New York At Full Moon

di Lelaiah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 Same city, different worlds ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 Una sposa fuori dal comune ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 Emily ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 Caos all'Internazionale ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 Against the rules ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 Ripartire da zero ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 Target ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 Dealing with the wolves ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 Trovare la via ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 Non voglio essere l'Omega ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 Opinioni diverse ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 Guardie e ladri ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 Un nuovo cambiamento ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 Can we make a deal? ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 Azione e reazione ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 Un branco atipico ***
Capitolo 18: *** Cap. 17 Resisti, Blake! ***
Capitolo 19: *** Cap. 18 Rescue ***
Capitolo 20: *** Cap. 19 Vincitori..? ***
Capitolo 21: *** Cap. 20 Bad moon rising ***
Capitolo 22: *** Cap. 21 Bloodthirst ***
Capitolo 23: *** Cap. 22 Presagi ***
Capitolo 24: *** Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
Questa è un'opera di fantasia ed è stata scritta senza nessuno scopo di lucro. Ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale.


New York at full moon





Prologo



   La pioggia cadeva incessante, flagellando le vecchie mura del mastio.
Era da settimane che il temporale imperversava su quel tratto di costa, riversando tutta la sua furia sul castello ed i suoi abitanti.
  Correva l’anno 1864 e Dunnottar era abbandonata da un pezzo.
O almeno avrebbe dovuto essere così.
Non vi era più stata traccia di un essere umano dal 1715, anno in cui l’intero possedimento era stato confiscato al decimo ed ultimo Conte Maresciallo dalla corona inglese.
Da allora, le pietre di quegli edifici avevano riecheggiato degli ululati di un intero branco, composto da oltre cento individui.
  Non era un semplice branco di lupi, era costituito da licantropi.
Avevano trovato alloggio nei grandi ambienti della fortezza che, nonostante il suo avanzato stato di degrado, si era rivelata una perfetta dimora per il clan di Dearan MacGregor.
L’Alfa del branco si era preso quasi un’intera ala del palazzo, permettendo al suo Beta ed al suo Gamma di appropriarsi del resto della residenza. Ai lupi semplici non era rimasto altro che spartirsi i ruderi.
L’unico ambiente rimasto inabitato erano le prigioni.
Proprio il luogo in cui si trovava adesso.
Sbuffando, l’uomo cambiò posizione, distendendo le lunghe gambe per avere un po’ di sollievo dai crampi che lo attanagliavano. Non ricordava da quanto tempo fosse rinchiuso in quella sudicia cella, ma era quasi certo che fosse da prima del nubifragio.
  La piccola feritoia che dava sul grande cortile centrale gli permetteva di vedere un rettangolo di cielo grigio, denso di nubi. E anche di seguire tutte le attività giornaliere dei suoi compagni.
Sapeva che il passo per le segrete avrebbe potuto essere molto breve, ma non si sarebbe mai piegato al suo volere.
Quell’uomo non poteva più essere considerato suo padre: era il suo aguzzino.
Rabbrividì all’improvviso per colpa di una corrente d’aria fredda, infiltratasi subdolamente dall’esterno. Nonostante la sua temperatura interna sfiorasse i quarantadue gradi, il suo corpo era comunque in grado di percepire il caldo ed il freddo.
  E nulla gli impediva di avere la pelle d’oca.
Ma non se ne sarebbe lamentato, anche perché avrebbe fatto il gioco di Stryker.
Stryker, il cui vero nome era Donald, era uno dei lupi più grossi del branco. Purtroppo, la natura si era dimenticata di dotarlo di un cervello sufficientemente grande ed il risultato lo aveva portato ad essere una sorta di cavernicolo dei licantropi.
Quasi tutti i membri del branco lo deridevano, ovviamente quando lui era abbastanza lontano per non udirli. Erano dei codardi, la maggior parte almeno.
  Uno dei pochi licantropi con un po’ di sale in zucca era Alastair, Beta del branco. Era un uomo dall’aspetto burbero, ma inaspettatamente posato. Si dilettava di medicina ed era un asso nel tiro con l’arco.
Ma la cosa che gli riusciva meglio era tener a freno il suo Alfa.
Tentativo che aveva fatto anche in quel caso, provando ad impedire la sua incarcerazione. Ma lui sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto dissuadere Dearan dai suoi piani di conquista del potere. Era un uomo avido, che aveva dimenticato come amare il prossimo e la propria famiglia. I suoi occhi non vedevano nulla che non fossero territori da conquistare e ricchezze da accumulare.
Ma c’era stati tempi diversi… felici.
Quel periodo della sua vita era ormai perduto, seppellito assieme a sua madre.
Un rumore di passi lo distolse dalle sue elucubrazioni. Alzò il capo con misurata lentezza, conscio di chi stesse per mostrarsi al suo cospetto.
Percepì alcuni topi zampettare spaventati dentro le proprie tane e subito dopo la luce delle torce delineò il suo profilo deciso.
Digrignò i denti, sentendo un immediato moto di repulsione per quell’uomo.
-Vedo che sei sveglio.- gli disse.
-Avrei dovuto essere morto, secondo i tuoi calcoli?- replicò, astioso.
Dearan gli si avvicinò, entrando completamente nel cono luminoso. –Morto? No. Tu mi servi.- si accosciò per poterlo guardare direttamente negli occhi.
-Ti ho già detto che non acconsentirò mai.
-Ma tu non devi acconsentire… mi basterà lasciar fare al tempo. E all’acqua.- un ghigno distorse i suoi lineamenti.
Suo figlio si fece scuro in volto, stringendo le mani a pugno. –Lasciami pure qui dentro. Non lo farò mai.- sibilò.
Sentiva il sangue pompargli nelle vene, alimentato dalla rabbia che provava in quel momento. Se solo avesse potuto gli avrebbe staccato la testa a morsi. L’ultimo briciolo di amore filiale rimastogli se n’era andato con quell’ultima geniale pensata.
-Tu la sposerai. E il giorno del matrimonio sorriderai.- e detto questo l’Alfa del branco si allontanò, svanendo tra le ombre delle prigioni.
L’ultima cosa che sentì fu la risata aspra e derisoria di Stryker.


***

  Riemerse dal sonno con un singulto.
Spaesato, lasciò vagare lo sguardo nell’ambiente circostante. Le bianche pareti erano tappezzate di specchi e foto in bianco e nero.
Nessuna di loro lo ritraeva.
“Ancora quel maledetto ricordo.”, si passò le mani sul viso, leggermente sudato. Il suo rancore era tale che riviveva il periodo della sua incarcerazione quasi tutte le notti.
Si mise lentamente a sedere, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Inspirò a fondo e percepì, nell’aria, i residui di un temporale: probabilmente era stato quello a riportare la sua mente indietro.
Nonostante mancasse ancora un’ora all’alba, poteva sentire i passi di alcuni amanti del fitness, già pronti per la loro corsa quotidiana.
  Arricciò leggermente il labbro, infastidito da tutta quella vitalità. Si supponeva che a quell’ora uno come lui stesse dormendo.
Profondamente.
Soprattutto considerato che la riunione della sera precedente era finita alle tre di notte. E con una bella scazzottata.
Era intervenuto solo per evitare che il branco perdesse altri due membri. Durante la feroce disputa nata col clan Campbell, avevano dovuto seppellire venti promettenti giovani lupi.
Tutto per colpa dell’avidità di suo padre.
“E’ sempre colpa della sua avidità.”, pensò, digrignando i denti. Ormai non interagiva più col suo Alfa, a meno che non gli venisse richiesto di combattere come suo campione.
Aveva deciso di lasciarsi scivolare tutto addosso, come se fosse un robot. All’uomo che si considerava suo padre non interessava nulla di quello che pensava o provava, quindi aveva smesso di manifestare qualsiasi emozione.
  Lo stesso poteva dirsi della sua vita matrimoniale.
Era stato costretto, quasi centocinquant’anni prima, a prendere moglie. Se fosse stato un lupo senza cervello ne sarebbe stato contento: cosa c’era di meglio dell’avere una donna con cui sollazzarsi ogni sera?
Il problema era che lui ragionava ed aveva una sua opinione. E anche dei gusti personali, come se non bastasse.
Ma ancora una volta, a Dearan tutto quello non era importato e, dopo quasi tre mesi di prigionia, l’aveva fatto convolare a nozze con la figlia dell’Alfa del branco di Forbes.
  Il motivo?
Riprendersi i loro vecchi territori e stipulare un’alleanza forte e duratura. Strano come ci fosse il potere di mezzo, ancora una volta.
Disgustato al solo pensiero dell’espressione soddisfatta che gli aveva visto sul viso, si alzò. Il suo movimento destò la sua compagna, fino a poco prima placidamente addormentata.
-Mhm… Evan, cosa succede…?- mugolò, tastando il materasso alla cieca.
Si voltò a guardarla e disse:-Dormi, Crystal. È ancora presto.
Lei aprì gli occhi e nascose uno sbadiglio con la mano. –Anche per te. Cosa stavi facendo?- chiese, guardandosi attorno.
-Nulla.
Sollevò platealmente un sopracciglio curato. –Allora torna qui. Ho in mente qualcosa di divertente per tenerci occupati.- sussurrò, lasciva.
Evan non protestò né si tirò indietro. Semplicemente scivolò nuovamente sotto le lenzuola e le chiuse la bocca con la propria.
  Per lui, però, quell’atto non nascondeva nessun tipo di sentimento. Stava semplicemente soddisfacendo un bisogno fisico.
Non amava Crystal e mai l’avrebbe fatto, neanche dopo cinquecento anni insieme. Lei non era la donna a cui era destinato il suo cuore. Non sapeva chi fosse né se esistesse, ma in ogni caso aveva smesso di cercarla molto tempo fa.


  Il rumore era assordante.
Ed era quasi certo provenisse dal giardino antistante la villa.
Ringhiando infastidito si tirò su dal letto e si gettò addosso le prime cose che trovò. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra per controllare che ora fosse e poi marciò fuori dalla stanza.
  Percorse le sei rampe di scale che lo separavano dal pian terreno e, una volta arrivato, trovò David intento a parlottare tra sé.
Era un uomo dalla stazza notevole, anche se non era pieno di muscoli come un sollevatore di pesi. Vederlo torturarsi nell’indecisione era sempre divertente.
-Dave, cosa succede?- chiese, passandosi una mano tra i capelli e riservando un’occhiata preoccupata alla grande porta a vetri che dava all’esterno.
Vedeva numerose sagome e percepiva un’infinità di odori diversi appena oltre la soglia. Prima che l’amico potesse rispondere aggrottò le sopracciglia e chiese:-La stampa?
L’altro annuì, sospirando. –Vogliono intervistare l’Alfa del clan MacGregor.- spiegò, suonando abbastanza infastidito.
-L’Alfa ufficiale o quello degli eventi mondani?- domandò ancora.
La sera precedente avevano discusso proprio del loro arrivo a New York. Alcuni membri del clan erano abbastanza conosciuti e la potenza del branco aveva avuto una certa risonanza anche fuori dalla Scozia. La parola d’ordine doveva essere discrezione, ma qualche testa calda aveva pensato bene di protestare.
-Ah, non lo so. Ma non credo faccia molta differenza, per loro.- David scrollò le spalle, riportandolo al presente. Dal tono noncurante, Evan capì che doveva essere in piedi da un pezzo. Considerato il lavoro che faceva, tendeva a star sveglio per giorni interi e poi si faceva lunghe dormite, durante le quali nessuno avrebbe dovuto svegliarlo.
  Una volta uno dei lupi più giovani l’aveva disturbato in pieno giorno e lui gli aveva rotto una clavicola, mandandolo a sbattere contro il muro. A parte quei piccoli scatti violenti, David era un licantropo estremamente gentile ed estroverso.
-Vuoi che vada a chiamare il grande capo? Alst è fuori: sta cercando di tenerli a bada.- la voce del compare lo distolse nuovamente dalle sue considerazioni.
-Come ti pare. Non è affar mio.
Dave fece per protestare quando la voce di Dearan li interruppe. –Lasciate che me ne occupi io.- sentenziò.
Doveva essersi appena svegliato, considerata la sua nudità.
Quando si mosse per raggiungere la porta, David gli si parò davanti. –Mo Maighstir*, intendi presentarti così?- chiese, squadrandolo da capo a piedi. Come sempre aveva usato l’onorifico destinato al capo del branco.
L’Alfa gli dedicò un’occhiata penetrante, prima di superarlo e aprire la porta. -Sono qui per avere qualcosa di cui scrivere. E io glielo sto dando.- ghignò, prima di uscire.
Non appena ebbe messo piede fuori la folla si scatenò. Iniziarono i flash, le domande fioccarono come neve, perdendosi in quella babele di voci. Alastair avrebbe avuto il suo bel daffare, poco ma sicuro.
-Perché si comporta così?- chiese il moro, scuotendo la testa.
-Perché lui ama essere al centro dell’attenzione. Il suo egocentrismo è pari a quello delle divinità greche.- commentò con voce incolore Evan. Un altro dei tanti motivi per cui odiava suo padre era perché amava essere un esibizionista. –Torno al piano di sopra. Tra meno di due ore inizio il servizio.
-Mi raccomando, cattura i cattivi, capitano MacGregor.- lo prese in giro David.
Evan gli concesse una smorfia (la cosa più vicina ad un sorriso che mostrasse agli altri) e poi si dileguò.


*Il termine significa "mio signore" nella lingua gaelica.





Piacere di conoscervi, sono Lelaiah :)
Questa è la mia prima storia nel fandom e devo ammettere che è un progetto sperimentale, mooolto work in progress. L'idea è nata dalla mia passione per la cultura celtica e da un inaspettato amore per i licantropi, subentrato a quello per i vampiri (probabilmente grazie alla serie di Alexia Tarabotti).
La figura del licantropo a cui ho dato vita non è esattamente quella canonica, dato che ho incrociato diverse informazioni: scordatevi l'imprinting e trasformazioni lampo alla Twilight (anche perchè quelli sono mutaforma e non licantropi) e focalizzatevi di più sull'immagine dell'uomo lupo dei vecchi film.
La sfida più grande, per me, sarà far muovere i personaggi in un mondo che è venuto a conoscenza del soprannaturale e farli rimanere fedeli ai loro background storici.
Mi auguro di riuscire a portare avanti questo lavoro e di regalare ore di piacevole lettura a chi decidesse di seguire l'evoluzione di questa storia :)
Qualsiasi sia la vostra decisione, dopo la lettura di questo prologo e di queste poche righe, benvenuti nella New York dei licantropi :D

P.S.: Gli aggiornamenti avverranno, indicativamente, ogni settimana. Ispirazione ed università permettendo.



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Capitolo 2
*** Cap. 1 Same city, different worlds ***


Cap. 1 Same city, different worlds
Eccomi qui, come promesso :)
In questo capitolo iniziamo a conoscere un po' le vite di Evan e Amanda e delle persone che stanno loro attorno. Ho cercato di fare ricerche il più approfondite possibile su New York (ovviamente nei limiti consentiti da internet XD), ma se dovessi scrivere castronerie ditemelo pure :)
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ringraziare chi ha deciso di preferire/seguire e ricordare: a quanto pare il prologo era più intrigante di quello che pensassi! Grazie mille!

Bene, ora vi lascio, buona lettura! :)





Cap. 1 Same city, different worlds


-Greg, ti odio. Sul serio.- quasi ringhiò al telefono.
La voce dall’altra parte rise. –Andiamo, Mandy. Volevo salutarti, dato che non ci siamo visti.
Amanda sospirò, scuotendo la testa e cercando al contempo di infilarsi le collant.
-E come mai non c’eri?- gli chiese. Sapeva benissimo la risposta, ma voleva sentirglielo dire.
Per la milionesima volta.
-Lo sai perché…- l’uomo si azzittì per aumentare la suspense. -… perché è nato il mio secondogenito!!- rischiò di trapanarle il timpano destro con quell’urlo.
Ridendo divertita, recuperò le scarpe e si sedette sul letto per indossarle. –A quanto mi par di capire sei molto orgoglioso della cosa.- lo punzecchiò.
-Certo.- si stimò lui.
La giovane si concesse un sorriso, ripensando alla foto che le aveva mandato Gregory. Era diventata zia di uno stupendo scricciolo di tre chili e mezzo, con le guance più tonde che avesse mai visto e la boccuccia sempre aperta in una smorfia.
Era fantastico e suo fratello aveva tutti i motivi del mondo per essere al settimo cielo.
-Sarai un papà stupendo. Ma già lo sai, no? Reese è una bambina adorabile.- raggiunse la cucina e versò la sua dose di caffeina nel latte. Bere caffè nero di prima mattina l’avrebbe resa nervosa come solo un ascensore poteva farla diventare.
Quindi era meglio evitare: ne andava dell’incolumità fisica e psicologica delle sue clienti.
  E di sua sorella.
A quel proposito alzò gli occhi al soffitto, tentando di captare alcuni rumori, ma non percepì nulla. Brutto segnale.
-Greg, ora dovrei andare. Devo svegliare Fran ed evitare di arrivare in ritardo al lavoro.- lo interruppe bruscamente mentre elencava le doti della sua primogenita.
-Non si è ancora svegliata?- chiese, stupito.
-Sai com’è. Tirarla fuori dal letto, alla mattina, era sempre una lotta. Quando mamma ha capito che il mio metodo era più efficace del suo, mi ha passato la palla.- disse, ingollando la sua colazione in quattro e quattr’otto.
Sperò vivamente non le tornasse su durante il tragitto.
Solitamente mangiava sempre con calma, ma quel giorno Gregory aveva stravolto la sua routine mattutina.
Lo sentì ridacchiare. –Usi ancora quel metodo?
-Quale, quello della secchiata d’acqua? No, troppo dispendioso. Mi sono modernizzata.- rispose. Appoggiò la tazza nel lavello ed addentò l’ultimo biscotto, prima di andare in bagno per finire di sistemarsi i capelli. –Greg, devo veramente andare, ora. Mi dispiace.- si scusò, mentre terminava di intrecciare i lunghi capelli neri.
-Ho capito, tranquilla. Buona giornata, sorellina. E vedi di vendere tanti abiti, d’accordo?- la salutò.
-Sarà fatto. Ciao Greg!
Una volta conclusa la conversazione, schizzò fuori dal bagno per indossare la leggera giacca chiara comprata apposta per il lavoro. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e, appurata la presenza del sole, inforcò gli occhiali.
Gettò il cellulare nella borsa capiente assieme al portafogli ed alle chiavi e uscì. Una volta chiusa la porta con due mandate, mandò un messaggio a sua sorella.
  Sapeva che quello avrebbe innescato la fastidiosa sveglia che le aveva impostato e che, quasi sicuramente, l’avrebbe buttata giù dal letto.
Non attese di sentire le urla di protesta di Frances e s’incamminò lungo le scale.

  Fortunatamente riuscì a prendere la metropolitana che partiva da Broadway e serviva tutta la zona delle università, compreso il campus della Columbia, dove lei stessa si era laureata.
Come tutte le mattine cercò di trovare un angolino libero in cui potesse respirare, ma fu difficile. I teenagers avevano ripreso le lezioni proprio in quei giorni e non avevano ancora orari prestabiliti, motivo per cui ce n’erano in abbondanza anche sulla corsa delle nove e tre quarti.
Tentò di farsi largo tra due persone, chiedendo permesso con fare non molto deciso.
“Odio la metro!”, pensò una volta riuscita a passare. Si riassestò la giacca ed afferrò il palo di sostegno, concentrandosi su quello che vedeva oltre i finestrini.
Non che le gallerie di cemento che correvano sotto New York fossero interessanti, ma l’aiutavano a distrarsi. Ritrovarsi in spazi piccoli ed affollati non era un granché per una persona che soffriva di claustrofobia sin da piccola.
  Per la fretta aveva dimenticato l’ipod in camera e si era data della cretina per tutto il tragitto da casa alla fermata.
Sbuffando lanciò un’occhiata alle persone attorno a lei e poi al tabellone. Mancavano ancora dieci fermate alla sua meta.
“Un fantastico rientro dalle vacanze, non c’è che dire.”, si disse, appoggiando la fronte contro il freddo acciaio del suo sostegno.
Sperò con tutto il cuore che il lavoro non le volesse riservare altre piacevoli sorprese.


  Per poco non sbriciolò il cellulare che reggeva tra le mani.
David gli aveva appena scritto di quello che era successo dopo che lui se n’era andato per raggiugere il suo nuovo posto di lavoro.
Suo padre aveva fatto la sua comparsa davanti ai media senza degnarsi di coprirsi e la cosa aveva alquanto sconvolto i giornalisti.
  Nonostante la società soprannaturale fosse ormai cosa nota agli umani, questi non erano abituati ai loro comportamenti. E per quanto potessero apprezzare un corpo nudo, per loro risultava comunque strano vederlo esibito con tanta naturalezza.
Per i licantropi era una cosa assolutamente normale, ma sarebbe stato difficile spiegare il perché senza passare per maniaci.
  Come se non bastasse, Dearan aveva fatto il gradasso come suo solito, vantandosi della forza del suo branco. Quello sfoggio di potere sulla pubblica piazza autorizzava gli altri clan a sfidarlo, in modo da stabilire la verità di quanto affermato.
Sarebbe stata una buona notizia, almeno per lui, se solo New York non avesse avuto un sistema di potere totalmente diverso da quello che c’era in Scozia.
Lì i clan non avevano più di cent’anni e si erano costruiti regole di comportamento diverse da quelle dei loro predecessori europei.
Non vigevano quasi mai le successioni patriarcali, ma gli Alfa erano nominati a furor di popolo. Inoltre, i branchi potevano essere formati dagli individui più disparati, senza nessuna esclusione.
  L’unica cosa certa era che non c’erano vampiri.
L’odio tra le due razze era insito nel sangue di entrambe e non sarebbero mai riusciti a combatterlo. Nemmeno volendo.
-Di' ad Alastair di tenere a bada mio padre. Cerchiamo di sopravvivere almeno una settimana nella nostra nuova casa.- scrisse in risposta al messaggio dell’amico.
-Ci proverò, ma non assicuro niente.- fu tutto ciò che riuscì a promettergli Dave.
Sospirò, tentando di calmarsi.
Sperò vivamente che la giornata non finisse peggio di com’era iniziata.
  Quella che aveva davanti avrebbe dovuto essere una delle migliori squadre della sezione speciale dell’ESU di New York, ossia l’Emergency Service Unit.
Era stata creata quando un poliziotto, Richard Rogers, aveva neutralizzato da solo una squadra di spacciatori asserragliati nel loro bunker. Nessuno era riuscito spiegarsi la dinamica dei fatti, fino a quando egli stesso aveva rivelato la propria natura di licantropo, tenuta nascosta per non compromettere la fiducia che aveva instaurato con gli altri membri della squadra.
  Da allora Rogers era a capo dell’Emergency Service Unit For Dangerous Matters, ribattezzata ESUDM. Grazie alla sua disponibilità erano state create cinque squadre, composte da una decina di elementi ciascuna.
E dieci di quei cinquanta elementi ora si trovavano proprio davanti ad Evan.
-Signori, questo è il capitano Evan MacGregor. Da oggi in poi sarà al comando della squadra.- venne presentato dallo stesso Rogers, che si occupava personalmente di introdurre i nuovi membri.
Ci fu qualche mormorio e qualche saluto, a cui il licantropo rispose con un rigido cenno del capo. Sapeva che non era colpa loro se suo padre era un perfetto idiota, ma sorridere sarebbe stato proprio da ipocriti, in quel momento.
-MacGregor, ti lascio a far conoscenza con i tuoi nuovi lupacchiotti.- il comandante gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Lo seguì con gli occhi per qualche istante, mandando a memoria il suo odore animale. Era sempre bene riconoscere un lupo col naso, prima di trovarselo davanti. Se si arrivava al contatto visivo e quello che ti trovavi di fronte era un nemico, allora eri spacciato.
-Allora…- lentamente si voltò verso i suoi sottoposti. –Siete quattro licantropi e sei umani. Nessun vampiro, vero?
Una donna dai folti ricci neri si schiarì la gola. -C’è solo un vampiro che lavora nel distretto. E non è un membro attivo, funge più da informatore.- lo informò. Annuì lentamente.
“Niente succhiasangue. Almeno questa mi è stata risparmiata.”, pensò sollevato. –Grazie, tenente.- disse. –Di che branco fate parte?
-Di uno abbastanza vecchio da non voler grane.- fu la risposta. I due si scrutarono per qualche istante, saggiando le rispettive auree. –Capitano.- lei fu la prima ad abbassare gli occhi, facendo un lieve cenno del capo.
Riconosceva la sua autorità in quanto lupo.
Fece per risvolgersi al marcantonio al suo fianco quando l’aria attorno crepitò. Con la coda dell’occhio colse il cambiamento negli occhi di uno dei poliziotti, prima che questo snudasse le zanne e gli si avventasse contro.
-Io non riconosco la tua autorità!- ringhiò.
Riuscì ad attutire il colpo trasformando in parte le proprie mani, ma non ad evitare la scrivania alle loro spalle. I due ci finirono esattamente sopra, distruggendola.
Rotolò sulla schiena, allontanando il licantropo con un calcio piazzato poco sotto la cavità toracica. Quello ruzzolò per qualche metro, ma poi si rialzò, facendo perno su mani e piedi.
A giudicare dalla sua forza non faceva parte della triade a capo del branco, ma non era nemmeno un semplice lupo.
Un Pretendente, quasi sicuramente al ruolo di Gamma.
-Osi sfidarmi?- chiese con voce metallica. L’adrenalina gli scorreva in corpo, ampliando al massimo i suoi sensi e distorcendo il suo timbro vocale.
-Sì.
Scattarono entrambi in avanti e si scontrarono a mezz’aria. L’urto fu talmente violento che fece vibrare tutti i vetri presenti nella centrale.
Quando toccarono terra, Evan aveva una mano artigliata premuta sul petto del suo avversario ed i canini leggermente allungati.
-Riconosci la mia autorità, ora?- gli chiese, soffiandogli sul viso.
Quello restò immobile, supino. Se fosse stato in versione animale gli avrebbe mostrato il ventre come segno di sottomissione.
-Bene.- lo lasciò andare, raddrizzandosi e dandosi una sistemata. –Altre domande?- chiese, guardandosi intorno.
Quasi tutti i poliziotti presenti si erano fermati ad osservare lo scontro, ad esclusione di Rogers e qualche veterano.
-Lo scusi per il suo comportamento: Eric tende ad essere un po’ stupido, a volte.- la lupa di poco prima si fece avanti, dando uno scappellotto sulla nuca al giovane licantropo che l’aveva appena sfidato.
Quella confidenza gli suonò sospetta. –Fate parte dello stesso branco?
-No, ma lavoriamo insieme da due anni, ormai. Lo conosco.- rispose lei, impedendo all’altro di ribattere.
-D’accordo, tenente… Simmons. Lei avrà il compito speciale di sorvegliarlo, almeno fino a quando non gli entrerà un po’ di sale in zucca.- disse. Nel vedere l’espressione di Eric non poté impedirsi di sogghignare, soddisfatto del proprio operato.
-Come vuole, capitano.- fu la risposta dopo un attimo di confusione.
-Non ho bisogno di una balia!- si schermì il giovane poliziotto.
Evan lo freddò con un’occhiata dei suoi strani ed inquietanti occhi. Andavano dal grigio al blu, fino a virare verso il color ametista.  –Ma solo di un po’ di disciplina. Impara a valutare meglio il tuo avversario, prima di attaccarlo.
L’acceso rossore sulle guance del suo interlocutore gli fece capire di aver esagerato. Fece per ritrattare le proprie parole, ma si limitò ad addolcire leggermente il tono ed aggiungere:-E’ una regola fondamentale nel nostro mondo. Ti salverà la vita, in futuro.
-S-sì, capitano.- il mormorio fu così flebile che pensò di esserselo immaginato.
-Rimettiamo a posto questo macello. Poi potremo finire di far conoscenza.- si chinò in avanti ed afferrò alcuni pezzi di legno.
Dopo un attimo d’esitazione, il giovane Pretendente si fece avanti ed iniziò ad aiutarlo con solerzia.
Evan dovette trattenere un sorrisetto, orgoglioso della propria azione intimidatoria.


  Per essere il primo giorno lavorativo dopo le sue due settimane di riposo, stava andando peggio del previsto.
Lavorava da Kleinfeld da due anni e ormai aveva l’esperienza necessaria per destreggiarsi tra la moltitudine di abiti che custodiva il negozio.
  Questo, però, non autorizzava le sue superiori a passarle tutte le clienti più schizzate.
Dovendo trattare con donne in procinto di sposarsi, era importante saper mantenere i nervi saldi ed il sorriso sempre stampato sulla faccia. Non che Amanda fosse una persona impaziente, ma cavoli, a tutto c’era un limite!
All’inizio della mattinata aveva dovuto seguire una sposa che aveva appena scoperto di essere incinta e quindi cercava un abito che non la facesse sembrare una balenottera spiaggiata il giorno delle nozze. Poi c’era stata la regina dell’indecisione e, dopo pranzo, quella con solo due settimane di tempo per comprare il proprio vestito.
  Ed ora c’era lei: la sposa con l’amico omosessuale. A peggiorare le cose il fatto che fosse uno stilista abbastanza affermato e che quindi se ne intendesse di moda.
Per quanto fosse pacifista fin nel midollo, avrebbe volentieri preso ago e filo per cucirgli la bocca. Non aveva smesso di parlare da quando aveva visto la prima proposta e le aveva fatto venire un mal di testa coi fiocchi.
Esistevano due cose in grado di farla diventare intrattabile: gli attacchi di panico dovuti alla claustrofobia ed i mal di testa.
“Rimani concentrata, è solo un cliente. Se ne andrà e non lo vedrai più.”, si disse, cercando di trattenersi. Detestava imbottirsi di medicine e non aveva nessun rimedio omeopatico a portata di mano, quindi avrebbe dovuto sopportare.
-Che ne pensi?- la voce della sposa, Jade, la strappò ai suoi pensieri.
Rialzò gli occhi per capire se la ragazza si stesse rivolgendo a lei o a Brody, il suo accompagnatore.
Quando capì che la domanda era rivolta a lei, raddrizzò le spalle e fissò il riflesso della sua cliente allo specchio. –Be’… questo colore non si sposa benissimo con la tua carnagione. Preferisco il secondo che hai provato.- riuscì a sfoggiare un sorriso cortese.
-Mhmm… tu credi? Brody?- la sua interlocutrice si voltò di tre quarti, rimirandosi sulla superficie riflettente.
-Ti allarga i fianchi.- fu diretto in modo disarmante.
La bocca di Jade cadde verso il basso in un’espressione di totale shock. Subito rimpiazzato da sdegno. Raccolse le gonne, impettita e si riavviò in camerino.
Amanda roteò gli occhi senza farsi notare e la seguì, chiudendosi la porta alle spalle. –Tu cosa ne pensi?- chiese.
-Che è uno stronzo!- sbottò quella.
“Permalosa, la ragazza.”, pensò, trattenendosi dal commentare ad alta voce. –Non mi sembrate molto in sintonia.- dovette osservare.
Al che la sua sposa le lanciò un’occhiata spaventata, a cui lei non seppe dare spiegazione, e poi si lisciò le pieghe del corpetto. Preferì non indagare, lasciandole un po’ di spazio.
Si stava occupando di risistemare alcuni vestiti dentro le proprie custodie quando sentì un singhiozzo. Si voltò, perplessa e domandò:-Jade, tutto ok?
La giovane scosse la testa, tentando di frenare il flusso di lacrime. Mandy allungò una mano dietro di sé e le porse la scatola di fazzolettini presente in ogni camerino. Le lacrime erano all’ordine del giorno, in quel posto.
-Io… io non so se posso sposarmi…- farfugliò.
La donna si accigliò. –Come? Perché non riesci a trovare l’abito? Ma vedrai che…
-No, non è per l’abito!- la interruppe. –E’ per Brody!
-Per Brody?- ripetè, ancora più confusa. Era andata in crisi solo per la bocciatura dell’abito?
Le si avvicinò, tentando di stabilire un contatto visivo, ma la ragazza rifuggiva il suo sguardo. Le parve di vederle le guance rosse, ma pensò fosse dovuto allo sfogo. –Non posso aiutarti se non mi dici che sta succedendo…- mormorò, tentando di rassicurarla.
Le aveva fatto scoppiare il mal di testa, ma non voleva vederla in quello stato. Non quando stava cercando l’abito per il suo giorno più bello.
Inaspettatamente Jade le gettò le braccia al collo e l’abbracciò stretta, rischiando quasi di soffocarla. Amanda ricambiò in ritardo, vistosamente a disagio.
  Le ci voleva molto tempo per raggiungere un grado di confidenza tale per farsi abbracciare in modo così sentito da qualcuno. Era estremamente riservata con chi non conosceva e questo la portava ad essere un po’ schiva.
-Sono andata a letto con Brody.- finalmente ecco svelata la verità.
-Be’, ma lui è omosessuale, quindi non vedo dove sia il problema. Cioè, c’è un problema, ma si può risolvere, no?- le disse. “Un tradimento. Questo mi mancava, oggi.”, pensò.
Scuotendo nuovamente la chioma bruna la sposa sciolse l’abbraccio, la guardò negli occhi e sussurrò:-Lui non è gay.
“Ops.”, fu l’unica cosa che riuscì a pensare. –Forse è il caso che vi lasci qualche minuto per parlare, d’accordo?- le propose.
L’altra annuì, asciugando gli ultimi residui di pianto dalle guance.
Amanda aprì la porta ed invitò Brody ad entrare al posto suo. Gli fece un sorriso d’incoraggiamento e poi si allontanò.
Raggiunse il salone, approfittando di quella inaspettata pausa per cercare di riprendersi dall’emicrania.
-Ehi, Amanda, che fai qui fuori? Hai già venduto?
Smise di massaggiarsi le tempie ed alzò lo sguardo, incontrando il viso sorridente di Vivian. –Oh, Vi, ciao.- le sorrise brevemente. –No, sono in pausa.
-Crisi da cartellino?- tirò ad indovinare.
Scosse la testa: il prezzo dell’abito non c’entrava. –Peggio.
-Oddio, cioè?- le si avvicinò, curiosa oltre ogni dire.
Con fare cospiratorio si sporse verso di lei e sussurrò:-Non posso dirtelo.
Al che Vivian mise il broncio ed incrociò le braccia al petto, mostrandole il proprio disappunto. Sapeva quanto fosse pettegola e non le andava di rivelare a tutto lo staff che sua sposa aveva un problema di fedeltà.
-Rispetto la sua privacy. Dovresti farlo anche tu.- la riprese.
-Ah, sempre la stessa storia! Sei troppo bacchettona!- brontolò, allontanandosi. Vivian era una ragazza molto simpatica, ma era veramente troppo curiosa. Non avrebbe mai rischiato di ubriacarsi con lei nei paraggi, chissà cosa avrebbe potuto scoprire.
Attese qualche altro minuto, sperando che la situazione si fosse risolta, poi si avviò verso il proprio camerino. Stava per abbassare la maniglia quando avvertì dei rumori sospetti provenire dal suo interno.
Si bloccò con la mano a mezz’aria, per poi arrossire subito dopo ed allontanarsi con uno scatto.
“Oddio!”, pensò distogliendo lo sguardo.
-Mandy… che succede?- si sentì chiedere all’improvviso. Sobbalzò, per poi voltarsi.
-Gabrielle, mi hai spaventata!- esclamò.
-Ho visto.- ridacchiò la nuova arrivata. Poi si focalizzò sulla porta. –Problemi?
Al che Amanda non poté fare a meno di arrossire. –Ehm…
Gabrielle si avvicinò con piglio deciso e, dopo un breve ascolto, spalancò di colpo la porta, cogliendo i due sul fatto. –Signori, vorrei ricordarvi che questo è un negozio d’abiti da sposa, non un hotel. Vi prego di uscire, risolvere i vostri problemi e, una volta fatto, fissare un nuovo appuntamento.
Riuscì a dire il tutto rimanendo seria e mostrando il suo miglior sorriso professionale. Chiunque si sarebbe accorto della velata minaccia nascosta nelle sue parole e, a quanto pare, sembrò capirlo anche la coppia, che si rivestì in fretta e si affrettò ad andarsene.
-Da non credere.- sbuffò, passandosi una mano tra i capelli castano chiaro, dal taglio scalato.
-Grazie.
La donna si voltò verso l’amica. –Figurati. Ma dovresti avere un po’ più polso…- le fece notare.
-E piombare in camerino per interrompere due che stanno copulando?! Forse con una crisi di panico e due emicranie in atto!- replicò, scoppiando a ridere subito dopo.
-Già, non sei il tipo.- Gabrielle si aggregò.
Risero per un altro po’, poi si diedero un contegno e riassunsero un’aria professionale. Amanda si sistemò l’orlo della camicetta e poi disse:-Chi mi aspetta ora?
-La signorina Parker.- fu la risposta. Gabbie era una direttrice vendite formidabile, sempre organizzata. E una delle persone che la conoscessero meglio al mondo, dopo i suoi fratelli.
-D’accordo, vado ad accoglierla.- sorrise.
-Meglio, perché mi sembrava un po’ impaziente.- commentò.
Mandy sospirò. –Tutte a me le pazze, oggi, eh?
 

  Stava finalmente tornando a casa dopo il primo, stressante giorno di lavoro quando il cellulare vibrò nella tasca dei suoi pantaloni.
Lo ignorò e raggiunse la sua moto nera come la notte. Fece scorrere gli occhi sulla carrozzeria per accertarsi che nessun lupo avesse lasciato la propria marcatura e poi gettò una gamba oltre la sella, accomodandosi poco dopo.
  Si sistemò in modo da aver la moto ben salda tra le cosce e finalmente estrasse il cellulare.   David l’aveva convinto a modernizzarsi, dato che doveva rimanere al passo coi tempi ed essere un lupo moderno.
Di qui il motivo per cui ora si ritrovava a strisciare il pollice per sbloccare lo smarthphone e leggere quel benedettissimo messaggio.
Fece scorrere rapidamente gli occhi su quelle poche parole. Rimase a fissare lo schermo interdetto e le rilesse nuovamente.
“Che significa abbiamo due grossi problemi?”, si chiese, accigliato. Cioè, c’era quasi sempre qualcosa da sistemare all’interno del branco, ma nulla che portasse Dave a mandargli un messaggio del genere, ripetuto per ben quattro volte.
Premette il tasto di chiamata ed attese che l’amico rispondesse.
-Alla buon’ora!- brontolò quello.
-David, che succede?- chiese, andando dritto al sodo.
-Brutta giornata?
-Che succede?- ripetè nuovamente, mantenendo la voce ferma. Non gli piaceva ripetersi né girare attorno alle cose.
Lo sentì sbuffare. –Non hai letto giornali o guardato i notiziari locali, vero?- gli domandò per contro.
Si accigliò ancora di più. –No. Ma se si tratta di mio padre posso immaginare cosa ne sia venuto fuori.- disse. Non si sarebbe scomposto, dato che non era la prima bravata del suo caro genitore.
-Anche.- rispose dopo un’esitazione Dave.
-La smetti di girarci attorno?!- finì per sbottare. Se era vero che l’apatia era l’unico sentimento che mostrava al padre (e la maggior parte delle volte anche nella vita matrimoniale), era altrettanto vero che David era l’unico in grado di tirargli fuori una qualche emozione. E tra quelle c’era l’impazienza.
E dire che non era mai stato una persona impaziente… ok, forse non lo era per certe cose, ma per altre decisamente sì.
-Va bene, va bene! Che caratteraccio che ti ritrovi.- sbuffò, infastidito. –Abbiamo già cinque lettere di sfida da parte dei branchi della Grande Mela.- rivelò.
Evan prese la notizia con filosofia. –Avevo giusto bisogno di sgranchirmi un po’.
-Se non ti conoscessi direi che questa era una frase da spaccone. Il problema è che è la pura verità.- replicò il suo interlocutore.
-Hai altro da dirmi?
-Sì.- disse solo.
-Devo tirarti fuori le parole di bocca?- lo minacciò.
Lo sentì sospirare. –Sono sicuro che la notizia non ti piacerà per niente.- ammise, titubante. Non capiva perché doveva esser sempre lui il latore di brutte notizie. Ah, sì, giusto: era l’unico che Evan non avrebbe sbranato.
-David Rockbell, per favore. Ho veramente bisogno di una doccia calda per non tornare da uno dei miei sottoposti e prenderlo a pugni.- lo pregò, massaggiandosi le tempie. A fine giornata il vero piantagrane del suo nuovo gruppo di lavoro non si era rivelato Eric, ma lo spocchioso Marcus, un licantropo grande quanto un armadio e con un marcato accento canadese.
-D’accordo. Dopo mi racconterai, eh!- disse, tentando di blandirlo. All’ennesimo incitamento decise di sganciare la bomba. –Crystal ha fatto un annuncio ufficiale.
-Riguarda una delle sue sfilate?- domandò, non capendo dove fosse il problema. Conosceva bene le manie di protagonismo della moglie, nulla di nuovo.
-No. Riguarda il rinnovo delle promesse matrimoniali… con un grande secondo matrimonio, fatto per i media.- la sua voce andò scemando man mano che gli rivelava i particolari. Alla fine si ritrovò muto, in attento ascolto.
Poteva sentire il respiro di Evan, bloccato da qualche parte all’altezza del petto.
-Capisco.
E dopo quello la conversazione venne interrotta.
David si mise le mani nei capelli, temendo che l’amico sarebbe arrivato a casa come un tornado e avrebbe fatto saltare alcune teste.

-Ben tornato, amore.
Evan le lanciò un’occhiataccia in grado di incenerire all’istante qualsiasi cosa potesse essere considerata suscettibile di combustione. –Cosa significa?
-Cosa?- chiese lei, facendo la finta tonta.
Approdati nell’era moderna, Crystal aveva ben presto capito che fingere di rientrare nel cliché della “modella bionda e stupida” le sarebbe stato utilissimo, soprattutto nel mondo del lavoro. In verità sapeva come usare il cervello ed era anche parecchio calcolatrice, il tutto grazie ai preziosi insegnamenti di papà Forbes.
Essere figli di licantropi ti toglieva l’innocenza, poco ma sicuro.
-Crystal, non tirare la corda. Perché quell’annuncio?- le chiese. Il più delle volte le lasciava fare quello che voleva, compreso portarselo in giro ai party e mostrarlo al mondo come fosse un trofeo. Ma se c’era una cosa che lo mandava fuori di testa era sapere che le persone avevano agito alle sue spalle.
Per un tradimento del genere valeva la pena di rispolverare un po’ il vecchio e aggressivo Evan.
Lei allora si alzò, scavallando le lunghe gambe e si ravviò i capelli con noncuranza. –Andiamo, cosa vuoi che sia?- brontolò.
-A parte un’invasione della privacy?- domandò, suonando gelidamente ironico.
-Sono una modella, Evan. Vivo per avere i riflettori puntati addosso.- gli ricordò con piglio deciso. A quanto pareva era una cosa che voleva portare fino in fondo.
“Non ho voglia di discutere.”, pensò, chiudendo per un attimo gli occhi. Se solo pensava alla tanto meritata doccia che lo aspettava si sentiva male. Aveva veramente bisogno di staccare la spina: anche gettarsi nel lago di Lochness sembrava un’opzione più appetibile del parlare con la sua calcolatrice ed egocentrica compagna.
-Vuoi un altro matrimonio? Fantastico. Io sarò lì a fare la mia parte, come un perfetto manichino.- tagliò corto.
-Non chiedo di meglio: è proprio così che ti voglio.- commentò lei, incrociando le braccia al petto.
Si confrontarono per qualche istante, in silenzio, occhi negli occhi. Alla fine lui se ne andò sbattendo la porta della camera da letto.
Scese rapidamente le scale e raggiunse in fretta la zona in cui abitava David.
Entrò senza nemmeno bussare, cogliendo l’amico in piena crisi da lavori manuali. La sua entrata ad effetto mandò all’aria i progressi dell’ultima mezz’ora e si beccò un colorito vaffanculo da parte dell’inglese.
-Prendo a prestito il tuo bagno.- disse solo.
Quello fece per protestare, ma non gliene lasciò il tempo. Prima l’acqua calda, poi gli strepiti di Dave ed infine tutto il resto.
Se fosse rimasto del tempo avrebbe pure dormito.


  Quando aprì la porta del proprio appartamento e se la richiuse alle spalle, Amanda si sentì in pace col mondo.
 Aveva passato le due settimane di ferie a casa dei genitori, nella loro stupenda fattoria in Kansas e si era liberata di tutto lo stress lavorativo accumulato durante l’anno.
Purtroppo quel mondo di verdi praterie e stupendi tramonti era stato abbandonato a causa del rientro a New York. Nonostante avesse imparato ad amare quella città, le sembrava sempre troppo artificiale per i suoi gusti: lei amava la natura, non le gabbie di cemento.
  A volte era insofferente verso la più piccola cosa e, durante il tragitto verso casa, si era sentita proprio così. Per cui aveva affrettato il passo e preso la prima metropolitana disponibile, sperando di arrivare il più presto possibile e crogiolarsi sotto il getto dell’acqua calda.
Lasciò cadere la borsa sul divano e si tolse i tacchi, dolorante.
Poi, camminando sulle punte dei piedi e canticchiando un motivetto tra le labbra, si chiuse in bagno. Attese che lo scaldabagno facesse il suo dovere e poi s’infilò sotto il getto, sospirando beata.
  Si concesse tutto il tempo del mondo, fino a quando le sue mani non iniziarono a chiedere vendetta, ormai completamente raggrinzite. Solo allora uscì ed indossò una canotta ed un paio di leggins.
Fece per dirigersi in cucina, intenzionata a prepararsi qualcosa di buono per cena, quando il campanello suonò.
Si voltò verso la porta, perplessa e poi andò ad aprire.
-Mandy, per fortuna che sei a casa!- esclamò sua sorella, gettandole le braccia al collo.
Cercò di farla staccare, ancora più confusa. –Fran, che ci fai qui?
E fu in quel momento che comparve Andrew, sul viso un’espressione da cane bastonato. –Mi dispiace, Amanda, ho provato a fermarla…- iniziò, dolente.
-Ho fatto saltare il forno.- concluse per lui la fidanzata. Lei sgranò gli occhi e la fissò letteralmente sconvolta.
-Cos’hai fatto?!- strillò, non potendoselo impedire. Sicuramente quell’urlo era stato udito in tutto il condominio.
Frances si staccò ed annuì. –Sì… volevo cucinare qualcosa per me e Drew, ma… devo aver sbagliato qualcosa.- ammise, entrando nell’appartamento senza essere invitata.
Sua sorella la seguì con lo sguardo per poi far segno al ragazzo di entrare. Prese un respiro profondo e poi chiuse la porta. –Bene. Io non so come tu abbia potuto far esplodere il forno, ma tant’è. Volete che vi prepari la cena?
-Sarebbe magnifico!- Fran battè le mani, entusiasta. Nonostante fosse la figlia di mezzo, era lei quella più viziata, in famiglia. Non che fosse una cattiva persona, per carità, ma non riusciva a fare quasi nulla da sola.
  A parte studiare.
Lo studio era un’attività condivisa da tutta la famiglia che, nonostante la grande fattoria da gestire, vantava ben cinque lauree in cinque campi diversi.
Emergendo dai propri pensieri, Amanda si affrettò a raggiungere la cucina. Recuperò tre tovagliette americane e le passò alla sorella, chiedendole di apparecchiare il tavolino sotto la finestra.
Quando aveva visto per la prima volta l’appartamento, aveva deciso che avrebbe consumato i propri pasti sotto l’infisso, dato che da lì si godeva di una buona vista su uno dei piccoli parchi del quartiere. Hamilton Heights era una delle più interessanti ed affollate zone di New York; non era la migliore ma nemmeno la peggiore: le piaceva e adorava l’atmosfera intima che si respirava nelle vie laterali alla grande arteria di Broadway Avenue.
Bastava poco per isolarsi dai rumori della città… be’, in alcuni casi ci voleva un po’ più di fantasia, ma lei non ne era a corto.
-Vuoi una mano?- le chiese Andrew, offrendosi volontario.
-Come?- si riscosse. –Oh… magari, grazie. Potresti recuperare tre bistecche dal freezer?
Lui annuì ed aprì lo sportello, tirandone fuori poco dopo una confezione di carne. La mise sotto l’acqua per scongelarla ed attese altre istruzioni. –Che intendi cucinare?- s’informò.
-Braciole alla birra ed erbe aromatiche. Nulla di complicato.- spiegò. –A questo proposito… vado a recuperare le erbe.
Attraversò l’ampio open space adibito a zona giorno e poi scavalcò il davanzale della finestra, atterrando sul piccolo ballatoio della scala antincendio. Come ogni edificio sopra i tre piani della Grande Mela, il suo palazzo era dotato dell’immancabile e molto americana serpentina di ferro che collegava esternamente tutti i piani.
E che consentiva ai ladri di intrufolarsi nelle case altrui col minor sforzo possibile.
Si sporse in avanti e staccò qualche fogliolina dal piccolo giardino aromatico che coltivava lì fuori. Una volta fatto tornò in casa e schizzò verso la cucina.
-Come mai così arzilla?- le chiese sua sorella, sbirciandola dal divano. –E’ successo qualcosa di bello al lavoro?
Lei le lanciò un’occhiata. –Lo sai che cucinare mi mette allegria. Mi rilassa.- le ricordò.
-Oh, giusto. Mi chiedo perché tu non sia già sposata e con due figli.- bofonchiò, tornando a sprofondare tra i morbidi cuscini.
Lei arrossì violentemente. –Fran… lo sai che…- balbettò.
-Sì, che stai aspettando l’uomo della tua vita dopo quel coglione di Wayne.- si rispose da sola.
-No, non è per quello! Ho solo ventidue anni!- sbottò.
Frances comparve da dietro lo schienale del divano. -E allora?
-Amanda, non darle retta e prenditi i tuoi tempi.- le disse Andrew. A volte si chiedeva come quello stinco di santo potesse sopportare la sua sorellona. Ma poi si ricordava delle sbornie moleste del ragazzo e tutto tornava: si prendevano cura l’uno dell’altra. E lo facevano da quattro anni, ormai.
Gli dedicò un sorriso e poi prese fuori una bottiglia di birra. –Bene, iniziamo la preparazione.- disse, accendendo il gas.


-Van, che ne dici di uscire a mangiare qualcosa? Mi stai rompendo l’anima con quella tua aria da lupo nero.- fece David, esasperato.
Aveva lasciato all’amico il tempo necessario per sbollire sotto la doccia, approfittandone per terminare il modellino di cui si stava occupando prima del suo arrivo.
Essere un architetto ed avere delle consegne era dura, anche per un licantropo. Ma non era il lavoro ad ammazzarti, erano i clienti. E le loro stupide richieste fuori da ogni logica umana.
Evan spostò lentamente lo sguardo su di lui, tentando di contenere la propria aura. –Va bene, andiamo.- acconsentì finalmente.
-Vuoi mangiare come un umano o come un lupo?- s’informò l’amico, indossando la giacca.
L’altro sembrò pensarci su per un po’, ma alla fine disse:-Lupo.
-D’accordo.
Uscirono in fretta, senza dare nell’occhio. Poi, una volta fuori, mutarono nella loro forma animale e corsero verso il Great Swamp National Wildlife Refuge. Nonostante fosse area protetta ed interdetta ai cacciatori, nulla impediva loro di farvi una bella battuta di caccia.
D’altronde erano licantropi e molte leggi umane non si applicavano nel loro caso.
Schizzarono oltre la recinzione, atterrando silenziosi sul terreno umido. Gli animali della riserva fuggirono dinanzi ai due predatori, nascondendosi come meglio poterono.
  Gli odori arrivavano alle loro narici quasi con rabbia, sovraccaricando i loro sensi sviluppati.   Evan, il pelo dai riflessi bruno rossastri, arricciò leggermente il labbro, esaltato. David, una freccia d’argento bluastro al suo fianco, scosse l’enorme testa.
“Proprio non capisco perché non ti sfoghi e spacchi il muso a tuo padre.”, disse.
“Perché farei il suo gioco. E poi non ho voglia di aver a che fare con lui.”, rispose l’amico, saltando un tronco morto.
“Tu sei tutto matto.”, commentò, infrangendo la superficie piatta di una pozzanghera.
“Proprio come te.”, fu la risposta.
I due si scambiarono un’occhiata e poi si separarono, seguendo ognuno una pista diversa.
Lasciarono che le loro prede tentassero la fuga, tenendo il loro passo senza problemi. Avere una velocità due volte superiore a quella di un normale lupo consentiva ai licantropi di catturare praticamente qualsiasi cosa si muovesse su quattro zampe.
  E anche su due, se necessario.
Quello non voleva dire che uccidevano le persone a sangue freddo, non erano come gli uomini lupo dei vecchi telefilm in bianco e nero. Anche se qualche volta, nel bel mezzo della luna piena, c’era stato qualche incidente.
Ma era più probabile che facessero fuori un vampiro o un licantropo avversario, invece che un umano. Si dice non svegliare il can che dorme, giusto? Ecco, la loro politica era sostanzialmente quella.
  Evan scartò bruscamente a destra, tagliando la strada al cervo a cui stava dando la caccia. Il povero animale emise un bramito di terrore e saltò all’indietro, abbassando al contempo la testa.
Ringhiò, piantandosi sulle quattro zampe. La sua preda aveva voglia di opporre resistenza e lui aveva bisogno di sfogarsi.
“Che le danze abbiano inizio.”, pensò.


  Un ululato in lontananza interruppe bruscamente l’allegro chiacchiericcio.
Amanda sollevò la testa dalla sua fetta di cheesecake, la forchetta a mezz’aria. Lanciò un’occhiata perplessa ai suoi due ospiti e poi si avvicinò lentamente alla finestra.
In cielo brillava la luna, ad appena un quarto del suo ciclo.
-Be’… non so voi, ma a me risulta ancora strano pensare che là fuori esistano i personaggi di Twilight.- commentò Frances, rabbrividendo leggermente.
-Non sono pericolosi.- tentò di tranquillizzarla il suo fidanzato.
-Sarà… ma è dura abbandonare secoli di pregiudizi.- ammise Amanda, tornando a sedersi sul divano.
Il mondo degli umani era entrato a contatto con quello soprannaturale da appena cinque anni e risultava ancora strano, per molti, sapere di camminare a stretto contatto con licantropi e vampiri.
-Personalmente preferirei incontrare un licantropo.- disse Andrew. –I vampiri mi sembrano creature più subdole.
-Tu credi? Perché sono freddi, pallidi e tutte quelle cose lì?- ragionò Frances, appoggiando la forchetta sulla lingua e tenendola in equilibrio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. –Possibile.
-Ho saputo che è arrivato un nuovo branco, in città.- buttò dopo un po’. Due paia di occhi si puntarono su di lei, stupiti. –Non lo sapevate?
-Quando mai ho tempo di guardare la tv, a lavoro?- le fece notare la sorella, divertita.
-E io sono sempre in acqua, ricordi?
Andrew lavorava come istruttore di nuoto presso una delle numerose piscine di Manhattan, mentre la sua anima gemella si guadagnava da vivere come fotografa freelance. Da quando Amanda aveva iniziato il suo lavoro da Kleinfeld, però, si occupava principalmente di matrimoni.
Chissà perché.
-In ogni caso, giusto qualche giorno fa è arrivato questo grande branco. Dalla Scozia. Avete presente quel grande cantiere a Staten Island?- li guardò.
-Sì… stavano costruendo una villa enorme, se non sbaglio.- ricordò il giovane.
Lei annuì. –Loro vivono lì. E pare che la cosa abbia agitato un po’ le acque, qui a New York.- concluse, fiera delle proprie informazioni.
-Vuoi dire che agli altri branchi non piace l’idea di avere nuovi vicini?- domandò la sua sorellina.
-Esattamente. Non so come funzioni, ma sono territoriali come i lupi. Quelli veri, intendo.- si mise in bocca l’ultimo pezzo di dolce, gustandoselo appieno. –Cristo, Mandy, questa torta è favolosa! Dovresti darmi la ricetta!
Drew le lanciò un’occhiata decisamente scettica. –La ricetta. Ad una come te? Meglio di no.- rifiutò subito. Alla linguaccia della fidanzata scoppiò a ridere, scompigliandole i capelli. –Che ne dici di andare e permettere ad Amanda di riposarsi un po’?
Frances lanciò un’occhiata all’orologio che aveva al polso. –Mhm… sì, meglio. Abbiamo già disturbato abbastanza.- considerò, alzandosi.
-Lo sapete che mi fa piacere passare del tempo con voi.- disse loro la diretta interessata. Non voleva che si sentissero in dovere di andarsene perché, se non dormiva per almeno otto ore, rischiava di dare di matto.
Non era una cosa così grave.
-Non voglio ritrovarmi con una sorella ringhiante.- replicò Fran, la mano già sulla maniglia della porta.
La mora arrossì leggermente, sorridendo di riflesso. Se ripensava a tutti i guai che le aveva fatto passare alle superiori si sentiva oltremodo imbarazzata. –Buonanotte, ragazzi. Grazie della serata.- li salutò.
-Grazie a te per aver salvato il mio stomaco da morte certa.- Andrew le fece l’occhiolino, spingendo la fidanzata oltre la soglia.
Amanda li sentì battibeccare lungo le scale, dopo che l’ebbero salutata.
Rise e buttò i piatti di plastica nel pattume. Riordinò rapidamente e poi si avviò in camera, insonnolita.
L’ultimo pensiero che formulò, prima di addormentarsi, fu che non aveva mai incontrato un licantropo di persona.



N.B.: L'ESU è un'unità speciale delle forze armate di New York mentre, come si può ben intuire, l'ESUDM è una mia invenzione, in modo da poter mettere in luce la nuova collaborazione tra soprannaturali ed umani.

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Capitolo 3
*** Cap. 2 Una sposa fuori dal comune ***


Cap. 2 Una sposa fuori dal comune
Salve! So che, teoricamente, avrei dovuto pubblicare domani, ma oggi ho avuto i risultati di due esami e son di ottimo umore! :) Quindi... ecco l'incontro tra Evan e Amanda! Spero vi possa piacere questo primo contatto tra i loro due mondi.
Buona lettura!






Cap. 2 Una sposa fuori dal comune


  Chiuse rapidamente la porta dietro di sé, i capelli completamente scompigliati.
Sbuffando si tolse il foulard e si affrettò verso i camerini a passo deciso. Non riusciva a capacitarsi del perché New York dovesse avere delle giornate così ventose.
“L’urbanizzazione, Amanda. È colpa di tutti i grattacieli presenti in città.”, le disse una vocina dentro di sé. Ecco, quello era uno dei motivi per cui a volte detestava la Grande Mela dal più profondo del cuore.
  Un conto era sentire la brezza leggera accarezzarti il viso, un altro rischiare di essere sollevata per aria come se niente fosse.
Salutò distrattamente le colleghe, affrettandosi a raggiungere lo specchio.
Sbuffò nuovamente, vedendo il disastro che aveva in testa. Detestava apparire in disordine e ci teneva ad essere niente meno che presentabile, soprattutto al lavoro.
Sciolse rapidamente la treccia e passò le dita tra le ciocche scure come la notte. Tentò di pettinarle come meglio poteva e poi le intrecciò nuovamente.
Una vota finita, arrotolò la treccia sulla nuca, in modo da darle la forma di uno chignon. Lasciò libero qualche ciuffo, cosicché le incorniciasse il viso dal profilo gentile.
-Avete visto che vento c’è fuori?- brontolò Vivian, togliendosi il leggero soprabito color panna.
Molte delle ragazze mormorarono un commento, indispettite dalle bizze di madre natura.
Amanda si ritrovò a sorridere: era piacevole discutere di leggerezze come il vento, la rilassava in vista della giornata lavorativa.
Quando fu pronta si avviò lungo le scale per raggiungere il salone principale dove, come ogni giorno, Gabrielle avrebbe comunicato loro numero e divisione degli appuntamenti.
Salutò con un cenno l’amica e poi si accomodò su uno dei puff presenti.
La direttrice vendite attese che tutte le sue collaboratrici fossero comode e poi prese un respiro profondo, elettrizzata per l’annuncio che doveva fare.
-Buongiorno signore.- iniziò. –Come sempre, anche oggi sarà una giornata intensa. Avremo con noi alcuni degli stilisti delle nuove collezioni, quindi mi raccomando: tenete a freno la lingua.- continuò.
Ci furono rapidi cenni del capo e qualche bisbiglio. Lei attese che l’attenzione fosse nuovamente su di sé e poi iniziò a spartire le  cinquanta clienti della giornata.
Stava elencando quelle di Amanda, quando si bloccò. –Ehm… Mandy, oggi avrai un appuntamento speciale. Subito dopo pranzo. Ti ho lasciato il pomeriggio libero, affinché tu possa soddisfare appieno le richieste della sposa.- disse, esitante.
Sapeva che l’amica era una delle persone più pazienti e professionali, lì dentro, ma era la prima volta che si trovavano a che fare con una cliente del genere.
All’improvviso l’allegro chiacchiericcio si arrestò e gli occhi di tutte si puntarono su loro due.
-Mi devo preoccupare?- chiese, tentando di buttarla sul ridere. Perché Gabbie aveva quell’espressione? Sembrava preoccupata, seriamente preoccupata.
-No… cioè, non lo so. È la prima volta, per noi.- ammise la donna, grattandosi la guancia con fare perplesso. –Non vorrei che qualcuno si facesse male.
-Farsi male? Dobbiamo trovare il vestito alla moglie di Hannibal Lecter?- scherzò una delle impiegate più giovani. Julia, quasi sicuramente.
-E’ una lupa.- svelò Gabrielle. “E sono quasi certa che sarà permalosa e piena di sé.”, aggiunse mentalmente.
-Una licantropa?!- sfuggì a qualcuno.
-Mi vuoi affidare… ma sei sicura?- chiese Amanda, agitata. Oddio, avrebbe incontrato da vicino una di quelle creature soprannaturali. Giusto la sera prima aveva desiderato poterlo fare… era forse destino?
O semplicemente pazzia, come avrebbe detto suo padre.
Si sentiva esaltata, ma anche leggermente intimorita. Sapeva che poteva ritrovarsi col collo spezzato in men che non si dica, dato che una lupa in procinto di sposarsi era due volte più pericolosa di una sposa normale.
Non per le sfuriate o le crisi di pianto, a quelle c’era abituata. No, era per la forza.
Gabrielle la guardò attentamente, poi le chiese:-Te la senti?
Lei rialzò la testa e poi sbatté qualche volta le palpebre. –S-sì…- rispose infine.
-Benissimo! Ecco la sua scheda.- gliela allungò, felice che la sua richiesta fosse stata accolta. Se lei avesse rifiutato se ne sarebbe dovuta occupare personalmente.
Mandy scorse rapidamente i dati della cliente per poi bloccarsi, tornare indietro e sgranare gli occhi chiari. –Gabrielle?! Ma sei impazzita?!- esclamò, scattando in piedi. Agitò il pezzo di carta per aria, in attesa di una spiegazione.
-Ormai hai accettato.- non aveva possibilità di scampo.
-Sì, ma…
-Ti darò un bonus per la vendita, promesso.- e si defilò prima che l’amica le potesse mettere le mani al collo. Sapeva che le aveva lasciato una bella gatta da pelare. No, pardon, una bella lupa da pelare.


“Giuro che, prima o poi, lo farò fuori.”, pensò digrignando i denti.
Scartò un’auto inclinando leggermente la moto e poi proseguì lungo il ponte di Verrazzano. L’aria salmastra lo colpì al viso e lui inspirò a fondo, mandando a memoria quell’odore.
Era così diverso dal mare scozzese, a partire dal colore dell’acqua. Per non parlare delle numerose imbarcazioni che solcavano le acque newyorkesi ogni giorno: erano molte di più di quelle che avrebbero mai potuto passare davanti alla fortezza di Dunnottar in un mese.
  Era impossibile non notare le differenze con la sua vecchia casa.
Un improvviso blocco del traffico lo costrinse a riemergere bruscamente dai propri pensieri e frenare.
Si raddrizzò ed osservò la gravità dell’ingorgo. Non sembrava molto esteso, in una decina di minuti avrebbe dovuto disperdersi. In ogni caso non aveva assolutamente fretta di arrivare a destinazione.
Ancora non riusciva a capire come si era fatto incastrare in quell’assurda pagliacciata.
“Ah, no, ecco come: è stato mio padre.”, si ricordò.
Quando Dearan aveva saputo dell’idea geniale di Crystal, l’aveva subito appoggiata. Poi, con un sorriso sadico dipinto sulle labbra, lo aveva costretto a presenziare alla scelta dell’abito. Doveva comportarsi come un perfetto marito, gli aveva detto.
-Ci scommetto la mia pelliccia che ci sarà la stampa.- mormorò a denti stretti. A suo padre non fregava nulla delle promesse di matrimonio, quel che voleva era farsi pubblicità e mostrare agli altri branchi la sua superiorità. Nessuno sembrava avergli detto che la forza di un clan non si misura dalle apparizioni sul grande schermo.
Le dinamiche della vita contemporanea gli avevano dato alla testa, quasi come alla sua cara mogliettina.
  Con la coda dell’occhio notò un taxi alla propria destra. Spostò lentamente gli occhi, cercando di capire cosa avesse attirato la sua attenzione. Poi la vide: una bambina con buffi codini biondi lo stava sbirciando da dietro il vetro del sedile posteriore.
Sollevò un angolo della bocca, tentando un sorriso che potesse dirsi rassicurante. La piccola ridacchiò e si nascose.
Evan sapeva perché lo stava fissando: i bambini avevano un sesto senso molto più sviluppato per quanto riguardava il suo mondo. La loro percezione era tale che potevano individuare un licantropo con molta più facilità rispetto ad un adulto.
Attese qualche istante e poi la beccò a sbirciarlo ancora una volta. Vedendo che il traffico si stava smaltendo, le fece un cenno con la mano e ripartì, sentendola protestare vivamente con la madre.
Il resto del tragitto fu abbastanza veloce, per quanto potesse essere veloce spostarsi in pieno centro a New York. Parcheggiò la moto e poi si avvicinò all’entrata del grande negozio d’abiti da sposa.
Lesse l’insegna con sospetto, per poi guardare con diffidenza gli abiti esposti nelle vetrine. Lui non era tagliato per quelle cose e l’esservi obbligato dalla persona che odiava di più al mondo non lo spronava a mostrare entusiasmo.
“Non può essere peggio delle prime trasformazioni.”, si disse per convincersi.


  Doveva restare calma.
Essere professionale.
E sperare che Crystal Forbes, affermata modella dei tabloids inglesi, fosse meglio di come la dipingevano i giornali. La sua reputazione era molto simile a quella di Naomi Campbell, per quanto riguardava gli scatti nervosi.
  Prese un respiro profondo ed entrò nell’atrio dove, seduta su una delle morbide poltrone, se ne stava la sposa incriminata. Il suo seguito era formato da due ragazze alquanto ciarliere e da un uomo.
-Crystal Forbes?- si avvicinò, gli occhi fissi sulla sposa. Sapeva bene chi fosse, ma lasciò che lei le facesse un cenno d’assenso, muovendo graziosamente la lunga chioma biondo ramata. –Ben arrivata. Posso darti del tu?
-Certamente, non c’è nessun problema.- disse la sua interlocutrice.
Amanda annuì. –D’accordo. Io sono Amanda e oggi sarò la tua assistente. Chi hai portato con te?- chiese, seguendo le frasi di rito. A volte si sentiva un po’ stupida, ma era la prassi.
-Loro sono due mie amiche, Stephanie e Bree.- indicò prima la stangona con una stupenda chioma di ricci rossi e poi l’algida bionda al suo fianco.  
Senza averle mai viste, Mandy riuscì a stabilire quasi con sicurezza la loro appartenenza al mondo dello show business.
-E questo è mio marito, Evan.
Si allungò per stringere la mano all’uomo, ma si bloccò trovandoselo in piedi davanti a sé.
“Oddio, com’è alto!”, pensò, sgranando leggermente gli occhi. –Piacere…- disse, riuscendo a mantenere un certo contegno. Coi tacchi superava di poco il metro e ottanta, ma rimanevano comunque parecchi centimetri di differenza tra lei e lo sposo.
-Piacere mio.- rispose lui, senza nessuna particolare emozione.
La mora lo trovò strano, ma tenne il pensiero per sé.
A dir la verità non sapeva molto della vita di Crystal, a parte che era stata lanciata nel mondo della moda da meno di due anni e aveva scalato la vetta in pochissimo tempo. Aveva spesso sentito di sue partecipazioni a parties e ricevimenti, ma non si era mai soffermata su quelle notizie.
Aveva anche notato che portava la fede al dito, ma se n’era presto dimenticata. Non era una fan del gossip, soprattutto se riguardava terze persone. Non amava il gossip nemmeno quando parlavano bene di lei, figurarsi.
Era una persona abbastanza riservata, da quel punto di vista.
“Peccato che tu sia finita su You Tube.”, si disse. Scacciò quel pensiero infelice e tornò a dedicarsi alla sposa. –Allora, deduco che vogliate rinnovare le promesse, giusto?- s’informò.
-Esattamente.- rispose la modella, lanciando un’occhiata al marito.
-E su quale cifra volete restare?- domandò, passando lo sguardo da lei a lui. Non avrebbe saputo dire chi dei due avrebbe sborsato per l’abito.
-Oh, i soldi non sono un problema.- la bionda liquidò la questione con la mano e poi si alzò. –Vogliamo andare? Avrei diversi modelli da farti vedere.
-Sì, certo. Da questa parte.- li condusse nel salone e poi, dopo aver fatto accomodare gli ospiti, la guidò fino al suo camerino. Una volta entrata le indicò una delle sedie e si mise a sua completa disposizione.
-Allora… voglio un abito che metta in risalto le mie forme e che abbia un aspetto invernale. Le nozze saranno il giorno del compleanno di Evan, il sedici gennaio.- spiegò.
“Uhm… forse allo sposo la cosa non va tanto giù.”, meditò Amanda. Non le era parso che l’uomo fosse molto entusiasta dei piani della compagna. O forse, era semplicemente come quasi tutti gli altri uomini e detestava trovarsi circondato da trine e merletti.
-Quindi vorresti un aspetto da Regina delle Nevi?- chiese, guardando le foto che le erano state allungate. Erano tutti abiti molto belli, con pizzo e piccole piogge di diamanti. I prezzi, inutile a dirlo, erano tra i più alti. –Ok… vado a prendere qualche modello. Intanto puoi prepararti.- le sorrise cortese ed uscì.


  Non sapeva nemmeno chi fossero le due donne sedute accanto a lui.
Ma era sicuro di una cosa: erano umane.
“E se non la smettono di ridacchiare, giuro che le faccio fuori.”, pensò stringendo febbrilmente il bracciolo del divano.
Aveva dovuto sopportare l’assalto della stampa all’ingresso, se ora ci si mettevano anche le due oche giulive avrebbe potuto dare di matto.
E sarebbe stato anche liberatorio, considerato che non aveva una belle reazione rabbiosa da… be’, da parecchio tempo. Tenersi le cose dentro rende le persone frustrate.
Serrò la mascella, facendo scricchiolare i denti.
  Ad un certo punto riconobbe il ritmo dei passi di Crystal ed alzò la testa. Indossava un lungo abito a sirena letteralmente tempestato di diamanti, il corpo avvolto alla perfezione dal morbido tessuto.
Era innegabile che fosse bella, anche un cieco avrebbe potuto dirlo, ma a lui non faceva nessun effetto. Ok, era abbastanza affascinante per soddisfare i doveri coniugali senza problemi, ma nel suo cuore non era mai nata nemmeno la più tenue fiammella per lei.
La sua bellezza era fredda e gli ricordava sempre gli iceberg che si avvistavano al largo delle Orcadi. A lui piacevano le donne dall’animo vivace, sorridenti e per niente calcolatrici.
Poco importava l’aspetto: era certo che, se mai avesse trovato la persona adatta a lui, se ne sarebbe accorto.
Mentre meditava, tentando di ignorare gli urletti eccitati delle due accompagnatrici di Crystal, lo sguardo gli cadde sull’assistente.
  Aveva detto di chiamarsi Amanda. Dall’accento poteva dire con sicurezza che era americana e, a giudicare dal suo aspetto, più giovane di lui. Non che la cosa fosse molto difficile: qualsiasi persona all’interno del negozio, compresa sua moglie, era più giovane di lui.
La ragazza stava sistemando la gonna dell’abito, totalmente concentrata nel proprio lavoro. Si vedeva che le piaceva e, nonostante la novità dell’avere una cliente soprannaturale, si stava comportando in modo molto professionale.
Aveva una bella figura, ben proporzionata e un po’ più alta della media femminile. Indossava con disinvoltura un longuette a vita alta nera ed una camicetta con le maniche a sbuffo, i tacchi le donavano un’innata grazia, sopperendo alla non perfetta forma a clessidra del suo corpo.
-Che te ne pare?- si sentì chiedere. Spostò lentamente gli occhi, incontrando quelli castani di Crystal. Sapeva che voleva una risposta da lui, che partecipasse attivamente.
-Deve piacere a te, non a me.- disse.
Lei appoggiò le mani sui fianchi, segno che si stava già indisponendo. Farla arrabbiare non lo entusiasmava particolarmente perché diventava una furia con le unghie smaltate. Non c’era nulla di divertente nell’avere la schiena ed il petto segnati da lunghi graffi sanguinanti.
Si era ripromesso di non reagire alle sue provocazioni, mai. Se l’avesse fatto avrebbe dato a suo padre un motivo in più per torturarlo.
  Psicologicamente parlando.
Dal punto di vista fisico, be’… il caro vecchio Dearan sapeva di aver perso buona parte della propria forza, dato che non combatteva da più di settant’anni.
-Evan, per piacere. Dammi un parere sincero.- ad orecchie allenate quella avrebbe potuto sembrare una supplica, ma lui sapeva che era un ordine.
Vide gli occhi dell’assistente fissarlo con apprensione. Per cui si sistemò meglio sullo schienale e disse:-Il colore non ti dona particolarmente. Tende troppo all’avorio.
La donna tornò a voltarsi verso lo specchio e considerò con attenzione la sua osservazione.
-Proviamo il prossimo?- chiese timidamente Amanda. Doveva aver percepito la tensione di poco prima.
-Sì.
Raccolse lo strascico e poi seguì Crystal, dopo essersi sistemata un ciuffo di capelli dietro all’orecchio. Notò lo stile abbastanza severo dell’acconciatura mentre le due si allontanavano. La folta chioma scura era intrecciata e fermata sulla nuca, forse nel tentativo di farla apparire ancora più affidabile di quanto già non fosse.
-Secondo me dovrebbe provarne uno più scollato.- sentì commentare Bree. Accantonò per un attimo le proprie elucubrazioni e si voltò a guardarle. –Non pensi anche tu, Evan?
Lo stranì sentirsi dare del tu con così tanta nonchalance, ma ci passò sopra. –Potrebbe anche indossare solamente la lingerie, non mi interessa.- disse, sincero.
A quella vista avrebbe potuto avere una qualche reazione fisiologica, ma non molto altro.
-Sul serio?!- esclamò sconvolta Stephanie.
Lui alzò un sopracciglio. –Sì. Non mi interessa.- ripetè.
-Perché vi siete già sposati?- domandò la prima.
-No, perché semplicemente non mi interessa.- tagliò corto. Il suo tono di voce non ammetteva repliche e sembrarono capirlo anche le due oche giulive.


-Ma ti sembra possibile?- sbottò.
Amanda sollevò gli occhi da quello che stava facendo, stando attenta a non pestare il vestito. –Cosa?- chiese.
-Evan. Potrebbe mostrarsi interessato. Almeno guardarmi!- Crystal agitò le mani per aria. Sapeva che lui era contrario a quella seconda cerimonia, ma lei voleva assolutamente rifare tutto quanto. Voleva avere un abito all’altezza della sua persona, frotte d’invitati ed almeno un paio di interviste che sarebbero finite su Vogue ed Elle.
  E, soprattutto, voleva mostrare al mondo l’uomo con cui era sposata. Si poteva dire quello che si voleva su Evan, soprattutto sulla sua recidività a cadere ai suoi piedi, ma era innegabilmente un pezzo da novanta tra i licantropi.
Alto come un vichingo, aveva un corpo finemente cesellato. Diverse cicatrici dovute ai numerosi scontri che aveva affrontato gli segnavano il busto e la guancia sinistra, aggiungendo qualcosa in più al suo aspetto. Almeno dal punto di vista di una licantropa.
  Aveva un viso dai tratti forti, un po’ spigoloso e con le guance leggermente incavate. Labbra carnose sempre imbronciate ed un paio di occhi dal colore magnetico. Portava sempre un filo di barba, che lei detestava con tutta se stessa.
Era fortunata ad avere tutta quell’abbondanza al servizio del proprio piacere, eh sì.
-Crystal…?
Si riscosse bruscamente dai propri pensieri e si concentrò sulla propria assistente. –Voglio provare quello.- indicò, aspra.
Indossò con attenzione l’abito e attese che le venisse allacciato il corpetto. –Questo è più semplice dell’altro, ma è comunque di grande effetto.- si sentì dire.
Annuì e si diresse nuovamente verso il salone. Al suo arrivo Bree scosse la testa, dicendosi contraria all’abito, mentre Stephanie sembrava apprezzarlo.
La bionda cercò nuovamente il parere del marito.
-Meglio dell’altro. È più semplice e non sembri una palla da discoteca.- commentò Evan.
“Palla da discoteca?”, pensò inorridita. Come poteva anche solo sognarsi di dirle che assomigliava ad uno stupido oggetto multi riflettente?
Strappò la gonna dalle mani della povera Amanda e filò dritta in camerino.
-Aspetta… non puoi toglierlo…- la ragazza tentò di fermarla, ma lei era ben decisa a liberarsi dell’abito il più in fretta possibile. E non era nemmeno quello incriminato. –Crystal! Smettila o finirai per romperlo!
Si bloccò ed osservò la brunetta attraverso lo specchio. La stava fissando con due occhi seri ed era visibilmente irritata. Abbassò lentamente le braccia e la lasciò fare.
-Perché tuo marito non sembra molto entusiasta…?- si decise a domandare. Era molto curiosa, ma sapeva che non poteva ficcare il naso negli affari delle clienti, a meno che non fossero loro le prime a sbilanciarsi.
La modella sbuffò, contrariata. –Perché, se fosse stato per lui, non mi avrebbe mai sposata.- replicò, stringendo le mani a pugno e rilasciandole subito dopo. La sua interlocutrice fece per parlare, ma lei non glielo permise. –Sono cento quarantanove anni che siamo sposati e lui mi odia come il primo giorno.- aggiunse.
“Quindi è un licantropo anche il marito.”, realizzò la giovane. –Mi…- iniziò.
-Non dire che ti dispiace, non me ne faccio niente della tua compassione. Già averlo al mio fianco mi rende l’invidia di molte donne.- la zittì.
Amanda le lanciò un’occhiata senza farsi vedere, letteralmente senza parole. Dov’erano i sentimenti, in tutto questo?!
A quanto aveva capito, il loro era stato un matrimonio per interesse che non aveva fatto la gioia di nessuna delle parti coinvolte. Meglio, la gioia completa, dato che Crystal sembrava abbastanza soddisfatta della facciata del loro rapporto.
“Se questa è la società dei licantropi, proprio non la capisco.”, ammise a se stessa. Era una donna normalmente romantica, come si definiva lei, e avrebbe tanto voluto il suo lieto fine, un giorno.
Ma senza amore, che senso poteva avere il matrimonio? Era solo un inutile pezzo di carta.
Crystal si voltò, sentendo l’abito ancora allentato sulle schiena. -Amanda? Potresti aiutarmi?- domandò, spazientita. Ci si metteva anche lei, ora?
-S-scusami!- si affrettò ad afferrare le due estremità del nastro di raso ed iniziò a chiudere il corpetto. Continuò fino a quando temette che la sposa potesse morire per asfissia. –Non posso stringere più di così.
-Va bene. Usciamo.
La seguì subito dopo aver attaccato alcune mollette alla fascia superiore della gonna, nel caso ci fosse stato bisogno di alcuni aggiustamenti in loco.
Una volta nel salone lanciò un’occhiata al gruppo di accompagnatori e trovò Evan con la stessa espressione di prima. Era apatico, sembrava totalmente assente. Anche se a tratti una smorfia sfigurava i lineamenti del suo viso.
Riportò la propria attenzione sulla cliente, pregando in cuor suo di aver fatto progressi. –Secondo me ti sta molto bene. Mette in evidenza…
-Il mio lato b.- concluse per lei la bionda, dando la schiena allo specchio.
“Esattamente.”, Amanda si trovò d’accordo con lei.
-Evan?
L’uomo venne nuovamente chiamato in causa. Mandy gli lanciò un’occhiata attraverso la superficie riflettente, agitata. Se avesse detto ancora qualcosa di sbagliato il suo appuntamento ne sarebbe uscito compromesso.
Lui si passò una mano tra i capelli. –Hai il seno in bella mostra. Un po’ troppo in bella mostra.- le fece notare.
Sua moglie rimase a fissarlo, indecisa se considerarlo una bocciatura o un modo alternativo per dirle che era una sua proprietà e non poteva mostrarsi agli altri così. Optò per la seconda e, dopo un mormorato ok, tornò in camerino.
Amanda fece per raggiungerla, ma poi si fermò. Si avvicinò al licantropo e lo guardò minacciosa. Poteva non essere d’accordo con l’idea del secondo matrimonio, ma doveva discuterne in separata sede con la sua compagna.
Non poteva mandare all’aria un intero pomeriggio di lavoro, ne andava del suo orgoglio di assistente.
-Sono passate quasi due ore e non abbiamo ancora concluso nulla. Se vuole tornarsene a casa in fretta, veda di assecondarla.- gli disse, puntandogli il dito contro.
Lui la fissò con tanto d’occhi, mostrando per la prima volta un’emozione genuina. Amanda non attese la risposta e scappò letteralmente via.
Sapeva di avere le guance in fiamme e a ragione! Perché aveva detto quelle cose? Voleva forse farsi staccare la testa?


  Sfrecciava a gran velocità, scartando le auto e i taxi come se fossero ostacoli fermi lungo il suo percorso.
La sua preda era esattamente cento metri davanti a lui, su una BMW rossa. Intercettò i suoi occhi attraverso lo specchietto e ghignò, divertito.
  Quanto amava la caccia!
Diede gas e ridusse la distanza di qualche decina di metri. L’auto davanti a lui accelerò e ristabilì le giuste distanze: stavano facendo quel tira e molla da quasi un’ora, ormai.
Sapeva che lo stava facendo per rendere più stuzzicante l’attesa del loro incontro, ma iniziava ad averne abbastanza. Nemmeno gli orsi ponevano così tanta resistenza.
  Fece per accelerare nuovamente, deciso ad affiancarla, quando vide la vettura svoltare improvvisamente e fermarsi sul largo marciapiedi.
Si chiese il perché di quell’improvvisa resa, ma poi decise di approfittarne. Superò una bicicletta, s’infilò tra due auto e per poco non investì due passanti. Ignorò i loro improperi per poi fermarsi bruscamente davanti alla sua preda.
-Graham, smettila di seguirmi. Ti ho già detto di no!- sbottò per l’ennesima volta la giovane.
-Andiamo, piccola, non fare la difficile.- le disse, smontando dalla moto ed avvicinandosi con fare baldanzoso. La sua aura lo avvolgeva completamente, spandendosi tutt’attorno a lui.
Era soffocante. –Non chiamarmi piccola.- ringhiò lei. Le persone lì attorno presero a lanciar loro sguardi perplessi. Alcuni si fermarono, curiosi di vedere come sarebbe finita.
Graham esitò un attimo, ma poi allungò una mano, deciso ad afferrarle il polso e trascinarla in un posto più appartato per…
-Basta!- gridò lei, esasperata, fulminandolo con uno sguardo di fuoco. Ops, forse si era lasciato un po’ troppo andare.
-Scusa… ma se la smettessi di fare la preziosa…- ritentò.
La ragazza, una morettina con ai piedi un paio di stivaletti rossi, lo allontanò. –Non sto facendo la preziosa. Ti sto rifiutando. Le conosci le regole del branco, no?- replicò, spostandosi leggermente verso destra.
Aveva captato un odore insolito, in mezzo a tutti quei profumi nauseabondi e quella puzza di gas di scarico. Il suo pretendente non sembrava essersene reso conto, troppo impegnato a fare la ruota.
-Certo che conosco le regole, per chi mi hai preso?- ribattè lui, aggrottando le sopracciglia. Ma lui non la stava obbligando a far nulla, sapeva quali erano le sue vere intenzioni. –Emily, andiamo…- aggiunse.
-Allora sei stupido e non mi hai minimamente ascoltata!- lo accusò. Decisa ad entrare nel negozio, mosse un passo verso la porta a vetri. Graham sembrò capire solo in quel momento quali erano le sue intenzioni, così come il resto degli spettatori.
Si piegò sulle gambe, pronto a scattare. -Non osare.- la minacciò con un ringhio.
-Se no?- lo sfidò lei, voltandosi a mezzo per guardarlo.
L’uomo non rispose e le saltò addosso. L’impatto fu così violento che i due vennero scaraventati all’indietro, dritto contro la vetrina alle loro spalle. Il vetro s’incrinò e si ruppe in un milione di schegge, che schizzarono ovunque.
Ci furono diverse urla spaventate, ma i due non vi badarono. Emily si rialzò e si scrollò di dosso alcuni frammenti poi, senza attendere un attimo di più, scattò verso l’interno.
  Verso quell’odore.
Graham le fu presto alle calcagna. L’afferrò per la vita e l’atterrò, tentando di bloccarla sotto di sé. Ma lei si ribellò, graffiandolo al viso e tentando in tutti i modi di allontanarlo da sé.
Lo staff del negozio prese a rincorrersi per il grande salone, tentando di far allontanare tutte le persone. Qualcuno chiamò la sicurezza.
-Lasciami… andare!- la giovane lupa gli assestò una ginocchiata poco sotto l’ultima costola. Rotolò su un fianco e si rimise in piedi.
-Brutta stronza! Questa me la paghi!- Graham aveva perso la pazienza.
Trasmutò la propria mano e la ferì di striscio allo stomaco, mandandola a rovinare contro una colonna. Ci fu stridore metallico e poco dopo la sua avversaria si voltò a fronteggiarlo, entrambe le mani trasfigurate.
Si fissarono per qualche istante e poi attaccarono.
Assestarono diversi colpi, schizzando sangue tutt’attorno. Ci furono altre urla e qualcuno intimò loro di fermarsi e mettere le mani bene in vista.
Ignorarono i due agenti e continuarono a lottare, ferocemente avvinghiati in un corpo a corpo dal sapore mortale.
Improvvisamente lui la colpì con un calcio e lei si ritrovò a terra, il labbro sanguinante. L’uomo fece per porre fine al combattimento: aveva il braccio alzato, ma si fermò a metà del gesto.
Sgranò gli occhi ed in essi vi fu il panico.
-Cosa sta succedendo, qui?


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Capitolo 4
*** Cap. 3 Emily ***


Cap. 3 Emily
Ben trovati!
La volta scorsa vi avevo lasciati con un'entrata in scena un po' rocambolesca... non vi anticipo niente, ma vi dico solo che la questione avrà una sua conclusione già a fine capitolo.
Pian piano stiamo conoscendo le persone che vivono a contatto con Evan e Amanda, amici e nemici e spero vivamente di poter dar loro il maggior spessore possibile. Nel caso non fosse così, vi prego di dirmelo: a volte tendo ad appiattire i personaggi :(
In ogni caso, vi auguro buona lettura!





Cap. 3 Emily


  Amanda si affrettò verso la fonte di tutto quel trambusto.
Prima che potesse impedirlo, Evan e Crystal si erano fiondati sul posto. Considerata la loro reazione dovevano essere coinvolte persone appartenenti al loro mondo.
Quando svoltò l’angolo, il braccio di un agente le bloccò il passaggio e lei fu costretta a fermarsi. Quello che si trovò davanti la lasciò senza parole: alcuni degli abiti esposti sui manichini erano irrimediabilmente rovinati da macchie di sangue.
“Un attimo, sangue?!”, si voltò verso le due figure a terra, ora sovrastate da quelle dei suoi due clienti.
Cosa stava succedendo? E chi erano quei due?
-Cosa sta succedendo qui?- Gabrielle arrivò a passo di marcia, sul viso la familiare espressione da doberman che mostrava nei momenti di rabbia. Ignorò l’uomo che tentò di fermarla ed andò dritta verso il gruppetto.
La giovane vide solo in quel momento i due contendenti, ancora nelle stesse posizioni di quando erano stati interrotti: erano un uomo ed una donna. E l’uomo aveva la mano decisamente troppo artigliata per poter essere un semplice umano.
-Gabrielle…- tentò di richiamare la sua attenzione.
La donna la ignorò o forse non la sentì, fatto sta che si fermò davanti al quadretto con le mani sui fianchi e l’aria di chi avrebbe voluto spaccare tutto quanto. Se c’era una cosa che detestava era che qualcuno facesse casino all’interno del suo luogo di lavoro.
-Chi siete e cosa state facendo dentro questo negozio?- domandò, suonando tremendamente calma. Amanda notò l’espressione di sconcerto sul viso di Evan, la cui maschera d’indifferenza mostrava per la prima volta qualche crepa.
-Non si preoccupi. Queste non sono questioni che la riguardano.- l’uomo ritrovò la propria imperscrutabilità.
Gabbie lo guardò con tanto d’occhi. –Fino a quando avrete intenzione di imbrattare gli abiti di sangue sarà affar mio.- replicò, astiosa.
Lo scozzese mosse un passo verso di lei. –Lasci perdere. Sono questioni al di fuori della sua competenza. Per quanto riguarda gli abiti, pagheremo i danni.- le disse.
A quelle parole lei lo fissò basita. –C-come…?
-Pagheremo i danni. Vero, Graham?- puntò gli occhi chiari in quelli dell’altro licantropo. L’uomo lo guardò torvo, non sapendo bene come reagire, ma alla fine annuì lentamente. –D’accordo. Ora è meglio andarcene. Scusate per il disturbo.
Allungò una mano alla ragazza davanti a sé, ancora puntellata a terra. Lei l’accettò senza scomporsi e si fece tirare in piedi. –Grazie…- mormorò.
-Evan, ma il nostro appuntamento?- chiese Crystal, confusa. Voleva veramente andarsene senza averle dato la possibilità di trovare un vestito adatto?
Suo marito si voltò a guardarla, ricordandosi solo in quel momento della sua presenza. –Puoi rimanere.- rispose, pratico.
A quelle parole gli occhi della modella mandarono scintille. Indignata, raccolse le gonne dell’abito che aveva indosso e si avviò spedita verso il camerino, afferrando nel mentre Amanda per un braccio.
La ragazza si ritrovò così trascinata per tutto il salone, quasi fosse un sacco di patate.
-Crystal… non credi che… insomma dovresti…- tentò di trovare qualcosa da dire. Qualcosa che non la facesse urlare come una pazza isterica.
-No, non credo! Vuole dar priorità alle questioni del branco? D’accordo! Farò da sola. Tanto non sarà lui la star del matrimonio.- sputò risentita. Nonostante non lo amasse, voleva che lui provasse attrazione nei suoi confronti, che smaniasse per averla e la portasse in palmo di mano.
Cosa che non si sarebbe sicuramente realizzata, considerato con chi aveva a che fare. Un osso di bisonte sarebbe stato più malleabile.
-Forse dovresti andare con lui… potrebbe aver bisogno…- la giovane non sapeva che dire.
Crystal si voltò a guardarla, supponente. –Di cosa? Del mio aiuto?- domandò, ironica. L’altra annuì, confusa dalla sua reazione. –Se anche avesse bisogno di aiuto, non verrebbe di certo a chiederlo a me.
“Non invidio proprio il vostro matrimonio, allora.”, si ritrovò a pensare la mora. Se la loro relazione era veramente tutta lì, il comportamento di Evan non la stupiva più di tanto.
Ma la cosa che non capiva era perché volessero celebrare le seconde nozze e non chiedere il divorzio.
-Amanda, portami il vestito più costoso e vistoso che avete.- ordinò la modella.
Lei quasi sobbalzò al sentire la sua voce. –Il più costoso…? D’accordo.- disse. Si affrettò a prendere gli abiti scartati ed uscì dal camerino.
Li depositò sull’attaccapanni degli abiti da riporre e poi s’inoltrò nel salone. Mentre passava nell’ampio open space notò come la piccola folla di prima si fosse già dispersa. Dei licantropi non c’era traccia: l’unico segno del loro passaggio erano le macchie di sangue.
  E la rabbia di Gabrielle, impegnata a dare disposizioni.
Passò oltre ed entrò in una piccola saletta dov’erano esposti gli abiti delle collezioni più costose. Afferrò quello di pizzo con stecche di balena e diamanti veri e, dopo averlo osservato per qualche istante, tornò indietro.
-Eccomi.- si annunciò, rientrando. –E’ questo.- lo tirò fuori dalla busta protettiva e glielo mostrò, sperando in una risposta positiva.
Quando aveva saputo dell’appuntamento la curiosità l’aveva fatta da padrona, ma ora voleva semplicemente liberarsi di quella cliente. Era rimasta delusa dal rapporto che aveva col suo compagno e ancor più dal fatto che sembravano non amarsi affatto.
Se metteva in conto anche la “piccola scaramuccia” avvenuta oltre la porta del camerino… be’, avrebbe sicuramente ricordato quella giornata come una delle peggiori.
-Oh, ora iniziamo a ragionare.- asserì.
-Usciamo a farlo vedere alle altre…?- s’informò. Non sapeva nemmeno se Stephanie e Bree fossero ancora ai loro posti.
-No, non c’è bisogno. Lo compro.- rispose Crystal, rimirandosi nell’alto specchio. L’abito le calzava come un guanto e lasciava ben poco all’immaginazione. Era sicuramente molto luminoso e l’avrebbe messa al centro dell’attenzione.
“Pessima scelta. Il marito non l’approverà.”, pensò Amanda, lanciandole un’occhiata di sottecchi. –Va bene. Allora te lo porto alla cassa, così puoi pagarlo e poi dovrai scendere in sartoria per le misure.- disse invece, sforzandosi di sorridere.
-D’accordo. Grazie mille.- e detto questo si diresse verso la postazione computer, dov’erano solite fare le ricevute.
Non si tolse nemmeno l’abito di dosso. Amanda si morse la lingua per non imprecarle contro e la seguì a passo spedito.
Una volta davanti a Madison, l’addetta vendite, si scusò con gli occhi e la pregò di servire la signora Forbes. Si congedò il più rapidamente possibile e si allontanò.

-Graham, cosa diavolo sta succedendo?- Evan si girò per affrontarlo, esattamente fuori dall’atelier.
Aveva deciso di reprimere parte del proprio essere in presenza del padre, ma nulla gli impediva di sentirsi irritato. Non si sarebbe mai messo ad imprecare o urlare come un forsennato, ma avrebbe dimostrato quanto poco gli fosse piaciuta quell’improvvisata.
Non che gli dispiacesse esser sfuggito alla scelta dell’abito, ma non voleva che il branco si facesse etichettare subito come “incivile”.
  Ad aggravare la questione c’era anche il fatto che il Gamma del suo clan sembrava aver dimenticato una delle leggi fondamentali dai licantropi: non si usa violenza sulle lupe.
C’erano pene molto gravi per chi osava infrangerla.
E, a giudicare dallo sguardo della donna che li aveva seguiti, Graham aveva cercato di sfidare la sorte.
Passò gli occhi dall’uno all’altra, in attesa di una risposta esauriente.
Poi, però, si rese conto di dove si trovavano e decise di cambiare i propri piani. –Andiamo a casa. E, una volta lì, mi spiegherai cosa stavi cercando di fare.- disse, rivolto al suo compare.
L’uomo fece per protestare, ma lo zittì con un’occhiata. I suoi occhi sapevano essere davvero intimidatori quando voleva.
  Recuperò la propria moto e montò in sella. Controllò nello specchietto che anche gli altri due avessero fatto lo stesso coi propri mezzi e poi si immise nel traffico.
Guidò velocemente, ma comunque limitato dal traffico newyorchese. Una volta in prossimità del Wolf’s Pond Park svoltò sullo sterrato che portava alla villa. Era strano pensare che un branco di licantropi vivesse in un’abitazione degna di una star di Hollywood, ma i tempi erano cambiati ed era difficile trovare castelli abbandonati in quella parte d’America.
  Se volevano vivere in società dovevano adattarsi.
E quel mirabile esempio di architettura in cui vivevano era un bell’investimento sul futuro. Soprattutto per David, considerato che era opera sua.
Lanciò una rapida occhiata alle ampie vetrate della zona giorno e poi si voltò verso i due lupi. Attese che lo raggiungessero e poi incrociò le braccia al petto, in attesa di una spiegazione.
Il più logica possibile.
-Permettimi di spiegarti…- iniziò la donna.
Lui la bloccò con uno sguardo. –Prima di tutto: chi sei tu, se mi è concesso saperlo?- domandò. Gli piaceva conoscere il nome delle persone con cui discorreva. Era una vecchia abitudine dei tempi andati, quando ancora andavano di moda i plastron.
-Emily Blackwood.- rispose, dopo essersi schiarita la voce. –Femmina Alfa del branco dei Blacks.- aggiunse, notando l’espressione del suo interlocutore.
-Blacks? Vorrei saperne di più, se non ti dispiace. Ma più tardi.- le rispose. –Io sono…
Lei lo precedette. –So chi sei. Non è un caso se ti ho raggiunto da Kleinfeld.- disse, lanciando un’occhiataccia a Graham.
Evan se ne accorse e tornò a guardare il terzo in comando all’interno del branco. –E questo ci riporta a te, Graham. Cosa volevi fare?
Quello ringhiò, infastidito dal tono. –Non devo render conto a te, non sei l’Alfa.- sibilò minaccioso.
-Ma sono il suo Campione. Il che mi dà un potere super partes se ci si rivolge a me per avere protezione.- gli ricordò. In quanto figlio dell’Alfa, rispondeva direttamente a Dearan, ma per le questioni inerenti i combattimenti e le tentate aggressioni aveva pieno potere decisionale.
Se poi un lupo chiedeva il suo aiuto, questo lo rendeva al di sopra di quasi tutte le gerarchie perché era l’unico autorizzato a rappresentare il branco nelle questioni ufficiali e con possibilità di spargimenti di sangue.
Se c’era odore di combattimento, era a lui che ci si doveva rivolgere.
-Tu non sei niente. Sei solo il cagnolino di tuo padre.- lo insultò il suo interlocutore. –Faolàn*.
Serrò la mascella, sentendo la sua parte animale rispondere alla sfida. Ma la mise a tacere con discreta facilità e si limitò a fissarlo, immobile. –Quel nomignolo ha smesso di avere effetto su di me da un po’ di tempo, ormai.- rispose, il più lentamente possibile.
Suo padre era solito chiamarlo così quand’era bambino, perché lui era il suo piccolo lupo. Ma dopo la morte della madre e le sue successive insubordinazioni, Dearan aveva iniziato ad usarlo con intenti dispregiativi.
All’inizio si era arrabbiato e ne aveva anche sofferto ma, dopo l’ultimo affronto, aveva deciso di non reagirvi più. –Ebbene? Perché vi siete ritrovati a combattere in un luogo pubblico?- chiese dopo una lunga pausa.
-Perché lei è una stupida femmina in calore!- sbottò quello. Emily si arrabbiò e per poco non gli rifilò una gomitata in faccia. Solo l’intervento tempestivo di Evan glielo impedì.
-Emily?- decise di sentire anche la sua versione dei fatti.
Lei gli lanciò un’occhiata coi suoi occhi verdi. –Mi sono avvicinata a Graham perché ho capito che era il Gamma del clan MacGregor. Avevo… ho bisogno di parlare col vostro Alfa per una questione molto importante.- disse, rimanendo abbastanza vaga.
-Ti sei avvicinata a me perché volevi una ripassata.- ribattè il diretto interessato. Lei fece per attaccarlo ancora, ma fu nuovamente bloccata.
“Ha un bel caratterino.”, si ritrovò a considerare il giovane dagli occhi grigi. –Stavi cercando un approccio sessuale?- le chiese allora.
Riusciva a riconoscere una bugia, ma se il bugiardo era davvero abile avrebbe avuto bisogno di Alastair. Era il migliore in quel genere di giochetti psicologici.
Lei sgranò gli occhi, cercando di capire se le era stata veramente posta una domanda del genere. Alla fine esalò:-Certo che no…
-Ne sei sicura?
-Sì. So cercando di scappare dagli approcci sessuali non graditi.- si spiegò meglio. Abbassò lo sguardo dopo quelle parole, umettandosi le labbra con un movimento nervoso della lingua.
Evan lo notò e decise di prendere in mano le redini della situazione. –Benissimo. Sottoporrò il tuo caso all’Alfa.- le disse. –Fino a quando non avremo preso una decisione…
Ma lei lo interruppe afferrandolo per la giacca. –Fatemi rimanere qui, vi prego! Richiedo la tua protezione, in quanto Campione del branco.- disse con voce accorata. Lui si ritrovò a fissarla dall’alto in basso, stupito e confuso dalla sua reazione.
Ad un certo punto lesse qualcosa nei suoi occhi e fu quello a convincerlo. Staccò gentilmente le sue mani dal proprio petto e poi annuì. –D’accordo. Accetto la tua richiesta.- disse, formale.

  Attese che Gabrielle avesse spento tutte le luci e poi si avviò verso l’uscita.
Come tutti i venerdì sera le due erano rimaste fino alla chiusura del negozio, intenzionate ad andare a mangiare una pizza e poi rilassarsi in un pub.
Sarebbe stata una serata come le altre, se non fosse stato per tutto quello che era successo durante la giornata.
-Ti rendi conto che hanno rovinato due Pnina e un Lazaro?!- sbottò per l’ennesima volta la direttrice vendite.
-Sì, Gabbie, credo sia la ventesima volta che lo ripeti.- le fece notare Amanda, paziente. La sua amica sapeva essere veramente pedante, quando voleva. Soprattutto se c’era di mezzo il lavoro. –Comunque ha detto che risarciranno il negozio.
L’altra le dedicò un’occhiata scettica mentre attendevano il semaforo verde. –Credi sul serio che lo faranno? Cosa vuoi che gliene importi?- replicò.
La mora s’avviò a passo spedito, sistemandosi con un gesto non curante la borsa che portava sulla spalla destra. –Be’, anche i licantropi devono sottostare alla legge. Sicuramente a quella sulla proprietà privata.- ragionò.
-Mhm… sarà.
Mandy le diede una spintarella leggera, sorridendole poco dopo. –Via quel muso lungo! Stiamo andando da Antonio per mangiare la sua deliziosa ed insuperabile pizza.- le ricordò. Al solo pensiero le veniva l’acquolina in bocca. Avrebbe ucciso per saper cucinare una pizza come quella che riusciva a fare quell’uomo: era un vero mago col forno a legna.
Gabrielle si concesse un mezzo sorriso. –Sì, lo so che vorresti rubargli la ricetta.- la punzecchiò.
-Oh, andiamo.- si schermì l’altra. –D’accordo, è vero.- ammise subito dopo, scoppiando a ridere.
Ritrovato il buon’umore allungarono il passo per poter arrivare il prima possibile al locale. Conoscevano il proprietario e sapevano che lui aveva riservato loro un tavolo, come faceva tutti i venerdì da due anni a quella parte.
  Amanda aveva lavorato nella pizzeria come cameriera per pagarsi gli studi ed era stato lì che aveva portato Gabrielle, una sera in cui si erano ritrovate entrambe senza mezzo di trasporto. Probabilmente la loro amicizia era iniziata davanti ad una delle pizze all’italiana del piccolo locale a gestione familiare.
Concedendosi un breve sorriso per quelle considerazioni, la giovane prese posto ed attese che l’amica facesse lo stesso, prima di fare un cenno ad Antonio.
L’uomo le raggiunse rapidamente e, pulendosi le mani nel grembiule, le salutò con un:-Buonasera picciotte! Cosa posso portarvi?
  Come si poteva intuire dal suo modo di parlare, Antonio Gargiulo aveva origini napoletane e ne andava fiero. Sicuramente in molti gli avevano detto che rappresentava uno dei cliché più diffusi al mondo, ma lui amava il suo lavoro e non lo avrebbe scambiato con nessun altro.
-Io vorrei una delle tue pizze speciali. Ho molta fame, questa sera.- disse Amanda, dando solo una rapida letta al menù. Si fidava di Tony e avrebbe lasciato a lui la scelta.
L’uomo scribacchiò qualcosa sul taccuino, annuendo. –E per te, Gabbie? Solita pizza scondita?- la prese in giro.
-No, questa sera vorrei quella coi peperoni.- disse, fingendosi piccata. Quel loro siparietto andava avanti da molto tempo, ormai: Antonio la prendeva in giro per la sua fissa della dieta e Gabrielle metteva sempre su un’aria imbronciata da bambina, fingendosi indispettita.
Se lui non fosse stato felicemente sposato e con prole (nonché molto più vecchio di lei), avrebbero formato una bella coppia.
-Arrivano subito, signore. Intanto rilassatevi e chiacchierate come solo voi sapete fare.- lasciò loro una copia dell’ordine e poi sparì in cucina.
Amanda si sistemò il tovagliolo sulle gambe e poi si ritrovò a fissare Gabrielle, stranamente pensierosa. –Ehi… che succede?- domandò.
Lei si riscosse, spostando una ciocca dei capelli castani dietro l’orecchio. –Niente. Stavo ripensando a quello che è successo oggi.- ammise.
-Alla lotta nel negozio?- indagò, facendosi guardinga. Quando assumeva quell’aria circospetta, Gabbie si faceva estremamente seria.
Annuì. –Sì. Sai, era la prima volta che incontravo dei licantropi. E devo dire che non mi aspettavo di vederli azzuffarsi.- spiegò, giocherellando con il pacchettino di grissini.
-Be’, ci sarà stato sicuramente un motivo. Il signor MacGregor non sembrava felice della cosa.- ragionò, rubandole il sacchetto e prendendo un pezzo di pane.
L’altra alzò un sopracciglio. –Il signor MacGregor?
Amanda la guardò interdetta, poi arrossì un pochino. –Be’… insomma, mi fa strano chiamare i clienti per nome quando non ce li ho davanti.- si giustificò, nascondendo l’imbarazzo dietro ad una sorsata d’acqua.
-Non è che ti sei invaghita del bel licantropo? Non era niente male, a parte l’aria cupa e le cicatrici.- la punzecchiò la compare.
-Invaghita di un uomo sposato? E per di più con la coda? Dico, ma mi credi così stupida?- domandò fissandola allibita.
Quella sua reazione fece scoppiare a ridere di gusto Gabrielle. La sua risata attirò l’attenzione di alcuni clienti ed Amanda cercò di farla smettere, a disagio. Quando finalmente fu riuscita a calmarla, tornò seria e le disse:-Non vorrei mai innamorarmi di un uomo del genere.
-Perché?
-Perché non dà valore al matrimonio. Non gliene importa nulla, anche se un po’ lo capisco: sua moglie è totalmente concentrata su se stessa.- asserì.
-Mai dire mai, te l’ho già detto. Io credevo che non mi sarei mai sposata prima dei trenta, invece eccomi qui: separata a ventisette anni.- le mostrò la mano sinistra, dove ancora si vedeva il segno lasciato dalla fede. Erano passati appena due mesi dall’ufficializzazione della sua separazione, ma lei sembrava già in grado di riderci su.
Lei e suo marito Samuel si erano dovuti separare per cause di forza maggiore. Lui aveva scoperto di avere il cancro ed era volato in Europa per farsi curare. Di lì la scelta di separarsi, con la promessa di ritrovarsi, prima o poi.
  Mandy sapeva che i due si amavano ancora come fosse il primo giorno e solo la malattia li teneva divisi. Non aveva mai realmente capito la scelta di porre fine al loro matrimonio, ma era stata vicina all’amica, dando tutta se stessa.
-Be’, ora come ora sei diversamente single.- le ricordò.
-Sì, come vuoi. Fatto sta che qualcuno mi ha messo l’anello al dito prima dei trent’anni.- liquidò la questione con un gesto della mano. Spesso fingeva di essere più cinica di quanto non fosse, solo per mascherare la sua fragilità.
-D’accordo, hai ragione.- le diede corda. –Ma rimane il fatto che hai qualcuno che ami e che ti ama.
Gabbie sbuffò. –Sei tu che non vuoi lasciarti andare dopo Wayne. Lo capisco, ma per me è uno spreco. Sei giovane e sai cucinare: quale uomo sano di mente si lascerebbe scappare l’occasione?- aveva iniziato col suo solito discorso.
Si era convinta di doverle fare da Cupido ed aiutarla a trovare un uomo prima dei venticinque anni, in modo da vederla sistemata e felice. Cercare di spiegarle che per un po’ il suo cuore se ne sarebbe stato in stand by sembrava un’impresa impossibile.
-Non è che il fatto di saper cucinare mi renda un buon partito.- le fece notare, ridacchiando.
-Migliore di me sicuro.- commentò l’altra.
Si fissarono in silenzio e poi ridacchiarono, scuotendo la testa e dandosi delle stupide. Si ritrovavano spesso a fare discorsi del genere, quasi fossero due cinquantenni sole.
C’era da dire, però, che quell’incontro col mondo del soprannaturale era stato strano. Nonostante Amanda non volesse ammetterlo, Evan MacGregor le aveva lasciato un’impressione abbastanza indelebile.
  Le era sembrato un lupo in una gabbia dorata.


  Dato che Dearan era fuori per una battuta di caccia, avevano deciso di rimandare le spiegazioni al giorno seguente.
Quando l’Alfa non c’era il comando passava automaticamente al Beta, ma Alastair aveva detto di voler aspettare il ritorno del capobranco per sottoporgli la questione. Evan non riusciva a capacitarsi del perché l’uomo non avesse mai rivendicato il ruolo di leader: l’unico impedimento che gli veniva in mente era solo… be’, lui.
  In effetti il suo ruolo di Campione avrebbe potuto rappresentare un ostacolo, ma avrebbero trovato un accordo e Alst avrebbe potuto essere Alfa in poco.
Tutto pur di liberarsi del suo amato paparino.
Invece lui aveva continuato ad opporsi a quell’idea, testardo come solo uno scozzese poteva essere.
  Sospirando si passò una mano tra i capelli. Negli ultimi tempi, anzi forse era meglio dire negli ultimi decenni, aveva preso l’abitudine di ragionare molto sulle cose. Sapeva che torcersi le budella per ogni singolo problema era controproducente, ma analizzare i fatti lo aiutava a non cadere vittima dei sotterfugi del padre.
  E anche a mantenere l’autocontrollo, drasticamente diminuito quando i geni canini si erano impossessati definitivamente del suo corpo, all’età di ventiquattro anni. A differenza di Dearan, Evan apparteneva al ceppo di nuova generazione ed era in grado di trarre giovamento dalle fasi lunari. Poteva assumere anche una forma intermedia e trasformarsi nel cosiddetto uomo-lupo delle leggende europee.
Oppure trasfigurare parti del proprio corpo a seconda delle necessità.
Quella sua capacità, che condivideva con Graham e altri membri giovani del branco, gli era invidiata dal genitore, limitato dalla propria genetica ad assumere solo forma umana o animale.
Quello era uno dei motivi che aveva favorito il deteriorarsi del loro rapporto.
-Ehi, che fai qui fuori?- una voce interruppe il filo dei suoi pensieri. Intimamente infastidito dalla cosa, alzò gli occhi per incontrare quelli dell’unico in grado di stargli accanto senza volerlo strangolare.
-David. Non hai nessun progetto da portare avanti? Scadenze imminenti a cui dedicarti?- chiese, cercando di suonare ironico. L’amico arricciò il labbro superiore in una smorfia. –Stavo pensando.- si corresse allora.
-A cosa?- volle sapere l’inglese.
-A tutto e a niente.- ammise. –Alla mia vita di licantropo.
-Stavi meditando vendetta nei confronti di tuo padre?- domandò, fingendosi sconvolto dalla cosa. In verità nemmeno lui sopportava Dearan e aveva dovuto combattere fino allo stremo per farsi accettare nel branco. Tutto perché era nato nella parte sbagliata della Gran Bretagna.
Sbuffò, sentendosi prese per i fondelli. -Se sai già la risposta perché fai la domanda?- gli lanciò un’occhiata.
L’altro fece spallucce, sorridendo nell’oscurità. –Lo sai che mi piace stuzzicarti: ti tiene reattivo agli insulti del nostro Alfa.- gli rispose.
-Che bella cosa l’amore paterno, eh?- sollevò un angolo della bocca, amareggiato.
Dave lo osservò in silenzio per un po’, tentando di valutare il suo stato d’animo, poi recuperò qualcosa da dietro la propria schiena e gliel’allungò. –Vuoi una birra?
Evan l’accettò senza farsi pregare. –Grazie.
Prese un sorso, lasciando spaziare lo sguardo sulla grande distesa di alberi che costituiva il giardino della loro immensa villa. –Cos’è successo oggi? Ho visto che abbiamo un’ospite.- domandò, cambiando improvvisamente argomento.
-Graham voleva divertirsi, ma gli è andata male. La lupa lo ha avvicinato per arrivare al branco.- spiegò succintamente.
-Cosa vuole, lo sai?
Scosse lentamente la testa. –No, sto aspettando il ritorno dell’Alfa come tutti gli altri.- disse, facendo roteare il liquido dorato all’interno della bottiglia.
I due rimasero in silenzio, persi nei propri pensieri. Quando si trattava di loro due, non c’era bisogno di grandi discorsi: si parlavano con gli occhi e col corpo.
Molto spesso David anticipava le mosse di Evan ed Evan sapeva cos’avrebbe detto David ancora prima di pensarlo.
Erano come fratelli, il cui legame era più forte di quello tra consanguinei.
-Con tua moglie com’è andata? Ha trovato il favoloso vestito per le vostre seconde nozze?- puntò i suoi occhi azzurri sul viso del compare, pronto a qualsiasi reazione. Quando si parlava di Crystal era come camminare su un terreno minato.
In effetti erano pochi gli argomenti legati alla sua vita di licantropo che non gli causassero reazioni negative. Ovviamente smorzate dalla patina di apatia da cui si era lasciato avvolgere.
Ricordava il vecchio Evan e avrebbe pagato oro sonante per poterlo riavere indietro. Avrebbe anche ucciso, se fosse stato necessario.
Ma l’amico sembrava vivere bene in quel guscio di indifferenza che si era appositamente creato e non voleva assolutamente peggiorare la situazione.
-E’ stata una pacchia.- fu la risposta. Il suo umorismo nero era sempre bene accetto.
-Deduco che abbia fatto il suo numero.- commentò l’uomo.
-Sicuramente l’assistente che doveva seguirla non avrà passato un bel pomeriggio. Ma non ho avuto l’onore di assistere alla sfuriata: sono stato preso da altro.- disse.
Strabuzzò gli occhi. -Quindi la notizia di due licantropi che stavano lottando da Kleinfeld era vera?!
Evan annuì lentamente, prendendo un sorso di birra.
-Graham è proprio un idiota.- anche David bevve una sorsata del liquido ambrato.
-E’ l’ennesima riprova. C’è un motivo se lo ignoro, ogni volta che mi provoca.- replicò l’altro, allungando le gambe e distendendosi sull’erba.
-Tu ignori praticamente tutti, nel branco, ad esclusione di me e Alst.- gli fece presente.
-E non devo nemmeno spiegarti perché, giusto?
-No.- Dave sospirò, terminando la propria bottiglia. –Rimani qui fuori, stanotte?
Il licantropo voltò leggermente la testa e poi tornò a fissare il cielo. –Probabile.- concesse infine.
Il fastidioso chiacchiericcio che proveniva dalla villa non lo invitava certo ad entrare e unirsi al branco per una partita a bigliardo. Era sempre stato un solitario ed ora lo era due volte di più.
-Va bene. Io devo andare a finire alcuni render, quindi… ti lascio ai tuoi pensieri.- l’inglese si alzò, spazzolandosi con le mani i jeans scoloriti.
-Buon lavoro. Mandamene una copia sul portatile: sai che mi piacciono i tuoi lavori.- gli disse. David rispose con un cenno della mano e poi si affrettò verso le luci, deciso a finire le tre tavole di renderizzazione da presentare ai clienti l’indomani.
Il giovane MacGregor restò in ascolto, seguendo il ritmo cadenzato dei suoi passi, finché non lo perse in mezzo alle aure degli altri licantropi.
Piegò una gamba e puntò gli occhi sulla volta celeste, difficilmente visibile a causa delle luci della città. Se c’era una cosa che amava della Scozia era il suo essere rimasta una terra selvaggia: lì le stelle brillavano come tante lucciole.
Stava per ringhiare contro il padre quando sentì distintamente il vetro di una delle finestre del piano di sopra rompersi. Scattò in piedi e si tese, in ascolto.
  L’aria gli portò al naso due odori: uno conosciuto ed uno appena incontrato.
Senza pensarci due volte corse verso casa.


  Lanciò distrattamente un’occhiata all’orologio prima di cercare le chiavi di casa dentro la borsa.
Era parecchio che lei e Gabrielle non facevano così tardi e non si era nemmeno resa conto del tempo che passava, nonostante la disastrosa giornata.
“Ragioni come una vecchietta, Amanda.”, si rimproverò, entrando silenziosamente nell’appartamento. Aveva solo ventidue anni e non usciva per far baldoria con le amiche da parecchio tempo. Tutta colpa di Wayne e della sua stupida trovata!
Scosse energicamente la testa, impedendosi di ricadere in quei pensieri masochisti. Ci aveva messo tantissimo tempo a riprendersi e rendere quanto meno innocui i ricordi della sua relazione con quel bastardo.
  Se c’era una cosa che odiava di sé era l’attaccamento che riusciva a sviluppare nei confronti delle persone. Nonostante la sua corazza protettiva, quando questa veniva attraversata dava tutta se stessa nelle relazioni personali.
E Wayne…
-Basta, insomma!- si diede un leggero schiaffo sulla guancia.
Restò per qualche istante ferma al centro della zona giorno e poi si decise a dirigersi verso la propria camera, senza nemmeno premurarsi di accendere la luce.
Si svestì molto rapidamente e poi andò in bagno per concedersi una doccia. Tempo mezz’ora ed era già sotto le lenzuola, decisa a svegliarsi presto per poter andare a fare una passeggiata.
Non era una di quelle persone salutiste fissate con lo sport, ma era cresciuta in mezzo a distese d’erba e, quando poteva, cercava di rinsaldare il suo legame con la natura.
  Come?
Da quando aveva iniziato a studiare a New York, si era ripromessa di visitare tutti i parchi della città e scoprire quello che riservavano. Dopo ben quattro anni di permanenza, si poteva ritenere soddisfatta del numero raggiunto.
“Domani potrei andare a Fort Tyron Park…”, ragionò, accoccolandosi su un fianco. Era uno degli spazi verdi più vecchi della città ed era anche molto vicino a dove abitava.
Stava quasi per addormentarsi quando sentì dei rumori.
Aprì gli occhi all’improvviso e drizzò le orecchie, cercando di capire da dove provenissero. Dopo qualche minuto di attento ascolto, sbuffò ed afferrò il cellulare. Digitò in fretta il messaggio e rimase in attesa.
Poco dopo i gemiti provenienti dalla camera da letto di Fran e Drew cessarono. D’accordo che erano fidanzati, ma erano quasi le quattro di notte, dannazione, e i solai di quel palazzo erano molto sottili!
Lentamente tornò ad abbracciare il cuscino. Fece alcuni rapidi progetti per il giorno successivo e sentì le membra rilassarsi. Nuovamente in procinto di cadere tra le braccia di Morfeo, un’immagine fece capolino tra i suoi pensieri annebbiati. Non si svegliò, ma guardò con curiosità e stupore il lupo che aveva davanti.
  L’animale la fissò a sua volta, calmo, per poi trasformarsi ed assumere sembianze umane. Non seppe mai in chi si era trasfigurato perché il suo cervello si spense proprio in quel momento.


  Non pensò nemmeno per un istante di entrare in casa e salire le scale.
Deviò la propria traiettoria verso la grossa quercia che cresceva davanti ad una delle ampie zone notte della casa e si arrampicò, sfruttando i rami nodosi dell’albero come scalini.
Si accucciò tra le foglie ancora verdi e fiutò l’aria, cercando di stabilire più precisamente le dinamiche di quello che stava succedendo.
Captò dei rumori di lotta, bassi ringhi e qualche imprecazione.
“Questa volta l’hai fatta grossa.”, pensò balzando attraverso il buco della finestra.
La camera della loro nuova ospite era tutta sottosopra e sul materasso c’erano segni d’unghiate. Un odore ferrigno gli arrivò alle narici e voltò la testa di scatto, individuando alcune macchioline di sangue, rese quasi nere dalla luce notturna.
Arricciò il labbro superiore ed infilò la porta.
Da qualche parte, dietro di sé, sentì alcuni degli altri licantropi agitarsi, probabilmente disturbati dalla colluttazione o dall’odore di sangue.
  Raggiunse rapidamente la piccola zona adibita a studio che David aveva previsto per gli alloggi e li trovò avvinghiati in uno strenuo corpo a corpo.
Il parquet chiaro era segnato da numerosi segni d’artiglio e v’era una lunga strisciata di sangue.
Prese un respiro profondo, furioso per quell’offesa alla sacralità dell’ospitalità e raggiunse i due con tre rapide falcate. Senza una parola afferrò Graham per la testa e lo costrinse ad alzarla.
Il Gamma ringhiò una protesta, cercando di capire chi osasse disturbarlo.
-Tu!- esclamò quando lo riconobbe.
Evan non disse nulla, ma spostò il proprio sguardo su Emily. Osservò la guancia gonfia e arrossata e la brutta ferita che aveva al fianco. La sua canottiera era strappata in più punti e aveva anche il labbro inferiore spaccato.
Non servirono le parole, solamente un cenno del capo.
-Ti sfido a duello, Graham MacNeil, Gamma del branco. Ti sfido in nome della lupa Emily Blackwood.- sentenziò con voce ferale.
L’uomo mostrò i denti. –Non aspettavo altro che questo, Faolàn.
Lo staccò a forza dalla sua vittima e lo obbligò ad alzarsi in piedi. –Non osare mai più avvicinarti a lei.- ordinò. La sua voce non aveva subito nessuna inflessione, ma il tono era stato categorico ed assolutamente intimidatorio.
-Cosa sta succedendo qui?!- Dearan piombò dentro la stanza come una furia, confuso ed arrabbiato. A quanto pareva aveva anticipato il proprio rientro. Diede una rapida occhiata alla scena e poi puntò gli occhi sul figlio, in attesa di spiegazioni.
-Graham ha cercato di usare violenza sulla nostra ospite. Lei mi ha nominato suo Campione ed io l’ho sfidato. Dato che ha infranto le regole più sacre dei licantropi, lo affronterò nel Ring.- lo informò.
Suo padre spalancò gli occhi e poi li puntò sul proprio Gamma.
Cercò un appiglio, ma sapeva che non c’erano scappatoie. Rinunciare ad un membro della sua triade non gli piaceva per niente, però. –E sia. Non posso oppormi alle antiche leggi.- acconsentì, furente.
  In poco l’intero branco si ritrovò davanti alla villa. Vennero spente tutte le luci, comprese quelle esterne ed accese alcune fiaccole, nel pieno rispetto della tradizione.
Alastair recuperò la polvere di sorbo e tracciò un cerchio sull’erba attorno ai due contendenti, già schierati e pronti a battersi.
  Il Ring nasceva come luogo di scontri mortali e aveva una tradizione lunghissima alle spalle. Il sorbo veniva usato per impedire a qualsiasi lupo, che non fosse coinvolto direttamente nel combattimento, di intervenire.
Spesso gli scontri che si disputavano all’interno del cerchio nero avvenivano per punire i membri che erano andati contro le regole, quelle a cui non si poteva né si doveva trasgredire. Oppure era stato usato per la nomina di nuovi Alfa, quando la discendenza di sangue veniva a mancare.
  Quella sera sarebbe stato teatro di uno scontro il cui solo scopo era far giustizia.
Ad Evan non piaceva uccidere, non come piaceva ai Cacciatori del branco, ma quello era l’unico modo che conosceva per rimanere a galla e mantenere un contatto con la sua vecchia terra, il suo vecchio io.
 Col suo passato, in poche parole.
Si era proposto come Campione molto tempo addietro, dopo esser riuscito a soffocare il desiderio di vendetta nei confronti del progenitore.
Con l’avanzare degli anni e il passaggio al XX secolo, i combattimenti si erano fatti più radi, ma nessuno si era mai sognato di provare a sottrargli la carica.
E c’era un motivo: era riuscito a diventare un combattente quasi completo e pochi avrebbero potuto sfidarlo ad armi pari.
  Graham era forte, non si poteva negare, ma era scoordinato e troppo pieno di sé. Se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe avuto ragione di lui.
Si inginocchiò lentamente, facendo perno col pugno per mantenersi in equilibrio. Chiuse gli occhi e richiamò la sua parte animale.
  La trasformazione non gli causava più lo stesso dolore delle prime esperienze, ma rimaneva comunque un processo umido e fastidioso. Avvertì distrattamente il suo avversario avviare la metamorfosi nel momento in cui le sue ossa riprendevano a risaldarsi.
Mosse impercettibilmente le orecchie e poi sollevò il muso, mettendo a fuoco quello che aveva intorno. Davanti a lui stava la familiare figura lupina di Graham, col pelo grigio chiazzato di nero.
I loro occhi s’incontrarono e si lasciò sfuggire un ringhio.
“Pagherai per questo. E per tutto il resto.”, pensò Evan, piegandosi sulle zampe posteriori. Attese un istante prima di scattare in avanti ed attaccare.

  Il primo colpo che mise a segno fu un morso, diretto alla zampa sinistra del suo avversario.
Quello uggiolò e si liberò di lui con una zampata.
Ringhiò, arricciando il naso.
  In quel momento si sentiva dominato dalla bestia, ma poteva ancora fermarla.
La sua forza interiore aveva avuto la forza sufficiente per ingabbiare la rabbia, molto tempo prima… quella rabbia che aveva la forma di un lupo e premeva per uscire a tutti i pleniluni.
Ritornò al presente ed evitò per un pelo i denti di Graham. Si sbilanciò e cadde, mentre il suo avversario finì la sua corsa nell’erba, a pochi centimetri dal perimetro di sorbo.
Si rimise sulle quattro zampe con un agile movimento ed attaccò, approfittando della posizione in cui si trovava l’altro. Il Gamma si voltò sulla schiena all’ultimo e lo bloccò con le zampe anteriori, snudando le zanne in segno di sfida.
  La sua mascella schioccò a vuoto e sentì le unghie conficcarglisi nella gola. Graffiò ogni centimetro libero di pelle che trovò e alla fine fu libero.
Inspirò rumorosamente ed arruffò il pelo sulla collottola, arrabbiato. Graham lo fissò dall’altra parte del cerchio, le orecchie tese all’indietro.
Nonostante la sua baldanza aveva paura e non era certo della vittoria.
Percorse qualche metro tenendo lo sguardo fisso sul suo contendente. Alla fine del giro si erano scambiati di posto ed Evan aveva trovato il suo punto debole. Se l’era creato lui stesso non molto prima.
Si buttò a testa bassa verso l’altro licantropo, sperando che abboccasse. Il lupo grigio, vedendosi attaccato, balzò di lato arcuando l’intero corpo. La sua priorità era difendere la zampa ferita, per evitare di subire altri danni.
  Mentre era in aria Evan si sollevò sulle zampe posteriori, colpendolo allo sterno. Finirono a terra, avvinghiati in un feroce corpo a corpo.
Quando si bloccarono, poco dopo, le fauci del Campione erano serrata sulla giugulare del Gamma. Il giovane MacGregor aveva inchiodato il proprio avversario a terra sfruttando il proprio peso ed era pronto a dargli il colpo di grazia.
Graham tentò di liberarsi fino all’ultimo, ma alla fine fu costretto ad accettare il proprio destino.
  Un affondo pulito e la scintilla nei suoi occhi si spense.



* come potete aver ben intuito, il termine, tra i vari significati, ha anche quello di "piccolo lupo".

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Capitolo 5
*** Cap. 4 Caos all'Internazionale ***


Cap. 4 Caos all'Internazionale
Ed eccoci al quarto capitolo... già al quarto? o.O wow XD
Comunque, prima di tutto, buon San Valentino a tutti quanti :) Questo non è il capitolo più adatto per la ricorrenza, ma a mia difesa posso dire che si inizia ad entrare nel vivo!

P.S.: Non so se esista una festa del genere a New York (probabile, considerate le dimensioni della città e l'eterogeneità delle persone che ci vivono); comunque mi sono ispirata alla Fiera Europea che si tiene a Ferrara, dato che io abito lì vicino.




Cap. 4 Caos all’Internazionale


  Il branco esplose in un boato di approvazione.
Non perché avesse vinto (almeno non per quell’unico motivo), ma perché era stato un bel combattimento.
Dearan fece un cenno ad Alastair e lui ruppe il sigillo di sorbo.
Evan guardò il padre, in attesa: nella sua forma animale lo poteva fissare direttamente negli occhi.
  Colse un guizzo di rabbia nello sguardo del genitore, ma venne represso subito. –Il combattimento ha decretato la vittoria del Campione. La lupa Emily è sotto la sua protezione e avrà diritto di chiedere il suo aiuto contro chiunque volesse muoverle violenza.- sentenziò con voce ferma.
Quella formula di rito aveva ormai perso il proprio significato. Solitamente, dopo la prima richiesta di protezione, il Campione non veniva chiamato in causa una seconda volta perché il problema era stato risolto alla radice.
Sperò che anche in quel caso il problema si fosse concluso con la morte di Graham.
-Ora che Graham è morto, il posto di Gamma è vacante. I Pretendenti possono farsi avanti e sfidarsi per ottenerlo.- continuò il capobranco. Gettò un’ultima occhiata al cadavere del suo sottoposto, quasi disgustato dal modo in cui si era fatto uccidere. –Preparate una pira. Bruceremo il suo corpo come da usanza.- aggiunse.
  Le sue parole misero in moto un’efficiente macchina composta da quasi trenta individui. I membri del branco si sparpagliarono e andarono a recuperare i rami necessari per realizzare la catasta. Sin dall’antichità i licantropi avevano bruciato i loro morti per timore che questi potessero risvegliarsi e diventare vampiri.
Da molto tempo quella stupida credenza era stata confutata, ma le tradizioni sono dure a morire. Soprattutto in Scozia.
-Grazie.- Emily si avvicinò mesta, allungando una mano verso il grosso lupo dal pelo rossiccio.
Evan la guardò coi suoi strani occhi cangianti e poi fece un cenno col capo, abbastanza rigidamente.
-Vieni con me, ragazza. Ti controllerò la ferita e poi ti assegnerò una stanza tutta per te.- le disse Alst. Lei lo guardò, disorientata, ma poi annuì, seguendolo all’interno della villa.
Non appena se ne fu andata, il giovane MacGregor riassunse sembianze umane. –Ho bisogno di un bagno. E di una birra.- disse, facendo schioccare il collo un paio di volta.
-Ti senti bene?- gli domandò David, avvicinandoglisi.
L’amico lo soppesò, scrutando la sua espressione sinceramente preoccupata. –Un po’ meno frustrato.- ammise, contraendo involontariamente le mani.
-Era da un po’ che non veniva richiesta la tua protezione.- ragionò l’inglese, evitando accuratamente di fargli notare quel gesto dettato dallo stress.
-Non ricordarmelo.
Dave si passò una mano tra i ricci scuri, sospirando. –Non potresti trovare un modo… meno imbecille per rimanere a galla?- gli chiese. Dio solo sapeva quante volte avevano affrontato quel discorso.
-No.- tagliò corto l’amico. –O così o divento un assassino psicopatico.
-Sai, inizio a pensare che non sarebbe così male.- replicò l’altro, chiaramente ironico.
Evan si lasciò sfuggire un sogghigno, divertito dal suo tono. –Piuttosto… il posto di Gamma è vacante, ora.- gli fece notare.
Gli occhi del suo interlocutore scandagliarono il prato circostante, noncuranti. -Sì, lo so.- fu la risposta.
David era un licantropo estremamente dotato e particolarmente bravo nel lavoro di squadra: sarebbe stato perfetto assieme ad Alastair. Il problema era che non gli andava a genio di dover far parte della triade di potere di Dearan.
  E come dargli torto?
Tra i due, era difficile stabilire chi fosse il più odiato dall’Alfa.
-Dovresti parlarne con Alst.- gli suggerì lo scozzese, seguendo i movimenti degli altri lupi. Stavano accatastando la legna con efficienza e rapidità.
Il moro lo guardò indignato. -Non voglio ottenere una raccomandazione!- sbottò.
-Credi che Alst ti darebbe una raccomandazione? Non ci credi nemmeno tu.- gli fece presente, sollevando un sopracciglio. –No, volevo dire che potrebbe spiegarti come sopportare il mio caro paparino…
-Perché sei convinto che entrerò in lizza?- domandò, sospirando. Non aveva mai aspirato al ruolo di Pretendente e viveva benissimo come semplice lupo. D’accordo, magari aveva un ruolo di spicco perché era l’architetto del branco, ma rimaneva comunque al di sotto dei ranghi più alti.
Avrebbe preso in considerazione la candidatura solamente nel caso in cui Evan fosse diventato Alfa. Ma, dato che l’amico non sembrava intenzionato a compiere quel passo, si sarebbe limitato a progettare case. Almeno per un altro po’.
-Vedrai: prima della fine diventerai un Pretendente.- assicurò Evan. “Farò in modo che tu possa essere il nuovo Gamma. Almeno avrò un altro alleato ai piani alti e mio padre perderà un po’ della sua arroganza.”, pensò, sicuro di sé.
Se fosse servito, avrebbe coinvolto Alastair.
-Rimani per l’ultimo saluto?- domandò ad un certo punto David.
Evan si riscosse e lo guardò, perplesso. Poi colse il guizzo di una fiamma e si voltò verso la pira, in procinto di essere accesa. Il corpo di Graham vi era già stato adagiato.
-No, ho già dato il mio saluto a quello stronzo.- commentò, dando le spalle alla cerimonia in memoria del cugino. –Vado in camera. Tieni d’occhio Emily, nel caso dovesse tornare.
L’inglese si accigliò, perplesso. –D’accordo…- mormorò.
  L’altro si congedò con un cenno della mano e si avviò lentamente verso l’enorme villa del branco.

“Devo trovare il tempo per parlarle e capire cosa sta succedendo veramente.”, ragionò, salendo lentamente la prima rampa di scale che portava al piano superiore.
Lasciò che i piedi lo conducessero autonomamente alla meta e si ripromise di trovare informazioni sui clan di licantropi della Grande Mela.
  Così, giusto per essere preparati.
Anche perché, meditando sulla questione, gli tornarono alla mente le cinque lettere di sfida di cui aveva parlato David. Da quanto poteva dedurre, le sfide erano state lanciate più come provocazione che per reale volontà di scontro.
-In ogni caso è lo sfidante che deve entrare nei territori nemici per il combattimento, non si è mai sentito il contrario.- mormorò tra sé, irritato. Com’era possibile che i branchi newyorchesi non conoscessero quelle semplici regole d’etichetta?
  Scosse la testa, terminando di salire l’ultima rampa. Quando alzò lo sguardo si trovò davanti la porta della camera (anzi, meglio dire suite) che condivideva con la sua adorabilmente odiosa moglie.
Gettò un’occhiata all’ambiente e, una volta constatata l’assenza di Crystal, si concesse un sospiro di sollievo.
I privilegi derivanti dallo scontro con Graham avrebbero potuto esser spazzati via in un baleno, nel caso in cui la signora MacGregor avesse voluto iniziare una delle sue tirate.
Recuperò una birra dal frigobar e ne scolò metà tutta d’un sorso, poi si chiuse in bagno, senza curarsi di recuperare qualcosa con cui rivestirsi. Appoggiò la bottiglia sulla mensola accanto allo specchio e si buttò in doccia.
  Aprì il getto dell’acqua e lasciò che si scaldasse, cercando di rilassare mente e corpo: gli sembrava sempre di avere un accenno d’ansia nel respiro, nonostante tentasse di controllarsi.
Osservò le gocce d’acqua precipitare in un flusso continuo e lasciò vagare i pensieri, due dita sotto il getto per tenere sotto controllo la temperatura.
All’improvviso, mentre si stava strofinando energicamente i capelli, percepì un odore conosciuto e vide la porta del bagno aprirsi.
-Cos’è successo là fuori?- domandò Crystal, lanciandogli un’occhiata attraverso il vetro del box doccia.
-Non mi sembra difficile da capire.- commentò Evan, insaponandosi e lanciandole un’occhiata non esattamente benevola. Cosa diavolo voleva?
-Mhm…- fece lei, osservandolo attenta. –Quindi il caro vecchio Graham è morto…?
Recuperò un altro po’ di sapone e se lo passò sul petto. -Non morto: ucciso.- precisò con voce incolore.
-E suppongo sia stato tu.- non era una domanda. Ed Evan si ritenne autorizzato a non rispondere.
Dopo un po’ la sua bionda moglie si avvicinò allo specchio sopra al piano di marmo e finse di sistemarsi il rossetto. –Non mi chiedi dove sono stata fino ad adesso?- domandò, lanciandogli un’occhiata che voleva essere provocante.
-Potresti essere stata su un set fotografico fino ad ora oppure in giro a trastullarti, non m’importa.- commentò lui.
-In verità sono andata a comprare della lingerie nuova e ho trovato anche quella per il matrimonio. Poi mi sono fermata a bere qualcosa con Bree e Steph.- rivelò, facendo scendere abilmente la cerniera dello stretto abito nero che indossava.
Evan le lanciò un’occhiata, certo di sapere cosa sarebbe successo di lì a poco.
Senza aggiungere altro, Crystal terminò di spogliarsi ed entrò nel box doccia. Lasciò che l’acqua le bagnasse i capelli e le scivolasse lungo il corpo, prima di allungare una mano verso l’inguine del suo compagno e baciarlo con voracità.
  Poco prima di concentrarsi su quel nuovo atto carnale, Evan non poté fare a meno di pensare che l’assistente di quel pomeriggio non si sarebbe mai abbandonata a quella rude ed esigente istintività.


***

-Inizio a spazientirmi: a quando l’attacco?- ringhiò, agitando con fare iroso i pugni.
Aveva percorso lo spazio del grande loft in cui si trovavano ormai da ore, in lungo e in largo, nervoso come solo un lupo in gabbia può essere.
Il suo interlocutore, invece, sembrava la calma fatta a persona.
  L’aveva incontrato poco dopo l’arrivo del clan MacGregor, mentre tirava di boxe col suo Beta nel loro quartier generale.
Quell’uomo si era presentato come Rodrick Cameron e gli aveva detto che poteva renderlo uno degli Alfa più potenti di New York, a patto che accettasse di aiutarlo a sbrigare una “faccenda personale”.
Jared aveva provato ad indagare, dato che non era così stupido da accettare un accordo a scatola chiusa, ma l’altro non si era sbottonato.
Gli aveva detto che l’unica cosa che doveva sapere era chi uccidere e quando.
Così, nonostante il suo orgoglio di Alfa, aveva accettato, stuzzicato dall’idea di distruggere un clan antico come quello dei MacGregor. Clan di cui gli aveva ampiamente parlato Rodrick, informandolo sulle identità della triade di potere e di quella del Campione.
Stava per sbottare nuovamente contro quell’uomo dai capelli sale e pepe, quando il suo cellulare vibrò. Lo estrasse dalla tasca e lesse ad alta voce:-C’è un nuovo lupo nella foresta.
Sorrise, soddisfatto e guardò il suo socio in affari.
-Si dia inizio alle danze.- commentò quello.


***

  Il giorno prima, quando si era svegliata per andare a correre, il cielo prometteva pioggia. Quella domenica, invece, si prospettava mite e soleggiata, perfetta per una visita all’Internazionale, una fiera gastronomica che raccoglieva i prodotti culinari di buona parte del mondo.
  Si svolgeva al Madison Square Park, quindi abbastanza distante rispetto a dove abitava Amanda, ma fortunatamente l’uomo aveva inventato la metropolitana e i trasporti pubblici e per lei non sarebbe stato così difficile arrivare a destinazione.
Si era messa d’accordo con Drew e Fran per trovarsi all’ingresso del parco ma, conoscendo la sorella, la giovane si era presa la libertà di partire con tutta calma e raggiungere la fiera nel primo pomeriggio.
  I primi sentori d’autunno si potevano già scorgere nelle foglie degli alberi, spruzzate di rosso e arancio. Amanda adorava quella stagione perché rendeva New York molto più colorata e le ricordava il Kansas.
Le piaceva anche la temperatura ancora molto estiva che le aveva permesso di non infagottarsi con sciarpe inconsistenti e giacche.
Sorridente, respirò a pieni polmoni e poi si avvicinò al bordo del marciapiedi, aspettando che scattasse il verde per i pedoni. Dall’altra parte della strada si potevano facilmente scorgere le bancarelle colorate ed i primi curiosi.
Si mosse rapidamente e, in poco, si trovò davanti al cancello d’entrata. Estrasse il cellulare e scrisse a Frances che l’avrebbero trovata all’interno, nel caso fossero arrivati entro un’ora.
  Senza nemmeno aspettare una risposta, si addentrò in quella profusione di odori e colori, lasciandosi investire da quell’esperienza olfattiva e visiva assolutamente piacevole.


-David, ripetimi ancora una volta perché devo farlo. Soprattutto nel mio giorno libero.- domandò forse per l’ennesima volta, scocciato oltre ogni dire.
L’amico sospirò, comprensivo. –Perché la stampa ci considera dei vip e vogliono alcuni scatti. Dato che tu e Crystal rappresentate il volto pubblico del branco, Dearan ha deciso di sfruttare la cosa a proprio favore.- gli spiegò.
L’altro digrignò i denti, profondamente infastidito dal comportamento del genitore. –Che vada al diavolo.- disse in un rapido sussurro.
-Vedila come un modo per iniziare a conoscere la città. Anche se quella non è esattamente la tua zona di competenza.- cercò d’incoraggiarlo Dave. Tentò anche di addolcire la pillola con un sorriso, ma non sembrò funzionare. –D’accordo. Io ed Emily staremo nei paraggi, va bene?
Evan sembrò ritrovare un po’ di serenità. –Grazie.- disse solo.
Lanciò un’ultima occhiata all’inglese e poi raggiunse Crystal, già seduta sulla sua Porche. Ovviamente, dato che si era appena fatta le unghie e i capelli, non poteva guidare e sarebbe toccato a Van.
  La cosa gli avrebbe fatto anche piacere, se solo non avesse odiato le automobili con tutto se stesso. Ogni volta che entrava dentro una di quelle scatole d’acciaio, si sentiva soffocare. Sapeva che era solamente una reazione mentale, ma non poteva farci niente: preferiva di gran lunga la moto ed il vento sul viso.
Proprio come quando era in forma canina.
Osservò la sua cara mogliettina salire a bordo nel modo più stupido e costruito che avesse mai visto, poi mise in moto e si diresse verso l’uscita del Wolf’s Pond. Tempo cinque minuti ed erano praticamente fermi nel traffico cittadino.
“Sarà uno splendido pomeriggio.”, pensò con ironia.
Ci avrebbero messo il doppio del tempo per arrivare a destinazione e questo voleva dire sorbirsi le lamentele di Crystal.
  Evan desiderò solamente trasformarsi e correre via, zigzagando tra le macchine. La Scozia, nel pieno di una tempesta di neve coi fiocchi, si sarebbe sicuramente rivelata più ospitale di quella dannatissima città fatta di vetro e cemento.


  Camminava lentamente tra le bancarelle, sbirciando un po’ di qua e un po’ di là.
Da appassionata di cucina qual era, per lei tutti quei colori e quegli odori erano simili al richiamo di una sirena e stava risultando difficile scegliere cosa comprare.
Ogni volta che sembrava aver preso una decisione, una vocina nella sua testa le diceva di aspettare e proseguire per vedere se c’era di meglio.
-Uffa… non riesco a decidermi.- piagnucolò osservando un’enorme piramide di cannoli siciliani.
Oltre alle leccornie italiane, l’attirava moltissimo la bancarella delle spezie e quella indiana, da cui un sacco pieno di curry sembrava ammiccare ai passanti.
Era stata presa talmente tanto che non si era nemmeno accorta dell’arrivo di molte altre persone: il circuito centrale del parco era ormai ufficialmente affollato.
-Vuole un assaggio?- si sentì chiedere.
Alzò di scatto gli occhi chiari e si ritrovò davanti una signora dal viso pieno e gioviale. –Come…?- fece, smarrita.
La donna indicò i dolci. –I cannoli. Ne vuoi provare uno, bambina?- le sorrise, passando ad un tono più confidenziale.
-Oh. Magari… anche se sarei molto più interessata alla ricetta.- ammise, arrossendo leggermente. Sin da quando aveva iniziato la high school, la sua curiosità si era trasformata in strani e colorati piatti.
A volte i risultati non erano stato dei migliori, ma poi aveva iniziato a ricercare le ricette e gli ingredienti di quello che le piaceva o attirava la sua attenzione e il salto di qualità era stato notevole. Da allora provava a rubare ricette famose o custodite gelosamente per poterle ricreare nella sua cucina.
-Posso farti assaggiare questa prelibatezza, ma non cederò mai la mia ricetta.- rispose la venditrice, ridacchiando divertita.
-Lo immaginavo.- mormorò la giovane, afferrando la cialda che le veniva porta. –Quanto le devo?
La sua interlocutrice scosse la mano. –Offre la casa.
Amanda la guardò stupita. –Ne è sicura?
-Certamente. Si vede che sei una che apprezza la buona cucina.- le fece l’occhiolino, facendola sorridere a sua volta.
-Be’, allora grazie.- mormorò, salutando subito dopo ed allontanandosi per lasciare il posto ad altri clienti.
Facendo attenzione a non sporcarsi, morse con delicatezza il cannolo e lasciò che la ricotta le si sciogliesse in bocca, fresca e corposa. Chiuse gli occhi, assaporando quel piccolo capolavoro, e poi s’incamminò lentamente, seguendo il flusso.
Avanzò di pochi metri e si ritrovò in mezzo ad un folto gruppo di persone. Immediatamente il respiro le si bloccò all’altezza del petto ed allontanò il dolce dalla bocca.
Iniziò a contare fino a dieci, provando a defilarsi il più rapidamente possibile.
“Perché mi infilo sempre in situazioni del genere?”, si chiese, arrabbiata con se stessa. Evitarle, però, le era impossibile: non sopportava di essere limitata dalla sua fobia e aveva deciso di non imporsi divieti di alcun genere.
D’accordo, era escluso l’attraversamento del Canale della Manica in treno o un concerto al chiuso, ma per il resto poteva farcela.
Improvvisamente, dopo esser scampata alla piccola folla, s’imbatté nella sorella.
-Oh, eccoti qui! Ti abbiamo cercata ovunque!- la rimproverò Frances.
Mandy la guardò stranita, cercando sostegno in Andrew. –Scusate, mi ero lasciata prendere.- disse, mostrando loro il suo trofeo.
-Ho visto. Su, diamoci all’esplorazione!- Fran la prese a braccetto, agganciandosi subito dopo al fidanzato e trascinandoli entrambi con sé. Lei non era sicuramente una cuoca provetta, ma era una buona, anzi buonissima forchetta e non si sarebbe mai lasciata sfuggire un evento del genere.

  Non appena avevano messo piede fuori dall’auto, la stampa era piombata su di loro come gli squali su un banco di pesci.
Infastidito, Evan aveva stretto con forza le chiavi nel pugno e si era mantenuto in disparte, sperando che l’appariscente persona di Crystal potesse bastare a tener buoni i giornalisti.
Purtroppo, una donna si accorse della sua presenza e gli si avvicinò col microfono. –E’ lei il famoso signor MacGregor?- gli chiese, avvicinandosi molto più di quanto lui avrebbe voluto.
-No, sono l’autista.- rispose prontamente.
Alla sua uscita, la sua compagna lo fulminò con un’occhiata degna della Regina delle Nevi. Peccato che non gli facesse più effetto da tempo.
I presenti si voltarono verso Crystal, in cerca di spiegazioni. –Sta scherzando. Lui è Evan, mio marito.- lo presentò, sfoggiando un sorriso spiccatamente falso.
-Oh, bene. Le andrebbe di rispondere a qualche domanda?- chiese un uomo sulla cinquantina, registratore alla mano.
“Resta calmo.”, si disse. –Ve ne concedo tre.- disse solamente.
Al che si scatenò un mezzo parapiglia e per poco alcuni dei reporter non arrivarono alle mani. Ad avere la meglio furono tre donne, di età compresa tra i venti e i quarant’anni. La prima si avvicinò tutta sorridente e chiese:-Da quanto dura il vostro matrimonio?
-Cento quarantanove anni.- rispose lui, senza il minimo accenno di dubbio. Aveva tenuto il conto come se, ad un certo punto, avesse potuto andarsene e lasciare quella prigione.
-Come vi siete incontrati?- fu la seconda domanda.
Il giovane MacGregor represse una smorfia, ricordando perfettamente il giorno del proprio matrimonio e la vista di Crystal in abito da sposa. –Non ci siamo incontrati: semplicemente i nostri padri hanno combinato il matrimonio per ragioni… politiche, si può dire così.- rispose, lanciando un’occhiata a sua moglie. La vide assottigliare gli occhi, segno che avrebbe preferito una bella bugia infiocchettata invece di una semplice verità.
Probabilmente stava oscurando un po’ la sua stella, ma non gli interessava più di tanto. Non era lui ad aver scelto di possedere il mondo.
  Dopo quell’affermazione la folla si calmò e gli sembrò quasi di sentire gli ingranaggi dei loro cervelli lavorare a spron battuto. Alla fine, l’intervistatrice che si era accaparrata il diritto all’ultima domanda si fece avanti.
-Prova ancora lo stesso sentimento dopo tutti questi anni?
Evan si trovò in difficoltà: mettere i bastoni fra le ruote a Crystal lo divertiva sempre parecchio, ma non si considerava meschino fino al punto di rivelare a tutti i dettagli della sua vita privata.
-E’ una buona compagna di vita, sempre presente ed entusiasta.- replicò, modulando bene la voce. L’incredulità sul volto della bionda lo fece quasi scoppiare a ridere: probabilmente non se l’era aspettato. –Scusate, ma ora dovremmo andare.- aggiunse, avvolgendole la vita con un braccio e guidandola verso l’ingresso.
Dopo un po’ lei mormorò:-Grazie…
Le lanciò un’occhiata coi suoi occhi grigi. -Sai che non sono così stronzo.
La sua compagna non rispose nulla e lui preferì lasciar cadere il discorso, concentrandosi sulla marea umana che li attendeva oltre le cancellate.
Con la coda dell’occhio intercettò David ed Emily, esattamente dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano loro.


-Ehi, Drew, guarda!
Frances lo afferrò per un braccio e lo trascinò davanti ad una bancarella che vendeva dolci realizzati con le più disparate forme di pesci.
Il ragazzo ridacchiò ed indicò un pesce palla, riportando alla mente un episodio della loro vacanza in Egitto.
  Amanda sorrise, osservando la scena con la coda dell’occhio. Le mancava avere quel tipo di complicità con un uomo, qualcuno che potesse dirsi suo compagno o amico.
“Sono in carenza d’affetto.”, realizzò con un filo di tristezza.
Sapeva che non doveva lasciarsi abbattere, considerato il fatto che aveva ancora molto tempo per trovare il principe azzurro e proporgli una cavalcata nelle campagne del Kansas. Esatto, proporgli una cavalcata: non era il tipo di donna da rimanere inerme in attesa d’aiuto.
E non l’avrebbe fatto nemmeno per soddisfare l’ego del suo lui.
-Mandy!- si riscosse all’improvviso e si voltò.
-Sì?
Fran le allungò un piccolo bignè con scaglie di mandorle. -Questo devi assolutamente riproporlo, è squisito!- le disse, addentando il proprio dolcetto. Si lasciò sfuggire una risatina di fronte all’entusiasmo di sua sorella e poi diede a sua volta un morso.
Effettivamente, quel dolce andava riproposto ad una cena: il contrasto tra dolce e amaro era superbo!
-Hai ragione.- commentò, leccando dalle dita gli ultimi rimasugli di miele. –Ora chiedo il nome di questa bontà.
Amanda fece per sporgersi ed attirare l’attenzione del venditore, quando in lontananza si sentì un urlo.
I tre ragazzi si voltarono di scatto, così come le persone attorno a loro. Erano tutti chiaramente confusi e non sembravano sapere cosa stesse succedendo.
Sicuramente non era un’attrazione della fiera.
Tempo pochi minuti e si udirono dei ringhi molto forti e i prodotti di alcuni banchi d’esposizione volarono in aria.
-Ma cosa…?- Mandy cercò di alzarsi in punta di piedi per poter vedere, ma la folla iniziava a spingere.
Improvvisamente venne investita da una marea urlante di persone, alcune delle quali ferite.    Senza poterlo impedire si ritrovò circondata ed impossibilita a fare qualsiasi cosa che non fosse farsi trascinare.


  Senza nessun preavviso, un gruppo di licantropi aveva fatto irruzione nel Madison Square Park e aveva iniziato a seminare il panico.
Non sapeva chi fossero né a quale branco appartenessero, ma doveva fermarli prima che uccidessero un innocente.
  Dato che erano in forma umana non si trasformò, ma si buttò a capofitto nel parapiglia, urlando a Crystal di seguirlo per dargli una mano. Per quanto potesse essere egoista e vanitosa, in forma canina era una licantropa molto dotata.
Scartò alcune persone e con la coda dell’occhio scorse David ed Emily correre nella sua direzione. Senza decelerare urlò loro:-Dividiamoci ed intercettiamoli!
I due annuirono e si divisero, mentre alle sue spalle sua moglie faceva lo stesso, allontanandosi da lui.
Lasciò liberi i sensi e li usò per individuare un obiettivo in mezzo a tutti quegli odori e quei suoni. Percepì un’aura non molto lontana e deviò a sinistra, senza smettere di correre e scartare gente.
Evitò una sedia voltante ed afferrò fulmineamente un bambino, nascondendolo dietro di sé in modo che non fosse colpito da un altro oggetto scaraventato per aria.
-Allontanatevi! Fate in fretta!- gridò ai presenti, mentre la bestia dentro di lui iniziava ad agitarsi, smaniando un combattimento.
La folla ruppe gli argini, scappando attraverso gli spazi liberi tra un banco d’esposizione e l’altro oppure spintonandosi verso l’uscita più vicina.
Evan non vi badò, concentrandosi sull’uomo che aveva di fronte. Il vento aveva trasportato il suo odore ed ora i due si stavano fissando negli occhi, studiandosi.
Dopo istanti che parvero secoli, l’avversario si lanciò in avanti, le mani protese e piegate ad artiglio. Il Campione del clan MacGregor divaricò leggermente le gambe, pronto a  rispondere all’attacco.
  Quando fu abbastanza vicino lo afferrò per i polsi (evitando accuratamente le unghie) e bloccò la sua corsa, sferrandogli una ginocchiata in pieno stomaco. Quello sputò tutta l’aria che aveva nei polmoni, gemendo per il colpo.
Senza una parola, lo scozzese mollò la presa sull’avambraccio sinistro e gli rifilò una gomitata alla base del collo, riuscendo a stordirlo. Fece per renderlo definitivamente innocuo quando un’altra ondata di persone li travolse, facendogli perdere la presa sul suo avversario.


  Non riusciva a liberarsi e non vedeva più nemmeno Fran ed Andrew.
Tentò nuovamente di farsi strada tra tutti quei corpi, ma era bloccata. Se avesse smesso di agitarsi, si sarebbe resa conto di esser trasportata dal flusso senza bisogno di usare le gambe.
  Il problema era che non avrebbe potuto calmarsi nemmeno volendolo.
In quanto claustrofobica, ritrovarsi pressata senza via d’uscita era una situazione altamente pericolosa per lei. Sentiva già il panico montare e il fiato spezzarsi.
  Provando a mantenere una parte del cervello sufficientemente vigile per poter fuggire, iniziò a contare mentalmente: le avevano insegnato che focalizzarsi su altro aiutava a superare le crisi di panico senza troppi danni.
“Passerà, Amanda. Ne uscirai, tranquilla.”, cercò di convincere se stessa così come un venditore porta a porta provava a convincere un cliente riluttante.
Purtroppo la sua tecnica non sembrava funzionare e sentiva la gola sempre più stretta, come se qualcuno la stesse strozzando. Annaspò in cerca d’aria, provando a far forza per ottenere un po’ di spazio attorno a sé.
-Per favore…- mormorò con un filo di voce.
Nessuno era interessato alla sua paura, erano tutti troppo concentrati sulla propria.
Con la coda dell’occhio continuava a vedere ferite ed occhi sbarrati, senza riuscire a capacitarsi di quello che stava succedendo.
-Amanda!
Alzò la testa di scatto, riconoscendo la voce di Andrew. Si guardò intorno freneticamente, provando a liberare un braccio per farsi notare. La crisi era ormai imminente: la paura aveva conquistato il suo corpo.
-Amanda! Mandy!
-Sono qui!- riuscì ad agitare la mano e sperò che quello bastasse per permettergli d’individuarla. Improvvisamente si sentì afferrare e venne trascinata in avanti, fendendo la marea umana come la prua di una nave.
Quando si ritrovò libera da tutte quelle membra provò a prendere un respiro profondo, ma capì che non aveva il tempo necessario per farlo.
-Dobbiamo uscire da qui, non possiamo fermarci!- si sentì tirare in piedi e vide di sfuggita l’espressione preoccupata del fidanzato di sua sorella.
Annuì debolmente, confusa e strinse forte la sua mano, obbligandosi a correre.
Dopo nemmeno dieci metri si ritrovarono la strada sbarrata. C’era qualcosa, o meglio qualcuno, che impediva di raggiungere il cancello.
Tutt’attorno iniziavano a sentirsi le sirene delle ambulanze e quelle delle vetture della polizia.
-Dove andiamo…?- domandò Frances, la fronte imperlata di sudore.
Andrew, l’unico in grado di ragionare ancora lucidamente, si guardò intorno in cerca di una soluzione, ma non ebbe nemmeno il tempo di aprir bocca che si sentì qualcuno urlare.
Subito dopo un paio di malcapitati si schiantarono sulle prime fila di quel gruppo di persone, mandandone parecchie a rovinare al suolo.
Ci furono gemiti e proteste, ma soprattutto ringhi. Uno dei licantropi si stava divertendo a terrorizzare i presenti, ferendoli e mandandoli gambe all’aria. Fortunatamente non sembrava voler uccidere nessuno, almeno non in prima istanza.
-Dobbiamo andarcene da qui.- stabilì Drew. Amanda, accanto a lui, non poté far a meno di ondeggiare il capo, troppo preoccupata a recuperare la calma. Stava per andare in iperventilazione e doveva evitarlo a tutti i costi.
Sua sorella sembrò notarlo, perché disse:-Drew! Amanda…!
Il ragazzo si voltò ad osservarla e riuscì solo a sgranare gli occhi, consapevole, prima di esser investito da un muro di corpi e finire schiacciato a terra.
  Le due lo seguirono in quella rovinosa caduta e Mandy si ritrovò col viso premuto sul cemento ruvido del percorso, il busto di un uomo a bloccarle la parte inferiore del corpo.
La diga che era riuscita faticosamente a costruire cedette e tutta la paura si riversò all’esterno, lasciandola boccheggiante e preda di ansiti.


  Aveva sistemato due licantropi, mettendoli in fuga e David si stava occupando di un altro attaccabrighe, non molto lontano. Emily sembrava sparita, mentre Crystal se le stava dando di santa ragione con una donna.
Evan fece per cercare l’odore della nuova affiliata quando individuò una gran folla di persone, tutte ammassate le une sulle altre.
Aggrottò le sopracciglia, perplesso e, poco dopo, ecco giungergli al naso un odore sconosciuto, ma familiare. Arricciò il labbro superiore, stanco di quell’insulsa manifestazione di forza.
  Il mondo intero era ancora diffidente nei confronti delle creature soprannaturali e gesti del genere avrebbero solamente confermato le teorie degli oppositori, facendo passare i licantropi per mostri guidati dal solo istinto.
“Ora smetterai di creare disordini.”, pensò, correndo verso la cancellata dov’era bloccata buona parte della gente presente alla fiera. Sorpassò parecchie persone e ne scavalcò fisicamente altre, giungendo in poco davanti al suo avversario.
-Toh… un lupacchiotto!- esclamò quello, fingendosi stupito. –Un lupacchiotto di alto rango, a quanto pare.- aggiunse, dopo una rapida occhiata.
Evan assottigliò gli occhi, lasciandosi scivolare addosso l’insulto velato. –Vattene subito se non vuoi passare guai.- ordinò scandendo bene tutte le parole.
L’altro scoppiò a ridere. –Sennò? Mi uccidi?
-No, ti arresto.- ghignò lo scozzese, mostrandogli fugacemente il proprio distintivo. Avendo deciso di vivere tra gli umani, i licantropi dovevano sottostare alla maggior parte delle loro leggi e la prigione era una pena a cui potevano essere condannati come chiunque altro.
Il suo contendente non si degnò nemmeno di rispondere prima di gettarsi a testa bassa contro di lui. Il giovane MacGregor allargò le braccia, pronto ad accoglierlo e, quando se lo ritrovò addosso, gli bloccò il collo in una presa ferrea.
  Attorno a loro la folla riprese ad agitarsi, spostandosi come un branco di pesci di fronte ad un predatore. Molti dei presenti erano ancora schiacciati sotto il peso di altri corpi e la situazione rischiava di degenerare.
-David!- chiamò a gran voce, parando un pugno e rispondendo con una gomitata. Con la coda dell’occhio gli sembrò di vedere la chioma scura dell’amico, ma fu distratto da un nuovo attacco.
Tentò di allontanarsi da quel punto affollato, ma l’altro licantropo lo arpionò alle gambe, mandandolo lungo disteso sull’asfalto del percorso. Ringhiò, infastidito e liberò abilmente una gamba, imprigionando nuovamente il collo del proprio avversario e ribaltando i ruoli.
-Proprio non impari mai, eh?- lo schernì, voltandosi sulla schiena. Quello gli mostrò i denti e, a tradimento, glieli affondò nel polpaccio.
Trattenne un’imprecazione e mollò la presa, dando modo all’altro di liberarsi.
-Mi occupo delle persone, tu occupati di quel bellimbusto!- la voce di Dave gli arrivò nitida da poco lontano, segno che l’amico l’aveva ormai raggiunto.
Con una preoccupazione in meno, si rialzò e fece scrocchiare le dita delle mani, pronto a tirare qualche pugno.
L’altro sembrò capire l’antifona e decise di trasfigurare parti del proprio corpo.
“Un lupo del nuovo ceppo genetico.”, pensò stupito Evan. Da quando era in America era già il terzo che incontrava, mentre in Scozia erano molto rari. Inseguì quel pensiero per qualche istante, ma poi lo ricacciò indietro per potersi concentrare nello scontro.
Giusto in tempo per evitare un affondo e rispondere con un colpo al plesso solare.


  Non sapeva più dove si trovava.
Sapeva solo che c’era un sotto ed un sopra, ma non era sicura nemmeno di quello. Adesso giaceva su un fianco, ma la situazione stava rapidamente degenerando.
Tentare di autoconvincere il suo cervello che andava tutto bene era inutile, ormai.
Aveva le lacrime agli occhi e aveva disimparato a respirare, limitandosi a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
  Avvertiva il frenetico pulsare del sangue nelle orecchie e le sembrò di poter sentire il cuore espandersi e contrarsi con uno spasimo.
Era avvolta dalla confusione, dai respiri di altre persone e da discorsi frammentati. Qualcuno urlava, qualcun altro cercava di mantenere il controllo di se stesso e della situazione.
Non sapeva dove fossero Frances ed Andrew, li aveva persi di vista quand’erano stati travolti dalla folla impazzita.
Improvvisamente una voce calma ed autoritaria prevaricò tutte le altre e, a poco a poco, le sembrò che le persone attorno a lei diminuissero, allontanandosi. Avvertì un peso abbandonarla, ma non avrebbe saputo dire se fosse stato reale o psicologico.
Senza sapere bene come riuscì a sdraiarsi sulla schiena e a fissare gli occhi sul cielo settembrino.
“Non riesco a respirare.”, si portò le mani alla gola, tentando di liberare le vie respiratorie in un qualche magico modo. Era completamente preda della crisi di panico e probabilmente sarebbe andata in tachicardia entro poco.
Sentiva il proprio corpo tremare, preda di spasmi che non riusciva a controllare. Aveva la gola in fiamme e un dolore cieco all’altezza del petto.
“Non voglio morire schiacciata dalla paura.”, pensò, terrorizzata.
-Amanda!- si sentì chiamare.
Le sembrò di riconoscere la voce di Frances, ma non ne era pienamente sicura. La sentì una seconda volta e poté confermare che le apparteneva.
S’impose d’attendere qualche istante, sperando che la raggiungesse e l’aiutasse ad uscire da quel brutto guaio, ma lei non arrivò.
  Al suo posto vide Andrew.
Sgranò gli occhi, stupita, nell’esatto istante in cui il ragazzo veniva trapassato da una mano artigliata. Drew spalancò la bocca, muto ed abbassò gli occhi su quelle unghie sporche di sangue.
  Il suo sangue.
Tentò di parlare, ma cadde al suolo nell’esatto istante in cui gli artigli si ritrassero dal suo corpo.
A quella vista il respiro di Amanda si bloccò definitivamente.


-Bastardo!
Evan e David urlarono nello stesso istante, sconvolti da quello che era appena successo.
Senza bisogno di parlare o scambiarsi occhiate d’intesa, i due si gettarono sul licantropo e lo inchiodarono al suolo.
Quello ringhiò, provando a liberarsi, ma il Campione del clan MacGregor lo dissuase in fretta da qualsiasi tentativo di fuga con un sibilato:-Se ti opponi alla cattura ti stacco la testa.
Lo scozzese alzò gli occhi ed incontrò quelli dell’amico, preoccupati ma decisi. Gli fece un cenno d’intesa e lo lasciò alle sue cure, rialzandosi subito dopo.
Quando si guardò intorno trovò Emily e Crystal al proprio fianco, scarmigliate ma illese. Con la coda dell’occhio vide arrivare i primi poliziotti.
-Il soggetto catturato è un soprannaturale, affidatelo a chi è in grado di gestirlo.- disse loro.
-E voi chi sareste?- gli chiese un uomo con un bel paio di baffi.
Estrasse rapidamente il proprio distintivo, mostrandolo al collega. -Capitano Evan MacGregor.
Alla vista del piccolo oggetto, l’altro poliziotto deglutì nervosamente e cercò di allentare il colletto della divisa con rapidi gesti delle dita.
Evan fece per dargli una strigliata, quando la sua attenzione fu richiamata dalla voce di una donna. –Aiutatelo! Per favore!- stava gridando tra le lacrime.
Senza esitare un attimo di più raggiunse il poveretto che era stato trapassato dagli artigli di quello stupido licantropo psicopatico. S’inginocchiò accanto al ragazzo e lo girò lentamente sulla schiena, arricciando il naso alla vista della ferita che aveva poco sotto le ultime costole.
-Evan, quant’è grave?- David lo affiancò, probabilmente dopo aver affidato il sospettato agli altri agenti.
Gli lanciò una rapida occhiata prima di sporcarsi due dita di sangue e saggiarne la consistenza. –Non mi piace. Sta perdendo veramente troppo sangue.- commentò, la mascella contratta. Sentiva uno strano peso sullo stomaco, ma non riusciva ad identificarlo.
-Chiamate un’ambulanza, così morirà!- supplicò Frances, le mani tremanti al pari del corpo. I due si voltarono a guardarla e, solo in quel momento, si resero conto che accanto a lei c’era una persona svenuta.
-Crystal, controlla il suo battito.- ordinò Evan. Per una volta sua moglie non protestò e fece come le era stato chiesto. Appoggiò due dita sul collo della giovane e stette immobile qualche istante.
-Ha avuto un attacco di panico molto forte.- sentenziò infine. –Quando si sveglierà sarà in stato di shock, probabilmente.
Suo marito annuì rapidamente, tornando ad occuparsi del giovane riverso a terra.
“Di questo passo morirà dissanguato. Non c’è tempo per portarlo all’ospedale.”, realizzò, tentando di tamponare la ferita con le mani. Cercò di prendere in fretta una decisione, ma l’unica decisione da prendere sarebbe stata quella sbagliata.
Contrasse la mascella, cercando di trovare un altro modo. Mentre ragionava sentiva il sangue fluire caldo e viscoso tra le proprie dita e i battiti del cuore del ragazzo decelerare.
“Devo farlo.”, si disse infine. Non avrebbe lasciato morire un innocente, soprattutto non davanti ad una persone che lo amava.
-David.- mormorò.
Il moro si voltò a guardarlo, insospettito dal tono che aveva usato. Si chinò in avanti per poterlo guardare negli occhi, ma l’amico glielo impedì. –Cosa vuoi fare…?- chiese, preoccupato.
-Devo farlo, altrimenti morirà.- rispose, fermo nella propria decisione.
Dave lo afferrò saldamente per una spalla, obbligandolo a voltarsi. –Evan, no!- si oppose.
-Non lo lascerò morire.- replicò. La sua voce stava iniziando a suonare metallica, segno che era in atto una trasformazione. Difficile dire se parziale o completa, considerato che si trattava di lui.
-Dearan andrà su tutte le furie!
-Non m’importa.
Detto questo trasmutò il proprio viso nel muso di un lupo e, dopo essersi abbassato sul collo del malcapitato, lo morse con tutta la forza che aveva.

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Capitolo 6
*** Cap. 5 Against the rules ***


Cap. 5 The newcomer and the exiled
Vi avevo lasciato con un grande punto di domanda... in questo capitolo scoprirete cosa ne sarà di Andrew e vedrete mettersi in moto il sistema di leggi che regola il mondo dei licantropi.
Buona lettura :)





Cap. 5 Against the rules


  David si passò una mano tra i capelli, senza sapere bene cosa fare.
Evan aveva deciso di salvare quel povero ragazzo nell’unico modo che non gli era consentito. Non poteva più impedirgli di agire, era troppo tardi ormai.
Ma l’avrebbe aiutato ad arginare la situazione. E l’avrebbe sicuramente sostenuto più tardi, di fronte a Dearan.
Entrambi sapevano che ci sarebbero state ritorsioni, il problema era stabilire quanto gravi.
Avvedendosi dell’arrivo della stampa e di molte altre pattuglie, l’uomo richiamò l’attenzione delle due compagne d’avventura. –Emily, Crystal.
Le due si scambiarono una rapida occhiata, ancora attonite di fronte alla scelta di trasformare il ferito. Pochi istanti dopo raggiunsero David.
-Trasformiamoci e facciamo da scudo a Van. Teniamo questa cosa lontana dalle grinfie della stampa.- disse, deciso.
-D’accordo.- rispose prontamente la nuova affiliata. La signora MacGregor ci mise qualche secondo in più, ma alla fine fece un cenno col capo.
Tutti e tre s’inginocchiarono e, sotto gli occhi di una molto più che spaventata Frances, mutarono forma. Poco dopo, alle loro figure si sostituirono tre grossi lupi alti quasi come un cavallo da tiro.
Si disposero attorno ad Evan e lo coprirono alla vista con la propria stazza, ponendosi a difesa del piccolo gruppetto.

  Non l’aveva mai fatto prima e non sapeva esattamente come avrebbe dovuto agire.
Conosceva quell’atto come pura teoria, dato che non aveva le credenziali per poterlo mettere in pratica.
  Il suo cuore aveva preso le redini e aveva spinto per fargli prendere quella decisione. Non avrebbe saputo dire se tutto ciò fosse dovuto al suo senso di giustizia o ad altro, ma tant’era.
Il sangue arterioso gli aveva ormai riempito la bocca, scendendogli giù per la gola in un rapido e dolce fluire. Sapeva che non doveva lasciarsi prendere da quel richiamo, se no sarebbe stato tutto inutile.
  Afferrò con forza le braccia del giovane e stroncò il suo debole tentativo di ribellione. Era cosciente del dolore che gli stava infliggendo (lo ricordava bene), ma solo così avrebbe potuto salvarlo.
Deglutì un’altra sorsata di liquido rosso, continuando a mordere in profondità. I suoi denti raschiarono contro le ossa della colonna vertebrale, segno che ormai erano affondati abbastanza nella carne.
Si ritrasse con un movimento rapido, sentendo la propria volontà traballare al sapore della carne fresca.
Restò a fissare lo scempio che aveva eseguito, imbrigliando nuovamente la bestia nelle profondità del proprio essere. La compagna della vittima se ne stava non molto lontano, gli occhi così dilatati da mostrare interamente la sclera.
Lo stava fissando con puro terrore, ma poteva vedere anche un barlume di speranza in fondo alle sue iridi chiare.
  Nonostante lo considerasse un mostro, voleva credere che avesse le capacità per salvarlo. Le fece un impercettibile cenno del capo, come a voler rispondere alla sua supplica. Lei sobbalzò, reprimendo uno strillo.
Fece per riabbassarsi sul collo del ragazzo, quando si rese conto che David, Emily e Crystal gli stavano facendo scudo coi propri corpi.
“Grazie.”, indirizzò loro il pensiero.
“Ti prego, finisci quello che hai iniziato. Fa’ in fretta.”, rispose Dave, contraendo i muscoli delle zampe.
Evan annuì e si abbassò, leccando con indecisione la grossa ferita stillante sangue. Il suo paziente gemette brevemente, ma senza cercare di allontanarlo da sé. Allora iniziò a lappare con più forza, eliminando tutti i residui di sangue dal collo.
Alle proprie spalle sentiva le voci dei giornalisti e quelle dei poliziotti, le sirene delle ambulanze e la presenza dei curiosi, dall’altro lato della strada.
Non vi badò e continuò quello che stava facendo, portandolo a termine subito dopo.
“Spero che basti.”, si disse, riassumendo sembianze umane.
Osservò il proprio operato e si ripulì distrattamente la bocca col dorso della mano, sulle spine.
-Ho finito…- disse, a nessuno in particolare.


-Cosa gli avete fatto? L’avete… l’avete trasformato?- vedendo che i licantropi si stavano muovendo, Frances si alzò in piedi di scatto.
I lupi si voltarono a guardarla, così come l’uomo che aveva morso Andrew. Arretrò di un passo, spaventata dal suo aspetto.
-Sì, ho dovuto morderlo per evitare che morisse…- mormorò Evan, rimanendo immobile e cercando di risultare il più innocuo possibile. Sapeva che era pressoché impossibile, considerato com’erano ridotti il suo viso e la sua maglia.
-E… e ora starà bene?
-Dovete venire con noi. Tutti quanti.- le rispose, accennando col capo alla donna che giaceva ancora svenuta.
A quelle parole Fran si allarmò. –Venire con voi? Perché?- chiese, sulla difensiva.
-Perché c’è una persona molto più esperta di me che si prenderà cura del tuo compagno.- le spiegò, calmo. La sua parte animale percepiva senza problemi il rapido battito del cuore della ragazza, così come il suo naso captava la paura che la avviluppava. –Non vi faremo del male.- aggiunse.
Frances si strinse nelle spalle, passando gli occhi da Amanda ad Andrew. Non sapeva cosa fare e avrebbe tanto voluto avere Greg lì con sé: era lui quello in grado di prendere decisioni difficili.
Non conosceva quelle persone, anzi quei licantropi, ma era pienamente consapevole del fatto che uno di loro avesse appena salvato e condannato Drew.
Si morse il labbro inferiore, la testa affollata come un alveare. –D’accordo…- riuscì a dire, infine.
  Non appena ebbe dato loro il permesso, vide i due uomini sollevare attentamente Drew, il quale protestò con qualche gemito cercando di opporsi a quel cambiamento. La morettina che era con loro, invece, si avvicinò ad Amanda e la prese in braccio senza problemi, come se fosse un sollevatore di pesi e sua sorella un sacco di patate.
Fece per dire qualcosa, ma l’altra lupa l’afferrò saldamente per un braccio e le disse di seguire il gruppo senza fare tante storie.
La osservò con occhi sgranati riconoscendo in lei Crystal Forbes.


  Qualcosa attirò la sua attenzione ed alzò gli occhi dal libro che stava leggendo.
Aggrottò le sopracciglia, perplesso per poi alzarsi in piedi di scatto ed assumere un’espressione a dir poco sconvolta.
Abbandonò la poltrona su cui era comodamente seduto fino a pochi istanti prima e si precipitò in giardino, immediatamente seguito dal resto del branco, uggiolante di sorpresa.
Raggiunse Evan e gli altri in poco e fissò i propri occhi inquisitori in quelli del giovane MacGregor, in cerca di spiegazioni. Anzi, di una spiegazione plausibile.
  Passò rapidamente lo sguardo su tutti i presenti, imprecando in scozzese e spaventando la giovane ragazza che stava di fianco a Crystal.
Notando il suo smarrimento, prese un respiro profondo e tornò ad essere padrone di se stesso. Solitamente era una persona ragionevole, ma in quel caso era certo di avere tutti i motivi del mondo per arrabbiarsi.
Van aveva fatto una cosa assolutamente stupida.
-Questo ragazzo ha bisogno del tuo aiuto… io non so gestire questa cosa.- intervenne il diretto interessato.
Alastair lo inchiodò con un’occhiata bieca. Avrebbe voluto chiedergli il perché del suo gesto, ma sapeva che il giovane che era con loro aveva la priorità. Ignorò la curiosità del branco, assiepato alle proprie spalle, e disse:-Portatelo nel mio studio.
-E della ragazza che ne facciamo?- domandò Emily, facendogli notare il corpo inerme che reggeva ancora tra le braccia.
-Un po’ di sali dovrebbero bastare, a meno che non abbia subito un trauma cranico.- risolse l’uomo, avviandosi verso la grande villa.
Precedette Evan e David e liberò il grande tavolo di mogano per far spazio al paziente. Era da tantissimo tempo che non aveva a che fare con un nuovo affiliato e temeva di essersi arrugginito.
“Speriamo che io sappia ancora fare il mio lavoro di Beta.”, si augurò.


  Non sapeva cosa stesse succedendo, l’unica cosa di cui era certa era che si trovava nella tana dei licantropi.
E uno di loro stava per mettere le mani sul corpo di Andrew.
-Cosa vuole fare?- domandò, preoccupata. In risposta ottenne qualche occhiata fuggevole e poco altro.
Fece per ripetere la domanda quando l’uomo coi capelli ramati rispose:-Devo controllare se la trasformazione ha iniziato il suo corso in modo corretto.
Fran trattenne un gemito. –Quindi diventerà veramente un licantropo?
-Se Evan ha fatto tutto correttamente, sì.- confermò l’altro.
“No!”, spostò gli occhi sul fidanzato, sentendosi morire dentro. Non stava accadendo davvero, non a lei. Non poteva credere che Drew sarebbe… che non sarebbe più stato lo stesso.
E, come se non bastasse, Amanda sembrava non volersi riprendere.
-David, allontana gli altri, per favore. La loro curiosità mi sta trapanando il cervello.- ordinò perentorio Alastair.
Dave annuì rigidamente e si affrettò a scomparire dietro una porta di legno dall’aspetto solido ed elegante. Con la coda dell’occhio, Frances vide la giovane donna che reggeva il corpo di sua sorella depositarlo su una chaise long.
Senza sapere bene cosa fare, lanciò un’occhiata di desiderio nella direzione di Andrew e poi fece lo stesso verso Mandy. Da chi andare?
-Vai da lei, non puoi fare molto per il tuo compagno.- si sentì dire.
Quasi sobbalzò e si diede della cretina per quella stupida ed incontrollata reazione. Rapidamente raggiunse Amanda e le si sedette vicino, stringendole con forza la mano sinistra.
Osservò attentamente il suo viso, tentando di scorgere qualche segno di ripresa.
“Avanti, Mandy, svegliati!”, supplicò. Aveva bisogno di un bel po’ di sostegno morale, in quel momento.
Non che si sentisse in pericolo, quello no (ok, forse non nell’immediato), ma aveva le idee totalmente confuse.
-Il morso è un po’ troppo profondo, ma per il resto hai fatto un buon lavoro.- la voce dell’uomo che si era fatto carico del suo fidanzato la riportò alla realtà.
-Quindi…?
Lo vide scuotere la testa. –Sì, avremo un nuovo lupacchiotto.- confermò. Ci fu qualche istante di silenzio, durante il quale tutti i presenti assimilarono la notizia. –Ora spiegami perché l’hai fatto.
  Frances puntò gli occhi sull’uomo che aveva morso Andrew, in attesa. Aveva ormai capito che aveva scelto di trasformarlo per salvargli la vita, ma continuava a chiedersi se non esistessero veramente altre opzioni praticabili.
-Sarebbe morto prima di arrivare in ospedale. Non avrei mai lasciato morire un innocente, soprattutto a causa dell’attacco di un gruppo di licantropi fuori di testa.- sentenziò Evan, convinto della propria decisione.
Il suo interlocutore chiuse gli occhi, traendo un respiro profondo. Sotto le sue mani, Andrew giaceva praticamente immobile. –Perché? Perché proprio tu? Lo sai cosa succederà…!- alzò la voce, inchiodandolo con uno sguardo di fuoco.
Il giovane fece per replicare, quando un gemito spezzò la tensione di quel momento. Tutti i presenti si voltarono verso la fonte di quel rumore e gli occhi di Frances si appuntarono su Amanda.
Quando la vide sollevare le palpebre sentì le lacrime rotolare giù dalle guance. Senza pensarci due volte la stritolò in un abbraccio, grata che si fosse ripresa.
Confusa, la ragazza non poté far altro che attendere pazientemente che la sorella allentasse la presa.
-Lasciala respirare: lo shock l’ha lasciata disorientata.
Fran si staccò di colpo, rendendosi conto di quello che stava facendo. –Oddio, scusami! Stai… stai bene?
L’altra si portò una mano alla testa, sentendola pulsare fastidiosamente. Avvertiva anche uno strano dolore all’altezza dello sterno, ma non riusciva a ricordare cosa fosse successo.
-Il cuore sta bene. Ti sentirai spossata, ma dovresti esserci abituata, giusto?- Alastair dedicò parte della propria attenzione alla giovane donna che si era appena ripresa. Doveva aver avuto un attacco di panico abbastanza problematico, considerato il ritmo del suo cuore e gli strascichi di stress che le sentiva addosso.
Amanda fissò quell’uomo come se fosse Dio. O Satana. –Come… come…?- provò ad articolare.
-Sono un medico. E sono anche un licantropo.- le rispose, accennando un sorriso.
Frances vide la consapevolezza farsi strada nel suo sguardo. Subito dopo, però, Amanda l’afferrò saldamente per un braccio ed esclamò:-Andrew!


  Davanti a quello sguardo di panico, Amanda si sentì morire.
Cos’era successo mentre era priva di sensi?
Si guardò attorno, cercando di dare una collocazione geografica al luogo in cui si trovava.
-Sei nella nostra tana, a Staten Island.- qualcuno rispose alla sua domanda inespressa. Si voltò di scatto e per poco non imprecò a causa della stilettata di dolore alla testa.
Serrò con forza gli occhi, trattenendo il respiro. –Chi siete?- riuscì a chiedere, recuperando pian piano il controllo del proprio corpo.
-Alcuni licantropi del branco MacGregor.- le disse uno dei presenti. La sua voce era calma e calda, ma con un pizzico di ruvidezza.
Osservò l’uomo che le aveva risposto e notò la sua chiara provenienza europea. Quello che l’attirò, però, fu il ragazzo al suo fianco.
  Sgranò gli occhi, riconoscendolo e per poco non urlò. Anche lui sembrò finalmente realizzare chi lei fosse, ma lo stupore non arrivò a palesarsi sul suo viso.
-Da quel che deduco vi siete…
Un altro gemito, questa volta proveniente da Andrew, attirò l’attenzione di tutti. Amanda balzò in piedi, vedendolo steso sul grande tavolo di legno massello.
“Cosa diavolo è successo mentre ero svenuta?!”, sentì il panico impadronirsi di lei. Spostò lo sguardo su Frances e la trovò con la stessa espressione di prima: era terrorizzata, ma anche rassegnata.
-F-Frances…- la voce stentorea di Drew interruppe il ritmo dei pensieri di Mandy.
Sentendosi chiamare, sua sorella la superò e si avvicinò senza riserve al fidanzato. Non notò gli sguardi attenti dei licantropi presenti nella stanza. O almeno, Amanda supponeva fossero tutti licantropi.
Fran trovò e strinse una mano di Andrew, sorridendogli ed accarezzandogli i capelli con fare materno. –Sono qui…- tentò di sorridergli e suonare rassicurante.
Lui aggrottò le sopracciglia. -Sono morto…?
-No, ma presto desidererai esserlo.- Alastair s’intromise nel quadretto, avvicinandosi a sua volte al tavolo.
La giovane lo guardò senza capire a cosa si riferisse. Era ancora in pericolo di vita?
In effetti la parte superiore del suo corpo era completamente imbrattata di sangue e sembrava avere i segni di una ferita sul collo.
“Ma era stato colpito allo stomaco…”, ricordò, confusa.
Sapeva che le mancava una parte fondamentale della vicenda, ma nessuno sembrava intenzionato a raccontargliela.
  Mentre tentava di metter ordine nella propria mente, un improvviso movimento ai margini del suo campo visivo attirò la sua attenzione. Sollevò gli occhi e vide Frances fare un balzo indietro, spaventata.
Nello stesso istante si sentì tirare indietro e i tre uomini presenti circondarono e bloccarono Andrew, che aveva i denti digrignati come un animale selvaggio.
-Cosa succede…?- chiese, allarmata. Anche sua sorella era stata fatta arretrare e ora si ritrovava protetta da una brunetta più esile di lei, ma particolarmente agguerrita.
Drew iniziò a contorcersi, artigliando l’aria come se volesse afferrare qualcosa che solo lui poteva vedere. I suoi occhi chiari, di solito così miti e gentili, erano iniettati di sangue.
  Evan MacGregor, l’uomo che aveva incontrato pochi giorni prima da Kleinfeld, gli inchiodò una spalla alla superficie rigida del tavolo, impedendogli di muovere la parte destra del corpo. Sul suo viso non riuscì a leggere altro se non determinazione.
-David, fermalo! Vado a recuperare le catene!- ordinò l’uomo coi capelli ramati, facendo cenno al giovane accanto a sé.
Quello annuì e bloccò il busto di Drew, che si ribellò con forza a quella nuova costrizione, urlando parole senza senso.
Quello che sembrava esser il più anziano tra i lupi fece per uscire di gran carriera, quando la porta si spalancò di colpo e sulla soglia comparve un uomo particolarmente somigliante al giovane MacGregor.
Fece spaziare lo sguardo su tutta la superficie della stanza, saettando da un dettaglio all’altro con rabbia. Infine, i suoi occhi si attestarono sul tavolo.
-Cosa sta succedendo qui?!


Mo Maighstir! Dearan! Padre!- il nuovo arrivato venne apostrofato da tutti gli uomini presenti e ognuno di loro gli diede un titolo diverso.
Quello non si lasciò distrarre e, la rabbia dipinta negli occhi, avanzò di un passo nella stanza, riempiendola con la propria presenza.
  Andrew percepì un’aura molto potente premere contro il suo essere e qualcosa dentro di lui agitarsi, risvegliato da quel contatto.
Non sapeva cosa stesse succedendo né perché gli sembrasse di bruciare dall’interno. Il suo corpo stava combattendo con un elemento estraneo, elemento che però sembrava riconoscerne altri affini attorno a sé.
Ricordava di essere stato attaccato da uno di quei licantropi… gli artigli… poi…
-Lasciatemi andare, vi prego!- urlò, inarcandosi e tendendo tutti i muscoli del proprio corpo.
-Non possiamo.- si sentì sussurrare all’orecchio. La voce gli sembrò familiare, ma avrebbe potuto essere un semplice scherzo della sua mente.
Ogni singolo muscolo del suo corpo era teso allo spasimo, quasi volesse lacerarsi. Le ossa, solitamente salde, sembravano voler rompere le fila e trovare una nuova collocazione.
Si morse l’interno della bocca, provando a contenere l’urlo di dolore che gli era salito lungo la gola, ma riuscì solo a sputare un fiotto di sangue assieme alla voce.
“Fatelo finire! Fate finire questo supplizio!”, supplicò.
Provò a sollevarsi, artigliare la superficie su cui era sdraiato, ma gli arti superiori gli erano stati nuovamente bloccati.
Improvvisamente gli sembrò di captare odori che prima di allora non aveva mai notato e sentiva uno strano sottofondo di tamburi, ritmici ed ipnotici.
-Fran…- riuscì ad articolare. Dov’era? Perché non era lì accanto a lui?
E Amanda?
Aveva avvertito la stretta della sua fidanzata solo per pochi istanti, poi era diventato tutto confuso ed ora era in preda a quel delirio interiore.
Mentre lui provava a vincere la lotta contro la bestia che stava prendendo dimora dentro di lui, i presenti tacevano, tesi come corde di violino.


  Puntò gli occhi sull’umano in fase di trasformazione e dilatò le narici, furibondo.
-Chi. Ha. Osato. Trasformarlo?- sillabò a fatica. Le sue dita artigliarono lo stipite della porta, lasciandovi profondi solchi.
Ascoltò il ritmo del cuore di ogni singolo lupo presente nella stanza, senza riuscire a capire chi si stesse nascondendo.
-Dearan…- Alastair si fece avanti, l’aura protesta verso la sua in un tentativo di ammansirlo.
Si ritrasse con sdegno. –Non provare a chetarmi, cugino!- lo avvertì.
-Vorrei evitare che uccidessi persone innocenti.- l’altro gli rammentò la presenza delle due umane, seminascoste dietro la nuova arrivata e Crystal.
-Persone che non dovrebbero essere nemmeno qui!- sbraitò. –Ora dimmi chi è stato!
Si fissarono negli occhi per diversi istanti, portando avanti una lotta silenziosa e mentalmente sfibrante.
Alla fine Evan si fece avanti e, guardandolo fisso, disse:-Sono stato io.
A quelle parole l’Alfa divenne paonazzo. –Tu!?
Nonostante fosse suo figlio, sangue del suo sangue, nulla gli dava il diritto di prevaricare il suo potere di capobranco.
Il lupo dentro di lui ringhiò, furente e pronto ad attaccare. Iniziò a tremare, lasciandogli prendere il sopravvento.
  Ma prima che potesse anche solo iniziare la trasformazione, Alst si gettò su di lui e lo bloccò al muro, ordinandogli di trattenersi. Dearan fece scattare la mascella a vuoto, tentando di morderlo per riflesso.
-Non sfidare il tuo Alfa, Beta. A meno che tu non voglia proporti come Pretendente.- lo minacciò.
-Smettila di comportarti da stupido e ascolta le ragioni di tuo figlio!- il suo secondo lo premette maggiormente contro la superficie ruvida, tentando di farlo ragionare.
Il problema era che, una volta arrabbiatosi, Dearan MacGregor era come un treno in corsa.
Assottigliò gli occhi e scaraventò Alst all’indietro, mandandolo a rovinare addosso alla chaise long accanto alla finestra. Lo scozzese non si scompose minimamente e si rialzò riassestandosi la camicia.
Nei suoi occhi non c’era nessun barlume di sfida.
-Smettila di prendertela con Alst! Lui stava solo dando una mano.- Evan si mise in mezzo.
Lo fissò con astio. -Posso ammazzare te, se preferisci.- sibilò, stringendo spasmodicamente le mani.
Suo figlio fece per replicare, ma Alastair e David si misero in mezzo. Sembrava che fossero tutti intenzionati a sfidare la sua autorità, quel giorno.
Li guardò dall’alto in basso, provando a sottometterli con l’ausilio della propria aura, ma loro si opposero.
-Non è stata una decisione voluta, Evan è stato costretto…!- tentò di spiegare il giovane ed irritante inglese.
Vedendo che il suo Beta stava per aprir bocca ed aggiungere qualcosa, lo fece spostare con una spallata e si piazzò davanti al figlio. –Ti bandisco dal branco, Evan MacGregor. Ti bandisco per aver violato la gerarchia di potere e le regole del nostro mondo. Non osare metter più piede all’interno del mio territorio.- sentenziò, lapidario.
Trasformare un umano senza essere un Alfa o senza avere il suo permesso era considerata una delle più gravi inflazioni alle leggi del branco che un licantropo potesse compiere.
Non c’erano mezze misure né legami di sangue che tenessero: la pena era l’esilio dal gruppo.
“Questa è la tua punizione per aver sfidato apertamente la mia autorità, figlio.”, pensò, osservandolo.
Non sembrava turbato né arrabbiato. Da quando l’aveva costretto a sposarsi con Crystal non gli aveva mostrato altro che indifferenza.
-Ai tuoi ordini, mo Maighstir.- replicò, dedicandogli un inchino ironico.
-Ogni tuo legame coi licantropi di questo branco termina qui.- gli ricordò, prima che se ne andasse. Questo comportava anche l’annullamento del contratto matrimoniale stabilito coi Forbes, ma il suo orgoglio veniva prima di tutto.
Evan fece un breve cenno del capo e poi uscì dall’appartamento di Alastair.


  Amanda lo osservò uscire, senza parole.
Fino a poco prima era terrorizzata all’idea di finire nuovamente in mezzo ad una lotta tra licantropi ed ora si ritrovava a fissare senza parole i presenti, sconvolta da quello che era successo.
A quanto pareva, mordendo Andrew, Evan aveva infranto una delle regole più importanti del suo mondo.
“Perché l’ha fatto, allora?”, si chiese. Spostò lo sguardo su Frances, sconvolta quanto lei e scosse la testa, basita.
-Dearan, cos’hai fatto?- chiese l’uomo chiamato Alastair, scioccato oltre ogni dire. La sua espressione valeva mille parole.
L’Alfa si voltò con un movimento repentino e gli ringhiò contro. –Non osare criticare le mie scelte. Ha infranto una delle nostre leggi più importanti e ha ricevuto la giusta punizione.- ribadì, imponendo la propria decisione.
L’altro fece per replicare, ma il moro con un leggero accento inglese lo precedette, dicendo:-Considerami fuori dal branco, allora.
  A quell’ennesimo colpo di scena, Amanda non avrebbe saputo dire cos’altro sarebbe successo di lì a poco. Forse si sarebbero scannati oppure avrebbero ucciso lei e sua sorella in un impeto di rabbia, salvando Drew perché era diventato un nuovo affiliato, anche se non voluto.
-David… cosa…?- qualcuno cercò di fermarlo, ma il ragazzo era già sparito oltre la soglia, al seguito dell’amico.
-Benissimo. Qualcun altro ha intenzione di dire la sua?- Mandy sentì il capobranco sbuffare, infastidito.
Passò lo sguardo sui presenti, cogliendo con la coda dell’occhio un singulto di Andrew, misteriosamente calmo.
Fece per farsi avanti e dire che avrebbero tolto il disturbo, ma la ragazza davanti a Frances l’anticipò. –Io ho chiesto la protezione del Campione, quindi non ho motivo di restare. Tolgo il disturbo, grazie per l’ospitalità.- disse, decisa.
L’occhio destro di Dearan venne scosso da un tic, mentre la rabbia gli attraversava il viso. –Molto bene. Portate con voi queste estranee e levatevi dai piedi!- sbottò, già deciso a ritirarsi nelle sue stanze con un’uscita trionfale.
Questa volta Alastair lo afferrò saldamente per un braccio, obbligandolo a fermarsi. –Non puoi cacciare il ragazzo: fa parte del branco, ora. E sta per avere la sua prima trasformazione. La legge ti obbliga a proteggere i nuovi lupi.- gli fece notare, avvalendosi delle regole come aveva appena fatto l’altro.
-NO!
Senza potersi trattenere, Frances urlò il proprio disappunto. Subito si scontrò con gli occhi dell’Alfa e si ritrasse, spaventata.
-Non potete tenerlo qui con voi contro la sua volontà!- Amanda si fece avanti, difendendo la sorella.
-Ora non è in grado di decidere. Lo farà una volta terminata la trasformazione.- sentenziò lo scozzese. –Ora andatevene!
Le due si videro afferrare per le braccia e condurre fuori dalla stanza. A nulla valsero i loro tentativi di opporsi. L’uomo le trascinò fino all’ingresso, passando davanti agli altri membri del branco, assiepati lungo il corridoio.
Quando furono nell’atrio le mollò con malagrazia e dedicò loro un’ultima occhiata ostile. Fatto ciò scomparve nei meandri della casa, lasciandole sole.
-Io torno di là e gliene dico quattro!- sbottò Frances, già sul piede di guerra. Amanda, molto meno impulsiva, le afferrò saldamente la mano, trattenendola. –Lasciami!
-Vuoi farti uccidere?- le chiese.
Sua sorella la fissò, indecisa su cosa dire. –No… ma io…
-Hanno detto che, una volta terminata la prima trasformazione, potrà prendere una decisione.- le ricordò, tentando di suonare incoraggiante.
-Ma non possiamo lasciarlo qui in mezzo ad un branco di sconosciuti!- tentò nuovamente.
Mandy scosse la testa. –Dobbiamo. Quell’uomo, Alastair, sembra sapere il fatto suo. Fidiamoci.- replicò. –Dopotutto ci hanno salvate, no?
L’altra fece per protestare, facendole notare che avevano fatto molto di più che salvarle, ma si trattenne. Si torturò per un po’ il labbro inferiore e poi annuì, raggiungendo la porta a vetri che conduceva all’esterno.


  Non appena fu uscito, si diresse rapidamente al piano di sopra per raggiungere la propria stanza e raccogliere i suoi averi.
Aveva immaginato che le cose si sarebbero concluse in quel modo, ma una parte di sé provava qualcosa di molto simile al risentimento. Dearan non aveva mostrato nulla se non indignazione per l’affronto subito.
“D’altronde, cosa potevo mai aspettarmi dal grande Dearan MacGregor?”, si chiese sorridendo ironico. Spalancò la porta della grande cabina armadio ed afferrò un borsone dalla sommità di uno dei mobili, lasciandolo cadere pesantemente a terra.
Aprì con violenza le ante dell’armadio più vicino e prese ad estrarre le proprie cose, infilandole con gesti automatici nella sacca.
-Vuoi veramente andartene come se niente fosse?!
Sollevò lo sguardo e vide Crystal ferma sulla soglia della cabina, le mani sui fianchi ed un’espressione scioccata sul viso.
-Non cambierà nulla, per te. Continuerai ad avere i tuoi vestiti, la tua macchina e la tua popolarità.- le fece notare, tornando ad occuparsi del proprio bagaglio. Ora ci si metteva anche lei? Sapevano tutti e due che non le importava niente del loro rapporto.
-Ma non avrò più te!- piagnucolò la bionda.
Evan sollevò un sopracciglio, stupito dalla mirabile interpretazione. –Potresti tentare la strada del cinema, sai? Hai un vero talento per la recitazione.- le suggerì.
Con la coda dell’occhio la vide serrare la mascella, indignata. –Smettila di prenderti gioco di me. Noi siamo sposati! Non puoi andartene e lasciarmi qui così!- sbottò, inviperita.
Al che, Van si raddrizzò e la fissò dal suo metro e novanta abbondante. –Noi non siamo sposati. Siamo semplicemente un uomo ed una donna che, occasionalmente, vanno a letto insieme per soddisfare i rispettivi impulsi.- replicò, calmo.
-Ma… dopo tutti questi anni…
-Io non ho imparato ad amarti né tu me ne hai mai dato la possibilità. Sei sempre stata un’approfittatrice, almeno nei miei confronti.- passò ad un altro armadio e continuò a riempire il borsone.
A quelle parole Crystal non seppe cosa rispondere, zittita dalla pura e semplice verità.
Il più rapidamente possibile, il suo ormai ex marito terminò di raccogliere le proprie cose e poi la superò. Prima di uscire dalla porta della loro camera per l’ultima volta, si voltò e le disse:-Troverai qualcun altro con cui sollazzarti, ne sono sicuro.
Prese a scendere le scale, captando rumori di trapestio dall’appartamento di David e voci dall’esterno. Probabilmente i giornalisti li avevano seguiti fino a lì, come sempre a caccia di uno scoop.
A quanto pareva, erano la nuova fonte di scandali di New York.
-E cosa dirò alla stampa?- la voce di Crystal lo raggiunse lungo l’ultima rampa di scale.
-Quello che preferisci.- mormorò, dirigendosi verso la cucina per poter uscire indisturbato.


-Vi aiuto ad andarvene. Immagino non vogliate affrontare i giornalisti.- Emily apparve dietro di loro, silenziosa come solo un licantropo sapeva essere. Le due sorelle sobbalzarono, colte di sorpresa. –Scusate!
-Scusa tu, non ti abbiamo sentita arrivare.- le disse Amanda, lanciandole una rapida occhiata. Non sapeva come si chiamasse quella ragazza, ma si era dimostrata molto protettiva nei loro confronti, anche durante l’attacco al Madison Square Park.
Restarono a fissarsi in silenzio per un po’, ognuna persa nei propri ragionamenti e nelle proprie valutazioni. Alla fine, fu Frances la prima a riscuotersi e dire:-Meglio uscire.
La loro accompagnatrice annuì e fece loro cenno di seguirla. Raggiunsero rapidamente la cucina, ignorando i membri del branco che se ne stavano sulle soglie con sguardi curiosi, ma anche affamati.
-Evan, dannazione, aspetta!
Erano quasi entrare nella grande stanza adibita alla preparazione di cibi (per lo più chili di carne al sangue), quando il ragazzo riccio le superò di gran carriera.
-David!- Emily richiamò la sua attenzione. Lui allora si voltò e osservò le tre con espressione perplessa, prima di rendersi conto del perché anche loro si trovassero lì. –Che stavi facendo?
Sospirò. –Stavo cercando di inseguire Evan. Conoscendolo andrà a dormire a Central Park.- rispose, passandosi una mano tra i capelli scuri.
-Se stai andando a cercarlo vengo anch’io. Lascia solo che accompagni fuori le nostre ospiti.- disse la sua interlocutrice.
Lui annuì distrattamente, salvo poi ricordarsi di una cosa. –Non mi sono nemmeno presentato, che cafone! David Rockbell, piacere.- disse, aprendosi in un sorriso caldo e luminoso.
-Noi siamo Amanda e Frances, tanto piacere.- rispose la più piccola delle sorelle Miller, sfoggiando a sua volta un sorriso aperto e cordiale.
-Io sono Emily.- aggiunse l’ultima rimasta.
-Venite, vi faccio uscire.- David tenne aperta la porta e, non appena furono tutti fuori, indicò alle giovani il sentiero per uscire dal Wolf’s Pond. -Scusate se non ci tratteniamo, ma dobbiamo ritrovare Evan. Vi chiederei di non raccontare a nessuno quello che è successo questa sera.- aggiunse subito dopo.
-S-sì, certamente!- rispose Mandy, colta in contropiede dalla richiesta.
-Grazie. Arrivederci.- e detto questo l’inglese scomparve nella notte, come se fosse stato fumo.
-Alla prossima.- anche la lupa si congedò, confondendosi ben presto con le ombre e le sagome degli alberi.
Amanda e Frances rimasero immobili nell’aria settembrina, ancora confuse da ciò che era successo.
-Andrew si riprenderà, vero?- domandò ad un certo punto Fran.
“Non lo so.”, pensò immediatamente sua sorella. –Certo, ne sono sicura.- le disse invece.
Subito dopo, dalla grande villa alle loro spalle, si levarono delle grida inarticolate, che di umano avevano ben poco.
Amanda si concesse una rapida occhiata e poi mormorò:-Andiamocene. Cerchiamo di evitare i giornalisti.

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Capitolo 7
*** Cap. 6 Ripartire da zero ***


Cap. 6 Ripartire da zero
Oserei dire che qui stiamo andando dalla padella nella brace. Ora che Evan è stato cacciato ed Andrew sta combattendo con la sua nuova parte animale, sorge il problema dell'accettazione per Frances.
Che succederà?
Be', nessuna anticipazione, buona lettura :)





Cap
.
6 Ripartire da zero

-Dannazione, Evan! Dove diavolo ti sei cacciato?!- imprecò David.
Lui ed Emily stavano seguendo la scia dell’amico da più di un’ora, ma lui non voleva farsi trovare e sapeva nascondere le proprie tracce con grande abilità nonostante fossero a New York da poco più che una settimana.
-E’ veloce.- commentò l’americana, concedendosi un attimo per riprendere fiato.
-Oh, non sai nemmeno quanto.- brontolò il suo compagno di caccia. –Non è diventato il Campione grazie ad un colpo di fortuna…- aggiunse tra sé.
Emily si fece attenta. –E com’è successo?
Dave le lanciò un’occhiata e poi scosse la testa, deciso a non rivelare questioni riguardanti la vita personale del suo migliore amico. –Non è compito mio spiegartelo, mi dispiace.- tagliò corto, raddrizzandosi.
Si mise a scrutare attentamente la banchina, provando a rintracciare la scia animale di Van. Avevano fatto su e giù tra Staten Island e Manhattan almeno cinque volte, senza riuscire ad avvicinarsi alla loro preda.
  David sapeva quanto quel testardo di Evan fosse stato segnato da quanto appena accaduto, sapeva anche che aveva molta rabbia in corpo e non aveva nessuno contro cui dirigerla. Solitamente era lui ad ascoltare i suoi sfoghi e l’avrebbe fatto anche in quell’occasione, se solo l’amico gliene avesse data la possibilità.
“Smettila di farti desiderare, dannazione!”, pensò, fiutando ancora una volta l’aria densa e pregna d’odori di New York. Improvvisamente qualcosa solleticò la sua attenzione e voltò la testa di scatto, verso la Statua della Libertà. –Trovato!
Senza nemmeno avvisare si mise a correre lungo la banchina di cemento, fendendo l’aria come una freccia. Emily, presa in contropiede, si mise alle sue calcagna dopo qualche istante.
-L’hai trovato?- gli domandò.
-Sì. Stava cercando un posto che gli potesse ricordare casa e gli permettesse di stare in pace.- replicò l’inglese, balzando oltre un canale di scolo.
-E dove stiamo andando, quindi?
-Central Park. Come avevo ironicamente predetto.- fu la risposta.


  Allungò la mano verso la porta, pronta ad inserire la chiave nella toppa, ma si fermò.
Si voltò lentamente e guardò sua sorella.
-Fran… vuoi rimanere da me questa notte?- le chiese Amanda, anche se con un piccolo tentennamento.
Frances si riscosse e la guardò come se fosse un fantasma o un altro essere appartenente al soprannaturale. –Come?- fece, sperduta.
-Vuoi rimanere a dormire da me?- domandò nuovamente l’altra. Durante il lungo tragitto verso casa, le due non avevano praticamente parlato, perse nei propri pensieri. Ma Mandy sapeva che, nonostante il silenzio, sua sorella era sul punto di crollare.
  Lei era quella abituata ad un mondo fatto di certezze, dove i cambiamenti arrivavano pian piano, annunciandosi come ospiti beneducati. Sapere che il suo fidanzato si sarebbe trasformato in lupo ad ogni luna piena non era sicuramente un cambiamento da poco.
  Frances aveva bisogno di metabolizzare la cosa.
In fretta, possibilmente.
“Deve abituarsi all’idea che Drew non sarà più lo stesso.”, si disse Amanda, osservandola. Restò pazientemente in attesa, le chiavi ancora in mano.
Alla fine sua sorella mormorò:-D’accordo.
Annuendo impercettibilmente, la mora aprì la porta del proprio appartamento e la spinse delicatamente all’interno. La lasciò seduta sul divano, inerte come un blocco di pietra e si diresse in camera per rimediarle un cambio.
  Mentre scandagliava i cassetti alla ricerca di una maglietta, l’enormità di quanto accaduto la colpì in pieno. Si bloccò di colpo e fissò il proprio riflesso nello specchio sopra la cassettiera: aveva un bel paio di occhiaie e sembrava che fosse stata travolta da un branco di bufali impazziti.
Ma la cosa più importante era che Andrew non faceva più parte del loro mondo. Era stato accolto in una famiglia diversa, che gli avrebbe insegnato a cacciare e a trasformarsi in un lupo.
Se mai il branco avesse deciso di lasciarlo andare, si sarebbe sentito a casa lì con loro oppure no? A quali sofferenze stava per andare in contro?
E cosa sarebbe successo se quell’uomo, Evan MacGregor, non l’avesse morso?
“Sarebbe morto. Sicuramente.”, si disse Amanda. Il suo cervello continuava a rimbalzare da un pensiero all’altro, chiedendosi se quella fosse l’unica soluzione fattibile.
Probabilmente non l’avrebbe mai saputo e doveva mettersi nell’ordine d’idee che avrebbe dovuto imparare a convivere col mondo soprannaturale.
Un rumore la distrasse dai propri pensieri, facendola voltare verso la soglia. Non vide nessuno, ma il rumore di poco prima si ripetè.
Accigliata, lanciò quello che aveva recuperato sul letto e si avviò verso la zona giorno. Non appena fu in sala, ritrovò Frances in lacrime, un cuscino stretto al petto.
-No… Fran…- le si avvicinò senza esitazione e l’avvolse in un abbraccio caloroso, sedendosi subito dopo al suo fianco. –Non fare così, vedrai che si sistemerà tutto.
Sua sorella scosse la testa, seppellendo il viso nella sua spalla e continuando a piangere come una bambina.
  Quello era lo sfogo che tanto aveva temuto Amanda: significava che Frances era definitivamente crollata.
E lei si sentiva così stordita da dubitare di avere la forza di farsi carico del suo dolore. Purtroppo non c’era nessun altro lì con loro e disturbare Gregory non era un’opzione possibile, soprattutto considerato che erano le tre di notte.
-Ti prego, non piangere… Andrew…- sussurrò, tentando d’iniziare un discorso vagamente consolatorio.
-No! Andrew non sarà più lo stesso, d’ora in poi! Non appartiene più al nostro mondo!- replicò l’altra, trattenendosi a stento dall’urlare.
A quelle parole, Amanda non poté fare a meno che arrabbiarsi. –Ma cosa stai dicendo?! Andrew rimarrà sempre Andrew! Anche con una coda e una pelliccia!- sbottò, allontanando la sorella per poterla fissare dritto negli occhi.
La ragazza, però, scosse la testa, rifiutandosi di cambiare il proprio punto di vista. Mandy allora sospirò, decidendo di lasciarla sfogare fino a quando non si fosse addormentata.
Dovette aspettare altre due ore prima di poter lasciare la sorella sul divano e caracollare a letto, gli occhi praticamente chiusi per colpa della stanchezza.
  Il giorno dopo, anzi no quella stessa mattina, avrebbe dovuto alzarsi per andare al lavoro e fare finta che niente di tutto quello che era successo fosse capitato.
 

  Si era lasciato guidare dai propri sensi e dalla rabbia.
Un lato del suo cervello sapeva che quello che era successo era un’inevitabile conseguenza della sua scelta, ma l’altra parte continuava a rinfacciargli il disinteresse del padre.
  Nonostante lo disprezzasse con tutto se stesso, non poteva fare a meno di considerarlo l’unico parente stretto rimastogli. Sentiva di avere, volente o nolente, un legame.
Legame che l’orgoglio di Dearan non aveva faticato ad ignorare.
“La legge del branco è uguale per tutti, no? Avrei dovuto ricordarmelo.”, pensò fissando un punto imprecisato del cielo. In quel piccolo angolo di paradiso si riusciva a scorgere qualche fioca stella, non oscurata dalle luci prepotenti della città.
  Si sistemò meglio sul masso su cui si era appollaiato e si passò una mano tra i capelli, tentando di mettere un freno alla sua lotta interiore. Ma era difficile farlo, soprattutto quando sentimenti che credeva di aver sepolto avevano deciso di tornare a galla.
“In fondo lo considero ancora mio padre.”, quel pensiero gli lasciò in bocca un gusto amaro. Sarebbe stato tutto molto più facile se lui e Dearan si fossero odiati.
“Potrei imparare ad odiarlo, ma a che scopo? La mia anima si consumerebbe senza portare a nulla.”, considerò. Afferrò il borsone con le proprie cose e lo sistemò dietro di sé, appoggiandovisi subito dopo con la testa.
  Lasciò vagare lo sguardo tra le rade nuvole che correvano in cielo, provando a lasciar languire i pensieri e le preoccupazioni: nonostante l’uscita in grande stile, avrebbe ben presto dovuto pensare a reperire un nuovo appartamento.
-Finalmente!
La pace che regnava attorno a lui fu rotta dalla voce di David. Sembrava leggermente seccato.
Evan si voltò lentamente a guardarlo, per nulla stupito di vederlo lì. Fu la presenza di Emily a fargli alzare le sopracciglia, perplesso.
-Cosa ci fate qui?- domandò, apparentemente annoiato.
-Smettila con quel tono, sai benissimo perché siamo qui!- lo additò l’amico. –Mi hai fatto innervosire per bene, razza di stupido! Perché non hai aspettato che ti raggiungessi?
-Non sei stato esiliato dal branco, a quanto ricordo.- tentò di farlo ragionare.
Dave sgranò gli occhi e per poco non fece schioccare la mascella, innervosito. –Mi chiedo perché continuo a voler ragionare con te. Siamo qui perché abbiamo deciso di seguire te e non Dearan!- strepitò.
-Non ve l’ho chiesto!- a quella risposta Evan si levò in piedi con uno scatto, proiettando all’esterno la propria aura. –Non ho chiesto a nessuno di sacrificarsi per me.- aggiunse, fissando l’inglese dritto negli occhi.
-Non è un sacrificio: è una scelta.- replicò l’altro.
I due rimasero a confrontarsi per parecchi istanti, le auree selvaggiamente avvinghiate in uno scontro silenzioso. Alla fine, sotto lo sguardo attonito di Emily, Van distolse lo sguardo mormorando:-Idiota di un inglese.
-Tu non sei da meno e vorrei farti notare che essere scozzese è un’aggravante.- gli fece eco il riccio. L’altro si immobilizzò, poi gli concesse una mezza smorfia, segno che la piccola diatriba era finita in parità.
-Ora che avete finito con le vostre stronzate da maschi, potrei sapere cos’avete intenzione di fare?- Emily s’inserì nel discorso, seccata per esser stata ignorata tutto il tempo.
I due si voltarono a guardarla, ricordandosi solo in quel momento della sua presenza. –Be’… dobbiamo organizzarci.- meditò David.
-Esattamente. Quindi cosa…
-Quindi ora ci metteremo a dormire e domani mattina penseremo a cercare un posto in cui stare.- tagliò corto il Campione del branco MacGregor. Anzi, l’ex Campione ormai. –A proposito, perché sei qui?
La ragazza si fece indietro, irrigidendosi. –Ho chiesto la tua protezione, se ben ricordi. Non ha senso, per me, restare nel branco di tuo padre.- gli fece notare.
-E quindi hai deciso di darti allo sbaraglio?- le chiese. Il comportamento della nuova lupa era un po’ strano ed Evan non capiva se dipendesse dal fatto che fosse nata e cresciuta in un ambiente diverso dal suo o da un suo presentimento negativo.
Doveva ancora indagare sulle sue origini, dato che non ne aveva avuto il tempo. Be’, sicuramente ora sarebbe stato molto più libero rispetto a prima.
-Mi fido più di te che di Dearan. La mia bestia mi dice di seguirti.- la voce dell’americana lo riportò alla realtà.
Lui sospirò. –Ti sei scelta un bell’individuo a cui affidarti, non c’è che dire.- commentò.
-Oh, credo che tu sia meglio di quello che vuoi far credere.- sorrise lei.
-Lo è.- intervenne David. –A questo proposito, avrei una richiesta.
Van lo guardò stupito, cercando di leggere quelle iridi chiare. –Ossia?- domandò, guardingo.
-Voglio essere il tuo Beta, accettami per favore.
A quelle parole lo scozzese spalancò la bocca, preso in contropiede. Aveva appena… no, non era possibile! Sicuramente aveva capito male.
-Cosa…?!
Il moro annuì, convinto. –Non sto scherzando. Tu hai le abilità per essere Alfa e, a conti fatti, questo può esser considerato un branco. Quindi, ti prego, accettami come Beta.- replicò.
-Io non posso essere un Alfa… sono appena stato cacciato dal mio branco! Anche il mio matrimonio non ha più valore!- sbottò, gli occhi accesi di riflessi ametista.
David lo afferrò per le spalle. –Nessuna legge vieta ai lupi esiliati di costruirsi il proprio branco.- scandì bene le parole, cercando di convincerlo.
-E’ vero… un Alfa può essere eletto per acclamazione.- confermò Emily.
-Acclamazione?- fece Evan, perplesso. Avevano per caso sbattuto la testa ed erano impazziti entrambi?
La giovane si torturò un attimo le mani, indecisa se parlare o meno. –Qui in America alcuni branchi si sono formati per acclamazione: gli Alfa sono stati nominati a per volontà dei lupi stessi, al di fuori della discendenza di sangue o di scontri per la carica.- spiegò.
Di fronte a quella notizia, il licantropo non seppe che cosa rispondere. Guardò l’amico e nella sua espressione lesse aspettativa e profonda, incondizionata fiducia.
“Non posso essere un Alfa…”, si disse, assolutamente convinto della propria inadeguatezza. –Io… non posso.
-D’accordo. Considerami il tuo secondo in via ufficiosa.- risolse David, senza perdersi minimamente d’animo.
-Ma ti ho appena detto che…!
-Ti farò cambiare idea, vedrai.- assicurò l’altro, sorridente. –Tu che ruolo ricoprivi nel tuo branco, Emily?
Lei fece per rispondere, ma si bloccò. Sembrò ponderare le parole da dire e alla fine rispose:-Ero una sentinella.
-Perfetto. Possiamo cavarcela.- concluse l’inglese. –Ora direi che è ora di andare a dormire.
Senza lasciare a nessuno la possibilità di replicare, si trasformò nella sua forma animale e poco dopo si accuccio a terra, fissando gli altri due ed invitandoli a fare lo stesso.
Scuotendo la testa, Evan si chiese cosa l’avesse portato a diventare amico di un incosciente del genere.

 
  Appena messo piede al lavoro, molte delle sue colleghe l’avevano raggiunta, iniziando a farle domande su domande.
Quella stessa mattina era uscito un articolo sul Times che raccontava dell’aggressione avvenuta al Madison Square Park e, ovviamente, le ragazze avevano visto la foto che era stata scattata da alcuni reporters.
Foto che, per sua grande sfortuna, la ritraeva svenuta tra le braccia di uno dei licantropi.
Mantenere la calma e cercare di tener a bada tutta quella curiosità si rivelò ben presto stancante: a metà mattina Amanda aveva rischiato di arrabbiarsi con una cliente e per poco non si era scontrata con una collega.
“Ho bisogno di una pausa.”, pensò, appoggiandosi pesantemente alla parete di fondo del suo camerino. Ogni assistente ne aveva uno col proprio nome, nei quali accoglieva le spose e le loro famiglie.
  Prese un respiro profondo e tentò di metter ordine nelle proprie idee. Tutto quello che era successo il giorno prima l’aveva lasciata decisamente scossa, tant’è che quella mattina aveva preso un taxi. Scendere nei cunicoli della metropolitana le era sembrata un’impresa titanica e vi aveva rinunciato.
Fece per raddrizzarsi, già pronta ad accogliere la cliente successiva, quando Gabrielle passò nel corridoio. Si fermò di colpo e tornò indietro. –Oh, sei qui. Ti stavo cercando.- le disse.
La mora annuì distrattamente, fingendo di sistemarsi i capelli per terminare di ricomporsi.
-Tutto ok?- indagò l’amica, avvicinandosi.
-Sì… solo… sai, le ragazze…- mormorò, sentendosi un gran peso sullo stomaco. Non riusciva a spiegarsi perché, ma ogni volta che le chiedevano cosa fosse successo le tornava alla mente l’espressione di Andrew quand’era stato colpito.
-Eh, sei una celebrità, ora: sei stata salvata da un branco di licantropi.- scherzò Gabbie, buttandola sul ridere. Ma non appena vide l’espressione dell’altra si fece seria e aggiunse:-Tutto ok? Hai bisogno di qualcosa?
Mandy scosse la testa, grata per la sua premura. –No, tranquilla. Sono solo stanca e ancora un po’ scossa.- confessò, minimizzando il proprio stato d’animo.
-Sicura?- fece la sua interlocutrice, per nulla convinta.
-Sì, sicura. Stai tranquilla. Ora vado: mi aspetta la seconda cliente della mattinata.- sfoggiò un sorriso quanto mai costruito e schizzò fuori dal camerino. Non voleva esser compatita dalla gente, anche se sapeva che l’interesse di Gabrielle era genuino.
Avrebbe superato anche quella: le ci voleva solo un po’ di tempo per abituarsi realmente all’idea che Drew non fosse più completamente umano.
Camminò spedita verso la hall d’ingresso ed andò ad accogliere la sposa, mostrandosi cordiale e professionale.
Purtroppo la sua facciata non rimase in piedi per molto, dato che due ore dopo, a pranzo, si ritrovò a dover rispondere ad una chiamata inaspettata. –Greg…?
-Mandy! Meno male! È tutto il giorno che provo a chiamare Fran, ma non mi ha mai risposto!- esordì il fratello, agitato.
Amanda si accigliò. –Come non ti ha mai risposto?- ripetè, perplessa.
-Sì, nessun segno di vita. E il cellulare non è morto.- confermò il fratello. –Ma non è questo il punto! Cioè… sì, lo è ma… Mandy, cosa diavolo è successo ieri?!
Si morse il labbro inferiore, lanciando occhiate nervose tutt’intorno. Il volume della voce di Gregory era così alto che le persone avevano sicuramente sentito il suo sfogo. –Be’… quello che dice il giornale.- mormorò infine.
Ci fu un momento di silenzio, dall’altra parte, e la ragazza temette il peggio. –Vuoi dirmi che siete state attaccate da un branco di licantropi impazziti, che tu sei svenuta per un attacco di panico, Fran ha rischiato di esser attaccata e Drew è stato quasi ucciso?!- urlò tutto d’un fiato, trapanandole il timpano. Allontanò il telefono dall’orecchio e lasciò che si sfogasse per alcuni minuti, imprecando contro il mondo e le creature soprannaturali.
-Sostanzialmente sì.- dovette ammettere.
-Dio, Amanda! E me lo dici con quel tono di voce?- la rimproverò.
Sospirando, la giovane si decise ad alzarsi, lasciare i soldi per pagare il pranzo ed uscire. Non voleva dare spettacolo, non più di quanto avesse già fatto.
-Greg, per favore, calmati.- supplicò, massaggiandosi le tempie. –Mi stai trapanando i timpani.
Dopo qualche istante, il suo grande e grosso fratellone mormorò contrito:-Scusami, ho perso la calma.
Mandy sorrise, immaginandoselo tutto ingobbito, seduto sul bordo della sua scrivania. –Vedila così: grazie a quel gruppo di licantropi, abbiamo scampato una sorte peggiore.- disse, cercando di esser conciliante. In fondo, Gregory aveva reagito in quel modo perché si era preoccupato, non per rimproverarla.
-Sì, ma… ma Andrew come sta?- volle sapere l’uomo.
A quel punto toccò ad Amanda prendersi un momento per riordinare i pensieri e decidere cosa rispondere. –E’ vivo.- rispose.
-E’ all’ospedale? Sta… sta meglio?- le domandò ancora, accorato. –Frances è con lui? E’ per quello che non mi ha risposto?
La ragazza si mise a camminare in direzione dell’ufficio, lentamente, concentrandosi sul ritmo dei propri passi per trovare una qualsiasi risposta sensata da dare a Greg senza rivelargli la dura verità. Alla fine, però, dovette dichiararsi sconfitta. –E’ stato morso.- rivelò.
-Sul serio…?
Annuì anche se il fratello non poteva vederla. –Sì. Il licantropo che ci ha salvati ha ritenuto fosse la cosa giusta da fare per evitare che morisse.- spiegò.
La sua mente riandò a quei momenti di puro panico: al viso spaventato di Andrew e a quello combattuto e alla fine determinato di Evan MacGregor. “Non l’abbiamo nemmeno ringraziato.”, realizzò, stupita.
-Ho capito. È per questo che Fran non risponde al telefono.- concluse Gregory. La sua voce la strappò agli strani pensieri che stava inseguendo con la mente.
-Sì, è probabile. Credo le ci vorrà un po’ per accettare… tutto questo.- ammise. –Ma non ti preoccupare: non la lascerò sola.
-Tu stai bene?
-Sì, sono solo un po’ scombussolata, ma sto bene.- a forza di ripeterlo iniziava a sembrarle sempre più vero, nonostante non fosse ancora così.
Sospirando, suo fratello disse:-D’accordo. Scusami per l’improvvisata e lo schizzo. Se doveste avere un qualsiasi problema, chiamatemi, ok?
-Certo, fratellone, lo faremo.- assicurò lei.
-Sai che quando mi chiami “fratellone” mi preoccupo: solitamente è perché sei nei guai.- le fece notare.
“Cavoli!”, pensò la mora. Aveva usato quell’epiteto senza pensarci. Forse il suo subconscio le stava lanciando un segnale? Aveva bisogno della presenza di Gregory? –Mi è uscito così, non ci ho fatto caso. Giuro che sto, che stiamo, bene!
-Ok, ok, ho capito. Smetto di stressarti. Ci sentiamo presto, d’accordo sorellina? E salutami anche Fran, quando torna da lavoro.- si congedò.
-Sarà fatto. Saluta a casa, ciao!
Rimase ad osservare lo schermo del cellulare, pensierosa, fino a quando un’idea non le balenò in mente. Sgranò gli occhi e si mise a correre verso la sede di Kleinfeld, poco distante.


-F-Fran..! Cosa fai qui?
Andrew spalancò gli occhi, ritrovandosi davanti la propria fidanzata. Probabilmente stava sognando perché lei non avrebbe dovuto trovarsi lì.
-Drew! Come stai?- gli chiese lei, avvicinandoglisi e prendendogli una mano con fare apprensivo.
Il ragazzo si puntellò su un gomito, ancora disorientato. –Chi…? Come…?
-Sono entrata di soppiatto.- spiegò lei, capendo il motivo del suo smarrimento. –Non possono tenermi lontana da te: dovevo vederti.
-Ma non puoi!- esclamò lui, alzando improvvisamente la voce.
Frances si fece indietro, stupita. –C-come…?
Con un grande sforzo, Drew si mise a sedere e la afferrò saldamente per le braccia. La sua presa era ferrea nonostante lui non sembrasse nel pieno delle proprie facoltà fisiche. –Devi andartene da qui. Subito.- ordinò, scandendo bene le parole.
-No! Perché? Per colpa di quei licantropi?- si schermì la sua fidanzata.
Lui scosse violentemente la testa, mordendosi il labbro inferiore. –No… non è per colpa loro. È a causa mia…- mormorò a denti stretti.
Tutta quell’adrenalina stava risvegliando la bestia, la sentiva.
Doveva sbrigarsi e far allontanare Frances prima di fare qualcosa d’irreparabile. Non sapeva dove fossero Alastair né gli altri lupi preposti alla sua sorveglianza, il che lo metteva in una posizione pericolosa.
Se le avesse fatto del male non se lo sarebbe mai perdonato.
-Cosa significa che è colpa tua?- la sentì chiedere, chiaramente confusa.
-Fran, devi andartene. Ti prego.- supplicò, cercando di non aumentare la presa sulle sue braccia. Iniziava a sentire la paura della ragazza e la cosa lo stava scombussolando. –Ti prego!
-No!- protestò lei, prendendo a tremare. –Drew, cosa ti sta succedendo?
Lui digrignò i denti, irrigidendo tutti i muscoli del proprio corpo. Stava tentando di combattere con tutte le proprie forze, ma lo stesso Alastair gli aveva detto che il suo controllo sulla bestia era praticamente nullo.
  L’avevano tenuto in isolamento dalla sera precedente e, quando si era svegliato, gli avevano spiegato per sommi capi quello che era successo. Subito dopo aveva chiesto di poter restare solo per riflettere.
Una parte di lui sembrava aver intuito le conseguenze di quello che era successo molto prima che si risvegliasse su un tavolo, in una stanza sconosciuta. Sarebbe diventato un licantropo e non aveva il potere di cambiare le cose, a meno di morire.
L’aver iniziato ad accettare la sua nuova natura gli imponeva di non cominciare la sua nuova vita ferendo la donna che amava.
-Vattene, ho detto!- ringhiò con forza, allontanandola bruscamente da sé. Il solo pensare a Frances gli stava facendo ribollire il sangue.
La sbirciò attraverso le ciglia abbassate, vedendola spaventata come non mai. Tentò di parlare, ma sentiva la gola piena di saliva.
-Andrew…
Afferrò con forza i bordi del letto sul quale l’avevano fatto adagiare e desiderò con tutte le sue forze di non trasformarsi, di rimanere presente a se stesso. “Devo farcela!”, si disse.
Serrò così forte la mascella che la sentì schioccare e per poco non sobbalzò a quel suono, non riconoscendolo come qualcosa di umano.
Si sentiva schiacciare da una volontà che non era la sua, selvaggia e incontrastabile. Lanciò un’occhiata alle proprie mani, terrorizzato e vide i primi segni della trasformazione. –Frances, vai! Scappa!- riuscì a ringhiare con voce distorta.
La vide indietreggiare ancora, ora chiaramente spaventata da quello che stava succedendo.
Una fitta lancinante lo costrinse a piegarsi in due e a rannicchiarsi sul materasso.
-Andrew… oddio… cosa…- balbettò Frances, osservando la mutazione in corso davanti ai propri occhi.
Improvvisamente, la porta della camera si spalancò e ne entrò l’uomo dai capelli fulvi incontrato la sera precedente. –Cosa sta succedendo qui?!- esclamò, infuriato.
Diede una rapida occhiata ai due presenti e poi si fiondò da Andrew, inchiodandogli le spalle con una forza inaudita.
-Non so perché tu sia qui, ma devi andartene. Andrew non è pronto per tornare a casa.- le disse con voce perentoria. Vedendo che la giovane non aveva ancora mosso un passo, aggiunse:-Vattene o finirai per essere attaccata!
A quelle parole, Fran si riscosse e guardò con occhi dilatati i due uomini, impegnati in un braccio di ferro davvero terribile. Non poteva distogliere lo sguardo dalla scena, dalle tracce animali che iniziavano a moltiplicarsi sul corpo del suo fidanzato e dai suoi movimenti imprevedibili.
Ad un certo punto, senza preavviso, la forma lupina prese quasi il sopravvento su Andrew, facendolo urlare di dolore.
Terrorizzata, Frances saltò oltre la finestra, correndo a perdifiato lungo il sentiero che portava ad una delle uscite del grande parco.


  Aveva chiesto a Gabrielle di poter smontare prima dal lavoro.
L’amica, in quanto responsabile del servizio vendite, non aveva avuto nulla da protestare e l’aveva lasciata andare.
Mentre osservava con angoscia i grattacieli di New York sfilare davanti a lei, Amanda sperò con tutta se stessa che Frances non avesse combinato un guaio. Considerati i colpi di testa che aveva avuto in passato, tutto era possibile.
  Nervosa oltre ogni dire, avviò la chiamata al cellulare della sorella, desiderando che rispondesse e le dicesse che era impegnata in uno dei suoi soliti servizi fotografici.
Purtroppo, Frances non accettò la chiamata, lasciando squillare il suo telefono a vuoto. Disperata, Amanda decise di ricorrere al servizio di GPS per poterla rintracciare: aveva un gran brutto presentimento.
Settò i parametri di ricerca e poi lasciò che il programma facesse il suo corso. Quando un puntino rosso lampeggiante apparve sulla cartina, Mandy ordinò perentoriamente al taxista di dirigersi verso Central Park.
Mentre l’uomo imprecava e cambiava direzione con una manovra non esattamente signorile, la giovane restò a fissare il segnale e si chiese cosa mai ci facesse Frances in quel posto. Era quasi certa che non stesse lavorando, anche perché, in quel caso, non avrebbe ignorato il telefono.
C’era qualcosa che non andava e temeva potesse aver a che fare con quello che era successo ad Andrew.
-Siamo arrivati.- si sentì dire di punto in bianco. Alzò di scatto la testa e si ritrovò ad osservare le innumerevoli chiome che riempivano Central Park. Si riscosse ed allungò una banconota da venti all’autista, scendendo in fretta e furia dall’abitacolo dopo averlo ringraziato.
Raggiunse l’entrata più vicina ed osservò nuovamente lo schermo del cellulare, memorizzando l’esatta posizione del puntino rosso.
Prese un respiro profondo e si mise a camminare spedita verso il centro del parco, decisa a trovare sua sorella e riportarla a casa.


  Aveva appena smontato dal suo turno giornaliero, quando le sue orecchie captarono qualcosa di strano.
  Durante il tragitto verso Central Park, l’unico pensiero che l’aveva tenuto occupato era stato quello di cercare un appartamento in cui potersi sistemare. Ora, però, sembrava esserci qualcosa –anzi, meglio qualcuno- pronto a mettergli i bastoni tra le ruote.
Rimase in ascolto per qualche secondo poi si slanciò nella direzione del grande lago che campeggiava al centro dell’ampia zona verde.
Quando raggiunse il piccolo angolo che la notte prima aveva designato come “sistemazione provvisoria”, si trovò davanti una bella sorpresa. Andrew se la stava vedendo con una ragazza alquanto infuriata mentre Emily cercava di farla ragionare.
  Perplesso e alquanto infastidito da quel contrattempo, Evan non si rese subito conto dell’odore familiare della nuova arrivata. Le si avvicinò, deciso a far cessare le sue urla spaccatimpani, quando la sua memoria sensoriale riconobbe il sentore di poco prima.
Afferrò per un braccio la giovane e la fece voltare verso di sé. –Tu sei una delle persone che abbiamo salvato ieri… la compagna del nuovo lupo.- fece, stupito.
Quella lo guardò con tanto d’occhi, stupita per l’interruzione. Poi, però, gli occhi di Frances si ridussero a due fessure e si scagliò senza preavviso sul petto del licantropo.
-Maledetto! Maledetto!- iniziò ad imprecare, tentando di assestargli un pugno allo stomaco o in qualsiasi altro punto potesse fargli male.
Senza minimamente scomporsi, Evan le afferrò i polsi e bloccò quello scatto d’ira. –Per cosa mi stai maledicendo?- le chiese con voce dura.
-Per averlo trasformato!- fu la risposta, urlata a pieni polmoni.
Alzò un sopracciglio. –Avresti preferito la sua morte?- replicò, mantenendo il proprio contegno nonostante nella sua mente avessero preso ad affollarsi immagini della giornata precedente. –Non volevo che un innocente morisse.- aggiunse.
-Potevi portarlo all’ospedale! Potevi… tutto, ma non quello!- la ragazza si dimenò, tentando di liberarsi per poter colpire ancora.
-Sarebbe morto. Nessun medico umano avrebbe potuto aiutarlo.- disse, cercando di suonare il più logico possibile.
Frances scosse la testa, ferma nelle proprie idee. Dietro di lei, Andrew ed Emily assistevano immobili, pronti ad intervenire in qualsiasi momento.
-Tu… tu sei un mostro! Sei un assassino!- urlò lei, fuori di sé dal dolore e dalla rabbia.
A quelle parole, la corazza che Evan aveva costruito attorno a sé esplose, dando libero sfogo al rancore accumulato a seguito del bando subito. Spintonò indietro la giovane, che finì tra le braccia di Emily, e ringhiò con fare minaccioso:-Io non sono un assassino!
Accecato dall’ira, il respiro accelerato, trasmutò la propria mano per poter colpire. In quell’esatto istante una nuova figura comparve sulla scena, frapponendosi tra i due contendenti.
-Fermo!- ordinò, spalancando le braccia in un gesto difensivo.
Van si bloccò, appuntando il proprio sguardo sulla nuova arrivata. Non si era nemmeno accorto che David si era spostato al suo fianco, pronto a trattenerlo.


-Cosa pensavi di fare? Volevi per caso ucciderla?!- Amanda era fuori di sé.
Poco importava che quello davanti a lei fosse un soprannaturale: nessuno poteva minacciare la vita di un membro della sua famiglia.
Il suo interlocutore restò a fissarla, muto. Poteva vedere i suoi occhi scrutarla con attenzione, il dubbio in essi. Probabilmente non l’aveva riconosciuta.
-Mi ha accusato di essere un assassino.- la voce dell’uomo uscì stentorea e metallica.
A quella rivelazione, Mandy si voltò a guardare la sorella. –Sei per caso impazzita?! Ha salvato Andrew!- la rimproverò.
-Non lo ha salvato, l’ha condannato!- protestò Frances, guardandola con occhi di brace. Non sembrava esser padrona di se stessa, l’autocontrollo perso chissà quando.
-Fran, ma cosa…?
-Drew non è stato salvato. È stato trasformato in un licantropo e non tornerà più ad essere l’uomo che amavo!- urlò, scoppiando definitivamente a piangere.
-Era l’unico modo.- rispose Evan, tentando di ritrovare il controllo della propria bestia e lanciando un’ennesima occhiata alla morettina che aveva davanti. Se il naso non lo ingannava, quella che aveva davanti era la ragazza svenuta a causa dell’attacco di panico. Considerato l’odore, lei e la pazza isterica dovevano essere sorelle.
Amanda annuì, trovandosi d’accordo. -Esatto! Frances, hai visto anche tu che tipo di ferita gli era stata inferta!- tentò di farla ragionare.
Nuovamente, sua sorella cercò di svincolarsi dalla presa di Emily, ma non ci riuscì. –Lasciami andare!- protestò.
-Certo, così ti farai ammazzare.- commentò la licantropa.
Disperata, Fran cercò l’appoggio di Mandy, ma trovò solamente uno sguardo preoccupato e la certezza che il suo punto di vista non fosse assolutamente condiviso. Abbassò il capo, sconfitta e lasciò libero sfogo alle lacrime.
-Potete… puoi lasciarla, per favore?- chiese Amanda. I tre licantropi si scambiarono un’occhiata, a disagio, poi Frances fu libera. Si accasciò a terra, afferrando alcuni ciuffi d’erba e continuando a singhiozzare. Lei la soccorse immediatamente, inginocchiandosi al suo fianco ed abbracciandola forte.
Restarono così per un po’, mentre il pianto andava scemando. Alla fine, quando si fu calmata, Frances mormorò:-Ho bisogno di tempo per riflettere.
-Cosa?
-Ho bisogno di riflettere. Lontano da qui.- ripetè.
Sua sorella la guardò con tanto d’occhi, confusa. –Ma… perché?- chiese.
-Non posso accettare tutto questo, ora come ora. Non posso.- ammise l’altra, scuotendo la testa con forza.
“Non ami più Andrew? È questo che temi?”, si chiese Amanda. “Pensi di non poterlo più accettare?”, avrebbe voluto chiederle ma preferì tacere. –Come vuoi.- disse invece, remissiva.
Frances si rimise rapidamente in piedi e, dopo averle lanciato un’ultima occhiata, scappò verso una delle uscite del grande parco.
Restò a fissare la sua schiena fino a quando non scomparve oltre un dislivello. A quel punto sospirò e si rialzò, sentendo uno strano groppo all’altezza della gola: se la situazione era difficile prima, figuriamoci ora.
“Devo avvertire Gregory.”, pensò immediatamente.
Mentre meditava su quello che doveva fare, non si rese conto di esser ancora in mezzo ai licantropi. Si diede un contegno e si voltò verso MacGregor. –Mi dispiace.- disse, scusandosi a nome della sorella.
Preso in contropiede dalla sincerità di quelle parole, Evan ingoiò il rospo e mise a tacere la rabbia che ancora lo scuoteva. –Posso capirla. Non è una cosa semplice, da accettare.- ammise.
-Mi dispiace anche per quello che è successo ieri sera.- aggiunse Amanda.
Van s’irrigidì. –Non sono cose che ti riguardano.- replicò.
Lei si guardò intorno, osservando il paesaggio. –Sì, ma voi…- iniziò.
-Non vogliamo la carità né la pietà altrui. Non ci serve.- il suo interlocutore stroncò qualsiasi protesta sul nascere.
-Non intendevo affatto compatirvi.- chiarì Mandy, piegando leggermente il capo per poterlo fissare negli occhi. Era davvero alto.
I due si fronteggiarono per qualche minuto, valutandosi a vicenda. La prima ad abbassare lo sguardo fu Amanda.
-Scusate ancora per l’inconveniente. Vi auguro di trovare una sistemazione al più presto.- e detto questo si congedò, la mente già concentrata su come poter fermare sua sorella.

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Capitolo 8
*** Cap. 7 Target ***


Cap. 7 Target
Frances ha deciso di prendersi una pausa dal mondo soprannaturale, mentre sua sorella Amanda sembra non potersene liberare...
Non vi dico altro, buona lettura! :)

P.S.: Buona festa della donna, anche se in anticipo di un giorno!




Cap. 7 Target


-Gregory, finalmente! Cristo, perché non rispondevi al telefono?!- brontolò, lasciandosi sfuggire al contempo un sospiro di sollievo. Erano le nove di sera e non aveva fatto altro che cercare tracce di sua sorella per tutto il giorno.
-Perché Fran è appena piombata in casa mia! Come me lo spieghi, Mandy?! Che sta succedendo?- le chiese di rimando lui, palesemente confuso e alterato.
Dentro di sé, la ragazza ringraziò il cielo. Aveva sperato con tutte le sue forze che Frances decidesse di rifugiarsi a casa del loro fratellone: almeno lì sarebbe stata al sicuro.
-Amanda? Sei ancora lì?
Si riscosse. –Sì, scusami! Credo… credo che dovresti parlarne con lei. Però… se ti chiede di poter restare, per favore, acconsenti.- disse, mordendosi il labbro inferiore.
-Perché dovrebbe voler restare qui?- la voce di Greg era sempre più confusa, come se gli stessero spiegando il processo di fissione di un atomo in turco.
Si bloccò in mezzo alla stanza, fissando fuori dalla finestra senza vedere realmente l’edificio di fronte. –Per via di quello che è successo a Drew.- confessò infine.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi lui disse:-Ho capito. Le parlerò io. Non ti devi preoccupare: starà bene qui con noi.
-Grazie.- sorrise la mora, concedendosi un breve sorriso.
-Proverò a capire cosa le passa per la testa, però tu devi promettermi una cosa.- ingiunse. Poteva immaginarselo mentre puntava il dito per aria, nella sua direzione.
-Certo, quello che vuoi.- rispose, in attesa.
-Riporta Andrew a casa e… e aiutalo come puoi. Se lui per primo mostra di star bene, Frances si tranquillizzerà.- disse a voce bassa. Probabilmente Fran era nelle vicinanze e non voleva scatenarle qualche altra crisi emotiva. Al di là di quello, Gregory era incredibile: aveva capito in fretta che quell’improvvisa apparizione alla sua porta aveva a che fare con la trasformazione del fidanzato di sua sorella.
Era sempre stato molto intuitivo, specialmente quando si trattava delle sue due sorelline.
-Lo prometto. Farò il possibile, ma non so se me lo permetteranno.- ammise, ricordandosi di come Dearan MacGregor aveva ordinato di isolare il nuovo membro del branco dalla civiltà.
E da lei e Frances, soprattutto.
-Devi riuscirci! A costo di rapirlo!- ordinò, deciso.
Sbarrò gli occhi. –Ma sei pazzo?! Mica posso battermi con un branco di licantropi!- esclamò. Lo sentì brontolare un po’, scusandosi per aver dato aria alla bocca inutilmente. –Te l’ho detto: farò tutto il possibile per farlo tornare a casa. Nei limiti del possibile.- lo rassicurò ancora una volta.
-Bene. Ora è meglio che vada a controllare Frances: non sento nessun rumore provenire dal salotto.- le disse.
-Non lasciarla sola! Tienila impegnata!- si premurò di ricordargli.
-Lo farò. A presto Mandy.
Chiuse la comunicazione e restò a guardare lo schermo del suo telefono, pensierosa.
Frances si era rifugiata da Gregory e, su quel fronte, non c’era da preoccuparsi. Le serviva tempo e a Norfolk, Virginia, l’avrebbe sicuramente trovato.
Pensando alla casa del fratello, Amanda ebbe un improvviso pensiero. Come diavolo ci era andata Frances? Aveva per caso preso la sua macchina?
Recuperò velocemente le chiavi del suo appartamento e salì i gradini due alla volta. Aprì la porta il più rapidamente possibile e, una volta dentro, controllò nel piccolo contenitore ricavato da vecchi rullini.
-Sì… ha preso la sua auto…- constatò. Restò immobile per un po’, lasciando vagare i pensieri.
Se Frances era arrivata da Greg significava che non aveva avuto incidenti lungo la strada e che il viaggio, nonostante lo stato mentale in cui sicuramente versava, era andato bene.
Riusciva ad immaginarsela mentre cercava di trattenere le lacrime, dovute alla confusione e alla frustrazione, senza realmente riuscirci. Tra le due, era lei quella che riusciva a mascherare meglio i propri sentimenti.
Si passò una mano sul viso, stanca. “Non so perché tutto questo stia succedendo, ma spero vivamente che si risolva per il meglio.”, pensò. Rimase ancora qualche istante, lasciando vagare lo sguardo attraverso l’ampia zona giorno, poi tornò di sotto.
-Domani devo provare a mettermi in contatto con Andrew…- si disse, decisa a metter ordine nella situazione.
Il problema era che non voleva rimetter piede nella tana del lupo, ma non aveva altro modo per raggiungere l’amico.
Doveva trovare un piano alternativo.

 
-Be’, non è il Ritz, ma è sempre meglio di niente, no?
Evan lo fissò, cercando di capire se David stesse cercando di tirarlo su oppure stesse facendo dell’ironia. In ogni caso, a lui non importava che la sua casa fosse grande 70 mq oppure 200: l’importante era avere un tetto sulla testa.
-Va bene.- commentò solamente, appoggiando pesantemente il borsone sul pavimento.
-Dal tuo tono deduco che ti sarebbe andata bene anche una topaia.- osservò l’amico, leggermente piccato. Lo infastidiva sapere che i suoi sforzi non venivano apprezzati, soprattutto quando agiva da architetto.
Van si voltò a guardarlo. –Ho vissuto in posti peggiori, come ben sai.- gli ricordò.
L’altro scosse la testa. –No, a quell’epoca vivevo ancora nella bambagia, ricordi?- gli fece eco Dave.
Il giovane MacGregor si fermò un attimo a pensare, facendo due rapidi conti. –Giusto, tu eri ancora un giovane rampollo impegnato a studiare l’etichetta.- lo sbeffeggiò.
-Eh, se non fossi arrivato tu, come avrei potuto tirare avanti?- lo prese in giro, fingendo un tono melodrammatico da teatro shakespeariano.
-Te la saresti cavata benissimo.- tagliò corto l’amico, chiudendo il discorso. Era certo che, se anche lui e David non si fossero incontrati, lui sarebbe sopravvissuto benissimo. D’accordo, forse avrebbe preso un po’ di bastonate sui denti, all’epoca, ma poi avrebbe imparato.
David scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sorriso. –Non sia mai che tu ti riconosca qualche merito, eh?- commentò. Evan gli lanciò un’occhiata interrogativa. –Sai che mi hai aiutato tantissimo, in quel periodo. Avrei potuto scatenare un bel pandemonio.
-Avresti fatto solo ciò che era giusto.- osservò lo scozzese. –Almeno nel mondo dei licantropi.
-Ma non in quello degli umani. Sarebbe stato omicidio.- gli fece presente. L’altro annuì, dandogli pienamente ragione.
Restarono per un po’ in silenzio, meditando sui ricordi del passato. Il primo a rompere il silenzio fu Evan, che domandò:-Emily?
-E’ al lavoro. Non so di preciso dove, ma le ho dato l’indirizzo. L’appartamento ha tre camere, quindi possiamo benissimo viverci tutti quanti.- spiegò il moro, passandosi una mano tra i capelli ricci.
Evan non disse nulla, soffermandosi ancora una volta a pensare. Da quando aveva incontrato Emily, non era ancora riuscito ad iniziare ad indagare sul suo conto: sembrava che gli avvenimenti fossero contro di lui. Ma doveva assolutamente sapere se poteva fidarsi e perché la ragazza era corsa a chieder loro protezione.
-A che stai pensando?- David lo distolse dai suoi pensieri.
-Emily.- disse solo.
-Non ti convince, vero? Nemmeno a me.- ammise, facendosi guardingo.
Lo scozzese alzò la testa. –Hai avuto modo di scoprire qualcosa…?- chiese, speranzoso.
-No.- dovette ammettere Dave. –Nulla. Sono successe troppe cose tutte insieme.
-Dobbiamo indagare, però.- concluse l’altro.
L’inglese si trovò d’accordo, poi si avviò verso il centro della zona giorno. –Credo che oggi dovrò andare a fare compere.- considerò.
-Basta che tu non riempia l’ambiente con cose inutili.- lo avvertì Van, ben conscio dell’entusiasmo che prendeva l’amico quando si immergeva nei meandri della propria professione.
-Tranquillo.- fu la risposta.
“Non mi fido mica.”, pensò, osservando il moro aggirarsi per la casa. Si lasciò distrarre da quei pensieri, evitandosi di tornare agli ultimi eventi, ma fu difficile.
Doveva mettersi in contatto con Alastair per sapere come stava il ragazzo. E sperare anche di non vedersi piombare in casa i giornalisti, alla ricerca di succulente notizie. Per finire, doveva seppellire ancora una volta il suo disprezzo per Dearan.


  Sorrise distrattamente alla donna davanti a lei, concentrata ad inseguire pensieri lontani.
Era dal giorno prima che era distratta, pensierosa e proprio non riusciva a dedicarsi interamente al proprio lavoro, nonostante le piacesse molto interagire con le spose.
Fortunatamente sembrava che il suo cervello riuscisse a lavorare abbastanza bene anche diviso a metà, quindi stava portando avanti l’appuntamento praticamente senza problemi.
Non fosse stato per lo sguardo assente ed i sospiri saltuari.
-Tutto bene…?- si sentì chiedere all’improvviso.
-Come?- sobbalzò, colta di sorpresa. Cos’aveva appena detto sulla sua capacità di concentrazione? Appunto.
-Mi sembra assente. C’è qualcosa che la turba.- domandò la sua cliente, un’affascinante donna sui cinquant’anni.
Arrossì, mortificata. –Mi scusi. Ho qualche problema in famiglia e…- iniziò.
-Oh, la capisco. Non si preoccupi. Io ho sempre da fare, con due figli al seguito.- la rassicurò, sorridendole gioviale. Amanda rispose al sorriso, grata per la sua condiscendenza.
“Stupida! Concentrati!”, si rimproverò. Non voleva esser accusata di essere una scansafatiche ed esigeva, da se stessa, le migliori prestazioni sul posto di lavoro.
-Prima mi stava parlando di un abito con inserti in pizzo che aveva scorto nel salone… vogliamo provarlo?- chiese, calandosi nuovamente nella parte. Lanciò un’occhiata attraverso lo specchio, aspettando la risposta della donna. Quando quella annuì, entusiasta, fece un cenno del capo ed uscì dal camerino.
Si diresse a passo spedito nel salone e scambiò un sorriso d’incoraggiamento col resto della famiglia, in attesa davanti al piedistallo per le prove. –Forse ci siamo…- disse solamente, recuperando il vestito e sparendo.
Scivolò nuovamente dentro il camerino e mostrò il proprio bottino alla cliente. –Oh, sì, mi piace! Voglio provarlo.- disse quella, entusiasta.
Amanda si lasciò contagiare e recuperò un po’ di buon’umore. Il più attentamente possibile l’aiutò ad entrare nella gonna e a far aderire il corpetto dell’abito.
-Dimmi, cara… sei fidanzata?
Alzò gli occhi da quello che stava facendo, stupita dalla domanda. Rimase per un attimo a bocca aperta, colta in contropiede, poi riuscì finalmente a scuotere la testa.
-Oh, che peccato. Come mai?- fece la signora, dispiaciuta.
-Be’… io… non lo so. Non ho ancora incontrato la persona giusta, suppongo.- mormorò, imbarazzata. Non si era aspettata una domanda del genere e non era pronta a rispondere.
-Ma ne hai incontrata una sbagliata, vero?- gli occhi penetranti della sposa la guardarono attraverso la superficie riflettente dello specchio.
Arrossendo ancora di più, Mandy fu costretta ad ammettere:-Sì.
-Tranquilla. Sei giovane e anche molto a modo: troverai qualcuno in men che non si dica.- la rassicurò, sorridendole.
Senza poterselo impedire, la giovane ridacchiò. –Dovrebbe concentrarsi sul suo matrimonio, signora West, non preoccuparsi della mia vita amorosa.- le disse, divertita dal suo modo di fare in stile mamma chioccia.
Questa volta fu il turno della donna di arrossire. –Be’, sai… sono una madre. Preoccuparmi è nel mio DNA, ormai.- si giustificò.
-Sono sicura che lei sia un’ottima madre.- sorrise di rimando, finendo d’allacciare il vestito. –Ecco, abbiamo finito.
Raccolsero la gonna e poi si avviarono verso il grande salone. Quando emersero dal corridoio, i figli della signora si aprirono in larghi sorrisi, seguiti a ruota dalla madre di lei.
Ci furono molti complimenti ed Amanda lasciò il piccolo gruppo libero di discutere per qualche istante, attirata da strani movimenti poco oltre gli espositori.
Fece per chiedersi cosa stesse succedendo, quando sentì la voce squillante di Gabrielle amplificata da quello che sembrava un… un microfono?
“Ma che sta succedendo?”, si chiese, confusa.

  Si alzò sulle punte, cercando di sbirciare oltre gli espositori di vestiti, ma non riuscì a vedere molto di più.
All’ennesimo strillo di Gabbie, Amanda si scusò con la sua cliente e si affrettò a raggiungere l’amica. Molte delle sue colleghe erano uscite dai camerini, attirate dal rumore e qualcuna si era arrischiata ad avvicinarsi.
-La stampa! C’è la stampa!- sussurrò eccitata Vivian, quando le passò accanto. Le concesse solo un’occhiata, prima di svoltare e ritrovarsi nel grande atrio d’ingresso.
Non appena fece il suo ingresso, Gabrielle si voltò ed esclamò:-Amanda! Vattene!
Confusa, la giovane passò gli occhi dalla propria responsabile al gruppo ben nutrito di giornalisti. All’improvviso realizzò che, probabilmente, erano lì per avere altre notizie circa l’attacco al Madison Square Park.
Arretrò, intimorita dai microfoni, ma venne subito accerchiata. –E’ lei Amanda Miller?- si sentì chiedere.
-S-sì…- riuscì a dire, stordita dai flash delle macchine fotografiche.
-Lei è una delle vittime dell’attacco alla Fiera Internazionale?- domandò qualcuno. Con la coda dell’occhio, Amanda scorse Gabrielle farle segno di tacere. Spalancò gli occhi, chiedendo aiuto col solo ausilio dello sguardo.
-Ci conferma di esser stata una delle vittime dell’attacco?- incalzò qualcun altro.
-Scusate, ma non credo che questo sia il luogo più adatto per parlarne.- Mandy riuscì a raddrizzare la schiena e recuperare una parvenza di controllo, allontanando un registratore da sé.
Gabbie approfittò di quel momento per inserirsi a forza tra le persone e raggiungerla, parandosi davanti a lei. –Come vi ho già detto prima, noi qui stiamo lavorando. Lasciate in pace le mie impiegate.- disse, perentoria.
-Stiamo semplicemente facendo il nostro lavoro.- protestò una donna accanto a lei.
Lei la fulminò. –Anche noi.- rispose con voce tagliente. –Andatevene o chiamo la sicurezza.- aggiunse, osservando tutti i presenti.
Brontolando e sbuffando, gli affamati giornalisti pian piano si diradarono, infilando la grande bussola a vetri dell’ingresso per poi disperdersi in strada.
-Grazie.- sospirò Amanda. –Non ero preparata…
-Stanno insistendo solo perché sono coinvolti i licantropi. In caso contrario non gliene infischierebbe nulla.- commentò disgustata l’amica.
La mora annuì, dandole ragione. –Spero solo non mi aggrediscano all’uscita.- si augurò.
-Nel caso usa lo spray al peperoncino.- sogghignò Gabrielle.


  Smise di aggirarsi nel database del dipartimento per concentrarsi sui suoi sottoposti.
Aveva iniziato la sua ricerca su Emily provando a supporre che potesse esser già stata schedata ma, a quanto pareva, non aveva avuto guai con la legge.
  Qualcuno, nel Senato, aveva proposto di creare una banca dati con tutti i profili dei soprannaturali d’America, ma il loro rappresentante si era fermamente opposto, bloccando la proposta di legge sul nascere.
Sarebbe stata una bella violazione della privacy, soprattutto quando l’intenzione era di schedare anche i bambini.
  Il loro mondo era diverso, quello era vero, ma anche tra gli umani v’erano degli psicopatici e spesso non venivano nemmeno assicurati alla giustizia. Di conseguenza, nessuno aveva il diritto di schedare licantropi e vampiri come fossero criminali.
-Capitano…- la voce del tenente Simmons lo distolse dalle sue elucubrazioni. Riprese il controllo di se stesso e si voltò a guardarla, in attesa. –Credo ci sia un problema.- aggiunse, dopo un attimo d’esitazione.
-Che tipo di problema?- domandò, accigliandosi. Poteva percepire l’agitazione nella lupa, ma il resto della centrale non sembrava in allarme.
-Stanno parlando di lei alla televisione.- disse infine la donna.
“Alla televisione?”, pensò, stupito. Poi si ricordò di quello che era successo pochi giorni prima al Madison Square Park e si diresse rapidamente verso l’apparecchio nella zona comune. Puntò gli occhi sullo schermo, riconoscendosi nelle riprese dell’attacco.
-Oh, capitano! È in televisione!- esclamò Eric, voltandosi a guardarlo. Dopo la loro piccola zuffa di presentazione, il giovane si era dimostrato molto aperto e sicuramente loquace. A volte aveva desiderato chiudergli la bocca con un destro, solo per dar pace ai suoi timpani.
-Sì, ho visto Camden, calmati.- commentò, cercando di smorzare il suo entusiasmo con un tono di voce neutro.
-A quanto pare è diventato una celebrità.- continuò il ragazzo, ignorando l’avvertimento.
“Quella è Crystal, non io.”, pensò tra sé, ma non disse nulla. Si limitò ad osservare le immagini che gli passavano davanti agli occhi. Rivide con più chiarezza i licantropi che avevano attaccato, ma non riuscì a capire a che branco potessero appartenere.
Prima di accettare l’incarico lì a New York, aveva tentato di scoprire il più possibile sui branchi cittadini, ma su alcuni non circolavano informazioni. Ed erano molti anche quelli formati da membri sempre diversi, senza un lupanare fisso.
  Quei lupi moderni lo confondevano e gli sembrava così slegati dalle tradizioni che, a volte, non riusciva a capirli.
-Quelle facce non mi sono nuove…- commentò ad un certo punto Simmons.
Evan rialzò di scatto la testa. –Come? Sul serio?
Lei annuì, concentrata. –Sì. Mi sembra di averli visti gironzolare dalle parti di Harlem. Stavano spacciando.- mormorò, riducendo gli occhi a due fessure per concentrarsi sui ricordi.
“Mi chiedo cosa ci trovino di divertente nel contaminarsi l’organismo.”, si chiese Van, lanciando un’occhiata distratta alla fine del servizio. Il massimo “sballo” a cui era mai arrivato era stata un’intossicazione d’aconito che, per poco, non l’aveva spedito al creatore.
Mai e poi si sarebbe volontariamente iniettato qualcosa per distruggere le proprie facoltà mentali. Era quasi certo che le droghe leggere non sortissero nessun effetto sul metabolismo dei licantropi, ma non sapeva nulla circa quelle sintetiche.
Non aveva intenzione di sperimentarle, in ogni caso.
-Vuole che faccia un controllo, capitano?- si sentì chiedere.
-Sì, sarebbe d’aiuto. Grazie.- rispose.
Considerato a cosa l’avevano portato, catturare quei bastardi gli sembrava un buon punto di partenza per ritrovare un po’ di pace e liberarsi di qualche emozione negativa.


  Indossò la giacca e si avvolse la sciarpa di seta attorno al collo, grata che la giornata fosse finita.
Quel giorno era riuscita a concludere tre appuntamenti e aveva guadagnato un bel bonus sullo stipendio di fine mese. Inoltre il vento sembrava aver voluto concedere una tregua alle vie della città, risparmiandole fastidiose litigate con abiti e capelli.
Sarebbe stata una giornata perfetta se solo avesse trovato il modo per mettersi in contatto con Andrew.
“Hanno detto che, quando starà meglio, si potrà mettere in contatto con noi. Potrà anche tornare a casa, se lo vorrà.”, si disse, riportando alla mente le parole dello scozzese di nome Alastair.
-Il problema è che non mi fido.- mormorò a nessuno in particolare.
Le leggi di quel mondo le erano sconosciute e non ne conosceva tutte le implicazioni. La parola di un licantropo, per quanto ne sapeva, poteva non aver nessun valore o essere uguale ad un giuramento.
Scosse il capo, sconsolata. Aprì la borsa e vi cercò all’interno il cellulare: voleva controllare la presenza di messaggi da parte di Frances.
Ovviamente non c’era nessuna notifica sullo schermo, come tutte le altre innumerevoli volte in cui aveva controllato. Leggermente abbattuta, ripose l’oggetto e si apprestò ad uscire.
Quando passò accanto al piccolo ufficio della responsabile vendite, Gabrielle le fece un cenno di saluto da dietro una pila di scartoffie.
-Ehi! Cos’è tutta quella roba?- le chiese, fermandosi ed infilando la testa all’interno.
-Tutte le fatture del mese.- rispose l’amica, stropicciandosi i capelli con un gesto stanco della mano. –Vuoi fare a metà?
Amanda considerò seriamente l’offerta. –Ti serve una mano?- chiese, sinceramente interessata.
Al che Gabbie si raddrizzò e, scuotendo la testa, disse:-No, no, mi sto solo lamentando. Tranquilla. So che hai parecchie cose per la testa.
-Ma sei sicura? Posso rimanere.- insistette.
L’altra annuì, sorridendole grata. –Sicura. Vai a casa a riposarti. E cerca di non pensare a tua sorella: lei è al sicuro.- replicò.
-Fisicamente sì. Emotivamente…- s’interruppe per lasciar uscire un sospiro sconsolato.
La sua migliore amica, allora, si alzò e le andò incontro. La guardò fisso per qualche istante e poi la strinse in un abbraccio. –Vedrai che si sistemerà tutto. Non abbacchiarti così. L’Amanda che conosco io si piega, ma non si spezza.- le sussurrò all’orecchio, tentando di suonare il più convinta possibile.
-Come il bambù?- ridacchiò la morettina.
-Come il bambù.
Grata, la giovane ricambiò con forza l’abbraccio. –Mi è venuta voglia di cinese.- disse ad un certo punto, per sdrammatizzare.
-E cinese sia, allora. Mangia anche per me, ok?- Gabrielle scoppiò a ridere, divertita da quel cambio di argomento. –Vai, su. A domani.- la congedò dopo un po’.
Col sorriso ritrovato, Mandy salutò l’amica e si avviò verso casa, decisa a fermarsi ad un take away per ordinare la sua cena cinese.
Stava già valutando quale menù scegliere, quando si ritrovò la strada sbarrata. Si fermò di botto, strisciando un tacco sulla superficie ruvida del marciapiedi.
Accigliata, alzò gli occhi per puntarli in quelli della persona che le stava davanti, di parecchi centimetri più alta di lei grazie ad un paio di scarpe vertiginose.
-Sì?- fece, guardinga.
-E’ tutta colpa tua!- strepitò la donna. E non era una donna qualsiasi, ma Crystal Forbes in persona.
Confusa, Amanda si guardò intorno alla ricerca di paparazzi: era ben cosciente del codazzo di flash che seguiva la modella dovunque andasse. –Di cosa mi stai incolpando?- domandò, cercando d’ignorare il tono d’accusa.
-Di aver rovinato il mio matrimonio!- sbraitò la bionda.
A quelle parole, sgranò gli occhi. –E come avrei fatto? Ti ho conosciuta nemmeno una settimana fa!- protestò, alzando leggermente la voce.
Crystal divenne paonazza e la luce del tramonto appena iniziato accentuò il rossore delle sue guance. –Per colpa del tuo amico, Evan è stato bandito dal branco!- ribattè, inalberandosi sempre di più. Il suo tono di voce stava attirando l’attenzione dei passanti e, come poté notare ben presto, anche di poco amichevoli portatori di reflex.
-E cosa c’entra col tuo matrimonio?- chiese, iniziando ad esasperarsi. Aveva forse preso una dose prima di raggiungerla e fare quella sfuriata da prima donna? Sembrava impazzita!
Vide le mani della modella serrarsi a pugno e capì che la donna stava raggiungendo il proprio limite.
Iniziò a sudare freddo: nonostante un licantropo si potesse considerare pericoloso, non era nulla in confronto ad una lupa fuori controllo.
Anche se non l’aveva mai vista combattere, Amanda ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
-Mi dispiace per quello che è successo, ma non sono stata io a…- iniziò.
-No, nessuno di voi ha fatto niente. Non fosse che per salvare la vita a quel ragazzetto Evan ha infranto l’unica legge che non poteva infrangere! E ora, proprio per questo, il nostro matrimonio è finito!- ringhiò, emettendo un inquietante verso di gola.
Dietro di loro, i paparazzi stavano scattando foto a tutto spiano.
-Crystal, calmati. Non so cosa c’entri il vostro matrimonio, ma non è con me che devi prendertela.- cercò di rabbonirla.
La lupa fece scattare una mano, arcuando le dita dalle unghie curate. –E con chi dovrei prendermela? I giovani lupi non si possono toccare.- disse con voce metallica.
“Oddio, sta perdendo il controllo!”, pensò Mandy, allarmata. –Io non c’entro niente! Non l’ho inventata io la vostra stupida legge!- finì per sbottare, messa alle strette.
-Stupida… stupida legge? Osi denigrare le leggi del branco?!
La mano di Crystal si alzò ancora di più, pronta ad abbattersi sul viso di Amanda. Nessuno dei presenti sembrava intenzionato ad intervenire e la ragazza si stava trovando, a distanza di poco tempo, nuovamente sotto la minaccia di un licantropo.
Iniziava a sospettare di avere una calamita per i guai.
  Deglutì, imponendo alle proprie gambe di smettere di tremare e prepararsi all’eventuale scatto. Non aveva la minima intenzione di farsi sfigurare da una pazza. O peggio.
Improvvisamente, quando sembrava che tutta la tensione accumulatasi fino a quel momento fosse in procinto di esplodere, un’altra donna si mise in mezzo.
Stupita, la morettina riconobbe nella nuova arrivata Emily, la lupa che se n’era andata dal branco assieme al figlio dell’Alfa.
-Cos…?
-Spostati.- sibilò l’ormai ex signora MacGregor. –Non intralciarmi.
-Te la stai prendendo con la persona sbagliata.- le fece notare l’americana, fissandola dritto negli occhi chiari.
-Me la sto prendendo con l’unica persona con cui posso farlo!- fu la risposta irata. Al che, Amanda per poco non scattò in avanti per assestarle un pugno in faccia.
Emily si avvicinò alla propria interlocutrice, arrivando a sussurrarle all’orecchio:-Ti vorrei far notare che stai dando spettacolo. Non ti converrebbe smetterla?
Come se quelle parole l’avessero riportata coi piedi per terra, la modella si guardò intorno con bruschi movimenti del capo e i suoi occhi si dilatarono impercettibilmente. Valutò la situazione e poi, dopo un altro sguardo omicida nei confronti di Amanda, se ne andò.
I paparazzi non persero tempo ad inseguirla, anche se qualcuno preferì rimanere e provare ad intervistare l’altra parte, ossia Amanda.
-Vieni con me.- la lupa che l’aveva appena aiutata la prese saldamente per un polso e prese a trascinarla lungo la ventesima strada.
-Dove andiamo?- chiese.
-Da Evan.

  Improvvisamente Emily smise di trascinarla e si voltò a guardarla.
Amanda ne approfittò per massaggiarsi il polso e chiedere:-Che succede? Perché ci siamo fermate?
L’altra la fissò, pensierosa. “Faremmo prima… però non so se sia il caso.”, si disse, scrutando con attenzione il viso della sua interlocutrice. –Dobbiamo aumentare l’andatura.- mormorò infine.
-Bene. Prendiamo un taxi.- replicò Mandy, indicandone uno proprio a pochi metri da loro.
Divertita, Emily ridacchiò. –No… i taxi sono lenti. Io sono più veloce.
A quell’uscita, la mora si accigliò. Non stava veramente suggerendo di raggiungere la loro destinazione in versione pelosa, vero?
Ne aveva avuto abbastanza di pellicce, zanne e code: doveva avere il tempo di disintossicarsi.
Senza darle una risposta, Emily sparì dietro il cassonetto della spazzatura che sporgeva dal vicolo accanto. Poco dopo ne uscì un grosso lupo nero come una notte senza luna.
  Deglutendo, Amanda cercò di non urlare e attirare su di sé l’attenzione dei passanti. La sua accompagnatrice era stata abbastanza intelligente da rimanere nell’ombra, tra i due edifici e la stava guardando con un paio di occhi d’un verde brillante e ferino.
Non c’era bisogno di parole o gesti: lei sapeva di dover salire in groppa alla lupa.
Il problema era che non voleva.
Scosse la testa. –No… basta lupi. Almeno per un po’.- supplicò con voce leggermente tremula.
La licantropa arricciò leggermente il labbro superiore, in segno di protesta e le fece un cenno impaziente col capo.
-No.- si rifiutò nuovamente Amanda.
Scocciata, Emily l’afferrò repentinamente per la giacca, tirandola nell’ombra assieme a sé. Si abbassò, incastrando la testa tra le gambe della giovane e si sollevò, facendola scivolare sulla propria schiena.
Mandy afferrò con forza i peli della gorgiera, emettendo uno squittio spaventato. Strinse immediatamente le cosce attorno al torace della creatura e prese un respiro profondo. –Non farlo mai più. Mi è venuto un colpo!
Il verso di gola che seguì il suo rimprovero suonò tanto come un gesto di scuse e la ragazza lo accettò, anche se non era ancora convinta di quello che stava per fare.
Si sistemò sul dorso del suo mezzo di trasporto ed attese lo scatto. Perché sapeva che sarebbe scattata, proprio come una gazzella inseguita da un leone.
  Aspettarono qualche istante, giusto il tempo di controllare che non ci fossero troppi sguardi indiscreti e poi balzarono fuori dal loro nascondiglio.
Subito, l’aria frustò il viso di Amanda, costringendola a chiudere gli occhi per evitare di farli lacrimare. Le sembrava di esser stata caricata sopra un tir in corsa tant’era confusa la percezione che aveva del mondo circostante.
Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie, impazzito, e i capelli in procinto di sciogliersi, insidiati dal vento.
“Oddio, fa’ che sopravviva a tutto questo!”, pregò, immergendo la faccia nella pelliccia di Emily. Non appena fu solleticata dai soffici peli, però, si riscoprì ad apprezzare quella sensazione così come il calore che sprigionava dal corpo della lupa.
Senza rendersene conto si lasciò completamente andare, appoggiando il corpo contro quella schiena dritta e calda.
Le sembrò di sentire un rumore di gola da parte della licantropa, ma non ci avrebbe giurato.


-Evan.- chiamò David, fissando stupito fuori dalla finestra.
Lo scozzese uscì in quel momento dal bagno, sulla pelle il ricordo della doccia che si era appena concesso. –Cosa?- fece, disinteressato.
-Abbiamo ospiti.- svelò il riccio. Un lento sorriso sostituì la sua espressione stupita.
Al che, Evan alzò gli occhi, smettendo di frizionarsi i capelli. –Ospiti? Chi mai verrebbe a trovarci?- domandò, stupito. Volse la testa verso la finestra ed annusò l’aria, curioso. –Non è Crystal, per fortuna.- aggiunse dopo un po’.
-Oh, no. Non è Crystal. Vieni a vedere.- lo invitò, rimanendo accanto alla finestra. L’altro, allora, si alzò e lo raggiunse, sbirciando. –Interessante, vero?
“Interessante davvero.”, pensò. Davanti a loro, nascosta nelle ombre del crepuscolo, se ne stava Emily nella sua forma animale. Nonostante fosse leggermente più piccola della media, la cosa più particolare era il colore del suo pelo. “Quindi i Blacks accettano solo membri col manto scuro…?”, meditò.
  Come se avesse intuito i suoi pensieri, Emily decise di riassumere forma umana proprio in quel momento, approfittando della presenza di alcuni cespugli per non farsi scoprire da eventuali passanti.
-Le faccio salire.- avvertì Dave, avviandosi verso la porta.
-Le…?
Evan tornò a guardare fuori, rendendosi conto della presenza di un odore familiare assieme a quello di Emily. “Che ci fa lei qui?”, si chiese, stupito.
Rapidamente seguì l’amico e si pose al centro della stanza, lo sguardo puntato alla porta.  La prima ad entrare fu la sua nuova sentinella e poi fu il turno della ragazza. Amanda, se la memoria non lo ingannava.
-Scusate l’imprevisto.- disse la lupa, accennando all’ospite che portava con sé.
-Perché l’hai portata qui?- indagò l’inglese, salutando subito dopo la nuova arrivata con un sorriso cordiale.
Lei rispose al saluto, cercando di non guardarsi intorno e apparire così un’impicciona. “E così questa è la loro nuova casa.”, pensò, misurando con un colpo d’occhio la stanza in cui si trovava. Se la corsa non l’aveva totalmente confusa, dovevano trovarsi davanti al Tompkins Square Park, nella Lower Manhattan.
-Sì, è abbastanza grande per tutti e tre, ma non come la villa in cui eravamo prima.- la voce di Evan la colse sul fatto, facendola arrossire tantissimo.
-S-scusate… non era mia intenzione…- iniziò, mortificata.
Van la tranquillizzò con un gesto della mano. –Piuttosto, cosa fai qui?- le chiese, interessato. Nell’ultimo periodo le loro strada si erano incrociate molto spesso e la cosa iniziava a stranirlo: non era stato lui a cercarla e nemmeno lei sembrava voler avere a che fare con la sua persona.
A quella domanda, Amanda guardò Emily, indecisa su cosa dire. Fu proprio la ragazza, comunque, a venirle in aiuto. –Abbiamo incontrato Crystal. O meglio, lei ha incontrato Crystal, io mi sono messa in mezzo.- disse.
Evan e David si scambiarono un’occhiata. –Crystal? Ma… la nuova cerimonia è stato annullata.- commentò l’inglese.
-Non era lì per il vestito.- dovette ammettere Amanda, torturandosi nervosamente un ciuffo di capelli. Li sentiva allentati sulla nuca, segno che stavano per cedere. –Credo che il motivo per cui fosse lì si possa tradurre in una minaccia.- svelò, puntando gli occhi sull’ex marito della donna in questione.
-Temo di non capire.- ammise Evan, veramente confuso. Perché diavolo la sua ex compagna se l’era andata a prendere con una ragazza di cui conosceva a malapena il nome? Non aveva senso.
Forse stava iniziando ad impazzire sul serio.
-Mi ha accusata di aver rovinato il vostro matrimonio. Cioè, insomma, ha accusato Andrew ma, dato che lui non può esser toccato, a quanto ha detto, se l’è presa con me.- disse, cercando di riassumere tutta la questione. Mentre ripensava a quello che era accaduto meno di un’ora prima, sentì l’irritazione tornare a galla.
-Evan, tua moglie è proprio pazza da legare.- commentò David, dando una pacca cameratesca sulla spalla dell’amico.
Lui lo guardò storto, inducendolo a smettere subito. –Ti ricordo che io non ho avuto voce in capitolo.
-Sì… scusa.- l’amico gli diede ragione, remissivo.
-Mi dispiace per quello che è successo. Parlerò con lei.- disse Van, rivolgendosi ad Amanda. -Può bastare?
-A me sì. A lei non so.- commentò la mora.
-Evan, io non mi fiderei. Non conosco bene la tua compagna, ma mi sembrava intenzionata a far del male a qualcuno.- intervenne Emily, facendo vibrare la chioma di ricci nell’impeto del discorso.
La guardò stupito. -E cosa suggerisci, scusa?
L’americana lo guardò, mordendosi il labbro inferiore. –Io…
-Non voglio protezione, non ce n’è bisogno!- intervenne Amanda quando capì cosa stesse cercando di fare la lupa. Il giovane MacGregor lanciò uno sguardo alla propria sottoposta, come a farle capire che non si aspettava una risposta diversa.
–Bene, dato che la questione è risolta, direi che possiamo chiamarti un taxi, giusto Amanda?- intervenne David.
La giovane si riscosse e fece per annuire, quando le tornò in mente una cosa. –No, un attimo!- senza pensarci due volte annullò le distanze tra sé ed Evan. –Ho bisogno di un favore.
Lui la fissò, ancora una volta stupito. Scandagliò per qualche istante le profondità verde acqua dei suoi occhi e poi chiese:-Quale genere di favore?
Mandy aprì la bocca, pronta a rispondere, ma fece l’errore di abbassare gli occhi. Si ritrovò a fissare il torace del licantropo, segnato da innumerevoli cicatrici (vecchie e recenti) e guizzante di muscoli ed ebbe un attimo di smarrimento.
Le tornò subito in mente Wayne e non poté impedirsi di fare un confronto tra i due. Evan MacGregor ne usciva nettamente vincitore.
Avvertì il volto andare in fiamme e si diede mentalmente della cretina. S’inumidì le labbra, ritrovando la voce. –Ecco… si tratta… si tratta di Andrew. Come posso mettermi in contatto con lui?
A quella domanda, Evan si accigliò. –Andrew? Mhm… David, credi che Alst ci farebbe parlare con lui?- domandò, meditabondo.
-Be’, se il nuovo lupacchiotto riesce a mantenere la propria forma in modo permanente, non vedo perché no.- considerò l’architetto.
-Sul serio?- gli occhi di Amanda s’illuminarono.
L’inglese annuì, mentre il suo migliore amico componeva rapidamente un numero di telefono ed avviava la chiamata.
-Alst, sono io. Ti disturbo?
-Evan? Dove sei adesso?- chiese Alastair, preoccupato e stupito di poter parlare col ragazzo.
-Nel nostro nuovo appartamento.- rispose, osservando tutti i presenti.
Ci fu una pausa. –Dimmi l’indirizzo. Così so dove trovarvi.- ordinò lo scozzese, blocchetto alla mano.
Van scosse la testa. –No, rimandiamo queste cose a dopo. Devo chiederti una cosa.
-Dimmi pure.- rispose l’altro.
-Come sta Andrew?- chiese, lanciando un’occhiata ad Amanda. La ragazza si stava torturando le mani, in ansia, ma stava anche provando a trattenersi per non apparire troppo agitata. Ammirevole.
-Be’… non male, per essere un ex umano.- commentò Alst. –Stamattina è riuscito a raggiungere una forma stabile, senza più shift.- concluse.
“Meno male. A quanto pare ha più forza di quello che sembra.”, pensò sollevato. –D’accordo. Pensi di potergli riferire un messaggio?
-Devo evitare le orecchie di Dearan, giusto?- fu la replica.
-Esattamente.- sorrise lui, per nulla sorpreso dall’intuito del parente. –Digli che Amanda vuole parlargli, per sapere come sta e quando potrà tornare a casa.- aggiunse, cercando conferma con lo sguardo in merito a quello che stava dicendo.
-D’accordo. Farò in modo che sia lui stesso a contattarla.- assicurò.
-Benissimo, grazie.- disse Evan. Stette in silenzio per un po’, poi aggiunse:-Grazie di tutto.
Alastair sospirò. –Evan, figliolo, anche se non approvo la scelta, era l’unica scelta possibile.- tentò di alleggerire i suoi sensi di colpa.
-Quella o la morte.- gli fece presente il ragazzo, abbassando il tono di voce. Con la coda dell’occhio vide Amanda impallidire e si sentì un po’ colpevole.
-Non l’avresti mai fatto!- si scandalizzò il suo interlocutore. –So che non ne sei capace.
Sorrise amaramente. –Eh, già. A quanto pare ho un cuore tenero.
-No, sei un uomo giusto. E mi chiedo spesso come sia possibile, visto…- s’interruppe. –Devo andare. Mi faccio vivo io. Salutami Dave.- e riagganciò.
“Dearan.”, pensò subito Evan, maledicendolo per il suo tempismo. Fissò per qualche istante il muro davanti a sé poi, di nuovo padrone di se stesso, si voltò verso gli altri. –Ha detto che trasmetterà il messaggio ad Andrew.- comunicò.
Amanda si sciolse in un sorriso, sollevata. –Grazie mille.- ringraziò, tendendo la mano verso di lui.
-Di nulla.- gliela strinse con una piccola esitazione. Avvertì il lieve velo di sudore che copriva il palmo della sua mano e capì che era stata veramente in ansia durante la telefonata. Lei sembrò rendersene conto perché si affrettò a ritirarla.
-Bene… direi che è ora di tornare a casa. Van, la riaccompagni tu?- esordì improvvisamente David.
I due si riscossero e così anche Emily. –Come…?
-Riaccompagni a casa Amanda?- ripetè, scandendo bene le parole e guardando dritto negli occhi l’amico. Voleva provare a parlare con Emily, giusto per vedere se riusciva a tirarne fuori qualcosa di utile.
Lo scozzese sembrò capirlo perché mosse impercettibilmente il capo. –D’accordo.
-Ma… siete sicuri? Posso prendere la metro...- disse la ragazza, confusa. Non le sembrava che Evan fosse desideroso di offrirsi come cavalier servente.
-Non è cortese rifiutare una gentilezza.- le fece notare quello, recuperando un paio di chiavi ed aprendo la porta. Con un piede oltre la soglia e l’altro ancora in casa, si voltò a mezzo e la guardò coi suoi strani occhi grigi, chiedendole quanto ancora volesse rimanere lì imbambolata.
  Ancora disorientata, Amanda si affrettò a salutare e seguirlo fuori.

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Capitolo 9
*** Cap. 8 Dealing with the wolves ***


Cap. 8 Dealing with the wolves
Ohh!! *___* Sono contenta di essere finalmente arrivata a questo capitolo, perchè qui c'è la prima vera interazione a due tra Evan e Amanda :D
La loro sarà sicuramente una conversazione atipica, ma tenete conto che Van non è il re della loquacità ^^' XD
Spero vi piaccia, vi auguro buona lettura! :)





Cap. 8 Dealing with the wolves


  Scese rapidamente i gradini, stando dietro al suo accompagnatore.
Non sembrava aver fretta di riportarla a casa, ma si muoveva troppo velocemente e lei non riusciva a stargli dietro. Non dopo una giornata di lavoro di nove ore e scarpe col tacco ai piedi.
  Quando arrivarono in strada, Amanda si fermò per riprendere fiato e lanciò un’occhiata tutt’intorno. Nel parco antistante vi erano appesi numerosi fili di lampadine natalizie, che servivano ad illuminare alcuni tavolini attorno a cui si erano raccolti gli anziani dell’isolato.
-Muoviti.- le ingiunse la voce di Evan.
Si voltò a guardarlo e, preso coraggio, disse:-Non c’è bisogno che tu mi accompagni a casa. Veramente.
Lui la guardò per qualche istante, in silenzio, poi le porse un casco scuro. Lei lo fissò perplessa, rigirandoselo tra le mani. –Mi hanno chiesto di riportarti a casa ed è quello che intendo fare. Crystal sa essere imprevedibile e non vorrei che arrivasse a farti del male: non potresti difenderti.- replicò, con tono pacato.
Nonostante la sua voce non avesse nessuna particolare inflessione, era chiaro come il sole che non avrebbe ammesso ulteriori proteste. Se non aveva capito male, lui non era un pretendente al ruolo di Alfa, ma sarebbe stato dannatamente bravo se avesse deciso di soppiantare il padre.
-D’accordo. Grazie.- mormorò, abbandonando qualsiasi tentativo di resistenza. Cercò di raccogliere la crocchia di capelli alla belle meglio, dato che si stava disfando, poi indossò il casco.
Quando rialzò lo sguardo, si ritrovò davanti una moto di grandi dimensioni con cromature e rifiniture rosse. La osservò stupita per qualche istante, leggendo nella penombra il nome della ditta produttrice. –Una moto italiana…?- chiese.
Evan abbassò lo sguardo sulla scritta che si trovava sul fianco del mezzo e poi guardò la ragazza. –Sì. Una Ducati Superbike.- confermò. –Ti interessi di moto?- le domandò subito dopo, curioso.
Lei scosse la testa. –No, no. Ma mio fratello ne ha sempre voluta una, quand’era più giovane. Stava sempre in garage a riparare vecchi catorci.- ammise, ridendo al ricordo di Gregory completamente coperto di olio da motore e macchie di altre natura.
“Ha una famiglia numerosa.”, considerò il licantropo. Da molto tempo lui aveva dimenticato il vero significato di quella parola bella ed insidiosa.
-Immagino avrai anche un’auto sportiva, da qualche parte.- la voce di Amanda lo distolse dai suoi pensieri.
Spostò lo sguardo sul suo viso, celato dal casco e la vide arrossire leggermente. –No, non ce l’ho.- rispose, piatto. Odiava con tutto se stesso quelle scatole di metallo. Avrebbe volentieri cavalcato per il resto della propria vita ma, considerato com’erano cambiati i mezzi di trasporto, aveva dovuto optare per qualcosa di diverso.
Le moto assomigliavano molto ai cavalli e lui si sentiva a proprio agio, guidandone una.
“Di sicuro è un tipo di poche parole.”, pensò Mandy, stupendosi nuovamente per il tono della risposta che le era stata data. Forse era una caratteristica dei licantropi… anche se David sembrava molto più loquace dell’amico.
Fece spallucce e si avvicinò alla moto, indecisa se salire o meno. –Monta.- Evan dissipò qualsiasi dubbio. Gli lanciò un’occhiata e poi fece passare la gamba dall’altra parte della sella, accomodandosi.
Lui la imitò subito dopo, con un movimento così repentino che quasi non lo vide.
“Caspita! Dovrò cominciare ad abituarmi a queste cose…!”, si disse, osservando la schiena del giovane uomo.
-Reggiti o cadrai.- si sentì dire mentre il motore prendeva vita, ringhiante.
-Perché voi uomini dite sempre così…?- mormorò a bassa voce Amanda, considerandolo un avvertimento privo di fondamento. Anche Wayne glielo diceva spesso, quando la veniva a prendere in macchina per accompagnarla fuori a cena.
Evan la sentì. –Non posso parlare per gli altri, ma io non sto scherzando.- replicò.
Non le lasciò nemmeno il tempo di aprir bocca, che partì come una furia. La giovane si morse la lingua e si schiacciò contro di lui, avvinghiandosi ai suoi fianchi.
Se Emily le era sembrata veloce, la guida di Evan le avrebbe causato un infarto gratuito. Non aveva mai amato le montagne russe e non vedeva il motivo di smettere.


-Le farà venire sicuramente un infarto.- ridacchiò Emily, osservando la moto di Evan sfrecciare lungo la via e poi sparire oltre la prima svolta.
-Quello è il suo modo di guidare, non lo fa per impressionarla. Anche quando andava a cavallo si comportava così.- commentò David, raggiungendo l’isola della cucina. –Hai fame?
La ragazza si voltò a guardarlo, corrugando le sopracciglia. –Sono io la donna, in casa. Dovrebbe essere compito mio.- osservò.
Il moro sollevò un angolo della bocca, divertito. –Che mentalità antica che hai! Nemmeno io ed Evan la pensiamo così e siamo molto più vecchi di te.- le disse, rovistando nella credenza che aveva giusto riempito quel pomeriggio. “La donna di casa sono io, qui.”, pensò, divertito.
Il suo migliore amico aveva tante buone qualità, ma non era sicuramente portato per governare una casa. Quindi, per evitare di morire di fame, si era offerto di occuparsi delle questioni pratiche, ossia fare la spesa.
-Sai veramente cucinare…?- chiese dopo un po’ Emily, raggiungendolo.
Dave le lanciò un’occhiata, mentre estraeva delle bistecche di carne rossa. –Sì, me la cavo.- rispose, divertito dalla sua diffidenza. “Devo farla sentire a proprio agio… così forse potrò carpire qualcosa.”, pensò mentre metteva le confezioni sotto l’acqua corrente per scongelarle.
La giovane si sedette su uno dei tre sgabelli da bar ed appoggiò i gomiti sulla superficie dell’isola, sorridendo sorniona. –Cucinare due bistecche non è così difficile.- lo punzecchiò. Vedendo che la sua battuta non aveva sortito effetti, si affrettò ad aggiungere:-Però è comunque ammirevole.
-Nel tuo branco i maschi non danno una mano?- buttò lì, fingendosi occupato con padelle e posate. Mentre armeggiava però, non le tolse gli occhi di dosso per captare possibili reazioni.
A quella domanda, Emily si rabbuiò e si strinse nelle spalle. –Nel nostro branco ognuno bada a se stesso oppure ci si aiuta tra piccoli gruppi. Non c’è quel senso di appartenenza dei clan più antichi.- ammise.
-Da quanti anni esistono i Blacks?- chiese allora l’inglese, mettendosi ad affettare del cavolo cappuccio e altre verdure. Voleva preparare degli hamburger particolari.
Lei ci pensò su per un po’, facendo qualche conto. –Cinquant’anni, circa.- disse infine, abbandonando il soffitto e tornando a puntare gli occhi su David. Si stava dando veramente da fare e stava pulendo anche dell’insalata.
-Perché mi fissi? Vuoi darmi una mano?- le domandò lui, sentendosi osservato.
-Oh, no, per carità. Se c’è una cosa in cui sono negata è proprio la cucina!- scosse la testa, facendolo ridacchiare.
-Che donna atipica.- commentò, recuperando il pane dalla credenza.
L’americana sogghignò. –Le donne non devono per forza saper cucinare. Hai una visione antica del genere femminile.- osservò.
-Touché.
Scoppiarono a ridere insieme e per un po’ tra i due ci fu perfetta sintonia. Purtroppo per David, ancora nessuna informazione utile.


   Scese dalla sua Porche come una furia e marciò dritta verso casa.
Scansò malamente tutti quelli che incontrò, ignorando addirittura il richiamo del suo Alfa. Si fermò solo quando si ritrovò davanti alla porta dell’appartamento di Alastair.
  Dopo la sfuriata fatta sulla ventesima strada, davanti a Kleinfeld, aveva recuperato l’auto e si era diretta da qualche parte, senza una meta precisa. Aveva guidato fino in New Jersey e, vedendo che la rabbia non voleva abbandonarla, aveva deciso di tornare indietro e sistemare le cose una volta per tutte.
Ed ora eccola lì, ferma immobile e coi pugni serrati.
Stava cercando di contenere la propria aura, ma era come impazzita e le sembrava di cogliere sfumature rossastre su ogni cosa che osservava.
-Cosa vuoi, Crystal?- improvvisamente la porta si aprì, rivelando proprio Alastair.
Colta in fallo, la giovane sobbalzò.
-Allora?- insistette lui, arcuando un sopracciglio.
-Devo vedere il nuovo lupo.- dichiarò, ritrovando la voce ed una parvenza di controllo.
Alst si fece sospettoso. –Per qualche motivo?
-Devo parlargli.- disse solamente, raddrizzando la schiena ed osservandolo coi suoi occhi castani.
-No.- rifiutò lui. –Andrew non è ancora completamente stabile e tu lo faresti sicuramente agitare.
-Certo che lo farei agitare! Desidero solo picchiarlo fino a farlo sanguinare!- scattò, cercando di entrare a forza nella stanza. Alastair, però, la bloccò prontamente impedendole di penetrare all’interno. –Lasciami andare!
L’uomo la ricacciò indietro malamente, allontanandola dall’uscio. –Sinceramente, non capisco il perché di tutto questo accanimento.- ammise.
Crystal gli scoccò un’occhiata infuocata, arricciando il labbro superiore con fare minaccioso. –Ha rovinato il mio matrimonio!- strepitò. –Ha rovinato la reputazione di Evan e Dearan non l’ha nemmeno cacciato!
-Non ha rovinato la reputazione di Evan. Salvare la vita di qualcuno non sminuisce il valore di una persona, tutt’altro.- le fece notare, mantenendo la propria calma. Riusciva a mantenere sempre un invidiabile controllo sulle proprie emozioni, che si trovasse davanti ad un fuoco scoppiettante o in mezzo ad una rissa.
In quel momento, Crystal avrebbe voluto spaccargli la faccia. –Scavalcare un Alfa nella gerarchia di potere per salvare un misero umano rovina la reputazione di qualcuno, nel nostro mondo.- replicò lei, acida.
-E come pensi di cambiare le cose?- le domandò con voce tagliente. –L’unico modo possibile sarebbe eliminare la causa del suo esilio, ma in questo caso sarebbe omicidio. E anche i licantropi sono punibili dalla legge americana.- aggiunse.
All’udire quelle parole, la modella impallidì. Non aveva considerato il problema da quel punto di vista. Non l’aveva proprio fatto.
-In ogni caso, se anche potessi riavere indietro Evan, che cosa cambierebbe? Tu non lo ami e lui non ama te. Il vostro non è mai stato un vero matrimonio.- le fece notare Alst.
-Non è mai stato…!- fece per mettergli le mani al collo, ma si trattenne. Lo guardò col peggiore dei suoi sguardi e poi se ne andò, ancora più infuriata di quand’era arrivata.
Salì rapidamente fino al piano in cui si trovava la sua camera e si chiuse dentro, sbattendo la porta. Raggiunse rapidamente la grande cassettiera al lato del letto ed aprì il primo cassetto.
Scostò alcuni completini di pizzo fino a quando non trovò quello che stava cercando. L’afferrò e l’estrasse, sentendo una stretta al petto.
Quel piccolo ciottolo nero recava incisa una data, quella del suo matrimonio.
Era la pietra del giuramento su cui lei ed Evan avevano scambiato i voti nuziali, parecchio tempo prima. Simboleggiava la loro unione, benedetta dalla Madre Terra.
“Non permetterò che Evan esca dalla mia vita. Lui mi appartiene!”, pensò, stringendo con rabbia quell’oggetto rotondo.


  Avevano attraversato Manhattan a tempo record, arrivando al suo appartamento in meno di dieci minuti. Solitamente ce ne sarebbero voluti una trentina, ma il suo accompagnatore non sembrava conoscere i limiti di velocità.
Oppure voleva farle venire un infarto per vendicarsi in modo subdolo.
Quando la moto si fermò, Amanda si scontrò contro la schiena di Evan con una forza non indifferente. –Ahi!- protestò.
-Qual è l’appartamento?- si sentì chiedere.
Raddrizzò la schiena e fece per massaggiarsi la tempia, dimentica del casco. –Non ce n’è bisogno, posso arrangiarmi, a questo punto.- rispose, bloccando la mano e dandosi della stupida.
-Come preferisci.- disse lui, preferendo non insistere. Scese dalla moto e si tolse il casco, lanciandole un’occhiata. –Tutto bene?
Anche se la giovane aveva ancora il viso coperto, poteva percepire dal battito del suo cuore che era agitata. “Forse ho guidato un po’ troppo veloce.”, si ritrovò a pensare.
-Sì, sì… tutto bene! È solo che non ero mai salita su una moto così veloce.- si affrettò a dire lei, evitando di dargli dell’incosciente solo grazie al suo ferreo autocontrollo.
Stirò le labbra in un sorriso forzato e poi scivolò leggermente avanti per facilitarsi la discesa dalla moto. Quando posò entrambi i piedi a terra, però, si rese conto di risentire ancora degli effetti del viaggio.
-Oddio…- mormorò, vedendo il mondo inclinarsi. Allungò un braccio alla cieca, cercando di tenersi in equilibrio.
Evan la osservò e cercò di capire se fosse sul punto di star male oppure no. Quando la vide inclinarsi pericolosamente di lato, le afferrò saldamente il braccio all’altezza del gomito e le impedì di cadere.
Con la mano libera le slegò il caso e glielo sfilò. –Respira.- disse solo.
Lei lo fece ed arrossì fino alla punta dei capelli, sentendosi stupida a causa della reazione del suo stesso corpo. –Grazie…- esalò, prendendo un respiro profondo. Si concesse qualche istante per riprendersi e poi si sottrasse gentilmente al tocco del licantropo, recuperando la posizione eretta.
-Grazie mille per il passaggio.- si decise a dire dopo un po’. Si fermò un attimo e poi ridacchiò. –Mi dispiace: non ho fatto altro che dire grazie, questa sera.- si rese conto.
-Non importa. È giusto ringraziare gli altri.- replicò lui, divertito dalla sua considerazione.
-Be’, sì… solo che solitamente non lo faccio così spesso.- ammise, scostandosi un ciuffo di capelli dal viso. Si sentiva tremendamente in imbarazzo: sia per quello che era appena successo, che per la questione di Crystal.
Mentre pensava ciò, la sua acconciatura si disfò definitivamente, lasciando libera la sua lunga chioma bruna. –Ops!- tentò di arginare il danno, ma non ci fu niente da fare. –Decisamente è una giornata no.
Evan la osservò in silenzio, valutando le sue reazioni. Si era reso conto di averla messa in imbarazzo e avvertiva la sua agitazione, probabilmente dovuta ancora alla corsa in moto.
Si rese conto di esser dispiaciuto della cosa ed allungò un braccio verso di lei senza nemmeno pensarci. Amanda si fece istintivamente indietro. –Cosa c’è…?
-I tuoi capelli. Posso fare una cosa?- le indicò il capo, cercando di essere rassicurante.
-I capelli? No, ma non importa, tanto avrei comunque dovuto…- fu costretta ad interrompersi perché Evan si era spostato dietro di lei e non sapeva che intenzioni avesse. S’irrigidì, credendo volesse mettere in pratica una qualche stramberia da licantropi.
Avvertì le sue dita scorrere per tutta la lunghezza dei capelli e poco dopo dividerli in ciocche. Ebbe un brivido al pensiero che nessun uomo l’aveva più toccata da quando era successo il fattaccio con Wayne, Drew e Greg esclusi.
-Ehm… io…- iniziò, cercando di metter insieme un discorso coerente. Si sentiva il viso in fiamme.
-Non è nulla di strano, solo un modo per scusarmi di tutto quello che ti è successo oggi.- la tranquillizzò, stupendosi subito dopo del proprio comportamento. Da quando sentiva il bisogno di tranquillizzare qualcuno?
Aggrottò le sopracciglia, perplesso e restò a fissare davanti a sé. Quella giornata si stava rivelando più strana del previsto, a quanto pareva.
Decise di allontanare quelle considerazioni e si affrettò ad intrecciare le ciocche, fino ad ottenerne una lunga treccia. Gli veniva facile maneggiare i capelli lunghi, considerato che li aveva portati sotto le spalle per qualche tempo, quand’era ancora in Scozia.
Quando se li era tagliati cortissimi, Crystal aveva stranamente detto che stava meglio e non si era lamentata. Non le aveva chiesto spiegazioni e, anche se si fosse messa a strepitare, non gliel’avrebbe data vinta.
-Ecco.- terminò la propria opera con un nodo, ricavato con un ciuffo di capelli.
Subito la mano di Amanda corse alla treccia: ne saggiò la consistenza e la trama. Rimase stupita dall’abilità dell’uomo nell’intrecciare i capelli e molto più dal fatto che sapesse come fare un’acconciatura. –Grazie… di nuovo.- mormorò, voltandosi per sorridergli un attimo.
Van le fece un cenno del capo, allontanandosi di qualche passo. –A quanto pare, noi scozzesi abbiamo una propensione per queste cose.- commentò, ironico.
-Propensione?- fece Mandy, perplessa.
-Mai visto Braveheart? Molti dei nostri assomigliavano molto al protagonista.- spiegò.
-Molti licantropi o umani?- indagò lei, divertita dalla piega che stava prendendo il discorso. Non credeva che conoscesse quel film. Anzi, in generale non credeva guardasse nessun genere di programma televisivo, visti la sua origine ed il suo mondo di appartenenza.
-Entrambi. Ma tra i licantropi è ed era molto più diffuso.- spiegò.
-Quindi anche tu li hai portati lunghi?
Annuì. –Quand’ero più giovane.- confermò. Li aveva tagliati al compimento dei diciotto anni, quando era stato riconosciuto ufficialmente come uomo in grado di combattere. –Ma è una cosa irrilevante, ora. Credo che tu sia stanca: dovresti andare a riposare.- cambiò rapidamente argomento, non volendo raccontare del proprio passato.
Mandy sembrò capire l’antifona perché recuperò le chiavi dalla borsa e si avviò verso la porta. –Se dovessero esserci notizie da parte di Andrew, me lo farete sapere?- domandò, voltandosi a guardarlo.
-Certamente. Ma sono certo che lo riavrai a casa molto presto: un lupo può scegliere liberamente a quale branco appartenere.- le rispose.
Registrò l’informazione, mandandola a memoria. -Dovrò iniziare a studiare e capire il vostro mondo. La cosa mi spaventa, ma aiuterà Drew.- meditò, più rivolta a se stessa che al suo accompagnatore.
-Lo aiuterà sicuramente avere accanto qualcuno che non lo guarda come se fosse un mostro.- confermò. –Aiuta sempre.
-Spero di esserne all’altezza.- ammise lei, stringendo più forte le chiavi. Avvertì il ferro appiccicarsi alla pelle.
Evan la scrutò, analizzandola. –Credo tu sia già a buon punto.- ammise infine. –Buonanotte.
Detto questo si infilò nuovamente il casco e risalì in sella, accendendo la moto. Riscaldò il motore e poi se ne andò, lasciandola ferma davanti alle scale d’ingresso.
-Grazie. E buonanotte.- sussurrò lei, stupita dalla conversazione appena avuta. A quanto pareva, anche uno come Evan MacGregor poteva intavolare un discorso interessante con qualcuno ed essere socievole.


-Emily, lasciatelo dire, non sei proprio portata per la cucina.- ridacchiò David.
La giovane al suo fianco sbuffò, gonfiando le guance come un piccolo criceto arrabbiato. –Lo so. Ma non c’è bisogno di sottolinearlo.- brontolò.
-Be’, stai letteralmente uccidendo i pomodori.- le fece notare, prendendole dalle mani il coltello per impedirle di fare altri danni.
Piccata, Emily si allontanò dal piano di lavoro e fece il giro del bancone, piazzandoglisi davanti. –Allora fammi fare qualcos’altro. Voglio essere d’aiuto.- disse.
Ci pensò su e poi le disse:-Puoi apparecchiare.
-D’accordo.- annuì lei.
Stettero in silenzio per un po’, poi Dave decise di tentare il tutto per tutto con una domanda a bruciapelo. –Perché sei venuta da noi, Emily?
A quella domanda, la lupa per poco non perse la presa sul bicchiere che aveva in mano. Si morse l’interno della guancia, cercando di calmarsi e posò attentamente l’oggetto sul tavolo. Afferrò saldamente il bordo con le mani e tentò di trovare una risposta che potesse suonare plausibile alle orecchie del suo interlocutore.
Non sapendo cosa inventarsi, optò per la verità. O almeno, una parte di essa. –Sono la compagna dell’Alfa dei Blacks.- rivelò.
-Quindi sei la femmina Alfa?!- esclamò stupito David. Perché diavolo una persona nella sua posizione aveva richiesto l’aiuto del Campione di un altro branco? Non poteva farsi difendere dal proprio?
Lei si girò lentamente, tenendo lo sguardo basso. –Non proprio. Io sono una sorta di rimpiazzo.- mormorò.
-Un rimpiazzo? Non si può rimpiazzare la femmina Alfa così facilmente!- sbottò, infastidito dalle sue parole. Come diavolo vivevano i licantropi di New York?!
Emily sollevò lo sguardo per poterlo guardare negli occhi. -Sì, se è morta.- replicò con voce atona.
A quelle parole, l’inglese non seppe che dire. –Oh… io… mi spiace…- riuscì ad articolare infine.
-Anche a me.- rispose lei, esibendosi in un sorriso amaro. “Non sai nemmeno quanto.”, aggiunse mentalmente.
-Non ti hanno accettata come nuova compagna dell’Alfa?- indagò il giovane, avvicinandosi e lasciando perdere la cena. Non aveva immaginato di trovare una verità così scomoda.
-Be’, non importa a nessuno chi si ripassa il capo. Soprattutto se il giocattolo di turno si può condividere.- disse con sdegno.
David divenne paonazzo. Un simile comportamento non poteva essere accettato all’interno di un branco, soprattutto nei confronti di una femmina. –Mi stai dicendo che i maschi del tuo clan abusano di te?- chiese a denti stretti.
La sua aura sfrigolò, avvolgendolo come una fiamma. La ragazza sobbalzò per la sorpresa e tentò di arginare il danno spiegandosi meglio che poteva. –No, no! Non… no! Hanno provato, ma non gliel’ho permesso.- disse.
-Come hai fatto…? Sei così piccola…- la guardò, confuso. La rabbia era scemata leggermente, ma era sempre pronta ad esplodere nuovamente. Non sopportava che venisse fatto del male agli elementi più deboli del branco, lo mandava fuori di testa.
-Sono un’insegnante di autodifesa. Conosco diversi stili di combattimento.- spiegò, abbozzando un sorriso che voleva essere rassicurante.
Lui scosse la testa, facendo dondolare i ricci che gli incorniciavano il viso. Poco importava che lei sapesse difendersi, era l’atteggiamento dei membri del suo branco che era inaccettabile.
“Dove diavolo sono finito?! Anche un abitante di Alba riuscirebbe ad essere più civile di così!”, pensò irritato.
-David, per favore, calmati. Non devi reagire così.- Emily allungò un braccio, cercando di raggiungerlo, ma lui si scostò malamente.
-Non sopporto chi gioca con le persone che non sono in grado di difendersi.- la guardò negli occhi. –Scusami, ho bisogno di aria.- e detto questo uscì dall’appartamento e salì rapidamente sul tetto.
Lei rimase immobile al centro della cucina, dandosi della stupida per averlo fatto irritare a quel modo. Sapeva che non ce l’aveva con lei, ma non avrebbe voluto scatenare una tale reazione.
“Che tu sia maledetto, Jared!”, pensò con altrettanta rabbia.
 

  Quando si chiuse la porta alle spalle, la prima cosa che notò furono le luci accese e l’enorme quantità di cibo abbandonata sul piano della cucina.
Si accigliò, perplesso e scandagliò la stanza alla ricerca di David. –Ma che…?
In quel momento Emily uscì dal corridoio che portava alla zona notte, indossando un paio di shorts e una maglia. Si bloccò non appena lo vide. –Oh, Evan!
-Cos’è successo? Dov’è David?- domandò, perplesso.
Lei arrossì leggermente e poi indicò col mento verso l’alto. –E’ sul tetto… da una ventina di minuti, ormai.- rivelò.
  Il giovane si accigliò, ma non chiese altro, limitandosi ad uscire e raggiungere l’amico. Lo trovò appollaiato sulla cabina dell’ascensore, intento a guardare il cielo scuro. Gli si avvicinò e cercò di capire in che stato emotivo versasse.
-Ehi, sei tornato…- mormorò l’inglese, voltando lentamente il capo per lanciargli un’occhiata.
Evan gli si affiancò con un agile balzo. –Cos’è successo di sotto? Avete litigato?- domandò, preoccupato dalla strana piega presa dagli eventi.
L’altro scosse la testa. –No, non abbiamo litigato. Ho solo scoperto alcune cose su di lei.- rispose.
-Che tipo di cose?
-Di quelle che mi fanno andare in bestia.- ringhiò Dave. Strinse i pugni fino a far sbiancare le nocche, lo sguardo fisso davanti a sé.
Evan assorbì un po’ delle sua rabbia, ma gli permise di sfogare il resto e lasciò che tra di loro vi fosse silenzio per un po’. Gli sembrava d’aver intuito le cause del suo comportamento, ma voleva che fosse l’amico a dargliene conferma.
-A quanto pare, nel branco dei Blacks, non c’è nessuna regola degna di questo nome.- fu David il primo a parlare. Come aveva sperato che facesse Evan.
-Non rispettano le leggi del nostro mondo?- chiese, cercando di capire.
-Non quelle che riguardano le femmine, a quanto pare.- scosse la testa, concedendosi un altro spasimo di rabbia. Serrò la mascella ed evitò lo sguardo di Van per un po’. –Io non so cosa ci sia di divertente nel far del male agli altri. Proprio non lo capisco.- ammise infine, passandosi le mani sul viso.
“Avevo supposto bene, a quanto pare.”, si disse il giovane MacGregor. –Ti ha per caso detto cosa le hanno fatto?- indagò.
-Ha detto che lei è il rimpiazzo della femmina Alfa che, a quanto pare, è morta. Il capobranco, però, la considera alla stregua di un oggetto e ha concesso agli altri maschi di divertirsi con lei.- spiegò succintamente.
A quelle parole, Evan lo fissò ammutolito: non avevano veramente nessun rispetto per le leggi del loro mondo! Ora capiva bene lo sfogo dell’amico e avrebbe volentieri voluto spaccare la faccia ad un paio di lupi.
-Che schifo.- commentò, disgustato. –Abusare di una femmina è una cosa ignobile.
-Non hanno abusato di lei. Mi ha detto che è riuscita a difendersi, almeno fino a quando non ce l’ha più fatta e ha deciso di venire da noi.- smentì.
-Avrebbe potuto dirmelo subito! Avrei potuto…- si bloccò, non sapendo bene cos’altro dire. Cos’avrebbe potuto fare? Lui non era l’Alfa del branco e non poteva lanciare sfide, ma solamente accettarle in quanto Campione. “In verità, Evan, ora sei un Alfa. Teoricamente parlando.”, gli ricordò una voce nella sua testa.
-Be’, almeno sappiamo perché è venuta a cercarti. Ora è sotto la nostra protezione e non ho intenzione di permettere ad un branco di bastardi di trastullarsi liberamente. Il solo pensarci mi fa rivoltare lo stomaco!- sentenziò David. “E mi riporta alla mente ricordi orribili.”, aggiunse tra sé e sé.
Evan gli diede una pacca sulla schiena, comprensivo. –Concordo pienamente.
Si scambiarono un’occhiata e poi sospirarono. In quel momento Emily fece la sua comparsa in cima alle scale, le braccia avvolte attorno al corpo. –Non ho bisogno di due cavalieri pronti ad accorrere in mia difesa.- disse loro. –Però apprezzo moltissimo il fatto che vi siate indignati per quello che ho raccontato. Nel branco, nessuno reagisce più da tempo.
-Il vostro Alfa deve aver fatto il lavaggio del cervello a tutti quanti, se quello che dici è vero.- commentò Evan.
-Oh, be’… Jared fa sembrare tuo padre un agnellino, in alcuni frangenti.- ammise lei.
-A quanto pare il mondo è pieno di selvaggi.- ringhiò Dave, appoggiando il mento sulle ginocchia.
-Be’, fortunatamente voi non sembrate esserlo.- la ragazza cercò di risollevargli il morale.
-L’unico selvaggio, qui, è David: quando si avvicina una consegna diventa intrattabile.- scherzò Evan, tentando di buttarla sullo scherzo per far reagire l’amico.
-Senti da che pulpito.- brontolò quello. Si scrutarono per qualche istante e poi si lasciarono andare ad una risata liberatoria, presto seguiti dalla nuova arrivata.


-Ragazzo, direi che ora sei finalmente stabile.- sentirsi dire quella frase gli ridiede dieci anni di vita. Sollevò gli occhi su Alastair e lo guardò, scrutando la sua espressione seria.
-Ti ringrazio, Alastair. Per tutto.- disse con gratitudine.
-E’ mio dovere, in quanto Beta, occuparmi dei nuovi lupi.- gli spiegò, non volendosi prendere il merito.
-Avresti potuto fare ben altro, invece di aiutarmi.- osservò Andrew, memore della conversazione che l’uomo aveva avuto con l’ex compagna del Campione.
Alst sollevò un angolo della bocca. –Giusto, dimenticavo che ora anche tu hai l’orecchio fine.- commentò, dispiaciuto. –Mi dispiace che tu abbia sentito quello che ha detto Crystal.
Drew si passò una mano sul viso, pensieroso. –E’ vero quello che ha detto? Che se io morissi Evan potrebbe essere riammesso nel branco?- chiese, timoroso di sapere la verità.
Era appena scampato alla morte ma, a quanto sembrava, la sua nuova vita gli aveva fatto guadagnare una nuova opportunità per ottenere il riposo eterno.
-Sì, è vero. Ma non so quanto possa valere in questo caso: tra Dearan ed Evan non scorre buon sangue.- ammise, riportando alla mente gli innumerevoli scontri verbali a cui aveva assistito nel corso degli anni.
Accigliandosi, l’americano domandò:-Se sono così alle strette, come mai Evan non ha lasciato il branco?
“Come se fosse così semplice.”, pensò Alastair. –Ragazzo, hai ancora molte cose da imparare. Il legame con il branco non si può recidere così facilmente. Salvo casi particolari.- gli spiegò.
-E per quanto mi riguarda? Potrò tornare a casa?
-Puoi tornare a casa, ma dovrai partecipare attivamente alla vita del branco. Ora sei uno di noi.- gli rispose Dearan, fermo sulla soglia.
Non sapendo cosa fare, Andrew lo salutò con un rispettoso cenno del capo. Riusciva a percepire il disappunto dell’Alfa ed era quasi certo che avrebbe voluto cacciarlo seduta stante. Il problema, però, era che non poteva farlo senza un buon motivo.
-Non posso decidere liberamente di lasciare il branco?- chiese il nuovo lupo.
L’Alfa gli scoccò un’occhiata di fuoco. –No.- rifiutò. –Potrai tornare nel tuo appartamento, ma non potrai lasciare il branco.
E detto questo se ne andò, portando con sé la propria irritazione.
Drew aspettò di non percepire più la sua aura e poi si rivolse ad Alastair, chiedendo:-Perché non vuole lasciarmi andare?
-Perché teme che tu andresti da Evan, chiedendo di entrare nel suo branco. È una questione d’orgoglio, per lui. E’ sempre una questione d’orgoglio, tra loro due.- sospirò.
-Fantastico.- commentò lugubre il ragazzo. –Sono diventato la pedina di un gioco che dura ormai da oltre un secolo, a quanto pare.
Vedendo al sua espressione abbattuta, Alst gli si avvicinò e gli strinse con forza una spalla. –Non ti preoccupare di questo, ora. Pensa ad entrare in armonia con la tua bestia e a conoscere il tuo nuovo mondo.- gli disse.
-Lo farò. Sicuramente.- assicurò l’altro.
-Bene. Direi che ora puoi tornare a casa.- gli sorrise l’uomo. “Speriamo che vada tutto bene.”, si augurò. Aveva notato un po’ di agitazione nel branco e non ne aveva capito il motivo, anche se sembrava stranamente legato ad Andrew.
-Quando dovrò tornare?
-Ti avvertirò io.- gli mostrò il cellulare. –Ormai ci siamo modernizzati anche noi.
Drew rise. –Sì, a quanto pare siete lupi tecnologici.
Ridacchiando divertito, Alastair lo accompagnò alla porta, raccomandandosi di chiamare qual ora dovesse aver avuto problemi.


  Erano ormai due ore che puliva casa e non riusciva a capacitarsi del perché. Aveva a malapena cinquanta metri quadri a disposizione, eppure sembravano cinquecento.
“Oddio, non finirò mai!”, pensò tergendosi il sudore dal viso.
Aveva deciso di fare delle pulizie di primavera in anticipo, giusto per sfogarsi e tenersi un po’ impegnata. Nonostante avesse tentato di mantenersi occupata con il lavoro, il pensiero di Frances ed Andrew era sempre in agguato.
  Si sentiva impotente e la cosa la faceva irritare parecchio.
Sbuffando, si appoggiò di schiena al divano e lo spinse indietro, rimettendolo al suo posto. Si chino e sprimacciò i cuscini, prima di sistemarli al loro posto.
Improvvisamente, qualcuno bussò alla porta. Si raddrizzò e fissò il battente, perplessa. –Arrivo.- disse dopo qualche istante.
Raggiunse l’ingresso e poi aprì. Non si aspettava minimamente di trovarsi davanti quella persona, tant’è che rimase con la bocca aperta.
-Ciao Mandy.- le sorrise.
-Andrew! Oddio!- senza pensarci due volte, Amanda gli saltò al collo, abbracciandolo più forte che poté. –Come stai? Ho provato a mettermi in contatto con te, ma non ho potuto.
Lui la strinse. –Sì, lo so. Alastair mi ha riferito tutto.- rispose, inspirando il suo odore e mandandolo a memoria.
-Mi stai annusando?- ridacchiò lei.
-Oh… ehm… sì, scusami…- mormorò, impacciato.
Amanda sciolse l’abbraccio e si allontanò di un passo per poterlo guardare in viso. –E’ tutto ok. Suppongo faccia parte del nuovo Andrew.- lo rassicurò, comprensiva. Se lo immaginava come il gesto curioso di un cucciolo non era poi così strano.
Peccato che Drew fosse un uomo.
-Sì, ecco… mi hanno detto di mandare a memoria più informazioni possibili.- spiegò, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. –Non voglio metterti a disagio, però.
-Tranquillo. Vuoi entrare?
Lui si guardò intorno. –Fran è a lavoro? Non ho le chiavi con me e quando ho bussato non mi ha risposto nessuno.- chiese.
A quella domanda, la sorella della sua fidanzata si rabbuiò. “Ora come glielo dico?”, si chiese, prendendo a torturarsi le mani.
Drew si fece sospettoso. –Amanda, dov’è Frances?
-Ecco… vedi…- tentennò. Si vide afferrare saldamente per le spalle e sentì le unghie del ragazzo affondare nella carne. –Drew, non stringere così!- protestò con una smorfia.
-Scusami!- allontanò immediatamente le mani, tenendole bene in vista davanti a sé. –Non riesco ancora a gestirmi completamente.
La morettina scosse la testa, dedicandogli un rapido sorriso. –Vieni a sederti.- lo invitò, afferrandolo per il polso e tirandolo gentilmente verso il divano.
-Mi stai per dare brutte notizie, vero?
Il suo tono di voce le fece venire i sudori freddi. Non se la sentiva proprio di dargli quella mazzata dopo tutto quello che era successo. Prese tempo facendolo sedere e fingendo di sistemare i cuscini. Alla fine, non avendo più nulla di sensato da fare, sospirò e si sedette a sua volta.
-Frances è… è da Greg.- confessò infine.
-Da Gregory? Ci sono problemi coi bambini?- le chiese, allarmato.
Scosse la testa. –No, no. Stanno tutti bene.- smentì. –Ma resterà lì per un po’.- aggiunse, lanciandogli una rapida occhiata.
Drew la inchiodò coi suoi occhi chiari e lasciò che il proprio viso venisse trasfigurato da una smorfia di dolore. –E’ per colpa mia, vero?
Amanda fece per smentire, ma si trattenne e alla fine dovette annuire. –Da quando sei stato morso, ha continuato a ripetere che ti avevano cambiato e che non saresti stato più lo stesso di prima. Diceva che non poteva accettare la cosa e che… che le serviva tempo.- la sua voce si affievolì fino a spegnersi.
Quelle parole gli fecero male. “Non hai più fiducia in me, Fran?”, chiese a nessuno in particolare. –Pensi che cambierà idea?- domandò invece in un sussurro.
-S-sì! Le ci vorrà un po’, ma sono sicura di sì.- rispose prontamente Mandy. –Devi solo darle tempo.
-E se io avessi bisogno di lei adesso?!- scattò il ragazzo. Strinse febbrilmente i pugni, fissandola dall’alto. –Io ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a gestire questa nuova vita.
-Posso farlo io!- si offrì la ragazza. –E puoi chiamare Alastair oppure parlare con Evan e gli altri.
Andrew scosse ripetutamente la testa, prendendo a muoversi nervosamente per la stanza. Se Frances non aveva fiducia nelle sue capacità, come poteva credere di poter controllare la bestia che risiedeva in lui, ora?
Era diventato veramente un mostro? Non sarebbe più stato lo stesso di prima…?
Quel timore riportò a galla i suoi istinti animali e si sentì improvvisamente intrappolato nel proprio corpo. Si bloccò e si cacciò un pugno in bocca, tremante.
-Drew… che ti succede?- chiese Amanda, seriamente preoccupata nel veder il suo strano comportamento.
-Devo… credo… sto per trasformarmi, temo.- farfugliò.
Al che, la giovane si alzò in piedi e si guardò intorno, senza sapere bene cosa fare. Poi, una strana calma s’impossessò di lei e si mise a spingere contro le pareti i mobili che potevano essere d’intralcio.
-Ecco. Così non ti farai del male.- gli disse, una volta terminato. Lui la guardò con tanto d’occhi, il viso imperlato di sudore. –Puoi… puoi smettere di trattenerti.
“Grazie.”, pensò il giovane licantropo. –Non ti spaventare: non ti farò nulla.- l’avvertì, prima d’inginocchiarsi a terra. Smise di combattere la bestia e lasciò che prendesse il pieno controllo del suo corpo.
  Urlò, dato che il processo era ancora maledettamente doloroso, ed avvertì le proprie ossa spostarsi e ricomporsi. Ad un certo punto perse la cognizione spazio temporale e, all’improvviso, si ritrovò a fissare il mondo da una prospettiva diversa.
Sollevò il capo e si mise sulle quattro zampe, esattamente davanti ad Amanda. La giovane stava cercando di fare del suo meglio per non urlare o fare qualsiasi cosa che potesse farlo sentire peggio.
  Gliene fu immensamente grato.
La fissò, in attesa, mentre lei lo ispezionava con curiosità e timore.
Quello che aveva davanti a sé era un lupo della stazza di un cavallo, col pelo tendente al caramello e un bel paio di occhi espressivi e molto umani. Era Drew, anche se in versione pelosa.
“E’ sempre lui. Non è cambiato.”, realizzò. Quella nuova consapevolezza le tolse un peso dallo stomaco e le fece sbocciare un bellissimo sorriso sulle labbra. –Posso toccarti?- chiese.
Il fidanzato di sua sorella annuì, mantenendosi il più fermo possibile.
Lei allora allungò una mano e gli sfiorò il muso, leggera. Vedendo che non gli dava fastidio, ritentò. Pian piano annullò la distanza che c’era tra loro e prese ad accarezzargli la gorgiera, affondando le dita in quel pelo soffice e caldo.
-Sei molto bello in versione lupina.- gli sorrise, con le lacrime agli occhi. –E sei sempre il Drew che conosco. Dobbiamo dirlo a Frances.
Andrew annuì ed appoggiò il capo sulla sua spalla, cercando di farle capire quanto quelle parole lo stessero aiutando a superare quel momento di paura. Aveva temuto di esser cambiato a tal punto da esser divenuto un estraneo agli occhi di chi gli voleva bene ma, a quanto pareva, non era così.
Avrebbe imparato a convivere col branco e con la sua parte animale. Avrebbe imparato le leggi del suo nuovo mondo.
E si sarebbe ripreso Frances, facendole capire che era ancora l’uomo di cui si era innamorata.


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Capitolo 10
*** Cap. 9 Trovare la via ***


Cap. 9 Trovare la via
Ben trovati!
Allora, premetto che questo sarà un capitolo denso di informazioni e spero che il carico non sia eccessivo.
Le info che Drew dà ad Amanda vengono da una ricerca e rielaborazione di cose trovate su siti e pdf vari, quindi non sono totalmente farina del mio sacco (un buon contributo viene dal blog "Il Giardino delle fate").
Entreranno in scena nuovi personaggi, le cui dinamiche vi saranno più chiare strada facendo, ovviamente :P
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei dirvi che dal prossimo capitolo l'aggiornamento non sarà più così puntuale, causa impegni universitari che iniziano a farsi sentire.
Vi chiedo umilmente perdono in anticipo >____<

Buona lettura!




Cap. 9 Trovare la via


  Restò a fissarlo per un tempo lunghissimo, mentre lui ispezionava la stanza coi cinque sensi.
Era strano pensare che nel suo appartamento ci fosse un enorme lupo mutaforma, ma avrebbe dovuto farci l’abitudine d’ora in poi.
  Ogni qualvolta Andrew si avvicinava a qualcosa di fragile tratteneva il respiro, temendo che potesse romperlo. Ma scoprì ben presto che l’amico aveva una grazia di movimenti pari a quella di una prima ballerina, nonostante la taglia extralarge.
Si tranquillizzò man mano che il tempo passava e, un’ora dopo la trasformazione, Amanda si ritrovò a giocare con lui, tirandogli le orecchie e ridacchiando delle sue smorfie.
  Improvvisamente, però, Drew la allontanò da sé e si nascose dietro il divano. Subito dopo sentì dei rumori viscidi e parecchio inquietanti, che le riportarono alla mente scene di caccia viste alla televisione.
Tempo dieci minuti ed Andrew si mostrò, nuovamente in forma umana. –Avresti un asciugamano?- le chiese, imbarazzato.
-C-certo!- esclamò Mandy, correndo in bagno per recuperarne uno. Afferrò il primo della pila, senza curarsi minimante del colore o del taglio, e tornò in sala. –Ecco.- glielo allungò fissando la parete dritto davanti a sé.
-Grazie.- disse lui, affrettandosi a coprirsi. Se lo avvolse attorno ai fianchi e poi, dopo un attimo di silenzio, scoppiò a ridere. –Frances mi avrebbe sicuramente scattato una foto!- esclamò, divertito.
Incuriosita da quello scoppio d’ilarità, Amanda s’arrischiò a guardare. E scoprì di avergli dato un asciugamano rosa confetto. –Oddio, scusami!- tentò di rimanere seria, ma non ci riuscì per molto e poco dopo si unì a lui, ridendo di gusto.
L’altro scosse la testa, mentre il sorriso moriva lentamente sulle sue labbra. –Se Fran fosse stata qui…- mormorò, abbassando il capo.
Percependo il cambiamento di tono, Mandy gli si avvicinò e gli strinse l’avanbraccio con forza. Lui la guardò e tentò un sorriso stiracchiato. –Sto bene, tranquilla.- mentì.
“Be’, almeno reagisce.”, si disse lei. –Drew… posso chiederti una cosa?- domandò, cercando di cambiare argomento. Lo spunto gliel’aveva dato la sua precedente perlustrazione in forma di lupo.
-Certo, dimmi.- annuì.
Si grattò la punta del naso, indecisa. –Tu… che genere di licantropo sei? Sei uguale ad Evan e David?- chiese.
Al che, Andrew si fece pensieroso e ripercorse con la mente quello che gli aveva detto Alastair. –No, non credo, per me la questione è diversa. Comunque, se non ho capito male, dalla metà dell’Ottocento in poi, i nuovi licantropi appartengono tutti all’ultimo ceppo genetico.- rispose.
-Ultimo ceppo genetico?- ripetè lei, alzando un sopracciglio. “Meglio aprire le orecchie: devo capirci qualcosa.”, pensò subito dopo.
Drew le si avvicinò e si sedette sul divano, facendole cenno d’imitarlo. –Sì. Alastair mi ha detto che esistono tre ceppi genetici, per quanto riguarda i licantropi naturali.- iniziò.
-E tu non sei un licantropo naturale?- chiese lei.
Il suo interlocutore la fermò, ridacchiando. –Un attimo, con calma! Faccio ancora fatica a capire tutte queste cose, dammi il tempo di riordinare le idee.
Amanda si sentì intimamente sollevata vedendo che, almeno momentaneamente, il ragazzo sembrava aver dimenticato i problemi amorosi per focalizzarsi su altro. Non meno problematico, certo, ma sicuramente meno doloroso a livello sentimentale.
-Allora, dicevamo…- la sua voce la strappò alle sue considerazioni. –Mi hai chiesto cosa sono i licantropi naturali. Annuì col capo, incrociando le gambe sotto di sé e facendosi attenta.
-Be’, sono i licantropi veri e propri. Quelli nati da altri licantropi.- spiegò, pratico. Sembrava che le stesse illustrando come respirare tra una bracciata e l’altra e Mandy immaginò usasse quel tono quando faceva da istruttore ai bimbi piccoli.
-Quindi quelli che hanno i genitori coi geni animali… si può dire così?- riassunse.
-Sì, esatto. Evan e David sono quel genere di licantropi. E anche tutto il resto del branco MacGregor.- le lanciò un’occhiata per poi tornare a focalizzarsi sulle proprie mani, in un tentativo di mantenere la concentrazione. –Io sono un infetto.
-Cioè… sei un umano che è stato morso?
Dopo un attimo d’esitazione, Andrew annuì. Aprì e chiuse le mani più volte e poi la guardò. –La possibilità che io possa trasmettere la licantropia ai miei figli è abbastanza bassa, ma posso trasmetterla attraverso il morso.- aggiunse.
  A quella notizia, Amanda spalancò gli occhi. “Brutta cosa, molto brutta.”, pensò. Se Frances fosse venuta a conoscenza di quell’informazione, avrebbe sicuramente dato di matto o cercato di sradicare i nuovi geni dal DNA del suo fidanzato a mani nude.
Be’, d’altronde era abbastanza scontato che Drew sarebbe diventato contagioso, no? Stupida lei a non averci pensato.
Notando la sua reazione, il diretto interessato commentò:-Non è sicuramente qualcosa da dire a Fran, vero?
-No…- fu costretta ad ammettere. –Ora proprio no. Credo potrebbe andare in paranoia.
-Ma io non la morderei mai! E… e la percentuale è…- la voce gli morì in gola e si vide costretto a mordersi il labbro inferiore, per non aggiungere altro.
Amanda gli si avvicinò e lo strinse in un abbraccio, cercando di rassicurarlo. –Lo so. So che non le faresti mai del male, almeno non intenzionalmente.- sussurrò, facendolo appoggiare alla propria spalla. Lui la lasciò fare, anche se rimase abbastanza rigido. Dopo un po’, lei disse:-Mi stavi raccontando dei licantropi infetti. Chi manca all’appello?
-Quelli astrali.- fu la risposta.
“Astrali?”, saggiò la parola, perplessa. –Sono delle specie di maghi…?- azzardò.
Drew scosse la testa, sciogliendo l’abbraccio per poterla guardare direttamente in viso. –Sono licantropi che riescono a manifestare la propria parte animale su piani dell’esistenza diversi da quello fisico.- provò a spiegarsi. –Alastair mi ha parlato di trasformazioni all’interno dei sogni, oppure possessioni di lupi e cose del genere. Credo non capirò bene fino a che non vedrò qualcuno farlo davanti a me, ma ha detto che è molto difficile. Ormai più nessuno pratica questo tipo di trasformazioni.
-E io che credevo che i licantropi fossero semplicemente quelli che si vedono nei film…- commentò Mandy, stupita. –E’ un mondo molto più complesso di quello che appare.
-Oh, manca ancora la parte sulla genetica e quel poco che sono riuscito ad apprendere delle regole del branco.- replicò lui, divertito dalla sua reazione.
Recuperando il filo del discorso, raddrizzò improvvisamente la schiena ed esclamò:-I ceppi genetici!
Andrew restò a fissarla per qualche minuto buono, facendola imbarazzare sempre di più. Alla fine, non riuscendo più a resistere, scoppiò a ridere. –Oddio, Mandy, sei così spontanea! Questa cosa ti interessa davvero!- esclamò.
Arrossendo, lei ribattè:-Non dovrebbe, scusa? Voglio conoscere questa nuova parte di te.
Lui annuì, calmandosi. –Lo so, l’ho capito. Ma sei proprio curiosa e attenta, non stai immagazzinando solo le informazioni necessarie per tenerti in vita in caso di pericolo.- le fece notare.
-Non mi hai ancora dato nessuna di quelle informazioni.- gli fece notare lei.
-Ma come? Credevo ti fossi già munita di pallottole d’argento e cose del genere.- rispose lui, il tono sempre ilare.
La giovane lo guardò scettica. –Perché, funzionano?
-No.- scosse la testa. –Serve altro per uccidere un licantropo.
Andrew si rabbuiò nuovamente, passando per la seconda volta da un comportamento spensierato ad uno truce. Forse dipendeva dalla sua nuova condizione oppure stava cercando di sforzarsi il più possibile per tirar fuori un po’ di allegria.  -Questi tuoi continui sbalzi d’umore sono normali?- si decise a chiedergli lei.
-Oh? Sì e no. Sto cercando di non pensare a Fran, ma ammetto che anche i miei ormoni ci stanno mettendo del loro.- rivelò. –Ti disorienta, vero?
-Un po’.- ammise lei. –Ma non troppo. Parlami dei ceppi, su.
-Sì… allora, i tre ceppi distinguono i licantropi più antichi da quelli più giovani. Quelli del primo ceppo potevano solo trasformarsi in lupi e, durante la luna piena, diventavano incontrollabili. Non ricordavano nulla di quella notte e a volte succedeva il peggio.- iniziò.
-Quindi, questi licantropi sono quelli a cui si sono ispirati per i film, giusto?- meditò Amanda.
Drew annuì. –Praticamente sì. Il ceppo intermedio è quello che si è sviluppato verso la fine del Medioevo, se non ho capito male. Questi licantropi non possono assumere forma ibrida, ma la luna li rende solo caratterialmente più instabili e un po’ più deboli.- proseguì.
-Oh… ho capito. Ma i licantropi della nuova generazione non hanno problemi con la luna?
-No, anzi: li rafforza. E possono trasfigurare parti del loro corpo a piacimento.- rispose, concludendo il proprio resoconto.
-Non è una cosa molto giusta.- osservò Mandy. “Chissà a quale ceppo appartiene il padre di Evan.”, si chiese. Forse il suo odio per il figlio derivava da quello.
-Vallo a dire ai lupi più vecchi: stanno ancora cercando di digerire lo scherzetto di Madre Natura.- commentò il fidanzato di sua sorella.
-E… e come si comportano i membri di un branco con gli infetti?- domandò, improvvisamente preoccupata per le sorti dell’amico.
Lui sospirò. –Non lo so.- confessò. –Dovrò scoprirlo.
Le sue parole le riportarono alla mente il piccolo diverbio avuto con Crystal Forbes e si sentì in dovere di riferirglielo. –Ehm… a questo proposito posso già farti un nome.- iniziò. Andrew la fissò senza capire. –Crystal. Stalle alla larga.
-Sì, lo so. Ha già cercato di farmi fuori.- commentò con tono piatto.
-Come?!
Annuì. –Sì, voleva fare una “tranquilla chiacchierata” da sola con me.- le spiegò. –Ma Alastair gliel’ha impedito.
-Quella è pazza.- brontolò Amanda.
-Ma tu come fai a sapere che è un pericolo per me?- indagò, sospettoso.
“Cavoli!”, pensò la giovane, presa in contropiede. Fece spaziare lo sguardo lungo tutto l’ambiente, cercando di prender tempo ed inventarsi una balla sufficientemente credibile. Alla fine, come per la questione di Frances, non trovò nulla da dire se non la verità.
  Spiegò quello che era accaduto ad Andrew e lui si arrabbiò moltissimo, ingiuriando l’ex signora MacGregor con appellativi degni di uno scaricatore di porto. Amanda arrivò a temere che potesse nuovamente trasformarsi, ma fortunatamente riuscì a controllarsi.
Alla fine, nuovamente calmo, Drew le chiese di poter andare a far visita ad Evan, per poterlo ringraziare e chiedergli alcune dritte.
-D’accordo, ma non ora. Che ne dici di una bistecca?- chiese Mandy, sorridente.
-Al sangue?- rilanciò il suo interlocutore.
Arricciò il naso. –Non dirmi che adesso hai veramente voglia di quella roba.- supplicò, disgustata.
-Nah! I miei gusti in fatto di cibo non sono cambiati.- la rassicurò. “Almeno per ora.”, aggiunse tra sé.


***

-A quanto pare abbiamo rotto le uova nel paniere al bel lupacchiotto.- commentò, sogghignando di fronte al messaggio visualizzato sullo schermo del suo cellulare.
-Cosa dice il nostro informatore?- domandò Rodrick, sollevando lo sguardo dal piccolo oggetto che reggeva tra le mani. Era un piccolo lupo intagliato nel legno e sembrava aver parecchi anni.
Jared si voltò verso di lui. –Sembra che lo scherzetto dell’Internazionale gli sia valso l’espulsione dal branco.- lo informò, gongolante.
Lo scozzese annuì più volte. –Già… il vecchio tabù. A quanto pare le tradizioni vengono ancora fatte rispettare.- considerò.
-Solo nei branchi come il vostro. Quelli di New York hanno tutt’altro codice.- gli fece notare il suo interlocutore.
“Non sapete nemmeno cosa sia, un codice.”, pensò con disprezzo Rodrick. Quel Jared non gli piaceva per niente, ma era sufficientemente arrogante per poter servire allo scopo. Nel caso si fosse rivelato una palla al piede, l’avrebbe tolto di mezzo.
-E lui dov’è, ora?- chiese.
-Non c’è scritto. Ma ha portato due lupi con sé, a quanto pare. Chissà, potrebbe essere l’inizio di una nuova era.- l’americano sghignazzò nuovamente, molto divertito da tutta la faccenda. Il solo fatto che quello stupido di un MacGregor fosse stato espulso per aver trasformato un umano lo faceva ridere: regole come quelle erano assurde.
Ma questi scozzesi sembravano ritenerle molto importanti… e quello sarebbe andato a suo vantaggio.
Infastidito, Rodrick scattò. -Non offendere le leggi antiche, pivello!- ringhiò con voce metallica. –Non sai quanto potere possono avere su un licantropo.
Davanti a quello scoppio d’ira, l’altro lupo si fece indietro, intimorito. Gli lanciò un’occhiata da sotto in su e poi mormorò delle scuse veloci, cercando di ammansirlo.
-Di’ al tuo informatore che per ora deve rimanere a guardare. Ho bisogno di pensare alla prossima mossa.- gli ordinò, avviandosi verso l’uscita del grande capannone abbandonato.
-D’accordo.
Lo osservò uscire ed arricciò il labbro superiore, desiderando aprirgli la gola da una parte all’altra. Nessuno poteva dargli degli ordini e ancor meno chiamarlo pivello.
“Stupido vecchio. Riprovaci e te ne pentirai.”, promise.


***

  Era una giornata tranquilla al villaggio.
Il sole splendeva e il grano ormai maturo ondeggiava alla lieve brezza estiva. Cainnech inspirò a pieni polmoni, lasciando vagare lo sguardo oltre i tetti delle abitazioni.
  Gli uomini erano usciti per andare a caccia e lui avrebbe tanto voluto seguirli, non fosse stato per la sua anca. Era nato con una deformazione che non gli permetteva di correre come gli altri ragazzi della sua età e che lo lasciava sempre ai margini, qualsiasi attività si facesse.
“Non posso nemmeno partecipare alle celebrazioni di Mediosaminos*”, pensò gettando con rabbia una piccola pietra trovata lì accanto.
-Cainnech, cosa stai facendo?- gli chiese sua madre, comparendo dal retro dell’abitazione con un paniere pieno d’uova.
-Nulla, madre.- mormorò il giovane.
La donna lo osservò pensosamente per un po’ di tempo, poi gli si avvicinò e gli diede un buffetto sul viso. –Quest’anno mi aiuterai con la spigolatura?
-Certo.- fu costretto a rispondere lui. Dato che non poteva svolgere le mansioni destinate agli uomini, avevano pensato bene di umiliarlo facendogli eseguire quelle delle donne. E la spigolatura era uno degli appuntamenti canonici durante il corso dell’anno.
-Non fare quella faccia.- supplicò allora sua mamma. –Sai che il mio più grande desiderio sarebbe vederti correre per i campi, cacciando i corvi con un bastone.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. –Quindi vorresti che fossi uno spaventapasseri?- domandò, perplesso.
-No, sciocco.- ridacchiò quella. –Vorrei solo vederti felice.- aggiunse, facendosi improvvisamente seria.
-Io sono felice.- replicò Cainnech. “Potrei esserlo di più, ma sono felice, nonostante tutto.”, pensò, continuando a guardarla dritto negli occhi.
I due rimasero a fronteggiarsi in silenzio, cercando di sondare le rispettive anime. La donna fu la prima ad abbassare lo sguardo, forse soddisfatta da quello che aveva intravisto o sconfitta per non aver scorto nulla.
-Hai bisogno di me, oggi?- chiese improvvisamente il giovane.
-No. Puoi andare ad incontrare Brennan.- rispose lei, lasciandosi sfuggire un sorrisetto.
-Grazie. Ci vediamo per l’ora di cena!- e detto questo si allontanò con la massima velocità consentitagli dalla sua anca.

  Quando raggiunse la collina alle spalle del villaggio, si concesse un momento per riprendere fiato ed osservare il paesaggio, che si perdeva nella leggera foschia in lontananza.
Amava tantissimo quel posto, non solo perché vi cresceva un’enorme quercia secolare ma anche perché era sempre tranquillo e gli donava un senso di calma.
Era lì che aveva incontrato per la prima volta Brennan, quando entrambi erano solo due bambini.
Si guardò intorno, cercando qualche traccia dell’amico.
“Non è ancora arrivato. Strano.”, pensò, appoggiandosi al grosso masso sul quale erano soliti sedersi. Scrutò con più attenzione tra gli alberi e anche verso il torrente che scorreva poco sotto.
  Improvvisamente alcuni storni si levarono in volo, allarmati da rumori nel sottobosco. Cainnech si fece guardingo e staccò il ramo di un arbusto accanto a sé, pronto a difendersi. Prese a scandagliare le ombre a ridosso della fine del bosco, cercando di individuare qualcosa.
La chioma di un cespuglio alla sua destra venne scossa da un tremito e subito dopo comparve un grosso lupo dal pelo color ruggine.
-Brennan! Mi hai spaventato!- sbottò il giovane, gettando a terra la propria arma improvvisata.
L’animale restò immobile, fissandolo coi suoi occhi color ambra.
-Bren?- il giovane si fece confuso. –Che succede?
La creatura mosse un passo nella radura antistante la quercia, barcollando. Si resse sulle zampe, visibilmente malferme, fino a quando i muscoli non lo ressero più e lo fecero rovinare a terra.
Cainnech corse da lui, il cuore che batteva ad un ritmo frenetico. -Brennan!
S’inginocchiò al suo fianco e prese a tastargli il corpo, alla ricerca di qualche ferita. Improvvisamente qualcosa di caldo e viscoso gli colò sulle mani e il ragazzo iniziò a sudare freddo. Scostò il palmo e lo ritrovò completamente sporco di sangue.
-Chi è stato?! Chi ti ha ferito?- chiese con voce tremante.
“Cain… devi scappare. Devi prendere tua madre e scappare.”, la voce di Brennan gli rimbombò nella testa. Quella era la seconda volta che l’amico comunicava con lui telepaticamente e la cosa servì solo a spaventarlo ancora di più.
-Scappare? Ma da cosa?- tentò di capire. –Non dire queste cose, io devo aiutarti. Non posso scappare!- scosse con forza la testa.
“Il tuo villaggio sta per essere attaccato…”, replicò il licantropo.
-Il tuo branco ci proteggerà.- disse con convinzione.
Il lupo scosse debolmente la testa. “Non questa volta. Sono loro che stanno per attaccarvi. Si sono fatti corrompere.”, rivelò.
A quella notizia, il giovane celta sbiancò. –C-come…?
“Cainnech, ti prego! Vattene da qui!”, Brennan lo colpì con tutta la forza rimastagli al fianco sinistro, cercando di farlo muovere.
-Ma… ma io… tu…- sentiva qualcosa pungergli gli occhi.
“Per me è troppo tardi. Dovevo avvertirti e l’ho fatto. Ora sta a te.”
-No! Tu non puoi morire! Non devi morire!- gli afferrò con forza il muso e puntò lo  sguardo in quello ormai vitreo del compagno di giochi di una vita. –Bren, ti prego…!- gli sfuggì un singhiozzo.
La lingua liscia del licantropo gli sfiorò una guancia, arrestando la caduta della prima lacrima. “Ti voglio bene, Cain. Anche se sei un piagnucolone. Ci rivedremo nel Regno degli Antenati.”, arricciò le labbra in un sorriso lupesco. Poco dopo la scintilla vitale abbandonò i suoi occhi e la sua testa si piegò pesantemente verso il basso.
  Cainnech restò a fissare il suo corpo con orrore per poi crollare su di esso e dar sfogo ad un pianto di rabbia e dolore.


***

  Era ormai passata una settimana dal ritorno di Andrew e la nuova convivenza non sembrava dare problemi.
Ogni mattina, Amanda saliva per svegliarlo e praticamente ogni sera si sedevano sulle scale antincendio per osservare la luna con lui. Sembrava che Drew ne sentisse un bisogno impellente, probabilmente a causa della sua nuova metà soprannaturale.
  Erano andati a far visita ad Evan a Tompkins Square Park e i due avevano avuto una fitta e lunga conversazione, mentre Mandy s’intratteneva con David ed Emily.
Una volta terminata la chiacchierata, il giovane americano si era mostrato un po’ pallido ma, a parte quello, sembrava soddisfatto.
Da allora erano trascorsi due giorni, ma Amanda non si era ancora decisa a chiedere nulla. Era curiosa, quello sì, ma non voleva immischiarsi in faccende che non la riguardavano.
Salì le scale, finendo di sistemare il fiocco della sua camicetta e poi bussò alla porta dell’appartamento che Andrew condivideva con Frances.
“Già, Frances…”, il pensiero bloccò la giovane con la mano ancora per aria. Aveva provato a telefonarle, per sentire come se la passava, ma lei l’aveva liquidata con qualche frase di circostanza. Le serviva del tempo e aveva bisogno d’isolarsi, aveva detto.
“Chissà se riuscirà ad accettare tutto questo.”, s’interrogò, fissando distrattamente un graffio sul battente di legno. Non ottenendo risposta, bussò ancora.
-Arrivo… arrivo…- sentì bofonchiare dall’altra parte. Poco dopo Andrew venne ad aprirle, i capelli tutti scompigliati dal cuscino. –‘Giorno.- sbadigliò.
“Essere licantropi comporta non essere mattinieri”, constatò, divertita. Lui era solito alzarsi presto per andar a far lezione a qualche giovane nuotatore volenteroso, ma ora sembrava una cosa impossibile da fare. Forse avrebbe avuto più fortuna coi corsi notturni.
-Ti serve del caffè per svegliarti?- domandò, muovendo qualche passo nell’ingresso.
-Sì, me ne servirebbe un barile, però.- rispose l’altro, aggirandosi assonnato per la cucina.
Amanda si fece confusa. –Non esagerare.
-Non sto esagerando. Il mio corpo brucia ogni cosa in pochissimo tempo. Credo che nemmeno l’alcool possa più farmi effetto.- le rivelò.
-Sul serio? Caspita!- esclamò allora lei, stupita da quella nuova scoperta. Le sarebbe piaciuto poter rinunciare alle sbornie moleste del ragazzo.
-Però questo non mi impedisce di bermi un caffè. Accomodati, così mi fai compagnia.- le sorrise e si avvicinò alla macchinetta accanto al frigorifero.
-Drew, devo sbrigarmi, se no…- iniziò lei.
-Lo so, lo so: devi evitare la corsa affollata. Ci metto poco, promesso.
-D’accordo, grazie.- si accomodò sullo sgabello di fronte all’isola della cucina, appoggiando subito dopo i gomiti al piano di lavoro. –Cosa pensi di fare col lavoro?- domandò all’improvviso.
-Be’… per ora mi sono preso un periodo di malattia. Poi proverò a chiedere di avere le lezioni nel tardo pomeriggio e durante la sera: mi è più semplice gestire tutto quanto.- rispose, avviando il timer. –Insomma… io non sono come Evan e David.- concluse, girandosi a guardarla.
-La luna ti influenza?- domandò Mandy.
Drew annuì, sistemando due grandi tazze sul ripiano antimacchia. –Esatto. Tutti gli infetti appartengono geneticamente al secondo ceppo. Quindi la luna mi influenza, senza mandarmi fuori di testa, però.- disse, cercando di buttarla sul ridere.
  Amanda fu felice di sentirlo scherzare a quel modo. Se riusciva a fare dell’autoironia, significava che stava imparando a convivere con al bestia che aveva preso dimora nel suo corpo.
-E nel caso dovessi andare fuori di testa? Io che dovrei fare?- chiese, osservandolo versarle il caffè. L’odore intenso dei chicchi macinati si spanse nell’aria, solleticandole le narici.
-Chiamare Alastair oppure Evan. Dipende chi è più vicino.- la guardò con occhi seri, senza smettere di fare quello che stava facendo. –Devi promettermelo.
Vedendo la sua espressione, la ragazza stabilì che non stava assolutamente scherzando. –Lo prometto.- mormorò.
-Grazie. Bene, ora beviamo questo caffè e vediamo di iniziare la giornata.- le sorrise, poi afferrò la tazza e se la portò alle labbra.
Non appena il liquido nero e corroborante le sfiorò la punta della lingua, Amanda fece una smorfia. –Cristo, Drew, è amarissimo! Lo sai che così diventerò nervosa come una pazza!
-Mi serve per svegliarmi.- si giustificò, spiacente. –Aspetta, prendo lo zucchero.
Lei lo fermò. –Lascia stare, fa lo stesso. Mi accontenterò di un caffelatte amaro.
-Sicura?- chiese lui, la mano già sulla maniglia della credenza. Vedendola annuire, desistette.
Restò ad osservarla per qualche momento mentre versava il latte nella propria tazza, poi sorrise distrattamente tra sé e tornò a sedersi. Averla come sorella sarebbe stato meraviglioso, perché riusciva ad occuparsi degli altri con spontaneità, senza farlo minimamente pesare.
Notando lo sguardo assorto di Drew, Amanda terminò il proprio caffè e chiese:-Che c’è?
-Nulla.- scosse il capo. –Forse è meglio che tu vada.
-Come? Oh, cavolo! Grazie per il caffè! Ci vediamo stasera!- balzò in piedi, recuperò la borsa da giorno con le sue cose e schizzò fuori dall’appartamento.
Andrew ridacchiò, ascoltandola scendere freneticamente le scale e correre poi lungo il marciapiedi. Terminò la propria bevanda, concedendosi anche qualche biscotto. La città era già sveglia da parecchio tempo e la sua voce giungeva chiara e frenetica dalle finestre aperte, pronta per farsi cogliere dalle orecchie sensibili di Drew.
Mentre sbocconcellava l’ultimo cookie, il suo cellulare vibrò. Si allungò e lo recuperò con la mano libera, aprendo subito dopo il messaggio.
-“Riunione del branco a mezzanotte, devi essere presente. A.”- lesse, stupito.


-Sorridi. Bene così. Voltati un po’ più a destra. Guarda verso di me. Sì, sì così va bene!- il fotografo continuava a darle indicazioni, gesticolando con la mano ogni qualvolta mollava la presa sulla sua Reflex.
Quello era il suo mondo, il suo pane quotidiano e lei amava tutto lo sfavillio e le luci. La faceva sentire potente, desiderabile e desiderata dal genere maschile.
Era perfettamente conscia delle occhiate maliziose, dei sorrisini e delle battute che si scambiavano gli addetti ai lavori e ne era assolutamente orgogliosa.
“Io sono una donna desiderabile.”, pensò, cambiando posizione per un’altra serie di scatti. “Sono bella, sono una licantropa potente e sono una modella famosa. Non c’è donna migliore di me, Evan.”, non appena la sua mente formulò quel pensiero, un’ombra passò sul suo viso.
S’indispose tutto d’un tratto, perdendo la concentrazione.
-Crystal… che succede?- il fotografo si fermò, cercando di capire il motivo di quel cambiamento d’umore.
Lei si riscosse di colpo e sbatté qualche volta le palpebre, stordita. –Mi serve una pausa.- disse solo, lasciando immediatamente il set.
Vedendola decisa, lo staff accolse la proposta e la lasciò andare verso il suo camerino, senza intralciarle la strada. Sapevano che non c’era da scherzare con una tipa come lei, soprattutto quando la sua parte animale emergeva così chiaramente.
Spalancò la porta di malagrazia e si avvicinò allo specchio per controllare che fosse tutto a posto: vide i propri occhi color ambra e un’espressione arrabbiata a contrarle i bei lineamenti.
-Dannazione!- in uno scoppio d’ira il suo pugno di abbatté sulla superficie riflettente, mandandola in frantumi. Osservò le schegge sul pavimento e poi gettò a terra tutto quello che c’era sulla sua toilette, urlando di frustrazione.
Afferrò con forza il bordo del tavolo e prese a respirare pesantemente, cercando di concentrarsi sulle fasi della respirazione.
Improvvisamente, ad un passo dalla buona riuscita del suo training autogeno, lo schermo del telefono s’illuminò. Riconobbe l’avviso che aveva assegnato ad Alastair e si avvicinò per controllare.
-Mhm… sicuramente ci sarà qualche pretendente al ruolo di Campione.- meditò, picchiettandosi un’unghia sul mento. –Potrebbe essere interessante.
Le era venuta un’idea e, nel caso fosse riuscita a metterla in atto, si sarebbe presa una piccola rivincita su quello stupido del suo ex marito.


  L’intero branco era riunito nel grande spiazzo antistante la villa.
Non conosceva praticamente nessuno, a parte Dearan, Alastair e Crystal. Non aveva avuto tempo di fare amicizia, nella sua permanenza al Wolf’s Pond.
Sentiva tutti gli sguardi su di sé ed era pienamente cosciente di essere l’attrazione della serata: era quello nuovo, quello da studiare.
  La curiosità del branco gli sfrigolava sulla pelle come olio bollente, senza lasciargli un attimo di pausa. Non sopportava le attenzioni indesiderate, ma non per questo avrebbe dato loro un pretesto per etichettarlo come attacca brighe.
Desiderava una pacifica e quanto più defilata vita comunitaria. Non riusciva ad immaginarsi a festini organizzati alle tre di notte, in cui ci si raccoglieva sotto la luna e si ululava.
Ok, forse la stava buttando un po’ troppo sull’hollywoodiano, ma era quasi certo che non sarebbe mai diventato un membro del branco al cento per cento. Aveva già una famiglia e non ne voleva un’altra.
La comparsa dell’Alfa lo strappò bruscamente ai suoi pensieri.
Raddrizzò la schiena e puntò gli occhi su Dearan MacGregor, in attesa di udire le sue parole. L’uomo si guardò attorno ed evitò accuratamente di intercettare il suo sguardo. Alastair, invece, gli fece un cenno di saluto col capo.
-Fratelli e sorelle, come ben sapete gli ultimi avvenimenti hanno comportato delle perdite per il branco.- esordì il capobranco. Molte teste annuirono. –E ora ci sono delle posizioni vacanti.- aggiunse subito dopo.
Molti furono i mormorii e le parole scambiate.
“Dovranno eleggere il nuovo Campione, quindi.”, realizzò Andrew. Non avrebbe sicuramente partecipato, ma avrebbe assistito per la prima volta ad una disputa tra Pretendenti. Doveva assolutamente iniziare a capire come funzionavano i combattimenti, se voleva sopravvivere in quel mondo.
-Questa sera, oltre ad accogliere tra noi Andrew Parker come nuovo membro, eleggeremo il nuovo Campione e il nuovo Gamma.- continuò Dearan. All’udire il proprio nome, Drew sobbalzò e si guardò intorno, agitato.
-Andrew, raggiungimi.- gli ordinò l’uomo, la voce perentoria. Lui deglutì, perplesso e cercò l’appoggio di Alastair. Lo scozzese sorrise brevemente, incoraggiante e quello gli bastò per convincersi ad obbedire.
Alst era l’unico di cui si fidava, all’interno del branco, e capiva perfettamente perché anche Evan riponesse la sua piena fiducia in quel licantropo dai capelli fulvi.
Quando si ritrovò davanti al proprio capobranco, Drew chiese:-Cosa devo fare?
-Trasformati, così potremo darti il benvenuto.- nonostante le parole fossero intese per accogliere, il tono di voce di Dearan dava tutt’altra idea.
Annuì, ancora un po’ perplesso e si concentrò per stabilire un contatto con la propria parte animale. Quando l’ebbe raggiunta, lasciò che prendesse possesso di lui ed avviasse la trasformazione.
  In poco si ritrovò a fissare il mondo coi sensi amplificati di un lupo.
Lentamente, anche tutti gli altri membri del branco MacGregor cambiarono forma, divenendo una folla coperta di pellicce.
A turno, dopo che l’ebbero fatto l’Alfa e il Beta, tutti i licantropi si avvicinarono ad Andrew e gli strofinarono il muso contro la guancia, in segno di accoglienza. Il giovane restò il più possibile fermo, senza riuscire a capacitarsi di quello che stesse succedendo.
Non era preparato ad una cosa del genere e soprattutto non sapeva come gestire la miriade d’emozioni che l’avevano avviluppato, come una coperta troppo pesante.
  Quando temette d’esser ormai al proprio limite, l’ultimo lupo gli si avvicinò. Lo guardò attentamente e si rese conto che era più grande della media, col manto di un grigio molto scuro, tendente al nero.
Si chiese chi fosse.
Quello lo raggiunse e si strofinò attentamente contro di lui. Andrew percepì immediatamente una sensazione sgradevole, di ostilità e s’irrigidì d’istinto. Non sapeva cosa potesse succedere in quei casi, ma era pronto al peggio.
“Non credere di avere vita facile, lupacchiotto. Soprattutto considerato che sei stato creato da Faolan.”, si sentì dire. Fissò confuso gli occhi praticamente gialli dell’altro licantropo, tentando di capire se stesse scherzando o meno.
Quello che vide lo sconcertò.
-Bene. Ora direi che possiamo iniziare con i duelli.- sentenziò Dearan, ritenendosi soddisfatto della cerimonia d’accoglienza. –Andrew, puoi partecipare anche tu, se ti ritieni all’altezza.- aggiunse subito dopo, sorridendogli con fare derisorio.
Lui scosse impercettibilmente la testa, non osando fare altro per indisporlo. Si fece indietro, riassumendo sembianze umane e tornando a mescolarsi agli altri compagni presenti.
-I Pretendenti al ruolo di Gamma si facciano avanti.- la voce del capobranco risuonò chiara e potente nell’aria notturna. Quattro maschi si fecero avanti, scrutandosi in cagnesco.
  Drew notò che le poche donne presenti si erano allontanate parecchio, decise a non essere coinvolte in nessun modo. Probabilmente le femmine del branco non potevano ricoprire cariche di potere, come nella società dei lupi naturali.
Lo trovò un comportamento estremamente maschilista ed arretrato, ma si ritrovò anche a rabbrividire all’idea di vedere una ragazza combattere fino all’ultimo sangue per ottenere il ruolo di Gamma.
“Devo mandare giù il rospo. Ci saranno molte cose che non mi andranno a genio, ma non posso cambiare le regole a mio piacimento.”, si disse, tenendo d’occhio il grosso lupo che prima l’aveva minacciato.
Non si era ritrasformato, quindi non era in grado di associarvi un volto umano, ma si sarebbe impresso bene in mente la sua aura. Giusto per evitarlo e sopravvivere.
  Mentre era perso nelle proprie considerazioni, i primi due sfidanti entrarono in un cerchio tracciato con una polvere nera molto fine, che suppose fosse sorbo. Alastair gli aveva fornito le informazioni base riguardanti i combattimenti, ma non aveva avuto modo di dilungarsi più di tanto nei due minuti che era riuscito ad ottenere.
Si fece attento, sentendo sulla pelle le prime scariche di energia provenire dai due lupi. Quelli si misero in posizione e presero a scrutarsi, ringhianti.
Dearan, dall’altro lato del cerchio, li fissava in attesa, impassibile.
Andrew ebbe appena il tempo di prendere un respiro, che i due licantropi si scagliarono l’uno contro l’altro, dando il via allo scontro.


  Uscì dal bagno frizionandosi i capelli e si rese conto che il suo cellulare stava suonando.
Lo afferrò e fissò lo schermo, confusa.
Prese a torturarsi il labbro inferiore, indecisa se accettare o meno la chiamata. Alla fine premette il tasto verde e si portò il telefono all’orecchio. –Pronto?
-Fran! Grazie al cielo, finalmente mi hai risposto!- esclamò la voce dall’altra parte.
-Mandy… ciao.- mormorò, lasciandosi cadere sul letto.
Dall’altra parte ci fu un attimo di silenzio. –Come stai?- si sentì chiedere.
-Potrebbe andare peggio.- rispose, afferrando con forza un lembo del lenzuolo che giaceva sfatto in fondo al materasso.
-E tra quanto pensi che possa andare meglio?- le domandò Amanda. –Ci manchi.- aggiunse subito dopo.
Frances si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Davvero?
-Sì, davvero! Non sto scherzando! Andrew è tornato a casa e ha subito chiesto di te!- ribattè l’altra, alzando via via il tono di voce.
La capiva e sentiva che una parte di sé, anche se ancora troppo piccola, aveva superato lo shock iniziale. Il problema era che aveva iniziato ad avere gli incubi da quando Drew era stato aggredito e non riusciva a liberarsene.
Come avrebbe potuto tornare a New York e vivere con lui?
-E… lui come sta?- s’arrischiò a chiedere.
-Considerato tutto quello che gli è successo, si sta comportando egregiamente. Sta imparando il più possibile e anche io sto facendo lo stesso. Alastair lo sta aiutando a gestire il lupo dentro di lui.- le raccontò la sorella, mettendo in luce i progressi raggiunti dal suo fidanzato. Dopo un attimo di silenzio aggiunse:-Non è cambiato. È sempre lo stesso Andrew di cui ti sei innamorata quattro anni fa.
Fran scosse con forza il capo. –No… non è vero. Sai che non è così, Mandy.
-Certo! Ma solo se ti fermi all’apparenza! Non è diventato un assassino psicopatico, può solo trasformarsi in un lupo!- replicò l’altra, infervorata.
-Solo?! Ti rendi conto che non è normale che un essere umano si trasformi in un lupo?!- si alzò in piedi con uno scatto, irritata dal tono della sorella. –Accettare gli esseri soprannaturali nella nostra società è un conto, ma averne uno per fidanzato è un altro!
-Sono persone esattamente come noi. Non sono i mostri dipinti dalle carte dell’Inquisizione.- replicò Amanda. Nella sua voce si poteva percepire senza problemi la delusione. –Spero che tu riesca a superare lo shock e a capire che Drew è sempre se stesso. Questa cosa non cambierà, così come non cambierà il suo amore per te. So che è difficile accettare tutto questo, anche io faccio fatica, ma è come se lui fosse un veterano di guerra a cui hanno amputato un arto: dobbiamo aiutarlo a ritrovare un equilibrio.- continuò.
-Non è così semplice.- disse Fran, convinta delle proprie idee. Per lei non era così semplice accettare quello che faceva parte di un mondo diverso dal suo: la spaventava e la lasciava senza nessuna certezza.
-Non lo è, ma devi riuscire a farlo diventare tale. Prenditi tutto il tempo che ti serve, ma poi torna da noi. Chiamami quando te la senti e saluta a casa. Ciao Fran.- e detto questo Amanda riattaccò.
Rimase ad ascoltare il suono ritmico dell’interruzione di linea e poi scagliò con forza il cellulare sul letto, contro la testiera.
-Non è così semplice! Non lo è per niente!- urlò, dando libero sfogo al proprio stress.
Restò a fissare il proprio riflesso allo specchio, ansimando leggermente.
Ad un certo punto la porta della camera si socchiuse e Reese fece capolino da dietro il battente. –Cia… ti sei fatta la bua?- le chiese, timorosa.
Frances si aprì in un sorriso. –No, tesoro. Non mi sono fatta male.- la rassicurò, facendole segno di raggiungerla. La piccola trotterellò fino al letto e quasi vi si scontrò. –Cosa stavi facendo?- le chiese subito dopo la ragazza.
-Giocavo a mamma e papà.- le disse, mostrandole orgogliosa i due pupazzi che reggeva in mano.
-Oh, posso giocare anche io?- domandò. Doveva provare a distrarsi.
Sua nipote annuì. –Tì. Tieni, tu fai il papà.- e le allungò il peluche che teneva nella mano sinistra.
Frances lo osservò e poi le chiese:-Come mai il papà è un lupo?
-Perché ha i superpoteri. Così può difendere la mamma.- le spiegò con la sua chiara logica da bambina.
Lei restò a fissare il pupazzo, senza parole. Se persino la piccola Reese poteva convivere con la parte soprannaturale che popolava la Terra, perché lei non ci riusciva?


  Il nuovo Gamma del branco MacGregor era Sean MacNeil, cugino del defunto Graham.
Andrew non sapeva se l’uomo fosse un tipo a posto oppure fuori di testa come il parente, ma non aveva in previsione nessuna infrazione, quindi gli bastava essere lasciato in pace.
Per quanto riguardava il ruolo di Campione, invece, lo sfidante che stava avendo la meglio era il grosso lupo che l’aveva accolto in modo per nulla amichevole.
  Aveva vinto tutti e due gli scontri nei quali era stato coinvolto e gliene mancava uno per ottenere la carica. I suoi compagni non sembravano essere in grado di competere con la sua forza bruta.
Non ne sapeva molto di combattimento tra licantropi, ma poteva dire con certezza che la sua tecnica era abbastanza rozza. Compensava tutto ciò con una forza impressionante, degna di un ariete da sfondamento.
-Alastair… chi è il lupo che sta vincendo tutte le gare?- si decise a chiedere.
Lo scozzese gli lanciò un’occhiata, tenendo sempre sott’occhio il campo di combattimento. –Quello è Stryker.- rispose.
“Stryker…”, Andrew soppesò il nome nella propria mente. –E perché sta combattendo come un diavolo? La carica di Campione è così importante?- volle capire.
-La carica ha il suo peso, all’interno del branco. Ma non è per quello che sta combattendo.- replicò cauto l’altro.
Drew si accigliò. –C’entra con qualcuno chiamato Faolan, per caso?- domandò.
-Faolan è un… soprannome, se così vogliamo chiamarlo. Era usato da Dearan, tanto tempo fa, poi Stryker se n’è appropriato e l’ha fatto diventare un appellativo dispregiativo. In gaelico significa “piccolo lupo”.- spiegò il Beta.
Il giovane restò a meditare per qualche istante, cercando di rimettere al loro posto i pezzi del puzzle. –Un attimo! Ha detto che sono una sua creatura, quindi… quindi di riferiva ad Evan!- esclamò, arrivando alla soluzione. –Oddio, non un altro che ce l’ha con lui per colpa mia!- aggiunse subito dopo, sconfortato.
Alst gli afferrò saldamente la spalla, obbligandolo a guardarlo negli occhi. –L’odio tra Stryker ed Evan è molto vecchio e non dipende da te. Stryker ha sempre voluto superare il figlio del capobranco, ma non ci è mai riuscito. E questo lo manda in bestia.- raccontò.
-Questo mi rassicura, grazie.- commentò con ironia l’altro.
-L’unico consiglio che posso darti è di non dargli nessun pretesto per avercela con te. Per avercela seriamente con te.- lo avvertì.
Andrew lo guardò negli occhi. –Mi prenderà di mira comunque, però, non è vero?
Il suo interlocutore fu costretto ad annuire. –Fantastico.
-Se dovesse iniziare ad andarci giù pesante, ti consiglio di parlarne con Evan. Lui sa come gestirlo, soprattutto in combattimento. Per il resto, ti aiuterò come posso.- tentò di rassicurarlo, senza riuscirci più di tanto.
-Puoi tenerlo a bada?- chiese, speranzoso.
-Il compito di un Beta è di occuparsi dei nuovi lupi e della gestione del branco.- gli ricordò. –Sono più vecchio di lui e nel mio lavoro sono bravo.
-Bene. Questo mi tranquillizza.
Alastair gli sorrise mestamente. –Bene. Perché Stryker sta per vincere anche l’ultimo scontro.- disse, facendogli cenno di voltarsi verso il ring.
Appuntò lo sguardo sullo scontro in corso e rimase basito nel vedere con quanta furia il licantropo chiamato Stryker si stesse scagliando contro l’avversario. Tutti i suoi colpi erano mirati a ferire, non a stordire l’avversario.
  Ad un certo punto sfruttò la propria mole per inchiodare a terra l’altro lupo e si avventò sul suo collo, tentando un affondo coi denti. L’altro si agitò, provando a scrollarselo di dosso, ma quello fu inamovibile.
Il licantropo sottomesso lanciò un uggiolio di dolore e questo convinse Alastair ad andare a parlare con Dearan. Andrew lo osservò con la coda dell’occhio, senza riuscire a staccare lo sguardo dalle scene finali dello scontro.
-Stryker, basta così!- eruppe all’improvviso l’Alfa. Il lupo grigio arricciò il labbro superiore, mostrando il proprio disappunto. –Hai la carica di Campione, lascia andare Fraser.
All’udire quelle parole, il licantropo mollò la presa e ghignò, soddisfatto. Il suo opponente riassunse sembianze umane, portandosi immediatamente le mani al collo.
-Sei un pazzo psicopatico, Stryker!- lo accusò, mentre la sua compagna lo raggiungeva per prestargli soccorso.
-E tu non sai combattere.- replicò lui, per nulla impressionato dall’epiteto.
-Lupi, chetatevi.- ingiunse Alst. Seppur di malavoglia, il nuovo Campione obbedì e si allontanò a grandi falcate, diretto verso la villa.
Crystal, rimasta in disparte fino a quel momento, si affrettò a seguirlo senza farsi vedere.


  Stava per buttarsi sotto la doccia, ma si fermò, sollevando l’angolo della bocca con fare compiaciuto. –A cosa devo quest’incursione nel mio appartamento privato?- domandò.
-Nel branco non c’è nulla di veramente privato, dovresti saperlo.- fu la risposta dopo qualche istante.
Stryker si voltò, lentamente. –Sì. Come non esistono molte altre cose.- commentò.
-La modestia, per esempio.
Lui assottigliò gli occhi, per nulla entusiasta del commento. –Cosa vuoi, Crystal?
L’ex signora MacGregor si fece avanti, abbandonando l’appoggio che le forniva il telaio della porta della camera. –Fare un accordo.- rivelò, leccandosi vezzosamente il labbro inferiore.
-Che genere di accordo?- le chiese, sospettoso. Molto spesso l’avevano tacciato di stupidità e rozzezza e non negava di avere comportamenti che si avvicinassero all’una e all’altra, ma solo quando gli faceva comodo.
  Sapeva come usare la materia grigia che aveva nella scatola cranica, anche se preferiva lasciare che gli altri lo pensassero un idiota. Rendeva più facile cogliere i nemici impreparati.
-Diciamo che è uno scambio equo.- si corresse lei, osservandolo attentamente. Non era male, come licantropo, ma non poteva reggere il confronto con Evan. Nessuno nel branco avrebbe potuto, salvo Alastair, per quanto riguardava l’intelligenza.
Esasperato, Stryker finì per sbottare:-Cosa diavolo vuoi?! Non ho tempo per i tuoi giochetti!
-Come siamo irritabili.- commentò lei, alzando gli occhi al cielo. –Si tratta di Andrew.- aggiunse, tornando a fissarlo subito dopo.
-Il nuovo mostriciattolo?- l’altro si accigliò, perplesso.
La bionda assentì. –Esattamente. Come ben sai, è stato creato da Evan.
-Sì. Il tuo ex marito si è rivelato molto stupido, in quel frangente.- convenne, scoccandole un’occhiata divertita.
Crystal si trattenne dal mandarlo a quel paese e s’impose di continuare. –Non posso ucciderlo, Alastair non me lo permetterebbe… ma tu potresti rendergli la vita nel branco, come dire, difficile.- disse.
-Potrei anche ucciderlo?- chiese, intrigato dall’idea di poter infastidire il nuovo pidocchio. Era una creazione di Evan MacGregor, quindi ne avrebbe tratto sicuramente del godimento.
Nulla lo faceva godere come macchiare la vita perfetta del figlio di Dearan.
-Non voglio vite sulla coscienza.- replicò Crystal.
-Non vuoi che il tuo bel maritino arrivi ad odiarti?- la sfotté.
Lei lo incenerì con lo sguardo. –Le mie motivazioni non sono affari tuoi. Mi serve solo sapere se accetti oppure no.- sibilò, infastidita.
L’uomo si appoggiò al muro, ostentando senza problemi la propria nudità. –E io cosa ci guadagnerei?- s’informò, calcolatore.
A quel punto, la modella gli si avvicinò con passo deciso e si fermò a pochissimi centimetri da lui. Il calore prodotto dai loro corpi sfrigolò e le loro auree si saggiarono, avide e curiose.
-C’è una cosa che potrei concederti.- sussurrò lei, guardandolo da sotto le lunghe ciglia abbassate.
-Cosa?
Non rispose, ma scivolò lungo il suo corpo, tracciando una linea di fuoco con le labbra. Stryker non rimase indifferente a quella provocazione e s’irrigidì, cercando di contenere la propria eccitazione.
Aveva sempre desiderato avere Crystal. Lo sapevano perfettamente entrambi.
Restò col fiato sospeso, in attesa di una mossa della lupa.
Lei esitò per quelle che parvero ore, poi si rialzò con un movimento voluttuoso, premendo la propria femminilità contro l’inguine di Stryker. Gli carezzò lascivamente il collo con le belle unghie smaltate, godendo nel sentire il battito del suo cuore accelerare.
-Sapevo che avresti accettato.- gli sussurrò, prima di baciarlo fugacemente ed interrompere il contatto.
Gli dedicò un’ultima occhiata prima di uscire definitivamente dalla stanza.
Stryker rimase immobile fino a quando la sua aura non fu scomparsa e poi colpì con forza il muro. Lì dove si era scagliato il suo pugno, l’intera parete si era crepata.
-Maledizione.- imprecò. Era stato tradito dal suo stesso corpo. –Ti avrò, prima o poi. Ti avrò.- aggiunse, sparendo in bagno.

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Capitolo 11
*** Cap. 10 Non voglio essere l'Omega ***


Cap. 10 Non voglio essere l'Omega
Nonostante il ritardo (lo so, scusatemi!), ecco il nuovo capitolo!
Ci saranno alcune rivelazioni che chiariranno alcuni punti oscuri precedenti, ma non siamo ancora al clou della storia. Abbiate pazienza, tendo a creare sviluppi abbastanza lentamente >____<
Buona lettura! :)





Cap. 10 Non voglio essere l’Omega


  Era passato ormai un mese da quando il branco MacGregor si era riassestato, recuperando i membri perduti.
Stryker era stato ben contento di accettare le sfide lanciate al momento dell’arrivo del gruppo a New York e aveva sconfitto tutti gli avversari. Dimostrarsi all’altezza del proprio ruolo era qualcosa di fondamentale, per lui.
Non poteva essere da meno di Evan, del figlio del grande Dearan.
  Sin da quando era entrato a far parte del branco, poco più di centocinquant’anni prima, aveva sempre invidiato la posizione del giovane rampollo. Sembrava che tutti pendessero dalle sue labbra e che lui guardasse il mondo dall’alto in basso, con grande godimento.
Qualsiasi cosa facesse, il suo avversario era sempre un passo davanti a lui, in ogni cosa. Ed era stato così anche quando era stato annunciato il fidanzamento con Crystal.
  La ragazza aveva frequentato Dunnottar per un anno, prima che i padri arrivassero all’accordo e Stryker l’aveva desiderata ardentemente ogni singola notte, maledicendo il nome di Evan.
Ora che l’aveva soppiantato nel ruolo di Campione, avrebbe avuto anche la sua donna e si sarebbe goduto ogni momento.
Il pensiero era così allettante che non riuscì a trattenere un sorriso compiaciuto. Lasciò vagare lo sguardo sulla grande distesa di verde che circondava la nuova dimora del branco, pregustando la vittoria.
  Improvvisamente Andrew entrò nel suo campo visivo e questo lo strappò definitivamente alle sue elucubrazioni. Si staccò dal tronco a cui era appoggiato e lo osservò attentamente.
Drew, dal canto suo, fece di tutto per ignorarlo.
Da quando era diventato Campione, Stryker non aveva fatto altro che dargli il tormento. Prima con scherzi idioti, poi con tiri sempre più meschini, fino a quando non era arrivato il primo pestaggio.
  Anzi, no, la prima sfida.
Le dinamiche del branco prevedevano scontri tra i membri come mezzo per testare la propria forza e mantenersi in allentamento. Il problema era che Stryker sembrava avere una malsana predilezione per lui.
  E nessuno, escluso Alastair, aveva mai cercato di offrirsi come sostituto per risparmiargli una sessione di botte gratuite.
Andrew, in quanto licantropo neo nato, non era fisicamente in grado di reggere il confronto con un lupo dell’età e delle dimensioni di Stryker e il tutto si era risolto in due denti rotti e un polso fratturato. Questo la prima volta.
  Poi ce n’erano state altre ed era andata sempre peggio. Senza rendersene conto, Drew era diventato l’Omega personale del Campione e nessuno aveva avuto nulla da ridire. Principalmente perché Stryker era temuto all’interno del branco e perché nessuno (o quasi) provava simpatia per il frutto della vergogna.
Così aveva dovuto iniziare ad allenarsi di nascosto, rubando ogni minuto utile all’interno della sua routine giornaliera. Era riuscito a nascondere la cosa ad Amanda, ma non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere ancora.
“Probabilmente sto per cedere.”, considerò, osservando il suo recente incubo avvicinarsi a grandi falcate. Raddrizzò le spalle ed assunse un’espressione minacciosa, cercando di far capire che non sarebbe stato fermo a farsi pestare.
-Che c’è, Faolàn, vuoi combattere?- lo schermì Stryker. L’appellativo usato per Evan era passato a lui. Sembrava quasi che l’uomo avesse sublimato tutta la sua rabbia su di lui, facendolo diventare la sua nuova valvola di sfogo.
-No.- rispose Drew, fissandolo dritto negli occhi. Sapeva che quella era una provocazione bella e buona ma, se si fosse mostrato sottomesso, sarebbe stato peggio.
L’altro alzò un sopracciglio, divertito dal suo comportamento. –Stai cercando di impressionarmi? Sai che non potrai mai battermi, pivello.- gli disse, assumendo un’espressione minacciosa.
  Avvertendo il pericolo, la bestia di Drew si contorse, bramando la libertà. Il ragazzo non poté fare a meno di emettere un basso ringhio, le zanne in bella vista. Stryker colse l’imbeccata e rispose con un profondo verso di gola.
-Sei morto!
Fu un attimo e i due si ritrovarono avvinghiati in un feroce corpo a corpo, le unghie pronte a lacerare la carne e i denti ad affondarvi.


  Quando sentì bussare alla porta del proprio appartamento, Alastair smise di controllare gli ultimi estratti conti del branco ed alzò la testa, perplesso.
L’odore era quello di Andrew, ma sentiva anche qualcos’altro mescolato al suo sentore di lupo.
Non appena realizzò cosa stesse fiutando, si precipitò ad aprire la porta, spalancandola con un gesto violento.
Drew sobbalzò, colto di sorpresa e restò a fissarlo.
-Mo Dia*… vieni dentro!- mormorò l’uomo, sconvolto. Lo afferrò saldamente per un braccio e lo fece entrare, chiudendo fuori il resto del mondo.
-Giuro che ho provato ad evitarlo in tutti i modi possibili!- si giustificò il nuovo membro. Il tono della sua voce era a metà tra il disperato e l’esasperato.
Alst annuì distrattamente, facendogli inclinare con attenzione il capo all’indietro. –Riesci a vedere bene da entrambi gli occhi?- domandò, professionale. Nonostante non operasse su pazienti umani, Alastair aveva conoscenze mediche accurate, coltivate in anni di studi.
-No… vedo tutto rosso.- dovette ammettere Drew. –Ho un’emorragia?- domandò subito dopo.
Delicatamente, le dita dello scozzese tastarono l’intera circonferenza della testa del giovane, alla ricerca di indizi per la diagnosi.
Ad un certo punto si fermò e ridusse gli occhi a due fessure, arrabbiato. –Hai un trauma cranico abbastanza esteso: il sangue ha rotto i capillari ed è penetrato negli occhi. Mi stupisce che tu riesca ancora a formulare frasi di senso, nonostante tutto.- rivelò.
Andrew sgranò leggermente gli occhi. –Oh… dev’esser stato quando Stryker mi ha colpito. Non sono riuscito ad evitarlo.- mormorò.
-Senti dolore da altre parti?
-Al costato e al menisco sinistro.- disse Andrew.
-Devo immobilizzarti il collo. Il nostro organismo ha capacità rigenerative notevoli, ma non mi sembra il caso di sfidare la fortuna.- si mise a frugare all’interno di un’armadiatura a muro e, poco dopo, ne estrasse un collare rigido. Lo avvolse attorno al collo di Andrew e gli ingiunse di non fare movimenti bruschi. –Il processo di guarigione dovrebbe cominciare a breve: ti farà male, ma sarà un buon segno.
-D’accordo…- biasciò Drew, sentendo la lingua stranamente incollata al palato.
-Non appena ti avrò messo a posto, tu andrai direttamente da Evan, ci siamo capiti? Questo è il limite oltre cui non ti permetto di andare.- ingiunse, strappando la camicia che indossava per poter avere libero accesso al suo torace.
Andrew chiuse gli occhi e poi diede il proprio assenso. Iniziava a sentirsi stordito e il corpo pulsava come se lo stessero bruciando su carboni ardenti. –Alst… inizia a far male… molto…- riuscì a dire. Sentiva il forte impulso di contorcersi e urlare, ma sapeva che l’altro non gliel’avrebbe permesso.
-Devo romperti le ossa, Drew. Se no si rinsalderanno male. Quando avrò finito ti darò una dose di morfina per aiutarti a sopportare il dolore.- lo informò.
Deglutendo, il ragazzo commentò:-Fantastico.
-Tu vedi di non perdere conoscenza, ok?- fu la raccomandazione. Ebbe appena il tempo di annuire con lo sguardo, che l’altro gli ruppe definitivamente l’articolazione del ginocchio, strappandogli un urlo sovrumano. –Rimani fermo!
Fece del suo meglio, aggrappandosi al tavolo, ma gli sembrava d’essere investito ripetutamente da un tir. Era insopportabile e il suo lupo urlava con lui.
-Aiutami, ragazzo, se no rischio di far danni. Ti prego.- la voce di Alastair si fece supplicante, mentre l’uomo continuava nel suo ingrato compito.
Andrew iniziò ad entrare ed uscire dall’incoscienza, preda del dolore. Ora iniziava a capire quale portento fosse l’adrenalina: fino a pochi istanti prima il suo corpo era come immerso in una nuvola d’ovatta.
Ora stava affogando in una vasca di aghi di ghiaccio.


  Si stava chiedendo per l’ennesima volta perché si riducesse sempre a fare la spesa quando il frigorifero gridava vendetta.
Perché non faceva come le persone normali e si recava al supermercato con una frequenza maggiore?
-Perché quando mi metto a cucinare non penso più a niente, ecco perché.- si rispose, sbuffando. Stava trasportando alla belle meglio quattro sporte colme e temeva che si potessero rompere da un momento all’altro, rovesciando tutto il loro contenuto per strada.
Rinsaldò la presa sui manici di plastica e continuò a camminare verso casa, il più speditamente possibile.
  Nonostante fosse uscita mezz’ora prima dal lavoro proprio per riuscire a rifornire la propria dispensa, ci aveva messo due ore a far tutto e si erano fatte quasi le otto.
Dandosi ancora una volta della cretina, Amanda accelerò un po’ il passo, avendo scorto il proprio palazzo tra le chiome degli alberi.
Salutò la sua dirimpettaia, che in quel momento stava uscendo dall’ascensore in compagnia del marito e s’infilò all’interno, sostituendosi alla coppia.
-Oh, meno male!- sospirò, appoggiando le sporte per terra. Si appoggiò alla parete in alluminio ed attese di arrivare al proprio piano.
L’ascensore si fermò con un piccolo sussulto ed Amanda si chinò per raccogliere attentamente tutto quanto. Attraversò la porta, iniziando a cercare mentalmente le chiavi di casa nella propria borsa.
“Dovrebbero essere nella tasca ant…”, si bloccò a metà pensiero e lasciò cadere tutto quello che reggeva tra le mani. –Oddio, Andrew!- esclamò con un singulto.
Davanti a lei Drew se ne stava pesantemente appoggiato ad Alastair, una mano a circondare lo stomaco e la faccia pesta. –Cos’è successo?!- lo raggiunse e gli afferrò con forza il viso, guardandolo dritto negli occhi.
Lui tentò di sorridere, ma non ci riuscì poi così bene. –Mandy… scusa…- mormorò, dispiaciuto.
-Per cosa…?- fece lei, confusa.
-Per essermi fatto scoprire.- spiegò il ragazzo.
La mora allora guardò il suo accompagnatore, ancora più confusa di prima. –Potremmo entrare? Così Andrew può accomodarsi: è ancora in fase di guarigione.- le disse lo scozzese.
Riscuotendosi, la giovane armeggiò con la borsa ed estrasse le chiavi, aprendo subito dopo la porta blindata del suo appartamento. –Accomodatevi pure, arrivo subito!- disse loro, affrettandosi a radunare tutto quello che aveva rovesciato per le scale.
Lo shock era stato tale che aveva mollato la presa senza nemmeno pensarci. Recuperò tutto il più in fretta possibile mentre in testa le frullavano mille e più domande.
  Recuperò anche l’ultima confezione e poi schizzò in casa, chiudendosi la porta alle spalle. Mollò tutto a terra e raggiunse i suoi ospiti, seduti sul suo comodo e un po’ vissuto divano.
Si fermò davanti ad Andrew, senza potersi impedire di osservare le abrasioni e il rigonfiamento attorno all’occhio sinistro.
-Chi è stato…?- chiese con un filo di voce. Le mani avevano iniziato a tremarle, forse per la rabbia o per lo spavento.
-Stryker.- disse solamente Alastair.
Amanda si accigliò. –Il nuovo Campione del branco?
Andrew annuì mestamente, evitando di guardarla negli occhi. Dal suo atteggiamento si poteva capire che si sentiva veramente in colpa per quello che era successo, nonostante non fosse minimamente colpa sua.
-Perché ti ha picchiato, Drew?- s’inginocchiò davanti a lui e gli prese le mani, tentando d’incontrare i suoi occhi chiari. –Lo hai sfidato?
-No, non l’ho sfidato. Ha solamente deciso di farmi diventare il suo punching ball personale.- rispose il giovane lupo con tono amaro.
-Può farlo?!- Mandy guardò con tanto d’occhi Alastair, incredula.
L’uomo sostenne il suo sguardo, apparentemente indisturbato dal tono della sua voce. –No. Non potrebbe. Ma nessuno nel branco vuole farsi pestare al posto di Andrew.- rivelò. –Sono l’unico che si sia messo in mezzo, almeno fino ad ora.
La ragazza sgranò gli occhi, incredula. Doveva restare calma, evitare di avere una reazione spropositata e apparire come una pazza.
“Tutto questo è fuori dal mondo! E loro si definiscono civili?!”, pensò, serrando i pugni così forte che si conficcò le unghie nei palmi delle mani.
-Amanda, calmati per favore.- la mano di Andrew si posò sul suo braccio. Immediatamente il suo calore soprannaturale si propagò fino alla sua spalla, dandole quasi una scossa. Tornò in sé con un brivido e si scusò con gli occhi, dispiaciuta per aver quasi perso le staffe.
Si era ripromessa di non creargli problemi e facilitargli il passaggio dalla vecchia alla nuova vita. Ma era così difficile accettare cose che per lei andavano oltre la comprensione umana!
-E’ proprio per questo che siamo qui.- intervenne Alastair. I due americani si voltarono a guardarlo. –Andrew deve imparare a difendersi, quindi dovrà andare a parlare con Evan.
-Assolutamente.- convenne Amanda.
Il vecchio Beta si alzò lentamente. –Avere una persona così combattiva al fianco ti aiuterà sicuramente, ragazzo.- disse, rivolto al nuovo membro del branco.
-Lo so.- lui abbozzò un sorriso, grato.
-Non viene con noi?- domandò Mandy, perplessa.
-Oh, no. Devo tornare a Wolf’s Pond per evitare di far insospettire Dearan.- replicò. –Non deve sapere che sto aiutando così tanto Andrew, non gli farebbe piacere. E non voglio aggiungere altre ferite a quelle che ha già.
L’uomo li salutò con un rapido cenno della mano e poi uscì dall’appartamento.
-Sicuro che non avrà problemi?- s’informò Amanda, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso.
-Sa quello che fa.- la rassicurò l’amico.
Lei restò in silenzio per un po’, poi gli chiese:-Riesci ad alzarti?
Andrew la guardò dal basso, cercando di decifrare la sua espressione. Quando i loro occhi s’incontrarono, annuì ripetutamente. –Bene, andiamo da Evan.- fu la sentenza finale.


***

  Si era diretta prima verso la pompa di benzina presso cui si riuniva il branco, poi al luogo che Jared si divertiva a chiamare “lupanare”, ma non l’aveva trovato nemmeno lì.
Era ora, eccola davanti al loft che il suo Alfa aveva occupato con la propria compagna. Si trovava in una vecchia fabbrica dismessa, le cui finestre in frantumi sembravano denti rotti. Il colore del mattone, una volta corposo, era ora coperto da uno spesso strato di fuliggine e smog.
Fissando arcigna la scala antincendio che portava ai piani superiori, Emily si affrettò a raggiungere l’edificio. Voleva che quella farsa finisse il più in fretta possibile, così da poter tornare a casa e fingere che fosse tutto come prima.
  Con un agile balzo afferrò la ringhiera e si issò sulla scala, iniziando a salirla rapidamente e silenziosamente. Quando fu in cima non si premurò nemmeno di bussare ed entrò all’interno della fabbrica come un piccolo uragano.
-Jared!- chiamò a gran voce.
Scrutò tutt’attorno, scandagliando le ombre alla ricerca di presenze umane.
Si concentrò sugli odori che percepiva attorno a sé e subito ne individuò uno dolorosamente familiare.
-Mamma!- si sentì esclamare.
Subito dopo un bambino di circa quattro anni le corse incontro, senza curarsi minimamente di dove metteva i piedi. Così facendo inciampò e ruzzolò a terra, finendo con la faccia sul pavimento sconnesso del loft.
Immediatamente Emily s’irrigidì, aspettando la reazione del piccolo.
Lentamente, lui si appoggiò sulle mani e fece leva, sedendosi. La guardò con una strana espressione e poi si rialzò, barcollante e riprese la sua corsa.
La giovane lo accolse tra le proprie braccia, stringendolo con fare amorevole. –Tesoro, come stai?- chiese, tastando freneticamente il suo corpicino nella ricerca di eventuali ferite. Vecchie e nuove.
-Perché non vieni più a casa?- le chiese di rimando lui.
Lei lo scostò delicatamente da sé. –Devo portare a termine un compito, Blake.- tentò di spiegargli. –Poi tornerò da te.- gli promise subito dopo.
-E papà? Io non voglio stare con papà. Il suo nuovo amico mi fa paura.- la guardò coi suoi occhi d’un verde intenso.
-Quale nuovo amico?- fece Emily, confusa.
-Stai parlando troppo, marmocchio.- una mano afferrò il bambino per la collottola, sollevandolo da terra senza nessuno sforzo. Blake si mise immediatamente a scalciare, protestando.
Emily balzò in piedi. –Jared! Lascialo andare!- ordinò, ringhiando in segno d’avvertimento.
-E perché dovrei? È mio figlio.- replicò lui, sollevando un sopracciglio con fare provocatorio. Sapeva di avere il coltello dalla parte del manico e ogni volta non faceva che ricordarglielo.
“Ti detesto. Vorrei tanto che tu potessi marcire in prigione o in qualsiasi altro posto, basta che sia lontano da qui.”, pensò con astio. –Perché mi hai chiamata?- chiese invece.
-Perché non stai facendo il tuo lavoro.- fu la risposta.
La lupa arretrò leggermente. –Non è vero. Ti sto dando tutte le informazioni di cui sono a conoscenza.- tentò di protestare. Ma sapeva benissimo che non era così.
Da quando aveva iniziato a convivere con Evan e David, la meschinità del piano di Jared le era diventata ancora più chiara e spesso si detestava per quello che stava facendo. Nonostante le sue fossero ottime motivazioni.
-Davvero? Be’, io e il mio ospite non siamo contenti.- replicò l’uomo. Solo in quel momento Emily si rese conto della presenza di un’altra persona.
Voltò la testa di scatto e cercò d’individuare lo sconosciuto. Percepì la sua aura a poca distanza, ma non seppe calibrarla. –Chi sei?- domandò, spaventata. Solo un licantropo molto vecchio poteva modulare a quel modo il proprio potere.
-Sarò un tuo problema, se tu non deciderai di collaborare seriamente.- la voce di Rodrick riverberò per tutto l’open space, amplificata dalle superfici di metallo.
-Io sto…!
-Facciamo così.- Jared la interruppe, attirando la sua attenzione. –Tu ci dici quello che vogliamo sapere e io non rinchiuderò Blake in una gabbia per il resto dei suoi giorni, lasciandolo morire di fame. Ci stai?- il sorriso mellifluo che si dipinse sul suo volto le diete il voltastomaco.
-Mamma…!- piagnucolò il piccolo, ancora coi piedi per aria.
-Bastardo.- sibilò Emily tra i denti.


***

-Questa è la seconda volta che vengo qui e rimango della mia idea: sembra tutto fuorché il rifugio di tre licantropi.- commentò Andrew, osservando il palazzo di quattro piani realizzato con mattoni faccia a vista rosso scuro.
-Be’, cosa ti aspettavi? Un vecchio castello?- chiede Amanda, divertita dalla sua osservazione. Se aveva la forza per fare del sarcasmo, allora si stava riprendendo.
-No. Ma una vecchia fabbrica si sarebbe spostata meglio con la loro immagine di creature leggendarie.- commentò. –E’ una visione un po’ stupida, vero? Dovrei quasi sentirmi offeso dai miei stessi pensieri.
Lei gli battè una mano sulla spalla. –Ma no, dai. È normale: sei cresciuto credendo che fosse tutto frutto della fantasia. Però… forse non dovresti parlarne davanti agli altri. Potrebbero prenderla sul personale.- gli disse.
-Mhm… non saprei. Non sono ancora riuscito a farmi un’opinione su di loro, sai?- ammise.
-Nemmeno io, ma sono sicura che ti aiuteranno.- gli sorrise, incoraggiante.
All’udire quelle parole, Andrew sembrò ricordarsi improvvisamente del motivo per cui si trovavano lì e prese a guardarsi intorno con circospezione. –Meglio entrare. Non vorrei attirare troppe attenzioni.- mormorò, accennando ad alcune persone dall’altro lato del parco.
Mandy s’arrischiò a gettare un’occhiata oltre la propria spalla, ma poi lo seguì all’interno dell’atrio del palazzo, attraversando senza indugio la lama di luce che entrava dal sopraluce del portone.
Salirono rapidamente le tre rampe di scale e si ritrovarono davanti alla porta appena ridipinta dell’appartamento in cui vivevano i tre licantropi.
  Fu Andrew a bussare.
Attesero per parecchi minuti, cercando di capire come mai nessuno si presentasse ad accoglierli. Drew tese persino l’orecchio, provando a captare qualcosa.
Improvvisamente si raddrizzò e si fece indietro.
-Arrivo, arrivo… dannazione!- un David molto più che irritato venne ad aprire loro la porta.
I due sobbalzarono, colti di sorpresa dal suo tono di voce.
-Cosa volete?- domandò in tono rude.
-E’ un brutto momento?- domandò Amanda.
Dave li fissò per qualche istante, poi sospirò. –No… scusatemi. Non volevo prendermela con voi. Ho una scadenza imminente e, quando succede, divento peggio di un lupo con le pulci.- si scusò, facendo loro segno d’entrare.
-Scadenza di che tipo?- chiese la ragazza, curiosa. Lei sapeva poco e niente di quei tre mutaforma e le sarebbe piaciuto poter… be’, creare un rapporto d’amicizia, magari.
Ok, forse pensare una cosa del genere era assurdo, considerato come avrebbe reagito Frances se solo lo fosse venuta a sapere.
Ma non poteva impedirselo: stava lentamente entrando a far parte di quel mondo.
-Andrew, cosa ti è successo?- David richiuse la porta, fermando lo sguardo sul volto del giovane ed ignorando la domanda che gli era appena stata fatta.
-E’ per questo che sono qui. Evan non è in casa?- replicò quello, guardandosi rapidamente attorno.
L’inglese scosse la testa. –No, è ancora in centrale.
-Possiamo aspettarlo qui?- s’arrischiò a chiedere Drew. Non sapeva fino a che punto la scadenza della consegna avesse reso David scorbutico.
-Fate come volete. Io devo tornare a lavorare, mi dispiace.- liquidò la questione lui. –Non appena avrò finito tornerò ad essere una persona normale e potremo parlare.- aggiunse, scomparendo poco dopo dietro una porta.
Andrew ed Amanda si scambiarono un’occhiata perplessa, chiedendosi cosa dovessero fare in quel frangente. Andarsene e tornare qualche ora dopo? Oppure aspettare come aveva detto di far loro David?


  Alla fine avevano deciso di aspettare.
David non era più riemerso dal proprio studio, anche se ogni tanto si sentivano delle imprecazioni in quello che sembrava inglese antico.
-A quanto pare il cliente dev’essere esigente.- commentò Amanda all’ennesimo impropero. –Non lo facevo tipo da turpiloquio.- aggiunse subito dopo.
-Credo che questo sia un caso particolare.- convenne Andrew.
Mentre si scambiavano occhiate stranite, David ricomparve in soggiorno. Si mise a girovagare per la cucina, aprendo ante e cassetti come se fosse reduce da un digiuno forzato.
-Perché non c’è niente da sgranocchiare?- brontolò ad un certo punto.
Mandy lo seguì con lo sguardo mentre portava avanti la sua ricerca, l’espressione a metà tra l’imbronciato e l’arrabbiato. Era divertente, da un certo punto di vista, ma si impedì in tutti i modi di ridere.
  Avrebbe potuto reagire molto male.
Riemergendo da dietro l’isola della cucina, Dave concesse loro una rapida occhiata prima di dirigersi nuovamente verso il proprio inferno personale.
Osservandolo sparire per l’ennesima volta, la giovane si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa.
-Perché quell’espressione?- le chiese Andrew.
-Ho un’idea.- mormorò lei.
L’amico la guardò stranito. –Di che genere? Che vuoi fare?
-Be’… David cercava qualcosa da mangiare. Che ne dici se preparassimo qualcosa per lui e gli altri? D’altronde è ora di cena, ormai.- propose.
Drew spalancò gli occhi, stupito. –Ma non siamo a casa nostra, Mandy! Non metter naso in faccende che non ti riguardano!- la rimbeccò, preoccupato che potesse cacciarsi nei guai da sola. Non avevano tutta quella confidenza coi loro ospiti, anzi.
-Qualcosa di semplice. Fa sempre piacere trovare del buon cibo a tavola.- tentò di convincerlo. Una vocina nella sua testa le stava dicendo che quello poteva essere un buon modo per socializzare. E anche per far tornare il buonumore a David.
-Oddio…- il giovane licantropo si portò una mano alla testa in un gesto sconsolato. –Mi caccerò in altri guai, lo so. Come se non ne avessi già abbastanza…
-Tu puoi anche non fare nulla. Anzi, no, puoi apparecchiare.- Mandy balzò in piedi, raggiante. Per lei ogni occasione era buona per cucinare e se fosse riuscita ad unire l’utile al dilettevole, si sarebbe sentita completamente realizzata.
Anzi, si sarebbe sentita utile. E lei voleva essere utile ad Andrew.
-Sei proprio sicura?- chiese lui, per nulla convinto. Alla conferma dell’amica prese un profondo respiro e si alzò lentamente, stando attento a non fare movimenti bruschi. Nonostante il trauma cranico si fosse ormai riassorbito, le altre ferite continuavano a dargli noia, soprattutto quella al torace.
-Sicuro di riuscire a reggerti in piedi?- Amanda si bloccò di colpo, le mani pronte a legare i capelli in una crocchia disordinata.
Sorridendo per quella premura, l’altro annuì. –Io apparecchio, però tu vedi di non fare disastri, mi raccomando.


***

-Non mi fido di quella lupa.- commentò, lasciando vagare lo sguardo oltre i tetti dei palazzi.
Trovarsi in una città fatta di cemento lo straniva ancora, dandogli un senso di soffocamento che non riusciva a scacciare. Lui aveva vissuto tutta la sua vita in mezzo alle colline della Scozia, tuttalpiù in qualche piccolo paese con le case di pietra e i tetti di paglia e non era abituato a quel paesaggio urbano.
-Farà quello che le ho detto.- assicurò Jared.
Rodrick gli lanciò un’occhiata, soppesando la sua espressione soddisfatta. –Cosa te lo fa pensare?- chiese.
-Il marmocchio.- fu la risposta.
-Stai usando tuo figlio come merce di scambio. È riprovevole.- la sua voce si abbassò di un tono.
-Come se tu fossi estraneo a questi metodi.- replicò l’altro, infastidito dal rimprovero.
“Io ho consegnato mia figlia senza riserve. Ho soddisfatto il suo desiderio, augurandole ogni bene.”, pensò, tentando di bloccare i ricordi che volevano riaffiorare. –Non ho mai usato metodi del genere coi miei familiari.- disse, riscuotendosi.
Jared diede in una scrollata di spalle, mostrando quanto poco gliene importasse. –In ogni caso, funzionerà.
-E non credi sia meglio mandare dei lupi a sorvegliare il perimetro? Giusto per avere informazioni più accurate di quelle di una madre che sta tentando di proteggere la propria prole.- propose, fissandolo direttamente negli occhi e sfidandolo a ribattere.
L’Alfa dei Blacks s’indispose. –L’ho già fatto, vecchio! Mi credi così sprovveduto?!- ringhiò.
Rodrick allora sollevò le mani, dandogli definitivamente la schiena. –Allora non dobbiamo fare altro che aspettare. Ma se il tuo piano dovesse fallire, metterò in atto il mio.- disse, sfiorando pensoso la torque d’oro massiccio che portava al collo.
“Tra poco sarai libero, mio vendicatore.”, promise lo scozzese.
“Attenderò con impazienza quel giorno.”, rispose una voce remota, ultraterrena.


***

“Un’altra giornata è finita. Inizio ad abituarmi a lavorare in un distretto così affollato.”, ragionò posteggiando la moto in garage e liberandosi subito dopo del casco. Non che avessero avuto molto da fare, da quando aveva iniziato a lavorare a New York. L’operazione più pericolosa era stata una retata nei pressi di un locale gestito da alcuni licantropi.
Richiuse la basculante, archiviando quei pensieri ed entrò nell’atrio del palazzo, iniziando a salire le scale con fare sicuro.
“Qualcosa sembra andare nel verso giusto…”, considerò, infilando una mano in tasca ed estraendone le chiavi di casa. “Ho bisogno di una doccia.”, ragionò, percependo un forte odore di smog impigliato tra i propri capelli.
Fece una smorfia ed aprì la porta di casa. Non si annunciò: non ne aveva bisogno dato che viveva con altri due licantropi.
Appese le chiavi e, quando si voltò per dirigersi in cucina, si bloccò sul posto.
-Cosa sta succedendo…?- esordì, dando alle parole una cadenza europea molto marcata. Alla sua domanda, Amanda sobbalzò e per poco non lasciò cadere quello che aveva tra le mani. La raggiunse e si appropriò della pentola, poggiandola in un posto sicuro.
Le lanciò un’occhiata e poi guardò anche Andrew, ancora più perplesso. –Che ci fate qui? Cosa sta facendo David?- chiese, cercando di capire.
“Perché ci sono due ospiti non invitati in casa mia?”, si chiese. Non gli piacevano particolarmente le sorprese, perché non poteva prevederle e spesso mandavano all’aria i suoi piani.
-David sta lavorando nello studio.- spiegò Drew, indicando con un cenno del capo il corridoio. Evan annuì rapidamente col capo e poi spostò lo sguardo su Amanda. –Perché sei in cucina? Chi ti ha detto di cucinare?- volle sapere.
Lei dovette piegarsi all’indietro per poterlo guardare in faccia e, quando l’ebbe fatto, abbassò immediatamente gli occhi. –Mi dispiace. Non pensavo…- iniziò, sentendosi tremendamente stupida. Poteva sentire nella testa la voce di Andrew che le diceva “te l’avevo detto”.
Aveva le guance in fiamme ed era sicura che anche Evan se ne fosse pienamente accorto.
Il giovane scozzese percepì un forte cambiamento nell’odore della ragazza, ora trasfigurato dalla paura. S’irrigidì, colpito dalla sua reazione e sì, anche un po’ infastidito.
-Non ho mai morso nessuno senza un motivo. Spiegatemi cosa stavate facendo.- ordinò, perentorio.
  Andrew fece per parlare, ma Amanda lo precedette. –E’ colpa mia. Ho proposto io ad Andrew di cucinare. Siamo venuti qui per parlare con te, ma ci ha accolti David. Visto che era nervoso per la sua scadenza e sembrava aver fame, ho pensato di cucinare per voi.- infilò le parole una dietro l’altra, evitando di guardare direttamente il suo interlocutore.
Se avesse potuto si sarebbe scavata una fossa a mani nude, per sprofondarci il prima possibile.
Ora confuso, Van replicò:-Non capisco il nesso tra tutte queste cose.
-Be’… nella mia famiglia stare insieme a tavola è una tradizione. Condividere un pasto è una bella cosa e riesce a cambiare l’umore delle persone, rendendole felici. Ci si sente parte di qualcosa, considerati.- tentò di spiegarsi. “Quante idiozie, Amanda! Smettila di blaterare!”, si disse, furiosa con se stessa.
-Probabilmente voi avete altre abitudini. Non volevamo intrometterci.- si scusò a sua volta Andrew, vedendo quanto l’amica fosse in difficoltà. Non percepiva ostilità da parte di Evan, solo parecchia confusione, ma era sempre meglio prevenire che curare.
-Se a David sta bene, io non ho niente da obiettare.- risolse infine lo scozzese. In verità, vedere la giovane ai fornelli, tutta presa dalla ricetta a cui stava dando vita, l’aveva colpito come un pugno sferrato in pieno petto.
  Non sapeva bene perché, ma aveva provato una forte contrazione allo stomaco ed era stato assalito dalla nostalgia. I ricordi dei pasti preparati da sua madre gli affollarono la mente, aggredendolo con forza fisica.
Digrignò i denti, costringendosi a ricacciarli indietro, nel limbo in cui li aveva relegati.
-Ma a te sta bene?- la mano di Amanda gli sfiorò il braccio, leggera. Si ritrasse di colpo, facendola spaventare. –Non volevo…
Si fissarono per qualche istante, ognuno con gli occhi fissi sull’altro. -Scusatemi.- disse Van, prima di uscire rapidamente dalla finestra ed arrampicarsi sulla scala antincendio, diretto verso il tetto.
I due si scambiarono un’occhiata, confusi dal comportamento del giovane MacGregor.


  Si stiracchiò pigramente, sbadigliando.
-Ho finito, finalmente!- David lasciò uscire un sospiro di pura soddisfazione. Guardò il risultato delle sue quattro ore di lavoro e terminò di salvare il file.
Poi, abbassato lo schermo del portatile, si rese conto di percepire un odore insolito. Soprattutto perché lui non era in cucina.
“Chi sta cucinando?”, si chiese, lanciando una rapida occhiata all’orologio appeso al muro. “Che Evan si sia messo a preparare qualcosa? Nah!”, arricciò il naso, abbastanza sicuro di aver appena pensato una cosa impossibile.
Curioso, oltrepassò la soglia e si diresse verso la zona giorno. Una volta lì scoprì che la causa di quel buon profumo era Amanda. Restò a fissarla a bocca aperta, senza credere ai propri occhi.
-M-ma…?
Andrew fu il primo a notare la sua presenza e balzò in piedi, scostandosi dal divano su cui si era accomodato. –David!- esclamò.
-Ragazzi, ma che succede? Io vi avevo lasciato ad aspettare, non vi ho detto di cucinare!- fece, stupito. Oppure aveva detto qualcosa in merito?
Nuovamente Amanda si ritrovò ad arrossire. –E’ stata una mia idea. Pensavo vi avrebbe fatto piacere…- si giustificò.
Dopo qualche istante di silenzio, Dave si aprì in un sorriso. –Sei da sposare!- esclamò, avvicinandosi per ispezionare il contenuto delle pentole. –E sembra tutto ottimo!
-G-grazie…- mormorò lei, colta in fallo dalla sua reazione positiva. Si era aspettata un’altra non reazione come quella di Evan o peggio.
Lanciò un’occhiata a Drew e lo vide rilassare leggermente le spalle.
-Evan? Sento il suo odore…
Andrew alzò gli occhi al soffitto. –Di sopra. Credo si sia offeso.- ammise. –Io però sarei qui per una questione importante e dovrei parlarci.
Solo in quel momento David sembrò riprendere completamente contatto con la realtà e si avvicinò a grandi passi, preoccupato. –Ti hanno sfidato in un combattimento?!- domandò, analizzando visivamente tutte le sue ferite.
-Sì.- sospirò l’americano.
-A giudicare dai danni, posso immaginare chi sia l’artefice.- commentò, facendosi improvvisamente fosco. –Quel bastardo!
-E’ per quello che ho bisogno di Evan. E’ stato Alastair a dirmi di venire da lui.- confermò.
“Sali sul tetto.”, la voce dello scozzese rimbombò improvvisamente nella testa di entrambi i lupi. Andrew per poco non urlò per lo spavento, mentre Dave si limitò ad una smorfia.
-Ogni tanto si diverte a fare questi giochetti mentali.- commentò il moro con tono di rimprovero.
Drew ridacchiò, dandosi un contegno. –Non importa. Dovrò abituarmi, prima o poi. Io salgo… ci vediamo tra un po’.- disse.


  L’aria fresca lo investì non appena mise piede oltre la balaustra di protezione.
Non era una sensazione spiacevole, ma iniziavano a sentirsi le prime avvisaglie dell’autunno, quello piovoso e grigio.
Fortunatamente la sua temperatura corporea lo avrebbe protetto bene anche in caso di impreviste bufere di neve.
  Individuò immediatamente Evan, seduto sulla cabina dell’ascensore. Anche volendo, comunque, non avrebbe potuto ignorare la sua presenza: la sua aura aveva un potere attrattivo non indifferente, nonostante lui cercasse sempre di mantenerla al minimo.
-E’ stato Stryker, vero?- esordì lo scozzese.
Andrew sussultò. –S-sì…- confermò. Doveva smetterla di stupirsi ogni qualvolta uno di loro mostrava le proprie capacità soprannaturali.
Era a sua volta un licantropo, non poteva aver paura della sua stessa natura.
-Fammi vedere.
Senza farselo ripetere, il giovane aggirò la cabina e gli si pose davanti, il viso sollevato per farsi osservare senza impedimenti. Evan analizzò con occhio critico le ferite in via di guarigione poi, non contento, balzò giù e gli girò attorno.
-Mhm… riconosco il suo stile. Ma, a quanto vedo, ci è andato giù pesante.- commentò alla fine, fermandosi davanti al suo interlocutore. –Lo hai provocato?
-No!- esclamò Andrew. –Assolutamente.
La sua risposta stranì lo scozzese, che però non disse nulla. –Spiegami quello che sta succedendo.
Abbassando momentaneamente gli occhi chiari, Drew cercò di raccogliere le idee. Voleva essere il più esaustivo possibile, facilitando il compito ad Evan.
Alla fine gli ci volle una mezz’oretta buona per raccontare tutto quello che era successo dalla nomina di Stryker. L’espressione del suo interlocutore era andata peggiorando di minuto in minuto.
-Non posso crederci. Dato che non può battermi, ha deciso di rifarsi su di te!- ringhiò, sentendo la bestia dentro di sé agitarsi. Strano ma vero, sentiva della rabbia dentro di sé. Rabbia vera, genuina, bruciante.
Non gli capitava da tantissimo tempo, ormai.
A quanto pareva New York stava cercando di tirar fuori a forza il vecchio Evan, quello in contatto col mondo e con le proprie emozioni, pronto a scontrarsi contro tutto e tutti.
-Il suo modo di vedere le cose è sicuramente sbagliato, ma non posso farci niente, purtroppo.- gli fece notare Andrew. –Non voglio sminuire quello che c’è tra te e Stryker, sul serio… ma a me interessa principalmente poter sopravvivere ai suoi pestaggi.- concluse.
Van gli lanciò un’occhiata coi suoi strani occhi dai riflessi d’ametista e poi sentenziò:-Hai ragione. Non è colpa nostra se la stupidità colpisce chi ci sta vicino.
Quel commento strappò un sorriso al giovane americano, alleggerendo al contempo l’atmosfera. –Pensi che possa farcela o sarò costretto a prenderle all’infinito?- domandò.
-Hai una buona struttura fisica. Se vuoi posso allenarti, ma credo che il miglior aiuto che io possa darti sia dirti dove colpire.- rispose.
-Stryker ha un punto debole?- Drew lo guardò stupito, non credendo alle proprie orecchie.
Evan si appoggiò alla balaustra, dando le spalle alla città sottostante. –Sì.- confermò. –La sua guardia ha un angolo cieco, ma è difficile notarlo. Il suo occhio destro è parzialmente danneggiato: se non ricordo male perché fu ferito da un cacciatore molto tempo fa.
-Ferito? E con cosa?- fece Andrew, avido di sapere.
-Con uno stiletto la cui lama era stata immersa nell’estratto velenoso di strozzalupo. Credo gli ci sia voluto più di un mese per espellere le tossine ma, nonostante ciò, la sua cornea è rimasta permanentemente danneggiata.- continuò.
“Quindi posso batterlo…?”, si chiese speranzoso il ragazzo. Il pensiero lo esaltò parecchio, ma il dubbio arrivò subito a smorzargli l’entusiasmo. –Ma… ma lui è consapevole di questa cosa, giusto? Questo vuol dire che non si scoprirà mai sul lato destro.- osservò.
Evan sollevò un angolo della bocca. –Giusta osservazione. È vero, sa di avere quel problema, ma non può controllarlo appieno.- rispose. –Se riesci a batterlo in velocità, non riuscirà a parare il colpo.
  Andrew meditò su quanto gli era appena stato detto. Batterlo in velocità… sì, forse poteva riuscirci. Avrebbe dovuto allenarsi come un disperato, gareggiare con gli altri per migliorare le proprie prestazioni nella corsa.
-Perché è stato ferito con uno stiletto…?- chiese ad un certo punto l’americano.
Il suo interlocutore si concesse un sogghigno. –L’arma delle donne. Facile da maneggiare e facile da celare. Stryker ha tirato la corda con la persona sbagliata e lei si è rivelata una cacciatrice.- disse.
-Ah. Non l’avrei mai immaginato.- commentò Andrew.
-Ha sempre avuto un certo appetito.- Van scrollò le spalle a dimostrare che la vicenda non l’aveva toccato più di tanto.
Dopo quelle parole rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri. Gli occhi di entrambi, però, fissavano il cielo sopra la città, spoglio e di un blu intenso.
-Posso chiederti di allenarmi?- Drew fu il primo a rompere il silenzio che si era creato.
-Farò quello che potrò nei momenti in cui non dovrò lavorare.- rispose.
“Spero vivamente che basti.”, pensò l’altro. –Farò in modo che nessuno lo scopra.- promise, ben sapendo a che generi di guai sarebbe andato incontro se Dearan l’avesse scoperto. Non si potevano intrattenere rapporti coi lupi esiliati.
-Mi pare il minimo.- replicò Evan, lanciandogli un’occhiata.
Dopo una breve esitazione, Andrew disse:-Io scendo a mangiare qualcosa. Ti unisci a noi?
Lo scozzese gli diede le spalle, incrociando le braccia davanti al petto come se avesse freddo. –Forse più tardi…- mormorò.
Drew gli dedicò un’ultima, lunga occhiata e poi si avviò di sotto. Non capiva il modo di ragionare di quell’uomo, ma sperava di poter arrivare a farlo, un giorno.
  Dopotutto, gli doveva la sua seconda vita.


*Mio Dio

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Capitolo 12
*** Cap. 11 Opinioni diverse ***


Cap. 11 Opinioni diverse
Prime scintille tra Evan e Amanda!! Di che tipo, non ve lo dico :P
E qualche informazione sul passato dei nostri lupi... anche se Van continua a rimanere abbastanza criptico.
Buona lettura e Buona Pasqua!! :)





Cap. 11 Opinioni diverse



-Suggerisco di dare una piccola dimostrazione di forza al nostro sorvegliato speciale. Giusto per fargli capire che deve guardarsi le spalle.- disse la voce al telefono.
L’uomo fissò l’edificio davanti a sé, scrutando attentamente tutte le finestre e le sagome che si intravvedevano oltre i vetri. –D’accordo. Cosa devo fare?- chiese.
-Se dipendesse da Rodrick, dovresti star lì buono e fermo a raccogliere informazioni. Io non ne vedo la necessità: sappiamo la cosa fondamentale, ossia dove abitano.- rispose il suo interlocutore. La linea restò muta per qualche istante, poi quello aggiunse:-Ferisci la prima persona del branco che uscirà dall’edificio.
Il licantropo sollevò un angolo della bocca, pregustando l’azione. –Non vedo l’ora di mettermi all’opera. Quanto devo essere convincente?
Jared ci meditò su qualche istante. –Abbastanza, ma non uccidere nessuno. Non ancora.- decise.
-D’accordo. Ti chiamo appena ho finito.- asserì e poi chiuse la chiamata, facendosi scivolare il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Appuntò lo sguardo sull’infilata di finestre del terzo piano e si mise in ascolto, sfregandosi le mani con soddisfazione.


  Emily era arrivata ad un orario imprecisato tra le otto e trenta e le nove e mezza.
Quando aveva messo piede in casa si era bloccata immediatamente, stupita di ritrovare degli ospiti nell’ampia zona giorno.
-Ehm… buonasera.- salutò, dopo essersi ripresa dalla sorpresa. Amanda ed Andrew la salutarono con un gesto della mano ed un sorriso. –Sta succedendo qualcosa di cui non sono stata informata?- chiese lei poco dopo aver risposto al saluto.
-No. Cioè, sì, ma è una questione tra Drew ed Evan. Non ti preoccupare.- le rispose David., abbozzando un rapido sorriso. Amanda non poté fare a meno di notare l’improvvisa rigidità della sua postura, come se d’improvviso non si trovasse più a proprio agio.
La considerò una reazione alquanto strana, considerato che l’inglese si trovava al sicuro in casa propria.
  La giovane soppesò la risposta per qualche istante, poi annuì e si tolse la giacca di pelle, appendendola nell’ingresso. –Vedo che vi siete organizzati una bella cenetta.- commentò, avvicinandosi al tavolino basso che campeggiava tra i divani.
Non avendo abbastanza posti per tutti, Andrew aveva proposto di sedersi per terra, appoggiati ai cuscini. David l’aveva guardato scandalizzato, ammettendo di non aver mai mangiato seduto per terra, se si escludevano le abbuffate in forma lupina.
-Vuoi farci compagnia o hai già mangiato…?- le domandò Amanda, in attesa. Essendo l’unica ragazza nei paraggi ed essendo licantropa, sperava di poter legare con lei e trovare un sostegno femminile per i momenti difficili.
  Avrebbe avuto un parere femminile in merito alle dinamiche di un mondo che le era ancora largamente sconosciuto. E non le sarebbe dispiaciuto fare amicizia con lei.
Da quel poco che aveva visto, sapeva sicuramente come difendersi ed era quasi certa che la sua facciata un po’ ruvida nascondesse una più profonda sensibilità.
Il movimento di Emily la strappò ai suoi pensieri e poco dopo se la ritrovò seduta di fianco, vagamente impacciata. –Cos’avete cucinato?- domandò l’americana.
-Ha fatto tutto Amanda.- confessò David, alzando le mani per indicare che lui non c’entrava nulla.
Gli occhi della ragazza scintillarono brevemente. –Oh, davvero? Complimenti! Io sono negata in cucina.- si complimentò, ammirata. Be’, più che altro non si era mai cimentata veramente, anche se ultimamente sentiva il forte desiderio di essere più affidabile… più materna nei confronti del piccolo Blake.
La mora arrossì vistamente. –Be’… è una passione che ho fin da quando andavo alle superiori. Però non è così difficile: basta applicarsi…- farfugliò, non sapendo bene come gestire quello sfoggio di entusiasmo. I primi tempi aveva sempre qualche difficoltà a rapportarsi con gli altri, doveva abbassare lentamente gli scudi protettivi della sua corazza e quello richiedeva un po’ di tempo.
-Mandy, ti ricordo che c’è gente irrimediabilmente negata. Pratica o meno.- le fece notare Andrew. I due si guardarono negli occhi e ridacchiarono, ben sapendo a chi si stesse riferendo il ragazzo.
-Io non rientro nella categoria.- dichiarò David, orgoglioso delle proprie capacità. La serietà con cui lo disse, però, fece scoppiare a ridere tutti gli altri. Lui restò a fissarli per qualche secondo, interdetto, poi si unì a loro.


   Come dolce Amanda aveva preparato delle deliziose coppette di gelato, guarnite con mascarpone e riccioli di cioccolato. Inutile dire che erano state un successo.
“Potrei prepararle per Blake.”, meditò Emily, prendendo l’ultima cucchiaiata ed assaporandola a fondo. Da quando era entrata nel branco di Evan aveva evitato in tutti i modi possibili di pensare al suo tenero bambino perché sapeva di dover rimanere concentrata.
Generalmente riusciva ad esercitare un buon controllo sulle proprie emozioni, ma quando si trattava di quello scricciolo dagli occhi verdi, le cose finivano sempre per complicarsi. Dove prima comandava il cervello, improvvisamente il cuore arrivava a dar battaglia.
In più, il pensiero di Blake le portava alla mente ricordi recenti della sua vita che stava cercando di seppellire bene in profondità.
  La situazione in cui si era cacciata era assurda, ma non poteva fermarsi o sarebbe stata perduta. Poteva solo andare avanti e sperare di portare a termine il compito che le era stato assegnato il più in fretta possibile.
-Emily? Tutto bene?- una voce familiare la riportò alla realtà.
Quasi sobbalzando, smise di rimescolare i rimasugli di gelato nella coppetta e sollevò lo sguardo. –Sì… ero sovrappensiero.- ammise, imbarazzata.
-In questo periodo sei un po’ assente. Ascolti, parli con gli altri, ma i tuoi occhi sono spesso altrove.- osservò David, scrutandola attentamente. –C’è qualcosa che non va?
Non sapendo bene come comportarsi in casi come quello, la giovane mise un po’ di distanza tra sé ed il proprio interlocutore, cercando al contempo di riorganizzare le idee. Alla fine, optò per una risposta spiazzante, molto vicina al suo modo di fare abituale. –Stavo facendo i conti per il mio ciclo mensile. Sai quanto le donne diventino paranoiche, in questo frangente. Sono un po’ preoccupata.- buttò lì.
David sbatté le palpebre qualche volta, a disagio. Poi sembrò riprendersi e, buttandola sul ridere, chiese:-Dovremmo preoccuparci? Il branco potrebbe crescere?
Emily si concesse una smorfia. –Oh, no, non credo proprio.
Il riccio però non si diede per vinto e continuò a scrutarla per parecchio tempo, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro o se stesse tentando di mantenere un qualche segreto.
-David… per favore.- gli disse ad un certo punto lei.
Lui sospirò. –D’accordo. Scusa. Affari tuoi.- si scostò, raddrizzandosi e portando i piatti sporchi in cucina, dove Amanda ed Andrew si stavano allegramente dedicando a riordinare.
  Non era assolutamente convinto e le lanciò un’occhiata di sottecchi, cercando di non farsi notare. Peccato che anche lei stesse facendo lo stesso. I loro sguardi s’intercettarono per poi sviarsi subito dopo.


  Avevano rimesso tutto a posto e la cucina sembrava ancora più in ordine di quando l’avevano appena comprata. Almeno, quella era l’impressione che dava a David. -Amanda, potrei assumerti come aiuto cuoca?- chiese, scherzosamente.
Lei sbatté le palpebre qualche volta, perplessa. –Ehm… credo sia un po’ complicato…- ammise.
Vedendo la sua espressione, l’inglese ridacchiò. –Stavo scherzando. Sono quasi certo che Evan non vorrebbe altra gente per casa.- la rassicurò.
-Perché?- chiese lei, lanciando un’occhiata alla zona giorno.
Andrew ed Emily stavano seguendo una partita di baseball in televisione. La licantropa si era rivelata un maschiaccio e ben presto lei e Drew si erano messi a parlare fitto di sport. Amanda aveva sorriso, lieta che l’amico potesse distrarsi.
“Io non me ne intendo molto, purtroppo…”, pensò, osservando pensierosa il lanciatore appena inquadrato.
-Amanda? Mi stai ascoltando?- David la riportò alla realtà.
-Come?! Oddio, scusa, mi ero persa nei miei pensieri.- disse, mortificata.
Dave ridacchiò. –Non importa. Sembra che voi donne siate distratte, in questo periodo.- osservò. –Comunque, mi avevi chiesto di Evan…
Facendosi attenta, la giovane annuì.
-Be’, lui è un uomo tendenzialmente molto schivo e meno persone invadono il suo territorio personale, meglio è.- rivelò, sospirando. –E’ sempre stato così.
-Anche quando vi siete conosciuti?- domandò.
-Sì.- sorrise l’altro. –Anche se all’epoca era lui quello a cercare la mia compagnia… ma solo perché voleva che evitassi di fare qualcosa di stupido.- spiegò.
Mandy aggrottò le sopracciglia, perplessa. –Non mi sembri tipo da fare “qualcosa di stupido”.- considerò.
-Oh… ho avuto molto tempo per trovare un equilibrio.- assicurò, divertito dalla sua espressione stupita. –Sono al mondo da un po’ di tempo.
-Posso chiederti da quanto?- azzardò lei.
-1839.- rivelò.
A quella scoperta, la giovane non poté fare a meno di rimanere a bocca aperta. Poi, rendendosene conto, la coprì con una mano, mugugnando una scusa per la sua reazione. Andrew sembrava non aver sentito, perché non si era minimamente scollato dal televisore.
-Sono vecchio, eh?- scherzò il riccio.
Lei annuì, poi scosse la testa. –No… cioè… insomma… siete tutti così… così antichi, nel branco?
-Oh, sì. Io ed Evan facciamo parte dei giovani, tra l’altro.- rispose, sempre divertito dal modo in cui stava reagendo. Era ammirevole (ma anche un po’ buffa), perché cercava di non mostrare la propria incredulità, rischiando così d’offendere qualcuno.
-Noi vi dovremo sembrare così… stupidi.- mormorò dopo un po’, tenendo lo sguardo basso.
-Stupidi? Perché?
Amanda arrischiò una rapida occhiata coi suoi occhi verde acqua. –Per come ragioniamo, per l’impulsività che ci caratterizza… perché organizziamo cene senza chiedere il permesso ai padroni di casa…- terminò il discorso iniziando a torcersi le mani con forza.
David provò un’inspiegabile tenerezza nei suoi confronti. –Puoi salire a parlare con lui, se senti il bisogno di scusarti.- le suggerì.
-Non vorrà sicuramente starmi a sentire.- replicò lei, convinta.
-Mi sembri una persona abbastanza perseverante. Sono sicuro che riuscirai ad ottenere la sua attenzione.- le fece l’occhiolino, incoraggiante.
Anche se non era pienamente convinta, Mandy decise di accettare il suggerimento. Fece un rapido cenno del capo ed afferrò un piatto avvolto in carta stagnola. Poi si avviò alla finestra, scomparendo poco dopo sulle scale antincendio.
Andrew, vedendosela passare davanti, smise di seguire la partita e si voltò verso David, interrogativo.
-E’ andata a chiedere scusa.- spiegò lui, sorridendo complice.
-Oh.- sillabò l’altro.
-E’ tutto ok?- chiese Emily, non riuscendo a trovare il filo logico del discorso. Dave li raggiunse e si accomodò su uno dei divani. La guardò per qualche istante e poi annuì.


  Afferrò con forza il corrimano di ferro chiazzato di ruggine e sollevò lo sguardo.
Non sapeva perché, ma l’idea di confrontarsi con Evan la metteva a disagio. Anzi, quel giovane la metteva indistintamente a disagio: vuoi per il suo comportamento, vuoi per la sua natura.
Vuoi per quel suo strano sguardo.
“Amanda, andiamo! Non gli hai mica ucciso il gatto!”, si disse. Prese un respiro profondo ed iniziò a salire. Scavalcò con attenzione la paratia di protezione e poi rimase immobile.
  Non riusciva a vedere nulla!
Attese che gli occhi si abituassero alla quasi completa oscurità, ma il risultato finale non migliorò di molto la situazione. Con uno sbuffo, decise di andare a tentoni.
S’incamminò lentamente, scrutando la superficie di cemento levigato in cerca di irregolarità che avrebbero potuto farla cadere.
Ad un certo punto raggiunse la cabina con l’argano dell’ascensore e vi appoggiò il palmo, sfruttandola come riferimento. Ci girò attorno, ma non vide nessuno. “Dov’è?”, si chiese, perplessa.
-Cosa fai qui?
Cacciò un urletto e sobbalzò, mollando la presa sul piatto che reggeva. Fece appena in tempo a pensare che sarebbe stato uno spreco buttare quel cibo, ma non si sentì nessuno schianto.
Confusa, fece per chinarsi e controllare quando sentì una presenza accanto a sé. Si raddrizzò di colpo e cercò d’arretrare, ma finì con l’inciampare nei suoi stessi piedi.
-Smettila di agitarti.- Evan l’afferrò per il gomito, impedendole di cadere. Era la seconda volta che quella scena si ripeteva. Era forse destinata a muoversi come un puledro appena nato ogni volta che si trovava in presenza di quell’uomo?
-M-mi dispiace!- esclamò, sentendo le guance andare letteralmente a fuoco. Prese un respiro profondo e riprese il controllo di se stessa. –Mi dispiace.- ripetè, questa volta più calma.
-Perché sei salita se David ti ha detto che mi piace avere i miei spazi?- le chiese, lasciando la presa sul suo braccio.
Mandy raccolse i pensieri, cercando di formulare una frase sensata. Evan non era decisamente una persona che la faceva sentire a proprio agio. –Non volevo che ti sentissi escluso nella tua stessa casa.- disse alla fine.
-So prendermi i miei spazi, se ne sento la necessità. Se la vostra presenza mi avesse dato fastidio, mi sarei allontanato.- replicò.
-Ti sei allontanato, quindi la nostra presenza ti ha dato fastidio.- gli fece notare lei.
-Forse hai ragione.- concesse infine. Le restituì il piatto e balzò nuovamente sopra la cabina dell’ascensore, decretando chiusa la loro conversazione.
Amanda restò a fissarlo, interdetta. Poi si tolse le scarpe col tacco (che indossava da quella mattina) ed appoggiò il piatto sul bordo della cabina. Fece perno con le braccia e, con un po’ di fatica, si issò su.
Nonostante ci fosse abbastanza buio, poté vedere con certezza l’espressione stupita di Evan.
-Non stavamo parlando di spazi personali…?- le fece notare, sollevando un sopracciglio.
Lei si sistemò e poi lo guardò. –Sì… ma voglio scusarmi con te.- rispose, sincera. Vedeva la sua grande sagoma davanti a sé e percepiva il luccichio dei suoi occhi, come fosse un predatore appostato nell’oscurità.
“Un attimo, lui è un predatore appostato nell’oscurità.”, si corresse mentalmente.
-Non devi scusarti. Il tuo voleva essere un gesto altruista.- le fece notare, osservando di sottecchi quello che aveva portato con sé. Emanava un intenso odore di pollo, molto più invitante ora che ce l’aveva a portata di naso.
-Ma tu ne sei rimasto… turbato.- mormorò la ragazza, fissando dritto davanti a sé. Evan poté percepire senza problemi il suo disagio.
“Non ho potuto fare a meno di reagire così.”, si rese conto, stupendo un po’ anche se stesso. –Hai riportato alla mente ricordi che non avevo intenzione di riportare a galla.- le spiegò, sincero. –Però non era mia intenzione farti sentire indesiderata. Né te né Andrew.- aggiunse subito dopo.
-Ah… quindi il comportamento da uomo medievale è solo una facciata.- commentò lei, senza nemmeno rendersene conto. Quando se ne rese conto, spalancò gli occhi ed esclamò, contrita:-Oddio, ho dato aria alla bocca senza collegare il cervello!
Van si concesse una breve risata. –Oh… non è molto lontano dalla realtà. David si ritroverebbe d’accordo con te.- commentò.
Lei fece per chiedere il perché di quel suo comportamento distaccato e scostante, ma si trattenne. Era quasi certa di non potersi prendere così tante libertà con lui.
Tra loro calò un silenzio alquanto imbarazzante e nessuno disse niente per un po’. Improvvisamente, Amanda si ricordò del vero motivo per cui era salita. –Probabilmente te ne sei già accorto, ma ti ho portato un assaggio della cena. Non so perché tu non abbia voluto partecipare, ma mi sembra scortese lasciare uno dei padroni di casa a stomaco vuoto.- disse, porgendogli il piatto in questione.
-Posso anche saltare un pasto e andare a caccia più tardi.- le fece notare, guardando prima quello che gli veniva porto e poi il suo viso.
Delusa dalla risposta, Mandy ritirò la mano. –Sì… è vero. Non ci avevo pensato.
Avvertendo il cambiamento nel suo tono di voce (e anche nella sua postura), Evan si sentì in colpa e si chiese perché fosse sempre così ruvido con le persone, anche quando queste volevano fargli una gentilezza.
A ben pensarci, però, Amanda era l’unica, al di fuori di David ed Alastair, che avesse mai provato a fare qualcosa del genere. Trovò quel risultato abbastanza in linea col proprio comportamento, ma anche un po’ triste.
“Sono veramente poche le persone che provano sentimenti positivi nei miei confronti. E che agiscono in modo disinteressato.”, meditò. –Potrei assaggiare…?- si decise a chiedere.
-Come?
-Quello che c’è nel piatto. Potrei assaggiarlo? È per me, no?- le indicò l’involto e poi la guardò negli occhi. Nonostante lei non potesse vederlo altrettanto bene, capì che stava aspettando una sua risposta.
Si riscosse. -Certo, scusami.- e gliel’allungò. Prima che potesse dare il primo morso, aggiunse:-Ho usato gli avanzi che ho trovato. Spero vada bene.
-Io mangio praticamente tutto. E sono rare le volte in cui riempio la dispensa: a quello ci pensa David.- le disse, osservando con curiosità il contenuto del piatto. -Queste dovrebbero essere… ali di pollo fritto?
Amanda, praticamente cieca in quell’ambiente privo d’illuminazione, dovette sporgersi in avanti per poter capire a cosa si stesse riferendo. –Oh, sì. Accompagnate da uova in crosta di pane.- spiegò, indicando il tortino a fianco.
-Uova in crosta di pane… dove hai trovato i pomodori?- chiese, stupito. Avevano cose del genere nel loro frigorifero?
-Nel cassetto delle verdure.- rispose lei, stupita della domanda. –E’ strano?
Evan scosse la testa. –Tapadh leibh*. Grazie per il cibo.- le disse, prima di prendere il tortino e dargli un morso. Masticò per un po’, in silenzio, lasciando che i suoi sensi affinati percepissero tutti i sapori di quello che stava mangiando.
Anche Amanda rimase in attesa, timorosa di ricevere un parere negativo. Se c’era una cosa a cui dava importanza era il sapore delle pietanze che cucinava. Voleva che fossero buone e che rallegrassero le persone.
-Considerato che in Scozia molto spesso mangiavamo cacciagione oppure haggis, posso dire che è molto buono. Sei una brava cuoca.- fu il verdetto finale.
Mandy arrossì per la contentezza e lo ringraziò calorosamente. Pentendosene subito dopo di fronte al silenzio di lui.

  Evan terminò il proprio pasto in silenzio, mangiando con una compostezza tale da fare un po’ a pugni col suo aspetto da guerriero dei tempi antichi.
Ma come si dice, le apparenze ingannano, no?
-Grazie per la cena.- disse, una volta aver ripulito il piatto.
Amanda lo riprese evitando di guardarlo negli occhi. –Prego…- mormorò. Nel tempo che lui aveva impiegato a mangiare, lei aveva cercato di mettere a tacere le mille domande che le frullavano in testa dopo quello che era successo ad Andrew.
Se Stryker era veramente un elemento pericoloso, perché nessuno faceva nulla per rimetterlo al suo posto? O per lo meno controllarlo.
-Sento che c’è qualcosa che ti tormenta.- disse lo scozzese, piantando i suoi occhi chiari su di lei. Se possibile, la ragazza si sentì ancora più imbarazzata e a disagio di quanto già non fosse.
Iniziava ad averne abbastanza di quei continui rossori, manco fosse una ragazzina di dodici anni! Evan non era suo padre né un suo superiore in ambito lavorativo, quindi poteva benissimo trattarlo da pari.
Il problema era che riusciva a metterla in soggezione con nulla.
“Solo perché è un licantropo, Amanda? Hai anche tu dei pregiudizi?”, le chiese la voce nella sua testa. Si morse il labbro inferiore, in pieno conflitto con se stessa.
Evan, dal canto suo, rimase ad osservarla in silenzio. Aveva percepito il trambusto che si agitava dentro la sua interlocutrice, ma non voleva assolutamente impicciarsi.
Anche perché, in quel modo, poteva osservarla meglio e capire che tipo di persona fosse realmente. Era sicuramente una giovane leale e disposta a mettersi in gioco per i propri affetti, qualunque fosse il pericolo: l’aveva dimostrato con sua sorella e ora lo stava facendo con Drew.
Era anche parecchio timida con gli sconosciuti e faticava a trovare un equilibrio in tutta quella situazione paradossale. Ma come darle torto?
“Anche io avrei faticato, se fossi nato umano.”, pensò, continuando a scrutarla. Messa a confronto con lui, David o Emily, sembrava pronta a spezzarsi da un momento all’altro. “C’è una forte determinazione, in lei… forse data dall’ignoranza, ma c’è.”, considerò, pensieroso.
-Ci sono alcune cose che non capisco…- la voce di Amanda lo strappò alle sue considerazioni, riportandolo a quella notte autunnale.
-Riguardano quello che è successo ad Andrew?- le chiese Evan.
Mandy esitò un attimo, ma poi confermò con un cenno del capo. –Tu conosci bene Stryker, vero?
-Meglio di quello che vorrei.- ammise l’altro.
-Perché ce l’ha con Drew? C’è qualche legge nel branco che dà questo potere al Campione?- lo guardò direttamente, osando incrociare il suo sguardo. Si sentì immensamente piccola, ma non abbassò gli occhi.
Si confrontarono per qualche istante, silenziosi. Alla fine fu Van il primo a distogliere lo sguardo, soddisfatto da ciò che aveva intravisto in quello di Amanda. Si era sempre considerato una persona difficile, in fatto di amicizie, ma quella ragazza gli piaceva. –No. Nessuna legge del genere. I branchi di licantropi funzionano pressappoco come quelli dei lupi veri e propri.- smentì.
-Quindi… Drew è stato trasformato nell’Omega?- fece, perplessa. Si era documentata anche sui lupi naturali, volendo ottenere il più ampio spettro di conoscenze possibili in quel frangente.
MacGregor scosse leggermente il capo. –No, non esattamente. Non nell’Omega del branco, ma in quello personale di Stryker.- spiegò.
-Perché?- chiese lei, diretta.
Il giovane lupo si ravviò i capelli, già pronto ad una sfuriata. Se c’era una cosa che aveva capito di Amanda, era che era sempre pronta a dar battaglia. Proprio come una lupa coi suoi cuccioli.
“Lei non appartiene al tuo mondo, non usare strani paragoni.”, si rimproverò. –Per colpa mia.- rivelò. –Prima che tu possa anche solo tentare di ingiuriarmi, lasciami finire.- la prevenne, vedendola già sul punto di scattare.
La morettina si morse la lingua ed attese, cercando di essere paziente. Una volta assicuratosi che fosse padrona di se stessa, Van riprese dicendo:-Stryker non ha legami di sangue con nessuno dei membri del branco. Era un solitario, fino a quando non è arrivato a Dunnottar e ha chiesto di poter diventare uno dei nostri.
-Con Dunnottar intendi… la vostra precedente casa?- chiese lei, perplessa. Non conosceva nessun luogo con quel nome, in America.
Lui annuì. –Sì, in Scozia.- confermò. –Comunque… Stryker combatté col nostro Campione e, una volta misurata la sua forza, gli fu permesso di aggregarsi al branco.
Amanda aggrottò le sopracciglia, nuovamente perplessa. –Il “vostro Campione”?
Evan sollevò leggermente un angolo della bocca, divertito dalla sua espressione. –Non ho sempre ricoperto quel ruolo. A quell’epoca avevo appena raggiunto l’età adulta.- spiegò.
-Oh.- mormorò lei.
-All’epoca Stryker aveva circa trent’anni, se non ricordo male…- proseguì lui, riportando alla mente ricordi veramente molto vecchi. –La sua trasformazione dev’essersi fermata attorno ai ventisette anni o qualcosa del genere.
-I tempi sono diversi per ogni licantropo?- domandò lei. Era vero, Evan le metteva una gran soggezione, ma si stava rivelando un narratore piuttosto capace. Ed era anche una fonte d’informazioni molto più dettagliate rispetto ad Andrew. Per ovvi motivi.
-Sì. Le prime trasformazioni iniziano con la pubertà e il processo può durare anche parecchio tempo.- disse.
Stava per chiedergli com’era stato per lui, ma all’ultimo decise di cambiare domanda. –Quindi Stryker si era completamente trasformato abbastanza tardi, considerata l’età media dell’epoca.- considerò.
-Per gli umani sì, per i licantropi no. Un licantropo è nel fiore delle sue capacità dai venti ai quarant’anni, circa. Alcuni finiscono la mutazione alla soglia di quell’età.- le disse, facendo spaziare lo sguardo sui profili dei grattacieli. L’Empire e il Chrysler Building erano facilmente riconoscibili grazie alle loro guglie luminose.
-D’accordo… tutto questo è affascinante, ma non capisco cos’abbia a che fare con te.- ammise, esprimendo i propri dubbi.
-Stryker è il figlio bastardo di un Alfa e non gli è stato mai riconosciuto nessun titolo all’interno del suo vecchio branco. Ha vissuto per molto tempo in solitaria, allenandosi e viaggiando in lungo e largo per la Scozia.- Evan riprese a raccontare. Vedendo che Amanda annuiva, concentrata, proseguì:-In quel periodo mio padre stava iniziando ad organizzare il mio matrimonio con Crystal… ed io ho iniziato la mia ribellione. Stryker non ha mai digerito il fatto che, nonostante tutto, Dearan non mi abbia mai ripudiato e, anzi, mi abbia concesso il posto di Campione.
All’udire quelle parole, Mandy si irrigidì. Le stava forse dicendo che i pestaggi di Drew dipendevano da pura e semplice invidia?!
-C’entra anche Crystal, in tutto questo?- chiese con un filo di voce.
Lui la guardò stupito. –Non lo so. Potrebbe.- ammise. Le lanciò un’occhiata, percependo un cambiamento nel suo odore. Si stava arrabbiando.
-Quindi… fammi capire… Drew è stato attaccato solamente perché Stryker non sa gestire il suo complesso d’inferiorità nei tuoi confronti?!- scattò in piedi, la pazienza un lontano ricordo.
-Non serve a nulla arrabbiarsi.- le fece notare.
Gli occhi chiari dell’americana si dilatarono. –Non serve a nulla? Cristo, Andrew è arrivato a casa con una commozione e metà del corpo fratturata!- sbottò, indicando con un gesto furente il pavimento.
Evan chiuse gli occhi, massaggiandosi lentamente le palpebre. La rabbia di Amanda lo stava investendo con la stessa potenza di un’onda sugli scogli. Era incredibile come le persone calme potessero diventare incontrollabili, una volta aizzate.
-Non puoi fare nulla per aiutarlo?- gli chiese lei, calcando sulle parole.
-Non posso avvicinare Stryker: mi hanno bandito dal branco, se ben ricordi.- le fece presente, fulminandola.
-Non mi interessa! Sei tu che hai introdotto Andrew in questo mondo e sei sempre tu a rendergli difficile la sua nuova vita!- proseguì lei. Ormai stava urlando.
-Avresti preferito che lo lasciassi morire?- sbottò lui, alzandosi in piedi. La sua stazza gli permetteva di torreggiare su Mandy senza problemi. –Quella trasformazione è costata tanto anche a me.
-A maggior ragione dovresti aver a cuore Drew!
-Non sono il su Alfa né il suo Beta, non è compito mio.- ribattè, alzando la voce.
-Sei il suo creatore. E questo conta.- disse risentita.
Van ridusse gli occhi a due fessure. –Non parlare a sproposito, dato che non sai come funziona un mondo come questo.- sibilò. La bestia dentro di lui ringhiò, tentando di trovare una vita d’uscita e manifestarsi. Iniziò a vedere le cose con contorni vagamente rossastri e si irrigidì.
Non gli succedeva da tanto, tantissimo tempo.
-Sei solo un egoista.- e con questo la giovane americana si diresse rapidamente verso le scale antincendio, calandosi subito dopo.


  Si scambiarono sguardi sorpresi e nessuno di loro fiatò.
Anche senza volerlo, avevano assistito in diretta alla discussione tra Evan e Amanda. Non avevano visto fisicamente il diverbio, ma le loro orecchie avevano seguito tutto quanto.
Ed ora non sapevano come comportarsi. O cosa dire.
  Mandy arrivò durante quel momento imbarazzante, scendendo gli ultimi gradini della scala antincendio. Esitò un attimo, poi entrò nell’appartamento.
-Scusate per quello che è successo… non volevo mettere a disagio nessuno. Io… io mi avvio a casa.- il suo viso era chiazzato di rosso e faticava a trovare le parole. Dopo la sfuriata, ora si sentiva tremendamente a disagio davanti agli altri.
Andrew fu il primo a riprendersi e ad alzarsi per poterla fermare. –Mandy…
Lei però scosse la testa e gli fece segno di rimanere lì dov’era. Si scusò con gli occhi con tutti i presenti, recuperò la sua borsa e poi scappò letteralmente fuori dalla porta.
-Amanda!- le urlò dietro David. Vedendo che era stato tutto inutile, sospirò ed abbassò il braccio. Poco dopo, però, eccolo girarsi per accogliere l’amico. –Evan!
Il nuovo arrivato mise a tacere qualsiasi obiezione con un gesto secco della mano e poi si avviò verso la cucina.
-Ti sei… arrabbiato?- chiese la voce di Dave dopo che lui ebbe bevuto mezza bottiglia di birra.
Van gli lanciò un’occhiata di traverso. –A quanto sembra ne sono ancora in grado…- mormorò, fissando meditabondo il liquido dorato dietro il vetro.
-Non pensate sia il caso di portarla indietro?- intervenne Emily.
-Perché? Ormai dovrebbe sapere come tornare a casa.- replicò lo scozzese, irritato dal tono della donna.
-Voi uomini e il vostro…
-Emily.- la interruppe David. –No.- scosse la testa, cercando di farla desistere.
-Ha ragione, Emily. Le serve tempo per sbollire.- convenne Andrew dopo un lungo sospiro. Non incolpava nessuno dei due perché sapeva quanto fosse difficile comprendere le dinamiche del mondo soprannaturale.
“Senza considerare che sono entrambi due bei caratterini…”, aggiunse mentalmente, osservando le mosse di Evan.
Lo scozzese si era appoggiato al piano di lavoro della cucina e teneva gli occhi chiusi. La sua aura si espandeva e si contraeva a ritmo alternato, come una lampadina rotta. Se quello era il risultato dopo un diverbio, non osava immaginare come potesse essere quando si arrabbiava seriamente.


  Camminava spedita, diretta verso l’entrata della metropolitana.
Prendere un taxi per arrivare a casa era fuori discussione: il tragitto era troppo costoso.
Sapeva di avere il viso congestionato e di esser sembrata una pazza agli occhi dei pochi passanti che aveva incrociato da quando era uscita.
Ma non poteva farci niente.
  Una volta scoppiata la bomba, le ci voleva un bel po’ di aria fresca per tornare ad essere la solita persona calma, paziente ed amichevole che in molti apprezzavano.
“Non riuscirò più a guardarlo in faccia, lo so. Ma non potevo stare zitta, tutta questa situazione fa schifo!”, pensò.
Girò l’angolo e poi proseguì lungo il marciapiedi, stringendosi nella giacca di cotone che aveva addosso. Doveva raggiungere Lafayette Street per poter sperare di raggiungere la linea della metropolitana che l’avrebbe portata a casa.
Attraversò una strada residenziale piena di macchine parcheggiate e, improvvisamente, percepì un altro rumore assieme a quello delle sue scarpe.
  Le sembrava quasi un ringhio.
S’arrischiò a lanciarsi un’occhiata alle spalle, ma non vide nulla. Assolutamente non convinta, accelerò ulteriormente il passo, già abbastanza sostenuto.
Quando si voltò, si ritrovò davanti un uomo. Sobbalzò, trattenendo un grido. Quello ghignò, divertito dalla sua reazione e poi l’afferrò per le braccia, lanciandola senza tanti riguardi al centro della strada principale.
Amanda rotolò a terra, impattando con l’asfalto ancora caldo. Riuscì ad evitare una macchina per un pelo, mettendosi a sedere con un movimento affettato. Senza fiato, restò a fissare davanti a sé il proprio aggressore.
-Corri, piccolo agnellino.- le suggerì quello.
E lei, senza farselo ripetere due volte, prese a correre.


* Grazie in gaelico.

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Capitolo 13
*** Cap. 12 Guardie e ladri ***


Cap. 12 Guardie e ladri
Rieccomi :)
Vi avevo lasciato con Amanda in un mare di guai... secondo voi come saranno andate le cose? Confesso che mi sono lasciata prendere un po' la mano e l'ho fatta penare ^^' Nulla di irreparabile, comunque!
Evan, come suo solito, sarà malleabile come una sbarra di ferro, ma abbiate fede: prima o poi i lati spigolosi del suo carattere verranno smussati.
Bene, vi lascio alla lettura, alla prossima! ;)





Cap. 12 Guardie e ladri



   Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie e il respiro incastrato da qualche parte tra il petto e la gola.
Nella caduta si era sbucciata le mani e le sentiva bruciare fastidiosamente, ma relegò il pensiero in un angolo del proprio cervello, tentando di capire cosa doveva fare per sfuggire a quel pazzo.
Quasi sicuramente era un licantropo. E quasi sicuramente l’aveva attaccata perché conosceva Evan e gli altri.
“Bell’affare.”, le disse una voce nella testa.
Ignorandola, Amanda si rialzò in piedi. Quell’uomo era ancora davanti a lei e sembrava non aver fretta d’iniziare la caccia. A quanto pare spettava a lei decretarne l’inizio.
  Lentamente, stando attenta alle auto che passavano, arretrò fino al marciapiedi che si trovava alle sue spalle, tenendo gli occhi fissi sul suo aggressore.
Aveva un viso abbastanza anonimo, ma il colore dei suoi occhi si avvicinava molto a quello dell’oro brunito. Quella tonalità gli donava un aspetto ancor più ferino, quasi ultraterreno.
Quel pensiero le mandò un brivido lungo la schiena.
“Resta concentrata.”, s’impose, lasciando che i pensieri trovassero un ordine logico. Ma per quanto si sforzasse di escogitare un piano, c’era una sola cosa che doveva fare: tornare all’appartamento di Tompkins Square.
  Il più in fretta possibile.
Con gesti calcolati, si sistemò la borsa a tracolla, ringraziando la moda del momento. Il licantropo non si mosse e restò a fissarla dall’altra parte della strada, la bocca piegata in un ghigno. Sembrava divertirsi parecchio, considerato che la caccia non era ancora cominciata.
-C-chi sei…?- Mandy cercò di distrarlo.
-Il lupo cattivo.- le rispose lui, sogghignando apertamente.
Ignorando l’ironia insita nelle sue parole, la ragazza si abbassò ed iniziò a sfilarsi le scarpe col tacco. Dato che avrebbe dovuto correre, quelle le sarebbero state solo d’impiccio. Non voleva rischiare di rompersi una caviglia e facilitare il compito a quello squilibrato.
“Appena le avrò tolte, inizierà.”, si rese conto. Il suo aggressore aveva iniziato a far scrocchiare le nocche, preparandosi all’inseguimento.
Tenendo gli occhi incollati sul viso di lui, tolse la scarpa destra e la lasciò a terra. Reggendosi su una sola gamba, sfilò lentamente anche l’altra. Deglutì, nervosa e si sistemò meglio la borsa dietro la schiena, per evitare che la impacciasse.
  Gli occhi di preda e predatore s’incontrarono per alcuni lunghi istanti che sembrarono infiniti. Amanda si sentiva avviluppata dalla paura, ma stava cercando in tutti i modi di rimanere presente a se stessa. Doveva evitare gli attacchi di panico e, di conseguenza, qualsiasi posto che potesse suscitare in lei reazioni claustrofobiche.
Sapeva che l’obiettivo del suo opponente era farle del male. Divertirsi con lei.
  Forse ucciderla.
Quella consapevolezza fece mancare un battito al suo cuore.
Appoggiò le punte delle dita sull’asfalto, concentrandosi sulla sensazione ruvida e calda del bitume invecchiato.
Improvvisamente, senza preavviso, scattò.
  Come se non aspettasse altro, il licantropo s’inginocchiò ed iniziò la trasformazione, pronto all’inseguimento.


  Stava per raggiungere Evan e cercare di parlare con lui, quando si rese conto che il licantropo appostato nei pressi di casa loro si era spostato.
Sgranò leggermente gli occhi, stupito. Non se n’era reso conto, troppo occupato a seguire il diverbio tra il suo migliore amico ed Amanda.
A giudicare dall’espressione di Emily, anche lei doveva essersene resa conto. Anzi, sembrava addirittura terrorizzata.
-Evan…- chiamò, voltandosi verso di lui.
L’amico fece un rigido cenno del capo, puntando lo sguardo fuori dalla finestra che illuminava la cucina.
-Che sta succedendo?- chiese Andrew, confuso. Tentò di capire qualcosa percependo le auree degli altri, ma l’unico risultato che ottenne fu una scarica d’energia. –Che succede?!
-Ci stavano spiando.- gli rispose David, gli occhi ancora fissi su Van.
-Ci stavano… chi…?- domandò, ancora più perplesso. Possibile che non si fosse accorto di niente?
L’inglese gli lanciò una rapida occhiata. –Era sottovento.
Al che, Drew esclamò:-Un licantropo?!
Emily lo fissò per qualche istante, visibilmente agitata e poi tornò a guardare quello che era il loro capobranco.
-David, non far uscire Andrew. Per nessun motivo: non sappiamo se siano qui per lui.- finalmente Evan diede voce ai propri pensieri.
-D’accordo.- fu la risposta.
In quel preciso istante, un urlo raggiunse le loro fini orecchie soprannaturali. Drew riconobbe la voce senza bisogno di analizzarla. –Oddio, Amanda!- tentò di scattare verso la finestra, deciso ad andare ad aiutare l’amica.
Ma Evan gli si piazzò davanti, ringhiandogli apertamente. Come fulminato, il ragazzo si bloccò sul posto, infossando la testa nelle spalle. Non avrebbe potuto andare contro la volontà di un Alfa, non ne aveva la forza e forse mai l’avrebbe avuta.
-Resta qui.- ordinò con voce metallica lo scozzese. L’altro deglutì, cercando le parole per protestare a quell’ordine.
Evan però non glielo permise e, senza nemmeno curarsi di prendere la rincorsa, si lanciò oltre la finestra aperta. Trafisse l’aria come un dardo, dando il via alla trasformazione durante la caduta.
  Quando atterrò sul marciapiedi, al suo posto c’era un grosso lupo. Alzò la testa verso l’alto e, assicuratosi di aver ottenuto obbedienza dai suoi sottoposti, sparì oltre la recinzione del parco antistante il palazzo.


  Stava correndo più forte che poteva.
Sentiva i polmoni agonizzare in cerca d’aria e la milza dolere.
Da quando era iniziata la fuga, quel pazzo del suo aggressore aveva iniziato a giocare a guardia e ladri. La metteva all’angolo solo per poterla terrorizzare e continuava a spingerla dove voleva lui, come un cane da pastore fa col suo gregge.
  Amanda avrebbe urlato per la rabbia, se solo avesse avuto ancora fiato in corpo.
Come se non bastasse, aveva perso il senso dell’orientamento ed ora non avrebbe potuto raggiungere gli altri nemmeno volendo.
All’ennesimo scatto si piegò in due, respirando a fatica.  Tossì qualche volta, sentendo i muscoli delle gambe tremare. Era quasi certa di essersi scorticata anche le piante dei piedi, ma avrebbe corso fino a quando il suo corpo avrebbe retto. O l’adrenalina non fosse cessata.
“Oppure fino a quando qualcuno verrà a salvarmi.”, pensò, sconsolata.
Non capiva dove diavolo fossero finiti i soccorsi, ossia il branco di Evan. Che quel continuo zigzagare tra i palazzi servisse anche per sviare i licantropi e non solo per tagliarle la fuga?
Mentre pensava ciò non si accorse che il suo inseguitore aveva drasticamente ridotto le distanze.
  All’improvviso il ringhio sommesso che l’aveva accompagnata durante tutta la sua fuga le sembrò pericolosamente troppo vicino. Alzò la testa di scatto e si ritrovò il muso del licantropo a poco meno di un metro.
Sobbalzò ed inciampò nei suoi stessi piedi, finendo a terra.
Il licantropo avanzò di qualche passo, arricciando il labbro superiore e scoprendo i canini.
Incespicando, Mandy si rimise in piedi il più velocemente possibile, per poi esser colpita subito dopo da una zampata e rotolare a terra, qualche metro più in là.
  Quello era il primo attacco fisico che le aveva sferrato e, con un certo terrore, iniziò a temere che si fosse stancato di giocare.
Fece perno con le mani e si deterse il sangue dal piccolo taglio che si era procurata sul labbro inferiore. Prese un respiro profondo e poi si rialzò, fissando dritto negli occhi il suo avversario. La sua stazza era tale che la testa del lupo era allo stesso livello della sua, solo molto più minacciosa.
-Non so chi ti abbia mandato né quale siano gli ordini a cui devi attenerti, ma io non mi farò ammazzare.- sentenziò la giovane. In risposta ottenne una sorta di rantolo, la cosa più simile ad una risata che si potesse ottenere da un animale.
Cercando di non farsi intimorire, Amanda prese ad arretrare, guardandosi intorno in cerca di un riparo o una via di fuga.
Con la coda dell’occhio scorse l’inizio di una lunga recinzione di ferro battuto e, tra le ombre, quelli che sembravano piccoli ceri rossi.
“Un cimitero…?”, si chiese, stupita. Non credeva che i licantropi potessero essere influenzati dalla religione (sicuramente meno dei loro nemici naturali, i vampiri), ma tanto valeva provare ad entrare in quel luogo sacro.
Scattò rapidamente alla propria sinistra e si mise a correre verso la cancellata.
Il licantropo si gettò al suo inseguimento e, in poco, le tagliò la strada. Lei lo evitò per un soffio, appiattendosi contro il tronco di un albero.
  Il tempo di prendere un rapido respiro e riprese a correre, aggirandolo. Quello ringhiò, facendo scattare la mascella a vuoto nel tentativo di azzannarla.
Accelerò ulteriormente, sentendo i polmoni esploderle per lo sforzo. All’improvviso si ritrovò davanti il cancello e balzò in avanti, aggrappandosi alle sbarre di ferro. Fece forza con le braccia e tentò di arrampicarsi.
Peccato che il suo inseguitore riuscì ad affondare le zanne nella sua borsa e a trascinarla rudemente a terra. Il tessuto non resse e tutto il contenuto venne sparso sul marciapiedi.
Nell’attacco, però, i denti del lupo erano riusciti a raggiungere anche la carne e Amanda si ritrovò ad urlare, cercando di divincolarsi.
  In lontananza le parve di vedere qualche luce accendersi dietro le finestre, ma la sua concentrazione era rivolta completamente alla creatura che la stava attaccando.
Scalciò con forza, cercando di colpirlo sul muso ed allontanarlo da sé.
Insperatamente, uno dei suoi calci andò a segno e il licantropo emise un uggiolio di protesta, allontanandosi momentaneamente dalla sua preda. Amanda ne approfittò per rialzarsi in tutta fretta e riprendere la scalata.
Era quasi riuscita a raggiungere la cima, quando le fauci del suo aggressore si chiusero attorno alla sua gamba destra, tirandola verso il basso. Urlò ancora, aggrappandosi con tutte le sue forze alle sbarre.
Si liberò una, due, tre volte, ma sempre il lupo tornava all’attacco.
“Non ce la faccio più!”, pensò, stremata. Strinse i denti e tentò un’ultima volta, lo stesso fece il licantropo.
Dopo tutti i colpi ricevuti, il cancello non resse e si piegò sotto il peso dell’essere soprannaturale, facendoli cadere entrambi dall’altra parte.
Nella caduta, il predatore subì un’inspiegabile metamorfosi e tornò ad assumere sembianze umane.
  In quell’esatto istante un enorme lupo gli piombò addosso.


   Finalmente era riuscito a raggiungerli.
Non capiva come, ma quel maledetto era riuscito a sviarlo per ben tre volte, facendo cambiare direzione ad Amanda con grande abilità.
Li aveva inseguiti col naso e con l’udito, ma la sua conoscenza dell’area si era rivelata ancora insufficiente. Si era visto aggirare un paio di volte, tagliare la strada e distanziare.
Ciò che l’aveva aiutato a ritrovare la via era stato l’odore del sangue, probabilmente quello della ragazza.
  Quando li aveva raggiunti stavano facendo un pericoloso tiro alla fune nei pressi di quello che, a prima vista, gli parve essere un cimitero cittadino.
In Scozia non erano così diffusi, dato che c’era molto più spazio per seppellire i morti, mentre lì a New York ne aveva già visti diversi incuneati tra gli alti grattacieli.
Nel momento esatto in cui il cancello cedette, Evan riemerse bruscamente dai propri pensieri e si gettò sul licantropo, rotolando con lui all’interno del recinto sacro.
L’aveva attaccato in versione animale, ma si ritrovarono a lottare con calci e pugni, nuovamente umani.
“Cos’è successo?”, si chiese Van, confuso. Non gli era mai capitato di avere una trasformazione così repentina.
Ma non ebbe tempo per i dubbi perché ben presto si ritrovò a dover schivare i ganci del suo nuovo avversario. Rotolò di lato e si rimise rapidamente in piedi, senza preoccuparsi della propria nudità.
Percepiva Amanda alle proprie spalle, ma doveva prima occuparsi dell’americano che aveva davanti. Si mise di tre quarti, pronto a difendersi.
-Cosa diavolo è successo?!- imprecò il suo avversario, sputando un po’ di terra. –Perché mi sono ritrasformato?
-Non preoccuparti, questo non cambierà le sorti dello scontro.- lo rassicurò Evan.
Infastidito dal suo tono, l’altro chiese:-Tu saresti il famoso MacGregor?
Van ridusse gli occhi a due fessure. –Chi è che nutre tutto questo interesse per me?
L’altro licantropo sogghignò, divertito dal fatto che lo scozzese non sapesse con chi avesse a che fare. Meglio per lui.
-Perché hai attaccato la ragazza? Non è una di noi.- domandò allora Evan.
Il suo interlocutore alzò le spalle. –Ordini.- rispose semplicemente.
-Ordini… mi sembra che tu li stia eseguendo male.- commentò, iniziando ad irritarsi. Capiva benissimo gli scontri tra clan e le scaramucce per il potere, ma non poteva tollerare che venissero coinvolte persone estranee.
Era stato David ad insegnargli a vedere le cose anche dal punto di vista delle persone normali e questo aveva fatto evolvere il suo codice d’onore. Inoltre, i lupi senza cervello che eseguivano gli ordini degli Alfa senza nemmeno porsi delle domande lo infastidivano parecchio.
-Ora vedrai quanto alacremente sto eseguendo gli ordini.- la voce del suo avversario lo riportò alla realtà. Si focalizzò su di lui e schivò senza problemi le sue unghie, bloccandogli poi il polso e torcendoglielo subito dopo.
Si sentì un sonoro crack e l’uomo lanciò un ringhio di protesta, provando a colpire il suo avversario col pugno libero.
In quel momento alcune persone si affacciarono dalle finestre, cercando di capire cosa stesse succedendo. –Che state facendo?- chiese qualcuno.
-Questioni tra licantropi.- rispose Evan, mollando la presa sul suo avversario.
Alcune teste sparirono, ma altre rimasero. –Guardate che chiamo la polizia! Non vogliamo problemi, qui!- continuò la voce di prima.
-La polizia ne è già al corrente, non si preoccupi. Ora rientri, prima di farsi male.- intimò lo scozzese. Dovette suonare convincente perché anche gli ultimi curiosi si chiusero in casa, fingendo che all’esterno non fosse in corso una scazzottata tra soprannaturali.
-Hai chiamato gli sbirri?! Sei un codardo!- sbottò l’americano.
Van tornò a guardarlo, la guardia sempre alta. –Io sono uno sbirro.- gli fece presente.
-Tsk.- la risposta non piacque per niente all’altro. Si massaggiò il polso fratturato, già in fase di guarigione e poi caricò a testa bassa, pronto a colpirlo allo stomaco.
Nuovamente, Evan si scansò di lato e gli assestò un colpo con entrambi i pugni all’altezza delle reni. Quello cadde, ma gli falciò le gambe un attimo dopo, mandandolo a terra.
  Il giovane MacGregor fu pronto a difendersi dal successivo assalto e, con un calcio ben piazzato, se lo levò di dosso. Poco prima di essere scaraventato a qualche metro di distanza, il licantropo riuscì a ferirlo con le unghie, lasciandogli un solco che andava dalla parte destra del collo al pettorale.
Irritato, si rialzò e gli andò incontro. –Inizio a stancarmi.- commentò, ripulendosi il sangue dal petto. –Chi ti ha mandato?
-Non sono affari tuoi!- abbaiò l’altro.
-Come preferisci.- disse e fece pressione dietro l’articolazione del ginocchio sinistro, rompendogliela.
-Maledetto bastardo!- imprecò l’americano, portandosi le mani alla parte fratturata.
Evan lo guardò, un leggero velo di rabbia ad offuscargli gli occhi. –Di’ al tuo capo che la prossima volta ci andrò giù pesante.
Dopo quelle parole si voltò, deciso a prendere Amanda e tornare all’appartamento di Tompkins Square Park.


  Sentiva le gambe pulsare come impazzite e aveva male in così tanti punti da non poter quantificare il dolore.
Da quando era comparso Evan era rimasta rannicchiata in un angolino, nei pressi del cancello, pronta a scappare se le cose si fossero messe male.
  Vedere i due contendenti trasformarsi all’improvviso l’aveva colta di sorpresa ed era riuscita a riconoscere lo scozzese solamente perché aveva riassunto sembianze umane. Non l’aveva mai visto in forma animale, quindi non avrebbe potuto indovinare l’identità del lupo dal pelo bruno rossastro.
Non aveva nemmeno mai assistito ad uno scontro tra licantropi di quel genere. Certo, all’Internazionale c’erano state delle lotte, ma lei non aveva visto quasi niente, schiacciata dalla folla e preda di una crisi di panico.
  Nonostante la violenza del combattimento, lo trovò incredibilmente attraente. I due uomini avevano movenze veloci e precise, i loro corpi davano vita ad una sinfonia di gesti insospettabile e le pareva di percepire le loro auree sulla pelle.
L’aria sfrigolava ed era come se tante piccole scosse elettrostatiche le percorressero la pelle.
Persa nei propri pensieri, non si era resa conto del sangue che aveva perso e continuava a perdere né degli sviluppi dello scontro.
Improvvisamente vide il suo aggressore a terra, sovrastato da Evan e poco dopo lo scozzese gli diede le spalle, decretando finito il combattimento.
  Disorientata, si rimise faticosamente in piedi ed aspettò di essere raggiunta dal suo soccorritore. Con la coda dell’occhio, però, notò l’altro licantropo trascinarsi verso di loro, col chiaro intento di colpire a tradimento.
Senza nemmeno rendersene conto, afferrò una delle sbarre del cancello e menò un fendente alla cieca, sperando di colpire un punto vitale.
Nell’esatto istante in cui il ferro penetrò nella carne, Evan si voltò con uno scatto, fissandola con sgomento. Lei ricambiò lo sguardo, senza sapere cosa fosse esattamente successo.
Il giovane allora guardò il proprio contendente ed annusò l’aria, perplesso.
-Cosa mi hai fatto, brutta strega!- urlò l’americano, le mani strette alla coscia destra e il viso premuto contro il terreno umido.
-I-io…- balbettò Amanda, sconvolta. Com’era possibile che fosse riuscita a fare un danno simile?
Evan si chinò ed osservò l’asta che spuntava dalla gamba dell’altro. –Sorbo degli uccellatori… a quanto pare l’hanno mescolato al ferro. Ecco perché siamo tornati normali…- mormorò, colpito.
-Cosa significa? Che ho fatto…?- chiese la ragazza.
Lui la guardò. –Hai appena messo al tappeto il tuo primo licantropo.- le spiegò. –Andiamocene prima che riesca a rialzarsi.- aggiunse subito dopo.
Mandy lo fissò con tanto d’occhi, lanciando un’altra occhiata all’americano, ancora a terra. –Ma…- tentò d’iniziare.
-Pulisciti le mani sull’erba, per favore. Non vorrei fossero rimasti residui.- la pregò, pratico.
-Come? Oh… sì.- fece lei, chinandosi e strofinando i palmi sul tappeto verde.
-Bene. Mi ritrasformerò in lupo, ma non ti spaventare.- le comunicò, per poi inginocchiarsi e dare inizio alla metamorfosi.
Troppo sconvolta o forse troppo stanca per avere qualsiasi reazione, la ragazza restò immobile, aspettando che il passaggio da umano a lupo si compisse. Il grosso animale in cui si era trasformato Evan la guardò e poi si accucciò, invitandola a salirgli sulla groppa.
Amanda non se lo fece ripetere due volte e si issò sulla sua schiena, stando attenta a non tirargli nemmeno un ciuffo di peli.


  Ci mise molto meno a tornare all’appartamento rispetto a quand’era cominciato quell’inseguimento.
Mandy era ancora aggrappata a lui, ma sentiva la sua presa indebolirsi sempre di più. Probabilmente stava per perdere conoscenza.
“Ha perso parecchio sangue.”, constatò, fiutando l’aria. Lentamente si sedette e la fece scivolare delicatamente a terra. Lei barcollò qualche istante, malferma, e approfittò della sua presenza per mantenersi in posizione eretta.
  Evan la guardò e poi le fece cenno di salire le scale. Poi alzò il muso ed abbaiò una volta, brevemente. Immediatamente sentì David aprire la porta dell’appartamento e scendere di corsa, raggiungendo la giovane.
-Oddio, cosa diavolo è successo?!- imprecò, vedendo le condizioni di Amanda. Van emise un verso di gola, ricordandogli dove si trovassero. L’inglese allora si affrettò ad avvolgere la vita della ragazza e a condurla lungo la rampa. Dopo un attimo d’esitazione, li seguì anche lui.
Non appena furono in casa, Andrew ed Emily vennero loro incontro, sul viso le medesime espressioni preoccupate.
Drew, più di tutti, aveva il viso distorto dalla preoccupazione. –Amanda…- mormorò, accostandosi a lei.
La giovane americana sorrise stancamente, provando a rassicurarlo.
Evan e David si scambiarono un’occhiata d’intesa. –Prima che iniziate ad inveire contro qualcuno, sarebbe meglio prendersi cura di quelle ferite.- esordì. –Possiamo andare all’ospedale oppure curarle qui. Evitare l’ospedale ci farebbe risparmiare tempo e un sacco di fogli da compilare.- aggiunse.
-Fate quello che volete… io riesco a malapena a reggermi in piedi…- confessò Mandy.
-Sarà una cosa un po’ strana, ma non devi preoccuparti, d’accordo?- l’avvertì Dave. Lei annuì, appoggiandosi pesantemente ad Andrew. –Drew, falla sedere sul tavolo, per favore.
Il ragazzo lo guardò un po’ stranito, ma fece come gli era stato chiesto. Sollevò l’amica prendendola per i fianchi e, ignorando il forte odore di sangue, la fece accomodare sulla superficie di metallo.
Amanda si guardò attorno, un po’ a disagio. Quando Evan le si avvicinò, evitando di guardarla direttamente negli occhi, si fece ancora più confusa. –Devo fare qualcosa di particolare…?- domandò.
David scosse il capo e i ricci scuri danzarono davanti al suo viso, leggeri. In quello stesso istante, Emily si mise una mano davanti alla bocca ed uscì dall’appartamento di gran carriera, sorprendendo tutti.
Van fissò accigliato la porta, poi fece cenno all’amico di seguirla.
Quando Dave fu uscito, Andrew si mosse a disagio sul posto. –Io… io mi sento un po’ strano…- ammise.
“Ti dà fastidio il sangue?”, gli chiese Evan, scivolando nei suoi pensieri. L’americano sobbalzò, sgranando leggermente gli occhi chiari, poi annuì, chinando il capo. “E’ normale, agli inizi: dopotutto siamo guidati dall’istinto animale. Rabbia e sangue aizzano la bestia.”, gli spiegò.
-Che succede…?- chiese Amanda, vedendoli fissarsi in silenzio.
Drew la guardò spiacente. –Mandy, devo uscire. L’odore del tuo sangue ha risvegliato il lupo…- si scusò.
-Ah… certo, non ti preoccupare.- gli disse. Le fece un cenno e poi uscì a sua volta dall’appartamento, vergognandosi per la reazione del suo stesso corpo. –Ok… cosa dobbiamo fare ora?- chiese poi, rivolgendosi all’unico rimasto.
“Tu nulla. Farò tutto io.”, le rispose mentalmente lo scozzese.
All’udire la sua voce nella propria testa, Mandy sbarrò gli occhi e lo fissò immobile per diversi istanti. Quando lui era ormai certo che stesse per avere una crisi isterica, la vide annuire e dargli il suo consenso.


-Andrew, anche tu fuori?- gli chiese David, per nulla stupito. Quando l’altro annuì, l’espressione mortificata, aggiunse:-Non ti preoccupare. È normale.
-Sì…- mormorò lui, abbattuto. –Anche tu hai dei problemi, Emily?
La ragazza, sentendosi interpellata, scosse mestamente il capo. Aveva sempre le mani davanti alla bocca e sembrava sul punto di star male. O scoppiare a piangere.
-Emily, è tutto ok?- le chiese preoccupato Dave.
Lei non rispose, lanciandogli solo una breve occhiata. “Non posso dirglielo… si arrabbieranno con me… non posso…!”, continuava a pensare, combattuta.
  Introdursi all’interno del branco per svolgere un incarico da spia era un conto, ma coinvolgere persone innocenti (per di più completamente umane) e lasciare che venissero ferite era un altro.
Non poteva sopportarlo. Non sarebbe riuscita a dormire la notte.
“Ma se confesso… Blake…”, strinse febbrilmente le palpebre, tentando di arrivare ad un compromesso. Era quasi certa che, se David si fosse sintonizzato sui suoi pensieri, non sarebbe riuscito a capire molto. Era come un disco inceppato e le parole sfuggivano alla sua stessa comprensione.
-Emily…?- l’inglese le appoggiò una mano sulla spalla, leggero e lei sobbalzò come se avesse preso la scossa. Le espressioni dei due uomini presenti si fecero ugualmente confuse.
Deglutì un paio di volte, agitata. -S-scusate…
-E’ per quello che è successo ad Amanda?- la interrogò Andrew. Percepiva la sua confusione e la sua paura e non riusciva a tenerle lontane dalla sua sfera di percezione. Essere un licantropo alle prime armi assomigliava molto all’essere una spugna: si finiva con l’assorbire tutto quello che c’era nei paraggi, emozioni comprese.
Fuggì gli occhi azzurri di Dave e si appoggiò lentamente al muro, prendendo un respiro profondo. –So chi era quel licantropo…- iniziò. Aveva deciso di rivelare la propria identità e sperare di non essere uccisa.
I licantropi non amavano particolarmente i tradimenti e i doppiogiochisti. Probabilmente i lupi antichi li odiavano ancor di più dei loro discendenti più giovani.
-Sul serio?!- fece David, stupito. –Dicci!
-Fa parte dei Blacks…- rivelò, tenendo lo sguardo basso. Si sentiva talmente meschina che una fossa scavata a mani nude non sarebbe stata abbastanza per seppellire la propria vergogna.
Drew si accigliò. –E chi sarebbero?
-Il branco di cui faceva parte Emily.- spiegò il riccio. -Cosa volevano?- chiese poi, rivolgendosi a lei.
-Sono venuti per me. E per voi.- confessò.


  Non aveva idea di cosa volesse fare per fermare la fuoriuscita di sangue, ma la cosa che più la preoccupava era il fatto che fosse ancora in forma animale.
“Oddio, non vorrà mica trasformarmi, vero?!”, pensò, spaventandosi alla sola idea. Se era quella la sua intenzione, preferiva di gran lunga andare in ospedale e compilare scartoffie.
Non era pronta per affrontare una cosa simile. Doveva prima aiutare Andrew a scendere a patti con la sua nuova identità.
-I-io… se vuoi trasformarmi non…- iniziò, incespicando nelle parole.
Il grosso lupo che rispondeva al nome di Evan la guardò stupito e poi sembrò accigliarsi. A giudicare dalla sua espressione non era quello che aveva in mente. Senza poterselo impedire, Amanda tirò un sospiro di sollievo.
Ora che aveva scartato quell’opzione, però, non sapeva davvero che pensare. Cercò di rilassarsi ed attese il più pazientemente possibile.
  Evan arrivò a sfiorarle le gambe col pelo della sua gorgiera e Mandy dovette trattenersi dal ridacchiare, sentendo il familiare prurito. Gli occhi grigi del grosso lupo si fissarono nei suoi e, per qualche istante, entrambi rimasero immobili.
Poi, lentamente, il muso di Van si accostò alla prima grossa ferita e, con un guizzo di lingua, ripulì il sangue che vi stillava.
-Ma che…?!- Amanda non poté fare a meno di arrossire fino alla radice dei capelli e, senza pensarci, tentò di sottrarsi a quel contatto imbarazzante. Non appena ebbe accennato il movimento, però, lo scozzese ringhiò in segno d’avvertimento.
“Sta’ ferma.”, le intimò mentalmente.
Mordendosi la lingua, la ragazza s’impose di rimanere immobile e di non provare più imbarazzo di quanto non ne sentisse già. Chiuse anche gli occhi, provando a facilitarsi il compito.
L’unico pensiero sensato che riusciva a formulare era: “Oddio, mi ha leccata!”
  Non ci volle molto perché il bruciore alle cosce svanisse, sostituito da un’inspiegabile sensazione di rigenerazione. Perplessa, Mandy s’arrischiò ad aprire un occhio e quel che vide la lasciò senza parole: le ferite avevano smesso di sanguinare, nonostante fosse più che sicura di esser stata colpita vicino all’arteria femorale.
“Stenditi sul tavolo.”, la voce di Evan le rimbombò nella mente.
-C-cosa…?- fece, confusa. All’occhiata non propriamente ben disposta del lupo, si affrettò a fare come le era stato detto. Si sentì un po’ stupida a prendere ordini da una creatura a quattro zampe, ma non lo disse apertamente.
Appuntò gli occhi sul soffitto ed attese. Il pulsare al fianco era sordo e persistente: non sapeva quanto grave fosse il morso, ma sicuramente faceva un male cane.
Non appena la lingua di Van le solleticò la pelle, avvertì la fuoriuscita di sangue diminuire e il corpo rilassarsi visibilmente.
-Grazie…- sussurrò, grata e spossata. Ora che le ferite non sanguinavano più, il suo organismo le stava rendendo conto della quantità di globuli rossi andati perduti. –Mi sento svuotata.- confessò.
“L’importante è che l’emorragia si sia fermata.”, le disse il lupo dal pelo rossiccio.
-Avevo un’emorragia?- domandò, stupita.
Non sentì nulla per parecchio tempo, ma era troppo stanca per sollevare la testa. -Sì: gli artigli avevano inciso l’arteria femorale.- fu la risposta.
Sgranò gli occhi. Aveva appena ascoltato     quelle parole con le orecchie e non con la mente, giusto? Quindi quello significava che Evan si era ritrasformato.
-Oddio!- si mise a sedere con uno scatto, facendosi un male cane e procurandosi una vertigine coi fiocchi. Arrossendo all’inverosimile, si ritrovò ad osservare l’ampia schiena dell’uomo che l’aveva appena salvata da dissanguamento certo.
E i suoi occhi non presero nota solamente delle spalle larghe e della perfetta linea che disegnava la colonna vertebrale.
-Rimettiti giù.- le disse, assolutamente calmo.
-Ma sei nudo!- gracchiò lei. “Considerazione molto intelligente, Amanda. Complimenti.”, fu il messaggio del suo cervello.
Evan le lanciò un’occhiata da sopra la spalla. –Mi sembra normale: mi sono appena ritrasformato.- le fece notare. –Ora torna giù.
Anche se restia ad obbedire, Mandy fece come le era stato detto. Ancora non si capacitava di quello che aveva visto. Sicuramente ora capiva uno dei motivi che avessero spinto Crystal Forbes a volerlo come marito: esteticamente non aveva nulla da invidiare agli attori più pagati di Hollywood. O agli atleti professionisti.
-Perché voi umani vi scandalizzate sempre per un po’ di pelle scoperta?- si sentì chiedere, da un punto non ben precisato della grande stanza.
-Be’… non è normale starsene nudi, senza nessuna vergogna.- gli fece notare lei, tentando in tutti i modi di scacciare la visione di quel corpo dai propri occhi.
Evan andò in camera e recuperò un paio di pantaloni. Li indossò e tornò in cucina, premurandosi di prendere l’occorrente per disinfettare le ferite di Amanda.
-Sono un licantropo. Non provo vergogna a mostrare il mio corpo.- le rispose finalmente, estraendo dalla valigetta del pronto soccorso una compressa di garza sterile.
-Non volevo offenderti…- mormorò Mandy, dopo un po’.
-Non è stata un’offesa, ma una considerazione dettata dalla tua… disinformazione.- replicò. Avrebbe voluto usare il termine ignoranza, ma era quasi certo che se la sarebbe presa. A volte sapeva essere tagliente come una lama ben affilata e a molte persone quell’aspetto del suo carattere non piaceva molto.
-Molto gentile da parte tua evitare la parola “ignoranza.”- gli fece notare lei.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dall’osservazione della ragazza: sarcastica e pungente quanto basta.
Afferrò disinfettante e cotone idrofilo e le si avvicinò. –Potresti alzarti, per favore?- si sporse sul tavolo, in modo da incontrare gli occhi verde acqua di Amanda.
Lei ammiccò qualche volta, forse stupita di rivederlo effettivamente in forma umana. –S-sì…- disse con un filo di voce.
-Lentamente.- si raccomandò lui, lanciandole un’occhiata di traverso. La vide annuire e sollevarsi sui gomiti. Le appoggiò una mano aperta al centro della schiena e l’aiutò a trovare la giusta posizione. Poi, come se stesse manovrando una bambola, la fece scivolare in avanti, in modo da avere le sue gambe oltre il supporto rigido offerto dal tavolo.
-Non mi trasformerò, vero?- gli chiese lei, osservandolo armeggiare col disinfettante ed una strana polvere. –Cos’è quella?
-Polvere di sorbo. Serve per purificare il tuo sangue da eventuali residui.- le mostrò i granelli neri cosparsi sul cotone.
-Cioè… serve per evitare che mi trasformi?- domandò, perplessa.
-Per evitare che le ferite s’infettino e che il tuo sistema immunitario venga attaccato.- le lanciò una rapida occhiata e poi afferrò un lembo dei suoi jeans, ormai inutilizzabili. –Devo strapparli.
Amanda restò concentrata su di lui, senza spostare lo sguardo. –Sei sicuro che non mi trasformerò?
-Sì.- sbuffò lui. –Sicuro.
La morettina annuì qualche volta, ancora pensierosa, poi strappò un lembo di tessuto, scoprendo la parte ferita.


  La fasciatura alla gamba era abbastanza stretta e le tirava la pelle, ma non si lamentò. Evan aveva fatto un lavoro egregio e il merito maggiore andava alla sue capacità di licantropo.
Era la seconda volta che salvava una vita in poco più di un mese.
-Hai la stoffa del supereroe…- mormorò lei, osservandolo armeggiare con un’altra compressa di garza.
-Perché?- le chiese, lanciandole una rapida occhiata.
-Hai salvato la vita sia a me che a Drew.- gli fece notare lei. –E’ una gran cosa.
Rabbuiandosi leggermente, le rispose:-Be’, tendo ad impedire che la gente intorno a me muoia.
Amanda avrebbe voluto chiedergli se avesse subito un lutto di qualche tipo, durante la sua lunga vita, ma quasi sicuramente lui non le avrebbe risposto.
E si sarebbe indisposto. Quindi meglio evitare.
Non sapendo bene come riempire l’imbarazzante silenzio che si era creato, Amanda prese a torturarsi una ciocca di capelli, agitata. Ogni tanto lanciava occhiate furtive allo scozzese, impegnato a preparare il medicamento per la ferita al fianco.
Improvvisamente le venne alla mente una domanda. –Quello che hai fatto oggi… non avresti potuto farlo anche con Andrew?- chiese, perplessa.
Evan di girò, reggendo tra le mani un paio di forbici. Non disse nulla ed afferrò il lembo della camicetta che indossava la morettina, staccandola lentamente dai lembi della ferita. Mandy dovette trattenere una smorfia, ma cercò di mantenersi perfettamente immobile.
Quando il tessuto si fu accorciato fino all’altezza delle prime costole, Van si decise finalmente a rispondere. –No, non avrebbe funzionato.
-Perché…?
Appoggiò le forbici sul tavolo. –Perché stava morendo. Sarò anche un licantropo, ma non faccio miracoli.- commentò.
-Be’, l’hai salvato da morte certa… qualcuno lo considererebbe un miracolo.- osservò lei.
-Tu come la vedi?- le chiese a bruciapelo.
Senza sapere bene perché Amanda sobbalzò. Ritrovandosi riflessa in quegli strani occhi cangianti, si rese conto di aver perso improvvisamente l’uso della parola. –Io… be’… io sono felice che Drew non sia morto. È come se avesse avuto una seconda possibilità.- farfugliò, fissando insistentemente le macchie di sangue che aveva sui jeans.
-Perché sembri sempre così positiva…?- le chiese, quasi infastidito dalla cosa.
-Non sono poi così positiva. Però credo che sia uno spreco di tempo vedere le cose sempre e solo dal lato negativo.- spiegò, evitando di guardarlo dritto in faccia.
-Hai paura di me?
Quella domanda la colse talmente di sorpresa che si ritrovò a trattenere inconsciamente il fiato. Aveva sempre temuto che l’uomo potesse arrivare a chiederglielo, ma non aveva immaginato potesse succedere in una situazione del genere.
“Cosa gli rispondo, adesso?”, si chiese, in difficoltà. Non voleva offenderlo, ma nemmeno mentirgli. –Non lo so…- confessò infine.
Evan iniziò a ripulirle la zona attorno al fianco, togliendo i residui di sangue. Il disinfettante bruciava parecchio, ma Mandy era troppo presa dalla domanda che le era appena stata posta per farci caso.
-Mi pare un buon compromesso.- commentò lui, risultando molto più ironico di quanto avrebbe voluto.
Istintivamente, Amanda gli afferrò un polso. –No, aspetta!
Van la fissò, corrucciando le sopracciglia. –Cosa devo aspettare?- domandò.
Arrossendo all’inverosimile, la ragazza iniziò a tartagliare qualcosa di molto simile a:-Sei uno dei primi licantropi che abbia mai incontrato. Per certi versi confermi tutte le leggende, per altri no. Sei una persona molto ermetica, ma hai dei valori, nonostante si debba scavare un po’ per vederli. E… e i tuoi… i tuoi occhi sono… mi mettono in difficoltà.
Nonostante fosse stupito dalle parole che aveva appena udito, lo scozzese cercò di non darlo a vedere. –Perché dite tutti che i miei occhi vi mettono in difficoltà…?- brontolò. –Anche Dave me lo disse, a suo tempo.
-Perché hanno un colore particolare. E perché sembrano sondare ogni cosa fin nel profondo. O tagliarla in due.- cercò di spiegarsi lei, sempre più imbarazzata. Stava dicendo cose senza senso, ne era certa.
Che figura!
-Non ho nessun tipo di controllo su questa cosa.- le fece presente. –Vorrà dire che continuerò ad inquietare le persone che mi stanno attorno.- concluse.
-A volte non serve molto per farsi apprezzare…- gli fece notare lei. –Io apprezzo molto quello che hai fatto per me, prima.
Il giovane MacGregor la fissò, per nulla convinto. –Avrei dovuto lasciare che quel tirapiedi ti picchiasse?- le chiese. –Non è nel mio stile.
-Non faccio parte del branco. E i lupi proteggono solo chi ne fa parte, giusto?
Gli occhi di Evan s’indurirono, diventando simili a quarzi. –Noi licantropi siamo dotati di sentimenti umani. Non ridurre tutto a mere dinamiche di branco.- rispose, la voce bassa e minacciosa. Senza più guardarla in viso riprese il proprio lavoro e, in pochi minuti, Amanda si ritrovò ad avere un’altra fasciatura, questa volta attorno allo stomaco.
-Se dovessero riaprirsi, vai al pronto soccorso. Per il resto, ricordati di tenere le ferite pulite e disinfettate.- la istruì, rimettendo a posto ciò che aveva usato per medicarla.
Con una piccola smorfia, lei scese dal tavolo. –Evan…- mormorò.
-Ci vuole altro per offendermi, non ti preoccupare. Però evita di parlare a sproposito, d’ora in poi.- replicò.
Proprio mentre la giovane stava per aggiungere qualcos’altro, la porta si spalancò e ne entrarono gli altri.
-Evan, abbiamo un problema. Un grosso problema.


-Intendi la presenza di una spia dei Blacks sotto casa?- replicò Evan, apparentemente tranquillo. Sembrava quasi annoiato, come se fosse già venuto a conoscenza del fatto da tempo.
David restò in silenzio per qualche istante, poi sbottò:-Oh, tu e il tuo udito!
-E’ questione di concentrazione, Dave. Solo quello.- gli disse l’amico.
-Come vuoi. Fatto sta che tra poco ne arriveranno altri.- l’inglese liquidò la faccenda con un gesto rapido della mano. Poi si volse verso la nuova arrivata. –Emily, digli quello che sai.
La ragazza sembrò improvvisamente cambiare postura e deglutì a vuoto qualche volta, agitata. –Be’… ecco… sono qui per voi. Ma anche per me.- iniziò.
-Ti rivogliono nel branco?- indagò Van. Andrew, nel mentre, raggiunse Amanda per sincerarsi delle sue condizioni. Lei gli sorrise e gli mostrò la fasciatura, facendogli cenno di non preoccuparsi.
-Non me ne sono mai andata, purtroppo.- mormorò lei, tenendo lo sguardo basso.
Ci vollero pochi istanti ed Evan annullò la distanza che li separava, torreggiando su di lei con il suo metro e novanta abbondante. –Sei una spia dei Blacks?- ringhiò.
Drew rabbrividì, raggiunto da un’onda di potere.
David, l’espressione incredula e preoccupata, si avvicinò a sua volta. –E’ vero? È questo quello che non ci hai mai detto?- le chiese.
-Sì.- confessò infine lei.
A quelle parole, l’inglese distolse lo sguardo e fece qualche passo, chiaramente amareggiato. Evan, invece, sembrava sul punto di esplodere. Non c’erano segni evidenti che evidenziassero la sua rabbia, ma tutta l’aria attorno a lui si era fatta elettrica.
-Vattene.- ordinò.
-Non posso.- obiettò Emily.
Amanda iniziò a temere che sarebbero arrivati ad uno scontro.
Van prese un respiro profondo prima di ripetere l’ordine. Per dar maggior enfasi alle proprie parole indicò la porta dell’appartamento.
-Non posso! Non voglio!- protestò l’americana, rialzando finalmente la testa.
-Che significa?- David le lanciò un’occhiata bieca.
-Non voglio più obbedire agli ordini del mio Alfa. Non posso accettare che venga fatto del male a persone innocenti, che non possono nemmeno difendersi.- e detto questo guardò apertamente Amanda. La morettina, sentendosi osservata, distolse gli occhi chiari, a disagio.
-E’ troppo tardi.- fu Dave a risponderle. Il tono della sua voce era tagliente quasi quanto il suo sguardo. Era arrabbiato e si sentiva tradito.
-Emily, vattene. Non voglio usare le maniere forti.- Evan la obbligò ad arretrare con la sola forza della propria presenza.
-No! Non ne posso più di tutti questi sotterfugi! Non voglio che venga fatto del male a Blake!- quasi urlò la ragazza.
-Blake?- ripetè Andrew, perplesso.
-Mio figlio! Jared lo sta usando per ricattarmi.- spiegò lei.
A quella rivelazione, quattro paia di occhi si appuntarono su Emily, le espressioni ugualmente incredule e sconvolte.
Aveva finalmente sganciato la bomba: ora era solo questione di vedere che danni avrebbe provocato l’onda d’urto.

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Capitolo 14
*** Cap. 13 Un nuovo cambiamento ***


Cap. 13 Un nuovo cambiamento
Perdonate l'attesa, ma ho avuto sempre impegni legati all'università e, nonostante scrivessi un po' tutti i giorni, il capitolo ha avuto una gestazione lunghissima :(
Comunque, tornando a noi, eravamo rimasti alla sconvolgente rivelazione di Emily... c'è aria di tempesta, in giro!
Vi lascio ai personaggi, buona lettura! :)



Cap. 13 Un nuovo cambiamento


-Tuo figlio?- ripetè Evan, scandendo bene le parole. La situazione si stava complicando ed iniziava a temere di non sapere più quale fosse la verità.
Emily annuì mesta. Poi si frugò nella tasca posteriore dei jeans ed estrasse il portafogli. Visibilmente agitata, le mani che le tremavano, tirò fuori una piccola fotografia leggermente rovinata agli angoli.
  Esitò un attimo, poi la porse allo scozzese.
Lui la prese ed osservò il viso del bambino, i suoi occhi così simili a quelli della giovane. Il suo broncio rivolto al fotografo.
-D’accordo. Questo è indubbiamente tuo figlio.- concesse, passando l’oggetto a David affinché potesse verificare lui stesso. –Perché non ce ne hai parlato?
-E cos’avreste fatto?- domandò, scettica.
-Avremo potuto elaborare un piano! Pensi che non avremmo potuto difendervi?- scattò Dave, guardandola con occhi accesi.
Emily lo fissò, poi scosse la testa. –Non metto a repentaglio la vita degli altri. Mi basta esser responsabile della mia e di quella di Blake.- rispose.
-Oh, quale prova di valor morale!- esclamò il moro, chiaramente con l’intento di essere ironico. –Sai perché lo stanno facendo?- Andrew s’inserì nella conversazione.
L’americana si morse il labbro inferiore. –Non esattamente. Non mi hanno messa al corrente dei dettagli.- ammise.
-Di’ quello che sai, così puoi provare a rimediare.- le suggerì Amanda. Aveva seguito la conversazione nel più completo silenzio, almeno fino a quel momento. Non sapeva quale fosse il compito affidato ad Emily, ma sapere che l’avevano usata tenendo sotto scacco suo figlio era riprovevole.
Doveva essersi sentita male ad ogni singola ora del giorno, terrorizzata al pensiero che potessero ferire il suo bambino.
Forse era solo solidarietà femminile, ma lei era pronta a darle una chance. Non poteva parlare a nome degli altri, però.
-Be’… all’inizio mi hanno detto di infiltrarmi nel branco appena arrivato dalla Scozia. Volevano che fossi accettata come nuovo membro.- iniziò.
-E’ per quello che hai avvicinato Graham, quindi.- ragionò David.
Emily annuì. –Sì… anche se non ho mentito sul motivo per cui volevo unirmi a voi.- rispose, evitando lo sguardo di tutti i presenti, in particolare quello dell’inglese.
-Quindi…?
Confermò nuovamente con un cenno del capo. –Sì, ma non alterarti, David. Ci siamo già passati.- lo bloccò prima di qualsiasi reazione violenta.
Con un grande sforzo, l’inglese tenne a bada il proprio umore e prese un respiro profondo. –Poi? Che altro dovevi fare?- chiese.
-Osservare, cercare di capire come Dearan avesse organizzato il branco.- proseguì lei.
-Il vostro Alfa vuole per caso espandersi?- cercò di capire Evan. C’era qualcosa che non gli tornava: se era stata mandata a tener d’occhio suo padre, perché aveva deciso di seguirlo dopo la sua espulsione dal branco?
-No… o meglio, non è quello il motivo principale per cui sono stata mandata tra di voi. Jared si è alleato con un licantropo, credo sia inglese o scozzese a giudicare dall’accento.- tentò di ricordare quanti più dettagli poteva. Non aveva mai visto in faccia il misterioso lupo, ne conosceva solamente l’aura.
-Attenta a quello che dici: mai confondere inglesi e scozzesi. Qualcuno potrebbe prendersela.- le fece notare Van, buttandola sul ridere. David non poté che concedersi un piccolo ghigno, divertito dalla battuta dell’amico.
Emily arrossì leggermente. –Scusate… non era mia intenzione.- borbottò.
-Non ti distrarre. Da chi prende ordini il tuo Alfa?- Evan la obbligò a concentrarsi nuovamente sull’argomento principale della discussione.
-Non so chi sia, mi dispiace. Conosco solo la sua aura e sembra quella di un lupo molto vecchio.- disse, mortificata. Aveva così poche informazioni da scambiare e la sua posizione diventava sempre più precaria.
Molto probabilmente, alla fine di quell’interrogatorio, l’avrebbero cacciata. E lei sarebbe rimasta sola, senza nessuno a darle una mano.
-Qual è il suo obiettivo?- la incalzò Andrew.
-Evan. Non so per quale motivo, ma questo lupo vuole qualcosa da Evan.- rivelò. –Non so se sia vendetta o altro, ma vuole lui.
David e Van si scambiarono una lunga occhiata, perplessi. Evan aveva fatto qualche sgarbo a diversi licantropi quand’erano ancora nel Vecchio Continente, ma tutte le dispute erano state risolte.
Apparentemente non c’era nessuno, escludendo la sua ex moglie e Stryker, che potesse avercela con lui.
-Non so chi sia, non mi viene in mente nessuno.- ammise infine l’uomo.
Dopo quell’ammissione, tra i presenti scese il silenzio. La tensione era palpabile, anche se apparentemente l’aura di Evan era stata riassorbita e aveva smesso di vorticargli attorno come impazzita, schiacciando le auree degli altri licantropi.
  In tutta quella situazione, Amanda aveva cercato di trovare le fila del discorso, ma senza molto successo. Ne sapeva ben poco di dinamiche di branco e ancor meno di possibili faide vecchie di centinaia di anni.
A dir la verità, per lei erano tutte cose fuori dall’umana concezione. Il problema era che doveva provare a pensare come un licantropo, se no non avrebbe mai capito il loro mondo.
Improvvisamente, la sua mente collegò due tasselli del puzzle. –I licantropi che erano all’Internazionale… erano stati mandati dai Blacks?- chiese, guardando nella direzione di Emily.
Come se si fossero ricordati solo in quel momento della sua presenza, i lupi si voltarono a guardarla e poi bisbigliarono tra loro.
Infine, tutti gli occhi si appuntarono nuovamente sull’americana. –Sì… ma so solo che dovevano attaccare in presenza del branco MacGregor.- rispose.
“Attaccare solo in presenza del branco…”, meditò Evan. Poi, sembrò realizzare una parte del piano del nemico. –Ma certo! Che idiota!- esclamò.
-Cos’hai capito?- Dave gli si avvicinò.
-L’attacco. Era tutto pianificato, forse fino al punto da obbligarmi a trasformare qualcuno.- spiegò.
A quelle parole, Andrew impallidì. –Vuoi dire che la mia quasi morte faceva parte del loro piano? Quindi siamo stati tutti manipolati?- domandò sconvolto. Non sapeva se arrabbiarsi o essere scioccato.
-Probabile. Anche se non doveva essere espressamente la tua.- convenne lo scozzese.
-Figli di…- iniziò Drew, ma s’interruppe di colpo per esclamare:-Mandy!
Nell’esatto istante in cui il ragazzo aveva urlato il suo nome, Amanda si era sentita venir meno le gambe. Il pavimento si era avvicinato molto velocemente e aveva temuto di cadere a terra come un sacco di patate.
Allungò un braccio di lato nel tentativo di trovare un appiglio ed artigliò il bordo del tavolo. Vi si appoggiò pesantemente contro, tentando di rimanere presente a se stessa.
Fortunatamente Drew le venne in soccorso e l’accompagnò gentilmente fino a terra, facendola sedere. –Ehi… cosa ti senti? Stai per svenire?- le domandò, tastandole il polso in cerca del battito. Essendo un allenatore di nuoto, aveva fatto un corso di primo soccorso e sapeva come comportarsi in situazioni del genere.
La ragazza sbatté parecchie volte le palpebre, cercando di rispondere. –Io… io credo di sì…- biascicò infine.
-Deve riposare: ha perso un bel po’ di sangue.- osservò Evan.
-No! Io… io voglio rimanere. Voglio capire…- tentò di protestare la morettina.
David allora liberò il divano da alcuni cuscini e fece segno ad Andrew di adagiarvela sopra. Il giovane americano obbedì, sollevandola come se fosse una piuma e portandola subito dopo a destinazione.
Mandy si ritrovò così nell’occhio del ciclone, ossia in mezzo ai licantropi. Si lasciò andare indietro, fino ad appoggiare il capo sul bracciolo e chiuse gli occhi. –Scusatemi… continuate pure…- mormorò, massaggiandosi le tempie.
-Hai altre informazioni da darci?- fu Evan a spezzare il silenzio creatosi.
-A parte che da ora in poi ci spieranno molto spesso, no. Avevo tentato di tenere nascosto questo posto, ma mi hanno costretta a rivelarlo.- ammise.
-D’accordo. David, vieni con me.
Van si diresse rapidamente verso la finestra e poco dopo prese a salire la scala antincendio, diretto verso il tetto. Dave lo seguì subito dopo aver lanciato un’occhiata ad Emily.


-Avevamo ragione ad avere dei sospetti…- esordì David, una volta approdato sul tetto dell’edificio in cui vivevano.
-A quanto pare.- confermò Evan, lanciandogli un’occhiata distratta. –Cosa ne pensi?
Dave si passò una mano tra i riccioli scuri. –Sai che non mi piacciono i bugiardi, per niente. È una questione che tende ad essere alquanto personale…- commentò lasciandosi andare ad un sospiro.
-Quindi? Proponi di allontanarla?- indagò l’altro, voltandosi completamente a guardare l’amico.
-Lo farei. Se solo non ci fosse l’attenuante.- ammise.
Van sollevò un angolo della bocca, compiaciuto: aveva previsto una risposta del genere. Ormai lo conosceva troppo bene e da troppo tempo per sbagliarsi.
L’inglese si passò una mano sul viso, sentendosi oppresso da una responsabilità che non aveva chiesto. -Tu cosa vuoi fare in merito?
-Indagare. Voglio capire come hanno fatto a piegare Emily a questo ricatto. Da quel poco che so di lei, non mi sembra tipo da cedere facilmente.- disse, facendosi pensoso.
-E per l’altra questione? Quella del licantropo che ti cerca?- chiese ancora, facendosi incalzante.
Evan alzò lo sguardo. –Davvero non lo so. Ho sistemato tutte le questioni rimaste in sospeso prima di partire.- rivelò.
David si sedette sul parapetto di mattoni rossi. –Potrebbe essere qualche Alfa locale?- ipotizzò.
-Non credo.- l’altro scosse la testa. –Emily ha detto che aveva un accento europeo. Questo mi fa pensare che sia legato alla nostra vecchia vita. Alla mia vecchia vita.
-Il che è plausibile. Però, perché mirare a te? Non sei un Alfa… almeno, non lo eri fino a qualche tempo fa.- osservò, pizzicandosi ritmicamente il mento.
-Questo proprio non so spiegarlo.- confessò. Non avrebbe saputo dire un nome nemmeno sotto tortura: brancolava nel buio più completo.
Restarono in silenzio per un po’, inseguendo i ragionamenti e le ipotesi più disparati. C’erano moltissimi interrogativi dietro quella storia e i principali riguardavano la spia Emily Blackwood.
-Accantoniamo momentaneamente il problema del licantropo europeo e focalizziamoci su Emily.- Evan diede voce ai propri pensieri. –Se sarà disposta a raccontarci la verità, sarà più facile per tutti e due prendere una decisione in merito.
-Effettivamente, ora sono un po’ arrabbiato…- commentò Dave, cercando di buttarla sul ridere. Era veramente arrabbiato per quello che era successo e per motivi vecchi più di un secolo, ormai.
-Dave, lei non è tuo padre.- gli fece notare l’amico. –Ma sono arrabbiato anche io.- aggiunse subito dopo.
-Per fortuna. Se no sarebbe potuta finire male.- replicò l’architetto. –Ma apprezzo il fatto che abbia deciso di dare un taglio a tutta questa farsa. Spontaneamente.
“Non so se fidarmi o meno.”, si disse lo scozzese. La reazione del suo migliore amico gli dava da pensare: si fidava del suo istinto e spesso si era rivolto a lui per prendere decisioni importanti. D’altra parte, era anche vero che la situazione ricordava moltissimo un episodio cruciale della vita di David e l’uomo non si poteva dire obiettivo.
-Ridarle suo figlio potrebbe portarla definitivamente dalla nostra parte.- considerò il giovane MacGregor.
-Mi sembra abbastanza convinta di voler abbandonare quella dei Blacks. Da quel che mi ha detto, non è esattamente un branco esemplare.- gli ricordò.
Quello annuì più volte, dimostrando di ricordare quello che gli era stato detto. –Bene… quindi direi che siamo d’accordo sul fatto di scoprire cosa c’è dietro e, nel caso, aiutarla a riavere il piccolo…?- chiese conferma.
-Direi di sì.
-Per quanto riguarda i licantropi che, d’ora in poi, se ne staranno appostati davanti a casa nostra?- Evan fece scrocchiare le dita delle mani, cercando di elaborare un piano che potesse funzionare. Magari evitando l’omicidio di diverse persone.
Anche David ci stava pensando, ma non gli veniva in mente nulla che potesse apparire anche lontanamente una buona idea. All’improvviso, però, battè il pugno sul palmo della mano ed esclamò:-Trovato!
Van non disse nulla, si limitò a guardarlo in attesa di una spiegazione.
-Fingiamo di cacciare Emily, in modo che credano di aver perso il loro aggancio. Poi troveremo un nuovo posto in cui stare.- espose il suo piano.
-Geniale, Watson.- commentò l’amico, per nulla convinto del suo successo.
-Non ho niente di meglio da proporre.- ammise l’inglese, facendo spallucce. Non era l’idea del secolo, ma era meglio di niente.
-Proviamo.- mormorò infine l’altro. –Dovremo comunque spostarci.


-Cosa pensi che succederà adesso?- chiese Andrew. Stava ascoltando con un orecchio la conversazione tra Evan e David e al contempo cercava di far mente locale con Emily.
-Non voglio tornare dai Blacks, assolutamente. E rivoglio mio figlio.- asserì lei, ferma nelle proprie convinzioni. –E non li biasimo per il fatto di avercela a morte con me. Io per prima mi sentirei tradita, in una situazione del genere.- aggiunse.
-Saranno neri.- osservò Amanda, completamente abbandonata contro i cuscini del divano. Gli effetti della perdita di sangue dovuti alle ferite iniziavano a farsi sentire.
-Lo sono.- confermò la donna. –E stanno scendendo.
Si misero tutti quanti sull’attenti, nonostante i due licantropi fossero molto più informati su quello che sarebbe successo rispetto ad Amanda.
  La ragazza cercò di mettersi a sedere, ma ci riuscì solo dopo due penosi tentativi andati a vuoto. Sapeva di non avere assolutamente un’espressione minacciosa o una presenza fisica tale da intimorire qualcuno, ma avrebbe dato il proprio appoggio ad Emily, se ce ne fosse stato bisogno.
Il suo cervello sembrava essersi momentaneamente dimenticato che era a causa dell’americana (anche se indirettamente) se Andrew era stato trasformato e Frances si era data alla fuga.
-Bene… direi che non c’è bisogno di fare un riassunto, vero?- esordì David, puntando i propri occhi chiari in quelli color giada di Emily.
-Veramente io sarei ancora umana.- fece notare loro Mandy.
I due sembrarono ricordarsi solo in quel momento della sua presenza e per un istante si guardarono, smarriti. Poi Evan disse:-Abbiamo una proposta per Emily. Quello che ha fatto ci ha indisposti parecchio, ma vorremmo aiutarla a liberare suo figlio.
-Come?
-Fingeremo di allontanarti dopo aver scoperto del tradimento. Sapere di non avere più la loro spia dovrebbe costringere i Blacks a riorganizzarsi.- Van illustrò brevemente l’idea suggeritagli dall’amico. Aveva ancora molti dubbi in merito, ma sperava potesse funzionare.
-Quindi dovrei fungere da esca?- indagò Emily.
David le lanciò un’occhiata. –Pensi che si metterebbero sulle tue tracce?- domandò.
Lei non ebbe nemmeno bisogno di pensarci e, senza nessuna esitazione affermò:-Sì, sicuramente.
-Perfetto. Hai un posto sicuro in cui rifugiarti? Ci dovrebbero servire al massimo un paio di giorni.- Evan le si avvicinò, fissandola dritto negli occhi. Amanda, dalla sua posizione svantaggiata, poté vedere la ragazza trattenere a stento un brivido.
Nonostante lo scozzese non avesse intenzione di nuocerle fisicamente, quella che lo circondava era sicuramente l’aura di un comandante a cui non era possibile dire di no.
“Sarà terribile affrontarlo quando è seriamente arrabbiato.”, considerò la ventiduenne. Non sapeva quanto i suoi occhi potessero diventare spaventosi, ma non voleva assolutamente sperimentarlo.
-Ho un posto, sì.- la risposta di Emily la riportò alla realtà.
-E voi dove andrete?- chiese d’impulso. –Perché avete intenzione di trasferirvi, vero?
I due europei si voltarono a guardarla e quello che videro fu una giovane ragazza dal colorito decisamente pallido, dovuto ad un indesiderato attacco di un loro simile.
-David è un architetto, non gli sarà difficile trovare un posto.- le disse Van, senza un minimo di incertezza. Dave, al suo fianco, confermò con un cenno del capo.
-E se veniste a stare nel nostro palazzo?- propose lei.
A quelle parole, Drew sgranò gli occhi. –Cosa?! Mandy, ma cosa stai dicendo?
La morettina piegò la testa all’indietro e lo guardò confusa. –Perché? Che ho detto di male?- domandò.
-Non c’è lo spazio materiale per ospitare altre persone.- le fece notare il giovane. “E poi questo segnerebbe la fine delle speranze per il ritorno di Fran…”, aggiunse mentalmente. E lui non desiderava che ciò accadesse.
-Se stai pensando a Frances, credo che potrebbe servirle da incentivo. Le farebbe capire che loro ormai sono parte della tua vita, come un nuovo pezzo della famiglia.- spiegò. Non avrebbe mai ammesso di aver proposto la cosa col solo scopo di risultare utile alla causa.
  Non voleva essere una semplice spettatrice, voleva aiutare!
Andrew cercò i suoi occhi, tentando di farle capire la propria apprensione. Lui era più che certo che le cose non avrebbero funzionato.
I due si confrontarono per diversi istanti, isolati dal resto dei presenti. Alla fine il ragazzo sospirò ed abbassò lo sguardo, cedendo. –D’accordo. In fondo, in questa storia ci siamo dentro tutti quanti.- mormorò.
-Noi non abbiamo accettato, però.- fece loro presente Evan.
-Non dovreste rinunciare ai vostri spazi: Emily starà con me e voi starete nell’appartamento di Drew.- spiegò.
Il diretto interessato si passò una mano sul viso, sempre più disperato. Se prima le ipotesi di riavere Frances nella sua vita si erano abbassate drasticamente, in quel momento si erano totalmente annullate.
Non avrebbe mai accettato di condividere l’appartamento con due licantropi.
“Mandy, ma cosa ti è saltato in mente?”, si chiese.
-Perché dovremmo trasferirci da voi?- domandò Evan, per nulla convinto.
Amanda lo guardò negli occhi per qualche istante, poi si soffermò su quelli di David. –Be’… avreste il vantaggio di avere Drew lì con voi. Io conosco la situazione, quindi potrei aiutarvi. E non credo verrebbero a cercarvi nel nostro quartiere.- osservò.
-In che quartiere vivete?- Emily s’inserì nel discorso.
Amanda fece per rispondere, quando le tornarono alla mente le informazioni che aveva trovato su internet. Dopo le confidenze di Drew, si era immediatamente informata, approfittando del suo tempo libero per scandagliare siti e saggi sui licantropi.
  Si era anche documentata sulla situazione nella città di New York e aveva scoperto cose interessanti. E quelle informazioni avevano inconsciamente guidato il suo subconscio.
-Hamilton Heights.- rispose.
-Il territorio del gruppo di Aleksandr.- sussurrò Emily, colpita.
L’altra annuì. –Il branco con origini russe, esatto.
-Tu conosci questo branco?- Evan scambiò un’occhiata con David. Quando l’altro scosse la testa, chiese:-Perché la loro presenza potrebbe favorirci?
-Perché sono molto territoriali e non accettano che un branco a loro ostile abbia accesso alla loro zona.- spiegò l’americana. –In più, hanno una faida in corso coi Blacks.
Il sorriso sulle sue labbra valeva più di mille parole. Forse Amanda aveva appena servito loro su un piatto d’argento la soluzione ai loro problemi.
-Per quale motivo è nata la faida?- indagarono gli europei.
-Riciclaggio di denaro.
-Tutti lavoratori onesti, i licantropi di New York.- fu il commento sarcastico di Dave.
In risposta si beccò una bella occhiataccia da Emily.


***

-Non capisco perché Kennet ci stia mettendo così tanto!- brontolò, camminando avanti e indietro nel proprio loft. Abitava in una vecchia fabbrica e ogni singola parete della sua casa denunciava quel fatto.
-Potrebbero averlo intercettato.- ipotizzò Simon.
Jared si fermò a guardarlo. –Credi che sia così stupido da lasciarsi prendere?- domandò.
-Il fatto che sia il tuo Beta non significa che non ci sia qualcuno in grado di batterlo.- gli fece notare l’altro, sorridendo sornione. Simon e Kennet non erano mai andati d’accordo e nessuno dei due si era mai preoccupato di nascondere la cosa.
Se solo non fossero stati i due maschi più forti del suo branco, Jared non li avrebbe mai scelti come membri della sua triade di potere.
-Mi fido dei miei sottoposti.- replicò stizzito l’americano.
-Se ti fidassi, ora staresti dormendo nel tuo letto.- lo punzecchiò l’altro. Sentendosi sfidato, Jared lo afferrò saldamente per la gola, ringhiandogli contro il proprio disappunto. Simon restò immobile, fissandolo dritto negli occhi.
-Mi stai sfidando?- chiese il suo Alfa, la voce distorta dalla rabbia.
Ci fu un lungo momento di tensione, nel quale i due si fronteggiarono in silenzio. Alla fine Simon abbassò lo sguardo e scosse lentamente il capo.
-Bene. Perché non ho bisogno di altre insubordinazioni. Mi basta avere una femmina che sa usare il cervello.- lo lasciò andare con uno strattone.
L’altro fece per commentare, rischiando nuovamente la propria testa, quando un forte odore di sangue catturò l’attenzione di entrambi.
-Kennet…!- esclamò Jared. Si precipitò ad aprire la porta di metallo del loft e si ritrovò davanti il suo sottoposto. –Cosa diavolo è successo?!
Kennet lo guardò con sguardo vitreo prima di crollare al suolo ed iniziare a tossire.
I due licantropi si chinarono su di lui, cercando di capire chi l’avesse ferito e da dove provenisse il sangue.
-Ti sei scontrato con MacGregor?- gli chiese Simon, molto meno solerte del suo Alfa nel dare una mano. Gli avrebbe fatto comodo non avere più quell’incapace tra i piedi, avrebbe potuto diventare Beta del branco.
Il nuovo arrivato tossì ancora, sputando sangue nero e denso. Poi si portò una mano alla gamba destra e la strinse con forza. –Hanno… c’è un’umana con loro. Probabilmente la compagna di MacGregor, non lo so… lui è corso a difenderla…- disse tra un gemito e l’altro.
-Simon, va’ a chiamare Meredith. Subito!- ordinò Jared.
L’uomo esitò qualche istante, ma poi uscì nella notte alla ricerca del medico dei Blacks.
-E’ stato lui a ridurti così?- chiese ancora l’altro.
Kennet si accasciò lentamente a terra. –No… lei… siamo finiti in un cimitero… c’era… c’era del sorbo nella cancellata…- riuscì a rispondere.
Jared allora capì. La coscia di Kennet era stata trafitta da un ferro pieno di sorbo degli uccellatori e ora quella sostanza stava infettando tutto il suo corpo. Se non avessero agito in fretta, sarebbe sicuramente morto.
-Riesci a rigenerarti…?
-No…- scosse la testa l’altro. –Non la ferita. Quelle di MacGregor… posso provarci…
-Fallo. Io proverò a tenerti in vita.- gli disse.
Era cresciuto assieme a Kennet, lo considerava come un fratello e non desiderava la sua morte. Soprattutto perché avrebbe dovuto rimpiazzarlo con Simon, di cui si fidava molto meno.
-Vi ucciderò personalmente.- promise, mettendo in quelle parole tutta la rabbia che provava.


***

-Ricapitoliamo: aspetteremo che i Blacks mandino un altro dei loro a tenerci sott’occhio e poi insceneremo una lite. A quel punto Emily se ne andrà e farà perdere le sue tracce. Mentre saranno distratti dalla sua fuga, noi ne approfitteremo per trasferirci.- disse David, lanciando occhiate a tutti i presenti. –Tutto chiaro?
-Tutto chiaro. Ricordatevi che dovrete andare da Aleksandr.- ricordò loro Emily. –Non insediatevi senza avvertirlo o ci ritroveremo addosso pure il suo branco.
-Naturalmente.- confermò Evan, apparentemente calmo. –Tu tieni presente la tua posizione.
La giovane lupa lo guardò intensamente, indecisa su cosa rispondere. Alla fine optò per il silenzio ed un profondo cenno del capo. –Ne sono consapevole. Farò del mio meglio per fare ammenda.- mormorò.
-Avete bisogno di una mano per iniziare ad imballare le vostre cose?- domandò Andrew. Non era stato coinvolto nei piani perché, tecnicamente, faceva parte del branco del padre di Evan. Non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi lì, a dir la verità.
-No, grazie. Possiamo arrangiarci. Ti suggerisco di portare a casa Amanda ed occuparti di lei.- gli rispose Evan.
La ragazza in questione stava rischiando di collassare sul divano, ormai allo stremo delle proprie forze. Drew la guardò dispiaciuto e le si avvicinò. –Scusami, Mandy! Non pensavo…- iniziò.
-Tranquillo.- accennò un sorriso lei. –Prima le questioni importanti.
-Dovrai cambiare le bende abbastanza spesso, in modo da tenere le ferite pulite.- le fece presente lo scozzese.
-S-sì…- sussurrò Amanda. –Grazie.
Gentilmente, Drew la sollevò di peso e se la sistemò tra le braccia. Una volta assicuratosi di avere una presa ben salda, si voltò a salutare i tre licantropi.
-Ti accompagno.- David lo precedette, aprendogli la porta di casa. Andrew ringraziò con un cenno del capo e, dopo aver salutato nuovamente tutti quanti, prese congedo.
Una volta fuori dall’appartamento, Mandy gli chiese:-Credi che funzionerà?
Lui la fissò, pensieroso. –Non lo so.- ammise. –Ma sono nuovo di queste cose, quindi non affidarti troppo al mio giudizio.
-E… la perdoneranno?
Sapeva a chi si stava riferendo. –Non so nemmeno questo. Dovrà dimostrare la propria lealtà.- rispose, iniziando a scendere le scale.
-E tu mi perdonerai?- chiese allora la morettina.
Drew allora la guardò confuso. –Per cosa, scusa?- replicò.
Mandy reclinò il capo, sentendosi una bimba tra le braccia del fratello maggiore. Andrew non le aveva mai dato quell’impressione, ma da quando era diventato un licantropo le sembrava in grado di rivaleggiare con Gregory, almeno per quanto riguardava la sua personale idea di fratello maggiore.
-Per aver offerto rifugio al branco…- disse con un filo di voce.
-Ah, per quello. Be’, potrebbe essere un buon modo per spronare Fran… oppure per allontanarla per sempre da noi.- ragionò, facendosi all’improvviso triste.
Amanda allungò una mano a sfiorargli il viso. –Io desidero che ci sia un lieto fine, per voi.
-Anche io. Non sai quanto.- le sorrise mestamente lui.


  Il giorno dopo, quando si alzò per andare alla centrale, Evan aveva mille e più dubbi in testa. Desiderava chiamare Alastair per poterne discutere con lui, ma non voleva trascinarlo in qualcosa che non avrebbe dovuto vederlo coinvolto.
In fondo, lui era stato cacciato dal branco e non avrebbe dovuto intrattenere rapporti con nessuno dei suoi membri.
Salì sulla propria moto e alzò lo sguardo alla finestra del soggiorno, trovandovi David. Gli fece un impercettibile cenno col capo e poi scandagliò la zona, approfittando del fatto di dover ancora indossare casco e occhiali da sole.
  Non comprendeva o apprezzava molte invenzioni dell’ultimo secolo, ma gli occhiali da sole non rientravano in nessuna delle due categorie. Per lui, che era nato licantropo, la luce solare era qualcosa di veramente fastidioso. Certo, non mortale come poteva esserlo per un vampiro, ma sicuramente una bella seccatura.
Quindi, non avrebbe mai ringraziato abbastanza l’inventore delle lenti a specchio.
Terminò di allacciare la fibbia del casco e poi inserì le chiavi nel quadro, risvegliando subito dopo il motore del suo mezzo a due ruote. Lo fece sgasare un po’, tolse il cavalletto e partì alla volta della centrale.
Ormai si era abituato al traffico cittadino e aveva imparato ad evitarlo. Almeno la maggior parte delle volte.
  Quello si rivelò essere uno dei casi fortunati. Riuscì ad arrivare a destinazione con addirittura due minuti di anticipo.
“Potrebbe essere una buona giornata.”, sperò, dirigendosi verso gli spogliatoi. Salutò le poche persone già presenti ed entrò nella sezione maschile.
-E’ riuscito ad evitare il traffico, capitano?- domandò una voce alle sue spalle.
Sollevando leggermente un angolo della bocca, Evan rispose:-Buongiorno, tenente Simmons. È mattiniera per essere un licantropo.
La donna chiuse il proprio armadietto, esattamente dall’altra parte del muro che divideva in due lo spogliatoio. –Sono abbastanza vecchia da avere pochi problemi con le mattine.- disse quella.
-Buono a sapersi.- commentò lo scozzese. Depose casco e chiavi nel portaoggetti e poi estrasse la parte superiore della divisa. –Simmons… avrei un favore da chiedervi.
-Quale?
-Mi servirebbe una panoramica completa di tutti i branchi della città. Ho un sospetto circa l’attacco dell’Internazionale, ma devo confermarlo.- spiegò, abbottonando la camicia e sistemando il colletto. Quel giorno avrebbero svolto un’esercitazione, quindi anche lui doveva indossare il completo color blu navy.
Il tenente si mostrò completamente vestita. -Di chi sospetta, capitano?
-Non voglio fare nomi.- Evan la guardò dritto negli occhi per farle capire che non voleva altre domande.
Lei sembrò afferrare il messaggio perché fece un rapido cenno del capo e poi si congedò, uscendo subito dopo.
  L’esercitazione iniziò mezz’ora dopo e coinvolse tutta la sua squadra, durando quasi tutta la mattinata. Fu molto utile, però, perché Evan riuscì a comprendere meglio i propri compagni.
Al ritorno negli spogliatoi, tutti quanti erano sudati e accaldati. Nonostante ci fossero anche dei licantropi nel gruppo, la prova era stata costruita su misura per le loro capacità soprannaturali.
-Odio il sole… con tutto me stesso!- brontolò Eric, scalciando via i pantaloni e recuperando l’asciugamano.
Van sollevò un sopracciglio, osservando con quanta meticolosità stesse calpestando i propri indumenti. Il ragazzo aveva solo diciannove anni e, in quel momento, li dimostrava veramente tutti.
  Sentendosi osservato, il giovane alzò di scatto la testa ed arrossì fino alla punta dei capelli, tartagliando qualcosa. –S-scusi, capitano!- balbettò, affrettandosi a raccoglierli.
La sua reazione scatenò le risate di molti elementi del gruppo.
A quanto pareva, dopo l’iniziale dimostrazione di forza, Eric aveva mostrato sempre di più una sorta di ammirazione mista a soggezione per Evan. E molti lo prendevano in giro per quel motivo.
Van, dal canto suo, credeva di aver intuito che tipo fosse il ragazzo: molto insicuro, ma capace di usare un atteggiamento supponente per mascherarlo.
-Sei ancora un pivellino, Eric.- Marcel, un omone grande e grosso di origini francesi, gli scompigliò i folti capelli biondo-rossicci. Aveva dei caratteri particolari per essere un americano puro.
“Potrebbe avere parenti europei.”, considerò Evan, strofinandosi il petto e la schiena per ripulirli dalla polvere. Fece per chiedergli da dove venisse, quando proprio il ragazzo replicò:-Smettila, Marcel! Prima o poi imparerò anche io a padroneggiare completamente le mie capacità. E allora vedrai!
Il tono della sua minaccia era scherzoso, ma il desiderio di rivalsa negli occhi del giovane agente era genuino.
-Bambini, smettetela di battibeccare e terminate di lavarvi!- li rimbeccò il tenente Simmons. Al suo rimprovero, praticamente tutti i maschi presenti ripresero le loro attività, brontolando qualcosa contro le donne con poteri soprannaturali.
Evan trovò divertente il fatto che i suoi compagni fossero tenuti al guinzaglio da una donna. Avrebbe potuto fargli comodo una mano, una volta ogni tanto.
-Se solo fossi forte come mio zio…- disse tra i denti Eric.
-E’ meglio che tu rimanga quello che sei. Non vorrei doverti sbattere dentro per ricettazione.- lo riprese nuovamente la donna. Lui arrossì nuovamente e gettò la testa sotto l’acqua, sconfitto.
“Ricettazione?”, si chiese il giovane MacGregor. Senza poterne fare a meno restò a fissare Eric il quale, accorgendosi di quello sguardo pensieroso fisso su di sé, voltò il capo e mormorò:-Aleksandr. Mio zio è a capo del branco di lupi dell’est che si trova ad Hamilton Heights…
Sgranando leggermente gli occhi, Evan fece finta di non esser sorpreso della notizia. –Dopo devo parlarti, Eric.- disse solamente.


  Si appoggiò al muro, stringendo tra le mani la sua tazza di caffè personale.
Era tutta la mattina che marciava su e giù per il negozio e la ferita alla gamba le faceva un male infernale. Non aveva avuto tempo di darci un’occhiata e temeva che si fosse riaperta.
-Mandy… tutto bene?- vedendola con gli occhi chiusi e un’espressione di dolore sul viso, Gabrielle si preoccupò.
Amanda sollevò le palpebre e la mise a fuoco. –Come?
-Stai bene?- ripetè la donna, avvicinandosi.
Raddrizzandosi, la morettina si passò distrattamente una mano tra i capelli. –Tutto…- si bloccò, indecisa. Avrebbe dovuto rivelarle quello che era successo? In fondo, lei sapeva di Andrew. –No, in verità non è tutto ok.- si corresse.
Gabbie si fece preoccupata. -Cos’è successo?- domandò, ispezionando l’amica da capo a piedi.
-Vieni negli spogliatoi con me…- mormorò.
Stando attente a non farsi vedere dalle colleghe, le due raggiunsero la grande stanza che conteneva gli armadietti di tutte le assistenti. Amanda appoggiò la tazza di caffè su una panca e poi arrotolò attentamente la gonna che indossava, fino a scoprire la fasciatura.
Alla vista delle bende, per poco Gabrielle non imprecò. –Cosa diavolo sono quelle?! Chi è stato?
-Calmati!- Mandy le chiuse la bocca con entrambe le mani. –Non urlare, per favore.
L’altra ci mise un po’ per convincersi, ma alla fine annuì. –Chi è stato?- chiese, tenendo un tono di voce più controllato.
-Non so il suo nome… sono stata attaccata da un licantropo.- rispose.
Al che, gli occhi di Gabrielle diventarono due biglie. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci riuscì solamente al terzo tentativo. –Hai denunciato il fatto?
Lei annuì. –Sì… Drew lo sa. E anche altri tre licantropi.- la rassicurò.
-Altri tre licantropi? E chi sarebbero? Membri del branco MacGregor?- indagò.
Mandy tergiversò. –Non proprio. Ex membri.- spiegò.
-Sei in contatto con Evan MacGregor?!
-Gabbie!- la rimbeccò, agitata. Non voleva che tutto Kleinfeld venisse a conoscenza della sua nuova quotidianità, fatta di ululati e pellicce.
-D’accordo, scusa!- brontolò. –Però devi dirmi come te la sei fatta.
-Sono stata attaccata dopo aver accompagnato Drew da Evan. Sta avendo dei problemi nel branco…- sospirò. –Credo mi abbiano scambiata per un’affiliata.
-Cioè, vuoi dirmi che sei stata attaccata per sbaglio?!- esclamò la direttrice vendite.
Seppur in completo imbarazzo, Mandy dovette annuire. –Mi hanno curata, non sono andata all’ospedale. Però la gamba mi fa male, dopo averci camminato sopra per tanto tempo.- confessò.
-Hai bisogno di qualcosa?- si premurò di chiederle la sua migliore amica. Nonostante avesse quasi dato di matto, era una donna molto premurosa.
-Ehm… pensi che potresti recuperarmi delle bende?- chiese allora Amanda. “Devo veramente cambiarle.”, pensò, sentendo quelle che aveva addosso farsi sospettosamente umide.
Forse ci aveva preso: la ferita si era riaperta.
-Bende? Certo… vado alla farmacia all’angolo. Tu rimani qui!- e detto questo Gabbie uscì di corsa dalla porta.
Mandy lasciò uscire un lungo respiro e poi scivolò seduta sulla panca. Se quella era la vita che l’aspettava da lì in avanti, avrebbe dovuto fortificare corpo e spirito per poter sopravvivere.

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Capitolo 15
*** Cap. 14 Can we make a deal? ***


Cap. 14 Can we make a deal?
Scusate per l'immenso ritardo, ma dovevo dare un esame impegnativo e organizzarsi con altre persone non era semplice. Quindi niente tempo per scrivere >___<
Ok, questo è un capitolo di transizione, ma ci sono alcuni avvenimenti importanti... mi sto divertendo a complicare la vita ad Evan :P
Non indugio oltre e vi lascio alla lettura! :)

02-07-2017: Segnalo una piccola correzione. Nel capitolo viene menzionato un anello che, in precedenza, era d'argento. Dato che l'argento è un metallo nocivo per i licantropi, è stato sostituito dall'oro.







Cap. 14 Can we make a deal?


  Da quando il capitano gli aveva detto che aveva bisogno di conferire con lui, Eric non aveva fatto altro che mordersi nervosamente il labbro inferiore e torturarsi la cravatta della divisa.
Non sapeva cosa potesse volere Evan MacGregor da uno come lui e aveva paura di non poter essere all’altezza della richiesta.
Restò in quello stato di perenne agitazione fino alla fine della giornata lavorativa.
  Stette seduto alla propria scrivania, quasi certo che sarebbe stato quello il momento della tanto temuta chiacchierata.
Quando lo vide avvicinarsi, non poté trattenersi dal sobbalzare leggermente. “Non vuole mangiarti, stupido! Datti un contegno!”, si rimproverò. –Capitano.- gli fece un cenno col capo, mantenendo una postura abbastanza rigida.
-Rilassati, soldato.- Van capì subito il suo stato d’animo e cercò di metterlo a proprio agio. Iniziava a seccarlo essere considerato da tutti un possibile Dearan MacGregor, ossia un pazzo con manie di controllo pronto a dare in escandescenza al minimo segno d’insubordinazione.
Perché, ovviamente, era da parecchio che suo padre aveva assunto quel ruolo, nella sua testa.
Eric si affrettò ad abbassare lo sguardo. -Mi scusi…
Lo scozzese alzò gli occhi al cielo, cercando di non innervosirsi. “Non ho mai morso nessuno in forma umana. Lo giuro.”, pensò. –Prima hai detto di essere imparentato con Aleksandr… è tuo zio, dunque?- gli chiese.
A quella domanda, il ragazzo si accigliò. –Sì… è il fratello di mia madre.- confermò.
-Questo spiega il tuo cognome occidentale.- commentò l’altro.
-Be’, sì, mio padre è gallese.- confermò. –Perché mi sta facendo tutte queste domande? Le interessa la mia storia familiare?
-Avrei bisogno di parlare con Aleksandr. Si tratta di una questione personale. Potresti farmi avere un incontro con lui?- domandò. Solitamente non si affidava agli altri per ottenere quello che voleva, ma in quel caso non aveva nessun altro modo per entrare in contatto con quel licantropo.
Il giovane lo fissò ancor più stupito. –Ehm… mi serve sapere il motivo… almeno quello.- mormorò, spaesato. Che il suo capitano fosse un ricettatore come suo zio? Non approvava quel genere di attività e l’aveva spesso detto ad alta voce, ma sapeva che non aveva il potere di cambiare lo stato delle cose.
Sperava solo di non esser caduto dalla padella nella brace.
-Un nuovo insediamento territoriale.- disse solamente Evan. Capiva la richiesta del suo sottoposto, ma non voleva nemmeno rivelargli tutti i retroscena.
-D’accordo. Vedrò che posso fare.- rispose Eric.
Evan gli fece un cenno col capo. –Grazie. Ci vediamo domani.- e detto questo uscì dall’ufficio, diretto verso il parcheggio privato del dipartimento.


-Amanda, sei sicura di quello che stai facendo?- lo sguardo preoccupato di Gabrielle non l’aveva lasciata un attimo, da quando erano uscite dal negozio.
L’amica le lanciò una rapida occhiata, poi continuò ad osservare la strada davanti a sé. –Sì… perché?- chiese.
-Perché ti hanno ferita in modo grave e non hai denunciato il fatto alla polizia.- le fece presente.
-Ho denunciato il fatto: Evan è un poliziotto.- puntualizzò la morettina.
Gabbie sorrise, sorniona. –Vedo che sei passata al tu.- commentò. Per poi tornare subito seria e aggiungere:-Non ti stai infilando in qualcosa più grande di te, vero?
A quelle parole, Mandy abbassò il capo e proseguì in silenzio per qualche metro. –Sì, hai ragione: è sicuramente qualcosa più grande di me. Ma non ho altra scelta, voglio aiutare Andrew.- rispose, tornando a guardarla direttamente negli occhi.
L’altra allora sospirò. –Non farti ammazzare, però.- si raccomandò. Sapeva che, quando Amanda si metteva in testa una cosa, era difficile farle cambiare idea. Puntava dritta all’obiettivo.
-Ci proverò. Le persone che ho attorno dovrebbero proteggermi…- tentò di rassicurarla.
-Dovrebbero?- Gabrielle sollevò un sopracciglio curato, visibilmente scettica.
La sua migliore amica ridacchiò brevemente. –Be’, posso contare sicuramente su Andrew. Gli altri non hanno obblighi nei miei confronti.- precisò.
-Ne sei sicura? Ti hanno quasi ammazzata per causa loro!- le fece presente.
-Ok, ma io non voglio che si sentano in debito nei miei confronti!- replicò, allargando le braccia.
-Be’… magari ne viene fuori qualcosa di buono, no?- ammiccò Gabbie. –Mister scozzese è tornato sulla piazza.
Mandy la guardò con tanto d’occhi, arrossì e poi si mise a ridere. –Non stai dicendo sul serio, vero?
-Perché?- fece l’altra.
-Credo che, dopo un’intera vita passata con la moglie, ne abbia abbastanza di donne.- osservò, sicura. “E sicuramente non ha tempo per imbarcarsi in una relazione, visto che stanno cercando d’ucciderlo.”, aggiunse mentalmente.
Gabrielle allora s’indignò. Si fermò nel bel mezzo del marciapiedi, facendo fermare anche la sua accompagnatrice. –Ehi, smettila di sminuirti. Tu non vali meno di quell’oca coi capelli perfetti e il vitino da vespa. Sono altre le cose a cui si deve dar valore!- la pungolò con l’indice, cercando di farle entrare bene in testa il concetto.
-Ok, ho capito, ho capito. Dovresti fare un corso per diventare una motivazionista.- brontolò.
-Potrebbe essere una soluzione contro la crisi.- ammiccò Gabrielle, facendola ridere.
Continuando a raccontare cose assurde e divertenti, le due si diressero verso la metropolitana, pronte a rientrare a casa dopo una giornata di lavoro.
Mandy, in particolare, non vedeva l’ora di sdraiarsi sul divano e lasciar riposare la gamba ferita.


  Quel giorno si sentiva irrequieto e temeva fosse a causa dell’imminente luna piena.
Alastair gli aveva spiegato cosa sarebbe successo all’approssimarsi di quel periodo ma, con tutti i cambiamenti in corso, gli era passato di mente.
  Ed in quel momento si trovava a dover tenere a freno i propri sensi, amplificati dall’influenza dell’astro. La bestia dentro di lui si stava agitando, mordendo il freno: voleva uscire, dar libero sfogo alla propria energia.
Ma non poteva permetterselo, soprattutto non quando doveva prepararsi ad ospitare due licantropi nel proprio appartamento.
  Lui e Amanda si erano accordati per telefonare a Frances ed aggiornarla. Non sapeva come sarebbe andata a finire, ma voleva che lei sapesse cosa si stava perdendo, sperando che ciò potesse farle cambiare idea.
Terminò di asciugarsi i capelli e poi gettò l’asciugamano nel borsone. Quel giorno la lezione di nuoto era durata più del dovuto e lui si sentiva stranamente seccato dalla cosa.
Più del normale, ovviamente.
“Dev’essere la luna…”, pensò, prendendo un respiro profondo. Infilò le ultime cose nella sacca, recuperò la giacca e si avviò fuori dallo spogliatoio maschile. Passando davanti alla reception, salutò le due ragazze presenti e poi imboccò l’uscita.
  Una volta fuori respirò a pieni polmoni ed arricciò il naso: l’aria di New York non gli era mai sembrata così pesante. Ora che aveva i sensi sviluppati certe cose non riusciva proprio ad ignorarle.
Sospirando, si passò una mano tra i capelli scompigliati dalla cuffia e si avviò verso casa. Diede un rapido sguardo all’ora ed accelerò il passo. Quella sera Amanda avrebbe cucinato due belle fiorentine e lui adorava la carne italiana.
Meglio ancora se al sangue.
Quel pensiero lo colse leggermente di sorpresa. Sorrise brevemente, trovando ancora una volta conferma ai suoi timori ed aumentò il passo. “Il lupo dentro di me è veramente più forte, in questo periodo.”, constatò.
Superò in fretta il Guggenheim ed imboccò la prima rampa di scale che lo avrebbe portato alla metropolitana. Aveva voglia di farsi una corsa, ma il centro di New York non era sicuramente il posto adatto, nonostante i passanti sapessero che tra di loro si aggiravano soprannaturali.
Saltò gli ultimi due gradini e poi alzò lo sguardo verso il tabellone degli orari, cercando di capire a quale binario dovesse andare. Una volta trovata la corsia giusta, si avviò rapidamente, scansando le persone davanti a sé.
  Quando aprì la porta del proprio appartamento venne investito dall’invitante odore della carne. Lasciò cadere borsa e giacca all’ingresso e poi si affrettò a scendere per raggiungere la cena. Spalancò la porta dell’appartamento senza pensarci, facendo sobbalzare Amanda.
-Andrew!- esclamò lei, evitando per un pelo di rovesciare la padella.
-Scusami! Non volevo!- esclamò lui, mortificato. La raggiunse con uno scatto e, così facendo, la spaventò ancora di più. La ragazza mollò la presa sul forchettone e quello cadde a terra, tintinnando. –Scusa!- si chinò e raccolse l’oggetto.
Glielo porse con un’espressione dispiaciuta, mortificato per averla fatta spaventare. Amanda cercò di darsi un contegno e ridacchiò nervosamente. –Non ti preoccupare. Mi hai solamente colto alla sprovvista.- ammise.
Drew le lanciò un’occhiata prima di abbassare lo sguardo e mormorare:-Sei agitata, lo sento dal tuo battito.
-Sì, ma ora passa. Tranquillo.- lo rassicurò lei. –Com’è andata la lezione?- domandò, deviando la conversazione su un argomento più sicuro.
-Oh… è durata più del previsto. E ho rischiato di farmi scoprire dai ragazzi.- rivelò.
La morettina gli lanciò un’occhiata stupita. –Sul serio? Non l’hai detto a nessuno?- s’informò.
Lui allora scosse la testa, lasciandosi cadere sulla sedia più vicina. –Non vorrei si spaventassero o i genitori pensassero che non sono un istruttore affidabile. Non voglio perdere il mio lavoro: mi piace.- spiegò.
Mandy rigirò la carne col forchettone. –Potresti apparecchiare, per favore?- chiese. –Io non credo si spaventerebbero.- aggiunse subito dopo.
L’altro si mise ad apparecchiare in silenzio, meditando su quello che la giovane aveva appena detto. Dubitava che, là fuori, fossero tutti così comprensivi e disposti al cambiamento come si stava dimostrando lei.
Probabilmente qualcuno avrebbe tentato di allontanarlo dalla piscina o peggio. –No… non voglio che lo sappiano. È meglio così.- scosse la testa, recuperando i bicchieri.
-Come preferisci.- gli sorrise un attimo e poi aprì il frigorifero per recuperare l’insalata. –Vuoi un po’ di questa?
Il giovane licantropo si voltò e poi arricciò il labbro superiore. –No, per carità! Ho bisogno di proteine.- si schermì.
Amanda lo fissò per qualche istante, poi fece una smorfia e scoppiò a ridere. –D’accordo. Niente verdura per il grosso lupo cattivo.- scherzò.
Ridacchiando a sua volta, Andrew disse:-Magari qualche foglia.
Scuotendo la testa divertita, la ragazza fece due terrine e si mise a condirle. Ogni tanto buttava l’occhio alle bistecche, controllando a che punto fosse la cottura.
  Passarono alcuni minuti e spense il fuoco, impiattando la cena. Appoggiò l’insalata in tavola e poi servì la carne. Drew la ringraziò e poi si sfregò le mani, affamato. La bestia dentro di lui gorgogliò di piacere.
Mandy stava per prendere il primo boccone quando si fermò e, lanciata un’occhiata all’amico, chiese:-Ancora certo di volerle telefonare?
Lui si fermò con la forchetta per aria, colto di sorpresa. Serrò le labbra e poi annuì un paio di volte. –Sì. Sono sicuro.
-Potrebbe essere… frustrante.- gli fece presente lei.
-Mi terrò a bada, promesso.- rispose solamente, sollevando brevemente l’angolo della bocca.
Vedendo che genere di espressione aveva sfoggiato, la giovane preferì non tormentarlo più con le domande e di concentrarsi sulla cena.


***

-Abbiamo un problema.
Jared sollevò la testa, smettendo di bisbigliare con Kennet e guardò il suo sottoposto. Era uno dei giovani lupi e l’aveva mandato in avanscoperta con gli altri per insegnargli il lavoro di Sentinella.
-Oltre a quelli che abbiamo già?- domandò, adombrandosi. Le cose, in quegli ultimi giorni, stavano andando tutte per il verso sbagliato, nel pieno rispetto della legge di Murphy.
Il ragazzo annuì più volte, fuggendo il suo sguardo. –Jack, cos’è successo?- si sentì chiedere con tono imperioso.
Sobbalzò e tartagliò qualcosa poi, rendendosi conto di esser stato incomprensibile, ripetè con più calma:-Emily è sparita.
-Cosa?!- scattò l’uomo, levandosi in piedi con uno scatto fulmineo. Kennet mugugnò nel dormiveglia, disturbato dal rumore. Jared allora afferrò il giovane lupo e lo trascinò fuori dall’infermeria. –Cosa significa “sparita”?- chiese, scandendo bene ogni singola parola.
Jack si ritrasse di fronte alla sua ira, facendosi piccolo. Se fosse stato in forma animale avrebbe abbassato le orecchie e nascosto la coda tra le gambe. –Ha avuto una discussione con MacGregor, credo che l’abbiano scoperta.- specificò. –Poi è fuggita, semplicemente. Nessuno degli altri lupi è riuscito a starle dietro.
-E’ stata scoperta…?- la notizia turbò ulteriormente Jared. Che si fosse fatta smascherare apposta? Ma con quale obiettivo in mente?
Si mise a camminare in tondo, cercando di trovare un senso logico al comportamento della sua femmina Alfa. Non che la conoscesse bene: non avevano mai parlato molto e lui non voleva certamente una conversazione, quando la avvicinava.
“Non mi tradirebbe mai: sa che ho in pugno Blake.”, meditò. “Ma non capisco perché sia fuggita: le avevo detto di trovare un modo per restare. Qualsiasi modo.”
Jack osservò il suo capobranco marciare su e giù per la stanza per parecchio tempo, fino a quando quello non si fermò e lo guardò negli occhi. –Riferisci a tutte le Sentinelle di mettersi sulle tracce di Emily. Dì a Simon di rimanere di guardia alla casa. Muoviti!- abbaiò infine.
Il ragazzo non poté far altro che annuire e precipitarsi fuori.
“Rodrick non deve saperlo.”, si disse il capo dei Blacks. Non aveva bisogno di una ramanzina dal suo nuovo socio in affari.

***

-A quanto pare la grande fuga ha funzionato.- commentò David, lanciando un’occhiata fuori dalla finestra. Se ne stava appoggiato al muro da un po’, osservando i licantropi appostati tutt’attorno nell’isolato.
-Quanti ne sono rimasti?- s’informò Evan. Stava leggendo un comunicato da parte del comandante Rogers che lo informava circa la morte di un licantropo all’interno del territorio del suo stesso branco. Nulla di strano, se non fosse che il soggetto non aveva avuto nessuno scontro col Campione ed era stato ritrovato in condizioni pietose.
-Evan, hai già parlato con Aleksandr?- si sentì chiedere. Non diede ascolto alle parole dell’amico ed aprì la cartella allegata alla breve e concisa e-mail. –Evan…?
Alzò la mano, chiedendogli silenzio e si mise a scorrere le foto con confusione sempre crescente. Quelle che stava osservando erano le testimonianze fotografiche di una delle scene del delitto più raccapriccianti che avesse mai visto.
Non ottenendo risposta, l’inglese si avvicinò allo schermo del computer e diede un’occhiata. –Oddio… cosa sono queste?- chiese, gli occhi dilatati.
-Foto di una scena del delitto.- commentò Van, continuando a setacciare le foto in cerca di una spiegazione logica. –Ma non capisco chi possa aver perpetuato l’omicidio.- ammise, guardandolo apertamente.
-Uno squilibrato?- fu la proposta di Dave.
-Da quanto dicono i rapporti, pare sia stato il fratello. Ma l’uomo asserisce di non esser stato nel territorio del branco per l’intera settimana, per impegni lavorativi.- osservò.
-E cosa ne pensa l’Alfa?
Evan ridusse la cartella delle immagini e scorse il testo mandatogli dal suo superiore. –Vuole un’Ammenda.
David si accigliò. –Di che tipo?- s’informò, temendo già il peggio.
-Di sangue. Ultimo sangue.- rispose.
L’inglese si passò una mano tra i capelli, appoggiandosi al tavolo. –C’è qualcosa che non mi convince. Perché scorticare il fratello? Quella è una pratica inusuale per i licantropi. Ricorda di più quella dei cacciatori.- commentò.
-Già.- annuì l’altro. –Se il fratello avesse voluto ucciderlo avrebbe potuto chiedere uno scontro all’interno del Ring.
-Cosa vuole da te Rogers? Devi indagare?- chiese a quel punto l’architetto.
-No, voleva solo mettermi al corrente. Porterà avanti le ricerche con la squadra omicidi.- rispose. –Voleva solo contattarmi per sapere se quella poteva essere una pratica del vecchio mondo.
-Dio, ci credono proprio dei barbari!- s’indignò David.  –E pensare che quasi tutte le loro architetture derivano da esempi europei!
Evan gli lanciò un’occhiata, divertito dall’osservazione fatta dall’amico. Ogni tanto il suo spirito da architetto usciva alla luce, spesso nei momenti più impensati.
Terminò di leggere le ultime note e poi abbassò il coperchiò del portatile. –Meglio che vada da Aleksandr, se no non potremo trasferirci. Tu tieni d’occhio i nostri ospiti, d’accordo?
Il moro annuì, tornando ad avvicinarsi alla finestra. –Certamente.


***

  Stava morendo, lo sapeva.
La fine dei suoi giorni era ormai vicina, ma lui non poteva andarsene. Aveva ancora tante cose da fare e tanti luoghi in cui andare.
Aveva ancora tanti licantropi da uccidere.
“Non posso morire proprio ora. Non posso.”, si disse, appoggiando interamente il proprio peso al bastone che si era intagliato personalmente. Il suo problema alle anche era peggiorato con l’età e non riusciva quasi più a camminare eretto.
  Ma tutto ciò non l’avrebbe fermato.
Ogni notte, da quando era un ragazzino, lo sguardo vitreo di Brennan aveva scosso i suoi sogni. Ricordava le urla e le colonne di fumo salire dal suo villaggio. Ricordava il corpo dell’amico diventare freddo e le lacrime offuscargli la vista.
Ricordava la rabbia, cieca e assordante.
Il tempo era riuscito a cancellare quasi tutte quelle immagini dalla sua mente, rendendole frammentate e poco più che briciole, ma la rabbia… quella era diventata odio.
  E Cainnech aveva iniziato a perpetuare la propria vendetta.
Aveva abbandonato la valle in cui era nato per addentrarsi nei territori selvaggi, cercando di raggiungere i piccoli borghi fortificati sulla costa. Ci aveva messo mesi, ma alla fine ne aveva raggiunto uno e, con un po’ di fortuna, aveva trovato un passaggio.
Voleva raggiungere le coste più a sud, dove sapeva risiedevano parecchi branchi di licantropi e parecchi cacciatori.
Aveva macinato miglia, faticando non poco.
Quando alla fine aveva raggiunto il suo obiettivo, l’odio si era ormai radicato in lui, facendolo diventare un giovane uomo ombroso e avido di conoscenza.
Aveva trovato un cacciatore che faceva al caso suo e l’aveva scongiurato di renderlo suo allievo. L’uomo aveva più volte rifiutato e Cainnech aveva preso a seguirlo ovunque andasse.
Fino a quando, un giorno, gli aveva salvato la vita uccidendo un licantropo.
Il giovane si era guardato le mani, sconvolto e poi aveva spostato lo sguardo sul corpo del lupo mentre questo riassumeva sembianze umane.
Il cacciatore era rimasto impressionato e l’aveva accettato.
“L’ho ucciso proprio con queste mani. All’epoca non avevo idea di come ci fossi riuscito, ma adesso potrei farlo anche ad occhi chiusi.”, si disse, raggiungendo il tavolo che si trovava al centro del suo rifugio.
Si lasciò cadere pesantemente sull’unica sedia presente ed appoggiò i pugni sul supporto di legno, graffiato dall’uso.
Appuntò lo sguardo su un punto imprecisato della stanza e si focalizzò sui ricordi, ripercorrendo la sua (inaspettatamente) lunga carriera di cacciatore.
Ricordava ancora ogni singola notte passata a leggere manuali di erboristeria e di caccia, memorizzando tutte le informazioni possibili. Aveva trascorso ore sulle pergamene ed altrettanto tempo ad allenarsi con le armi.
Fino a quando non era stato pronto e aveva ricevuto il benestare del suo maestro.
  Da quel momento era partito alla volta delle verdi colline scozzesi, le armi in spalla e la torque regalatagli dalla madre al collo. Era l’unica cosa di valore che possedeva e l’unico ricordo tangibile della sua vita precedente.
Farsi conoscere come cacciatore era stato difficile, all’inizio, ma poi le voci si erano sparse e le commissioni erano aumentate. Non potendosi affidare alla forza delle proprie gambe, Cainnech aveva imparato ad usare la testa.
Aveva rischiato più volte di venir ucciso, ma aveva sempre riportato a casa la pelle. La propria e quella del licantropo di turno.
La gente lo pagava per potersi liberare di quelle creature, credendo fossero portatori di sfortuna. Lui sapeva che era una stupida superstizione, ma era una scusa più che buona per permettergli di agire e vendicare Brennan e sua madre.
“Ho tolto così tante vite e ancora non è stata fatta giustizia.”, pensò, rafforzando la stretta del proprio pugno. “Non è ancora abbastanza.”, portò l’altra mano al proprio collo, dove trovò il familiare contatto col metallo lavorato della torque.
  La strinse con forza e chiuse gli occhi, supplicando la Madre di concedergli altra forza per proseguire nel suo cammino.
Assaporò nuovamente tutte le sue uccisioni, cercandovi sostegno. Rivide tutte quelle grandi bestie cadere vittima delle sue abilità. Rivisse l’ebrezza della cattura e delle uccisioni.
Continuò per un tempo lunghissimo, perso nei meandri della propria mente. Le dita sempre chiuse saldamente attorno alla collana.
Non si accorse nemmeno di esser morto. E, quando lo fece, gli sembrò di non esserlo.
Lanciò un’occhiata confusa alla sua misera casa e poi abbassò gli occhi sulla torque. Il monile lo chiamava, ammaliante e se ne sentiva attratto.
Così attratto che il suo odio e la sua volontà di vendetta gli permisero di diventarne parte integrante.
Avrebbe potuto vivere in eterno, racchiuso in quella prigione dorata. Avrebbe potuto aspettare e compiere comunque quello che si era prefisso.

***

  L’incontro era all’Alexander Hamilton Playground.
Quando Eric glielo aveva riferito aveva sollevato le sopracciglia, perplesso. Il ragazzo aveva confermato con un’alzata di spalle, facendogli capire che quella scelta non dipendeva da lui.
Senza fare altre domande aveva annuito, confermando la sua presenza.
  Ed ora si trovava fermo davanti alla cancellata, intendo a scrutare la moltitudine di bambini intenta a correre e saltare. Stava usando tutti i propri sensi per individuare Aleksandr e si stupì molto nel vederlo arrivare con Eric a fianco ed una bambina di circa cinque anni appollaiata sulle spalle.
Si tolse lentamente il casco, ancora più perplesso, e guardò apertamente nella direzione del gruppo. Quando il suo sottoposto lo vide scambiò qualche parola con lo zio e poi gli fece un impercettibile segno col capo.
  Evan allora scese dalla moto e lasciò il casco sul sedile, sicuro che nessuno si sarebbe azzardato a tentare un furto. Si passò una mano tra i capelli e cercò di capire perché Aleksandr avesse voluto incontrarlo in un parco giochi.
“Non importa, basta ottenere il suo appoggio.”, si disse, attraversando la strada con passo rapido. Alcune mamme nei pressi gli lanciarono occhiate incuriosite, forse perché l’avevano riconosciuto a causa di tutte le foto pubblicate sui giornali per via del divorzio da Crystal.
Non se ne curò ed entrò nello spazio di gioco, stando attento ad evitare scontri coi bambini. Non che avesse qualcosa contro di loro, semplicemente sapeva di avere un aspetto un po’ minaccioso, ai loro occhi.
Con poche falcate raggiunse il gruppetto familiare e si fermò davanti all’Alfa del branco di Hamilton Heights.
-Aleksandr.- lo salutò con un cenno del capo, mostrandogli il collo. Con quella mossa segnalava le proprie intenzioni pacifiche.
-Tu dovresti essere il famoso Evan MacGregor.- replicò l’uomo, fissandolo da capo a piedi. A ben guardarlo, aveva qualcosa che ricordava Eric, ma tutto in lui era più spigoloso e di diversi toni più chiaro. I suoi occhi, poi, potevano rivaleggiare con quelli di Van tant’erano inquietanti: l’azzurro dell’iride aveva la stessa consistenza di una lastra di ghiaccio.
-In persona.- rispose lo scozzese. Abbassò la zip del giubbino di pelle ed estrasse una collana di acciaio, a cui era appeso un anello d’oro brunito. –Se vuoi confermare…- si sfilò il monile e glielo allungò.
Aleksandr lo prese e lo studiò con attenzione. –Un leone coronato… qual è il vostro motto?- domandò, nella voce l’eco di un accento non ancora perduto.
-‘S rioghal mo dhream.- rispose Evan. –La mia razza è reale.- aggiunse subito dopo, a beneficio dei presenti.
-Non c’è da stupirsi se il vostro Alfa è così impertinente.- commentò Aleksandr, riconsegnandogli l’oggetto.
-Dearan è sempre stato così. Sin da quando ne ho memoria.- ammise, senza scomporsi.
Il russo assottigliò gli occhi, calcolatore. –E voi? Voi che tipo di Alfa siete?
Il giovane MacGregor restituì lo sguardo, cercando però di capire a cosa servisse quella specie di interrogatorio. Non aveva intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote, ma solamente di trasferirsi nel suo territorio.
Probabilmente il suo ospite non la pensava così.
Van si lappò le labbra e, dopo una breve occhiata ad Eric, rispose:-Uno meno avido.
Il suo interlocutore sorrise, forse soddisfatto dalla risposta. Poi, però, abbassò lo sguardo su quella che, a prima vista, sembrava sua figlia. La bambina alzò la testa e i due si guardarono per qualche istante.
Alla fine di quella silenziosa conversazione, la piccola scese dalla panchina su cui era seduta con un saltello e si avvicinò ad Evan. Confuso, il ragazzo si accosciò in modo da poter essere alla sua altezza.
-Priviet.- mormorò lei, sorridendo angelicamente. Aveva capelli color del miele e ciglia chiare ad ornare due occhi talmente scuri da sembrare pozzi di tenebra. Il colore dei capelli era quello del padre, ma gli occhi appartenevano sicuramente alla madre.
Evan sollevò gli angoli della bocca, senza esibire un vero sorriso. –Ciao, piccola.- la salutò.
-Vuoi fare del male alla mia famiglia?- gli chiese lei, guardandolo.
Lo scozzese si accigliò, ma disse:-No. Affatto.
La bambina gettò un’occhiata alle proprie spalle, quasi fosse indecisa, poi tornò a voltarsi verso di lui. –Vuoi solo una nuova casa?- domandò.
L’altro annuì. –Sì, una casa per me e i miei compagni.
La piccola meditò un po’ su quelle parole, poi tornò trotterellando dal padre. Si arrampicò sulla panchina e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi correre verso gli scivoli subito dopo.
-Sofiya mi ha detto che non stai mentendo.- esordì Aleksandr.
-Avresti potuto capirlo anche tu stesso…- osservò Evan, stupito da quell’affermazione.
L’uomo stirò le labbra in quello che doveva essere un sorriso. –Vero. Ma alcuni lupi sanno mentire molto bene e lei è molto brava a capirlo.- spiegò.
-Credi voglia fregarti?
-Molti vogliono fregarmi o hanno tentato di farlo. Non mi piace quel genere di persona.- commentò, calmo.
-Non voglio appropriarmi del tuo territorio né dei tuoi affari. Mi serve solamente il tuo permesso per spostare il mio branco.- replicò Evan. Iniziava a stancarsi di quel giochetto psicologico.
-Zio, come ti ho spiegato, il capitano vuole solo…- iniziò Eric. Aleksandr, però, lo zittì con un gesto della mano e il giovane non poté fare a meno di mordersi la lingua ed abbassare lo sguardo, imbarazzato.
-Capitano… è vero che avete un problema coi Blacks?- s’informò il russo.
Van annuì. –Decisamente. Anche se sono loro a volere qualcosa da me, non il contrario.- rispose.
-Non sopporto i Blacks, in particolare il loro Alfa, Jared.- digrignò i denti, infastidito dal suono stesso di quel nome. Van non disse nulla, attendendo pazientemente che l’uomo prendesse la propria decisione. Non voleva inimicarsi anche lui.
Mentre ragionava sul da farsi, Aleksandr scrutò più volte il nipote, pensieroso. Eric lo notò e cercò di farsi piccolo, temendo una qualche strana decisione da parte dello zio.
-Accetterò il vostro insediamento nel mio territorio ad una condizione.- sentenziò.
Evan si fece guardingo. –Quale?
-Voglio che prendiate Eric con voi.- Aleksandr lo disse senza fare una piega, fissando il suo interlocutore dritto negli occhi.
-Cosa?!- sbottò il diretto interessato, incredulo. –Perché vuoi mandarmi via?
-Perché tu non sei tagliato per i miei affari e Anya non mi perdonerebbe mai la tua morte.- replicò, inflessibile.
Il viso del giovane s’imporporò tantissimo prima che sbottasse:-A mamma non frega un accidente di me!
A quelle parole gli occhi di Aleksandr diventarono duri come il ghiaccio. Si alzò in piedi con uno scatto e fulminò il nipote. –Non sputare menzogne su tua madre. Lei ti vuole un bene dell’anima e, insieme a tuo padre, sta facendo un lavoro egregio in Russia.- gli sibilò il faccia, tenendolo strettamente per il colletto della camicia.
-E allora perché…?
-Perché così potrai crescere come licantropo e sarai in grado di essere indipendente.- l’uomo lo scosse energicamente, cercando di inculcargli bene il concetto in testa.
-Ma io…
Gli occhi di suo zio lampeggiarono. –Niente ma. Non osare opporti.- lo minacciò.
Eric allora guardò il proprio capitano e tentò di scusarsi con gli occhi. Non avrebbe mai immaginato che la situazione si sarebbe evoluta in quel modo. Non voleva assolutamente diventare un peso per qualcuno e non voleva che gli affibbiassero una balia (anche se alta quasi due metri e con una potenza fisica non indifferente).
-Non posso obbligare qualcuno ad unirsi al branco: va contro i miei principi.- fece notare lo scozzese.
-Ma è l’unico modo per potervi insediare ad Hamilton Heights.- gli fece notare Aleksandr.
Van allora guardò il ragazzo, in silenzio. “Un altro cucciolo indifeso da proteggere… ultimamente stanno diventando un po’ troppi.”, pensò. C’era già Andrew, senza contare che presto avrebbero avuto anche il figlio di Emily con loro. “E Amanda.”, gli ricordò il suo subconscio.
Se rifiutava, però, avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione.
Nella sua mente si scatenò una battaglia e gli ci volle un po’ per analizzare tutti i pro e i contro. Alla fine, però, l’unica cosa che gli rimaneva da fare era sospirare e asserire:-D’accordo. Lo accoglierò nel branco.
Aleksandr sorrise apertamente, soddisfatto. –Perfetto. Potete insediarvi nel mio territorio.- concesse.
 

  Frances non aveva risposto al primo tentativo di chiamata, così Amanda aveva suggerito ad Andrew di riprovare il giorno dopo.
In quel momento erano in pausa pranzo in un ristorantino vicino a Kleinfeld e la giovane voleva tentare nuovamente la fortuna. –Proviamo?- chiese.
Drew serrò la mascella, nello sguardo un pizzico di delusione rimasto dalla sera prima. –Ok…- annuì lentamente.
Mandy allora premette il tasto di chiamata ed inserì il vivavoce, attendendo.
Si erano seduti in un tavolo isolato, in modo da poter avere la loro privacy. Qualcuno avrebbe potuto ascoltare la conversazione e a nessuno dei due avrebbe fatto piacere.
-Mandy?- la voce di Frances arrivò un po’ distorta.
-Ehi, ciao! Sì, sono io e c’è anche Drew.- salutò lei, cercando di suonare allegra.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi sua sorella addolcì il tono e mormorò:-Ciao Drew.
-Ciao Fran…- rispose lui, concedendosi un sorriso triste.
Quanto gli mancava! Perché non aveva reagito come Amanda? Perché non aveva scelto di stargli vicino? Non era giusto pensare quelle cose, lo sapeva, ma non era nemmeno giusto quello che gli era capitato.
-E’ successo qualcosa?- domandò dopo un po’ Fran.
Amanda si riscosse, smettendo di osservare le reazioni del fidanzato di sua sorella. –No, no… cioè, nessuno si è fatto male..!- tartagliò, agitata. A quelle ultime parole, Andrew la guardò male.
-Drew, sta dicendo la verità? Cos’è successo?- chiese allora la ragazza.
Il diretto interessato si passò una mano sul volto, cercando di raccogliere i pensieri. –In poche parole, ora anche Amanda fa parte del branco.- disse.
-Cosa?!
Mandy lo guardò con tanto d’occhi, cercando di capire perché avesse usato quelle parole.
-Ti hanno trasformata? Sei stata attaccata?- Frances iniziò a sparare domande a raffica, preoccupatissima. Amanda ebbe l’impulso di togliere il vivavoce, ma non lo fece.
-No… calmati. Sono solo stata coinvolta in alcune dinamiche di branco. Ci sono stati alcuni problemi.- spiegò, cercando di rimanere calma.
-Che tipo di problemi?- chiese l’altra.
Andrew arricciò il labbro superiore, ripensando a tutti i pestaggi di Stryker. –Divergenze d’opinione con un nuovo compagno.- buttò lì.
Frances spalancò gli occhi. -Vi siete picchiati per caso?
-No! Perché hai sempre questi pensieri distruttivi?- finì con lo sbottare il suo fidanzato. -Scusa…- mormorò dopo un po’.
Amanda cercò di calmarlo posandogli una mano sul braccio, ma Drew sembrava incline ai colpi di testa, quel giorno. La conversazione avrebbe potuto finire veramente male. –Hai presente la nuova lupa? Quella di cui ti ho parlato?
-Sì… cosa c’entra lei adesso?- Fran si fece sospettosa.
-Era stata mandata a spiare il branco ed è stata scoperta. Il problema è che lo stava facendo sotto minaccia. Ora Evan e gli altri vogliono aiutarla, ma dovranno lasciare il luogo in cui si erano appena trasferiti.- riassunse, concisa.
Sua sorella restò in silenzio per un po’, cercando di far combaciare i pezzi. –Drew deve per caso spostarsi con loro?- chiese dopo un po’.
-No… saranno loro a spostarsi.- rivelò l’interpellato. Prese un respiro profondo e poi aggiunse:-Verranno a stare nel nostro palazzo.
-Mi stai dicendo che dei lupi invaderanno casa nostra?!- esclamò Frances, al colmo dell’incredulità. Non bastava che Andrew fosse diventato uno di loro e che lei e Amanda avessero rischiato di farsi ammazzare. No, ora dovevano anche invadere casa sua!
Iniziò a sbraitare, inveendo contro i soprannaturali e urlando altre cose. Amanda si affrettò a spegnere il vivavoce e ad allontanarsi, mentre Drew rimaneva seduto al tavolo.
“Non ha funzionato. Ovviamente.”, si disse, arrabbiato. La bestia dentro di lui ringhiò il proprio disappunto e si vide costretto a serrare i pugni per calmarsi. Si piantò le unghie nel palmo della mano, concentrandosi su quella sensazione.
Poteva sentire tutto quello che si stavano dicendo Amanda e Frances.
Erano entrambe arrabbiate: Mandy perché la sorella non voleva capire e Fran perché tutta la situazione le sembrava assurda e non voleva scendere a compromessi.
Restò ad ascoltare fino a quando non ce la fece più e la rabbia, la sua rabbia, prese il sopravvento.
Si alzò di colpo e si allontanò rapidamente dal ristorante, giusto in tempo per farsi vedere da Amanda.
-Vedi di meditarci su, Frances. O potresti rischiare di perdere Andrew. Lui ha bisogno di te, ti ama e tu non puoi negargli il tuo supporto.- disse, severa. –Non ti farò altre pressioni, se e quando sarai pronta fatti viva. Ora devo andare, la luna destabilizza l’autocontrollo di Drew.- e, detto questo, riattaccò.
Fece scivolare il telefono in borsa, lasciò i soldi sul tavolo e si affrettò a raggiungere Andrew. Lo trovò in un vicolo, intendo a pendere a pugni il muro.
-Cosa stai facendo?- chiese, spaventata. La sua forza soprannaturale gli aveva permesso di lasciare il segno, ma le sue nocche stavano iniziando a sanguinare. Si sarebbe solamente fatto del male di quel passo. –Smettila!- cercò di afferrargli un braccio, ma lui la scansò.
-Frances non tornerà! Qualsiasi cosa le diremo, lei non tornerà!- ringhiò, scagliando un altro pugno.
-Non è vero! Smettila di pensare in negativo!- si oppose lei.
Drew le si rivoltò contro. –E tu smettila di vivere in un sogno! Lei non tornerà!- sbottò. Rimasero a fissarsi in silenzio, poi lui aprì la bocca per parlare ma alla fine rinunciò, allontanandosi subito dopo di gran carriera.
Amanda rimase ferma in mezzo al vicolo, osservandolo sparire oltre un muro di cinta.
-Mi dispiace, Drew… ma io non smetterò di credere.- mormorò.

  Aveva appena finito di parlare con Alastair, dicendogli che aveva bisogno di discutere con lui faccia a faccia. L’uomo aveva chiesto delucidazioni in merito, ma lui si era mantenuto sul vago, dicendogli che non voleva parlarne al telefono. Così si erano accordati per vedersi alcuni giorni più tardi.
–Ho chiamato Alst.- annunciò, appoggiando il telefono sul tavolo.
David, intento ad imballare le ultime cose, si fermò e lo guardo. –Sul serio? Cosa ti ha detto?- chiese.
-Nulla. Gli ho detto che non volevo discutere della situazione al telefono.- replicò, dando in una scrollata di spalle.
L’amico lo fissò per qualche istante, pensieroso, poi riprese il proprio lavoro. –Non mi hai ancora detto com’è andata con Aleksandr.- gli fece notare.
Van sollevò un sopracciglio. –Stiamo finendo di imballare tutto quanto, secondo te com’è andata?- gli chiese, ironico.
-Mhm… apparentemente bene, ma sento che c’è qualcosa in più.- osservò. –Ti conosco da troppo tempo per sbagliarmi.
“Ottimo intuito, Dave.”, pensò lo scozzese. Finse di sistemare alcune cose in uno scatolone, concedendosi il tempo per riflettere. Alla fine disse:-C’è una condizione da rispettare.
A quel punto fu l’inglese ad accigliarsi. –Che condizione? Non gli dovremo mica dei soldi, vero?
Scosse il capo. –No… forse è peggio che dovergli dei soldi.- commentò.
-Peggio? Non voglio mica entrare in uno strano giro, eh!- protestò allora l’inglese. Probabilmente si stava già figurando in un locale di gigolò al servizio di donne di mezz’età annoiate.
A volte lasciava galoppare un po’ troppo la fantasia.
-Abbiamo acquistato un nuovo membro.- rivelò infine Evan.
La mascella di Dave cadde verso il basso. –Credo di non aver capito. Abbiamo cosa…?- finse di non aver recepito quello che aveva effettivamente recepito.
Van gli lanciò un’occhiataccia. –Smettila. Hai capito benissimo. Si tratta del nipote di Aleksandr, nonché del mio sottoposto.- lo rimbeccò.
-Ma… ma dove pensi potremo alloggiare un altro lupo? Un cucciolo, per di più!- esclamò, abbandonando i bicchieri per potersi mettere le mani nei capelli.
-Qualcosa c’inventeremo. O così o niente trasferimento.- rispose l’altro. –A proposito, il nostro ospite è sempre appostato?
David, già pronto a protestare contro la nuova organizzazione, s’interruppe e disse:-Sì, sempre al solito posto.
-D’accordo. Notizie di Emily?
Il riccio fece per rispondere quando il suo telefonino vibrò. Lo prese ed aprì il messaggio. –Parli del diavolo. A quanto pare è il momento: dice che sono tutti sulle sue tracce.
Evan lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. –Bene. È il momento di trasferirsi allora.- disse, afferrando un paio di scatoloni. –Sarà divertente.

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Capitolo 16
*** Cap. 15 Azione e reazione ***


Cap. 15 Azione e reazione
Attesa leggermente più corta della precedente, ma mi scuso comunque per l'incostanza degli aggiornamenti :( Oltre a dover finire gli esami, sto avendo qualche problema di caratterizzazione dei personaggi... non riesco a farli esprimere al meglio.
Quindi, vi chiedo di avere pazienza... arriverò a capo di questo blocco!
Per quanto riguarda i nostri protagonisti, direi che qualcuno vedrà rosso nel corso del capitolo...
Buona lettura ;)




Cap. 15 Azione e reazione


  Fece per lanciare il telefono, ma si trattenne e si limitò a stringerlo febbrilmente tra le mani.
Cercò di prendere dei respiri profondi, di calmarsi, ma sembrava tutto inutile.
La telefonata era stata l’ennesima conferma della sua incapacità di adattamento. Una parte di lei, una parte sempre più debole, continuava a dirle di farsi forza e accettare tutto quanto mentre l’altra, quella più forte, urlava a gran voce di scappare.
  Non sapeva più che fare, si sentiva impotente e senza opzioni.
Desiderava con tutta se stessa poter avere la fede incrollabile che stava dimostrando Amanda, ma le era impossibile arrivare a patti con la propria coscienza.
Aveva ragionato a lungo durante le notti insonni passate a guardare fuori dalla finestra. E i suoi ragionamenti l’avevano condotta ad una conclusione: amava ancora Drew, ma aveva paura della bestia che c’era in lui. Dell’influsso che poteva avere sulla sua personalità.
Probabilmente era stupido o da codardi, ma non riusciva ad andare oltre quella consapevolezza. Si sentiva come un cade che si morde la coda.
“Vorrei poter credere che tutto possa andar bene, proprio come Amanda.”, si disse. Chiuse anche gli occhi, cercando di scacciare la rabbia ed appropriarsi di quella visione delle cose che non le apparteneva.
Mentre cercava di venire a patti con se stessa, Gregory uscì in veranda per dirle che il pranzo era in tavola. Quando vide la sua espressione, però, si fece perplesso e le si avvicinò. –Ehi, Fran, tutto bene?- chiese.
La ragazza si voltò di scatto, colta di sorpresa. –G-Greg… sì… tutto bene…- farfugliò, la voce tremante. La rabbia se n’era andata, sciogliendosi come neve al sole ed ora era arrivato quel senso d’impotenza capace di farla scoppiare in lacrime.
In quel caso nemmeno un intero pomeriggio con la sua adorata macchina fotografica avrebbe potuto risollevarle lo spirito.
Cercò con tutte le forze di trattenersi, ma finì con il singhiozzare. Senza pensare gettò le braccia al collo del fratello e lasciò libero sfogo alle lacrime.
-Ehi, ehi! Calmati! Cos’è successo?- cercò di capire. Provò a scostarla da sé per guardarla in viso, ma lei non glielo permise. Allora le lasciò il tempo per sfogarsi, stringendola a sé con fare protettivo, come faceva quando era piccola e aveva paura durante i temporali.
Frances versò fino all’ultima lacrima e solo quando sentì gli occhi aridi e pesti si scostò dal petto del fratello e tentò di darsi un contegno, imbarazzata. –Scusa…- mormorò.
-Oh, non è con me che devi scusarti: Sarah sarà nera.- commentò Greg.
Al che lei lo fissò confusa poi, realizzata la battuta, ridacchiò senza allegria. –Già, avremmo fatto freddare la pasta.- mormorò.
Gregory la fissò pensieroso e la condusse gentilmente sul dondolo accanto alla porta.  Una volta seduti si voltò verso di lei e domandò:-Hai parlato con Mandy?
Frances pensò di negare, ma alla fine optò per la verità. Annuì stancamente, confermando le supposizioni del suo interlocutore. –Non è andata bene… ed è colpa mia. Per l’ennesima volta.- confessò.
-Cosa ti hanno detto?
Fran si passò una mano tra i capelli, nervosa. –Che Andrew se la sta cavando bene, ma che il branco di MacGregor sta avendo dei problemi.- spiegò.
Greg si accigliò. –Problemi di che tipo?- chiese, cercando di capire.
-A quanto pare la lupa che avevano accolto è una spia, ma è stata obbligata con la forza ad assumere quel ruolo. Se non ho capito male vogliono aiutarla, ma questo significa avere grane col suo branco d’origine.- continuò.
-E in tutto questo, Amanda non ha ancora perso la testa? Cavoli, quella ragazza ha le palle.- commentò ammirato. Al che sua sorella lo guardò malissimo, ricordandogli che stava parlando proprio con una che, di palle, non sembrava averne abbastanza. –Ehm… scusami, non volevo offenderti.- s’affrettò a dire.
Lei abbassò lo sguardo. –Non mi hai offesa: hai detto la verità, in fondo.
La strinse a sé, premuroso e un po’ rude. I suoi abbracci avevano la stessa potenza di una carezza ricevuta da un grizzly ma, a differenza degli orsi, lui lo faceva con le più nobili intenzioni.
-Il problema è un altro, però…- riprese Frances. L’altro sollevò le sopracciglia, in attesa di una spiegazione. –Il branco si sta per trasferire nel palazzo in cui vivo con Drew e Mandy.- confessò, sollevando la testa in attesa di un parere.
Restò a fissare Gregory in silenzio, temendo che le dicesse di sbrigarsela da sola o peggio.
Dopo parecchi minuti, in cui si sentirono alcuni rimproveri di Sarah provenire dall’interno, Greg si decise finalmente a parlare. –Sinceramente, non vedo dove stia il problema.- ammise, fissandola coi suoi occhi verdi come germogli.
Al che sua sorella non poté fare a meno di boccheggiare, senza parole. –Ma… mi hai ascoltata?!- sbottò.
Lui annuì. –Certo, non sono sordo. E ho anni di esperienza alle spalle, ricordi?- le fece notare.
Quella risposta la fece indisporre ancora di più. Balzò in piedi e strinse i pugni, irritata. –Gregory, è una questione seria! Non so cosa fare!
Anche lui si alzò, fronteggiandola senza problemi. Essere alti un metro e novanta e avere spalle larghe aiutava sempre, soprattutto in casi come quello.
“Se fossi più piccolo mi prenderebbe a sberle, ne sono sicuro.”, ragionò l’uomo. Fran era sempre stata la più impulsiva, tra i tre. Anche lui aveva avuto i suoi colpi di testa, ma il più delle volte aiutato da una bella sbronza.
-So che è una questione seria, ma non capisco perché tu ti sia fasciata la testa prima di rompertela.- commentò.
-Che significa?- fece lei, allentando leggermente la tensione.
-Sei scappata non appena successo il fattaccio e non hai nemmeno provato a vivere con Andrew, dopo la trasformazione. Posso capire la tua paura: anche io sarei stato terrorizzato, all’inizio. Ma è normale, le cose nuove ci spaventano sempre.- disse. In quel momento era sicuro di essere molto simile al padre, quando si sedeva e faceva loro la predica.
-No, tu non capisci… non…!- iniziò lei.
Suo fratello la bloccò. –No, sei tu che non capisci. Hai dato per scontato che non ci saresti riuscita, che sarebbe andata male e sarebbe successo il peggio. Tutte le telefonate e i messaggi di Amanda non sono serviti ad aprirti gli occhi.- continuò.
-A cosa dovevano servire? Farmi sentire una stupida?- abbaiò, dandogli le spalle. –Io non sono perfettina come lei.
-Non è questione di essere una perfettina. È questione di sapere cosa si vuole.- replicò calmo.
-Io so cosa voglio!- scattò la giovane.
Lui allora sollevò un sopracciglio, diffidente. –Davvero?
-Sì, io…- ma s’interruppe. “Io… cosa voglio, veramente? Perché sono scappata?”, si ritrovò a chiedersi.
-Vedi? Non ti sei posta le giuste domande.- le fece notare.
Al che Fran si lasciò cadere nuovamente sul dondolo, subito imitata dal fratello. –E quali sarebbero?
-Ami veramente Drew? Devi solo capire questo. Se il tuo amore per lui è abbastanza forte, allora potrai tornare e dargli una mano.- mormorò, sfiorandole una guancia. Lei si voltò a guardarlo e nei suoi occhi c’era solo una gran confusione.
-Come faccio a quantificare l’amore?- domandò con voce rotta. Stava per rimettersi a piangere, nuovamente. “Non voglio piangere.”, si disse, tirando su col naso.
-Devi capirlo da sola. Non posso dirtelo io: ognuno ha modi diversi per farlo…- replicò.
Gli lanciò un’occhiata. –Lo dici come se ci fossi già passato.- osservò.
Gregory si adombrò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e unendo le dita. –Ci sono passato, cinque anni fa.- rivelò.
“Come? Quando?”, si chiese Frances. –Non… non capisco…
Suo fratello sollevò un angolo della bocca, il ricordo era ancora amaro per lui. –Ricordi quando Sarah ha avuto quel brutto incidente?- iniziò.
La ragazza annuì. –Sì, quando è stata investita da quel SUV… ma non capisco…- rispose.
Greg puntò lo sguardo davanti a sé, fissando un punto imprecisato. –Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a lei.- ammise. –Quando l’hanno portata in sala operatoria hanno scoperto che una scheggia le aveva perforato una vertebra. Sistemarono tutte le altre ferite, ma quella… non sapevano cosa sarebbe successo.- continuò.
-Oddio, vuoi dire che…?
-Sì, c’era la reale possibilità che rimanesse paralizzata dalla vita in giù.- confermò con voce leggermente instabile. “E’ stato il giorno più brutto della mia vita.”, pensò, cercando di non riportare a galla quelle ore di puro terrore.
-E’ stato allora che hai dovuto quantificare il tuo amore, vero?- chiese conferma Frances. –Come… come hai fatto?
Le lanciò un’occhiata e poi si raddrizzò, appoggiando la schiena al dondolo. –Be’… sono andato a fare una lunga passeggiata. Ho ragionato e ragionato, fino a sentire il cervello fondersi. Mi sono chiesto se potevo sopportare tutto quello che ne sarebbe derivato, se l’avrei amata come l’amavo in quel momento e se sarei riuscito a farla sentire amata.- le disse, stringendosi nelle spalle. –Dopo quattro ore passate a girovagare senza una meta, ho capito che non avrei potuto fare a meno di lei e che l’avrei aiutata a superare anche quella prova.- concluse dopo una breve pausa.
Senza poterselo impedire, una piccola lacrima le scese lungo la guancia. –Sei una persona stupenda, Greg. Sarah è fortunata.- gli sorrise, toccata dal dolore che aveva percepito nella voce del fratello.
-No, sono io quello fortunato.- replicò lui, alzandosi in piedi. –Io avrei un certo languorino, tu?- chiese, massaggiandosi lo stomaco.
Fran scosse la testa. –Preferisco andare a fare quella famosa passeggiata.- rispose, ora più calma. Lui sembrò capire e si limitò ad annuire. –Ci vediamo più tardi.- gli disse, alzandosi ed imboccando le scale.
-Prenditi il tuo tempo.- le suggerì.

  Si strinse la sciarpa al collo e si avviò lungo le strada apparentemente infinite del quartiere in cui viveva Gregory. Era una zona residenziale a bassa densità abitativa, tappezzata da tante villette indipendenti con giardino, in pieno stile americano.
Lanciò un’occhiata distratta ad alcuni bambini impegnati a rincorrersi e lasciò vagare i propri pensieri. Li lasciò liberi, lasciando che fossero guidati dal cuore e non dalla testa.
Senza rendersene conto si ritrovò a pensare al passato, a quando lei ed Andrew si erano conosciuti.
  Erano gli anni dell’università: Frances era la fotografa del giornale universitario, mentre Drew uno dei nuotatori della squadra del campus. Le avevano assegnato il servizio sulla recente vittoria nel campionato studentesco, ma lei aveva tentato di rifiutare sino all’ultimo.
Ricordava ancora l’odio profondo che aveva per gli sportivi che si credevano i re del mondo e il pensiero la fece sorridere.
“Ero ancora più testarda di come sono ora…”, pensò, continuando silenziosamente la propria passeggiata. Era andata nell’edificio che ospitava le piscine con un diavolo per capello, maldisposta verso ogni essere appartenente al gruppo di tritoni provetti, come li aveva mentalmente ribattezzati.
  Invece si era ritrovata ad osservare una grande vasca d’acqua praticamente vuota.
Era rimasta lì, ferma come un’allocca fino a quando non si era sentita apostrofare. Ricordava ancora il movimento repentino e disarticolato con cui si era voltata ed era finita in acqua.
“L’unico problema era che non sapevo nuotare.”, ricordò, fermandosi ad un incrocio per controllare che non arrivassero auto. “Gregory non riusciva a capacitarsi del perché.”, si concesse un risolino, divertita.
Fortunatamente Drew era lì, pronto a salvarla dall’affogamento. Si era tuffato e l’aveva raggiunta. Lei non finiva più di agitarsi e maledirlo, accusandolo di averle fatto danneggiare la preziosa Reflex.
Alla fine, tra una bracciata ed un insulto, erano riemersi ed Andrew l’aveva invitata fuori per sdebitarsi ed accordarsi sulla modalità di pagamento dei danni.
“Ci siamo incontrati la sera dopo… e quella dopo ancora. Così per una settimana.”, il pensiero la fece nuovamente sorridere, scaldandole il cuore.
Non sapeva bene perché, ma i pensieri la stavano guidando attraverso gli attimi più belli della sua storia con Andrew. E lei si stava lasciando trascinare, assaporando ogni singolo attivo, ogni singola risata.
  Fino a quando la verità non le ripiombò addosso e si ritrovò a rivivere il giorno dell’attacco.
Frammenti confusi si affastellarono nella sua mente, fornendole dolorosi fermo immagini di attimi che avrebbe voluto dimenticare per sempre.
Rivisse la paura, sentì le urla e vide Drew, steso a terra in una pozza di sangue.
Si sentì improvvisamente mancare il fiato e dovette appoggiarsi al tronco di un albero. Si portò una mano alla gola e tentò di prendere dei respiri profondi.
Il suo cervello continuava a scorrere come impazzito tra i suoi ricordi, ripescando le litigate avute con Amanda e i primi momenti della nuova vita di Andrew.
Quella nuova vita che la terrorizzava, ma che sembrava non avesse piegato lui.
Tentò di raddrizzarsi e calmare il battito del proprio cuore, ma sembrava non avere alcun controllo sul proprio corpo.
“Calmati, devi stare calma.”, si disse. Lentamente, a fatica, riportò la situazione sotto controllo. Prese alcuni respiri belli profondi e poi iniziò ad analizzare lentamente i ricordi più recenti che riguardavano lei e Drew.
Fin da subito lui aveva cercato di tirare le fila del discorso, di capire da dove partire e come poter controllare quella nuova ed estranea parte di sé.  
E lei… lei credeva di poterlo guarire, come se avesse contagiato una stupida malattia infettiva.
“Ma Drew non è malato. È cambiato, è diventato qualcosa di più di un semplice umano.”, ragionò. Avrebbe potuto fare molte più cose rispetto a quando era solo un uomo: correre alla stessa velocità di un’auto, cacciare come un vero lupo… uccidere con la semplicità di un pensiero.
Uccidere…
Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente di Frances e la ragazza si portò le mani alla bocca, sconvolta.
Quello che la spaventava non era il nuovo Drew, ma le cose che avrebbe potuto fare se la sua parte bestiale avesse preso il sopravvento. Temeva di non potersi più fidare di lui, di dover misurare ogni singola parola per non farlo irritare. Temeva di poter essere uccisa dall’uomo che amava.
-Non è un problema di amore, è un problema di fiducia!- esclamò. La verità la lasciò contemporaneamente felice e sconvolta. Ma in quel momento non importava: sapeva cosa doveva fare.


“Sei uno stupido.”, gli pareva quasi di poter sentire la sua parte animale ripeterlo nella sua testa. Dopo la disastrosa telefonata avuta con Frances si era allontanato di corsa, confuso più che mai. Era stanco di sentirsi ingiustamente rifiutato dalla donna che amava, stanco di vedersi rinfacciare la sua nuova condizione soprannaturale.
  Non l’aveva chiesta lui, dannazione!
Ma Frances sembrava non volerlo capire: non gli aveva nemmeno concesso una chance e si era messa ad urlare come un’ossessa.
“Non mi accetterà mai… non come ha fatto Amanda.”, realizzò. E quella considerazione, oltre a fargli male, lo fece arrabbiare tantissimo. Se fosse stato un approfittatore, se non avesse amato veramente Fran, si sarebbe sicuramente assicurato di avere Mandy accanto a sé.
  Nei suoi occhi non aveva letto il disgusto o il terrore, solo tanta voglia di comprenderlo ed aiutarlo. A lui sarebbe bastato vedere quei sentimenti anche negli occhi della sua amata, ma iniziava a capire che quello era un sogno irrealizzabile.
Il lupo dentro di lui ringhiò, irritato.
Andrew tentò di ignorarlo e continuò a correre, diretto verso una meta imprecisata. Sentiva la rabbia e la frustrazione crescere dentro di sé ed iniziava a temere di non poterle controllare.
Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare dai sensi e tentando di mettere a tacere la voce che gli diceva di lasciarsi andare ed arrabbiarsi.
Non poteva farlo, non in mezzo alla città. Avrebbe potuto ferire delle persone e quello avrebbe confermato le paure di Frances.
“Sono più forte del lupo. Sono più forte della luna.”, iniziò a ripetere mentalmente, come se fosse un incantesimo di protezione.
Ma più cercava di concentrarsi su altro, più gli tornavano alla mente gli ultimi tempi e le notti vuote, passate senza la sua compagna. Tutto perché lei non aveva nemmeno voluto dargli una possibilità, il beneficio del dubbio.
Era scappata e basta.
“E probabilmente non tornerà.”, gli disse la sua coscienza, in quel momento troppo simile alla voce della bestia. Scosse ripetutamente la testa, cercando di snebbiarsi la mente ma sembrò non sortire nessun effetto.
Si era tanto vantato di non aver avuto problemi nonostante la vicinanza del plenilunio, invece sembrava aver cantato troppo presto. Gli serviva solo il giusto incentivo per perdere il controllo e pareva averlo trovato.
Un rantolo animalesco gli salì alla gola e fu costretto ad appoggiarsi pesantemente al muro di un’abitazione. Si guardò intorno, cercando di rimettere il lupo al suo posto e capire dove si trovasse.
  La creatura dentro di lui si ribellò con forza, graffiando e ringhiando come solo un animale in gabbia può fare. Andrew sentì il sangue arrivargli al cervello e temette di potersi trasformare da un momento all’altro.
-No… smettila…- sibilò a denti stretti, artigliandosi il petto. Non poteva, non doveva trasformarsi.
“Alastair ha detto di trovare delle valvole di sfogo, in questi casi…”, ragionò. Alzò di scatto la testa ed iniziò a scandagliare ogni centimetro quadro attorno a lui, alla disperata ricerca di una via d’uscita.
L’importante era non ferire nessuno. Se anche si fosse fatto del male, aveva dalla sua una capacità rigenerativa di gran lunga superiore alla norma.
Mentre cercava in tutti i modi di rimanere presente a se stesso, trovò la sua valvola di sfogo.
Rialzò lentamente la testa ed inspirò a fondo. Dentro di lui la bestia gorgogliò, soddisfatta.
Distrarsi non bastava più, quindi avrebbe fatto qualcosa di avventato. Se ne sarebbe sicuramente pentito, ma era convinto che fosse un buon modo per sfogare la rabbia che l’aveva colmato.
  Presa la decisione si riassestò la giacca e si mise a correre verso Staten Island.


-Bene, come ci organizziamo? Tu li distrai ed io scappo?- chiese David, finendo di impilare gli scatoloni nel centro esatto del loro appartamento. Avevano impacchettato tutto ciò che poteva essere piegato o contenuto da una scatola e si erano preparati a spostare tutte le loro cose e quelle di Emily.
-Vado a fare una rapida ricognizione: se Emily ha fatto bene il suo lavoro, dovrebbero esserci al massimo due licantropi rimasti a guardia dell’edificio.- rispose, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. –Tu aspetta il camion.
Dave si accigliò, perplesso. –Camion?- ripetè.
-Dei traslochi.- specificò l’amico, sollevando un sopracciglio per sottolineare l’ovvietà.
L’altro annuì. –Già, è vero. Ma ancora non so come farai a guadagnare così tanto tempo. Insomma, per quanto io sia rapido, l’autista del camion non lo sarà altrettanto.- osservò.
-Non ti preoccupare.- disse solo Evan. Indossò la giacca ed infilò la porta, avviandosi lungo le scale. Mentre scendeva scandagliò con i sensi tutti i paraggi e non ci mise molto ad individuare il lupo rimasto.
Forse fu un colpo di fortuna, fatto sta che l’Alfa dei Blacks aveva lasciato sguarnito il corpo di guardia. Meglio per loro e tanto peggio per lui.
Uscì in strada e puntò lo sguardo nella direzione del suo osservatore. Simon, dal canto suo, si mise sull’attenti, pronto ad ogni evenienza.
  Aveva intuito che i lupi avevano un piano, uno che comprendeva un trasloco, ma aveva ragione di credere che la questione non fosse così semplice.
Con la fuga di Emily, Jared aveva dato di matto ed ordinato a quasi tutto il branco di correrle dietro. Essere tradito dalla donna che credeva di avere in pugno non doveva essere stata una cosa piacevole.
Mentre ragionava sugli ultimi avvenimenti, Evan gli si avvicinò. Ritenendo inutile nascondersi, si alzò in piedi e divaricò le gambe, saggiando il terreno. Era pronto ad accoglierlo e a combattere, se necessario.
“Non mi farò sconfiggere come quella mammoletta di Kennet.”, si disse, contraendo le dita delle mani.
Van, dal canto suo, non poté fare a meno di notare la presenza di troppe persone all’interno del parco giochi antistante il palazzo. Non voleva coinvolgere dei civili, soprattutto se umani.
-Tu dovresti essere il Gamma dei Blacks… o sbaglio?- esordì lo scozzese.
Simon ghignò. –E tu sei l’ex Campione dei MacGregor. O sbaglio?- lo provocò. Voleva farlo irritare e fargli perdere quella facciata impassibile.
-Perdere quella carica non mi ha tolto il sonno.- replicò serafico. –A te disturberebbe perdere la tua?
Mentre parlavano, David stava continuando ad impilare scatoloni. Ovviamente aveva un orecchio sintonizzato sulla conversazione che stava avendo luogo di sotto.
“Non so cosa tu abbia in mente, Van, ma spero vivamente che funzioni.”, si augurò. Recuperò l’ultima scatola e poi si affacciò alla finestra, facendo scorrere lo sguardo fino ai primi alberi del parco, dove l’amico si era fermato a discorrere del più e del meno col loro recente compagno di giornate.
Evan percepì su di sé lo sguardo di Dave, ma si impose di non alzare gli occhi. Nello stesso istante il suo fine udito captò il rumore di alcuni passi sconosciuti, ma troppo familiari per essere scambiati per quelli di un gruppo di umani.
“Finalmente.”, pensò. Voltò lentamente la testa nella direzione dei nuovi arrivati e scambiò una rapida occhiata col tenente Simmons. Lei gli fece un cenno col capo e continuò a camminare, decisa.
Simon s’irrigidì, presagendo grane. Come diavolo aveva fatto la polizia ad arrivare a loro? Tra l’altro, quelli non erano semplici piedi piatti, ma membri della squadra speciale.
-Cosa… come…- indietreggiò, di colpo spaventato.
Van voltò la testa, mentre diversi metri più in alto David si lasciava scappare un’espressione d’esultanza. –Mai sottovalutare i lupi più vecchi: sono pieni di sorprese… soprattutto se sono scozzesi.- rispose il lupo. Nel profondo sentì la necessità di corredare il tutto con un ghigno di derisione, ma si limitò alle parole.
La sua corazza non si era indebolita al punto da farsi scappare esternazioni di quel tipo.
-Simmons, è questo il lupo che ha tentato di uccidere un membro del mio branco.- disse ad un certo punto Evan.
La sua sottoposta annuì brevemente e poi si avvicinò al sospettato. –Eviterei colpi di testa: quattro licantropi sono più veloci di uno solo.- gli consigliò, estraendo le manette.
-Voi non avete prove… non potete arrestarmi!- protestò l’uomo. “Era una trappola!”, realizzò, senza parole. Era stato gabbato, peggio di Kennet.
-Vero. Infatti vogliamo interrogarla.- la donna gli diede ragione, mentre gli altri membri del gruppo si disponevano a ventaglio dietro di lei. Per qualsiasi evenienza.
Il Gamma tentò di ribellarsi, ma alla fine si vide costretto a farsi ammanettare, sotto lo sguardo sbigottito di tutti gli umani presenti.
Mentre lo stavano portando verso le volanti, scoccò un’occhiata omicida ad Evan. –Aspetterò la tua vendetta. Non vedo l’ora.- lo provocò lui. –E ricordati che, in ogni caso, attaccare un umano è un reato punibile con la prigione.- aggiunse subito dopo, giusto per chiarire le cose ed assicurarsi che il messaggio arrivasse all’interno branco.
Simon ringhiò, ma non poté fare molto altro, circondato com’era da agenti.
Il tenente lasciò che ad occuparsi del licantropo fossero i suoi colleghi e rimase indietro per parlare col suo superiore. -Grazie…- le disse Evan.
-Non c’è problema. Dopo che mi ha raccontato cos’è successo, mi è salito leggermente il sangue al cervello.- replicò la lupa. –Non si feriscono le compagne altrui.
Lo scozzese fece per correggerla, ma lei non gli diede il tempo, allontanandosi a passo rapido. “Non ho una compagna…”, pensò.
Poi alzò lo sguardo alle finestre dell’appartamento che lui e gli altri avevano preso in affitto e fece per chiamare David, quando quello si presentò davanti al portone d’ingresso, quattro scatole tra le braccia.  –Spero che il camion stia per arrivare.- esordì, fingendo di lagnarsi per l’eccessivo peso trasportato.
Van scosse la testa, divertito dal suo modo di fare. –Un paio di minuti e sarà qui.- confermò.
-Hai preparato un bello scherzetto a quel lupo. Tutto pianificato nei minimi dettagli, eh?- lo canzonò l’amico.
-Sai che ho una mente militare.- fece spallucce l’altro.
-No… hai una mente diabolica.- precisò l’inglese, fingendo che la cosa lo spaventasse. –Fortuna che sto dalla tua parte.
Van alzò gli occhi al cielo. -Sono innocuo, Dave.
-Come un lupo al momento del banchetto.- ironizzò il suo migliore amico, ridacchiando subito dopo all’espressione di Van.
-Terminiamo di portare giù gli scatoloni, su.- disse, inoltrandosi all’interno dell’androne.
David ci aveva scherzato su, ma era più che convinto della forza dell’amico. Se fosse arrivato il momento di lottare con le unghie e con i denti, era più che certo che Evan avrebbe venduto cara la pelle. Soprattutto nel caso in cui avesse avuto qualcosa da proteggere, proprio come un vero Alfa.
“Non ho fatto la scelta sbagliata.”, si disse, orgoglioso.


  Il telefono vibrò, spostandosi leggermente lungo il ripiano su cui era stato appoggiato.
Emily voltò la testa di scatto, maledicendosi per aver lasciata attiva la vibrazione. Restò accucciata dietro il bancale della finestra, i nervi tesi e a fior di pelle. Nei paraggi dell’edificio c’erano due lupi del branco e la stavano cercando usando al massimo tutti i loro sensi.
Per seminarli aveva attraversato l’Hudson a nuoto, riemergendo nella zona portuale di Hoboken. Da lì aveva raggiunto uno dei rifugi che aveva iniziato ad usare da quando era entrata a far parte dei Blacks.
  Spesso aveva dovuto allontanarsi per un po’, inventandosi una scusa qualunque per non destare sospetti. Soprattutto da quando era diventata la compagna di Jared, ruolo che mai avrebbe voluto ricoprire.
Ed ora se ne stava in attesa, sperando di aver coperto bene le proprie tracce.
Senza rendersene conto si ritrovò a trattenere disperatamente il respiro, in attesa di essere scoperta o di tirare un sospiro di sollievo per avercela fatta.
-Io non sento nessun dannatissimo odore!- brontolò uno dei due, Lex se non aveva preso un granchio. Non si era mai presa la briga d’imparare i nomi di tutti, dato che aveva sempre desiderato andarsene.
  Era stata Evelyn a convincerla ad unirsi ai Blacks e solo perché si era innamorata di Jared. Non aveva mai capito cosa ci trovasse in lui e la cosa era ancora più strana se si considerava il fatto che, tra le due, lei era quella più posata e riflessiva. L’Alfa non era sicuramente l’uomo adatto a lei.
“Se solo non avessi seguito il tuo cuore, Eve…”, pensò, facendosi improvvisamente triste. Quanto le mancava… c’erano giorni in cui le sembrava di non poter respirare senza la sorella al fianco. “Devo tener duro, lo devo a Blake.”, si disse subito dopo, recuperando il suo spirito combattivo.
Non si era resa conto che, mentre era persa nei propri pensieri, i licantropi aveva ampiamente superato il suo nascondiglio. Stupita, si rialzò lentamente e sbirciò attraverso il vetro impolverato, cercandoli con gli occhi. A quanto pareva era una Sentinella coi fiocchi, in grado di far perdere le sue tracce in modo efficace.
Orgogliosa di se stessa, si avvicinò al tavolo e prese il cellulare. Nella schermata lampeggiava l’icona di un messaggio, proveniente da David.
-Stiamo ufficialmente traslocando. La nostra guardia del corpo personale sarà occupata per un po’. Tu segui il piano, come stabilito. A presto.- lesse ad alta voce. –Bene… a quanto pare ho trovato un branco composto da persone intelligenti.- si lasciò sfuggire un sorriso, sollevata.


  Quando varcò il confine del Wolf’s Pond aveva ormai assunto le sembianze di un lupo color cannella. Atterrò sulle possenti zampe e continuò a correre, diretto verso il lupanare del branco di cui era entrato a far parte.
Branco che detestava con tutto se stesso, ad eccezione di Alastair.
Inspirò a fondo l’aria attorno a sé, cercando di capire se era già stato avvistato ma non percepì variazioni negli odori delle Sentinelle.
A quanto pareva non avevano intuito le sue intenzioni bellicose.
“Tanto peggio per loro.”, pensò, scartando un tronco e saltando oltre alcuni bassi cespugli. I suoi riflessi si erano acuiti al punto che avrebbe potuto rivaleggiare con Edward Cullen e vincere la gara di “schiva l’albero”.
Liberò la mente dai pensieri futili e lasciò che la bestia s’impossessasse di lui: avrebbe avuto bisogno di tutta la sua forza per mettere in atto il suo piano.
“Un piano sconsiderato, Drew.”, gli fece notare la sua coscienza. Si prese un attimo per valutare la considerazione, ma poi zittì la parte razionale di sé e lasciò che l’influsso lunare desse forza al lupo.
Ora che aveva preso la decisione non c’era nulla che potesse fermarlo. Doveva dare sfogo alla propria rabbia e seguire il suo nuovo istinto avrebbe potuto aiutarlo.
Quando avvistò l’enorme villa del branco, si mise a scrutare l’intorno con gli occhi e le orecchie. Ignorò le essenze dei licantropi che non gli interessavano e continuò a scandagliare l’edificio fino a quando non trovò quello che voleva.
  Deviò il proprio percorso piegando leggermente a sinistra e proseguì verso il lago più piccolo presente all’interno del parco. S’inoltrò tra gli alberi, evitando i percorsi per i visitatori e gli sportivi e in poco raggiunse lo specchio d’acqua.
Si fermò di colpo, trovandosi davanti due lupi. Perplesso, si fermò dietro alcuni bassi cespugli e cercò di controllare il battito del proprio cuore per non farsi scoprire.
Si era posizionato controvento, quindi non avrebbero dovuto fiutare il suo odore, ma avrebbero potuto sentirlo se non si fosse calmato.
Mentre riprendeva lentamente il controllo del proprio corpo, con grande disappunto della bestia, uno dei due lupi si ritrasformò, rivelandosi essere Crystal. Ancora più confuso, Andrew la guardò allontanarsi rapidamente, sul viso un’espressione chiaramente contrariata.
“Stryker e Crystal…? Cosa sta succedendo, qui?”, si chiese, perplesso. Sicuramente ad Evan non avrebbe fatto piacere saperlo. O forse non gliene sarebbe importato nulla, fatto sta che si sarebbe tenuto la cosa per sé.
Un rumore di gola attirò la sua attenzione e tornò a puntare gli occhi su Stryker, messosi a girare in circolo. Drew avrebbe voluto restare a ragionare su quello che aveva visto, ma la bestia dentro di lui fremeva e lo spingeva ad agire.
  Tentò di combatterla per un po’, recuperando momentaneamente il controllo sulle proprie emozioni, ma poi non riuscì più a contenerla e si ritrovò ad uscire dal proprio nascondiglio.
Il mondo attorno a lui aveva assunto una sfumatura rossastra e il sangue gli rimbombava nelle orecchie. L’odore del suo avversario lo colpiva come un magno, portando la sua salivazione a livelli estremi.
Scrollò vigorosamente il capo, provando a non venire investito dalle informazioni raccolte dai propri sensi, ma ormai ne era completamente impregnato. Non riuscendo a calmare quel bombardamento d’informazioni, scattò in avanti.
  Coprì parecchi metri in poco tempo ed annullò la distanza tra sé e il proprio obiettivo con un balzo, che lo portò ad atterrare esattamente sulla schiena di Stryker.
Lo scozzese ruzzolò a terra, colto di sorpresa, ma si rialzò immediatamente. Snudò le zanne contro il nuovo arrivato e si stupì nel trovarsi davanti il nuovo affiliato.
“Pivello, vuoi farti uccidere?”, grugnì, infastidito. “Non sono in vena di giocare.”
Andrew non rispose e ringhiò, arricciando il labbro superiore per mostrare le zanne. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca e un sordo brontolio salirgli lungo la gola: alla bestia non piaceva esser sottovalutata.
Vedendo che l’altro non sembrava intenzionato a ritirarsi, Stryker assunse la posizione di combattimento.
  I due si scrutarono per pochi millesimi di secondo e poi si attaccarono ferocemente.
Si scontrarono con forza, facendo cozzare i propri corpi. Ben presto si ritrovarono ad usare tutta la parte superiore del corpo, in equilibrio sulle zampe posteriori.
Sia Andrew che Stryker misero a segno diversi colpi e ben presto le loro pellicce si riempirono di chiazze di sangue, lì dove artigli e denti erano penetrati.
Si allontanarono per riprendere fiato, ma non si risparmiarono occhiate e ringhi sommessi. Nessuno dei due voleva perdere.
“A quanto pare ti sei allenato. È stato Evan ad insegnarti come combattere?”, lo provocò l’uomo.
Drew non rispose subito, concentrato com’era ad elaborare le mosse successive. Si stava facendo guidare dall’istinto, ma sapeva che doveva raziocinare e cercare di prevedere le mosse dell’avversario, se no sarebbe finita male. Forse peggio della volta precedente.
Per quanto la bestia dentro di lui fosse forte e smaniosa di combattere, lui non possedeva la forza fisica di Stryker.
  Analizzò ciò che aveva davanti e, all’improvviso, gli tornarono in mente i suggerimenti di Evan.
Spostò lo sguardo sul lato destro del proprio avversario e notò la leggera variazione di sfumatura nell’iride, lì dov’era stata colpita dal veleno.
Si piegò lentamente sulle zampe anteriori, mentre Stryker faceva lo stesso. Saggiarono entrambi il terreno con le unghie, poi si lanciarono in avanti. Drew finse di puntare al fianco sinistro, in modo da obbligarlo a scoprirsi su quello destro.
Lo scozzese sembrò abboccare, ma proprio quando l’altro stava per deviare la traiettoria dell’attacco, intuì la sua strategia e lo azzannò con forza alla spalla sinistra.
Guaendo, Andrew tentò di divincolarsi e nel farlo trascinò a terra con sé il suo contendente. Rotolarono nell’erba, continuando a lottare furiosamente.
In un impeto di rabbia il giovane riuscì a ferirlo con una zampata a livello dello stomaco e questo lo costrinse a mollare la presa ed allontanarsi.
  Infastidito, ringhiò il proprio disappunto.
Andrew ne approfittò per controllare i danni alla propria spalla: la ritrovò completamente intrisa di sangue e con gli evidenti segni del morso. La vista del liquido rossastro mandò la bestia su di giri e Drew si ritrovò a balzare in avanti, pronto ad attaccare.
La situazione gli stava sfuggendo di mano, ma non riusciva a riprendere il controllo delle proprie azioni.
Il dolore che sentiva alla parte ferita non faceva altro che aizzare maggiormente il suo lato animale e a renderlo più aggressivo, al pari di un cane con la rabbia. Si avventò contro Stryker e lui si difese azzannandolo nuovamente alla spalla.
Questa volta la pelle si lacerò a tal punto da scoprire in parte il muscolo. Lo shock fece rinsavire Drew, che lanciò diversi uggiolii di protesta.
Lo scozzese lo costrinse a terra, bloccandolo col proprio peso e continuando ad affondare i denti.
“Mi staccherà il braccio di questo passo!”, pensò con terrore il giovane. Ora che la paura era più forte della rabbia, la sua parte razionale era riuscita a riprendere il controllo. Doveva pensare in fretta, se no sarebbe finita molto male.
Con uno sforzo non indifferente riuscì a capovolgersi e far perno con le tre zampe libere, scrollandosi di dosso l’altro licantropo. Stryker si avvitò in aria ed atterrò poco più in là, il muso e la gorgiera completamente sporchi di sangue.
“Non vuoi ancora arrenderti, pivello?”, lo provocò, snudando le zanne.
Andrew avrebbe voluto farlo, ma ecco che la bestia tornò a far capolino. Lo spinse a rimettersi in piedi e ad attaccare nuovamente. Puntò all’occhio destro, ma l’altro non lo lasciò colpire e lo afferrò saldamente per la collottola.
Strinse con forza e poi lo scrollò diverse volte prima di lanciarlo lontano da sé. Drew non glielo permise e gli morse il muso, stringendolo tra le fauci fino a sentire lo scricchiolio delle ossa.
Il suo avversario si mise a grugnire, tentando di liberarsi e lui ne approfittò per graffiarlo in profondità sul lato destro.
A quel punto Stryker si liberò con un poderoso scatto, usando i possenti muscoli del collo e delle zampe. I due contendenti si staccarono e finirono a terra, sanguinanti.
I loro corpi stavano iniziando a tremare per lo sforzo e la potenza dei colpi, ma nessuno voleva darsi per vinto.
Si rimisero faticosamente in piedi e si scrutarono in cagnesco, pronti ad un altro round. Stavano per scontrarsi quando un grosso licantropo con gli occhi tendenti all’ambra si frappose tra di loro.
I due si fermarono, riconoscendo immediatamente il proprio Alfa. Andrew non l’aveva mai visto in forma di lupo, ma era più che certo che fosse Dearan.
“Fermatevi, imbecilli!”, ordinò.
La bestia di Drew tentò di ribellarsi all’ordine, ma venne ben presto messa a tacere dall’autorità del capobranco. Stryker, dal canto suo, ringhiò il proprio disappunto e si disse innocente.
Dearan allora si volse verso Andrew, mentre alle sue spalle sopraggiungevano Alastair e il resto dei lupi presenti in quel momento. “Non tollero che nel mio branco ci siano lupi indisciplinati.”, sentenziò, avvicinandosi minaccioso.
“Questa cosa non la riguarda… è una questione tra me e Stryker.”, rispose l’americano.
“Non è concesso sfidare liberamente il Campione: c’è un protocollo.”, gli ricordò l’altro, iniziando ad alterarsi.
Drew arricciò il labbro superiore, mentre il lupo dentro di lui gridava il proprio disappunto. “Anche rendere il nuovo arrivato l’Omega di turno dipende dal protocollo?”, chiese.
Al che Dearan s’irrigidì e lanciò un’occhiata al suo secondo in comando. “C’è sempre un Omega nel branco.”, sentenziò.
“Non sarò io.”, tagliò corto. Spostò lo sguardo su Alst e si scusò mentalmente con lui, ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto. “Me ne vado.”
“Non puoi!”, l’Alfa balzò verso di lui, pronto a colpirlo. “Nessuno lascia il mio branco.”, aggiunse, ringhiandogli contro e tentando di dominarlo.
Andrew resistette caparbiamente, impedendo a se stesso di sdraiarsi e mostrare la pancia in segno di sottomissione. Anzi, rispose iniziando a ringhiare con forza contro quello che avrebbe dovuto essere il suo capobranco.
Quella reazione indispose ancora di più Dearan, che assunse una posizione molto più rigida, sollevando il muso e la coda. “Non osare sfidarmi, Faolàn.”, avvertì.
Il giovane assunse una posizione simile, mantenendo la coda lievemente più bassa e il corpo in tensione. "Ti sto sfidando. Non riconosco la tua autorità e non voglio rimanere in questo branco.”, replicò, cercando di suonare il più minaccioso possibile.
Negli occhi di Dearan lesse la rabbia, la volontà di rimetterlo al proprio posto. Ora avrebbe potuto realmente essere ammazzato, ma in quel momento sembrava che al suo cervello non importasse.
Alle spalle dei tre contendenti, il branco si stava agitando, presagendo guai.
Vedendo che l’Alfa era intenzionato ad ucciderlo (o per lo meno a dargli una lezione coi fiocchi), Stryker si fece avanti. “Lui è mio, Dearan. Non puoi ucciderlo.”, protestò.
Il lupo voltò la testa di scatto e mostrò i canini, arricciando quasi completamente il labbro superiore. Non voleva intromissioni.
“Dearan.”, questa volta fu Alst a farsi avanti. Nuovamente l’altro si girò con un movimento repentino. “Lascia andare il ragazzo. Non è soddisfatto e non farà altro che creare problemi, se lo obbligherai a restare.”, cercò di persuaderlo.
“Ha sfidato la mia autorità.”, sibilò.
Il licantropo annuì pacatamente col muso rossiccio. “Vero. Ma vuoi che la stampa venga a sapere che hai ucciso un lupo per semplice insubordinazione? O peggio, che nel tuo branco c’è spazio per l’insubordinazione?”, proseguì. Stava tentando di toccare i punti giusti, puntando sull’orgoglio del cugino.
Lo scozzese dilatò gli occhi, colto di sorpresa. No, non poteva permettere che i lupi del suo branco denigrassero la sua autorità. Era fuori discussione.
Si voltò lentamente verso Andrew. “Non voglio lupi che hanno voglia di fare i gradassi all’interno del mio branco. Ti do mezz’ora per andartene, poi consentirò a Stryker di farti fuori, nel caso tu fossi ancora sul mio territorio.”, sentenziò.
A quella risposta Drew avrebbe voluto protestare, ma un’occhiata da parte di Alst lo convinse a non farlo. Lentamente, con attenzione, diede le spalle al branco MacGregor.
La bestia dentro di lui protestò, raschiando e ringhiando. Chiuse gli occhi, trovando la forza per metterla a tacere prima che potesse riprendere le forze con l’arrivo della notte.
Prese un respiro profondo e poi si avviò al trotto, iniziando a correre dopo alcuni metri. La ferita alla spalla faceva un male cane, ma avrebbe dovuto allontanarsi in fretta.
“Evan mi spellerà vivo.”, pensò con una punta di panico. Ma una parte di lui, non tanto piccola, era orgogliosa di quello che era successo e di come aveva attaccato sia Stryker che Dearan.
Sarebbe stato un vero supplizio sopravvivere al plenilunio e, se ci fosse riuscito senza ammazzare qualcuno, forse avrebbe sviluppato una particolare forma di bipolarismo che gli sarebbe valsa una camicia di forza.


  Afferrò saldamente gli ultimi scatoloni e li appoggiò sul vialetto d’ingresso che conduceva alla loro nuova residenza. -Grazie mille per l’aiuto e la celerità.- ringraziò David, consegnando quanto pattuito ai due ragazzi che li avevano aiutati col trasloco.
-Grazie a voi. Se doveste aver bisogno di qualcos’altro, basta telefonare.- disse il più anziano dei due.
-Lo faremo. Arrivederci.
Dopo essersi congedato, Dave raggiunse Evan e prese la sua parte di scatoloni. Poi alzò la testa verso le finestre degli ultimi piani e sospirò. –Iniziamo questa nuova avventura.- disse a mezza voce.
Van gli lanciò un’occhiata mentre saliva la prima rampa di scale. Con l’ascensore ci avrebbero messo troppo tempo e poi odiava star chiuso in scatole di latta. –Dave, ti ricordo che hai acquistato il duplex che si trova sullo stesso pianerottolo dell’appartamento di Amanda. Possiamo farcela, non credi?- gli fece presente.
-Sì, ma… Dio, questo tipo di architettura è così limitante!- si lamentò.
L’altro sollevò un sopracciglio. –Limitante?
Annuì. –Sì, poche possibilità per sistemare gli spazi, ambienti poco illuminati, camere di dimensioni ridotte e…- iniziò ad elencare.
-Ho capito, fermati. Abbiamo acquistato un duplex proprio perché così avrai più possibilità di modifica. So che sei capace di fare miracoli, quando si tratta di ristrutturazioni.- lo bloccò l’amico.
-Non cercare di adularmi.- l’inglese gli lanciò un’occhiataccia e poi lo superò lungo le scale, accelerando il passo. Evan scosse la testa, divertito: David brontolava spesso e volentieri, ma alla fine sapeva fare magie col computer e la propria fantasia.
Arrivarono al piano e, dopo aver armeggiato un po’ con la serratura, entrarono nell’appartamento. Quando Van lo vide, si mise le mani sui fianchi e guardò eloquentemente l’amico. –E questo ti pare uno spazio limitante?- domandò.
-Certo. Mi servirebbero minimo centocinquanta metri quadri per esprimere il mio estro! Questo è a malapena centoventi.- replicò con finto tono saccente.
Lo scozzese scosse la testa, lasciandolo continuare con le sue critiche alla loro nuova casa.
Tornò sul pianerottolo ed iniziò a portare all’interno le prime scatole. Finite quelle sul piano, avvertì Dave dicendogli che scendeva a recuperarne altre.
  L’amico era già impegnato a disporre le loro cose e sembrò non averlo nemmeno sentito.
Quando arrivò al piano terra, un odore familiare stuzzicò le sue narici. Facendosi perplesso si voltò nella direzione da cui proveniva e si stupì di vedere Amanda.
Quando la ragazza si accorse della sua presenza si bloccò e, senza sapere bene perché, arrossì fino alla punta dei capelli, portandosi subito dopo la mano alla gamba ferita.
Van lo notò. –Problemi con la gamba?- le chiese. Avvertiva l’odore del suo sangue, ma era abbastanza lieve. Lei si agitò immediatamente, tentando inutilmente di camuffare l’odore. –Riesco comunque a sentirlo.- le fece presente, annullando i suoi sforzi.
-Si è… riaperta. Leggermente.- mormorò Mandy. –Non voglio causare problemi. Più tardi la sistemerò. Siete appena arrivati?- cercò di cambiare argomento, indicando le scatole che reggeva tra le mani.
-Sì. Dopo posso controllarla, se vuoi.- le rispose.
Lei scosse la testa. –Non c’è bisogno, veramente.- rifiutò gentilmente.
Mentre stavano parlando, il giovane MacGregor percepì un altro odore conosciuto. Puntò lo sguardo oltre Amanda e vide comparire Eric, il nuovo membro del branco. La cosa che lo lasciò basito, però, non fu la sua presenza ma il suo aspetto.
A giudicare dalle ferite e dai lividi, era reduce da una bella scazzottata sovrannaturale.
“Fantastico. Non vedevo l’ora di avere un individuo indisciplinato nel gruppo.”, pensò, alzando gli occhi al cielo.
-Capitano…- mormorò il giovane, la testa bassa nel tentativo di rifuggire il suo sguardo.
-Vai di sopra, muoviti. Non vorrei che qualcuno si spaventasse, vedendoti così.- gli disse con tono deciso.
L’europeo fece per obbedire, ma si fermò alla vista di un altro lupo. –Ehm… capo…
Van si voltò, pronto a sbottare qualcos’altro, quando incontrò lo sguardo di Andrew. I loro occhi s’incontrarono per un istante, poi prese nota del fatto che era in forma animale, aveva una spalla lacerata e numerose ferite sul resto del corpo.
“Sento l’odore di Stryker.”, constatò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide Amanda già pronta a precipitarsi dall’amico, ma la fermò con un gesto perentorio del braccio. –Salite tutti di sopra. Immediatamente.- ordinò con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Era solo il primo giorno e le cose avevano già preso la piega sbagliata.

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Capitolo 17
*** Cap. 16 Un branco atipico ***


Cap. 16 Un branco atipico
Questa volta l'aggiornamento è arrivato prima del previsto... scusate ancora per i tempi biblici d'aggiornamento :(
Comunque... in questo capitolo troverete piccole rivelazioni che si ricollegano ad indizi sparsi nei precedenti episodi. Abbiamo un possibile sviluppo per il misterioso omicidio ed un salvataggio da programmare. E in fretta, anche!
Non vi dico altro, buona lettura :)





Cap. 16 Un branco atipico


  Si riunirono tutti all’interno dell’appartamento di Amanda, dato che era il più vicino e la ragazza aveva già invitato gli altri ad entrare prima che Evan potesse protestare.
I presenti si raggrupparono al centro della zona giorno, guardandosi l’un l’altro con espressioni totalmente discordanti.
Van fu l’ultimo ad entrare. Chiuse la porta con estrema lentezza, cercando le parole per confrontarsi con i due nuovi acquisti del branco. Purtroppo, però, dentro di sé riusciva a trovare solo improperi, la maggior parte nella sua lingua madre.
David gli si avvicinò, avendo percepito il tumulto che aveva dentro. Si scambiarono una rapida occhiata e l’inglese sgranò leggermente gli occhi, stupito. –Evan…- iniziò, ma l’amico lo zittì con un gesto deciso della mano e lo superò.
Guardò prima Andrew, le cui ferite testimoniavano uno scontro con Stryker, e poi Eric, che probabilmente aveva osato ribellarsi ad Aleksandr.
-Ci troviamo in un momento di grandi cambiamenti, abbiamo un branco intero che vuole farci fuori per non si sa bene quale ragione e voi pensate bene di andare a fare a pugni… ma cosa diavolo vi dice il cervello?! Damnù air*!!- esplose lo scozzese.
  I due giovani abbassarono immediatamente lo sguardo, rifuggendo la rabbia del loro capobranco. Erica sapeva bene a cosa sarebbe andato in contro tenendo il capo sollevato, mentre Drew, pur non essendo a conoscenza di tutte le dinamiche del branco, l’aveva fatto per evitare di provocare ulteriormente Evan.
Nonostante tutto avevano un po’ di sale in zucca.
La più sconvolta da quell’inaspettato scoppio d’ira fu Amanda, che fissò senza parole tutti i presenti. Sin da quando lo conosceva, aveva capito una cosa di quell’uomo: non mostrava mai le proprie emozioni.
Non sapeva perché e non aveva voluto impicciarsi, fatto sta che a malapena l’aveva visto sorridere genuinamente. Ed ora stava imprecando in gaelico e maledicendo la stupidità dei due giovani lupi.
“Meglio non far arrabbiare uno scozzese…”, decise, tenendosi in disparte. “Anzi, meglio non far arrabbiare Evan e basta.”, si corresse.
La collera del diretto interessato fiammeggiò per alcuni minuti, facendo ardere la sua aura come un fuoco alimentato dalla benzina. Si avvolgeva in spirali tutt’attorno a lui, avviluppandosi al suo corpo e materializzando forme diverse ad ogni guizzo.
Dave non l’aveva più visto in quello stato da quando Dearan gli aveva annunciato l’avvento delle sue nozze con Crystal. “Un scoppio degno del vecchio Evan.”, considerò, impressionato. Il suo ringhio aveva riverberato lungo la sua colonna vertebrale come se fosse stato un diapason e non una persona in carne ed ossa. Quella manifestazione di potere eliminava qualsiasi dubbio circa il nuovo ruolo assunto dall’amico: era un Alfa, in tutto e per tutto.
  Alfa che, in quel momento, stava percorrendo il salone a grandi passi. La bestia dentro di lui si era risvegliata con lo stesso fragore di un tuono ed ora premeva per essere lasciata libera.
Digrignò i denti, maledicendo ancora una volta i giovani lupi e poi afferrò con entrambe le mani il davanzale di una finestra, puntando lo sguardo sul bancale di marmo.
Seguì le venature della pietra, le variazioni di colore fino a quando non avvertì il lupo chetarsi e la calma tornare a prendere possesso del suo corpo. Aveva frantumato il proprio guscio emotivo e non sapeva se sarebbe riuscito a ricostruirlo.
La cosa in quel momento non lo preoccupava così tanto, ma dopo l’avrebbe fatto.
Prese un respiro profondo e poi si voltò a fronteggiare il resto del branco. –Andrew, sei andato al Wolf’s Pond per sfidare Stryker?- chiese con voce apparentemente piatta.
-Sì.- fu costretto ad ammettere l’americano.
Van digrignò i denti, sentendo la rabbia rinfocolarsi. –A quanto vedo sei riuscito a mettere in pratica quello che ti ho detto… ma questo non toglie il fatto che il tuo gesto sia stato veramente stupido ed irresponsabile. Per quello che hai fatto dovrei romperti l’altro braccio e mandarti in isolamento.- disse, tenendo lo sguardo fisso sulla nuca del ragazzo.
A quelle parole Andrew deglutì, iniziando a sudare freddo. Non sentiva più nemmeno il dolore causato dalle ferite, c’era solo la paura di vedersi attaccare. –Se… se credi che sia la cosa giusta da fare…- riuscì a dire. Non sapeva come ci si comportava in quelle occasioni e aveva detto la cosa più sensata che gli era venuta in mente.
In più, considerate le sue condizioni non propriamente ottimali, non avrebbe potuto opporsi nemmeno volendo. L’aver dato ascolto alle proprie pulsioni si stava rivelando una cosa veramente idiota.
-No! Sei pazzo?- Amanda si mise in mezzo, senza riuscire a trattenersi dal farlo. Evan voltò di scatto la testa e la fulminò coi suoi occhi, il cui colore in quel momento era molto simile all’acciaio. –Non puoi spezzargli l’altro braccio…- aggiunse, con meno convinzione. Un brivido freddo la scosse, obbligandola ad avvolgersi il corpo con le braccia. Andrew la ringraziò mentalmente, grato per il suo costante supporto.
-Non lo farò. Non seguo le regole di mio padre e non ritengo necessario versare altro sangue.- le disse, tornando poi a guardare il diretto interessato. –Nonostante io ora sia il tuo Alfa, non ti punirò.- concluse, addolcendo impercettibilmente il tono della voce.
A quelle parole Drew sollevò la testa, smettendo di fissare Amanda. –Come fai a sapere che non faccio più parte del branco di tuo padre?- chiese, stupito.
-Non lo senti anche tu?- replicò l’altro. –E’ come essere legati a doppio filo.
-Non… non volevo causare tutti questi problemi. Io…- iniziò. Il senso di colpa stava iniziando a farsi sentire, prepotentemente.
David si fece avanti. –Stai avendo problemi a controllarti con l’approssimarsi della luna piena. È normale, ma non devi assecondare la bestia, devi trovare un equilibrio tra le due metà della tua persona. A meno che tu non voglia fare una carneficina… o farti ammazzare.- disse l’inglese.
Pur se con un profondo senso di vergogna, Andrew dovette accettare le sue parole. –Potrei fare del male a qualcuno?- chiese.
-In particolare a te stesso. Ma sia io che David ti sorveglieremo, domani notte.- rispose Evan.
Senza dire una parola, Drew si limitò ad annuire e a lasciarsi cadere lentamente a terra, indebolito dalla fuoriuscita di sangue. Amanda gli si avvicinò, chiedendogli come si sentisse.
Vedendolo indebolito e rendendosi conto che quello era il suo primo intervento in qualità di Beta, David si sfilò la maglia che indossava e la usò per tamponare la ferita del nuovo membro del branco.
Nel mentre Van stava rimettendo lentamente sotto controllo la propria bestia, ma si stava anche preparando per affrontare l’altro nuovo affiliato, sul punto di esplodere.
-Io non volevo far parte di questo branco!- sbottò infatti Eric. Dopo aver assistito allo sfoggio di potere dell’Alfa, aveva deciso comunque di opporsi a tutta quella situazione. –Non capisco perché mio zio mi abbia allontanato…- aggiunse, arrivando a mettere il broncio.
-Perché devi imparare a rispettare gli altri, il loro ruolo e le loro decisioni.- gli fece notare Evan. Incrociò le braccia davanti al petto e gli dedicò una lunga occhiata, prima di aggiungere:–A quanto pare non sai stare al tuo posto.
Il ragazzo s’indispose ancora di più. –Conosco il mio posto!- abbaiò.
Van scattò a sua volta, facendo schioccare la mascella e mostrando le zanne con fare minaccioso. –A quanto pare no.- ringhiò con voce metallica.
I due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli occhi. David poteva sentire il battito sordo del cuore di entrambi e la frustrazione del giovane americano. Mentre Evan… Evan era un miscuglio di emozioni non ben definite. Un gemito di Andrew lo costrinse a distogliere lo sguardo e ad aumentare la pressione sulla spalla, la quale stava iniziando a perdere molto meno sangue.
Passarono diversi minuti e, con suo grande disappunto, Eric fu costretto a dichiararsi sconfitto. –Cosa vuoi che faccia…?- domandò, remissivo.
-Aiuta Amanda a pulire e poi vai a sistemare le tue cose nel nostro appartamento. Si trova dall’altra parte del pianerottolo.- ordinò, perentorio.
Sottomesso, l’europeo fece come gli era stato ordinato e si avvicinò a Mandy, pronto a dare una mano.
La ragazza, ancora disorientata, guardò prima Drew e poi Dave. –Vi serve una mano..?- si premurò di chiedere.
-No, ce la caveremo.- le sorrise gentilmente l’inglese, togliendo il tampone ed osservando la ferita con aria soddisfatta. Lei allora fece un cenno col capo e si rialzò lentamente in piedi. Le fasciature che aveva attorno al busto e alla gamba le davano parecchio fastidio ma, in confronto alle condizioni di Andrew, non erano nulla di grave.
Si diresse verso il bagno ed andò a recuperare secchio e straccio, assieme ad un paio di guanti.

  Quando tornò nella zona principale della casa, ritrovò Andrew premuto contro la parte bassa del divano. Aveva la fronte madida di sudore ed un panno stretto saldamente tra i denti. Solo in quel momento si rese conto che, dopo essersi ritrasformato, nessuno gli aveva offerto dei vestiti ed aveva solamente un cuscino a coprire l’indispensabile. Il sangue si era praticamente fermato e la maglia di David giaceva abbandonata sul pavimento, completamente chiazzata di rosso.
Evan si era tolto la giacca e le scarpe ed era inginocchiato davanti a lui. –Dovrò romperti le ossa del braccio perché si stanno rinsaldando male e poi sistemarti la lussazione. Sarà doloroso.- lo avvertì, fissandolo dritto negli occhi.
A quelle parole la ragazza impallidì, dimenticandosi del sangue per terra e delle fitte che ogni tanto le arrivavano dalla gamba. –C-cosa…?- gracchiò.
David si voltò a guardarla. –Dobbiamo sistemargli il braccio, se no non guarirà nel modo corretto.- le spiegò, cercando di non suonare allarmante. –Il sangue si sta già fermando e la ferita si rimarginerà da sola.
Lei fece per protestare, ma si trattenne e si morse il labbro inferiore. Prese un respiro profondo ed annuì, dando segno d’aver capito. Drew le dedicò uno sguardo spaventato, prima di voltarsi e focalizzarsi sulle parole di Evan.
-Se vuoi puoi anche non guardare…- le suggerì il nuovo arrivato. Mandy scosse la testa, sistemando l’occorrente per pulire sul tavolo. Si appoggiò alla superficie liscia del mobile ed attese.
Quando Van ruppe l’ulna, Drew soffocò l’urlo che voleva uscirgli di bocca solo grazie al panno. Le successive due manovre gli ruppero anche il radio ed il polso e ad ogni sonoro crack il ragazzo affondò i denti nella stoffa, sperando che finisse presto.
-Ok, questa è fatta. Ora la lussazione.- annunciò il giovane MacGregor. Attese che il suo paziente prendesse fiato e poi gli appoggiò il piede vicino all’articolazione, afferrando saldamente il braccio all’altezza del gomito e del polso. –Sarà doloroso, ma rapido.- promise, prima di tirare e far rientrare la spalla.
-E’ fatta!- lo rassicurò David, dandogli una pacca leggera sulla spalla sana. Andrew lasciò la presa sul panno e si concesse un sorriso, sollevato.
Anche Amanda sorrise, grata che fosse andato tutto per il meglio.
Per la seconda volta.
“Dovrò abituarmi a vedere scene del genere.”, si disse. Ora che i lupi si erano trasferiti nel suo stesso palazzo li avrebbe avuti in giro per casa molto spesso. Sperava solo di riuscire a conciliare tutto quanto: lavoro, problemi sovrannaturali e vita di tutti i giorni.
-E’ stato bravo, considerato che è un licantropo da poco tempo.- il commento di Eric la distolse dai suoi pensieri. Vedendo la sua espressione confusa, il ragazzo si affrettò ad allungare la mano e dire:-Eric Camden, piacere.
-Oh… Amanda Miller, piacere mio.- la strinse, sorridente. –Vuoi… vuoi che ti disinfetti le ferite?- chiese dopo un po’, indicando con circospezione il taglio che aveva sul sopracciglio destro.
-Come? Oh, no, non c’è bisogno… le porterò con orgoglio.- le rispose, sfoggiando un sorriso un po’ strafottente. Lei mormorò qualcosa, per poi prendere il secchio e metterlo sotto il rubinetto del lavello. –Cosa devo fare…?- le chiese dopo un po’.
Mandy irrigidì le spalle senza volerlo. “Ecco la mia proverbiale timidezza verso gli sconosciuti che fa capolino quando non deve.”, pensò, infastidita. –Ehm… nulla… posso farcela.- rispose, tenendo d’occhio il livello dell’acqua ed aggiungendo il detersivo. A quanto pareva solo Evan era riuscito a tirarla fuori dal guscio in tempi record. Ovviamente farla arrabbiare era stato sicuramente d’aiuto.
-Sì, ma il capitano mi ha detto di aiutare.- insistette il ragazzo.
Vedendosi sotto pressione, Amanda annuì qualche volta e gli allungò uno straccio, dopo averlo strizzato energicamente nel lavello. –Inizia dalla porta… io pulisco in sala.- disse, allungandogli anche lo spazzolone.
Eric fece un cenno d’assenso ed iniziò a pulire, nonostante non fosse esattamente nelle sue corde. L’esser stato strigliato a dovere dal suo nuovo Alfa era, però, un grosso incentivo a non combinare altri casini. Almeno per un po’ di tempo.
  Lentamente e con circospezione, Mandy si avvicinò al divano. L’aria, lì attorno, era ancora elettrica a causa della presenza di Evan. Quando si avvicinò ai tre lupi poté sentire i peli delle braccia rizzarsi e un brivido scorrerle lungo la spina dorsale.
Si fece educatamente spazio e lanciò un’occhiata ad Andrew, ancora pesantemente appoggiato al divano. –Drew, vuoi salire a riposarti?- gli chiese, solerte.
Il ragazzo aprì un occhio e poi, a fatica, annuì. Doveva essere sicuramente spossato dall’intervento di Evan, il quale non sembrava aver avuto la mano leggera.
-L’appartamento è di sopra, vero?- s’informò David, già pronto a sollevarlo. Amanda annuì, affrettandosi a recuperare la copia delle sue chiavi ed allungandogliela. –Grazie. Forza Drew, andiamo.- lo afferrò saldamente per i fianchi e poi lo tirò in piedi.
-Posso camminare…- tentò di protestare il giovane, arrossendo visibilmente. La bestia dentro di lui dissentì a gran voce, ringhiando il proprio disappunto.
Al che Evan emise un ringhio talmente basso da esser quasi inudibile, ma abbastanza potente da rimetter al suo posto il lupo. -Vedi se riesci a dormire: la prossima notte non sarà una passeggiata.- gli consigliò il giovane MacGregor. –Ah, Dave, aiutalo a pulire la ferita alla spalla, così non sporcherà mezza casa cercando di farlo da solo.
I due annuirono e si avviarono lentamente, superando Eric nei pressi della cucina. Il poliziotto li guardò uscire, ma non disse nulla.
Comprendeva appieno quello che stava passando Andrew: anche lui aveva faticato parecchio prima di arrivare ad avere un buon controllo sulla propria bestia.
Ed era nato licantropo. A volte essere una creatura soprannaturale faceva proprio schifo.
Mentre rimaneva ad ascoltare i due lupi salire le scale, Evan lo fece riemergere bruscamente dai suoi pensieri. –Hai qualcosa di rotto…?- chiese. La sua voce era ancora ruvida per la rabbia, ma non era riuscito a mascherare la propria preoccupazione.
-No, solo l’orgoglio.- rispose l’altro, scuotendo lentamente il capo.
-Quello prenderà altre batoste, non ti preoccupare.- assicurò, suonando abbastanza pungente. Eric rispose con una smorfia, poi tornò al proprio lavoro.
Amanda, invece, era impegnata a rimuovere la fodera del divano, dato che buona parte si era sporcata di sangue. Avrebbe tanto voluto protestare, ma cos’era un mobile in confronto alla vita di Andrew?
Gli oggetti si possono ricomprare, le persone non si possono rimpiazzare così facilmente.
Con un sospiro terminò di sfoderare il divano, raccolse tutto ciò che si era sporcato con un’unica mossa e poi si diresse rapidamente verso il bagno.
Si chinò davanti alla lavatrice ed iniziò a stipare i panni al suo interno, cercando di ignorare il forte odore di sangue. Mentre caricava il cestello, non poté fare a meno di reprimere un brivido. Si fermò qualche istante, giusto il tempo per rendersi conto che aveva iniziato a piangere.
-Ma cosa…?- stupita, si deterse le lacrime dal viso. A quanto pareva, dopo tutte le stranezze delle ultime settimane, i suoi nervi avevano ceduto, dando libero sfogo al suo stress sotto forma di pianto.
Respirò lentamente, accettando la reazione del proprio corpo e cercando di non farsi sentire da Eric o da Evan. Chissà cos’avrebbero pensato di lei se l’avessero vista piangere.
Si concesse qualche altro istante di autocommiserazione e poi terminò di caricare la lavatrice, avviando subito dopo il programma di lavaggio.
Quando si rialzò, pronta a tornare in sala, si ritrovò la strada sbarrata da Eric. Per poco non cacciò uno strillo, rivelandosi più isterica di quanto non fosse.
-Ho finito.- annunciò il ragazzo, ancora un po’ scocciato. Poi, avvertendo un sentore salato nell’aria, aggiunse:-Tutto ok?
-Sì… ho solo avuto un cedimento momentaneo.- sdrammatizzò lei. L’altro fece per aggiungere qualcosa, ma lei non glielo permise, superandolo ed uscendo dalla stanza.
Eric si grattò una guancia, per nulla convinto. Il suo istinto animale gli diceva che c’era qualcosa che non andava in quella ragazza, ma non voleva risultare molesto già dal primo giorno per cui si sarebbe trattenuto.
Dato che il grande capo era sceso di sotto per recuperare gli altri scatoloni del trasloco, ne approfittò per darsi un’occhiata allo specchio e controllare che aspetto avesse.
“Cavoli, mamma farebbe fatica a riconoscermi.”, considerò, facendo una smorfia e tastando con attenzione lo zigomo sinistro, visibilmente gonfio. A parte il viso, c’erano molte altre parti che gli dolevano, ma suo zio non c’era andato giù pesante (non più del solito, almeno) e non aveva nessuna emorragia interna o ferite gravi.
Appoggiò le mani ai lati del lavabo e restò a fissare la propria immagine riflessa per qualche istante. Poi si guardò intorno ed ispezionò coi sensi l’appartamento in cui si trovava.
Non sapeva esattamente chi fosse Amanda, ma una cosa era certa: era coinvolta fino al collo in tutta quell’assurda faccenda.
Inoltre era quasi certo che mancasse un membro del branco, ossia la persona appartenente al gruppo dei Blacks che aveva obbligato Evan a trasferirsi nei territori di Aleksandr.
“Benvenuto nella tua nuova e stramba famiglia, Eric.”, si disse.


***

  Aveva appena finito il turno in ufficio e stava rientrando a casa, nonostante non desiderasse altro che scappare lontano, da tutto e da tutti.
Da quando suo fratello era morto si era sentito devastato e a nulla erano valsi i tentativi di sua moglie per aiutarlo. Si era semplicemente chiuso in se stesso, avviluppandosi nel dolore.
Dopo il dolore, però, la notizia terribile: era stato accusato dell’omicidio di William e il suo Alfa aveva richiesto un’ammenda di sangue.
Ancora non si capacitava della cosa e il suo cervello si rifiutava di elaborare il fatto che, da lì a poche ore, avrebbe dovuto scontrarsi col Campione per espiare la propria colpa.
  Colpa di cui non si era macchiato.
Non avrebbe mai osato torcere un solo pelo della gorgiera di William, figurarsi ucciderlo a sangue freddo. E poi, come avrebbe potuto mettere in atto l’omicidio se, al momento del fatto, si trovava dall’altra parte del mondo?
Nonostante l’assurdità delle circostanze, Ethon non aveva voluto sentire ragioni e l’aveva condannato fino a prova contraria.
Ma considerata la sua spiccata inabilità al combattimento (era il contabile del branco per un motivo), lo scontro che doveva decidere le sue sorti di sarebbe risolto nella sua morte. Certa, definitiva, senza possibilità d’appello.
“Io non so chi sia il bastardo che ti ha ucciso, Will, ma cercherò di scoprirlo.”, promise.
Senza rendersene conto era già arrivato nell’atrio dell’edificio. Estrasse il badge e lo passò davanti allo scanner, rendendo nota la fine del suo turno.
Determinato a non soccombere, ma con la morte nel cuore al solo pensiero di non poter più vedere il fratello, Conrad raggiunse la propria macchina. Vi salì con gesti meccanici e poi partì alla volta di casa, ossia del quartiere che condivideva col resto del branco.
Una volta arrivato trovò sua moglie ad attenderlo sulla soglia di casa, gli occhi lucidi e il viso sofferente. Lei era l’unica ad avergli creduto, l’unica a schierarsi dalla sua parte.
  Nonostante fosse un membro stimato all’interno del gruppo, nessuno dei suoi amici aveva fatto lo stesso. Avevano tutti detto che non si poteva negare la verità e la verità era che lui aveva ucciso William.
-Conrad, non puoi sottostare a questa decisione. Andiamocene!- Rachel si aggrappò con forza alle sue spalle, implorandolo di trovare un’altra soluzione. Sapevano tutti e due che le sue chances erano molto vicine allo zero.
-Non posso fuggire. Devo dimostrare la mia innocenza.- replicò lui, la voce resa roca dall’ansia e dal dolore. Al di là della morte, ciò che lo faceva stare male era sentirsi accusare di aver potuto meditare un atto tanto atroce come il fratricidio.
Sua moglie scosse ostinatamente la testa. –Non devi dimostrare niente a nessuno!- ribattè, le lacrime ormai pronte a sgorgare.
Conrad la guardò con amore, grato di avere il suo sostegno in quell’ora buia. –Ti amo, Rach.- sussurrò, chinandosi per darle un bacio. Forse l’ultimo.
Lei tentò di trattenerlo, ma lui la staccò gentilmente da sé e si avviò lungo la strada, verso il recinto sacro dove era stato allestito il Ring.
Avrebbe combattuto e avrebbe cercato di sopravvivere per far sì che il vero assassino di Will fosse consegnato alla giustizia del branco.
“Non puoi farcela…”, gli disse una voce malevola dentro di lui. Probabilmente era vero, ma sperare in una riduzione della pena era inutile.
Nonostante al lupo imputato venisse data la possibilità dello scontro, l’Ammenda per un omicidio era la morte dell’uccisore stesso.
  A meno di un miracolo.
Conrad aveva smesso da tempo di credere nei miracoli, ma quella sera si ritrovò a pregare con tutte le sue forze, nella vana speranza di ottenere un aiuto dall’alto.
L’ultima cosa che vide, prima di entrare nel recinto, fu lo sguardo devastato di Rachel.

***


  Dopo aver sistemato tutte le loro cose ed essersi assicurati che Andrew stesse bene, Evan, David ed Eric si erano ritirati nel loro appartamento, lasciando ad Amanda un po’ di privacy.
La ragazza si era fatta visitare da MacGregor, che le aveva cambiato la medicazione con una meno invasiva.
  Ora Evan se ne stava in salotto, appollaiato sul davanzale della finestra. David, al suo fianco, stava lavorando ad un progetto che avrebbe dovuto consegnare da lì a tre giorni. Fortunatamente, nonostante tutto quello che era successo, i suoi clienti non si erano fatti indietro e le commissioni avevano continuato ad arrivare.
-Dannata tecnologia!- sbottò ad un certo punto l’inglese. Mollò con poca grazia il mouse ed ingiuriò il pc, apparentemente bloccato da un’operazione troppo complessa.
Van gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, prima di chiedere:-Cos’è successo?
Dopo la sfuriata di poche ore prima si sentiva stranamente molto più calmo, soprattutto perché la sua parte animale sembrava essersi assopita per un po’. Nonostante lui e Dave appartenessero all’ultimo ceppo genetico, questo non voleva dire che la vicinanza al plenilunio non facesse risvegliare in loro istinti primordiali.
Spesso erano semplicemente più facili da canalizzare e sfruttare nel combattimento. Ma non sempre.
-Farò causa alla ditta produttrice: non è possibile che il programma si blocchi per colpa di un’operazione booleana.- brontolò in risposta l’amico.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dal tono di David. C’erano delle volte, soprattutto mentre lavorava, in cui finiva a lamentarsi come un bambino. Poi, subito dopo, tornava ad entusiasmarsi e dimenticava persino perché stava brontolando.
A meno che tutto ciò non accadesse di mattina: allora ricordava benissimo il motivo delle sue lamentele e sapeva ricordarlo anche agli altri, il più fisicamente possibile.
-Lascia perdere il progetto per un po’…- gli suggerì.
Il riccio allora aggirò il tavolo e lo raggiunse, appoggiandosi con la schiena al muro ed incrociando le braccia al petto. –Allora, grande capo, qual è il bilancio per il primo giorno?- chiese, con finto tono militare.
Evan si lasciò sfuggire una smorfia. –Poteva andare peggio… ma poteva anche andare meglio. Proprio non capisco perché i giovani lupi debbano comportarsi come idioti.- commentò.
-Ah, be’, non sono sicuramente la persona giusta a cui chiedere, non trovi?- replicò divertito l’inglese.
L’altro lo guardò confuso, poi capì l’allusione ed annuì con un sorrisetto. –Già… siamo stati due idioti anche noi.- dovette ammettere.
-Be’, almeno ora sappiamo cosa fare per aiutare i cuccioli.- disse Dave, accennando col mento verso la camera di Eric. –Fortunatamente stanno dormendo della grossa tutti e due. Questa cosa mi fa dubitare che siano licantropi.- aggiunse.
-Le hanno prese tutti e due, oggi: il loro corpo deve rigenerarsi.- replicò lo scozzese.
Restarono in silenzio per un po’, osservando pensierosi la luna alta nel cielo, in tutto il suo rilucente splendore. –Credi che riusciremo a tener a bada Andrew?- chiese dopo un po’ Evan.
David cambiò leggermente posizione. –Penso di sì. Dobbiamo aiutarlo ad allontanare le emozioni negative e a trattenere quelle che gli sono utili.- disse, sicuro.
-Non voglio dovermi imporre su di lui come faceva mio padre…- ammise l’altro. Abbassò il capo e lasciò che i capelli gli coprissero il viso. –Non voglio diventare quel tipo di Alfa.
Capendo le sue paure, l’amico gli strinse con forza una spalla. –Andrai alla grande, ne sono sicuro. Devi solo imparare a comunicare con gli altri… insomma, ultimamente non sei molto aperto al dialogo e alla socializzazione.- quello che era iniziato come un incoraggiamento finì in una battuta.
-Tu sì che sai rassicurare le persone.- commentò senza nessuna ironia.
David si concesse una breve risata, ma poi si fece serio. –Tu sei diverso da Dearan: hai una testa che ragiona e non hai bisogno di amputare dita delle mani o dei piedi per farti obbedire.- gli disse, alludendo ad un vecchio episodio risalente alla loro vita in Scozia.
-Non è questione di obbedienza…- protestò l’altro, puntellando il braccio su un ginocchio ed appoggiandovisi sopra. –Ma di saper essere un punto di riferimento per gli altri. Non è una cosa che ti insegnano alla scuola per licantropi.- si passò una mano tra i capelli, sospirando.
-E’ normale avere paura, Van.- mormorò l’inglese, comprensivo. Non sapeva bene perché, ma Evan stava cercando di mettersi a nudo e lui voleva aiutarlo. Era tantissimo tempo che non gli confidava i propri pensieri più profondi e la cosa l’aveva fatto sentire inaffidabile.
-Non è paura, solo… ho già stravolto le vite di molte persone, come posso prendermene cura?- chiese, guardando intensamente fuori dalla finestra. Non voleva incrociare lo sguardo di Dave per evitare che vedesse la confusione nei suoi occhi.
-Il solo fatto che tu ti stia preoccupando di non essere all’altezza indica quanto tu sia diverso da Dearan. Non sei diventato Alfa per diritto di sangue, ma grazie alle tue qualità di essere umano.- insistette il riccio. –Ma se non sei convinto dovresti chiamare Alst e parlare con lui.- aggiunse dopo un po’, facendo spallucce.
Non avrebbe voluto esser surclassato dal loro mentore, ma sapeva che Alastair sarebbe stato in grado di rassicurare Evan in modo molto più efficace. Avrebbe voluto essere in grado di farlo lui stesso, ma aveva ancora troppa poca esperienza alle spalle.
A quelle parole lo scozzese rialzò la testa. –Come ho fatto a dimenticarmene? L’omicidio!- si alzò con un movimento fluido ed andò a recuperare il cellulare.
-L’omicidio?- ripetè David, perplesso. Osservò l’amico muoversi per la stanza, recuperare il telefono dal tavolino da caffè in sala e tornare verso la finestra.
-Salgo sul tetto. Non dovrei metterci tanto.- lo avvertì.
-Sì, ma stavamo avendo una conversazione…- cercò di protestare Dave.
Van esitò un attimo, poi scivolò fuori. –La continueremo più tardi.- disse, prima di sparire sulla scala antincendio.
L’inglese rimase a fissare gli scalini di lamiera per qualche istante ancora, poi scosse la testa e tornò al proprio lavoro.
Se Evan aveva così tanti pensieri per la testa da diventare sbadato, la cosa iniziava a farsi veramente seria.


  Avviò la chiamata e si issò sulla cabina dell’ascensore, com’era solito fare nel vecchio palazzo. I tetti degli edifici di New York tendevano ad assomigliarsi tra di loro, a quanto pareva. A parte il fatto che questo aveva uno spazio adibito a patio, con piante e un porticato.
Osservò incuriosito l’intera sistemazione, chiedendosi chi l’avesse realizzata. “Potrebbe essere stata Amanda…”, considerò, ricordando i vasi contenenti gli odori più usati in cucina.
Seguì i propri pensieri mentre questi vagabondavano tra argomenti poco impegnativi, fino a quando Alastair non rispose. –Evan! Sai quanto tempo è passato dall’ultima volta che ti sei fatto vivo?- lo rimproverò lo scozzese.
Il giovane MacGregor fece alcuni rapidi conti. –Parecchio. Mi dispiace, ho avuto da fare.- si discolpò.
-Ho saputo che c’è stato un trasferimento di branco.- buttò lì l’altro.
-Esatto. A quanto pare i Blacks hanno un conto in sospeso con me senza che io lo sapessi.- confermò, strofinandosi il mento. Aveva lasciato crescere la barba ed iniziava a dargli fastidio.
-Un branco non porta rancore senza un motivo.- gli fece presente l’amico.
Van annuì tra sé, ben conscio della cosa. –Sì… ma a quanto pare un nuovo membro del gruppo sembra aver qualcosa contro di me. L’unica cosa che so è che ha un accento europeo ed è abbastanza antico da avere un’aura particolarmente forte.- rispose. –C’è qualcosa che mi sfugge e che tu mi vuoi aiutare a ricordare? Perché proprio non riesco a venirne a capo.
  Alastair chiuse il libro che stava leggendo e si affacciò alla vetrata che dava sul grande parco esterno. Da che ricordasse, Evan aveva sempre sistemato tutte le situazioni rimaste in sospeso prima della loro partenza dalla Scozia. Chi diavolo poteva essere?
-Mi cogli di sorpresa: non mi viene in mente niente.- dovette ammettere. –Dammi del tempo per pensarci su.
-D’accordo, grazie.- mormorò.
-Non mi hai ancora detto dove vi siete trasferiti.- gli fece notare dopo un po’.
-Nel palazzo dove abita Andrew.- rivelò.
Al che Alst si fece perplesso. –Ma… mi avevi detto che lì c’è un altro branco…- osservò, confuso dalla notizia. C’era qualcosa che non quadrava.
-Infatti. Ho chiesto il permesso di insediarmi.- confermò con un cenno del capo che il suo interlocutore, però, non vide. –Il nostro ospite è un tipo particolare.
-E chi sarebbe?- chiese lo scozzese, facendosi sospettoso.
-Un membro della malavita russa… ricicla denaro per vivere.- rispose con nonchalance Evan. Non gli interessava cosa facesse Aleksandr per vivere, l’importante era che non gli creasse problemi. Vivi e lascia vivere, soprattutto quando l’aiuto arriva da fonti inaspettate. –Prima che tu possa iniziare a dirmi quanto sia pericoloso e via dicendo, ti ricordo che sei stato tu a farmi da precettore e quindi so cavarmela.- aggiunse, precedendo la sua predica.
-A quanto pare ti ho istruito anche troppo bene…- brontolò Alastair.
Van si concesse una mezza risata, prima di ricordarsi del vero motivo per cui aveva chiamato. –Alst… devo chiederti una cosa.- esordì con voce ferma.
L’altro si fece attento. –Dimmi.
-Come può un licantropo ucciderne un altro se non è presente al momento dell’aggressione?- domandò. Da quando Rogers gli aveva parlato dell’omicidio la sua mente aveva iniziato ad elaborare le ipotesi più fantasiose, passando dall’alibi perfettamente costruito a qualche maledizione. Nulla sembrava avere un senso.
-Sei sicuro che non fosse presente?- indagò lo scozzese.
Van si alzò e balzò giù, prendendo a misurare a grandi passi la terrazza. –Assolutamente certo. Ma i segni d’artiglio lasciati sul corpo della vittima corrispondono a quelli dell’indagato.- rispose.
-Mhm… i casi potrebbero essere tre: l’uomo sta mentendo e ha veramente commesso l’omicidio; qualcuno ha raccolto i suoi vecchi artigli oppure è coinvolto uno skinwalker.- elencò dopo un po’ l’uomo.
-Uno skinwalker… credevo fossero solamente leggende!- fece stupito. Aveva bellamente ignorato le altre opzioni perché stava cercando di escludere la prima e la seconda necessitava giorni e giorni di appostamento e il licantropo se ne sarebbe reso conto.
-Anche tu dovresti esserlo, invece eccoti qui, intento ad usare un cellulare.- lo prese in giro l’amico.
-Sì, ma è una leggenda persino tra di noi!- fece notare Evan, testardo.
-Durante il Medioevo ce n’erano diversi in Gran Bretagna e nel resto dell’Europa e prima ancora erano molto diffusi. Poi sono stati sterminati durante la caccia alle streghe, come parecchi di noi.- spiegò. –Nell’Ottocento ce n’erano pochi esemplari, ma nulla vieta ad uno di essi di trovarsi in America.
-Se si tratta veramente di questo… dovrò fare delle ricerche.- mormorò, stupefatto. Mai avrebbe creduto ad una possibilità del genere.
-Ne farò anche io, così potremo confrontare i risultati.- gli disse Alastair.
-Bene, grazie…- fece per aggiungere altro, ma ricevette un avviso di chiamata. –Scusa un attimo.- disse, prima di controllare chi fosse. Alla vista del nome sul display si accigliò. –Alst, ho una chiamata in attesa e devo assolutamente rispondere. Ci sentiamo tra qualche giorno, va bene? Grazie per la chiacchierata.
-Va bene, Van. Non cacciarti nei guai, mi raccomando.- e con questo si congedò.
Evan smise di camminare e fissò per un istante lo schermo, prima di prendere un respiro profondo e premere il tasto verde. –Pronto.- disse solamente.
-MacGregor, lieto che tu abbia risposto.- la voce fortemente accentata di Aleksandr non gli fece presagire nulla di buono.
-C’è qualche problema?- domandò lo scozzese, cercando di rimanere sul chi vive.
-No… o meglio, credo di avere qui un membro del tuo branco.- disse. Accigliato, Van buttò lì il nome di Emily. –Esatto. Quindi è veramente con te?- domandò a quel punto il russo.
-Sì, è con me. Era occupata in una missione.- spiegò brevemente. –Ha combinato qualche guaio?
-No, solo sconfinato senza permesso. Ovviamente, ora che so che è un membro del tuo branco è tutto risolto.- lo sentì sorridere, probabilmente divertito da tutta la faccenda o da qualcosa che solo lui riusciva a cogliere.
Il suo tono di voce innervosì Evan, che però cercò di non darlo a vedere. –Devo raggiungerti e garantire personalmente per lei?- volle sapere.
Dall’altro capo ci fu silenzio per un po’. –No… la mia piccolina ha controllato la sua versione della storia. È pulita.- lo rassicurò.
-Bene, allora…- iniziò Van, ma l’altro lo interruppe.
-Se fossi in te andrei a recuperare il cucciolo oppure il padre potrebbe decidere di ucciderlo.- gli consigliò. -Spakòynay nòci*, Evan MacGregor.
Il giovane restò col telefono in mano, assolutamente confuso da quella telefonata. Come mai Emily si trovava con Aleksandr? Li stava per caso tenendo d’occhio o era stata lei a raggiungerlo, magari per presentarsi ufficialmente?
Non gli restava altro che attendere il ritorno della lupa e l’avrebbe scoperto.


  Aveva appena ricevuto un messaggio con le coordinate da raggiungere e si era messa immediatamente a correre verso casa. La sua nuova casa.
Fortunatamente era riuscita ad entrare nei territori dei russi sana e salva, scampando per un pelo ai tirapiedi di Jared, che l’avevano scoperta una volta ritornata sulla sponda di Manhattan.    Dato che conosceva bene le sentinelle che le stavano dando la caccia era riuscita a mantenersi fuori portata per gran parte dell’inseguimento, anche se ad un certo punto aveva rischiato di rimanere bloccata nei tunnel della metropolitana.
  Per pura fortuna (oppure no), uno dei lupi di Aleksandr l’aveva individuata durante il suo giro di ronda e lei gli era balzata addosso, dicendo di far parte del branco MacGregor. L’uomo l’aveva fissata con confusione, ma poi l’aveva portata dal suo Alfa.
Dopo una conversazione molto più simile ad un interrogatorio, il licantropo aveva contattato Evan e poi l’aveva lasciata libera d’andare.
Ora stava correndo lungo la St. Nicholas Terrace, diretta verso Amsterdam Avenue. Non era molto lontana dalla destinazione, almeno a quanto diceva il suo naso: stava seguendo l’odore del nipote di Aleksandr, dopo che lui le aveva dato modo di annusarlo da un vecchio cappotto del giovane.
Doveva sbrigarsi se voleva arrivare prima che la città riprendesse i suoi soliti ritmi frenetici ed evitare che la vista di una persona in grado di correre molto più veloce di qualsiasi Bolt del mondo mandasse qualcuno fuori di testa.
Inspirò a fondo ed accelerò ulteriormente il ritmo della corsa, scartando agilmente le poche persone in giro a quell’ora.
  Dopo appena cinque minuti eccola davanti all’edificio che, da in quel momento in avanti, avrebbe chiamato casa. Decelerò con calma e sollevò il capo, cercando un modo per salire che non la obbligasse a suonare il campanello e disturbare qualcuno.
Balzò in avanti, afferrando la scala antincendio. Si issò con innata grazia e si mise a salire rapidamente gli scalini, conscia del fatto che David ed Evan erano svegli e consapevoli del suo arrivo. Quando raggiunse l’appartamento giusto scivolò rapidamente sullo sbalzo di arrivo della scala e poi sgusciò all’interno passando per la finestra aperta.
-Bentornata.- si sentì dire una volta dentro. I due lupi erano in piedi l’uno accanto all’altro, illuminati dalla luce soffusa di una piantana posta tra i due divani.
-Grazie…- mormorò, concedendosi finalmente un sospiro di sollievo. Si guardò attorno con calma, assaporando l’atmosfera accogliente che si respirava in quella parte della casa. –E’ un bell’appartamento.- commentò.
Dave sorrise, lieto che qualcuno apprezzasse i suoi sforzi.
-E’ andato tutto bene?- domandò allora Evan. Emily si tolse lentamente la giacca e poi si sedette sul davanzale della finestra, esausta.
-Io sto bene, non hanno scoperto il mio nascondiglio. Ma Blake… ho sentito alcuni lupi parlare e pare che Jared lo abbia rinchiuso in una delle gabbie di contenimento e lo stia facendo digiunare.- disse, stringendo con rabbia i pugni. La sola idea di quello che stava passando il piccolo la mandava fuori di testa.
-Sta facendo patire la fame a suo figlio?! Emily, perdonami, ma l’uomo che ti sei scelta è proprio un cretino!- s’infervorò Dave.
A quelle parole lei abbassò lo sguardo. Evan fece per fulminare l’amico, ma lei li precedette dicendo:-Non è il mio uomo.
-Cioè…? Ti hanno obbligata a stare con lui?- cercò di capire l’inglese.
L’americana scosse la testa. –Non proprio. Come vi ho detto io sono la sostituta della precedente femmina Alfa.- spiegò. –Si chiamava Evelyn. Era la mia gemella.
I due rimasero a fissarla ammutoliti mentre la notizia veniva elaborata dai loro cervelli. Il primo a riprendersi fu Evan che mormorò le proprie condoglianze.
-Grazie… ormai è quasi un anno che è mancata.- rivelò.
-Blake sa che non sei sua madre?
Annuì. –Sì, io e lei abbiamo due odori diversi. Però mi chiama comunque mamma.- spiegò.
-Nonostante quello che ci hai appena detto e nonostante il fatto che tu abbia cercato di venderci al nemico, ti aiuteremo a riavere il piccolo.- sentenziò Evan. –Ma poi dovrai lavorare per riguadagnare la nostra fiducia.- le fece presente.
-Sì, lo so.- rispose lei, fissandolo dritto negli occhi. Non lo stava facendo per sfidarlo, ma per mostrargli le sue buone intenzioni.
-Bene… domani ti presenteremo al nuovo membro del branco. Ora puoi andare di sopra, la tua camera è l’ultima a sinistra.- la congedò Van. Senza dire niente Emily fece un cenno col capo e si allontanò.


  La mattina arrivò anche troppo in fretta e Amanda mancò addirittura il suo appuntamento giornaliero, ossia un’oretta di corsa in uno dei parchi della zona.
Si svegliò un po’ stordita e con un principio di mal di testa che non presagiva nulla di buono. Sbadigliando uscì da sotto le lenzuola e si avviò in cucina, in tempo per veder entrare Andrew, ancora più caracollante di lei.
-Oh, buongiorno… come stai? A me sembra di esser stata colpita da un bus in piena faccia. Ieri sono successe troppe cose.- brontolò la ragazza.
-Il mio era un autotreno.- commentò l’amico, scivolando a sedere su uno degli sgabelli della cucina. –Mi serve della Nutella…- aggiunse subito dopo, iniziando ad annusare l’aria.
Mandy ridacchiò per quel suo comportamento lupino e recuperò il vasetto dalla credenza. –Vuoi del caffè?
Drew scosse la testa. –No… non serve. Non ho lezione fino al pomeriggio. Mi sono alzato presto perché non voglio essere ripreso il primo giorno di scuola.- commentò, indicando col capo il piano di sopra.
-Non credo che possa lamentarsi… in fondo i licantropi sono creature notturne, no?- replicò lei, mettendo sul fornello la macchinetta del caffè. Fatto ciò recuperò un bauletto di pane bianco e lo mise al centro del ripiano della cucina che, all’occasione, diventava tavolo della colazione.
-Comunque, Mandy, credo dovresti vestirti, sai?- le fece presente Andrew, iniziando a spalmare la cioccolata su una fetta. Aveva sentito dei rumori provenire dall’appartamento accanto e non voleva succedesse qualcosa di imbarazzante.
La morettina gli lanciò un’occhiata, divertita. –Drew, sai come sono fatta. Non ho problemi con te. E poi, anche tu sei mezzo svestito.- gli fece notare.
-Sì, ma…
-Caffè!- la porta, lasciata accostata, si spalancò di colpo, rivelando un alquanto esuberante Eric. Amanda per poco non rovesciò la macchinetta nel tentativo di coprirsi con qualcosa. –Oddio, mi dispiace!- esclamò il ragazzo, notando il suo abbigliamento.
La giovane si spostò rapidamente, cercando di raggiungere la camera da letto prima che arrivasse qualcun altro e la vedesse col suo pigiama, ossia culottes e canotta di raso. Purtroppo, mentre si rifugiava nel corridoio che portava alla zona notte, David ed Evan entrarono nell’appartamento, richiamati dal trambusto.
Con un gemito strozzato, Mandy incespicò nel tappeto e si rinchiuse in camera, rossa in viso come un pomodoro maturo.
-Ehm… credo di aver visto qualcosa che non dovevo…- fece David, perplesso. Evan non disse nulla, limitandosi a dare un’occhiata in giro con fare indagatore. –Stavate facendo colazione?- domandò poi l’inglese, notando la tavola apparecchiata.
Andrew lanciò un’occhiata distratta verso la camera da letto e poi annuì. –Sì, volete favorire?
Mentre loro parlavano, Mandy indossò una maglietta ed un paio di leggins in fretta e furia. Stava cercando in tutti i modi di dimenticare la figuraccia che aveva appena fatto, ma quella continuava a ripetersi in loop nella sua testa.
“Oddio! Cosa devo fare? Cosa devo dire?!”, pensò, agitata oltre ogni dire. Fece un giro su se stessa e poi si controllò allo specchio, giusto per vedere se aveva dimenticato di indossare qualcosa.
Mentre si lambiccava sull’espressione da assumere, nella zona giorno la cucina si stava animando. Andrew spostò le cose per la colazione nel tavolo accanto alla finestra, in modo che potessero stare più comodi e poi andò a spegnere la macchinetta, dando il tempo al caffè di diffondere il proprio aroma nella stanza.
-Che cosa vi preparo? Il caffè va bene per tutti?- Drew stava cercando di fare gli onori di casa meglio che poteva, nell’attesa che Amanda tornasse e riprendesse in mano lo scettro.
-Vorrei tanto una colazione all’inglese.- sospirò David. –Ma mi accontenterò di quello che c’è.
-Mi dispiace, non è particolarmente apprezzata dalla padrona di casa.- si scusò.
-Cosa non è molto apprezzata?- domandò Mandy, riemergendo in quel momento dalla sua isola di salvezza.
-David si chiedeva se fosse possibile avere una colazione all’inglese…- spiegò il ragazzo.
Al che lei fece una smorfia. –No, mi dispiace. Potrei rischiare di rotolare giù per le scale se mangiassi una cosa del genere.- commentò. –Però c’è tutto quello che volete per farne una all’italiana: succo, croissant, cereali, frutta… ah! Nutella e paste varie.- elencò.
-E da dove viene tutta questa roba?- domandò Eric, curioso.
Mandy arrossì. –Le ho fatte io… mi piace cucinare…- mormorò, dirigendosi verso la cucina per tirar fuori altre tazze e posate.
-Wow! Oltre ad avere un corpo da favola sai anche cucinare! Ti prego, fammi tuo schiavo!- commentò il ragazzo, addentando un dolce alla crema.
Tutti i presenti lo guardarono male, cercando di fargli capire che doveva moderare le parole. Soprattutto perché la diretta interessata era arrossita ancora di più, imbarazzata.
Ultimamente non faceva altro che arrossire e fare strafalcioni: suo padre le avrebbe detto che assomigliava molto ad un puledro appena nato, traballante e ancora inesperto del mondo.
Rendendosi conto della reazione che aveva scatenato, l’europeo si scusò ed abbassò il capo dopo aver colto l’occhiata di rimprovero del suo Alfa.
-Scusa l’intromissione. Abbiamo sentito Eric scendere le scale e volevamo fermarlo prima che combinasse guai.- disse Evan.
-Oh, non è un problema… cioè… sì, mi avete vista mezza svestita, ma a parte quello… credevo che voi licantropi dormiste fino a tardi…- farfugliò. –Cioè… che non vi piacessero le mattine…- tentò di correggersi, finendo per far ancora più confusione.
-A me non piacciono proprio, le mattine. Ma stanotte sono riuscito a finire una parte del mio lavoro, quindi stamattina sono particolarmente di buon’umore.- rivelò David, versandosi un po’ di cereali nella tazza.
Mandy ridacchiò, contagiata dalla sua allegria. L’inglese le aveva fatto una buona impressione sin da subito, ma ora che lo osservava ancor più da vicino si sentì in un certo qual modo ravvivata dalla sua presenza. Non sapeva se fosse una sua capacità personale o di derivazione soprannaturale, fatto sta che le sarebbe piaciuto averlo intorno.
  Eric, invece… stava mangiando con gusto il secondo dolcetto, ma ogni tanto le lanciava delle occhiate maliziose. Probabilmente stava sondando il terreno, ma non capiva se lo faceva per provocarla o se fosse veramente fatto così. Sembrava uno spaccone nel corpo di un bambino.
Evan, d’altro canto, rimaneva sempre sulle sue, sempre pronto a reagire a qualsiasi possibile minaccia. Ponderava ogni cosa ed aveva un’aura attorno a sé che tendeva ad allontanare le persone o ad incutere loro soggezione.
  Averli lì, tutti riuniti attorno ad una tavola imbandita le stava dando modo di sbirciare nel loro mondo personale. Voleva capirli e sopportare un po’ di imbarazzo era un giusto prezzo per poter entrare a far parte di quella nuova, strana e ancora molto precaria famiglia.
Lo scozzese sembrò rendersi conto dei suoi pensieri perché smise di osservare i suoi lupi e puntò lo sguardo nel suo. Quei suoi occhi cangianti avrebbero dovuto esser banditi perché avevano un magnetismo tale da essere pericolosi.
Talmente pericolosi che Mandy non sentì la domanda che le era stata fatta. –Come…?
-Potrei avere una tazza di caffè nero, per favore?- ripetè lui.
-S-sì… arrivo.- disse lei, dirigendosi nuovamente verso la cucina e riempiendo la macchinetta. Mentre aspettava che il caffè salisse, si ricordò di aver un vassoio di muffin salati a riposare nel forno. Li estrasse e li mise in un cestino. Poi recuperò del burro e un po’ di marmellata e li portò a tavola. –Questi sono muffin salati… è l’unica cosa che possa ricordare la colazione inglese… e quella scozzese.- disse, soffermandosi a guardare prima Dave poi Evan.
Andrew sorrise da dietro la sua tazza e poi lanciò un’occhiata agli altri. Il primo a servirsi fu proprio l’inglese poi, con suo stupore, anche Van prese un assaggio.
L’espressione di Amanda fu impagabile e strappò un sorrisetto anche allo scozzese.
Mentre si godevano quella inaspettata colazione in compagnia, Emily irruppe nell’appartamento come un furia, il telefono stretto tra le mani. –Blake!- esclamò.
Tutti i presenti si voltarono, stupiti. –Cosa succede?- chiese il capobranco, avendo percepito il battito accelerato del suo cuore.
-Jared… Jared è impazzito: ha detto che, se non mi consegno entro oggi, ucciderà Blake!- spiegò, stringendo febbrilmente il telefono in una mano.
I visi di tutti passarono dalla confusione ad una maschera di puro terrore.

*Dannazione, in gaelico
*Buonanotte, in russo

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Capitolo 18
*** Cap. 17 Resisti, Blake! ***


Cap. 17 Come un branco
Nuovamente in ritardo sulla tabella di marcia, scusatemi :(
Al di là di questo, il capitolo non è come me lo aspettavo. Mi spiego: credevo di poter descrivere tutta la missione di salvataggio in una volta sola, ma mi son resa conto che sarebbe diventata troppo lunga, quindi questa sarà la prima parte.
L'azione sarà principalmente nella seconda, questo è il respiro prima del grande balzo, se così si può dire.
Buona lettura :)





Cap. 17 Resisti, Blake!

 
 La notizia lasciò tutti senza parole.
Emily li fissò col panico negli occhi, cercando di ottenere un po’ d’aiuto. Sarebbe andata anche da sola se nessuno si fosse offerto, ma non voleva lasciare Blake da solo con suo padre, nel caso fosse stata uccisa.
Il primo a riprendersi fu Evan, che prese in mano le redini della situazione. –Di che ora è il messaggio?- domandò come prima cosa.
-Mezz’ora fa.- rispose la ragazza, ritrovando l’informazione nei dati di ricezione.
-Ti ha dato un luogo d’incontro?- volle sapere.
Lei scosse la testa. –N-no, non ancora…- la voce le tremò brevemente.
-Evan… non possiamo…- David gli si avvicinò, mettendogli una mano sulla spalla. Stava cercando di ricordargli che, se l’ultimatum scadeva alla mezzanotte di quel giorno, il loro gruppo di salvataggio sarebbe stato estremamente ridotto.
  Van prese un rapido respiro e poi si passò una mano tra i capelli, cercando di fare il punto della situazione. La richiesta era arrivata proprio nel peggior momento possibile: avevano un giovane lupo inesperto da tenere sotto controllo, un licantropo reticente da integrare ed un omicidio il cui movente e artefice erano sconosciuti.
Decisamente qualcuno ce l’aveva con il branco e i suoi componenti.
-Andrew, tu rimarrai qui. Non posso rischiare che tu impazzisca.- decise dopo alcuni minuti di attenta riflessione. Il ragazzo non protestò, ben consapevole del fatto che sarebbe stato una palla al piede, sia perché faticava a controllarsi sia perché non era ancora completamente guarito.
-Eric… qual era il tuo ruolo nel branco di Aleksandr?- domandò poi, rivolgendosi al suo sottoposto.
A quella domanda l’europeo distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio.
–L’Omega…- mormorò con voce appena udibile. La scoperta lasciò tutti sorpresi, in particolar modo Drew. Sapere di avere qualcuno che aveva condiviso la sua stessa esperienza lo fece sentire un po’ più leggero.
“Perfetto: ho due ex Omega nel mio branco…”, pensò Evan. Di bene in meglio. –Sapevi recitare bene il tuo ruolo?- indagò.
Eric gli rivolse una rapida occhiata, prima di distogliere nuovamente lo sguardo. –Me la cavavo…- dovette ammettere. Rivelare di esser stato scelto come Omega era una cosa che lo metteva profondamente a disagio, soprattutto perché i suoi genitori non avevano mai ricoperto quel ruolo.
L’altro annuì, soddisfatto dalla risposta. –Bene. Tu verrai con noi.- dichiarò.
Il giovane spalancò la bocca, basito. -Cosa? Vuoi portare un Omega?!- sbottò Emily, incredula. Quello che volevano fare era già di per sé un atto suicida, non avevano bisogno di portarsi dietro un lupo in grado di attirare guai come se nulla fosse.
Un luccichio ferale attraversò gli occhi di Evan, prima che lui stesso si adombrasse in viso.
–Capisco quanto sia importante, per te… ma non osare mai più ribattere ad una mia decisione.- la minacciò, serio.
Il tono con cui lo disse fu così perentorio che ad Emily non rimase altro che abbassare il capo e mormorare le sue scuse, contrita.
Dave guardò l’amico con tanto d’occhi, ma non si azzardò a metter bocca. Poteva intuire il perché di quel comportamento e dovette ammettere che si sarebbe comportato nello stesso modo. Emily li aveva venduti e doveva capire che, nel caso avesse deciso di farlo un’altra volta, non ci sarebbe stata una seconda possibilità.
-L’Omega in questione sarebbe presente, se non ve ne siete accorti.- commentò con sarcasmo Eric. Evan si voltò a guardarlo e lui deglutì, intimorito dallo sguardo del suo nuovo Alfa. Ma cercò di non darlo a vedere, mantenendo la propria facciata spavalda.
-Sei in grado di distrarre abbastanza lupi da darci il tempo di salvare il bambino?- gli domandò lo scozzese. –Distrarli in modo efficace.
L’altro esitò un attimo, poi rispose:-Sì. Ne sono in grado.
-Allora sei dei nostri.

  David afferrò Evan per un braccio e lo trascinò lontano dal resto dei presenti. L’amico lo guardò interrogativo, cercando di capire cosa stesse per dirgli.
-Sei sicuro di quello che stai per fare?- chiese, guardandolo coi suoi occhi acquamarina.
Van aggrottò le sopracciglia. –Sì… dovrebbe funzionare.- replicò, calmo.
-“Dovrebbe funzionare”?! Vuoi per caso farti uccidere?- lo guardò con tanto d’occhi, sconvolto dalla risposta.
-Dave, calmati.- lo rabbonì. –Andrà bene.
Al che l’inglese fece per agguantarlo per il collo e strozzarlo. –Sei un incosciente!- lo accusò. -Informa Aleksandr, almeno.
-No. Non voglio coinvolgerlo in questioni che non lo riguardano.- rifiutò. –Mi credi così incapace?- domandò subito dopo.
Scosse la testa. –No, ma siamo in netta inferiorità numerica.
-Proprio per questo stavo organizzando un piano.- gli fece presente, per nulla ironico.
-Evan...- brontolò David, insofferente di fronte alla leggerezza con cui l’amico stava prendendo la cosa.
-Sei infastidito perché non ti ho incluso nell’incursione?- gli chiese allora Van.
-No, io…- iniziò. –Sì. Non voglio che ti cacci nei guai quando io non posso esser presente per evitarlo.- ammise, distogliendo lo sguardo con un certo imbarazzo.
Sorridendo, lo scozzese gli diede una pacca sulla spalla. –Tranquillo, so che farai comunque un ottimo lavoro. Sei o non sei il mio Beta?
-Sì…- brontolò.
-Bene. Allora vedi di aiutare il nostro giovane lupacchiotto.- concluse. Anche se riluttante, David si vide costretto ad annuire e seguire gli ordini del capobranco. Quando gli aveva offerto il titolo di Alfa si era dimenticato di quel suo lato dispotico in perfetto stile materno.
Quando voleva sapeva imporsi come e meglio di una madre… o di un padre estremamente arrabbiato.
-Quindi andremo solo noi tre…?- Emily s’intromise nella conversazione. –Tre contro quasi trenta lupi? Mi sembra un suicidio.
I due si voltarono. –Non combatteremo trenta lupi insieme. L’obiettivo è quello di dividerli. Conosci la strategia “dividi e conquista”?- le rispose Evan.
-Sì, ma…
-Vuoi salvare Blake o no?- la interruppe con un gesto della mano.
Al che lei fu costretta a mordersi la lingua ed annuire. –Sì, non potrei mai permettere che gli venga fatto dell’altro male.- sussurrò.
-Allora la conversazione è chiusa. Andrew, tu e Amanda starete con David. Se dovesse succedere qualcosa, lui vi proteggerà. Questa notte sarà dura, ma sono sicuro che la supererete egregiamente.- disse. –Noi dobbiamo discutere il da farsi. Lasciatemi avvertire in centrale e poi raggiungetemi sul tetto.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e poi uscì dalla finestra, salendo subito dopo lungo la scala antincendio. Il tetto era lo spazio che preferiva all’interno di quel complesso edilizio: era calmo e abbastanza verde da risultare accogliente.
Certo, non come una foresta, ma meglio di quelle infinite colate di cemento.
  Estrasse il cellulare e rimase a fissare lo schermo per qualche minuto, cercando di raccogliere i pensieri. Sapeva di avere poco tempo, ma non voleva mettere in allarme Rogers e ritrovarsi con una squadra speciale alle calcagna.
Digitò il numero e si appoggiò alla balaustra, aspettando.
-Qui è il comandante capo Rogers. Chi parla?
Si schiarì leggermente la voce. –Capitano Evan MacGregor, signore.- rispose.
-MacGregor. C’è qualche problema?- domandò l’uomo, facendosi di colpo preoccupato.
Van incrociò le gambe, strofinando la mano sinistra sui jeans. Non avrebbe saputo dire perché, ma era agitato. –Ho per le mani un caso di sequestro di persona. Riguarda il mio branco, quindi la sto avvertendo semplicemente per dirle che non potrò essere in servizio fino a quando non sarà tutto risolto.- spiegò, conciso.
-Un caso di sequestro? C’è per caso una faida in corso?- s’informò il suo superiore.
-Da parte mia non c’è nessuna volontà di iniziare una faida. È coinvolto il figlio di un membro del mio branco e non posso semplicemente star lì a guardare: devo salvarlo.- rispose.
Dall’altro capo del telefono ci fu silenzio per un po’ ed immaginò che il comandante stesse ragionando sul da farsi. In particolare sull’eventualità di dare o meno il proprio consenso all’operazione.
Anche in caso di divieto, Evan non si sarebbe fermato.
-E sia. Andate a salvare quel bambino.- concesse infine Rogers. –Se la questione dovesse degenerare, però, dovrete redigere un rapporto completo.
-Certo, comandante.- assicurò lo scozzese.
-Ah, MacGregor…
-Mi dica.- disse in un soffio, già pronto a chiudere la conversazione.
-Avrò bisogno di te per il caso dell’ammenda.- gli ricordò.
Evan si rabbuiò, ricordando solo in quel momento il caso che gli aveva presentato l’uomo. –Sarò a sua disposizione. Ora devo andare, raggiungerò la centrale quanto prima.- si congedò.
Strinse il telefono per qualche istante prima di farlo scivolare nuovamente in tasca ed affrettarsi a ritornare al piano di sotto.
  Ci misero un po’ di tempo ad organizzare gli ultimi dettagli del piano, in particolare quelli riguardanti il salvataggio di Blake. Era probabile che Jared l’avesse nascosto in un posto difficilmente accessibile, giusto per esser sicuro di vincere.
Alla fine, però, si dissero pronti e, dopo le ultime raccomandazioni, i tre uscirono di gran carriera diretti verso i territori dei Blacks.
Ai membri del branco rimasti non restò che scambiarsi occhiate confuse ed accettare il fatto di esser stati lasciati indietro.
-Andrew…- il primo a rompere il silenzio fu David. L’interpellato sollevò la testa, in attesa. –Per oggi rimani in casa. Niente lavoro.- suggerì.
Drew annuì lentamente, accettando di buon grado il consiglio. Nelle condizioni mentali in cui si trovava avrebbe avuto qualche difficoltà a concentrarsi. –Posso aiutare in qualche modo?- chiese dopo un po’.
-Cerca solo di non agitarti troppo, rimani calmo e padrone di te stesso.- gli dedicò un’occhiata profonda prima di estrarre il cellulare dai jeans. –Devo fare una chiamata, scusate.- si scusò ed uscì dall’appartamento.
I due si scambiarono occhiate perplesse, per poi lasciarsi cadere sul divano della sala e sospirare. La situazione stava decisamente peggiorando.
-Secondo te Jared potrebbe aver fatto del male a suo figlio…?- chiese dopo un po’ Amanda. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento e le braccia a circondare le ginocchia. I recenti avvenimenti l’avevano destabilizzata e stava cercando di fare un po’ di ordine mentale.
Andrew, sentendosi rivolgere quella domanda, si appoggiò allo schienale e ammise:-Non lo so. Non so di cosa possa essere capace un uomo del genere.
La morettina annuì distrattamente, continuando a fissare davanti a sé.
-Mandy? Tutto ok?- le chiese dopo un po’ l’amico.
-Come?- si riscosse lei. –Oh… sì. Sono un po’ disorientata.- gli concesse un rapido sorriso.
L’altro sollevò un angolo della bocca, comprendendo il suo stato d’animo: si sentiva confuso pure lui. E spaventato all’idea di quello che sarebbe successo quella notte.
-Non dovresti andare a lavoro?- le fece presente dopo qualche altro minuto di silenzio.
A quelle parole Amanda balzò in piedi, quasi fosse spiritata, e schizzò in camera. Drew la sentì aprire cassetti e ribaltare oggetti, il tutto condito da alcune esclamazioni di dolore.
Ricomparve circa dieci minuti dopo, cercando di sistemarsi i capelli e al contempo infilarsi le scarpe col tacco. Quando rischiò di inciampare e rovinare al suolo, Andrew la raggiunse e l’afferrò giusto in tempo.
La ragazza ridacchiò, imbarazzata e poi terminò di sistemarsi. Già pronta ad uscire, si fermò sulla porta e si voltò indietro. –Sei sicuro di non aver bisogno d’aiuto? Vuoi che rimanga a casa, oggi?- gli chiese, premurosa.
Lui le sorrise, immensamente grato per quel pensiero amorevole, ma poi scosse lentamente la testa.  –Vai… non ti preoccupare. C’è David con me.- la rassicurò.
-Tornerò prima, così stasera sarò pronta a dare una mano.- promise, infilandosi gli occhiali da sole.
-Non so cosa potresti fare contro un licantropo impazzito, ma grazie Mandy. Lo apprezzo molto.- le disse, aprendosi in un sorriso ricolmo d’affetto. Avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e ringraziarla mille volte per il sincero interessamento che riusciva a sentire nelle sue parole.
In quel periodo aveva sicuramente bisogno di qualcuno che lo facesse sentire importante e non solo un emerito idiota con manie suicide.
-A stasera, Drew.- ebbe appena il tempo di salutarla che lei si chiuse la porta alle spalle. La sentì distintamente correre lungo le scale e sperò arrivasse in tempo per prendere la metropolitana ed evitare la ressa.
Rimasto solo, il giovane si voltò verso il tavolo dov’era stata consumata la colazione e sospirò. –Ok… mentre il capo è di sopra vediamo di dare una pulita.- mormorò tra sé e sé.
Tenersi impegnato l’avrebbe sicuramente aiutato a tener a bada la bestia.


  Non poteva permettergli di correre dritto in una trappola.
Si conoscevano da così tanto che sapeva non avrebbe mai avuto il potere (o la volontà) di fermarlo, ma c’era qualcuno che ne sarebbe stato in grado.
Quindi ecco il motivo per cui ora se ne stava sulle scale antincendio, fissando con indecisione lo schermo del proprio cellulare.
Sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma non voleva farsi odiare da Evan.
“Ma non voglio nemmeno che ci rimetta le penne.”, pensò, aprendo la rubrica e scorrendo i numeri. Lasciò il pollice sospeso per qualche istante, poi avviò la chiamata.
-Alastair MacGregor.- rispose lo scozzese.
-Alst, sono David.- esordì l’altro. Poi si corresse subito dicendo:-Sì, lo avrai letto sul display.
L’uomo si fece perplesso, captando del nervosismo nella voce dell’ex sottoposto. –Dave, cosa succede?- chiese.
-Abbiamo un problema.- confessò infine.
Ci fu un attimo di silenzio. –Cos’ha combinato ancora?- chiese.
L’inglese si accigliò. –Di chi stai parlando…?- domandò allora, perplesso. Probabilmente Alst stava pensando ad un’altra persona.
-Stryker…- mormorò l’altro.
Al che David scosse la testa. –No, non Stryker! Quell’idiota non c’entra!- lo corresse. –Si tratta di Evan!
-Evan?- la voce del Beta del branco MacGregor si fece preoccupata.
-Sì…- confermò. –Ricordi i Blacks ed Emily?
-Ricordo, sì.
-Bene. L’Alfa dei Blacks ha minacciato di uccidere il figlio di Emily.- spiegò, prendendo a torturarsi il bordo della camicia.
-Uccidere un cucciolo?! Ma è impazzito?!- s’indignò Alastair. Se c’era una cosa che era assolutamente vietata, all’interno di un branco, era nuocere alle giovani vite. Per nessun motivo si doveva far del male ai cuccioli.
“Se ha reagito così a questo punto, figuriamoci quando gli dirò il resto…”, pensò Dave. Era leggermente preoccupato.
Lasciò che Alst maledicesse la stupidità umana e poi, quando gli sembrò si fosse calmato, aggiunse:-Evan è andato a salvarlo. Sono lui, Emily ed il nostro nuovo acquisto.
-E tu dove sei ora?- volle sapere.
-A casa con Andrew. C’è luna piena stanotte.- rispose.
-Sai dov’erano diretti?
Frugò nella propria memoria per ritrovare quello che gli serviva. –Sì. Nel Bronx, vicino alla zona industriale.
-Tu bada ad Andrew, io vado a dare manforte a quello sconsiderato.- decise l’uomo.
-Era proprio quello che volevo sentirmi dire. Grazie.- David sospirò.
-Farà bene ad esser ancora vivo. Damnù air!- e con quell’imprecazione in gaelico si congedò. Dave restò a fissare il telefono per qualche istante, stupendosi di come il pacato Beta potesse trasformarsi in una belva quando si trattava di lui ed Evan. Li considerava quasi come figli e non avrebbe permesso a nessuno di torcere loro un singolo capello.
-Speriamo che la cavalleria arrivi in tempo…- si augurò.


***

  Gongolò tra sé, sfregandosi le mani soddisfatto.
L’idea di sfruttare l’istinto materno di Emily era stata geniale. Non gli interessava rispettare i piani di Rodrick: voleva avere la sua vendetta su quella cagna traditrice.
Le aveva offerto il posto di femmina Alfa e come l’aveva ripagato? Unendosi al branco che era stata chiamata a spiare.
“Mai fidarsi delle donne.”, pensò, disgustato. Lanciò uno sguardo fuori dalla grande finestra ed osservò il fiume Hudson, meditabondo. Blake era rinchiuso in una delle celle di contenimento che il branco usava nelle notti di luna piena.
  Alcuni dei suoi sottoposti si trovavano nello scantinato, pronti a rinchiudersi alle prime avvisaglie. Per quanto lo riguardava, non aveva problemi con l’astro notturno.
Il suo Beta non si era ancora ripreso completamente dallo scontro con MacGregor e non voleva rischiare la sua vita. Per quanto riguardava Simon, Gamma del branco, era un emerito idiota.
Spesso si chiedeva cosa l’avesse spinto a concedergli quella carica. Poi si ricordava della sua innata abilità nel stringere accordi e guadagnare soldi e si ricredeva.
Per quanto potesse essere spregevole, era un elemento utile.
Ma per quello che aveva intenzione di fare non sarebbe andato bene. A meno che non volesse mandare all’aria tutto quanto.
  Mentre ragionava su quale fosse il modo migliore per gestire la situazione, Rodrick arrivò alle sue spalle. Sentì i peli delle braccia drizzarsi e represse una smorfia, infastidito da quello sfoggio di potere.
-Cosa sta succedendo? Perché il branco è in agitazione?- domandò lo scozzese.
-Non sono affari tuoi.- fu la brusca risposta.
L’uomo lo aggirò e gli si piazzò davanti. –Cosa sta succedendo qui?- chiese nuovamente, dando un tono minaccioso alle proprie parole.
-Sta per arrivare Emily, la lupa che ha voltato le spalle al branco. Dobbiamo darle un caloroso benvenuto.- replicò con spregio l’altro.
A quelle parole Rodrick si adombrò. –Che razza di licantropo usa violenza su una femmina?- domandò, disgustato dalla sola idea.
-Uno che vuole vendicarsi.- sibilò Jared. Gli scoccò una lunga occhiata venefica e poi si allontanò a grandi passi.
“Razza di idiota.”, pensò il licantropo. Sapeva quanto fosse importante la disciplina, all’interno di un branco, ma non poteva tollerare che le lupe venissero offese. Quando era solo uno sbarbatello, le licantrope erano assai poche e nessuno si sarebbe mai sognato di far loro del male, ammesso che non si volesse condannare la specie.
Non capiva proprio questa nuova mentalità. Così come non capiva Jared.
Jared che, in quel momento, stava scendendo le scale che portavano allo scantinato con un diavolo per capello. Sorbirsi una ramanzina da un uomo che era comparso dal nulla non gli andava proprio a genio, soprattutto se era lui quello a passare per stupido.
“Ora vedrai, stupido vecchio.”, si fece largo tra i licantropi presenti e raggiunse rapidamente una delle ultime gabbie. Si fermò esattamente davanti alle sbarre e fissò con sguardo critico la piccola figura al suo interno. –Blake.- chiamò perentorio.
Il piccolo sobbalzò e cercò di mettersi in piedi, riuscendo solo ad inciampare due volte nei propri piedi. Aveva riconosciuto immediatamente la voce del padre e aveva paura di quello che sarebbe successo se non avesse ubbidito.
Si schiacciò contro il muro e lo fissò con gli occhi sbarrati.
-Cos’è quello sguardo? Non avrai mica paura di tuo padre, vero?- lo apostrofò l’uomo. Lui non rispose. Sbuffando, Jared aprì la porta ed entrò all’interno. –Vieni con me.
-No!- protestò.
Senza aggiungere altro, l’Alfa lo afferrò saldamente per un braccio e lo trascinò fuori senza nessuno sforzo. Blake tentò di opporre resistenza in tutti i modi possibili, ma alla fine si vide mollare senza tanta grazia nel corridoio esterno.
I licantropi presenti lanciarono loro qualche sguardo, ma si affrettarono ad abbassare gli occhi subito dopo.
-Tu ora vieni con me.- Jared se lo caricò in spalla, ignorando i piccoli pugni che si avventarono sulla sua schiena. –Taci o ti affogo nell’Hudson!


***

  Avevano preferito muoversi in forma umana ma, arrivati al grande fiume, erano stati costretti a trasformarsi.
Ed ora eccoli lì, l’uno accanto all’altro sulla banchina di uno dei quartieri più malfamati della Grande Mela.
Evan guardò prima uno e poi l’altra, osservando le loro forme animali.
Emily aveva il manto nero, motivo per cui era stata accettata nel branco dei Blacks, mentre Eric assomigliava vagamente ad una volpe, dato che aveva un muso abbastanza allungato e il pelo tendente ad un biondo ramato. Nel complesso non avrebbero fatto paura nemmeno ad un pivellino, figurarsi ad un branco di quasi trenta elementi.
“Siamo ancora convinti di questa pazzia?”, s’informò il nuovo acquisto. Emily per poco non lo azzannò e lui si affrettò a balzare indietro. “Va bene, va bene: ho capito.”, brontolò.
“Stai calma.”, l’avvisò Van. “Se iniziamo a dar di matto, per Blake è la fine.”, le ricordò. Lei allora abbassò le orecchie, uggiolando brevemente.
“Bene… ora da che parte si va?”, Eric non riusciva a stare zitto nemmeno impegnandosi, figurarsi se era agitato.
Il suo capobranco gli dedicò un’occhiata veloce per poi scandagliare le banchine con sguardo attento. Aveva le orecchie ritte in cerca di rumori sospetti e i muscoli delle spalle tesi, pronti a scattare al minimo segno di pericolo.
“Emily, illustraci la disposizione delle sentinelle.”, ordinò lo scozzese. La lupa fece un breve cenno col capo e poi si mise a descrivere loro tutto quello che sapeva, aiutandosi anche con gli odori ed i suoni del luogo in cui si trovavano.
Alla fine della spiegazione, Van si rivolse al nuovo arrivato. “Ti è tutto chiaro?”, gli domandò.
Quello roteò gli occhi e poi emise un verso di gola. “Certo, capo.”, rispose con uno sbuffo alquanto infastidito. Credevano per caso che fosse un cucciolo alle prime armi? Quanto odiava essere sottovalutato dalle persone!
Evan ignorò il suo comportamento, togliendo importanza al gesto. “Quando sei pronto puoi andare. Noi aspetteremo il momento giusto per passare oltre la maglia di sentinelle.”, l’avviso.
Eric fece un brusco cenno del capo e poi partì di corsa verso la postazione della prima sentinella.
“Ha comportamenti tipici da Beta indisciplinato.”, commentò Emily.
“Già. Ne ho già visto uno all’opera.”, convenne l’altro. L’americana lo guardò confusa, ma lui liquidò la questione con un mezzo sorriso lupino. “Muoviamoci.”, disse, partendo a passo sostenuto dietro la scia dell’europeo.
“Se non dovesse funzionare…?”, Emily non riuscì ad impedirsi di avere quel pensiero.
“Saremmo fregati.”, fu la risposta lapidaria.


-Hai avvertito Alastair?- domandò non appena lo vide rientrare.
David sollevò lo sguardo, bloccandosi a metà mentre abbassava l’infisso a scorrimento verticale che dava sulla scala antincendio. –Sì.- confermò, chiudendo definitivamente la finestra.
-Ad Evan non piacerà…- gli fece notare Drew.
Dave fece una smorfia. –Lo so. Ma a me non piacerebbe vederlo morto.- si strinse nelle spalle. Stettero per un po’ in silenzio, poi l’inglese chiese:-Come va? Avverti qualche particolare cambiamento?
Andrew ci pensò un po’ su, scandagliando con cura nel proprio io interiore ed osservando con occhio critico l’umore della sua bestia. –Per ora no… sono solo preoccupato.- disse infine.
-Non devi: Alst sa quello che fa.- replicò l’inglese.
Drew fece una smorfia. –Non mi preoccupa Alastair, ma tutto il resto.- ammise. All’espressione interrogativa del suo interlocutore proseguì, spiegandosi:-Se Emily li stesse attirando in una trappola? E se Jared facesse del male al piccolo? E se Stryker sapesse di questa cosa e volesse approfittarne per vendicarsi di me?
David lo bloccò con un gesto deciso. –Ehi, frena, frena! Che fantasia galoppante, che hai!- gli disse, cercando di buttarla sul ridere.
-Scusa tanto se non sono abituato a cose del genere…- brontolò incrociando le braccia al petto.
Comprendendo meglio il suo stato d’agitazione, il riccio gli si avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla, cercando di rassicurarlo con quel breve contatto. –Emily non rischierà di tradirci: è in gioco la vita di suo nipote. Jared potrebbe giocar loro qualche brutto tiro, anzi, lo farà sicuramente. Per quanto riguarda Stryker non vedo come possa sapere quello che sta succedendo.- osservò.
-Be’…- Andrew esitò, indeciso se esporre i propri pensieri o meno.
-Cosa?- l’altro si fece sospettoso.
Sentendo la presa sulla propria spalla intensificarsi, l’americano optò per la verità. –Credo che Stryker sia in combutta con Crystal.- rivelò.
“Quella cagna!”, non poté fare a meno di pensare David. –La cosa non mi stupisce più di tanto.- fu costretto ad ammettere.
-Vuoi dire che… loro due…?
Scosse la testa. –No, per carità! Lei non ha mai tradito Evan, non avrebbe potuto farlo con Dearan pronto a cogliere ogni suo movimento.- si spiegò. –Ma ora che Evan non è più suo marito…
-Non credo dipenda dalla sua sete di potere. Più che altro da quella di vendetta.- dovette smentirlo.
Solo allora Dave capì. –E’ stato lei a renderti l’Omega?!- esclamò, sconvolto. Anche se con un pizzico d’esitazione, il nuovo licantropo annuì.
-Non sono sicuramente nella top five delle sue persone preferite.- cercò di riderci su.
-Drew, stai attento! Quella è capace di tutto, se il suo obiettivo è riavere Evan.- l’avvertì. Prese a girare intorno, allarmato da quanto gli era stato detto. Ora capiva come mai Stryker si fosse accanito così tanto sul nuovo arrivato, ma non era lui il problema.
-Crystal potrebbe diventare più pericolosa di quanto non sia?- domandò Andrew, ora visibilmente preoccupato. Essere sulla lista nera del nuovo Campione del branco MacGregor era una cosa, ma essere su quella di una licantropa incazzata nera era un’altra.
-Sì… perché se ti elimina può riavere Evan.- rivelò, guardandolo intensamente coi suoi occhi chiari.
-C-che…?- gracchiò.
-Evan è stato esiliato perché ti ha trasformato senza il permesso di suo padre. Se la causa scatenante della condanna viene eliminata, allora la sentenza viene immediatamente ritirata.- spiegò, conciso.
D’istinto il giovane si portò una mano al collo, temendo per la propria vita. Già era difficile venire a patti con la sua nuova parte animale (ancor di più se c’era la luna piena), ma se poi ci si metteva anche una ex moglie disposta a tutto pur di riavere il suo trofeo… la situazione assumeva tutt’altra prospettiva.
-Sono fregato.- commentò.
-No… c’è una soluzione a tutto.- cercò d’incoraggiarlo David. L’occhiata che ricevette in cambio gli disse che Drew non ne era per nulla convinto.

 
  Si ritrovò improvvisamente davanti alcune delle sentinelle piazzate da Jared.
Piantò i piedi, sfregando i polpastrelli delle zampe sull’asfalto e fermò la propria corsa ad un centinaio di metri da loro.
  I licantropi erano in forma umana, ma ciò non gli avrebbe impedito di svolgere la sua parte.
Arricciò brevemente il naso e poi piantò per bene le zampe, scrutando gli avversari che aveva davanti. Doveva riuscire a liberare almeno una parte del perimetro, in modo da permettere ad Evan ed Emily di passare senza dover sprecare energie in inutili combattimenti.
“Vediamo quanto hai imparato, Eric.”, gli parve di sentire la voce di suo zio nella testa. Scosse energicamente il capo per riappropriarsi dei propri pensieri e poi prese ad avvicinarsi con passo leggero e trotterellante.
Mentre avanzava poteva leggere chiaramente il sospetto sulle facce dei presenti, ma lo ignorò e proseguì, accorciando sempre di più la distanza che c’era tra loro.
“Fatti indietro, non abbiamo tempo di giocare.”, il ringhio d’avvertimento arrivò dal più alto, il quale arricciò lentamente il labbro superiore per fargli capire che non stava scherzando.
Eric non rispose e continuò la propria avanzata.
I licantropi iniziarono ad innervosirsi. Considerato che di solito il suo compito era di evitare che i membri di un branco arrivassero ad un livello di agitazione tale da divenire pericolosi, stava rischiando veramente grosso.
Ed iniziava ad avere dei dubbi circa la pensata di Evan.
“Ma chi sono io per discutere gli ordini del capo?”, si disse, non senza una bella dose di ironia. Accelerò leggermente il passo, fino a ritrovarsi a meno di venti metri dagli altri. I Blacks si piegarono sulle gambe, pronti a scattare.
L’europeo prese un respiro profondo e poi iniziò a fare quello che, a quanto sembrava, gli riusciva molto bene: fare il buffone. Solitamente l’Omega aveva il compito di sedare gli animi, il più delle volte assumendo atteggiamenti divertenti, che ricordavano tanto quelli di un clown. Ma, a differenza di quello che si poteva pensare, il suo era un ruolo di tutto rispetto… non fosse stato che, tra i licantropi, non vi era quasi mai la necessità di questi interventi.
Quindi l’Omega finiva per diventare il punching ball emotivo e fisico dei membri del branco.
Personalmente, il ragazzo odiava ricoprire quella carica. Ma se poteva venir utile per salvare un cucciolo, avrebbe fatto uno sforzo.
“Concentrati!”, si rimproverò, rendendosi conto di essersi perso nei propri pensieri. Balzò di lato, avvitandosi in aria ed atterrando al fianco di uno degli avversari. Quello lo guardò diffidente e lo seguì con lo sguardo quando iniziò a girargli attorno.
Se qualcuno avesse osservato la scena dall’esterno, quella che stava mettendo in atto sarebbe sembrata solo un’assurda danza. Invece stava tentando di radunarli e condurli via dalle loro postazioni.
  Considerato che nessuno avrebbe ancora potuto associarlo al branco di Evan, aveva buone possibilità di riuscire nel suo obiettivo. Non fosse stato per la testarda resistenza che stavano opponendo quei quattro lupi.
Infastidito, Eric emise un verso di gola. Quelli lo fissarono, cercando di capire se interpretarlo come una sfida oppure no.
Restarono immobili a scrutarsi per parecchi minuti.
“D’accordo. Non ha funzionato con le buone, funzionerà con le cattive.”, decise il ragazzo, spazientito.
Individuò il lupo con la stazza più simile alla sua e, con un rapido scatto, lo morse alla gamba sinistra. Giusto il tempo di assaggiare il sangue e mollò la presa, balzando all’indietro.
I quattro ci misero un po’ per reagire, ma quando lo fecero gli ringhiarono contro, per nulla divertiti dalla sua recente trovata.
“Provate a prendermi.”, li sfidò Eric. Ora che li aveva provocati, l’unica soluzione era correre più veloce di loro e farli allontanare. Si concesse un respiro profondo prima di lanciarsi nella direzione opposta da cui era venuto.
“I lupi si sono dati all’inseguimento. Sbrigatevi!”, comunicò ad Evan.
“Non farti prendere.”, fu la sola raccomandazione.
Si lanciò un’occhiata alle spalle, vedendo i quattro licantropi assumere sembianze animali. Se il gruppo non si fosse allargato avrebbe potuto gestirli.
In caso contrario, avrebbe dovuto mettere le ali alle zampe.


  Si misero a correre non appena ebbero ricevuto il segnale. Si erano posizionati sui tetti, per precauzione, ed ora balzavano da una copertura all’altra con l’agilità di ladri esperti.
Emily faceva strada, correggendo la direzione man mano che si avvicinavano al quartier generale dei Blacks.
Evan si limitò ad affiancarla, cercando di isolarsi e non lasciarsi coinvolgere dalla sua agitazione. Comprendeva benissimo la preoccupazione per il piccolo Blake, ma almeno uno dei due doveva rimanere padrone di se stesso.
All’improvviso la vide sparire all’interno di una finestra mezza sfondata. Si fermò un attimo e guardò in basso. Lei alzò il muso bruno e gli fece un rapido cenno d’assenso. Rassicurato, si tuffò a sua volta all’interno, atterrando tra vetri rotti e polvere.
Trattenne a stento uno starnuto e poi riprese a correre, puntando dritto verso la porta aperta che si vedeva alla fine del capannone.
Emily correva come se avesse il diavolo alle calcagna, desiderando riabbracciare il prima possibile il figlio di sua sorella, la persona più importante da quando Evelyn era morta. Il solo pensiero che Jared gli avesse fatto del male la spingeva ad accelerare ulteriormente il passo, incurante del grosso lupo che aveva alle spalle.
Non esistevano più gerarchie nella sua mente né la paura o la prudenza, solo Blake.
“Emily…”, si sentì chiamare. Ignorò la voce e continuò a correre. “Emily!”, insistette quella. Ringhiò, infastidita. “EMILY!”, si ritrovò la strada bloccata da Evan e fu costretta a fermarsi di colpo per evitare di finirgli addosso.
“Cosa?”, fece, confusa e un po’ scocciata.
“Stavi per finire dritta nelle fauci di Jared.”, le fece presente il suo Alfa. La stava fissando coi suoi occhi d’ametista, dentro i quali si poteva leggere chiaramente la disapprovazione per il suo comportamento.
Lei allora si riscosse e si guardò intorno, cercando di trovare conferma a ciò che le era appena stato detto. L’odore di Jared e di Simon le arrivò prepotente al naso, colpendola come un maglio. Percepì anche quello di Blake e si sentì ancora peggio.
Abbassò il capo. “Mi dispiace…”, si scusò.
“Cerca di ritrovare la concentrazione. Dobbiamo agire mentre gli altri lupi sono impegnati con Eric.”, le fece presente. Annuì diverse volte, dandosi mentalmente della stupida e prendendo respiri profondi.
Le ci volle un po’ per ritrovare il controllo. “Sono pronta.”, annunciò infine.


  Avevano deciso di comune accordo di rimanere nell’appartamento di David, principalmente perché lui doveva tirarsi avanti con alcune consegne e aveva tutti gli strumenti con cui lavorava nella propria camera.
Andrew si era rannicchiato sul divano, perso nei propri pensieri. Sentiva ogni fibra del corpo tesa all’inverosimile, nel disperato tentativo di cogliere avvisaglie preoccupanti.
-Drew, ti farai venire un’ulcera, così.- gli fece presente l’inglese. Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc elaborasse quanto gli era stato richiesto.
-Mi dispiace…- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.
-Devi imparare a controllarlo, quello è vero. Ma lo devi fare con gentilezza: combattere non serve a nulla.- replicò l’altro, lanciandogli una rapida occhiata da dietro lo schermo.
L’americano si prese la testa tra le mani. –E’ tutto una grande contraddizione…- brontolò tra sé.
-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.
Drew si concesse qualche minuto per riordinare i pensieri, poi si appoggiò allo schienale del divano coi gomiti e domandò:-Com’è stata per te?
L’inglese gli lanciò un’occhiata distratta. –Com’è stata cosa?
-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell’altro.
-Oh… quella. Tutto nella norma.- la sua risposta fu abbastanza frettolosa e destò qualche sospetto nel suo interlocutore. Resosi conto di essere osservato, prese un respiro profondo e mise in pausa il proprio lavoro. –Non è stata esattamente una passeggiata.- ammise infine.
-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.
Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.
Capendo che non era un argomento facile, Andrew decise di passare a qualcosa che, sperava, fosse meno spinoso. –Tu ed Evan… quando vi siete incontrati?
Sembrò pensarci su, anche se non aveva bisogno di frugare nella memoria per ricordare quel giorno. Era stato l’inizio e la fine di tutto. –Avevo diciassette anni, quindi era il 1856.- rispose. –Ero un giovane rampollo, istruito e parecchio tronfio.- aggiunse, ridacchiando.
-Tu?- l’americano sollevò un sopracciglio, divertito.
David si esibì in una breve risata. –Sì, proprio io. Cosa non ti torna? Il fatto che fossi tronfio o che fossi un rampollo?- chiese, divertito.
-Entrambi.- ridacchiò l’altro, stando al gioco. Era facile parlare con l’inglese perché riusciva sempre ad alleggerire conversazioni che, altrimenti, sarebbe stato problematico affrontare. O per lo meno faticoso.
-Be’, lo ero.- confermò, tornando serio. –E, nonostante tutti i tentativi di mia madre, ero particolarmente stupido a quell’età.- ammise.
-Chi non lo è? A parte Amanda… lei è nata con un senso del dovere così spiccato da far paura.- replicò Andrew.
L’altro annuì con un rapido cenno, dandogli ragione. Poi si stiracchiò pigramente e si alzò dalla sedia su sui era stato per quasi un’ora. –Non sapevo di essere un licantropo e, quando mi sono trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.- rivelò, sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.
-Posseduto? Intendi dal demonio?
Confermò con un cenno del capo, facendo ondeggiare i ricci scuri. –Esattamente. All’epoca si credeva ancora in cose del genere.- rivelò. –Anche se gli inglesi ci credevano comunque meno degli scozzesi.- aggiunse, ghignando.
-Anche Evan ti credette posseduto?- indagò Drew, curioso. Lasciarsi trasportare dalle parole di David era più facile che cercare di combattere la bestia e sembrava avere un potere calmante sulla parte animale.
-Non lo conoscevo ancora.- confessò. All’espressione stupita del suo interlocutore aggiunse:-Ci saremmo incontrati da lì a sette anni.
-Oh… credevo che…
David gli si avvicinò, sedendosi sul bracciolo del divano. –Che fossimo cresciuti insieme?- suggerì. Al gesto affermativo del ragazzo, lui scosse la testa. –No, ma è che se fosse successo.- concluse con un sorriso.
-Quindi… la prima volta che ti sei trasformato…?- dopo una breve pausa, Andrew tornò all’attacco. Sapere come gli altri avevano affrontato la prima notte di luna piena gli sarebbe stato utile per poterne ricavare consigli e magari qualche dritta.
Era terrorizzato all’idea di diventare un mostro assetato di violenza, impossibile da fermare se non con un colpo al cuore.
-Ero nella stalla, stavo accudendo i cavalli. Mi pare fosse una notte di luna piena, tra l’altro.- raccontò, meditabondo. Si guardò le mani, cercando le parole giuste per raccontare quell’esperienza. –Quando mi sono trasformato ho spaventato i cavalli… loro hanno tentato di fuggire, ma la loro paura ha eccitato la bestia e, prima che potessi fermarmi, stavo affondando i denti nella giugulare di un destriero.- proseguì. –Ne ho uccisi tre prima che mia madre raggiungesse le stalle e…- fece per proseguire, ma il suo cellulare squillò.
I due si guardarono, gli occhi dilatati per la sorpresa. Reprimendo un brivido, David si alzò ed afferrò il cellulare, accettando la chiamata con un’espressione perplessa in viso. –Alst?
-Non mi avevi detto che l’intero branco sarebbe stato ad attendere Evan e gli altri!- lo accusò lo scozzese.
-Non ti avrei chiamato, in caso contrario…- si giustificò, facendosi piccolo. A quando pareva Alastair incuteva un certo timore sia a David che ad Evan.
-David Rockbell! Come hai potuto lasciare che il tuo Alfa andasse a farsi ammazzare?! Qui ce ne sono abbastanza per rimetterci le penne!- lo rimproverò, arrabbiato.
Dave sentì uno spiacevole rossore farsi spazio sul suo viso. –Qualcuno doveva rimanere con Andrew: è la sua prima luna piena.- gli fece presente.
-Lo so, lo so.- lo sentì calmarsi. –Solo che… questa è una trappola bella e buona! Ho già dovuto metter fuori combattimento tre lupi e non sono nemmeno riuscito a raggiungere gli altri.- aggiunse.
-Alst…
-Sì, cercherò di arrivare in tempo. Devo farlo. Ma questo non mi impedirà di dirgliene quattro.- brontolò.
-Se ti riesce, fai fuori Jared.- suggerì Dave. Drew lo guardò con tanto d’occhi. Non l’aveva detto sul serio, vero?
-Non ho voglia di andare in galera.- gli fece presente Alastair.
-E io non voglio che i cuccioli subiscano violenze per espiare colpe altrui.- ribattè l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ho detto che non lo ucciderò, non che lo lascerò andare illeso. Nel caso mi capiti tra le mani, avrà un brutto quarto d’ora.
-Conto su di te, Alst.- disse David, rassicurato.

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Capitolo 19
*** Cap. 18 Rescue ***


Cap. 18 Rescue Quest'anno è stato veramente impegnativo e l'Università ha assorbito tutte le mie attenzioni. Mi dispiace veramente tanto perchè sono letteralmente scomparsa e non ho più dato segni di vita. Ora sono tornata e spero di poter recuperare il tempo di inativvità.
Mi sento un po' Martin, dati i tempi biblici, ma tant'è... vi auguro buona lettura!
E scusate ancora per l'attesa :(


P.S.: Anche il salvataggio di Blake sta andando per le lunghe... ma nel prossimo capitolo si concluderà: abbiate fede!



Cap. 18 Rescue


  Avevano deciso di comune accordo di rimanere nell’appartamento di David, principalmente perché lui doveva tirarsi avanti con alcune consegne e aveva tutti gli strumenti con cui lavorava nella propria camera.
Andrew si era rannicchiato sul divano, perso nei propri pensieri. Sentiva ogni fibra del corpo tesa all’inverosimile, nel disperato tentativo di cogliere avvisaglie preoccupanti.
-Drew, ti farai venire un’ulcera, così.- gli fece presente l’inglese. Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc elaborasse quanto gli era stato richiesto.
-Mi dispiace…- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.
-Devi imparare a controllarlo, quello è vero. Ma lo devi fare con gentilezza: combattere non serve a nulla.- replicò l’altro, lanciandogli una rapida occhiata da dietro lo schermo.
L’americano si prese la testa tra le mani. –E’ tutto una grande contraddizione…- brontolò tra sé.
-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.
Drew si concesse qualche minuto per riordinare i pensieri, poi si appoggiò allo schienale del divano coi gomiti e domandò:-Com’è stata per te?
L’inglese gli lanciò un’occhiata distratta. –Com’è stata cosa?
-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell’altro.
-Oh… quella. Tutto nella norma.- la sua risposta fu abbastanza frettolosa e destò qualche sospetto nel suo interlocutore. Resosi conto di essere osservato, prese un respiro profondo e mise in pausa il proprio lavoro. –Non è stata esattamente una passeggiata.- ammise infine.
-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.
Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.
Capendo che non era un argomento facile, Andrew decise di passare a qualcosa che, sperava, fosse meno spinoso. –Tu ed Evan… quando vi siete incontrati?
Sembrò pensarci su, anche se non aveva bisogno di frugare nella memoria per ricordare quel giorno. Era stato l’inizio e la fine di tutto. –Avevo diciassette anni, quindi era il 1856.- rispose. –Ero un giovane rampollo, istruito e parecchio tronfio.- aggiunse, ridacchiando.
-Tu?- l’americano sollevò un sopracciglio, divertito.
David si esibì in una breve risata. –Sì, proprio io. Cosa non ti torna? Il fatto che fossi tronfio o che fossi un rampollo?- chiese, divertito.
-Entrambi.- ridacchiò l’altro, stando al gioco. Era facile parlare con l’inglese perché riusciva sempre ad alleggerire conversazioni che, altrimenti, sarebbe stato problematico affrontare. O per lo meno faticoso.
-Be’, lo ero.- confermò, tornando serio. –E, nonostante tutti i tentativi di mia madre, ero particolarmente stupido a quell’età.- ammise.
-Chi non lo è? A parte Amanda… lei è nata con un senso del dovere così spiccato da far paura.- replicò Andrew.
L’altro annuì con un rapido cenno, dandogli ragione. Poi si stiracchiò pigramente e si alzò dalla sedia su sui era stato per quasi due ore. –Non sapevo di essere un licantropo e, quando mi sono trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.- rivelò, sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.
-Posseduto? Intendi dal demonio?
Confermò con un cenno del capo, facendo ondeggiare i ricci scuri. –Esattamente. All’epoca si credeva ancora in cose del genere.- rivelò. –Anche se gli inglesi ci credevano comunque meno degli scozzesi.- aggiunse, ghignando.
-Anche Evan ti credette posseduto?- indagò Drew, curioso. Lasciarsi trasportare dalle parole di David era più facile che cercare di combattere la bestia e sembrava avere un potere calmante sulla parte animale.
-Non lo conoscevo ancora.- confessò. All’espressione stupita del suo interlocutore aggiunse:-Ci saremmo incontrati da lì a sette anni.
-Oh… credevo che…
David gli si avvicinò, sedendosi sul bracciolo del divano. –Che fossimo cresciuti insieme?- suggerì. Al cenno affermativo del ragazzo, lui scosse la testa. –No, ma è come se fosse successo.- concluse con un sorriso.
-Quindi… la prima volta che ti sei trasformato…?- dopo una breve pausa, Andrew tornò all’attacco. Sapere come gli altri avevano affrontato la prima notte di luna piena gli sarebbe stato utile per poterne ricavare consigli e magari qualche dritta.
Era terrorizzato all’idea di diventare un mostro assetato di violenza, impossibile da fermare se non con un colpo al cuore.
-Ero nella stalla, stavo accudendo i cavalli. C’era la luna piena, ovviamente.- raccontò, meditabondo. Si guardò le mani, cercando le parole giuste per raccontare quell’esperienza. –Quando mi sono trasformato ho spaventato i cavalli… loro hanno tentato di fuggire, ma la loro paura ha eccitato la bestia e, prima che potessi fermarmi, stavo affondando i denti nella giugulare di un destriero.- proseguì. –Ne ho uccisi tre prima che mia madre raggiungesse le stalle e…- fece per proseguire, ma il suo cellulare squillò.
I due si guardarono, gli occhi dilatati per la sorpresa. Reprimendo un brivido, David si alzò ed afferrò il cellulare, accettando la chiamata con un’espressione perplessa in viso. –Alst?
-Non mi avevi detto che l’intero branco sarebbe stato ad attendere Evan e gli altri!- lo accusò lo scozzese, l’accento molto più marcato del solito.
-Non ti avrei chiamato, in caso contrario…- si giustificò, facendosi piccolo. A quando pareva Alastair incuteva un certo timore sia a David che ad Evan.
-David Rockbell! Come hai potuto lasciare che il tuo Alfa andasse a farsi ammazzare?! Qui ce ne sono abbastanza per rimetterci le penne!- lo rimproverò, arrabbiato.
Dave sentì uno spiacevole rossore farsi spazio sul suo viso. –Qualcuno doveva rimanere con Andrew: è la sua prima luna piena.- gli fece presente.
-Lo so, lo so.- lo sentì calmarsi. –Solo che… questa è una trappola bella e buona! Ho già dovuto metter fuori combattimento tre lupi e non sono nemmeno riuscito a raggiungere gli altri.- aggiunse.
-Alst…
-Sì, cercherò di arrivare in tempo. Devo farlo. Ma questo non mi impedirà di dirgliene quattro.- brontolò.
-Se ti riesce, fai fuori Jared.- suggerì Dave. Drew lo guardò con tanto d’occhi. Non l’aveva detto sul serio, vero?
-Non ho voglia di andare in galera.- gli fece presente Alastair.
-E io non voglio che i cuccioli subiscano violenze per espiare colpe altrui.- ribattè l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ho detto che non lo ucciderò, non che lo lascerò andare illeso. Nel caso mi capiti tra le mani, avrà un brutto quarto d’ora.
-Conto su di te, Alst.- disse David, rassicurato.


  Osservò con attenzione la scena che aveva davanti.
Oltre il pianerottolo della scala antincendio si vedevano Jared e il suo Gamma, Simon. Accanto al capo dei Blacks, legato mani e piedi con quelle che sembravano corde intessute di fili d’argento, c’era il piccolo Blake.
I due stavano tenendo sotto controllo uno spiazzo abbastanza ampio davanti ad alcuni capannoni, aiutati da altri sei membri del branco.
“Hanno scelto una buona posizione, non fosse che noi non abbiamo intenzione di attaccarli frontalmente.”, ragionò Evan.
Emily, alle sue spalle, smise di digrignare i denti e lo guardò per alcuni istanti. “Dobbiamo salvare Blake! Non m’importa nulla di strategie, ora come ora!”, protestò.
Lui allora si voltò a guardarla, ghiacciandola coi suoi occhi. “Se uscissimo allo scoperto senza avere un piano d’attacco, non salveresti Blake nemmeno volendo.”, le fece presente. “Sono in vantaggio numerico, se non l’hai notato.”, aggiunse subito dopo, facendole cenno col muso.
La lupa si spazientì e fece schioccare le fauci. “E allora cosa dovremmo fare?!”
“Non sono io la Sentinella, qui. Dimmelo tu.”, fu la risposta.
A quelle parole Emily sembrò ritrovare un po’ di calma e tornò a guardare verso l’esterno con un rinnovato spirito d’osservazione. Utilizzò tutti e cinque i sensi per scandagliare la zona e cercare un angolo cieco da sfruttare.
Aveva riconosciuto i lupi presenti, in particolare uno di loro. Attirò l’attenzione di Evan con un rapido movimento degli occhi e lo spinse ad osservare il licantropo più lontano dal punto in cui si trovavano.
“Quello è Patrick. Recentemente ha avuto una disavventura con un conservatore.”, spiegò. “Il tizio ha cercato di tranciargli di netto la gamba destra con una garrota d’argento. La ferita non è ancora completamente guarita. Potremmo sfruttare questa cosa per forzare il blocco.”, illustrò il proprio piano.
“E’ una Sentinella?”, domandò allora lo scozzese.
Lei scosse il capo. “No, un semplice lupo. Solo un po’ troppo avvezzo all’alcool.”, rispose.
Van mandò a memoria l’informazione e tornò a scandagliare l’intorno, prestando particolare attenzione ai suoni attorno a sé. Non aveva ricevuto richieste d’aiuto da parte di Eric, quindi il ragazzo era riuscito nel suo intento senza problemi. L’aveva sottovalutato, a quanto pareva.
“Resta nascosta. Vado a ridurre il nostro svantaggio.”, le comunicò ad un certo punto. L’americana fece per protestare, ma lui non glielo permise, sparendo rapidamente dalla scena. Scese una rampa di scale secondaria e raggiunse la porta arrugginita che aveva notato entrando. Lentamente e con attenzione la aprì facendo perno col muso.
Sbirciò all’esterno, percependo chiaramente la preoccupazione di Emily. I ciuffi di pelo sulla sua schiena vibravano tanta era l’ansia della lupa.
“Devo insegnarle a controllarsi.”, pensò, infastidito. Puntò gli occhi sul suo obiettivo e sgusciò fuori, trovando riparo dietro alcune casse di legno. Doveva percorrere circa cinquecento metri prima di poter essere abbastanza vicino da attaccare.
Si guardò intorno, cercando un modo per passare inosservato. Individuò una fila di container e, poco più distante, un edificio con la copertura voltata.
“Può andare.”, si piegò sulle zampe e si mise a strisciare il più rapidamente possibile verso il primo container di metallo. Cercò sempre di rimanere sottovento o di camuffare il proprio odore con quello dei rifiuti chimici ammassati un po’ ovunque in quella zona del porto.
Quando raggiunse la propria meta accelerò il passo, zigzagando tra un volume metallico e l’altro. Balzò sull’ultimo e si lanciò sul tetto dell’edificio, sparendo subito dopo dietro uno degli shed della copertura.
  Alle sue spalle la situazione non era cambiata, mentre Patrick sembrava essersi insospettito. Lo vide lanciare occhiate furtive da un lato e dall’altro e allora decise di attirarlo all’interno del capannone e avere ragione di lui. Si lasciò cadere di sotto ed atterrò facendo più rumore del dovuto: questo attirò la sua preda.
 Il licantropo entrò immediatamente nell’edificio, analizzando l’ambiente grazie ai suoi sensi sviluppati. Nemmeno il tempo di mettersi sull’attenti che Evan gli piombò addosso e lo azzannò alla giugulare, stringendo quel tanto che bastò per fargli perdere i sensi.
“Fuori uno.”, comunicò. “Mantieni la posizione.”, aggiunse subito dopo.
Lanciò una rapida occhiata al licantropo privo di sensi, poi si affrettò verso l’uscita, pronto per metterne fuori combattimento un altro.


  Era quasi riuscito ad avere la meglio su tutti e quattro i lupi lanciati al suo inseguimento, non fosse stato per quello che continuava ad inseguirlo.
Sistemare i primi tre era stato relativamente facile, ma l’ultimo rimasto era riuscito a trasformarsi ed ora lo stava quasi raggiungendo, dato che aveva una falcata lunga quasi il doppio della sua.
  Aveva il fiato corto e il costato gli doleva terribilmente.
Ma non poteva chiedere aiuto ad Evan, rischiando così di distrarlo dal suo compito, ossia salvare il piccolo Blake.
“Ti sto per raggiungere, stupido lupo.”, lo minacciò il suo inseguitore. Per poco Eric non inciampò nelle proprie zampe, carambolando a terra. Recuperò la concentrazione e chiese un ultimo sforzo al proprio corpo.
Doveva trovare qualcosa che potesse aiutarlo a sbarazzarsi di quel licantropo, ma non gli veniva in mente nulla. La sua testa era occupata da un solo pensiero: scappare.
Poi, con la coda dell’occhio, notò alcuni barili accatastati l’uno sull’altro. “Trovato!”, virò verso sinistra, cambiando direzione. Alle sue spalle, il suo inseguitore fece lo stesso.
Eric accelerò ancora di più il passo, circumnavigando alcune casse da imballaggio grosse il doppio di lui.
“Non vorrai mica nasconderti, vero cuccioletto?”, lo schernì l’altro.
“Adesso vedrai.”, pensò il giovane. Piegò a gomito, rischiando di sbattere contro un container e cambiò bruscamente direzione. Le sue zampe slittarono sull’asfalto, producendo un leggero rumore metallico, ma recuperò immediatamente la stabilità.
Balzò sulla prima cassa ed iniziò la risalita.
Durante l’ascesa cercò di tenere sott’occhio il proprio avversario, ma ben presto lo perse di vista. Ansante, fu costretto a fermarsi e guardarsi intorno. Percepiva ancora la sua presenza, ma l’odore dei fluidi chimici gli faceva pizzicare il naso a tal punto da impedirgli di fiutare qualsiasi altra cosa.
Si era messo nei guai da solo.
“Maledizione!”, imprecò, infastidito dalla sua stessa ingenuità.
“Stavi cercando me?”, la voce del membro dei Blacks gli arrivò alle spalle. Eric si voltò con uno scatto, tentando di allontanarsi, ma quello lo afferrò per la coda e lo lanciò verso le casse più in basso.
  Il giovane lupo tentò di avvitarsi su se stesso per attutire la caduta, ma si schiantò comunque contro i contenitori, mandandoli in mille pezzi. Cadde dentro uno di essi, mentre una pioggia di schegge e segatura lo investiva.
Stordito, tentò di rimettersi in piedi il più in fretta possibile, ma la testa gli risuonava come una cassa armonica. Digrignò i denti e chiuse gli occhi, provando a scacciare quel fastidioso ronzio.
Quando li riaprì si ritrovò a fissare l’altro licantropo, ritto davanti a lui e pronto a finirlo con un colpo della sua zampa artigliata.
Mosse un passo all’indietro nel disperato tentativo di evitare l’attacco, ma si ritrovò bloccato dal fondo della cassa. Non avendo altra scelta, si preparò a lottare fino all’ultimo sangue.
L’altro rise sguaiatamente del suo tentativo di difendersi e caricò il colpo, sicuro di metterlo a segno.
Stava per abbassare violentemente la zampa quando una forma indistinta gli piombò addosso.                                                                                                                   
Eric lo vide sparire dall’apertura e sentì poco dopo il rumore di due corpi che sbattevano violentemente contro il terreno. Confuso, mise immediatamente il muso fuori dalla cassa ed osservò il licantropo alle prese con un avversario dal pelo rossiccio.

Da principio pensò fosse Evan, ma poi non riconobbe l’odore e si rese conto che il colore del manto era diverso.
“Ma chi…?”, si ritrovò a chiedersi, confuso.
Al nuovo arrivato bastarono pochi attimi per mettere fuori gioco l’avversario, mandandolo a sbattere contro i barili che l’europeo aveva puntato poco prima.
Dopo essersi assicurato che il lupo avesse veramente perso i sensi, si voltò ed osservò il ragazzo. “Tu sei il nuovo affiliato del branco di Evan, giusto?”, gli domandò, annusandolo accuratamente. L’odore gli era nuovo, quindi non poteva essere Andrew.
“S-sì… ma voi chi siete?”, domandò l’altro.
“Alastair, Beta del branco MacGregor e mentore di Evan.”, spiegò sommariamente. “Lui dov’è?”, aggiunse subito dopo.
“E’ andato a liberare Blake. Io dovevo distrarre le sentinelle.”, spiegò, dopo l’attimo di sorpresa.
“Andiamo ad aiutarlo prima che si faccia ammazzare.”, disse perentorio. Lanciò una rapida occhiata per assicurarsi che il giovane lupo fosse incolume e poi si mise a correre verso la banchina.
Dopo un’esitazione, Eric si affrettò a mettersi nella sua scia, rassicurato e insieme spaventato dall’intervento di un membro esterno al branco.
  Probabilmente era stato David a contattarlo, ma ciò significava che la situazione in cui si erano cacciati poteva essere più pericolosa di quanto avessero preventivato.


-Cosa sta succedendo? Perché Alastair sta raggiungendo Evan e gli altri?- domandò allarmato.
David si voltò a guardarlo, sul viso un’espressione di vergogna. –Non potevo permettere che andasse nella tana del lupo senza supporto. Alst ha molta esperienza e saprà sicuramente essere un valido aiuto.- spiegò.
Andrew si accigliò. –Ma ti aveva detto…
-Lo so cosa mi aveva detto. Non ho mai assicurato che avrei obbedito.- gli fece notare, leggermente infastidito. Drew lo osservò distogliere lo sguardo, probabilmente irritato per esser stato scoperto.
-Non devi giustificarti con me: l’avrei fatto anche io.- commentò il neo nato licantropo.
-Questo non mi salverà la pelliccia, più tardi.- replicò l’altro con un sorriso amaro. –Ma non sono riuscito ad impedirmelo.
-Tu ed Evan siete molto legati, vero?- Andrew decise di spostare lo conversazione sul vecchio argomento. O quasi.
Dave si appoggiò al bordo del tavolo ed incrociò le braccia. –Sì, siamo come fratelli.- rispose in un sussurro. Puntò lo sguardo oltre la finestra della sala, vagando in vecchi ricordi che stavano chiedendo di essere ascoltati.
Dopo qualche attimo d’esitazione, l’americano tentò di riprender l’argomento trasformazione. –Prima… mi stavi raccontando della tua prima mutazione…- buttò lì, cercando di non sembrare assetato di notizie come in verità era. Voleva capire come gli altri fossero sopravvissuti, dato che erano secoli che i licantropi affrontavano la loro prima trasformazione e riuscivano a controllarla, chi in modo più efficace chi con qualche difficoltà.
-Già…- David si lasciò sfuggire un sospiro. Drew si sporse leggermente dallo schienale del divano, in attesa. –Be’, per fortuna mia madre era una donna dalle insospettabili risorse.- aggiunse.
-Ok, da questo posso dedurre che se la sia cavata...- il suo interlocutore cercò di tirare le somme.
-Precisamente. Mi ha tenuto a bada con lo spillone per capelli che aveva sempre con sé. Era d’argento.- confermò l’altro. –Ricordo che la riconobbi, dopo un po’… probabilmente dall’odore o per via della voce. Fatto sta che iniziai una dura lotta con la bestia, per impedirmi di attaccarla e farle del male.
-E ci sei riuscito?- chiese Andrew, interessato. Era proprio questa l’informazione che voleva ottenere.
Dave si passò una mano tra i capelli, scompigliando i ricci scuri. –Sì… ma mi sono beccato quello spillone sulla spalla.- ammise. –Quello bastò a fermarmi, però. Scappai verso la brughiera e me ne restai nascosto, a leccarmi la ferita, per il resto della notte. Se escludiamo gli animali selvatici che ho sbranato.- concluse.
-Quindi non eri completamente fuori controllo!- esclamò Drew. Il tono improvvisamente alto della sua voce colse di sorpresa l’inglese, che lo guardò con tanto d’occhi. –Mi dispiace… è che sto cercando di capire come voi siate riusciti a sopravvivere alla prima notte.- si giustificò.
-Be’, non credo che farti pungere da uno spillone possa essere una soluzione.- osservò David, ironico.
Il giovane lupo scosse la testa. –Direi di no… Ma ora ho un po’ più di fiducia nelle mie capacità.
-Lieto di esser stato d’aiuto.- rispose il suo Beta. Lo vide aprir bocca per aggiungere altro, ma lo anticipò con un gesto della mano. –Concentrati su quello che senti. Io torno subito.- mormorò, prima di dirigersi verso la propria camera.
Sentì lo sguardo di Andrew su di sé per tutto il tempo, ma lo ignorò: aveva bisogno di cinque minuti da solo.
  Si chiuse lentamente la porta alle spalle e poi ci si appoggiò di peso, chiudendo gli occhi. Prese un respiro profondo e lasciò che i ricordi lo invadessero.


***

   L’odore ferrigno del sangue era tutt’attorno a lui e sembrava eccitare il demonio che l’aveva posseduto. Non sapeva cosa fosse successo né perché fosse stato scelto come bersaglio, fatto sta che un attimo prima stava pulendo uno degli stalloni di suo padre e l’attimo dopo ne stringeva la giugulare tra le fauci.
Sconvolto aveva mollato la presa, per poi ritrovarsi nuovamente investito da quell’odore dolce e invitante. Senza pensarci aveva attaccato il destriero nel box accanto, scatenando il panico tra gli altri cavalli nella stalla.
Mentre era intento a far scempio di quella povera creatura, si era aggiunto un nuovo odore a quello del sangue. Confuso, aveva alzato la testa e fiutato l’aria.
-David…?- si era sentito chiamare. Quel nome gli diceva qualcosa, ma era troppo difficile pensare in quel momento. Affondare i denti nella carne di quei cavalli era più semplice, più immediato.
Osservò la nuova preda e si rese conto che non apparteneva al mondo animale. In qualche modo, il demonio dentro di lui capì che si trattava di un essere umano.
L’istinto di caccia montò in  lui come la marea e, senza pensarci, si scagliò contro quell’esile figura che reggeva in mano una lampada.
Quella, vedendosi attaccata, ebbe la prontezza di depositare l’oggetto ed estrarre un lungo ago dalla folta massa di riccioli scuri. Quando i due corpi entrarono in collisione, si ritrovò ad uggiolare, invaso da un dolore improvviso quanto bruciante.
  Si contorse su se stesso, riempiendosi il pelo di paglia. La sua percezione del mondo circostante era stata messa sottosopra e non riusciva più a capire quali fossero le sue priorità: uccidere o scappare.
Con la coda dell’occhio colse un movimento e la bestia fu lesta a rimettersi sulle quattro zampe, nonostante riuscisse ad appoggiarle completamente solo tre.
-David… va tutto bene…- tentò nuovamente la voce. Gli suonava familiare, ma non riusciva a schiarirsi la mente. Era come se tutto fosse avvolto da un alone rosso.
Prese ad ansimare, tentando di prendere aria. I suoi occhi erano fissi su quella figura e la sua mente vagava impazzita tra mille immagini e sensazioni.
  Sentiva il sangue gocciolare copioso dalla ferita alla spalla e la zampa pulsare come l’Inferno. Doveva essere la punizione divina per essersi opposto al padre e aver imposto le proprie idee: sapeva di non averne il diritto, ma l’aveva fatto comunque.
“Chiedo perdono.”, riuscì a formulare quel breve pensiero prima di esser nuovamente aggredito da odori e suoni. La sua scatola cranica rimbombava come una cassa di risonanza e aveva la bocca piena di saliva.
Voleva attaccare la figura umana che l’aveva ferito, ma qualcosa gli diceva che non poteva farlo. Che se ne sarebbe pentito.
  E poi c’era il sangue, caldo e denso.
L’odore lo avvolgeva come una morbida coperta, mandando su di giri l’essere infernale che si era impossessato di lui.
-Dave… devi calmarti.- ancora quella voce, questa volta con un tono più deciso.
Serrò gli occhi e cercò di ricordare, ma l’istinto premeva per essere ascoltato. Ad un certo punto si sentì schiacciare da una ferocia così cruda che balzò di lato ed attaccò senza remore un altro cavallo, direzionando sul povero animale tutta la propria forza.
Ebbero un’intensa colluttazione, durante la quale distrussero una parete del box. I cavalli rimasti ne approfittarono per rompere i cancelli e fuggire definitivamente. La proprietaria della voce dovette buttarsi in un cumulo di paglia per non essere investita.
Ma alla bestia non importava: il suo mondo finiva lì dove iniziava il collo del cavallo.
Tentò di azzannarlo, ma fu buttato violentemente a terra. Ricevette un colpo sulla cassa toracica, ma si ribellò e colpì l’avversario con una zampa, ferendolo all’altezza delle budella.
  L’odore sgradevole delle interiora lo colpì come un maglio e si gettò a capofitto su quel banchetto.


***

  Il suo diversivo ebbe vita breve, proprio come aveva preventivato.
Sapeva che i Blacks non erano degli stupidi e dopo la sparizione di tre dei sei lupi posti a guardia del magazzino, ritrovarsi attaccato fu la naturale e logica conseguenza.
Evan fissò i due lupi che gli erano arrivati alle spalle e lasciò lentamente andare la presa sulla collottola della sua ultima vittima.
Percepiva chiaramente la loro ostilità e sapeva che l’avrebbero attaccato di lì a poco. Il licantropo mancante era sicuramente andato ad avvertire il loro Alfa.
“Che venga pure. Ho proprio bisogno di fare un po’ di confusione.”, pensò, mantenendo la calma. La corazza emotiva che aveva costruito attorno a sé era ancora lì: si era ammorbidita, quello era vero, ma c’era ancora. E gli permetteva di mantenere una padronanza di sé quasi totale.
“Jared e Simon si stanno per muovere. Sono nervosi.”, la voce di Emily lo colse di sorpresa, distraendolo per alcuni istanti.
  Quando tornò a focalizzarsi sulla situazione si ritrovò a schivare, grazie al puro istinto, un affondo diretto all’articolazione della zampa anteriore sinistra. Si gettò di lato e poi scattò immediatamente contro uno dei suoi avversari, finendo a rotolare con lui sull’asfalto.
I denti raggiunsero ogni punto libero ed in poco i due si ritrovarono a sanguinare simultaneamente da diverse ferite. La più brutta era quella sul muso di Evan: aveva parte del naso lacerata e in alcuni punti si vedeva il vivo della carne sottostante.
  Evitò di arricciare le labbra e ringhiare il proprio disappunto, preferendo attaccare con rinnovata energia. Si slanciò a fauci aperte ed azzannò il licantropo poco sopra la scapola, disarticolandogli l’arto.
  Quello lanciò un uggiolio agghiacciante e finì zampe all’aria, guaendo per il dolore. Il suo compagno non perse tempo a soccorrerlo e si gettò sullo scozzese. Evan si abbassò giusto in tempo, riuscendo a scivolare sotto il corpo dell’altro. Fece perno con tutte e quattro le zampe e spinse contro la cassa toracica dell’avversario: in poco lo ribaltò come un vecchio tavolo, mandandolo a sbattere contro il muro di mattoni alle loro spalle.
  D’accordo, non era stata una mossa degna di un lupo, ma lui era un licantropo e nessuno aveva mai detto che non si potessero sfruttare le tecniche di lotta libera durante uno scontro.
A quanto pare il suo sfidante la pensava allo stesso modo, dato che afferrò un grosso pezzo di legno coi denti e tentò di colpirgli la testa. Lo stupore gli fece rischiare una bella botta, ma riuscì ad evitarla rotolando di lato.
Nel momento esatto in cui riguadagnò la posizione eretta, l’altro lupo si avventò su di lui con tutto il suo peso, cercando d’inchiodarlo a terra. Van approfittò dell’accelerazione della caduta e lo spedì nuovamente contro un muro, spingendolo via con le zampe posteriori.
“Ma non impari mai…?”, chiese, quasi divertito.
“Taci, stupido europeo!”, ringhiò quello. Evan poteva benissimo essere scozzese, ma il suo avversario aveva un riconoscibile accento sudamericano.
Ignorò l’insulto e si mise a scandagliare l’intorno coi sensi. Simon e Jared non si erano ancora accordati sulla strategia da adottare ed Emily fremeva, in attesa. Doveva liberarsi in fretta di quello scocciatore per poter impegnare l’Alfa e il suo Gamma.
“Non ti distrarre!”, ringhiò il suo avversario, scattando nuovamente verso la sua gola. Infastidito da quell’interruzione, il giovane MacGregor lo colpì con forza sul muso, finendo per danneggiargli l’occhio destro.
Il licantropo tentò di proteggersi dalla zampata, ma la sua reazione fu troppo lenta. Non appena venne colpito il suo muso scattò di lato, entrambi gli occhi serrati. “Come hai osato?!”, sbraitò.
“Ho solamente contrattaccato.”, fu la risposta.
“Bastardo!”
Mezzo accecato, l’altro cercò di attaccare nuovamente, ma il suo attacco fu facilmente deviato. Disorientato e con la vista danneggiata, terminò la propria corsa in mezzo ad alcuni pallet di legno. Quando il polverone si dissolse, Van notò che aveva finito per infilzarsi una coscia con una scheggia grossa quanto la zanna di un cinghiale.
Ringhiando ed imprecando, il sudamericano cercò di liberarsi, ma fu tutto inutile.
“Io eviterei di agitarmi così: potresti fare molti più danni di quanti tu ne abbia già fatti.”, gli consigliò Van, prima di uscire dal magazzino.
Si era stufato di quel riscaldamento: aveva poco tempo ed era ora di fare sul serio.


“Quanti ne hai seminati, ragazzo?”, si sentì chiedere.
Per poco Eric non incespicò nelle proprie zampe, colto alla sprovvista. “Come…?”, gorgogliò, confuso.
Alastair gli lanciò una rapida occhiata da sopra la spalla. “Quante erano le sentinelle?”, domandò, senza spazientirsi. Era comprensibile che il giovane fosse disorientato, considerata la sua età e il fatto che quella fosse una prima esperienza di lotta parecchio difficile.
“Quattro. Ma uno lo ha sistemato lei.”, rispose, ricomponendosi.
“E quanti ce ne sono ancora?”, continuò a correre, sfruttando il proprio senso del fiuto per captare l’odore di Evan. Sperava solo che non fosse troppo tardi per aiutarlo.
“Ah… credo ci fossero altri sei lupi a guardia del piccolo. Più l’Alfa e il Gamma.”, disse, riportando alla mente ciò che gli aveva riferito Emily. Nonostante ognuno di loro stesse svolgendo compiti diversi, il collegamento mentale era rimasto attivo, simile ad un rumore di fondo. “Però…”, il pensiero attraversò la sua mente come un fulmine.
Alst decelerò, in modo da affiancarlo. Lo interrogò con lo sguardo, spingendolo a terminare la frase.
“Emily aveva parlato di trenta elementi… se i conti sono giusti, lì ce ne sono a malapena tredici. Anche supponendo che loro due ne abbiano fatti fuori altri, ne mancherebbero comunque una decina.”, realizzò. Sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Che avessero commesso un passo falso di quelle dimensioni?
Lo scozzese sgranò leggermente gli occhi, facendosi d’un tratto allarmato. Era probabile che, spinti dall’urgenza di salvare il cucciolo, Evan e la giovane lupa avessero sottovalutato il problema, focalizzandosi solo sui lupi presenti nelle immediate vicinanze.
Mentre la sua mente ragionava a più non posso, notò il suo compagno tendere le orecchie e farsi più vigile.
Sollevò il capo e si mise in ascolto. “Ci stanno seguendo. Otto, a giudicare dal rumore.”, disse solamente. Come aveva temuto, gli altri lupi si erano tenuti in disparte per poter fungere da spalla nel caso in cui la situazione si fosse fatta difficile. Era come trovarsi stretti due cappi al collo: non appena si credeva di aver allentato il primo, ecco che sopraggiungeva l’altro.
  Eric tentò di mantenere la calma, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito tanto facilmente. Aveva dato per scontato di aver portato a compimento il proprio incarico, ma si era sbagliato di grosso. Il fatto che avesse incontrato solo quattro lupi a sorvegliare una delle vie d’accesso al porto non significava che non ce ne fossero altri, nei paraggi.
“Sono fritto!”, piagnucolò.
“Lo sarai se non riusciremo ad aiutare il tuo Alfa.”, gli fece presente Alst. “Muoviamoci.”


  Il grosso lupo dal pelo chiazzato di ruggine lo fissava bellicoso, ma non sembrava aver intenzione d’attaccare.
-Tu..!- Simon non poté impedirsi di esclamare. Fece un passo avanti, ma Jared lo trattenne con un gesto della mano.
-E’ quello il lupo che vi ha attaccati?- chiese al suo sottoposto. Il licantropo lanciò una rapida occhiata verso Evan e poi annuì più volte, convinto. L’Alfa dei Blacks sorrise lentamente, sornione e poi si voltò verso il suo terzo in comando. –Tieni d’occhio Blake.- ordinò.
-Cosa vuoi fare, capo? Lascia che se ne occupino gli altri.- protestò Simon. Al che Jared lo gelò con un’occhiata, sdegnato.
-Non ho intenzione di rifondare il branco solo perché siete troppo deboli per poter abbattere uno stupido europeo del cazzo.- ringhiò. –Me ne occuperò io: una volta per tutte.
“Lo stupido europeo ha messo fuori gioco quasi tutte le tue sentinelle.”, gli fece notare Evan, ironico. Il commento non l’aveva scalfito più di tanto o, se l’aveva fatto, la sua corazza emotiva impediva di vederne gli effetti all’esterno.
  A quelle parole l’americano emise un forte verso di gola, irritato. Evan poteva vedere le sue pupille dilatarsi fino a divenire due pozzi neri: la bestia stava prendendo il sopravvento. –Mai scherzare coi Blacks.- disse con voce metallica, distorta.
Il giovane MacGregor roteò gli occhi, chiedendosi perché parlassero tutti per frasi fatte. Gli sembrava di esser stato catapultato in un action movie davvero scadente.
Il suo gesto non passò inosservato e, poco dopo, Jared trasmutò parte del proprio corpo per poterlo attaccare. Gli avambracci ricoperti di pelo e gli artigli lunghi diversi centimetri colsero di sorpresa Van. “Fa parte del nuovo ceppo.”, realizzò.
-Piaciuta la sorpresa?- ghignò il suo avversario, orgoglioso della propria trasmutazione.
“Emily…”, lo scozzese ristabilì il contatto mentale con la propria compagna d’azione. “Tu lo sapevi?”, le chiese, subito dopo aver ottenuto la sua attenzione.
“No… non ha mai assunto quella forma davanti agli altri membri del branco. Molti dei Blacks non sarebbero in grado di trasformarsi come ha appena fatto lui.”, replicò la giovane, preoccupata dalla piega che stavano prendendo gli eventi.
“Tu ne sei in grado..?”, le chiese allora, curioso. Non sapeva che ci potessero essere limitazioni per quanto riguardava la trasformazione parziale: lui non aveva mai avuto problemi e aveva scioccamente creduto che funzionasse così anche per tutti gli altri licantropi della nuova generazione.
“Solo denti ed unghie.”, rispose, leggermente in imbarazzo. Non capiva il perché di quella domanda in un momento del genere.
“Ne riparleremo quando avremo risolto questa questione.”, Evan terminò la conversazione per tornare a concentrarsi sull’Alfa avversario. “Possiamo iniziare.”, disse, cercando di risultare il più strafottente possibile.
Jared sembrava particolarmente incline ad irritarsi e la cosa poteva andare a suo vantaggio, se ben sfruttata.
-Pensi di poter vincere in quella forma?- lo sbeffeggiò l’americano. In risposta Evan iniziò a caricarlo, percorrendo la distanza che li separava con lunghe falcate. –Come vuoi tu.- ridacchiò, balzando a sua volta in avanti.
Emily trattenne il respiro, osservando la scena dal suo nascondiglio.


“Devia a destra, ragazzo!”, ordinò Alastair.
Eric girò il muso di scatto, stupito, ma obbedì senza protestare.
Giusto in tempo per evitare l’attacco a sorpresa di uno dei loro inseguitori, gettatosi su di loro dall’alto di una pila di pallet.
I due furono costretti a separarsi e ad arrestare la loro corsa: gli artigli stridettero sull’asfalto mentre ruotavano di novanta gradi e si fermavano.
  Il licantropo che li aveva attaccati ringhiò contro Alst e poi fece lo stesso con Eric. Senza tanti preamboli lo scozzese balzò in avanti, atterrandogli sulla schiena. Lo morse con forza alla base del collo, affondando i denti fino a grattare contro le prime vertebre.
Il lupo guaì di dolore, gettandosi a terra nel tentativo di scrollarselo di dosso. I due avversari presero a rotolare furiosamente a terra, avvinghiati l’uno all’altro come coccodrilli intenti a lottare.
  Uno schizzo di sangue chiazzò il muso del più giovane lupo, accecandolo per alcuni istanti. Istanti che permisero ad un altro dei Blacks di attaccarlo e gettarlo a terra.
Quando Eric poté vedere di nuovo si ritrovò le fauci dell’altro a pochi centimetri, pronte a serrarsi sul suo muso. Girò istintivamente la testa, sentendole scattare di fianco al suo orecchio destro un attimo dopo.
Colto dal panico fece perno con tutte e quattro le zampe e spinse verso l’alto, riuscendo a sollevarlo quel tanto necessario per scaraventarlo contro una cassa di legno. Il licantropo non gradì particolarmente la sua trovata, dato che gli si gettò nuovamente contro. Questa volta Eric era pronto e lo colpì con forza sullo sterno, deviando la sua traiettoria contro un’altra enorme cassa.
“Ben ti sta!”, esultò il ragazzo.
“Eric, alle tue spalle!”, l’avvertì Alastair. Istintivamente si appiattì a terra, evitando un colpo alla testa che avrebbe potuto essergli fatale. Il suo avversario si sbilanciò e gli finì addosso, mordendogli l’elice di un orecchio.
Guaì una protesta, ma non ebbe il tempo per scrollarselo di dosso, dato che ci aveva già pensato il suo salvatore. I due si scambiarono una breve occhiata, per poi girarsi a fronteggiare i cinque inseguitori rimasti. Erano tutt’attorno, ringhianti e bellicosi.
Il più giovane dei due deglutì, preoccupato. Non sapeva chi attaccare, come attaccarlo e nemmeno se sarebbe stato abbastanza abile da uscirne vivo.
Tutta la spavalderia che aveva esibito non molto tempo prima sembrava solo un lontano ricordo.
Alastair sembrò capirlo, perché gli suggerì di rimanere concentrato su un solo obiettivo per volta.
  Detto fatto: due lupi si staccarono dal gruppo e li attaccarono.
Ripresero a lottare con ancor più foga di prima, soprattutto quando anche gli altri tre avversari di unirono alle danze.


  Mentre Evan e Jared erano avvinghiati in un feroce corpo a corpo, Emily non staccava gli occhi di dosso a Simon. Blake era dietro di lui, tremante e legato. Riusciva a percepire la sua paura, l’agitazione e la bestia che cercava di fuggire, liberarsi da quelle emozioni.
Non poter intervenire la faceva sentire un’infame, ma capiva la necessità di essere cauti: una mossa sbagliata e la vita di suo nipote sarebbe stata a rischio.
  Un rischio mortale, probabilmente.
Una parte della sua mente captò due presenze appena fuori del suo raggio d’azione. Voltò la testa di scatto, cercando di capire se si trattasse di amici o nemici.
Una delle due si palesò essere Eric, mentre non riconobbe l’altra. Fece per chiedere spiegazioni al compagno di branco, ma la sua attenzione fu richiamata brutalmente altrove.
Sgranò gli occhi, sentendo i peli dietro il collo rizzarsi.
“No!”, cercò con lo sguardo la fonte di quel brivido e poco dopo la percepì. I restanti membri del branco si erano nascosti fino a quel momento, azzerando completamente le loro auree per non esser percepiti.
Era una delle tattiche a cui il branco doveva la sua fama. E lei se n’era dimenticata.
“Stupida. Idiota. Cretina!”, trattenne a stento un ringhio di frustrazione. “Evan! Eric!”, chiamò a gran voce.
“Siamo circondati, lo so. È un po’ tardi per dare l’allarme.”, fu la risposta del suo nuovo Alfa. Fece per uscire dal suo nascondiglio, ma l’ordine dello scozzese giunse perentorio e fu costretta a piantare le unghie nelle vecchie assi di legno. “Non posso aiutarvi, così!”, protestò.
“Devi aiutare Blake, non noi.”, le ricordò. “Eric, tieni a bada gli altri.”, spostò subito la sua attenzione sul nuovo arrivato, per poi bloccarsi a metà di un affondo e sgranare leggermente gli occhi d’ametista. “Cos…?”
“A dopo le spiegazioni. Tieni alta la guardia.”, tagliò corto Alastair, balzando su uno dei Blacks appena comparsi.
Evan si riscosse ed evitò per un soffio il pugno di Jared, ricevendo in pieno petto il suo gancio. Sputò tutta l’aria che aveva nei polmoni, rischiando di soffocarsi.
-Non distrarti.- ordinò il suo avversario. Caricò un altro colpo, ma lo scozzese lo evitò rotolando di lato. Imprecò e seguì il suo movimento con la sola rotazione del busto, per avere un appoggio stabile sulle gambe.
Peccato che Van puntò proprio ad uno dei suoi polpacci, affondandogli i denti nella carne con forza. Strappò i muscoli e riuscì quasi a disarticolargli l’articolazione della caviglia, prima di ricevere un pugno sulla tempia.
Mollò la presa, stordito ed arretrò di qualche passo.
Il capo dei Blacks imprecò, portandosi entrambe le mani alla ferita. –Bastardo!
Evan sollevò il capo e sputò un po’ del suo sangue. Prese un respiro profondo e gonfiò i muscoli, pronto a trasmutarsi.
  Non apprezzava particolarmente la forma intermedia perché per mantenerla doveva spendere molte più energie che per quella animale, ma voleva combattere ad armi pari quindi quella era l’unica soluzione.
Avvertì muscoli e ossa riassemblarsi e, dopo una momentanea instabilità, si mise in posizione di combattimento. Poco importava che fosse nudo: quello era un fastidio secondario.
Jared, ormai ripresosi, lo squadrò da capo a piedi. –Notevole.- commentò, impressionato dalla sua stazza.
Van non rispose e lo attaccò, cercando di metterlo alle strette.


-Secondo te come se la stanno cavando?- domandò ad un certo punto Drew.
David distolse lo sguardo dallo schermo del computer, che in realtà non stava minimamente guardando, e fece una smorfia. –Spero bene… ma ci stanno mettendo troppo.- disse.
In effetti era già metà pomeriggio e non avevano più avuto notizie né da Alastair né da nessuno degli altri membri del branco.
Iniziavano a preoccuparsi, tutti e due. E la luna stava per sorgere.
-Come ti senti?- Dave cambiò argomento. Andrew contrasse qualche volta la mano destra, saggiando il controllo sul proprio corpo. –Inizia a farsi sempre più pressante, vero?
L’altro annuì: era da un paio d’ore che era scosso da spasmi e altre piccole avvisaglie dell’imminente trasformazione. –Pensi che debba scendere..?- domandò, ansioso.
-Dipende da te. Da come ti senti.- fu la risposta.
Drew arricciò il naso. -Non sei d’aiuto.- brontolò.
-Non sono dentro di te, non posso sapere cosa senti. Posso solo osservare i sintomi esterni.- replicò, cercando di tranquillizzarlo.
Il giovane allora chiuse gli occhi ed inspirò qualche volta, concentrandosi sulla bestia che aveva dentro di sé. La sentì brontolare, infastidita e gonfiare i muscoli, come se si stesse preparando a squarciarlo dall’interno.
Aveva il pieno controllo del lupacchiotto dentro di lui… no?
-E’ agitata.- ammise. –Parecchio.
David si sporse verso di lui. -Vedi rosso?- s’informò.
-Metaforicamente o letteralmente?
L’inglese sollevò un angolo della bocca, apprezzando il tentativo di sdrammatizzare. –Letteralmente.
Il suo interlocutore scosse lentamente la testa, anche se non sembrava molto convinto della risposta. –Però sento la sua forza crescere…- dovette ammettere.
-D’accordo. Tienila sotto controllo: avvertimi prima di arrivare al limite.- si raccomandò.


  La lotta stava andando per le lunghe e tutti i suoi compagni, compreso il lupo sconosciuto dal pelo fulvo, avevano il corpo ricoperto di ferite.
E lei non poteva fare nulla, se non aspettare che Simon tentasse la fuga con Blake.
Mentre formulava quel pensiero accaddero due cose: il Gamma dei Blacks prese l’iniziativa ed uno degli ultimi membri del branco rimasti si gettò a sorpresa sul lupo sconosciuto.
“Eric!”, ebbe appena il tempo di avvertirlo prima di balzare giù dal pianerottolo su cui si trovava, decisa a fermare Simon.
Mentre scendeva i gradini traballanti avvertì distintamente lo scatto dei muscoli di Eric e il rumore di due corpi che si schiantavano l’uno contro l’altro con forza. Scavalcò il corrimano ed atterrò pesantemente al suolo, il cuore letteralmente in gola.
  Non sapeva cosa fosse successo, ma sperò che fosse andato tutto per il meglio.
Lanciò una breve occhiata alle proprie spalle per accertarsi che non ci fosse nessuno e poi corse verso suo nipote.
Mentre usciva allo scoperto, vide con la coda dell’occhio Evan e Jared, entrambi immobili sul campo di battaglia ormai viscido di sangue. S’impedì di cambiare traiettoria e puntò dritta verso Simon il quale, vedendola arrivare, si fece prendere dal panico.
Afferrò Blake per il colletto della maglietta e lo trasse bruscamente in piedi, frapponendolo tra sé e quella furia nera.
“Bastardo! Ora ti uccido!”, pensò Emily, furiosa.
Percorse ancora una decina di metri e poi saltò, decisa ad atterrare il suo ex compagno di branco. Simon si scansò appena in tempo e lei derapò con le zampe posteriori, rischiando di farsi male.
Rotolò per gli ultimi metri, annullando l’inerzia che le aveva dato il balzo e poi si rialzò subito dopo. Nell’assalto Blake era finito qualche metro più in là, riverso su un fianco: ora la guardava con occhi terrorizzati.
  Ignorò momentaneamente quello sguardo e puntò nuovamente sulla sua preda, ancora in forma umana. Prese la rincorsa e spalancò le fauci, decisa a morderlo. Simon, dal canto suo, si preparò a riceverla posizionandosi di tre quarti.
Quando furono uno davanti all’altro, l’uomo l’afferrò saldamente sotto le mascelle e la mandò a schiantarsi contro un pianale. La forza dell’urto le spezzò il fiato, oltre che un paio di costole.
-Mamma!- gridò il piccolo.
Si rialzò con fatica e scosse il capo per schiarirsi la vista. Giusto in tempo per evitare un altro assalto di Simon. Rotolò a terra, avvicinandosi involontariamente a Blake e alla banchina.
“Emily, che stai facendo?!”, la voce di Evan le esplose nella testa.
“Salvo la mia famiglia.”, fu la sua risposta mentre caricava il suo avversario, ora in forma di lupo.
I due licantropi si scontrarono con forza, azzannandosi ripetutamente. Dopo quelle che parvero ore si separarono, atterrando pesantemente al suolo. Sanguinavano entrambi, anche se Emily aveva un brutto squarcio sul fianco sinistro che metteva in evidenza il bianco delle costole.
Faticava a respirare e aveva della schiuma in bocca. “Mi si è perforato un polmone…”, realizzò, spaventata.
Come avrebbe potuto combattere ridotta così?
Simon sembrò capirlo perché emise un verso di gola e si avvicinò a Blake. Tenne gli occhi fissi in quelli della giovane e, quando fu sicuro di avere tutta la sua attenzione, afferrò il piccolo per la maglietta e lo gettò in acqua.

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Capitolo 20
*** Cap. 19 Vincitori..? ***


Cap. 19 Vincitori..? Il branco sarà riuscito a portare a casa la pelliccia? E la trasformazione di Andrew a che punto sarà?
Date la scalata al capitolo e lo scoprirete.

Buona lettura :)





Cap. 19 Vincitori..?

  Se avesse potuto gridare l’avrebbe fatto, anche col poco fiato che le rimaneva. Ma era ancora in forma animale e l’unica cosa che poté fare fu emettere un uggiolio di terrore.
Osservò impotente il corpo del suo piccolino descrivere un arco in aria e poi sparire nelle acque del fiume Hudson con una cascata di spruzzi.
Spalancò la bocca, tentando ancora di urlare.
  Inutile.
Gli occhi colmi di terrore, restò a fissare i cerchi d’acqua che pian piano scemavano, sperando ardentemente che le corde si fossero allentate e Blake fosse sul punto di riemergere. Percepiva nella propria testa la paura cieca del suo bambino, le sue involontarie richieste d’aiuto telepatico, ma era troppo sconvolta anche solo per rispondergli.
E non sarebbe riuscita ad immergersi per salvarlo, ridotta com’era.
Disperata, girò la testa in cerca di aiuto. Evan era ancora impegnato a fronteggiare Jared e lo scontro sembrava ben lungi dall’essere finito; il nuovo arrivato stava combattendo furiosamente con uno degli ultimi avversari rimasti e non riusciva a vedere Eric.
Ma percepiva la paura e l’ansia di tutti quanti.
Volevano salvare Blake.
  Dovevano salvare Blake, a tutti i costi.


“Ragazzo! Eric!”, Alastair lo chiamò per l’ennesima volta, cercando di ottenere la sua attenzione. Ma il licantropo non si muoveva e l’unico segno di vita era l’alzarsi ed abbassarsi frenetico della sua cassa toracica.
Alst sentì la rabbia montare dentro di sé, simile al ghiaccio che avanza e inghiotte tutto quello che si trovi nei paraggi. Non era mai stato incline a scoppi d’ira violenti, ma sapeva rendersi pericoloso quando voleva.
Arricciò con forza il labbro superiore e puntò gli occhi castani sul lupo che aveva davanti. Se a molti poteva apparire come uno scozzese dall’aspetto un po’ rude, pochi sapevano quanto fosse abile nel controllare i propri impulsi. Era riuscito a raggiungere l’equilibrio interiore e non era più in conflitto con la bestia dentro di sé da parecchio tempo.
Ma questo non voleva dire che aveva perso la capacità di uccidere. Preferiva solo usarla quando era veramente necessario.
  Come in quel momento.
Divaricò le zampe, saggiando con cura l’asfalto consunto sotto i polpastrelli. Il suo avversario sembrava ancora intenzionato ad attaccarlo, pago del risultato ottenuto poco prima.
Li aveva colpiti a tradimento ed Alst aveva reagito troppo lentamente, rischiando di essere preso in pieno. Inaspettatamente Eric si era frapposto tra loro due, intercettando il colpo destinato a lui.
  Ed ora giaceva a terra, praticamente immobile e riverso nel suo stesso sangue.
Non poteva tollerarlo. E non poteva nemmeno permettere che il cucciolo che erano venuti a salvare morisse annegato… quindi doveva liberarsi in fretta di quello scocciatore.
Fece perno su tutte e quattro le zampe e scattò in avanti, coprendo in poco tempo i metri che lo separavano dal suo obiettivo. All’ultimo momento deviò dalla propria traiettoria e si spostò di lato, attaccandolo sul fianco.
Il lupo ringhiò una protesta, cercando di contrattaccare, ma non ne ebbe il tempo. Alastair iniziò a colpirlo da tutte le angolazioni, strappandogli ogni volta un’oncia di carne o qualche schizzo di sangue.
In meno di tre minuti riuscì ad avere la meglio sull’avversario, decretando la parola fine. Osservò il cadavere del lupo, ma poi si girò per concentrare  la propria attenzione su Eric.
“Alst, il bambino!”, la voce di Evan gli esplose in testa.
“Chi si occuperà del ragazzo?”, domandò, esitante.
“Io. Vai!”, ordinò l’altro.
Senza più esitazioni si gettò a capofitto verso la banchina, superando sia Emily che il suo avversario. Intercettò l’odore del piccolo e piegò leggermente a destra, balzando in acqua poco dopo.
   Perforò la superficie come una freccia e, una volta sott’acqua, riassunse sembianze umane. La bestia permetteva loro di fare molte cose, ma il nuoto non era tra le sue abilità più sviluppate.
Scandagliò le profondità grigiastre del letto del fiume, cercando di individuare la piccola sagoma. Sentiva la sua paura, ma con tutto quel fango era difficile vederlo.
Fino a che notò un piccolo baluginio con la coda dell’occhio. Si avvitò su se stesso e puntò in quella direzione, fendendo la corrente con grandi bracciate.
Più si avvicinava più la sua visione d’insieme si schiariva, rendendogli possibile individuare Blake. Senza troppe cerimonie lo afferrò per le corde che lo legavano per trarlo a sé, poi se lo strinse con cura al petto e, con un colpo di reni, tornò a puntare verso l’alto.
Sentiva il cuoricino del piccolo rallentare la propria corsa e sapeva che doveva sbrigarsi.


-Riuscirete a salvare il marmocchio, a quanto pare.- commentò Jared, sprezzante.
Aveva la spalla sinistra lacerata e non riusciva ad usare il braccio già da un po’ ma, nonostante la ferita, rimaneva sempre un emerito idiota.
-Spera di riuscire a salvare la tua pellaccia, piuttosto.- gli suggerì Evan. Avrebbe voluto risparmiare al piccolo Blake tutti quei traumi, così come ad Emily ed Eric, che giaceva ancora a terra. Vivo, nonostante tutto, ma ancora incapace di muoversi.
“Bel lavoro, Alfa.”, si rimproverò. Detestava che altri pagassero per sue imprudenze.
L’americano tentò un affondo, prontamente bloccato dal suo avversario. –Non ti preoccupare per me: me la sono sempre cavata.- rispose, cercando di forzare la resistenza di Evan.
Lui gli lanciò un’occhiata bieca, prima di torcergli il polso e sferrargli un calcio al menisco. –Non lo metto in dubbio.- replicò. –Ma questa volta te ne andrai con un po’ di lividi.
Dai rumori che riusciva a percepire, Alastair stava riemergendo e avrebbe avuto bisogno di aiuto per gestire la situazione. Quindi doveva metter fine a quello scontro.
Gonfiò i muscoli di spalle e braccia, raccogliendo le ultime forze rimastegli: nonostante la spavalderia, aveva alcune lacerazioni e fratture dall’aspetto preoccupante.
  Jared sembrò vedere qualcosa nei suoi occhi perché cambiò improvvisamente espressione, mentre il sangue gli defluiva dal viso. Provò a contrattaccare per liberarsi l’arto bloccato, ma ottenne solamente una frattura scomposta.
Van lo lasciò andare, permettendogli di arretrare, ma subito dopo lo colpì alla base del collo con la gamba destra, imprimendo al corpo del licantropo una forza di rotazione tale da mandarlo a schiantarsi a terra.
Nel punto di atterraggi l’asfalto si sbriciolò, collassando in un avvallamento creato dall’onda d’urto. Soddisfatto, lo scozzese diede le spalle all’avversario, pronto a metter fuori gioco anche l’ultimo lupo rimasto.
Peccato che Simon, il Gamma del branco, se la fosse data a gambe.
“Codardo.”, pensò disgustato.
Sputò un grumo di sangue, ripulendosi la bocca dai residui e poi si avviò rapidamente verso Eric, per controllare come stesse. Mentre si accosciava accanto al corpo un improvviso brivido freddo gli attraversò la schiena.
Sollevò la testa di scatto, cercando d’individuarne la causa, ma non scorse nulla di sospetto.
“Mi sento osservato.”, pensò, mantenendosi davanti ad Eric per proteggerlo da eventuali attacchi. Scandagliò ogni metro quadro in vista, ma i suoi occhi non videro nulla di anomalo in ciò che lo circondava.
  Stava per iniziare una nuova perlustrazione visiva quando colse un baluginio. Puntò lo sguardo verso l’ingresso di un grosso capannone alla sua destra, scrutando attraverso le ombre della basculante di metallo.
Un paio di occhi comparve nel suo campo visivo. Sbatté le palpebre, confuso e, quando tornò a guardare, quelli erano spariti.
Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma era sicuro di averli già visti prima.


 
   Infranse la superficie calma del fiume con violenza, prendendo una grande boccata d’aria.
Si tolse i capelli dal viso e poi percorse i pochi metri che lo separavano dalla banchina, aggrappandosi al bordo con l’ausilio della mano libera.
Blake aveva iniziato a tossire abbondantemente, rischiando di strozzarsi, ma era un buon segno: non avrebbe dovuto rianimarlo.
Fece perno e si issò sul bordo, al sicuro e all’asciutto. Per prima cosa liberò il piccolo dalle corde intessute d’argento, rivelando quanto fossero state più pericolose del bagno fuori programma.
-Figliolo…- Alastair cercò di attirare la sua attenzione. Blake, il viso completamente congestionato a causa dei colpi di tosse, alzò la testa e lo fissò confuso. –Sono un amico di tua madre. Come ti senti?
Il bambino si fece un rapido esame e poi gli mostrò i polsi. –Bruciano…- disse con voce roca.
-Lo so. Ma guariranno, non ti preoccupare. Senti male da qualche altra parte?- s’informò, paziente. Ci pensò su e poi scosse la testa. –Bene. Ti porto da tua madre.
Lo prese in braccio senza sforzo e raggiunse Emily, che nel frattempo era riuscita a sedersi. Ansimava pesantemente e teneva una mano premuta sul fianco per tentare di fermare l’emorragia in corso. Quando sentì i passi dello scozzese sollevò il capo e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Senza più pensare al dolore o ad altro allungò entrambe le braccia, incitando Alastair ad affrettare il passo.
  Quando la distanza che li separava fu annullata, zia e nipote si strinsero forte, quasi come se volessero diventare una cosa sola.
Blake scoppiò a piangere di colpo, dando libero sfogo a tutta la paura che aveva provato in quelle ore di prigionia.
Emily fece lo stesso, anche se con un po’ più di contegno. Che si sgretolò non appena vide la carne viva messa a nudo dalle corde d’argento. Accentuò ancor di più la presa e seppellì il viso nei capelli scuri del bambino.
Alst rimase ad osservare la scena, memore di momenti simili nel proprio passato. Poi, come ricordandosi di dove fosse e perché si trovasse lì, si riscosse e si scrollò di dosso l’acqua. Passò una mano tra i capelli e, dopo un’ultima occhiata al quadretto familiare, raggiunge Evan.
S’accostò al suo pupillo e cercò di capire quanto fosse grave la situazione. Non l’avrebbe mai detto a voce alta ma, considerando lo svantaggio numerico, era un miracolo che non ci fossero state vittime tra le loro fila.
Almeno, non ancora.
-Lasciami controllare il ragazzo.- scostò Van, gentilmente ma con mano decisa. Nel farlo, però, arrischiò una rapida occhiata indagatrice del corpo dello scozzese, prendendo nota delle sue ferite. Alcune sembravano più serie di altre, ma nessuna aveva un aspetto mortale.
  Eric non se la passava altrettanto bene, invece. Spostò gli occhi su di lui e prese a tastargli il corpo alla ricerca delle ferite. Trovò un brutto squarcio all’altezza dello sterno che necessitava di punti di sutura, punti che non poteva assicurargli dato che non aveva con sé l’attrezzatura medica. Gli si erano rotte alcune costole, ma le fratture erano pulite e sarebbero guarite abbastanza velocemente.
La ferita più preoccupante, però, era quella che aveva alla testa e che grondava sangue di un rosso brillante, talmente intenso da sembrare finto.
“Speriamo non abbia subito danni cerebrali.”, si augurò, analizzando con tutti i sensi a disposizione ciò che aveva davanti.
-E’ molto grave…?- la voce di Evan suonò vagamente esitante.
-Lasciami lavorare, per favore.- replicò, un po’ brusco. Non poteva permettersi distrazioni, non in quel momento. –Va’ da Emily.
Non aveva nulla che potesse essergli d’aiuto, con sé, ma poteva controllare tutti i parametri vitali del ragazzo per poter escludere alcune diagnosi. Prima, però, doveva svegliarlo.
Facendo attenzione a non scrollarlo iniziò a richiamarlo alla coscienza usando la telepatia. Sfiorò la bestia di Eric, stuzzicandola e quella rispose abbastanza velocemente da fargli ben sperare. Dovette fare numerosi tentativi prima di svegliarlo, ma alla fine ci riuscì.
-Non ti muovere, ragazzo.- gl’intimò.
Gli controllò le pupille per verificare se ci fosse asimmetria e quindi una possibile emorragia interna. Quando quelle si presentarono uguali e sensibili alla luce, sentì la tensione allentare un po’ la presa.
Fece per chiedergli come si sentisse quando colse il suono di sirene in lontananza.
Confuso, si voltò per cercare lo sguardo di Evan. “Ho avvertito il mio dipartimento circa possibili scontri violenti in questa zona.”, gli disse. “Volevo avere un piano di riserva… anche se intempestivo.”, diede in una scrollata di spalle che doveva apparire noncurante, ma che fece capire quanto fosse stata rischiosa quella retata.
“Ma David…”
“Non l’ho detto a Dave perché non immaginavo avrei chiesto aiuto.”, rivelò.
“Grazie a Dio non sei così sconsiderato come ho temuto.”, Alastair sollevò gli occhi al cielo, prima di tornare a concentrarsi sulle autovetture in arrivo. “Farò ricoverare Eric, per sicurezza. Potrebbe avere un edema cerebrale.”, aggiunse subito dopo.
Percepì, più che vederla, la scossa che attraversò il corpo del giovane MacGregor. Senza rendersene conto, tutti quei cambiamenti che stavano avendo luogo lo stavano trascinando a forza fuori dal suo guscio protettivo.
  Avrebbe potuto essere doloroso, anzi lo sarebbe stato di sicuro, ma sperava che potesse servire a ridargli il ragazzo passionale ed estroverso che aveva visto crescere e a cui aveva insegnato ad amare l’arte del tiro con l’arco.
“Stagli accanto e avvertimi non appena sai qualcosa.”, si raccomandò il giovane, allontanandosi.
Un gemito di protesta lo fece voltare nuovamente verso Eric, che stava tentando di tenere gli occhi aperti per capire cosa gli fosse successo. –Non sforzarti.- disse Alastair. –Sta arrivando l’ambulanza. Verrò con te.- aggiunse, pratico.
La nuova recluta si lappò le labbra, cercando di inumidirle un po’ per poter parlare. –Il… bimbo..?- riuscì a chiedere.
-Scosso, ma salvo.
Eric si concesse un breve sorriso prima che un fremito lo scuotesse e tornasse nuovamente nell’incoscienza.

  Van avvertì la bestia di Eric chetarsi, quasi dissolversi, stremata dal combattimento. Il corpo del ragazzo stava combattendo contro i colpi subiti, cercando di ritrovare il proprio equilibrio.
“E il mio, di equilibrio?”, gli venne da chiedersi.
Ancora non si capacitava di come fossero riusciti a sopravvivere a quell’incursione né di come si sarebbe evoluta la situazione da lì in avanti. Quello che contava, in quel momento, era portare Blake in un posto sicuro e tranquillo, dove potesse riprendersi dallo shock.
Annullò la distanza che lo separava da zia e nipote e si fermò, colpito fisicamente dal miscuglio di emozioni che emanava dai due. Erano così forti da poterne sentire il calore, avvolgente e soffocante al tempo stesso.
Si sentì stranamente a disagio, senza sapere bene come affrontare la situazione.
Gli venne in aiuto il piccolo, che lo guardò con uno sguardo di supplica negli occhi chiari. Evan capì al volo la sua richiesta e, schiarendosi la voce, disse:-Emily, lo stai stritolando.
La lupa spalancò gli occhi e si staccò di colpo dal corpo tremante del nipote, guardandolo come fosse un alieno. –C-cosa..?- balbettò.
-Mi stavi facendo male…- piagnucolò in risposta Blake.
-Oddio, scusami!- fece per riabbracciarlo, ma si rese conto della presenza di Evan. Si bloccò e si guardò intorno, evitando di incontrare lo sguardo dello scozzese.
-Abbiamo vinto. Per ora.- la informò. –Ma Eric ha incassato parecchi colpi e deve essere ricoverato. Voi avete bisogno di un controllo?- chiese subito dopo.
Emily allora si rialzò lentamente in piedi, decidendosi ad alzare gli occhi. –Forse dovresti farti vedere da un medico.- rispose di contro.
-Sciocchezze.- Evan liquidò la questione con una piccola smorfia. –Gli agenti che sono appena arrivati fanno parte della mia squadra. Venite con me: credo avranno bisogno di farci alcune domande.
A quelle parole il piccolo Blake si allarmò ed arretrò di qualche passo. Emily se ne accorse e lo afferrò prontamente per un polso. –Cosa succede, tesoro?- gli chiese, preoccupata.
Lui scosse energicamente la testa. –Non posso! Se dico qualcosa… se… papà si arrabbierà!- farfugliò, ora visibilmente spaventato. Apparve subito chiaro che Jared aveva giocato con la mente del suo stesso figlio, minacciandolo di fargli del male se avesse fatto o detto qualcosa contro di lui.
La bestia dentro Emily digrignò i denti, indignata, ma il suo capobranco fu lesto a fermarla. –Lascia perdere. Abbiamo bisogno di cure, quindi sbrighiamo questa faccenda ed andiamo a casa.- la fissò intensamente per alcuni istanti, sfidandola ad opporsi. Lentamente, anche se riluttante, l’americana rilassò i muscoli della mascella ed annuì.
-Bene. Andiamo.


  Non aveva notizie da parecchie ore, ormai. Né Andrew né David si erano fatti vivi per aggiornarla sulla situazione. Anzi, sulle situazioni, dato che parte del branco era andata in missione.
Sentiva le budella attorcigliate ed aveva un’ansia tale che le mani non smettevano di tremarle. Senza considerare la fastidiosa pulsazione alle ferite che si era procurata quando era stata coinvolta in una partita mortale di guardie e ladri.
  Osservò il proprio riflesso allo specchio e tentò di non spaventarsi. Tutti i muscoli del suo viso erano contratti e sembrava sul punto di esplodere in un grido isterico. Si passò lentamente una mano tra i capelli e si inumidì la base del collo.
“Perché nessuno mi dice niente?”, si chiese, vagamente irritata. Continuava ad oscillare tra l’irritazione e la preoccupazione come un pendolo impazzito.
-Ehi, Mandy, la cliente delle…- Gabrielle spalancò la porta all’improvviso, interrompendosi però subito dopo. –Oddio, stai bene?- chiese preoccupata.
Amanda tentò un sorriso. –Sì. Tutto bene… tranquilla.- mentì spudoratamente. Ed anche male, a giudicare dallo sguardo dell’amica. –Ci sono dei problemi a casa. Con Drew.- confessò con voce stanca.
Gabbie si appoggiò allo stipite della porta e la soppesò in silenzio. –Termina questo appuntamento e poi vai a casa.- le disse.
L’altra alzò la testa di scatto. –Ma… il mio permesso non mi permette di uscire prima di due ore!- protestò.
La direttrice di sala fece spallucce. –Non mi interessa. Ci vediamo di là.- e detto questo la lasciò sola.
Mandy restò a fissare la porta, basita, ma poi si lasciò sfuggire un sorriso. –Grazie.- sussurrò. Per quanto Gabrielle potesse sembrava superficiale (e spesso ce la metteva davvero tutta per dare quell’impressione), aveva un cuore d’oro.
Trasse un respiro profondo, ritrovò un po’ di calma interiore ed indossò il suo miglior sorriso professionale. Un rapido aggiustamento ai pantaloni palazzo che aveva scelto per quella giornata di lavoro ed uscì, diretta verso la sposa delle quindici.
  Fortunatamente la ragazza che le era stata assegnata si rivelò essere pacata e tranquilla. E, cosa molto importante, per nulla sovversiva in merito alle scelte d’abito che le proponeva. Così in meno di un’ora si ritrovarono davanti alla cassa, entrambe sorridenti e soddisfatte.
Amanda si congedò con una stretta di mano e poi si avviò a passo sostenuto verso i camerini, grata a Gabrielle per averla congedata in anticipò. Indossò la giacca con gesti misurati per evitare di riaprire la ferita al fianco, stranamente meno impegnativa di quella alla gamba.
Controllò brevemente entrambe le fasciature e poi si diresse verso l’uscita, salutando con rapidi gesti della mano le colleghe ancora al lavoro.
Una volta fuori venne investita dall’aria carica di odori e storse il naso, infastidita dalla presenza elevata di smog. Sistemò la sciarpa che si era avvolta attorno al collo e si incamminò il più velocemente possibile verso l’entrata della metropolitana.
Il motivo principale era che voleva tornare a casa per vedere come stesse Andrew, ma aveva anche il terrore di incontrare un altro di quei giornalisti insistenti e cafoni. Da quando la signorina Forbes aveva fatto quella scenata davanti l’entrata di Kleinfeld si era ritrovata spesso alle calcagna uno o due sciacalli a caccia di scoop. Anche se nemmeno lei sapeva bene a quale tipo di scoop stessero mirando, dato che si era ritrovata a vivere con Evan per cause assolutamente accidentali.
  Con la mente temporaneamente distratta da quel tipo di elucubrazioni raggiunse la metropolitana e trovò posto presso un seggiolino isolato, accanto al finestrino. Prese un respiro profondo ed iniziò a concentrarsi per mantenere la calma. Non bastava l’ansia, il vagone le ricordava anche della sua paura per gli spazi circoscritti ed affollati.


-Eric è fuori pericolo. Aveva un leggero edema cerebrale, ma si è praticamente già riassorbito.- Evan prese la notizia con grande disinvoltura, nonostante dentro di sé provasse una fitta di sollievo nell’apprendere che il giovane si sarebbe ripreso senza conseguenze.
Osservò il traffico oltre la finestra e continuò ad ascoltare Alastair. Con la mente stava ripercorrendo lo scontro appena concluso e non gli stava prestando la giusta attenzione.
-Evan…- si sentì chiamare.
Spostò lo sguardo dai palazzi oltre la strada e si raddrizzò sulla sedia. –Per quando credi potrete rientrare?- domandò, ignorando il brontolio del suo mentore.
-Preferisco che stia in osservazione, per stanotte.- rispose. –Ma se hai bisogno di me, dammi il tempo di trovare un taxi e sarò a tua disposizione.- aggiunse.
-D’accordo. Noi stiamo finendo di trascrivere le testimonianze relative allo scontro. Ci vediamo a casa.- disse. Fece per chiudere la chiamata, ma poi ci ripensò. –Alst… grazie.
Sentì distintamente l’altro sorridere e salutarlo poco dopo, senza rispondere. Alastair sapeva che, in quei casi, una sua risposta avrebbe messo Evan in imbarazzo.
Il giovane MacGregor fece scivolare il telefono in tasca e si alzò, raggiungendo i colleghi ed Emily. Blake se ne stava addormentato su una panchina poco distante.
“Dev’essere esausto. E sconvolto.”, ragionò, osservando la posizione difensiva che aveva assunto nel sonno.
-Capitano MacGregor, noi abbiamo finito.- annunciò la voce del tenente Simmons. Van si voltò a guardarla e le fece un rapido cenno del capo.
-Ti ringrazio.- disse solamente. Emily si alzò, scarmigliata e sporca di sangue, e lo guardò in attesa di ordini. –Torniamo a casa. Prendi Blake.- le comunicò.
Iniziava a sentire il peso degli avvenimenti su di sé e aveva solamente voglia di strisciare in doccia e lavarsi di dosso il sangue raggrumato. Prima avrebbe dovuto controllare la gravità delle ferite che gli erano state inferte, ma era quasi certo che nessuna di esse fosse mortale.
-Ci sono…- sentì mormorare alla propria destra. Abbassò lo sguardo sulla sua nuova affiliata e notò che stava reggendo il nipote con una stretta d’acciaio, forse nel timore che potesse cadere. Si sarebbe proposto di aiutarla, se tutto in lei non avesse espresso opinione contraria.
Decise allora di lasciarla fare e si avviò verso l’uscita, ringraziando ancora una volta Simmons ed i colleghi per l’intervento tempestivo.
Erano quasi fuori quando Rogers attirò la sua attenzione. Si fermò ed attese di essere raggiunto, mostrandosi calmo e disponibile nonostante le sue energie fisiche e mentali fossero ormai agli sgoccioli.
–Prenditi la giornata di domani.- gli suggerì il suo capo. Fece per ribattere, ma l’altro aggiunse:-Non appena sarai tornato, vorrei che aiutassi la squadra omicidi con la questione dell’Ammenda.
Evan si accigliò. –Non ho molto altro da offrire a parte le informazioni che le ho già riferito.- fece presente.
-Non importa. Sei sicuramente più avvezzo a questo genere di usanze, dato che il branco ha origini irlandesi ed è ancora legato alle vecchie tradizioni.- rispose l’altro, convinto. Alla luce di ciò non gli restò che annuire e promettere il proprio supporto.


-Stanno tornando… - sospirò David.
Andrew, alle sue spalle, si sporse per sbirciare lo schermo del cellulare e controllare di persona il testo del messaggio. –Eric è stato ferito?- si accigliò, preoccupato.
Dave si voltò a guardarlo. –Sì, ma per fortuna Alst ha saputo contenere i danni.- rispose, concedendosi un sorriso sollevato. Subito dopo, però, si fece di nuovo serio. –Non dovresti distrarti. Sento la tua aurea crepitare come se ci avessero gettato sopra della benzina!- lo rimproverò.
L’americano alzò le mani in segno di scusa. –Mi dispiace, ma l’ansia mi stava uccidendo.- disse. –Ora che so che stanno bene mi sento meglio. E posso concentrarmi sul mio personale problema.- aggiunse, tornando a sedersi sul divano. Sprofondò tra i cuscini e ne strinse uno al petto in un gesto istintivo.
David prese un respiro profondo e si mise a girare per il soggiorno. –Ok… devo capire come gestire al meglio tutta quanta la situazione…- mormorò tra sé, le mani intrecciate tra i ricci scuri.
Drew lo osservò in silenzio, perdendosi momentaneamente dietro al via vai del suo Beta. La presenza dell’inglese lo metteva a proprio agio e quasi non gli sembrava d’essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. “Non fosse per il continuo e sordo brontolio che sento nella mia testa.”, pensò.
Poteva percepire la bestia senza difficoltà, ora. E la cosa lo angustiava parecchio, dato che non era sicuramente un buon segno. –Non credi che sia meglio che io vada di sotto…?- domandò, interrompendo i pensieri del compagno di branco.
-Come…?- fece quello.
-Ehm… la luna piena. Ricordi?- tentò di scherzare. –Ormai sento la bestia senza bisogno di concentrarmi. È come se fosse acquattata sottopelle ed aspettasse solo di poter balzare fuori.- ammise, reprimendo un brivido al pensiero.
“Giusto. Come hai fatto a dimenticarti di questo piccolo, insignificante dettaglio?”, si rimproverò l’inglese. –Scusami, hai perfettamente ragione. Meglio se ci avviamo di sotto.- abbozzò un sorriso, cercando di suonare incoraggiante.
Andrew annuì un paio di volte. –La cantina è sicura, vero?- s’informò.
-Certo. Non potrai uscire fino a domani mattina.- assicurò l’altro. Fece per dirigersi verso la porta quando un odore familiare attirò la sua attenzione. –Aspetta!
Drew lo fissò perplesso per poi rendersi conto che i passi che sentiva lungo le scale appartenevano ad Evan. Scambiò uno sguardo stupito con il compare e poi si precipitò ad aprire la porta, affacciandosi al pianerottolo.
-Perché sei ancora libero?- lo apostrofò il suo Alfa. Pentito della propria mossa, l’americano incassò la testa nelle spalle, abbassando gli occhi. Restarono immobili per alcuni lunghi istanti. –Stiamo tutti bene.- aggiunse in un sussurro l’altro.
-Mi fa piacere.- rispose lui, lo stesso tono sommesso e sollevato. –Bentornati.
-Van! Grazie a Dio!- Dave sbucò sul pianerottolo e si avvicinò subito allo scozzese, cercando di determinare l’entità delle sue ferite.
MacGregor, ben conscio del tentativo, si sottrasse all’ispezione facendo cenno ad Emily di raggiungerli. –Blake ha bisogno di cure. È stato a contatto con l’argento.- disse solamente.
Al che i due uomini fecero caso, per la prima volta, al piccolo licantropo che se ne stava strettamente avvinghiato al collo di Emily.
Il suo sconcerto era tale e tanto che anche la bestia dentro di lui stava tremando. Andrew fece per avvicinarsi, pratico nella gestione dei bambini, ma l’odore del sangue lo investì come un maglio. Si bloccò, irrigidendosi e per un attimo non ebbe altra sensazione se non il sapore del ferro sulla lingua.
  La prese di Evan sulla sua spalla, salda ma rassicurante, lo fece rinsavire con un singulto. Si lappò le labbra e lo guardò senza realmente vederlo. –E’ meglio che tu vada di sotto. Gli effetti della luna e dello stress si stanno facendo sentire.- gli disse. Non era un ordine, ma il tono non ammetteva comunque discussioni.
Annuì meccanicamente e, dopo un attimo di esitazione, si avviò lungo le scale. Quando passò accanto al piccolo, il suo istinto gli disse di accudirlo ma sapeva che il sangue gli avrebbe dato alla testa. Strinse i pugni e con uno sforzo di volontà proseguì la discesa.
Sapeva che stavano tutti aspettando con ansia una sua reazione violenta e non voleva assolutamente che ciò avvenisse. Non voleva uccidere nessuno.
Con quel pensiero in mente trattenne il fiato e percorse altre due rampe di scale, sempre più vicino al basamento dell’edificio.
-Rimani concentrato.- la voce di David suonò poco distante e, con la coda dell’occhio, lo vide tre gradini dietro di sé. Annuì rapidamente ed imboccò la porta che conduceva alle cantine.
La semioscurità che regnava nel corridoio di cemento lo spiazzò per alcuni istanti, ma ben presto i suoi occhi presero a distinguere forme e contorni senza problema.
-L’ultima in fondo.- suggerì Dave. Andrew s’incamminò con passo rigido, il tumulto che aveva dentro sempre più crescente.
Digrignò i denti. –David… la sento…- riuscì a dire.
L’altro annuì, comprensivo. –Lo so. La sento anche io.- gli disse, aiutandolo con la propria aura a contenere la bestia.
-E’ sempre così?- l’americano raggiunse la porta indicatagli. La osservò per qualche istante, stupendosi del materiale con cui era stata fatta e dei rinforzi che si scorgevano sui cardini.
-Questo è solo l’inizio.- dovette ammettere il moro. –Peggiorerà con l’avanzare della notte.
Andrew si lasciò sfuggire un mezzo singulto. –Perfetto…
-Entra.- David afferrò con attenzione la maniglia di acciaio e fece pressione. La porta si aprì senza far rumore, ben oliata. Drew non poté fare a meno di chiedersi di che materiale fosse fatta. –E’ acciaio additivato con polvere d’argento. All’interno corre una rete di fili di vischio intrecciato, in modo che ti sia difficile uscire.- spiegò, notando lo sguardo dell’amico.
-Oh. Immagino che non fosse già così.- commentò, sentendosi stupido. Era ovvio che nessun essere umano avrebbe mai progettato una cantina in modo da essere a prova di licantropo.
-No. L’ho modificata non appena abbiamo traslocato.- rispose l’inglese. –Devo ancora fare gli ultimi ritocchi.
Lentamente e con circospezione, il giovane entrò in quella che sarebbe stata la sua personale cella per quella notte. E per molte a venire, probabilmente. –Come saprete quando…?- iniziò, nella voce una leggera nota distorta.
-Non ti preoccupare. Lo sapremo.- lo rassicurò. –C’è un interfono. Se dovessi aver bisogno di qualcosa, usalo.
Andrew ruotò su se stesso, concedendosi una breve esplorazione visiva. Concentrarsi sui dettagli lo aiutava a mantenere la concentrazione. Quel briciolo rimastogli, almeno. –Grazie…- mormorò.
-Vedremo se domani mi ringrazierai o mi maledirai per averti chiuso qua dentro.- sorrise spiacente David.
-Meglio questo che uccidere qualcuno.- gli fece notare l’altro, sedendosi sull’unico oggetto di arredamento presente, ossia una brandina.
L’architetto esitò qualche istante, ma poi si decise a chiudere. –Buona fortuna, Andrew.- sussurrò.


  Era sopravvissuta abbastanza egregiamente alla metropolitana. Ora sperava solo di non trovare la Terza Guerra Mondiale una volta arrivata a casa.
“Perché nessuno mi dice cosa sta succedendo? Nemmeno un messaggio! Niente!”, inveì silenziosamente mentre saliva le scale del sottopassaggio.
Non le avevano dato nessun tipo di notizia o aggiornamento da quando era uscita di casa quella mattina. Ed ora ne aveva abbastanza di restare nell’ignoranza: voleva esser resa partecipe della situazione.
-Situazione che verificherai coi tuoi occhi tra poco, cara.- si disse a mezza voce. Una volta fuori fece per dirigersi verso casa, ma si rese conto di aver sbagliato fermata. Si bloccò sul marciapiedi e si guardò attorno, perplessa. –Dove..?
Con la coda dell’occhio vide una lunga cancellata di ferro e si voltò di scatto verso quella vista, improvvisamente allarmata. Fece per cacciare un urlo, memore dell’inseguimento cui era stata la sfortunata partecipante, ma si trattenne mordendosi forte il labbro inferiore.
  Nel pieno del panico percorse febbrilmente tutto il perimetro del cimitero in cerca del suo aggressore. Poi, di colpo, la sua mente realizzò che il luogo non era lo stesso e che stava in realtà proiettando un brutto ricordo.
Prese un respiro profondo e lesse la targa a lato del cancello. Trinity Cemetery.
Si trovava nel suo quartiere, nella parte alta a confine con Washington Heights. Non troppo lontana da casa, per fortuna.
Rafforzò la presa sulla borsa e si mise a camminare a fianco della lunga recinzione metallica, cercando di non gettare sguardi all’interno, tra le lapidi. Non era mai stata superstiziosa, ma da quando era stata inseguita per mezza Alphabet City rischiando di rimanere impalata su una lancia di ferro aveva sviluppato una certa soggezione per luoghi del genere.
Affrettò il passo, sperando di arrivare il prima possibile sulla via principale e lasciarsi alle spalle le tombe.
  Era quasi arrivata a destinazione quando le scivolò la borsa dalla spalla. Incespicò nei propri piedi, rischiando di cadere e si chinò a raccoglierla. Quando si raddrizzò si ritrovò a fissare oltre le sbarre di ferro, attraverso il prato ben curato punteggiato di lapidi.
Senza che potesse impedirselo il suo sguardo vagò tra i monumenti fino a quando non scorse un piccolo baluginio di luce azzurrastra. Da principio credette di esserselo immaginato, ma poi eccola riapparire al limite del suo campo visivo.
Basita, osservò il piccolo globo evanescente fluttuare nell’aria, incorporeo.
All’improvviso sembrava che tutta la città si fosse acquietata e che non esistesse null’altro al di fuori di quel minuscolo fuoco.
Amanda restò a guardarlo rapita, seguendone la lenta danza aerea come ipnotizzata.
Non seppe dire quanto tempo fosse passato da che si era fermata, fatto sta che la fiammella si eclissò improvvisamente dietro una lapide e fu come se l’incantesimo si fosse rotto.
Mandy ritornò alla coscienza, vagamente confusa.
Si guardò intorno, controllando che fosse tutto normale. Poi un brivido freddo le scese giù lungo la schiena ed una sgradevole sensazione le strinse lo stomaco in una morsa ferrea.
Non sapeva a cosa avesse appena assistito, ma il suo istinto le stava dicendo che non era nulla di beneaugurante.
  Ulteriormente preoccupata, voltò le spalle al cimitero ed attraversò la strada di corsa, diretta verso la prima fermata dell’autobus utile.


-L’hai rinchiuso?- s’informò.
David chiuse lentamente la porta di casa e poi alzò lo sguardo. –Sì. Si è comportato egregiamente, considerato cosa sta passando.- disse con voce stanca.
La realtà dei fatti l’aveva colto all’improvviso e tutto lo stress emotivo che aveva tenuto a bada nel corso di quelle lunghe ore stava chiedendo il conto. Non sapeva se buttarsi a peso morto sul divano per poter dormire oppure sfogarsi verbalmente con Evan per averlo tenuto in panchina.
Mentre valutava le varie opzioni si rese conto che non sapeva che fine avessero fatto i Blacks. Si avvicinò al suo migliore amico e chiese:-Jared e compagnia?
-In fuga. Per ora.- fu la risposta sbrigativa.
David si rese conto che Evan non gli stava prestando veramente attenzione e allora gli chiese cosa lo turbasse. –Il piccolo Blake.- disse lo scozzese. Non convinto, il Beta si sedette sul davanzale della finestra e puntò il proprio sguardo indagatore sul volto del suo Alfa. Quello allora roteò gli occhi in un gesto d’esasperazione e si decise a guardarlo in faccia. –C’era qualcun altro al porto…- rivelò infine.
Dave s’accigliò. –Intendi un altro branco…?
Van scosse la testa. –No. Non credo appartenesse né ai Blacks né ad un altro branco. Era una presenza estranea, quasi si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato.- cercò di spiegarsi. Non sapeva come esprimere al meglio la sensazione che aveva provato: era stata breve, ma intensa. Come se si trovasse di fronte ad un pezzo di storia che doveva essere stata dimenticata da un bel pezzo.
-Intendi dire che…- iniziò l’inglese, visibilmente confuso dalle dichiarazioni dell’amico.
-Probabilmente a New York c’è un lupo molto antico.- lo interruppe.
-Nel Nuovo Mondo?- fece l’altro, scettico. –E perché mai? Quel tipo di creature tende ad essere legata al proprio luogo di origine.
Evan annuì lentamente. –Lo so. Per questo non capisco.- ammise. –Ma non sono nemmeno sicuro di quello che ho percepito.- dovette aggiungere subito dopo.
L’inglese fece per chiedergli altro, ma venne interrotto dalla comparsa di Emily. I due si voltarono a guardarla, in attesa.
-Vi ringrazio.- disse solamente. Sul viso aveva una strana espressione, a metà tra la gratitudine e l’imbarazzo.
-Il branco protegge i suoi membri.- fu il commento di Evan.
Lei si lasciò sfuggire una smorfia. –Non in tutti i branchi. Fidati.- replicò. –Ma sono contenta che in questo le cose funzionino così.
Van le concesse un rapido cenno del capo come risposta. Poi David chiese:-Blake come sta?
Al che sua zia sospirò e si strinse nelle spalle. –Per ora non bene. Sono sicura che gli ci vorrà un bel po’ per superare quest’esperienza. Le ferite ci metteranno meno tempo a guarire, invece.- considerò.
Le parole dell’americana rimasero sospese nell’aria per alcuni istanti e poi tra loro cadde il silenzio.
David si schiarì la gola, imbarazzato. –Tu… come stai, invece?- si azzardò a chiedere.
Emily lo guardò, stupita. –Sto bene. Niente che un po’ di sonno non possa sistemare.- rispose. La sua aura, però, smentì le sue parole. Sembrava fosse sul punto di spegnersi, anche se ogni tanto un guizzo improvviso la riportava in vita. Dave stava per farglielo notare quando con la coda dell’occhio notò Evan irrigidirsi.
Fece per chiedergliene il motivo, ma il cellulare dello scozzese decise di suonare proprio in quel momento. Così come il campanello di casa.
 

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Capitolo 21
*** Cap. 20 Bad moon rising ***


Cap. 20 Bad moon rising
E' passato tanto, tanto tempo. Lo so. Ma ho dovuto porre la redazione della tesi davanti a tutto il resto, anche alla mia passione per la scrittura.
Ora sto riprendendo in mano le fila del discorso, rientrando lentamente dentro questa New York mannara.
Vi auguro buona lettura!

A presto, Lelaiah :)







Cap. 20 Bad moon rising


   Evan abbassò lentamente la mano ed estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans. Guardò lo schermo e serrò la mascella con forza.
“Non ora.”, pensò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide David fissare alternativamente lui e la porta di casa. –Apri… ma stai attento alla folla.- gli disse sbrigativo.
Al cenno d’assenso dell’amico accettò la chiamata e si portò il telefono all’orecchio, cercando di mantenersi calmo.
-MacGregor.- disse la voce dall’altro capo.
-Aleksandr.- rispose lo scozzese, senza aggiungere null’altro. La tensione nella voce del suo interlocutore era evidente e nemmeno la distanza fisica tra i due poteva mascherarla.
-Ho saputo degli ultimi avvenimenti da alcuni informatori.- riprese l’Alfa di Hamilton Heights.
Evan accentuò leggermente la presa sull’apparecchio. –Ho ritenuto necessario intervenire prima che facessero del male al cucciolo.- spiegò. Sapeva che, essendo ospite nel territorio di un altro lupo, doveva evitare di creare casini, ma non vedeva la necessità di sottoporsi ad un terzo grado.
 Dall’altro lato ci fu una lunga pausa. –Sono lieto che l’operazione sia riuscita nel migliore dei modi.- fu la risposta. Apparentemente innocua e molto simile ad un complimento.
Evan scambiò un’occhiata con Emily, rimasta in ascolto. Le fece cenno di allontanarsi e lei si posizionò accanto alla finestra. La sua ansia lo stava distraendo e non voleva rischiare di commettere passi falsi durante la conversazione con Aleksandr. Inoltre aveva bisogno di essere curata: la ferita al fianco continuava a perdere sangue, imbrattandole la maglietta.
Spostò lo sguardo e si concentrò sulla parete che aveva di fronte. -Per quale motivo hai chiamato?- domandò, cercando di suonare il meno ostile possibile.
Il russo rise sinistramente. –Me lo stai seriamente chiedendo?
  Van strinse il pugno libero, sentendo la bestia dentro di sé irritarsi: non gli piacevano le persone che parlavano per indovinelli o che giocavano con gli altri come il gatto fa col topo.
-Non era previsto che Eric venisse ferito.- iniziò. –Doveva semplicemente distrarre le Sentinelle lungo il perimetro.- concluse.
Ci fu una lunga pausa dall’altro lato, di nuovo. –A quanto pare il compito che gli hai affidato non era così semplice come sembrava.- fu il commento caustico.
   Il giovane si trattenne a stento dal digrignare i denti ed inveire. –Ha gestito la situazione egregiamente.- replicò. Avvertì una vampata di calore salirgli al viso ed ebbe l’impressione di esser sul punto di perdere la calma. Da quando in qua doveva preoccuparsi di non perdere la calma? Non era lui quello che aveva represso le emozioni?
Aleksandr si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico. –Egregiamente?
Evan spostò il peso da un piede all’altro, infastidito da una delle ferite che si era procurato e dal tono del suo interlocutore. L’impellente bisogno di prender a pugni qualcosa si stava facendo sempre più forte. –Non vedo la necessità di giustificarmi con te. Tuo nipote è fuori pericolo.- tagliò corto.
-Per questa volta. Ma se dovesse succedere ancora qualcosa del genere, avrò la tua testa, MacGregor. Non mi interessa quanti lupi dovrò far fuori per averla.- rispose l’Alfa russo. -Do svidánia.
Solo uno stupido non avrebbe colto la minaccia insita nella voce del capobranco di Hamilton Heights ed Evan non era sicuramente uno stupido. Ma non era nemmeno un cucciolotto alle prime armi e sentirsi rivolgere quelle parole risvegliò definitivamente la bestia che aveva dentro.
Non l’animale, no.
La sua bestia personale, quella alimentata dai suoi sentimenti, repressi e non.
Digrignò con forza i denti e strinse l’insignificante apparecchio che aveva in mano con forza. Si sentì distintamente il vetro scheggiarsi e poi andare in frantumi, sbriciolato. Evan non lo degnò nemmeno di uno sguardo e lo lasciò cadere a terra, prima di raggiungere Emily.
La ragazza gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma si astenne dal fare commenti. -Là fuori ci sono un bel po’ di piantagrane.- disse invece.
-Lo posso percepire.- fu la risposta dello scozzese.
L’idea di dover affrontare un’orda di microfoni pronti a registrare ogni sua parola lo rendeva oltremodo nervoso. Non perché temesse di poter dire qualcosa di sbagliato, ma per il semplice fatto che era una persona estremamente riservata e quello del giornalista era il mestiere più invasivo con cui avesse mai avuto a che fare.
-Vuoi che vada ad aiutare David?- domandò Emily.
Van le dedicò una rapida occhiata. -No. La situazione è abbastanza spinosa così com’è: mostrarti con tutto quel sangue addosso peggiorerebbe solamente la situazione.- spiegò. -Vai da Blake e cerca di non dissanguarti fino a che non sarà arrivato Alastair.- con quelle parole mise la parola fine alla loro conversazione.
Fece per dirigersi verso la porta, ma la voce dell’americana lo bloccò. -Nemmeno tu sei molto rassicurante, sai?- gli fece notare.
-Vero… ma sono sicuramente più minaccioso.- rispose, tagliente. Sapeva che il commento voleva essere ironico, ma non aveva tempo per l’ironia in quel momento. Allungò il braccio ed abbassò la maniglia.
Quello che trovò oltre la soglia era peggio di quanto si fosse aspettato. Dave se ne stava bloccato tra due giornalisti piuttosto insistenti, incapace di lasciare il pianerottolo senza un atto di forza. Scelta sconsigliabile data la numerosa presenza di umani.
   Il Beta notò subito la sua presenza e gli lanciò un’occhiata disperata da sopra la spalla, in cerca d’aiuto. “Distraili, per favore!”, aggiunse mentalmente l’inglese.
Evan sollevò un sopracciglio, pronto a replicare, quando si ritrovò investito da una serie di domande strillate a pochi centimetri dalle sue orecchie. Fece una smorfia e digrignò i denti, emettendo un basso ringhio.
-Arretrate. Subito.- non era una richiesta.
La folla s’azzittì, colta di sorpresa. Ma lo sgomento durò solo un attimo e subito dopo i registratori tornarono ad allungarsi verso di lui. Le domande si sprecavano, così come i flash delle macchine fotografiche.
Il giovane MacGregor chiuse brevemente gli occhi, infastidito. La bestia dentro di lui non sembrava apprezzare tutte quelle attenzioni e non poteva assolutamente biasimarla.
Prese un respiro profondo, cercando di mantenere il controllo della propria voce. -Vi ho chiesto di lasciarci un po’ di spazio.- riformulò la propria richiesta.
   David sentì l’aria sfrigolare e lanciò un’occhiata allarmata verso l’amico, temendo potesse dare in escandescenza. Invece lo vide sollevare lentamente le palpebre e fissare l’assiepamento di persone davanti a sé con una calma innaturale. I suoi occhi erano cangianti e poteva percepire lo sguardo della bestia nelle loro profondità.
Quel piccolo trucchetto sortì il suo effetto, perché i giornalisti arretrarono immediatamente, spaventati. Il licantropo ne approfittò per fendere la folla, allungare un braccio e trascinare Alst sul pianerottolo, tra lo stupore di tutti.
-Grazie per la vostra collaborazione.- Evan spinse i due all’interno e si chiuse la porta alle spalle. Il tempo di un respiro e le persone dall’altra parte insorsero, arrabbiate. Qualche temerario batté un pugno contro l’anta.
Evan si massaggiò il ponte del naso, provato da quell’ennesima seccatura e si concesse un momento per fare il punto della situazione.
-Non capirò mai come fanno ad essere sul luogo di un evento cinque minuti dopo il suo accadimento.- commentò Alastair, sconvolto.
-Fiutano la notizia.- fu la risposta di David. -Come gli sciacalli con una carogna.
Il secondo del branco MacGregor storse la bocca. -Paragone calzante, ma assolutamente non necessario.
Il ragazzo alzò brevemente le spalle. -Scusate. È quella l’impressione che danno.- mormorò.
Evan liquidò la questione incuneandosi tra i due. -Che notizie dall’ospedale?- domandò, rivolto al cugino di suo padre.
Alastair lo guardò ed accennò un sorriso. -Ho richiesto una notte d’osservazione, come ti ho detto, ma quando l’ho lasciato era vigile.- comunicò.
-Nulla di permanente, vero?
L’altro scosse la testa. -Solo ferite da artiglio, niente che riguardi l’argento.- assicurò. -Parlando di ferite… dov’è il piccolo?- si voltò a perlustrare l’ambiente.
-Nella camera di Emily. Si è addormentato nonostante le bruciature.- disse David, accennando col capo al corridoio che portava nella zona notte.
Alst annuì e puntò lo sguardo sulla giovane, concentrando la propria attenzione sulla ferita che aveva al fianco. -Fammi vedere, ragazza.- le si avvicinò.
Lei arrossì. -Non c’è bisogno…- mormorò, tentando di sottrarsi all’ispezione. Ma quando percepì le mani dell’uomo sulla propria pelle venne scossa da un fremito e si arrese, grata che ci fosse qualcuno disposto ad aiutarla. -Grazie.- sussurrò.
-Non è grave.- la rassicurò. -Ma bisogna comunque pulirla.
Mentre Alst si occupava di Emily, Evan prese da parte David. -Dobbiamo liberarci di tutti quei giornalisti. La loro presenza non è di nessun aiuto.- disse, accennando alla porta col capo.
-Lo so, ma non so come…- iniziò il moro, per poi bloccarsi. Si accigliò, confuso ed annusò attentamente l’aria per qualche istante. -Evan…- sollevò lo sguardo sull’amico, ma quello si stava già voltando verso la porta.
-Pessimo tempismo.- lo sentì commentare.



***

-Scegliere i Blacks è stato un errore.- sentenziò.
L’aria attorno a lui sembrò crepitare ma, a parte quel piccolo tremolio, nulla lasciava presagire la presenza del suo interlocutore. “Sono pienamente d’accordo.”, fu la risposta.
  Rodrick si concesse la pallida imitazione di un sorriso, in segno d’approvazione. La mente di quel cacciatore gli piaceva: arguta e tagliente come una lama di ghiaccio.
Allacciò le mani dietro la schiena e si mise a misurare a grandi passi l’ambiente in cui si trovava. Alcuni piccioni emersero spaventati dalla penombra, puntando verso le nuvole in una pioggia di piume.
Seguì brevemente il loro volo, lanciando un’occhiata al cielo plumbeo che si intravedeva oltre i resti del soffitto. -Stupidi animali…- sussurrò, disgustato. I piccioni che c’erano nella sua terra natia, la Scozia, avevano un aspetto diverso ed erano di gran lunga meno ottusi.
Come dovremmo muoverci, ora…?”, la domanda si formò nella sua mente, del tutto simile ad un fiore che sboccia.
  Il licantropo si grattò il mento, cercando di mettere in ordine i pensieri. Aveva bisogno di risultati concreti e ne aveva bisogno in breve tempo, per di più: quello che gli rimaneva da vivere poteva non bastare per mettere in atto la sua vendetta e non poteva lasciare la sua esistenza terrena senza aver soddisfatto la propria sete di sangue.
-Non posso più permettermi il lusso di sbagliare.- ragionò, lasciando vagare lo sguardo sul vecchio pavimento di pietra. La grande sala in cui si trovava riecheggiò lugubre al ritmo dei suoi passi, trascinata nei suoi propositi violenti. -Rendere i Blacks ed il branco del giovane MacGregor nemici è stato l’unico risultato utile.- aggiunse, appoggiandosi al davanzale di una delle numerose aperture che scandivano le pareti longitudinali.
  Lasciò spaziare lo sguardo, attento a non intercettare quello dei turisti che si muovevano  attorno alla struttura in cui si trovava. Il mondo oltre l’Est River ignorava i suoi propositi eppure, in quel momento, gli sembrava assolutamente ostile.
Non perché fosse un pivellino impaurito, ma perché il Nuovo Mondo non aveva nulla a che fare col suo. La natura era stata soffocata dal cemento, non si percepivano che pochi luoghi dotati di spiritualità… per non parlare delle creature ultraterrene.
   Rivelarsi al mondo degli umani gli era sempre parsa un’assurdità e vedere licantropi e vampiri collaborare con quelle fragili e volubili creature lo nauseava. Il loro mondo era troppo complesso per poter essere condiviso: aveva regole che andavano rispettate, sempre. Non si potevano trovare scappatoie.
E chi si macchiava di atti ignobili doveva essere punito.
“Lasciare che mia figlia morisse è stato un atto ignominioso. Un’offesa all’intero clan Cameron.”, strinse un pugno con rabbia, segnando in modo permanente il davanzale di pietra grigia.
E quell’offesa va punita.”, concordò la voce remota con cui stava avendo una conversazione. “Mi chiedo solo quale sia il modo migliore.”
Rodrick digrignò i denti. -Troverò un modo. Devo solo capire a cosa o a chi mirare.
Fece scivolare lentamente una mano dentro il collo della camicia e ne estrasse una pesante collana dall’aspetto antico. Vi passò sopra il pollice, quasi a volerne ricavare una sorta di energia. Inspirò lentamente e poi aprì gli occhi, fissando l’edera arrampicarsi sulle pareti del vecchio ospedale abbandonato. -E’ ora di conoscere meglio il nemico. Solo così potrò prevalere.- disse, deciso.
Il monile divenne più caldo nella sua mano e l’aria tornò nuovamente a crepitare.
   Era finalmente ora di andare a caccia.
 

***

   Non appena ebbe svoltato l’angolo si ritrovò davanti quello che, a tutti gli effetti, si poteva considerare un muro umano.
Si bloccò di colpo, osservando sgomenta la moltitudine di giornalisti che se ne stava assiepata davanti alla porta d’ingresso del suo condominio. I passanti lanciavano loro occhiate curiose, ma senza fermarsi: sapevano di non doversi immischiare.
Si guardò attorno, cercando di capire il motivo di tanta eccitazione.
“E adesso come faccio a rientrare?”, si chiese. Poi, subito dopo, il pensiero del salvataggio le attraverso la mente con prepotenza. “Oddio, fa’ che non sia successo nulla di grave!”, pregò. Si morse il labbro, indecisa sul da farsi, ma poi mosse un passo in direzione della massa di persone, decisa ad entrare in casa.
   Aveva atteso notizie per tutto il giorno e voleva sapere.
Era ormai pronta a sgusciare tra i presenti quando il suo cellulare prese a vibrare. Immerse la mano nella borsa e lo afferrò, portandolo subito all’orecchio. -Pronto?
-Amanda, sono David.- si sentì dire. Allontanò il cellulare e fissò lo schermo, perplessa. -Ti sto chiamando dal telefono di Drew.- spiegò l’inglese.
-Perché ci sono tutti questi giornalisti davanti al palazzo?- chiese, senza perdere tempo.
-A quanto pare hanno saputo dello scontro al porto e vogliono avere qualche… scoop succulento.- disse, cercando di suonare divertito. In verità la ragazza poteva percepire senza problemi l’ansia che attanagliava la sua voce.
-Cosa posso…? Come…?- Mandy non sapeva che pesci pigliare.
-Allontanati il più velocemente possibile, per favore. E resta nascosta fino a quando non se ne saranno andati.- le consigliò. A quelle parole lei alzò lo sguardo verso l’alto, cercando il suo interlocutore. Lo trovò seminascosto dietro l’imbotte di una finestra, gli occhi fissi sulla strada sottostante.
Si passò una mano sui capelli, indecisa sul da farsi. -Voi come state..?- riuscì a chiedere.
Dave scosse brevemente il capo. -Dopo, Amanda. Ora trova un posto sicuro, per favore.- disse, interrompendo sul nascere le sue domande.
   Anche se con una certa riluttanza, lei finì per annuire e riporre il telefono nuovamente nella borsetta. Assunse l’aria più disinvolta possibile e girò su se stessa, puntando il piccolo bar subito dietro l’angolo.
Con la coda dell’occhio notò un paio di testa voltarsi, forse disturbate dal suo movimento, ma nessuno sembrò seguirla. Le ci mancava solo un’intervista con inseguimento per concludere in bellezza la giornata.

 
   Sentiva un gran baccano provenire da un punto indistinto sopra la sua testa.
Non avrebbe saputo dire da che direzione provenisse, ma non aveva importanza in quel momento: aveva ben altri problemi a cui pensare.
Lo spazio in cui si trovava gli sembrava ostile, asettico eppure sapeva che era l’unica cosa che poteva aiutarlo, in quel momento.
  Sentiva la luna salire nel cielo, lenta e silenziosa. Non poteva essere fermata, lo sapeva, e nonostante tutto quello che gli avevano detto sui nuovi ceppi genetici, sapeva anche che non poteva combatterla.
Quella notte si sarebbe trasformato, era praticamente inevitabile. E, se avesse avuto ancora qualche dubbio, quella cella e lo sguardo di David quando l’aveva rinchiuso ne erano la conferma.
   Si appoggiò pesantemente alla parete di fondo, alzando lo sguardo alla bocca di lupo da cui entravano gli ultimi spiragli di luce. Gli doleva ogni parte del corpo, con un’intensità tale da far impallidire i pugni sferratigli da Stryker. Era come se il lupo stesse cercando di dilaniare la sua carne dall’interno per potersi liberare e sbranare la prima persona incontrata sul proprio cammino. Ogni suo muscolo era impegnato nell’inutile tentativo di trattenerlo.
O almeno di ritardare quanto più possibile la trasformazione.
Con un gemito si accartocciò su se stesso, stringendo le braccia al petto e pregando che finisse in fretta. “Non finirà in fretta…”, gli ricordò quella maligna della sua coscienza. Non era per niente rassicurante sapere che anche la sua parte razionale era conscia dell’inevitabile.
Provò a prendere qualche boccata d’aria, ma fu come inghiottire degli aghi e quindi rinunciò, trattenendo il respiro il più a lungo possibile.
Si guardò attorno, analizzando ancora una volta quello che aveva intorno. Non molto, a dire la verità: quattro pareti di acciaio ed una brandina. Sopra il giaciglio era stata incisa una frase che, a prima vista, gli parve celtico.
Riuscendo ad ignorare per un attimo l’inferno che aveva dentro, caracollò fino al lettino e vi si lasciò cadere, passando le dita sulle lettere incise. “No… non è celtico…”, realizzò.
Riconobbe la parola usata per indicare Dio, ma poco altro. Se fosse riemerso da sottoterra ne avrebbe chiesto il significato ad Evan. Ma, fino ad allora, doveva accontentarsi di pensare che fosse qualcosa scritto per dar forza a qualunque lupo fosse stato rinchiuso lì dentro.
   Lentamente si distese sulla branda e si chiuse a riccio, sperando di poter alleviare un po’ l’acuto pulsare che lo pervadeva. Ogni volta che credeva di aver imbrigliato la bestia, ecco che quella si liberava ed attaccava un’altra parte del suo corpo: ora stava dilaniando il suo stomaco, vorace.
   In più stava perdendo anche il controllo della propria mente, sempre più proiettata verso sanguinolenti sventramenti e corse in una foresta che non assomigliava a nulla che avesse mai visto in America. Le persone sopra la sua testa -perché di persone si trattava, lo sapeva- continuavano a far baccano, ma ora non sentiva più le loro voci, percepiva il rapido pompare dei loro cuori. L’odore della carne fresca e la promessa delle loro urla quando avesse affondato i denti nelle loro giugulari.
Scosse violentemente la testa, spaventato da quelle visioni.
-Oddio…- piagnucolò, incassando il capo tra le spalle. Gliel’avevano descritto e sapeva cos’aspettarsi, in teoria. Ma era come essere il protagonista di un film horror di terza categoria, in cui la parola d’ordine era eccesso. Era certo di non possedere nemmeno la fantasia necessaria per dar vita a quello che gli stava attraversando la mente.
E, come se non bastasse, il suo collegamento col branco sembrava essersi fatto all’improvviso molto più forte e riusciva a percepire come proprie tutte le loro emozioni. Gli sembrava di esser diviso in tanti pezzi, attaccato su più fronti da avversari che non poteva sconfiggere.
Cerca di rimanere saldo nella mente, gli aveva detto Alastair.
Da principio non aveva realmente colto il significato di quelle parole, credendo che fosse solo un problema di natura fisica, ma ora doveva ricredersi.
Controllare la bestia era uno sforzo mentale e fisico ed in quel momento sia la sua mente che il suo corpo gli si stavano ribellando.
-Devo mantenere il controllo.- si disse, cercando di darsi forza.
In risposta venne colpito da una fitta fortissima al plesso solare e fu costretto a rotolare sulla schiena, contorcendosi. Credette d’urlare, ma quello che uscì dalla sua bocca era un ululato.
Mantenere il controllo sembrava sempre meno possibile.


   Evan distolse per un momento la propria attenzione dalla folla di giornalisti ancora assiepati all’esterno. -L’hai fatta allontanare?- chiese, lanciando un’occhiata al proprio Beta.
Quello annuì un paio di volte.  
-D’accordo… ora devo solo trovare un modo per fare lo stesso coi giornalisti.- ragionò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Percepiva il rumore dei loro cuori, i sussurri e le piccole interferenze elettriche delle loro apparecchiature. Perché non andavano ad importunare qualcuno desideroso di finire sulle pagine patinate delle riviste e li lasciavano in pace?
-Per loro è tutto nuovo.- Alastair si materializzò alle sue spalle. -Vogliono essere i primi a metter le mani sullo scoop e poterlo sbandierare ai quattro venti. Come un bambino ansioso di mostrare il suo nuovo giocattolo ai fratelli.- aggiunse.
Van gli dedicò una rapida occhiata da sopra la spalla. -Emily?- chiese, ignorando il commento, seppur assolutamente veritiero.
L’altro si strinse nelle spalle ed accennò col capo verso il corridoio dietro di sé. -Si è addormentata col piccolo. Erano entrambi allo stremo delle forze.- mormorò. -Gli ci vorrà un po’ per riprendersi… emotivamente parlando.
-Ci sarà tempo per quello. Ma ora…- il giovane MacGregor s’interruppe a metà della frase, reprimendo una smorfia.
-Evan!- David gli si affiancò subito, preoccupato. -Cosa ti avevo detto a proposito…
-Sì, lo so. Non rinfacciarmelo.- lo zittì l’altro, brusco. -Non c’è traccia d’argento nelle ferite né di sorbo degli uccellatori o aconito.- aggiunse subito dopo, a beneficio di Alastair.
Quello sollevò un sopracciglio fulvo e lo guardò storto. -Ti devo ricordare che il tuo fisico ha un suo limite, nonostante tu sia un licantropo?
Scosse rapidamente la testa, appoggiandosi pesantemente al tavolo della cucina. -Non ho tempo per questo. Ora devo capire come comportarmi.- liquidò la questione con un rapido gesto della mano e si raddrizzò.
Alst gli si avvicinò e lo afferrò saldamente per le spalle. -Siediti e prendi fiato. Adesso.- ordinò, perentorio. Evan oppose resistenza, all’inizio, ma poi si lasciò condurre sul divano.
   Da quella nuova posizione guardò i due uomini di cui si fidava di più al mondo, traendo forza dalla loro semplice presenza. Non lo avrebbe mai ammesso pubblicamente, ma saperli dalla sua parte lo rendeva forte e più sicuro di sé.   
E lo aiutava a rimanere concentrato mentre il suo cervello tentava di mettere in ordine i pensieri. Impresa ardua in quel momento, dato che gli rimbombava a causa delle proteste dei giornalisti.
-Non riesco a pensare con questo baccano…- dovette ammettere. “Sono sempre stato un uomo d’azione, poco pratico di diplomazia.”, si disse.
-Non riesci a pensare perché sei al limite.- lo corresse Alst, incrociando le braccia al petto. Evan lo guardò da sotto in su e si lasciò andare ad uno sbuffo di protesta. -Per come la vedo io, ora dovete soltanto occuparvi del lupo che avete in cantina.- aggiunse.
Al che, i due giovani si scambiarono un’occhiata e poi abbassarono lo sguardo, quasi potessero vedere attraverso il pavimento.
-Che idiota.- Dave si passò una mano sul viso, dandosi dello stupido. Aveva veramente creduto che sarebbe bastato dire due paroline d’incoraggiamento ad Andrew, chiuderlo in cantina e dimenticarsene fino alla successiva alba?
-Il ragazzo sta soffrendo e si sta agitando notevolmente.- Alastair rincarò la dose, l’orecchio teso per captare i suoni provenienti dall’interrato.
Ora che gli era stato fatto notare, Evan poteva percepire Andrew senza nessun problema. Le sue emozioni lo stavano investendo come le onde della risacca, costanti e via via più potenti: ignorarle non era possibile. Eppure l’aveva fatto. E con lui David.
“Pessimo inizio, Evan.”, si rimproverò.
Che avesse ignorato quella richiesta d’aiuto telepatica semplicemente perché a lui era stato riservato lo stesso tentativo? No, anche in quel caso non avrebbe dovuto sottovalutare le necessità di un giovane lupo al primo confronto con la luna piena.
-Se promettessimo un’intervista ad una delle testate pensate che se ne andrebbero?- meditò David. -Così da poterci occupare di Andrew senza scocciatori…
Evan valutò la proposta, trovandovi moltissimi risvolti negativi. -Non credo che sia la nostra migliore opzione.- ammise. -Ma, ora come ora, mi sembra anche l’unica decente.- aggiunse, alzandosi.
   Si avviò con passo fermo verso la porta e la aprì, fronteggiando nuovamente i presenti. -Abbiamo deciso di concedere un’intervista ad una sola testata. Considerato che siamo lupi vecchio stampo, daremo la precedenza alle signore.- annunciò. -Per esser più precisi, a quella che ha fatto più strada per raggiungerci.- aggiunse subito dopo.
Le parole dello scozzese scatenarono un terribile parapiglia da cui, alla fine, uscì vincitrice una giornalista del Times. -Grazie a tutti.- Van li congedò e fece un cenno di conferma alla donna.
-Posso intervistarla subito..?- domandò quella, speranzosa, registratore alla mano.
Scosse la testa. -No. Ora abbiamo un problema più pressante che richiede la nostra attenzione. Ci lasci il suo biglietto da visita e la ricontatteremo noi.- disse, deciso. Ora che aveva risolto la questione in maniera più che civile, voleva occuparsi di Andrew.
L’inviata fece per protestare, ma David comparve alle spalle di Evan con un sorriso amabile dipinto in volto ed allungò una mano verso di lei. Presa in contropiede, la donna allungò il proprio biglietto con sguardo un po’ inebetito.
   I due fecero per congedarla, quando un nuovo odore attirò la loro attenzione. Anzi, no, non era un odore nuovo: l’avevano già sentito quando avevano incontrato Andrew per la prima volta.
Dave sgranò gli occhi, di colpo spaventato. -Oddio…- si lasciò sfuggire.
Van scostò rudemente la giornalista e si precipitò giù dalle scale, subito seguito a ruota da David e Alastair.


  Non sapeva da quanto tempo stesse andando alla deriva: avrebbero potuto essere minuti oppure ore.
Era diventato così reattivo che ogni singolo respiro gli causava dolore ed agitava ulteriormente la bestia. Il lupo era ormai in procinto di liberarsi, gli artigli conficcati saldamente qualche centimetro sotto la sua pelle e pronti a farla a pezzi senza nessun ritegno.
Andrew aveva provato di tutto: rannicchiarsi su se stesso, farsi del male conficcandosi le unghie nei palmi della mano, respirare lentamente… nulla aveva funzionato.
“Ci siamo…”, pensò, con un misto di sollievo e terrore. Una volta trasformato gli sarebbe stato quasi impossibile controllarsi e sapeva che quella prima trasformazione sarebbe stata la peggiore di tutte. Ma, una volta mutato, avrebbe smesso di provare dolore, almeno.
Controllala, non combatterla.
Con quelle parole Alastair aveva cercato di dargli il miglior consiglio che potesse offrirgli, ma lui aveva iniziato a lottare sin da subito e non si era più fermato, alimentando la rabbia e la sete della bestia.
   Ed ora stava finalmente deponendo le armi, pronto a lasciarsi sopraffare.
Prese un lento e doloroso respiro, lasciando uscire un rantolo molto simile ad un guaito. Distese lentamente braccia e gambe ed aprì gli occhi, puntando lo sguardo sul soffitto.
Ci fu qualche istante d’immobilità, in cui ebbe un momento di tregua, prima che il mondo attorno a lui esplodesse in mille pezzi.
   Fu come essere investiti da una bomba: tutti i suoi sensi vennero annullati e ogni singola fibra del suo corpo fu sopraffatta dal dolore. Ebbe il tempo di pensare che la fase di shifting non era stata nulla, se paragonata a quello, prima di rotolare sul pavimento e lasciarsi andare ad un feroce ululato.
Le ossa del suo corpo presero a muoversi, scricchiolanti e la sua pelle si fece tesa, come un elastico eccessivamente allungato. Osservò con terrore le falangi delle mani cambiare aspetto e tentò inutilmente di artigliare il pavimento di cemento, riuscendo solo a sfondarlo.
Sputò un grumo di saliva prima di avvertire la mascella allungarsi e la gola farsi serrata. Annaspò, in preda al terrore, ormai molto più lupo che Andrew. Si lasciò cadere su un fianco, agitando tutti e quattro gli arti in un’inutile corsa verso la salvezza.
E mentre le ultime ossa si rinsaldavano e trovavano la loro nuova collocazione, peli castano chiaro presero a ricoprire tutto il suo corpo. Ci volle poco e si ritrovò completamente protetto da una spessa pelliccia.
   E, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, il dolore cessò: Andrew venne inghiottito ed il lupo fece la sua comparsa.
Lentamente, il licantropo fece perno sulle zampe e si mise in piedi, scrollandosi di dosso gli ultimi residui dell’umano che era stato. Ruotò le orecchie, captando i suoni attorno a sé e scrutò l’ambiente con gli occhi chiari.
C’erano molti odori accattivanti nell’aria, ma la brama di sangue lo spinse a focalizzarsi su quelli umani. Carne fresca e succulenti cuori che battevano, pronti ad esser dilaniati.
   Aveva solo l’imbarazzo della scelta: tutto quello che doveva fare era guadagnare la via d’uscita da quella gabbia di cemento in cui era stato rinchiuso.


  Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
Eppure, quella che aveva davanti era proprio sua sorella Frances, non c’era dubbio.
-Fran…- riuscì a mormorare Amanda, stupita.
L’altra, che si era fermata di colpo per non andarle addosso, si riavviò i capelli e poi annuì. -Ciao Mandy.- sorrise timidamente.
Amanda si passò un mano sugli occhi, cercando di capire se non stesse avendo un’allucinazione. ­-Ma come…? Voglio dire tu…- biascicò, faticando a mettere insieme una frase di senso compiuto.
Sua sorella ridacchiò, nervosa. -Tranquilla. Sono veramente io.- la rassicurò. Finalmente convinta, Mandy si sporse avanti e l’abbracciò, contenta che fosse tornata. -Anche tu mi sei mancata.- Frances la strinse a sé, anche se con un po’ d’imbarazzo.
Rimasero così per qualche istante, poi la più grande delle Miller sciolse l’abbraccio, schiarendosi la gola. L’imbarazzo era palpabile e l’avvolgeva come un guanto.
Amanda decise di tentare con una domanda innocente, giusto per rompere il ghiaccio. -Come stanno a casa?
Fran colse l’imbeccata e si rilassò leggermente. -Oh, bene. Greg si è lamentato tutto il tempo dicendo che me ne stavo in casa sua come una sanguisuga, mangiandogli tutte le cose buone che c’erano in casa.- disse, ridacchiando al ricordo del continuo borbottare del fratello.
-Lo sai che non devi toccargli i suoi cibi preferiti.- anche Amanda si unì alla risata, sforzandosi di sembrare il più naturale possibile. In verità avrebbe voluto scuoterla e chiederle perché diavolo ci aveva messo tanto.
-Quello non è cibo: sono schifezze.- precisò l’altra.
-Già… quindi tu hai vissuto di schifezze, in questo periodo.- la canzonò sua sorella. Frances si passò una mano sullo stomaco e poi fu costretta ad annuire: in effetti aveva messo su un paio di chiletti.
Mandy si accorse del suo sguardo e si affrettò a rassicurarla, dicendole che nessuno avrebbe notato gli effetti delle sue abbuffate. Dopo un breve sorriso tirato da parte della sorella, tra le due cadde il silenzio.
“Oddio… avrei tante cose da dire.”, si rese conto Amanda. Ma sapeva anche che nessuna di quelle frasi sarebbe stata adatta alla situazione. Mentre era persa nei propri pensieri, non notò la giornalista uscire dal condominio, contenta di aver ottenuto l’esclusiva.
-Ehm… perché ci sono dei giornalisti?- volle sapere Fran.
La morettina sollevò di scatto la testa. -Come?
Sua sorella indicò la donna che si allontanava ed un paio di furgoni di alcune emittenti cittadine parcheggiate non molto lontano. Mandy spostò lo sguardo sulle vetture, prendendosi del tempo per ragionare. -Abbiamo… cioè, il branco ha avuto qualche grattacapo.- rispose, evasiva.
Frances sembrò accontentarsi, perché non chiese altro, anche se rimase voltata verso l’edificio dove fino a poco tempo fa risiedeva con Andrew.
Lentamente lasciò scorrere lo sguardo lungo la facciata di mattoni, fino a fermarsi alla finestra della sua camera da letto. Si morse il labbro, indecisa, ma alla fine chiese:-Dov’è Andrew?
Amanda quasi sobbalzò all’udire quella domanda. -Lui… ecco…- non sapeva come dirgli che molto probabilmente Drew era più lupo che umano, in quel momento.
-Cosa mi stai nascondendo?- Frances si rabbuiò leggermente e prese ad incamminarsi verso il piccolo palazzo.
La sorella le si affrettò alle spalle. -No. Aspetta… lui non può vederti ora… lui…- farfugliò. Perché non riusciva a dirle semplicemente che era nel bel mezzo di una trasformazione causata dalla luna piena?
Forse perché la volta precedente non era andata molto bene, tra Frances e le questioni mannare.  
Erano ormai nell’androne d’ingresso quando Amanda si decise ad afferrare con forza il polso di Frances. -Ferma!- le ingiunse. Lei si girò e la guardò con tanto d’occhi, in attesa di una spiegazione.
Mandy aprì la bocca un paio di volte, torturandosi, quando l’arrivo improvviso dei ragazzi la tolse da qualsiasi impaccio. Fece per chiamare i loro nomi, ma venne anticipata da Evan, che si piazzò loro davanti e disse, perentorio:-Uscite subito.
-Cosa? E si può sapere perché?- Frances si fece tesa, pronta allo scontro.
Amanda invece notò una preoccupazione mal celata negli occhi dello scozzese e si chiese per quale motivo fosse agitato. Cercò lo sguardo di David per avere una spiegazione, ma il giovane aveva occhi solo per la porta che portava in cantina.
“Cantina…?”, Mandy si rese conto che le stava sfuggendo qualcosa. “Oddio, la cantina! Andrew!”, finalmente realizzò.
Fece per dire qualcosa quando la porta in questione venne colpita in modo violento, vibrando sui cardini con ferocia. Le ragazze sobbalzarono, colte di sorpresa, mentre i tre licantropi si posero a loro protezione, pronti al peggio.
Frances la guardò, spaventata e confusa. -Cosa succede?
La sorella scosse la testa, cercando di decidere quale fosse la cosa più saggia da fare. O da dire. O da tacere.
  Mentre ragionava febbrilmente sul da farsi, ci fu un altro colpo che fece accartocciare l’infisso su se stesso. Dal corridoio del piano interrato giungevano ringhi sommessi e un continuo ansito.
-Avete un licantropo lì dentro?!- Frances alzò la voce.
-Non un licantropo…- iniziò Amanda. In quel preciso istante la porta cedette e rovinò a terra con un rumore agghiacciante. Dalla penombra emerse un enorme lupo dagli occhi chiari e le zampe insanguinate. -Quello è Andrew.

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Capitolo 22
*** Cap. 21 Bloodthirst ***


Cap. 21 Bloodthirst Cosa succederà ora che la versione animale di Andrew è libera e, a quanto pare, incontrollabile? E come faranno Evan e i suoi a contenerlo?
Be', addentratevi nel capitolo e lo scoprirete.

Buona lettura! :)






Cap. 21 Bloodthirst

-Quello è Andrew..?- la voce di Frances uscì strozzata.
Lanciò uno sguardo terrorizzato alla sorella e deglutì con forza, cercando di darsi una calmata. “Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo davvero.”, prese a ripetere nella propria testa.
Amanda, alle sue spalle, si voltò verso Evan e sussurrò:-Cosa dobbiamo fare?
Lo scozzese le dedicò una rapida occhiata, per poi tornare a concentrarsi sul licantropo davanti a sé. -Non fate nessun movimento azzardato: sembra confuso.- disse.
   In effetti, una volta abbattuta la porta, il grosso lupo si era bloccato, fiutando con insistenza l’aria e passando lo sguardo da uno all’altro dei presenti. Sapeva che doveva uscire da quell’angusta prigione di mattoni per andare a caccia, ma c’era uno strano sentore nell’aria che lo confondeva.
Era un odore che evocava immagini calde e rassicuranti, come il contatto di una pelliccia amica o la sensazione del sole sulla pelle. E quelle sensazioni lo stavano distogliendo dal suo vero obiettivo: uccidere.
Ma non poteva farsi distrarre. Doveva andare.
Scosse con forza la testa, passandosi la zampa destra sul muso diverse volte, infastidito. Se solo avesse indovinato la provenienza di quell’odore avrebbe potuto bloccarlo… oppure fuggirlo. Ma c’erano troppe tracce olfattive che lo aggredivano e diverse appartenevano a licantropi come lui. Arricciò il labbro superiore, lanciando un ringhio d’avvertimento. Avrebbe attaccato anche un altro lupo, se necessario.
  Evan sembrò indovinare quei pensieri perché si chinò in avanti, le mani contratte e pronte a  scattare. Alastair e David, appena dietro di lui, s’irrigidirono di conseguenza.
Nessuno di loro voleva attaccare per primo anzi, il loro obiettivo era impedire che Andrew si facesse male. O ne facesse ad altri.
Ma avere a che fare con dei licantropi appena nati era sempre pericoloso e, se qualcosa poteva andare storto, l’avrebbe sicuramente fatto.
“Dobbiamo portare via le ragazze.”, Alst s’intrufolò nella mente di Evan, distogliendolo dalle sue considerazioni.
“Lo so, ma siamo in una situazione di stallo.”, protestò, riducendo gli occhi a due fessure. “Potrei provare a comunicare con Andrew… ma non so fino a che punto sia stato sopraffatto.”, aggiunse dopo qualche istante.
“Tenta.”, approvò l’altro.
David, che aveva seguito la conversazione in disparte, strinse con forza la mascella, memore della prima trasformazione che aveva subito.
Sapeva bene cosa si provava ad essere intrappolati nel proprio corpo, prigionieri di una forza di volontà estranea e dei più bassi istinti primordiali. Sapeva anche come si sarebbe sentito Andrew, se avesse ferito qualcuno durante la sua prima notte di luna piena. Soprattutto se quel qualcuno erano persone a cui teneva. Perciò si sarebbe offerto di fare da scudo alle ragazze, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
   Stava per comunicarlo a Van, quando dalla soglia alle loro spalle giunse una serie di flash.
Si voltarono tutti di scatto, colti di sorpresa, e si trovarono davanti la giornalista del Times di poco prima. Quella li guardò ammutolita, la fotocamera tascabile ancora stretta tra le mani.
Il tempo sembrò fermarsi per alcuni istanti, durante i quali ognuno dei presenti fu attraversato da una miriade di pensieri ed intenzioni.
Ma fu il licantropo a sciogliere ogni dubbio, lanciandosi con forza verso la nuova arrivata.


   Puntò alla giugulare, pregustando il sapore ferrigno del sangue che ne sarebbe sgorgato.
Poteva già sentire la carne lacerarsi sotto i propri denti e dargli pieno accesso al nutrimento che stava agognando.
La vittima avrebbe urlato, forse tentato di scappare, ma sarebbe stato del tutto inutile. I lupi sanno essere animali estremamente precisi durante un attacco ed un licantropo lo sarebbe stato ancora di più. Talmente preciso da essere letale.
   Scartò di lato, buttandosi verso il muro per allontanarsi dai lupi che gli avevano bloccato la strada. Si chinò in avanti e spiccò un balzo poderoso, slanciandosi verso il suo obiettivo.
Aveva la salivazione a mille e tutti i suoi sensi erano concentrati nell’attacco. Il mondo attorno alla bestia si era come annullato e anche quell’odore ammaliatore si era momentaneamente chetato. Nulla contava se non quell’uccisione.
La prima di molte.
  Spalancò ancora di più le fauci, ormai ad un passo dall’atterrare e dilaniare la donna. Ma tutto d’un tratto qualcosa lo afferrò con forza e lo scaraventò letteralmente contro la porta vetrata alla sua destra.
Il lupo ed il suo aggressore finirono in strada, investiti da una pioggia di schegge, allarmando i passanti. Qualcuno urlò, spaventato e ci fu un rapido parapiglia per darsi alla fuga.
L’animale cercò di divincolarsi dalla potente stretta, incurante delle possibili prede che gli stavano fuggendo da sotto il naso. Ma il licantropo che l’aveva afferrato non mollava la presa, deciso a trattenerlo a terra.
   Ringhiando e graffiando, provò a contorcersi più e più volte per raggiungere una parte vulnerabile dell’avversario. Ma Evan era deciso a non lasciarsi sopraffare, a costo di farsi fisicamente del male.
-Portatele via!- riuscì a ringhiare Van, i muscoli delle braccia brucianti per lo sforzo.
Il lupo si bloccò un attimo, cercando di decifrare quanto aveva appena udito. Ed ecco che l’odore che l’aveva tanto confuso tornò a colpirlo con la potenza di un branco di alci.
Guaì, diviso tra la necessità di scoprirne la fonte e liberarsi.
“Andrew! Controllalo!”, le parole del licantropo gli si insinuarono nella mente, prepotenti. Chi era Andrew? E cosa doveva controllare?
La bestia si ribellò a quelle due parole e riuscì a mordere Evan all’attaccatura della spalla. Lo scozzese fu costretto a mollare la presa, sibilando un’imprecazione.
Rapido, il lupo sgusciò tra le sue braccia e si rimise in piedi, rantolando bellicoso nel tentativo di prendere aria. Il giovane MacGregor fece lo stesso, ma per potersi assicurare una posizione sicura da cui contrattaccare. Si accucciò, facendo perno su mani e piedi per esser pronto a scattare.
Per un breve istante i due contendenti rimasero perfettamente immobili, scrutandosi reciprocamente negli occhi.
   E fu di quell’istante che approfittarono Alastair e David.
 

-Muovetevi! Svelte!- Dave raggiunse le due sorelle Miller e le afferrò per le braccia, guidandole con urgenza verso le scale. Un licantropo poteva fare molte cose, ma non scalare pareti. E se fossero riusciti a bloccare l’accesso ai piani superiori, le giovani sarebbero state al sicuro.
Alst, invece, andò a controllare che la giornalista stesse bene. A parte la fotocamera distrutta e un bello spavento, sembrava incolume. -Se ne vada. In fretta.- le ingiunse, dopo un’altra rapida ispezione.
-C-cosa…? No! Questo è uno scoop!- protestò quella, dopo un attimo di smarrimento.
L’uomo allora indurì lo sguardo ed abbassò di qualche ottava il tono della voce. -Se non se ne va subito, rischia di morire. Una notizia vale così tanto?
Al che, quella deglutì un paio di volte. Lo scozzese poteva benissimo immaginare il cervello della donna districarsi tra mille e più possibilità.
Finalmente sembrò prendere una decisione, perché si rimise in piedi e, dopo aver traballato per qualche istante, si avviò con passo malfermo verso la più vicina fermata della metropolitana.
Senza perdere un attimo di più, Alst si volse verso David, intento a trarre in salvo Amanda e Frances. Fece per avviarsi lungo le scale con loro, ma all’improvviso la voce di Evan tuonò:-Alastair! Attento!
Ebbe appena il tempo di alzare le braccia e voltare il capo, che fu investito in pieno dalla forma lupina di Andrew.
Tentò di contenere la forza dell’impatto puntando saldamente le mani sul torace dell’animale, ma venne sopraffatto, finendo dritto contro la carcassa della porta della cantina. L’impatto fu talmente doloroso da togliergli il fiato e si ritrovò inerme per alcuni istanti.
La versione animale di Andrew giocò nuovamente d’astuzia ed approfittò di quel momento di smarrimento per superarlo e puntare verso le scale.
-E’ più astuto di quanto dovrebbe essere un lupo alle prime armi.- imprecò Evan, afferrando il padrino per il gomito. I due si scambiarono un’occhiata prima che Alst ritrovasse la posizione eretta. -David! Preparati!- urlò allora Van, gettandosi all’inseguimento del nuovo membro del branco. Alst diede una rapida occhiata intorno, assicurandosi che non ci fossero curiosi nelle vicinanze, e poi lo seguì a sua volta.


“Emily! Fai entrare le ragazze nell’appartamento!”, il giovane MacGregor raggiunse telepaticamente la lupa, lasciata a riposare assieme al nipote.
“Cosa diavolo sta succedendo?!”, fu la risposta allarmata. Probabilmente era stata svegliata dai rumori della lotta.
“Andrew è fuori controllo.”, fu l’unica cosa che riuscì a dirle, prima di spiccare un balzo ed atterrare sulla schiena dell’enorme lupo.
L’animale, che con la propria figura riempiva quasi interamente la tromba delle scale, s’arrestò di colpo sulla seconda rampa e provò a disarcionarlo inarcando la schiena.
Evan si aggrappò con tutte le sue forze alla gorgiera castana, cercando di mantenere l’appiglio. Combattere in uno spazio così stretto non era l’ideale per creature come loro, ma il caso -o la sfortuna- avevano deciso diversamente.
Mentre lo tratteneva con tutta la forza che aveva, vide la porta dell’appartamento aprirsi ed una mano trascinare dentro Amanda e Frances, letteralmente terrorizzate.
“Grazie.”, pensò, mentre veniva sbattuto nuovamente contro il muro ed incassava il colpo. Inspirò a fondo prima di far forza con le braccia e guadagnare un po’ di spazio. Nel mentre, Dave arrivò in suo soccorso, afferrando le fauci del lupo per impedirgli di causare ulteriori danni.
-Dobbiamo riportarlo in cantina.- fece loro presente Alastair. -Oppure sedarlo.- aggiunse, vedendo con quanta forza si stava ribellando ai due licantropi.
-Per ora mettiamolo ko.- Evan digrignò i denti, provando a stringere quel tanto che bastava per far perdere i sensi all’animale.
Ma la bestia sembrava essere di tutt’altro parere, tant’è che rifilò una zampata in pieno petto a David, mandandolo a ruzzolare sul pianerottolo. Nuovamente libero di usare le fauci, il lupo si avvitò su se stesso e puntò alla gola di Evan.
Il giovane afferrò con forza mascella e mandibola, tenendole il più aperte possibile.
Iniziarono un feroce braccio di ferro, che sembrava si sarebbe concluso con un nulla di fatto da entrambe le parti, data la forza dei contendenti.  
David ed Alastair non osavano intervenire, per timore di distrarre il ragazzo ed esser la causa di un suo ferimento.
  Quasi ringhiando per lo sforzo, Van fece lentamente leva, gonfiando i muscoli delle braccia fino a farli pulsare. Il suo avversario emise un verso di protesta, cercando di avvicinare i denti. Poi, con una torsione improvvisa, lo scozzese ebbe ragione del lupo e lo mandò a sbattere violentemente contro i gradini.
Quello non gradì affatto il trattamento e gli si gettò addosso, sfondando letteralmente la parete alle loro spalle. Con un’espressione sorpresa, Evan cadde di sotto.


-Cosa diavolo… oddio… Mandy!- Frances stava respirando affannosamente e non sapeva se urlare o mettersi a piangere.
Amanda aveva il cuore a mille non meno di lei ma, essendo già passata incolume attraverso alcune situazioni simili, si sentiva leggermente più centrata. Lentamente, allungò una mano verso la sorella e mormorò:-Fran, devi cercare di calmarti.
Al che l’altra la guardò con tanto d’occhi. -Calmarmi?! Ho appena rischiato di essere sbranata dal mio fidanzato!- sbraitò, gesticolando come impazzita.
Mandy la fissò spiacente. -Devi capire che non sa quello che sta facendo, ora come ora.
-Balle! Come può non saperlo?!- Frances scosse la testa, allontanandosi dal portoncino d’ingresso.
-Andrew ucciderebbe la sua stessa madre, se dovesse incontrarla questa notte.- intervenne Emily. Le due sorelle si voltarono, rendendosi conto della sua presenza solo in quel momento. -Siete ferite?- chiese allora la lupa.
La più piccola delle Miller scosse la testa, ispezionandosi rapidamente. -Ce la faranno a calmarlo?- domandò, ascoltando preoccupata i rumori che giungevano dalle scale.
L’ex membro dei Blacks si passò una mano tra i capelli, spettinandoli. -Lo spero per lui.- disse solamente.
-E questo cosa vuol dire? E tu chi saresti?- Frances s’intromise nella conversazione, con una nota irosa nella voce.
-Io sono Emily. Sono la nuova Sentinella del branco.- si presentò la donna. -Riguardo a quello che ho detto prima… Andrew starà malissimo, domattina, se dovesse far del male a qualcuno. Ecco perché spero che riescano a rinchiuderlo di nuovo.- aggiunse subito dopo.
Frances scosse più volte la testa, la rabbia nuovamente mutata in confusione. -Non capisco cosa state dicendo. Proprio non capisco…
Mandy le si avvicinò e lentamente le avvolse le braccia attorno alle spalle. -Ti spiegherò tutto più tardi, Fran. Ora devi calmarti, per favore. Qui siamo al sicuro.- le disse, cercando di suonare rassicurante. Lo sguardo negli occhi di Frances le fece capire di non essere riuscita nell’intento.
-Ora come ora, l’importante è che stiate lontane dalla porta. I licantropi non possono scalare le pareti, quindi l’unico punto di accesso è quello.- disse Emily, frapponendosi tra loro e la porta in questione. -Sono ferita, come potete vedere, quindi non potrei proteggervi al meglio.
-E Blake?- chiese allora Amanda, notando l’assenza del piccolo.
Emily si lasciò andare ad un piccolo sospiro, sollevata. -Dorme, per fortuna.
Annuendo a più riprese, la morettina cercò di calmare il battito furioso del proprio cuore. Sapeva di non dover perdere la testa, in quella situazione. Soprattutto perché Frances sembrava abbastanza instabile, a giudicare dal modo in cui si guardava attorno e si passava le mani sul viso.
Era ancora persa nei propri pensieri quando avvertì distintamente il rumore di un crollo. -Cos’è stato?- sollevò la testa di scatto, in allarme. Frances fece lo stesso, corredando il tutto con uno strillo isterico.
Emily fu rapida a raggiungere una delle finestre, aprirla e sporgersi. -Maledizione!- imprecò tra i denti.


  Era come esser stati investiti da un treno che aveva deragliato dai binari. Un treno dotato di artigli e denti affilati. E parecchio arrabbiato.
Andrew era tutte quelle cose, in quel momento: arrabbiato, fuori controllo e potenzialmente mortale.
Ed il dolore che provava Evan era maledettamente reale.
“Mi ha sfondato alcune costole.”, realizzò, sbattendo qualche volta le palpebre per tornare lucido. La caduta dal secondo piano gli aveva provocato diverse lesioni interne, senza contare il fatto che erano precipitati in strada e chiunque, nell’isolato, avrebbe potuto vederli.
L’ultima cosa che gli serviva era un attacco di panico generalizzato tra gli umani.
Il suo avversario aveva risentito in egual modo del salto ed ora stava barcollando in modo confuso in direzione del palazzo, scuotendo violentemente il capo per poter recuperare l’uso della vista.
   Van sapeva che doveva approfittare di quel momento di distrazione per cercare di riportare la situazione sotto controllo. Con un grugnito recuperò la posizione eretta e, dopo un breve respiro, scattò verso il licantropo. Ignorò le fitte di dolore che lo attanagliarono e si gettò letteralmente addosso alla bestia, pronto ad afferrarla al collo.
L’animale se ne accorse e si girò d’istinto, le fauci spalancate. Pur non vedendo bene, poteva percepire senza problemi quello che succedeva attorno a lui. E l’odore del suo avversario era troppo distinguibile per essere ignorato.
L’impatto fu ancora una volta violento ed i due si ritrovarono a rotolare per terra in un groviglio di pelle e pelo. Nella loro lotta convulsa finirono contro alcuni cassonetti dell’immondizia, riversandone tutto il contenuto per strada.
Attorno a loro si stavano accendendo sempre più luci e sempre più facce si stavano affacciando alle finestre. Qualcuno gridò quando Van spezzò una costola al lupo, producendo un sonoro crack. L’animale se lo scrollò di dosso uggiolando ed i due misero temporaneamente fine al loro corpo a corpo.
  Erano entrambi in debito d’aria e le numerose ferite, più o meno superficiali, perdevano sangue. Ma non potevano smettere di lottare, non quando tutti e due avevano ancora concrete possibilità di vittoria.
“Abbiamo recuperato del sorbo. Portalo verso le cantine!”, la voce di David giunse chiara ed improvvisa nella mente di Evan.
Lo scozzese si accigliò, cercando di ragionare. “Temo non basterà.”, ammise.
“Facciamo un tentativo, almeno.”, lo pregò l’amico. Capiva perché non volesse far del male ad Andrew: la sua prima trasformazione era stata così violenta da aver minato il suo spirito per parecchie settimane. Nessuno di loro voleva che la licantropia di Drew divenisse un biglietto di sola andata per il manicomio.
Quindi, nonostante fosse poco propenso a credere nella buona riuscita del piano, il giovane MacGregor si preparò a fare quanto gli era stato suggerito. Contrasse alcune volte le dita delle mani, saggiandone la forza, e valutò l’ambiente attorno a sé, cercando di trovare qualcosa che potesse sfruttare a proprio vantaggio.
  Ironia della sorte, fu Frances a venirgli in aiuto.


-Andrew!- non poté trattenersi dal gridare.
Era perfettamente a conoscenza della forza di quel lupo dal pelo castano chiaro, ma vederlo così apertamente minacciato le fece temere il peggio.
-Frances!- Amanda fece per trascinarla via dalla finestra, spaventata. -Finirai per farlo ammazzare!
La sorella la guardò con tanto d’occhi, spaventata al solo pensiero. -Non oserebbero!
-Certo che no. Stanno proprio cercando di fargli meno male possibile, stupida ragazzina!- s’intromise Emily. All’udire quelle parole, la maggiore delle Miller assottigliò gli occhi, pronta a ribattere inviperita. -Non sai niente di questo mondo. Quindi evita di combinare guai.- rincarò la dose la lupa, irritata.
Vedendo il viso di Fran farsi paonazzo, Mandy temette il peggio. Allungò una mano per attirare la sua attenzione, quando un ruggito scosse l’intero edificio. I vetri tremarono, minacciando di andare in mille pezzi.
Le due ragazze si appiattirono contro il muro, terrorizzate, mentre Emily s’irrigidì di colpo.
-Mamma..?
L’americana si voltò di scatto e, vedendo il nipote in piedi all’imbocco del corridoio, sbiancò. -B-Blake… torna di là. Subito.- cercò di suonare il più perentoria possibile.
Il bambino si guardò attorno, spaesato. -Ma… sento un nuovo odore…- protestò debolmente.
Emily scosse il capo. -Per favore, tesoro. Torna in camera.- lo pregò. Diffidente, il piccolo cercò di muovere un passo verso le tre donne, ma un ringhio sommesso di quella che credeva essere sua madre lo fece desistere.
Sbatté un paio di volte le palpebre, confuso, e poi sparì nel buio della zona notte.
-Cos’è stato?- domandò a quel punto Amanda, distogliendo lo sguardo dal punto in cui si trovava Blake fino a qualche istante prima.
La licantropa si voltò. -Evan. Quella era la voce dell’Alfa.- disse. -Sta cercando di ottenere il controllo sulla bestia che domina Andrew.- aggiunse, vedendo l’espressione delle giovani farsi assai confusa.
Amanda lanciò un’occhiata alla porta. -E sta funzionando?
Emily si prese qualche istante per ascoltare quello che stava accadendo dall’altro lato. Sentiva rumori di colluttazione violenta, imprecazioni a denti stretti e diversi odori. Quello del sorbo e del sangue sovrastavano tutti gli altri.
Poteva avvertire in bocca il sapore ferrigno di quel prezioso liquido rosso. Era così vivido che avrebbe giurato di essersi ferita nuovamente lei stessa.
Diede una rapida ispezione al proprio corpo, poi alzò lo sguardo sulle due umane. E fu allora che lo vide: un piccolo, insignificante taglietto.
-Frances…- emise un singulto.
-Cosa?- fece quella, sulla difensiva. Ma pur sempre pronta ad uno scatto di rabbia.
 Alzò lentamente il braccio, toccandosi la mano per farle capire. -La tua…- iniziò, ma non ebbe mai modo di finire.


  Evan aveva spinto violentemente il licantropo all’interno dell’atrio sventrato del palazzo, mandandolo a sbattere contro il muro che chiudeva il seminterrato.
Subito, Alastair e David l’avevano accerchiato, iniziando a gettare a terra manciate di polvere nera. Mentre i due terminavano di delineare il cerchio, i due contendenti si erano dati battaglia senza esclusione di colpi.
-Evan, esci!- urlò perentorio Alst. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e, con una rovesciata degna di un acrobata, atterrò al di là del circolo. Subito il lupo cercò di seguirlo, ma la barriera creata dal sorbo lo bloccò, facendolo uggiolare confuso.
Il giovane MacGregor si avvicinò, cercando di estendere la propria aura per entrare in contatto con Andrew.
O almeno con la parte di lui che non era stata ancora prevaricata dalla bestia.
Trovò una resistenza molto forte da parte del licantropo e fu ricacciato indietro diverse volte. Digrignò i denti, espandendo nuovamente la propria forza vitale. Questa volta l’animale rispose con la propria e le due masse d’energia esplosero come bolle di sapone, emettendo scariche elettrostatiche.
-Non riesco ad entrare in contatto con la sua parte umana. Il sangue rende la bestia incontrollabile.- dovette ammettere, affaticato.
David gli si avvicinò, il fiato corto a causa dell’agitazione. -Perché non riusciamo a contenerlo?- domandò, lanciando un’occhiata al lupo. L’animale stava provando a forzare il campo d’energia creato dalla polvere di sorbo, ma senza ottenere nulla oltre a rinculi e sbandate.
-E’ per colpa della ragazza, molto probabilmente.- meditò Alastair, osservandoli pensieroso.
Evan arrischiò una rapida occhiata alle scale. -Frances?
Il padrino annuì. -Credo che il legame affettivo che lega il giovane Andrew a quella ragazza stia dando forza alla bestia.- rispose.
-Ma una cosa del genere non si è mai sentita!- protestò Dave. Quando si era trasformato aveva attaccato la madre, rischiando di ucciderla. Il suo odore gli era parso uguale a quello di tutte le altre prede e alla creatura che aveva dentro di sé interessava solo uccidere, in quel momento. “Non ho riconosciuto mia madre…”, realizzò, sentendosi male al solo pensiero.
Rendendosi conto dell’angoscia dell’amico, Van lo sfiorò con la propria aura per attirarne l’attenzione. Quando gli occhi azzurri di David incontrarono i suoi, Evan disse:-Non pensarlo nemmeno. Siamo tutti mostri, qui. E nessuno lo è più degli altri.
-Ma…
-No, David. Niente ma.- lo zittì l’altro.
-Evan ha ragione. Da quello che so, tu non avevi questioni in sospeso con tua madre, quando accadde. Tra voi andava tutto bene. Cosa che non si può dire dei due giovani americani.- s’intromise Alastair.
-Questa cosa è assurda.- protestò nuovamente il moro.
-E’ l’America. A quanto pare tutto può succedere, in questo Paese.- commentò Evan, sottolineando la propria affermazione con un’alzata di spalle. Non convinto delle parole dell’amico, David fece per parlare di nuovo, quando attorno a loro si fece il silenzio.
I tre si scambiarono qualche sguardo confuso, prima di puntare gli occhi sulla bestia, ora immobile. Il lupo aveva il muso alzato verso l’alto e sembrava stesse captando qualcosa nell’aria. Insospettito, il giovane MacGregor inspirò a fondo, cercando di identificare l’origine dell’odore che aveva catturato il licantropo.
Gli bastò poco per capire.
Sgranò gli occhi nello stesso istante di Alst, prima di gettarsi di lato su David. I due rovinarono pesantemente al suolo mentre la bestia si liberava della polvere di sorbo con un potente ululato. Nemmeno il tempo di scrollarsi di dosso i residui, che si slanciò lungo la rampa di scale più vicina, calpestando i giovani.
-Dannazione!- Evan tentò di afferrarlo per la coda, ma fu troppo lento. Si rialzò il più in fretta possibile, dando una mano all’amico, e poi si lanciò all’inseguimento.


  Emily si pose immediatamente davanti alle ragazze non appena capì cosa stava per succedere.
Giusto il tempo di rassicurarle con una breve occhiata ed ecco che la porta tremò violentemente sui cardini. Le tre sobbalzarono, non potendone fare a meno: sembrava che un ariete stesse prendendo a testate la superficie rinforzata.
Trattennero il fiato, sperando che smettesse di vibrare. Ma dopo poco arrivò un altro colpo, che deformò l’infisso nella parte centrale.
-Oddio..!- piagnucolò Frances.
-State calme.- intimò loro la lupa. Doveva evitare che dessero di matto, se no il suo compito si sarebbe fatto molto più complicato.
Mentre cercava di capire come agire, la porta cedette sotto l’ennesima spinta e si spalancò violentemente, finendo sul pavimento. Allargò le braccia a mo’ di scudo, facendo un passo indietro.
Quello che aveva davanti era forse il neonato più violento con cui avesse mai avuto a che fare. Non sapeva come avrebbe reagito, soprattutto considerato che il sangue di Frances sembrava accrescere la sua forza. O semplicemente lo mandava fuori di testa.
Puntò gli occhi verdi in quelli chiari del lupo, tentando d’indovinare le sue intenzioni. L’animale arricciò il labbro superiore, mostrando i denti affilati.
“Ucciderà Frances?”, si chiese la ragazza. Doveva proteggere solo una delle due sorelle Miller, sperando che l’obiettivo fosse solo la più grande?
Non sapeva cosa fare e non poteva concedersi il lusso di aspettare.
Il licantropo sembrava pensarla nello stesso modo, perché avanzò bellicoso all’interno dell’appartamento. Annusò l’aria con attenzione prima di ringhiare all’indirizzo delle ragazze.
-Stai indietro.- gli intimò Emily con voce distorta. Aveva bisogno di richiamare la propria bestia se voleva avere una possibilità.
L’animale ignorò l’avvertimento ed avanzò ancora di qualche passo, prima di essere trascinato a terra all’improvviso. Sobbalzando per la sorpresa, le tre videro Evan cercare di avere la meglio sul suo avversario. Purtroppo, le dimensioni dell’ambiente consentivano ben poche manovre e ben presto lo scozzese si ritrovò schiacciato contro lo stipite della porta, in difficoltà.
   Emily fece per andare in suo aiuto, ma un’occhiata del giovane bastò a bloccarla: doveva proteggere le due umane, quello era il messaggio. Mordendosi il labbro recuperò la propria posizione, cercando nel contempo un modo per metterle in salvo.
Con la coda dell’occhio intravide il parapetto delle scale antincendio esterne ed ebbe un’idea. “Perché non ci ho pensato prima!”, si diede mentalmente della stupida, prima di girarsi verso le due sorelle. Amanda sembrò aver intuito le sue intenzioni perché annuì ed afferrò saldamente il braccio di Frances, indicandole col capo la via di fuga.
Tenendo sotto controllo la colluttazione che stava avvenendo a pochi metri da loro, Emily prese ad avanzare, avendo cura di frapporsi sempre tra le giovani ed il lupo.
“Prima Frances. Dobbiamo eliminarla dall’equazione per sperare d’indebolire Andrew. Portala il più lontano possibile.”, le parole di Evan la raggiunsero all’improvviso.
“Va bene.”, disse solo. Erano ormai alla finestra quando si bloccò. -Blake!- esalò, terrorizzata. Non poteva lasciarlo lì, in mezzo alla battaglia.
Amanda la sentì chiaramente e decise di rendersi utile. -Porta via Frances!- spinse la sorella tra le sue braccia e si catapultò verso il corridoio che conduceva alla zona notte.
  In quell’istante accaddero molte cose: il lupo si rese conto che la sua preda se ne stava andando, si liberò con violenza della presa di Evan e David, sopraggiunto ad aiutare e spinse l’inglese oltre il parapetto delle scale, facendolo precipitare di sotto.
-David!- Van si rialzò in fretta, aggrappandosi al parapetto per guardare giù. La bestia ne approfittò per scomparire all’interno dell’appartamento e travolgere tutto quello che trovava, nel tentativo di raggiungere il suo obiettivo.
-Ci penso io a lui. Vai!- Alst fu lesto a raggiungere l’inglese, disteso in modo scomposto sul pavimento. Evan esitò ancora qualche istante, volendosi accertare che l’amico non si fosse rotto l’osso del collo. Nemmeno un licantropo poteva sopravvivere a quello. -Sbrigati!
Riscuotendosi di colpo, lo scozzese si voltò verso il varco d’ingresso e si precipitò oltre la soglia. Non aveva idea di come fermare Andrew, a meno di non causarne la morte.
  E quella non era un’opzione.


    Aveva raggiunto la camera in cui avevano sistemato il piccolo Blake con poche, lunghe falcate. Appena aperta la porta per guardare all’interno, il bambino le era balzato al collo, mandandola a sbattere contro il muro.
-Blake! Tranquillo!- lo afferrò saldamente per i fianchi, immobilizzandolo. Il bambino la guardò con tanto d’occhi poi, riconoscendola, si calmò. -Dobbiamo andarcene.- gli disse allora.
-Ma… e il lupo cattivo?- chiese, spaventato.
-Dobbiamo evitare di farci prendere. È come se stessimo giocando ad acchiapparella.- gli sorrise, tentando di rassicurarlo. Sapeva che poteva vederla anche al buio, cosa che lei invece non poteva assolutamente fare.
-Mamma..?- chiese allora piccolo.
Mandy si morse il labbro, cercando di calmare il battito del proprio cuore. -Sta aiutando mia sorella. Io non sono abbastanza forte per farlo, così si è offerta lei.- disse, sperando che bastasse per convincerlo.
Blake sembrò meditare qualche istante sulle parole della giovane, ma poi strisciò lentamente verso la porta, guadagnando subito dopo la posizione eretta. -Andiamo, allora…- tese una mano verso Amanda.
Lei annuì ma, invece di afferrargli la mano, lo prese direttamente in braccio. Sbirciò all’esterno e, convinta che la via fosse sicura, puntò rapidamente verso la zona giorno.
  Aveva quasi guadagnato il soggiorno, quando venne investita in pieno da una massa pelosa, che la rispedì all’interno del corridoio. Strinse con forza Blake e cercò di attutire il colpo come poté.
Non ebbe nemmeno il tempo di alzarsi che si sentì afferrare per l’orlo dei pantaloni e trascinare con forza. Accentuò la presa sul bambino e serrò gli occhi, senza nemmeno tentare di opporsi.
Quando li riaprì si ritrovò ad osservare le fauci del licantropo in cui si era trasformato Andrew, pronte a dilaniarle la giugulare. Impallidì, coprendo gli occhi di Blake per non farlo ulteriormente spaventare.
Non sapeva cosa fare né come uscire viva da quella situazione.
Si ritrovò a fissare la propria immagine riflessa negli occhi del lupo e non vide nulla che lasciasse intuire la presenza del suo caro amico.
Sembrava fosse stato cancellato. Completamente.
Terrorizzata all’idea di poter trovare la morte in quel modo subdolo, chiuse gli occhi, pregando che finisse in fretta. Fortunatamente, la sua cattura aveva dato tempo ad Evan di racimolare le ultime energie e trasfigurare la propria mano destra in un artiglio.
Proprio mentre il lupo stava per sferrare il colpo mortale, l’affondò con forza alla base del suo collo, avendo cura di evitare la spina dorsale.
Il licantropo sgranò gli occhi chiari, tossendo un fiotto di saliva mista a sangue. -Scappa, muoviti!- ingiunse lo scozzese.
Amanda non se lo fece ripetere due volte e sgusciò via da sotto le zampe dell’enorme creatura, rimettendosi in piedi poco dopo. Si assicurò che Blake stesse bene e poi corse verso la finestra aperta, scalciando le scarpe col tacco per aver maggior libertà di movimento. Chinandosi verso l’apertura, fece sedere Blake sul davanzale. -Vedi queste scale? Devi percorrerle tutte: alla fine troverai tua madre.- indicò il percorso che si snodava sotto di loro, ignorando i lampeggianti rossi e blu che illuminavano a giorno la facciata del palazzo.
Il piccolo guardò giù, deglutendo rumorosamente. Sotto di loro si era radunata una piccola folla, tenuta a bada da un gruppo nutrito di poliziotti. Avevano tutti gli occhi puntati in alto, verso l’appartamento.
-Non temere: andrà tutto bene.- Amanda tentò di sorridere, dato che le parole le uscirono stentate. Alle sue spalle giungevano rumori inquietanti e temeva di essere attaccata da un momento all’altro. Lanciò una breve occhiata alle proprie spalle e vide che Evan ed il lupo erano ancora strettamente avvinghiati. -Sbrigati, Blake, ti prego.- tornò a voltarsi verso il suo piccolo interlocutore.
Seppur tremante, il bambino annuì e si calò sul grigliato, iniziando la discesa.
-Bravo.- questa volta il sorriso della ragazza fu genuino. Fece per seguirlo a sua volta, ma ebbe un momento d’esitazione.
Si voltò indietro giusto in tempo per vedere il licantropo che si liberava della presa di Evan con una torsione del busto. A quella manovra improvvisa seguì un sonoro crack, segno che il braccio dello scozzese si era rotto. Mandy si portò le mani alla bocca, sconvolta.
-Vattene.- sibilò il giovane MacGregor, apparentemente incurante del dolore all’arto.
Lei lo guardò con tanto d’occhi, desiderosa di aiutare, ma impossibilitata a farlo. Come poteva andarsene lasciandolo in quelle condizioni? L’alba era ancora lontana ed Evan non avrebbe potuto combatterlo ancora a lungo.
“Ma cosa puoi fare, tu? Sei solo una semplice umana.”, la schernì la voce della sua coscienza. Non aveva armi, non conosceva nessuna tecnica di combattimento. La cosa più pericolosa che possedeva erano le scarpe col tacco, vezzo femminile assolutamente inutile in quel frangente.
“Vezzo..?”, mentre ragionava sul da farsi, la sua mano era andata alla collana che portava al collo. L’aveva indossata perché si abbinava al completo pantalone che aveva scelto quella mattina, senza pensarci troppo. -Argento…- mormorò.
Andrew le aveva detto che l’argento non poteva uccidere un licantropo, ma sapeva con certezza che poteva ferirlo gravemente, bastava vedere le bruciature sui polsi di Blake.
Rapidamente aprì la chiusura e fece scivolare il gioiello nella mano, tendendolo poi come una corda. Ne soppesò la lunghezza e la trama, poi puntò lo sguardo sul licantropo che aveva davanti.
“Andrew, perdonami.”, pensò. Prese un respiro profondo e si gettò verso i due contendenti, ora intenti ad evitare vicendevolmente i propri colpi. Saltò alcuni calcinacci, atterrando malamente su un piede. Si lasciò sfuggire una piccola imprecazione, ma tanto bastò per attirare su di sé l’attenzione del lupo.
   L’animale girò su se stesso, pronto a proteggersi. Preda del suo stesso slancio, Amanda non riuscì a bloccarsi in tempo e venne colpita in pieno petto da una zampata, nonostante l’intervento tempestivo di Evan. Fu sbalzata in aria con una tale forza da sfondare la finestra alle sue spalle e finire contro il parapetto metallico delle scale di sicurezza.
Sbatté abbastanza violentemente la parte superiore del corpo e giacque stordita, mentre qualcuno sotto di lei gridava per lo spavento.


   Si bloccò.
Attorno a lui c’erano rumori e odori che chiedevano a gran voce la sua attenzione.
Ma l’odore che l’aveva spinto fino a lì se n’era andato, non riusciva più a percepirne il dolce richiamo. Ora rimanevano le ferite che gli erano state inferte, il dolore e la paura.
Con un singulto, Andrew tornò a prendere pieno possesso del proprio corpo, scacciando nel profondo della propria coscienza la bestia che l’aveva tenuto prigioniero fino ad allora.
Si guardò intorno, osservando spaesato la distruzione che lo circondava.
Il senso dell’olfatto gli disse che Evan era alle sue spalle, mentre molte altre persone si trovavano ai piedi del palazzo. Poteva percepire il suono delle sirene di un paio di ambulanze.
Sui muri passavano ad intervalli regolari le luci lampeggianti delle volanti.
   Era ancora notte.
Come poteva essere tornato in possesso del proprio corpo se non era ancora sorto il sole?
Girò su se stesso, ancora più confuso. Ignorò la presenza del proprio Alfa, cercando di capire cosa fosse successo. Cos’avesse fatto.
Poi la sua attenzione fu catturata da una figura che giaceva a terra.  
Mosse qualche passo in quella direzione e, quando si rese conto che si trattava di Amanda, il suo cuore perse un battito.
Non Frances. Aveva ucciso Amanda.
Sentì qualcosa dentro di sé rompersi ed avvertì la bestia tornare prepotentemente alla carica. Senza pensarci due volte si voltò verso Evan e, trovandolo con in mano una catenina d’argento, gli porse il collo, chiudendo gli occhi.
Per quello che aveva fatto l’unica ricompensa possibile era la morte. Poco importava che fosse per strangolamento: bastava fosse veloce e pulita.
Avvertì distintamente le maglie della catenella mordere la sua pelle ed iniziò subito a guaire. Evan strinse più forte, facendo affondare il metallo.
  In poco tempo i suoni attorno a lui si attutirono, spegnendosi definitivamente quando cadde nell’oblio più profondo.
 

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Capitolo 23
*** Cap. 22 Presagi ***


Cap. 22 Presagi
Scusate l'ennesima lunga attesa .-. Questi capitoli transitori mi stanno dando un po' di grattacapi ^^'
Comunque, avevamo lasciato il nostro branco col fiato sospeso: Andrew è morto? E che dire di Amanda? La situazione non è propriamente rose e fiori e, mi duole dirlo, potrebbe peggiorare... ma non voglio anticiparvi nulla!

Vi auguro buona lettura e un buon weekend! :)





Cap. 22 Presagi

   Accompagnò con delicatezza il capo del grosso lupo fino a terra, scosso da una moltitudine di sensazioni diverse per la prima volta da tempo. Tra tutte, la delusione verso se stesso e quel senso d’impotenza che poteva annullare qualsiasi altra cosa, rendendo l’uomo debole.
Si prese qualche istante per assicurarsi di non aver calcato troppo la mano, ferendo irrimediabilmente il giovane Andrew. Fortunatamente il petto del lupo si contraeva a ritmo normale, senza mostrare nessun segno di (eccessiva) sofferenza.
   Stava ancora ripercorrendo mentalmente quanto successo quella notte, quando un gemito lo riscosse dalle sue riflessioni.
Si raddrizzò, reprimendo una smorfia di dolore, e in due rapide falcate raggiunse il foro dove prima si trovava una delle finestre della zona giorno. Lo scavalcò e si accucciò accanto ad Amanda, che sembrava stesse riprendendo conoscenza. Con quanta più delicatezza possibile le mise due dita sotto la mascella per cercare il battito del cuore e verificare così le sue condizioni. La giovane aveva fatto un bel volo, atterrando di schiena contro il parapetto metallico delle scale antincendio: era un miracolo che non si fosse rotta l’osso del collo precipitando di sotto.
-Amanda.- sussurrò con urgenza. Se non si fosse ripresa entro poco avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di chiamare i paramedici che si trovavano ai piedi dell’edificio. Aggiungendola così alla lista degli innocenti coinvolti ingiustamente nello scontro appena avvenuto.
“Scontro che non sarebbe successo se tu fossi stato più assennato.”, sentì la voce di suo padre prendere possesso dei suoi pensieri. Imprecò a denti stretti, scuotendo con forza il capo per schiarirsi le idee.
  Mentre lottava contro demoni che credeva di aver sconfitto da tempo, Amanda rinvenne con un singulto, portandosi immediatamente le mani al viso.
Evan fu lesto ad afferrarle i polsi, impedendole di farsi del male e controllando, al contempo, che non avesse schegge di vetro piantate nei palmi. La scandagliò rapidamente dalla testa ai piedi, cercando di decidere se fosse saggio farla alzare.
-B-Blake sta bene…?- fu la prima cosa che riuscì ad articolare la ragazza.
Lo scozzese si accigliò, stupito dalla domanda. Poi gettò uno sguardo oltre il parapetto, per accertarsi che il resto del branco fosse effettivamente al sicuro. -Sta bene.- disse solamente.
Lei sospirò, sollevata. -Meno male.
-Sei tu a non star bene. Ricordi cos’è successo?- le chiese invece lui.
Mandy aggrottò le sopracciglia, cercando di concentrarsi. -Credo di sì…- mormorò. Poi, quando la consapevolezza la raggiunse, sgranò gli occhi ed esalò:-Andrew!
Evan le impedì di muoversi premendo fermamente contro il suo petto. -Non farlo.- intimò. Poi, vedendo lo sguardo della ragazza, fece un breve cenno del capo. -Andrew è svenuto, ma sta bene.- disse.
-E’ ferito?- fu la logica domanda.
-Come tutti noi.- replicò il giovane MacGregor. Aggiungendo subito dopo:-Hai sensibilità alle estremità?
Gli occhi acquamarina della sua interlocutrice lo fissarono interrogativi. -C-come…? S-sì…- rispose, muovendo le dita della mano destra. -Ho solo sbattuto la schiena.- aggiunse, cercando di porre fine a quella conversazione.
-Non posso avere la certezza che tu sia bene. Non qui e non senza un adeguato controllo.- obiettò Evan.
-Sto benissimo.- senza dargli il tempo di reagire, Amanda si mise a sedere. Poi, afferrando saldamente il parapetto, si alzò in piedi. La brezza notturna la fece rabbrividire di colpo, ma non cedette. Van fu lesto ad imitarla ed in poco si ritrovarono a fissarsi, ignari di quello che stava succedendo sotto di loro.
   Ci fu un attimo di silenzio, poi la folla sottostante esplose in un boato, iniziando ad applaudire.


   -Oddio, sta bene! Per fortuna sta bene!- Frances si lasciò andare al pianto, sollevata di vedere la sorella muoversi senza difficoltà.
Al suo fianco, Emily rafforzò la presa su Blake, addormentatosi con la testa sulla sua spalla. Avrebbe voluto imitarla per poter dar sfogo alla paura che l’aveva attanagliata, ma sarebbe stata una cosa oltremodo umiliante per una della sua pasta, perciò si limitò ad un sospiro di sollievo.
   Alle spalle delle due ragazze, Alst ringraziò il buon Dio per aver risparmiato loro una sorte peggiore. Perfino David, che era stato scaraventato nel vuoto durante lo scontro, non se la passava troppo male: un paio di giorni e la frattura che aveva riportato sarebbe scomparsa.
Rimaneva solo da capire in quali condizioni si trovassero Evan e Amanda.
-Poteva andare peggio, eh?- la voce dell’inglese giunse leggermente strozzata. Alastair si girò e lo raggiunse, guardandolo con condiscendenza.
-Andiamo, Alst. Ho bisogno di un po’ di sarcasmo.- si giustificò quello.
-No, avreste bisogno della benedizione di Santa Brigida.- replicò l’altro, scuotendo il capo. –Siete qui da meno di due mesi e ho già perso il conto delle vostre ferite.
Il suo interlocutore si scrutò, pensieroso. –No, le mie si possono ancora contare facilmente.- disse, mantenendosi ironico. Alastair alzò gli occhi al cielo, preferendo non replicare.
In quel momento Evan li raggiunse, seguito a breve distanza da Amanda. La giovane era stata investita dall’abbraccio soffocante della sorella e si era fermata qualche metro più indietro.
-Come state?- fu la prima cosa che chiese. La preoccupazione si poteva leggere chiaramente nei suoi occhi.
-Dovremmo essere noi a chiederlo.- gli fece presente Alst.
Il giovane gli lanciò un’occhiata insofferente, pronto a ribattere. Alla fine preferì tacere e limitarsi ad una rapida ispezione delle proprie ferite. –Poteva andare peggio.- commentò.
-Ma poteva andare meglio.
-Van, non riuscirai a spuntarla. Fatti dare un’occhiata, così la smetterà di preoccuparsi.- intervenne David. Il suo migliore amico aprì la bocca per rispondere, ma lo anticipò aggiungendo:-Non discutere.
Scuotendo la testa, Evan si avvicinò ad Alastair e chiuse gli occhi con un lento sospiro, lasciando che l’altro lo ispezionasse con attenzione.
Alst aveva appena iniziato a maneggiare l’articolazione del braccio, quando la loro attenzione fu catturata dall’arrivo di una lupa. Stupito, Evan aprì gli occhi, ritrovandosi davanti una dei suoi sottoposti.
-Agente Simmons…- mormorò, irrigidendo la postura.
La donna lo salutò con un breve cenno del capo per poi chiedere:-State bene, capitano? Cos’è successo?
-Sì, sto bene. Ma voi cosa ci fate qui?
-La squadra è stata allertata a causa di uno scontro tra licantropi. Credevamo fosse in corso una regolazione di conti tra clan.- spiegò, indicando col capo le due volanti alle sue spalle.
-Non nel mio territorio.- Aleksandr fece la sua comparsa alle spalle dei presenti, evanescente come un fantasma.
Evan fu lesto a voltarsi e fronteggiarlo, pronto ad assumersi le proprie responsabilità. Lo salutò con un cenno del capo ed un rapido gesto della mano, in cui due dita sfiorarono brevemente la fronte.
I due rimasero a fissarsi in silenzio per diversi istanti, studiandosi attraverso la proiezione delle rispettive auree. Quella del russo era fredda come la carezza dell’inverno e avrebbe potuto essere altrettanto letale.
-Ebbene?- fu Aleksandr il primo a distogliere lo sguardo.
-Abbiamo avuto un problema con un nuovo affiliato.- fu la risposta.
L’uomo alzò il capo verso l’edificio di mattoni che era stato teatro dello scontro. –Questo lo vedo.- commentò solamente.
-E’ un problema interno al mio branco, la tua presenza non era necessaria.- Van non poté nascondere il proprio fastidio. Essere controllato a vista come fosse un pivellino gli faceva dubitare dei termini del loro accordo.
-Piuttosto il contrario, direi. Siete nel mio territorio e spetta a me mantenere l’ordine delle cose.- disse l’Alfa di Hamilton Heights. Dedicò un’altra breve occhiata ai danni provocati dai recenti combattimenti e tornò a guardare il proprio interlocutore.
Alastair, che si trovava alle spalle di Evan, fece di tutto per non intervenire. Una sua intromissione avrebbe minato l’autorità del giovane MacGregor, sminuendolo agli occhi dell’altro capobranco.
-Vi ho concesso ospitalità perché mi siete parsi degni di fiducia. Devo supporre di essermi sbagliato?- chiese Aleksandr, mellifluo.
Van assottigliò gli occhi. –Nessun errore. Solo un problema con la luna.- ribadì a denti stretti.
L’uomo sollevò un sopracciglio, scettico, poi passò in rassegna tutti i presenti. Si soffermò brevemente sull’agente Simmons, che salutò con un mezzo sorriso ed un cenno, e poi proseguì la propria ispezione.
Quando notò Frances ed Amanda, ancora abbracciate, si fece improvvisamente ombroso. –Esporre la tua compagna a tale pericolo...- mormorò, disgustato. –Beschestnyy*.
Evan lo fissò confuso, non capendo a cosa si stesse riferendo. Inoltre non conosceva il significato del termine appena udito, ma era palese che non fosse un complimento. -Non ho una compagna.- replicò, guardando con la coda dell’occhio Amanda e sua sorella.
Aleksandr sollevò un sopracciglio, divertito dal tono di sicurezza di quelle parole.
Ai suoi occhi la realtà dei fatti era innegabile, soprattutto considerato come l’aura del giovane scozzese si protendeva verso la ragazza dai capelli scuri. Fece per chiedergli spiegazioni, quando l’arrivo della piccola Sofiya lo prese in contropiede, infrangendo i suoi propositi.


   La giovane licantropa si vide fissare dal padre, particolarmente interessato dalla sua apparizione. Anche Evan e gli altri presenti fecero lo stesso, assumendo però un atteggiamento guardingo. Le uniche a non essersi accorte di nulla erano le due ragazze, ancora strette in un forte abbraccio.
Sofiya esitò un attimo, pensierosa, poi allungò una mano per attirare l’attenzione delle due sorelle. Le bastò poco più che un lieve tocco per porre fine al contatto durato tanto a lungo.
La prima a concentrarsi su di lei fu Amanda, sorpresa di trovarsi davanti una bambina in età scolare. -M-ma… e tu da dove vieni, piccola?- le venne naturale chiedere.
A quelle parole anche Frances si rese conto della presenza di Sofiya e si allontanò leggermente, spaventata dai suoi occhi di ghiaccio.
-Sono venuta con mio padre.- la piccola fece spallucce, tranquilla.
-Tuo padre…?- Amanda iniziò a guardarsi intorno ed individuò subito il fantomatico genitore. Si trovava accanto ad Evan e poteva dire con certezza che lo scozzese non era contento della sua presenza. -Oh, ho capito.
Chinò lentamente il capo in direzione dell’Alfa di Hamilton Heights, avendolo riconosciuto dalle descrizioni datele dai membri del branco. Cercò di mostrarsi il più sottomessa possibile per non rischiare di compromettere la conversazione che stava avendo con Evan.
   Compiaciuto, Aleksandr fece per dire qualcosa, ma venne battuto sul tempo dalla figlia. -Mi piace, papa.- il fantasma di un sorriso si fece spazio sul volto della piccola. Era come se non fosse presente a se stessa e stesse osservando la scena dall’esterno.
-Perché dici che ti piace? Hai percepito qualcosa?- le domandò l’uomo, addolcendo impercettibilmente il tono della voce.
Sofiya lanciò un’occhiata ad Amanda, di nuovo pensierosa, poi annuì. -E’ pura… e leale. E non ha paura di me.- fu la risposta.
Sia Evan che Amanda si fecero perplessi, ma non osarono contraddirla. Aleksandr, invece, si passò due dita sulle labbra, celando a malapena un sorriso sornione.
Per lui quelle parole sembravano avere un qualche significato, a quanto pareva.
-Possiamo andare, ora?- la voce eterea di Sofiya ruppe la bolla di silenzio che si era creata poco prima a causa delle sue stesse parole.
Suo padre fece un breve cenno del capo. -Certamente.- disse, raggiungendola con poche falcate. I due si scambiarono un’occhiata complice, poi la piccola insinuò la mano pallida in quella dell’uomo, pronta a dirigersi verso casa.
   Ma poco prima di avviarsi, si voltò nuovamente verso Amanda e, dopo un attimo d’esitazione, puntò lo sguardo su Frances. Non disse nulla, limitandosi a fissarla intensamente, ma tanto bastò per dare i brividi alla giovane.
Il contatto visivo durò qualche istante, poi Sofiya ed Aleksandr si congedarono, lasciandosi dietro molti interrogativi.
-Io non…
La frase di David fu interrotta dalla burrascosa, quanto improvvisa, comparsa del proprietario dell’edificio, che marciò su di loro come un cane rabbioso.
-Chi! Chi è stato a fare questo?!- gesticolò verso il fabbricato, furibondo.
Evan ed Alastair si scambiarono uno sguardo d’intesa, pronti all’ennesima battaglia.
Quella notte non avrebbero avuto pace.


   Quando finalmente ebbero placato il proprietario dello stabile (promettendogli di farsi carico di tutte le spese di ristrutturazione) era ormai l’alba.
Molte delle persone accorse per assistere al combattimento se n’erano andate, ormai private del brivido dell’azione. Lo stesso si poteva dire della squadra di Evan, che era rientrata in centrale per fare rapporto.
Rimanevano solo i paramedici, che avevano insistito parecchio per poter visitare tutte le persone rimaste coinvolte nello scontro, e i giornalisti.
Quelli erano come gli avvoltoi: una volta adocchiata una preda non la lasciavano andare per nulla al mondo. E se con Evan ed Alastair avevano presto capito che era meglio non tirare troppo la corda, lo stesso non si poteva dire delle due sorelle Miller, assediate da diversi registratori.
Frances si stava innervosendo, desiderosa di poter avere un po’ di pace, mentre Amanda stava cercando in tutti i modi di fare da paciere. Con scarsi risultati, purtroppo.
-Vi prego… abbiamo bisogno di riposare. Avete abbastanza materiale per poter scrivere i vostri articoli.- ripeté per l’ennesima volta la giovane.
-Chi era il lupo fuori controllo? Fa parte del branco? Perché non volete dircelo? E voi siete delle affiliate?- le domande continuavano a sprecarsi e i giornalisti si facevano sempre più pressanti.
Mandy arretrò, cercando di mantenersi sempre tra la sorella e la folla di assedianti. Con la coda dell’occhio cercò istintivamente Evan, ma lo trovò impegnato a parlare con David.
Doveva cavarsela da sola, quindi.
-Fran, raggiungi i ragazzi. Loro sono sicuramente più minacciosi di me.- sussurrò voltandosi a mezzo.
-E pensi che questo basterà?- fece scettica quella.
-No, ma…
Amanda non ebbe tempo di aggiungere altro perché si sentì improvvisamente svuotata: sbattè le palpebre un paio di volte, confusa, e poi svenne.
-MANDY!- Frances gridò terrorizzata, gettandosi in avanti per sorreggerla.
L’urlo della ragazza attirò l’attenzione dei licantropi presenti, incluso il tenente Simmons, rimasta ad aiutare. David si puntellò su un gomito, cercando di vedere cosa stesse succedendo, mentre Alastair ed Evan si fecero largo tra i presenti.
Emily si era addormentata da un po’, appoggiata al tronco di un albero vicino, e nessuno ebbe cuore di svegliarla: sembrava veramente esausta.
-Cos’è successo?- Alst fu il primo a raggiungere Amanda. Si inginocchiò davanti alle due ragazze ed appoggiò immediatamente due dita sulla gola della mora, pronto a contare i battiti del suo cuore. -Mhm… nessun problema cardiaco.- mormorò tra sé, proseguendo nell’ispezione.
Evan, dal canto suo, si prese l’onere di allontanare i giornalisti.
-Il tempo delle parole è finito. Andatavene.- disse senza tanti preamboli. Ma quelli non si fecero scoraggiare e mantennero le loro posizioni.
-Evan…- Alastair richiamò la sua attenzione. Il giovane MacGregor si voltò a guardarlo, attento. “Ha una lieve commozione cerebrale. Deve aver sbattuto la testa quando è stata attaccata da Andrew”, terminò la frase per via telepatica. Non era proprio il caso di aggiungere altra carne al fuoco, considerata la tendenza della stampa ad estremizzare qualsiasi accaduto.
Van assottigliò impercettibilmente gli occhi, poi fece un breve cenno del capo. Senza dire una parola si chinò e sollevò senza sforzo il corpo privo di sensi di Amanda. La osservò brevemente, ascoltando il suono del suo respiro ed il ritmo del suo battito cardiaco: sembrava che non fosse in pericolo di vita, nonostante il colpo subito.
Si raddrizzò in tutta la sua altezza e con deliberata lentezza scrutò uno ad uno tutti i presenti. -Andatevene.- la voce gli uscì distorta, quasi ringhiante. Lasciò che i suoi occhi rilucessero un poco, quel tanto che bastò per mettere in fuga i giornalisti. Soddisfatto, si rivolse ad Alastair dicendo:-Recupera il resto del branco. È ora di un po’ di meritato riposo.


***

   Attraversò la città silenziosamente, scartando i pochi passanti e i numerosi stormi di piccioni.
Il sole stava sorgendo, ma i suoi caldi raggi non avrebbero potuto nulla contro la gelida eternità che l’avvolgeva.
Da molto tempo ormai non provava più il dolce bacio della primavera o il morso dell’inverno, ma in cambio aveva ottenuto qualcosa di più prezioso. Poteva percorrere spazio e tempo immutato, assumendo le sembianze che più lo aggradavano. Non poteva essere imprigionato né soggiogato, a meno che non fosse lui stesso a decidere di mettersi al servizio di qualcuno.
   E quel qualcuno, almeno per il momento, era Rodrick.
La sete di vendetta ed il dolore che si erano radicati nel cuore del vecchio lupo l’avevano attirato come il canto di una sirena. Erano così simili, eppure le loro storie non potevano essere più diverse.
All’inizio si erano ripetutamente scontrati per quelle che avrebbero potuto essere considerate divergenze d’opinioni, ma alla fine erano arrivati ad un tacito accordo. Nessuno dei due avrebbe detenuto il potere in via esclusiva, così da mantenere la loro collaborazione il più democratica possibile. Non fosse che, per natura, avrebbero dovuto combattersi fino ad annientarsi.
   Ma poco importava, dato che i due riuscivano a comunicare in un modo che andava oltre il pensiero e la rivalità naturale. Il legame che si era creato tra loro era forte e radicato e dava ad entrambi la giusta dose di potere.
“Potere che nessuno sta usando.”, pensò scartando agilmente una macchina.
Lanciò un’occhiata ai palazzi attorno a sé, disgustato dal loro aspetto e dal modo in cui l’uomo aveva insozzato il proprio pianeta.
Nonostante tutto il tempo trascorso, nonostante tutte le cose viste, non avrebbe mai apprezzato quella cosa chiamata “progresso”. Il suo cuore sarebbe sempre rimasto in quel piccolo villaggio di Alba, tra i campi di grano e le foreste di querce.
“Non è il momento.”, si disse, mettendo a tacere i propri ricordi. Diede un’ultima, rapida occhiata a ciò che lo circondava ed affrettò il passo, diretto verso la propria meta.
Senza prestare veramente attenzione a dove metteva i piedi, ripercorse quanto aveva visto nelle ore precedenti.
   Lo scontro era stato violento, ma alla fine si era risolto abbastanza felicemente. Ancora non aveva chiare tutte le dinamiche presenti all’interno del branco, se di branco si poteva parlare, ma avrebbe potuto raccogliere altre informazioni in futuro.
Per quanto riguardava i rapporti interpersonali, invece, era convinto potessero essere un buon punto di partenza. Lo scopo era isolare un membro per volta, fino a lasciare il capobranco solo in mezzo alla tempesta.
“Mi chiedo se le umane possano essere sfruttate…”, ragionò, superando l’ingresso di un piccolo cimitero. Rallentò il passo fino a fermarsi del tutto. Scandagliò le lapidi con attenzione, avvertendo la presenza di un’energia simile alla sua. Lentamente ne solleticò il fulcro, attirando su di sé l’attenzione.
Subito diversi fuochi fatui emersero dalla foschia mattutina, volteggiandogli attorno con curiosità. Sollevò una mano per sfiorarne uno, lasciando che le loro auree entrassero in contatto. Assaporò i loro ricordi, le anime che si erano portati via e poi li lasciò andare, ritirando il proprio potere.
   E fu in quel momento che si accorse di essere osservato.
Voltò la testa di scatto, stupito, e si scontrò con un paio di occhi chiari ed indagatori appartenenti ad una giovane lupa.
I due si fissarono per alcuni istanti, in silenzio, fino a quando la piccola non fu distratta dalla voce del padre e distolse lo sguardo.
   Approfittando di quel momento di distrazione, lo spirito immortale se ne andò.
 
***



   Nonostante il braccio rotto e le numerose ferite, Evan trasportò Amanda lungo le scale e oltre la porta del suo appartamento, per poi adagiarla sul divano. Fatto ciò si spostò, cedendo il posto ad un solerte Alastair.
David, che era rimasto qualche metro indietro, si appoggiò pesantemente allo stipite della porta, ancora dolorante per la caduta. Emily, bruscamente risvegliata dal suo sonno ristoratore, si stava limitando ad osservare la scena in silenzio, avvolgendo il piccolo Blake con la propria aura per rassicurarlo. Sembrava assente, come se i suoi pensieri fossero altrove.
Frances, dimenticata da tutti, era letteralmente sull’orlo di una crisi di nervi.
Non sapeva se Andrew fosse vivo o morto e non sapeva se Amanda si sarebbe svegliata di lì a poco tempo. Non sapeva nulla e a nessuno sembrava importare un accidente.
-Insomma, come sta?!- sbottò all’improvviso. Le teste di tutti i presenti si voltarono verso di lei, sorprese. -I-io… scusate, ma… si riprenderà, vero?- smorzò un po’ i toni, imbarazzata.
-Ha una leggera commozione cerebrale, dobbiamo aspettare che…- iniziò Alastair, ma un lieve sibilo attirò la sua attenzione, interrompendolo. -O forse no.- sussurrò, stupito.
Le palpebre di Amanda fremettero e, dopo poco, si sollevarono. La ragazza restò immobile, cercando di mettere a fuoco il soffitto e nel contempo capire cosa fosse successo.
-Amanda!- Frances oltrepassò a gran velocità tutti quanti, gettando le braccia al collo della sorella. -Stai bene! Per fortuna stai bene!- iniziò a ripetere, scoppiando in un pianto dirotto. Era il secondo, quella notte.
Mandy non capiva perché Fran stesse piangendo e non ricordava assolutamente nulla da quando aveva parlato con la piccola Sofiya.
   Che avesse perso la memoria?
Spostò lo sguardo su Alastair e lo fissò smarrita, cercando di ottenere risposte. Il licantropo non si scompose e, con una calma straordinaria, la liberò dalla presa di sua sorella. -Frances, Amanda ha bisogno di tranquillità. Il colpo che ha ricevuto non va sottovalutato.- disse, pacato.
Fran tirò su col naso e poi annuì brevemente, scusandosi per la propria reazione.
Amanda cercò di sorriderle, ma sentiva tutti i muscoli del corpo indolenziti. Si guardò attorno, trovandosi sotto lo sguardo preoccupato ed indagatore di tutti i presenti e seppe con certezza di aver dimenticato qualcosa d’importate.
-Dove siamo…?- riuscì a formulare la frase con gran difficoltà. Era come se i neuroni del suo cervello avessero perso la capacità di dar vita a pensieri coerenti.
-Nel tuo appartamento. Ricordi lo scontro?- disse Frances, rabbrividendo al solo ricordo. Aveva avuto risposta ad uno dei suoi interrogativi, ma ancora non sapeva nulla circa le sorti di Andrew.
Lentamente, Mandy fece sì col capo. Ricordava quella parte, certo: come dimenticarsi che aveva rischiato di essere ammazzata da…
Spalancò gli occhi acquamarina e li puntò dritti verso Evan. -Andrew! Oddio, Andrew!- si portò una mano alla bocca, terrorizzata.
La sua reazione fu come una doccia fredda per Frances, che si rimise in piedi di colpo, quasi si fosse scottata.
Prima che la situazione degenerasse, Evan prese parola. -Andrew non è morto.- le ricordò. Lei lo fissò smarrita, come se sentisse quelle parole per la prima volta.
-Ne sei sicuro…?- azzardò a chiedere Fran, speranzosa.
Lui la guardò attentamente per qualche istante, poi annuì. -Però dovremo spostarlo e aspettare che si riprenda.- precisò.
-P-Posso aiutarvi?- chiese l’americana.
-No. È troppo pesante per un umano.- fu la risposta lapidaria.
Vedendo l’espressione della ragazza, David intervenne dicendo:-Però puoi accompagnare Alastair e assicurarti delle sue condizioni.
Quelle parole sembrarono scongiurare l’imminente crisi isterica e riportarono una parvenza di calma nel gruppo.
Alst decise di approfittarne per ritrovare un po’ dell’organizzazione perduta. -Bene. Io mi occuperò del giovane Drew, mentre voialtri andrete a riposare.- disse. -E con voialtri, intendo tutti. Anche tu, Evan.- aggiunse, scoccando un’occhiata ammonitrice al giovane Alfa.
Stranamente quello non protestò e si limitò ad alzare le mani in segno di resa. “Terrò sotto controllo Amanda, nel caso dovesse peggiorare.”, il pensiero venne captato da Alst senza problemi.
-Finalmente un po’ di disciplina.- borbottò l’uomo, annuendo impercettibilmente al suo figlioccio.


“Come credi che la prenderà?”, la voce di David s’insinuò nella mente di Alst ed il tono era chiaramente preoccupato.
“Immagina il peggiore degli scenari e sarai pronto a tutto.”, fu la risposta. Il giovane sollevò brevemente un angolo della bocca, reprimendo una smorfia: aveva capito che lo scozzese non aveva più voglia di scherzare.
“Mi dispiace.”, abbassò lo sguardo, fissando i gradini alternarsi sotto i propri piedi.
Dietro di loro Frances seguiva in silenzio, guardando con occhi sgranati l’enorme buco che si era creato nella parete.
“Non ce l’ho con te…”, Alastair si lasciò sfuggire un sospiro, stanco. “Vorrei solo che le cose fosse meno complicate. Ecco tutto.”, aggiunse, raggiungendo la porta sventrata dell’appartamento in cui viveva il branco.
Dave stava per aggiungere altro, ma l’espressione scioccata della loro giovane accompagnatrice glielo impedì. Cercando di alleggerire l’atmosfera, azzardò un:-Non è così male. Ho visto di peggio.
Frances gli lanciò un’occhiata allucinata mentre Alst scuoteva la testa.
-Sei sicura di voler entrare?- le domandò il rosso. Lei deglutì rumorosamente, immaginando tutte le possibili conseguenze di quello che stava per fare. Strinse brevemente i pugni e poi si limitò ad annuire. –Bene. Diamoci da fare.
Si mossero lentamente, facendo attenzione a non inciampare nei detriti sparsi un po’ ovunque. Andrew giaceva ancora in quel caos, immobile dopo il colpo subito.
Senza poterselo impedire, Frances si portò le mani alla bocca. –Siete sicuri che…?- iniziò.
-E’ vivo. Ha solo prosciugato le energie del proprio corpo.- la interruppe Alastair. Si chinò lentamente di fianco al giovane lupo e lo esaminò con occhio clinico. Il petto si abbassava ritmicamente, anche se aveva una o due costole incrinate.
-Tra quanto tornerà umano?- volle sapere lei.
Il licantropo scosse il capo. –Difficile dirlo. La trasformazione è stata emotivamente e fisicamente sfiancante…- dovette ammettere.
-Se vuoi puoi toccarlo: fargli sentire la tua presenza lo aiuterà.- suggerì David, incoraggiante. Non avrebbe mai dimenticato tutto l’aiuto offertogli dalla madre durante le prime trasformazioni né l’attacco che aveva perpetrato alla sua persona, durante la prima luna.
Al solo pensiero provava ancora disgusto per se stesso e la propria debolezza.
-Seriamente?- l’esitazione nella voce dell’americana lo riportò alla realtà.
-Seriamente. Lo dico per esperienza.- le sorrise brevemente.
Frances allora s’accosciò accanto al grosso lupo e lo osservò pensierosa per diversi istanti: sembrava non riuscisse ancora a capacitarsi che sotto tutto quel pelo ci fosse il suo compagno. Alla fine, molto lentamente, posò una mano sulla morbida testa, poco dietro l’orecchio sinistro.
-Adesso dobbiamo innescare la trasformazione.- l’avvertì Alastair. –Sarà più semplice trasportarlo, da umano...
-E se non dovesse funzionare? Ve lo caricherete in spalla come se niente fosse?- domandò Fran, lanciandogli un’occhiata dubbiosa.
-Esatto. Per quello abbiamo detto che non era un compito adatto a te.
Con estrema attenzione, Alastair estrasse una collana da sotto la casacca che indossava. Appesa alla catenella di metallo faceva bella mostra di sé una piccola fiala piena di quella che sembrava essere sabbia nera.
“Sempre pronto a tutto, vedo. Da quando porti con te del sorbo?”, fece David, ammirato.
“Da quando ci siamo trasferiti a New York.”, l’uomo lo guardò intensamente. Poi, rivolgendosi alla loro accompagnatrice umana, chiese:-Potresti offrirci il tuo aiuto, Frances?
Sentendosi interpellata, la ragazza si rimise in piedi ed annuì più volte. I suoi occhi erano puntati sul piccolo contenitore di vetro che ora se ne stava tra le mani dello scozzese.
-Quella che ho in mano è una fiala contenente polvere di sorbo degli uccellatori.- spiegò Alastair. –E’ una sostanza in grado di “purificare” noi licantropi, riportandoci al nostro aspetto umano.
-Dovrei usarla su Drew, giusto?- domandò, esitando leggermente nel pronunciare il nome del ragazzo che amava.
-Esattamente. Versane un po’ sul palmo della mano e poi accarezza il lupo.- confermò il Beta del branco MacGregor.
Senza chiedere ulteriori rassicurazioni, Frances prese l’oggetto che le veniva porto e si sporcò le mani con quella strana polvere nera. Una volta pronta, si voltò nuovamente verso il lupo ai suoi piedi e sperò con tutte le proprie forze di non fare ulteriori danni.
  Ci mancava solo che Andrew rimanesse bloccato in un limbo, senza potersi considerare né uomo né lupo.


-Emily, puoi ritirarti assieme a Blake.
Amanda vide Evan dare una rapida occhiata al nuovo acquisto del branco. La giovane non aveva una bella cera, probabilmente a causa dell’ansia provata per il piccolo Blake, e lui non sembrava intenzionato a peggiorare ulteriormente la sua condizione.
-S-sì… potete prendere la camera degli ospiti…- riuscì a trovare la forza di biascicare. –E’ in fondo al corridoio.- aggiunse, facendo un vago gesto con la mano.
Emily scambiò una rapida occhiata col proprio Alfa, quasi a chiedere il permesso. Quando quello annuì, si ritirò rapidamente, portando con sé suo nipote.
Dopo che la lupa fu inghiottita dal buio del corridoio, Mandy si voltò verso lo scozzese. -Non ho molto spazio per ospitarvi tutti…- considerò. Il suo cervello stava cercando di restare al passo con la situazione, ma i pensieri continuavano ad essere sfuggenti come pesci in un acquario.
Evan la guardò in silenzio per qualche istante. –Nessuno ti ha chiesto di ospitarci.- le fece presente.
Quelle parole la lasciarono visibilmente confusa, causandole piccole fitte di dolore nella parte occipitale. –Credevo…- iniziò, ma venne interrotta dalla vibrazione di un cellulare.
-Scusami un attimo.- Van estrasse rapidamente l’oggetto da una tasca interna della giacca e si allontanò per poter rispondere.
Amanda lo vide raddrizzare la schiena con un piccolo sussulto e poi rilassare i muscoli. Probabilmente il chiamante era una persona conosciuta, a giudicare dalla sua reazione.
Distolse lo sguardo, concentrandosi sulle fughe del pavimento.
Non voleva origliare la conversazione ed essere considerata una persona incapace di rispettare la privacy altrui. Senza contare che non si trovava nelle condizioni mentali per fare una cosa così sopraffina come origliare con discrezione.
Ad un certo punto le sembrò d’udire la frase “altri due morti” e qualcosa dentro di lei scattò.
Rivide le piccole fiammelle blu scorte al cimitero e gli occhi cristallini della piccola Sofiya presero possesso della sua mente.
Serrò con forza le palpebre e si prese la testa, chiudendosi a riccio per difendersi da quella misteriosa ed improvvisa minaccia. Sprazzi d’immagini continuavano a rincorrersi nella sua mente senza trovare una giusta collocazione.
Non sapeva cosa le stesse succedendo e sperò con tutto il cuore che fosse colpa della botta presa. In caso contrario, stava impazzendo.

   Notando con la coda dell’occhio l’improvviso movimento di Amanda, Evan si congedò rapidamente dal comandante Rogers, promettendo di farsi vivo il prima possibile.
Fece scivolare il cellulare di nuovo nella tasca e si avvicinò alla giovane. –Amanda..? Cosa sta succedendo?- chiese, guardingo.
Aveva un bagaglio di conoscenze mediche non indifferente, ma era Alastair quello ferrato in materia. E lui non aveva esattamente la precisione di un bisturi, quando si trattava di intervenire.
-Fitta… testa… blu… fiamme blu…- iniziò a ripetere la ragazza.
Van si accigliò, confuso. –Il tuo cervello fa fatica a processare le informazioni, ora come ora, ma non devi preoccuparti: è temporaneo.- cercò di farle allentare la presa sulla testa e di farla distendere sul divano.
Amanda oppose resistenza, sentendosi meno vulnerabile in quella posizione. Come se stare rannicchiata su se stessa potesse aiutarla a ritrovare il controllo della sua mente.
-Sofiya… blu… occhi… brividi… fiammelle… cimitero… fiammelle!- Evan la vide incuneare il capo tra le ginocchia.
Quel comportamento non era normale per una vittima di commozione cerebrale e la cosa iniziava a preoccuparlo. Facendo attenzione a non far leva sul braccio ferito, afferrò Amanda per una spalla e la obbligò, gentilmente ma con fermezza, a raddrizzarsi.
Quando si trovarono finalmente faccia a faccia, gli occhi della giovane erano lucidi ed spalancati su un mondo che solo lei riusciva a vedere. –Cosa mi sta succedendo…?- gemette, mettendolo a fuoco.
-Non lo so.- dovette ammettere lui. Temette che la risposta potesse farla scoppiare in lacrime, ma così non fu. –Spiegami cosa vedi.- disse allora.
Lappandosi le labbra, Amanda cercò di riafferrare il filo dei propri pensieri. All’inizio fu difficile, ma poi sembrò riuscirci. –Continuo a rivedere gli occhi della piccola lupa…- iniziò.
-Sofiya ha capacità sensoriali particolarmente sviluppate.- le spiegò. –Forse l’hai percepita scandagliare la tua mente e questo ha lasciato dei residui visivi…
Lei scosse la testa, passandosi distrattamente una mano tra i capelli arruffati. –No… non è così. Ha a che fare con l’occhiata che ha lanciato a Frances…- obiettò.
Con fare insolitamente paziente, Evan si sedette sul bracciolo del divano, lasciandole un po’ di spazio. –E cosa c’entrano le fiammelle..?- volle capire.
Amanda chiuse momentaneamente gli occhi, riafferrando il ricordo. –Stavo camminando e all’improvviso mi sono ritrovata vicino ad un cimitero. E le ho viste: piccole sfere fluttuanti di colore bluastro.- raccontò. –Non so cosa significhino…
All’udire quelle parole Evan si fece pensieroso. Quella che le aveva appena descritto l’americana era un’apparizione in piena regola di alcuni Will-o’-the-Wisp o, più comunemente, fuochi fatui. E nel suo mondo, vedere quelle fiammelle blu presagiva eventi nefasti al povero malcapitato che aveva la sfortuna di scorgerle.
Molto spesso, indicavano un lutto prossimo ad avvenire.
-Perché quell’espressione…?- Amanda smise di rincorrere le parole nella propria mente e si focalizzò sul suo interlocutore.
Evan, d’altro canto, non era intenzionato a raccontarle nulla. Un ulteriore shock non le avrebbe giovato, non in quel momento. –Non devi preoccuparti. Le due cose non sono correlate.- disse, sbrigativo.
Al che lei assottigliò gli occhi, guardinga. –Potrò anche avere una commozione cerebrale, ma non sono stupida. Quello che ho detto ha un significato, per te.- ribatté.
-Significato che non voglio condividere con te, ora.- replicò con calma il licantropo. –Invece di arrovellarti dovresti riposare.
-Non ho bisogno di…- iniziò col dire lei, ma una fitta acuta alla testa le impedì di continuare. –Ok, forse sì.- dovette ammettere, sdraiandosi lentamente.
-Chiudo le imposte. Tu prova a rilassarti.- Van si alzò con un movimento affettato e si diresse verso la finestra della cucina, intenzionato a chiudere fuori i raggi del sole nascente.
Aveva quasi portato a termine l’operazione, quando la voce di Amanda lo raggiunse in un sussurro:-Nel caso in cui dovesse essere un presagio, ti prego: aiutami ad evitare che si avveri.
“Mi auguro di riuscirci.”, fu il pensiero del giovane MacGregor.



*Il termine significa "disonorevole" in russo

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Capitolo 24
*** Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente ***


Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente Wow, siamo già alla ventitreesima parte di questa storia e i nostri personaggi hanno ancora molta strada da fare ^^' e tante prove/torture a cui essere sottoposti dalla sottoscritta (ride in modo sadico).
Come capirete ben presto leggendo, questo è un capitolo abbastanza "statico": niente grandi azioni nè sangue, ma solo molte emozioni. Avrei potuto benissimo condensare le informazioni contenute qui dentro in mezza pagina oppure buttandole qua e là, ma sentivo la necessità di dar spazio alle personali di alcuni dei protagonisti.
Tra l'altro, il capitolo si è scritto praticamente da solo, quindi...
Dal prossimo aggiornamento in poi ci sarà da rimboccarsi le maniche: i muri non si ricostruiscono da soli e gli psicopatici tendono a non autoeliminarsi :D

Buona ! :)






 
Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente


   Tutte le persone che dovevano essere avvertite, in particolare datori di lavoro e amici, avevano ricevuto notizie più o meno uguali: nessuno di loro sarebbe uscito di casa per un po’ di tempo.
Quanto far durare la “degenza” sarebbe stata prerogativa personale.
Purtroppo non avevano tenuto in considerazione Eric che, ormai completamente guarito, entrò nell’appartamento come un piccolo uragano.
Più o meno tutti gli occupanti della casa stavano riposando, qualcuno se ne stava accoccolato sotto le coperte, qualcun altro semplicemente appoggiato all’imbotte di una finestra. La notte era stata tremenda e i segni erano chiaramente visibili sui loro visi e nei vestiti imbrattati di sangue.
Il giovane europeo rimase a fissare basito la scena che gli si presentava davanti, indeciso se mettersi a strillare oppure tapparsi la bocca per non farlo.
-Entra e smettila di arrovellarti.- la voce di Evan lo trasse d’impaccio, riscuotendolo.
-M-ma cosa…?- iniziò, guardandosi attorno. –Perché il palazzo è mezzo distrutto? Alst non mi ha detto nulla.
-E a ragione. Ti saresti precipitato qui urlando come un forsennato… o sbaglio?- replicò il suo capobranco.
Eric arrossì visibilmente. –Non trattarmi come un bambino!- sbottò.
Evan allora sollevò le palpebre, puntando gli occhi sul giovane affiliato. –Non ho voglia di discutere, ora come ora. Ti basti sapere che Andrew si trova nella cantina, finalmente sotto controllo e che nessuno di noi ha riportato ferite mortali.- tagliò corto.
-Avreste potuto avvertirmi…- il ragazzo incrociò le braccia al petto. Sapeva che lo consideravano poco più di un pivello, ma quello era il suo branco ora e se c’era una cosa di cui sapeva dar prova, quella era la lealtà.
-Tuo zio è stato chiaro: se ti dovesse succedere qualcos’altro, esigerà la mia testa.- replicò lo scozzese. –E’ una prospettiva che non mi alletta molto, a dir la verità.
-Lascia perdere mio zio. Si diverte a mettere in soggezione le persone.- Eric liquidò la questione con un’alzata di spalle.
Van si lasciò sfuggire un sorrisetto. –Fa molto più di questo, ma sei troppo giovane per capirlo.- disse di rimando. –Ora… ti chiedo di chiudere la porta e trovarti qualcosa da fare. Ho bisogno di riposare.- aggiunse, sistemandosi meglio contro il muro. Eric non poté fare a meno di notare la smorfia di dolore che gli attraversò il viso.
-E un letto non sarebbe più adatto allo scopo?- si ritrovò a chiedere.
MacGregor riaprì un occhio. –Sono tutti occupati.- e con questo pose fine alla discussione.
Eric rimase ad osservarlo per qualche istante, convincendosi sempre di più che la prima impressione avuta sul capitano fosse completamente sbagliata. Mettere i bisogni del branco al primo posto, anche se significava semplicemente cedere un letto, era una qualità fondamentale per essere un buon Alfa.
Evan poteva sembrare ruvido e poco incline a lasciarsi coinvolgere, ma ogni tanto lasciava trapelare la sua vera natura, quella nascosta sotto la corazza. Eric non aveva idea di come fosse prima di arrivare a New York, ma era sempre più certo che quella fosse una facciata.
Solo David sembrava conoscere il vero carattere dello scozzese e non faceva altro che ricordargli i bei vecchi tempi, nel tentativo di riaccendere quel fuoco.
“Aleksandr aveva ragione, in fin dei conti. In lui c’è più di quello che si vede.”, pensò con un sorriso mesto. Esitò ancora un attimo, poi uscì lentamente dall’appartamento, deciso a raggiungere Andrew.
Il minimo che poteva fare era aiutarlo nel momento del bisogno.


   Sapeva che non stava dormendo.
Non più, almeno. E avvertiva il pressante desiderio di chiederle spiegazioni.
Proiettò la propria aura all’esterno, sondando l’ambiente che lo circondava.
Poteva ancora percepire la presenza di Alst e Frances nella cantina, intenti a discorrere su quale fosse il metodo migliore per accudire il giovane Andrew. Distolse l’attenzione da quella conversazione per concentrarsi sull’interno dell’appartamento.
Mentre saliva le scale incrociò Eric, diretto verso il piano seminterrato: le intenzioni che lo animavano erano scritte a caratteri cubitali sul suo viso.
Gli sorrise brevemente, felice che, a conti fatti, non fosse un damerino senza spina dorsale e proseguì la propria ascesa.
“Attento alle domande che porrai.”, la voce di Evan s’insinuò furtiva nella sua mente. Di nuovo, sorrise. “Un Alfa non ha tempo di riposare.”, lo sentì aggiungere, in risposta alla sua domanda inespressa.
“Dovresti. Te lo sei meritato.”, replicò.
Riuscì a vederlo mentre sbuffava, assolutamente in disaccordo. David gli aveva sempre invidiato quel profondo senso del dovere verso gli altri: lui aveva impiegato decenni per abbandonare il proprio menefreghismo.
“Dovremo trovare una sistemazione alternativa. Questo appartamento è troppo piccolo.”, Van passò ad un argomento più neutrale.
“Non ti crucciare. Ti ricordo che sono un architetto.”, gli fece presente Dave.
Era ormai arrivato al pianerottolo dell’appartamento di Amanda e si concesse un momento d’esitazione, valutando i pro e i contro di quello che stava per fare. Evan non lo interruppe, probabilmente perché non riteneva necessario il proprio intervento.
L’inglese gliene fu grato e, dopo aver lasciato passare qualche altro istante, si decise finalmente a varcare la soglia.
Una volta dentro non poté impedirsi di guardare verso Van. Scorse il luccichio dei suoi occhi, segno che era vigile, ma nient’altro avrebbe rivelato il suo stato vigile.
Attento a non svegliare Amanda, il lupo attraversò il soggiorno e sparì tra le ombre del corridoio. Ci mise poco ad individuare la camera da letto, dato che le porte erano solamente due.
-Entra…- la voce di Emily gli arrivò sommessa. Fece come gli era stato detto e scivolò all’interno come fosse fatto di fumo, senza produrre il minimo rumore.
L’ambiente si trovava in penombra, ma per i suoi occhi non fu un problema individuare le due figure che occupavano il letto. Blake se ne stava tutto accoccolato in grembo alla zia, finalmente al sicuro, mentre lei gli accarezzava la testolina scura, traendo molto più conforto da quel contatto di quanto avrebbe mai ammesso.
-Come state?- David decise di iniziare con qualcosa di semplice.
Emily si strinse nelle spalle. –Scossi, ovviamente. Ma Blake è riuscito ad addormentarsi e questo è un bene.- rispose lei.
-Questa cosa ha scosso parecchio anche te… emotivamente parlando.- l’inglese spostò il peso da una gamba all’altra, nervoso.
Capendo dove volesse andare a parare, l’americana si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Vuoi sapere il perché del mio comportamento?- chiese allora.
David si avvicinò lentamente al letto, in attesa di un rifiuto da parte di Emily. Quando questo non arrivò prese posto all’angolo opposto a dove si trovava lei, in modo da non invadere il suo spazio vitale o disturbare Blake.
-Lo scontro che c’è stato con Andrew ha riportato alla mente ricordi che vorrei poter estirpare dalla memoria.- iniziò, stringendo con forza il copriletto. David non sapeva a cosa si stesse riferendo, quindi si mantenne in silenzio. –La morte di Evelyn.- rivelò infine la giovane donna.
Quelle poche parole lo colsero di sorpresa: aveva capito che fosse qualcosa di importante, ma non aveva capito lo fosse così tanto. –Non sei obbligata a parlarne.- disse, mettendo le mani in avanti.
-Il vaso è stato aperto, ormai.- mormorò. –E parlarne non mi farà di certo male.
-Rivangare il passato può essere doloroso.- la contraddisse Dave.
Si fissarono in silenzio per alcuni istanti, valutandosi a vicenda. Emily era quella nuova,  entrata nel branco con l’inganno. David era l’amico fidato, il braccio destro dell’Alfa.
Non potevano ricoprire due ruoli più diversi.
-E’ successo mentre ero di ronda.- lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore per poi abbassare lo sguardo. –Ricordo ancora l’irritazione: ero stata assegnata ad una staffetta per controllare che la consegna di quel giorno andasse a buon fine.
-Con staffetta intendi quel tipo di staffetta?- volle sapere l’inglese. La storia aveva già preso una brutta piega.
-Sì. Droga.- confermò lei.
-Perché sei coinvolta…- tentò di domandare, ma venne zittito.
-Non importa. Lasciami continuare, per favore.- disse. Percependo l’enorme sforzo che stava facendo, David l’assecondò. –Grazie… come ti stavo dicendo, ero fuori di ronda. Non vedevo l’ora di tornare indietro e passare del tempo con la mia famiglia: quel giorno era il compleanno di Blake.
-Blake era lì?!- senza poterselo impedire, David trasalì.
Emily annuì gravemente. –Evelyn stava preparando una torta per lui. Al contrario di me, lei è sempre stata brava in quelle cose… ed era migliorata notevolmente da quando era diventata mamma.- si lasciò sfuggire un sorriso, negli occhi la malinconia per un tempo che mai avrebbe potuto tornare.
Dave guardò brevemente il piccolo lupo e poi tornò a concentrarsi su sua zia. –Cos’accadde?
-Jared aveva comprato un regalo al suo prezioso erede, come era solito chiamarlo. Ma assieme a quello si era fatto anche una striscia e aveva preso qualcosa anche per Eve.- Emily puntò lo sguardo sul muro, cercando di non farsi sopraffare.
Era la prima volta in assoluto che condivideva quell’esperienza con qualcuno, un estraneo per di più. Ma sentiva che poteva fidarsi di David e, soprattutto, che erano affini.
-Tua sorella si drogava?
-Sì. Purtroppo è sempre stata un animo tormentato, anche se era una persona estremamente posata. Incontrare Jared non l’ha aiutata.- ammise. –Prendeva qualche allucinogeno, ma nulla di più. La coca è arrivata con lui.
-Ma perché..?- David non si capacitava della scelta della giovane.
-Era malata terminale: la licantropia può molte cose, ma non sconfiggere un tumore. Gli allucinogeni l’aiutavano a liberarsi di parte del dolore.- confessò con voce tremante.
Il riccio si morse l’interno della guancia, dandosi dello stupido. Aveva già iniziato a giudicare Evelyn senza nemmeno conoscere a fondo le sue ragioni. –Io… mi dispiace…- riuscì solamente a dire, confuso.
-L’unica cosa positiva è che adesso dovrebbe essere libera da quel dolore.- replicò Emily. La voce le si era incrinata a metà frase, ma era riuscita comunque a terminare, lasciando che le sue parole si espandessero nel silenzio della camera.
-E’ stata la droga ad ucciderla?- dopo un po’ David decise di azzardare una domanda.
La sua interlocutrice scosse il capo. –No. E’ stato Jared.
Il giovane tornò a farsi confuso. –Non capisco.- dovette ammettere.
-Quel giorno Evelyn si rifiutò di prendere la dose di cocaina, dicendo che non voleva essere fatta di fronte a suo figlio. Mi aveva confessato di aver smesso di assumere droghe subito dopo aver scoperto di essere incinta, anche se quello l’aveva fatta ripiombare nel dolore.- raccontò, cercando di delineare al meglio le intenzioni della sorella. –A Jared la sua risposta non piacque e l’attaccò.
-Quell’uomo è un mostro.- commentò disgustato l’inglese. Gli prudevano le mani tant’era forte il desiderio di stringerle al collo del licantropo.
-Sì e la droga non faceva altro che renderlo più imprevedibile. Hanno lottato, ma alla fine lui l’ha scaraventata contro la grande finestra del loro loft.- disse lei. –Io ero appena rientrata dal mio giro di ronda.
David non chiese altro: poteva benissimo immaginare l’orrore provato alla vista del corpo esangue di Evelyn. E la rabbia verso Jared, che probabilmente era rimasto a guardare il risultato delle sue azioni come una divinità soddisfatta del proprio operato.
Mentre cercava di reprimere la furia che lui stesso stava provando, si rese conto che Emily stava cercando inutilmente di non piangere.
L’aura rossa che aveva circondato ogni cosa nel suo campo visivo svanì, lasciandolo disorientato. –Emily…?- allungò una mano verso di lei, pentendosi di aver chiesto.
Ma lei scosse la testa e racimolò la forza per sorridergli. –Grazie, David.- disse in un sussurro.
-Ti ho fatta piangere.- obiettò.
-E’ vero. Ma ne avevo bisogno.- replicò, asciugandosi una lacrima.
Si alzò, impacciato. Non aveva previsto di poter scatenare una tale reazione e non aveva assolutamente immaginato cosa potesse celarsi dietro lo strano comportamento della lupa.
Lasciò vagare i pensieri, cercando di capire cosa fare.
Poi, senza poterselo impedire, dalla sua bocca uscirono le seguenti parole:-Lascia che ti la mia storia.

***

    Erano passati diversi anni dalla sua prima trasformazione.
Quella notte aveva creduto di essere stato posseduto dal demonio e aveva rischiato di uccidere sua madre. Aveva fallito soltanto perché l’odore dei cavalli era così forte da riempirgli le narici e l’aveva condotto lontano dalla stalla.
Eleanor l’aveva trovato disteso in mezzo ai cespugli di caprifoglio che crescevano ai confini della tenuta di famiglia. David era completamente imbrattato di sangue e tremava così forte che la donna temette gli si sarebbero spezzati i denti.
Senza una parola l’aveva avvolto in una coperta e l’aveva fatto alzare, conducendolo verso il maniero. Lui si era lasciato guidare, docile.
Una volta al sicuro tra le mura domestiche, Eleanor si era presa personalmente cura del figlio, allontanando la servitù. E tra i vapori di un bagno ristoratore gli aveva raccontato la verità.
   Ricordava quel momento come fossero trascorse appena poche ore, invece erano ormai sette anni.
Sbuffando, David lanciò un altro sasso nel fiume Lea. Era nervoso a causa dell’ennesimo litigio col padre e la vicinanza col plenilunio lo rendeva ancora più irritabile.
-Smettila, te ne prego.- si sentì pregare.
Lasciò cadere la pietra che stava per lanciare per poi rivolgersi al giovane al suo fianco. –Scusa se non riesco a controllare le mie emozioni…- brontolò.
L’altro gli dedicò una lunga occhiata, distogliendo lo sguardo dal libro che stava leggendo. –Se ti è così difficile la convivenza con tuo padre, allora vattene.- gli suggerì.
Il giovane aristocratico alzò un sopracciglio. –Per andare dove, Evan?
-Ovunque.
Scuotendo la testa, l’inglese si passò una mano tra i capelli ricci. –Per te è diverso. Tu non hai nessun tipo di dovere verso la tua famiglia.- replicò.
Evan si raddrizzò, abbandonando definitivamente la propria . –Tu credi?- lo guardò divertito. David se ne accorse e gli lanciò un’occhiata interrogativa. –Devo portare avanti la genealogia, ricordi?
-Come se fosse una cosa così sgradevole.- fu la risposta dell’altro. Sapeva che l’amico aveva a sua volta problemi col padre, ma in quel momento desiderava solo sfogarsi.
Van rimase in silenzio, evitando di commentare con tono sprezzante, ma non poté impedirsi d’irrigidire la postura. Notandolo, Dave s’affrettò a scusarsi, dandosi dello stupido.
“So essere proprio infantile, a volte.”, si rimproverò mentalmente.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi MacGregor disse:-Fai valere la tua posizione. Non con la forza, ma con l’intelligenza.
-E se non dovesse ascoltare?- chiese l’altro.
-Nel branco di mio padre c’è spazio anche per un sassenach* altolocato come te.- Evan si lasciò sfuggire un sorrisetto. Quel ghigno gli valse uno spintone da parte dell’amico, ma sortì anche i suoi effetti.
Poco dopo David si alzò ed annunciò la propria partenza.

   Per tutto il tragitto non fece che ripetersi mentalmente le parole che voleva dire al genitore.
Sapeva che doveva mostrarsi deciso, ma non aggressivo. Albert I, Earl di Chorleywood, avrebbe contrattaccato al minimo accenno di sfida, rimettendo al suo posto il figlio riottoso con poche, taglienti sillabe.
Era quasi arrivato davanti alla porta dello studio che il padre era solito usare per dilettarsi nella , quando il suo fine udito colse i frammenti di una conversazione.
Si fermò e si mise in ascolto, non potendone fare a meno.
-Perché non gli permetti di rendersi utile? David non è uno sprovveduto.- sua madre protestò con vigore.
-Certo che lo è. Spreca il suo tempo a disegnare, ignorando il mondo circostante.- replicò aspramente suo padre.
-David sta coltivando il talento che gli è stato dato.- Eleanor passò rapidamente davanti alla porta socchiusa, aggirando la scrivania di legno massello per avvicinarsi al marito.
Albert fece una pausa, scrutandola. –Così come sta coltivando il suo amore per il demonio?- replicò, velenoso.
-Non ti permettere!- il rumore di uno schiaffo spezzò l’immobilità dell’aria.
David sgranò gli occhi, stupito. Di cosa stavano parlando?
-Immagino che sia già arrivato a quello stadio. Da qualche anno, ormai.- continuò il conte, indefesso. -Come suo padre prima di lui.
Il giovane aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso. Perché i suoi genitori stavano discutendo di adorazioni del demonio? E perché suo padre usava la terza persona, parlando di se stesso?
-Avrei dovuto tagliarti la gola la prima notte di nozze…- la contessa di Chorleywood aveva preso a tremare, i pugni stretti per la rabbia. David la poteva vedere perfettamente dalla fessura tra le due ante, in piedi di fronte al marito.
“Cosa sta succedendo, qui?”, si chiese, avvicinandosi di qualche passo.
Aveva sempre creduto che, nonostante gli alti e bassi del loro rapporto, i suoi genitori si rispettassero e provassero affetto l’uno per l’altra. Non amore, quello no: sapeva che il loro era stato un matrimonio di convenienza.
Invece, quella conversazione smentiva tutte le sue convinzioni…
-Non avresti potuto farlo. Dovevi difendere il tuo piccolo lupo.- Albert schernì la moglie.
“Lui sa!”, realizzò all’improvviso, sobbalzando.
La figura minuta di Eleanor si mosse all’improvviso, slanciandosi in avanti coi pugni serrati. –Sei un mostro! Volevi strapparmi l’anima dopo aver schiacciato il mio cuore!- lo aggredì.
Ridendo malignamente, l’uomo le bloccò i polsi. –Alexander era un abominio. E tu non avresti dovuto infatuarti di lui.
-Alexander era un licantropo! Il solo abominio che vedo, sei tu!- in un impeto d’ira, la contessa riuscì a liberarsi e graffiare il viso di quello che non aveva mai considerato suo marito.
Albert l’allontanò bruscamente da sé, portandosi la mano alla guancia. –Tu! Traditrice del tuo sangue..!- allungò le mani, pronto ad afferrarla.
Di fronte a quella scena David vide rosso. La bestia dentro di lui ruggì, infuriata, e lo spinse con foga all’interno dello studio. –Non osare toccarla!- ringhiò, bloccandogli entrambe le mani. La porta alle sue spalle sbattè sonoramente contro il muro per poi rimbalzare indietro, ruotando sui cardini ben oliati.
-D-David!- sua madre sussultò, colta di sorpresa. Davanti a lei, il conte di Chorleywood se ne stava immobile, il respiro accelerato.
David le lanciò una rapida occhiata. –Madre, andatevene.- ingiunse.
Ma lei si oppose. –No. Cosa vuoi fare?
-Dargli quello che si merita.- rispose con voce metallica, trasfigurando la propria mano destra. Interruppe il contatto visivo con la sua genitrice e lo puntò negli occhi dell’uomo che aveva di fronte. Non suo padre, non Albert Spencer.
Semplicemente, un uomo.
-No! Non diventerai un assassino!- Eleanor non volle sentire ragioni e si aggrappò con forza al suo braccio. Suo figlio cercò di liberarsi, ma non voleva ferirla. –Non sei una bestia assetata di sangue.
-Forse dovrei esserlo.- considerò il giovane, tornando a fissare quello sconosciuto che aveva chiamato padre. Il lupo dentro di lui ringhiava e uggiolava, assaporando già il sapore del sangue e l’ebbrezza dell’uccisione.
Gli sarebbe bastato poco, un semplice gesto per porre fine alla sua inutile vita. Così poco.
“Mi hai mentito per tutto questo tempo. Mi hai disprezzato. Hai ucciso il mio vero padre.”, quei pensieri si susseguivano veloci nella mente di David.
Albert Spencer non poteva udirli, ma li vedeva trasfigurare il viso del giovane, che pian piano assomigliava sempre più a quello di una bestia demoniaca.
Quando sembrava che la sua vita fosse appesa ad un filo, una figura irruppe rapidamente all’interno della stanza, gridando il nome di David con quanto fiato aveva in gola.
Tutti i presenti si voltarono, colti di sorpresa.
La tensione che fino a quel momento si poteva tagliare con un coltello esplose come una bolla di sapone.
Il primo a riprendersi fu proprio il giovane inglese, che ringhiò qualcosa tra i denti e poi tornò a fissare la propria preda. -Non te lo permetterò.- Evan non si diede per vinto e chiuse le dita forti attorno al braccio dell’amico, mentre Eleanor si spostava per lasciarlo fare.
-Non hai il diritto di fermarmi!
-Tua madre mi ha chiesto di esserti amico. E gli amici fanno anche questo.- replicò, proiettando la propria aura verso quella del moro.
Dave tremò, respingendo il primo attacco. –Non…- iniziò. La bestia ringhiò e tentò di ribellarsi, infuriata.
-Lascialo andare.
Scosse la testa, sentendo la bestia farsi di colpo confusa. Aveva ancora il battito accelerato e respirava in modo rapido e superficiale, ma l’alone rosso che era calato su di lui si stava lentamente alzando.
-Devo vendicare mio padre…- provò a protestare.
Evan lo afferrò per le spalle, facendogli mollare la presa sul collo di Albert. –Lo sarà.- gli promise. –Ora vieni con me.

***


   David tornò al presente con un singulto.
Sbattè le palpebre diverse volte, ancora profondamente immerso nei ricordi. Emily, accanto a lui, lo fissava basita.
-Non volevo sconvolgerti…- mormorò il Beta.
-David… io…- non trovava le parole per esprimere il proprio dolore.
-Non lo uccisi.- disse solamente.
Lei si bloccò, ricacciando indietro una lacrima. –Cosa successe dopo?- chiese invece.
-Evan mi portò lontano dalla tenuta per farmi calmare.- raccontò, gli occhi fissi sul muro davanti a sé. –Poi arrivò mia madre e mi svelò quello che era accaduto ventiquattro anni prima.
-Ti raccontò di Alexander?
Annuì. –Sì… mi raccontò di come si erano innamorati. Lui era un semplice borghese, un gran lavoratore, mentre lei era destinata a sposare un duca per volere della famiglia. Ma nonostante le premesse, Alexander riuscì a conquistarsi il favore del conte e, alla fine, la sposò.- si concesse un sorriso. Ripensare alle parole della madre gli stringeva il cuore, ma al tempo stesso gli dava conforto.
-Immagino fossero felici, insieme.- mormorò Emily. Senza poterselo impedire accarezzò brevemente la testolina scura di Blake, ancora profondamente addormentato.
-Eccome. I primi anni del loro matrimonio furono molto felici…- assicurò. –La mia nascita, poi, portò loro ulteriore gioia.
Vedere quel sorriso triste sul viso dell’inglese le fece male. –Cosa… cosa accadde… dopo?
-Albert si era invaghito di mia madre… e dei soldi della sua famiglia.- le lanciò una breve occhiata. –Aveva scoperto che Alexander era un licantropo e così assoldò un cacciatore per ucciderlo.
-Che cosa spregevole.- commentò Emily, amareggiata.
-Una volta ucciso il lupo, fu facile appropriarsi di ciò che rimaneva della sua famiglia con la forza e il ricatto.- concluse cupo.
-Tua madre l’ha fatto per salvarti da morte certa…- iniziò col dire Emily.
-Non la incolpo di niente. Io stesso avrei considerato l’idea, se mi fossi trovato nella sua stessa condizione.- ammise.
-Dopo che te ne fosti andato… cosa successe?- domandò allora lei.
Dave lasciò vagare i ricordi, tornando ai giorni immediatamente successivi la sua fuga. Aveva provato così tanto odio nei confronti di quell’uomo, che la bestia aveva preso il controllo del suo corpo per alcune notti.
Solo sua madre aveva potuto qualcosa contro la sua rabbia e, con calma, aveva chetato il lupo.
Ma quando era tornato in sé, era ormai tutto finito.
-Evan uccise Albert al posto mio. Lo fece per impedirmi di macchiarmi del suo sangue.- disse solamente, guardando Emily direttamente negli occhi.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti, poi David decise che era arrivato il momento di togliere il disturbo. Si alzò con un movimento fluido e mormorò:-Cerca di riposare.
La lupa lo guardò uscire in religioso silenzio, turbata da quanto aveva appena udito.
Di nuovo nel soggiorno, Dave si concesse un momento. Chiuse gli occhi e si passò le mani sul viso per scacciare i ricordi amari.
-Non eri obbligato a farlo.- sentì sussurrare.
Sorrise mesto. –Ho ritenuto giusto farlo. Mi è sembrato necessario.- rispose.
-Dopo tanti anni riesci ancora a sorprendermi.


     Si era approssimato il più silenziosamente possibile, temendo di poter disturbare il riposo del giovane lupo. Era molto probabile che Andrew si trovasse in uno stato comatoso, al momento, ma non voleva comunque destabilizzarlo.
Rimase un attimo a fissare immobile i danni causati dal combattimento e poi, impressionato dalla porta di metallo sfondata, s’incamminò lungo il corridoio che dava accesso alle cantine.
Percepì subito la presenza di un’altra persona e si fece cauto.
-Disturbo..?- chiese, bussando sullo stipite in acciaio.
La figura all’interno si voltò di colpo, sobbalzando. –Oh… ehm… credevo che…- iniziò a farfugliare, sfregandosi nervosamente gli occhi.
Eric sollevò le mani, cercando di apparire innocuo. –Mi dispiace. Credevo che Andrew fosse solo.- si scusò.
-Tu saresti…?- si sentì chiedere.
-Eric, faccio parte del branco. Sono l’ultimo acquisto.- si presentò, sfoggiando il suo sorriso più accattivante. Non voleva far colpo sulla ragazza, ma semplicemente rassicurarla circa le sue buone intenzioni.
-Ah… sono Frances, piacere.- gli sorrise brevemente, lanciando poi una rapida occhiata alla sagoma di Andrew, steso dietro di lei. –Non si è ancora svegliato.- aggiunse, alludendo proprio al lupo.
Il giovane europeo si mise le mani in tasca, non sapendo bene cosa dire. –E’ normale. La prima luna è difficile per tutti.- buttò lì.
Frances annuì distrattamente, mantenendo il contatto visivo con il grosso canide. Il suo disagio era palese, così come il suo desiderio di essere altrove.
-Tu sei la fidanzata di Andrew, vero?- se ne ricordò in quel momento. Sorpresa, lei annuì. –Gli manchi molto.- aggiunse poi, addolcendo il tono.
Sperava che quelle parole potessero calmarla un po’, ma sortirono l’effetto contrario.
Frances s’irrigidì tutta e si portò una mano alla bocca nel tentativo di non piangere. Eric fece per allungare una mano, intenzionato a stabilire un contatto, ma lei non glielo permise.
Sussurrò una scusa e si defilò rapidamente, uscendo poco dopo in strada.
Il licantropo rimase a fissare il punto in cui si trovava fino a poco prima, inebetito. “Ma cos’ho detto di male?”, si chiese sinceramente confuso.
“Non è colpa tua…”, la voce s’insinuò nei suoi pensieri all’improvviso.
Sobbalzò come se gli avessero dato la scossa e si voltò verso l’interno della cantina. –Andrew?- fece, stupito. –Non credevo che fossi cosciente. Vuoi che avverta qualcuno?
Il grosso lupo aprì lentamente un occhio per poi scuotere lentamente la grossa testa. Saggiò la propria forza cercando di muovere una zampa, ma quella rispose a malapena. “Cosa mi succede?”, volle sapere.
Non sembrava spaventato, semmai stanco.
-Hai esaurito le energie.- fu la risposta.
Drew chiuse gli occhi, sospirando. Era la soluzione più ovvia e lui l’aveva scartata a priori, temendo che ci fosse qualcosa di ben più grave. Una paralisi permanente, ad esempio.
-Riesci a tornare umano?  
Sollevò lentamente le palpebre, osservando quello che lo circondava. La cella era esattamente come la ricordava, anche se ora la luce esterna penetrava dalla bocca di lupo superiore e l’aria entrava ad intervalli regolari dalla porta divelta.
Provò a racimolare le forze necessarie per cambiare forma, ma il suo corpo si rifiutò di obbedire. Dopo vari tentativi andati a vuoto fu costretto a scuotere la testa.
-Oh… va bene. Devi concederti del tempo per recuperare le forze.- le parole di Eric volevano essere incoraggianti, ma alle orecchie di Andrew fu l’ennesima riprova della sua inettitudine.
“Amanda sta bene, vero?”, chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
Eric alzò gli occhi al soffitto e poi tornò a guardarlo. –Sì… credo abbia preso una bella botta, ma non ho visto né percepito sangue.- lo rassicurò.
“Ed Evan? David?”, volle sapere.
L’europeo non poté trattenere una smorfia. –Poteva andare peggio.- si limitò a dire. Drew lo fulminò con l’unico occhio aperto. –Braccio rotto e vertebra incrinata.- fu costretto a rivelare.
“Per fortuna non ho ucciso nessuno.”, sospirò, grato.
Facendosi coraggio, Eric entrò nella cella di detenzione e si appoggiò alla parete di fronte alla branda, esattamente davanti alla versione animale di Andrew. –Non devi sentirti in colpa. Affrontare la luna piena è difficile per qualsiasi giovane lupo e tu eri umano fino a poche settimane fa.- gli disse, ripetendo quello che aveva già detto anche a Frances.
“Questo non mi è d’aiuto.”, la creatura arricciò leggermente il labbro superiore in un gesto d’insofferenza. Nonostante giacesse inerme su un fianco poteva ancora usare le espressioni facciali per esprimere le proprie emozioni.
Se si poteva parlare di espressioni in riferimento ad un lupo.
Vedendo che le sue parole non sortivano nessun effetto, Eric si passò una mano tra i capelli. –Sapere che anche io ero un Omega potrebbe aiutarti, invece?- lo disse fingendo noncuranza, come se quel ruolo non gli pesasse.
Drew sgranò gli occhi, stupito. “Tu, cosa? Davvero?”
Annuì lentamente. –Secondo mio zio si deve iniziare dal basso.- confermò.
“Non lo augurerei a nessuno.”, commentò l’altro. Diventare l’Omega era stata la disgrazia più grande che gli fosse capitata da quando era diventato un licantropo.
-Il ruolo dell’Omega è molto importante nel branco. Soprattutto se questo è vecchio e si regge ancora sulle vecchie tradizioni.- rivelò.
“Può essere vero per un branco di lupi, ma non per i licantropi…”, ribatté l’americano.
-Oh, no. Vale anche per i licantropi.- assicurò. –Nel mio branco d’origine l’Omega era il lupo fisicamente più debole, ma in grado di compensare con l’ingegno. Grazie a lui le tensioni interne non sfociavano mai in combattimenti e, per questo, gli era assicurata protezione permanente.
Il lupo assunse un’espressione perplessa. “Non capisco…”
-Un branco privo di tensioni è un branco efficiente ed efficace. Inoltre, ognuno può dedicarsi a ciò che vuole, senza doversi costantemente guardare le spalle.- spiegò. –All’inizio anche io ero confuso e molto arrabbiato: non capivo perché dovessi ricoprire quel ruolo quando sentivo di poter essere un Pretendente.
“Pretendente? Ad un altro ruolo?”, domandò Andrew.
-Esatto. Al ruolo di Gamma.- confermò. –Ci sto ancora lavorando, però.- ammise subito dopo, ridacchiando.
“E cos’è successo?”, la curiosità del giovane stava aumentando, così come la sua attenzione.
Eric ne fu contento, perché significava che lo stava distraendo dandogli modo di dimenticare, anche se per poco tempo, quello che l’aveva tanto sconvolto.
-Essere Omega è una propensione naturale: se l’individuo scelto non ha questa vocazione, allora avanzerà naturalmente di ruolo, lasciando il posto ad un altro lupo.- disse. –Ma mentre si è in carica si possono scoprire molte cose, prima tra tutte come tenere sotto controllo una ventina di licantropi su di giri.
Il lupo arricciò il naso. “Io devo tenerne a bada solo uno.”, si lasciò sfuggire un breve ringhio.
-Prima di pensare alla vendetta sarebbe meglio acquisire maggior controllo sul tuo nuovo corpo, non credi?- buttò lì l’europeo. –Posso aiutarti. L’intero branco può.
Andrew non rispose, abbassando gli occhi chiari. Sapeva che Eric aveva ragione e che il branco sarebbe stato lì ad aiutarlo in qualsiasi momento, ma lui desiderava solamente il supporto di una persona.
“Frances.”
-Non puoi obbligarla ad accettarti.- mormorò Eric. –Ma puoi dimostrarle che si sbaglia e che il lupo non è più pericoloso dell’uomo.
“Perché mi dici questo? Ora come ora non ho bisogno di un discorso d’incoraggiamento, ma…”, bloccò il pensiero del suo interlocutore sul nascere. –Hai bisogno di qualcuno che creda in te e ti ami per come sei.- gli disse, spiazzandolo.
Drew lo fissò dritto negli occhi, immobile, poi abbassò le orecchie e uggiolò leggermente.
Non sapendo cosa fare per migliorare l’umore del giovane, Eric si fece scivolare lentamente lungo il muro, fino a sedersi a terra. Si lappò le labbra, indeciso su cosa dire e poi si passò una mano tra i capelli, arruffandoli.
Alla fine sospirò ed esordì dicendo:-Avevo una sorella che amavo con tutto me stesso… ma ormai sono sei anni che non c’è più.
Andrew si fece vigile, aprendo gli occhi e puntando le orecchie nella sua direzione. “Mi dispiace…”, la sua voce fu poco più di un sussurro.
-E’ morta a causa della mia inesperienza come Omega.- confessò, lanciandogli una breve occhiata. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che era successo, nemmeno coi suoi genitori. Loro sapevano, ovviamente, ma non immaginavano nemmeno quanta fatica gli costasse indossare la maschera di strafottenza che si era costruito.
Forse nemmeno suo zio Aleksandr poteva capire.
“Non capisco…”, per la seconda volta il suo interlocutore ammise i propri limiti.
-Alina era completamente umana e per questo era vista come una cosa preziosa, da proteggere ad ogni costo. Tutti nella mia famiglia stravedevano per lei ed io con loro.- si lasciò sfuggire un sorriso amaro mentre i ricordi gli invadevano la mente. –Le piaceva pattinare sul ghiaccio. Ogni occasione era buona per recarsi al lago e trascinarmi con sé.- aggiunse subito dopo, ridacchiando.
Sentì pizzicare il naso, ma ignorò ostinatamente il nodo che gli stringeva la gola. Non avrebbe pianto: non era quello lo scopo del suo racconto. “E quale sarebbe, invece?”, si chiese, confuso.
Lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore che, immobile, stava aspettando la parte successiva. –All’epoca vivevamo in Russia e se c’è una cosa da sapere sui licantropi russi è che sono estremamente venali e territoriali.- continuò, riprendendo da dove si era interrotto.
“Vi hanno attaccato?”, chiese Andrew in un soffio. Iniziava a temere un risvolto assai crudo per la storia.
-Avevamo sconfinato mentre pattinavamo… e io, come un pivello, non me n’ero accorto.- disse, stringendo con forza i pugni. Ricordare quella parte della storia gli faceva sempre montare la rabbia: rabbia per la propria stupidità e avventatezza. –Ci hanno circondato in poco più di dieci minuti.
Vedendo l’altro in difficoltà, Drew provò a fermarlo. Si agitò leggermente, lasciando uscire un tremulo uggiolio. “Non devi, se non vuoi.”, pensò.
Il giovane Kinsey sembrò non averlo udito, troppo preso dai suoi stessi ricordi. –Ho provato a tenerli a bada comportandomi come mi avevano insegnato, come un Omega, ma fu tutto inutile.- s’interruppe, trattenendo il respiro. Nella sua mente non c’era spazio per nulla che non fosse il bianco della neve e il rosso del sangue. –Sono tornato a casa con più ferite di quante potessi contare e il corpo di Alina tra le braccia.
Andrew non seppe cosa pensare: in confronto il suo sembrava un dramma da poco. -Ma lo sai cos’è che mi fa più male, di tutta questa storia?- si sentì chiedere. Lentamente e con un enorme sforzo, sollevò il capo. –Ha continuato a ripetere che si fidava di me. Per tutto il tempo, anche mentre mi massacravano di botte e lei affondava in uno stupido buco creatosi nello strato di ghiaccio. Si fidava di me come fratello e come lupo, nonostante fossimo caduti preda di un branco di licantropi.
Gli occhi verdi del giovane incontrarono quelli azzurri del lupo e, per qualche istante, tra loro passò qualcosa: condivisione, compassione, impotenza.
Il primo a rompere il contatto fu Eric, che distolse lo sguardo per puntarlo sulla superficie liscia del pavimento. Sentiva ancora il bisogno di piangere, ma non l’avrebbe fatto davanti ad un uomo emotivamente debilitato dalla sua prima trasformazione.
Andrew, invece, si sentiva svuotato. Si sarebbe paragonato volentieri ad un guscio vuoto, se solo non si fosse sentito al tempo stesso così vivo.
Era come se qualcuno l’avesse liberato da un grosso peso, sostituendolo con una nuova consapevolezza. La bestia dentro di lui sembrava essersi assopita, esausta, e l’uomo poteva finalmente riprendere il controllo.
Il limbo in cui era rimasto bloccato svanì come neve al sole e, in men che non si dica, avvertì le ossa scricchiolare. Lasciò che la natura facesse il suo corso, provando poco dolore in confronto alle trasformazioni precedenti.
Quando infine ebbe riassunto la forma umana, l’unica cosa che disse fu:-Grazie.
Per poi piegarsi su se stesso e lasciar libero sfogo alle lacrime.

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