Beyond the Beast di Kanginak (/viewuser.php?uid=161220)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio di una vita ***
Capitolo 2: *** Una prima memoria ***
Capitolo 1 *** Il risveglio di una vita ***
Il risveglio di una vita
Mi sentivo cadere, potrei dire di essere caduto all'inifinito per un sacco di tempo, ma era tutto così confuso.
Non è la mia lingua a parlare, nè la mia testa, ma il mio
spirito, quella parte di anima che non prova vergogna, nè rabbia
o allegria, solo la parte sincera, che racconta i fatti come sono
realmente andati e per questo racconto della mia storia, la storia
dello spirito incatenato di un uomo all'interno di una bestia.
Tutto ciò che posso dire è che la mia vita è cominciata dalla fine, proprio dalla fine.
Avvertivo la testa pesante e mi girava di continuo, lo stomaco sempre
più vuoto e leggero lo sentivo espandersi in me come fà
la paura e la certezza di ciò che stava accadendo, una certezza
che però andò via via disperdendosi con la mia memoria;
il mio cuore era così in alto da non lasciarmi quasi la
possibilità di respirare, eppure lo sentivo battere così
velocemente.
Avvertivo un bruciore che mi percorreva la pelle tanto da farmi sentire
freddo, un freddo gelido e un'infinità di lame pungevano con
un'audacia crudele braccia e gambe; le sentivo sulla schiena, ai
fianchi e sul collo fin sopra le guance; non vedevo nulla, erano
soltanto sensazioni.
D'un tratto un dolore mi colse del tutto senza preavviso, mi dimenticai
di tutto ciò che provavo prima e da quel punto non sentivo altro
che dolore, dolore e un freddo torbido e mortale.
Non riuscivo a respirare, a quanto ricordavo non sapevo neppure di
essere nato, eppure sentivo la morte avvicinarsi velocemente
appropriandosi prima di tutto del mio corpo, poi dei miei sensi, ma il
mio spirito lo sentivo lì dov'era.
Nonostante le mie paure e preoccupazioni non sentivo di rischiare
nè la mia vita, nè la mia anima e mentre pensavo questo,
tutto rallentò; mi ritrovai in un limbo, un oscuro oblio di pace
che non mi sarei mai aspettato.
Per un attimo mi sono sentito fuori di me, ma ecco che lentamente la
mia testa tornava a farsi pesante e il freddo pungente ricominciava a
farsi calore ingovernabile.
I miei sensi riaffiorarono per poco come una palla spinta troppo in
profondità nell'acqua; per un momento le mie orecchie
avvertirono un brusio, un suono basso che si ripetè per un po'.
Decisi di aprire gli occhi, le palpebre erano pesanti come macigni;
ombre e luci fatue governavano la mia vista, attorno a me vedevo
fluttuare delle luci accecanti circondate dal buio più immenso.
Il suono si ripetè ancora, ma col tempo si fece più
distinto; da prima pareva un'imponente flusso di vento, basso, profondo
e impetuoso, poi pensai a un orso, un lupo o un grosso cane che
abbaiava rimbombante ai miei timpani e infine eccola, una candida voce
che mi parlava; in quel momento mi pareva la cosa più bella che
avessi mai sentito.
"Come ti chiami?"
Gridava la voce sempre più femminile al mio udito.
"Hey, mi senti?!"
Dopo un attimo di estasi tentai di rispondere, ma mi sentìi bloccato.
"Riesci a rispondermi?! Come ti chiami?!"
Niente, nessuna risposta provenì dalla mia bocca, lottai con
tutto me stesso, ma le tenebre ritornarono e sprofondai in un profondo
sonno di ricordi perduti, non puoi sognare, quando non hai ricordi.
Il dolore passò con il tempo e le tenebre l'accompagnarono, il
silenzio regnava attorno a me, ma non un silenzio di tomba, come quello
provato prima, no; un silenzio caloroso, avvertivo lo scorrere
dell'acqua nelle vicinanze, il suono di lievi cinguettìi qua e
là e dei passi, leggeri che scivolavano lenti sul terreno e
risuonavano prima a destra, poi a sinistra.
Ero ancora piuttosto stanco, non ricordavo perchè lo fossi ma lo
ero e lottai con tutto me stesso per spalancare gli occhi.
Ricordo di essere stato seduto, quasi sdraiato con la nuca poggiata contro una parete e forzai la schiena per alzarmi un po'.
"Nnnngh!"
Feci un lungo lamento mentre mi muovevo ma non mi curai quasi per niente del dolore che provavo.
Raddrizzai la schiena e passandomi una mano dalla fronte al mento per ritornare in me aprìi gli occhi.
Mi trovavo in un angusta topaia, niente stanze nè finestre, solo
4 pareti fatiscenti; a dire il vero, non si trattava nemmeno di vere e
proprie pareti, solo una decina di assi di legno componevano un lato
dell'abitazione, il resto era costruito una roccia sull'altra.
Intravidi un tavolo, un paio di sedie e poco più a destra vidi
divampare un piccolo fuoco, forse un camino, ma in lontananza le
immagini erano ancora sfocate.
Una figura mi passò di fronte un paio di volte prima che la
potessi distinguere, era piccola e curva e non ero ancora abituato alla
luce del tramonto che traspirava da sinistra, non muovevo neppure le
pupille, il mio sguardo era perso nel vuoto anche se io ero presente.
"Come ti senti?"
Fece quella figura, una figura scura che ancora non distinguevo.
"Mmmh?"
Fù tutto ciò che riuscìi a dire poggiando la mia testa sul palmo della mia mano per la fiacchezza.
"Era ora ti svegliassi, hai preso una bella botta lì fuori."
Feci ancora un lungo verso animale prima di forzarmi a dire qualcosa e
con voce bassa e fiacca e lo sguardo basso per prima cosa chiesi:
"Dove sono?"
"Ti trovi a casa mia, cerca di non muoverti troppo."
Rispose frettolosa la mia ospitante mentre raccoglieva qualcosa da
terra e la gettava tra le fiamme del bracere, probabilmente ceppi di
legno per alimentare il fuoco.
Non me ne curai, volevo sapere cosa stava accadendo, così tentai di alzarmi e feci:
"Perchè dovrei? Oh!"
Una fitta si manifestò nuovamente e ora capìi da dove
proveniva; attorno la spalla sinistra si trovava una sorta di straccio
marrone di seconda mano, era vecchio, ma in buone condizioni anche se
piuttosto ruvido.
Caddi seduto dove mi trovavo pochi secondi prima ed ella si avvicinò per soccorrermi.
"Tu non mi ascolti giovane uomo. Hai una brutta ferita, ho cercato di
medicarla ma se non lasci riposare la spalla non guarirai mai."
Ero chino su me stesso e lei si inginocchiò proprio di fronte a me così potei finalmente vedere il suo viso.
Era un'anziana signora, molto vecchia e gobba, le rughe era ben segnate
sulla sua pelle pallida e le segnavano da parte a parte il viso
raggrinzito, pochi capelli grigiastri sbucavano dal panno che teneva
legato sulla testa e gli occhi, pallidi anch'essi e sbiaditi dal tempo
mi incutevano una strana irrequietezza, quasi mi informassero della
mancanza della sua anima.
Le sue vesti erano vecchie almeno quanto lei e usurate come un foglio
di carta bruciacchiato, ipotizzai gli insetti ci avessero probabilmente
allestito un banchetto per l'arco di un intero secolo; erano scure e
sporche di terra come i suoi piedi nudi, eppure lei sembrava trovarsi a
suo agio in quegli stracci perciò non commentai.
Mi massaggiò lentamente la spalla e poi il braccio; sentivo i
suoi palmi ruvidi e freddi su di me, io nel frattempo la fissavo
turbato, come se non avessi mai visto un'anziata vecchietta in vita mia.
Ero combattuto sul come comportarmi, ma alla fine mi accontentai di dirle con fare impacciato:
"Grazie."
Incredibile, inconsciamente avevo la sensazione di poter avere il
controllo di ogni cosa, mi sentivo in dovere di farmi rispettare in
qualche modo da chiunque, specialmente una semplice vecchia, eppure
quella persona mi bloccava la lingua.
Con calma ritrasse le sue mani ossute e si rialzò in piedi per tornare alle sue faccende.
La guardai avvicinarsi al camino e ci misi un po' di tempo prima di
disincantarmi e chiederle cosa stesse succedendo, perciò
asserì:
"Non mi avete risposto, anziana signora."
Lei si avvicinò al camino e raccolse qualcosa che era poggiato
lì, un bastone, non molto alto, ma abbastanza da superarla in
altezza e raccolto il mio commento si voltò incuriosita
poggiando il suo gracile peso sulla contorta asta di legno.
"Sapete dirmi dove mi trovo?"
Domandai con rispetto.
"Ti ho risposto, sei a casa mia."
Rispose facendo un piccolo cenno col bastone per mostrarmi la sua casa.
Cercai di essere educato, ma dato che ella mi diede del tu, così feci anch'io:
"E tu chi saresti di grazia?"
Chiesi alzando il tono della voce spazientito e timidamente offeso, ma
così come lo fù lei, ribattè brontolando:
"Si dà il caso che io sia la persona che ti ha salvato la vita!"
Riflettei un momento, ma non ricordavo e con tono di sufficenza e alzando le spalle asserì:
"Non ho memoria di questo."
"Dici di non ricordare giovane uomo?"
Sbuffai e riflettei ancora forzando la mia mente, ma nulla; ero nervoso
e di conseguenza mi spazientì sempre di più.
"No, non ricordo e non chiamarmi così! Io ho un nome donna."
Feci portando un pollice al mio petto che si aprì spavaldo e pieno d'orgoglio.
"Va bene, favoriscilo."
Propose lei sarcasticamente.
Mi bloccai, non avevo risposte da dare, mi guardai attorno
freneticamente spostando lo sguardo a destra e sinistra sperando di
ricordare qualcosa, ma alla fine mi chinai piano piano con la testa che
scese fino a penzolare giù nell'estremo tentativo di non
impazzire e un lungo sbuffo d'aria uscì fuori dalle mie grandi
narici.
Ella attese, e attese ancora e la consapevolezza di ciò che
stava accadendo sembrava la rendesse quasi più felice, forse era
una mia impressione, ma provavo sempre più disprezzo per quella
donna la quale continuò.
"Non ricordi nemmeno questo?"
La guardai con rabbia e degradazione ed ella proseguì:
"Bhè, ci dovrà pur essere qualcosa che ricordi della tua vita."
Lottai interiormente per non accettare questa mia nuova, terribile
realtà, ma infine, con un dispiacere che mi fece stringere i
denti fino a farmi male, feci cenno di no.
Un silenzio imbarazzante si propagò nella stanza per qualche
secondo, lei se ne stava lì in piedi di fronte a me a fissarmi
poggiata a quel suo maledetto bastone senza dir niente e io,
bhè, senza alcun ricordo a cui aggrapparmi non avevo proprio di
nulla di cui parlare; solo domande, domande a cui solo quell'anziana
donna poteva darmi una risposta.
Tante, troppe domande affollavano la mia testa, tante da non sapere da
dove cominciare e prima che io potessi dire nulla lei ruppe il silenzio
presentandosi per prima.
"Rispondendo al tuo quesito: Il mio nome è Claire."
Provai a trattenermi, giuro che ci provai con tutto me stesso, ma
l'umiliazione che provavo era fin troppo grande, non so rispetto a
quale pensiero presi questa decisione, lo sentivo dentro di me e basta.
Successivamente la vergogna si tramutò velocemente in rabbia e ciò che replicai fù:
"Questo non mi aiuta vecchia, devo sapere cosa è successo e perchè non ricordo niente della mia persona!"
Gettai un'occhiataccia alla donna e lei restò sbigottita e
rattristata tanto dalla mia risposta quanto dal mio repentino cambio
d'umore.
Non riusciva neppure a trattenere lo sguardo su di me, tantò di rispondere intimidita:
"Io... non lo so, ti ho travato sulla riva del fiume. Eri svenuto, perciò ti portai qui e..."
"Bhè a quanto pare non mi servi a un granchè!"
Restammo nuovamente in silezio, lei pareva offesa e lievemente impaurita per ribattere.
Provai ad alzarmi ancora contro ogni possibilità di riuscita; il
dolore era insostenibile perfino per il mio fisico imponente.
"Hai ancora bisogno di riposo."
Disse lei preoccupandosi con una lieve forma di paura che identificai nella sua voce, ma non mi importava in quel momento.
"Non mi occorre riposo, me la caverò benissimo, come me la sarei cavata prima di risvegliarmi in quest'angusta topaia."
"Prima che ti SALVASSI eri in fin di vita!"
Precisò lei.
"Bhè avresti potuto lasciarmi lì dov'ero! Per quanto mi riguarda. Non mi sei stata di grande aiuto, sai?"
Commentai beatamente tentando di sminuire le sue buone intenzioni.
Riuscìi a rialzarmi espirando fino a svuotarmi i polmoni, poi
guardai in basso; non sapevo se le vesti che indossavo fossero le mie;
portavo addosso una larga maglia bianca macchiata qui e là
di terra e un paio di pantaloni scuri e niente scarpe, ma non volevo
abbassarmi a chiederlo ad una vecchia contadinella, perciò mi
diressi verso l'uscita.
"Dove stai andando giovane uomo?"
Le concessi un'ultimo minuto, ma non volli voltarmi, pensai ne andasse
del mio orgoglio; non so perchè, ma questo fù ciò
che mi balzò in testa, poi le dissi:
"A trovare delle vere risposte."
"Ma non hai dove andare!"
Mi disse, ma non volli ascoltare ragioni e canzonai:
"Forse è così, forse no, grazie mille per
l'ospitalità anziana signora, ma qui le nostre strade si
separano."
E senza aggiungere altro, mi congedai sicuro esteriormente, ma più che inquieto dentro.
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Capitolo 2 *** Una prima memoria ***
Il risveglio di una vita
Misi un piede davanti all'altro diretto verso la
luce del tramonto che si affievoliva, poggiai una mano alla piccola
arcata della porta fatiscente, mi diedi un'occhiata attorno e commentai
illuminato:
"Ah! Siamo nella foresta, molto bene."
Non avevo la più pallida idea di dove mi trovavo e così
confermò la megera, la quale tentò invano di dissuadermi
dal partire con la sua infrangibile calma.
"Non è saggio uscire con le tenebre, la foresta è un posto pericoloso."
Però ne dovevo dare atto, la tenacia di quell'anziana era tanta quanto era irritante.
Ma quel dannato pensiero che non voleva uscire dalla mia mente era:
"Perchè dare ascolto ad una donna? Una VECCHIA donna oltretutto!"
Lì per lì mi sembrava una cosa normale, eppure c'era
qualcosa di più, come se lottassi con me stesso senza saperlo,
ma non avevo affatto voglia di perdere tempo pensando a queste
sciocchezze, mi guardai attorno; davanti a me scorreva tranquillo un
fiume scuro e longilineo, percorreva da destra a sinistra l'entrata
della capanna a pochi metri di distanza, tutt'attorno, ai lati e dietro
di me, oltre il fiume e gli avvallamenti che si intuivano in
lontananza, ovunque sul terreno ricoperto di erbacce e qualche foglia
qui e là si trovavano un infinito esercito di alberi; grossi,
alti, dritti e pallidi i signori della foresta regnavano fieri in
quella landa dimenticata da tutti.
Non sapevo da dove cominciare, ma una cosa era certa, se non volevo
oltrepassare il fiume, l'unica strada era passare oltre la capanna di
quella che pareva sempre più una squallida eremita.
Dimenticai che ella era lì dietro di me in attesa di un mio
ritorno di coscenza, ma proseguì e superai la vecchia topaia.
Solo dopo un minuto di cammino fra le sterpaglie un ultimo tentativo
vano si manifestò da parte della donna che intimò:
"Non conosci neppure il tuo passato giovane uomo, come puoi pensare di affrontare il futuro?"
La sua voce non era alta, la intuì appena, quasi quella frase
non fosse diretta verso di me, ma tanto non la ascoltai comunque, ero
un uomo, e sarei riuscito a cavarmela in qualsiasi situazione, non
pensai a come lei fosse sopravvissuta per tutta la vita qui, nè
a dove ero diretto, sapevo solo che niente e nessuno avrebbe piegato il
mio orgoglio maschile.
Camminai e camminai ancora senza voltarmi neppure una volta, andavo
diritto per la mia strada, scavalcai alte rocce e un piccolo dirupo, il
terreno sembrava inclinarsi lentamente in salita e i passi si facevano
via via sempre più pesanti.
La luce cominciava a scarseggiare e stava lasciando posto alla sera e a
un tremendo freddo e qualunque uomo accorto sa che in una foresta, il
buio e il freddo portano con loro inquietanti verità e terribili
cose.
Non pensavo a ciò che mi accadeva intonro, ero focalizzato sui
miei pensieri, sul continuo sforzarmi di rimembrare qualcosa, un
ricordo, un attimo passato, un viso o un nome, niente.
Notai sempre più chiaramente come il mio fiato si gelava a
contatto con l'aria, tenevo la spalla come un ferito di guerra in cerca
di un alleato, ma nessuno sembrava giungere in soccorso.
I minuti passavano e così la speranza di trovare qualcuno, ma
soprattutto, qualcuno in grado di aiutarmi; nè un suono,
nè una luce fra gli spigolosi arbusti che mi circondavano quasi
con aria accusatoria, indicandomi per chissà quali crimini che
io ancora non ricordavo.
"Fui un eroe o un tiranno? Quali qualità e quali difetti mi caratterizzavano in passato?"
Non lo sapevo dire.
Il terreno si livellò, ma i passi erano comunque pesanti, ero
stanco, rallentai e mi guardai attorno spaesato con il fiato sempre
più pesante e affannato, focalizzai il mio sguardo in
lontananza, nella speranza di vedere qualcosa; così feci con i
miei timpani, nel desiderio di udire un suono, voci o un qualche
convoglio, assolutamente nulla.
Mi voltai su me stesso tanto a lungo da disorientarmi completamente,
per un attimo pensai di perdere il controllo, ma mi fermai, guardai
avanti tirando un lungo e profondo respiro, ora mi sentivo abbandonato
al mondo, abbandonato a me stesso.
I sentimenti erano l'unica cosa che rammentavo, conoscevo la rabbia, la
gelosia, potevo riconoscere tristezza e felicità, ma mai pensai
di essermi sentito così solo, così impotente.
O così credevo finchè un calore dentro mi colpì
come un'alabarda a piena velocità nel mezzo di un duello; mi
piegai su me stesso, afflitto da quel momento che risalì su in
gola fino a bruciarmi in profondità, lo sentivo salire fin
dietro la testa, sul mio viso comparve una smorfia di dolore
crucciante, la mia mente ronzava fra le mie tempie sempre più
freneticamente fino a chè immagini, da prima sfocate, si
facevano sempre più svelte e nitide; gli occhi miei ballavano,
come quando si tenta di mantere lo sguardo fisso sulle file di alberi
ai lati della strada mentre si viaggia su una carrozza.
Non riconoscevo quei ritratti, quei volti, quei suoni, l'unica cosa che
avvertivo era quella maledetta sensazione di solitudine che provai poco
prima.
Potei distinguere degli arazzi, immense sale, un fuoco alto come le
pareti vicine, un immensa figura nera che si allontanava alle mie
spalle nell'oscurità più assoluta e voltandomi nuovamente
vidi una donna, una bellissima donna che sembrò interessata a
dirmi qualcosa prima di sparire tra le fiamme di quel focolare il quale
si protese in un esplosione di luce che divampò abbagliante fino
a farmi male, alchè tornai in me cadendo in ginocchio.
Sentì dentro ancora quella devastante fitta, portai una mano al
petto e dal dolore strinsi la stoffa che indossavo, non si trattava
più di vero dolore fisico, ma di un impedimento che mi
bloccò il respiro, i muscoli si tesero, strinsi i denti,
arricciai il naso e dagli occhi enormemente appesantiti
avvertì un'umida lacrima scendere lungo la mia guancia.
Prima una, poi due, tre, mi abbandonai a quell'emozione fortissima che pensavo non aver mai provato prima.
Durò poco, nell'arco di qualche secondo quella tristezza si
tramutò in un'ira la quale mi risollevò in piedi.
Alto e fiero sentivo di poter nuovamente proseguire il mio viaggio,
deciso e diretto verso una soluzione certa, ero intenzionato a battere
il mio sentirò prima che qualcosa di tremendamente pesante mi
spinse a terra e mi sovrasto procurandomi un dolore lancinante si
propagò sulla mia schiena.
Cercai di voltarmi, ma la cosa non aveva intenzione di fermarsi, si
dimenava come un ossesso intento a conficcare molteplici lame fra le
mie spalle.
Tentai allora di scaraventarlo via allungando le braccia dietro di me e
afferrando le sue vesti tirando con tutta la mia forza, ma mentre le
mie unghie stringevano sempre più saldamente la sua pelle, esso
ringhiò furioso catturando l'attenzione di suoi comilitoni.
Distinte luci si avvicinavano a coppie fra gli alberi, sagome nere
più della notte spietati come assassini e affamati di anime come
diavoli dalle profondità dell'Inferno.
Lupi, ero stato accerchiato da un branco di una decina di enormi lupi affamati e privi di rimorso alcuno.
Provai certamente un minimo di paura, ma mi contenei, provai a lottare
con tutto me stesso, riuscì a divincolarmi liberandomi dalla
presa della creatura che mi lacerò la schiena.
Disarmato e privo di qualsivoglia difesa, non potevo scappare e di
certo non avrei potuto combatterli tutti, provai allora quella stessa
identica sensazione di abbandono provai poco prima, mi trovavo in
piedi, indietreggiavo, ma mi ritrovai con le spalle contro un altro
tronco privo di rami bassi su cui avrei potuto arrampicarmi.
Mi guardai attorno, accettai la realtà dei fatti, chiusi
lentamente gli occhi cercando di focalizzarmi su quelle stesse immagini
che mi ferirono, non so per quale motivo, ma essendo stati anche gli
unici momenti che ricordavo, avrei preferito tornare ad un ricordo
conosciuto (per quanto vacuo) che morire in un limbo vuoto come quello
in cui mi sono risvegliato.
Ripensavo a quelle enormi stanze, al calore di quel camino, a quel
sinistro figuro sempre più lontano e a quella donna che
riuscì quasi a udire questa volta, incrociai le sopracciglia
nello sforzo di sentirla non curandomi della mia fine ormai vicina e
per quanto ne sapevo potevo anche meritarmela.
Purtroppo, l'unico suono che avvertivo erano le ringhiose fauci di
quegli spaventosi lupi e il rumore dell'erba e delle foglie
accartocciate sotto le loro pesanti zampacce.
Quei fastidiosi rumori si facevano sempre più vicini, allora
provai nuovamente a riflettere su ciò che ricordavo, ora era
tutto lievemente più chiaro, come una vera memoria, un bel
ricordo seguito da uno più tragico.
Rividi le stanze, le altissime stanze candide e tirate a lucido, come
quelle di un castello, lunghissimi arazzi colorati adornavano le mura
verticalmente, ad ogni arazzo una colonna di marmo la seguiva.
Arazzo, colonna, arazzo, colonna e così via fino ad arrivare ad un piccolo altare in lontananza.
Vi si distinguevano quattro strane figure inarcate, una più grande dell'altra.
Avanzavo e mentre facevo questo mi sentivo leggero e sicuro.
Più proseguivo e più riuscivo a riconoscere chiaramente
la figura di ben quattro grosse sedie, quattro troni, due piccoli ai
lati e due più massicci al centro.
All'improvviso tutto cominciò a tremare, ruotai su me stesso
più e più volte nella mia mente e mi ritrovai seduto
davanti al fuoco, il fuoco di un camino e il vaporoso fumo grigio che
saliva e scompariva su su nella tenebrosa canna fumaria.
Mi avvicinai incuriosito a quelle fiamme indugiando solo
superficialmente, ma prima di potermi avvicinare qualcosa
catturò la mia attenzione, mi voltai e ancora quella scuro
figuro lugubre e ingobbito non voleva mostrarsi e si dileguò
senza proferir parola.
Alla fine ecco che vengo distratto da qualcosa, come se qualcuno mi
avesse chiamato, eppure l'unica cosa che potevo udire era l'eterno
ringhiare di quelle sanguinose creature.
Davanti quel fuoco, si era manifestata la visione più bella che potei immaginare.
Sinuosi capelli color nocciola adornavano un dolcissimo viso pallido e
amorevole dagli occhi luminosi, anche se non saprei dire di che colore
fossero.
Ella indossava un lungo vestito bianco ricamato in pizzo con motivi
floreali in ognidove e la luce che scaturiva dal fuoco donava a quel
vestito una tinta calorosa.
Le sue braccia si allungarono verso di me invitandomi ad avanzare verso
di lei, un sorriso di compassione venne disegnato sul suo viso come
fosse stato un angelo a crearlo.
Le sue labbra larghe e piene di amore sembrava finalmente volessero
lasciar trapelare qualcosa, mi bloccai speranzoso di udire la sua voce
prima che quelle bestiacce si prendessero la mia vita.
Le sentivo avanzare continuamente, sempre più vicine, mi sforzai
ancora e ancora spalancando l'udito nella mia memoria e da quel sorriso
sentì finalmente fuoriuscire un soffio d'alito prima di
pronunciare una sola bellissima parola.
Parola che perse del suo significato quando riaprì gli occhi
proprio davanti al muso di un grosso lupo dallo sguardo deciso e
rabbioso che mi stava balzando incontro.
Non so come, nè perchè, ma una volta atterrato e
sbattendo la nuca contro il tronco, riuscìi a rimanere coscente
abbastanza a lungo da poter dire con certezza, che qualcosa di magico
accadde quella notte.
Una forte luce fece fuggire la maggior parte dei lupi in un tripudio di
guaiti timidi e spaventati e una figura piccola e snella che col
passare del tempo perdeva i suoi lineamenti mi si avvicinò
incuriosita e accerchiata da singolari luci danzanti.
Perdei la concezzione dei dettagli lontani, poi di quelli vicini,
sparirono le luci e successivamente le ombre e alla fine tutto attorno
a me si fece buio.
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