo
stato in cui
entrambi si trovavano, completamente ricoperti di fango.
Ben
presto anche Elrohir colse la ridicolaggine del momento e
reagì come avrebbe
fatto quando aveva avuto l'età di Estel.
Con
l'aiuto di Elladan, i due uscirono dal pantano. << Credo
sia arrivata
l'ora di tornare a casa >>, disse Elladan.
Elrohir
non aveva mancato di notare come suo fratello era stato attento a
mantenersi
pulito anche mentre offriva il suo aiuto. Decise di approfittare
dell'occasione.
<<
Estel, non ti sembra che Elladan si senta un po' solo?
>>, disse Elrohir.
Estel
lo
guardò, senza capire a cosa si riferisse.
<<
Credo che abbia bisogno di un abbraccio >>,
specificò allora Elrohir.
Estel
realizzò all'istante. << Hai ragione
>>, disse, e si diresse verso
Elladan a braccia aperte.
<<
Non c'è bisogno >>, si affrettò a
dire Elladan, indietreggiando.
<<
Vuoi forse dire che non vuoi un abbraccio dai tuoi fratelli preferiti?
>>, disse Elrohir, fingendosi offeso.
Elladan
non fece in tempo a rispondere che si ritrovò stretto in un
caloroso abbraccio
tra Elrohir ed Estel, entrambi attenti a sporcarlo il più
possibile.
Nessuno
dei due elfi fece caso alla naturalezza con cui Elrohir aveva usato la
parola
"fratelli" e nessuno notò il leggero cambio di espressione
di Estel
nell'udire quel termine.
<<
Porterò dieci uomini con me a Lòrien
>>, disse Elrond.
L'elfo
incaricato di portare a termine gli ultimi preparativi per la partenza
ribatté,
<< È prudente, mio signore, viaggiare con
appena dieci uomini? >>.
Piuttosto
mi chiedo se sia prudente privare
Imladris di dieci spade e archi,
pensò Elrond, ma rispose, << Basteranno
>>.
<<
In mia assenza risponderete ai miei figli >>, aggiunse,
<< La loro
autorità avrà lo stesso valore della mia
>>.
Poco
dopo, quasi a sottolineare la sua affermazione, vide che Elrohir,
Elladan ed
Estel erano di ritorno in anticipo rispetto a quanto stabilito.
Tuttavia,
le condizioni in cui erano tornati erano a dir poco discutibili.
Tutti
e tre, in particolare Elrohir ed Estel, erano
ricoperti da capo a piedi di quello che sembrava essere fango. Quando
incrociarono lo sguardo di Elrond, i gemelli abbassarono il proprio,
con
un'espressione tra il divertito e il colpevole, mentre Estel lo
salutò con la
mano, visibilmente entusiasta di quello che era successo, qualsiasi
cosa fosse.
Elrond
avrebbe dovuto rendere chiara la sua disapprovazione, ma per qualche
motivo
riuscì soltanto a sorridere, segretamente felice del fatto
che i suoi figli
fossero ancora in grado di apprezzare un semplice divertimento
infantile.
Alcune
ore dopo,
quando le ultime luci del tramonto erano ormai scomparse, Gilraen
soffiò sull'ultima
candela ancora accesa nella stanza e si mise a letto. Di recente Estel
aveva
iniziato a dormire con lei, dopo aver deciso di essere troppo grande
per la
culla. Presto avrebbe chiesto un letto tutto per sé.
<<
Mamma? >>, sussurrò Estel.
Gilraen
si voltò verso di lui e constatò che non
accennava a volersi addormentare.
<<
Dimmi >>, rispose.
<<
Dov'è la mamma di 'Ro e 'Dan? >>.
Gilraen
restò interdetta. Estel, come tutti i bambini della sua
età, faceva domande in
continuazione e su qualsiasi argomento, e Gilraen era sempre pronta a
dissipare
i suoi dubbi. Ma quella volta la domanda fu più difficile
del previsto.
<<
Se n'è andata >>, rispose, dopo qualche
istante di esitazione.
<<
Dove? >>, insistette Estel.
<<
Non lo so >>, disse Gilraen.
<<
Posso chiederlo a loro? >>.
<<
Di alcune cose è meglio non parlare. Se glielo chiedi
potrebbero diventare
tristi >>, spiegò Gilraen
<<
Non voglio che siano tristi >>, si affrettò a
dire Estel.
<<
Allora saranno loro a parlartene quando saranno pronti >>.
Gilraen
iniziava a credere che Estel avesse terminato le domande, ma
capì presto di
sbagliarsi.
<<
Il mio papà se n'è andato come la mamma di 'Ro e
'Dan? >>, chiese il
bambino.
Gilraen
fu sorpresa da quella domanda. Estel non ricordava suo padre e di
questo lei
era stata grata, sapendo che non ne avrebbe sentito la mancanza.
Tuttavia
tentare di spiegare il concetto di morte ad un bambino di cinque anni
restava
un'impresa ardua e delicata.
<<
Perché pensi questo? >>, chiese Gilraen,
sperando di poter così evitare
l'argomento.
<<
Perché tu diventi sempre triste quando qualcuno parla di lui
>>, disse
Estel.
Gilraen
restò senza parole. Dovette ammettere di aver sottovalutato
la capacità di
osservazione di Estel.
<<
Questo... questo è un argomento molto difficile. Te ne
parlerò quando sarai più
grande, te lo prometto >>, disse Gilraen, sforzandosi di
controllare la
propria voce.
Ringraziò
mentalmente di aver spento la luce così che Estel non
potesse vedere le lacrime
che stava cercando di trattenere.
<<
Buona notte, nana >>.
<<
Buona notte... Estel >>.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Nana:
mamma
|
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Capitolo 30 *** Assenza ***
Buon
anno a tutti! Come promesso sono riuscita a pubblicare l'ultimo
capitolo del
2015.
Buona
lettura!
Era
il giorno
precedente alla partenza, quando Elrond si accorse di avere una seconda
ombra
che lo seguiva ovunque andasse. Si trattava di Estel.
Elrond
sapeva che il bambino non aveva preso bene la notizia della sua
partenza e che
quello era il suo modo di esprimere quanto l'idea lo intimorisse,
pertanto finse
di non notare quel comportamento insolito
Estel
smise brevemente di seguirlo in una sola occasione: quando Elrond
entrò
nell'armeria per prendere la propria spada. Il bambino sapeva bene che
quel
luogo era assolutamente proibito e sapeva che infrangere un divieto in
presenza
di Elrond non avrebbe portato a nulla di buono.
Elrond
rivolse ad Estel un sorriso di approvazione quando al suo ritorno lo
trovò
sull'esatta linea che separava il fuori dal dentro, a dimostrazione del
fatto
che aveva seguito la regola alla lettera.
<<
Perché prendi la spada? >>, chiese Estel.
<<
Per affilarla >>, rispose Elrond.
<<
Che cosa significa? >>.
<<
Vieni, te lo mostro >>.
Estel
osservò affascinato mentre Elrond affilava la lunga lama, un
oggetto tanto
liscio e perfetto quanto letale.
<<
Questa spada è stata forgiata tantissimi anni fa
>>, spiegò Elrond.
<<
Prima che io nascessi? >>, chiese Estel.
<<
Prima che anche io nascessi >>, rispose Elrond.
Estel
annuì, palesemente ignaro di quale fosse la portata di un
tale lasso di tempo.
<<
Apparteneva ad un elfo, un grande guerriero ed esperto navigatore
>>,
disse Elrond.
Quella
frase bastò a stuzzicare l'interesse di Estel. Il bambino
era sempre stato
interessato ai racconti di battaglie e a tutto ciò che
riguardava il mare.
Nella
sua breve vita non ha mai visto né il mare,
né una battaglia,
pensò Elrond, è da qui
che scaturisce il suo interesse.
Estel
si
sedette a gambe incrociate sulla morbida erba del giardino, pronto ad
ascoltare
una nuova storia. Elrond aveva notato che la passione di Estel per i
racconti
non discriminava tra leggende e storie reali. Spesso, infatti, non
sembrava
particolarmente interessato a sapere se quello che stava ascoltando era
davvero
accaduto.
<<
L'elfo era molto coraggioso e, durante una battaglia, si
ritrovò ad affrontare un
drago, il più grande che sia mai esistito. Nessun altra
creatura del male era
così forte e terribile, ma l'elfo non aveva paura: con
sé aveva un arco, questa
spada e, cosa più importante, un Silmaril >>,
disse Elrond.
<<
Che cos'è un Silmaril? >>, chiese Estel,
incuriosito da quel nuovo
termine.
<<
I Silmaril sono oggetti enormemente preziosi, gemme magiche che
brillano di
luce propria. Ne esistono tre e l'elfo della nostra storia ne custodiva
uno
>>, spiegò Elrond.
<<
Come un'arma segreta? >>.
<<
No, Estel, un Silmaril non è un'arma. Ma le forze del male
temono la luce e la
purezza allo stesso modo in cui a volte noi temiamo
l'oscurità. Per questo Ancalagon,
così si chiamava il drago, provò paura per la
prima volta in vita sua,
nonostante fosse più grande di una montagna e il Silmaril
fosse così piccolo da
stare sul palmo della mano dell'elfo >>.
Estel
guardò la spada, come se volesse cercare sulla lama dei
segni di ciò che era
accaduto in un lontano passato, ma non c'erano graffi né
imperfezioni sul
liscio metallo.
<<
L'elfo lo colpì tante volte e, dopo un intero giorno di
combattimento,
Ancalagon fu sconfitto. Da allora nessun drago così grande e
potente fu più
visto nei cieli della Terra di Mezzo >>.
<<
Come si chiamava l'elfo? >>.
<<
"Eärendil", ma in
molti lo
conoscevano con un altro nome: "Gil-estel" >>.
Estel
sorrise, orgoglioso della somiglianza tra i loro nomi. Elrond non aveva
scelto
quella storia casualmente: sperava che restasse nella memoria di Estel,
così
che, quando fosse cresciuto, avrebbe meglio compreso il significato del
proprio
nome.
Elrond
stesso, crescendo, si era chiesto cosa fosse davvero un nome: un
attributo, una
parola senza significato, un destino già scritto, oppure
qualcosa a cui
aspirare. Se l'era chiesto ogni volta che si era presentato come "figlio di Eärendil",
con il nome di un padre che per lui non era
stato davvero un padre, ma una figura misteriosa a metà tra
leggenda e realtà.
"Estel ed io abbiamo più cose in
comune di quanto entrambi crediamo", pensò Elrond.
<<
Estel? Sei qui? >>, la familiare voce di Gilraen
interruppe il filo dei
suoi pensieri.
Abbigliata
alla maniera degli elfi, ad un primo sguardo Gilraen avrebbe potuto
essere
scambiata per una di loro: il suo portamento e la sua bellezza erano
degni di
un'elfa. Tuttavia, allo stesso tempo, c'era un'inflessione nella sua
voce che
testimoniava come l'elfico non fosse la sua lingua madre ed i suoi
capelli
erano sempre legati alla maniera dei Dùnedain, forse per
ricordare a se stessa
e agli altri che Imladris non era sempre stata la sua casa.
<<
Aur vaer, Elrond >>,
disse Gilraen.
<<
Aur vaer >>, rispose
l'elfo.
Gilraen
si rivolse al figlio. << Ti ho cercato ovunque. Hai
lasciato i tuoi
giocattoli nel corridoio, vai a metterli in ordine prima di cena
>>.
Estel
sospirò, annoiato: era evidente che avrebbe preferito
ascoltare altre storie di
draghi e battaglie, ma obbedì ugualmente. Prima di
andarsene, pero, lanciò uno
sguardo ad Elrond, come se fosse preoccupato di non trovarlo
più lì al suo
ritorno.
<<
Tranquillo, ti prometto che non partirò senza prima averti
salutato >>,
disse l'elfo.
Quella
promessa sembrò rassicurare Estel, almeno per il momento.
<<
Ho saputo che partirà anche Elrohir, è
così? >>, chiese Gilraen.
<<
Sì, me l'ha annunciato questa mattina, incurante del mio
parere contrario
>>, rispose Elrond, senza nascondere il proprio
disappunto.
<<
Estel ne soffrirà, ma forse la scelta di Elrohir
è stata la più responsabile
>>, disse Gilraen.
<<
È un buon modo di vederla >>, disse Elrond,
ormai rassegnato di fronte
alla caparbietà del figlio.
L'elfo
rinfoderò la spada, soddisfatto del proprio operato. Spero soltanto di non doverla usare,
pensò.
La
mattina della partenza tredici elfi ed altrettanti cavalli si
prepararono ad
affrontare il viaggio, portando con sé soltanto armi e le
provviste necessarie.
Tra
gli
adulti, i saluti furono brevi e concisi; Estel, invece, sembrava
inconsolabile.
Elrohir
sentì una stretta al cuore nel vedere il bambino che
piangeva sommessamente,
guardando in alternanza lui ed Elrond, ed allo stesso tempo tenendo
d'occhio
Elladan e Gilraen, per assicurarsi che almeno loro restassero
lì.
<<
Andiamo >>, disse Elrond, << Più
a lungo restiamo, più sarà
doloroso per lui e per noi >>.
Elrohir
dovette concordare. Salutò Glorfindel e, per ultimo,
Elladan, dopodiché spronò
il cavallo al trotto, posizionandosi accanto a suo padre, in testa alla
compagnia.
La
valle
di Imladris diventava sempre più piccola alle loro spalle e,
più il terreno diventava
accidentato, più si avvicinava il Passo Cornorosso.
All'approssimarsi
di quel luogo gli elfi diventavano
nervosi e persino i cavalli iniziavano ad essere irrequieti.
<<
Rallentare al passo >>, ordinò Elrond.
Elrohir
avrebbe preferito restare lì il meno possibile, ma sapeva
che procedere di
fretta su quel tipo di terreno avrebbe significato rischiare di far del
male ai
cavalli, un rischio inutile che non valeva la pena di correre.
<<
Stai mantenendo i contatti con i Dùnedain? >>,
chiese Elrond, in un
evidente tentativo di riempire il silenzio.
<<
Sì, regolarmente >>, rispose Elrohir. Da
quando aveva lasciato Annùminas
scriveva spesso lettere a Maedir e alla sua famiglia, ma, nonostante
comunicasse con loro, ne sentiva ugualmente la mancanza, soprattutto di
Melwen.
<<
Hai lasciato lì una parte di te >>,
osservò Elrond.
<<
È vero. Ho trovato un secondo luogo da chiamare "casa" e
persone da
considerare come membri della famiglia >>, rispose
Elrohir.
<<
Di questo sono felice. Durante la vostra assenza ho a lungo temuto che
foste
soli in luoghi inospitali, soprattutto quando ho saputo che avevate
preso
strade diverse >>, disse Elrond.
<<
Abbiamo avuto fortuna. Elladan ha trovato qualcuno nel Reame Boscoso di
cui
potesse fidarsi e che lo aiutasse a superare la perdita che aveva
subito.
Intanto io ho conosciuto una persona importante, unica nel suo genere,
che
senza saperlo mi ha insegnato molto. Il suo nome è Melwen
>>, disse
Elrohir.
<<
Ricordo che mi accennasti di lei. Tuttavia non ho mai capito di che
natura sia
il legame che vi unisce >>.
Elrohir
esitò: neanche lui era ben certo di sapere la risposta a
quel quesito.
<<
Rispetto, affetto, fiducia. È questo che ci lega
>>, rispose infine.
Ma
c'era
anche un'altra parte della storia, una parte che Elrohir non aveva mai
raccontato a suo padre e che i freddi pendii del Passo Cornorosso gli
avevano
riportato alla mente. Elrond lo capì e restò in
silenzio finché Elrohir non fu
pronto a parlare.
<<
Una notte, poco dopo la battaglia che uccise Saeliel, accadde qualcosa
di
terribile. Io ho...ucciso un uomo >>.
Dopo
aver
pronunciato quella frase, Elrohir non osò guardare suo padre
negli occhi.
Temeva di percepire in lui la delusione, ed in quel momento nulla
avrebbe
potuto ferirlo di più.
<<
Perché? >>, chiese Elrond. Fu una semplice
domanda, posta con il suo
solito tono pacato, privo di qualsiasi giudizio.
<<
Tentò di uccidere Elladan e, se io non fossi intervenuto, ci
sarebbe riuscito.
All'inizio ho detto a me stesso che si era trattato di un incidente, ma
mentivo. Sapevo che l'avrei ucciso >>, rispose Elrohir.
<<
È per questo che l'hai fatto, per difendere Elladan?
>>, chiese Elrond.
<<
Quale altro motivo avrebbe potuto esserci? >>.
<<
Quello più umano: l'hai ucciso perché lo odiavi
>>, disse Elrond.
Solo
allora Elrohir lo guardò. Suo padre non sembrava
né arrabbiato né deluso,
soltanto triste.
<<
È vero, lo odiavo >>, confessò
Elrohir, << E provavo rabbia per
tutto il male che aveva fatto agli altri >>.
<<
Tutto si ricollega alla rabbia, infine >>, disse Elrond,
alludendo anche
al luogo stesso in cui si trovavano.
<<
Ma non è finita qui >>, disse Elrohir,
<< Non c'è solo rabbia in
questa storia, c'è anche speranza >>.
<<
Melwen? >>, chiese Elrond.
<<
Sì, Melwen. Quando l'ho incontrata ho subito percepito la
calma che emanava, il
senso di serenità che trasmetteva a tutti coloro che la
circondavano. Poi, dopo
aver imparato a conoscerla, ho visto tante emozioni appena al di sotto
della
superficie. C'era dolore, paura, inquietudine, senso di colpa, ma non
la
rabbia. Eppure quella donna così forte avrebbe avuto tutte
le ragioni di essere
arrabbiata, dopo tutto quello che aveva perso, per mano del fato e per
mano
degli altri. L'unica volta in cui mi ha confessato di aver provato
rabbia nei
confronti di qualcuno e di aver agito di conseguenza, ho constatato con
i miei
occhi quanto l'odio sia stato un veleno per la sua anima. Ho capito
quanto era
grande il rischio che correvo e che corro tutt'ora >>,
disse Elrohir.
Alcune delle cose di cui aveva appena parlato non aveva neanche osato
dirle a
se stesso, pensieri che fino a quel momento erano rimasti nascosti in
un angolo
remoto della sua mente.
<<
Nel corso degli anni hai affrontato tante prove ed ognuna di queste ha
lasciato
un segno su di te. So che sei insoddisfatto di te stesso, ma, come tu
stesso mi
hai appena dimostrato, sei in grado di riconoscere e cambiare gli
aspetti che
sai essere negativi. Ho fiducia nel fatto che, con il tempo, capirai
che genere
di persona vuoi essere e riuscirai a diventare quella persona senza
bisogno dell'aiuto
di nessuno >>, disse Elrond.
Elrohir
non poté fare a meno di notare che, mentre per tutta la
durata di quella
conversazione aveva temuto che suo padre non fosse soddisfatto di lui,
la
preoccupazione principale di Elrond sembrava essere che lui non fosse
soddisfatto di se stesso.
<<
Credo di averlo capito adesso >>, disse Elrohir.
In
quel
momento si trovavano vicini all'esatto luogo in cui
Celebrìan era stata rapita
dagli orchi e, per la prima volta, Elrohir non si lasciò
sopraffare dalla
tristezza. Appoggiò la mano sull'elsa della spada ed
attraversò il Passo
Cornorosso senza paura.
A
Gran
Burrone i giorni immediatamente successivi alla partenza di Elrond ed
Elrohir
non furono facili per Elladan.
A
Glorfindel era stato raccomandato di lasciare tutte le decisioni
più importanti
ad Elladan e di aiutarlo soltanto qualora fosse necessario. L'elfo
aveva fatto
come gli era stato detto ed aveva osservato con una punta di
divertimento
mentre Elladan si ritrovava ad occupare un ruolo di cui non aveva mai
compreso
appieno la difficoltà.
Per
Estel, invece, se in un primo tempo aveva sofferto la solitudine, da
quel
giorno sembrava che le cose sarebbero presto cambiate. Una piccola
compagnia di
elfi silvani era venuta in visita a Gran Burrone e con loro c'erano due
bambini
che avevano pressappoco la stessa età di Estel.
Quel
giorno Glorfindel aveva deciso di andare al campo di addestramento per
fare
pratica con l'arco. Aveva posizionato il bersaglio il più
lontano possibile e
contava sul vento leggero per rendere il tutto ancora più
difficile.
Era
sul
punto di scoccare la sua prima freccia, quando delle voci lo
distrassero. Poco
lontano i due elfi bambini giocavano a rincorrersi. Le loro risate ed i
loro
sorrisi colmavano l'aria di gioia, una visione di fronte alla quale
Glorfindel
non poteva restare indifferente. Tuttavia, sperava che avrebbe visto
anche
Estel con loro, considerando che per la prima volta il bambino aveva
l'occasione di socializzare con altri suoi coetanei. Il piccolo
Dùnadan,
invece, li osservava in disparte, come se non sapesse cosa dire o fare.
Ha
soltanto bisogno di tempo per vincere la
timidezza,
pensò Glorfindel.
Le
prime
due frecce si fermarono appena al di fuori dell'anello centrale del
bersaglio.
Glorfindel era insoddisfatto del risultato, ma quando tese l'arco una
terza
volta con l'intento di ottenere un risultato migliore, fu nuovamente
distratto,
questa volta da una presenza alle sue spalle. Era Estel.
L'elfo
gli lanciò un breve sguardo per assicurarsi che restasse
dov'era, poi tornò a
concentrarsi sul centro del bersaglio, tentando allo stesso tempo di
prevedere
lo spostamento causato dal vento.
<<
'Findel? >>, lo chiamò Estel, proprio mentre
l'elfo rilasciava la corda
dell'arco e un leggero sussulto della sua mano rovinava la traiettoria
della
freccia, così attentamente calcolata.
Glorfindel
sospirò nel vedere la freccia che mancava del tutto il
bersaglio.
<<
Cosa c'è, Estel? >>.
<<
È vero che hai ucciso un Ballog? >>.
<<
Un Balrog >>, lo corresse Glorfindel, <<
Chi è stato a dirtelo?
>>.
<<
Ho sentito loro che ne parlavano >>, rispose Estel,
indicando i due
bambini.
<<
Perché
non vai a giocare con loro invece di guardarli da lontano?
>>, propose
l'elfo.
Estel
abbassò lo sguardo. << Loro sono diversi da me
>>, spiegò.
<<
Non vogliono stare con te perché sei diverso?
>>, chiese Glorfindel.
<<
No, ma non conosciamo gli stessi giochi >>, rispose Estel.
<<
Forse potresti chiedergli di insegnarti i loro giochi. E sono certo che
ci sono
tante cose che puoi insegnare tu a loro >>.
Nella
pausa che seguì Glorfindel immaginò che Estel
stesse cercando una scusa per non
seguire il suo suggerimento.
<<
Facciamo un patto: tu proverai a fare amicizia con quei bambini e dopo
io ti
racconterò la storia del Balrog >>, propose
Glorfindel.
<<
D'accordo >>, acconsentì subito Estel.
Glorfindel
lo guardò mentre si avvicinava timidamente ai due elfi e,
pochi minuti dopo, i
tre stavano parlando animatamente di qualcosa che sembrava divertirli
ed
entusiasmarli.
Soddisfatto,
Glorfindel tornò al suo bersaglio. Il terzo lancio fu di
gran lunga migliore
dei primi due ed il quarto fu quasi perfetto.
L'elfo
tese l'arco per la quinta volta, convinto che quello sarebbe stato il
lancio
decisivo.
<<
'Findel? >>.
L'elfo
trasse un respiro profondo e si appellò a tutta la sua
pazienza. Quando si
voltò non trovò soltanto Estel, ma tutte e tre i
bambini.
<<
Avevi detto che avresti raccontato la storia del Balrog
>>, disse Estel.
In
un
attimo Glorfindel si ritrovò trafitto da tre sguardi in
attesa, ai quali non
ebbe il coraggio di dire di no.
<<
Va bene >>, disse.
Suppongo
che oggi non sia il giorno adatto per il
tiro con l'arco... c'è troppo vento,
pensò rassegnato.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
Aur
vaer:
buona
giornata
P.s.
gli eventi narrati nel capitolo
precedente, ovvero l'episodio dell'alveare e quello del pantano sono
entrambi
ispirati ad eventi realmente accaduti, uno dei quali è
toccato alla
sottoscritta...
|
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Capitolo 31 *** Viaggio a Lórien ***
Buona
domenica a tutti!
Mi dispiace di averci messo così tanto, ma questo capitolo
è stato un osso
duro. Spero che vi piaccia!
La
foresta di Lòrien era un luogo unico nel suo
genere. Gli alberi imponenti, le lanterne argentate che rischiaravano
la notte,
la presenza silenziosa degli elfi, ogni cosa sembrava congelata nel
tempo,
immune dal male che imperversava all'esterno.
Erano trascorsi innumerevoli inverni dall'ultima volta in cui Elrohir
era stato
lì, ma ebbe l'impressione che in sua assenza nulla fosse
cambiato.
Gli elfi di Lothlórien li accolsero in maniera amichevole,
ma discreta. Haldir
ed i suoi fratelli, Rùmil ed Orophin, diedero loro il
benvenuto e li
accompagnarono nel cuore della foresta.
Tra gli abitanti di Lothlórien Elrohir rivide visi
familiari, ed allo stesso
tempo si stupì di quanti fossero gli estranei. Elrond,
invece, sembrò
riconoscere ognuno di loro.
Nel rispetto delle regole della cortesia, Elrohir si sforzò
di ricordare i nomi
di tutti coloro che aveva già conosciuto in precedenza, ma
ben presto si rese
conto che erano loro per primi ad essere indecisi su come chiamarlo.
Quando non
era con Elladan per gli altri diventava ancora più difficile
distinguerlo dal
gemello e, per i più, restava impossibile.
<< Elrohir >>.
Una voce familiare emerse dal vociare indistinto che li circondava, una
voce di
cui Elrohir aveva a lungo sentito la mancanza, più di quanto
lui stesso si
fosse reso conto.
Arwen era esattamente come Elrohir la ricordava prima degli eventi del
Passo
Cornorosso, serena e raggiante. Il suo sorriso era contagioso e, quando
abbracciò Elrohir, questi avvertì tutta la sua
gioia.
<< Sono felice di rivederti >>, disse
Arwen, << Iniziavo a
pensare che stessi aspettando la prossima era per venire a trovarmi
>>.
<< Aspettavo soltanto il momento giusto >>,
rispose Elrohir.
Elrond, che nel frattempo era rimasto in disparte, si
schiarì la voce con finta
noncuranza.
<< Scusami, ada
>>, disse
Arwen e corse a salutare anche lui. Ma Elrohir conosceva suo padre
abbastanza
da sapere che nulla lo rendeva più felice che essere
testimone dell'affetto che
legava i suoi figli.
<< Dov'è Elladan? >>, chiese
Arwen, dopo aver lanciato una breve
occhiata agli elfi che erano arrivati con loro.
<< È rimasto a casa per ora, ma
verrà a farti visita dopo che noi saremo
tornati >>, rispose Elrohir.
Arwen accolse la notizia con una punta di delusione, ma soltanto per un
momento. C'era ben poco che potesse scalfire suo entusiasmo.
Gli elfi furono ricevuti da Galadriel e Celeborn, signori di
Lothlórien. Essi
apparivano immuni al passare del tempo, eterni e immortali come la
foresta
attorno a loro. Ogni volta che Elrohir si trovava in loro presenza, in
lui
nasceva un senso di soggezione, derivato dalla sensazione, o forse
dalla
consapevolezza, di essere scrutato fino alle profondità
della propria anima. Il
rapporto che lui ed Elladan avevano con i nonni materni era sempre
stato di
rispettosa ammirazione, ma raramente di familiarità,
soprattutto da quando
Celebrìan aveva lasciato la Terra di Mezzo. Tuttavia,
c'erano poche persone al
mondo la cui saggezza era paragonabile a quella dei signori di
Lothlórien ed
Elrohir nutriva una cieca fiducia in loro.
Dal momento del loro arrivo divenne subito chiaro ad Elrohir che suo
padre,
Galadriel e Mithrandir, giunto a Lòrien poche ore prima,
erano impazienti di
conferire in privato.
Anche Arwen se ne rese conto e, senza fare domande alle quali sapeva
che non
avrebbe avuto risposta, propose ad Elrohir di recuperare il tempo
perduto. Lo
condusse tra i sentieri che attraversavano la foresta con il passo
esperto di
chi ripercorre un luogo familiare. Elrohir non era certo che sarebbe
riuscito a
trovare la strada senza la guida di Arwen. Adesso
questa è casa sua, pensò, non senza
una punta di amarezza, Come un tempo lo
è stato Imladris.
I due elfi giunsero in uno dei luoghi più alti di
Lórien e, dopo una lunga
salita, Elrohir iniziò a riconoscere i dintorni. Vide i
sentieri di Caras Galadhon,
che conducevano tutti alla collina ove si trovava l'alto palazzo di
Celeborn e
Galadriel.
<< Io vivo qui. Volevano che mi trasferissi al palazzo,
ma ho preferito
restare. Qui si vive in maniera più semplice, più
simile a come ero abituata a
Gran Burrone >>, disse Arwen.
<< È bellissimo >>,
osservò Elrohir.
Le stanze erano ampie e luminose, prive di oggetti superflui e
accuratamente
ordinate, esattamente come lo erano state quelle che un tempo Arwen
aveva
abitato a Gran Burrone.
<< Nelle ultime lettere che ho ricevuto da Imladris si
parlava spesso del
bambino Dùnadan che da qualche anno vive con voi. Sono
curiosa di sapere come
ha cambiato le vostre vite >>, disse Arwen.
<< In meglio, senza dubbio, e aggiungerei anche
irrimediabilmente
>>, rispose Elrohir, << È una
grande gioia per Elladan e me poter
essere di nuovo dei fratelli maggiori e lo è altrettanto per
nostro padre. Non
so fino a che punto se ne sia reso conto, ma ha adottato Estel, ed
Estel ha
adottato lui come padre >>.
<< Sono impaziente di conoscerlo >>, disse
Arwen.
<< Potresti venire con noi al ritorno >>,
propose Elrohir.
Arwen abbassò lo sguardo. << Ne dubito. Almeno
per adesso, resterò qui
>>, disse, << Ma ho già deciso
che in futuro tornerò a Gran
Burrone. Non so ancora dirti quando, e forse per allora Estel
sarà già adulto,
ma so che tornerò >>.
<< Prenditi tutto il tempo che ti occorre. Ognuno di noi
ha avuto bisogno
di allontanarsi per un po' dai cattivi ricordi. Elladan ed io siamo
riusciti a
tornare a casa soltanto tre inverni fa >>, la
rassicurò Elrohir.
<< Mi conforta sapere che riesci a capirmi
>>, disse Arwen.
Elrohir era spesso tentato di dimenticare che sua sorella aveva
affrontato il
suo stesso dolore, con la differenza che lei non aveva avuto qualcuno
che le
stesse vicino come lui aveva avuto Elladan.
Dall'ampia terrazza che sovrastava Lòrien, Elrohir ed Arwen
assisterono al
tramonto. Il sole si abbassava sugli alberi, lasciando sfumature di
arancione e
rosa a riflettersi sui marmi bianchi ed una stella, la prima a
comparire, come
debole sostituta della sua luce.
<< È per Thiliel che sei venuto qui?
>>, chiese Arwen.
Quella domanda a bruciapelo colse di sorpresa Elrohir. <<
Non soltanto
per lei, ma... sì, vorrei vederla >>, rispose.
<< Quando voi partiste da Gran Burrone, lei ti
aspettò. Io ero già
arrivata qui, ma nostro padre mi parlò di lei nelle sue
lettere. Attese a
lungo, ma non sapeva quando o se saresti tornato, per questo decise di
trasferirsi a Lothlórien, dove vivevano i suoi genitori
>>, disse Arwen.
Qualcosa nel suo tono presagiva una cattiva notizia, ed Elrohir non era
certo
di volerla ascoltare.
<< Ti ha parlato di me? >>, chiese,
percependo l'esitazione nella
sua stessa voce.
<< No >>, rispose Arwen, <<
Non fino all'ultimo, quando mi
disse che la sua famiglia era diretta ai Porti Grigi e che lei aveva
intenzione
di seguirla. Pensai di scriverti una lettera, ma non avresti comunque
avuto il
tempo di arrivare prima che lei partisse. Quando le chiesi se avevate
avuto
modo di parlarvi un'ultima volta, lei disse che, se il destino vi fosse
stato
favorevole, vi sareste incontrati nelle Terre Immortali
>>.
Elrohir immaginò la voce melodiosa di Thiliel che
pronunciava quelle parole
aspre. Sapere che lei non c'era l'aveva deluso più di quanto
avesse immaginato,
ed Arwen parve leggerlo nei suoi occhi.
<< Mi dispiace >>, disse l'elfa,
<< Forse avrei dovuto
dirtelo prima >>.
<< Non sarebbe cambiato nulla. Non biasimo te per non
avermelo detto e
non biasimo Thiliel per aver fatto questa scelta >>.
<< Credi che... La rivedrai? >>, chiese
Arwen. Una nota di disagio
nella sua voce rendeva chiaro quanto fosse consapevole delle
implicazioni nella
sua domanda.
<< Non lo so >>, rispose Elrohir,
completamente onesto, << Ma
da adesso la mia scelta è diventata soltanto più
difficile: scegliendo una vita
mortale, non rivedrò più Thiliel >>.
<< Hai tutto il tempo che ti occorre per fare una scelta
consapevole
>>, disse Arwen.
<< E tu? >>, si arrischiò a
chiedere Elrohir, << Hai già
deciso? >>.
<< Credo che partirò con nostro padre e, lo
spero, con te ed Elladan. Non
c'è nient'altro che mi tiene legata a questa terra
>>, rispose Arwen.
Elrohir ammirava la sua risoluzione, ma c'era ancora tanto tempo a
separarli
dal momento decisivo e non riteneva prudente fare scelte affrettate.
Tuttavia
Elrohir tenne per sé le sue considerazioni e si
limitò ad assistere agli ultimi
minuti di luce, mentre il manto dell'oscurità calava su di
loro.
Elrond attraversò i sentieri tra gli alberi illuminati dalla
luce argentea
delle lanterne, scegliendo il percorso più lungo e solitario
per aver modo di
poter riflettere in tranquillità. La presenza di Vilya con
gli anni era
diventata parte di lui, fino ad apparire quasi impercettibile, ma in
quel
momento Elrond la avvertiva con un'intensità tale da
impedirgli di pensare a
qualsiasi altra cosa. I consigli di Galadriel erano stati rassicuranti,
ma per
la prima volta Elrond aveva avuto l'impressione che neanche la Dama dei
Galadhrim
sapesse come agire. Tutti avevano avvertito qualcosa di insolito,
tuttavia
nulla al di fuori di visioni oscure e confuse aveva fornito loro altri
indizi
su quello che avrebbero dovuto affrontare.
Elrond aveva sperato di poter trovare delle risposte a
Lothlórien, ma solo in
quel momento si rendeva conto di quanto le sue speranze fossero state
vane.
<< Galadriel e Mithrandir condividono le mie
preoccupazioni, avendo
percepito loro stessi l'inquietudine degli Anelli. Abbiamo concordato
che, di
qualunque cosa si tratti, non rappresenta un pericolo immediato
>>, aveva
detto quella sera ad Elrohir, poco prima di ritirarsi nella sua stanza.
<< Nient'altro? >>.
<< Temo di no. Ma Mithrandir ha ipotizzato che potrebbe
trattarsi
dell'Unico Anello >>.
<< E tu sei d'accordo con lui? >>, aveva
chiesto Elrohir, senza
neanche tentare di nascondere la sua paura.
<< So solo che spero sia in errore. Se qualcuno si
impossessasse
dell'Anello le conseguenze sarebbero inimmaginabili >>.
<< Vorrei tornare a casa >>, aveva detto
Elrohir, dopo aver
riflettuto per qualche attimo, << Se credete che non ci
sia motivo di
preoccuparsi subito mi fido del vostro giudizio, ma continuo a pensare
che, se
accadesse qualcosa, voglio che Elladan ed Estel siano con me. Arwen
è al sicuro
qui, e sono certo che nulla di spiacevole potrà mai
accaderle finché sarà sotto
la protezione di Celeborn e Galadriel, ma senza di noi Gran Burrone non
gode
della stessa sicurezza >>.
Elrond era stato positivamente sorpreso all'udire quelle parole.
<<
Resteremo ancora qualche giorno, poi partiremo. Lascerò a te
il piacere di
informare tua sorella che ce ne andremo con la stessa fretta con cui
siamo
arrivati >>, disse, congedandosi da Elrohir con un
accenno di sorriso.
L'ultimo giorno che gli elfi trascorsero a Lothlórien si
concluse con una
visita a Cerin Amroth, alla quale si unirono anche Celeborn e Galadriel.
Quel luogo, uno dei preferiti di Arwen, aveva visto il passare delle
ere e
conservava, tra i suoi alberi dalle forme uniche, dei frammenti di
passato.
Resti di quello che era stato il talan
abitato da Amroth, signore di Lòrien, erano ancora visibili,
ricoperti dalla
vegetazione. Piccoli niphredil,
fiori
bianchi candidi come fiocchi di neve, punteggiavano il terreno e
profumavano
l'aria.
Elrohir osservò ed ascoltò con attenzione, per
fissare nella propria memoria
quei momenti e conservarli il più a lungo possibile. Aveva
l'impressione che
non sarebbe tornato presto a Lothlórien e voleva avere delle
immagini da
rievocare qualora ne avesse sentito la mancanza.
Elrond e Celeborn stavano conversando, parlando di un passato che
Elrohir non
aveva vissuto, mentre Galadriel ed Arwen camminavano fianco a fianco,
come
avevano fatto tante altre volte tra gli alberi di Lòrien.
Un giorno tutti loro se ne andranno,
si ritrovò a pensare Elrohir. Potrei
davvero restare qui sapendo che non li rivedrei più?.
Pensò a Thiliel, e subito dopo a Melwen.
L'immagine della prima era
sfocata, come se appartenesse ad un sogno, mentre la seconda era reale
e viva,
seppur lontana.
Elrohir sospirò. All'improvviso era impaziente di tornare ad
Imladris, e
sedersi di fronte al camino della Sala del Fuoco con Elladan ed Estel.
Si trattennero a Lothlórien per altri tre giorni, al termine
dei quali si
rimisero in cammino. I saluti furono tristi, e per qualche attimo
Elrohir fu
tentato di insistere affinché Arwen venisse con loro, ma
presto capì che non
sarebbe stato leale da parte sua chiederlo. Il posto di Arwen era
Lórien, e
così sarebbe stato finché lei non avesse deciso
altrimenti.
La prima parte del viaggio si svolse senza impedimenti. Gli elfi
procedevano a
passo sostenuto, ma senza fretta. Le pause erano sufficienti a
mantenere i
cavalli in forze e quando le circostanze lo permettevano la compagnia
si
fermava per la notte.
Elrond camminava sempre in testa, come si addiceva ad un capo, mentre
Elrohir
aveva deciso di trascorrere il tempo a tentare di conoscere meglio i
suoi
compagni di viaggio. Sapeva quali erano i loro nomi, ma erano soltanto
due o
tre quelli che Elrohir poteva dire di conoscere davvero.
<< Devi sempre conoscere coloro che seguono la tua guida
>>, gli
aveva detto Elrond, << Un giorno la tua vita potrebbe
dipendere da loro,
e quel giorno vorrai sapere fino a che punto puoi fidarti
>>.
Il suggerimento era stato piuttosto chiaro, ed Elrohir non
esitò a seguirlo.
Scoprì che molti di loro conoscevano lui ed Elladan soltanto
grazie alle leggende
sui Principi di Imladris, ed erano genuinamente curiosi di ascoltare le
loro
avventure. Elrohir si rese conto di avere molto da raccontare, ed allo
stesso
tempo di avere tanto da ascoltare. Ma su quelle piacevoli conversazioni
calò il
silenzio non appena gli elfi giunsero in vista del Passo Cornorosso.
Elrond si era fermato, e con lui anche tutti gli altri. Ad Elrohir
bastò
guardare la posizione del sole per capire il motivo dell'esitazione del
padre.
Proseguire il cammino a quell'ora del giorno significava che il sole
sarebbe
tramontato prima che gli elfi fossero riusciti ad arrivare dall'altra
parte,
mentre fermarsi lì per aspettare l'alba del giorno seguente
significava
rendersi un bersaglio facile in un luogo bel lontano dall'essere sicuro.
Gli elfi, in totale silenzio, attendevano ordini. Elrohir
avanzò fino ad
affiancarsi ad Elrond e disse, << Bisogna decidere in
fretta >>.
<< Io ho già deciso >>, rispose
Elrond, << Ma voglio
conoscere la tua opinione. Cosa faresti se la scelta fosse tua?
>>.
Il fatto che suo padre avesse chiesto la sua opinione non era del tutto
inaspettato per Elrohir, ma il modo in cui Elrond aveva parlato gli
suggeriva
che quello che avrebbe detto sarebbe stato non solo tenuto da conto, ma
avrebbe
avuto un peso nella decisione finale. Per questo motivo,
soppesò bene cosa dire
prima di rispondere.
<< Io procederei adesso. Correremo dei rischi in entrambi
i casi, ma restando
qui renderemo più facile a chiunque avvistarci da lontano
>>.
Elrond annuì. << Avrei detto la stessa cosa
>>, rispose, << E
credo che anche gli altri preferiscano agire così
>>.
L'espressione sollevata degli elfi quando venne annunciato loro che
avrebbero
proseguito il cammino confermò che Elrond aveva ragione.
Quel giorno il vento sferzava sulle rocce aguzze, fischiando e
sollevando
vortici di polvere. Il sole proiettava lunghe ombre, che si inclinavano
e
deformavano quanto più il pomeriggio su avvicinava al
termine.
Quando attraversarono il luogo in cui era avvenuto il rapimento di
Celebrìan la
notte era ormai calata e l'unica luce ad illuminare il loro cammino era
quella
della luna quasi piena. La tensione li accompagnò per tutto
il tempo in cui si
trovarono in vista di quell'area. Nonostante l'oscurità
Elrohir sapeva
esattamente dove si trovavano: ogni dettaglio era impresso a fuoco
nella sua
mente.
Il tempo trascorse lentamente, tra il rumore degli zoccoli sulla pietra
ed il
fruscio del vento.
Il sentiero tortuoso che costituiva l'ultima parte del Passo era il
letto di un
fiume ormai prosciugato, costeggiato da alte rocce ed alberi dal tronco
sottile. Il paesaggio non era di aspetto più accogliente
rispetto a quello che
si erano lasciati alle spalle, ma per Elrohir era sempre un sollievo
trovarsi
lì, in quanto significava che la fine era vicina.
Tuttavia, quando gli elfi percorsero la svolta che li avrebbe condotti
all'ultimo tratto di sentiero, qualcosa li portò a fermarsi
di colpo. Una frana
aveva bloccato parte del passaggio. Era accaduto altre volte che la
caduta di
massi ostacolasse l'attraversamento del Passo Cornorosso, soprattutto
in
seguito ad un temporale, pertanto nessuno ne fu sorpreso.
<< Potremmo aggirare la frana, ma sarà
più facile farci strada tra...
>>, tentò di dire Elrohir.
<< No dhìnen! >>,
lo
interruppe bruscamente Elrond. L'elfo era in ascolto, immobile e
concentrato.
Elrohir si guardò intorno, cercando di cogliere qualsiasi
movimento tra le
sagome buie che costeggiavano il sentiero. Intravide qualcosa che si
distingueva dal paesaggio immobile, ma prima che potesse dire o fare
qualsiasi
cosa, Elrond si frappose tra lui e l'ombra sospetta e disse, allarmato,
<< Abbassati! >>.
Il primo istinto di Elrohir fu quello di estrarre la spada, ma Elrond
fu più
rapido e, con uno strattone, lo costrinse a chinarsi sul dorso del
cavallo. Un
attimo dopo, una freccia sibilò nell'aria attraversando
l'esatto punto in cui
un istante prima si trovava la testa di Elrohir. L'elfo non
osò muoversi per i
secondi successivi, sentendo un brivido che gli correva lungo la
schiena al
pensiero di essere stato quasi colpito. Erano caduti in un'imboscata:
gli orchi
si erano nascosti tra le rocce, coperti dall'oscurità, e si
trovavano in
posizione rialzata rispetto agli elfi, i quali non avevano altra scelta
che
combattere. Anche agli occhi di Elrohir, che di solito disdegnava la
sola idea
di fuggire da un combattimento, la ritirata appariva come la scelta
più
sensata, ma in quel momento erano in trappola, non c'era nessun luogo
in cui
rifugiarsi.
<< Attaccate ai lati e non indietreggiate per nessun
motivo, altrimenti
ci circonderanno >>, disse Elrond. Gli elfi eseguirono
gli ordini prima
ancora che Elrond terminasse di pronunciarli.
Il primo attacco con le frecce aveva provocato almeno due morti tra gli
elfi
alla fine del gruppo, e quel numero sarebbe aumentato in fretta se
qualcuno non
avesse eliminato gli arcieri degli orchi al più presto. Quel
compito così
importante sarebbe spettato ad Elrohir, qualsiasi cosa ne dicesse suo
padre.
Senza dare ad Elrond nessun preavviso, Elrohir smontò da
cavallo e scattò di
lato, nella direzione in cui sapeva si trovavano gli orchi. Era
fondamentale
che gli elfi riuscissero a spostare la battaglia su un terreno in cui
avevano più
libertà di movimento, ed uccidere gli arcieri avrebbe
facilitato il compito a
tutti, oltre a salvare delle vite.
Elrohir si arrampicò sulle rocce, tentando di essere rapido
e silenzioso allo
stesso tempo. C'erano due orchi appostati nella posizione
più alta, che
miravano agli elfi nella valle sottostante, ed altri tre sulla sponda
opposta.
Avevano organizzato tutto nei dettagli,
ma il vento li ha rallentati, pensò Elrohir,
vedendo quanta attenzione gli
orchi mettevano nell'atto di prendere la prima. L'elfo attese che
fossero
completamente assorti, poi estrasse il pugnale. Aveva scelto quell'arma
più
piccola in quanto la spada avrebbe intralciato i suoi movimenti ed
avrebbe
rischiato di urtare la pietra rivelando la sua posizione. Prese gli
orchi alle
spalle, dando loro a malapena il tempo di accorgersi di essere stati
attaccati.
Con la coda dell'occhio vide che due elfi, tra cui Elrond, si stavano
occupando
degli orchi dalla parte opposta del sentiero, mentre più
avanti elfi ed orchi
si stavano affrontando frontalmente. Elrohir rinfoderò il
pugnale ed estrasse
la spada, mentre si dirigeva verso il fragore della battaglia.
Quando Elrond perse di vista Elrohir dovette costringersi a non
distogliere
l'attenzione dal combattimento. Restavano ancora due orchi nelle
vicinanze,
mentre la parte centrale della battaglia si era concentrata altrove;
per questo
motivo Elrond ordinò all'elfo che era con lui di andare dove
la sua spada
sarebbe stata più utile e restò da solo ad
occuparsi dei due orchi.
Elrond ne uccise uno con un singolo colpo di spada ben assestato,
mentre il
secondo si rivelò un avversario più abile. L'orco
era alto e imponente, ma allo
stesso tempo rapido e vigile. Elrond sapeva cosa fare: segnò
mentalmente tutti
i punti in cui avrebbe potuto colpire l'orco e, mentre incrociavano le
spade,
attese che uno soltanto di quei punti restasse scoperto per un istante,
per
sferrare il colpo di grazia. Ma c'era qualcosa che non aveva previsto:
dalla
mischia emersero altri tre orchi in soccorso del compagno in
difficoltà. Probabilmente
è il loro capo, altrimenti non
cercherebbero di aiutarlo, pensò Elrond.
L'elfo fu costretto a fare un passo indietro. Non aveva previsto di
doverne
affrontare quattro allo stesso tempo, e già iniziava a
pentirsi di aver mandato
via l'unico aiuto su cui avrebbe potuto contare. Maledetto
orgoglio, disse tra sé, quando vide che due degli
orchi
si preparavano ad attaccarlo alle spalle. Allora Elrond fece l'unica
cosa che
gli orchi non si sarebbero aspettati da lui. Si voltò verso
la parete di roccia
e saltò su un masso, così da trovarsi in
posizione rialzata rispetto ai nemici.
Come previsto, gli orchi furono colti di sorpresa ed agirono con un
istante di
ritardo. Elrond si voltò appena in tempo per schivare un
colpo e, con un
movimento fulmineo, tranciò di netto la mano dell'orco che
aveva osato
attaccarlo per primo. L'elfo si trovava in una posizione di vantaggio,
ma stare
così in alto significava anche avere meno libertà
di movimento. Almeno così non mi
arriveranno alle spalle,
pensò. L'orco a cui aveva tagliato la mano si contorceva dal
dolore mentre il
suo sangue nero sgorgava a flutti. Normalmente Elrond gli avrebbe
concesso il
colpo di grazia, ma in quel momento non poteva permettersi di abbassare
la
guardia neanche per un istante: gli orchi attendevano soltanto quello.
Il capo
si fece avanti, forse preoccupato di perdere il rispetto dei suoi
sottoposti se
avesse continuato a lasciar combattere loro, ed Elrond colse al volo
l'occasione. Finse di abbassare leggermente la guardia e, quando l'orco
si
illuse di avere un bersaglio facile, Elrond lo colpì di
taglio, aprendogli uno
squarcio nella gola.
Gli ultimi due orchi si lanciarono sull'elfo, che per i successivi
minuti fu
costretto a limitarsi a difendersi. Elrond lanciò una breve
occhiata alle
proprie spalle, dalla parte opposta del muro di roccia, valutando la
possibilità di saltare giù. L'altezza era
considerevole, ma avrebbe potuto
farcela senza gravi danni. Tuttavia, nel momento stesso in cui Elrond
fece quel
pensiero, seppe che non lo avrebbe messo in pratica. Avrebbe combattuto
fino
all'ultimo, la ritirata non era un'opzione.
Gli orchi capirono di poter ancora sfruttare il vantaggio di essere in
due
contro uno e, mentre uno di loro teneva occupato Elrond, l'altro si
arrampicava
sullo stesso scomodo appiglio che aveva utilizzato l'elfo.
Elrond capì di dover agire in fretta. Azzardò un
affondo, che l'orco riuscì
prontamente a bloccare, e in quel momento, quando il nemico era sul
punto di
contrattaccare, Elrond estrasse il pugnale e lo conficcò nel
suo fianco.
Senza perdere neanche un istante, si voltò verso il secondo,
l'ultimo, orco, ma
non fu abbastanza rapido. L'orco fece qualcosa che Elrond non si era
aspettato:
invece di attaccarlo con la spada, si lanciò su di lui con
tutto il proprio
peso, trascinandolo verso il vuoto alle loro spalle.
Con un'arma per ogni mano, Elrond fu costretto a lasciare andare il
pugnale per
tentare di trovare un appiglio, ma fu inutile. Caddero
entrambi, Elrond
rinunciò a tentare di frenare la caduta e, nell'istante
prima di toccare il
suolo, riuscì a trafiggere l'orco. Un attimo dopo, si
schiantò contro uno
spuntone roccioso. Il dolore si propagò su tutto il lato
sinistro del suo
corpo, da un taglio profondo sul palmo della mano al fianco, dove
raggiungeva
la sua massima intensità.
L'elfo restò senza fiato per alcuni istanti, ma si costrinse
a rialzarsi per
assicurarsi che l'orco fosse morto. Con grande sollievo
constatò che la ferita
e la caduta l'avevano ucciso sul colpo. Solo allora si concesse di
fermarsi per
riprendere fiato e valutare le proprie condizioni. Costole
rotte, forse due. Il resto non è grave, pensò.
<<
Adar! >>, la voce di Elrohir risuonò
dall'alto.
Quando Elrond tardò a rispondere, Elrohir insistette.
<< Stai bene?
>>, chiese, e sembrò sul punto di cercare una
via sicura per calarsi giù.
<< Sì, non preoccuparti >>,
rispose Elrond, bloccandolo con un
gesto. Per sottolineare la veridicità delle sue parole,
rinfoderò la spada e risalì
lungo la parete di roccia, aggrappandosi agli stessi spuntoni rocciosi
che
l'avevano ferito quando era caduto insieme all'orco. Elrohir si sporse
il più
possibile e tese una mano per aiutarlo ad arrampicarsi. Per Elrond ogni
movimento significava una fitta di dolore un po' più intensa
della precedente,
pertanto fu grato dell'aiuto.
Una volta in cima, notò che la battaglia non era ancora
terminata.
<< Perché hai lasciato il combattimento?
>>, chiese.
<< Ho visto l'elfo che era con te tornare da solo, poi ho
visto tutti
quegli orchi venire da questa parte... Ed ho visto questo
>>, concluse
Elrohir, mostrando il pugnale di Elrond.
Elrond non poté negare di essere rimasto toccato
dall'apprensione di Elrohir.
Di solito era lui a preoccuparsi per i suoi figli, ed era strano vedere
che
quella volta i loro ruoli erano invertiti.
<< Non ripeterò mai più questa
frase: sono contento che tu abbia disobbedito
quando a casa ti ho detto di non venire >>, disse Elrond,
ma prima che
Elrohir avesse il tempo di rispondere aggiunse, <<
Torniamo a combattere
>>.
Elrohir esitò per qualche istante, chiedendosi se suo padre
fosse in grado di
continuare a combattere, ma decise di non dar voce ai suoi dubbi.
Sapeva che,
in ogni caso, Elrond non avrebbe mai accettato di restare in disparte
mentre i
suoi uomini combattevano al suo posto. Quando arrivarono, la battaglia
era
quasi terminata, cosa di cui Elrohir fu grato.
Dovettero soltanto assicurarsi che gli orchi che cercavano di fuggire
non
andassero lontano, ma quello era principalmente un lavoro per gli
arcieri.
Alle prime luci dell'alba l'ultimo orco fu ucciso. <<
Ancora una volta
del sangue elfico bagna il Passo Cornorosso >>, disse
Elrond, più a se
stesso che agli altri, mentre osservava le gocce di sangue che cadevano
dalla
punta delle sue dita e si univano alla pozza rossa che si allargava
sotto uno
degli elfi caduti.
Le perdite erano sei in tutto, mentre tre erano i feriti, ma nessuno in
maniera
grave.
<< Govano i nothrim in adh i
mellyn
in mi Mannos >>, mormorò
Elrohir. In quel momento si era quasi pentito di aver voluto conoscere
meglio i
suoi compagni di viaggio: alla luce di quello che avevano condiviso,
perderli
era stato ancora più doloroso.
Mio padre starà facendo pensieri
simili.
Si sentirà in colpa per averli condotti in una trappola, pensò
Elrohir. Ma
non c'era tempo per indugiare sui sensi di colpa. Dopo aver pattugliato
i
dintorni per essersi assicurati di aver eliminato tutti i nemici e dopo
aver
fornito le prime cure ai feriti, gli elfi si rimisero in marcia.
<< A metà strada incontreremo Elladan. Non
appena ci hanno attaccati l'ha
saputo tramite me ed ha riunito alcuni uomini per venire in nostro
aiuto.
Sapeva che non sarebbe riuscito ad arrivare in tempo per partecipare
alla
battaglia, ma... >>, spiegò Elrohir.
<< ...ma non sarebbe neanche riuscito a restare senza far
nulla mentre
noi eravamo in pericolo >>, concluse Elrond.
Quando Elladan aveva osservato il tramonto di quella giornata, non
avrebbe mai
immaginato che non molto tempo dopo si sarebbe ritrovato al galoppo
nell'oscurità, con una ventina di elfi al seguito, per
raggiungere il Passo
Cornorosso il prima possibile.
La cavalcata fu lunga, e la distanza che lo separava dalla meta
sembrava
interminabile, ma infine, quando era ormai mattina, Elladan li vide. Per alcuni di loro questo è stato
l'ultimo
viaggio, osservò.
Sapeva che Elrohir stava bene, poteva avvertirlo, ma sentiva lo stesso
il bisogno
di accertarsene di persona.
<< Abbiamo affrontato di peggio in passato
>>, fu la risposta di
Elrohir. Ma Elladan non poteva essere ingannato da lui: era
perfettamente
consapevole di quanto suo fratello fosse scosso. Allo stesso tempo
notò che
Elrond era chiaramente sofferente.
<< Ci vaer?
>>, chiese
Elladan.
<< Costole rotte, niente di grave >>,
rispose Elrond.
<< Non dovresti cavalcare >>,
osservò Elladan.
<< È vero, ma non ho alternative.
Starò bene a meno che qualcuno non
decida di andare al trotto >>, disse Elrond.
Elladan dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo.
La valle di Imladris fu una piacevole vista per i viaggiatori:
significava che
la loro terribile avventura si era finalmente conclusa.
<< Elladan >>, disse Elrond,
<< Precedici ed assicurati che
Estel non sia presente al nostro arrivo. Non voglio che ci veda
così >>.
Elladan obbedì. Arrivò a Gran Burrone di corsa,
precedendo di gran lunga gli
altri. Per prima cosa informò Glorfindel sull'esito della
spedizione, poi
chiese a Gilraen di portare Estel all'interno e restare lì
fino a quando gli
elfi non si fossero cambiati gli abiti sporchi di sangue.
Un'ora dopo, Elrond attraversava l'ampio salone che precedeva la Sala
del
Fuoco.
Dopo essersi preso cura degli altri, aveva dedicato del tempo a
prendersi cura
di se stesso, poi, dopo essersi assicurato che la sua presenza non
fosse
richiesta altrove, si era diretto dove sapeva avrebbe trovato Estel.
La Sala del Fuoco era tiepida e accogliente. Il piccolo
Dùnadan era seduto sul
pavimento, intento a giocare con dei cubetti di legno che uno degli
elfi aveva
intagliato per lui in maniera che si potessero incastrare uno
sull'altro. Anche
Gilraen era lì, con Elladan ed Elrohir.
Non appena Estel vide che Elrond era tornato, il suo viso si
illuminò di gioia,
lasciò cadere quello che aveva in mano e corse verso di lui.
Ma non fu quella la scena che portò Elrond sull'orlo delle
lacrime. Fu una
parola, molto breve, che Elrond aveva già udito innumerevoli
volte, ma che non
si sarebbe mai aspettato di sentire da Estel.
<< Ada!
>>.
Elrond restò interdetto per qualche istante, incredulo di
fronte alla totale
spontaneità di Estel. Il bambino esitò, forse
spaventato dalla prospettiva di
un rifiuto. Ma quella era l'ultima cosa che Elrond avrebbe voluto:
s'inginocchiò
e strinse Estel in un abbraccio.
Nella sua mente riecheggiava ancora il fragore delle spade e l'odore
del
sangue, i suoi pensieri erano rivolti alle commemorazioni dei caduti
che si
sarebbero svolte quella sera, ma nonostante ciò, in quel
momento Elrond si
sentì sereno, quasi felice.
La mattina successiva, Gilraen rifletté molto su quanto era
accaduto la sera
prima.
Una parte di lei aveva temuto che, se Estel avesse iniziato a
considerare
Elrond come un padre, questo avrebbe significato perdere ogni legame
rimasto
con Arathorn. Ma lei stessa riconosceva quanto quel pensiero fosse
irrazionale.
Estel non aveva idea di essere Aragorn, figlio di Arathorn e futuro
Capitano
dei Dùnedain e non aveva nessun ricordo del padre, pertanto
Gilraen non poteva
volere che restasse fedele a qualcuno che per lui non era nient'altro
che un nome.
Quando Elrond era entrato nella Sala del Fuoco ed Estel era andato ad
abbracciarlo, tutti i dubbi di Gilraen avevano cessato di esistere.
Dapprima
Elrond era parso sorpreso, e forse un po' preoccupato, ma poi aveva
ricambiato
l'abbraccio e Gilraen aveva visto l'orgoglio e la gioia nei suoi occhi.
Gilraen non aveva avuto bisogno di vedere altro per capire che la sua
opinione
in proposito era superflua.
Pochi giorni dopo il ritorno degli elfi da Lòrien, a Gran
Burrone giunse una
lettera da Annùminas. Gilraen si teneva regolarmente in
contatto con i suoi
familiari e con coloro che in passato erano stati agli ordini di suo
marito.
Ma, quella mattina, giunsero notizie tanto inaspettate quanto terribili.
Troppo a lungo ho vissuto nella
tranquillità e nella sicurezza di Imladris. Dovevo
immaginare che la pace non
sarebbe durata, pensò Gilraen.
Traduzione
delle frasi in Sindarin:
No
dhìnen!: Silenzio!
Govano
i nothrim in adh i mellyn in mi Mannos: che
tu possa ricongiungerti con i tuoi cari nell'aldilà
Ci
vaer?: come
stai?
|
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Capitolo 32 *** Doveri ***
Ciao
a tutti,
dopo un'assenza così lunga sono pronta ad accogliere lanci
di pomodori,
lamentele varie e, perché no, anche un po' di freddezza. Vi
chiedo scusa per
questa pausa non dichiarata, ma a quanto pare la vita di tutti i giorni
si è
messa d'impegno per impedirmi di scrivere e, giusto per abbondare,
anche
l'ispirazione mi ha lasciata per un lungo periodo. Ma adesso sono
tornata, ho
già iniziato a scrivere il prossimo capitolo e vi posso
promettere che non vi
lascerò più a mani vuote per così
tanto tempo, perlomeno non senza avvisare. La
fanfiction continua e spero anche i vostri bellissimi commenti. Buona
lettura!
Lo
studio di Elrond si trovava nella posizione ideale per cogliere la luce
mattutina, tuttavia quel giorno la stanza era illuminata soltanto dagli
sporadici raggi di sole che attraversavano le nuvole.
Un
tempo ai gemelli non era concesso di entrare in quella stanza quando il
padre
non era presente e, sebbene quel divieto avesse cessato di esistere
ormai da
tanto tempo, Elladan continuava a rispettarlo. Pertanto, nel periodo in
cui Elrond
era stato a Lòrien, Elladan aveva preferito limitarsi ad
usare la propria
stanza.
<<
Elladan, oggi andremo a controllare lo stato delle provviste per
l'inverno
>>.
Elrond,
seduto alla sua scrivania, era intento ad ordinare vecchi documenti per
fare
spazio a dei nuovi.
<<
L'ho già fatto >>, rispose Elladan.
Elrond
sollevò lo sguardo, vagamente sorpreso. <<
Bene. Allora anticiperò la mia
visita al fiume, devo verificare i danni arrecati al ponte dall'ultima
piena
>>.
<<
Ho fatto anche questo >>, disse Elladan.
Elrond
alzò un sopracciglio. << Quando?
>>.
<<
Appena prima di venire qui >>, spiegò Elladan,
e mentre parlava tentò di
interpretare l'espressione di suo padre per capire se fosse irritato o
soltanto
perplesso.
<<
Posso sapere il perché di tanta dedizione? >>,
chiese Elrond.
Elladan
capì all'istante che mentire non gli avrebbe portato alcun
bene, per questo
optò per la verità. << Hai detto
agli elfi rimasti feriti di riposare e
di non far nulla che possa aggravare le loro condizioni, ma adesso sei
tu che
non segui il tuo stesso consiglio >>.
Elladan
temette per un momento di aver osato troppo, ma la risposta che ottenne
fu
pacata.
<<
Apprezzo la tua preoccupazione, ma so bene dov'è il mio
limite >>.
Elladan
non ne era convinto, ma sebbene suo padre non si fosse arrabbiato, il
suo tono
rendeva chiaro che la discussione era finita lì. Dal momento
che Elladan non
poteva insistere, decise tra sé e sé che avrebbe
attuato il suo piano anche il
giorno successivo e quello dopo se fosse stato necessario. Sapeva che
Elrond
non si trovava in pericolo, ma sapeva anche che la cavalcata del giorno
prima
aveva aggravato le sue condizioni e che in quel momento era tormentato
dal
dolore. Poteva vederlo nei suoi occhi e nella sua espressione, che a
tratti era
attraversata da una fulminea ondata di sofferenza, così
lieve che ben pochi
oltre ad Elladan sarebbero stati in grado di notarla.
<<
Avevi intenzione anche di tenere la riunione di questo pomeriggio al
mio posto?
>>, chiese Elrond.
<<
Ho pensato di farlo, ma Elrohir ha detto che ti saresti arrabbiato
>>.
<<
Elrohir aveva ragione. Per adesso puoi andare, mi limiterò a
scrivere delle
lettere, se non hai nulla in contrario >>, disse Elrond,
conferendo a
quell'ultima frase un tocco di ironia.
Quando
Elladan era in procinto di uscire, si ritrovò faccia a
faccia con Gilraen, che,
avendo trovato la porta già aperta, stava per bussare sullo
stipite. Appariva
inquieta e impaziente, e tra le mani stringeva una lettera ripiegata.
<<
Avanti >>, disse Elrond, indicando una sedia vuota.
Gilraen,
però, restò in piedi. << Vorrei
parlarti di una questione di grande
importanza >>, disse. Poi aggiunse, rivolta ad Elladan,
<< Resta,
per favore, vorrei anche il tuo consiglio >>.
Elladan
fu segretamente contento di poter restare. Era curioso di scoprire cosa
aveva
turbato così tanto Gilraen.
<<
Ho ricevuto pessime notizie da Annùminas. Sapete
già che, dopo la morte di mio
marito, la responsabilità di svolgere le funzioni di
Capitano dei Dùnedain
spettava a me, fino a quando mio figlio non fosse cresciuto abbastanza.
Tuttavia
prima che venissi qui ho affidato il comando all'uomo di cui Arathorn
si fidava
di più, Badhor, che ha ricoperto il suo ruolo con valore,
dimostrandosi degno
della fiducia >>.
Elladan
pensò subito a Maedir, a Melwen, alla piccola Edeniel, e
pregò che nulla fosse
accaduto a qualcuno di loro. Aveva quasi timore di ascoltare
ciò che Gilraen
stava per dire, ma lei non sembrava avere nessuna intenzione di
nascondere
qualcosa.
<<
Poco fa una lettera mi ha informata che Badhor ed altri venticinque
Dùnedain
erano in un accampamento, diretti verso un villaggio vicino, quando
sono stati
attaccati da un gruppo di orchi e da due Mannari. Non erano preparati a
combattere e, se uno dei cani di Maedir non avesse fiutato i nemici in
tempo, a
quest'ora sarebbero tutti morti. Badhor... è stato ucciso
>>, con l'ultima
frase calò il silenzio, mentre le implicazioni di
quell'evento risuonavano in
tutta la loro gravità.
<<
Tra i feriti c'è anche mio padre >>,
continuò Gilraen, << Mia madre
dice che starà bene, ma temo lo stesso per lui, e in ogni
caso non potrà essere
lui a prendere il posto di Badhor, almeno non adesso >>.
Prima
di venire a conoscenza della gravità della situazione
Elladan aveva creduto di
essere in grado di dispensare buoni consigli. Ma in quel momento
l'unica cosa
che riuscì a fare fu guardare suo padre in attesa che fosse
lui il primo ad
esprimere un'opinione.
<<
Hanno bisogno di te, e subito >>, constatò
Elrond.
<<
Se dipendesse soltanto da me, partirei seduta stante >>,
rispose Gilraen,
<< Ma non è così. Non posso
lasciare Estel >>.
<<
Non puoi neanche portarlo con te. Posso darti una scorta, ma non
lascerei che
Estel affrontasse un viaggio del genere neanche con un esercito al
seguito.
Sappiamo bene quanto è pericoloso >>, disse
Elrond.
Prima
di allora Elrond non si era mai intromesso nelle decisioni che
riguardavano la
vita e il benessere di Estel, rifletté Elladan. Aveva dato
consigli ed espresso
il proprio parere quando Gilraen lo richiedeva, ma mai aveva imposto il
proprio
volere come aveva fatto in quel momento.
Gilraen
sembrò sorpresa, ma dovette riconoscere che riportare Estel
tra i Dùnedain non
sarebbe stata una scelta saggia.
<<
Cosa dovrei fare, quindi? >>, chiese Gilraen, trattenendo
a stento la
propria impazienza.
Elrond
distolse lo sguardo da lei. Elladan percepiva quanto suo padre fosse
combattuto: qualsiasi decisione avessero preso, non sarebbe stata
facile.
<<
Non posso ignorare la responsabilità che è
ricaduta su di me e non posso
continuare ad affidare ad altri i miei doveri >>, disse
Gilraen.
Elladan
era certo che Elrond avrebbe concordato con Gilraen, ma invece la sua
risposta
lo stupì ancora una volta.
<<
Estel si sentirà abbandonato >>, disse. Era
una considerazione semplice,
quasi banale se inserita in un discorso così pratico, ma
importante ugualmente.
<<
Ne sono ben consapevole >>, rispose Gilraen.
Fu
allora che Elladan decise di intervenire nella conversazione.
<< Estel è
destinato a diventare un capo dei Dùnedain. Facendo il bene
del popolo, farai
anche il bene di tuo figlio >>, disse. Poi aggiunse,
questa volta
guardando Elrond, << E purtroppo, per questa volta, il
suo dolore è anche
il suo bene >>.
Elrond
non era solito parlare del suo passato, ma Elladan conosceva abbastanza
da
capire che per suo padre quella situazione era ben più
personale di quanto non
sembrasse. Elrond era forse l'unico, in quel momento, a poter davvero
capire
cosa avrebbe provato Estel.
Gilraen
sospirò. Le parole di Elrond non avevano che aggravato il
suo senso di colpa e
reso la sua scelta ancora più gravosa.
<<
Qualunque sia la tua decisione, io la appoggerò. Se
sceglierai di partire, mi
assicurerò che il tuo viaggio sia sicuro e... mi
prenderò cura di Estel >>,
disse Elrond.
Non
era stato facile per lui pronunciare quelle parole, Elladan se ne
accorse e
sperò che se ne rendesse conto anche Gilraen.
<<
Io ho deciso. Forse avevo già deciso prima di entrare in
questa stanza
>>, disse Gilraen, << Partirò
domani stesso e tornerò non appena
avrò trovato qualcuno a cui affidare la guida dei
Dùnedain >>.
<<
D'accordo >>, fu l'unica risposta di Elrond. Per quanto
ci avesse provato,
neanche Elladan riuscì a capire cosa si nascondeva dietro
quel tono così
freddo.
La
loro conversazione terminò lì, ma la parte
più difficile doveva ancora
arrivare. Gilraen avrebbe dovuto dire ad Estel che era in procinto di
partire.
A
tal proposito a nessuno degli elfi fu chiesto un parere, né
un aiuto. Gilraen
chiamò suo figlio nella loro stanza e restò con
lui per quasi un'ora. Elladan
non seppe mai quali furono le parole utilizzate da Gilraen per spiegare
al
figlio il motivo della sua partenza, ma restò fortemente
sorpreso nel sapere
qual era stata la reazione del bambino. Non ci furono lacrime,
né proteste.
Quando lo vide, Elladan percepì una moltitudine di emozioni
contrastanti appena
al di sotto della superficie del suo sguardo, ma nessuna di queste
emozioni
emerse con chiarezza.
Trascorsero
delle ore e, con l'arrivo della sera, sembrò che nulla fosse
cambiato. Estel si
comportava in maniera non dissimile dal solito e soltanto un occhio
attento
avrebbe potuto notare in lui un'inquietudine che appariva fuori posto
sul viso
di un bambino di cinque anni. Durante la cena, Elladan ne
parlò con suo padre.
<< Sembra che sia andata meglio di quanto avessimo
immaginato >>,
disse.
Ma
Elrond non era d'accordo. Osservava Estel con crescente preoccupazione,
come se
fosse l'unico a vedere qualcosa che era celato a tutti gli altri.
<<
Chiederemo a Teliadir di unirsi alla spedizione >>,
disse, cambiando di
proposito argomento.
<<
Sarà felice di rimettersi in viaggio >>,
rispose Elladan, ben consapevole
che quando suo padre non intendeva parlare di qualcosa era impossibile
fargli
cambiare idea.
Al
termine della cena Elladan si diresse verso la Sala del Fuoco, dove
sapeva che
avrebbe trovato Teliadir. Nonostante amasse viaggiare, l'elfo era
piuttosto
abitudinario quando si trovava a Gran Burrone, ed ogni sera trascorreva
il
tempo seduto ad un tavolo, nel posto più lontano dal fuoco e
di conseguenza
dalla maggior parte delle persone, a leggere o scrivere lettere da
spedire
verso luoghi lontani.
Ma
quella sera Teliadir non era presente. Al suo posto, seduta tra una
pila di
libri e di fogli macchiati d'inchiostro, c'era un'elfa. Elladan l'aveva
conosciuta di sfuggita quando era tornato a Gran Burrone dopo il
periodo
trascorso ad Annùminas, ma non aveva mai avuto modo di
parlare con lei. Úriel,
questo
era il suo nome, era l'unica elfa ad Imladris la cui età si
avvicinasse, anche
solo lontanamente, a quella di Gilraen, ed era stato forse questo il
motivo per
cui le due erano diventate amiche.
<<
Stai cercando Teliadir? Sarà qui a breve >>,
disse Úriel, sollevando
brevemente lo sguardo dal libro che stava leggendo.
Elladan
restò momentaneamente spiazzato dal tono confidenziale con
cui l'elfa si era
rivolta a lui. Le conversazioni a Gran Burrone erano di solito ben
più ricche
di convenevoli.
<<
Hannon le >>, rispose
Elladan,
ed Úriel tornò a concentrarsi sulla lettura. I
capelli dell'elfa erano rossi e
con ogni probabilità erano anche la ragione del suo nome,
che conteneva la
parola "fuoco".
Trascorsero
appena pochi minuti, ma Elladan iniziò subito ad essere
impaziente. I
preparativi per la partenza di Gilraen dovevano essere ultimati entro
il giorno
successivo e c'era ancora molto da fare. Tuttavia, andare di persona a
parlare
con Teliadir invece di mandare qualcun altro al suo posto era un segno
di
rispetto a cui Elladan non voleva rinunciare, anche se avesse
significato
impiegare del tempo prezioso.
Per
ingannare l'attesa, Elladan diede uno sguardo ai libri che
Úriel stava
leggendo. Erano perlopiù volumi antichi, molti dei quali
provenienti dalla
libreria di Elrond. Alla fine, la curiosità ebbe la meglio.
<<
Cosa stai leggendo? >>, chiese.
<<
Un trattato sulle erbe curative. Teliadir vuole che lo impari a memoria
>>, rispose l'elfa.
<<
Sei la sua apprendista? >>, disse Elladan, non senza una
buona dose di
stupore.
<<
Lo sono >>.
Elladan
conosceva bene Teliadir ed era certo che l'elfo non volesse avere
apprendisti.
Possibile
che
abbia cambiato idea così repentinamente?,
si chiese.
<<
È stato difficile >>, disse Úriel,
in risposta a quella silenziosa
domanda, << All'inizio Teliadir era riluttante, ma io
sono stata
determinata. Adesso mi sta mettendo alla prova, ed io sto facendo del
mio
meglio per non deludere le sue aspettative >>.
<<
Confido che ci riuscirai >>, disse Elladan, appena in
tempo per
intravedere Teliadir che entrava dal portone principale.
<<
Mellon nin! >>,
esclamò l'elfo.
Elladan
non perse altro tempo e spiegò a Teliadir la delicata
situazione in cui si
trovavano. Si rendeva conto che la sua non era una richiesta da poco e
che non
tutti avrebbero accettato di buon grado di prepararsi in poche ore per
un
viaggio senza neanche avere una data di ritorno prevista. Ma non
Teliadir. Dopo
appena qualche attimo di riflessione, l'elfo rispose, <<
Ci sarò, senza
alcun dubbio >>.
<<
Bene, partirete all'alba. Sarà Glorfindel a guidare la
spedizione >>,
spiegò Elladan.
Prima
che Teliadir potesse ribattere, Úriel, che fino a quel
momento sembrava non
aver prestato attenzione alla conversazione, si alzò in
piedi e disse, <<
Vorrei venire anche io. Potrò essere d'aiuto a Teliadir e
Gilraen >>.
<<
No >>, rispose bruscamente Teliadir, <<
Potrai renderti utile qui,
completando i tuoi studi >>.
<<
Pensi davvero che imparerei di più restando qui piuttosto
che venendo in
viaggio con te? >>, chiese Úriel, questa volta
con un malcelato tono di
sfida.
<<
Qualcuno direbbe che il miglior modo per imparare a nuotare
è tuffarsi in un
lago. Potrebbe anche avere ragione, ma, se così non fosse,
annegherebbe
>>, disse Teliadir, << Impara a stare a
galla e poi ti insegnerò a
nuotare. Questo fu Elrond a dirmelo una sera di tanti anni fa, dopo
avermi
mandato via appena prima di una battaglia. Quel suo gesto potrebbe
avermi
salvato la vita e, se sei saggia, farai anche tu tesoro delle sue
parole
>>.
Úriel
restò in silenzio, mentre la risposta che aveva pensato di
dare le moriva sulle
labbra.
Elladan
percepì il disagio dell'elfa nel rendersi conto che non
sarebbe riuscita ad
avere la meglio in una discussione con Teliadir, così, in un
attimo, prese una
decisione.
<<
Se ritieni di essere pronta, potrai unirti alla spedizione. Teliadir
non ha
l'autorità per impedirtelo >>, disse.
Úriel
abbassò lo sguardo e mormorò un ringraziamento.
Teliadir, invece, non proferì
parola.
Mentre
lasciava la Sala del Fuoco, Elladan si interrogò sulla
decisione che aveva
preso. Fino a quel momento era accaduto molto di rado che lui o Elrohir
utilizzassero l'autorità di cui erano in possesso.
Solitamente si limitavano a
seguire le indicazioni di Elrond, oppure a lasciare che ognuno agisse
secondo
la propria coscienza. Persino quando Elrohir ed Elrond erano partiti
per
Lórien, Elladan aveva sempre fatto ciò che
immaginava avrebbe fatto suo padre
nella stessa situazione. Quella volta, invece, aveva semplicemente
seguito il
suo istinto, e si era comportato di conseguenza. Si chiese se non fosse
proprio
quello il suo destino: restare ad Imladris ed esserne il custode.
<<
El! >>, Elrohir lo raggiunse a passo svelto e disse,
frettolosamente,
<< Glorfindel vuole discutere con me in merito a quale
sia il percorso
più sicuro per raggiungere Annùminas, andresti tu
da lui al mio posto?
>>.
<<
Speri che non si accorga della differenza? >>, chiese
Elladan, vagamente
divertito.
<<
No, ma tu conosci quei luoghi bene quanto me ed io ho una faccenda
importante
di cui occuparmi >>, spiegò Elrohir.
<<
D'accordo, andrò subito, ma poi dovrai spiegarmi di che si
tratta >>.
<<
Ti ringrazio >>, disse Elrohir, ed andò via
con la stessa fretta con cui
era arrivato.
Elladan
sospirò. Lo attendeva una lunga notte.
Il
giorno successivo, a miglia di distanza, le prime luci dell'alba
illuminarono Annùminas.
Gli ultimi giorni non erano trascorsi serenamente per nessuno degli
abitanti
della città e, di conseguenza, l'aria era carica di
tensione. Una persona sola,
seduta sull'uscio della propria casa, appariva completamente calma.
Melwen
aveva fiducia nel futuro. Perlomeno, era questo che continuava a
ripetersi nella
speranza che prima o poi avrebbe iniziato a crederci davvero.
Ascoltò il rumore
di un battito d'ali, un uccello si era posato a pochi passi da lei. Un
vago
odore di legna bruciata, il fruscio delle piante mosse dal leggero
tocco del
vento. Poi, un rumore di passi. L'uccello volò via.
Melwen
riconobbe l'andatura di Maedir, un passo inconfondibile.
<< Com'è andata
la notte? >>, chiese.
Maedir
si sedette accanto a lei. << Meglio di quanto mi
aspettassi, ma alcuni
feriti sono ancora in condizioni gravi >>, rispose, la
voce carica di
tensione. Poi aggiunse, sospirando, << Spero che Gilraen
torni da noi.
Non avere una guida rende tutto più difficile
>>.
<<
Tornerà >>, disse Melwen, << Ne
sono certa >>.
Ne
era davvero certa: aveva visto gli
elfi pronti a partire da Gran Burrone. Con loro aveva visto anche
Elrohir che
consegnava a Gilraen un piccolo oggetto, un regalo. Melwen non sapeva
cosa
fosse, ma poco importava l'oggetto in sé. Sapere che,
nonostante la lontananza,
Elrohir continuava a pensare a lei la rendeva felice più di
quanto fosse
lecito.
<<
Sei di buon umore >>, commentò Maedir. Solo
allora Melwen si accorse di
star sorridendo e, subito dopo, si sentì in colpa. Non
avrebbe dovuto essere
felice per qualcosa di così piccolo, non quando c'erano
questioni ben più gravi
di cui preoccuparsi.
<<
Lo so che non mi dirai cosa ti passa in quella mente tormentata, ma per
me
saperti sorridente è abbastanza. Significa che le cose
miglioreranno >>,
disse Maedir.
<<
Ho soltanto fiducia nel futuro >>, rispose Melwen, con
una mezza verità.
Non sapeva se effettivamente le cose sarebbero migliorate
perché non era
riuscita a vedere oltre il dono che Elrohir le aveva mandato.
<<
Allora prenderò in prestito un po' del tuo ottimismo e lo
porterò a casa con
me. È da ieri che non vedo Hanneth, è meglio che
vada >>, disse Maedir.
<<
Va', prima che ti richiamino all'opera >>, rispose
Melwen, << Io
resterò qui ancora per un po' >>.
Un
fruscio, passi che si allontanavano, l'abbaiare di un cane, un sospiro,
l'odore
della terra, il calore del sole.
In
quello stesso momento l'alba illuminò anche Imladris e la
compagnia degli elfi.
I
cavalli erano sellati e, tenuti per le redini dai loro cavalieri,
iniziavano a
scalciare per l'impazienza. Gli elfi erano silenziosi, parlavano tra
loro a
bassa voce e, se non fosse stato per l'occasionale stridio delle spade,
qualcuno avrebbe potuto camminare a pochi metri di distanza senza
accorgersi
della loro presenza.
In
fondo al gruppo, Elladan riconobbe Úriel e, accanto a lei,
Teliadir, che
evitava di proposito il suo sguardo. Si
riappacificheranno presto, pensò Elladan.
Il
cavallo di Gilraen era pronto, posizionato poco dopo quello di
Glorfindel, ma
non c'era ancora traccia né della donna, né di
Estel.
Elladan
ed Elrohir osservarono con un malcelato orgoglio la spedizione che
erano
riusciti ad organizzare autonomamente nell'arco di un solo giorno,
seppur con
il prezioso aiuto di Elrond. Era un gruppo molto più
numeroso di quello che
aveva viaggiato verso Lórien e, con Glorfindel alla guida,
era difficile
immaginare chi o cosa avrebbe mai potuto rappresentare un pericolo per
loro.
Gilraen
arrivò poco dopo, tenendo per mano Estel ed indossando dei
comodi abiti da
viaggio al posto delle lunghe vesti elfiche. In quel momento gli elfi
presero
posto, pronti a partire al comando di Glorfindel. Quest'ultimo stava
concordando con Elrond gli ultimi dettagli in merito a come si
sarebbero tenuti
in contatto dopo la partenza.
Elrohir
approfittò di quegli ultimi attimi per raggiungere Gilraen e
chiedere, <<
Porteresti qualcosa ad Annùminas da parte mia?
>>.
<<
Con piacere >>, rispose Gilraen.
L'oggetto
in questione non era che un piccolo sacchetto di cuoio chiuso con un
laccio.
<< È per Melwen >>, disse
Elrohir.
Gilraen
prese il sacchetto e lo osservò con evidente
curiosità, ma non pose domande, si
limitò a promettere che l'avrebbe portato a destinazione.
Elrohir la conosceva
abbastanza da sapere che, per quanto potesse esserne incuriosita,
Gilraen non
l'avrebbe mai aperto prima di consegnarlo alla sua legittima
destinataria.
Elrohir
ringraziò e si allontanò per dare modo ad Estel
di trascorrere quegli ultimi
momenti con sua madre.
<<
Cos'era quello? >>, chiese Elladan poco dopo.
Elrohir
pensò di non rispondere. Una parte di lui voleva che quel
regalo per Melwen
restasse soltanto tra loro. Voleva compensare per le lettere che si
erano
scambiati, tutte lettere che, inevitabilmente, non sarebbero mai state
private.
Tuttavia,
rifletté, nascondere qualcosa ad Elladan sarebbe stato del
tutto insensato.
<<
Sono dei semi >>, rispose infine Elrohir,
<< A Melwen piace
indossare fiori, quindi ho pensato che le sarebbero piaciuti anche
questi. Non
li ho mai visti al di fuori dei giardini di Imladris, ed il loro
profumo è
unico >>.
Elladan
sorrise, dicendo, << È un regalo perfetto
>>.
<<
Avrei voluto pensare a qualcosa di meglio, ma non ne ho avuto il tempo
>>.
<<
È perfetto >>, ripeté Elladan,
<< Melwen ne sarà felice. Non
sorpresa, probabilmente, ma felice nondimeno >>.
<<
Sorprenderla va ben oltre le mie capacità >>,
disse Elrohir.
Fu
allora che Elladan percepì qualcosa in lui, un sentimento
che lo investì in
pieno in tutta la sua semplicità. Era un'ondata di affetto,
così forte e
profonda che Elladan quasi si chiese come facessero tutti gli altri a
non
notarla. Ed era, naturalmente, connessa al pensiero di Melwen.
Come
primo istinto Elladan ne fu felice, ma subito dopo arrivò la
preoccupazione.
Sapeva bene che provare un sentimento così intenso per
qualcuno era pericoloso,
soprattutto se la persona in questione era un'umana, la cui vita
sarebbe durata,
anche nel migliore dei casi, un tempo molto breve.
Dopo
le ultime raccomandazioni e gli ultimi saluti, la compagnia si mise in
marcia.
Estel restò in silenzio, a guardare Gilraen che si
allontanava. Il bambino non
pianse, ma i suoi occhi arrossati indicavano che forse aveva
già terminato le
sue lacrime tempo prima.
Gilraen
si voltò a guardare indietro per un'ultima volta, rivolgendo
un sorriso
rassicurante ad Estel ed uno sguardo eloquente ai tre elfi. Il suo
significato
era chiaro: Gilraen stava affidando a loro il futuro del suo popolo e
mai,
prima di allora, si era fidata a tal punto di qualcuno.
Adesso
tocca a
noi la parte più difficile,
pensò Elrohir e, scambiando una breve occhiata con
Elrond, constatò che anche lui stava pensando la stessa
cosa. Dovevano
dimostrarsi degni della fiducia che era stata riposta in loro.
Elrond
ordinò che, da quel giorno in poi, ci sarebbero stati doppi
turni di guardia.
Un attacco diretto ai confini era altamente improbabile, ma con
così pochi
uomini rimasti ad Imladris sentirsi al sicuro sarebbe stato un grave
errore.
La
giornata trascorse in fretta per Elrond, così indaffarato
che a stento si rese
conto del trascorrere del tempo. Infine, a tarda sera, si
ritirò nella propria
stanza, mentre tentava di contrastare il senso di gelo che lo
attanagliava.
Forse
era la stanchezza, mista alla preoccupazione per la partenza di
Gilraen, oppure
il brutto presentimento che già da tempo gravava sui suoi
pensieri, o forse era
l'insieme di tutto.
Come
spesso faceva in momenti simili, Elrond si chiese cosa avrebbe detto
Celebrìan
se fosse stata presente. Avrebbe detto
che ho una grande abilità nel preoccuparmi del pericolo
quando questi è
lontano, mentre, quando il pericolo è vicino, mi comporto
come se non ci fosse,
pensò, riportando alla mente qualche vago ricordo di una
conversazione avuta
innumerevoli inverni prima.
Un
fruscio di passi distolse l'elfo dai suoi pensieri. Dopo aver trascorso
una
grossa fetta di vita sui campi di battaglia, Elrond aveva imparato a
non
abbassare mai la guardia e, nonostante si trovasse nella propria
stanza, entro
gli impenetrabili confini di Imladris, scattò in piedi
all'udire il fievole
rumore di passi furtivi. Era una camminata così leggera che
dapprima Elrond
pensò si trattasse di un elfo, ma più la fonte
del rumore si avvicinava, più
quell'ipotesi si dimostrava errata. Quando Estel si adoperava per non
farsi
vedere o sentire, la sua abilità era tale che avrebbe potuto
essere scambiato
per un piccolo eldar.
Il
bambino si affacciò timidamente dalla porta socchiusa.
Elrond aveva immaginato
che quella notte Estel non avrebbe dormito sonni sereni, ma non credeva
che
avrebbe cercato conforto lì, da lui, invece che da Elrohir
ed Elladan.
<<
Non riesci a dormire? >>, chiese.
Estel
scosse la testa.
A
quel punto Elrond avrebbe voluto rassicurarlo, dirgli che sua madre era
al
sicuro e che sarebbe tornata presto, ma bastò un'occhiata al
suo sguardo triste
e malinconico per fargli capire che nessuna parola avrebbe avuto
effetto.
Allora decise di tentare qualcosa di diverso.
<<
Usciamo per un po', sei d'accordo? >>, disse.
<<
Possiamo? >>, chiese Estel, incerto. In un giorno come
gli altri a
quell'ora così tarda non gli sarebbe stato concesso di
uscire.
<<
Solo per questa volta. Vai a prendere il tuo mantello >>,
disse Elrond.
Estel
non se lo fece ripetere due volte.
Poco
dopo, Elladan ed Elrohir li videro da una finestra che affacciava sul
giardino.
Elrond
ed Estel erano seduti sull'erba, ad osservare le stelle. Per i gemelli
fu come
guardare da una finestra sul passato, un ricordo lontano che
improvvisamente
tornava ad essere vivido. Avevano trascorso tante serate nella loro
vita in
maniera simile, immaginando disegni nel cielo ed imparando i nomi delle
stelle
più luminose.
<<
Sembra che finalmente Estel sia più sereno >>,
osservò Elrohir.
<<
Nostro padre sapeva esattamente cosa fare per tranquillizzarlo
>>, disse
Elladan.
<<
Io non credo che l'abbia fatto soltanto per Estel, credo che in parte
l'abbia
fatto per se stesso >>.
<<
Forse hai ragione >>, rispose Elladan, << E
per oggi la nostra
presenza non sarà più richiesta, possiamo
ritirarci nelle nostre stanze sapendo
che Estel è in buone mani >>.
Ma
Elrohir continuò a guardare attraverso la finestra. I suoi
pensieri non erano
più rivolti al passato, ma al futuro. Con una nota di
incertezza nella voce pose
una domanda che prima di allora aveva fatto solo a se stesso.
<< Credi
che noi potremmo, un giorno... >>, si fermò,
rendendosi conto di quanto
fosse insolito quello che stava per dire. Ma Elladan aveva capito.
L'avrebbe
capito anche se Elrohir non avesse detto niente, tanto era rumoroso il
suo
pensiero.
<<
Avere dei figli? >>, disse, incredulo, <<
Non pensi che ne avremo
abbastanza dopo la fatica che faremo per crescere Estel?
>>.
<<
Intendevo dire in futuro >>, specificò Elrohir.
<<
Non io, di questo sono certo. Tu, forse >>, rispose
Elladan.
<<
Non so come mi sia venuto in mente, non ci avevo mai pensato prima
>>,
confessò Elrohir.
<<
Forse lo so io: da quando ci troviamo al sicuro è
più facile riflettere sul
futuro >>, disse Elladan.
<<
Questa sera sai troppe cose, da quando sei diventato così
saggio? >>,
chiese Elrohir, accompagnando quella velata provocazione con un sorriso
di
sfida. Aveva deciso che l'argomento che aveva introdotto era troppo
lungo e
complesso per essere affrontato in quel momento e sperava di poterlo
accantonare per quando fosse stato di umore più consono.
<<
Da quando svolgo i miei doveri invece di preparare pegni d'amore
>>,
rispose Elladan. Quella risposta gli valse una spinta scherzosa da
parte di
Elrohir, che subito ribatté, << Non era un
pegno d'amore >>.
<<
Allora dovresti spiegarlo a Melwen. L'ultima volta che io ho regalato
un fiore
a qualcuno il suo significato era esattamente quello >>.
Per un attimo il
ricordo di Saeliel balenò nella mente di Elladan, fulmineo e
doloroso come la
puntura di un ago.
Elrohir
lo avvertì con la stessa intensità e, in un
attimo, tornò serio.
<<
Mi dispiace che tu debba essere sottoposto anche a questo
>>, disse
Elladan, senza incrociare il suo sguardo. Si sentiva imbarazzato per
aver
rovinato quel momento di buonumore al termine di una giornata
così stancante.
<<
Non dirlo, lo sai che sbagli a pensarla così. Posso
sopportare tutti i nostri
dolori insieme, ma la solitudine... >>, rispose Elrohir,
<< La
solitudine mi ucciderebbe >>.
La
conversazione terminò lì. Una cosa era chiara ad
entrambi gli elfi: con il
passare degli anni, trovare attimi di leggerezza stava diventando
sempre più
difficile.
Traduzione
delle
frasi in Sindarin:
Hannon
le: grazie
|
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Capitolo 33 *** Partenze e arrivi - parte 1 ***
Ancora
una volta
gli eventi della vita reale hanno ritardato l'uscita del capitolo. A
causa
della sua lunghezza, questo sarà diviso in due parti (la
seconda verrà
pubblicata entro la prima settimana di aprile). Ringrazio tutti coloro
che
continuano a seguirmi ed invito tutti i lettori a lasciare un commento,
anche di
poche righe, per farmi sapere cosa pensano di questa storia.
Dal
giorno della partenza di Gilraen, Elladan ed Elrohir si resero conto di
quanto
fosse difficile prendersi cura di Estel a tempo pieno. Non si erano
illusi che
sarebbe stato facile, ma neanche avevano immaginato di dovervi dedicare
la
maggior pare della loro giornata. Estel era in possesso di una
sensibilità rara
per un bambino così piccolo, osservava con attenzione tutto
ciò che lo
circondava e, quando gli si parlava, ascoltava in silenzio. Eppure,
ascoltare
non sempre significava obbedire. Estel non perdeva occasione per agire
di testa
propria, spesso contravvenendo alle raccomandazioni degli elfi. Era
determinato
e testardo, abbastanza da mettere a dura prova la pazienza di Elrohir
ed
Elladan. I gemelli arrivarono presto a sentirsi inadeguati di fronte
alla loro
apparente incapacità di controllare Estel.
Elrond,
invece, si rapportava con il piccolo Dùnadan con estrema
naturalezza. Sapeva
esattamente come comportarsi con Estel: quando assecondarlo, quando
imporsi e
quando rimproverarlo.
<<
Voi non eravate molto diversi, alla sua età
>>, aveva detto Elrond ai
gemelli, << Devo a voi la mia buona dose di pratica
>>.
Elrohir
ed Elladan, invece, avevano acquisito la loro esperienza durante
l'infanzia di
Arwen. O così credevano.
Arwen
era sempre stata una bambina riflessiva ed obbediente, un'elfa in tutto
e per
tutto, mentre i gemelli, a detta dei loro genitori, erano piccoli elfi
che si
comportavano come umani. Estel, al contrario, era un umano, ma parlava
e
camminava come un elfo.
<<
Estel! Scendi subito da quell'albero >>.
Elladan
sospirò, mentre cercava di ricordare quante volte avesse
già rimproverato Estel
per essersi arrampicato su un albero. Aveva perso il conto.
<<
Guarda >>, disse Estel, indicando un ramo sotto di
sé, << Ieri ero
arrivato fino a lì. Oggi sono salito ancora più
in alto! >>.
Il
bambino era così fiero di sé che per un attimo
Elladan ne fu intenerito. Ma al
contempo era consapevole che qualsiasi segno di cedimento da parte sua
avrebbe
significato ritrovarsi in quella stessa situazione anche il giorno
successivo.
<<
Ho visto, e non voglio più vederti lassù. Ti ho
già spiegato che è pericoloso
>>, disse Elladan.
<<
Ma... >>, Estel fu sul punto di protestare, ma si
fermò di colpo.
Elrond
stava arrivando. Quando lo vide, Estel scese dall'albero
così in fretta che
Elladan temette di vederlo cadere. Sperava forse di non essere stato
visto, ma
inutilmente.
Quando
Elrond arrivò, disse soltanto, << Vieni con me
>>.
Elladan
li guardò allontanarsi, sorridendo alla vista del piccolo
Dùnadan che correva
per riuscire a stare al passo con l'alto elfo.
Estel
sapeva di essersi messo nei guai, l'aveva capito dallo sguardo severo
di Elrond.
Con Elladan ed Elrohir era sempre più facile infrangere le
regole: loro si
arrabbiavano più spesso, ma poi finivano per essere complici
delle sue piccole
malefatte.
Elrond,
invece, sembrava che non si arrabbiasse mai sul serio. Era sempre calmo
e non
alzava mai la voce, né con Estel, né non nessun
altro, eppure tutti facevano
ciò che lui chiedeva loro di fare. Era forse per questo
motivo che Estel,
mentre seguiva Elrond nel suo studio, era sereno, pur sapendo che
avrebbe
presto ricevuto un rimprovero. Accanto ad Elrond si sentiva protetto,
persino
in quella situazione.
Seduto
su una sedia troppo grande per lui, Estel sperò soltanto di
non ricevere anche
una punizione. Ricordava ancora con rammarico l'ultima punizione che
aveva
ricevuto: non poter mangiare il dolce dopo cena. Sapeva che quella sera
avrebbero servito la torta di mele, una delle sue preferite, pertanto
pregò
silenziosamente che Elrond fosse più bendisposto dell'ultima
volta.
<<
Adesso hai sei anni >>, disse l'elfo, <<
Dovresti trovare un modo
migliore per impiegare il tuo tempo >>.
Estel
non rispose. Non voleva mettere a repentaglio la torta di mele.
<<
È ora che impari a leggere e scrivere >>,
continuò Elrond.
Quella
proposta suonò estremamente bizzarra alle orecchie di Estel.
Nella sua breve
esperienza leggere e scrivere erano attività che solo i
"grandi"
potevano svolgere.
<<
Posso imparare anche io? >>, chiese, incerto.
<<
Certo che puoi, e sarò io ad insegnarti >>.
Estel
continuava a dubitare di poter arrivare a decifrare quei misteriosi
segni sulla
carta, ma l'idea di riuscire a leggere le storie che tanto amava senza
dover
chiedere a qualcuno di farlo per lui era decisamente allettante, troppo
per non
decidere di provare.
Così
Estel iniziò i suoi studi. Elrond gli insegnò a
riconoscere le lettere,
associando ciascuna di loro ad un suono, poi a riprodurne la forma con
un
gessetto. Estel era uno studente volenteroso, ma si annoiava facilmente
e,
quando accadeva, la lezione poteva anche considerarsi terminata.
Elrond, dal
canto suo, aveva imparato ad essere un insegnante paziente.
La
prima lettera da Annùminas giunse a distanza di un mese
dalla partenza di
Gilraen.
Come
gli elfi avevano immaginato, le previsioni che la donna aveva fatto in
merito
ai tempi del suo viaggio erano state troppo ottimistiche. Le notizie
che
arrivavano dalle terre dei Dùnedain non erano rassicuranti:
le pattuglie di
orchi venivano avvistate molto più spesso rispetto a soli
cinque anni prima.
Elrond sospettava che fossero a conoscenza dell'esistenza di Estel.
Sperano
di
ucciderlo prima che diventi adulto, rifletté.
Anche
Gilraen doveva averlo capito, le sue parole non lasciavano spazio a
fraintendimenti: "Inizio a pensare
che sappiano di Estel. L'ultima volta che ho lasciato
Annùminas erano in pochi
a conoscere la mia meta, ma i Dùnedain sono un popolo di
viaggiatori e le
informazioni viaggiano con loro. Per mio ordine, da adesso in poi
nessuno tra
la mia gente pronuncerà il nome di Aragorn. Se avremo
fortuna, si spargerà la
voce che Arathorn sia morto senza eredi, mentre Estel sarà
soltanto un bambino
umano ospite del Signore di Imladris".
Elrond
dubitava che un provvedimento così semplice potesse essere
la soluzione al loro
problema, ma era comunque meglio di attendere senza agire. Una cosa era
certa:
Estel sarebbe tornato tra la sua gente non prima di aver raggiunto
l'età
adulta.
Nel
frattempo, all'ombra della torre di Annùminas, Maedir
svolgeva il proprio
lavoro giorno dopo giorno. Il ritorno di Gilraen aveva giovato
all'umore della
popolazione, mentre gli elfi avevano fornito un aiuto prezioso nella
protezione
dei territori dei Dùnedain.
Glorfindel
aveva guidato numerose spedizioni, brevi ma efficaci, allo scopo di
rendere
sicuri i dintorni di Annùminas e degli accampamenti vicini.
Con pochi elfi al
suo comando aveva eliminato tre piccoli gruppi di orchi, dei troll e
quella che
sembrava la base per un allevamento di Mannari. Gli elfi erano precisi,
disciplinati, letali. Glorfindel era esattamente come lo descrivevano
le
leggende: saggio e risoluto, mentre camminava tra le vie della
città non c'era
persona che non alzasse lo sguardo per ammirarlo. Tutti, adulti e
bambini,
osservavano con deferenza l'elfo che aveva sconfitto un Balrog e che
era
riuscito a mettere in fuga il Re stregone di Angmar, Maedir non faceva
eccezione. Aveva accolto l'arrivo degli elfi con un misto di
felicità ed
amarezza: era grato agli elfi per la loro protezione, ma allo stesso
tempo
vederli gli aveva ricordato quanto sentisse la mancanza di Elladan ed
Elrohir.
Sua figlia, intanto, non faceva che rinnovare la sua richiesta di
visitare Gran
Burrone e Gelion, che spesso tendeva ad imitare la sorella maggiore,
faceva lo
stesso.
<<
Oggi ho parlato con Gilraen >>, disse Hanneth una sera,
mentre erano a
casa, di fronte alla fioca luce di una candela, << Ha
detto che presto
torneranno ad Imladris >>.
<<
Lo immaginavo, hanno fatto fin troppo per aiutarci >>,
rispose Maedir.
<<
Gilraen ha anche detto che gli elfi torneranno per un'ultima breve
visita entro
il prossimo inverno, per assicurarsi che i nostri territori siano
ancora sicuri
>>.
Quelle
parole diedero a Maedir l'occasione giusta per dar forma al pensiero
che
occupava la sua mente già da giorni.
<<
Stavo pensando ai nostri figli. Non hanno mai visto nulla al di fuori
di
Annùminas e Fornost.
<<
Stai pensando di andare a Gran Burrone? >>, lo
anticipò Hanneth.
<<
Potremmo andarci con gli elfi il prossimo anno, se accetteranno di
accompagnarci
>>.
Hanneth
rifletté per qualche istante, poi disse, <<
Scrivi una lettera ad
Elrohir, sono certa che appoggerà la tua idea
>>.
<<
È probabile >>, rispose Maedir.
<<
È sicuro >>, lo corresse Hanneth, con un
sorriso, << E credo che,
nonostante Melwen non ami viaggiare, questa volta vorrà
unirsi a noi >>.
Due
lune dopo, Gran Burrone era avvolta dal gelo dell'inverno.
Elladan
era a cavallo, di pattuglia ai confini, quando li vide. Non
più di una sagoma
indistinta, ma inconfondibile. Era la compagnia degli elfi, di ritorno
da
Annùminas.
Alla
testa del gruppo, si intravedevano il cavallo bianco di Glorfindel e
quello
nero di Gilraen. Elladan, in preda all'impazienza, spronò il
suo cavallo al
galoppo, tornando indietro sui propri passi. Si fermò
brevemente in
corrispondenza delle guardie per avvertire dell'imminente arrivo degli
elfi,
poi proseguì verso i giardini di Imladris.
Lì,
come aveva immaginato, trovò Estel, che, avvolto in due
strati di pellicce,
giocava con il sottile strato di ghiaccio che si era formato sull'erba.
Il
bambino era in trepidante attesa della prima neve dell'anno, ignaro che
di lì a
poco qualcos'altro avrebbe occupato i suoi pensieri.
<<
Salta su, c'è una sorpresa per te >>, disse
Elladan.
Estel
non se lo fece ripetere due volte. Si avvicinò al cavallo e
lasciò che Elladan
lo sollevasse per poi metterlo sulla sella, di fronte a sé.
Estel
si aggrappò saldamente al mantello di Elladan con entrambe
le mani. Aveva un
vago timore di andare a cavallo, perché non gli era stato
ancora insegnato come
stare in sella. Gilraen aveva affidato di buon grado ad Elrond
l'educazione di
suo figlio, ma aveva detto di voler essere lei ad insegnargli a
cavalcare. "Fu mia madre ad insegnarlo a me e
sarò
io ad insegnarlo a lui. È una tradizione di famiglia".
Quando
Elladan ordinò al cavallo di tornare indietro nuovamente,
l'animale gli lanciò
un breve sguardo confuso, come se si chiedesse il perché di
tanta indecisione,
poi, rassegnato, obbedì.
<<
Dove andiamo? >>, chiese Estel.
<<
Al confine >>, rispose Elladan.
<<
Perché? >>.
<<
Lo vedrai >>.
<<
Vedrò cosa? >>.
Elladan
attraversò il ponte sul fiume, oltrepassando il confine di
Imladris. Ma non
intendeva allontanarsi di molto, soltanto il necessario per riuscire a
sorprendere Gilraen ed Estel allo stesso tempo. Quando il bambino vide
dove
erano diretti, Elladan dovette trattenerlo per impedirgli di alzarsi in
piedi
sulla sella.
<<
Gi suilannon, trevaded and? >>,
disse Elladan, mentre porgeva Estel alle braccia tese di Gilraen.
<<
Gwannas lû and, mellon nin >>, disse
Glorfindel.
Elladan
poteva leggere nel suo sguardo colmo di orgoglio che la missione si era
conclusa con successo. Quando Glorfindel era di ritorno a Gran Burrone,
Elladan
riusciva spesso ad indovinare qual era stato l'esito della spedizione
soltanto
guardandolo negli occhi. Se qualcuno perdeva la vita sotto il suo
comando,
Glorfindel avvertiva su di sé il peso di quella perdita. Il
suo era un dolore silenzioso,
discreto, nascosto appena sotto la superficie. In questo era simile ad
Elrond.
Se
mai si fosse trovato in una posizione di comando, Elladan aveva un'idea
ben
chiara su come avrebbe voluto essere.
Quel
pensiero lo riportò alla conversazione che aveva avuto con
Teliadir prima che
partisse. Aveva ripensato alla freddezza con cui si erano salutati ed
aveva
sentito il bisogno di essere rassicurato.
<<
Spero che la nostra amicizia non sia stata compromessa
>>, disse Elladan,
appena dopo aver dato il benvenuto a Teliadir.
<<
La nostra amicizia è come una quercia secolare: non si
farà certo abbattere dal
primo colpo di vento >>, rispose l'elfo.
<<
Anche il vento, prima o poi, riesce a spezzare i rami di una quercia.
Non
voglio che accada >>.
<<
Non accadrà. So perché hai detto quello che hai
detto: vuoi che la tua voce
venga ascoltata e vuoi essere l'artefice di qualche piccolo cambiamento
>>, disse Teliadir.
<<
Adesso che l'hai detto sembra un'impresa impossibile. Noi due abbiamo
viaggiato
abbastanza da capire che Gran Burrone è immune ai
cambiamenti, per quanto
piccoli possano essere >>, rispose Elladan.
<<
Non esserne così sicuro. Prima di te ed Elrohir non ricordo
nessuno che avesse
l'appellativo di "principe di Imladris" >>,
ribatté Teliadir,
divertito.
Elladan
abbassò lo sguardo, imbarazzato. << Non siamo
stati noi a sceglierlo
>>.
<<
Troppo tardi, mellon nin,
è un
fardello che dovrai portare ancora a lungo >>.
Alla
fine di quella conversazione, Elladan sentì di essersi
liberato di un peso. Gli
elfi tornarono a Gran Burrone, Gilraen tornò alle sue
abitudini, mentre ad
Annùminas Dìrhael faceva le veci di Capitano.
Estel
reagì con gioia al ritorno di sua madre, ma fu presto chiaro
a Gilraen che
durante la sua assenza qualcosa era cambiato. Estel era ormai abituato
a
dormire da solo e ad aggirarsi per Gran Burrone da solo. Si esercitava
a
scrivere senza bisogno di qualcuno al suo fianco e, solo una volta
finito,
andava da Elrond a mostrare il suo lavoro. Gilraen capì che
il suo ruolo non
aveva più l'importanza di un tempo.
Era
trascorso mezzo ciclo di luna dall'arrivo degli elfi, quando una
mattina giunse
un messaggero e, con lui, una lettera da Annùminas.
<<
Elrohir sembrava più felice del solito oggi, c'è
qualcosa di cui non sono al
corrente? >>, chiese Elrond ad Elladan.
<<
Ha ricevuto una lettera che portava buone notizie >>,
rispose Elladan.
L'allegria che proveniva da Elrohir era per Elladan come un filo di
vento
fresco in una giornata afosa: impossibile non sentirlo, impossibile non
trarne
beneficio.
<<
Dev'essere stato qualcosa di inusuale, dal momento che entrambi state
sorridendo da quando, all'alba, è arrivato il messaggero
>>, commentò
Elrond.
<<
Maedir e Melwen verranno a farci visita >>.
Elladan
era ben consapevole di essere contagiato dall'entusiasmo di suo
fratello, ma
più tempo passava, più si chiedeva cosa sarebbe
successo una volta che Melwen
fosse arrivata ad Imladris. Non sapeva se, riflettendo a mente lucida,
avrebbe
avuto la stessa reazione gioiosa.
Traduzione
delle
frasi in Sindarin:
Gi
suilannon, trevaded and?: Bentornati,
è
stato un lungo viaggio?
Gwannas
lû and,
mellon nin: Fin
troppo lungo,
amico mio
|
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Capitolo 34 *** Partenze e arrivi - parte 2 ***
Ed
ecco la
seconda parte!
Quando
voleva, Estel sapeva essere eccezionalmente furtivo. Avvicinarsi ad un
elfo
senza essere notati era impossibile, ma con il passare del tempo Estel
stava
diventando sempre più abile ad aggirarsi per Imladris non
visto.
Quel
giorno, Estel era riuscito a salire sulla cima di un albero che si
trovava ai
limiti della vallata di Gran Burrone. Aguzzando la vista, riusciva a
vedere i
confini e le guardie che li pattugliavano. Trovarsi lì
avrebbe significato
scatenare l'ira di sua madre e di Elrond, ma ne sarebbe valsa la pena.
Da lassù
la vista era emozionante: poteva osservare i confini, l'unico grande
limite che
Estel non avrebbe mai osato oltrepassare. Provava un brivido di paura
anche
solo a guardarli.
Ad
un tratto, un elfo tornò indietro dal confine. Estel
restò immobile ed in
silenzio mentre l'elfo passava proprio sotto il suo albero e
tirò un sospiro di
sollievo quando constatò di non essere stato scoperto.
Incuriosito, Estel tentò
di capire chi o cosa avessero visto gli elfi, ma invano: si trovava
troppo in
alto e troppo lontano.
Farei
bene a
scendere, prima che qualcuno mi veda,
pensò.
Un
attimo dopo Estel vide quello stesso elfo che tornava verso il confine,
questa
volta accompagnato da Elladan ed Elrohir. Sembrava avessero fretta, ma
non
c'era preoccupazione sul loro volto. Che Glorfindel fosse tornato dal
suo
secondo viaggio ad Annùminas?
Elrohir
attraversò il ponte sul fiume con il cuore a mille,
speranzoso ad impaziente.
In testa al gruppo c'era Glorfindel, poi seguivano gli altri elfi della
compagnia, in una formazione pressoché identica a quella che
avevano adottato
quasi un anno prima, la prima volta che erano andati nelle terre dei
Dùnedain.
Ma
questa volta, al centro della formazione, c'erano dei visi familiari.
In sella
ad un cavallo grigio, c'era Maedir; accanto a lui, su un cavallo dello
stesso
colore, sua moglie Hanneth con un bambino dai capelli scuri, che aveva
all'incirca
la stessa età di Estel. Doveva essere Gelion. Mentre alle
loro spalle, in sella
ad un cavallo sauro legato a quello di Maedir, c'erano Edeniel, ormai
tredicenne, e Melwen.
Gli
anni trascorsi dal loro ultimo incontro erano stati, per Elrohir,
rapidi come
un soffio di vento. Tuttavia, nei volti di coloro che aveva lasciato,
vedeva la
verità. Nei suoi ricordi, Edeniel era una bambina curiosa e
allegra, mentre
adesso, guardandola, era facile intravedere la donna che sarebbe
diventata. Ma
fu soprattutto su Melwen che lo sguardo di Elrohir si
soffermò, per un tempo
che sembrò infinito. Indossava abiti da viaggio, i capelli
più lunghi di quanto
Elrohir ricordasse e, sul suo viso, c'erano piccole rughe, appena
visibili.
Maedir
fu il primo a vederli ed il primo a correre loro incontro. Quando
Maedir era
felice, era impossibile trovarsi in sua presenza e non essere travolti
dalla
sua gioia. Il suo era il sorriso di chi aveva il proprio passato alle
spalle,
invece che sopra di esse. Melwen, invece, era indecifrabile a chiunque
non la
conoscesse in profondità. Chiunque posasse gli occhi su di
lei finiva per
chiedersi cosa stesse pensando e, infine, per desiderare la sua
compagnia.
Dopo
aver salutato gioiosamente Edeniel, Hanneth ed il piccolo Gelion, che
non aveva
alcuna memoria degli elfi, Elrohir si avvicinò a Melwen. Era
appena scesa da
cavallo e teneva ancora in mano le redini, con un'espressione che
Elrohir
conosceva bene: era in attento ascolto, per familiarizzare con una
situazione
ed un luogo sconosciuti.
<<
Benvenuta >>, disse Elrohir.
Melwen
lo riconobbe all'istante. Basandosi soltanto sulle loro voci, riusciva
sempre a
distinguere i due gemelli. "Parlate
in maniera completamente diversa: se gli altri ascoltassero con
più attenzione,
non vi scambierebbero l'uno per l'altro", aveva detto in
passato.
<<
Êl síla erin lû
e-govaned 'wîn >>,
disse Melwen, pronunciando quasi alla perfezione il saluto elfico.
Elrohir
si sentì improvvisamente a corto di parole. Indeciso su cosa
fare e cosa dire,
e preoccupato di risultare fuori posto, fu quasi grato ad Elladan per
averli
interrotti, dicendo, << Amici, seguitemi, non voglio che
restiate qui al
gelo per un minuto di più >>.
<<
Agli ordini, capitano >>, rispose Maedir.
Quella
sera venne organizzato in banchetto in onore degli ospiti. Nella sala
principale fu allestito un lungo tavolo ed il miglior vino fu prelevato
dalle
cantine.
Elrond
fu felice di conoscere coloro di cui aveva spesso sentito parlare. In
un primo
momento aveva avuto l'impressione che Maedir fosse una persona
riservata e
silenziosa, ma dopo avergli rivolto la parola per primo,
scoprì di essersi
sbagliato. Maedir era affascinato dalla bellezza di Gran Burrone ed
impaziente
di parlarne, ma, soprattutto, era intensamente appassionato di arti
curative.
Non appena ne ebbe l'occasione, rivolse ad Elrond domande mirate e
complesse,
che rispecchiavano una profonda conoscenza dell'argomento. Ben sapendo
quanto
Maedir fosse stimato tra la sua gente e ben sapendo quanto spesso
avesse curato
Elrohir ed Elladan in sua assenza, Elrond fu lieto di condividere con
lui il
suo sapere.
L'elfo,
inoltre, era incuriosito da Melwen, colei di cui aveva sempre sentito
parlare
come una persona fuori dal comune. Era facile, anche solo dal primo
sguardo,
capire perché esercitasse un tale fascino su Elrohir. Melwen
era bella, di una
bellezza inconsueta, era elegante ed allo stesso tempo sagace.
Guardandola,
Elrond aveva l'impressione di essere guardato di rimando, pur sapendo
che fosse
impossibile. Lei ed Elrohir trascorsero buona parte della serata
parlando
sommessamente, soli nonostante la presenza di altri.
Tornato
in camera dopo l'abbondante cena, Elrohir scoprì di non
riuscire a prendere
sonno. Quella notte la sua mente era affollata dai ricordi della sua
permanenza
ad Annùminas e, prima ancora, di quella nell'accampamento
dei Dùnedain. In
breve tempo, si ritrovò a vagare per i giardini di Imladris,
che da sempre
erano la meta preferita degli insonni. Senza neanche accorgersene si
ritrovò a
passare in corrispondenza della camera di Melwen e, con grande
sorpresa, la
trovò seduta nella piccola terrazza che dava sul giardino.
Ai suoi piedi, un
cane dormiva, anch'egli ignaro della presenza di Elrohir. L'elfo
considerò per
un breve momento l'idea di andarsene in silenzio, ma la
abbandonò subito.
<<
Melwen? >>, sussurrò.
Lei,
che fino ad un attimo prima era immersa nei propri pensieri,
trasalì. Allo stesso
tempo, il cane sollevò la testa scrutò l'elfo con
diffidenza.
<<
Perdonami >>, mormorò Elrohir.
<<
Nulla da perdonare >>, rispose Melwen, <<
Stai facendo un giro di
ricognizione anticipato? >>, chiese, con una punta di
ironia.
<<
Una semplice passeggiata notturna. Vorresti unirti a me?
>>.
Melwen
esitò, e per un attimo Elrohir credé che stesse
per rifiutare, ma poi sembrò
cambiare idea. << Con piacere >>, rispose.
Poi
chiamò il suo cane, che nel frattempo aveva ricominciato a
dormire, e lo incitò
ad alzarsi.
<<
Almeno qualcuno qui ha voglia di riposare >>,
commentò Elrohir, <<
Lascialo qui, te ne sarà grato >>.
Melwen
acconsentì.
Per
un po' camminarono in silenzio, la mano di Melwen sulla spalla di
Elrohir, come
avevano fatto tante volte ad Annùminas.
<<
In passato mi parlasti di una cascata che cade sulla valle, te lo
ricordi?
>>, disse Melwen.
<<
Sì >>.
<<
Mi piacerebbe andarci >>.
<<
Per arrivare fino a lì c'è da salire una lunga
gradinata >>, disse
Elrohir.
<<
Non preoccuparti, una volta arrivata in cima ti aspetterò
>>, rispose
Melwen.
Elrohir
rise. << Come desideri >>.
Elrohir
aveva sempre amato quel luogo. Nascosta a chiunque non conoscesse
Imladris, una
lunga scala scolpita nella roccia conduceva ad una caverna naturale. Al
di
sopra di essa, un corso d'acqua terminava e, in alcuni periodi
dell'anno, una
cascata attraversava la bocca della caverna, cadendo sulla vallata
sottostante.
Dopo
la lunga salita, Melwen impiegò qualche attimo per
riprendere fiato. Elrohir,
nel frattempo, ammirò la bellezza dell'acqua che rifletteva
la fioca luce della
luna. Poi chiuse gli occhi: voleva sentire soltanto quello che lei
avrebbe
sentito. Il rumore dell'acqua che scorreva copriva qualsiasi altro
suono,
minuscole gocce d'acqua portate dal vento lo investivano, il gelo della
cascata
impregnava l'aria, mentre l'odore della terra bagnata era un dolce
profumo. Nel
buio, Elrohir cercò la presenza di Melwen e, spinto dal
bisogno di averla più
vicino, la abbracciò. Nessun gesto sarebbe stato
più adatto a suggellare la
perfezione di quel momento. Elrohir si sentì completo, come
poche volte nel
corso della sua lunga vita, e, allo stesso tempo, si sentì
completamente al
sicuro. Melwen si appoggiò lievemente a lui ed Elrohir
notò che i suoi capelli
avevano lo stesso profumo dei fiori che lui le aveva regalato. Non
poté fare a
meno di sorridere.
Restarono
in silenzio, al cospetto della luna, incuranti del freddo. Elrohir non
si rese
conto dello scorrere del tempo, fino a quando non fu Melwen per prima a
sciogliere l'abbraccio. << È ora di tornare
>>, disse.
Elrohir
tornò alla realtà e, a malincuore,
acconsentì.
Il
sole sorse e tramontò su Imladris per tre volte. Elrond
osservò che la presenza
degli ospiti aveva avuto un effetto positivo sull'umore degli abitanti
di Gran
Burrone. Con l'arrivo di Gelion, Estel ebbe per la prima volta
l'occasione di
fare amicizia con un bambino umano della sua età, pertanto
nessuno restò
sorpreso quando i due diventarono inseparabili. Edeniel, invece,
trascorreva
tutto il suo tempo con gli elfi, con qualsiasi elfo fosse disposto a
stare in
sua compagnia. In lei c'era la stessa vivace curiosità di
suo padre.
Intanto
Elrond iniziò la piacevole abitudine di incontrare Melwen
ogni mattina, sulla
via per la colazione. L'elfo era spesso il primo ad alzarsi, ancora
prima dei
suoi figli, e non era abituato a trovare compagnia a quell'ora del
mattino.
Melwen
non parlava spesso di sé, ma amava ascoltare da Elrond
piccoli aneddoti sui
gemelli ai tempi della loro infanzia. Elrond, dal canto suo, iniziava a
chiedersi quale fosse la reale natura del rapporto che legava Melwen ed
Elrohir. Non poteva negare di sentirsi inquieto al pensiero di cosa
sarebbe
potuto accadere, ma scacciò le proprie preoccupazioni
ricordandosi di come
entrambi fossero stati felici negli ultimi giorni.
Quella
mattina Melwen aveva chiesto il motivo per cui lo stagno nel giardino
frontale
era stato recintato. Elrond non amava raccontare quell'episodio, ma non
riuscì
a rifiutare la richiesta di Melwen.
<<
Ci fu un incidente, tanti anni fa, quando i gemelli avevano circa tre
anni. Mia
moglie ed io eravamo con Elrohir, quando Elladan si
allontanò senza che ce ne
accorgessimo. Fu Elrohir che, inavvertitamente, ci fece capire che suo
fratello
era in pericolo. Iniziò a piangere e disse che stava per
soffocare, ma lui
stesso non riusciva a capire cosa stesse accadendo. Poi capimmo che
doveva
trattarsi di Elladan >>.
<<
Era caduto nello stagno >>, completò Mewlen.
<<
Sì, arrivammo giusto in tempo. Da quel giorno decidemmo di
recintare lo stagno
>>.
Nel
frattempo erano arrivati nella sala principale. Il cane che guidava
Melwen
iniziò a fiutare il cibo nell'aria e si protese verso la
grande tavola al
centro della sala.
<<
Posso chiederti un favore? >>, disse Melwen. Fu come se
il racconto di
Elrond le avesse fatto venire in mente qualcosa di importante.
<<
Certamente >>, rispose Elrond.
<<
Ho bisogno di aiuto per fare qualcosa che non posso fare da sola. Ma
nessuno
oltre noi dovrà saperlo >>.
Elrond
era intrigato. Da quando Melwen era arrivata a Gran Burrone, Elrond non
l'aveva
mai sentita chiedere aiuto a nessuno, neanche a Maedir. Si chiese cosa
potesse
mai spingerla a rivolgersi proprio a lui.
<<
Puoi fidarti di me >>, rispose.
Trascorsero
ancora sette giorni ed Elrohir si ritrovò a desiderare che
gli ospiti non
avessero fissato una data di partenza. Il pensiero del loro ritorno ad
Annùminas era l'unica ombra in quelle giornate
altresì colme di luce.
Quel
giorno aveva piovuto copiosamente sin dalle prime luci dell'alba,
quando
Elrohir ed Elladan erano partiti a cavallo per un giro di ricognizione.
Il loro
compito era, come d'abitudine, quello di ispezionare le terre
più vicine ad
Imladris per assicurarsi che non ci fossero pericoli imminenti. La
pioggia
aveva reso il tutto più difficoltoso ed i due elfi si erano
incamminati sulla
via del ritorno quando il sole aveva ormai iniziato la sua discesa nel
cielo.
<<
I nostri amici resteranno qui ancora per pochi giorni >>,
disse Elladan,
mentre attraversavano i confini per rientrare ad Imladris.
<<
Lo so, Maedir me l'ha detto >>, rispose Elrohir.
<<
Non sembrava che lo sapessi >>.
<<
Cosa intendi dire? >>, chiese Elrohir.
<<
Che continui a comportarti come se avessi davanti tutto il tempo del
mondo
>>, disse Elladan.
<<
Noto un vago rimprovero >>, commentò Elrohir.
<<
È soltanto un consiglio, anche se non hai bisogno di me per
sapere di aver
fatto degli errori negli anni passati. Adesso hai una seconda
possibilità, non
aspettare di scoprire se ci sarà una terza >>.
Elrohir
tornò a casa, lasciò il suo cavallo nelle stalle
e s'incamminò verso i sentieri
attraverso i prati che conducevano alla sua abitazione. Lungo la
strada, al
riparo di un'ampia arcata, vide Edeniel e Melwen.
<<
Zia, è tornato Elrohir! >>, esclamò
Edeniel.
L'elfo
le raggiunse di corsa. Si tolse il mantello, constatando che dopo tutte
quelle
ore trascorse sotto la pioggia si sarebbe bagnato ugualmente anche se
non lo
avesse indossato.
<<
Hai visto degli orchi? >>, chiese Edeniel, con
l'entusiasmo di chi non poteva
essersi mai trovato in presenza di un orco.
<<
Neanche l'ombra >>, rispose Elrohir, <<
Siamo al sicuro >>.
Edeniel
si voltò verso Melwen e disse, << Visto? Non
c'era bisogno di
preoccuparsi per loro >>.
Melwen
non rispose, era evidentemente imbarazzata per la schiettezza con cui
Edeniel
aveva rivelato ad Elrohir le sue paure.
<<
È quasi il tramonto, dovresti andare a prepararti per la
cena >>, disse
Elrohir ad Edeniel e, prima che lei potesse protestare, aggiunse
<< Se
farai tardi di nuovo, i tuoi genitori si arrabbieranno >>.
Edeniel
sospirò, annoiata, ed iniziò a dirigersi verso i
suoi alloggi, correndo per
bagnarsi il meno possibile.
Una
volta rimasti soli, Melwen, quasi come a volersi giustificare, disse,
<<
Non credevo che un giro di ricognizione potesse durare così
a lungo, iniziavo a
temere che qualcosa vi avesse trattenuti >>.
<<
La pioggia rende più difficile individuare eventuali tracce.
Inoltre, ci siamo
spinti più lontano del solito per controllare il sentiero
che percorrerete per
tornare a casa >>, spiegò Elrohir.
Melwen
poggiò una mano sul suo braccio. << Hai freddo
>>, constatò.
Quel
semplice tocco era il modo che Melwen aveva per osservarlo, Elrohir ne
era
consapevole. Tuttavia, quel poco fu sufficiente a dargli il coraggio di
fare
ciò che aveva a lungo segretamente desiderato. Si
avvicinò a lei, il suo cuore
accelerò di colpo ed il suo respiro si fece più
rapido. Melwen avvertì la sua
vicinanza e capì cosa stava per accadere. Elrohir era certo
di sapere quale
sarebbe stata la sua reazione, era certo che in quel momento fossero
entrambi
in perfetta sintonia. Ma si sbagliò. La consapevolezza di
aver sbagliato lo
colpì come uno schiaffo, quando Melwen
indietreggiò appena prima che le loro
labbra si toccassero. << No >>, disse, la
voce leggermente
tremante, ma inequivocabile nel suo rifiuto.
<<
Credevo che lo volessi >>, disse Elrohir. Non aveva
previsto di essere
respinto e, anche in quel caso, non avrebbe mai immaginato di provare
un dolore
così intenso. << Hai lasciato che io lo
credessi >>, aggiunse
l'elfo.
<<
Proprio tu dici questo. Ti devo ricordare quante volte negli anni
passati hai
scritto di volermi rivedere, senza però far nulla di
concreto in proposito?
>>, disse Melwen. Adesso c'era una nota di rabbia nella
sua voce, c'era
un rancore a lungo celato che minacciava di rendersi manifesto.
<<
Ho dei doveri qui >>, rispose Elrohir.
<<
Sono passati più di sei inverni, non fingere di non aver
avuto il tempo. Hai
vissuto tra gli umani abbastanza da capire fino a che punto il nostro
modo di
percepire il tempo sia diverso, ma hai deciso di ignorarlo. La
verità è che sei
indeciso e spaventato >>.
Elrohir
fu colto alla sprovvista. << Non sono né
indeciso, né spaventato
>>, ribatté, ma persino a lui quelle parole
suonarono come una debole
menzogna. Non poteva negare di provare inquietudine al pensiero di cosa
significasse
davvero amare Melwen.
Per
qualche secondo entrambi restarono in silenzio, consapevoli
dell'importanza, da
quel momento in poi, di pesare attentamente le parole prima di
pronunciarle.
<<
C'è qualcun altro? >>, chiese Elrohir, temendo
la risposta.
<<
No, non c'è nessun altro >>, rispose Melwen.
Sembrò aver percepito lo
stato d'animo di Elrohir e, infatti, la sua espressione si
addolcì. <<
Non intendevo causarti dolore, è l'ultima cosa che voglio
>>.
<<
Ma hai preferito prendere al mio posto una decisione che ritieni essere
per il
mio bene >>, disse Elrohir.
Non
ottenne risposta. Melwen era tornata ad essere indecifrabile ed Elrohir
capì
che la loro conversazione era terminata.
S'incamminò
verso casa, infreddolito ed amareggiato.
Fino
ad ora non
avevo fatto altro che agire con ragionevolezza, ed ho sbagliato. Adesso
agisco
d'istinto, e sbaglio ugualmente. Ho rifiutato Melwen quando era il
momento
giusto, adesso lei rifiuta me, rispose
Elrohir. Iniziava a credere che
i Valar gli fossero avversi.
Traduzione
delle
frasi in Sindarin
Êl
síla erin lû e-govaned 'wîn: Una
stella
brilla sul nostro incontro
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