New York At Full Moon di Lelaiah (/viewuser.php?uid=214259)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 Same city, different worlds ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 Una sposa fuori dal comune ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 Emily ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 Caos all'Internazionale ***
Capitolo 6: *** Cap. 5 Against the rules ***
Capitolo 7: *** Cap. 6 Ripartire da zero ***
Capitolo 8: *** Cap. 7 Target ***
Capitolo 9: *** Cap. 8 Dealing with the wolves ***
Capitolo 10: *** Cap. 9 Trovare la via ***
Capitolo 11: *** Cap. 10 Non voglio essere l'Omega ***
Capitolo 12: *** Cap. 11 Opinioni diverse ***
Capitolo 13: *** Cap. 12 Guardie e ladri ***
Capitolo 14: *** Cap. 13 Un nuovo cambiamento ***
Capitolo 15: *** Cap. 14 Can we make a deal? ***
Capitolo 16: *** Cap. 15 Azione e reazione ***
Capitolo 17: *** Cap. 16 Un branco atipico ***
Capitolo 18: *** Cap. 17 Resisti, Blake! ***
Capitolo 19: *** Cap. 18 Rescue ***
Capitolo 20: *** Cap. 19 Vincitori..? ***
Capitolo 21: *** Cap. 20 Bad moon rising ***
Capitolo 22: *** Cap. 21 Bloodthirst ***
Capitolo 23: *** Cap. 22 Presagi ***
Capitolo 24: *** Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo
Questa è un'opera di fantasia ed è stata scritta senza
nessuno scopo di lucro. Ogni riferimento a persone realmente esistenti
è puramente casuale.
New York at full moon
Prologo
La pioggia cadeva incessante, flagellando le vecchie mura del mastio.
Era da
settimane che il temporale imperversava su quel tratto di costa,
riversando tutta la sua furia sul castello ed i suoi abitanti.
Correva l’anno 1864 e Dunnottar era abbandonata da un pezzo.
O almeno avrebbe dovuto essere così.
Non vi era
più stata traccia di un essere umano dal 1715, anno in cui
l’intero possedimento era stato confiscato al decimo ed ultimo
Conte Maresciallo dalla corona inglese.
Da allora, le
pietre di quegli edifici avevano riecheggiato degli ululati di un
intero branco, composto da oltre cento individui.
Non era un semplice branco di lupi, era costituito da licantropi.
Avevano trovato
alloggio nei grandi ambienti della fortezza che, nonostante il suo
avanzato stato di degrado, si era rivelata una perfetta dimora per il
clan di Dearan MacGregor.
L’Alfa
del branco si era preso quasi un’intera ala del palazzo,
permettendo al suo Beta ed al suo Gamma di appropriarsi del resto della
residenza. Ai lupi semplici non era rimasto altro che spartirsi i
ruderi.
L’unico ambiente rimasto inabitato erano le prigioni.
Proprio il luogo in cui si trovava adesso.
Sbuffando,
l’uomo cambiò posizione, distendendo le lunghe gambe per
avere un po’ di sollievo dai crampi che lo attanagliavano. Non
ricordava da quanto tempo fosse rinchiuso in quella sudicia cella, ma
era quasi certo che fosse da prima del nubifragio.
La
piccola feritoia che dava sul grande cortile centrale gli permetteva di
vedere un rettangolo di cielo grigio, denso di nubi. E anche di seguire
tutte le attività giornaliere dei suoi compagni.
Sapeva che il passo per le segrete avrebbe potuto essere molto breve, ma non si sarebbe mai piegato al suo volere.
Quell’uomo non poteva più essere considerato suo padre: era il suo aguzzino.
Rabbrividì
all’improvviso per colpa di una corrente d’aria fredda,
infiltratasi subdolamente dall’esterno. Nonostante la sua
temperatura interna sfiorasse i quarantadue gradi, il suo corpo era
comunque in grado di percepire il caldo ed il freddo.
E nulla gli impediva di avere la pelle d’oca.
Ma non se ne sarebbe lamentato, anche perché avrebbe fatto il gioco di Stryker.
Stryker, il cui
vero nome era Donald, era uno dei lupi più grossi del branco.
Purtroppo, la natura si era dimenticata di dotarlo di un cervello
sufficientemente grande ed il risultato lo aveva portato ad essere una
sorta di cavernicolo dei licantropi.
Quasi tutti i
membri del branco lo deridevano, ovviamente quando lui era abbastanza
lontano per non udirli. Erano dei codardi, la maggior parte almeno.
Uno dei
pochi licantropi con un po’ di sale in zucca era Alastair, Beta
del branco. Era un uomo dall’aspetto burbero, ma inaspettatamente
posato. Si dilettava di medicina ed era un asso nel tiro con
l’arco.
Ma la cosa che gli riusciva meglio era tener a freno il suo Alfa.
Tentativo che
aveva fatto anche in quel caso, provando ad impedire la sua
incarcerazione. Ma lui sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto
dissuadere Dearan dai suoi piani di conquista del potere. Era un uomo
avido, che aveva dimenticato come amare il prossimo e la propria
famiglia. I suoi occhi non vedevano nulla che non fossero territori da
conquistare e ricchezze da accumulare.
Ma c’era stati tempi diversi… felici.
Quel periodo della sua vita era ormai perduto, seppellito assieme a sua madre.
Un rumore di
passi lo distolse dalle sue elucubrazioni. Alzò il capo con
misurata lentezza, conscio di chi stesse per mostrarsi al suo cospetto.
Percepì
alcuni topi zampettare spaventati dentro le proprie tane e subito dopo
la luce delle torce delineò il suo profilo deciso.
Digrignò i denti, sentendo un immediato moto di repulsione per quell’uomo.
-Vedo che sei sveglio.- gli disse.
-Avrei dovuto essere morto, secondo i tuoi calcoli?- replicò, astioso.
Dearan gli si
avvicinò, entrando completamente nel cono luminoso.
–Morto? No. Tu mi servi.- si accosciò per poterlo guardare
direttamente negli occhi.
-Ti ho già detto che non acconsentirò mai.
-Ma tu non devi
acconsentire… mi basterà lasciar fare al tempo. E
all’acqua.- un ghigno distorse i suoi lineamenti.
Suo figlio si
fece scuro in volto, stringendo le mani a pugno. –Lasciami pure
qui dentro. Non lo farò mai.- sibilò.
Sentiva il
sangue pompargli nelle vene, alimentato dalla rabbia che provava in
quel momento. Se solo avesse potuto gli avrebbe staccato la testa a
morsi. L’ultimo briciolo di amore filiale rimastogli se
n’era andato con quell’ultima geniale pensata.
-Tu la
sposerai. E il giorno del matrimonio sorriderai.- e detto questo
l’Alfa del branco si allontanò, svanendo tra le ombre
delle prigioni.
L’ultima cosa che sentì fu la risata aspra e derisoria di Stryker.
***
Riemerse dal sonno con un singulto.
Spaesato, lasciò vagare lo
sguardo nell’ambiente circostante. Le bianche pareti erano
tappezzate di specchi e foto in bianco e nero.
Nessuna di loro lo ritraeva.
“Ancora quel maledetto
ricordo.”, si passò le mani sul viso, leggermente sudato.
Il suo rancore era tale che riviveva il periodo della sua
incarcerazione quasi tutte le notti.
Si mise lentamente a sedere,
appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Inspirò a fondo e
percepì, nell’aria, i residui di un temporale:
probabilmente era stato quello a riportare la sua mente indietro.
Nonostante mancasse ancora
un’ora all’alba, poteva sentire i passi di alcuni amanti
del fitness, già pronti per la loro corsa quotidiana.
Arricciò leggermente
il labbro, infastidito da tutta quella vitalità. Si supponeva
che a quell’ora uno come lui stesse dormendo.
Profondamente.
Soprattutto considerato che la riunione della sera precedente era finita alle tre di notte. E con una bella scazzottata.
Era intervenuto solo per evitare
che il branco perdesse altri due membri. Durante la feroce disputa nata
col clan Campbell, avevano dovuto seppellire venti promettenti giovani
lupi.
Tutto per colpa dell’avidità di suo padre.
“E’ sempre colpa della
sua avidità.”, pensò, digrignando i denti. Ormai
non interagiva più col suo Alfa, a meno che non gli venisse
richiesto di combattere come suo campione.
Aveva deciso di lasciarsi scivolare
tutto addosso, come se fosse un robot. All’uomo che si
considerava suo padre non interessava nulla di quello che pensava o
provava, quindi aveva smesso di manifestare qualsiasi emozione.
Lo stesso poteva dirsi della sua vita matrimoniale.
Era stato costretto, quasi
centocinquant’anni prima, a prendere moglie. Se fosse stato un
lupo senza cervello ne sarebbe stato contento: cosa c’era di
meglio dell’avere una donna con cui sollazzarsi ogni sera?
Il problema era che lui ragionava ed aveva una sua opinione. E anche dei gusti personali, come se non bastasse.
Ma ancora una volta, a Dearan tutto
quello non era importato e, dopo quasi tre mesi di prigionia,
l’aveva fatto convolare a nozze con la figlia dell’Alfa del
branco di Forbes.
Il motivo?
Riprendersi i loro vecchi territori
e stipulare un’alleanza forte e duratura. Strano come ci fosse il
potere di mezzo, ancora una volta.
Disgustato al solo pensiero
dell’espressione soddisfatta che gli aveva visto sul viso, si
alzò. Il suo movimento destò la sua compagna, fino a poco
prima placidamente addormentata.
-Mhm… Evan, cosa succede…?- mugolò, tastando il materasso alla cieca.
Si voltò a guardarla e disse:-Dormi, Crystal. È ancora presto.
Lei aprì gli occhi e nascose
uno sbadiglio con la mano. –Anche per te. Cosa stavi facendo?-
chiese, guardandosi attorno.
-Nulla.
Sollevò platealmente un
sopracciglio curato. –Allora torna qui. Ho in mente qualcosa di
divertente per tenerci occupati.- sussurrò, lasciva.
Evan non protestò né
si tirò indietro. Semplicemente scivolò nuovamente sotto
le lenzuola e le chiuse la bocca con la propria.
Per lui, però,
quell’atto non nascondeva nessun tipo di sentimento. Stava
semplicemente soddisfacendo un bisogno fisico.
Non amava Crystal e mai
l’avrebbe fatto, neanche dopo cinquecento anni insieme. Lei non
era la donna a cui era destinato il suo cuore. Non sapeva chi fosse
né se esistesse, ma in ogni caso aveva smesso di cercarla molto
tempo fa.
Il rumore era assordante.
Ed era quasi certo provenisse dal giardino antistante la villa.
Ringhiando infastidito si
tirò su dal letto e si gettò addosso le prime cose che
trovò. Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra per
controllare che ora fosse e poi marciò fuori dalla stanza.
Percorse le sei rampe di
scale che lo separavano dal pian terreno e, una volta arrivato,
trovò David intento a parlottare tra sé.
Era un uomo dalla stazza notevole,
anche se non era pieno di muscoli come un sollevatore di pesi. Vederlo
torturarsi nell’indecisione era sempre divertente.
-Dave, cosa succede?- chiese,
passandosi una mano tra i capelli e riservando un’occhiata
preoccupata alla grande porta a vetri che dava all’esterno.
Vedeva numerose sagome e percepiva
un’infinità di odori diversi appena oltre la soglia. Prima
che l’amico potesse rispondere aggrottò le sopracciglia e
chiese:-La stampa?
L’altro annuì,
sospirando. –Vogliono intervistare l’Alfa del clan
MacGregor.- spiegò, suonando abbastanza infastidito.
-L’Alfa ufficiale o quello degli eventi mondani?- domandò ancora.
La sera precedente avevano discusso
proprio del loro arrivo a New York. Alcuni membri del clan erano
abbastanza conosciuti e la potenza del branco aveva avuto una certa
risonanza anche fuori dalla Scozia. La parola d’ordine doveva
essere discrezione, ma qualche testa calda aveva pensato bene di
protestare.
-Ah, non lo so. Ma non credo faccia
molta differenza, per loro.- David scrollò le spalle,
riportandolo al presente. Dal tono noncurante, Evan capì che
doveva essere in piedi da un pezzo. Considerato il lavoro che faceva,
tendeva a star sveglio per giorni interi e poi si faceva lunghe
dormite, durante le quali nessuno avrebbe dovuto svegliarlo.
Una volta uno dei lupi
più giovani l’aveva disturbato in pieno giorno e lui gli
aveva rotto una clavicola, mandandolo a sbattere contro il muro. A
parte quei piccoli scatti violenti, David era un licantropo
estremamente gentile ed estroverso.
-Vuoi che vada a chiamare il grande
capo? Alst è fuori: sta cercando di tenerli a bada.- la voce del
compare lo distolse nuovamente dalle sue considerazioni.
-Come ti pare. Non è affar mio.
Dave fece per protestare quando la voce di Dearan li interruppe. –Lasciate che me ne occupi io.- sentenziò.
Doveva essersi appena svegliato, considerata la sua nudità.
Quando si mosse per raggiungere la
porta, David gli si parò davanti. –Mo Maighstir*,
intendi presentarti così?- chiese, squadrandolo da capo a piedi.
Come sempre aveva usato l’onorifico destinato al capo del branco.
L’Alfa gli dedicò
un’occhiata penetrante, prima di superarlo e aprire la porta.
-Sono qui per avere qualcosa di cui scrivere. E io glielo sto dando.-
ghignò, prima di uscire.
Non appena ebbe messo piede fuori
la folla si scatenò. Iniziarono i flash, le domande fioccarono
come neve, perdendosi in quella babele di voci. Alastair avrebbe avuto
il suo bel daffare, poco ma sicuro.
-Perché si comporta così?- chiese il moro, scuotendo la testa.
-Perché lui ama essere al
centro dell’attenzione. Il suo egocentrismo è pari a
quello delle divinità greche.- commentò con voce incolore
Evan. Un altro dei tanti motivi per cui odiava suo padre era
perché amava essere un esibizionista. –Torno al piano di
sopra. Tra meno di due ore inizio il servizio.
-Mi raccomando, cattura i cattivi, capitano MacGregor.- lo prese in giro David.
Evan gli concesse una smorfia (la cosa più vicina ad un sorriso che mostrasse agli altri) e poi si dileguò.
*Il termine significa "mio signore" nella lingua gaelica.
Piacere di conoscervi, sono Lelaiah :)
Questa è la mia prima storia nel fandom e devo ammettere che
è un progetto sperimentale, mooolto work in progress. L'idea
è nata dalla mia passione per la cultura celtica e da un
inaspettato amore per i licantropi, subentrato a quello per i vampiri
(probabilmente grazie alla serie di Alexia Tarabotti).
La figura del licantropo a cui ho dato vita non è esattamente
quella canonica, dato che ho incrociato diverse informazioni:
scordatevi l'imprinting e trasformazioni lampo alla Twilight (anche
perchè quelli sono mutaforma e non licantropi) e focalizzatevi
di più sull'immagine dell'uomo lupo dei vecchi film.
La sfida più grande, per me, sarà far muovere i
personaggi in un mondo che è venuto a conoscenza del
soprannaturale e farli rimanere fedeli ai loro background storici.
Mi auguro di riuscire a portare avanti questo lavoro e di regalare ore
di piacevole lettura a chi decidesse di seguire l'evoluzione di questa
storia :)
Qualsiasi sia la vostra decisione, dopo la lettura di questo prologo e
di queste poche righe, benvenuti nella New York dei licantropi :D
P.S.: Gli aggiornamenti avverranno, indicativamente, ogni settimana. Ispirazione ed università permettendo.
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Capitolo 2 *** Cap. 1 Same city, different worlds ***
Cap. 1 Same city, different worlds
Eccomi qui, come promesso :)
In questo capitolo iniziamo a conoscere un po' le vite di Evan e Amanda
e delle persone che stanno loro attorno. Ho cercato di fare ricerche il
più approfondite possibile su New York (ovviamente nei limiti
consentiti da internet XD), ma se dovessi scrivere castronerie ditemelo
pure :)
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei ringraziare chi ha deciso di
preferire/seguire e ricordare: a quanto pare il prologo era più
intrigante di quello che pensassi! Grazie mille!
Bene, ora vi lascio, buona lettura! :)
Cap. 1 Same city, different worlds
-Greg, ti odio. Sul serio.- quasi ringhiò al telefono.
La voce dall’altra parte rise. –Andiamo, Mandy. Volevo salutarti, dato che non ci siamo visti.
Amanda sospirò, scuotendo la testa e cercando al contempo di infilarsi le collant.
-E come mai non c’eri?- gli chiese. Sapeva benissimo la risposta, ma voleva sentirglielo dire.
Per la milionesima volta.
-Lo sai perché…- l’uomo si azzittì per
aumentare la suspense. -… perché è nato il mio
secondogenito!!- rischiò di trapanarle il timpano destro con
quell’urlo.
Ridendo divertita, recuperò le scarpe e si sedette sul letto per
indossarle. –A quanto mi par di capire sei molto orgoglioso della
cosa.- lo punzecchiò.
-Certo.- si stimò lui.
La giovane si concesse un sorriso, ripensando alla foto che le aveva
mandato Gregory. Era diventata zia di uno stupendo scricciolo di tre
chili e mezzo, con le guance più tonde che avesse mai visto e la
boccuccia sempre aperta in una smorfia.
Era fantastico e suo fratello aveva tutti i motivi del mondo per essere al settimo cielo.
-Sarai un papà stupendo. Ma già lo sai, no? Reese
è una bambina adorabile.- raggiunse la cucina e versò la
sua dose di caffeina nel latte. Bere caffè nero di prima mattina
l’avrebbe resa nervosa come solo un ascensore poteva farla
diventare.
Quindi era meglio evitare: ne andava dell’incolumità fisica e psicologica delle sue clienti.
E di sua sorella.
A quel proposito alzò gli occhi al soffitto, tentando di captare
alcuni rumori, ma non percepì nulla. Brutto segnale.
-Greg, ora dovrei andare. Devo svegliare Fran ed evitare di arrivare in
ritardo al lavoro.- lo interruppe bruscamente mentre elencava le doti
della sua primogenita.
-Non si è ancora svegliata?- chiese, stupito.
-Sai com’è. Tirarla fuori dal letto, alla mattina, era
sempre una lotta. Quando mamma ha capito che il mio metodo era
più efficace del suo, mi ha passato la palla.- disse, ingollando
la sua colazione in quattro e quattr’otto.
Sperò vivamente non le tornasse su durante il tragitto.
Solitamente mangiava sempre con calma, ma quel giorno Gregory aveva stravolto la sua routine mattutina.
Lo sentì ridacchiare. –Usi ancora quel metodo?
-Quale, quello della secchiata d’acqua? No, troppo dispendioso.
Mi sono modernizzata.- rispose. Appoggiò la tazza nel lavello ed
addentò l’ultimo biscotto, prima di andare in bagno per
finire di sistemarsi i capelli. –Greg, devo veramente andare,
ora. Mi dispiace.- si scusò, mentre terminava di intrecciare i
lunghi capelli neri.
-Ho capito, tranquilla. Buona giornata, sorellina. E vedi di vendere tanti abiti, d’accordo?- la salutò.
-Sarà fatto. Ciao Greg!
Una volta conclusa la conversazione, schizzò fuori dal bagno per
indossare la leggera giacca chiara comprata apposta per il lavoro.
Lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e, appurata la
presenza del sole, inforcò gli occhiali.
Gettò il cellulare nella borsa capiente assieme al portafogli ed
alle chiavi e uscì. Una volta chiusa la porta con due mandate,
mandò un messaggio a sua sorella.
Sapeva che quello avrebbe innescato la fastidiosa sveglia che le
aveva impostato e che, quasi sicuramente, l’avrebbe buttata
giù dal letto.
Non attese di sentire le urla di protesta di Frances e s’incamminò lungo le scale.
Fortunatamente riuscì a prendere la metropolitana che
partiva da Broadway e serviva tutta la zona delle università,
compreso il campus della Columbia, dove lei stessa si era laureata.
Come tutte le mattine cercò di trovare un angolino libero in cui
potesse respirare, ma fu difficile. I teenagers avevano ripreso le
lezioni proprio in quei giorni e non avevano ancora orari prestabiliti,
motivo per cui ce n’erano in abbondanza anche sulla corsa delle
nove e tre quarti.
Tentò di farsi largo tra due persone, chiedendo permesso con fare non molto deciso.
“Odio la metro!”, pensò una volta riuscita a
passare. Si riassestò la giacca ed afferrò il palo di
sostegno, concentrandosi su quello che vedeva oltre i finestrini.
Non che le gallerie di cemento che correvano sotto New York fossero
interessanti, ma l’aiutavano a distrarsi. Ritrovarsi in spazi
piccoli ed affollati non era un granché per una persona che
soffriva di claustrofobia sin da piccola.
Per la fretta aveva dimenticato l’ipod in camera e si era
data della cretina per tutto il tragitto da casa alla fermata.
Sbuffando lanciò un’occhiata alle persone attorno a lei e
poi al tabellone. Mancavano ancora dieci fermate alla sua meta.
“Un fantastico rientro dalle vacanze, non c’è che
dire.”, si disse, appoggiando la fronte contro il freddo acciaio
del suo sostegno.
Sperò con tutto il cuore che il lavoro non le volesse riservare altre piacevoli sorprese.
Per poco non sbriciolò il cellulare che reggeva tra le mani.
David gli aveva appena scritto di quello che era successo dopo che lui
se n’era andato per raggiugere il suo nuovo posto di lavoro.
Suo padre aveva fatto la sua comparsa davanti ai media senza degnarsi
di coprirsi e la cosa aveva alquanto sconvolto i giornalisti.
Nonostante la società soprannaturale fosse ormai cosa
nota agli umani, questi non erano abituati ai loro comportamenti. E per
quanto potessero apprezzare un corpo nudo, per loro risultava comunque
strano vederlo esibito con tanta naturalezza.
Per i licantropi era una cosa assolutamente normale, ma sarebbe stato
difficile spiegare il perché senza passare per maniaci.
Come se non bastasse, Dearan aveva fatto il gradasso come suo
solito, vantandosi della forza del suo branco. Quello sfoggio di potere
sulla pubblica piazza autorizzava gli altri clan a sfidarlo, in modo da
stabilire la verità di quanto affermato.
Sarebbe stata una buona notizia, almeno per lui, se solo New York non
avesse avuto un sistema di potere totalmente diverso da quello che
c’era in Scozia.
Lì i clan non avevano più di cent’anni e si erano
costruiti regole di comportamento diverse da quelle dei loro
predecessori europei.
Non vigevano quasi mai le successioni patriarcali, ma gli Alfa erano
nominati a furor di popolo. Inoltre, i branchi potevano essere formati
dagli individui più disparati, senza nessuna esclusione.
L’unica cosa certa era che non c’erano vampiri.
L’odio tra le due razze era insito nel sangue di entrambe e non sarebbero mai riusciti a combatterlo. Nemmeno volendo.
-Di' ad Alastair di tenere a bada mio padre. Cerchiamo di sopravvivere
almeno una settimana nella nostra nuova casa.- scrisse in risposta al
messaggio dell’amico.
-Ci proverò, ma non assicuro niente.- fu tutto ciò che riuscì a promettergli Dave.
Sospirò, tentando di calmarsi.
Sperò vivamente che la giornata non finisse peggio di com’era iniziata.
Quella che aveva davanti avrebbe dovuto essere una delle
migliori squadre della sezione speciale dell’ESU di New York,
ossia l’Emergency Service Unit.
Era stata creata quando un poliziotto, Richard Rogers, aveva
neutralizzato da solo una squadra di spacciatori asserragliati nel loro
bunker. Nessuno era riuscito spiegarsi la dinamica dei fatti, fino a
quando egli stesso aveva rivelato la propria natura di licantropo,
tenuta nascosta per non compromettere la fiducia che aveva instaurato
con gli altri membri della squadra.
Da allora Rogers era a capo dell’Emergency Service Unit For Dangerous Matters,
ribattezzata ESUDM. Grazie alla sua disponibilità erano state
create cinque squadre, composte da una decina di elementi ciascuna.
E dieci di quei cinquanta elementi ora si trovavano proprio davanti ad Evan.
-Signori, questo è il capitano Evan MacGregor. Da oggi in poi
sarà al comando della squadra.- venne presentato dallo stesso
Rogers, che si occupava personalmente di introdurre i nuovi membri.
Ci fu qualche mormorio e qualche saluto, a cui il licantropo rispose
con un rigido cenno del capo. Sapeva che non era colpa loro se suo
padre era un perfetto idiota, ma sorridere sarebbe stato proprio da
ipocriti, in quel momento.
-MacGregor, ti lascio a far conoscenza con i tuoi nuovi lupacchiotti.-
il comandante gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Lo seguì con gli occhi per qualche istante, mandando a memoria
il suo odore animale. Era sempre bene riconoscere un lupo col naso,
prima di trovarselo davanti. Se si arrivava al contatto visivo e quello
che ti trovavi di fronte era un nemico, allora eri spacciato.
-Allora…- lentamente si voltò verso i suoi sottoposti.
–Siete quattro licantropi e sei umani. Nessun vampiro, vero?
Una donna dai folti ricci neri si schiarì la gola.
-C’è solo un vampiro che lavora nel distretto. E non
è un membro attivo, funge più da informatore.- lo
informò. Annuì lentamente.
“Niente succhiasangue. Almeno questa mi è stata
risparmiata.”, pensò sollevato. –Grazie, tenente.-
disse. –Di che branco fate parte?
-Di uno abbastanza vecchio da non voler grane.- fu la risposta. I due
si scrutarono per qualche istante, saggiando le rispettive auree.
–Capitano.- lei fu la prima ad abbassare gli occhi, facendo un lieve cenno del capo.
Riconosceva la sua autorità in quanto lupo.
Fece per risvolgersi al marcantonio al suo fianco quando l’aria
attorno crepitò. Con la coda dell’occhio colse il
cambiamento negli occhi di uno dei poliziotti, prima che questo
snudasse le zanne e gli si avventasse contro.
-Io non riconosco la tua autorità!- ringhiò.
Riuscì ad attutire il colpo trasformando in parte le proprie
mani, ma non ad evitare la scrivania alle loro spalle. I due ci
finirono esattamente sopra, distruggendola.
Rotolò sulla schiena, allontanando il licantropo con un calcio
piazzato poco sotto la cavità toracica. Quello ruzzolò
per qualche metro, ma poi si rialzò, facendo perno su mani e
piedi.
A giudicare dalla sua forza non faceva parte della triade a capo del branco, ma non era nemmeno un semplice lupo.
Un Pretendente, quasi sicuramente al ruolo di Gamma.
-Osi sfidarmi?- chiese con voce metallica. L’adrenalina gli
scorreva in corpo, ampliando al massimo i suoi sensi e distorcendo il
suo timbro vocale.
-Sì.
Scattarono entrambi in avanti e si scontrarono a mezz’aria.
L’urto fu talmente violento che fece vibrare tutti i vetri
presenti nella centrale.
Quando toccarono terra, Evan aveva una mano artigliata premuta sul petto del suo avversario ed i canini leggermente allungati.
-Riconosci la mia autorità, ora?- gli chiese, soffiandogli sul viso.
Quello restò immobile, supino. Se fosse stato in versione
animale gli avrebbe mostrato il ventre come segno di sottomissione.
-Bene.- lo lasciò andare, raddrizzandosi e dandosi una sistemata. –Altre domande?- chiese, guardandosi intorno.
Quasi tutti i poliziotti presenti si erano fermati ad osservare lo scontro, ad esclusione di Rogers e qualche veterano.
-Lo scusi per il suo comportamento: Eric tende ad essere un po’
stupido, a volte.- la lupa di poco prima si fece avanti, dando uno
scappellotto sulla nuca al giovane licantropo che l’aveva appena
sfidato.
Quella confidenza gli suonò sospetta. –Fate parte dello stesso branco?
-No, ma lavoriamo insieme da due anni, ormai. Lo conosco.- rispose lei, impedendo all’altro di ribattere.
-D’accordo, tenente… Simmons. Lei avrà il compito
speciale di sorvegliarlo, almeno fino a quando non gli entrerà
un po’ di sale in zucca.- disse. Nel vedere l’espressione
di Eric non poté impedirsi di sogghignare, soddisfatto del
proprio operato.
-Come vuole, capitano.- fu la risposta dopo un attimo di confusione.
-Non ho bisogno di una balia!- si schermì il giovane poliziotto.
Evan lo freddò con un’occhiata dei suoi strani ed
inquietanti occhi. Andavano dal grigio al blu, fino a virare verso il
color ametista. –Ma solo di un po’ di disciplina.
Impara a valutare meglio il tuo avversario, prima di attaccarlo.
L’acceso rossore sulle guance del suo interlocutore gli fece
capire di aver esagerato. Fece per ritrattare le proprie parole, ma si
limitò ad addolcire leggermente il tono ed aggiungere:-E’
una regola fondamentale nel nostro mondo. Ti salverà la vita, in
futuro.
-S-sì, capitano.- il mormorio fu così flebile che pensò di esserselo immaginato.
-Rimettiamo a posto questo macello. Poi potremo finire di far
conoscenza.- si chinò in avanti ed afferrò alcuni pezzi
di legno.
Dopo un attimo d’esitazione, il giovane Pretendente si fece avanti ed iniziò ad aiutarlo con solerzia.
Evan dovette trattenere un sorrisetto, orgoglioso della propria azione intimidatoria.
Per essere il primo giorno lavorativo dopo le sue due settimane di riposo, stava andando peggio del previsto.
Lavorava da Kleinfeld da due anni e ormai aveva l’esperienza
necessaria per destreggiarsi tra la moltitudine di abiti che custodiva
il negozio.
Questo, però, non autorizzava le sue superiori a passarle tutte le clienti più schizzate.
Dovendo trattare con donne in procinto di sposarsi, era importante
saper mantenere i nervi saldi ed il sorriso sempre stampato sulla
faccia. Non che Amanda fosse una persona impaziente, ma cavoli, a tutto
c’era un limite!
All’inizio della mattinata aveva dovuto seguire una sposa che
aveva appena scoperto di essere incinta e quindi cercava un abito che
non la facesse sembrare una balenottera spiaggiata il giorno delle
nozze. Poi c’era stata la regina dell’indecisione e, dopo
pranzo, quella con solo due settimane di tempo per comprare il proprio
vestito.
Ed ora c’era lei: la sposa con l’amico omosessuale.
A peggiorare le cose il fatto che fosse uno stilista abbastanza
affermato e che quindi se ne intendesse di moda.
Per quanto fosse pacifista fin nel midollo, avrebbe volentieri preso
ago e filo per cucirgli la bocca. Non aveva smesso di parlare da quando
aveva visto la prima proposta e le aveva fatto venire un mal di testa
coi fiocchi.
Esistevano due cose in grado di farla diventare intrattabile: gli
attacchi di panico dovuti alla claustrofobia ed i mal di testa.
“Rimani concentrata, è solo un cliente. Se ne andrà
e non lo vedrai più.”, si disse, cercando di trattenersi.
Detestava imbottirsi di medicine e non aveva nessun rimedio omeopatico
a portata di mano, quindi avrebbe dovuto sopportare.
-Che ne pensi?- la voce della sposa, Jade, la strappò ai suoi pensieri.
Rialzò gli occhi per capire se la ragazza si stesse rivolgendo a lei o a Brody, il suo accompagnatore.
Quando capì che la domanda era rivolta a lei, raddrizzò
le spalle e fissò il riflesso della sua cliente allo specchio.
–Be’… questo colore non si sposa benissimo con la
tua carnagione. Preferisco il secondo che hai provato.- riuscì a
sfoggiare un sorriso cortese.
-Mhmm… tu credi? Brody?- la sua interlocutrice si voltò di tre quarti, rimirandosi sulla superficie riflettente.
-Ti allarga i fianchi.- fu diretto in modo disarmante.
La bocca di Jade cadde verso il basso in un’espressione di totale
shock. Subito rimpiazzato da sdegno. Raccolse le gonne, impettita e si
riavviò in camerino.
Amanda roteò gli occhi senza farsi notare e la seguì,
chiudendosi la porta alle spalle. –Tu cosa ne pensi?- chiese.
-Che è uno stronzo!- sbottò quella.
“Permalosa, la ragazza.”, pensò, trattenendosi dal
commentare ad alta voce. –Non mi sembrate molto in sintonia.-
dovette osservare.
Al che la sua sposa le lanciò un’occhiata spaventata, a
cui lei non seppe dare spiegazione, e poi si lisciò le pieghe
del corpetto. Preferì non indagare, lasciandole un po’ di
spazio.
Si stava occupando di risistemare alcuni vestiti dentro le proprie
custodie quando sentì un singhiozzo. Si voltò, perplessa
e domandò:-Jade, tutto ok?
La giovane scosse la testa, tentando di frenare il flusso di lacrime.
Mandy allungò una mano dietro di sé e le porse la scatola
di fazzolettini presente in ogni camerino. Le lacrime erano
all’ordine del giorno, in quel posto.
-Io… io non so se posso sposarmi…- farfugliò.
La donna si accigliò. –Come? Perché non riesci a trovare l’abito? Ma vedrai che…
-No, non è per l’abito!- la interruppe. –E’ per Brody!
-Per Brody?- ripetè, ancora più confusa. Era andata in crisi solo per la bocciatura dell’abito?
Le si avvicinò, tentando di stabilire un contatto visivo, ma la
ragazza rifuggiva il suo sguardo. Le parve di vederle le guance rosse,
ma pensò fosse dovuto allo sfogo. –Non posso aiutarti se
non mi dici che sta succedendo…- mormorò, tentando di
rassicurarla.
Le aveva fatto scoppiare il mal di testa, ma non voleva vederla in
quello stato. Non quando stava cercando l’abito per il suo giorno
più bello.
Inaspettatamente Jade le gettò le braccia al collo e
l’abbracciò stretta, rischiando quasi di soffocarla.
Amanda ricambiò in ritardo, vistosamente a disagio.
Le ci voleva molto tempo per raggiungere un grado di confidenza
tale per farsi abbracciare in modo così sentito da qualcuno. Era
estremamente riservata con chi non conosceva e questo la portava ad
essere un po’ schiva.
-Sono andata a letto con Brody.- finalmente ecco svelata la verità.
-Be’, ma lui è omosessuale, quindi non vedo dove sia il
problema. Cioè, c’è un problema, ma si può
risolvere, no?- le disse. “Un tradimento. Questo mi mancava,
oggi.”, pensò.
Scuotendo nuovamente la chioma bruna la sposa sciolse
l’abbraccio, la guardò negli occhi e sussurrò:-Lui
non è gay.
“Ops.”, fu l’unica cosa che riuscì a pensare.
–Forse è il caso che vi lasci qualche minuto per parlare,
d’accordo?- le propose.
L’altra annuì, asciugando gli ultimi residui di pianto dalle guance.
Amanda aprì la porta ed invitò Brody ad entrare al posto
suo. Gli fece un sorriso d’incoraggiamento e poi si
allontanò.
Raggiunse il salone, approfittando di quella inaspettata pausa per cercare di riprendersi dall’emicrania.
-Ehi, Amanda, che fai qui fuori? Hai già venduto?
Smise di massaggiarsi le tempie ed alzò lo sguardo, incontrando
il viso sorridente di Vivian. –Oh, Vi, ciao.- le sorrise
brevemente. –No, sono in pausa.
-Crisi da cartellino?- tirò ad indovinare.
Scosse la testa: il prezzo dell’abito non c’entrava. –Peggio.
-Oddio, cioè?- le si avvicinò, curiosa oltre ogni dire.
Con fare cospiratorio si sporse verso di lei e sussurrò:-Non posso dirtelo.
Al che Vivian mise il broncio ed incrociò le braccia al petto,
mostrandole il proprio disappunto. Sapeva quanto fosse pettegola e non
le andava di rivelare a tutto lo staff che sua sposa aveva un problema
di fedeltà.
-Rispetto la sua privacy. Dovresti farlo anche tu.- la riprese.
-Ah, sempre la stessa storia! Sei troppo bacchettona!- brontolò,
allontanandosi. Vivian era una ragazza molto simpatica, ma era
veramente troppo curiosa. Non avrebbe mai rischiato di ubriacarsi con
lei nei paraggi, chissà cosa avrebbe potuto scoprire.
Attese qualche altro minuto, sperando che la situazione si fosse
risolta, poi si avviò verso il proprio camerino. Stava per
abbassare la maniglia quando avvertì dei rumori sospetti
provenire dal suo interno.
Si bloccò con la mano a mezz’aria, per poi arrossire subito dopo ed allontanarsi con uno scatto.
“Oddio!”, pensò distogliendo lo sguardo.
-Mandy… che succede?- si sentì chiedere all’improvviso. Sobbalzò, per poi voltarsi.
-Gabrielle, mi hai spaventata!- esclamò.
-Ho visto.- ridacchiò la nuova arrivata. Poi si focalizzò sulla porta. –Problemi?
Al che Amanda non poté fare a meno di arrossire. –Ehm…
Gabrielle si avvicinò con piglio deciso e, dopo un breve
ascolto, spalancò di colpo la porta, cogliendo i due sul fatto.
–Signori, vorrei ricordarvi che questo è un negozio
d’abiti da sposa, non un hotel. Vi prego di uscire, risolvere i
vostri problemi e, una volta fatto, fissare un nuovo appuntamento.
Riuscì a dire il tutto rimanendo seria e mostrando il suo
miglior sorriso professionale. Chiunque si sarebbe accorto della velata
minaccia nascosta nelle sue parole e, a quanto pare, sembrò
capirlo anche la coppia, che si rivestì in fretta e si
affrettò ad andarsene.
-Da non credere.- sbuffò, passandosi una mano tra i capelli castano chiaro, dal taglio scalato.
-Grazie.
La donna si voltò verso l’amica. –Figurati. Ma
dovresti avere un po’ più polso…- le fece notare.
-E piombare in camerino per interrompere due che stanno copulando?!
Forse con una crisi di panico e due emicranie in atto!- replicò,
scoppiando a ridere subito dopo.
-Già, non sei il tipo.- Gabrielle si aggregò.
Risero per un altro po’, poi si diedero un contegno e riassunsero
un’aria professionale. Amanda si sistemò l’orlo
della camicetta e poi disse:-Chi mi aspetta ora?
-La signorina Parker.- fu la risposta. Gabbie era una direttrice
vendite formidabile, sempre organizzata. E una delle persone che la
conoscessero meglio al mondo, dopo i suoi fratelli.
-D’accordo, vado ad accoglierla.- sorrise.
-Meglio, perché mi sembrava un po’ impaziente.- commentò.
Mandy sospirò. –Tutte a me le pazze, oggi, eh?
Stava finalmente tornando a casa dopo il primo, stressante
giorno di lavoro quando il cellulare vibrò nella tasca dei suoi
pantaloni.
Lo ignorò e raggiunse la sua moto nera come la notte. Fece
scorrere gli occhi sulla carrozzeria per accertarsi che nessun lupo
avesse lasciato la propria marcatura e poi gettò una gamba oltre
la sella, accomodandosi poco dopo.
Si sistemò in modo da aver la moto ben salda tra le cosce
e finalmente estrasse il cellulare. David l’aveva
convinto a modernizzarsi, dato che doveva rimanere al passo coi tempi
ed essere un lupo moderno.
Di qui il motivo per cui ora si ritrovava a strisciare il pollice per
sbloccare lo smarthphone e leggere quel benedettissimo messaggio.
Fece scorrere rapidamente gli occhi su quelle poche parole. Rimase a fissare lo schermo interdetto e le rilesse nuovamente.
“Che significa abbiamo due grossi problemi?”, si chiese,
accigliato. Cioè, c’era quasi sempre qualcosa da sistemare
all’interno del branco, ma nulla che portasse Dave a mandargli un
messaggio del genere, ripetuto per ben quattro volte.
Premette il tasto di chiamata ed attese che l’amico rispondesse.
-Alla buon’ora!- brontolò quello.
-David, che succede?- chiese, andando dritto al sodo.
-Brutta giornata?
-Che succede?- ripetè nuovamente, mantenendo la voce ferma. Non gli piaceva ripetersi né girare attorno alle cose.
Lo sentì sbuffare. –Non hai letto giornali o guardato i notiziari locali, vero?- gli domandò per contro.
Si accigliò ancora di più. –No. Ma se si tratta di
mio padre posso immaginare cosa ne sia venuto fuori.- disse. Non si
sarebbe scomposto, dato che non era la prima bravata del suo caro
genitore.
-Anche.- rispose dopo un’esitazione Dave.
-La smetti di girarci attorno?!- finì per sbottare. Se era vero
che l’apatia era l’unico sentimento che mostrava al padre
(e la maggior parte delle volte anche nella vita matrimoniale), era
altrettanto vero che David era l’unico in grado di tirargli fuori
una qualche emozione. E tra quelle c’era l’impazienza.
E dire che non era mai stato una persona impaziente… ok, forse
non lo era per certe cose, ma per altre decisamente sì.
-Va bene, va bene! Che caratteraccio che ti ritrovi.- sbuffò,
infastidito. –Abbiamo già cinque lettere di sfida da parte
dei branchi della Grande Mela.- rivelò.
Evan prese la notizia con filosofia. –Avevo giusto bisogno di sgranchirmi un po’.
-Se non ti conoscessi direi che questa era una frase da spaccone. Il
problema è che è la pura verità.- replicò
il suo interlocutore.
-Hai altro da dirmi?
-Sì.- disse solo.
-Devo tirarti fuori le parole di bocca?- lo minacciò.
Lo sentì sospirare. –Sono sicuro che la notizia non ti
piacerà per niente.- ammise, titubante. Non capiva perché
doveva esser sempre lui il latore di brutte notizie. Ah, sì,
giusto: era l’unico che Evan non avrebbe sbranato.
-David Rockbell, per favore. Ho veramente bisogno di una doccia calda
per non tornare da uno dei miei sottoposti e prenderlo a pugni.- lo
pregò, massaggiandosi le tempie. A fine giornata il vero
piantagrane del suo nuovo gruppo di lavoro non si era rivelato Eric, ma
lo spocchioso Marcus, un licantropo grande quanto un armadio e con un
marcato accento canadese.
-D’accordo. Dopo mi racconterai, eh!- disse, tentando di
blandirlo. All’ennesimo incitamento decise di sganciare la bomba.
–Crystal ha fatto un annuncio ufficiale.
-Riguarda una delle sue sfilate?- domandò, non capendo dove
fosse il problema. Conosceva bene le manie di protagonismo della
moglie, nulla di nuovo.
-No. Riguarda il rinnovo delle promesse matrimoniali… con un
grande secondo matrimonio, fatto per i media.- la sua voce andò
scemando man mano che gli rivelava i particolari. Alla fine si
ritrovò muto, in attento ascolto.
Poteva sentire il respiro di Evan, bloccato da qualche parte all’altezza del petto.
-Capisco.
E dopo quello la conversazione venne interrotta.
David si mise le mani nei capelli, temendo che l’amico sarebbe
arrivato a casa come un tornado e avrebbe fatto saltare alcune teste.
-Ben tornato, amore.
Evan le lanciò un’occhiataccia in grado di incenerire
all’istante qualsiasi cosa potesse essere considerata
suscettibile di combustione. –Cosa significa?
-Cosa?- chiese lei, facendo la finta tonta.
Approdati nell’era moderna, Crystal aveva ben presto capito che
fingere di rientrare nel cliché della “modella bionda e
stupida” le sarebbe stato utilissimo, soprattutto nel mondo del
lavoro. In verità sapeva come usare il cervello ed era anche
parecchio calcolatrice, il tutto grazie ai preziosi insegnamenti di
papà Forbes.
Essere figli di licantropi ti toglieva l’innocenza, poco ma sicuro.
-Crystal, non tirare la corda. Perché quell’annuncio?- le
chiese. Il più delle volte le lasciava fare quello che voleva,
compreso portarselo in giro ai party e mostrarlo al mondo come fosse un
trofeo. Ma se c’era una cosa che lo mandava fuori di testa era
sapere che le persone avevano agito alle sue spalle.
Per un tradimento del genere valeva la pena di rispolverare un po’ il vecchio e aggressivo Evan.
Lei allora si alzò, scavallando le lunghe gambe e si
ravviò i capelli con noncuranza. –Andiamo, cosa vuoi che
sia?- brontolò.
-A parte un’invasione della privacy?- domandò, suonando gelidamente ironico.
-Sono una modella, Evan. Vivo per avere i riflettori puntati addosso.-
gli ricordò con piglio deciso. A quanto pareva era una cosa che
voleva portare fino in fondo.
“Non ho voglia di discutere.”, pensò, chiudendo per
un attimo gli occhi. Se solo pensava alla tanto meritata doccia che lo
aspettava si sentiva male. Aveva veramente bisogno di staccare la
spina: anche gettarsi nel lago di Lochness sembrava un’opzione
più appetibile del parlare con la sua calcolatrice ed
egocentrica compagna.
-Vuoi un altro matrimonio? Fantastico. Io sarò lì a fare
la mia parte, come un perfetto manichino.- tagliò corto.
-Non chiedo di meglio: è proprio così che ti voglio.- commentò lei, incrociando le braccia al petto.
Si confrontarono per qualche istante, in silenzio, occhi negli occhi.
Alla fine lui se ne andò sbattendo la porta della camera da
letto.
Scese rapidamente le scale e raggiunse in fretta la zona in cui abitava David.
Entrò senza nemmeno bussare, cogliendo l’amico in piena
crisi da lavori manuali. La sua entrata ad effetto mandò
all’aria i progressi dell’ultima mezz’ora e si
beccò un colorito vaffanculo da parte dell’inglese.
-Prendo a prestito il tuo bagno.- disse solo.
Quello fece per protestare, ma non gliene lasciò il tempo. Prima
l’acqua calda, poi gli strepiti di Dave ed infine tutto il resto.
Se fosse rimasto del tempo avrebbe pure dormito.
Quando aprì la porta del proprio appartamento e se la
richiuse alle spalle, Amanda si sentì in pace col mondo.
Aveva passato le due settimane di ferie a casa dei genitori,
nella loro stupenda fattoria in Kansas e si era liberata di tutto lo
stress lavorativo accumulato durante l’anno.
Purtroppo quel mondo di verdi praterie e stupendi tramonti era stato
abbandonato a causa del rientro a New York. Nonostante avesse imparato
ad amare quella città, le sembrava sempre troppo artificiale per
i suoi gusti: lei amava la natura, non le gabbie di cemento.
A volte era insofferente verso la più piccola cosa e,
durante il tragitto verso casa, si era sentita proprio così. Per
cui aveva affrettato il passo e preso la prima metropolitana
disponibile, sperando di arrivare il più presto possibile e
crogiolarsi sotto il getto dell’acqua calda.
Lasciò cadere la borsa sul divano e si tolse i tacchi, dolorante.
Poi, camminando sulle punte dei piedi e canticchiando un motivetto tra
le labbra, si chiuse in bagno. Attese che lo scaldabagno facesse il suo
dovere e poi s’infilò sotto il getto, sospirando beata.
Si concesse tutto il tempo del mondo, fino a quando le sue mani
non iniziarono a chiedere vendetta, ormai completamente raggrinzite.
Solo allora uscì ed indossò una canotta ed un paio di
leggins.
Fece per dirigersi in cucina, intenzionata a prepararsi qualcosa di buono per cena, quando il campanello suonò.
Si voltò verso la porta, perplessa e poi andò ad aprire.
-Mandy, per fortuna che sei a casa!- esclamò sua sorella, gettandole le braccia al collo.
Cercò di farla staccare, ancora più confusa. –Fran, che ci fai qui?
E fu in quel momento che comparve Andrew, sul viso un’espressione
da cane bastonato. –Mi dispiace, Amanda, ho provato a
fermarla…- iniziò, dolente.
-Ho fatto saltare il forno.- concluse per lui la fidanzata. Lei
sgranò gli occhi e la fissò letteralmente sconvolta.
-Cos’hai fatto?!- strillò, non potendoselo impedire.
Sicuramente quell’urlo era stato udito in tutto il condominio.
Frances si staccò ed annuì. –Sì…
volevo cucinare qualcosa per me e Drew, ma… devo aver sbagliato
qualcosa.- ammise, entrando nell’appartamento senza essere
invitata.
Sua sorella la seguì con lo sguardo per poi far segno al ragazzo
di entrare. Prese un respiro profondo e poi chiuse la porta.
–Bene. Io non so come tu abbia potuto far esplodere il forno, ma
tant’è. Volete che vi prepari la cena?
-Sarebbe magnifico!- Fran battè le mani, entusiasta. Nonostante
fosse la figlia di mezzo, era lei quella più viziata, in
famiglia. Non che fosse una cattiva persona, per carità, ma non
riusciva a fare quasi nulla da sola.
A parte studiare.
Lo studio era un’attività condivisa da tutta la famiglia
che, nonostante la grande fattoria da gestire, vantava ben cinque
lauree in cinque campi diversi.
Emergendo dai propri pensieri, Amanda si affrettò a raggiungere
la cucina. Recuperò tre tovagliette americane e le passò
alla sorella, chiedendole di apparecchiare il tavolino sotto la
finestra.
Quando aveva visto per la prima volta l’appartamento, aveva
deciso che avrebbe consumato i propri pasti sotto l’infisso, dato
che da lì si godeva di una buona vista su uno dei piccoli parchi
del quartiere. Hamilton Heights era una delle più interessanti
ed affollate zone di New York; non era la migliore ma nemmeno la
peggiore: le piaceva e adorava l’atmosfera intima che si
respirava nelle vie laterali alla grande arteria di Broadway Avenue.
Bastava poco per isolarsi dai rumori della città…
be’, in alcuni casi ci voleva un po’ più di
fantasia, ma lei non ne era a corto.
-Vuoi una mano?- le chiese Andrew, offrendosi volontario.
-Come?- si riscosse. –Oh… magari, grazie. Potresti recuperare tre bistecche dal freezer?
Lui annuì ed aprì lo sportello, tirandone fuori poco dopo
una confezione di carne. La mise sotto l’acqua per scongelarla ed
attese altre istruzioni. –Che intendi cucinare?-
s’informò.
-Braciole alla birra ed erbe aromatiche. Nulla di complicato.-
spiegò. –A questo proposito… vado a recuperare le
erbe.
Attraversò l’ampio open space adibito a zona giorno e poi
scavalcò il davanzale della finestra, atterrando sul piccolo
ballatoio della scala antincendio. Come ogni edificio sopra i tre piani
della Grande Mela, il suo palazzo era dotato dell’immancabile e
molto americana serpentina di ferro che collegava esternamente tutti i
piani.
E che consentiva ai ladri di intrufolarsi nelle case altrui col minor sforzo possibile.
Si sporse in avanti e staccò qualche fogliolina dal piccolo
giardino aromatico che coltivava lì fuori. Una volta fatto
tornò in casa e schizzò verso la cucina.
-Come mai così arzilla?- le chiese sua sorella, sbirciandola dal
divano. –E’ successo qualcosa di bello al lavoro?
Lei le lanciò un’occhiata. –Lo sai che cucinare mi mette allegria. Mi rilassa.- le ricordò.
-Oh, giusto. Mi chiedo perché tu non sia già sposata e
con due figli.- bofonchiò, tornando a sprofondare tra i morbidi
cuscini.
Lei arrossì violentemente. –Fran… lo sai che…- balbettò.
-Sì, che stai aspettando l’uomo della tua vita dopo quel coglione di Wayne.- si rispose da sola.
-No, non è per quello! Ho solo ventidue anni!- sbottò.
Frances comparve da dietro lo schienale del divano. -E allora?
-Amanda, non darle retta e prenditi i tuoi tempi.- le disse Andrew. A
volte si chiedeva come quello stinco di santo potesse sopportare la sua
sorellona. Ma poi si ricordava delle sbornie moleste del ragazzo e
tutto tornava: si prendevano cura l’uno dell’altra. E lo
facevano da quattro anni, ormai.
Gli dedicò un sorriso e poi prese fuori una bottiglia di birra.
–Bene, iniziamo la preparazione.- disse, accendendo il gas.
-Van, che ne dici di uscire a mangiare qualcosa? Mi stai rompendo
l’anima con quella tua aria da lupo nero.- fece David, esasperato.
Aveva lasciato all’amico il tempo necessario per sbollire sotto
la doccia, approfittandone per terminare il modellino di cui si stava
occupando prima del suo arrivo.
Essere un architetto ed avere delle consegne era dura, anche per un
licantropo. Ma non era il lavoro ad ammazzarti, erano i clienti. E le
loro stupide richieste fuori da ogni logica umana.
Evan spostò lentamente lo sguardo su di lui, tentando di
contenere la propria aura. –Va bene, andiamo.- acconsentì
finalmente.
-Vuoi mangiare come un umano o come un lupo?- s’informò l’amico, indossando la giacca.
L’altro sembrò pensarci su per un po’, ma alla fine disse:-Lupo.
-D’accordo.
Uscirono in fretta, senza dare nell’occhio. Poi, una volta fuori,
mutarono nella loro forma animale e corsero verso il Great Swamp
National Wildlife Refuge. Nonostante fosse area protetta ed interdetta
ai cacciatori, nulla impediva loro di farvi una bella battuta di caccia.
D’altronde erano licantropi e molte leggi umane non si applicavano nel loro caso.
Schizzarono oltre la recinzione, atterrando silenziosi sul terreno
umido. Gli animali della riserva fuggirono dinanzi ai due predatori,
nascondendosi come meglio poterono.
Gli odori arrivavano alle loro narici quasi con rabbia,
sovraccaricando i loro sensi sviluppati. Evan, il pelo dai
riflessi bruno rossastri, arricciò leggermente il labbro,
esaltato. David, una freccia d’argento bluastro al suo fianco,
scosse l’enorme testa.
“Proprio non capisco perché non ti sfoghi e spacchi il muso a tuo padre.”, disse.
“Perché farei il suo gioco. E poi non ho voglia di aver a
che fare con lui.”, rispose l’amico, saltando un tronco
morto.
“Tu sei tutto matto.”, commentò, infrangendo la superficie piatta di una pozzanghera.
“Proprio come te.”, fu la risposta.
I due si scambiarono un’occhiata e poi si separarono, seguendo ognuno una pista diversa.
Lasciarono che le loro prede tentassero la fuga, tenendo il loro passo
senza problemi. Avere una velocità due volte superiore a quella
di un normale lupo consentiva ai licantropi di catturare praticamente
qualsiasi cosa si muovesse su quattro zampe.
E anche su due, se necessario.
Quello non voleva dire che uccidevano le persone a sangue freddo, non
erano come gli uomini lupo dei vecchi telefilm in bianco e nero. Anche
se qualche volta, nel bel mezzo della luna piena, c’era stato
qualche incidente.
Ma era più probabile che facessero fuori un vampiro o un
licantropo avversario, invece che un umano. Si dice non svegliare il
can che dorme, giusto? Ecco, la loro politica era sostanzialmente
quella.
Evan scartò bruscamente a destra, tagliando la strada al
cervo a cui stava dando la caccia. Il povero animale emise un bramito
di terrore e saltò all’indietro, abbassando al contempo la
testa.
Ringhiò, piantandosi sulle quattro zampe. La sua preda aveva
voglia di opporre resistenza e lui aveva bisogno di sfogarsi.
“Che le danze abbiano inizio.”, pensò.
Un ululato in lontananza interruppe bruscamente l’allegro chiacchiericcio.
Amanda sollevò la testa dalla sua fetta di cheesecake, la
forchetta a mezz’aria. Lanciò un’occhiata perplessa
ai suoi due ospiti e poi si avvicinò lentamente alla finestra.
In cielo brillava la luna, ad appena un quarto del suo ciclo.
-Be’… non so voi, ma a me risulta ancora strano pensare
che là fuori esistano i personaggi di Twilight.- commentò
Frances, rabbrividendo leggermente.
-Non sono pericolosi.- tentò di tranquillizzarla il suo fidanzato.
-Sarà… ma è dura abbandonare secoli di pregiudizi.- ammise Amanda, tornando a sedersi sul divano.
Il mondo degli umani era entrato a contatto con quello soprannaturale
da appena cinque anni e risultava ancora strano, per molti, sapere di
camminare a stretto contatto con licantropi e vampiri.
-Personalmente preferirei incontrare un licantropo.- disse Andrew. –I vampiri mi sembrano creature più subdole.
-Tu credi? Perché sono freddi, pallidi e tutte quelle cose
lì?- ragionò Frances, appoggiando la forchetta sulla
lingua e tenendola in equilibrio.
Il ragazzo si strinse nelle spalle. –Possibile.
-Ho saputo che è arrivato un nuovo branco, in città.-
buttò dopo un po’. Due paia di occhi si puntarono su di
lei, stupiti. –Non lo sapevate?
-Quando mai ho tempo di guardare la tv, a lavoro?- le fece notare la sorella, divertita.
-E io sono sempre in acqua, ricordi?
Andrew lavorava come istruttore di nuoto presso una delle numerose
piscine di Manhattan, mentre la sua anima gemella si guadagnava da
vivere come fotografa freelance. Da quando Amanda aveva iniziato il suo
lavoro da Kleinfeld, però, si occupava principalmente di
matrimoni.
Chissà perché.
-In ogni caso, giusto qualche giorno fa è arrivato questo grande
branco. Dalla Scozia. Avete presente quel grande cantiere a Staten
Island?- li guardò.
-Sì… stavano costruendo una villa enorme, se non sbaglio.- ricordò il giovane.
Lei annuì. –Loro vivono lì. E pare che la cosa
abbia agitato un po’ le acque, qui a New York.- concluse, fiera
delle proprie informazioni.
-Vuoi dire che agli altri branchi non piace l’idea di avere nuovi vicini?- domandò la sua sorellina.
-Esattamente. Non so come funzioni, ma sono territoriali come i lupi.
Quelli veri, intendo.- si mise in bocca l’ultimo pezzo di dolce,
gustandoselo appieno. –Cristo, Mandy, questa torta è
favolosa! Dovresti darmi la ricetta!
Drew le lanciò un’occhiata decisamente scettica. –La
ricetta. Ad una come te? Meglio di no.- rifiutò subito. Alla
linguaccia della fidanzata scoppiò a ridere, scompigliandole i
capelli. –Che ne dici di andare e permettere ad Amanda di
riposarsi un po’?
Frances lanciò un’occhiata all’orologio che aveva al
polso. –Mhm… sì, meglio. Abbiamo già
disturbato abbastanza.- considerò, alzandosi.
-Lo sapete che mi fa piacere passare del tempo con voi.- disse loro la
diretta interessata. Non voleva che si sentissero in dovere di
andarsene perché, se non dormiva per almeno otto ore, rischiava
di dare di matto.
Non era una cosa così grave.
-Non voglio ritrovarmi con una sorella ringhiante.- replicò Fran, la mano già sulla maniglia della porta.
La mora arrossì leggermente, sorridendo di riflesso. Se
ripensava a tutti i guai che le aveva fatto passare alle superiori si
sentiva oltremodo imbarazzata. –Buonanotte, ragazzi. Grazie della
serata.- li salutò.
-Grazie a te per aver salvato il mio stomaco da morte certa.- Andrew le
fece l’occhiolino, spingendo la fidanzata oltre la soglia.
Amanda li sentì battibeccare lungo le scale, dopo che l’ebbero salutata.
Rise e buttò i piatti di plastica nel pattume. Riordinò rapidamente e poi si avviò in camera, insonnolita.
L’ultimo pensiero che formulò, prima di addormentarsi, fu che non aveva mai incontrato un licantropo di persona.
N.B.: L'ESU è un'unità
speciale delle forze armate di New York mentre, come si può ben
intuire, l'ESUDM è una mia invenzione, in modo da poter mettere
in luce la nuova collaborazione tra soprannaturali ed umani.
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Capitolo 3 *** Cap. 2 Una sposa fuori dal comune ***
Cap. 2 Una sposa fuori dal comune
Salve!
So che, teoricamente, avrei dovuto pubblicare domani, ma oggi ho avuto
i risultati di due esami e son di ottimo umore! :) Quindi... ecco
l'incontro tra Evan e Amanda! Spero vi possa piacere questo primo
contatto tra i loro due mondi.
Buona lettura!
Cap. 2 Una sposa fuori dal comune
Chiuse rapidamente la porta dietro di sé, i capelli completamente scompigliati.
Sbuffando si tolse il foulard e si affrettò verso i camerini a
passo deciso. Non riusciva a capacitarsi del perché New York
dovesse avere delle giornate così ventose.
“L’urbanizzazione, Amanda. È colpa di tutti i
grattacieli presenti in città.”, le disse una vocina
dentro di sé. Ecco, quello era uno dei motivi per cui a volte
detestava la Grande Mela dal più profondo del cuore.
Un conto era sentire la brezza leggera accarezzarti il viso, un
altro rischiare di essere sollevata per aria come se niente fosse.
Salutò distrattamente le colleghe, affrettandosi a raggiungere lo specchio.
Sbuffò nuovamente, vedendo il disastro che aveva in testa.
Detestava apparire in disordine e ci teneva ad essere niente meno che
presentabile, soprattutto al lavoro.
Sciolse rapidamente la treccia e passò le dita tra le ciocche
scure come la notte. Tentò di pettinarle come meglio poteva e
poi le intrecciò nuovamente.
Una vota finita, arrotolò la treccia sulla nuca, in modo da
darle la forma di uno chignon. Lasciò libero qualche ciuffo,
cosicché le incorniciasse il viso dal profilo gentile.
-Avete visto che vento c’è fuori?- brontolò Vivian, togliendosi il leggero soprabito color panna.
Molte delle ragazze mormorarono un commento, indispettite dalle bizze di madre natura.
Amanda si ritrovò a sorridere: era piacevole discutere di
leggerezze come il vento, la rilassava in vista della giornata
lavorativa.
Quando fu pronta si avviò lungo le scale per raggiungere il
salone principale dove, come ogni giorno, Gabrielle avrebbe comunicato
loro numero e divisione degli appuntamenti.
Salutò con un cenno l’amica e poi si accomodò su uno dei puff presenti.
La direttrice vendite attese che tutte le sue collaboratrici fossero
comode e poi prese un respiro profondo, elettrizzata per
l’annuncio che doveva fare.
-Buongiorno signore.- iniziò. –Come sempre, anche oggi
sarà una giornata intensa. Avremo con noi alcuni degli stilisti
delle nuove collezioni, quindi mi raccomando: tenete a freno la
lingua.- continuò.
Ci furono rapidi cenni del capo e qualche bisbiglio. Lei attese che
l’attenzione fosse nuovamente su di sé e poi iniziò
a spartire le cinquanta clienti della giornata.
Stava elencando quelle di Amanda, quando si bloccò.
–Ehm… Mandy, oggi avrai un appuntamento speciale. Subito
dopo pranzo. Ti ho lasciato il pomeriggio libero, affinché tu
possa soddisfare appieno le richieste della sposa.- disse, esitante.
Sapeva che l’amica era una delle persone più pazienti e
professionali, lì dentro, ma era la prima volta che si trovavano
a che fare con una cliente del genere.
All’improvviso l’allegro chiacchiericcio si arrestò e gli occhi di tutte si puntarono su loro due.
-Mi devo preoccupare?- chiese, tentando di buttarla sul ridere.
Perché Gabbie aveva quell’espressione? Sembrava
preoccupata, seriamente preoccupata.
-No… cioè, non lo so. È la prima volta, per noi.-
ammise la donna, grattandosi la guancia con fare perplesso. –Non
vorrei che qualcuno si facesse male.
-Farsi male? Dobbiamo trovare il vestito alla moglie di Hannibal
Lecter?- scherzò una delle impiegate più giovani. Julia,
quasi sicuramente.
-E’ una lupa.- svelò Gabrielle. “E sono quasi certa
che sarà permalosa e piena di sé.”, aggiunse
mentalmente.
-Una licantropa?!- sfuggì a qualcuno.
-Mi vuoi affidare… ma sei sicura?- chiese Amanda, agitata.
Oddio, avrebbe incontrato da vicino una di quelle creature
soprannaturali. Giusto la sera prima aveva desiderato poterlo
fare… era forse destino?
O semplicemente pazzia, come avrebbe detto suo padre.
Si sentiva esaltata, ma anche leggermente intimorita. Sapeva che poteva
ritrovarsi col collo spezzato in men che non si dica, dato che una lupa
in procinto di sposarsi era due volte più pericolosa di una
sposa normale.
Non per le sfuriate o le crisi di pianto, a quelle c’era abituata. No, era per la forza.
Gabrielle la guardò attentamente, poi le chiese:-Te la senti?
Lei rialzò la testa e poi sbatté qualche volta le palpebre. –S-sì…- rispose infine.
-Benissimo! Ecco la sua scheda.- gliela allungò, felice che la
sua richiesta fosse stata accolta. Se lei avesse rifiutato se ne
sarebbe dovuta occupare personalmente.
Mandy scorse rapidamente i dati della cliente per poi bloccarsi,
tornare indietro e sgranare gli occhi chiari. –Gabrielle?! Ma sei
impazzita?!- esclamò, scattando in piedi. Agitò il pezzo
di carta per aria, in attesa di una spiegazione.
-Ormai hai accettato.- non aveva possibilità di scampo.
-Sì, ma…
-Ti darò un bonus per la vendita, promesso.- e si defilò
prima che l’amica le potesse mettere le mani al collo. Sapeva che
le aveva lasciato una bella gatta da pelare. No, pardon, una bella lupa da pelare.
“Giuro che, prima o poi, lo farò fuori.”, pensò digrignando i denti.
Scartò un’auto inclinando leggermente la moto e poi
proseguì lungo il ponte di Verrazzano. L’aria salmastra lo
colpì al viso e lui inspirò a fondo, mandando a memoria
quell’odore.
Era così diverso dal mare scozzese, a partire dal colore
dell’acqua. Per non parlare delle numerose imbarcazioni che
solcavano le acque newyorkesi ogni giorno: erano molte di più di
quelle che avrebbero mai potuto passare davanti alla fortezza di
Dunnottar in un mese.
Era impossibile non notare le differenze con la sua vecchia casa.
Un improvviso blocco del traffico lo costrinse a riemergere bruscamente dai propri pensieri e frenare.
Si raddrizzò ed osservò la gravità
dell’ingorgo. Non sembrava molto esteso, in una decina di minuti
avrebbe dovuto disperdersi. In ogni caso non aveva assolutamente fretta
di arrivare a destinazione.
Ancora non riusciva a capire come si era fatto incastrare in quell’assurda pagliacciata.
“Ah, no, ecco come: è stato mio padre.”, si ricordò.
Quando Dearan aveva saputo dell’idea geniale di Crystal,
l’aveva subito appoggiata. Poi, con un sorriso sadico dipinto
sulle labbra, lo aveva costretto a presenziare alla scelta
dell’abito. Doveva comportarsi come un perfetto marito, gli aveva
detto.
-Ci scommetto la mia pelliccia che ci sarà la stampa.-
mormorò a denti stretti. A suo padre non fregava nulla delle
promesse di matrimonio, quel che voleva era farsi pubblicità e
mostrare agli altri branchi la sua superiorità. Nessuno sembrava
avergli detto che la forza di un clan non si misura dalle apparizioni
sul grande schermo.
Le dinamiche della vita contemporanea gli avevano dato alla testa, quasi come alla sua cara mogliettina.
Con la coda dell’occhio notò un taxi alla propria
destra. Spostò lentamente gli occhi, cercando di capire cosa
avesse attirato la sua attenzione. Poi la vide: una bambina con buffi
codini biondi lo stava sbirciando da dietro il vetro del sedile
posteriore.
Sollevò un angolo della bocca, tentando un sorriso che potesse
dirsi rassicurante. La piccola ridacchiò e si nascose.
Evan sapeva perché lo stava fissando: i bambini avevano un sesto
senso molto più sviluppato per quanto riguardava il suo mondo.
La loro percezione era tale che potevano individuare un licantropo con
molta più facilità rispetto ad un adulto.
Attese qualche istante e poi la beccò a sbirciarlo ancora una
volta. Vedendo che il traffico si stava smaltendo, le fece un cenno con
la mano e ripartì, sentendola protestare vivamente con la madre.
Il resto del tragitto fu abbastanza veloce, per quanto potesse essere
veloce spostarsi in pieno centro a New York. Parcheggiò la moto
e poi si avvicinò all’entrata del grande negozio
d’abiti da sposa.
Lesse l’insegna con sospetto, per poi guardare con diffidenza gli
abiti esposti nelle vetrine. Lui non era tagliato per quelle cose e
l’esservi obbligato dalla persona che odiava di più al
mondo non lo spronava a mostrare entusiasmo.
“Non può essere peggio delle prime trasformazioni.”, si disse per convincersi.
Doveva restare calma.
Essere professionale.
E sperare che Crystal Forbes, affermata modella dei tabloids inglesi,
fosse meglio di come la dipingevano i giornali. La sua reputazione era
molto simile a quella di Naomi Campbell, per quanto riguardava gli
scatti nervosi.
Prese un respiro profondo ed entrò nell’atrio dove,
seduta su una delle morbide poltrone, se ne stava la sposa incriminata.
Il suo seguito era formato da due ragazze alquanto ciarliere e da un
uomo.
-Crystal Forbes?- si avvicinò, gli occhi fissi sulla sposa.
Sapeva bene chi fosse, ma lasciò che lei le facesse un cenno
d’assenso, muovendo graziosamente la lunga chioma biondo ramata.
–Ben arrivata. Posso darti del tu?
-Certamente, non c’è nessun problema.- disse la sua interlocutrice.
Amanda annuì. –D’accordo. Io sono Amanda e oggi
sarò la tua assistente. Chi hai portato con te?- chiese,
seguendo le frasi di rito. A volte si sentiva un po’ stupida, ma
era la prassi.
-Loro sono due mie amiche, Stephanie e Bree.- indicò prima la
stangona con una stupenda chioma di ricci rossi e poi l’algida
bionda al suo fianco.
Senza averle mai viste, Mandy riuscì a stabilire quasi con sicurezza la loro appartenenza al mondo dello show business.
-E questo è mio marito, Evan.
Si allungò per stringere la mano all’uomo, ma si bloccò trovandoselo in piedi davanti a sé.
“Oddio, com’è alto!”, pensò, sgranando
leggermente gli occhi. –Piacere…- disse, riuscendo a
mantenere un certo contegno. Coi tacchi superava di poco il metro e
ottanta, ma rimanevano comunque parecchi centimetri di differenza tra
lei e lo sposo.
-Piacere mio.- rispose lui, senza nessuna particolare emozione.
La mora lo trovò strano, ma tenne il pensiero per sé.
A dir la verità non sapeva molto della vita di Crystal, a parte
che era stata lanciata nel mondo della moda da meno di due anni e aveva
scalato la vetta in pochissimo tempo. Aveva spesso sentito di sue
partecipazioni a parties e ricevimenti, ma non si era mai soffermata su
quelle notizie.
Aveva anche notato che portava la fede al dito, ma se n’era
presto dimenticata. Non era una fan del gossip, soprattutto se
riguardava terze persone. Non amava il gossip nemmeno quando parlavano
bene di lei, figurarsi.
Era una persona abbastanza riservata, da quel punto di vista.
“Peccato che tu sia finita su You Tube.”, si disse.
Scacciò quel pensiero infelice e tornò a dedicarsi alla
sposa. –Allora, deduco che vogliate rinnovare le promesse,
giusto?- s’informò.
-Esattamente.- rispose la modella, lanciando un’occhiata al marito.
-E su quale cifra volete restare?- domandò, passando lo sguardo
da lei a lui. Non avrebbe saputo dire chi dei due avrebbe sborsato per
l’abito.
-Oh, i soldi non sono un problema.- la bionda liquidò la
questione con la mano e poi si alzò. –Vogliamo andare?
Avrei diversi modelli da farti vedere.
-Sì, certo. Da questa parte.- li condusse nel salone e poi, dopo
aver fatto accomodare gli ospiti, la guidò fino al suo camerino.
Una volta entrata le indicò una delle sedie e si mise a sua
completa disposizione.
-Allora… voglio un abito che metta in risalto le mie forme e che
abbia un aspetto invernale. Le nozze saranno il giorno del compleanno
di Evan, il sedici gennaio.- spiegò.
“Uhm… forse allo sposo la cosa non va tanto
giù.”, meditò Amanda. Non le era parso che
l’uomo fosse molto entusiasta dei piani della compagna. O forse,
era semplicemente come quasi tutti gli altri uomini e detestava
trovarsi circondato da trine e merletti.
-Quindi vorresti un aspetto da Regina delle Nevi?- chiese, guardando le
foto che le erano state allungate. Erano tutti abiti molto belli, con
pizzo e piccole piogge di diamanti. I prezzi, inutile a dirlo, erano
tra i più alti. –Ok… vado a prendere qualche
modello. Intanto puoi prepararti.- le sorrise cortese ed uscì.
Non sapeva nemmeno chi fossero le due donne sedute accanto a lui.
Ma era sicuro di una cosa: erano umane.
“E se non la smettono di ridacchiare, giuro che le faccio
fuori.”, pensò stringendo febbrilmente il bracciolo del
divano.
Aveva dovuto sopportare l’assalto della stampa
all’ingresso, se ora ci si mettevano anche le due oche giulive
avrebbe potuto dare di matto.
E sarebbe stato anche liberatorio, considerato che non aveva una belle
reazione rabbiosa da… be’, da parecchio tempo. Tenersi le
cose dentro rende le persone frustrate.
Serrò la mascella, facendo scricchiolare i denti.
Ad un certo punto riconobbe il ritmo dei passi di Crystal ed
alzò la testa. Indossava un lungo abito a sirena letteralmente
tempestato di diamanti, il corpo avvolto alla perfezione dal morbido
tessuto.
Era innegabile che fosse bella, anche un cieco avrebbe potuto dirlo, ma
a lui non faceva nessun effetto. Ok, era abbastanza affascinante per
soddisfare i doveri coniugali senza problemi, ma nel suo cuore non era
mai nata nemmeno la più tenue fiammella per lei.
La sua bellezza era fredda e gli ricordava sempre gli iceberg che si
avvistavano al largo delle Orcadi. A lui piacevano le donne
dall’animo vivace, sorridenti e per niente calcolatrici.
Poco importava l’aspetto: era certo che, se mai avesse trovato la persona adatta a lui, se ne sarebbe accorto.
Mentre meditava, tentando di ignorare gli urletti eccitati delle due
accompagnatrici di Crystal, lo sguardo gli cadde sull’assistente.
Aveva detto di chiamarsi Amanda. Dall’accento poteva dire
con sicurezza che era americana e, a giudicare dal suo aspetto,
più giovane di lui. Non che la cosa fosse molto difficile:
qualsiasi persona all’interno del negozio, compresa sua moglie,
era più giovane di lui.
La ragazza stava sistemando la gonna dell’abito, totalmente
concentrata nel proprio lavoro. Si vedeva che le piaceva e, nonostante
la novità dell’avere una cliente soprannaturale, si stava
comportando in modo molto professionale.
Aveva una bella figura, ben proporzionata e un po’ più
alta della media femminile. Indossava con disinvoltura un longuette a
vita alta nera ed una camicetta con le maniche a sbuffo, i tacchi le
donavano un’innata grazia, sopperendo alla non perfetta forma a
clessidra del suo corpo.
-Che te ne pare?- si sentì chiedere. Spostò lentamente
gli occhi, incontrando quelli castani di Crystal. Sapeva che voleva una
risposta da lui, che partecipasse attivamente.
-Deve piacere a te, non a me.- disse.
Lei appoggiò le mani sui fianchi, segno che si stava già
indisponendo. Farla arrabbiare non lo entusiasmava particolarmente
perché diventava una furia con le unghie smaltate. Non
c’era nulla di divertente nell’avere la schiena ed il petto
segnati da lunghi graffi sanguinanti.
Si era ripromesso di non reagire alle sue provocazioni, mai. Se
l’avesse fatto avrebbe dato a suo padre un motivo in più
per torturarlo.
Psicologicamente parlando.
Dal punto di vista fisico, be’… il caro vecchio Dearan
sapeva di aver perso buona parte della propria forza, dato che non
combatteva da più di settant’anni.
-Evan, per piacere. Dammi un parere sincero.- ad orecchie allenate
quella avrebbe potuto sembrare una supplica, ma lui sapeva che era un
ordine.
Vide gli occhi dell’assistente fissarlo con apprensione. Per cui
si sistemò meglio sullo schienale e disse:-Il colore non ti dona
particolarmente. Tende troppo all’avorio.
La donna tornò a voltarsi verso lo specchio e considerò con attenzione la sua osservazione.
-Proviamo il prossimo?- chiese timidamente Amanda. Doveva aver percepito la tensione di poco prima.
-Sì.
Raccolse lo strascico e poi seguì Crystal, dopo essersi
sistemata un ciuffo di capelli dietro all’orecchio. Notò
lo stile abbastanza severo dell’acconciatura mentre le due si
allontanavano. La folta chioma scura era intrecciata e fermata sulla
nuca, forse nel tentativo di farla apparire ancora più
affidabile di quanto già non fosse.
-Secondo me dovrebbe provarne uno più scollato.- sentì
commentare Bree. Accantonò per un attimo le proprie
elucubrazioni e si voltò a guardarle. –Non pensi anche tu,
Evan?
Lo stranì sentirsi dare del tu con così tanta
nonchalance, ma ci passò sopra. –Potrebbe anche indossare
solamente la lingerie, non mi interessa.- disse, sincero.
A quella vista avrebbe potuto avere una qualche reazione fisiologica, ma non molto altro.
-Sul serio?!- esclamò sconvolta Stephanie.
Lui alzò un sopracciglio. –Sì. Non mi interessa.- ripetè.
-Perché vi siete già sposati?- domandò la prima.
-No, perché semplicemente non mi interessa.- tagliò
corto. Il suo tono di voce non ammetteva repliche e sembrarono capirlo
anche le due oche giulive.
-Ma ti sembra possibile?- sbottò.
Amanda sollevò gli occhi da quello che stava facendo, stando attenta a non pestare il vestito. –Cosa?- chiese.
-Evan. Potrebbe mostrarsi interessato. Almeno guardarmi!- Crystal
agitò le mani per aria. Sapeva che lui era contrario a quella
seconda cerimonia, ma lei voleva assolutamente rifare tutto quanto.
Voleva avere un abito all’altezza della sua persona, frotte
d’invitati ed almeno un paio di interviste che sarebbero finite
su Vogue ed Elle.
E, soprattutto, voleva mostrare al mondo l’uomo con cui
era sposata. Si poteva dire quello che si voleva su Evan, soprattutto
sulla sua recidività a cadere ai suoi piedi, ma era
innegabilmente un pezzo da novanta tra i licantropi.
Alto come un vichingo, aveva un corpo finemente cesellato. Diverse
cicatrici dovute ai numerosi scontri che aveva affrontato gli segnavano
il busto e la guancia sinistra, aggiungendo qualcosa in più al
suo aspetto. Almeno dal punto di vista di una licantropa.
Aveva un viso dai tratti forti, un po’ spigoloso e con le
guance leggermente incavate. Labbra carnose sempre imbronciate ed un
paio di occhi dal colore magnetico. Portava sempre un filo di barba,
che lei detestava con tutta se stessa.
Era fortunata ad avere tutta quell’abbondanza al servizio del proprio piacere, eh sì.
-Crystal…?
Si riscosse bruscamente dai propri pensieri e si concentrò sulla
propria assistente. –Voglio provare quello.- indicò, aspra.
Indossò con attenzione l’abito e attese che le venisse
allacciato il corpetto. –Questo è più semplice
dell’altro, ma è comunque di grande effetto.- si
sentì dire.
Annuì e si diresse nuovamente verso il salone. Al suo arrivo
Bree scosse la testa, dicendosi contraria all’abito, mentre
Stephanie sembrava apprezzarlo.
La bionda cercò nuovamente il parere del marito.
-Meglio dell’altro. È più semplice e non sembri una palla da discoteca.- commentò Evan.
“Palla da discoteca?”, pensò inorridita. Come poteva
anche solo sognarsi di dirle che assomigliava ad uno stupido oggetto
multi riflettente?
Strappò la gonna dalle mani della povera Amanda e filò dritta in camerino.
-Aspetta… non puoi toglierlo…- la ragazza tentò di
fermarla, ma lei era ben decisa a liberarsi dell’abito il
più in fretta possibile. E non era nemmeno quello incriminato.
–Crystal! Smettila o finirai per romperlo!
Si bloccò ed osservò la brunetta attraverso lo specchio.
La stava fissando con due occhi seri ed era visibilmente irritata.
Abbassò lentamente le braccia e la lasciò fare.
-Perché tuo marito non sembra molto entusiasta…?- si
decise a domandare. Era molto curiosa, ma sapeva che non poteva ficcare
il naso negli affari delle clienti, a meno che non fossero loro le
prime a sbilanciarsi.
La modella sbuffò, contrariata. –Perché, se fosse
stato per lui, non mi avrebbe mai sposata.- replicò, stringendo
le mani a pugno e rilasciandole subito dopo. La sua interlocutrice fece
per parlare, ma lei non glielo permise. –Sono cento quarantanove
anni che siamo sposati e lui mi odia come il primo giorno.- aggiunse.
“Quindi è un licantropo anche il marito.”, realizzò la giovane. –Mi…- iniziò.
-Non dire che ti dispiace, non me ne faccio niente della tua
compassione. Già averlo al mio fianco mi rende l’invidia
di molte donne.- la zittì.
Amanda le lanciò un’occhiata senza farsi vedere,
letteralmente senza parole. Dov’erano i sentimenti, in tutto
questo?!
A quanto aveva capito, il loro era stato un matrimonio per interesse
che non aveva fatto la gioia di nessuna delle parti coinvolte. Meglio,
la gioia completa, dato che Crystal sembrava abbastanza soddisfatta
della facciata del loro rapporto.
“Se questa è la società dei licantropi, proprio non
la capisco.”, ammise a se stessa. Era una donna normalmente
romantica, come si definiva lei, e avrebbe tanto voluto il suo lieto
fine, un giorno.
Ma senza amore, che senso poteva avere il matrimonio? Era solo un inutile pezzo di carta.
Crystal si voltò, sentendo l’abito ancora allentato sulle
schiena. -Amanda? Potresti aiutarmi?- domandò, spazientita. Ci
si metteva anche lei, ora?
-S-scusami!- si affrettò ad afferrare le due estremità
del nastro di raso ed iniziò a chiudere il corpetto.
Continuò fino a quando temette che la sposa potesse morire per
asfissia. –Non posso stringere più di così.
-Va bene. Usciamo.
La seguì subito dopo aver attaccato alcune mollette alla fascia
superiore della gonna, nel caso ci fosse stato bisogno di alcuni
aggiustamenti in loco.
Una volta nel salone lanciò un’occhiata al gruppo di
accompagnatori e trovò Evan con la stessa espressione di prima.
Era apatico, sembrava totalmente assente. Anche se a tratti una smorfia
sfigurava i lineamenti del suo viso.
Riportò la propria attenzione sulla cliente, pregando in cuor
suo di aver fatto progressi. –Secondo me ti sta molto bene. Mette
in evidenza…
-Il mio lato b.- concluse per lei la bionda, dando la schiena allo specchio.
“Esattamente.”, Amanda si trovò d’accordo con lei.
-Evan?
L’uomo venne nuovamente chiamato in causa. Mandy gli
lanciò un’occhiata attraverso la superficie riflettente,
agitata. Se avesse detto ancora qualcosa di sbagliato il suo
appuntamento ne sarebbe uscito compromesso.
Lui si passò una mano tra i capelli. –Hai il seno in bella
mostra. Un po’ troppo in bella mostra.- le fece notare.
Sua moglie rimase a fissarlo, indecisa se considerarlo una bocciatura o
un modo alternativo per dirle che era una sua proprietà e non
poteva mostrarsi agli altri così. Optò per la seconda e,
dopo un mormorato ok, tornò in camerino.
Amanda fece per raggiungerla, ma poi si fermò. Si
avvicinò al licantropo e lo guardò minacciosa. Poteva non
essere d’accordo con l’idea del secondo matrimonio, ma
doveva discuterne in separata sede con la sua compagna.
Non poteva mandare all’aria un intero pomeriggio di lavoro, ne andava del suo orgoglio di assistente.
-Sono passate quasi due ore e non abbiamo ancora concluso nulla. Se
vuole tornarsene a casa in fretta, veda di assecondarla.- gli disse,
puntandogli il dito contro.
Lui la fissò con tanto d’occhi, mostrando per la prima
volta un’emozione genuina. Amanda non attese la risposta e
scappò letteralmente via.
Sapeva di avere le guance in fiamme e a ragione! Perché aveva detto quelle cose? Voleva forse farsi staccare la testa?
Sfrecciava a gran velocità, scartando le auto e i taxi come se fossero ostacoli fermi lungo il suo percorso.
La sua preda era esattamente cento metri davanti a lui, su una BMW
rossa. Intercettò i suoi occhi attraverso lo specchietto e
ghignò, divertito.
Quanto amava la caccia!
Diede gas e ridusse la distanza di qualche decina di metri.
L’auto davanti a lui accelerò e ristabilì le giuste
distanze: stavano facendo quel tira e molla da quasi un’ora,
ormai.
Sapeva che lo stava facendo per rendere più stuzzicante
l’attesa del loro incontro, ma iniziava ad averne abbastanza.
Nemmeno gli orsi ponevano così tanta resistenza.
Fece per accelerare nuovamente, deciso ad affiancarla, quando
vide la vettura svoltare improvvisamente e fermarsi sul largo
marciapiedi.
Si chiese il perché di quell’improvvisa resa, ma poi
decise di approfittarne. Superò una bicicletta,
s’infilò tra due auto e per poco non investì due
passanti. Ignorò i loro improperi per poi fermarsi bruscamente
davanti alla sua preda.
-Graham, smettila di seguirmi. Ti ho già detto di no!- sbottò per l’ennesima volta la giovane.
-Andiamo, piccola, non fare la difficile.- le disse, smontando dalla
moto ed avvicinandosi con fare baldanzoso. La sua aura lo avvolgeva
completamente, spandendosi tutt’attorno a lui.
Era soffocante. –Non chiamarmi piccola.- ringhiò lei. Le
persone lì attorno presero a lanciar loro sguardi perplessi.
Alcuni si fermarono, curiosi di vedere come sarebbe finita.
Graham esitò un attimo, ma poi allungò una mano, deciso
ad afferrarle il polso e trascinarla in un posto più appartato
per…
-Basta!- gridò lei, esasperata, fulminandolo con uno sguardo di
fuoco. Ops, forse si era lasciato un po’ troppo andare.
-Scusa… ma se la smettessi di fare la preziosa…- ritentò.
La ragazza, una morettina con ai piedi un paio di stivaletti rossi, lo
allontanò. –Non sto facendo la preziosa. Ti sto
rifiutando. Le conosci le regole del branco, no?- replicò,
spostandosi leggermente verso destra.
Aveva captato un odore insolito, in mezzo a tutti quei profumi
nauseabondi e quella puzza di gas di scarico. Il suo pretendente non
sembrava essersene reso conto, troppo impegnato a fare la ruota.
-Certo che conosco le regole, per chi mi hai preso?- ribattè
lui, aggrottando le sopracciglia. Ma lui non la stava obbligando a far
nulla, sapeva quali erano le sue vere intenzioni. –Emily,
andiamo…- aggiunse.
-Allora sei stupido e non mi hai minimamente ascoltata!- lo
accusò. Decisa ad entrare nel negozio, mosse un passo verso la
porta a vetri. Graham sembrò capire solo in quel momento quali
erano le sue intenzioni, così come il resto degli spettatori.
Si piegò sulle gambe, pronto a scattare. -Non osare.- la minacciò con un ringhio.
-Se no?- lo sfidò lei, voltandosi a mezzo per guardarlo.
L’uomo non rispose e le saltò addosso. L’impatto fu
così violento che i due vennero scaraventati all’indietro,
dritto contro la vetrina alle loro spalle. Il vetro
s’incrinò e si ruppe in un milione di schegge, che
schizzarono ovunque.
Ci furono diverse urla spaventate, ma i due non vi badarono. Emily si
rialzò e si scrollò di dosso alcuni frammenti poi, senza
attendere un attimo di più, scattò verso l’interno.
Verso quell’odore.
Graham le fu presto alle calcagna. L’afferrò per la vita e
l’atterrò, tentando di bloccarla sotto di sé. Ma
lei si ribellò, graffiandolo al viso e tentando in tutti i modi
di allontanarlo da sé.
Lo staff del negozio prese a rincorrersi per il grande salone, tentando
di far allontanare tutte le persone. Qualcuno chiamò la
sicurezza.
-Lasciami… andare!- la giovane lupa gli assestò una
ginocchiata poco sotto l’ultima costola. Rotolò su un
fianco e si rimise in piedi.
-Brutta stronza! Questa me la paghi!- Graham aveva perso la pazienza.
Trasmutò la propria mano e la ferì di striscio allo
stomaco, mandandola a rovinare contro una colonna. Ci fu stridore
metallico e poco dopo la sua avversaria si voltò a
fronteggiarlo, entrambe le mani trasfigurate.
Si fissarono per qualche istante e poi attaccarono.
Assestarono diversi colpi, schizzando sangue tutt’attorno. Ci
furono altre urla e qualcuno intimò loro di fermarsi e mettere
le mani bene in vista.
Ignorarono i due agenti e continuarono a lottare, ferocemente avvinghiati in un corpo a corpo dal sapore mortale.
Improvvisamente lui la colpì con un calcio e lei si
ritrovò a terra, il labbro sanguinante. L’uomo fece per
porre fine al combattimento: aveva il braccio alzato, ma si
fermò a metà del gesto.
Sgranò gli occhi ed in essi vi fu il panico.
-Cosa sta succedendo, qui?
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Capitolo 4 *** Cap. 3 Emily ***
Cap. 3 Emily
Ben trovati!
La volta scorsa vi avevo lasciati con un'entrata in scena un po'
rocambolesca... non vi anticipo niente, ma vi dico solo che la
questione avrà una sua conclusione già a fine capitolo.
Pian piano stiamo conoscendo le persone che vivono a contatto con Evan
e Amanda, amici e nemici e spero vivamente di poter dar loro il maggior
spessore possibile. Nel caso non fosse così, vi prego di
dirmelo: a volte tendo ad appiattire i personaggi :(
In ogni caso, vi auguro buona lettura!
Cap. 3 Emily
Amanda si affrettò verso la fonte di tutto quel trambusto.
Prima che potesse impedirlo, Evan e Crystal si erano fiondati sul
posto. Considerata la loro reazione dovevano essere coinvolte persone
appartenenti al loro mondo.
Quando svoltò l’angolo, il braccio di un agente le
bloccò il passaggio e lei fu costretta a fermarsi. Quello che si
trovò davanti la lasciò senza parole: alcuni degli abiti
esposti sui manichini erano irrimediabilmente rovinati da macchie di
sangue.
“Un attimo, sangue?!”, si voltò verso le due figure a terra, ora sovrastate da quelle dei suoi due clienti.
Cosa stava succedendo? E chi erano quei due?
-Cosa sta succedendo qui?- Gabrielle arrivò a passo di marcia,
sul viso la familiare espressione da doberman che mostrava nei momenti
di rabbia. Ignorò l’uomo che tentò di fermarla ed
andò dritta verso il gruppetto.
La giovane vide solo in quel momento i due contendenti, ancora nelle
stesse posizioni di quando erano stati interrotti: erano un uomo ed una
donna. E l’uomo aveva la mano decisamente troppo artigliata per
poter essere un semplice umano.
-Gabrielle…- tentò di richiamare la sua attenzione.
La donna la ignorò o forse non la sentì, fatto sta che si
fermò davanti al quadretto con le mani sui fianchi e
l’aria di chi avrebbe voluto spaccare tutto quanto. Se
c’era una cosa che detestava era che qualcuno facesse casino
all’interno del suo luogo di lavoro.
-Chi siete e cosa state facendo dentro questo negozio?- domandò,
suonando tremendamente calma. Amanda notò l’espressione di
sconcerto sul viso di Evan, la cui maschera d’indifferenza
mostrava per la prima volta qualche crepa.
-Non si preoccupi. Queste non sono questioni che la riguardano.-
l’uomo ritrovò la propria imperscrutabilità.
Gabbie lo guardò con tanto d’occhi. –Fino a quando avrete intenzione di imbrattare gli abiti di sangue sarà affar mio.- replicò, astiosa.
Lo scozzese mosse un passo verso di lei. –Lasci perdere. Sono
questioni al di fuori della sua competenza. Per quanto riguarda gli
abiti, pagheremo i danni.- le disse.
A quelle parole lei lo fissò basita. –C-come…?
-Pagheremo i danni. Vero, Graham?- puntò gli occhi chiari in
quelli dell’altro licantropo. L’uomo lo guardò
torvo, non sapendo bene come reagire, ma alla fine annuì
lentamente. –D’accordo. Ora è meglio andarcene.
Scusate per il disturbo.
Allungò una mano alla ragazza davanti a sé, ancora
puntellata a terra. Lei l’accettò senza scomporsi e si
fece tirare in piedi. –Grazie…- mormorò.
-Evan, ma il nostro appuntamento?- chiese Crystal, confusa. Voleva
veramente andarsene senza averle dato la possibilità di trovare
un vestito adatto?
Suo marito si voltò a guardarla, ricordandosi solo in quel
momento della sua presenza. –Puoi rimanere.- rispose, pratico.
A quelle parole gli occhi della modella mandarono scintille. Indignata,
raccolse le gonne dell’abito che aveva indosso e si avviò
spedita verso il camerino, afferrando nel mentre Amanda per un braccio.
La ragazza si ritrovò così trascinata per tutto il salone, quasi fosse un sacco di patate.
-Crystal… non credi che… insomma dovresti…-
tentò di trovare qualcosa da dire. Qualcosa che non la facesse
urlare come una pazza isterica.
-No, non credo! Vuole dar priorità alle questioni del branco?
D’accordo! Farò da sola. Tanto non sarà lui la star
del matrimonio.- sputò risentita. Nonostante non lo amasse,
voleva che lui provasse attrazione nei suoi confronti, che smaniasse
per averla e la portasse in palmo di mano.
Cosa che non si sarebbe sicuramente realizzata, considerato con chi
aveva a che fare. Un osso di bisonte sarebbe stato più
malleabile.
-Forse dovresti andare con lui… potrebbe aver bisogno…- la giovane non sapeva che dire.
Crystal si voltò a guardarla, supponente. –Di cosa? Del
mio aiuto?- domandò, ironica. L’altra annuì,
confusa dalla sua reazione. –Se anche avesse bisogno di aiuto,
non verrebbe di certo a chiederlo a me.
“Non invidio proprio il vostro matrimonio, allora.”, si
ritrovò a pensare la mora. Se la loro relazione era veramente
tutta lì, il comportamento di Evan non la stupiva più di
tanto.
Ma la cosa che non capiva era perché volessero celebrare le seconde nozze e non chiedere il divorzio.
-Amanda, portami il vestito più costoso e vistoso che avete.- ordinò la modella.
Lei quasi sobbalzò al sentire la sua voce. –Il più
costoso…? D’accordo.- disse. Si affrettò a prendere
gli abiti scartati ed uscì dal camerino.
Li depositò sull’attaccapanni degli abiti da riporre e poi
s’inoltrò nel salone. Mentre passava nell’ampio open
space notò come la piccola folla di prima si fosse già
dispersa. Dei licantropi non c’era traccia: l’unico segno
del loro passaggio erano le macchie di sangue.
E la rabbia di Gabrielle, impegnata a dare disposizioni.
Passò oltre ed entrò in una piccola saletta
dov’erano esposti gli abiti delle collezioni più costose.
Afferrò quello di pizzo con stecche di balena e diamanti veri e,
dopo averlo osservato per qualche istante, tornò indietro.
-Eccomi.- si annunciò, rientrando. –E’ questo.- lo
tirò fuori dalla busta protettiva e glielo mostrò,
sperando in una risposta positiva.
Quando aveva saputo dell’appuntamento la curiosità
l’aveva fatta da padrona, ma ora voleva semplicemente liberarsi
di quella cliente. Era rimasta delusa dal rapporto che aveva col suo
compagno e ancor più dal fatto che sembravano non amarsi affatto.
Se metteva in conto anche la “piccola scaramuccia” avvenuta
oltre la porta del camerino… be’, avrebbe sicuramente
ricordato quella giornata come una delle peggiori.
-Oh, ora iniziamo a ragionare.- asserì.
-Usciamo a farlo vedere alle altre…?- s’informò.
Non sapeva nemmeno se Stephanie e Bree fossero ancora ai loro posti.
-No, non c’è bisogno. Lo compro.- rispose Crystal,
rimirandosi nell’alto specchio. L’abito le calzava come un
guanto e lasciava ben poco all’immaginazione. Era sicuramente
molto luminoso e l’avrebbe messa al centro dell’attenzione.
“Pessima scelta. Il marito non l’approverà.”,
pensò Amanda, lanciandole un’occhiata di sottecchi.
–Va bene. Allora te lo porto alla cassa, così puoi pagarlo
e poi dovrai scendere in sartoria per le misure.- disse invece,
sforzandosi di sorridere.
-D’accordo. Grazie mille.- e detto questo si diresse verso la
postazione computer, dov’erano solite fare le ricevute.
Non si tolse nemmeno l’abito di dosso. Amanda si morse la lingua
per non imprecarle contro e la seguì a passo spedito.
Una volta davanti a Madison, l’addetta vendite, si scusò
con gli occhi e la pregò di servire la signora Forbes. Si
congedò il più rapidamente possibile e si
allontanò.
-Graham, cosa diavolo sta succedendo?- Evan si girò per affrontarlo, esattamente fuori dall’atelier.
Aveva deciso di reprimere parte del proprio essere in presenza del
padre, ma nulla gli impediva di sentirsi irritato. Non si sarebbe mai
messo ad imprecare o urlare come un forsennato, ma avrebbe dimostrato
quanto poco gli fosse piaciuta quell’improvvisata.
Non che gli dispiacesse esser sfuggito alla scelta dell’abito, ma
non voleva che il branco si facesse etichettare subito come
“incivile”.
Ad aggravare la questione c’era anche il fatto che il
Gamma del suo clan sembrava aver dimenticato una delle leggi
fondamentali dai licantropi: non si usa violenza sulle lupe.
C’erano pene molto gravi per chi osava infrangerla.
E, a giudicare dallo sguardo della donna che li aveva seguiti, Graham aveva cercato di sfidare la sorte.
Passò gli occhi dall’uno all’altra, in attesa di una risposta esauriente.
Poi, però, si rese conto di dove si trovavano e decise di
cambiare i propri piani. –Andiamo a casa. E, una volta lì,
mi spiegherai cosa stavi cercando di fare.- disse, rivolto al suo
compare.
L’uomo fece per protestare, ma lo zittì con
un’occhiata. I suoi occhi sapevano essere davvero intimidatori
quando voleva.
Recuperò la propria moto e montò in sella.
Controllò nello specchietto che anche gli altri due avessero
fatto lo stesso coi propri mezzi e poi si immise nel traffico.
Guidò velocemente, ma comunque limitato dal traffico
newyorchese. Una volta in prossimità del Wolf’s Pond Park
svoltò sullo sterrato che portava alla villa. Era strano pensare
che un branco di licantropi vivesse in un’abitazione degna di una
star di Hollywood, ma i tempi erano cambiati ed era difficile trovare
castelli abbandonati in quella parte d’America.
Se volevano vivere in società dovevano adattarsi.
E quel mirabile esempio di architettura in cui vivevano era un
bell’investimento sul futuro. Soprattutto per David, considerato
che era opera sua.
Lanciò una rapida occhiata alle ampie vetrate della zona giorno
e poi si voltò verso i due lupi. Attese che lo raggiungessero e
poi incrociò le braccia al petto, in attesa di una spiegazione.
Il più logica possibile.
-Permettimi di spiegarti…- iniziò la donna.
Lui la bloccò con uno sguardo. –Prima di tutto: chi sei
tu, se mi è concesso saperlo?- domandò. Gli piaceva
conoscere il nome delle persone con cui discorreva. Era una vecchia
abitudine dei tempi andati, quando ancora andavano di moda i plastron.
-Emily Blackwood.- rispose, dopo essersi schiarita la voce.
–Femmina Alfa del branco dei Blacks.- aggiunse, notando
l’espressione del suo interlocutore.
-Blacks? Vorrei saperne di più, se non ti dispiace. Ma più tardi.- le rispose. –Io sono…
Lei lo precedette. –So chi sei. Non è un caso se ti ho
raggiunto da Kleinfeld.- disse, lanciando un’occhiataccia a
Graham.
Evan se ne accorse e tornò a guardare il terzo in comando
all’interno del branco. –E questo ci riporta a te, Graham.
Cosa volevi fare?
Quello ringhiò, infastidito dal tono. –Non devo render conto a te, non sei l’Alfa.- sibilò minaccioso.
-Ma sono il suo Campione. Il che mi dà un potere super partes se
ci si rivolge a me per avere protezione.- gli ricordò. In quanto
figlio dell’Alfa, rispondeva direttamente a Dearan, ma per le
questioni inerenti i combattimenti e le tentate aggressioni aveva pieno
potere decisionale.
Se poi un lupo chiedeva il suo aiuto, questo lo rendeva al di sopra di
quasi tutte le gerarchie perché era l’unico autorizzato a
rappresentare il branco nelle questioni ufficiali e con
possibilità di spargimenti di sangue.
Se c’era odore di combattimento, era a lui che ci si doveva rivolgere.
-Tu non sei niente. Sei solo il cagnolino di tuo padre.- lo insultò il suo interlocutore. –Faolàn*.
Serrò la mascella, sentendo la sua parte animale rispondere alla
sfida. Ma la mise a tacere con discreta facilità e si
limitò a fissarlo, immobile. –Quel nomignolo ha smesso di
avere effetto su di me da un po’ di tempo, ormai.- rispose, il
più lentamente possibile.
Suo padre era solito chiamarlo così quand’era bambino, perché lui era il suo piccolo lupo. Ma dopo la morte della madre e le sue successive insubordinazioni, Dearan aveva iniziato ad usarlo con intenti dispregiativi.
All’inizio si era arrabbiato e ne aveva anche sofferto ma, dopo
l’ultimo affronto, aveva deciso di non reagirvi più.
–Ebbene? Perché vi siete ritrovati a combattere in un
luogo pubblico?- chiese dopo una lunga pausa.
-Perché lei è una stupida femmina in calore!-
sbottò quello. Emily si arrabbiò e per poco non gli
rifilò una gomitata in faccia. Solo l’intervento
tempestivo di Evan glielo impedì.
-Emily?- decise di sentire anche la sua versione dei fatti.
Lei gli lanciò un’occhiata coi suoi occhi verdi. –Mi
sono avvicinata a Graham perché ho capito che era il Gamma del
clan MacGregor. Avevo… ho bisogno di parlare col vostro Alfa per
una questione molto importante.- disse, rimanendo abbastanza vaga.
-Ti sei avvicinata a me perché volevi una ripassata.-
ribattè il diretto interessato. Lei fece per attaccarlo ancora,
ma fu nuovamente bloccata.
“Ha un bel caratterino.”, si ritrovò a considerare
il giovane dagli occhi grigi. –Stavi cercando un approccio
sessuale?- le chiese allora.
Riusciva a riconoscere una bugia, ma se il bugiardo era davvero abile
avrebbe avuto bisogno di Alastair. Era il migliore in quel genere di
giochetti psicologici.
Lei sgranò gli occhi, cercando di capire se le era stata
veramente posta una domanda del genere. Alla fine esalò:-Certo
che no…
-Ne sei sicura?
-Sì. So cercando di scappare dagli approcci sessuali non
graditi.- si spiegò meglio. Abbassò lo sguardo dopo
quelle parole, umettandosi le labbra con un movimento nervoso della
lingua.
Evan lo notò e decise di prendere in mano le redini della
situazione. –Benissimo. Sottoporrò il tuo caso
all’Alfa.- le disse. –Fino a quando non avremo preso una
decisione…
Ma lei lo interruppe afferrandolo per la giacca. –Fatemi rimanere
qui, vi prego! Richiedo la tua protezione, in quanto Campione del
branco.- disse con voce accorata. Lui si ritrovò a fissarla
dall’alto in basso, stupito e confuso dalla sua reazione.
Ad un certo punto lesse qualcosa nei suoi occhi e fu quello a
convincerlo. Staccò gentilmente le sue mani dal proprio petto e
poi annuì. –D’accordo. Accetto la tua richiesta.-
disse, formale.
Attese che Gabrielle avesse spento tutte le luci e poi si avviò verso l’uscita.
Come tutti i venerdì sera le due erano rimaste fino alla
chiusura del negozio, intenzionate ad andare a mangiare una pizza e poi
rilassarsi in un pub.
Sarebbe stata una serata come le altre, se non fosse stato per tutto quello che era successo durante la giornata.
-Ti rendi conto che hanno rovinato due Pnina e un Lazaro?!- sbottò per l’ennesima volta la direttrice vendite.
-Sì, Gabbie, credo sia la ventesima volta che lo ripeti.- le
fece notare Amanda, paziente. La sua amica sapeva essere veramente
pedante, quando voleva. Soprattutto se c’era di mezzo il lavoro.
–Comunque ha detto che risarciranno il negozio.
L’altra le dedicò un’occhiata scettica mentre
attendevano il semaforo verde. –Credi sul serio che lo faranno?
Cosa vuoi che gliene importi?- replicò.
La mora s’avviò a passo spedito, sistemandosi con un gesto
non curante la borsa che portava sulla spalla destra. –Be’,
anche i licantropi devono sottostare alla legge. Sicuramente a quella
sulla proprietà privata.- ragionò.
-Mhm… sarà.
Mandy le diede una spintarella leggera, sorridendole poco dopo.
–Via quel muso lungo! Stiamo andando da Antonio per mangiare la
sua deliziosa ed insuperabile pizza.- le ricordò. Al solo
pensiero le veniva l’acquolina in bocca. Avrebbe ucciso per saper
cucinare una pizza come quella che riusciva a fare quell’uomo:
era un vero mago col forno a legna.
Gabrielle si concesse un mezzo sorriso. –Sì, lo so che vorresti rubargli la ricetta.- la punzecchiò.
-Oh, andiamo.- si schermì l’altra. –D’accordo, è vero.- ammise subito dopo, scoppiando a ridere.
Ritrovato il buon’umore allungarono il passo per poter arrivare
il prima possibile al locale. Conoscevano il proprietario e sapevano
che lui aveva riservato loro un tavolo, come faceva tutti i
venerdì da due anni a quella parte.
Amanda aveva lavorato nella pizzeria come cameriera per pagarsi
gli studi ed era stato lì che aveva portato Gabrielle, una sera
in cui si erano ritrovate entrambe senza mezzo di trasporto.
Probabilmente la loro amicizia era iniziata davanti ad una delle pizze
all’italiana del piccolo locale a gestione familiare.
Concedendosi un breve sorriso per quelle considerazioni, la giovane
prese posto ed attese che l’amica facesse lo stesso, prima di
fare un cenno ad Antonio.
L’uomo le raggiunse rapidamente e, pulendosi le mani nel
grembiule, le salutò con un:-Buonasera picciotte! Cosa posso
portarvi?
Come si poteva intuire dal suo modo di parlare, Antonio Gargiulo
aveva origini napoletane e ne andava fiero. Sicuramente in molti gli
avevano detto che rappresentava uno dei cliché più
diffusi al mondo, ma lui amava il suo lavoro e non lo avrebbe scambiato
con nessun altro.
-Io vorrei una delle tue pizze speciali. Ho molta fame, questa sera.-
disse Amanda, dando solo una rapida letta al menù. Si fidava di
Tony e avrebbe lasciato a lui la scelta.
L’uomo scribacchiò qualcosa sul taccuino, annuendo.
–E per te, Gabbie? Solita pizza scondita?- la prese in giro.
-No, questa sera vorrei quella coi peperoni.- disse, fingendosi
piccata. Quel loro siparietto andava avanti da molto tempo, ormai:
Antonio la prendeva in giro per la sua fissa della dieta e Gabrielle
metteva sempre su un’aria imbronciata da bambina, fingendosi
indispettita.
Se lui non fosse stato felicemente sposato e con prole (nonché
molto più vecchio di lei), avrebbero formato una bella coppia.
-Arrivano subito, signore. Intanto rilassatevi e chiacchierate come
solo voi sapete fare.- lasciò loro una copia dell’ordine e
poi sparì in cucina.
Amanda si sistemò il tovagliolo sulle gambe e poi si
ritrovò a fissare Gabrielle, stranamente pensierosa.
–Ehi… che succede?- domandò.
Lei si riscosse, spostando una ciocca dei capelli castani dietro
l’orecchio. –Niente. Stavo ripensando a quello che è
successo oggi.- ammise.
-Alla lotta nel negozio?- indagò, facendosi guardinga. Quando
assumeva quell’aria circospetta, Gabbie si faceva estremamente
seria.
Annuì. –Sì. Sai, era la prima volta che incontravo
dei licantropi. E devo dire che non mi aspettavo di vederli
azzuffarsi.- spiegò, giocherellando con il pacchettino di
grissini.
-Be’, ci sarà stato sicuramente un motivo. Il signor
MacGregor non sembrava felice della cosa.- ragionò, rubandole il
sacchetto e prendendo un pezzo di pane.
L’altra alzò un sopracciglio. –Il signor MacGregor?
Amanda la guardò interdetta, poi arrossì un pochino.
–Be’… insomma, mi fa strano chiamare i clienti per
nome quando non ce li ho davanti.- si giustificò, nascondendo
l’imbarazzo dietro ad una sorsata d’acqua.
-Non è che ti sei invaghita del bel licantropo? Non era niente
male, a parte l’aria cupa e le cicatrici.- la punzecchiò
la compare.
-Invaghita di un uomo sposato? E per di più con la coda? Dico,
ma mi credi così stupida?- domandò fissandola allibita.
Quella sua reazione fece scoppiare a ridere di gusto Gabrielle. La sua
risata attirò l’attenzione di alcuni clienti ed Amanda
cercò di farla smettere, a disagio. Quando finalmente fu
riuscita a calmarla, tornò seria e le disse:-Non vorrei mai
innamorarmi di un uomo del genere.
-Perché?
-Perché non dà valore al matrimonio. Non gliene importa
nulla, anche se un po’ lo capisco: sua moglie è totalmente
concentrata su se stessa.- asserì.
-Mai dire mai, te l’ho già detto. Io credevo che non mi
sarei mai sposata prima dei trenta, invece eccomi qui: separata a
ventisette anni.- le mostrò la mano sinistra, dove ancora si
vedeva il segno lasciato dalla fede. Erano passati appena due mesi
dall’ufficializzazione della sua separazione, ma lei sembrava
già in grado di riderci su.
Lei e suo marito Samuel si erano dovuti separare per cause di forza
maggiore. Lui aveva scoperto di avere il cancro ed era volato in Europa
per farsi curare. Di lì la scelta di separarsi, con la promessa
di ritrovarsi, prima o poi.
Mandy sapeva che i due si amavano ancora come fosse il primo
giorno e solo la malattia li teneva divisi. Non aveva mai realmente
capito la scelta di porre fine al loro matrimonio, ma era stata vicina
all’amica, dando tutta se stessa.
-Be’, ora come ora sei diversamente single.- le ricordò.
-Sì, come vuoi. Fatto sta che qualcuno mi ha messo
l’anello al dito prima dei trent’anni.- liquidò la
questione con un gesto della mano. Spesso fingeva di essere più
cinica di quanto non fosse, solo per mascherare la sua fragilità.
-D’accordo, hai ragione.- le diede corda. –Ma rimane il fatto che hai qualcuno che ami e che ti ama.
Gabbie sbuffò. –Sei tu che non vuoi lasciarti andare dopo
Wayne. Lo capisco, ma per me è uno spreco. Sei giovane e sai
cucinare: quale uomo sano di mente si lascerebbe scappare
l’occasione?- aveva iniziato col suo solito discorso.
Si era convinta di doverle fare da Cupido ed aiutarla a trovare un uomo
prima dei venticinque anni, in modo da vederla sistemata e felice.
Cercare di spiegarle che per un po’ il suo cuore se ne sarebbe
stato in stand by sembrava un’impresa impossibile.
-Non è che il fatto di saper cucinare mi renda un buon partito.- le fece notare, ridacchiando.
-Migliore di me sicuro.- commentò l’altra.
Si fissarono in silenzio e poi ridacchiarono, scuotendo la testa e
dandosi delle stupide. Si ritrovavano spesso a fare discorsi del
genere, quasi fossero due cinquantenni sole.
C’era da dire, però, che quell’incontro col mondo
del soprannaturale era stato strano. Nonostante Amanda non volesse
ammetterlo, Evan MacGregor le aveva lasciato un’impressione
abbastanza indelebile.
Le era sembrato un lupo in una gabbia dorata.
Dato che Dearan era fuori per una battuta di caccia, avevano deciso di rimandare le spiegazioni al giorno seguente.
Quando l’Alfa non c’era il comando passava automaticamente
al Beta, ma Alastair aveva detto di voler aspettare il ritorno del
capobranco per sottoporgli la questione. Evan non riusciva a
capacitarsi del perché l’uomo non avesse mai rivendicato
il ruolo di leader: l’unico impedimento che gli veniva in mente
era solo… be’, lui.
In effetti il suo ruolo di Campione avrebbe potuto rappresentare
un ostacolo, ma avrebbero trovato un accordo e Alst avrebbe potuto
essere Alfa in poco.
Tutto pur di liberarsi del suo amato paparino.
Invece lui aveva continuato ad opporsi a quell’idea, testardo come solo uno scozzese poteva essere.
Sospirando si passò una mano tra i capelli. Negli ultimi tempi, anzi forse era meglio dire negli ultimi decenni,
aveva preso l’abitudine di ragionare molto sulle cose. Sapeva che
torcersi le budella per ogni singolo problema era controproducente, ma
analizzare i fatti lo aiutava a non cadere vittima dei sotterfugi del
padre.
E anche a mantenere l’autocontrollo, drasticamente
diminuito quando i geni canini si erano impossessati definitivamente
del suo corpo, all’età di ventiquattro anni. A differenza
di Dearan, Evan apparteneva al ceppo di nuova generazione ed era in
grado di trarre giovamento dalle fasi lunari. Poteva assumere anche una
forma intermedia e trasformarsi nel cosiddetto uomo-lupo delle leggende
europee.
Oppure trasfigurare parti del proprio corpo a seconda delle necessità.
Quella sua capacità, che condivideva con Graham e altri membri
giovani del branco, gli era invidiata dal genitore, limitato dalla
propria genetica ad assumere solo forma umana o animale.
Quello era uno dei motivi che aveva favorito il deteriorarsi del loro rapporto.
-Ehi, che fai qui fuori?- una voce interruppe il filo dei suoi
pensieri. Intimamente infastidito dalla cosa, alzò gli occhi per
incontrare quelli dell’unico in grado di stargli accanto senza
volerlo strangolare.
-David. Non hai nessun progetto da portare avanti? Scadenze imminenti a
cui dedicarti?- chiese, cercando di suonare ironico. L’amico
arricciò il labbro superiore in una smorfia. –Stavo
pensando.- si corresse allora.
-A cosa?- volle sapere l’inglese.
-A tutto e a niente.- ammise. –Alla mia vita di licantropo.
-Stavi meditando vendetta nei confronti di tuo padre?- domandò,
fingendosi sconvolto dalla cosa. In verità nemmeno lui
sopportava Dearan e aveva dovuto combattere fino allo stremo per farsi
accettare nel branco. Tutto perché era nato nella parte
sbagliata della Gran Bretagna.
Sbuffò, sentendosi prese per i fondelli. -Se sai già la
risposta perché fai la domanda?- gli lanciò
un’occhiata.
L’altro fece spallucce, sorridendo nell’oscurità.
–Lo sai che mi piace stuzzicarti: ti tiene reattivo agli insulti
del nostro Alfa.- gli rispose.
-Che bella cosa l’amore paterno, eh?- sollevò un angolo della bocca, amareggiato.
Dave lo osservò in silenzio per un po’, tentando di
valutare il suo stato d’animo, poi recuperò qualcosa da
dietro la propria schiena e gliel’allungò. –Vuoi una
birra?
Evan l’accettò senza farsi pregare. –Grazie.
Prese un sorso, lasciando spaziare lo sguardo sulla grande distesa di
alberi che costituiva il giardino della loro immensa villa.
–Cos’è successo oggi? Ho visto che abbiamo
un’ospite.- domandò, cambiando improvvisamente argomento.
-Graham voleva divertirsi, ma gli è andata male. La lupa lo ha
avvicinato per arrivare al branco.- spiegò succintamente.
-Cosa vuole, lo sai?
Scosse lentamente la testa. –No, sto aspettando il ritorno
dell’Alfa come tutti gli altri.- disse, facendo roteare il
liquido dorato all’interno della bottiglia.
I due rimasero in silenzio, persi nei propri pensieri. Quando si
trattava di loro due, non c’era bisogno di grandi discorsi: si
parlavano con gli occhi e col corpo.
Molto spesso David anticipava le mosse di Evan ed Evan sapeva cos’avrebbe detto David ancora prima di pensarlo.
Erano come fratelli, il cui legame era più forte di quello tra consanguinei.
-Con tua moglie com’è andata? Ha trovato il favoloso
vestito per le vostre seconde nozze?- puntò i suoi occhi azzurri
sul viso del compare, pronto a qualsiasi reazione. Quando si parlava di
Crystal era come camminare su un terreno minato.
In effetti erano pochi gli argomenti legati alla sua vita di licantropo
che non gli causassero reazioni negative. Ovviamente smorzate dalla
patina di apatia da cui si era lasciato avvolgere.
Ricordava il vecchio Evan e avrebbe pagato oro sonante per poterlo
riavere indietro. Avrebbe anche ucciso, se fosse stato necessario.
Ma l’amico sembrava vivere bene in quel guscio di indifferenza
che si era appositamente creato e non voleva assolutamente peggiorare
la situazione.
-E’ stata una pacchia.- fu la risposta. Il suo umorismo nero era sempre bene accetto.
-Deduco che abbia fatto il suo numero.- commentò l’uomo.
-Sicuramente l’assistente che doveva seguirla non avrà
passato un bel pomeriggio. Ma non ho avuto l’onore di assistere
alla sfuriata: sono stato preso da altro.- disse.
Strabuzzò gli occhi. -Quindi la notizia di due licantropi che stavano lottando da Kleinfeld era vera?!
Evan annuì lentamente, prendendo un sorso di birra.
-Graham è proprio un idiota.- anche David bevve una sorsata del liquido ambrato.
-E’ l’ennesima riprova. C’è un motivo se lo
ignoro, ogni volta che mi provoca.- replicò l’altro,
allungando le gambe e distendendosi sull’erba.
-Tu ignori praticamente tutti, nel branco, ad esclusione di me e Alst.- gli fece presente.
-E non devo nemmeno spiegarti perché, giusto?
-No.- Dave sospirò, terminando la propria bottiglia. –Rimani qui fuori, stanotte?
Il licantropo voltò leggermente la testa e poi tornò a fissare il cielo. –Probabile.- concesse infine.
Il fastidioso chiacchiericcio che proveniva dalla villa non lo invitava
certo ad entrare e unirsi al branco per una partita a bigliardo. Era
sempre stato un solitario ed ora lo era due volte di più.
-Va bene. Io devo andare a finire alcuni render, quindi… ti
lascio ai tuoi pensieri.- l’inglese si alzò, spazzolandosi
con le mani i jeans scoloriti.
-Buon lavoro. Mandamene una copia sul portatile: sai che mi piacciono i
tuoi lavori.- gli disse. David rispose con un cenno della mano e poi si
affrettò verso le luci, deciso a finire le tre tavole di
renderizzazione da presentare ai clienti l’indomani.
Il giovane MacGregor restò in ascolto, seguendo il ritmo
cadenzato dei suoi passi, finché non lo perse in mezzo alle aure
degli altri licantropi.
Piegò una gamba e puntò gli occhi sulla volta celeste,
difficilmente visibile a causa delle luci della città. Se
c’era una cosa che amava della Scozia era il suo essere rimasta
una terra selvaggia: lì le stelle brillavano come tante lucciole.
Stava per ringhiare contro il padre quando sentì distintamente
il vetro di una delle finestre del piano di sopra rompersi.
Scattò in piedi e si tese, in ascolto.
L’aria gli portò al naso due odori: uno conosciuto ed uno appena incontrato.
Senza pensarci due volte corse verso casa.
Lanciò distrattamente un’occhiata all’orologio prima di cercare le chiavi di casa dentro la borsa.
Era parecchio che lei e Gabrielle non facevano così tardi e non
si era nemmeno resa conto del tempo che passava, nonostante la
disastrosa giornata.
“Ragioni come una vecchietta, Amanda.”, si
rimproverò, entrando silenziosamente nell’appartamento.
Aveva solo ventidue anni e non usciva per far baldoria con le amiche da
parecchio tempo. Tutta colpa di Wayne e della sua stupida trovata!
Scosse energicamente la testa, impedendosi di ricadere in quei pensieri
masochisti. Ci aveva messo tantissimo tempo a riprendersi e rendere
quanto meno innocui i ricordi della sua relazione con quel bastardo.
Se c’era una cosa che odiava di sé era
l’attaccamento che riusciva a sviluppare nei confronti delle
persone. Nonostante la sua corazza protettiva, quando questa veniva
attraversata dava tutta se stessa nelle relazioni personali.
E Wayne…
-Basta, insomma!- si diede un leggero schiaffo sulla guancia.
Restò per qualche istante ferma al centro della zona giorno e
poi si decise a dirigersi verso la propria camera, senza nemmeno
premurarsi di accendere la luce.
Si svestì molto rapidamente e poi andò in bagno per
concedersi una doccia. Tempo mezz’ora ed era già sotto le
lenzuola, decisa a svegliarsi presto per poter andare a fare una
passeggiata.
Non era una di quelle persone salutiste fissate con lo sport, ma era
cresciuta in mezzo a distese d’erba e, quando poteva, cercava di
rinsaldare il suo legame con la natura.
Come?
Da quando aveva iniziato a studiare a New York, si era ripromessa di
visitare tutti i parchi della città e scoprire quello che
riservavano. Dopo ben quattro anni di permanenza, si poteva ritenere
soddisfatta del numero raggiunto.
“Domani potrei andare a Fort Tyron Park…”,
ragionò, accoccolandosi su un fianco. Era uno degli spazi verdi
più vecchi della città ed era anche molto vicino a dove
abitava.
Stava quasi per addormentarsi quando sentì dei rumori.
Aprì gli occhi all’improvviso e drizzò le orecchie,
cercando di capire da dove provenissero. Dopo qualche minuto di attento
ascolto, sbuffò ed afferrò il cellulare. Digitò in
fretta il messaggio e rimase in attesa.
Poco dopo i gemiti provenienti dalla camera da letto di Fran e Drew
cessarono. D’accordo che erano fidanzati, ma erano quasi le
quattro di notte, dannazione, e i solai di quel palazzo erano molto
sottili!
Lentamente tornò ad abbracciare il cuscino. Fece alcuni rapidi
progetti per il giorno successivo e sentì le membra rilassarsi.
Nuovamente in procinto di cadere tra le braccia di Morfeo,
un’immagine fece capolino tra i suoi pensieri annebbiati. Non si
svegliò, ma guardò con curiosità e stupore il lupo
che aveva davanti.
L’animale la fissò a sua volta, calmo, per poi trasformarsi ed assumere sembianze umane. Non seppe mai in chi si era trasfigurato perché il suo cervello si spense proprio in quel momento.
Non pensò nemmeno per un istante di entrare in casa e salire le scale.
Deviò la propria traiettoria verso la grossa quercia che
cresceva davanti ad una delle ampie zone notte della casa e si
arrampicò, sfruttando i rami nodosi dell’albero come
scalini.
Si accucciò tra le foglie ancora verdi e fiutò
l’aria, cercando di stabilire più precisamente le
dinamiche di quello che stava succedendo.
Captò dei rumori di lotta, bassi ringhi e qualche imprecazione.
“Questa volta l’hai fatta grossa.”, pensò balzando attraverso il buco della finestra.
La camera della loro nuova ospite era tutta sottosopra e sul materasso
c’erano segni d’unghiate. Un odore ferrigno gli
arrivò alle narici e voltò la testa di scatto,
individuando alcune macchioline di sangue, rese quasi nere dalla luce
notturna.
Arricciò il labbro superiore ed infilò la porta.
Da qualche parte, dietro di sé, sentì alcuni degli altri
licantropi agitarsi, probabilmente disturbati dalla colluttazione o
dall’odore di sangue.
Raggiunse rapidamente la piccola zona adibita a studio che David
aveva previsto per gli alloggi e li trovò avvinghiati in uno
strenuo corpo a corpo.
Il parquet chiaro era segnato da numerosi segni d’artiglio e v’era una lunga strisciata di sangue.
Prese un respiro profondo, furioso per quell’offesa alla
sacralità dell’ospitalità e raggiunse i due con tre
rapide falcate. Senza una parola afferrò Graham per la testa e
lo costrinse ad alzarla.
Il Gamma ringhiò una protesta, cercando di capire chi osasse disturbarlo.
-Tu!- esclamò quando lo riconobbe.
Evan non disse nulla, ma spostò il proprio sguardo su Emily.
Osservò la guancia gonfia e arrossata e la brutta ferita che
aveva al fianco. La sua canottiera era strappata in più punti e
aveva anche il labbro inferiore spaccato.
Non servirono le parole, solamente un cenno del capo.
-Ti sfido a duello, Graham MacNeil, Gamma del branco. Ti sfido in nome
della lupa Emily Blackwood.- sentenziò con voce ferale.
L’uomo mostrò i denti. –Non aspettavo altro che questo, Faolàn.
Lo staccò a forza dalla sua vittima e lo obbligò ad
alzarsi in piedi. –Non osare mai più avvicinarti a lei.-
ordinò. La sua voce non aveva subito nessuna inflessione, ma il
tono era stato categorico ed assolutamente intimidatorio.
-Cosa sta succedendo qui?!- Dearan piombò dentro la stanza come
una furia, confuso ed arrabbiato. A quanto pareva aveva anticipato il
proprio rientro. Diede una rapida occhiata alla scena e poi
puntò gli occhi sul figlio, in attesa di spiegazioni.
-Graham ha cercato di usare violenza sulla nostra ospite. Lei mi ha
nominato suo Campione ed io l’ho sfidato. Dato che ha infranto le
regole più sacre dei licantropi, lo affronterò nel Ring.-
lo informò.
Suo padre spalancò gli occhi e poi li puntò sul proprio Gamma.
Cercò un appiglio, ma sapeva che non c’erano scappatoie.
Rinunciare ad un membro della sua triade non gli piaceva per niente,
però. –E sia. Non posso oppormi alle antiche leggi.-
acconsentì, furente.
In poco l’intero branco si ritrovò davanti alla
villa. Vennero spente tutte le luci, comprese quelle esterne ed accese
alcune fiaccole, nel pieno rispetto della tradizione.
Alastair recuperò la polvere di sorbo e tracciò un
cerchio sull’erba attorno ai due contendenti, già
schierati e pronti a battersi.
Il Ring nasceva come luogo di scontri mortali e aveva una
tradizione lunghissima alle spalle. Il sorbo veniva usato per impedire
a qualsiasi lupo, che non fosse coinvolto direttamente nel
combattimento, di intervenire.
Spesso gli scontri che si disputavano all’interno del cerchio
nero avvenivano per punire i membri che erano andati contro le regole,
quelle a cui non si poteva né si doveva trasgredire. Oppure era
stato usato per la nomina di nuovi Alfa, quando la discendenza di
sangue veniva a mancare.
Quella sera sarebbe stato teatro di uno scontro il cui solo scopo era far giustizia.
Ad Evan non piaceva uccidere, non come piaceva ai Cacciatori del
branco, ma quello era l’unico modo che conosceva per rimanere a
galla e mantenere un contatto con la sua vecchia terra, il suo vecchio
io.
Col suo passato, in poche parole.
Si era proposto come Campione molto tempo addietro, dopo esser riuscito
a soffocare il desiderio di vendetta nei confronti del progenitore.
Con l’avanzare degli anni e il passaggio al XX secolo, i
combattimenti si erano fatti più radi, ma nessuno si era mai
sognato di provare a sottrargli la carica.
E c’era un motivo: era riuscito a diventare un combattente quasi completo e pochi avrebbero potuto sfidarlo ad armi pari.
Graham era forte, non si poteva negare, ma era scoordinato e
troppo pieno di sé. Se avesse giocato bene le sue carte, avrebbe
avuto ragione di lui.
Si inginocchiò lentamente, facendo perno col pugno per
mantenersi in equilibrio. Chiuse gli occhi e richiamò la sua
parte animale.
La trasformazione non gli causava più lo stesso dolore
delle prime esperienze, ma rimaneva comunque un processo umido e
fastidioso. Avvertì distrattamente il suo avversario avviare la
metamorfosi nel momento in cui le sue ossa riprendevano a risaldarsi.
Mosse impercettibilmente le orecchie e poi sollevò il muso,
mettendo a fuoco quello che aveva intorno. Davanti a lui stava la
familiare figura lupina di Graham, col pelo grigio chiazzato di nero.
I loro occhi s’incontrarono e si lasciò sfuggire un ringhio.
“Pagherai per questo. E per tutto il resto.”, pensò
Evan, piegandosi sulle zampe posteriori. Attese un istante prima di
scattare in avanti ed attaccare.
Il primo colpo che mise a segno fu un morso, diretto alla zampa sinistra del suo avversario.
Quello uggiolò e si liberò di lui con una zampata.
Ringhiò, arricciando il naso.
In quel momento si sentiva dominato dalla bestia, ma poteva ancora fermarla.
La sua forza interiore aveva avuto la forza sufficiente per ingabbiare
la rabbia, molto tempo prima… quella rabbia che aveva la forma
di un lupo e premeva per uscire a tutti i pleniluni.
Ritornò al presente ed evitò per un pelo i denti di
Graham. Si sbilanciò e cadde, mentre il suo avversario
finì la sua corsa nell’erba, a pochi centimetri dal
perimetro di sorbo.
Si rimise sulle quattro zampe con un agile movimento ed attaccò,
approfittando della posizione in cui si trovava l’altro. Il Gamma
si voltò sulla schiena all’ultimo e lo bloccò con
le zampe anteriori, snudando le zanne in segno di sfida.
La sua mascella schioccò a vuoto e sentì le unghie
conficcarglisi nella gola. Graffiò ogni centimetro libero di
pelle che trovò e alla fine fu libero.
Inspirò rumorosamente ed arruffò il pelo sulla
collottola, arrabbiato. Graham lo fissò dall’altra parte
del cerchio, le orecchie tese all’indietro.
Nonostante la sua baldanza aveva paura e non era certo della vittoria.
Percorse qualche metro tenendo lo sguardo fisso sul suo contendente.
Alla fine del giro si erano scambiati di posto ed Evan aveva trovato il
suo punto debole. Se l’era creato lui stesso non molto prima.
Si buttò a testa bassa verso l’altro licantropo, sperando
che abboccasse. Il lupo grigio, vedendosi attaccato, balzò di
lato arcuando l’intero corpo. La sua priorità era
difendere la zampa ferita, per evitare di subire altri danni.
Mentre era in aria Evan si sollevò sulle zampe
posteriori, colpendolo allo sterno. Finirono a terra, avvinghiati in un
feroce corpo a corpo.
Quando si bloccarono, poco dopo, le fauci del Campione erano serrata
sulla giugulare del Gamma. Il giovane MacGregor aveva inchiodato il
proprio avversario a terra sfruttando il proprio peso ed era pronto a
dargli il colpo di grazia.
Graham tentò di liberarsi fino all’ultimo, ma alla fine fu costretto ad accettare il proprio destino.
Un affondo pulito e la scintilla nei suoi occhi si spense.
* come potete aver ben intuito, il termine, tra i vari significati, ha anche quello di "piccolo lupo".
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Capitolo 5 *** Cap. 4 Caos all'Internazionale ***
Cap. 4 Caos all'Internazionale
Ed eccoci al quarto capitolo... già al quarto? o.O wow XD
Comunque, prima di tutto, buon San Valentino a tutti quanti :) Questo
non è il capitolo più adatto per la ricorrenza, ma a mia
difesa posso dire che si inizia ad entrare nel vivo!
P.S.: Non so se esista una festa del genere a New York (probabile,
considerate le dimensioni della città e l'eterogeneità
delle persone che ci vivono); comunque mi sono ispirata alla Fiera
Europea che si tiene a Ferrara, dato che io abito lì vicino.
Cap. 4 Caos all’Internazionale
Il branco esplose in un boato di approvazione.
Non perché avesse vinto (almeno non per quell’unico motivo), ma perché era stato un bel combattimento.
Dearan fece un cenno ad Alastair e lui ruppe il sigillo di sorbo.
Evan guardò il padre, in attesa: nella sua forma animale lo poteva fissare direttamente negli occhi.
Colse un guizzo di rabbia nello sguardo del genitore, ma venne
represso subito. –Il combattimento ha decretato la vittoria del
Campione. La lupa Emily è sotto la sua protezione e avrà
diritto di chiedere il suo aiuto contro chiunque volesse muoverle
violenza.- sentenziò con voce ferma.
Quella formula di rito aveva ormai perso il proprio significato.
Solitamente, dopo la prima richiesta di protezione, il Campione non
veniva chiamato in causa una seconda volta perché il problema
era stato risolto alla radice.
Sperò che anche in quel caso il problema si fosse concluso con la morte di Graham.
-Ora che Graham è morto, il posto di Gamma è vacante. I
Pretendenti possono farsi avanti e sfidarsi per ottenerlo.-
continuò il capobranco. Gettò un’ultima occhiata al
cadavere del suo sottoposto, quasi disgustato dal modo in cui si era
fatto uccidere. –Preparate una pira. Bruceremo il suo corpo come
da usanza.- aggiunse.
Le sue parole misero in moto un’efficiente macchina
composta da quasi trenta individui. I membri del branco si
sparpagliarono e andarono a recuperare i rami necessari per realizzare
la catasta. Sin dall’antichità i licantropi avevano
bruciato i loro morti per timore che questi potessero risvegliarsi e
diventare vampiri.
Da molto tempo quella stupida credenza era stata confutata, ma le tradizioni sono dure a morire. Soprattutto in Scozia.
-Grazie.- Emily si avvicinò mesta, allungando una mano verso il grosso lupo dal pelo rossiccio.
Evan la guardò coi suoi strani occhi cangianti e poi fece un cenno col capo, abbastanza rigidamente.
-Vieni con me, ragazza. Ti controllerò la ferita e poi ti
assegnerò una stanza tutta per te.- le disse Alst. Lei lo
guardò, disorientata, ma poi annuì, seguendolo
all’interno della villa.
Non appena se ne fu andata, il giovane MacGregor riassunse sembianze
umane. –Ho bisogno di un bagno. E di una birra.- disse, facendo
schioccare il collo un paio di volta.
-Ti senti bene?- gli domandò David, avvicinandoglisi.
L’amico lo soppesò, scrutando la sua espressione
sinceramente preoccupata. –Un po’ meno frustrato.- ammise,
contraendo involontariamente le mani.
-Era da un po’ che non veniva richiesta la tua protezione.-
ragionò l’inglese, evitando accuratamente di fargli notare
quel gesto dettato dallo stress.
-Non ricordarmelo.
Dave si passò una mano tra i ricci scuri, sospirando. –Non
potresti trovare un modo… meno imbecille per rimanere a galla?-
gli chiese. Dio solo sapeva quante volte avevano affrontato quel
discorso.
-No.- tagliò corto l’amico. –O così o divento un assassino psicopatico.
-Sai, inizio a pensare che non sarebbe così male.- replicò l’altro, chiaramente ironico.
Evan si lasciò sfuggire un sogghigno, divertito dal suo tono.
–Piuttosto… il posto di Gamma è vacante, ora.- gli
fece notare.
Gli occhi del suo interlocutore scandagliarono il prato circostante, noncuranti. -Sì, lo so.- fu la risposta.
David era un licantropo estremamente dotato e particolarmente bravo nel
lavoro di squadra: sarebbe stato perfetto assieme ad Alastair. Il
problema era che non gli andava a genio di dover far parte della triade
di potere di Dearan.
E come dargli torto?
Tra i due, era difficile stabilire chi fosse il più odiato dall’Alfa.
-Dovresti parlarne con Alst.- gli suggerì lo scozzese, seguendo
i movimenti degli altri lupi. Stavano accatastando la legna con
efficienza e rapidità.
Il moro lo guardò indignato. -Non voglio ottenere una raccomandazione!- sbottò.
-Credi che Alst ti darebbe una raccomandazione? Non ci credi nemmeno
tu.- gli fece presente, sollevando un sopracciglio. –No, volevo
dire che potrebbe spiegarti come sopportare il mio caro paparino…
-Perché sei convinto che entrerò in lizza?-
domandò, sospirando. Non aveva mai aspirato al ruolo di
Pretendente e viveva benissimo come semplice lupo. D’accordo,
magari aveva un ruolo di spicco perché era l’architetto
del branco, ma rimaneva comunque al di sotto dei ranghi più alti.
Avrebbe preso in considerazione la candidatura solamente nel caso in
cui Evan fosse diventato Alfa. Ma, dato che l’amico non sembrava
intenzionato a compiere quel passo, si sarebbe limitato a progettare
case. Almeno per un altro po’.
-Vedrai: prima della fine diventerai un Pretendente.- assicurò
Evan. “Farò in modo che tu possa essere il nuovo Gamma.
Almeno avrò un altro alleato ai piani alti e mio padre
perderà un po’ della sua arroganza.”, pensò,
sicuro di sé.
Se fosse servito, avrebbe coinvolto Alastair.
-Rimani per l’ultimo saluto?- domandò ad un certo punto David.
Evan si riscosse e lo guardò, perplesso. Poi colse il guizzo di
una fiamma e si voltò verso la pira, in procinto di essere
accesa. Il corpo di Graham vi era già stato adagiato.
-No, ho già dato il mio saluto a quello stronzo.-
commentò, dando le spalle alla cerimonia in memoria del cugino.
–Vado in camera. Tieni d’occhio Emily, nel caso dovesse
tornare.
L’inglese si accigliò, perplesso. –D’accordo…- mormorò.
L’altro si congedò con un cenno della mano e si
avviò lentamente verso l’enorme villa del branco.
“Devo trovare il tempo per parlarle e capire cosa sta succedendo
veramente.”, ragionò, salendo lentamente la prima rampa di
scale che portava al piano superiore.
Lasciò che i piedi lo conducessero autonomamente alla meta e si
ripromise di trovare informazioni sui clan di licantropi della Grande
Mela.
Così, giusto per essere preparati.
Anche perché, meditando sulla questione, gli tornarono alla
mente le cinque lettere di sfida di cui aveva parlato David. Da quanto
poteva dedurre, le sfide erano state lanciate più come
provocazione che per reale volontà di scontro.
-In ogni caso è lo sfidante che deve entrare nei territori
nemici per il combattimento, non si è mai sentito il contrario.-
mormorò tra sé, irritato. Com’era possibile che i
branchi newyorchesi non conoscessero quelle semplici regole
d’etichetta?
Scosse la testa, terminando di salire l’ultima rampa.
Quando alzò lo sguardo si trovò davanti la porta della
camera (anzi, meglio dire suite) che condivideva con la sua
adorabilmente odiosa moglie.
Gettò un’occhiata all’ambiente e, una volta
constatata l’assenza di Crystal, si concesse un sospiro di
sollievo.
I privilegi derivanti dallo scontro con Graham avrebbero potuto esser
spazzati via in un baleno, nel caso in cui la signora MacGregor avesse
voluto iniziare una delle sue tirate.
Recuperò una birra dal frigobar e ne scolò metà
tutta d’un sorso, poi si chiuse in bagno, senza curarsi di
recuperare qualcosa con cui rivestirsi. Appoggiò la bottiglia
sulla mensola accanto allo specchio e si buttò in doccia.
Aprì il getto dell’acqua e lasciò che si
scaldasse, cercando di rilassare mente e corpo: gli sembrava sempre di
avere un accenno d’ansia nel respiro, nonostante tentasse di
controllarsi.
Osservò le gocce d’acqua precipitare in un flusso continuo
e lasciò vagare i pensieri, due dita sotto il getto per tenere
sotto controllo la temperatura.
All’improvviso, mentre si stava strofinando energicamente i
capelli, percepì un odore conosciuto e vide la porta del bagno
aprirsi.
-Cos’è successo là fuori?- domandò Crystal,
lanciandogli un’occhiata attraverso il vetro del box doccia.
-Non mi sembra difficile da capire.- commentò Evan,
insaponandosi e lanciandole un’occhiata non esattamente benevola.
Cosa diavolo voleva?
-Mhm…- fece lei, osservandolo attenta. –Quindi il caro vecchio Graham è morto…?
Recuperò un altro po’ di sapone e se lo passò sul
petto. -Non morto: ucciso.- precisò con voce incolore.
-E suppongo sia stato tu.- non era una domanda. Ed Evan si ritenne autorizzato a non rispondere.
Dopo un po’ la sua bionda moglie si avvicinò allo specchio
sopra al piano di marmo e finse di sistemarsi il rossetto. –Non
mi chiedi dove sono stata fino ad adesso?- domandò, lanciandogli
un’occhiata che voleva essere provocante.
-Potresti essere stata su un set fotografico fino ad ora oppure in giro
a trastullarti, non m’importa.- commentò lui.
-In verità sono andata a comprare della lingerie nuova e ho
trovato anche quella per il matrimonio. Poi mi sono fermata a bere
qualcosa con Bree e Steph.- rivelò, facendo scendere abilmente
la cerniera dello stretto abito nero che indossava.
Evan le lanciò un’occhiata, certo di sapere cosa sarebbe successo di lì a poco.
Senza aggiungere altro, Crystal terminò di spogliarsi ed
entrò nel box doccia. Lasciò che l’acqua le
bagnasse i capelli e le scivolasse lungo il corpo, prima di allungare
una mano verso l’inguine del suo compagno e baciarlo con
voracità.
Poco prima di concentrarsi su quel nuovo atto carnale, Evan non
poté fare a meno di pensare che l’assistente di quel
pomeriggio non si sarebbe mai abbandonata a quella rude ed esigente
istintività.
***
-Inizio a spazientirmi: a quando l’attacco?- ringhiò, agitando con fare iroso i pugni.
Aveva percorso lo spazio del grande loft in cui si trovavano ormai da
ore, in lungo e in largo, nervoso come solo un lupo in gabbia
può essere.
Il suo interlocutore, invece, sembrava la calma fatta a persona.
L’aveva incontrato poco dopo l’arrivo del clan
MacGregor, mentre tirava di boxe col suo Beta nel loro quartier
generale.
Quell’uomo si era presentato come Rodrick Cameron e gli aveva
detto che poteva renderlo uno degli Alfa più potenti di New
York, a patto che accettasse di aiutarlo a sbrigare una “faccenda
personale”.
Jared aveva provato ad indagare, dato che non era così stupido
da accettare un accordo a scatola chiusa, ma l’altro non si era
sbottonato.
Gli aveva detto che l’unica cosa che doveva sapere era chi uccidere e quando.
Così, nonostante il suo orgoglio di Alfa, aveva accettato,
stuzzicato dall’idea di distruggere un clan antico come quello
dei MacGregor. Clan di cui gli aveva ampiamente parlato Rodrick,
informandolo sulle identità della triade di potere e di quella
del Campione.
Stava per sbottare nuovamente contro quell’uomo dai capelli sale
e pepe, quando il suo cellulare vibrò. Lo estrasse dalla tasca e
lesse ad alta voce:-C’è un nuovo lupo nella foresta.
Sorrise, soddisfatto e guardò il suo socio in affari.
-Si dia inizio alle danze.- commentò quello.
***
Il giorno prima, quando si era svegliata per andare a correre,
il cielo prometteva pioggia. Quella domenica, invece, si prospettava
mite e soleggiata, perfetta per una visita all’Internazionale,
una fiera gastronomica che raccoglieva i prodotti culinari di buona
parte del mondo.
Si svolgeva al Madison Square Park, quindi abbastanza distante
rispetto a dove abitava Amanda, ma fortunatamente l’uomo aveva
inventato la metropolitana e i trasporti pubblici e per lei non sarebbe
stato così difficile arrivare a destinazione.
Si era messa d’accordo con Drew e Fran per trovarsi
all’ingresso del parco ma, conoscendo la sorella, la giovane si
era presa la libertà di partire con tutta calma e raggiungere la
fiera nel primo pomeriggio.
I primi sentori d’autunno si potevano già scorgere
nelle foglie degli alberi, spruzzate di rosso e arancio. Amanda adorava
quella stagione perché rendeva New York molto più
colorata e le ricordava il Kansas.
Le piaceva anche la temperatura ancora molto estiva che le aveva
permesso di non infagottarsi con sciarpe inconsistenti e giacche.
Sorridente, respirò a pieni polmoni e poi si avvicinò al
bordo del marciapiedi, aspettando che scattasse il verde per i pedoni.
Dall’altra parte della strada si potevano facilmente scorgere le
bancarelle colorate ed i primi curiosi.
Si mosse rapidamente e, in poco, si trovò davanti al cancello
d’entrata. Estrasse il cellulare e scrisse a Frances che
l’avrebbero trovata all’interno, nel caso fossero arrivati
entro un’ora.
Senza nemmeno aspettare una risposta, si addentrò in
quella profusione di odori e colori, lasciandosi investire da
quell’esperienza olfattiva e visiva assolutamente piacevole.
-David, ripetimi ancora una volta perché devo farlo. Soprattutto
nel mio giorno libero.- domandò forse per l’ennesima
volta, scocciato oltre ogni dire.
L’amico sospirò, comprensivo. –Perché la
stampa ci considera dei vip e vogliono alcuni scatti. Dato che tu e
Crystal rappresentate il volto pubblico del branco, Dearan ha deciso di
sfruttare la cosa a proprio favore.- gli spiegò.
L’altro digrignò i denti, profondamente infastidito dal
comportamento del genitore. –Che vada al diavolo.- disse in un
rapido sussurro.
-Vedila come un modo per iniziare a conoscere la città. Anche se
quella non è esattamente la tua zona di competenza.-
cercò d’incoraggiarlo Dave. Tentò anche di
addolcire la pillola con un sorriso, ma non sembrò funzionare.
–D’accordo. Io ed Emily staremo nei paraggi, va bene?
Evan sembrò ritrovare un po’ di serenità. –Grazie.- disse solo.
Lanciò un’ultima occhiata all’inglese e poi
raggiunse Crystal, già seduta sulla sua Porche. Ovviamente, dato
che si era appena fatta le unghie e i capelli, non poteva guidare e
sarebbe toccato a Van.
La cosa gli avrebbe fatto anche piacere, se solo non avesse
odiato le automobili con tutto se stesso. Ogni volta che entrava dentro
una di quelle scatole d’acciaio, si sentiva soffocare. Sapeva che
era solamente una reazione mentale, ma non poteva farci niente:
preferiva di gran lunga la moto ed il vento sul viso.
Proprio come quando era in forma canina.
Osservò la sua cara mogliettina salire a bordo nel modo
più stupido e costruito che avesse mai visto, poi mise in moto e
si diresse verso l’uscita del Wolf’s Pond. Tempo cinque
minuti ed erano praticamente fermi nel traffico cittadino.
“Sarà uno splendido pomeriggio.”, pensò con ironia.
Ci avrebbero messo il doppio del tempo per arrivare a destinazione e questo voleva dire sorbirsi le lamentele di Crystal.
Evan desiderò solamente trasformarsi e correre via,
zigzagando tra le macchine. La Scozia, nel pieno di una tempesta di
neve coi fiocchi, si sarebbe sicuramente rivelata più ospitale
di quella dannatissima città fatta di vetro e cemento.
Camminava lentamente tra le bancarelle, sbirciando un po’ di qua e un po’ di là.
Da appassionata di cucina qual era, per lei tutti quei colori e quegli
odori erano simili al richiamo di una sirena e stava risultando
difficile scegliere cosa comprare.
Ogni volta che sembrava aver preso una decisione, una vocina nella sua
testa le diceva di aspettare e proseguire per vedere se c’era di
meglio.
-Uffa… non riesco a decidermi.- piagnucolò osservando un’enorme piramide di cannoli siciliani.
Oltre alle leccornie italiane, l’attirava moltissimo la
bancarella delle spezie e quella indiana, da cui un sacco pieno di
curry sembrava ammiccare ai passanti.
Era stata presa talmente tanto che non si era nemmeno accorta
dell’arrivo di molte altre persone: il circuito centrale del
parco era ormai ufficialmente affollato.
-Vuole un assaggio?- si sentì chiedere.
Alzò di scatto gli occhi chiari e si ritrovò davanti una
signora dal viso pieno e gioviale. –Come…?- fece, smarrita.
La donna indicò i dolci. –I cannoli. Ne vuoi provare uno,
bambina?- le sorrise, passando ad un tono più confidenziale.
-Oh. Magari… anche se sarei molto più interessata alla
ricetta.- ammise, arrossendo leggermente. Sin da quando aveva iniziato
la high school, la sua curiosità si era trasformata in strani e
colorati piatti.
A volte i risultati non erano stato dei migliori, ma poi aveva iniziato
a ricercare le ricette e gli ingredienti di quello che le piaceva o
attirava la sua attenzione e il salto di qualità era stato
notevole. Da allora provava a rubare ricette famose o custodite
gelosamente per poterle ricreare nella sua cucina.
-Posso farti assaggiare questa prelibatezza, ma non cederò mai
la mia ricetta.- rispose la venditrice, ridacchiando divertita.
-Lo immaginavo.- mormorò la giovane, afferrando la cialda che le veniva porta. –Quanto le devo?
La sua interlocutrice scosse la mano. –Offre la casa.
Amanda la guardò stupita. –Ne è sicura?
-Certamente. Si vede che sei una che apprezza la buona cucina.- le fece l’occhiolino, facendola sorridere a sua volta.
-Be’, allora grazie.- mormorò, salutando subito dopo ed allontanandosi per lasciare il posto ad altri clienti.
Facendo attenzione a non sporcarsi, morse con delicatezza il cannolo e
lasciò che la ricotta le si sciogliesse in bocca, fresca e
corposa. Chiuse gli occhi, assaporando quel piccolo capolavoro, e poi
s’incamminò lentamente, seguendo il flusso.
Avanzò di pochi metri e si ritrovò in mezzo ad un folto
gruppo di persone. Immediatamente il respiro le si bloccò
all’altezza del petto ed allontanò il dolce dalla bocca.
Iniziò a contare fino a dieci, provando a defilarsi il più rapidamente possibile.
“Perché mi infilo sempre in situazioni del genere?”,
si chiese, arrabbiata con se stessa. Evitarle, però, le era
impossibile: non sopportava di essere limitata dalla sua fobia e aveva
deciso di non imporsi divieti di alcun genere.
D’accordo, era escluso l’attraversamento del Canale della
Manica in treno o un concerto al chiuso, ma per il resto poteva farcela.
Improvvisamente, dopo esser scampata alla piccola folla, s’imbatté nella sorella.
-Oh, eccoti qui! Ti abbiamo cercata ovunque!- la rimproverò Frances.
Mandy la guardò stranita, cercando sostegno in Andrew.
–Scusate, mi ero lasciata prendere.- disse, mostrando loro il suo
trofeo.
-Ho visto. Su, diamoci all’esplorazione!- Fran la prese a
braccetto, agganciandosi subito dopo al fidanzato e trascinandoli
entrambi con sé. Lei non era sicuramente una cuoca provetta, ma
era una buona, anzi buonissima forchetta e non si sarebbe mai lasciata
sfuggire un evento del genere.
Non appena avevano messo piede fuori dall’auto, la stampa
era piombata su di loro come gli squali su un banco di pesci.
Infastidito, Evan aveva stretto con forza le chiavi nel pugno e si era
mantenuto in disparte, sperando che l’appariscente persona di
Crystal potesse bastare a tener buoni i giornalisti.
Purtroppo, una donna si accorse della sua presenza e gli si
avvicinò col microfono. –E’ lei il famoso signor
MacGregor?- gli chiese, avvicinandosi molto più di quanto lui
avrebbe voluto.
-No, sono l’autista.- rispose prontamente.
Alla sua uscita, la sua compagna lo fulminò con
un’occhiata degna della Regina delle Nevi. Peccato che non gli
facesse più effetto da tempo.
I presenti si voltarono verso Crystal, in cerca di spiegazioni.
–Sta scherzando. Lui è Evan, mio marito.- lo
presentò, sfoggiando un sorriso spiccatamente falso.
-Oh, bene. Le andrebbe di rispondere a qualche domanda?- chiese un uomo sulla cinquantina, registratore alla mano.
“Resta calmo.”, si disse. –Ve ne concedo tre.- disse solamente.
Al che si scatenò un mezzo parapiglia e per poco alcuni dei
reporter non arrivarono alle mani. Ad avere la meglio furono tre donne,
di età compresa tra i venti e i quarant’anni. La prima si
avvicinò tutta sorridente e chiese:-Da quanto dura il vostro
matrimonio?
-Cento quarantanove anni.- rispose lui, senza il minimo accenno di
dubbio. Aveva tenuto il conto come se, ad un certo punto, avesse potuto
andarsene e lasciare quella prigione.
-Come vi siete incontrati?- fu la seconda domanda.
Il giovane MacGregor represse una smorfia, ricordando perfettamente il
giorno del proprio matrimonio e la vista di Crystal in abito da sposa.
–Non ci siamo incontrati: semplicemente i nostri padri hanno
combinato il matrimonio per ragioni… politiche, si può
dire così.- rispose, lanciando un’occhiata a sua moglie.
La vide assottigliare gli occhi, segno che avrebbe preferito una bella
bugia infiocchettata invece di una semplice verità.
Probabilmente stava oscurando un po’ la sua stella, ma non gli
interessava più di tanto. Non era lui ad aver scelto di
possedere il mondo.
Dopo quell’affermazione la folla si calmò e gli
sembrò quasi di sentire gli ingranaggi dei loro cervelli
lavorare a spron battuto. Alla fine, l’intervistatrice che si era
accaparrata il diritto all’ultima domanda si fece avanti.
-Prova ancora lo stesso sentimento dopo tutti questi anni?
Evan si trovò in difficoltà: mettere i bastoni fra le
ruote a Crystal lo divertiva sempre parecchio, ma non si considerava
meschino fino al punto di rivelare a tutti i dettagli della sua vita
privata.
-E’ una buona compagna di vita, sempre presente ed entusiasta.-
replicò, modulando bene la voce. L’incredulità sul
volto della bionda lo fece quasi scoppiare a ridere: probabilmente non
se l’era aspettato. –Scusate, ma ora dovremmo andare.-
aggiunse, avvolgendole la vita con un braccio e guidandola verso
l’ingresso.
Dopo un po’ lei mormorò:-Grazie…
Le lanciò un’occhiata coi suoi occhi grigi. -Sai che non sono così stronzo.
La sua compagna non rispose nulla e lui preferì lasciar cadere
il discorso, concentrandosi sulla marea umana che li attendeva oltre le
cancellate.
Con la coda dell’occhio intercettò David ed Emily,
esattamente dalla parte opposta rispetto a dove si trovavano loro.
-Ehi, Drew, guarda!
Frances lo afferrò per un braccio e lo trascinò davanti
ad una bancarella che vendeva dolci realizzati con le più
disparate forme di pesci.
Il ragazzo ridacchiò ed indicò un pesce palla, riportando alla mente un episodio della loro vacanza in Egitto.
Amanda sorrise, osservando la scena con la coda
dell’occhio. Le mancava avere quel tipo di complicità con
un uomo, qualcuno che potesse dirsi suo compagno o amico.
“Sono in carenza d’affetto.”, realizzò con un filo di tristezza.
Sapeva che non doveva lasciarsi abbattere, considerato il fatto che
aveva ancora molto tempo per trovare il principe azzurro e proporgli
una cavalcata nelle campagne del Kansas. Esatto, proporgli una
cavalcata: non era il tipo di donna da rimanere inerme in attesa
d’aiuto.
E non l’avrebbe fatto nemmeno per soddisfare l’ego del suo lui.
-Mandy!- si riscosse all’improvviso e si voltò.
-Sì?
Fran le allungò un piccolo bignè con scaglie di mandorle.
-Questo devi assolutamente riproporlo, è squisito!- le disse,
addentando il proprio dolcetto. Si lasciò sfuggire una risatina
di fronte all’entusiasmo di sua sorella e poi diede a sua volta
un morso.
Effettivamente, quel dolce andava riproposto ad una cena: il contrasto tra dolce e amaro era superbo!
-Hai ragione.- commentò, leccando dalle dita gli ultimi
rimasugli di miele. –Ora chiedo il nome di questa bontà.
Amanda fece per sporgersi ed attirare l’attenzione del venditore, quando in lontananza si sentì un urlo.
I tre ragazzi si voltarono di scatto, così come le persone
attorno a loro. Erano tutti chiaramente confusi e non sembravano sapere
cosa stesse succedendo.
Sicuramente non era un’attrazione della fiera.
Tempo pochi minuti e si udirono dei ringhi molto forti e i prodotti di alcuni banchi d’esposizione volarono in aria.
-Ma cosa…?- Mandy cercò di alzarsi in punta di piedi per poter vedere, ma la folla iniziava a spingere.
Improvvisamente venne investita da una marea urlante di persone, alcune
delle quali ferite. Senza poterlo impedire si
ritrovò circondata ed impossibilita a fare qualsiasi cosa che
non fosse farsi trascinare.
Senza nessun preavviso, un gruppo di licantropi aveva fatto
irruzione nel Madison Square Park e aveva iniziato a seminare il panico.
Non sapeva chi fossero né a quale branco appartenessero, ma doveva fermarli prima che uccidessero un innocente.
Dato che erano in forma umana non si trasformò, ma si
buttò a capofitto nel parapiglia, urlando a Crystal di seguirlo
per dargli una mano. Per quanto potesse essere egoista e vanitosa, in
forma canina era una licantropa molto dotata.
Scartò alcune persone e con la coda dell’occhio scorse
David ed Emily correre nella sua direzione. Senza decelerare
urlò loro:-Dividiamoci ed intercettiamoli!
I due annuirono e si divisero, mentre alle sue spalle sua moglie faceva lo stesso, allontanandosi da lui.
Lasciò liberi i sensi e li usò per individuare un
obiettivo in mezzo a tutti quegli odori e quei suoni. Percepì
un’aura non molto lontana e deviò a sinistra, senza
smettere di correre e scartare gente.
Evitò una sedia voltante ed afferrò fulmineamente un
bambino, nascondendolo dietro di sé in modo che non fosse
colpito da un altro oggetto scaraventato per aria.
-Allontanatevi! Fate in fretta!- gridò ai presenti, mentre la
bestia dentro di lui iniziava ad agitarsi, smaniando un combattimento.
La folla ruppe gli argini, scappando attraverso gli spazi liberi tra un
banco d’esposizione e l’altro oppure spintonandosi verso
l’uscita più vicina.
Evan non vi badò, concentrandosi sull’uomo che aveva di
fronte. Il vento aveva trasportato il suo odore ed ora i due si stavano
fissando negli occhi, studiandosi.
Dopo istanti che parvero secoli, l’avversario si lanciò in
avanti, le mani protese e piegate ad artiglio. Il Campione del clan
MacGregor divaricò leggermente le gambe, pronto a
rispondere all’attacco.
Quando fu abbastanza vicino lo afferrò per i polsi
(evitando accuratamente le unghie) e bloccò la sua corsa,
sferrandogli una ginocchiata in pieno stomaco. Quello sputò
tutta l’aria che aveva nei polmoni, gemendo per il colpo.
Senza una parola, lo scozzese mollò la presa
sull’avambraccio sinistro e gli rifilò una gomitata alla
base del collo, riuscendo a stordirlo. Fece per renderlo
definitivamente innocuo quando un’altra ondata di persone li
travolse, facendogli perdere la presa sul suo avversario.
Non riusciva a liberarsi e non vedeva più nemmeno Fran ed Andrew.
Tentò nuovamente di farsi strada tra tutti quei corpi, ma era
bloccata. Se avesse smesso di agitarsi, si sarebbe resa conto di esser
trasportata dal flusso senza bisogno di usare le gambe.
Il problema era che non avrebbe potuto calmarsi nemmeno volendolo.
In quanto claustrofobica, ritrovarsi pressata senza via d’uscita
era una situazione altamente pericolosa per lei. Sentiva già il
panico montare e il fiato spezzarsi.
Provando a mantenere una parte del cervello sufficientemente
vigile per poter fuggire, iniziò a contare mentalmente: le
avevano insegnato che focalizzarsi su altro aiutava a superare le crisi
di panico senza troppi danni.
“Passerà, Amanda. Ne uscirai, tranquilla.”,
cercò di convincere se stessa così come un venditore
porta a porta provava a convincere un cliente riluttante.
Purtroppo la sua tecnica non sembrava funzionare e sentiva la gola
sempre più stretta, come se qualcuno la stesse strozzando.
Annaspò in cerca d’aria, provando a far forza per ottenere
un po’ di spazio attorno a sé.
-Per favore…- mormorò con un filo di voce.
Nessuno era interessato alla sua paura, erano tutti troppo concentrati sulla propria.
Con la coda dell’occhio continuava a vedere ferite ed occhi
sbarrati, senza riuscire a capacitarsi di quello che stava succedendo.
-Amanda!
Alzò la testa di scatto, riconoscendo la voce di Andrew. Si
guardò intorno freneticamente, provando a liberare un braccio
per farsi notare. La crisi era ormai imminente: la paura aveva
conquistato il suo corpo.
-Amanda! Mandy!
-Sono qui!- riuscì ad agitare la mano e sperò che quello
bastasse per permettergli d’individuarla. Improvvisamente si
sentì afferrare e venne trascinata in avanti, fendendo la marea
umana come la prua di una nave.
Quando si ritrovò libera da tutte quelle membra provò a
prendere un respiro profondo, ma capì che non aveva il tempo
necessario per farlo.
-Dobbiamo uscire da qui, non possiamo fermarci!- si sentì tirare
in piedi e vide di sfuggita l’espressione preoccupata del
fidanzato di sua sorella.
Annuì debolmente, confusa e strinse forte la sua mano, obbligandosi a correre.
Dopo nemmeno dieci metri si ritrovarono la strada sbarrata. C’era qualcosa, o meglio qualcuno, che impediva di raggiungere il cancello.
Tutt’attorno iniziavano a sentirsi le sirene delle ambulanze e quelle delle vetture della polizia.
-Dove andiamo…?- domandò Frances, la fronte imperlata di sudore.
Andrew, l’unico in grado di ragionare ancora lucidamente, si
guardò intorno in cerca di una soluzione, ma non ebbe nemmeno il
tempo di aprir bocca che si sentì qualcuno urlare.
Subito dopo un paio di malcapitati si schiantarono sulle prime fila di
quel gruppo di persone, mandandone parecchie a rovinare al suolo.
Ci furono gemiti e proteste, ma soprattutto ringhi. Uno dei licantropi
si stava divertendo a terrorizzare i presenti, ferendoli e mandandoli
gambe all’aria. Fortunatamente non sembrava voler uccidere
nessuno, almeno non in prima istanza.
-Dobbiamo andarcene da qui.- stabilì Drew. Amanda, accanto a
lui, non poté far a meno di ondeggiare il capo, troppo
preoccupata a recuperare la calma. Stava per andare in iperventilazione
e doveva evitarlo a tutti i costi.
Sua sorella sembrò notarlo, perché disse:-Drew! Amanda…!
Il ragazzo si voltò ad osservarla e riuscì solo a
sgranare gli occhi, consapevole, prima di esser investito da un muro di
corpi e finire schiacciato a terra.
Le due lo seguirono in quella rovinosa caduta e Mandy si
ritrovò col viso premuto sul cemento ruvido del percorso, il
busto di un uomo a bloccarle la parte inferiore del corpo.
La diga che era riuscita faticosamente a costruire cedette e tutta la
paura si riversò all’esterno, lasciandola boccheggiante e
preda di ansiti.
Aveva sistemato due licantropi, mettendoli in fuga e David si
stava occupando di un altro attaccabrighe, non molto lontano. Emily
sembrava sparita, mentre Crystal se le stava dando di santa ragione con
una donna.
Evan fece per cercare l’odore della nuova affiliata quando
individuò una gran folla di persone, tutte ammassate le une
sulle altre.
Aggrottò le sopracciglia, perplesso e, poco dopo, ecco
giungergli al naso un odore sconosciuto, ma familiare. Arricciò
il labbro superiore, stanco di quell’insulsa manifestazione di
forza.
Il mondo intero era ancora diffidente nei confronti delle
creature soprannaturali e gesti del genere avrebbero solamente
confermato le teorie degli oppositori, facendo passare i licantropi per
mostri guidati dal solo istinto.
“Ora smetterai di creare disordini.”, pensò,
correndo verso la cancellata dov’era bloccata buona parte della
gente presente alla fiera. Sorpassò parecchie persone e ne
scavalcò fisicamente altre, giungendo in poco davanti al suo
avversario.
-Toh… un lupacchiotto!- esclamò quello, fingendosi
stupito. –Un lupacchiotto di alto rango, a quanto pare.-
aggiunse, dopo una rapida occhiata.
Evan assottigliò gli occhi, lasciandosi scivolare addosso
l’insulto velato. –Vattene subito se non vuoi passare
guai.- ordinò scandendo bene tutte le parole.
L’altro scoppiò a ridere. –Sennò? Mi uccidi?
-No, ti arresto.- ghignò lo scozzese, mostrandogli fugacemente
il proprio distintivo. Avendo deciso di vivere tra gli umani, i
licantropi dovevano sottostare alla maggior parte delle loro leggi e la
prigione era una pena a cui potevano essere condannati come chiunque
altro.
Il suo contendente non si degnò nemmeno di rispondere prima di
gettarsi a testa bassa contro di lui. Il giovane MacGregor
allargò le braccia, pronto ad accoglierlo e, quando se lo
ritrovò addosso, gli bloccò il collo in una presa ferrea.
Attorno a loro la folla riprese ad agitarsi, spostandosi come un
branco di pesci di fronte ad un predatore. Molti dei presenti erano
ancora schiacciati sotto il peso di altri corpi e la situazione
rischiava di degenerare.
-David!- chiamò a gran voce, parando un pugno e rispondendo con
una gomitata. Con la coda dell’occhio gli sembrò di vedere
la chioma scura dell’amico, ma fu distratto da un nuovo attacco.
Tentò di allontanarsi da quel punto affollato, ma l’altro
licantropo lo arpionò alle gambe, mandandolo lungo disteso
sull’asfalto del percorso. Ringhiò, infastidito e
liberò abilmente una gamba, imprigionando nuovamente il collo
del proprio avversario e ribaltando i ruoli.
-Proprio non impari mai, eh?- lo schernì, voltandosi sulla
schiena. Quello gli mostrò i denti e, a tradimento, glieli
affondò nel polpaccio.
Trattenne un’imprecazione e mollò la presa, dando modo all’altro di liberarsi.
-Mi occupo delle persone, tu occupati di quel bellimbusto!- la voce di
Dave gli arrivò nitida da poco lontano, segno che l’amico
l’aveva ormai raggiunto.
Con una preoccupazione in meno, si rialzò e fece scrocchiare le dita delle mani, pronto a tirare qualche pugno.
L’altro sembrò capire l’antifona e decise di trasfigurare parti del proprio corpo.
“Un lupo del nuovo ceppo genetico.”, pensò stupito
Evan. Da quando era in America era già il terzo che incontrava,
mentre in Scozia erano molto rari. Inseguì quel pensiero per
qualche istante, ma poi lo ricacciò indietro per potersi
concentrare nello scontro.
Giusto in tempo per evitare un affondo e rispondere con un colpo al plesso solare.
Non sapeva più dove si trovava.
Sapeva solo che c’era un sotto ed un sopra, ma non era sicura
nemmeno di quello. Adesso giaceva su un fianco, ma la situazione stava
rapidamente degenerando.
Tentare di autoconvincere il suo cervello che andava tutto bene era inutile, ormai.
Aveva le lacrime agli occhi e aveva disimparato a respirare, limitandosi a boccheggiare come un pesce fuor d’acqua.
Avvertiva il frenetico pulsare del sangue nelle orecchie e le
sembrò di poter sentire il cuore espandersi e contrarsi con uno
spasimo.
Era avvolta dalla confusione, dai respiri di altre persone e da
discorsi frammentati. Qualcuno urlava, qualcun altro cercava di
mantenere il controllo di se stesso e della situazione.
Non sapeva dove fossero Frances ed Andrew, li aveva persi di vista quand’erano stati travolti dalla folla impazzita.
Improvvisamente una voce calma ed autoritaria prevaricò tutte le
altre e, a poco a poco, le sembrò che le persone attorno a lei
diminuissero, allontanandosi. Avvertì un peso abbandonarla, ma
non avrebbe saputo dire se fosse stato reale o psicologico.
Senza sapere bene come riuscì a sdraiarsi sulla schiena e a fissare gli occhi sul cielo settembrino.
“Non riesco a respirare.”, si portò le mani alla
gola, tentando di liberare le vie respiratorie in un qualche magico
modo. Era completamente preda della crisi di panico e probabilmente
sarebbe andata in tachicardia entro poco.
Sentiva il proprio corpo tremare, preda di spasmi che non riusciva a
controllare. Aveva la gola in fiamme e un dolore cieco
all’altezza del petto.
“Non voglio morire schiacciata dalla paura.”, pensò, terrorizzata.
-Amanda!- si sentì chiamare.
Le sembrò di riconoscere la voce di Frances, ma non ne era
pienamente sicura. La sentì una seconda volta e poté
confermare che le apparteneva.
S’impose d’attendere qualche istante, sperando che la
raggiungesse e l’aiutasse ad uscire da quel brutto guaio, ma lei
non arrivò.
Al suo posto vide Andrew.
Sgranò gli occhi, stupita, nell’esatto istante in cui il
ragazzo veniva trapassato da una mano artigliata. Drew spalancò
la bocca, muto ed abbassò gli occhi su quelle unghie sporche di
sangue.
Il suo sangue.
Tentò di parlare, ma cadde al suolo nell’esatto istante in cui gli artigli si ritrassero dal suo corpo.
A quella vista il respiro di Amanda si bloccò definitivamente.
-Bastardo!
Evan e David urlarono nello stesso istante, sconvolti da quello che era appena successo.
Senza bisogno di parlare o scambiarsi occhiate d’intesa, i due si gettarono sul licantropo e lo inchiodarono al suolo.
Quello ringhiò, provando a liberarsi, ma il Campione del clan
MacGregor lo dissuase in fretta da qualsiasi tentativo di fuga con un
sibilato:-Se ti opponi alla cattura ti stacco la testa.
Lo scozzese alzò gli occhi ed incontrò quelli
dell’amico, preoccupati ma decisi. Gli fece un cenno
d’intesa e lo lasciò alle sue cure, rialzandosi subito
dopo.
Quando si guardò intorno trovò Emily e Crystal al proprio
fianco, scarmigliate ma illese. Con la coda dell’occhio vide
arrivare i primi poliziotti.
-Il soggetto catturato è un soprannaturale, affidatelo a chi è in grado di gestirlo.- disse loro.
-E voi chi sareste?- gli chiese un uomo con un bel paio di baffi.
Estrasse rapidamente il proprio distintivo, mostrandolo al collega. -Capitano Evan MacGregor.
Alla vista del piccolo oggetto, l’altro poliziotto deglutì
nervosamente e cercò di allentare il colletto della divisa con
rapidi gesti delle dita.
Evan fece per dargli una strigliata, quando la sua attenzione fu
richiamata dalla voce di una donna. –Aiutatelo! Per favore!-
stava gridando tra le lacrime.
Senza esitare un attimo di più raggiunse il poveretto che era
stato trapassato dagli artigli di quello stupido licantropo
psicopatico. S’inginocchiò accanto al ragazzo e lo
girò lentamente sulla schiena, arricciando il naso alla vista
della ferita che aveva poco sotto le ultime costole.
-Evan, quant’è grave?- David lo affiancò, probabilmente dopo aver affidato il sospettato agli altri agenti.
Gli lanciò una rapida occhiata prima di sporcarsi due dita di
sangue e saggiarne la consistenza. –Non mi piace. Sta perdendo
veramente troppo sangue.- commentò, la mascella contratta.
Sentiva uno strano peso sullo stomaco, ma non riusciva ad identificarlo.
-Chiamate un’ambulanza, così morirà!-
supplicò Frances, le mani tremanti al pari del corpo. I due si
voltarono a guardarla e, solo in quel momento, si resero conto che
accanto a lei c’era una persona svenuta.
-Crystal, controlla il suo battito.- ordinò Evan. Per una volta
sua moglie non protestò e fece come le era stato chiesto.
Appoggiò due dita sul collo della giovane e stette immobile
qualche istante.
-Ha avuto un attacco di panico molto forte.- sentenziò infine.
–Quando si sveglierà sarà in stato di shock,
probabilmente.
Suo marito annuì rapidamente, tornando ad occuparsi del giovane riverso a terra.
“Di questo passo morirà dissanguato. Non c’è
tempo per portarlo all’ospedale.”, realizzò,
tentando di tamponare la ferita con le mani. Cercò di prendere
in fretta una decisione, ma l’unica decisione da prendere sarebbe
stata quella sbagliata.
Contrasse la mascella, cercando di trovare un altro modo. Mentre
ragionava sentiva il sangue fluire caldo e viscoso tra le proprie dita
e i battiti del cuore del ragazzo decelerare.
“Devo farlo.”, si disse infine. Non avrebbe lasciato morire
un innocente, soprattutto non davanti ad una persone che lo amava.
-David.- mormorò.
Il moro si voltò a guardarlo, insospettito dal tono che aveva
usato. Si chinò in avanti per poterlo guardare negli occhi, ma
l’amico glielo impedì. –Cosa vuoi fare…?-
chiese, preoccupato.
-Devo farlo, altrimenti morirà.- rispose, fermo nella propria decisione.
Dave lo afferrò saldamente per una spalla, obbligandolo a voltarsi. –Evan, no!- si oppose.
-Non lo lascerò morire.- replicò. La sua voce stava
iniziando a suonare metallica, segno che era in atto una
trasformazione. Difficile dire se parziale o completa, considerato che
si trattava di lui.
-Dearan andrà su tutte le furie!
-Non m’importa.
Detto questo trasmutò il proprio viso nel muso di un lupo e,
dopo essersi abbassato sul collo del malcapitato, lo morse con tutta la
forza che aveva.
|
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Capitolo 6 *** Cap. 5 Against the rules ***
Cap. 5 The newcomer and the exiled
Vi
avevo lasciato con un grande punto di domanda... in questo capitolo
scoprirete cosa ne sarà di Andrew e vedrete mettersi in moto il
sistema di leggi che regola il mondo dei licantropi.
Buona lettura :)
Cap. 5 Against the rules
David si passò una mano tra i capelli, senza sapere bene cosa fare.
Evan aveva deciso di salvare quel
povero ragazzo nell’unico modo che non gli era consentito. Non
poteva più impedirgli di agire, era troppo tardi ormai.
Ma l’avrebbe aiutato ad
arginare la situazione. E l’avrebbe sicuramente sostenuto
più tardi, di fronte a Dearan.
Entrambi sapevano che ci sarebbero state ritorsioni, il problema era stabilire quanto gravi.
Avvedendosi dell’arrivo della
stampa e di molte altre pattuglie, l’uomo richiamò
l’attenzione delle due compagne d’avventura. –Emily,
Crystal.
Le due si scambiarono una rapida
occhiata, ancora attonite di fronte alla scelta di trasformare il
ferito. Pochi istanti dopo raggiunsero David.
-Trasformiamoci e facciamo da scudo a Van. Teniamo questa cosa lontana dalle grinfie della stampa.- disse, deciso.
-D’accordo.- rispose
prontamente la nuova affiliata. La signora MacGregor ci mise qualche
secondo in più, ma alla fine fece un cenno col capo.
Tutti e tre s’inginocchiarono
e, sotto gli occhi di una molto più che spaventata Frances,
mutarono forma. Poco dopo, alle loro figure si sostituirono tre grossi
lupi alti quasi come un cavallo da tiro.
Si disposero attorno ad Evan e lo coprirono alla vista con la propria stazza, ponendosi a difesa del piccolo gruppetto.
Non l’aveva mai fatto prima e non sapeva esattamente come avrebbe dovuto agire.
Conosceva quell’atto come pura teoria, dato che non aveva le credenziali per poterlo mettere in pratica.
Il suo cuore aveva preso le
redini e aveva spinto per fargli prendere quella decisione. Non avrebbe
saputo dire se tutto ciò fosse dovuto al suo senso di giustizia
o ad altro, ma tant’era.
Il sangue arterioso gli aveva ormai
riempito la bocca, scendendogli giù per la gola in un rapido e
dolce fluire. Sapeva che non doveva lasciarsi prendere da quel
richiamo, se no sarebbe stato tutto inutile.
Afferrò con forza le
braccia del giovane e stroncò il suo debole tentativo di
ribellione. Era cosciente del dolore che gli stava infliggendo (lo
ricordava bene), ma solo così avrebbe potuto salvarlo.
Deglutì un’altra
sorsata di liquido rosso, continuando a mordere in profondità. I
suoi denti raschiarono contro le ossa della colonna vertebrale, segno
che ormai erano affondati abbastanza nella carne.
Si ritrasse con un movimento rapido, sentendo la propria volontà traballare al sapore della carne fresca.
Restò a fissare lo scempio
che aveva eseguito, imbrigliando nuovamente la bestia nelle
profondità del proprio essere. La compagna della vittima se ne
stava non molto lontano, gli occhi così dilatati da mostrare
interamente la sclera.
Lo stava fissando con puro terrore, ma poteva vedere anche un barlume di speranza in fondo alle sue iridi chiare.
Nonostante lo considerasse
un mostro, voleva credere che avesse le capacità per salvarlo.
Le fece un impercettibile cenno del capo, come a voler rispondere alla
sua supplica. Lei sobbalzò, reprimendo uno strillo.
Fece per riabbassarsi sul collo del
ragazzo, quando si rese conto che David, Emily e Crystal gli stavano
facendo scudo coi propri corpi.
“Grazie.”, indirizzò loro il pensiero.
“Ti prego, finisci quello che hai iniziato. Fa’ in fretta.”, rispose Dave, contraendo i muscoli delle zampe.
Evan annuì e si
abbassò, leccando con indecisione la grossa ferita stillante
sangue. Il suo paziente gemette brevemente, ma senza cercare di
allontanarlo da sé. Allora iniziò a lappare con
più forza, eliminando tutti i residui di sangue dal collo.
Alle proprie spalle sentiva le voci
dei giornalisti e quelle dei poliziotti, le sirene delle ambulanze e la
presenza dei curiosi, dall’altro lato della strada.
Non vi badò e continuò quello che stava facendo, portandolo a termine subito dopo.
“Spero che basti.”, si disse, riassumendo sembianze umane.
Osservò il proprio operato e si ripulì distrattamente la bocca col dorso della mano, sulle spine.
-Ho finito…- disse, a nessuno in particolare.
-Cosa gli avete fatto?
L’avete… l’avete trasformato?- vedendo che i
licantropi si stavano muovendo, Frances si alzò in piedi di
scatto.
I lupi si voltarono a guardarla,
così come l’uomo che aveva morso Andrew. Arretrò di
un passo, spaventata dal suo aspetto.
-Sì, ho dovuto morderlo per
evitare che morisse…- mormorò Evan, rimanendo immobile e
cercando di risultare il più innocuo possibile. Sapeva che era
pressoché impossibile, considerato com’erano ridotti il
suo viso e la sua maglia.
-E… e ora starà bene?
-Dovete venire con noi. Tutti quanti.- le rispose, accennando col capo alla donna che giaceva ancora svenuta.
A quelle parole Fran si allarmò. –Venire con voi? Perché?- chiese, sulla difensiva.
-Perché c’è una
persona molto più esperta di me che si prenderà cura del
tuo compagno.- le spiegò, calmo. La sua parte animale percepiva
senza problemi il rapido battito del cuore della ragazza, così
come il suo naso captava la paura che la avviluppava. –Non vi
faremo del male.- aggiunse.
Frances si strinse nelle spalle,
passando gli occhi da Amanda ad Andrew. Non sapeva cosa fare e avrebbe
tanto voluto avere Greg lì con sé: era lui quello in
grado di prendere decisioni difficili.
Non conosceva quelle persone, anzi quei licantropi, ma era pienamente consapevole del fatto che uno di loro avesse appena salvato e condannato Drew.
Si morse il labbro inferiore, la testa affollata come un alveare. –D’accordo…- riuscì a dire, infine.
Non appena ebbe dato loro il
permesso, vide i due uomini sollevare attentamente Drew, il quale
protestò con qualche gemito cercando di opporsi a quel
cambiamento. La morettina che era con loro, invece, si avvicinò
ad Amanda e la prese in braccio senza problemi, come se fosse un
sollevatore di pesi e sua sorella un sacco di patate.
Fece per dire qualcosa, ma
l’altra lupa l’afferrò saldamente per un braccio e
le disse di seguire il gruppo senza fare tante storie.
La osservò con occhi sgranati riconoscendo in lei Crystal Forbes.
Qualcosa attirò la sua attenzione ed alzò gli occhi dal libro che stava leggendo.
Aggrottò le sopracciglia,
perplesso per poi alzarsi in piedi di scatto ed assumere
un’espressione a dir poco sconvolta.
Abbandonò la poltrona su cui
era comodamente seduto fino a pochi istanti prima e si precipitò
in giardino, immediatamente seguito dal resto del branco, uggiolante di
sorpresa.
Raggiunse Evan e gli altri in poco
e fissò i propri occhi inquisitori in quelli del giovane
MacGregor, in cerca di spiegazioni. Anzi, di una spiegazione plausibile.
Passò rapidamente lo
sguardo su tutti i presenti, imprecando in scozzese e spaventando la
giovane ragazza che stava di fianco a Crystal.
Notando il suo smarrimento, prese
un respiro profondo e tornò ad essere padrone di se stesso.
Solitamente era una persona ragionevole, ma in quel caso era certo di
avere tutti i motivi del mondo per arrabbiarsi.
Van aveva fatto una cosa assolutamente stupida.
-Questo ragazzo ha bisogno del tuo aiuto… io non so gestire questa cosa.- intervenne il diretto interessato.
Alastair lo inchiodò con
un’occhiata bieca. Avrebbe voluto chiedergli il perché del
suo gesto, ma sapeva che il giovane che era con loro aveva la
priorità. Ignorò la curiosità del branco,
assiepato alle proprie spalle, e disse:-Portatelo nel mio studio.
-E della ragazza che ne facciamo?- domandò Emily, facendogli notare il corpo inerme che reggeva ancora tra le braccia.
-Un po’ di sali dovrebbero
bastare, a meno che non abbia subito un trauma cranico.- risolse
l’uomo, avviandosi verso la grande villa.
Precedette Evan e David e
liberò il grande tavolo di mogano per far spazio al paziente.
Era da tantissimo tempo che non aveva a che fare con un nuovo affiliato
e temeva di essersi arrugginito.
“Speriamo che io sappia ancora fare il mio lavoro di Beta.”, si augurò.
Non sapeva cosa stesse succedendo, l’unica cosa di cui era certa era che si trovava nella tana dei licantropi.
E uno di loro stava per mettere le mani sul corpo di Andrew.
-Cosa vuole fare?- domandò, preoccupata. In risposta ottenne qualche occhiata fuggevole e poco altro.
Fece per ripetere la domanda quando
l’uomo coi capelli ramati rispose:-Devo controllare se la
trasformazione ha iniziato il suo corso in modo corretto.
Fran trattenne un gemito. –Quindi diventerà veramente un licantropo?
-Se Evan ha fatto tutto correttamente, sì.- confermò l’altro.
“No!”, spostò
gli occhi sul fidanzato, sentendosi morire dentro. Non stava accadendo
davvero, non a lei. Non poteva credere che Drew sarebbe… che non
sarebbe più stato lo stesso.
E, come se non bastasse, Amanda sembrava non volersi riprendere.
-David, allontana gli altri, per
favore. La loro curiosità mi sta trapanando il cervello.-
ordinò perentorio Alastair.
Dave annuì rigidamente e si
affrettò a scomparire dietro una porta di legno
dall’aspetto solido ed elegante. Con la coda dell’occhio,
Frances vide la giovane donna che reggeva il corpo di sua sorella
depositarlo su una chaise long.
Senza sapere bene cosa fare,
lanciò un’occhiata di desiderio nella direzione di Andrew
e poi fece lo stesso verso Mandy. Da chi andare?
-Vai da lei, non puoi fare molto per il tuo compagno.- si sentì dire.
Quasi sobbalzò e si diede
della cretina per quella stupida ed incontrollata reazione. Rapidamente
raggiunse Amanda e le si sedette vicino, stringendole con forza la mano
sinistra.
Osservò attentamente il suo viso, tentando di scorgere qualche segno di ripresa.
“Avanti, Mandy, svegliati!”, supplicò. Aveva bisogno di un bel po’ di sostegno morale, in quel momento.
Non che si sentisse in pericolo, quello no (ok, forse non nell’immediato), ma aveva le idee totalmente confuse.
-Il morso è un po’
troppo profondo, ma per il resto hai fatto un buon lavoro.- la voce
dell’uomo che si era fatto carico del suo fidanzato la
riportò alla realtà.
-Quindi…?
Lo vide scuotere la testa.
–Sì, avremo un nuovo lupacchiotto.- confermò. Ci fu
qualche istante di silenzio, durante il quale tutti i presenti
assimilarono la notizia. –Ora spiegami perché l’hai
fatto.
Frances puntò gli
occhi sull’uomo che aveva morso Andrew, in attesa. Aveva ormai
capito che aveva scelto di trasformarlo per salvargli la vita, ma
continuava a chiedersi se non esistessero veramente altre opzioni
praticabili.
-Sarebbe morto prima di arrivare in
ospedale. Non avrei mai lasciato morire un innocente, soprattutto a
causa dell’attacco di un gruppo di licantropi fuori di testa.-
sentenziò Evan, convinto della propria decisione.
Il suo interlocutore chiuse gli
occhi, traendo un respiro profondo. Sotto le sue mani, Andrew giaceva
praticamente immobile. –Perché? Perché proprio tu?
Lo sai cosa succederà…!- alzò la voce,
inchiodandolo con uno sguardo di fuoco.
Il giovane fece per replicare,
quando un gemito spezzò la tensione di quel momento. Tutti i
presenti si voltarono verso la fonte di quel rumore e gli occhi di
Frances si appuntarono su Amanda.
Quando la vide sollevare le
palpebre sentì le lacrime rotolare giù dalle guance.
Senza pensarci due volte la stritolò in un abbraccio, grata che
si fosse ripresa.
Confusa, la ragazza non poté far altro che attendere pazientemente che la sorella allentasse la presa.
-Lasciala respirare: lo shock l’ha lasciata disorientata.
Fran si staccò di colpo, rendendosi conto di quello che stava facendo. –Oddio, scusami! Stai… stai bene?
L’altra si portò una
mano alla testa, sentendola pulsare fastidiosamente. Avvertiva anche
uno strano dolore all’altezza dello sterno, ma non riusciva a
ricordare cosa fosse successo.
-Il cuore sta bene. Ti sentirai
spossata, ma dovresti esserci abituata, giusto?- Alastair dedicò
parte della propria attenzione alla giovane donna che si era appena
ripresa. Doveva aver avuto un attacco di panico abbastanza
problematico, considerato il ritmo del suo cuore e gli strascichi di
stress che le sentiva addosso.
Amanda fissò quell’uomo come se fosse Dio. O Satana. –Come… come…?- provò ad articolare.
-Sono un medico. E sono anche un licantropo.- le rispose, accennando un sorriso.
Frances vide la consapevolezza
farsi strada nel suo sguardo. Subito dopo, però, Amanda
l’afferrò saldamente per un braccio ed
esclamò:-Andrew!
Davanti a quello sguardo di panico, Amanda si sentì morire.
Cos’era successo mentre era priva di sensi?
Si guardò attorno, cercando di dare una collocazione geografica al luogo in cui si trovava.
-Sei nella nostra tana, a Staten
Island.- qualcuno rispose alla sua domanda inespressa. Si voltò
di scatto e per poco non imprecò a causa della stilettata di
dolore alla testa.
Serrò con forza gli occhi,
trattenendo il respiro. –Chi siete?- riuscì a chiedere,
recuperando pian piano il controllo del proprio corpo.
-Alcuni licantropi del branco
MacGregor.- le disse uno dei presenti. La sua voce era calma e calda,
ma con un pizzico di ruvidezza.
Osservò l’uomo che le
aveva risposto e notò la sua chiara provenienza europea. Quello
che l’attirò, però, fu il ragazzo al suo fianco.
Sgranò gli occhi,
riconoscendolo e per poco non urlò. Anche lui sembrò
finalmente realizzare chi lei fosse, ma lo stupore non arrivò a
palesarsi sul suo viso.
-Da quel che deduco vi siete…
Un altro gemito, questa volta
proveniente da Andrew, attirò l’attenzione di tutti.
Amanda balzò in piedi, vedendolo steso sul grande tavolo di
legno massello.
“Cosa diavolo è
successo mentre ero svenuta?!”, sentì il panico
impadronirsi di lei. Spostò lo sguardo su Frances e la
trovò con la stessa espressione di prima: era terrorizzata, ma
anche rassegnata.
-F-Frances…- la voce stentorea di Drew interruppe il ritmo dei pensieri di Mandy.
Sentendosi chiamare, sua sorella la
superò e si avvicinò senza riserve al fidanzato. Non
notò gli sguardi attenti dei licantropi presenti nella stanza. O
almeno, Amanda supponeva fossero tutti licantropi.
Fran trovò e strinse una
mano di Andrew, sorridendogli ed accarezzandogli i capelli con fare
materno. –Sono qui…- tentò di sorridergli e suonare
rassicurante.
Lui aggrottò le sopracciglia. -Sono morto…?
-No, ma presto desidererai esserlo.- Alastair s’intromise nel quadretto, avvicinandosi a sua volte al tavolo.
La giovane lo guardò senza capire a cosa si riferisse. Era ancora in pericolo di vita?
In effetti la parte superiore del
suo corpo era completamente imbrattata di sangue e sembrava avere i
segni di una ferita sul collo.
“Ma era stato colpito allo stomaco…”, ricordò, confusa.
Sapeva che le mancava una parte fondamentale della vicenda, ma nessuno sembrava intenzionato a raccontargliela.
Mentre tentava di metter
ordine nella propria mente, un improvviso movimento ai margini del suo
campo visivo attirò la sua attenzione. Sollevò gli occhi
e vide Frances fare un balzo indietro, spaventata.
Nello stesso istante si
sentì tirare indietro e i tre uomini presenti circondarono e
bloccarono Andrew, che aveva i denti digrignati come un animale
selvaggio.
-Cosa succede…?- chiese,
allarmata. Anche sua sorella era stata fatta arretrare e ora si
ritrovava protetta da una brunetta più esile di lei, ma
particolarmente agguerrita.
Drew iniziò a contorcersi,
artigliando l’aria come se volesse afferrare qualcosa che solo
lui poteva vedere. I suoi occhi chiari, di solito così miti e
gentili, erano iniettati di sangue.
Evan MacGregor, l’uomo
che aveva incontrato pochi giorni prima da Kleinfeld, gli
inchiodò una spalla alla superficie rigida del tavolo,
impedendogli di muovere la parte destra del corpo. Sul suo viso non
riuscì a leggere altro se non determinazione.
-David, fermalo! Vado a recuperare
le catene!- ordinò l’uomo coi capelli ramati, facendo
cenno al giovane accanto a sé.
Quello annuì e bloccò
il busto di Drew, che si ribellò con forza a quella nuova
costrizione, urlando parole senza senso.
Quello che sembrava esser il
più anziano tra i lupi fece per uscire di gran carriera, quando
la porta si spalancò di colpo e sulla soglia comparve un uomo
particolarmente somigliante al giovane MacGregor.
Fece spaziare lo sguardo su tutta
la superficie della stanza, saettando da un dettaglio all’altro
con rabbia. Infine, i suoi occhi si attestarono sul tavolo.
-Cosa sta succedendo qui?!
–Mo Maighstir! Dearan! Padre!- il nuovo arrivato venne apostrofato da tutti gli uomini presenti e ognuno di loro gli diede un titolo diverso.
Quello non si lasciò
distrarre e, la rabbia dipinta negli occhi, avanzò di un passo
nella stanza, riempiendola con la propria presenza.
Andrew percepì
un’aura molto potente premere contro il suo essere e qualcosa
dentro di lui agitarsi, risvegliato da quel contatto.
Non sapeva cosa stesse succedendo
né perché gli sembrasse di bruciare dall’interno.
Il suo corpo stava combattendo con un elemento estraneo, elemento che
però sembrava riconoscerne altri affini attorno a sé.
Ricordava di essere stato attaccato da uno di quei licantropi… gli artigli… poi…
-Lasciatemi andare, vi prego!- urlò, inarcandosi e tendendo tutti i muscoli del proprio corpo.
-Non possiamo.- si sentì
sussurrare all’orecchio. La voce gli sembrò familiare, ma
avrebbe potuto essere un semplice scherzo della sua mente.
Ogni singolo muscolo del suo corpo
era teso allo spasimo, quasi volesse lacerarsi. Le ossa, solitamente
salde, sembravano voler rompere le fila e trovare una nuova
collocazione.
Si morse l’interno della
bocca, provando a contenere l’urlo di dolore che gli era salito
lungo la gola, ma riuscì solo a sputare un fiotto di sangue
assieme alla voce.
“Fatelo finire! Fate finire questo supplizio!”, supplicò.
Provò a sollevarsi,
artigliare la superficie su cui era sdraiato, ma gli arti superiori gli
erano stati nuovamente bloccati.
Improvvisamente gli sembrò
di captare odori che prima di allora non aveva mai notato e sentiva uno
strano sottofondo di tamburi, ritmici ed ipnotici.
-Fran…- riuscì ad articolare. Dov’era? Perché non era lì accanto a lui?
E Amanda?
Aveva avvertito la stretta della
sua fidanzata solo per pochi istanti, poi era diventato tutto confuso
ed ora era in preda a quel delirio interiore.
Mentre lui provava a vincere la
lotta contro la bestia che stava prendendo dimora dentro di lui, i
presenti tacevano, tesi come corde di violino.
Puntò gli occhi sull’umano in fase di trasformazione e dilatò le narici, furibondo.
-Chi. Ha. Osato. Trasformarlo?-
sillabò a fatica. Le sue dita artigliarono lo stipite della
porta, lasciandovi profondi solchi.
Ascoltò il ritmo del cuore di ogni singolo lupo presente nella stanza, senza riuscire a capire chi si stesse nascondendo.
-Dearan…- Alastair si fece avanti, l’aura protesta verso la sua in un tentativo di ammansirlo.
Si ritrasse con sdegno. –Non provare a chetarmi, cugino!- lo avvertì.
-Vorrei evitare che uccidessi
persone innocenti.- l’altro gli rammentò la presenza delle
due umane, seminascoste dietro la nuova arrivata e Crystal.
-Persone che non dovrebbero essere nemmeno qui!- sbraitò. –Ora dimmi chi è stato!
Si fissarono negli occhi per diversi istanti, portando avanti una lotta silenziosa e mentalmente sfibrante.
Alla fine Evan si fece avanti e, guardandolo fisso, disse:-Sono stato io.
A quelle parole l’Alfa divenne paonazzo. –Tu!?
Nonostante fosse suo figlio, sangue del suo sangue, nulla gli dava il diritto di prevaricare il suo potere di capobranco.
Il lupo dentro di lui
ringhiò, furente e pronto ad attaccare. Iniziò a tremare,
lasciandogli prendere il sopravvento.
Ma prima che potesse anche
solo iniziare la trasformazione, Alst si gettò su di lui e lo
bloccò al muro, ordinandogli di trattenersi. Dearan fece
scattare la mascella a vuoto, tentando di morderlo per riflesso.
-Non sfidare il tuo Alfa, Beta. A meno che tu non voglia proporti come Pretendente.- lo minacciò.
-Smettila di comportarti da stupido
e ascolta le ragioni di tuo figlio!- il suo secondo lo premette
maggiormente contro la superficie ruvida, tentando di farlo ragionare.
Il problema era che, una volta arrabbiatosi, Dearan MacGregor era come un treno in corsa.
Assottigliò gli occhi e
scaraventò Alst all’indietro, mandandolo a rovinare
addosso alla chaise long accanto alla finestra. Lo scozzese non si
scompose minimamente e si rialzò riassestandosi la camicia.
Nei suoi occhi non c’era nessun barlume di sfida.
-Smettila di prendertela con Alst! Lui stava solo dando una mano.- Evan si mise in mezzo.
Lo fissò con astio. -Posso ammazzare te, se preferisci.- sibilò, stringendo spasmodicamente le mani.
Suo figlio fece per replicare, ma
Alastair e David si misero in mezzo. Sembrava che fossero tutti
intenzionati a sfidare la sua autorità, quel giorno.
Li guardò dall’alto in basso, provando a sottometterli con l’ausilio della propria aura, ma loro si opposero.
-Non è stata una decisione
voluta, Evan è stato costretto…!- tentò di
spiegare il giovane ed irritante inglese.
Vedendo che il suo Beta stava per
aprir bocca ed aggiungere qualcosa, lo fece spostare con una spallata e
si piazzò davanti al figlio. –Ti bandisco dal branco, Evan
MacGregor. Ti bandisco per aver violato la gerarchia di potere e le
regole del nostro mondo. Non osare metter più piede
all’interno del mio territorio.- sentenziò, lapidario.
Trasformare un umano senza essere
un Alfa o senza avere il suo permesso era considerata una delle
più gravi inflazioni alle leggi del branco che un licantropo
potesse compiere.
Non c’erano mezze misure né legami di sangue che tenessero: la pena era l’esilio dal gruppo.
“Questa è la tua
punizione per aver sfidato apertamente la mia autorità,
figlio.”, pensò, osservandolo.
Non sembrava turbato né
arrabbiato. Da quando l’aveva costretto a sposarsi con Crystal
non gli aveva mostrato altro che indifferenza.
-Ai tuoi ordini, mo Maighstir.- replicò, dedicandogli un inchino ironico.
-Ogni tuo legame coi licantropi di
questo branco termina qui.- gli ricordò, prima che se ne
andasse. Questo comportava anche l’annullamento del contratto
matrimoniale stabilito coi Forbes, ma il suo orgoglio veniva prima di
tutto.
Evan fece un breve cenno del capo e poi uscì dall’appartamento di Alastair.
Amanda lo osservò uscire, senza parole.
Fino a poco prima era terrorizzata
all’idea di finire nuovamente in mezzo ad una lotta tra
licantropi ed ora si ritrovava a fissare senza parole i presenti,
sconvolta da quello che era successo.
A quanto pareva, mordendo Andrew, Evan aveva infranto una delle regole più importanti del suo mondo.
“Perché l’ha
fatto, allora?”, si chiese. Spostò lo sguardo su Frances,
sconvolta quanto lei e scosse la testa, basita.
-Dearan, cos’hai fatto?-
chiese l’uomo chiamato Alastair, scioccato oltre ogni dire. La
sua espressione valeva mille parole.
L’Alfa si voltò con un
movimento repentino e gli ringhiò contro. –Non osare
criticare le mie scelte. Ha infranto una delle nostre leggi più
importanti e ha ricevuto la giusta punizione.- ribadì, imponendo
la propria decisione.
L’altro fece per replicare,
ma il moro con un leggero accento inglese lo precedette,
dicendo:-Considerami fuori dal branco, allora.
A quell’ennesimo colpo
di scena, Amanda non avrebbe saputo dire cos’altro sarebbe
successo di lì a poco. Forse si sarebbero scannati oppure
avrebbero ucciso lei e sua sorella in un impeto di rabbia, salvando
Drew perché era diventato un nuovo affiliato, anche se non
voluto.
-David… cosa…?-
qualcuno cercò di fermarlo, ma il ragazzo era già sparito
oltre la soglia, al seguito dell’amico.
-Benissimo. Qualcun altro ha intenzione di dire la sua?- Mandy sentì il capobranco sbuffare, infastidito.
Passò lo sguardo sui presenti, cogliendo con la coda dell’occhio un singulto di Andrew, misteriosamente calmo.
Fece per farsi avanti e dire che
avrebbero tolto il disturbo, ma la ragazza davanti a Frances
l’anticipò. –Io ho chiesto la protezione del
Campione, quindi non ho motivo di restare. Tolgo il disturbo, grazie
per l’ospitalità.- disse, decisa.
L’occhio destro di Dearan
venne scosso da un tic, mentre la rabbia gli attraversava il viso.
–Molto bene. Portate con voi queste estranee e levatevi dai
piedi!- sbottò, già deciso a ritirarsi nelle sue stanze
con un’uscita trionfale.
Questa volta Alastair lo
afferrò saldamente per un braccio, obbligandolo a fermarsi.
–Non puoi cacciare il ragazzo: fa parte del branco, ora. E sta
per avere la sua prima trasformazione. La legge ti obbliga a proteggere
i nuovi lupi.- gli fece notare, avvalendosi delle regole come aveva
appena fatto l’altro.
-NO!
Senza potersi trattenere, Frances
urlò il proprio disappunto. Subito si scontrò con gli
occhi dell’Alfa e si ritrasse, spaventata.
-Non potete tenerlo qui con voi contro la sua volontà!- Amanda si fece avanti, difendendo la sorella.
-Ora non è in grado di
decidere. Lo farà una volta terminata la trasformazione.-
sentenziò lo scozzese. –Ora andatevene!
Le due si videro afferrare per le
braccia e condurre fuori dalla stanza. A nulla valsero i loro tentativi
di opporsi. L’uomo le trascinò fino all’ingresso,
passando davanti agli altri membri del branco, assiepati lungo il
corridoio.
Quando furono nell’atrio le
mollò con malagrazia e dedicò loro un’ultima
occhiata ostile. Fatto ciò scomparve nei meandri della casa,
lasciandole sole.
-Io torno di là e gliene
dico quattro!- sbottò Frances, già sul piede di guerra.
Amanda, molto meno impulsiva, le afferrò saldamente la mano,
trattenendola. –Lasciami!
-Vuoi farti uccidere?- le chiese.
Sua sorella la fissò, indecisa su cosa dire. –No… ma io…
-Hanno detto che, una volta
terminata la prima trasformazione, potrà prendere una
decisione.- le ricordò, tentando di suonare incoraggiante.
-Ma non possiamo lasciarlo qui in mezzo ad un branco di sconosciuti!- tentò nuovamente.
Mandy scosse la testa.
–Dobbiamo. Quell’uomo, Alastair, sembra sapere il fatto
suo. Fidiamoci.- replicò. –Dopotutto ci hanno salvate, no?
L’altra fece per protestare,
facendole notare che avevano fatto molto di più che salvarle, ma
si trattenne. Si torturò per un po’ il labbro inferiore e
poi annuì, raggiungendo la porta a vetri che conduceva
all’esterno.
Non appena fu uscito, si
diresse rapidamente al piano di sopra per raggiungere la propria stanza
e raccogliere i suoi averi.
Aveva immaginato che le cose si
sarebbero concluse in quel modo, ma una parte di sé provava
qualcosa di molto simile al risentimento. Dearan non aveva mostrato
nulla se non indignazione per l’affronto subito.
“D’altronde, cosa
potevo mai aspettarmi dal grande Dearan MacGregor?”, si chiese
sorridendo ironico. Spalancò la porta della grande cabina
armadio ed afferrò un borsone dalla sommità di uno dei
mobili, lasciandolo cadere pesantemente a terra.
Aprì con violenza le ante
dell’armadio più vicino e prese ad estrarre le proprie
cose, infilandole con gesti automatici nella sacca.
-Vuoi veramente andartene come se niente fosse?!
Sollevò lo sguardo e vide
Crystal ferma sulla soglia della cabina, le mani sui fianchi ed
un’espressione scioccata sul viso.
-Non cambierà nulla, per te.
Continuerai ad avere i tuoi vestiti, la tua macchina e la tua
popolarità.- le fece notare, tornando ad occuparsi del proprio
bagaglio. Ora ci si metteva anche lei? Sapevano tutti e due che non le
importava niente del loro rapporto.
-Ma non avrò più te!- piagnucolò la bionda.
Evan sollevò un
sopracciglio, stupito dalla mirabile interpretazione. –Potresti
tentare la strada del cinema, sai? Hai un vero talento per la
recitazione.- le suggerì.
Con la coda dell’occhio la
vide serrare la mascella, indignata. –Smettila di prenderti gioco
di me. Noi siamo sposati! Non puoi andartene e lasciarmi qui
così!- sbottò, inviperita.
Al che, Van si raddrizzò e
la fissò dal suo metro e novanta abbondante. –Noi non
siamo sposati. Siamo semplicemente un uomo ed una donna che,
occasionalmente, vanno a letto insieme per soddisfare i rispettivi
impulsi.- replicò, calmo.
-Ma… dopo tutti questi anni…
-Io non ho imparato ad amarti
né tu me ne hai mai dato la possibilità. Sei sempre stata
un’approfittatrice, almeno nei miei confronti.- passò ad
un altro armadio e continuò a riempire il borsone.
A quelle parole Crystal non seppe cosa rispondere, zittita dalla pura e semplice verità.
Il più rapidamente
possibile, il suo ormai ex marito terminò di raccogliere le
proprie cose e poi la superò. Prima di uscire dalla porta della
loro camera per l’ultima volta, si voltò e le
disse:-Troverai qualcun altro con cui sollazzarti, ne sono sicuro.
Prese a scendere le scale, captando
rumori di trapestio dall’appartamento di David e voci
dall’esterno. Probabilmente i giornalisti li avevano seguiti fino
a lì, come sempre a caccia di uno scoop.
A quanto pareva, erano la nuova fonte di scandali di New York.
-E cosa dirò alla stampa?- la voce di Crystal lo raggiunse lungo l’ultima rampa di scale.
-Quello che preferisci.- mormorò, dirigendosi verso la cucina per poter uscire indisturbato.
-Vi aiuto ad andarvene. Immagino
non vogliate affrontare i giornalisti.- Emily apparve dietro di loro,
silenziosa come solo un licantropo sapeva essere. Le due sorelle
sobbalzarono, colte di sorpresa. –Scusate!
-Scusa tu, non ti abbiamo sentita
arrivare.- le disse Amanda, lanciandole una rapida occhiata. Non sapeva
come si chiamasse quella ragazza, ma si era dimostrata molto protettiva
nei loro confronti, anche durante l’attacco al Madison Square
Park.
Restarono a fissarsi in silenzio
per un po’, ognuna persa nei propri ragionamenti e nelle proprie
valutazioni. Alla fine, fu Frances la prima a riscuotersi e
dire:-Meglio uscire.
La loro accompagnatrice
annuì e fece loro cenno di seguirla. Raggiunsero rapidamente la
cucina, ignorando i membri del branco che se ne stavano sulle soglie
con sguardi curiosi, ma anche affamati.
-Evan, dannazione, aspetta!
Erano quasi entrare nella grande
stanza adibita alla preparazione di cibi (per lo più chili di
carne al sangue), quando il ragazzo riccio le superò di gran
carriera.
-David!- Emily richiamò la
sua attenzione. Lui allora si voltò e osservò le tre con
espressione perplessa, prima di rendersi conto del perché anche
loro si trovassero lì. –Che stavi facendo?
Sospirò. –Stavo
cercando di inseguire Evan. Conoscendolo andrà a dormire a
Central Park.- rispose, passandosi una mano tra i capelli scuri.
-Se stai andando a cercarlo vengo
anch’io. Lascia solo che accompagni fuori le nostre ospiti.-
disse la sua interlocutrice.
Lui annuì distrattamente,
salvo poi ricordarsi di una cosa. –Non mi sono nemmeno
presentato, che cafone! David Rockbell, piacere.- disse, aprendosi in
un sorriso caldo e luminoso.
-Noi siamo Amanda e Frances, tanto
piacere.- rispose la più piccola delle sorelle Miller,
sfoggiando a sua volta un sorriso aperto e cordiale.
-Io sono Emily.- aggiunse l’ultima rimasta.
-Venite, vi faccio uscire.- David
tenne aperta la porta e, non appena furono tutti fuori, indicò
alle giovani il sentiero per uscire dal Wolf’s Pond. -Scusate se
non ci tratteniamo, ma dobbiamo ritrovare Evan. Vi chiederei di non
raccontare a nessuno quello che è successo questa sera.-
aggiunse subito dopo.
-S-sì, certamente!- rispose Mandy, colta in contropiede dalla richiesta.
-Grazie. Arrivederci.- e detto questo l’inglese scomparve nella notte, come se fosse stato fumo.
-Alla prossima.- anche la lupa si congedò, confondendosi ben presto con le ombre e le sagome degli alberi.
Amanda e Frances rimasero immobili nell’aria settembrina, ancora confuse da ciò che era successo.
-Andrew si riprenderà, vero?- domandò ad un certo punto Fran.
“Non lo so.”, pensò immediatamente sua sorella. –Certo, ne sono sicura.- le disse invece.
Subito dopo, dalla grande villa alle loro spalle, si levarono delle grida inarticolate, che di umano avevano ben poco.
Amanda si concesse una rapida occhiata e poi mormorò:-Andiamocene. Cerchiamo di evitare i giornalisti.
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Capitolo 7 *** Cap. 6 Ripartire da zero ***
Cap. 6 Ripartire da zero
Oserei
dire che qui stiamo andando dalla padella nella brace. Ora che Evan
è stato cacciato ed Andrew sta combattendo con la sua nuova
parte animale, sorge il problema dell'accettazione per Frances.
Che succederà?
Be', nessuna anticipazione, buona lettura :)
Cap. 6 Ripartire da zero
-Dannazione, Evan! Dove diavolo ti sei cacciato?!- imprecò David.
Lui ed Emily stavano seguendo la
scia dell’amico da più di un’ora, ma lui non voleva
farsi trovare e sapeva nascondere le proprie tracce con grande
abilità nonostante fossero a New York da poco più che una
settimana.
-E’ veloce.- commentò l’americana, concedendosi un attimo per riprendere fiato.
-Oh, non sai nemmeno quanto.-
brontolò il suo compagno di caccia. –Non è
diventato il Campione grazie ad un colpo di fortuna…- aggiunse
tra sé.
Emily si fece attenta. –E com’è successo?
Dave le lanciò
un’occhiata e poi scosse la testa, deciso a non rivelare
questioni riguardanti la vita personale del suo migliore amico.
–Non è compito mio spiegartelo, mi dispiace.-
tagliò corto, raddrizzandosi.
Si mise a scrutare attentamente la
banchina, provando a rintracciare la scia animale di Van. Avevano fatto
su e giù tra Staten Island e Manhattan almeno cinque volte,
senza riuscire ad avvicinarsi alla loro preda.
David sapeva quanto quel
testardo di Evan fosse stato segnato da quanto appena accaduto, sapeva
anche che aveva molta rabbia in corpo e non aveva nessuno contro cui
dirigerla. Solitamente era lui ad ascoltare i suoi sfoghi e
l’avrebbe fatto anche in quell’occasione, se solo
l’amico gliene avesse data la possibilità.
“Smettila di farti
desiderare, dannazione!”, pensò, fiutando ancora una volta
l’aria densa e pregna d’odori di New York. Improvvisamente
qualcosa solleticò la sua attenzione e voltò la testa di
scatto, verso la Statua della Libertà. –Trovato!
Senza nemmeno avvisare si mise a
correre lungo la banchina di cemento, fendendo l’aria come una
freccia. Emily, presa in contropiede, si mise alle sue calcagna dopo
qualche istante.
-L’hai trovato?- gli domandò.
-Sì. Stava cercando un posto
che gli potesse ricordare casa e gli permettesse di stare in pace.-
replicò l’inglese, balzando oltre un canale di scolo.
-E dove stiamo andando, quindi?
-Central Park. Come avevo ironicamente predetto.- fu la risposta.
Allungò la mano verso la porta, pronta ad inserire la chiave nella toppa, ma si fermò.
Si voltò lentamente e guardò sua sorella.
-Fran… vuoi rimanere da me questa notte?- le chiese Amanda, anche se con un piccolo tentennamento.
Frances si riscosse e la
guardò come se fosse un fantasma o un altro essere appartenente
al soprannaturale. –Come?- fece, sperduta.
-Vuoi rimanere a dormire da me?-
domandò nuovamente l’altra. Durante il lungo tragitto
verso casa, le due non avevano praticamente parlato, perse nei propri
pensieri. Ma Mandy sapeva che, nonostante il silenzio, sua sorella era
sul punto di crollare.
Lei era quella abituata ad
un mondo fatto di certezze, dove i cambiamenti arrivavano pian piano,
annunciandosi come ospiti beneducati. Sapere che il suo fidanzato si
sarebbe trasformato in lupo ad ogni luna piena non era sicuramente un
cambiamento da poco.
Frances aveva bisogno di metabolizzare la cosa.
In fretta, possibilmente.
“Deve abituarsi
all’idea che Drew non sarà più lo stesso.”,
si disse Amanda, osservandola. Restò pazientemente in attesa, le
chiavi ancora in mano.
Alla fine sua sorella mormorò:-D’accordo.
Annuendo impercettibilmente, la
mora aprì la porta del proprio appartamento e la spinse
delicatamente all’interno. La lasciò seduta sul divano,
inerte come un blocco di pietra e si diresse in camera per rimediarle
un cambio.
Mentre scandagliava i
cassetti alla ricerca di una maglietta, l’enormità di
quanto accaduto la colpì in pieno. Si bloccò di colpo e
fissò il proprio riflesso nello specchio sopra la cassettiera:
aveva un bel paio di occhiaie e sembrava che fosse stata travolta da un
branco di bufali impazziti.
Ma la cosa più importante
era che Andrew non faceva più parte del loro mondo. Era stato
accolto in una famiglia diversa, che gli avrebbe insegnato a cacciare e
a trasformarsi in un lupo.
Se mai il branco avesse deciso di
lasciarlo andare, si sarebbe sentito a casa lì con loro oppure
no? A quali sofferenze stava per andare in contro?
E cosa sarebbe successo se quell’uomo, Evan MacGregor, non l’avesse morso?
“Sarebbe morto.
Sicuramente.”, si disse Amanda. Il suo cervello continuava a
rimbalzare da un pensiero all’altro, chiedendosi se quella fosse
l’unica soluzione fattibile.
Probabilmente non l’avrebbe
mai saputo e doveva mettersi nell’ordine d’idee che avrebbe
dovuto imparare a convivere col mondo soprannaturale.
Un rumore la distrasse dai propri
pensieri, facendola voltare verso la soglia. Non vide nessuno, ma il
rumore di poco prima si ripetè.
Accigliata, lanciò quello
che aveva recuperato sul letto e si avviò verso la zona giorno.
Non appena fu in sala, ritrovò Frances in lacrime, un cuscino
stretto al petto.
-No… Fran…- le si
avvicinò senza esitazione e l’avvolse in un abbraccio
caloroso, sedendosi subito dopo al suo fianco. –Non fare
così, vedrai che si sistemerà tutto.
Sua sorella scosse la testa, seppellendo il viso nella sua spalla e continuando a piangere come una bambina.
Quello era lo sfogo che tanto aveva temuto Amanda: significava che Frances era definitivamente crollata.
E lei si sentiva così
stordita da dubitare di avere la forza di farsi carico del suo dolore.
Purtroppo non c’era nessun altro lì con loro e disturbare
Gregory non era un’opzione possibile, soprattutto considerato che
erano le tre di notte.
-Ti prego, non piangere… Andrew…- sussurrò, tentando d’iniziare un discorso vagamente consolatorio.
-No! Andrew non sarà
più lo stesso, d’ora in poi! Non appartiene più al
nostro mondo!- replicò l’altra, trattenendosi a stento
dall’urlare.
A quelle parole, Amanda non
poté fare a meno che arrabbiarsi. –Ma cosa stai dicendo?!
Andrew rimarrà sempre Andrew! Anche con una coda e una
pelliccia!- sbottò, allontanando la sorella per poterla fissare
dritto negli occhi.
La ragazza, però, scosse la
testa, rifiutandosi di cambiare il proprio punto di vista. Mandy allora
sospirò, decidendo di lasciarla sfogare fino a quando non si
fosse addormentata.
Dovette aspettare altre due ore
prima di poter lasciare la sorella sul divano e caracollare a letto,
gli occhi praticamente chiusi per colpa della stanchezza.
Il giorno dopo, anzi no
quella stessa mattina, avrebbe dovuto alzarsi per andare al lavoro e
fare finta che niente di tutto quello che era successo fosse capitato.
Si era lasciato guidare dai propri sensi e dalla rabbia.
Un lato del suo cervello sapeva che
quello che era successo era un’inevitabile conseguenza della sua
scelta, ma l’altra parte continuava a rinfacciargli il
disinteresse del padre.
Nonostante lo disprezzasse
con tutto se stesso, non poteva fare a meno di considerarlo
l’unico parente stretto rimastogli. Sentiva di avere, volente o
nolente, un legame.
Legame che l’orgoglio di Dearan non aveva faticato ad ignorare.
“La legge del branco è
uguale per tutti, no? Avrei dovuto ricordarmelo.”, pensò
fissando un punto imprecisato del cielo. In quel piccolo angolo di
paradiso si riusciva a scorgere qualche fioca stella, non oscurata
dalle luci prepotenti della città.
Si sistemò meglio sul
masso su cui si era appollaiato e si passò una mano tra i
capelli, tentando di mettere un freno alla sua lotta interiore. Ma era
difficile farlo, soprattutto quando sentimenti che credeva di aver
sepolto avevano deciso di tornare a galla.
“In fondo lo considero ancora
mio padre.”, quel pensiero gli lasciò in bocca un gusto
amaro. Sarebbe stato tutto molto più facile se lui e Dearan si
fossero odiati.
“Potrei imparare ad odiarlo,
ma a che scopo? La mia anima si consumerebbe senza portare a
nulla.”, considerò. Afferrò il borsone con le
proprie cose e lo sistemò dietro di sé, appoggiandovisi
subito dopo con la testa.
Lasciò vagare lo
sguardo tra le rade nuvole che correvano in cielo, provando a lasciar
languire i pensieri e le preoccupazioni: nonostante l’uscita in
grande stile, avrebbe ben presto dovuto pensare a reperire un nuovo
appartamento.
-Finalmente!
La pace che regnava attorno a lui fu rotta dalla voce di David. Sembrava leggermente seccato.
Evan si voltò lentamente a
guardarlo, per nulla stupito di vederlo lì. Fu la presenza di
Emily a fargli alzare le sopracciglia, perplesso.
-Cosa ci fate qui?- domandò, apparentemente annoiato.
-Smettila con quel tono, sai
benissimo perché siamo qui!- lo additò l’amico.
–Mi hai fatto innervosire per bene, razza di stupido!
Perché non hai aspettato che ti raggiungessi?
-Non sei stato esiliato dal branco, a quanto ricordo.- tentò di farlo ragionare.
Dave sgranò gli occhi e per
poco non fece schioccare la mascella, innervosito. –Mi chiedo
perché continuo a voler ragionare con te. Siamo qui
perché abbiamo deciso di seguire te e non Dearan!-
strepitò.
-Non ve l’ho chiesto!- a
quella risposta Evan si levò in piedi con uno scatto,
proiettando all’esterno la propria aura. –Non ho chiesto a
nessuno di sacrificarsi per me.- aggiunse, fissando l’inglese
dritto negli occhi.
-Non è un sacrificio: è una scelta.- replicò l’altro.
I due rimasero a confrontarsi per
parecchi istanti, le auree selvaggiamente avvinghiate in uno scontro
silenzioso. Alla fine, sotto lo sguardo attonito di Emily, Van distolse
lo sguardo mormorando:-Idiota di un inglese.
-Tu non sei da meno e vorrei farti
notare che essere scozzese è un’aggravante.- gli fece eco
il riccio. L’altro si immobilizzò, poi gli concesse una
mezza smorfia, segno che la piccola diatriba era finita in
parità.
-Ora che avete finito con le vostre
stronzate da maschi, potrei sapere cos’avete intenzione di fare?-
Emily s’inserì nel discorso, seccata per esser stata
ignorata tutto il tempo.
I due si voltarono a guardarla,
ricordandosi solo in quel momento della sua presenza.
–Be’… dobbiamo organizzarci.- meditò David.
-Esattamente. Quindi cosa…
-Quindi ora ci metteremo a dormire
e domani mattina penseremo a cercare un posto in cui stare.-
tagliò corto il Campione del branco MacGregor. Anzi, l’ex
Campione ormai. –A proposito, perché sei qui?
La ragazza si fece indietro,
irrigidendosi. –Ho chiesto la tua protezione, se ben ricordi. Non
ha senso, per me, restare nel branco di tuo padre.- gli fece notare.
-E quindi hai deciso di darti allo
sbaraglio?- le chiese. Il comportamento della nuova lupa era un
po’ strano ed Evan non capiva se dipendesse dal fatto che fosse
nata e cresciuta in un ambiente diverso dal suo o da un suo
presentimento negativo.
Doveva ancora indagare sulle sue
origini, dato che non ne aveva avuto il tempo. Be’, sicuramente
ora sarebbe stato molto più libero rispetto a prima.
-Mi fido più di te che di
Dearan. La mia bestia mi dice di seguirti.- la voce
dell’americana lo riportò alla realtà.
Lui sospirò. –Ti sei
scelta un bell’individuo a cui affidarti, non c’è
che dire.- commentò.
-Oh, credo che tu sia meglio di quello che vuoi far credere.- sorrise lei.
-Lo è.- intervenne David. –A questo proposito, avrei una richiesta.
Van lo guardò stupito, cercando di leggere quelle iridi chiare. –Ossia?- domandò, guardingo.
-Voglio essere il tuo Beta, accettami per favore.
A quelle parole lo scozzese
spalancò la bocca, preso in contropiede. Aveva appena…
no, non era possibile! Sicuramente aveva capito male.
-Cosa…?!
Il moro annuì, convinto.
–Non sto scherzando. Tu hai le abilità per essere Alfa e,
a conti fatti, questo può esser considerato un branco. Quindi,
ti prego, accettami come Beta.- replicò.
-Io non posso essere un
Alfa… sono appena stato cacciato dal mio branco! Anche il mio
matrimonio non ha più valore!- sbottò, gli occhi accesi
di riflessi ametista.
David lo afferrò per le
spalle. –Nessuna legge vieta ai lupi esiliati di costruirsi il
proprio branco.- scandì bene le parole, cercando di convincerlo.
-E’ vero… un Alfa può essere eletto per acclamazione.- confermò Emily.
-Acclamazione?- fece Evan, perplesso. Avevano per caso sbattuto la testa ed erano impazziti entrambi?
La giovane si torturò un
attimo le mani, indecisa se parlare o meno. –Qui in America
alcuni branchi si sono formati per acclamazione: gli Alfa sono stati
nominati a per volontà dei lupi stessi, al di fuori della
discendenza di sangue o di scontri per la carica.- spiegò.
Di fronte a quella notizia, il
licantropo non seppe che cosa rispondere. Guardò l’amico e
nella sua espressione lesse aspettativa e profonda, incondizionata
fiducia.
“Non posso essere un
Alfa…”, si disse, assolutamente convinto della propria
inadeguatezza. –Io… non posso.
-D’accordo. Considerami il tuo secondo in via ufficiosa.- risolse David, senza perdersi minimamente d’animo.
-Ma ti ho appena detto che…!
-Ti farò cambiare idea,
vedrai.- assicurò l’altro, sorridente. –Tu che ruolo
ricoprivi nel tuo branco, Emily?
Lei fece per rispondere, ma si bloccò. Sembrò ponderare le parole da dire e alla fine rispose:-Ero una sentinella.
-Perfetto. Possiamo cavarcela.- concluse l’inglese. –Ora direi che è ora di andare a dormire.
Senza lasciare a nessuno la
possibilità di replicare, si trasformò nella sua forma
animale e poco dopo si accuccio a terra, fissando gli altri due ed
invitandoli a fare lo stesso.
Scuotendo la testa, Evan si chiese cosa l’avesse portato a diventare amico di un incosciente del genere.
Appena messo piede al lavoro, molte delle sue colleghe l’avevano raggiunta, iniziando a farle domande su domande.
Quella stessa mattina era uscito un
articolo sul Times che raccontava dell’aggressione avvenuta al
Madison Square Park e, ovviamente, le ragazze avevano visto la foto che
era stata scattata da alcuni reporters.
Foto che, per sua grande sfortuna, la ritraeva svenuta tra le braccia di uno dei licantropi.
Mantenere la calma e cercare di
tener a bada tutta quella curiosità si rivelò ben presto
stancante: a metà mattina Amanda aveva rischiato di arrabbiarsi
con una cliente e per poco non si era scontrata con una collega.
“Ho bisogno di una
pausa.”, pensò, appoggiandosi pesantemente alla parete di
fondo del suo camerino. Ogni assistente ne aveva uno col proprio nome,
nei quali accoglieva le spose e le loro famiglie.
Prese un respiro profondo e
tentò di metter ordine nelle proprie idee. Tutto quello che era
successo il giorno prima l’aveva lasciata decisamente scossa,
tant’è che quella mattina aveva preso un taxi. Scendere
nei cunicoli della metropolitana le era sembrata un’impresa
titanica e vi aveva rinunciato.
Fece per raddrizzarsi, già
pronta ad accogliere la cliente successiva, quando Gabrielle
passò nel corridoio. Si fermò di colpo e tornò
indietro. –Oh, sei qui. Ti stavo cercando.- le disse.
La mora annuì distrattamente, fingendo di sistemarsi i capelli per terminare di ricomporsi.
-Tutto ok?- indagò l’amica, avvicinandosi.
-Sì… solo…
sai, le ragazze…- mormorò, sentendosi un gran peso sullo
stomaco. Non riusciva a spiegarsi perché, ma ogni volta che le
chiedevano cosa fosse successo le tornava alla mente
l’espressione di Andrew quand’era stato colpito.
-Eh, sei una celebrità, ora:
sei stata salvata da un branco di licantropi.- scherzò Gabbie,
buttandola sul ridere. Ma non appena vide l’espressione
dell’altra si fece seria e aggiunse:-Tutto ok? Hai bisogno di
qualcosa?
Mandy scosse la testa, grata per la
sua premura. –No, tranquilla. Sono solo stanca e ancora un
po’ scossa.- confessò, minimizzando il proprio stato
d’animo.
-Sicura?- fece la sua interlocutrice, per nulla convinta.
-Sì, sicura. Stai
tranquilla. Ora vado: mi aspetta la seconda cliente della mattinata.-
sfoggiò un sorriso quanto mai costruito e schizzò fuori
dal camerino. Non voleva esser compatita dalla gente, anche se sapeva
che l’interesse di Gabrielle era genuino.
Avrebbe superato anche quella: le
ci voleva solo un po’ di tempo per abituarsi realmente
all’idea che Drew non fosse più completamente umano.
Camminò spedita verso la
hall d’ingresso ed andò ad accogliere la sposa,
mostrandosi cordiale e professionale.
Purtroppo la sua facciata non
rimase in piedi per molto, dato che due ore dopo, a pranzo, si
ritrovò a dover rispondere ad una chiamata inaspettata.
–Greg…?
-Mandy! Meno male! È tutto
il giorno che provo a chiamare Fran, ma non mi ha mai risposto!-
esordì il fratello, agitato.
Amanda si accigliò. –Come non ti ha mai risposto?- ripetè, perplessa.
-Sì, nessun segno di vita. E
il cellulare non è morto.- confermò il fratello.
–Ma non è questo il punto! Cioè… sì,
lo è ma… Mandy, cosa diavolo è successo ieri?!
Si morse il labbro inferiore,
lanciando occhiate nervose tutt’intorno. Il volume della voce di
Gregory era così alto che le persone avevano sicuramente sentito
il suo sfogo. –Be’… quello che dice il giornale.-
mormorò infine.
Ci fu un momento di silenzio,
dall’altra parte, e la ragazza temette il peggio. –Vuoi
dirmi che siete state attaccate da un branco di licantropi impazziti,
che tu sei svenuta per un attacco di panico, Fran ha rischiato di esser
attaccata e Drew è stato quasi ucciso?!- urlò tutto
d’un fiato, trapanandole il timpano. Allontanò il telefono
dall’orecchio e lasciò che si sfogasse per alcuni minuti,
imprecando contro il mondo e le creature soprannaturali.
-Sostanzialmente sì.- dovette ammettere.
-Dio, Amanda! E me lo dici con quel tono di voce?- la rimproverò.
Sospirando, la giovane si decise ad
alzarsi, lasciare i soldi per pagare il pranzo ed uscire. Non voleva
dare spettacolo, non più di quanto avesse già fatto.
-Greg, per favore, calmati.- supplicò, massaggiandosi le tempie. –Mi stai trapanando i timpani.
Dopo qualche istante, il suo grande e grosso fratellone mormorò contrito:-Scusami, ho perso la calma.
Mandy sorrise, immaginandoselo
tutto ingobbito, seduto sul bordo della sua scrivania. –Vedila
così: grazie a quel gruppo di licantropi, abbiamo scampato una
sorte peggiore.- disse, cercando di esser conciliante. In fondo,
Gregory aveva reagito in quel modo perché si era preoccupato,
non per rimproverarla.
-Sì, ma… ma Andrew come sta?- volle sapere l’uomo.
A quel punto toccò ad Amanda
prendersi un momento per riordinare i pensieri e decidere cosa
rispondere. –E’ vivo.- rispose.
-E’ all’ospedale?
Sta… sta meglio?- le domandò ancora, accorato.
–Frances è con lui? E’ per quello che non mi ha
risposto?
La ragazza si mise a camminare in
direzione dell’ufficio, lentamente, concentrandosi sul ritmo dei
propri passi per trovare una qualsiasi risposta sensata da dare a Greg
senza rivelargli la dura verità. Alla fine, però, dovette
dichiararsi sconfitta. –E’ stato morso.- rivelò.
-Sul serio…?
Annuì anche se il fratello
non poteva vederla. –Sì. Il licantropo che ci ha salvati
ha ritenuto fosse la cosa giusta da fare per evitare che morisse.-
spiegò.
La sua mente riandò a quei
momenti di puro panico: al viso spaventato di Andrew e a quello
combattuto e alla fine determinato di Evan MacGregor. “Non
l’abbiamo nemmeno ringraziato.”, realizzò, stupita.
-Ho capito. È per questo che
Fran non risponde al telefono.- concluse Gregory. La sua voce la
strappò agli strani pensieri che stava inseguendo con la mente.
-Sì, è probabile.
Credo le ci vorrà un po’ per accettare… tutto
questo.- ammise. –Ma non ti preoccupare: non la lascerò
sola.
-Tu stai bene?
-Sì, sono solo un po’
scombussolata, ma sto bene.- a forza di ripeterlo iniziava a sembrarle
sempre più vero, nonostante non fosse ancora così.
Sospirando, suo fratello
disse:-D’accordo. Scusami per l’improvvisata e lo schizzo.
Se doveste avere un qualsiasi problema, chiamatemi, ok?
-Certo, fratellone, lo faremo.- assicurò lei.
-Sai che quando mi chiami
“fratellone” mi preoccupo: solitamente è
perché sei nei guai.- le fece notare.
“Cavoli!”, pensò
la mora. Aveva usato quell’epiteto senza pensarci. Forse il suo
subconscio le stava lanciando un segnale? Aveva bisogno della presenza
di Gregory? –Mi è uscito così, non ci ho fatto
caso. Giuro che sto, che stiamo, bene!
-Ok, ok, ho capito. Smetto di
stressarti. Ci sentiamo presto, d’accordo sorellina? E salutami
anche Fran, quando torna da lavoro.- si congedò.
-Sarà fatto. Saluta a casa, ciao!
Rimase ad osservare lo schermo del
cellulare, pensierosa, fino a quando un’idea non le balenò
in mente. Sgranò gli occhi e si mise a correre verso la sede di
Kleinfeld, poco distante.
-F-Fran..! Cosa fai qui?
Andrew spalancò gli occhi,
ritrovandosi davanti la propria fidanzata. Probabilmente stava sognando
perché lei non avrebbe dovuto trovarsi lì.
-Drew! Come stai?- gli chiese lei, avvicinandoglisi e prendendogli una mano con fare apprensivo.
Il ragazzo si puntellò su un gomito, ancora disorientato. –Chi…? Come…?
-Sono entrata di soppiatto.-
spiegò lei, capendo il motivo del suo smarrimento. –Non
possono tenermi lontana da te: dovevo vederti.
-Ma non puoi!- esclamò lui, alzando improvvisamente la voce.
Frances si fece indietro, stupita. –C-come…?
Con un grande sforzo, Drew si mise
a sedere e la afferrò saldamente per le braccia. La sua presa
era ferrea nonostante lui non sembrasse nel pieno delle proprie
facoltà fisiche. –Devi andartene da qui. Subito.-
ordinò, scandendo bene le parole.
-No! Perché? Per colpa di quei licantropi?- si schermì la sua fidanzata.
Lui scosse violentemente la testa,
mordendosi il labbro inferiore. –No… non è per
colpa loro. È a causa mia…- mormorò a denti
stretti.
Tutta quell’adrenalina stava risvegliando la bestia, la sentiva.
Doveva sbrigarsi e far allontanare
Frances prima di fare qualcosa d’irreparabile. Non sapeva dove
fossero Alastair né gli altri lupi preposti alla sua
sorveglianza, il che lo metteva in una posizione pericolosa.
Se le avesse fatto del male non se lo sarebbe mai perdonato.
-Cosa significa che è colpa tua?- la sentì chiedere, chiaramente confusa.
-Fran, devi andartene. Ti prego.-
supplicò, cercando di non aumentare la presa sulle sue braccia.
Iniziava a sentire la paura della ragazza e la cosa lo stava
scombussolando. –Ti prego!
-No!- protestò lei, prendendo a tremare. –Drew, cosa ti sta succedendo?
Lui digrignò i denti,
irrigidendo tutti i muscoli del proprio corpo. Stava tentando di
combattere con tutte le proprie forze, ma lo stesso Alastair gli aveva
detto che il suo controllo sulla bestia era praticamente nullo.
L’avevano tenuto in
isolamento dalla sera precedente e, quando si era svegliato, gli
avevano spiegato per sommi capi quello che era successo. Subito dopo
aveva chiesto di poter restare solo per riflettere.
Una parte di lui sembrava aver
intuito le conseguenze di quello che era successo molto prima che si
risvegliasse su un tavolo, in una stanza sconosciuta. Sarebbe diventato
un licantropo e non aveva il potere di cambiare le cose, a meno di
morire.
L’aver iniziato ad accettare
la sua nuova natura gli imponeva di non cominciare la sua nuova vita
ferendo la donna che amava.
-Vattene, ho detto!- ringhiò
con forza, allontanandola bruscamente da sé. Il solo pensare a
Frances gli stava facendo ribollire il sangue.
La sbirciò attraverso le
ciglia abbassate, vedendola spaventata come non mai. Tentò di
parlare, ma sentiva la gola piena di saliva.
-Andrew…
Afferrò con forza i bordi
del letto sul quale l’avevano fatto adagiare e desiderò
con tutte le sue forze di non trasformarsi, di rimanere presente a se
stesso. “Devo farcela!”, si disse.
Serrò così forte la
mascella che la sentì schioccare e per poco non sobbalzò
a quel suono, non riconoscendolo come qualcosa di umano.
Si sentiva schiacciare da una
volontà che non era la sua, selvaggia e incontrastabile.
Lanciò un’occhiata alle proprie mani, terrorizzato e vide
i primi segni della trasformazione. –Frances, vai! Scappa!-
riuscì a ringhiare con voce distorta.
La vide indietreggiare ancora, ora chiaramente spaventata da quello che stava succedendo.
Una fitta lancinante lo costrinse a piegarsi in due e a rannicchiarsi sul materasso.
-Andrew… oddio… cosa…- balbettò Frances, osservando la mutazione in corso davanti ai propri occhi.
Improvvisamente, la porta della
camera si spalancò e ne entrò l’uomo dai capelli
fulvi incontrato la sera precedente. –Cosa sta succedendo qui?!-
esclamò, infuriato.
Diede una rapida occhiata ai due presenti e poi si fiondò da Andrew, inchiodandogli le spalle con una forza inaudita.
-Non so perché tu sia qui,
ma devi andartene. Andrew non è pronto per tornare a casa.- le
disse con voce perentoria. Vedendo che la giovane non aveva ancora
mosso un passo, aggiunse:-Vattene o finirai per essere attaccata!
A quelle parole, Fran si riscosse e
guardò con occhi dilatati i due uomini, impegnati in un braccio
di ferro davvero terribile. Non poteva distogliere lo sguardo dalla
scena, dalle tracce animali che iniziavano a moltiplicarsi sul corpo
del suo fidanzato e dai suoi movimenti imprevedibili.
Ad un certo punto, senza preavviso, la forma lupina prese quasi il sopravvento su Andrew, facendolo urlare di dolore.
Terrorizzata, Frances saltò
oltre la finestra, correndo a perdifiato lungo il sentiero che portava
ad una delle uscite del grande parco.
Aveva chiesto a Gabrielle di poter smontare prima dal lavoro.
L’amica, in quanto responsabile del servizio vendite, non aveva avuto nulla da protestare e l’aveva lasciata andare.
Mentre osservava con angoscia i
grattacieli di New York sfilare davanti a lei, Amanda sperò con
tutta se stessa che Frances non avesse combinato un guaio. Considerati
i colpi di testa che aveva avuto in passato, tutto era possibile.
Nervosa oltre ogni dire,
avviò la chiamata al cellulare della sorella, desiderando che
rispondesse e le dicesse che era impegnata in uno dei suoi soliti
servizi fotografici.
Purtroppo, Frances non
accettò la chiamata, lasciando squillare il suo telefono a
vuoto. Disperata, Amanda decise di ricorrere al servizio di GPS per
poterla rintracciare: aveva un gran brutto presentimento.
Settò i parametri di ricerca
e poi lasciò che il programma facesse il suo corso. Quando un
puntino rosso lampeggiante apparve sulla cartina, Mandy ordinò
perentoriamente al taxista di dirigersi verso Central Park.
Mentre l’uomo imprecava e
cambiava direzione con una manovra non esattamente signorile, la
giovane restò a fissare il segnale e si chiese cosa mai ci
facesse Frances in quel posto. Era quasi certa che non stesse
lavorando, anche perché, in quel caso, non avrebbe ignorato il
telefono.
C’era qualcosa che non andava e temeva potesse aver a che fare con quello che era successo ad Andrew.
-Siamo arrivati.- si sentì
dire di punto in bianco. Alzò di scatto la testa e si
ritrovò ad osservare le innumerevoli chiome che riempivano
Central Park. Si riscosse ed allungò una banconota da venti
all’autista, scendendo in fretta e furia dall’abitacolo
dopo averlo ringraziato.
Raggiunse l’entrata
più vicina ed osservò nuovamente lo schermo del
cellulare, memorizzando l’esatta posizione del puntino rosso.
Prese un respiro profondo e si mise
a camminare spedita verso il centro del parco, decisa a trovare sua
sorella e riportarla a casa.
Aveva appena smontato dal suo turno giornaliero, quando le sue orecchie captarono qualcosa di strano.
Durante il tragitto verso
Central Park, l’unico pensiero che l’aveva tenuto occupato
era stato quello di cercare un appartamento in cui potersi sistemare.
Ora, però, sembrava esserci qualcosa –anzi, meglio qualcuno- pronto a mettergli i bastoni tra le ruote.
Rimase in ascolto per qualche
secondo poi si slanciò nella direzione del grande lago che
campeggiava al centro dell’ampia zona verde.
Quando raggiunse il piccolo angolo
che la notte prima aveva designato come “sistemazione
provvisoria”, si trovò davanti una bella sorpresa. Andrew
se la stava vedendo con una ragazza alquanto infuriata mentre Emily
cercava di farla ragionare.
Perplesso e alquanto
infastidito da quel contrattempo, Evan non si rese subito conto
dell’odore familiare della nuova arrivata. Le si avvicinò,
deciso a far cessare le sue urla spaccatimpani, quando la sua memoria
sensoriale riconobbe il sentore di poco prima.
Afferrò per un braccio la
giovane e la fece voltare verso di sé. –Tu sei una delle
persone che abbiamo salvato ieri… la compagna del nuovo lupo.-
fece, stupito.
Quella lo guardò con tanto
d’occhi, stupita per l’interruzione. Poi, però, gli
occhi di Frances si ridussero a due fessure e si scagliò senza
preavviso sul petto del licantropo.
-Maledetto! Maledetto!-
iniziò ad imprecare, tentando di assestargli un pugno allo
stomaco o in qualsiasi altro punto potesse fargli male.
Senza minimamente scomporsi, Evan
le afferrò i polsi e bloccò quello scatto d’ira.
–Per cosa mi stai maledicendo?- le chiese con voce dura.
-Per averlo trasformato!- fu la risposta, urlata a pieni polmoni.
Alzò un sopracciglio.
–Avresti preferito la sua morte?- replicò, mantenendo il
proprio contegno nonostante nella sua mente avessero preso ad
affollarsi immagini della giornata precedente. –Non volevo che un
innocente morisse.- aggiunse.
-Potevi portarlo
all’ospedale! Potevi… tutto, ma non quello!- la ragazza si
dimenò, tentando di liberarsi per poter colpire ancora.
-Sarebbe morto. Nessun medico umano avrebbe potuto aiutarlo.- disse, cercando di suonare il più logico possibile.
Frances scosse la testa, ferma
nelle proprie idee. Dietro di lei, Andrew ed Emily assistevano
immobili, pronti ad intervenire in qualsiasi momento.
-Tu… tu sei un mostro! Sei un assassino!- urlò lei, fuori di sé dal dolore e dalla rabbia.
A quelle parole, la corazza che
Evan aveva costruito attorno a sé esplose, dando libero sfogo al
rancore accumulato a seguito del bando subito. Spintonò indietro
la giovane, che finì tra le braccia di Emily, e ringhiò
con fare minaccioso:-Io non sono un assassino!
Accecato dall’ira, il respiro
accelerato, trasmutò la propria mano per poter colpire. In
quell’esatto istante una nuova figura comparve sulla scena,
frapponendosi tra i due contendenti.
-Fermo!- ordinò, spalancando le braccia in un gesto difensivo.
Van si bloccò, appuntando il
proprio sguardo sulla nuova arrivata. Non si era nemmeno accorto che
David si era spostato al suo fianco, pronto a trattenerlo.
-Cosa pensavi di fare? Volevi per caso ucciderla?!- Amanda era fuori di sé.
Poco importava che quello davanti a
lei fosse un soprannaturale: nessuno poteva minacciare la vita di un
membro della sua famiglia.
Il suo interlocutore restò a
fissarla, muto. Poteva vedere i suoi occhi scrutarla con attenzione, il
dubbio in essi. Probabilmente non l’aveva riconosciuta.
-Mi ha accusato di essere un assassino.- la voce dell’uomo uscì stentorea e metallica.
A quella rivelazione, Mandy si
voltò a guardare la sorella. –Sei per caso impazzita?! Ha
salvato Andrew!- la rimproverò.
-Non lo ha salvato, l’ha
condannato!- protestò Frances, guardandola con occhi di brace.
Non sembrava esser padrona di se stessa, l’autocontrollo perso
chissà quando.
-Fran, ma cosa…?
-Drew non è stato salvato.
È stato trasformato in un licantropo e non tornerà
più ad essere l’uomo che amavo!- urlò, scoppiando
definitivamente a piangere.
-Era l’unico modo.- rispose
Evan, tentando di ritrovare il controllo della propria bestia e
lanciando un’ennesima occhiata alla morettina che aveva davanti.
Se il naso non lo ingannava, quella che aveva davanti era la ragazza
svenuta a causa dell’attacco di panico. Considerato
l’odore, lei e la pazza isterica dovevano essere sorelle.
Amanda annuì, trovandosi
d’accordo. -Esatto! Frances, hai visto anche tu che tipo di
ferita gli era stata inferta!- tentò di farla ragionare.
Nuovamente, sua sorella
cercò di svincolarsi dalla presa di Emily, ma non ci
riuscì. –Lasciami andare!- protestò.
-Certo, così ti farai ammazzare.- commentò la licantropa.
Disperata, Fran cercò
l’appoggio di Mandy, ma trovò solamente uno sguardo
preoccupato e la certezza che il suo punto di vista non fosse
assolutamente condiviso. Abbassò il capo, sconfitta e
lasciò libero sfogo alle lacrime.
-Potete… puoi lasciarla, per
favore?- chiese Amanda. I tre licantropi si scambiarono
un’occhiata, a disagio, poi Frances fu libera. Si accasciò
a terra, afferrando alcuni ciuffi d’erba e continuando a
singhiozzare. Lei la soccorse immediatamente, inginocchiandosi al suo
fianco ed abbracciandola forte.
Restarono così per un
po’, mentre il pianto andava scemando. Alla fine, quando si fu
calmata, Frances mormorò:-Ho bisogno di tempo per riflettere.
-Cosa?
-Ho bisogno di riflettere. Lontano da qui.- ripetè.
Sua sorella la guardò con tanto d’occhi, confusa. –Ma… perché?- chiese.
-Non posso accettare tutto questo, ora come ora. Non posso.- ammise l’altra, scuotendo la testa con forza.
“Non ami più Andrew?
È questo che temi?”, si chiese Amanda. “Pensi di non
poterlo più accettare?”, avrebbe voluto chiederle ma
preferì tacere. –Come vuoi.- disse invece, remissiva.
Frances si rimise rapidamente in
piedi e, dopo averle lanciato un’ultima occhiata, scappò
verso una delle uscite del grande parco.
Restò a fissare la sua
schiena fino a quando non scomparve oltre un dislivello. A quel punto
sospirò e si rialzò, sentendo uno strano groppo
all’altezza della gola: se la situazione era difficile prima,
figuriamoci ora.
“Devo avvertire Gregory.”, pensò immediatamente.
Mentre meditava su quello che
doveva fare, non si rese conto di esser ancora in mezzo ai licantropi.
Si diede un contegno e si voltò verso MacGregor. –Mi
dispiace.- disse, scusandosi a nome della sorella.
Preso in contropiede dalla
sincerità di quelle parole, Evan ingoiò il rospo e mise a
tacere la rabbia che ancora lo scuoteva. –Posso capirla. Non
è una cosa semplice, da accettare.- ammise.
-Mi dispiace anche per quello che è successo ieri sera.- aggiunse Amanda.
Van s’irrigidì. –Non sono cose che ti riguardano.- replicò.
Lei si guardò intorno, osservando il paesaggio. –Sì, ma voi…- iniziò.
-Non vogliamo la carità
né la pietà altrui. Non ci serve.- il suo interlocutore
stroncò qualsiasi protesta sul nascere.
-Non intendevo affatto compatirvi.-
chiarì Mandy, piegando leggermente il capo per poterlo fissare
negli occhi. Era davvero alto.
I due si fronteggiarono per qualche minuto, valutandosi a vicenda. La prima ad abbassare lo sguardo fu Amanda.
-Scusate ancora per
l’inconveniente. Vi auguro di trovare una sistemazione al
più presto.- e detto questo si congedò, la mente
già concentrata su come poter fermare sua sorella.
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Capitolo 8 *** Cap. 7 Target ***
Cap. 7 Target
Frances ha deciso di prendersi una pausa dal mondo soprannaturale, mentre sua sorella Amanda sembra non potersene liberare...
Non vi dico altro, buona lettura! :)
P.S.: Buona festa della donna, anche se in anticipo di un giorno!
Cap. 7 Target
-Gregory, finalmente! Cristo, perché non rispondevi al
telefono?!- brontolò, lasciandosi sfuggire al contempo un
sospiro di sollievo. Erano le nove di sera e non aveva fatto altro che
cercare tracce di sua sorella per tutto il giorno.
-Perché Fran è appena piombata in casa mia! Come me lo
spieghi, Mandy?! Che sta succedendo?- le chiese di rimando lui,
palesemente confuso e alterato.
Dentro di sé, la ragazza ringraziò il cielo. Aveva
sperato con tutte le sue forze che Frances decidesse di rifugiarsi a
casa del loro fratellone: almeno lì sarebbe stata al sicuro.
-Amanda? Sei ancora lì?
Si riscosse. –Sì, scusami! Credo… credo che
dovresti parlarne con lei. Però… se ti chiede di poter
restare, per favore, acconsenti.- disse, mordendosi il labbro inferiore.
-Perché dovrebbe voler restare qui?- la voce di Greg era sempre
più confusa, come se gli stessero spiegando il processo di
fissione di un atomo in turco.
Si bloccò in mezzo alla stanza, fissando fuori dalla finestra
senza vedere realmente l’edificio di fronte. –Per via di
quello che è successo a Drew.- confessò infine.
Ci fu qualche minuto di silenzio, poi lui disse:-Ho capito. Le
parlerò io. Non ti devi preoccupare: starà bene qui con
noi.
-Grazie.- sorrise la mora, concedendosi un breve sorriso.
-Proverò a capire cosa le passa per la testa, però tu
devi promettermi una cosa.- ingiunse. Poteva immaginarselo mentre
puntava il dito per aria, nella sua direzione.
-Certo, quello che vuoi.- rispose, in attesa.
-Riporta Andrew a casa e… e aiutalo come puoi. Se lui per primo
mostra di star bene, Frances si tranquillizzerà.- disse a voce
bassa. Probabilmente Fran era nelle vicinanze e non voleva scatenarle
qualche altra crisi emotiva. Al di là di quello, Gregory era
incredibile: aveva capito in fretta che quell’improvvisa
apparizione alla sua porta aveva a che fare con la trasformazione del
fidanzato di sua sorella.
Era sempre stato molto intuitivo, specialmente quando si trattava delle sue due sorelline.
-Lo prometto. Farò il possibile, ma non so se me lo
permetteranno.- ammise, ricordandosi di come Dearan MacGregor aveva
ordinato di isolare il nuovo membro del branco dalla civiltà.
E da lei e Frances, soprattutto.
-Devi riuscirci! A costo di rapirlo!- ordinò, deciso.
Sbarrò gli occhi. –Ma sei pazzo?! Mica posso battermi con
un branco di licantropi!- esclamò. Lo sentì brontolare un
po’, scusandosi per aver dato aria alla bocca inutilmente.
–Te l’ho detto: farò tutto il possibile per farlo
tornare a casa. Nei limiti del possibile.- lo rassicurò ancora
una volta.
-Bene. Ora è meglio che vada a controllare Frances: non sento nessun rumore provenire dal salotto.- le disse.
-Non lasciarla sola! Tienila impegnata!- si premurò di ricordargli.
-Lo farò. A presto Mandy.
Chiuse la comunicazione e restò a guardare lo schermo del suo telefono, pensierosa.
Frances si era rifugiata da Gregory e, su quel fronte, non c’era
da preoccuparsi. Le serviva tempo e a Norfolk, Virginia,
l’avrebbe sicuramente trovato.
Pensando alla casa del fratello, Amanda ebbe un improvviso pensiero.
Come diavolo ci era andata Frances? Aveva per caso preso la sua
macchina?
Recuperò velocemente le chiavi del suo appartamento e
salì i gradini due alla volta. Aprì la porta il
più rapidamente possibile e, una volta dentro, controllò
nel piccolo contenitore ricavato da vecchi rullini.
-Sì… ha preso la sua auto…- constatò.
Restò immobile per un po’, lasciando vagare i pensieri.
Se Frances era arrivata da Greg significava che non aveva avuto
incidenti lungo la strada e che il viaggio, nonostante lo stato mentale
in cui sicuramente versava, era andato bene.
Riusciva ad immaginarsela mentre cercava di trattenere le lacrime,
dovute alla confusione e alla frustrazione, senza realmente riuscirci.
Tra le due, era lei quella che riusciva a mascherare meglio i propri
sentimenti.
Si passò una mano sul viso, stanca. “Non so perché
tutto questo stia succedendo, ma spero vivamente che si risolva per il
meglio.”, pensò. Rimase ancora qualche istante, lasciando
vagare lo sguardo attraverso l’ampia zona giorno, poi
tornò di sotto.
-Domani devo provare a mettermi in contatto con Andrew…- si disse, decisa a metter ordine nella situazione.
Il problema era che non voleva rimetter piede nella tana del lupo, ma non aveva altro modo per raggiungere l’amico.
Doveva trovare un piano alternativo.
-Be’, non è il Ritz, ma è sempre meglio di niente, no?
Evan lo fissò, cercando di capire se David stesse cercando di
tirarlo su oppure stesse facendo dell’ironia. In ogni caso, a lui
non importava che la sua casa fosse grande 70 mq oppure 200:
l’importante era avere un tetto sulla testa.
-Va bene.- commentò solamente, appoggiando pesantemente il borsone sul pavimento.
-Dal tuo tono deduco che ti sarebbe andata bene anche una topaia.-
osservò l’amico, leggermente piccato. Lo infastidiva
sapere che i suoi sforzi non venivano apprezzati, soprattutto quando
agiva da architetto.
Van si voltò a guardarlo. –Ho vissuto in posti peggiori, come ben sai.- gli ricordò.
L’altro scosse la testa. –No, a quell’epoca vivevo ancora nella bambagia, ricordi?- gli fece eco Dave.
Il giovane MacGregor si fermò un attimo a pensare, facendo due
rapidi conti. –Giusto, tu eri ancora un giovane rampollo
impegnato a studiare l’etichetta.- lo sbeffeggiò.
-Eh, se non fossi arrivato tu, come avrei potuto tirare avanti?- lo
prese in giro, fingendo un tono melodrammatico da teatro shakespeariano.
-Te la saresti cavata benissimo.- tagliò corto l’amico,
chiudendo il discorso. Era certo che, se anche lui e David non si
fossero incontrati, lui sarebbe sopravvissuto benissimo.
D’accordo, forse avrebbe preso un po’ di bastonate sui
denti, all’epoca, ma poi avrebbe imparato.
David scosse la testa, lasciandosi sfuggire un sorriso. –Non sia
mai che tu ti riconosca qualche merito, eh?- commentò. Evan gli
lanciò un’occhiata interrogativa. –Sai che mi hai
aiutato tantissimo, in quel periodo. Avrei potuto scatenare un bel
pandemonio.
-Avresti fatto solo ciò che era giusto.- osservò lo scozzese. –Almeno nel mondo dei licantropi.
-Ma non in quello degli umani. Sarebbe stato omicidio.- gli fece
presente. L’altro annuì, dandogli pienamente ragione.
Restarono per un po’ in silenzio, meditando sui ricordi del
passato. Il primo a rompere il silenzio fu Evan, che
domandò:-Emily?
-E’ al lavoro. Non so di preciso dove, ma le ho dato
l’indirizzo. L’appartamento ha tre camere, quindi possiamo
benissimo viverci tutti quanti.- spiegò il moro, passandosi una
mano tra i capelli ricci.
Evan non disse nulla, soffermandosi ancora una volta a pensare. Da
quando aveva incontrato Emily, non era ancora riuscito ad iniziare ad
indagare sul suo conto: sembrava che gli avvenimenti fossero contro di
lui. Ma doveva assolutamente sapere se poteva fidarsi e perché
la ragazza era corsa a chieder loro protezione.
-A che stai pensando?- David lo distolse dai suoi pensieri.
-Emily.- disse solo.
-Non ti convince, vero? Nemmeno a me.- ammise, facendosi guardingo.
Lo scozzese alzò la testa. –Hai avuto modo di scoprire qualcosa…?- chiese, speranzoso.
-No.- dovette ammettere Dave. –Nulla. Sono successe troppe cose tutte insieme.
-Dobbiamo indagare, però.- concluse l’altro.
L’inglese si trovò d’accordo, poi si avviò
verso il centro della zona giorno. –Credo che oggi dovrò
andare a fare compere.- considerò.
-Basta che tu non riempia l’ambiente con cose inutili.- lo
avvertì Van, ben conscio dell’entusiasmo che prendeva
l’amico quando si immergeva nei meandri della propria professione.
-Tranquillo.- fu la risposta.
“Non mi fido mica.”, pensò, osservando il moro
aggirarsi per la casa. Si lasciò distrarre da quei pensieri,
evitandosi di tornare agli ultimi eventi, ma fu difficile.
Doveva mettersi in contatto con Alastair per sapere come stava il
ragazzo. E sperare anche di non vedersi piombare in casa i giornalisti,
alla ricerca di succulente notizie. Per finire, doveva seppellire
ancora una volta il suo disprezzo per Dearan.
Sorrise distrattamente alla donna davanti a lei, concentrata ad inseguire pensieri lontani.
Era dal giorno prima che era distratta, pensierosa e proprio non
riusciva a dedicarsi interamente al proprio lavoro, nonostante le
piacesse molto interagire con le spose.
Fortunatamente sembrava che il suo cervello riuscisse a lavorare
abbastanza bene anche diviso a metà, quindi stava portando
avanti l’appuntamento praticamente senza problemi.
Non fosse stato per lo sguardo assente ed i sospiri saltuari.
-Tutto bene…?- si sentì chiedere all’improvviso.
-Come?- sobbalzò, colta di sorpresa. Cos’aveva appena detto sulla sua capacità di concentrazione? Appunto.
-Mi sembra assente. C’è qualcosa che la turba.-
domandò la sua cliente, un’affascinante donna sui
cinquant’anni.
Arrossì, mortificata. –Mi scusi. Ho qualche problema in famiglia e…- iniziò.
-Oh, la capisco. Non si preoccupi. Io ho sempre da fare, con due figli
al seguito.- la rassicurò, sorridendole gioviale. Amanda rispose
al sorriso, grata per la sua condiscendenza.
“Stupida! Concentrati!”, si rimproverò. Non voleva
esser accusata di essere una scansafatiche ed esigeva, da se stessa, le
migliori prestazioni sul posto di lavoro.
-Prima mi stava parlando di un abito con inserti in pizzo che aveva
scorto nel salone… vogliamo provarlo?- chiese, calandosi
nuovamente nella parte. Lanciò un’occhiata attraverso lo
specchio, aspettando la risposta della donna. Quando quella
annuì, entusiasta, fece un cenno del capo ed uscì dal
camerino.
Si diresse a passo spedito nel salone e scambiò un sorriso
d’incoraggiamento col resto della famiglia, in attesa davanti al
piedistallo per le prove. –Forse ci siamo…- disse
solamente, recuperando il vestito e sparendo.
Scivolò nuovamente dentro il camerino e mostrò il proprio
bottino alla cliente. –Oh, sì, mi piace! Voglio provarlo.-
disse quella, entusiasta.
Amanda si lasciò contagiare e recuperò un po’ di
buon’umore. Il più attentamente possibile
l’aiutò ad entrare nella gonna e a far aderire il corpetto
dell’abito.
-Dimmi, cara… sei fidanzata?
Alzò gli occhi da quello che stava facendo, stupita dalla
domanda. Rimase per un attimo a bocca aperta, colta in contropiede, poi
riuscì finalmente a scuotere la testa.
-Oh, che peccato. Come mai?- fece la signora, dispiaciuta.
-Be’… io… non lo so. Non ho ancora incontrato la
persona giusta, suppongo.- mormorò, imbarazzata. Non si era
aspettata una domanda del genere e non era pronta a rispondere.
-Ma ne hai incontrata una sbagliata, vero?- gli occhi penetranti della
sposa la guardarono attraverso la superficie riflettente dello
specchio.
Arrossendo ancora di più, Mandy fu costretta ad ammettere:-Sì.
-Tranquilla. Sei giovane e anche molto a modo: troverai qualcuno in men che non si dica.- la rassicurò, sorridendole.
Senza poterselo impedire, la giovane ridacchiò. –Dovrebbe
concentrarsi sul suo matrimonio, signora West, non preoccuparsi della
mia vita amorosa.- le disse, divertita dal suo modo di fare in stile
mamma chioccia.
Questa volta fu il turno della donna di arrossire. –Be’,
sai… sono una madre. Preoccuparmi è nel mio DNA, ormai.-
si giustificò.
-Sono sicura che lei sia un’ottima madre.- sorrise di rimando,
finendo d’allacciare il vestito. –Ecco, abbiamo finito.
Raccolsero la gonna e poi si avviarono verso il grande salone. Quando
emersero dal corridoio, i figli della signora si aprirono in larghi
sorrisi, seguiti a ruota dalla madre di lei.
Ci furono molti complimenti ed Amanda lasciò il piccolo gruppo
libero di discutere per qualche istante, attirata da strani movimenti
poco oltre gli espositori.
Fece per chiedersi cosa stesse succedendo, quando sentì la voce
squillante di Gabrielle amplificata da quello che sembrava un…
un microfono?
“Ma che sta succedendo?”, si chiese, confusa.
Si alzò sulle punte, cercando di sbirciare oltre gli
espositori di vestiti, ma non riuscì a vedere molto di
più.
All’ennesimo strillo di Gabbie, Amanda si scusò con la sua
cliente e si affrettò a raggiungere l’amica. Molte delle
sue colleghe erano uscite dai camerini, attirate dal rumore e qualcuna
si era arrischiata ad avvicinarsi.
-La stampa! C’è la stampa!- sussurrò eccitata
Vivian, quando le passò accanto. Le concesse solo
un’occhiata, prima di svoltare e ritrovarsi nel grande atrio
d’ingresso.
Non appena fece il suo ingresso, Gabrielle si voltò ed esclamò:-Amanda! Vattene!
Confusa, la giovane passò gli occhi dalla propria responsabile
al gruppo ben nutrito di giornalisti. All’improvviso
realizzò che, probabilmente, erano lì per avere altre
notizie circa l’attacco al Madison Square Park.
Arretrò, intimorita dai microfoni, ma venne subito accerchiata.
–E’ lei Amanda Miller?- si sentì chiedere.
-S-sì…- riuscì a dire, stordita dai flash delle macchine fotografiche.
-Lei è una delle vittime dell’attacco alla Fiera
Internazionale?- domandò qualcuno. Con la coda
dell’occhio, Amanda scorse Gabrielle farle segno di tacere.
Spalancò gli occhi, chiedendo aiuto col solo ausilio dello
sguardo.
-Ci conferma di esser stata una delle vittime dell’attacco?- incalzò qualcun altro.
-Scusate, ma non credo che questo sia il luogo più adatto per
parlarne.- Mandy riuscì a raddrizzare la schiena e recuperare
una parvenza di controllo, allontanando un registratore da sé.
Gabbie approfittò di quel momento per inserirsi a forza tra le
persone e raggiungerla, parandosi davanti a lei. –Come vi ho
già detto prima, noi qui stiamo lavorando. Lasciate in pace le
mie impiegate.- disse, perentoria.
-Stiamo semplicemente facendo il nostro lavoro.- protestò una donna accanto a lei.
Lei la fulminò. –Anche noi.- rispose con voce tagliente.
–Andatevene o chiamo la sicurezza.- aggiunse, osservando tutti i
presenti.
Brontolando e sbuffando, gli affamati giornalisti pian piano si
diradarono, infilando la grande bussola a vetri dell’ingresso per
poi disperdersi in strada.
-Grazie.- sospirò Amanda. –Non ero preparata…
-Stanno insistendo solo perché sono coinvolti i licantropi. In
caso contrario non gliene infischierebbe nulla.- commentò
disgustata l’amica.
La mora annuì, dandole ragione. –Spero solo non mi aggrediscano all’uscita.- si augurò.
-Nel caso usa lo spray al peperoncino.- sogghignò Gabrielle.
Smise di aggirarsi nel database del dipartimento per concentrarsi sui suoi sottoposti.
Aveva iniziato la sua ricerca su Emily provando a supporre che potesse
esser già stata schedata ma, a quanto pareva, non aveva avuto
guai con la legge.
Qualcuno, nel Senato, aveva proposto di creare una banca dati
con tutti i profili dei soprannaturali d’America, ma il loro
rappresentante si era fermamente opposto, bloccando la proposta di
legge sul nascere.
Sarebbe stata una bella violazione della privacy, soprattutto quando l’intenzione era di schedare anche i bambini.
Il loro mondo era diverso, quello era vero, ma anche tra gli
umani v’erano degli psicopatici e spesso non venivano nemmeno
assicurati alla giustizia. Di conseguenza, nessuno aveva il diritto di
schedare licantropi e vampiri come fossero criminali.
-Capitano…- la voce del tenente Simmons lo distolse dalle sue
elucubrazioni. Riprese il controllo di se stesso e si voltò a
guardarla, in attesa. –Credo ci sia un problema.- aggiunse, dopo
un attimo d’esitazione.
-Che tipo di problema?- domandò, accigliandosi. Poteva percepire
l’agitazione nella lupa, ma il resto della centrale non sembrava
in allarme.
-Stanno parlando di lei alla televisione.- disse infine la donna.
“Alla televisione?”, pensò, stupito. Poi si
ricordò di quello che era successo pochi giorni prima al Madison
Square Park e si diresse rapidamente verso l’apparecchio nella
zona comune. Puntò gli occhi sullo schermo, riconoscendosi nelle
riprese dell’attacco.
-Oh, capitano! È in televisione!- esclamò Eric,
voltandosi a guardarlo. Dopo la loro piccola zuffa di presentazione, il
giovane si era dimostrato molto aperto e sicuramente loquace. A volte
aveva desiderato chiudergli la bocca con un destro, solo per dar pace
ai suoi timpani.
-Sì, ho visto Camden, calmati.- commentò, cercando di smorzare il suo entusiasmo con un tono di voce neutro.
-A quanto pare è diventato una celebrità.- continuò il ragazzo, ignorando l’avvertimento.
“Quella è Crystal, non io.”, pensò tra
sé, ma non disse nulla. Si limitò ad osservare le
immagini che gli passavano davanti agli occhi. Rivide con più
chiarezza i licantropi che avevano attaccato, ma non riuscì a
capire a che branco potessero appartenere.
Prima di accettare l’incarico lì a New York, aveva tentato
di scoprire il più possibile sui branchi cittadini, ma su alcuni
non circolavano informazioni. Ed erano molti anche quelli formati da
membri sempre diversi, senza un lupanare fisso.
Quei lupi moderni lo confondevano e gli sembrava così
slegati dalle tradizioni che, a volte, non riusciva a capirli.
-Quelle facce non mi sono nuove…- commentò ad un certo punto Simmons.
Evan rialzò di scatto la testa. –Come? Sul serio?
Lei annuì, concentrata. –Sì. Mi sembra di averli
visti gironzolare dalle parti di Harlem. Stavano spacciando.-
mormorò, riducendo gli occhi a due fessure per concentrarsi sui
ricordi.
“Mi chiedo cosa ci trovino di divertente nel contaminarsi
l’organismo.”, si chiese Van, lanciando un’occhiata
distratta alla fine del servizio. Il massimo “sballo” a cui
era mai arrivato era stata un’intossicazione d’aconito che,
per poco, non l’aveva spedito al creatore.
Mai e poi si sarebbe volontariamente iniettato qualcosa per distruggere
le proprie facoltà mentali. Era quasi certo che le droghe
leggere non sortissero nessun effetto sul metabolismo dei licantropi,
ma non sapeva nulla circa quelle sintetiche.
Non aveva intenzione di sperimentarle, in ogni caso.
-Vuole che faccia un controllo, capitano?- si sentì chiedere.
-Sì, sarebbe d’aiuto. Grazie.- rispose.
Considerato a cosa l’avevano portato, catturare quei bastardi gli
sembrava un buon punto di partenza per ritrovare un po’ di pace e
liberarsi di qualche emozione negativa.
Indossò la giacca e si avvolse la sciarpa di seta attorno al collo, grata che la giornata fosse finita.
Quel giorno era riuscita a concludere tre appuntamenti e aveva
guadagnato un bel bonus sullo stipendio di fine mese. Inoltre il vento
sembrava aver voluto concedere una tregua alle vie della città,
risparmiandole fastidiose litigate con abiti e capelli.
Sarebbe stata una giornata perfetta se solo avesse trovato il modo per mettersi in contatto con Andrew.
“Hanno detto che, quando starà meglio, si potrà
mettere in contatto con noi. Potrà anche tornare a casa, se lo
vorrà.”, si disse, riportando alla mente le parole dello
scozzese di nome Alastair.
-Il problema è che non mi fido.- mormorò a nessuno in particolare.
Le leggi di quel mondo le erano sconosciute e non ne conosceva tutte le
implicazioni. La parola di un licantropo, per quanto ne sapeva, poteva
non aver nessun valore o essere uguale ad un giuramento.
Scosse il capo, sconsolata. Aprì la borsa e vi cercò
all’interno il cellulare: voleva controllare la presenza di
messaggi da parte di Frances.
Ovviamente non c’era nessuna notifica sullo schermo, come tutte
le altre innumerevoli volte in cui aveva controllato. Leggermente
abbattuta, ripose l’oggetto e si apprestò ad uscire.
Quando passò accanto al piccolo ufficio della responsabile
vendite, Gabrielle le fece un cenno di saluto da dietro una pila di
scartoffie.
-Ehi! Cos’è tutta quella roba?- le chiese, fermandosi ed infilando la testa all’interno.
-Tutte le fatture del mese.- rispose l’amica, stropicciandosi i
capelli con un gesto stanco della mano. –Vuoi fare a metà?
Amanda considerò seriamente l’offerta. –Ti serve una mano?- chiese, sinceramente interessata.
Al che Gabbie si raddrizzò e, scuotendo la testa, disse:-No, no,
mi sto solo lamentando. Tranquilla. So che hai parecchie cose per la
testa.
-Ma sei sicura? Posso rimanere.- insistette.
L’altra annuì, sorridendole grata. –Sicura. Vai a
casa a riposarti. E cerca di non pensare a tua sorella: lei è al
sicuro.- replicò.
-Fisicamente sì. Emotivamente…- s’interruppe per lasciar uscire un sospiro sconsolato.
La sua migliore amica, allora, si alzò e le andò
incontro. La guardò fisso per qualche istante e poi la strinse
in un abbraccio. –Vedrai che si sistemerà tutto. Non
abbacchiarti così. L’Amanda che conosco io si piega, ma
non si spezza.- le sussurrò all’orecchio, tentando di
suonare il più convinta possibile.
-Come il bambù?- ridacchiò la morettina.
-Come il bambù.
Grata, la giovane ricambiò con forza l’abbraccio.
–Mi è venuta voglia di cinese.- disse ad un certo punto,
per sdrammatizzare.
-E cinese sia, allora. Mangia anche per me, ok?- Gabrielle
scoppiò a ridere, divertita da quel cambio di argomento.
–Vai, su. A domani.- la congedò dopo un po’.
Col sorriso ritrovato, Mandy salutò l’amica e si
avviò verso casa, decisa a fermarsi ad un take away per ordinare
la sua cena cinese.
Stava già valutando quale menù scegliere, quando si
ritrovò la strada sbarrata. Si fermò di botto,
strisciando un tacco sulla superficie ruvida del marciapiedi.
Accigliata, alzò gli occhi per puntarli in quelli della persona
che le stava davanti, di parecchi centimetri più alta di lei
grazie ad un paio di scarpe vertiginose.
-Sì?- fece, guardinga.
-E’ tutta colpa tua!- strepitò la donna. E non era una donna qualsiasi, ma Crystal Forbes in persona.
Confusa, Amanda si guardò intorno alla ricerca di paparazzi: era
ben cosciente del codazzo di flash che seguiva la modella dovunque
andasse. –Di cosa mi stai incolpando?- domandò, cercando
d’ignorare il tono d’accusa.
-Di aver rovinato il mio matrimonio!- sbraitò la bionda.
A quelle parole, sgranò gli occhi. –E come avrei fatto? Ti
ho conosciuta nemmeno una settimana fa!- protestò, alzando
leggermente la voce.
Crystal divenne paonazza e la luce del tramonto appena iniziato
accentuò il rossore delle sue guance. –Per colpa del tuo
amico, Evan è stato bandito dal branco!- ribattè,
inalberandosi sempre di più. Il suo tono di voce stava attirando
l’attenzione dei passanti e, come poté notare ben presto,
anche di poco amichevoli portatori di reflex.
-E cosa c’entra col tuo matrimonio?- chiese, iniziando ad
esasperarsi. Aveva forse preso una dose prima di raggiungerla e fare
quella sfuriata da prima donna? Sembrava impazzita!
Vide le mani della modella serrarsi a pugno e capì che la donna stava raggiungendo il proprio limite.
Iniziò a sudare freddo: nonostante un licantropo si potesse
considerare pericoloso, non era nulla in confronto ad una lupa fuori
controllo.
Anche se non l’aveva mai vista combattere, Amanda ci avrebbe messo la mano sul fuoco.
-Mi dispiace per quello che è successo, ma non sono stata io a…- iniziò.
-No, nessuno di voi ha fatto niente. Non fosse che per salvare la vita
a quel ragazzetto Evan ha infranto l’unica legge che non poteva
infrangere! E ora, proprio per questo, il nostro matrimonio è
finito!- ringhiò, emettendo un inquietante verso di gola.
Dietro di loro, i paparazzi stavano scattando foto a tutto spiano.
-Crystal, calmati. Non so cosa c’entri il vostro matrimonio, ma
non è con me che devi prendertela.- cercò di rabbonirla.
La lupa fece scattare una mano, arcuando le dita dalle unghie curate.
–E con chi dovrei prendermela? I giovani lupi non si possono
toccare.- disse con voce metallica.
“Oddio, sta perdendo il controllo!”, pensò Mandy,
allarmata. –Io non c’entro niente! Non l’ho inventata
io la vostra stupida legge!- finì per sbottare, messa alle
strette.
-Stupida… stupida legge? Osi denigrare le leggi del branco?!
La mano di Crystal si alzò ancora di più, pronta ad
abbattersi sul viso di Amanda. Nessuno dei presenti sembrava
intenzionato ad intervenire e la ragazza si stava trovando, a distanza
di poco tempo, nuovamente sotto la minaccia di un licantropo.
Iniziava a sospettare di avere una calamita per i guai.
Deglutì, imponendo alle proprie gambe di smettere di
tremare e prepararsi all’eventuale scatto. Non aveva la minima
intenzione di farsi sfigurare da una pazza. O peggio.
Improvvisamente, quando sembrava che tutta la tensione accumulatasi
fino a quel momento fosse in procinto di esplodere, un’altra
donna si mise in mezzo.
Stupita, la morettina riconobbe nella nuova arrivata Emily, la lupa che
se n’era andata dal branco assieme al figlio dell’Alfa.
-Cos…?
-Spostati.- sibilò l’ormai ex signora MacGregor. –Non intralciarmi.
-Te la stai prendendo con la persona sbagliata.- le fece notare l’americana, fissandola dritto negli occhi chiari.
-Me la sto prendendo con l’unica persona con cui posso farlo!- fu
la risposta irata. Al che, Amanda per poco non scattò in avanti
per assestarle un pugno in faccia.
Emily si avvicinò alla propria interlocutrice, arrivando a
sussurrarle all’orecchio:-Ti vorrei far notare che stai dando
spettacolo. Non ti converrebbe smetterla?
Come se quelle parole l’avessero riportata coi piedi per terra,
la modella si guardò intorno con bruschi movimenti del capo e i
suoi occhi si dilatarono impercettibilmente. Valutò la
situazione e poi, dopo un altro sguardo omicida nei confronti di
Amanda, se ne andò.
I paparazzi non persero tempo ad inseguirla, anche se qualcuno
preferì rimanere e provare ad intervistare l’altra parte,
ossia Amanda.
-Vieni con me.- la lupa che l’aveva appena aiutata la prese
saldamente per un polso e prese a trascinarla lungo la ventesima strada.
-Dove andiamo?- chiese.
-Da Evan.
Improvvisamente Emily smise di trascinarla e si voltò a guardarla.
Amanda ne approfittò per massaggiarsi il polso e chiedere:-Che succede? Perché ci siamo fermate?
L’altra la fissò, pensierosa. “Faremmo prima…
però non so se sia il caso.”, si disse, scrutando con
attenzione il viso della sua interlocutrice. –Dobbiamo aumentare
l’andatura.- mormorò infine.
-Bene. Prendiamo un taxi.- replicò Mandy, indicandone uno proprio a pochi metri da loro.
Divertita, Emily ridacchiò. –No… i taxi sono lenti. Io sono più veloce.
A quell’uscita, la mora si accigliò. Non stava veramente
suggerendo di raggiungere la loro destinazione in versione pelosa, vero?
Ne aveva avuto abbastanza di pellicce, zanne e code: doveva avere il tempo di disintossicarsi.
Senza darle una risposta, Emily sparì dietro il cassonetto della
spazzatura che sporgeva dal vicolo accanto. Poco dopo ne uscì un
grosso lupo nero come una notte senza luna.
Deglutendo, Amanda cercò di non urlare e attirare su di
sé l’attenzione dei passanti. La sua accompagnatrice era
stata abbastanza intelligente da rimanere nell’ombra, tra i due
edifici e la stava guardando con un paio di occhi d’un verde
brillante e ferino.
Non c’era bisogno di parole o gesti: lei sapeva di dover salire in groppa alla lupa.
Il problema era che non voleva.
Scosse la testa. –No… basta lupi. Almeno per un po’.- supplicò con voce leggermente tremula.
La licantropa arricciò leggermente il labbro superiore, in segno di protesta e le fece un cenno impaziente col capo.
-No.- si rifiutò nuovamente Amanda.
Scocciata, Emily l’afferrò repentinamente per la giacca,
tirandola nell’ombra assieme a sé. Si abbassò,
incastrando la testa tra le gambe della giovane e si sollevò,
facendola scivolare sulla propria schiena.
Mandy afferrò con forza i peli della gorgiera, emettendo uno
squittio spaventato. Strinse immediatamente le cosce attorno al torace
della creatura e prese un respiro profondo. –Non farlo mai
più. Mi è venuto un colpo!
Il verso di gola che seguì il suo rimprovero suonò tanto
come un gesto di scuse e la ragazza lo accettò, anche se non era
ancora convinta di quello che stava per fare.
Si sistemò sul dorso del suo mezzo di trasporto ed attese lo
scatto. Perché sapeva che sarebbe scattata, proprio come una
gazzella inseguita da un leone.
Aspettarono qualche istante, giusto il tempo di controllare che
non ci fossero troppi sguardi indiscreti e poi balzarono fuori dal loro
nascondiglio.
Subito, l’aria frustò il viso di Amanda, costringendola a
chiudere gli occhi per evitare di farli lacrimare. Le sembrava di esser
stata caricata sopra un tir in corsa tant’era confusa la
percezione che aveva del mondo circostante.
Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie, impazzito, e i capelli in procinto di sciogliersi, insidiati dal vento.
“Oddio, fa’ che sopravviva a tutto questo!”,
pregò, immergendo la faccia nella pelliccia di Emily. Non appena
fu solleticata dai soffici peli, però, si riscoprì ad
apprezzare quella sensazione così come il calore che sprigionava
dal corpo della lupa.
Senza rendersene conto si lasciò completamente andare, appoggiando il corpo contro quella schiena dritta e calda.
Le sembrò di sentire un rumore di gola da parte della licantropa, ma non ci avrebbe giurato.
-Evan.- chiamò David, fissando stupito fuori dalla finestra.
Lo scozzese uscì in quel momento dal bagno, sulla pelle il
ricordo della doccia che si era appena concesso. –Cosa?- fece,
disinteressato.
-Abbiamo ospiti.- svelò il riccio. Un lento sorriso sostituì la sua espressione stupita.
Al che, Evan alzò gli occhi, smettendo di frizionarsi i capelli.
–Ospiti? Chi mai verrebbe a trovarci?- domandò, stupito.
Volse la testa verso la finestra ed annusò l’aria,
curioso. –Non è Crystal, per fortuna.- aggiunse dopo un
po’.
-Oh, no. Non è Crystal. Vieni a vedere.- lo invitò,
rimanendo accanto alla finestra. L’altro, allora, si alzò
e lo raggiunse, sbirciando. –Interessante, vero?
“Interessante davvero.”, pensò. Davanti a loro,
nascosta nelle ombre del crepuscolo, se ne stava Emily nella sua forma
animale. Nonostante fosse leggermente più piccola della media,
la cosa più particolare era il colore del suo pelo.
“Quindi i Blacks accettano solo membri col manto
scuro…?”, meditò.
Come se avesse intuito i suoi pensieri, Emily decise di
riassumere forma umana proprio in quel momento, approfittando della
presenza di alcuni cespugli per non farsi scoprire da eventuali
passanti.
-Le faccio salire.- avvertì Dave, avviandosi verso la porta.
-Le…?
Evan tornò a guardare fuori, rendendosi conto della presenza di
un odore familiare assieme a quello di Emily. “Che ci fa lei
qui?”, si chiese, stupito.
Rapidamente seguì l’amico e si pose al centro della
stanza, lo sguardo puntato alla porta. La prima ad entrare fu la
sua nuova sentinella e poi fu il turno della ragazza. Amanda, se la
memoria non lo ingannava.
-Scusate l’imprevisto.- disse la lupa, accennando all’ospite che portava con sé.
-Perché l’hai portata qui?- indagò l’inglese,
salutando subito dopo la nuova arrivata con un sorriso cordiale.
Lei rispose al saluto, cercando di non guardarsi intorno e apparire
così un’impicciona. “E così questa è
la loro nuova casa.”, pensò, misurando con un colpo
d’occhio la stanza in cui si trovava. Se la corsa non
l’aveva totalmente confusa, dovevano trovarsi davanti al Tompkins
Square Park, nella Lower Manhattan.
-Sì, è abbastanza grande per tutti e tre, ma non come la
villa in cui eravamo prima.- la voce di Evan la colse sul fatto,
facendola arrossire tantissimo.
-S-scusate… non era mia intenzione…- iniziò, mortificata.
Van la tranquillizzò con un gesto della mano. –Piuttosto,
cosa fai qui?- le chiese, interessato. Nell’ultimo periodo le
loro strada si erano incrociate molto spesso e la cosa iniziava a
stranirlo: non era stato lui a cercarla e nemmeno lei sembrava voler
avere a che fare con la sua persona.
A quella domanda, Amanda guardò Emily, indecisa su cosa dire. Fu
proprio la ragazza, comunque, a venirle in aiuto. –Abbiamo
incontrato Crystal. O meglio, lei ha incontrato Crystal, io mi sono
messa in mezzo.- disse.
Evan e David si scambiarono un’occhiata. –Crystal?
Ma… la nuova cerimonia è stato annullata.-
commentò l’inglese.
-Non era lì per il vestito.- dovette ammettere Amanda,
torturandosi nervosamente un ciuffo di capelli. Li sentiva allentati
sulla nuca, segno che stavano per cedere. –Credo che il motivo
per cui fosse lì si possa tradurre in una minaccia.-
svelò, puntando gli occhi sull’ex marito della donna in
questione.
-Temo di non capire.- ammise Evan, veramente confuso. Perché
diavolo la sua ex compagna se l’era andata a prendere con una
ragazza di cui conosceva a malapena il nome? Non aveva senso.
Forse stava iniziando ad impazzire sul serio.
-Mi ha accusata di aver rovinato il vostro matrimonio. Cioè,
insomma, ha accusato Andrew ma, dato che lui non può esser
toccato, a quanto ha detto, se l’è presa con me.- disse,
cercando di riassumere tutta la questione. Mentre ripensava a quello
che era accaduto meno di un’ora prima, sentì
l’irritazione tornare a galla.
-Evan, tua moglie è proprio pazza da legare.- commentò
David, dando una pacca cameratesca sulla spalla dell’amico.
Lui lo guardò storto, inducendolo a smettere subito. –Ti ricordo che io non ho avuto voce in capitolo.
-Sì… scusa.- l’amico gli diede ragione, remissivo.
-Mi dispiace per quello che è successo. Parlerò con lei.- disse Van, rivolgendosi ad Amanda. -Può bastare?
-A me sì. A lei non so.- commentò la mora.
-Evan, io non mi fiderei. Non conosco bene la tua compagna, ma mi
sembrava intenzionata a far del male a qualcuno.- intervenne Emily,
facendo vibrare la chioma di ricci nell’impeto del discorso.
La guardò stupito. -E cosa suggerisci, scusa?
L’americana lo guardò, mordendosi il labbro inferiore. –Io…
-Non voglio protezione, non ce n’è bisogno!- intervenne
Amanda quando capì cosa stesse cercando di fare la lupa. Il
giovane MacGregor lanciò uno sguardo alla propria sottoposta,
come a farle capire che non si aspettava una risposta diversa.
–Bene, dato che la questione è risolta, direi che possiamo chiamarti un taxi, giusto Amanda?- intervenne David.
La giovane si riscosse e fece per annuire, quando le tornò in
mente una cosa. –No, un attimo!- senza pensarci due volte
annullò le distanze tra sé ed Evan. –Ho bisogno di
un favore.
Lui la fissò, ancora una volta stupito. Scandagliò per
qualche istante le profondità verde acqua dei suoi occhi e poi
chiese:-Quale genere di favore?
Mandy aprì la bocca, pronta a rispondere, ma fece l’errore
di abbassare gli occhi. Si ritrovò a fissare il torace del
licantropo, segnato da innumerevoli cicatrici (vecchie e recenti) e
guizzante di muscoli ed ebbe un attimo di smarrimento.
Le tornò subito in mente Wayne e non poté impedirsi di
fare un confronto tra i due. Evan MacGregor ne usciva nettamente
vincitore.
Avvertì il volto andare in fiamme e si diede mentalmente della
cretina. S’inumidì le labbra, ritrovando la voce.
–Ecco… si tratta… si tratta di Andrew. Come posso
mettermi in contatto con lui?
A quella domanda, Evan si accigliò. –Andrew? Mhm…
David, credi che Alst ci farebbe parlare con lui?- domandò,
meditabondo.
-Be’, se il nuovo lupacchiotto riesce a mantenere la propria
forma in modo permanente, non vedo perché no.- considerò
l’architetto.
-Sul serio?- gli occhi di Amanda s’illuminarono.
L’inglese annuì, mentre il suo migliore amico componeva rapidamente un numero di telefono ed avviava la chiamata.
-Alst, sono io. Ti disturbo?
-Evan? Dove sei adesso?- chiese Alastair, preoccupato e stupito di poter parlare col ragazzo.
-Nel nostro nuovo appartamento.- rispose, osservando tutti i presenti.
Ci fu una pausa. –Dimmi l’indirizzo. Così so dove trovarvi.- ordinò lo scozzese, blocchetto alla mano.
Van scosse la testa. –No, rimandiamo queste cose a dopo. Devo chiederti una cosa.
-Dimmi pure.- rispose l’altro.
-Come sta Andrew?- chiese, lanciando un’occhiata ad Amanda. La
ragazza si stava torturando le mani, in ansia, ma stava anche provando
a trattenersi per non apparire troppo agitata. Ammirevole.
-Be’… non male, per essere un ex umano.- commentò
Alst. –Stamattina è riuscito a raggiungere una forma
stabile, senza più shift.- concluse.
“Meno male. A quanto pare ha più forza di quello che
sembra.”, pensò sollevato. –D’accordo. Pensi
di potergli riferire un messaggio?
-Devo evitare le orecchie di Dearan, giusto?- fu la replica.
-Esattamente.- sorrise lui, per nulla sorpreso dall’intuito del
parente. –Digli che Amanda vuole parlargli, per sapere come sta e
quando potrà tornare a casa.- aggiunse, cercando conferma con lo
sguardo in merito a quello che stava dicendo.
-D’accordo. Farò in modo che sia lui stesso a contattarla.- assicurò.
-Benissimo, grazie.- disse Evan. Stette in silenzio per un po’, poi aggiunse:-Grazie di tutto.
Alastair sospirò. –Evan, figliolo, anche se non approvo la
scelta, era l’unica scelta possibile.- tentò di
alleggerire i suoi sensi di colpa.
-Quella o la morte.- gli fece presente il ragazzo, abbassando il tono
di voce. Con la coda dell’occhio vide Amanda impallidire e si
sentì un po’ colpevole.
-Non l’avresti mai fatto!- si scandalizzò il suo interlocutore. –So che non ne sei capace.
Sorrise amaramente. –Eh, già. A quanto pare ho un cuore tenero.
-No, sei un uomo giusto. E mi chiedo spesso come sia possibile,
visto…- s’interruppe. –Devo andare. Mi faccio vivo
io. Salutami Dave.- e riagganciò.
“Dearan.”, pensò subito Evan, maledicendolo per il
suo tempismo. Fissò per qualche istante il muro davanti a
sé poi, di nuovo padrone di se stesso, si voltò verso gli
altri. –Ha detto che trasmetterà il messaggio ad Andrew.-
comunicò.
Amanda si sciolse in un sorriso, sollevata. –Grazie mille.- ringraziò, tendendo la mano verso di lui.
-Di nulla.- gliela strinse con una piccola esitazione. Avvertì
il lieve velo di sudore che copriva il palmo della sua mano e
capì che era stata veramente in ansia durante la telefonata. Lei
sembrò rendersene conto perché si affrettò a
ritirarla.
-Bene… direi che è ora di tornare a casa. Van, la riaccompagni tu?- esordì improvvisamente David.
I due si riscossero e così anche Emily. –Come…?
-Riaccompagni a casa Amanda?- ripetè, scandendo bene le parole e
guardando dritto negli occhi l’amico. Voleva provare a parlare
con Emily, giusto per vedere se riusciva a tirarne fuori qualcosa di
utile.
Lo scozzese sembrò capirlo perché mosse impercettibilmente il capo. –D’accordo.
-Ma… siete sicuri? Posso prendere la metro...- disse la ragazza,
confusa. Non le sembrava che Evan fosse desideroso di offrirsi come
cavalier servente.
-Non è cortese rifiutare una gentilezza.- le fece notare quello,
recuperando un paio di chiavi ed aprendo la porta. Con un piede oltre
la soglia e l’altro ancora in casa, si voltò a mezzo e la
guardò coi suoi strani occhi grigi, chiedendole quanto ancora
volesse rimanere lì imbambolata.
Ancora disorientata, Amanda si affrettò a salutare e seguirlo fuori.
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Capitolo 9 *** Cap. 8 Dealing with the wolves ***
Cap. 8 Dealing with the wolves
Ohh!!
*___* Sono contenta di essere finalmente arrivata a questo capitolo,
perchè qui c'è la prima vera interazione a due tra Evan e
Amanda :D
La loro sarà sicuramente una conversazione atipica, ma tenete
conto che Van non è il re della loquacità ^^' XD
Spero vi piaccia, vi auguro buona lettura! :)
Cap. 8 Dealing with the wolves
Scese rapidamente i gradini, stando dietro al suo accompagnatore.
Non sembrava aver fretta di
riportarla a casa, ma si muoveva troppo velocemente e lei non riusciva
a stargli dietro. Non dopo una giornata di lavoro di nove ore e scarpe
col tacco ai piedi.
Quando arrivarono in strada,
Amanda si fermò per riprendere fiato e lanciò
un’occhiata tutt’intorno. Nel parco antistante vi erano
appesi numerosi fili di lampadine natalizie, che servivano ad
illuminare alcuni tavolini attorno a cui si erano raccolti gli anziani
dell’isolato.
-Muoviti.- le ingiunse la voce di Evan.
Si voltò a guardarlo e, preso coraggio, disse:-Non c’è bisogno che tu mi accompagni a casa. Veramente.
Lui la guardò per qualche
istante, in silenzio, poi le porse un casco scuro. Lei lo fissò
perplessa, rigirandoselo tra le mani. –Mi hanno chiesto di
riportarti a casa ed è quello che intendo fare. Crystal sa
essere imprevedibile e non vorrei che arrivasse a farti del male: non
potresti difenderti.- replicò, con tono pacato.
Nonostante la sua voce non avesse
nessuna particolare inflessione, era chiaro come il sole che non
avrebbe ammesso ulteriori proteste. Se non aveva capito male, lui non
era un pretendente al ruolo di Alfa, ma sarebbe stato dannatamente
bravo se avesse deciso di soppiantare il padre.
-D’accordo. Grazie.-
mormorò, abbandonando qualsiasi tentativo di resistenza.
Cercò di raccogliere la crocchia di capelli alla belle meglio,
dato che si stava disfando, poi indossò il casco.
Quando rialzò lo sguardo, si
ritrovò davanti una moto di grandi dimensioni con cromature e
rifiniture rosse. La osservò stupita per qualche istante,
leggendo nella penombra il nome della ditta produttrice. –Una
moto italiana…?- chiese.
Evan abbassò lo sguardo
sulla scritta che si trovava sul fianco del mezzo e poi guardò
la ragazza. –Sì. Una Ducati Superbike.- confermò.
–Ti interessi di moto?- le domandò subito dopo, curioso.
Lei scosse la testa. –No, no.
Ma mio fratello ne ha sempre voluta una, quand’era più
giovane. Stava sempre in garage a riparare vecchi catorci.- ammise,
ridendo al ricordo di Gregory completamente coperto di olio da motore e
macchie di altre natura.
“Ha una famiglia
numerosa.”, considerò il licantropo. Da molto tempo lui
aveva dimenticato il vero significato di quella parola bella ed
insidiosa.
-Immagino avrai anche un’auto sportiva, da qualche parte.- la voce di Amanda lo distolse dai suoi pensieri.
Spostò lo sguardo sul suo
viso, celato dal casco e la vide arrossire leggermente. –No, non
ce l’ho.- rispose, piatto. Odiava con tutto se stesso quelle
scatole di metallo. Avrebbe volentieri cavalcato per il resto della
propria vita ma, considerato com’erano cambiati i mezzi di
trasporto, aveva dovuto optare per qualcosa di diverso.
Le moto assomigliavano molto ai cavalli e lui si sentiva a proprio agio, guidandone una.
“Di sicuro è un tipo
di poche parole.”, pensò Mandy, stupendosi nuovamente per
il tono della risposta che le era stata data. Forse era una
caratteristica dei licantropi… anche se David sembrava molto
più loquace dell’amico.
Fece spallucce e si avvicinò
alla moto, indecisa se salire o meno. –Monta.- Evan
dissipò qualsiasi dubbio. Gli lanciò un’occhiata e
poi fece passare la gamba dall’altra parte della sella,
accomodandosi.
Lui la imitò subito dopo, con un movimento così repentino che quasi non lo vide.
“Caspita! Dovrò
cominciare ad abituarmi a queste cose…!”, si disse,
osservando la schiena del giovane uomo.
-Reggiti o cadrai.- si sentì dire mentre il motore prendeva vita, ringhiante.
-Perché voi uomini dite
sempre così…?- mormorò a bassa voce Amanda,
considerandolo un avvertimento privo di fondamento. Anche Wayne glielo
diceva spesso, quando la veniva a prendere in macchina per
accompagnarla fuori a cena.
Evan la sentì. –Non posso parlare per gli altri, ma io non sto scherzando.- replicò.
Non le lasciò nemmeno il
tempo di aprir bocca, che partì come una furia. La giovane si
morse la lingua e si schiacciò contro di lui, avvinghiandosi ai
suoi fianchi.
Se Emily le era sembrata veloce, la
guida di Evan le avrebbe causato un infarto gratuito. Non aveva mai
amato le montagne russe e non vedeva il motivo di smettere.
-Le farà venire sicuramente
un infarto.- ridacchiò Emily, osservando la moto di Evan
sfrecciare lungo la via e poi sparire oltre la prima svolta.
-Quello è il suo modo di
guidare, non lo fa per impressionarla. Anche quando andava a cavallo si
comportava così.- commentò David, raggiungendo
l’isola della cucina. –Hai fame?
La ragazza si voltò a
guardarlo, corrugando le sopracciglia. –Sono io la donna, in
casa. Dovrebbe essere compito mio.- osservò.
Il moro sollevò un angolo
della bocca, divertito. –Che mentalità antica che hai!
Nemmeno io ed Evan la pensiamo così e siamo molto più
vecchi di te.- le disse, rovistando nella credenza che aveva giusto
riempito quel pomeriggio. “La donna di casa sono io, qui.”,
pensò, divertito.
Il suo migliore amico aveva tante
buone qualità, ma non era sicuramente portato per governare una
casa. Quindi, per evitare di morire di fame, si era offerto di
occuparsi delle questioni pratiche, ossia fare la spesa.
-Sai veramente cucinare…?- chiese dopo un po’ Emily, raggiungendolo.
Dave le lanciò
un’occhiata, mentre estraeva delle bistecche di carne rossa.
–Sì, me la cavo.- rispose, divertito dalla sua diffidenza.
“Devo farla sentire a proprio agio… così forse
potrò carpire qualcosa.”, pensò mentre metteva le
confezioni sotto l’acqua corrente per scongelarle.
La giovane si sedette su uno dei
tre sgabelli da bar ed appoggiò i gomiti sulla superficie
dell’isola, sorridendo sorniona. –Cucinare due bistecche
non è così difficile.- lo punzecchiò. Vedendo che
la sua battuta non aveva sortito effetti, si affrettò ad
aggiungere:-Però è comunque ammirevole.
-Nel tuo branco i maschi non danno
una mano?- buttò lì, fingendosi occupato con padelle e
posate. Mentre armeggiava però, non le tolse gli occhi di dosso
per captare possibili reazioni.
A quella domanda, Emily si
rabbuiò e si strinse nelle spalle. –Nel nostro branco
ognuno bada a se stesso oppure ci si aiuta tra piccoli gruppi. Non
c’è quel senso di appartenenza dei clan più
antichi.- ammise.
-Da quanti anni esistono i Blacks?-
chiese allora l’inglese, mettendosi ad affettare del cavolo
cappuccio e altre verdure. Voleva preparare degli hamburger particolari.
Lei ci pensò su per un
po’, facendo qualche conto. –Cinquant’anni, circa.-
disse infine, abbandonando il soffitto e tornando a puntare gli occhi
su David. Si stava dando veramente da fare e stava pulendo anche
dell’insalata.
-Perché mi fissi? Vuoi darmi una mano?- le domandò lui, sentendosi osservato.
-Oh, no, per carità. Se
c’è una cosa in cui sono negata è proprio la
cucina!- scosse la testa, facendolo ridacchiare.
-Che donna atipica.- commentò, recuperando il pane dalla credenza.
L’americana sogghignò.
–Le donne non devono per forza saper cucinare. Hai una visione
antica del genere femminile.- osservò.
-Touché.
Scoppiarono a ridere insieme e per
un po’ tra i due ci fu perfetta sintonia. Purtroppo per David,
ancora nessuna informazione utile.
Scese dalla sua Porche come una furia e marciò dritta verso casa.
Scansò malamente tutti
quelli che incontrò, ignorando addirittura il richiamo del suo
Alfa. Si fermò solo quando si ritrovò davanti alla porta
dell’appartamento di Alastair.
Dopo la sfuriata fatta sulla
ventesima strada, davanti a Kleinfeld, aveva recuperato l’auto e
si era diretta da qualche parte, senza una meta precisa. Aveva guidato
fino in New Jersey e, vedendo che la rabbia non voleva abbandonarla,
aveva deciso di tornare indietro e sistemare le cose una volta per
tutte.
Ed ora eccola lì, ferma immobile e coi pugni serrati.
Stava cercando di contenere la
propria aura, ma era come impazzita e le sembrava di cogliere sfumature
rossastre su ogni cosa che osservava.
-Cosa vuoi, Crystal?- improvvisamente la porta si aprì, rivelando proprio Alastair.
Colta in fallo, la giovane sobbalzò.
-Allora?- insistette lui, arcuando un sopracciglio.
-Devo vedere il nuovo lupo.- dichiarò, ritrovando la voce ed una parvenza di controllo.
Alst si fece sospettoso. –Per qualche motivo?
-Devo parlargli.- disse solamente, raddrizzando la schiena ed osservandolo coi suoi occhi castani.
-No.- rifiutò lui. –Andrew non è ancora completamente stabile e tu lo faresti sicuramente agitare.
-Certo che lo farei agitare!
Desidero solo picchiarlo fino a farlo sanguinare!- scattò,
cercando di entrare a forza nella stanza. Alastair, però, la
bloccò prontamente impedendole di penetrare all’interno.
–Lasciami andare!
L’uomo la ricacciò
indietro malamente, allontanandola dall’uscio.
–Sinceramente, non capisco il perché di tutto questo
accanimento.- ammise.
Crystal gli scoccò
un’occhiata infuocata, arricciando il labbro superiore con fare
minaccioso. –Ha rovinato il mio matrimonio!- strepitò.
–Ha rovinato la reputazione di Evan e Dearan non l’ha
nemmeno cacciato!
-Non ha rovinato la reputazione di
Evan. Salvare la vita di qualcuno non sminuisce il valore di una
persona, tutt’altro.- le fece notare, mantenendo la propria
calma. Riusciva a mantenere sempre un invidiabile controllo sulle
proprie emozioni, che si trovasse davanti ad un fuoco scoppiettante o
in mezzo ad una rissa.
In quel momento, Crystal avrebbe
voluto spaccargli la faccia. –Scavalcare un Alfa nella gerarchia
di potere per salvare un misero umano rovina la reputazione di
qualcuno, nel nostro mondo.- replicò lei, acida.
-E come pensi di cambiare le cose?-
le domandò con voce tagliente. –L’unico modo
possibile sarebbe eliminare la causa del suo esilio, ma in questo caso
sarebbe omicidio. E anche i licantropi sono punibili dalla legge
americana.- aggiunse.
All’udire quelle parole, la
modella impallidì. Non aveva considerato il problema da quel
punto di vista. Non l’aveva proprio fatto.
-In ogni caso, se anche potessi
riavere indietro Evan, che cosa cambierebbe? Tu non lo ami e lui non
ama te. Il vostro non è mai stato un vero matrimonio.- le fece
notare Alst.
-Non è mai stato…!-
fece per mettergli le mani al collo, ma si trattenne. Lo guardò
col peggiore dei suoi sguardi e poi se ne andò, ancora
più infuriata di quand’era arrivata.
Salì rapidamente fino al
piano in cui si trovava la sua camera e si chiuse dentro, sbattendo la
porta. Raggiunse rapidamente la grande cassettiera al lato del letto ed
aprì il primo cassetto.
Scostò alcuni completini di
pizzo fino a quando non trovò quello che stava cercando.
L’afferrò e l’estrasse, sentendo una stretta al
petto.
Quel piccolo ciottolo nero recava incisa una data, quella del suo matrimonio.
Era la pietra del giuramento su cui
lei ed Evan avevano scambiato i voti nuziali, parecchio tempo prima.
Simboleggiava la loro unione, benedetta dalla Madre Terra.
“Non permetterò che
Evan esca dalla mia vita. Lui mi appartiene!”, pensò,
stringendo con rabbia quell’oggetto rotondo.
Avevano attraversato
Manhattan a tempo record, arrivando al suo appartamento in meno di
dieci minuti. Solitamente ce ne sarebbero voluti una trentina, ma il
suo accompagnatore non sembrava conoscere i limiti di velocità.
Oppure voleva farle venire un infarto per vendicarsi in modo subdolo.
Quando la moto si fermò,
Amanda si scontrò contro la schiena di Evan con una forza non
indifferente. –Ahi!- protestò.
-Qual è l’appartamento?- si sentì chiedere.
Raddrizzò la schiena e fece
per massaggiarsi la tempia, dimentica del casco. –Non ce
n’è bisogno, posso arrangiarmi, a questo punto.- rispose,
bloccando la mano e dandosi della stupida.
-Come preferisci.- disse lui,
preferendo non insistere. Scese dalla moto e si tolse il casco,
lanciandole un’occhiata. –Tutto bene?
Anche se la giovane aveva ancora il
viso coperto, poteva percepire dal battito del suo cuore che era
agitata. “Forse ho guidato un po’ troppo veloce.”, si
ritrovò a pensare.
-Sì, sì… tutto
bene! È solo che non ero mai salita su una moto così
veloce.- si affrettò a dire lei, evitando di dargli
dell’incosciente solo grazie al suo ferreo autocontrollo.
Stirò le labbra in un
sorriso forzato e poi scivolò leggermente avanti per facilitarsi
la discesa dalla moto. Quando posò entrambi i piedi a terra,
però, si rese conto di risentire ancora degli effetti del
viaggio.
-Oddio…- mormorò,
vedendo il mondo inclinarsi. Allungò un braccio alla cieca,
cercando di tenersi in equilibrio.
Evan la osservò e
cercò di capire se fosse sul punto di star male oppure no.
Quando la vide inclinarsi pericolosamente di lato, le afferrò
saldamente il braccio all’altezza del gomito e le impedì
di cadere.
Con la mano libera le slegò il caso e glielo sfilò. –Respira.- disse solo.
Lei lo fece ed arrossì fino
alla punta dei capelli, sentendosi stupida a causa della reazione del
suo stesso corpo. –Grazie…- esalò, prendendo un
respiro profondo. Si concesse qualche istante per riprendersi e poi si
sottrasse gentilmente al tocco del licantropo, recuperando la posizione
eretta.
-Grazie mille per il passaggio.- si
decise a dire dopo un po’. Si fermò un attimo e poi
ridacchiò. –Mi dispiace: non ho fatto altro che dire
grazie, questa sera.- si rese conto.
-Non importa. È giusto ringraziare gli altri.- replicò lui, divertito dalla sua considerazione.
-Be’, sì… solo
che solitamente non lo faccio così spesso.- ammise, scostandosi
un ciuffo di capelli dal viso. Si sentiva tremendamente in imbarazzo:
sia per quello che era appena successo, che per la questione di
Crystal.
Mentre pensava ciò, la sua
acconciatura si disfò definitivamente, lasciando libera la sua
lunga chioma bruna. –Ops!- tentò di arginare il danno, ma
non ci fu niente da fare. –Decisamente è una giornata no.
Evan la osservò in silenzio,
valutando le sue reazioni. Si era reso conto di averla messa in
imbarazzo e avvertiva la sua agitazione, probabilmente dovuta ancora
alla corsa in moto.
Si rese conto di esser dispiaciuto
della cosa ed allungò un braccio verso di lei senza nemmeno
pensarci. Amanda si fece istintivamente indietro. –Cosa
c’è…?
-I tuoi capelli. Posso fare una cosa?- le indicò il capo, cercando di essere rassicurante.
-I capelli? No, ma non importa,
tanto avrei comunque dovuto…- fu costretta ad interrompersi
perché Evan si era spostato dietro di lei e non sapeva che
intenzioni avesse. S’irrigidì, credendo volesse mettere in
pratica una qualche stramberia da licantropi.
Avvertì le sue dita scorrere
per tutta la lunghezza dei capelli e poco dopo dividerli in ciocche.
Ebbe un brivido al pensiero che nessun uomo l’aveva più
toccata da quando era successo il fattaccio con Wayne, Drew e Greg
esclusi.
-Ehm… io…- iniziò, cercando di metter insieme un discorso coerente. Si sentiva il viso in fiamme.
-Non è nulla di strano, solo
un modo per scusarmi di tutto quello che ti è successo oggi.- la
tranquillizzò, stupendosi subito dopo del proprio comportamento.
Da quando sentiva il bisogno di tranquillizzare qualcuno?
Aggrottò le sopracciglia,
perplesso e restò a fissare davanti a sé. Quella giornata
si stava rivelando più strana del previsto, a quanto pareva.
Decise di allontanare quelle
considerazioni e si affrettò ad intrecciare le ciocche, fino ad
ottenerne una lunga treccia. Gli veniva facile maneggiare i capelli
lunghi, considerato che li aveva portati sotto le spalle per qualche
tempo, quand’era ancora in Scozia.
Quando se li era tagliati
cortissimi, Crystal aveva stranamente detto che stava meglio e non si
era lamentata. Non le aveva chiesto spiegazioni e, anche se si fosse
messa a strepitare, non gliel’avrebbe data vinta.
-Ecco.- terminò la propria opera con un nodo, ricavato con un ciuffo di capelli.
Subito la mano di Amanda corse alla
treccia: ne saggiò la consistenza e la trama. Rimase stupita
dall’abilità dell’uomo nell’intrecciare i
capelli e molto più dal fatto che sapesse come fare
un’acconciatura. –Grazie… di nuovo.- mormorò,
voltandosi per sorridergli un attimo.
Van le fece un cenno del capo,
allontanandosi di qualche passo. –A quanto pare, noi scozzesi
abbiamo una propensione per queste cose.- commentò, ironico.
-Propensione?- fece Mandy, perplessa.
-Mai visto Braveheart? Molti dei nostri assomigliavano molto al protagonista.- spiegò.
-Molti licantropi o umani?-
indagò lei, divertita dalla piega che stava prendendo il
discorso. Non credeva che conoscesse quel film. Anzi, in generale non
credeva guardasse nessun genere di programma televisivo, visti la sua
origine ed il suo mondo di appartenenza.
-Entrambi. Ma tra i licantropi è ed era molto più diffuso.- spiegò.
-Quindi anche tu li hai portati lunghi?
Annuì.
–Quand’ero più giovane.- confermò. Li aveva
tagliati al compimento dei diciotto anni, quando era stato riconosciuto
ufficialmente come uomo in grado di combattere. –Ma è una
cosa irrilevante, ora. Credo che tu sia stanca: dovresti andare a
riposare.- cambiò rapidamente argomento, non volendo raccontare
del proprio passato.
Mandy sembrò capire
l’antifona perché recuperò le chiavi dalla borsa e
si avviò verso la porta. –Se dovessero esserci notizie da
parte di Andrew, me lo farete sapere?- domandò, voltandosi a
guardarlo.
-Certamente. Ma sono certo che lo
riavrai a casa molto presto: un lupo può scegliere liberamente a
quale branco appartenere.- le rispose.
Registrò
l’informazione, mandandola a memoria. -Dovrò iniziare a
studiare e capire il vostro mondo. La cosa mi spaventa, ma
aiuterà Drew.- meditò, più rivolta a se stessa che
al suo accompagnatore.
-Lo aiuterà sicuramente
avere accanto qualcuno che non lo guarda come se fosse un mostro.-
confermò. –Aiuta sempre.
-Spero di esserne
all’altezza.- ammise lei, stringendo più forte le chiavi.
Avvertì il ferro appiccicarsi alla pelle.
Evan la scrutò, analizzandola. –Credo tu sia già a buon punto.- ammise infine. –Buonanotte.
Detto questo si infilò
nuovamente il casco e risalì in sella, accendendo la moto.
Riscaldò il motore e poi se ne andò, lasciandola ferma
davanti alle scale d’ingresso.
-Grazie. E buonanotte.-
sussurrò lei, stupita dalla conversazione appena avuta. A quanto
pareva, anche uno come Evan MacGregor poteva intavolare un discorso
interessante con qualcuno ed essere socievole.
-Emily, lasciatelo dire, non sei proprio portata per la cucina.- ridacchiò David.
La giovane al suo fianco
sbuffò, gonfiando le guance come un piccolo criceto arrabbiato.
–Lo so. Ma non c’è bisogno di sottolinearlo.-
brontolò.
-Be’, stai letteralmente
uccidendo i pomodori.- le fece notare, prendendole dalle mani il
coltello per impedirle di fare altri danni.
Piccata, Emily si allontanò
dal piano di lavoro e fece il giro del bancone, piazzandoglisi davanti.
–Allora fammi fare qualcos’altro. Voglio essere
d’aiuto.- disse.
Ci pensò su e poi le disse:-Puoi apparecchiare.
-D’accordo.- annuì lei.
Stettero in silenzio per un
po’, poi Dave decise di tentare il tutto per tutto con una
domanda a bruciapelo. –Perché sei venuta da noi, Emily?
A quella domanda, la lupa per poco
non perse la presa sul bicchiere che aveva in mano. Si morse
l’interno della guancia, cercando di calmarsi e posò
attentamente l’oggetto sul tavolo. Afferrò saldamente il
bordo con le mani e tentò di trovare una risposta che potesse
suonare plausibile alle orecchie del suo interlocutore.
Non sapendo cosa inventarsi,
optò per la verità. O almeno, una parte di essa.
–Sono la compagna dell’Alfa dei Blacks.- rivelò.
-Quindi sei la femmina Alfa?!-
esclamò stupito David. Perché diavolo una persona nella
sua posizione aveva richiesto l’aiuto del Campione di un altro
branco? Non poteva farsi difendere dal proprio?
Lei si girò lentamente, tenendo lo sguardo basso. –Non proprio. Io sono una sorta di rimpiazzo.- mormorò.
-Un rimpiazzo? Non si può
rimpiazzare la femmina Alfa così facilmente!- sbottò,
infastidito dalle sue parole. Come diavolo vivevano i licantropi di New
York?!
Emily sollevò lo sguardo per poterlo guardare negli occhi. -Sì, se è morta.- replicò con voce atona.
A quelle parole, l’inglese
non seppe che dire. –Oh… io… mi spiace…-
riuscì ad articolare infine.
-Anche a me.- rispose lei, esibendosi in un sorriso amaro. “Non sai nemmeno quanto.”, aggiunse mentalmente.
-Non ti hanno accettata come nuova
compagna dell’Alfa?- indagò il giovane, avvicinandosi e
lasciando perdere la cena. Non aveva immaginato di trovare una
verità così scomoda.
-Be’, non importa a nessuno
chi si ripassa il capo. Soprattutto se il giocattolo di turno si
può condividere.- disse con sdegno.
David divenne paonazzo. Un simile
comportamento non poteva essere accettato all’interno di un
branco, soprattutto nei confronti di una femmina. –Mi stai
dicendo che i maschi del tuo clan abusano di te?- chiese a denti
stretti.
La sua aura sfrigolò,
avvolgendolo come una fiamma. La ragazza sobbalzò per la
sorpresa e tentò di arginare il danno spiegandosi meglio che
poteva. –No, no! Non… no! Hanno provato, ma non
gliel’ho permesso.- disse.
-Come hai fatto…? Sei
così piccola…- la guardò, confuso. La rabbia era
scemata leggermente, ma era sempre pronta ad esplodere nuovamente. Non
sopportava che venisse fatto del male agli elementi più deboli
del branco, lo mandava fuori di testa.
-Sono un’insegnante di
autodifesa. Conosco diversi stili di combattimento.- spiegò,
abbozzando un sorriso che voleva essere rassicurante.
Lui scosse la testa, facendo
dondolare i ricci che gli incorniciavano il viso. Poco importava che
lei sapesse difendersi, era l’atteggiamento dei membri del suo
branco che era inaccettabile.
“Dove diavolo sono finito?!
Anche un abitante di Alba riuscirebbe ad essere più civile di
così!”, pensò irritato.
-David, per favore, calmati. Non
devi reagire così.- Emily allungò un braccio, cercando di
raggiungerlo, ma lui si scostò malamente.
-Non sopporto chi gioca con le
persone che non sono in grado di difendersi.- la guardò negli
occhi. –Scusami, ho bisogno di aria.- e detto questo uscì
dall’appartamento e salì rapidamente sul tetto.
Lei rimase immobile al centro della
cucina, dandosi della stupida per averlo fatto irritare a quel modo.
Sapeva che non ce l’aveva con lei, ma non avrebbe voluto
scatenare una tale reazione.
“Che tu sia maledetto, Jared!”, pensò con altrettanta rabbia.
Quando si chiuse la porta
alle spalle, la prima cosa che notò furono le luci accese e
l’enorme quantità di cibo abbandonata sul piano della
cucina.
Si accigliò, perplesso e scandagliò la stanza alla ricerca di David. –Ma che…?
In quel momento Emily uscì
dal corridoio che portava alla zona notte, indossando un paio di shorts
e una maglia. Si bloccò non appena lo vide. –Oh, Evan!
-Cos’è successo? Dov’è David?- domandò, perplesso.
Lei arrossì leggermente e
poi indicò col mento verso l’alto. –E’ sul
tetto… da una ventina di minuti, ormai.- rivelò.
Il giovane si
accigliò, ma non chiese altro, limitandosi ad uscire e
raggiungere l’amico. Lo trovò appollaiato sulla cabina
dell’ascensore, intento a guardare il cielo scuro. Gli si
avvicinò e cercò di capire in che stato emotivo versasse.
-Ehi, sei tornato…- mormorò l’inglese, voltando lentamente il capo per lanciargli un’occhiata.
Evan gli si affiancò con un
agile balzo. –Cos’è successo di sotto? Avete
litigato?- domandò, preoccupato dalla strana piega presa dagli
eventi.
L’altro scosse la testa. –No, non abbiamo litigato. Ho solo scoperto alcune cose su di lei.- rispose.
-Che tipo di cose?
-Di quelle che mi fanno andare in
bestia.- ringhiò Dave. Strinse i pugni fino a far sbiancare le
nocche, lo sguardo fisso davanti a sé.
Evan assorbì un po’
delle sua rabbia, ma gli permise di sfogare il resto e lasciò
che tra di loro vi fosse silenzio per un po’. Gli sembrava
d’aver intuito le cause del suo comportamento, ma voleva che
fosse l’amico a dargliene conferma.
-A quanto pare, nel branco dei
Blacks, non c’è nessuna regola degna di questo nome.- fu
David il primo a parlare. Come aveva sperato che facesse Evan.
-Non rispettano le leggi del nostro mondo?- chiese, cercando di capire.
-Non quelle che riguardano le
femmine, a quanto pare.- scosse la testa, concedendosi un altro spasimo
di rabbia. Serrò la mascella ed evitò lo sguardo di Van
per un po’. –Io non so cosa ci sia di divertente nel far
del male agli altri. Proprio non lo capisco.- ammise infine, passandosi
le mani sul viso.
“Avevo supposto bene, a
quanto pare.”, si disse il giovane MacGregor. –Ti ha per
caso detto cosa le hanno fatto?- indagò.
-Ha detto che lei è il
rimpiazzo della femmina Alfa che, a quanto pare, è morta. Il
capobranco, però, la considera alla stregua di un oggetto e ha
concesso agli altri maschi di divertirsi con lei.- spiegò
succintamente.
A quelle parole, Evan lo
fissò ammutolito: non avevano veramente nessun rispetto per le
leggi del loro mondo! Ora capiva bene lo sfogo dell’amico e
avrebbe volentieri voluto spaccare la faccia ad un paio di lupi.
-Che schifo.- commentò, disgustato. –Abusare di una femmina è una cosa ignobile.
-Non hanno abusato di lei. Mi ha
detto che è riuscita a difendersi, almeno fino a quando non ce
l’ha più fatta e ha deciso di venire da noi.-
smentì.
-Avrebbe potuto dirmelo subito!
Avrei potuto…- si bloccò, non sapendo bene
cos’altro dire. Cos’avrebbe potuto fare? Lui non era
l’Alfa del branco e non poteva lanciare sfide, ma solamente
accettarle in quanto Campione. “In verità, Evan, ora sei
un Alfa. Teoricamente parlando.”, gli ricordò una voce
nella sua testa.
-Be’, almeno sappiamo
perché è venuta a cercarti. Ora è sotto la nostra
protezione e non ho intenzione di permettere ad un branco di bastardi
di trastullarsi liberamente. Il solo pensarci mi fa rivoltare lo
stomaco!- sentenziò David. “E mi riporta alla mente
ricordi orribili.”, aggiunse tra sé e sé.
Evan gli diede una pacca sulla schiena, comprensivo. –Concordo pienamente.
Si scambiarono un’occhiata e
poi sospirarono. In quel momento Emily fece la sua comparsa in cima
alle scale, le braccia avvolte attorno al corpo. –Non ho bisogno
di due cavalieri pronti ad accorrere in mia difesa.- disse loro.
–Però apprezzo moltissimo il fatto che vi siate indignati
per quello che ho raccontato. Nel branco, nessuno reagisce più
da tempo.
-Il vostro Alfa deve aver fatto il
lavaggio del cervello a tutti quanti, se quello che dici è
vero.- commentò Evan.
-Oh, be’… Jared fa sembrare tuo padre un agnellino, in alcuni frangenti.- ammise lei.
-A quanto pare il mondo è pieno di selvaggi.- ringhiò Dave, appoggiando il mento sulle ginocchia.
-Be’, fortunatamente voi non sembrate esserlo.- la ragazza cercò di risollevargli il morale.
-L’unico selvaggio, qui,
è David: quando si avvicina una consegna diventa intrattabile.-
scherzò Evan, tentando di buttarla sullo scherzo per far reagire
l’amico.
-Senti da che pulpito.-
brontolò quello. Si scrutarono per qualche istante e poi si
lasciarono andare ad una risata liberatoria, presto seguiti dalla nuova
arrivata.
-Ragazzo, direi che ora sei
finalmente stabile.- sentirsi dire quella frase gli ridiede dieci anni
di vita. Sollevò gli occhi su Alastair e lo guardò,
scrutando la sua espressione seria.
-Ti ringrazio, Alastair. Per tutto.- disse con gratitudine.
-E’ mio dovere, in quanto Beta, occuparmi dei nuovi lupi.- gli spiegò, non volendosi prendere il merito.
-Avresti potuto fare ben altro,
invece di aiutarmi.- osservò Andrew, memore della conversazione
che l’uomo aveva avuto con l’ex compagna del Campione.
Alst sollevò un angolo della
bocca. –Giusto, dimenticavo che ora anche tu hai l’orecchio
fine.- commentò, dispiaciuto. –Mi dispiace che tu abbia
sentito quello che ha detto Crystal.
Drew si passò una mano sul
viso, pensieroso. –E’ vero quello che ha detto? Che se io
morissi Evan potrebbe essere riammesso nel branco?- chiese, timoroso di
sapere la verità.
Era appena scampato alla morte ma,
a quanto sembrava, la sua nuova vita gli aveva fatto guadagnare una
nuova opportunità per ottenere il riposo eterno.
-Sì, è vero. Ma non
so quanto possa valere in questo caso: tra Dearan ed Evan non scorre
buon sangue.- ammise, riportando alla mente gli innumerevoli scontri
verbali a cui aveva assistito nel corso degli anni.
Accigliandosi, l’americano domandò:-Se sono così alle strette, come mai Evan non ha lasciato il branco?
“Come se fosse così
semplice.”, pensò Alastair. –Ragazzo, hai ancora
molte cose da imparare. Il legame con il branco non si può
recidere così facilmente. Salvo casi particolari.- gli
spiegò.
-E per quanto mi riguarda? Potrò tornare a casa?
-Puoi tornare a casa, ma dovrai
partecipare attivamente alla vita del branco. Ora sei uno di noi.- gli
rispose Dearan, fermo sulla soglia.
Non sapendo cosa fare, Andrew lo
salutò con un rispettoso cenno del capo. Riusciva a percepire il
disappunto dell’Alfa ed era quasi certo che avrebbe voluto
cacciarlo seduta stante. Il problema, però, era che non poteva
farlo senza un buon motivo.
-Non posso decidere liberamente di lasciare il branco?- chiese il nuovo lupo.
L’Alfa gli scoccò
un’occhiata di fuoco. –No.- rifiutò. –Potrai
tornare nel tuo appartamento, ma non potrai lasciare il branco.
E detto questo se ne andò, portando con sé la propria irritazione.
Drew aspettò di non
percepire più la sua aura e poi si rivolse ad Alastair,
chiedendo:-Perché non vuole lasciarmi andare?
-Perché teme che tu andresti
da Evan, chiedendo di entrare nel suo branco. È una questione
d’orgoglio, per lui. E’ sempre una questione
d’orgoglio, tra loro due.- sospirò.
-Fantastico.- commentò
lugubre il ragazzo. –Sono diventato la pedina di un gioco che
dura ormai da oltre un secolo, a quanto pare.
Vedendo al sua espressione
abbattuta, Alst gli si avvicinò e gli strinse con forza una
spalla. –Non ti preoccupare di questo, ora. Pensa ad entrare in
armonia con la tua bestia e a conoscere il tuo nuovo mondo.- gli disse.
-Lo farò. Sicuramente.- assicurò l’altro.
-Bene. Direi che ora puoi tornare a
casa.- gli sorrise l’uomo. “Speriamo che vada tutto
bene.”, si augurò. Aveva notato un po’ di agitazione
nel branco e non ne aveva capito il motivo, anche se sembrava
stranamente legato ad Andrew.
-Quando dovrò tornare?
-Ti avvertirò io.- gli mostrò il cellulare. –Ormai ci siamo modernizzati anche noi.
Drew rise. –Sì, a quanto pare siete lupi tecnologici.
Ridacchiando divertito, Alastair lo
accompagnò alla porta, raccomandandosi di chiamare qual ora
dovesse aver avuto problemi.
Erano ormai due ore che
puliva casa e non riusciva a capacitarsi del perché. Aveva a
malapena cinquanta metri quadri a disposizione, eppure sembravano
cinquecento.
“Oddio, non finirò mai!”, pensò tergendosi il sudore dal viso.
Aveva deciso di fare delle pulizie
di primavera in anticipo, giusto per sfogarsi e tenersi un po’
impegnata. Nonostante avesse tentato di mantenersi occupata con il
lavoro, il pensiero di Frances ed Andrew era sempre in agguato.
Si sentiva impotente e la cosa la faceva irritare parecchio.
Sbuffando, si appoggiò di
schiena al divano e lo spinse indietro, rimettendolo al suo posto. Si
chino e sprimacciò i cuscini, prima di sistemarli al loro posto.
Improvvisamente, qualcuno
bussò alla porta. Si raddrizzò e fissò il
battente, perplessa. –Arrivo.- disse dopo qualche istante.
Raggiunse l’ingresso e poi
aprì. Non si aspettava minimamente di trovarsi davanti quella
persona, tant’è che rimase con la bocca aperta.
-Ciao Mandy.- le sorrise.
-Andrew! Oddio!- senza pensarci due
volte, Amanda gli saltò al collo, abbracciandolo più
forte che poté. –Come stai? Ho provato a mettermi in
contatto con te, ma non ho potuto.
Lui la strinse. –Sì,
lo so. Alastair mi ha riferito tutto.- rispose, inspirando il suo odore
e mandandolo a memoria.
-Mi stai annusando?- ridacchiò lei.
-Oh… ehm… sì, scusami…- mormorò, impacciato.
Amanda sciolse l’abbraccio e
si allontanò di un passo per poterlo guardare in viso.
–E’ tutto ok. Suppongo faccia parte del nuovo Andrew.- lo
rassicurò, comprensiva. Se lo immaginava come il gesto curioso
di un cucciolo non era poi così strano.
Peccato che Drew fosse un uomo.
-Sì, ecco… mi hanno
detto di mandare a memoria più informazioni possibili.-
spiegò, grattandosi la nuca con fare imbarazzato. –Non
voglio metterti a disagio, però.
-Tranquillo. Vuoi entrare?
Lui si guardò intorno.
–Fran è a lavoro? Non ho le chiavi con me e quando ho
bussato non mi ha risposto nessuno.- chiese.
A quella domanda, la sorella della
sua fidanzata si rabbuiò. “Ora come glielo dico?”,
si chiese, prendendo a torturarsi le mani.
Drew si fece sospettoso. –Amanda, dov’è Frances?
-Ecco… vedi…-
tentennò. Si vide afferrare saldamente per le spalle e
sentì le unghie del ragazzo affondare nella carne. –Drew,
non stringere così!- protestò con una smorfia.
-Scusami!- allontanò
immediatamente le mani, tenendole bene in vista davanti a sé.
–Non riesco ancora a gestirmi completamente.
La morettina scosse la testa,
dedicandogli un rapido sorriso. –Vieni a sederti.- lo
invitò, afferrandolo per il polso e tirandolo gentilmente verso
il divano.
-Mi stai per dare brutte notizie, vero?
Il suo tono di voce le fece venire
i sudori freddi. Non se la sentiva proprio di dargli quella mazzata
dopo tutto quello che era successo. Prese tempo facendolo sedere e
fingendo di sistemare i cuscini. Alla fine, non avendo più nulla
di sensato da fare, sospirò e si sedette a sua volta.
-Frances è… è da Greg.- confessò infine.
-Da Gregory? Ci sono problemi coi bambini?- le chiese, allarmato.
Scosse la testa. –No, no.
Stanno tutti bene.- smentì. –Ma resterà lì
per un po’.- aggiunse, lanciandogli una rapida occhiata.
Drew la inchiodò coi suoi
occhi chiari e lasciò che il proprio viso venisse trasfigurato
da una smorfia di dolore. –E’ per colpa mia, vero?
Amanda fece per smentire, ma si
trattenne e alla fine dovette annuire. –Da quando sei stato
morso, ha continuato a ripetere che ti avevano cambiato e che non
saresti stato più lo stesso di prima. Diceva che non poteva
accettare la cosa e che… che le serviva tempo.- la sua voce si
affievolì fino a spegnersi.
Quelle parole gli fecero male.
“Non hai più fiducia in me, Fran?”, chiese a nessuno
in particolare. –Pensi che cambierà idea?- domandò
invece in un sussurro.
-S-sì! Le ci vorrà un
po’, ma sono sicura di sì.- rispose prontamente Mandy.
–Devi solo darle tempo.
-E se io avessi bisogno di lei
adesso?!- scattò il ragazzo. Strinse febbrilmente i pugni,
fissandola dall’alto. –Io ho bisogno di qualcuno che mi
aiuti a gestire questa nuova vita.
-Posso farlo io!- si offrì la ragazza. –E puoi chiamare Alastair oppure parlare con Evan e gli altri.
Andrew scosse ripetutamente la
testa, prendendo a muoversi nervosamente per la stanza. Se Frances non
aveva fiducia nelle sue capacità, come poteva credere di poter
controllare la bestia che risiedeva in lui, ora?
Era diventato veramente un mostro? Non sarebbe più stato lo stesso di prima…?
Quel timore riportò a galla
i suoi istinti animali e si sentì improvvisamente intrappolato
nel proprio corpo. Si bloccò e si cacciò un pugno in
bocca, tremante.
-Drew… che ti succede?- chiese Amanda, seriamente preoccupata nel veder il suo strano comportamento.
-Devo… credo… sto per trasformarmi, temo.- farfugliò.
Al che, la giovane si alzò
in piedi e si guardò intorno, senza sapere bene cosa fare. Poi,
una strana calma s’impossessò di lei e si mise a spingere
contro le pareti i mobili che potevano essere d’intralcio.
-Ecco. Così non ti farai del
male.- gli disse, una volta terminato. Lui la guardò con tanto
d’occhi, il viso imperlato di sudore. –Puoi… puoi
smettere di trattenerti.
“Grazie.”, pensò
il giovane licantropo. –Non ti spaventare: non ti farò
nulla.- l’avvertì, prima d’inginocchiarsi a terra.
Smise di combattere la bestia e lasciò che prendesse il pieno
controllo del suo corpo.
Urlò, dato che il
processo era ancora maledettamente doloroso, ed avvertì le
proprie ossa spostarsi e ricomporsi. Ad un certo punto perse la
cognizione spazio temporale e, all’improvviso, si ritrovò
a fissare il mondo da una prospettiva diversa.
Sollevò il capo e si mise
sulle quattro zampe, esattamente davanti ad Amanda. La giovane stava
cercando di fare del suo meglio per non urlare o fare qualsiasi cosa
che potesse farlo sentire peggio.
Gliene fu immensamente grato.
La fissò, in attesa, mentre lei lo ispezionava con curiosità e timore.
Quello che aveva davanti a
sé era un lupo della stazza di un cavallo, col pelo tendente al
caramello e un bel paio di occhi espressivi e molto umani. Era Drew,
anche se in versione pelosa.
“E’ sempre lui. Non
è cambiato.”, realizzò. Quella nuova consapevolezza
le tolse un peso dallo stomaco e le fece sbocciare un bellissimo
sorriso sulle labbra. –Posso toccarti?- chiese.
Il fidanzato di sua sorella annuì, mantenendosi il più fermo possibile.
Lei allora allungò una mano
e gli sfiorò il muso, leggera. Vedendo che non gli dava
fastidio, ritentò. Pian piano annullò la distanza che
c’era tra loro e prese ad accarezzargli la gorgiera, affondando
le dita in quel pelo soffice e caldo.
-Sei molto bello in versione
lupina.- gli sorrise, con le lacrime agli occhi. –E sei sempre il
Drew che conosco. Dobbiamo dirlo a Frances.
Andrew annuì ed
appoggiò il capo sulla sua spalla, cercando di farle capire
quanto quelle parole lo stessero aiutando a superare quel momento di
paura. Aveva temuto di esser cambiato a tal punto da esser divenuto un
estraneo agli occhi di chi gli voleva bene ma, a quanto pareva, non era
così.
Avrebbe imparato a convivere col branco e con la sua parte animale. Avrebbe imparato le leggi del suo nuovo mondo.
E si sarebbe ripreso Frances, facendole capire che era ancora l’uomo di cui si era innamorata.
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Capitolo 10 *** Cap. 9 Trovare la via ***
Cap. 9 Trovare la via
Ben trovati!
Allora, premetto che questo sarà un capitolo denso di informazioni e spero che il carico non sia eccessivo.
Le info che Drew dà ad Amanda vengono da una ricerca e
rielaborazione di cose trovate su siti e pdf vari, quindi non sono
totalmente farina del mio sacco (un buon contributo viene dal blog "Il
Giardino delle fate").
Entreranno in scena nuovi personaggi, le cui dinamiche vi saranno più chiare strada facendo, ovviamente :P
Prima di lasciarvi alla lettura, vorrei dirvi che dal prossimo capitolo
l'aggiornamento non sarà più così puntuale, causa
impegni universitari che iniziano a farsi sentire.
Vi chiedo umilmente perdono in anticipo >____<
Buona lettura!
Cap. 9 Trovare la via
Restò a fissarlo per un tempo lunghissimo, mentre lui ispezionava la stanza coi cinque sensi.
Era strano pensare che nel suo appartamento ci fosse un enorme lupo
mutaforma, ma avrebbe dovuto farci l’abitudine d’ora in poi.
Ogni qualvolta Andrew si avvicinava a qualcosa di fragile
tratteneva il respiro, temendo che potesse romperlo. Ma scoprì
ben presto che l’amico aveva una grazia di movimenti pari a
quella di una prima ballerina, nonostante la taglia extralarge.
Si tranquillizzò man mano che il tempo passava e, un’ora
dopo la trasformazione, Amanda si ritrovò a giocare con lui,
tirandogli le orecchie e ridacchiando delle sue smorfie.
Improvvisamente, però, Drew la allontanò da
sé e si nascose dietro il divano. Subito dopo sentì dei
rumori viscidi e parecchio inquietanti, che le riportarono alla mente
scene di caccia viste alla televisione.
Tempo dieci minuti ed Andrew si mostrò, nuovamente in forma
umana. –Avresti un asciugamano?- le chiese, imbarazzato.
-C-certo!- esclamò Mandy, correndo in bagno per recuperarne uno.
Afferrò il primo della pila, senza curarsi minimante del colore
o del taglio, e tornò in sala. –Ecco.- glielo
allungò fissando la parete dritto davanti a sé.
-Grazie.- disse lui, affrettandosi a coprirsi. Se lo avvolse attorno ai
fianchi e poi, dopo un attimo di silenzio, scoppiò a ridere.
–Frances mi avrebbe sicuramente scattato una foto!-
esclamò, divertito.
Incuriosita da quello scoppio d’ilarità, Amanda
s’arrischiò a guardare. E scoprì di avergli dato un
asciugamano rosa confetto. –Oddio, scusami!- tentò di
rimanere seria, ma non ci riuscì per molto e poco dopo si
unì a lui, ridendo di gusto.
L’altro scosse la testa, mentre il sorriso moriva lentamente
sulle sue labbra. –Se Fran fosse stata qui…-
mormorò, abbassando il capo.
Percependo il cambiamento di tono, Mandy gli si avvicinò e gli
strinse l’avanbraccio con forza. Lui la guardò e
tentò un sorriso stiracchiato. –Sto bene, tranquilla.-
mentì.
“Be’, almeno reagisce.”, si disse lei.
–Drew… posso chiederti una cosa?- domandò, cercando
di cambiare argomento. Lo spunto gliel’aveva dato la sua
precedente perlustrazione in forma di lupo.
-Certo, dimmi.- annuì.
Si grattò la punta del naso, indecisa. –Tu… che
genere di licantropo sei? Sei uguale ad Evan e David?- chiese.
Al che, Andrew si fece pensieroso e ripercorse con la mente quello che
gli aveva detto Alastair. –No, non credo, per me la questione
è diversa. Comunque, se non ho capito male, dalla metà
dell’Ottocento in poi, i nuovi licantropi appartengono tutti
all’ultimo ceppo genetico.- rispose.
-Ultimo ceppo genetico?- ripetè lei, alzando un sopracciglio.
“Meglio aprire le orecchie: devo capirci qualcosa.”,
pensò subito dopo.
Drew le si avvicinò e si sedette sul divano, facendole cenno
d’imitarlo. –Sì. Alastair mi ha detto che esistono
tre ceppi genetici, per quanto riguarda i licantropi naturali.-
iniziò.
-E tu non sei un licantropo naturale?- chiese lei.
Il suo interlocutore la fermò, ridacchiando. –Un attimo,
con calma! Faccio ancora fatica a capire tutte queste cose, dammi il
tempo di riordinare le idee.
Amanda si sentì intimamente sollevata vedendo che, almeno
momentaneamente, il ragazzo sembrava aver dimenticato i problemi
amorosi per focalizzarsi su altro. Non meno problematico, certo, ma
sicuramente meno doloroso a livello sentimentale.
-Allora, dicevamo…- la sua voce la strappò alle sue
considerazioni. –Mi hai chiesto cosa sono i licantropi naturali.
Annuì col capo, incrociando le gambe sotto di sé e
facendosi attenta.
-Be’, sono i licantropi veri e propri. Quelli nati da altri
licantropi.- spiegò, pratico. Sembrava che le stesse illustrando
come respirare tra una bracciata e l’altra e Mandy
immaginò usasse quel tono quando faceva da istruttore ai bimbi
piccoli.
-Quindi quelli che hanno i genitori coi geni animali… si può dire così?- riassunse.
-Sì, esatto. Evan e David sono quel genere di licantropi. E
anche tutto il resto del branco MacGregor.- le lanciò
un’occhiata per poi tornare a focalizzarsi sulle proprie mani, in
un tentativo di mantenere la concentrazione. –Io sono un infetto.
-Cioè… sei un umano che è stato morso?
Dopo un attimo d’esitazione, Andrew annuì. Aprì e
chiuse le mani più volte e poi la guardò. –La
possibilità che io possa trasmettere la licantropia ai miei
figli è abbastanza bassa, ma posso trasmetterla attraverso il
morso.- aggiunse.
A quella notizia, Amanda spalancò gli occhi.
“Brutta cosa, molto brutta.”, pensò. Se Frances
fosse venuta a conoscenza di quell’informazione, avrebbe
sicuramente dato di matto o cercato di sradicare i nuovi geni dal DNA
del suo fidanzato a mani nude.
Be’, d’altronde era abbastanza scontato che Drew sarebbe diventato contagioso, no? Stupida lei a non averci pensato.
Notando la sua reazione, il diretto interessato commentò:-Non è sicuramente qualcosa da dire a Fran, vero?
-No…- fu costretta ad ammettere. –Ora proprio no. Credo potrebbe andare in paranoia.
-Ma io non la morderei mai! E… e la percentuale
è…- la voce gli morì in gola e si vide costretto a
mordersi il labbro inferiore, per non aggiungere altro.
Amanda gli si avvicinò e lo strinse in un abbraccio, cercando di
rassicurarlo. –Lo so. So che non le faresti mai del male, almeno
non intenzionalmente.- sussurrò, facendolo appoggiare alla
propria spalla. Lui la lasciò fare, anche se rimase abbastanza
rigido. Dopo un po’, lei disse:-Mi stavi raccontando dei
licantropi infetti. Chi manca all’appello?
-Quelli astrali.- fu la risposta.
“Astrali?”, saggiò la parola, perplessa. –Sono delle specie di maghi…?- azzardò.
Drew scosse la testa, sciogliendo l’abbraccio per poterla
guardare direttamente in viso. –Sono licantropi che riescono a
manifestare la propria parte animale su piani dell’esistenza
diversi da quello fisico.- provò a spiegarsi. –Alastair mi
ha parlato di trasformazioni all’interno dei sogni, oppure
possessioni di lupi e cose del genere. Credo non capirò bene
fino a che non vedrò qualcuno farlo davanti a me, ma ha detto
che è molto difficile. Ormai più nessuno pratica questo
tipo di trasformazioni.
-E io che credevo che i licantropi fossero semplicemente quelli che si
vedono nei film…- commentò Mandy, stupita.
–E’ un mondo molto più complesso di quello che
appare.
-Oh, manca ancora la parte sulla genetica e quel poco che sono riuscito
ad apprendere delle regole del branco.- replicò lui, divertito
dalla sua reazione.
Recuperando il filo del discorso, raddrizzò improvvisamente la schiena ed esclamò:-I ceppi genetici!
Andrew restò a fissarla per qualche minuto buono, facendola
imbarazzare sempre di più. Alla fine, non riuscendo più a
resistere, scoppiò a ridere. –Oddio, Mandy, sei
così spontanea! Questa cosa ti interessa davvero!-
esclamò.
Arrossendo, lei ribattè:-Non dovrebbe, scusa? Voglio conoscere questa nuova parte di te.
Lui annuì, calmandosi. –Lo so, l’ho capito. Ma sei
proprio curiosa e attenta, non stai immagazzinando solo le informazioni
necessarie per tenerti in vita in caso di pericolo.- le fece notare.
-Non mi hai ancora dato nessuna di quelle informazioni.- gli fece notare lei.
-Ma come? Credevo ti fossi già munita di pallottole
d’argento e cose del genere.- rispose lui, il tono sempre ilare.
La giovane lo guardò scettica. –Perché, funzionano?
-No.- scosse la testa. –Serve altro per uccidere un licantropo.
Andrew si rabbuiò nuovamente, passando per la seconda volta da
un comportamento spensierato ad uno truce. Forse dipendeva dalla sua
nuova condizione oppure stava cercando di sforzarsi il più
possibile per tirar fuori un po’ di allegria. -Questi tuoi
continui sbalzi d’umore sono normali?- si decise a chiedergli lei.
-Oh? Sì e no. Sto cercando di non pensare a Fran, ma ammetto che
anche i miei ormoni ci stanno mettendo del loro.- rivelò.
–Ti disorienta, vero?
-Un po’.- ammise lei. –Ma non troppo. Parlami dei ceppi, su.
-Sì… allora, i tre ceppi distinguono i licantropi
più antichi da quelli più giovani. Quelli del primo ceppo
potevano solo trasformarsi in lupi e, durante la luna piena,
diventavano incontrollabili. Non ricordavano nulla di quella notte e a
volte succedeva il peggio.- iniziò.
-Quindi, questi licantropi sono quelli a cui si sono ispirati per i film, giusto?- meditò Amanda.
Drew annuì. –Praticamente sì. Il ceppo intermedio
è quello che si è sviluppato verso la fine del Medioevo,
se non ho capito male. Questi licantropi non possono assumere forma
ibrida, ma la luna li rende solo caratterialmente più instabili
e un po’ più deboli.- proseguì.
-Oh… ho capito. Ma i licantropi della nuova generazione non hanno problemi con la luna?
-No, anzi: li rafforza. E possono trasfigurare parti del loro corpo a piacimento.- rispose, concludendo il proprio resoconto.
-Non è una cosa molto giusta.- osservò Mandy.
“Chissà a quale ceppo appartiene il padre di Evan.”,
si chiese. Forse il suo odio per il figlio derivava da quello.
-Vallo a dire ai lupi più vecchi: stanno ancora cercando di
digerire lo scherzetto di Madre Natura.- commentò il fidanzato
di sua sorella.
-E… e come si comportano i membri di un branco con gli infetti?-
domandò, improvvisamente preoccupata per le sorti
dell’amico.
Lui sospirò. –Non lo so.- confessò. –Dovrò scoprirlo.
Le sue parole le riportarono alla mente il piccolo diverbio avuto con
Crystal Forbes e si sentì in dovere di riferirglielo.
–Ehm… a questo proposito posso già farti un nome.-
iniziò. Andrew la fissò senza capire. –Crystal.
Stalle alla larga.
-Sì, lo so. Ha già cercato di farmi fuori.- commentò con tono piatto.
-Come?!
Annuì. –Sì, voleva fare una “tranquilla
chiacchierata” da sola con me.- le spiegò. –Ma
Alastair gliel’ha impedito.
-Quella è pazza.- brontolò Amanda.
-Ma tu come fai a sapere che è un pericolo per me?- indagò, sospettoso.
“Cavoli!”, pensò la giovane, presa in contropiede.
Fece spaziare lo sguardo lungo tutto l’ambiente, cercando di
prender tempo ed inventarsi una balla sufficientemente credibile. Alla
fine, come per la questione di Frances, non trovò nulla da dire
se non la verità.
Spiegò quello che era accaduto ad Andrew e lui si
arrabbiò moltissimo, ingiuriando l’ex signora MacGregor
con appellativi degni di uno scaricatore di porto. Amanda arrivò
a temere che potesse nuovamente trasformarsi, ma fortunatamente
riuscì a controllarsi.
Alla fine, nuovamente calmo, Drew le chiese di poter andare a far
visita ad Evan, per poterlo ringraziare e chiedergli alcune dritte.
-D’accordo, ma non ora. Che ne dici di una bistecca?- chiese Mandy, sorridente.
-Al sangue?- rilanciò il suo interlocutore.
Arricciò il naso. –Non dirmi che adesso hai veramente voglia di quella roba.- supplicò, disgustata.
-Nah! I miei gusti in fatto di cibo non sono cambiati.- la
rassicurò. “Almeno per ora.”, aggiunse tra sé.
***
-A quanto pare abbiamo rotto le uova nel paniere al bel lupacchiotto.-
commentò, sogghignando di fronte al messaggio visualizzato sullo
schermo del suo cellulare.
-Cosa dice il nostro informatore?- domandò Rodrick, sollevando
lo sguardo dal piccolo oggetto che reggeva tra le mani. Era un piccolo
lupo intagliato nel legno e sembrava aver parecchi anni.
Jared si voltò verso di lui. –Sembra che lo scherzetto
dell’Internazionale gli sia valso l’espulsione dal branco.-
lo informò, gongolante.
Lo scozzese annuì più volte. –Già… il
vecchio tabù. A quanto pare le tradizioni vengono ancora fatte
rispettare.- considerò.
-Solo nei branchi come il vostro. Quelli di New York hanno tutt’altro codice.- gli fece notare il suo interlocutore.
“Non sapete nemmeno cosa sia, un codice.”, pensò con
disprezzo Rodrick. Quel Jared non gli piaceva per niente, ma era
sufficientemente arrogante per poter servire allo scopo. Nel caso si
fosse rivelato una palla al piede, l’avrebbe tolto di mezzo.
-E lui dov’è, ora?- chiese.
-Non c’è scritto. Ma ha portato due lupi con sé, a
quanto pare. Chissà, potrebbe essere l’inizio di una nuova
era.- l’americano sghignazzò nuovamente, molto divertito
da tutta la faccenda. Il solo fatto che quello stupido di un MacGregor
fosse stato espulso per aver trasformato un umano lo faceva ridere:
regole come quelle erano assurde.
Ma questi scozzesi sembravano ritenerle molto importanti… e quello sarebbe andato a suo vantaggio.
Infastidito, Rodrick scattò. -Non offendere le leggi antiche,
pivello!- ringhiò con voce metallica. –Non sai quanto
potere possono avere su un licantropo.
Davanti a quello scoppio d’ira, l’altro lupo si fece
indietro, intimorito. Gli lanciò un’occhiata da sotto in
su e poi mormorò delle scuse veloci, cercando di ammansirlo.
-Di’ al tuo informatore che per ora deve rimanere a guardare. Ho
bisogno di pensare alla prossima mossa.- gli ordinò, avviandosi
verso l’uscita del grande capannone abbandonato.
-D’accordo.
Lo osservò uscire ed arricciò il labbro superiore,
desiderando aprirgli la gola da una parte all’altra. Nessuno
poteva dargli degli ordini e ancor meno chiamarlo pivello.
“Stupido vecchio. Riprovaci e te ne pentirai.”, promise.
***
Era una giornata tranquilla al villaggio.
Il sole splendeva e il grano ormai
maturo ondeggiava alla lieve brezza estiva. Cainnech inspirò a
pieni polmoni, lasciando vagare lo sguardo oltre i tetti delle
abitazioni.
Gli uomini erano usciti per
andare a caccia e lui avrebbe tanto voluto seguirli, non fosse stato
per la sua anca. Era nato con una deformazione che non gli permetteva
di correre come gli altri ragazzi della sua età e che lo
lasciava sempre ai margini, qualsiasi attività si facesse.
“Non posso nemmeno partecipare
alle celebrazioni di Mediosaminos*”, pensò gettando con
rabbia una piccola pietra trovata lì accanto.
-Cainnech, cosa stai facendo?- gli
chiese sua madre, comparendo dal retro dell’abitazione con un
paniere pieno d’uova.
-Nulla, madre.- mormorò il giovane.
La donna lo osservò
pensosamente per un po’ di tempo, poi gli si avvicinò e
gli diede un buffetto sul viso. –Quest’anno mi aiuterai con
la spigolatura?
-Certo.- fu costretto a rispondere
lui. Dato che non poteva svolgere le mansioni destinate agli uomini,
avevano pensato bene di umiliarlo facendogli eseguire quelle delle
donne. E la spigolatura era uno degli appuntamenti canonici durante il
corso dell’anno.
-Non fare quella faccia.-
supplicò allora sua mamma. –Sai che il mio più
grande desiderio sarebbe vederti correre per i campi, cacciando i corvi
con un bastone.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia. –Quindi vorresti che fossi uno spaventapasseri?- domandò, perplesso.
-No, sciocco.- ridacchiò quella. –Vorrei solo vederti felice.- aggiunse, facendosi improvvisamente seria.
-Io sono felice.- replicò
Cainnech. “Potrei esserlo di più, ma sono felice,
nonostante tutto.”, pensò, continuando a guardarla dritto
negli occhi.
I due rimasero a fronteggiarsi in
silenzio, cercando di sondare le rispettive anime. La donna fu la prima
ad abbassare lo sguardo, forse soddisfatta da quello che aveva
intravisto o sconfitta per non aver scorto nulla.
-Hai bisogno di me, oggi?- chiese improvvisamente il giovane.
-No. Puoi andare ad incontrare Brennan.- rispose lei, lasciandosi sfuggire un sorrisetto.
-Grazie. Ci vediamo per l’ora
di cena!- e detto questo si allontanò con la massima
velocità consentitagli dalla sua anca.
Quando raggiunse la collina
alle spalle del villaggio, si concesse un momento per riprendere fiato
ed osservare il paesaggio, che si perdeva nella leggera foschia in
lontananza.
Amava tantissimo quel posto, non solo
perché vi cresceva un’enorme quercia secolare ma anche
perché era sempre tranquillo e gli donava un senso di calma.
Era lì che aveva incontrato per la prima volta Brennan, quando entrambi erano solo due bambini.
Si guardò intorno, cercando qualche traccia dell’amico.
“Non è ancora arrivato.
Strano.”, pensò, appoggiandosi al grosso masso sul quale
erano soliti sedersi. Scrutò con più attenzione tra gli
alberi e anche verso il torrente che scorreva poco sotto.
Improvvisamente alcuni storni
si levarono in volo, allarmati da rumori nel sottobosco. Cainnech si
fece guardingo e staccò il ramo di un arbusto accanto a
sé, pronto a difendersi. Prese a scandagliare le ombre a ridosso
della fine del bosco, cercando di individuare qualcosa.
La chioma di un cespuglio alla sua
destra venne scossa da un tremito e subito dopo comparve un grosso lupo
dal pelo color ruggine.
-Brennan! Mi hai spaventato!- sbottò il giovane, gettando a terra la propria arma improvvisata.
L’animale restò immobile, fissandolo coi suoi occhi color ambra.
-Bren?- il giovane si fece confuso. –Che succede?
La creatura mosse un passo nella
radura antistante la quercia, barcollando. Si resse sulle zampe,
visibilmente malferme, fino a quando i muscoli non lo ressero
più e lo fecero rovinare a terra.
Cainnech corse da lui, il cuore che batteva ad un ritmo frenetico. -Brennan!
S’inginocchiò al suo
fianco e prese a tastargli il corpo, alla ricerca di qualche ferita.
Improvvisamente qualcosa di caldo e viscoso gli colò sulle mani
e il ragazzo iniziò a sudare freddo. Scostò il palmo e lo
ritrovò completamente sporco di sangue.
-Chi è stato?! Chi ti ha ferito?- chiese con voce tremante.
“Cain… devi scappare.
Devi prendere tua madre e scappare.”, la voce di Brennan gli
rimbombò nella testa. Quella era la seconda volta che
l’amico comunicava con lui telepaticamente e la cosa servì
solo a spaventarlo ancora di più.
-Scappare? Ma da cosa?- tentò
di capire. –Non dire queste cose, io devo aiutarti. Non posso
scappare!- scosse con forza la testa.
“Il tuo villaggio sta per essere attaccato…”, replicò il licantropo.
-Il tuo branco ci proteggerà.- disse con convinzione.
Il lupo scosse debolmente la testa.
“Non questa volta. Sono loro che stanno per attaccarvi. Si sono
fatti corrompere.”, rivelò.
A quella notizia, il giovane celta sbiancò. –C-come…?
“Cainnech, ti prego! Vattene da
qui!”, Brennan lo colpì con tutta la forza rimastagli al
fianco sinistro, cercando di farlo muovere.
-Ma… ma io… tu…- sentiva qualcosa pungergli gli occhi.
“Per me è troppo tardi. Dovevo avvertirti e l’ho fatto. Ora sta a te.”
-No! Tu non puoi morire! Non devi
morire!- gli afferrò con forza il muso e puntò lo
sguardo in quello ormai vitreo del compagno di giochi di una vita.
–Bren, ti prego…!- gli sfuggì un singhiozzo.
La lingua liscia del licantropo gli
sfiorò una guancia, arrestando la caduta della prima lacrima.
“Ti voglio bene, Cain. Anche se sei un piagnucolone. Ci rivedremo
nel Regno degli Antenati.”, arricciò le labbra in un
sorriso lupesco. Poco dopo la scintilla vitale abbandonò i suoi
occhi e la sua testa si piegò pesantemente verso il basso.
Cainnech restò a
fissare il suo corpo con orrore per poi crollare su di esso e dar sfogo
ad un pianto di rabbia e dolore.
***
Era ormai passata una settimana dal ritorno di Andrew e la nuova convivenza non sembrava dare problemi.
Ogni mattina, Amanda saliva per svegliarlo e praticamente ogni sera si
sedevano sulle scale antincendio per osservare la luna con lui.
Sembrava che Drew ne sentisse un bisogno impellente, probabilmente a
causa della sua nuova metà soprannaturale.
Erano andati a far visita ad Evan a Tompkins Square Park e i due
avevano avuto una fitta e lunga conversazione, mentre Mandy
s’intratteneva con David ed Emily.
Una volta terminata la chiacchierata, il giovane americano si era
mostrato un po’ pallido ma, a parte quello, sembrava soddisfatto.
Da allora erano trascorsi due giorni, ma Amanda non si era ancora
decisa a chiedere nulla. Era curiosa, quello sì, ma non voleva
immischiarsi in faccende che non la riguardavano.
Salì le scale, finendo di sistemare il fiocco della sua
camicetta e poi bussò alla porta dell’appartamento che
Andrew condivideva con Frances.
“Già, Frances…”, il pensiero bloccò la
giovane con la mano ancora per aria. Aveva provato a telefonarle, per
sentire come se la passava, ma lei l’aveva liquidata con qualche
frase di circostanza. Le serviva del tempo e aveva bisogno
d’isolarsi, aveva detto.
“Chissà se riuscirà ad accettare tutto
questo.”, s’interrogò, fissando distrattamente un
graffio sul battente di legno. Non ottenendo risposta, bussò
ancora.
-Arrivo… arrivo…- sentì bofonchiare
dall’altra parte. Poco dopo Andrew venne ad aprirle, i capelli
tutti scompigliati dal cuscino. –‘Giorno.- sbadigliò.
“Essere licantropi comporta non essere mattinieri”,
constatò, divertita. Lui era solito alzarsi presto per andar a
far lezione a qualche giovane nuotatore volenteroso, ma ora sembrava
una cosa impossibile da fare. Forse avrebbe avuto più fortuna
coi corsi notturni.
-Ti serve del caffè per svegliarti?- domandò, muovendo qualche passo nell’ingresso.
-Sì, me ne servirebbe un barile, però.- rispose l’altro, aggirandosi assonnato per la cucina.
Amanda si fece confusa. –Non esagerare.
-Non sto esagerando. Il mio corpo brucia ogni cosa in pochissimo tempo.
Credo che nemmeno l’alcool possa più farmi effetto.- le
rivelò.
-Sul serio? Caspita!- esclamò allora lei, stupita da quella
nuova scoperta. Le sarebbe piaciuto poter rinunciare alle sbornie
moleste del ragazzo.
-Però questo non mi impedisce di bermi un caffè.
Accomodati, così mi fai compagnia.- le sorrise e si
avvicinò alla macchinetta accanto al frigorifero.
-Drew, devo sbrigarmi, se no…- iniziò lei.
-Lo so, lo so: devi evitare la corsa affollata. Ci metto poco, promesso.
-D’accordo, grazie.- si accomodò sullo sgabello di fronte
all’isola della cucina, appoggiando subito dopo i gomiti al piano
di lavoro. –Cosa pensi di fare col lavoro?- domandò
all’improvviso.
-Be’… per ora mi sono preso un periodo di malattia. Poi
proverò a chiedere di avere le lezioni nel tardo pomeriggio e
durante la sera: mi è più semplice gestire tutto quanto.-
rispose, avviando il timer. –Insomma… io non sono come
Evan e David.- concluse, girandosi a guardarla.
-La luna ti influenza?- domandò Mandy.
Drew annuì, sistemando due grandi tazze sul ripiano antimacchia.
–Esatto. Tutti gli infetti appartengono geneticamente al secondo
ceppo. Quindi la luna mi influenza, senza mandarmi fuori di testa,
però.- disse, cercando di buttarla sul ridere.
Amanda fu felice di sentirlo scherzare a quel modo. Se riusciva
a fare dell’autoironia, significava che stava imparando a
convivere con al bestia che aveva preso dimora nel suo corpo.
-E nel caso dovessi andare fuori di testa? Io che dovrei fare?- chiese,
osservandolo versarle il caffè. L’odore intenso dei
chicchi macinati si spanse nell’aria, solleticandole le narici.
-Chiamare Alastair oppure Evan. Dipende chi è più
vicino.- la guardò con occhi seri, senza smettere di fare quello
che stava facendo. –Devi promettermelo.
Vedendo la sua espressione, la ragazza stabilì che non stava
assolutamente scherzando. –Lo prometto.- mormorò.
-Grazie. Bene, ora beviamo questo caffè e vediamo di iniziare la
giornata.- le sorrise, poi afferrò la tazza e se la portò
alle labbra.
Non appena il liquido nero e corroborante le sfiorò la punta
della lingua, Amanda fece una smorfia. –Cristo, Drew, è
amarissimo! Lo sai che così diventerò nervosa come una
pazza!
-Mi serve per svegliarmi.- si giustificò, spiacente. –Aspetta, prendo lo zucchero.
Lei lo fermò. –Lascia stare, fa lo stesso. Mi accontenterò di un caffelatte amaro.
-Sicura?- chiese lui, la mano già sulla maniglia della credenza. Vedendola annuire, desistette.
Restò ad osservarla per qualche momento mentre versava il latte
nella propria tazza, poi sorrise distrattamente tra sé e
tornò a sedersi. Averla come sorella sarebbe stato meraviglioso,
perché riusciva ad occuparsi degli altri con spontaneità,
senza farlo minimamente pesare.
Notando lo sguardo assorto di Drew, Amanda terminò il proprio caffè e chiese:-Che c’è?
-Nulla.- scosse il capo. –Forse è meglio che tu vada.
-Come? Oh, cavolo! Grazie per il caffè! Ci vediamo stasera!-
balzò in piedi, recuperò la borsa da giorno con le sue
cose e schizzò fuori dall’appartamento.
Andrew ridacchiò, ascoltandola scendere freneticamente le scale
e correre poi lungo il marciapiedi. Terminò la propria bevanda,
concedendosi anche qualche biscotto. La città era già
sveglia da parecchio tempo e la sua voce giungeva chiara e frenetica
dalle finestre aperte, pronta per farsi cogliere dalle orecchie
sensibili di Drew.
Mentre sbocconcellava l’ultimo cookie, il suo cellulare
vibrò. Si allungò e lo recuperò con la mano
libera, aprendo subito dopo il messaggio.
-“Riunione del branco a mezzanotte, devi essere presente. A.”- lesse, stupito.
-Sorridi. Bene così. Voltati un po’ più a destra.
Guarda verso di me. Sì, sì così va bene!- il
fotografo continuava a darle indicazioni, gesticolando con la mano ogni
qualvolta mollava la presa sulla sua Reflex.
Quello era il suo mondo, il suo pane quotidiano e lei amava tutto lo
sfavillio e le luci. La faceva sentire potente, desiderabile e
desiderata dal genere maschile.
Era perfettamente conscia delle occhiate maliziose, dei sorrisini e
delle battute che si scambiavano gli addetti ai lavori e ne era
assolutamente orgogliosa.
“Io sono una donna desiderabile.”, pensò, cambiando
posizione per un’altra serie di scatti. “Sono bella, sono
una licantropa potente e sono una modella famosa. Non c’è
donna migliore di me, Evan.”, non appena la sua mente
formulò quel pensiero, un’ombra passò sul suo viso.
S’indispose tutto d’un tratto, perdendo la concentrazione.
-Crystal… che succede?- il fotografo si fermò, cercando di capire il motivo di quel cambiamento d’umore.
Lei si riscosse di colpo e sbatté qualche volta le palpebre,
stordita. –Mi serve una pausa.- disse solo, lasciando
immediatamente il set.
Vedendola decisa, lo staff accolse la proposta e la lasciò
andare verso il suo camerino, senza intralciarle la strada. Sapevano
che non c’era da scherzare con una tipa come lei, soprattutto
quando la sua parte animale emergeva così chiaramente.
Spalancò la porta di malagrazia e si avvicinò allo
specchio per controllare che fosse tutto a posto: vide i propri occhi
color ambra e un’espressione arrabbiata a contrarle i bei
lineamenti.
-Dannazione!- in uno scoppio d’ira il suo pugno di abbatté
sulla superficie riflettente, mandandola in frantumi. Osservò le
schegge sul pavimento e poi gettò a terra tutto quello che
c’era sulla sua toilette, urlando di frustrazione.
Afferrò con forza il bordo del tavolo e prese a respirare
pesantemente, cercando di concentrarsi sulle fasi della respirazione.
Improvvisamente, ad un passo dalla buona riuscita del suo training
autogeno, lo schermo del telefono s’illuminò. Riconobbe
l’avviso che aveva assegnato ad Alastair e si avvicinò per
controllare.
-Mhm… sicuramente ci sarà qualche pretendente al ruolo di
Campione.- meditò, picchiettandosi un’unghia sul mento.
–Potrebbe essere interessante.
Le era venuta un’idea e, nel caso fosse riuscita a metterla in
atto, si sarebbe presa una piccola rivincita su quello stupido del suo
ex marito.
L’intero branco era riunito nel grande spiazzo antistante la villa.
Non conosceva praticamente nessuno, a parte Dearan, Alastair e Crystal.
Non aveva avuto tempo di fare amicizia, nella sua permanenza al
Wolf’s Pond.
Sentiva tutti gli sguardi su di sé ed era pienamente cosciente
di essere l’attrazione della serata: era quello nuovo, quello da
studiare.
La curiosità del branco gli sfrigolava sulla pelle come
olio bollente, senza lasciargli un attimo di pausa. Non sopportava le
attenzioni indesiderate, ma non per questo avrebbe dato loro un
pretesto per etichettarlo come attacca brighe.
Desiderava una pacifica e quanto più defilata vita comunitaria.
Non riusciva ad immaginarsi a festini organizzati alle tre di notte, in
cui ci si raccoglieva sotto la luna e si ululava.
Ok, forse la stava buttando un po’ troppo
sull’hollywoodiano, ma era quasi certo che non sarebbe mai
diventato un membro del branco al cento per cento. Aveva già una
famiglia e non ne voleva un’altra.
La comparsa dell’Alfa lo strappò bruscamente ai suoi pensieri.
Raddrizzò la schiena e puntò gli occhi su Dearan
MacGregor, in attesa di udire le sue parole. L’uomo si
guardò attorno ed evitò accuratamente di intercettare il
suo sguardo. Alastair, invece, gli fece un cenno di saluto col capo.
-Fratelli e sorelle, come ben sapete gli ultimi avvenimenti hanno
comportato delle perdite per il branco.- esordì il capobranco.
Molte teste annuirono. –E ora ci sono delle posizioni vacanti.-
aggiunse subito dopo.
Molti furono i mormorii e le parole scambiate.
“Dovranno eleggere il nuovo Campione, quindi.”,
realizzò Andrew. Non avrebbe sicuramente partecipato, ma avrebbe
assistito per la prima volta ad una disputa tra Pretendenti. Doveva
assolutamente iniziare a capire come funzionavano i combattimenti, se
voleva sopravvivere in quel mondo.
-Questa sera, oltre ad accogliere tra noi Andrew Parker come nuovo
membro, eleggeremo il nuovo Campione e il nuovo Gamma.- continuò
Dearan. All’udire il proprio nome, Drew sobbalzò e si
guardò intorno, agitato.
-Andrew, raggiungimi.- gli ordinò l’uomo, la voce
perentoria. Lui deglutì, perplesso e cercò
l’appoggio di Alastair. Lo scozzese sorrise brevemente,
incoraggiante e quello gli bastò per convincersi ad obbedire.
Alst era l’unico di cui si fidava, all’interno del branco,
e capiva perfettamente perché anche Evan riponesse la sua piena
fiducia in quel licantropo dai capelli fulvi.
Quando si ritrovò davanti al proprio capobranco, Drew chiese:-Cosa devo fare?
-Trasformati, così potremo darti il benvenuto.- nonostante le
parole fossero intese per accogliere, il tono di voce di Dearan dava
tutt’altra idea.
Annuì, ancora un po’ perplesso e si concentrò per
stabilire un contatto con la propria parte animale. Quando l’ebbe
raggiunta, lasciò che prendesse possesso di lui ed avviasse la
trasformazione.
In poco si ritrovò a fissare il mondo coi sensi amplificati di un lupo.
Lentamente, anche tutti gli altri membri del branco MacGregor cambiarono forma, divenendo una folla coperta di pellicce.
A turno, dopo che l’ebbero fatto l’Alfa e il Beta, tutti i
licantropi si avvicinarono ad Andrew e gli strofinarono il muso contro
la guancia, in segno di accoglienza. Il giovane restò il
più possibile fermo, senza riuscire a capacitarsi di quello che
stesse succedendo.
Non era preparato ad una cosa del genere e soprattutto non sapeva come
gestire la miriade d’emozioni che l’avevano avviluppato,
come una coperta troppo pesante.
Quando temette d’esser ormai al proprio limite,
l’ultimo lupo gli si avvicinò. Lo guardò
attentamente e si rese conto che era più grande della media, col
manto di un grigio molto scuro, tendente al nero.
Si chiese chi fosse.
Quello lo raggiunse e si strofinò attentamente contro di lui.
Andrew percepì immediatamente una sensazione sgradevole, di
ostilità e s’irrigidì d’istinto. Non sapeva
cosa potesse succedere in quei casi, ma era pronto al peggio.
“Non credere di avere vita facile, lupacchiotto. Soprattutto considerato che sei stato creato da Faolan.”,
si sentì dire. Fissò confuso gli occhi praticamente
gialli dell’altro licantropo, tentando di capire se stesse
scherzando o meno.
Quello che vide lo sconcertò.
-Bene. Ora direi che possiamo iniziare con i duelli.- sentenziò
Dearan, ritenendosi soddisfatto della cerimonia d’accoglienza.
–Andrew, puoi partecipare anche tu, se ti ritieni
all’altezza.- aggiunse subito dopo, sorridendogli con fare
derisorio.
Lui scosse impercettibilmente la testa, non osando fare altro per
indisporlo. Si fece indietro, riassumendo sembianze umane e tornando a
mescolarsi agli altri compagni presenti.
-I Pretendenti al ruolo di Gamma si facciano avanti.- la voce del
capobranco risuonò chiara e potente nell’aria notturna.
Quattro maschi si fecero avanti, scrutandosi in cagnesco.
Drew notò che le poche donne presenti si erano
allontanate parecchio, decise a non essere coinvolte in nessun modo.
Probabilmente le femmine del branco non potevano ricoprire cariche di
potere, come nella società dei lupi naturali.
Lo trovò un comportamento estremamente maschilista ed arretrato,
ma si ritrovò anche a rabbrividire all’idea di vedere una
ragazza combattere fino all’ultimo sangue per ottenere il ruolo
di Gamma.
“Devo mandare giù il rospo. Ci saranno molte cose che non
mi andranno a genio, ma non posso cambiare le regole a mio
piacimento.”, si disse, tenendo d’occhio il grosso lupo che
prima l’aveva minacciato.
Non si era ritrasformato, quindi non era in grado di associarvi un
volto umano, ma si sarebbe impresso bene in mente la sua aura. Giusto
per evitarlo e sopravvivere.
Mentre era perso nelle proprie considerazioni, i primi due
sfidanti entrarono in un cerchio tracciato con una polvere nera molto
fine, che suppose fosse sorbo. Alastair gli aveva fornito le
informazioni base riguardanti i combattimenti, ma non aveva avuto modo
di dilungarsi più di tanto nei due minuti che era riuscito ad
ottenere.
Si fece attento, sentendo sulla pelle le prime scariche di energia
provenire dai due lupi. Quelli si misero in posizione e presero a
scrutarsi, ringhianti.
Dearan, dall’altro lato del cerchio, li fissava in attesa, impassibile.
Andrew ebbe appena il tempo di prendere un respiro, che i due
licantropi si scagliarono l’uno contro l’altro, dando il
via allo scontro.
Uscì dal bagno frizionandosi i capelli e si rese conto che il suo cellulare stava suonando.
Lo afferrò e fissò lo schermo, confusa.
Prese a torturarsi il labbro inferiore, indecisa se accettare o meno la
chiamata. Alla fine premette il tasto verde e si portò il
telefono all’orecchio. –Pronto?
-Fran! Grazie al cielo, finalmente mi hai risposto!- esclamò la voce dall’altra parte.
-Mandy… ciao.- mormorò, lasciandosi cadere sul letto.
Dall’altra parte ci fu un attimo di silenzio. –Come stai?- si sentì chiedere.
-Potrebbe andare peggio.- rispose, afferrando con forza un lembo del lenzuolo che giaceva sfatto in fondo al materasso.
-E tra quanto pensi che possa andare meglio?- le domandò Amanda. –Ci manchi.- aggiunse subito dopo.
Frances si lasciò sfuggire un sorriso amaro. –Davvero?
-Sì, davvero! Non sto scherzando! Andrew è tornato a casa
e ha subito chiesto di te!- ribattè l’altra, alzando via
via il tono di voce.
La capiva e sentiva che una parte di sé, anche se ancora troppo
piccola, aveva superato lo shock iniziale. Il problema era che aveva
iniziato ad avere gli incubi da quando Drew era stato aggredito e non
riusciva a liberarsene.
Come avrebbe potuto tornare a New York e vivere con lui?
-E… lui come sta?- s’arrischiò a chiedere.
-Considerato tutto quello che gli è successo, si sta comportando
egregiamente. Sta imparando il più possibile e anche io sto
facendo lo stesso. Alastair lo sta aiutando a gestire il lupo dentro di
lui.- le raccontò la sorella, mettendo in luce i progressi
raggiunti dal suo fidanzato. Dopo un attimo di silenzio aggiunse:-Non
è cambiato. È sempre lo stesso Andrew di cui ti sei
innamorata quattro anni fa.
Fran scosse con forza il capo. –No… non è vero. Sai che non è così, Mandy.
-Certo! Ma solo se ti fermi all’apparenza! Non è diventato
un assassino psicopatico, può solo trasformarsi in un lupo!-
replicò l’altra, infervorata.
-Solo?! Ti rendi conto che non
è normale che un essere umano si trasformi in un lupo?!- si
alzò in piedi con uno scatto, irritata dal tono della sorella.
–Accettare gli esseri soprannaturali nella nostra società
è un conto, ma averne uno per fidanzato è un altro!
-Sono persone esattamente come noi. Non sono i mostri dipinti dalle
carte dell’Inquisizione.- replicò Amanda. Nella sua voce
si poteva percepire senza problemi la delusione. –Spero che tu
riesca a superare lo shock e a capire che Drew è sempre se
stesso. Questa cosa non cambierà, così come non
cambierà il suo amore per te. So che è difficile
accettare tutto questo, anche io faccio fatica, ma è come se lui
fosse un veterano di guerra a cui hanno amputato un arto: dobbiamo
aiutarlo a ritrovare un equilibrio.- continuò.
-Non è così semplice.- disse Fran, convinta delle proprie
idee. Per lei non era così semplice accettare quello che faceva
parte di un mondo diverso dal suo: la spaventava e la lasciava senza
nessuna certezza.
-Non lo è, ma devi riuscire a farlo diventare tale. Prenditi
tutto il tempo che ti serve, ma poi torna da noi. Chiamami quando te la
senti e saluta a casa. Ciao Fran.- e detto questo Amanda
riattaccò.
Rimase ad ascoltare il suono ritmico dell’interruzione di linea e
poi scagliò con forza il cellulare sul letto, contro la testiera.
-Non è così semplice! Non lo è per niente!- urlò, dando libero sfogo al proprio stress.
Restò a fissare il proprio riflesso allo specchio, ansimando leggermente.
Ad un certo punto la porta della camera si socchiuse e Reese fece
capolino da dietro il battente. –Cia… ti sei fatta la
bua?- le chiese, timorosa.
Frances si aprì in un sorriso. –No, tesoro. Non mi sono
fatta male.- la rassicurò, facendole segno di raggiungerla. La
piccola trotterellò fino al letto e quasi vi si scontrò.
–Cosa stavi facendo?- le chiese subito dopo la ragazza.
-Giocavo a mamma e papà.- le disse, mostrandole orgogliosa i due pupazzi che reggeva in mano.
-Oh, posso giocare anche io?- domandò. Doveva provare a distrarsi.
Sua nipote annuì. –Tì. Tieni, tu fai il
papà.- e le allungò il peluche che teneva nella mano
sinistra.
Frances lo osservò e poi le chiese:-Come mai il papà è un lupo?
-Perché ha i superpoteri. Così può difendere la
mamma.- le spiegò con la sua chiara logica da bambina.
Lei restò a fissare il pupazzo, senza parole. Se persino la
piccola Reese poteva convivere con la parte soprannaturale che popolava
la Terra, perché lei non ci riusciva?
Il nuovo Gamma del branco MacGregor era Sean MacNeil, cugino del defunto Graham.
Andrew non sapeva se l’uomo fosse un tipo a posto oppure fuori di
testa come il parente, ma non aveva in previsione nessuna infrazione,
quindi gli bastava essere lasciato in pace.
Per quanto riguardava il ruolo di Campione, invece, lo sfidante che
stava avendo la meglio era il grosso lupo che l’aveva accolto in
modo per nulla amichevole.
Aveva vinto tutti e due gli scontri nei quali era stato
coinvolto e gliene mancava uno per ottenere la carica. I suoi compagni
non sembravano essere in grado di competere con la sua forza bruta.
Non ne sapeva molto di combattimento tra licantropi, ma poteva dire con
certezza che la sua tecnica era abbastanza rozza. Compensava tutto
ciò con una forza impressionante, degna di un ariete da
sfondamento.
-Alastair… chi è il lupo che sta vincendo tutte le gare?- si decise a chiedere.
Lo scozzese gli lanciò un’occhiata, tenendo sempre
sott’occhio il campo di combattimento. –Quello è
Stryker.- rispose.
“Stryker…”, Andrew soppesò il nome nella
propria mente. –E perché sta combattendo come un diavolo?
La carica di Campione è così importante?- volle capire.
-La carica ha il suo peso, all’interno del branco. Ma non
è per quello che sta combattendo.- replicò cauto
l’altro.
Drew si accigliò. –C’entra con qualcuno chiamato Faolan, per caso?- domandò.
-Faolan è un… soprannome, se così vogliamo
chiamarlo. Era usato da Dearan, tanto tempo fa, poi Stryker se
n’è appropriato e l’ha fatto diventare un
appellativo dispregiativo. In gaelico significa “piccolo
lupo”.- spiegò il Beta.
Il giovane restò a meditare per qualche istante, cercando di
rimettere al loro posto i pezzi del puzzle. –Un attimo! Ha detto
che sono una sua creatura, quindi… quindi di riferiva ad Evan!-
esclamò, arrivando alla soluzione. –Oddio, non un altro
che ce l’ha con lui per colpa mia!- aggiunse subito dopo,
sconfortato.
Alst gli afferrò saldamente la spalla, obbligandolo a guardarlo
negli occhi. –L’odio tra Stryker ed Evan è molto
vecchio e non dipende da te. Stryker ha sempre voluto superare il
figlio del capobranco, ma non ci è mai riuscito. E questo lo
manda in bestia.- raccontò.
-Questo mi rassicura, grazie.- commentò con ironia l’altro.
-L’unico consiglio che posso darti è di non dargli nessun pretesto per avercela con te. Per avercela seriamente con te.- lo avvertì.
Andrew lo guardò negli occhi. –Mi prenderà di mira comunque, però, non è vero?
Il suo interlocutore fu costretto ad annuire. –Fantastico.
-Se dovesse iniziare ad andarci giù pesante, ti consiglio di
parlarne con Evan. Lui sa come gestirlo, soprattutto in combattimento.
Per il resto, ti aiuterò come posso.- tentò di
rassicurarlo, senza riuscirci più di tanto.
-Puoi tenerlo a bada?- chiese, speranzoso.
-Il compito di un Beta è di occuparsi dei nuovi lupi e della
gestione del branco.- gli ricordò. –Sono più
vecchio di lui e nel mio lavoro sono bravo.
-Bene. Questo mi tranquillizza.
Alastair gli sorrise mestamente. –Bene. Perché Stryker sta
per vincere anche l’ultimo scontro.- disse, facendogli cenno di
voltarsi verso il ring.
Appuntò lo sguardo sullo scontro in corso e rimase basito nel
vedere con quanta furia il licantropo chiamato Stryker si stesse
scagliando contro l’avversario. Tutti i suoi colpi erano mirati a
ferire, non a stordire l’avversario.
Ad un certo punto sfruttò la propria mole per inchiodare
a terra l’altro lupo e si avventò sul suo collo, tentando
un affondo coi denti. L’altro si agitò, provando a
scrollarselo di dosso, ma quello fu inamovibile.
Il licantropo sottomesso lanciò un uggiolio di dolore e questo
convinse Alastair ad andare a parlare con Dearan. Andrew lo
osservò con la coda dell’occhio, senza riuscire a staccare
lo sguardo dalle scene finali dello scontro.
-Stryker, basta così!- eruppe all’improvviso l’Alfa.
Il lupo grigio arricciò il labbro superiore, mostrando il
proprio disappunto. –Hai la carica di Campione, lascia andare
Fraser.
All’udire quelle parole, il licantropo mollò la presa e
ghignò, soddisfatto. Il suo opponente riassunse sembianze umane,
portandosi immediatamente le mani al collo.
-Sei un pazzo psicopatico, Stryker!- lo accusò, mentre la sua compagna lo raggiungeva per prestargli soccorso.
-E tu non sai combattere.- replicò lui, per nulla impressionato dall’epiteto.
-Lupi, chetatevi.- ingiunse Alst. Seppur di malavoglia, il nuovo
Campione obbedì e si allontanò a grandi falcate, diretto
verso la villa.
Crystal, rimasta in disparte fino a quel momento, si affrettò a seguirlo senza farsi vedere.
Stava per buttarsi sotto la doccia, ma si fermò,
sollevando l’angolo della bocca con fare compiaciuto. –A
cosa devo quest’incursione nel mio appartamento privato?-
domandò.
-Nel branco non c’è nulla di veramente privato, dovresti saperlo.- fu la risposta dopo qualche istante.
Stryker si voltò, lentamente. –Sì. Come non esistono molte altre cose.- commentò.
-La modestia, per esempio.
Lui assottigliò gli occhi, per nulla entusiasta del commento. –Cosa vuoi, Crystal?
L’ex signora MacGregor si fece avanti, abbandonando
l’appoggio che le forniva il telaio della porta della camera.
–Fare un accordo.- rivelò, leccandosi vezzosamente il
labbro inferiore.
-Che genere di accordo?- le chiese, sospettoso. Molto spesso
l’avevano tacciato di stupidità e rozzezza e non negava di
avere comportamenti che si avvicinassero all’una e
all’altra, ma solo quando gli faceva comodo.
Sapeva come usare la materia grigia che aveva nella scatola
cranica, anche se preferiva lasciare che gli altri lo pensassero un
idiota. Rendeva più facile cogliere i nemici impreparati.
-Diciamo che è uno scambio equo.- si corresse lei, osservandolo
attentamente. Non era male, come licantropo, ma non poteva reggere il
confronto con Evan. Nessuno nel branco avrebbe potuto, salvo Alastair,
per quanto riguardava l’intelligenza.
Esasperato, Stryker finì per sbottare:-Cosa diavolo vuoi?! Non ho tempo per i tuoi giochetti!
-Come siamo irritabili.- commentò lei, alzando gli occhi al
cielo. –Si tratta di Andrew.- aggiunse, tornando a fissarlo
subito dopo.
-Il nuovo mostriciattolo?- l’altro si accigliò, perplesso.
La bionda assentì. –Esattamente. Come ben sai, è stato creato da Evan.
-Sì. Il tuo ex marito si è rivelato molto stupido, in
quel frangente.- convenne, scoccandole un’occhiata divertita.
Crystal si trattenne dal mandarlo a quel paese e s’impose di
continuare. –Non posso ucciderlo, Alastair non me lo
permetterebbe… ma tu potresti rendergli la vita nel branco, come
dire, difficile.- disse.
-Potrei anche ucciderlo?- chiese, intrigato dall’idea di poter
infastidire il nuovo pidocchio. Era una creazione di Evan MacGregor,
quindi ne avrebbe tratto sicuramente del godimento.
Nulla lo faceva godere come macchiare la vita perfetta del figlio di Dearan.
-Non voglio vite sulla coscienza.- replicò Crystal.
-Non vuoi che il tuo bel maritino arrivi ad odiarti?- la sfotté.
Lei lo incenerì con lo sguardo. –Le mie motivazioni non
sono affari tuoi. Mi serve solo sapere se accetti oppure no.-
sibilò, infastidita.
L’uomo si appoggiò al muro, ostentando senza problemi la
propria nudità. –E io cosa ci guadagnerei?-
s’informò, calcolatore.
A quel punto, la modella gli si avvicinò con passo deciso e si
fermò a pochissimi centimetri da lui. Il calore prodotto dai
loro corpi sfrigolò e le loro auree si saggiarono, avide e
curiose.
-C’è una cosa che potrei concederti.- sussurrò lei, guardandolo da sotto le lunghe ciglia abbassate.
-Cosa?
Non rispose, ma scivolò lungo il suo corpo, tracciando una linea
di fuoco con le labbra. Stryker non rimase indifferente a quella
provocazione e s’irrigidì, cercando di contenere la
propria eccitazione.
Aveva sempre desiderato avere Crystal. Lo sapevano perfettamente entrambi.
Restò col fiato sospeso, in attesa di una mossa della lupa.
Lei esitò per quelle che parvero ore, poi si rialzò con
un movimento voluttuoso, premendo la propria femminilità contro
l’inguine di Stryker. Gli carezzò lascivamente il collo
con le belle unghie smaltate, godendo nel sentire il battito del suo
cuore accelerare.
-Sapevo che avresti accettato.- gli sussurrò, prima di baciarlo fugacemente ed interrompere il contatto.
Gli dedicò un’ultima occhiata prima di uscire definitivamente dalla stanza.
Stryker rimase immobile fino a quando la sua aura non fu scomparsa e
poi colpì con forza il muro. Lì dove si era scagliato il
suo pugno, l’intera parete si era crepata.
-Maledizione.- imprecò. Era stato tradito dal suo stesso corpo.
–Ti avrò, prima o poi. Ti avrò.- aggiunse, sparendo
in bagno.
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Capitolo 11 *** Cap. 10 Non voglio essere l'Omega ***
Cap. 10 Non voglio essere l'Omega
Nonostante il ritardo (lo so, scusatemi!), ecco il nuovo capitolo!
Ci saranno alcune rivelazioni che chiariranno alcuni punti oscuri
precedenti, ma non siamo ancora al clou della storia. Abbiate pazienza,
tendo a creare sviluppi abbastanza lentamente >____<
Buona lettura! :)
Cap. 10 Non voglio essere l’Omega
Era passato ormai un mese da quando il branco MacGregor si era riassestato, recuperando i membri perduti.
Stryker era stato ben contento di accettare le sfide lanciate al
momento dell’arrivo del gruppo a New York e aveva sconfitto tutti
gli avversari. Dimostrarsi all’altezza del proprio ruolo era
qualcosa di fondamentale, per lui.
Non poteva essere da meno di Evan, del figlio del grande Dearan.
Sin da quando era entrato a far parte del branco, poco
più di centocinquant’anni prima, aveva sempre invidiato la
posizione del giovane rampollo. Sembrava che tutti pendessero dalle sue
labbra e che lui guardasse il mondo dall’alto in basso, con
grande godimento.
Qualsiasi cosa facesse, il suo avversario era sempre un passo davanti a
lui, in ogni cosa. Ed era stato così anche quando era stato
annunciato il fidanzamento con Crystal.
La ragazza aveva frequentato Dunnottar per un anno, prima che i
padri arrivassero all’accordo e Stryker l’aveva desiderata
ardentemente ogni singola notte, maledicendo il nome di Evan.
Ora che l’aveva soppiantato nel ruolo di Campione, avrebbe avuto anche la sua donna e si sarebbe goduto ogni momento.
Il pensiero era così allettante che non riuscì a
trattenere un sorriso compiaciuto. Lasciò vagare lo sguardo
sulla grande distesa di verde che circondava la nuova dimora del
branco, pregustando la vittoria.
Improvvisamente Andrew entrò nel suo campo visivo e
questo lo strappò definitivamente alle sue elucubrazioni. Si
staccò dal tronco a cui era appoggiato e lo osservò
attentamente.
Drew, dal canto suo, fece di tutto per ignorarlo.
Da quando era diventato Campione, Stryker non aveva fatto altro che
dargli il tormento. Prima con scherzi idioti, poi con tiri sempre
più meschini, fino a quando non era arrivato il primo pestaggio.
Anzi, no, la prima sfida.
Le dinamiche del branco prevedevano scontri tra i membri come mezzo per
testare la propria forza e mantenersi in allentamento. Il problema era
che Stryker sembrava avere una malsana predilezione per lui.
E nessuno, escluso Alastair, aveva mai cercato di offrirsi come
sostituto per risparmiargli una sessione di botte gratuite.
Andrew, in quanto licantropo neo nato, non era fisicamente in grado di
reggere il confronto con un lupo dell’età e delle
dimensioni di Stryker e il tutto si era risolto in due denti rotti e un
polso fratturato. Questo la prima volta.
Poi ce n’erano state altre ed era andata sempre peggio.
Senza rendersene conto, Drew era diventato l’Omega personale del
Campione e nessuno aveva avuto nulla da ridire. Principalmente
perché Stryker era temuto all’interno del branco e
perché nessuno (o quasi) provava simpatia per il frutto della
vergogna.
Così aveva dovuto iniziare ad allenarsi di nascosto, rubando
ogni minuto utile all’interno della sua routine giornaliera. Era
riuscito a nascondere la cosa ad Amanda, ma non sapeva per quanto
avrebbe potuto resistere ancora.
“Probabilmente sto per cedere.”, considerò,
osservando il suo recente incubo avvicinarsi a grandi falcate.
Raddrizzò le spalle ed assunse un’espressione minacciosa,
cercando di far capire che non sarebbe stato fermo a farsi pestare.
-Che c’è, Faolàn,
vuoi combattere?- lo schermì Stryker. L’appellativo usato
per Evan era passato a lui. Sembrava quasi che l’uomo avesse
sublimato tutta la sua rabbia su di lui, facendolo diventare la sua
nuova valvola di sfogo.
-No.- rispose Drew, fissandolo dritto negli occhi. Sapeva che quella
era una provocazione bella e buona ma, se si fosse mostrato sottomesso,
sarebbe stato peggio.
L’altro alzò un sopracciglio, divertito dal suo
comportamento. –Stai cercando di impressionarmi? Sai che non
potrai mai battermi, pivello.- gli disse, assumendo
un’espressione minacciosa.
Avvertendo il pericolo, la bestia di Drew si contorse, bramando
la libertà. Il ragazzo non poté fare a meno di emettere
un basso ringhio, le zanne in bella vista. Stryker colse
l’imbeccata e rispose con un profondo verso di gola.
-Sei morto!
Fu un attimo e i due si ritrovarono avvinghiati in un feroce corpo a
corpo, le unghie pronte a lacerare la carne e i denti ad affondarvi.
Quando sentì bussare alla porta del proprio appartamento,
Alastair smise di controllare gli ultimi estratti conti del branco ed
alzò la testa, perplesso.
L’odore era quello di Andrew, ma sentiva anche qualcos’altro mescolato al suo sentore di lupo.
Non appena realizzò cosa stesse fiutando, si precipitò ad aprire la porta, spalancandola con un gesto violento.
Drew sobbalzò, colto di sorpresa e restò a fissarlo.
-Mo Dia*… vieni
dentro!- mormorò l’uomo, sconvolto. Lo afferrò
saldamente per un braccio e lo fece entrare, chiudendo fuori il resto
del mondo.
-Giuro che ho provato ad evitarlo in tutti i modi possibili!- si
giustificò il nuovo membro. Il tono della sua voce era a
metà tra il disperato e l’esasperato.
Alst annuì distrattamente, facendogli inclinare con attenzione
il capo all’indietro. –Riesci a vedere bene da entrambi gli
occhi?- domandò, professionale. Nonostante non operasse su
pazienti umani, Alastair aveva conoscenze mediche accurate, coltivate
in anni di studi.
-No… vedo tutto rosso.- dovette ammettere Drew. –Ho un’emorragia?- domandò subito dopo.
Delicatamente, le dita dello scozzese tastarono l’intera
circonferenza della testa del giovane, alla ricerca di indizi per la
diagnosi.
Ad un certo punto si fermò e ridusse gli occhi a due fessure,
arrabbiato. –Hai un trauma cranico abbastanza esteso: il sangue
ha rotto i capillari ed è penetrato negli occhi. Mi stupisce che
tu riesca ancora a formulare frasi di senso, nonostante tutto.-
rivelò.
Andrew sgranò leggermente gli occhi. –Oh…
dev’esser stato quando Stryker mi ha colpito. Non sono riuscito
ad evitarlo.- mormorò.
-Senti dolore da altre parti?
-Al costato e al menisco sinistro.- disse Andrew.
-Devo immobilizzarti il collo. Il nostro organismo ha capacità
rigenerative notevoli, ma non mi sembra il caso di sfidare la fortuna.-
si mise a frugare all’interno di un’armadiatura a muro e,
poco dopo, ne estrasse un collare rigido. Lo avvolse attorno al collo
di Andrew e gli ingiunse di non fare movimenti bruschi. –Il
processo di guarigione dovrebbe cominciare a breve: ti farà
male, ma sarà un buon segno.
-D’accordo…- biasciò Drew, sentendo la lingua stranamente incollata al palato.
-Non appena ti avrò messo a posto, tu andrai direttamente da
Evan, ci siamo capiti? Questo è il limite oltre cui non ti
permetto di andare.- ingiunse, strappando la camicia che indossava per
poter avere libero accesso al suo torace.
Andrew chiuse gli occhi e poi diede il proprio assenso. Iniziava a
sentirsi stordito e il corpo pulsava come se lo stessero bruciando su
carboni ardenti. –Alst… inizia a far male…
molto…- riuscì a dire. Sentiva il forte impulso di
contorcersi e urlare, ma sapeva che l’altro non
gliel’avrebbe permesso.
-Devo romperti le ossa, Drew. Se no si rinsalderanno male. Quando
avrò finito ti darò una dose di morfina per aiutarti a
sopportare il dolore.- lo informò.
Deglutendo, il ragazzo commentò:-Fantastico.
-Tu vedi di non perdere conoscenza, ok?- fu la raccomandazione. Ebbe
appena il tempo di annuire con lo sguardo, che l’altro gli ruppe
definitivamente l’articolazione del ginocchio, strappandogli un
urlo sovrumano. –Rimani fermo!
Fece del suo meglio, aggrappandosi al tavolo, ma gli sembrava
d’essere investito ripetutamente da un tir. Era insopportabile e
il suo lupo urlava con lui.
-Aiutami, ragazzo, se no rischio di far danni. Ti prego.- la voce di
Alastair si fece supplicante, mentre l’uomo continuava nel suo
ingrato compito.
Andrew iniziò ad entrare ed uscire dall’incoscienza, preda
del dolore. Ora iniziava a capire quale portento fosse
l’adrenalina: fino a pochi istanti prima il suo corpo era come
immerso in una nuvola d’ovatta.
Ora stava affogando in una vasca di aghi di ghiaccio.
Si stava chiedendo per l’ennesima volta perché si
riducesse sempre a fare la spesa quando il frigorifero gridava vendetta.
Perché non faceva come le persone normali e si recava al supermercato con una frequenza maggiore?
-Perché quando mi metto a cucinare non penso più a
niente, ecco perché.- si rispose, sbuffando. Stava trasportando
alla belle meglio quattro sporte colme e temeva che si potessero
rompere da un momento all’altro, rovesciando tutto il loro
contenuto per strada.
Rinsaldò la presa sui manici di plastica e continuò a camminare verso casa, il più speditamente possibile.
Nonostante fosse uscita mezz’ora prima dal lavoro proprio
per riuscire a rifornire la propria dispensa, ci aveva messo due ore a
far tutto e si erano fatte quasi le otto.
Dandosi ancora una volta della cretina, Amanda accelerò un
po’ il passo, avendo scorto il proprio palazzo tra le chiome
degli alberi.
Salutò la sua dirimpettaia, che in quel momento stava uscendo
dall’ascensore in compagnia del marito e s’infilò
all’interno, sostituendosi alla coppia.
-Oh, meno male!- sospirò, appoggiando le sporte per terra. Si
appoggiò alla parete in alluminio ed attese di arrivare al
proprio piano.
L’ascensore si fermò con un piccolo sussulto ed Amanda si
chinò per raccogliere attentamente tutto quanto.
Attraversò la porta, iniziando a cercare mentalmente le chiavi
di casa nella propria borsa.
“Dovrebbero essere nella tasca ant…”, si
bloccò a metà pensiero e lasciò cadere tutto
quello che reggeva tra le mani. –Oddio, Andrew!- esclamò
con un singulto.
Davanti a lei Drew se ne stava pesantemente appoggiato ad Alastair, una
mano a circondare lo stomaco e la faccia pesta.
–Cos’è successo?!- lo raggiunse e gli afferrò
con forza il viso, guardandolo dritto negli occhi.
Lui tentò di sorridere, ma non ci riuscì poi così
bene. –Mandy… scusa…- mormorò, dispiaciuto.
-Per cosa…?- fece lei, confusa.
-Per essermi fatto scoprire.- spiegò il ragazzo.
La mora allora guardò il suo accompagnatore, ancora più
confusa di prima. –Potremmo entrare? Così Andrew
può accomodarsi: è ancora in fase di guarigione.- le
disse lo scozzese.
Riscuotendosi, la giovane armeggiò con la borsa ed estrasse le
chiavi, aprendo subito dopo la porta blindata del suo appartamento.
–Accomodatevi pure, arrivo subito!- disse loro, affrettandosi a
radunare tutto quello che aveva rovesciato per le scale.
Lo shock era stato tale che aveva mollato la presa senza nemmeno
pensarci. Recuperò tutto il più in fretta possibile
mentre in testa le frullavano mille e più domande.
Recuperò anche l’ultima confezione e poi
schizzò in casa, chiudendosi la porta alle spalle. Mollò
tutto a terra e raggiunse i suoi ospiti, seduti sul suo comodo e un
po’ vissuto divano.
Si fermò davanti ad Andrew, senza potersi impedire di osservare
le abrasioni e il rigonfiamento attorno all’occhio sinistro.
-Chi è stato…?- chiese con un filo di voce. Le mani
avevano iniziato a tremarle, forse per la rabbia o per lo spavento.
-Stryker.- disse solamente Alastair.
Amanda si accigliò. –Il nuovo Campione del branco?
Andrew annuì mestamente, evitando di guardarla negli occhi. Dal
suo atteggiamento si poteva capire che si sentiva veramente in colpa
per quello che era successo, nonostante non fosse minimamente colpa
sua.
-Perché ti ha picchiato, Drew?- s’inginocchiò
davanti a lui e gli prese le mani, tentando d’incontrare i suoi
occhi chiari. –Lo hai sfidato?
-No, non l’ho sfidato. Ha solamente deciso di farmi diventare il
suo punching ball personale.- rispose il giovane lupo con tono amaro.
-Può farlo?!- Mandy guardò con tanto d’occhi Alastair, incredula.
L’uomo sostenne il suo sguardo, apparentemente indisturbato dal
tono della sua voce. –No. Non potrebbe. Ma nessuno nel branco
vuole farsi pestare al posto di Andrew.- rivelò. –Sono
l’unico che si sia messo in mezzo, almeno fino ad ora.
La ragazza sgranò gli occhi, incredula. Doveva restare calma,
evitare di avere una reazione spropositata e apparire come una pazza.
“Tutto questo è fuori dal mondo! E loro si definiscono
civili?!”, pensò, serrando i pugni così forte che
si conficcò le unghie nei palmi delle mani.
-Amanda, calmati per favore.- la mano di Andrew si posò sul suo
braccio. Immediatamente il suo calore soprannaturale si propagò
fino alla sua spalla, dandole quasi una scossa. Tornò in
sé con un brivido e si scusò con gli occhi, dispiaciuta
per aver quasi perso le staffe.
Si era ripromessa di non creargli problemi e facilitargli il passaggio
dalla vecchia alla nuova vita. Ma era così difficile accettare
cose che per lei andavano oltre la comprensione umana!
-E’ proprio per questo che siamo qui.- intervenne Alastair. I due
americani si voltarono a guardarlo. –Andrew deve imparare a
difendersi, quindi dovrà andare a parlare con Evan.
-Assolutamente.- convenne Amanda.
Il vecchio Beta si alzò lentamente. –Avere una persona
così combattiva al fianco ti aiuterà sicuramente,
ragazzo.- disse, rivolto al nuovo membro del branco.
-Lo so.- lui abbozzò un sorriso, grato.
-Non viene con noi?- domandò Mandy, perplessa.
-Oh, no. Devo tornare a Wolf’s Pond per evitare di far
insospettire Dearan.- replicò. –Non deve sapere che sto
aiutando così tanto Andrew, non gli farebbe piacere. E non
voglio aggiungere altre ferite a quelle che ha già.
L’uomo li salutò con un rapido cenno della mano e poi uscì dall’appartamento.
-Sicuro che non avrà problemi?- s’informò Amanda, passandosi una mano tra i capelli in un gesto nervoso.
-Sa quello che fa.- la rassicurò l’amico.
Lei restò in silenzio per un po’, poi gli chiese:-Riesci ad alzarti?
Andrew la guardò dal basso, cercando di decifrare la sua
espressione. Quando i loro occhi s’incontrarono, annuì
ripetutamente. –Bene, andiamo da Evan.- fu la sentenza finale.
***
Si era diretta prima verso la pompa di benzina presso cui si
riuniva il branco, poi al luogo che Jared si divertiva a chiamare
“lupanare”, ma non l’aveva trovato nemmeno lì.
Era ora, eccola davanti al loft che il suo Alfa aveva occupato con la
propria compagna. Si trovava in una vecchia fabbrica dismessa, le cui
finestre in frantumi sembravano denti rotti. Il colore del mattone, una
volta corposo, era ora coperto da uno spesso strato di fuliggine e smog.
Fissando arcigna la scala antincendio che portava ai piani superiori,
Emily si affrettò a raggiungere l’edificio. Voleva che
quella farsa finisse il più in fretta possibile, così da
poter tornare a casa e fingere che fosse tutto come prima.
Con un agile balzo afferrò la ringhiera e si issò
sulla scala, iniziando a salirla rapidamente e silenziosamente. Quando
fu in cima non si premurò nemmeno di bussare ed entrò
all’interno della fabbrica come un piccolo uragano.
-Jared!- chiamò a gran voce.
Scrutò tutt’attorno, scandagliando le ombre alla ricerca di presenze umane.
Si concentrò sugli odori che percepiva attorno a sé e subito ne individuò uno dolorosamente familiare.
-Mamma!- si sentì esclamare.
Subito dopo un bambino di circa quattro anni le corse incontro, senza
curarsi minimamente di dove metteva i piedi. Così facendo
inciampò e ruzzolò a terra, finendo con la faccia sul
pavimento sconnesso del loft.
Immediatamente Emily s’irrigidì, aspettando la reazione del piccolo.
Lentamente, lui si appoggiò sulle mani e fece leva, sedendosi.
La guardò con una strana espressione e poi si rialzò,
barcollante e riprese la sua corsa.
La giovane lo accolse tra le proprie braccia, stringendolo con fare
amorevole. –Tesoro, come stai?- chiese, tastando freneticamente
il suo corpicino nella ricerca di eventuali ferite. Vecchie e nuove.
-Perché non vieni più a casa?- le chiese di rimando lui.
Lei lo scostò delicatamente da sé. –Devo portare a
termine un compito, Blake.- tentò di spiegargli. –Poi
tornerò da te.- gli promise subito dopo.
-E papà? Io non voglio stare con papà. Il suo nuovo amico
mi fa paura.- la guardò coi suoi occhi d’un verde intenso.
-Quale nuovo amico?- fece Emily, confusa.
-Stai parlando troppo, marmocchio.- una mano afferrò il bambino
per la collottola, sollevandolo da terra senza nessuno sforzo. Blake si
mise immediatamente a scalciare, protestando.
Emily balzò in piedi. –Jared! Lascialo andare!- ordinò, ringhiando in segno d’avvertimento.
-E perché dovrei? È mio figlio.- replicò lui,
sollevando un sopracciglio con fare provocatorio. Sapeva di avere il
coltello dalla parte del manico e ogni volta non faceva che
ricordarglielo.
“Ti detesto. Vorrei tanto che tu potessi marcire in prigione o in
qualsiasi altro posto, basta che sia lontano da qui.”,
pensò con astio. –Perché mi hai chiamata?- chiese
invece.
-Perché non stai facendo il tuo lavoro.- fu la risposta.
La lupa arretrò leggermente. –Non è vero. Ti sto
dando tutte le informazioni di cui sono a conoscenza.- tentò di
protestare. Ma sapeva benissimo che non era così.
Da quando aveva iniziato a convivere con Evan e David, la
meschinità del piano di Jared le era diventata ancora più
chiara e spesso si detestava per quello che stava facendo. Nonostante
le sue fossero ottime motivazioni.
-Davvero? Be’, io e il mio ospite non siamo contenti.-
replicò l’uomo. Solo in quel momento Emily si rese conto
della presenza di un’altra persona.
Voltò la testa di scatto e cercò d’individuare lo
sconosciuto. Percepì la sua aura a poca distanza, ma non seppe
calibrarla. –Chi sei?- domandò, spaventata. Solo un
licantropo molto vecchio poteva modulare a quel modo il proprio potere.
-Sarò un tuo problema, se tu non deciderai di collaborare
seriamente.- la voce di Rodrick riverberò per tutto l’open
space, amplificata dalle superfici di metallo.
-Io sto…!
-Facciamo così.- Jared la interruppe, attirando la sua
attenzione. –Tu ci dici quello che vogliamo sapere e io non
rinchiuderò Blake in una gabbia per il resto dei suoi giorni,
lasciandolo morire di fame. Ci stai?- il sorriso mellifluo che si
dipinse sul suo volto le diete il voltastomaco.
-Mamma…!- piagnucolò il piccolo, ancora coi piedi per aria.
-Bastardo.- sibilò Emily tra i denti.
***
-Questa è la seconda volta che vengo qui e rimango della mia
idea: sembra tutto fuorché il rifugio di tre licantropi.-
commentò Andrew, osservando il palazzo di quattro piani
realizzato con mattoni faccia a vista rosso scuro.
-Be’, cosa ti aspettavi? Un vecchio castello?- chiede Amanda,
divertita dalla sua osservazione. Se aveva la forza per fare del
sarcasmo, allora si stava riprendendo.
-No. Ma una vecchia fabbrica si sarebbe spostata meglio con la loro
immagine di creature leggendarie.- commentò. –E’ una
visione un po’ stupida, vero? Dovrei quasi sentirmi offeso dai
miei stessi pensieri.
Lei gli battè una mano sulla spalla. –Ma no, dai. È
normale: sei cresciuto credendo che fosse tutto frutto della fantasia.
Però… forse non dovresti parlarne davanti agli altri.
Potrebbero prenderla sul personale.- gli disse.
-Mhm… non saprei. Non sono ancora riuscito a farmi un’opinione su di loro, sai?- ammise.
-Nemmeno io, ma sono sicura che ti aiuteranno.- gli sorrise, incoraggiante.
All’udire quelle parole, Andrew sembrò ricordarsi
improvvisamente del motivo per cui si trovavano lì e prese a
guardarsi intorno con circospezione. –Meglio entrare. Non vorrei
attirare troppe attenzioni.- mormorò, accennando ad alcune
persone dall’altro lato del parco.
Mandy s’arrischiò a gettare un’occhiata oltre la
propria spalla, ma poi lo seguì all’interno
dell’atrio del palazzo, attraversando senza indugio la lama di
luce che entrava dal sopraluce del portone.
Salirono rapidamente le tre rampe di scale e si ritrovarono davanti
alla porta appena ridipinta dell’appartamento in cui vivevano i
tre licantropi.
Fu Andrew a bussare.
Attesero per parecchi minuti, cercando di capire come mai nessuno si
presentasse ad accoglierli. Drew tese persino l’orecchio,
provando a captare qualcosa.
Improvvisamente si raddrizzò e si fece indietro.
-Arrivo, arrivo… dannazione!- un David molto più che irritato venne ad aprire loro la porta.
I due sobbalzarono, colti di sorpresa dal suo tono di voce.
-Cosa volete?- domandò in tono rude.
-E’ un brutto momento?- domandò Amanda.
Dave li fissò per qualche istante, poi sospirò.
–No… scusatemi. Non volevo prendermela con voi. Ho una
scadenza imminente e, quando succede, divento peggio di un lupo con le
pulci.- si scusò, facendo loro segno d’entrare.
-Scadenza di che tipo?- chiese la ragazza, curiosa. Lei sapeva poco e
niente di quei tre mutaforma e le sarebbe piaciuto poter…
be’, creare un rapporto d’amicizia, magari.
Ok, forse pensare una cosa del genere era assurdo, considerato come avrebbe reagito Frances se solo lo fosse venuta a sapere.
Ma non poteva impedirselo: stava lentamente entrando a far parte di quel mondo.
-Andrew, cosa ti è successo?- David richiuse la porta, fermando
lo sguardo sul volto del giovane ed ignorando la domanda che gli era
appena stata fatta.
-E’ per questo che sono qui. Evan non è in casa?- replicò quello, guardandosi rapidamente attorno.
L’inglese scosse la testa. –No, è ancora in centrale.
-Possiamo aspettarlo qui?- s’arrischiò a chiedere Drew.
Non sapeva fino a che punto la scadenza della consegna avesse reso
David scorbutico.
-Fate come volete. Io devo tornare a lavorare, mi dispiace.-
liquidò la questione lui. –Non appena avrò finito
tornerò ad essere una persona normale e potremo parlare.-
aggiunse, scomparendo poco dopo dietro una porta.
Andrew ed Amanda si scambiarono un’occhiata perplessa,
chiedendosi cosa dovessero fare in quel frangente. Andarsene e tornare
qualche ora dopo? Oppure aspettare come aveva detto di far loro David?
Alla fine avevano deciso di aspettare.
David non era più riemerso dal proprio studio, anche se ogni
tanto si sentivano delle imprecazioni in quello che sembrava inglese
antico.
-A quanto pare il cliente dev’essere esigente.- commentò
Amanda all’ennesimo impropero. –Non lo facevo tipo da
turpiloquio.- aggiunse subito dopo.
-Credo che questo sia un caso particolare.- convenne Andrew.
Mentre si scambiavano occhiate stranite, David ricomparve in soggiorno.
Si mise a girovagare per la cucina, aprendo ante e cassetti come se
fosse reduce da un digiuno forzato.
-Perché non c’è niente da sgranocchiare?- brontolò ad un certo punto.
Mandy lo seguì con lo sguardo mentre portava avanti la sua
ricerca, l’espressione a metà tra l’imbronciato e
l’arrabbiato. Era divertente, da un certo punto di vista, ma si
impedì in tutti i modi di ridere.
Avrebbe potuto reagire molto male.
Riemergendo da dietro l’isola della cucina, Dave concesse loro
una rapida occhiata prima di dirigersi nuovamente verso il proprio
inferno personale.
Osservandolo sparire per l’ennesima volta, la giovane si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa.
-Perché quell’espressione?- le chiese Andrew.
-Ho un’idea.- mormorò lei.
L’amico la guardò stranito. –Di che genere? Che vuoi fare?
-Be’… David cercava qualcosa da mangiare. Che ne dici se
preparassimo qualcosa per lui e gli altri? D’altronde è
ora di cena, ormai.- propose.
Drew spalancò gli occhi, stupito. –Ma non siamo a casa
nostra, Mandy! Non metter naso in faccende che non ti riguardano!- la
rimbeccò, preoccupato che potesse cacciarsi nei guai da sola.
Non avevano tutta quella confidenza coi loro ospiti, anzi.
-Qualcosa di semplice. Fa sempre piacere trovare del buon cibo a
tavola.- tentò di convincerlo. Una vocina nella sua testa le
stava dicendo che quello poteva essere un buon modo per socializzare. E
anche per far tornare il buonumore a David.
-Oddio…- il giovane licantropo si portò una mano alla
testa in un gesto sconsolato. –Mi caccerò in altri guai,
lo so. Come se non ne avessi già abbastanza…
-Tu puoi anche non fare nulla. Anzi, no, puoi apparecchiare.- Mandy
balzò in piedi, raggiante. Per lei ogni occasione era buona per
cucinare e se fosse riuscita ad unire l’utile al dilettevole, si
sarebbe sentita completamente realizzata.
Anzi, si sarebbe sentita utile. E lei voleva essere utile ad Andrew.
-Sei proprio sicura?- chiese lui, per nulla convinto. Alla conferma
dell’amica prese un profondo respiro e si alzò lentamente,
stando attento a non fare movimenti bruschi. Nonostante il trauma
cranico si fosse ormai riassorbito, le altre ferite continuavano a
dargli noia, soprattutto quella al torace.
-Sicuro di riuscire a reggerti in piedi?- Amanda si bloccò di
colpo, le mani pronte a legare i capelli in una crocchia disordinata.
Sorridendo per quella premura, l’altro annuì. –Io
apparecchio, però tu vedi di non fare disastri, mi raccomando.
***
-Non mi fido di quella lupa.- commentò, lasciando vagare lo sguardo oltre i tetti dei palazzi.
Trovarsi in una città fatta di cemento lo straniva ancora,
dandogli un senso di soffocamento che non riusciva a scacciare. Lui
aveva vissuto tutta la sua vita in mezzo alle colline della Scozia,
tuttalpiù in qualche piccolo paese con le case di pietra e i
tetti di paglia e non era abituato a quel paesaggio urbano.
-Farà quello che le ho detto.- assicurò Jared.
Rodrick gli lanciò un’occhiata, soppesando la sua espressione soddisfatta. –Cosa te lo fa pensare?- chiese.
-Il marmocchio.- fu la risposta.
-Stai usando tuo figlio come merce di scambio. È riprovevole.- la sua voce si abbassò di un tono.
-Come se tu fossi estraneo a questi metodi.- replicò l’altro, infastidito dal rimprovero.
“Io ho consegnato mia figlia senza riserve. Ho soddisfatto il suo
desiderio, augurandole ogni bene.”, pensò, tentando di
bloccare i ricordi che volevano riaffiorare. –Non ho mai usato
metodi del genere coi miei familiari.- disse, riscuotendosi.
Jared diede in una scrollata di spalle, mostrando quanto poco gliene importasse. –In ogni caso, funzionerà.
-E non credi sia meglio mandare dei lupi a sorvegliare il perimetro?
Giusto per avere informazioni più accurate di quelle di una
madre che sta tentando di proteggere la propria prole.- propose,
fissandolo direttamente negli occhi e sfidandolo a ribattere.
L’Alfa dei Blacks s’indispose. –L’ho già
fatto, vecchio! Mi credi così sprovveduto?!- ringhiò.
Rodrick allora sollevò le mani, dandogli definitivamente la
schiena. –Allora non dobbiamo fare altro che aspettare. Ma se il
tuo piano dovesse fallire, metterò in atto il mio.- disse,
sfiorando pensoso la torque d’oro massiccio che portava al collo.
“Tra poco sarai libero, mio vendicatore.”, promise lo scozzese.
“Attenderò con impazienza quel giorno.”, rispose una voce remota, ultraterrena.
***
“Un’altra giornata è finita. Inizio ad abituarmi a
lavorare in un distretto così affollato.”, ragionò
posteggiando la moto in garage e liberandosi subito dopo del casco. Non
che avessero avuto molto da fare, da quando aveva iniziato a lavorare a
New York. L’operazione più pericolosa era stata una retata
nei pressi di un locale gestito da alcuni licantropi.
Richiuse la basculante, archiviando quei pensieri ed entrò
nell’atrio del palazzo, iniziando a salire le scale con fare
sicuro.
“Qualcosa sembra andare nel verso giusto…”,
considerò, infilando una mano in tasca ed estraendone le chiavi
di casa. “Ho bisogno di una doccia.”, ragionò,
percependo un forte odore di smog impigliato tra i propri capelli.
Fece una smorfia ed aprì la porta di casa. Non si
annunciò: non ne aveva bisogno dato che viveva con altri due
licantropi.
Appese le chiavi e, quando si voltò per dirigersi in cucina, si bloccò sul posto.
-Cosa sta succedendo…?- esordì, dando alle parole una
cadenza europea molto marcata. Alla sua domanda, Amanda sobbalzò
e per poco non lasciò cadere quello che aveva tra le mani. La
raggiunse e si appropriò della pentola, poggiandola in un posto
sicuro.
Le lanciò un’occhiata e poi guardò anche Andrew,
ancora più perplesso. –Che ci fate qui? Cosa sta facendo
David?- chiese, cercando di capire.
“Perché ci sono due ospiti non invitati in casa
mia?”, si chiese. Non gli piacevano particolarmente le sorprese,
perché non poteva prevederle e spesso mandavano all’aria i
suoi piani.
-David sta lavorando nello studio.- spiegò Drew, indicando con
un cenno del capo il corridoio. Evan annuì rapidamente col capo
e poi spostò lo sguardo su Amanda. –Perché sei in
cucina? Chi ti ha detto di cucinare?- volle sapere.
Lei dovette piegarsi all’indietro per poterlo guardare in faccia
e, quando l’ebbe fatto, abbassò immediatamente gli occhi.
–Mi dispiace. Non pensavo…- iniziò, sentendosi
tremendamente stupida. Poteva sentire nella testa la voce di Andrew che
le diceva “te l’avevo detto”.
Aveva le guance in fiamme ed era sicura che anche Evan se ne fosse pienamente accorto.
Il giovane scozzese percepì un forte cambiamento
nell’odore della ragazza, ora trasfigurato dalla paura.
S’irrigidì, colpito dalla sua reazione e sì, anche
un po’ infastidito.
-Non ho mai morso nessuno senza un motivo. Spiegatemi cosa stavate facendo.- ordinò, perentorio.
Andrew fece per parlare, ma Amanda lo precedette.
–E’ colpa mia. Ho proposto io ad Andrew di cucinare. Siamo
venuti qui per parlare con te, ma ci ha accolti David. Visto che era
nervoso per la sua scadenza e sembrava aver fame, ho pensato di
cucinare per voi.- infilò le parole una dietro l’altra,
evitando di guardare direttamente il suo interlocutore.
Se avesse potuto si sarebbe scavata una fossa a mani nude, per sprofondarci il prima possibile.
Ora confuso, Van replicò:-Non capisco il nesso tra tutte queste cose.
-Be’… nella mia famiglia stare insieme a tavola è
una tradizione. Condividere un pasto è una bella cosa e riesce a
cambiare l’umore delle persone, rendendole felici. Ci si sente
parte di qualcosa, considerati.- tentò di spiegarsi.
“Quante idiozie, Amanda! Smettila di blaterare!”, si disse,
furiosa con se stessa.
-Probabilmente voi avete altre abitudini. Non volevamo intrometterci.-
si scusò a sua volta Andrew, vedendo quanto l’amica fosse
in difficoltà. Non percepiva ostilità da parte di Evan,
solo parecchia confusione, ma era sempre meglio prevenire che curare.
-Se a David sta bene, io non ho niente da obiettare.- risolse infine lo
scozzese. In verità, vedere la giovane ai fornelli, tutta presa
dalla ricetta a cui stava dando vita, l’aveva colpito come un
pugno sferrato in pieno petto.
Non sapeva bene perché, ma aveva provato una forte
contrazione allo stomaco ed era stato assalito dalla nostalgia. I
ricordi dei pasti preparati da sua madre gli affollarono la mente,
aggredendolo con forza fisica.
Digrignò i denti, costringendosi a ricacciarli indietro, nel limbo in cui li aveva relegati.
-Ma a te sta bene?- la mano di Amanda gli sfiorò il braccio,
leggera. Si ritrasse di colpo, facendola spaventare. –Non
volevo…
Si fissarono per qualche istante, ognuno con gli occhi fissi
sull’altro. -Scusatemi.- disse Van, prima di uscire rapidamente
dalla finestra ed arrampicarsi sulla scala antincendio, diretto verso
il tetto.
I due si scambiarono un’occhiata, confusi dal comportamento del giovane MacGregor.
Si stiracchiò pigramente, sbadigliando.
-Ho finito, finalmente!- David lasciò uscire un sospiro di pura
soddisfazione. Guardò il risultato delle sue quattro ore di
lavoro e terminò di salvare il file.
Poi, abbassato lo schermo del portatile, si rese conto di percepire un
odore insolito. Soprattutto perché lui non era in cucina.
“Chi sta cucinando?”, si chiese, lanciando una rapida
occhiata all’orologio appeso al muro. “Che Evan si sia
messo a preparare qualcosa? Nah!”, arricciò il naso,
abbastanza sicuro di aver appena pensato una cosa impossibile.
Curioso, oltrepassò la soglia e si diresse verso la zona giorno.
Una volta lì scoprì che la causa di quel buon profumo era
Amanda. Restò a fissarla a bocca aperta, senza credere ai propri
occhi.
-M-ma…?
Andrew fu il primo a notare la sua presenza e balzò in piedi,
scostandosi dal divano su cui si era accomodato. –David!-
esclamò.
-Ragazzi, ma che succede? Io vi avevo lasciato ad aspettare, non vi ho
detto di cucinare!- fece, stupito. Oppure aveva detto qualcosa in
merito?
Nuovamente Amanda si ritrovò ad arrossire. –E’ stata
una mia idea. Pensavo vi avrebbe fatto piacere…- si
giustificò.
Dopo qualche istante di silenzio, Dave si aprì in un sorriso.
–Sei da sposare!- esclamò, avvicinandosi per ispezionare
il contenuto delle pentole. –E sembra tutto ottimo!
-G-grazie…- mormorò lei, colta in fallo dalla sua
reazione positiva. Si era aspettata un’altra non reazione come
quella di Evan o peggio.
Lanciò un’occhiata a Drew e lo vide rilassare leggermente le spalle.
-Evan? Sento il suo odore…
Andrew alzò gli occhi al soffitto. –Di sopra. Credo si sia
offeso.- ammise. –Io però sarei qui per una questione
importante e dovrei parlarci.
Solo in quel momento David sembrò riprendere completamente
contatto con la realtà e si avvicinò a grandi passi,
preoccupato. –Ti hanno sfidato in un combattimento?!-
domandò, analizzando visivamente tutte le sue ferite.
-Sì.- sospirò l’americano.
-A giudicare dai danni, posso immaginare chi sia l’artefice.-
commentò, facendosi improvvisamente fosco. –Quel bastardo!
-E’ per quello che ho bisogno di Evan. E’ stato Alastair a dirmi di venire da lui.- confermò.
“Sali sul tetto.”, la voce dello scozzese rimbombò
improvvisamente nella testa di entrambi i lupi. Andrew per poco non
urlò per lo spavento, mentre Dave si limitò ad una
smorfia.
-Ogni tanto si diverte a fare questi giochetti mentali.- commentò il moro con tono di rimprovero.
Drew ridacchiò, dandosi un contegno. –Non importa.
Dovrò abituarmi, prima o poi. Io salgo… ci vediamo tra un
po’.- disse.
L’aria fresca lo investì non appena mise piede oltre la balaustra di protezione.
Non era una sensazione spiacevole, ma iniziavano a sentirsi le prime avvisaglie dell’autunno, quello piovoso e grigio.
Fortunatamente la sua temperatura corporea lo avrebbe protetto bene anche in caso di impreviste bufere di neve.
Individuò immediatamente Evan, seduto sulla cabina
dell’ascensore. Anche volendo, comunque, non avrebbe potuto
ignorare la sua presenza: la sua aura aveva un potere attrattivo non
indifferente, nonostante lui cercasse sempre di mantenerla al minimo.
-E’ stato Stryker, vero?- esordì lo scozzese.
Andrew sussultò. –S-sì…- confermò.
Doveva smetterla di stupirsi ogni qualvolta uno di loro mostrava le
proprie capacità soprannaturali.
Era a sua volta un licantropo, non poteva aver paura della sua stessa natura.
-Fammi vedere.
Senza farselo ripetere, il giovane aggirò la cabina e gli si
pose davanti, il viso sollevato per farsi osservare senza impedimenti.
Evan analizzò con occhio critico le ferite in via di guarigione
poi, non contento, balzò giù e gli girò attorno.
-Mhm… riconosco il suo stile. Ma, a quanto vedo, ci è
andato giù pesante.- commentò alla fine, fermandosi
davanti al suo interlocutore. –Lo hai provocato?
-No!- esclamò Andrew. –Assolutamente.
La sua risposta stranì lo scozzese, che però non disse nulla. –Spiegami quello che sta succedendo.
Abbassando momentaneamente gli occhi chiari, Drew cercò di
raccogliere le idee. Voleva essere il più esaustivo possibile,
facilitando il compito ad Evan.
Alla fine gli ci volle una mezz’oretta buona per raccontare tutto
quello che era successo dalla nomina di Stryker. L’espressione
del suo interlocutore era andata peggiorando di minuto in minuto.
-Non posso crederci. Dato che non può battermi, ha deciso di
rifarsi su di te!- ringhiò, sentendo la bestia dentro di
sé agitarsi. Strano ma vero, sentiva della rabbia dentro di
sé. Rabbia vera, genuina, bruciante.
Non gli capitava da tantissimo tempo, ormai.
A quanto pareva New York stava cercando di tirar fuori a forza il
vecchio Evan, quello in contatto col mondo e con le proprie emozioni,
pronto a scontrarsi contro tutto e tutti.
-Il suo modo di vedere le cose è sicuramente sbagliato, ma non
posso farci niente, purtroppo.- gli fece notare Andrew. –Non
voglio sminuire quello che c’è tra te e Stryker, sul
serio… ma a me interessa principalmente poter sopravvivere ai
suoi pestaggi.- concluse.
Van gli lanciò un’occhiata coi suoi strani occhi dai
riflessi d’ametista e poi sentenziò:-Hai ragione. Non
è colpa nostra se la stupidità colpisce chi ci sta vicino.
Quel commento strappò un sorriso al giovane americano,
alleggerendo al contempo l’atmosfera. –Pensi che possa
farcela o sarò costretto a prenderle all’infinito?-
domandò.
-Hai una buona struttura fisica. Se vuoi posso allenarti, ma credo che
il miglior aiuto che io possa darti sia dirti dove colpire.- rispose.
-Stryker ha un punto debole?- Drew lo guardò stupito, non credendo alle proprie orecchie.
Evan si appoggiò alla balaustra, dando le spalle alla
città sottostante. –Sì.- confermò. –La
sua guardia ha un angolo cieco, ma è difficile notarlo. Il suo
occhio destro è parzialmente danneggiato: se non ricordo male
perché fu ferito da un cacciatore molto tempo fa.
-Ferito? E con cosa?- fece Andrew, avido di sapere.
-Con uno stiletto la cui lama era stata immersa nell’estratto
velenoso di strozzalupo. Credo gli ci sia voluto più di un mese
per espellere le tossine ma, nonostante ciò, la sua cornea
è rimasta permanentemente danneggiata.- continuò.
“Quindi posso batterlo…?”, si chiese speranzoso il
ragazzo. Il pensiero lo esaltò parecchio, ma il dubbio
arrivò subito a smorzargli l’entusiasmo. –Ma…
ma lui è consapevole di questa cosa, giusto? Questo vuol dire
che non si scoprirà mai sul lato destro.- osservò.
Evan sollevò un angolo della bocca. –Giusta osservazione.
È vero, sa di avere quel problema, ma non può
controllarlo appieno.- rispose. –Se riesci a batterlo in
velocità, non riuscirà a parare il colpo.
Andrew meditò su quanto gli era appena stato detto.
Batterlo in velocità… sì, forse poteva riuscirci.
Avrebbe dovuto allenarsi come un disperato, gareggiare con gli altri
per migliorare le proprie prestazioni nella corsa.
-Perché è stato ferito con uno stiletto…?- chiese ad un certo punto l’americano.
Il suo interlocutore si concesse un sogghigno. –L’arma
delle donne. Facile da maneggiare e facile da celare. Stryker ha tirato
la corda con la persona sbagliata e lei si è rivelata una
cacciatrice.- disse.
-Ah. Non l’avrei mai immaginato.- commentò Andrew.
-Ha sempre avuto un certo appetito.- Van scrollò le spalle a
dimostrare che la vicenda non l’aveva toccato più di tanto.
Dopo quelle parole rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso
nei propri pensieri. Gli occhi di entrambi, però, fissavano il
cielo sopra la città, spoglio e di un blu intenso.
-Posso chiederti di allenarmi?- Drew fu il primo a rompere il silenzio che si era creato.
-Farò quello che potrò nei momenti in cui non dovrò lavorare.- rispose.
“Spero vivamente che basti.”, pensò l’altro.
–Farò in modo che nessuno lo scopra.- promise, ben sapendo
a che generi di guai sarebbe andato incontro se Dearan l’avesse
scoperto. Non si potevano intrattenere rapporti coi lupi esiliati.
-Mi pare il minimo.- replicò Evan, lanciandogli un’occhiata.
Dopo una breve esitazione, Andrew disse:-Io scendo a mangiare qualcosa. Ti unisci a noi?
Lo scozzese gli diede le spalle, incrociando le braccia davanti al
petto come se avesse freddo. –Forse più tardi…-
mormorò.
Drew gli dedicò un’ultima, lunga occhiata e poi si
avviò di sotto. Non capiva il modo di ragionare di
quell’uomo, ma sperava di poter arrivare a farlo, un giorno.
Dopotutto, gli doveva la sua seconda vita.
*Mio Dio
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Capitolo 12 *** Cap. 11 Opinioni diverse ***
Cap. 11 Opinioni diverse
Prime scintille tra Evan e Amanda!! Di che tipo, non ve lo dico :P
E qualche informazione sul passato dei nostri lupi... anche se Van continua a rimanere abbastanza criptico.
Buona lettura e Buona Pasqua!! :)
Cap. 11 Opinioni diverse
-Suggerisco di dare una piccola
dimostrazione di forza al nostro sorvegliato speciale. Giusto per
fargli capire che deve guardarsi le spalle.- disse la voce al telefono.
L’uomo fissò
l’edificio davanti a sé, scrutando attentamente tutte le
finestre e le sagome che si intravvedevano oltre i vetri.
–D’accordo. Cosa devo fare?- chiese.
-Se dipendesse da Rodrick, dovresti
star lì buono e fermo a raccogliere informazioni. Io non ne vedo
la necessità: sappiamo la cosa fondamentale, ossia dove
abitano.- rispose il suo interlocutore. La linea restò muta per
qualche istante, poi quello aggiunse:-Ferisci la prima persona del
branco che uscirà dall’edificio.
Il licantropo sollevò un
angolo della bocca, pregustando l’azione. –Non vedo
l’ora di mettermi all’opera. Quanto devo essere convincente?
Jared ci meditò su qualche istante. –Abbastanza, ma non uccidere nessuno. Non ancora.- decise.
-D’accordo. Ti chiamo appena
ho finito.- asserì e poi chiuse la chiamata, facendosi scivolare
il cellulare nella tasca dei pantaloni.
Appuntò lo sguardo
sull’infilata di finestre del terzo piano e si mise in ascolto,
sfregandosi le mani con soddisfazione.
Emily era arrivata ad un orario imprecisato tra le otto e trenta e le nove e mezza.
Quando aveva messo piede in casa si
era bloccata immediatamente, stupita di ritrovare degli ospiti
nell’ampia zona giorno.
-Ehm… buonasera.-
salutò, dopo essersi ripresa dalla sorpresa. Amanda ed Andrew la
salutarono con un gesto della mano ed un sorriso. –Sta succedendo
qualcosa di cui non sono stata informata?- chiese lei poco dopo aver
risposto al saluto.
-No. Cioè, sì, ma
è una questione tra Drew ed Evan. Non ti preoccupare.- le
rispose David., abbozzando un rapido sorriso. Amanda non poté
fare a meno di notare l’improvvisa rigidità della sua
postura, come se d’improvviso non si trovasse più a
proprio agio.
La considerò una reazione alquanto strana, considerato che l’inglese si trovava al sicuro in casa propria.
La giovane soppesò la
risposta per qualche istante, poi annuì e si tolse la giacca di
pelle, appendendola nell’ingresso. –Vedo che vi siete
organizzati una bella cenetta.- commentò, avvicinandosi al
tavolino basso che campeggiava tra i divani.
Non avendo abbastanza posti per
tutti, Andrew aveva proposto di sedersi per terra, appoggiati ai
cuscini. David l’aveva guardato scandalizzato, ammettendo di non
aver mai mangiato seduto per terra, se si escludevano le abbuffate in
forma lupina.
-Vuoi farci compagnia o hai
già mangiato…?- le domandò Amanda, in attesa.
Essendo l’unica ragazza nei paraggi ed essendo licantropa,
sperava di poter legare con lei e trovare un sostegno femminile per i
momenti difficili.
Avrebbe avuto un parere
femminile in merito alle dinamiche di un mondo che le era ancora
largamente sconosciuto. E non le sarebbe dispiaciuto fare amicizia con
lei.
Da quel poco che aveva visto,
sapeva sicuramente come difendersi ed era quasi certa che la sua
facciata un po’ ruvida nascondesse una più profonda
sensibilità.
Il movimento di Emily la
strappò ai suoi pensieri e poco dopo se la ritrovò seduta
di fianco, vagamente impacciata. –Cos’avete cucinato?-
domandò l’americana.
-Ha fatto tutto Amanda.- confessò David, alzando le mani per indicare che lui non c’entrava nulla.
Gli occhi della ragazza
scintillarono brevemente. –Oh, davvero? Complimenti! Io sono
negata in cucina.- si complimentò, ammirata. Be’,
più che altro non si era mai cimentata veramente, anche se
ultimamente sentiva il forte desiderio di essere più
affidabile… più materna nei confronti del piccolo Blake.
La mora arrossì vistamente.
–Be’… è una passione che ho fin da quando
andavo alle superiori. Però non è così difficile:
basta applicarsi…- farfugliò, non sapendo bene come
gestire quello sfoggio di entusiasmo. I primi tempi aveva sempre
qualche difficoltà a rapportarsi con gli altri, doveva abbassare
lentamente gli scudi protettivi della sua corazza e quello richiedeva
un po’ di tempo.
-Mandy, ti ricordo che
c’è gente irrimediabilmente negata. Pratica o meno.- le
fece notare Andrew. I due si guardarono negli occhi e ridacchiarono,
ben sapendo a chi si stesse riferendo il ragazzo.
-Io non rientro nella categoria.-
dichiarò David, orgoglioso delle proprie capacità. La
serietà con cui lo disse, però, fece scoppiare a ridere
tutti gli altri. Lui restò a fissarli per qualche secondo,
interdetto, poi si unì a loro.
Come dolce Amanda
aveva preparato delle deliziose coppette di gelato, guarnite con
mascarpone e riccioli di cioccolato. Inutile dire che erano state un
successo.
“Potrei prepararle per
Blake.”, meditò Emily, prendendo l’ultima
cucchiaiata ed assaporandola a fondo. Da quando era entrata nel branco
di Evan aveva evitato in tutti i modi possibili di pensare al suo
tenero bambino perché sapeva di dover rimanere concentrata.
Generalmente riusciva ad esercitare
un buon controllo sulle proprie emozioni, ma quando si trattava di
quello scricciolo dagli occhi verdi, le cose finivano sempre per
complicarsi. Dove prima comandava il cervello, improvvisamente il cuore
arrivava a dar battaglia.
In più, il pensiero di Blake
le portava alla mente ricordi recenti della sua vita che stava cercando
di seppellire bene in profondità.
La situazione in cui si era
cacciata era assurda, ma non poteva fermarsi o sarebbe stata perduta.
Poteva solo andare avanti e sperare di portare a termine il compito che
le era stato assegnato il più in fretta possibile.
-Emily? Tutto bene?- una voce familiare la riportò alla realtà.
Quasi sobbalzando, smise di
rimescolare i rimasugli di gelato nella coppetta e sollevò lo
sguardo. –Sì… ero sovrappensiero.- ammise,
imbarazzata.
-In questo periodo sei un po’
assente. Ascolti, parli con gli altri, ma i tuoi occhi sono spesso
altrove.- osservò David, scrutandola attentamente.
–C’è qualcosa che non va?
Non sapendo bene come comportarsi
in casi come quello, la giovane mise un po’ di distanza tra
sé ed il proprio interlocutore, cercando al contempo di
riorganizzare le idee. Alla fine, optò per una risposta
spiazzante, molto vicina al suo modo di fare abituale. –Stavo
facendo i conti per il mio ciclo mensile. Sai quanto le donne diventino
paranoiche, in questo frangente. Sono un po’ preoccupata.-
buttò lì.
David sbatté le palpebre
qualche volta, a disagio. Poi sembrò riprendersi e, buttandola
sul ridere, chiese:-Dovremmo preoccuparci? Il branco potrebbe crescere?
Emily si concesse una smorfia. –Oh, no, non credo proprio.
Il riccio però non si diede
per vinto e continuò a scrutarla per parecchio tempo, cercando
di capire se lo stesse prendendo in giro o se stesse tentando di
mantenere un qualche segreto.
-David… per favore.- gli disse ad un certo punto lei.
Lui sospirò.
–D’accordo. Scusa. Affari tuoi.- si scostò,
raddrizzandosi e portando i piatti sporchi in cucina, dove Amanda ed
Andrew si stavano allegramente dedicando a riordinare.
Non era assolutamente
convinto e le lanciò un’occhiata di sottecchi, cercando di
non farsi notare. Peccato che anche lei stesse facendo lo stesso. I
loro sguardi s’intercettarono per poi sviarsi subito dopo.
Avevano rimesso tutto a
posto e la cucina sembrava ancora più in ordine di quando
l’avevano appena comprata. Almeno, quella era l’impressione
che dava a David. -Amanda, potrei assumerti come aiuto cuoca?- chiese,
scherzosamente.
Lei sbatté le palpebre qualche volta, perplessa. –Ehm… credo sia un po’ complicato…- ammise.
Vedendo la sua espressione,
l’inglese ridacchiò. –Stavo scherzando. Sono quasi
certo che Evan non vorrebbe altra gente per casa.- la rassicurò.
-Perché?- chiese lei, lanciando un’occhiata alla zona giorno.
Andrew ed Emily stavano seguendo
una partita di baseball in televisione. La licantropa si era rivelata
un maschiaccio e ben presto lei e Drew si erano messi a parlare fitto
di sport. Amanda aveva sorriso, lieta che l’amico potesse
distrarsi.
“Io non me ne intendo molto,
purtroppo…”, pensò, osservando pensierosa il
lanciatore appena inquadrato.
-Amanda? Mi stai ascoltando?- David la riportò alla realtà.
-Come?! Oddio, scusa, mi ero persa nei miei pensieri.- disse, mortificata.
Dave ridacchiò. –Non
importa. Sembra che voi donne siate distratte, in questo periodo.-
osservò. –Comunque, mi avevi chiesto di Evan…
Facendosi attenta, la giovane annuì.
-Be’, lui è un uomo
tendenzialmente molto schivo e meno persone invadono il suo territorio
personale, meglio è.- rivelò, sospirando. –E’
sempre stato così.
-Anche quando vi siete conosciuti?- domandò.
-Sì.- sorrise l’altro.
–Anche se all’epoca era lui quello a cercare la mia
compagnia… ma solo perché voleva che evitassi di fare
qualcosa di stupido.- spiegò.
Mandy aggrottò le
sopracciglia, perplessa. –Non mi sembri tipo da fare
“qualcosa di stupido”.- considerò.
-Oh… ho avuto molto tempo
per trovare un equilibrio.- assicurò, divertito dalla sua
espressione stupita. –Sono al mondo da un po’ di tempo.
-Posso chiederti da quanto?- azzardò lei.
-1839.- rivelò.
A quella scoperta, la giovane non
poté fare a meno di rimanere a bocca aperta. Poi, rendendosene
conto, la coprì con una mano, mugugnando una scusa per la sua
reazione. Andrew sembrava non aver sentito, perché non si era
minimamente scollato dal televisore.
-Sono vecchio, eh?- scherzò il riccio.
Lei annuì, poi scosse la
testa. –No… cioè… insomma… siete
tutti così… così antichi, nel branco?
-Oh, sì. Io ed Evan facciamo
parte dei giovani, tra l’altro.- rispose, sempre divertito dal
modo in cui stava reagendo. Era ammirevole (ma anche un po’
buffa), perché cercava di non mostrare la propria
incredulità, rischiando così d’offendere qualcuno.
-Noi vi dovremo sembrare così… stupidi.- mormorò dopo un po’, tenendo lo sguardo basso.
-Stupidi? Perché?
Amanda arrischiò una rapida
occhiata coi suoi occhi verde acqua. –Per come ragioniamo, per
l’impulsività che ci caratterizza… perché
organizziamo cene senza chiedere il permesso ai padroni di
casa…- terminò il discorso iniziando a torcersi le mani
con forza.
David provò
un’inspiegabile tenerezza nei suoi confronti. –Puoi salire
a parlare con lui, se senti il bisogno di scusarti.- le suggerì.
-Non vorrà sicuramente starmi a sentire.- replicò lei, convinta.
-Mi sembri una persona abbastanza
perseverante. Sono sicuro che riuscirai ad ottenere la sua attenzione.-
le fece l’occhiolino, incoraggiante.
Anche se non era pienamente
convinta, Mandy decise di accettare il suggerimento. Fece un rapido
cenno del capo ed afferrò un piatto avvolto in carta stagnola.
Poi si avviò alla finestra, scomparendo poco dopo sulle scale
antincendio.
Andrew, vedendosela passare davanti, smise di seguire la partita e si voltò verso David, interrogativo.
-E’ andata a chiedere scusa.- spiegò lui, sorridendo complice.
-Oh.- sillabò l’altro.
-E’ tutto ok?- chiese Emily,
non riuscendo a trovare il filo logico del discorso. Dave li raggiunse
e si accomodò su uno dei divani. La guardò per qualche
istante e poi annuì.
Afferrò con forza il corrimano di ferro chiazzato di ruggine e sollevò lo sguardo.
Non sapeva perché, ma l’idea di confrontarsi con Evan la metteva a disagio. Anzi, quel giovane la metteva indistintamente a disagio: vuoi per il suo comportamento, vuoi per la sua natura.
Vuoi per quel suo strano sguardo.
“Amanda, andiamo! Non gli hai
mica ucciso il gatto!”, si disse. Prese un respiro profondo ed
iniziò a salire. Scavalcò con attenzione la paratia di
protezione e poi rimase immobile.
Non riusciva a vedere nulla!
Attese che gli occhi si abituassero
alla quasi completa oscurità, ma il risultato finale non
migliorò di molto la situazione. Con uno sbuffo, decise di
andare a tentoni.
S’incamminò
lentamente, scrutando la superficie di cemento levigato in cerca di
irregolarità che avrebbero potuto farla cadere.
Ad un certo punto raggiunse la
cabina con l’argano dell’ascensore e vi appoggiò il
palmo, sfruttandola come riferimento. Ci girò attorno, ma non
vide nessuno. “Dov’è?”, si chiese, perplessa.
-Cosa fai qui?
Cacciò un urletto e
sobbalzò, mollando la presa sul piatto che reggeva. Fece appena
in tempo a pensare che sarebbe stato uno spreco buttare quel cibo, ma
non si sentì nessuno schianto.
Confusa, fece per chinarsi e
controllare quando sentì una presenza accanto a sé. Si
raddrizzò di colpo e cercò d’arretrare, ma
finì con l’inciampare nei suoi stessi piedi.
-Smettila di agitarti.- Evan
l’afferrò per il gomito, impedendole di cadere. Era la
seconda volta che quella scena si ripeteva. Era forse destinata a
muoversi come un puledro appena nato ogni volta che si trovava in
presenza di quell’uomo?
-M-mi dispiace!- esclamò,
sentendo le guance andare letteralmente a fuoco. Prese un respiro
profondo e riprese il controllo di se stessa. –Mi dispiace.-
ripetè, questa volta più calma.
-Perché sei salita se David ti ha detto che mi piace avere i miei spazi?- le chiese, lasciando la presa sul suo braccio.
Mandy raccolse i pensieri, cercando
di formulare una frase sensata. Evan non era decisamente una persona
che la faceva sentire a proprio agio. –Non volevo che ti sentissi
escluso nella tua stessa casa.- disse alla fine.
-So prendermi i miei spazi, se ne
sento la necessità. Se la vostra presenza mi avesse dato
fastidio, mi sarei allontanato.- replicò.
-Ti sei allontanato, quindi la nostra presenza ti ha dato fastidio.- gli fece notare lei.
-Forse hai ragione.- concesse
infine. Le restituì il piatto e balzò nuovamente sopra la
cabina dell’ascensore, decretando chiusa la loro conversazione.
Amanda restò a fissarlo,
interdetta. Poi si tolse le scarpe col tacco (che indossava da quella
mattina) ed appoggiò il piatto sul bordo della cabina. Fece
perno con le braccia e, con un po’ di fatica, si issò su.
Nonostante ci fosse abbastanza buio, poté vedere con certezza l’espressione stupita di Evan.
-Non stavamo parlando di spazi personali…?- le fece notare, sollevando un sopracciglio.
Lei si sistemò e poi lo
guardò. –Sì… ma voglio scusarmi con te.-
rispose, sincera. Vedeva la sua grande sagoma davanti a sé e
percepiva il luccichio dei suoi occhi, come fosse un predatore
appostato nell’oscurità.
“Un attimo, lui è un predatore appostato nell’oscurità.”, si corresse mentalmente.
-Non devi scusarti. Il tuo voleva
essere un gesto altruista.- le fece notare, osservando di sottecchi
quello che aveva portato con sé. Emanava un intenso odore di
pollo, molto più invitante ora che ce l’aveva a portata di
naso.
-Ma tu ne sei rimasto…
turbato.- mormorò la ragazza, fissando dritto davanti a
sé. Evan poté percepire senza problemi il suo disagio.
“Non ho potuto fare a meno di
reagire così.”, si rese conto, stupendo un po’ anche
se stesso. –Hai riportato alla mente ricordi che non avevo
intenzione di riportare a galla.- le spiegò, sincero.
–Però non era mia intenzione farti sentire indesiderata.
Né te né Andrew.- aggiunse subito dopo.
-Ah… quindi il comportamento
da uomo medievale è solo una facciata.- commentò lei,
senza nemmeno rendersene conto. Quando se ne rese conto,
spalancò gli occhi ed esclamò, contrita:-Oddio, ho dato
aria alla bocca senza collegare il cervello!
Van si concesse una breve risata.
–Oh… non è molto lontano dalla realtà. David
si ritroverebbe d’accordo con te.- commentò.
Lei fece per chiedere il
perché di quel suo comportamento distaccato e scostante, ma si
trattenne. Era quasi certa di non potersi prendere così tante
libertà con lui.
Tra loro calò un silenzio
alquanto imbarazzante e nessuno disse niente per un po’.
Improvvisamente, Amanda si ricordò del vero motivo per cui era
salita. –Probabilmente te ne sei già accorto, ma ti ho
portato un assaggio della cena. Non so perché tu non abbia
voluto partecipare, ma mi sembra scortese lasciare uno dei padroni di
casa a stomaco vuoto.- disse, porgendogli il piatto in questione.
-Posso anche saltare un pasto e
andare a caccia più tardi.- le fece notare, guardando prima
quello che gli veniva porto e poi il suo viso.
Delusa dalla risposta, Mandy ritirò la mano. –Sì… è vero. Non ci avevo pensato.
Avvertendo il cambiamento nel suo
tono di voce (e anche nella sua postura), Evan si sentì in colpa
e si chiese perché fosse sempre così ruvido con le
persone, anche quando queste volevano fargli una gentilezza.
A ben pensarci, però, Amanda
era l’unica, al di fuori di David ed Alastair, che avesse mai
provato a fare qualcosa del genere. Trovò quel risultato
abbastanza in linea col proprio comportamento, ma anche un po’
triste.
“Sono veramente poche le
persone che provano sentimenti positivi nei miei confronti. E che
agiscono in modo disinteressato.”, meditò. –Potrei
assaggiare…?- si decise a chiedere.
-Come?
-Quello che c’è nel
piatto. Potrei assaggiarlo? È per me, no?- le indicò
l’involto e poi la guardò negli occhi. Nonostante lei non
potesse vederlo altrettanto bene, capì che stava aspettando una
sua risposta.
Si riscosse. -Certo, scusami.- e
gliel’allungò. Prima che potesse dare il primo morso,
aggiunse:-Ho usato gli avanzi che ho trovato. Spero vada bene.
-Io mangio praticamente tutto. E
sono rare le volte in cui riempio la dispensa: a quello ci pensa
David.- le disse, osservando con curiosità il contenuto del
piatto. -Queste dovrebbero essere… ali di pollo fritto?
Amanda, praticamente cieca in
quell’ambiente privo d’illuminazione, dovette sporgersi in
avanti per poter capire a cosa si stesse riferendo. –Oh,
sì. Accompagnate da uova in crosta di pane.- spiegò,
indicando il tortino a fianco.
-Uova in crosta di pane… dove hai trovato i pomodori?- chiese, stupito. Avevano cose del genere nel loro frigorifero?
-Nel cassetto delle verdure.- rispose lei, stupita della domanda. –E’ strano?
Evan scosse la testa. –Tapadh leibh*.
Grazie per il cibo.- le disse, prima di prendere il tortino e dargli un
morso. Masticò per un po’, in silenzio, lasciando che i
suoi sensi affinati percepissero tutti i sapori di quello che stava
mangiando.
Anche Amanda rimase in attesa,
timorosa di ricevere un parere negativo. Se c’era una cosa a cui
dava importanza era il sapore delle pietanze che cucinava. Voleva che
fossero buone e che rallegrassero le persone.
-Considerato che in Scozia molto spesso mangiavamo cacciagione oppure haggis, posso dire che è molto buono. Sei una brava cuoca.- fu il verdetto finale.
Mandy arrossì per la
contentezza e lo ringraziò calorosamente. Pentendosene subito
dopo di fronte al silenzio di lui.
Evan terminò il
proprio pasto in silenzio, mangiando con una compostezza tale da fare
un po’ a pugni col suo aspetto da guerriero dei tempi antichi.
Ma come si dice, le apparenze ingannano, no?
-Grazie per la cena.- disse, una volta aver ripulito il piatto.
Amanda lo riprese evitando di
guardarlo negli occhi. –Prego…- mormorò. Nel tempo
che lui aveva impiegato a mangiare, lei aveva cercato di mettere a
tacere le mille domande che le frullavano in testa dopo quello che era
successo ad Andrew.
Se Stryker era veramente un
elemento pericoloso, perché nessuno faceva nulla per rimetterlo
al suo posto? O per lo meno controllarlo.
-Sento che c’è
qualcosa che ti tormenta.- disse lo scozzese, piantando i suoi occhi
chiari su di lei. Se possibile, la ragazza si sentì ancora
più imbarazzata e a disagio di quanto già non fosse.
Iniziava ad averne abbastanza di
quei continui rossori, manco fosse una ragazzina di dodici anni! Evan
non era suo padre né un suo superiore in ambito lavorativo,
quindi poteva benissimo trattarlo da pari.
Il problema era che riusciva a metterla in soggezione con nulla.
“Solo perché è
un licantropo, Amanda? Hai anche tu dei pregiudizi?”, le chiese
la voce nella sua testa. Si morse il labbro inferiore, in pieno
conflitto con se stessa.
Evan, dal canto suo, rimase ad
osservarla in silenzio. Aveva percepito il trambusto che si agitava
dentro la sua interlocutrice, ma non voleva assolutamente impicciarsi.
Anche perché, in quel modo,
poteva osservarla meglio e capire che tipo di persona fosse realmente.
Era sicuramente una giovane leale e disposta a mettersi in gioco per i
propri affetti, qualunque fosse il pericolo: l’aveva dimostrato
con sua sorella e ora lo stava facendo con Drew.
Era anche parecchio timida con gli
sconosciuti e faticava a trovare un equilibrio in tutta quella
situazione paradossale. Ma come darle torto?
“Anche io avrei faticato, se
fossi nato umano.”, pensò, continuando a scrutarla. Messa
a confronto con lui, David o Emily, sembrava pronta a spezzarsi da un
momento all’altro. “C’è una forte
determinazione, in lei… forse data dall’ignoranza, ma
c’è.”, considerò, pensieroso.
-Ci sono alcune cose che non
capisco…- la voce di Amanda lo strappò alle sue
considerazioni, riportandolo a quella notte autunnale.
-Riguardano quello che è successo ad Andrew?- le chiese Evan.
Mandy esitò un attimo, ma poi confermò con un cenno del capo. –Tu conosci bene Stryker, vero?
-Meglio di quello che vorrei.- ammise l’altro.
-Perché ce l’ha con
Drew? C’è qualche legge nel branco che dà questo
potere al Campione?- lo guardò direttamente, osando incrociare
il suo sguardo. Si sentì immensamente piccola, ma non
abbassò gli occhi.
Si confrontarono per qualche
istante, silenziosi. Alla fine fu Van il primo a distogliere lo
sguardo, soddisfatto da ciò che aveva intravisto in quello di
Amanda. Si era sempre considerato una persona difficile, in fatto di
amicizie, ma quella ragazza gli piaceva. –No. Nessuna legge del
genere. I branchi di licantropi funzionano pressappoco come quelli dei
lupi veri e propri.- smentì.
-Quindi… Drew è stato
trasformato nell’Omega?- fece, perplessa. Si era documentata
anche sui lupi naturali, volendo ottenere il più ampio spettro
di conoscenze possibili in quel frangente.
MacGregor scosse leggermente il
capo. –No, non esattamente. Non nell’Omega del branco, ma
in quello personale di Stryker.- spiegò.
-Perché?- chiese lei, diretta.
Il giovane lupo si ravviò i
capelli, già pronto ad una sfuriata. Se c’era una cosa che
aveva capito di Amanda, era che era sempre pronta a dar battaglia.
Proprio come una lupa coi suoi cuccioli.
“Lei non appartiene al tuo
mondo, non usare strani paragoni.”, si rimproverò.
–Per colpa mia.- rivelò. –Prima che tu possa anche
solo tentare di ingiuriarmi, lasciami finire.- la prevenne, vedendola
già sul punto di scattare.
La morettina si morse la lingua ed
attese, cercando di essere paziente. Una volta assicuratosi che fosse
padrona di se stessa, Van riprese dicendo:-Stryker non ha legami di
sangue con nessuno dei membri del branco. Era un solitario, fino a
quando non è arrivato a Dunnottar e ha chiesto di poter
diventare uno dei nostri.
-Con Dunnottar intendi… la
vostra precedente casa?- chiese lei, perplessa. Non conosceva nessun
luogo con quel nome, in America.
Lui annuì. –Sì,
in Scozia.- confermò. –Comunque… Stryker
combatté col nostro Campione e, una volta misurata la sua forza,
gli fu permesso di aggregarsi al branco.
Amanda aggrottò le sopracciglia, nuovamente perplessa. –Il “vostro Campione”?
Evan sollevò leggermente un
angolo della bocca, divertito dalla sua espressione. –Non ho
sempre ricoperto quel ruolo. A quell’epoca avevo appena raggiunto
l’età adulta.- spiegò.
-Oh.- mormorò lei.
-All’epoca Stryker aveva
circa trent’anni, se non ricordo male…- proseguì
lui, riportando alla mente ricordi veramente molto vecchi. –La
sua trasformazione dev’essersi fermata attorno ai ventisette anni
o qualcosa del genere.
-I tempi sono diversi per ogni
licantropo?- domandò lei. Era vero, Evan le metteva una gran
soggezione, ma si stava rivelando un narratore piuttosto capace. Ed era
anche una fonte d’informazioni molto più dettagliate
rispetto ad Andrew. Per ovvi motivi.
-Sì. Le prime trasformazioni
iniziano con la pubertà e il processo può durare anche
parecchio tempo.- disse.
Stava per chiedergli com’era
stato per lui, ma all’ultimo decise di cambiare domanda.
–Quindi Stryker si era completamente trasformato abbastanza
tardi, considerata l’età media dell’epoca.-
considerò.
-Per gli umani sì, per i
licantropi no. Un licantropo è nel fiore delle sue
capacità dai venti ai quarant’anni, circa. Alcuni
finiscono la mutazione alla soglia di quell’età.- le
disse, facendo spaziare lo sguardo sui profili dei grattacieli.
L’Empire e il Chrysler Building erano facilmente riconoscibili
grazie alle loro guglie luminose.
-D’accordo… tutto
questo è affascinante, ma non capisco cos’abbia a che fare
con te.- ammise, esprimendo i propri dubbi.
-Stryker è il figlio
bastardo di un Alfa e non gli è stato mai riconosciuto nessun
titolo all’interno del suo vecchio branco. Ha vissuto per molto
tempo in solitaria, allenandosi e viaggiando in lungo e largo per la
Scozia.- Evan riprese a raccontare. Vedendo che Amanda annuiva,
concentrata, proseguì:-In quel periodo mio padre stava iniziando
ad organizzare il mio matrimonio con Crystal… ed io ho iniziato
la mia ribellione. Stryker non ha mai digerito il fatto che, nonostante
tutto, Dearan non mi abbia mai ripudiato e, anzi, mi abbia concesso il
posto di Campione.
All’udire quelle parole,
Mandy si irrigidì. Le stava forse dicendo che i pestaggi di Drew
dipendevano da pura e semplice invidia?!
-C’entra anche Crystal, in tutto questo?- chiese con un filo di voce.
Lui la guardò stupito.
–Non lo so. Potrebbe.- ammise. Le lanciò
un’occhiata, percependo un cambiamento nel suo odore. Si stava
arrabbiando.
-Quindi… fammi
capire… Drew è stato attaccato solamente perché
Stryker non sa gestire il suo complesso d’inferiorità nei
tuoi confronti?!- scattò in piedi, la pazienza un lontano
ricordo.
-Non serve a nulla arrabbiarsi.- le fece notare.
Gli occhi chiari
dell’americana si dilatarono. –Non serve a nulla? Cristo,
Andrew è arrivato a casa con una commozione e metà del
corpo fratturata!- sbottò, indicando con un gesto furente il
pavimento.
Evan chiuse gli occhi,
massaggiandosi lentamente le palpebre. La rabbia di Amanda lo stava
investendo con la stessa potenza di un’onda sugli scogli. Era
incredibile come le persone calme potessero diventare incontrollabili,
una volta aizzate.
-Non puoi fare nulla per aiutarlo?- gli chiese lei, calcando sulle parole.
-Non posso avvicinare Stryker: mi hanno bandito dal branco, se ben ricordi.- le fece presente, fulminandola.
-Non mi interessa! Sei tu che hai
introdotto Andrew in questo mondo e sei sempre tu a rendergli difficile
la sua nuova vita!- proseguì lei. Ormai stava urlando.
-Avresti preferito che lo lasciassi
morire?- sbottò lui, alzandosi in piedi. La sua stazza gli
permetteva di torreggiare su Mandy senza problemi. –Quella
trasformazione è costata tanto anche a me.
-A maggior ragione dovresti aver a cuore Drew!
-Non sono il su Alfa né il suo Beta, non è compito mio.- ribattè, alzando la voce.
-Sei il suo creatore. E questo conta.- disse risentita.
Van ridusse gli occhi a due
fessure. –Non parlare a sproposito, dato che non sai come
funziona un mondo come questo.- sibilò. La bestia dentro di lui
ringhiò, tentando di trovare una vita d’uscita e
manifestarsi. Iniziò a vedere le cose con contorni vagamente
rossastri e si irrigidì.
Non gli succedeva da tanto, tantissimo tempo.
-Sei solo un egoista.- e con questo
la giovane americana si diresse rapidamente verso le scale antincendio,
calandosi subito dopo.
Si scambiarono sguardi sorpresi e nessuno di loro fiatò.
Anche senza volerlo, avevano
assistito in diretta alla discussione tra Evan e Amanda. Non avevano
visto fisicamente il diverbio, ma le loro orecchie avevano seguito
tutto quanto.
Ed ora non sapevano come comportarsi. O cosa dire.
Mandy arrivò durante
quel momento imbarazzante, scendendo gli ultimi gradini della scala
antincendio. Esitò un attimo, poi entrò
nell’appartamento.
-Scusate per quello che è
successo… non volevo mettere a disagio nessuno. Io… io mi
avvio a casa.- il suo viso era chiazzato di rosso e faticava a trovare
le parole. Dopo la sfuriata, ora si sentiva tremendamente a disagio
davanti agli altri.
Andrew fu il primo a riprendersi e ad alzarsi per poterla fermare. –Mandy…
Lei però scosse la testa e
gli fece segno di rimanere lì dov’era. Si scusò con
gli occhi con tutti i presenti, recuperò la sua borsa e poi
scappò letteralmente fuori dalla porta.
-Amanda!- le urlò dietro
David. Vedendo che era stato tutto inutile, sospirò ed
abbassò il braccio. Poco dopo, però, eccolo girarsi per
accogliere l’amico. –Evan!
Il nuovo arrivato mise a tacere qualsiasi obiezione con un gesto secco della mano e poi si avviò verso la cucina.
-Ti sei… arrabbiato?- chiese la voce di Dave dopo che lui ebbe bevuto mezza bottiglia di birra.
Van gli lanciò
un’occhiata di traverso. –A quanto sembra ne sono ancora in
grado…- mormorò, fissando meditabondo il liquido dorato
dietro il vetro.
-Non pensate sia il caso di portarla indietro?- intervenne Emily.
-Perché? Ormai dovrebbe sapere come tornare a casa.- replicò lo scozzese, irritato dal tono della donna.
-Voi uomini e il vostro…
-Emily.- la interruppe David. –No.- scosse la testa, cercando di farla desistere.
-Ha ragione, Emily. Le serve tempo
per sbollire.- convenne Andrew dopo un lungo sospiro. Non incolpava
nessuno dei due perché sapeva quanto fosse difficile comprendere
le dinamiche del mondo soprannaturale.
“Senza considerare che sono
entrambi due bei caratterini…”, aggiunse mentalmente,
osservando le mosse di Evan.
Lo scozzese si era appoggiato al
piano di lavoro della cucina e teneva gli occhi chiusi. La sua aura si
espandeva e si contraeva a ritmo alternato, come una lampadina rotta.
Se quello era il risultato dopo un diverbio, non osava immaginare come
potesse essere quando si arrabbiava seriamente.
Camminava spedita, diretta verso l’entrata della metropolitana.
Prendere un taxi per arrivare a casa era fuori discussione: il tragitto era troppo costoso.
Sapeva di avere il viso
congestionato e di esser sembrata una pazza agli occhi dei pochi
passanti che aveva incrociato da quando era uscita.
Ma non poteva farci niente.
Una volta scoppiata la
bomba, le ci voleva un bel po’ di aria fresca per tornare ad
essere la solita persona calma, paziente ed amichevole che in molti
apprezzavano.
“Non riuscirò
più a guardarlo in faccia, lo so. Ma non potevo stare zitta,
tutta questa situazione fa schifo!”, pensò.
Girò l’angolo e poi
proseguì lungo il marciapiedi, stringendosi nella giacca di
cotone che aveva addosso. Doveva raggiungere Lafayette Street per poter
sperare di raggiungere la linea della metropolitana che l’avrebbe
portata a casa.
Attraversò una strada
residenziale piena di macchine parcheggiate e, improvvisamente,
percepì un altro rumore assieme a quello delle sue scarpe.
Le sembrava quasi un ringhio.
S’arrischiò a
lanciarsi un’occhiata alle spalle, ma non vide nulla.
Assolutamente non convinta, accelerò ulteriormente il passo,
già abbastanza sostenuto.
Quando si voltò, si
ritrovò davanti un uomo. Sobbalzò, trattenendo un grido.
Quello ghignò, divertito dalla sua reazione e poi
l’afferrò per le braccia, lanciandola senza tanti riguardi
al centro della strada principale.
Amanda rotolò a terra,
impattando con l’asfalto ancora caldo. Riuscì ad evitare
una macchina per un pelo, mettendosi a sedere con un movimento
affettato. Senza fiato, restò a fissare davanti a sé il
proprio aggressore.
-Corri, piccolo agnellino.- le suggerì quello.
E lei, senza farselo ripetere due volte, prese a correre.
* Grazie in gaelico.
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Capitolo 13 *** Cap. 12 Guardie e ladri ***
Cap. 12 Guardie e ladri
Rieccomi :)
Vi avevo lasciato con Amanda in un mare di guai... secondo voi come
saranno andate le cose? Confesso che mi sono lasciata prendere un po'
la mano e l'ho fatta penare ^^' Nulla di irreparabile, comunque!
Evan, come suo solito, sarà malleabile come una sbarra di ferro,
ma abbiate fede: prima o poi i lati spigolosi del suo carattere
verranno smussati.
Bene, vi lascio alla lettura, alla prossima! ;)
Cap. 12 Guardie e ladri
Sentiva il cuore rimbombarle nelle orecchie e il respiro incastrato da qualche parte tra il petto e la gola.
Nella caduta si era sbucciata le
mani e le sentiva bruciare fastidiosamente, ma relegò il
pensiero in un angolo del proprio cervello, tentando di capire cosa
doveva fare per sfuggire a quel pazzo.
Quasi sicuramente era un licantropo. E quasi sicuramente l’aveva attaccata perché conosceva Evan e gli altri.
“Bell’affare.”, le disse una voce nella testa.
Ignorandola, Amanda si
rialzò in piedi. Quell’uomo era ancora davanti a lei e
sembrava non aver fretta d’iniziare la caccia. A quanto pare
spettava a lei decretarne l’inizio.
Lentamente, stando attenta
alle auto che passavano, arretrò fino al marciapiedi che si
trovava alle sue spalle, tenendo gli occhi fissi sul suo aggressore.
Aveva un viso abbastanza anonimo,
ma il colore dei suoi occhi si avvicinava molto a quello dell’oro
brunito. Quella tonalità gli donava un aspetto ancor più
ferino, quasi ultraterreno.
Quel pensiero le mandò un brivido lungo la schiena.
“Resta concentrata.”,
s’impose, lasciando che i pensieri trovassero un ordine logico.
Ma per quanto si sforzasse di escogitare un piano, c’era una sola
cosa che doveva fare: tornare all’appartamento di Tompkins Square.
Il più in fretta possibile.
Con gesti calcolati, si
sistemò la borsa a tracolla, ringraziando la moda del momento.
Il licantropo non si mosse e restò a fissarla dall’altra
parte della strada, la bocca piegata in un ghigno. Sembrava divertirsi
parecchio, considerato che la caccia non era ancora cominciata.
-C-chi sei…?- Mandy cercò di distrarlo.
-Il lupo cattivo.- le rispose lui, sogghignando apertamente.
Ignorando l’ironia insita
nelle sue parole, la ragazza si abbassò ed iniziò a
sfilarsi le scarpe col tacco. Dato che avrebbe dovuto correre, quelle
le sarebbero state solo d’impiccio. Non voleva rischiare di
rompersi una caviglia e facilitare il compito a quello squilibrato.
“Appena le avrò tolte,
inizierà.”, si rese conto. Il suo aggressore aveva
iniziato a far scrocchiare le nocche, preparandosi
all’inseguimento.
Tenendo gli occhi incollati sul
viso di lui, tolse la scarpa destra e la lasciò a terra.
Reggendosi su una sola gamba, sfilò lentamente anche
l’altra. Deglutì, nervosa e si sistemò meglio la
borsa dietro la schiena, per evitare che la impacciasse.
Gli occhi di preda e
predatore s’incontrarono per alcuni lunghi istanti che sembrarono
infiniti. Amanda si sentiva avviluppata dalla paura, ma stava cercando
in tutti i modi di rimanere presente a se stessa. Doveva evitare gli
attacchi di panico e, di conseguenza, qualsiasi posto che potesse
suscitare in lei reazioni claustrofobiche.
Sapeva che l’obiettivo del suo opponente era farle del male. Divertirsi con lei.
Forse ucciderla.
Quella consapevolezza fece mancare un battito al suo cuore.
Appoggiò le punte delle dita sull’asfalto, concentrandosi sulla sensazione ruvida e calda del bitume invecchiato.
Improvvisamente, senza preavviso, scattò.
Come se non aspettasse
altro, il licantropo s’inginocchiò ed iniziò la
trasformazione, pronto all’inseguimento.
Stava per raggiungere Evan e
cercare di parlare con lui, quando si rese conto che il licantropo
appostato nei pressi di casa loro si era spostato.
Sgranò leggermente gli
occhi, stupito. Non se n’era reso conto, troppo occupato a
seguire il diverbio tra il suo migliore amico ed Amanda.
A giudicare dall’espressione di Emily, anche lei doveva essersene resa conto. Anzi, sembrava addirittura terrorizzata.
-Evan…- chiamò, voltandosi verso di lui.
L’amico fece un rigido cenno del capo, puntando lo sguardo fuori dalla finestra che illuminava la cucina.
-Che sta succedendo?- chiese
Andrew, confuso. Tentò di capire qualcosa percependo le auree
degli altri, ma l’unico risultato che ottenne fu una scarica
d’energia. –Che succede?!
-Ci stavano spiando.- gli rispose David, gli occhi ancora fissi su Van.
-Ci stavano… chi…?- domandò, ancora più perplesso. Possibile che non si fosse accorto di niente?
L’inglese gli lanciò una rapida occhiata. –Era sottovento.
Al che, Drew esclamò:-Un licantropo?!
Emily lo fissò per qualche
istante, visibilmente agitata e poi tornò a guardare quello che
era il loro capobranco.
-David, non far uscire Andrew. Per
nessun motivo: non sappiamo se siano qui per lui.- finalmente Evan
diede voce ai propri pensieri.
-D’accordo.- fu la risposta.
In quel preciso istante, un urlo
raggiunse le loro fini orecchie soprannaturali. Drew riconobbe la voce
senza bisogno di analizzarla. –Oddio, Amanda!- tentò di
scattare verso la finestra, deciso ad andare ad aiutare l’amica.
Ma Evan gli si piazzò
davanti, ringhiandogli apertamente. Come fulminato, il ragazzo si
bloccò sul posto, infossando la testa nelle spalle. Non avrebbe
potuto andare contro la volontà di un Alfa, non ne aveva la
forza e forse mai l’avrebbe avuta.
-Resta qui.- ordinò con voce
metallica lo scozzese. L’altro deglutì, cercando le parole
per protestare a quell’ordine.
Evan però non glielo permise
e, senza nemmeno curarsi di prendere la rincorsa, si lanciò
oltre la finestra aperta. Trafisse l’aria come un dardo, dando il
via alla trasformazione durante la caduta.
Quando atterrò sul
marciapiedi, al suo posto c’era un grosso lupo. Alzò la
testa verso l’alto e, assicuratosi di aver ottenuto obbedienza
dai suoi sottoposti, sparì oltre la recinzione del parco
antistante il palazzo.
Stava correndo più forte che poteva.
Sentiva i polmoni agonizzare in cerca d’aria e la milza dolere.
Da quando era iniziata la fuga,
quel pazzo del suo aggressore aveva iniziato a giocare a guardia e
ladri. La metteva all’angolo solo per poterla terrorizzare e
continuava a spingerla dove voleva lui, come un cane da pastore fa col
suo gregge.
Amanda avrebbe urlato per la rabbia, se solo avesse avuto ancora fiato in corpo.
Come se non bastasse, aveva perso
il senso dell’orientamento ed ora non avrebbe potuto raggiungere
gli altri nemmeno volendo.
All’ennesimo scatto si
piegò in due, respirando a fatica. Tossì qualche
volta, sentendo i muscoli delle gambe tremare. Era quasi certa di
essersi scorticata anche le piante dei piedi, ma avrebbe corso fino a
quando il suo corpo avrebbe retto. O l’adrenalina non fosse
cessata.
“Oppure fino a quando qualcuno verrà a salvarmi.”, pensò, sconsolata.
Non capiva dove diavolo fossero
finiti i soccorsi, ossia il branco di Evan. Che quel continuo zigzagare
tra i palazzi servisse anche per sviare i licantropi e non solo per
tagliarle la fuga?
Mentre pensava ciò non si accorse che il suo inseguitore aveva drasticamente ridotto le distanze.
All’improvviso il
ringhio sommesso che l’aveva accompagnata durante tutta la sua
fuga le sembrò pericolosamente troppo vicino. Alzò la
testa di scatto e si ritrovò il muso del licantropo a poco meno
di un metro.
Sobbalzò ed inciampò nei suoi stessi piedi, finendo a terra.
Il licantropo avanzò di qualche passo, arricciando il labbro superiore e scoprendo i canini.
Incespicando, Mandy si rimise in
piedi il più velocemente possibile, per poi esser colpita subito
dopo da una zampata e rotolare a terra, qualche metro più in
là.
Quello era il primo attacco
fisico che le aveva sferrato e, con un certo terrore, iniziò a
temere che si fosse stancato di giocare.
Fece perno con le mani e si deterse
il sangue dal piccolo taglio che si era procurata sul labbro inferiore.
Prese un respiro profondo e poi si rialzò, fissando dritto negli
occhi il suo avversario. La sua stazza era tale che la testa del lupo
era allo stesso livello della sua, solo molto più minacciosa.
-Non so chi ti abbia mandato
né quale siano gli ordini a cui devi attenerti, ma io non mi
farò ammazzare.- sentenziò la giovane. In risposta
ottenne una sorta di rantolo, la cosa più simile ad una risata
che si potesse ottenere da un animale.
Cercando di non farsi intimorire, Amanda prese ad arretrare, guardandosi intorno in cerca di un riparo o una via di fuga.
Con la coda dell’occhio
scorse l’inizio di una lunga recinzione di ferro battuto e, tra
le ombre, quelli che sembravano piccoli ceri rossi.
“Un cimitero…?”,
si chiese, stupita. Non credeva che i licantropi potessero essere
influenzati dalla religione (sicuramente meno dei loro nemici naturali,
i vampiri), ma tanto valeva provare ad entrare in quel luogo sacro.
Scattò rapidamente alla propria sinistra e si mise a correre verso la cancellata.
Il licantropo si gettò al
suo inseguimento e, in poco, le tagliò la strada. Lei lo
evitò per un soffio, appiattendosi contro il tronco di un albero.
Il tempo di prendere un
rapido respiro e riprese a correre, aggirandolo. Quello ringhiò,
facendo scattare la mascella a vuoto nel tentativo di azzannarla.
Accelerò ulteriormente,
sentendo i polmoni esploderle per lo sforzo. All’improvviso si
ritrovò davanti il cancello e balzò in avanti,
aggrappandosi alle sbarre di ferro. Fece forza con le braccia e
tentò di arrampicarsi.
Peccato che il suo inseguitore
riuscì ad affondare le zanne nella sua borsa e a trascinarla
rudemente a terra. Il tessuto non resse e tutto il contenuto venne
sparso sul marciapiedi.
Nell’attacco, però, i
denti del lupo erano riusciti a raggiungere anche la carne e Amanda si
ritrovò ad urlare, cercando di divincolarsi.
In lontananza le parve di
vedere qualche luce accendersi dietro le finestre, ma la sua
concentrazione era rivolta completamente alla creatura che la stava
attaccando.
Scalciò con forza, cercando di colpirlo sul muso ed allontanarlo da sé.
Insperatamente, uno dei suoi calci
andò a segno e il licantropo emise un uggiolio di protesta,
allontanandosi momentaneamente dalla sua preda. Amanda ne
approfittò per rialzarsi in tutta fretta e riprendere la scalata.
Era quasi riuscita a raggiungere la
cima, quando le fauci del suo aggressore si chiusero attorno alla sua
gamba destra, tirandola verso il basso. Urlò ancora,
aggrappandosi con tutte le sue forze alle sbarre.
Si liberò una, due, tre volte, ma sempre il lupo tornava all’attacco.
“Non ce la faccio
più!”, pensò, stremata. Strinse i denti e
tentò un’ultima volta, lo stesso fece il licantropo.
Dopo tutti i colpi ricevuti, il
cancello non resse e si piegò sotto il peso dell’essere
soprannaturale, facendoli cadere entrambi dall’altra parte.
Nella caduta, il predatore subì un’inspiegabile metamorfosi e tornò ad assumere sembianze umane.
In quell’esatto istante un enorme lupo gli piombò addosso.
Finalmente era riuscito a raggiungerli.
Non capiva come, ma quel maledetto
era riuscito a sviarlo per ben tre volte, facendo cambiare direzione ad
Amanda con grande abilità.
Li aveva inseguiti col naso e con
l’udito, ma la sua conoscenza dell’area si era rivelata
ancora insufficiente. Si era visto aggirare un paio di volte, tagliare
la strada e distanziare.
Ciò che l’aveva aiutato a ritrovare la via era stato l’odore del sangue, probabilmente quello della ragazza.
Quando li aveva raggiunti
stavano facendo un pericoloso tiro alla fune nei pressi di quello che,
a prima vista, gli parve essere un cimitero cittadino.
In Scozia non erano così
diffusi, dato che c’era molto più spazio per seppellire i
morti, mentre lì a New York ne aveva già visti diversi
incuneati tra gli alti grattacieli.
Nel momento esatto in cui il
cancello cedette, Evan riemerse bruscamente dai propri pensieri e si
gettò sul licantropo, rotolando con lui all’interno del
recinto sacro.
L’aveva attaccato in versione animale, ma si ritrovarono a lottare con calci e pugni, nuovamente umani.
“Cos’è
successo?”, si chiese Van, confuso. Non gli era mai capitato di
avere una trasformazione così repentina.
Ma non ebbe tempo per i dubbi
perché ben presto si ritrovò a dover schivare i ganci del
suo nuovo avversario. Rotolò di lato e si rimise rapidamente in
piedi, senza preoccuparsi della propria nudità.
Percepiva Amanda alle proprie
spalle, ma doveva prima occuparsi dell’americano che aveva
davanti. Si mise di tre quarti, pronto a difendersi.
-Cosa diavolo è successo?!-
imprecò il suo avversario, sputando un po’ di terra.
–Perché mi sono ritrasformato?
-Non preoccuparti, questo non cambierà le sorti dello scontro.- lo rassicurò Evan.
Infastidito dal suo tono, l’altro chiese:-Tu saresti il famoso MacGregor?
Van ridusse gli occhi a due fessure. –Chi è che nutre tutto questo interesse per me?
L’altro licantropo
sogghignò, divertito dal fatto che lo scozzese non sapesse con
chi avesse a che fare. Meglio per lui.
-Perché hai attaccato la ragazza? Non è una di noi.- domandò allora Evan.
Il suo interlocutore alzò le spalle. –Ordini.- rispose semplicemente.
-Ordini… mi sembra che tu li
stia eseguendo male.- commentò, iniziando ad irritarsi. Capiva
benissimo gli scontri tra clan e le scaramucce per il potere, ma non
poteva tollerare che venissero coinvolte persone estranee.
Era stato David ad insegnargli a
vedere le cose anche dal punto di vista delle persone normali e questo
aveva fatto evolvere il suo codice d’onore. Inoltre, i lupi senza
cervello che eseguivano gli ordini degli Alfa senza nemmeno porsi delle
domande lo infastidivano parecchio.
-Ora vedrai quanto alacremente sto
eseguendo gli ordini.- la voce del suo avversario lo riportò
alla realtà. Si focalizzò su di lui e schivò senza
problemi le sue unghie, bloccandogli poi il polso e torcendoglielo
subito dopo.
Si sentì un sonoro crack e
l’uomo lanciò un ringhio di protesta, provando a colpire
il suo avversario col pugno libero.
In quel momento alcune persone si
affacciarono dalle finestre, cercando di capire cosa stesse succedendo.
–Che state facendo?- chiese qualcuno.
-Questioni tra licantropi.- rispose Evan, mollando la presa sul suo avversario.
Alcune teste sparirono, ma altre
rimasero. –Guardate che chiamo la polizia! Non vogliamo problemi,
qui!- continuò la voce di prima.
-La polizia ne è già
al corrente, non si preoccupi. Ora rientri, prima di farsi male.-
intimò lo scozzese. Dovette suonare convincente perché
anche gli ultimi curiosi si chiusero in casa, fingendo che
all’esterno non fosse in corso una scazzottata tra soprannaturali.
-Hai chiamato gli sbirri?! Sei un codardo!- sbottò l’americano.
Van tornò a guardarlo, la guardia sempre alta. –Io sono uno sbirro.- gli fece presente.
-Tsk.- la risposta non piacque per
niente all’altro. Si massaggiò il polso fratturato,
già in fase di guarigione e poi caricò a testa bassa,
pronto a colpirlo allo stomaco.
Nuovamente, Evan si scansò
di lato e gli assestò un colpo con entrambi i pugni
all’altezza delle reni. Quello cadde, ma gli falciò le
gambe un attimo dopo, mandandolo a terra.
Il giovane MacGregor fu
pronto a difendersi dal successivo assalto e, con un calcio ben
piazzato, se lo levò di dosso. Poco prima di essere scaraventato
a qualche metro di distanza, il licantropo riuscì a ferirlo con
le unghie, lasciandogli un solco che andava dalla parte destra del
collo al pettorale.
Irritato, si rialzò e gli
andò incontro. –Inizio a stancarmi.- commentò,
ripulendosi il sangue dal petto. –Chi ti ha mandato?
-Non sono affari tuoi!- abbaiò l’altro.
-Come preferisci.- disse e fece pressione dietro l’articolazione del ginocchio sinistro, rompendogliela.
-Maledetto bastardo!- imprecò l’americano, portandosi le mani alla parte fratturata.
Evan lo guardò, un leggero
velo di rabbia ad offuscargli gli occhi. –Di’ al tuo capo
che la prossima volta ci andrò giù pesante.
Dopo quelle parole si voltò, deciso a prendere Amanda e tornare all’appartamento di Tompkins Square Park.
Sentiva le gambe pulsare come impazzite e aveva male in così tanti punti da non poter quantificare il dolore.
Da quando era comparso Evan era
rimasta rannicchiata in un angolino, nei pressi del cancello, pronta a
scappare se le cose si fossero messe male.
Vedere i due contendenti
trasformarsi all’improvviso l’aveva colta di sorpresa ed
era riuscita a riconoscere lo scozzese solamente perché aveva
riassunto sembianze umane. Non l’aveva mai visto in forma
animale, quindi non avrebbe potuto indovinare l’identità
del lupo dal pelo bruno rossastro.
Non aveva nemmeno mai assistito ad
uno scontro tra licantropi di quel genere. Certo,
all’Internazionale c’erano state delle lotte, ma lei non
aveva visto quasi niente, schiacciata dalla folla e preda di una crisi
di panico.
Nonostante la violenza del
combattimento, lo trovò incredibilmente attraente. I due uomini
avevano movenze veloci e precise, i loro corpi davano vita ad una
sinfonia di gesti insospettabile e le pareva di percepire le loro auree
sulla pelle.
L’aria sfrigolava ed era come se tante piccole scosse elettrostatiche le percorressero la pelle.
Persa nei propri pensieri, non si
era resa conto del sangue che aveva perso e continuava a perdere
né degli sviluppi dello scontro.
Improvvisamente vide il suo
aggressore a terra, sovrastato da Evan e poco dopo lo scozzese gli
diede le spalle, decretando finito il combattimento.
Disorientata, si rimise
faticosamente in piedi ed aspettò di essere raggiunta dal suo
soccorritore. Con la coda dell’occhio, però, notò
l’altro licantropo trascinarsi verso di loro, col chiaro intento
di colpire a tradimento.
Senza nemmeno rendersene conto,
afferrò una delle sbarre del cancello e menò un fendente
alla cieca, sperando di colpire un punto vitale.
Nell’esatto istante in cui il
ferro penetrò nella carne, Evan si voltò con uno scatto,
fissandola con sgomento. Lei ricambiò lo sguardo, senza sapere
cosa fosse esattamente successo.
Il giovane allora guardò il proprio contendente ed annusò l’aria, perplesso.
-Cosa mi hai fatto, brutta strega!-
urlò l’americano, le mani strette alla coscia destra e il
viso premuto contro il terreno umido.
-I-io…- balbettò Amanda, sconvolta. Com’era possibile che fosse riuscita a fare un danno simile?
Evan si chinò ed
osservò l’asta che spuntava dalla gamba dell’altro.
–Sorbo degli uccellatori… a quanto pare l’hanno
mescolato al ferro. Ecco perché siamo tornati normali…-
mormorò, colpito.
-Cosa significa? Che ho fatto…?- chiese la ragazza.
Lui la guardò. –Hai
appena messo al tappeto il tuo primo licantropo.- le spiegò.
–Andiamocene prima che riesca a rialzarsi.- aggiunse subito dopo.
Mandy lo fissò con tanto
d’occhi, lanciando un’altra occhiata all’americano,
ancora a terra. –Ma…- tentò d’iniziare.
-Pulisciti le mani sull’erba, per favore. Non vorrei fossero rimasti residui.- la pregò, pratico.
-Come? Oh… sì.- fece lei, chinandosi e strofinando i palmi sul tappeto verde.
-Bene. Mi ritrasformerò in
lupo, ma non ti spaventare.- le comunicò, per poi inginocchiarsi
e dare inizio alla metamorfosi.
Troppo sconvolta o forse troppo
stanca per avere qualsiasi reazione, la ragazza restò immobile,
aspettando che il passaggio da umano a lupo si compisse. Il grosso
animale in cui si era trasformato Evan la guardò e poi si
accucciò, invitandola a salirgli sulla groppa.
Amanda non se lo fece ripetere due
volte e si issò sulla sua schiena, stando attenta a non tirargli
nemmeno un ciuffo di peli.
Ci mise molto meno a tornare all’appartamento rispetto a quand’era cominciato quell’inseguimento.
Mandy era ancora aggrappata a lui,
ma sentiva la sua presa indebolirsi sempre di più. Probabilmente
stava per perdere conoscenza.
“Ha perso parecchio
sangue.”, constatò, fiutando l’aria. Lentamente si
sedette e la fece scivolare delicatamente a terra. Lei barcollò
qualche istante, malferma, e approfittò della sua presenza per
mantenersi in posizione eretta.
Evan la guardò e poi
le fece cenno di salire le scale. Poi alzò il muso ed
abbaiò una volta, brevemente. Immediatamente sentì David
aprire la porta dell’appartamento e scendere di corsa,
raggiungendo la giovane.
-Oddio, cosa diavolo è
successo?!- imprecò, vedendo le condizioni di Amanda. Van emise
un verso di gola, ricordandogli dove si trovassero. L’inglese
allora si affrettò ad avvolgere la vita della ragazza e a
condurla lungo la rampa. Dopo un attimo d’esitazione, li
seguì anche lui.
Non appena furono in casa, Andrew ed Emily vennero loro incontro, sul viso le medesime espressioni preoccupate.
Drew, più di tutti, aveva il
viso distorto dalla preoccupazione. –Amanda…-
mormorò, accostandosi a lei.
La giovane americana sorrise stancamente, provando a rassicurarlo.
Evan e David si scambiarono
un’occhiata d’intesa. –Prima che iniziate ad inveire
contro qualcuno, sarebbe meglio prendersi cura di quelle ferite.-
esordì. –Possiamo andare all’ospedale oppure curarle
qui. Evitare l’ospedale ci farebbe risparmiare tempo e un sacco
di fogli da compilare.- aggiunse.
-Fate quello che volete… io riesco a malapena a reggermi in piedi…- confessò Mandy.
-Sarà una cosa un po’
strana, ma non devi preoccuparti, d’accordo?-
l’avvertì Dave. Lei annuì, appoggiandosi
pesantemente ad Andrew. –Drew, falla sedere sul tavolo, per
favore.
Il ragazzo lo guardò un
po’ stranito, ma fece come gli era stato chiesto. Sollevò
l’amica prendendola per i fianchi e, ignorando il forte odore di
sangue, la fece accomodare sulla superficie di metallo.
Amanda si guardò attorno, un
po’ a disagio. Quando Evan le si avvicinò, evitando di
guardarla direttamente negli occhi, si fece ancora più confusa.
–Devo fare qualcosa di particolare…?- domandò.
David scosse il capo e i ricci
scuri danzarono davanti al suo viso, leggeri. In quello stesso istante,
Emily si mise una mano davanti alla bocca ed uscì
dall’appartamento di gran carriera, sorprendendo tutti.
Van fissò accigliato la porta, poi fece cenno all’amico di seguirla.
Quando Dave fu uscito, Andrew si mosse a disagio sul posto. –Io… io mi sento un po’ strano…- ammise.
“Ti dà fastidio il
sangue?”, gli chiese Evan, scivolando nei suoi pensieri.
L’americano sobbalzò, sgranando leggermente gli occhi
chiari, poi annuì, chinando il capo. “E’ normale,
agli inizi: dopotutto siamo guidati dall’istinto animale. Rabbia
e sangue aizzano la bestia.”, gli spiegò.
-Che succede…?- chiese Amanda, vedendoli fissarsi in silenzio.
Drew la guardò spiacente.
–Mandy, devo uscire. L’odore del tuo sangue ha risvegliato
il lupo…- si scusò.
-Ah… certo, non ti
preoccupare.- gli disse. Le fece un cenno e poi uscì a sua volta
dall’appartamento, vergognandosi per la reazione del suo stesso
corpo. –Ok… cosa dobbiamo fare ora?- chiese poi,
rivolgendosi all’unico rimasto.
“Tu nulla. Farò tutto io.”, le rispose mentalmente lo scozzese.
All’udire la sua voce nella
propria testa, Mandy sbarrò gli occhi e lo fissò immobile
per diversi istanti. Quando lui era ormai certo che stesse per avere
una crisi isterica, la vide annuire e dargli il suo consenso.
-Andrew, anche tu fuori?- gli
chiese David, per nulla stupito. Quando l’altro annuì,
l’espressione mortificata, aggiunse:-Non ti preoccupare. È
normale.
-Sì…- mormorò lui, abbattuto. –Anche tu hai dei problemi, Emily?
La ragazza, sentendosi
interpellata, scosse mestamente il capo. Aveva sempre le mani davanti
alla bocca e sembrava sul punto di star male. O scoppiare a piangere.
-Emily, è tutto ok?- le chiese preoccupato Dave.
Lei non rispose, lanciandogli solo
una breve occhiata. “Non posso dirglielo… si arrabbieranno
con me… non posso…!”, continuava a pensare,
combattuta.
Introdursi all’interno
del branco per svolgere un incarico da spia era un conto, ma
coinvolgere persone innocenti (per di più completamente umane) e
lasciare che venissero ferite era un altro.
Non poteva sopportarlo. Non sarebbe riuscita a dormire la notte.
“Ma se confesso…
Blake…”, strinse febbrilmente le palpebre, tentando di
arrivare ad un compromesso. Era quasi certa che, se David si fosse
sintonizzato sui suoi pensieri, non sarebbe riuscito a capire molto.
Era come un disco inceppato e le parole sfuggivano alla sua stessa
comprensione.
-Emily…?- l’inglese le
appoggiò una mano sulla spalla, leggero e lei sobbalzò
come se avesse preso la scossa. Le espressioni dei due uomini presenti
si fecero ugualmente confuse.
Deglutì un paio di volte, agitata. -S-scusate…
-E’ per quello che è
successo ad Amanda?- la interrogò Andrew. Percepiva la sua
confusione e la sua paura e non riusciva a tenerle lontane dalla sua
sfera di percezione. Essere un licantropo alle prime armi assomigliava
molto all’essere una spugna: si finiva con l’assorbire
tutto quello che c’era nei paraggi, emozioni comprese.
Fuggì gli occhi azzurri di
Dave e si appoggiò lentamente al muro, prendendo un respiro
profondo. –So chi era quel licantropo…- iniziò.
Aveva deciso di rivelare la propria identità e sperare di non
essere uccisa.
I licantropi non amavano
particolarmente i tradimenti e i doppiogiochisti. Probabilmente i lupi
antichi li odiavano ancor di più dei loro discendenti più
giovani.
-Sul serio?!- fece David, stupito. –Dicci!
-Fa parte dei Blacks…-
rivelò, tenendo lo sguardo basso. Si sentiva talmente meschina
che una fossa scavata a mani nude non sarebbe stata abbastanza per
seppellire la propria vergogna.
Drew si accigliò. –E chi sarebbero?
-Il branco di cui faceva parte Emily.- spiegò il riccio. -Cosa volevano?- chiese poi, rivolgendosi a lei.
-Sono venuti per me. E per voi.- confessò.
Non aveva idea di cosa
volesse fare per fermare la fuoriuscita di sangue, ma la cosa che
più la preoccupava era il fatto che fosse ancora in forma
animale.
“Oddio, non vorrà mica
trasformarmi, vero?!”, pensò, spaventandosi alla sola
idea. Se era quella la sua intenzione, preferiva di gran lunga andare
in ospedale e compilare scartoffie.
Non era pronta per affrontare una cosa simile. Doveva prima aiutare Andrew a scendere a patti con la sua nuova identità.
-I-io… se vuoi trasformarmi non…- iniziò, incespicando nelle parole.
Il grosso lupo che rispondeva al
nome di Evan la guardò stupito e poi sembrò accigliarsi.
A giudicare dalla sua espressione non era quello che aveva in mente.
Senza poterselo impedire, Amanda tirò un sospiro di sollievo.
Ora che aveva scartato
quell’opzione, però, non sapeva davvero che pensare.
Cercò di rilassarsi ed attese il più pazientemente
possibile.
Evan arrivò a
sfiorarle le gambe col pelo della sua gorgiera e Mandy dovette
trattenersi dal ridacchiare, sentendo il familiare prurito. Gli occhi
grigi del grosso lupo si fissarono nei suoi e, per qualche istante,
entrambi rimasero immobili.
Poi, lentamente, il muso di Van si
accostò alla prima grossa ferita e, con un guizzo di lingua,
ripulì il sangue che vi stillava.
-Ma che…?!- Amanda non
poté fare a meno di arrossire fino alla radice dei capelli e,
senza pensarci, tentò di sottrarsi a quel contatto imbarazzante.
Non appena ebbe accennato il movimento, però, lo scozzese
ringhiò in segno d’avvertimento.
“Sta’ ferma.”, le intimò mentalmente.
Mordendosi la lingua, la ragazza
s’impose di rimanere immobile e di non provare più
imbarazzo di quanto non ne sentisse già. Chiuse anche gli occhi,
provando a facilitarsi il compito.
L’unico pensiero sensato che riusciva a formulare era: “Oddio, mi ha leccata!”
Non ci volle molto
perché il bruciore alle cosce svanisse, sostituito da
un’inspiegabile sensazione di rigenerazione. Perplessa, Mandy
s’arrischiò ad aprire un occhio e quel che vide la
lasciò senza parole: le ferite avevano smesso di sanguinare,
nonostante fosse più che sicura di esser stata colpita vicino
all’arteria femorale.
“Stenditi sul tavolo.”, la voce di Evan le rimbombò nella mente.
-C-cosa…?- fece, confusa.
All’occhiata non propriamente ben disposta del lupo, si
affrettò a fare come le era stato detto. Si sentì un
po’ stupida a prendere ordini da una creatura a quattro zampe, ma
non lo disse apertamente.
Appuntò gli occhi sul
soffitto ed attese. Il pulsare al fianco era sordo e persistente: non
sapeva quanto grave fosse il morso, ma sicuramente faceva un male cane.
Non appena la lingua di Van le
solleticò la pelle, avvertì la fuoriuscita di sangue
diminuire e il corpo rilassarsi visibilmente.
-Grazie…- sussurrò,
grata e spossata. Ora che le ferite non sanguinavano più, il suo
organismo le stava rendendo conto della quantità di globuli
rossi andati perduti. –Mi sento svuotata.- confessò.
“L’importante è che l’emorragia si sia fermata.”, le disse il lupo dal pelo rossiccio.
-Avevo un’emorragia?- domandò, stupita.
Non sentì nulla per
parecchio tempo, ma era troppo stanca per sollevare la testa.
-Sì: gli artigli avevano inciso l’arteria femorale.- fu la
risposta.
Sgranò gli occhi. Aveva
appena ascoltato quelle parole con le orecchie e non
con la mente, giusto? Quindi quello significava che Evan si era
ritrasformato.
-Oddio!- si mise a sedere con uno
scatto, facendosi un male cane e procurandosi una vertigine coi
fiocchi. Arrossendo all’inverosimile, si ritrovò ad
osservare l’ampia schiena dell’uomo che l’aveva
appena salvata da dissanguamento certo.
E i suoi occhi non presero nota solamente delle spalle larghe e della perfetta linea che disegnava la colonna vertebrale.
-Rimettiti giù.- le disse, assolutamente calmo.
-Ma sei nudo!- gracchiò lei.
“Considerazione molto intelligente, Amanda. Complimenti.”,
fu il messaggio del suo cervello.
Evan le lanciò
un’occhiata da sopra la spalla. –Mi sembra normale: mi sono
appena ritrasformato.- le fece notare. –Ora torna giù.
Anche se restia ad obbedire, Mandy
fece come le era stato detto. Ancora non si capacitava di quello che
aveva visto. Sicuramente ora capiva uno dei motivi che avessero spinto
Crystal Forbes a volerlo come marito: esteticamente non aveva nulla da
invidiare agli attori più pagati di Hollywood. O agli atleti
professionisti.
-Perché voi umani vi
scandalizzate sempre per un po’ di pelle scoperta?- si
sentì chiedere, da un punto non ben precisato della grande
stanza.
-Be’… non è
normale starsene nudi, senza nessuna vergogna.- gli fece notare lei,
tentando in tutti i modi di scacciare la visione di quel corpo dai
propri occhi.
Evan andò in camera e
recuperò un paio di pantaloni. Li indossò e tornò
in cucina, premurandosi di prendere l’occorrente per disinfettare
le ferite di Amanda.
-Sono un licantropo. Non provo
vergogna a mostrare il mio corpo.- le rispose finalmente, estraendo
dalla valigetta del pronto soccorso una compressa di garza sterile.
-Non volevo offenderti…- mormorò Mandy, dopo un po’.
-Non è stata un’offesa, ma una considerazione dettata dalla tua… disinformazione.-
replicò. Avrebbe voluto usare il termine ignoranza, ma era quasi
certo che se la sarebbe presa. A volte sapeva essere tagliente come una
lama ben affilata e a molte persone quell’aspetto del suo
carattere non piaceva molto.
-Molto gentile da parte tua evitare la parola “ignoranza.”- gli fece notare lei.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dall’osservazione della ragazza: sarcastica e pungente quanto basta.
Afferrò disinfettante e
cotone idrofilo e le si avvicinò. –Potresti alzarti, per
favore?- si sporse sul tavolo, in modo da incontrare gli occhi verde
acqua di Amanda.
Lei ammiccò qualche volta,
forse stupita di rivederlo effettivamente in forma umana.
–S-sì…- disse con un filo di voce.
-Lentamente.- si raccomandò
lui, lanciandole un’occhiata di traverso. La vide annuire e
sollevarsi sui gomiti. Le appoggiò una mano aperta al centro
della schiena e l’aiutò a trovare la giusta posizione.
Poi, come se stesse manovrando una bambola, la fece scivolare in
avanti, in modo da avere le sue gambe oltre il supporto rigido offerto
dal tavolo.
-Non mi trasformerò, vero?-
gli chiese lei, osservandolo armeggiare col disinfettante ed una strana
polvere. –Cos’è quella?
-Polvere di sorbo. Serve per
purificare il tuo sangue da eventuali residui.- le mostrò i
granelli neri cosparsi sul cotone.
-Cioè… serve per evitare che mi trasformi?- domandò, perplessa.
-Per evitare che le ferite
s’infettino e che il tuo sistema immunitario venga attaccato.- le
lanciò una rapida occhiata e poi afferrò un lembo dei
suoi jeans, ormai inutilizzabili. –Devo strapparli.
Amanda restò concentrata su di lui, senza spostare lo sguardo. –Sei sicuro che non mi trasformerò?
-Sì.- sbuffò lui. –Sicuro.
La morettina annuì qualche volta, ancora pensierosa, poi strappò un lembo di tessuto, scoprendo la parte ferita.
La fasciatura alla gamba era
abbastanza stretta e le tirava la pelle, ma non si lamentò. Evan
aveva fatto un lavoro egregio e il merito maggiore andava alla sue
capacità di licantropo.
Era la seconda volta che salvava una vita in poco più di un mese.
-Hai la stoffa del supereroe…- mormorò lei, osservandolo armeggiare con un’altra compressa di garza.
-Perché?- le chiese, lanciandole una rapida occhiata.
-Hai salvato la vita sia a me che a Drew.- gli fece notare lei. –E’ una gran cosa.
Rabbuiandosi leggermente, le rispose:-Be’, tendo ad impedire che la gente intorno a me muoia.
Amanda avrebbe voluto chiedergli se
avesse subito un lutto di qualche tipo, durante la sua lunga vita, ma
quasi sicuramente lui non le avrebbe risposto.
E si sarebbe indisposto. Quindi meglio evitare.
Non sapendo bene come riempire
l’imbarazzante silenzio che si era creato, Amanda prese a
torturarsi una ciocca di capelli, agitata. Ogni tanto lanciava occhiate
furtive allo scozzese, impegnato a preparare il medicamento per la
ferita al fianco.
Improvvisamente le venne alla mente
una domanda. –Quello che hai fatto oggi… non avresti
potuto farlo anche con Andrew?- chiese, perplessa.
Evan di girò, reggendo tra
le mani un paio di forbici. Non disse nulla ed afferrò il lembo
della camicetta che indossava la morettina, staccandola lentamente dai
lembi della ferita. Mandy dovette trattenere una smorfia, ma
cercò di mantenersi perfettamente immobile.
Quando il tessuto si fu accorciato
fino all’altezza delle prime costole, Van si decise finalmente a
rispondere. –No, non avrebbe funzionato.
-Perché…?
Appoggiò le forbici sul
tavolo. –Perché stava morendo. Sarò anche un
licantropo, ma non faccio miracoli.- commentò.
-Be’, l’hai salvato da morte certa… qualcuno lo considererebbe un miracolo.- osservò lei.
-Tu come la vedi?- le chiese a bruciapelo.
Senza sapere bene perché
Amanda sobbalzò. Ritrovandosi riflessa in quegli strani occhi
cangianti, si rese conto di aver perso improvvisamente l’uso
della parola. –Io… be’… io sono felice che
Drew non sia morto. È come se avesse avuto una seconda
possibilità.- farfugliò, fissando insistentemente le
macchie di sangue che aveva sui jeans.
-Perché sembri sempre così positiva…?- le chiese, quasi infastidito dalla cosa.
-Non sono poi così positiva.
Però credo che sia uno spreco di tempo vedere le cose sempre e
solo dal lato negativo.- spiegò, evitando di guardarlo dritto in
faccia.
-Hai paura di me?
Quella domanda la colse talmente di
sorpresa che si ritrovò a trattenere inconsciamente il fiato.
Aveva sempre temuto che l’uomo potesse arrivare a chiederglielo,
ma non aveva immaginato potesse succedere in una situazione del genere.
“Cosa gli rispondo,
adesso?”, si chiese, in difficoltà. Non voleva offenderlo,
ma nemmeno mentirgli. –Non lo so…- confessò infine.
Evan iniziò a ripulirle la
zona attorno al fianco, togliendo i residui di sangue. Il disinfettante
bruciava parecchio, ma Mandy era troppo presa dalla domanda che le era
appena stata posta per farci caso.
-Mi pare un buon compromesso.- commentò lui, risultando molto più ironico di quanto avrebbe voluto.
Istintivamente, Amanda gli afferrò un polso. –No, aspetta!
Van la fissò, corrucciando le sopracciglia. –Cosa devo aspettare?- domandò.
Arrossendo all’inverosimile,
la ragazza iniziò a tartagliare qualcosa di molto simile a:-Sei
uno dei primi licantropi che abbia mai incontrato. Per certi versi
confermi tutte le leggende, per altri no. Sei una persona molto
ermetica, ma hai dei valori, nonostante si debba scavare un po’
per vederli. E… e i tuoi… i tuoi occhi sono… mi
mettono in difficoltà.
Nonostante fosse stupito dalle
parole che aveva appena udito, lo scozzese cercò di non darlo a
vedere. –Perché dite tutti che i miei occhi vi mettono in
difficoltà…?- brontolò. –Anche Dave me lo
disse, a suo tempo.
-Perché hanno un colore
particolare. E perché sembrano sondare ogni cosa fin nel
profondo. O tagliarla in due.- cercò di spiegarsi lei, sempre
più imbarazzata. Stava dicendo cose senza senso, ne era certa.
Che figura!
-Non ho nessun tipo di controllo su
questa cosa.- le fece presente. –Vorrà dire che
continuerò ad inquietare le persone che mi stanno attorno.-
concluse.
-A volte non serve molto per farsi
apprezzare…- gli fece notare lei. –Io apprezzo molto
quello che hai fatto per me, prima.
Il giovane MacGregor la
fissò, per nulla convinto. –Avrei dovuto lasciare che quel
tirapiedi ti picchiasse?- le chiese. –Non è nel mio stile.
-Non faccio parte del branco. E i lupi proteggono solo chi ne fa parte, giusto?
Gli occhi di Evan
s’indurirono, diventando simili a quarzi. –Noi licantropi
siamo dotati di sentimenti umani. Non ridurre tutto a mere dinamiche di
branco.- rispose, la voce bassa e minacciosa. Senza più
guardarla in viso riprese il proprio lavoro e, in pochi minuti, Amanda
si ritrovò ad avere un’altra fasciatura, questa volta
attorno allo stomaco.
-Se dovessero riaprirsi, vai al
pronto soccorso. Per il resto, ricordati di tenere le ferite pulite e
disinfettate.- la istruì, rimettendo a posto ciò che
aveva usato per medicarla.
Con una piccola smorfia, lei scese dal tavolo. –Evan…- mormorò.
-Ci vuole altro per offendermi, non
ti preoccupare. Però evita di parlare a sproposito, d’ora
in poi.- replicò.
Proprio mentre la giovane stava per aggiungere qualcos’altro, la porta si spalancò e ne entrarono gli altri.
-Evan, abbiamo un problema. Un grosso problema.
-Intendi la presenza di una spia
dei Blacks sotto casa?- replicò Evan, apparentemente tranquillo.
Sembrava quasi annoiato, come se fosse già venuto a conoscenza
del fatto da tempo.
David restò in silenzio per qualche istante, poi sbottò:-Oh, tu e il tuo udito!
-E’ questione di concentrazione, Dave. Solo quello.- gli disse l’amico.
-Come vuoi. Fatto sta che tra poco
ne arriveranno altri.- l’inglese liquidò la faccenda con
un gesto rapido della mano. Poi si volse verso la nuova arrivata.
–Emily, digli quello che sai.
La ragazza sembrò
improvvisamente cambiare postura e deglutì a vuoto qualche
volta, agitata. –Be’… ecco… sono qui per voi.
Ma anche per me.- iniziò.
-Ti rivogliono nel branco?-
indagò Van. Andrew, nel mentre, raggiunse Amanda per sincerarsi
delle sue condizioni. Lei gli sorrise e gli mostrò la
fasciatura, facendogli cenno di non preoccuparsi.
-Non me ne sono mai andata, purtroppo.- mormorò lei, tenendo lo sguardo basso.
Ci vollero pochi istanti ed Evan
annullò la distanza che li separava, torreggiando su di lei con
il suo metro e novanta abbondante. –Sei una spia dei Blacks?-
ringhiò.
Drew rabbrividì, raggiunto da un’onda di potere.
David, l’espressione
incredula e preoccupata, si avvicinò a sua volta.
–E’ vero? È questo quello che non ci hai mai detto?-
le chiese.
-Sì.- confessò infine lei.
A quelle parole, l’inglese
distolse lo sguardo e fece qualche passo, chiaramente amareggiato.
Evan, invece, sembrava sul punto di esplodere. Non c’erano segni
evidenti che evidenziassero la sua rabbia, ma tutta l’aria
attorno a lui si era fatta elettrica.
-Vattene.- ordinò.
-Non posso.- obiettò Emily.
Amanda iniziò a temere che sarebbero arrivati ad uno scontro.
Van prese un respiro profondo prima
di ripetere l’ordine. Per dar maggior enfasi alle proprie parole
indicò la porta dell’appartamento.
-Non posso! Non voglio!- protestò l’americana, rialzando finalmente la testa.
-Che significa?- David le lanciò un’occhiata bieca.
-Non voglio più obbedire
agli ordini del mio Alfa. Non posso accettare che venga fatto del male
a persone innocenti, che non possono nemmeno difendersi.- e detto
questo guardò apertamente Amanda. La morettina, sentendosi
osservata, distolse gli occhi chiari, a disagio.
-E’ troppo tardi.- fu Dave a
risponderle. Il tono della sua voce era tagliente quasi quanto il suo
sguardo. Era arrabbiato e si sentiva tradito.
-Emily, vattene. Non voglio usare
le maniere forti.- Evan la obbligò ad arretrare con la sola
forza della propria presenza.
-No! Non ne posso più di
tutti questi sotterfugi! Non voglio che venga fatto del male a Blake!-
quasi urlò la ragazza.
-Blake?- ripetè Andrew, perplesso.
-Mio figlio! Jared lo sta usando per ricattarmi.- spiegò lei.
A quella rivelazione, quattro paia di occhi si appuntarono su Emily, le espressioni ugualmente incredule e sconvolte.
Aveva finalmente sganciato la bomba: ora era solo questione di vedere che danni avrebbe provocato l’onda d’urto.
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Capitolo 14 *** Cap. 13 Un nuovo cambiamento ***
Cap. 13 Un nuovo cambiamento
Perdonate
l'attesa, ma ho avuto sempre impegni legati all'università e,
nonostante scrivessi un po' tutti i giorni, il capitolo ha avuto una
gestazione lunghissima :(
Comunque, tornando a noi, eravamo rimasti alla sconvolgente rivelazione di Emily... c'è aria di tempesta, in giro!
Vi lascio ai personaggi, buona lettura! :)
Cap. 13 Un nuovo cambiamento
-Tuo figlio?- ripetè Evan,
scandendo bene le parole. La situazione si stava complicando ed
iniziava a temere di non sapere più quale fosse la verità.
Emily annuì mesta. Poi si
frugò nella tasca posteriore dei jeans ed estrasse il
portafogli. Visibilmente agitata, le mani che le tremavano, tirò
fuori una piccola fotografia leggermente rovinata agli angoli.
Esitò un attimo, poi la porse allo scozzese.
Lui la prese ed osservò il
viso del bambino, i suoi occhi così simili a quelli della
giovane. Il suo broncio rivolto al fotografo.
-D’accordo. Questo è
indubbiamente tuo figlio.- concesse, passando l’oggetto a David
affinché potesse verificare lui stesso. –Perché non
ce ne hai parlato?
-E cos’avreste fatto?- domandò, scettica.
-Avremo potuto elaborare un piano! Pensi che non avremmo potuto difendervi?- scattò Dave, guardandola con occhi accesi.
Emily lo fissò, poi scosse
la testa. –Non metto a repentaglio la vita degli altri. Mi basta
esser responsabile della mia e di quella di Blake.- rispose.
-Oh, quale prova di valor morale!-
esclamò il moro, chiaramente con l’intento di essere
ironico. –Sai perché lo stanno facendo?- Andrew
s’inserì nella conversazione.
L’americana si morse il labbro inferiore. –Non esattamente. Non mi hanno messa al corrente dei dettagli.- ammise.
-Di’ quello che sai,
così puoi provare a rimediare.- le suggerì Amanda. Aveva
seguito la conversazione nel più completo silenzio, almeno fino
a quel momento. Non sapeva quale fosse il compito affidato ad Emily, ma
sapere che l’avevano usata tenendo sotto scacco suo figlio era
riprovevole.
Doveva essersi sentita male ad ogni singola ora del giorno, terrorizzata al pensiero che potessero ferire il suo bambino.
Forse era solo solidarietà
femminile, ma lei era pronta a darle una chance. Non poteva parlare a
nome degli altri, però.
-Be’… all’inizio
mi hanno detto di infiltrarmi nel branco appena arrivato dalla Scozia.
Volevano che fossi accettata come nuovo membro.- iniziò.
-E’ per quello che hai avvicinato Graham, quindi.- ragionò David.
Emily annuì.
–Sì… anche se non ho mentito sul motivo per cui
volevo unirmi a voi.- rispose, evitando lo sguardo di tutti i presenti,
in particolare quello dell’inglese.
-Quindi…?
Confermò nuovamente con un
cenno del capo. –Sì, ma non alterarti, David. Ci siamo
già passati.- lo bloccò prima di qualsiasi reazione
violenta.
Con un grande sforzo,
l’inglese tenne a bada il proprio umore e prese un respiro
profondo. –Poi? Che altro dovevi fare?- chiese.
-Osservare, cercare di capire come Dearan avesse organizzato il branco.- proseguì lei.
-Il vostro Alfa vuole per caso
espandersi?- cercò di capire Evan. C’era qualcosa che non
gli tornava: se era stata mandata a tener d’occhio suo padre,
perché aveva deciso di seguirlo dopo la sua espulsione dal
branco?
-No… o meglio, non è
quello il motivo principale per cui sono stata mandata tra di voi.
Jared si è alleato con un licantropo, credo sia inglese o
scozzese a giudicare dall’accento.- tentò di ricordare
quanti più dettagli poteva. Non aveva mai visto in faccia il
misterioso lupo, ne conosceva solamente l’aura.
-Attenta a quello che dici: mai
confondere inglesi e scozzesi. Qualcuno potrebbe prendersela.- le fece
notare Van, buttandola sul ridere. David non poté che concedersi
un piccolo ghigno, divertito dalla battuta dell’amico.
Emily arrossì leggermente. –Scusate… non era mia intenzione.- borbottò.
-Non ti distrarre. Da chi prende
ordini il tuo Alfa?- Evan la obbligò a concentrarsi nuovamente
sull’argomento principale della discussione.
-Non so chi sia, mi dispiace.
Conosco solo la sua aura e sembra quella di un lupo molto vecchio.-
disse, mortificata. Aveva così poche informazioni da scambiare e
la sua posizione diventava sempre più precaria.
Molto probabilmente, alla fine di
quell’interrogatorio, l’avrebbero cacciata. E lei sarebbe
rimasta sola, senza nessuno a darle una mano.
-Qual è il suo obiettivo?- la incalzò Andrew.
-Evan. Non so per quale motivo, ma
questo lupo vuole qualcosa da Evan.- rivelò. –Non so se
sia vendetta o altro, ma vuole lui.
David e Van si scambiarono una
lunga occhiata, perplessi. Evan aveva fatto qualche sgarbo a diversi
licantropi quand’erano ancora nel Vecchio Continente, ma tutte le
dispute erano state risolte.
Apparentemente non c’era nessuno, escludendo la sua ex moglie e Stryker, che potesse avercela con lui.
-Non so chi sia, non mi viene in mente nessuno.- ammise infine l’uomo.
Dopo quell’ammissione, tra i
presenti scese il silenzio. La tensione era palpabile, anche se
apparentemente l’aura di Evan era stata riassorbita e aveva
smesso di vorticargli attorno come impazzita, schiacciando le auree
degli altri licantropi.
In tutta quella situazione,
Amanda aveva cercato di trovare le fila del discorso, ma senza molto
successo. Ne sapeva ben poco di dinamiche di branco e ancor meno di
possibili faide vecchie di centinaia di anni.
A dir la verità, per lei
erano tutte cose fuori dall’umana concezione. Il problema era che
doveva provare a pensare come un licantropo, se no non avrebbe mai
capito il loro mondo.
Improvvisamente, la sua mente
collegò due tasselli del puzzle. –I licantropi che erano
all’Internazionale… erano stati mandati dai Blacks?-
chiese, guardando nella direzione di Emily.
Come se si fossero ricordati solo
in quel momento della sua presenza, i lupi si voltarono a guardarla e
poi bisbigliarono tra loro.
Infine, tutti gli occhi si
appuntarono nuovamente sull’americana. –Sì…
ma so solo che dovevano attaccare in presenza del branco MacGregor.-
rispose.
“Attaccare solo in presenza
del branco…”, meditò Evan. Poi, sembrò
realizzare una parte del piano del nemico. –Ma certo! Che
idiota!- esclamò.
-Cos’hai capito?- Dave gli si avvicinò.
-L’attacco. Era tutto pianificato, forse fino al punto da obbligarmi a trasformare qualcuno.- spiegò.
A quelle parole, Andrew
impallidì. –Vuoi dire che la mia quasi morte faceva parte
del loro piano? Quindi siamo stati tutti manipolati?- domandò
sconvolto. Non sapeva se arrabbiarsi o essere scioccato.
-Probabile. Anche se non doveva essere espressamente la tua.- convenne lo scozzese.
-Figli di…- iniziò Drew, ma s’interruppe di colpo per esclamare:-Mandy!
Nell’esatto istante in cui il
ragazzo aveva urlato il suo nome, Amanda si era sentita venir meno le
gambe. Il pavimento si era avvicinato molto velocemente e aveva temuto
di cadere a terra come un sacco di patate.
Allungò un braccio di lato
nel tentativo di trovare un appiglio ed artigliò il bordo del
tavolo. Vi si appoggiò pesantemente contro, tentando di rimanere
presente a se stessa.
Fortunatamente Drew le venne in
soccorso e l’accompagnò gentilmente fino a terra,
facendola sedere. –Ehi… cosa ti senti? Stai per svenire?-
le domandò, tastandole il polso in cerca del battito. Essendo un
allenatore di nuoto, aveva fatto un corso di primo soccorso e sapeva
come comportarsi in situazioni del genere.
La ragazza sbatté parecchie
volte le palpebre, cercando di rispondere. –Io… io credo
di sì…- biascicò infine.
-Deve riposare: ha perso un bel po’ di sangue.- osservò Evan.
-No! Io… io voglio rimanere. Voglio capire…- tentò di protestare la morettina.
David allora liberò il
divano da alcuni cuscini e fece segno ad Andrew di adagiarvela sopra.
Il giovane americano obbedì, sollevandola come se fosse una
piuma e portandola subito dopo a destinazione.
Mandy si ritrovò così
nell’occhio del ciclone, ossia in mezzo ai licantropi. Si
lasciò andare indietro, fino ad appoggiare il capo sul bracciolo
e chiuse gli occhi. –Scusatemi… continuate pure…-
mormorò, massaggiandosi le tempie.
-Hai altre informazioni da darci?- fu Evan a spezzare il silenzio creatosi.
-A parte che da ora in poi ci
spieranno molto spesso, no. Avevo tentato di tenere nascosto questo
posto, ma mi hanno costretta a rivelarlo.- ammise.
-D’accordo. David, vieni con me.
Van si diresse rapidamente verso la
finestra e poco dopo prese a salire la scala antincendio, diretto verso
il tetto. Dave lo seguì subito dopo aver lanciato
un’occhiata ad Emily.
-Avevamo ragione ad avere dei
sospetti…- esordì David, una volta approdato sul tetto
dell’edificio in cui vivevano.
-A quanto pare.- confermò Evan, lanciandogli un’occhiata distratta. –Cosa ne pensi?
Dave si passò una mano tra i
riccioli scuri. –Sai che non mi piacciono i bugiardi, per niente.
È una questione che tende ad essere alquanto personale…-
commentò lasciandosi andare ad un sospiro.
-Quindi? Proponi di allontanarla?- indagò l’altro, voltandosi completamente a guardare l’amico.
-Lo farei. Se solo non ci fosse l’attenuante.- ammise.
Van sollevò un angolo della
bocca, compiaciuto: aveva previsto una risposta del genere. Ormai lo
conosceva troppo bene e da troppo tempo per sbagliarsi.
L’inglese si passò una
mano sul viso, sentendosi oppresso da una responsabilità che non
aveva chiesto. -Tu cosa vuoi fare in merito?
-Indagare. Voglio capire come hanno
fatto a piegare Emily a questo ricatto. Da quel poco che so di lei, non
mi sembra tipo da cedere facilmente.- disse, facendosi pensoso.
-E per l’altra questione? Quella del licantropo che ti cerca?- chiese ancora, facendosi incalzante.
Evan alzò lo sguardo.
–Davvero non lo so. Ho sistemato tutte le questioni rimaste in
sospeso prima di partire.- rivelò.
David si sedette sul parapetto di mattoni rossi. –Potrebbe essere qualche Alfa locale?- ipotizzò.
-Non credo.- l’altro scosse
la testa. –Emily ha detto che aveva un accento europeo. Questo mi
fa pensare che sia legato alla nostra vecchia vita. Alla mia vecchia vita.
-Il che è plausibile.
Però, perché mirare a te? Non sei un Alfa… almeno,
non lo eri fino a qualche tempo fa.- osservò, pizzicandosi
ritmicamente il mento.
-Questo proprio non so spiegarlo.-
confessò. Non avrebbe saputo dire un nome nemmeno sotto tortura:
brancolava nel buio più completo.
Restarono in silenzio per un
po’, inseguendo i ragionamenti e le ipotesi più disparati.
C’erano moltissimi interrogativi dietro quella storia e i
principali riguardavano la spia Emily Blackwood.
-Accantoniamo momentaneamente il
problema del licantropo europeo e focalizziamoci su Emily.- Evan diede
voce ai propri pensieri. –Se sarà disposta a raccontarci
la verità, sarà più facile per tutti e due
prendere una decisione in merito.
-Effettivamente, ora sono un
po’ arrabbiato…- commentò Dave, cercando di
buttarla sul ridere. Era veramente arrabbiato per quello che era
successo e per motivi vecchi più di un secolo, ormai.
-Dave, lei non è tuo padre.- gli fece notare l’amico. –Ma sono arrabbiato anche io.- aggiunse subito dopo.
-Per fortuna. Se no sarebbe potuta
finire male.- replicò l’architetto. –Ma apprezzo il
fatto che abbia deciso di dare un taglio a tutta questa farsa.
Spontaneamente.
“Non so se fidarmi o
meno.”, si disse lo scozzese. La reazione del suo migliore amico
gli dava da pensare: si fidava del suo istinto e spesso si era rivolto
a lui per prendere decisioni importanti. D’altra parte, era anche
vero che la situazione ricordava moltissimo un episodio cruciale della
vita di David e l’uomo non si poteva dire obiettivo.
-Ridarle suo figlio potrebbe portarla definitivamente dalla nostra parte.- considerò il giovane MacGregor.
-Mi sembra abbastanza convinta di
voler abbandonare quella dei Blacks. Da quel che mi ha detto, non
è esattamente un branco esemplare.- gli ricordò.
Quello annuì più
volte, dimostrando di ricordare quello che gli era stato detto.
–Bene… quindi direi che siamo d’accordo sul fatto di
scoprire cosa c’è dietro e, nel caso, aiutarla a riavere
il piccolo…?- chiese conferma.
-Direi di sì.
-Per quanto riguarda i licantropi
che, d’ora in poi, se ne staranno appostati davanti a casa
nostra?- Evan fece scrocchiare le dita delle mani, cercando di
elaborare un piano che potesse funzionare. Magari evitando
l’omicidio di diverse persone.
Anche David ci stava pensando, ma
non gli veniva in mente nulla che potesse apparire anche lontanamente
una buona idea. All’improvviso, però, battè il
pugno sul palmo della mano ed esclamò:-Trovato!
Van non disse nulla, si limitò a guardarlo in attesa di una spiegazione.
-Fingiamo di cacciare Emily, in
modo che credano di aver perso il loro aggancio. Poi troveremo un nuovo
posto in cui stare.- espose il suo piano.
-Geniale, Watson.- commentò l’amico, per nulla convinto del suo successo.
-Non ho niente di meglio da
proporre.- ammise l’inglese, facendo spallucce. Non era
l’idea del secolo, ma era meglio di niente.
-Proviamo.- mormorò infine l’altro. –Dovremo comunque spostarci.
-Cosa pensi che succederà
adesso?- chiese Andrew. Stava ascoltando con un orecchio la
conversazione tra Evan e David e al contempo cercava di far mente
locale con Emily.
-Non voglio tornare dai Blacks,
assolutamente. E rivoglio mio figlio.- asserì lei, ferma nelle
proprie convinzioni. –E non li biasimo per il fatto di avercela a
morte con me. Io per prima mi sentirei tradita, in una situazione del
genere.- aggiunse.
-Saranno neri.- osservò
Amanda, completamente abbandonata contro i cuscini del divano. Gli
effetti della perdita di sangue dovuti alle ferite iniziavano a farsi
sentire.
-Lo sono.- confermò la donna. –E stanno scendendo.
Si misero tutti quanti
sull’attenti, nonostante i due licantropi fossero molto
più informati su quello che sarebbe successo rispetto ad Amanda.
La ragazza cercò di
mettersi a sedere, ma ci riuscì solo dopo due penosi tentativi
andati a vuoto. Sapeva di non avere assolutamente un’espressione
minacciosa o una presenza fisica tale da intimorire qualcuno, ma
avrebbe dato il proprio appoggio ad Emily, se ce ne fosse stato bisogno.
Il suo cervello sembrava essersi
momentaneamente dimenticato che era a causa dell’americana (anche
se indirettamente) se Andrew era stato trasformato e Frances si era
data alla fuga.
-Bene… direi che non
c’è bisogno di fare un riassunto, vero?- esordì
David, puntando i propri occhi chiari in quelli color giada di Emily.
-Veramente io sarei ancora umana.- fece notare loro Mandy.
I due sembrarono ricordarsi solo in
quel momento della sua presenza e per un istante si guardarono,
smarriti. Poi Evan disse:-Abbiamo una proposta per Emily. Quello che ha
fatto ci ha indisposti parecchio, ma vorremmo aiutarla a liberare suo
figlio.
-Come?
-Fingeremo di allontanarti dopo
aver scoperto del tradimento. Sapere di non avere più la loro
spia dovrebbe costringere i Blacks a riorganizzarsi.- Van
illustrò brevemente l’idea suggeritagli dall’amico.
Aveva ancora molti dubbi in merito, ma sperava potesse funzionare.
-Quindi dovrei fungere da esca?- indagò Emily.
David le lanciò un’occhiata. –Pensi che si metterebbero sulle tue tracce?- domandò.
Lei non ebbe nemmeno bisogno di pensarci e, senza nessuna esitazione affermò:-Sì, sicuramente.
-Perfetto. Hai un posto sicuro in
cui rifugiarti? Ci dovrebbero servire al massimo un paio di giorni.-
Evan le si avvicinò, fissandola dritto negli occhi. Amanda,
dalla sua posizione svantaggiata, poté vedere la ragazza
trattenere a stento un brivido.
Nonostante lo scozzese non avesse
intenzione di nuocerle fisicamente, quella che lo circondava era
sicuramente l’aura di un comandante a cui non era possibile dire
di no.
“Sarà terribile
affrontarlo quando è seriamente arrabbiato.”,
considerò la ventiduenne. Non sapeva quanto i suoi occhi
potessero diventare spaventosi, ma non voleva assolutamente
sperimentarlo.
-Ho un posto, sì.- la risposta di Emily la riportò alla realtà.
-E voi dove andrete?- chiese d’impulso. –Perché avete intenzione di trasferirvi, vero?
I due europei si voltarono a
guardarla e quello che videro fu una giovane ragazza dal colorito
decisamente pallido, dovuto ad un indesiderato attacco di un loro
simile.
-David è un architetto, non
gli sarà difficile trovare un posto.- le disse Van, senza un
minimo di incertezza. Dave, al suo fianco, confermò con un cenno
del capo.
-E se veniste a stare nel nostro palazzo?- propose lei.
A quelle parole, Drew sgranò gli occhi. –Cosa?! Mandy, ma cosa stai dicendo?
La morettina piegò la testa
all’indietro e lo guardò confusa. –Perché?
Che ho detto di male?- domandò.
-Non c’è lo spazio
materiale per ospitare altre persone.- le fece notare il giovane.
“E poi questo segnerebbe la fine delle speranze per il ritorno di
Fran…”, aggiunse mentalmente. E lui non desiderava che
ciò accadesse.
-Se stai pensando a Frances, credo
che potrebbe servirle da incentivo. Le farebbe capire che loro ormai
sono parte della tua vita, come un nuovo pezzo della famiglia.-
spiegò. Non avrebbe mai ammesso di aver proposto la cosa col
solo scopo di risultare utile alla causa.
Non voleva essere una semplice spettatrice, voleva aiutare!
Andrew cercò i suoi occhi, tentando di farle capire la propria apprensione. Lui era più che certo che le cose non avrebbero funzionato.
I due si confrontarono per diversi
istanti, isolati dal resto dei presenti. Alla fine il ragazzo
sospirò ed abbassò lo sguardo, cedendo.
–D’accordo. In fondo, in questa storia ci siamo dentro
tutti quanti.- mormorò.
-Noi non abbiamo accettato, però.- fece loro presente Evan.
-Non dovreste rinunciare ai vostri
spazi: Emily starà con me e voi starete nell’appartamento
di Drew.- spiegò.
Il diretto interessato si
passò una mano sul viso, sempre più disperato. Se prima
le ipotesi di riavere Frances nella sua vita si erano abbassate
drasticamente, in quel momento si erano totalmente annullate.
Non avrebbe mai accettato di condividere l’appartamento con due licantropi.
“Mandy, ma cosa ti è saltato in mente?”, si chiese.
-Perché dovremmo trasferirci da voi?- domandò Evan, per nulla convinto.
Amanda lo guardò negli occhi
per qualche istante, poi si soffermò su quelli di David.
–Be’… avreste il vantaggio di avere Drew lì
con voi. Io conosco la situazione, quindi potrei aiutarvi. E non credo
verrebbero a cercarvi nel nostro quartiere.- osservò.
-In che quartiere vivete?- Emily s’inserì nel discorso.
Amanda fece per rispondere, quando
le tornarono alla mente le informazioni che aveva trovato su internet.
Dopo le confidenze di Drew, si era immediatamente informata,
approfittando del suo tempo libero per scandagliare siti e saggi sui
licantropi.
Si era anche documentata
sulla situazione nella città di New York e aveva scoperto cose
interessanti. E quelle informazioni avevano inconsciamente guidato il
suo subconscio.
-Hamilton Heights.- rispose.
-Il territorio del gruppo di Aleksandr.- sussurrò Emily, colpita.
L’altra annuì. –Il branco con origini russe, esatto.
-Tu conosci questo branco?- Evan
scambiò un’occhiata con David. Quando l’altro scosse
la testa, chiese:-Perché la loro presenza potrebbe favorirci?
-Perché sono molto
territoriali e non accettano che un branco a loro ostile abbia accesso
alla loro zona.- spiegò l’americana. –In più,
hanno una faida in corso coi Blacks.
Il sorriso sulle sue labbra valeva
più di mille parole. Forse Amanda aveva appena servito loro su
un piatto d’argento la soluzione ai loro problemi.
-Per quale motivo è nata la faida?- indagarono gli europei.
-Riciclaggio di denaro.
-Tutti lavoratori onesti, i licantropi di New York.- fu il commento sarcastico di Dave.
In risposta si beccò una bella occhiataccia da Emily.
***
-Non capisco perché Kennet
ci stia mettendo così tanto!- brontolò, camminando avanti
e indietro nel proprio loft. Abitava in una vecchia fabbrica e ogni
singola parete della sua casa denunciava quel fatto.
-Potrebbero averlo intercettato.- ipotizzò Simon.
Jared si fermò a guardarlo. –Credi che sia così stupido da lasciarsi prendere?- domandò.
-Il fatto che sia il tuo Beta non
significa che non ci sia qualcuno in grado di batterlo.- gli fece
notare l’altro, sorridendo sornione. Simon e Kennet non erano mai
andati d’accordo e nessuno dei due si era mai preoccupato di
nascondere la cosa.
Se solo non fossero stati i due
maschi più forti del suo branco, Jared non li avrebbe mai scelti
come membri della sua triade di potere.
-Mi fido dei miei sottoposti.- replicò stizzito l’americano.
-Se ti fidassi, ora staresti
dormendo nel tuo letto.- lo punzecchiò l’altro. Sentendosi
sfidato, Jared lo afferrò saldamente per la gola, ringhiandogli
contro il proprio disappunto. Simon restò immobile, fissandolo
dritto negli occhi.
-Mi stai sfidando?- chiese il suo Alfa, la voce distorta dalla rabbia.
Ci fu un lungo momento di tensione,
nel quale i due si fronteggiarono in silenzio. Alla fine Simon
abbassò lo sguardo e scosse lentamente il capo.
-Bene. Perché non ho bisogno
di altre insubordinazioni. Mi basta avere una femmina che sa usare il
cervello.- lo lasciò andare con uno strattone.
L’altro fece per commentare,
rischiando nuovamente la propria testa, quando un forte odore di sangue
catturò l’attenzione di entrambi.
-Kennet…!- esclamò
Jared. Si precipitò ad aprire la porta di metallo del loft e si
ritrovò davanti il suo sottoposto. –Cosa diavolo è
successo?!
Kennet lo guardò con sguardo vitreo prima di crollare al suolo ed iniziare a tossire.
I due licantropi si chinarono su di lui, cercando di capire chi l’avesse ferito e da dove provenisse il sangue.
-Ti sei scontrato con MacGregor?-
gli chiese Simon, molto meno solerte del suo Alfa nel dare una mano.
Gli avrebbe fatto comodo non avere più quell’incapace tra
i piedi, avrebbe potuto diventare Beta del branco.
Il nuovo arrivato tossì
ancora, sputando sangue nero e denso. Poi si portò una mano alla
gamba destra e la strinse con forza. –Hanno…
c’è un’umana con loro. Probabilmente la compagna di
MacGregor, non lo so… lui è corso a difenderla…-
disse tra un gemito e l’altro.
-Simon, va’ a chiamare Meredith. Subito!- ordinò Jared.
L’uomo esitò qualche istante, ma poi uscì nella notte alla ricerca del medico dei Blacks.
-E’ stato lui a ridurti così?- chiese ancora l’altro.
Kennet si accasciò
lentamente a terra. –No… lei… siamo finiti in un
cimitero… c’era… c’era del sorbo nella
cancellata…- riuscì a rispondere.
Jared allora capì. La coscia
di Kennet era stata trafitta da un ferro pieno di sorbo degli
uccellatori e ora quella sostanza stava infettando tutto il suo corpo.
Se non avessero agito in fretta, sarebbe sicuramente morto.
-Riesci a rigenerarti…?
-No…- scosse la testa l’altro. –Non la ferita. Quelle di MacGregor… posso provarci…
-Fallo. Io proverò a tenerti in vita.- gli disse.
Era cresciuto assieme a Kennet, lo
considerava come un fratello e non desiderava la sua morte. Soprattutto
perché avrebbe dovuto rimpiazzarlo con Simon, di cui si fidava
molto meno.
-Vi ucciderò personalmente.- promise, mettendo in quelle parole tutta la rabbia che provava.
***
-Ricapitoliamo: aspetteremo che i
Blacks mandino un altro dei loro a tenerci sott’occhio e poi
insceneremo una lite. A quel punto Emily se ne andrà e
farà perdere le sue tracce. Mentre saranno distratti dalla sua
fuga, noi ne approfitteremo per trasferirci.- disse David, lanciando
occhiate a tutti i presenti. –Tutto chiaro?
-Tutto chiaro. Ricordatevi che
dovrete andare da Aleksandr.- ricordò loro Emily. –Non
insediatevi senza avvertirlo o ci ritroveremo addosso pure il suo
branco.
-Naturalmente.- confermò Evan, apparentemente calmo. –Tu tieni presente la tua posizione.
La giovane lupa lo guardò
intensamente, indecisa su cosa rispondere. Alla fine optò per il
silenzio ed un profondo cenno del capo. –Ne sono consapevole.
Farò del mio meglio per fare ammenda.- mormorò.
-Avete bisogno di una mano per
iniziare ad imballare le vostre cose?- domandò Andrew. Non era
stato coinvolto nei piani perché, tecnicamente, faceva parte del
branco del padre di Evan. Non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi
lì, a dir la verità.
-No, grazie. Possiamo arrangiarci. Ti suggerisco di portare a casa Amanda ed occuparti di lei.- gli rispose Evan.
La ragazza in questione stava
rischiando di collassare sul divano, ormai allo stremo delle proprie
forze. Drew la guardò dispiaciuto e le si avvicinò.
–Scusami, Mandy! Non pensavo…- iniziò.
-Tranquillo.- accennò un sorriso lei. –Prima le questioni importanti.
-Dovrai cambiare le bende abbastanza spesso, in modo da tenere le ferite pulite.- le fece presente lo scozzese.
-S-sì…- sussurrò Amanda. –Grazie.
Gentilmente, Drew la sollevò
di peso e se la sistemò tra le braccia. Una volta assicuratosi
di avere una presa ben salda, si voltò a salutare i tre
licantropi.
-Ti accompagno.- David lo
precedette, aprendogli la porta di casa. Andrew ringraziò con un
cenno del capo e, dopo aver salutato nuovamente tutti quanti, prese
congedo.
Una volta fuori dall’appartamento, Mandy gli chiese:-Credi che funzionerà?
Lui la fissò, pensieroso.
–Non lo so.- ammise. –Ma sono nuovo di queste cose, quindi
non affidarti troppo al mio giudizio.
-E… la perdoneranno?
Sapeva a chi si stava riferendo.
–Non so nemmeno questo. Dovrà dimostrare la propria
lealtà.- rispose, iniziando a scendere le scale.
-E tu mi perdonerai?- chiese allora la morettina.
Drew allora la guardò confuso. –Per cosa, scusa?- replicò.
Mandy reclinò il capo,
sentendosi una bimba tra le braccia del fratello maggiore. Andrew non
le aveva mai dato quell’impressione, ma da quando era diventato
un licantropo le sembrava in grado di rivaleggiare con Gregory, almeno
per quanto riguardava la sua personale idea di fratello maggiore.
-Per aver offerto rifugio al branco…- disse con un filo di voce.
-Ah, per quello. Be’,
potrebbe essere un buon modo per spronare Fran… oppure per
allontanarla per sempre da noi.- ragionò, facendosi
all’improvviso triste.
Amanda allungò una mano a sfiorargli il viso. –Io desidero che ci sia un lieto fine, per voi.
-Anche io. Non sai quanto.- le sorrise mestamente lui.
Il giorno dopo, quando si
alzò per andare alla centrale, Evan aveva mille e più
dubbi in testa. Desiderava chiamare Alastair per poterne discutere con
lui, ma non voleva trascinarlo in qualcosa che non avrebbe dovuto
vederlo coinvolto.
In fondo, lui era stato cacciato dal branco e non avrebbe dovuto intrattenere rapporti con nessuno dei suoi membri.
Salì sulla propria moto e
alzò lo sguardo alla finestra del soggiorno, trovandovi David.
Gli fece un impercettibile cenno col capo e poi scandagliò la
zona, approfittando del fatto di dover ancora indossare casco e
occhiali da sole.
Non comprendeva o apprezzava
molte invenzioni dell’ultimo secolo, ma gli occhiali da sole non
rientravano in nessuna delle due categorie. Per lui, che era nato
licantropo, la luce solare era qualcosa di veramente fastidioso. Certo,
non mortale come poteva esserlo per un vampiro, ma sicuramente una
bella seccatura.
Quindi, non avrebbe mai ringraziato abbastanza l’inventore delle lenti a specchio.
Terminò di allacciare la
fibbia del casco e poi inserì le chiavi nel quadro, risvegliando
subito dopo il motore del suo mezzo a due ruote. Lo fece sgasare un
po’, tolse il cavalletto e partì alla volta della centrale.
Ormai si era abituato al traffico cittadino e aveva imparato ad evitarlo. Almeno la maggior parte delle volte.
Quello si rivelò
essere uno dei casi fortunati. Riuscì ad arrivare a destinazione
con addirittura due minuti di anticipo.
“Potrebbe essere una buona
giornata.”, sperò, dirigendosi verso gli spogliatoi.
Salutò le poche persone già presenti ed entrò
nella sezione maschile.
-E’ riuscito ad evitare il traffico, capitano?- domandò una voce alle sue spalle.
Sollevando leggermente un angolo
della bocca, Evan rispose:-Buongiorno, tenente Simmons. È
mattiniera per essere un licantropo.
La donna chiuse il proprio
armadietto, esattamente dall’altra parte del muro che divideva in
due lo spogliatoio. –Sono abbastanza vecchia da avere pochi
problemi con le mattine.- disse quella.
-Buono a sapersi.- commentò
lo scozzese. Depose casco e chiavi nel portaoggetti e poi estrasse la
parte superiore della divisa. –Simmons… avrei un favore da
chiedervi.
-Quale?
-Mi servirebbe una panoramica
completa di tutti i branchi della città. Ho un sospetto circa
l’attacco dell’Internazionale, ma devo confermarlo.-
spiegò, abbottonando la camicia e sistemando il colletto. Quel
giorno avrebbero svolto un’esercitazione, quindi anche lui doveva
indossare il completo color blu navy.
Il tenente si mostrò completamente vestita. -Di chi sospetta, capitano?
-Non voglio fare nomi.- Evan la guardò dritto negli occhi per farle capire che non voleva altre domande.
Lei sembrò afferrare il
messaggio perché fece un rapido cenno del capo e poi si
congedò, uscendo subito dopo.
L’esercitazione
iniziò mezz’ora dopo e coinvolse tutta la sua squadra,
durando quasi tutta la mattinata. Fu molto utile, però,
perché Evan riuscì a comprendere meglio i propri compagni.
Al ritorno negli spogliatoi, tutti
quanti erano sudati e accaldati. Nonostante ci fossero anche dei
licantropi nel gruppo, la prova era stata costruita su misura per le
loro capacità soprannaturali.
-Odio il sole… con tutto me stesso!- brontolò Eric, scalciando via i pantaloni e recuperando l’asciugamano.
Van sollevò un sopracciglio,
osservando con quanta meticolosità stesse calpestando i propri
indumenti. Il ragazzo aveva solo diciannove anni e, in quel momento, li
dimostrava veramente tutti.
Sentendosi osservato, il
giovane alzò di scatto la testa ed arrossì fino alla
punta dei capelli, tartagliando qualcosa. –S-scusi, capitano!-
balbettò, affrettandosi a raccoglierli.
La sua reazione scatenò le risate di molti elementi del gruppo.
A quanto pareva, dopo
l’iniziale dimostrazione di forza, Eric aveva mostrato sempre di
più una sorta di ammirazione mista a soggezione per Evan. E
molti lo prendevano in giro per quel motivo.
Van, dal canto suo, credeva di aver
intuito che tipo fosse il ragazzo: molto insicuro, ma capace di usare
un atteggiamento supponente per mascherarlo.
-Sei ancora un pivellino, Eric.-
Marcel, un omone grande e grosso di origini francesi, gli
scompigliò i folti capelli biondo-rossicci. Aveva dei caratteri
particolari per essere un americano puro.
“Potrebbe avere parenti
europei.”, considerò Evan, strofinandosi il petto e la
schiena per ripulirli dalla polvere. Fece per chiedergli da dove
venisse, quando proprio il ragazzo replicò:-Smettila, Marcel!
Prima o poi imparerò anche io a padroneggiare completamente le
mie capacità. E allora vedrai!
Il tono della sua minaccia era scherzoso, ma il desiderio di rivalsa negli occhi del giovane agente era genuino.
-Bambini, smettetela di
battibeccare e terminate di lavarvi!- li rimbeccò il tenente
Simmons. Al suo rimprovero, praticamente tutti i maschi presenti
ripresero le loro attività, brontolando qualcosa contro le donne
con poteri soprannaturali.
Evan trovò divertente il
fatto che i suoi compagni fossero tenuti al guinzaglio da una donna.
Avrebbe potuto fargli comodo una mano, una volta ogni tanto.
-Se solo fossi forte come mio zio…- disse tra i denti Eric.
-E’ meglio che tu rimanga
quello che sei. Non vorrei doverti sbattere dentro per ricettazione.-
lo riprese nuovamente la donna. Lui arrossì nuovamente e
gettò la testa sotto l’acqua, sconfitto.
“Ricettazione?”, si
chiese il giovane MacGregor. Senza poterne fare a meno restò a
fissare Eric il quale, accorgendosi di quello sguardo pensieroso fisso
su di sé, voltò il capo e mormorò:-Aleksandr. Mio
zio è a capo del branco di lupi dell’est che si trova ad
Hamilton Heights…
Sgranando leggermente gli occhi,
Evan fece finta di non esser sorpreso della notizia. –Dopo devo
parlarti, Eric.- disse solamente.
Si appoggiò al muro, stringendo tra le mani la sua tazza di caffè personale.
Era tutta la mattina che marciava
su e giù per il negozio e la ferita alla gamba le faceva un male
infernale. Non aveva avuto tempo di darci un’occhiata e temeva
che si fosse riaperta.
-Mandy… tutto bene?-
vedendola con gli occhi chiusi e un’espressione di dolore sul
viso, Gabrielle si preoccupò.
Amanda sollevò le palpebre e la mise a fuoco. –Come?
-Stai bene?- ripetè la donna, avvicinandosi.
Raddrizzandosi, la morettina si
passò distrattamente una mano tra i capelli.
–Tutto…- si bloccò, indecisa. Avrebbe dovuto
rivelarle quello che era successo? In fondo, lei sapeva di Andrew.
–No, in verità non è tutto ok.- si corresse.
Gabbie si fece preoccupata. -Cos’è successo?- domandò, ispezionando l’amica da capo a piedi.
-Vieni negli spogliatoi con me…- mormorò.
Stando attente a non farsi vedere
dalle colleghe, le due raggiunsero la grande stanza che conteneva gli
armadietti di tutte le assistenti. Amanda appoggiò la tazza di
caffè su una panca e poi arrotolò attentamente la gonna
che indossava, fino a scoprire la fasciatura.
Alla vista delle bende, per poco Gabrielle non imprecò. –Cosa diavolo sono quelle?! Chi è stato?
-Calmati!- Mandy le chiuse la bocca con entrambe le mani. –Non urlare, per favore.
L’altra ci mise un po’
per convincersi, ma alla fine annuì. –Chi è stato?-
chiese, tenendo un tono di voce più controllato.
-Non so il suo nome… sono stata attaccata da un licantropo.- rispose.
Al che, gli occhi di Gabrielle
diventarono due biglie. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma ci
riuscì solamente al terzo tentativo. –Hai denunciato il
fatto?
Lei annuì. –Sì… Drew lo sa. E anche altri tre licantropi.- la rassicurò.
-Altri tre licantropi? E chi sarebbero? Membri del branco MacGregor?- indagò.
Mandy tergiversò. –Non proprio. Ex membri.- spiegò.
-Sei in contatto con Evan MacGregor?!
-Gabbie!- la rimbeccò,
agitata. Non voleva che tutto Kleinfeld venisse a conoscenza della sua
nuova quotidianità, fatta di ululati e pellicce.
-D’accordo, scusa!- brontolò. –Però devi dirmi come te la sei fatta.
-Sono stata attaccata dopo aver
accompagnato Drew da Evan. Sta avendo dei problemi nel branco…-
sospirò. –Credo mi abbiano scambiata per
un’affiliata.
-Cioè, vuoi dirmi che sei stata attaccata per sbaglio?!- esclamò la direttrice vendite.
Seppur in completo imbarazzo, Mandy
dovette annuire. –Mi hanno curata, non sono andata
all’ospedale. Però la gamba mi fa male, dopo averci
camminato sopra per tanto tempo.- confessò.
-Hai bisogno di qualcosa?- si
premurò di chiederle la sua migliore amica. Nonostante avesse
quasi dato di matto, era una donna molto premurosa.
-Ehm… pensi che potresti
recuperarmi delle bende?- chiese allora Amanda. “Devo veramente
cambiarle.”, pensò, sentendo quelle che aveva addosso
farsi sospettosamente umide.
Forse ci aveva preso: la ferita si era riaperta.
-Bende? Certo… vado alla
farmacia all’angolo. Tu rimani qui!- e detto questo Gabbie
uscì di corsa dalla porta.
Mandy lasciò uscire un lungo
respiro e poi scivolò seduta sulla panca. Se quella era la vita
che l’aspettava da lì in avanti, avrebbe dovuto
fortificare corpo e spirito per poter sopravvivere.
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Capitolo 15 *** Cap. 14 Can we make a deal? ***
Cap. 14 Can we make a deal?
Scusate
per l'immenso ritardo, ma dovevo dare un esame impegnativo e
organizzarsi con altre persone non era semplice. Quindi niente tempo
per scrivere >___<
Ok, questo è un capitolo di transizione, ma ci sono alcuni
avvenimenti importanti... mi sto divertendo a complicare la vita ad
Evan :P
Non indugio oltre e vi lascio alla lettura! :)
02-07-2017: Segnalo una piccola
correzione. Nel capitolo viene menzionato un anello che, in precedenza,
era d'argento. Dato che l'argento è un metallo nocivo per i
licantropi, è stato sostituito dall'oro.
Cap. 14 Can we make a deal?
Da quando il capitano gli aveva detto che aveva bisogno di
conferire con lui, Eric non aveva fatto altro che mordersi nervosamente
il labbro inferiore e torturarsi la cravatta della divisa.
Non sapeva cosa potesse volere Evan MacGregor da uno come lui e aveva
paura di non poter essere all’altezza della richiesta.
Restò in quello stato di perenne agitazione fino alla fine della giornata lavorativa.
Stette seduto alla propria scrivania, quasi certo che sarebbe stato quello il momento della tanto temuta chiacchierata.
Quando lo vide avvicinarsi, non poté trattenersi dal sobbalzare
leggermente. “Non vuole mangiarti, stupido! Datti un
contegno!”, si rimproverò. –Capitano.- gli fece un
cenno col capo, mantenendo una postura abbastanza rigida.
-Rilassati, soldato.- Van capì subito il suo stato d’animo
e cercò di metterlo a proprio agio. Iniziava a seccarlo essere
considerato da tutti un possibile Dearan MacGregor, ossia un pazzo con
manie di controllo pronto a dare in escandescenza al minimo segno
d’insubordinazione.
Perché, ovviamente, era da parecchio che suo padre aveva assunto quel ruolo, nella sua testa.
Eric si affrettò ad abbassare lo sguardo. -Mi scusi…
Lo scozzese alzò gli occhi al cielo, cercando di non
innervosirsi. “Non ho mai morso nessuno in forma umana. Lo
giuro.”, pensò. –Prima hai detto di essere
imparentato con Aleksandr… è tuo zio, dunque?- gli chiese.
A quella domanda, il ragazzo si accigliò. –Sì… è il fratello di mia madre.- confermò.
-Questo spiega il tuo cognome occidentale.- commentò l’altro.
-Be’, sì, mio padre è gallese.- confermò.
–Perché mi sta facendo tutte queste domande? Le interessa
la mia storia familiare?
-Avrei bisogno di parlare con Aleksandr. Si tratta di una questione
personale. Potresti farmi avere un incontro con lui?- domandò.
Solitamente non si affidava agli altri per ottenere quello che voleva,
ma in quel caso non aveva nessun altro modo per entrare in contatto con
quel licantropo.
Il giovane lo fissò ancor più stupito. –Ehm…
mi serve sapere il motivo… almeno quello.- mormorò,
spaesato. Che il suo capitano fosse un ricettatore come suo zio? Non
approvava quel genere di attività e l’aveva spesso detto
ad alta voce, ma sapeva che non aveva il potere di cambiare lo stato
delle cose.
Sperava solo di non esser caduto dalla padella nella brace.
-Un nuovo insediamento territoriale.- disse solamente Evan. Capiva la
richiesta del suo sottoposto, ma non voleva nemmeno rivelargli tutti i
retroscena.
-D’accordo. Vedrò che posso fare.- rispose Eric.
Evan gli fece un cenno col capo. –Grazie. Ci vediamo domani.- e
detto questo uscì dall’ufficio, diretto verso il
parcheggio privato del dipartimento.
-Amanda, sei sicura di quello che stai facendo?- lo sguardo preoccupato
di Gabrielle non l’aveva lasciata un attimo, da quando erano
uscite dal negozio.
L’amica le lanciò una rapida occhiata, poi continuò
ad osservare la strada davanti a sé. –Sì…
perché?- chiese.
-Perché ti hanno ferita in modo grave e non hai denunciato il fatto alla polizia.- le fece presente.
-Ho denunciato il fatto: Evan è un poliziotto.- puntualizzò la morettina.
Gabbie sorrise, sorniona. –Vedo che sei passata al tu.-
commentò. Per poi tornare subito seria e aggiungere:-Non ti stai
infilando in qualcosa più grande di te, vero?
A quelle parole, Mandy abbassò il capo e proseguì in
silenzio per qualche metro. –Sì, hai ragione: è
sicuramente qualcosa più grande di me. Ma non ho altra scelta,
voglio aiutare Andrew.- rispose, tornando a guardarla direttamente
negli occhi.
L’altra allora sospirò. –Non farti ammazzare,
però.- si raccomandò. Sapeva che, quando Amanda si
metteva in testa una cosa, era difficile farle cambiare idea. Puntava
dritta all’obiettivo.
-Ci proverò. Le persone che ho attorno dovrebbero proteggermi…- tentò di rassicurarla.
-Dovrebbero?- Gabrielle sollevò un sopracciglio curato, visibilmente scettica.
La sua migliore amica ridacchiò brevemente. –Be’,
posso contare sicuramente su Andrew. Gli altri non hanno obblighi nei
miei confronti.- precisò.
-Ne sei sicura? Ti hanno quasi ammazzata per causa loro!- le fece presente.
-Ok, ma io non voglio che si sentano in debito nei miei confronti!- replicò, allargando le braccia.
-Be’… magari ne viene fuori qualcosa di buono, no?-
ammiccò Gabbie. –Mister scozzese è tornato sulla
piazza.
Mandy la guardò con tanto d’occhi, arrossì e poi si mise a ridere. –Non stai dicendo sul serio, vero?
-Perché?- fece l’altra.
-Credo che, dopo un’intera vita passata con la moglie, ne abbia
abbastanza di donne.- osservò, sicura. “E sicuramente non
ha tempo per imbarcarsi in una relazione, visto che stanno cercando
d’ucciderlo.”, aggiunse mentalmente.
Gabrielle allora s’indignò. Si fermò nel bel mezzo
del marciapiedi, facendo fermare anche la sua accompagnatrice.
–Ehi, smettila di sminuirti. Tu non vali meno di quell’oca
coi capelli perfetti e il vitino da vespa. Sono altre le cose a cui si
deve dar valore!- la pungolò con l’indice, cercando di
farle entrare bene in testa il concetto.
-Ok, ho capito, ho capito. Dovresti fare un corso per diventare una motivazionista.- brontolò.
-Potrebbe essere una soluzione contro la crisi.- ammiccò Gabrielle, facendola ridere.
Continuando a raccontare cose assurde e divertenti, le due si diressero
verso la metropolitana, pronte a rientrare a casa dopo una giornata di
lavoro.
Mandy, in particolare, non vedeva l’ora di sdraiarsi sul divano e lasciar riposare la gamba ferita.
Quel giorno si sentiva irrequieto e temeva fosse a causa dell’imminente luna piena.
Alastair gli aveva spiegato cosa sarebbe successo
all’approssimarsi di quel periodo ma, con tutti i cambiamenti in
corso, gli era passato di mente.
Ed in quel momento si trovava a dover tenere a freno i propri
sensi, amplificati dall’influenza dell’astro. La bestia
dentro di lui si stava agitando, mordendo il freno: voleva uscire, dar
libero sfogo alla propria energia.
Ma non poteva permetterselo, soprattutto non quando doveva prepararsi ad ospitare due licantropi nel proprio appartamento.
Lui e Amanda si erano accordati per telefonare a Frances ed
aggiornarla. Non sapeva come sarebbe andata a finire, ma voleva che lei
sapesse cosa si stava perdendo, sperando che ciò potesse farle
cambiare idea.
Terminò di asciugarsi i capelli e poi gettò
l’asciugamano nel borsone. Quel giorno la lezione di nuoto era
durata più del dovuto e lui si sentiva stranamente seccato dalla
cosa.
Più del normale, ovviamente.
“Dev’essere la luna…”, pensò, prendendo
un respiro profondo. Infilò le ultime cose nella sacca,
recuperò la giacca e si avviò fuori dallo spogliatoio
maschile. Passando davanti alla reception, salutò le due ragazze
presenti e poi imboccò l’uscita.
Una volta fuori respirò a pieni polmoni ed
arricciò il naso: l’aria di New York non gli era mai
sembrata così pesante. Ora che aveva i sensi sviluppati certe
cose non riusciva proprio ad ignorarle.
Sospirando, si passò una mano tra i capelli scompigliati dalla
cuffia e si avviò verso casa. Diede un rapido sguardo
all’ora ed accelerò il passo. Quella sera Amanda avrebbe
cucinato due belle fiorentine e lui adorava la carne italiana.
Meglio ancora se al sangue.
Quel pensiero lo colse leggermente di sorpresa. Sorrise brevemente,
trovando ancora una volta conferma ai suoi timori ed aumentò il
passo. “Il lupo dentro di me è veramente più forte,
in questo periodo.”, constatò.
Superò in fretta il Guggenheim ed imboccò la prima rampa
di scale che lo avrebbe portato alla metropolitana. Aveva voglia di
farsi una corsa, ma il centro di New York non era sicuramente il posto
adatto, nonostante i passanti sapessero che tra di loro si aggiravano
soprannaturali.
Saltò gli ultimi due gradini e poi alzò lo sguardo verso
il tabellone degli orari, cercando di capire a quale binario dovesse
andare. Una volta trovata la corsia giusta, si avviò
rapidamente, scansando le persone davanti a sé.
Quando aprì la porta del proprio appartamento venne
investito dall’invitante odore della carne. Lasciò cadere
borsa e giacca all’ingresso e poi si affrettò a scendere
per raggiungere la cena. Spalancò la porta
dell’appartamento senza pensarci, facendo sobbalzare Amanda.
-Andrew!- esclamò lei, evitando per un pelo di rovesciare la padella.
-Scusami! Non volevo!- esclamò lui, mortificato. La raggiunse
con uno scatto e, così facendo, la spaventò ancora di
più. La ragazza mollò la presa sul forchettone e quello
cadde a terra, tintinnando. –Scusa!- si chinò e raccolse
l’oggetto.
Glielo porse con un’espressione dispiaciuta, mortificato per
averla fatta spaventare. Amanda cercò di darsi un contegno e
ridacchiò nervosamente. –Non ti preoccupare. Mi hai
solamente colto alla sprovvista.- ammise.
Drew le lanciò un’occhiata prima di abbassare lo sguardo e mormorare:-Sei agitata, lo sento dal tuo battito.
-Sì, ma ora passa. Tranquillo.- lo rassicurò lei.
–Com’è andata la lezione?- domandò, deviando
la conversazione su un argomento più sicuro.
-Oh… è durata più del previsto. E ho rischiato di farmi scoprire dai ragazzi.- rivelò.
La morettina gli lanciò un’occhiata stupita. –Sul
serio? Non l’hai detto a nessuno?- s’informò.
Lui allora scosse la testa, lasciandosi cadere sulla sedia più
vicina. –Non vorrei si spaventassero o i genitori pensassero che
non sono un istruttore affidabile. Non voglio perdere il mio lavoro: mi
piace.- spiegò.
Mandy rigirò la carne col forchettone. –Potresti
apparecchiare, per favore?- chiese. –Io non credo si
spaventerebbero.- aggiunse subito dopo.
L’altro si mise ad apparecchiare in silenzio, meditando su quello
che la giovane aveva appena detto. Dubitava che, là fuori,
fossero tutti così comprensivi e disposti al cambiamento come si
stava dimostrando lei.
Probabilmente qualcuno avrebbe tentato di allontanarlo dalla piscina o
peggio. –No… non voglio che lo sappiano. È meglio
così.- scosse la testa, recuperando i bicchieri.
-Come preferisci.- gli sorrise un attimo e poi aprì il
frigorifero per recuperare l’insalata. –Vuoi un po’
di questa?
Il giovane licantropo si voltò e poi arricciò il labbro
superiore. –No, per carità! Ho bisogno di proteine.- si
schermì.
Amanda lo fissò per qualche istante, poi fece una smorfia e
scoppiò a ridere. –D’accordo. Niente verdura per il
grosso lupo cattivo.- scherzò.
Ridacchiando a sua volta, Andrew disse:-Magari qualche foglia.
Scuotendo la testa divertita, la ragazza fece due terrine e si mise a
condirle. Ogni tanto buttava l’occhio alle bistecche,
controllando a che punto fosse la cottura.
Passarono alcuni minuti e spense il fuoco, impiattando la cena.
Appoggiò l’insalata in tavola e poi servì la carne.
Drew la ringraziò e poi si sfregò le mani, affamato. La
bestia dentro di lui gorgogliò di piacere.
Mandy stava per prendere il primo boccone quando si fermò e,
lanciata un’occhiata all’amico, chiese:-Ancora certo di
volerle telefonare?
Lui si fermò con la forchetta per aria, colto di sorpresa.
Serrò le labbra e poi annuì un paio di volte.
–Sì. Sono sicuro.
-Potrebbe essere… frustrante.- gli fece presente lei.
-Mi terrò a bada, promesso.- rispose solamente, sollevando brevemente l’angolo della bocca.
Vedendo che genere di espressione aveva sfoggiato, la giovane
preferì non tormentarlo più con le domande e di
concentrarsi sulla cena.
***
-Abbiamo un problema.
Jared sollevò la testa, smettendo di bisbigliare con Kennet e
guardò il suo sottoposto. Era uno dei giovani lupi e
l’aveva mandato in avanscoperta con gli altri per insegnargli il
lavoro di Sentinella.
-Oltre a quelli che abbiamo già?- domandò, adombrandosi.
Le cose, in quegli ultimi giorni, stavano andando tutte per il verso
sbagliato, nel pieno rispetto della legge di Murphy.
Il ragazzo annuì più volte, fuggendo il suo sguardo.
–Jack, cos’è successo?- si sentì chiedere con
tono imperioso.
Sobbalzò e tartagliò qualcosa poi, rendendosi conto di
esser stato incomprensibile, ripetè con più calma:-Emily
è sparita.
-Cosa?!- scattò l’uomo, levandosi in piedi con uno scatto
fulmineo. Kennet mugugnò nel dormiveglia, disturbato dal rumore.
Jared allora afferrò il giovane lupo e lo trascinò fuori
dall’infermeria. –Cosa significa “sparita”?-
chiese, scandendo bene ogni singola parola.
Jack si ritrasse di fronte alla sua ira, facendosi piccolo. Se fosse
stato in forma animale avrebbe abbassato le orecchie e nascosto la coda
tra le gambe. –Ha avuto una discussione con MacGregor, credo che
l’abbiano scoperta.- specificò. –Poi è
fuggita, semplicemente. Nessuno degli altri lupi è riuscito a
starle dietro.
-E’ stata scoperta…?- la notizia turbò
ulteriormente Jared. Che si fosse fatta smascherare apposta? Ma con
quale obiettivo in mente?
Si mise a camminare in tondo, cercando di trovare un senso logico al
comportamento della sua femmina Alfa. Non che la conoscesse bene: non
avevano mai parlato molto e lui non voleva certamente una
conversazione, quando la avvicinava.
“Non mi tradirebbe mai: sa che ho in pugno Blake.”,
meditò. “Ma non capisco perché sia fuggita: le
avevo detto di trovare un modo per restare. Qualsiasi modo.”
Jack osservò il suo capobranco marciare su e giù per la
stanza per parecchio tempo, fino a quando quello non si fermò e
lo guardò negli occhi. –Riferisci a tutte le Sentinelle di
mettersi sulle tracce di Emily. Dì a Simon di rimanere di
guardia alla casa. Muoviti!- abbaiò infine.
Il ragazzo non poté far altro che annuire e precipitarsi fuori.
“Rodrick non deve saperlo.”, si disse il capo dei Blacks.
Non aveva bisogno di una ramanzina dal suo nuovo socio in affari.
***
-A quanto pare la grande fuga ha funzionato.- commentò David,
lanciando un’occhiata fuori dalla finestra. Se ne stava
appoggiato al muro da un po’, osservando i licantropi appostati
tutt’attorno nell’isolato.
-Quanti ne sono rimasti?- s’informò Evan. Stava leggendo
un comunicato da parte del comandante Rogers che lo informava circa la
morte di un licantropo all’interno del territorio del suo stesso
branco. Nulla di strano, se non fosse che il soggetto non aveva avuto
nessuno scontro col Campione ed era stato ritrovato in condizioni
pietose.
-Evan, hai già parlato con Aleksandr?- si sentì chiedere.
Non diede ascolto alle parole dell’amico ed aprì la
cartella allegata alla breve e concisa e-mail. –Evan…?
Alzò la mano, chiedendogli silenzio e si mise a scorrere le foto
con confusione sempre crescente. Quelle che stava osservando erano le
testimonianze fotografiche di una delle scene del delitto più
raccapriccianti che avesse mai visto.
Non ottenendo risposta, l’inglese si avvicinò allo schermo
del computer e diede un’occhiata. –Oddio… cosa sono
queste?- chiese, gli occhi dilatati.
-Foto di una scena del delitto.- commentò Van, continuando a
setacciare le foto in cerca di una spiegazione logica. –Ma non
capisco chi possa aver perpetuato l’omicidio.- ammise,
guardandolo apertamente.
-Uno squilibrato?- fu la proposta di Dave.
-Da quanto dicono i rapporti, pare sia stato il fratello. Ma
l’uomo asserisce di non esser stato nel territorio del branco per
l’intera settimana, per impegni lavorativi.- osservò.
-E cosa ne pensa l’Alfa?
Evan ridusse la cartella delle immagini e scorse il testo mandatogli dal suo superiore. –Vuole un’Ammenda.
David si accigliò. –Di che tipo?- s’informò, temendo già il peggio.
-Di sangue. Ultimo sangue.- rispose.
L’inglese si passò una mano tra i capelli, appoggiandosi
al tavolo. –C’è qualcosa che non mi convince.
Perché scorticare il fratello? Quella è una pratica
inusuale per i licantropi. Ricorda di più quella dei
cacciatori.- commentò.
-Già.- annuì l’altro. –Se il fratello avesse
voluto ucciderlo avrebbe potuto chiedere uno scontro all’interno
del Ring.
-Cosa vuole da te Rogers? Devi indagare?- chiese a quel punto l’architetto.
-No, voleva solo mettermi al corrente. Porterà avanti le
ricerche con la squadra omicidi.- rispose. –Voleva solo
contattarmi per sapere se quella poteva essere una pratica del vecchio
mondo.
-Dio, ci credono proprio dei barbari!- s’indignò
David. –E pensare che quasi tutte le loro architetture
derivano da esempi europei!
Evan gli lanciò un’occhiata, divertito
dall’osservazione fatta dall’amico. Ogni tanto il suo
spirito da architetto usciva alla luce, spesso nei momenti più
impensati.
Terminò di leggere le ultime note e poi abbassò il
coperchiò del portatile. –Meglio che vada da Aleksandr, se
no non potremo trasferirci. Tu tieni d’occhio i nostri ospiti,
d’accordo?
Il moro annuì, tornando ad avvicinarsi alla finestra. –Certamente.
***
Stava morendo, lo sapeva.
La fine dei suoi giorni era ormai
vicina, ma lui non poteva andarsene. Aveva ancora tante cose da fare e
tanti luoghi in cui andare.
Aveva ancora tanti licantropi da uccidere.
“Non posso morire proprio ora.
Non posso.”, si disse, appoggiando interamente il proprio peso al
bastone che si era intagliato personalmente. Il suo problema alle anche
era peggiorato con l’età e non riusciva quasi più a
camminare eretto.
Ma tutto ciò non l’avrebbe fermato.
Ogni notte, da quando era un
ragazzino, lo sguardo vitreo di Brennan aveva scosso i suoi sogni.
Ricordava le urla e le colonne di fumo salire dal suo villaggio.
Ricordava il corpo dell’amico diventare freddo e le lacrime
offuscargli la vista.
Ricordava la rabbia, cieca e assordante.
Il tempo era riuscito a cancellare
quasi tutte quelle immagini dalla sua mente, rendendole frammentate e
poco più che briciole, ma la rabbia… quella era diventata
odio.
E Cainnech aveva iniziato a perpetuare la propria vendetta.
Aveva abbandonato la valle in cui era
nato per addentrarsi nei territori selvaggi, cercando di raggiungere i
piccoli borghi fortificati sulla costa. Ci aveva messo mesi, ma alla
fine ne aveva raggiunto uno e, con un po’ di fortuna, aveva
trovato un passaggio.
Voleva raggiungere le coste più a sud, dove sapeva risiedevano parecchi branchi di licantropi e parecchi cacciatori.
Aveva macinato miglia, faticando non poco.
Quando alla fine aveva raggiunto il
suo obiettivo, l’odio si era ormai radicato in lui, facendolo
diventare un giovane uomo ombroso e avido di conoscenza.
Aveva trovato un cacciatore che
faceva al caso suo e l’aveva scongiurato di renderlo suo allievo.
L’uomo aveva più volte rifiutato e Cainnech aveva preso a
seguirlo ovunque andasse.
Fino a quando, un giorno, gli aveva salvato la vita uccidendo un licantropo.
Il giovane si era guardato le mani,
sconvolto e poi aveva spostato lo sguardo sul corpo del lupo mentre
questo riassumeva sembianze umane.
Il cacciatore era rimasto impressionato e l’aveva accettato.
“L’ho ucciso proprio con
queste mani. All’epoca non avevo idea di come ci fossi riuscito,
ma adesso potrei farlo anche ad occhi chiusi.”, si disse,
raggiungendo il tavolo che si trovava al centro del suo rifugio.
Si lasciò cadere pesantemente
sull’unica sedia presente ed appoggiò i pugni sul supporto
di legno, graffiato dall’uso.
Appuntò lo sguardo su un punto
imprecisato della stanza e si focalizzò sui ricordi,
ripercorrendo la sua (inaspettatamente) lunga carriera di cacciatore.
Ricordava ancora ogni singola notte
passata a leggere manuali di erboristeria e di caccia, memorizzando
tutte le informazioni possibili. Aveva trascorso ore sulle pergamene ed
altrettanto tempo ad allenarsi con le armi.
Fino a quando non era stato pronto e aveva ricevuto il benestare del suo maestro.
Da quel momento era partito
alla volta delle verdi colline scozzesi, le armi in spalla e la torque
regalatagli dalla madre al collo. Era l’unica cosa di valore che
possedeva e l’unico ricordo tangibile della sua vita precedente.
Farsi conoscere come cacciatore era
stato difficile, all’inizio, ma poi le voci si erano sparse e le
commissioni erano aumentate. Non potendosi affidare alla forza delle
proprie gambe, Cainnech aveva imparato ad usare la testa.
Aveva rischiato più volte di
venir ucciso, ma aveva sempre riportato a casa la pelle. La propria e
quella del licantropo di turno.
La gente lo pagava per potersi
liberare di quelle creature, credendo fossero portatori di sfortuna.
Lui sapeva che era una stupida superstizione, ma era una scusa
più che buona per permettergli di agire e vendicare Brennan e
sua madre.
“Ho tolto così tante
vite e ancora non è stata fatta giustizia.”, pensò,
rafforzando la stretta del proprio pugno. “Non è ancora
abbastanza.”, portò l’altra mano al proprio collo,
dove trovò il familiare contatto col metallo lavorato della
torque.
La strinse con forza e chiuse gli occhi, supplicando la Madre di concedergli altra forza per proseguire nel suo cammino.
Assaporò nuovamente tutte le
sue uccisioni, cercandovi sostegno. Rivide tutte quelle grandi bestie
cadere vittima delle sue abilità. Rivisse l’ebrezza della
cattura e delle uccisioni.
Continuò per un tempo
lunghissimo, perso nei meandri della propria mente. Le dita sempre
chiuse saldamente attorno alla collana.
Non si accorse nemmeno di esser morto. E, quando lo fece, gli sembrò di non esserlo.
Lanciò un’occhiata
confusa alla sua misera casa e poi abbassò gli occhi sulla
torque. Il monile lo chiamava, ammaliante e se ne sentiva attratto.
Così attratto che il suo odio e la sua volontà di vendetta gli permisero di diventarne parte integrante.
Avrebbe potuto vivere in eterno,
racchiuso in quella prigione dorata. Avrebbe potuto aspettare e
compiere comunque quello che si era prefisso.
***
L’incontro era all’Alexander Hamilton Playground.
Quando Eric glielo aveva riferito aveva sollevato le sopracciglia,
perplesso. Il ragazzo aveva confermato con un’alzata di spalle,
facendogli capire che quella scelta non dipendeva da lui.
Senza fare altre domande aveva annuito, confermando la sua presenza.
Ed ora si trovava fermo davanti alla cancellata, intendo a
scrutare la moltitudine di bambini intenta a correre e saltare. Stava
usando tutti i propri sensi per individuare Aleksandr e si stupì
molto nel vederlo arrivare con Eric a fianco ed una bambina di circa
cinque anni appollaiata sulle spalle.
Si tolse lentamente il casco, ancora più perplesso, e
guardò apertamente nella direzione del gruppo. Quando il suo
sottoposto lo vide scambiò qualche parola con lo zio e poi gli
fece un impercettibile segno col capo.
Evan allora scese dalla moto e lasciò il casco sul
sedile, sicuro che nessuno si sarebbe azzardato a tentare un furto. Si
passò una mano tra i capelli e cercò di capire
perché Aleksandr avesse voluto incontrarlo in un parco giochi.
“Non importa, basta ottenere il suo appoggio.”, si disse,
attraversando la strada con passo rapido. Alcune mamme nei pressi gli
lanciarono occhiate incuriosite, forse perché l’avevano
riconosciuto a causa di tutte le foto pubblicate sui giornali per via
del divorzio da Crystal.
Non se ne curò ed entrò nello spazio di gioco, stando
attento ad evitare scontri coi bambini. Non che avesse qualcosa contro
di loro, semplicemente sapeva di avere un aspetto un po’
minaccioso, ai loro occhi.
Con poche falcate raggiunse il gruppetto familiare e si fermò davanti all’Alfa del branco di Hamilton Heights.
-Aleksandr.- lo salutò con un cenno del capo, mostrandogli il
collo. Con quella mossa segnalava le proprie intenzioni pacifiche.
-Tu dovresti essere il famoso Evan MacGregor.- replicò
l’uomo, fissandolo da capo a piedi. A ben guardarlo, aveva
qualcosa che ricordava Eric, ma tutto in lui era più spigoloso e
di diversi toni più chiaro. I suoi occhi, poi, potevano
rivaleggiare con quelli di Van tant’erano inquietanti:
l’azzurro dell’iride aveva la stessa consistenza di una
lastra di ghiaccio.
-In persona.- rispose lo scozzese. Abbassò la zip del giubbino
di pelle ed estrasse una collana di acciaio, a cui era appeso un anello
d’oro brunito. –Se vuoi confermare…- si sfilò il
monile e glielo allungò.
Aleksandr lo prese e lo studiò con attenzione. –Un leone
coronato… qual è il vostro motto?- domandò, nella
voce l’eco di un accento non ancora perduto.
-‘S rioghal mo dhream.- rispose Evan. –La mia razza è reale.- aggiunse subito dopo, a beneficio dei presenti.
-Non c’è da stupirsi se il vostro Alfa è
così impertinente.- commentò Aleksandr, riconsegnandogli
l’oggetto.
-Dearan è sempre stato così. Sin da quando ne ho memoria.- ammise, senza scomporsi.
Il russo assottigliò gli occhi, calcolatore. –E voi? Voi che tipo di Alfa siete?
Il giovane MacGregor restituì lo sguardo, cercando però
di capire a cosa servisse quella specie di interrogatorio. Non aveva
intenzione di mettergli i bastoni tra le ruote, ma solamente di
trasferirsi nel suo territorio.
Probabilmente il suo ospite non la pensava così.
Van si lappò le labbra e, dopo una breve occhiata ad Eric, rispose:-Uno meno avido.
Il suo interlocutore sorrise, forse soddisfatto dalla risposta. Poi,
però, abbassò lo sguardo su quella che, a prima vista,
sembrava sua figlia. La bambina alzò la testa e i due si
guardarono per qualche istante.
Alla fine di quella silenziosa conversazione, la piccola scese dalla
panchina su cui era seduta con un saltello e si avvicinò ad
Evan. Confuso, il ragazzo si accosciò in modo da poter essere
alla sua altezza.
-Priviet.- mormorò lei,
sorridendo angelicamente. Aveva capelli color del miele e ciglia chiare
ad ornare due occhi talmente scuri da sembrare pozzi di tenebra. Il
colore dei capelli era quello del padre, ma gli occhi appartenevano
sicuramente alla madre.
Evan sollevò gli angoli della bocca, senza esibire un vero sorriso. –Ciao, piccola.- la salutò.
-Vuoi fare del male alla mia famiglia?- gli chiese lei, guardandolo.
Lo scozzese si accigliò, ma disse:-No. Affatto.
La bambina gettò un’occhiata alle proprie spalle, quasi
fosse indecisa, poi tornò a voltarsi verso di lui. –Vuoi
solo una nuova casa?- domandò.
L’altro annuì. –Sì, una casa per me e i miei compagni.
La piccola meditò un po’ su quelle parole, poi
tornò trotterellando dal padre. Si arrampicò sulla
panchina e gli sussurrò qualcosa all’orecchio, per poi
correre verso gli scivoli subito dopo.
-Sofiya mi ha detto che non stai mentendo.- esordì Aleksandr.
-Avresti potuto capirlo anche tu stesso…- osservò Evan, stupito da quell’affermazione.
L’uomo stirò le labbra in quello che doveva essere un
sorriso. –Vero. Ma alcuni lupi sanno mentire molto bene e lei
è molto brava a capirlo.- spiegò.
-Credi voglia fregarti?
-Molti vogliono fregarmi o hanno tentato di farlo. Non mi piace quel genere di persona.- commentò, calmo.
-Non voglio appropriarmi del tuo territorio né dei tuoi affari.
Mi serve solamente il tuo permesso per spostare il mio branco.-
replicò Evan. Iniziava a stancarsi di quel giochetto psicologico.
-Zio, come ti ho spiegato, il capitano vuole solo…-
iniziò Eric. Aleksandr, però, lo zittì con un
gesto della mano e il giovane non poté fare a meno di mordersi
la lingua ed abbassare lo sguardo, imbarazzato.
-Capitano… è vero che avete un problema coi Blacks?- s’informò il russo.
Van annuì. –Decisamente. Anche se sono loro a volere qualcosa da me, non il contrario.- rispose.
-Non sopporto i Blacks, in particolare il loro Alfa, Jared.-
digrignò i denti, infastidito dal suono stesso di quel nome. Van
non disse nulla, attendendo pazientemente che l’uomo prendesse la
propria decisione. Non voleva inimicarsi anche lui.
Mentre ragionava sul da farsi, Aleksandr scrutò più volte
il nipote, pensieroso. Eric lo notò e cercò di farsi
piccolo, temendo una qualche strana decisione da parte dello zio.
-Accetterò il vostro insediamento nel mio territorio ad una condizione.- sentenziò.
Evan si fece guardingo. –Quale?
-Voglio che prendiate Eric con voi.- Aleksandr lo disse senza fare una piega, fissando il suo interlocutore dritto negli occhi.
-Cosa?!- sbottò il diretto interessato, incredulo. –Perché vuoi mandarmi via?
-Perché tu non sei tagliato per i miei affari e Anya non mi perdonerebbe mai la tua morte.- replicò, inflessibile.
Il viso del giovane s’imporporò tantissimo prima che sbottasse:-A mamma non frega un accidente di me!
A quelle parole gli occhi di Aleksandr diventarono duri come il
ghiaccio. Si alzò in piedi con uno scatto e fulminò il
nipote. –Non sputare menzogne su tua madre. Lei ti vuole un bene
dell’anima e, insieme a tuo padre, sta facendo un lavoro egregio
in Russia.- gli sibilò il faccia, tenendolo strettamente per il
colletto della camicia.
-E allora perché…?
-Perché così potrai crescere come licantropo e sarai in
grado di essere indipendente.- l’uomo lo scosse energicamente,
cercando di inculcargli bene il concetto in testa.
-Ma io…
Gli occhi di suo zio lampeggiarono. –Niente ma. Non osare opporti.- lo minacciò.
Eric allora guardò il proprio capitano e tentò di
scusarsi con gli occhi. Non avrebbe mai immaginato che la situazione si
sarebbe evoluta in quel modo. Non voleva assolutamente diventare un
peso per qualcuno e non voleva che gli affibbiassero una balia (anche
se alta quasi due metri e con una potenza fisica non indifferente).
-Non posso obbligare qualcuno ad unirsi al branco: va contro i miei principi.- fece notare lo scozzese.
-Ma è l’unico modo per potervi insediare ad Hamilton Heights.- gli fece notare Aleksandr.
Van allora guardò il ragazzo, in silenzio. “Un altro
cucciolo indifeso da proteggere… ultimamente stanno diventando
un po’ troppi.”, pensò. C’era già
Andrew, senza contare che presto avrebbero avuto anche il figlio di
Emily con loro. “E Amanda.”, gli ricordò il suo
subconscio.
Se rifiutava, però, avrebbe dovuto trovare un’altra soluzione.
Nella sua mente si scatenò una battaglia e gli ci volle un
po’ per analizzare tutti i pro e i contro. Alla fine,
però, l’unica cosa che gli rimaneva da fare era sospirare
e asserire:-D’accordo. Lo accoglierò nel branco.
Aleksandr sorrise apertamente, soddisfatto. –Perfetto. Potete insediarvi nel mio territorio.- concesse.
Frances non aveva risposto al primo tentativo di chiamata,
così Amanda aveva suggerito ad Andrew di riprovare il giorno
dopo.
In quel momento erano in pausa pranzo in un ristorantino vicino a
Kleinfeld e la giovane voleva tentare nuovamente la fortuna.
–Proviamo?- chiese.
Drew serrò la mascella, nello sguardo un pizzico di delusione
rimasto dalla sera prima. –Ok…- annuì lentamente.
Mandy allora premette il tasto di chiamata ed inserì il vivavoce, attendendo.
Si erano seduti in un tavolo isolato, in modo da poter avere la loro
privacy. Qualcuno avrebbe potuto ascoltare la conversazione e a nessuno
dei due avrebbe fatto piacere.
-Mandy?- la voce di Frances arrivò un po’ distorta.
-Ehi, ciao! Sì, sono io e c’è anche Drew.- salutò lei, cercando di suonare allegra.
Ci fu qualche istante di silenzio, poi sua sorella addolcì il tono e mormorò:-Ciao Drew.
-Ciao Fran…- rispose lui, concedendosi un sorriso triste.
Quanto gli mancava! Perché non aveva reagito come Amanda?
Perché non aveva scelto di stargli vicino? Non era giusto
pensare quelle cose, lo sapeva, ma non era nemmeno giusto quello che
gli era capitato.
-E’ successo qualcosa?- domandò dopo un po’ Fran.
Amanda si riscosse, smettendo di osservare le reazioni del fidanzato di
sua sorella. –No, no… cioè, nessuno si è
fatto male..!- tartagliò, agitata. A quelle ultime parole,
Andrew la guardò male.
-Drew, sta dicendo la verità? Cos’è successo?- chiese allora la ragazza.
Il diretto interessato si passò una mano sul volto, cercando di
raccogliere i pensieri. –In poche parole, ora anche Amanda fa
parte del branco.- disse.
-Cosa?!
Mandy lo guardò con tanto d’occhi, cercando di capire perché avesse usato quelle parole.
-Ti hanno trasformata? Sei stata attaccata?- Frances iniziò a
sparare domande a raffica, preoccupatissima. Amanda ebbe
l’impulso di togliere il vivavoce, ma non lo fece.
-No… calmati. Sono solo stata coinvolta in alcune dinamiche di
branco. Ci sono stati alcuni problemi.- spiegò, cercando di
rimanere calma.
-Che tipo di problemi?- chiese l’altra.
Andrew arricciò il labbro superiore, ripensando a tutti i
pestaggi di Stryker. –Divergenze d’opinione con un nuovo
compagno.- buttò lì.
Frances spalancò gli occhi. -Vi siete picchiati per caso?
-No! Perché hai sempre questi pensieri distruttivi?- finì
con lo sbottare il suo fidanzato. -Scusa…- mormorò dopo
un po’.
Amanda cercò di calmarlo posandogli una mano sul braccio, ma
Drew sembrava incline ai colpi di testa, quel giorno. La conversazione
avrebbe potuto finire veramente male. –Hai presente la nuova
lupa? Quella di cui ti ho parlato?
-Sì… cosa c’entra lei adesso?- Fran si fece sospettosa.
-Era stata mandata a spiare il branco ed è stata scoperta. Il
problema è che lo stava facendo sotto minaccia. Ora Evan e gli
altri vogliono aiutarla, ma dovranno lasciare il luogo in cui si erano
appena trasferiti.- riassunse, concisa.
Sua sorella restò in silenzio per un po’, cercando di far
combaciare i pezzi. –Drew deve per caso spostarsi con loro?-
chiese dopo un po’.
-No… saranno loro a spostarsi.- rivelò
l’interpellato. Prese un respiro profondo e poi
aggiunse:-Verranno a stare nel nostro palazzo.
-Mi stai dicendo che dei lupi invaderanno casa nostra?!- esclamò
Frances, al colmo dell’incredulità. Non bastava che Andrew
fosse diventato uno di loro e che lei e Amanda avessero rischiato di
farsi ammazzare. No, ora dovevano anche invadere casa sua!
Iniziò a sbraitare, inveendo contro i soprannaturali e urlando
altre cose. Amanda si affrettò a spegnere il vivavoce e ad
allontanarsi, mentre Drew rimaneva seduto al tavolo.
“Non ha funzionato. Ovviamente.”, si disse, arrabbiato. La
bestia dentro di lui ringhiò il proprio disappunto e si vide
costretto a serrare i pugni per calmarsi. Si piantò le unghie
nel palmo della mano, concentrandosi su quella sensazione.
Poteva sentire tutto quello che si stavano dicendo Amanda e Frances.
Erano entrambe arrabbiate: Mandy perché la sorella non voleva
capire e Fran perché tutta la situazione le sembrava assurda e
non voleva scendere a compromessi.
Restò ad ascoltare fino a quando non ce la fece più e la rabbia, la sua rabbia, prese il sopravvento.
Si alzò di colpo e si allontanò rapidamente dal ristorante, giusto in tempo per farsi vedere da Amanda.
-Vedi di meditarci su, Frances. O potresti rischiare di perdere Andrew.
Lui ha bisogno di te, ti ama e tu non puoi negargli il tuo supporto.-
disse, severa. –Non ti farò altre pressioni, se e quando
sarai pronta fatti viva. Ora devo andare, la luna destabilizza
l’autocontrollo di Drew.- e, detto questo, riattaccò.
Fece scivolare il telefono in borsa, lasciò i soldi sul tavolo e
si affrettò a raggiungere Andrew. Lo trovò in un vicolo,
intendo a pendere a pugni il muro.
-Cosa stai facendo?- chiese, spaventata. La sua forza soprannaturale
gli aveva permesso di lasciare il segno, ma le sue nocche stavano
iniziando a sanguinare. Si sarebbe solamente fatto del male di quel
passo. –Smettila!- cercò di afferrargli un braccio, ma lui
la scansò.
-Frances non tornerà! Qualsiasi cosa le diremo, lei non tornerà!- ringhiò, scagliando un altro pugno.
-Non è vero! Smettila di pensare in negativo!- si oppose lei.
Drew le si rivoltò contro. –E tu smettila di vivere in un
sogno! Lei non tornerà!- sbottò. Rimasero a fissarsi in
silenzio, poi lui aprì la bocca per parlare ma alla fine
rinunciò, allontanandosi subito dopo di gran carriera.
Amanda rimase ferma in mezzo al vicolo, osservandolo sparire oltre un muro di cinta.
-Mi dispiace, Drew… ma io non smetterò di credere.- mormorò.
Aveva appena finito di parlare con Alastair, dicendogli che
aveva bisogno di discutere con lui faccia a faccia. L’uomo aveva
chiesto delucidazioni in merito, ma lui si era mantenuto sul vago,
dicendogli che non voleva parlarne al telefono. Così si erano
accordati per vedersi alcuni giorni più tardi.
–Ho chiamato Alst.- annunciò, appoggiando il telefono sul tavolo.
David, intento ad imballare le ultime cose, si fermò e lo guardo. –Sul serio? Cosa ti ha detto?- chiese.
-Nulla. Gli ho detto che non volevo discutere della situazione al telefono.- replicò, dando in una scrollata di spalle.
L’amico lo fissò per qualche istante, pensieroso, poi
riprese il proprio lavoro. –Non mi hai ancora detto
com’è andata con Aleksandr.- gli fece notare.
Van sollevò un sopracciglio. –Stiamo finendo di imballare
tutto quanto, secondo te com’è andata?- gli chiese,
ironico.
-Mhm… apparentemente bene, ma sento che c’è
qualcosa in più.- osservò. –Ti conosco da troppo
tempo per sbagliarmi.
“Ottimo intuito, Dave.”, pensò lo scozzese. Finse di
sistemare alcune cose in uno scatolone, concedendosi il tempo per
riflettere. Alla fine disse:-C’è una condizione da
rispettare.
A quel punto fu l’inglese ad accigliarsi. –Che condizione? Non gli dovremo mica dei soldi, vero?
Scosse il capo. –No… forse è peggio che dovergli dei soldi.- commentò.
-Peggio? Non voglio mica entrare in uno strano giro, eh!-
protestò allora l’inglese. Probabilmente si stava
già figurando in un locale di gigolò al servizio di donne
di mezz’età annoiate.
A volte lasciava galoppare un po’ troppo la fantasia.
-Abbiamo acquistato un nuovo membro.- rivelò infine Evan.
La mascella di Dave cadde verso il basso. –Credo di non aver
capito. Abbiamo cosa…?- finse di non aver recepito quello che
aveva effettivamente recepito.
Van gli lanciò un’occhiataccia. –Smettila. Hai
capito benissimo. Si tratta del nipote di Aleksandr, nonché del
mio sottoposto.- lo rimbeccò.
-Ma… ma dove pensi potremo alloggiare un altro lupo? Un
cucciolo, per di più!- esclamò, abbandonando i bicchieri
per potersi mettere le mani nei capelli.
-Qualcosa c’inventeremo. O così o niente trasferimento.-
rispose l’altro. –A proposito, il nostro ospite è
sempre appostato?
David, già pronto a protestare contro la nuova organizzazione,
s’interruppe e disse:-Sì, sempre al solito posto.
-D’accordo. Notizie di Emily?
Il riccio fece per rispondere quando il suo telefonino vibrò. Lo
prese ed aprì il messaggio. –Parli del diavolo. A quanto
pare è il momento: dice che sono tutti sulle sue tracce.
Evan lanciò un’occhiata fuori dalla finestra. –Bene.
È il momento di trasferirsi allora.- disse, afferrando un paio
di scatoloni. –Sarà divertente.
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Capitolo 16 *** Cap. 15 Azione e reazione ***
Cap. 15 Azione e reazione
Attesa
leggermente più corta della precedente, ma mi scuso comunque per
l'incostanza degli aggiornamenti :( Oltre a dover finire gli esami, sto
avendo qualche problema di caratterizzazione dei personaggi... non
riesco a farli esprimere al meglio.
Quindi, vi chiedo di avere pazienza... arriverò a capo di questo blocco!
Per quanto riguarda i nostri protagonisti, direi che qualcuno vedrà rosso nel corso del capitolo...
Buona lettura ;)
Cap. 15 Azione e reazione
Fece per lanciare il telefono, ma si trattenne e si limitò a stringerlo febbrilmente tra le mani.
Cercò di prendere dei respiri profondi, di calmarsi, ma sembrava tutto inutile.
La telefonata era stata l’ennesima conferma della sua
incapacità di adattamento. Una parte di lei, una parte sempre
più debole, continuava a dirle di farsi forza e accettare tutto
quanto mentre l’altra, quella più forte, urlava a gran
voce di scappare.
Non sapeva più che fare, si sentiva impotente e senza opzioni.
Desiderava con tutta se stessa poter avere la fede incrollabile che
stava dimostrando Amanda, ma le era impossibile arrivare a patti con la
propria coscienza.
Aveva ragionato a lungo durante le notti insonni passate a guardare
fuori dalla finestra. E i suoi ragionamenti l’avevano condotta ad
una conclusione: amava ancora Drew, ma aveva paura della bestia che
c’era in lui. Dell’influsso che poteva avere sulla sua
personalità.
Probabilmente era stupido o da codardi, ma non riusciva ad andare oltre
quella consapevolezza. Si sentiva come un cade che si morde la coda.
“Vorrei poter credere che tutto possa andar bene, proprio come
Amanda.”, si disse. Chiuse anche gli occhi, cercando di scacciare
la rabbia ed appropriarsi di quella visione delle cose che non le
apparteneva.
Mentre cercava di venire a patti con se stessa, Gregory uscì in
veranda per dirle che il pranzo era in tavola. Quando vide la sua
espressione, però, si fece perplesso e le si avvicinò.
–Ehi, Fran, tutto bene?- chiese.
La ragazza si voltò di scatto, colta di sorpresa.
–G-Greg… sì… tutto bene…-
farfugliò, la voce tremante. La rabbia se n’era andata,
sciogliendosi come neve al sole ed ora era arrivato quel senso
d’impotenza capace di farla scoppiare in lacrime.
In quel caso nemmeno un intero pomeriggio con la sua adorata macchina fotografica avrebbe potuto risollevarle lo spirito.
Cercò con tutte le forze di trattenersi, ma finì con il
singhiozzare. Senza pensare gettò le braccia al collo del
fratello e lasciò libero sfogo alle lacrime.
-Ehi, ehi! Calmati! Cos’è successo?- cercò di
capire. Provò a scostarla da sé per guardarla in viso, ma
lei non glielo permise. Allora le lasciò il tempo per sfogarsi,
stringendola a sé con fare protettivo, come faceva quando era
piccola e aveva paura durante i temporali.
Frances versò fino all’ultima lacrima e solo quando
sentì gli occhi aridi e pesti si scostò dal petto del
fratello e tentò di darsi un contegno, imbarazzata.
–Scusa…- mormorò.
-Oh, non è con me che devi scusarti: Sarah sarà nera.- commentò Greg.
Al che lei lo fissò confusa poi, realizzata la battuta,
ridacchiò senza allegria. –Già, avremmo fatto
freddare la pasta.- mormorò.
Gregory la fissò pensieroso e la condusse gentilmente sul
dondolo accanto alla porta. Una volta seduti si voltò
verso di lei e domandò:-Hai parlato con Mandy?
Frances pensò di negare, ma alla fine optò per la
verità. Annuì stancamente, confermando le supposizioni
del suo interlocutore. –Non è andata bene… ed
è colpa mia. Per l’ennesima volta.- confessò.
-Cosa ti hanno detto?
Fran si passò una mano tra i capelli, nervosa. –Che Andrew
se la sta cavando bene, ma che il branco di MacGregor sta avendo dei
problemi.- spiegò.
Greg si accigliò. –Problemi di che tipo?- chiese, cercando di capire.
-A quanto pare la lupa che avevano accolto è una spia, ma
è stata obbligata con la forza ad assumere quel ruolo. Se non ho
capito male vogliono aiutarla, ma questo significa avere grane col suo
branco d’origine.- continuò.
-E in tutto questo, Amanda non ha ancora perso la testa? Cavoli, quella
ragazza ha le palle.- commentò ammirato. Al che sua sorella lo
guardò malissimo, ricordandogli che stava parlando proprio con
una che, di palle, non sembrava averne abbastanza. –Ehm…
scusami, non volevo offenderti.- s’affrettò a dire.
Lei abbassò lo sguardo. –Non mi hai offesa: hai detto la verità, in fondo.
La strinse a sé, premuroso e un po’ rude. I suoi abbracci
avevano la stessa potenza di una carezza ricevuta da un grizzly ma, a
differenza degli orsi, lui lo faceva con le più nobili
intenzioni.
-Il problema è un altro, però…- riprese Frances.
L’altro sollevò le sopracciglia, in attesa di una
spiegazione. –Il branco si sta per trasferire nel palazzo in cui
vivo con Drew e Mandy.- confessò, sollevando la testa in attesa
di un parere.
Restò a fissare Gregory in silenzio, temendo che le dicesse di sbrigarsela da sola o peggio.
Dopo parecchi minuti, in cui si sentirono alcuni rimproveri di Sarah
provenire dall’interno, Greg si decise finalmente a parlare.
–Sinceramente, non vedo dove stia il problema.- ammise,
fissandola coi suoi occhi verdi come germogli.
Al che sua sorella non poté fare a meno di boccheggiare, senza
parole. –Ma… mi hai ascoltata?!- sbottò.
Lui annuì. –Certo, non sono sordo. E ho anni di esperienza alle spalle, ricordi?- le fece notare.
Quella risposta la fece indisporre ancora di più. Balzò
in piedi e strinse i pugni, irritata. –Gregory, è una
questione seria! Non so cosa fare!
Anche lui si alzò, fronteggiandola senza problemi. Essere alti
un metro e novanta e avere spalle larghe aiutava sempre, soprattutto in
casi come quello.
“Se fossi più piccolo mi prenderebbe a sberle, ne sono
sicuro.”, ragionò l’uomo. Fran era sempre stata la
più impulsiva, tra i tre. Anche lui aveva avuto i suoi colpi di
testa, ma il più delle volte aiutato da una bella sbronza.
-So che è una questione seria, ma non capisco perché tu
ti sia fasciata la testa prima di rompertela.- commentò.
-Che significa?- fece lei, allentando leggermente la tensione.
-Sei scappata non appena successo il fattaccio e non hai nemmeno
provato a vivere con Andrew, dopo la trasformazione. Posso capire la
tua paura: anche io sarei stato terrorizzato, all’inizio. Ma
è normale, le cose nuove ci spaventano sempre.- disse. In quel
momento era sicuro di essere molto simile al padre, quando si sedeva e
faceva loro la predica.
-No, tu non capisci… non…!- iniziò lei.
Suo fratello la bloccò. –No, sei tu che non capisci. Hai
dato per scontato che non ci saresti riuscita, che sarebbe andata male
e sarebbe successo il peggio. Tutte le telefonate e i messaggi di
Amanda non sono serviti ad aprirti gli occhi.- continuò.
-A cosa dovevano servire? Farmi sentire una stupida?- abbaiò, dandogli le spalle. –Io non sono perfettina come lei.
-Non è questione di essere una perfettina. È questione di sapere cosa si vuole.- replicò calmo.
-Io so cosa voglio!- scattò la giovane.
Lui allora sollevò un sopracciglio, diffidente. –Davvero?
-Sì, io…- ma s’interruppe. “Io… cosa
voglio, veramente? Perché sono scappata?”, si
ritrovò a chiedersi.
-Vedi? Non ti sei posta le giuste domande.- le fece notare.
Al che Fran si lasciò cadere nuovamente sul dondolo, subito imitata dal fratello. –E quali sarebbero?
-Ami veramente Drew? Devi solo capire questo. Se il tuo amore per lui
è abbastanza forte, allora potrai tornare e dargli una mano.-
mormorò, sfiorandole una guancia. Lei si voltò a
guardarlo e nei suoi occhi c’era solo una gran confusione.
-Come faccio a quantificare l’amore?- domandò con voce
rotta. Stava per rimettersi a piangere, nuovamente. “Non voglio
piangere.”, si disse, tirando su col naso.
-Devi capirlo da sola. Non posso dirtelo io: ognuno ha modi diversi per farlo…- replicò.
Gli lanciò un’occhiata. –Lo dici come se ci fossi già passato.- osservò.
Gregory si adombrò, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e
unendo le dita. –Ci sono passato, cinque anni fa.- rivelò.
“Come? Quando?”, si chiese Frances. –Non… non capisco…
Suo fratello sollevò un angolo della bocca, il ricordo era
ancora amaro per lui. –Ricordi quando Sarah ha avuto quel brutto
incidente?- iniziò.
La ragazza annuì. –Sì, quando è stata investita da quel SUV… ma non capisco…- rispose.
Greg puntò lo sguardo davanti a sé, fissando un punto
imprecisato. –Non l’ho detto a nessuno, nemmeno a lei.-
ammise. –Quando l’hanno portata in sala operatoria hanno
scoperto che una scheggia le aveva perforato una vertebra. Sistemarono
tutte le altre ferite, ma quella… non sapevano cosa sarebbe
successo.- continuò.
-Oddio, vuoi dire che…?
-Sì, c’era la reale possibilità che rimanesse
paralizzata dalla vita in giù.- confermò con voce
leggermente instabile. “E’ stato il giorno più
brutto della mia vita.”, pensò, cercando di non riportare
a galla quelle ore di puro terrore.
-E’ stato allora che hai dovuto quantificare il tuo amore, vero?-
chiese conferma Frances. –Come… come hai fatto?
Le lanciò un’occhiata e poi si raddrizzò,
appoggiando la schiena al dondolo. –Be’… sono andato
a fare una lunga passeggiata. Ho ragionato e ragionato, fino a sentire
il cervello fondersi. Mi sono chiesto se potevo sopportare tutto quello
che ne sarebbe derivato, se l’avrei amata come l’amavo in
quel momento e se sarei riuscito a farla sentire amata.- le disse,
stringendosi nelle spalle. –Dopo quattro ore passate a girovagare
senza una meta, ho capito che non avrei potuto fare a meno di lei e che
l’avrei aiutata a superare anche quella prova.- concluse dopo una
breve pausa.
Senza poterselo impedire, una piccola lacrima le scese lungo la
guancia. –Sei una persona stupenda, Greg. Sarah è
fortunata.- gli sorrise, toccata dal dolore che aveva percepito nella
voce del fratello.
-No, sono io quello fortunato.- replicò lui, alzandosi in piedi.
–Io avrei un certo languorino, tu?- chiese, massaggiandosi lo
stomaco.
Fran scosse la testa. –Preferisco andare a fare quella famosa
passeggiata.- rispose, ora più calma. Lui sembrò capire e
si limitò ad annuire. –Ci vediamo più tardi.- gli
disse, alzandosi ed imboccando le scale.
-Prenditi il tuo tempo.- le suggerì.
Si strinse la sciarpa al collo e si avviò lungo le strada
apparentemente infinite del quartiere in cui viveva Gregory. Era una
zona residenziale a bassa densità abitativa, tappezzata da tante
villette indipendenti con giardino, in pieno stile americano.
Lanciò un’occhiata distratta ad alcuni bambini impegnati a
rincorrersi e lasciò vagare i propri pensieri. Li lasciò
liberi, lasciando che fossero guidati dal cuore e non dalla testa.
Senza rendersene conto si ritrovò a pensare al passato, a quando lei ed Andrew si erano conosciuti.
Erano gli anni dell’università: Frances era la
fotografa del giornale universitario, mentre Drew uno dei nuotatori
della squadra del campus. Le avevano assegnato il servizio sulla
recente vittoria nel campionato studentesco, ma lei aveva tentato di
rifiutare sino all’ultimo.
Ricordava ancora l’odio profondo che aveva per gli sportivi che
si credevano i re del mondo e il pensiero la fece sorridere.
“Ero ancora più testarda di come sono ora…”,
pensò, continuando silenziosamente la propria passeggiata. Era
andata nell’edificio che ospitava le piscine con un diavolo per
capello, maldisposta verso ogni essere appartenente al gruppo di
tritoni provetti, come li aveva mentalmente ribattezzati.
Invece si era ritrovata ad osservare una grande vasca d’acqua praticamente vuota.
Era rimasta lì, ferma come un’allocca fino a quando non si
era sentita apostrofare. Ricordava ancora il movimento repentino e
disarticolato con cui si era voltata ed era finita in acqua.
“L’unico problema era che non sapevo nuotare.”,
ricordò, fermandosi ad un incrocio per controllare che non
arrivassero auto. “Gregory non riusciva a capacitarsi del
perché.”, si concesse un risolino, divertita.
Fortunatamente Drew era lì, pronto a salvarla
dall’affogamento. Si era tuffato e l’aveva raggiunta. Lei
non finiva più di agitarsi e maledirlo, accusandolo di averle
fatto danneggiare la preziosa Reflex.
Alla fine, tra una bracciata ed un insulto, erano riemersi ed Andrew
l’aveva invitata fuori per sdebitarsi ed accordarsi sulla
modalità di pagamento dei danni.
“Ci siamo incontrati la sera dopo… e quella dopo ancora.
Così per una settimana.”, il pensiero la fece nuovamente
sorridere, scaldandole il cuore.
Non sapeva bene perché, ma i pensieri la stavano guidando
attraverso gli attimi più belli della sua storia con Andrew. E
lei si stava lasciando trascinare, assaporando ogni singolo attivo,
ogni singola risata.
Fino a quando la verità non le ripiombò addosso e
si ritrovò a rivivere il giorno dell’attacco.
Frammenti confusi si affastellarono nella sua mente, fornendole
dolorosi fermo immagini di attimi che avrebbe voluto dimenticare per
sempre.
Rivisse la paura, sentì le urla e vide Drew, steso a terra in una pozza di sangue.
Si sentì improvvisamente mancare il fiato e dovette appoggiarsi
al tronco di un albero. Si portò una mano alla gola e
tentò di prendere dei respiri profondi.
Il suo cervello continuava a scorrere come impazzito tra i suoi
ricordi, ripescando le litigate avute con Amanda e i primi momenti
della nuova vita di Andrew.
Quella nuova vita che la terrorizzava, ma che sembrava non avesse piegato lui.
Tentò di raddrizzarsi e calmare il battito del proprio cuore, ma sembrava non avere alcun controllo sul proprio corpo.
“Calmati, devi stare calma.”, si disse. Lentamente, a
fatica, riportò la situazione sotto controllo. Prese alcuni
respiri belli profondi e poi iniziò ad analizzare lentamente i
ricordi più recenti che riguardavano lei e Drew.
Fin da subito lui aveva cercato di tirare le fila del discorso, di
capire da dove partire e come poter controllare quella nuova ed
estranea parte di sé.
E lei… lei credeva di poterlo guarire, come se avesse contagiato una stupida malattia infettiva.
“Ma Drew non è malato. È cambiato, è
diventato qualcosa di più di un semplice umano.”,
ragionò. Avrebbe potuto fare molte più cose rispetto a
quando era solo un uomo: correre alla stessa velocità di
un’auto, cacciare come un vero lupo… uccidere con la
semplicità di un pensiero.
Uccidere…
Una nuova consapevolezza si fece strada nella mente di Frances e la ragazza si portò le mani alla bocca, sconvolta.
Quello che la spaventava non era il nuovo Drew, ma le cose che avrebbe
potuto fare se la sua parte bestiale avesse preso il sopravvento.
Temeva di non potersi più fidare di lui, di dover misurare ogni
singola parola per non farlo irritare. Temeva di poter essere uccisa
dall’uomo che amava.
-Non è un problema di amore, è un problema di fiducia!-
esclamò. La verità la lasciò contemporaneamente
felice e sconvolta. Ma in quel momento non importava: sapeva cosa
doveva fare.
“Sei uno stupido.”, gli pareva quasi di poter sentire la
sua parte animale ripeterlo nella sua testa. Dopo la disastrosa
telefonata avuta con Frances si era allontanato di corsa, confuso
più che mai. Era stanco di sentirsi ingiustamente rifiutato
dalla donna che amava, stanco di vedersi rinfacciare la sua nuova
condizione soprannaturale.
Non l’aveva chiesta lui, dannazione!
Ma Frances sembrava non volerlo capire: non gli aveva nemmeno concesso
una chance e si era messa ad urlare come un’ossessa.
“Non mi accetterà mai… non come ha fatto
Amanda.”, realizzò. E quella considerazione, oltre a
fargli male, lo fece arrabbiare tantissimo. Se fosse stato un
approfittatore, se non avesse amato veramente Fran, si sarebbe
sicuramente assicurato di avere Mandy accanto a sé.
Nei suoi occhi non aveva letto il disgusto o il terrore, solo
tanta voglia di comprenderlo ed aiutarlo. A lui sarebbe bastato vedere
quei sentimenti anche negli occhi della sua amata, ma iniziava a capire
che quello era un sogno irrealizzabile.
Il lupo dentro di lui ringhiò, irritato.
Andrew tentò di ignorarlo e continuò a correre, diretto
verso una meta imprecisata. Sentiva la rabbia e la frustrazione
crescere dentro di sé ed iniziava a temere di non poterle
controllare.
Chiuse gli occhi, lasciandosi guidare dai sensi e tentando di mettere a
tacere la voce che gli diceva di lasciarsi andare ed arrabbiarsi.
Non poteva farlo, non in mezzo alla città. Avrebbe potuto ferire
delle persone e quello avrebbe confermato le paure di Frances.
“Sono più forte del lupo. Sono più forte della
luna.”, iniziò a ripetere mentalmente, come se fosse un
incantesimo di protezione.
Ma più cercava di concentrarsi su altro, più gli
tornavano alla mente gli ultimi tempi e le notti vuote, passate senza
la sua compagna. Tutto perché lei non aveva nemmeno voluto
dargli una possibilità, il beneficio del dubbio.
Era scappata e basta.
“E probabilmente non tornerà.”, gli disse la sua
coscienza, in quel momento troppo simile alla voce della bestia. Scosse
ripetutamente la testa, cercando di snebbiarsi la mente ma
sembrò non sortire nessun effetto.
Si era tanto vantato di non aver avuto problemi nonostante la vicinanza
del plenilunio, invece sembrava aver cantato troppo presto. Gli serviva
solo il giusto incentivo per perdere il controllo e pareva averlo
trovato.
Un rantolo animalesco gli salì alla gola e fu costretto ad
appoggiarsi pesantemente al muro di un’abitazione. Si
guardò intorno, cercando di rimettere il lupo al suo posto e
capire dove si trovasse.
La creatura dentro di lui si ribellò con forza,
graffiando e ringhiando come solo un animale in gabbia può fare.
Andrew sentì il sangue arrivargli al cervello e temette di
potersi trasformare da un momento all’altro.
-No… smettila…- sibilò a denti stretti, artigliandosi il petto. Non poteva, non doveva trasformarsi.
“Alastair ha detto di trovare delle valvole di sfogo, in questi
casi…”, ragionò. Alzò di scatto la testa ed
iniziò a scandagliare ogni centimetro quadro attorno a lui, alla
disperata ricerca di una via d’uscita.
L’importante era non ferire nessuno. Se anche si fosse fatto del
male, aveva dalla sua una capacità rigenerativa di gran lunga
superiore alla norma.
Mentre cercava in tutti i modi di rimanere presente a se stesso, trovò la sua valvola di sfogo.
Rialzò lentamente la testa ed inspirò a fondo. Dentro di lui la bestia gorgogliò, soddisfatta.
Distrarsi non bastava più, quindi avrebbe fatto qualcosa di
avventato. Se ne sarebbe sicuramente pentito, ma era convinto che fosse
un buon modo per sfogare la rabbia che l’aveva colmato.
Presa la decisione si riassestò la giacca e si mise a correre verso Staten Island.
-Bene, come ci organizziamo? Tu li distrai ed io scappo?- chiese David,
finendo di impilare gli scatoloni nel centro esatto del loro
appartamento. Avevano impacchettato tutto ciò che poteva essere
piegato o contenuto da una scatola e si erano preparati a spostare
tutte le loro cose e quelle di Emily.
-Vado a fare una rapida ricognizione: se Emily ha fatto bene il suo
lavoro, dovrebbero esserci al massimo due licantropi rimasti a guardia
dell’edificio.- rispose, lanciandogli un’occhiata da sopra
la spalla. –Tu aspetta il camion.
Dave si accigliò, perplesso. –Camion?- ripetè.
-Dei traslochi.- specificò l’amico, sollevando un sopracciglio per sottolineare l’ovvietà.
L’altro annuì. –Già, è vero. Ma ancora
non so come farai a guadagnare così tanto tempo. Insomma, per
quanto io sia rapido, l’autista del camion non lo sarà
altrettanto.- osservò.
-Non ti preoccupare.- disse solo Evan. Indossò la giacca ed
infilò la porta, avviandosi lungo le scale. Mentre scendeva
scandagliò con i sensi tutti i paraggi e non ci mise molto ad
individuare il lupo rimasto.
Forse fu un colpo di fortuna, fatto sta che l’Alfa dei Blacks
aveva lasciato sguarnito il corpo di guardia. Meglio per loro e tanto
peggio per lui.
Uscì in strada e puntò lo sguardo nella direzione del suo
osservatore. Simon, dal canto suo, si mise sull’attenti, pronto
ad ogni evenienza.
Aveva intuito che i lupi avevano un piano, uno che comprendeva
un trasloco, ma aveva ragione di credere che la questione non fosse
così semplice.
Con la fuga di Emily, Jared aveva dato di matto ed ordinato a quasi
tutto il branco di correrle dietro. Essere tradito dalla donna che
credeva di avere in pugno non doveva essere stata una cosa piacevole.
Mentre ragionava sugli ultimi avvenimenti, Evan gli si avvicinò.
Ritenendo inutile nascondersi, si alzò in piedi e
divaricò le gambe, saggiando il terreno. Era pronto ad
accoglierlo e a combattere, se necessario.
“Non mi farò sconfiggere come quella mammoletta di Kennet.”, si disse, contraendo le dita delle mani.
Van, dal canto suo, non poté fare a meno di notare la presenza
di troppe persone all’interno del parco giochi antistante il
palazzo. Non voleva coinvolgere dei civili, soprattutto se umani.
-Tu dovresti essere il Gamma dei Blacks… o sbaglio?- esordì lo scozzese.
Simon ghignò. –E tu sei l’ex Campione dei MacGregor. O sbaglio?- lo provocò. Voleva farlo irritare e fargli perdere quella facciata impassibile.
-Perdere quella carica non mi ha tolto il sonno.- replicò serafico. –A te disturberebbe perdere la tua?
Mentre parlavano, David stava continuando ad impilare scatoloni.
Ovviamente aveva un orecchio sintonizzato sulla conversazione che stava
avendo luogo di sotto.
“Non so cosa tu abbia in mente, Van, ma spero vivamente che
funzioni.”, si augurò. Recuperò l’ultima
scatola e poi si affacciò alla finestra, facendo scorrere lo
sguardo fino ai primi alberi del parco, dove l’amico si era
fermato a discorrere del più e del meno col loro recente
compagno di giornate.
Evan percepì su di sé lo sguardo di Dave, ma si impose di
non alzare gli occhi. Nello stesso istante il suo fine udito
captò il rumore di alcuni passi sconosciuti, ma troppo familiari
per essere scambiati per quelli di un gruppo di umani.
“Finalmente.”, pensò. Voltò lentamente la
testa nella direzione dei nuovi arrivati e scambiò una rapida
occhiata col tenente Simmons. Lei gli fece un cenno col capo e
continuò a camminare, decisa.
Simon s’irrigidì, presagendo grane. Come diavolo aveva
fatto la polizia ad arrivare a loro? Tra l’altro, quelli non
erano semplici piedi piatti, ma membri della squadra speciale.
-Cosa… come…- indietreggiò, di colpo spaventato.
Van voltò la testa, mentre diversi metri più in alto
David si lasciava scappare un’espressione d’esultanza.
–Mai sottovalutare i lupi più vecchi: sono pieni di
sorprese… soprattutto se sono scozzesi.- rispose il lupo. Nel
profondo sentì la necessità di corredare il tutto con un
ghigno di derisione, ma si limitò alle parole.
La sua corazza non si era indebolita al punto da farsi scappare esternazioni di quel tipo.
-Simmons, è questo il lupo che ha tentato di uccidere un membro del mio branco.- disse ad un certo punto Evan.
La sua sottoposta annuì brevemente e poi si avvicinò al
sospettato. –Eviterei colpi di testa: quattro licantropi sono
più veloci di uno solo.- gli consigliò, estraendo le
manette.
-Voi non avete prove… non potete arrestarmi!- protestò
l’uomo. “Era una trappola!”, realizzò, senza
parole. Era stato gabbato, peggio di Kennet.
-Vero. Infatti vogliamo interrogarla.- la donna gli diede ragione,
mentre gli altri membri del gruppo si disponevano a ventaglio dietro di
lei. Per qualsiasi evenienza.
Il Gamma tentò di ribellarsi, ma alla fine si vide costretto a
farsi ammanettare, sotto lo sguardo sbigottito di tutti gli umani
presenti.
Mentre lo stavano portando verso le volanti, scoccò
un’occhiata omicida ad Evan. –Aspetterò la tua
vendetta. Non vedo l’ora.- lo provocò lui. –E
ricordati che, in ogni caso, attaccare un umano è un reato
punibile con la prigione.- aggiunse subito dopo, giusto per chiarire le
cose ed assicurarsi che il messaggio arrivasse all’interno branco.
Simon ringhiò, ma non poté fare molto altro, circondato com’era da agenti.
Il tenente lasciò che ad occuparsi del licantropo fossero i suoi
colleghi e rimase indietro per parlare col suo superiore.
-Grazie…- le disse Evan.
-Non c’è problema. Dopo che mi ha raccontato
cos’è successo, mi è salito leggermente il sangue
al cervello.- replicò la lupa. –Non si feriscono le
compagne altrui.
Lo scozzese fece per correggerla, ma lei non gli diede il tempo,
allontanandosi a passo rapido. “Non ho una
compagna…”, pensò.
Poi alzò lo sguardo alle finestre dell’appartamento che
lui e gli altri avevano preso in affitto e fece per chiamare David,
quando quello si presentò davanti al portone d’ingresso,
quattro scatole tra le braccia. –Spero che il camion stia
per arrivare.- esordì, fingendo di lagnarsi per
l’eccessivo peso trasportato.
Van scosse la testa, divertito dal suo modo di fare. –Un paio di minuti e sarà qui.- confermò.
-Hai preparato un bello scherzetto a quel lupo. Tutto pianificato nei minimi dettagli, eh?- lo canzonò l’amico.
-Sai che ho una mente militare.- fece spallucce l’altro.
-No… hai una mente diabolica.- precisò l’inglese,
fingendo che la cosa lo spaventasse. –Fortuna che sto dalla tua
parte.
Van alzò gli occhi al cielo. -Sono innocuo, Dave.
-Come un lupo al momento del banchetto.- ironizzò il suo
migliore amico, ridacchiando subito dopo all’espressione di Van.
-Terminiamo di portare giù gli scatoloni, su.- disse, inoltrandosi all’interno dell’androne.
David ci aveva scherzato su, ma era più che convinto della forza
dell’amico. Se fosse arrivato il momento di lottare con le unghie
e con i denti, era più che certo che Evan avrebbe venduto cara
la pelle. Soprattutto nel caso in cui avesse avuto qualcosa da
proteggere, proprio come un vero Alfa.
“Non ho fatto la scelta sbagliata.”, si disse, orgoglioso.
Il telefono vibrò, spostandosi leggermente lungo il ripiano su cui era stato appoggiato.
Emily voltò la testa di scatto, maledicendosi per aver lasciata
attiva la vibrazione. Restò accucciata dietro il bancale della
finestra, i nervi tesi e a fior di pelle. Nei paraggi
dell’edificio c’erano due lupi del branco e la stavano
cercando usando al massimo tutti i loro sensi.
Per seminarli aveva attraversato l’Hudson a nuoto, riemergendo
nella zona portuale di Hoboken. Da lì aveva raggiunto uno dei
rifugi che aveva iniziato ad usare da quando era entrata a far parte
dei Blacks.
Spesso aveva dovuto allontanarsi per un po’, inventandosi
una scusa qualunque per non destare sospetti. Soprattutto da quando era
diventata la compagna di Jared, ruolo che mai avrebbe voluto ricoprire.
Ed ora se ne stava in attesa, sperando di aver coperto bene le proprie tracce.
Senza rendersene conto si ritrovò a trattenere disperatamente il
respiro, in attesa di essere scoperta o di tirare un sospiro di
sollievo per avercela fatta.
-Io non sento nessun dannatissimo odore!- brontolò uno dei due,
Lex se non aveva preso un granchio. Non si era mai presa la briga
d’imparare i nomi di tutti, dato che aveva sempre desiderato
andarsene.
Era stata Evelyn a convincerla ad unirsi ai Blacks e solo
perché si era innamorata di Jared. Non aveva mai capito cosa ci
trovasse in lui e la cosa era ancora più strana se si
considerava il fatto che, tra le due, lei era quella più posata
e riflessiva. L’Alfa non era sicuramente l’uomo adatto a
lei.
“Se solo non avessi seguito il tuo cuore, Eve…”,
pensò, facendosi improvvisamente triste. Quanto le
mancava… c’erano giorni in cui le sembrava di non poter
respirare senza la sorella al fianco. “Devo tener duro, lo devo a
Blake.”, si disse subito dopo, recuperando il suo spirito
combattivo.
Non si era resa conto che, mentre era persa nei propri pensieri, i
licantropi aveva ampiamente superato il suo nascondiglio. Stupita, si
rialzò lentamente e sbirciò attraverso il vetro
impolverato, cercandoli con gli occhi. A quanto pareva era una
Sentinella coi fiocchi, in grado di far perdere le sue tracce in modo
efficace.
Orgogliosa di se stessa, si avvicinò al tavolo e prese il
cellulare. Nella schermata lampeggiava l’icona di un messaggio,
proveniente da David.
-Stiamo ufficialmente traslocando. La nostra guardia del corpo
personale sarà occupata per un po’. Tu segui il piano,
come stabilito. A presto.- lesse ad alta voce. –Bene… a
quanto pare ho trovato un branco composto da persone intelligenti.- si
lasciò sfuggire un sorriso, sollevata.
Quando varcò il confine del Wolf’s Pond aveva ormai
assunto le sembianze di un lupo color cannella. Atterrò sulle
possenti zampe e continuò a correre, diretto verso il lupanare
del branco di cui era entrato a far parte.
Branco che detestava con tutto se stesso, ad eccezione di Alastair.
Inspirò a fondo l’aria attorno a sé, cercando di
capire se era già stato avvistato ma non percepì
variazioni negli odori delle Sentinelle.
A quanto pareva non avevano intuito le sue intenzioni bellicose.
“Tanto peggio per loro.”, pensò, scartando un tronco
e saltando oltre alcuni bassi cespugli. I suoi riflessi si erano acuiti
al punto che avrebbe potuto rivaleggiare con Edward Cullen e vincere la
gara di “schiva l’albero”.
Liberò la mente dai pensieri futili e lasciò che la
bestia s’impossessasse di lui: avrebbe avuto bisogno di tutta la
sua forza per mettere in atto il suo piano.
“Un piano sconsiderato, Drew.”, gli fece notare la sua
coscienza. Si prese un attimo per valutare la considerazione, ma poi
zittì la parte razionale di sé e lasciò che
l’influsso lunare desse forza al lupo.
Ora che aveva preso la decisione non c’era nulla che potesse
fermarlo. Doveva dare sfogo alla propria rabbia e seguire il suo nuovo
istinto avrebbe potuto aiutarlo.
Quando avvistò l’enorme villa del branco, si mise a
scrutare l’intorno con gli occhi e le orecchie. Ignorò le
essenze dei licantropi che non gli interessavano e continuò a
scandagliare l’edificio fino a quando non trovò quello che
voleva.
Deviò il proprio percorso piegando leggermente a sinistra
e proseguì verso il lago più piccolo presente
all’interno del parco. S’inoltrò tra gli alberi,
evitando i percorsi per i visitatori e gli sportivi e in poco raggiunse
lo specchio d’acqua.
Si fermò di colpo, trovandosi davanti due lupi. Perplesso, si
fermò dietro alcuni bassi cespugli e cercò di controllare
il battito del proprio cuore per non farsi scoprire.
Si era posizionato controvento, quindi non avrebbero dovuto fiutare il
suo odore, ma avrebbero potuto sentirlo se non si fosse calmato.
Mentre riprendeva lentamente il controllo del proprio corpo, con grande
disappunto della bestia, uno dei due lupi si ritrasformò,
rivelandosi essere Crystal. Ancora più confuso, Andrew la
guardò allontanarsi rapidamente, sul viso un’espressione
chiaramente contrariata.
“Stryker e Crystal…? Cosa sta succedendo, qui?”, si
chiese, perplesso. Sicuramente ad Evan non avrebbe fatto piacere
saperlo. O forse non gliene sarebbe importato nulla, fatto sta che si
sarebbe tenuto la cosa per sé.
Un rumore di gola attirò la sua attenzione e tornò a
puntare gli occhi su Stryker, messosi a girare in circolo. Drew avrebbe
voluto restare a ragionare su quello che aveva visto, ma la bestia
dentro di lui fremeva e lo spingeva ad agire.
Tentò di combatterla per un po’, recuperando
momentaneamente il controllo sulle proprie emozioni, ma poi non
riuscì più a contenerla e si ritrovò ad uscire dal
proprio nascondiglio.
Il mondo attorno a lui aveva assunto una sfumatura rossastra e il
sangue gli rimbombava nelle orecchie. L’odore del suo avversario
lo colpiva come un magno, portando la sua salivazione a livelli estremi.
Scrollò vigorosamente il capo, provando a non venire investito
dalle informazioni raccolte dai propri sensi, ma ormai ne era
completamente impregnato. Non riuscendo a calmare quel bombardamento
d’informazioni, scattò in avanti.
Coprì parecchi metri in poco tempo ed annullò la
distanza tra sé e il proprio obiettivo con un balzo, che lo
portò ad atterrare esattamente sulla schiena di Stryker.
Lo scozzese ruzzolò a terra, colto di sorpresa, ma si
rialzò immediatamente. Snudò le zanne contro il nuovo
arrivato e si stupì nel trovarsi davanti il nuovo affiliato.
“Pivello, vuoi farti uccidere?”, grugnì, infastidito. “Non sono in vena di giocare.”
Andrew non rispose e ringhiò, arricciando il labbro superiore
per mostrare le zanne. Sentiva il sapore metallico del sangue in bocca
e un sordo brontolio salirgli lungo la gola: alla bestia non piaceva
esser sottovalutata.
Vedendo che l’altro non sembrava intenzionato a ritirarsi, Stryker assunse la posizione di combattimento.
I due si scrutarono per pochi millesimi di secondo e poi si attaccarono ferocemente.
Si scontrarono con forza, facendo cozzare i propri corpi. Ben presto si
ritrovarono ad usare tutta la parte superiore del corpo, in equilibrio
sulle zampe posteriori.
Sia Andrew che Stryker misero a segno diversi colpi e ben presto le
loro pellicce si riempirono di chiazze di sangue, lì dove
artigli e denti erano penetrati.
Si allontanarono per riprendere fiato, ma non si risparmiarono occhiate e ringhi sommessi. Nessuno dei due voleva perdere.
“A quanto pare ti sei allenato. È stato Evan ad insegnarti
come combattere?”, lo provocò l’uomo.
Drew non rispose subito, concentrato com’era ad elaborare le
mosse successive. Si stava facendo guidare dall’istinto, ma
sapeva che doveva raziocinare e cercare di prevedere le mosse
dell’avversario, se no sarebbe finita male. Forse peggio della
volta precedente.
Per quanto la bestia dentro di lui fosse forte e smaniosa di combattere, lui non possedeva la forza fisica di Stryker.
Analizzò ciò che aveva davanti e, all’improvviso, gli tornarono in mente i suggerimenti di Evan.
Spostò lo sguardo sul lato destro del proprio avversario e
notò la leggera variazione di sfumatura nell’iride,
lì dov’era stata colpita dal veleno.
Si piegò lentamente sulle zampe anteriori, mentre Stryker faceva
lo stesso. Saggiarono entrambi il terreno con le unghie, poi si
lanciarono in avanti. Drew finse di puntare al fianco sinistro, in modo
da obbligarlo a scoprirsi su quello destro.
Lo scozzese sembrò abboccare, ma proprio quando l’altro
stava per deviare la traiettoria dell’attacco, intuì la
sua strategia e lo azzannò con forza alla spalla sinistra.
Guaendo, Andrew tentò di divincolarsi e nel farlo
trascinò a terra con sé il suo contendente. Rotolarono
nell’erba, continuando a lottare furiosamente.
In un impeto di rabbia il giovane riuscì a ferirlo con una
zampata a livello dello stomaco e questo lo costrinse a mollare la
presa ed allontanarsi.
Infastidito, ringhiò il proprio disappunto.
Andrew ne approfittò per controllare i danni alla propria
spalla: la ritrovò completamente intrisa di sangue e con gli
evidenti segni del morso. La vista del liquido rossastro mandò
la bestia su di giri e Drew si ritrovò a balzare in avanti,
pronto ad attaccare.
La situazione gli stava sfuggendo di mano, ma non riusciva a riprendere il controllo delle proprie azioni.
Il dolore che sentiva alla parte ferita non faceva altro che aizzare
maggiormente il suo lato animale e a renderlo più aggressivo, al
pari di un cane con la rabbia. Si avventò contro Stryker e lui
si difese azzannandolo nuovamente alla spalla.
Questa volta la pelle si lacerò a tal punto da scoprire in parte
il muscolo. Lo shock fece rinsavire Drew, che lanciò diversi
uggiolii di protesta.
Lo scozzese lo costrinse a terra, bloccandolo col proprio peso e continuando ad affondare i denti.
“Mi staccherà il braccio di questo passo!”,
pensò con terrore il giovane. Ora che la paura era più
forte della rabbia, la sua parte razionale era riuscita a riprendere il
controllo. Doveva pensare in fretta, se no sarebbe finita molto male.
Con uno sforzo non indifferente riuscì a capovolgersi e far
perno con le tre zampe libere, scrollandosi di dosso l’altro
licantropo. Stryker si avvitò in aria ed atterrò poco
più in là, il muso e la gorgiera completamente sporchi di
sangue.
“Non vuoi ancora arrenderti, pivello?”, lo provocò, snudando le zanne.
Andrew avrebbe voluto farlo, ma ecco che la bestia tornò a far
capolino. Lo spinse a rimettersi in piedi e ad attaccare nuovamente.
Puntò all’occhio destro, ma l’altro non lo
lasciò colpire e lo afferrò saldamente per la collottola.
Strinse con forza e poi lo scrollò diverse volte prima di
lanciarlo lontano da sé. Drew non glielo permise e gli morse il
muso, stringendolo tra le fauci fino a sentire lo scricchiolio delle
ossa.
Il suo avversario si mise a grugnire, tentando di liberarsi e lui ne
approfittò per graffiarlo in profondità sul lato destro.
A quel punto Stryker si liberò con un poderoso scatto, usando i
possenti muscoli del collo e delle zampe. I due contendenti si
staccarono e finirono a terra, sanguinanti.
I loro corpi stavano iniziando a tremare per lo sforzo e la potenza dei colpi, ma nessuno voleva darsi per vinto.
Si rimisero faticosamente in piedi e si scrutarono in cagnesco, pronti
ad un altro round. Stavano per scontrarsi quando un grosso licantropo
con gli occhi tendenti all’ambra si frappose tra di loro.
I due si fermarono, riconoscendo immediatamente il proprio Alfa. Andrew
non l’aveva mai visto in forma di lupo, ma era più che
certo che fosse Dearan.
“Fermatevi, imbecilli!”, ordinò.
La bestia di Drew tentò di ribellarsi all’ordine, ma venne
ben presto messa a tacere dall’autorità del capobranco.
Stryker, dal canto suo, ringhiò il proprio disappunto e si disse
innocente.
Dearan allora si volse verso Andrew, mentre alle sue spalle
sopraggiungevano Alastair e il resto dei lupi presenti in quel momento.
“Non tollero che nel mio branco ci siano lupi
indisciplinati.”, sentenziò, avvicinandosi minaccioso.
“Questa cosa non la riguarda… è una questione tra me e Stryker.”, rispose l’americano.
“Non è concesso sfidare liberamente il Campione:
c’è un protocollo.”, gli ricordò
l’altro, iniziando ad alterarsi.
Drew arricciò il labbro superiore, mentre il lupo dentro di lui
gridava il proprio disappunto. “Anche rendere il nuovo arrivato
l’Omega di turno dipende dal protocollo?”, chiese.
Al che Dearan s’irrigidì e lanciò un’occhiata
al suo secondo in comando. “C’è sempre un Omega nel
branco.”, sentenziò.
“Non sarò io.”, tagliò corto. Spostò
lo sguardo su Alst e si scusò mentalmente con lui,
ringraziandolo per tutto quello che aveva fatto. “Me ne
vado.”
“Non puoi!”, l’Alfa balzò verso di lui, pronto
a colpirlo. “Nessuno lascia il mio branco.”, aggiunse,
ringhiandogli contro e tentando di dominarlo.
Andrew resistette caparbiamente, impedendo a se stesso di sdraiarsi e
mostrare la pancia in segno di sottomissione. Anzi, rispose iniziando a
ringhiare con forza contro quello che avrebbe dovuto essere il suo
capobranco.
Quella reazione indispose ancora di più Dearan, che assunse una
posizione molto più rigida, sollevando il muso e la coda.
“Non osare sfidarmi, Faolàn.”, avvertì.
Il giovane assunse una posizione simile, mantenendo la coda lievemente
più bassa e il corpo in tensione. "Ti sto sfidando. Non
riconosco la tua autorità e non voglio rimanere in questo
branco.”, replicò, cercando di suonare il più
minaccioso possibile.
Negli occhi di Dearan lesse la rabbia, la volontà di rimetterlo
al proprio posto. Ora avrebbe potuto realmente essere ammazzato, ma in
quel momento sembrava che al suo cervello non importasse.
Alle spalle dei tre contendenti, il branco si stava agitando, presagendo guai.
Vedendo che l’Alfa era intenzionato ad ucciderlo (o per lo meno a
dargli una lezione coi fiocchi), Stryker si fece avanti. “Lui
è mio, Dearan. Non puoi ucciderlo.”, protestò.
Il lupo voltò la testa di scatto e mostrò i canini,
arricciando quasi completamente il labbro superiore. Non voleva
intromissioni.
“Dearan.”, questa volta fu Alst a farsi avanti. Nuovamente
l’altro si girò con un movimento repentino. “Lascia
andare il ragazzo. Non è soddisfatto e non farà altro che
creare problemi, se lo obbligherai a restare.”, cercò di
persuaderlo.
“Ha sfidato la mia autorità.”, sibilò.
Il licantropo annuì pacatamente col muso rossiccio. “Vero.
Ma vuoi che la stampa venga a sapere che hai ucciso un lupo per
semplice insubordinazione? O peggio, che nel tuo branco
c’è spazio per l’insubordinazione?”,
proseguì. Stava tentando di toccare i punti giusti, puntando
sull’orgoglio del cugino.
Lo scozzese dilatò gli occhi, colto di sorpresa. No, non poteva
permettere che i lupi del suo branco denigrassero la sua
autorità. Era fuori discussione.
Si voltò lentamente verso Andrew. “Non voglio lupi che
hanno voglia di fare i gradassi all’interno del mio branco. Ti do
mezz’ora per andartene, poi consentirò a Stryker di farti
fuori, nel caso tu fossi ancora sul mio territorio.”,
sentenziò.
A quella risposta Drew avrebbe voluto protestare, ma un’occhiata
da parte di Alst lo convinse a non farlo. Lentamente, con attenzione,
diede le spalle al branco MacGregor.
La bestia dentro di lui protestò, raschiando e ringhiando.
Chiuse gli occhi, trovando la forza per metterla a tacere prima che
potesse riprendere le forze con l’arrivo della notte.
Prese un respiro profondo e poi si avviò al trotto, iniziando a
correre dopo alcuni metri. La ferita alla spalla faceva un male cane,
ma avrebbe dovuto allontanarsi in fretta.
“Evan mi spellerà vivo.”, pensò con una punta
di panico. Ma una parte di lui, non tanto piccola, era orgogliosa di
quello che era successo e di come aveva attaccato sia Stryker che
Dearan.
Sarebbe stato un vero supplizio sopravvivere al plenilunio e, se ci
fosse riuscito senza ammazzare qualcuno, forse avrebbe sviluppato una
particolare forma di bipolarismo che gli sarebbe valsa una camicia di
forza.
Afferrò saldamente gli ultimi scatoloni e li
appoggiò sul vialetto d’ingresso che conduceva alla loro
nuova residenza. -Grazie mille per l’aiuto e la celerità.-
ringraziò David, consegnando quanto pattuito ai due ragazzi che
li avevano aiutati col trasloco.
-Grazie a voi. Se doveste aver bisogno di qualcos’altro, basta telefonare.- disse il più anziano dei due.
-Lo faremo. Arrivederci.
Dopo essersi congedato, Dave raggiunse Evan e prese la sua parte di
scatoloni. Poi alzò la testa verso le finestre degli ultimi
piani e sospirò. –Iniziamo questa nuova avventura.- disse
a mezza voce.
Van gli lanciò un’occhiata mentre saliva la prima rampa di
scale. Con l’ascensore ci avrebbero messo troppo tempo e poi
odiava star chiuso in scatole di latta. –Dave, ti ricordo che hai
acquistato il duplex che si trova sullo stesso pianerottolo
dell’appartamento di Amanda. Possiamo farcela, non credi?- gli
fece presente.
-Sì, ma… Dio, questo tipo di architettura è così limitante!- si lamentò.
L’altro sollevò un sopracciglio. –Limitante?
Annuì. –Sì, poche possibilità per sistemare
gli spazi, ambienti poco illuminati, camere di dimensioni ridotte
e…- iniziò ad elencare.
-Ho capito, fermati. Abbiamo acquistato un duplex proprio perché
così avrai più possibilità di modifica. So che sei
capace di fare miracoli, quando si tratta di ristrutturazioni.- lo
bloccò l’amico.
-Non cercare di adularmi.- l’inglese gli lanciò
un’occhiataccia e poi lo superò lungo le scale,
accelerando il passo. Evan scosse la testa, divertito: David brontolava
spesso e volentieri, ma alla fine sapeva fare magie col computer e la
propria fantasia.
Arrivarono al piano e, dopo aver armeggiato un po’ con la
serratura, entrarono nell’appartamento. Quando Van lo vide, si
mise le mani sui fianchi e guardò eloquentemente l’amico.
–E questo ti pare uno spazio limitante?- domandò.
-Certo. Mi servirebbero minimo centocinquanta metri quadri per
esprimere il mio estro! Questo è a malapena centoventi.-
replicò con finto tono saccente.
Lo scozzese scosse la testa, lasciandolo continuare con le sue critiche alla loro nuova casa.
Tornò sul pianerottolo ed iniziò a portare
all’interno le prime scatole. Finite quelle sul piano,
avvertì Dave dicendogli che scendeva a recuperarne altre.
L’amico era già impegnato a disporre le loro cose e sembrò non averlo nemmeno sentito.
Quando arrivò al piano terra, un odore familiare stuzzicò
le sue narici. Facendosi perplesso si voltò nella direzione da
cui proveniva e si stupì di vedere Amanda.
Quando la ragazza si accorse della sua presenza si bloccò e,
senza sapere bene perché, arrossì fino alla punta dei
capelli, portandosi subito dopo la mano alla gamba ferita.
Van lo notò. –Problemi con la gamba?- le chiese. Avvertiva
l’odore del suo sangue, ma era abbastanza lieve. Lei si
agitò immediatamente, tentando inutilmente di camuffare
l’odore. –Riesco comunque a sentirlo.- le fece presente,
annullando i suoi sforzi.
-Si è… riaperta. Leggermente.- mormorò Mandy.
–Non voglio causare problemi. Più tardi la
sistemerò. Siete appena arrivati?- cercò di cambiare
argomento, indicando le scatole che reggeva tra le mani.
-Sì. Dopo posso controllarla, se vuoi.- le rispose.
Lei scosse la testa. –Non c’è bisogno, veramente.- rifiutò gentilmente.
Mentre stavano parlando, il giovane MacGregor percepì un altro
odore conosciuto. Puntò lo sguardo oltre Amanda e vide comparire
Eric, il nuovo membro del branco. La cosa che lo lasciò basito,
però, non fu la sua presenza ma il suo aspetto.
A giudicare dalle ferite e dai lividi, era reduce da una bella scazzottata sovrannaturale.
“Fantastico. Non vedevo l’ora di avere un individuo
indisciplinato nel gruppo.”, pensò, alzando gli occhi al
cielo.
-Capitano…- mormorò il giovane, la testa bassa nel tentativo di rifuggire il suo sguardo.
-Vai di sopra, muoviti. Non vorrei che qualcuno si spaventasse, vedendoti così.- gli disse con tono deciso.
L’europeo fece per obbedire, ma si fermò alla vista di un altro lupo. –Ehm… capo…
Van si voltò, pronto a sbottare qualcos’altro, quando
incontrò lo sguardo di Andrew. I loro occhi s’incontrarono
per un istante, poi prese nota del fatto che era in forma animale,
aveva una spalla lacerata e numerose ferite sul resto del corpo.
“Sento l’odore di Stryker.”, constatò,
infastidito. Con la coda dell’occhio vide Amanda già
pronta a precipitarsi dall’amico, ma la fermò con un gesto
perentorio del braccio. –Salite tutti di sopra. Immediatamente.- ordinò con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Era solo il primo giorno e le cose avevano già preso la piega sbagliata.
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Capitolo 17 *** Cap. 16 Un branco atipico ***
Cap. 16 Un branco atipico
Questa volta l'aggiornamento è arrivato prima del previsto... scusate ancora per i tempi biblici d'aggiornamento :(
Comunque... in questo capitolo troverete piccole rivelazioni che si
ricollegano ad indizi sparsi nei precedenti episodi. Abbiamo un
possibile sviluppo per il misterioso omicidio ed un salvataggio da
programmare. E in fretta, anche!
Non vi dico altro, buona lettura :)
Cap. 16 Un branco atipico
Si riunirono tutti all’interno dell’appartamento di
Amanda, dato che era il più vicino e la ragazza aveva già
invitato gli altri ad entrare prima che Evan potesse protestare.
I presenti si raggrupparono al centro della zona giorno, guardandosi
l’un l’altro con espressioni totalmente discordanti.
Van fu l’ultimo ad entrare. Chiuse la porta con estrema lentezza,
cercando le parole per confrontarsi con i due nuovi acquisti del
branco. Purtroppo, però, dentro di sé riusciva a trovare
solo improperi, la maggior parte nella sua lingua madre.
David gli si avvicinò, avendo percepito il tumulto che aveva
dentro. Si scambiarono una rapida occhiata e l’inglese
sgranò leggermente gli occhi, stupito. –Evan…-
iniziò, ma l’amico lo zittì con un gesto deciso
della mano e lo superò.
Guardò prima Andrew, le cui ferite testimoniavano uno scontro
con Stryker, e poi Eric, che probabilmente aveva osato ribellarsi ad
Aleksandr.
-Ci troviamo in un momento di grandi cambiamenti, abbiamo un branco
intero che vuole farci fuori per non si sa bene quale ragione e voi
pensate bene di andare a fare a pugni… ma cosa diavolo vi dice
il cervello?! Damnù air*!!- esplose lo scozzese.
I due giovani abbassarono immediatamente lo sguardo, rifuggendo
la rabbia del loro capobranco. Erica sapeva bene a cosa sarebbe andato
in contro tenendo il capo sollevato, mentre Drew, pur non essendo a
conoscenza di tutte le dinamiche del branco, l’aveva fatto per
evitare di provocare ulteriormente Evan.
Nonostante tutto avevano un po’ di sale in zucca.
La più sconvolta da quell’inaspettato scoppio d’ira
fu Amanda, che fissò senza parole tutti i presenti. Sin da
quando lo conosceva, aveva capito una cosa di quell’uomo: non
mostrava mai le proprie emozioni.
Non sapeva perché e non aveva voluto impicciarsi, fatto sta che
a malapena l’aveva visto sorridere genuinamente. Ed ora stava
imprecando in gaelico e maledicendo la stupidità dei due giovani
lupi.
“Meglio non far arrabbiare uno scozzese…”, decise,
tenendosi in disparte. “Anzi, meglio non far arrabbiare Evan e
basta.”, si corresse.
La collera del diretto interessato fiammeggiò per alcuni minuti,
facendo ardere la sua aura come un fuoco alimentato dalla benzina. Si
avvolgeva in spirali tutt’attorno a lui, avviluppandosi al suo
corpo e materializzando forme diverse ad ogni guizzo.
Dave non l’aveva più visto in quello stato da quando
Dearan gli aveva annunciato l’avvento delle sue nozze con
Crystal. “Un scoppio degno del vecchio Evan.”,
considerò, impressionato. Il suo ringhio aveva riverberato lungo
la sua colonna vertebrale come se fosse stato un diapason e non una
persona in carne ed ossa. Quella manifestazione di potere eliminava
qualsiasi dubbio circa il nuovo ruolo assunto dall’amico: era un
Alfa, in tutto e per tutto.
Alfa che, in quel momento, stava percorrendo il salone a grandi
passi. La bestia dentro di lui si era risvegliata con lo stesso fragore
di un tuono ed ora premeva per essere lasciata libera.
Digrignò i denti, maledicendo ancora una volta i giovani lupi e
poi afferrò con entrambe le mani il davanzale di una finestra,
puntando lo sguardo sul bancale di marmo.
Seguì le venature della pietra, le variazioni di colore fino a
quando non avvertì il lupo chetarsi e la calma tornare a
prendere possesso del suo corpo. Aveva frantumato il proprio guscio
emotivo e non sapeva se sarebbe riuscito a ricostruirlo.
La cosa in quel momento non lo preoccupava così tanto, ma dopo l’avrebbe fatto.
Prese un respiro profondo e poi si voltò a fronteggiare il resto
del branco. –Andrew, sei andato al Wolf’s Pond per sfidare
Stryker?- chiese con voce apparentemente piatta.
-Sì.- fu costretto ad ammettere l’americano.
Van digrignò i denti, sentendo la rabbia rinfocolarsi. –A
quanto vedo sei riuscito a mettere in pratica quello che ti ho
detto… ma questo non toglie il fatto che il tuo gesto sia stato
veramente stupido ed irresponsabile. Per quello che hai fatto dovrei
romperti l’altro braccio e mandarti in isolamento.- disse,
tenendo lo sguardo fisso sulla nuca del ragazzo.
A quelle parole Andrew deglutì, iniziando a sudare freddo. Non
sentiva più nemmeno il dolore causato dalle ferite, c’era
solo la paura di vedersi attaccare. –Se… se credi che sia
la cosa giusta da fare…- riuscì a dire. Non sapeva come
ci si comportava in quelle occasioni e aveva detto la cosa più
sensata che gli era venuta in mente.
In più, considerate le sue condizioni non propriamente ottimali,
non avrebbe potuto opporsi nemmeno volendo. L’aver dato ascolto
alle proprie pulsioni si stava rivelando una cosa veramente idiota.
-No! Sei pazzo?- Amanda si mise in mezzo, senza riuscire a trattenersi
dal farlo. Evan voltò di scatto la testa e la fulminò coi
suoi occhi, il cui colore in quel momento era molto simile
all’acciaio. –Non puoi spezzargli l’altro
braccio…- aggiunse, con meno convinzione. Un brivido freddo la
scosse, obbligandola ad avvolgersi il corpo con le braccia. Andrew la
ringraziò mentalmente, grato per il suo costante supporto.
-Non lo farò. Non seguo le regole di mio padre e non ritengo
necessario versare altro sangue.- le disse, tornando poi a guardare il
diretto interessato. –Nonostante io ora sia il tuo Alfa, non ti
punirò.- concluse, addolcendo impercettibilmente il tono della
voce.
A quelle parole Drew sollevò la testa, smettendo di fissare
Amanda. –Come fai a sapere che non faccio più parte del
branco di tuo padre?- chiese, stupito.
-Non lo senti anche tu?- replicò l’altro. –E’ come essere legati a doppio filo.
-Non… non volevo causare tutti questi problemi. Io…-
iniziò. Il senso di colpa stava iniziando a farsi sentire,
prepotentemente.
David si fece avanti. –Stai avendo problemi a controllarti con
l’approssimarsi della luna piena. È normale, ma non devi
assecondare la bestia, devi trovare un equilibrio tra le due
metà della tua persona. A meno che tu non voglia fare una
carneficina… o farti ammazzare.- disse l’inglese.
Pur se con un profondo senso di vergogna, Andrew dovette accettare le
sue parole. –Potrei fare del male a qualcuno?- chiese.
-In particolare a te stesso. Ma sia io che David ti sorveglieremo, domani notte.- rispose Evan.
Senza dire una parola, Drew si limitò ad annuire e a lasciarsi
cadere lentamente a terra, indebolito dalla fuoriuscita di sangue.
Amanda gli si avvicinò, chiedendogli come si sentisse.
Vedendolo indebolito e rendendosi conto che quello era il suo primo
intervento in qualità di Beta, David si sfilò la maglia
che indossava e la usò per tamponare la ferita del nuovo membro
del branco.
Nel mentre Van stava rimettendo lentamente sotto controllo la propria
bestia, ma si stava anche preparando per affrontare l’altro nuovo
affiliato, sul punto di esplodere.
-Io non volevo far parte di questo branco!- sbottò infatti Eric.
Dopo aver assistito allo sfoggio di potere dell’Alfa, aveva
deciso comunque di opporsi a tutta quella situazione. –Non
capisco perché mio zio mi abbia allontanato…- aggiunse,
arrivando a mettere il broncio.
-Perché devi imparare a rispettare gli altri, il loro ruolo e le
loro decisioni.- gli fece notare Evan. Incrociò le braccia
davanti al petto e gli dedicò una lunga occhiata, prima di
aggiungere:–A quanto pare non sai stare al tuo posto.
Il ragazzo s’indispose ancora di più. –Conosco il mio posto!- abbaiò.
Van scattò a sua volta, facendo schioccare la mascella e
mostrando le zanne con fare minaccioso. –A quanto pare no.-
ringhiò con voce metallica.
I due si fronteggiarono in silenzio, occhi negli occhi. David poteva
sentire il battito sordo del cuore di entrambi e la frustrazione del
giovane americano. Mentre Evan… Evan era un miscuglio di
emozioni non ben definite. Un gemito di Andrew lo costrinse a
distogliere lo sguardo e ad aumentare la pressione sulla spalla, la
quale stava iniziando a perdere molto meno sangue.
Passarono diversi minuti e, con suo grande disappunto, Eric fu
costretto a dichiararsi sconfitto. –Cosa vuoi che
faccia…?- domandò, remissivo.
-Aiuta Amanda a pulire e poi vai a sistemare le tue cose nel nostro
appartamento. Si trova dall’altra parte del pianerottolo.-
ordinò, perentorio.
Sottomesso, l’europeo fece come gli era stato ordinato e si avvicinò a Mandy, pronto a dare una mano.
La ragazza, ancora disorientata, guardò prima Drew e poi Dave.
–Vi serve una mano..?- si premurò di chiedere.
-No, ce la caveremo.- le sorrise gentilmente l’inglese, togliendo
il tampone ed osservando la ferita con aria soddisfatta. Lei allora
fece un cenno col capo e si rialzò lentamente in piedi. Le
fasciature che aveva attorno al busto e alla gamba le davano parecchio
fastidio ma, in confronto alle condizioni di Andrew, non erano nulla di
grave.
Si diresse verso il bagno ed andò a recuperare secchio e straccio, assieme ad un paio di guanti.
Quando tornò nella zona principale della casa,
ritrovò Andrew premuto contro la parte bassa del divano. Aveva
la fronte madida di sudore ed un panno stretto saldamente tra i denti.
Solo in quel momento si rese conto che, dopo essersi ritrasformato,
nessuno gli aveva offerto dei vestiti ed aveva solamente un cuscino a
coprire l’indispensabile. Il sangue si era praticamente fermato e
la maglia di David giaceva abbandonata sul pavimento, completamente
chiazzata di rosso.
Evan si era tolto la giacca e le scarpe ed era inginocchiato davanti a
lui. –Dovrò romperti le ossa del braccio perché si
stanno rinsaldando male e poi sistemarti la lussazione. Sarà
doloroso.- lo avvertì, fissandolo dritto negli occhi.
A quelle parole la ragazza impallidì, dimenticandosi del sangue
per terra e delle fitte che ogni tanto le arrivavano dalla gamba.
–C-cosa…?- gracchiò.
David si voltò a guardarla. –Dobbiamo sistemargli il
braccio, se no non guarirà nel modo corretto.- le spiegò,
cercando di non suonare allarmante. –Il sangue si sta già
fermando e la ferita si rimarginerà da sola.
Lei fece per protestare, ma si trattenne e si morse il labbro
inferiore. Prese un respiro profondo ed annuì, dando segno
d’aver capito. Drew le dedicò uno sguardo spaventato,
prima di voltarsi e focalizzarsi sulle parole di Evan.
-Se vuoi puoi anche non guardare…- le suggerì il nuovo
arrivato. Mandy scosse la testa, sistemando l’occorrente per
pulire sul tavolo. Si appoggiò alla superficie liscia del mobile
ed attese.
Quando Van ruppe l’ulna, Drew soffocò l’urlo che
voleva uscirgli di bocca solo grazie al panno. Le successive due
manovre gli ruppero anche il radio ed il polso e ad ogni sonoro crack
il ragazzo affondò i denti nella stoffa, sperando che finisse
presto.
-Ok, questa è fatta. Ora la lussazione.- annunciò il
giovane MacGregor. Attese che il suo paziente prendesse fiato e poi gli
appoggiò il piede vicino all’articolazione, afferrando
saldamente il braccio all’altezza del gomito e del polso.
–Sarà doloroso, ma rapido.- promise, prima di tirare e far
rientrare la spalla.
-E’ fatta!- lo rassicurò David, dandogli una pacca leggera
sulla spalla sana. Andrew lasciò la presa sul panno e si
concesse un sorriso, sollevato.
Anche Amanda sorrise, grata che fosse andato tutto per il meglio.
Per la seconda volta.
“Dovrò abituarmi a vedere scene del genere.”, si
disse. Ora che i lupi si erano trasferiti nel suo stesso palazzo li
avrebbe avuti in giro per casa molto spesso. Sperava solo di riuscire a
conciliare tutto quanto: lavoro, problemi sovrannaturali e vita di
tutti i giorni.
-E’ stato bravo, considerato che è un licantropo da poco
tempo.- il commento di Eric la distolse dai suoi pensieri. Vedendo la
sua espressione confusa, il ragazzo si affrettò ad allungare la
mano e dire:-Eric Camden, piacere.
-Oh… Amanda Miller, piacere mio.- la strinse, sorridente.
–Vuoi… vuoi che ti disinfetti le ferite?- chiese dopo un
po’, indicando con circospezione il taglio che aveva sul
sopracciglio destro.
-Come? Oh, no, non c’è bisogno… le porterò
con orgoglio.- le rispose, sfoggiando un sorriso un po’
strafottente. Lei mormorò qualcosa, per poi prendere il secchio
e metterlo sotto il rubinetto del lavello. –Cosa devo
fare…?- le chiese dopo un po’.
Mandy irrigidì le spalle senza volerlo. “Ecco la mia
proverbiale timidezza verso gli sconosciuti che fa capolino quando non
deve.”, pensò, infastidita. –Ehm…
nulla… posso farcela.- rispose, tenendo d’occhio il
livello dell’acqua ed aggiungendo il detersivo. A quanto pareva
solo Evan era riuscito a tirarla fuori dal guscio in tempi record.
Ovviamente farla arrabbiare era stato sicuramente d’aiuto.
-Sì, ma il capitano mi ha detto di aiutare.- insistette il ragazzo.
Vedendosi sotto pressione, Amanda annuì qualche volta e gli
allungò uno straccio, dopo averlo strizzato energicamente nel
lavello. –Inizia dalla porta… io pulisco in sala.- disse,
allungandogli anche lo spazzolone.
Eric fece un cenno d’assenso ed iniziò a pulire,
nonostante non fosse esattamente nelle sue corde. L’esser stato
strigliato a dovere dal suo nuovo Alfa era, però, un grosso
incentivo a non combinare altri casini. Almeno per un po’ di
tempo.
Lentamente e con circospezione, Mandy si avvicinò al
divano. L’aria, lì attorno, era ancora elettrica a causa
della presenza di Evan. Quando si avvicinò ai tre lupi
poté sentire i peli delle braccia rizzarsi e un brivido
scorrerle lungo la spina dorsale.
Si fece educatamente spazio e lanciò un’occhiata ad
Andrew, ancora pesantemente appoggiato al divano. –Drew, vuoi
salire a riposarti?- gli chiese, solerte.
Il ragazzo aprì un occhio e poi, a fatica, annuì. Doveva
essere sicuramente spossato dall’intervento di Evan, il quale non
sembrava aver avuto la mano leggera.
-L’appartamento è di sopra, vero?- s’informò
David, già pronto a sollevarlo. Amanda annuì,
affrettandosi a recuperare la copia delle sue chiavi ed
allungandogliela. –Grazie. Forza Drew, andiamo.- lo
afferrò saldamente per i fianchi e poi lo tirò in piedi.
-Posso camminare…- tentò di protestare il giovane,
arrossendo visibilmente. La bestia dentro di lui dissentì a gran
voce, ringhiando il proprio disappunto.
Al che Evan emise un ringhio talmente basso da esser quasi inudibile,
ma abbastanza potente da rimetter al suo posto il lupo. -Vedi se riesci
a dormire: la prossima notte non sarà una passeggiata.- gli
consigliò il giovane MacGregor. –Ah, Dave, aiutalo a
pulire la ferita alla spalla, così non sporcherà mezza
casa cercando di farlo da solo.
I due annuirono e si avviarono lentamente, superando Eric nei pressi
della cucina. Il poliziotto li guardò uscire, ma non disse nulla.
Comprendeva appieno quello che stava passando Andrew: anche lui aveva
faticato parecchio prima di arrivare ad avere un buon controllo sulla
propria bestia.
Ed era nato licantropo. A volte essere una creatura soprannaturale faceva proprio schifo.
Mentre rimaneva ad ascoltare i due lupi salire le scale, Evan lo fece
riemergere bruscamente dai suoi pensieri. –Hai qualcosa di
rotto…?- chiese. La sua voce era ancora ruvida per la rabbia, ma
non era riuscito a mascherare la propria preoccupazione.
-No, solo l’orgoglio.- rispose l’altro, scuotendo lentamente il capo.
-Quello prenderà altre batoste, non ti preoccupare.-
assicurò, suonando abbastanza pungente. Eric rispose con una
smorfia, poi tornò al proprio lavoro.
Amanda, invece, era impegnata a rimuovere la fodera del divano, dato
che buona parte si era sporcata di sangue. Avrebbe tanto voluto
protestare, ma cos’era un mobile in confronto alla vita di Andrew?
Gli oggetti si possono ricomprare, le persone non si possono rimpiazzare così facilmente.
Con un sospiro terminò di sfoderare il divano, raccolse tutto
ciò che si era sporcato con un’unica mossa e poi si
diresse rapidamente verso il bagno.
Si chinò davanti alla lavatrice ed iniziò a stipare i
panni al suo interno, cercando di ignorare il forte odore di sangue.
Mentre caricava il cestello, non poté fare a meno di reprimere
un brivido. Si fermò qualche istante, giusto il tempo per
rendersi conto che aveva iniziato a piangere.
-Ma cosa…?- stupita, si deterse le lacrime dal viso. A quanto
pareva, dopo tutte le stranezze delle ultime settimane, i suoi nervi
avevano ceduto, dando libero sfogo al suo stress sotto forma di pianto.
Respirò lentamente, accettando la reazione del proprio corpo e
cercando di non farsi sentire da Eric o da Evan. Chissà
cos’avrebbero pensato di lei se l’avessero vista piangere.
Si concesse qualche altro istante di autocommiserazione e poi
terminò di caricare la lavatrice, avviando subito dopo il
programma di lavaggio.
Quando si rialzò, pronta a tornare in sala, si ritrovò la
strada sbarrata da Eric. Per poco non cacciò uno strillo,
rivelandosi più isterica di quanto non fosse.
-Ho finito.- annunciò il ragazzo, ancora un po’ scocciato.
Poi, avvertendo un sentore salato nell’aria, aggiunse:-Tutto ok?
-Sì… ho solo avuto un cedimento momentaneo.-
sdrammatizzò lei. L’altro fece per aggiungere qualcosa, ma
lei non glielo permise, superandolo ed uscendo dalla stanza.
Eric si grattò una guancia, per nulla convinto. Il suo istinto
animale gli diceva che c’era qualcosa che non andava in quella
ragazza, ma non voleva risultare molesto già dal primo giorno
per cui si sarebbe trattenuto.
Dato che il grande capo era sceso di sotto per recuperare gli altri
scatoloni del trasloco, ne approfittò per darsi
un’occhiata allo specchio e controllare che aspetto avesse.
“Cavoli, mamma farebbe fatica a riconoscermi.”,
considerò, facendo una smorfia e tastando con attenzione lo
zigomo sinistro, visibilmente gonfio. A parte il viso, c’erano
molte altre parti che gli dolevano, ma suo zio non c’era andato
giù pesante (non più del solito, almeno) e non aveva
nessuna emorragia interna o ferite gravi.
Appoggiò le mani ai lati del lavabo e restò a fissare la
propria immagine riflessa per qualche istante. Poi si guardò
intorno ed ispezionò coi sensi l’appartamento in cui si
trovava.
Non sapeva esattamente chi fosse Amanda, ma una cosa era certa: era
coinvolta fino al collo in tutta quell’assurda faccenda.
Inoltre era quasi certo che mancasse un membro del branco, ossia la
persona appartenente al gruppo dei Blacks che aveva obbligato Evan a
trasferirsi nei territori di Aleksandr.
“Benvenuto nella tua nuova e stramba famiglia, Eric.”, si disse.
***
Aveva appena finito il turno in ufficio e stava rientrando a
casa, nonostante non desiderasse altro che scappare lontano, da tutto e
da tutti.
Da quando suo fratello era morto si era sentito devastato e a nulla
erano valsi i tentativi di sua moglie per aiutarlo. Si era
semplicemente chiuso in se stesso, avviluppandosi nel dolore.
Dopo il dolore, però, la notizia terribile: era stato accusato
dell’omicidio di William e il suo Alfa aveva richiesto
un’ammenda di sangue.
Ancora non si capacitava della cosa e il suo cervello si rifiutava di
elaborare il fatto che, da lì a poche ore, avrebbe dovuto
scontrarsi col Campione per espiare la propria colpa.
Colpa di cui non si era macchiato.
Non avrebbe mai osato torcere un solo pelo della gorgiera di William,
figurarsi ucciderlo a sangue freddo. E poi, come avrebbe potuto mettere
in atto l’omicidio se, al momento del fatto, si trovava
dall’altra parte del mondo?
Nonostante l’assurdità delle circostanze, Ethon non aveva
voluto sentire ragioni e l’aveva condannato fino a prova
contraria.
Ma considerata la sua spiccata inabilità al combattimento (era
il contabile del branco per un motivo), lo scontro che doveva decidere
le sue sorti di sarebbe risolto nella sua morte. Certa, definitiva,
senza possibilità d’appello.
“Io non so chi sia il bastardo che ti ha ucciso, Will, ma cercherò di scoprirlo.”, promise.
Senza rendersene conto era già arrivato nell’atrio
dell’edificio. Estrasse il badge e lo passò davanti allo
scanner, rendendo nota la fine del suo turno.
Determinato a non soccombere, ma con la morte nel cuore al solo
pensiero di non poter più vedere il fratello, Conrad raggiunse
la propria macchina. Vi salì con gesti meccanici e poi
partì alla volta di casa, ossia del quartiere che condivideva
col resto del branco.
Una volta arrivato trovò sua moglie ad attenderlo sulla soglia
di casa, gli occhi lucidi e il viso sofferente. Lei era l’unica
ad avergli creduto, l’unica a schierarsi dalla sua parte.
Nonostante fosse un membro stimato all’interno del gruppo,
nessuno dei suoi amici aveva fatto lo stesso. Avevano tutti detto che
non si poteva negare la verità e la verità era che lui
aveva ucciso William.
-Conrad, non puoi sottostare a questa decisione. Andiamocene!- Rachel
si aggrappò con forza alle sue spalle, implorandolo di trovare
un’altra soluzione. Sapevano tutti e due che le sue chances erano
molto vicine allo zero.
-Non posso fuggire. Devo dimostrare la mia innocenza.- replicò
lui, la voce resa roca dall’ansia e dal dolore. Al di là
della morte, ciò che lo faceva stare male era sentirsi accusare
di aver potuto meditare un atto tanto atroce come il fratricidio.
Sua moglie scosse ostinatamente la testa. –Non devi dimostrare
niente a nessuno!- ribattè, le lacrime ormai pronte a sgorgare.
Conrad la guardò con amore, grato di avere il suo sostegno in
quell’ora buia. –Ti amo, Rach.- sussurrò, chinandosi
per darle un bacio. Forse l’ultimo.
Lei tentò di trattenerlo, ma lui la staccò gentilmente da
sé e si avviò lungo la strada, verso il recinto sacro
dove era stato allestito il Ring.
Avrebbe combattuto e avrebbe cercato di sopravvivere per far sì
che il vero assassino di Will fosse consegnato alla giustizia del
branco.
“Non puoi farcela…”, gli disse una voce malevola
dentro di lui. Probabilmente era vero, ma sperare in una riduzione
della pena era inutile.
Nonostante al lupo imputato venisse data la possibilità dello
scontro, l’Ammenda per un omicidio era la morte
dell’uccisore stesso.
A meno di un miracolo.
Conrad aveva smesso da tempo di credere nei miracoli, ma quella sera si
ritrovò a pregare con tutte le sue forze, nella vana speranza di
ottenere un aiuto dall’alto.
L’ultima cosa che vide, prima di entrare nel recinto, fu lo sguardo devastato di Rachel.
***
Dopo aver sistemato tutte le loro cose ed essersi assicurati che
Andrew stesse bene, Evan, David ed Eric si erano ritirati nel loro
appartamento, lasciando ad Amanda un po’ di privacy.
La ragazza si era fatta visitare da MacGregor, che le aveva cambiato la medicazione con una meno invasiva.
Ora Evan se ne stava in salotto, appollaiato sul davanzale della
finestra. David, al suo fianco, stava lavorando ad un progetto che
avrebbe dovuto consegnare da lì a tre giorni. Fortunatamente,
nonostante tutto quello che era successo, i suoi clienti non si erano
fatti indietro e le commissioni avevano continuato ad arrivare.
-Dannata tecnologia!- sbottò ad un certo punto l’inglese.
Mollò con poca grazia il mouse ed ingiuriò il pc,
apparentemente bloccato da un’operazione troppo complessa.
Van gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla, prima di chiedere:-Cos’è successo?
Dopo la sfuriata di poche ore prima si sentiva stranamente molto
più calmo, soprattutto perché la sua parte animale
sembrava essersi assopita per un po’. Nonostante lui e Dave
appartenessero all’ultimo ceppo genetico, questo non voleva dire
che la vicinanza al plenilunio non facesse risvegliare in loro istinti
primordiali.
Spesso erano semplicemente più facili da canalizzare e sfruttare nel combattimento. Ma non sempre.
-Farò causa alla ditta produttrice: non è possibile che
il programma si blocchi per colpa di un’operazione booleana.-
brontolò in risposta l’amico.
Van sollevò un angolo della bocca, divertito dal tono di David.
C’erano delle volte, soprattutto mentre lavorava, in cui finiva a
lamentarsi come un bambino. Poi, subito dopo, tornava ad entusiasmarsi
e dimenticava persino perché stava brontolando.
A meno che tutto ciò non accadesse di mattina: allora ricordava
benissimo il motivo delle sue lamentele e sapeva ricordarlo anche agli
altri, il più fisicamente possibile.
-Lascia perdere il progetto per un po’…- gli suggerì.
Il riccio allora aggirò il tavolo e lo raggiunse, appoggiandosi
con la schiena al muro ed incrociando le braccia al petto.
–Allora, grande capo, qual è il bilancio per il primo
giorno?- chiese, con finto tono militare.
Evan si lasciò sfuggire una smorfia. –Poteva andare
peggio… ma poteva anche andare meglio. Proprio non capisco
perché i giovani lupi debbano comportarsi come idioti.-
commentò.
-Ah, be’, non sono sicuramente la persona giusta a cui chiedere, non trovi?- replicò divertito l’inglese.
L’altro lo guardò confuso, poi capì
l’allusione ed annuì con un sorrisetto.
–Già… siamo stati due idioti anche noi.- dovette
ammettere.
-Be’, almeno ora sappiamo cosa fare per aiutare i cuccioli.-
disse Dave, accennando col mento verso la camera di Eric.
–Fortunatamente stanno dormendo della grossa tutti e due. Questa
cosa mi fa dubitare che siano licantropi.- aggiunse.
-Le hanno prese tutti e due, oggi: il loro corpo deve rigenerarsi.- replicò lo scozzese.
Restarono in silenzio per un po’, osservando pensierosi la luna
alta nel cielo, in tutto il suo rilucente splendore. –Credi che
riusciremo a tener a bada Andrew?- chiese dopo un po’ Evan.
David cambiò leggermente posizione. –Penso di sì.
Dobbiamo aiutarlo ad allontanare le emozioni negative e a trattenere
quelle che gli sono utili.- disse, sicuro.
-Non voglio dovermi imporre su di lui come faceva mio padre…-
ammise l’altro. Abbassò il capo e lasciò che i
capelli gli coprissero il viso. –Non voglio diventare quel tipo
di Alfa.
Capendo le sue paure, l’amico gli strinse con forza una spalla.
–Andrai alla grande, ne sono sicuro. Devi solo imparare a
comunicare con gli altri… insomma, ultimamente non sei molto
aperto al dialogo e alla socializzazione.- quello che era iniziato come
un incoraggiamento finì in una battuta.
-Tu sì che sai rassicurare le persone.- commentò senza nessuna ironia.
David si concesse una breve risata, ma poi si fece serio. –Tu sei
diverso da Dearan: hai una testa che ragiona e non hai bisogno di
amputare dita delle mani o dei piedi per farti obbedire.- gli disse,
alludendo ad un vecchio episodio risalente alla loro vita in Scozia.
-Non è questione di obbedienza…- protestò
l’altro, puntellando il braccio su un ginocchio ed
appoggiandovisi sopra. –Ma di saper essere un punto di
riferimento per gli altri. Non è una cosa che ti insegnano alla
scuola per licantropi.- si passò una mano tra i capelli,
sospirando.
-E’ normale avere paura, Van.- mormorò l’inglese,
comprensivo. Non sapeva bene perché, ma Evan stava cercando di
mettersi a nudo e lui voleva aiutarlo. Era tantissimo tempo che non gli
confidava i propri pensieri più profondi e la cosa l’aveva
fatto sentire inaffidabile.
-Non è paura, solo… ho già stravolto le vite di
molte persone, come posso prendermene cura?- chiese, guardando
intensamente fuori dalla finestra. Non voleva incrociare lo sguardo di
Dave per evitare che vedesse la confusione nei suoi occhi.
-Il solo fatto che tu ti stia preoccupando di non essere
all’altezza indica quanto tu sia diverso da Dearan. Non sei
diventato Alfa per diritto di sangue, ma grazie alle tue qualità
di essere umano.- insistette il riccio. –Ma se non sei convinto
dovresti chiamare Alst e parlare con lui.- aggiunse dopo un po’,
facendo spallucce.
Non avrebbe voluto esser surclassato dal loro mentore, ma sapeva che
Alastair sarebbe stato in grado di rassicurare Evan in modo molto
più efficace. Avrebbe voluto essere in grado di farlo lui
stesso, ma aveva ancora troppa poca esperienza alle spalle.
A quelle parole lo scozzese rialzò la testa. –Come ho
fatto a dimenticarmene? L’omicidio!- si alzò con un
movimento fluido ed andò a recuperare il cellulare.
-L’omicidio?- ripetè David, perplesso. Osservò
l’amico muoversi per la stanza, recuperare il telefono dal
tavolino da caffè in sala e tornare verso la finestra.
-Salgo sul tetto. Non dovrei metterci tanto.- lo avvertì.
-Sì, ma stavamo avendo una conversazione…- cercò di protestare Dave.
Van esitò un attimo, poi scivolò fuori. –La
continueremo più tardi.- disse, prima di sparire sulla scala
antincendio.
L’inglese rimase a fissare gli scalini di lamiera per qualche
istante ancora, poi scosse la testa e tornò al proprio lavoro.
Se Evan aveva così tanti pensieri per la testa da diventare sbadato, la cosa iniziava a farsi veramente seria.
Avviò la chiamata e si issò sulla cabina
dell’ascensore, com’era solito fare nel vecchio palazzo. I
tetti degli edifici di New York tendevano ad assomigliarsi tra di loro,
a quanto pareva. A parte il fatto che questo aveva uno spazio adibito a
patio, con piante e un porticato.
Osservò incuriosito l’intera sistemazione, chiedendosi chi
l’avesse realizzata. “Potrebbe essere stata
Amanda…”, considerò, ricordando i vasi contenenti
gli odori più usati in cucina.
Seguì i propri pensieri mentre questi vagabondavano tra
argomenti poco impegnativi, fino a quando Alastair non rispose.
–Evan! Sai quanto tempo è passato dall’ultima volta
che ti sei fatto vivo?- lo rimproverò lo scozzese.
Il giovane MacGregor fece alcuni rapidi conti. –Parecchio. Mi dispiace, ho avuto da fare.- si discolpò.
-Ho saputo che c’è stato un trasferimento di branco.- buttò lì l’altro.
-Esatto. A quanto pare i Blacks hanno un conto in sospeso con me senza
che io lo sapessi.- confermò, strofinandosi il mento. Aveva
lasciato crescere la barba ed iniziava a dargli fastidio.
-Un branco non porta rancore senza un motivo.- gli fece presente l’amico.
Van annuì tra sé, ben conscio della cosa.
–Sì… ma a quanto pare un nuovo membro del gruppo
sembra aver qualcosa contro di me. L’unica cosa che so è
che ha un accento europeo ed è abbastanza antico da avere
un’aura particolarmente forte.- rispose. –C’è
qualcosa che mi sfugge e che tu mi vuoi aiutare a ricordare?
Perché proprio non riesco a venirne a capo.
Alastair chiuse il libro che stava leggendo e si affacciò
alla vetrata che dava sul grande parco esterno. Da che ricordasse, Evan
aveva sempre sistemato tutte le situazioni rimaste in sospeso prima
della loro partenza dalla Scozia. Chi diavolo poteva essere?
-Mi cogli di sorpresa: non mi viene in mente niente.- dovette ammettere. –Dammi del tempo per pensarci su.
-D’accordo, grazie.- mormorò.
-Non mi hai ancora detto dove vi siete trasferiti.- gli fece notare dopo un po’.
-Nel palazzo dove abita Andrew.- rivelò.
Al che Alst si fece perplesso. –Ma… mi avevi detto che
lì c’è un altro branco…- osservò,
confuso dalla notizia. C’era qualcosa che non quadrava.
-Infatti. Ho chiesto il permesso di insediarmi.- confermò con un
cenno del capo che il suo interlocutore, però, non vide.
–Il nostro ospite è un tipo particolare.
-E chi sarebbe?- chiese lo scozzese, facendosi sospettoso.
-Un membro della malavita russa… ricicla denaro per vivere.-
rispose con nonchalance Evan. Non gli interessava cosa facesse
Aleksandr per vivere, l’importante era che non gli creasse
problemi. Vivi e lascia vivere, soprattutto quando l’aiuto arriva
da fonti inaspettate. –Prima che tu possa iniziare a dirmi quanto
sia pericoloso e via dicendo, ti ricordo che sei stato tu a farmi da
precettore e quindi so cavarmela.- aggiunse, precedendo la sua predica.
-A quanto pare ti ho istruito anche troppo bene…- brontolò Alastair.
Van si concesse una mezza risata, prima di ricordarsi del vero motivo
per cui aveva chiamato. –Alst… devo chiederti una cosa.-
esordì con voce ferma.
L’altro si fece attento. –Dimmi.
-Come può un licantropo ucciderne un altro se non è
presente al momento dell’aggressione?- domandò. Da quando
Rogers gli aveva parlato dell’omicidio la sua mente aveva
iniziato ad elaborare le ipotesi più fantasiose, passando
dall’alibi perfettamente costruito a qualche maledizione. Nulla
sembrava avere un senso.
-Sei sicuro che non fosse presente?- indagò lo scozzese.
Van si alzò e balzò giù, prendendo a misurare a
grandi passi la terrazza. –Assolutamente certo. Ma i segni
d’artiglio lasciati sul corpo della vittima corrispondono a
quelli dell’indagato.- rispose.
-Mhm… i casi potrebbero essere tre: l’uomo sta mentendo e
ha veramente commesso l’omicidio; qualcuno ha raccolto i suoi
vecchi artigli oppure è coinvolto uno skinwalker.- elencò
dopo un po’ l’uomo.
-Uno skinwalker… credevo fossero solamente leggende!- fece
stupito. Aveva bellamente ignorato le altre opzioni perché stava
cercando di escludere la prima e la seconda necessitava giorni e giorni
di appostamento e il licantropo se ne sarebbe reso conto.
-Anche tu dovresti esserlo, invece eccoti qui, intento ad usare un cellulare.- lo prese in giro l’amico.
-Sì, ma è una leggenda persino tra di noi!- fece notare Evan, testardo.
-Durante il Medioevo ce n’erano diversi in Gran Bretagna e nel
resto dell’Europa e prima ancora erano molto diffusi. Poi sono
stati sterminati durante la caccia alle streghe, come parecchi di noi.-
spiegò. –Nell’Ottocento ce n’erano pochi
esemplari, ma nulla vieta ad uno di essi di trovarsi in America.
-Se si tratta veramente di questo… dovrò fare delle
ricerche.- mormorò, stupefatto. Mai avrebbe creduto ad una
possibilità del genere.
-Ne farò anche io, così potremo confrontare i risultati.- gli disse Alastair.
-Bene, grazie…- fece per aggiungere altro, ma ricevette un
avviso di chiamata. –Scusa un attimo.- disse, prima di
controllare chi fosse. Alla vista del nome sul display si
accigliò. –Alst, ho una chiamata in attesa e devo
assolutamente rispondere. Ci sentiamo tra qualche giorno, va bene?
Grazie per la chiacchierata.
-Va bene, Van. Non cacciarti nei guai, mi raccomando.- e con questo si congedò.
Evan smise di camminare e fissò per un istante lo schermo, prima
di prendere un respiro profondo e premere il tasto verde.
–Pronto.- disse solamente.
-MacGregor, lieto che tu abbia risposto.- la voce fortemente accentata di Aleksandr non gli fece presagire nulla di buono.
-C’è qualche problema?- domandò lo scozzese, cercando di rimanere sul chi vive.
-No… o meglio, credo di avere qui un membro del tuo branco.-
disse. Accigliato, Van buttò lì il nome di Emily.
–Esatto. Quindi è veramente con te?- domandò a quel
punto il russo.
-Sì, è con me. Era occupata in una missione.- spiegò brevemente. –Ha combinato qualche guaio?
-No, solo sconfinato senza permesso. Ovviamente, ora che so che
è un membro del tuo branco è tutto risolto.- lo
sentì sorridere, probabilmente divertito da tutta la faccenda o
da qualcosa che solo lui riusciva a cogliere.
Il suo tono di voce innervosì Evan, che però cercò
di non darlo a vedere. –Devo raggiungerti e garantire
personalmente per lei?- volle sapere.
Dall’altro capo ci fu silenzio per un po’.
–No… la mia piccolina ha controllato la sua versione della
storia. È pulita.- lo rassicurò.
-Bene, allora…- iniziò Van, ma l’altro lo interruppe.
-Se fossi in te andrei a recuperare il cucciolo oppure il padre potrebbe decidere di ucciderlo.- gli consigliò. -Spakòynay nòci*, Evan MacGregor.
Il giovane restò col telefono in mano, assolutamente confuso da
quella telefonata. Come mai Emily si trovava con Aleksandr? Li stava
per caso tenendo d’occhio o era stata lei a raggiungerlo, magari
per presentarsi ufficialmente?
Non gli restava altro che attendere il ritorno della lupa e l’avrebbe scoperto.
Aveva appena ricevuto un messaggio con le coordinate da
raggiungere e si era messa immediatamente a correre verso casa. La sua
nuova casa.
Fortunatamente era riuscita ad entrare nei territori dei russi sana e
salva, scampando per un pelo ai tirapiedi di Jared, che l’avevano
scoperta una volta ritornata sulla sponda di
Manhattan. Dato che conosceva bene le sentinelle che
le stavano dando la caccia era riuscita a mantenersi fuori portata per
gran parte dell’inseguimento, anche se ad un certo punto aveva
rischiato di rimanere bloccata nei tunnel della metropolitana.
Per pura fortuna (oppure no), uno dei lupi di Aleksandr
l’aveva individuata durante il suo giro di ronda e lei gli era
balzata addosso, dicendo di far parte del branco MacGregor.
L’uomo l’aveva fissata con confusione, ma poi l’aveva
portata dal suo Alfa.
Dopo una conversazione molto più simile ad un interrogatorio, il
licantropo aveva contattato Evan e poi l’aveva lasciata libera
d’andare.
Ora stava correndo lungo la St. Nicholas Terrace, diretta verso
Amsterdam Avenue. Non era molto lontana dalla destinazione, almeno a
quanto diceva il suo naso: stava seguendo l’odore del nipote di
Aleksandr, dopo che lui le aveva dato modo di annusarlo da un vecchio
cappotto del giovane.
Doveva sbrigarsi se voleva arrivare prima che la città
riprendesse i suoi soliti ritmi frenetici ed evitare che la vista di
una persona in grado di correre molto più veloce di qualsiasi
Bolt del mondo mandasse qualcuno fuori di testa.
Inspirò a fondo ed accelerò ulteriormente il ritmo della
corsa, scartando agilmente le poche persone in giro a quell’ora.
Dopo appena cinque minuti eccola davanti all’edificio che,
da in quel momento in avanti, avrebbe chiamato casa. Decelerò
con calma e sollevò il capo, cercando un modo per salire che non
la obbligasse a suonare il campanello e disturbare qualcuno.
Balzò in avanti, afferrando la scala antincendio. Si issò
con innata grazia e si mise a salire rapidamente gli scalini, conscia
del fatto che David ed Evan erano svegli e consapevoli del suo arrivo.
Quando raggiunse l’appartamento giusto scivolò rapidamente
sullo sbalzo di arrivo della scala e poi sgusciò
all’interno passando per la finestra aperta.
-Bentornata.- si sentì dire una volta dentro. I due lupi erano
in piedi l’uno accanto all’altro, illuminati dalla luce
soffusa di una piantana posta tra i due divani.
-Grazie…- mormorò, concedendosi finalmente un sospiro di
sollievo. Si guardò attorno con calma, assaporando
l’atmosfera accogliente che si respirava in quella parte della
casa. –E’ un bell’appartamento.- commentò.
Dave sorrise, lieto che qualcuno apprezzasse i suoi sforzi.
-E’ andato tutto bene?- domandò allora Evan. Emily si
tolse lentamente la giacca e poi si sedette sul davanzale della
finestra, esausta.
-Io sto bene, non hanno scoperto il mio nascondiglio. Ma Blake…
ho sentito alcuni lupi parlare e pare che Jared lo abbia rinchiuso in
una delle gabbie di contenimento e lo stia facendo digiunare.- disse,
stringendo con rabbia i pugni. La sola idea di quello che stava
passando il piccolo la mandava fuori di testa.
-Sta facendo patire la fame a suo figlio?! Emily, perdonami, ma
l’uomo che ti sei scelta è proprio un cretino!-
s’infervorò Dave.
A quelle parole lei abbassò lo sguardo. Evan fece per fulminare
l’amico, ma lei li precedette dicendo:-Non è il mio uomo.
-Cioè…? Ti hanno obbligata a stare con lui?- cercò di capire l’inglese.
L’americana scosse la testa. –Non proprio. Come vi ho detto
io sono la sostituta della precedente femmina Alfa.- spiegò.
–Si chiamava Evelyn. Era la mia gemella.
I due rimasero a fissarla ammutoliti mentre la notizia veniva elaborata
dai loro cervelli. Il primo a riprendersi fu Evan che mormorò le
proprie condoglianze.
-Grazie… ormai è quasi un anno che è mancata.- rivelò.
-Blake sa che non sei sua madre?
Annuì. –Sì, io e lei abbiamo due odori diversi. Però mi chiama comunque mamma.- spiegò.
-Nonostante quello che ci hai appena detto e nonostante il fatto che tu
abbia cercato di venderci al nemico, ti aiuteremo a riavere il
piccolo.- sentenziò Evan. –Ma poi dovrai lavorare per
riguadagnare la nostra fiducia.- le fece presente.
-Sì, lo so.- rispose lei, fissandolo dritto negli occhi. Non lo
stava facendo per sfidarlo, ma per mostrargli le sue buone intenzioni.
-Bene… domani ti presenteremo al nuovo membro del branco. Ora
puoi andare di sopra, la tua camera è l’ultima a
sinistra.- la congedò Van. Senza dire niente Emily fece un cenno
col capo e si allontanò.
La mattina arrivò anche troppo in fretta e Amanda
mancò addirittura il suo appuntamento giornaliero, ossia
un’oretta di corsa in uno dei parchi della zona.
Si svegliò un po’ stordita e con un principio di mal di
testa che non presagiva nulla di buono. Sbadigliando uscì da
sotto le lenzuola e si avviò in cucina, in tempo per veder
entrare Andrew, ancora più caracollante di lei.
-Oh, buongiorno… come stai? A me sembra di esser stata colpita
da un bus in piena faccia. Ieri sono successe troppe cose.-
brontolò la ragazza.
-Il mio era un autotreno.- commentò l’amico, scivolando a
sedere su uno degli sgabelli della cucina. –Mi serve della
Nutella…- aggiunse subito dopo, iniziando ad annusare
l’aria.
Mandy ridacchiò per quel suo comportamento lupino e
recuperò il vasetto dalla credenza. –Vuoi del caffè?
Drew scosse la testa. –No… non serve. Non ho lezione fino
al pomeriggio. Mi sono alzato presto perché non voglio essere
ripreso il primo giorno di scuola.- commentò, indicando col capo
il piano di sopra.
-Non credo che possa lamentarsi… in fondo i licantropi sono
creature notturne, no?- replicò lei, mettendo sul fornello la
macchinetta del caffè. Fatto ciò recuperò un
bauletto di pane bianco e lo mise al centro del ripiano della cucina
che, all’occasione, diventava tavolo della colazione.
-Comunque, Mandy, credo dovresti vestirti, sai?- le fece presente
Andrew, iniziando a spalmare la cioccolata su una fetta. Aveva sentito
dei rumori provenire dall’appartamento accanto e non voleva
succedesse qualcosa di imbarazzante.
La morettina gli lanciò un’occhiata, divertita.
–Drew, sai come sono fatta. Non ho problemi con te. E poi, anche
tu sei mezzo svestito.- gli fece notare.
-Sì, ma…
-Caffè!- la porta, lasciata accostata, si spalancò di
colpo, rivelando un alquanto esuberante Eric. Amanda per poco non
rovesciò la macchinetta nel tentativo di coprirsi con qualcosa.
–Oddio, mi dispiace!- esclamò il ragazzo, notando il suo
abbigliamento.
La giovane si spostò rapidamente, cercando di raggiungere la
camera da letto prima che arrivasse qualcun altro e la vedesse col suo
pigiama, ossia culottes e canotta di raso. Purtroppo, mentre si
rifugiava nel corridoio che portava alla zona notte, David ed Evan
entrarono nell’appartamento, richiamati dal trambusto.
Con un gemito strozzato, Mandy incespicò nel tappeto e si rinchiuse in camera, rossa in viso come un pomodoro maturo.
-Ehm… credo di aver visto qualcosa che non dovevo…- fece
David, perplesso. Evan non disse nulla, limitandosi a dare
un’occhiata in giro con fare indagatore. –Stavate facendo
colazione?- domandò poi l’inglese, notando la tavola
apparecchiata.
Andrew lanciò un’occhiata distratta verso la camera da letto e poi annuì. –Sì, volete favorire?
Mentre loro parlavano, Mandy indossò una maglietta ed un paio di
leggins in fretta e furia. Stava cercando in tutti i modi di
dimenticare la figuraccia che aveva appena fatto, ma quella continuava
a ripetersi in loop nella sua testa.
“Oddio! Cosa devo fare? Cosa devo dire?!”, pensò,
agitata oltre ogni dire. Fece un giro su se stessa e poi si
controllò allo specchio, giusto per vedere se aveva dimenticato
di indossare qualcosa.
Mentre si lambiccava sull’espressione da assumere, nella zona
giorno la cucina si stava animando. Andrew spostò le cose per la
colazione nel tavolo accanto alla finestra, in modo che potessero stare
più comodi e poi andò a spegnere la macchinetta, dando il
tempo al caffè di diffondere il proprio aroma nella stanza.
-Che cosa vi preparo? Il caffè va bene per tutti?- Drew stava
cercando di fare gli onori di casa meglio che poteva, nell’attesa
che Amanda tornasse e riprendesse in mano lo scettro.
-Vorrei tanto una colazione all’inglese.- sospirò David.
–Ma mi accontenterò di quello che c’è.
-Mi dispiace, non è particolarmente apprezzata dalla padrona di casa.- si scusò.
-Cosa non è molto apprezzata?- domandò Mandy, riemergendo in quel momento dalla sua isola di salvezza.
-David si chiedeva se fosse possibile avere una colazione all’inglese…- spiegò il ragazzo.
Al che lei fece una smorfia. –No, mi dispiace. Potrei rischiare
di rotolare giù per le scale se mangiassi una cosa del genere.-
commentò. –Però c’è tutto quello che
volete per farne una all’italiana: succo, croissant, cereali,
frutta… ah! Nutella e paste varie.- elencò.
-E da dove viene tutta questa roba?- domandò Eric, curioso.
Mandy arrossì. –Le ho fatte io… mi piace
cucinare…- mormorò, dirigendosi verso la cucina per tirar
fuori altre tazze e posate.
-Wow! Oltre ad avere un corpo da favola sai anche cucinare! Ti prego,
fammi tuo schiavo!- commentò il ragazzo, addentando un dolce
alla crema.
Tutti i presenti lo guardarono male, cercando di fargli capire che
doveva moderare le parole. Soprattutto perché la diretta
interessata era arrossita ancora di più, imbarazzata.
Ultimamente non faceva altro che arrossire e fare strafalcioni: suo
padre le avrebbe detto che assomigliava molto ad un puledro appena
nato, traballante e ancora inesperto del mondo.
Rendendosi conto della reazione che aveva scatenato, l’europeo si
scusò ed abbassò il capo dopo aver colto l’occhiata
di rimprovero del suo Alfa.
-Scusa l’intromissione. Abbiamo sentito Eric scendere le scale e volevamo fermarlo prima che combinasse guai.- disse Evan.
-Oh, non è un problema… cioè… sì, mi
avete vista mezza svestita, ma a parte quello… credevo che voi
licantropi dormiste fino a tardi…- farfugliò.
–Cioè… che non vi piacessero le mattine…-
tentò di correggersi, finendo per far ancora più
confusione.
-A me non piacciono proprio, le mattine. Ma stanotte sono riuscito a
finire una parte del mio lavoro, quindi stamattina sono particolarmente
di buon’umore.- rivelò David, versandosi un po’ di
cereali nella tazza.
Mandy ridacchiò, contagiata dalla sua allegria. L’inglese
le aveva fatto una buona impressione sin da subito, ma ora che lo
osservava ancor più da vicino si sentì in un certo qual
modo ravvivata dalla sua presenza. Non sapeva se fosse una sua
capacità personale o di derivazione soprannaturale, fatto sta
che le sarebbe piaciuto averlo intorno.
Eric, invece… stava mangiando con gusto il secondo
dolcetto, ma ogni tanto le lanciava delle occhiate maliziose.
Probabilmente stava sondando il terreno, ma non capiva se lo faceva per
provocarla o se fosse veramente fatto così. Sembrava uno
spaccone nel corpo di un bambino.
Evan, d’altro canto, rimaneva sempre sulle sue, sempre pronto a
reagire a qualsiasi possibile minaccia. Ponderava ogni cosa ed aveva
un’aura attorno a sé che tendeva ad allontanare le persone
o ad incutere loro soggezione.
Averli lì, tutti riuniti attorno ad una tavola imbandita
le stava dando modo di sbirciare nel loro mondo personale. Voleva
capirli e sopportare un po’ di imbarazzo era un giusto prezzo per
poter entrare a far parte di quella nuova, strana e ancora molto
precaria famiglia.
Lo scozzese sembrò rendersi conto dei suoi pensieri
perché smise di osservare i suoi lupi e puntò lo sguardo
nel suo. Quei suoi occhi cangianti avrebbero dovuto esser banditi
perché avevano un magnetismo tale da essere pericolosi.
Talmente pericolosi che Mandy non sentì la domanda che le era stata fatta. –Come…?
-Potrei avere una tazza di caffè nero, per favore?- ripetè lui.
-S-sì… arrivo.- disse lei, dirigendosi nuovamente verso
la cucina e riempiendo la macchinetta. Mentre aspettava che il
caffè salisse, si ricordò di aver un vassoio di muffin
salati a riposare nel forno. Li estrasse e li mise in un cestino. Poi
recuperò del burro e un po’ di marmellata e li
portò a tavola. –Questi sono muffin salati…
è l’unica cosa che possa ricordare la colazione
inglese… e quella scozzese.- disse, soffermandosi a guardare
prima Dave poi Evan.
Andrew sorrise da dietro la sua tazza e poi lanciò
un’occhiata agli altri. Il primo a servirsi fu proprio
l’inglese poi, con suo stupore, anche Van prese un assaggio.
L’espressione di Amanda fu impagabile e strappò un sorrisetto anche allo scozzese.
Mentre si godevano quella inaspettata colazione in compagnia, Emily
irruppe nell’appartamento come un furia, il telefono stretto tra
le mani. –Blake!- esclamò.
Tutti i presenti si voltarono, stupiti. –Cosa succede?- chiese il
capobranco, avendo percepito il battito accelerato del suo cuore.
-Jared… Jared è impazzito: ha detto che, se non mi
consegno entro oggi, ucciderà Blake!- spiegò, stringendo
febbrilmente il telefono in una mano.
I visi di tutti passarono dalla confusione ad una maschera di puro terrore.
*Dannazione, in gaelico
*Buonanotte, in russo
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Capitolo 18 *** Cap. 17 Resisti, Blake! ***
Cap. 17 Come un branco
Nuovamente in ritardo sulla tabella di marcia, scusatemi :(
Al di là di questo, il capitolo non è come me lo
aspettavo. Mi spiego: credevo di poter descrivere tutta la missione di
salvataggio in una volta sola, ma mi son resa conto che sarebbe
diventata troppo lunga, quindi questa sarà la prima parte.
L'azione sarà principalmente nella seconda, questo è il
respiro prima del grande balzo, se così si può dire.
Buona lettura :)
Cap. 17 Resisti, Blake!
La notizia lasciò tutti senza parole.
Emily li fissò col panico negli occhi, cercando di ottenere un
po’ d’aiuto. Sarebbe andata anche da sola se nessuno si
fosse offerto, ma non voleva lasciare Blake da solo con suo padre, nel
caso fosse stata uccisa.
Il primo a riprendersi fu Evan, che prese in mano le redini della
situazione. –Di che ora è il messaggio?- domandò
come prima cosa.
-Mezz’ora fa.- rispose la ragazza, ritrovando l’informazione nei dati di ricezione.
-Ti ha dato un luogo d’incontro?- volle sapere.
Lei scosse la testa. –N-no, non ancora…- la voce le tremò brevemente.
-Evan… non possiamo…- David gli si avvicinò,
mettendogli una mano sulla spalla. Stava cercando di ricordargli che,
se l’ultimatum scadeva alla mezzanotte di quel giorno, il loro
gruppo di salvataggio sarebbe stato estremamente ridotto.
Van prese un rapido respiro e poi si passò una mano tra i
capelli, cercando di fare il punto della situazione. La richiesta era
arrivata proprio nel peggior momento possibile: avevano un giovane lupo
inesperto da tenere sotto controllo, un licantropo reticente da
integrare ed un omicidio il cui movente e artefice erano sconosciuti.
Decisamente qualcuno ce l’aveva con il branco e i suoi componenti.
-Andrew, tu rimarrai qui. Non posso rischiare che tu impazzisca.-
decise dopo alcuni minuti di attenta riflessione. Il ragazzo non
protestò, ben consapevole del fatto che sarebbe stato una palla
al piede, sia perché faticava a controllarsi sia perché
non era ancora completamente guarito.
-Eric… qual era il tuo ruolo nel branco di Aleksandr?- domandò poi, rivolgendosi al suo sottoposto.
A quella domanda l’europeo distolse lo sguardo, improvvisamente a disagio.
–L’Omega…- mormorò con voce appena udibile.
La scoperta lasciò tutti sorpresi, in particolar modo Drew.
Sapere di avere qualcuno che aveva condiviso la sua stessa esperienza
lo fece sentire un po’ più leggero.
“Perfetto: ho due ex Omega nel mio branco…”,
pensò Evan. Di bene in meglio. –Sapevi recitare bene il
tuo ruolo?- indagò.
Eric gli rivolse una rapida occhiata, prima di distogliere nuovamente
lo sguardo. –Me la cavavo…- dovette ammettere. Rivelare di
esser stato scelto come Omega era una cosa che lo metteva profondamente
a disagio, soprattutto perché i suoi genitori non avevano mai
ricoperto quel ruolo.
L’altro annuì, soddisfatto dalla risposta. –Bene. Tu verrai con noi.- dichiarò.
Il giovane spalancò la bocca, basito. -Cosa? Vuoi portare un
Omega?!- sbottò Emily, incredula. Quello che volevano fare era
già di per sé un atto suicida, non avevano bisogno di
portarsi dietro un lupo in grado di attirare guai come se nulla fosse.
Un luccichio ferale attraversò gli occhi di Evan, prima che lui stesso si adombrasse in viso.
–Capisco quanto sia importante, per te… ma non osare mai
più ribattere ad una mia decisione.- la minacciò, serio.
Il tono con cui lo disse fu così perentorio che ad Emily non
rimase altro che abbassare il capo e mormorare le sue scuse, contrita.
Dave guardò l’amico con tanto d’occhi, ma non si
azzardò a metter bocca. Poteva intuire il perché di quel
comportamento e dovette ammettere che si sarebbe comportato nello
stesso modo. Emily li aveva venduti e doveva capire che, nel caso
avesse deciso di farlo un’altra volta, non ci sarebbe stata una
seconda possibilità.
-L’Omega in questione sarebbe presente, se non ve ne siete
accorti.- commentò con sarcasmo Eric. Evan si voltò a
guardarlo e lui deglutì, intimorito dallo sguardo del suo nuovo
Alfa. Ma cercò di non darlo a vedere, mantenendo la propria
facciata spavalda.
-Sei in grado di distrarre abbastanza lupi da darci il tempo di salvare
il bambino?- gli domandò lo scozzese. –Distrarli in modo
efficace.
L’altro esitò un attimo, poi rispose:-Sì. Ne sono in grado.
-Allora sei dei nostri.
David afferrò Evan per un braccio e lo trascinò
lontano dal resto dei presenti. L’amico lo guardò
interrogativo, cercando di capire cosa stesse per dirgli.
-Sei sicuro di quello che stai per fare?- chiese, guardandolo coi suoi occhi acquamarina.
Van aggrottò le sopracciglia. –Sì… dovrebbe funzionare.- replicò, calmo.
-“Dovrebbe funzionare”?! Vuoi per caso farti uccidere?- lo
guardò con tanto d’occhi, sconvolto dalla risposta.
-Dave, calmati.- lo rabbonì. –Andrà bene.
Al che l’inglese fece per agguantarlo per il collo e strozzarlo.
–Sei un incosciente!- lo accusò. -Informa Aleksandr,
almeno.
-No. Non voglio coinvolgerlo in questioni che non lo riguardano.-
rifiutò. –Mi credi così incapace?- domandò
subito dopo.
Scosse la testa. –No, ma siamo in netta inferiorità numerica.
-Proprio per questo stavo organizzando un piano.- gli fece presente, per nulla ironico.
-Evan...- brontolò David, insofferente di fronte alla leggerezza con cui l’amico stava prendendo la cosa.
-Sei infastidito perché non ti ho incluso nell’incursione?- gli chiese allora Van.
-No, io…- iniziò. –Sì. Non voglio che ti
cacci nei guai quando io non posso esser presente per evitarlo.-
ammise, distogliendo lo sguardo con un certo imbarazzo.
Sorridendo, lo scozzese gli diede una pacca sulla spalla.
–Tranquillo, so che farai comunque un ottimo lavoro. Sei o non
sei il mio Beta?
-Sì…- brontolò.
-Bene. Allora vedi di aiutare il nostro giovane lupacchiotto.-
concluse. Anche se riluttante, David si vide costretto ad annuire e
seguire gli ordini del capobranco. Quando gli aveva offerto il titolo
di Alfa si era dimenticato di quel suo lato dispotico in perfetto stile
materno.
Quando voleva sapeva imporsi come e meglio di una madre… o di un padre estremamente arrabbiato.
-Quindi andremo solo noi tre…?- Emily s’intromise nella
conversazione. –Tre contro quasi trenta lupi? Mi sembra un
suicidio.
I due si voltarono. –Non combatteremo trenta lupi insieme.
L’obiettivo è quello di dividerli. Conosci la strategia
“dividi e conquista”?- le rispose Evan.
-Sì, ma…
-Vuoi salvare Blake o no?- la interruppe con un gesto della mano.
Al che lei fu costretta a mordersi la lingua ed annuire.
–Sì, non potrei mai permettere che gli venga fatto
dell’altro male.- sussurrò.
-Allora la conversazione è chiusa. Andrew, tu e Amanda starete
con David. Se dovesse succedere qualcosa, lui vi proteggerà.
Questa notte sarà dura, ma sono sicuro che la supererete
egregiamente.- disse. –Noi dobbiamo discutere il da farsi.
Lasciatemi avvertire in centrale e poi raggiungetemi sul tetto.
Estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e poi uscì dalla
finestra, salendo subito dopo lungo la scala antincendio. Il tetto era
lo spazio che preferiva all’interno di quel complesso edilizio:
era calmo e abbastanza verde da risultare accogliente.
Certo, non come una foresta, ma meglio di quelle infinite colate di cemento.
Estrasse il cellulare e rimase a fissare lo schermo per qualche
minuto, cercando di raccogliere i pensieri. Sapeva di avere poco tempo,
ma non voleva mettere in allarme Rogers e ritrovarsi con una squadra
speciale alle calcagna.
Digitò il numero e si appoggiò alla balaustra, aspettando.
-Qui è il comandante capo Rogers. Chi parla?
Si schiarì leggermente la voce. –Capitano Evan MacGregor, signore.- rispose.
-MacGregor. C’è qualche problema?- domandò l’uomo, facendosi di colpo preoccupato.
Van incrociò le gambe, strofinando la mano sinistra sui jeans.
Non avrebbe saputo dire perché, ma era agitato. –Ho per le
mani un caso di sequestro di persona. Riguarda il mio branco, quindi la
sto avvertendo semplicemente per dirle che non potrò essere in
servizio fino a quando non sarà tutto risolto.- spiegò,
conciso.
-Un caso di sequestro? C’è per caso una faida in corso?- s’informò il suo superiore.
-Da parte mia non c’è nessuna volontà di iniziare
una faida. È coinvolto il figlio di un membro del mio branco e
non posso semplicemente star lì a guardare: devo salvarlo.-
rispose.
Dall’altro capo del telefono ci fu silenzio per un po’ ed
immaginò che il comandante stesse ragionando sul da farsi. In
particolare sull’eventualità di dare o meno il proprio
consenso all’operazione.
Anche in caso di divieto, Evan non si sarebbe fermato.
-E sia. Andate a salvare quel bambino.- concesse infine Rogers.
–Se la questione dovesse degenerare, però, dovrete
redigere un rapporto completo.
-Certo, comandante.- assicurò lo scozzese.
-Ah, MacGregor…
-Mi dica.- disse in un soffio, già pronto a chiudere la conversazione.
-Avrò bisogno di te per il caso dell’ammenda.- gli ricordò.
Evan si rabbuiò, ricordando solo in quel momento il caso che gli
aveva presentato l’uomo. –Sarò a sua disposizione.
Ora devo andare, raggiungerò la centrale quanto prima.- si
congedò.
Strinse il telefono per qualche istante prima di farlo scivolare
nuovamente in tasca ed affrettarsi a ritornare al piano di sotto.
Ci misero un po’ di tempo ad organizzare gli ultimi
dettagli del piano, in particolare quelli riguardanti il salvataggio di
Blake. Era probabile che Jared l’avesse nascosto in un posto
difficilmente accessibile, giusto per esser sicuro di vincere.
Alla fine, però, si dissero pronti e, dopo le ultime
raccomandazioni, i tre uscirono di gran carriera diretti verso i
territori dei Blacks.
Ai membri del branco rimasti non restò che scambiarsi occhiate
confuse ed accettare il fatto di esser stati lasciati indietro.
-Andrew…- il primo a rompere il silenzio fu David.
L’interpellato sollevò la testa, in attesa. –Per
oggi rimani in casa. Niente lavoro.- suggerì.
Drew annuì lentamente, accettando di buon grado il consiglio.
Nelle condizioni mentali in cui si trovava avrebbe avuto qualche
difficoltà a concentrarsi. –Posso aiutare in qualche
modo?- chiese dopo un po’.
-Cerca solo di non agitarti troppo, rimani calmo e padrone di te
stesso.- gli dedicò un’occhiata profonda prima di estrarre
il cellulare dai jeans. –Devo fare una chiamata, scusate.- si
scusò ed uscì dall’appartamento.
I due si scambiarono occhiate perplesse, per poi lasciarsi cadere sul
divano della sala e sospirare. La situazione stava decisamente
peggiorando.
-Secondo te Jared potrebbe aver fatto del male a suo figlio…?-
chiese dopo un po’ Amanda. Teneva lo sguardo fisso sul pavimento
e le braccia a circondare le ginocchia. I recenti avvenimenti
l’avevano destabilizzata e stava cercando di fare un po’ di
ordine mentale.
Andrew, sentendosi rivolgere quella domanda, si appoggiò allo
schienale e ammise:-Non lo so. Non so di cosa possa essere capace un
uomo del genere.
La morettina annuì distrattamente, continuando a fissare davanti a sé.
-Mandy? Tutto ok?- le chiese dopo un po’ l’amico.
-Come?- si riscosse lei. –Oh… sì. Sono un po’ disorientata.- gli concesse un rapido sorriso.
L’altro sollevò un angolo della bocca, comprendendo il suo
stato d’animo: si sentiva confuso pure lui. E spaventato
all’idea di quello che sarebbe successo quella notte.
-Non dovresti andare a lavoro?- le fece presente dopo qualche altro minuto di silenzio.
A quelle parole Amanda balzò in piedi, quasi fosse spiritata, e
schizzò in camera. Drew la sentì aprire cassetti e
ribaltare oggetti, il tutto condito da alcune esclamazioni di dolore.
Ricomparve circa dieci minuti dopo, cercando di sistemarsi i capelli e
al contempo infilarsi le scarpe col tacco. Quando rischiò di
inciampare e rovinare al suolo, Andrew la raggiunse e
l’afferrò giusto in tempo.
La ragazza ridacchiò, imbarazzata e poi terminò di
sistemarsi. Già pronta ad uscire, si fermò sulla porta e
si voltò indietro. –Sei sicuro di non aver bisogno
d’aiuto? Vuoi che rimanga a casa, oggi?- gli chiese, premurosa.
Lui le sorrise, immensamente grato per quel pensiero amorevole, ma poi
scosse lentamente la testa. –Vai… non ti
preoccupare. C’è David con me.- la rassicurò.
-Tornerò prima, così stasera sarò pronta a dare una mano.- promise, infilandosi gli occhiali da sole.
-Non so cosa potresti fare contro un licantropo impazzito, ma grazie
Mandy. Lo apprezzo molto.- le disse, aprendosi in un sorriso ricolmo
d’affetto. Avrebbe voluto stringerla in un abbraccio e
ringraziarla mille volte per il sincero interessamento che riusciva a
sentire nelle sue parole.
In quel periodo aveva sicuramente bisogno di qualcuno che lo facesse
sentire importante e non solo un emerito idiota con manie suicide.
-A stasera, Drew.- ebbe appena il tempo di salutarla che lei si chiuse
la porta alle spalle. La sentì distintamente correre lungo le
scale e sperò arrivasse in tempo per prendere la metropolitana
ed evitare la ressa.
Rimasto solo, il giovane si voltò verso il tavolo dov’era
stata consumata la colazione e sospirò. –Ok… mentre
il capo è di sopra vediamo di dare una pulita.- mormorò
tra sé e sé.
Tenersi impegnato l’avrebbe sicuramente aiutato a tener a bada la bestia.
Non poteva permettergli di correre dritto in una trappola.
Si conoscevano da così tanto che sapeva non avrebbe mai avuto il
potere (o la volontà) di fermarlo, ma c’era qualcuno che
ne sarebbe stato in grado.
Quindi ecco il motivo per cui ora se ne stava sulle scale antincendio,
fissando con indecisione lo schermo del proprio cellulare.
Sapeva che quella era la cosa giusta da fare, ma non voleva farsi odiare da Evan.
“Ma non voglio nemmeno che ci rimetta le penne.”,
pensò, aprendo la rubrica e scorrendo i numeri. Lasciò il
pollice sospeso per qualche istante, poi avviò la chiamata.
-Alastair MacGregor.- rispose lo scozzese.
-Alst, sono David.- esordì l’altro. Poi si corresse subito dicendo:-Sì, lo avrai letto sul display.
L’uomo si fece perplesso, captando del nervosismo nella voce dell’ex sottoposto. –Dave, cosa succede?- chiese.
-Abbiamo un problema.- confessò infine.
Ci fu un attimo di silenzio. –Cos’ha combinato ancora?- chiese.
L’inglese si accigliò. –Di chi stai
parlando…?- domandò allora, perplesso. Probabilmente Alst
stava pensando ad un’altra persona.
-Stryker…- mormorò l’altro.
Al che David scosse la testa. –No, non Stryker!
Quell’idiota non c’entra!- lo corresse. –Si tratta di
Evan!
-Evan?- la voce del Beta del branco MacGregor si fece preoccupata.
-Sì…- confermò. –Ricordi i Blacks ed Emily?
-Ricordo, sì.
-Bene. L’Alfa dei Blacks ha minacciato di uccidere il figlio di
Emily.- spiegò, prendendo a torturarsi il bordo della camicia.
-Uccidere un cucciolo?! Ma è impazzito?!- s’indignò
Alastair. Se c’era una cosa che era assolutamente vietata,
all’interno di un branco, era nuocere alle giovani vite. Per
nessun motivo si doveva far del male ai cuccioli.
“Se ha reagito così a questo punto, figuriamoci quando gli
dirò il resto…”, pensò Dave. Era leggermente
preoccupato.
Lasciò che Alst maledicesse la stupidità umana e poi,
quando gli sembrò si fosse calmato, aggiunse:-Evan è
andato a salvarlo. Sono lui, Emily ed il nostro nuovo acquisto.
-E tu dove sei ora?- volle sapere.
-A casa con Andrew. C’è luna piena stanotte.- rispose.
-Sai dov’erano diretti?
Frugò nella propria memoria per ritrovare quello che gli
serviva. –Sì. Nel Bronx, vicino alla zona industriale.
-Tu bada ad Andrew, io vado a dare manforte a quello sconsiderato.- decise l’uomo.
-Era proprio quello che volevo sentirmi dire. Grazie.- David sospirò.
-Farà bene ad esser ancora vivo. Damnù air!-
e con quell’imprecazione in gaelico si congedò. Dave
restò a fissare il telefono per qualche istante, stupendosi di
come il pacato Beta potesse trasformarsi in una belva quando si
trattava di lui ed Evan. Li considerava quasi come figli e non avrebbe
permesso a nessuno di torcere loro un singolo capello.
-Speriamo che la cavalleria arrivi in tempo…- si augurò.
***
Gongolò tra sé, sfregandosi le mani soddisfatto.
L’idea di sfruttare l’istinto materno di Emily era stata
geniale. Non gli interessava rispettare i piani di Rodrick: voleva
avere la sua vendetta su quella cagna traditrice.
Le aveva offerto il posto di femmina Alfa e come l’aveva ripagato? Unendosi al branco che era stata chiamata a spiare.
“Mai fidarsi delle donne.”, pensò, disgustato.
Lanciò uno sguardo fuori dalla grande finestra ed osservò
il fiume Hudson, meditabondo. Blake era rinchiuso in una delle celle di
contenimento che il branco usava nelle notti di luna piena.
Alcuni dei suoi sottoposti si trovavano nello scantinato, pronti
a rinchiudersi alle prime avvisaglie. Per quanto lo riguardava, non
aveva problemi con l’astro notturno.
Il suo Beta non si era ancora ripreso completamente dallo scontro con
MacGregor e non voleva rischiare la sua vita. Per quanto riguardava
Simon, Gamma del branco, era un emerito idiota.
Spesso si chiedeva cosa l’avesse spinto a concedergli quella
carica. Poi si ricordava della sua innata abilità nel stringere
accordi e guadagnare soldi e si ricredeva.
Per quanto potesse essere spregevole, era un elemento utile.
Ma per quello che aveva intenzione di fare non sarebbe andato bene. A meno che non volesse mandare all’aria tutto quanto.
Mentre ragionava su quale fosse il modo migliore per gestire la
situazione, Rodrick arrivò alle sue spalle. Sentì i peli
delle braccia drizzarsi e represse una smorfia, infastidito da quello
sfoggio di potere.
-Cosa sta succedendo? Perché il branco è in agitazione?- domandò lo scozzese.
-Non sono affari tuoi.- fu la brusca risposta.
L’uomo lo aggirò e gli si piazzò davanti.
–Cosa sta succedendo qui?- chiese nuovamente, dando un tono
minaccioso alle proprie parole.
-Sta per arrivare Emily, la lupa che ha voltato le spalle al branco.
Dobbiamo darle un caloroso benvenuto.- replicò con spregio
l’altro.
A quelle parole Rodrick si adombrò. –Che razza di
licantropo usa violenza su una femmina?- domandò, disgustato
dalla sola idea.
-Uno che vuole vendicarsi.- sibilò Jared. Gli scoccò una
lunga occhiata venefica e poi si allontanò a grandi passi.
“Razza di idiota.”, pensò il licantropo. Sapeva
quanto fosse importante la disciplina, all’interno di un branco,
ma non poteva tollerare che le lupe venissero offese. Quando era solo
uno sbarbatello, le licantrope erano assai poche e nessuno si sarebbe
mai sognato di far loro del male, ammesso che non si volesse condannare
la specie.
Non capiva proprio questa nuova mentalità. Così come non capiva Jared.
Jared che, in quel momento, stava scendendo le scale che portavano allo
scantinato con un diavolo per capello. Sorbirsi una ramanzina da un
uomo che era comparso dal nulla non gli andava proprio a genio,
soprattutto se era lui quello a passare per stupido.
“Ora vedrai, stupido vecchio.”, si fece largo tra i
licantropi presenti e raggiunse rapidamente una delle ultime gabbie. Si
fermò esattamente davanti alle sbarre e fissò con sguardo
critico la piccola figura al suo interno. –Blake.- chiamò
perentorio.
Il piccolo sobbalzò e cercò di mettersi in piedi,
riuscendo solo ad inciampare due volte nei propri piedi. Aveva
riconosciuto immediatamente la voce del padre e aveva paura di quello
che sarebbe successo se non avesse ubbidito.
Si schiacciò contro il muro e lo fissò con gli occhi sbarrati.
-Cos’è quello sguardo? Non avrai mica paura di tuo padre,
vero?- lo apostrofò l’uomo. Lui non rispose. Sbuffando,
Jared aprì la porta ed entrò all’interno.
–Vieni con me.
-No!- protestò.
Senza aggiungere altro, l’Alfa lo afferrò saldamente per
un braccio e lo trascinò fuori senza nessuno sforzo. Blake
tentò di opporre resistenza in tutti i modi possibili, ma alla
fine si vide mollare senza tanta grazia nel corridoio esterno.
I licantropi presenti lanciarono loro qualche sguardo, ma si affrettarono ad abbassare gli occhi subito dopo.
-Tu ora vieni con me.- Jared se lo caricò in spalla, ignorando i
piccoli pugni che si avventarono sulla sua schiena. –Taci o ti
affogo nell’Hudson!
***
Avevano preferito muoversi in forma umana ma, arrivati al grande fiume, erano stati costretti a trasformarsi.
Ed ora eccoli lì, l’uno accanto all’altro sulla
banchina di uno dei quartieri più malfamati della Grande Mela.
Evan guardò prima uno e poi l’altra, osservando le loro forme animali.
Emily aveva il manto nero, motivo per cui era stata accettata nel
branco dei Blacks, mentre Eric assomigliava vagamente ad una volpe,
dato che aveva un muso abbastanza allungato e il pelo tendente ad un
biondo ramato. Nel complesso non avrebbero fatto paura nemmeno ad un
pivellino, figurarsi ad un branco di quasi trenta elementi.
“Siamo ancora convinti di questa pazzia?”,
s’informò il nuovo acquisto. Emily per poco non lo
azzannò e lui si affrettò a balzare indietro. “Va
bene, va bene: ho capito.”, brontolò.
“Stai calma.”, l’avvisò Van. “Se
iniziamo a dar di matto, per Blake è la fine.”, le
ricordò. Lei allora abbassò le orecchie, uggiolando
brevemente.
“Bene… ora da che parte si va?”, Eric non riusciva a
stare zitto nemmeno impegnandosi, figurarsi se era agitato.
Il suo capobranco gli dedicò un’occhiata veloce per poi
scandagliare le banchine con sguardo attento. Aveva le orecchie ritte
in cerca di rumori sospetti e i muscoli delle spalle tesi, pronti a
scattare al minimo segno di pericolo.
“Emily, illustraci la disposizione delle sentinelle.”,
ordinò lo scozzese. La lupa fece un breve cenno col capo e poi
si mise a descrivere loro tutto quello che sapeva, aiutandosi anche con
gli odori ed i suoni del luogo in cui si trovavano.
Alla fine della spiegazione, Van si rivolse al nuovo arrivato. “Ti è tutto chiaro?”, gli domandò.
Quello roteò gli occhi e poi emise un verso di gola.
“Certo, capo.”, rispose con uno sbuffo alquanto
infastidito. Credevano per caso che fosse un cucciolo alle prime armi?
Quanto odiava essere sottovalutato dalle persone!
Evan ignorò il suo comportamento, togliendo importanza al gesto.
“Quando sei pronto puoi andare. Noi aspetteremo il momento giusto
per passare oltre la maglia di sentinelle.”, l’avviso.
Eric fece un brusco cenno del capo e poi partì di corsa verso la postazione della prima sentinella.
“Ha comportamenti tipici da Beta indisciplinato.”, commentò Emily.
“Già. Ne ho già visto uno all’opera.”,
convenne l’altro. L’americana lo guardò confusa, ma
lui liquidò la questione con un mezzo sorriso lupino.
“Muoviamoci.”, disse, partendo a passo sostenuto dietro la
scia dell’europeo.
“Se non dovesse funzionare…?”, Emily non riuscì ad impedirsi di avere quel pensiero.
“Saremmo fregati.”, fu la risposta lapidaria.
-Hai avvertito Alastair?- domandò non appena lo vide rientrare.
David sollevò lo sguardo, bloccandosi a metà mentre
abbassava l’infisso a scorrimento verticale che dava sulla scala
antincendio. –Sì.- confermò, chiudendo
definitivamente la finestra.
-Ad Evan non piacerà…- gli fece notare Drew.
Dave fece una smorfia. –Lo so. Ma a me non piacerebbe vederlo
morto.- si strinse nelle spalle. Stettero per un po’ in silenzio,
poi l’inglese chiese:-Come va? Avverti qualche particolare
cambiamento?
Andrew ci pensò un po’ su, scandagliando con cura nel
proprio io interiore ed osservando con occhio critico l’umore
della sua bestia. –Per ora no… sono solo preoccupato.-
disse infine.
-Non devi: Alst sa quello che fa.- replicò l’inglese.
Drew fece una smorfia. –Non mi preoccupa Alastair, ma tutto il
resto.- ammise. All’espressione interrogativa del suo
interlocutore proseguì, spiegandosi:-Se Emily li stesse
attirando in una trappola? E se Jared facesse del male al piccolo? E se
Stryker sapesse di questa cosa e volesse approfittarne per vendicarsi
di me?
David lo bloccò con un gesto deciso. –Ehi, frena, frena!
Che fantasia galoppante, che hai!- gli disse, cercando di buttarla sul
ridere.
-Scusa tanto se non sono abituato a cose del genere…- brontolò incrociando le braccia al petto.
Comprendendo meglio il suo stato d’agitazione, il riccio gli si
avvicinò e gli diede una pacca sulla spalla, cercando di
rassicurarlo con quel breve contatto. –Emily non rischierà
di tradirci: è in gioco la vita di suo nipote. Jared potrebbe
giocar loro qualche brutto tiro, anzi, lo farà sicuramente. Per
quanto riguarda Stryker non vedo come possa sapere quello che sta
succedendo.- osservò.
-Be’…- Andrew esitò, indeciso se esporre i propri pensieri o meno.
-Cosa?- l’altro si fece sospettoso.
Sentendo la presa sulla propria spalla intensificarsi,
l’americano optò per la verità. –Credo che
Stryker sia in combutta con Crystal.- rivelò.
“Quella cagna!”, non poté fare a meno di pensare
David. –La cosa non mi stupisce più di tanto.- fu
costretto ad ammettere.
-Vuoi dire che… loro due…?
Scosse la testa. –No, per carità! Lei non ha mai tradito
Evan, non avrebbe potuto farlo con Dearan pronto a cogliere ogni suo
movimento.- si spiegò. –Ma ora che Evan non è
più suo marito…
-Non credo dipenda dalla sua sete di potere. Più che altro da quella di vendetta.- dovette smentirlo.
Solo allora Dave capì. –E’ stato lei a renderti
l’Omega?!- esclamò, sconvolto. Anche se con un pizzico
d’esitazione, il nuovo licantropo annuì.
-Non sono sicuramente nella top five delle sue persone preferite.- cercò di riderci su.
-Drew, stai attento! Quella è capace di tutto, se il suo
obiettivo è riavere Evan.- l’avvertì. Prese a
girare intorno, allarmato da quanto gli era stato detto. Ora capiva
come mai Stryker si fosse accanito così tanto sul nuovo
arrivato, ma non era lui il problema.
-Crystal potrebbe diventare più pericolosa di quanto non sia?-
domandò Andrew, ora visibilmente preoccupato. Essere sulla lista
nera del nuovo Campione del branco MacGregor era una cosa, ma essere su
quella di una licantropa incazzata nera era un’altra.
-Sì… perché se ti elimina può riavere
Evan.- rivelò, guardandolo intensamente coi suoi occhi chiari.
-C-che…?- gracchiò.
-Evan è stato esiliato perché ti ha trasformato senza il
permesso di suo padre. Se la causa scatenante della condanna viene
eliminata, allora la sentenza viene immediatamente ritirata.-
spiegò, conciso.
D’istinto il giovane si portò una mano al collo, temendo
per la propria vita. Già era difficile venire a patti con la sua
nuova parte animale (ancor di più se c’era la luna piena),
ma se poi ci si metteva anche una ex moglie disposta a tutto pur di
riavere il suo trofeo… la situazione assumeva tutt’altra
prospettiva.
-Sono fregato.- commentò.
-No… c’è una soluzione a tutto.- cercò
d’incoraggiarlo David. L’occhiata che ricevette in cambio
gli disse che Drew non ne era per nulla convinto.
Si ritrovò improvvisamente davanti alcune delle sentinelle piazzate da Jared.
Piantò i piedi, sfregando i polpastrelli delle zampe
sull’asfalto e fermò la propria corsa ad un centinaio di
metri da loro.
I licantropi erano in forma umana, ma ciò non gli avrebbe impedito di svolgere la sua parte.
Arricciò brevemente il naso e poi piantò per bene le
zampe, scrutando gli avversari che aveva davanti. Doveva riuscire a
liberare almeno una parte del perimetro, in modo da permettere ad Evan
ed Emily di passare senza dover sprecare energie in inutili
combattimenti.
“Vediamo quanto hai imparato, Eric.”, gli parve di sentire
la voce di suo zio nella testa. Scosse energicamente il capo per
riappropriarsi dei propri pensieri e poi prese ad avvicinarsi con passo
leggero e trotterellante.
Mentre avanzava poteva leggere chiaramente il sospetto sulle facce dei
presenti, ma lo ignorò e proseguì, accorciando sempre di
più la distanza che c’era tra loro.
“Fatti indietro, non abbiamo tempo di giocare.”, il ringhio
d’avvertimento arrivò dal più alto, il quale
arricciò lentamente il labbro superiore per fargli capire che
non stava scherzando.
Eric non rispose e continuò la propria avanzata.
I licantropi iniziarono ad innervosirsi. Considerato che di solito il
suo compito era di evitare che i membri di un branco arrivassero ad un
livello di agitazione tale da divenire pericolosi, stava rischiando
veramente grosso.
Ed iniziava ad avere dei dubbi circa la pensata di Evan.
“Ma chi sono io per discutere gli ordini del capo?”, si
disse, non senza una bella dose di ironia. Accelerò leggermente
il passo, fino a ritrovarsi a meno di venti metri dagli altri. I Blacks
si piegarono sulle gambe, pronti a scattare.
L’europeo prese un respiro profondo e poi iniziò a fare
quello che, a quanto sembrava, gli riusciva molto bene: fare il
buffone. Solitamente l’Omega aveva il compito di sedare gli
animi, il più delle volte assumendo atteggiamenti divertenti,
che ricordavano tanto quelli di un clown. Ma, a differenza di quello
che si poteva pensare, il suo era un ruolo di tutto rispetto…
non fosse stato che, tra i licantropi, non vi era quasi mai la
necessità di questi interventi.
Quindi l’Omega finiva per diventare il punching ball emotivo e fisico dei membri del branco.
Personalmente, il ragazzo odiava ricoprire quella carica. Ma se poteva
venir utile per salvare un cucciolo, avrebbe fatto uno sforzo.
“Concentrati!”, si rimproverò, rendendosi conto di
essersi perso nei propri pensieri. Balzò di lato, avvitandosi in
aria ed atterrando al fianco di uno degli avversari. Quello lo
guardò diffidente e lo seguì con lo sguardo quando
iniziò a girargli attorno.
Se qualcuno avesse osservato la scena dall’esterno, quella che
stava mettendo in atto sarebbe sembrata solo un’assurda danza.
Invece stava tentando di radunarli e condurli via dalle loro
postazioni.
Considerato che nessuno avrebbe ancora potuto associarlo al
branco di Evan, aveva buone possibilità di riuscire nel suo
obiettivo. Non fosse stato per la testarda resistenza che stavano
opponendo quei quattro lupi.
Infastidito, Eric emise un verso di gola. Quelli lo fissarono, cercando di capire se interpretarlo come una sfida oppure no.
Restarono immobili a scrutarsi per parecchi minuti.
“D’accordo. Non ha funzionato con le buone,
funzionerà con le cattive.”, decise il ragazzo,
spazientito.
Individuò il lupo con la stazza più simile alla sua e,
con un rapido scatto, lo morse alla gamba sinistra. Giusto il tempo di
assaggiare il sangue e mollò la presa, balzando
all’indietro.
I quattro ci misero un po’ per reagire, ma quando lo fecero gli
ringhiarono contro, per nulla divertiti dalla sua recente trovata.
“Provate a prendermi.”, li sfidò Eric. Ora che li
aveva provocati, l’unica soluzione era correre più veloce
di loro e farli allontanare. Si concesse un respiro profondo prima di
lanciarsi nella direzione opposta da cui era venuto.
“I lupi si sono dati all’inseguimento. Sbrigatevi!”, comunicò ad Evan.
“Non farti prendere.”, fu la sola raccomandazione.
Si lanciò un’occhiata alle spalle, vedendo i quattro
licantropi assumere sembianze animali. Se il gruppo non si fosse
allargato avrebbe potuto gestirli.
In caso contrario, avrebbe dovuto mettere le ali alle zampe.
Si misero a correre non appena ebbero ricevuto il segnale. Si
erano posizionati sui tetti, per precauzione, ed ora balzavano da una
copertura all’altra con l’agilità di ladri esperti.
Emily faceva strada, correggendo la direzione man mano che si avvicinavano al quartier generale dei Blacks.
Evan si limitò ad affiancarla, cercando di isolarsi e non
lasciarsi coinvolgere dalla sua agitazione. Comprendeva benissimo la
preoccupazione per il piccolo Blake, ma almeno uno dei due doveva
rimanere padrone di se stesso.
All’improvviso la vide sparire all’interno di una finestra
mezza sfondata. Si fermò un attimo e guardò in basso. Lei
alzò il muso bruno e gli fece un rapido cenno d’assenso.
Rassicurato, si tuffò a sua volta all’interno, atterrando
tra vetri rotti e polvere.
Trattenne a stento uno starnuto e poi riprese a correre, puntando
dritto verso la porta aperta che si vedeva alla fine del capannone.
Emily correva come se avesse il diavolo alle calcagna, desiderando
riabbracciare il prima possibile il figlio di sua sorella, la persona
più importante da quando Evelyn era morta. Il solo pensiero che
Jared gli avesse fatto del male la spingeva ad accelerare ulteriormente
il passo, incurante del grosso lupo che aveva alle spalle.
Non esistevano più gerarchie nella sua mente né la paura o la prudenza, solo Blake.
“Emily…”, si sentì chiamare. Ignorò la
voce e continuò a correre. “Emily!”, insistette
quella. Ringhiò, infastidita. “EMILY!”, si
ritrovò la strada bloccata da Evan e fu costretta a fermarsi di
colpo per evitare di finirgli addosso.
“Cosa?”, fece, confusa e un po’ scocciata.
“Stavi per finire dritta nelle fauci di Jared.”, le fece
presente il suo Alfa. La stava fissando coi suoi occhi
d’ametista, dentro i quali si poteva leggere chiaramente la
disapprovazione per il suo comportamento.
Lei allora si riscosse e si guardò intorno, cercando di trovare
conferma a ciò che le era appena stato detto. L’odore di
Jared e di Simon le arrivò prepotente al naso, colpendola come
un maglio. Percepì anche quello di Blake e si sentì
ancora peggio.
Abbassò il capo. “Mi dispiace…”, si scusò.
“Cerca di ritrovare la concentrazione. Dobbiamo agire mentre gli
altri lupi sono impegnati con Eric.”, le fece presente.
Annuì diverse volte, dandosi mentalmente della stupida e
prendendo respiri profondi.
Le ci volle un po’ per ritrovare il controllo. “Sono pronta.”, annunciò infine.
Avevano deciso di comune accordo di rimanere
nell’appartamento di David, principalmente perché lui
doveva tirarsi avanti con alcune consegne e aveva tutti gli strumenti
con cui lavorava nella propria camera.
Andrew si era rannicchiato sul divano, perso nei propri pensieri.
Sentiva ogni fibra del corpo tesa all’inverosimile, nel disperato
tentativo di cogliere avvisaglie preoccupanti.
-Drew, ti farai venire un’ulcera, così.- gli fece presente
l’inglese. Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc
elaborasse quanto gli era stato richiesto.
-Mi dispiace…- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.
-Devi imparare a controllarlo, quello è vero. Ma lo devi fare
con gentilezza: combattere non serve a nulla.- replicò
l’altro, lanciandogli una rapida occhiata da dietro lo schermo.
L’americano si prese la testa tra le mani. –E’ tutto
una grande contraddizione…- brontolò tra sé.
-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.
Drew si concesse qualche minuto per riordinare i pensieri, poi si
appoggiò allo schienale del divano coi gomiti e
domandò:-Com’è stata per te?
L’inglese gli lanciò un’occhiata distratta. –Com’è stata cosa?
-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell’altro.
-Oh… quella. Tutto nella norma.- la sua risposta fu abbastanza
frettolosa e destò qualche sospetto nel suo interlocutore.
Resosi conto di essere osservato, prese un respiro profondo e mise in
pausa il proprio lavoro. –Non è stata esattamente una
passeggiata.- ammise infine.
-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.
Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.
Capendo che non era un argomento facile, Andrew decise di passare a
qualcosa che, sperava, fosse meno spinoso. –Tu ed Evan…
quando vi siete incontrati?
Sembrò pensarci su, anche se non aveva bisogno di frugare nella
memoria per ricordare quel giorno. Era stato l’inizio e la fine
di tutto. –Avevo diciassette anni, quindi era il 1856.- rispose.
–Ero un giovane rampollo, istruito e parecchio tronfio.-
aggiunse, ridacchiando.
-Tu?- l’americano sollevò un sopracciglio, divertito.
David si esibì in una breve risata. –Sì, proprio
io. Cosa non ti torna? Il fatto che fossi tronfio o che fossi un
rampollo?- chiese, divertito.
-Entrambi.- ridacchiò l’altro, stando al gioco. Era facile
parlare con l’inglese perché riusciva sempre ad
alleggerire conversazioni che, altrimenti, sarebbe stato problematico
affrontare. O per lo meno faticoso.
-Be’, lo ero.- confermò, tornando serio. –E,
nonostante tutti i tentativi di mia madre, ero particolarmente stupido
a quell’età.- ammise.
-Chi non lo è? A parte Amanda… lei è nata con un
senso del dovere così spiccato da far paura.- replicò
Andrew.
L’altro annuì con un rapido cenno, dandogli ragione. Poi
si stiracchiò pigramente e si alzò dalla sedia su sui era
stato per quasi un’ora. –Non sapevo di essere un licantropo
e, quando mi sono trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.-
rivelò, sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.
-Posseduto? Intendi dal demonio?
Confermò con un cenno del capo, facendo ondeggiare i ricci
scuri. –Esattamente. All’epoca si credeva ancora in cose
del genere.- rivelò. –Anche se gli inglesi ci credevano
comunque meno degli scozzesi.- aggiunse, ghignando.
-Anche Evan ti credette posseduto?- indagò Drew, curioso.
Lasciarsi trasportare dalle parole di David era più facile che
cercare di combattere la bestia e sembrava avere un potere calmante
sulla parte animale.
-Non lo conoscevo ancora.- confessò. All’espressione
stupita del suo interlocutore aggiunse:-Ci saremmo incontrati da
lì a sette anni.
-Oh… credevo che…
David gli si avvicinò, sedendosi sul bracciolo del divano.
–Che fossimo cresciuti insieme?- suggerì. Al gesto
affermativo del ragazzo, lui scosse la testa. –No, ma è
che se fosse successo.- concluse con un sorriso.
-Quindi… la prima volta che ti sei trasformato…?- dopo
una breve pausa, Andrew tornò all’attacco. Sapere come gli
altri avevano affrontato la prima notte di luna piena gli sarebbe stato
utile per poterne ricavare consigli e magari qualche dritta.
Era terrorizzato all’idea di diventare un mostro assetato di
violenza, impossibile da fermare se non con un colpo al cuore.
-Ero nella stalla, stavo accudendo i cavalli. Mi pare fosse una notte
di luna piena, tra l’altro.- raccontò, meditabondo. Si
guardò le mani, cercando le parole giuste per raccontare
quell’esperienza. –Quando mi sono trasformato ho spaventato
i cavalli… loro hanno tentato di fuggire, ma la loro paura ha
eccitato la bestia e, prima che potessi fermarmi, stavo affondando i
denti nella giugulare di un destriero.- proseguì. –Ne ho
uccisi tre prima che mia madre raggiungesse le stalle e…- fece
per proseguire, ma il suo cellulare squillò.
I due si guardarono, gli occhi dilatati per la sorpresa. Reprimendo un
brivido, David si alzò ed afferrò il cellulare,
accettando la chiamata con un’espressione perplessa in viso.
–Alst?
-Non mi avevi detto che l’intero branco sarebbe stato ad attendere Evan e gli altri!- lo accusò lo scozzese.
-Non ti avrei chiamato, in caso contrario…- si
giustificò, facendosi piccolo. A quando pareva Alastair incuteva
un certo timore sia a David che ad Evan.
-David Rockbell! Come hai potuto lasciare che il tuo Alfa andasse a
farsi ammazzare?! Qui ce ne sono abbastanza per rimetterci le penne!-
lo rimproverò, arrabbiato.
Dave sentì uno spiacevole rossore farsi spazio sul suo viso.
–Qualcuno doveva rimanere con Andrew: è la sua prima luna
piena.- gli fece presente.
-Lo so, lo so.- lo sentì calmarsi. –Solo che…
questa è una trappola bella e buona! Ho già dovuto metter
fuori combattimento tre lupi e non sono nemmeno riuscito a raggiungere
gli altri.- aggiunse.
-Alst…
-Sì, cercherò di arrivare in tempo. Devo farlo. Ma questo
non mi impedirà di dirgliene quattro.- brontolò.
-Se ti riesce, fai fuori Jared.- suggerì Dave. Drew lo
guardò con tanto d’occhi. Non l’aveva detto sul
serio, vero?
-Non ho voglia di andare in galera.- gli fece presente Alastair.
-E io non voglio che i cuccioli subiscano violenze per espiare colpe altrui.- ribattè l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio. –Ho detto che non lo
ucciderò, non che lo lascerò andare illeso. Nel caso mi
capiti tra le mani, avrà un brutto quarto d’ora.
-Conto su di te, Alst.- disse David, rassicurato.
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Capitolo 19 *** Cap. 18 Rescue ***
Cap. 18 Rescue
Quest'anno
è stato veramente impegnativo e l'Università ha assorbito
tutte le mie attenzioni. Mi dispiace veramente tanto perchè sono
letteralmente scomparsa e non ho più dato segni di vita. Ora
sono tornata e spero di poter recuperare il tempo di inativvità.
Mi sento un po' Martin, dati i tempi biblici, ma tant'è... vi auguro buona lettura!
E scusate ancora per l'attesa :(
P.S.: Anche il salvataggio di Blake sta andando per le lunghe... ma nel prossimo capitolo si concluderà: abbiate fede!
Cap. 18 Rescue
Avevano deciso di comune accordo di rimanere nell’appartamento di
David, principalmente perché lui doveva tirarsi avanti con
alcune consegne e aveva tutti gli strumenti con cui lavorava nella
propria camera.
Andrew si era rannicchiato sul
divano, perso nei propri pensieri. Sentiva ogni fibra del corpo tesa
all’inverosimile, nel disperato tentativo di cogliere avvisaglie
preoccupanti.
-Drew, ti farai venire
un’ulcera, così.- gli fece presente l’inglese.
Digitò alcuni comandi e poi attese che il pc elaborasse quanto
gli era stato richiesto.
-Mi dispiace…- sbuffò lui. –Ma non riesco a non pensare a cosa ho combinato quando ho dato retta al lupo.
-Devi imparare a controllarlo,
quello è vero. Ma lo devi fare con gentilezza: combattere non
serve a nulla.- replicò l’altro, lanciandogli una rapida
occhiata da dietro lo schermo.
L’americano si prese la
testa tra le mani. –E’ tutto una grande
contraddizione…- brontolò tra sé.
-Oh, sì. Siamo esseri contraddittori, in effetti.- gli diede ragione Dave.
Drew si concesse qualche
minuto per riordinare i pensieri, poi si appoggiò allo schienale
del divano coi gomiti e domandò:-Com’è stata per te?
L’inglese gli lanciò un’occhiata distratta. –Com’è stata cosa?
-La tua prima trasformazione.- Andrew roteò gli occhi, divertito dal finto tono noncurante dell’altro.
-Oh… quella. Tutto
nella norma.- la sua risposta fu abbastanza frettolosa e destò
qualche sospetto nel suo interlocutore. Resosi conto di essere
osservato, prese un respiro profondo e mise in pausa il proprio lavoro.
–Non è stata esattamente una passeggiata.- ammise infine.
-Hai fatto del male a qualcuno?- il ragazzo si fece ancor più interessato.
Dave fece una smorfia. –No... a parte me stesso.- rivelò, evitando di guardarlo negli occhi.
Capendo che non era un
argomento facile, Andrew decise di passare a qualcosa che, sperava,
fosse meno spinoso. –Tu ed Evan… quando vi siete
incontrati?
Sembrò pensarci su,
anche se non aveva bisogno di frugare nella memoria per ricordare quel
giorno. Era stato l’inizio e la fine di tutto. –Avevo
diciassette anni, quindi era il 1856.- rispose. –Ero un giovane
rampollo, istruito e parecchio tronfio.- aggiunse, ridacchiando.
-Tu?- l’americano sollevò un sopracciglio, divertito.
David si esibì in una
breve risata. –Sì, proprio io. Cosa non ti torna? Il fatto
che fossi tronfio o che fossi un rampollo?- chiese, divertito.
-Entrambi.- ridacchiò
l’altro, stando al gioco. Era facile parlare con l’inglese
perché riusciva sempre ad alleggerire conversazioni che,
altrimenti, sarebbe stato problematico affrontare. O per lo meno
faticoso.
-Be’, lo ero.-
confermò, tornando serio. –E, nonostante tutti i tentativi
di mia madre, ero particolarmente stupido a quell’età.-
ammise.
-Chi non lo è? A parte
Amanda… lei è nata con un senso del dovere così
spiccato da far paura.- replicò Andrew.
L’altro annuì con
un rapido cenno, dandogli ragione. Poi si stiracchiò pigramente
e si alzò dalla sedia su sui era stato per quasi due ore.
–Non sapevo di essere un licantropo e, quando mi sono
trasformato, ho creduto di esser stato posseduto.- rivelò,
sfiorando distrattamente la superficie lisca del tavolo.
-Posseduto? Intendi dal demonio?
Confermò con un cenno
del capo, facendo ondeggiare i ricci scuri. –Esattamente.
All’epoca si credeva ancora in cose del genere.- rivelò.
–Anche se gli inglesi ci credevano comunque meno degli scozzesi.-
aggiunse, ghignando.
-Anche Evan ti credette
posseduto?- indagò Drew, curioso. Lasciarsi trasportare dalle
parole di David era più facile che cercare di combattere la
bestia e sembrava avere un potere calmante sulla parte animale.
-Non lo conoscevo ancora.-
confessò. All’espressione stupita del suo interlocutore
aggiunse:-Ci saremmo incontrati da lì a sette anni.
-Oh… credevo che…
David gli si avvicinò,
sedendosi sul bracciolo del divano. –Che fossimo cresciuti
insieme?- suggerì. Al cenno affermativo del ragazzo, lui scosse
la testa. –No, ma è come se fosse successo.- concluse con
un sorriso.
-Quindi… la prima volta
che ti sei trasformato…?- dopo una breve pausa, Andrew
tornò all’attacco. Sapere come gli altri avevano
affrontato la prima notte di luna piena gli sarebbe stato utile per
poterne ricavare consigli e magari qualche dritta.
Era terrorizzato
all’idea di diventare un mostro assetato di violenza, impossibile
da fermare se non con un colpo al cuore.
-Ero nella stalla, stavo
accudendo i cavalli. C’era la luna piena, ovviamente.-
raccontò, meditabondo. Si guardò le mani, cercando le
parole giuste per raccontare quell’esperienza. –Quando mi
sono trasformato ho spaventato i cavalli… loro hanno tentato di
fuggire, ma la loro paura ha eccitato la bestia e, prima che potessi
fermarmi, stavo affondando i denti nella giugulare di un destriero.-
proseguì. –Ne ho uccisi tre prima che mia madre
raggiungesse le stalle e…- fece per proseguire, ma il suo
cellulare squillò.
I due si guardarono, gli occhi
dilatati per la sorpresa. Reprimendo un brivido, David si alzò
ed afferrò il cellulare, accettando la chiamata con
un’espressione perplessa in viso. –Alst?
-Non mi avevi detto che
l’intero branco sarebbe stato ad attendere Evan e gli altri!- lo
accusò lo scozzese, l’accento molto più marcato del
solito.
-Non ti avrei chiamato, in
caso contrario…- si giustificò, facendosi piccolo. A
quando pareva Alastair incuteva un certo timore sia a David che ad Evan.
-David Rockbell! Come hai
potuto lasciare che il tuo Alfa andasse a farsi ammazzare?! Qui ce ne
sono abbastanza per rimetterci le penne!- lo rimproverò,
arrabbiato.
Dave sentì uno
spiacevole rossore farsi spazio sul suo viso. –Qualcuno doveva
rimanere con Andrew: è la sua prima luna piena.- gli fece
presente.
-Lo so, lo so.- lo
sentì calmarsi. –Solo che… questa è una
trappola bella e buona! Ho già dovuto metter fuori combattimento
tre lupi e non sono nemmeno riuscito a raggiungere gli altri.- aggiunse.
-Alst…
-Sì, cercherò di
arrivare in tempo. Devo farlo. Ma questo non mi impedirà di
dirgliene quattro.- brontolò.
-Se ti riesce, fai fuori
Jared.- suggerì Dave. Drew lo guardò con tanto
d’occhi. Non l’aveva detto sul serio, vero?
-Non ho voglia di andare in galera.- gli fece presente Alastair.
-E io non voglio che i cuccioli subiscano violenze per espiare colpe altrui.- ribattè l’altro.
Ci fu un attimo di silenzio.
–Ho detto che non lo ucciderò, non che lo lascerò
andare illeso. Nel caso mi capiti tra le mani, avrà un brutto
quarto d’ora.
-Conto su di te, Alst.- disse David, rassicurato.
Osservò con attenzione la scena che aveva davanti.
Oltre il pianerottolo della
scala antincendio si vedevano Jared e il suo Gamma, Simon. Accanto al
capo dei Blacks, legato mani e piedi con quelle che sembravano corde
intessute di fili d’argento, c’era il piccolo Blake.
I due stavano tenendo sotto
controllo uno spiazzo abbastanza ampio davanti ad alcuni capannoni,
aiutati da altri sei membri del branco.
“Hanno scelto una buona
posizione, non fosse che noi non abbiamo intenzione di attaccarli
frontalmente.”, ragionò Evan.
Emily, alle sue spalle, smise
di digrignare i denti e lo guardò per alcuni istanti.
“Dobbiamo salvare Blake! Non m’importa nulla di strategie,
ora come ora!”, protestò.
Lui allora si voltò a
guardarla, ghiacciandola coi suoi occhi. “Se uscissimo allo
scoperto senza avere un piano d’attacco, non salveresti Blake
nemmeno volendo.”, le fece presente. “Sono in vantaggio
numerico, se non l’hai notato.”, aggiunse subito dopo,
facendole cenno col muso.
La lupa si spazientì e fece schioccare le fauci. “E allora cosa dovremmo fare?!”
“Non sono io la Sentinella, qui. Dimmelo tu.”, fu la risposta.
A quelle parole Emily
sembrò ritrovare un po’ di calma e tornò a guardare
verso l’esterno con un rinnovato spirito d’osservazione.
Utilizzò tutti e cinque i sensi per scandagliare la zona e
cercare un angolo cieco da sfruttare.
Aveva riconosciuto i lupi
presenti, in particolare uno di loro. Attirò l’attenzione
di Evan con un rapido movimento degli occhi e lo spinse ad osservare il
licantropo più lontano dal punto in cui si trovavano.
“Quello è
Patrick. Recentemente ha avuto una disavventura con un
conservatore.”, spiegò. “Il tizio ha cercato di
tranciargli di netto la gamba destra con una garrota d’argento.
La ferita non è ancora completamente guarita. Potremmo sfruttare
questa cosa per forzare il blocco.”, illustrò il proprio
piano.
“E’ una Sentinella?”, domandò allora lo scozzese.
Lei scosse il capo. “No, un semplice lupo. Solo un po’ troppo avvezzo all’alcool.”, rispose.
Van mandò a memoria
l’informazione e tornò a scandagliare l’intorno,
prestando particolare attenzione ai suoni attorno a sé. Non
aveva ricevuto richieste d’aiuto da parte di Eric, quindi il
ragazzo era riuscito nel suo intento senza problemi. L’aveva
sottovalutato, a quanto pareva.
“Resta nascosta. Vado a
ridurre il nostro svantaggio.”, le comunicò ad un certo
punto. L’americana fece per protestare, ma lui non glielo
permise, sparendo rapidamente dalla scena. Scese una rampa di scale
secondaria e raggiunse la porta arrugginita che aveva notato entrando.
Lentamente e con attenzione la aprì facendo perno col muso.
Sbirciò
all’esterno, percependo chiaramente la preoccupazione di Emily. I
ciuffi di pelo sulla sua schiena vibravano tanta era l’ansia
della lupa.
“Devo insegnarle a
controllarsi.”, pensò, infastidito. Puntò gli occhi
sul suo obiettivo e sgusciò fuori, trovando riparo dietro alcune
casse di legno. Doveva percorrere circa cinquecento metri prima di
poter essere abbastanza vicino da attaccare.
Si guardò intorno,
cercando un modo per passare inosservato. Individuò una fila di
container e, poco più distante, un edificio con la copertura
voltata.
“Può
andare.”, si piegò sulle zampe e si mise a strisciare il
più rapidamente possibile verso il primo container di metallo.
Cercò sempre di rimanere sottovento o di camuffare il proprio
odore con quello dei rifiuti chimici ammassati un po’ ovunque in
quella zona del porto.
Quando raggiunse la propria
meta accelerò il passo, zigzagando tra un volume metallico e
l’altro. Balzò sull’ultimo e si lanciò sul
tetto dell’edificio, sparendo subito dopo dietro uno degli shed
della copertura.
Alle sue spalle la
situazione non era cambiata, mentre Patrick sembrava essersi
insospettito. Lo vide lanciare occhiate furtive da un lato e
dall’altro e allora decise di attirarlo all’interno del
capannone e avere ragione di lui. Si lasciò cadere di sotto ed
atterrò facendo più rumore del dovuto: questo
attirò la sua preda.
Il licantropo
entrò immediatamente nell’edificio, analizzando
l’ambiente grazie ai suoi sensi sviluppati. Nemmeno il tempo di
mettersi sull’attenti che Evan gli piombò addosso e lo
azzannò alla giugulare, stringendo quel tanto che bastò
per fargli perdere i sensi.
“Fuori uno.”, comunicò. “Mantieni la posizione.”, aggiunse subito dopo.
Lanciò una rapida
occhiata al licantropo privo di sensi, poi si affrettò verso
l’uscita, pronto per metterne fuori combattimento un altro.
Era quasi riuscito ad
avere la meglio su tutti e quattro i lupi lanciati al suo inseguimento,
non fosse stato per quello che continuava ad inseguirlo.
Sistemare i primi tre era
stato relativamente facile, ma l’ultimo rimasto era riuscito a
trasformarsi ed ora lo stava quasi raggiungendo, dato che aveva una
falcata lunga quasi il doppio della sua.
Aveva il fiato corto e il costato gli doleva terribilmente.
Ma non poteva chiedere aiuto ad Evan, rischiando così di distrarlo dal suo compito, ossia salvare il piccolo Blake.
“Ti sto per raggiungere,
stupido lupo.”, lo minacciò il suo inseguitore. Per poco
Eric non inciampò nelle proprie zampe, carambolando a terra.
Recuperò la concentrazione e chiese un ultimo sforzo al proprio
corpo.
Doveva trovare qualcosa che
potesse aiutarlo a sbarazzarsi di quel licantropo, ma non gli veniva in
mente nulla. La sua testa era occupata da un solo pensiero: scappare.
Poi, con la coda
dell’occhio, notò alcuni barili accatastati l’uno
sull’altro. “Trovato!”, virò verso sinistra,
cambiando direzione. Alle sue spalle, il suo inseguitore fece lo
stesso.
Eric accelerò ancora di più il passo, circumnavigando alcune casse da imballaggio grosse il doppio di lui.
“Non vorrai mica nasconderti, vero cuccioletto?”, lo schernì l’altro.
“Adesso vedrai.”,
pensò il giovane. Piegò a gomito, rischiando di sbattere
contro un container e cambiò bruscamente direzione. Le sue zampe
slittarono sull’asfalto, producendo un leggero rumore metallico,
ma recuperò immediatamente la stabilità.
Balzò sulla prima cassa ed iniziò la risalita.
Durante l’ascesa
cercò di tenere sott’occhio il proprio avversario, ma ben
presto lo perse di vista. Ansante, fu costretto a fermarsi e guardarsi
intorno. Percepiva ancora la sua presenza, ma l’odore dei fluidi
chimici gli faceva pizzicare il naso a tal punto da impedirgli di
fiutare qualsiasi altra cosa.
Si era messo nei guai da solo.
“Maledizione!”, imprecò, infastidito dalla sua stessa ingenuità.
“Stavi cercando
me?”, la voce del membro dei Blacks gli arrivò alle
spalle. Eric si voltò con uno scatto, tentando di allontanarsi,
ma quello lo afferrò per la coda e lo lanciò verso le
casse più in basso.
Il giovane lupo
tentò di avvitarsi su se stesso per attutire la caduta, ma si
schiantò comunque contro i contenitori, mandandoli in mille
pezzi. Cadde dentro uno di essi, mentre una pioggia di schegge e
segatura lo investiva.
Stordito, tentò di
rimettersi in piedi il più in fretta possibile, ma la testa gli
risuonava come una cassa armonica. Digrignò i denti e chiuse gli
occhi, provando a scacciare quel fastidioso ronzio.
Quando li riaprì si
ritrovò a fissare l’altro licantropo, ritto davanti a lui
e pronto a finirlo con un colpo della sua zampa artigliata.
Mosse un passo
all’indietro nel disperato tentativo di evitare l’attacco,
ma si ritrovò bloccato dal fondo della cassa. Non avendo altra
scelta, si preparò a lottare fino all’ultimo sangue.
L’altro rise sguaiatamente del suo tentativo di difendersi e caricò il colpo, sicuro di metterlo a segno.
Stava per abbassare
violentemente la zampa quando una forma indistinta gli piombò
addosso.
Eric lo vide sparire dall’apertura e sentì poco dopo il
rumore di due corpi che sbattevano violentemente contro il terreno.
Confuso, mise immediatamente il muso fuori dalla cassa ed
osservò il licantropo alle prese con un avversario dal pelo
rossiccio.
Da principio pensò fosse Evan, ma poi non riconobbe l’odore e si rese conto che il colore del manto era diverso.
“Ma chi…?”, si ritrovò a chiedersi, confuso.
Al nuovo arrivato bastarono
pochi attimi per mettere fuori gioco l’avversario, mandandolo a
sbattere contro i barili che l’europeo aveva puntato poco prima.
Dopo essersi assicurato che il
lupo avesse veramente perso i sensi, si voltò ed osservò
il ragazzo. “Tu sei il nuovo affiliato del branco di Evan,
giusto?”, gli domandò, annusandolo accuratamente.
L’odore gli era nuovo, quindi non poteva essere Andrew.
“S-sì… ma voi chi siete?”, domandò l’altro.
“Alastair, Beta del
branco MacGregor e mentore di Evan.”, spiegò
sommariamente. “Lui dov’è?”, aggiunse subito
dopo.
“E’ andato a
liberare Blake. Io dovevo distrarre le sentinelle.”,
spiegò, dopo l’attimo di sorpresa.
“Andiamo ad aiutarlo
prima che si faccia ammazzare.”, disse perentorio. Lanciò
una rapida occhiata per assicurarsi che il giovane lupo fosse incolume
e poi si mise a correre verso la banchina.
Dopo un’esitazione, Eric
si affrettò a mettersi nella sua scia, rassicurato e insieme
spaventato dall’intervento di un membro esterno al branco.
Probabilmente era stato
David a contattarlo, ma ciò significava che la situazione in cui
si erano cacciati poteva essere più pericolosa di quanto
avessero preventivato.
-Cosa sta succedendo? Perché Alastair sta raggiungendo Evan e gli altri?- domandò allarmato.
David si voltò a
guardarlo, sul viso un’espressione di vergogna. –Non potevo
permettere che andasse nella tana del lupo senza supporto. Alst ha
molta esperienza e saprà sicuramente essere un valido aiuto.-
spiegò.
Andrew si accigliò. –Ma ti aveva detto…
-Lo so cosa mi aveva detto.
Non ho mai assicurato che avrei obbedito.- gli fece notare, leggermente
infastidito. Drew lo osservò distogliere lo sguardo,
probabilmente irritato per esser stato scoperto.
-Non devi giustificarti con me: l’avrei fatto anche io.- commentò il neo nato licantropo.
-Questo non mi salverà
la pelliccia, più tardi.- replicò l’altro con un
sorriso amaro. –Ma non sono riuscito ad impedirmelo.
-Tu ed Evan siete molto legati, vero?- Andrew decise di spostare lo conversazione sul vecchio argomento. O quasi.
Dave si appoggiò al
bordo del tavolo ed incrociò le braccia. –Sì, siamo
come fratelli.- rispose in un sussurro. Puntò lo sguardo oltre
la finestra della sala, vagando in vecchi ricordi che stavano chiedendo
di essere ascoltati.
Dopo qualche attimo
d’esitazione, l’americano tentò di riprender
l’argomento trasformazione. –Prima… mi stavi
raccontando della tua prima mutazione…- buttò lì,
cercando di non sembrare assetato di notizie come in verità era.
Voleva capire come gli altri fossero sopravvissuti, dato che erano
secoli che i licantropi affrontavano la loro prima trasformazione e
riuscivano a controllarla, chi in modo più efficace chi con
qualche difficoltà.
-Già…- David si
lasciò sfuggire un sospiro. Drew si sporse leggermente dallo
schienale del divano, in attesa. –Be’, per fortuna mia
madre era una donna dalle insospettabili risorse.- aggiunse.
-Ok, da questo posso dedurre che se la sia cavata...- il suo interlocutore cercò di tirare le somme.
-Precisamente. Mi ha tenuto a
bada con lo spillone per capelli che aveva sempre con sé. Era
d’argento.- confermò l’altro. –Ricordo che la
riconobbi, dopo un po’… probabilmente dall’odore o
per via della voce. Fatto sta che iniziai una dura lotta con la bestia,
per impedirmi di attaccarla e farle del male.
-E ci sei riuscito?- chiese Andrew, interessato. Era proprio questa l’informazione che voleva ottenere.
Dave si passò una mano
tra i capelli, scompigliando i ricci scuri. –Sì… ma
mi sono beccato quello spillone sulla spalla.- ammise. –Quello
bastò a fermarmi, però. Scappai verso la brughiera e me
ne restai nascosto, a leccarmi la ferita, per il resto della notte. Se
escludiamo gli animali selvatici che ho sbranato.- concluse.
-Quindi non eri completamente
fuori controllo!- esclamò Drew. Il tono improvvisamente alto
della sua voce colse di sorpresa l’inglese, che lo guardò
con tanto d’occhi. –Mi dispiace… è che sto
cercando di capire come voi siate riusciti a sopravvivere alla prima
notte.- si giustificò.
-Be’, non credo che farti pungere da uno spillone possa essere una soluzione.- osservò David, ironico.
Il giovane lupo scosse la
testa. –Direi di no… Ma ora ho un po’ più di
fiducia nelle mie capacità.
-Lieto di esser stato
d’aiuto.- rispose il suo Beta. Lo vide aprir bocca per aggiungere
altro, ma lo anticipò con un gesto della mano.
–Concentrati su quello che senti. Io torno subito.-
mormorò, prima di dirigersi verso la propria camera.
Sentì lo sguardo di
Andrew su di sé per tutto il tempo, ma lo ignorò: aveva
bisogno di cinque minuti da solo.
Si chiuse lentamente la
porta alle spalle e poi ci si appoggiò di peso, chiudendo gli
occhi. Prese un respiro profondo e lasciò che i ricordi lo
invadessero.
***
L’odore
ferrigno del sangue era tutt’attorno a lui e sembrava eccitare il
demonio che l’aveva posseduto. Non sapeva cosa fosse successo
né perché fosse stato scelto come bersaglio, fatto sta
che un attimo prima stava pulendo uno degli stalloni di suo padre e
l’attimo dopo ne stringeva la giugulare tra le fauci.
Sconvolto
aveva mollato la presa, per poi ritrovarsi nuovamente investito da
quell’odore dolce e invitante. Senza pensarci aveva attaccato il
destriero nel box accanto, scatenando il panico tra gli altri cavalli
nella stalla.
Mentre
era intento a far scempio di quella povera creatura, si era aggiunto un
nuovo odore a quello del sangue. Confuso, aveva alzato la testa e
fiutato l’aria.
-David…?-
si era sentito chiamare. Quel nome gli diceva qualcosa, ma era troppo
difficile pensare in quel momento. Affondare i denti nella carne di
quei cavalli era più semplice, più immediato.
Osservò
la nuova preda e si rese conto che non apparteneva al mondo animale. In
qualche modo, il demonio dentro di lui capì che si trattava di
un essere umano.
L’istinto
di caccia montò in lui come la marea e, senza pensarci, si
scagliò contro quell’esile figura che reggeva in mano una
lampada.
Quella,
vedendosi attaccata, ebbe la prontezza di depositare l’oggetto ed
estrarre un lungo ago dalla folta massa di riccioli scuri. Quando i due
corpi entrarono in collisione, si ritrovò ad uggiolare, invaso
da un dolore improvviso quanto bruciante.
Si contorse su se stesso, riempiendosi il pelo di paglia. La sua
percezione del mondo circostante era stata messa sottosopra e non
riusciva più a capire quali fossero le sue priorità:
uccidere o scappare.
Con
la coda dell’occhio colse un movimento e la bestia fu lesta a
rimettersi sulle quattro zampe, nonostante riuscisse ad appoggiarle
completamente solo tre.
-David…
va tutto bene…- tentò nuovamente la voce. Gli suonava
familiare, ma non riusciva a schiarirsi la mente. Era come se tutto
fosse avvolto da un alone rosso.
Prese
ad ansimare, tentando di prendere aria. I suoi occhi erano fissi su
quella figura e la sua mente vagava impazzita tra mille immagini e
sensazioni.
Sentiva il sangue gocciolare copioso dalla ferita alla spalla e la
zampa pulsare come l’Inferno. Doveva essere la punizione divina
per essersi opposto al padre e aver imposto le proprie idee: sapeva di
non averne il diritto, ma l’aveva fatto comunque.
“Chiedo
perdono.”, riuscì a formulare quel breve pensiero prima di
esser nuovamente aggredito da odori e suoni. La sua scatola cranica
rimbombava come una cassa di risonanza e aveva la bocca piena di saliva.
Voleva
attaccare la figura umana che l’aveva ferito, ma qualcosa gli
diceva che non poteva farlo. Che se ne sarebbe pentito.
E poi c’era il sangue, caldo e denso.
L’odore
lo avvolgeva come una morbida coperta, mandando su di giri
l’essere infernale che si era impossessato di lui.
-Dave… devi calmarti.- ancora quella voce, questa volta con un tono più deciso.
Serrò
gli occhi e cercò di ricordare, ma l’istinto premeva per
essere ascoltato. Ad un certo punto si sentì schiacciare da una
ferocia così cruda che balzò di lato ed attaccò
senza remore un altro cavallo, direzionando sul povero animale tutta la
propria forza.
Ebbero
un’intensa colluttazione, durante la quale distrussero una parete
del box. I cavalli rimasti ne approfittarono per rompere i cancelli e
fuggire definitivamente. La proprietaria della voce dovette buttarsi in
un cumulo di paglia per non essere investita.
Ma alla bestia non importava: il suo mondo finiva lì dove iniziava il collo del cavallo.
Tentò
di azzannarlo, ma fu buttato violentemente a terra. Ricevette un colpo
sulla cassa toracica, ma si ribellò e colpì
l’avversario con una zampa, ferendolo all’altezza delle
budella.
L’odore sgradevole delle interiora lo colpì come un maglio e si gettò a capofitto su quel banchetto.
***
Il suo diversivo ebbe vita breve, proprio come aveva preventivato.
Sapeva che i Blacks non erano
degli stupidi e dopo la sparizione di tre dei sei lupi posti a guardia
del magazzino, ritrovarsi attaccato fu la naturale e logica conseguenza.
Evan fissò i due lupi
che gli erano arrivati alle spalle e lasciò lentamente andare la
presa sulla collottola della sua ultima vittima.
Percepiva chiaramente la loro
ostilità e sapeva che l’avrebbero attaccato di lì a
poco. Il licantropo mancante era sicuramente andato ad avvertire il
loro Alfa.
“Che venga pure. Ho
proprio bisogno di fare un po’ di confusione.”,
pensò, mantenendo la calma. La corazza emotiva che aveva
costruito attorno a sé era ancora lì: si era ammorbidita,
quello era vero, ma c’era ancora. E gli permetteva di mantenere
una padronanza di sé quasi totale.
“Jared e Simon si stanno
per muovere. Sono nervosi.”, la voce di Emily lo colse di
sorpresa, distraendolo per alcuni istanti.
Quando tornò a
focalizzarsi sulla situazione si ritrovò a schivare, grazie al
puro istinto, un affondo diretto all’articolazione della zampa
anteriore sinistra. Si gettò di lato e poi scattò
immediatamente contro uno dei suoi avversari, finendo a rotolare con
lui sull’asfalto.
I denti raggiunsero ogni punto
libero ed in poco i due si ritrovarono a sanguinare simultaneamente da
diverse ferite. La più brutta era quella sul muso di Evan: aveva
parte del naso lacerata e in alcuni punti si vedeva il vivo della carne
sottostante.
Evitò di
arricciare le labbra e ringhiare il proprio disappunto, preferendo
attaccare con rinnovata energia. Si slanciò a fauci aperte ed
azzannò il licantropo poco sopra la scapola, disarticolandogli
l’arto.
Quello lanciò un
uggiolio agghiacciante e finì zampe all’aria, guaendo per
il dolore. Il suo compagno non perse tempo a soccorrerlo e si
gettò sullo scozzese. Evan si abbassò giusto in tempo,
riuscendo a scivolare sotto il corpo dell’altro. Fece perno con
tutte e quattro le zampe e spinse contro la cassa toracica
dell’avversario: in poco lo ribaltò come un vecchio
tavolo, mandandolo a sbattere contro il muro di mattoni alle loro
spalle.
D’accordo, non
era stata una mossa degna di un lupo, ma lui era un licantropo e
nessuno aveva mai detto che non si potessero sfruttare le tecniche di
lotta libera durante uno scontro.
A quanto pare il suo sfidante
la pensava allo stesso modo, dato che afferrò un grosso pezzo di
legno coi denti e tentò di colpirgli la testa. Lo stupore gli
fece rischiare una bella botta, ma riuscì ad evitarla rotolando
di lato.
Nel momento esatto in cui
riguadagnò la posizione eretta, l’altro lupo si
avventò su di lui con tutto il suo peso, cercando
d’inchiodarlo a terra. Van approfittò
dell’accelerazione della caduta e lo spedì nuovamente
contro un muro, spingendolo via con le zampe posteriori.
“Ma non impari mai…?”, chiese, quasi divertito.
“Taci, stupido
europeo!”, ringhiò quello. Evan poteva benissimo essere
scozzese, ma il suo avversario aveva un riconoscibile accento
sudamericano.
Ignorò l’insulto
e si mise a scandagliare l’intorno coi sensi. Simon e Jared non
si erano ancora accordati sulla strategia da adottare ed Emily fremeva,
in attesa. Doveva liberarsi in fretta di quello scocciatore per poter
impegnare l’Alfa e il suo Gamma.
“Non ti
distrarre!”, ringhiò il suo avversario, scattando
nuovamente verso la sua gola. Infastidito da quell’interruzione,
il giovane MacGregor lo colpì con forza sul muso, finendo per
danneggiargli l’occhio destro.
Il licantropo tentò di
proteggersi dalla zampata, ma la sua reazione fu troppo lenta. Non
appena venne colpito il suo muso scattò di lato, entrambi gli
occhi serrati. “Come hai osato?!”, sbraitò.
“Ho solamente contrattaccato.”, fu la risposta.
“Bastardo!”
Mezzo accecato, l’altro
cercò di attaccare nuovamente, ma il suo attacco fu facilmente
deviato. Disorientato e con la vista danneggiata, terminò la
propria corsa in mezzo ad alcuni pallet di legno. Quando il polverone
si dissolse, Van notò che aveva finito per infilzarsi una coscia
con una scheggia grossa quanto la zanna di un cinghiale.
Ringhiando ed imprecando, il sudamericano cercò di liberarsi, ma fu tutto inutile.
“Io eviterei di agitarmi
così: potresti fare molti più danni di quanti tu ne abbia
già fatti.”, gli consigliò Van, prima di uscire dal
magazzino.
Si era stufato di quel riscaldamento: aveva poco tempo ed era ora di fare sul serio.
“Quanti ne hai seminati, ragazzo?”, si sentì chiedere.
Per poco Eric non
incespicò nelle proprie zampe, colto alla sprovvista.
“Come…?”, gorgogliò, confuso.
Alastair gli lanciò una
rapida occhiata da sopra la spalla. “Quante erano le
sentinelle?”, domandò, senza spazientirsi. Era
comprensibile che il giovane fosse disorientato, considerata la sua
età e il fatto che quella fosse una prima esperienza di lotta
parecchio difficile.
“Quattro. Ma uno lo ha sistemato lei.”, rispose, ricomponendosi.
“E quanti ce ne sono
ancora?”, continuò a correre, sfruttando il proprio senso
del fiuto per captare l’odore di Evan. Sperava solo che non fosse
troppo tardi per aiutarlo.
“Ah… credo ci
fossero altri sei lupi a guardia del piccolo. Più l’Alfa e
il Gamma.”, disse, riportando alla mente ciò che gli aveva
riferito Emily. Nonostante ognuno di loro stesse svolgendo compiti
diversi, il collegamento mentale era rimasto attivo, simile ad un
rumore di fondo. “Però…”, il pensiero
attraversò la sua mente come un fulmine.
Alst decelerò, in modo da affiancarlo. Lo interrogò con lo sguardo, spingendolo a terminare la frase.
“Emily aveva parlato di
trenta elementi… se i conti sono giusti, lì ce ne sono a
malapena tredici. Anche supponendo che loro due ne abbiano fatti fuori
altri, ne mancherebbero comunque una decina.”, realizzò.
Sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Che avessero
commesso un passo falso di quelle dimensioni?
Lo scozzese sgranò
leggermente gli occhi, facendosi d’un tratto allarmato. Era
probabile che, spinti dall’urgenza di salvare il cucciolo, Evan e
la giovane lupa avessero sottovalutato il problema, focalizzandosi solo
sui lupi presenti nelle immediate vicinanze.
Mentre la sua mente ragionava
a più non posso, notò il suo compagno tendere le orecchie
e farsi più vigile.
Sollevò il capo e si
mise in ascolto. “Ci stanno seguendo. Otto, a giudicare dal
rumore.”, disse solamente. Come aveva temuto, gli altri lupi si
erano tenuti in disparte per poter fungere da spalla nel caso in cui la
situazione si fosse fatta difficile. Era come trovarsi stretti due
cappi al collo: non appena si credeva di aver allentato il primo, ecco
che sopraggiungeva l’altro.
Eric tentò di
mantenere la calma, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito tanto
facilmente. Aveva dato per scontato di aver portato a compimento il
proprio incarico, ma si era sbagliato di grosso. Il fatto che avesse
incontrato solo quattro lupi a sorvegliare una delle vie
d’accesso al porto non significava che non ce ne fossero altri,
nei paraggi.
“Sono fritto!”, piagnucolò.
“Lo sarai se non riusciremo ad aiutare il tuo Alfa.”, gli fece presente Alst. “Muoviamoci.”
Il grosso lupo dal pelo chiazzato di ruggine lo fissava bellicoso, ma non sembrava aver intenzione d’attaccare.
-Tu..!- Simon non poté impedirsi di esclamare. Fece un passo avanti, ma Jared lo trattenne con un gesto della mano.
-E’ quello il lupo che
vi ha attaccati?- chiese al suo sottoposto. Il licantropo lanciò
una rapida occhiata verso Evan e poi annuì più volte,
convinto. L’Alfa dei Blacks sorrise lentamente, sornione e poi si
voltò verso il suo terzo in comando. –Tieni d’occhio
Blake.- ordinò.
-Cosa vuoi fare, capo? Lascia
che se ne occupino gli altri.- protestò Simon. Al che Jared lo
gelò con un’occhiata, sdegnato.
-Non ho intenzione di
rifondare il branco solo perché siete troppo deboli per poter
abbattere uno stupido europeo del cazzo.- ringhiò. –Me ne
occuperò io: una volta per tutte.
“Lo stupido europeo ha
messo fuori gioco quasi tutte le tue sentinelle.”, gli fece
notare Evan, ironico. Il commento non l’aveva scalfito più
di tanto o, se l’aveva fatto, la sua corazza emotiva impediva di
vederne gli effetti all’esterno.
A quelle parole
l’americano emise un forte verso di gola, irritato. Evan poteva
vedere le sue pupille dilatarsi fino a divenire due pozzi neri: la
bestia stava prendendo il sopravvento. –Mai scherzare coi
Blacks.- disse con voce metallica, distorta.
Il giovane MacGregor
roteò gli occhi, chiedendosi perché parlassero tutti per
frasi fatte. Gli sembrava di esser stato catapultato in un action movie
davvero scadente.
Il suo gesto non passò
inosservato e, poco dopo, Jared trasmutò parte del proprio corpo
per poterlo attaccare. Gli avambracci ricoperti di pelo e gli artigli
lunghi diversi centimetri colsero di sorpresa Van. “Fa parte del
nuovo ceppo.”, realizzò.
-Piaciuta la sorpresa?- ghignò il suo avversario, orgoglioso della propria trasmutazione.
“Emily…”,
lo scozzese ristabilì il contatto mentale con la propria
compagna d’azione. “Tu lo sapevi?”, le chiese, subito
dopo aver ottenuto la sua attenzione.
“No… non ha mai
assunto quella forma davanti agli altri membri del branco. Molti dei
Blacks non sarebbero in grado di trasformarsi come ha appena fatto
lui.”, replicò la giovane, preoccupata dalla piega che
stavano prendendo gli eventi.
“Tu ne sei in
grado..?”, le chiese allora, curioso. Non sapeva che ci potessero
essere limitazioni per quanto riguardava la trasformazione parziale:
lui non aveva mai avuto problemi e aveva scioccamente creduto che
funzionasse così anche per tutti gli altri licantropi della
nuova generazione.
“Solo denti ed
unghie.”, rispose, leggermente in imbarazzo. Non capiva il
perché di quella domanda in un momento del genere.
“Ne riparleremo quando
avremo risolto questa questione.”, Evan terminò la
conversazione per tornare a concentrarsi sull’Alfa avversario.
“Possiamo iniziare.”, disse, cercando di risultare il
più strafottente possibile.
Jared sembrava particolarmente incline ad irritarsi e la cosa poteva andare a suo vantaggio, se ben sfruttata.
-Pensi di poter vincere in
quella forma?- lo sbeffeggiò l’americano. In risposta Evan
iniziò a caricarlo, percorrendo la distanza che li separava con
lunghe falcate. –Come vuoi tu.- ridacchiò, balzando a sua
volta in avanti.
Emily trattenne il respiro, osservando la scena dal suo nascondiglio.
“Devia a destra, ragazzo!”, ordinò Alastair.
Eric girò il muso di scatto, stupito, ma obbedì senza protestare.
Giusto in tempo per evitare
l’attacco a sorpresa di uno dei loro inseguitori, gettatosi su di
loro dall’alto di una pila di pallet.
I due furono costretti a
separarsi e ad arrestare la loro corsa: gli artigli stridettero
sull’asfalto mentre ruotavano di novanta gradi e si fermavano.
Il licantropo che li
aveva attaccati ringhiò contro Alst e poi fece lo stesso con
Eric. Senza tanti preamboli lo scozzese balzò in avanti,
atterrandogli sulla schiena. Lo morse con forza alla base del collo,
affondando i denti fino a grattare contro le prime vertebre.
Il lupo guaì di dolore,
gettandosi a terra nel tentativo di scrollarselo di dosso. I due
avversari presero a rotolare furiosamente a terra, avvinghiati
l’uno all’altro come coccodrilli intenti a lottare.
Uno schizzo di sangue
chiazzò il muso del più giovane lupo, accecandolo per
alcuni istanti. Istanti che permisero ad un altro dei Blacks di
attaccarlo e gettarlo a terra.
Quando Eric poté vedere
di nuovo si ritrovò le fauci dell’altro a pochi
centimetri, pronte a serrarsi sul suo muso. Girò istintivamente
la testa, sentendole scattare di fianco al suo orecchio destro un
attimo dopo.
Colto dal panico fece perno
con tutte e quattro le zampe e spinse verso l’alto, riuscendo a
sollevarlo quel tanto necessario per scaraventarlo contro una cassa di
legno. Il licantropo non gradì particolarmente la sua trovata,
dato che gli si gettò nuovamente contro. Questa volta Eric era
pronto e lo colpì con forza sullo sterno, deviando la sua
traiettoria contro un’altra enorme cassa.
“Ben ti sta!”, esultò il ragazzo.
“Eric, alle tue
spalle!”, l’avvertì Alastair. Istintivamente si
appiattì a terra, evitando un colpo alla testa che avrebbe
potuto essergli fatale. Il suo avversario si sbilanciò e gli
finì addosso, mordendogli l’elice di un orecchio.
Guaì una protesta, ma
non ebbe il tempo per scrollarselo di dosso, dato che ci aveva
già pensato il suo salvatore. I due si scambiarono una breve
occhiata, per poi girarsi a fronteggiare i cinque inseguitori rimasti.
Erano tutt’attorno, ringhianti e bellicosi.
Il più giovane dei due
deglutì, preoccupato. Non sapeva chi attaccare, come attaccarlo
e nemmeno se sarebbe stato abbastanza abile da uscirne vivo.
Tutta la spavalderia che aveva esibito non molto tempo prima sembrava solo un lontano ricordo.
Alastair sembrò capirlo, perché gli suggerì di rimanere concentrato su un solo obiettivo per volta.
Detto fatto: due lupi si staccarono dal gruppo e li attaccarono.
Ripresero a lottare con ancor più foga di prima, soprattutto quando anche gli altri tre avversari di unirono alle danze.
Mentre Evan e Jared
erano avvinghiati in un feroce corpo a corpo, Emily non staccava gli
occhi di dosso a Simon. Blake era dietro di lui, tremante e legato.
Riusciva a percepire la sua paura, l’agitazione e la bestia che
cercava di fuggire, liberarsi da quelle emozioni.
Non poter intervenire la
faceva sentire un’infame, ma capiva la necessità di essere
cauti: una mossa sbagliata e la vita di suo nipote sarebbe stata a
rischio.
Un rischio mortale, probabilmente.
Una parte della sua mente
captò due presenze appena fuori del suo raggio d’azione.
Voltò la testa di scatto, cercando di capire se si trattasse di
amici o nemici.
Una delle due si palesò
essere Eric, mentre non riconobbe l’altra. Fece per chiedere
spiegazioni al compagno di branco, ma la sua attenzione fu richiamata
brutalmente altrove.
Sgranò gli occhi, sentendo i peli dietro il collo rizzarsi.
“No!”,
cercò con lo sguardo la fonte di quel brivido e poco dopo la
percepì. I restanti membri del branco si erano nascosti fino a
quel momento, azzerando completamente le loro auree per non esser
percepiti.
Era una delle tattiche a cui il branco doveva la sua fama. E lei se n’era dimenticata.
“Stupida. Idiota.
Cretina!”, trattenne a stento un ringhio di frustrazione.
“Evan! Eric!”, chiamò a gran voce.
“Siamo circondati, lo
so. È un po’ tardi per dare l’allarme.”, fu la
risposta del suo nuovo Alfa. Fece per uscire dal suo nascondiglio, ma
l’ordine dello scozzese giunse perentorio e fu costretta a
piantare le unghie nelle vecchie assi di legno. “Non posso
aiutarvi, così!”, protestò.
“Devi aiutare Blake, non
noi.”, le ricordò. “Eric, tieni a bada gli
altri.”, spostò subito la sua attenzione sul nuovo
arrivato, per poi bloccarsi a metà di un affondo e sgranare
leggermente gli occhi d’ametista. “Cos…?”
“A dopo le spiegazioni.
Tieni alta la guardia.”, tagliò corto Alastair, balzando
su uno dei Blacks appena comparsi.
Evan si riscosse ed
evitò per un soffio il pugno di Jared, ricevendo in pieno petto
il suo gancio. Sputò tutta l’aria che aveva nei polmoni,
rischiando di soffocarsi.
-Non distrarti.- ordinò
il suo avversario. Caricò un altro colpo, ma lo scozzese lo
evitò rotolando di lato. Imprecò e seguì il suo
movimento con la sola rotazione del busto, per avere un appoggio
stabile sulle gambe.
Peccato che Van puntò
proprio ad uno dei suoi polpacci, affondandogli i denti nella carne con
forza. Strappò i muscoli e riuscì quasi a disarticolargli
l’articolazione della caviglia, prima di ricevere un pugno sulla
tempia.
Mollò la presa, stordito ed arretrò di qualche passo.
Il capo dei Blacks imprecò, portandosi entrambe le mani alla ferita. –Bastardo!
Evan sollevò il capo e
sputò un po’ del suo sangue. Prese un respiro profondo e
gonfiò i muscoli, pronto a trasmutarsi.
Non apprezzava
particolarmente la forma intermedia perché per mantenerla doveva
spendere molte più energie che per quella animale, ma voleva
combattere ad armi pari quindi quella era l’unica soluzione.
Avvertì muscoli e ossa
riassemblarsi e, dopo una momentanea instabilità, si mise in
posizione di combattimento. Poco importava che fosse nudo: quello era
un fastidio secondario.
Jared, ormai ripresosi, lo squadrò da capo a piedi. –Notevole.- commentò, impressionato dalla sua stazza.
Van non rispose e lo attaccò, cercando di metterlo alle strette.
-Secondo te come se la stanno cavando?- domandò ad un certo punto Drew.
David distolse lo sguardo
dallo schermo del computer, che in realtà non stava minimamente
guardando, e fece una smorfia. –Spero bene… ma ci stanno
mettendo troppo.- disse.
In effetti era già
metà pomeriggio e non avevano più avuto notizie né
da Alastair né da nessuno degli altri membri del branco.
Iniziavano a preoccuparsi, tutti e due. E la luna stava per sorgere.
-Come ti senti?- Dave
cambiò argomento. Andrew contrasse qualche volta la mano destra,
saggiando il controllo sul proprio corpo. –Inizia a farsi sempre
più pressante, vero?
L’altro annuì:
era da un paio d’ore che era scosso da spasmi e altre piccole
avvisaglie dell’imminente trasformazione. –Pensi che debba
scendere..?- domandò, ansioso.
-Dipende da te. Da come ti senti.- fu la risposta.
Drew arricciò il naso. -Non sei d’aiuto.- brontolò.
-Non sono dentro di te, non
posso sapere cosa senti. Posso solo osservare i sintomi esterni.-
replicò, cercando di tranquillizzarlo.
Il giovane allora chiuse gli
occhi ed inspirò qualche volta, concentrandosi sulla bestia che
aveva dentro di sé. La sentì brontolare, infastidita e
gonfiare i muscoli, come se si stesse preparando a squarciarlo
dall’interno.
Aveva il pieno controllo del lupacchiotto dentro di lui… no?
-E’ agitata.- ammise. –Parecchio.
David si sporse verso di lui. -Vedi rosso?- s’informò.
-Metaforicamente o letteralmente?
L’inglese sollevò un angolo della bocca, apprezzando il tentativo di sdrammatizzare. –Letteralmente.
Il suo interlocutore scosse
lentamente la testa, anche se non sembrava molto convinto della
risposta. –Però sento la sua forza crescere…-
dovette ammettere.
-D’accordo. Tienila sotto controllo: avvertimi prima di arrivare al limite.- si raccomandò.
La lotta stava andando
per le lunghe e tutti i suoi compagni, compreso il lupo sconosciuto dal
pelo fulvo, avevano il corpo ricoperto di ferite.
E lei non poteva fare nulla, se non aspettare che Simon tentasse la fuga con Blake.
Mentre formulava quel pensiero
accaddero due cose: il Gamma dei Blacks prese l’iniziativa ed uno
degli ultimi membri del branco rimasti si gettò a sorpresa sul
lupo sconosciuto.
“Eric!”, ebbe
appena il tempo di avvertirlo prima di balzare giù dal
pianerottolo su cui si trovava, decisa a fermare Simon.
Mentre scendeva i gradini
traballanti avvertì distintamente lo scatto dei muscoli di Eric
e il rumore di due corpi che si schiantavano l’uno contro
l’altro con forza. Scavalcò il corrimano ed atterrò
pesantemente al suolo, il cuore letteralmente in gola.
Non sapeva cosa fosse successo, ma sperò che fosse andato tutto per il meglio.
Lanciò una breve occhiata alle proprie spalle per accertarsi che non ci fosse nessuno e poi corse verso suo nipote.
Mentre usciva allo scoperto,
vide con la coda dell’occhio Evan e Jared, entrambi immobili sul
campo di battaglia ormai viscido di sangue. S’impedì di
cambiare traiettoria e puntò dritta verso Simon il quale,
vedendola arrivare, si fece prendere dal panico.
Afferrò Blake per il
colletto della maglietta e lo trasse bruscamente in piedi,
frapponendolo tra sé e quella furia nera.
“Bastardo! Ora ti uccido!”, pensò Emily, furiosa.
Percorse ancora una decina di
metri e poi saltò, decisa ad atterrare il suo ex compagno di
branco. Simon si scansò appena in tempo e lei derapò con
le zampe posteriori, rischiando di farsi male.
Rotolò per gli ultimi
metri, annullando l’inerzia che le aveva dato il balzo e poi si
rialzò subito dopo. Nell’assalto Blake era finito qualche
metro più in là, riverso su un fianco: ora la guardava
con occhi terrorizzati.
Ignorò
momentaneamente quello sguardo e puntò nuovamente sulla sua
preda, ancora in forma umana. Prese la rincorsa e spalancò le
fauci, decisa a morderlo. Simon, dal canto suo, si preparò a
riceverla posizionandosi di tre quarti.
Quando furono uno davanti
all’altro, l’uomo l’afferrò saldamente sotto
le mascelle e la mandò a schiantarsi contro un pianale. La forza
dell’urto le spezzò il fiato, oltre che un paio di costole.
-Mamma!- gridò il piccolo.
Si rialzò con fatica e
scosse il capo per schiarirsi la vista. Giusto in tempo per evitare un
altro assalto di Simon. Rotolò a terra, avvicinandosi
involontariamente a Blake e alla banchina.
“Emily, che stai facendo?!”, la voce di Evan le esplose nella testa.
“Salvo la mia famiglia.”, fu la sua risposta mentre caricava il suo avversario, ora in forma di lupo.
I due licantropi si
scontrarono con forza, azzannandosi ripetutamente. Dopo quelle che
parvero ore si separarono, atterrando pesantemente al suolo.
Sanguinavano entrambi, anche se Emily aveva un brutto squarcio sul
fianco sinistro che metteva in evidenza il bianco delle costole.
Faticava a respirare e aveva
della schiuma in bocca. “Mi si è perforato un
polmone…”, realizzò, spaventata.
Come avrebbe potuto combattere ridotta così?
Simon sembrò capirlo
perché emise un verso di gola e si avvicinò a Blake.
Tenne gli occhi fissi in quelli della giovane e, quando fu sicuro di
avere tutta la sua attenzione, afferrò il piccolo per la
maglietta e lo gettò in acqua.
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Capitolo 20 *** Cap. 19 Vincitori..? ***
Cap. 19 Vincitori..?
Il branco sarà riuscito a portare a casa la pelliccia? E la trasformazione di Andrew a che punto sarà?
Date la scalata al capitolo e lo scoprirete.
Buona lettura :)
Cap. 19 Vincitori..?
Se avesse potuto gridare
l’avrebbe fatto, anche col poco fiato che le rimaneva. Ma era
ancora in forma animale e l’unica cosa che poté fare fu
emettere un uggiolio di terrore.
Osservò impotente il corpo
del suo piccolino descrivere un arco in aria e poi sparire nelle acque
del fiume Hudson con una cascata di spruzzi.
Spalancò la bocca, tentando ancora di urlare.
Inutile.
Gli occhi colmi di terrore,
restò a fissare i cerchi d’acqua che pian piano scemavano,
sperando ardentemente che le corde si fossero allentate e Blake fosse
sul punto di riemergere. Percepiva nella propria testa la paura cieca
del suo bambino, le sue involontarie richieste d’aiuto
telepatico, ma era troppo sconvolta anche solo per rispondergli.
E non sarebbe riuscita ad immergersi per salvarlo, ridotta com’era.
Disperata, girò la testa in
cerca di aiuto. Evan era ancora impegnato a fronteggiare Jared e lo
scontro sembrava ben lungi dall’essere finito; il nuovo arrivato
stava combattendo furiosamente con uno degli ultimi avversari rimasti e
non riusciva a vedere Eric.
Ma percepiva la paura e l’ansia di tutti quanti.
Volevano salvare Blake.
Dovevano salvare Blake, a tutti i costi.
“Ragazzo! Eric!”,
Alastair lo chiamò per l’ennesima volta, cercando di
ottenere la sua attenzione. Ma il licantropo non si muoveva e
l’unico segno di vita era l’alzarsi ed abbassarsi frenetico
della sua cassa toracica.
Alst sentì la rabbia montare
dentro di sé, simile al ghiaccio che avanza e inghiotte tutto
quello che si trovi nei paraggi. Non era mai stato incline a scoppi
d’ira violenti, ma sapeva rendersi pericoloso quando voleva.
Arricciò con forza il labbro
superiore e puntò gli occhi castani sul lupo che aveva davanti.
Se a molti poteva apparire come uno scozzese dall’aspetto un
po’ rude, pochi sapevano quanto fosse abile nel controllare i
propri impulsi. Era riuscito a raggiungere l’equilibrio interiore
e non era più in conflitto con la bestia dentro di sé da
parecchio tempo.
Ma questo non voleva dire che aveva perso la capacità di uccidere. Preferiva solo usarla quando era veramente necessario.
Come in quel momento.
Divaricò le zampe, saggiando
con cura l’asfalto consunto sotto i polpastrelli. Il suo
avversario sembrava ancora intenzionato ad attaccarlo, pago del
risultato ottenuto poco prima.
Li aveva colpiti a tradimento ed
Alst aveva reagito troppo lentamente, rischiando di essere preso in
pieno. Inaspettatamente Eric si era frapposto tra loro due,
intercettando il colpo destinato a lui.
Ed ora giaceva a terra, praticamente immobile e riverso nel suo stesso sangue.
Non poteva tollerarlo. E non poteva
nemmeno permettere che il cucciolo che erano venuti a salvare morisse
annegato… quindi doveva liberarsi in fretta di quello
scocciatore.
Fece perno su tutte e quattro le
zampe e scattò in avanti, coprendo in poco tempo i metri che lo
separavano dal suo obiettivo. All’ultimo momento deviò
dalla propria traiettoria e si spostò di lato, attaccandolo sul
fianco.
Il lupo ringhiò una protesta,
cercando di contrattaccare, ma non ne ebbe il tempo. Alastair
iniziò a colpirlo da tutte le angolazioni, strappandogli ogni
volta un’oncia di carne o qualche schizzo di sangue.
In meno di tre minuti riuscì
ad avere la meglio sull’avversario, decretando la parola fine.
Osservò il cadavere del lupo, ma poi si girò per
concentrare la propria attenzione su Eric.
“Alst, il bambino!”, la voce di Evan gli esplose in testa.
“Chi si occuperà del ragazzo?”, domandò, esitante.
“Io. Vai!”, ordinò l’altro.
Senza più esitazioni si
gettò a capofitto verso la banchina, superando sia Emily che il
suo avversario. Intercettò l’odore del piccolo e
piegò leggermente a destra, balzando in acqua poco dopo.
Perforò la
superficie come una freccia e, una volta sott’acqua, riassunse
sembianze umane. La bestia permetteva loro di fare molte cose, ma il
nuoto non era tra le sue abilità più sviluppate.
Scandagliò le
profondità grigiastre del letto del fiume, cercando di
individuare la piccola sagoma. Sentiva la sua paura, ma con tutto quel
fango era difficile vederlo.
Fino a che notò un piccolo
baluginio con la coda dell’occhio. Si avvitò su se stesso
e puntò in quella direzione, fendendo la corrente con grandi
bracciate.
Più si avvicinava più
la sua visione d’insieme si schiariva, rendendogli possibile
individuare Blake. Senza troppe cerimonie lo afferrò per le
corde che lo legavano per trarlo a sé, poi se lo strinse con
cura al petto e, con un colpo di reni, tornò a puntare verso
l’alto.
Sentiva il cuoricino del piccolo rallentare la propria corsa e sapeva che doveva sbrigarsi.
-Riuscirete a salvare il marmocchio, a quanto pare.- commentò Jared, sprezzante.
Aveva la spalla sinistra lacerata e
non riusciva ad usare il braccio già da un po’ ma,
nonostante la ferita, rimaneva sempre un emerito idiota.
-Spera di riuscire a salvare la tua
pellaccia, piuttosto.- gli suggerì Evan. Avrebbe voluto
risparmiare al piccolo Blake tutti quei traumi, così come ad
Emily ed Eric, che giaceva ancora a terra. Vivo, nonostante tutto, ma
ancora incapace di muoversi.
“Bel lavoro, Alfa.”, si rimproverò. Detestava che altri pagassero per sue imprudenze.
L’americano tentò un
affondo, prontamente bloccato dal suo avversario. –Non ti
preoccupare per me: me la sono sempre cavata.- rispose, cercando di
forzare la resistenza di Evan.
Lui gli lanciò
un’occhiata bieca, prima di torcergli il polso e sferrargli un
calcio al menisco. –Non lo metto in dubbio.- replicò.
–Ma questa volta te ne andrai con un po’ di lividi.
Dai rumori che riusciva a percepire,
Alastair stava riemergendo e avrebbe avuto bisogno di aiuto per gestire
la situazione. Quindi doveva metter fine a quello scontro.
Gonfiò i muscoli di spalle e
braccia, raccogliendo le ultime forze rimastegli: nonostante la
spavalderia, aveva alcune lacerazioni e fratture dall’aspetto
preoccupante.
Jared sembrò vedere
qualcosa nei suoi occhi perché cambiò improvvisamente
espressione, mentre il sangue gli defluiva dal viso. Provò a
contrattaccare per liberarsi l’arto bloccato, ma ottenne
solamente una frattura scomposta.
Van lo lasciò andare,
permettendogli di arretrare, ma subito dopo lo colpì alla base
del collo con la gamba destra, imprimendo al corpo del licantropo una
forza di rotazione tale da mandarlo a schiantarsi a terra.
Nel punto di atterraggi
l’asfalto si sbriciolò, collassando in un avvallamento
creato dall’onda d’urto. Soddisfatto, lo scozzese diede le
spalle all’avversario, pronto a metter fuori gioco anche
l’ultimo lupo rimasto.
Peccato che Simon, il Gamma del branco, se la fosse data a gambe.
“Codardo.”, pensò disgustato.
Sputò un grumo di sangue,
ripulendosi la bocca dai residui e poi si avviò rapidamente
verso Eric, per controllare come stesse. Mentre si accosciava accanto
al corpo un improvviso brivido freddo gli attraversò la schiena.
Sollevò la testa di scatto, cercando d’individuarne la causa, ma non scorse nulla di sospetto.
“Mi sento osservato.”,
pensò, mantenendosi davanti ad Eric per proteggerlo da eventuali
attacchi. Scandagliò ogni metro quadro in vista, ma i suoi occhi
non videro nulla di anomalo in ciò che lo circondava.
Stava per iniziare una nuova
perlustrazione visiva quando colse un baluginio. Puntò lo
sguardo verso l’ingresso di un grosso capannone alla sua destra,
scrutando attraverso le ombre della basculante di metallo.
Un paio di occhi comparve nel suo
campo visivo. Sbatté le palpebre, confuso e, quando tornò
a guardare, quelli erano spariti.
Non avrebbe saputo spiegare il perché, ma era sicuro di averli già visti prima.
Infranse la superficie calma del fiume con violenza, prendendo una grande boccata d’aria.
Si tolse i capelli dal viso e poi
percorse i pochi metri che lo separavano dalla banchina, aggrappandosi
al bordo con l’ausilio della mano libera.
Blake aveva iniziato a tossire abbondantemente, rischiando di strozzarsi, ma era un buon segno: non avrebbe dovuto rianimarlo.
Fece perno e si issò sul
bordo, al sicuro e all’asciutto. Per prima cosa liberò il
piccolo dalle corde intessute d’argento, rivelando quanto fossero
state più pericolose del bagno fuori programma.
-Figliolo…- Alastair
cercò di attirare la sua attenzione. Blake, il viso
completamente congestionato a causa dei colpi di tosse, alzò la
testa e lo fissò confuso. –Sono un amico di tua madre.
Come ti senti?
Il bambino si fece un rapido esame e poi gli mostrò i polsi. –Bruciano…- disse con voce roca.
-Lo so. Ma guariranno, non ti
preoccupare. Senti male da qualche altra parte?-
s’informò, paziente. Ci pensò su e poi scosse la
testa. –Bene. Ti porto da tua madre.
Lo prese in braccio senza sforzo e
raggiunse Emily, che nel frattempo era riuscita a sedersi. Ansimava
pesantemente e teneva una mano premuta sul fianco per tentare di
fermare l’emorragia in corso. Quando sentì i passi dello
scozzese sollevò il capo e i suoi occhi si riempirono di
lacrime. Senza più pensare al dolore o ad altro allungò
entrambe le braccia, incitando Alastair ad affrettare il passo.
Quando la distanza che li
separava fu annullata, zia e nipote si strinsero forte, quasi come se
volessero diventare una cosa sola.
Blake scoppiò a piangere di colpo, dando libero sfogo a tutta la paura che aveva provato in quelle ore di prigionia.
Emily fece lo stesso, anche se con
un po’ più di contegno. Che si sgretolò non appena
vide la carne viva messa a nudo dalle corde d’argento.
Accentuò ancor di più la presa e seppellì il viso
nei capelli scuri del bambino.
Alst rimase ad osservare la scena,
memore di momenti simili nel proprio passato. Poi, come ricordandosi di
dove fosse e perché si trovasse lì, si riscosse e si
scrollò di dosso l’acqua. Passò una mano tra i
capelli e, dopo un’ultima occhiata al quadretto familiare,
raggiunge Evan.
S’accostò al suo
pupillo e cercò di capire quanto fosse grave la situazione. Non
l’avrebbe mai detto a voce alta ma, considerando lo svantaggio
numerico, era un miracolo che non ci fossero state vittime tra le loro
fila.
Almeno, non ancora.
-Lasciami controllare il ragazzo.-
scostò Van, gentilmente ma con mano decisa. Nel farlo,
però, arrischiò una rapida occhiata indagatrice del corpo
dello scozzese, prendendo nota delle sue ferite. Alcune sembravano
più serie di altre, ma nessuna aveva un aspetto mortale.
Eric non se la passava
altrettanto bene, invece. Spostò gli occhi su di lui e prese a
tastargli il corpo alla ricerca delle ferite. Trovò un brutto
squarcio all’altezza dello sterno che necessitava di punti di
sutura, punti che non poteva assicurargli dato che non aveva con
sé l’attrezzatura medica. Gli si erano rotte alcune
costole, ma le fratture erano pulite e sarebbero guarite abbastanza
velocemente.
La ferita più preoccupante,
però, era quella che aveva alla testa e che grondava sangue di
un rosso brillante, talmente intenso da sembrare finto.
“Speriamo non abbia subito
danni cerebrali.”, si augurò, analizzando con tutti i
sensi a disposizione ciò che aveva davanti.
-E’ molto grave…?- la voce di Evan suonò vagamente esitante.
-Lasciami lavorare, per favore.-
replicò, un po’ brusco. Non poteva permettersi
distrazioni, non in quel momento. –Va’ da Emily.
Non aveva nulla che potesse essergli
d’aiuto, con sé, ma poteva controllare tutti i parametri
vitali del ragazzo per poter escludere alcune diagnosi. Prima,
però, doveva svegliarlo.
Facendo attenzione a non scrollarlo
iniziò a richiamarlo alla coscienza usando la telepatia.
Sfiorò la bestia di Eric, stuzzicandola e quella rispose
abbastanza velocemente da fargli ben sperare. Dovette fare numerosi
tentativi prima di svegliarlo, ma alla fine ci riuscì.
-Non ti muovere, ragazzo.- gl’intimò.
Gli controllò le pupille per
verificare se ci fosse asimmetria e quindi una possibile emorragia
interna. Quando quelle si presentarono uguali e sensibili alla luce,
sentì la tensione allentare un po’ la presa.
Fece per chiedergli come si sentisse quando colse il suono di sirene in lontananza.
Confuso, si voltò per cercare
lo sguardo di Evan. “Ho avvertito il mio dipartimento circa
possibili scontri violenti in questa zona.”, gli disse.
“Volevo avere un piano di riserva… anche se
intempestivo.”, diede in una scrollata di spalle che doveva
apparire noncurante, ma che fece capire quanto fosse stata rischiosa
quella retata.
“Ma David…”
“Non l’ho detto a Dave perché non immaginavo avrei chiesto aiuto.”, rivelò.
“Grazie a Dio non sei
così sconsiderato come ho temuto.”, Alastair
sollevò gli occhi al cielo, prima di tornare a concentrarsi
sulle autovetture in arrivo. “Farò ricoverare Eric, per
sicurezza. Potrebbe avere un edema cerebrale.”, aggiunse subito
dopo.
Percepì, più che
vederla, la scossa che attraversò il corpo del giovane
MacGregor. Senza rendersene conto, tutti quei cambiamenti che stavano
avendo luogo lo stavano trascinando a forza fuori dal suo guscio
protettivo.
Avrebbe potuto essere
doloroso, anzi lo sarebbe stato di sicuro, ma sperava che potesse
servire a ridargli il ragazzo passionale ed estroverso che aveva visto
crescere e a cui aveva insegnato ad amare l’arte del tiro con
l’arco.
“Stagli accanto e avvertimi non appena sai qualcosa.”, si raccomandò il giovane, allontanandosi.
Un gemito di protesta lo fece
voltare nuovamente verso Eric, che stava tentando di tenere gli occhi
aperti per capire cosa gli fosse successo. –Non sforzarti.- disse
Alastair. –Sta arrivando l’ambulanza. Verrò con te.-
aggiunse, pratico.
La nuova recluta si lappò le
labbra, cercando di inumidirle un po’ per poter parlare.
–Il… bimbo..?- riuscì a chiedere.
-Scosso, ma salvo.
Eric si concesse un breve sorriso prima che un fremito lo scuotesse e tornasse nuovamente nell’incoscienza.
Van avvertì la bestia
di Eric chetarsi, quasi dissolversi, stremata dal combattimento. Il
corpo del ragazzo stava combattendo contro i colpi subiti, cercando di
ritrovare il proprio equilibrio.
“E il mio, di equilibrio?”, gli venne da chiedersi.
Ancora non si capacitava di come
fossero riusciti a sopravvivere a quell’incursione né di
come si sarebbe evoluta la situazione da lì in avanti. Quello
che contava, in quel momento, era portare Blake in un posto sicuro e
tranquillo, dove potesse riprendersi dallo shock.
Annullò la distanza che lo
separava da zia e nipote e si fermò, colpito fisicamente dal
miscuglio di emozioni che emanava dai due. Erano così forti da
poterne sentire il calore, avvolgente e soffocante al tempo stesso.
Si sentì stranamente a disagio, senza sapere bene come affrontare la situazione.
Gli venne in aiuto il piccolo, che
lo guardò con uno sguardo di supplica negli occhi chiari. Evan
capì al volo la sua richiesta e, schiarendosi la voce,
disse:-Emily, lo stai stritolando.
La lupa spalancò gli occhi e
si staccò di colpo dal corpo tremante del nipote, guardandolo
come fosse un alieno. –C-cosa..?- balbettò.
-Mi stavi facendo male…- piagnucolò in risposta Blake.
-Oddio, scusami!- fece per
riabbracciarlo, ma si rese conto della presenza di Evan. Si
bloccò e si guardò intorno, evitando di incontrare lo
sguardo dello scozzese.
-Abbiamo vinto. Per ora.- la
informò. –Ma Eric ha incassato parecchi colpi e deve
essere ricoverato. Voi avete bisogno di un controllo?- chiese subito
dopo.
Emily allora si rialzò
lentamente in piedi, decidendosi ad alzare gli occhi. –Forse
dovresti farti vedere da un medico.- rispose di contro.
-Sciocchezze.- Evan liquidò
la questione con una piccola smorfia. –Gli agenti che sono appena
arrivati fanno parte della mia squadra. Venite con me: credo avranno
bisogno di farci alcune domande.
A quelle parole il piccolo Blake si
allarmò ed arretrò di qualche passo. Emily se ne accorse
e lo afferrò prontamente per un polso. –Cosa succede,
tesoro?- gli chiese, preoccupata.
Lui scosse energicamente la testa.
–Non posso! Se dico qualcosa… se… papà si
arrabbierà!- farfugliò, ora visibilmente spaventato.
Apparve subito chiaro che Jared aveva giocato con la mente del suo
stesso figlio, minacciandolo di fargli del male se avesse fatto o detto
qualcosa contro di lui.
La bestia dentro Emily
digrignò i denti, indignata, ma il suo capobranco fu lesto a
fermarla. –Lascia perdere. Abbiamo bisogno di cure, quindi
sbrighiamo questa faccenda ed andiamo a casa.- la fissò
intensamente per alcuni istanti, sfidandola ad opporsi. Lentamente,
anche se riluttante, l’americana rilassò i muscoli della
mascella ed annuì.
-Bene. Andiamo.
Non aveva notizie da
parecchie ore, ormai. Né Andrew né David si erano fatti
vivi per aggiornarla sulla situazione. Anzi, sulle situazioni, dato che
parte del branco era andata in missione.
Sentiva le budella attorcigliate ed
aveva un’ansia tale che le mani non smettevano di tremarle. Senza
considerare la fastidiosa pulsazione alle ferite che si era procurata
quando era stata coinvolta in una partita mortale di guardie e ladri.
Osservò il proprio
riflesso allo specchio e tentò di non spaventarsi. Tutti i
muscoli del suo viso erano contratti e sembrava sul punto di esplodere
in un grido isterico. Si passò lentamente una mano tra i capelli
e si inumidì la base del collo.
“Perché nessuno mi dice
niente?”, si chiese, vagamente irritata. Continuava ad oscillare
tra l’irritazione e la preoccupazione come un pendolo impazzito.
-Ehi, Mandy, la cliente
delle…- Gabrielle spalancò la porta all’improvviso,
interrompendosi però subito dopo. –Oddio, stai bene?-
chiese preoccupata.
Amanda tentò un sorriso.
–Sì. Tutto bene… tranquilla.- mentì
spudoratamente. Ed anche male, a giudicare dallo sguardo
dell’amica. –Ci sono dei problemi a casa. Con Drew.-
confessò con voce stanca.
Gabbie si appoggiò allo
stipite della porta e la soppesò in silenzio. –Termina
questo appuntamento e poi vai a casa.- le disse.
L’altra alzò la testa
di scatto. –Ma… il mio permesso non mi permette di uscire
prima di due ore!- protestò.
La direttrice di sala fece spallucce. –Non mi interessa. Ci vediamo di là.- e detto questo la lasciò sola.
Mandy restò a fissare la
porta, basita, ma poi si lasciò sfuggire un sorriso.
–Grazie.- sussurrò. Per quanto Gabrielle potesse sembrava
superficiale (e spesso ce la metteva davvero tutta per dare
quell’impressione), aveva un cuore d’oro.
Trasse un respiro profondo,
ritrovò un po’ di calma interiore ed indossò il suo
miglior sorriso professionale. Un rapido aggiustamento ai pantaloni
palazzo che aveva scelto per quella giornata di lavoro ed uscì,
diretta verso la sposa delle quindici.
Fortunatamente la ragazza che
le era stata assegnata si rivelò essere pacata e tranquilla. E,
cosa molto importante, per nulla sovversiva in merito alle scelte
d’abito che le proponeva. Così in meno di un’ora si
ritrovarono davanti alla cassa, entrambe sorridenti e soddisfatte.
Amanda si congedò con una
stretta di mano e poi si avviò a passo sostenuto verso i
camerini, grata a Gabrielle per averla congedata in anticipò.
Indossò la giacca con gesti misurati per evitare di riaprire la
ferita al fianco, stranamente meno impegnativa di quella alla gamba.
Controllò brevemente entrambe
le fasciature e poi si diresse verso l’uscita, salutando con
rapidi gesti della mano le colleghe ancora al lavoro.
Una volta fuori venne investita
dall’aria carica di odori e storse il naso, infastidita dalla
presenza elevata di smog. Sistemò la sciarpa che si era avvolta
attorno al collo e si incamminò il più velocemente
possibile verso l’entrata della metropolitana.
Il motivo principale era che voleva
tornare a casa per vedere come stesse Andrew, ma aveva anche il terrore
di incontrare un altro di quei giornalisti insistenti e cafoni. Da
quando la signorina Forbes aveva fatto quella scenata davanti
l’entrata di Kleinfeld si era ritrovata spesso alle calcagna uno
o due sciacalli a caccia di scoop. Anche se nemmeno lei sapeva bene a
quale tipo di scoop stessero mirando, dato che si era ritrovata a
vivere con Evan per cause assolutamente accidentali.
Con la mente temporaneamente
distratta da quel tipo di elucubrazioni raggiunse la metropolitana e
trovò posto presso un seggiolino isolato, accanto al finestrino.
Prese un respiro profondo ed iniziò a concentrarsi per mantenere
la calma. Non bastava l’ansia, il vagone le ricordava anche della
sua paura per gli spazi circoscritti ed affollati.
-Eric è fuori pericolo. Aveva
un leggero edema cerebrale, ma si è praticamente già
riassorbito.- Evan prese la notizia con grande disinvoltura, nonostante
dentro di sé provasse una fitta di sollievo
nell’apprendere che il giovane si sarebbe ripreso senza
conseguenze.
Osservò il traffico oltre la
finestra e continuò ad ascoltare Alastair. Con la mente stava
ripercorrendo lo scontro appena concluso e non gli stava prestando la
giusta attenzione.
-Evan…- si sentì chiamare.
Spostò lo sguardo dai palazzi
oltre la strada e si raddrizzò sulla sedia. –Per quando
credi potrete rientrare?- domandò, ignorando il brontolio del
suo mentore.
-Preferisco che stia in
osservazione, per stanotte.- rispose. –Ma se hai bisogno di me,
dammi il tempo di trovare un taxi e sarò a tua disposizione.-
aggiunse.
-D’accordo. Noi stiamo finendo
di trascrivere le testimonianze relative allo scontro. Ci vediamo a
casa.- disse. Fece per chiudere la chiamata, ma poi ci ripensò.
–Alst… grazie.
Sentì distintamente
l’altro sorridere e salutarlo poco dopo, senza rispondere.
Alastair sapeva che, in quei casi, una sua risposta avrebbe messo Evan
in imbarazzo.
Il giovane MacGregor fece scivolare
il telefono in tasca e si alzò, raggiungendo i colleghi ed
Emily. Blake se ne stava addormentato su una panchina poco distante.
“Dev’essere esausto. E
sconvolto.”, ragionò, osservando la posizione difensiva
che aveva assunto nel sonno.
-Capitano MacGregor, noi abbiamo
finito.- annunciò la voce del tenente Simmons. Van si
voltò a guardarla e le fece un rapido cenno del capo.
-Ti ringrazio.- disse solamente.
Emily si alzò, scarmigliata e sporca di sangue, e lo
guardò in attesa di ordini. –Torniamo a casa. Prendi
Blake.- le comunicò.
Iniziava a sentire il peso degli
avvenimenti su di sé e aveva solamente voglia di strisciare in
doccia e lavarsi di dosso il sangue raggrumato. Prima avrebbe dovuto
controllare la gravità delle ferite che gli erano state inferte,
ma era quasi certo che nessuna di esse fosse mortale.
-Ci sono…- sentì
mormorare alla propria destra. Abbassò lo sguardo sulla sua
nuova affiliata e notò che stava reggendo il nipote con una
stretta d’acciaio, forse nel timore che potesse cadere. Si
sarebbe proposto di aiutarla, se tutto in lei non avesse espresso
opinione contraria.
Decise allora di lasciarla fare e si
avviò verso l’uscita, ringraziando ancora una volta
Simmons ed i colleghi per l’intervento tempestivo.
Erano quasi fuori quando Rogers
attirò la sua attenzione. Si fermò ed attese di essere
raggiunto, mostrandosi calmo e disponibile nonostante le sue energie
fisiche e mentali fossero ormai agli sgoccioli.
–Prenditi la giornata di
domani.- gli suggerì il suo capo. Fece per ribattere, ma
l’altro aggiunse:-Non appena sarai tornato, vorrei che aiutassi
la squadra omicidi con la questione dell’Ammenda.
Evan si accigliò. –Non
ho molto altro da offrire a parte le informazioni che le ho già
riferito.- fece presente.
-Non importa. Sei sicuramente
più avvezzo a questo genere di usanze, dato che il branco ha
origini irlandesi ed è ancora legato alle vecchie tradizioni.-
rispose l’altro, convinto. Alla luce di ciò non gli
restò che annuire e promettere il proprio supporto.
-Stanno tornando… - sospirò David.
Andrew, alle sue spalle, si sporse
per sbirciare lo schermo del cellulare e controllare di persona il
testo del messaggio. –Eric è stato ferito?- si
accigliò, preoccupato.
Dave si voltò a guardarlo.
–Sì, ma per fortuna Alst ha saputo contenere i danni.-
rispose, concedendosi un sorriso sollevato. Subito dopo, però,
si fece di nuovo serio. –Non dovresti distrarti. Sento la tua
aurea crepitare come se ci avessero gettato sopra della benzina!- lo
rimproverò.
L’americano alzò le
mani in segno di scusa. –Mi dispiace, ma l’ansia mi stava
uccidendo.- disse. –Ora che so che stanno bene mi sento meglio. E
posso concentrarmi sul mio personale problema.- aggiunse, tornando a
sedersi sul divano. Sprofondò tra i cuscini e ne strinse uno al
petto in un gesto istintivo.
David prese un respiro profondo e si
mise a girare per il soggiorno. –Ok… devo capire come
gestire al meglio tutta quanta la situazione…- mormorò
tra sé, le mani intrecciate tra i ricci scuri.
Drew lo osservò in silenzio,
perdendosi momentaneamente dietro al via vai del suo Beta. La presenza
dell’inglese lo metteva a proprio agio e quasi non gli sembrava
d’essere una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. “Non
fosse per il continuo e sordo brontolio che sento nella mia
testa.”, pensò.
Poteva percepire la bestia senza
difficoltà, ora. E la cosa lo angustiava parecchio, dato che non
era sicuramente un buon segno. –Non credi che sia meglio che io
vada di sotto…?- domandò, interrompendo i pensieri del
compagno di branco.
-Come…?- fece quello.
-Ehm… la luna piena.
Ricordi?- tentò di scherzare. –Ormai sento la bestia senza
bisogno di concentrarmi. È come se fosse acquattata sottopelle
ed aspettasse solo di poter balzare fuori.- ammise, reprimendo un
brivido al pensiero.
“Giusto. Come hai fatto a
dimenticarti di questo piccolo, insignificante dettaglio?”, si
rimproverò l’inglese. –Scusami, hai perfettamente
ragione. Meglio se ci avviamo di sotto.- abbozzò un sorriso,
cercando di suonare incoraggiante.
Andrew annuì un paio di volte. –La cantina è sicura, vero?- s’informò.
-Certo. Non potrai uscire fino a
domani mattina.- assicurò l’altro. Fece per dirigersi
verso la porta quando un odore familiare attirò la sua
attenzione. –Aspetta!
Drew lo fissò perplesso per
poi rendersi conto che i passi che sentiva lungo le scale appartenevano
ad Evan. Scambiò uno sguardo stupito con il compare e poi si
precipitò ad aprire la porta, affacciandosi al pianerottolo.
-Perché sei ancora libero?-
lo apostrofò il suo Alfa. Pentito della propria mossa,
l’americano incassò la testa nelle spalle, abbassando gli
occhi. Restarono immobili per alcuni lunghi istanti. –Stiamo
tutti bene.- aggiunse in un sussurro l’altro.
-Mi fa piacere.- rispose lui, lo stesso tono sommesso e sollevato. –Bentornati.
-Van! Grazie a Dio!- Dave
sbucò sul pianerottolo e si avvicinò subito allo
scozzese, cercando di determinare l’entità delle sue
ferite.
MacGregor, ben conscio del
tentativo, si sottrasse all’ispezione facendo cenno ad Emily di
raggiungerli. –Blake ha bisogno di cure. È stato a
contatto con l’argento.- disse solamente.
Al che i due uomini fecero caso, per
la prima volta, al piccolo licantropo che se ne stava strettamente
avvinghiato al collo di Emily.
Il suo sconcerto era tale e tanto
che anche la bestia dentro di lui stava tremando. Andrew fece per
avvicinarsi, pratico nella gestione dei bambini, ma l’odore del
sangue lo investì come un maglio. Si bloccò,
irrigidendosi e per un attimo non ebbe altra sensazione se non il
sapore del ferro sulla lingua.
La prese di Evan sulla sua
spalla, salda ma rassicurante, lo fece rinsavire con un singulto. Si
lappò le labbra e lo guardò senza realmente vederlo.
–E’ meglio che tu vada di sotto. Gli effetti della luna e
dello stress si stanno facendo sentire.- gli disse. Non era un ordine,
ma il tono non ammetteva comunque discussioni.
Annuì meccanicamente e, dopo
un attimo di esitazione, si avviò lungo le scale. Quando
passò accanto al piccolo, il suo istinto gli disse di accudirlo
ma sapeva che il sangue gli avrebbe dato alla testa. Strinse i pugni e
con uno sforzo di volontà proseguì la discesa.
Sapeva che stavano tutti aspettando
con ansia una sua reazione violenta e non voleva assolutamente che
ciò avvenisse. Non voleva uccidere nessuno.
Con quel pensiero in mente trattenne
il fiato e percorse altre due rampe di scale, sempre più vicino
al basamento dell’edificio.
-Rimani concentrato.- la voce di
David suonò poco distante e, con la coda dell’occhio, lo
vide tre gradini dietro di sé. Annuì rapidamente ed
imboccò la porta che conduceva alle cantine.
La semioscurità che regnava
nel corridoio di cemento lo spiazzò per alcuni istanti, ma ben
presto i suoi occhi presero a distinguere forme e contorni senza
problema.
-L’ultima in fondo.-
suggerì Dave. Andrew s’incamminò con passo rigido,
il tumulto che aveva dentro sempre più crescente.
Digrignò i denti. –David… la sento…- riuscì a dire.
L’altro annuì,
comprensivo. –Lo so. La sento anche io.- gli disse, aiutandolo
con la propria aura a contenere la bestia.
-E’ sempre così?-
l’americano raggiunse la porta indicatagli. La osservò per
qualche istante, stupendosi del materiale con cui era stata fatta e dei
rinforzi che si scorgevano sui cardini.
-Questo è solo l’inizio.- dovette ammettere il moro. –Peggiorerà con l’avanzare della notte.
Andrew si lasciò sfuggire un mezzo singulto. –Perfetto…
-Entra.- David afferrò con
attenzione la maniglia di acciaio e fece pressione. La porta si
aprì senza far rumore, ben oliata. Drew non poté fare a
meno di chiedersi di che materiale fosse fatta. –E’ acciaio
additivato con polvere d’argento. All’interno corre una
rete di fili di vischio intrecciato, in modo che ti sia difficile
uscire.- spiegò, notando lo sguardo dell’amico.
-Oh. Immagino che non fosse
già così.- commentò, sentendosi stupido. Era ovvio
che nessun essere umano avrebbe mai progettato una cantina in modo da
essere a prova di licantropo.
-No. L’ho modificata non appena abbiamo traslocato.- rispose l’inglese. –Devo ancora fare gli ultimi ritocchi.
Lentamente e con circospezione, il
giovane entrò in quella che sarebbe stata la sua personale cella
per quella notte. E per molte a venire, probabilmente. –Come
saprete quando…?- iniziò, nella voce una leggera nota
distorta.
-Non ti preoccupare. Lo sapremo.- lo rassicurò. –C’è un interfono. Se dovessi aver bisogno di qualcosa, usalo.
Andrew ruotò su se stesso,
concedendosi una breve esplorazione visiva. Concentrarsi sui dettagli
lo aiutava a mantenere la concentrazione. Quel briciolo rimastogli,
almeno. –Grazie…- mormorò.
-Vedremo se domani mi ringrazierai o mi maledirai per averti chiuso qua dentro.- sorrise spiacente David.
-Meglio questo che uccidere
qualcuno.- gli fece notare l’altro, sedendosi sull’unico
oggetto di arredamento presente, ossia una brandina.
L’architetto esitò qualche istante, ma poi si decise a chiudere. –Buona fortuna, Andrew.- sussurrò.
Era sopravvissuta abbastanza
egregiamente alla metropolitana. Ora sperava solo di non trovare la
Terza Guerra Mondiale una volta arrivata a casa.
“Perché nessuno mi dice
cosa sta succedendo? Nemmeno un messaggio! Niente!”, inveì
silenziosamente mentre saliva le scale del sottopassaggio.
Non le avevano dato nessun tipo di
notizia o aggiornamento da quando era uscita di casa quella mattina. Ed
ora ne aveva abbastanza di restare nell’ignoranza: voleva esser
resa partecipe della situazione.
-Situazione che verificherai coi
tuoi occhi tra poco, cara.- si disse a mezza voce. Una volta fuori fece
per dirigersi verso casa, ma si rese conto di aver sbagliato fermata.
Si bloccò sul marciapiedi e si guardò attorno, perplessa.
–Dove..?
Con la coda dell’occhio vide
una lunga cancellata di ferro e si voltò di scatto verso quella
vista, improvvisamente allarmata. Fece per cacciare un urlo, memore
dell’inseguimento cui era stata la sfortunata partecipante, ma si
trattenne mordendosi forte il labbro inferiore.
Nel pieno del panico percorse
febbrilmente tutto il perimetro del cimitero in cerca del suo
aggressore. Poi, di colpo, la sua mente realizzò che il luogo
non era lo stesso e che stava in realtà proiettando un brutto
ricordo.
Prese un respiro profondo e lesse la targa a lato del cancello. Trinity Cemetery.
Si trovava nel suo quartiere, nella parte alta a confine con Washington Heights. Non troppo lontana da casa, per fortuna.
Rafforzò la presa sulla borsa
e si mise a camminare a fianco della lunga recinzione metallica,
cercando di non gettare sguardi all’interno, tra le lapidi. Non
era mai stata superstiziosa, ma da quando era stata inseguita per mezza
Alphabet City rischiando di rimanere impalata su una lancia di ferro
aveva sviluppato una certa soggezione per luoghi del genere.
Affrettò il passo, sperando di arrivare il prima possibile sulla via principale e lasciarsi alle spalle le tombe.
Era quasi arrivata a
destinazione quando le scivolò la borsa dalla spalla.
Incespicò nei propri piedi, rischiando di cadere e si
chinò a raccoglierla. Quando si raddrizzò si
ritrovò a fissare oltre le sbarre di ferro, attraverso il prato
ben curato punteggiato di lapidi.
Senza che potesse impedirselo il suo
sguardo vagò tra i monumenti fino a quando non scorse un piccolo
baluginio di luce azzurrastra. Da principio credette di esserselo
immaginato, ma poi eccola riapparire al limite del suo campo visivo.
Basita, osservò il piccolo globo evanescente fluttuare nell’aria, incorporeo.
All’improvviso sembrava che
tutta la città si fosse acquietata e che non esistesse
null’altro al di fuori di quel minuscolo fuoco.
Amanda restò a guardarlo rapita, seguendone la lenta danza aerea come ipnotizzata.
Non seppe dire quanto tempo fosse
passato da che si era fermata, fatto sta che la fiammella si
eclissò improvvisamente dietro una lapide e fu come se
l’incantesimo si fosse rotto.
Mandy ritornò alla coscienza, vagamente confusa.
Si guardò intorno,
controllando che fosse tutto normale. Poi un brivido freddo le scese
giù lungo la schiena ed una sgradevole sensazione le strinse lo
stomaco in una morsa ferrea.
Non sapeva a cosa avesse appena assistito, ma il suo istinto le stava dicendo che non era nulla di beneaugurante.
Ulteriormente preoccupata,
voltò le spalle al cimitero ed attraversò la strada di
corsa, diretta verso la prima fermata dell’autobus utile.
-L’hai rinchiuso?- s’informò.
David chiuse lentamente la porta di
casa e poi alzò lo sguardo. –Sì. Si è
comportato egregiamente, considerato cosa sta passando.- disse con voce
stanca.
La realtà dei fatti
l’aveva colto all’improvviso e tutto lo stress emotivo che
aveva tenuto a bada nel corso di quelle lunghe ore stava chiedendo il
conto. Non sapeva se buttarsi a peso morto sul divano per poter dormire
oppure sfogarsi verbalmente con Evan per averlo tenuto in panchina.
Mentre valutava le varie opzioni si
rese conto che non sapeva che fine avessero fatto i Blacks. Si
avvicinò al suo migliore amico e chiese:-Jared e compagnia?
-In fuga. Per ora.- fu la risposta sbrigativa.
David si rese conto che Evan non gli
stava prestando veramente attenzione e allora gli chiese cosa lo
turbasse. –Il piccolo Blake.- disse lo scozzese. Non convinto, il
Beta si sedette sul davanzale della finestra e puntò il proprio
sguardo indagatore sul volto del suo Alfa. Quello allora roteò
gli occhi in un gesto d’esasperazione e si decise a guardarlo in
faccia. –C’era qualcun altro al porto…-
rivelò infine.
Dave s’accigliò. –Intendi un altro branco…?
Van scosse la testa. –No. Non
credo appartenesse né ai Blacks né ad un altro branco.
Era una presenza estranea, quasi si trovasse nel posto sbagliato al
momento sbagliato.- cercò di spiegarsi. Non sapeva come
esprimere al meglio la sensazione che aveva provato: era stata breve,
ma intensa. Come se si trovasse di fronte ad un pezzo di storia che
doveva essere stata dimenticata da un bel pezzo.
-Intendi dire che…- iniziò l’inglese, visibilmente confuso dalle dichiarazioni dell’amico.
-Probabilmente a New York c’è un lupo molto antico.- lo interruppe.
-Nel Nuovo Mondo?- fece
l’altro, scettico. –E perché mai? Quel tipo di
creature tende ad essere legata al proprio luogo di origine.
Evan annuì lentamente.
–Lo so. Per questo non capisco.- ammise. –Ma non sono
nemmeno sicuro di quello che ho percepito.- dovette aggiungere subito
dopo.
L’inglese fece per chiedergli
altro, ma venne interrotto dalla comparsa di Emily. I due si voltarono
a guardarla, in attesa.
-Vi ringrazio.- disse solamente. Sul viso aveva una strana espressione, a metà tra la gratitudine e l’imbarazzo.
-Il branco protegge i suoi membri.- fu il commento di Evan.
Lei si lasciò sfuggire una
smorfia. –Non in tutti i branchi. Fidati.- replicò.
–Ma sono contenta che in questo le cose funzionino così.
Van le concesse un rapido cenno del capo come risposta. Poi David chiese:-Blake come sta?
Al che sua zia sospirò e si
strinse nelle spalle. –Per ora non bene. Sono sicura che gli ci
vorrà un bel po’ per superare quest’esperienza. Le
ferite ci metteranno meno tempo a guarire, invece.- considerò.
Le parole dell’americana rimasero sospese nell’aria per alcuni istanti e poi tra loro cadde il silenzio.
David si schiarì la gola, imbarazzato. –Tu… come stai, invece?- si azzardò a chiedere.
Emily lo guardò, stupita.
–Sto bene. Niente che un po’ di sonno non possa sistemare.-
rispose. La sua aura, però, smentì le sue parole.
Sembrava fosse sul punto di spegnersi, anche se ogni tanto un guizzo
improvviso la riportava in vita. Dave stava per farglielo notare quando
con la coda dell’occhio notò Evan irrigidirsi.
Fece per chiedergliene il motivo, ma
il cellulare dello scozzese decise di suonare proprio in quel momento.
Così come il campanello di casa.
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Capitolo 21 *** Cap. 20 Bad moon rising ***
Cap. 20 Bad moon rising
E'
passato tanto, tanto tempo. Lo so. Ma ho dovuto porre la redazione
della tesi davanti a tutto il resto, anche alla mia passione per la
scrittura.
Ora sto riprendendo in mano le fila del discorso, rientrando lentamente dentro questa New York mannara.
Vi auguro buona lettura!
A presto, Lelaiah :)
Cap. 20 Bad moon rising
Evan abbassò
lentamente la mano ed estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans.
Guardò lo schermo e serrò la mascella con forza.
“Non ora.”,
pensò, infastidito. Con la coda dell’occhio vide David
fissare alternativamente lui e la porta di casa. –Apri… ma
stai attento alla folla.- gli disse sbrigativo.
Al cenno d’assenso
dell’amico accettò la chiamata e si portò il
telefono all’orecchio, cercando di mantenersi calmo.
-MacGregor.- disse la voce dall’altro capo.
-Aleksandr.- rispose lo scozzese,
senza aggiungere null’altro. La tensione nella voce del suo
interlocutore era evidente e nemmeno la distanza fisica tra i due
poteva mascherarla.
-Ho saputo degli ultimi avvenimenti da alcuni informatori.- riprese l’Alfa di Hamilton Heights.
Evan accentuò leggermente la
presa sull’apparecchio. –Ho ritenuto necessario intervenire
prima che facessero del male al cucciolo.- spiegò. Sapeva che,
essendo ospite nel territorio di un altro lupo, doveva evitare di
creare casini, ma non vedeva la necessità di sottoporsi ad un
terzo grado.
Dall’altro lato ci fu
una lunga pausa. –Sono lieto che l’operazione sia riuscita
nel migliore dei modi.- fu la risposta. Apparentemente innocua e molto
simile ad un complimento.
Evan scambiò
un’occhiata con Emily, rimasta in ascolto. Le fece cenno di
allontanarsi e lei si posizionò accanto alla finestra. La sua
ansia lo stava distraendo e non voleva rischiare di commettere passi
falsi durante la conversazione con Aleksandr. Inoltre aveva bisogno di
essere curata: la ferita al fianco continuava a perdere sangue,
imbrattandole la maglietta.
Spostò lo sguardo e si
concentrò sulla parete che aveva di fronte. -Per quale motivo
hai chiamato?- domandò, cercando di suonare il meno ostile
possibile.
Il russo rise sinistramente. –Me lo stai seriamente chiedendo?
Van strinse il pugno libero,
sentendo la bestia dentro di sé irritarsi: non gli piacevano le
persone che parlavano per indovinelli o che giocavano con gli altri
come il gatto fa col topo.
-Non era previsto che Eric venisse
ferito.- iniziò. –Doveva semplicemente distrarre le
Sentinelle lungo il perimetro.- concluse.
Ci fu una lunga pausa
dall’altro lato, di nuovo. –A quanto pare il compito che
gli hai affidato non era così semplice come sembrava.- fu il
commento caustico.
Il giovane si
trattenne a stento dal digrignare i denti ed inveire. –Ha gestito
la situazione egregiamente.- replicò. Avvertì una vampata
di calore salirgli al viso ed ebbe l’impressione di esser sul
punto di perdere la calma. Da quando in qua doveva preoccuparsi di non
perdere la calma? Non era lui quello che aveva represso le emozioni?
Aleksandr si lasciò sfuggire uno sbuffo ironico. –Egregiamente?
Evan spostò il peso da un
piede all’altro, infastidito da una delle ferite che si era
procurato e dal tono del suo interlocutore. L’impellente bisogno
di prender a pugni qualcosa si stava facendo sempre più forte.
–Non vedo la necessità di giustificarmi con te. Tuo nipote
è fuori pericolo.- tagliò corto.
-Per questa volta. Ma se dovesse
succedere ancora qualcosa del genere, avrò la tua testa,
MacGregor. Non mi interessa quanti lupi dovrò far fuori per
averla.- rispose l’Alfa russo. -Do svidánia.
Solo uno stupido non avrebbe colto
la minaccia insita nella voce del capobranco di Hamilton Heights ed
Evan non era sicuramente uno stupido. Ma non era nemmeno un cucciolotto
alle prime armi e sentirsi rivolgere quelle parole risvegliò
definitivamente la bestia che aveva dentro.
Non l’animale, no.
La sua bestia personale, quella alimentata dai suoi sentimenti, repressi e non.
Digrignò con forza i denti e
strinse l’insignificante apparecchio che aveva in mano con forza.
Si sentì distintamente il vetro scheggiarsi e poi andare in
frantumi, sbriciolato. Evan non lo degnò nemmeno di uno sguardo
e lo lasciò cadere a terra, prima di raggiungere Emily.
La ragazza gli lanciò
un’occhiata interrogativa, ma si astenne dal fare commenti.
-Là fuori ci sono un bel po’ di piantagrane.- disse invece.
-Lo posso percepire.- fu la risposta dello scozzese.
L’idea di dover affrontare
un’orda di microfoni pronti a registrare ogni sua parola lo
rendeva oltremodo nervoso. Non perché temesse di poter dire
qualcosa di sbagliato, ma per il semplice fatto che era una persona
estremamente riservata e quello del giornalista era il mestiere
più invasivo con cui avesse mai avuto a che fare.
-Vuoi che vada ad aiutare David?- domandò Emily.
Van le dedicò una rapida
occhiata. -No. La situazione è abbastanza spinosa così
com’è: mostrarti con tutto quel sangue addosso
peggiorerebbe solamente la situazione.- spiegò. -Vai da Blake e
cerca di non dissanguarti fino a che non sarà arrivato
Alastair.- con quelle parole mise la parola fine alla loro
conversazione.
Fece per dirigersi verso la porta,
ma la voce dell’americana lo bloccò. -Nemmeno tu sei molto
rassicurante, sai?- gli fece notare.
-Vero… ma sono sicuramente
più minaccioso.- rispose, tagliente. Sapeva che il commento
voleva essere ironico, ma non aveva tempo per l’ironia in quel
momento. Allungò il braccio ed abbassò la maniglia.
Quello che trovò oltre la
soglia era peggio di quanto si fosse aspettato. Dave se ne stava
bloccato tra due giornalisti piuttosto insistenti, incapace di lasciare
il pianerottolo senza un atto di forza. Scelta sconsigliabile data la
numerosa presenza di umani.
Il Beta notò
subito la sua presenza e gli lanciò un’occhiata disperata
da sopra la spalla, in cerca d’aiuto. “Distraili, per
favore!”, aggiunse mentalmente l’inglese.
Evan sollevò un
sopracciglio, pronto a replicare, quando si ritrovò investito da
una serie di domande strillate a pochi centimetri dalle sue orecchie.
Fece una smorfia e digrignò i denti, emettendo un basso ringhio.
-Arretrate. Subito.- non era una richiesta.
La folla s’azzittì,
colta di sorpresa. Ma lo sgomento durò solo un attimo e subito
dopo i registratori tornarono ad allungarsi verso di lui. Le domande si
sprecavano, così come i flash delle macchine fotografiche.
Il giovane MacGregor chiuse
brevemente gli occhi, infastidito. La bestia dentro di lui non sembrava
apprezzare tutte quelle attenzioni e non poteva assolutamente
biasimarla.
Prese un respiro profondo, cercando
di mantenere il controllo della propria voce. -Vi ho chiesto di
lasciarci un po’ di spazio.- riformulò la propria
richiesta.
David sentì
l’aria sfrigolare e lanciò un’occhiata allarmata
verso l’amico, temendo potesse dare in escandescenza. Invece lo
vide sollevare lentamente le palpebre e fissare l’assiepamento di
persone davanti a sé con una calma innaturale. I suoi occhi
erano cangianti e poteva percepire lo sguardo della bestia nelle loro
profondità.
Quel piccolo trucchetto
sortì il suo effetto, perché i giornalisti arretrarono
immediatamente, spaventati. Il licantropo ne approfittò per
fendere la folla, allungare un braccio e trascinare Alst sul
pianerottolo, tra lo stupore di tutti.
-Grazie per la vostra
collaborazione.- Evan spinse i due all’interno e si chiuse la
porta alle spalle. Il tempo di un respiro e le persone dall’altra
parte insorsero, arrabbiate. Qualche temerario batté un pugno
contro l’anta.
Evan si massaggiò il ponte
del naso, provato da quell’ennesima seccatura e si concesse un
momento per fare il punto della situazione.
-Non capirò mai come fanno
ad essere sul luogo di un evento cinque minuti dopo il suo
accadimento.- commentò Alastair, sconvolto.
-Fiutano la notizia.- fu la risposta di David. -Come gli sciacalli con una carogna.
Il secondo del branco MacGregor storse la bocca. -Paragone calzante, ma assolutamente non necessario.
Il ragazzo alzò brevemente le spalle. -Scusate. È quella l’impressione che danno.- mormorò.
Evan liquidò la questione
incuneandosi tra i due. -Che notizie dall’ospedale?-
domandò, rivolto al cugino di suo padre.
Alastair lo guardò ed
accennò un sorriso. -Ho richiesto una notte
d’osservazione, come ti ho detto, ma quando l’ho lasciato
era vigile.- comunicò.
-Nulla di permanente, vero?
L’altro scosse la testa.
-Solo ferite da artiglio, niente che riguardi l’argento.-
assicurò. -Parlando di ferite… dov’è il
piccolo?- si voltò a perlustrare l’ambiente.
-Nella camera di Emily. Si è
addormentato nonostante le bruciature.- disse David, accennando col
capo al corridoio che portava nella zona notte.
Alst annuì e puntò lo
sguardo sulla giovane, concentrando la propria attenzione sulla ferita
che aveva al fianco. -Fammi vedere, ragazza.- le si avvicinò.
Lei arrossì. -Non
c’è bisogno…- mormorò, tentando di sottrarsi
all’ispezione. Ma quando percepì le mani dell’uomo
sulla propria pelle venne scossa da un fremito e si arrese, grata che
ci fosse qualcuno disposto ad aiutarla. -Grazie.- sussurrò.
-Non è grave.- la rassicurò. -Ma bisogna comunque pulirla.
Mentre Alst si occupava di Emily,
Evan prese da parte David. -Dobbiamo liberarci di tutti quei
giornalisti. La loro presenza non è di nessun aiuto.- disse,
accennando alla porta col capo.
-Lo so, ma non so come…-
iniziò il moro, per poi bloccarsi. Si accigliò, confuso
ed annusò attentamente l’aria per qualche istante.
-Evan…- sollevò lo sguardo sull’amico, ma quello si
stava già voltando verso la porta.
-Pessimo tempismo.- lo sentì commentare.
***
-Scegliere i Blacks è stato un errore.- sentenziò.
L’aria attorno a lui
sembrò crepitare ma, a parte quel piccolo tremolio, nulla
lasciava presagire la presenza del suo interlocutore. “Sono
pienamente d’accordo.”, fu la risposta.
Rodrick si concesse la
pallida imitazione di un sorriso, in segno d’approvazione. La
mente di quel cacciatore gli piaceva: arguta e tagliente come una lama
di ghiaccio.
Allacciò le mani dietro la
schiena e si mise a misurare a grandi passi l’ambiente in cui si
trovava. Alcuni piccioni emersero spaventati dalla penombra, puntando
verso le nuvole in una pioggia di piume.
Seguì brevemente il loro
volo, lanciando un’occhiata al cielo plumbeo che si intravedeva
oltre i resti del soffitto. -Stupidi animali…- sussurrò,
disgustato. I piccioni che c’erano nella sua terra natia, la
Scozia, avevano un aspetto diverso ed erano di gran lunga meno ottusi.
“Come dovremmo muoverci, ora…?”, la domanda si formò nella sua mente, del tutto simile ad un fiore che sboccia.
Il licantropo si
grattò il mento, cercando di mettere in ordine i pensieri. Aveva
bisogno di risultati concreti e ne aveva bisogno in breve tempo, per di
più: quello che gli rimaneva da vivere poteva non bastare per
mettere in atto la sua vendetta e non poteva lasciare la sua esistenza
terrena senza aver soddisfatto la propria sete di sangue.
-Non posso più permettermi
il lusso di sbagliare.- ragionò, lasciando vagare lo sguardo sul
vecchio pavimento di pietra. La grande sala in cui si trovava
riecheggiò lugubre al ritmo dei suoi passi, trascinata nei suoi
propositi violenti. -Rendere i Blacks ed il branco del giovane
MacGregor nemici è stato l’unico risultato utile.-
aggiunse, appoggiandosi al davanzale di una delle numerose aperture che
scandivano le pareti longitudinali.
Lasciò spaziare lo
sguardo, attento a non intercettare quello dei turisti che si
muovevano attorno alla struttura in cui si trovava. Il mondo
oltre l’Est River ignorava i suoi propositi eppure, in quel
momento, gli sembrava assolutamente ostile.
Non perché fosse un
pivellino impaurito, ma perché il Nuovo Mondo non aveva nulla a
che fare col suo. La natura era stata soffocata dal cemento, non si
percepivano che pochi luoghi dotati di spiritualità… per
non parlare delle creature ultraterrene.
Rivelarsi al mondo
degli umani gli era sempre parsa un’assurdità e vedere
licantropi e vampiri collaborare con quelle fragili e volubili creature
lo nauseava. Il loro mondo era troppo complesso per poter essere
condiviso: aveva regole che andavano rispettate, sempre. Non si
potevano trovare scappatoie.
E chi si macchiava di atti ignobili doveva essere punito.
“Lasciare che mia figlia morisse è stato un atto ignominioso. Un’offesa all’intero clan Cameron.”, strinse un pugno con rabbia, segnando in modo permanente il davanzale di pietra grigia.
“E quell’offesa va punita.”, concordò la voce remota con cui stava avendo una conversazione. “Mi chiedo solo quale sia il modo migliore.”
Rodrick digrignò i denti. -Troverò un modo. Devo solo capire a cosa o a chi mirare.
Fece scivolare lentamente una mano
dentro il collo della camicia e ne estrasse una pesante collana
dall’aspetto antico. Vi passò sopra il pollice, quasi a
volerne ricavare una sorta di energia. Inspirò lentamente e poi
aprì gli occhi, fissando l’edera arrampicarsi sulle pareti
del vecchio ospedale abbandonato. -E’ ora di conoscere meglio il
nemico. Solo così potrò prevalere.- disse, deciso.
Il monile divenne più caldo nella sua mano e l’aria tornò nuovamente a crepitare.
Era finalmente ora di andare a caccia.
***
Non appena ebbe
svoltato l’angolo si ritrovò davanti quello che, a tutti
gli effetti, si poteva considerare un muro umano.
Si bloccò di colpo,
osservando sgomenta la moltitudine di giornalisti che se ne stava
assiepata davanti alla porta d’ingresso del suo condominio. I
passanti lanciavano loro occhiate curiose, ma senza fermarsi: sapevano
di non doversi immischiare.
Si guardò attorno, cercando di capire il motivo di tanta eccitazione.
“E adesso come faccio a
rientrare?”, si chiese. Poi, subito dopo, il pensiero del
salvataggio le attraverso la mente con prepotenza. “Oddio,
fa’ che non sia successo nulla di grave!”, pregò. Si
morse il labbro, indecisa sul da farsi, ma poi mosse un passo in
direzione della massa di persone, decisa ad entrare in casa.
Aveva atteso notizie per tutto il giorno e voleva sapere.
Era ormai pronta a sgusciare tra i
presenti quando il suo cellulare prese a vibrare. Immerse la mano nella
borsa e lo afferrò, portandolo subito all’orecchio.
-Pronto?
-Amanda, sono David.- si
sentì dire. Allontanò il cellulare e fissò lo
schermo, perplessa. -Ti sto chiamando dal telefono di Drew.-
spiegò l’inglese.
-Perché ci sono tutti questi giornalisti davanti al palazzo?- chiese, senza perdere tempo.
-A quanto pare hanno saputo dello
scontro al porto e vogliono avere qualche… scoop succulento.-
disse, cercando di suonare divertito. In verità la ragazza
poteva percepire senza problemi l’ansia che attanagliava la sua
voce.
-Cosa posso…? Come…?- Mandy non sapeva che pesci pigliare.
-Allontanati il più
velocemente possibile, per favore. E resta nascosta fino a quando non
se ne saranno andati.- le consigliò. A quelle parole lei
alzò lo sguardo verso l’alto, cercando il suo
interlocutore. Lo trovò seminascosto dietro l’imbotte di
una finestra, gli occhi fissi sulla strada sottostante.
Si passò una mano sui capelli, indecisa sul da farsi. -Voi come state..?- riuscì a chiedere.
Dave scosse brevemente il capo.
-Dopo, Amanda. Ora trova un posto sicuro, per favore.- disse,
interrompendo sul nascere le sue domande.
Anche se con una certa
riluttanza, lei finì per annuire e riporre il telefono
nuovamente nella borsetta. Assunse l’aria più disinvolta
possibile e girò su se stessa, puntando il piccolo bar subito
dietro l’angolo.
Con la coda dell’occhio
notò un paio di testa voltarsi, forse disturbate dal suo
movimento, ma nessuno sembrò seguirla. Le ci mancava solo
un’intervista con inseguimento per concludere in bellezza la
giornata.
Sentiva un gran baccano provenire da un punto indistinto sopra la sua testa.
Non avrebbe saputo dire da che
direzione provenisse, ma non aveva importanza in quel momento: aveva
ben altri problemi a cui pensare.
Lo spazio in cui si trovava gli
sembrava ostile, asettico eppure sapeva che era l’unica cosa che
poteva aiutarlo, in quel momento.
Sentiva la luna salire nel
cielo, lenta e silenziosa. Non poteva essere fermata, lo sapeva, e
nonostante tutto quello che gli avevano detto sui nuovi ceppi genetici,
sapeva anche che non poteva combatterla.
Quella notte si sarebbe
trasformato, era praticamente inevitabile. E, se avesse avuto ancora
qualche dubbio, quella cella e lo sguardo di David quando l’aveva
rinchiuso ne erano la conferma.
Si appoggiò
pesantemente alla parete di fondo, alzando lo sguardo alla bocca di
lupo da cui entravano gli ultimi spiragli di luce. Gli doleva ogni
parte del corpo, con un’intensità tale da far impallidire
i pugni sferratigli da Stryker. Era come se il lupo stesse cercando di
dilaniare la sua carne dall’interno per potersi liberare e
sbranare la prima persona incontrata sul proprio cammino. Ogni suo
muscolo era impegnato nell’inutile tentativo di trattenerlo.
O almeno di ritardare quanto più possibile la trasformazione.
Con un gemito si accartocciò
su se stesso, stringendo le braccia al petto e pregando che finisse in
fretta. “Non finirà in fretta…”, gli
ricordò quella maligna della sua coscienza. Non era per niente
rassicurante sapere che anche la sua parte razionale era conscia
dell’inevitabile.
Provò a prendere qualche
boccata d’aria, ma fu come inghiottire degli aghi e quindi
rinunciò, trattenendo il respiro il più a lungo possibile.
Si guardò attorno,
analizzando ancora una volta quello che aveva intorno. Non molto, a
dire la verità: quattro pareti di acciaio ed una brandina. Sopra
il giaciglio era stata incisa una frase che, a prima vista, gli parve
celtico.
Riuscendo ad ignorare per un attimo
l’inferno che aveva dentro, caracollò fino al lettino e vi
si lasciò cadere, passando le dita sulle lettere incise.
“No… non è celtico…”, realizzò.
Riconobbe la parola usata per
indicare Dio, ma poco altro. Se fosse riemerso da sottoterra ne avrebbe
chiesto il significato ad Evan. Ma, fino ad allora, doveva
accontentarsi di pensare che fosse qualcosa scritto per dar forza a
qualunque lupo fosse stato rinchiuso lì dentro.
Lentamente si distese
sulla branda e si chiuse a riccio, sperando di poter alleviare un
po’ l’acuto pulsare che lo pervadeva. Ogni volta che
credeva di aver imbrigliato la bestia, ecco che quella si liberava ed
attaccava un’altra parte del suo corpo: ora stava dilaniando il
suo stomaco, vorace.
In più stava
perdendo anche il controllo della propria mente, sempre più
proiettata verso sanguinolenti sventramenti e corse in una foresta che
non assomigliava a nulla che avesse mai visto in America. Le persone
sopra la sua testa -perché di persone si trattava, lo sapeva-
continuavano a far baccano, ma ora non sentiva più le loro voci,
percepiva il rapido pompare dei loro cuori. L’odore della carne
fresca e la promessa delle loro urla quando avesse affondato i denti
nelle loro giugulari.
Scosse violentemente la testa, spaventato da quelle visioni.
-Oddio…- piagnucolò,
incassando il capo tra le spalle. Gliel’avevano descritto e
sapeva cos’aspettarsi, in teoria. Ma era come essere il
protagonista di un film horror di terza categoria, in cui la parola
d’ordine era eccesso. Era certo di non possedere nemmeno la
fantasia necessaria per dar vita a quello che gli stava attraversando
la mente.
E, come se non bastasse, il suo
collegamento col branco sembrava essersi fatto all’improvviso
molto più forte e riusciva a percepire come proprie tutte le
loro emozioni. Gli sembrava di esser diviso in tanti pezzi, attaccato
su più fronti da avversari che non poteva sconfiggere.
Cerca di rimanere saldo nella mente, gli aveva detto Alastair.
Da principio non aveva realmente
colto il significato di quelle parole, credendo che fosse solo un
problema di natura fisica, ma ora doveva ricredersi.
Controllare la bestia era uno
sforzo mentale e fisico ed in quel momento sia la sua mente che il suo
corpo gli si stavano ribellando.
-Devo mantenere il controllo.- si disse, cercando di darsi forza.
In risposta venne colpito da una
fitta fortissima al plesso solare e fu costretto a rotolare sulla
schiena, contorcendosi. Credette d’urlare, ma quello che
uscì dalla sua bocca era un ululato.
Mantenere il controllo sembrava sempre meno possibile.
Evan distolse per un
momento la propria attenzione dalla folla di giornalisti ancora
assiepati all’esterno. -L’hai fatta allontanare?- chiese,
lanciando un’occhiata al proprio Beta.
Quello annuì un paio di volte.
-D’accordo… ora devo
solo trovare un modo per fare lo stesso coi giornalisti.-
ragionò, chiudendo gli occhi per qualche istante. Percepiva il
rumore dei loro cuori, i sussurri e le piccole interferenze elettriche
delle loro apparecchiature. Perché non andavano ad importunare
qualcuno desideroso di finire sulle pagine patinate delle riviste e li
lasciavano in pace?
-Per loro è tutto nuovo.-
Alastair si materializzò alle sue spalle. -Vogliono essere i
primi a metter le mani sullo scoop e poterlo sbandierare ai quattro
venti. Come un bambino ansioso di mostrare il suo nuovo giocattolo ai
fratelli.- aggiunse.
Van gli dedicò una rapida
occhiata da sopra la spalla. -Emily?- chiese, ignorando il commento,
seppur assolutamente veritiero.
L’altro si strinse nelle
spalle ed accennò col capo verso il corridoio dietro di
sé. -Si è addormentata col piccolo. Erano entrambi allo
stremo delle forze.- mormorò. -Gli ci vorrà un po’
per riprendersi… emotivamente parlando.
-Ci sarà tempo per quello.
Ma ora…- il giovane MacGregor s’interruppe a metà
della frase, reprimendo una smorfia.
-Evan!- David gli si affiancò subito, preoccupato. -Cosa ti avevo detto a proposito…
-Sì, lo so. Non
rinfacciarmelo.- lo zittì l’altro, brusco. -Non
c’è traccia d’argento nelle ferite né di
sorbo degli uccellatori o aconito.- aggiunse subito dopo, a beneficio
di Alastair.
Quello sollevò un
sopracciglio fulvo e lo guardò storto. -Ti devo ricordare che il
tuo fisico ha un suo limite, nonostante tu sia un licantropo?
Scosse rapidamente la testa,
appoggiandosi pesantemente al tavolo della cucina. -Non ho tempo per
questo. Ora devo capire come comportarmi.- liquidò la questione
con un rapido gesto della mano e si raddrizzò.
Alst gli si avvicinò e lo
afferrò saldamente per le spalle. -Siediti e prendi fiato.
Adesso.- ordinò, perentorio. Evan oppose resistenza,
all’inizio, ma poi si lasciò condurre sul divano.
Da quella nuova
posizione guardò i due uomini di cui si fidava di più al
mondo, traendo forza dalla loro semplice presenza. Non lo avrebbe mai
ammesso pubblicamente, ma saperli dalla sua parte lo rendeva forte e
più sicuro di sé.
E lo aiutava a rimanere concentrato
mentre il suo cervello tentava di mettere in ordine i pensieri. Impresa
ardua in quel momento, dato che gli rimbombava a causa delle proteste
dei giornalisti.
-Non riesco a pensare con questo
baccano…- dovette ammettere. “Sono sempre stato un uomo
d’azione, poco pratico di diplomazia.”, si disse.
-Non riesci a pensare perché
sei al limite.- lo corresse Alst, incrociando le braccia al petto. Evan
lo guardò da sotto in su e si lasciò andare ad uno sbuffo
di protesta. -Per come la vedo io, ora dovete soltanto occuparvi del
lupo che avete in cantina.- aggiunse.
Al che, i due giovani si
scambiarono un’occhiata e poi abbassarono lo sguardo, quasi
potessero vedere attraverso il pavimento.
-Che idiota.- Dave si passò
una mano sul viso, dandosi dello stupido. Aveva veramente creduto che
sarebbe bastato dire due paroline d’incoraggiamento ad Andrew,
chiuderlo in cantina e dimenticarsene fino alla successiva alba?
-Il ragazzo sta soffrendo e si sta
agitando notevolmente.- Alastair rincarò la dose,
l’orecchio teso per captare i suoni provenienti
dall’interrato.
Ora che gli era stato fatto notare,
Evan poteva percepire Andrew senza nessun problema. Le sue emozioni lo
stavano investendo come le onde della risacca, costanti e via via
più potenti: ignorarle non era possibile. Eppure l’aveva
fatto. E con lui David.
“Pessimo inizio, Evan.”, si rimproverò.
Che avesse ignorato quella
richiesta d’aiuto telepatica semplicemente perché a lui
era stato riservato lo stesso tentativo? No, anche in quel caso non
avrebbe dovuto sottovalutare le necessità di un giovane lupo al
primo confronto con la luna piena.
-Se promettessimo
un’intervista ad una delle testate pensate che se ne andrebbero?-
meditò David. -Così da poterci occupare di Andrew senza
scocciatori…
Evan valutò la proposta,
trovandovi moltissimi risvolti negativi. -Non credo che sia la nostra
migliore opzione.- ammise. -Ma, ora come ora, mi sembra anche
l’unica decente.- aggiunse, alzandosi.
Si avviò con
passo fermo verso la porta e la aprì, fronteggiando nuovamente i
presenti. -Abbiamo deciso di concedere un’intervista ad una sola
testata. Considerato che siamo lupi vecchio stampo, daremo la
precedenza alle signore.- annunciò. -Per esser più
precisi, a quella che ha fatto più strada per raggiungerci.-
aggiunse subito dopo.
Le parole dello scozzese
scatenarono un terribile parapiglia da cui, alla fine, uscì
vincitrice una giornalista del Times. -Grazie a tutti.- Van li
congedò e fece un cenno di conferma alla donna.
-Posso intervistarla subito..?- domandò quella, speranzosa, registratore alla mano.
Scosse la testa. -No. Ora abbiamo
un problema più pressante che richiede la nostra attenzione. Ci
lasci il suo biglietto da visita e la ricontatteremo noi.- disse,
deciso. Ora che aveva risolto la questione in maniera più che
civile, voleva occuparsi di Andrew.
L’inviata fece per
protestare, ma David comparve alle spalle di Evan con un sorriso
amabile dipinto in volto ed allungò una mano verso di lei. Presa
in contropiede, la donna allungò il proprio biglietto con
sguardo un po’ inebetito.
I due fecero per
congedarla, quando un nuovo odore attirò la loro attenzione.
Anzi, no, non era un odore nuovo: l’avevano già sentito
quando avevano incontrato Andrew per la prima volta.
Dave sgranò gli occhi, di colpo spaventato. -Oddio…- si lasciò sfuggire.
Van scostò rudemente la
giornalista e si precipitò giù dalle scale, subito
seguito a ruota da David e Alastair.
Non sapeva da quanto tempo stesse andando alla deriva: avrebbero potuto essere minuti oppure ore.
Era diventato così reattivo
che ogni singolo respiro gli causava dolore ed agitava ulteriormente la
bestia. Il lupo era ormai in procinto di liberarsi, gli artigli
conficcati saldamente qualche centimetro sotto la sua pelle e pronti a
farla a pezzi senza nessun ritegno.
Andrew aveva provato di tutto:
rannicchiarsi su se stesso, farsi del male conficcandosi le unghie nei
palmi della mano, respirare lentamente… nulla aveva funzionato.
“Ci siamo…”,
pensò, con un misto di sollievo e terrore. Una volta trasformato
gli sarebbe stato quasi impossibile controllarsi e sapeva che quella
prima trasformazione sarebbe stata la peggiore di tutte. Ma, una volta
mutato, avrebbe smesso di provare dolore, almeno.
Controllala, non combatterla.
Con quelle parole Alastair aveva
cercato di dargli il miglior consiglio che potesse offrirgli, ma lui
aveva iniziato a lottare sin da subito e non si era più fermato,
alimentando la rabbia e la sete della bestia.
Ed ora stava finalmente deponendo le armi, pronto a lasciarsi sopraffare.
Prese un lento e doloroso respiro,
lasciando uscire un rantolo molto simile ad un guaito. Distese
lentamente braccia e gambe ed aprì gli occhi, puntando lo
sguardo sul soffitto.
Ci fu qualche istante
d’immobilità, in cui ebbe un momento di tregua, prima che
il mondo attorno a lui esplodesse in mille pezzi.
Fu come essere
investiti da una bomba: tutti i suoi sensi vennero annullati e ogni
singola fibra del suo corpo fu sopraffatta dal dolore. Ebbe il tempo di
pensare che la fase di shifting non era stata nulla, se paragonata a quello, prima di rotolare sul pavimento e lasciarsi andare ad un feroce ululato.
Le ossa del suo corpo presero a
muoversi, scricchiolanti e la sua pelle si fece tesa, come un elastico
eccessivamente allungato. Osservò con terrore le falangi delle
mani cambiare aspetto e tentò inutilmente di artigliare il
pavimento di cemento, riuscendo solo a sfondarlo.
Sputò un grumo di saliva
prima di avvertire la mascella allungarsi e la gola farsi serrata.
Annaspò, in preda al terrore, ormai molto più lupo che
Andrew. Si lasciò cadere su un fianco, agitando tutti e quattro
gli arti in un’inutile corsa verso la salvezza.
E mentre le ultime ossa si
rinsaldavano e trovavano la loro nuova collocazione, peli castano
chiaro presero a ricoprire tutto il suo corpo. Ci volle poco e si
ritrovò completamente protetto da una spessa pelliccia.
E, come se qualcuno
avesse premuto un interruttore, il dolore cessò: Andrew venne
inghiottito ed il lupo fece la sua comparsa.
Lentamente, il licantropo fece
perno sulle zampe e si mise in piedi, scrollandosi di dosso gli ultimi
residui dell’umano che era stato. Ruotò le orecchie,
captando i suoni attorno a sé e scrutò l’ambiente
con gli occhi chiari.
C’erano molti odori
accattivanti nell’aria, ma la brama di sangue lo spinse a
focalizzarsi su quelli umani. Carne fresca e succulenti cuori che
battevano, pronti ad esser dilaniati.
Aveva solo
l’imbarazzo della scelta: tutto quello che doveva fare era
guadagnare la via d’uscita da quella gabbia di cemento in cui era
stato rinchiuso.
Sbatté le palpebre un paio di volte, confusa.
Eppure, quella che aveva davanti era proprio sua sorella Frances, non c’era dubbio.
-Fran…- riuscì a mormorare Amanda, stupita.
L’altra, che si era fermata
di colpo per non andarle addosso, si riavviò i capelli e poi
annuì. -Ciao Mandy.- sorrise timidamente.
Amanda si passò un mano
sugli occhi, cercando di capire se non stesse avendo
un’allucinazione. -Ma come…? Voglio dire tu…-
biascicò, faticando a mettere insieme una frase di senso
compiuto.
Sua sorella ridacchiò,
nervosa. -Tranquilla. Sono veramente io.- la rassicurò.
Finalmente convinta, Mandy si sporse avanti e l’abbracciò,
contenta che fosse tornata. -Anche tu mi sei mancata.- Frances la
strinse a sé, anche se con un po’ d’imbarazzo.
Rimasero così per qualche
istante, poi la più grande delle Miller sciolse
l’abbraccio, schiarendosi la gola. L’imbarazzo era
palpabile e l’avvolgeva come un guanto.
Amanda decise di tentare con una domanda innocente, giusto per rompere il ghiaccio. -Come stanno a casa?
Fran colse l’imbeccata e si
rilassò leggermente. -Oh, bene. Greg si è lamentato tutto
il tempo dicendo che me ne stavo in casa sua come una sanguisuga,
mangiandogli tutte le cose buone che c’erano in casa.- disse,
ridacchiando al ricordo del continuo borbottare del fratello.
-Lo sai che non devi toccargli i
suoi cibi preferiti.- anche Amanda si unì alla risata,
sforzandosi di sembrare il più naturale possibile. In
verità avrebbe voluto scuoterla e chiederle perché
diavolo ci aveva messo tanto.
-Quello non è cibo: sono schifezze.- precisò l’altra.
-Già… quindi tu hai
vissuto di schifezze, in questo periodo.- la canzonò sua
sorella. Frances si passò una mano sullo stomaco e poi fu
costretta ad annuire: in effetti aveva messo su un paio di chiletti.
Mandy si accorse del suo sguardo e
si affrettò a rassicurarla, dicendole che nessuno avrebbe notato
gli effetti delle sue abbuffate. Dopo un breve sorriso tirato da parte
della sorella, tra le due cadde il silenzio.
“Oddio… avrei tante
cose da dire.”, si rese conto Amanda. Ma sapeva anche che nessuna
di quelle frasi sarebbe stata adatta alla situazione. Mentre era persa
nei propri pensieri, non notò la giornalista uscire dal
condominio, contenta di aver ottenuto l’esclusiva.
-Ehm… perché ci sono dei giornalisti?- volle sapere Fran.
La morettina sollevò di scatto la testa. -Come?
Sua sorella indicò la donna
che si allontanava ed un paio di furgoni di alcune emittenti cittadine
parcheggiate non molto lontano. Mandy spostò lo sguardo sulle
vetture, prendendosi del tempo per ragionare. -Abbiamo…
cioè, il branco ha avuto qualche grattacapo.- rispose, evasiva.
Frances sembrò
accontentarsi, perché non chiese altro, anche se rimase voltata
verso l’edificio dove fino a poco tempo fa risiedeva con Andrew.
Lentamente lasciò scorrere
lo sguardo lungo la facciata di mattoni, fino a fermarsi alla finestra
della sua camera da letto. Si morse il labbro, indecisa, ma alla fine
chiese:-Dov’è Andrew?
Amanda quasi sobbalzò
all’udire quella domanda. -Lui… ecco…- non sapeva
come dirgli che molto probabilmente Drew era più lupo che umano,
in quel momento.
-Cosa mi stai nascondendo?- Frances si rabbuiò leggermente e prese ad incamminarsi verso il piccolo palazzo.
La sorella le si affrettò
alle spalle. -No. Aspetta… lui non può vederti
ora… lui…- farfugliò. Perché non riusciva a
dirle semplicemente che era nel bel mezzo di una trasformazione causata
dalla luna piena?
Forse perché la volta precedente non era andata molto bene, tra Frances e le questioni mannare.
Erano ormai nell’androne
d’ingresso quando Amanda si decise ad afferrare con forza il
polso di Frances. -Ferma!- le ingiunse. Lei si girò e la
guardò con tanto d’occhi, in attesa di una spiegazione.
Mandy aprì la
bocca un paio di volte, torturandosi, quando l’arrivo improvviso
dei ragazzi la tolse da qualsiasi impaccio. Fece per chiamare i loro
nomi, ma venne anticipata da Evan, che si piazzò loro davanti e
disse, perentorio:-Uscite subito.
-Cosa? E si può sapere perché?- Frances si fece tesa, pronta allo scontro.
Amanda invece notò una
preoccupazione mal celata negli occhi dello scozzese e si chiese per
quale motivo fosse agitato. Cercò lo sguardo di David per avere
una spiegazione, ma il giovane aveva occhi solo per la porta che
portava in cantina.
“Cantina…?”,
Mandy si rese conto che le stava sfuggendo qualcosa. “Oddio, la
cantina! Andrew!”, finalmente realizzò.
Fece per dire qualcosa quando la
porta in questione venne colpita in modo violento, vibrando sui cardini
con ferocia. Le ragazze sobbalzarono, colte di sorpresa, mentre i tre
licantropi si posero a loro protezione, pronti al peggio.
Frances la guardò, spaventata e confusa. -Cosa succede?
La sorella scosse la testa, cercando di decidere quale fosse la cosa più saggia da fare. O da dire. O da tacere.
Mentre ragionava
febbrilmente sul da farsi, ci fu un altro colpo che fece accartocciare
l’infisso su se stesso. Dal corridoio del piano interrato
giungevano ringhi sommessi e un continuo ansito.
-Avete un licantropo lì dentro?!- Frances alzò la voce.
-Non un licantropo…-
iniziò Amanda. In quel preciso istante la porta cedette e
rovinò a terra con un rumore agghiacciante. Dalla penombra
emerse un enorme lupo dagli occhi chiari e le zampe insanguinate.
-Quello è Andrew.
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Capitolo 22 *** Cap. 21 Bloodthirst ***
Cap. 21 Bloodthirst
Cosa
succederà ora che la versione animale di Andrew è libera
e, a quanto pare, incontrollabile? E come faranno Evan e i suoi a
contenerlo?
Be', addentratevi nel capitolo e lo scoprirete.
Buona lettura! :)
Cap. 21 Bloodthirst
-Quello è Andrew..?- la voce di Frances uscì strozzata.
Lanciò uno sguardo
terrorizzato alla sorella e deglutì con forza, cercando di darsi
una calmata. “Non sta succedendo davvero. Non sta succedendo
davvero.”, prese a ripetere nella propria testa.
Amanda, alle sue spalle, si voltò verso Evan e sussurrò:-Cosa dobbiamo fare?
Lo scozzese le dedicò
una rapida occhiata, per poi tornare a concentrarsi sul licantropo
davanti a sé. -Non fate nessun movimento azzardato: sembra
confuso.- disse.
In effetti, una
volta abbattuta la porta, il grosso lupo si era bloccato, fiutando con
insistenza l’aria e passando lo sguardo da uno all’altro
dei presenti. Sapeva che doveva uscire da quell’angusta prigione
di mattoni per andare a caccia, ma c’era uno strano sentore
nell’aria che lo confondeva.
Era un odore che evocava
immagini calde e rassicuranti, come il contatto di una pelliccia amica
o la sensazione del sole sulla pelle. E quelle sensazioni lo stavano
distogliendo dal suo vero obiettivo: uccidere.
Ma non poteva farsi distrarre. Doveva andare.
Scosse con forza la testa,
passandosi la zampa destra sul muso diverse volte, infastidito. Se solo
avesse indovinato la provenienza di quell’odore avrebbe potuto
bloccarlo… oppure fuggirlo. Ma c’erano troppe tracce
olfattive che lo aggredivano e diverse appartenevano a licantropi come
lui. Arricciò il labbro superiore, lanciando un ringhio
d’avvertimento. Avrebbe attaccato anche un altro lupo, se
necessario.
Evan sembrò
indovinare quei pensieri perché si chinò in avanti, le
mani contratte e pronte a scattare. Alastair e David, appena
dietro di lui, s’irrigidirono di conseguenza.
Nessuno di loro voleva
attaccare per primo anzi, il loro obiettivo era impedire che Andrew si
facesse male. O ne facesse ad altri.
Ma avere a che fare con dei
licantropi appena nati era sempre pericoloso e, se qualcosa poteva
andare storto, l’avrebbe sicuramente fatto.
“Dobbiamo portare via le
ragazze.”, Alst s’intrufolò nella mente di Evan,
distogliendolo dalle sue considerazioni.
“Lo so, ma siamo in una
situazione di stallo.”, protestò, riducendo gli occhi a
due fessure. “Potrei provare a comunicare con Andrew… ma
non so fino a che punto sia stato sopraffatto.”, aggiunse dopo
qualche istante.
“Tenta.”, approvò l’altro.
David, che aveva seguito la
conversazione in disparte, strinse con forza la mascella, memore della
prima trasformazione che aveva subito.
Sapeva bene cosa si provava ad
essere intrappolati nel proprio corpo, prigionieri di una forza di
volontà estranea e dei più bassi istinti primordiali.
Sapeva anche come si sarebbe sentito Andrew, se avesse ferito qualcuno
durante la sua prima notte di luna piena. Soprattutto se quel qualcuno
erano persone a cui teneva. Perciò si sarebbe offerto di fare da
scudo alle ragazze, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno.
Stava per comunicarlo a Van, quando dalla soglia alle loro spalle giunse una serie di flash.
Si voltarono tutti di scatto,
colti di sorpresa, e si trovarono davanti la giornalista del Times di
poco prima. Quella li guardò ammutolita, la fotocamera tascabile
ancora stretta tra le mani.
Il tempo sembrò
fermarsi per alcuni istanti, durante i quali ognuno dei presenti fu
attraversato da una miriade di pensieri ed intenzioni.
Ma fu il licantropo a sciogliere ogni dubbio, lanciandosi con forza verso la nuova arrivata.
Puntò alla giugulare, pregustando il sapore ferrigno del sangue che ne sarebbe sgorgato.
Poteva già sentire la carne lacerarsi sotto i propri denti e dargli pieno accesso al nutrimento che stava agognando.
La vittima avrebbe urlato,
forse tentato di scappare, ma sarebbe stato del tutto inutile. I lupi
sanno essere animali estremamente precisi durante un attacco ed un
licantropo lo sarebbe stato ancora di più. Talmente preciso da
essere letale.
Scartò di
lato, buttandosi verso il muro per allontanarsi dai lupi che gli
avevano bloccato la strada. Si chinò in avanti e spiccò
un balzo poderoso, slanciandosi verso il suo obiettivo.
Aveva la salivazione a mille e
tutti i suoi sensi erano concentrati nell’attacco. Il mondo
attorno alla bestia si era come annullato e anche quell’odore
ammaliatore si era momentaneamente chetato. Nulla contava se non
quell’uccisione.
La prima di molte.
Spalancò ancora
di più le fauci, ormai ad un passo dall’atterrare e
dilaniare la donna. Ma tutto d’un tratto qualcosa lo
afferrò con forza e lo scaraventò letteralmente contro la
porta vetrata alla sua destra.
Il lupo ed il suo aggressore
finirono in strada, investiti da una pioggia di schegge, allarmando i
passanti. Qualcuno urlò, spaventato e ci fu un rapido parapiglia
per darsi alla fuga.
L’animale cercò
di divincolarsi dalla potente stretta, incurante delle possibili prede
che gli stavano fuggendo da sotto il naso. Ma il licantropo che
l’aveva afferrato non mollava la presa, deciso a trattenerlo a
terra.
Ringhiando e
graffiando, provò a contorcersi più e più volte
per raggiungere una parte vulnerabile dell’avversario. Ma Evan
era deciso a non lasciarsi sopraffare, a costo di farsi fisicamente del
male.
-Portatele via!- riuscì a ringhiare Van, i muscoli delle braccia brucianti per lo sforzo.
Il lupo si bloccò un
attimo, cercando di decifrare quanto aveva appena udito. Ed ecco che
l’odore che l’aveva tanto confuso tornò a colpirlo
con la potenza di un branco di alci.
Guaì, diviso tra la necessità di scoprirne la fonte e liberarsi.
“Andrew!
Controllalo!”, le parole del licantropo gli si insinuarono nella
mente, prepotenti. Chi era Andrew? E cosa doveva controllare?
La bestia si ribellò a
quelle due parole e riuscì a mordere Evan all’attaccatura
della spalla. Lo scozzese fu costretto a mollare la presa, sibilando
un’imprecazione.
Rapido, il lupo sgusciò
tra le sue braccia e si rimise in piedi, rantolando bellicoso nel
tentativo di prendere aria. Il giovane MacGregor fece lo stesso, ma per
potersi assicurare una posizione sicura da cui contrattaccare. Si
accucciò, facendo perno su mani e piedi per esser pronto a
scattare.
Per un breve istante i due contendenti rimasero perfettamente immobili, scrutandosi reciprocamente negli occhi.
E fu di quell’istante che approfittarono Alastair e David.
-Muovetevi! Svelte!- Dave
raggiunse le due sorelle Miller e le afferrò per le braccia,
guidandole con urgenza verso le scale. Un licantropo poteva fare molte
cose, ma non scalare pareti. E se fossero riusciti a bloccare
l’accesso ai piani superiori, le giovani sarebbero state al
sicuro.
Alst, invece, andò a
controllare che la giornalista stesse bene. A parte la fotocamera
distrutta e un bello spavento, sembrava incolume. -Se ne vada. In
fretta.- le ingiunse, dopo un’altra rapida ispezione.
-C-cosa…? No! Questo è uno scoop!- protestò quella, dopo un attimo di smarrimento.
L’uomo allora
indurì lo sguardo ed abbassò di qualche ottava il tono
della voce. -Se non se ne va subito, rischia di morire. Una notizia
vale così tanto?
Al che, quella deglutì
un paio di volte. Lo scozzese poteva benissimo immaginare il cervello
della donna districarsi tra mille e più possibilità.
Finalmente sembrò
prendere una decisione, perché si rimise in piedi e, dopo aver
traballato per qualche istante, si avviò con passo malfermo
verso la più vicina fermata della metropolitana.
Senza perdere un attimo di
più, Alst si volse verso David, intento a trarre in salvo Amanda
e Frances. Fece per avviarsi lungo le scale con loro, ma
all’improvviso la voce di Evan tuonò:-Alastair! Attento!
Ebbe appena il tempo di alzare le braccia e voltare il capo, che fu investito in pieno dalla forma lupina di Andrew.
Tentò di contenere la
forza dell’impatto puntando saldamente le mani sul torace
dell’animale, ma venne sopraffatto, finendo dritto contro la
carcassa della porta della cantina. L’impatto fu talmente
doloroso da togliergli il fiato e si ritrovò inerme per alcuni
istanti.
La versione animale di Andrew
giocò nuovamente d’astuzia ed approfittò di quel
momento di smarrimento per superarlo e puntare verso le scale.
-E’ più astuto di
quanto dovrebbe essere un lupo alle prime armi.- imprecò Evan,
afferrando il padrino per il gomito. I due si scambiarono
un’occhiata prima che Alst ritrovasse la posizione eretta.
-David! Preparati!- urlò allora Van, gettandosi
all’inseguimento del nuovo membro del branco. Alst diede una
rapida occhiata intorno, assicurandosi che non ci fossero curiosi nelle
vicinanze, e poi lo seguì a sua volta.
“Emily! Fai entrare le
ragazze nell’appartamento!”, il giovane MacGregor raggiunse
telepaticamente la lupa, lasciata a riposare assieme al nipote.
“Cosa diavolo sta succedendo?!”, fu la risposta allarmata. Probabilmente era stata svegliata dai rumori della lotta.
“Andrew è fuori
controllo.”, fu l’unica cosa che riuscì a dirle,
prima di spiccare un balzo ed atterrare sulla schiena dell’enorme
lupo.
L’animale, che con la
propria figura riempiva quasi interamente la tromba delle scale,
s’arrestò di colpo sulla seconda rampa e provò a
disarcionarlo inarcando la schiena.
Evan si aggrappò con
tutte le sue forze alla gorgiera castana, cercando di mantenere
l’appiglio. Combattere in uno spazio così stretto non era
l’ideale per creature come loro, ma il caso -o la sfortuna-
avevano deciso diversamente.
Mentre lo tratteneva con tutta
la forza che aveva, vide la porta dell’appartamento aprirsi ed
una mano trascinare dentro Amanda e Frances, letteralmente terrorizzate.
“Grazie.”,
pensò, mentre veniva sbattuto nuovamente contro il muro ed
incassava il colpo. Inspirò a fondo prima di far forza con le
braccia e guadagnare un po’ di spazio. Nel mentre, Dave
arrivò in suo soccorso, afferrando le fauci del lupo per
impedirgli di causare ulteriori danni.
-Dobbiamo riportarlo in
cantina.- fece loro presente Alastair. -Oppure sedarlo.- aggiunse,
vedendo con quanta forza si stava ribellando ai due licantropi.
-Per ora mettiamolo ko.- Evan
digrignò i denti, provando a stringere quel tanto che bastava
per far perdere i sensi all’animale.
Ma la bestia sembrava essere
di tutt’altro parere, tant’è che rifilò una
zampata in pieno petto a David, mandandolo a ruzzolare sul
pianerottolo. Nuovamente libero di usare le fauci, il lupo si
avvitò su se stesso e puntò alla gola di Evan.
Il giovane afferrò con forza mascella e mandibola, tenendole il più aperte possibile.
Iniziarono un feroce braccio
di ferro, che sembrava si sarebbe concluso con un nulla di fatto da
entrambe le parti, data la forza dei contendenti.
David ed Alastair non osavano intervenire, per timore di distrarre il ragazzo ed esser la causa di un suo ferimento.
Quasi ringhiando per lo
sforzo, Van fece lentamente leva, gonfiando i muscoli delle braccia
fino a farli pulsare. Il suo avversario emise un verso di protesta,
cercando di avvicinare i denti. Poi, con una torsione improvvisa, lo
scozzese ebbe ragione del lupo e lo mandò a sbattere
violentemente contro i gradini.
Quello non gradì
affatto il trattamento e gli si gettò addosso, sfondando
letteralmente la parete alle loro spalle. Con un’espressione
sorpresa, Evan cadde di sotto.
-Cosa diavolo…
oddio… Mandy!- Frances stava respirando affannosamente e non
sapeva se urlare o mettersi a piangere.
Amanda aveva il cuore a mille
non meno di lei ma, essendo già passata incolume attraverso
alcune situazioni simili, si sentiva leggermente più centrata.
Lentamente, allungò una mano verso la sorella e
mormorò:-Fran, devi cercare di calmarti.
Al che l’altra la
guardò con tanto d’occhi. -Calmarmi?! Ho appena rischiato
di essere sbranata dal mio fidanzato!- sbraitò, gesticolando
come impazzita.
Mandy la fissò spiacente. -Devi capire che non sa quello che sta facendo, ora come ora.
-Balle! Come può non saperlo?!- Frances scosse la testa, allontanandosi dal portoncino d’ingresso.
-Andrew ucciderebbe la sua
stessa madre, se dovesse incontrarla questa notte.- intervenne Emily.
Le due sorelle si voltarono, rendendosi conto della sua presenza solo
in quel momento. -Siete ferite?- chiese allora la lupa.
La più piccola delle
Miller scosse la testa, ispezionandosi rapidamente. -Ce la faranno a
calmarlo?- domandò, ascoltando preoccupata i rumori che
giungevano dalle scale.
L’ex membro dei Blacks si passò una mano tra i capelli, spettinandoli. -Lo spero per lui.- disse solamente.
-E questo cosa vuol dire? E tu chi saresti?- Frances s’intromise nella conversazione, con una nota irosa nella voce.
-Io sono Emily. Sono la nuova
Sentinella del branco.- si presentò la donna. -Riguardo a quello
che ho detto prima… Andrew starà malissimo, domattina, se
dovesse far del male a qualcuno. Ecco perché spero che riescano
a rinchiuderlo di nuovo.- aggiunse subito dopo.
Frances scosse più
volte la testa, la rabbia nuovamente mutata in confusione. -Non capisco
cosa state dicendo. Proprio non capisco…
Mandy le si avvicinò e
lentamente le avvolse le braccia attorno alle spalle. -Ti
spiegherò tutto più tardi, Fran. Ora devi calmarti, per
favore. Qui siamo al sicuro.- le disse, cercando di suonare
rassicurante. Lo sguardo negli occhi di Frances le fece capire di non
essere riuscita nell’intento.
-Ora come ora,
l’importante è che stiate lontane dalla porta. I
licantropi non possono scalare le pareti, quindi l’unico punto di
accesso è quello.- disse Emily, frapponendosi tra loro e la
porta in questione. -Sono ferita, come potete vedere, quindi non potrei
proteggervi al meglio.
-E Blake?- chiese allora Amanda, notando l’assenza del piccolo.
Emily si lasciò andare ad un piccolo sospiro, sollevata. -Dorme, per fortuna.
Annuendo a più riprese,
la morettina cercò di calmare il battito furioso del proprio
cuore. Sapeva di non dover perdere la testa, in quella situazione.
Soprattutto perché Frances sembrava abbastanza instabile, a
giudicare dal modo in cui si guardava attorno e si passava le mani sul
viso.
Era ancora persa nei propri
pensieri quando avvertì distintamente il rumore di un crollo.
-Cos’è stato?- sollevò la testa di scatto, in
allarme. Frances fece lo stesso, corredando il tutto con uno strillo
isterico.
Emily fu rapida a raggiungere una delle finestre, aprirla e sporgersi. -Maledizione!- imprecò tra i denti.
Era come esser stati
investiti da un treno che aveva deragliato dai binari. Un treno dotato
di artigli e denti affilati. E parecchio arrabbiato.
Andrew era tutte quelle cose, in quel momento: arrabbiato, fuori controllo e potenzialmente mortale.
Ed il dolore che provava Evan era maledettamente reale.
“Mi ha sfondato alcune
costole.”, realizzò, sbattendo qualche volta le palpebre
per tornare lucido. La caduta dal secondo piano gli aveva provocato
diverse lesioni interne, senza contare il fatto che erano precipitati
in strada e chiunque, nell’isolato, avrebbe potuto vederli.
L’ultima cosa che gli serviva era un attacco di panico generalizzato tra gli umani.
Il suo avversario aveva
risentito in egual modo del salto ed ora stava barcollando in modo
confuso in direzione del palazzo, scuotendo violentemente il capo per
poter recuperare l’uso della vista.
Van sapeva che
doveva approfittare di quel momento di distrazione per cercare di
riportare la situazione sotto controllo. Con un grugnito
recuperò la posizione eretta e, dopo un breve respiro,
scattò verso il licantropo. Ignorò le fitte di dolore che
lo attanagliarono e si gettò letteralmente addosso alla bestia,
pronto ad afferrarla al collo.
L’animale se ne accorse
e si girò d’istinto, le fauci spalancate. Pur non vedendo
bene, poteva percepire senza problemi quello che succedeva attorno a
lui. E l’odore del suo avversario era troppo distinguibile per
essere ignorato.
L’impatto fu ancora una
volta violento ed i due si ritrovarono a rotolare per terra in un
groviglio di pelle e pelo. Nella loro lotta convulsa finirono contro
alcuni cassonetti dell’immondizia, riversandone tutto il
contenuto per strada.
Attorno a loro si stavano
accendendo sempre più luci e sempre più facce si stavano
affacciando alle finestre. Qualcuno gridò quando Van
spezzò una costola al lupo, producendo un sonoro crack.
L’animale se lo scrollò di dosso uggiolando ed i due
misero temporaneamente fine al loro corpo a corpo.
Erano entrambi in
debito d’aria e le numerose ferite, più o meno
superficiali, perdevano sangue. Ma non potevano smettere di lottare,
non quando tutti e due avevano ancora concrete possibilità di
vittoria.
“Abbiamo recuperato del
sorbo. Portalo verso le cantine!”, la voce di David giunse chiara
ed improvvisa nella mente di Evan.
Lo scozzese si accigliò, cercando di ragionare. “Temo non basterà.”, ammise.
“Facciamo un tentativo,
almeno.”, lo pregò l’amico. Capiva perché non
volesse far del male ad Andrew: la sua prima trasformazione era stata
così violenta da aver minato il suo spirito per parecchie
settimane. Nessuno di loro voleva che la licantropia di Drew divenisse
un biglietto di sola andata per il manicomio.
Quindi, nonostante fosse poco
propenso a credere nella buona riuscita del piano, il giovane MacGregor
si preparò a fare quanto gli era stato suggerito. Contrasse
alcune volte le dita delle mani, saggiandone la forza, e valutò
l’ambiente attorno a sé, cercando di trovare qualcosa che
potesse sfruttare a proprio vantaggio.
Ironia della sorte, fu Frances a venirgli in aiuto.
-Andrew!- non poté trattenersi dal gridare.
Era perfettamente a conoscenza
della forza di quel lupo dal pelo castano chiaro, ma vederlo
così apertamente minacciato le fece temere il peggio.
-Frances!- Amanda fece per trascinarla via dalla finestra, spaventata. -Finirai per farlo ammazzare!
La sorella la guardò con tanto d’occhi, spaventata al solo pensiero. -Non oserebbero!
-Certo che no. Stanno proprio
cercando di fargli meno male possibile, stupida ragazzina!-
s’intromise Emily. All’udire quelle parole, la maggiore
delle Miller assottigliò gli occhi, pronta a ribattere
inviperita. -Non sai niente di questo mondo. Quindi evita di combinare
guai.- rincarò la dose la lupa, irritata.
Vedendo il viso di Fran farsi
paonazzo, Mandy temette il peggio. Allungò una mano per attirare
la sua attenzione, quando un ruggito scosse l’intero edificio. I
vetri tremarono, minacciando di andare in mille pezzi.
Le due ragazze si appiattirono contro il muro, terrorizzate, mentre Emily s’irrigidì di colpo.
-Mamma..?
L’americana si
voltò di scatto e, vedendo il nipote in piedi all’imbocco
del corridoio, sbiancò. -B-Blake… torna di là.
Subito.- cercò di suonare il più perentoria possibile.
Il bambino si guardò attorno, spaesato. -Ma… sento un nuovo odore…- protestò debolmente.
Emily scosse il capo. -Per
favore, tesoro. Torna in camera.- lo pregò. Diffidente, il
piccolo cercò di muovere un passo verso le tre donne, ma un
ringhio sommesso di quella che credeva essere sua madre lo fece
desistere.
Sbatté un paio di volte le palpebre, confuso, e poi sparì nel buio della zona notte.
-Cos’è stato?-
domandò a quel punto Amanda, distogliendo lo sguardo dal punto
in cui si trovava Blake fino a qualche istante prima.
La licantropa si voltò.
-Evan. Quella era la voce dell’Alfa.- disse. -Sta cercando di
ottenere il controllo sulla bestia che domina Andrew.- aggiunse,
vedendo l’espressione delle giovani farsi assai confusa.
Amanda lanciò un’occhiata alla porta. -E sta funzionando?
Emily si prese qualche istante
per ascoltare quello che stava accadendo dall’altro lato. Sentiva
rumori di colluttazione violenta, imprecazioni a denti stretti e
diversi odori. Quello del sorbo e del sangue sovrastavano tutti gli
altri.
Poteva avvertire in bocca il
sapore ferrigno di quel prezioso liquido rosso. Era così vivido
che avrebbe giurato di essersi ferita nuovamente lei stessa.
Diede una rapida ispezione al
proprio corpo, poi alzò lo sguardo sulle due umane. E fu allora
che lo vide: un piccolo, insignificante taglietto.
-Frances…- emise un singulto.
-Cosa?- fece quella, sulla difensiva. Ma pur sempre pronta ad uno scatto di rabbia.
Alzò lentamente
il braccio, toccandosi la mano per farle capire. -La tua…-
iniziò, ma non ebbe mai modo di finire.
Evan aveva spinto
violentemente il licantropo all’interno dell’atrio
sventrato del palazzo, mandandolo a sbattere contro il muro che
chiudeva il seminterrato.
Subito, Alastair e David
l’avevano accerchiato, iniziando a gettare a terra manciate di
polvere nera. Mentre i due terminavano di delineare il cerchio, i due
contendenti si erano dati battaglia senza esclusione di colpi.
-Evan, esci!- urlò
perentorio Alst. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e, con
una rovesciata degna di un acrobata, atterrò al di là del
circolo. Subito il lupo cercò di seguirlo, ma la barriera creata
dal sorbo lo bloccò, facendolo uggiolare confuso.
Il giovane MacGregor si avvicinò, cercando di estendere la propria aura per entrare in contatto con Andrew.
O almeno con la parte di lui che non era stata ancora prevaricata dalla bestia.
Trovò una resistenza
molto forte da parte del licantropo e fu ricacciato indietro diverse
volte. Digrignò i denti, espandendo nuovamente la propria forza
vitale. Questa volta l’animale rispose con la propria e le due
masse d’energia esplosero come bolle di sapone, emettendo
scariche elettrostatiche.
-Non riesco ad entrare in
contatto con la sua parte umana. Il sangue rende la bestia
incontrollabile.- dovette ammettere, affaticato.
David gli si avvicinò,
il fiato corto a causa dell’agitazione. -Perché non
riusciamo a contenerlo?- domandò, lanciando un’occhiata al
lupo. L’animale stava provando a forzare il campo d’energia
creato dalla polvere di sorbo, ma senza ottenere nulla oltre a rinculi
e sbandate.
-E’ per colpa della ragazza, molto probabilmente.- meditò Alastair, osservandoli pensieroso.
Evan arrischiò una rapida occhiata alle scale. -Frances?
Il padrino annuì.
-Credo che il legame affettivo che lega il giovane Andrew a quella
ragazza stia dando forza alla bestia.- rispose.
-Ma una cosa del genere non si
è mai sentita!- protestò Dave. Quando si era trasformato
aveva attaccato la madre, rischiando di ucciderla. Il suo odore gli era
parso uguale a quello di tutte le altre prede e alla creatura che aveva
dentro di sé interessava solo uccidere, in quel momento.
“Non ho riconosciuto mia madre…”, realizzò,
sentendosi male al solo pensiero.
Rendendosi conto
dell’angoscia dell’amico, Van lo sfiorò con la
propria aura per attirarne l’attenzione. Quando gli occhi azzurri
di David incontrarono i suoi, Evan disse:-Non pensarlo nemmeno. Siamo
tutti mostri, qui. E nessuno lo è più degli altri.
-Ma…
-No, David. Niente ma.- lo zittì l’altro.
-Evan ha ragione. Da quello
che so, tu non avevi questioni in sospeso con tua madre, quando
accadde. Tra voi andava tutto bene. Cosa che non si può dire dei
due giovani americani.- s’intromise Alastair.
-Questa cosa è assurda.- protestò nuovamente il moro.
-E’ l’America. A
quanto pare tutto può succedere, in questo Paese.-
commentò Evan, sottolineando la propria affermazione con
un’alzata di spalle. Non convinto delle parole dell’amico,
David fece per parlare di nuovo, quando attorno a loro si fece il
silenzio.
I tre si scambiarono qualche
sguardo confuso, prima di puntare gli occhi sulla bestia, ora immobile.
Il lupo aveva il muso alzato verso l’alto e sembrava stesse
captando qualcosa nell’aria. Insospettito, il giovane MacGregor
inspirò a fondo, cercando di identificare l’origine
dell’odore che aveva catturato il licantropo.
Gli bastò poco per capire.
Sgranò gli occhi nello
stesso istante di Alst, prima di gettarsi di lato su David. I due
rovinarono pesantemente al suolo mentre la bestia si liberava della
polvere di sorbo con un potente ululato. Nemmeno il tempo di scrollarsi
di dosso i residui, che si slanciò lungo la rampa di scale
più vicina, calpestando i giovani.
-Dannazione!- Evan
tentò di afferrarlo per la coda, ma fu troppo lento. Si
rialzò il più in fretta possibile, dando una mano
all’amico, e poi si lanciò all’inseguimento.
Emily si pose immediatamente davanti alle ragazze non appena capì cosa stava per succedere.
Giusto il tempo di
rassicurarle con una breve occhiata ed ecco che la porta tremò
violentemente sui cardini. Le tre sobbalzarono, non potendone fare a
meno: sembrava che un ariete stesse prendendo a testate la superficie
rinforzata.
Trattennero il fiato, sperando
che smettesse di vibrare. Ma dopo poco arrivò un altro colpo,
che deformò l’infisso nella parte centrale.
-Oddio..!- piagnucolò Frances.
-State calme.- intimò
loro la lupa. Doveva evitare che dessero di matto, se no il suo compito
si sarebbe fatto molto più complicato.
Mentre cercava di capire come
agire, la porta cedette sotto l’ennesima spinta e si
spalancò violentemente, finendo sul pavimento. Allargò le
braccia a mo’ di scudo, facendo un passo indietro.
Quello che aveva davanti era
forse il neonato più violento con cui avesse mai avuto a che
fare. Non sapeva come avrebbe reagito, soprattutto considerato che il
sangue di Frances sembrava accrescere la sua forza. O semplicemente lo
mandava fuori di testa.
Puntò gli occhi verdi
in quelli chiari del lupo, tentando d’indovinare le sue
intenzioni. L’animale arricciò il labbro superiore,
mostrando i denti affilati.
“Ucciderà
Frances?”, si chiese la ragazza. Doveva proteggere solo una delle
due sorelle Miller, sperando che l’obiettivo fosse solo la
più grande?
Non sapeva cosa fare e non poteva concedersi il lusso di aspettare.
Il licantropo sembrava
pensarla nello stesso modo, perché avanzò bellicoso
all’interno dell’appartamento. Annusò l’aria
con attenzione prima di ringhiare all’indirizzo delle ragazze.
-Stai indietro.- gli
intimò Emily con voce distorta. Aveva bisogno di richiamare la
propria bestia se voleva avere una possibilità.
L’animale ignorò
l’avvertimento ed avanzò ancora di qualche passo, prima di
essere trascinato a terra all’improvviso. Sobbalzando per la
sorpresa, le tre videro Evan cercare di avere la meglio sul suo
avversario. Purtroppo, le dimensioni dell’ambiente consentivano
ben poche manovre e ben presto lo scozzese si ritrovò
schiacciato contro lo stipite della porta, in difficoltà.
Emily fece per
andare in suo aiuto, ma un’occhiata del giovane bastò a
bloccarla: doveva proteggere le due umane, quello era il messaggio.
Mordendosi il labbro recuperò la propria posizione, cercando nel
contempo un modo per metterle in salvo.
Con la coda dell’occhio
intravide il parapetto delle scale antincendio esterne ed ebbe
un’idea. “Perché non ci ho pensato prima!”, si
diede mentalmente della stupida, prima di girarsi verso le due sorelle.
Amanda sembrò aver intuito le sue intenzioni perché
annuì ed afferrò saldamente il braccio di Frances,
indicandole col capo la via di fuga.
Tenendo sotto controllo la
colluttazione che stava avvenendo a pochi metri da loro, Emily prese ad
avanzare, avendo cura di frapporsi sempre tra le giovani ed il lupo.
“Prima Frances. Dobbiamo
eliminarla dall’equazione per sperare d’indebolire Andrew.
Portala il più lontano possibile.”, le parole di Evan la
raggiunsero all’improvviso.
“Va bene.”, disse
solo. Erano ormai alla finestra quando si bloccò. -Blake!-
esalò, terrorizzata. Non poteva lasciarlo lì, in mezzo
alla battaglia.
Amanda la sentì
chiaramente e decise di rendersi utile. -Porta via Frances!- spinse la
sorella tra le sue braccia e si catapultò verso il corridoio che
conduceva alla zona notte.
In quell’istante
accaddero molte cose: il lupo si rese conto che la sua preda se ne
stava andando, si liberò con violenza della presa di Evan e
David, sopraggiunto ad aiutare e spinse l’inglese oltre il
parapetto delle scale, facendolo precipitare di sotto.
-David!- Van si rialzò
in fretta, aggrappandosi al parapetto per guardare giù. La
bestia ne approfittò per scomparire all’interno
dell’appartamento e travolgere tutto quello che trovava, nel
tentativo di raggiungere il suo obiettivo.
-Ci penso io a lui. Vai!- Alst
fu lesto a raggiungere l’inglese, disteso in modo scomposto sul
pavimento. Evan esitò ancora qualche istante, volendosi
accertare che l’amico non si fosse rotto l’osso del collo.
Nemmeno un licantropo poteva sopravvivere a quello. -Sbrigati!
Riscuotendosi di colpo, lo
scozzese si voltò verso il varco d’ingresso e si
precipitò oltre la soglia. Non aveva idea di come fermare
Andrew, a meno di non causarne la morte.
E quella non era un’opzione.
Aveva
raggiunto la camera in cui avevano sistemato il piccolo Blake con
poche, lunghe falcate. Appena aperta la porta per guardare
all’interno, il bambino le era balzato al collo, mandandola a
sbattere contro il muro.
-Blake! Tranquillo!- lo
afferrò saldamente per i fianchi, immobilizzandolo. Il bambino
la guardò con tanto d’occhi poi, riconoscendola, si
calmò. -Dobbiamo andarcene.- gli disse allora.
-Ma… e il lupo cattivo?- chiese, spaventato.
-Dobbiamo evitare di farci
prendere. È come se stessimo giocando ad acchiapparella.- gli
sorrise, tentando di rassicurarlo. Sapeva che poteva vederla anche al
buio, cosa che lei invece non poteva assolutamente fare.
-Mamma..?- chiese allora piccolo.
Mandy si morse il labbro,
cercando di calmare il battito del proprio cuore. -Sta aiutando mia
sorella. Io non sono abbastanza forte per farlo, così si
è offerta lei.- disse, sperando che bastasse per convincerlo.
Blake sembrò meditare
qualche istante sulle parole della giovane, ma poi strisciò
lentamente verso la porta, guadagnando subito dopo la posizione eretta.
-Andiamo, allora…- tese una mano verso Amanda.
Lei annuì ma, invece di
afferrargli la mano, lo prese direttamente in braccio. Sbirciò
all’esterno e, convinta che la via fosse sicura, puntò
rapidamente verso la zona giorno.
Aveva quasi guadagnato
il soggiorno, quando venne investita in pieno da una massa pelosa, che
la rispedì all’interno del corridoio. Strinse con forza
Blake e cercò di attutire il colpo come poté.
Non ebbe nemmeno il tempo di
alzarsi che si sentì afferrare per l’orlo dei pantaloni e
trascinare con forza. Accentuò la presa sul bambino e
serrò gli occhi, senza nemmeno tentare di opporsi.
Quando li riaprì si
ritrovò ad osservare le fauci del licantropo in cui si era
trasformato Andrew, pronte a dilaniarle la giugulare. Impallidì,
coprendo gli occhi di Blake per non farlo ulteriormente spaventare.
Non sapeva cosa fare né come uscire viva da quella situazione.
Si ritrovò a fissare la
propria immagine riflessa negli occhi del lupo e non vide nulla che
lasciasse intuire la presenza del suo caro amico.
Sembrava fosse stato cancellato. Completamente.
Terrorizzata all’idea di
poter trovare la morte in quel modo subdolo, chiuse gli occhi, pregando
che finisse in fretta. Fortunatamente, la sua cattura aveva dato tempo
ad Evan di racimolare le ultime energie e trasfigurare la propria mano
destra in un artiglio.
Proprio mentre il lupo stava
per sferrare il colpo mortale, l’affondò con forza alla
base del suo collo, avendo cura di evitare la spina dorsale.
Il licantropo sgranò
gli occhi chiari, tossendo un fiotto di saliva mista a sangue. -Scappa,
muoviti!- ingiunse lo scozzese.
Amanda non se lo fece ripetere
due volte e sgusciò via da sotto le zampe dell’enorme
creatura, rimettendosi in piedi poco dopo. Si assicurò che Blake
stesse bene e poi corse verso la finestra aperta, scalciando le scarpe
col tacco per aver maggior libertà di movimento. Chinandosi
verso l’apertura, fece sedere Blake sul davanzale. -Vedi queste
scale? Devi percorrerle tutte: alla fine troverai tua madre.-
indicò il percorso che si snodava sotto di loro, ignorando i
lampeggianti rossi e blu che illuminavano a giorno la facciata del
palazzo.
Il piccolo guardò
giù, deglutendo rumorosamente. Sotto di loro si era radunata una
piccola folla, tenuta a bada da un gruppo nutrito di poliziotti.
Avevano tutti gli occhi puntati in alto, verso l’appartamento.
-Non temere: andrà
tutto bene.- Amanda tentò di sorridere, dato che le parole le
uscirono stentate. Alle sue spalle giungevano rumori inquietanti e
temeva di essere attaccata da un momento all’altro. Lanciò
una breve occhiata alle proprie spalle e vide che Evan ed il lupo erano
ancora strettamente avvinghiati. -Sbrigati, Blake, ti prego.-
tornò a voltarsi verso il suo piccolo interlocutore.
Seppur tremante, il bambino annuì e si calò sul grigliato, iniziando la discesa.
-Bravo.- questa volta il
sorriso della ragazza fu genuino. Fece per seguirlo a sua volta, ma
ebbe un momento d’esitazione.
Si voltò indietro
giusto in tempo per vedere il licantropo che si liberava della presa di
Evan con una torsione del busto. A quella manovra improvvisa
seguì un sonoro crack, segno che il braccio dello scozzese si
era rotto. Mandy si portò le mani alla bocca, sconvolta.
-Vattene.- sibilò il giovane MacGregor, apparentemente incurante del dolore all’arto.
Lei lo guardò con tanto
d’occhi, desiderosa di aiutare, ma impossibilitata a farlo. Come
poteva andarsene lasciandolo in quelle condizioni? L’alba era
ancora lontana ed Evan non avrebbe potuto combatterlo ancora a lungo.
“Ma cosa puoi fare, tu?
Sei solo una semplice umana.”, la schernì la voce della
sua coscienza. Non aveva armi, non conosceva nessuna tecnica di
combattimento. La cosa più pericolosa che possedeva erano le
scarpe col tacco, vezzo femminile assolutamente inutile in quel
frangente.
“Vezzo..?”, mentre
ragionava sul da farsi, la sua mano era andata alla collana che portava
al collo. L’aveva indossata perché si abbinava al completo
pantalone che aveva scelto quella mattina, senza pensarci troppo.
-Argento…- mormorò.
Andrew le aveva detto che
l’argento non poteva uccidere un licantropo, ma sapeva con
certezza che poteva ferirlo gravemente, bastava vedere le bruciature
sui polsi di Blake.
Rapidamente aprì la
chiusura e fece scivolare il gioiello nella mano, tendendolo poi come
una corda. Ne soppesò la lunghezza e la trama, poi puntò
lo sguardo sul licantropo che aveva davanti.
“Andrew,
perdonami.”, pensò. Prese un respiro profondo e si
gettò verso i due contendenti, ora intenti ad evitare
vicendevolmente i propri colpi. Saltò alcuni calcinacci,
atterrando malamente su un piede. Si lasciò sfuggire una piccola
imprecazione, ma tanto bastò per attirare su di sé
l’attenzione del lupo.
L’animale
girò su se stesso, pronto a proteggersi. Preda del suo stesso
slancio, Amanda non riuscì a bloccarsi in tempo e venne colpita
in pieno petto da una zampata, nonostante l’intervento tempestivo
di Evan. Fu sbalzata in aria con una tale forza da sfondare la finestra
alle sue spalle e finire contro il parapetto metallico delle scale di
sicurezza.
Sbatté abbastanza
violentemente la parte superiore del corpo e giacque stordita, mentre
qualcuno sotto di lei gridava per lo spavento.
Si bloccò.
Attorno a lui c’erano rumori e odori che chiedevano a gran voce la sua attenzione.
Ma l’odore che
l’aveva spinto fino a lì se n’era andato, non
riusciva più a percepirne il dolce richiamo. Ora rimanevano le
ferite che gli erano state inferte, il dolore e la paura.
Con un singulto, Andrew
tornò a prendere pieno possesso del proprio corpo, scacciando
nel profondo della propria coscienza la bestia che l’aveva tenuto
prigioniero fino ad allora.
Si guardò intorno, osservando spaesato la distruzione che lo circondava.
Il senso dell’olfatto
gli disse che Evan era alle sue spalle, mentre molte altre persone si
trovavano ai piedi del palazzo. Poteva percepire il suono delle sirene
di un paio di ambulanze.
Sui muri passavano ad intervalli regolari le luci lampeggianti delle volanti.
Era ancora notte.
Come poteva essere tornato in possesso del proprio corpo se non era ancora sorto il sole?
Girò su se stesso,
ancora più confuso. Ignorò la presenza del proprio Alfa,
cercando di capire cosa fosse successo. Cos’avesse fatto.
Poi la sua attenzione fu catturata da una figura che giaceva a terra.
Mosse qualche passo in quella direzione e, quando si rese conto che si trattava di Amanda, il suo cuore perse un battito.
Non Frances. Aveva ucciso Amanda.
Sentì qualcosa dentro
di sé rompersi ed avvertì la bestia tornare
prepotentemente alla carica. Senza pensarci due volte si voltò
verso Evan e, trovandolo con in mano una catenina d’argento, gli
porse il collo, chiudendo gli occhi.
Per quello che aveva fatto
l’unica ricompensa possibile era la morte. Poco importava che
fosse per strangolamento: bastava fosse veloce e pulita.
Avvertì distintamente
le maglie della catenella mordere la sua pelle ed iniziò subito
a guaire. Evan strinse più forte, facendo affondare il metallo.
In poco tempo i suoni
attorno a lui si attutirono, spegnendosi definitivamente quando cadde
nell’oblio più profondo.
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Capitolo 23 *** Cap. 22 Presagi ***
Cap. 22 Presagi
Scusate l'ennesima lunga attesa .-. Questi capitoli transitori mi stanno dando un po' di grattacapi ^^'
Comunque, avevamo lasciato il nostro branco col fiato sospeso: Andrew
è morto? E che dire di Amanda? La situazione non è
propriamente rose e fiori e, mi duole dirlo, potrebbe peggiorare... ma
non voglio anticiparvi nulla!
Vi auguro buona lettura e un buon weekend! :)
Cap. 22 Presagi
Accompagnò con delicatezza il capo del grosso lupo
fino a terra, scosso da una moltitudine di sensazioni diverse per la
prima volta da tempo. Tra tutte, la delusione verso se stesso e quel
senso d’impotenza che poteva annullare qualsiasi altra cosa,
rendendo l’uomo debole.
Si prese qualche istante per assicurarsi di non aver calcato troppo la
mano, ferendo irrimediabilmente il giovane Andrew. Fortunatamente il
petto del lupo si contraeva a ritmo normale, senza mostrare nessun
segno di (eccessiva) sofferenza.
Stava ancora ripercorrendo mentalmente quanto successo
quella notte, quando un gemito lo riscosse dalle sue riflessioni.
Si raddrizzò, reprimendo una smorfia di dolore, e in due rapide
falcate raggiunse il foro dove prima si trovava una delle finestre
della zona giorno. Lo scavalcò e si accucciò accanto ad
Amanda, che sembrava stesse riprendendo conoscenza. Con quanta
più delicatezza possibile le mise due dita sotto la mascella per
cercare il battito del cuore e verificare così le sue
condizioni. La giovane aveva fatto un bel volo, atterrando di schiena
contro il parapetto metallico delle scale antincendio: era un miracolo
che non si fosse rotta l’osso del collo precipitando di sotto.
-Amanda.- sussurrò con urgenza. Se non si fosse ripresa entro
poco avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di chiamare
i paramedici che si trovavano ai piedi dell’edificio.
Aggiungendola così alla lista degli innocenti coinvolti
ingiustamente nello scontro appena avvenuto.
“Scontro che non sarebbe successo se tu fossi stato più
assennato.”, sentì la voce di suo padre prendere possesso
dei suoi pensieri. Imprecò a denti stretti, scuotendo con forza
il capo per schiarirsi le idee.
Mentre lottava contro demoni che credeva di aver sconfitto da
tempo, Amanda rinvenne con un singulto, portandosi immediatamente le
mani al viso.
Evan fu lesto ad afferrarle i polsi, impedendole di farsi del male e
controllando, al contempo, che non avesse schegge di vetro piantate nei
palmi. La scandagliò rapidamente dalla testa ai piedi, cercando
di decidere se fosse saggio farla alzare.
-B-Blake sta bene…?- fu la prima cosa che riuscì ad articolare la ragazza.
Lo scozzese si accigliò, stupito dalla domanda. Poi gettò
uno sguardo oltre il parapetto, per accertarsi che il resto del branco
fosse effettivamente al sicuro. -Sta bene.- disse solamente.
Lei sospirò, sollevata. -Meno male.
-Sei tu a non star bene. Ricordi cos’è successo?- le chiese invece lui.
Mandy aggrottò le sopracciglia, cercando di concentrarsi. -Credo
di sì…- mormorò. Poi, quando la consapevolezza la
raggiunse, sgranò gli occhi ed esalò:-Andrew!
Evan le impedì di muoversi premendo fermamente contro il suo
petto. -Non farlo.- intimò. Poi, vedendo lo sguardo della
ragazza, fece un breve cenno del capo. -Andrew è svenuto, ma sta
bene.- disse.
-E’ ferito?- fu la logica domanda.
-Come tutti noi.- replicò il giovane MacGregor. Aggiungendo subito dopo:-Hai sensibilità alle estremità?
Gli occhi acquamarina della sua interlocutrice lo fissarono
interrogativi. -C-come…? S-sì…- rispose, muovendo
le dita della mano destra. -Ho solo sbattuto la schiena.- aggiunse,
cercando di porre fine a quella conversazione.
-Non posso avere la certezza che tu sia bene. Non qui e non senza un adeguato controllo.- obiettò Evan.
-Sto benissimo.- senza dargli il tempo di reagire, Amanda si mise a
sedere. Poi, afferrando saldamente il parapetto, si alzò in
piedi. La brezza notturna la fece rabbrividire di colpo, ma non
cedette. Van fu lesto ad imitarla ed in poco si ritrovarono a fissarsi,
ignari di quello che stava succedendo sotto di loro.
Ci fu un attimo di silenzio, poi la folla sottostante esplose in un boato, iniziando ad applaudire.
-Oddio, sta bene! Per fortuna sta bene!- Frances si
lasciò andare al pianto, sollevata di vedere la sorella muoversi
senza difficoltà.
Al suo fianco, Emily rafforzò la presa su Blake, addormentatosi
con la testa sulla sua spalla. Avrebbe voluto imitarla per poter dar
sfogo alla paura che l’aveva attanagliata, ma sarebbe stata una
cosa oltremodo umiliante per una della sua pasta, perciò si
limitò ad un sospiro di sollievo.
Alle spalle delle due ragazze, Alst ringraziò il
buon Dio per aver risparmiato loro una sorte peggiore. Perfino David,
che era stato scaraventato nel vuoto durante lo scontro, non se la
passava troppo male: un paio di giorni e la frattura che aveva
riportato sarebbe scomparsa.
Rimaneva solo da capire in quali condizioni si trovassero Evan e Amanda.
-Poteva andare peggio, eh?- la voce dell’inglese giunse
leggermente strozzata. Alastair si girò e lo raggiunse,
guardandolo con condiscendenza.
-Andiamo, Alst. Ho bisogno di un po’ di sarcasmo.- si giustificò quello.
-No, avreste bisogno della benedizione di Santa Brigida.-
replicò l’altro, scuotendo il capo. –Siete qui da
meno di due mesi e ho già perso il conto delle vostre ferite.
Il suo interlocutore si scrutò, pensieroso. –No, le mie si
possono ancora contare facilmente.- disse, mantenendosi ironico.
Alastair alzò gli occhi al cielo, preferendo non replicare.
In quel momento Evan li raggiunse, seguito a breve distanza da Amanda.
La giovane era stata investita dall’abbraccio soffocante della
sorella e si era fermata qualche metro più indietro.
-Come state?- fu la prima cosa che chiese. La preoccupazione si poteva leggere chiaramente nei suoi occhi.
-Dovremmo essere noi a chiederlo.- gli fece presente Alst.
Il giovane gli lanciò un’occhiata insofferente, pronto a
ribattere. Alla fine preferì tacere e limitarsi ad una rapida
ispezione delle proprie ferite. –Poteva andare peggio.-
commentò.
-Ma poteva andare meglio.
-Van, non riuscirai a spuntarla. Fatti dare un’occhiata,
così la smetterà di preoccuparsi.- intervenne David. Il
suo migliore amico aprì la bocca per rispondere, ma lo
anticipò aggiungendo:-Non discutere.
Scuotendo la testa, Evan si avvicinò ad Alastair e chiuse gli
occhi con un lento sospiro, lasciando che l’altro lo ispezionasse
con attenzione.
Alst aveva appena iniziato a maneggiare l’articolazione del
braccio, quando la loro attenzione fu catturata dall’arrivo di
una lupa. Stupito, Evan aprì gli occhi, ritrovandosi davanti una
dei suoi sottoposti.
-Agente Simmons…- mormorò, irrigidendo la postura.
La donna lo salutò con un breve cenno del capo per poi chiedere:-State bene, capitano? Cos’è successo?
-Sì, sto bene. Ma voi cosa ci fate qui?
-La squadra è stata allertata a causa di uno scontro tra
licantropi. Credevamo fosse in corso una regolazione di conti tra
clan.- spiegò, indicando col capo le due volanti alle sue spalle.
-Non nel mio territorio.- Aleksandr fece la sua comparsa alle spalle dei presenti, evanescente come un fantasma.
Evan fu lesto a voltarsi e fronteggiarlo, pronto ad assumersi le
proprie responsabilità. Lo salutò con un cenno del capo
ed un rapido gesto della mano, in cui due dita sfiorarono brevemente la
fronte.
I due rimasero a fissarsi in silenzio per diversi istanti, studiandosi
attraverso la proiezione delle rispettive auree. Quella del russo era
fredda come la carezza dell’inverno e avrebbe potuto essere
altrettanto letale.
-Ebbene?- fu Aleksandr il primo a distogliere lo sguardo.
-Abbiamo avuto un problema con un nuovo affiliato.- fu la risposta.
L’uomo alzò il capo verso l’edificio di mattoni che
era stato teatro dello scontro. –Questo lo vedo.- commentò
solamente.
-E’ un problema interno al mio branco, la tua presenza non era
necessaria.- Van non poté nascondere il proprio fastidio. Essere
controllato a vista come fosse un pivellino gli faceva dubitare dei
termini del loro accordo.
-Piuttosto il contrario, direi. Siete nel mio territorio e spetta a me
mantenere l’ordine delle cose.- disse l’Alfa di Hamilton
Heights. Dedicò un’altra breve occhiata ai danni provocati
dai recenti combattimenti e tornò a guardare il proprio
interlocutore.
Alastair, che si trovava alle spalle di Evan, fece di tutto per non
intervenire. Una sua intromissione avrebbe minato
l’autorità del giovane MacGregor, sminuendolo agli occhi
dell’altro capobranco.
-Vi ho concesso ospitalità perché mi siete parsi degni di
fiducia. Devo supporre di essermi sbagliato?- chiese Aleksandr,
mellifluo.
Van assottigliò gli occhi. –Nessun errore. Solo un problema con la luna.- ribadì a denti stretti.
L’uomo sollevò un sopracciglio, scettico, poi passò
in rassegna tutti i presenti. Si soffermò brevemente
sull’agente Simmons, che salutò con un mezzo sorriso ed un
cenno, e poi proseguì la propria ispezione.
Quando notò Frances ed Amanda, ancora abbracciate, si fece
improvvisamente ombroso. –Esporre la tua compagna a tale
pericolo...- mormorò, disgustato. –Beschestnyy*.
Evan lo fissò confuso, non capendo a cosa si stesse riferendo.
Inoltre non conosceva il significato del termine appena udito, ma era
palese che non fosse un complimento. -Non ho una compagna.-
replicò, guardando con la coda dell’occhio Amanda e sua
sorella.
Aleksandr sollevò un sopracciglio, divertito dal tono di sicurezza di quelle parole.
Ai suoi occhi la realtà dei fatti era innegabile, soprattutto
considerato come l’aura del giovane scozzese si protendeva verso
la ragazza dai capelli scuri. Fece per chiedergli spiegazioni, quando
l’arrivo della piccola Sofiya lo prese in contropiede,
infrangendo i suoi propositi.
La giovane licantropa si vide fissare dal padre,
particolarmente interessato dalla sua apparizione. Anche Evan e gli
altri presenti fecero lo stesso, assumendo però un atteggiamento
guardingo. Le uniche a non essersi accorte di nulla erano le due
ragazze, ancora strette in un forte abbraccio.
Sofiya esitò un attimo, pensierosa, poi allungò una mano
per attirare l’attenzione delle due sorelle. Le bastò poco
più che un lieve tocco per porre fine al contatto durato tanto a
lungo.
La prima a concentrarsi su di lei fu Amanda, sorpresa di trovarsi
davanti una bambina in età scolare. -M-ma… e tu da dove
vieni, piccola?- le venne naturale chiedere.
A quelle parole anche Frances si rese conto della presenza di Sofiya e
si allontanò leggermente, spaventata dai suoi occhi di ghiaccio.
-Sono venuta con mio padre.- la piccola fece spallucce, tranquilla.
-Tuo padre…?- Amanda iniziò a guardarsi intorno ed
individuò subito il fantomatico genitore. Si trovava accanto ad
Evan e poteva dire con certezza che lo scozzese non era contento della
sua presenza. -Oh, ho capito.
Chinò lentamente il capo in direzione dell’Alfa di
Hamilton Heights, avendolo riconosciuto dalle descrizioni datele dai
membri del branco. Cercò di mostrarsi il più sottomessa
possibile per non rischiare di compromettere la conversazione che stava
avendo con Evan.
Compiaciuto, Aleksandr fece per dire qualcosa, ma venne battuto sul tempo dalla figlia. -Mi piace, papa.-
il fantasma di un sorriso si fece spazio sul volto della piccola. Era
come se non fosse presente a se stessa e stesse osservando la scena
dall’esterno.
-Perché dici che ti piace? Hai percepito qualcosa?- le
domandò l’uomo, addolcendo impercettibilmente il tono
della voce.
Sofiya lanciò un’occhiata ad Amanda, di nuovo pensierosa,
poi annuì. -E’ pura… e leale. E non ha paura di
me.- fu la risposta.
Sia Evan che Amanda si fecero perplessi, ma non osarono contraddirla.
Aleksandr, invece, si passò due dita sulle labbra, celando a
malapena un sorriso sornione.
Per lui quelle parole sembravano avere un qualche significato, a quanto pareva.
-Possiamo andare, ora?- la voce eterea di Sofiya ruppe la bolla di
silenzio che si era creata poco prima a causa delle sue stesse parole.
Suo padre fece un breve cenno del capo. -Certamente.- disse,
raggiungendola con poche falcate. I due si scambiarono
un’occhiata complice, poi la piccola insinuò la mano
pallida in quella dell’uomo, pronta a dirigersi verso casa.
Ma poco prima di avviarsi, si voltò nuovamente
verso Amanda e, dopo un attimo d’esitazione, puntò lo
sguardo su Frances. Non disse nulla, limitandosi a fissarla
intensamente, ma tanto bastò per dare i brividi alla giovane.
Il contatto visivo durò qualche istante, poi Sofiya ed Aleksandr si congedarono, lasciandosi dietro molti interrogativi.
-Io non…
La frase di David fu interrotta dalla burrascosa, quanto improvvisa,
comparsa del proprietario dell’edificio, che marciò su di
loro come un cane rabbioso.
-Chi! Chi è stato a fare questo?!- gesticolò verso il fabbricato, furibondo.
Evan ed Alastair si scambiarono uno sguardo d’intesa, pronti all’ennesima battaglia.
Quella notte non avrebbero avuto pace.
Quando finalmente ebbero placato il proprietario dello
stabile (promettendogli di farsi carico di tutte le spese di
ristrutturazione) era ormai l’alba.
Molte delle persone accorse per assistere al combattimento se
n’erano andate, ormai private del brivido dell’azione. Lo
stesso si poteva dire della squadra di Evan, che era rientrata in
centrale per fare rapporto.
Rimanevano solo i paramedici, che avevano insistito parecchio per poter
visitare tutte le persone rimaste coinvolte nello scontro, e i
giornalisti.
Quelli erano come gli avvoltoi: una volta adocchiata una preda non la
lasciavano andare per nulla al mondo. E se con Evan ed Alastair avevano
presto capito che era meglio non tirare troppo la corda, lo stesso non
si poteva dire delle due sorelle Miller, assediate da diversi
registratori.
Frances si stava innervosendo, desiderosa di poter avere un po’
di pace, mentre Amanda stava cercando in tutti i modi di fare da
paciere. Con scarsi risultati, purtroppo.
-Vi prego… abbiamo bisogno di riposare. Avete abbastanza
materiale per poter scrivere i vostri articoli.- ripeté per
l’ennesima volta la giovane.
-Chi era il lupo fuori controllo? Fa parte del branco? Perché
non volete dircelo? E voi siete delle affiliate?- le domande
continuavano a sprecarsi e i giornalisti si facevano sempre più
pressanti.
Mandy arretrò, cercando di mantenersi sempre tra la sorella e la
folla di assedianti. Con la coda dell’occhio cercò
istintivamente Evan, ma lo trovò impegnato a parlare con David.
Doveva cavarsela da sola, quindi.
-Fran, raggiungi i ragazzi. Loro sono sicuramente più minacciosi di me.- sussurrò voltandosi a mezzo.
-E pensi che questo basterà?- fece scettica quella.
-No, ma…
Amanda non ebbe tempo di aggiungere altro perché si sentì
improvvisamente svuotata: sbattè le palpebre un paio di volte,
confusa, e poi svenne.
-MANDY!- Frances gridò terrorizzata, gettandosi in avanti per sorreggerla.
L’urlo della ragazza attirò l’attenzione dei
licantropi presenti, incluso il tenente Simmons, rimasta ad aiutare.
David si puntellò su un gomito, cercando di vedere cosa stesse
succedendo, mentre Alastair ed Evan si fecero largo tra i presenti.
Emily si era addormentata da un po’, appoggiata al tronco di un
albero vicino, e nessuno ebbe cuore di svegliarla: sembrava veramente
esausta.
-Cos’è successo?- Alst fu il primo a raggiungere Amanda.
Si inginocchiò davanti alle due ragazze ed appoggiò
immediatamente due dita sulla gola della mora, pronto a contare i
battiti del suo cuore. -Mhm… nessun problema cardiaco.-
mormorò tra sé, proseguendo nell’ispezione.
Evan, dal canto suo, si prese l’onere di allontanare i giornalisti.
-Il tempo delle parole è finito. Andatavene.- disse senza tanti
preamboli. Ma quelli non si fecero scoraggiare e mantennero le loro
posizioni.
-Evan…- Alastair richiamò la sua attenzione. Il giovane
MacGregor si voltò a guardarlo, attento. “Ha una lieve
commozione cerebrale. Deve aver sbattuto la testa quando è stata
attaccata da Andrew”, terminò la frase per via telepatica.
Non era proprio il caso di aggiungere altra carne al fuoco, considerata
la tendenza della stampa ad estremizzare qualsiasi accaduto.
Van assottigliò impercettibilmente gli occhi, poi fece un breve
cenno del capo. Senza dire una parola si chinò e sollevò
senza sforzo il corpo privo di sensi di Amanda. La osservò
brevemente, ascoltando il suono del suo respiro ed il ritmo del suo
battito cardiaco: sembrava che non fosse in pericolo di vita,
nonostante il colpo subito.
Si raddrizzò in tutta la sua altezza e con deliberata lentezza
scrutò uno ad uno tutti i presenti. -Andatevene.- la voce gli
uscì distorta, quasi ringhiante. Lasciò che i suoi occhi
rilucessero un poco, quel tanto che bastò per mettere in fuga i
giornalisti. Soddisfatto, si rivolse ad Alastair dicendo:-Recupera il
resto del branco. È ora di un po’ di meritato riposo.
***
Attraversò la città silenziosamente, scartando i pochi passanti e i numerosi stormi di piccioni.
Il sole stava sorgendo, ma i suoi caldi raggi non avrebbero potuto
nulla contro la gelida eternità che l’avvolgeva.
Da molto tempo ormai non provava più il dolce bacio della
primavera o il morso dell’inverno, ma in cambio aveva ottenuto
qualcosa di più prezioso. Poteva percorrere spazio e tempo
immutato, assumendo le sembianze che più lo aggradavano. Non
poteva essere imprigionato né soggiogato, a meno che non fosse
lui stesso a decidere di mettersi al servizio di qualcuno.
E quel qualcuno, almeno per il momento, era Rodrick.
La sete di vendetta ed il dolore che si erano radicati nel cuore del
vecchio lupo l’avevano attirato come il canto di una sirena.
Erano così simili, eppure le loro storie non potevano essere
più diverse.
All’inizio si erano ripetutamente scontrati per quelle che
avrebbero potuto essere considerate divergenze d’opinioni, ma
alla fine erano arrivati ad un tacito accordo. Nessuno dei due avrebbe
detenuto il potere in via esclusiva, così da mantenere la loro
collaborazione il più democratica possibile. Non fosse che, per
natura, avrebbero dovuto combattersi fino ad annientarsi.
Ma poco importava, dato che i due riuscivano a comunicare
in un modo che andava oltre il pensiero e la rivalità naturale.
Il legame che si era creato tra loro era forte e radicato e dava ad
entrambi la giusta dose di potere.
“Potere che nessuno sta usando.”, pensò scartando agilmente una macchina.
Lanciò un’occhiata ai palazzi attorno a sé,
disgustato dal loro aspetto e dal modo in cui l’uomo aveva
insozzato il proprio pianeta.
Nonostante tutto il tempo trascorso, nonostante tutte le cose viste,
non avrebbe mai apprezzato quella cosa chiamata
“progresso”. Il suo cuore sarebbe sempre rimasto in quel
piccolo villaggio di Alba, tra i campi di grano e le foreste di querce.
“Non è il momento.”,
si disse, mettendo a tacere i propri ricordi. Diede un’ultima,
rapida occhiata a ciò che lo circondava ed affrettò il
passo, diretto verso la propria meta.
Senza prestare veramente attenzione a dove metteva i piedi, ripercorse quanto aveva visto nelle ore precedenti.
Lo scontro era stato violento, ma alla fine si era risolto
abbastanza felicemente. Ancora non aveva chiare tutte le dinamiche
presenti all’interno del branco, se di branco si poteva parlare,
ma avrebbe potuto raccogliere altre informazioni in futuro.
Per quanto riguardava i rapporti interpersonali, invece, era convinto
potessero essere un buon punto di partenza. Lo scopo era isolare un
membro per volta, fino a lasciare il capobranco solo in mezzo alla
tempesta.
“Mi chiedo se le umane possano essere sfruttate…”,
ragionò, superando l’ingresso di un piccolo cimitero.
Rallentò il passo fino a fermarsi del tutto. Scandagliò
le lapidi con attenzione, avvertendo la presenza di un’energia
simile alla sua. Lentamente ne solleticò il fulcro, attirando su
di sé l’attenzione.
Subito diversi fuochi fatui emersero dalla foschia mattutina,
volteggiandogli attorno con curiosità. Sollevò una mano
per sfiorarne uno, lasciando che le loro auree entrassero in contatto.
Assaporò i loro ricordi, le anime che si erano portati via e poi
li lasciò andare, ritirando il proprio potere.
E fu in quel momento che si accorse di essere osservato.
Voltò la testa di scatto, stupito, e si scontrò con un
paio di occhi chiari ed indagatori appartenenti ad una giovane lupa.
I due si fissarono per alcuni istanti, in silenzio, fino a quando la
piccola non fu distratta dalla voce del padre e distolse lo sguardo.
Approfittando di quel momento di distrazione, lo spirito immortale se ne andò.
***
Nonostante il braccio rotto e le numerose ferite, Evan
trasportò Amanda lungo le scale e oltre la porta del suo
appartamento, per poi adagiarla sul divano. Fatto ciò si
spostò, cedendo il posto ad un solerte Alastair.
David, che era rimasto qualche metro indietro, si appoggiò
pesantemente allo stipite della porta, ancora dolorante per la caduta.
Emily, bruscamente risvegliata dal suo sonno ristoratore, si stava
limitando ad osservare la scena in silenzio, avvolgendo il piccolo
Blake con la propria aura per rassicurarlo. Sembrava assente, come se i
suoi pensieri fossero altrove.
Frances, dimenticata da tutti, era letteralmente sull’orlo di una crisi di nervi.
Non sapeva se Andrew fosse vivo o morto e non sapeva se Amanda si
sarebbe svegliata di lì a poco tempo. Non sapeva nulla e a
nessuno sembrava importare un accidente.
-Insomma, come sta?!- sbottò all’improvviso. Le teste di
tutti i presenti si voltarono verso di lei, sorprese. -I-io…
scusate, ma… si riprenderà, vero?- smorzò un
po’ i toni, imbarazzata.
-Ha una leggera commozione cerebrale, dobbiamo aspettare che…-
iniziò Alastair, ma un lieve sibilo attirò la sua
attenzione, interrompendolo. -O forse no.- sussurrò, stupito.
Le palpebre di Amanda fremettero e, dopo poco, si sollevarono. La
ragazza restò immobile, cercando di mettere a fuoco il soffitto
e nel contempo capire cosa fosse successo.
-Amanda!- Frances oltrepassò a gran velocità tutti
quanti, gettando le braccia al collo della sorella. -Stai bene! Per
fortuna stai bene!- iniziò a ripetere, scoppiando in un pianto
dirotto. Era il secondo, quella notte.
Mandy non capiva perché Fran stesse piangendo e non ricordava
assolutamente nulla da quando aveva parlato con la piccola Sofiya.
Che avesse perso la memoria?
Spostò lo sguardo su Alastair e lo fissò smarrita,
cercando di ottenere risposte. Il licantropo non si scompose e, con una
calma straordinaria, la liberò dalla presa di sua sorella.
-Frances, Amanda ha bisogno di tranquillità. Il colpo che ha
ricevuto non va sottovalutato.- disse, pacato.
Fran tirò su col naso e poi annuì brevemente, scusandosi per la propria reazione.
Amanda cercò di sorriderle, ma sentiva tutti i muscoli del corpo
indolenziti. Si guardò attorno, trovandosi sotto lo sguardo
preoccupato ed indagatore di tutti i presenti e seppe con certezza di
aver dimenticato qualcosa d’importate.
-Dove siamo…?- riuscì a formulare la frase con gran
difficoltà. Era come se i neuroni del suo cervello avessero
perso la capacità di dar vita a pensieri coerenti.
-Nel tuo appartamento. Ricordi lo scontro?- disse Frances,
rabbrividendo al solo ricordo. Aveva avuto risposta ad uno dei suoi
interrogativi, ma ancora non sapeva nulla circa le sorti di Andrew.
Lentamente, Mandy fece sì col capo. Ricordava quella parte,
certo: come dimenticarsi che aveva rischiato di essere ammazzata
da…
Spalancò gli occhi acquamarina e li puntò dritti verso
Evan. -Andrew! Oddio, Andrew!- si portò una mano alla bocca,
terrorizzata.
La sua reazione fu come una doccia fredda per Frances, che si rimise in piedi di colpo, quasi si fosse scottata.
Prima che la situazione degenerasse, Evan prese parola. -Andrew non
è morto.- le ricordò. Lei lo fissò smarrita, come
se sentisse quelle parole per la prima volta.
-Ne sei sicuro…?- azzardò a chiedere Fran, speranzosa.
Lui la guardò attentamente per qualche istante, poi
annuì. -Però dovremo spostarlo e aspettare che si
riprenda.- precisò.
-P-Posso aiutarvi?- chiese l’americana.
-No. È troppo pesante per un umano.- fu la risposta lapidaria.
Vedendo l’espressione della ragazza, David intervenne
dicendo:-Però puoi accompagnare Alastair e assicurarti delle sue
condizioni.
Quelle parole sembrarono scongiurare l’imminente crisi isterica e riportarono una parvenza di calma nel gruppo.
Alst decise di approfittarne per ritrovare un po’
dell’organizzazione perduta. -Bene. Io mi occuperò del
giovane Drew, mentre voialtri andrete a riposare.- disse. -E con
voialtri, intendo tutti. Anche tu, Evan.- aggiunse, scoccando
un’occhiata ammonitrice al giovane Alfa.
Stranamente quello non protestò e si limitò ad alzare le
mani in segno di resa. “Terrò sotto controllo Amanda, nel
caso dovesse peggiorare.”, il pensiero venne captato da Alst
senza problemi.
-Finalmente un po’ di disciplina.- borbottò l’uomo, annuendo impercettibilmente al suo figlioccio.
“Come credi che la prenderà?”, la voce di David
s’insinuò nella mente di Alst ed il tono era chiaramente
preoccupato.
“Immagina il peggiore degli scenari e sarai pronto a
tutto.”, fu la risposta. Il giovane sollevò brevemente un
angolo della bocca, reprimendo una smorfia: aveva capito che lo
scozzese non aveva più voglia di scherzare.
“Mi dispiace.”, abbassò lo sguardo, fissando i gradini alternarsi sotto i propri piedi.
Dietro di loro Frances seguiva in silenzio, guardando con occhi sgranati l’enorme buco che si era creato nella parete.
“Non ce l’ho con te…”, Alastair si
lasciò sfuggire un sospiro, stanco. “Vorrei solo che le
cose fosse meno complicate. Ecco tutto.”, aggiunse, raggiungendo
la porta sventrata dell’appartamento in cui viveva il branco.
Dave stava per aggiungere altro, ma l’espressione scioccata della
loro giovane accompagnatrice glielo impedì. Cercando di
alleggerire l’atmosfera, azzardò un:-Non è
così male. Ho visto di peggio.
Frances gli lanciò un’occhiata allucinata mentre Alst scuoteva la testa.
-Sei sicura di voler entrare?- le domandò il rosso. Lei
deglutì rumorosamente, immaginando tutte le possibili
conseguenze di quello che stava per fare. Strinse brevemente i pugni e
poi si limitò ad annuire. –Bene. Diamoci da fare.
Si mossero lentamente, facendo attenzione a non inciampare nei detriti
sparsi un po’ ovunque. Andrew giaceva ancora in quel caos,
immobile dopo il colpo subito.
Senza poterselo impedire, Frances si portò le mani alla bocca. –Siete sicuri che…?- iniziò.
-E’ vivo. Ha solo prosciugato le energie del proprio corpo.- la
interruppe Alastair. Si chinò lentamente di fianco al giovane
lupo e lo esaminò con occhio clinico. Il petto si abbassava
ritmicamente, anche se aveva una o due costole incrinate.
-Tra quanto tornerà umano?- volle sapere lei.
Il licantropo scosse il capo. –Difficile dirlo. La trasformazione
è stata emotivamente e fisicamente sfiancante…- dovette
ammettere.
-Se vuoi puoi toccarlo: fargli sentire la tua presenza lo
aiuterà.- suggerì David, incoraggiante. Non avrebbe mai
dimenticato tutto l’aiuto offertogli dalla madre durante le prime
trasformazioni né l’attacco che aveva perpetrato alla sua
persona, durante la prima luna.
Al solo pensiero provava ancora disgusto per se stesso e la propria debolezza.
-Seriamente?- l’esitazione nella voce dell’americana lo riportò alla realtà.
-Seriamente. Lo dico per esperienza.- le sorrise brevemente.
Frances allora s’accosciò accanto al grosso lupo e lo
osservò pensierosa per diversi istanti: sembrava non riuscisse
ancora a capacitarsi che sotto tutto quel pelo ci fosse il suo
compagno. Alla fine, molto lentamente, posò una mano sulla
morbida testa, poco dietro l’orecchio sinistro.
-Adesso dobbiamo innescare la trasformazione.- l’avvertì
Alastair. –Sarà più semplice trasportarlo, da
umano...
-E se non dovesse funzionare? Ve lo caricherete in spalla come se
niente fosse?- domandò Fran, lanciandogli un’occhiata
dubbiosa.
-Esatto. Per quello abbiamo detto che non era un compito adatto a te.
Con estrema attenzione, Alastair estrasse una collana da sotto la
casacca che indossava. Appesa alla catenella di metallo faceva bella
mostra di sé una piccola fiala piena di quella che sembrava
essere sabbia nera.
“Sempre pronto a tutto, vedo. Da quando porti con te del sorbo?”, fece David, ammirato.
“Da quando ci siamo trasferiti a New York.”, l’uomo
lo guardò intensamente. Poi, rivolgendosi alla loro
accompagnatrice umana, chiese:-Potresti offrirci il tuo aiuto, Frances?
Sentendosi interpellata, la ragazza si rimise in piedi ed annuì
più volte. I suoi occhi erano puntati sul piccolo contenitore di
vetro che ora se ne stava tra le mani dello scozzese.
-Quella che ho in mano è una fiala contenente polvere di sorbo
degli uccellatori.- spiegò Alastair. –E’ una
sostanza in grado di “purificare” noi licantropi,
riportandoci al nostro aspetto umano.
-Dovrei usarla su Drew, giusto?- domandò, esitando leggermente nel pronunciare il nome del ragazzo che amava.
-Esattamente. Versane un po’ sul palmo della mano e poi accarezza il lupo.- confermò il Beta del branco MacGregor.
Senza chiedere ulteriori rassicurazioni, Frances prese l’oggetto
che le veniva porto e si sporcò le mani con quella strana
polvere nera. Una volta pronta, si voltò nuovamente verso il
lupo ai suoi piedi e sperò con tutte le proprie forze di non
fare ulteriori danni.
Ci mancava solo che Andrew rimanesse bloccato in un limbo, senza potersi considerare né uomo né lupo.
-Emily, puoi ritirarti assieme a Blake.
Amanda vide Evan dare una rapida occhiata al nuovo acquisto del branco.
La giovane non aveva una bella cera, probabilmente a causa
dell’ansia provata per il piccolo Blake, e lui non sembrava
intenzionato a peggiorare ulteriormente la sua condizione.
-S-sì… potete prendere la camera degli ospiti…-
riuscì a trovare la forza di biascicare. –E’ in
fondo al corridoio.- aggiunse, facendo un vago gesto con la mano.
Emily scambiò una rapida occhiata col proprio Alfa, quasi a
chiedere il permesso. Quando quello annuì, si ritirò
rapidamente, portando con sé suo nipote.
Dopo che la lupa fu inghiottita dal buio del corridoio, Mandy si
voltò verso lo scozzese. -Non ho molto spazio per ospitarvi
tutti…- considerò. Il suo cervello stava cercando di
restare al passo con la situazione, ma i pensieri continuavano ad
essere sfuggenti come pesci in un acquario.
Evan la guardò in silenzio per qualche istante. –Nessuno ti ha chiesto di ospitarci.- le fece presente.
Quelle parole la lasciarono visibilmente confusa, causandole piccole
fitte di dolore nella parte occipitale. –Credevo…-
iniziò, ma venne interrotta dalla vibrazione di un cellulare.
-Scusami un attimo.- Van estrasse rapidamente l’oggetto da una
tasca interna della giacca e si allontanò per poter rispondere.
Amanda lo vide raddrizzare la schiena con un piccolo sussulto e poi
rilassare i muscoli. Probabilmente il chiamante era una persona
conosciuta, a giudicare dalla sua reazione.
Distolse lo sguardo, concentrandosi sulle fughe del pavimento.
Non voleva origliare la conversazione ed essere considerata una persona
incapace di rispettare la privacy altrui. Senza contare che non si
trovava nelle condizioni mentali per fare una cosa così
sopraffina come origliare con discrezione.
Ad un certo punto le sembrò d’udire la frase “altri due morti” e qualcosa dentro di lei scattò.
Rivide le piccole fiammelle blu scorte al cimitero e gli occhi
cristallini della piccola Sofiya presero possesso della sua mente.
Serrò con forza le palpebre e si prese la testa, chiudendosi a
riccio per difendersi da quella misteriosa ed improvvisa minaccia.
Sprazzi d’immagini continuavano a rincorrersi nella sua mente
senza trovare una giusta collocazione.
Non sapeva cosa le stesse succedendo e sperò con tutto il cuore
che fosse colpa della botta presa. In caso contrario, stava impazzendo.
Notando con la coda dell’occhio l’improvviso
movimento di Amanda, Evan si congedò rapidamente dal comandante
Rogers, promettendo di farsi vivo il prima possibile.
Fece scivolare il cellulare di nuovo nella tasca e si avvicinò
alla giovane. –Amanda..? Cosa sta succedendo?- chiese, guardingo.
Aveva un bagaglio di conoscenze mediche non indifferente, ma era
Alastair quello ferrato in materia. E lui non aveva esattamente la
precisione di un bisturi, quando si trattava di intervenire.
-Fitta… testa… blu… fiamme blu…- iniziò a ripetere la ragazza.
Van si accigliò, confuso. –Il tuo cervello fa fatica a
processare le informazioni, ora come ora, ma non devi preoccuparti:
è temporaneo.- cercò di farle allentare la presa sulla
testa e di farla distendere sul divano.
Amanda oppose resistenza, sentendosi meno vulnerabile in quella
posizione. Come se stare rannicchiata su se stessa potesse aiutarla a
ritrovare il controllo della sua mente.
-Sofiya… blu… occhi… brividi…
fiammelle… cimitero… fiammelle!- Evan la vide incuneare
il capo tra le ginocchia.
Quel comportamento non era normale per una vittima di commozione
cerebrale e la cosa iniziava a preoccuparlo. Facendo attenzione a non
far leva sul braccio ferito, afferrò Amanda per una spalla e la
obbligò, gentilmente ma con fermezza, a raddrizzarsi.
Quando si trovarono finalmente faccia a faccia, gli occhi della giovane
erano lucidi ed spalancati su un mondo che solo lei riusciva a vedere.
–Cosa mi sta succedendo…?- gemette, mettendolo a fuoco.
-Non lo so.- dovette ammettere lui. Temette che la risposta potesse
farla scoppiare in lacrime, ma così non fu. –Spiegami cosa
vedi.- disse allora.
Lappandosi le labbra, Amanda cercò di riafferrare il filo dei
propri pensieri. All’inizio fu difficile, ma poi sembrò
riuscirci. –Continuo a rivedere gli occhi della piccola
lupa…- iniziò.
-Sofiya ha capacità sensoriali particolarmente sviluppate.- le
spiegò. –Forse l’hai percepita scandagliare la tua
mente e questo ha lasciato dei residui visivi…
Lei scosse la testa, passandosi distrattamente una mano tra i capelli
arruffati. –No… non è così. Ha a che fare
con l’occhiata che ha lanciato a Frances…- obiettò.
Con fare insolitamente paziente, Evan si sedette sul bracciolo del
divano, lasciandole un po’ di spazio. –E cosa
c’entrano le fiammelle..?- volle capire.
Amanda chiuse momentaneamente gli occhi, riafferrando il ricordo.
–Stavo camminando e all’improvviso mi sono ritrovata vicino
ad un cimitero. E le ho viste: piccole sfere fluttuanti di colore
bluastro.- raccontò. –Non so cosa significhino…
All’udire quelle parole Evan si fece pensieroso. Quella che le
aveva appena descritto l’americana era un’apparizione in
piena regola di alcuni Will-o’-the-Wisp
o, più comunemente, fuochi fatui. E nel suo mondo, vedere quelle
fiammelle blu presagiva eventi nefasti al povero malcapitato che aveva
la sfortuna di scorgerle.
Molto spesso, indicavano un lutto prossimo ad avvenire.
-Perché quell’espressione…?- Amanda smise di
rincorrere le parole nella propria mente e si focalizzò sul suo
interlocutore.
Evan, d’altro canto, non era intenzionato a raccontarle nulla. Un
ulteriore shock non le avrebbe giovato, non in quel momento. –Non
devi preoccuparti. Le due cose non sono correlate.- disse, sbrigativo.
Al che lei assottigliò gli occhi, guardinga. –Potrò
anche avere una commozione cerebrale, ma non sono stupida. Quello che
ho detto ha un significato, per te.- ribatté.
-Significato che non voglio condividere con te, ora.- replicò
con calma il licantropo. –Invece di arrovellarti dovresti
riposare.
-Non ho bisogno di…- iniziò col dire lei, ma una fitta
acuta alla testa le impedì di continuare. –Ok, forse
sì.- dovette ammettere, sdraiandosi lentamente.
-Chiudo le imposte. Tu prova a rilassarti.- Van si alzò con un
movimento affettato e si diresse verso la finestra della cucina,
intenzionato a chiudere fuori i raggi del sole nascente.
Aveva quasi portato a termine l’operazione, quando la voce di
Amanda lo raggiunse in un sussurro:-Nel caso in cui dovesse essere un
presagio, ti prego: aiutami ad evitare che si avveri.
“Mi auguro di riuscirci.”, fu il pensiero del giovane MacGregor.
*Il termine significa "disonorevole" in russo
|
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Capitolo 24 *** Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente ***
Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente
Wow, siamo già alla
ventitreesima parte di questa storia e i nostri personaggi hanno ancora
molta strada da fare ^^' e tante prove/torture a cui essere sottoposti
dalla sottoscritta (ride in modo sadico).
Come capirete ben presto leggendo, questo è un capitolo
abbastanza "statico": niente grandi azioni nè sangue, ma solo
molte emozioni. Avrei potuto benissimo condensare le informazioni
contenute qui dentro in mezza pagina oppure buttandole qua e là,
ma sentivo la necessità di dar spazio alle personali di
alcuni dei protagonisti.
Tra l'altro, il capitolo si è scritto praticamente da solo, quindi...
Dal prossimo aggiornamento in poi ci sarà da rimboccarsi le
maniche: i muri non si ricostruiscono da soli e gli psicopatici tendono a non autoeliminarsi :D
Buona ! :)
Cap. 23 Ombre dal passato, ombre nel presente
Tutte
le persone che dovevano essere avvertite, in particolare datori di
lavoro e amici, avevano ricevuto notizie più o meno uguali:
nessuno di loro sarebbe uscito di casa per un po’ di tempo.
Quanto far durare la “degenza” sarebbe stata prerogativa personale.
Purtroppo non avevano tenuto in
considerazione Eric che, ormai completamente guarito, entrò
nell’appartamento come un piccolo uragano.
Più o meno tutti gli
occupanti della casa stavano riposando, qualcuno se ne stava
accoccolato sotto le coperte, qualcun altro semplicemente appoggiato
all’imbotte di una finestra. La notte era stata tremenda e i
segni erano chiaramente visibili sui loro visi e nei vestiti imbrattati
di sangue.
Il giovane europeo rimase a fissare
basito la scena che gli si presentava davanti, indeciso se mettersi a
strillare oppure tapparsi la bocca per non farlo.
-Entra e smettila di arrovellarti.- la voce di Evan lo trasse d’impaccio, riscuotendolo.
-M-ma cosa…?- iniziò,
guardandosi attorno. –Perché il palazzo è mezzo
distrutto? Alst non mi ha detto nulla.
-E a ragione. Ti saresti precipitato qui urlando come un forsennato… o sbaglio?- replicò il suo capobranco.
Eric arrossì visibilmente. –Non trattarmi come un bambino!- sbottò.
Evan allora sollevò le
palpebre, puntando gli occhi sul giovane affiliato. –Non ho
voglia di discutere, ora come ora. Ti basti sapere che Andrew si trova
nella cantina, finalmente sotto controllo e che nessuno di noi ha
riportato ferite mortali.- tagliò corto.
-Avreste potuto avvertirmi…-
il ragazzo incrociò le braccia al petto. Sapeva che lo
consideravano poco più di un pivello, ma quello era il suo
branco ora e se c’era una cosa di cui sapeva dar prova, quella
era la lealtà.
-Tuo zio è stato chiaro: se
ti dovesse succedere qualcos’altro, esigerà la mia testa.-
replicò lo scozzese. –E’ una prospettiva che non mi
alletta molto, a dir la verità.
-Lascia perdere mio zio. Si diverte
a mettere in soggezione le persone.- Eric liquidò la questione
con un’alzata di spalle.
Van si lasciò sfuggire un
sorrisetto. –Fa molto più di questo, ma sei troppo giovane
per capirlo.- disse di rimando. –Ora… ti chiedo di
chiudere la porta e trovarti qualcosa da fare. Ho bisogno di riposare.-
aggiunse, sistemandosi meglio contro il muro. Eric non poté fare
a meno di notare la smorfia di dolore che gli attraversò il viso.
-E un letto non sarebbe più adatto allo scopo?- si ritrovò a chiedere.
MacGregor riaprì un occhio. –Sono tutti occupati.- e con questo pose fine alla discussione.
Eric rimase ad osservarlo per
qualche istante, convincendosi sempre di più che la prima
impressione avuta sul capitano fosse completamente sbagliata. Mettere i
bisogni del branco al primo posto, anche se significava semplicemente
cedere un letto, era una qualità fondamentale per essere un buon
Alfa.
Evan poteva sembrare ruvido e poco
incline a lasciarsi coinvolgere, ma ogni tanto lasciava trapelare la
sua vera natura, quella nascosta sotto la corazza. Eric non aveva idea
di come fosse prima di arrivare a New York, ma era sempre più
certo che quella fosse una facciata.
Solo David sembrava conoscere il
vero carattere dello scozzese e non faceva altro che ricordargli i bei
vecchi tempi, nel tentativo di riaccendere quel fuoco.
“Aleksandr aveva ragione, in
fin dei conti. In lui c’è più di quello che si
vede.”, pensò con un sorriso mesto. Esitò ancora un
attimo, poi uscì lentamente dall’appartamento, deciso a
raggiungere Andrew.
Il minimo che poteva fare era aiutarlo nel momento del bisogno.
Sapeva che non stava dormendo.
Non più, almeno. E avvertiva il pressante desiderio di chiederle spiegazioni.
Proiettò la propria aura all’esterno, sondando l’ambiente che lo circondava.
Poteva ancora percepire la presenza
di Alst e Frances nella cantina, intenti a discorrere su quale fosse il
metodo migliore per accudire il giovane Andrew. Distolse
l’attenzione da quella conversazione per concentrarsi
sull’interno dell’appartamento.
Mentre saliva le scale
incrociò Eric, diretto verso il piano seminterrato: le
intenzioni che lo animavano erano scritte a caratteri cubitali sul suo
viso.
Gli sorrise brevemente, felice che,
a conti fatti, non fosse un damerino senza spina dorsale e
proseguì la propria ascesa.
“Attento alle domande che
porrai.”, la voce di Evan s’insinuò furtiva nella
sua mente. Di nuovo, sorrise. “Un Alfa non ha tempo di
riposare.”, lo sentì aggiungere, in risposta alla sua
domanda inespressa.
“Dovresti. Te lo sei meritato.”, replicò.
Riuscì a vederlo mentre
sbuffava, assolutamente in disaccordo. David gli aveva sempre invidiato
quel profondo senso del dovere verso gli altri: lui aveva impiegato
decenni per abbandonare il proprio menefreghismo.
“Dovremo trovare una
sistemazione alternativa. Questo appartamento è troppo
piccolo.”, Van passò ad un argomento più neutrale.
“Non ti crucciare. Ti ricordo che sono un architetto.”, gli fece presente Dave.
Era ormai arrivato al pianerottolo
dell’appartamento di Amanda e si concesse un momento
d’esitazione, valutando i pro e i contro di quello che stava per
fare. Evan non lo interruppe, probabilmente perché non riteneva
necessario il proprio intervento.
L’inglese gliene fu grato e, dopo aver lasciato passare qualche altro istante, si decise finalmente a varcare la soglia.
Una volta dentro non poté
impedirsi di guardare verso Van. Scorse il luccichio dei suoi occhi,
segno che era vigile, ma nient’altro avrebbe rivelato il suo
stato vigile.
Attento a non svegliare Amanda, il
lupo attraversò il soggiorno e sparì tra le ombre del
corridoio. Ci mise poco ad individuare la camera da letto, dato che le
porte erano solamente due.
-Entra…- la voce di Emily
gli arrivò sommessa. Fece come gli era stato detto e
scivolò all’interno come fosse fatto di fumo, senza
produrre il minimo rumore.
L’ambiente si trovava in
penombra, ma per i suoi occhi non fu un problema individuare le due
figure che occupavano il letto. Blake se ne stava tutto accoccolato in
grembo alla zia, finalmente al sicuro, mentre lei gli accarezzava la
testolina scura, traendo molto più conforto da quel contatto di
quanto avrebbe mai ammesso.
-Come state?- David decise di iniziare con qualcosa di semplice.
Emily si strinse nelle spalle.
–Scossi, ovviamente. Ma Blake è riuscito ad addormentarsi
e questo è un bene.- rispose lei.
-Questa cosa ha scosso parecchio
anche te… emotivamente parlando.- l’inglese spostò
il peso da una gamba all’altra, nervoso.
Capendo dove volesse andare a
parare, l’americana si lasciò sfuggire un sorriso amaro.
–Vuoi sapere il perché del mio comportamento?- chiese
allora.
David si avvicinò lentamente
al letto, in attesa di un rifiuto da parte di Emily. Quando questo non
arrivò prese posto all’angolo opposto a dove si trovava
lei, in modo da non invadere il suo spazio vitale o disturbare Blake.
-Lo scontro che c’è
stato con Andrew ha riportato alla mente ricordi che vorrei poter
estirpare dalla memoria.- iniziò, stringendo con forza il
copriletto. David non sapeva a cosa si stesse riferendo, quindi si
mantenne in silenzio. –La morte di Evelyn.- rivelò infine
la giovane donna.
Quelle poche parole lo colsero di
sorpresa: aveva capito che fosse qualcosa di importante, ma non aveva
capito lo fosse così tanto. –Non sei obbligata a
parlarne.- disse, mettendo le mani in avanti.
-Il vaso è stato aperto, ormai.- mormorò. –E parlarne non mi farà di certo male.
-Rivangare il passato può essere doloroso.- la contraddisse Dave.
Si fissarono in silenzio per alcuni
istanti, valutandosi a vicenda. Emily era quella nuova, entrata
nel branco con l’inganno. David era l’amico fidato, il
braccio destro dell’Alfa.
Non potevano ricoprire due ruoli più diversi.
-E’ successo mentre ero di
ronda.- lanciò una rapida occhiata al suo interlocutore per poi
abbassare lo sguardo. –Ricordo ancora l’irritazione: ero
stata assegnata ad una staffetta per controllare che la consegna di
quel giorno andasse a buon fine.
-Con staffetta intendi quel tipo di
staffetta?- volle sapere l’inglese. La storia aveva già
preso una brutta piega.
-Sì. Droga.- confermò lei.
-Perché sei coinvolta…- tentò di domandare, ma venne zittito.
-Non importa. Lasciami continuare,
per favore.- disse. Percependo l’enorme sforzo che stava facendo,
David l’assecondò. –Grazie… come ti stavo
dicendo, ero fuori di ronda. Non vedevo l’ora di tornare indietro
e passare del tempo con la mia famiglia: quel giorno era il compleanno
di Blake.
-Blake era lì?!- senza poterselo impedire, David trasalì.
Emily annuì gravemente.
–Evelyn stava preparando una torta per lui. Al contrario di me,
lei è sempre stata brava in quelle cose… ed era
migliorata notevolmente da quando era diventata mamma.- si
lasciò sfuggire un sorriso, negli occhi la malinconia per un
tempo che mai avrebbe potuto tornare.
Dave guardò brevemente il piccolo lupo e poi tornò a concentrarsi su sua zia. –Cos’accadde?
-Jared aveva comprato un regalo al
suo prezioso erede, come era solito chiamarlo. Ma assieme a quello si
era fatto anche una striscia e aveva preso qualcosa anche per Eve.-
Emily puntò lo sguardo sul muro, cercando di non farsi
sopraffare.
Era la prima volta in assoluto che
condivideva quell’esperienza con qualcuno, un estraneo per di
più. Ma sentiva che poteva fidarsi di David e, soprattutto, che
erano affini.
-Tua sorella si drogava?
-Sì. Purtroppo è
sempre stata un animo tormentato, anche se era una persona estremamente
posata. Incontrare Jared non l’ha aiutata.- ammise.
–Prendeva qualche allucinogeno, ma nulla di più. La coca
è arrivata con lui.
-Ma perché..?- David non si capacitava della scelta della giovane.
-Era malata terminale: la
licantropia può molte cose, ma non sconfiggere un tumore. Gli
allucinogeni l’aiutavano a liberarsi di parte del dolore.-
confessò con voce tremante.
Il riccio si morse l’interno
della guancia, dandosi dello stupido. Aveva già iniziato a
giudicare Evelyn senza nemmeno conoscere a fondo le sue ragioni.
–Io… mi dispiace…- riuscì solamente a dire,
confuso.
-L’unica cosa positiva
è che adesso dovrebbe essere libera da quel dolore.-
replicò Emily. La voce le si era incrinata a metà frase,
ma era riuscita comunque a terminare, lasciando che le sue parole si
espandessero nel silenzio della camera.
-E’ stata la droga ad ucciderla?- dopo un po’ David decise di azzardare una domanda.
La sua interlocutrice scosse il capo. –No. E’ stato Jared.
Il giovane tornò a farsi confuso. –Non capisco.- dovette ammettere.
-Quel giorno Evelyn si
rifiutò di prendere la dose di cocaina, dicendo che non voleva
essere fatta di fronte a suo figlio. Mi aveva confessato di aver smesso
di assumere droghe subito dopo aver scoperto di essere incinta, anche
se quello l’aveva fatta ripiombare nel dolore.- raccontò,
cercando di delineare al meglio le intenzioni della sorella. –A
Jared la sua risposta non piacque e l’attaccò.
-Quell’uomo è un
mostro.- commentò disgustato l’inglese. Gli prudevano le
mani tant’era forte il desiderio di stringerle al collo del
licantropo.
-Sì e la droga non faceva
altro che renderlo più imprevedibile. Hanno lottato, ma alla
fine lui l’ha scaraventata contro la grande finestra del loro
loft.- disse lei. –Io ero appena rientrata dal mio giro di ronda.
David non chiese altro: poteva
benissimo immaginare l’orrore provato alla vista del corpo
esangue di Evelyn. E la rabbia verso Jared, che probabilmente era
rimasto a guardare il risultato delle sue azioni come una
divinità soddisfatta del proprio operato.
Mentre cercava di reprimere la
furia che lui stesso stava provando, si rese conto che Emily stava
cercando inutilmente di non piangere.
L’aura rossa che aveva
circondato ogni cosa nel suo campo visivo svanì, lasciandolo
disorientato. –Emily…?- allungò una mano verso di
lei, pentendosi di aver chiesto.
Ma lei scosse la testa e racimolò la forza per sorridergli. –Grazie, David.- disse in un sussurro.
-Ti ho fatta piangere.- obiettò.
-E’ vero. Ma ne avevo bisogno.- replicò, asciugandosi una lacrima.
Si alzò, impacciato. Non
aveva previsto di poter scatenare una tale reazione e non aveva
assolutamente immaginato cosa potesse celarsi dietro lo strano
comportamento della lupa.
Lasciò vagare i pensieri, cercando di capire cosa fare.
Poi, senza poterselo impedire, dalla sua bocca uscirono le seguenti parole:-Lascia che ti la mia storia.
***
Erano passati diversi anni dalla sua prima trasformazione.
Quella notte
aveva creduto di essere stato posseduto dal demonio e aveva rischiato
di uccidere sua madre. Aveva fallito soltanto perché
l’odore dei cavalli era così forte da riempirgli le narici
e l’aveva condotto lontano dalla stalla.
Eleanor
l’aveva trovato disteso in mezzo ai cespugli di caprifoglio che
crescevano ai confini della tenuta di famiglia. David era completamente
imbrattato di sangue e tremava così forte che la donna temette
gli si sarebbero spezzati i denti.
Senza una
parola l’aveva avvolto in una coperta e l’aveva fatto
alzare, conducendolo verso il maniero. Lui si era lasciato guidare,
docile.
Una volta al
sicuro tra le mura domestiche, Eleanor si era presa personalmente cura
del figlio, allontanando la servitù. E tra i vapori di un bagno
ristoratore gli aveva raccontato la verità.
Ricordava quel momento come fossero trascorse appena poche ore, invece erano ormai sette anni.
Sbuffando,
David lanciò un altro sasso nel fiume Lea. Era nervoso a causa
dell’ennesimo litigio col padre e la vicinanza col plenilunio lo
rendeva ancora più irritabile.
-Smettila, te ne prego.- si sentì pregare.
Lasciò
cadere la pietra che stava per lanciare per poi rivolgersi al giovane
al suo fianco. –Scusa se non riesco a controllare le mie
emozioni…- brontolò.
L’altro
gli dedicò una lunga occhiata, distogliendo lo sguardo dal libro
che stava leggendo. –Se ti è così difficile la
convivenza con tuo padre, allora vattene.- gli suggerì.
Il giovane aristocratico alzò un sopracciglio. –Per andare dove, Evan?
-Ovunque.
Scuotendo la
testa, l’inglese si passò una mano tra i capelli ricci.
–Per te è diverso. Tu non hai nessun tipo di dovere verso
la tua famiglia.- replicò.
Evan si
raddrizzò, abbandonando definitivamente la propria .
–Tu credi?- lo guardò divertito. David se ne accorse e gli
lanciò un’occhiata interrogativa. –Devo portare
avanti la genealogia, ricordi?
-Come se fosse
una cosa così sgradevole.- fu la risposta dell’altro.
Sapeva che l’amico aveva a sua volta problemi col padre, ma in
quel momento desiderava solo sfogarsi.
Van rimase in
silenzio, evitando di commentare con tono sprezzante, ma non
poté impedirsi d’irrigidire la postura. Notandolo, Dave
s’affrettò a scusarsi, dandosi dello stupido.
“So essere proprio infantile, a volte.”, si rimproverò mentalmente.
Rimasero in
silenzio per qualche minuto, poi MacGregor disse:-Fai valere la tua
posizione. Non con la forza, ma con l’intelligenza.
-E se non dovesse ascoltare?- chiese l’altro.
-Nel branco di
mio padre c’è spazio anche per un sassenach* altolocato
come te.- Evan si lasciò sfuggire un sorrisetto. Quel ghigno gli
valse uno spintone da parte dell’amico, ma sortì anche i
suoi effetti.
Poco dopo David si alzò ed annunciò la propria partenza.
Per tutto il tragitto non fece che ripetersi mentalmente le parole che voleva dire al genitore.
Sapeva che
doveva mostrarsi deciso, ma non aggressivo. Albert I, Earl di
Chorleywood, avrebbe contrattaccato al minimo accenno di sfida,
rimettendo al suo posto il figlio riottoso con poche, taglienti sillabe.
Era quasi
arrivato davanti alla porta dello studio che il padre era solito usare
per dilettarsi nella , quando il suo fine udito colse i
frammenti di una conversazione.
Si fermò e si mise in ascolto, non potendone fare a meno.
-Perché non gli permetti di rendersi utile? David non è uno sprovveduto.- sua madre protestò con vigore.
-Certo che lo è. Spreca il suo tempo a disegnare, ignorando il mondo circostante.- replicò aspramente suo padre.
-David sta
coltivando il talento che gli è stato dato.- Eleanor
passò rapidamente davanti alla porta socchiusa, aggirando la
scrivania di legno massello per avvicinarsi al marito.
Albert fece una
pausa, scrutandola. –Così come sta coltivando il suo amore
per il demonio?- replicò, velenoso.
-Non ti permettere!- il rumore di uno schiaffo spezzò l’immobilità dell’aria.
David sgranò gli occhi, stupito. Di cosa stavano parlando?
-Immagino che
sia già arrivato a quello stadio. Da qualche anno, ormai.-
continuò il conte, indefesso. -Come suo padre prima di lui.
Il giovane
aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso.
Perché i suoi genitori stavano discutendo di adorazioni del
demonio? E perché suo padre usava la terza persona, parlando di
se stesso?
-Avrei dovuto
tagliarti la gola la prima notte di nozze…- la contessa di
Chorleywood aveva preso a tremare, i pugni stretti per la rabbia. David
la poteva vedere perfettamente dalla fessura tra le due ante, in piedi
di fronte al marito.
“Cosa sta succedendo, qui?”, si chiese, avvicinandosi di qualche passo.
Aveva sempre
creduto che, nonostante gli alti e bassi del loro rapporto, i suoi
genitori si rispettassero e provassero affetto l’uno per
l’altra. Non amore, quello no: sapeva che il loro era stato un
matrimonio di convenienza.
Invece, quella conversazione smentiva tutte le sue convinzioni…
-Non avresti potuto farlo. Dovevi difendere il tuo piccolo lupo.- Albert schernì la moglie.
“Lui sa!”, realizzò all’improvviso, sobbalzando.
La figura
minuta di Eleanor si mosse all’improvviso, slanciandosi in avanti
coi pugni serrati. –Sei un mostro! Volevi strapparmi
l’anima dopo aver schiacciato il mio cuore!- lo aggredì.
Ridendo
malignamente, l’uomo le bloccò i polsi. –Alexander
era un abominio. E tu non avresti dovuto infatuarti di lui.
-Alexander era
un licantropo! Il solo abominio che vedo, sei tu!- in un impeto
d’ira, la contessa riuscì a liberarsi e graffiare il viso
di quello che non aveva mai considerato suo marito.
Albert
l’allontanò bruscamente da sé, portandosi la mano
alla guancia. –Tu! Traditrice del tuo sangue..!- allungò
le mani, pronto ad afferrarla.
Di fronte a
quella scena David vide rosso. La bestia dentro di lui ruggì,
infuriata, e lo spinse con foga all’interno dello studio.
–Non osare toccarla!- ringhiò, bloccandogli entrambe le
mani. La porta alle sue spalle sbattè sonoramente contro il muro
per poi rimbalzare indietro, ruotando sui cardini ben oliati.
-D-David!- sua
madre sussultò, colta di sorpresa. Davanti a lei, il conte di
Chorleywood se ne stava immobile, il respiro accelerato.
David le lanciò una rapida occhiata. –Madre, andatevene.- ingiunse.
Ma lei si oppose. –No. Cosa vuoi fare?
-Dargli quello
che si merita.- rispose con voce metallica, trasfigurando la propria
mano destra. Interruppe il contatto visivo con la sua genitrice e lo
puntò negli occhi dell’uomo che aveva di fronte. Non suo
padre, non Albert Spencer.
Semplicemente, un uomo.
-No! Non
diventerai un assassino!- Eleanor non volle sentire ragioni e si
aggrappò con forza al suo braccio. Suo figlio cercò di
liberarsi, ma non voleva ferirla. –Non sei una bestia assetata di
sangue.
-Forse dovrei
esserlo.- considerò il giovane, tornando a fissare quello
sconosciuto che aveva chiamato padre. Il lupo dentro di lui ringhiava e
uggiolava, assaporando già il sapore del sangue e
l’ebbrezza dell’uccisione.
Gli sarebbe bastato poco, un semplice gesto per porre fine alla sua inutile vita. Così poco.
“Mi hai
mentito per tutto questo tempo. Mi hai disprezzato. Hai ucciso il mio
vero padre.”, quei pensieri si susseguivano veloci nella mente di
David.
Albert Spencer
non poteva udirli, ma li vedeva trasfigurare il viso del giovane, che
pian piano assomigliava sempre più a quello di una bestia
demoniaca.
Quando sembrava
che la sua vita fosse appesa ad un filo, una figura irruppe rapidamente
all’interno della stanza, gridando il nome di David con quanto
fiato aveva in gola.
Tutti i presenti si voltarono, colti di sorpresa.
La tensione che fino a quel momento si poteva tagliare con un coltello esplose come una bolla di sapone.
Il primo a
riprendersi fu proprio il giovane inglese, che ringhiò qualcosa
tra i denti e poi tornò a fissare la propria preda. -Non te lo
permetterò.- Evan non si diede per vinto e chiuse le dita forti
attorno al braccio dell’amico, mentre Eleanor si spostava per
lasciarlo fare.
-Non hai il diritto di fermarmi!
-Tua madre mi
ha chiesto di esserti amico. E gli amici fanno anche questo.-
replicò, proiettando la propria aura verso quella del moro.
Dave
tremò, respingendo il primo attacco. –Non…-
iniziò. La bestia ringhiò e tentò di ribellarsi,
infuriata.
-Lascialo andare.
Scosse la
testa, sentendo la bestia farsi di colpo confusa. Aveva ancora il
battito accelerato e respirava in modo rapido e superficiale, ma
l’alone rosso che era calato su di lui si stava lentamente
alzando.
-Devo vendicare mio padre…- provò a protestare.
Evan lo
afferrò per le spalle, facendogli mollare la presa sul collo di
Albert. –Lo sarà.- gli promise. –Ora vieni con me.
***
David tornò al presente con un singulto.
Sbattè le palpebre diverse volte, ancora profondamente immerso nei ricordi. Emily, accanto a lui, lo fissava basita.
-Non volevo sconvolgerti…- mormorò il Beta.
-David… io…- non trovava le parole per esprimere il proprio dolore.
-Non lo uccisi.- disse solamente.
Lei si bloccò, ricacciando indietro una lacrima. –Cosa successe dopo?- chiese invece.
-Evan mi portò lontano dalla
tenuta per farmi calmare.- raccontò, gli occhi fissi sul muro
davanti a sé. –Poi arrivò mia madre e mi
svelò quello che era accaduto ventiquattro anni prima.
-Ti raccontò di Alexander?
Annuì.
–Sì… mi raccontò di come si erano
innamorati. Lui era un semplice borghese, un gran lavoratore, mentre
lei era destinata a sposare un duca per volere della famiglia. Ma
nonostante le premesse, Alexander riuscì a conquistarsi il
favore del conte e, alla fine, la sposò.- si concesse un
sorriso. Ripensare alle parole della madre gli stringeva il cuore, ma
al tempo stesso gli dava conforto.
-Immagino fossero felici, insieme.-
mormorò Emily. Senza poterselo impedire accarezzò
brevemente la testolina scura di Blake, ancora profondamente
addormentato.
-Eccome. I primi anni del loro
matrimonio furono molto felici…- assicurò. –La mia
nascita, poi, portò loro ulteriore gioia.
Vedere quel sorriso triste sul viso dell’inglese le fece male. –Cosa… cosa accadde… dopo?
-Albert si era invaghito di mia
madre… e dei soldi della sua famiglia.- le lanciò una
breve occhiata. –Aveva scoperto che Alexander era un licantropo e
così assoldò un cacciatore per ucciderlo.
-Che cosa spregevole.- commentò Emily, amareggiata.
-Una volta ucciso il lupo, fu
facile appropriarsi di ciò che rimaneva della sua famiglia con
la forza e il ricatto.- concluse cupo.
-Tua madre l’ha fatto per salvarti da morte certa…- iniziò col dire Emily.
-Non la incolpo di niente. Io stesso avrei considerato l’idea, se mi fossi trovato nella sua stessa condizione.- ammise.
-Dopo che te ne fosti andato… cosa successe?- domandò allora lei.
Dave lasciò vagare i
ricordi, tornando ai giorni immediatamente successivi la sua fuga.
Aveva provato così tanto odio nei confronti di quell’uomo,
che la bestia aveva preso il controllo del suo corpo per alcune notti.
Solo sua madre aveva potuto qualcosa contro la sua rabbia e, con calma, aveva chetato il lupo.
Ma quando era tornato in sé, era ormai tutto finito.
-Evan uccise Albert al posto mio.
Lo fece per impedirmi di macchiarmi del suo sangue.- disse solamente,
guardando Emily direttamente negli occhi.
Rimasero a fissarsi per alcuni
istanti, poi David decise che era arrivato il momento di togliere il
disturbo. Si alzò con un movimento fluido e
mormorò:-Cerca di riposare.
La lupa lo guardò uscire in religioso silenzio, turbata da quanto aveva appena udito.
Di nuovo nel soggiorno, Dave si
concesse un momento. Chiuse gli occhi e si passò le mani sul
viso per scacciare i ricordi amari.
-Non eri obbligato a farlo.- sentì sussurrare.
Sorrise mesto. –Ho ritenuto giusto farlo. Mi è sembrato necessario.- rispose.
-Dopo tanti anni riesci ancora a sorprendermi.
Si
era approssimato il più silenziosamente possibile, temendo di
poter disturbare il riposo del giovane lupo. Era molto probabile che
Andrew si trovasse in uno stato comatoso, al momento, ma non voleva
comunque destabilizzarlo.
Rimase un attimo a fissare immobile
i danni causati dal combattimento e poi, impressionato dalla porta di
metallo sfondata, s’incamminò lungo il corridoio che dava
accesso alle cantine.
Percepì subito la presenza di un’altra persona e si fece cauto.
-Disturbo..?- chiese, bussando sullo stipite in acciaio.
La figura all’interno si
voltò di colpo, sobbalzando. –Oh… ehm…
credevo che…- iniziò a farfugliare, sfregandosi
nervosamente gli occhi.
Eric sollevò le mani, cercando di apparire innocuo. –Mi dispiace. Credevo che Andrew fosse solo.- si scusò.
-Tu saresti…?- si sentì chiedere.
-Eric, faccio parte del branco.
Sono l’ultimo acquisto.- si presentò, sfoggiando il suo
sorriso più accattivante. Non voleva far colpo sulla ragazza, ma
semplicemente rassicurarla circa le sue buone intenzioni.
-Ah… sono Frances, piacere.-
gli sorrise brevemente, lanciando poi una rapida occhiata alla sagoma
di Andrew, steso dietro di lei. –Non si è ancora
svegliato.- aggiunse, alludendo proprio al lupo.
Il giovane europeo si mise le mani
in tasca, non sapendo bene cosa dire. –E’ normale. La prima
luna è difficile per tutti.- buttò lì.
Frances annuì
distrattamente, mantenendo il contatto visivo con il grosso canide. Il
suo disagio era palese, così come il suo desiderio di essere
altrove.
-Tu sei la fidanzata di Andrew,
vero?- se ne ricordò in quel momento. Sorpresa, lei
annuì. –Gli manchi molto.- aggiunse poi, addolcendo il
tono.
Sperava che quelle parole potessero calmarla un po’, ma sortirono l’effetto contrario.
Frances s’irrigidì
tutta e si portò una mano alla bocca nel tentativo di non
piangere. Eric fece per allungare una mano, intenzionato a stabilire un
contatto, ma lei non glielo permise.
Sussurrò una scusa e si defilò rapidamente, uscendo poco dopo in strada.
Il licantropo rimase a fissare il
punto in cui si trovava fino a poco prima, inebetito. “Ma
cos’ho detto di male?”, si chiese sinceramente confuso.
“Non è colpa tua…”, la voce s’insinuò nei suoi pensieri all’improvviso.
Sobbalzò come se gli
avessero dato la scossa e si voltò verso l’interno della
cantina. –Andrew?- fece, stupito. –Non credevo che fossi
cosciente. Vuoi che avverta qualcuno?
Il grosso lupo aprì
lentamente un occhio per poi scuotere lentamente la grossa testa.
Saggiò la propria forza cercando di muovere una zampa, ma quella
rispose a malapena. “Cosa mi succede?”, volle sapere.
Non sembrava spaventato, semmai stanco.
-Hai esaurito le energie.- fu la risposta.
Drew chiuse gli occhi, sospirando.
Era la soluzione più ovvia e lui l’aveva scartata a
priori, temendo che ci fosse qualcosa di ben più grave. Una
paralisi permanente, ad esempio.
-Riesci a tornare umano?
Sollevò lentamente le
palpebre, osservando quello che lo circondava. La cella era esattamente
come la ricordava, anche se ora la luce esterna penetrava dalla bocca
di lupo superiore e l’aria entrava ad intervalli regolari dalla
porta divelta.
Provò a racimolare le forze
necessarie per cambiare forma, ma il suo corpo si rifiutò di
obbedire. Dopo vari tentativi andati a vuoto fu costretto a scuotere la
testa.
-Oh… va bene. Devi
concederti del tempo per recuperare le forze.- le parole di Eric
volevano essere incoraggianti, ma alle orecchie di Andrew fu
l’ennesima riprova della sua inettitudine.
“Amanda sta bene, vero?”, chiese dopo alcuni attimi di silenzio.
Eric alzò gli occhi al
soffitto e poi tornò a guardarlo. –Sì… credo
abbia preso una bella botta, ma non ho visto né percepito
sangue.- lo rassicurò.
“Ed Evan? David?”, volle sapere.
L’europeo non poté
trattenere una smorfia. –Poteva andare peggio.- si limitò
a dire. Drew lo fulminò con l’unico occhio aperto.
–Braccio rotto e vertebra incrinata.- fu costretto a rivelare.
“Per fortuna non ho ucciso nessuno.”, sospirò, grato.
Facendosi coraggio, Eric
entrò nella cella di detenzione e si appoggiò alla parete
di fronte alla branda, esattamente davanti alla versione animale di
Andrew. –Non devi sentirti in colpa. Affrontare la luna piena
è difficile per qualsiasi giovane lupo e tu eri umano fino a
poche settimane fa.- gli disse, ripetendo quello che aveva già
detto anche a Frances.
“Questo non mi è
d’aiuto.”, la creatura arricciò leggermente il
labbro superiore in un gesto d’insofferenza. Nonostante giacesse
inerme su un fianco poteva ancora usare le espressioni facciali per
esprimere le proprie emozioni.
Se si poteva parlare di espressioni in riferimento ad un lupo.
Vedendo che le sue parole non
sortivano nessun effetto, Eric si passò una mano tra i capelli.
–Sapere che anche io ero un Omega potrebbe aiutarti, invece?- lo
disse fingendo noncuranza, come se quel ruolo non gli pesasse.
Drew sgranò gli occhi, stupito. “Tu, cosa? Davvero?”
Annuì lentamente. –Secondo mio zio si deve iniziare dal basso.- confermò.
“Non lo augurerei a
nessuno.”, commentò l’altro. Diventare l’Omega
era stata la disgrazia più grande che gli fosse capitata da
quando era diventato un licantropo.
-Il ruolo dell’Omega è
molto importante nel branco. Soprattutto se questo è vecchio e
si regge ancora sulle vecchie tradizioni.- rivelò.
“Può essere vero per un branco di lupi, ma non per i licantropi…”, ribatté l’americano.
-Oh, no. Vale anche per i
licantropi.- assicurò. –Nel mio branco d’origine
l’Omega era il lupo fisicamente più debole, ma in grado di
compensare con l’ingegno. Grazie a lui le tensioni interne non
sfociavano mai in combattimenti e, per questo, gli era assicurata
protezione permanente.
Il lupo assunse un’espressione perplessa. “Non capisco…”
-Un branco privo di tensioni
è un branco efficiente ed efficace. Inoltre, ognuno può
dedicarsi a ciò che vuole, senza doversi costantemente guardare
le spalle.- spiegò. –All’inizio anche io ero confuso
e molto arrabbiato: non capivo perché dovessi ricoprire quel
ruolo quando sentivo di poter essere un Pretendente.
“Pretendente? Ad un altro ruolo?”, domandò Andrew.
-Esatto. Al ruolo di Gamma.- confermò. –Ci sto ancora lavorando, però.- ammise subito dopo, ridacchiando.
“E cos’è
successo?”, la curiosità del giovane stava aumentando,
così come la sua attenzione.
Eric ne fu contento, perché
significava che lo stava distraendo dandogli modo di dimenticare, anche
se per poco tempo, quello che l’aveva tanto sconvolto.
-Essere Omega è una
propensione naturale: se l’individuo scelto non ha questa
vocazione, allora avanzerà naturalmente di ruolo, lasciando il
posto ad un altro lupo.- disse. –Ma mentre si è in carica
si possono scoprire molte cose, prima tra tutte come tenere sotto
controllo una ventina di licantropi su di giri.
Il lupo arricciò il naso. “Io devo tenerne a bada solo uno.”, si lasciò sfuggire un breve ringhio.
-Prima di pensare alla vendetta
sarebbe meglio acquisire maggior controllo sul tuo nuovo corpo, non
credi?- buttò lì l’europeo. –Posso aiutarti.
L’intero branco può.
Andrew non rispose, abbassando gli
occhi chiari. Sapeva che Eric aveva ragione e che il branco sarebbe
stato lì ad aiutarlo in qualsiasi momento, ma lui desiderava
solamente il supporto di una persona.
“Frances.”
-Non puoi obbligarla ad
accettarti.- mormorò Eric. –Ma puoi dimostrarle che si
sbaglia e che il lupo non è più pericoloso
dell’uomo.
“Perché mi dici
questo? Ora come ora non ho bisogno di un discorso
d’incoraggiamento, ma…”, bloccò il pensiero
del suo interlocutore sul nascere. –Hai bisogno di qualcuno che
creda in te e ti ami per come sei.- gli disse, spiazzandolo.
Drew lo fissò dritto negli occhi, immobile, poi abbassò le orecchie e uggiolò leggermente.
Non sapendo cosa fare per
migliorare l’umore del giovane, Eric si fece scivolare lentamente
lungo il muro, fino a sedersi a terra. Si lappò le labbra,
indeciso su cosa dire e poi si passò una mano tra i capelli,
arruffandoli.
Alla fine sospirò ed
esordì dicendo:-Avevo una sorella che amavo con tutto me
stesso… ma ormai sono sei anni che non c’è
più.
Andrew si fece vigile, aprendo gli
occhi e puntando le orecchie nella sua direzione. “Mi
dispiace…”, la sua voce fu poco più di un sussurro.
-E’ morta a causa della mia
inesperienza come Omega.- confessò, lanciandogli una breve
occhiata. Non aveva mai parlato con nessuno di quello che era successo,
nemmeno coi suoi genitori. Loro sapevano, ovviamente, ma non
immaginavano nemmeno quanta fatica gli costasse indossare la maschera
di strafottenza che si era costruito.
Forse nemmeno suo zio Aleksandr poteva capire.
“Non capisco…”, per la seconda volta il suo interlocutore ammise i propri limiti.
-Alina era completamente umana e
per questo era vista come una cosa preziosa, da proteggere ad ogni
costo. Tutti nella mia famiglia stravedevano per lei ed io con loro.-
si lasciò sfuggire un sorriso amaro mentre i ricordi gli
invadevano la mente. –Le piaceva pattinare sul ghiaccio. Ogni
occasione era buona per recarsi al lago e trascinarmi con sé.-
aggiunse subito dopo, ridacchiando.
Sentì pizzicare il naso, ma
ignorò ostinatamente il nodo che gli stringeva la gola. Non
avrebbe pianto: non era quello lo scopo del suo racconto. “E
quale sarebbe, invece?”, si chiese, confuso.
Lanciò una rapida occhiata
al suo interlocutore che, immobile, stava aspettando la parte
successiva. –All’epoca vivevamo in Russia e se
c’è una cosa da sapere sui licantropi russi è che
sono estremamente venali e territoriali.- continuò, riprendendo
da dove si era interrotto.
“Vi hanno attaccato?”, chiese Andrew in un soffio. Iniziava a temere un risvolto assai crudo per la storia.
-Avevamo sconfinato mentre
pattinavamo… e io, come un pivello, non me n’ero accorto.-
disse, stringendo con forza i pugni. Ricordare quella parte della
storia gli faceva sempre montare la rabbia: rabbia per la propria
stupidità e avventatezza. –Ci hanno circondato in poco
più di dieci minuti.
Vedendo l’altro in
difficoltà, Drew provò a fermarlo. Si agitò
leggermente, lasciando uscire un tremulo uggiolio. “Non devi, se
non vuoi.”, pensò.
Il giovane Kinsey sembrò non
averlo udito, troppo preso dai suoi stessi ricordi. –Ho provato a
tenerli a bada comportandomi come mi avevano insegnato, come un Omega,
ma fu tutto inutile.- s’interruppe, trattenendo il respiro. Nella
sua mente non c’era spazio per nulla che non fosse il bianco
della neve e il rosso del sangue. –Sono tornato a casa con
più ferite di quante potessi contare e il corpo di Alina tra le
braccia.
Andrew non seppe cosa pensare: in
confronto il suo sembrava un dramma da poco. -Ma lo sai
cos’è che mi fa più male, di tutta questa storia?-
si sentì chiedere. Lentamente e con un enorme sforzo,
sollevò il capo. –Ha continuato a ripetere che si fidava
di me. Per tutto il tempo, anche mentre mi massacravano di botte e lei
affondava in uno stupido buco creatosi nello strato di ghiaccio. Si
fidava di me come fratello e come lupo, nonostante fossimo caduti preda
di un branco di licantropi.
Gli occhi verdi del giovane
incontrarono quelli azzurri del lupo e, per qualche istante, tra loro
passò qualcosa: condivisione, compassione, impotenza.
Il primo a rompere il contatto fu
Eric, che distolse lo sguardo per puntarlo sulla superficie liscia del
pavimento. Sentiva ancora il bisogno di piangere, ma non
l’avrebbe fatto davanti ad un uomo emotivamente debilitato dalla
sua prima trasformazione.
Andrew, invece, si sentiva
svuotato. Si sarebbe paragonato volentieri ad un guscio vuoto, se solo
non si fosse sentito al tempo stesso così vivo.
Era come se qualcuno l’avesse
liberato da un grosso peso, sostituendolo con una nuova consapevolezza.
La bestia dentro di lui sembrava essersi assopita, esausta, e
l’uomo poteva finalmente riprendere il controllo.
Il limbo in cui era rimasto
bloccato svanì come neve al sole e, in men che non si dica,
avvertì le ossa scricchiolare. Lasciò che la natura
facesse il suo corso, provando poco dolore in confronto alle
trasformazioni precedenti.
Quando infine ebbe riassunto la forma umana, l’unica cosa che disse fu:-Grazie.
Per poi piegarsi su se stesso e lasciar libero sfogo alle lacrime.
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