Beyond the Beast

di Kanginak
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il risveglio di una vita ***
Capitolo 2: *** Una prima memoria ***



Capitolo 1
*** Il risveglio di una vita ***


Il risveglio di una vita Mi sentivo cadere, potrei dire di essere caduto all'inifinito per un sacco di tempo, ma era tutto così confuso.
Non è la mia lingua a parlare, nè la mia testa, ma il mio spirito, quella parte di anima che non prova vergogna, nè rabbia o allegria, solo la parte sincera, che racconta i fatti come sono realmente andati e per questo racconto della mia storia, la storia dello spirito incatenato di un uomo all'interno di una bestia.
Tutto ciò che posso dire è che la mia vita è cominciata dalla fine, proprio dalla fine.
Avvertivo la testa pesante e mi girava di continuo, lo stomaco sempre più vuoto e leggero lo sentivo espandersi in me come fà la paura e la certezza di ciò che stava accadendo, una certezza che però andò via via disperdendosi con la mia memoria; il mio cuore era così in alto da non lasciarmi quasi la possibilità di respirare, eppure lo sentivo battere così velocemente.
Avvertivo un bruciore che mi percorreva la pelle tanto da farmi sentire freddo, un freddo gelido e un'infinità di lame pungevano con un'audacia crudele braccia e gambe; le sentivo sulla schiena, ai fianchi e sul collo fin sopra le guance; non vedevo nulla, erano soltanto sensazioni.
D'un tratto un dolore mi colse del tutto senza preavviso, mi dimenticai di tutto ciò che provavo prima e da quel punto non sentivo altro che dolore, dolore e un freddo torbido e mortale.
Non riuscivo a respirare, a quanto ricordavo non sapevo neppure di essere nato, eppure sentivo la morte avvicinarsi velocemente appropriandosi prima di tutto del mio corpo, poi dei miei sensi, ma il mio spirito lo sentivo lì dov'era.
Nonostante le mie paure e preoccupazioni non sentivo di rischiare nè la mia vita, nè la mia anima e mentre pensavo questo, tutto rallentò; mi ritrovai in un limbo, un oscuro oblio di pace che non mi sarei mai aspettato.
Per un attimo mi sono sentito fuori di me, ma ecco che lentamente la mia testa tornava a farsi pesante e il freddo pungente ricominciava a farsi calore ingovernabile.
I miei sensi riaffiorarono per poco come una palla spinta troppo in profondità nell'acqua; per un momento le mie orecchie avvertirono un brusio, un suono basso che si ripetè per un po'.
Decisi di aprire gli occhi, le palpebre erano pesanti come macigni; ombre e luci fatue governavano la mia vista, attorno a me vedevo fluttuare delle luci accecanti circondate dal buio più immenso.
Il suono si ripetè ancora, ma col tempo si fece più distinto; da prima pareva un'imponente flusso di vento, basso, profondo e impetuoso, poi pensai a un orso, un lupo o un grosso cane che abbaiava rimbombante ai miei timpani e infine eccola, una candida voce che mi parlava; in quel momento mi pareva la cosa più bella che avessi mai sentito.
"Come ti chiami?"
Gridava la voce sempre più femminile al mio udito.
"Hey, mi senti?!"
Dopo un attimo di estasi tentai di rispondere, ma mi sentìi bloccato.
"Riesci a rispondermi?! Come ti chiami?!"
Niente, nessuna risposta provenì dalla mia bocca, lottai con tutto me stesso, ma le tenebre ritornarono e sprofondai in un profondo sonno di ricordi perduti, non puoi sognare, quando non hai ricordi.
Il dolore passò con il tempo e le tenebre l'accompagnarono, il silenzio regnava attorno a me, ma non un silenzio di tomba, come quello provato prima, no; un silenzio caloroso, avvertivo lo scorrere dell'acqua nelle vicinanze, il suono di lievi cinguettìi qua e là e dei passi, leggeri che scivolavano lenti sul terreno e risuonavano prima a destra, poi a sinistra.
Ero ancora piuttosto stanco, non ricordavo perchè lo fossi ma lo ero e lottai con tutto me stesso per spalancare gli occhi.
Ricordo di essere stato seduto, quasi sdraiato con la nuca poggiata contro una parete e forzai la schiena per alzarmi un po'.
"Nnnngh!"
Feci un lungo lamento mentre mi muovevo ma non mi curai quasi per niente del dolore che provavo.
Raddrizzai la schiena e passandomi una mano dalla fronte al mento per ritornare in me aprìi gli occhi.
Mi trovavo in un angusta topaia, niente stanze nè finestre, solo 4 pareti fatiscenti; a dire il vero, non si trattava nemmeno di vere e proprie pareti, solo una decina di assi di legno componevano un lato dell'abitazione, il resto era costruito una roccia sull'altra.
Intravidi un tavolo, un paio di sedie e poco più a destra vidi divampare un piccolo fuoco, forse un camino, ma in lontananza le immagini erano ancora sfocate.
Una figura mi passò di fronte un paio di volte prima che la potessi distinguere, era piccola e curva e non ero ancora abituato alla luce del tramonto che traspirava da sinistra, non muovevo neppure le pupille, il mio sguardo era perso nel vuoto anche se io ero presente.
"Come ti senti?"
Fece quella figura, una figura scura che ancora non distinguevo.
"Mmmh?"
Fù tutto ciò che riuscìi a dire poggiando la mia testa sul palmo della mia mano per la fiacchezza.
"Era ora ti svegliassi, hai preso una bella botta lì fuori."
Feci ancora un lungo verso animale prima di forzarmi a dire qualcosa e con voce bassa e fiacca e lo sguardo basso per prima cosa chiesi:
"Dove sono?"
"Ti trovi a casa mia, cerca di non muoverti troppo."
Rispose frettolosa la mia ospitante mentre raccoglieva qualcosa da terra e la gettava tra le fiamme del bracere, probabilmente ceppi di legno per alimentare il fuoco.
Non me ne curai, volevo sapere cosa stava accadendo, così tentai di alzarmi e feci:
"Perchè dovrei? Oh!"
Una fitta si manifestò nuovamente e ora capìi da dove proveniva; attorno la spalla sinistra si trovava una sorta di straccio marrone di seconda mano, era vecchio, ma in buone condizioni anche se piuttosto ruvido.
Caddi seduto dove mi trovavo pochi secondi prima ed ella si avvicinò per soccorrermi.
"Tu non mi ascolti giovane uomo. Hai una brutta ferita, ho cercato di medicarla ma se non lasci riposare la spalla non guarirai mai."
Ero chino su me stesso e lei si inginocchiò proprio di fronte a me così potei finalmente vedere il suo viso.
Era un'anziana signora, molto vecchia e gobba, le rughe era ben segnate sulla sua pelle pallida e le segnavano da parte a parte il viso raggrinzito, pochi capelli grigiastri sbucavano dal panno che teneva legato sulla testa e gli occhi, pallidi anch'essi e sbiaditi dal tempo mi incutevano una strana irrequietezza, quasi mi informassero della mancanza della sua anima.
Le sue vesti erano vecchie almeno quanto lei e usurate come un foglio di carta bruciacchiato, ipotizzai gli insetti ci avessero probabilmente allestito un banchetto per l'arco di un intero secolo; erano scure e sporche di terra come i suoi piedi nudi, eppure lei sembrava trovarsi a suo agio in quegli stracci perciò non commentai.
Mi massaggiò lentamente la spalla e poi il braccio; sentivo i suoi palmi ruvidi e freddi su di me, io nel frattempo la fissavo turbato, come se non avessi mai visto un'anziata vecchietta in vita mia.
Ero combattuto sul come comportarmi, ma alla fine mi accontentai di dirle con fare impacciato:
"Grazie."
Incredibile, inconsciamente avevo la sensazione di poter avere il controllo di ogni cosa, mi sentivo in dovere di farmi rispettare in qualche modo da chiunque, specialmente una semplice vecchia, eppure quella persona mi bloccava la lingua.
Con calma ritrasse le sue mani ossute e si rialzò in piedi per tornare alle sue faccende.
La guardai avvicinarsi al camino e ci misi un po' di tempo prima di disincantarmi e chiederle cosa stesse succedendo, perciò asserì:
"Non mi avete risposto, anziana signora."
Lei si avvicinò al camino e raccolse qualcosa che era poggiato lì, un bastone, non molto alto, ma abbastanza da superarla in altezza e raccolto il mio commento si voltò incuriosita poggiando il suo gracile peso sulla contorta asta di legno.
"Sapete dirmi dove mi trovo?"
Domandai con rispetto.
"Ti ho risposto, sei a casa mia."
Rispose facendo un piccolo cenno col bastone per mostrarmi la sua casa.
Cercai di essere educato, ma dato che ella mi diede del tu, così feci anch'io:
"E tu chi saresti di grazia?"
Chiesi alzando il tono della voce spazientito e timidamente offeso, ma così come lo fù lei, ribattè brontolando:
"Si dà il caso che io sia la persona che ti ha salvato la vita!"
Riflettei un momento, ma non ricordavo e con tono di sufficenza e alzando le spalle asserì:
"Non ho memoria di questo."
"Dici di non ricordare giovane uomo?"
Sbuffai e riflettei ancora forzando la mia mente, ma nulla; ero nervoso e di conseguenza mi spazientì sempre di più.
"No, non ricordo e non chiamarmi così! Io ho un nome donna."
Feci portando un pollice al mio petto che si aprì spavaldo e pieno d'orgoglio.
"Va bene, favoriscilo."
Propose lei sarcasticamente.
Mi bloccai, non avevo risposte da dare, mi guardai attorno freneticamente spostando lo sguardo a destra e sinistra sperando di ricordare qualcosa, ma alla fine mi chinai piano piano con la testa che scese fino a penzolare giù nell'estremo tentativo di non impazzire e un lungo sbuffo d'aria uscì fuori dalle mie grandi narici.
Ella attese, e attese ancora e la consapevolezza di ciò che stava accadendo sembrava la rendesse quasi più felice, forse era una mia impressione, ma provavo sempre più disprezzo per quella donna la quale continuò.
"Non ricordi nemmeno questo?"
La guardai con rabbia e degradazione ed ella proseguì:
"Bhè, ci dovrà pur essere qualcosa che ricordi della tua vita."
Lottai interiormente per non accettare questa mia nuova, terribile realtà, ma infine, con un dispiacere che mi fece stringere i denti fino a farmi male, feci cenno di no.
Un silenzio imbarazzante si propagò nella stanza per qualche secondo, lei se ne stava lì in piedi di fronte a me a fissarmi poggiata a quel suo maledetto bastone senza dir niente e io, bhè, senza alcun ricordo a cui aggrapparmi non avevo proprio di nulla di cui parlare; solo domande, domande a cui solo quell'anziana donna poteva darmi una risposta.
Tante, troppe domande affollavano la mia testa, tante da non sapere da dove cominciare e prima che io potessi dire nulla lei ruppe il silenzio presentandosi per prima.
"Rispondendo al tuo quesito: Il mio nome è Claire."
Provai a trattenermi, giuro che ci provai con tutto me stesso, ma l'umiliazione che provavo era fin troppo grande, non so rispetto a quale pensiero presi questa decisione, lo sentivo dentro di me e basta.
Successivamente la vergogna si tramutò velocemente in rabbia e ciò che replicai fù:
"Questo non mi aiuta vecchia, devo sapere cosa è successo e perchè non ricordo niente della mia persona!"
Gettai un'occhiataccia alla donna e lei restò sbigottita e rattristata tanto dalla mia risposta quanto dal mio repentino cambio d'umore.
Non riusciva neppure a trattenere lo sguardo su di me, tantò di rispondere intimidita:
"Io... non lo so, ti ho travato sulla riva del fiume. Eri svenuto, perciò ti portai qui e..."
"Bhè a quanto pare non mi servi a un granchè!"
Restammo nuovamente in silezio, lei pareva offesa e lievemente impaurita per ribattere.
Provai ad alzarmi ancora contro ogni possibilità di riuscita; il dolore era insostenibile perfino per il mio fisico imponente.
"Hai ancora bisogno di riposo."
Disse lei preoccupandosi con una lieve forma di paura che identificai nella sua voce, ma non mi importava in quel momento.
"Non mi occorre riposo, me la caverò benissimo, come me la sarei cavata prima di risvegliarmi in quest'angusta topaia."
"Prima che ti SALVASSI eri in fin di vita!"
Precisò lei.
"Bhè avresti potuto lasciarmi lì dov'ero! Per quanto mi riguarda. Non mi sei stata di grande aiuto, sai?"
Commentai beatamente tentando di sminuire le sue buone intenzioni.
Riuscìi a rialzarmi espirando fino a svuotarmi i polmoni, poi guardai in basso; non sapevo se le vesti che indossavo fossero le mie; portavo  addosso una larga maglia bianca macchiata qui e là di terra e un paio di pantaloni scuri e niente scarpe, ma non volevo abbassarmi a chiederlo ad una vecchia contadinella, perciò mi diressi verso l'uscita.
"Dove stai andando giovane uomo?"
Le concessi un'ultimo minuto, ma non volli voltarmi, pensai ne andasse del mio orgoglio; non so perchè, ma questo fù ciò che mi balzò in testa, poi le dissi:
"A trovare delle vere risposte."
"Ma non hai dove andare!"
Mi disse, ma non volli ascoltare ragioni e canzonai:
"Forse è così, forse no, grazie mille per l'ospitalità anziana signora, ma qui le nostre strade si separano."
E senza aggiungere altro, mi congedai sicuro esteriormente, ma più che inquieto dentro.

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Capitolo 2
*** Una prima memoria ***


Il risveglio di una vita Misi un piede davanti all'altro diretto verso la luce del tramonto che si affievoliva, poggiai una mano alla piccola arcata della porta fatiscente, mi diedi un'occhiata attorno e commentai illuminato:
"Ah! Siamo nella foresta, molto bene."
Non avevo la più pallida idea di dove mi trovavo e così confermò la megera, la quale tentò invano di dissuadermi dal partire con la sua infrangibile calma.
"Non è saggio uscire con le tenebre, la foresta è un posto pericoloso."
Però ne dovevo dare atto, la tenacia di quell'anziana era tanta quanto era irritante.
Ma quel dannato pensiero che non voleva uscire dalla mia mente era:
"Perchè dare ascolto ad una donna? Una VECCHIA donna oltretutto!"
Lì per lì mi sembrava una cosa normale, eppure c'era qualcosa di più, come se lottassi con me stesso senza saperlo, ma non avevo affatto voglia di perdere tempo pensando a queste sciocchezze, mi guardai attorno; davanti a me scorreva tranquillo un fiume scuro e longilineo, percorreva da destra a sinistra l'entrata della capanna a pochi metri di distanza, tutt'attorno, ai lati e dietro di me, oltre il fiume e gli avvallamenti che si intuivano in lontananza, ovunque sul terreno ricoperto di erbacce e qualche foglia qui e là si trovavano un infinito esercito di alberi; grossi, alti, dritti e pallidi i signori della foresta regnavano fieri in quella landa dimenticata da tutti.
Non sapevo da dove cominciare, ma una cosa era certa, se non volevo oltrepassare il fiume, l'unica strada era passare oltre la capanna di quella che pareva sempre più una squallida eremita.
Dimenticai che ella era lì dietro di me in attesa di un mio ritorno di coscenza, ma proseguì e superai la vecchia topaia.
Solo dopo un minuto di cammino fra le sterpaglie un ultimo tentativo vano si manifestò da parte della donna che intimò:
"Non conosci neppure il tuo passato giovane uomo, come puoi pensare di affrontare il futuro?"
La sua voce non era alta, la intuì appena, quasi quella frase non fosse diretta verso di me, ma tanto non la ascoltai comunque, ero un uomo, e sarei riuscito a cavarmela in qualsiasi situazione, non pensai a come lei fosse sopravvissuta per tutta la vita qui, nè a dove ero diretto, sapevo solo che niente e nessuno avrebbe piegato il mio orgoglio maschile.
Camminai e camminai ancora senza voltarmi neppure una volta, andavo diritto per la mia strada, scavalcai alte rocce e un piccolo dirupo, il terreno sembrava inclinarsi lentamente in salita e i passi si facevano via via sempre più pesanti.
La luce cominciava a scarseggiare e stava lasciando posto alla sera e a un tremendo freddo e qualunque uomo accorto sa che in una foresta, il buio e il freddo portano con loro inquietanti verità e terribili cose.
Non pensavo a ciò che mi accadeva intonro, ero focalizzato sui miei pensieri, sul continuo sforzarmi di rimembrare qualcosa, un ricordo, un attimo passato, un viso o un nome, niente.
Notai sempre più chiaramente come il mio fiato si gelava a contatto con l'aria, tenevo la spalla come un ferito di guerra in cerca di un alleato, ma nessuno sembrava giungere in soccorso.
I minuti passavano e così la speranza di trovare qualcuno, ma soprattutto, qualcuno in grado di aiutarmi; nè un suono, nè una luce fra gli spigolosi arbusti che mi circondavano quasi con aria accusatoria, indicandomi per chissà quali crimini che io ancora non ricordavo.
"Fui un eroe o un tiranno? Quali qualità e quali difetti mi caratterizzavano in passato?"
Non lo sapevo dire.
Il terreno si livellò, ma i passi erano comunque pesanti, ero stanco, rallentai e mi guardai attorno spaesato con il fiato sempre più pesante e affannato, focalizzai il mio sguardo in lontananza, nella speranza di vedere qualcosa; così feci con i miei timpani, nel desiderio di udire un suono, voci o un qualche convoglio, assolutamente nulla.
Mi voltai su me stesso tanto a lungo da disorientarmi completamente, per un attimo pensai di perdere il controllo, ma mi fermai, guardai avanti tirando un lungo e profondo respiro, ora mi sentivo abbandonato al mondo, abbandonato a me stesso.
I sentimenti erano l'unica cosa che rammentavo, conoscevo la rabbia, la gelosia, potevo riconoscere tristezza e felicità, ma mai pensai di essermi sentito così solo, così impotente.
O così credevo finchè un calore dentro mi colpì come un'alabarda a piena velocità nel mezzo di un duello; mi piegai su me stesso, afflitto da quel momento che risalì su in gola fino a bruciarmi in profondità, lo sentivo salire fin dietro la testa, sul mio viso comparve una smorfia di dolore crucciante, la mia mente ronzava fra le mie tempie sempre più freneticamente fino a chè immagini, da prima sfocate, si facevano sempre più svelte e nitide; gli occhi miei ballavano, come quando si tenta di mantere lo sguardo fisso sulle file di alberi ai lati della strada mentre si viaggia su una carrozza.
Non riconoscevo quei ritratti, quei volti, quei suoni, l'unica cosa che avvertivo era quella maledetta sensazione di solitudine che provai poco prima.
Potei distinguere degli arazzi, immense sale, un fuoco alto come le pareti vicine, un immensa figura nera che si allontanava alle mie spalle nell'oscurità più assoluta e voltandomi nuovamente vidi una donna, una bellissima donna che sembrò interessata a dirmi qualcosa prima di sparire tra le fiamme di quel focolare il quale si protese in un esplosione di luce che divampò abbagliante fino a farmi male, alchè tornai in me cadendo in ginocchio.
Sentì dentro ancora quella devastante fitta, portai una mano al petto e dal dolore strinsi la stoffa che indossavo, non si trattava più di vero dolore fisico, ma di un impedimento che mi bloccò il respiro, i muscoli si tesero, strinsi i denti, arricciai il naso  e dagli occhi enormemente appesantiti avvertì un'umida lacrima scendere lungo la mia guancia.
Prima una, poi due, tre, mi abbandonai a quell'emozione fortissima che pensavo non aver mai provato prima.
Durò poco, nell'arco di qualche secondo quella tristezza si tramutò in un'ira la quale mi risollevò in piedi.
Alto e fiero sentivo di poter nuovamente proseguire il mio viaggio, deciso e diretto verso una soluzione certa, ero intenzionato a battere il mio sentirò prima che qualcosa di tremendamente pesante mi spinse a terra e mi sovrasto procurandomi un dolore lancinante si propagò sulla mia schiena.
Cercai di voltarmi, ma la cosa non aveva intenzione di fermarsi, si dimenava come un ossesso intento a conficcare molteplici lame fra le mie spalle.
Tentai allora di scaraventarlo via allungando le braccia dietro di me e afferrando le sue vesti tirando con tutta la mia forza, ma mentre le mie unghie stringevano sempre più saldamente la sua pelle, esso ringhiò furioso catturando l'attenzione di suoi comilitoni.
Distinte luci si avvicinavano a coppie fra gli alberi, sagome nere più della notte spietati come assassini e affamati di anime come diavoli dalle profondità dell'Inferno.
Lupi, ero stato accerchiato da un branco di una decina di enormi lupi affamati e privi di rimorso alcuno.
Provai certamente un minimo di paura, ma mi contenei, provai a lottare con tutto me stesso, riuscì a divincolarmi liberandomi dalla presa della creatura che mi lacerò la schiena.
Disarmato e privo di qualsivoglia difesa, non potevo scappare e di certo non avrei potuto combatterli tutti, provai allora quella stessa identica sensazione di abbandono provai poco prima, mi trovavo in piedi, indietreggiavo, ma mi ritrovai con le spalle contro un altro tronco privo di rami bassi su cui avrei potuto arrampicarmi.
Mi guardai attorno, accettai la realtà dei fatti, chiusi lentamente gli occhi cercando di focalizzarmi su quelle stesse immagini che mi ferirono, non so per quale motivo, ma essendo stati anche gli unici momenti che ricordavo, avrei preferito tornare ad un ricordo conosciuto (per quanto vacuo) che morire in un limbo vuoto come quello in cui mi sono risvegliato.
Ripensavo a quelle enormi stanze, al calore di quel camino, a quel sinistro figuro sempre più lontano e a quella donna che riuscì quasi a udire questa volta, incrociai le sopracciglia nello sforzo di sentirla non curandomi della mia fine ormai vicina e per quanto ne sapevo potevo anche meritarmela.
Purtroppo, l'unico suono che avvertivo erano le ringhiose fauci di quegli spaventosi lupi e il rumore dell'erba e delle foglie accartocciate sotto le loro pesanti zampacce.
Quei fastidiosi rumori si facevano sempre più vicini, allora provai nuovamente a riflettere su ciò che ricordavo, ora era tutto lievemente più chiaro, come una vera memoria, un bel ricordo seguito da uno più tragico.
Rividi le stanze, le altissime stanze candide e tirate a lucido, come quelle di un castello, lunghissimi arazzi colorati adornavano le mura verticalmente, ad ogni arazzo una colonna di marmo la seguiva.
Arazzo, colonna, arazzo, colonna e così via fino ad arrivare ad un piccolo altare in lontananza.
Vi si distinguevano quattro strane figure inarcate, una più grande dell'altra.
Avanzavo e mentre facevo questo mi sentivo leggero e sicuro.
Più proseguivo e più riuscivo a riconoscere chiaramente la figura di ben quattro grosse sedie, quattro troni, due piccoli ai lati e due più massicci al centro.
All'improvviso tutto cominciò a tremare, ruotai su me stesso più e più volte nella mia mente e mi ritrovai seduto davanti al fuoco, il fuoco di un camino e il vaporoso fumo grigio che saliva e scompariva su su nella tenebrosa canna fumaria.
Mi avvicinai incuriosito a quelle fiamme indugiando solo superficialmente, ma prima di potermi avvicinare qualcosa catturò la mia attenzione, mi voltai e ancora quella scuro figuro lugubre e ingobbito non voleva mostrarsi e si dileguò senza proferir parola.
Alla fine ecco che vengo distratto da qualcosa, come se qualcuno mi avesse chiamato, eppure l'unica cosa che potevo udire era l'eterno ringhiare di quelle sanguinose creature.
Davanti quel fuoco, si era manifestata la visione più bella che potei immaginare.
Sinuosi capelli color nocciola adornavano un dolcissimo viso pallido e amorevole dagli occhi luminosi, anche se non saprei dire di che colore fossero.
Ella indossava un lungo vestito bianco ricamato in pizzo con motivi floreali in ognidove e la luce che scaturiva dal fuoco donava a quel vestito una tinta calorosa.
Le sue braccia si allungarono verso di me invitandomi ad avanzare verso di lei, un sorriso di compassione venne disegnato sul suo viso come fosse stato un angelo a crearlo.
Le sue labbra larghe e piene di amore sembrava finalmente volessero lasciar trapelare qualcosa, mi bloccai speranzoso di udire la sua voce prima che quelle bestiacce si prendessero la mia vita.
Le sentivo avanzare continuamente, sempre più vicine, mi sforzai ancora e ancora spalancando l'udito nella mia memoria e da quel sorriso sentì finalmente fuoriuscire un soffio d'alito prima di pronunciare una sola bellissima parola.
Parola che perse del suo significato quando riaprì gli occhi proprio davanti al muso di un grosso lupo dallo sguardo deciso e rabbioso che mi stava balzando incontro.
Non so come, nè perchè, ma una volta atterrato e sbattendo la nuca contro il tronco, riuscìi a rimanere coscente abbastanza a lungo da poter dire con certezza, che qualcosa di magico accadde quella notte.
Una forte luce fece fuggire la maggior parte dei lupi in un tripudio di guaiti timidi e spaventati e una figura piccola e snella che col passare del tempo perdeva i suoi lineamenti mi si avvicinò incuriosita e accerchiata da singolari luci danzanti.
Perdei la concezzione dei dettagli lontani, poi di quelli vicini, sparirono le luci e successivamente le ombre e alla fine tutto attorno a me si fece buio.

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