Unicorno e Tripla C? DISASTER MOVIE!

di Lila May
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un annuncio micidiale ***
Capitolo 2: *** L'arrivo della Tripla C ***
Capitolo 3: *** Coppie e rivalità! Che il gioco abbia inizio! ***
Capitolo 4: *** Un semplice abbraccio ***
Capitolo 5: *** E che guerra sia! ***
Capitolo 6: *** Mark VS Esther! ***
Capitolo 7: *** Un'amicizia stroncata. ***
Capitolo 8: *** L'ira funesta di Mark Kruger ***
Capitolo 9: *** Ti chiedo scusa ... ***
Capitolo 10: *** Tutta la giornata con te! ***
Capitolo 11: *** Un'impresa davvero ... "pesante"! ***
Capitolo 12: *** "Gelosia portami via"! ***
Capitolo 13: *** Semplicemente Hanagrace ***
Capitolo 14: *** Ti lascio un bacio per ricambiare il tuo affetto ***
Capitolo 15: *** Un brutto presentimento ... ***
Capitolo 16: *** Ho bisogno di te ***
Capitolo 17: *** Un appuntamento coi fiocchi! (parte 1) ***
Capitolo 18: *** Un appuntamento coi fiocchi! (parte 2) ***
Capitolo 19: *** Silvia è arrivata! ***
Capitolo 20: *** Lotta all'ultimo capello! ***
Capitolo 21: *** Erik Eagle a chi cucina l'aragosta migliore! ***
Capitolo 22: *** Sfida di cucina: Silvia VS Suzette ***
Capitolo 23: *** Perché Mark prima di me stessa? ***
Capitolo 24: *** Prime gelosie ***
Capitolo 25: *** Il tuffo più adrenalinico della mia vita ***
Capitolo 26: *** Volteggiando sui pattini ***
Capitolo 27: *** Autoinvito ***
Capitolo 28: *** Voglia di baci ***
Capitolo 29: *** Ti amo ***
Capitolo 30: *** L'addio ***
Capitolo 31: *** Kruger, ci sei? ***
Capitolo 32: *** It's open! ***
Capitolo 33: *** Luna park (parte 1) ***
Capitolo 34: *** Luna park (parte 2) ***
Capitolo 35: *** Cambiamenti. ***
Capitolo 36: *** Dichiarazione epica finita male. ***
Capitolo 37: *** Dance. ***
Capitolo 38: *** Espulsione. ***
Capitolo 39: *** Rotture. ***
Capitolo 40: *** Where are you, Mark? ***
Capitolo 41: *** Always. ***



Capitolo 1
*** Un annuncio micidiale ***


Unicorno e Tripla C?

 
DISASTER MOVIE!

UN ANNUNCIO MICIDIALE

Erik strinse il cellulare con tutta la forza che aveva, nervoso, poi deglutì più volte. Probabilmente stava sudando come una fontana, dato che aveva la fronte imperlata di minuscole goccioline di sudore e il collo caldo. Suzette gli faceva sempre questo strano effetto. - Ah, ah ... certo, Suzette, certo … capisco … va bene … no, non ti preoccupare, ci penso io ad avvertirlo. Ma sì che gli va bene, a Mark va bene tutto!! Sì, sì, sì, tranquilla. Ok, ci vediamo. Sì, ciao. Ciao, ciao, ti amo anche io. (ma quando mai …) - la salutò, per poi finalmente riattaccare. Sgranò gli occhi e la camera s'immerse nel silenzio, che solo il cellulare lo rompeva di tanto, emettendo suoni compatti e uniformi. “tut … tut … tut. Clic”. - Oh, merda … - in pochi secondi il ragazzo si accorse del tremendo CASINO che aveva combinato, causato, creato. Si precipitò giù per le scale, lacrimando dalla disperazione. Mark e Dylan, che stavano tranquillamente parlando fra loro, lo videro affannarsi fra i gradini e gli corsero incontro per aiutarlo; lo fecero sedere su una sedia e gli porsero un bicchiere d'acqua. Il povero americano ansimava, gli tremavano le mani, sembrava che avesse visto un fantasma nel corridoio, che svolazzava in aria girando su se stesso.
- Are you okay, Erik? - gli chiese il ragazzo con gli occhiali da sole, schioccandogli le dita davanti agli occhi.
- NO! NO, NO E NO! Suzette mi ha appena chiamato … vi ricordate di lei, ragazzi? Suzette Heartland … ve ne ho parlato per tutta l'estate ... il mio tormento … la mia rovina più grande … la morte e la disperazione … -
- Sì, sì, continua. - fece Mark, annuendo. Eppure non capiva. Che cosa poteva avere questa Suzette di tanto catrastofico da far venire un attacco epilettico a chiunque avesse una relazione con lei? Dal modo in cui l'aveva descritta Erik gli sembrava piuttosto carina. E simpatica. Forse un po' stramba … - Che è successo, hai rotto con lei? -
- No! … no, per fortuna … -
- Ah, beh, perchè altrimenti ti avrebbe staccato la testa. “Tesoooorinoooooo, come osi lasciarmi!? Io sono la tua ragazza, e adesso ci dobbiamo sposare, perchè abbiamo mangiato e condiviso l “aragosta dell'amore!” - lo canzonò Dylan, alzando un sopracciglio.
- TI PREGO, Dylan, NON RICORDARMELO … -
La Unicorno levò una risata divertita.
- Dai, dicci che cosa ti è successo. - ripeté Mark, serio.
- Aehm … vedi, lei mi ha proposto … se la sua squadra poteva venire qui ad allenarsi con noi per tutta l'estate e … probabilmente hanno già preso i biglietti dell'aereo, per cui …!! - Erik fece una pausa per ripredersi dallo shock. - E quindi … ehm, e … e … e insomma, io le ho detto di sì, come un perfetto cretino! E che, vedi Mark, temevo di dirle di no, avevo paura, capitemi, Suzette sa essere mostruosa a volte! - urlò poi, alzandosi e mettendosi le mani fra i capelli dalla disperazione. Mancava poco così che diventasse matto. - Se Suzette è una palla, immaginatevi le sue amiche!!! Siamo spacciati!!! -
- Mh, non del tutto … almeno sono sexy al punto giusto? - chiese Dylan, alzando un sopracciglio con aria maliziosa.
- Dylan, “fratello”. - lo fulminò con lo sguardo il capitano della Unicorno, facendolo tacere.
- Ok, ok … chiedevo … -
- E adesso che facciamo, capitano, le ospitiamo … - mormorò Erik, ricadendo sul divano con un flebile sospiro di rassegnazione.
- Beh, non possiamo lasciarle in mezzo alla strada. Quando arrivano, già? -
- DOMANI! - gemette il castano, nascondendosi il viso fra le mani. - Ma perchè Dio me l'ha fatta incontrare, perchè, perchè … MA PERCHE'?! Cosa gli avrò mai fatto di male, cosa, cosa, cosa … quella stupida oca è peggio del diavolo!!! -
- Su, non dire così, Erik. Sapremmo gestire la situazione, non piangere. - lo rassicurò Mark, prendendolo per le spalle e guardandolo con determinazione.
- Capitano tu non conosci Suzette e le sue amiche … sono carine, ok, ma … sono insopportabili!! E te ne accorgerai prestissimo, vedrai! Oddio, aspetta che lo sappia Bobby!! Io non ho il coraggio di dirglielo … basta, vi prego, uccidetemi … - ribatté Erik, per poi alzarsi e chiudersi in bagno a piangere e a imprecare contro la Tripla C. Mark e Dylan si guardarono, confusi, quando entrò Bobby con una scatola piatta e lunga in mano.
- Oggi ci mangiamo tutti un po' di pizza per cena, okay? Oh ... che facce che avete, ragazzi. E' successo qualcosa? - chiese poi, appoggiando la pizza al centro del tavolo con un sorriso premuroso.
- Bobby, ti ricordi per caso di questa famosa Suzette? - chiese Mark, alzandosi dal divano.
- Sì, la ex di Erik … perchè? -
- … ecco, viene domani. -
- What ... - mormorò Bobby, stringendo il coltello che stava utilizzando per tagliare la pizza. - Domani? Ma …! Come … è uno scherzo? -
- Non scherzo mai su queste cose, Bobby. Viene domani, con tutta la sua squadra. Ci alleneremo un po' insieme, poi si vedrà, insomma ... -
Bobby improvvisamente lacerò la scatola di cartone con la punta del coltello, e Mark fece un salto all'indietro, deglutendo. - Cosa … con tutta la squadra ... e Erik come sta … è morto, svenuto, impallidito … ha vomitato, per caso? Ha preso cocaina, morfina, doping, o delle pillole strane? Avete controllato se mentre ve lo diceva aveva un macete dietro la schiena, o se ora c'è del sangue in camera sua? Le finestre sono tutte chiuse, almeno? … speriamo non si sia buttato ... -
- Non posso assicurartelo ma … è rimasto piuttosto traumatizzato … forse dovresti andare a parlargli … -
- Lo trovi in bagno. - s'intromise Dylan, cacciandosi sei patatine in bocca, per poi pulirsi il ketchup dalle labbra con il braccio.
Bobby gemette e se ne andò dalla cucina lasciando la pizza nelle mani di Mark, poi bussò alla porta del WC. - Erik, ci sei …? -
- No, non ci sono … -
- Sono Bobby. -
- Ciao Bobby … -
- Apri la porta, dai, che la pizza è pronta … -
- No, non la apro, la porta … e lasciami morire in pace, ti prego … non ho fame e non sono in vena di compagnia e risate, adesso … - ribatté il castano, sospirando amaramente.
- Sicuro di non volerne proprio una fetta? -
- No … no, grazie. Mangiate voi, e poi lasciatemene un po' ... -
- Come vuoi tu, Erik … - mormorò Bobby, lasciandolo solo. Quando tornò in cucina si recò al tavolo e, una volta che si fu accomodato su una sedia, s'incastrò il mento fra le mani. Mark, Dylan e il resto della Unicorno lo guardarono, in attesa. - Ragazzi, non esce. E' a pezzi. -

- Che bello, finalmente potrò rivedere il mio tesorinooooo!!! - strillò Suzette, sedendosi in aereo tutta gitata. Esther, che le era accanto, aprì una rivista di moda con aria disinteressata. Ne a lei ne alle altre interessava particolarmente allenarsi con la Unicorno, però era da tempo che non facevano altro che parlare di questo “evento”. Sopratutto quando di mezzo c'erano 17, bellissimi ragazzi americani.
- Questo "tesorino" è per caso il ragazzo che stavi sbaciucchiando quando io e la squadra ti cercavamo per gli allenamenti? -
- Sì! -
- E' orrendo. -
- Grazie … - sbottò il Capitano della Tripla C, incrociando le braccia al petto. - Come sei sincera. -
- Dai, che scherzo … è carino, ha un faccino molto dolce. -
- Wow, che emozione!!! - esclamò ad un certo punto Daisy, voltandosi dal sedile anteriore con un biscotto in bocca. - Ci pensate? Andremo negli Stati Uniti! In mezzo alle patatine e agli hot-dog!! -
- Prima ingoia il biscottino, però … altrimenti rischi di morire soffocata … - mormorò Hellen con aria preoccupata, già preparandosi per andare a dormire. Odiava l'aereo. Non poteva tollerare di stare più di 10 ore infilata lì dentro, al chiuso, senza vedere il sole, la terra, gli uccellini e il suo viso riflesso nello specchio. Nemmeno le pillole riuscivano a calmarla. Era pura fobia.
- Ragazze, gli USA, dannazione … - riprese il portiere della CCC, dopo aver ingoiato il biscotto senza nemmeno averlo masticato. - … ogni persona vorrebbe essere al posto nostro, in questo momento!!! WOW, datemi qualcosa da strizzare, altrimenti muoio!!! - Le ragazze risero, divertite. In effetti non capitava tutti i giorni di andare negli Stati Uniti ... - E poi mi hanno detto che il capitano della Unicorno è davvero bello … -
- Ah, sì …? - scattò all'attenti mezza squadra, drizzando le orecchie. Eh, quando si parlava di ragazzi ...
- Mh, mh … non per questo è il figlio della famosa modella HanaGrace McAlister. - rincarò la dose Suzette, annuendo.
- Oh, mioddio!!! - gemette Dell, posandosi le mani davanti alla bocca. Se c'era cosa che amava di più oltre ai cappelli (ne indossava uno ad ogni occasione) era HanaGrace, il suo mito. - La mia modella preferita!!! Quindi il ragazzo che presto avremo piacere di conoscere è … Mark Kruger? -
- Esatto! - confermò Daisy, ridendo.
- Mai sentito. - mentì Esther, scuotendo il capo con noia.
Suzette le tirò una spallata. - Vedrai, ti piacerà. -
- Mh, non vedo l'ora di conoscerlo, infatti … - mentì ancora l'altra, tirandosi all'indietro i capelli color aubergine. Lo sapeva benissimo chi era Mark Kruger: a parte essersi sorbita tutte le sue partite alla TV (sconfitte incluse) perchè suo fratello lo adorava, le sapeva di un ragazzo ricco, viziato e ipocrita. Uno da odiare. Non che fosse una ragazza brusca o altro, anzi, lei era una tipa sempre allegra, grintosa e vivace, amava dare una mano e scherzava sempre. Ma il calcio e gli Stati Uniti non erano proprio il suo genere, quindi non trovava logica nel stare ad ascoltare le sue amiche. Con questo pensiero si disconnesse dal mondo e riprese a leggere la sua rivista di moda, così come Hellen, che, una volta appoggiata la testa sul cuscino, cominciò a russare.


Angolino_Eterno
*oggi a casa mia si è deciso che è il compleanno di Mark ^-^* Io: auguri, tesoro!!
Mark: non è bello compiere 31 anni … :(
Io: ma dai, che sei ancora giovane!!
Ecco qui l'inizio di una serie di guai e cotte e amori e molta roba fluffuosa, non so se mi spiego (?).
Come vi è sembrato il 1°capitolo?
Mi raccomando, tutto quello che vi passa per la testa potete farmelo sapere con le vostre recensioni, che ne ho bisogno!! Ripeto: è solo l'inizio di una carrellata di casini, per cui prendete pure pop corn e patatine e mettetevi comodi sul divano. *non c'è anima viva che lo fa* VA BENE, va bene … con questo vi saluto, ci vediamo al prossimo capitolo, baci!!
Ah, una cosa; HanaGrace McAlister l'ho inventata io ^.^.
Ciaù!
Lucy

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Capitolo 2
*** L'arrivo della Tripla C ***


 

L'ARRIVO DELLA TRIPLA C   

- Erik … Erik ascoltami, rilassati … Suzette non ti può vedere ridotto così, o ti starà ancora più addosso. -
- No … - mormorò Erik, poggiando il capo sulla spalla di Bobby. Era distrutto, angosciato, ansioso, emozionato, triste, disperato e nervoso al contempo. Mai nessuna ragazza lo aveva messo in croce in quel modo così sofferente. Non che fosse un tipo strambo o timoroso, per carità. Lui adorava le ragazze. Ma non Suzette. Non era il suo tipo, si comportava in quel modo distaccato con lei solo perchè desiderava al più presto che capisse che il suo cuore batteva per Silvia, e non per le sue estreme (e inutili) attenzioni. - Non ce la posso fare … - ammise dopo un attimo di silenzio, emettendo un sospiro. - Io sono innamorato di Silvia, eppure quella non lo vuole capire … credevo avesse intuito che tra noi era finita, invece no! -
L'amico gli batté la mano sulla spalla più volte, scuotendo amaramente il capo. - Sono dispiaciuto per te, fratello. Ma ricordi cosa ti ha detto Mark? Cerca di apparire fresco e riposato. Ti vuole carico per gli allenamenti, non può perdere una stella calcistica del tuo calibro solo per una ragazza. -
- Sì, lo so … - rispose il castano, tirando su la testa. Mark aveva ragione, pienamente ragione. Non poteva a continuare a soffrire in quel modo patetico, soprattutto per ben tre, validissimi motivi.
Motivo numero uno: quando imprecava la notte nessuno chiudeva occhio, e il giorno dopo, a causa sua tutti si svegliavano intontiti come drogati;
Motivo numero due: agli allenamenti era moscio come una foglia d'autunno appena stata spappolata dalla pioggia;
Motivo numero tre: Suzette era solo un'ingenua ragazzina di dodici anni, niente più.
- Si nota che ho pianto? -
- Abbastanza. - ribatté Bobby, prestandogli un fazzoletto.
- Grandioso, che bella notizia … thank you. -
- Don't worry. -
Ad un certo punto a interrompere la loro inutile conversazione fu una hostess che comparì da dietro una porta con affianco diciassette ragazze sperdute. Il suo passo era lento, i capelli biondi raccolti in un chignon parevano spettinati come se ualcuno l'avesse fatta sgobbare per un mese intero, senza sosta. Erik lanciò un'occhiata comprensiva alla donna, le braccia incrociate al petto. La capiva perfettamente, Suzette non era solo una tipa tutto rossetti e vestiti carini, ma era anche una ragazza veramente stancante. Alla vista di Erik quest'ultima si illuminò fino a brillare. - Tesorino? - fece, lasciando cadere le valige sopra il piede di Hellen, che era ancora mezza addormentata e che quindi non cambiò la sua solita espressione stanca quando si sentì spiaccicare le dita dei piedi. Fortuna che le pillole non funzionavano. Ma del resto, non era l'unica ad essere stordita. L'aereo durante quell'interminabile viaggio aveva subito delle turbolenze terribili, e mezza Tripla C non si reggeva in piedi dalla stanchezza. Erano tutte morte di sonno. Beh, tutte meno una, che ormai illuminava tutta Los Angeles da sola. - Tesorino, sei tu? -
- Sì … - gemette d'angoscia l'americano, facendo due passi all' indietro.
- OMMIOOODDIOOO, TESORINOOOOOOOOOOO!!! - urlò la ragazza dopo un minuto di silenzio interdetto, saltandogli al collo e baciandolo sdolcinatamente sulle labbra, nelle guance, vicino alle orecchie, sul naso e sul collo.
Bobby rise, fingendosi divertito. - Ciao, Suzette, che piacere rivederti! -
- Ah, che sorpresa, Bobby!! - Suzette lasciò finalmente respirare Erik e abbracciò anche il difensore, stringendolo però con più cautela. - Come mai Mark, Dylan e gli altri non sono venuti a prenderci? -
- Stanno sistemando le camere per voi. - spiegò Bobby, facendo cenno alle altre ragazze di seguirlo, che Mac, ovvero l'allenatore, li stava aspettando con il suo pick-up dall'altro lato della strada. La Tripla C cominciò a trascinarsi dietro di lui a passi pesanti, stanchissime.
- Almeno i letti sono comodi? - chiese d'improvviso Esther, sbadigliando.
- Ma certo – annuì Bobby, cercando di fare amicizia. -  forse sono un po' maschili, ma i genitori di Mark sono riusciti a permettersi il massimo del comfort, quindi non vi preoccupate di questo. -
- Ma certo porca miseria, lui è Mark Kruger, figlio di … - Dell venne immediatamente bloccata dalla mora, che le premette velocemente due dita in bocca. Detestava sentir parlare di Kruger, non ne poteva più. Solo un altra parola e lo avrebbe strozzato fino alla morte.
- Abbiamo capito, figlio di HanaGrace, sì … -
- Lo sapevate? - s'intromise Erik, a dovuta distanza da Suzette. La sicurezza prima di tutto.
- Ma certo che sì, chi non conosce Mark Kruger!! Dicono abbia uno stile affascinante, che l'eleganza sia il suo punto di forza!!!! - esclamò la ragazza col cappello, ignorando i lamenti e le bestemmie di Esther. Parlare di moda la faceva sempre riprendere da ogni cosa. Non che provasse dei sentimenti per Kruger: lo stimava solo perchè era figlio di HanaGrace. Fin da piccola infatti aveva abbellito i muri bianchi della sua stanza con i poster di quella donna eccezionale. Se avesse avuto l'occasione di conoscerla, sarebbe stata la prima a stringerle la mano.
- Mioddio, che stanchezza … - mugugnò Hellen socchiudendo i suoi languidi occhi grigiastri, smili a nuvoloni carichi di pioggia e tuoni. - Non ce la faccio più, mi si piegano le ginocchia … non vedo l'ora di stendermi sul materasso e di stiracchiarmi fra le lenzuola, in mezzo a cuscini morbidissimi … -
- HELLEN HEART?! - urlarono tutte e 17 le ragazze, puntandole gli occhi addosso. - EVITA DI RICORDACI QUANTO E' BELLO DORMIRE, GRAZIE!! -
- Sì, scusate ragazze … -
- Beh, state tranquille, domani non si partirà subito con gli allenamenti: io e Mark ci occuperemo personalmente di farvi vedere un po' di cose, così vi orienterete meglio. - le rassicurò Bobby, voltandosi per guardarle negli occhi. In un modo o nell'altro non erano così temibili come raccontava Erik; anzi, alcune erano ragazze bellissime. Dell indossava il suo inseparabile cappellino bianco in testa e un vestito di seta color panna, Hellen si era ristretta in una tutina da fitness color caramella, Esther, la ragazza più formosa di tutte e 17, metteva in risalto le sue curve infilata in un top americano e in un paio di pantaloncini di jeans sino alla coscia (questo a Dylan avrebbe fatto molto piacere), Daisy anche lei in tuta attillata e Suzette indossava una camicetta smanicata di un rosa acceso e dei jeans stretti, strappati. Erano tutte vestite molto bene, ciascuna aveva afferrato a pieno il proprio stile. Probabilmente il loro modo di vestire indicava non solo il loro gusto giovanile, ma anche la propria, unica, inimitabile personalità. Ecco, questa era un'abilità che i maschi sicuramente non avevano.
- Ragazze, vi avverto … avete tempo fino a domani per rilassarvi. Mark è un tipo piuttosto sbrigativo, quindi praticamente dal terzo giorno vi vuole già in campo. - le ammonì Erik, ridendo.
- No … - si lamentò Esther, stiracchiandosi. - Questo Mark chiede e pretende troppo da una come me. Io ho bisogno di dormire con tranquillità, l'ansia deve sparire dal mio cervello; solo così mi si apriranno i pori della pelle per eliminare le tossine … Mark Kruger dovrebbe saperlo, se è intelligente. -
- Su ragazze, dai, smettetela! - esclamò Suzette, eccitatissima. - Non siamo qui solo per andare a caccia di ragazzi e vestiti all'ultima moda, siamo qui anche per migliorare il nostro gioco!! Non è così, tesoruccio …? -
- Certo, Suzette, tutto quel … - Erik all'improvviso si bloccò, perchè aveva sentito un brontolio sinistro provenire da una delle 17 ragazze.
Daisy si poggiò rapidamente due mani sulla sua enorme pancia, arrossendo. - Ehm, scusate, è la fame … -
- Ma abbiamo già mangiato in aereo, Daisy! - esclamò Esther, esasperata.
- Eh, lo so, ma io ho sempre una fame da lupi, lo sai … -
- Ragazzi - li avvertì Hellen, premurosa come sempre. - vi consiglio vivamente di compare più di 17 pizze, per noi … -
- Sì - continuò Dell, dopo essersi sistemata il cappellino sulla nuca. - Daisy non è mai piena se se ne mangia solo una. -
- D'accordo allora, lo terremo presente a Mark. -
- Wow, che bello, sono così felice di essere qui! - strillò all'improvviso Suzette, baciando Erik sulla guancia. Adesso brillava più del sole.
- Sento che sarà un'estate indimenticabile!! -
- Strano, anche io ho questo tuo stesso presentimento … - le rispose il castano, cercando di liberarsi gentilmente dalla sua presa, invano. Lui e Bobby si guardarono, complici: entrambi sapevano benissimo che quell'estate sarebbe stata un vero e proprio disastro. Si sistemarono tutti sul pick-up dell'allenatore, Erik e Bobby davanti (Bobby teneva in braccio Erik), Suzette, Hellen, Esther e Dell nei sedili posteriori e Daisy e le altre nel cofano, da dove si poteva godere di una vista bellissima. I grattacieli erano immersi in un intenso e afoso tramonto dagli arancioni e dai rosa più sgargianti, un vento tiepido soffiava per la città smuovendo le grandissime foglie verdi delle palme e la gente brulicava dentro i negozi, spingendosi a vicenda per acquistare vestiti di altamoda scontati del 50%.

Appena sentirono suonare il campanello Mark e Dylan si precipitarono giù dalle scale, ansanti; non era stato assolutamente facile sistemare 17 meravigliose camere da letto per 17 ragazze super esigenti, se poi mezza Unicorno praticamente non si era minimamente alzata dal divano. - Vado ad aprire io. - il Capitano fece un sospiro e andò ad aprire; alla vista della Tripla C tirò fuori il suo sorriso più smagliante. Era davvero felice di vederle. Dell emise un gemito e si portò le mani davanti alla bocca, più emozionata della altre; non ci poteva credere. Finalmente un incontro ravvicinato con il bellissimo Mark Kruger!!! Tutte le ragazze ricambiarono il sorriso, imbambolate. Persino Hellen si svegliò del tutto, davanti a quella bellezza talmente lucente da brillare addirittura più di Suzette. - Ciao! - le salutò con semplicità il ragazzo, mentre Erik, Bobby e Mac entravano nella sede della Unicorno, esausti. - Voi siete la Tripla C, giusto? -
- Sì! - rispose Suzette facendosi largo fra le ragazze, per poi stringere la mano del biondo come si osa fare fra Capitani. - Piacere, Suzette Hartland, amo l'America, il gelato e i cuccioli di foca! E Erik, ovviamente, ma questo ormai lo sa mezzo mondo, ah, ah, ah!! -
- Oh, ma certo, ehm ... beh, p- piacere mio!! - esclamò Mark con un sorriso, sorpreso da tanta ingenuità. Eppure gli bastò averla davanti per incantarsi del tutto. Da come l'aveva descritta Erik, per tutto questo tempo si era immaginato tutt'altra ragazza. Possibile rifiutare bellezza simile? Rimase a bocca aperta per qualche secondo, poi scosse il capo e rise. Non poteva essersi innamorato … impossibile. - Quindi stai con Erik, eh …? -
- Sì! Ufficiale. -
- Ah, ah … lui mi ha parlato molto di te. A- ahm, prego, entrate pure, fate come se foste a casa vostra! -
Le ragazze della Tripla C entrarono, curiose, poi cominciarono a guardarsi intorno. La sede della Unicorno era enorme, a due piani, con una cucina, un salotto, tre bagni e addirittura una sala-giochi. Insomma, i ragazzi l'avevano arredata davvero molto bene. I muri color panna riflettevano un po' ovunque la luce splendente del tramonto che andava via via affievolendosi, il pavimento era tutto piastrellato e in mezzo alla sala c'erano due grandi divani rossi, probabilmente morbidissimi. Dylan si avvicinò a loro, con un sorriso malizioso dipinto in faccia. - Bella, eh …? Le vostre camere lo sono di più. -
- Davvero, che bella notizia che mi hai dato!! - esclamò Esther, accaldata.
- … wow. Sei davvero carina. Carina e sexy. - le rispose il ragazzo con gli occhiali da sole, sgranando le sue iridi scure dall'incredulità.
- Chi io? - fece la mora, guardandosi l'abbigliamento. Arrossì. - Ci stai provando con me, per caso …? -
- Cos …! No, no, assolutamente no, io … -
Mark smise di fissare Suzette con la coda dell'occhio ed entrò rapidamente in conversazione, venendo incontro all'amico per tirarlo fuori dai guai. Dylan era pessimo con le ragazze, quindi lui lo aiutava sempre a portare avanti il discorso o a correggere quello che sparava dalla bocca senza nemmeno pensare. - Lui tende molto a sbavare dietro a ragazze del tuo genere, tranquilla. Diciamo che lo fa per abitudine, come se fosse una droga. -
La mora annuì, sorridendo con naturalezza. - Ok, meglio così. -
- WHAT?! - urlarono i due americani, sbalorditi. Non se l'aspettavano proprio una reazione del genere, da una femmina. Che mondo ancora tutto da scoprire che era, quello delle donne …
- Hai capito bene, tesoro; oltre al fatto che sei brutto già di tuo … -
- Ehi, come ti permetti!!! - ringhiò Dylan, offeso.
- Quegli occhiali ti stanno malissimo santo cielo, non sai nulla in fatto di moda!! - riprese Esther, passandosi una mano fra i capelli. - E poi sono tutti sporchi e appannati. Di', ma ce l'hai lo specchio …? E che acconciatura orribile, somigli ad un mostro!! E trovati uno stile più decente, le maniche della tua maglietta sembrano imbrattate di vomito!! -
La Unicorno rimase a bocca spalancata, specialmente Dylan, che ebbe un brivido di rabbia. - Certo che sei veramente tosta ... ehm … ahm … aspetta ... … ehm … your name? -
- Mi chiamo Esther, e sono tosta solo quando bisogna esserlo. - la ragazza prese le sue valigie, fiera, poi guardò Mark con un sorriso divertito. - E tu Kruger? Non ci guidi verso le nostre stanze ...? -
- Io … sì, certo, seguitemi. - le rispose l'americano, salendo le scale. - Venite pure di qua, prego. -

 

Angolino_Eterno
Dai, come si fa a scrivere questa schifezza schifezzosa (?), lunga 300 km e perlopiù senza alcun senso T-T …
Spero che almeno a voi vi sia piaciuto almeno un po'. Perché a me personalmente fa decisamente vomitare.
_Per cui capirò perfettamente se non riceverò neanche un breve messaggino sulla fic._
MI VERGOGNO DI AVER SCRITTO UNA ROBA SIMILE XD!!!
Ma sarà tipo la sesta volta che lo riscrivo tutto, questo dannato capitolo, e quindi mi è toccato pubblicarlo così, perchè la fic DEVE andare avanti, e non posso sgobbare su una minchiata del genere, dai.
Ci ho anche inserito un po' di descrizioni.
Non sono proprio il massimo in campo descrittivo (andate a leggere L'amore proibito di una Dea, quello si che è descrivere, sul serio *^*), ma mi auguro che le mie inutili soffermazioni sul paesaggio vi abbiano un po' aiutato ad immaginarvi le immagini nella mente.
Ok, adesso la smetto di rompere con questi discorsi osceni, hellé (?).
Mi raccomando, io vivo dei vostri commenti, quindi se volete farmi sapere non esitate a farlo, yeah? Ah … una cosa … perdonate se non ci sono i nomi giapponesi, ma in questa fic non li metterò … perchè faccio troppo casino XD!! Grazie per la vostra comprensione, ci vediamo al prossimo capitolo, se riuscirò a crearlo con facilità :)

Lucy

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Capitolo 3
*** Coppie e rivalità! Che il gioco abbia inizio! ***


COPPIE E RIVALITA'! CHE IL GIOCO ABBIA INIZIO!

Passato il meraviglioso giorno di tregua, ora che la Tripla C era in grado di orientarsi da sola, Mark decise che il momento di allenarsi era arrivato. Così, una volta radunate le due squadre in campo, spiegò il suo nuovo tipo di allenamento, del quale ne aveva discusso con Suzette la sera prima. - Faremo allenamento intensivo ogni giorno esclusa la domenica, dalle 9:00 alle 17:00. Anche se adesso effettivamente sono le 15:55 … non importa, vorrà dire che inizieremo un po' in ridardo. -
- Oddio, è tantissimo … ditemi che almeno faremo qualche pausa … - sgranò gli occhi Hellen, non abituata a stare in attività per così tanto tempo.
- Ma certo. - la rassicurò l'americano, sorridendole. - Potrete fare tutte le pause che vorrete. -
- Ah, ok, per un attimo ho temuto che non avremmo fatto pranzo! - gemette Daisy, confortata dalle dolci parole del ragazzo.
- Però questa volta io e la vostra fantastica Capitana Suzette abbiamo pensato a un nuovo tipo di allenamento. Non sarà il classico palleggiare al muro che si conclude sempre a partita. -
- Come ... - si allarmò Erik, che detestava non fare partite, dato che il calcio era la sua vita. - Questo vuole dire che non faremo più partite?! -
- No, tesorino, cosa dici … - gli si avvicinò Suzette, per poi soffocarlo con un abbraccio. Il castano guardò il cielo e iniziò a pregare Dio che gliela levassero di dosso al più presto, a differenza di Mark che stava diventando rosso di gelosia.
- Ma certo che faremo le partite. - disse, nervoso. - Durante tutto l'allenamento però al posto di allenarci singolarmente o a squadre ci metteremo a coppie, che poi rimarranno fisse fino alla fine di questi tre mesi che passerete con noi. E per coppie … - a questa frase alzò un po' la voce, dato che aveva già intravisto Esther e Dell affiancarsi e stringersi per mano, così come tante altre ragazze. - … intendo maschio e femmina. -
- COSA?! - urlò Daisy, sbalordita. La situazione iniziò a turbarla. Lei non aveva mai fatto coppia con un maschio fino ad ora.
- Sì! - Suzette finalmente lasciò respirare il povero Erik e si posizionò affianco a Mark, poi alzò un dito in aria. - Io e Mark riteniamo che mettersi maschio e femmina sarà un modo per fare amicizia e per conoscersi meglio. -
- Io la trovo una cosa interessante. Del resto solo conoscendosi si può arrivare a far brillare una squadra. - li sostenne Bobby, annuendo. - Ma chi ha stabilito le coppie? -
- A quello ci ha pensato Suzette. - gli rispose Mark, tirandosi fuori dal calzino un foglio piuttosto spiegazzato. Lo aprì e i suoi occhi iniziarono a scorrere sulle lettere. - Allora … - gli si piegò la bocca dalla gelosia, e le gote iniziarono a pizzicare. - Erik con Suzette. - sbottò, irritato. Suzette s'illuminò di gioia e si precipitò fra le braccia di Erik che, agitato, cercò di allontanarla. I suoi sforzi come al solito furono vani, così si vide costretto a sopportare le smanie appiccicose della ragazza per altri 3, lunghi mesi estivi. Addio vacanze. - Hellen con Bobby. - continuò a leggere il Capitano della Unicorno, fingendo di non vedere quella scena raccapricciante. Anche se si rifiutava di crederci, si era VERAMENTE innamorato di Suzette, e non stava scherzando; questo suo sentimento per lei cresceva ogni minuto di più, e poi non era sbagliato. Che Erik gliel'avrebbe sicuramente regalata per Silvia questo era sicuro. Se avesse potuto l'avrebbe già baciata in quelle sue labbra carnose. Hellen nel frattempo si era avvicinata a Bobby.
Il ragazzo le sorrise. - Cerchiamo di andare d'accordo, okay? Piacere, sono Bobby e odio litigare. -
- Ciao, io sono Hellen e beh …  - la difensora incrociò i suoi occhi grigi con quelli di lui, neri, e un brivido le percorse la spina dorsale. Ok, magari l'altro ieri non l'aveva visto bene, ma Bobby da vicino era molto più carino di quanto non volesse darlo a notare. Mento quadrato, naso lungo, capelli azzurrini, spalle larghe, addome stretto e pelle abbronzatissima. - ... che dire … sono una ragazza molto dolce e piuttosto timida, quindi non penso che arriveremo a strapparci i capelli. -
Shearer rise e addolcì lo sguardo. - No, tranquilla. -
- Dell con Michael e Daisy con Dylan. - riprese Mark, poi dopo una serie di nomi arrivò finalmente il suo turno. Accortosi che era l'ultimo ad essere stato citato nella lista mise via il foglio e alzò lo sguardo per posarlo su Esther. A quanto pare spettava a lui il compito di domare la ragazza più dura e sexy del gruppo. Sarebbe stato facilissimo. - E così rimaniamo solo noi due … -
- Questo l'avevo capito anche io. - sbottò la ragazza, apparentemente nervosa. Si sistemò i capelli per scacciare l'agitazione e gli venne incontro. Come comportarsi con un perfido biondo viziato non lo sapeva, ma di una cosa era certa. Non sarebbero diventati amici. - Con cosa vuoi iniziare? -
- Io direi … con un po' di passaggi. Voglio capire il tuo stile di gioco, prima. - propose Mark, lieto di risponderle. Andarono insieme a procurarsi un pallone e si sistemarono sul lato destro del campo da calcio, ombreggiato dai rami degli alberi. L'americano posò la palla per terra e la passò con delicatezza a Esther pronto a riceverla di nuovo, ma la ragazza al posto di collaborare preferì lanciargliela direttamente nella pancia, e lo fece con una potenza così micidiale da ribaltarlo all'indietro e da fargli sbattere la testa contro la rete che divideva il campo dal parcheggio e quindi dai maestosi grattacieli di Los Angeles.
- Dai, Kruger, non dirmi che ti sei fatto male ... - lo provocò, ridendo con perfidia. - Su, alzati, forza!! -
- My God … - si sollevò da terra il biondo, piuttosto frastornato. - Non sei solo stronza, sei anche forte … -
- Ma certo che sono forte. - sorrise la mora, scostandosi i capelli dalle spalle. In genere non era una ragazza vanitosa, ma odiava quel ragazzo, e ci teneva ad apparirgli superiore. - Forte e bella. -
Al biondo venne da ridere. “Forte sì, ma bella ...” pensò, scuotendo il capo.
- Mi avevi sottovalutata, per caso …? -
- No, io … - l'americano la guardò negli occhi, divertito, e leggendole le palpebre nere come l'ebano riuscì a capire al volo a che gioco stava giocando la ragazza. - Ok, l'hai voluto tu. Accetto la sfida. -
- Molto bene … tocca a te. -
Intanto che Mark si occupava di Esther e Esther a sua volta si occupava di Mark, per Hellen e Bobby le cose erano molto più piacevoli e rilassanti; andavano d'accordo su tutto e ben presto strinsero un buon legame, a differenza di Suzette e Erik che già si conoscevano da tempo, di tutte le altre ragazze che avrebbero tanto voluto capitare con Mark e di Dell che non aveva niente da dire a Michael dato che il famoso cantante non le stava molto simpatico. Le cose invece risultarono piuttosto difficili per Daisy e Dylan. Non essendo abituata ad allenarsi con un ragazzo, non sapeva proprio con che piede iniziare la conversazione, e per un po' rimasero in silenzio a guardare gli uccellini. - Allora … - ruppe il silenzio Dylan, vedendola in estrema difficoltà. Del resto lui a stringere nuove amicizie era un esperto, a parte ieri con Esther che lo aveva insultato. - Sei un portiere, giusto? -
- Sì … - mormorò Daisy, arrossendo.
- Perchè non mi fai vedere che cosa sei in grado di fare? -
- Io … veramente non sono molto brava … -
- Come no, suvvia!! - rise Dylan. - Mettiti in porta, dai. Provo a farti qualche tiro. -
- Mh … - cadde in preda al panico Daisy, guardando in basso. - Io … non so se … - non riuscì nemmeno a finire di parlare che un pallone le arrivò dritto in faccia, sbarandoglia contro la rete.
- Oh, God!! - gemette Dylan, venendole incontro. Quello che voleva evitare era successo. Le tese una mano e l'aiutò ad alzarsi. - I'm sorry … non lo faccio apposta, credimi, ormai è diventata un'abitudine … - cercò di giustificarsi, rosso in volto.
- No, tranquillo, tranquillo … - lo rassicurò Daisy, cercando di trattenere le lacrime. - Almeno l'ho parata … - il ragazzo con gli occhiali non poté non ridere alla battuta, e così ridacchiò anche lei. Questo la rallegrò molto. - Dai, riproviamo. - disse, posizionandosi di nuovo nell'area del portiere.
- Okay. - Dylan tirò di nuovo in porta e questa volta Daisy parò il tiro con meno difficoltò. - Wow! - esclamò, sorpreso. - Complimenti! -
- Grazie … -
Le due squadre andarono avanti così fino alle 16:00, poi Erik, che di collaborare con Suzette non se ne parlava proprio, propose di fare questa benedetta partita. Anche gli altri furono d'accordo.
- Wow! Unicorno VS Tripla C!! Sarà emozionate!! - esclamò Hellen, sistemandosi in difesa.
- Già … - le rispose Dell, divertita. - Come vi sono sembrati i ragazzi? -
Daisy arrossì. - Dylan si è dimostrato molto gentile … beh, sì, un po' matto … ma davvero grazioso. -
- Bobby invece è simpaticissimo e carino, siccome anche lui è un difensore mi ha insegnato tantissime cose! Penso che andremo d'accordo! - fu fiera di annunciare Hellen, soddisfatta delle prestazioni del suo nuovo compagno di cui forse quasi probabilmente si era innamorata.
- E te? - chiese Dell a Esther, tirandole una spallata. - Come va con il bellissimo Mark Kruger? -
- Mark? Pessimo, non capisce un cazzo, e poi prima l'ho buttato giù come se fosse una fogliolina, questo vuole dire che è un perfetto idiota impreparato all'imprevedibile. Insomma … -
- Allora, ragazze, tutte pronte? - la voce squillante di Suzette le distrasse dall'argomento, riportandole al presente. - Chi inizia? - chiese poi, rivolgendosi a Mark.
L'americano le andò incontro e per sbaglio gli sfuggì un sospiro di piacere. Avere due occhioni argentati a fissarti con simpatia e gentilezza non era facile da sorreggere ... specialmente se queste due pietre grigie appartenevano a Suzette Heartland, che di certo da quel giorno in poi avrebbe accompagnato i suoi sogni più dolci. - Che ne dici di fare “Pari o Dispari”? -
- Ok! Io Dispari! -
- E io pari. - Mark buttò giù il quattro e contemporaneamente Suzette allargò le dita in un bel cinque.
- Dispari mio! Tié! - il Capitano della Tripla C prese la palla e diede il via alla partita con un bel calcio in aria. - Tanto vinceremo noi! -
- Lo vedremo. -
Gli americani vinsero 23 a 0.
Basti dire che la Tripla C fu un completo disastro. Praticamente aveva fatto tutto Suzette, senza lasciare spazio alle altre ragazze che, arrabbiate, logicamente si erano rifiutate di seguire gli ordini. Ma forse la loro schiacciante perdita era anche stata data dal fatto che si era trattato di sfidare la Unicorno, squadra fortissima e conosciuta in tutti gli Stati Uniti, che anche se aveva perso il FFI era ancora l'idolo del calcio giovanile americano. Però a sua volta la squadra era strapiena di fighi pazzeschi biondi dagli occhi azzurri, e quindi quando si perde la testa per un ragazzo è facile incantarsi ai suoi occhi piuttosto che concentrarsi sul pallone. E quasi tutte erano rimaste incollate a fissare Mark. Dopo cena le ragazze si chiusero tutte in camera di Suzette, irritate. - Non è giusto, però. - iniziò a lamentarsi Dell, imbronciata. - Loro sono maschi, potevano andarci piano ... -
- Maschi carini, perlopiù … - sorrise Hellen, guardando un punto nel vuoto come se lì ci fosse Bobby a fissarla con amore.
Esther alzò un sopracciglio. - Carini?! Sono tutti orrendi!! SOPRATTUTTO MARK! E poi se abbiamo perso è stato per colpa di “certa gente che si crede il capo del mondo”! -
- Oh, suvvia … - arrossì Suzette, grattandosi fra i capelli. Sapeva che in parte se avevano perso era solo a causa sua. - Ormai mi conoscete bene, sapete come sono fatta … ogni tanto mi monto la testa ... -
- Ok, Suzette, è vero, ma è la prima volta che ti comporti così! - le costò ammettere Daisy, anche lei un po' irritata e delusa. - Tutte le volte che ci sono dei ragazzi pretendi i riflettori addosso! -
- Ci hai escluse. - mormorò Hellen, riassumendo tutto il discorso. - La partita era un modo per dimostare di che pasta siamo fatte, grazie a te ci hai fatto fare la figura delle cretine. -
- Dai … non sarete arrabbiate con me, spero. - si preoccupò Suzette, sentendosi in colpa. - Mi dispiace ragazze, ogni volta che vedo dei ragazzi perdo il controllo, è vero, ma sapete che lo faccio senza pensare … -
- E dai, da una parte siamo state anche noi, che in mezzo a tutti quei bei fighi ci siamo lasciate un po' andare … - fece presente Dell, prendendo finalmente le parti dell'amica. - Insomma, cosa si deve fare quando uno bello come Mark Kruger ti vuole fregare la palla … -
- Già, non ti posso biasimare. - l'affiancò Hellen, scuotendo le spalle.
- Quindi siete arrabbiate con me? -
- Sì, ma … - Esther prese un cuscino e sorrise con estrema dolcezza, come solo lei sapeva fare. - … chi ci nega di fare una lotta con i cuscini? -
Le altre si guardarono e scoppiarono a ridere, poi iniziarono a lanciarsi cuscinate a vicenda e la questione fu dimenticata l'indomani.

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Capitolo 4
*** Un semplice abbraccio ***


UN SEMPLICE ABBRACCIO


Quel giorno il cielo chiaro di Los Angeles splendeva, agli occhi dei suoi abitanti. Le finestre dei maestosi grattacieli grigiastri riflettevano i raggi abbaglianti del sole un po' per tutte le strade trafficate, e le foglie dentate delle palme danzavano col caldo vento estivo, giunto dall'Oceano Pacifico per portare alla caotica città un sapore più marino. - Okay, guys! - la voce pacata di Mark raggiunse le orecchie di tutti. - E' la giornata perfetta per fare un po' di allenamento! -
- E' vero, c'è un sole che spacca! - esclamò Dell, che da tempo tentava di dare alla sua pelle un colorito più roseo del solito che aveva fin dalla nascita.
- Già! Concordo! - il biondo si mise le mani sui fianchi e lasciò che il vento gli accarezzasse i capelli color miele. Quel giorno era davvero la giornata perfetta per valutare il potenziale della Tripla C. E per capire anche che tipo di sfida gli avesse lanciato la sua rivale, Esther.
- Su cosa ci alleneremo today? - domandò Dylan, curioso.
- Sulla resistenza. -
- Ah, il mio forte! - dichiarò Esther, scostandosi i capelli dalle spalle con un determinato strattone del collo.
- Cercheremo di lavorare sui muscoli delle gambe, e mostreremo tutto quello che abbiamo appreso a fine allenamento, durante la partita. Il caldo estivo è anche a nostro favore: cerchiamo di sfruttare quello che ci da il sole. La fatica oggi sarà la nostra migliore amica. -
- Ben detto, Mark!! - esclamò Suzette.
- Erik, tesorinoooo? -
- Dimmi, Suzette, sono qui, vicino a te … -
- Che ne dici se iniziamo con una corsetta? -
- Why not. -
- Ah, fantastico! - la ragazza prese il suo “presunto” fidanzato per una mano, poi iniziò a trascinarselo dietro per tutto il perimetro del campo.
Mark si morse il labbro inferiore e incrociò le braccia al petto, geloso. Ok, impazziva per Suzette, e vederla così attaccata a Erik lo mandava in confusione. Faceva fatica a crederci anche lui, ma in lei trovata tutto molto delizioso. Forse era l'amico quello strano, fra i due. Come si poteva ignorare una ragazza di simile simpatia, proprio non capiva. A fargli sparire il broncio fu Esther, che lo stava fissando con faccia MOLTO sospettosa. - Allora, ci alleniamo? -
- Sì, sì, subito. - l'americano, lievemente rosso in volto, distolse lo sguardo da Suzette e Erik che correvano e si concentrò sul suo compito.
- Che cosa pensavi di fare, oggi? - gli chiese lei, fissandolo con ancora più sospetto, gli occhi taglienti e il sottile sopracciglio sinistro alzato al massimo.
- Ah, vediamo un po' … dunque … ci sono! Potremmo fare un po' … -
- Va bene, decido io! - lo interruppe di colpo Esther, tendendo una mano in avanti per zittirlo. - Siccome ci dobbiamo allenare sulla resistenza alle gambe, oggi faremo un po' di stretching a modo mio. -
- A modo tuo, capisco. -
- Vedrai, è utile!! - improvvisamente la mora si stese sull'erba fresca del prato, poi sollevò le gambe al cielo e guardò il ragazzo negli occhi, che senza accorgersene le faceva ombra con i capelli.
- Oh, darling, non vorrai fare sul serio, spero … -
Esther arrossì, capendo al volo la battuta. - Che cosa hai capito, cretino che non sei altro! -
- Dai!! - Mark rise. - Scherzavo! Lo dicevo per sfotterti un po'. -
- Beh, non è stato divertente … forza, afferra le mie gambe e spingi. -
- Ahah … - l'americano alzò un sopracciglio, mentre un sorriso malizioso gli tagliava la faccia. - Ehi, baby, allora dicevi per davvero … -
- Oh, Kruger, dai! - la ragazza, irritata, per poco così e ormai non gli spaccava la faccia con i tacchetti delle scarpe. - Afferrami le caviglie e non fare tanti commenti! -
- Okay, okay, era solo una battuta, voi donne prendete tutto molto sul serio … - il biondo le avvolse le morbide caviglie fra le dita, scuotendo il capo con un mezzo sorriso stampato in volto. - Certo che sei una tipa tosta, eh … -
- Lo so, e ne vado fiera: ora poche chiacchiere e spingi, che ho intenzione di migliorare. -
Mark obbedì, non avendo alcuna alternativa: iniziò a premere energicamente il suo petto contro le gambe di lei, nel cui viso si dipinse una smorfia di dolore, e quando aumentò la potenza della spinta la sentì gemere più volte. - Ti faccio male? - le chiese, preoccupato.
- No … no, anzi, se puoi spingi più forte … - mormorò Esther, tentando di non ansimare. E quando il ragazzo ripartì iniziò a provocarlo un po', perchè la situazione stava innervosendo entrambi. - Comunque, Kruger … -
- Yes? -
- Sappi che solo perchè faccio allenamento con te non vuole dire che ti voglia bene o che … che nutra simpatia nei tuoi confronti. - ammise Esther, secca. Non stava scherzando, la pensava in questo modo da quando erano compagni di allenamento, e non avrebbe cambiato idea su questo. Lo detestava, detestava il suo modo di parlare, di ridere, di esprimersi a lei, odiava i suoi capelli biondicci, le sue labbra meravigliose, il suo profumo e il suo sorriso adorabile. Ma era da un po' di tempo che si perdeva nei suoi occhi chiari come due pozze d'acqua, e doveva stare attenta a non cadere in tentazione. Anche perchè forse quel suo odio per lui poteva essere una semplice cotta estiva. Mark d'altro canto la guardò, incredulo. Non era abituato a ragazze come Esther, non gli erano mai piaciute, e quella frase in qualche modo riuscì a ferirlo, sebbene lievemente. - Anzi, se devo essere sincera … - la ragazza gemette più forte del previsto e strappò alcuni fili d'erba, perchè l'americano per sbaglio le stava tendendo le gambe con fare brusco e potente. - Non mi fai impazzire, come ragazzo … -
- Non ti devo far impazzire per starti simpatico ed esserti amico. - ribatté Mark, serio e deluso.
- Ti credi importante solo perchè sei figlio di HanaGrace Mcalister e perchè contro il Giappone, al FFI … -
- Mi hai visto giocare in TV …? -
- AHHIIIIII!! - strillò la mora, sentendosi tirare dolorosamente i muscoli delle gambe, mentre faccia e collo ormai sgocciolavano di sudore.
- I'm sorry! Ti sei fatta male?! - si allarmò Mark, allentando la presa.
Esther arrossì e lo guardò, a occhi sgranati. Il tono del ragazzo e il fatto che si preoccupasse per lei le faceva solo piacere, ma non si scompose. - Senti, sono un essere umano, non un letto, quindi se magari non ti stendi e eviti anche di stiracchiarti mi fai solo un favore! -
- Va bene, calma, non ti ho mica uccisa!! -
- A- ad ogni modo no, non ti seguo, ma mio fratello ti stima tanto, non lo capisco … e come stavo dicendo prima … al FFI hai persino invitato il presidente, ma ti avverto: i miei vicini di casa con il loro cane schizzofrenico sono più famosi. E sappi che il tuo esperimento su me non funziona, no … quindi poche smancerie, se possibile evitami, o prenderò quel tuo musino da volpe a pugni. -
L'americano esitò prima di risponderle. Non sapeva se ridere, spezzarle le gambe con uno strattone deciso o semplicemente ignorarla. Proprio a lui doveva capitare una ragazza così bellica e aggressiva? Perlopiù fra altre 17 tutte molto più disponibili a instaurare un legame d'amicizia? Aggrottò le sopracciglia e smise di guardarla. - Pensala come vuoi, dolcezza. Tanto ho già capito che con te sarà difficile fare amicizia, visto che qualche giorno fa hai fatto sprofondare Dylan nell'imbarazzo più assoluto. -
- Certo, se lo meritava, è un cafone! - sbottò Esther, mordendosi il labbro inferiore per tentare di sopportare il dolore ai tendini, allucinante. - Come te del resto … -
L'americano la fulminò con lo sguardo, ma questo non servì ad intimorirla, e senza aggiungere altro si concentrò sull'allenamento, duro e faticoso sia per lei che in qualche modo per lui. - Adesso basta così … - dichiarò Esther dopo qualche altro minuto di tiramenti, esausta. - … forza … - disse poi, alzandosi da terra. - stenditi. -
- Stendermi?! ME?! -
- Sì!! - la difensora lo afferrò per il colletto e riuscì a buttarlo fra l'erba, poi gli sollevò con forza le gambe e prima che Mark potesse ribattere si spinse contro di esse con rabbia. Lo sentì gemere debolmente e un sorriso di vendetta le solcò il volto, ancora sudato per prima. E se ormai questi due si staccavano le gambe a forza di piegare e piegare, Bobby e Hellen insieme erano come zucchero filato, vederli allenarsi metteva molta allegria.
- Allora? -
- Allora? -
Il difensore della Unicorno guardò la ragazza, curioso. - Te la cavi con la corsa? -
- Diciamo che non è il mio forte … - gli rispose Hellen, guardando in basso. - E poi ieri abbiamo fatto una figuraccia, in partita … -
- No, perchè dici così … -
- Abbiamo perso 23 a 0, ci avete bombardate di goal! - arrossì la difensora, delusa dalle sue prestazioni e da quelle a malapena scarse delle sue amiche. Bobby le posò una mano sulla spalla, e inaspettatamente le gote paffute della ragazza si colorarono di un rosa caramella, che si intonava alla perfezione con i capelli.
- Ah, ma non è colpa vostra, forse siamo stati noi quelli a sbagliare, non potevamo pretendere di certo i Piccoli Giganti, la Orfeo o la Inazuma … -
- Sì, ma comunque è stato abbastanza umiliante … -
- Come on, tranquilla, recupererai in questa partitella, ne sono sicuro. Ora però alleniamoci. -
- Sì! -
- Ecco che cosa mi balenava per la testa: partendo da qui dobbiamo correre verso l'altra metà del campo, toccare la rete e ritornare indietro. Ci stai? - le spiegò Bobby, sperando in un sì.
- Ok! - annuì Hellen, mettendosi in posizione di partenza, accanto a lui. Lo fissò. Collo abbronzato, capelli d' argento e cuore d'oro … era Bobby il ragazzo dei suoi sogni. - Pronti … partenza … via! - urlò poi, motivata. I due non persero un minuto di più. Al via sfrecciarono direttamente in direzione della rete, tendendo una mano per raggiungere e toccare per primi quei dannati fili metallici. E questo, oltre che a prendersi per le gambe nel caso di Mark e Esther, a rincorrersi intorno al campo nel caso di Erik (vittima) e Suzette (predatore) e ad allenarsi singolarmente nel caso di Dell e Michael, che di compagnia non ne voleva sapere, era uno degli allenamenti più normali. Perchè quello di Dylan era completamente fuori luogo, fuori tempo e fuori norma.
- Okay … - il bomber della Unicorno guardò la sua compagna d'allenamento, Daisy. - Are you ready? -
- Uh? - la ragazza si indicò, battendo le ciglia più volte. - Dici a me? -
- Eh, direi! -
- Ready per cosa, scusa. -
- Ah, giusto!! - il ragazzo con gli occhiali scoppiò in una sonora risata. - Dimenticavo di spiegarti l'allenamento!!! -
Daisy scosse il capo: come al solito, Dylan era uno sbadato impressionante …
- Dunque: vince chi per primo riesce a percorrere tutto il capo facendo capriole!! -
- EH?! - il portiere della Tripla C sgranò gli occhi. - Facendo capriole?! -
- Esattamente! Dai, non dirmi che non le sai fare! Guarda, è facilissimo! - Dylan si mise in ginocchio e le mostrò una capriola (se proprio la si vuoleva definire così) mostruosa, sbilenca, inguardabile, che una vecchia di ottant'anni forse sapeva fare con più agilità. Ma si considerava un acrobata, e quindi era opportuno non infierire. Anche perché era questo quello che l’aveva colpita in soli due giorni di Dylan: non la bellezza; bensì il carisma, la voglia di scherzare, il senso dell’umorismo e la risata. Lo si vedeva dalla faccia che era un pazzo scatenato. Ma se Mark lo considerava speciale ci doveva essere un motivo. E a lei piaceva da morire.
- Le sapevo già fare, grazie … -
- Oh, sorry. -
- No, tranquillo … ma sei sicuro che sia una cosa logica mettersi a fare capriole su capriole? -
- Ma certo, vedrai, ti tornerà utile in partita! Al mio tre si parte. - Dylan e Daisy appoggiarono entrambi il ginocchio sul verde sgargiante del campetto, poi fissarono l'orizzonte mattutino. - In posizione … uno … due … let's go!! - il ragazzo partì, invece lei restò ferma.
- Ehi! - esclamò, catturando la sua attenzione.
- Eh! -
- Avevi detto che si partiva al tre, non al let's go!! -
- Ah, sì? - Dylan smise di fare il bambino dell'asilo, si fermò e scoppiò a ridere. - Sorry … -
- No, di niente … - Daisy nel frattempo ne approfittò per superarlo, e quando lui calmò la sua frenetica risata era già a metà campo.
- EH?! EHI, NON VALE!! -
- Parla per te!!! - esclamò la castana, e fece per rifare un'altra capriola, quando a interromperla fu uno “stop” deciso. Si fermò e sollevò lo sguardo.
- Allenatore! - esclamò Erik, sorpreso nel vederlo lì a quell'ora, con quel sole e con un caldo insopportabile. L'allenatore Mac era un uomo di quarantatré anni piuttosto riservato, serio e riflessivo, non commentava mai una partita o un allenamento perchè non lo riteneva necessario, ma nonostante ciò sotto gli occhiali da sole e la bocca sigillata nascondeva un aspetto bonario e dolce. Proteggeva sempre la Unicorno, anche con la forza se c'è n'era bisogno, e sebbene sembrasse non allenarli mai, in realtà lo faceva moralmente. Mark e gli altri con il tempo avevano capito il suo stile di gioco e avevano imparato ad accettarlo.
- Basta così, ragazzi, fa troppo caldo, meglio se vi riposate almeno 5 minutini. Suzette! -
- Eh? - la dodicenne si allontanò da Erik, confusa. - Sì, Mister? -
- Tieni … - Mac scese un po' di gradini, dopodiché si tirò fuori dalla tasca dei jeans strappati diciassette biglietti aerei. - Ho qui i biglietti per la partenza tua e delle tue amiche. Per i primi di Settembre dovrete lasciare gli Stati Uniti. -
- Ahah, capisco … - Suzette li afferrò, curiosa, poi se li fece rigirare fra le mani, mentre i suoi occhi grigi si consumavano riga dopo riga. - D'accordo, va bene! Vado a metterli in valigia; aspettami, tesorino! - esclamò, per poi dileguarsi dagli occhi dei compagni con una corsetta veloce. Entrò in camera sua e, aperta la valigia celeste, li sistemò al sicuro fra camicette floreali e creme di ogni forma e dimensione. La chiuse con delicatezza e sorrise. Quando era arrivata negli States si era subito buttata nel letto senza nemmeno aver dato uno sguardo alla sua camera, e ora che aveva un po' di tempo iniziò a fissarla, scrutandone ogni minimo particolare. Purtroppo era uguale a tutte le altre, circondata da pareti bianche dal battiscopa di legno, alto circa 30 cm, avente un letto singolo avvolto in fresche lenzuola azzurre come le tendine alla finestra e un misero comodino di legno con sopra una lampada turchese, modellata a forma di campanella. Non era una camera da cinque stelle, certo, e nemmeno da quattro o da tre, ma immersa nella sua semplicità maschile non era affatto brutta. E poi era spaziosa il giusto. - Oh, quasi dimenticavo! Gli allenamenti! - esclamò ad un certo punto, schiocchiando le dita. Abbandonò la stanza e, sempre correndo, ritornò in campo. La Tripla C e la Unicorno avevano già finito di riposare, e la stavano attendendo in campo. Le due squadre ripresero ad allenarsi e, finalmente raggiunte le 4:30, decisero di dedicarsi alla tanta attesa partita.
- Pronte per farvi valere? - chiese Bobby, forse più rivolgendosi ad Hellen che alle altre.
- Ma certo! Allora ragazze, tutte pronte? - domandò Suzette, voltandosi per guardare le sue amiche.
- Prontissime! -
- E allora bombardiamo questi americani come se fossimo aviatori su Pearl Halbor!! - la capitana della Tripla C, a cui Mark le aveva gentilmente offerto di fare la prima azione, avanzò con sicurezza, quando Erik le si parò davanti.
- “Danza del …” -
- Qui, Suzette! - urlò improvvisamente Hellen per salvarla, tenendo una mano al cielo per farsi notare.
- Vai, Hellen! - Suzette la passò all'amica, poi guardò il castano e gli shioccò un bacio sul naso. - Pensavi davvero di fermarmi? -
- Veramente sì … -
A Hellen ci pensò Dylan, che con una scivolata le levò la palla dai piedi per poi lanciarla verso Mark. Il biondo la prese di petto e avanzò verso la porta, sorridendo, ma Esther gli sbarrò la strada. - Chi la fa l'aspetti! - disse, poi gli fece l'occhiolino. - Preparati a fare un pisolino, tesoro … “Aroma ammaliante”!! -
- No, preparati tu … - Bobby raggiunse improvvisamente Mark, lo afferrò per un polso e lo scagliò in aria, poi il ragazzo tese i muscoli delle spalle e due ali di cera comparirono dalla schiena insieme ad una luce intensa. - “Volo di Icaro”!! -
Esther si mise le mani davanti agli occhi, perchè l'abbaglio era troppo potente, e quando finalmente riuscì ad aprirli l'americano aveva già segnato il primo gol. Il primo di una lunga carrellata. Nonostante l'allenamento la Tripla C perdette ugualmente, ma la Unicorno questa volta riuscì con fatica a penetrare nell'area del portiere, e questo stava a significare che erano migliorate rispetto a ieri. Mentre raccoglievano palloni un po' ovunque Bobby si accorse che Hellen, in un angolo, si teneva l'addome con faccia dispiaciuta. Le andò incontro, preoccupato. - Ehi, are you okay? -
- Sì, io … abbiamo perso di nuovo … -
- Ah, dai … - il ragazzo sospirò. Vedere triste la gente lo uccideva, soprattutto se si trattava di ragazze. Allargò le braccia e arrossì con tenerezza. - … ti va … -
- Mi va? - Hellen si voltò, curiosa.
- Un abbraccio? -
La ragazza annuì, poi si lasciò stringere da Bobby. Arrossì, eccome se arrossì. Non riuscendo ad affondare il naso nelle sue spalle magre perchè troppo bassa e lui troppo alto si limitò a nascondere il viso nel suo petto. E questo bastò a farla andare su di giri. Fece fatica a dimostrarsi ancora angosciata. - Vedrai che con l'allenamento riusciremo a potenziarvi, ci sono tre mesi avanti … un giorno ci batterete. - le sussurrò Bobby, dolce.
- Dici sul serio? -
- Ma certo … non ti mentirei mai. -
- Ohhhhhhh!!! - gemette Suzette, avvicinandosi a loro due e spezzando il filo che li teneva uniti. - Siete adorabili insieme!! -
- Insieme?! - arrossì Hellen, distanziandosi un po' da Bobby.
- Sì! Forza, che aspettate a dichiaravi! -
- Dichiararci?! - questa volta fu Bobby ad arrossire.
- Suzette, che cosa stai dicendo! Lasciali vivere! - a salvarli da un'onda di imbarazzo fu Esther, che prese Suzette per le spalle e la trascinò via con sé.
Hellen e Bobby si guardarono, rossi. - Sì … - sibilò la ragazza, stringendo i pugni. - Suzette esagera sempre un po' con i modi, e quando nota due stare anche solo vicini impazzisce … -
- Sì, me ne ero reso conto già da tempo, a Victoria e Hurley è capitata la stessa sorte. -
- Chi sono? -
Bobby sorrise. - Ora te lo spiego. Andiamo? -

Angolino_Eterno
Eccomi qui con il mio nuovo, orrendo capitolo! Come vi sembrano le nuove coppie? Spero di aver fatto un buon lavoro, ci ho messo una settimana per perfezionarlo, e credetemi, elaborarlo è stato morire … con questo vi saluto (l'ho già fatta troppo lunga -.-”) …
ciaù ciaù!

Lucy

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Capitolo 5
*** E che guerra sia! ***


E CHE GUERRA SIA!

Bobby posò al centro della tavola una pizza stragrande. Emanava un profumo fragrante e sia Unicorno che Tripla C non vedevano l'ora di ingoiarsela. Dopo la partita la fame aveva raggiunto le stelle. - Et voilà! Tutto pronto! -
- Ah, già dall'odore si sente che è proprio una pizza deliziosa!! - esclamò Daisy, non riuscendo a controllare i brontolii allo stomaco. Come Dylan, del resto.
- Bobby. - Mark si allungò verso il piatto e prese un pezzo di pizza, poi lo gettò rapidamente sul piatto per evitare che le sue dita prendessero fuoco. - Sei un grande in cucina. -
- Beh, modestamente, diciamo che me la cavo … e poi sono il più vecchio di tutti, devo prendermi cura di voi quando Mac non c'è. - Bobby si sedette accanto a Dell, poi si servì un goccio d'acqua nel bicchiere e dopo esserselo sgolato batté le mani. - Buon appetito! -
- BUON APPETITOOO!! - urlò Dylan, afferrando un pezzo di pizza gigante e cacciandoselo in bocca. - Ah, God, quanto è buona! -
- Già! Complimenti, Bobby! - si congratulò con il “cuoco di casa” Hellen, guardandolo mentre, incantata, sventolava la forchetta in aria. Non era solo un ragazzo gentilissimo e dolcissimo, ma anche un cuoco fantastico. Insomma, un tuttofare senza precedenti!
- Ahah! - Bobby arrossì a quel grazioso complimento e si grattò il capo, imbarazzato. - Hellen, è solo una misera pizza, tutti sono in grado di cucinarla … -
- Dopo c'è il dolce, vero? - chiese Esther, curiosa. Amava i dolci, da un semplice pasticcino alla crema a una torta da matrimonio per lei non vi era molta differenza, adorava entrambi.
Mark smise di masticare un pezzo di pizza, alzò un sopracciglio e la guardò malvagiamente. La odiava, avevano trascorso la giornata a tirarsi frecciatine, alcune anche bruttissime. Era ora di ricambiare il favore. Come? Molto semplice. Quella lì doveva essere sicuramente una fanatica dei vestiti, della linea e dei trucchi, una ragazza senza cuore e, sicuramente, anche senza cervello. Insomma, una snob a tutti gli effetti. Si sarebbe di certo offesa se avesse giocato su questi piccoli ma fondamentali particolari. - Spiegato il motivo per cui sei così grassa. - disse, calmo.
La ragazza, irritata, batté un pugno sul tavolo. - Come hai detto, Kruger?! - chiese, lanciandogli un'occhiataccia addosso. - Io grassa?! Ripetilo, se hai coraggio!!! -
- Sei grassa, okay?! - le urlò in faccia l'americano, trattenendosi una risata. - Mioddio, hai due …! - ma non riuscì a proseguire oltre, perché Esther si era alzata dalla sedia con una furia tale da scaraventare il mobile a terra e addirittura da spaccargli una gamba.
- Okay … - mormorò Dylan, facendosi da parte come tutti i presenti a cena. - Meglio stare lontani, questi due insieme sono due tornadi … -
- COS'E' CHE HO?! - ripeté la ragazza, strillando.
Mark tentò di dirglielo, ma arrossì selvaggiamente e scoppiò a ridere come un cretino. - Oh, my God!! -
- Rispondi, Kruger!! -
- Hai due tette impressionanti!! - dichiarò l'americano, tutto d' un fiato. La Unicorno levò una risata fortissima, esclusi Bobby e Erik, che scossero il capo. Mark non si era mai comportato in quel modo, era sempre stato un ragazzo serio e calmo, e pensieri di tale calibro li aveva sempre tenuti per sé. Se l'aveva presa in giro in quel modo, e sopratutto utilizzando un tono di voce così beffardo e falso, voleva dire che non la sopportava più.
Esther, ferita e arrabbiatissima, si tinse di rosso. Strinse i pugni e storse le labbra, senza smettere di fissare quel biondo sbellicarsi dalle risate insieme ai suoi amici uno più scemo dell'altro. - Come … - mormorò, sentendosi umiliata.
- Non ho mai visto una tredicenne con un corpo da trentenne, o è tutta chirurgia oppure il reggiseno ti sta troppo largo!! Sempre se lo indossi ... - ammise Mark, calmando la risata per poi voltarsi verso i suoi compagni. - L'avete vista? -
- Come non notarla! - gli rispose uno, ridendo.
Esther si morse il labbro inferiore, mentre lacrime di rabbia iniziarono ad appannarle la vista. Dell le posò una mano sulla spalla, ma lei scacciò l'amica con uno scossone violento. In questo momento non aveva bisogno di essere consolata, voleva solo prendere quell'americano a schiaffi. - Brutto bastardo … - sussurrò, distrutta.
- Io bastardo? - Mark ritornò a fissarla, un sorriso ingenuo intagliato in quel suo viso furbo e maturo. - Non starai piangendo, spero! -
- Cosa te lo fa pensare che io stia piangendo, stupido!! - urlò lei, aggredendolo con lo sguardo. Fuori ci teneva ad apparire forte, ma in realtà il suo cuore aveva subito un colpo doloroso e potente. - Come osi prendermi in giro!! -
- Tu smettila di farlo con me e vedrai che si risolverà tutto. -
- No! -
- Ah, no …? Va bene. - Mark si sollevò dalla sedia, poi si avvicinò a lei con serietà estrema. La ragazza profumava di pesca, il suo aroma dolce e intenso gli penetrò rapidamente nel naso, obbligandolo ad addolcire lo sguardo, ad ogni modo preferì non lasciarsi andare. - Allora tra noi due sarà guerra … tettona. -
- Come vuoi!! - abbaiò Esther, spigendolo bruscamente all'indietro. - E che guerra sia, Kruger!! -
- Ragazzi … - intervenne Suzette, prendendo l'amica per le spalle.
- Ma sappi una cosa: - la mora la ignorò e puntò un dito contro il suo accerrimo nemico, arrabbiatissima. Non le importava nulla se era Mark Kruger, figlio di Hanagrace McAlister, non le importava se tutti dicevano che era un ragazzo gentile, simpatico e amichevole, non le importava se era ricco. Non l'avrebbe perdonato. Mai. - ti sei messo contro di me! -
- E …? -
- Ti renderò la vita impossibile!! Mi hai capito?! Impossibile!! - lo avvertì, per poi abbandonare la cena, salire in fretta e furia le scale e sbattere la porta di camera sua. Mark sospirò amaramente, poi appoggiò la schiena contro la sedia e iniziò a fissare i suoi amici e la Tripla C. - Wow, com'è permalosa … -
- Mark, potevi risparmiartelo … - gli disse Bobby, per niente divertito. - La odierai anche a morte, ma è la tua compagna di allenamento, e avresti dovuto portarle rispetto. -
- La penso anche io in questo modo. - replicò Erik, più serio del solito.
- Lo so, ma … dai, era giusto uno scherzo così!! E' ovvio che … - l'americano arrossì. - Volevo solamente sfotterla un pochino … sta di fatto che non sarò io a chiederle scusa. Se le è andata a cercare. -
- Tranquillo … - gli rispose Suzette, con la sua solita voce allegra e spensierata. - Esther è fatta così, domani si dimenticherà di questo giorno. Adesso via quei musi lunghi e continuiamo a cenare, o la pizza si raffredderà! -
- Concordo! - esclamò Dylan, sollevato all'idea di cambiare argomento.
Mark inchiodò i suoi occhi cristallini contro il muro e incrociò le braccia al petto. Ammetteva di aver esagerato, ma Esther fino ad ora non aveva avuto peli sulla lingua, né con lui agli allenamenti, né con Dylan il primo giorno, e prima o poi le avrebbe dovuto far capire chi comandava fra i due.
E quindi sì, sarebbe stata guerra.

 

Angolino_Eterno
Mark: O.O *appoggiando il foglio sulla scrivania*
Io: eh, sei stato crudele …
Mark: … oh, caspio, sono un mostro …
Prima di tutto perdonate il linguaggio XD!! POI.
So che molti di voi penseranno che Mark sia una vipera (cosa che non è vera, perchè quell'americano è un angelo) ma è necessario che quei due mi litighino per un po' di capitoli, perchè ho in serbo una sorpresina …
mi auguro che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Prometto che più in là tenterò di trattare anche Michael (che prima era Billy, ma poi ho preferito cambiare), Dell, Erik, Suzette, Dylan e Daisy, ma per il momento il cuore della fic saranno Mark e Esther.
Grazie a tutti quelli che hanno letto il capitolo, adesso me ne vado!
Ciaù!

Lucy

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Capitolo 6
*** Mark VS Esther! ***


MARK VS ESTHER!

Esther si abbottonò la stretta camicetta viola opaco al corpo, poi come ultimo indossò la solita canottiera di lanella bianca, che tutte le ragazze della Tripla C portavano. Si guardò allo specchio e, dopo essersi passata un po' di rossetto color pesca sulle labbra carnose, quasi per istinto si portò le candide mani sul seno, morbido e caldo. La rabbia di ieri sera la obbligò a stringerselo, sebbene con delicatezza. - Non sono né grassa né … tettona. - si disse, imbronciata. Aveva dormito malissimo, a causa di quell'insulto spregievole, e per colpa di Kruger aveva passato la notte buia e calda di Los Angeles a trovare un modo per far apparire il suo seno il meno grande possibile. - Ho solo le tette un po' … rotonde, tutto qui. Anzi, no … forse un po' MOLTO rotonde … e allora …? - aggiunse, poi sorrise con cattiveria. Si scostò i capelli color prugna dalle spalle, lanciò un bacio al suo magnifico riflesso nello specchio, uscì dalla camera e scese le scale. Era ora di vendicarsi.

- Ehi, rilassati. - la pacata voce cristallina di Mark Kruger le raggiunse le orecchie come un colpo di febbre improvviso, fastidioso e pesante, perforandole i sensibili timpani di odio e irritazione fin da subito.
Si voltò verso di lui e smise di palleggiare animatamente contro il muretto. Fu costretta a spingere il piede sopra il pallone con una certa foga, per evitare di tirargli un calcio fra le gambe. - Che cosa vuoi, ora. -
L'americano sollevò un sopracciglio. - Ho notato che è da quando abbiamo cominciato gli allenamenti che fai di testa tua. -
- Già, chissà perchè … -
- Colpisci la palla con la punta del piede, e questo nel calcio è un errore fatale. -
- E con questo? -
- Evita di farlo, perchè perdi spesso il controllo del movimento e calci quasi sempre storto. -
- E che devo fare, spararmi? -
- No, semplicemente ascoltarmi. - Mark le tolse il pallone dai piedi con tocco elegante e fece per mostrarle come calciarlo, quando la ragazza lo fermò, spingendolo lontano da lei.
- Sarò anche tettona, ma non sono scema, ok?! - strillò, irritata. - Lo so che si deve calciare con l'interno o l'esterno del piede! Quindi smettila di crederti superiore! -
Il biondo sorrise maliziosamente, comprendendo il significato di tale nervosismo mattutino. - Dai, sei ancora offesa per quello che ti ho ieri …? -
- Ti sbagli, caro. Io non sono offesa … - Esther lo afferrò bruscamente per il colletto della maglietta con tutte e due le mani. Il ragazzo, impressionato e divertito, la lasciò fare. - Sono super arrabbiatissima!! -
- Perchè ti ho dato della tettona …? -
- Sì, esatto! -
- Ah, siamo permalose, eh … -
- Beh …! - Esther strinse il tessuto grigiastro della divisa del biondo con ancora più forza, poi allentò la presa e lui le afferrò con dolcezza le mani per liberarsi definitivamente dalla morsa, sorridente. La pelle lattea della ragazza era profumata, piacevole al tocco e incredibilmente vellutata. Le avrebbe tenuto le mani per ore, se solo lei non le avesse ritratte con sgarbo e arroganza. - Sappi che comunque tu sei un ombrello!! - continuò, il naso alla francese arricciato dalla rabbia.
- Ombrello? In che senso. -
- Beh, guardati i capelli … -
- Cos'hanno di strano i miei capelli?! - domandò Mark, portandosi le mani fra i ricci dorati e iniziando a spettinarseli con furia.
- Che sono a forma di ombrello! Scommetto che quando piove la Unicorno si ripara sotto di te, eh …? Non è così? -
L'affascinante Capitano della squadra americana smise di arruffarsi i capelli e arrossì, mentre le ragazze della Tripla C (eccetto Suzette che, in un angolo del campo soffocava Erik di baci e coccole) risero con gusto alla battuta sarcastica della mora. - Ah, ah, ah. Che ridere. - sussurrò lui, fissandola con sguardo tagliente e al contempo forse anche un po' divertito. Perchè sì, doveva ammetterlo: nonostante fosse un ragazzo abbastanza permaloso e intollerante a certi comportamenti non poteva prendersela per così poco.
- Per non parlare del tuo naso! - proseguì lei, fiera nell'udire le amiche sbellicarsi.
- Certo che ti piace proprio sfottermi, eh …? -
- E' un tronco di una quercia! - dichiarò la ragazza, fingendo di non averlo sentito. Lo avrebbe fatto vergognare di essere venuto al mondo e gli avrebbe cancellato quel sorrisino furbetto dalla faccia una volta per tutte. Voleva, doveva vincere questa battaglia. - E poi ti sei mai visto allo specchio? Sei figlio di una modella, ma a me sembri più il parente lontano di un tasso. Per lo più hai un cognome assurdo!! Kruger … ragazzi, che ne dite se al posto di una zuppa Campbell ci mangiamo una zuppa Kruger?? -
Mark chiuse gli occhi per contenere la pazienza, sempre mantenendo un sorrisino ironico stampato in volto. L'odio che provava per quella ragazza bruciava come fiamme roventi nel suo cuore bonario, ma non per questo avrebbe ceduto a inutili tentazioni. Anzi, più lei rincarava la dose più lui si divertiva. - Non è colpa mia se mio babbo fa di cognome Kruger. - disse, senza dare segni di irritazione. “Come fa a mantenere sempre quel sorriso da cretino … io come minimo sarei già andata in escandescenza … devo ammettere che è molto bravo a fingersi allegro.” pensò Esther, meditando già a qualche altro insulto provocatorio. - Hai detto di essere ricco? -
- Non sono io quello ricco, lo sono i miei. -
- Io ti vedrei a fare piadine, sai? -
- Oddio!!! - scoppiò a ridere Dell, che avrebbe affiancato l'amica in tutto e per tutto. - Questa sì che era bella! Piadine! Forte! -
L'americano fece spallucce. - Pensi di aver finito di insultarmi? - le chiese poi, sorridente.
- No! -
- Se sei arrabbiata con me solo perchè ti ho dato della tettona … sappi che stavo scherzando. -
- Non mi interessa! - gli gridò in faccia Esther, nervosa. Non capiva dove stava sbagliando, non capiva perchè quello scemo di Kruger ancora non era scoppiato in lacrime come un bambino, ma soprattutto non capiva come lui trovasse il tutto così comico. Ad ogni modo decise di non alzare ancora la bandiera bianca. La guerra era appena iniziata e si era scervellata tutta la notte per escogitare insulti e frecciatine, e anche se fino ad ora nulla poteva contro l'offesa ricevuta ieri sera a cena non aveva intenzione di mollare. - Che ne dici di aprire una bella piadineria in Italia? Ti ci vedo molto bene con un bel grembiulino rosa mentre, insieme a tua moglie Loredana, prepari piadine!! “Loredana, aò, passame un poco d'acqua, che sto sudando come un porco!” “Ma certo amò, eccote!!”-
- Mhhh, te la cavi col dialetto!! - rise il biondo, per nulla offeso.
- Arrgghhhhh! - ringhiò Esther, perdendo la pazienza. Serrò gli occhi e li riaprì quasi subito, di scatto, poi puntò l'indice contro il ragazzo. Ora sì che non lo poteva più sopportare. - Kruger, te le sei andate a cercare!! -
- Okay, tettona, dimmi un po' … - Mark inarcò le sopracciglia nel vederla arrossire lievemente, ma ora era il suo turno. Sapeva che offenderla non avrebbe portato nulla, ma la verità era che farla imbestialire lo divertiva da morire. - … quante cose ci stanno fra quei due palloni? - le chiese, incoraggiato a sua volta dal coro di risate della Unicorno. - Posso tenerci il mio portafoglio? Anzi, no, non vorrei essere risucchiato … -
- Senti, mai pensato di lavarti i capelli?! - esplose di rabbia Esther, mentre l'adrenalina non smetteva di circolarle nelle vene a velocità supersonica. - Sono tutti sporchi di resina! -
- Questo è biondo miele, non resina … ammettilo, sei solo invidiosa. -
- Oh, fantastico, ancora più appiccicosi! Senti tu stesso, se non mi credi!! - la ragazza senza pensarci due volte gli afferrò diversi ciuffi dorati con entrambe le mani e sperò di strapparglieli tutti, facendolo urlare di dolore. Sorrise. Udire Kruger gemere e ridere al contempo era musica per le sue orecchie. - Hai sentito sufficientemente?! Dimmelo se devo continuare! E poi cos'hai lì nei pantaloni, un armadio?! - Mark non riuscì neanche a ribattere che la punta della scarpa sinistra di Esther penetrò nel suo bassoventre, facendogli un male allucinante. - Ops, perdonami … non sono riuscita a trattenerlo … era da ieri che sognavo di farlo! -
- Oh, tranquilla … - le sussurrò il quattordicenne, mentre un'onda di dolore si diffondeva rapidamente tutt'intorno alle cosce, obbligandolo a cadere persino in ginocchio. Finalmente quel sorriso beffardo gli svanì dal volto per lasciare posto ad una smorfia di dolore intenso.
- Così impari a dirmi che miro sempre storto, anche perchè a quanto vedo ho fatto centro!! -
- Mark, ti sei fatto male?! - si preoccupò Dylan venendogli incontro per aiutarlo, ma l'americano gli lanciò un' occhiata carica di divertimento, facendo così svanire all'amico quel velo di preoccupazione riflesso nelle lenti degli occhiali.
- Ti conosco da poco e con fierezza ti dico che mi hai già stancata, stressata e irritata!! Questo calcio non è niente in confronto a quello che mi hai detto ieri, io non ti potrò mai perdon …! -
- No, darling, vedi che ti sbagli! - scoppiò a ridere Mark, fingendo di sopportare il dolore. Si alzò da terra con fatica e riprese a sorridere come prima. - Sei TU quella ad aver stancato ME. Da quando sei arrivata non fai altro che lamentarti, pensavi per caso che avrei lasciato correre? -
- Sta zitto, la tua voce noiosa mi sta solo facendo saltare i nervi! -
- No, stai zitta te, papera, e porta rispetto per il prossimo! -
- Papera a me, brutto cesso che non sei altro?! Mancami di rispetto un'altra volta e ti stacco il naso a morsi! -
- Ma ti rendi conto di essere una schizzata? Hai la più vaga idea di quante stupidaggini ti escono da quel canotto che è la tua bocca …? Perchè, ammettiamolo, sono pompate anche quelle. -
- Ahahah, invece sono naturali! Le desideri anche tu? Se vuoi ti gonfio le labbra con un bel pugno! -
- Ho sempre odiato le ragazze come te, hai un cuore di pietra. Forse ieri a offenderti non ho neanche esagerato poi così tanto … -
- Okay, okay, okay … - s'intromise Bobby, infilandosi fra i due litiganti per calmarli. - Ora basta, ragazzi, davvero, non andiamoci pesante con le critiche … -
- Giusto, Bobby ha ragione! - esclamò Erik, sorridente. Liberatosi dai nauseanti baci di Suzette si avvicinò al difensore con l'intento di far ragionare sia Mark che Esther, che si era rivelata di essere una vera bomba atomica a tutti gli effetti. - E poi da quando avete iniziato a litigare il tempo è volato! -
- Davvero? - gli chiese la mora, un po' persa.
- Sì! Mark, è ora di fare la partita di fine allenamento, che aspetti! -
- Ah, Erik, hai ragione … meno male che si sei tu. Forza ragazzi, disponetevi in modo omogeneo nel capo e preparatevi per ... -
- Per perdere. - finì la frase Esther, mentre con aria molto maliziosa si arricciava un boccolo morato.
- No … - il biondo mise su la faccia più odiosa, cattiva e irritante che potesse mai aver tirato fuori in vita sua e le regalò una smorfia ricca di antipatia e divertimento. - Preparati te a perdere. -
- Lo vedremo! -
- Ok, Estheruccia, adesso basta, sì? - la prese da parte Suzette, scocciata nel sentirla insultare l'americano ogni millesimo di secondo. - Cerca di concentrarti sulla partita, ok? -
- Sì … sì, scusa Suzette, ma Kruger mi fa così arrabbiare!! - si giustificò lei, arrossendo.
- Va bene, non importa: ora pensa solo a dare il meglio di te. -
- Sì, lo farò di certo! -
- Siete pronte? - la voce potente di Dylan le raggiunse dall'altra metà del campo.
- Prontissime! -
- Bene, allora let's go, Unicorn! - esclamò l'americano, per poi portarsi in avanti con la palla fra le caviglie. Hellen provò a bloccare la sua corsa sfrenata, ma purtroppo non ci riuscì, perchè il ragazzo fu lesto nel passare il pallone a Mark.
- Oh, no! - gemette, delusa.
- Vai così, Hellen! - le urlò Bobby dalla difesa avversaria. - La prossima volta dagli del filo da torcere! -
La ragazza si sentì le gote paffute prendere fuoco e, emozionata, lo salutò dalla sua postazione, ricambiata. Adorava Bobby, tutte le volte che falliva in qualcosa arrivava lui a rasserenarla.
Intanto Dell, che stava seguendo la partita dalla panchina insieme ad altre sue compagne, si alzò da essa lasciando che il luccichio dei raggi del sole le ingoiasse le iridi color rubino. Per lei ogni movimento di Mark Kruger corrispondeva a quelli sinuosi della madre, il passo elegante, l'andamento attraente, lo sguardo fiero e lo sguardo orgoglioso. Era identico alla modella, sia come aspetto sia come carattere. - Ah, Mark Kruger è proprio fantastico, il centrocampista migliore del mondo!! - esclamò, permettendo all'immagine di Hanagrace di occuparle la mente. Michael, seduto accanto a lei, la guardò con aria annoiata. Non ci aveva parlato molto, anzi, entrambi avevano preferito allenarsi singolarmente, in più tutte le volte che lui nominava Michael Jackson lei gli faceva una smorfia e gli dava sempre di spalle, ma nonostante questo la trovava una tipa interessante. Insomma, una ragazza da non scartare, con due labbra perfette e i capelli indaco arricciati sulle punte. Nel frattempo Mark si era avvicinato a Daisy. Stava per aggiudicarsi il primo gol di una lunga serie, quando Suzette lo raggiunse dall'attacco e lo sorprese con una scivolata degna di una giocatrice di alto livello, scaraventando il pallone fuori dal campo. - Wow!! - l'americano la guardò, stupito. - Sei bravissima, non è facile precipitarsi in difesa se si è in zona di attacco! I miei complimenti! -
- Ahahahah!! - rise la dodicenne, ancora semi-stesa fra l'erbetta verde del campo, i capelli celesti spettinati e le gambe raschiate. -
- Grazie, sei un ragazzo molto gentile … -

- Vuoi una mano ad alzarti? -
- Magari, perchè no! - Suzette tese una mano e strinse quella rosea e invitante del biondo, che a sua volta la sollevò come fosse una piuma. Una volta aiutata ad alzarsi sentì d'impulso l'estremo bisogno di stringersela a sé, di percepire quel corpo meraviglioso spremuto contro il suo, ma trattenne questo assurdo desiderio limitandosi a godere dei suoi sorrisi dolci e dei suoi occhioni grigi sprizzanti di allegria. Quanto l'amava, avrebbe dato la vita per lei. Il pallone fu portato di nuovo al centro del campo e questa volta fu Erik a tentare di segnare, ma Hellen riuscì a fermarlo con le sue doti atletiche, che fino ad ora aveva preferito mascherare. A Osaka la Tripla C non era conosciuta soltanto per essere una squadra completamente al femminile, ma era rinomata e stimata anche perchè ogni componente del team, speciamente nei momenti critici, sapeva inventarsi acrobazie eccezionali, quali leggiardi volteggi in aria, salti altissimi, palleggi sinuosi, ruote e capriole.
- Brava, Hellen!! - applaudì Esther, soddisfatta.
- Tutto merito di Bobby! Essendo entrambi difensori è molto più facile per me apprendere! -
- Sì, ma impara anche a svegliarti! - con un movimento improvviso Mark purtroppo fregò la palla ad Hellen e si spinse in porta, quando Esther gli sbarrò la strada.
- Sai, Kruger, ora mi hai proprio scocciata! Devi venire a rompermi anche qui? -
- Mh, mi mancava la tua vocina acuta. - sorrise il ragazzo, fermandosi.
- Per tua informazione … - la mora si stiracchiò con voglia. - … sono la difensora per eccellenza della Tripla C, e quando m'impunto è difficile che riescano ad avvicinarsi a Daisy ... -
- Forse non sai che sono conosciuto in tutto il mondo per essere il migliore centrocampista minorenne del calcio giovanile statunitense. -
- Non me ne può fregar di meno. Vediamo se riesci a superarmi. -
- Okay, lo hai voluto tu … - il Capitano della Unicorno lanciò il pallone in aria e con uno scatto fulmineo superò la sua acerrima nemica, ma lei intercettò la palla di petto prima che potesse finire di nuovo fra suoi piedi.
- Allora …? Ora prova a prenderla! -
- Sarà un gioco da ragazzi. - Mark tentò inutilmente di togliergliela dai piedi, perchè Esther la faceva saltare da tutte le parti con un'agilità e un equilibrio inimitabili. Forse l'aveva sottovalutata. Era davvero una ragazza formidabile. - Oh, ma che palla capricciosa, non riesco a controllarla! -
- Non dire sciocchezze! - ringhiò l'americano, a cui ormai girava la testa.
- Per tua informazione da piccola ho fatto 5 anni di ginnastica ritmica. -
- Ah, sì …? -
- Sì, quindi …! - Esther continuò a palleggiare da una parte all'altra, fino a quando mandò Mark in completa confusione, facendolo inciampare su se stesso e quindi facendolo cadere di faccia.
- Ahahah!! - rise la ragazza, passando la palla a Suzette. - Sei ridicolo! -
- L'ho fatto apposta … - mentì lui, rossissimo in faccia.
- Non posso crederci … - mormorò Erik, battendosi una mano in faccia con delusione. - Il nostro Capitano fermato, confuso e stremato dalle inutili acrobazie di una ragazza di provincia … -
- Oggi non è tanto in forma, eh …? - ridacchiò Bobby, imbarazzato.
- Già. - si attaccò alla conversazione Dylan, deluso anche lui. - Diciamo pure che … ha fatto veramente una figura di merda. -

- Mi complimento con voi, ragazze: ogni giorno vi rafforzate sempre più! - lunsingò la Tripla C Mark, a fine allenamento. L'amichevole si era conclusa un'altra volta con la vittoria a favore della Unicorno, ma le ragazze, e in particolare Esther, quel giorno erano finalmente riuscite a tenere testa agli americani.
- Beh, è solo merito vostro: grazie alla vostra disponibilità nell'aiutarci e al vostro metodo di allenamento riusciamo a tenere la palla fra i piedi! - mormorò Hellen, non abituata a tutti quei complimenti. Bobby, che era dietro di lei, le passò un braccio intorno alle spalle e le fece un occhiolino disinvolto, poi le mostrò il pugno destro. - Che … -
- Forza, batti il pugno “sorella”! -
- Ah! O- ok! - balbettò la ragazza un po' agitata, dopodiché scontrò le sue nocche delicate contro quelle sporgenti dell'americano. Un brivido le attraversò con dolcezza tutta la schiena. Quel battipugno così innoquo e insolito significò molto per lei. Amore, dolcezza, simpatia, premurosità, pazienza … Bobby le trasmise tutto questo facendo solamente un semplicissimo gesto.
- Stai bene? - le chiese, scuotendola delicatamente e riportandola negli States. - Sono stato troppo imprudente, forse? -
- No, io … -
- Sparisci, Kruger! - strillò d'improvviso Esther, cogliendo l'attenzione di tutti i presenti con la sua voce acuta e femminile.
- What? - ribatté l'altro, che stava salendo i gradini che collegavano il campetto alla base della Unicorno proprio vicino a lei. - Vorrei proprio sapere che ti ho fatto di sbagliato questa volta, “dolcezza”. -
- Prima di tutto la prossima volta che mi chiami “dolcezza” ti spacco i denti con un bel cazzotto. Come seconda cosa mi sei troppo vicino, e mi stai mandando sui nervi!! - replicò la mora, spigendolo addosso a Erik con una fiancata decisa. Anche se il fatto che le avesse dato della dolcezza, magari anche solo per scherzo, non le dispiaceva affatto. Anzi …
- Ehi, ragazzi, se volete menarvi (se possibile evitatelo) almeno non coinvolgetemi! - si lamentò il castano, sorreggendo il biondo da una possibile caduta.
- I'm sorry, Erik. - si scusò il Capitano della Unicorno, rosso in volto, per poi voltarsi verso Esther. Ora aveva proprio esagerato. - Tu sei tutta matta! -
- Ah, sta zitto! Il tuo aroma non è certo uno dei migliori, sai? Nessuno ti avrebbe potuto tollerare così vicino … - mentì la ragazza, stringendo le labbra e allacciandosi le braccia al petto. In realtà c'era un motivo per cui l'aveva spinto. Semplicemente era troppo bello e biondo per fingere di non impazzire. Stava per inventare qualche altra inutile scusa per nascondere una certa stima nei suoi confronti, quando fu proprio quest'ultimo a spingerla all'indietro con rabbia. La ragazza si lasciò sfuggire un gridolino strozzato, perdette l'equilibrio e scivolò dal bordo di un gradino, ma sempre Mark l'afferrò prima che potesse sicuramente precipitare e procurarsi un trauma cranico. Le avvinghiò con forza il polso della mano sinistra e, spaventato, se la gettò addosso, poi senza nemmeno pensarci su la strinse fortissimo. Esther arrossì terribilmente, mentre le sue compagne si lanciavano occhiate maliziose a destra e a manca. “E adesso che faccio ...” pensò, mordendosi il labbro inferiore. Come agire? La verità era che, anche se odiava quel ragazzo, il contatto fra il suo corpo e quello bollente dell'americano le piaceva tantissimo. Riusciva a sentire il suo battito cardiaco pompare costantemente sangue e tamburellare paonazzo, poteva annusare il suo profumo fresco e rigenerante, poteva godere del suo palmo morbido appoggiato sul capo. Non si sarebbe mai staccata da quel corpo così dolce. Ma non le rimase altra scelta che proseguire nel dimostrarsi rude e indifferente a tutto quell'affetto improvviso. Prima che quell'abbraccio di salvataggio potesse diventare un vero e proprio stringersi amorevolmente gli appoggiò le mani sulle spalle e lo allontanò con furia. Poi lo guardò. Gli occhi acquosi del ragazzo parlavano chiaro. Ammetteva di essersi comportato da stupido. - Ma che ti è saltato in mente, sei scemo?! -
- Perdonami … non volevo spingerti, dopo averlo fatto mi ha assalito il panico e ti ho presa prima che potessi farti male … ti prego di scusarmi e … -
- No! -
- Esther … - Mark fece una pausa, incapace di proseguire. Respirò profondamente e tentò di farle capire quanto ci tenesse ad avere le sue scuse. - … ascoltami. Ti odio a morte, lo ammetto, e sì, ti ho spinta perchè mi hai spinto pure tu, ma non di certo per vederti col sangue alla testa! -
- Tutte scuse! - ringhiò Esther, fingendosi offesa. - Non sei solo un vanitoso, arrogante, presuntuso viziato riccone, ma sei anche un violento, un meschino dal cuore rozzo e senza sentimento per una povera fanciulla come me, che hai osato spingere dalle scale per mettere così fine alla sua giovane vita adolescenziale! -
- No, non è vero! -
- E invece sì! -
- Ora basta! Esther, è vero che ti ha spinta, ammetto che forse avrebbe dovuto contenere la rabbia … ma intanto ti ha anche presa e ti ha persino abbracciata! Quindi perdonalo! - prese le difese di Mark Suzette, arrabbiata con l'amica.
Esther la guardò, delusa. Si aspettava che almeno lei fosse dalla sua parte, insomma, erano amiche da un secolo, ma come al solito incoraggiava sempre e solo i maschi. - No. - decise, seria.
- Ascolta, ti ho già detto che mi dispiace … - replicò Mark, dispiaciuto, ma Suzette gli mise una mano sul petto per farlo tacere.
- Perchè no, Esth'! Che ti ha fatto di così grave! -
- Suzette, mi dispiace, ma io non lo sopporto! -
- Ma ti ha afferrata, sai che vuole dire?! Che senza di lui ti saresti sicuramente ammazzata! -
- Non mi importa niente, con un po' di fortuna me la sarei cavata! -
- Esther, voglio che lo perdoni, che lo ringrazi e che soprattutto la smetti di fare queste scenate! Ti stai comportando malissimo! - la rimproverò Suzette, con tono adulto.
- E va bene! - Esther arrossì di rabbia e fulminò Kruger con sguardo assassino.
Il ragazzo sospirò, poi le porse una mano in segno di pace. - Perdonami. Ma non solo per oggi. Per tutto quello che ti ho fatto. Ti va di ricominciare daccapo? -
Ovviamente la ragazza al posto di stringergliela gliela scacciò con uno schiaffo. - No, no e no! Ti perdono, anzi, mi vedo costretta a perdonarti, ma solo per questo non vuole dire che tu mi stia simpatico! Quindi per favore, levati di mezzo! - gli urlò, per poi divorarsi 3 gradini alla volta e scomparire dalla vista delle due squadre, arrabbiata.
- Mioddio, certo che è tosta, eh?! - notò Dylan, sbuffando.
- Eppure è strano … - Dell abbassò lo sguardo, dubbiosa. Conosceva Esther, era la sua migliore amica, e si era sempre comportata in modo dolce e premuroso con tutti, ragazze, ragazzi, bambini, adulti e anziani. - Mark, ti posso assicurare che probabilmente si fa l'odiosa con te perchè sicuramente ancora non si è integrata bene nel gruppo, ma dalle un po' di tempo e ti accorgerai che in realtà è una ragazza dolcissima … ti chiedo solo di non trattarla male e di sopportarla ancora un po', come hai fatto oggi … -
- Tranquilla, Dell … se vuole mettersi contro di me che faccia pure. - la rassicurò Mark, sorridendole amabilmente. - E quando vorrà fare pace, sa sempre dove trovarmi. -
- Quindi sei disposto a perdonarla comunque vada, Mark? - gli domandò Suzette, impressionata.
- Sì, certo! Se è vero quello che dice Dell le darò tutto il tempo che le serve … -
- Oh, grazie la pazienza, Mark! - lo ringraziò Hellen, portandosi le mani al cuore. - Vedrai che Esther è una ragazza deliziosa e sono sicura che in realtà non ti odia poi così tanto! -
- Lo spero … - mormorò Mark guardando la base della Unicorno immersa nella luce color arancia del tramonto. Era deciso. Le avrebbe dato tutto il tempo del mondo per integrarsi. E per relazionare con lui.

Angolino_Eterno
Scusate prima di tutto la lunghezza del capitolo, ma ce ne saranno alcuni che vi ruberanno anche una mezz'oretta del vostro prezioso tempo …
poi volevo chiedere scusa a chi segue la fic … perdonate la lenta pubblicazione, dopo gli esami prometto che pubblicherò il più velocemente possibile! E magari scriverò anche meglio, perchè in questi ultimi giorni sono completamente sotto pressione … spero di non avervi deluso T.T”
e adesso me ne vado, che ho ancora artistica da finire O.O …
adios!

Lucy

PS= una cosa … secondo voi la litigata era troppo esagerata o andava bene?
PS2= Quando Esther dice: "Ah, ma che palla capricciosa, non riesco a controllarla!" ... sappiate che gliel'ho presa mentre nell'episodio frega la palla a Toad ^\\\^"! Mi piaceva troppo, dovevo usarla!

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Capitolo 7
*** Un'amicizia stroncata. ***


UN'AMICIZIA STRONCATA.

 

- Naso a stecco! -
- Tettona! -
- Ombrello! -
- Labbra a canotto! -
- Riccone! -
- Poveraccia! -
- POVERACCIA?! Senti piadinaiolo, parla per te! E' dai primi di Giugno che mi sfotti, siamo a metà mese, vacci piano o veramente ti affogo nella tazza del water! -
- … piadinaiolo? Perchè, questa parola esiste? Non sei solo una tettona, ma sei anche un'ignorantona dura! Ignorantona, ahah! -
- Adesso basta, voi due! - li rimproverò Bobby, esasperato. Non ne poteva più del continuo bisticciare di Mark e Esther, quei due insieme parevano una vecchia coppia torinese sposata da 50 anni che ormai non aveva più nulla da dirsi, se non litigare da mattina a sera. In solo metà Giugno, chissà per quale strano motivo, erano arrivati ad odiarsi alla follia. Tutte le volte che si vedevano in loro scattava come un pulsante interno di autodifesa e iniziavano ad insultarsi pesantemente, come se si considerassero una minaccia da evitare a tutti i costi. Ad esempio, la scorsa settimana ricordava di essersi svegliato con le urla di Esther che, fastidiose, giungevano dal di sopra fino in camera sua solo perchè Mark l'aveva svegliata con la sua voce, cosa praticamente impossibile, dato che il Capitano aveva un tono debole, tranquillo, cauto e silenzioso. Insomma, ormai era inutile sperare in una riconciliazione, proprio si detestavano. Sia Unicorno che Tripla C li avevano osservati a lungo litigare, ed era chiaro che il livello d'intollerazione aveva superato il limite già dal primo giorno in cui si erano incontrati. Anche se Mark la sfotteva per rallegrarsi la giornata, ogni tanto tentava di esserle amico, ma la risposta che lei gli sputava in faccia era sempre la solita: NO. Nei primi giorni di Giugno il loro rapporto era soltanto un semplice provocarsi a vicenda, e anche se Esther si era offesa più volte tirandogli addirittura i capelli e dandogli un calcio laddove non batte il sole ci era andata “piano”. Ora volavano anche parolacce inascoltabili, urla, strilli insopportabili, bestemmie, e Mark naturalmente contraccambiava. Ma non solo. Esther lo odiava così tanto che tutte le santissime volte che lo intravedeva diventava una belva feroce assetata di sangue e la sua faccia lattea si dipingeva di rosso. - Dovete per forza provocarvi tutti i santi giorni? -
- Sì! Sì, è necessario! - gli risposero in coro i due litiganti, gli occhi brucianti e lo sguardo perso in scariche di adrenalina e furore.
- Eh, se lo credete indispensabile allora non vi disturberò. -
I due giovani ripresero a insultarsi, quando ad interromperli questa volta non fu Bobby, ma bensì una quarta voce, proveniente dal corridoio. - Mark. - lo chiamò, grave.
- Sì? -
Una mano grossa aprì un poco la porta del salotto, e dal buio notturno comparve Mac, impassibile come al solito. - Vieni un attimo con me, devo parlarti in privato. -
Il biondo aggrottò le sopracciglia, nervoso, e tutt'intorno calò un silenzio sospettoso. Persino Esther tacque, sebbene ancora arrabbiatissima. Non era un problema per lei se Mark si sarebbe dovuto assentare per qualche istante. Lo avrebbe aspettato. - Oh … arrivo subito. - Il Capitano della Unicorno si alzò dal comodo divano rosso e raggiunse l'allenatore nel corridoio, poi semichiuse la porta per evitare che gli altri udissero la conversazione. La bianca luce della luna penetrava da una finestra posta sopra la porta d'ingresso, illuminando i muri bianchi con il suo pallido riflesso tremante, e tutt'intorno aleggiava un silenzio pacifico e rilassante. Ma nonostante la bella atmosfera, la faccia rude del mister non prometteva nulla di buono. - E' successo qualcosa? -
- Tua madre ha chiamato. -
Mark venne assalito dalla preccupazione. Ultimamente le cose non gli andavano benissimo, in famiglia. I suoi genitori non facevano altro che comportarsi in modo strano, e ogni occasione era valida per litigare. Ma la cosa che lo insospettiva di più era che spesso si chiudevano nell'ufficio del padre e discutevano animatamente di una questione che, da quanto aveva capito, lo riguardava appieno. In confronto a loro, Esther era una innoqua, succosa fragolina vermiglia. - Che cosa voleva? -
- Ha detto che devi andare a casa: tuo padre ti deve parlare di una cosa importante. -
- Sì, ora ci vado … - mormorò Mark, in evidente stato di ansia. Odendolo deglutire nervosamente Mac si sentì in dovere di poggiarli una mano sulla spalla.
- Mark, tranquillo. Qualunque cosa sia ricordati che se hai bisogno di me puoi sempre farmi un fischio. Okay? -
- Sì, Mister. -
- Ci penso io ai ragazzi. -
- Va bene … non dica a nessuno che sono andato a casa mia, a meno che non si tratti di Dylan. -
- Sarà fatto. - gli promise l'uomo, osservandolo infilarsi velocemente le scarpe. E quando fu uscito dalla base americana guardò la finestrina sopra la porta d'ingresso. - Spero che non sia accaduto nulla. -

Mark alzò i suoi occhi innocenti dal marciapiede e si guardò intorno, ansante a causa della fretta. Casa sua non era tanto distante dagli alloggi della Unicorno, ma la notte pareva allungare il viale alberato in cui viveva. O forse era l'ansia a dargli questa senzazione distorta. Quando intravide la sua villa, una volta che la ebbe raggiunta svoltò a sinistra e si fermò sul pianerottolo. Come non notarla, del resto. Le pareti aranciate sfoggiavano il loro colore allegro anche a miglia di distanza, e in più era di enormi dimensioni, a più piani, con balconi ovunque e finestre sempre aperte. Per non parlare dell'immenso prato verde smeraldo che la circondava, puntellato di fiori con incastonata fra l'erba verdiccia una piscina gigantesca, dove passava il compleanno a tuffarsi insieme a Dylan, Erik e Bobby. E tutto quel lusso era protetto da un unico cancello dorato, che nelle ore più calde brillava ai raggi del sole. Stava per suonare il campanello, ma Marge, sua sorella, fu più lesta e gli aprì la porta. I suoi occhi azzurri non sprigionavano la costante, bellissima allegria di cui lui si nutriva. Emanavano una tristezza insopportabile, pesante, bruttissima. - Ehi, Marge … come mai quel faccino? -
La ragazza sorrise debolmente e gli saltò al collo, poi lo abbracciò forte. - Fratellone, non preoccuparti per me: ci sono brutte notizie, e non ti piaceranno di certo … -
- Okay, pazienza. - mormorò Mark, entrando in casa a testa bassa.
- Johann, ti ho detto che è una pazzia, ha solo 14 anni … - eccheggiò la dolce e sinuosa voce di sua madre dal salotto, facendogli intuire fin da subito che il quattordicenne a cui si riferiva era lui.
- Hana, ti ho già ripetuto mille volte che non cambierò idea su questa mia decisione. Ormai ho firmato le iscrizioni, e anche se non lo avessi fatto comunque mi ero già deciso da tempo. -
- Eccomi.- li interruppe l'americano, entrando nell'ufficio del padre seguito da Marge, che gli teneva la mano. Come al solito l'uomo era seduto su una poltrona in pelle nera rivolta verso la sua fedele scrivania di vetro, immerso fra documenti di ogni forma, genere e importanza, l'espressione fredda e gli occhi determinati. - Mark. - Le sue iridi argentee si posarono sul figlio e un lieve sorriso privo di emozione gli scalfì il viso levigato. I capelli biondo platino gli ricadevano sulle rigide spalle possenti, e la frangia spettinata gli copriva la fronte corrugata, donandogli un aspetto ancora più agghiacciante e severo di quanto già non lo fosse. Mark inspirò profondamente, senza cedere al panico. - Papà, che cosa volevi dirmi di così tanto importante. -
- Ti ho iscritto a un liceo scientifico. -
- Ah, good! Sai già con chi sono in classe? - s'illuminò il biondo, sorridendo senza ancora capire perchè Marge e sua madre fossero così cupe in volto. In fondo era una buona notizia, no?
- Purtroppo ancora non mi è stata data alcuna informazione al riguardo, semplicemente perchè non studierai qui a Los Angeles. - gli rispose il padre, tagliente. - Andrai a New York. -
- Johann, perchè devi rovinarlo così … - mormorò Hanagrace, distrutta.
- Non lo sto rovinando. New York ha uno scientifico molto sviluppato. - Mark sgranò gli occhi, incredulo, e per un lasso di dieci, interminabili secondi il mondo smise di girare, il sangue di scorrere, il cervello di funzionare, i polmoni di incamerare aria e il suo cuore di battere. Un silenzio tombale cadde su tutta la famiglia Kruger, e l'unico a non avvertirne il dolore e l'angoscia era Johann, che continuava a sfogliare dei documenti con aria distratta e assente, in attesa di una qualche risposta da parte del figlio. Andare a studiare nella fredda New York per Mark equivaleva a dividersi letteralmente da Dylan per ben cinque, lunghissimi, noiosissimi, tristissimi anni, senza contare i tre dell'università.

E se a Mark toglievi Dylan lo uccidevi.

Lo colpivi in pieno petto con una fredda lama d'acciaio, gli facevi sparire la voglia di vivere, gli levavi la forza di andare avanti e gli risucchiavi il sorriso dalle labbra. Dylan Keith non era un semplice amico con cui scambiare quattro parole, come faceva di solito con Bobby o, ancora meno, con Erik. Era un FRATELLO, una parte di lui, un membro della sua famiglia, il sole della mattina e la luna della sera, il piumone d'inverno, l'acqua gelida dell'estate, uno scudo protettivo e una spalla su cui piangere. Lo conosceva dall'asilo, e alle medie si erano fatti una promessa solenne, che valeva più di mille parole: nessuno avrebbe e sarebbe mai riuscito a rompere il filo che li univa. E invece ecco qui, per così poco. E la cosa peggiore era che non si poteva fare più nulla per rimediare al danno.
- Beh, non dici niente? Ti ho iscritto al miglior liceo scientifico d'America, dovresti essere orgoglioso del sacrificio che ho fatto per inserirti in una delle loro classi. Erano quasi tutte piene, e pochi possono permettersi di andare a studiare in luoghi di simile valore. -
Mark rimase immobile, incapace di aprire bocca. La rabbia ceca che provava in quel momento era indescrivibile, rovente, violenta e aggressiva. Gli occhi ripresero a bruciare e questa volta le lunghe ciglia nere non riuscirono a trattenere le lacrime, che iniziarono a scendergli lungo le guance.
- Sono sicuro che lì imparerai molte più cose che qui a Los Angeles. -
- Papà … perchè … - gemette il ragazzo, stringendo i pugni. - Perchè lo hai fatto … -
- Non vedo dove sia il problema. -
- Papà, continui a non capire che io vivo di Dylan?! -
- Visto, Johann, te lo avevo detto … - gemette Hanagrace, mordendosi la lingua. - Te lo avevo detto che era Dylan il punto centrale … -
- Zitta, Hana. - le ordinò Johann, mettendosi l'indice davanti alle labbra con cautela.
- NON PUOI TENERMI COSI' DISTANTE DA LUI, NO! - gli urlò in malo modo Mark, disperato. - Non puoi!! -
- L'ho già fatto. -
- No …! - il Capitano della Unicorno sgranò le iridi luccicanti e, ancora con le lacrime sulle gote, cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore. - Non puoi! Non puoi averlo fatto davvero!! -
- E invece sì. -
- No, no! - singhiozzò Mark, non riuscendo a calmarsi. La debolezza gli sciolse le gambe come cioccolato al sole e, non riuscendo a reggere il peso del suo corpo, precipitò in ginocchio, piangendo. Le lacrime caddero sul tappeto e le sue spalle iniziarono a tremare di rabbia, ma la freddezza di Johann non cedette neanche un po' davanti a una scena angosciante come quella. - No, no, no … ti odio! -
- Non mi interessa. -
- Ti detesto!! Mi hai rovinato la vita!! -
- Sono sicuro che appena ti sarai inserito bene nella tua nuova classe ti farai dei nuovi amici, anche migliori di quello scemo di Keith. -
- DYLAN NON E' UNO SCEMO!!! - abbaiò Mark, non vedendoci più dalla rabbia, mentre tentava senza successo di bloccare i singhiozzi. - Non puoi togliermelo così, no!! Non puoi, hai capito?! No! -
- Mark … - Johann gli sorrise, dimostrandosi del tutto ignaro davanti alle lacrime del figlio. - Digli addio. -
Il biondo strinse i peletti del tappeto, quasi con l'assurdo intento di squoiarlo, ma ovviamente si disperò solo di più. Dylan era la sua vita, la sua droga più dolce, il suo mondo sperduto, suo “fratello”, gli voleva troppo bene per fargli questo. Ogni volta che mancava a scuola addirittura si isolava dagli altri, perdendosi nel profondo oceano della solitudine, di cui né Erik né Bobby erano mai riusciti a farlo riemergere, suo padre nel rompere, nello spezzare la loro amicizia in quel modo aveva proprio esagerato. Si sollevò dal tappeto in marmo barcollando e, sempre piangendo, abbandonò l'ufficio per raggiungere camera sua e sfogarsi col cuscino.
- Marky! - lo chiamò Marge, disperata. - Sapevo che non l'avrebbe presa bene … vado a parlargli! Magari riesco a farlo sorridere con una delle mie limonate … -
- No, Marge. - la fermò Hanagrace, anche lei dispiaciuta per il figlio. - Lascialo solo. Più tardi andrò io a parlargli. -
- Okay … -

- Mark, my treasure … - bussò alla porta della camera del figlio Hanagrace, tristissima. - Ascolta … lo so che stai male … ma almeno posso entrare? -
L'americano emise un verso roco e sollevò il capo dal cuscino, umido di lacrime. Aveva pianto come un disperato per tutta la serata, bestemmiato contro quell'insensibile tedesco che era suo padre, ignorato le costanti chiamate di Dylan e di Mac, e alla fine il sonno, con una carezza, lo aveva fatto crollare dal sonno. - Chi è … - gracchiò, stropicciandosi gli occhi ancora bagnati con due dita.
- Sono la mamma … -
- Vattene … -
- Mark, my beautiful son, ti supplico … dobbiamo parlare … -
- No, mamma, smetti di farti la dolce, vai via e lasciami in pace …! -
Ovviamente Hanagrace non lo ascoltò. Spinse la maniglia in basso ed entrò in camera: a vedere Mark giacere immobile sul letto ancora in divisa le si spezzò il cuore. - Mark … - si sedette delicatamente sul bordo del materasso e gli passò una mano fra i capelli, premurosa. - Mark, Marge ha insistito nel farti una limonata … a te piace tanto! Ti va? - il biondo si alzò con lentezza e le tolse il bicchiere dalle mani, poi iniziò a berne l'acido succo giallo a piccoli sorsi, per niente assetato. Hanagrace ne approfittò per sistemargli la frangia spettinata e le sopracciglia. - Amore, ti supplico, non piangere più … -
Il biondo si staccò dal bicchiere senza nemmeno aver terminato la limonata e lo riconsegnò alla madre, poi si asciugò le lacrime con il braccio. Stava troppo male per fermare il pianto, per assaporare il fresco sapore del limone, era tutto inutile scacciare l'amaro che quella devastante notizia gli aveva deposto in bocca. - Ma perchè papà deve farmi questo … lo sa, lo ha sempre saputo che Dylan è il mio migliore amico, come può dividermi da lui, io lo adoro … non si può proprio fare nulla, nulla per rimediare? -
- No … no, ormai è già tutto sistemato … -
- E ALLORA?! - ringhiò Mark, prendendo Hanagrace per le spalle, con violenza. - Tantissimi ragazzi ritirano le iscrizioni in estate e cambiano liceo, perchè io non posso farlo?! WHY?! -
- Mark, tuo padre ha scelto per te … sai com'è … -
- No!! - il quattordicenne, disperato, iniziò a scuoterla affannosamente. Hanagrace non si oppose, e righe nere iniziarono a colarle sul viso. Vedere Mark piangere in quel modo la distruggeva, Johann si era comportato da vero bastardo. - No! No! Non è possibile!! -
- Amore … - la modella scosse il capo e gemette di dolore nel percepire la potenza dell figlio nello scuoterla rabbiosamente. - … calmati … -
- No! Tu non capisci, non capisci affatto! Dylan is my best friend, my brother, my life! Che cosa farò senza di lui?! COSA?! WHAT …! -
- Mark … - Hanagrace sorrise debolmente. - Mark, tesoro, guarda il lato positivo: New York è una città modernissima, ti permetterà di avere più conoscenza che sicuramente qui a Los Angeles non avresti ottenuto e … -
- Mamma, non me ne frega niente della conoscenza! Io voglio stare con Dylan! - si disperò nuovamente Mark, finalmente smettendo di scuoterla per portarsi le mani fra i capelli. - Che cosa farò senza di lui! -
- Mark … - Hanagrace prese un lungo respiro e lo accarezzò ancora fra i capelli, sperando in qualche modo di placare la sua malinconica rabbia. - … non lo so.
- ammise poi, arricciandogli un ciuffo color ambra. - Però ti do un consiglio: non aspettare l'ultimo momento per dirglielo. -
- Ahah, io volevo sparire senza neanche dirglielo, è diverso … -
- Mark, lo faresti solo arrabbiare. Domani prendilo in disparte e diglielo, okay? Ci rimarrà male ma insieme troverete una soluzione, credimi. -
Mark chiuse gli occhi e la tristezza lo trascinò nuovamente via con sé. La testa gli pulsava fortissimo, le iridi gli bruciavano e le labbra gli tremavano nervosamente. - Mamma, come si può trovare una soluzione insieme in soli tre, inutili mesi, perlopiù pieni di impegni … -
- Amore … -
L'americano iniziò ad ansimare per coprire altri singhiozzi, che avrebbero di certo portato a lacrime ancora più grosse e salate delle precedenti. Doveva calmarsi, doveva accettare la situazione, adesso, o non sarebbe mai riuscito a dirlo a Dylan. Se prima non si preparava psicologicamente ad affrontare l'argomento, figuriamoci lui. - Mamma … - si trascinò verso sua madre con fatica, disfacendo le lenzuola con deboli ginocchiate per raggiungerla, e cadde fra le sue braccia.
- Mark! -
- Mamma, stringimi forte … - mormorò l'americano, poi affondò il lungo naso fra i suoi capelli color miele e serrò gli occhi per goderne il rilassante profumo di camomilla. Hanagrance arrossì e iniziò a coccolarlo, lasciandosi sfuggire un sorriso.
- Mark, tranquillo … non ti lascio … -

 

Angolino_Eterno
T.T, oh, my Mark …
ve l'aspettavate? Se a me mi dividevano dalla mia best mi buttavo giù dalla finestra, letteralmente u.u.
Anche se tanto, forse, FORSE, ci dovremmo dividere comunque. Spero di no!
Vabbé … mi raccomando, se volete recensite, altrimenti pazienza, sapete benissimo che vi comprendo :)
Beh … nos vemos al prossimo capitolo, allora (sperando che sia meno triste :'D)!
Bye!

Lucy

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Capitolo 8
*** L'ira funesta di Mark Kruger ***


L'IRA FUNESTA DI MARK KRUGER
 

- Ragazzi, ho un annuncio importantissimo da fare! - dichiarò Michael alle due squadre sedute intorno ai tavoli della mensa, salendo sulla sua sedia con l'agilità di un vero ballerino professionista.
- Oh, no, ecco che cerca nuovamente di avere i riflettori addosso a tutti i costi… - si lamentò Dell fra i denti, le braccia incrociate al petto ancora un po' piatto a causa dell'altura e gli occhi color rubino rivolti verso le uova strapazzate davanti a lei, che le avevano da sempre creato disgusto.
- Che devi dirci di così importante, Michael? - domandò Daisy con la bocca piena.
- Domani … è il mio compleanno! -
- WHAT?! - i ragazzi della Unicorno, sbalorditi, si sollevarono dalla sedia con uno scatto repentino e nel volto abbronzato e scavato di Michael si formò una smorfia di apparente delusione. Nessuno dei suoi amici si era ricordato che domani, 17 Giugno, lui, l'incarnazione di Michael Jackson, compiva finalmente 14 anni. L'imbarazzo fu condiviso da tutti meno che dalle ignare e menefreghiste ragazze della Tripla C, che continuavano a fare colazione nella pace e nel relax più assoluto. O almeno quasi tutte. Esther non aveva toccato forchetta, così come Dylan, che però, allegro e spensierato come al solito, riusciva a nascondere il nervosismo con i suoi raggianti sorrisi sornioni. Il motivo di tanta ansia e apprensione era uno, sufficiente a tenerle i frettolosi battiti del cuore in stand-by: Mark. La mora poggiò il gomito sinistro sul tavolo di legno massello e, preso il cucchiaino accanto al piatto ancora pieno di brandelli di uova, iniziò a girare meccanicamente l'invitante cappuccino schiumoso sotto il suo naso parigino per togliersi il pensiero. Tutto inutile. Da quando Mark si era assentato aveva cominciato a preoccuparsi, e anche se lo odiava a morte non poteva non chiedersi che cosa gli era accaduto, come stava e dov'era.
- Ahahah!! -
- Uh? - Esther sollevò lo sguardo dalla schiuma color caffè senza smettere di mescolare la miscela. La risata fragorosa di Bobby la riportò negli Stati Uniti d'America; il ragazzo iniziò a grattarsi fra i capelli argentei con una carica d'imbarazzo. - Il tuo compleanno, già ... -
Michael, ancora in piedi sulla sedia, rivolse il capo in alto. - Ammettetelo. Ve lo siete dimenticati. Vi eravate scordati del mio compleanno. -
- No, Michael … -
- Sì invece!! -
- Dio, quanto è permaloso … - si lamentò Dell, guardandolo fare l'offeso.
Hellen rise. - Certo che non lo sopporti proprio, eh? -
- Si crede famoso come Michael Jackson e invece ancora deve fare passi da gigante per raggiungerlo … in più è un viziato, immaturo, irresponsabile, e durante gli allenamenti canta “Bad” tutto il tempo credendosi persino intonato … -
- Eheheh! -
- E dai, Michael! - cercò intanto di sdrammatizzare Erik, passando un braccio intorno al collo di Bobby che, rosso, teneva gli occhi piccoli incollati al pavimento. - Non prendertela! Scherzavamo! -
Il riccio lo squadrò con sguardo incerto, la bocca curvata e un sopracciglio alzato.
- Michael, ti giuro, scherzavamo! - mentì nuovamente Erik, arrossendo.
- Sé, certo. -
- E' verissimo, invece! - s'intromise Dylan, per salvare il castano. - Sei uno di noi, credevi forse che ce ne dimenticassimo? -
- Beh, sì. Come ora. -
- Ah, Michael … - il ragazzo con gli occhiali lo tirò giù dalla sedia con una forza straordinaria, poi gli spettinò i capelli, facendolo ridere. - Come puoi pensare una cosa del genere! -
- Okay, okay, ora basta Dylan, che mi spettini tutti i capelli … sai quanta lacca e gel ci vogliono per tenerli ricci, voluminosi e splendenti così come li vedi? -
- E' pure vanitoso … - sbuffò Dell, alzando gli occhi al cielo. Hellen rise di nuovo, quando, come un improvviso temporale estivo in una bella giornata di sole, entrambe le squadre sentirono dei passi provenire dalla porta d'ingresso. - Mark …! - gemette a bassissima voce Esther, smettendo di massacrare il povero cucchiaino d'acciaio contro la parete in ceramica della tazza, il cui interno ormai era diventato una miscuglia marrone, fredda e insapore.
L'americano sopraggiunse dal corridoio ed entrò in cucina. La mora aggrottò le sue lunghe sopracciglia fini e superbe e lo osservò meglio, nascosta dalle teste di tutti i presenti. La sua faccia stralunata, il modo di camminare, la tristezza negli occhi le fecero intuire che il suo nemico più odioso non era in vena di offese, quel dì. Ma non le importava. Lo avrebbe umiliato comunque. - Goodmoring a tutti. - disse il biondo, il meraviglioso tono pacato privo di alcuna emozione.
- Ehi, Mark, Capitano! - lo salutò Erik, felice di vederlo.
- Mark! Buongiorno! -
L'americano batté gli occhi, stanco. Era come se fosse presente con il corpo ma non con la testa, che purtroppo era rimasta ancora a ieri sera, dentro il lussuoso ufficio del padre, a spargere lacrime lungo tutto il tappeto e implorando inutilmente di non dividersi da Dylan. Cosa che fu del tutto inutile. Aveva tentato di far ragionare suo padre anche questa mattina, appena sveglio, mentre immergeva i biscotti nel latte, ma lui, testardo, non parve nemmeno udire la sua voce tremante implorarlo ancora una volta di farlo studiare nella sua città natale, Los Angeles. - Che bello rivederti! -
- Grazie, anche per me … -
- Capitano, tu ti ricordi che giorno è domani, vero? - gli chiese Michael, scendendo dalla sedia e raggiungendolo.
- Aspetta … - Mark guardò un momento il soffitto, smascherando il dolore che teneva racchiuso nel cuore. - … fammi ricordare … il tuo compleanno? -
- Sì! Visto, ragazzi? Almeno il Capitano se lo ricorda! -
- Dai, Michael, ti abbiamo già detto che scherzavamo! -
- Smettetela di mentirmi! -
- Quando pensi di festeggiarlo? - s'informò Hellen, curiosa e ingenua come sempre.
- Ah, proprio domani. I miei hanno affittato un locale carino dove passare la serata. Si trova in una zona tranquilla, circondata da parecchi alberi e con una vista da non perdere. Siete tutti invitati, anche voi, ragazze … -
Daisy lo guardò, incredula, lasciando cadere la forchetta sul pavimento. - Davvero siamo invitate al tuo compleanno? -
- Ma certo! -
- Dylan. - lo chiamò tutto d'un tratto Mark, troncando la conversazione con tono secco, fermo e deciso.
- Sì, Mark? -
Il biondo lo guardò negli occhi, distrutto, e il ragazzo ebbe un brivido tremendo, come se dei laser turchesi di immane precisione gli avessero fuso le spesse lenti color oceano degli occhiali solo per centrargli pupille nere e catturare la sua distratta attenzione al massimo. Deglutì e lo raggiunse nel corridoio, guidato da quelle iridi innocenti che conosceva da tanto, tantissimo tempo. E quando Mark chiuse la porta con violenza capì che non era successo niente di gradevole, ieri sera, a casa sua.
- Dylan, dobbiamo parlare. -
- Dimmi tutto, Mark. -
Il biondo pensò a come iniziare il discorso, con quali parole, con quale intonazione e, soprattutto, con quale coraggio. E quando, per fortuna, trovò la giusta calma, si decise a discuterne. - … mio babbo mi ha iscritto ad uno scientifico … -
- Oh, fantastic! Sai già se siamo capitati insieme oppure … -
- Fammi finire. - lo bloccò Mark, con un sibilo aggressivo a causa del troppo stress che aveva accumulato ieri sera.
Dylan s'arrestò all'istante, confuso. - Sì, perdonami Mark, scusa … -
- Mio padre mi ha iscritto a uno scientifico, ma … - l'americano chiuse gli occhi per evitare di piangere, di versare ancora una volta inutili lacrime di dolore. L'amarezza in bocca gli aveva lasciato un segno profondo in quel suo grande cuore sensibile, che non se ne sarebbe andato. Mai. - … ma non si trova qui, a Los Angeles. -
- Ah, no? Evidentemente sarà nelle vicinanze. - Dylan scoppiò a ridere. - E questo musone bruttissimo per sta scemenza assurda? Dai, Mark, se vuoi lo cerchiamo su internet … -
- Dylan, cazzo, se mi devi interrompere ogni 3 secondi allora puoi anche andare a farti fottere! -
- Oh, Mark, moderiamo i termini?! - si difese l'altro, sgomento. Mark non gli aveva mai parlato in quel modo, se non in litigate veramente serie, e rimase abbastanza offeso. Non sapeva giustificare tale ansia da parte dell'amico. Non riusciva a decifrare il motivo di tutta quella frustrazione, rabbia, angoscia.
- E' a New York. - proseguì il biondo, mostrandosi indifferente davanti all'irritazione di Dylan. - E' a New York e … -
- Mark, dai … per questo ti sei assentato così tanto, ieri notte, e non hai risposto alle mie chiamate? Fai ancora in tempo a toglierti, non farne un dramma! -
- NON CREDI CHE L'AVREI GIA' FATTO?! - urlò Mark battendo una mano contro il muro. Dylan sgranò gli occhi. Poca più potenza e l'americano avrebbe sicuramente buttato giù la parete.
- Mark …! -
- Mi hai preso per un'idiota?! Non posso, semplicemente non ho vie d'uscita! -
- Quanto ci vuole, Santo Cielo, persino un pesce ci arriva! Tutti i licei ti lasciano libero di decidere se cambiare o meno scuola nel periodo estivo, almeno fino a quando non sta per iniziare l'anno scolastico! -
- Dylan, è ufficiale!! -
- Ma … -
- Mi ha iscritto mio padre! E quello che dice lui è legge per tutta l'America! -
- Parlagli, no? -
- Dylan … - Mark esitò per trattenere un urlo di foga. - … come se non ci avessi tentato! Ma non capisce, non capisce che così mi farà passare l'adolescenza più brutta e schifosa della mia vita! - nel corridoio cadde un silenzio tombale, che neanche l'allegro brusio per la maggior parte femminile proveniente dalla mensa riusciva a spezzarlo. Mark emise un sospiro di rassegnazione e smise di fissare l'amico negli occhi, forse vergogna. - E' legge per tutta l'America … - ripeté, sconfortato.
Dylan scosse il capo, non trovando la forza, il tono giusto per ribattere. Per un attimo si era scordato che Johann Kruger era un politico tedesco di fama internazionale, conosciuto in tutto il mondo per essere uno dei migliori uomini al potere, che il suo portafoglio traboccava di dollari e che le sue parole venivano trasmesse in tutti i continenti e tradotte in tutte le lingue inimmaginabili, che persino l'essere più povero, più piccolo, più inutile a questo mondo lo conosceva. E che il suo migliore amico Mark non era che una stupida bambolina di pezza in quelle mani potenti che con uno schiocco di dita sarebbero riuscite a governare un' intero continente. - “f-fratello” … - riuscì finalmente a balbettare, esasperato. Una morsa dolorosa gli stritolò il cuore. Dividersi da Mark? Assurdo. Stupido. Lui, che si nutriva di quegli occhi turchini, di quella voce, di quell'affetto fraterno … impossibile. Escluso. - Mark, questo vuole dire che … non ci vedremo più? C-c- che storia è questa! No, non ti credo! -
- Dylan, mi dispiace … - gli rispose l'altro, prendendogli la mano. - Ma non sarei mai in grado di mentirti in questo modo … -
- Mark, non puoi lasciarmi così, devi fare qualcosa, DOBBIAMO fare qualcosa! Ci deve essere una soluzione! -
- Lo so, “fratello”, ma purtroppo non si può fare nulla … -
Dylan gli si avvicinò e lo abbracciò con una forza impressionante, fino a farlo gemere di dolore. Avevano sempre fatto così, fra di loro. Più uno dei due strozzava d'amore l'altro, più quest'ultimo capiva quanto gli voleva bene.
- Dylan … - Mark sorrise e ricambiò la presa con altrettanta potenza, forse anche di più. Rimasero incollati in quel modo per 5, interminabili, stupendi, fantastici minuti, o almeno fino a quando Dylan non fu baciato da un colpo di genio.
- Eccola, eccola, lo sapevo che una soluzione c'era!! - esclamò, prendendo Mark per le spalle e scuotendolo con dolcezza.
- Ah, sì?! Dimmelo Dylan, ti prego! -
- Yes, yes sure! Vengo con te! -
- … no … - il biondo ritornò serio e il sorriso speranzoso che si era disegnato nel suo volto elegante scomparì nuovamente nel profondo vortice della tristezza in cui era scivolato senza che nessuno fosse stato in grado di sorreggerlo. - No, non ce la faresti … è veramente difficile, e costoso, e poi non ti lascerei mai e poi mai abbandonare Los Angeles per me … -
- Mark, ti prego! -
- No, Dylan, non si discute … lascia stare … -
Dylan cercò i suoi occhi acquamarina fra quell'ammasso di ciuffi biondi che l'amico teneva spettinati sulla fronte, e quando li trovò iniziò a fissarlo con intensità. - Allora non ci resta che un'unica cosa da fare … -
- Evitarci. -
- No. -
- Ignorarci. -
- No. Goderci appieno questa estate, anche se c'è la Tripla C. -
Mark emise un gemito soffocato e sollevò la testa per non far vedere a Dylan che gli era distrattamente scesa una lacrima senza che fosse stato in grado di fermarla. - Dylan, ancora non hai capito che facendo così soffriremo solo di più … - disse.
- Ma almeno non avremmo rimpianti. - gli spiegò il ragazzo con gli occhiali, dolce, poi gli strinse ancora le mani per confortarlo, per fargli capire che c'era era e che gli sarebbe stato vicino, in ogni caso. - Dai, “fratello”, ora basta quel musone, abbiamo già risolto. Fammi un sorriso? -
- Dylan … -
- Su, Mark, sorrisino? Sorrisino sorrisino? Uno solo? Uno solo, puccio puccio, bello bello, dai. Me lo fai? Eh? -
- No. -
- Mark, e dai! -
- No, Dylan, non insistere … la mia vita cambierà per sempre, senza te … sei mio “fratello” … -
- Mark, io … - Dylan deglutì. - … io non posso vederti così avvilito … no, non lo tollero affatto … quindi ti supplico, rilassati e sorridi alla vita! -
Il Capitano della Unicorno stava giusto per ribattere, quando Esther, di cui la parola “rispetto” non le era ancora entrata in testa, spalancò la porta con un calcio. Era stanca di aspettare che quei due finissero di piangersi addosso come carcerati. Guardò la faccia di Dylan, triste, e poi quella di Mark, assente e avvilita, persa in un altro pianeta. Sorrise. Quella era un'occasione unica: se il nemico era fragile, ferirlo sarebbe stato ancora più facile.
- Allora, Kruger, cosa c'è che non va, eh?! -
- Esther … - sospirò Dylan, portando via Mark, ma la ragazza gli pestò un piede.
- Non ci provare, cafone! -
- CAFONE A ME?! -
- Dylan. - Mark gli poggiò una mano sul petto, cauto. - So cavarmela da solo, con le mocciose. -
- Mocciosa a una ragazza bella e talentuosa comme moi?! Pardon, ma non ho sentito bene! - tuonò Esther, lasciandosi sopraffare da una rabbia incontrollabile. I suoi dolci occhi neri come l'ebano s'incendiarono, scatenando roventi scintille e pericolose lingue di fuoco un po' dovunque, in un instante. - Ascolta, Kruger … -
- No, ascolta te: - la zittì Mark, stanco di tutto quell'ammasso di problemi che si ritrovava sulle spalle. - Adesso non ho voglia di litigare, di perdere tempo. Se vuoi lo facciamo domani. -
- NO! No, lo facciamo ADESSO, lo faremo domani, dopodomani e dopodomani ancora, perché ti odio da morire! Che hai oggi, ti sei fatto la cacca addosso …? -
- Esther! - la richiamò Suzette, ma l'altra si rifiutò di ascoltarla, su tutte le furie.
- Oppure ti sei pisciato? -
- Hai finito? -
- No! Ho appena iniziato! -
- Falla finita, allora. - replicò Mark, scocciato, per poi girare i tacchi e andarsene. Esther strinse i pugni e i suoi occhi neri scintillarono nuovamente di odio. La gola iniziò a bruciarle dal nervoso e la rabbia a crepitare nel suo cuore. Ormai bastava che aprisse la bocca per sputare fiamme come un drago infuriato con il solo obbiettivo di incenerirlo. Doveva trovare il punto più debole, fragile, insicuro dell'americano, tirare fuori gli artigli e ferirlo nel cuore, strapparglielo dal petto, lacerarlo contro una pietra. Ma non capiva quale poteva essere, fino ad ora non si era mai offeso, anzi, al contrario, le sorrideva con dolcezza, fingendosi un amabile ragazzino pronto a fare amicizia con lei in qualsiasi momento. Ci pensò su per tutto l'allenamento, aveva continuato a insultarlo e provocarlo, ma lui, paziente, aveva finto che non esistesse, allenandosi da solo e a volte dandole qualche consiglio prezioso per aiutarla a migliorarsi, sebbene fosse molto nervoso. Quando a darle una risposta fu lo stesso Dylan. Mentre palleggiava e allo stesso momento imprecava contro quel biondo, per caso finì con l'orecchiare un po' di conversazione fra il goleador della Unicorno e Erik, e venne a scoprire che Mark ieri si era assentato per problemi in famiglia. Purtroppo Dylan non andò nel dettaglio, ma questa informazione bastava e avanzava. E quando sia CCC che Unicorno si stavano preparando per la partita conclusiva decise che era ora di scoccare la freccia. Lo incrociò all'uscita dello scompartimento con un po' di coni arancio fluo fra le mani e scoppiò a ridere. Mark sospirò. - Dovresti prepararti per la partita, oggi non hai fatto nulla, se non prenderti gioco di me e fare di testa tua. -
- E' vero che ieri sei sparito perché mammina ti cercava? -
L'americano cercò di passarle avanti per evitare a tutti i costi l'argomento, ma lei gli bloccò l'uscita, mentre un sorriso di vendetta le si formava nel viso. - Queste sono cose che non devono riguardarti. - le disse, deciso.
- Ah, no …? -
- No di certo, non sei nessuno per infilare quel naso orribile che ti ritrovi nei miei affari. -
- Che è successo alla tua famiglia brutta e odiosa come te se non peggio, ieri sera, si erano persi per la strada? -
- Fammi passare. -
- La tua sorellina cara ha fatto i capricci? -
- Ha dodici anni, non tre, e ne io ne lei siamo ragazzi capricciosi. Semmai lo sarai tu … -
- Ti senti impotente, fragile, sottomesso davanti a quei due ricconi che vomitano soldi su soldi? -
Mark appoggiò i coni a terra, con delicatezza, dopodiché fece scricchiolare le ossa delle mani, irritato. Ora aveva esagerato. - Non ti permetto di parlare male della mia famiglia. Sono fantastici, e prima di criticarla dovresti conoscerla a fondo. -
- Cos'è, ti hanno vietato di giocare alla play? - continuò Esther, fingendo di non averlo sentito. - Li hai scoperti dare dei soldini in più alla tua sorellina, hai sbattuto i piedi contro il pavimento e hai fatto il musino? Oppure … -
- Ti ho detto di levarti …! -
- Oppure ti hanno proibito di stare con quel fesso di Dylan? - inventò Esther, senza sapere affatto che aveva centrato in pieno il motivo di tanta tristezza.
Mark sgranò gli occhi e dopo pochi attimi di silenzio le labbra cominciarono a tremargli lievemente, segno che di lì a poco sarebbe scoppiato a piangere. Una spada di ferro lo trafisse nell'addome, un vento malinconico gli schiaffeggiò il volto con violenza, più volte, un viluppo di mani iniziò a cercarlo per trascinarlo con sé nel rancore più profondo a questo mondo. Aveva cercato di non dare a notare il suo malessere mettendoci una pietra sopra, ma più tempo passava e più stare rilassato gli risultava difficile. Dylan. Quel nome gli echeggiò ripetutamente nella testa, rimbombando contro le pareti del cervello. Dylan Keith, il suo migliore amico, che ora era in campo ad aspettare che portasse i coni per rimpicciolire la zona dove avrebbero giocato insieme alla Tripla C … la litigata di ieri sera con suo padre gli ritornò in mente, tutte le lacrime che aveva versato, tutta la rabbia che oramai, focosa, non riusciva più a contenere.
- Ahah … - sorrise Esther, con sguardo indagatore. Finalmente aveva trovato il punto debole dell'americano, perlopiù inventando anche un motivo a casaccio: Dylan. - Allora è così … quello scemo del tuo amico è un tipo da evitare, eh …? Come sono protettivi i tuoi genitori … spaccia droga? Si fuma le canne? -
- BASTA!! - esplose di rabbia Mark, le lacrime agli occhi. - Basta, stop, shut up! Smettila di dire stupidaggini! -
Esther batté le lunghe ciglia imbrattate di rimmel più volte, sconcertata. Sapeva di aver esagerato, ma c'era bisogno di piangere per un motivo simile?
- Basta, taci! Hai rotto! Mi hai rotto! Tu non puoi capire la gravità della cosa! -
- Ok, però calmati … -
- No, non mi calmo! - le urlò Mark, catturando l'attenzione di tutti i presenti. - Se tentavi di farmi arrabbiare ci sei riuscita benissimo! Contenta?! Però ora mi hai stancato! Mi hai veramente stancato! -
- Beh, anche tu mi hai stufata! Non ti tollero, non tollero la tua squadra, il tuo amico scemo e gli Stati Uniti, e tutto questo perché esisti! -
- Non cercare scuse! - abbaiò Mark, difendendosi. - Non ti rendi conto che ti stai comportando da vera stronza con me!? -
- Ho le mie buone ragioni per farlo, mi sei d'ostacolo! -
- Allora, sentiamo, cosa ti ho fatto di tanto grave da odiarmi?! -
La difensora rimase in silenzio per qualche secondo, senza smettere di guardarlo, e fortunatamente la risposta arrivò prima del previsto, salvandola da una sconfitta certa. - No, semmai cosa ti ho fatto io di tanto grave da farti piangere come un bambino di cinque anni a cui hanno rubato le caramelle!! -
- TI HO DETTO CHE SONO FATTI MIEI, semplicemente dovevi stare zitta e non provocarmi, anzi, non l'avresti mai dovuto fare! E' da quando siamo compagni d'allenamento che non fai altro che divertirti a scocciarmi! Falla finita! La mia pazienza ha un limite, e tu oggi l'hai superato! Cosa credi, che sarei rimasto con le mani conserte a vita, che ti avrei sopportato fino alla fine dei miei giorni?! Basta, sono stanco di te, di tutto e di tutti, ho provato a darti una possibilità, credevo che col tempo saresti cambiata … - Mark fece una pausa, ansante, mentre grosse gocce trasparenti gli scivolavano lungo la parete delle guance, livide di rabbia. - … e invece mi sbagliavo, perché sono uno stupido, un ingenuo, e a causa di questo mio difetto rimango spesso deluso dagli altri, ma è poco meno di metà mese che mi conosci e già mi odi! Ho cercato di starti simpatico in tutti i modi, ma tutte le volte che ti davo la mano la rifiutavi, adesso STOP! -
- Oddio, che angelo che sei, non so che dire … - si finse commossa Esther, posandosi una mano sul petto.- Sta zitta, smettila di rispondermi e porta rispetto per me, che non mi conosci neanche! -
- No, io non sto zitta, tu stai zitto, e non alzare la voce con me, o ti giuro su il mio fratellino che ti arriva in faccia un manone, così poi ti do un motivo per piangere! Solo perché ho detto il nome Dylan ti è scattato un tic di nervosismo, calmati! Non ti ho chiesto di essere tua amica e mai te lo chiederò, quindi puoi anche finirla di insistere tanto! -
- BASTA! - ringhiò Mark, disperato. - Basta, basta, sono stanco, lasciami in pace, se proprio non mi tolleri allenati da sola, non so che altro dirti! - urlò, poi si tolse la fascetta da Capitano senza un motivo preciso, la gettò per terra e sparì inghiottito dai raggi aranciati del tramonto.
Esther rimase allibita, ferma immobile a guardarlo allontanarsi. Non aveva mai immaginato di ferirlo in modo così esagerato solamente utilizzando un nome e una scusa banale. Si chinò per terra e raccolse la fascetta azzurra dalla ghiaia, quindi la guardò, dispiaciuta. Si morse il labbro inferiore e l'accarezzò con un dito, togliendole la polvere color gesso che aveva macchiato il tessuto azzurrino. Qualunque cosa gli fosse successa ieri sera, con i suoi familiari, doveva essere stato grave, perché un ragazzo di 14 anni calmo e tranquillo come lui non si sarebbe messo a piangere per un'assurdità simile. Si annodò la fascetta alla caviglia, per non perderla, poi sospirò amaramente. Le dispiaceva. Le dispiaceva tanto avergli gridato in quel modo. Forse si sarebbe dovuta trattenere.
- Esther. - la chiamò Dell, poggiandole una mano sulla spalla. - Perché lo devi far arrabbiare così tanto, non ti capisco! -
- Dell, è solo scena, credimi … - mentì Esther, mostrandosi forte davanti all'amica.
- Ne sei sicura? Questa mattina già gli giravano le scatole, se poi ci dai dentro anche tu … -
- Vedrai che domani starà meglio. -
- Se lo dici tu … io ti consiglio di andare a parlargli. - gli propose la ragazza col cappello, un po' insicura. - Per me lo hai ferito davvero. -
- Certo, come no … - sbottò Esther, sapendo perfettamente che Dell aveva ragione.
- Esther, ti prego di pensarci. -

- Mark! - Dylan spalancò la porta della camera dell'amico e si precipitò a soccorrerlo.
- Dylan, io non ce la faccio! - biascicò l'altro fra le lacrime, rosso in volto. Era seduto sul bordo del letto, rannicchiato su sé stesso, a piangere come un disperato. Alzò il capo per guardare Dylan negli occhi e il ragazzo con gli occhiali ebbe una fitta al cuore, profonda. - Non dovevo urlarle così, lo so di aver sbagliato con lei, ma non può rompermi in un momento delicato come quello che stiamo passando adesso io e te, no, non glielo permetto! -
- Mark, basta piangere, ti prego … - mormorò Dylan, la voce roca e sommessa di tristezza.
- Dylan, io non voglio perderti … tu sei la cosa più importante che ho al mondo dopo Marge, perché deve finire così … ho cercato di distrarmi, ma è tutto inutile: per quanto eviti di girarci intorno finisco sempre nell'inciamparci su, non riesco a non pensare che abbiamo solo tre mesi da passare insieme e poi è finita! -
- Mark … - Dylan lo abbracciò, permettendogli di bagnargli la spalla destra di lacrime. - Mark, basta … troveremo una soluzione, vedrai. -
- No! -
- Mark … -
- No! -
Dylan emise un sospiro di rassegnazione per evitare di piangere e, con gli occhi languidi, cominciò ad accarezzarlo amabilmente sulla schiena in quel momento curva, che ad ogni singhiozzo si sollevava con uno scatto. E grazie a Dio in camera entrarono anche Erik e Bobby.
- Mark, Capitano! - lo chiamò il castano, venendogli incontro.
- Mark! -
Mark sollevò il capo e si passò un braccio sul volto, imbarazzato. - Guys … - mormorò.
- Mark, perché piangi … - gli chiese Bobby, battendogli una mano sulla spalla, delicatamente.
- Io … -
- Ah, è per quello che ti ha detto Esther, vero? - Erik scosse il capo, sorridendo. - Lasciala perdere, Mark, non è il tuo tipo: sicuramente si fa la scontrosa perché stravede d'amore per te e non lo vuole ammettere … non la conosco benissimo, ma è la stessa ragazza che ha aperto la porta del ristorante della madre di Suzette cogliendo in flagrante me e lei a baciarci e … -
Mark arrossì lievemente, infastidito dalla notizia.
- te lo assicuro, in realtà è tutt'altro. -
- No, no … non è lei, il motivo. … io … mi sono fatto malissimo e … il dolore era così forte che ho fatto una … -
- Mark, non mentirci. - replicò Erik, severo. - E' tutto prima che le stavi urlando come un disperato. Ti ha fatto innervosire, giusto? -
- Può darsi … ragazzi, non lo so … -
- Dammi retta: - Eagle si sedette accanto al Capitano della Unicorno, poi gli spettinò i capelli per tirarlo su di morale. - E' solo cotta di te, tutto qui. Credimi, sono un esperto di donne, le vedo queste cose. -
- Ah, però … - annuì Bobby, a occhi sgranati. - Non ti facevo un professionista del mondo femminile. -
- E invece sono il numero uno, caro. -
Mark guardò Erik negli occhi, incredulo e anche divertito. - Il numero uno …? - chiese, debole. - Con Suzette non va molto bene. -
- Lei è un caso a parte ...! -
- Il numero uno ... - ripeté il Capitano della Unicorn, poi rise, sebbene con poco animo. - Ragazzi, non vi dimenticherò mai … -
- Come mai dici questo? - domandò Shearer, confuso.
- Eh? - il biondo si strinse le spalle. - Lascia stare Bobby. A suo tempo te lo dirò. - sospirò poi, guardando i suoi amici lanciarsi occhiate piene di punti interrogativi. Di una cosa era sicuro. Non li avrebbe mai scordati. Mai.

 

Angolino Floreale
Ohhhh … *sbattendo la testa sui tasti del computer, più volte* eccomi con l'ottavo capitolo, FINALMENTE. Vi prego, ditemi che non sto andando troppo di fretta, con Mark e Esther D':!
Volevo farli litigare per una ragione “seria” e il più presto possibile, quindi ho mozzato un po' di parti riassumendole in un unico concetto: è passato un po' di tempo dal sesto capitolo al settimo, fra loro, circa metà mese.
Forse ve l'avevo già detto … ma io ve lo dico lo stesso XD!! Comunque se avete notato ho trattato un po' di più la coppia MichaelxDell … era ora che sbocciassero, cavolo!
Sarete stupiti (per chi segue sto obrobrio) della mia velocità _si fa per dire_ nel pubblicare i capitoli: ultimamente ho messo un po' il turbo perché ritengo che questa parte della storia sia abbastanza noiosa non solo per me, ma anche per molti di voi credo … e quindi vi prometto che d'estate, una volta levata di dosso gli esami, ci metterò ancora più carica!
Scusate la lunghezza e il tic di nervosismo di Mark, che ha davvero esagerato T.T … ma era necessario che si scaldasse u.u
Ok, ora vi lascio e, naturalmente, se avete qualcosa da dirmi fatelo pure!
Adios!

Lucy

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Capitolo 9
*** Ti chiedo scusa ... ***


TI CHIEDO SCUSA ...

Michael aveva scelto un luogo davvero carino per festeggiare i suoi 14 anni, molto lussuoso, chic ed elegante. Si trattava di un giardinetto curato nei pressi della periferia di Los Angeles, percorso da un unico, stretto sentiero in pietra, con tavoli bianchi e colorati festoni di Michael Jakson appesi un po' ovunque. Alcuni striscioni ciondolavano dai lampioni finemente lavorati che costeggiavano il sentiero, altri, dalle forme più svariate, svolazzavano con il vento legati ben stretti alle ringhiere del cancello d'entrata, di un grigio sbiadito, quasi nebbia. Sulla vista che offriva quel piccolo luogo protetto da lunghi alberi slanciati non c'era nulla da ribattere. Se si superava il cancello e si attraversava una breve discesa di ghiaia, si poteva giungere ad un'altura di pietra bianca, circondata da pini molto fitti. Da lì si riusciva a scorgere tutta l'immensa, profonda, eterna, mistica, imponente distesa blu che gli umani tendevano a chiamare oceano, illuminata dal timido ed estroverso pallore della luna che si rifletteva tremolante sull'acqua, limpida. Il cielo era di un indaco chiaro, e le cicale si erano gratuitamente offerte di accompagnare la serata con una bella melodia estiva. Ormai tutti erano lì, o meglio, tutti meno uno, Mark. Seduto sullo scomodo vertice della roccia ormai da ore il ragazzo era rimasto a contemplare l'oceano e a riflettere sul suo futuro senza il suo migliore amico. Nessuno esclusi Dylan, Erik, Bobby e Esther sembravano avvertirne l'assenza. Ad un compleanno ovviamente non pensi a chi si piange addosso, bensì a divertirti con i tuoi amici. “Mi dispiace, Esther, non so dove si sia cacciato Mark …”, “No, Esther, sono desolato, ma non ho la più pallida idea di dove sia Mark”, “Mark? Ah, se ne sarà andato: è un lupo solitario, le feste durano quattro minuti per lui”, “Lascialo in pace.”. Erano quelle le frasi che la ragazza si era sentita rinfacciare più volte, da tutti, se non per qualche termine che cambiava a seconda della persona che la pronunciava. C'era chi sosteneva sarebbe saltato fuori per cena e chi no, c'era chi cominciava a preoccuparsi per la sua assenza e chi continuava a festeggiare normalmente, come la maggior parte dei presenti. Ecco, lei era una delle più preoccupate, e per quel poco che lo conosceva sapeva che Mark non si sarebbe fatto vedere presto, figuriamoci all'ora di cena. Si sedette su una fredda panchina nascosta nella penombra di un pino e incollò lo sguardo al drink dentro il suo bicchiere, trasparente come acqua. Sospirò. Aveva sbagliato a ferirlo, a inventare brutte parole nei confronti della sua famiglia, non solo perché era maleducato parlare volgarmente di persone di cui non ne hai mai visto il volto davanti a chi al contrario di te le adora, ma anche perché in fondo non esisteva un motivo logico del perché lo detestava, e lui non le aveva fatto mai nulla di grave, a parte darle della tettona. Che infine poi era. Mentre rifletteva sui suoi errori non si era accorta che nel frattempo Bobby si era seduto accanto a lei. - So a cosa pensi. –
La ragazza sgranò gli occhi e strinse il bicchiere per la sorpresa. - Uh? Shearer?! Che … -
- Sei giù di corda per Mark, vero? - indovinò il ragazzo, con tono comprensivo.
Esther lo guardò per un po' di minuti, in silenzio, poi gemette. - Sì … -
- Lo sapevo. A dire il vero lo sanno tutti che stai male per lui: oggi non sei focosa e iperattiva come al solito, e dopo quello che è successo ieri … insomma, lo si capisce da soli. -
- Come potrei non stare male per lui … riconosco di aver esagerato, ieri, e mi dispiace tanto … -
- Capisco … - Bobby le appoggiò una mano sulla schiena, per confortarla e infonderle coraggio. - dai, non ti preoccupare: Mark è fatto così, lo conosco bene. E' un ragazzo dolce e amichevole, ma anche terribilmente malinconico e permaloso. Vedrai che col tempo dimenticherà la faccenda. Anche se … ci vorrà almeno un mese intero, ahah! -
- Secondo te … - Esther arrossì e si strinse nelle spalle per proteggersi da una inaspettata folata di vento. Los Angeles era una città generalmente bollente sia d'estate che d'inverno, ma quella sera in particolare una strana e inspiegabile brezza primaverile aveva deciso di fare visita ai californiani per portare loro un po' di fresco. - Mi perdonerebbe? -
- Sì, sì, ma certo che ti perdonerebbe. Dovresti raggiungerlo e spiegarti, però, altrimenti sta pur sicura che non sarà lui a fare il primo passo. Continuerà ad aspettarti. -
- Gli ho rinfacciato tante di quelle stupidaggini che mi vergogno di parlargli, adesso, e poi non so nemmeno dove si è nascosto … -
- Provato a chiedere a Dylan? -
- Sì, ma mi ha detto solo che lo devo lasciare in pace … - mormorò Esther, triste. - Ma in fondo ha ragione, non ho fatto altro che prenderlo in giro credendo che tanto non se la sarebbe mai presa, era così paziente … meglio se restavo zitta, avrei dovuto tacere fin dall'inizio … -
- No, va bene così … tutti commettono degli errori, e prima o poi bisogna accettarlo, perdonare e andare avanti. Aspetta … Mac sicuramente sa dove puoi trovarlo! - esclamò Bobby, schioccando le dita. - Prova a chiedere a lui! -
- Dici davvero? -
- Sì! Forza, vai, coraggio! -
Esther si sollevò dalla panchina, si sistemò le ballerine color cioccolata fondente ai piedi e guardò l'americano, riconoscente. - Grazie … -
- Ah, non devi ringraziarmi … - ridacchiò Bobby, alzandosi anche lui per raggiungere Erik e compagnia. - Buona fortuna. -
La ragazza si fece largo tra i presenti e quando scorse Mac appoggiato ad un albero perso ad osservare gli invitati, gli toccò un braccio per avere la sua attenzione. - Mister? -
- Oh, sei tu la furia della Tripla C, eh …? Dimmi. -
- Ecco … per caso sa dove posso trovare Mark Kruger? -
- Mark? - Mac indicò un punto in fondo alla discesa di ghiaia, immerso in una fitta boscaglia di pini. - Laggiù. La strada per arrivarci è una, non puoi sbagliarti. Se riesci riportamelo indietro, fra poco si cena. -
- Ok, sarà fatto Mister! Grazie mille! - Esther, decisa ad ottenere il perdono di Mark, abbandonò il parchetto e uscì dal cancello, poi iniziò a correre goffamente lungo il viale in pendenza, attenta a dove metteva i piedi per non rovinare le sue ballerine. Più si allontanava e più le voci e le risate le giungevano ovattate, più si allontanava e più il profumo del mare si faceva intenso e salato, più si allontanava e più sentiva il bisogno di tornare indietro, credendo di star commettendo una pazzia. Una volta arrivata s'introdusse in una radura di pini e, dopo aver percorso poco più di tre metri in mezzo al verde, finalmente lo scorse, illuminato dal pallore della luna. Arrossì, si spianò contro il tronco solido di un albero e chiuse gli occhi, sperando di placare i suoi ansimi. E adesso? Come catturare la sua attenzione malinconica? Cosa dirgli? Come iniziare il discorso? Come trovare il coraggio per guardarlo in quegli occhi così belli, innocenti e puri come due gemme cristalline? Si guardò indietro. Più nessuna voce riusciva a percepire. Ora erano solo lei, lui, la sua tristezza da guarire, il nitido canto delle cicale e l'oceano. Si fece forza e avanzò con lentezza per non fare il minimo rumore, quando per sbaglio appoggiò il tallone sinistro su un rametto curvo, che si spezzò provocando uno scricchiolio abbastanza forte. Mark ebbe un sussulto e si voltò verso di lei, spaventato. - Tu …! - sibilò, appena la riconobbe.
- Sì … -
L'americano batté le palpebre più volte; era arrabbiato, sì, sorpreso, ma anche … confuso. Come mai quella odiosa ragazza era lì? Ad ogni modo non poteva negare fosse di una bellezza insuperabile. Indossava uno smanicato della Prada, marrone, in cashmere e seta con lo scollo color crema, e alle gambe portava dei jeans bianchi, aderenti ai fianchi. E il volto … beh, era semplicemente incantevole, né uno sbaffo di rossetto, né un errore di matita: tutto perfetto, come sempre. E se lei era bella e profumata, chissà come doveva essere Suzette. - Che ci fai qui. - disse, dopo aver deglutito.
La mora addolcì lo sguardo. Anche Mark si era vestito in modo elegante e raffinato, pareva un principe azzurro, uno di quelli che vorresti sposare immediatamente, uno di quelli dalle labbra così seducenti di cui vorresti appropriartene all'istante. Indossava un abito da cerimonia maschile lungo sino alle ginocchia e chiuso da un bottone nero posto poco più in alto del diaframma, scuro come la pece, e attraverso l'apertura dello scollo a V si riusciva ad intravedere la classica camicia bianca, tradizione di ogni uomo. Il collo era accerchiato da un morbido papillon nero e ai piedi calzava delle scarpe color ebano, enormi. Dell aveva ragione: in fatto di moda, l'eleganza era il suo punto di forza. - Io … beh … quel completo ti sta d'incanto ... sei molto bello. Anzi, lo sei sempre stato. -
- E' un insulto, vero ...? - Mark si alzò da terra, sgomento ma anche compiaciuto. E imbarazzato. Non sapeva dove posare gli occhi, se non su di lei. - Senti, se sei qui per prenderti ancora gioco di me puoi anche andartene, smettila di cercarmi per … -
- No, aspetta … - Esther s'infilò la mano nella tasca destra dei jeans ed estrasse la fascetta azzurrina che si era preoccupata di raccogliere ieri sera, dopo l'allenamento, dopo la litigata. Se la rigirò fra le mani, avanzò di qualche passo e, raggiunto l'americano, tese una mano in avanti per consegnargliela, sorridendo melliflua. - Questa appartiene a te. L'hai gettata a terra, ieri, e così te l'ho raccolta! -
Mark gliela tolse di mano con fare brusco e violento, poi se la allacciò al polso. Esther socchiuse le labbra nell'osservarlo muovere le mani con tanta agilità e fretta: più che arrabbiato sembrava teso e nervoso, agitato, frustrato. Probabilmente era a causa della sua presenza lì con lui. - Ora vattene. - le ordinò il ragazzo, secco.
- Aspetta … ti prego … -
- No, non mi pregare. -
- Mark, lo so che sei arrabbiato con me, ti capisco e … -
- Okay, ho capito: me ne vado io. -
- No! - la ragazza venne presa dal panico e gli strinse istintivamente un polso, fermandolo. Ormai c'era dentro, non poteva arrendersi. Non senza averci tentato. - Per favore, non fare il testardo e ascolta quello che ho da dirti! -
Mark arrossì lievemente e la incenerì con sguardo assassino, ma fu tutto inutile. - Lasciami. -
- No! -
- Ti ho detto di lasciarmi e … - il biondo, con uno strattone potente, si liberò dalla presa di Esther, lasciandola basita. Era ancora arrabbiatissimo con lei, non l'avrebbe perdonata facilmente. Per tutto il tempo non aveva fatto altro che comportarsi da ragazza snob e ipocrita con lui, lui che aveva sempre cercato di esserle amico. Nessuno gli assicurava che facesse per davvero. - tu mi lasci! Non voglio ascoltarti, non mi interessano le tue scuse, mettitelo in quella testa da gallina! Ora, con il tuo permesso, vorrei passare! -
- No! -
- Scansati dal mezzo, Greenland! -
- No! -
- Togliti, ho detto! - Mark le si avventò contro per spostarla, ma la ragazza lo spinse via con una bracciata decisa, allontanandolo di pochi metri. Quando voleva sapeva tirare fuori una forza spaventosa. - Non ci provare neanche! Mi dispiace, ok?! - disse, guardandolo stringere i pugni e mostrare segni d'irritazione e imbarazzo. - Sono stanca di litigare con te, basta, mettiamoci un freno! -
- Non credo che manterrai la promessa. -
- Io invece ne sono convinta, Mark. - Esther prese un bel respiro profondo. Le voleva le scuse di quel ragazzo, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Era tutta la notte che sognava quel momento, che pensava a come riconciliarsi con lui. Non poteva fallire adesso. - Perdonami … -
- No. -
- Mark … -
- No! -
- Mark, io … ascoltami, non sarei mai e poi mai davvero capace di pensare una cosa simile della tua famiglia e di Dylan, te lo giuro, sono stata un'irrispettosa! Anche se non li conosco lasciami dire che a vederti mi viene da pensare che tua sorella sia una ragazza in gamba ed eccezionale come te, tua madre e tuo padre siano due genitori fantastici e Dylan … - la ragazza sostò un momento e lo guardò lampeggiare di rabbia. - … lui è brutto sì, ma quello che conta è essere belli DENTRO … o no? Scommetto che gli vuoi un mondo di bene, così come io ne voglio a Dell. -
- Vattene, o me ne vado io. - le rispose di getto Mark, ferendola con tono sprezzante.
- Eh …! - Esther d'improvviso si sentì pizzicare le iridi. Arricciò il naso con l'intento di bloccare le lacrime e si passò un dito sotto le lunghe ciglia, per assicurarsi che la matita non iniziasse a colare. - Mark, ti scongiuro, ho sbagliato con te, e ora voglio rimediare … - annaspò, non riuscendo a sorreggere lo sguardo severo, orgoglioso e guardingo dell'americano. Non le era mai venuto facile perdonare una persona. Figuriamoci Mark, che non conosceva e per un momento aveva pensato di conoscere alla perfezione, andandoci pesante con le critiche e ferendolo “senza pietà”. - ti prego … ti chiedo scusa … - sospirò dallo sconforto: la voce iniziò ad uscirle tremante dalla gola e le prime lacrime a scenderle dagli occhi. L'americano se ne accorse, ma non osò dire nulla. - … vuoi ricominciare? -
- No. - le rispose, deciso.
- Mark, ti prego! - gemette di sconforto la ragazza, asciugandosi le gote.
- No, Esther, ti ho detto di no! E ora spostati, che devo raggiungere Michael. - il ragazzo questa volta riuscì a passare, ma lei, fulminea, lo afferrò nuovamente per il polso.
- Aspetta, ti supplico! So di aver sbagliato, con te! Ho sbagliato fin dall'inizio, ti ho giudicato male, credevo fossi diverso, invece ti sei sempre mostrato disponibile, altruista e generoso nei miei confronti! Mi hai anche salvata da una caduta sicuramente mortale, e mi hai stretta, e io l'ho adorato … non so cosa sono andata a rompere ieri, da farti piangere così, ma comunque sia mi dispiace da morire … ci tengo a che tu stia bene, me ne rendo conto solo ora, credi che se non mi fossi pentita di quello che ti ho fatto ieri sarei qui a lottare per avere il tuo perdono? -
Mark non le rispose, semplicemente continuò a fissarla, infastidito ma anche emozionato. Esther Greenland, fino ad ora la sorella gemella del del diavolo, ad implorarlo con gli occhi languidi e la voce sommessa? Gli sembrava un sogno. Non avrebbe mai pensato che dopo tutto quell'odio sarebbe arrivata a tanto.
- So che è difficile per te riuscire a vedermi come amica, alleata, dopo tutto quello che ci siamo detti … - proseguì lei, concentrandosi negli occhi del ragazzo e tentando di individuare, in mezzo a tutto quel turchese, il suo cuore infranto per aggiustare il danno che lei stessa gli aveva inflitto. - … ma se riesci, fa uno sforzo, perdonami, dimentica tutto quello che ci siamo detti, tutto … e ricominciamo daccapo. -
Mark alzò un sopracciglio e la guardò, scettico. - Mi serve del tempo … -
- Non guardarmi così! Sono seria! - replicò lei, scuotendolo con nervosismo. - Voglio riparare tutto, tutto, ma mi devi dare una possibilità … allora? -
- … non lo so. -
La ragazza sorrise debolmente, delusa, ma nonostante ciò gli tese una mano in segno di resa, di pace, di amicizia. - Ti prego … amici? - gli domandò, speranzosa.
L'americano prima le guardò la mano, poi guardò lei, poi di nuovo la mano, a bocca semi-aperta. - Io … -
- … ti prego … Mark, scusa, scusami, scusami, scusami tanto, sono stata una stupida, una sciocca, una stronza in tutti i sensi! Non si può odiare una persona se prima non la si conosce a fondo, giusto? … e io voglio conoscerti … esserti amica! E aiutarti se hai bisogno di me! Ti prego, ti prego, ti prego, ti scongiuro, dammi un occasione! Una sola! Se poi non ti vado a genio ti permetto di ritornare a prendermi in giro! Ma io non lo farò più! Non lo farò più perché è da sciocchi e immaturi … perché ho capito che quello che ho detto era grave e vederti triste mi spezza il cuore … ma non solo a me … anche agli altri … -
- … io … - Mark scosse il capo con leggerezza, delicatamente. Non poteva fingersi indifferente davanti a quelle parole, a quello sguardo implorante, a quegli occhi neri così dolci e teneri, a quella mano lattea in attesa di una bella stretta fedele. Era permaloso, sì, ma non cocciuto. Però era anche ingenuo. Nella sua vita gli era capitato spesso di fidarsi ciecamente di una persona e poi rimanerne deluso. Ma lei non fingeva. Non mentiva. Stava male davvero. E doveva darle un'opportunità. - io … ti perdono. - decise dopo un attimo di silenzio meditativo, annuendo.
- Mark, ti prego, perdonami! Ti posso … -
- Ti ho già perdonato, Esther. - ripeté lui, arrossendo. - L'ho appena fatto! -
- No, non è vero … - mormorò la ragazza, come risvegliata da un sogno.
- Sì, invece … non potevo opporre resistenza. Ti perdono. -
- No … - la mora riprese a lacrimare e questa volta due grossi rigoni di matita le scivolarono sulle gote, per poi cadere sulle sue clavicole sotto forma di minuscole gocce nere, sporche e profumate.
Mark le sorrise amichevolmente e le strinse la mano con entrambe le sue, forte, fortissimo, e entrambi ricevettero un bello scossone a cui nessuno dei due seppe dare una spiegazione. - E mi va bene, benissimo essere tuo amico. -
- Mark … -
- Però ora non piangere più. -
- Mark … - Esther iniziò a singhiozzare e abbassò il capo dalla vergogna, per non farsi vedere da lui. - Non posso accettarlo … -
- Ehi … non devi piangere. -
- Mark … -
L'americano estrasse un fazzolettino bianco dal taschino posto sul petto della giacca nera, le sollevò il capo, le sistemò una ciocca di capelli aubergine dietro l'orecchio destro e, fregandosene di tutta quell'intimità, le asciugò gentilmente le lacrime, tamponandole la pelle con delicatezza.
La ragazza lo fissò, emozionata, poi si morse il labbro inferiore, arrossendo ad ogni contatto delle dita calde dell'americano premute contro le sue guance umide, che solo un velo di carta osava separare dalla sua pelle. - Grazie … grazie infinite … -
- Non devi ringraziarmi. - le rispose Mark, riponendosi il fazzoletto nel taschino.
- Io … io ti prometto che non ti prenderò mai più in giro, te lo giuro, fra noi sarà amicizia eterna, sincera … -
- Esther, lo so … tranquilla. Non lacrimare più, però. -
- Ah, sono così felice che mi hai perdonato, così felice che lo urlerei a tutto il mondo! - ribatté lei, lanciandosi con MOLTA disinvoltura fra le sue braccia e stringendolo forte, fortissimo. Inizialmente Mark, sconvolto, rimase imbambolato a fissare un punto morto fra gli aghi color bosco dei pini, poi ricambiò la stretta con affetto e poggiò con delicatezza il mento fine fra le spalle morbide della ragazza. E lei esplose a piangere.
- Ehi … calmati … -
- Oh, Mark, che bello, che bello! Sono la tredicenne più felice dell'universo! -
Il ragazzo si sciolse da quell'abbraccio di riconciliazione e le sorrise, raggiante, poi le prese con garbo le mani, racchiudendole fra le sue, molto più grandi e protettive. - E io sono così felice di aver conosciuto una Esther del tutto diversa da quella che già conoscevo! -
- Ah … - la mora assaporò il tiepido, rigenerante calore delle loro mani congiunte, emozionata. - Ti voglio bene, Mark … - disse poi, lasciandosi avvolgere da una piacevole morsa di tenerezza improvvisa.
Mark fece brillare gli occhi dalla gioia. Quella frase per lui valse più di un bacio, più di mille parole. - Anche io te ne voglio … - si sentì in dovere di risponderle, allegro.
D'improvviso la testa di Suzette sbucò da un cespuglio colmo di bacche. - Ehi! - esclamò, illuminandosi nel vederli mano nella mano. - Finalmente vi ho trovato, piccioncini! -
- COSA?! - strillò Esther, mollando subito le mani del suo nuovo amico.
- Beh … - la Capitana della Tripla C, con pochi passi, le fu accanto. - Non si vedono tutti i giorni ragazzi stringersi per mano e guardarsi in quel modo … -
- Suzette, abbiamo appena fatto pace … ci siamo solo presi le mani, abbracciati e parlati, niente di che! -
- Niente di che? Io al contrario vedo già scattare la scintilla! Mancava poco così e vi baciavate! -
- Suzette, ma che dici, smettila! -
Mark decise di non intervenire, anzi, ne approfittò della situazione imbarazzante fra le due amiche per gettare addosso a Suzette un'occhiatina ammiccante e curiosa. Lo aveva immaginato, preveduto come un abile cartomante. Se Esther era bella come una stella, ovviamente Suzette lo era di più. Indossava una camicetta verde, di seta leggera, con disegnate sopra la tela diverse margherite fucsia, e alle gambe portava dei jeans attillati, qua e là puntellati di piccole perline bianche opache. Ai piedi, invece, calzava un paio di All stars nere.
- Beh! - la ragazza prese a braccetto sia la mora che lui, distraendolo dai suoi pensieri. - Si cena! Mancate solo voi! - annunciò, fiera, per poi trascinarseli dietro; ripercorsero tutto il tragitto al contrario, rifecero la salita di ghiaia e rientrarono nel parchetto, catturando l'attenzione festosa di tutti i presenti, ormai seduti a tavola.
- Oh, Mark! - Dylan gli sorrise, felice di vederlo, dopodiché batté più volte la grossa mano su una sedia vicina alla sua per indicargli che quel posto l'aveva tenuto occupato solo ed esclusivamente per lui, per il suo migliore amico, per suo “fratello”. - Mi stavo preoccupando … volevo venirti a chiamare ma poi ha preferito andare Suzette, per la gioia dei tuoi occhi … visto che bel sedere che ha …? -
- Dylan, la prossima volta che lo ripeti … ti strozzo. - gli rispose l'altro, sedendoglisi accanto per poi servirsi un bicchiere d'acqua fresca. E quando se lo portò alle labbra guardò Esther attraverso lo spesso vetro del fondo. La ragazza stava cercando disperatamente posto, frustrata. L'americano finì di dissetarsi e la chiamò. - Ti va di sederti vicino a me? - le domandò, sorridente.
- Cosa … -
- Forza, dai! - Mark le indicò la sedia libera alla sua sinistra con un dito, allegro. - Vieni! -
- Oh … d'accordo! - esclamò Esther, raggiungendolo e sedendosi al suo fianco. - Grazie! -
- Prego! -
Dylan, che aveva osservato la scena, diede una gomitata al braccio del biondo, confuso. - Come mai tutta questa confidenza, con quella? -
- Quella ha un nome, e si chiama Esther: abbiamo fatto pace. -
- What?! Really, Mark? -
- Sì! -
Il ragazzo con gli occhiali guardò il piatto, sorpreso. - Mark, dopo tutto quello che ha detto, tu … -
- Sì … sì, non posso non fidarmi. Abbiamo sbagliato entrambi, in fondo. -
- Se lo dici tu … -
- Ciao, Dylan! - lo salutò di tutto punto Esther, affacciandosi in avanti per guardarlo meglio.
- Uh? -
- I tuoi occhiali sono strepitosi! Si vede che te ne intendi di moda, sei sempre alla ricerca dell'ultima, eh …? -
Dylan spalancò la bocca e lasciò andare l'hamburger sul piatto, che cadendo sulla bianca porcellana schizzò un grosso quantitativo di ketchup.
- Beh … c- come fai a saperlo?! -
- Si vede! Il tuo stile è così … rock, adrenalinico, all'ultimo grido, potente! Mi piace! -
- Oh … beh … - il ragazzo arrossì e Mark lo guardò di sottecchi, vittorioso. - Thank you! Ricevere complimenti fa sempre bene! -
- Prego! Mi passeresti la Coca-Cola che hai vicino, per piacere? - gli domandò con gentilezza Esther, indicando la bevanda.
- Sì! Eccoti! -
- Grazie! - la ragazza aprì la bottiglia e si servì un po' di Cola nel bicchiere, poi puntò gli occhi su quelli ancora un poco emozionati di Mark, indecisa. - La vuoi anche tu, Mark? -
- No, no, grazie … a me fa schifo. -
- … un americano … a cui fa schifo la Coca? -
- Ah, lascialo perdere … - intervenne Erik, scuotendo il capo. - Lui è un tipo strano. Prima piange e poi ride, poi ride e di nuovo piange. -
- Erik, parla per te! - gli rispose Mark, irritato, ma quando Suzette scoppiò a ridere sospirò e lasciò correre.

- Vai così! - urlò Michael, battendo le mani a ritmo di musica mentre Dell, capitata per sbaglio vicino a lui, si lamentava per i decibel troppo alti. - Questa canzone mi fa impazzire! -
- Sì, l'avevamo capito … - sbottò, infastidita.
- Perché, a te no? -
- No. -
- Uff, non fai altro che lamentarti di tutto, Dell … -
- Io trovo che l'idea di un concerto a fine cena non sia male. - difese Michael Bobby, facendo spallucce. Infatti, appena subito dopo il dolce, il festeggiato aveva invitato ad esibirsi su un piccolo palchetto di legno fra l'erbetta una band diciottenne che adorava lo stile, la danza e la fina e cullante voce di Michael Jackson.
- Beh, a te va sempre bene tutto … - borbottò Dell, alzando gli occhi al cielo con un sospiro.
- In effetti … -
- Scusate, ma qui si muore dal caldo: vado a farmi una camminata rilassante. Chi vuole venire con me? -
- Io! - si sollevò dalla sedia Daisy, con in mano dei pasticcini alla frutta avanzati e una fetta di crostata al cioccolato.
- Ok! Allora andiamo! -
Mark, che fino ad ora era rimasto a giocare con le sue stesse dita dalla noia, le seguì con lo sguardo fino al cancello, poi portò le iridi addosso al capo voltato di Esther. - Ehi. - la chiamò, toccandole il gomito destro.
- Sì? - la ragazza si voltò, sorridendogli con dolcezza. - Posso aiutarti in qualcosa? -
- Che fai di bello? -
- Niente … Michael Jackson non mi è mai piaciuto granché. -
- Neanche a me fa impazzire. Ti va di camminare un pochino? - le propose l'americano, sperando in un sì.
- Uh, certo che sì! - annuì Esther, contenta. Le sembrava un'ottima, notevole idea: camminare un po' con lui all'aperto l'avrebbe aiutata a rinforzare il legame d'amicizia che si era creato fra loro solo da poche ore.
- Dylan, tu vuoi venire? - gli chiese Mark, alzandosi e infilando la sedia sotto il tavolo con uno strattone deciso.
- No, penso che resterò qui. -
- Sicuro, “fratello”? -
- Sì … ci sono così tante belle pollastrelle … penso che andrò a provarci con qualcuna, più tardi … -
- Oh, Dylan, non cambi mai … - mormorò il biondo, scuotendo miseramente il capo. - Allora ci vediamo dopo. Ciao! -
- Ciao, Mark … -
- Fatto? - gli domandò Esther, battendo le mani.
- Yes. Andiamo. - disse Mark, aprendo il cancello per passare. I due ragazzi iniziarono a scendere la discesa ghiaiosa con calma, per godersi appieno la brezza primaverile. Le cicale, con il loro flebile canto, purtroppo non riuscivano a contrastare la voce dei cantanti, ma l'atmosfera notturna era comunque una delle più rilassanti che avessero mai palpato.
Poi Esther decise di rompere in mille frammenti quel silenzio pacifico. - E' stato bello il FFI? -
Il Capitano della Unicorno sorrise nostalgicamente. Guardò il cielo estivo, brulicante di stelle argentee perfettamente visibili perché lontani dalle luci della città. Nella sua mente riaffiorarono diversi, bellissimi momenti trascorsi all'Isola di Liocott: l'arrivo di Erik e Bobby in squadra, il colorato Stadio del Pavone dove giocarono le loro emozionanti partite, la sconfitta definitiva contro l'Argentina che infranse i loro sogni, gli allenamenti intensivi, le visite nelle altre aree, persone eccezionali come l'inglese Edgar Partinus, il buffo giapponese Mark Evans, l'argentino Tiago Torres, l'italiano Paolo Bianchi e l'ultima partita del torneo, che lo tenne col fiato sospeso fino alla fine. - E' stato uno dei momenti più belli ed emozionanti della mia vita. -
- Ah, sì? Come ti ho già detto, io non ti ho seguita, ma mio fratello sì, e ti adora! -
- E' bello sapere di avere fan anche dall'altra parte del mondo! - arrossì Mark, intenerito. - E dimmi, quanti anni ha tuo fratello? -
- Otto! -
- Uh, piccolino! -
- Non lo sottovalutare … - Esther assottigliò lo sguardo, poi sorrise. - E' una peste. Comunque posso dirti che stavo aiutando mia madre a preparare una torta quando ho guardato la sfilata delle squadre. -
- La cosa più bella del torneo. -
- Sì … tutta quella gente lì, nello stadio più grande dell'Isola di Liocott, radunatasi pochi minuti prima della mezzanotte solo per vedervi subentrare … il conto alla rovescia, i fuochi d'artificio! Beata Suzette, che c'è stata! Mi sarebbe piaciuto andarti a vedere. -
- Ah, ma va bene così, credimi! Siamo stati squalificati quasi subito. -
Esther rise debolmente e Mark la guardò, divertito. - Ci facciamo una foto? - gli propose d'improvviso lei, tirando fuori il cellulare e sbloccando la tastiera con un dito. - Ti va? -
- Oh … beh … -
- Dai, coraggio! - la mora gli passò un braccio intorno alle spalle come se si conoscessero da sempre e alzò il cellulare per prendersi dall'alto.
- Pronto? -
- Vai. -
- Tre, due, uno … et voilà! - Esther premette un tasto grigio al centro del cellulare e la foto venne automaticamente salvata nella memoria. - Vediamo un po' … ah, guardami, sono venuta da Dio! - Mark allungò il collo per guardare la foto, curioso come sempre. Entrambi erano stupendi, doveva ammettere che anche se si conoscevano solo da poche ore erano un bel duo. Lei mostrava un occhiolino pieno d'orgoglio e un allegro sorriso a trentadue denti, lui invece si era trattenuto in un sorrisino un po' a disagio e in uno sguardo magnetico, puro, calmo e pacato, in grado di attrarre qualsiasi donna di qualsiasi età. - Ora la mando a mio fratello. - disse lei, con tono provocatorio. - Mi invidierà un mondo! -
- Sono proprio curioso di vedere cosa ti risponde. -
Esther inviò la foto al numero di suo fratello e non dovette attendere nemmeno qualche secondo che ricevette subito un messaggio. Lo aprì e lo lesse insieme a Mark:

COSA?! Ti sei fatta un selfy col mio mito, Mark Kruger?! Come hai potuto T.T! Come! Esther, ti odio, non vale! Adesso devo andare, che la mamma mi ha fatto una torta al cioccolato deliziosa, ma sappi che non finisce qui! Ciao ciao!

- Ti odio? - ripeté il biondo, finendo di leggere. - Tuo fratello è proprio un gentiluomo. -
- L'avevo detto che era una peste! - la difensora bloccò la tastiera e ripose il cellulare nella tasca destra dei suoi jeans. - Ma lui è solo il più piccolo della famiglia. -
- Ne hai altri? -
- Sì, il maggiore si chiama Chaney, e ha diciassette anni, poi c'è Lara, che ne ha quindici, io che ne ho tredici e Charlie che ne ha, come ho già detto, otto. -
- Però! - Mark si portò le braccia dietro la nuca per passeggiare con più comodità, proprio come gli aveva insegnato quel pazzo scatenato di Dylan. - I tuoi si sono dati da fare! -
Esther arrossì selvaggiamente e lo fulminò con lo sguardo, dopodiché sospirò. - Certe volte preferirei essere figlia unica, credimi … tu? Come si chiama tua sorella? -
- Marge … dodicini anni, bionda, alta, con due occhi azzurri meravigliosi. -
- Meravigliosi come i tuoi? Non credo. -
Mark ebbe come un brivido, e si sentì le gote in fiamme. - Trovi i miei occhi … belli? -
- Sì, certo! - Esther si riflesse in quegli specchi d'acqua che erano le iridi del biondo, sorridendogli dolcemente. Appena arrivata la prima cosa che notò di lui furono proprio quelle due perle celesti. Come non notarli, del resto. Avevano un'acquosa e rilassante tonalità fra il verde e l'azzurro, che in futuro sarebbe di certo destinata a diventare un bel turchese sgargiante, e due pupille stupende, di un blu oscuro e penetrante. Bastava fissarli una volta per venire investiti da mille sensazioni diverse. - Sono così languidi, così puri … non credo esistano persone in grado di superare la bellezza dei tuoi occhi. - aggiunse, battendo le ciglia per non incantarsi troppo a quei grandi specchi d'acqua.
- Lo pensi davvero? -
- Ovvio … -
- Ragazzi?! - li raggiunse d'improvviso Hellen, per poi poggiarsi sulla spalla sinistra di Esther e tentando di recuperare fiato.
- Ehi, Hellen, tutto bene? - le domandò Mark, preoccupato.
- Sì, sì … non vi vorrete perdere la torta, spero! -
- Torta?! DOVE! - esclamò la mora, aguzzando la vista e arricciando il naso. - Perché non me lo avete detto prima! Spero che ne sia rimasta una fetta! -
- Ahah! - rise la ragazza, guardandola correre all'impazzata verso il parchetto. - Fa sempre così … -
- Immaginavo. - sorrise amabilmente Mark, mentre la brezza primaverile gli cullava i mossi capelli color miele. Sollevò un sopracciglio. Non sapeva quello che gli avrebbe riservato il destino, ma se fra lui e Esther si fosse formata una bella amicizia, forse sorridere alla vita in un momento del genere gli sarebbe venuto più facile, sebbene lei, come Dylan, fosse esattamente il suo opposto.

 

Angolino Floreale
IGHHHH!!! *Scoppia a piangere*
Che scifù che scifù che scifù!!
Speravo di fare un capolavoro e invece più porto avanti questa fic ABBASTANZA spoiler e più mi rendo conto che è EVIDENTE quello che accadrà in futuro!
Uff … se avete notato (come non notarlo -.-) l'inizio del capitolo è incentrato sul parchetto … se mai recensirete, mi potreste dire cosa ne pensate della descrizione? Sinceramente però, perché sto cercando di migliorarmi proprio in quelle!
Oki, tutto qui ^^!
Spero di non avervi annoiato, e scusate la lunghezza T.T, ma quando inizio la mano parte e non riesce più a fermarsi XD!!
Se poi la descrizione (e tutto il resto) fa schifo è perché sono sotto esame …
grazie per aver letto, ci vediamo al prossimo capitolo!

Lucy

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Capitolo 10
*** Tutta la giornata con te! ***


TUTTA LA GIORNATA CON TE!

 

- Oh, buongiorno Mark! - esclamò Suzette, intravedendo il ragazzo fra i tavoli della cucina incantato a fissare Los Angeles dalla finestra. L'americano passò una mano sul fondo della tazza per sentirne la temperatura, si voltò, la guardò e le sorrise con dolcezza, ricambiando così il saluto mattutino. Mentre lui era già pronto e vestito per l'allenamento, lei era ancora imbacuccata in un simpatico pigiama violetto, e ai piedi portava un paio di infradito gialle fluorescenti. Insomma, era adorabile. I capelli color ciano molleggiavano lievemente ad ogni suo passo goffo e stanco, e gli occhi, di un argento lucente, brillavano alla nitida luce del sole che penetrava dal lucido vetro delle finestre. - Come mai sveglio a quest'ora? -
- Stessa domanda che stavo per fare a te. - replicò il biondo, portandosi la tazza alle labbra.
- Ah, non ho più tanto sonno … la verità è che da quando sono arrivata in America non riesco più a chiudere occhio. E' tutto così magico … essere qui, col mio tesoruccio e le mie amiche! -
- Capisco. -
- Tu? -
- Mi sveglio sempre presto. -
- Ah, sei un tipo mattiniero! - Suzette si stiracchiò con voglia e, dopo aver sbadigliato, si trascinò in cucina e prese una tazza di ceramica, poi la strinse saldamente con le dita. - Hai un po' di cioccolata? - chiese, rompendo il silenzio con voce melodiosa.
- Chocolate? In teoria sì … - Mark si mise in punta di piedi e rovistò fra gli scaffali della cucina, senza trovarla. - E invece no, come pensavo. Mi dispiace tanto … -
- Oh, fa niente. Cappuccino? -
- Ops! - il biondo scoppiò a ridere, immensamente dispiaciuto. - Nelle macchinette non c'è più nulla. L'ultimo me lo sono fatto io ... scusami ancora. -
Suzette rise e si strinse nelle spalle. - Ah ah, di niente Mark, tranquillo! Non farò colazione. Tanto devo mettermi a dieta. -
- No, dai, aspetta … - il Capitano della Unicorno la afferrò istintivamente per un polso, sebbene consapevole che la ragazza non stava andando da nessuna parte. La lasciò quasi subito, imbarazzato. Gli era partita la mano senza che riuscisse a coordinarla, e non era da lui perdere il controllo in questo modo. Il fatto e che non aveva resistito alla dolce tentazione di toccarle la pelle. - Lo vuoi il mio? -
- Davvero? -
Mark le porse la sua tazza, sorridente, e l'imbarazzo che provava pochi secondi prima si dissolse come debole nebbiolina in una vasta pianura. - Sì! Tanto a me non va più. -
- Ah, grazie! -
- Your welcome. -
- Mhhh … - Suzette affondò le labbra scure e il piccolo naso fra la schiuma del cappuccino, poi chiuse i grandi occhi per assaporarne il gusto, amaro e piacevole al contempo. - Quanto è buono … ho sempre adorato il cappuccino. - ammise, per poi sollevare il capo e guardare Mark negli occhi.
- Già, anche a me piace molto … ehi! -
- Sì? -
- Sei tutta sporca! - le fece notare il ragazzo, non riuscendo a trattenere una risata.
- Eh?! - Suzette si toccò il naso, sporco di schiuma, e il suo volto paffuto si tinse di rosso. - Oh, no …! Fingi di non aver visto! -
- No, dai, perché, io ti trovo adorabile … - l'americano si morse la lingua e si meravigliò delle sue stesse, patetiche, inutili, romantiche parole, che quella mattina avevano deciso di uscire dalle labbra come fiori in una bella giornata di Maggio, stanche di rimanere all'oscuro, sotto una neve fredda e pungente. - … aspetta, ci penso io. - la rassicurò, facendole l'occhiolino, poi strappò un morbido fazzoletto da un rotolo di carta e glielo tamponò delicatamente sul naso e intorno alle labbra, togliendole la schiuma che le aveva lasciato il cappuccino. Ma che gli succedeva? Il cappuccino gli era andato di traverso, forse? Per caso gli vennero in mente le lacrime di Esther, e si accorse che il modo con cui gliele aveva asciugate era lo stesso con cui ora puliva teneramente Suzette, solo che le emozioni che stava provando in quel momento erano totalmente differenti: se con la mora si era sentito più teso e nervoso, con Suzette quell'attimo stava trascorrendo dolcemente, e ad ogni respiro che emetteva il suo cuore prendeva a battere sempre più forte. Emise un sospiro, le passò con lentezza il fazzoletto sulle labbra carnose, serio, e gli venne l'impulso di baciargliele, di mordergliele e di assaporargliele intensamente, come Erik non sarebbe in grado di fare. Ma non ne ebbe il coraggio. - Sei incantevole. - le disse, ripassandole con la punta il contorno delle labbra, in quel momento semiaperte dalla sorpresa.
- Oh, g- grazie, io … -
- Non devi ringraziarmi. E' vero che lo sei … solo che qualcuno ti impedisce di sentirti bella … e forse so chi … -
- Goooooooooooooooodmorning, guys! - subentrò in cucina Dylan, interrompendoli sul più bello. - Che combinavate così vicini? Baci e abbracci? -
- Niente, Dylan, non iniziare. - sibilò Mark, fulminando l'amico con sguardo tagliente sebbene tentasse in tutti i modi di non sorridere al suo solito sarcasmo.
- Oh, capisco … vi dispiace se rimango anche io? -
- No, Dylan, fai pure! -
Il ragazzo con gli occhiali prese un certo numero di ciambelle da un cestino posto al centro del tavolo e, una dopo l'altra, se le infilò in bocca, goloso. - Madonna, che fame che avevo! -
In quel momento anche Esther entrò in cucina. Alla vista di Mark s'illuminò come una stella, gli andò incontro e lo abbracciò forte, come se si conoscessero da tempo. Il ragazzo all'iniziò parve tentennare, indeciso sul da farsi, poi la strinse a sua volta, racchiudendola fra le sue braccia lunghe e poggiandole una guancia sul capo. Per un attimo si era dimenticato che ora andavano d'accordo e che fra loro stava nascendo una nuova amicizia. Se ci teneva davvero a coltivare un buon rapporto con lei, prima di tutto doveva dimostrarsi sempre disponibile a queste piccole dimostrazioni d'affetto, anche perché le adorava. - Goodmorning, Esther. -
- Buongiorno, Mark! -
- Ehi, Esther, in piedi a quest'ora? - osservò Suzette, confusa. - Di solito dormi anche fino alle 15:00 … -
- No, veramente la bella addormentata a cui ti riferisci è la piccola Hellen, e comunque quel “Goodmoring” prolungato non mi è mica sfuggito … sono caduta anche giù dal letto, quindi … -
- Oh, scusa baby! - scoppiò in una sonora risata Dylan, che fino ad ora era rimasto ad ingozzarsi di “Donuts”.
- No, tranquillo. - Esther si sedette su una sedia e, presa una mela rossa dal centrotavola, iniziò a mordicchiarla qua e là, mentre con sguardo amichevole fissava il suo nuovo amico Mark provarci con Suzette. Doveva ammettere che era scarsissimo, anzi, faceva proprio pietà. Non che non trovasse le parole giuste; semplicemente era un ragazzo di livello troppo basso per la Capitana della CCC, abituata a volere sempre il meglio. Sorrise maliziosamente e si portò un mignolo al labbro inferiore per levarsi uno schizzo d'acqua che le aveva rilasciato la mela durante il morso, dopodiché deglutì. Ecco la prima cosa di cui si sarebbe occupata: aiutarlo a conquistare Suzette. Con questo pensiero nella testa non si accorse che la cucina si era magicamente riempita di gente, anche se alcuni ancora si rifiutavano di lasciare il letto. E fra quegli “alcuni” c'era Hellen. Raggomitolata fra delicate lenzuola di lino blu, la rosa era immersa in un sonno profondo. Adorava dormire, e quando si perdeva nel mondo dei sogni non c'era nessuno in grado di tirarla fuori di lì. A parte le urla di Dylan, che quel giorno l'avevano fatta sobbalzare e cadere giù dal letto.
- Ah, ma perché quel ragazzo deve strillare tanto … - borbottò, stropicciandosi gli occhi e sollevandosi in piedi con debolezza. In poco tempo riprese conoscenza di dove fosse e a quale scopo, così indossò la divisa della Tripla C, si rifece le solite codine a “farfalla”, si inondò il volto di cipria e rifece il letto, poi si avviò alla cucina.
E fu proprio mentre scendeva l'ultimo scalino ancora un poco intorpidita che scivolò e cadde fra le braccia di Bobby come un sacco di patate, incapace persino di emettere un grido.
- Ehi, tutto bene? - le domandò lui, fissandola con un sorrisino nervoso.
- Sì, io … - mormorò Hellen in tutta risposta, ancora sorpresa a causa della caduta.
- Bene, è questo l'importante. -
- Già … -
L'americano la rimise in piedi, divertito, poi le strinse dolcemente le mani, fredde e pallide ma incredibilmente morbide. - Ci sei? -
- Sì … forse … -
- Va bé, è normale non coordinare le proprie azioni appena si è svegli. - s'intromise Michael, difendendo la ragazza.
- Grazie per le tue belle parole Michael, molto toccanti, ma sappi che anche se hai già 14 anni questo non toglie che da oggi in poi devi comportarti da adulto. - replicò Dell, tirandogli una gomitata per provocarlo. Ieri si era divertita molto, al suo compleanno, doveva ammettere che era stata una bella festa e che … aveva un debole per Michael. Dopo la passeggiata insieme a Daisy, lui l'aveva invitata a ballare fino a quando i camerieri non gli avevano portato la torta, ed era stato davvero emozionante. Lo avrebbe rifatto ancora. E ancora. E ancora. E ancora un'altra volta.
- Beh, che ne dite se iniziamo ad allenarci? - la voce allegra e scaltra di Erik la riportò negli USA; scosse il capo per riprendersi e per sbaglio portò gli occhi color rubino su quelli di Michael, di un nocciola profondo, che la stava fissando a sua volta. Arrossì e li distolse subito, e lui fece lo stesso.
- Sì, infatti, è ora di darci una mossa! -
- Bene … - Mark si appoggiò le mani ai fianchi, alzò le spalle e sorrise. Ora che le cose si erano chiarite fra lui e Esther, ora che sia Unicorno che Tripla C si erano unite un po' di più, ora che aveva avuto il piacere di stare un momento solo con Suzette, si sentiva decisamente meglio, nonostante la faccenda del liceo lo continuasse a tenere sveglio se non tutta, gran parte della notte.
- Che state aspettando. Andate al campo, no? -
- Ah, ahahaha! - scoppiò a ridere Erik, passandosi una mano fra i capelli, dopodiché entrambe le squadre si precipitarono al campo per allenarsi. E Esther ne approfittò per mettere in atto il suo piano. Prima di tutto doveva accumulare informazioni, per poter aiutare Mark. Una volta al campetto, lo prese in disparte, per un braccio, poi lo guardò con un sopracciglio alzato, in attesa di una qualche sua parola.
- Beh? - fece lui, confuso.
- Non hai nulla da dirmi? -
- Non mi pare … - il ragazzo sorrise nervosamente, cercando di capire che cosa stesse elaborando la mente dell'amica con così tanto impegno. - Come mai mi guardi così ...? -
- Sai, prima ti ho visto … - replicò la ragazza, mantenendosi sul vago per lasciare che lui indovinasse da solo.
- Mi hai visto fare cosa. -
- Mhmh, provarci con Suzette … -
- What?! - strillò il biondo, sgranando le iridi e tingendosi di rosso in volto.
- Ah! - Esther applaudì, orgogliosa di sé stessa. - E' così! Ti piace Suzette! -
- N- no, che stai dicendo … - balbettò l'americano, guardando altrove per nascondere i suoi sentimenti.
- Ah, Mark, non prendermi in giro … - ribatté la mora, voltandogli il capo e fissandolo negli occhi con intensità. - Rispondi sinceramente … Suzette ti piace, sì o no? -
Mark rimase a bocca aperta, poi sorrise debolmente, abbassò le sopracciglia e mostrò bandiera bianca in segno di resa. - E va bene: sì. Mi piace, lo ammetto. - disse, guardando l'amica negli occhi per dimostrarle che non mentiva.
- Ah?! - Esther gli lasciò andare il volto e iniziò a saltellare come un cerbiatto impazzito in mezzo ad un prato fiorito. - Ahahaha! Lo sapevo! Lo sapevo! Lo sapevo che ti piacev …! - non riuscì a terminare che il Capitano della Unicorno le appoggiò con fare brusco e nervoso una mano sulle labbra, facendola tacere.
- Zitta! Non vorrai farti sentire, spero … -
- No, scusami, io … - farfugliò la mora cercando di scandire bene le parole, in quel momento compresse sulle sue stesse labbra dalle enormi e profumate mani di Mark. - Io non volevo … mi emoziono sempre quando si tratta di queste cose … -
- Sì, l'avevo notato. - replicò il ragazzo, lasciandola finalmente andare.
- Scusami … -
- No, tranquilla, l'importante e che nessuno abbia sentito. Riesci a mantenere il segreto? -
Esther gli prese il volto fra le mani e lo spiaccicò contro il suo naso, poi incrociò lo sguardo con quello un po' agitato di Mark. - Sì. - disse, seria. - Sì, te lo prometto. In quanti lo sanno oltre a me? -
- Solo Dylan. -
- E ti fidi di lui? -
- Beh, è il mio migliore amico … -
- Capisco … - la mora gli lasciò andare il viso, poi si scrutò intorno per controllare che né Suzette né Erik fossero nei paraggi. Dopodiché lo avvinghiò per le spalle e parlò. - Tranquillo, confidami pure tutto quello che vuoi. Ora siamo amici, no? -
- Sì. Sì, io mi fido di te. E tu … sentiti pure libera di dirmi ciò che vuoi. -
- Oh, che carino che sei, hiiiiii, ti bacerei! Allora benissimo, forza, vieni! Andiamoci a prendere un gelato e parliamo un pochino, ti va? -
L'americano tentò di ricordarle che era l'orario dell'allenamento, ma lei lo trascinò ugualmente fuori dalla sede con una forza da leoni. Una volta immersi nel traffico di Los Angeles, spalancò la bocca e mise da parte la grinta per lasciare posto ad uno stupore improvviso. La città era enorme, e anche se Osaka era più bella e moderna, quella non poteva essere da meno. I grattacieli in lontananza parevano perdersi fra soffici nuvole di zucchero filato e continuare ad allungarsi all'infinito, le macchine affollavano le strade asfaltate con la musica alta a tutto volume e i negozi brulicavano di gente. - Ah, è tutto così puccio! -
- Puccio? -
- Sì, un termine inventato da me. -
- Già, come piadinaiolo … -
- A proposito di piadine … oggi a colazione ho solo sgranocchiato una mela rossa … e ripensandoci ho ancora fame! -
- Ma …! - Mark la guardò, incredulo. - Credevo fosse Daisy quella con la pancia sempre vuota anche dopo un bouffet! -
- No, invece ti sbagli, a volte mangio più di lei … - ribatté Esther, sventolando una mano con fare estroverso e al contempo guardandolo con faccia compiaciuta. Era proprio contenta di averlo come amico, e dire che non ci avrebbe mai sperato, in una riconciliazione.
- Co …! -
D'improvviso un qualcosa cominciò ad emettere strani suoni. - Ugh, senti il mio pancino come brontola, poverino … forza, andiamo alla ricerca di una gelateria! Tu che te ne intendi; consigliamene una buona! -
- Mhhh … dunque, se andassimo là forse … -
- Allora andiamo! - lo zittì Esther, prendendolo a braccetto e trascinandolo verso il viale da lui proposto.

- Un cono gelato alla fragola, per piacere. E magari anche … anche un po' di melone, perché no! - ordinò la mora, leccandosi le labbra. La gelataia, una tenera ragazza sui ventitré anni dagli intensi occhi rosei, le servì il cono e tirò fuori un sorriso davvero grazioso. - Ecco a lei. E tu, bel principino? -
- B- bel principino? - balbettò Mark, scuotendo il capo e arrossendo a quel complimento per lui scandaloso.
- Sì! Sei o non sei il figlio della McAlister? Non lo vuoi il gelato? -
- Ah … ehm … sì, certo … dunque; mi faccia un cono gelato al pistacchio e … mhhh … alla Nutella, sì. -
- Ciò che vuoi, tesoro. - la gelataia, con la maestria e l'agilità di una vera professionista, gli riempì il cono, lo avvolse in un fazzolettino ruvido e glielo consegnò, mantenendo sempre un sorriso sdolcinato. - Ecco a te. Sono 2 $ e 45 centesimi. -
Il biondo estrasse 5 $ dal calzino, prese il resto e iniziò a leccare il gelato con gola. - Mhh, ripensandoci ci voleva proprio, un po' di gelato, questo caldo è davvero implacabile … -
- Beato tu che ancora lo devi finire … - borbottò la ragazza, succhiandosi i polpastrelli delle dita e ripensando con nostalgia al suo gelato, finito dentro la pancia.
- Cos … - l'americano la guardò, la lingua ancora in posizione d'attacco. - L'hai già finito?! -
- Sì! Che ti aspettavi, che ci mettessi due ore come stai facendo te? -
- Ma io l'ho appena preso! -
- E muoviti, no? Guarda, ti sta già sgocciolando tutto … - Esther poggiò la sua mano candida su quella di lui, impegnata a sostenere il cono, poi si chinò lievemente in basso e passò la lingua sulla cialda, raccogliendo le gocce del gelato per pulirla. - Et voilà! Ci voleva tanto? -
- Io … -
- Mh, che buono! La prossima volta anche io lo prendo alla Nutella, è davvero delizioso … oh? Ehi, laggiù c'è un parco! -
Mark seguì lo sguardo della ragazza e i suoi occhi turchesi finirono col posarsi su un vasto prato verde circondato da peschi profumati e querce dal tronco tozzo e robusto. - Mh, ti andrebbe di farci un giro? -
- Ovvio che sì! Forza, andiamo! -
I due giovani entrarono nel parco, lasciandosi alle spalle l'incessante rumore dei clacson delle auto, fastidioso e irritante.
- Ah … non entro in mezzo al verde da una vita … - mormorò Mark, allargando le braccia e incamerando quanta aria possibile nei polmoni.
- Non ti da fastidio? - gli chiese Esther, pescando un argomento dal nulla.
- Cosa. -
- Il fatto che tutti ti considerino una piccola star. -
L'americano abbozzò un sorriso e le dardeggiò un occhiata mista fra il dispiacere e lo sconforto. - Beh, sì … ma non ci posso fare nulla. -
- Auh, non deve essere facile … ANCORA CON QUEL GELATO, STAI?! -
Mark non fece nemmeno in tempo a replicare che il cono gli sparì di mano, finendo “magicamente” fra quelle di Esther. - E va bene … - disse, alzando le mani in segno di resa. - Finiscitelo tu. -
- Ovvio, tu ci avresti messo troppo! - esclamò la ragazza, mentre con la lingua si divorava il gelato dell'amico. Il biondo la guardò per un tempo che parve essersi fermato, poi si andò a sedere su un altalena e sospirò. Quanto gli sarebbe mancata Los Angeles. Amava quella città, la sua città, ogni quartiere che conosceva già iniziava a fargli nostalgia, nonostante mancassero ancora due mesi buoni.
- C'è qualcosa che non va? - gli domandò Esther, accomodandosi sull'altra altalena e facendo sparire il cono dalla vista del ragazzo.
- No, nulla. -
- Sicuro? -
- Sì, sì. -
- Con questa malinconia addosso, di certo Suzette non ti guarderà nemmeno. - gli disse la mora, guardandolo con la coda nell'occhio nella speranza di vederlo sorridere. Per fortuna accadde. L'americano arricciò il lungo naso, sollevò un sopracciglio e storse un po' le labbra per la vergogna.
- Non ho bisogno di essere guardato da lei … -
- Come no! Ti vuoi mettere con lei sì o no?! -
- Eh?! - Mark si sentì le gote in fiamme e per smascherare il rossore fu costretto a strofinarsele con il palmo delle mani, come un criceto. - S- scherzi, vero?! -
- No! - Esther gli fece l'occhiolino, poi la linguaccia. - Andiamo, tutte le volte che gli uomini iniziano a incrinare la voce e a lanciare sorrisi maliziosi belli come i tuoi vuole dire che … -
- Nahahahaah! - scoppiò a ridere il biondo, poggiandosi una mano sulla fronte. - Non sai quello che dici, dolcezza. -
La riccia si spinse in avanti, lo guardò intensamente e corrucciò le labbra fino a farle diventare piccole e carnose come un bocciolo di rosa. - Invece sì, il mio sesto senso mi dice che fai di tutto per evitare l'argomento, ma che ti piacerebbe parlarne. -
Mark le lanciò un'occhiata divertita, poi le toccò il naso con la punta dell'indice per allontanarla. Giurò di aver scorto in mezzo a quelle iridi nere una punta d'imbarazzo, ma non ci fece molto caso. - E va bene, hai vinto anche questa volta. - replicò, guardandola sistemarsi la divisa. - Con te è inutile opporre resistenza. -
- Bene, allora ti interesserà di certo sapere quali sono i gusti di Suzette. -
- Certo che sì. -
- Allora … - Esther iniziò a smuovere l'altalena avanti e indietro, e in poco tempo si ritrovò a dondolare come i bambini di tre anni con Mark incredulo a fissarla. - Suzette innanzitutto è una tipa molto cocciuta, e quando vuole ottenere qualcosa se la prende punto e basta. -
- Sì, con Erik ha fatto la stessa cosa. -
- Le fanno molto impazzire le scene romantiche, gli inviti a cena e soprattutto … i castani. -
- Non ho speranze. -
- In un uomo guarda molto la bellezza e, lasciamelo dire Kruger, tu sei molto più figo di Erik. -
L'americano arrossì e finse di tossire.
- Poi … adora i baci sulle labbra e chi la tratta da Regina, la fa sentire bella. -
- Come pensi … -
Esther fermò l'altalena, poi scese da essa e iniziò a fare avanti e indietro. - Come pensi? -
- Come pensi che mi debba comportare, con lei? -
- Se questa mattina l'avessi baciata, forse avresti già fatto centro. -
- Eh? -
- Cerca di dimostrarti forte … - la mora gli prese il volto fra le mani. - Conquistala come fa un leone con la savana, smettila di piangerti addosso e fa l'uomo. - gli tese una mano e lui l'afferrò, dopodiché lo sollevò dall'altalena. - Petto in avanti, sguardo fiero, muscoli tesi e faccia da rimorchiatore sono la miscela perfetta per conquistare una come lei. -
- Faccia da … rimorchiatore …? -
- Sì, dai, come quella che ha Dylan. -
Mark si lasciò sfuggire una risata divertita e Esther addolcì lo sguardo, lasciandosi cullare da quei suoni cristallini che il ragazzo emetteva dalle profondità della gola. - E va bene, mi sforzerò di farla. -
- Bravo! Fa capire a Erik chi è che comanda! -
- N- no … non voglio mettermi contro Erik, è mio amico … -
La mora gli tirò un leggero schiaffetto sulla spalla, irritata. - Gli faresti solo un piacere. Scommetto che sta con Suzette solo per perdere tempo, ma ho sentito dire da Hellen che gli piace una certa Silvia … -
- Sì, Silvia, l'ho vista un paio di volte … -
- Tu provaci con Suzette, dai! Se va male, povera cara, non sa che bel figone che si è lasciato alle spalle! Se va bene … beh,
Erik ti bacerà i piedi! -
Mark sorrise. In fondo Esther non aveva tutti i torti; Erik amava Silvia, Silvia amava Erik, Suzette amava Erik e lui … lui amava Suzette. Perché non mettersi in mezzo? Perché non tentare? - Hai ragione. - le disse, assumendo un espressione tra il compiaciuto e il felice. - Io ci provo. -
- Bravo, questo è lo spirito giusto! Mi inviti al tuo matrimonio, vero …? -
- EH?! Q- QUALE MATRIMONIO! -
- Come, quello fra te e Suzette. - replicò la ragazza, agganciandosi al suo braccio.
- … -
- Dai, ti pregoooo! Prometto che non mi metterò a mangiare gelati durante la cerimonia! -
Mark rise, contagiando anche lei, e entrambi si persero nella risata dell'altro. - E va bene … certo che ti inviterò, che domande. -
- AHAHAHAAHAHAHA, LO VEDO DA QUIIIII! - urlò d'improvviso Esther, quasi buttandolo a terra con uno strattone.
- C- cosa … -
- Quel vestito! Laggiù, Mark! -
- Eh? Oh, non dirmi che ti piace quella schifezz … - non riuscì a finire l'americano che la ragazza era già corsa dentro il negozio. - E- ehi! - esclamò, uscendo dal parco, attraversando la strada e raggiungendola in mezzo ad un vero e proprio atelier di alta moda. - Aspettami! - si guardò intorno, sperando di trovarla, ma fra tutte quelle ragazze era impossibile distinguerla. La cercò un po' ovunque, fino a quando lei non gli piombò davanti con in mano una decina di vestiti colorati. La sua testolina felice sbucò da dietro il malloppo, con stampato in volto un sorriso largo e soddisfatto. - Li voglio tutti! -
- Eh?! -
- Ho portato i soldi! Li tengo sempre con me … tienimi un po' … - la ragazza lasciò gli abiti a Mark (che per poco non perse l'equilibrio) e s'infilò la mano nel reggiseno, da cui estrasse un tot. di dollari. - Diciamo che mia mamma mi ha fornita per il viaggio. -
- Direi anche bene … - replicò l'americano, nascosto dietro la montagna di vestiti, che quando arrivò alla cassa fu lieto di appoggiare al bancone.
Il volto della commessa sbiancò. - T- tutta questa roba? -
- Sì … - replicò Esther, smettendo di fissarsi lo smalto. - Qualche problema? -
- La perdoni, è una tipa un po' avventata … -
- L'importante è che abbia dollari sufficienti per pagare. - ribatté la donna, per poi iniziare a togliere le torce agli abiti. Una volta che ebbe finito di piegarli e riporli tutti in delle apposite buste, guardò la ragazza con una punta di sarcasmo negli occhi. - Sono 1089 $, treasure. -
- Mh, ok. - Esther si scostò i capelli dalle spalle e le consegnò tutti i dollari che aveva fra le mani, quando si accorse che le mancava ancora un po' prima di raggiungere la cifra desiderata. Arrossì selvaggiamente e sorrise epr sdrammatizzare. - Beh … crede di potermi fare un piccolo sconto? -
- No. -
- Ah … -
- Se proprio non riesci a raggiungere la quota, ti consiglio vivamente di mollare qualche abito. -
- Cosa …! -
- Ehm, ragazzini, muovetevi! - si lamentò una donna lungo la coda, imbronciata. - E' quasi ora di pranzo, vorrei arrivare a casa in tempo! -
Esther fece per replicare, scoraggiata, quando Mark le strinse amorevolmente una mano e appoggiò sul bancone la quota mancante, con un sorriso per niente amichevole stampato in volto.
- Ora possiamo portare via tutto …? - chiese, mentre la cassiera, esterrefatta, osservava i dollari con la mascella che quasi le cadeva sul pavimento.
- S- sì … -
- Fantastico. - il biondo prese la busta, soddisfatto, dardeggiò un'occhiataccia tagliente alla donna di fretta e uscì, con la mano di Esther ancora allacciata alla sua. Una volta fuori, emise un sospiro e si spianò contro il muro di una palazzina. Poi gliela lasciò, con dolcezza. - Per poco, eh …? -
- Che cassiera di merd … -
- Lascia stare, a Los Angeles si vive nello stress. -
- Grazie. - la mora lo guardò, riconoscente. - Grazie, Mark. -
- Per cosa. -
- Per … avermi prestato i soldi. -
- Nah, tranquilla, di certo non sono povero. -
Esther si perse nei suoi occhi puri come cristalli, incapace di ribattere, poi lo fissò guardare distrattamente l'ora nell'i-phone.
- La donna aveva ragione, è quasi ora di pranzo … i ragazzi saranno già in mensa … almeno voglio sperare che sia così. -
Risero.
- Che facciamo? Torniamo là? -
- Eh? Nah, dista troppo. Fermiamoci in un ristorante e pranziamo con calma. -
- Ah!? - la mora si portò le mani al petto. - Al ristorante?! -
- Sì. Perché …? -
- Wow, fantastico! Potrei piangere! - esclamò la ragazza, abbracciandolo di nuovo e intrecciandogli le dita fra i biondi capelli.
Mark la strinse a sua volta, sorpreso da tanto affetto, e rabbrividì nel sentire il seno caldo dell'amica premersi contro i suoi pettorali tesi. - Non scherzavi, ieri sera … - mormorò, socchiudendo gli occhi e lasciandosi andare a quel calore così avvolgente e dolce.
- Come potrei … -
Rimasero per un momento in silenzio, indecisi se lasciarsi o no, poi Mark riprese il controllo delle sue emozioni e la allontanò, rosso in volto. - Forza, andiamo, dobbiamo trovare un luogo che non sia pieno di gente. -
- Va bene! -
I due ragazzi iniziarono a camminare in giro per i quartieri, alla ricerca di un buon ristorante dove pranzare divinamente, e quando lo trovarono si precipitarono dentro.

- Ah … - Esther si poggiò entrambe le mani sul ventre, poi portò lo sguardo al cielo, di un azzurro quasi accecante. - Ho mangiato benissimo, quell'aragosta era semplicemente deliziosa … e poi il dolce … beh, era squisito! -
- Immaginavo l'avresti detto. - rise debolmente Mark, osservando di sfuggita un aereo stagliarsi fra le nuvole. Non aveva voglia di tornare al campo, specialmente ora che si erano seduti al fresco, sotto una quercia, a guardare il cielo.
- Ricordati: quando arriviamo alla sede … inizia a fissarla, non distogliere lo sguardo dai suoi occhi … così le farai capire che le interessi, e se lei ricambia cercherà in tutti i modi di apparirti nel più bel modo possibile. -
L'americano annuì lentamente. Per tutto il pranzo non avevano parlato d'altro se non di Suzette e di come fare colpo su di lei. Ora sapeva come conquistarla, e di certo si sarebbe risparmiato eventuali figuracce. E tutto grazie a Esther. - Ti ringrazio. -
- Di cosa? -
- Per avermi dato una mano. -
- Ma è così che si conquistano le donne … mostrandoti duro, serio e dolce al contempo, maledettamente sexy. -
- Tu? -
La mora lo guardò, accigliata. - Io cosa. -
- Non sei innamorata? -
Mark non sapé definire se la risata che seguì dopo la sua domanda fu di disprezzo, incertezza o vergogna.
- No, gli uomini non mi interessano, e per il momento sto bene sposata con me stessa … -
- Oh, ragazzina, hai tredici anni, non parlare come una di trenta. -
- E tu ne hai quattordici e … quando sei nato? -
- Venti Gennaio. Tu? -
- Cinque Dicembre … un momento … è vero che ne hai quattordici! Vuole dire che hai già dato gli esami di terza, non è così? -
- Stai cercando di cambiare discorso? - notò Mark, aggrottando le sopracciglia e assumendo un espressione confusa. - Ho detto qualcosa di male che ti ha infastidita? -
- No … - mormorò la ragazza, voltandosi verso di lui e accarezzando l'erba verdolina del prato. - No, tranquillo. -
- Per un attimo ho temuto che mi avessi preso a ceffoni. -
- Ne sono capace … - sorrise Esther, lanciandogli un'occhiata carica di rivalità.
- Allora farò bene a guardarmi le spalle. - replicò Mark, fissandola a sua volta. - Sì, comunque. Gli ho fatti, gli esami, finiti i primi di Giugno. -
- E? Come ti sono andati? -
- Benissimo, sono uscito col nove. -
- Wow! Sei un genio! -
- Quando ne ho voglia sì … -
- E Dylan? -
- A malapena sette. -
- Dai, meglio di sei. -
- Mi ha copiato, quel bastardo … - le disse Mark, scuotendo il capo. - E io, come un cretino, a farmi di lato per fargli vedere le risposte … - si morse il labbro inferiore e la voce iniziò a tremargli dalla tristezza. - Meglio se ci scoprivano e ci bocciavano, così rimanevo qui con lui un' altro anno … -
- Di che stai parlando … -
- Eh? Scusami, ho detto una cazzata! Solo che mi mancherà, dato che lui andrà all'alberghiero e io allo scientifico. -
Esther, per fortuna, parve non sospettare di nulla. - Sono facili, gli esami? - chiese, un po' preoccupata.
- Sì, vai tranquilla. - gli rispose Mark, guardandola. - Gli scritti sì. L'orale … è solo l'ansia a tenerti in pensiero e a farti credere che il mondo sia finito. Una volta dentro, ti sciogli automaticamente e inizi a parlare senza più fermarti. Il segreto è studiare bene. -
- Già … allora sono spacciata! -
- Ti aiuterò per telefono, dai … insomma. Ce l'ha fatta Dylan. -
- A proposito! - s'illuminò la ragazza, schioccando le dita. - Lo vuoi il mio numero? -
- Sì, perché no! - Mark si sollevò a sedere, sbloccò la tastiera e entrambi si scambiarono i numeri di cellulare, poi emise un sospiro e si accasciò di nuovo fra l'erba. - Quando ero piccolo venivo sempre qui, con Dylan, e ci raccontavamo la giornata. -
- Parli così bene di lui … sembrate quasi fratelli! -
Il biondo sorrise, e Esther non dovette aggiungere altro per capire quanto Mark adorasse il suo migliore amico. Dovevano essere molto legati, proprio come lei e Dell, o Suzette e Lily, o Hellen e Daisy.
Le nuvole passarono veloci, e insieme a loro il tempo. Los Angeles cadde immersa in una pozza d'arancio, i negozi iniziarono ad abbassare le serrande e le prime luci di bar e ristoranti a lampeggiare tetramente.

Il biondo aprì gli occhi di scatto, sentendo il suo i-phone vibrare intensamente sul suo petto. - Dannazione, mi sono addormentato … - borbottò, stropicciandosi le palpebre con foga. Sbloccò la tastiera e con sua sorpresa si ritrovò un messaggio sull'icona della lettera. Lo aprì, curioso, e lo lesse. - Dylan … - mormorò, senza disturbare Esther che, come lui, era crollata in un sonno leggero.

Mark, dove sei finito, fuck, sono le 18:00!
Beh, ovunque sia sappi che devi rientrare SUBITO: questa sera Mac rimarrà a cena da noi, e sta per arrivare a momenti!
Forza, sbrigati!
PS= salutami Esther :)

- C-cosa?! - urlò il biondo, facendo saltare il cellulare in aria, dal panico. Mac non veniva mai a fare loro visita, e, strano ma vero, proprio oggi che non c'era si era messo in testa di passare a fare un saluto. Il colmo.
- Va … tutto bene? - sussurrò Esther, svegliandosi di soprassalto e guardando l'amico con faccia assonnata.
- Sono già le 18:00 … -
La mora strinse le labbra e si sollevò sui gomiti, un po' preoccupata. - davvero? -
- Sì! E Mac ha deciso di cenare da noi, siamo in ritardissimo! -
- Oh … scusami, è colpa mia … - si accusò la difensora, guardando l'orizzonte con faccia dispiaciuta. - Se non ti avessi trascinato in giro per Los Angeles, a quest'ora saremmo già pronti e … -
Il biondo le lanciò un sorriso rassicurante. - Guarda che non è colpa tua. Io mi sono divertito parecchio, con te, ho passato un pomeriggio meraviglioso, ed è stato meglio così ... però è meglio se ora rientriamo, anche perché dobbiamo essere lì prima dell'arrivo di Mac, farci la doccia, preparare tutto … sai che fa se non ci trova?-
- Oh, non lo voglio nemmeno immaginare, e poi tu sei anche il Capitano! Forza, Andiamo! -
I due giovani si scrollarono l'erbetta di dosso, scesero la collina e iniziarono a correre mano nella mano verso la sede della Unicorno, sperando di arrivare prima di Mac e tagliare il record.

 

Angolino di Maggio
Oh, la mia coppietta tutta mia :3 che ho inventato io e che è così tenera, proprio come un pasticcino alla crema …
Esther: pasticcino?! DOVE?!?! *aguzzando la vista*
Io e Mark: -.-
ma quanto sono belli insieme, awwww, più tempo passa e più mi innamoro della mia creazione … voi che ne pensate di sti due come BESTAH FRIENDAH? Spero di averlo scritto bene, questo capitolo, e che sia stato interessante, e soprattutto … che sia stato di vostro gradimento! Come vedete con le descrizioni sono un po' negata, e forse emergono più i dialoghi, ma …
a mio tempo con la pratica migliorerò. Dedico questo capitolo a Siren Melody, che domani ha gli esami …
E IO GLI REGALO STA SCHIFEZZA, lo so, quanto sono stronza … ma siccome lei almeno un po' Esther la scippa …
:') …
bene, ora vi saluto, che devo elaborare altra cakka …
adios e auguro a tutti un buon esame, a chi comincia domani!
PS= io che gli ho già fatti il 17 vi posso assicurare che è facile u.u, e che non dovete temere di nulla se avete studiato.
Ciao ciao!

Lucy

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Capitolo 11
*** Un'impresa davvero ... "pesante"! ***


UN'IMPRESA DAVVERO ... "PESANTE"!

 

- Di' un po', tesoro, si può sapere dove eravate scomparsi tu e Mark, sta mattina? - domandò Dell, togliendosi gli auricolari dalle orecchie. Si era preoccupata molto per Esther, durante gli allenamenti, non era suo solito scomparire così con un ragazzo che solo da due giorni nemmeno aveva preso in simpatia.
- Abbiamo fatto un giro per Los Angeles. - replicò l'altra, provandosi i nuovi abiti acquistati.
- Ecco spiegato da dove vengono tutti quei vestit … - la ragazza col cappello d'un tratto si sollevò a sedere. Scese dal letto, raggiunse l'amica e le tolse una maglia dalle mani, senza terminare la frase. - Gucci …? - chiese, con tono sorpreso. Lasciò andare l'indumento, poi rovistò dentro le buste e ne prese altri. - Prada? Dolce e Gabbana? Starai scherzando, spero. -
- No, cara, come vedi sono tutti abiti firmati. -
- Oh, santo cielo … - Dell sgranò gli occhi, esterrefatta. - Ma quei vestiti costano un patrimonio! -
Esther scoppiò a ridere e ripensò alla figura in negozio. Senza Mark probabilmente avrebbe dovuto rinunciare a tantissimi capi preziosi, cosa che per lei equivaleva a morire. - Diciamo che Mark mi ha dato una mano a … - arrossì e si guardò lo smalto color confetto che poco prima aveva applicato sulle unghie. - come posso dire … completare l'opera! -
- Ah, immaginavo! - ribatté Dell, ricadendo sul letto ancora un po' frastornata. - E' figlio di Hanagrace, non credo che per lui spendere soldi in cavolate sia un problema. Dai, è stato carino! -
- Sì, in effetti … - rispose la mora, dopo essersi provata un altro vestito firmato. - E' stato un grande. -
- Pensi di sdebitarti? -
- S- sì, ma la verità è che … non so come! -
- Wow, un giorno appena che siete amici e già te lo porti a spasso! Dimmi la verità … - Dell si trascinò a gattoni verso il bordo del letto, poi allungò il collo e socchiuse le palpebre per assumere l'aria più sospettosa e divertita possibile, quindi inchiodò le iridi color rubino allo specchio per guardare la sua migliore amica in volto. - … ti piace, eh ...? -
- N- NO! - esplose l'altra, tingendosi di rosso. - Scherzi?! Solo perché l'ho perdonato, non vuole dire che mi sia innamorata di lui … -
- No, eh …? E come mai prima lo odiavi …? -
- Ora basta, Dell! E tu, con Michael, come la metti?! -
- Ok, lo ammetto: mi sono innamorata di lui. Ma almeno sono sincera. -
Esther sospirò e sollevò gli occhi al cielo, spazientita. Voleva bene a Mark, ma non da amarlo. Le piaceva, sì, ma non da andarci dietro. I biondi non l'avevano mai attratta particolarmente, in più andavano d'accordo solo da un giorno … anche se non poteva negare di aver pensato di essersi presa una cotta per lui, la cosa finiva lì. Amici. Solo amici. Se sarebbe durata per i prossimi due mesi. - Dell, sono sincera: Mark non mi piace. Sì, mi piace, ma non mi piace come pensi che un ragazzo possa piacere ad una ragazza. E' stato gentile, è stato carino, ci siamo abbracciati, ok, io ieri sera al compleanno di Michael gli ho fatto una scenata da Titanic e mi sono anche messa a piangere perché gli ho fatto del male, lo riconosco, ma questo non vuole dire che … -
- Allora, tesoro, sei tu a piacergli. - replicò Dell, senza arrendersi.
- No, impossibile: stravede per ... - Esther si bloccò di scatto, come se qualcuno l'avesse pugnalata alle spalle. Che stupida, che era. Aveva promesso a Mark che non avrebbe mai e poi mai rivelato i suoi sentimenti per Suzette, nemmeno alla sua migliore amica, per quanto fidata, e guarda caso, cinque secondi fa lo stava quasi per fare.
- Stravede per …? -
- N- no, hai capito male … -
- Sei sicura? Io ho capito “stravede per ...” … intendi dire che è innamorato di qualcun'altra? -
Esther fece per rispondere un “non ne ho idea”, imbarazzata, quando in camera subentrò proprio Suzette, insieme a Hellen e Daisy.
- Salve! -
- Buonasera, ragazze! - esclamò la Capitana della CCC, chiudendosi la porta alle spalle. - Wow, e tutti questi vestiti? -
- Sono andata a fare shopping con Mark. - le spiegò Esther, raccogliendo gli abiti dal pavimento e gettandoli sul letto con delicatezza, per evitare che ostacolassero l'entrata.
- Mark? Mark Kruger ...? - domandò l'azzurra, stranita.
- Sì, lui, non conosco nessun altro Mark, al momento. -
- Mh, ecco dov'eravate finiti! Ma … state insieme? -
La mora arrossì fino alla punta dei capelli e si addentò la lingua fino a farsi male. Forse aveva parlato troppo. Per un attimo le era sfuggito di mente che con Suzette i segreti non erano mai al sicuro, e che per lei due persone di sesso opposto che uscivano insieme anche solo per andare a fare la spesa erano già ufficialmente fidanzati. - No, non stiamo insieme! Siamo solo am … - non riuscì a finire che già la bella Capitana della Tripla C stava saltellando di gioia.
- Lo sapevo, lo sapevo che eri innamorata di lui! Siete così carini, insieme, proprio come cielo e terra, luna e sole, vento e brezza! -
- Suzette, cara, che stai dicendo …! - trillò Esther, stringendosi nelle spalle.
- La verità, Esther: tu e Mark state insieme, solo che non vi va di ammetterlo! Ma a me non sfugge nulla! Come Hellen e Bobby! -
Questa volta fu Hellen ad arrossire. - Ancora con questa storia, Suzette?! Io e Bobby siamo solo amici! -
- Sé, sé, solo amici, come no … -
La difensora fece per ribattere, ma Daisy le serrò la bocca con un'occhiata carica di comprensione. Con Suzette era inutile discutere, cocciuta com'era non avrebbe mai e poi mai cambiato idea.
- Dite pure quello che volete, tanto lo so che siete fidanzate, tu ed Esther. -
- Suzette, falla finita! - ringhiò Esther, non riuscendo a trattenere i nervi saldi. - Puoi dirmi che sto con tutti ma non con Mark, per favore! -
- Va bene, tranquilla, terrò il vostro amore al sicuro! -
- Ma cosa …! -
- Non lo dirò a nessuno … ora devo filarmela, ho un appuntamento con me stessa davanti allo specchio! Ciao! -
Le ragazze non riuscirono nemmeno a salutarla che la dodicenne era già sparita in camera sua. Daisy emise un sospiro di rassegnazione. - Hellen, Esther, lasciatela perdere, sapete com'è. -
- Sì, ormai ci siamo abituate … - ribatté la mora, scuotendo il capo per scacciare via l'irritazione, il nervosismo e l'arrabbiatura.
Dell batté le mani per catturare la loro attenzione, sperando di voltare pagina e lasciare l'argomento a dopo o, magari, a mai più. - Ragazze, vi siete divertite al compleanno di Michael? - chiese, curiosa di sapere un po' l'opinione di tutte.
Hellen chiuse la porta, poi tutte e quattro si stesero sul morbido letto di Esther. - Io sì, ho passato la serata insieme a Bobby … mi ha fatto ridere un mondo! -
- Sì, diciamo di sì … - fu la risposta della mora, che come al solito in compagnia non lasciava mai trasparire le sue emozioni più di tanto.
- Anche io mi sono divertita! Era tutto buonissimo! -
- Già … - Dell abbassò lo sguardo. - Michael è fantastico, scemo ma fantastico! -
- In effetti, ora che ci penso … ti ho visto confabulare con lui molto animatamente … e poi, se non sbaglio, avete anche ballato insieme! - osservò la rosa, attenta come al solito. Era vero che sembrava dormisse in piedi, ma in realtà non le sfuggiva mai un dettaglio.
- Ahah … danzare con lui è stato magico … penso di essermi presa un cotta. -
Esther le tirò una gomitata, poi sollevò le fini sopracciglia color aubergine. - Una cotta bella grande, direi! -
- Sì … enorme! -
Daisy sorrise. - Che carino, che è, Michael … anche se non batte la bellezza di Dylan. -
- COSA!? - le altre tre ragazze, sconvolte dalla notizia, si sollevarono all'unisono, poi inchiodarono gli occhi sulla castana. - Ti piace Dylan?! -
- Sì … è così dolce, agli allenamenti non faccio altro che guardarlo tutto il tempo! -
- Dolce ma non bello. - sbottò Dell, seria.
- Oh, ragazze, lo sapete come sono fatta … io non guardo la bellezza … -
- Questo si era capito … -
- Vabbé, che ci possiamo fare: - Hellen fece spallucce, poi sorrise debolmente per rasserenare la situazione. - ognuno ha i suoi gusti, no? Per esempio, a mio parere il mostro della Unicorno è Erik. -
- A me è Dylan quello che non m'ispira … - Dell guardò Daisy, che aveva messo su un broncio da far spavento. - … senza offesa, cara. -
- Beh … - ribatté il portiere della CCC, arricciando il piccolo naso a patata. - secondo me Bobby è troppo magro. Uno scafandro! -
Questa volta fu il turno di Esther. - Secondo me sono tutti brutti, e il primo in assoluta è Mark. Simpatico ma inguardabile. -
- Già. - Hellen le dardeggiò un'occhiata acida, ma anche piena di sarcasmo. - Immaginavo l'avresti detto. -
Le altre risero di gusto alla battuta e persino la difensora si sciolse, lasciandosi andare al coro delle amiche. E se nella sua camera si era toccato l'argomento “boys” … nella stanza di Mark a nessuno erano sfuggite le “girls” della Tripla C.
- Okay, ho messo il CD. - Erik premette un pulsante posto sul lettore DVD, poi lanciò la custodia del film su un mobiletto lì vicino e si lasciò cadere su una poltroncina blu, stanco e soddisfatto del duro allenamento che anche oggi aveva portato i suoi frutti.
- Qual'è? - chiese Mark, spaparanzato fra le lenzuola con l'i-phone sull'addome, in boxer.
- Ghost Movie. - gli rispose distrattamente Bobby, concentrato a leggere una rivista sul calcio.
- What?! L'abbiamo visto già milioni e milioni di volte! -
- L'ha proposto Dylan, io non c'entro nulla! - si difese Erik, sollevando le mani al cielo come se gli avessero appena puntato una pistola al petto.
- Guys, guardatelo voi … - il biondo sbloccò la tastiera e fece per cliccare l'icona di un gioco, quando Dylan spalancò la porta con un calcio, facendolo sobbalzare dallo spavento. Prima o poi, a forza di piedate, quella povera porta sarebbe crollata a terra.
- Eccomi qui! -
- Dylan, io non me la guardo sta cagata. - sbottò Mark, ritornando al suo i-phone.
- E perché, Mark, “fratello”? -
- L'ho già vista. -
- Solo una volta … -
- Già … - l'americano si mise a sedere, scocciato, e squadrò Dylan con faccia irritata. - e come mai mi so le battute a memoria …? Strano, non trovi? -
- Ehi, ehi … - Bobby si allacciò alla conversazione per evitare che iniziassero a litigare. Era solito di Mark e Dylan menarsi per cavolate assurde come film, videogiochi, bibite, oggetti e altre robe inutili, faceva parte della loro “amicizia fraterna”. Una volta ricordava di essere uscito insieme a loro due in un ristorante texano, e di averli dovuti dividere perché Dylan sosteneva che la cameriera bionda fosse più bella della mora. Da non credere. - Non litigate, dai. - disse, le braccia tese e un espressione pacifica dipinta in volto.
- Ehi, I've got an idea! - esclamò d'un tratto il ragazzo con gli occhiali, schioccando pollice e medio in un sonoro “clak”.
- Sentiamo un po'. -
- E se invitassimo le ragazze …? -
- Le ragazze?! - urlò Erik, saltando via dalla poltroncina come un gatto dentro l'acqua. Ragazze=Suzette, Suzette=baci appiccicosi per tutta la durata del film. - R- ragazzi, Suzette anche qui no … - balbettò, contrario a questa folle idea.
- Perché parli male di lei, è così carina … - gli sfuggì di bocca a Mark, ma poi si corresse subito, imbarazzato. L'ultima cosa che voleva era creare delle incomprensioni fra lui e Erik, suo amico da tantissimo tempo.
- Dai, a me non sembra una cattiva proposta. - osservò Bobby, sorridente. - E poi sarà un occasione per legare. Se non sbaglio, Michael, ho notato che è da un po' che sbavi dietro a Dell. -
- Perchè, non è una bella pupa …? - rispose l'altro, le mani dietro la testa e gli occhi color nocciola persi ad osservare il soffitto. - E poi adoro come mi maltratta e mi crede stupido. -
- Appunto. Allora, che ne dite …? -
Mark sospirò e smise di giocare col cellulare, convinto. - E va bene. Invitiamole, allora. In fondo non ci trovo nulla di male. -
- Evvai! - esclamò Dylan, eccitato. - Chi le va a chiamare? -
- Erik, ti vuoi proporre tu …? -
- No! Non io. Ve lo sognate. - sbottò il castano, voltandosi dall'altra parte e cercando di prepararsi psicologicamente a ricevere le labbra di Suzette.
- Allora vad … - Mark venne come colpito da un lampo di genio, che gli impedì di terminare la frase. - Fermi tutti! Ho il numero di Esther … - disse, sventolando l'i-phone in aria. - posso mandarle un messaggio! -
- Già, bella idea! Spero solo dicano sì … -
- Okay. Dunque … - il biondo cercò il numero della ragazza nella rubrica, poi iniziò a scriverle l'invito, col cuore in gola.

 

- Esther, ti vibra il cellulare. - notò di sfuggita Hellen, indicandole il telefono con un dito.
- Davvero? - la mora si allungò per prenderlo dal comodino, dopodiché sbloccò la tastiera, stranita, e cliccò nervosamente sull'icona dei messaggi. Il suo cuore perse un battito, la gola le si seccò di colpo e gli occhi iniziarono a brillarle dall'emozione. - E' Mark … - mormorò, non riuscendo a scandire bene il nome del ragazzo. Non si sarebbe mai aspettata un messaggio da lui, perlopiù così presto. Se fosse stata un cane probabilmente avrebbe iniziato a scodinzolare dalla felicità, mettendo in soqquadro la stanza a colpi di spazzolate.
- Oddio, magari ti cerca! - gemette di gioia Dell, avvicinandosi per leggere.

Ciao “dolcezza”.

- Dolcezza …? -

- Ah, lui … - Esther arrossì lievemente, mentre le mani lottavano contro il sudore per tenere saldo il cellulare. - Chiama tutte così. -
- Ah … ok … -

A Dylan è venuta la brillante idea di invitare te e le altre su da noi a vedere un film. Almeno credo. Ti va …?
Comprendo se non volete venire. E' un'idea folle. Però avevo il compito di chiedervelo, e così …
okay, solo questo.
Scusa il disturbo alle 23:00 di notte, e il messaggio banale …

Mark.

La difensora bloccò la tastiera con la lentezza di un bradipo, poi sorrise al nulla e lasciò che i battiti del suo cuore impazzito si calmassero un po'. - Ci andiamo …? - chiese, aspettandosi un sì.
- Secondo te …? - le fece eco Dell, commossa forse più dell'amica.
- Sì? No? R- ragazze, vi prego, vi scongiuro … -
- Ovvio che sì, Esther! - esclamò Daisy, già appesa alla maniglia della porta mentre attendeva impaziente che le altre si alzassero dal letto. - Vado a chiamare Suzette. Voi intanto raggiungeteli! -
- Ok! - le rispose Hellen, pronta a incamminarsi verso il dormitorio maschile, quando sia Esther che Dell la bloccarono, afferrandola per un polso.
- Pensi di andare così …? -
- Così come? -
La mora sorrise, la fece sedere davanti allo specchio e aprì un beauty-case con sguardo divertito, quindi ne estrasse un lucidalabbra e un po' di fard color corallo. - Neanche un po' di trucco? -
 

Mark sospirò amaramente e, dopo aver letto e riletto il messaggio, lanciò il cellulare sul cuscino. Si era comportato da stupido, da vero idiota. Come aveva potuto pensare che Esther, Suzette e le altre sarebbero venute così facilmente proprio non capiva … sperava solo di non aver rotto il ghiaccio troppo in fretta, di non aver urtato con la sua poca, spregevole sensibilità il cuore di Esther. - Non vengono. - concluse, con una nota di angoscia nella voce.
- No. - ribatté Erik, sollevato all'idea di non dover vedere Suzette per le prossime otto ore. - Non vengono. -
Bobby strinse i pugni e si sollevò da terra, nervoso. - E invece sì, che vengono … - sbottò, pensando intensamente ad Hellen. - vi dico che si stanno solo preparando. -
- No, non vengono, ormai è fatta! - gemette Mark, lasciandosi cadere il mondo addosso, come al solito. - Tutta colpa del mio inutile messaggio che avranno di certo preso per un incitamento a fare sesso! -
- Mark, che cavolo dici … - mormorò Dylan sedendosi accanto a lui, ma il biondo, già abbastanza avvilito, si allontanò con uno scatto repentino.
- Di certo è così … -
Michael fece per ribattere, quando a togliergli la parola fu un bussare alla porta.
Bobby alzò un sopracciglio e sorrise, vittorioso, mentre Erik d'improvviso si sentì senza più via d'uscita, chiuso dentro uno stretto cunicolo, al buio, privo di aria per incamerare ossigeno dentro i polmoni e continuare a respirare. Giurò di volere la mamma al suo fianco. - Visto? Solo questione di tempo. Mark, mettiti una maglietta e dei bermuda decenti, non siamo al mare. - disse, per poi appoggiare una mano sulla maniglia e spingerla in basso mentre il Capitano della Unicorno frugava disperatamente dentro i cassetti alla ricerca di una t-shirt adeguata e dei pantaloncini guardabili. Appena il difensore migliore della Unicorno aprì la porta, Suzette, come una zebra inferocita, lo spinse di lato ed entrò nella stanza.
- Erik, tesorino? Dove sei? - domandò, lo sguardo attento e le labbra corrucciate.
Il castano arrossì e si sollevò dalla poltroncina, verde in volto. Ormai era inutile evitarla: il suo destino era già segnato, e non avrebbe mai potuto mettersi con Silvia. - Qui … -
- Oh, amoruccio mio! - esclamò la ragazza, correndogli incontro, quando per sbaglio urtò contro la spalla di Mark e perse l'equilibrio. Se non fosse stato per lui, probabilmente sarebbe caduta sul pavimento.
- Tutto bene? - le chiese il biondo, osservandola sistemarsi i capelli senza smettere di reggerla forte.
- S- sì … grazie per avermi afferrata. - Suzette arrossì e gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle, con delicatezza. - Senza di te …beh … -
- Sì. Okay, comprendo. L'importante è che tu non ti sia fatta del male. -
- No, sto benissimo! -
Mark le fissò le labbra per un istante, divertito, poi rilassò i muscoli e la lasciò trotterellare verso Erik, rassegnato. Esther gli fu accanto in un battito d'occhio. - Allora, signor Kruger …? -
- Allora cosa. -
- Come ti sei sentito? -
L'americano le sorrise maliziosamente, poi la prese in disparte per evitare che il suo segreto venisse alla bocca di tutti. - E' stato fantastico. - mormorò, lo sguardo acceso e le gote in fiamme.
- La tenevi stretta stretta, eh …? -
- Sì … ti giuro che l'avrei divorata di baci. -
- Immagino … sei stato un grande. - si complimentò Esther, orgogliosa. - E lei ti ha passato persino le mani sulle spalle! -
Mark reclinò il capo verso sinistra, confuso. Forse si era perso una parte del discorso. - Vuole dire qualcosa? -
- Sì! - Esther gli prese il volto fra le mani con molta, forse troppa disinvoltura, poi lo guardò, incredula e felice al contempo. - Che le piace il tuo corpo! -
- Ah …! - il biondo arrossì lievemente nel sentire le dita della difensora premute sulle sue gote, e tenne rigido il collo per un po' di secondi, poi sorrise dolcemente e non fece caso a tutta quell'intimità che, in fondo, non gli dispiaceva neppure poi così tanto. - Fantastic! -
- Già, dillo forte! Continua così e vedrai che inizierà a guardarti con più considerazione. -
- E' solo questo quello che voglio. -
- Bacio, bacio, bacio! -
- Eh? - Esther lasciò il volto di Mark, poi batté le ciglia più volte. - Su- Suzette …! Come hai detto?! -
- Dai, baciatevi! - li incitò l'azzurra con un sorriso a trentadue denti stampato in volto e il cellulare fra le mani, pronta a fotografarli nel caso si fossero davvero scambiati un bacio.
- Scherzerai, spero. - le rispose Mark, passandosi una mano dietro la nuca e iniziando a grattarsi fra i capelli per placare l'imbarazzo.
- No! Forza, dai, solo uno! Voglio vedervi! -
- Suzette, noi non … -
- Ehi, allora …? - gracchiò la voce di Michael, interrompendo la discussione appena in tempo per salvare i due amici. - Voi tre, non venite a vedervi il film? -
Il biondo fu lieto di cambiare argomento. - Sì, adesso. Dopo voi due, ragazze. -
- Grazie! - esclamarono in coro Esther e Suzette, per poi prendere posto sul letto.
E in neanche un quarto d'ora pura risata, la Capitana della CCC crollò addormentata sulle spalle di Mark.
L'americano sgranò gli occhi e d'istinto li portò su quelli di lei, serrati. Il suo cuore prese a battere forte, il respiro ad affannarsi, le labbra a tremare nervosamente per trattenere un grido di gioia. E adesso? Svegliarla oppure lasciarla riposare? Guardò Erik, a disagio, ma il castano pareva troppo concentrato a godersi quella porcata di film per leggerlo nel pensiero con una semplice occhiata. Si scrutò un po' intorno, persino Esther e Dylan non si erano accorti di nulla. In questo momento tutto dipendeva da lui. Emise un sospiro di rassegnazione, sorrise debolmente e passò un dito sulla guancia di Suzette, carezzandola dolcemente. - Buonanotte. - le sussurrò, sperando di non svegliarla a causa del suo tono di voce rauco e profondo. Per fortuna questo non accadde. Anzi, la ragazza portò una mano sul suo petto, gli stritolò debolmente la maglietta, arrossì e si fece più stretta a lui, lasciandosi sfuggire un sospiro di stanchezza. Mark le fece leggermente scivolare il capo poco più in basso della spalla sinistra per permetterle di stare più comoda, poi le avvinghiò i fianchi con un braccio e riprese a guardare il film come stavano facendo tutti gli altri, al settimo cielo. Cosa stava combinando non lo sapeva nemmeno lui, ma se a Suzette piacevano i ragazzi disinvolti, allora lui doveva essere esattamente così. E passarle un braccio intorno ai fianchi era più che disinvolto, in più a lei non turbava affatto. Rimasero così per tutta la durata di “Ghost Movie”, e quando Erik si alzò per spegnere il lettore, Mark la svegliò di soprassalto.
- Eh!? - gemette Suzette, scattando a sedere. - Chi è, cosa succede?! Si è scoperto se Malcom e il fantasma ... -
- Shhhh! - la zittì il castano, scoccandole un'occhiataccia priva di sentimento. - Non vedi che dormono tutti?! Ma come al solito tu devi sempre gridare. -
- Oh, scusami, amoruccio … come sei bello, tutto spettinato, sembri un orsacchiotto! -
Mark alzò gli occhi al cielo, poi portò le iridi su Esther. Sorrise nel vederla russare profondamente sul bordo del letto. Del suo, letto. - Le facciamo dormire qui? -
Suzette scosse il capo. - No, non ci stiamo tutti. Anche se sarebbe divertente dormire con il mio bell'americano! - esclamò poi, alzandosi dal materasso per raggiungere Erik.
- Ahm … - il bomber della Unicorno arrossì selvaggiamente, poi cercò INUTILMENTE di scrollarsela di dosso. - Suzette ha ragione. I nostri lasciamoli qui, Mark. Le ragazze … non so … le svegliamo? -
- Oh, suvvia, tesorino, fate i romantici: prendetele in braccio e portatele nelle loro rispettive camere. A partire da me! - Suzette fece una giravolta, poi si gettò fra le braccia del suo fidanzato e si resse forte al suo collo per non cadere.
Il castano guardò Mark, scocciato. - E va bene, ho capito. Io inizio da lei. Tu … prendi quella che vuoi, e se non ce la fai sveglia anche Dylan. -
- Okay. -
Una volta che sia Erik che Suzette furono (grazie al cielo) scomparsi dal suo campo visivo, il biondo infilò le braccia sotto il corpo inerme di Dell. Alla vista sembrava la più leggera di tutte, e quindi la più facile da prendere in braccio. Quando l'ebbe sollevata, abbandonò la camera e la portò nel dormitorio femminile, poi la stese sul letto della sua stanza, le tolse il cappello, glielo lasciò sul comodino e le socchiuse la porta. Il tutto nel silenzio più assoluto. Quando tornò, Erik aveva già fra le braccia Hellen.
- Occupati di Esther. -
- Certo che sì. - Mark si diresse verso l'amica, sorridente, e la fissò dormire per un istante. Aveva le labbra semiaperte, le sopracciglia inarcate e la faccia coperta di capelli. Con l'indice glieli scostò dal viso, poi le passò un braccio dietro alle spalle e l'altro sotto il retro del ginocchio, dopodiché la sollevò con quanta forza aveva in corpo. Anche se all'apparenza non sembrava, Esther era MOLTO più pesante di lui, sebbene fosse solo una mocciosa di tredici, inutili anni. Una volta fra le sue braccia, la portò nella sua stanza e la lasciò cadere delicatamente sul materasso, poi la coprì col lenzuolo. S'intenerì. Ancora non poteva credere di aver fatto pace con lei e di, in soli due giorni, aver creato tutta quell'intesa. Il fatto era che comportarsi in modo così intimo gli veniva naturale, quando era in sua compagnia, e nemmeno lui sapeva spiegarne il motivo. Non era un ragazzo aperto e disposto come Dylan, o Erik, e forse era Esther la colonna portante della loro amicizia, ma quello che provava quando stavano insieme era come se la conoscesse da tantissimo tempo. Con il suo carattere forte era subito riuscita a farlo sentire a suo agio. Era una ragazza fantastica. - Buonanotte. - le sussurrò, chinandosi in ginocchio e appoggiando i gomiti sul letto per fissarla ancora un istante. - Fai sogni d'oro. -
- Mark …! -
L'americano trasalì, poi si voltò di scatto.
Erik era in piedi sulla soglia, che lo attendeva chissà da quanto. - Manca solo Daisy. Che aspetti, muoviti! - gli sibilò, facendogli cenno di seguirlo.
- Sì, arrivo, scusami. - il biondo si alzò da terra, rosso in volto a causa della figura, poi seguì il castano verso il dormitorio dei maschi.
Arrivati in stanza, entrambi portarono gli occhi su Daisy. La ragazza era stesa sul pavimento, e russava rumorosamente. Mark e Erik si guardarono, trattenendosi una risata. - E adesso come facciamo? -
- Dici che in due riusciamo a portarla nella sua stanza? -
- No … e se la svegliassimo? -
- Nah, dai, poverina … - il Capitano della Unicorno scrutò il portiere della Tripla C con faccia pensierosa, naso arricciato e sopracciglia aggrottate, come se i suoi vecchi professori delle medie gli stessero sventolando un 4 sotto il naso. Poi prese una decisione. - Svegliamo Dylan. Con la sua forza sicuramente riusciamo a sollevare … -
- … questa balena arenata. - gli fece eco Erik, ridendo leggermente.
- Dai, quanto sei cattivo … - Mark si lasciò sfuggire un verso divertito. - Anche se hai ragione. -
- Lo sveglio io, Dylan, va bene? Tu intanto … scegli da quale angolo prenderla.- il castano si diresse verso il ragazzo con gli occhiali, poi gli tirò un calcio nel bassoventre, colpendolo in pieno.
- Ehi, che diavolo …! -
- Buongiorno, Dylan. Ci aiuteresti a trasportare la balen … -
- Daisy! - tuonò Mark, coprendo la voce del compagno con la sua.
- Ecco, esatto, Daisy nella sua stanza? -
Dylan si sollevò da terra, intorpidito, poi si massaggiò il collo e indossò i suoi fedeli occhiali blu, le iridi gialle ancora un po' assonnate. - Scusa, svegliatela. -
- No, dai, c'è … - replicò il suo migliore amico, guardandolo con aria dispiaciuta.
- Uff … e va bene, ci sto. Io la prendo per le caviglie, tu, Erik, la tieni al centro, mentre te, Mark … la reggi per le spalle! -
- E va bene … -
i tre ragazzi circondarono Daisy, poi, gemendo e ringhiando come cani bastonati a causa del peso della ragazza, riuscirono a sollevarla dal pavimento e a farla uscire dalla stanza.
- Spero che nessuno di noi scivoli …! - ululò Erik, ansante a causa della fatica. - Altrimenti … vi giuro che non arriverete all'alba! -
- Tranquillo, ci proveremo …! - gemette Mark, ogni tanto guardandosi indietro per vedere dove stava andando, dato che gli altri due ormai erano andati.
- Come facciamo quando arriviamo alle scale?! - chiese Dylan, trattenendo le gocce di sudore come più poteva.
- Beh … quando ci saremo dav … - il Capitano della Unicorno non riuscì nemmeno a terminare la frase che il suo piede mancò il primo gradino delle scale, perse l'equilibro e, non sapendo dove appoggiarsi, iniziò a scalciare l'aria. Il ragazzo naturalmente lasciò andare Daisy e cadde, scivolando fino a metà gradinata, dove per fortuna c'era uno spiano di un metro. - Ah, il mio bracc … -
- Mark …! - urlò Dylan, venendogli addosso e investendolo in pieno. A ruota lo seguirono sia Erik e Daisy che, il colmo dei colmi, non si era accorta di nulla. E l'americano si ritrovò letteralmente spiaccicato a terra.
- Ragazzi, vi prego, toglietevi, così mi spaccherete la schiena …! - gemette, con le lacrime agli occhi e le labbra tremanti di dolore.
- Argh, dannazione … - Erik si levò dalle spalle di Dylan e, sebbene con fatica, riuscì anche a sorreggere Daisy a sedere. - L'avevo detto che precipitavamo tutti … -
- Io proporrei di trascinarla per i piedi mentre uno di noi le tiene la testa. - optò il ragazzo con gli occhiali, aiutando Mark a sollevarlo senza fargli troppo male. - Che ne dite? Non è più intelligente? -
- Sì, l'importante è portarla in stanza il più presto possibile … - gracchiò il figlio di Hanagrace, massaggiandosi la schiena con delicatezza per alleviare il dolore.
- Bene … Mark, tu che hai ricevuto un bel colpo, tienila per la testa … -
- Cosa!? Questo equivalerebbe a piegarmi in due la schiena! -
- Allora, facciamo una cosa. - Erik venne colpito da un'idea, e anche se stupida forse poteva funzionare. - Mark, siediti su un gradino. -
L'americano si sedette, obbedendo agli ordini, poi il castano prese con delicatezza la testa di Daisy e gliela appoggiò sull'inferiore, facendolo arrossire mostruosamente.
- Il tuo compito è di scendere i gradini col sedere mentre noi la trasciniamo per i piedi. - gli spiegò Erik, calmo. - Pensi di riuscire a starci dietro? -
- Ovvio che sì. -
- Ok. - Dylan afferrò la caviglia destra di Daisy, mentre l'altro la sinistra. - Sei pronto? -
- Yeah. -
- Al mio tre … uno, due … tre! -
i due attaccanti della Unicorno iniziarono a scendere i gradini con Mark che li seguiva trascinandosi dietro di loro col sedere. Ma una volta arrivati alla fine della scala, la ragazza si svegliò di soprassalto, disturbata probabilmente da un brutto incubo. Arrossì nel vedere Erik e Dylan sorreggerla per le caviglie, e trasalì quando sentì il bassoventre di Mark premuto sul suo collo. - Che succede?! - chiese, allarmandosi.
- Ahm, n- noi … - il ragazzo con gli occhiali si schiarì la voce e le lasciò andare la caviglia. - Cercavamo di portarti in camera da letto e … siccome dormivi non volevamo disturbarti, così … -
Daisy si alzò da terra, rossa in volto. - V- va bene … per un attimo ho temuto che … beh … lasciamo stare. -
- Sì, forse è meglio. -
- Posso raggiungere la mia stanza da sola. Grazie … - mormorò lei in risposta, per poi girare i tacchi e avviarsi verso la sua camera da letto. Dylan, Erik e Mark si guardarono, atterriti, dopodiché si stesero sul pavimento, con i muscoli a pezzi.
- Dite che si è offesa? - chiese il Capitano della Unicorno, già temendo in un sì.
- No, non penso “fratello” … avrà solo preso paura … insomma, ricordandoci che è stata trascinata per mezza sede … - gli rispose Dylan, asciugandosi il sudore sulla fronte.
- Bene … - Erik si grattò l'addome, stanco morto. - ora chi ha voglia di risalire le scale? -
- What?! Tu sei fuori, spero. - gli fece notare Mark, ansante. - Mi spiace, ma non mi muovo di qui. Ho la schiena a pezzi. -
Dylan e Erik si guardarono, con una nota di stupore nello sguardo, poi scoppiarono a ridere. Eh, sì. Ammettevano di aver speso tutta la loro forza, quella sera. Ma non si erano mai divertiti così tanto, e se avessero potuto l'avrebbero rifatto ancora una volta.

 

Angolino di Maggio
Ecco qui il capitolo 11 … *lancia un malloppo di fogli per terra, sbatte la penna sulla scrivania e si asciuga il sudore*
finalmente, con tanta dedizione e amore, sono riuscita a terminarlo :D!
(comunque non è vero che l'ho scritto a mano, quella era solo scena X\\\D! Ad ogni modo ho fatto ugualmente fatica u.u”)Vi posso chiedere solo un favorino?
Probabile che nei primi capitoli io abbia scritto il colore degli occhi di Dylan che, ne sono arciarciarcisicura, non è il giallo -.-”. Se qualcuno di voi se lo ricorda, mi potrebbe citare il capitolo, che vado a correggere subito?
Il giallo per le iridi di Dylan è pefetto, secondo me ;D!
Ok, solo questo.
Per il resto … come vi è parso? So che emergono più dialoghi che narrazione (l'ho già detto nel capitolo 10) ma, non lo so, mi viene naturale esprimere le sensazioni facendo direttamente parlare i personaggi … nel caso qualcuno dovesse citarmelo, (non credo che mani nessuno lo farà data la scarsa possibilità che questo capitolo venga recensito, ma io lo dico lo stesso *^*) sappia che in futuro cercherò di diminuire la chiacchiera.
Bene, detta sta robaccia …
direi che vi posso anche salutare.
Addio, al prossimo capitolo!

Lucy

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Capitolo 12
*** "Gelosia portami via"! ***


"GELOSIA PORTAMI VIA"!


- Tua, Suzette! - esclamò Esther in tono grintoso e pieno di passione, passandole il pallone con un calcio potente e così facendola dirigere subito verso la porta americana.
Bobby cercò di fermarla con “Tuono del Vulcano”, ma la ragazza, lesta, saltò in aria all'unisono con Hellen, per poi afferrarle la mano e stringergliela forte. Questa era la loro occasione per segnare, per far vedere alla Unicorno quanto fossero forti. Non si sarebbe tirata indietro per nulla al mondo.
- “Volo della Farfalla”! - esclamarono mentre dietro alle loro schiene compariva una farfalla gigante dalle grandi ali dorate, per poi scalciare la palla dritto in porta e atterrare sul campetto con l'eleganza di una ballerina classica.
Il portiere della Unicorno non fece neanche in tempo a dire una parola che una scia color paglierino circondata da mille luccichii gli sfrecciò accanto, poi si addossò alla rete.
- Goooooool! - strillò Suzette, abbracciando Hellen con slancio.
Mark sorrise e si portò le mani ai fianchi, guardandole festeggiare beatamente. Questo ribaltamento della situazione proprio non se lo sarebbe mai aspettato, ed era davvero orgoglioso di loro. Giocando sull'agilità di ogni singola atleta, le ragazze della Tripla C finalmente erano riuscite a spedire il pallone in porta con una serie di passaggi da porta a difesa a centrocampo e, come ultimo, ad attacco, il tutto senza permettere a quelli della Unicorno di intercettarle. Semplicemente fantastiche. - Complimenti, siete state grandiose. - si congratulò, avvicinandosi a Esther con sguardo colmo di fierezza.
La mora gemette dall'entusiasmo, poi gli lanciò le braccia al collo e lo strinse forte a sé, felicissima. - Che bello, finalmente! - esclamò, iniziando a saltellare come una lepre. - Era da tempo che sognavo questo momento! -
- Già … - il biondo chiuse gli occhi per godersi al meglio l'abbraccio, poi le appoggiò entrambe le mani sulle spalle e arrossì lievemente, lasciando che il calore della ragazza gli carezzasse i palmi. Ormai abbracciarsi come due piccioncini al chiaro di luna era diventato qualcosa di normale, per loro due. E se doveva essere sincero, gli piaceva da morire questo modo tutto loro di dimostrare agli altri quanto andavano d'accordo. - Ottimo passaggio. - le disse, sincero.
- Lo so! Te l'avevo detto che ero in gamba. -
- Mhmh. Ora ne sono decisamente convinto, Esther, brava ... -
- E questa era l'ultima azione! - tuonò Mac con voce rauca, alzandosi dalle panchine e sistemandosi meglio la giacca in pelle. Anche oggi la sua Unicorno aveva vinto, ma la Tripla C aveva cominciato a spiegare timidamente le ali, e questo per lui voleva dire che gli allenamenti a coppia, sebbene presi un po' alla leggera, stavano portando i loro frutti. - Per oggi basta. - aggiunse, annuendo.
- Sì, in effetti ho proprio bisogno di farmi una doccia rigenerante! - replicò Esther, staccandosi dal corpo del biondo e asciugandosi la fronte madida di sudore con il polso.
- Forza allora, occupiamoci del campo. - ordinò Mark, indicando coni e palloni sparsi per tutto il campetto con un cenno del capo.
- Sì! - le due squadre rimisero tutti gli strumenti nello sgabuzzino, poi salirono le scale che collegavano il campetto alla sede e, una volta dentro di essa, si divisero in due parti. La Unicorno si fermò al primo piano, naturalmente, mentre la Tripla C fu costretta a salire una miriade di scale per raggiungere il proprio dormitorio.
E piano piano, tutti riuscirono a farsi una buona doccia e a recarsi in mensa per la cena.
Mark e Esther, così come Erik e Suzette, si sedettero l'uno accanto all'altro, poi si scambiarono un sorriso di pace e un'occhiata maliziosa. Solo tre giorni fa si odiavano a morte, invece adesso bastava uno sguardo per intendersi al volo.
- Allora … - rimbombò d'improvviso la voce di Dylan, spezzando il filo che teneva incollati i loro occhi. - ragazze, vi state divertendo qui da noi …? -
- Io sì, da morire! - gli rispose Daisy, già con la bocca piena. - E poi con tutte queste pietanze deliziose non potrei chiedere vacanza migliore! -
- Visto …? - Suzette smise di stritolare amorevolmente (secondo lei) la mano di Erik e si servì un piatto di maccheroni, divertita. - Ve lo avevo detto che non era poi così male stare in mezzo a dei ragazzoni simili. -
- Suzette, per tutte le caramelle gommose, un po' di contegno! - sibilò Hellen, fulminandola con un'occhiataccia maligna mentre i ragazzi della Unicorno se la ridevano di gusto.
- Perché, Hellen … non mi verrai a dire che sono brutti. -
- N- non intendo questo … - balbettò la difensora, non sapendo dove posare gli occhi dall'imbarazzo.
- E allora. -
- Mark, scusa se te lo chiedo, ora non c'entra molto, ma … - Dell si morse il labbro inferiore, un po' emozionata. Non poteva starsene con le mani in mano, doveva sapere qualcosa su Hanagrace, e subito. Dopotutto era il suo idolo fin da bambina, un po' come Michael Jackson per, logicamente, Michael. Quindi perché non chiedere direttamente a suo figlio? Di certo nessuno era più informato di lui.
- Dimmi, dolcezza. -
- Tua madre come sta? -
- Ahah! - Mark rise, poi sorrise maliziosamente e incrociò le braccia al petto. - Benissimo. - disse, nascondendo una smorfia di lieve dolore. Mentiva. Sua madre stava male per lui, per quello che era accaduto poche sere fa riguardo allo scientifico, e quando era avvilita neanche l'abito più bello del mondo riusciva a strapparle un sorriso.
- Oh, meno male … le diresti che l'adoro da parte mia? - gli domandò Dell, riportandolo al presente.
- S- sì … - il biondo scosse il capo per riprendersi, poi si sforzò al massimo per levarsi il pensiero dalla testa, riuscendoci alla grande. Ora non era il momento di rimuginare sul quel triste ricordo, aveva ancora tante cose da fare, e due mesi interi da trascorrere insieme a Dylan. - Ovvio che sì. Sarà felice di sapere che ha una fan che mi conosce. -
- Davvero? - la ragazza col cappello si lasciò cadere sullo schienale della sedia, sognante. - Oh, come vorrei incontrarla … -
Mark la fissò per un istante, interdetto. Forse gli era venuta un'idea fantastica, che lei sicuramente avrebbe adorato alla follia. - Ehi. - disse, con un sorriso da volpe astuta stampato in volto. - basta chiedere. - aggiunse poi, divertito.
Dell sgranò gli occhi e il suo cuore perse un battito, poi cominciò ad ansimare per mantenere calmo e regolare il respiro. Aveva capito male? Forse c'era possibilità di incontrare Hanagrace, il suo mito fin da quando era piccolissima ... impossibile. Stava sognando. - Come … - si limitò a chiedere, facendosi aria con la mano.
- Se vuoi, domani la posso invitare agli allenamenti. Così farai la sua conoscenza. - le spiegò Mark, mantenendo un tono di voce cauto e amichevole.
- Oh, per tutti gli sconti dell'universo, davvero tu … - la ragazza lo indicò con un dito, sconvolta, meravigliata e basita. - tu … - iniziò a boccheggiare dall'emozione, cercando di incamerare più aria possibile. - tu … -
- Yeah. - l'americano prese il cellulare e sbloccò la tastiera, senza smettere di tenerle gli occhi addosso. - Le mando un messaggio? -
Dell si sollevò dalla sedia con uno scatto improvviso, buttandola a terra, e a velocità supersonica si precipitò da lui per vedere che cosa le avrebbe scritto. - Sì, ti prego, inviaglielo! -
- Tranquilla, ora … -
- Tranquilla?! Oh, santi nomi, come puoi chiedermi di rilassarmi in un momento simile, Mark! - esclamò la ragazza, con le mani che le tremavano lievemente. - Domani se Dio vuole incontrerò il mio mito, la mia leggenda, la bellissima Hanagrace, e finalmente potrò sentire la sua voce toccante penetrare nel mio cuore, potrò osservare i suoi occhi azzurri e … -
Mark batté le ciglia più volte, sbalordito. Non aveva mai incontrato una fan di sua madre più accanita di lei. - E' … solo mia madre, ahah! -
- No, non è solo questo … è molto di più, e da grande vorrei essere come lei, o almeno avere il suo corpo … - ammise Dell, poggiandosi una mano sul cuore già pregustando con sguardo perso nel vuoto il momento in cui, da adulta, avrebbe sfilato nelle lussuose passerelle di Milano, Parigi e New York.
- Accidenti … - sbottò Michael, sorpreso dallo strano comportamento della sua compagna di allenamento. Credeva di essere l'unico a custodire il grande sogno di poter diventare, un giorno, un ballerino a livello di Michael Jackson, e invece adesso saltava fuori che anche lei, sotto quella corazza di ferro, aveva un cuore che bruciava di passione e stima per qualcuno. Solo che moda e ballo non erano mai riusciti ad essere una cosa sola. O almeno così pensava in quel momento. - Credevo di essere io l'unico, stupido sognatore, e invece adesso so che tu sei ancora più stupida sognatrice di me … -
- Che cosa intendi dire?! - ringhiò la ragazza col capello, dardeggiandogli un'occhiata di puro odio attenta a non cadere in tentazione del suo sguardo ammaliante e divertito, sguardo che l'aveva attratta fin dal primo giorno in cui si erano incontrati.
- Ok, meno male … - il riccio emise un sospiro di conforto, poi serrò gli occhi e scosse il capo con un sorriso scioccato dipinto in volto. - non ti riconoscevo più. -
- Quindi? Inviato, il messaggio? - domandò Daisy, alla seconda porzione di maccheroni.
- Sì. -
- Cosa …?! - Dell arrossì brutalmente, poi emise un gridolino emozionato. - E ti ha risposto?! -
- Ovvio, lei è lesta a scrivere. -
- Quindi quando viene? -
- Domani, se ce la fa. Fra sfilate, provini, autografi e inutili selfie dubito che riuscirà a trovare il tempo per venire, ma nel caso dovesse avere un posto libero in agenda … non si può mai sapere. -
- Oddio, Mark …! - la ragazza fece una pausa e lo guardò profondamente negli occhi, riconoscente, dopodiché lo abbracciò forte, lasciandosi rigare la gota destra da una lacrima di gioia.
Il biondo come al solito all'iniziò non mosse un muscolo, poi ricambiò l'abbraccio, piuttosto imbarazzato.
Esther li guardò per un momento, confusa e felice al contempo, poi d'istinto lanciò un'occhiata sfuggente a Michael, giusto per osservare come avrebbe reagito davanti a quella scena sdolcinata. Sgranò gli occhi, meravigliata. Giurò di averlo notato irrigidirsi, arrossire, storcere lievemente le labbra e sussurrare un debole “tutte dietro a Mark”, e questo Dell lo doveva assolutamente venire a sapere. Magari non era gelosia, solo invidia. Ma qualunque emozione fosse, gli si leggeva in faccia che qualcosa in quell'abbraccio lo stava irritando.
Nel frattempo Dell si era sciolta dalla stretta, gli occhi lucidi e le labbra carnose frementi di felicità. - Scusa … - mormorò, rossa in volto.
- No, di che, tranquilla. - le rispose il Capitano della Unicorno, non sapendo cos'altro aggiungere per sdrammatizzare la situazione.
La ragazza col capello lo guardò un altro istante, commossa, poi si passò una mano fra i capelli blu oceano, cercando di scacciare le lacrime. - Vado a scegliere che abiti indossare, devo ancora prepararmi mentalmente! Ci vediamo domani per gli allenamenti! - dichiarò, allontanandosi con lentezza.
- Sì, va bene. - annuì Mark, ancora frastornato, quando tutto d'un tratto si sentì il calore scoppiettante degli occhi di Michael bruciargli la pelle. Lo guardò un momento, confuso, e si accorse che l'amico lanciava fulmini e saette da tutte le parti, le braccia incrociate al petto e lo sguardo carico di gelosia. Ok, forse aveva sbagliato a ricambiare l'abbraccio di Dell. Lo osservò alzarsi e dirigersi in camera sua, arrabbiatissimo, e si sollevò anche lui.
- Ehi, dove vai. - gli chiese Dylan, smettendo di mangiare.
- A chiarire con Michael. -
Esther sorrise. Era proprio come pensava: Michael stravedeva per la sua amica Dell. Non vedeva l'ora di raggiungerla per dirglielo, di certo le avrebbe reso la giornata ancora più felice di quanto già non lo fosse.
- Oh … vuoi che venga con te? - echeggiò la domanda di Dylan, facendola ritornare in America.
- No. - gli rispose il biondo, serio, poi raggiunse la camera di Michael e bussò alla porta.
- Eh. - sbottò l'amico, utilizzando il tono più arrabbiato e violento che potesse tirar fuori dalla gola.
- Michael, sono io, Mark. -
- Adesso no, Mark. Sono stanco. - mentì l'altro, nervoso.
- Apri, dai. -
- No. -
- Michael, non farmi scassare la port … - non riuscì a finire Mark che in neanche mezzo secondo Michael girò le chiavi e abbassò la maniglia, poi si fermò sull'uscio, seccato.
- Che cosa vuoi. -
- Non mi piace come mi hai fissato. -
- E come ti dovevo guardare, cavolo, mi piace Dell, credevo l'avessi capito! E invece te ne freghi di quello che provo! -
- Cosa?! - il biondo sgranò gli occhi, stupefatto e tremendamente ferito dalle parole del compagno. Non poteva dirgli questo. Lui teneva a tutti i membri della Unicorno, nessuno escluso, e mai e poi mai avrebbe commesso loro un torto. - Ma che … -
- Oh, andiamo Mark, non dirmi che non ti è piaciuto quando l'hai stretta forte, neh. Non sai come mi sono sentito … - ringhiò Michael, abbassando il capo e stringendo i pugni per contenere la rabbia.
- Primo, è stata lei a stritolarmi, secondo, preferisco di gran lunga gli abbracci di Esther ai suoi, okay?! - gli rispose il biondo, cominciando a scaldarsi. - Quindi non ti devi ingelosire per … -
- Mark, a me Dell piace da morire, come faccio a non ingelosirmi! - urlò l'altro, sempre a testa china. - E poi ci hai anche provato con lei! -
Mark lo guardò, basito, poi rise. Questa era la cavolata più grande che avesse mai sentito in vita sua. Come poteva provarci con Dell se impazziva per Suzette? Una follia. Anche se erano simili di aspetto, per lui l'azzurra rimaneva comunque la migliore di tutte le ragazze della Tripla C, sia in bellezza che simpatia. - Scherzerai, spero. - sbottò, curvando il collo e cercando gli occhi di Michael per dimostrargli che era sincero.
- Già, però intanto sotto sua richiesta hai invitato Hanagrace, modella di fama internazionale … -- Ma non l'ho mica fatto per provarci, Michael io … -
- … in più l'hai anche chiamata dolcezza. -
- Ma quello è un vizio che ho preso da Dylan, non c'entra nulla … -
- Mark, mi dispiace, ma non ti credo, non ti credo affatto! Cercavi di conquistarla, non è così?! -
- Beh, pensala come vuoi, amico. Sappi che comunque a me piace Suzette. - concluse Mark, senza farsi troppi problemi.
Michael finalmente sollevò il capo e l'arrabbiatura di pochi secondi prima lasciò spazio ad un enorme senso di incredulità. - Come hai detto, prego. - chiese, fingendo di non aver capito.
- Che mi piace Suzette. - ripeté il biondo, assicurandosi che né Erik né Suzette fossero nei paraggi.
- Really?! -
- Certo che sì! - Mark gli sorrise e allargò le braccia in segno di pace. - Quindi non ti devi preoccupare, per la tua Dell. -
- M- ma io … - il riccio si appoggiò una mano sulla fronte e non poté non ridere. - oh, cavolo, come fa a piacerti una brutta simile! -
- Come, scusa. -
- Hai visto come asfissia Erik?! Se ti ostini a provarci con lei, prima o poi finirai peggio di lui. -
- Ripetilo, se hai coraggio. - ringhiò Mark, ritraendo le braccia e mostrando le nocche con sguardo minaccioso. - Suzette non è asfissiante. E' il suo modo di dare amore agli altri. -
Michael lo fissò un attimo, divertito, poi gli spettinò amorevolmente i capelli per rilassarlo. Non potevano litigare, fra loro c'era un legame d'intesa grandissimo, ed era un peccato romperlo per queste banalità assurde. - Il suo modo di dare amore agli altri, eh …? - disse, annuendo con poca convinzione. Il biondo tese una mano verso i suoi capelli per ricambiare il favore, ma lui, con un salto da vero acrobata, si allontanò rapidamente, dimenticando la faccenda. - I capelli no, Mark! -
- Immaginavo l'avresti detto … -
- Ma … -
Mark lo spinse dentro la camera, un sopracciglio alzato e l'espressione divertita. - La prossima volta che mi dici che ci provo con Dell … ti butto giù dalla finestra. -
- Una cosa meno dolorosa …? -
- Ti getto il lavatrice. -
- Ok, già meglio … allora posso fidarmi della tua parola, no? -
- Naturale. -
- Bene! - Michael sorrise, poi si scostò una ciocca di capelli dalle spalle con fare vanitoso ed egocentrico. - Spero non rivelerai a Dell quello che provo per lei. -
- Come potrei! E tu … acqua in bocca sui miei sentimenti per Suzette, okay? -
- Ciò che vuoi, Mark. -
- Fantastico. -
- Mark …? -
L'americano si voltò in direzione della voce femminile, temendo fosse Suzette, ma per fortuna era solo Esther, la sua cara amica Esther.
La ragazza lo atteneva a diversi metri di distanza da lui con le braccia incrociate al petto, un sopracciglio alzato e le labbra corrucciate. La sua espressione curiosa parlava chiaro: “spiegami tutto”. Il biondo salutò Michael e la raggiunse con un sorriso.
- Adesso ti spiego. -
- Che è successo? - gli domandò lei, un po 'preoccupata. - Avete litigato? -
- Sì, io … a causa del mio abbraccio con Dell, Michael aveva creduto fossi innamorato di lei. -
La mora esplose a ridere. - Oh, questa è bella!
- Stessa cosa che ho pensato anche io. -
- Guarda che non si deve preoccupare. Dell tanto è innamorata di lui, e credimi, quanto acciuffa un ragazzo è difficile che molli la presa … -
- Mh? Davvero le piace Michael? - domandò Mark, fissandola incredulo.
La mora lo guardò a sua volta, cercando di farsi ritornare in mente qualcosa. - Non te l'avevo mai detto …? -
- Sai che non ricordo? -
Entrambi scoppiarono a ridere.
- Gli altri dove sono finiti? -
- Bobby è rimasto con Hellen a riordinare la tavola, sai com'è, invece gli altri ... a letto. Non li hai visti passare? - gli spiegò Esther, dolce.
- No, la camera di Michael si affaccia alla cucina, quindi … - Mark si bloccò improvvisamente, mentre sul suo volto si dipingeva un sorrisino malizioso. - toglimi una curiosità, dolcezza. -
- Vai, chiedimi pure ciò che vuoi! -
- Come mai tu sei rimasta qui mentre gli altri se la sono filata ...? -
- Beh … - la mora arrossì lievemente, poi abbassò il capo e prese a girarsi i pollici per scacciare il nervoso. - A dire il vero io … - mormorò, iniziando a scrostarsi lo smalto. - pensavo di aspettarti … -
L'americano si avvicinò di più a lei e le tirò un buffetto sulla guancia, facendola direttamente sprofondare nel rossore. - Davvero? -
- Sì, certo! -
- Wow … - il biondo le strinse calorosamente le mani, impedendole così di levarsi lo smalto, poi la ammirò negli occhi per un istante. - sei così dolce … - ammise, dopo un attimo di silenzio.
- Mhmh, frena. - lo avvertì Esther, senza scomporsi. - Ancora non mi conosci bene. -
- Dici che in due mesi riuscirò a considerarti la mia migliore amica? -
- MIGLIORE AMICA?! -
- Sì. - il Capitano della Unicorno corrucciò le labbra, dubbioso. Forse stava esagerando con la tenerezza, ma che ci poteva fare, parlare con lei in modo dolce e intimo gli veniva TROPPO naturale e TROPPO bene. - E' qualcosa di sbagliato? -
- N- no, io … - la mora sorrise a trentadue denti, poi, non riuscendo più a trattenersi, lo abbracciò con delicatezza, emettendo un sospiro emozionato. Non poteva credere a quello che aveva appena sentito. Se Mark le aveva fatto notare quella bellissima considerazione, voleva dire che le voleva bene, e che ci teneva davvero alla loro amicizia. Commossa affondò il naso nell'incavo fra il suo collo e la sua spalla, poi allargò le narici e si lasciò ammaliare dal suo intenso profumo americano. - Sono felice che ti fidi di me … - mormorò, mentre lacrime di pura felicità scorrevano rapide sulla sua candida pelle, divorandosi a vicenda.
Mark se ne accorse e istintivamente le passò una mano fra i capelli, per coccolarla e farla sentire bene. - Dai, non piangere … -
- … e ti dirò, ancora ho i rimorsi per quello che è successo … - mormorò la ragazza, sorbendosi la piacevole pressione della mano dell'americano poggiata sul suo capo.
- Non ti devi più preoccupare di questo, cucciola. - le sussurrò lui, sollevandole il mento per guardarla dritto negli occhi. - Io ho già dimenticato che siamo stati nemici. -
- Davvero? -
- Sì. Cioè, ovviamente no, ma non vedo il motivo per cui dovremmo ancora farci caso. -
- Mi stai dicendo che … hai già lasciato tutta la faccenda alle spalle? -
- Sì. -
- Come fai, voglio il tuo segreto … -
- Boh, forse perché con la tua disinvoltura riesci a farmi credere di essere tuo amico da una vita, non so … -
- Mark, davvero? Anche io provo le stesse cose! -
- Per esempio, prendi … il giorno dopo il compleanno di Michael. - le ordinò Mark, sempre tenendole il mento rivolto verso i suoi occhi azzurri. - Ecco, non mi sarei mai aspettato che mi avresti portato in giro e parlato del più e del meno. Credimi, conoscendomi bene probabilmente non te lo avrei concesso, a meno che non fossi stata Suzette. Ma … -
- Wow … faccio miracoli! -
- Già … -
Esther strinse gli occhi per ritirare altre lacrime e cercò di ridere, ma quello che le uscì dalle labbra fu solo un profondo sbadiglio. Oggi era stata una giornata faticosa, aveva davvero bisogno di farsi una bella dormita. - Forse è meglio se vado ad appisolarmi, o potrei crollare su di te e sarai costretto a portarmi a letto in braccio, come ieri sera … -
- Cos ... - Mark arrossì. - Te ne sei accorta? -
- Io e Daisy, sì, le altre imbranate no. -
- Ah … vabbé, adesso fila a letto, che domani ti voglio carica per gli allenamenti. -
Esther annuì lentamente, poi si grattò il capo con malavoglia e si trascinò a passi di lumaca fino alle scale. Appoggiate le dita sullo scorrimano, si voltò verso Mark per guardarlo un'ultima volta. Era davvero un meraviglioso ragazzo, gli occhi azzurri brillavano alle poche luci della sede rimaste accese, e le labbra gli si erano curvate fino a formare un sorriso dolce e premuroso al contempo. - Buonanotte. - gli sussurrò, cercando di imprimersi quel suo bel volto americano nella mente per sognarselo durante la notte.
- 'Night. - fece lui, salutandola con un delicato cenno della mano. - Cerca di non morire nel sonno. -
- Dai, stronzo! - s'irritò Esther, facendogli il dito medio mentre, a piccoli passi, saliva le scale con cautela, cercando di fare attenzione a dove metteva i piedi.
Mark aggrottò le sopracciglia, poi appoggiò un dito sull'interruttore della luce. - Non sarebbe più semplice se mi chiedessi di accendere la luce, così evitiamo di ammazzarci per le scale ...? - le fece notare poi, ridendo.
La mora lo guardò un'altra volta, scocciata. - Mark, per favore, mi accendi la luce così evito di ammazzarmi per le scale? -
L'americano cliccò sull'interruttore e le scale s'illuminarono di giallo, regalandole un campo visivo decisamente migliore del precedente, al buio.
- Grazie. -
- Prego. -
- Ora vado davvero. -
- Sì … notte. -
- Notte! -
Mark aspettò che la ragazza terminasse di salire i gradini, poi spense la luce e fece per dirigersi nella sua stanza, quando …
- Scusami, intelligente, come lo faccio il corridoio se mi spegni tutto?! -
- Ma dai, dolcezza, è una via sola, non puoi ammazzarti! -
- E ALLORA?! ACCENDI IL LUME, SBRIGATI! -
- Ohhh … - il biondo fece retro-front, divertito, poi appoggiò le dita sull'interruttore della luce e lo spinse lievemente all'ingiù, illuminandole quel benedetto corridoio. - Contenta, adesso? O devo venire io a guidarti? -
- No, non sono così cretina, ancora. - gli rispose lei, riprendendo ad avanzare alla ricerca della sua camera. E quando si chiuse la porta alle spalle, Mark spense la luce e raggiunse la sua stanza a passi felpati per non disturbare la romantica atmosfera che era caduta su Hellen e Bobby, stretti stretti davanti al lavandino a lavare i piatti e a parlare di chissà quale interessante argomento.
E intanto un altro giorno di fine Giugno era volato via.

 

Angolino di Maggio
Alé.
Credevo di trovare un momento puccioso anche per Hellen e Bobby, ma mi era venuta una schifezza e così l'ho cancellato -.-".
Chiedo scusa a Marina Swift, dato che glielo avevo promesso D: ... stupida, che sono stata >. Tanto è da mesi che lo sto progettando, ehehehe … *si sfrega le mani, minacciosa*
Bene, spero che questo mini capitolo incest MichaelxDell vi sia piaciuto :3!
Ovviamente, come avete potuto notare, Mark e Esther rimangono e rimarranno per sempre il cuore della fiction u.u <3 u.u <3. Non li mollo più, no, lui è troppo figo, e lei mi piace da morire *^*!!
Ora vado a strutturare il prossimo!
Adios!

Lucy

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Capitolo 13
*** Semplicemente Hanagrace ***


SEMPLICEMENTE HANAGRACE

Dell si guardò allo specchio, emozionata come non era mai stata in vita sua, poi si sistemò meglio il bianco capello sulla nuca. A causa della forte felicità aveva passato la notte insonne a fissare fuori dalla finestra i grattacieli Los Angeles in lontananza, l'enorme scritta “Hollywood”, le palme incurvate sulle strade e i locali fare baldoria.
Del resto, come poteva crollare addormentata quando l'indomani la leggenda della moda Hanagrace McAlister sarebbe venuta a farle visita?
Ma non era solo questo, a renderla così nervosa. C'era anche un altro motivo. Michael ricambiava i suoi sentimenti, e se, come le aveva raccontato Esther, ieri si era ingelosito a causa dell'abbraccio fra lei e Mark, voleva dire che in fondo agli allenamenti la osservava molto più di quanto pensasse.
E non c'era niente di più bello.
Ma adesso doveva concentrarsi solo su Hanagrace: ci teneva a fare una bella figura davanti a lei, e non poteva permettersi di sbagliare proprio adesso.
Una volta che si fu sistemata la divisa della Tripla C, aprì la porta e scese di sotto.
Esther la stava attendendo davanti all'entrata della mensa, con un sorriso dolce stampato in volto e l'espressione rilassata. - Dell! - la chiamò, facendole cenno di venirle incontro.
- Oddio, ormai ci siamo … - mormorò la ragazza col capello, lasciandosi stritolare dalla migliore amica.
- Già … sono così felice per te! -
- Oh … anche io sono così felice per me! -
Le due ragazze scoppiarono a ridere, poi entrarono in mensa e si sedettero vicine.
- Allora, Dell …? - catturò la sua attenzione Michael, prendendo posto di fronte a lei. L'aveva pensata tutta la notte, ora voleva imprimersi bene il suo volto in mente per poterla, chissà, sognare magari. - Are you ready? - le domandò, curioso.
- Prontissima! - gli rispose Dell, battendosi una mano sul petto, quando in cucina entrò l'affascinante Capitano della Unicorno, la faccia scocciata e i nervi a fior di pelle. Al contrario della ragazza, non aveva affatto voglia di sopportarsi le smanie appiccicose di sua madre anche lì. E soprattutto davanti a Suzette. Prese posto accanto a Esther e le dardeggiò un'occhiata amichevole, poi prese una caraffa di latte e se lo servì dentro la tazza, ritornando serio.
- Tutto bene, Mark? - gli chiese lei, appoggiandogli una mano sulla spalla con aria preoccupata.
- Sì, dolcezza, solo che non avevo tutta sta voglia di vedere mia madre, ad essere sincero. - sbottò l'americano, seccato. - Se mi fa fare qualche brutta figura davanti a Suzette, sono proprio nei pasticci … -
- Ah, tranquillo, lei è abituata alle madri rompiscatole. La sua è micidiale! -
- Bene, ecco un'altra cosa in comune che abbiamo. -
Esther fece per replicare, quando a interromperla fu un delicato bussare al portone d'entrata.
Dell venne percorsa da un brivido e smise di masticare il suo pezzo di bacon. Oddio, e se era Hanagrace? Come comportarsi? Doveva darle del lei, del tu o del voi? Erik si alzò per andare ad aprire, e quando spalancò la porta la ragazza abbassò il capo, rossa in volto. Sì, era proprio lei.
D'improvviso Michael le tirò un calcio nella caviglia, obbligandola a guardarlo negli occhi. - Ehi, stai tranquilla: non sono rare le volte in cui ho scambiato quattro chiacchiere con Hanagrace. E' simpatica, semplice; vedrai che andrà tutto bene, cercherà di farti sentire a tuo agio, quindi non preoccuparti troppo. -
- Non mi servono i tuoi consigli, Michael … credi che non mi sappia comportare con una celebrità, forse …? -
Il ragazzo alzò un sopracciglio, scettico, poi incurvò le labbra carnose in un sorriso pieno di sarcasmo. Quanto amava i modi bruschi di Dell, quanto amava quel suo faccino nervoso e tirato, avrebbe dato di tutto per esserle più che un inutile compagno d'allenamento. - A dire il vero … no. -
- Stupido, taci! -
E intanto che loro due perdevano tempo a lanciarsi frecciatine su frecciatine, nel frattempo la modella era già entrata in mensa. - Goodmorning, boys and girls! - esclamò, lanciando un sorriso radioso a tutti.
Dell lasciò l'ultima parola a Michael e finalmente sollevò lo sguardo per ammirarla. Sgranò gli occhi e le dita delle mani presero a giocare con il bordo dei pantaloncini, nervose. Era davvero una bella donna, attraente come il figlio, e vista dal vivo la sua meravigliosa beltà era ancora più reale, più splendente di quanto già non fosse. Aveva lunghi capelli biondo ambra, mossi come onde del mare, le labbra delineate da un rossetto bordeaux, gli occhi simili a due diamanti splendenti e, appesi alle orecchie, portava un paio di orecchini composti da piccole perle di calcedonio, pietra dall'azzurro abbagliante.
Per non parlare degli abiti, poi.
Indossava una camicetta beje dal colletto color ciano che le lasciava scoperto un po' di quel poco seno che aveva, e le gambe levigate erano nascoste sotto un paio di pantacalze nere, tirate fin sull'ombelico. Ai piedi invece calzava degli stivaletti in pelle, color rame. E per dare un tocco più “anni ottanta/novanta” al suo volto lievemente abbronzato, si era ripassata le ciglia degli occhi con dell'abbondante mascara nero.
- Ehi, mum. - salutò Mark, abituato a vederla sempre così ben vestita e truccata.
- Mark, tesoro mio! - esclamò lei, venendogli incontro e spettinandogli amorevolmente i capelli.
L'americano si tinse di rosso, poi la scacciò con uno spintone. Era vero che quando aveva avuto bisogno di lei c'era stata, ma adesso basta. Non davanti agli altri, magari. - Mamma! - ringhiò, difendendosi col corpo di Esther che, divertita, si offrì di coprirlo molto volentieri. - Non farlo mai più! -
- E va bene, amore mio. Dunque, come mai mi hai invitata? Lo sai che il tempo scorre, al massimo guarderò due passaggi, o un “Grande Lupo” … -
- No, non è quello il motivo: una ragazza qui ti adora, e ho pensato che un incontro ravvicinato fra te e lei potesse … -
Hanagrace allungò il collo, facendo tintinnare gli orecchini, poi inchiodò gli occhi azzurrini su tutte e diciassette le ragazze della Tripla C, che intanto la fissavano basite. - Wow, che bello, una fan! Chi è? -
Dell arrossì selvaggiamente, si riempì di coraggio e sollevò la mano in aria, cercando di trovare le parole adatte per far uscire dalle labbra un saluto decente.
- Oh! - la modella le si avvicinò elegantemente, poi le tese una mano con molta naturalezza. - Piacere di conoscerti, cara. -
- P- piacere mio … io … - la ragazza col cappello rimase a fissare le sue dita snelle per qualche secondo, interdetta, poi gliele strinse debolmente, lasciandosi avvolgere da una meravigliosa sensazione di semplicità. Quindi questa era Hanagrace … splendida.
- Ti prego, non devi sentirti a disagio con me. -
- No, io … io … a dire il vero … a disagio … io … -
- Il tuo capello è meraviglioso, tesoro, e hai un buongusto in fatto di abiti, una divisa di calcio così carina non si vede tutti i giorni. -
- Mh, a dire il vero quella l'ho modellata io! - s'intromise Suzette, sventolando una mano in aria.
- Davvero? Complimenti, ottimi gusti: lilla e rosa sono due colori che si sposano perfettamente col bianco. E alla tua amica stanno divini. -
Dell si sentì le gote prendere fuoco e subito dopo lo sguardo di Michael addosso. Probabilmente era arrossita.
- Bene, Mark … - la modella posò lo sguardo su quello del figlio, quasi identico a lei. - … fammi vedere qualche passaggio, dai. -
- Mamma, ancora dobbiamo finire di … -
- Amore, ho poco tempo per stare qui … oggi devo fare dei provini per una nuova rivista di … -
- Dell può venire con te? - le domandò Michael, senza farsi troppi problemi.
La ragazza trasalì, credendo di aver capito male, poi gli lanciò un'occhiata perfida. Avrebbe voluto tirargli uno schiaffo, fargli sparire quel sorrisino vanitoso dalla faccia con un sonoro ceffone, ma in fondo gli era anche riconoscente. Lei non avrebbe mai e poi mai avuto il coraggio di chiedere una cosa simile ad Hanagrace.
La modella li guardò entrambi, seria, poi non poté non sorridere. Dell le sembrava una in gamba, di certo non le avrebbe procurato molti problemi se l'avesse portata con sé. In più soddisfare le richieste di una teenager per lei era solo un grande onore. - Vuoi venire in studio con me, tesoro? - le domandò, sorridendo allegramente.
- Cos … - la blu arrossì ancora, poi si poggiò entrambe le mani sulle gote e inchiodò lo sguardo su Hanagrace, cercando di trattenere le lacrime. - Lei … lei davvero vuole che … -
- Ma certo! - ridacchiò la modella, facendole cenno di alzarsi dalla sedia per venirle incontro. - ma dobbiamo fare presto: se arriviamo in ritardo poi è un bel casino. -
- Sì! - Dell si sistemò il cappello ancora una volta, dopodiché si sollevò dalla sedia e raggiunse la madre di Mark con passo incerto. Ancora non ci poteva credere: il sogno della sua vita si stava realizzando per davvero! Se lo avesse raccontato a sua madre, probabilmente quest'ultima non le avrebbe nemmeno dato retta. Una volta affiancata Hanagrace, si sentì in dovere di ringraziare Michael. Lo guardò intensamente per un paio di secondi, e lui ricambiò l'occhiata con un sorriso, poi diede di spalle ai suoi compagni e si avviò verso l'uscita della sede con il cuore ai mille.
Quando la richiuse, Mark venne assalito da un dubbio. E adesso Michael con chi faceva esercizio? Dell era la sua compagna d'allenamento, del resto. - Michael, con chi pensi di allenarti? - gli domandò, incerto.
- Non farò allenamento, punto. - replicò l'altro, alzandosi da tavola e sparecchiando sia la sua parte che quella di Dell.
- Se vuoi puoi farlo insieme a noi … - si offrì Hellen, premurosa come al solito, ma Michael rifiutò l'offerta semplicemente scuotendo il capo.
- E che cosa farai, quindi? - gli domandò Daisy, osservandolo raccogliere la tazza della compagna d'allenamento con amore.
- Un giro per Los Angeles, qualche passo di danza, adesso vedrò dai. -
Mark si alzò dalla sedia, compiaciuto nel vederlo sparecchiare anche per Dell. In tutta la sua vita non aveva mai visto Michael così innamorato. Innamorato e ricambiato. - Ah … okay, allora … - disse, stiracchiandosi per scacciare la stanchezza. - … torna pure quando vuoi. -


Dell si sedette su una comoda sedia, poi si batté più volte le mani sulle cosce, emozionata. Lo studio fotografico era un'immensa stanza quasi vuota, con un telone verde fluorescente posto al centro del muro, qualche telecamera qua e là, un tavolino di legno con sopra diversi bauletti colmi di trucchi e una miriade di macchine fotografiche sparse un po' ovunque.
Non vedeva l'ora di osservare Hanagrace all'opera, quanto aveva atteso quel momento!
In macchina avevano parlato di tantissime cose, e più avanti procedeva la loro conversazione più le veniva naturale trovarla quasi come un'amica più grande, che una modella di fama internazionale.
Michael aveva ragione: quella donna era davvero semplice.
Il suo sguardo pensieroso venne improvvisamente attirato da qualcosa di rosso. Sollevò gli occhi e li sgranò subito dopo: Hanagrace addosso aveva il tubino vermiglio più bello che lei avesse mai visto in vita sua.
- Ti sta d'incanto! - strillò, battendo le mani.
- Grazie! - le rispose la modella, girandosi su se stessa per farsi ammirare meglio, poi venne incontro alla ragazza con un sorriso. E le porse la mano. - Vieni con me. - le ordinò, dolce. - Devo farti vedere una cosa, prima di iniziare. -


- Argh! - ringhiò Dylan, calciando in porta con forza.
Daisy strinse i pugni e seguì la traiettoria del pallone per qualche millesimo di secondo, poi si gettò a sinistra, parandola con entrambe le mani.
- Fenomenale! - esclamò il ragazzo, alzando il pollice all'insù e al contempo annuendo con decisione. - Migliori a vista d'occhio, piccola! -
- Grazie, Dylan! - la ragazza arrossì lievemente, poi gli passò la palla, pronta a difendere la rete ancora una volta. Ammetteva anche lei di star migliorando sempre più. Ieri in partita aveva parato tantissimi tiri, e sebbene il suo “Flower Power” ancora non potesse competere contro il “Grande Lupo”, il “Tri-Pegaso” e il “Tiro dell'unicorno”, il più delle volte era riuscito a fermare il “Colpo di Pegaso”, il che era un grande passo.
Dylan tentò nuovamente di segnare un gol, ma anche questa volta lei riuscì a impedirglielo. - Wow, sei davvero bravissima! Il miglior portiere femmina che io abbia mai conosciuto! -
- Grazie, anche tu non te la cavi maluccio come attaccante! - arrossì lei, guardando il pallone con un certo imbarazzo. Le piaceva ricevere complimenti, sì, ma non era abituata a tutte quelle lusinghe che forse, sotto una voce dolce e amichevole, nascondevano sempre un po' di falso. Non pensava che Dylan fosse un ipocrita, nemmeno lo dubitava, davvero, però col tempo aveva imparato a non fidarsi troppo delle persone a cui voleva bene. Da piccola era sempre stata presa di mira dai bulletti della scuola, che la insultavano a causa del suo peso dandole della “cicciona piagnucolona”, e così aveva passato l'infanzia a disperarsi sul letto.
Probabilmente se non fosse stato per Hellen, che l'aveva aiutata ad accettarsi per quello che era, si starebbe ancora maledicendo per essere nata un po' in sovrappeso.
- Tutto okay …? - la voce del ragazzo con gli occhiali la convinse a lasciarsi alle spalle quel triste passato e a concentrarsi sull'allenamento.
- S- sì, io … - balbettò lei in risposta, appoggiando il pallone a terra e ripassandoglielo con dolcezza.
- Ne sei sicura? -
- Sì. Sì, tranquillo. -
- Ah, okay. Se ti senti male per qualcosa, comunque, non esitare a … -
- Davvero?! - sentirono urlare Hellen, impegnata con l'allenamento dall'altra parte del campo. Insieme corsero a vedere cos'era successo, e quando arrivarono da lei si accorsero che non era l'unica ad aver smesso di fare esercizio, ma bensì tutti. Si guardarono, scocciati. Gli unici ad allenarsi fino ad ora erano stati loro due. Gran bello spreco di tempo.
- Cosa davvero, Helly? - chiese Suzette, chiamandola per soprannome.
- Oh, andiamo … andare in giro per Los Angeles tutti insieme, cosa sennò! -
Mark e Esther si lanciarono un'occhiata divertita e si sorrisero maliziosamente: probabilmente entrambi stavano rimuginando alla figura in negozio di pochi giorni fa. Era bello che condividessero lo stesso pensiero, questo fece capire alla ragazza che ragionavano un po' allo stesso modo, cosa che la rese molto felice. Moltissimo.
- Sì … - sussurrò Bobby, a disagio. Era stato lui a proporre la folle idea di uscire tutti insieme a fare un giro per Los Angeles. Molte ragazze ancora non l'avevano vista, e quella preziosa città meritava davvero una visita, anche solo in un negozio. - penso che uscire tutti insieme sia una cosa carina, poi chi non vuole vedere L.A, la “ciudad de los angeles”, andiamo … -
Le ragazze della Tripla C risero, pienamente in accordo con il difensore.
- Mark, Suzette, voi siete d'accordo? -
Mark fece spallucce, abbastanza d'accordo con l'amico, mentre Suzette esitò un po'. Non le andava di mettere a rischio la salvaguardia della Tripla C. Lei era la loro Capitana, del resto, e assicurarsi che tutte e diciassette le ragazze stessero bene era uno dei suoi compiti principali, per quanto sbadata e stupida potesse essere, a volte. - Forse non è una buona idea … - mormorò, storcendo le labbra con sguardo insicuro.
Bobby fece per dirle qualcosa, ma Esther gli tolse la parola con un cenno della mano. Ci pensava lei a convincerla … - Suzette, cara, posso assicurarti che fino a quando c'è Mark con te non ti accadrà nulla di male. - disse, con una naturalezza da far spavento.
Il biondo arrossì fino alla punta dei capelli e si strinse nelle spalle, non sapendo cosa dire a riguardo. Conosceva Los Angeles, era la sua città natale, e sapeva perfettamente che alcune strade erano da evitare, specialmente nelle ore notturne, ma quella frase dall'amica proprio non se la sarebbe aspettata. Questo voleva dire che lei riponeva una fiducia immensa in lui, e in qualche modo, quel giorno in cui erano usciti insieme, si era sentita protetta. Non poté non sorridere.
- Ma non è questo il punto, Esth' … - replicò Suzette, lanciando un'occhiatina maliziosa a Mark. - … io mi fido di Mark, solo che … -
- Oh, andiamo, Suzette! - sbottò Hellen, scocciata. - Vedrai che ci divertiremo, in più non abbiamo cinque anni, ne abbiamo tredici! Sappiamo badare a noi stesse, in più siamo anche più grandi di te … -
- Anzi … - aggiunse Esther, trattenendosi una risata. - Siamo noi che ci prendiamo cura di te, tesoro. -
- Cos …! - la dodicenne si tinse di rosso, poi finse di tossire per nascondere l'imbarazzo. Certo che Esther ci teneva proprio a farla vergognare di esistere, eh …? - e va bene, mi avete convinta: domani andremo tutti insieme a Los Angeles. -
- Evvai! - strillò Hellen, appendendosi al braccio di Bobby con molta disinvoltura.
- Suzette … - Erik si avvicinò timidamente alla ragazza, sorpreso. - non ti facevo così protettiva, sai …? -
- Oh, tesoruccio mio, ma certo che sono protettiva … non ti accorgi che ti difendo tutti i giorni? -
- Già, mi chiedo da cosa … -
Suzette emise un gridolino di gioia, poi lo investì, o meglio, soffocò di baci. - Oh, come amo quel tuo accento americano, amoruccio, e quanto sei carino! -
- Ahem, ditelo quando avete finito. - gracchiò Mark, irrigidendosi per la troppa gelosia. Avrebbe dato la vita per essere al posto dell'amico e godere ogni singolo bacio di Suzette, ma purtroppo non poteva fare nulla per staccargliela di dosso, al momento, se non provarci continuamente e seguire alla lettera i consigli di Esther. Non importa. Avrebbe atteso il momento giusto.
- Abbiamo finito, Mark …! - gemette Erik, scrollandosi l'azzurra di dosso con fare poco amichevole. - Abbiamo finito. -
- Quindi domani si va sì o no? - chiese Dylan, che fino a quel momento ancora non aveva capito una mazza di tutto il discorso, come al solito.
- Sì, si va. Ma non voglio lasciare la sede alle 11:00 solo per aspettare voi ragazze che finiate di truccarvi. - avvertì il Capitano della Unicorno, serio in volto. - Cercate di essere sveglie per le 9:00, e se dovete perdere tempo davanti allo specchio alzatevi, non so, alle 4:00 di mattina … -
- Uh, come siamo severi, today … - osservò Bobby, mostrando la lingua e aggrottando le sopracciglia.
- Beh, eravate state avvertite i primi giorni, dolcezze, sugli orari. -
Esther corrucciò le labbra e venne assalita da un dubbio. - Dell e Michael come ... -
- A Michael ci penso io! - si offrì Dylan, alzando la mano con un sorriso.
- E va bene, allora … - la mora mollò un sorriso raggiante. - vorrà dire che io penserò a Dell. -
- Ora possiamo fare la partita? -
Tutti si voltarono verso Erik, seccati. Sapevano che il castano amava le partite di fine allenamento come se stesso, se non di più, e che da quando si era operato la sua voglia di misurarsi con gli altri era addirittura raddoppiata, ma ci doveva andare piano col calcio. Il FFI non era finito da poi così tanto tempo, se non si dava un suo ritmo di certo sarebbe crollato per il troppo stremo. E a nessuno era sfuggito il suo modo di allenarsi, con o senza Suzette.
- No. - sbottò Mark, squadrandolo. - Dopo, okay? -
- Okay, Mark … -

 

- Cosa mi voleva far vedere? - Dell entrò nel camerino, curiosa, e quando Hanagrace le porse una busta non poté trattenere un sorriso più di tanto. Chissà cosa c'era dentro, chissà a cosa le sarebbe servito. Sciolse il nodo e l'aprì, poi spalancò le labbra e sgranò le iridi.
Dentro la busta c'era, piegato su se stesso, un vestito meraviglioso, in pizzo e seta, su cui regnavano bellissimi ritratti di bianchi tulipani.
- Quello è per te. - le spiegò la madre di Mark, premurosa. - Se vuoi diventare una modella di fama internazionale, devi iniziare dalle piccole cose, proprio come ho fatto io. E se ora ti metti quell'abito, facciamo un po' di scatti insieme. -
- Cosa!? - urlò la ragazza col capello, sgranando gli occhi. Non ci poteva credere, non poteva credere che Hanagrace le avesse proposto una cosa di simile valore. - Davvero lei …! -
- Oh, suvvia, se continui a darmi del “lei” mi cadranno le braccia! Perché non mi dai del tu, invece? -
- T- tu davvero vuoi che io faccia … - Dell prese un respiro profondo. Se non si concedeva una pausa di almeno qualche secondo, sarebbe morta d'infarto. Stava sognando. Sì, quello era solo un bellissimo, stupidissimo sogno. Guai a chi l'avrebbe svegliata. - … faccia degli scatti con te? -
- Ma certo che voglio! - esclamò Hanagrace, uscendo dal camerino per permetterle di cambiarsi abito. - Sai, cara, da piccolina ero una sfigata assurda. -
- Davvero? Non si direbbe! -
- Oh, eccome se lo ero, tesoro! Apparecchio, lentiggini, occhiali tondi, capelli tagliati alla cavolo e media altissima in geometria, sì. Ma, proprio come te, nel cassetto custodivo un grande sogno, quello di diventare modella, e sebbene gli amici mi sfiancassero dicendomi che non ce l'avrei mai fatta, non mi sono mai data per vinta: e sai da dove sono partita …? -
- Da cosa? -
- Indossavo i tacchi di mia mamma e sfilavo nel corridoio mentre le mie amiche mi filmavano col cellulare! -
Dell scoppiò a ridere, poi, finalmente, uscì dal camerino. Hanagrace sorrise e allargò le braccia, meravigliata. - Quel vestito ti sta benissimo, Dell. - ammise, sincera.
- Grazie! -
- Hanagrace, qui è tutto pronto, quando ti senti pronta vieni. - le fece notare un fotografo, impegnato a dare una veloce occhiatina ad una macchina fotografica.
La madre di Mark prese la sua fan numero uno per mano, poi la trascinò fino al telone verde fluorescente. - Sei pronta? -
- A dire il vero … - Dell si sentì stringere il cuore da una spiacevole morsa di timidezza. - non lo so … non so che faccia fare, come posare, come …! -
- Allora ... - Hanagrace sorrise, poi le poggiò entrambe le mani sulle spalle e si chinò per guardarla negli occhi. - … mantieni uno sguardo fiero, l'espressione rilassata e una postura flessibile. Per il resto, affidati a quello che sai di poter fare. -
- Pronte? - domandò un ragazzo sui ventotto anni, dietro a una macchina fotografica.
Dell allargò le narici, inarcò le sopracciglia e cercò di incamerare aria nei polmoni, poi guardò Hanagrace negli occhi, di un azzurro limpido. Sì, era pronta. E se questo serviva a perfezionare il suo sogno, a renderlo più vivibile, a sentirlo più vicino a sé, avrebbe dato di tutto per coltivarlo, farlo crescere, farlo avverare. Non le mancava nulla, del resto: un abito stupendo, una buona modella a cui affidarsi, un ottimo corpo e un'eleganza senza pari.
Con un po' di pratica, ce l'avrebbe potuta fare.
E dopo aver scelto una posa adeguata, partì il primo flash.

 

- Spero tu ti sia divertita. -
Dell annuì debolmente, stanca morta. Pensava di uscire dallo studio fotografico prima di cena, invece, senza che se ne accorgesse, aveva preso le 21:00. Ora stava lì, posata sullo sportello in pelle della BMW decapottabile di Hanagrace, a fissare il vuoto con i suoi sottili occhi rossi e a lasciarsi schiaffeggiare i corti capelli color oceano dalla brezza marina. Il cielo di Los Angeles si era scurito in un intenso blu elettrico, le luci sgargianti dei locali stavano iniziando ad illuminare i viali con spruzzi colorati e gli americani ad affollare i marciapiedi, costeggiati da tantissime palme allineate sul ciglio della strada come soldati prima di una battaglia. In lontananza, la scritta “Hollywood” regnava imponente su tutta la città.
- Bella Los Angeles, eh …? - la voce delicata della modella la riportò al presente.
- Sì, molto … -
- Fare la modella stanca molto, ti comprendo. - riprese Hanagrace, dopo un attimo di silenzio. - Ma ci dovrai fare l'abitudine. -
- Ovvio che sì … - mormorò Dell, sorridendo con nostalgia. - … ho passato una giornata eccezionale. - fece una pausa per scacciare la tristezza. - Non la dimenticherò mai … -
- Se vuoi, possiamo rivederci ancora, carissima. Prenoto un posto per te nella mia agenda, così continueremo a fare pratica … ma la prossima volta, in passerella, si capisce. -
La ragazza col capello si risvegliò dal profondo stato di sonnolenza in cui era caduta e si incastrò il volto fra le mani, contentissima. Hanagrace voleva vederla ancora!? Mai sentita notizia più bella di questa. Credeva fosse una celebrità uguale a tutte le altre, che una volta fatto l'autografo e una foto con te ti gettavano immediatamente nel dimenticatoio, e invece era una donna del tutto diversa, che non sapeva più se considerare il suo idolo migliore oppure la vicina di casa. Non solo l'aveva invitata a passare una giornata fra i flash, ma adesso le voleva addirittura prestare qualche consiglio su come sfilare in passerella! Incredibile … davvero incredibile. Ma che si doveva aspettare: in fondo era la madre di Mark, e lui un bel quattordicenne nelle stanghe, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Michael aveva ragione. Hanagrace era una donna, una mamma uguale a tutte le altre. Ma semplicemente il quadruplo migliore. - Davvero!? - domandò, battendo le ciglia più volte con faccia stupita.
La modella le lanciò un'occhiata sincera, poi annuì. - Certo che sì. Mi sono affezionata a te, si vede che ci tieni a diventare modella … e, come ho già detto, sento il dovere di darti una mano. Come con Mark … -
- Mark? - Dell alzò un sopracciglio. - Che cosa gli è successo? -
- Non credo di potertelo riferire, questo, tesoro. Insomma, sono cose fra lui, suo padre e Dylan e … eccoci arrivati … - Hanagrace fermò la BMW proprio davanti alla sede, dopodiché si sistemò meglio i capelli, facendo tintinnare gli orecchini in calcedonio e così producendo una delicata melodia.
Dell scese dalla macchina e richiuse lo sportello con dolcezza, poi sorrise. - Grazie per avermi accompagnata fin qui. -
- Prego, cara, per me è un piacere! Ti prego, salutami Mark. -
- Lo farò, certo! -
- Ok … - la modella appoggiò entrambe le mani sul volante in pelle, poi si inumidì le labbra. Purtroppo neanche oggi aveva avuto del tempo libero per dedicarsi a suo figlio, e nemmeno a sua sorella Marge. Sperava solo che stesse bene, che non nascondesse dolore dietro a quel costante sorriso amichevole, che avesse liberato la mente per lasciare spazio al divertimento. La notizia del liceo lo aveva letteralmente sconvolto. Sapeva quanto per lui fosse importante Dylan, Los Angeles, i suoi amici e la sua casa, e in quel momento si sentiva solo un'inutile madre impotente, incapace di fare qualcosa per aiutarlo. Ma con Johann non si discuteva, e per quanto lo amasse era lui a decidere il destino di Mark, che le piacesse o no. - … e digli anche di godersi l'estate fino all'ultimo. - aggiunse, dopo aver meditato in silenzio qualche minuto.
- Ok, gli dirò anche questo. -
- Grazie, tesoro … ci vediamo, quindi! -
- Ci conto … - mormorò Dell, per poi voltare le spalle alla modella e rientrare in sede, felice. Felice e anche sbalordita da tanta semplicità tutta insieme.
- Ehi, bentornata! - la salutò Mark, venendole incontro. - Ti sei divertita? Com'è mia madre? -
- Fantastica, semplice, unica, non ci sono aggettivi per descrivere la giornata che ho passato con lei … a proposito … ti saluta. -
- Sì, immaginavo non sarebbe scesa dalla macchina, va sempre di fretta. -
- E mi ha detto anche di dirti che … ti devi godere l'estate, non so per quale motivo preciso … -
Il biondo venne percorso da un brivido. Per un attimo si era dimenticato di quanto aveva passato dentro l'ufficio di Johann, suo padre, probabilmente perché l'allegria di Esther gli eliminava i cattivi pensieri dal cervello. - lo farò. - disse, cercando di scacciare quella brutta, bruttissima sensazione di solitudine.
- Ma certo, qui tutti lo faremo, dico bene Mark? - gli domandò Dylan, tentando di levare l'angoscia dal volto dell'amico con un sorriso a trentadue denti. Non avrebbe permesso alla tristezza di portarglielo via un'altra volta.
Non adesso che si avvicinava Luglio e il Giorno dell'Indipendenza.
- Logico. -
- Ragazzi, Bobby ha detto che forse è meglio … - alla vista di Dell, Esther prese la rincorsa e le saltò al collo, senza terminare la frase. Era scesa di sotto per pregare, su richiesta di Bobby, Dylan e Mark di andare a dormire, ma nulla riusciva a impedirle di regalarsi un istante per stritolarla. Da piccoline lo facevano sempre, abbracciarsi le faceva sentire unite. - Finalmente sei tornata! - esclamò, stringendola forte.
- Sì! -
- Devi raccontarmi tutto! -
- Chiaro come l'acqua! -
- Esther, dovresti avvertirla sul programma di domani … - le ricordò il biondo, sorridendo davanti a quell'adorabile scena fra ragazze, sebbene potesse essere un tantino … sdolcinata.
La mora si staccò dall'abbraccio, poi fece due passi indietro, affiancandosi all'amico. - Giusto, grazie per avermelo ricordato. - aggiunse, guardandolo.
- Figurati. -
- Dell, mentre tu te la spassavi con la mamma di Mark, Bobby ci ha proposto di fare un giro per Los Angeles tutti insieme, domani. Che ne dici? Naturalmente per le 9:00 dobbiamo già essere vestite e truccate. -
- Sì, sì, sì, non vedo dove sia il problema … - mormorò l'altra, un po' stanca a causa della splendida giornata passata con Hanagrace. - Infatti ora vado a letto … buonanotte … -
- Buonanotte! - le augurò Dylan, salutandola con una mano, poi ritornò a fissare Mark e Esther.
- Beh, a questo punto andiamo anche noi. - osservò il biondo, lasciandosi alle spalle il fatto che, fra due mesi neanche, avrebbe dovuto dire addio al suo migliore amico.
- Già … - la difensora si allontanò dai due ragazzi e iniziò a fare i primi gradini che portavano al dormitorio femminile e quindi, alla sua stanza da letto. - Buonanotte, ragazzi … ci vediamo domani … -
- Buonanotte, Esther … -
- E mi raccomando, Mark: - la ragazza d'improvviso si affacciò dallo scorrimano, lo sguardo malizioso e entrambe le sopracciglia alzate.
- Suzette ripone la sua fiducia in te, non deluderla. -
- Tranquilla, mi prenderò cura di entrambe le squadre, se necessario. Ora va a dormire, forza. - le ordinò con dolcezza il Capitano della Unicorno, poi attese che l'amica si infilasse in camera sua, quindi si voltò verso Dylan.
- “Fratello”, non pensarci … tua madre ragiona come me, vedi? Goditi l'estate fino alla fine, come hai fatto fino ad ora. - cercò di rilassarlo l'amico, poggiandogli una mano sulla spalla.
- Io non … -
- Mark, ti prego! Credi che non stia male per questa cosa? Ma faccio finta di niente, e continuo a non farmi troppi problemi. -
- A volte vorrei essere come te, amico mio … - mormorò Mark, sorridendogli dolcemente. Avrebbe dato il sangue per avere un po' dell'allegria spensierata di Dylan, un pizzico del suo carattere forte, grintoso, divertente, dolce, amichevole, affettuoso e disinvolto. Senza pensarci due volte si avvicinò a lui, poi lo abbracciò forte, cercando di fargli male per dimostrargli quanto lo adorava, quanto aveva bisogno di lui.
- Oh, Mark, libera la mente, fino ad ora stavi andando bene … - sospirò l'altro, ricambiando la stretta con un sorriso dispiaciuto stampato in faccia.
- Probabilmente deve essere Esther la medicina contro la mia malinconia, forse perché come carattere è simile a te, Dyl, “fratello” ... quando sto con lei mi diverto un mondo. -
- Già, l'ho notato anche io, sai …? Cerca di rimanere con lei, se questo ti aiuta a rilassarti meglio. -
Il biondo si sciolse dall'abbraccio, poi guardò il pavimento con un sorriso stanco. - In questo momento ho solo voglia di chiud … -
- Guardare “Ghost Movie” …? - lo provocò Dylan, premendogli ripetutamente l'indice contro l'addome per sollecitarlo a ridere, ma Mark gli afferrò violentemente il polso, facendolo smettere.
- Non so se lo sai, Dylan, ma ho smesso di soffrire il solletico a dieci anni. - sbottò, fulminandolo con un'occhiata da uomo maturo e intelligente. - E poi perché proprio quella porcata di film ...? -
- Perché fa ridere! - gli rispose l'amico, passandogli un braccio intorno al collo e trascinandolo in camera con l'unico intento di vederlo sorridere almeno un po'.
A lui in fondo bastava questo, per essere felice.
E una bella bionda, naturalmente.

 

Angolino di Maggio
awwwwwwwwwwwwwwwww, che tenero Dylan :3, davvero dolce … ma “Ghost Movie” non si può vedere, davvero, è disgustoso XD!
MARK, TESORO, SCAPPA FIN CHE PUOI! *disperata*
Io per sbaglio ho fatto lo stupido errore di credere fosse solo una commedia comica, e non comica/porna, così sono andata al cinema a dare un'occhiata e … beh … avrei voluto piangere, abbandonare la sala, sparire nel nulla, di tutto pur di non vedere quella schifezza di film, davvero X'D!
Anche se ammetto che alcune battute facevano proprio ridere, su questo non ho nulla da ribattere u.u
bene, come vi è sembrato questo capitolo? Come vedete adesso ho messo il gas perché non c'è la scuola, eheeh, e nemmeno i compiti, doppio eheeh, ma non sia mai che mi finisca l'ispirazione, neh.
Oddio. Speriamo di no D':!
Intanto tengo le dita incrociate pregando in qualche vostro commento, anche minuscolissimo ...
ORA, scusate, VADO A CIMENTARMI NEL 14 CAPITOLO, ooooooooooohhhh yeaaaaaaah!! *salta addosso al computer*

Lucy

*ringraziamenti speciali a Sethmentecontorta, che mi ha suggerito alcuni consigli su come ridurre eventuali dialoghi di troppo*

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Capitolo 14
*** Ti lascio un bacio per ricambiare il tuo affetto ***


TI LASCIO UN BACIO PER RICAMBIARE IL TUO AFFETTO

- Wow! - Suzette posò gli occhi su un grattacielo bordeaux, stupita e meravigliata. A Osaka ce n'erano tantissimi di quei lunghi edifici, se non di più, ma chissà perché preferiva di gran lunga lo stile di Los Angeles a quello della sua città natale, forse un po' troppo moderno e tecnologico. Era deciso. Da adulta sarebbe andata a vivere lì con il suo Erik, e avrebbe fatto tanti figli castani.
O forse … biondo miele?
Abbassò gli occhi e li portò su Mark, che intanto parlava animatamente con Esther. Com'era bello, con quello sguardo furbo, quel fisico da adolescente in crescita, quelle labbra perfette e quel carattere dolce e amichevole. Non credeva di avere una cotta per lui, no, lei amava Erik, eppure sentiva di provare un piccolo debole nei suoi confronti.
Era un bene o un male?
Le piaceva molto come la corteggiava, come le parlava e cercava di farla sentire a suo agio, soprattutto quella sera in cui era crollata di sonno sulle sue spalle e lui non le aveva detto nulla.
Se avesse potuto, lo avrebbe rifatto ancora. Di tutto pur di lasciarsi cullare dal suo profumo maschile, dal palpitare regolare del suo cuore, dal suo respiro sulla fronte …
- Ehi, quello cos'è? - la voce acuta di Esther la riportò sui suoi passi.
- Un luna park in costruzione. - le spiegò Mark, fermandosi un momento. - Almeno così dicono. -
La mora si avvicinò di più alla rete, poi aguzzò la vista per osservare meglio. Si trattava di una vasta prateria verde sulla quale posavano pesanti strutture di ferro coperte a loro volta da grossi teloni cremisi. In lontananza, diverse giostre erano già issate e pronte per l'utilizzo. - Per quando pensi riescano a finirlo? - domandò, affiancandosi al biondo con sguardo curioso.
- Mhhh … suppongo entro Luglio, in fondo manca solo questa parte qua davanti, dietro è già tutto fatto. Volendo, un giorno potremmo venirci. -
- Già … sarebbe davvero fantastico. - ammise Dell, già immaginandosi su una montagna russa insieme a Michael, lui che urlava come un matto e lei che se la rideva di gusto.
- A cosa pensi …? - gli domandò il perfetto ritratto di Michael Jackson, confuso.
- A te che te la fai sulle montagne russe. - gli rispose la ragazza col cappello, divertita.
Michael storse le labbra, divenne rosso fuoco e aprì la bocca per ribattere un sonoro “Io non ho paura di nulla”, ma con uno scatto deciso e inaspettato Bobby si frappose fra lui e la ragazza.
Gli occhi sgranati, l'espressione spaventata e le labbra tremanti non promettevano nulla di buono.
- Bobby, tutto bene? - gli chiese il biondo, un po' preoccupato.
- No … no, affatto … -
Mark aggrottò le sopracciglia e gli appoggiò due mani sulle spalle, confuso. - Rilassati … - gli ordinò poi, massaggiandogliele con affetto, ma il difensore non ne voleva affatto sapere.
- … Hel … Hellen ... - balbettò, stralunato.
Daisy rimpicciolì le iridi. Se era successo qualcosa di grave alla sua migliore amica Hellen, non se lo sarebbe mai perdonato. Nessuno poteva sapere che grande intesa c'era fra loro due, da quanto si conoscessero, quanto fossero unite. - Hellen cosa?! - domandò, innervosendosi.
Bobby prese un respiro profondo, poi si portò una mano in direzione del cuore e scosse lievemente il capo. Doveva calmarsi. Doveva assolutamente calmarsi, o avrebbe spaventato tutti. - Hellen è scomparsa ... - mormorò, distrutto.
- WHAT?! - urlò Mark, sorpreso dalla notizia. - Come, scusa?! -
- Hellen è scomparsa, Capitano Mark! -
Suzette si fece largo fra le due squadre, sconvolta. Sapeva che sarebbe successo un guaio, il suo sesto senso non sbagliava mai. Ma semplicemente non a Hellen, lei che era sempre così premurosa e responsabile, lei che sapeva prendersi cura di se stessa in ogni circostanza. D'istinto portò lo sguardo su Mark, arrabbiatissima. I loro occhi disperati e confusi s'incrociarono per un istante, e questo fu sufficiente alla ragazza per far capire all'americano quanto ce l'aveva con lui. Le aveva promesso che si sarebbe preso cura di entrambe le squadre diventando il custode della sua fiducia, invece era andato tutto per il peggio. Se a Hellen sarebbe accaduto qualcosa di brutto e spiacevole, la prima persona che avrebbe preso a pugni sarebbe stato lui. E poi, naturalmente, Bobby. E chissà, magari anche Erik, per sfogo. - Hellen è scomparsa!? - gemette, distogliendo lo sguardo dagli occhi disperati del biondo, che però non smise di fissarla, le labbra semiaperte e l'espressione letteralmente mortificata. Ora sì che si sentiva in colpa. Poteva ferire tutti, ma la ragazza diventata guardiana del suo cuore e dei suoi sogni no.
- Sì … - Bobby si passò una mano fra i capelli, agitato, dopodiché ingoiò saliva. - ricordo che era dietro di me, mentre voi parlavate del luna park in costruzione, poi quando mi sono voltato per chiamarla lei … lei non c'era più e … -
Daisy perse il controllo di se stessa. La sua migliore amica era scomparsa, non poteva rimanere con le mani in mano. - Lei non c'era più!? Che risposta è questa! Bobby, eri tu a doverle stare dietro, perché l'hai lasciata andare! -
- Io non l'ho lasciata andare, lei …! E' stata distrazione di un attimo, io … -
- Distrazione di un attimo?! Intanto Hellen però è sparita! Dobbiamo trovarla, subito, adesso! -
- Daisy ha ragione. - irruppe Mark, tentando di placare le acque fra i due ragazzi sebbene la sua coscienza pulita, in quel momento, era oppressa da un peccato indistruttibile. Aveva tradito la fiducia di Suzette. E questo per lui, da sempre un ragazzo sincero e altruista, era come morire. - Meglio metterci alla ricerca di Hellen … Los Angeles è grande, potrebbe essere ovunque … - mormorò, debole.
- Speriamo sia rimasta nelle vicinanze … - pregò Daisy, preoccupata come le altre.
Esther le appoggiò una mano sulla spalla, cercando di calmarla. Sapeva che grande legame aveva costruito insieme a Hellen, per tutto questo tempo non si erano mai divise, avevano persino scelto lo stesso liceo per quando sarebbe arrivato il momento di compiere il gran passo della loro giovane vita. Probabilmente la notizia la doveva aver sconvolta. - Daisy, conosco Hellen, non si allontanerebbe per nulla al mondo se è sperduta in una città che non conosce nem … -
- Perdiamo tempo, a parlare, Esth'! - le urlò lei, le lacrime agli occhi e le labbra leggermente tremanti. - Dobbiamo trovarla! -
- Ehm, okay, okay, Daisy, tranquilla … ci divideremo a gruppi di due … - le spiegò Mark, sotto lo sguardo vigile e irritato di Suzette che, nervosa, lo fissava ferita.
- Usiamo le coppie degli allenamenti, no? - osservò Michael, affiancandosi a Dell con sguardo serio.
- Sì, non adiamo a complicarci troppo la vita … io e Esther … - il biondo afferrò l'amica per mano, stringendogliela forte per scacciare la tristezza e lasciare posto alla determinazione. La ragazza lo fissò per un istante. Da vicino Mark era ancora più affascinante di quanto già non fosse, e il suo profumo ancora più intenso e coinvolgente. Giurò di sentirsi sciogliere le gambe a causa di quella piacevole vicinanza, ma forse era solo una stupida sensazione.
Forse.
- … andiamo da quella parte. Voi ispezionate un po' in giro. -
- Ok, Capitano! - esclamò Erik, poi, a coppie, le due squadre si sparpagliarono per Los Angeles alla ricerca della piccola Hellen.


- Hellen, dove sei! - urlò Bobby, lo sguardo perso e la bocca tirata a causa del nervoso. Era colpa sua, solo sua se Hellen si era persa, e questo non se lo sarebbe mai perdonato. Lui era la sua metà, il suo angelo custode, semplicemente avrebbe dovuto starle più vicino, vegliarla con maggiore attenzione. E invece no. A causa di una sua stupida, inutile distrazione, la sua compagna d'allenamento preferita si era allontanata dal gruppo, e ora chissà dove si trovava, sperduta in una città che perlopiù non conosceva nemmeno, fra mille civili, mille macchine inquinanti, mille vie da far girare la testa, mille losche persone. Sperava solo stesse bene. Questo lo preoccupava più di ogni altra cosa al mondo, forse perché quello che provava per lei stava andando ben oltre l'amicizia, forse perché le piaceva … e non sentirla vicino lo stava distruggendo.
- Bobby, tutto bene, amico? -
- Eh? - il difensore scosse il capo, lasciandosi il pensiero alle spalle. - S-sì … - balbettò poi, massaggiandosi il volto con rammarico. No che non stava bene, come poteva sorridere in un momento simile, lontano dalla sua Hellen, dannazione.
- Ne sei sicuro? - Dylan gli appoggiò una mano sulla spalla, incerto. - Sei preoccupato per Hellen, non è così? -
- Come potrei non esserlo … -
- Dovevo immaginarlo. - il ragazzo con gli occhiali lo scosse dolcemente, sperando di sciogliere la tristezza. Alla fine gli aveva permesso di cercare Hellen insieme a lui e Daisy, perché non restasse solo. - La troveremo. - gli disse, sincero.
- Lo spero tanto … - mormorò l'altro, sollevando gli occhi al cielo e deglutendo nervosamente. Tutto sarebbe stato molto più facile se fosse stato un'aquila, un angelo, un aereo di ricognizione o un rapace in grado di compiere grandi voli d'esplorazione.
L'avrebbe avvistata subito.
Ma purtroppo non aveva ali per librarsi in aria, e sebbene la sua fantasia ogni tanto superasse i margini dell'inverosimile, quella era una vera e propria follia.
Perché ora pensava agli uccelli?
Maledì l'uomo di non aver inventato ali adeguate per far svolazzare le persone e ripresero le ricerche in silenzio.


- Hellen! - strillò Suzette, senza lasciare la mano di Erik per nessun motivo al mondo e lui, naturalmente, senza mollare la sua. Sebbene fosse preoccupatissima per la sua amica e non smettesse di domandarsi dov'era, cosa faceva, se si era accorta di essersi allontanata troppo, se sapeva quanto Bobby stava male a questo fatto, se aveva paura …
era IMPOSSIBILE non distogliere il pensiero da Mark.
L'aveva ferita, delusa, letteralmente delusa, non se lo sarebbe mai aspettato un comportamento così da lui.
Ciò non toglieva che fosse un ragazzo molto carino, ovviamente, e che continuasse a piacerle.
Ma almeno Erik era già più fedele (secondo lei) e quando aveva bisogno di lui si faceva trovare.
- Suzette, attenta! - Eagle d'improvviso le cinse amorevolmente i fianchi e la gettò sul marciapiede con forza, spaventato.
- Cosa … -
- Suzette, quel tipo ti stava per mettere sotto, apri gli occhi e concentrati, dannazione! - le urlò lui di rimando, frustrato. - Se non ti avessi presa, non so che cosa sarebbe potuto accadere … -
- Oh, tesorino, grazie! - esclamò Suzette, abbracciandolo forte. Già si immaginava sotto un taxi color pulcino col sangue alla bocca, le ossa doloranti e i minuti contati ...
orribile!
Cosa avrebbe fatto senza vedere più il volto di Mark?
Scacciò l'ultimo pensiero e si concentrò sulle ricerche. Ora non era il momento di distrarsi.
Quel bellissimo biondo doveva sparire dal suo cuore amareggiato, adesso.
E Hellen, beh …
assolutamente ritrovata.


- La vedi? -
- No … - Mark incastrò la punta delle Vans a scacchi in una spaccatura fra due mattoni e scese dal muretto, avvilito, poi aprì lievemente le labbra e si lasciò andare un sospiro rassegnato. Suzette, Suzette e ancora Suzette, ora era la sua cotta estiva il centro dei suoi problemi.
Quello sguardo, quel volto tradito erano rimasti ben impressi nella sua mente, proprio come ferro bollente premuto sulla pelle. Come poteva concentrarsi sulle ricerche con quel groppo in gola?
Più tempo passava e più si sentiva in colpa, neanche avesse ammazzato una persona.
- C'è qualcosa che non va? - gli chiese Esther, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
- Eh? -
- Stai bene? - gli domandò ancora una volta lei, avvicinandosi e prendendogli la mano destra per fargli capire che gli era vicino.
- A dire il vero … no … - il biondo la guardò per un istante, riconoscente, poi gli protesse la mano appoggiandoci delicatamente su la sua sinistra. Il contatto gli diede un brivido di cui però, triste com'era, non riuscì a decifrarne il linguaggio. - Credo di aver deluso Suzette … - mormorò, sbattendo ripetutamente la testa contro il muretto.
- Oh … - la ragazza s'incupì. - Come mai? -
- Lei aveva riposto la sua fiducia in me, oggi, ma a quanto pare dall'occhiata che mi ha lanciato non mi sembra molto soddisfatta di come ho agito, dato che una componente della Tripla C si è persa … avevo il diritto di prendermi cura di entrambe le squadre, e invece … -
- beh, quella è stata colpa di Bobby, non tua … -
- Sì, lo so, ma io sono il Capitano, e quindi nel complesso la colpa è stata solo mia! - esplose Mark, frustrato. Non poteva accettare di essere nel torto. Era colpa sua, sua, sua e ancora sua, e doveva assolutamente trovare un modo per scacciare il gelido vento che pochi minuti prima aveva diviso lui da Suzette. - A quest'ora, se fossimo rimasti al campo, Suzette avrebbe evitato di maledirmi con sguardo assassino … e io di giocarmi il suo amore … -
- Mark, tranquillo … - Esther si sentì in dovere di abbracciarlo. Non sopportava vederlo triste, tutte le volte che lo vedeva così avvilito gli veniva in mente quanto era stata cattiva e malefica con lui, prima di scoprire di tenerci davvero. - Tanto se non accadeva a Hellen sarebbe accaduto a qualcun altro, credimi ... -
- Sono un irresponsabile. -
- Oh, Mark, Dio! Los Angeles è grande, se pensavi di gestire tutto da solo ti sbagliavi di grosso, e poi in amore tutto è concesso, gli sbagli per primi! -
- Ma Suzette aveva riposto la sua fiducia in me, Esther, cavolo, e io l'ho delusa … se sapessi come … -
- Smettila, Mark! Non può arrabbiarsi con te per una sciocchezza simile, hai quattordici anni, mica trentasei! Se ne renderà conto, e se non le va bene, amen, fregatene! -
Mark si sciolse dall'abbraccio, guardandola indeciso. - Sarà meglio cercare Hellen. Così perdiamo solo tempo. -
Esther batté gli occhi più volte. Stava cercando di cambiare argomento o cosa? - Mark, hai sentito quello che ti ho detto, piuttosto? -
- S-sì, io … -
- Vuoi che ci vada a parlare io, con la tua dolce Suzette?! -
- No! No, ci penso io … -
- Guarda che se non hai il coraggio per farlo, posso sempre … -
Mark l'afferrò per le spalle, poi la scosse dolcemente. - Sì che ho il coraggio per farlo, Esther! - esclamò, un po' offeso.
- E allora smettiti di piangerti addosso. -
- Ragazzi? - d'un tratto Dell comparve da dietro una palazzina insieme a Michael, lo sguardo confuso e un sopracciglio alzato.
Il biondo arrossì e lasciò andare la difensora, che si sistemò meglio la maglietta, piuttosto imbarazzata. - Anche voi qui? - chiese, fingendo un ingenuo sorriso.
- Sì … - il castano si scrutò intorno, indeciso. - A quanto pare, senza volerlo vi siamo venuti dietro. Avete trovato Hellen, piuttosto? -
- No … -
- Neanche noi … -
Mark venne colpito da una rabbia improvvisa. Non potevano perdersi in chiacchiere, dannazione, Hellen era scomparsa! - Su su, basta parlare! Muovetevi e riprendete le ricerche, forza! - sbraitò, in preda ad una crisi di nervi.
- Mark, non è da nessuna parte, non è meglio chiamare la polizia? - osservò Dell, usando l'intelligenza.
Il biondo sgranò gli occhi. Che stupido, come aveva fatto a non pensarci prima ... - Facciamo così; - decise, dopo un attimo di silenzio. - continuiamo le ricerche. Se Hellen prima di pranzo non salta fuori da nessuna parte, ragazzi, chiamiamo la centrale. -
- Concordo con Mark. - replicò Esther, seria.
- Sì, anche io. - aggiunse Michael. - Come si dice … “la speranza è sempre l'ultima a morire” … -
- Già. - Mark aggrottò le sopracciglia. - Speriamo che sarà così anche per noi. -

 

Daisy digitò in fretta e furia il numero di Hellen sulla tastiera, poi si portò il cellulare all'orecchio. Ora cominciava seriamente a preoccuparsi, più la giornata trascorreva e più si sentiva le forze mancare. - Pronto? - domandò, mentre sia Bobby che Dylan pendevano dal suo sguardo preoccupato. - Pronto, Hellen, per favore, rispondi! -
- Non risponde … - mormorò il difensore, sentendosi il mondo crollare addosso.
- Hellen! Ti prego! - il portiere della CCC arricciò il naso per trattenere grosse lacrime di delusione e chiuse la chiamata, sdegnata. Nessuna risposta. Hellen sembrava come svanita nel nulla … - Non risponde. -
- Non risponde … immaginavo … - trasse le sue conclusioni Dylan, sospirando.
Bobby lo guardò per un momento, interdetto, poi schioccò le dita. Aveva bisogno di un po' di intimità per pensare a dove potesse essersi cacciata Hellen. Insieme a quei due, non riusciva a riflettere. - Ragazzi, vado a cercarla da solo. Voi girate la zona, okay? -
- Sicuro di voler andare da solo? -
- Sì. Mi raccomando, occhi aperti. -
- Tranquillo, Bobby … - mormorò Dylan, per poi fissarlo allontanarsi con una corsa. Sapeva cosa significava stare male per una ragazza, la prima volta che Esther gli aveva rinfacciato di essere brutto mentre ci provava ingenuamente con lei non l'aveva presa poi così bene. Fece per replicare un “forza riprendiamo le ricerche”, quando a mozzargli la voce fu la comparsa di un trio di sedicenni. Indossavano un capello dorato dalla visiera nera, un paio di stracci colorati come vestiti e il più corpulento dei tre aveva una sigaretta in bocca.
- Oh, ma guarda che carini, questi due … - disse, sogghignando in una nuvola di fumo.
Istintivamente Dylan fece scattare in sé il “pulsante violenza”. Strinse i pugni e mostrò i denti, dopodiché assunse l'aria più minacciosa e spaventosa possibile. Odiava quando si ritrovava ad affrontare stupide gang di provincia in un vicolo ceco. Così era successo con Mark prima del FFI, riempito di botte fino allo sfinimento. Se non fosse stato per un suo imminente salvataggio, probabilmente l'amico ne avrebbe risentito. - se non vuoi che ti spacchi la faccia, “fratello”, ti consiglio di andartene. - ringhiò, minaccioso.
- Ohoh, povero illuso … cos'è, adesso un moccioso di dieci anni crede di comandarmi …? -
Gli altri due giovani sedicenni scoppiarono a ridere, cosa che fece irritare ancora di più Dylan. - Ne ho quattordici. - sbottò, quando uno dei tre si avvicinò a Daisy e la afferrò malamente per un braccio, stringendoglielo con forza e rabbia.
- Lasciami andare! - ordinò lei, trasalendo dallo spavento e dal dolore.
- Ohoh, la cicciona mi da ordini, ehehe! L'hai capita, furbetta … ho una domanda per te: l'hai mai visto il film “Il mio grosso, GRASSO matrimonio greco”? -
- Cosa … voi … - il portiere della Tripla C nell'udire quegli insulti si sentì gli occhi pizzicare. Era fatta. Senza saperlo quei tre l'avevano colpita nel suo punto debole, ferendola. Brutti, bruttissimi ricordi iniziarono a riaffiorarle nella mente, quali la sua infanzia all'asilo, passata sotto continue prese in giro, i suoi cinque anni d' elementari, dove il suo nome veniva usato nelle barzellette, e le medie, quando ... fortunatamente non riuscì a rammentare altro, perché Dylan si era violentemente avventato contro il ragazzo, cercando di forzarlo a lasciarle il braccio.
- LASCIALA ANDARE! - urlò, irritato.
- No! E levati di mezzo! - abbaiò il sedicenne, scrollandoselo di dosso, quando il “Re delle Triplette” gli sferrò un potente calcio nel bassoventre, obbligandolo a mollare la presa e a cadere miseramente in ginocchio. - Ahio … -
- Ben ti sta! - esclamò Dylan, correndo affannosamente verso Daisy per poi prenderla con dolcezza per un polso e trascinarla via dal vicolo, il tutto mentre gli altri due sedicenni soccorrevano il “ferito”.
Appena fuori, la ragazza si spianò contro il muro di una palazzina e cominciò a piangere. Semplicemente quella non era la sua giornata.
- Ah, non fare così, Daisy … - sussurrò lui, cercando di riprendere fiato.
- Come non fare così! Mi hanno insultata, come i miei compagni di classe quando ero più piccolina! -
- Sono tutte cavolate, non starli a sentire … ti dico una cosa: agli uomini piacciono le corpulente, non le ossute. Chiaro? -
Daisy si asciugò le lacrime, emise un sospiro e cercò di trattenere altri singhiozzi sconnessi, poi portò gli occhi su quelli color grano estivo di Dylan. Tutti i “grazie” del mondo non sarebbero stati sufficienti a dimostrargli quanto gli era grata per averle salvato la vita, era stato molto dolce. Dolce e coraggioso. - S-sì … grazie per avermi aiutata … -
- Ah, tranquilla, ormai ci sono abituato a quel tipo di gente … devi aver preso un bello spavento, povera te … -
- Sì … - mormorò la ragazza, guardando in basso e ripensando a quando uno del trio di sedicenni le aveva stretto forte il braccio.
- Immagino … lo vuoi un abbraccio? -
Daisy non rispose, semplicemente gli saltò al collo e lo abbracciò delicatamente, desiderosa di sentirsi protetta da una persona che teneva alla sua felicità. Dylan chiuse gli occhi, appoggiò una mano sulla sua schiena e sorrise. Era contento di averla salvata, e sebbene non provasse nient'altro che amicizia, per lei, si era preoccupato molto. Meno male che il peggio era passato, che erano riusciti a salvarsi in tempo e in fretta … a interrompere il loro abbraccio fu una vibrazione di un cellulare.
- Scusami … -
- Tranquillo. - la ragazza gli sorrise dolcemente, si sciolse dall'abbraccio e si asciugò le gote, umide di lacrime.
Dylan ricambiò il sorriso, poi inchiodò gli occhi allo schermo dell'i-phone e lesse il messaggio:

Ehi, Dylan, sono Erik!
Hellen è stata ritrovata, per fortuna Suzette l'ha scovata dall'altro lato della strada, poverina …
ho già dato a tutti la buona notizia. Possiamo vederci da dove siamo partiti?

- Ahahaha! - Daisy spalancò la bocca in un sorriso a trentadue denti, poi emise un grido di gioia e si portò le mani al cuore, emozionatissima. Finalmente la sua amica Hellen era stata ritrovata, alleluia! Non vedeva l'ora di correrle incontro e abbracciarla, di farsi raccontare tutto.
Dylan s'infilò il cellulare nella tasca dei jeans, soddisfatto dalla buona notizia, poi allargò le braccia fino a formare una perfetta linea retta. - Abbracciami, se non riesci più a contenere la gioia! -
- Sì! - il portiere della CCC si gettò nuovamente fra le sue braccia, poi scoppiò a ridere, contagiandolo con il suo tono di voce dolce, goffo ed infantile.
Per fortuna era finito tutto bene, e sebbene avesse passato un paio di minuti nel terrore assoluto, non poteva non essere felice.

 

- Sono molto arrabbiato con te, Hellen. - disse Mark, il volto privo di gioia e gli occhi svuotati di ogni singola emozione che potesse riguardare la felicità. Era arrabbiato, molto, e triste. Non che non fosse contento di riaverla fra loro, al contrario. Semplicemente si era preoccupato tanto, e adesso era giunto il momento di comportarsi da Capitano.
E quindi rimproverarla.
Se le fosse accaduto qualcosa di male lui sarebbe stata la prima persona, insieme a Bobby, a subirne le conseguenze. - Non avresti dovuto allontanarti così. -
- Scusami, Capitano, io … sono stata trascinata da una piccola folla di persone e poi non sono riuscita più a trovarvi … mi dispiace tanto … -
- Accetto le tue scuse, ma da oggi … - il biondo rilassò il volto, poi appoggiò la forchetta sul tavolo. Senza neanche accorgersene era già calata la sera. Incredibile quanto il tempo scorresse veloce. - impara a prenderti le tue responsabilità. Ti rendi conto che stavamo per chiamare la polizia? -
- S-sì, io so del completo disastro in cui … -
- è stata colpa mia, Mark … la difese Bobby, dispiaciuto a morte. - In fondo, l'idea di andare a fare questo giro tutti insieme è stata … opera del mio inutile cervello … -
Mark guardò prima l'amico, incerto, poi la ragazza, che giocava nervosamente con le sue stesse dita. - Sì, è vero, avete entrambi colpa. E per questo verrete puniti. -
- Lo dirai a Mac? - chiese Erik.
Il biondo gli lanciò un'occhiata fugace. In fondo a Hellen non era accaduto nulla di male, grazie a Dio, e la ragione per cui si era allontanata dal gruppo era assai sciocca e “innoqua” per essere valutata con serietà. - No, non credo sia necessario. -
- Fiuuu … - il castano si accasciò contro il muro, meno teso di prima. - Sarebbe successo il putiferio … -
- Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto … - mormorò Hellen, inchiodando i suoi occhi grigi al pavimento. - Non volevo, davvero, non era … -
- Va bene, Hellen, ora basta pensarci. - s'intromise Suzette, appoggiandole una mano sulla spalla e mostrandosi, in un certo senso, più superiore a Mark. Era ancora ferita, e anche se lui aveva tentato di trattare la situazione con severità per colpirla, non ci era affatto riuscito. - L'importante è che non hai recato danni. Per il resto, lascia stare … -
- D'accordo, Suzette … - Hellen abbandonò la sala e si rifugiò in camera sua, a testa bassa. Che sciocca, a perdere di vista La Tripla C e la Unicorno per una stupidaggine. Li aveva fatti preoccupare tanto, specialmente Daisy, Bobby, Mark e Suzette, e a lei dispiaceva molto agitare le persone in quel modo. Si chiuse la porta alle spalle, poi scosse il capo, si sciolse le codine e si gettò di faccia sul materasso del letto.
Iniziò a singhiozzare debolmente.
Non sapeva che pensare. Non solo aveva rischiato di perdersi in una città enorme, ma ora, timida com'era, persino si vergognava di scendere di sotto.
E di incrociare lo sguardo di Bobby.
Sarebbe dovuta rimanergli accanto, stringergli la mano se necessario, e invece a causa sua adesso anche lui si era beccato la punizione.
Probabilmente non le avrebbe voluto più parlare. E se da domani avrebbe cominciato ad evitarla? Se avrebbe chiesto di cambiare compagna d'allenamento? Se l'avrebbe rimproverata, o peggio, le avrebbe rinfacciato un “ti odio” con voce cattiva e priva di sentimento?
A stoppare la sua raffica di preoccupanti domande fu un bussare alla porta. Si alzò dal letto con un verso roco, appoggiò una mano sulla maniglia e l'aprì lentamente.
Sgranò gli occhi.
Come minimo si sarebbe aspettata la sua Daisy, Esther, Suzette o Mark a farle la predica, e invece no.
Era lui.
Era Bobby.
- Posso entrare? - le domandò, conciliante.
- S- sì … -
- Fantastico … - il ragazzo entrò nella stanza, poi la fissò con un sorriso. Era davvero bella. I lunghi capelli rosei le carezzavano dolcemente le magre clavicole, e gli occhi, di un grigio spento, lo guardavano preoccupati. - … tu sei fantastica … -
- Oh … - Hellen arrossì e si portò una mano davanti alle piccole labbra vermiglie, decisamente emozionata. - Che … ci fai qui? -
- Io … volevo … insomma, quando hai lasciato la sala ho creduto ti fossi sentita in colpa e … ero venuto a dirti che … non devi pensarlo, affatto … - le spiegò lui, gesticolando nervosamente con le mani ad ogni parola pronunciata. - E' stata colpa mia che non ti ho vista allontanarti, Helly, e non sai quanto mi sono preoccupato, quanto ti ho cercata … -
- N- no, Bobby, io … -
Bobby d'improvviso fece una cosa da pazzi, che lei si sarebbe aspettata solo da Dylan. S'inchinò a terra e con l'eleganza di un principe azzurro le prese una mano fra le sue, lo sguardo implorante e le labbra contratte. Sembrava quasi le volesse chiedere di diventare sua moglie. Tanto avrebbe accettato di certo! - Hellen, perdonami … -
- Cosa … -
- Capirò se non vuoi più essere la mia compagna d'allenamento, sono stato un irresponsabile, uno stupido, non so nemmeno io dove ho la testa questi giorni e … -
- N- no, Bobby, sono stata io l'irresponsabile ad allontanarmi, perdonami tanto … -
- No, Hellen, sono stato io … -
- No, io … -
- No, Hellen, io … -
Hellen scoppiò a ridere, poi lo aiutò ad alzarsi da terra. - Lo siamo stati entrambi! - esclamò, divertita.
- Sì … entrambi … - Bobby la guardò per qualche istante, intenerito, poi le incastrò una ciocca di capelli dietro l'orecchio senza nemmeno riceverne il permesso. Quando si accorse della tremenda cavolata che aveva appena compiuto, arrossì selvaggiamente e ritrasse la mano. Perché lo aveva fatto? Non era nessuno nella vita di Hellen, come si era permesso di toccarla? Stava per ribattere qualcosa in sua discolpa, ma la rosa gli premette due dita sulle labbra, facendolo tacere.
- Non importa. - gli disse, conciliante. - In fondo siamo amici, no? Non vedo dove sia il problema … -
Il ragazzo le baciò amorevolmente le dita.
E questa volta si maledì davvero. Che gli prendeva? Non poteva comportarsi così con lei, stava sicuramente impazzendo d'amore. Meglio se levava le tende. - Scusami ancora … -
- No, tranquillo … - la difensora si portò una mano al cuore, emozionata. Prima le sfiorava i capelli, poi le baciava le dita … quale onore più grande? Si era letteralmente innamorata di quel ragazzo, lo adorava, era fantastico, e quello che lui aveva appena commesso le era piaciuto molto, troppo. Doveva ricambiare. Si mise in punta di piedi, aspettò che il coraggio si facesse sentire e, dopo aver esitato qualche istante, bloccò il capo di Bobby premendogli delicatamente una mano sul collo, chiuse gli occhi e gli stampò un tenero bacio sulla guancia, obbligandolo a sprofondare la faccia in un tenue rosso fragola. Rimasero in quella posizione per diversi secondi, indimenticabili per entrambi, poi Hellen aprì le palpebre e staccò le labbra dalla sua pelle, rompendo l'incanto. - Forse mi sono spinta troppo … - mormorò, ricadendo nella sua solita timidezza.
- No … - il difensore scosse il capo più volte, compiaciuto dal bacio. - no, affatto … -
- Oh, meno male! - la ragazza rise, poi si passò una mano fra i morbidi capelli color caramella, scostandoseli dalla fronte. Non aveva mai baciato un ragazzo in vita sua, né in bocca né sulla guancia. Doveva ammettere che era contenta gli fosse piaciuto. Magari chissà, in un futuro più intimo volendo glielo avrebbe potuto dare sulle labbra … anche se per fare una cosa di così immenso valore prima doveva imparare a tener testa al suo stupido carattere pessimista, riservato ed estremamente timido. Quanto avrebbe dato per essere aperta come Esther o Suzette. Sorrise nervosamente e sospirò, soddisfatta. - sono contenta … di non aver esagerato … -
- No … io … - Bobby appoggiò la mano sulla maniglia della porta, cercando di ritornare in sé. - io … -
- Meglio se ora raggiungi gli altri. -
- Sì … meglio così … -
- Non lo dico per cacciarti, chiaro … ma non so come la potrebbero prendere Esther e le altre nel vedere un maschio nel dormitorio femminile a chiacchierare con la più piccola del gruppo! -
Il ragazzo annuì. - Hai ragione. -
- Già … allora … - Hellen si affacciò alla porta, ancora un po' emozionata. - Buonanotte, Bobby … -
- Buonanotte, Hellen. - le rispose lui, per poi fare qualche passo indietro e allontanarsi dalla camera della ragazza. - Ci vediamo domani … -
La rosa parve illuminarsi come una stella appena nata. - Questo significa che siamo ancora compagni di allenamento, vero? -
- Ma certo! - ribatté il ragazzo, ridendo. - Ammetto che mi hai fatto prendere uno spavento, oggi, ma l'amicizia è fatta anche di delusioni, non solo di felicità … adesso vado, o Mark mi verrà a cercare con un mitragliatore … -
- Sì … - la difensora rise alla battuta, poi lo salutò con una mano e i suoi dubbi svanirono nel nulla. Di che si era preoccupata? In fin dei conti sapeva bene che Bobby era un grande, e che oltre a questo, era anche suo amico. E l'amicizia vince ogni cosa, anche la più brutta. - A domani, dunque. -
- A domani, puoi contarci. - ripose lui, per poi darle di spalle e scendere i gradini a passo agile e svelto.
Hellen rimase in ascolto qualche attimo, poi chiuse la porta e si portò un dito sulle labbra. Ancora non poteva credere di averlo baciato sulle gote. Se continuava così, ci avrebbe preso l'abitudine …
ma quel ragazzo era troppo irresistibile, troppo buono …
con questo pensiero si coricò a letto. Certo, nulla poteva togliere il fatto che Mark e Suzette era ancora arrabbiati con lei, ma in quel momento non poteva non pensare al bacio … chiuse gli occhi e sorrise.
Perché non sognare Bobby, adesso che la sua mente lo desiderava più di ogni altra cosa?

 

Angolino di Maggio
Ma quanto posso amare sto rosino, quanto ... *d'improvviso si sente osservata*
Eehehe ...
ok, ci sono :D, yeah! *sorseggia un po' di granita alla menta, fingendo di essere soddisfatta del lavoro*
Eccovi serviti il 14 Capitolo scritto ascoltando “Birthday”, di Katy Perry (ascoltatela, è molto carina U__U), e che volevo dedicare in particolare a Marina Swift, a cui piace molto la HellenxBobby :3 … raga', se ho deluso lei allora ho deluso tutti T.T.
A parte questa piccola parentesina ...
spero e mi auguro che anche questo capitolo vi sia piaciuto, se volete lasciare un parere siete liberi di farlo!
E detto questo mi precipito a fare il 15 …
non posso davvero perdere tempo: prima della scuola devo portare questa fiction avanti, perché ho come la STRANA, CUPA sensazione che il Linguistico che mi attende non sarà affatto facilino, considerando che sono uscita con 6 in inglese e 7 in francese … spero di poter migliorare, mi prenderanno a carotate, carciofate e pomodorate(?) D:!!
Ok, ora me ne vado davvero -.-.

Nos vémos!

Lucy

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Capitolo 15
*** Un brutto presentimento ... ***


UN BRUTTO PRESENTIMENTO ...

 

- Suzette. -
La voce calma, tranquilla, contenuta e pacata di Mark obbligò la ragazza a voltarsi verso di lui e a guardarlo profondamente negli occhi. - Che cosa … vuoi? - gli domandò, sistemandosi meglio i capelli per apparire il più bella e carina possibile.
- Volevo scusarmi con te per la mia imprudenza, ieri. - il biondo fece brillare le iridi di un tenue luccichio celeste e prese a fissarla con più intensità, come se cercasse di convincerla con sguardo persuadente. - Per … - si passò una mano fra i capelli, tirandosi indietro la frangia ribelle. Ammetteva di essere nervoso, ma aveva bisogno delle scuse di Suzette, ora più che mai. - … aver tradito la tua fiducia. -
- Ah. - la dodicenne incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo dalle iridi turchesi del ragazzo, che la stavano sciogliendo di piacere a poco a poco. Quanto amava quegli occhi, così puri e sinceri, impossibile non trasalire se li si guardava per qualche secondo. Forse le piacevano anche più di quelli di Erik, così uguali alla gente di tutti i giorni. - Mark, la prossima volta che … -
- Lo so io … io ho sbagliato, mi sono comportato da vero irresponsabile. - Mark scosse il capo, tremendamente dispiaciuto. Tutte le volte che commetteva un errore si sentiva affogare nel dispiacere assoluto, forse perché la sua natura sincera e il suo animo bonario gli impedivano persino di mentire. I suoi genitori l'avevano educato alla sincerità e all'educazione fin da piccolissimo. Se diceva una bugia, ecco lo schiaffo. - … quando mi hai guardato, ieri … mi sono sentito morire … - ammise, gli occhi luccicanti.
- Beh, mi hai veramente delusa, Mark. - replicò la Capitana della Tripla C, cercando di metterlo in maggiore difficoltà. - Hai tradito la mia fiducia, e inoltre … -
L'americano nel sentire quelle sfiancanti parole le si avvicinò a passo svelto e l'abbracciò forte, impedendole di terminare la frase. Sapeva di star esagerando, ma Suzette gli piaceva, gli piaceva tanto, e quella frase così mal pronunciata lo aveva decisamente ferito. - Ho bisogno di essere perdonato, ti prego, so che contavi su di me per tenere in ordine entrambe le squadre, e credimi, credevo non sarebbe accaduto nulla di grave, invece … -
- Mark … - la ragazza si assicurò non ci fosse Erik nei dintorni, poi si lasciò stringere più forte e scontrò il volto sulla larga spalla del biondo, che a sua volta le appoggiò teneramente una mano sul capo e socchiuse gli occhi.
- Perdonami, davvero, spero tu riesca a fidarti ancora di me … -
- Mark, io … -
- Siamo Capitani, dobbiamo evitare sto genere di litigate … prometto che non ti deluderò più. -
- Mark! - Suzette si sciolse dall'abbraccio e gli prese il volto fra le mani, sorridente. Certo che lo perdonava. Non poteva non cedere a tutte quelle dolci attenzioni, e poi lui aveva troppa ragione: erano entrambi Capitani, dovevano essere alleati, colleghi, contare l'uno sull'altro e prendere decisioni insieme, come quando avevano fatto quella sera per decidere l'abbinamento delle coppie. Non sfiduciarsi a vicenda. - Ti perdono, tranquillo! - disse, divertita.
- Really? - il biondo le sorrise, poi le cinse le mani per aiutarla a premere più forte i palmi sul suo volto pazzo di gioia. - Grazie … -
- Prego! - rispose lei, avvicinandosi e scontrando il piccolo naso abbronzato contro quello di lui quasi con lo stupido e avventato intento di dargli un bacio.
Che forse, con un po' più di ragioni, sarebbe riuscita anche a dargli.
Mark si sorbì la preziosa atmosfera che si era creata fra loro fino all'ultimo, dopodiché le inchiodò lo sguardo addosso e si lasciò sfuggire un sorriso ammaliante e travolgente. - Ti va di uscire con me? - le domandò, per poi sgranare gli occhi e allontanarsi con uno scatto fulmineo. Ora sì che era nei guai. Come poteva pretendere che lei fosse interessata a lui e che avrebbe accettato una proposta simile? Perlopiù era due anni più piccola, e quindi non ragionava come un quattordicenne, senza togliere il fatto che la discoteca le era vietata, a meno che non la convincesse a fingersi già tredicenne come Esther e le altre. - Perdonami, ho detto una grande stupidaggine. - si difese, rosso in volto.
- Uscire con te? - gli fece eco lei, reclinando il capo con aria confusa e compiaciuta al contempo. - Davvero? -
- Eh? - Mark rise per evitare di fuggire dalla vergogna. - Sì, cioè no, cioè … sono stato un imprudente, ti assicuro che non era mia intenzione invogliarti ad uscire con me, specialmente ora che sei fidanzata con Erik, quindi … -
- Facciamo venerdì? - gli domandò lei, divertita nel vederlo agitarsi così tanto per un nonnulla. Mark le piaceva, era un bravo ragazzo, perché non uscire con lui? Non sarebbe accaduto nulla, del resto.
Si fidava.
- V-Venerdì, vuoi fare? - balbettò il biondo, calmandosi. Non poteva credere che lei avesse accettato una proposta così follemente avventata e fuori dal comune. Beh, meglio no? Questo voleva solo dire che era sulla buona strada nel conquistarla, e che Esther gli stava dando ottimi consigli. - Va bene, io ci sono per te … volevo dire, per quel giorno … a che ora vuoi fare? -
- Dopo gli allenamenti … ti va? -
- Perfetto! -
- Ci facciamo una doccia, aspetti pazientemente che mi trucco e … - Suzette alzò un sopracciglio, dubbiosa, poi tese una mano in avanti. - mi aspetti, vero? -
- Sì, tranquilla! - scoppiò a ridere il ragazzo, rassegnandosi. Era impossibile levare a quelle ragazze la priorità di passare più di un'ora davanti allo specchio. L'avrebbero preso a schiaffi se solo avesse osato farlo! - Aspetto, giuro. -
- Bene! Dicevo … aspetti che mi trucco, ti ricordo che l'hai giurato … -
Mark rise e fece spallucce.
- … e poi andiamo! Il problema è … dove? -
- Dove vuoi tu, piccola. -
- Oh, ok, fantastico! Andiamo a fare un giro al parco, ti va bene? - propose l'azzurra, sfregandosi le mani in attesa di un consenso da parte del ragazzo.
L'americano piegò le labbra in un sorriso malizioso, cercando di conquistarla con gesti sensuali e affascinanti. Del resto, per attrarla a sé, doveva essere attraente a sua volta. - Tutto quello che va bene a te va bene a me, piccola. - disse, la voce rauca dalla gioia.
- Ohoh, perfetto, vedi che c'intendiamo …? - Suzette gli venne incontro e lo prese a braccetto, facendolo arrossire, poi insieme si diressero al campetto.
Anche quella era una giornata impeccabile. Il sole splendeva alto nel cielo, filtrando con i suoi raggi la chioma degli alberi, e un continuo susseguirsi di clacson e sgommate accompagnava la dolce melodia della brezza. Appena Esther intravide Mark smise di palleggiare al muro. Gli venne voglia di corrergli incontro, abbracciarlo e incitarlo a fare quattro passaggi per riscaldarsi, ma quando notò che era attaccato alla sua bella Suzette sorrise e si mantenne da parte, cercando di leggerlo nello sguardo per capire a cosa stava pensando.
Il ragazzo naturalmente la notò, quindi le lanciò un sorriso aperto come buongiorno. - Suzette, adesso è meglio se ci concentriamo sugli allenamenti. - disse. - Dopo se vuoi possiamo discutere dell'appuntamento. Ti va? -
- Sì … - Suzette si staccò dal braccio di Mark, un po' dispiaciuta. Le piaceva camminare con lui, lo trovava molto rilassante, e poi adorava ammirarlo parlare. Non poteva esistere panorama più meraviglioso. - il mio tesorino mi aspetta, e a quanto vedo anche Estheruccia aspetta te … -
- Appunto. Ci sentiamo dopo, okay? -
- Sì! Ciao! -
- Ciao … - il biondo la salutò con la mano, l'espressione sognante e le labbra curvate in un tenero sorriso d'addio, poi raggiunse Esther con una corsa. - Perdona il ritardo. - si scusò, guardandola con faccina da cagnolino obbediente e rispettoso per scioglierla e farla sorridere ancora di più.
- No, di che! Ti avrei aspettato! Mamma mia, sei adorabile quando fai così! - esclamò la mora, tirandogli un buffetto sulle guance. - Ti vedo allegro … risolto tutto con Suzette? -
Il ragazzo si strinse nelle spalle, ripensando al momento in cui le aveva chiesto di uscire. Arrossì lievemente. - Sì, fatto tutto. Anzi, ti dirò di più … -
- Vai! -
- Venerdì esco con lei …-
- COSA …! - Esther gli prese le mani e gliele strinse forte, incredula. - No, non è vero ... Mark, smetti di prendermi in giro, su, fa il serio! -
- Non ti sto mentendo! - le rispose il ragazzo, ridendo e guardandola al contempo, emozionato.
- Oh, mio Dio, Mark! Sono così felice per te! - esclamò lei, sprizzando contentezza da tutti i pori. Era orgogliosissima di lui, molto, finalmente era riuscito a dare una marcia in più ai suoi sentimenti verso Suzette. - Sai già dove andrete? - gli chiese, curiosa.
- Al parco. -
- Oh … -
Mark aggrottò le sopracciglia e le passò due dita sulla guancia sinistra. - Non ti vedo convintissima … -
- Eh? - Esther si strinse nelle spalle, poi corrucciò le labbra. Andare al parco non le sembrava un'idea molto romantica. Certo, conosceva bene Suzette, sapeva che odiava le cene a lume di candela, i mazzi di rose davanti alla porta e i cioccolatini di San Valentino, ma forse qualcosa di più dolce sarebbe stato meglio. - Sinceramente andare al parco la trovo una cosa fiacca e inutile … una discoteca non è già più focosa? -
- Cosa?! - l'americano scosse il capo, serio. Anche a lui sarebbe piaciuto andare in discoteca per divertirsi, ma si doveva contenere: Suzette aveva solo dodici anni, se voleva stare con lei avrebbe dovuto imparare a rispettare i suoi spazi e ad accontentarsi di cose semplici e “infantili” come, appunto, il parco. - Esther, è troppo piccola. Al massimo ci posso portare te, in discoteca. - le disse, gesticolando con la mano.
- Davvero?! - Esther divenne rossa come una fragola vermiglia e si passò una mano fra i capelli per smascherare l'imbarazzo. - Tu ed io … in discoteca? -
Mark sorrise malizioso. - Sì. Non vedo dove sia il problema. -
- Ma … - la mora guardò in basso e iniziò a girarsi i pollici, in apparente nervosismo. Era la prima volta che un ragazzo le faceva una proposta simile. A Osaka era uscita con tanti bei quattordicenni, certo; ma mai in discoteca. - … sicuro non sia un po' rischioso? - si affrettò a chiedere, un po' spaventata all'idea.
- Rischioso? Fin che sei con me non ti accadrà nulla di male. - le rispose il Capitano della Unicorno, annuendo con decisione. - Tranquilla. Tu pensa sempre e solo a divertirti e vedrai che andrà tutto bene! -
- Ma … mi proteggeresti per davvero? Davvero davvero? -
Mark sorrise distrattamente e scosse più volte il capo, disorientato. Mai una ragazza gli aveva posto una richiesta simile. Sinceramente non sapeva cosa rispondere. - Come mai questa domanda? -
- Ehm! Curiosità, pura e semplice curiosità … mi dovrò pur chiedere se … il mio nuovo amico è capace di usare i muscoli in caso di necessità, no? -
- Sì. - le rispose lui, serio. - Li so usare. -
- Molto bene, allora se osano spettinarmi i capelli ti chiamo e tu li meni da parte mia, non è così …? - ridacchiò Esther, passandogli la palla e dando così il via all'allenamento quotidiano.
- Sì, certo che sì … - Mark toccò delicatamente il pallone con la punta della scarpa per stoppare il passaggio, poi la guardò minaccioso. - Chi tocca i tuoi capelli è un uomo morto. -
- Così ti voglio! - esclamò la mora, venendogli incontro e soffiandogli la palla dai piedi, per poi appoggiarsela sulla testa e iniziando a barcollare per cercare di tenerla in equilibrio. - Prova a prendermela, avanti! -
- What? - il biondo ripensò al giorno in cui lei, con una serie di rapidi passaggi, era riuscito a farlo inciampare su se stesso. - Ti prego, no … così diventerò strabico … -
La ragazza rise e iniziò a passarsi la palla lungo tutto il corpo, divertita nel vederlo affannarsi per cercare di recuperarla a tutti i costi. A cinque anni sua madre l'aveva iscritta a ginnastica ritmica, e grazie al cielo il talento era rimasto.
Sua madre … chissà che combinava in quel preciso istante, se la pensava. Probabilmente era chiusa in cucina a preparare torte al cioccolato, deliziose meringhe e squisiti cupcakes! Lo faceva spesso, considerate le sue ottime doti da pasticciera. Quanto avrebbe dato per aiutarla a sfornare crostate, per vederla anche solo in una foto. La sua mancanza cominciava a farsi sentire, e per placare quel malinconico sentimento non le era sufficiente chiamarla tutte le sere.
- Ehi … - la voce di Mark interruppe il flusso dei suoi nostalgici pensieri.
- Sì? -
- Ti vedo triste … -
- Stavo pensando a … - Esther lasciò cadere il pallone a terra, poi si incastrò una ciocca morata di capelli dietro l'orecchio e storse le labbra in una smorfia distratta. - … quanto mi manca la mia famiglia. -
- E' normale … ti posso comprendere. - Mark afferrò la palla con due mani e la calciò lontano. - Basta allenamento. -
- Ma abbiamo appena iniziato, Mark! -
- E allora? - l'americano si sedette a terra, poi le fece cenno di accomodarsi accanto a lui. - Perché non mi parli un po' di te? -

 

- Alla fine Mark non ci ha dato una punizione poi così tanto severa, dai … come minimo mi sarei aspettato cento flessioni, o scendere e salire i gradini almeno cinquanta volte ... -
- No, eh …?! - Hellen finì il quindicesimo giro di campo, poi cadde a terra, ansante. Le ginocchia le tremavano debolmente, così come le mani, e grosse gocce di sudore le avevano imperlato il volto e bagnato il colletto della divisa. Alla fine Mark aveva optato per una punizione “dolce” ma al contempo atroce: quindici giri di campo senza mai fermarsi.
Lei non era abituata a tutto quello sforzo, ma sempre meglio di cento flessioni. Forse. - non credo di potercela fare ancora … - mormorò, portandosi una mano al cuore per cercare di calmare il suo battito impazzito.
Bobby le tese una mano e l'aiutò ad alzarsi, poi le sorrise dispiaciuto. - Beh, ce lo siamo meritati … -
- Sì, certo, su questo non ho nulla da ribattere. - replicò Hellen, tenendosi aggrappata a lui per recuperare energia.
- Ti porto un po' d'acqua? -
- Volentieri, sì … -
- Aspettami qui. - il difensore la fece sedere a terra, sotto l' imponente ombra di un albero, poi raggiunse le borracce della Tripla C con una corsa e, una volta trovata quella dell'amica, gliela portò con un sorriso.
La ragazza si dissetò, poi si stese fra l'erbetta fresca del campetto. - Oggi il sole splende … - mormorò, socchiudendo gli occhi alla nitida luce del sole per evitare di danneggiarsi la retina.
- Già … -
- Basta, non ce la faccio più … -
Bobby si sedette accanto a lei e le passò una mano sulla fronte a mo' di carezza, dolce. - … almeno ci siamo rinforzati. -
- Di sicuro … questo non lo metto in dubbio. Da quando siamo arrivate qui, la nostra potenza sembra essere salita … sembra … magari mi sbaglio … -
- No … - il ragazzo le arricciò un ciuffo color confetto sfuggito alle sue due codine a “farfalla”. - non ti sbagli. Certo, in partita ancora ne avete di strada da fare … però vedere che prima di Settembre riuscirete a batterci. -
- Se lo dici tu, allora mi fido. -
-Bobby? -
Bobby smise di accarezzare Hellen e sollevò il capo, incrociando così le iridi nere del suo migliore amico Erik, stranamente spente e prive di grinta. Strano. Molto. - D- dimmi, Erik. -
Il castano abbassò lievemente la testa, serio. - Devo parlarti. -
- Scommetto che Suzette ti sta facendo impazzire, non è così …? -
- No. - Erik storse la bocca, pensieroso. - Beh, sì. Anche. Ma ora non è quello il problema. -
Il difensore, stranito, si alzò da terra, poi insieme si diressero in un isolato angolo del campo per evitare che qualcuno orecchiasse la conversazione. Tutte le volte che Erik faceva l'ombroso e il distaccato c'era sempre da preoccuparsi, questo lo sapeva bene. Sperava solo non fosse accaduto qualcosa di catastrofico. - Forza, parla, ti ascolto. - lo incitò, serissimo.
- Dunque … - il castano si carezzò l'addome, triste, poi lanciò un sospiro rassegnato. - Prima ho vomitato. - ammise.
- Erik, che schifo! - sbottò Bobby, spalancando la bocca in evidente stato di disgusto. Come minimo si sarebbe aspettato un “spaccio droga” o un “sono gay”, ma se era quello il motivo di tale sgomento, allora doveva essere sicuramente una presa in giro. - C'è, me le devi venire a dire a me queste cose?! - domandò, ridacchiando.
- Bobby, non lo trovo divertente, io! - sbraitò il castano, iniziando a scaldarsi davvero.
- Ok, scusa, era per farti sorridere … -
- Temo che … - Erik si massaggiò ancora la pancia, poi rabbrividì nervosamente, ancora più triste. Se quel sospetto dolore non era sintomo di un imminente influenza, allora questo voleva dire solo una cosa.
Che le tragiche conseguenze dell'incidente avevano ripreso a minacciarlo ancora.
E che l'operazione non era andata poi così bene come aveva pregato. - temo che questo dolore sia … un avvertimento … -
Bobby sbiancò in volto. - Erik? -
- Bobby, ho un brutto presentimento … -
- Erik, ti prego, non dirmi questo, ti supplico … -
- Io non sono affatto guarito. - dichiarò il castano, guardandolo profondamente negli occhi con tristezza e serietà al contempo. Una volta subita l'operazione aveva creduto di poter riprendere con gli allenamenti, di ricominciare la sua vita senza più preoccupazioni. E invece era stato solo un inutile attimo di pausa per fargli credere di essere salvo.
- Erik … - il difensore lo afferrò per le spalle, confuso. - Smetti di scherzare, ti prego, non mi piace quando giochi in questo modo … -
- Non scherzo, Bobby. -
- Magari sarà solo un po' di febbre. - osservò l'altro, senza arrendersi. - Che ne dici di misurartela? -
- La febbre in estate, Bobby, eh …? -
- Beh, capita! Hai dormito con l'aria condizionata? -
- Bobby, smettila! - urlò Erik, scrollandosi le mani dell'amico di dosso con irritazione e sdegno. - Riconosco il dolore dell'incidente da quello di una semplice febbre, credi sia scemo!? -
Bobby rimase a bocca aperta, spiazzato. Non c'erano parole per giustificare il disagio che sentiva dentro. Se l'amico aveva ragione, se il presentimento più in là sarebbe diventato una snervante conferma … non se lo sarebbe mai perdonato. Mai. - Erik … - scosse più volte il capo, sconcertato. - che diciamo a Silvia, adesso? -
- Silvia … io pensavo di … -
- Tesorino, eccoti! - irruppe Suzette, agganciandosi pesantemente al braccio del castano e iniziando a picchiettargli con tenerezza un dito sulla guancia. - Ti cercavo, amore, me lo devi dire quando ti allontani! -
- Sì, perdonami, Suzette. - mormorò Erik, lasciandosi strattonare in malo modo dalla ragazza.
- Perdonato, amoruccio mio! Su, vieni, dobbiamo fare lo slalom fra i coni, il tuo allenamento preferito! Dieci raffiche di baci sulle labbra se fai bene il percorso, promesso! -
Il castano volle replicare, ma Suzette fu più lesta, e quindi riuscì a trascinarselo con sé.
Bobby li guardò allontanarsi, poi cadde a terra e si massaggiò il volto in modo brusco e violento, come per scacciare una brutta sensazione di fastidio. Sperava solo che Erik avesse mangiato qualcosa di strano, anche perché le conseguenze non sarebbero state delle più piacevoli: lui, Mark, Silvia e Suzette avrebbero iniziato a preoccuparsi troppo, la Tripla C sarebbe stata rimandata a casa, forse, e Mac avrebbe ritirato la Unicorno da un piccolo torneo statunitense che sarebbe dovuto iniziare, se tutto andava bene, a metà Luglio e finire il primo Agosto.
Con questo pensiero si alzò dal campetto, poi nascose la tristezza con un falso sorriso e raggiunse Hellen. Per il momento era meglio non allarmare gli altri.
Magari, davvero, era solo febbre.

 

Angolino di Maggio
Buondì a tutti!
Povero, povero Erik, non sa che gli attende … *scuote il capo, dispiaciuta*
Ecco qui che vi propongo il 15 CAPITOLO scritto con tanto amore e dedicato a chi mi segue, a chi ha messo la fic nelle preferite, a chi l'ha inserita nelle seguite e nelle ricordate e a chi mi ha sostenuto con le proprie recensioni fino ad oggi, 23 Luglio 2014 :3!
Grazie tante, grazie mille a tutti, sono felice del piccolo successino (si fa per dire -.-”) che sta avendo questa storia, i vostri pareri sono la vita per me, ed aver raggiunto il numero 26 non è che un grande, grandissimo onore!
E poi … un milione di baci dolciosamente dolciosi(?) a Marina Swift, che mi sta aiutando a diffondere la MarkxEsther! Grazie cara, a te soprattutto, conti molto nella mia vita, non sia quanto posso adorare quello che stai facendo per me, non sai quanto posso adorarti <3!
Ora ho un avvertimento importante a tutte le fan delle ErikxSilvia: nei capitoli a venire di questa coppia se ne discuterà molto e sì, sarà presente (eccome se lo sarà, anche io un po' li shippo *^*), quindi se avete voglia fatevi pure avanti con un commentino :3!
Bene, detto questo …
ora vi saluto, che ho in mente il 16 CAPITOLO e devo appuntarmi le idee prima che volino via dalla finestra e capitino in mano sbagliata -.-” …
bye!

Lucy

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Capitolo 16
*** Ho bisogno di te ***


HO BISOGNO DI TE

Erik strinse forte la cornetta del cellulare, poi appoggiò un dito sui numeri del telefono e li accarezzò con debolezza, lanciando un flebile sospiro rassegnato. Il sole era calato già da ore, tutti dormivano profondamente, e la sede era completamente immersa nel buio.
Un buio cupo, oscuro, quasi soffocante.
Almeno per lui.
Nonostante i muscoli a pezzi per l'eccessivo allenamento e un paio di buffe occhiaie sotto gli occhi, in quel momento non riusciva proprio a prendere sonno. Dal giorno in cui aveva avvertito Bobby, i malori erano ricominciati, e sembravano alternare le ondate di dolore a basse, medie e alte gradazioni. Certi giorni, quasi tutti grazie al cielo, proseguivano con normalità, ma altri invece li passava continuamente a tenersi alta la testa con le mani per evitare di cadere per terra. Alle partite aveva ripreso a faticare, ad ansimare prima del previsto, a riversare tantissime gocce di sudore dalla fronte e a gemere di dolore nell'inseguire il pallone. Cliccò un sei. Poi un quattro, emozionato. E finalmente, sebbene con lentezza e indecisione, compose il numero della sua migliore amica.
Silvia.
Ora era lei di cui aveva bisogno, altro che Suzette.
Necessitava il suo sguardo premuroso, il suo calore, i suoi abbracci, la sua dolce voce premurosa … le sue labbra … sorrise e si portò la cornetta all'orecchio, poi attese in una sua risposta. Questa volta non avrebbe esitato. Si sarebbe dichiarato, lo avrebbe fatto per davvero, e poi avrebbe unito la sua bocca a quella di lei in un bacio fatto per bene, godendosi l'attimo fino alla fine. Non gli importava nulla di Suzette, o di come l'avrebbe presa, perché baciare Silvia era sempre stato il suo sogno più grande e piacevole, e nulla poteva distruggere questo bisogno.
- Pronto? - finalmente una voce cristallina gli giunse nell'orecchio destro, riportandolo sui suoi passi.
- Silvia, sei proprio tu … oh, Silvia … - mormorò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli castani, commosso. - Sono Erik … -
- Erik! - la ragazza sorrise dolcemente, emozionata. Era una vita che non sentiva il suo migliore amico, dopo il FFI era come se fra di loro si fosse sovrapposto un muro di pietra, impossibile da distruggere. Insomma, lui con Suzette e lei con Mark Evans, divisi. Credeva non l'avrebbe mai più sentito. E invece, per fortuna, Dio sembrava aver ascoltato le sue preghiere. - Come stai? - gli domandò, curiosa.
- Bene, bene … - mentì Erik, scuotendo il capo. - Tu? -
- Benissimo! - Silvia esitò per qualche istante, non sapendo che altro aggiungere. Ecco cosa odiava delle telefonate. Il silenzio imbarazzante. - E' … da tanto che non ci sentiamo, vero? - chiese, cercando di romperlo con voce acuta e felice.
- Già … - il bomber della Unicorno inchiodò lo sguardo a terra. - … tanto tempo … -
- Dimmi … - la Manager della Inazuma si passò una mano sulla frangetta verde bosco per controllare che si fosse ben appiattita alla fronte e per verificare anche che la spilla la stesse reggendo saldamente. - Mark e gli altri stanno bene? -
- Bene, bene anche loro … - replicò Erik, annuendo con convinzione. Era il momento di proporle la “piccola follia”. Se non lo faceva ora, non avrebbe mai più avuto il coraggio di domandarglielo. Prese un respiro profondo, si posò una mano al petto e si affidò alla speranza, in quel momento sua unica salvatrice. - Silvia … - la chiamò, utilizzando un tono di voce rauco e strozzato per via della forte emozione.
- Dimmi, Erik! - esclamò l'amica, stringendo più forte il cellulare. Tutte le volte che il castano la chiamava in quel modo, c'era da preoccuparsi. Iniziò a sudare freddo, nervosa.
- Silvia, io … -
- Tu? - lo incitò a continuare, agitata.
- Silvia … -
- Erik, coraggio, non mordo mica! -
- Silvia, io … -
- Tu? Dai … -
- Io … Silvia … -
- ERIK, DIAVOLO, MI STO PISCIANDO ADDOSSO! -
- Silvia Woods, vuoi venire qui negli Stati Uniti a tenermi compagnia per qualche settimana?! - urlò Erik tutto d'un fiato, poi si morse il labbro inferiore e chiuse la chiamata, in preda ad una crisi di panico immane.
Silenzio.
Ancora una volta la sua codardia aveva avuto la meglio. Silvia lo mandava sempre fuori di testa. Stava per mettersi a piangere, ma per fortuna la cornetta iniziò a vibrare. Il ragazzo l'afferrò con ansia, poi se la portò nuovamente all'orecchio. - Silvia? Sei tu? -
- Sì … -
- Oddio, perdonami! Perdonami, non volevo proporti quella pazzia, io … -
Silvia rise dolcemente, poi sventolò una mano in aria, menefreghista. Amava quel suo lato timido e masochista. Forse era una delle prime cose che l'avevano attratta di lui, oltre alla simpatia e al costante affetto che provava nei suoi confronti. Era davvero orgogliosa di averlo come amico. - Tranquillo, Erik. -
- Quindi … - il castano chiuse gli occhi e aggrottò le sopracciglia, poi iniziò a torturare il filo del telefono per scaricare il nervoso. - vieni? -
- No. - rispose l'altra, facendo spallucce.
- Come no?! - Erik batté le palpebre più volte, stranito e abbastanza deluso dalla risposta. Sinceramente un “no” non se lo sarebbe mai aspettato. Dove aveva sbagliato, questa volta? - Come sarebbe a dire, no?! Cos'è sta storia, spiegam …! -
- Sì, stupido, ovvio che vengo! - ridacchiò la ragazza, catturando l'attenzione di Celia e Camelia, in quel momento concentrate nell'osservare l'allenamento della Inazuma.
Erik scoppiò a ridere per non piangere e solo dopo cinque, interminabili, lunghissimi minuti riuscì finalmente a realizzare che la sua amata (a sua insaputa, ovviamente) Silvia aveva accettato l'invito. - Wow! Quindi davvero vieni a tenermi compagnia?! -
- Sì! - la Manager della Inazuma ritornò a sedersi in panchina, sorridente. - Questo pomeriggio sento con mia madre. Ovviamente mi dirà di sì, dato che se me lo chiedi tu non c'è mai una volta che riesca a dire di no, ma devo vedere i biglietti, il costo … poi ti faccio sapere! -
- Okay, fantastico! -
Silvia si guardò l'orologio da polso, poi ordinò a Camelia di interrompere l'allenamento con un'occhiata fugace. - Da te che ore sono, Erik? -
- Le tre di notte, why? -
- ERIK!? - strillò la ragazza, sobbalzando dalla panchina e portandosi una mano in bocca. Non ricordava che Erik facesse le ore piccole. Buffo! Non vedeva l'ora di andare negli Stati Uniti. Chissà quante belle cose avrebbero fatto insieme, il solo pensiero la stava già mandando in tilt. - VA SUBITO A DORMIRE, MUOVITI! - gli ordinò, obbligando involontariamente Axel, Shawn, Jordan, Nathan e Xavier a voltarsi verso di lei confusi.
- Con chi sclera, secondo voi …? - chiese il ragazzo dalla coda color pistacchio, reclinando il capo con aria stranita.
- Forse con sua madre. - obbiettò Froste, scuotendo la testa rassegnato.
Erik scoppiò a ridere, poi si passò una mano sulla frangia, tirandosela indietro. - Abbassa la voce, ti prenderanno per matta! -
- Fila a letto, forza! - sorrise Silvia, addolcendosi. Ovviamente scherzava, lei non era la ragazza tutta “strilli” e “urli”, ma le piaceva provocarlo. E farlo ridere, naturalmente. - Buonanotte … - gli sussurrò, intenerita.
- Oh, sì … Silvia. Ti voglio bene. Tanto. Troppo. - le rispose il ragazzo, facendo brillare i suoi occhi neri di un tenue bagliore lucente.
- Anche io, non dimenticarlo mai. - gli fece eco lei, un po' commossa. - Adesso ti lascio, che mi devo occupare della squadra … ci vediamo, quindi! -
- Ci conto, certo. - replicò Erik, per poi riattaccare soddisfatto. Che bello, ce l'aveva fatta, ora era solo questione di tempo. Se Dio avesse fatto andare tutto per il meglio (e magari avesse anche evitato di farlo morire nelle prossime ore), avrebbe potuto riabbracciare Silvia.
Sorrise, poi si stropicciò gli occhi e, a passi pesanti, si trascinò fino alla sua camera.
Ora sì che le sue vacanze cominciavano ad avere un senso …

 

Angolino di Maggio
Ehhhh, ohhhh, corri e salta dietro al pallone, finché in rete …
*le lanciano un vaso in faccia, ribaltandola all'indietro*
Bene!
SONO VIVA, PER VOSTRA SFORTUNA, eheeh! *si sfrega le mani e sogghigna divertita*
Eccomi qui con il tanto atteso (ma quando mai -.-”) 16 CAPITOLO, che dedico a tutte le shippatrici delle ErikxSilvia, una coppia a dir poco stupenda!
Ma che non batte la mia MarkxEsther, nu U__U. MI DISPIACE, ma questo no.
Beh, come vi è sembrato?
Un po' cortino, forse? Lo sapevo che ci avrei dovuto lavorare di più … GIANLU', E' SEMPRE COLPA TUA >.<*!
Gianluca: Eh?! Dove, Lila, dove?! *cadendo dal letto*
Io: O.o” … Gianlù, ti hanno sparato?
Gianluca: nah, ho solo sbattuto la testa … *seccato*
Io: ohh … eheheh!
Vabbé.
Avevo voglia di dedicare uno spazio solo al castanetto americano e alla sua fogliolina autunnale (per chi non lo avesse capito, Silvia, neh), così è venuto fuori questo obrobrio.
Spero riusciate a perdonare anche il fatto che nel caso di Shawn, Camelia, Celia, Jordan, Xavier, Nathan e Axel (EPPOI!?), io non abbia usato i nomi giapponesi.
Se mi conoscete, cari lettori, ormai lo avrete capito che non li uso e mai li userò … awwww *si stiracchia*
Ok, detto questo, la concludo qui.
Spero di poter ricevere un commentino!
Grazie per aver letto ;*

Lucy

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Capitolo 17
*** Un appuntamento coi fiocchi! (parte 1) ***


UN APPUNTAMENTO COI FIOCCHI! (parte 1)

Mark si sistemò meglio i ciuffi ribelli della frangetta, poi si guardò allo specchio, lievemente indeciso su come si era vestito quel dannato venerdì sera. Indossava una camicia azzurra che metteva in risalto la chiara e nitida tonalità degli occhi, dei jeans grigio nebbia e un paio di all-star verde fuxite. Eppure c'era qualcosa che non andava, in lui. Sentiva di essere imperfetto, per quanto fosse esageratamente affascinante. - Sono un vero e proprio schifo. - si offese, dopo un lungo attimo di riflessione.
Quella sera in particolare non gli andava di essere mostruoso, affatto.
Doveva colpire Suzette con la bellezza, se non metteva al più presto qualcosa di decente sarebbe stata la fine, almeno per lui. Si sbottonò la camicia e fece per togliersela, nervoso, quando Esther aprì la porta con forza e decisione, sorprendendolo intento a levarsi l'indumento. - Bussare no, eh ...? - le domandò di scatto, tagliente.
La ragazza sorrise in modo malefico, poi gli fece la lingua e si richiuse la porta alle spalle. Se l'avessero scoperta in camera con il Capitano della Unicorno, le sue amiche l'avrebbero fucilata all'istante, quindi era meglio serrare, per evitare di ritrovarsi coinvolti in spiacevoli inconvenienti. - Lo sai che non sono abituata all'educazione. - si difese, scrollando le spalle.
- Sì. - il biondo sospirò e si rimise la camicia, rassegnato. L'avrebbe tenuta, ormai con lei in camera non si poteva più cambiare. - Lo so bene, questo. -
Esther alzò un sopracciglio e strinse le labbra, dopodiché assunse un'aria maliziosa e divertita al contempo. Non sapeva spiegarsi il buffo motivo, ma le piaceva vedere Mark affannarsi per apparire il più bello ed elegante possibile senza, ahimé, sapere di esserlo già. - Beh? Non mi chiedi che ci faccio qui, stupidino? -
- Che ci fai qui, cucciola? - le domandò distrattamente lui, in quel momento troppo impegnato ad allacciarsi i piccoli bottoni color perla della camicia per prestarle attenzione.
La mora si strinse nelle spalle, menefreghista. - Volevo sapere se eri nervoso, tutto qui. -
- Sì ... - il biondò si allacciò la camicia fin sul colletto, poi, finalmente, le rivolse uno sguardo carico di ansia. - Sono nervoso. - ammise, in evidente stato di agitazione. - Mi trovi bello, così vestito? Carino? -
- Carino ...? Sembri uno sfigato, Mark, ti mancano solo un paio di occhiali da nerd e un apparecchio sporgente. -
- Ehi! Non sono secchione! -
- Tranquillo, tranquillo, ora ci pensa la tua amichetta "esperta" di moda e trucco e amore ad aiutarti. -
Mark sorrise con sarcasmo, fingendosi enormemente grato di averla lì con lui. - Grazie, amichetta "esperta" di moda e trucco, cosa farei senza di te ... - replicò, scettico.
- Hai dimenticato amore. - la mora gli andò incontro e gli levò la camicia dai jeans, poi gli appoggiò entrambe le mani sui pettorali, in quel momento bollenti. Arrossì e lo fissò nelle iridi con indecisione, le labbra corrucciate e l'espressione confusa. Perché si era fermata? Che le prendeva? Ora doveva sistemarlo, non era il momento giusto per pendere dalla sua bocca invitante. - Sei orrendo. - lo offese, cercando di riprendersi dallo schock, poi con un rapido movimento delle dita gli sbottonò la camicia e gli scoprì una parte del petto. A tale visione si lasciò sfuggire più di un semplice sussulto, ma fece finta di niente. Il corpo di Mark profumava, ed era veramente bello. Molto. Troppo. Ancora non capiva perché quella stupida di Suzette perdeva tempo dietro a Erik, che nemmeno l'amava. Se fosse stata in lei, per Mark lo avrebbe già mollato da tempo. Batté le ciglia più volte. Ma che andava pensando? A lei non piaceva Mark. Ok, sì, le piaceva, ma non come può piacere un ragazzo ad una ragazza. Insomma, quello che nutriva per lui era pura, semplice amicizia. Forse. Così voleva sperare ...
- Grazie. - la voce cristallina del biondo interruppe il flusso dei suoi preoccupanti pensieri. - Ti vedo pensierosa, stai bene? -
- Sì! Sì, sto bene, di che ti preoccupi ... - Esther si allontanò da lui e dal suo petto meraviglioso per evitare di impazzire, poi si scostò i capelli dalle spalle. - Piuttosto, come la trovi l'idea di Erik? Bizzarra? Inutile? Dolce? -
- Quale? -
- Ha invitato Silvia a stare da noi, non ricordi più? -
Mark si guardò allo specchio, poi cercò di mettere su un espressione sexy e attraente, nel caso dovesse venirgli utile in appuntamento. - Sì, ora ricordo. Per me può benissimo farlo, ci sarà da divertirsi. -
- Già! In fondo questa estate sta trascorrendo bene, non trovi anche tu? -
- Mhmh ... - l'americano si spianò entrambe le mani sull'addome, nervoso. Ora era troppo concentrato per prestarle anche solo un briciolo di attenzione, nella testa gli vagava solo un pensiero: l'appuntamento con Suzette. - Dio, come sono agitato, mi tremano persino le mani! -
- Mark, mi stai seguendo, vero? -
- Spero solo di andarle bene come ragazzo, che mi trovi carino, gentile, dolce ... -
- Mark? -
- Devo assolutamente fare colpo ... -
- Mark, ora cominci a farmi innervosire ... - gli fece notare la ragazza, con una nota di irritazione nello sguardo. Capiva quanto lui potesse essere innamorato di Suzette, ma così era davvero troppo.
- Oddio, e se non trovo un argomento adatto a far partire la conversazione? -
- Lo troverai, ne sono sicura ... insomma, lo hai sempre trovato. -
- E se faccio una figuraccia? -
- Mark, la smetti? -
- Metti che scivolo e cado, o vado a sbattere contro un albero ... -
- MARK, DANNAZIONE, SMETTILA! - strillò Esther, stufa dell'atteggiamento un po' troppo paranoico dell'amico. - Vedrai che andrà tutto bene, tu ricordati solo di fare l'uomo. Per il resto, sarà il destino a decidere che cosa potrà accadervi. -
Mark si voltò verso di lei con uno scatto improvviso e spalancò le braccia, preoccupato. - Dimmi la verità. -
La mora arrossì e deglutì più volte, cercando di non lasciarsi andare a tutta quella bellezza devastante. Che ci poteva fare se lo trovava meraviglioso? - Ok, che vuoi sapere? -
- Mi trovi carino al punto giusto o sono ancora un cesso come prima? -
- Carino no, assolutamente. - la ragazza scosse il capo più volte, cercando di non infatuarsi troppo all'eterna bellezza dell'amico, poi aprì la porta della stanza e gli indicò il corridoio con l'indice. - Ma sexy sì ... tanto ... -
- Perfect. - l'americano diede qualche ultimo ritocco ai suoi capelli dorati, poi uscì dalla porta insieme all'amica e, sempre mano nella mano, raggiunsero l'uscio della sede.
Suzette era lì, a pochi passi dal salotto, che chiacchierava animatamente con Hellen per ammazzare il tempo. Indossava una camicetta priva di maniche, fucsia, e un paio di pantaloncini bianchi dai bordi sfilacciati. Appena vide l'americano gli venne incontro con un sorriso a trentadue denti stampato in volto e lo prese per mano, obbligandolo così a staccarsi da Esther. La mora aggrottò le sopracciglia e smise di sorridere, un po' sgomenta. Sinceramente ci era rimasta male, quel gesto non le era piaciuto per niente. Se Suzette avesse osato farlo un'altra volta, l'avrebbe sentita.
- Mark, sei splendido! - esclamò l'azzurra, osservandolo con attenzione da capo a piedi.
- Grazie, anche tu sei stupenda. -
- Beh ... - Esther sospirò e si strinse nelle spalle, gesto che, per sua sfortuna, non sfuggì ad Hellen. - ... allora vi auguro di passare una bella serata! -
- Grazie, Estheruccia, lo faremo di certo! - strimpellò Suzette, per poi prendere Mark a braccetto e abbandonare la sede senza neanche dargli il tempo di salutarla.
La difensora si sfregò i palmi sulle braccia, come per scacciare una spiacevole sensazione di gelo. - Spero che si divertano. -
- Non ti vedo molto convinta. - le rispose Hellen, lanciandole un'occhiata sospettosa. - Tutto bene? -
- Sì, certo. Mi vedi strana? - le domandò Esther, incrociando le braccia al petto e reclinando il capo verso sinistra, confusa.
- A dire il vero sì. Uh, ho capito tutto! Per caso sei ... - la rosa sorrise maliziosamente. - gelosa di quei due ...? -
- Co ...! - la difensora rise e iniziò a battere ripetutamente un piede contro il pavimento, nervosa. Come poteva pensare Hellen che fosse gelosa di Suzette e Mark? Quello che provava per lui era solo amicizia, per quanto strano potesse sembrare, e sapere che usciva con Suzette non le faceva che un grande onore. - Ti sbagli, piccola Hellen, io non sono affatto gelosa. Sono solo ... insomma, io ... sono solo un po' ... -
- Solo un po' ...? -
- ... attenta a certi dettagli, tutto qui. -
Hellen fece per ribattere, quando a interrompere la loro sciocca conversazione fu un certo Erik Eagle, che comparì dal salotto con l'espressione più confusa e stranita che mai avesse fatto indossare al suo volto rotondo. - Scusate, dove vanno Mark e Suzette a quest'ora? - si disturbò a domandare, curioso.
Esther e Hellen trasalirono. E adesso che s'inventavano?

 

Angolino di Maggio
QUESTA SERA ...
C'E' IL DELIRIO AL MARACANA' ... EHOHEH!!!
Ok, la smetto -.-", che il mio Brasile ha perso e i mondiali sono terminati, aw T.T
Wow, che finale sconvolgente, aiuto, adesso che faranno Esther e Hellen per proteggere Mark e Suzette, non dormirò la notte al solo pensiero ... -.-" *scettica*
Esther: guarda che lo hai deciso tu, sto colpo di scena, ti ricordo. *sfornando una torta*
Io: Già, è vero, sono l'unica in questo fandom a creare finali così stupidi e idioti.
Esther: sì, sei l'unica.
Io: grazie per l'appoggio. *incrociando le braccia al petto*
Esther: prego, cara! *sorridendo a 32 denti*
Beeeeeeeeeneeeee, a parte il finale banale -gneck-, come vi è sembrato questo capitolo?
Spero di ricevere almeno un commentino <3!
Detto questo, mi vado a buttare nel letto (non chiedetemi porquoi, LOL)!
Un bacio a tutti!

Lucy

PS= non l'ho riletto attentamente, se notate qualcosa di insensato ditemelo, che sistemo.

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Capitolo 18
*** Un appuntamento coi fiocchi! (parte 2) ***


UN APPUNTAMENTO COI FIOCCHI! (parte 2)


- Ahem ... - Esther iniziò a torturarsi il labbro inferiore con i denti, imbarazzatissima.
E adesso cosa diceva a Erik?
Insomma, un modo per proteggere Mark e il suo perduto amore doveva trovarlo, semplicemente perché era sua amica, e mai e poi mai si sarebbe dovuta permettere di cacciarlo nei guai. Iniziò a guardarsi intorno, lievemente agitata, quando d'improvviso, grazie a Dio, venne baciata da una scusa a dir poco geniale, se non perfetta.
Per fortuna che la testa l'aveva, probabilmente se fosse stata qualcun'altra, un'inventiva così formidabile di certo non l'avrebbe mai trovata. - Mark e Suzette sono usciti per discutere su come stanno andando le cose fra noi ragazze e voi inutili scarafaggi. - mentì, mantenendo uno sguardo fermo e sicuro per non destare troppo sospetto.
Erik batté le lunghe ciglia color pece più volte, poi curvò le labbra e sorrise, cascandoci in pieno. - Dovevo immaginarlo. - disse, stappando una lattina di Coca Cola. - Ma va bé, Suzette può uscire con chi vuole ... a me fa solo piacere che faccia nuove amicizie. E che mi lasci vivere ... -
- Già ... - ribatté Hellen, sorridendogli incoraggiante.
Il castano le guardò un momento, interdetto, poi si portò la rossa lattina alla bocca e ne sorseggiò avidamente il contenuto. L'unica cosa che non capiva di quella scena del tutto normale era perchè le due continuavano a tenere un sorriso forzato. Strano. - Ok, grazie per avermi levato la curiosità. - aggiunse, pulendosi le labbra con il polso destro. - Ora me la filo. Ciao, ragazze. -
- Ciao, inutile scarafaggio! - ridacchiò Esther, facendo un cenno con la mano in segno di saluto, poi, non appena il ragazzo fu scomparso dalla sua visuale, agguantò Hellen per le spalle e la scosse dolcemente, felice. - Meno male che ci ha creduto! -
- Come, non era quello il vero motivo? -
La mora sgranò gli occhi e si tappò rapidamente la bocca. Per un attimo aveva dimenticato che la cotta di Mark doveva rimanere un segreto fra lei, lui e Dylan ... sperava solo che Hellen non se ne fosse accorta, anche se un po' già si capiva.
La rosa sollevò un sopracciglio e si portò un dito davanti alle labbra, confusa. - Esther? Gli hai mentito? -
- N-no, gli ho detto la verità. - mentì Esther, cercando di sorreggere lo sguardo sospettoso dell'amica, ma dopo pochi secondi si sciolse e sbuffò, non riuscendo a digerire quei teneri occhi grigio nuvola che la fissavano indecisi. - E d'accordo, sì. Gli ho mentito ... il motivo è un altro ... -
- Quale? No, aspetta! Fammi indovinare ... - Hellen si portò gli indici alle tempie, poi strinse le labbra color confetto e serrò gli occhi, iniziando così a meditare. - Mark ha un debole per Suzette! - esclamò poco dopo, aprendo le palpebre con uno scatto rapido e fulmineo.
- S- sì ... però è un segreto ... cerca di non spargere troppo la voce. - la ammonì Esther, massaggiandosi timidamente un braccio.
- Va bene, tranquilla, conta su di me! - le rispose con tono sincero Hellen, per poi dirigersi lentamente in cucina a prendere un po' di biscotti per saziare un improvviso senso di fame.
E mentre alla sede della Unicorno tutto scorreva tranquillo, per Mark e Suzette la serata stava passando in modo davvero rilassante e piacevole. Non appena si furono immersi nel verde del parco, i due avevano subito iniziato a passeggiare, e in meno di un quarto d'ora si erano raccontati tante cose. Ora si conoscevano meglio di prima, e la timidezza che bloccava entrambi finalmente era stata spazzata via da sonore risate.
- Fammi capire un po', piccola. - il biondo si sedette su un'altalena, dopodiché la osservò sistemarsi meglio le ballerine color lime ai piedi. Sorrise. Com'era bella, illuminata dal pallore della luna. L'avrebbe baciata subito. - Quindi tu ... -
- Sì! - la ragazza batté le mani, felice. - Da grande voglio portare avanti il ristorante di mia madre! -
L'americano annuì distrattamente, senza staccare gli occhi da quelli di lei per nulla al mondo. - Davvero? E' una bella cosa che tu voglia aiutare tua madre. Lo trovo molto umile. -
- Già! - Suzette si sedette sull'altalena accanto alla sua, poi si aggrappò alle catene argentate e iniziò a farla dondolare avanti e indietro, come faceva sempre quando era piccolina. - Sai, nessuno cucina aragoste bene come lei. -
- Aragoste? - il biondo parve illuminarsi per qualche secondo. Oltre alle pietanze italiane, il suo stomaco sembrava amare qualsiasi menù a base di pesce, da una semplice carpa al forno al piatto più raffinato in assoluta. - Le adoro! - esclamò, sorridente.
- Davvero? - Suzette gli puntò l'indice contro e assunse un'aria più seria e minacciosa. - Caro signor Kruger ... - disse, cercando di apparirgli superiore. - probabilmente lei non sa di avere davanti un genio della cucina di mare. -
- Ah, però, fantastico! -
- Dillo forte! - l'azzurra scoppiò a ridere, addolcendosi di nuovo, poi si passò le dita fra i capelli, intenta a lisciarseli ancora di più. - Un giorno ti prometto che andrò a fare la spesa con Bobby, comprerò un'aragosta bella grande e te la cucinerò, così poi la assaggerai e mi dirai cosa ne pensi. -
- Chiaro. - replicò l'americano, sorridendole amorevolmente. - Sarò felice di avere l'onore di assaggiare un tuo piatto, cucciola. -
- Grazie ... - Suzette aggrottò le sopracciglia. Fino a quel momento avevano parlato poco di lui, era il momento di sottoporlo ad un interrogatorio. - Tu che vorresti fare da adulto? -
Nell'udire quell'ingenua domanda, Mark s'incupì di brutto. Il solo pensiero che per inseguire i suoi sogni e diventare un uomo intelligente e razionale doveva allontanarsi da Dylan, dai i suoi amici e dalla sua cara Los Angeles lo teneva ancora in subbuglio, sebbene la deliziosa compagnia di Esther riuscisse a tenergli occupata la mente. - Il poliziotto. - rispose, serio.
- Wow ... allora mi aspetto protezione ventiquattro ore su ventiquattro, Mark! -
L'americano fece spallucce, poi si tirò su le maniche della camicia azzurra per il troppo caldo, "sovrano" della città anche nelle ore notturne, di norma fresche e silenziose. - Ma certo. - le rispose, tentando di scacciare un lieve senso d'angoscia. Non avrebbe permesso alla malinconia di distruggere quel momento, non adesso che c'era Suzette.
- Mark ... - la Capitana della Tripla C gli tirò un buffetto sulle guance, obbligandolo ad arrossire e a storcere le labbra per trattenere un sorriso compiaciuto. - ... ti vedo strano, dopo la mia domanda ti sei incupito ... -
- Pensavo. - il biondo si carezzò delicatamente il collo, cercando di placare un freddo inesistente.
- Sai che si dice? -
- Sentiamo. -
- Che i migliori poliziotti siano i newyorkesi. E' vero? -
Mark sbalzò dall'altalena e si sbottonò di poco la camicia, accaldato. Adesso non gli andava di riflettere sul suo destino dopo l'estate, se Suzette rincarava la dose di lì a poco avrebbe iniziato a mugolare dalla tristezza. Meglio se cambiavano argomento. - Possiamo sviare, per favore? -
La dodicenne aprì lievemente le labbra, confusa, ad ogni modo accettò la richiesta. Tutto ciò le suonava fin troppo male. Che nascondeva Mark? Ce l'aveva con New York?
- A proposito: ho qui con me un po' di dollari. - l'americano si toccò la tasca destra dei jeans, ritornando a sprizzare allegria da tutti i pori. - Se vuoi, posso offrirti un gelato. -
- Mh, perché no! - esclamò Suzette, scendendo dall'altalena e agganciandosi al braccio dell'americano. - Io fragola! -

 

Esther abbracciò il cuscino, pensierosa, dopodiché ci affondò bruscamente il volto. - Dio, fa che non provi niente per lui ... - mormorò, con un nodo in gola. - fa che sia solo un'inutile cotta estiva, e che quando tornerò alle medie mi rimetterò con quell'idiota del mio ex ... -
Con un gesto quasi meccanico si portò entrambe le mani sul capo, stufa di sentirsi così in pensiero per quei due, poi iniziò a mugolare il nome di Mark a diversi decibel. Sospirò amaramente. Ormai tanto era inutile sperare di non nutrire gelosia nei confronti di Suzette. Esatto, quell'appuntamento le stava creando un certo fastidio. All'inizio pensava di sentirsi in ansia perché Mark era inesperto e lei, essendo sua amica, avrebbe dovuto dargli più consigli, invece il motivo era tutt'altro.
Semplicemente era un po' gelosa.
Allungò un braccio e tastò il comodino alla ricerca del suo cellulare, e quando lo trovò se lo inchiodò davanti agli occhi, sbloccò la tastiera e cercò la lettera 'M' nella rubrica. Aveva bisogno di, se non chiamarlo, almeno ricevere un suo messaggio per sapere come andava.
Stava troppo in pensiero, come una mamma nei confronti del figlio.
Una volta trovato il meraviglioso nome di Mark, iniziò a scrivergli quattro righe.

 

Suzette smise di "molestare" con la punta del cucchiaino il gelato alla fragola, strinse la coppetta e incollò i suoi teneri occhi grigi sull' i-phone di Mark. - Ehi. Ti vibra il cellulare. - lo avvertì, curiosa di sapere chi osava interrompere il loro appuntamento.
L'americano afferrò il telefono e cliccò sulla casella dei messaggi. - Oh, Esther. - disse, leggendo con attenzione ciò che gli aveva scritto l'amica.

Ciao Mark, stupidino, come va?
Spero bene ... volevo dirti che Erik prima mi ha chiesto dove stavate andando tu e Suzette, credo vi abbia intravisti uscire dalla finestra del salotto ... sappi che comunque, intelligente e bella come sono, ho tenuto al sicuro la tua cotta inventandomi una scusa, quindi appena torni ricordati che mi devi cinquantamila dollari.
No, scherzo.
Che combini di interessante? La stai conquistando, la piccola Suzette?

I battiti caridaci di Mark finalmente ripresero a pulsare in modo regolare e pacato. Alla vista del nome "Erik" gli era quasi venuto un collasso, ma grazie a Dio Esther era riuscita a proteggere sia lui che i suoi sentimenti nei confronti di Suzette. Cinquantamila dollari erano troppi pochi. - Chi è? - domandò l'azzurra, spingendosi leggermente in avanti per curiosare nello schermo dell'americano.
- Esther. - ribatté il biondo, spronandosi all' indietro per non lasciarle vedere il testo del messaggio.
- Ah ... - Suzette arrossì e ritornò a massacrare il gelato dentro la coppetta, imbarazzata. Che sciocca che era stata, a infilarsi così negli affari degli altri, se avesse evitato di allungarsi verso il cellulare di Mark magari non si sarebbe risparmiata la figuraccia.
- Adesso le rispondo, dammi un attimo ... - sussurrò lui, il volto schiarito dalla luminosità dello schermo. Una volta che ebbe finito di digitare il messaggio, mise da parte l'i-phone e ritornò a concentrarsi su Suzette. Quando la vide rossa in volto sollevò un sopracciglio. - ... stai male per qualcosa? -
- No, io ... - Suzette si cacciò in bocca una cucchiaiata di gelato e se lo appiccicò al palato con la lingua, poi rispose. - ... non volevo curiosare nei tuoi messaggi, scusa. -
- Ah, è per quello che sei così imbarazzata? Tranquilla. - Mark le strinse dolcemente una mano, facendola sentire subito meglio. - Tanto lo faccio anche con Dylan. -
- Davvero? -
- Yes, it's okay! -
L'azzurra aggrovigliò le dita a quelle di Mark, trasformando la semplice ed amorevole stretta in qualcosa di più intimo. Si guardarono per un paio di secondi, riconoscenti, poi il biondo ritirò la mano e se la passò sulla coscia destra, carezzandosi così il freddo e ruvido tessuto dei jeans. - Non volevo ... - disse, imbarazzato.
- Tranquillo ... - Suzette gli regalò uno splendido occhiolino, dopodiché terminò rapidamente quel poco che rimaneva di un delizioso gelato alla fragola, gettò la coppetta in un bidone lì vicino e fece cenno a Mark di alzarsi. - Abbiamo ancora mezzo parco da camminare, che stiamo aspettando! - esclamò, avvinghiandogli un polso con disinvoltura e tirandoselo dietro.
- Ehi, aspetta ...! - Mark scoppiò a ridere, e senza opporre resistenza si lasciò trascinare fuori dalla gelateria.

 

Ciao, dolcezza. Così mi dai dello stupido, eh ...? Ma come siamo gentili, today.
Beh, sì, qui va tutto bene, perché, sottovaluti le mie abilità da esperto dongiovanni, forse ...?
Okay, a parte gli scherzi ... tu stai bene?
Gli altri che combinano?
VERAMENTE ERIK CI HA VISTI USCIRE INSIEME?!
Cavolo, grazie per aver mentito, ti sono riconoscente ...
sei stata fantastica.
Scusa, ma ora ti devo proprio lasciare, che ho un appuntamento da portare a termine.
A dopo, se non ti addormenti prima.
Notte, Mark

Esther sorrise dolcemente e si appoggiò il cellulare sul petto, poi percorse il soffitto color crema con sguardo sollevato. Quante volte aveva letto quel messaggio? Sapere che Mark le rispondeva significava che lui in quel momento l'aveva pensata e tenuta in considerazione, e non c'era niente di più bello che diventare, anche solo per un momento, il punto di riferimento di un ragazzo a cui stai a cuore. "Forse è meglio se mi metto a dormire ...", pensò, allungando un braccio per spegnere la lampadina.
In neanche un battito di ciglia un buio rilassante le tinteggiò il corpo di nero, ricoprendo tutti i mobili della stanza con il suo manto color notte.
Sospirò e chiuse le palpebre, sperando di riuscire a prendere almeno un po' di sonno. Meglio se dormiva, o a forza di pensarlo gli si sarebbe fuso il cervello.

 

Buon divertimento, Mark, e per quanto tu sia dannatamente brutto e stupido ...
ricordati che ti voglio bene.
Un bacio, Esther.
PS= gli altri non so che combinano, io mi sono chiusa in camera ...


Mark bloccò la tastiera e s'infilò il cellulare in tasca, divertito. Brutto e stupido? Chissà perché i messaggi di Esther gli facevano sempre spuntare un timido sorriso sulle labbra. - Credo non ci sia bisogno di risponderle. - osservò, il volto trapassato da una buffa smorfia divertita.
Suzette gli lasciò andare il polso, maliziosa. - Che ti ha detto, la cara Estheruccia ...? -
- Che mi vuole bene nonostante sia un cesso su tutti i fronti, ma ... questo lo sapevo già. -
- COSA!? - la ragazza gli prese il volto fra le mani e posizionò le labbra a pochi centimetri da quelle dell'americano. Trasalì. Forse la vicinanza lasciava un po' a desiderare, ma avrebbe voluto tanto dargli un bel bacio in bocca. Ma che stava pensando? Lei era la ragazza ufficiale di Erik Eagle, per quanto Mark la interessasse non poteva lasciarsi andare a certe attenzioni. - Sei bellissimo. - gli sussurrò, senza fare nulla per impedire di essere particolarmente attratta da quelle dolci labbra vellutate a un passo dalle sue. Il ragazzo si fece più vicino e le passò una mano sulla guancia sinistra, poi ritirò il capo e evitò che la serata si trasformasse in un baciarsi senza tregua per pura tentazione. Forse era meglio se si fossero ostinati ad essere amici e colleghi.
Non voleva fare del torto a Erik, anche se da una parte qualcosa gli diceva che se gliela avesse tolta di torno l'avrebbe solo ringraziato, rimaneva pur sempre la sua inutile, appiccicosa ragazza, e sicuramente si sarebbe arrabbiato. Forse.
Ad ogni modo non gli andava proprio di doversi ritrovare coinvolto in un triangolo amoroso con degli amici a cui teneva molto, anche se in parte ci era già dentro. Maledì il giorno in cui ebbe avuto l'immenso piacere di incontrarla per la prima volta e fece qualche passo indietro. - Credo sia troppo presto. - disse, per cercare di levarle il broncio.
- Sì, scusa ... - Suzette si scostò una ciocca di capelli dal volto, mostruosamente imbarazzata. Ma chi le aveva detto di avvicinarsi così tanto a lui? - ... comunque non ti avrei baciato, fidati ... sono la ragazza di Erik, e amo solo lui. - mentì, per difendere ciò che aveva appena commesso.
- Tranquilla, lo so che non lo avresti fatto. -
"Perché forse non mi conosci ...", meditò subito la ragazza, ma poi scacciò il pensiero, inorridita. Forse era meglio tornare a casa, o avrebbe cominciato a dare di matto. - Rientriamo? Comincia a farsi tardi. - sbottò, incrociando le -braccia al petto.
- Vuoi ritornare? - Mark le sorrise, lieto di voltare pagina e cambiare argomento.
Suzette annuì, permettendo all'americano di passarle con dolcezza un braccio intorno alle spalle spalle. - Sì ... - mormorò, ancora frastornata a causa di ciò che era accaduto. Meglio se tornavano a casa per darsi qualche minuto di riflessione.
- Ok. - i due ragazzi uscirono dal parco e in pochi attimi si ritrovarono davanti alla sede, illuminata solo dalla luce aranciata dei lampioni. Una volta entrati, Mark smise di proteggere le spalle di Suzette e accese la luce. - Bene, eccoci. - disse, con una nota di soddisfazione nella voce.
- Già ... - la ragazza si strinse nelle spalle, poi si avvinghiò un braccio e lo ammirò appoggiare le chiavi su una mensola lì vicino. - Allora ... ci vediamo domani! Sai già cosa ... -
- Tutto organizzato, tranquilla. - replicò Mark, aggrappandosi alla maniglia della porta con il bizzarro intento di levarsi le scarpe utilizzando la punta dei piedi. - Lascia fare a me. -
- Ok ... - l'azzurra indicò le scale con timidezza. - Allora io vado ... -
L'americano sollevò il capo e sorrise dolcemente. Adesso era meglio se ritornava coi piedi per terra e smetteva di pensare all'appuntamento. - Ma certo! Buonanotte. -
- Buonanotte. - Suzette iniziò a salire le scale con rapidità, quando improvvisamente si bloccò, colta da un dubbio. Se ne stava andando così, senza nemmeno ringraziarlo o almeno dirgli qualcos'altro? Era stata proprio una maleducata nel voltargli le spalle in quel modo, anche se prima c'era stata una mezza intenzione di bacio, questo non significava che da oggi in poi lo doveva evitare. Scese i gradini, catturando la sua attenzione, poi lo raggiunse a passo svelto e gli saltò al collo, stringendolo forte.
Mark smise di armeggiare con le Vans, chiuse gli occhi e ricambiò la stretta, sospirando.
- Mi sono divertita un mondo, mi hai fatta ridere tantissimo! - ammise la ragazza, sciogliendosi dall'abbraccio con un sorriso e portandogli entrambe le mani sui pettorali. - Sei un ragazzo fantastico. -
- Beh, grazie ... -
- Potremmo uscire ancora! Con te si sta da Dio. -
- Ci conto, sì. - mormorò Mark, impacciato.
Suzette addolcì lo sguardo, poi si mise in punta di piedi e gli stampò un dolce bacio sul naso, facendolo arrossire violentemente. - Buonanotte, Mark. - sussurrò, fissandolo negli occhi con infinita dolcezza.
- S-sì, buonanotte anche a te ... - balbettò lui, tirandosi all'indietro la frangia per smascherare il troppo imbarazzo. Probabilmente doveva sembrare uno scemo, se lo sentiva dentro, ma che ci poteva fare? La ragazza dei suoi sogni l'aveva appena baciato sul naso, e per lui questo valeva più di mille parole.
Suzette gli regalò un altro magnifico occhiolino, poi si riavviò verso le scale. Non c'era niente di più comico che osservarlo fissare il vuoto con le gote infuocate, l'espressione a dir poco sconvolta e la bocca letteralmente spalancata. Sembrava un idiota, un bellissimo, meraviglioso idiota. - A domani! - lo salutò, ridendo.
- A domani, logico ... - mormorò lui in tutta risposta, portandosi due dita sulla punta del naso, stupefatto. Ancora non poteva credere di aver avuto il grande e piacevole onore di sentire le morbide labbra di Suzette spianarsi sul suo naso in un dolce bacio a stampo. Incredibile.
Sorrise e scontrò delicatamente le spalle contro il muro, ripensando a pochi attimi prima. Doveva ammettere che in fin dei conti l'appuntamento non era andato così male come temeva ...
cosa poteva chiedere di meglio?

 

Angolino di Maggio
eccooooooomi ANCORA qui col 18 cappy, per vostra sfiga, bhuaahaahahahahaah!!!
sì.
...
Mhhh, sinceramente non so se vi sia piaciuto o meno l'appuntamento, perché quando si tratta delle MarkxSuzette non so fare, ecco, io ... *arrossisce*
quindi se avete qualcosa da dirmi tipo un secco "potevano fare di più" o insomma, cose del genere, siete pregati di segnalarmelo, tanto credo abbiate capito un po' tutti che ci tengo molto a concludere questa storia per il meglio. *annusa un fiore*
E tengo molto anche al mio bellissimo Mark Kruger, aw ^\\\\\\^, ma non divulghiamo troppo ...
dunque, a parte questo, come vi è sembrato il capitolo?
Spero vi sia piaciuto almeno un po' (mi basta anche una piccola parte), se notate qualche distrazione, vi prego, ditemelo che correggo ...
bene, detto questo direi di filarmela.
Grazie a tutti!
Un bacio :*

Lucy

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Capitolo 19
*** Silvia è arrivata! ***


SILVIA E' ARRIVATA!

Erik prese un bel respiro, poi si massaggiò il collo. Presto avrebbe rivisto la sua migliore amica Silvia, e non c'erano parole per spiegare quanto fosse emozionato, quanta gioia provasse, quanto il suo cuore stesse battendo forte.
Basta dire che nel lasso di cinque minuti, era corso in bagno già dieci volte?
- Ecco qui. - Bobby uscì da un bar lì vicino con in mano tre bicchieri di Coca Cola, uno dei quali finì in mano al castano.
- Grazie ... -
- Prego! -
- Ah, che emozione ... - Erik si portò la cannuccia alla bocca e serrò gli occhi, lasciando che le bollicine della bevanda gli pizzicassero la lingua. Fin da piccolo, la Coca Cola lo aveva sempre rilassato nei momenti di tensione, tanto che agli esami di terza media si era bevuto di nascosto lattine dopo lattine. Perché non testarla anche adesso? - Come mai ne hai prese tre? - domandò, curioso.
Il difensore rise. - Una è per Silvia. Povera, dal Giappone agli Stati Uniti sono un po' di orette ... sarà esausta. -
- Oh, Silvia ... - mormorò l'altro, già pregustando il momento in cui la dolce Manager della Inazuma Japan, armata di valigie e sandali estivi, gli sarebbe venuta incontro con un meraviglioso sorriso intagliato in volto.
"Informiamo tutti i gentili passeggeri che l'aereo Tokio\Los Angeles-Los Angeles\Madrid, atterrerà fra pochi minuti."
Bobby sorrise e tirò una gomitata al castano, che per poco non vomitò Coca Cola dal naso. - Bobby, diavolo! - lo rimproverò, portandosi due dita sulle narici, sconvolto. - Attento! -
- Scusa ... forza, Silvia sta per arrivare, raggiungiamo l'aereo! -
- Ok ... -
I due ragazzi, determinati ad accogliere Silvia nel migliore dei modi, superarono una numerosa folla di passeggeri, poi raggiunsero la pista di atterraggio e si appartarono in un angolo, in attesa che l'aereo sbucasse fra le nuvole.
E finalmente, dopo tre, interminabili minuti passati a sorseggiare Coca, un bellissimo "volatile di ferro" dalle lunghe ali color oceano atterrò a poca distanza dai loro sguardi rapiti, toccando l'asfalto con il carrello.
Erik ebbe un brivido. Finalmente Silvia era arrivata.
Una volta che l'aereo trovò parcheggio, il ragazzo consegnò il bicchiere di Coca Cola a Bobby e, pazzo di gioia, si mise a correre verso il mezzo.
A neanche metà strada cominciò ad ansimare forte, ma in quel momento le sue condizioni non importavano.
Doveva vedere Silvia.
Il resto poteva aspettare.
Appena la scorse fra i passeggeri emise un grido di gioia e la prese al volo, poi se la strinse forte al petto.
- Erik, ciao! - la ragazza chiuse gli occhi e scoppiò a ridere, commossa. Non ricordava Erik così affettuoso, e lei amava quando si comportava in modo dolce, ogni volta che lo faceva si sentiva sciogliere come burro al sole.
- Silvia ... - sussurrò lui, annusandole i lisci capelli verdolini con espressione beata. - Silvia, sei qui ... -
- Erik! - la ragazza si sciolse dal suo abbraccio, poi gli sorrise raggiante. - Finalmente! Quanto tempo ... -
- Già! sembra passata un'eternità dal FFI ... dall' ultima volta che ci siamo visti ... - mormorò il castano, osservandola meglio. Arrossì lievemente. La dolce Silvia indossava una canottiera bianca, a fiori, e una gonna verde lunga fino alle cosce, con delle striscie a frufru. Ai piedi, invece, calzava ...
sorrise e scosse il capo.
Dei pacchiani sandali marroni.
Ormai la conosceva troppo bene, un po' se lo aspettava.
- Ehi, voi due! -
Erik si voltò verso la voce che li aveva interpellati e, con sua sorpresa, davanti agli occhi gli comparve un Bobby trapelato di sudore, che avanzava disperato verso di lui. - Erik Eagle! - urlò, indicando il nominato con rabbia. - La prossima volta che mi sfuggi così t'ammazzo! -
Silvia sollevò un sopracciglio, poi incollò lo sguardo su Erik. - Che hai combinato. - gli domandò, seria.
- Oh, te lo dico io che ha combinato! - sbraitò Bobby, raggiungendoli. - Appena l'aereo è atterrato è sfrecciato verso di te come un idiota! -
- Embé? - azzardò Erik, portandosi le braccia dietro il capo. - Tanto non passava nessun aereo. -
- Non è questo il punto, Erik! - esclamò il difensore, facendogli capire con sguardo acido e severo che il motivo principale del suo allarme non era un aereo in decollo, ma bensì la sua salute.
Il castano sospirò amaramente. In effetti, quando si era dato alla corsa, la fatica aveva cominciato a farsi sentire ancora. Forse era meglio che, nonostante la gioia, si desse un contegno.
Silvia si portò una mano al cuore. Della situazione non aveva capito nulla. Sperava solo non fosse successo qualcosa di grave. - Che succede? Perché vi fissate così? - domandò, confusa.
- Niente, Silvia. - le rispose Erik, scrollandosi di dosso il pensiero. - Cose fra noi. -
- Ah ... - mormorò la ragazza, ancora un po' indecisa. Perché la risposta di Erik non la convinceva proprio per niente?
- Beh, cara ... - Bobby le porse un bicchiere di Coca, poi sorrise, desideroso di farle sparire quel velo di confusione dagli occhi il più presto possibile. - ... sarai assetata. -
Silvia annuì, poi incollò le labbra alla cannuccia e lasciò che Erik si occupasse della sua valigia, che iniziò a trascinare pesantemente sul ruvido asfalto. - Ditemi, ragazzi, come stanno Mark e gli altri? -
- Mark sta bene ... - le rispose Bobby, retrocedendoli. - e gli altri pure ... tu? -
- Benone! -
- La Inazuma, invece? - domandò Erik, ripensando ai momenti in cui aveva avuto il piacere di giocare un po' con Mark Evans e i suoi fantastici compagni.
- Stanno benissimo! Sono molto felici di aver vinto il FFI. -
- Già, immagino ... - replicò Bobby, facendo una smorfia irritata. Non ce l'aveva con la Inazuma, per carità, ma avrebbe preferito che fosse stata la Unicorno a finire in finale.
Anche se, considerate le scarsissime doti degli americani, dubitava sarebbero riusciti ad arrivare così in alto.
Mano nella mano lui, Silvia, Erik e la scomoda valigia attraversarono la strada, poi raggiunsero Mac, che li aspettava appoggiato al suo pick-up.
- Ciao, Silvia. - la salutò, abbozzando un sorriso.
- Salve, è un piacere conoscerla! -
- Erik mi ha parlato molto di te. Secondo le sue teorie sei la Manager più brava del mondo ... -
La ragazza arrossì e dardeggiò all'amico un'occhiata carica di divertimento, che a sua volta finse di ammirare un uccello in volo. Sorrise e si strinse nelle spalle.
- Sono curioso di sapere se te la saprai anche con la mia Unicorno. - sbottò Mac, sistemando la valigia nel cofano. - Forza, tutti a bordo. -
I tre amici s'infilarono nel pick-up (Erik e Silvia dietro, Bobby davanti), poi l'allenatore della squadra americana azionò il motore e l'auto sfrecciò verso la sede della Unicorno, perdendosi fra i numerosi grattacieli della città.


Angolino di Maggio
Beh ...
e finalmente è arrivata Silvia Woods (Woods o Wuuds O.o?), la rovina più grande di Suzette ...
povero Erik, vorrei tanto entrare nella storia e salvarlo -.-".
Bene, come vi è sembrato sto cappy?
Spero vi sia piaciuto almeno un pochino e naturalmente, mi auguro anche di ricevere qualche vostro commento, anche misero, sapete che fa sempre piacere ...
ripeto, a tutte le fan delle ErikxSilvia (o insomma, a quelle poche che leggono di sfuggita sta fiction -.-): adesso potete stare tranquille ^^, ci saranno molti pezzi fluff fra loro.
Certo, ancora sono una principiante con quella coppia, e magari i loro momenti non li scriverò bene (bene. Adesso.) come quelli di Mark e Esther (aw, i miei figliocci(?)), ma prometto che darò tutta me stessa e mi impegnerò al massimo per portarli al livello della mia Crack <3.
Okay, detto questo vi mando un salutone ...
grazie per aver letto e per essere, un bacio!

Lucy

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Capitolo 20
*** Lotta all'ultimo capello! ***


LOTTA ALL' ULTIMO CAPELLO!

Silvia iniziò a bacchettare la punta della penna su un paio di fogli, l'espressione concentrata e gli occhi verde bosco incollati al testo. Da quando era arrivata, Mark l'aveva pregata di provare ad essere loro manager, e in quei due giorni si era molto divertita ad allenare ed incitare entrambe le squadre.
La Tripla C, nonostante l'agilità nei movimenti e l'ottimo potenziale, era quasi impossibile da gestire, ma d'altronde un po' si era aspettata che Suzette le mancasse di rispetto. Non erano mancate dimostrazioni di gelosia nei confronti di Erik, infatti, alcune anche banali; non gli poteva fare un complimento che subito quella gli si agganciava al braccio come una seppia, e Mark, naturalmente, dietro di lei a perdere tempo.
Esatto, si era accorta anche di quello.
A forza di ammirarli, si era resa conto che in campo prevaleva l'amore, e non l'allenamento.
Meglio! Di calcio ne aveva abbastanza, a forza di osservare la Inazuma.
Sorrise maliziosa, poi cerchiò il nome di Esther con la penna e scosse il capo. Il più delle volte aveva avuto come la strana sensazione che quella bravissima difensora dai capelli mori e dal seno fin troppo generoso si struggesse parecchio per Mark, ma magari era solo una sua illusione.
Il problema era che lui, pazzo di Suzette, non se la filava proprio.
Per non parlare di Hellen e Bobby, dolcissimi su tutti i fronti: tutte le volte che li guardava, o ridevano o parlavano fitto, e il loro allenamento straboccava di abbracci e complimenti. Una coppia D.O.C, come si osa dire.
S'incupì e segnalò più volte il nome di Michael, congiungendolo a quello di Dell con una freccia. Nonostante l'armonia delle altre coppie, loro erano un caso completamente opposto. Seppure avesse notato qualche sguardo ammiccante, la cosa finiva lì. Lei tendeva ad allenarsi da sola, e lui a prenderla in giro e a credersi il miglior ballerino di tutti i tempi. Insomma, lei era una dura su tutti i fronti, lui ... un sexy provocatore.
E che dire di Daisy e Dylan? Si vedeva a milioni e milioni di chilometri di distanza che lei lo adorava.
E che lui, ahimé, non la guardava neanche un po'.
D'improvviso uno scricchiolio la fece sobbalzare. Si alzò dalla sedia e allungò il collo, curiosa di sapere chi fosse a quell'ora di notte, e quando intravide un paio di dolci occhi neri sorrise e si lasciò sfuggire un sospiro sollevato.
Era solo Erik.
- Ciao, Silvia. - la salutò lui, sorpreso di vederla sveglia così tardi. - Che combini? -
- Facevo un resoconto generale di voi ragazzi e la Tripla C. - gli spiegò la Manager della Inazuma, osservandolo dirigersi in cucina, aprire il frigo e servirsi un bicchiere d'acqua fredda. Lo guardò negli occhi. Erano dolci, sì, ma fin troppo seri. - Stai bene, Erik? - gli domandò, un po' preoccupata.
- Sì, ho solo sete. - il castano si portò il bicchiere alle labbra, poi iniziò a scolarselo in fretta. - Come mai mi fai sta domanda? Mi vedi strano? -
- Sì ... sei ... - Silvia assottigliò lo sguardo. - ... pallido. -
Erik appoggiò il bicchiere sul tavolo, poi sospirò amaramente e si passò entrambe mani sul volto, sconvolto dalla notizia. Grandioso, ci mancava solo che la sua migliore amica Silvia venisse a scoprire che l'incidente aveva ripreso a minacciarlo sia internamente che esternamente. La cosa che voleva evitare più di tutte, infatti, era di agitarla.
Se ciò fosse accaduto, non solo l'avrebbe sconvolta, ma lui e la Unicorno non avrebbero potuto partecipare al torneo di metà luglio, e solo Dio sapeva quanto tenesse a sfidare i suoi coetanei di Las Vegas, New York, Baltimora o Seattle che sia.
Poi, anche se forse era meglio lo facesse, non aveva ancora detto nulla a Mark. Magari aveva ragione Bobby, magari era solo un malore che, con la giusta dose di medicinali, sarebbe scomparso di lì a poco. - Deve essere la stachezza. - azzardò, sorridendole in modo dolce.
- Già, sicuramente è così: negli allenamenti ci dai dentro! Sei bravissimo! Ci tieni molto a diventare un calciatore professionista, eh ...? -
- Certo. - il ragazzo fu lieto di vederla cambiare atteggiamento, e ciò rasserenò anche lui. Chissà perché, il carattere dell'amica riusciva a condizionare anche il suo. - Forse non ti sei accorta che, insieme a Mark, sono il migliore. -
Silvia rise, poi gli tirò una spallata maliziosa. - Dì, signor "Mago del pallone", piuttosto ... sei riuscito a calmare la gelosia di Suzette con uno dei tuoi meravigliosi baci? -
Erik sgranò gli occhi. Da quando era arrivata Silvia, Suzette era diventata ancora più appicicosa di quanto già non fosse, e quando gli saltava addosso Mark si trasformava da dolce ragazzo americano gentile e altruista a tedesco irritabile, geloso e dannatamente severo.
Probabilmente l'appuntamento con la sua "presunta" fidanzata era stato molto più di un semplice discutere fra leali Capitani, e Esther per difenderlo aveva avuto la bella faccia tosta di mentirgli senza pietà, ma di questo lui se ne infischiava. Suzette poteva stare con chi voleva, quando voleva e come voleva, perché fino a quando il suo cuore avrebbe continuato a battere per Silvia non ci sarebbero stati problemi. - No, quella è una bestia, l'unico che riesce a farla ragionare è Mark ... ma neanche ... - sbottò, incrociando le braccia al petto.
- Già ... - la ragazza arrossì lievemente. - ... credo mi odi ... -
- Silvia, non stare in pensiero per questa cavolata: Suzette è così possessiva con me, che se la commessa mi chiedesse "hai la Smac?", probabilmente lei gliela farebbe ingoiare, quella povera carta di credito ... -
Silvia rise, immaginandosi la scena. - Erik ... - lo guardò profondamente negli occhi. - lo sai che mi sei mancato tanto, vero? -
Il castano le strinse una mano, poi le passò due dita sulla gota destra e l'abbracciò forte a sé, come non faceva da tempo. - Silvia ... non sai da quanto sogno sto momento ... - mormorò, massaggiandole la magra schiena con una mano.
- Erik, pure io avevo bisogno di vederti, e non sai quanto ... - la ragazza si sciolse dall'abbraccio, poi gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle. - anche se starò qui solo per una settimana e sono già volati due giorni, custodirò questi bellissimi momenti come fossero gli ultimi ... -
- Perché forse lo saranno. - replicò Erik, rendendosi conto più tardi di ciò che aveva appena spifferato.
Silvia alzò un sopracciglio. - Che intendi dire? -
- Ahm, intendevo dire che ... che ...! - Eagle si portò una mano fra i capelli e scoppiò a ridere, cercando di inventarsi al più presto una scusa logica e razionale per convincere l'amica a ricredersi. - Intendo dire che ... magari in futuro i costi per il biglietto aereo si alzeranno, e non so se potrai permetterti di venirmi a trovare. - mentì, tingendosi le gote di un intenso rosso pomodoro.
- Ah ... - la ragazza ridacchiò divertita. - ... era solo questo! -
- Sì ... sì, certo, solo questo, che ti fa pensare che ci sia dell' altro? -
Silvia gli poggiò l'indice sul naso, minacciosa. - Il tuo carattere. - disse, levandosi automaticamente il sorriso dalle labbra. - Riconosco quando menti, ti massaggi sempre il capo. Dimmi la verità, Erik. Sono la tua migliore amica. C'è qualcosa che non va? Devo preoccuparmi? -
- I biglietti aereo, te l'ho detto! - esclamò Erik, fingendosi sorpreso dalla richiesta dell'amica. - Ma come al solito tu ragioni come Mark: pessimismo al massimo, eh ...? -
- COSA CI FATE VOI DUE SOLI SOLETTI, AL BUIO!? - strillò una terza voce, probabilmente proveniente dall'ingresso della mensa.
Erik trasalì, si strinse nelle spalle e rivolse una rapida occhiata alla figura femminile stagliata davanti alla porta.
Deglutì e cercò la mano di Silvia per confortarsi.
Una Suzette fuoco e fiamme stava lì, in piedi davanti alla porta, lo sguardo assassino e i pugni stretti. - Erik, tesorino!? Pensi di darmi delle spiegazioni, dico bene?! -
- Sì, ceeeeeeerto Suzettina cara ... - mormorò il castano, sorridendo per sdrammatizzare. - Io e Silvia stavamo discutendo di ... -
- Di pessimismo! Questo già lo so! - sbraitò l'azzurra, avvicinandosi a loro con passo violento, gli occhi argentei attraversati da pure scariche di odio.
- Esatto, di pessimismo. - aggiuse Silvia con pacatezza, al contrario del povero Erik che, agitato, si stava mangiando le unghie. - E' un problema? -
- Sì che è un problema, non posso essere gelosa del mio orsacchiotto!? -
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. - Suzette, ti prego ... -
- Zitto tu! Ti farò causa! -
- Suzette, ma che stai dicendo, ragiona prima di parlare ... - le fece notare Erik, trattenendo una risata. A volte Suzette suoleva essere molto comica, e la cosa buffa era che nemmeno se ne accorgeva. Ridicolo, no?
- Io ragiono prima di parlare, sei tu che non hai gusto nel distinguere le ragazze carine da quelle sfigate! -
- COSA!? - Silvia si tinse il volto di verde, diventando tutt'uno col pigiama. Solitamente si comportava da buona samaritana anche con i più acidi, come Kevin o Axel, ma se qualcuno osava darle della "sfigata", allora erano tuoni e fulmini. - Non ti permetto di prendermi in giro in questo modo, oca! -
- Oca a me?! - s'indicò Suzette, battendo gli occhi più volte e spalancando la bocca, meravigliata. - Ma senti la povera Silvia, lo so che mi invidi! -
- Oh, no, io non ti invidio affatto, cara, io ti DISPREZZO. -
La dodicenne strinse i pugni e le puntò l'indice contro, iniziando a scaldarsi. - No, tesoro, ammettilo! E' tutta invidia, tutta invidia, e siccome mi trovi splendida cerchi di rovinarmi la vita portandomi via Erik! Ma io non ti permetterò di farlo! Ho le unghie, e le so usare! -
- Pure io le so usare, pensi non abbia un lato malefico!? - ringhiò Silvia, difendendo la sua ingenua e spensierata dignità.
- Ah, hai un lato malefico ...? - Suzette scoppiò a ridere. - Pensavo fossi solo un'inutile mammina che corre dietro a Evans, un altro idiota su tutti i fronti ... -
- Ah, sta zitta, che tu corri dietro a tutti! -
- Cos ...! - l'azzurra s'incendiò di rabbia e le afferrò violentemente i capelli, poi la buttò a terra.
Erik sgranò gli occhi e preferì tenersi da parte. Quella era una scena troppo bella, se avesse avuto il cellulare a portata di mano le avrebbe filmate di certo.
- Ma chi ti credi di essere! - esclamò Silvia, avvinghiandole un ginocchio e facendola rovinare a terra, per poi montarle sopra e cominciare a tirarle furiosamente ogni singolo ciuffo color ciano che le si parasse davanti.
- Lasciami stare! - si lamentò Suzette, agguantandole il collo e così dando inizio ad una inutile lotta all'ultimo capello.Il castano sbiancò in volto.
- Oh, cavolo ... ragazze, vi prego, non fatevi del male ... - le scongiurò, aggrottando le sopracciglia, poi, vedendo che la situazione non sarebbe migliorata, corse a chiamare Mark.

Per fortuna lo incrociò sulle scale.
- Erik! - abbaiò il biondo, per niente rilassato. - Cercavo proprio te! La finisci di fare casino sì o no!? Sono le due di notte, vorrei dormire, domani ci aspetta ... -
Erik scosse le spalle con aria menefreghista, poi afferrò il biondo per un polso e lo trascinò in mensa, incurante dei suoi costanti imprechi. - Mark, ti supplico, smetti di lamentarti e aiutami a dividerle ... - gli ordinò, con sguardo angelico.
Il Capitano della Unicorno, nel vedere Suzette e Silvia tirarsi "felicemente" i capelli, spalancò la bocca. - Oh, per tutti gli unicorni volanti ... - mormorò, la gola secca e le stanche iridi celesti sgranate a causa di ciò che stava osservando.
- Senti, se non facciamo qualcosa li vedranno loro, gli unicorni! Aiutami a dividerle, io mi occupo di Silvia, tu di Suzette, dato che ti piace tanto! -
Mark lo guardò intensamente, sorpreso da tali parole, ma ora non c'era tempo per pensare a ciò che gli aveva appena concesso Erik: dovevano separare quelle due, prima che una di loro rimanesse pelata. Insieme si diressero verso le ragazze, poi Mark agguantò le magre spalle di Suzette e la tirò indietro, mentre Erik si occupò di trarre in salvo la sua amata Silvia.
- Stupida deficente, guarda che hai fatto ai miei capelli! - sbraitò l'azzurra, cercando di dimenarsi, ma il biondo drizzò i muscoli delle spalle e l'abbracciò con forza, impedendole di riversarsi addosso alla vittima. - Suzette, diamoci una calmata. - le sussurrò, senza lasciarla neanche un attimo.
- DIAMOCI UNA CALMATA, MARK!? E' LEI CHE HA COMINCIATO! -
- Bugiarda! - trillò Silvia, lo sguardo disperato e le labbra tremanti di rabbia. - Sei tu che hai cominciato la lite! -
- Suzette, hai fatto questo?! - la rimporverò Mark, allentando la presa per permetterle di voltarsi a guardarlo.
- Ma che fai, mi tratti da bambina?! -
- No, ma sono il Capitano della Unicorno, e come tale ti proibisco di riversarti sulla nostra Manager! -
Suzette lo guardò, sbalordita e sconcertata al contempo. Le costava ammettere che, per quanto la tensione fosse alta, Mark pesto di rabbia era qualcosa di veramente stupendo. Sospirò e appoggiò malamente il capo sulle sue spalle, poi scoppiò in un pianto senza sosta.
Silvia si portò le mani al cuore e si addentò il labbro inferiore, un po' risentita. Forse aveva sbagliato a rincarare la dose della litigata, lei non si era mai spinta fino a quel limite. Insomma, non era mica Nelly. Si scrollò di dosso Erik e la raggiunse, poi le poggiò una mano sulle spalle. - Suzette ... -
L'interpellata spinse via Mark e si voltò verso la sua nemica mortale, infuriata. - Che vuoi, sfigata! -
La Manager chiuse gli occhi e contò fino a dieci per trattenere un bel pugno in faccia. Adesso sì che la odiava. - Allora, prima smetti di chiamarmi sfigata, oca. -
- OCA?! LA FINISCI!? SEI SOLO INVIDIOSA!
- Ehi, ehi, piano ... - s'intromise Mark, rimproverando Suzette con sguardo saggio e maturo. - calmati, piccola. E trovate un modo per fare pace. -
- Appunto. - sbottò Silvia, tendendo una mano verso Suzette. - So di aver esagerato, scusami, deve essere lo stress ... ma vedi, non ci ho visto più quando ... -
- DIREI! -
- Ok, ok ... senti, "miss Violenza", lascia perdere. - si arrese Silvia, ritraendo la mano e dirigendosi verso Erik a passi pesanti. - Ancora mi chiedo come Erik faccia a sopportare una come te ... -
Il castano arrossì livemente e abbandonò il capo di battaglia, imbarazzato.
- Non nominare il mio ragazzo, stupida! -
- Ma non ti accorgi che ...! -
- Sta zitta, scema, cosa ne puoi sapere di cosa c'è tra noi! -
- STOP! - urlò d'improvviso Mark, superando il limite della pazienza. Lui era sempre stato un ragazzo calmo e ragionevole, ma quando la gente esagerava tendeva ad esplodere spesso. Afferrò i polsi di entrambe le ragazze, poi unì le loro mani, scocciato. - Non vi rendete conto che state litigando per ... una cosa inutile?! Suzette, smettila di crederti la più bella del reame, e tu, Silvia, datti un po' di contegno! - le rimproverò, con tono serio e intelligente. - E adesso fate immediatamente pace, forza! -
- Mark! - esclamò l'azzurra, guardandolo delusa.
- Suzette, non guardarmi così, sono il Capitano, e ti ordino immediatamente di fare pace con Silvia. - le spiegò Mark, addolcendosi come un amaro té baciato da deliziose zollette di zucchero.
- Anche io sono il Capitano, e solo perché sei uomo questo non vuole dire che tu abbia più autorità di me, Mark! - gracchiò Suzette, levandosi di dosso la mano calda di Silvia, che la fissava impietrita. - Quindi no, non farò pace con lei, e adesso me ne vado! -
Mark aggrottò le sopracciglia e la lasciò andare, poi guardò in basso, dispiaciuto.
- Mark, ascolta ... -
- Silvia, non farlo più. -
La Manager arrossì e si sistemò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio, il tutto sotto lo sguardo vigile e protettivo di Erik, che le infondeva calore da lontano. - Ma certo, Capitano. - disse, annuendo. - Ho perso il controllo di me stessa, mi sarei dovuta trattenere alle sue provocazioni. -
- Esatto. Quindi, dato che Suzette è una testa calda, sarai tu a fare il primo passo. - Mark si carezzò il collo, distrutto. - E la prossima volta che ti comporti in modo scorretto, ne pagherai le conseguenze. - disse, serio, poi si allontanò di qualche passo.
- Ma ...! Mark, Capitano, non sono stata io a dare il via alla lite, lei mi è saltata addosso e ...! -
- Basta, non m'importa chi è stato e chi non è stato, da oggi in poi vi dovrete imparare a comportare con correttezza, fine della storia. - aggiunse Mark senza lasciarla finire di parlare, per poi ritirarsi in camera a passi rapidi e stanchi.
Silvia sospirò e si nascose il volto fra le mani, sentendosi accusata di tutto. Ammetteva che in parte era stata colpa sua, ma anche Suzette aveva dato la sua dose di scleri. - Oddio, Mark mi odia, mi odia, mi odia ... - si disse, angosciata.
Erik le strinse una mano, facendola sentire al sicuro, poi l'abbracciò di slancio e affondò il naso fra i suoi capelli profumati. - No che non ti odia, Silvia, che dici ... ok, lo ammetto, quando Mark s'arrabbia c'è da scappare, credimi, io e lui abbiamo litigato tantissime volte, ma vedrai che gli passerà. Anzi ... sono sicuro che ha sostenuto Suzette solo perché l'adora. Se fosse stata qualcun'altra, avrebbe difeso la tua tesi. -
- Dici sul serio? - domandò Silvia, cercando di trattenere le lacrime.
- Sì, sì, è solo per quello, non ti preoccupare. Per me sei stata grandiosa ... -
La ragazza sorrise debolmente, poi si spinse contro il petto dell'amico per cercare riparo dalla tristezza. - Suzette domani mi uccide. -
- Non credo che Mark glielo lascerà fare. -
- Già ... - la Manager della Inazuma cercò di levarsi il pensiero di dosso. Fra lei e Suzette c'era sempre stata un'aria di rivalità, non poteva che farle fin troppo bene essersi finalmente dimostrata una ragazza coraggiosa e aggressiva.
- Dai, oggi è stata una giornata lunga ... e violenta. - osservò Erik, lanciando un'occhiata sfuggente all'orologio, che segnava le 2:30 di mattina. - Andiamo a dormire. -
Silvia si stiracchiò con voglia, poi raccolse i suoi appunti dal tavolo, stanca. Quella lotta all'ultimo capello le aveva esaurito le energie, meglio se si appisolava. - Sì ... buonanotte ... -
- Notte, Silvia. - le sorrise Erik, dolce, per poi controllarla salire le scale. - Una cosa! Con chi condividi la camera? -
- Con Hellen! - replicò la ragazza, per poi scomparire inghiottita dal buio. Sperava solo con tutto il cuore che domani le cose si sarebbero risolte per il meglio, che Mark avrebbe capito chi stava dalla parte del torto e chi dalla parte del giusto e che Suzette avrebbe smesso di di fare la cretina.
E il primo Luglio ormai era arrivato.


Angolino di Maggio
"- Suzette, non guardarmi così, sono il Capitano, e ti ordino immediatamente di fare pace con Silvia. - le spiegò Mark, addolcendosi come un amaro té baciato da deliziose zollette di zucchero."
WTF?!
ZOLLETTE DI ZUCCHERO!?
Come mi è potuta venire in mente una schifezza simile!? *confusa*

O.o ... okkkkkkkkeeeeeeiiii ...
non dico nulla, non dico nulla ...
oggi sono sclerata :3.
Allora, come vi è sembrato sto cappy? Come penso abbiate capito tutti, è solo uno di passaggio, perché l'inizio serviva solo per fare un attimo il punto della situazione sulle coppie.
Premetto che io mi sono divertita UN MONDO, a scriverlo, è stato divertentissimo! Specialmente il pezzo dove Silvia e Suzette se le danno di santa ragione X\\\D!
Madonna, che goduria, sul serio, mentre cliccavo i pulsanti del computer ridevo! *e s a u r i t a*
Ditemi, voi tifavate per Silvia o per Suzette?
Sarei curiosa di saperlo!
Bien, credo di aver detto tutto ...
Ora vi lascio, che devo preparare il giorno dell'indipen...! *Gianluca le tira un cuscino in faccia, facendola cadere sul divano*
Gianluca: smetti di spoilerare ogni volta! Così rovini la sorpresa! *irritato*
Io: ma tanto i lettori non sanno che accadrà, quindi fino ad ora i miei inutili spoiler non stanno servendo a nulla ^w^!
Ok, ora vi lascio sul serio, che, lo sento, quel cappy non sarà roba facile ...
adios

Lucy

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Capitolo 21
*** Erik Eagle a chi cucina l'aragosta migliore! ***


ERIK EAGLE A CHI CUCINA L'ARAGOSTA MIGLIORE!

- "Lama d'Energ ...!" - non riuscì a terminare Esther che Mark, con una potente scivolata, le tolse immediatamente la palla dai piedi, facendola ruzzolare lontano. - Ah, dai, Mark! Ti odio! - sbottò la ragazza, delusa dalle sue scarse prestazioni.
- Dai, non è colpa tua: - il biondo raccolse il pallone con entrambe le mani, poi se lo poggiò davanti ai piedi e iniziò a compiere una serie di brevi palleggi per mantenersi in allenamento. - semplicemente tu sei femmina e io maschio. -
- Cos ...! - la mora sgranò gli occhi, sorpresa e infastidita da tali, inascoltabili parole. - RAZZISTA! - esplose, spingendolo all'indietro con rabbia, l'espressione offesa e le labbra curvate dalla delusione. - Se è questo che pensi di noi ragazze, sei solo un inutile maschilist ...! - la sua voce acuta e stridula fu interrotta dalla meravigliosa risata dell'americano, che le abbracciò i timpani delle orecchie in una deliziosa melodia rigenerante, facendola sentire subito meglio.
- Oh, andiamo, dolcezza, scherzavo! - replicò, passandole la palla con sguardo divertito e colmo di sarcasmo. - Lo so che sei una tipa in gamba. -
Esther la prese di petto, poi la fece cadere a terra e rifletté sulle ultime parole dell'amico. - Questo non ti salverà ugualmente dalla punizione, Mark. -
- Punizione? - il biondo sollevò un sopracciglio, confuso. - Quale puniz ...! - non riuscì a concludere che il pallone, perlopiù avvolto da uno strano e sospetto bagliore color cremisi, gli si riversò contro l'addome, facendolo ribaltare all'indietro. - Agh, Esther ...! - gemette, affondando le dita fra l'erba verdeggiante del campetto per placare un lancinante dolore alla pancia.
- Ops! Scusa, Mark! - esclamò l'altra, fingendosi allarmata. - Il tiro non era assolutamente progettato per distruggerti, no no! -
- Già ... - sbottò il Capitano della Unicorno, tirandosi a sedere. Nonostante l'intenso dolore all'addome, la sua eterna curiosità ora non poteva non domandarsi come mai il pallone, pochi secondi prima che gli si scaraventasse contro, era stato avvolto da una luce misteriosa.
Lo prese con entrambe le mani e gli incollò lo sguardo addosso, cercando di trarne qualche logica conclusione scientificamente approvata. - Esther ... - le disse, rialzandosi e passandole la palla con debolezza. - Ti prego, buttami ancora a terra. -
Esther lo guardò incredula. - Mark, mi prendi in giro?! Non posso farti ancora del male, mi conosco, quando calcio un pallone non scherzo mica ... -
- Esther. - Mark la fissò con sicurezza, infondendole il coraggio necessario a ricompiere su di lui la violenta azione di pochi attimi fa. Se il suo cervello non era stato ingannato da un qualche riflesso solare, la luce color crema che aveva avuto il piacere di valutare con ingegno non poteva essere che il semplice sbocciare di una tecnica speciale. - Fallo ancora. -
La mora scosse il capo, rifiutandosi di "ferire" l'amico. - No, Mark. Smetti di ... -
- Fallo, Esther. - le impose Mark, stringendo i pugni e gonfiando il petto per farla sentire a suo agio. - Fallo, voglio solo accertarmi di ...! - non riuscì a spiegarle che la palla, rapida, lo colpì in pieno addome, sempre avvolta da quel misterioso fascio color crema.
L'americano gemette e cadde in ginocchio, le braccia premute sulla pancia e il volto trafitto da pura sofferenza.
- Mark, ti ho fatto male?! - si preoccupò Esther, venendogli incontro e aiutandolo ad alzarsi, per poi abbracciarlo affettuosamente e affondargli il naso parigino sulla spalla destra. Odiava vederlo lanciare smorfie di dolore a destra e manca, perché si sentiva la coscienza macchiata di un reato indelebile.
Era suo amico, in fin dei conti, e finché rimanevano nello scherzo ci poteva anche stare, ma non bisognava mai alzare troppo il tiro.
- Sì, mi sono fatto male ... -
La ragazza gemette e lo guardò dispiaciuta.
- ... ma non è questo il punto, cucciola. - mormorò Mark, arricciandole un boccolo di capelli con l'indice per rassicurarla.
- Spiegati meglio ... -
- Vedi, quando mi hai lanciato addosso il pallone per la prima volta, ho notato che era avvolto da una strana luce gialla opaca ... -
Esther assunse l'aria più confusa e stupida che mai avesse osato creare in tutta la sua vita, facendolo ridere. - Luce gialla opaca? -
- Sì! All'inizio pensavo di avere le allucinazioni, ma quando mi hai quasi trapassato la pancia per la seconda volta, l'ho vista di nuovo. Sai che vuol dire tutto ciò? -
- ... non ne sarei sicura al cento per cento, ma ... -
Mark le poggiò una mano sulla spalla, poi la scosse dolcemente, orgoglioso di lei e del suo prodigioso miglioramento da quando era sbarcata negli Stati Uniti. - ... che l'allenamento che stiamo facendo sta dando i suoi frutti, e che ... sei sulla strada giusta per imparare una nuova tecnica speciale. -
La difensora sgranò le iridi e lasciò che il tepore della morbida mano dell'amico le riscaldasse tutto il petto, poi si decise a parlare, ancora un po' emozionata. - Intendi dire che, oltre all' "Aroma Ammaliante", alla "Lama d'Energia" e al "Tiro della Cometa" io ... io potrei ... -
- Esatto! Dobbiamo lavorare sodo su questa misteriosa tecnica, però, quindi da oggi in poi il nostro modo di allenarci sarà incentrato più su te che su me. -
Esther annuì, decisa. - Ma certo! Mi aiuterai, vero ...? -
- Ehi ... ho detto "dobbiamo", non "devi" ... - la fece ragionare Mark, sorridente e altruista. - Fino a quando avrai bisogno di me, io sarò qui a darti una mano. -
- Oh, lo so che lo farai, grazie, sei uno stupido orsacchiotto! - esclamò la ragazza, saltandogli al collo e stringendolo forte a sé. Mark sorrise e si lasciò stritolare affettuosamente, godendo di tutto quel delizioso affetto che, alla fine di tutto, non avrebbe mai più potuto assaporare.
Smise di sorridere.
Per un bellissimo istante aveva dato per scontato di affezionarsi a lei, ma ormai non ci poteva fare nulla: le voleva troppo bene per riuscire ad evitarla.
Cosa avrebbe fatto, cosa le avrebbe detto il fatidico giorno del trasloco a New York?
- Mark! -
L'americano sembrò risvegliarsi da un sogno. Si sciolse dall'abbraccio e si voltò verso chi l'aveva chiamato, confuso.
Erik lo raggiunse con una corsa, poi si fermò di fronte a lui e riprese fiato. - Mark, Silvia e Suzette stanno litigando ancora, ma, MA, ma ... è stata Suzette ad attaccare, ti posso assicurare che lei ... -
- Sì, lo so. - replicò Mark, annuendo. Come poteva pretendere pura vendetta da una ragazza dolce e tenera come Silvia? Di certo la più forte fra le due era Suzette, e questo un po' se lo era immaginato. Quindi sicuramente quel dì era stata l'azzurra la prima a fendere l'aria con gli artigli. - Adesso ci penso io. -
- Mark, posso fare qualcosa per aiutarti? - domandò Esther, disposta a dargli una mano a qualunque costo.
- No, piuttosto continua ad allenarti sulla tecnica speciale. Arrivo subito. -
La difensora corrucciò le labbra, ad ogni modo ubbidì agli ordini e riprese a fare allenamento.
Erik, seguito a ruota da Mark, raggiunse la zona in questione, dove le due litiganti se le dicevano di tutti i colori.
Il biondo sgranò gli occhi. - Ok, praticamente quello che vi ho detto ieri sera non è contato nulla, per voi! -
- Per me sì, Capitano! - esclamò Silvia, guardandolo con fedeltà e ritirandosi dalla scena.
Mark portò gli occhi su quelli di Suzette, cercando di rimproverarla, ma le parole gli morirono in gola.
Trasalì di piacere.
Il modo in cui lei lo fissava gli piaceva da impazzire, ma non poteva assolutamente iniziare a perdere la testa. Tentò di mantenere il controllo di sé stesso, cercando di non perdersi fra quegli spruzzi argentati che le circondavano la nera pupilla. - E te ...? - le domandò, indicandola col mento. - Vuoi che chiami l'allenatore? -
- Ci prova col mio ragazzo, Mark! - sbraitò Suzette, disperata.
Silvia strinse i pugni, addirittura facendo scricchiolare le dita. Lei era venuta negli States per Erik e Bobby, sì, ma non di certo per giocare a fare la sgualdrina. La frase di Suzette la ferì molto. - Non ci provo col tuo ragazzo, solo è il mio migliore amico, cos'è, non posso neanche parlargli?! -
- No, a dire il vero no! Lui è solo mio! -
Erik cercò di darsela a gambe, ma Mark lo afferrò per un polso, infrangendo i suoi sogni.
- Non ti muovi di qui, tu. - gli impose, divertito.
- Uff ... -
- Silvia, ti propongo una sfida! Chi vince, si prende Erik! -
La frase di Suzette obbligò tutti a smettere di fare allenamento e a circondarla curiosi. Eh sì, quanto si trattava di sfide e amore non c'era uno che osava farsi i fatti propri.
Specialmente se di mezzo c'era uno stimato e conosciuto giocatore del calibro di Erik Eagle.
- Sfida? - domandò Michael, sollevando un sopracciglio. - Di ballo? Come Step Up, tipo? -
- Oh, Michael, cosa centra ora il ballo!? - ringhiò Dell, tirandogli una gomitata fra le costole.
- Allora è ... - Dylan sorrise malizioso. - una sfida a chi scop ...! -
- SHUT UP, DYLAN, PLEASE! - tuonò Mark, coprendogli la fine della frase con voce pesante e potente. - Sei un cafone, Dio! -
- Scusa, non è una cattiva idea, in fondo ... insomma, a me piacerebbe far ... -
- Dylan, ascolta ... - Mark lo prese in disparte, imbarazzatissimo. Odiava quando il suo migliore amico gli faceva fare quel genere di figure. Perché poi la colpa cadeva ugualmente su di lui. - ... perché non vai a prenderti qualche "Donuts"? Eh? Tieni, ti do un po' di dollari, mh? Che ne dici? -
- Mark, tu davvero pensi di liquidarmi in questo modo. - replicò Dylan, afferrando i soldi con sguardo secco e per niente motivato.
Mark fece per tentare di convincerlo, quando il ragazzo con gli occhiali scoppiò a ridere e gli tirò un'amichevole pugno sulla spalla per sciogliere la tensione. - Ahah, ci sei cascato! Ovvio che ci vado, che domande! -
- Che domande, già ... eheh ... -
- Daisy, vuoi venire con me? -
Daisy smise di confabulare con Hellen e si voltò verso Dylan, poi sollevò le spalle con sguardo dubbioso. - Dove? - domandò, curiosa.
- A comprare un po' di ciambelle! -
- Oh, sì, certo! -
I due ragazzi salutarono Mark e si avviarono al centro commerciale, motivati a ingozzarsi di ciambelle ripiene di una qualsiasi schifezza.
- Ciao, sì ... - sussurrò il biondo, fingendo un sorriso, poi ritornò in mezzo alle due litiganti, tentando di farle ragionare insieme a Erik.
- Una sfida a chi dorme di più! - schioccò le dita Hellen, sorridente.
- Una sfida a chi cuce prima un cappello? - obbiettò Bobby, stringendosi nelle spalle.
- Una sfida all'ultimo bacio, deve essere sicuramente così! - propose Esther, già immaginandosi lei e Mark stesi su un morbido divano, in mezzo a deliziosi cuscini a forma di gelato, labbra contro labbra e corpo contro copro, con un film in bianco e nero alla TV a bassissimo volume per impedire che le voci degli attori interrompessero il rumore delle loro bocche staccarsi e appiccicarsi.
Rabbrividì e scacciò il pensiero.
Che le prendeva?
Non era il momento di immaginare simili sciocchezze. Lei e Mark erano solo amici, anche perché lui, avendo gli occhi solo per Suzette, la considerava solo come una bella ragazza con cui parlare e perdere tempo.
Sospirò e inchiodò gli occhi per terra, poi li serrò. - Insomma, l'importante è che evitate di strapparvi i capelli. - aggiunse, scuotendo miseramente il capo.
- Beh, allora vorrà dire che faremo una sfida a calcio! - sbottò Suzette, fulminandola con sguardo irritato.
Silvia storse le labbra, rifiutando la proposta. Da piccola se la cavava con il calcio, ma dopo l'incidente di Erik le sue abilità calcistiche sembravano come svanite nel nulla. - No! Suzette, mi dispiace, non posso accettare una cosa simile, non so giocare! -
- Allora ... una sfida in cucina! -
Esther sorrise. - Cucina? Sembra interessante! Come pensate di gestirvi? -
Suzette alzò una mano in cielo, portando il silenzio fra i giocatori. - Semplice: chi cucina l'aragosta migliore per un ragazzo fico entro un tot. di tempo si tiene Erik! Non è ammessa la ritirata, sfigata! -
Silvia strinse i pugni. - Ok, accetto la sfida, oca blu! Ma io cucino per Erik! -
Suzette arrossì selvaggiamente, poi mostrò i denti, gelosa. Lei e Erik erano una coppia, come mai adesso lui, la sua metà, la sua stella più brillante, la sua luce, il suo sole, il suo angelo custode (secondo le sue convinzioni), si alleava col nemico? E' vero, ora anche Mark stava iniziando a far breccia nel suo cuore, ma questo non toglieva il fatto che il castano rimanesse suo marito. Meditò per qualche secondo, poi iniziò a spintonare il Capitano della Unicorno per le spalle. Non avrebbe perso. Di tutto per sconfiggere Silvia e convincere Erik a ricredersi sul suo conto. - E io mi prendo Kruger! - dichiarò, orgogliosa della scelta.
L'americano arrossì e cercò Esther con lo sguardo, disperato e felice al contempo.
Quest'ultima alzò il pollice e gli fece un bellissimo occhiolino per rassicurarlo. Non le andava di fare la vipera gelosa, adesso. Era il momento di gloria di Mark, mettendo su il muso avrebbe rovinato tutto. E teneva troppo a lui per battere i piedi a terra, stringere le labbra, staccare un albero dal suolo e lanciarglielo addosso, anche se, considerata la sua forza brutale quando si arrabbiava, magari forse ce l'avrebbe anche fatta. - Buona fortuna! - gli augurò, sorridente.
Suzette la fissò per qualche istante, confusa, poi ritornò a beffeggiarsi di Silvia. - Bene, ora che le coppie sono state stabilite, preparati a perdere, sfigata! -
- No, preparati tu, a perdere, oca spennata! - sbottò Silvia, indicandola con un sorriso di sfida dipinto in volto. Le costava molto ammetterlo, ma a prendere in giro quella pazza si stava divertendo un mondo, e la cosa più buffa era il 'soggetto' per cui si stavano giurando morte da ormai quattro giorni. Erik Eagle! Ridicolo!
Certo, persino lei col tempo aveva ammesso di provare un certo interesse per lui, ma tanto, anche se avesse vinto la gara di cucina, il ragazzo sarebbe rimasto sempre e comunque dell'oca, inutile mettersi contro di lei.
Motivati dalla sfida, le due squadre abbandonarono il campo e si diressero in cucina, scenario palese della gara.
Chi avrebbe cucinato l'aragosta migliore, Silvia o Suzette?
Chi avrebbe vinto?

 

Angolino di Maggio
Cioé ...
aiuto ... *sbatte la testa contro il computer*
io non so chi far vincere, sul serio ...
fin da quando ho visto Inazuma Eleven per la prima volta ho sempre tifato per la piccola Silvia, ma Suzette è molto brava con le aragoste -desiderio di Mark esaudito, puff-, una cuoca da non sottovalutare, e poi, lo ammetto, è il triplo più forte di Sissi(?) ...gooood, very very very (VE-RY) goooood, mi sono auto fregata -.-".
Edgar: ... *applaude*
Io: beh? E tu, adesso?
Edgar: non lo so che ci faccio qui, avevo voglia di comparire.
Io: ma se io nemmeno ti filo, io, a te, "Mister Perfezione" ... *confusa*
Edgar: VAI SUZETTE, DIMOSTRA A TUTTE QUELLE ILLUSE PRINCIPESSE CHI SEI IN REALTA'! *emozionato*
Io: o.O" ... *imbarazzata*
ok, ci mancava solo lui a sfiancarmi ... *lo spinge via*
bene, come al solito spero in qualche vostro commento, è sempre ben gradito, e detto questo me la filo a scrivere la sfida: SUPER MOTIVATA, YE <3!
Grazie per aver letto e grazie all'ispirazione che questa estate ha voglia di restarmi accanto (e che non se ne vada, eh :'D)!

Lucy

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Capitolo 22
*** Sfida di cucina: Silvia VS Suzette ***


SFIDA DI CUCINA: SILVIA VS SUZETTE
 
Una volta giunti nella bella e spaziosa sede della Unicorno, Suzette, Erik, Silvia e Mark si precipitarono in mensa, pronti per la sfida.
Per fortuna che Mac, conoscendo i gusti del biondo, ieri pomeriggio si era dato la briga di acquistare qualche granchio e un paio di aragoste, altrimenti avrebbero dovuto mandare Bobby a fare la spesa, e ciò avrebbe richiesto del tempo prezioso.
I due sorteggiati si sedettero a tavola, uno di fronte all'altro, invece le due rivali in amore iniziarono a pastrocchiare in cucina.
La prima ad agguantare in mano l'aragosta più vermiglia e grande fu Suzette. - Ahah! - gracchiò, sventolando il crostaceo in aria come fosse una bandiera. - Iniziamo benissimo, evviva me! -
- Mh, più grande non vuol dire più buono. - replicò Silvia, accontentandosi di una piccola aragosta bordeaux ricoperta di macchie verdacee che, una volta cacciata sotto l'acqua, iniziò a lavare con pazienza.
L'azzurra usufruì dell'altro acquaio, dopodiché cominciò a scrostare il suo bottino, già pregustando il momento in cui Mark, amante del pesce com'era, se lo sarebbe inghiottito in un colpo solo, permettendole di farla vincere.
Perché tanto avrebbe vinto, su questo non ci pioveva.


Dylan ritornò in campo con, appesa al braccio, una busta colma di "Donuts", e quando si accorse della scomparsa delle due squadre fece una frenata degna di essere immortalata e inserita nel libro dei "Guinness mondiali". - Beh? - si chiese, scrutandosi intorno. - Dove sono finiti quegli idioti? -
- Dylan, c'è qualche problema? - gli domandò Daisy, affiancandosi a lui. - Oh, per tutti i cavoli, Suzette e le altre sono scomparse! E insieme a loro gli scarafaggi dei tuoi compagni di squadra! -
- No, maddai!? Non me n'ero accorto! - scherzò il ragazzo con gli occhiali, dardeggiandole un'occhiata colma di sarcasmo. - Sicuramente saranno rientrati, i miei amici "scarafaggi". -
- Mh, parlavano di questa sfida ... - il portiere della CCC iniziò a salire i gradini per raggiungere la sede, seguito a ruota dal suo pazzo compagno d'allenamento. - Chi vince si tiene Erik. Credo. -
- Suzette è impazzita. - obbiettò il ragazzo, passandosi una mano fra i capelli per scacciare il caldo. Proprio non riusciva a capirla, quella dodicenne: un attimo prima era quasi convinta di avere un debole per Mark, uscendoci pure. Un attimo dopo, invece, eccola sfoderare le unghie per tenersi Erik quando Silvia potrebbe dargli molto di più.
Ma quanti ragazzi voleva?
Per non parlare di Edgar, poi, il suo inutile straccetto servito solo ad ammazzare la mancanza di Erik durante il FFI.
E dire che ancora non si erano nemmeno lasciati del tutto ... senza osar mettere di mezzo Paolo, Tiago e tantissimi altri giocatori che, nel giro di una settimana, erano passati tutti sulle sue labbra.
Sperava solo che Mark non avesse battuto la testa contro qualcosa, perché si stava comportando da vero cretino.
Ok, sì, riconosceva il fatto che Suzette fosse una ragazza carina, dolce (ma dove) e, beh, a suo parere anche molto sexy, ma le piaceva divertirsi con i ragazzi, mettersi con loro e poi lasciarli senza neanche spiegare il motivo, e questo era comportarsi da vipera.
Insomma, la classica "io sono io, voi siete voi", per capirci prima, una mocciosa prima in popolarità ma completamente senza cervello.
Sospirò.
Se lui fosse stato in Mark, si sarebbe già messo con Esther. Anche se l'apparenza poteva lasciare un po' a desiderare, lei sì che era una ragazza con la testa sulle spalle, e poi era un esplosione di carisma, grinta, dolcezza e coraggio, insomma, non si poteva mettere in paragone una così a Suzette, su!
Per suo "fratello" avrebbe preferito di gran lunga lei, la bella moretta della Tripla C.
Andavano anche d'amore e d'accordo, ogni tanto li vedeva persino abbracciarsi e insultarsi con affetto, cosa poteva chiedere di meglio?
Diversamente dalle altre coppie, loro di certo erano la più comica da vedere.
Ma Mark era così, una testa dura, un idiota su tutti i fronti, se non gli si faceva apprendere le cose prendendolo per i capelli era inutile lottare.
Meditando su questi particolari, nel frattempo non si era accorto di essere arrivato davanti alla soglia della sede.
- Ti vedo silenzioso, tutto bene? -
- Sì! Sì, certo! -
Daisy aprì la porta, poi entrarono all'unisono. - Sicuro? - gli domandò, levandosi i tacchetti. - Non penserai che io me la beva, una scusa del genere. -
- ... ok, ok, pensavo ad una ragazza, lo ammetto. - mentì Dylan, raggiungendo la mensa e aggregandosi a Michael e Bobby, curioso di sapere come procedeva la sfida.
Daisy sgranò le piccole iridi color pece e in meno di pochi attimi le sue gote paffute si tinsero di un tenue rosa confetto.
Ok, era cascata nel tranello.
Chi poteva essere la misteriosa ragazza a cui lui quel dì aveva dedicato i suoi pensieri?
Forse ... era una sua compagna di classe?
Forse ... era Esther?
Forse ... era lei?
Perchè no? In fondo non era poi così brutta come credeva, e in più c'erano dei punti da non scartare affatto:
1) era la sua compagna d'allenamento.
2) lui la riempiva sempre di complimenti.
3) le aveva regalato una ciambella, quel giorno, al bar.
4) era dolce e comprensivo.
5) era unico, riusciva sempre a farla ridere e viceversa.
6) l'aveva protetta nel momento del bisogno e consolata con un mega abbraccio, anzi, due.
Che fare, dichiararsi o no?
- Ehi, Daisy, vieni coraggio! -
Il portiere della CCC batté gli occhi più volte e smise di navigare nella sua stessa fantasia. - Esther? Posso fare qualcosa per te? -
- Dai, ti stai perdendo la sfida! - la incitò a venire la mora, facendole un cenno con la mano.
Daisy sorrise timidamente e raggiunse le sue amiche, poi iniziò a guardarsi la sfida come gli altri.
Suzette appoggiò l'aragosta su un panno e gettò un'occhiata a quella di Silvia, ancora sotto l'acqua. - Ti consiglio di sbrigarti, sfigata, al momento sono io, splendida e bella come al solito, ad essere in vantaggio! -
- Mmh, zitta, mi disconcentri! - sbottò la Manager della Inazuma, addentandosi il labbro inferiore. Insieme a Celia era una cuoca molto brava e agile, ma con le aragoste, forse Nelly era già più portata.
Prima di tutto, le facevano paura, avevano degli occhietti spaventosi.
Poi le chele le stavano graffiando tutte le mani, e l'acqua scottava come il fuoco, se non peggio.
Mark le guardò con aria preoccupata, quindi estrasse il suo cellulare e, dopo un attimo di riflessione, lo passò a Erik, che lo prese al volo. - Mi finisci l'ultimo livello di "Geometry Dash"? -
Il castano scoppiò a ridere, gli fece l'occhiolino e iniziò a giocare per occupare il tempo, che per Silvia e Suzette scorreva rapido e fulmineo.
L'azzurra aprì la pancia della sua aragosta e iniziò a rovistare fra la polpa alla ricerca del cristallo. Quando lo trovò, lo afferrò con due dita e lo levò dal corpo del crostaceo, poi lo buttò nel cestino della spazzatura.
- Cos'è quello? - domandò Michael a Dell, curioso.
- Un filo di vetro. - sbottò la ragazza col capello, senza nemmeno degnarli di uno sguardo.
- Più specifica? -
- ... - Dell lo guardò secca. - cacca. -
- Mh ...! - Jackson arrossì e addossò i suoi occhi color nocciola alla punta delle scarpe, imbarazzato. - Ah. - aggiunse. - Bello. -
- Cos'è ... - la razza sorrise malefica e si portò un dito fra i capelli, poi cominciò ad arricciarsi un ciuffo color oceano con aria divertita. Chissà perché adorava vederlo così in difficoltà, ciò la faceva sentire importante. - adesso le aragoste non possono fare i loro bisogni? -
- N- non sapevo che ... i crostacei potessero ... -
- Ignorante. - concluse la conversazione lei, allontanandosi dal ragazzo.
Michael sospirò e sorrise, poi ritornò a godersi la sfida.
Silvia, finalmente, aveva terminato di lavare la sua piccola aragosta marrone.
Quando l'aprì per levarle il cristallo, però, Suzette stava già tagliando le zampette alla sua.
Sbuffò e cercò di accelerare i movimenti, ma improvvisamente la dodicenne la batté sul tempo, gettando la sua aragosta nella pentola con sguardo vittorioso. - Ahah! La pentola a vapore migliore del mondo va a me! - ridacchiò, acida, poi incollò gli occhi su Mark. - Vedrai che delizia! -
- Sono sicuro che sarà buonissima. - replicò il biondo, sorridendole incoraggiante.
Suzette gli fece l'occhiolino, poi aprì i cassetti alla ricerca di un sac-a-poché. Quando lo trovò, lo riempì di cioccolata fino all'orlo, dopodiché si procurò un gambo di prezzemolo, una grattugia e una barretta di cioccolato bianco.
Silvia sollevò un sopracciglio, confusa. - Non vorrai metterti a preparare muffin, spero. -
- No di certo, le esperte in campo di dolci sono Hellen e Esther, mica io ... - Suzette si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi, divertita. Nessuna ragazza era mai stata in grado di tenerle testa in cucina, figuriamoci una poveraccia come Silvia. - ... ad ogni modo ho in mente una cosa geniale. -
- Salato e dolce non sono mai andati d'accordo. - la sfiancò la Manager della Inazuma, cercando di farsi venire in mente qualcosa di ingegnoso e brillante.
Adesso sì che era nei pasticci. Che cosa si inventava?
- Mai dire mai, ahahah! - la canzonò Suzette, ridacchiando con malvagità, poi ritornò ad occuparsi della sua aragosta.
Una volta assicuratasi che fosse cotta al punto giusto, la tolse dalla pentola e la appoggiò su un piatto di ceramica, poi cominciò a sbizzarrirsi col sac-à poché.
Terminato il lavoro, la portò immediatamente a Mark.
L'americano sgranò gli occhi e Erik spalancò la bocca, entrambi sbalorditi.
Non si trattava di una semplice aragosta servita su un piatto d'argento, no: il crostaceo era avvolto da piccole foglioline di prezzemolo, coperto da meravigliose spirali di cioccolata e puntellato da graziose scaglie color cremisi, e il suo rosso fluorescente spiccava subito agli occhi.
Per non parlare dell'inebriante profumo che emanava, che solo annusarlo ti faceva urlare di piacere la gola.
Suzette sorrise e appoggiò con delicatezza il piatto davanti allo sguardo rapito di Mark, poi scoccò un'occhiataccia a Erik. - Tesorino, se tu avessi avuto un'amichetta meno appiccicosa oggi avresti favorito. -
Il castano curvò le labbra, per niente pentito. - Non mi interessa, non sono un amante del pesce. -
- A Osaka mi hai fatto credere il contrario ... -
- Era per farti un favore, ok? -
- Ecco qui! - esclamò Silvia, entrando in sala con la sua aragosta, il doppio più piccola e spoglia di quella di Suzette.
- Wow, e quella sarebbe la tua aragosta? - gli chiese la Capitana della Tripla C, indicando l'inutile crostaceo della rivale con l'indice, spiazzata.
Fra tante bellissime idee originali e creative, Silvia aveva optato per dell'insalata verde e un paio di pomodori.
Che fantasia, che aveva.
Quando anche l'ultima aragosta fu sistemata davanti al suo legittimo assaggiatore, senza neanche pensarci troppo i due americani affondarono la mani nel piatto, affamati, e cominciarono a ingozzarsi con affanno, come se da un momento all'altro le due aragoste potessero prendere vita e fuggire via.
Esther fece qualche passo indietro e si nascose dietro a Dell, che scoppiò a ridere. - Ma che sono, malnutriti? -
Bobby fece spallucce. - Gli americani non sono mai sazi ... nevvero, Dylan? -
Dylan si voltò verso di lui, la bocca piena di ciambelline e l'espressione confusa. - Gli americani cosa? -
- Niente, niente. - sbottò il difensore della Unicorno, accompagnato dalle dolci risate di Hellen, Esther, Daisy e Dell.
Una volta che i due americani finirono, chiamarono a rapporto le cuoche per il verdetto finale.
Mark fu il primo a parlare. - Suzette, l'idea di abbinare dolce e salato è stata grandiosa, e non solo: l'aragosta era molto buona, dieci punti su dieci! - esclamò, sorridente. - In quanto a te, Silvia ... -
Silvia si schiarì la voce, nervosa.
- La tua, sebbene piccola, era deliziosa. Ammetto che come fantasia avresti potuto scegliere qualcos'altro, ma ti è venuta davvero bene. Nonostante ciò, credo tu ti debba meritare otto punti su dieci. E quindi per me ha vinto Suzette. -
La Manager sospirò amaramente, poi si voltò verso Erik.
Il castano le sorrise con amore. - Beh ... Silvia, la tua aragosta era qualcosa di esplosivo, mi è piaciuta un mondo, e, beh, sì, lo ammetto anche io, l'insalata e i pomodori erano qualcosa di troppo classico, ad ogni modo ti do ... nove punti su dieci! -
- Grazie, Erik! - esclamò la ragazza, felice.
Suzette la spintonò via. - A me, tesorino ...? Quanto mi dai? -
Erik arrossì lievemente. Voleva mentire a tutti i costi, far vincere Silvia, ma l'aragosta della dodicenne era il sestuplo più deliziosa e fragrante. Che fare?
Se avesse mentito, forse, si sarebbe liberato di lei (ma neanche), però dire menzogne non era pane per i suoi denti ... mica era Dylan, Dylan che se ne inventava cento al giorno. - Suzette ... - disse, iniziando a giocare con le sue stesse dita per il nervoso. - ... io ... ho trovato la tua aragosta senzazionale, e ... insomma, deliziosa, ma ... -
Suzette sollevò un sopracciglio, stranita. - Ma? Cosa c'era che non andava? Mark l'ha trovata perfetta. -
Erik prese un sospiro e chiuse gli occhi. Doveva dire la verità, anche se ciò gli sarebbe costato gli schifosi ed inutili baci di Suzette per altri due, lunghi mesi; Silvia di certo avrebbe capito. - Dieci su dieci anche per me. - ammise, serio.
Suzette sorrise, poi iniziò a saltellare di gioia, a differenza di Silvia che, triste, si slacciò di malavoglia il grembiule. - Sapevo che mi avreste fatto vincere, ragazzi, grazie, allora è vero che sapete valutare le cose buone da quelle cattive, grazie! -
- Ma l'aragosta di Silvia non era male. - aggiunse Mark, lanciando un'occhiata dispiaciuta alla Manager. - Dico bene, Erik? -
- Dici benissimo, Mark! - esclamò Eagle, stando al gioco, ma Silvia sembrava non aver udito nessuna delle due incitazioni. Lasciò la mensa a passi pesanti e si sedette sul pianerottolo della sede, delusa.
Un po' se lo era aspettato che Mark facesse vincere Suzette e non lei, insomma, per amore si ci sacrifica pure, ma da Erik no ... era il suo migliore amico, avrebbe dovuto affiancarla.
E invece l'aveva fatta perdere, nonostante volesse con tutto il cuore troncare la relazione fra lui e Suzette, nonostante non l'amasse.
Senza accorgersene, il ragazzo padrone dei suoi pensieri le fu accanto in pochi secondi. - Silvia ... scusami ... -
La Manager della Inazuma gli dardeggiò un'occhiata arrabbiata e maliziosa al contempo. - Io mi metto a cucinare per salvarti la pelle, e tu alla fine non sfrutti l'occasione ... - disse, per poi incastrarsi il mento fra le candide mani e così collocando le sue grandi iridi verde bosco sui maestosi grattacieli di Los Angeles, anche quel dì fiondata in un caldo nauseante.
Erik scosse il capo, lasciandosi cullare i mori capelli dal bollente vento estivo. - Ah, tanto non mi avrebbe comunque mollato. -
- In effetti ... - Silvia sorrise dispiaciuta. - Mi chiedo se il tuo destino sarà quello di sposarti con lei ... -
- Ah, no, quello è il destino di Mark! Sarà lui il mio salvatore, lo sento! -
I due ragazzi scoppiarono a ridere, poi l'americano le passò una mano lungo la spina dorsale, facendola rabbrividire di piacere. - Dai, non vorrai farti sti paranoici pensieri prima del grande quattro Luglio. -
- Quattro Luglio? - la giapponese guardò l'amico negli occhi, confusa. - Il giorno dell'Indipendenza, se non sbaglio ... fate una festa? -
- Una mega festa, Silvia, qualcosa che non dimenticherai mai. Vedrai, ci divertiremo! -
Silvia sorrise. - Una mega festa ... - ripeté poi, sollevando gli occhi al cielo. Il castano aveva ragione.
Non doveva preoccuparsi troppo di lui e la micidiale Suzette, adesso che il quattro Luglio era alle porte in procinto di regalare a lei e alle due squadre un party favoloso ...
con Erik e gli altri, ci sarebbe stato da divertirsi!



Angolino di Maggio
Che bello, FINALMENTE COL COMPUTER ACCANTO!! *carezza il computer* Ora posso riprendere a scrivere ...
che dire, alla fine ce l'ho fatta, con la sfida, cioé, amatemi (scherzo ;P).
E' stata un'impresa prenderlo, il mio fedele collega di lavoro *tappa computer*, se non lo avessi shippato di nascosto, avreste dovuto attendere 15, noiosissimi giorni, agh ... (a chi mi segue, u.u)
 il prossimo capitolo, ve lo giuro ...
sarà fantastico.
Seriamente, non lo dico per vantarmi, ma voglio stupirvi, davvero.
E' da Maggio che sogno di arrivare a sto momento, il fatidico "Giorno dell'Indipendenza", alleluia, che Byron sia benedetto ^w^!
Ora posso darci dentro col fluff, yeeeee! *fluffluosità alle stelle*
Ok, se vi ho incuriosito abbastanza, ci vediamo al prossimo cappy!
Ora vi saluto, ricordate che una recensione è sempre bene accetta :).
Baci,
Lucy
PS: la preparazione delle due aragoste funziona all'incirca così, mia mamma le cucina e io le mangio :3

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Capitolo 23
*** Perché Mark prima di me stessa? ***


PERCHE' MARK PRIMA DI ME STESSA?

E dopo un primo Luglio straboccante di sfide e rivalità nei confronti del povero Erik, arrivò un faticoso due, carico di allenamenti intensivi. La nuova tecnica di Esther, grazie all'aiuto di Mark, era migliorata molto, ed entrambi ebbero il piacere di notare che al fascio di luce color crema si erano aggregate delle sospette bolle dai bordi violetti di un incerto color mandarino miscelato al solito cremisi.
Certo, ancora la tecnica non aveva raggiunto la sua forma definitiva, ma era già qualcosa.
Michael e Dell, invece, si allenavano accompagnati dalla loro stessa solitudine. Sebbene ogni tanto la ragazza non si disturbasse a lanciargli sguardi ammiccanti e sorrisi maliziosi, sia lui che lei preferivano mantenere le distanze. Almeno per ora.
Hellen e Bobby, come al solito, erano un continuo farsi complimenti e abbracciarsi a vicenda, sembrava che per loro allenarsi fosse diventato un susseguirsi di coccole, chiacchiere ed altre simili effusioni, il che era un bene: ormai il loro amore aveva toccato le stelle, mancava solo la dichiarazione.
Suzette e Erik, beh, non perdo tempo a citarveli, invece Dylan e Daisy ... che dire, lui coi suoi allenamenti strambi ed inutili, la faceva morire dalle risate.
Dopo il due, giunse un tre, anchesso colmo di fatica e sudore, ma poi, finalmente, un soleggiato quattro Luglio bussò alle porte del mondo, dando il via a quello che doveva essere un meraviglioso "Indipendence Day".
- Buongiorno, piccola! - esclamò Mark, abbracciando Esther con forza e dolcezza al contempo.
La ragazza batté gli occhi più volte, confusa, poi gli affondò le dita nella schiena, sorbendosi appassionatamente il magico calore dei loro corpi spremuti l'uno contro l'altro, calore per cui ormai aveva perso la testa, calore che le riscaldava il petto ogni volta che pensava a quanto Mark potesse essere affascinante, calore che le invadeva i sensi tutti gli istanti in cui lui, così bello e ingenuo, le rivolgeva la parola. - Buongiorno, stupido scarafaggio! - lo provocò, divertita. - Oggi spruzzi allegria da tutti i pori, eh ...? -
Mark si staccò dall'abbraccio e le sorrise dolcemente. Non avrebbe permesso alla malinconia di rompere un momento così meraviglioso, doveva essere qualcosa di indimenticabile, era da inizio estate che sognava quel benedetto quattro Luglio. - Come non essere felici, il giorno dell'indipendenza! Ce l'hai il costume da bango, vero ...? - le domandò poi, curioso. Vedere la ragazza arrossire fino alla punta dei capelli e incrociare le braccia al petto per coprirsi il seno, scatenò in lui una risata meravigliosa e, perché no, in parte anche sadica. - Tranquilla, non ti prendo in giro. -
- Tsk. Non riesco a fidarmi, ancora - sbottò lei, allontanandosi un po' sgomenta.
Mark le premette due dita sulla spalla destra, serio. - Esther ... sono stato uno stupido, lo sai ... - mormorò, ripensando con amarezza al giorno in cui, sfrontato, la offese senza pietà. - ora sei mia amica. -
- Beh, s-sì, ma ... Mark ... i- io mi vergogno!! - sbottò l'altra, ritirandosi.
- Esther, è il corpo umano, se sei ... - il biondo portò i suoi espressivi occhi color cristallo sul soffitto, come se la parola giusta per descrivere il corpo dell'amica fosse sospesa in aria. Tettona no. L'avrebbe offesa, ed era sua amica. Sexy neanche. Mica aveva trent'anni. Esagerata non gli sembrava il caso, e nemmeno generosa ... - ... una bomba in tutti i sensi, devi accettarlo. - disse, tutto d'un fiato.
- Mark ... - Esther strinse i pugni e storse le labbra, amareggiata. - se solo provi ad insultarmi perché sono geneticamente esagerata io ...! -
Mark scoppiò a ridere e le prese le mani, conciliante. - Piccola, perchè mai dovrei comportarmi da cretino, ora che stiamo attaccati come due cozze tutti i santi giorni, ora che ti adoro! -
La mora lo guardò per qualche istante, poi sbuffò e sorrise, rassegnandosi. In fondo, lui la adorava. Non c'era niente di più bello. - Sì, ho il costume. -
L'americano si lasciò sfuggire un sospiro rilassato, poi si passò una mano fra i capelli. - Maddai, non ci ero arrivato. -
- Si va al mare, quindi? Ti avverto, non me la cavo col nuoto. -
- No, cucciola, se tu chiami "Venice Beach" mare, allora proprio non ci siamo. -
Esther quasi non s'affogò con la sua stessa saliva. Aveva capito bene? "Venice Beach"? Quel famoso quartiere di Los Angeles che, insieme a "Beverly Hills", rappresentava una delle perle turistiche più gettonate della California? - Mark ... DAVVERO?! - domandò, sbalordita.
- Sì - l'americano fece spallucce, per niente stupito. - chiaro come l'acqua. -
Esther sorrise emozionata, poi investì il biondo in un dolcissimo abbraccio. - Ah, GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE, TI ADOROOO! - strillò, saltellando più volte.
Mark si limitò ad emettere un verso di approvazione. Era giunta l'ora, per la Tripla C, di conoscere la meravigliosa spiaggia di "Venice Beach", di galleggiare nell'acqua limpida e cristallina del mare, di avventurarsi nei più bei meandri della California.
Era da tempo che pensava di progettare un "Indipendece Day" fatto per bene, non poteva fallire adesso. - Vedrai, ci divertiremo - disse, felice.
- Ovvio che sì! Vado subito ad avvertire le altre e a mettermi un costume decente! Torno fra poco! - esclamò la ragazza, salendo i gradini che collegavano il salotto della sede al dormitorio femminile.
- Ti aspetto - replicò Mark, prendendo posto sulla sedia e iniziando a sgranocchiare una mela con voglia.


Quando sia Unicorno che Tripla C finirono di vestirsi per l'occasione (i ragazzi ci misero circa un quarto d'ora, le ragazze più di un'ora e mezza), finalmente entrambe le squadre abbandonarono la sede.
Appena fuori, Hellen strinse gli occhi e iniziò ad annaspare per il troppo caldo. Los Angeles era una città mozzafiato, ok, ma lei non tollerava i suoi afosi e snervanti trenta, trentacinque, quaranta gradi.
Bobby rise e iniziò a sventolarle una mano vicino al collo per farle aria. - Fa caldo, vero? -
- Troppo, per i miei gusti ... - mormorò la rosa, godendosi la brezza creata dal difensore con estremo piacere, cosa che non sfuggì agli occhi di Esther e Silvia.
Erik fece per venire incontro a quest'ultima per darle il solito "buongiorno" mattutino, quando una Suzette armata di pattini, ginocchiere e caschetto lo investì in pieno, stritolandolo in un soffocante abbraccio.
Mark sollevò gli occhi al cielo, geloso, ma in pochi attimi l'azzurra passò le mani anche sul suo collo lievemente abbronzato*. - Buongiorno, Mark! Come sei carino, oggi, i tuoi occhi splendono di un turchese quasi sovrannaturale! Sono stupendi ... -
- Grazie ... - mormorò l'americano, lasciando che il volto sprofondasse in un intenso rosso fuoco.
Dylan scosse il capo e Esther sbuffò, irritata come non mai. Beh, normale. Suzette non era l'unica ad avere un debole per quel meraviglioso biondo di quattordici anni. - Andiamo o dobbiamo ancora sorbirci il tuo debole per ogni uomo che passa, Suzettina cara ...? - sbottò con tono acido, fingendosi al contempo impegnata a controllarsi un finto smalto sulle unghie.
Dell e Daisy trattennero una risata, Mark si allontanò da Suzette e la dodicenne lanciò ad Esther un'occhiata carica di dubbio e irritazione. - Ogni uomo che passa? Mark è mio amico, non posso abbracciarlo e dirgli che è stupendo? Che fai, mi arresti? -
- N- no, solo che ... - la mora iniziò ad arricciarsi nervosamente un boccolo color aubergine, agitata. L'ultima cosa che voleva era far capire al mondo i suoi sentimenti nei confronti di Mark (perché Suzette da sola rappresentava centoquaranta nazioni, sì). Meglio mentire e salvarsi la pelle. - ... niente, sai come sono fatta, certe dimostrazioni d'amore mi mandano in bestia. -
- Beh ... - Suzette si scostò una ciocca di capelli dalla spalla destra, vanesia. Il comportamento di Esther la stava facendo innervosire. - ... abituati, io Mark lo abbraccio quanto voglio! - disse, poi si agganciò al braccio di Erik, allontanandolo da Silvia. - Amore, naturalmente anche tu avrai la tua dose di coccole! -
- Davvero ...? - fece il castano, cercando le mani della Manager della Inazuma. - ... mi mancavano ... -
- Oh, amoruccio, sei così ... -
- Fammi capire una cosa, Suzette. - s'intormise Dell, salvando Erik da morte certa. - Come mai vestita da pattinatrice? -
- Come, non lo sai? - la Capitana della CCC fece una piroetta su se stessa, contenta. - A "Venice Beach" tutti girano coi pattini, così volevo spacciarmi per americana e dimostrarmi all'altezza della situazione! -
- In che senso - si disturbò a chiedere Esther, confusa.
Mark le posò gli occhi addosso, desideroso di risponderle. - "Venice Beach" è molto conosciuta per il mare, le piste ciclabili, i tramonti, gli artisti di strada, la "Muscle Beach" e, beh, questi ragazzi particolari che vanno in giro pattinando. -
- Però ... forte! E che sarebbe questa "Muscle Beach"? -
Questa volta fu Dylan a prendere la parola. - Una palestra posta sul mare dove escono e entrano veri e proprio omoni palestrati. -
Tutte, e dico tutte le ragazze della Tripla C sgranarono gli occhi. Assetate di bei ragazzi com'erano, quella non poteva essere che una notizia grandiosa. - PALESTRATI AL MARE!? - urlarono in coro, mentre Mark sorrideva rassegnato.
- Sì, palestrati. Ma andiamo, noi non siamo meglio ...? - domandò Michael, sollevando al contempo i sopraccigli e mostrando un paio di meravigliosi pettorali color terra che abbellivano il suo corpo sinuoso e danzerino.
Dell lo scansò di mezzo con uno spintone, fingendosi scarsamente impressionata. - Ovvio che no! Dio, sento che questa giornata sarà indimenticabile! -
- Come non detto - sbottò il suo compagno d'allenamento, finendo di credersi macho. - Inutile. Le abbiamo perse. -
- Concordo! - ridacchiò Mark, quando Suzette gli porse un paio di pattini turchesi con sguardo implorante. - E questi? - le domandò, afferrandoli curioso.
- Li avevo con me nel mio zaino. Erano per Erik, ma lui non se la cava a gironzolare con sti cosi addosso ... tu? Sei bravo a pattinare? -
Il biondo sorrise e annuì. - Certo. -
- Mi piacerebbe molto pattinare insieme a te! Ti va? - gli chiese Suzette, sorridendo dolcemente.
- Magari dopo, piccola - replicò l'americano, riconsegnandole i pattini.
- Uh ... - l'azzurra li rimise accuratamente a posto, un po' delusa. - ok. Prometti che dopo lo facciamo! -
- Tranquilla, dopo pattiniamo quanto vuoi. -
Bobby s'infilò fra loro, infastidito dal comportamento di Suzette. - Non per interrompervi, ma non dovremmo raggiungere "Venice"? -
- Giusto! - il Capitano della Unicorno riprese a marciare spedito, quando la mora gli si agganciò al braccio e gli tirò un buffetto sulla guancia, facendolo sorridere dolcemente. A lei pattinare le era sempre interessato molto, ma non sapeva farlo. E, beh, Mark sì, senza dimenticarci che lei aveva un debole per lui. Perché non fare un tentativo? - Sai pattinare? Davvero? - gli domandò, fingendosi curiosa.
- Sì! Tu? -
- Non molto ... - arrossì leggermente e cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore. - sarebbe figo se tu fossi disposto a insegn ... -
- ECCOLA! - strillò d'improvviso Suzette, spingendosi in avanti per dividere Mark e Esther e prendersi l'americano per sé.
- Uh? - La mora corrucciò le labbra e dardeggiò alla compagna uno sguardo tagliente e scocciato, ma l'altra semplicemente finse di non notarla.
Aggrottò le sopracciglia e rallentò il passo, irritata. Suzette non poteva pretendere che i ragazzi filassero sempre, solo e comunque lei, per quanto vanitosa ed egocentrica potesse essere. Ci stava parlando, con Mark, quello che aveva appena fatto l'amica le era sembrato un comportamento ingiusto e meschino. Lei non l' avrebbe mai fatta, una cosa simile ...
- Ecco cosa? -
- La spiaggia perfetta! -
Dylan si sporse un po' in avanti, un largo sorriso intagliato sul suo meraviglioso volto dai lineamenti quadrati. - It's true! L'acqua brilla, e poi ci sono delle gnocche favolose, con due bombe così e un sedere della miseria!! -
Bobby e Erik si guardarono, seccati.
- Io opto per questa! -
- Immaginavo - replicò Mark, sorridendo malizioso. - Allora è deciso, fermiamoci qui. -
I ragazzi affondarono i piedi nella delicata sabbia della spiaggia, poi iniziarono a scrutare il territorio alla ricerca di un posto sufficientemente grande da sopportare trentaquattro asciugamani e trentaquattro borse. E trentaquattro cretini su tutti i fronti, anche.
Esther si levò le infradito color confetto dai piedi, le sollevò dalla sabbia con due dita, le lanciò in un angolo e poi sorrise soddisfatta. - Quello è il mio posto! - esclamò, andandosi a sistemare.
- Allora il mio sarà vicino al tuo - le sussurrò Mark, spiegando un asciugamano verde smeraldo e stendendola accanto alla ragazza. - e niente scuse. -
- Ok, Mark, come preferisci ... - la mora gli sorrise dolcemente, a disagio. Non che Mark vicino le trasmettesse ansia, al contrario, se lui si era messo accanto a lei questo significava che teneva molto alla loro amicizia, e che aveva voglia di tenerle compagnia, solo che ... semplicemente ora lei doveva levarsi la maglietta. E, lo ammetteva, a causa del suo petto abbondante all'asilo la soffocavano di prese in giro. Quindi, o Mark se ne andava, o sarebbe stata lei, a levare le tende. - Mark ... forza, alza il sedere e sparisci. -
Il ragazzo la guardò confuso. - Ti ho fatto qualcosa di male? - chiese, mentre dietro il suo ammasso di capelli color ambra gli altri prendevano posto altrove.
- N- no, io ... - Esther arrossì violentemente e si portò un dito davanti alle labbra, poi si guardò i piedi, imbarazzata. - Vattene, devo levarmi la maglietta. -
L'americano la fissò per qualche istante, serio e seccato. - Ancora con questa storia, dolcezza? -
- Sì, ancora con questa storia! - abbaiò lei, spostandosi di qualche centimetro più in là. - Mark, mi dispiace, in divisa è una cosa, in costume è un'altra! E non voglio che mi prendi ancora in giro! -
- Non lo farei mai, finiscila di comportarti da sciocca! - le rispose in tono deluso e irritato Mark, scuotendo energicamente il capo. - Non sono così cretino come ti ho fatto credere, Eshter, è finita, basta, dimentica! Quindi ora levati quella maglietta, o te la levo io con le mie stesse mani! -
Esther arrossì leggermente alle parole del compagno, poi si strinse il bordo della canotta, indecisa sul da farsi. - Prometti che non dirai nulla - gli ordinò, seria.
Il biondo parve calmarsi. - Lo prometto. -
- Ok ... - la ragazza emise un sospiro rassegnato, sollevò le braccia e la sua cannottiera finì sull'asciugamano, accanto alla borsa contenente creme, riviste e un paio di occhiali da sole dalla montatura turchese.
Mark arrossì fino alla punta dei capelli, poi si abbracciò le ginocchia e sorrise nervosamente. Ok, l'amica aveva ragione: in divisa era tutt'altro. - B- beh ... - mormorò, carezzandosi le gambe e lisciandosi i lisci peletti color platino. - c- ci voleva tanto? -
Esther deglutì e lo guardò insicura. - No, però ... però io ... -
- Esther, cara, vieni a giocare a pallavolo con noi? - la chiamò Dell, sventolando una magra mano in aria. - Sei brava in questo sport! -
La mora arrossì pesantemente. Il solo pensiero di giocare a pallavolo senza un qualcosa di stretto in grado di minimizzare la grandezza del suo seno la mandava in imbarazzo. - N- no ... comunque grazie per l'invito. - disse, poi si spalmò un po' di crema solare sul corpo e si stese di pancia, offrendo al sole la candida pelle della sua schiena sinuosa.
Mark iniziò a giocare con un paio dei suoi boccoli color prugna, dispiaciuto. - Guarda che nessuno ti vieta di divertirti con le tue amiche. -
- Già che ci sei, mi metti un po' d'olio sui capelli? - finse di non averlo ascoltato Esther, passandogli una bottiglietta color cioccolato in modo frettoloso.
Il biondo la prese, si versò un po' del melmoso contenuto in una mano e fece per andare a conciarla peggio di Einstein, quando Suzette si mise in mezzo con un sorriso.
- Mark! -
- Mark? - domandò Esther, sollevando il capo dall'asciugamano con aria confusa. - Ci vuole tanto, a passarmi una benedetta mano sulla testa? -
- Ciao, Suzette ... -
- Avevi detto che avremmo pattinato insieme ... - borbottò l'azzurra, passandogli un dito sulle clavicole con sguardo seducente e dispiaciuto.
Il Capitano della Unicorno arrossì e la lasciò fare, incapace di sottrarsi a quelle tante desiderate, sperate e pregate carezze.
Fu Esther a rompere l'incanto, abbastanza infastidita dal comportamento della Capitana. Ci mancava soltanto che iniziassero a fare l'amore. - Suzette, Erik? -
- E' la in riva al mare con Silvia a non so fare cosa, insieme a Bobby, anche, e Hellen - spiegò Suzette, smettendo di infatuare Mark e aiutandolo a sollevarsi. - Quindi vieni a pattinare con me, bellissimo, sì o no? -
- A dire il vero, io ... io dovevo finire di ... -
- Senti, questa è un occasione unica - intervenne Esther, mettendo da parte la gelosia. Ora doveva aiutare Mark, non poteva mettere il muso e rodersi il fegato dall'irritazione. - non ti preoccupare per me, è solo un po' di olio, lo so mettere da sola. -
Mark storse le labbra. Il 90% del suo corpo desiderava al più presto andare a pattinare con Suzette, ma il restante preferiva restare con Esther.
- Sicura, baby ...? -
- No, guarda, adesso chiamo mia madre da Osaka affinché venga a darmi una mano - lo canzonò la mora, strizzando l'occhio. - non ho bisogno di Voldemort, per farmi mettere un po' d'olio sui capelli. -
Il biondo rise e Suzette spianò le sue deliziose labbra color corteccia, scocciata. - Allora, zuccherino, ci decidiamo o no ...? -
- Ahm, sì, perdonami - si scusò l'americano, alzandosi dall'asciugamano e stirandosi le pieghe dei bermuda con i palmi, per poi lasciarsi trascinare via dalla dodicenne.
Esther mise su la faccia più ferita e delusa che mai avesse potuto fare, e un senso di amarezza le impastò la bocca, impedendole di aprire le labbra.
Ormai era inutile nascondere i suoi sentimenti per Mark, gli piaceva molto, ma perché l'aveva aiutato?
Perché l'aveva affiancato, spronato ed incitato, quando ultimamente la gelosia era diventata regina delle sue emozioni?
Perché Mark Kruger, con quegli occhi e quel sorriso, quelle labbra e quel corpo, doveva venire prima del suo confuso stato d'animo?
Perché gli voleva così bene, perché lo adorava, perché Suzette e non lei?

*Mark è abbronzato, la sua pelle è di un leggero color sabbia
 

Angolino di Maggio
èwè, perché Suzette è una stronza, amore mio, e ti ruberà il ragazzo, amore mio, ma avrai anche tu il tuo dolce momento di goduria, amoruccio caVo, ti amo, Esther, sei la migliore.
Ok, oggi sono una spoilerona, perdonate. (Che poi la seconda affermazione è falsa, ma ok -.-)
Enniente, la festa è appena iniziata. E anche male, direi.
Quindi mettetevi pure comodi :3. Chi vuole un po' di Cola?
"- B- beh ... - mormorò, carezzandosi le gambe e lisciandosi i lisci peletti color platino. - c- ci voleva tanto? -"
Pekké Mark è peloso pekké l'ho deciso io, quindi shut.
Gianluca: ma che ha, trent'anni ...? *divertito*
Io: GIANLU', nessuno ti ha dato il permesso di commentare! *arrabbiata*
Gianluca: ma ok, ma sì, maddai, tutto normale, tutto normale. Ora non venirmi a dire che si fa la barba tutte le mattine, neh. *scettico*
Io: Vuoi che chiami Gloria ...?
Gianluca: Mark ha dei peli fantastici, li amo.
Io: ehehehehe ... sadismo su "On", oggi. Amo Gloria.
Ma tralasciamo, sorvoliamo e non degeneriamo -rimarimarima-.
Quindi praticamente nel prossimo episodio di 'Disaster Movie', tratterò un po' di più sulle altre coppie, promesso.
Bien, con questo penso di aver concluso, se ho fatto qualche errore segnalatemelo, che appena mi prenderò un attimo di pausa, revisionerò tutti i cappy.
Grazie per aver letto, ora vado a occuparmi dei compiti di mia sorella, (che estate del cavolo), un bacio al sapore di vaniglia,

Lucy

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Capitolo 24
*** Prime gelosie ***


PRIME GELOSIE

- Cretino, la devi prendere, la palla, la devi PRENDERE, non fissarla cadere a terra! - ringhiò Dell, stringendo i pugni e tirando un velo di sabbia addosso a Michael, sdegnata. La partita a pallavolo contro Dylan e Daisy era partita bene, ma poi, quando il compagno aveva cominciato a fare il cretino, gli altri due avevano cominciato a sommergerli di schiacciate.
- Scusa, piccola, pensavo la volessi prendere te, e così te l'ho lasciata! - si difese il ragazzo, ridendo e allontanandosi di qualche passo. Amava quando Dell si arrabbiava, la trovava semplicemente deliziosa.
- Me l'hai lasciata un corno, Michael! - abbaiò l'altra, raccogliendo il pallone dalla sabbia e scagliandoglielo addosso con una potenza devastante. - Lo fai apposta?! -
- A fare cosa, baby ... -
Dell lo afferrò per un polso, lo tirò verso sé e iniziò a pestargli il braccio con un continuo susseguirsi di schiaffetti, furiosa. - A rendermi ridicola! -
- Lo sai che, carezzandomi il braccio in quel modo, non mi farai mai sputare sangue, vero ...? - la canzonò Michael, mostrando i denti in un sadico ghigno colmo di malizia.
La ragazza col cappello gli rivolse un'occhiataccia assassina. - Diffidi della mia forza, caro ...? -
- Beh, non che tu mi abbia staccato il braccio, insomma - replicò Michael, sorridendo divertito.
La blu aggrottò le sopracciglia e una potente scarica di odio le trafisse il cuore. - RAZZISTA, ecco cosa sei! - urlò, poi gli strinse il polso, rafforzò i muscoli delle braccia e lo gettò malamente a terra, facendogli sprofondare la faccia nella sabbia.
Dylan scoppiò a ridere come una gallina.
- Razzista, codardo! - continuò Dell, guardandolo dall'alto con faccia assatanata, gli occhi color rubino crepitanti come fuoco.
Michael scosse il capo e sputacchiò una miriade di pastosi granelli di sabbia, schifato. Che Dell fosse così violenta e aggressiva, non se lo era mai immaginato. E questa volta, sì, gli aveva fatto un male pazzesco. - Ahia, che botta ... - mugugnò, gli occhi serrati e l'espressione trafitta da una smorfia di dolore.
- Impari a metterti contro di me - sbottò Dell, incrociando le braccia al petto con aria vittoriosa e potente.
Michael sorrise e la guardò a occhi socchiusi. Quanto l'amava, e quanto era bella infuriata nera, sembrava una dea. Sarebbe mai riuscito a dichiararsi, un giorno? Magari senza ricevere un cazzotto in faccia? - Ti voglio bene, Dell - le disse, intenerendosi come un orsacchiotto.
La ragazza sussultò e si tinse di rosso. Inutile dire che la frase di Michael le era piaciuta un mondo, ciò le causò un incontrollabile acceleramento dei battiti cardiaci e un lieve brivido di piacere lungo la spina dorsale. Ad ogni modo, per quanto la situazione fosse zuccherosa, preferì non mollare la presa. - Ah, taci, stupido! - gracchiò, per poi caricare il piede e tirargli un violento calcio nel bassoventre.
Michael sgranò gli occhi e lanciò un gemito di dolore. Bella, ma letale. Mitico, gli piaceva ancora di più. - Dio, quanto sei cattiva ... -
- Impari a darmi dell'incapace - gli rispose Dell, impermalosendosi, poi si passò una mano fra i capelli color oceano per scacciare il calore e ritornò nel suo asciugamano.
E se per quei due i momenti trascorrevano attraversati da scariche elettrice, per Hellen e Bobby ...
beh, dolcezza a destra e manca.
La ragazza, seduta sulla riva, ormai non faceva altro che pensarlo, pensare al suo fisico asciutto, alla sua pelle abbronzata, ai suoi piccoli occhi neri, ai suoi capelli di un abbagliante argento, alla sua voce nasale e rassicurante. Che fosse arrivato il momento di dichiarare il suo amore? O era ancora troppo presto? Mentre ci rifletteva su, non si accorse che Bobby le si era accomodato accanto. - Ehi, tutto bene? - le domandò, tirandole una lieve spallata per riportarla negli States.
- Eh? S- sì ... almeno credo ... - mormorò lei, scuotendo il capo e tingendosi le gote di un intenso rosso vermiglio.
- Sicura? Ti vedo pensierosa - mormorò lui, confuso.
- Ah? Beh, pensavo a Erik e Silvia, così ... -
- Anche tu li trovi adorabili, insieme, vero? -
Hellen arrossì ancora di più. Sinceramente rispondegli di "sì" era come mandare al diavolo Suzette, ma le era sempre costato molto mentire, specialmente a lui, lui, Bobby, la sua vita. - Sono dolcissimi - disse, sorridendo amabilmente.
- Immaginavo l'avresti detto ... dopo andiamo a farci un bagno? -
- Dai, perchè no! - esclamò la rosa, alzandosi con slancio. - Chiamiamo anche gli altri? -
- Sì! - Bobby si voltò verso le due squadre, dopodiché gonfiò il petto e strinse i pugni. - RAGAZZI, TUTTI IN ACQUA, FORZA! - urlò poi, osservandole alzarsi.
Dylan fu il primo a precipitarsi dentro il mare, con un tuffo, poi fu turno degli altri.
Insomma, nel giro di breve tutti e trentatré i ragazzi si ritrovarono a schizzarsi e a comportarsi come scemi (questo è Dylan).
Tutti meno uno, o meglio, una.
Esther.
La ragazza, avvilita, era rimasta a fissare in lontananza Mark e Suzette pattinare felici, lui innamorato pazzo, lei a fingersi inesperta e santarella.
Quanto odiava quando la sua Capitana si comportava da angioletto, proprio non riusciva a sopportarlo.
Quanto odiava il modo in cui l'amico la fissava, sembrava che da un momento all'altro le dovesse chiedere di sposarlo.
Quanto odiava essersi infatuata di lui, di trovarlo così bello e irraggiungibile.
Decise di ascoltare un po' di musica, le urla e gli strilli di Dylan la stavano mandando sui nervi.
Frugò nella borsa e, una volta trovato il suo fedele mp3, iniziò a trapanarsi le orecchie con la dolce e potente voce di Christina Aguilera, la sua cantante preferita.
Mark.
Ad ogni parola, ad ogni verso, Mark.
Ad ogni sospiro, ad ogni nota compariva l'immagine di quel meraviglioso biondo che, in pochi giorni, era riuscito a sbaragliarle il cuore.
Chiuse gli occhi e cambiò canzone, pensando che Christina fosse la causa di tutto, invece, anche con Katy Perry Mark continuava a popolarle i pensieri, a dominare sui suoi sentimenti.
Decise di dormire, pensando fosse la fuga migliore, e così fece.
Sonnecchiò per un tempo che le parve infinito, incurante delle ore che passavano e di cosa combinavano gli altri cretini, quando due mani calde le si appoggiarono sulla schiena, e fu costretta a spalancare gli occhi.
- Che ...! - trillò, ma la frase le morì in gola non appena volto il capo e incrociò lo sguardo con un paio di acquose iridi acquamarina. Giurò di sentirsi alle stelle, le forze le vennero a mancare per qualche secondo. Potevano due occhi indebolirla così tanto?
- Buongiorno, neh! - sorrise Mark, sopra di lei. Se non fosse stato perché si teneva con le mani e le ginocchia a dovuta distanza dal suo corpo, probabilmente tutti li avrebbero presi per fidanzatini abbastanza precoci.
- LEVATI! - abbaiò Esther, arrossendo e cercando di toglierselo di dosso, ma per sbaglio gli tirò un calcio nel ginocchio, facendolo così precipitare sulla sua schiena lattea.
Inutile dire che trasalì di piacere.
Mark scoppiò a ridere, per niente imbarazzato, poi si mise a sedere sopra di lei. Sospirò e chiuse gli occhi. - Il tuo culo è dannatamente comodo
- mormorò, accomodandosi meglio.
- Cos ...! - la mora arrossì selvaggiamente, poi strinse l'asciugamano con entrambe le mani. - Levati di dosso, Mark, subito! -
- No, perché? E' morbido come un cuscino! - osservò il biondo, ridendo per provocarla.
- Mark, se non ti togli entro cinque minuti ti taglio la gola! -
- Sarei curioso di sapere come farai. -
- COL COLTELLO! -
- E dove lo trovi ...? -
Esther sorrise e scosse lievemente il capo. - In cucina, no? -
- Ok, una cucina in mezzo al mare - la canzonò Mark, ancora più divertito. - hai una fantasia che non conosce limiti. -
- Intendevo ...! ARGH! Allora ti sgozzo quando torniamo a casa! - esplose Esther, trattenendo una risata. Non solo quando il biondo arrivava, la mandava in estasi, ma ora la stava facendo diventare anche scema. Perfetto.
- Sarai stanca, dopo - replicò lui, fingendo di osservarsi un finto smalto con aria vanesia e vittoriosa. - sfinita. -
La ragazza scoppiò a ridere e lui sorrise. Non sapeva spiegarsi il motivo, ma adorava la risata di Esther, lo metteva sempre di buon umore. Avrebbe voluto registarla col cellulare, così sarebbe diventata la sua canzone preferita, la sua ninnanna la sera, la sua sveglia il mattino, un dolce ricordo di lei, un qualcosa di unico in grado di tenergli compagnia una volta approdato a New York.
- Non c'è problema, ti ammazzo domani mattina. -
- E se decidessi di scappare durante la notte ...? -
- Mark, fa quello che vuoi, però adesso togliti - sbottò Esther, iniziando a provare dolore. - Mi stai spezzando la schiena ... -
- Ma se sono sul tuo sedere, come faccio a ... -
- Mi stai facendo male, Mark ... - mormorò la ragazza, stringendo gli occhi.
Mark sgranò le iridi, si levò rapidamente dal suo corpo e la prese in braccio come due ragazzi appena uniti in matrimonio, preoccupato. Esther sprofondò nel rossore più assoluto, poi gli passò le braccia intorno al collo e lo fissò innamorata. Com'era bello. A quella distanza poteva sentire il suo respiro soffiarle sulla fronte, il suo cuore battere calmo, i suoi pettorali emanare un calore confortante, il suo profumo avvolgerla come una sciarpa d'inverno ... sarebbe rimasta lì a fissarlo per l'eternità.
- stai bene? - le domandò lui, smuovendo le braccia per obbligarla a guardarlo negli occhi.
- Eh? -
- Ti vedo persa ... -
- Ci sono ... - mormorò Esther, scuotendo energicamente il capo per riprendersi.
- Perché mi fissavi il petto, prima - le chiese lui, serio.
- Cos ... io ... io non ti stavo fissando il petto, ti stavo ... - Esther si passò una lingua sui denti. Per fortuna che aveva sempre la risposta pronta. O almeno quasi. - ... ti stavo esaminando la clavicola. -
- Ah, sì ...? Ci hai messo passione. -
- Attenzione, vorrai dire - precisò la mora, lasciandosi posare a terra dall'americano. - credo tu l'abbia storta. -
- Seriamente? - fece Mark, fingendosi confuso.
- Non sei obbligato a credermi, ma forse dovresti pensarci un po' di più. -
Il biondo sorrise e sollevò un sopracciglio, sarcastico. Di tutto il discorso, aveva capito solo una cosa. Esther mentiva. Sapeva perfettamente che le piaceva il suo corpo. - Perché menti? -
La ragazza arrossì e sgranò gli occhi, poi deglutì un pesante groppo di saliva, che fece persino fatica a scenderle. - I- io ... io non sto mentendo ... -
- Allora mi stai dando dello scemo - continuò lui, appoggiandosi le mani sui fianchi. All'apparenza poteva sembrare uno stupido, ma in realtà era un ragazzo molto furbo. Quando una ragazza lo ammirava rapita, se ne accorgeva. Solo che, ahimé, non sapeva ancora distinguere il fissaggio oculare dall'amore. - nessuna ragazza sa resistere al mio corpo, in classe mi amano tutte. -
- TI VANTI PURE, QUINDI! - trillò Esther, soffocando una risata. - Credi di essere il più bello del mondo, eh!? E' così! Beh, invece forse faresti meglio a guardarti allo specchio! -
- Oh, andiamo, non sono così male ... -
- Va bene, va bene ... se ti piaci cesso, non ci posso fare niente - concluse la ragazza, alzando le mani al cielo.
In quell'esatto istante approdò Dylan, bagnato fino alla punta dei capelli. - Ehi, Mark! -
- Ehi, scemo -
- Chi? -
- ... -
Il ragazzo con gli occhiali sorrise, poi gli tirò un amichevole pugno sulla spalla. - Dai che scherzo, Mark! Quindi dov'è che si mangia? -
- A un ristorante di pesce qui vicino. -
Come se non bastasse, anche Erik s'intromise nella conversazione. - Hai già avvertito Mac che faremo tardi? - gli domand, curioso.
- Ovvio. -
- A che ora andiamo? -
Mark guardò il cielo. - Adesso, tanto credo sia quasi mezzogiorno - aggiunse poi, serio.
Esther sorrise e si passò una mano sulla pancia. Con tutto quello che aveva dormito, il tempo era passato molto in fretta, tanto che ancora doveva realizzare il fatto che fosse già mezzogiorno e che ... Mark l'avesse presa in braccio. - Che bello, avevo una fame! - esclamò, leccandosi le labbra.
- Già, pure io ... - mormorò Dylan, tentando di placare i brontolii allo stomaco.
Il Capitano della Unicorno reindossò la maglietta, poi prese il portafoglio, infilandoselo nella tasca dei bermuda (perché sì, ha le tasche). - Allora dai, andiamo. Erik, fammi il piacere di andare a chiamare gli altri ... -
Il castano fece per dirigersi dalle due squadre, quando Mark lo afferrò per un polso, gli occhi brillanti e lo sguardo carico di desiderio. - e di chiedere se a Suzette va di mettersi vicino a me ... -
- Ok, Mark ... -
- Allora stai in mezzo - borbottò Esther, ingelosendosi.
- Come? - fece il biondo, avvicinandosi a lei.
- Cioè ... posso stare anche io vicino a te, Mark? - domandò la mora, implorante. Magari agli occhi del ragazzo poteva sembrare una stupida richiesta, ma per lei valeva molto, troppo. Un 'no' sicuramente l'avrebbe delusa e anche ferita.
- Certo che sì, dolcezza! - ridacchiò Mark, tirandole in avanti il naso per infastidirla.
La mora si dimostrò irritata davanti a tali effusioni, ma dentro moriva di gioia: vicina a Mark Kruger, il ragazzo dei suoi pensieri. Certo, c'era già stata, ma adesso era diverso.
Si era innamorata.
E beh, anche abbastanza ingelosita.


Angolino di Maggio
e ...
e niente, questo è il 24 capitolo (wow, fa soddisfazione essere arrivate fino a questo punto :D!), schifezza come al solito. Vi prometto che il prossimo cappy sarà il più interessante, e l'altro pure, questo mi serviva solo per valorizzare un po' di più le altre coppie, ecco tutto :).
Ma tanto è sempre uguale, appena inizio con Mark e Esther la mia mano non riesce più a fermarsi, èwè, e così loro prendono SEMPRE il sopravvento della situazione.
Spero di potermi capacitare un po' di più sugli altri, seriamente. Comunque, vi avverto, da qui in poi girerà aria di baci ... *i maschi scappano*
non vi dico chi sarà il primo a fare kisskiss-smack-chu(?), e neanche vi spifferò il cappy, ma sappiate che arriveranno. Arriveranno, una mia fiction senza baci mi è sconosciuta.
Non so di chi sia o.O" ...
bene, ora vi saluto, che ho altro da fare.
Grazie per aver letto, fa sempre bene una recensione.
A presto,

Lucy

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Capitolo 25
*** Il tuffo più adrenalinico della mia vita ***


IL TUFFO PIU' ADRENALINICO DELLA MIA VITA

Dopo aver mangiato un'abbondante portata di patatine, hot dog e sandwitch e dopo che Mark ci ebbe provato con Suzette per ore, ore, ore e ore, i ragazzi ritornarono in spiaggia, sazi e soddisfatti.
Erik si portò le braccia dietro la nuca e chiuse gli occhi, permettendo ai raggi del sole di risaldargli il volto con il loro calore, calore che, con ogni probabilità, forse non avrebbe più potuto sentire. - Eh, oggi è proprio una bella giornata, vero raga? -
- Concordo pienamente con te, tesorino! - esclamò Suzette, senza però mollare il braccio di Mark. Eh, sì, ormai si vedeva a un miglio di distanza che l'oca azzurra della Raimon provava più di una semplice attrazione per il bel Capitano della Unicorno.
Esther incrociò le braccia al petto, poi aggrottò le sopracciglia e li guardò piuttosto maluccio. Non ce l'aveva con Mark, assolutamente, ma con Suzette sì.
Molto.
Era sempre così, del resto, quando lei si innamorava perdutamente di un ragazzo, la sua stupida Capitana doveva per forza mettersi in mezzo e rovinare tutto.
Questa volta non si sarebbe lasciata sfuggire Mark. Era troppo prezioso, troppo bello, troppo dolce, troppo inadatto a Suzette per essere suo.
Avanzò verso di loro, decisa, poi si agganciò all'altro, possente braccio del ragazzo.
- Wei, Esther! -
- Ehi, Mark! - esclamò, strofinando il capo contro il suo collo a mo' di carezza.
Mark sorrise intenerito, poi se la strinse amorevolmente a sé. - C'è qualcosa che non va? -
- Nulla, solo ... -
- Che ci fai qui? - domandò Suzette, con tono aspro e irritato.
Esther le dardeggiò un'occhiata carica di gelosia, poi si spiaccicò di più contro l'americano, intestardendosi. - Ero venuta a salutare il mio migliore amico - replicò, senza darsi per vinta. - nessuno mi impedisce di farlo. -
Mark sgranò gli occhi, le cui maestose ed eleganti iridi turchine presero a brillare come stelle per la gioia: migliore amico? Aveva sentito bene? - Esther ... - mormorò, guardandola riconoscente.
- Sì, Mark, tu sei il migliore amico cesso che esista ... - gli rispose la mora, fissandolo con desiderio e toccandogli il lungo naso con un dito, intenerita.
Suzette arrossì di rabbia e strinse i pugni. Un altro passo falso, e avrebbe squalificato Esther dalla squadra. Mark era la sua preda, e come tale, doveva rimanere suo. - ESTHER?! -
- Sì ...? -
- BASTA COSI'! Comportati con rispetto, smettila di infastidirlo! -
Il biondo rise divertito. - Fastidio? Quando! Io e Esther siamo amici, è normale che con me si comporti sempre da cattivella. -
- Così io sarei una cattivella, eh ...? -
- Sì. E io amo quando fai la sadica ... -
La ragazza divenne rossa come una ciliegia, poi si portò una mano fra i capelli, lusingata. - Non so che dirti, sono ... sono felice che mi trovi sadica ... -
- Raga, ho in mente un'idea geniale! - insorse Erik, mettendo fine alla conversazione fra le due litiganti e lo sciocco conteso.
- Del tipo? - domandò Bobby, curioso.
- Una sfida! Chi perde ... punizione! -
- Okay, "fratello", cerca però di spiegarti con più chiarezza - osservò Dylan, confuso. Già per lui era difficile imparare a memoria la tabellina dell'uno, figuriamoci un gioco spiegato alla "che me ne frega".
- Ah, ehm, certo ... dunque ... allora, per esempio; ci sono quattro coppie: io, Silvia ... -
Silvia arrossì lievemente e Suzette le lanciò un'occhiataccia malefica.
- Mark e Esther. -
Il biondo e l'amica si scambiarono un amichevole sorrisino, poi l'americano le tirò un dolcissimo buffetto sulla guancia, obbligandola a fremere di felicità. Da dentro, naturalmente.
- Praticamente uno di noi da diversi ordini, e una coppia deve eseguirli prima dell'altr ... -
- ERIK, NON USARE UN LESSICO COMPLICATO! - sbraitò Dylan, portandosi le mani fra i capelli. - Mi stai mandando in confusione! -
- Madonna, Dylan, non mi sembra ... -
- Spiegati meglio, sei peggio di Mark! -
Erik scosse il capo, divertito. Non poteva credere che Dylan fosse diventato ancora più scemo e imbecille (e porco) di prima. Si vedeva che non aveva proprio toccato libro, e anche se negli Stati Uniti i compiti estivi erano aboliti, un po' di allenamento era sempre consigliato. E dire che, per quanto Mark glielo avesse spiegato, ancora non aveva capito come funzionavano le espressioni con le frazioni, o l'algebra in generale. Incredibile.
Meno male che agli esami non l'avevano beccato a copiare dall'amico, altrimenti sarebbe rimasto di certo in terza media ... - Ok, cercherò di essere più chiaro; Bobby dice a me, Silvia, Mark e Esther di correre fino alla riva e tornare indietro. Chi lo fa prima, vince. Alla fine, chi riesce a sbrigarsela prima dell'altra coppia, ha il diritto di dare loro una punizione. -
Dylan reclinò il capo, segno che di tutto l'argomento non aveva capito una mazza. - EH!? -
- ODDIO, DYLAN, SEI UN CASO DISPERATO! - sbottò Mark, sollevando gli occhi al cielo.
- Zitto, Mark, tu sei peggio di me a capire le cose! -
- Ah, sì ...? Strano, visti i voti in pagella! -
- Sarai anche intelligente quanto uno scienziato, ma non sai nulla dell'amore! - gli fece notare il ragazzo con gli occhiali, serio.
Esther sgranò gli occhi e si strinse nelle spalle. Probabilmente, l'unico che non si era accorto che aveva un debole per Mark, era proprio Mark. A quanto pare, la sua cotta non era passata inosservata. Dylan era proprio un genio.
- Oh, credimi, invece sono bravo pure in quello - lo sfiancò il biondo, stringendo i pugni e ripensando al periodo scolastico di quell'anno, dove tutte le ragazze, di tutte le sezioni e di tutte le età, gli avevano corso dietro come pazze assatanate. - molto più di quanto credi, Dylan. -
- Dicono che l'amore sia ceco ... - continuò il migliore amico, scuotendo miseramente il capo. - ... tu l'hai preso in pieno, quel proverbio. -
Mark fece per replicare con un bel pugno in faccia, ma Esther si mise in mezzo, imbarazzatissima. Prima di tutto, teneva molto che il ragazzo della sua vita non ne uscisse con il labbro spaccato. Come secondo, doveva difendere i suoi sentimenti: se avessero continuato a blaterare, di certo Dylan avrebbe rivelato ciò che aveva capito. E non voleva perdere Mark, allontanarlo perché provava un debole per lui. Se ciò fosse accaduto, non se lo sarebbe mai perdonato. - Ok, ok, ehm ... non menatevi il giorno di Ferragosto ... -
- "Giorno dell'Indipendenza", vorrai dire - la corresse Hellen, premurosa e sempre attenta a tutto.
- Sì, quello ... abbiamo una splendida giornata da passare insieme, bisogna per forza prendersi a cazzotti perché ... l'amore è cieco e tu, Mark, sei un vero cretino? -
Dylan a stento riuscì a bloccare una risata. - Hai sentito, Mark ...? Anche secondo la tua migliore amica sei un baka. -
- Che Est' mi considera uno scemo questo già lo sapevo, thanks. -
- Est'? - ripeté Esther, guardandolo confusa. - Sarei io? -
- Sì, il tuo soprannome - ribatté l'americano, sorridendole dolcemente. - Se ti fa schifo, dimmelo che lo camb ... -
- No, lo trovo adorabile ... - mormorò la mora, con voce melodica e affascinata. Est', abbreviativo di "Esther". Non c'era parola più dolce, suono più mellifluo e limpido. Decise mentalmente che sarebbe diventata la sua nuova password per il computer. - E tu sarai ... Marky! -
- NO! MARKY NO, E' PESSIMO! - si lamentò inorridito Mark, mentre Dylan e Bobby, Dell e Michael ripetevano in coro "Marky, Marky, Marky, ce lo fai un wisky, wisky, wisky ...".
- Allora ... mh ... -
- Posso continuare a spiegare il gioco, prima che a Dylan gli si fonda il cervello (che non ha)? - li interruppe Erik, spazientito.
- Uh, sì, certo. -
- Come ti dicevo, Dylan ... alla fine chi vince può decidere una punizione da dare all'altra coppia. Compreso il tutto ...? -
Il ragazzo con gli occhiali fece qualche segno con le mani, poi annuì. - Credo di sì. Un esempio? -
- Io e Silvia vinciamo e obblighiamo Mark a levare il reggiseno a Esther con i denti. -
- EH?! - trillarono in coro Mark e Esther, sobbalzando dalla vergogna mentre, in lontananza, Suzette faceva loro il dito medio.
- N- non ... questo non è un esempio pratico, Erik ... - balbettò il biondo, in evidente stato di confusione mentale. - ti chiedo gentilmente di farne un altr ... -
- CAPITO TUTTO! - esclamò Dylan, ridacchiando felice. - Chi vince obbliga chi perde a subire una punizione! -
- Esattamente, Dylan! -
- Bene, che bello, ho voglia di giocare! -
Mark sorrise. - Allora possiamo decidere le coppie: "fratello", io sto con te, ti dis ... - non riuscì a completare la frase che Esther, sentendosi in colpa per l'accaduto, gli strinse una mano.
- Mark, non sarà che non vuoi stare con me perché Erik ha detto quella cavolata ... - mormorò dispiaciuta, le iridi nere che brillavano paonazze e le labbra piegate in una smorfia disperata.
L'americano le strizzò l'occhio, cercando di farla sorridere, poi le incastrò un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. - Tranquilla, va tutto bene. Semplicemente, ho voglia di vendicarmi contro Erik. Dylan è bravo in questo genere di sfide: vincere sarà come bere un bicchier d'acqua ... - la tirò delicatamente a sé e sorrise con sadismo, dopodiché premette le labbra contro il suo orecchio. - e poi lo obbligherò a levare il reggiseno a Silvia. -
- Ahah, già mi immagino la scena! - esclamò Esther, ridendo sarcastica. - Allora vinci, Mark, faccio il tifo per te! -
- Sei pronto a perdere ...? - lo provocò Erik, incrociando le braccia al petto e interrompendo la loro conversazione.
- Dopo che ti avrò schiacciato, Erik. -
- Lo vedremo, lo vedremo ... io faccio coppia con Bobby! -
Bobby sospirò amaramente e si alzò dall'asciugamano, scocciato. - E te pareva ...? -
- Michael, dacci un ordine! -
- Dunque ... - il ragazzo s'incastrò il fragile mento fra indice e pollice, poi, dopo un attimo di meditazione, il suo cervellino venne investito da un colpo di genio. - chi riesce a rimanere sulla sabbia che brucia per più di un minuto STESI DI PANCIA vince! -
Mark fu il primo a stendersi, seguito a ruota da Bobby, Erik e, infine, Dylan (come al solito). I quattro amici rimasero sotto il sole per un tempo che parve infinito, e il primo a cedere alle grinfie dell'afa estiva fu Erik, che, accaldato, emise un gemito e si rialzò rapidamente, per poi gettarsi addosso al suo asciugamano, la schiena in fiamme e l'espressione sofferente.
- AHAH! - gracchiò Dylan, osservando Bobby sollevarsi sconfitto. - Abbiamo vinto! Uno a zero per Mark e Dylan, wu! -
- Bravi, ragazzi! - esclamò Esther, battendo le mani. - Posso deciderla io la prossima sfida? -
- Certo, Est'! - esclamò Mark, fissandola con un sorriso.
- Dunque ... - la mora prese a becchettarsi l'indice sul labbro superiore, indecisa. Da dove partire? Aveva in mente così tante sfide che non sapeva proprio quale scegliere. Alla fine optò per qualcosa di complicato e divertente, che di certo li avrebbe fatti imbestialire. - Questo mare è pieno di pesci! Chi prima riesce ad acchiappare il più particolare, vince! -
I quattro ragazzi, svelti come saette, si precipitarono in acqua e iniziarono a sguazzare con le mani, provocando limpidi schizzi ovunque e allontanando così i bagnanti dalla zona, infastiditi.
- ECCO, NE HO PRESO UNO! - esclamò Bobby dopo diversi minuti, sollevando le braccia in aria, quando il pesce gli sgusciò via dalle dita e scomparve dalla vista dei ragazzi, infilandosi sotto la sabbia.
- Bobby, cretino! ERA ANCHE LEOPARDATO! - abbaiò Erik, spingendolo con violenza.
- Scusami, Erik, la prossima volta che prendo un pesce te lo faccio ingoiare, così poi vediamo se ... - non riuscì a finire che Mark gli si gettò addosso, catturando un pesce con la bocca.
- MARK! TOGLITI! - tuonò il difensore, irritato.
- Mh? Oh. Scfufa, Boffy - bonfocchiò Mark, mentre il pesce si dimenava fra le sue labbra sottili. L'americano se lo tolse di bocca e lo esaminò attentamente. Sgranò gli occhi. - What ...! - gemette, sconvolto. Cosa ci faceva un comune pesciolino argentato fra le sue mani, quando il suo obbiettivo era stato quello di afferrare un grosso pesce color rosso cremisi dalle striature bluastre? - Evidentemente avrò sbagliato mira ... -
- Mark, fuck you - sbottò Dylan, corrucciando la fronte.
- Cercavi questo, Marky-Wisky? - richiamò la sua attezione Erik, sventolando in aria quel maledetto pesce rosso e blu.
Il biondo si passò una mano fra i capelli, atterrito. - No! Erik, this fish is mine! Dammelo! -
- Ehehe! Chi trova tiene! -
- Non era ... chi cerca trova? -
- E' uguale - borbottò il castano, ritornando all'ombrellone con il pesce stretto fra le mani.
Esther guardò in basso, pensierosa. La sfida che aveva proposto, Mark l'aveva persa. Evidentemente, non era destino che il suo debole per lui potesse essere ricambiato. Decise di mettere da parte le premonizioni e scacciare il pensiero; mancava ancora un mese pieno alla sua partenza, anzi due, nulla le avrebbe impedito di fare un tentativo. La speranza, del resto, è sempre l'ultima a morire.
- Posso proporla io, la sfida, adesso? - chiese Suzette, alzando una mano.
- Certo, piccola - le sorrise Mark, ricomponendosi.
- Allora ... chi riesce prima a spalmare la crema solare su una di noi ragazze, vince! -
- WOW, I LIKE THIS CHALLENGE! - urlò Dylan, prenotandosi Esther. Daisy arrossì selvaggiamente, gelosa. Certo, non era colpa dell'amica, ma come minimo si era aspettata che il ragazzo scegliesse lei. Pazienza. Magari lo faceva per ingelosirla ... anzi, doveva essere sicuramente così. Almeno secondo le sue teorie.
- Io Hellen, a questo punto - disse Bobby, lanciando un'occhiatina maliziosa alla rosa, che sorrise e gli fece l'occhiolino.
- In quanto a me ... Silvia? -
Silvia trasalì dalla vergogna. - Erik, sei pazzo? -
- Dai, ti prego ... - insistette il castano, incrociando le mani a mo' di preghiera e addolcendo lo sguardo. - please ... -
- Oh, e va bene, ok ... - sussurrò l'amica, levandosi la canottiera e piegandola accuratamente. - solo perché sei il mio migliore amico - aggiunse, prendendo posto sull'asciugamano.
- EVVAI! -
Mark arrossì e guardò in basso, poi iniziò a torturarsi la linugua con i denti. - In genere non faccio ste cavolate, ma Suzette ... ti va bene se ... - non ebbe neanche tempo di terminare che già l'azzurra l'aveva spintonato verso di sé, maliziosa. - Certo che va bene, Mark! -
L'americano si sedette timidamente sopra di lei, poi le scostò i capelli dalle spalle e si spalmò un po' di crema solare fra le mani. Non appena poggiò i palmi sulla sua pelle abbronzata, si sentì magicamente alle stelle. - Vuoi che te ne metta tanta o poca? - le chiese, cercando di non lasciarsi andare alla dolce tentazione di farle un vero e proprio massaggio thailandese.
- Poca, come vedi la mia pelle è già perfettamente in armonia col sole - gli spiegò Suzette, soddisfatta di aver scelto Mark come spalmatore di crema privato.
- Okay. Come desidera, principessa. -
- Principessa un corno - sbottò Esther, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre Dylan, eccitato, le ricopriva la schiena di crema.
- Dopo posso farlo anche davanti? - le domandò, speranzoso.
La mora trattenne l'indomabile voglia di alzarsi, tirargli un pugno e affogarlo in acqua. E poi, magari, fare la stessa cosa anche con Suzette. - No! E smettila! -
- Dai, scherzavo! Piuttosto dimmi, è vero che ti piace Mark ...? - le chiese Dylan, servendosi un altro po' di crema solare sulla mano destra.
- Fatti gli affari tuoi, credo che tu per oggi abbia fatto abbastanza. -
- Ti piace yes or no? - insistette il ragazzo con gli occhiali, curioso.
Esther sospirò profondamente, poi smise di fissare Mark e Suzette ridere animatamente. - Sì ... - mormorò, arrossendo per la troppa gelosia. - Certo che mi piace ... -
- E allora perché non te lo sei prenotato ...? - le domandò Dylan, sollevandole il laccio del costume per ricoprirle di crema ogni minimo centimetro della schiena.
- Avrei infranto i suoi sogni, so che ha un debole per Suzette, e quindi ... -
- Devi intrometterti, cara. -
La mora si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa. Certo, era gelosa, gelosissima, ma mai e poi mai si sarebbe permessa di rovinare lo splendido legame che era sorto fra Mark e la sua Capitana, anche perché fare una cosa del genere le sarebbe venuto a costare caro sulla coscenza, lasciandole un segno indelebile sul cuore. - Non posso ... passerei per vipera! -
- Allora arrangiati ... sappi solo che quando Mark s'innamora fa sul serio - le spiegò Dylan con voce ferma e pacata. - Se quei due si fidanzano, non ti filerà più come sta facendo adesso. Penserà solo a Suzette, a come farla felice ... io cercherei di salvare il mio amico, piuttosto che vederlo soffrire dopo. -
- Che intendi dire ... - domandò Esther, confusa.
Il ragazzo smise di massaggiarle la schiena. - Intendo dire che Suzette è una ... insomma, hai capito. Lo sappiamo entrambi. Non credo che ami Mark quanto lo adori te, ecco. E di certo, conoscendo quel cretino che è il mio migliore amico, quando la tua carissima e amata Capitana lo lascerà, perché sì, lo sento, il mio sesto senso non sbaglia mai, scoppierà in lacrime come un bambino e ci rimarrà molto male ... almeno tu, intromettendoti, eviterai una tragedia. O vuoi che Mark ti faccia sempre il muso e perda tempo a mugolare nel letto da mattina a sera? -
La ragazza rifletté un attimo, indecisa. Non voleva il male di Mark, assolutamente, e nemmeno voleva dividerlo da Suzette, ma se era per evitare di farlo soffrire, avrebbe cominciato ad avvertirlo sui possibili effetti di una relazione con l'azzurra. - Va bene, Dylan, hai ragione. In ogni caso, tu non dovrai dirgli nulla sul fatto che mi piace. Chiaro? -
- Ricevuto, baby, rimarrà una cosa fra me e te. E, insomma, tutto il mondo. Solo lui non sembra averlo capito ... -
- Ottimo. -
- FINITO! - urlò d'improvviso Erik, alzandosi dalla schiena di Silvia con slancio.
Bobby applaudì e sventolò le mani in aria, poi ridacchiò felice, contagiando anche Hellen. - Ahah, Mark, Dylan, vi piace perdere tempo, eh ...? Due a uno per me e Erik, yes! -
- N-NON VALE, IO MI ERO PERSO IN CHIACCHIERE! - si lamentò Dylan, battendo i piedi per terra. Mark sollevò un sopracciglio. - Con Esther? E di che parlavate? - domandò, spalmandosi gli ultimi residui di crema sulle spalle abbronzate.
- Gli affarini tuoi mai, neh ...? - lo incuriosì ancora di più l'amico, asciugandosi le mani imbrattate di crema sui bermuda.
Il biondo fece per replicare, quando Dell li interruppe. - Fate l'ultima sfida, dai; posso proporla io? -
Hellen la guardò, seria. - Dell, al massimo le ultime due sfide, perché se questa la vincono Mark e Dylan, arrivano in pareggio. -
La blu finse di non ascoltarla, e continuò a parlare. - Chi tocca per primo dieci sederi vince! -
Mark per poco e non cadde all'indietro, sconvolto. - Ma ...! - trillò. - D-Dell, no, non se ne parla proprio! Mi rifiuto di giocare, basta! -
- Vuoi levare il costumino a Esther ...? - gli ricordò Erik, avvicinandosi ai due ragazzi con sguardo colmo di ironia. - No, perché se molli adesso, è quella la condanna a cui sei, anzi, siete destinati. E poi, volendo, posso anche obbligare a farti fare altro ... tipo giocare con ... hai capito ... -
Esther arrossì e si agganciò al braccio del biondo, imbarazzata. - Mark, parteciperai, vero ...? - gli chiese, lo sguardo assassino e la voce sommessa dalla vergogna.
Mark la guardò per un istante, le labbra serrate come sigilli, poi sospirò e sollevò le spalle. - E va bene, okay. Però io guardo e valuto, non tocco. -
- Tranquillo, Mark, quello lo farò io! - esclamò Dylan, passandogli un braccio intorno al collo e strizzando l'occhio con vivacità.
I quattro ragazzi così iniziarono a passeggiare il lungo e in largo per la spiaggia, e dopo aver toccato, corso (o meglio fuggito) e ancora toccato per più di una buona mezz'ora, nonostante l'impegno e la dedizione di Dylan, purtroppo vinsero Erik e Bobby, col vantaggio di dieci sederi sfiorati a sei. Anzi, cinque. Quattro.
Ok, non mentiamo, due.
Nonostante Dylan fosse stato molto disposto, Mark naturalmente NO, e ogni volta che l'amico lo obbligava a giocare, si rifiutava categoricamente di allungare la mano, finendo col litigare con lui e così perdere tempo.
Quindi ora toccava a Erik e Bobby, decidere la sorte dei due "fratelli".
Esther si portò ambe le mani sul seno, nervosa. - I miei piani alti non si toccano, siete avvertiti. -
- Tranquilla, Mark te li leccherà quando sarà più grande - l'ammonì Dylan, divertito.
Mark trasalì dalla vergogna e iniziò a balbettare frasi senza ne capo ne coda, invece la mora, fin troppo imbarazzata, indossò la maglietta. Era deciso: mai più in costume davanti a quei pervertiti.
- Allora, dunque, fatemi pensare un po' ... - Erik si portò un dito sul mento, poi cominciò a guardarsi intorno con aria intelligente. Non sapeva proprio che punizione far loro subire: di certo non le flessioni. Troppo comuni. Scartò le capriole all'indietro, la gara di fissaggio oculare restando il più possibile seri e altre simili cavolate da bimbi di sette anni, quando, come per magia, i suoi occhi neri si posarono su una scogliera alta circa dieci metri, sbilenca e rocciosa. Sorrise malefico. - Buttatevi da lassù - disse, indicandola vittorioso.
- EH!? - urlò Dylan, facendo un balzo all'indietro. - Erik, sei impazzito?! Mi vuoi uccidere?! -
Mark incrociò le braccia al petto, pensieroso. A differenza dell'amico, secondo lui la scogliera era fin troppo bassa. Aveva fatto nuoto per dieci, lunghi anni, dai due ai dodici, ormai sapeva buttarsi dalle più svariate altezze senza provare neanche un po' di paura. - E' così bassa ... un punto un po' più alto? - domandò, serio.
- M-Mark, povero, ti sei bevuto il cervello? - gli chiese Dylan, portandosi una mano sulla testa. - Vuoi morire? -
- Mark, Dylan ha ragione ... potrebbe essere rischioso, e io non voglio tu ti faccia del male ... - intervenne Esther, venendogli incontro con aria seriamente preoccupata. - A questo punto ti lascio levarmi il costume coi denti ... -
Mark sorrise e la prese per le spalle, obbligandola ad arrossire. - Andrà tutto bene, ho fatto dieci anni di nuoto ... sette, nove, quaranta, cinquanta, cento metri, non fa differenza. Se sai come buttarti, andrà sempre bene. -
- Ma tu hai quattordici anni ... - continuò Esther, senza arrendersi. - ... non sei Ryan Choil o Federica Pellegrini, potresti non uscine illeso, e io non voglio che ... - non riuscì a terminare che il ragazzo scoppiò a ridere, facendola indispettire. - Che ho detto di male! -
- Un giorno ti faccio venire a casa mia e ti mostro tutte le medaglie che ho vinto, Okay? Meno due che sono d'argento, le altre sono tutte in oro.
Ci credi ...? -
- S- sì ... -
- Quindi non ti preoccupare, mi sono gettato da altezze più esagerate - concluse Mark, soddisfatto, poi le tirò un buffetto sulla guancia destra, si baciò due dita, prese Dylan per un orecchio e lo obbligò a salire in cima con lui.
Erik prese posto vicino a Silvia, divertito e preoccupato al contempo. - Goodlook, guys! - esclamò, quando Esther gli si parò davanti, arrabbiatissima.
- Se Mark si fa male, se esce dall'acqua anche con solo un graffio, te la dovrai vedere coi miei cazzotti! - ringhiò, spingendolo all'indietro.
- Ahaha, tranquilla, Esther! Vedrai che andrà tutto bene, smettila di preoccuparti per lui, è sempre andato bene nel nuoto, credimi, non merita le tue preghiere - la tranquilizzò Eagle, osservando in lontananza Mark e Dylan camminare lesti, il biondo tre metri più avanti dell'amico.
Una volta che entrambi furono sul ciglio della scogliera, il ragazzo con gli occhiali ebbe come un tuffo al cuore, e le gambe presero a tremargli. -
M- Mark, andiamocene, è una follia ... -
- Dylan, andrà tutto bene - gli sussurrò Mark, sorridendogli rassicurante. - Sono solo dieci fottutissimi metri. Vedrai che ce la caveremo. -
- N-no ... Mark, seriamente, torniamo giù, dai ... se non te la senti di levare il costume a Esther, lo faccio io ... -
- Esther non si tocca - ribatté Mark, con tono possente e raggelante. - Sono il suo migliore amico, e ... -
- E sei anche piuttosto geloso, a quanto vedo ... - ridacchiò Dylan, tirandogli una gomitata, ma l'americano continuò a fissarlo irritato, i pugni stretti e lo sguardo assassino.
- No, non sono geloso - sbottò, senza nemmeno arrossire.
L'amico batté le palpebre più volte, confuso. - V-va bene, Mister Protezione, che vuoi fare, arrestarmi ...? -
- Per averla nominata e desiderata, ora sarai seriamente costretto a buttarti - replicò Mark stringendogli un polso, per poi chiudere gli occhi, aumentare la stretta, deglutire, mandare una preghiera a Dio e gettarsi nel vuoto insieme a Dylan, che prima di toccare acqua CON LA PANCIA, lanciò un grido di spavento.
Quando il Capitano della Unicorno riemerse, la prima cosa che vide fu l'amico piegato in due per il dolore, che correva verso la riva. - D-Dylan, dove vai ...! -
- Mark, mi fa male! -
- Cosa! -
- La pancia! -
Il biondo lo guardò senza capire, confuso, poi inarcò le sopracciglia, sbarrò gli occhi e arrossì dalla rabbia. - DYLAN, TI SEI TUFFATO DI PANCIA?! - urlò, venendo in suo soccorso.
- Mi hai mollato il polso, Mark, e io non ho saputo più come diamine buttarmi! - ringhiò Dylan, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore.
Mark si passò una mano sul volto per scacciare le gocce d'acqua che gli si erano appiccicate sulla pelle, sconvolto, poi lo aiutò ad arrivare da Erik e Bobby. - appoggiati qui - gli impose, osservandolo sedersi su un asciugamano.
Daisy lo coprì con un altro accappatoio, preoccupata, Bobby invece andò a prendere del disiffettante nella farmacia lì accanto per placargli il bruciore all'addome.
- Ti fa male ... - gli domandò Mark, dispiaciuto.
- Mai più ...! - gemette Dylan, contraendosi in avanti per il dolore.
Il biondo gli si sedette di fronte, poi posò i gomiti sulle ginocchia e lo guardò intensamente, le labbra curvate e il volto fradicio. - Perdonami ... è stata colpa mia ... non volevo mollarti, solo che ho preferito te la vedessi da solo, perché dove stavo precipitando io c'erano degli scogli, e temevo che, trascinandoti con me, ti saresti potuto ferire ... -
- Tanto mi sono ferito comunque ... - rispose Dylan, sorridendogli sarcastico, sorriso che Mark prese come un brutto rimprovero. - Ormai è fatta ... ti chiedo solo di non preoccuparti tanto ... -
- Come sarebbe a dire, Dylan, quasi non ti facevo vomitare lo stomaco ... -
- Oh, Mark, mi è successo di peggio ... - replicò l'altro, strizzandogli l'occhio. - è stato ugualmente uno spasso, tutta quell'adrenalina, il vento che ti schiaffeggiava la faccia, tu che urlavi come un cretino, io pure ... -
- Uno spasso ... - mormorò il biondo, osservando Esther avvicinarsi, o meglio, osservandole il corpo.
- Che è successo? Dylan, ti sei fatto male? -
- Sì, ma è tutto okay, non devi preoccuparti ... va tutto bene ... l'importante è che sono vivo, ahahah! -
La mora gli poggiò una mano sulla spalla, poi portò i suoi languidi occhioni neri sul migliore amico. - Mark, tu? - gli domandò, curvando le fini sopracciglia verso il basso per la preoccupazione.
- Tutto bene, ti avevo detto che me la sarei cavata - le rispose lui, sorridendole con dolcezza.
- Oh, Mark! Ero così preoccupata per te! - esclamò la ragazza, gettandogli le braccia al collo e affondando il volto fra i suoi pettorali, agitata. Che cosa avrebbe fatto se Mark ne sarebbe uscito lesionato? Per fortuna era andato tutto bene, e anche se a prima vista poteva sembrare una cosa da niente, era rimasta davvero in pensiero. Questo non faceva che aumentare ciò che provava per lui. - Ho temuto il peggio ... -
- No, non lo devi neanche minimamente pensare, Esth' ... - sussurrò Mark, ricambiando l'abbraccio con altrettanto amore. - Te l'ho detto, per me è una cosa assolutamente innoqua buttarsi da quell'altezza, lo facevo a sette anni ... -
- Prima o poi riuscirete a svolgere la vostra punizione con decenza ... - insorse d'improvviso Erik, sbucando da chissà dove insieme a Silvia, Hellen e Suzette, la quale stritolò amorevolmente Mark in un abbraccio soffocante, allontanando così Esther.
- In che senso? Sono andati bene - chiese Michael.
- Michael, non riescono mai a completare un azione! Un po' di forza, dai! Mark, Dylan, la rifate! -
- Cos ...! - gemette Dylan, sbarrando le iridi color lime. - Sei impazzito?! Ho rischiato di perdere l'addome, adesso vuoi persino che la rifaccia!? Erik, va a buttarti te, va! -
- No! No, io non devo essere punito per aver perso la sfida! -
Mark s'intromise, mettendo fine all'accesa discussione fra i due bomber della Unicorno. - E va bene, Erik, si rifà, tanto per me lanciarsi da dieci metri una seconda volta, è un po' come bere un altro bicchiere d'acqua. Solo, non lo farò con Dylan - spiegò, calmo come sempre.
- E con chi? - domandò Esther, già iniziando a preoccuparsi.
- Con te, chiaro - le rispose il biondo, avvinghiandole i fianchi e avvicinandosela al volto per poterla guardare meglio negli occhi. - Non avrai paura, spero. Per una ragazza bella e talentuosa come te, con un coraggio da leoni e una grinta da spavento, ciò deve essere una grande cavolata. Dico bene? -
- Paura io ...? - mentì la mora, incrociando le braccia al petto e indossando l'aria più convinta e fiera che avesse mai saputo tirar fuori. - QUANDO MAI! -

 

- Mark, ho paura! -
Mark smise di avanzare, si voltò e guardò Esther negli occhi, sorpreso da tale affermazione. - Avevi detto di non averne, prima. -
- Ehm ... - la mora si strinse nelle spalle, imbarazzata. - scherzavo, scherzavo, OVVIO che non ho paura! - mentì, arrossendo e distogliendo lo sguardo. Perché continuava a sparare bugie a valanga? Tanto ormai era inutile tornare indietro, ormai erano quasi arrivati alla cima della scogliera, e si sarebbero dovuti gettare nel vuoto. E allora perché insisteva, perché continuava a spacciarsi per ragazza forte e grintosa? Perché continuava a tentare in tutti i modi di piacergli almeno un po'? Tanto ormai lui sarebbe sicuramente finito con Suzette, e lei, beh ... col suo lattante giapponese di tredici anni.
- Menti - disse Mark prendendo a fissarla con convinzione, come se cercasse di persuaderla con la forza del pensiero. - Coraggio, dimmi la verità. -
- N- non sto mentendo! - esclamò lei, stringendo i pugni e corrucciando le labbra, ma dopo averlo guardato per qualche minuto si arrese all'evidenza: non era ancora capace di mentire davanti a quegli occhi così puri, limpidi e ingenui, perlopiù se la guardavano severi. - D'accordo, sì, sto mentendo. -
- Perché mi menti, Esth'? Siamo amici, di me ti puoi fidare ... -
- Mark, è che ... i- io ... pensavo che se ti avessi detto che avevo paura delle altezze, mi avresti considerata una ragazza debole ... -
- Ehi, non lo penserei mai ... - le sussurrò Mark, avvicinandosi a lei e passandole tutte e cinque le lunghe dita fra i capelli, tranquillizzandola. Ormai conosceva bene Esther, sapeva che genere di ragazza era, e poi ognuno aveva le sue debolezze. Sua sorella Marge, nonostante i dodici anni, aveva ancora paura del buio, e sua madre dei cani. C'era qualcosa di sbagliato, se la sua migliore amica aveva paura delle altezze? Mica avrebbe cominciato ad evitarla, per questo. - le debolezze arricchiscono l'essere di una persona ... torniamo indietro, se vuoi. -
- N- no ... - replicò Esther, intestardendosi. - Ora ci buttiamo! -
- Sicura? - le domandò Mark, osservandola avanzare come un soldato. - Non voglio che mi svieni mentre precipitiamo. -
- MI DAI DELLA DEBOLE?! - strillò lei, voltandosi e lanciandogli un misero sassolino per scaricare l'agitazione. - SBAGLI! TI DIMOSTRERO' CHE E' IL CONTRARIO! -
- Non ti sto dando della debole, solo che preferisco non rischiare, tutto qui - le spiegò Mark, raggiungendola e prendendola fedelmente per mano come una coppietta di fidanzatini al loro primo appuntamento.
Una volta che furono dinanzi ai dieci metri d'altura, Mark gonfiò il petto e distese i muscoli delle braccia con diversi piegamenti, cercando di rilassarsi il più possibile. Esther lo fissò per qualche istante, rapita, poi decise di guardarsi un po' intorno.
Sbiancò in volto.
Sotto di lei, il blu del mare. Oltre, una pineta rigogliosa, poi, ancora più in là, i grattacieli della bellissima Los Angeles. Accanto a lei il suo migliore amico sexy, e dietro tantissimi minuti di camminata.
Praticamente non aveva via di scampo. O fuggiva, o stringeva forte la mano di Mark, chiudeva gli occhi e lasciava fare tutto a lui. Dopo alcuni istanti di riflessione, optò per la seconda opzione.
Si fidava di Mark, tantissimo, doveva semplicemente mettere da parte la fifa e riempirsi di vigore. Se solo fosse stato facile ...
- Sono pronta - disse, facendo alcuni saltelli per riscaldarsi.
- Pure io lo sono - replicò l'americano, avanzando con molta cautela per evitare di scivolare e prendere una brutta (e forse mortale) caduta. Allargò le narici, si concentrò al massimo, strinse la mano dell'amica e fece per buttarsi, quando lei, spaventata, lo abbracciò da dietro, spostandolo dall'orlo della scogliera e spingendolo indietro. - Esth', piccola, che cosa stai facendo! -
- NO, NO, NO! - urlò lei, la voce tremante e la faccia pallida quasi quanto quella di un cadavere. - Non voglio che ti butti, che ci buttiamo ... ti prego! -
Mark le prese il volto fra le mani con delicatezza, per tranquillizzarla, poi scontrò la sua fronte lievemente abbronzata contro quella di lei, imperlata di sudore. - va tutto bene. A quest'ora, se non mi avessi fermato, eravamo già in riva - le mormorò, dolce.
- I- io ... io ho paura, ho una paura matta, Mark, seriamente! -
- Allora torniamo indietro. -
- NO! - strillò la mora, dimenandosi, ma l'americano l'abbracciò forte, cercando di calmarla.
- Esther, ascoltami ... - prese un respiro e deglutì più volte. - ti fidi di me? - le domandò poi, guardandola negli occhi speranzoso.
L'amica ricambiò lo sguardo, sconvolta, poi si prese qualche secondo per pensarci. - S- sì, io ... - afferrò il volto di Mark e lasciò che lui le stringesse amorevolmente le mani, impegnate nel rimanergli saldamente incollate sulle gote color sabbia. - Io mi fido di te, Mark ... -
- Allora il resto non conta ... - mormorò il biondo, sorridendo compiaciuto. - Stringimi la mano, chiudi gli occhi e fidati di me. -
- Fidarmi di te, sì ... - Esther gli mollò il volto, poi fece come richiesto dall'amico. - Io mi fido di te ... è questo l'importante ... - iniziò ad ansimare per l'agitazione. - andrà tutto bene ... -
- Andrà tutto bene, sì. Keep calm and follow me ... vedrai che poi vorrai farlo ancora. - le disse Mark con voce suadente e leggera, portandola sull'orlo della scogliera con delicatezza.
Lei gli strinse la mano, poi si addentò il labbro inferiore e spremette meglio le palpebre, spaventata. - Mark, non mi lasciare per nulla al mondo!
Neanche mentre precipitiamo, ti prego! -
- Non lo farò, te lo giuro sulla nostra amicizia - le promise l'americano, iniziando a incamerare aria nei polmoni.
Esther annuì al vento e deglutì, poi, dopo aver atteso alcuni minuti in silenzio, percepì Mark spingerla bruscamente in avanti, i capelli sollevarsi in aria, le gambe fendere l'aria e la bocca aprirsi per lanciare un grido.
Dopodiché, l'acqua limpida e salata del mare le abbracciò tutto il corpo, trasformando l'impatto in un dolce tuffo a candela.
Quando riemerse, la prima cosa che prese affannosamente a cercare fu l'americano. Iniziò a boccheggiare in cerca di aria, il naso parigino rivolto all'insù e l'acqua fino al mento, poi, una volta che lo ebbe intravisto nuotare verso di lei a grandi bracciate, gli venne incontro. - Mark ...! - gemette, i capelli fradici, il rossetto sbaffato e la voce sommessa dall'emozione.
- Esther ...! - arrancò lui, sorridendo felice. - Stai bene? E' tutto okay? -
- Sì! - gridò lei, ridendo dalla gioia. - Tu!? -
- Benissimo! - il biondo le afferrò dolcemente il volto felice al contempo. - Benissimo ... mai stato meglio ... -
Esther arrossì e lasciò che lui riprendesse fiato. Era stupendo col volto impreziosito da piccole, limpide gocce d'acqua e i capelli bagnati, che avevano sostituito il raggiante biondo ambra per lasciare che l'acqua li tingesse di un tetro castano. - Oh, tante storie per niente. -
- Oh, Mark.. - la mora lo abbracciò con slancio, commossa, poi serrò gli occhi, si pulì il mascara colato con due dita e tentò di calmare i suoi ansimi, lasciandosi cullare dal respiro smorzato dell'americano.
- E' stato un tuffo mitico! -
- Sì ... lo penso anche io ... -
Mark sorrise, poi permise alla pelle d'oca di raddrizzargli i peli sulle braccia dall'emozione. Temeva che l'amica avrebbe reagito male, temeva di spaventarla, invece era andato tutto bene. Non c'era gioia più grande del suo sorriso, in quel momento.
- ... perdonami se ho dubitato di te ... credevo di finire come Dylan, e cioè come una povera frittatina spiaccicata al suolo ... - mormorò la ragazza, smuovendo le spalle con timidezza per togliersi di dosso le braccia possenti di Mark. - invece è andato tutto bene ... non volevo ... -
il Capitano della Unicorno emise un sospiro. - va tutto bene ... - annaspò. - so che ti fidi di me ... me lo hai dimostrato giusto qualche minuto fa ... per non avermi lasciato la mano ... e per aver creduto in me fino alla fine ... ti ringrazio. È un bel gesto. -
- Ah ... - Esther sorrise dolcemente, commossa dalle parole dell'americano. Probabilmente le sfuggì una lacrima, ma le gocce d'acqua sparse sul volto fecero sì che non si notasse. - ... bella prova di fiducia ... - disse, divertita.
- Sì ... bellissima ... - Mark le sorrise riconoscente, poi fece brillare le iridi celesti con intensità e passione. - ... ho fame ... -
Esther lo guardò per qualche secondo, ansante, poi scoppiò a ridere e lo abbracciò con forza, intenerita. - Sei adorabile con i capelli castani! - esclamò, smuovendo con furia i piedi. - Usciamo, dai! -
- Sì ... - sussurrò Mark scostandosi la frangia all'indietro.
- WOW, MARK! FANTASTIC! - urlò Dylan una volta che entrambi i ragazzi furono fuori dall'acqua, lanciando a Mark un asciugamano a scacchi blu e rossi.
- God, che freddo ... - mormorò la mora, abbracciandosi e arrossendo violentemente.
L'amico si asciugò con rabbia il volto e i biondi capelli, poi allargò le braccia e la obbligò con lo sguardo a farsi piu vicina, facendo così in modo che l'asciugamano avvolgesse entrambi in una dolce sensazione di tepore.
Esther sorrise melliflua, poi emise un gemito di piacere e si abbandonò a tale calore, stringendosi il più possibile al petto umidiccio di Mark. - Che freddo ... - bonfocchiò, rossa in volto.
- Già ... - rispose l'americano, quando ad interrompere l'atmosfera in mille frammenti fu un sospetto brontolare alla pancia, proveniente dal suo addome. Sgranò gli occhi e si nascose nell'asciugamamo. - Ehm ... - fece, mentre Esther ridacchiava divertita. - Questo sono io ... perdonami, e che non ci vedo più dalla fame ... -
- Oh, Mark, sei un tesoro quando arrossisci! Tranquillo, anche io ho un certo languorino! -
- Ti va un ghiacciolo? - le domandò lui, piegando l'asciugamano e tirando su dal naso.
- Sì, dai! - esclamò la ragazza, iniziando ad incamminarsi verso la sua "postazione" per prendere il portafoglio.

- Mark, non avevi detto un ghiacciolo? - domandò Esther, sollevando un sopracciglio.
Il biondo si sedette di fronte a lei, poi iniziò a tagliare affannosamente un'enorme cotoletta, scansando di mezzo le patatine con la punta del coltello (per dopo, naturalmente). - Ho fameeeeee ... -
La mora scoppiò a ridere, gettò il bastoncino del ghiacciolo in un bidone lì accanto e Mark mandò giù il primo boccone, affamato. - Ti voglio bene - le disse, dolce.
- A chi, alla cotoletta? -
- Eh? N- no, a dire il vero ... - l'americano sorrise divertito. - lascia stare. -
- Pure io ti voglio bene, Mark - ammise la mora, poggiando i gomiti sul tavolino e incastrandosi il mento fra le mani. - Tanto. -

 

Angolino di Maggio
Perdonate la lunghezza del capitolo. Se siete arrivati fin qui, siete proprio dei grandi. E siete anche moooooolto coraggiosi.
Ora, liberiamo gli scleri dalla gabbia(?).
OOOOOOWWWW, i miei Mark e Esther, i miei figliocci(?), come shono bellisshimamente bellishimi, aw ...
*si accorge che la state fissando confusi*
Ehi, ciao aspiranti scrittori e\o lettori che siate!
Allora, come vi è sembrato questo capitolo, volevo dire, capitolone?
A mio parere, questo è il cappy migliore di tutti.
Sarà che è tutto MarkEstheriano(?)??
Sì, deve essere sicuramente quello u.u.
Grazie alla connessione (Odio la mia connessione, è così stupida >. E' da ANNI che sogno di farli buttare insieme, quei due.
Non importa dove, poteva essere anche il cassonetto, o la neve, o il letto (non. Fraintendete.).
L'importante è che lui fa il ciccipucci con lei, è questo ciò che conta!!
Ok, ora lasciamo in pace il mio biondo e la sua dolshe moretta. *volta pagina*
Allora, secondo i miei calcoli il prossimo cappy si svolge di sera, da non so quale ora fino a mezzanotte. O luna, dipende. Sarà una notte molto MarkEstheriana(?), ma saranno presenti anche momenti fluff fra le altre coppiette.
Fra cui la SuzettexMark. Argh. *carica bazuka*
Bene, siccome la sto facendo fin troppo lunga, direi di chiuderla qui.
Per cui ci vediamo, mi raccomando, una recensione non fa mai maluccio ...
ciaociao!

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Capitolo 26
*** Volteggiando sui pattini ***


VOLTEGGIANDO SUI PATTINI
 
Col passare del tempo, anche la bella, gettonata ed eccentrica "Venice Beach" venne lentamente inghiottita dal buio estivo della notte, piombando nell'oscurità più assoluta. In lontananza, le colorate luci di una splendente e moderna Los Angeles danzavano vivaci a ritmo di una musica distante, e tutt'intorno ai lidi aleggiava il cullante sfrigolio delle onde che, accompagnate da un'insolita e ben gradita brezza primaverile, s'infrangevano contro scogli e rive.
- E proprio una serata splendida - osservò Mark, la città riflessa negli occhi e lo sguardo perso nell' ammirarne i possenti grattacieli.
- Già ... - Esther gli posò le iridi addosso, sorridente, poi addolcì lo sguardo e le gote si tinsero di un intenso rosso ciliegia. L'amico era proprio un bellissimo ragazzo, illuminato dal pallore della luna, sembrava un principe azzurro. I biondi, crespi capelli imbrattati di salsedine si smuovevano leggermente guidati dall'eterno soffio del vento, le iridi turchesi brillavano di felicità e il corpo, in quel momento curvato in avanti, conservava la sua raffinata bellezza infilato in una camicia sbottonata dai riflessi color nebbia. - la notte ideale da trascorrere in compagnia della propria anima gemella ... - mormorò, ammaliata da tale splendore.
Mark si voltò verso di lei, confuso e divertito al contempo. - Non ti facevo così romantica. - 
- Infatti era per dire - borbottò la ragazza, ricomponendosi per non lasciar trasparire troppo le sue emozioni.
- Ah, dai ... - il biondo le carezzò gentilmente una guancia, malizioso. - lo so che sei una romanticona ... solo che ti piace dimostrarmi il contrario. -
- N- non è vero. -
- Menti. -
La mora sospirò rassegnata. Ormai era inutile fingere con Mark, la conosceva molto meglio di quanto avesse mai potuto immaginare. - Sì, è vero ... -
- Perché lo fai? -
- Faccio cosa. -
Mark la guardò, scettico. - Perché mi menti - disse, serio. Adorava Esther, con tutto il suo cuore, ma non gli erano mai piaciute troppo le bugie. - Lo hai fatto anche quando ci siamo tuffati dalla scogliera: mi hai detto di non avere paura, e invece poi ti sei trasformata nella fifa in persona. -
- Mark, voglio fare bella impressione su di te, tutto qui, lo sai! - esclamò Esther, affondando i piedi nella sabbia con sdegno, irritata.
- Okay, okay, ma perchè! - le domandò Mark, curioso.
- Perché ti ... ehm ... ti trovo un tipo piuttosto eccentrico, ecco! - mentì lei, un po' a disagio. - Per questo ci tengo ad apparirti superiore, ogni tanto - gli spiegò, sperando che lui non si accorgesse della sua menzogna. Per fortuna non accadde, e quindi l'argomento fu dimenticato pochi secondi più tardi.
- Vai bene a scuola? - le domandò dopo qualche attimo, stendendosi sulla sabbia e permettendo alle onde del mare di carezzargli delicatamente le gambe.
- Perché me lo chiedi? -
- Cerco di capire che tipo è la mia migliore amica. -
Esther sorrise e si stese accanto a lui, poi iniziò a fissare le stelle. - Allora, nelle materie umanistiche sì, molto, anche in matematica e, quando mi va bene, geometria, solo che in tecnica ... - arrossì lievemente, poi ripensò a tutti i quattro che, anche quell'anno, non si erano fatti mancare troppo. - ecco, ehm ... non tanto ... -
Mark la guardò con un sorriso. - Io ho nove in tecnica. -
- Fanculo - sbottò la mora, facendogli il dito medio.
- Ahah, dai! - l'americano allungò una mano e le carezzò il braccio per provocarla un po'. - E' facile - aggiunse poi, prendendole amorevolmente la mano.
- No! N-no, non è facile, Mark ... - la mora arrossì e guardò le loro dita intrecciate per qualche secondo, poi gliele strinse forte e riprese a parlare, lievemente più rilassata. - almeno non per una come me, e poi non ho ancora capito come funziona il compasso! -
- Quando si dice essere ritardati ... -
- Non sto ...! ARGH! La rotellina non funziona, e quindi ... -
- Devi premere le dita sulle due leve situate ai lati delle gambe, Esther - le spiegò lui, iniziando a giocare con la sua morbida mano lattea. 
- Sì, se solo il mio compasso le avesse, le leve! - brontolò l'amica, lasciando che un calore confortante le pizzicasse le gote.
Mark scoppiò in una sonora risata e lei addolcì lo sguardo, divertita. Amava il suo tono di voce così debole, limpido e cristallino, avrebbe dato di tutto per registrarselo bene nella mente. - Esth', la tua ignoranza mi fa morire. -
- Oh, allora sentiamoti, genio, tu in cosa vai bene? -
- Matematica, tecnica, geometria ... un po' tutto. Non ho mai preso un cinque. -
- Ah, però ... la tua materia preferita? -
- Geografia. Tu, invece? - s'informò Mark, massaggiandole affettuosamente il palmo della mano.
- Ehm ... credo francese ... -
- Mh, infatti ogni tanto ti sento sparare qualche frase in quella lingua ... -
- Ahah, oui, vedo che l'hai notato, tres bien! - ridacchiò la ragazza, curvando le labbra carnose in un dolce sorriso compiaciuto.
- Ma certo! Lo parli spesso, agli allenamenti - osservò lui, serio. - E lo pronunci anche bene. Fin troppo bene. -
Esther lo guardò maliziosa. - E ...? -
- E niente, i miei complimenti. Con una lingua in più, sicuramente farai molta strad ... -
- Je suis une femme français, Mark. -
L'americano annuì. - Immaginavo - disse, sorridente, ma quando si rese conto dell'ultima, SCONVOLGENTE notizia da parte dell'amica sgranò gli occhi e la guardò a bocca aperta, le iridi sgranate e l'espressione stupefatta. - Aspetta, come!? Tu ... tu sei francese?! -
- Oui! Come, non l'avevi capito ...? -
- No ... cioé, che non eri giapponese okay, fin lì c'ero arrivato, ma ... pensavo fossi ... pensavo fossi croata ... o russa, norvegese ... -
- No, invece sono francese! -
- Ma ... dal tuo cognome non si direbbe ... -
Esther si portò un dito sulla tempia, un po' confusa, poi iniziò a cercare le parole giuste per spiegare all'amico che genere di sangue le scorreva nelle vene. - mio padre ha origini polacche! Per questo forse non ti tornavano alcune cosucce. -
Mark esitò qualche istante, poi le sorrise meravigliato. - Oddio, che rivelazione ... avrei dovuto capirlo prima, comunque, dal tuo naso e dal tuo accento ... insomma, ora che mi ci fai pensare, si vede che sei una bella parigina tutto brio. -
La mora gli lasciò la mano con rammarico, poi si stese di pancia e, dopo essersi sollevata sui gomiti, iniziò a mordicchiarsi nervosamente un ciuffo di capelli. - B-bella io ...? Mi trovi carina? - domandò, battendo le lunghe ciglia nere più volte.
- Naturale. Tu e le tue amiche siete tutte splendide ragazze - ammise Mark, ritornando ad ammirare le stelle. - Di che città sei originaria? -
- Parigi! -
- Oh, Parigi, la città dell'amore ... o era Venezia? -
- Venezia tremilioni di volte, altro che Parigi ... dovevano chiamarla: Parigi, la città dello shopping esagerato, dove scarpe e vestiti sono dietro l'angolo! -
Il biondo sorrise e inarcò le sopracciglia, rilassato. - Immaginavo l'avresti detto. Scusa la domanda un po' azzardata, ma ... se sei francese, che ci fai a Osaka? -
Esther si rabbuiò d'improvviso, facendolo preoccupare, poi curvò le labbra in una smorfia irritata. - Ecco ... - fece, iniziando a navigare nella sua infanzia per tentare di rammentare qualcosa di logico e chiaro da raccontargli. - I miei genitori, dopo la nascità di Charlie, hanno cominciato ad andare poco d'accordo: mio padre aveva riscontrato dei problemi con la pasticceria, e mia madre, senza lavoro, si doveva fare carico di tutti noi quattro ... sfamarci, portarci in giro, vestirci ... e quindi per lui eravamo solo un carico stressante da eliminare. Ora, dopo diversi anni passati a litigare e, beh, a lanciarsene di tutti i colori, hanno deciso di separarsi, e mia madre ci ha portarti tutti e quattro a Osaka, lontano da mio padre, giustamente ... -
Mark sollevò una gamba, allungò un braccio verso di lei e le passò due dita sul volto, triste. Di genitori in lite ne sapeva quanto un enciclopedia, ormai, ma di separazioni no. E ciò doveva fare molto male, specie se per un genitore diventi l' intralcio numero uno. - Mi dispiace ... - mormorò, cercando di confortarla.
- Tranquillo! - esclamò lei, mettendo da parte la nostalgia con un gesto delle spalle. - Va tutto bene ... ormai sono grande, non penso più a queste cose ... -
- Ma non ti manca Parigi? -
- Sì, però vedi, Mark ... io e i miei fratelli per mio padre eravamo solo un peso ... -
Il biondo deglutì più volte, irritato. Come poteva una tipa tosta e determinata come Esther, essere un peso? Averla vicino, almeno per lui, significava prendersi cura di un grande tesoro. Se mai avesse dovuto avere l'immenso piacere di conoscere suo padre, gli avrebbe sicuramente spaccato  la mascella con un bel cazzotto. - E lui si è fatto sentire, dopo la separazione? -
- No. No, non ha mai più chiamato. Evidentemente, non vedeva l'ora di levarmi di mezzo ... e io che ... - la voce dell'amica prese a tremare di rabbia e sconforto. - io che ho sempre cercato di farmi adorare, aiutandolo ogni santo giorno ... io che ero disposta a sacrificarmi, per avere anche solo una sua carezza ... - 
- Portami a Parigi, un giorno ... - le rispose Mark, iniziando a scaldarsi. - sarei felice di aprirgli gli occhi a modo mio, se mi darai il permesso. -
- Lo faresti davvero? - domandò Esther, arrossendo con timidezza.
L'americano le sorrise dolcemente, poi annuì con convinzione, pur sapendo che ciò era una cosa nettamente impossibile. - Naturale. Mi sono preso la responsabilità di difenderti, essendo mia compagna d'allenamento ... devo proteggere anche il tuo cuore. -
- Come sei dolce ... - mormorò Esther, chinandosi in avanti per abbracciarlo, quando la dolce e tenera Hellen s'intrufolò nella conversazione, rompendo l'incanto in mille pezzi.
- Ehm ... n- non per disturbarvi, ma ... - balbettò, il volto scalfito da un tenue sorriso colmo di malizia. - Suzette ha proposto un gioco; vi va di partecipare? -
Mark si scrollò gentilmente l'amica di dosso, poi annuì, si alzò e si pulì i bermuda incrostati di sabbia, dopodiché raggiunse gli altri. - Che gioco? -
- Maaaaark! - strillò Suzette, saltandogli al collo e buttandolo per terra.
Esther incrociò le braccia al petto, leggermente irritata. - Cerchiamo di fare una cosa sbrigativa, non ho intenzione di passare la notte a perdere tempo. -
- Giusto, Esther ha ragione: - insorse Dylan, cercando di venirle in aiuto. - non vorremmo perderci i fuochi d'artificio, spero! -
Hellen sgranò le iridi color tempesta e le sue gote lattee divennero di un dolce rosa confetto. Fuochi d'artificio ... l'occasione giusta per mettere da parte la timidezza, farsi avanti e dichiararsi. Avrebbe trovato il coraggio giusto per dire a Bobby ciò che teneva nascosto nel suo cuore? Naturalmente NO, ma sognare di baciarlo non era poi così male ... - Fuochi d'artificio? - domandò, facendo brillare gli occhi. - Quando? -
- A mezzanotte ... - le spiegò il ragazzo dei suoi sogni, passandole un braccio intorno alle spalle e avvicinandola affettuosamente a sé. - li vuoi vedere insieme a me? -
La rosa sollevò un sopracciglio, deliziata. - V- volentieri! -
- Okay, okay ... - s'intromise Mark, scrollandosi la sabbia di dosso con forza. - Sono molto felice che vi guardarete lo spettacolo assieme, davvero, ma qualcuno ora sarebbe così gentile da spiegarmi il gioco? -
- Lo faccio io! - esclamò Erik, alzando una mano in aria. - Allora, praticamente Dylan è riuscito a conservare una bottiglia di Coca senza averla ridotta in poltiglia, masticata e poi sputata in acqua (perché sì, Dylan si mangia la plastica) ... -
- E'stata dura ... - ammise il ragazzo con gli occhiali, trionfante. - ma ce l'ho fatta. -
Mark sorrise divertito. - Continua, Erik. -
- E niente, ci chiedevamo se tu e Esther volevate giocare al "Gioco della Bottiglia" - concluse il castano, indossando una maglietta verde lime per evitare di prendere qualche colpo d'aria, vista la situazione in cui si era ritrovato nel giro di pochi giorni.
- Oddio, no! - esclamò Esther, arrossendo e facendosi da parte. - Io non partecipo! Scordatevelo! -
- E perché no, Esth'? - le domandò Mark, prendendola per mano con dolcezza. - vedrai, è solo uno stupido gioco, se esce fuori l'opzione bacio nessuno ti obbliga a ... baciarti con, chessò, Michael. O, insomma, chi esce. -
La mora lo guardò per qualche istante, indecisa, poi emise un sospiro e si rassegnò all'evidenza. Quel biondo era troppo, troppo bello per dirgli di no. - E va bene ... gioco solo perché sei tu a chiedermelo. -
- C'è l'opzione scopar ...! - non riuscì a concludere Dylan che Mark, irritato, perse la sua dolcezza, lo afferrò malamente per le spalle, gliele strinse con irritazione e lo obbligò a sedersi, o meglio, a quasi spaccarsi il sedere sulla sabbia.
- NO, NON C'E', E IMPARA A DARTI UNA CONTROLLATA, DYLAN! - sbraitò, rosso in volto.
- Okay, okay, Mark, sorry ... keep calm, come on ... era solo per dire, rilassati e non fare il guastafeste - Dylan sorrise malefico, poi sollevò un sopracciglio. - anche se mi sarebbe piaciuto se ... -
- NO! -
- Ahahah, scherzavo, "fratello"! -
Michael li guardò per qualche istante, divertito, poi prese la famosa bottiglia di Coca Cola e, dopo che la dolce Silvia ebbe piantato nella sabbia il coperchio del frigo con l'aiuto di Daisy, ce la appoggiò delicatamente sopra. - Pronti ...? -
- Aspetta, Michael, mancano le cinque opzioni! - esclamò Esther, accomodandosi meglio sulla sabbia. - Dunque ... usiamo le tradizionali oppure qualcuno offre qualcosa di nuovo? -
Dylan emise un ghigno pervertito, ma Mark, irritato, gli spiaccicò la mano destra in faccia con una potenza e una devastazione tale da quasi spaccargli le grosse lenti degli occhiali.
- Il bacio lo lasciamo? - propose Dell, l'espressione dubbiosa e le labbra tirate.
- Sì, dai, quello è tradizionale ... - le rispose Erik, facendo spallucce. - Io pensavo a bacio, segret ...! -
- Dai, ce le inventeremo sul momento: ADESSO GIOCHIAMO! - urlò Dylan, girando la bottiglia, che dopo svariate giravolte puntò il tappo contro Michael.
- Te pareva che venivo io ...? - sbottò il ragazzo, imbronciandosi.
- Ok, dunque, caro Michael ... - iniziò a provocarlo Suzette, avanzando verso di lui come una snella gattina sul ciglio della finestra.
Dell assottigliò lo sguardo e si addentò la lingua, gelosa, invece Mark prese a massaggiarsi le ginocchia per sdrenare l'eccitazione. Suzette era così bella ... non vedeva l'ora che la bottiglia li scegliesse, chissà che sarebbe saltato fuori. - chiudi gli occhi. -
Il mulatto serrò le palpebre, lievemente in imbarazzo. Quella mocciosa di Suzette non gli piaceva proprio per niente, e il suo PREOCCUPANTE modo di sculettare neanche. Meglio il broncio e le botte di Dell.
- Bacio, segreto, insulto, lettera o obbligo? - gli chiese l'azzurra, sventolandogli sotto il naso tutte e cinque le dita della mano sinistra. - Scegli! -
Michael deglutì e allungò la mano, poi lasciò cadere l'indice sul medio della ragazza, e cioè sulla parola "insulto".
- Ottimo! - ridacchiò Dylan, riprendendo a girare la bottiglia con ancora più interesse e voglia di prima.
Questa volta il tappo, dopo aver girato quattro volte, finì con l'indicare la tenera Hellen. - Me? -
Bobby sollevò le spalle e gonfiò il petto, nervoso. - Vacci piano, Michael - lo ammonì poi, mostrandogli le nocche con sguardo poco socievole.
- Tranquillo, Bobbino - rispose l'amico, strizzandogli l'occhio per calmarlo. - ci andrò pianissimo ... Hellen, cara, dolce Hellen ... trovo la tua acconciatura pessima ed esagerata, mi fa schifo. -
La rosa arrossì timidamente, poi rise e si sistemò meglio i due maestosi codini a forma di farfalla, imbarazzata. - Pure io la odio! - ammise, per niente offesa. - Sciolti sono molto meglio. -
Bobby rilassò le spalle, sollevato, e il gioco riprese normalmente. Questa volta la bottiglia s'impuntò contro l'addome di Mark.
Esther sollevò gli occhi al cielo, fingendosi scocciata. - Immaginavo sarebbe finita così, prima o poi. -
- Bene, Markyusky, chiudi pure gli occhi ... - gli ordinò Erik, protraendosi in avanti. - e scegli fra le cinque opzioni:  Bacio, segreto, insulto, lettera o obbligo? -
Il biondo rimase qualche istante inerme, agitato, poi indicò il medio dell'amico, rosso in volto.
La mora sospirò affranta: Mark aveva scelto, a sua insaputa, la parola "insulto". Cos'aveva quel dito di così particolare da attrarre tutti? Allungò una mano, strinse la bottiglia e la fece girare, poi attese col cuore in gola. Dopo pochi secondi passati a mordicchiarsi il labbro inferiore per il nervoso, la punta della bottiglia si fermò davanti agli occhi neri della ragazza, che divenne livida in volto. - Oddio ... ehm ... -
Mark rise per sdrammatizzare. Avrebbe preferito venisse Dylan, o Erik, non la sua migliore amica. Ora che le diceva di offensivo? - Eheh ... ESTHER! MA CHE SORPRESA! Non me l'aspettavo! -
- Neanche io ... - mormorò la ragazza, leccandosi le labbra per ammorbidirle da un improvviso stato di secchezza. - Eppure ... sono venuta ... -
- Ehm ... - l'americano iniziò a sudare freddo, agitato. - Come ci gestiamo? -
- Beh ... d- devi insultarmi ... - gli ricordò Esther, carezzandosi le gambe con tristezza.
Mark iniziò a smuovere la mascella, indeciso. E dove lo trovava un insulto dolce e delicato? Le voleva bene, molto, troppo bene, non era più in grado di offenderla. Riflette qualche attimo, pensieroso, poi scosse il capo. - Esther, sei perfetta. Non credo ci sia ... -
- Dille che ha le tette troppo grandi - azzardò Dylan, facendo un cenno del capo.
- Dylan, la prossima volta che lo dici ti spacco la faccia - lo minacciò Mark in tutta risposta, rabbrividendo ad una folata di vento.
- Ehm ... quindi? - domandò Suzette, guardandolo di traverso.
L'americano sospirò e prese a fissare un po' di tutto, dagli occhi neri di Esther, ai capelli di Silvia, alle dita di Michael, al mare in lontananza, alle luci della città ... - Io ... -
- Forza, diglielo - insistette Dylan, senza mollare. - Non ti offendi se te lo dice, vero, Esther? -
La mora si avvinghiò i gomiti, un po' dispiaciuta. Certo che si sarebbe offesa, che domanda assurda, ma dopotutto lo sapeva anche lei che il suo seno non passava mai inosservato. - No ... - mentì, in evidente stato di difficoltà e sgomento. - in fondo, è solo uno stupido gioco ... dico bene, Mark? -
Mark emise un altro sospiro, poi la guardò intensamente negli occhi, preoccupato. - Esther ... -
- Diglielo, dai! -
- Esther, cara, hai le tette troppo grandi - riuscì finalmente a dirle, deglutendo.
Esther gli sorrise nervosa, poi abbassò lo sguardo per il troppo imbarazzo e ritirò le gambe, triste. Ecco, il suo migliore amico gliel'aveva rinfacciato ancora, solo che con tono diverso rispetto alla prima volta, quell'afoso dì di Giugno. Che cosa cambiava, del resto? Le sue tette c'erano, e non ci poteva fare nulla. 
- Oh, non te la prendere, Esther, dai! - esclamò Erik, gettandosi sulla bottiglia per far ripartire il gioco. - Lo sai che scherzava! -
Il Capitano della Unicorno sollevò gli occhi e cercò quelli della migliore amica, dispiaciuto, senza però trovarli: la ragazza, avvilita, teneva le iridi incollate alla bottiglia, e non si accennava a rivolgergli un'occhiata.
Sospirò con irritazione e si sollevò da terra, catturando l'attenzione di Suzette.
- Dove vai? -
- Affari miei - rispose malamente lui, sistemandosi la camicia e avviandosi verso l'uscita della spiaggia a passo svelto.

Alla fine Esther si era ritirata dal gioco. Prima di tutto, non c 'era Mark. E lei, senza il suo migliore amico, non giocava neanche morta.
Come secondo, era ancora un po' scossa. Sapeva che era stato solo un insulto come gli altri, provvisorio e ordinario, ad ogni modo le aveva lasciato il segno.
Come terzo, il biondo sembrava come scomparso, e lei stava iniziando a preoccuparsi. Dove poteva essere finito?
Sospirò e si strinse nelle spalle per scacciare un gelo inesistente, nervosa, quando un bellissimo Mark tutto muscoli e dolcezza l'abbracciò da dietro, obbligandola a sussultare dallo spavento. - Mar ...! -
- Come with me ... - le sussurrò lui con voce sensuale, trasformando la voce in un lieve sussurro seducente.
Esther gli permise di carezzarle i capelli, poi si alzò da terra, si scrollò la sabbia di dosso e lo seguì titubante. Le erano sempre piaciuti i ragazzi misteriosi, la tensione di un momento e le sorprese, perché se fatte col cuore sapevano commuoverti, e lei adorava piangere per qualcosa di speciale (solo per quello, non divanghiamo). Inutile raccontarvi che a Natale la prima a fiondarsi sotto l'albero era sempre lei. - Dove mi porti? - gli domandò, curiosa.
- Adesso lo scoprirai, stella - le rispose con amore l'americano, salendo sulla fredda passerella perlacea della spiaggia per raggiungere l'uscita.
La mora, agitata, si addentò il labbro inferiore, poi iniziò a scrutarsi attentamente intorno. Stavano uscendo dalla spiaggia ... perché? Dove la stava portando? Che cosa la attendeva oltre quei due gradini in mattone che collegavano la sabbia del mare al freddo e scuro asfalto di "Venice Beach"?
Mark raggiunse l'uscita, poi la fece accomodare su uno scalino e le consegnò una scatola verde smeraldo.
- Oddio ... è ... - Esther gonfiò il petto per trattenere un grido di gioia. Un regalo! Da quanto non ne riceveva uno ... l'ultimo era stato un ricettario per cupcakes da parte di Hellen. - è ... è per me? - chiese, assaporando il momento in cui, al settimo cielo, l'amico le avrebbe dato il permesso di scartarlo.
- Naturale - le sorrise lui, inginocchiandosi davanti al suo corpo sinuoso e poggiandole ambe le mani sulle ginocchia. - Perdonami ... - mormorò, guardandola intensamente negli occhi con eterna dolcezza. - Per ... per quello che ho detto prima, io non volevo, Esth' ... lo sai che non lo penso. Lo sai che sei una ragazza meravigliosa, lo sai bene, sai di essere splendida, unica, speciale, bellissima, dolce, speciale, e che il tuo petto prosperoso non fa che arricchire la tua bellezza ... -
La mora lo fissò commossa, gli occhi velati da un sottile strato di lacrime. - Mark ... pensi ... - arrossì e le labbra presero a tremarle leggermente. In genere non era una ragazza che si lasciava andare troppo, ma le erano bastate poche parole per commuoversi. Forse perché la tensione era alta, forse perché le melodiche frasi dell'amico erano stupende, forse perchè lo amava, e non c'era niente di meglio che sentirsi rinfacciare tali parole proprio da lui, lui, il ragazzo più bello e sexy di tutta America ... - davvero pensi ... q-questo di me ... -
- Esther, certo ... ti supplico, perdonami, sono stato uno sciocco ... e che non sapevo davvero che insulto inventarmi, seriamente ... - Mark le carezzò dolcemente il volto, più tranquillo. - sei troppo perfetta, con quelle labbra stupende e quegli occhi deliziosi ... -
L'amica arricciò il naso e sorrise, il cuore ai mille, poi si portò una mano davanti alla bocca. Mai nessun ragazzo l'aveva lusingata in modo così sincero, sembrava che le parole gli uscissero di bocca come se ormai essere un galantuomo fosse diventata la sua ragione di vita. Tutto ciò era stupendo. - Mark ... - mormorò, emozionata. - Grazie ... - le sfuggì una risata commossa senza che riuscisse a trattenerla. Era troppo emozionata, troppo lusingata, se lui fosse stato il suo ragazzo l'avrebbe già sposato. - sono felice che lo pensi ... -
- Chi non lo potrebbe pensare ... - le sorrise l'americano, al settimo cielo. - puoi perdonare la mia stupidità da sciocco quattordicenne in piena fase adolescenziale, dove gli ormoni non capiscono più niente e la lingua non riesce a controllarsi neanche davanti a Barak Obama? Puoi perdonare questo scemo che ti è sfortunatamente capitato agli allenamenti? Questo cretino di prima categoria che non sa nulla dell'amore e che ti stressa ogni giorno con le sue chiacchiere? Questo stronzo che è partito odiandoti a morte ma che ora ti adora? -
Esther scoppiò a ridere, poi lo abbracciò d'impulso, desiderosa di sentirsi protetta e amata. - Oh, Mark, Dio ... - mormorò, la gola secca dalla gioia. - ovvio che ti perdono, che domande ... -
Mark lanciò un flebile sospiro di sollievo, felice. Per un attimo aveva temuto il peggio, vista (e testata) l'irascibilità dell'amica, ma anche quel dì gli era andato tutto bene. Meglio così; odiava litigare con lei, o peggio ferirla, e ci teneva alla loro amicizia. Era troppo splendida e indimenticabile, per essere rotta da uno stupido insulto. - Forza ... - le disse, sciogliendosi dalla stretta. - apri il regalo. -
- Oh, giusto, che sbadata, il regalo! - esclamò Esther, posando le mani sulla scatola e iniziando a sfilacciare con delicatezza il fiocco a pois. Una volta che ebbe lentamente terminato di aprire il pacco, sollevò con rabbia il coperchio e lo diede al biondo, poi portò lo sguardo sul misterioso regalo. Quasi non le partì un grido di gioia. Avvolti in una carta color miele puntellata da numerosi schizzi color pece, dei pattini in pelle non vedevano l'ora di carezzare l'asfalto con le ruote. Emise un gemito sorpreso e ne afferrò uno, poi lo esaminò con orgoglio e felicità al contempo. Allora Mark l'aveva sentita forte e chiaro, quella mattina. Aveva creduto che dopo il sonoro "ECCOLA!" di Suzette avesse dimenticato la faccenda: invece, eccolo lì, disposto a darle lezioni notturne di pattinaggio. Che dolce.
- Ti piacciono? - le domandò lui, curioso. - Non sapevo qual'era il tuo colore preferito, così la scelta è caduta su un qualcosa di femminile e delicato, come puoi ben notare ... spero che il color crema ti piaccia ... -
- Io amo il color crema! - ridacchiò Esther, emozionatissima. - E poi ha i lacci rosa ... che bellissima combinazione di colori! Mark, è un regalo stupendo! - esclamò, saltandogli nuovamente al collo.
- Temevo non ti piacessero ... - sussurrò lui, un po' sorpreso. - e invece vedo che hanno fatto una buona impressione. -
- Ma certo, avevi qualche dubbio ...? - fece Esther, levandosi le infradito.
Mark si avvicinò di più a lei, poi le tolse gentilmente i pattini dalle mani, desideroso di darle una mano a calzarli. - Ti aiuto a metterli, aspetta ... - disse, prendendole una caviglia con dolcezza.
Esther arrossì di piacere, poi lo guardò concentrato nell'inflilarle il pattino destro al piede. Le dita dell'amico premute incessantemente sulla sua caviglia rappresentavano una sensazione di calore mai provata prima. Fu magnifico.
- Sono un sei, va bene? -
- Sei!? Come sarebbe sei!? -
- Ehm ... - l'americano chiuse gli occhi, imbarazzato. - Perdona la scarsa attenzione, dimenticavo che sei europea ... qui negli Stati Uniti i numeri di scarpa sono indicati con le unità, non con le decine. Se non sbaglio qualcosa, il sei per voi equivale al ... trentotto, trentotto e un po', credo. Vanno bene come misura, giusto? -
- Sì, è perfetta ... - gli rispose la ragazza, annuendo.
Mark sorrise soddisfatto, poi prese a stringerle i lacci. - Dimmi se ti stringono troppo, non vorrei farti male. -
- No, per il momento no ... - sussurrò Esther, ammaliata da tanta dolcezza.
- E che i pattini devo starti ben stretti al piede, altrimenti poi ti risultano pesanti e fai fatica a trascinarti ... - le spiegò lui facendole indossare anche l'altro, per poi allacciarglielo saldamente alla caviglia, infilarsi rapidamente i suoi e aiutarla ad alzarsi. - Bene, are you ready? -
- Yes, I am! - esclamò la mora, emozionata.
Mark salì i gradini con agilità, poi la aiutò a scavalcarli, premuroso. Una volta che furono sul marciapiede, le strinse forte le mani e la guardò curioso. - Ci sei mai andata, sui pattini? -
- Ehm ... - Esther guardò in basso, imbarazzata. - ... ecco, no. -
- Okay, benissimo. Vorrà dire che partiremo dalle regole fondamentali. Quando pattini, sta sempre leggermente piegata in avanti; se scivoli dritta, rischi di ribaltarti all'indietro e di farti molto male. Comprendi? -
 - Sì, tutto chiaro! - esclamò lei, riempendosi di grinta e passione. - Altro? -
- Sì; i due anelli che trovi davanti ai tuoi pattini, servono per frenare. Quindi, in caso di difficoltà, punta il piede in avanti. -
Esther annuì, decisa. - C'è dell'altro, Capitano? -
- Mh ... - Mark si prese qualche attimo per riflettere, poi scosse energicamente il capo. - No, per il momento no. Ora ascoltami attentamente ... lo vedi quello skatepark laggiù? -
La mora aguzzò la vista, poi annuì lentamente, la bocca spalancata. Non poteva credere che sarebbero andati laggiù ... non vedeva l'ora di sbizzarrirsi con i suoi nuovi pattini color crema e un biondo stra sexy a farle da maestro. - Sì, lo vedo, lo vedo eccome! E' enorme! -
- Ecco, ora noi dobbiamo andare lì - continuò Mark, cauto. - Riesci a seguirmi camminando, o vuoi che ti tenga per mano? -
- Ah, non sono così scema! - esclamò la ragazza, mollandogli le dita. - Posso benissimo starti dietro, fidati! -
- Okay, se lo dici tu ... - l'americano si abbottonò rapidamente la camicia, sorridente, poi le fece cenno di seguirlo con un lieve movimento del capo.
Esther prese un respiro e cominciò a pattinare, o meglio camminare goffamente verso di lui, disorientata, quando per una sua stupida distrazione perse l'equilibrio e, se non fosse stato per Mark, le sue braccia e la sua prontezza di spirito, l'avrebbero certamente presa sotto.
- MARK! - esclamò lei, affondando la faccia fra i suoi pettorali bollenti per lo spavento, terrorizzata.
- ESTHER ...! - gemette il ragazzo, abbracciandola forte e posando una mano sul suo capo tremante. - Stai bene?! -
- Sì ... c'è ... - la mora cercò di calmare il suo battito cariaco, agitata. - ... c'è mancato poco ... -
- Poco che ti vedessi morire davanti agli occhi, Esther! - abbaiò il ragazzo, scuotendola con rabbia e delusione al contempo. La ragazza lo guardò negli occhi color acquamarina, sconvolta, poi gemette debolmente. - Mi dispiace ... - mormorò.
- Mi dispiace?! Esther ... se non fosse stato per me ...! Se non fosse stato per me, a quest'ora non saresti qui, saresti lì! - urlò lui, indicando la strada con sdegno. - Ti rendi conto?! -
-Sì, io ... -
- Smettila di mentirmi! -
Esther si morse la lingua, poi abbassò le sopracciglia e si avvinghiò le spalle, intimidita. Mark aveva ragione; se non fosse stato per lui, a quell'ora si sarebbe trovata immersa nel suo stesso sangue, oppure, con un po' di fortuna, all'ospedale. - Perdonami, hai ragione ... -
Mark la guardò per qualche istante, preoccupato, poi sospirò e si piegò in avanti, mostrandole una schiena perfetta in tutti i suoi lineamenti. - Sali, forza. -
- Cos ... -
- Sali! - le impose nuovamente lui, dardeggiandole un'occhiata abbastanza spazientita.
La mora si massaggiò il collo, poi avanzò delicatamente verso l'amico e fece per montargli sulla schiena, quando a bloccarla fu il solito problema. Il seno troppo grande. E se gli avesse dato, in qualche modo, fastidio? - Ehm ... - mormorò, ritirandosi imbarazzata.
- Dimmi. -
- Posso avere la tua camicia, per piacere? -
Mark si sollevò e iniziò a sbottonarsi frettolosamente la camicia, poi se la tolse di dosso con un seducente movimento delle spalle e gliela consegnò, confuso. - Perché, se posso domandare? -
- ... lo sai - replicò lei, abbottonandosela fino al collo con una nota di sconforto riflessa negli occhi. Quanto avrebbe voluto essere piatta come Dell, o almeno giusta come Suzette. E invece no, a lei doveva sempre capitarle la versione esagerata di ogni cosa: seno enorme, labbra pompate, sedere grande, guance paffute, fronte larga. Si sentiva ridicola.
Il biondo le venne incontro con sguardo serio, poi le passò un braccio attorno alla schiena, uno dietro le gambe, drizzò i muscoli delle braccia e la prese paurosamente in braccio, facendola arrossire.
- Mark, ti prego, mettimi giù ... -
- Non fare storie. - 
- Ci ammazziamo così! -
L'americano iniziò a pattinare rapidamente verso lo skatepark, senza mostrare segni di fatica o irritazione. - Tieniti forte, piuttosto. - l'ammonì, sorridendo divertito.
La ragazza gli passò le braccia intorno al collo, agitata, poi strinse gli occhi e posò il volto sul suo petto profumato, lasciando che l'aria giocasse coi suoi boccoli morati. - Pattini benissimo ... - gli disse, lasciandosi andare.
- Anche tu imparerai, vedrai. -
- Parli con la scema di turno, Mark ... -
- Ammetto che stavo per perderti per un TUO errore, ma no, non sei stupida - la rassicurò il ragazzo, entrando nello skatepark. La posò gentilmente a terra, dolce, poi si stiracchiò alla luna, mostrando alle ragazze lì presenti un magnifico corpo baciato dai raggi lunari. - Oh, finalmente arrivati a destinazion ...! -
- Mark, ti stanno fissando tutte - osservò Esther, abbastanza gelosa.
Il biondo si diede un'occhiata intorno, divertito, poi scrollò le spalle. - Nessuna è bella quanto Suzette. -
- Ah, certo ... sicuro ...? -
- Dai, concentriamoci - ribatté Mark, stringendole le mani con dolcezza e iniziando lentamente a indietreggiare per permetterle di acquistare padronanza.
L'amica piegò la schiena in avanti e si lasciò trascinare per qualche metro da lui, poi cominciò a prendere consapevolezza delle sue azioni. Sarebbe mai riuscita a partire da sola? A imparare a pattinare, se non come, più di Suzette?


- Pistaaaaaaaaa! - strillò Esther, aquistando velocità e lasciandosi schiaffeggiare il volto dal vento, per poi abbracciare Mark con slancio e sollevare le gambe.
- Brava, dolcezza! - esclamò lui, guardandola con un sorriso. - Migliori a vista d'occhio! Solo che devi imparare a frenare, non ci sarò sempre io a farti da scudo ... -
- l'avete sentito, ragazze?! - strillò una bionda a pochi passi da loro, con voce ammaliata. - Non è solo sexy, ma è anche protettivo verso la sua lady, aw! -
"Oh, quelle mocciose pensano che io e Mark stiamo insieme ..." meditò Esther, maliziosa. "Mi piace ..."
- Aaaaaahhhh, l'uomo ideale ... - mormorarono le altre, lo sguardo sognante e gli occhi rivolti al cielo.
Mark arrossì e si allontanò rapidamente, imbarazzato, poi smise di soffocare l'amica in un abbraccio. - Ehm ... prova a farmene un altro. Questa volta però ricordati di frenare. -
- Frenare, certo ... - ripeté la mora, indietreggiando con delicatezza e catturando così l'attezione di due ragazze dai capelli castani e gli occhi color oceano, che parlavano a bassissima voce. Perché? Cosa avevano di così intenso da raccontarsi? Quando prese il via, cercò di concentrarsi su Mark, che l'aspettava a braccia aperte in caso non fosse riuscita a frenare, ma il suo orecchio preferì ascoltare la conversazione delle due. Quando sentì le parole: "mora", "Kruger", "fidanzata" e "rifatta", divenne rossa dalla rabbia, perse improvvisamente l'equilibrio, fece una storta e cadde, raschiandosi tutte le ginocchia.
L'americano le venne incontro con una corsa, poi la guardò sconvolto e la aiutò a sedersi. - Stai bene!? -
- Sì, sto bene ... - ribatté la mora, lasciando che lui le racchiudesse le ginocchia sanguinanti fra le mani. - Non ti preoccupare ... -
- Ovvio che mi preoccupo, Esther, ti sei fatta male ... -
- Va tutto bene, Mark, tranquillo ... potevo farmi di peggio! -
Il biondo emise un sospiro, dopodiché iniziò a guardarsi intorno guardingo. Forse sapeva la ragione di tale caduta. - Che ti è preso, ti ho vista piuttosto distratta, mentre mi venivi incontro. -
- Niente, due troie parlavano di shopping, così mi sono ... -
Mark d'improvviso si alzò, senza lasciarla terminare. Come pensava: era quello il motivo.
- Mark, dove vai!? - le domandò lei, tendendo una mano in avanti per fermarlo.
L'americano non le rispose, e si diresse spedito verso le due castane. - Ciao Ale, Tracey ... - le salutò, cominciando a scaldarsi.
- Mark ... -
- Ipocrite come al solito, neh ...? -
- Che ... - Tracey si posò una mano sul petto, fingendosi innocente. - Impocrita? Che stai dicendo, Mark! Ci conosciamo da tre anni, mi stai ... -
- Provate a riprenderla in giro e io vi giuro sul nome di quello che mi lega a lei che ... -
- TANTO LO SO CHE MI INVIDIATE! - strillò Esther da lontano, trionfante. Non era quello il momento di lasciarsi mettere i piedi addosso. In ogni circostanza, grave o piacevole che fosse stata, lei doveva rimanere sempre Esther Greenland, la dura del gruppo, la più forte, la più grintosa. - Perchè io le ho e voi invece NO! -
Ale arrossì e guardò il biondo negli occhi, che sorrideva malefico. - Ci vediamo - disse poi, prendendo Tracey per mano e andandosene via offesa.
Esther mostrò i denti in un ghigno colmo di sadismo. Quanto adorava offendere chi lo meritava, non c'era vendetta più dolce. Ormai a forza di vincere con l'ultima parola, era diventata una vera e propria professionista. A scuola tutti la temevano.
- Sei una grande, Esth' ... - si complimentò Mark, ridendo. - Sei stata mitica ... ti giuro che non le la sarei mai e poi mai aspettata una cosa del genere! -
- Mh, hai visto quanto sono brava ...? - gli fece lei, arricciandosi un boccolo con sguardo potente.
- La regina del sadismo - ribatté Mark, ritornando ad occuparsi delle sue ginocchia. - Ti bruciano? -
- Un pochino ... -
- Forse è meglio tornare. -
- Concordo. - annuì lei, vinta dal dolore.
L'amico le diede di spalle e si chinò in avanti, malizioso. - Ce la fai a ... montarmi su? -
- Posso provarci ... - la mora si trascinò verso di lui, poi poggiò petto e addome sulla sua schiena color sabbia e chiuse gli occhi, posandogli il naso parigino sul collo.
- Tieniti forte! - esclamò Mark, afferrandola dolcemente per le cosce e sollevandosi con cautela, per poi uscire dal parco e dirigersi verso la spiaggia.
Dopo qualche istante, si ritrovarono entrambi seduti sulla riva, illuminati dal pallore perlaceo dei raggi lunari. Il biondo allungò le dita e la spogliò della camicia, poi le imbrattò le ginocchia di disinfettante e le soffiò dolcemente sopra.
- Grazie ... -
- Ah, di che ... -
Esther arrossì lievemente e lo guardò tamponarle delicatamente la manica della camicia sulla raschiatura. - Di tutto ... voglio dire, per esserti preso la briga di insegnarmi a pattinare, per ... aver sopportato le mie lagne tutto il tempo! -
- Ormai ci ho fatto l'abitudine - la provocò Mark, cambiando gamba.
- Come, scusa!? M-mi stai dando della lagna?! -
- Solo un po'! -
- E tu ... tu sei noioso! Brutto! Un ragazzo insensibile e poco igenico! - borbottò la mora, stringendo le labbra color pesca fino a farle diventare a forma di cuore.
- Mentiiiii ... - le cantò l'americano, disinfettandole la ferita con amore.
La ragazza sorrise e lo lasciò concentrarsi, quando a distrarla fu una striscia bianca, che esplose in cielo sottoforma di tantissime gocce celesti.
- I fuochi d'aritificiooooo! - strillò Dylan, precipitandosi in acqua.
- Come, è già mezzanotte? - domandò Mark, smettendo di tamponarle il ginocchio sinistro. - Che ... mi sono perso? -
Tutti i ragazzi si tuffarono allegramente nel mare, divertiti, e la bella Suzette afferrò Mark per le spalle. - Dai, vieni! -
- Ora non posso, devo finire di medicare Esther - le rispose lui, resistendo alla dolce tentazione di gettarsi insieme agli altri.
La mora corrucciò le labbra e ritrasse le gambe, obbligandolo a fissarla. - Vai ... -
- S- sicura? Almeno lasciami finire ... -
- Posso farlo anche da sola, non ho più quattro anni. -
Mark la guardò per qualche secondo, gli occhi lucidi e l'espressione confusa. - Ti prego, lascia che termini di medicarti, poi vad ... -
- VAI PUNTO E BASTA, ZITTO, MUOVITI! - strillò Esther, spingendolo in acqua.
Il biondo ridacchiò felice, poi le dardeggiò un'occhiata carica di comprensione e raggiunse gli altri, divertito.
La mora sospirò e guardò in basso. Se si fosse buttata, le ginocchia avrebbero cominciato a bruciarle a causa della salsedine, e anche se l'acqua marina le avrebbe cicatrizzato le ferite, proprio non se la sentiva di avere le gambe in fiamme. Stava per farsi più in là, un po' abbattuta, quando un Mark fradicio dalla testa ai piedi le si parò davanti, felice e dannatamente meraviglioso. - Piccola ... -
- Beh, già finito? I fuochi sono appena iniziati, coraggio, va a divertirti, che aspetti! - esclamò lei, incitandolo a raggiungere gli altri, ma il biondo le si fece vicino e la prese in braccio con quanta forza aveva in corpo, vittorioso, poi la guardò intensamente negli occhi. - Scusa, ma non posso proprio lasciarti qui, da sola ... -
- Ow, come sei dolce, Mark ... - mormorò la ragazza, lasciandosi portare in mezzo agli altri a vivere un quarto d'ora unico e speciale fra le braccia del suo adorato.

 

Angolo Autrice
Coficacoficacoficacoficacofica(?).
Coffe Hour. Yeah(?)(?)(?).
Ecco, a forza di pensare alla scuola, sto diventando pazza.
AHAH, ve lo aspettavate che la mia Esther era parigina ...? :3
Scusa, Marina-chan, amore mio, so che la Francia ti evoca brutti ricordi (non mi sto riferendo ad una certa "Travelling Around the world", nooooo ...), ma non potevo trattenermi u.u.
...
ora parliamo di cose serie, va.
Ammetto che non sapevo proprio come troncare questo cappy, per cui, perdonate se il pezzo finale vi è sembrato un po' scritto alla "che me ne frega" ...
ma del resto, son sicura che era proprio questo quello che attendevate.
LA FINE °^°. *tutti applaudono*
E vi do ragione, cavolo, eccome se vi do ragione, credo di essermi dilungata un po' troppo, sto giro, e questo non va affatto bene. E che, vedete, appena metto il turbo con Mark e Esther mi è molto difficile fermarmi ... per cui scusate se vi ho annoiato troppo, non era mia intenzione ... sorry, yes?
E, guardate, la chiudo qui per evitare di annoiarvi.
Ora scappo, ci vediamo nel prossimo Capitolo, sperando di farlo più corto.
Ciaus!

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Capitolo 27
*** Autoinvito ***


AUTOINVITO

- Dio, ma quanto ci mettono, quegli idioti! - si lamentò Esther, salendo sul muretto del campo e iniziando a giocherellare con il pallone, scocciata. - Sono le due di pomeriggio e ancora non si sono fatti vivi! -
Silvia si guardò l'orologio da polso, incerta, poi portò i suoi teneri occhioni color bosco sul cielo. Alla fine ieri sera erano rimasti in spiaggia fino alle tre di notte e, sicuramente a causa dell'orario e della stanchezza, i ragazzi della Unicorno non accennavano ad alzarsi dal letto. - Esther, ormai è inutile: abbiamo tentato in tutti i modi. -
- Non con lo schiaffo! - ringhiò la mora, iniziando a spazientirsi.
- Tanto sarebbe comunque vano - osservò Hellen, smettendo di palleggiare. - sono morti di sonno! -
Esther digrignò i denti, nervosa, poi scese dal muretto con un balzo deciso e raggiunse la sede a passi pesanti. Era ora di svegliare i ragazzi a modo suo, Silvia era stata fin troppo buona a chiamarli per tutta la mattina.
Prima di entrare afferrò con rabbia un secchio azzurro lasciato sul pianerottolo da Mac, poi si chiuse in cucina e lo riempì d'acqua fino all'orlo. - Vedremo se con questo non ti sveglierai, Kruger - sbottò, prendendolo violentemente e dirigendosi verso la camera dell'amico, anzi, del migliore amico con la stessa irritazione di una furia impazzita.
Aprì la porta con un calcio possente, facendo addirittura vibrare le finestre, poi gli si parò davanti, ansante.
Arrossì.
Possibile fosse stupendo anche durante il sonno ...? Gli venne l'impulso di mollare il secchio, chinarsi in avanti e dargli un bacio, ma scacciò il pensiero con uno sbuffo. Adesso non doveva cedere a simili tentazioni, ma svegliarlo, ed erano due cose ben diverse. Strinse il secchio con due mani, irritata, poi gonfiò il petto, lo sollevò con forza e gli gettò addosso litri e litri di acqua gelata, spazientita.
Il ragazzo aprì gli occhi con un gemito e sgusciò via dalle coperte, infreddolito, poi prese a tremare come un pazzo, spiazzato. - FUCK ...! -
- Ma sei scemo!? - strillò la mora, lasciando cadere il secchio a terra e allungandosi per raccogliere il lenzuolo dal letto. - QUANTO PENSAVI DI DORMIRE, MARK, EH!? -
- E-E-Esther ... - mormorò lui, contraendo le dita e affondandosi le unghie nelle spalle per il troppo freddo.
- Esther un corno! - sbraitò lei, lanciandogli il lenzuolo affinché si coprisse. - Sono le due di pomeriggio, Silvia è tutta la mattina che strilla i vostri nomi, abbiamo persino pranzato senza di voi, pensavate di dormire ancora per molto!? -
Mark finse di non ascoltarla e, infreddolito, si sedette sul letto, poi strinse gli occhi e lasciò che una goccia d'acqua gli scivolasse dalla frangia umidiccia e gli percorresse lentamente il profilo del naso. - S- sei pazza ... -
- No, non sono pazza, sei tu lo scemo! - ribatté lei, irritata. - La prossima volta impari a svegliarti alle nove, come tutti! -
Il biondo non rispose neanche questa volta, troppo infreddolito e sconvolto per replicare. Si alzò dal letto e si asciugò il volto col lenzuolo, poi lo gettò violentemente sul materasso. - You're crazy! CRA-ZY! -
- Ah, sarei io la crazy, no!? - abbaiò Esther, stringendo i pugni dal nervoso. - Perché infatti sono io quella che se la spassa nel letto fino alle due di pomeriggio mezza nuda con le orecchie tappate per il sonno e ... -
- Shut up, Esther! -
- Shut up un corno, Mark! Impari a svegliarti come gli altri! -
Mark si portò le mani fra i capelli, cominciando seriamente a stressarsi. Voleva bene a Esther, davvero, ma questa volta aveva esagerato. Bastava una carezza, o se proprio ci teneva a farsi la dura, anche uno schiaffo. Ma una secchiata gelida era davvero una follia. - Sei consapevole del fatto che con quel secchio d'acqua gelata mi potevi quasi levare il respiro, vero?! -
- Preferivi il soffocamento col cuscino ...? - lo provocò la mora, incrociando le braccia al petto. - Oppure che ti prendessi per una caviglia e ti buttassi fuori dalla finestra? -
Il biondo premette labbro su labbro fino a farli quasi sbiancare, poi afferrò malamente il cuscino e glielo scagliò addosso con forza, buttandola a terra con la precisione di un cecchino. - Malefica! -
L'amica sorrise divertita e strinse forte i lembi del cuscino, poi glielo rispedì indietro, colpendolo in piena faccia e sollevandogli in aria la bionda frangia spettinata per l'impatto. - Ahah, ora siamo pari! -ridacchiò, mostrando i canini.
- Lo vedremo ... - sussurrò Mark venendole incontro con fare minaccioso, ma Esther uscì lesta dalla camera, sbattendogli la porta in faccia e, beh, quasi rompendogli l'osso del naso.
- Ahah! - ridacchiò, vittoriosa. - Adesso scendi, muoviti! -
- Ah ... - mormorò l'americano, posandosi due dita sul naso con fare delicato. Esther era tanto graziosa, certo, ma sapeva essere mostruosa. La prossima volta, si sarebbe fatto trovare meno impreparato. Con questo pensiero si cambiò per gli allenamenti e scese di sotto. - Gli altri? - domandò, "rubando" una mela dalla cucina.
Hellen fu felice di rispondergli. - Esther se ne sta occupando. -
- Pover ...! - non riuscì a terminare che Suzette, sorridente, lo stritolò in un abbraccio.
- Mark! - esclamò, baciandolo persino sulla guancia.
Mark arrossì e sorrise deliziato; dopo un "gelido" risveglio, non c'era niente di meglio che le labbra di Suzette premute contro la pelle. La seguì in campo come un cagnolino bastonato.
Una volta che si furono svegliati tutti, Silvia si prese la briga di spiegare come lei e le ragazze avevano passato il tempo. - Buongiorno, ragazzi! -
- Buongiorno, Silvia - replicò Erik, stropicciandosi gli occhi con fare assonnato. Da quando Mark si era infatuato di Suzette, la sua vita aveva ripreso a scorrere tranquilla ... se non fosse per il fatto che il suo corpo continuava ad essere bombardato da atroci fitte all'addome.
- Mentre voi ve la spassavate nel mondo dei sogni ... -
- E che sogni ... - sghignazzò Dylan, portandosi le mani dietro la nuca.
Michael gli scoccò un'occhiataccia.
- C- comunque ... - continuò Silvia, imbarazzata. - mentre voi ... voi dormivate, le ragazze hanno continuato ad allenarsi singolarmente. Quando pensavate di svegliarvi? -
Mark rise, vergognato. Come Capitano era davvero una frana, anche in fatto di orari. - Ci dispiace ... ieri notte abbiamo fatto tardi. -
- Sì, ma noi ci siamo svegliate - borbottò Esther, incrociando le braccia al petto.
- Che vuoi fare, impiccarmi perché ho dormito più del dovuto? - ribatté il biondo, posandole gli occhi addosso con sguardo divertito.
- Certo, "capellone" ... dopo, però. -
Mark arrossì e si spianò le mani sui capelli, invece Dylan esplose in una fastidiosa risata carica di divertimento. Ora che ci pensava, non aveva mai fatto caso a quanto fossero formosi i capelli dell'amico. - CAPELLONE?! ODDIO, E' MERAVIGLIOSA! -
- D- Dylan, "fratello" ... -
- Vabbé, non perdiamoci in discussioni inutili: - riprese Silvia, senza perdere il filo del segno. - meglio allenarsi. -
- Giusto! - ribatté Bobby, prendendo Hellen per mano. Chissà perché, quella notte l'aveva sognata. - andiamo? -
- Sì! - esclamò lei, seguendolo verso l'altra metà campo.
Mark si aggregò immediatamente a Esther, sorridente, e il resto del mondo scomparve. - Dunque, con cosa vuoi cominciare? -
- Dalla mia tecnica! -
- Ah, già! Ci ho riflettuto un po' su, ieri ... credo sia una mossa d'attacco, vista la potenza - le spiegò l'americano, ritornando il solito, serio quattordicenne appassionato di calcio.
- Una ... - la mora si guardò i piedi. - mossa d'attacco? -
- Sì! Prova a eseguire un passaggio contro il muro, vediamo che accade. -
Esther annuì e si posizionò di fronte al muretto, poi caricò il colpo e calciò il pallone, che venne circondato dal solito bagliore cremisi.
Mark la osservò attentamente. Viste le tecniche dell'amica, quella nuova sperimentazione non poteva che essere l'evoluzione del "Tiro della
Cometa". Forse era arrivato a una conclusione. - Ci sono. -
- Maddai? -
- Intendo, credo di aver capito. -
Esther smise di calciare, poi raccolse il pallone da terra e lo guardò intensamente. - Dimmi. -
- Conoscendo la tua tecnica d'attacco, e cioé il "Tiro della Cometa", credo che questa sia niente di meno che la sua evoluzione. -
- Da quando in qua le tecniche si possono evolvere? -
- Oh, possono eccome: prendi la tecnica difensiva "Difesa di ghiaccio". Se usata costantemente, è capace di evolversi nella "Lastra di Ghiaccio" e aumentare di potenza. -
Gli occhi pece della mora vennero percorsi da un fascio di luce. Non era tanto l'argomento, ad interessarla, bensì la voce di Mark. Era soave, debole, fragile e al contempo molto maschile, senza sfaccettature o fastidiosi tremolii. Perfetta. Come lui.
- Che c'è. -
- Niente ... solo, spieghi molto bene. -
- Dylan direbbe tutto il contrario - le rispose Mark, sorridendole dolcemente.
Esther batté le palpebre più volte, tentando di non pendere dai suoi occhi acquamarina, quindi distolse lo sguardo e riprese ad allenarsi. - Allora, cominciamo o no? -
- Certo! Sono curioso di sapere in cosa consiste questa misteriosa evoluzione - ribatté il biondo, sedendosi sulla cima del muretto e iniziando ad osservarla.


- Silvia, posso parlarti un istante? -
Silvia si strinse nelle spalle e si voltò con un sorriso, sorriso che però svanì subito.
Davanti a lei, Erik la fissava ansante, forse un po' troppo. Possibile che stesse già faticando?
- Erik ... stai bene? -
- Sì, certo! - ridacchiò il ragazzo, arrossendo. - Tu? -
- Ahm ... bene ... -
- Posso chiederti una cosa? -
L'amica annuì, e nel frattempo gli consegnò una borraccia colma d'acqua.
- Dopodomani parti, se non sbaglio ... - iniziò il castano, un po' triste.
- Sì ... - confermò lei, guardando la Unicorno allenarsi con la Tripla C. Le mancava molto la Inazuma, ma nonostante fosse stata poco con gli americani, avrebbe provato di certo nostalgia per loro.
- Ecco ... mi chiedevo se ... - Erik chiuse gli occhi, prese un respiro e, un po' insicuro, le chiese se domani aveva voglia di uscire con lui.
Silvia divenne rossa come un pomodoro. - E-Erik? -
- Ti prego, Silvia ... - mormorò il castano, incrociando le mani. - Dopodomani ci dovremo dire addio, merito di stare un po' con la mia migliore amica ... - la guardò speranzoso, in attesa di un sì. Aveva bisogno di parlare con Silvia. Come prima cosa, il fatto di non rivederla per chissà quanto altro tempo lo stava già stressando.
Come secondo, voleva parlargli dei suoi malori.
Come terza ed ultima cosa, pensava di dichiararsi. Se stava male davvero, prima di sottoporsi a ulteriori interventi doveva almeno baciarla.
Assolutamente.
E, ancora non sapeva come, ma in un modo o nell'altro si sarebbe fatto venire il coraggio.
- Hai ragione - concluse lei, decisa. - usciamo un po', solo noi due! Come hai vecchi tempi, in cui stavamo sempre insieme! -
- Esattamente! Come ... - Erik sorrise, rammentando con nostalgia la sua infanzia. - ai vecchi tempi. -
Nel frattempo che i due si mettevano d'accordo, Michael e Dell litigavano per chissà quale "tragico" evento, Mark e Esther si allenavano (o meglio, lei si allenava, lui la osservava), Daisy e Dylan si raccontavano barzellette, Bobby e Hellen, come al solito, si erano persi in chiacchiere.
- Ieri sera ci siamo divertiti molto - disse la rosa, guardandolo felice. In tutta la sua vita, non aveva mai riso così tanto. Se solo avesse potuto, sarebbe sicuramente tornata indietro al tempo.
- Già! Specialmente quando Mark e Esther si sono buttati dalla scogliera! Epico! - ricordò il difensore, immaginandosi la scena. - Pensavo sarebbe finita male, invece grazie a Dio hanno avuto fortuna. -
- Mark e Esther insieme sarebbero una splendida coppietta. Si compensano a vicenda, dato che sono gli opposti, e cos'è una persona senza il suo alter-ego? -
- Nulla, hai ragione. Peccato che Mark sia un ritardato duro. -
- LO PENSO ANCHE IO! - urlò Dylan, obbligando Hellen a rotolarsi dalle risate.
Bobby la guardò ammaliato e registrò nella sua mente quella dolce risata rauca e giovane, poi le si avvicinò con cautela. - Hai una bellissima voce. -
- Cosa ... - Hellen iniziò ad arricciarsi nervosamente un boccolo rosato, in preda all'emozione. Il fatto che Bobby le fosse accanto la stava facendo sentire davvero bene. Sperava solo di trovare la forza per dichiararsi, un giorno. Magari prima di Settembre ... - ti ringrazio ... -
- Non devi ringraziarm...! -
- MA INSOMMA, VOI DUE ALLENAMENTO NON LO FATE!? - strillò Suzette, subentrando nella scena e rompendo l'incanto in mille pezzi.
I due ragazzi scoppiarono a ridere e si sollevarono da terra, poi continuarono a passarsi il pallone.
E il pomeriggio riprese a transitare come tutti i giorni, fin troppo monotono.


- Scusate il ritardo ... - mormorò Esther, prendendo posto accanto a Mark e Dell per cenare con tranquillità.
L'amica la squadrò con attenzione per assicurarsi che si fosse vestita in modo decente, poi, dopo averle esaminato il pigiama, le posò una mano sulla spalla. - Quanto ci hai messo per farti una doccia! Non ce la facevamo più ad aspettarti. -
- Prova te ad allenarti ore e ore su una tecnica speciale, Delly ... -
- A proposito di questo: sei stata bravissima - si congratulò Mark, dandole una leggera spallata per farla sorridere. Dopo gli allenamenti sulla tecnica speciale, Esther non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, e a causa della stanchezza lui e Mac, per sicurezza, l'avevano spedita dritto nella doccia.
Vederla di nuovo carica lo faceva sentire immensamente bene, come se il suo umore dipendesse da quello dell'amica. Cosa che in parte era anche vera.
- Lo so che sono stata bravissima! - esclamò lei, allungando il braccio e afferrando un pezzo di pizza prima che Daisy e Dylan iniziassero a punzecchiarsi per valutare “chi lo avesse dovuto mangiare prima”. - Piuttosto, a voi com'è andata? -
- A me benissimo! - ridacchiò Erik, stringendo forte la mano di Silvia alla ricerca di un po' di affetto. La ragazza lo guardò per qualche istante e lesse nei suoi occhi neri un sottile velo di preoccupazione, comunque decise di non farci troppo caso.
Magari era solo perché Suzette gli si era seduta accanto. - Domani io e Silvia usciamo! -
- COS ...! - l'azzurra quasi non s'affogò con la pizza, e Hellen e Bobby dovettero persino provvedere a procurarle un bicchiere d'acqua, anzi due. Il suo tesorino e quella racchia di ragazza simile a un panda in sovrappeso ... uscivano?! Quando si erano messi d'accordo? Perché Erik non le aveva mai proposto una cosa del genere? Strinse i pugni e si addentò la lingua per trattenere il nervoso, gelosa.
Vero che ultimamente Mark sembrava aver preso il sopravvento dei suoi sogni, ma questo non voleva dire che il suo tenero orsacchiotto fosse da meno.
Decise che avrebbe rovinato il loro appuntamento. Come? Semplice. Autoinvitandosi.
- Vengo anche io - sbottò, ritornando a mangiare.
Michael sgranò gli occhi, anticipando il sussulto di Erik e Silvia. - Suzette, mica vanno a sposarsi! -
- E' una cosa fra amici - intervenne Mark, guardandola con dolcezza. - devi stare tranquilla e fidarti. Dico bene, Erik? -
- C- certo Mark - balbettò il castano, capendo al volo le intenzioni dell'amico. Conosceva la perfidia di Suzette, l'ultima cosa che desiderava era evitare che s'intromettesse nei suoi affari, appuntamenti compresi.
Guardò Silvia, che a sua volta inchiodò le iridi sulle sue.
Era di vitale importanza, stare qualche istante con lei, anche perché poi, forse, un'altra volta non ci sarebbe stata. Quindi non avrebbe permesso che Suzette s'intrufolasse fra di loro.
- No - disse, con tono grave e offeso.
- Invece sì, zuccherino, te lo dico io - continuò la dodicenne, senza peli sulla lingua. - quindi o vengo, o vengo comunque. Insomma, decidi tu - disse, per poi alzarsi dalla sedia, baciarlo sulla guancia e dirigersi un momento in bagno.
Quando se ne fu andata, fra i ragazzi piombò un silenzio interdetto.
- La mocciosa non scherza ... - commentò Dylan, impressionato dal comportamento geloso e possessivo della Heartland.
Silvia si alzò dalla sedia per aspettarla davanti alla porta e parlarle, ma Erik le strinse un polso, fermandola.
- Lasciala dire. Questa notte mi farò venire in mente un piano per toglierla di mezzo, te lo prometto - arraffò, in balia della rabbia.
Bobby sorrise, soddisfatto dalla determinazione dell'amico, poi batté le mani. - Dunque, chi vuole il dolce? -
- ODDIO, IO! - proruppe Esther, spingendosi in avanti come un'ossessa. Che bello, finalmente qualcosa di dolce da mettere sotto i denti, lei che in meno di due minuti era stata in grado di spazzolarsi una torta intera. - IO, IO! IOOOOO! -
- O- okay, baby, calmati adesso! - ridacchiò Mark, trattenendola per la maglietta mentre Hellen e Daisy ridevano di gusto.
Silvia si unì al coro e Erik non poté fare a meno di rilassarsi.
E fu lì che gli venne in mente un'idea.
Semplice ma geniale.
Avrebbe usato Mark come complice.

 


Angolo Autrice
Evvai. Finalmente mi sono tolta di dosso questo cappy che, come penso abbiate capito tutti, è solo una leggera ed innoqua annunciazione di cosa accadrà in futuro.
Aaaaah ... *sognante* non vedo l'ora di cimentarmi nel prossimo capitolo!
Coooomunque ... buonsalve, cari lettori-autori che siate! Mi scuso per il ritardo, ma la scuola mi sta sovraccaricando di impegni, quindi sì, continuerò ad aggiornare la fiction (si sta parlando di Mark Kruger, voglio dire, ceh.), solo che, ehm, a rilenti.
Spero non vi dispiaccia, sarei felice se continuaste ugualmente a seguirmi. Sappiate che riuscirò sempre a trovare un posticino per questa fanfic. Ci tengo troppo, la amo <3.
Un'altra cosa prima di lasciarvi, poi fuggo(?), promesso: non so se avete notato, ma ho iniziato a correggere gli errori. Anche lì procederò con lentezza, comunque cercherò di sistemare tutti i capitoli.
Solo questo.
Adesso vado, che domani sarà una giornata orribile bellissima(?)
Bises,

Lila

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Capitolo 28
*** Voglia di baci ***


VOGLIA DI BACI
 
Quella tiepida mattina di Luglio il sole splendeva alto in cielo, avvolgendo Los Angeles in un caldo abbraccio pieno di vita. Le auto sfrecciavano rapide sull'asfalto color pece della città, come se stessero sfuggendo da qualcosa, e tutt'intorno ai vicoli alleggiava un raccapricciante odore di petrolio, sale e gomma bruciata.
Erik, sveglio già da un po', s'infilò una barretta di cioccolato in bocca, abbandonò la sede e scese rapidamente le scale del campetto, desideroso di parlare un momento con Mark (il tutto, ovviamente, accertandosi che Suzette non fosse nei paraggi). Come si era ripromesso a cena, ieri notte aveva sviluppato la sua idea nei minimi dettagli, senza tralasciare nulla. Per metterla in atto, però, gli serviva il consenso del Capitano.
Del resto, era proprio quel biondo afflitto da sbalzi d'umore privi di senso che, con un sì o con un no, avrebbe cambiato le sorti del suo appuntamento. - Goodmorning, Mark! - lo salutò, facendogli un cenno a mo' di saluto per catturare la sua attenzione.
Mark, che stava preparando il campo per gli allenamenti, posò un paio di coni fluorescenti a terra e gli venne incontro con la solita faccia mista fra il vacuo e il divertito. - 'morning, Erik. Passata la rabbia? -
- Sì, dai. Ho trovato una soluzione per levarmi la tua Suzette di torno! - esclamò il castano, scuotendolo energicamente per le spalle.
- Ah, sì ...? Quale, sentiamo. -
- TU! -
- Ehm ... - Mark sollevò un sopracciglio e fece per ribattere, ma le parole gli morirono in gola. Aveva sentito bene? Come poteva lui, comune mortale, plebeo, salvare un appuntamento? - Come, prego ...? -
- Tu, Mark! - ripeté Erik, osservandolo cercare di darsi una risposta. - Mh, ti vedo perlpesso. -
Mark annuì, continuando a non capire, così il castano si prese la briga di spiegargli passo per passo.
- Ascoltami molto attentamente, Marky-wisky - iniziò, posandogli un braccio sulle spalle e prendendo a camminare in lungo e in largo per il perimetro del campetto. - Presente che oggi io e Silvia dobbiamo uscire? -
- Yes. -
- Ecco, e suppongo tu sappia anche che non voglio Suzette fra i piedi, quando sono con la mia migliore amica. -
- Yeah ...? -
- Bene ... il tuo compito sarà quello di intrattenerla per tutta la durata dell'appuntamento. -
Mark strabuzzò gli occhi e per poco non ruzzolò a terra, sconvolto dalla notizia.
- Wei, Mark, non ti uccider ...! - non riuscì a finire Erik che il Capitano della Unicorno, furioso, gli premette l'indice sul petto, minacciandolo con sguardo assassino a fare qualche passo indietro.
- Hai chiesto alla persona sbagliata, caro - sbottò, nervoso. - Sai che ho anche altre cose di cui occuparmi, quindi non coinvolgermi nei tuoi problemi! Anche perchè è già successo più volte, e ne sono uscito vivo per miracolo! -
- Oh, calmati "fratello"! Non siamo mica in quinta elementare, quella è una storia vecchia... - ridacchiò Erik, cercando di farlo tornare sereno. Gli serviva Mark, adesso più di ogni altra cosa. Non avrebbe accettato un no, non senza prima aver tentato di convincerlo. - Non ti piacerebbe passare ore e ore a parlare di non so cosa insieme a Suzette ...? -
- Ti ho detto che ... -
- A ridere con lei, provarci, rafforzare il vostro legame ... -
Mark taque un istante, indeciso. Ormai mezzo mondo sapeva cosa provava per Suzette (anche se, lo ammetteva, avrebbe preferito che il tutto rimanesse un po' confuso), e per lui passare ore e ore a soddisfare i piaceri di quella ragazza equivaleva al paradiso. Perché non prendersi un giorno di pausa e godersela fino a quanto il suo ruolo di "amico passeggero" gli avrebbe concesso?
Prese un respiro profondo, poi chiuse gli occhi e si decise. - E va bene. Ma sappi che lo faccio per il mio cuore, non per il tuo. Quindi adesso vatti a preparare, prima che cambi idea. -
Erik gemette di gioia e lo stritolò in un abbraccio quasi fraterno, poi gli batté una mano sulla spalla. - Ti ringrazio Mark, sei un amico. -
- Fin troppo ... - sospirò l'altro, osservandolo risalire i gradini con la velocità di un fulmine.
Si passò una mano fra i biondi capelli e si sedette a terra, poi iniziò a navigare nel profondo dei suoi pensieri. Come intrattenere Suzette? Non la conosceva molto bene, aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse.
Pochi minuti e un'ombra formosa e familiare gli si parò davanti, oscurandogli il campo visuale. Sollevò il capo e incrociò gli occhi con quelli neri di Esther, che lo fissava sospettosa. Ecco il suo angelo salvatore.
Di sicuro lei lo avrebbe aiutato.
- Ti è morto il gatto? - gli chiese, tendendogli una mano.
- Ho un cane - replicò lui, afferrandogliela e tirandosi su con vigore.
- Ti è morto il cane? -
- No... dai, come sei macabra. -
- E allora che succede? - chiese Esther, voltando improvvisamente pagina. Mark sorrise. - Ho bisogno... -
- di me. Lo so, lo so... - lo interruppe la mora, carezzandolo fra i capelli con fare vanesio.
- Brava. -
- Grazie. Ma dimmi, sfigatello, che c'è? -
L'americano emise una smorfia, ma preferì non ribattere. - Presente che oggi Erik e Silvia devono uscire? -
- Certo! E? Pensavi di pedinarli? -
- No! -
- Stalkerarli, allora. -
- No! Solo, Erik mi ha chiesto se potevo intrattenere Suzette mentre erano via - le spiegò Mark, guardandola poco convinto.
Esther arrossì e scosse le spalle, un po' infastidita. - Va bene. In cosa posso aiutarti? -
- Cosa piace a Suzette? - le chiese lui, curioso.
- Rubare il ragazzo alle altre - ringhiò la mora, cominciando a scaldarsi. Erik non poteva incaricare... Bobby di tenere compagnia a quella smorfiosetta? Perché proprio Mark? Le venne voglia di prendersi a schiaffi, ma non lo fece. La gelosia era sempre stata la sua nemica peggiore, si stupì di come la stava dominando bene.
- Ehi ... - Mark abbassò il capo per cercare i suoi occhi, confuso. - ti ha fatto un torto? -
- All'asilo! - ammise lei, arrabbiatissima.
- Posso sapere cosa? -
- Ha baciato il mio primo ragazzo durante una partita a nascondino! -
Mark scoppiò a ridere, divertito, ma lei rimase seria. - Dai! E c'è bisogno di accusarla? Magari a lui non piacevi, che ne sai. -
- Certo, certo, a lui non piacevo, certo... - Esther sospirò irritata, poi incrociò le braccia al petto, scacciando quello spiacevol ricordo. - piuttosto, mi avevi chiesto ...? -
- Ah, ehm... cosa piace a Suzette? -
- fare shopping, sentirsi principessa, ascoltare musica ... -
Mark annuì, pensieroso. Forse sapeva come farla divertire, o meglio, corteggiarla. Qualche giro in negozio, due o tre complimenti e via. Il gioco era fatto. - Okay, basta così. Grazie. -
- Piuttosto ... - Esther si rabbuiò un istante, leggermente triste. - questo vuol dire che oggi mi devo allenare sola soletta? - domandò, guardandolo con occhi dolci.
- Oh, cara... - mormorò Mark, fingendosi intenerito. - cos'è, non puoi fare a meno di me neanche per un giorno? -
- Sì, certo che posso fare a meno di te, inutile uomo, ma ... -
- ERIK, ZUCCHERINOOOO! - strillò Suzette da lontano, interrompendo la conversazione dei due.
Il biondo trasalì e la cercò con lo sguardo, disperato. A forza di conversare con Esther, non si era minimamente accorto dei compagni che avevano lentamente invaso il campo.
Erik e Silvia iniziarono ad allontanarsi più rapidamente, desiderosi di uscire al più presto da lì.
- Ehi, aspettatemi, voi due! Mi devo sistemare le ballerine! - esclamò l'azzurra, zoppicando affanosamente verso di loro, quando Mark la prese al volo con quanta forza aveva in corpo, interrompendo la sua corsa.
- Presa! -
- Mark...! Scusa, mi piacerebbe molto passare un po' di tempo con te, ma adesso devo proprio andare... -
- No, tu non vai da nessuna parte - sbottò il ragazzo, posandola delicatamente a terra.
Suzette aggrottò le sopracciglia e lo squadrò qualche minuto, dubbiosa, poi rise. - Ah, sì...? -
- Oh, sì. -
- E chi me lo impone ...? -
Mark le sorrise malizioso. - Io. -
La dodicenne sospirò. A causa di quella bellissima interruzione dai capelli biondi e gli occhi turchini purtroppo aveva perso di vista Erik e Silvia, ma poco importava. Ormai era fatta. - Uffi, il mio tesorino si è dileguato! -
- Non ti preoccupare, ci sono qui io - continuò Mark, stupito di se stesso.
Esther fece spallucce e si allontanò dai due, alla ricerca di un pallone, poi si aggregò a Dell e Michael.
Se Mark era felice, lei non doveva essere da meno. Anche perché, continuando a tenere il muso, di certo gli avrebbe rovinato la giornata, e l'ultima cosa che voleva fare era essergli un peso.
Così iniziò ad allenarsi con la sua migliore amica e il povero malcapitato che era finito sotto il suo comando (Michael, a farla breve), cercando di levarsi di dosso il pensiero.
 
 
Mark prese posto su una sedia e inchiodò lo sguardo addosso a un paio di ragazze che confabulavano fra loro, annoiato, poi si lasciò sfuggire un sospiro.
La compagnia di Suzette era una delle tante cose avrebbe dovuto custodire per sempre nel cuore, davvero. Ma era da quella mattina che facevano shopping. Solo... ed esclusivamente... shopping.
Non ne poteva più.
A distrarlo da quei pensieri fu un rumore a pochi passi da lui, segno che con ogni probablità la sua amata era uscita dal camerino.
Smise di fissare le due ragazze e portò le iridi addosso alla dodicenne, che rispose con un sorriso malizioso. - Come sto...? -
- Sei... - l'americano deglutì più volte, nervoso, e nel giro di qualche secondo le orecchie gli diventarono rosse come ciliege mature. - bellissima... - bofonchiò, passandosi una mano sulle ginocchia per scacciare la vergogna.
Bellissima era dire poco. Stupenda. Eccezionale. Meravigliosa. La magnificenza in tutta la sua perfezione (secondo lui). Indossava una camicetta a maniche corte nera, un gilet rosso corallo e una gonna a pieghe bordeaux, il tutto in bandan con un paio di dolci ballerine a pois. Ah. Le gambe, poi, dall'abbronzatura impeccabile e completamente nude.
- Io... - Kruger si coprì le orecchie con ambe le mani, fingendo di doversi pettinare le basette. - il rosso ti sta d'incanto... -
- Grazie, lo so! - esclamò l'altra, guardandosi l'abbigliamento con orgoglio. - Anche al tuo viso dona molto, come colore! -
- What!? - trillò Mark, scattando in piedi e stringendosi il naso con due dita. Ora sì che era nei guai. Tutte le volte che trovava una ragazza fin troppo bella o, come diceva sempre il suo caro, vecchio Dylan, bomba a tutti gli effetti, il volto gli s'incendiava e lui, poverino, assumeva le sembianze di un imbranato di proporzioni spaventose.
L'altro ieri, in spiaggia, gli era capitato tantissime volte, e per fortuna nessuno se n'era accorto. Meno male...
- Deve essere il caldo... - mentì, scostandosi la frangia all'indietro.
- Ah... - Suzette lo guardò sospettosa, comunque preferì non provocarlo. Mark imbarazzato era ancora più bello di quanto già non lo fosse.
- Beh, dai, adesso cambiati e usciamo di qui, che è quasi mezzogiorno - osservò lui, riportandola al presente. - non vorrai restare a stomaco vuoto, spero. -
- No, ovvio che no! - ridacchiò l'azzurra, entrando in camerino per reindossare i suoi vestiti, poi pagarono, anzi, lui pagò, uscirono e si persero nuovamente nel solito, caotico, stancante traffico americano.
- Dimmi un ristorante carino? - domandò lei, controllandosi lo smalto con aria snob.
La testa bionda di Mark comparve nel bel mezzo  di una miriade di buste colorate, affaticata. - seguimi... -
- Tutto bene? -
- Oh, yeah, sure... -
Suzette scoppiò a ridere e lo carezzò fra i capelli come fosse un tenero bassotto, obbligandolo a storcere le labbra in un dolce sorrisino affranto. - Mi dispiace, ma se non porti le buste quale Principe Azzurro saresti...? -
Il biondo la guardò per qualche istante, incerto, poi gonfiò il petto e sorrise malefico. - Dammi un bacio sulla guancia e farò tutto quello che vorrai. -
La ragazza arrossì e si chinò in avanti, a un passo dal volto dell'amico. Se avesse potuto, glielo avrebbe dato anche sulle labbra. 
Comunque lo accontentò, poi lui chiamò un taxy e raggiunsero il ristorante.
E se la Heartland aveva votato un ristorante a cinque stelle, Silvia e Erik, dall'altra parte della città, con due dollari e cinquanta erano riusciti a guadagnarsi un paio di deliziosi hot-dog.
Stavano seduti sul marciapiede di un viale poco affollato, a fissare le macchine sfrecciare sull'asfalto bollente della strada.
- Suzette ci sarà rimasta malissimo... - cominciò Silvia, dopo aver deglutito un pezzo di pane.
Erik non le rispose, il panino in mano e l'espressione vacua.
- Erik? Tutto bene? - la Manager della Inazuma gli posò una mano sul braccio, facendolo ritornare sui suoi passi.
- Silvia... -
- Stai bene? Ti vedo con la testa per aria. -
- No, io... -
La ragazza, stranita, iniziò a nutrire dentro di sé un certo sospetto. Ogni volta che Erik si comportava in modo impacciato c'era da preoccuparsi. Che cosa le stava nascondendo, sotto quello sguardo vispo e quelle labbra sempre (o almeno quasi) sorridenti?
- Senti... se c'è qualcosa che mi devi dire, dimmelo. -
L'americano la guardò, un po' nervoso. Silvia sembrava sospettare di lui, e ciò non faceva altro che creargli sgomento. - Dopo... vorrei portarti in un posto. -
- ...tutto qui? Per questo non mi prestavi attenzione? - domandò la Manager, sempre più confusa.
- Io... - Erik si alzò con la scusa di andare a buttare il fazzoletto con cui aveva tenuto l'hot-dog, poi spianò le spalle contro il muro di un grattacielo e si nascose il volto fra le mani. La sua migliore amica cominciava a guardarlo torvo, e questo significava che al posto di emanare allegria stava trasmettendo solo rancore e sospetto.
Doveva fare qualcosa per farle svanire quell'odioso velo di preoccupazione dallo sguardo, adesso. Anche se poi, tanto, le cose non sarebbero cambiate più di tanto.
Prese un respiro, si posò una mano sul petto e la raggiunse sorridente.
- Andiamo? Abbiamo da camminare! -
- Come, di già? - Silvia finì di mangiare l'ho-dog, quindi si sistemò i capelli e si alzò dal marciapiede, poi gli strinse fedelmente la mano. - Trascinami. -
- Se vuoi ti prendo a cavallucc...! - non riuscì a finire il ragazzo che lei, divertita, gli montò sulle spalle senza neanche dargli il tempo di prepararsi.
Erik lottò contro un lieve senso di fatica per qualche secondo, poi la guardò malizioso. Gli venne in mente quando, da piccoli, giocavano sempre a "cavalluccio", e al povero Bobby che rimaneva sempre offeso perché non poteva mai montare su qualcuno. Questo lo fece sentire immensamente bene, e aggiuse il ricordo alla lista delle cose da rammentare quando sarebbe giunto il momento di dire addio alla Unicorno e segregarsi in ospedale. Rabbrividì. Meglio non pensarci. - Pronta? -
- Prontissima! - esclamò lei, come se lo facessero da una vita.
Il ragazzo acquistò velocità e iniziò a correre lungo il marciapiede, facendosi largo fra donne, bambini e turisti che, irritati, ogni tanto lo sgridavano.
 
- Era tutto delizioso! -
Mark sorrise e si portò le mani dietro la nuca, poi le gettò addosso una rapida occhiatina per assicurarsi che la sua bellezza femminile rimanesse come tale, splendida e lucente. - dovremmo uscire più spesso, io e te - le disse, mentre le labbra gli si piegavano in un amorevole sorriso infatuato.
Suzette lo guardò maliziosa, le iridi grigie languide e pure come diamanti, poi annuì convinta. - Certo! Naturale. -
- Ci conto - rispose l'americano, stringendosi nelle spalle. Uscire un po' con quella ragazzetta gli stava facendo molto bene. Prima di tutto, si rilassava.
Come secondo, temendo di sbagliare, stava facendo tutto alla perfezione. E non c'era soddisfazione più grande di vedere che i suoi sforzi stavano maturando, a poco a poco. Esther aveva ragione. Immerso nei suoi pensieri, non si era accorto che Suzette aveva acceso il cellulare.
- Cosa combini? - le chiese, sollevando un sopracciglio.
- Chiamo Erik! - dichiarò lei, cercando il numero del castano nella rubrica.
Mark sgranò gli occhi, si spinse in avanti e le tolse l'iPhone dalle mani, poi chiuse la chiamata e se lo infilò rapidamente in tasca.
- Cos...! - trillò la ragazza, la bocca spalancata.
- Suzette, stai uscendo con me - la informò lui, lievemente geloso. - sai che significa? -
- Ridammi il cellulare! -
- Significa che Erik deve essere l'ultimo dei tuoi pensier...! - non riuscì a terminare l'americano che Suzette gli si era gettata addosso, e tentava in tutti i modi di recuperare il suo iPhone.
- Ridammelo! -
- No! - ribatté Mark, agguantando il cellulare e sollevandolo in aria in modo che lei, bassa com'era, non potesse raggiungerlo.
- Mark, ti prego! - esclamò Suzette, quasi ribaltando l'acqua sulla tovaglia. Il biondo la fissò torvo. - Prometto che non farò nessuna chiamata! -
- No, promettimi direttamente che terrai Erik fuori da questa giornata. Ecco. -
Suzette fece una smorfia di disappunto, e una volta che il ragazzo le ebbe riconsegnato il cellulare si sentì in dovere di scoccargli un'occhiataccia. - Perchè non vuoi che lo chiami, scusa! -
- Stai uscendo con me, tienilo fuori - replicò Mark, mantenendo un tono calmo e controllato per non farla alterare ulteriormente.
La turchese lo fissò per qualche istante, mentre sul viso di lui si andava formando un sorrisino da vero diavoletto. - Va bene, ok - disse infine, alzandosi. - dove andiamo adesso? -
- Ehi, che fretta hai... abbiamo tutta una giornata ancora... -
Suzette lo afferrò per un braccio con una potenza tale da quasi farlo cadere giù dalla sedia. - voglio uscire di fuori, dai! - esclamò, accompagnandolo alla cassa.
Mark pagò imbarazzato, poi si lasciò trascinare fuori dal ristorante. Quella ragazzetta sapeva essere molto forte, quando si trattava di sballottare uomini da una parte all'altra.
- Andiamo a passeggiare un po' al mare? - propose, lasciandogli andare finalmente il braccio.
- Tutto ciò che vuoi - le rispose semplicemente Mark, accennando un sorriso carico di amore.
Suzette lo afferrò per il lobo della maglietta e iniziò a correre verso la spiaggia, che per fortuna era poco distante da dove si trovavano. Mark si sentiva felice, così felice da poter gridarlo ai quattro venti. Non vedeva l'ora di ritornare da Esther e raccontarle tutto. E magari qualcosa avrebbe detto anche a Dylan, così magari qualche buon insegnamento su come fare colpo lo avrebbe ricevuto anche da lui, che di certo ne sapeva quanto un'enciclopedia.
Solo quando le sue Vans a scacchi affondarono sulla sabbia si rese conto di essere arrivato in spiaggia. Suzette gli lasciò andare la maglietta, poi respirò a pieni polmoni, concedendosi anche il piacere di uno stiracchio. - Finalmente... -
- Già... - Mark la fissò qualche istante, incantato, poi si accomodò su un muretto poco distante per rilassare le gambe. - Non ti ho chiesto... - iniziò, posandosi ambe le mani sulle ginocchia. - l'altro ieri ti sei divertita? -
- Certo! - esclamò Suzette, fissando in lontananza le onde del mare infrangersi sulla riva come attirate dal centro della terra. - E' stato fantastico! Specialmente quando sono esplosi i fuochi d'artificio! Uno spettacolo stupendo! Tu? -
- Naturally - rispose l'americano, ripensando a quando aveva regalato i pattini a Esther. Le sue gote si tinsero di un debole color fragola, mentre le mani si andavano a incastrare fra qualche ciuffo di capelli per scacciare l'imbarazzo. Forse era stato fin troppo romantico, con lei. Però che ci poteva fare, quando si trovava davanti ad una donna fare il galante gli veniva quasi automatico, e senza che riuscisse a controllarsi subito le rivolgeva un delizioso inchino, accompagnato anche da un meraviglioso baciamano e qualche sguardo ammiccante. Meglio se ci dava un taglio, o avrebbe finito per ritrovarsi, a soli quattordici anni, con la mente di un trentottenne. A interrompere il flusso dei suoi pensieri fu della sabbia in volto, che arrivò rapida e improvvisa. Quando se la scrollò di dosso i suoi occhi lampeggianti si posarono immediatamente su quelli di Suzette, che senza badarci troppo gli lanciò un altro po' di granelli addosso.
Mark storse le labbra e scese dal muretto con un balzo, atterrando pesantemente a terra. - Oh, piccola cucciola... - mormorò, allungando una mano verso la sabbia. - non dovevi farlo! -
L'azzurra tentò di ridere, ma non appena aprì bocca una polvere beije le si spianò in viso, inondandole viso e capelli.
- Maledetto infame! - esclamò, scuotendosi la lungha chioma celeste.
L'americano assunse l'aria più bastarda e infame del mondo, corrucciando le labbra come solo lui sapeva fare. - Ahah, ride bene chi ride ultimo, stella. -
- Ma... argh! - Suzette afferrò un altro cumulo di sabbia, scagliandoglielo addosso con una rabbia che non sapeva di avere, ma lui riuscì ad evitarlo semplicemente spostandosi più a destra, agile come un gatto sul ciglio di un burrone.
E sorrise ancora, più intensamente, facendole accapponare la pelle di un piacere mai provato, piacere che nemmeno Erik, nonostante fosse un bel ragazzo, era mai riuscito a farle sentire così tanto.
Così, infastidita da quel sorrisino tanto bello quanto letale, diede il via libera a una tremenda battaglia all'ultimo granello di sabbia, cercando di farglielo sparire dalla faccia.
 
Silvia scese dalle spalle tremanti di Erik, imbarazzata, poi si tolse i sandali e cominciò a passeggiare lenta sulla passerella, permettendogli di riaquistare tutto il fiato che aveva sprecato nel portarla a cavalluccio fino alla spiaggia.
Perché sì, era quello il magico posto in cui lui aveva desiderato recarsi. Una normalissima spiaggia, qualche ombrellone sparso qua e là, mare limpido e splendente come gli occhi di Kruger.
Si chiese il motivo di tale luogo. Ma forse, nemmeno c'era.
- Silvia, sto morendo... -
La ragazza, sentendosi chiamata dal nulla, si voltò all'improvviso verso Erik, ritrovandoselo stremato e grondante di sudore. - Ehi! Tutto bene?! - gemette, posandogli una mano sul petto per aiutarlo a rimettersi dritto. Certo, comprensibile che dopo aver percorso tutto quel tratto a piedi si era stanchi, ma Erik non aveva una bella cera. Sudava troppo, ed era diventato pallido, un viso sbiancato con un paio di occhi spenti incastonati poco più su del naso.
Lo fece sedere sul limite della passerella, poi lo aiutò a calmarsi. - Erik, respira... -
- Scusa, è che... -
- Non parlare, respira e basta. -
L'americano fece come richiesto, lasciandosi andare alle carezze premurose dell'amica. Dannazione, che figuraccia. Si era ripetuto mille volte di non cedere così davanti a lei, invece la prima cosa che aveva fatto era stata crollare come un debole. - Silvia, mi dispiace tanto... scusa... a quanto pare non sono più forte come una volta... -
- Forse è stato l'ultimo intervento, Erik... - gli sussurrò lei, dandogli un'amichevole pacca sulla schiena.
Il ragazzo si rabbuiò, ripensando al FFI, a tutte le implicazioni che gli erano capitate durante quei bellissimi momenti e a quanto rancore aveva portato a Mark e gli altri. E tutto ciò sarebbe accaduto di nuovo, cavoli, perché stava male, inutile negarlo a se stesso.
Reclinò il capo all'indietro, lasciandosi baciare il collo dai raggi solari. - Silvia... - disse, poi prese fiato, deglutì e si asciugò il sudore che gli imperlava la fronte, constatando con malcelato orrore che mai aveva sudato così tanto in vita sua. No. Non stava affatto bene. Doveva avere un aspetto a dir poco vomitevole. - Dobbiamo parlare. -
- Sì... - mormorò lei, cominciando a preoccuparsi seriamente.
- Okay... ecco, Silvia... io... non so... devo dirti una cosa importantissima... -
- Dimmi... dimmi, Erik. Di che si tratta? - chiese, stringendo con dolcezza le mani dell'amico. Non sapeva cosa provare, cosa sentire, era in ansia, e tutto quel tentennare le stava ingarbugliando lo stomaco in una morsa di nervoso. Le venne voglia di abbracciarlo, di carezzarlo, di aiutarlo ancora a ristabilirsi dalla corsa, ma non fece nulla di tutto ciò, preferendo non stressarlo inutilmente.
E attese in una qualche parola, il cuore in gola.
- Promettimi che non ti preoccuperai di ciò che fra poco ti dirò - annunciò Erik, concentrandosi nel profondo dei suoi occhi color bosco, femminili e scuri come due pozzi senza fine. Chissà se li avrebbe ancora rivisti. Di certo gli sarebbero mancati, anzi, lei tutta gli sarebbe mancata, i suoi sorrisi allegri, la sua voce dolce, quel suo fare innocente e maturo al contempo che tanto lo interessava, tanto lo attraeva.
Nemmeno Suzette, per quanto bella, poteva competere contro di lei. Suzette... tutto fumo e niente arrosto.
- Erik... non... -
- E promettimi che non ne farai voce con nessuno - si avvicinò al suo viso, serio. - con. Nessuno. Nemmeno con Mark. -
La ragazza esitò, indecisa, ma alla fine annuì. Come non mantere una sua promessa, del resto, come. Lei che per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa, persino farsi investire.
Erik si prese del tempo per pensare, per trovare le parole giuste.
- Silvia... sono... -
"Concentrati Erik."
- Sono... non sto molto bene. Soffro. -
"Vai così, dai. Ti sta guardando curiosa, è stordita, spiegale, baciala e metti fine a questo dilemma."
- Silvia... -
- Erik, per favore, dimmi quello che senti... c'è qualcosa che non va? -
- Sto cercando di... di dirtelo, io...! Silvia... - il castano si addentò il labbro inferiore, quindi, in un gesto poco prudente, le avvinghiò malamente le spalle, arrivando a sfiorarle la bocca col naso. - Silvia, cazzo, ti amo. -
"Oh, lasciatelo dire e poche storie: Eagle, sei un gran coglione. Un grandissimo coglione."
Silvia rimase spiazzata dalla dichiarazione.
Completamente.
Rimase il silenzio, incapace di replicare, sentendo che quello era il modo migliore per evitare casini.
Erik, il suo migliore amico. Che l'amava.
Assurdo, folle. Non poteva essere.
Troppo splendido per darlo come vero. Si aggiustò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, imbarazzata, e per un po' non osò guardarlo negli occhi, dandosi mentalmente della sciocca. Poi, preso un po' di coraggio, parlò. - Erik, tu... -
- Sì, Silvia, ti amo. Ti amo da una vita. Può sembrare stupido, forse ti ho messo un po' troppa agitazione, ma... - Erik si fermò, pensando che continuare sarebbe stata una pessima idea. Che altro doveva dire? Il vero motivo per cui l'aveva invitata ad uscire non era stato in grado di confidarglielo, come un codardo. Al contrario, si era comportato in modo troppo precipitoso, dichiarandosi nel peggiore nei modi, sapendo che nonostante l'amore che provava per lei sotto c'era dell'altro più importante.
La sua salute. La sua vita.
Adesso era meglio se rimaneva zitto.
Zitto e basta. Di parole ne aveva già usate anche troppe, e male.
Fra i due calò un triste silenzio carico di tensione, e per attimi che furono interminabili nessuno dei due osò accennare a fare qualcosa per salvarsi da quella situazione più che imbarazzante.
Poi, sul punto di esplodere, Silvia prese coraggio e lo baciò sulle labbra, in un gesto quasi disperato.
Non sapeva spiegarsi il motivo per cui aveva sentito il bisogno di farlo, lei che di solito inoltre eventi del genere li aveva sempre evitati, in un modo o nell'altro. Semplicemente, era amore ricambiato. Il resto era venuto da sé, si era lasciata guidare dal cuore e aveva sentito di necessitare della sua bocca.
Non durò molto, ma nemmeno durò poco, e quando interruppero il bacio...
 
- Mark! -
L'americano si fermò, ansante, poi squadrò Suzette con aria distrutta, come se da un momento all'altro sarebbe crollato di stanchezza. - Cosa c'è? -
- Quello è Erik, o sbaglio? - domandò lei, sollevandosi sulle punte con aria curiosa.
Mark sbiancò in volto, smettendo all'improvviso di ansimare. Erik lì, dannazione, nello stesso, medesimo luogo che aveva scelto Suzette. Con Silvia. Molto vicini, troppo.
Assurdo.
In un altro momento sarebbe stato orgoglioso di quei due, visto che dalle facce sembravano essersi scambiati un bel bacio da film, ma adesso non era il caso: i signorini sembravano intenzionati a darsene molti altri, e Suzette non doveva guardare.
O avrebbe fucilato loro, lui e, già che c'era, tutti gli altri lì presenti, tanto per spargere un altro po' di sangue innocente.
- Suzette! Sì, è Erik. -
- E' troppo vicino alla troia, per i miei gusti - borbottò Suzette, stringendo i pugni fino a sbiancarsi le nocche.
- Dai, sii cauta. Evidentemente devono parlare di qualcosa di importante. -
- Ma mi prendi in giro Mark?! Credi che non sappia riconoscere due persone quando...! -
- No, non si stanno per baciare, sciocca! - Mark la afferrò per un polso e la fece voltare bruscamente verso di lui, facendo in modo che non guardasse la scena. L'ultima cosa che voleva fare era cacciare Erik nei guai, uno dei suoi amici più grandi. Non gli andava di metterlo a rischio. Dovevano andarsene da lì. - Suzette, devi sempre pensare male - le disse, trascinandola via.
- Allora dai, dimmi cosa...! -
- Non lo so, Suzette, ahah! Non ti sei accorta che Erik già da prima doveva dirle qualcosa di importante? Starà parlando sottovoce, di orecchi indiscreti ce ne stanno fin troppi, qui. -
- E allora? - Suzette affondò i piedi nella sabbia, irrigendosi di tutto punto. Forse Mark aveva ragione, in fondo quei due erano amici, e le era già capitato più volte di vederli parlare fra di loro con così tanta riservatezza. Ma voleva lo stesso sapere.
Erik rimaneva comunque il suo ragazzo, anche se, indecisa com'era fra lui e quel magnifico biondo impegnato a trascinarla via da lì, ormai cominciava ad avere qualche dubbio al riguardo. - Non mi interessa niente dei loro problemi, voglio sapere cosa si dicono! -
- Suzette, sono fatti loro! -
- Non mi interessa! -
La ragazza fece per voltare il capo, iper curiosa, ma Mark riuscì a bloccarla ancora, per fortuna, e questa volta definitivamente.
In un modo che però avrebbe preferito evitare.
La tirò verso di sé, afferrandole il viso con ambe le mani, quindi la baciò, concentrando tutto se stesso in quel gesto folle ma necessario.
Il problema era che lui, per quanto bello agli occhi delle ragazze, a baciare non era mai stato granché, perché diventava nervoso.
No, in quello era più esperto Dylan.
Ma ben presto i problemi gli svanirono dalla mente, dileguandosi come vento, perché Suzette, che nel frattempo si era completamente abbracciata a lui, sembrava averci preso la mano, e nel giro di breve si ritrovarono persi l'uno nella bocca dell'altro, immobili come statue, gli occhi serrati per godere fino all'ultimo di quell'unione tanto inaspettata quanto dolce.
Fu lo stesso Mark a interrompere, prima che Suzette arrivasse a spingersi troppo in là. Perché sì, aveva dodici anni, ma dal momento in cui avevano scontrato le labbra forse si era via via andata a dimenticare la sua età.
Rigettò una rapida occhiata alla passerella, poi tirò un bel sospiro di sollievo. Erik non c'era più, e nemmeno Silvia. Dovevano essere ritornati indietro.
- Mark... -
- Scusami, non avrei dovuto agire così. Hai tutto il diritto di picchiarmi. -
Suzette si sfiorò le labbra con due dita, rossissima in viso, quindi prese il giusto slancio e gli saltò al collo, ridendo come una pazza. - Oh, Mark! Ti amo, ti amo, ti amo! Ti amo! -
Mark rise pure lui, lasciandosi stritolare, e si sentì lo stupido più felice del mondo. Lei lo amava, lui di lei era innamorato pazzo. Non poteva esistere cosa più bella. A fatica riuscì ad avere di nuovo le sue attenzioni, lottando contro tutto se stesso per non divorarle quel suo bel visino a furia di baci. - Allora, se mi ami e ti piacciono così tanto le mie labbra... - s'inchinò e le fece il baciamano, divertito nel sentirla fremere d'eccitazione. - Vuoi essere la mia ragazza...? - le chiese poi, smuovendo il Pomo d'Adamo appena sporgente dalla gioia, gli occhi brillanti e il sorriso insicuro.
- Ah, oddio sìììììììì, sìììì, sììììì! Certo che voglio essere la tua ragazza, Mark! - strillò Suzette, buttandolo a terra con un mega abbraccio carico di affetto. Che domande, quale ragazza al mondo, dopo averlo assaggiato almeno un po', si sarebbe sognata di rifiutarlo come fidanzato.
Nessuna.
E lei in primis, lei che per lui provava più di semplice amicizia, e che con un bacio aveva saputo farle dileguare tutte le sue indecisioni.
Ritornati in sede avrebbe lasciato Erik, quell'ammasso di noia. Adesso, il suo obbiettivo era concentrarsi solo su Mark.
O meglio... sul suo, Mark.
Suo, suo, suo e solo suo.



 
Angolo Autric
oddio, vogliate scusarmi.
Sono sinceramente, tremendamente dispiaciuta per questo mio terribile ritardo, è... è inaccettabile, davvero. Chiedo perdono a tutte le persone che seguivano la fic, e che aspettavano questo capitolo da trentamila secoli: non vi preoccupate, la storia andrà avanti, ve lo prometto, non farò più un ritardo del genere. *s'inchina*
Certo, dei rilenti ci potranno ancora stare, ma davvero, adesso mi considero un mostro (?).
Sarà passato... UN ANNO. Un anno dalla pubblicazione di questa fic, un anno e sette mesi. E ancora non l'ho finita.
Chi mi conosce bene sa un po' i motivi di questo mio ritardo, però, siccome sono stata ingiusta, adesso mi sembra giusto dirveli: quest'anno mi sono capitate diverse cose, e purtroppo non sono nemmeno stata molto presente su EFP.
In primis, avevo scartato un po' la storia, perché non avevo voglia di riprenderla. E già per questo andrei bruciata viva, perché io amo Mark, l'ho... abbandonato T.T.
Come secondo, ho avuto dei problemi con una persona, anzi, 2, e quindi di conseguenza mi ero un po' demotivata. Infatti, se avete notato, ho ripreso il mio ritmo solo quest'estate :D! Weeeee. *spettacolo pirotecnico*
Eeeeee niente, il resto è la solita zuppa: compiti, scuola, impegni...
giuro solennemente che troverò uno spazio da dedicare a questa fic. Davvero, lo giuro.
Però vi avverto subito: il mio stile di scrittura è cambiato molto dall'ultima pubblicazione (non questa, quella precedente). Non vi spaventate se è migliorato di brutto (non lo dico per vantarmi, dico solo che non scrivo male come prima, ecco. (?)).
Ah, poi un'altra cosa: ho guardato tutti i capitoli precedenti, ve lo giuro, e li ho anche sistemati tutti, cavando molto di quel terribile fluff che andava a storpiare il mio Kruger (sì, me ne sono accorta da sola, sì. Non dite niente, è stato... doloroso. (?)).
Adesso so come funziona l'amicizia fra un maschio e una ragazza, anzi, l'ho proprio testata a pelle, quindi, IN TEORIIIIIIA, dovrei moderarmi abbastanza con lo zucchero, mi riferisco a Mark e Esther. *si sistema gli occhiali*
Riassumendo, riprenderò a dedicarmi a questa fic! Sperando di arrivare a concluderla, ma non dovremmo essere lontani. Insomma, finito Luglio viene Agosto, e finito Agosto viene Settembre.
Poi basta. Altri due mesi, Lila, dai. *si sgranchisce le ossa e fa un po' di jogging sul posto*
A parte questa pappardella noiosa, come vi è sembrato il capitolo, a grandi linee? La prima parte l'avevo scritta cento anni fa, sì, invece la fine solo adesso. Spero non si noti il cambiamento, ditemi, per favore.
Comunque... per le coppie ci siamo: Suzette finalmente sta col mio bel biondo americano, abituatevi a questo abbinamento che ne vedremo delle belle. *sfrega manine*
E nada, fuori praticamente restano Michael e Dell, Dylan e Daisy e Hellen e Bobby.
Proverò a occuparmi anche di loro, considerando anche che adesso Silvia se ne va, e quindi Erik (e Esther, ma vbb) resta solo come un cane.
Una coppia in meno, EVVAI! *si scatena*
No, adesso basta, me fuggo (?).
Se avete voglia di recensire fatelo, mi farebbe molto piacere.
E per favore, picchiatemi (???).
Alla prossima ^^!
Lilaccccchan
 
PS: un particolare grazie alla mia bella Titu che è arrivata con un gigantesco "CONTINUA QUESTA FIC" che mi ha fatta cadere dalla sedia :''D! AHAH, LA MIA AMORA <3. Non mi sarei presa la briga di continuare, se non fosse stato per lei ^^.

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Capitolo 29
*** Ti amo ***


TI AMO
 
- Cosa leggi di interessante? -
Dell sollevò lo sguardo da una rivista di moda, sorpresa, poi lo posò su un Michael vestito di tutto punto, che la stava fissando con i suoi seducenti occhi nocciola chissà da quanti minuti.
Arrossì e riprese a sfogliare il giornale, fingendosi per niente presa da lui, dalla sua presenza così vicina a lei, dal suo profumo inebriante. - Moda. -
- Oh, moda - sbottò il ragazzo, lasciandosi cadere sul divano accanto a lei.
La blu ritirò i piedi, infastidita. Accidenti, Micha quella sera era proprio bello.
Non pensava che le camicie gli potessero donare così tanto, anzi, gli stavano proprio a pennello. L'indumento perfetto per il ragazzo perfetto, candido bianco che risalta su un chiaro cioccolato. Lo osservò con attenzione, nei minimi particolari, quindi, soddisfatta dell'analisi, ritornò a concentrarsi sui vestiti esposti nel magazine.
Eh, sì. Michael era proprio bello.
E lei era proprio fortunata ad averlo lì, a cinque centimetri di distanza dai piedi, tutto bello e profumato. - Come mai conciato per un matrimonio? - gli domandò, interessandosi particolarmente a una notizia su una modella di ventiquattro anni.
- Non vado a un matrimonio, vado a un ricevimento - le fece eco lui, accendendo la TV.
- Gli altri? - ribattè subito lei, sfogliando ancora pagina.
- Non ne ho idea. Hellen sta aiutando Silvia con le valigie, però. E poi mi sembra di aver visto un Dylan piuttosto disorientato passare per il corridoio. Ma non ne sono sicuro, è che lui sa teletrasportarsi ovunque. Sai, ha i poteri. -
- No, io... - Dell chiuse il giornale, spalancando la bocca in un gigantesco sorriso - Ahahah! -
Michael si stupì nel sentirla ridere. Quella ragazza era una seria, una dura. Vederla così svogliata e divertita scatenò in lui una tempesta di meravigliose sensazioni. Si grattò fra i boccoli, confuso. - Scusami...? -
- Intendevo dire, gli altri... gli altri lo sanno che vai a questo ricevimento? -
- Ah, cavoli, dimmelo prima no? Gli altri. Cosa capisco io così, su due piedi! Gli altri. Mah. -
Dell continuò a ridere, gli occhi che le brillavano come rubini tirati a lucido. Micha era assurdo. Forse per quello le piaceva così tanto. - Quanto sei stupido, santo cielo... -
- Non sono stupido, siete voi donne che ci lasciate confusi e ci fate fare la figura dei coglioni. Non si sa mai cosa volete, sempre indecise. -
- Rispondi alla mia domanda, per favore? -
- Ah, sì... - Michael arrossì. Dell lo distraeva, dannazione, doveva concentrarsi su quello che diceva. Non le sembrava una da andare in giro con gli stupidi, no. Quella era Suzette. - certo, l'ho detto a Mark, Mac e Bobby. -
- E ti hanno detto di sì? -
- Certo, o non sarei... "conciato per un matrimonio". -
Dell ridacchiò ancora, gettando la rivista a terra. Le andava di chiaccherare. Adesso. Con lui. Di sentire la sua voce, di conoscerlo meglio. Purtroppo in allenamento non si era mai sentita troppo a suo agio, per quello lo evitava sempre. Ma adesso, immersi in un morbido divano, con gli altri via dai piedi... insomma, era l'atmosfera giusta, ecco. - E che... genere, di ricevimento. -
- Ballo - Michael fece un gesto con un braccio, smuovendolo come acqua in balia delle onde. Era molto snodato, non solo bello. Dell se lo annotò subito nella testa.
- Dance. Presente? -
- Sì, ho capito, vuoi dirmelo anche in svedese già che ci sei? -
- Uuuuu, tu lo sai? -
- No, certo che no, ma forse Esther sì. -
- E' svedese? - domandò Michael, mettendosi in piedi e provando un po' di passi.
- No, ma è mezza polacca, magari la lingua si avvicina. Sai, lassù ne sai una e le azzecchi tutte. -
- Osta. -
- Già. -
- Ma cosa ti fanno fare in questo ricevimento, per la precisione...? - chiese Dell, osservandolo accennare a quella che doveva essere una coreografia provata e riprovata davanti allo specchio della camera. Era davvero bravo, elegante nei gesti, raffinato e unico. Il nuovo Michael Jackson, il nuovo Re del pop. Un ballerino del genere, di faville ne avrebbe fatte.
- Mi fanno ballare. -
- Vuoi entrare in un corpo di ballo? E mollare il calcio? -
- No no, ehi, nessuno ha parlato di mollare niente, ahah! - Michael si risedette, facendosi di nuovo spazio fra i cuscini, poi ne abbracciò uno, mettendosi bello comodo. Dell si fece ancora più in là, nervosa.
- Voglio fare entrambi! Il prossimo anno pensavo di praticare un po' di hip hop, mi sento portato. -
- Sì, lo vedo! Sei in gamba, lasciatelo dire! -
- Ehi, perché ti sei scansata? - Michael allungò le gambe fino a toccarle le braccia con i piedi, voglioso di provocarla un po'. Andiamo, Dell infuriata era uno spettacolo, la versione di lei che più gli piaceva. Sapeva che come minimo ne avrebbe ricavato un calcio nel didietro, Dio volendo, ma amava da impazzire darle fastidio. - mica mordo. -
- Oh, ti prego, Michael... - borbottò lei, facendosi ancora più da parte.
- Cosa c'è, sono tanto disgustoso...? -
- Sì, troppo. -
- Oppure sono decisamente irresistibile...? -
- Direi la prima! Allotana immediatamente i tuoi piedi da me! -
- Che vuoi, hanno pure i calzini! -
La ragazza gli afferrò una caviglia, sperando di mettere fine a quell'insopportabile tocca tocca, quando per sbaglio si sporse un po' troppo all'indietro, e senza volerlo precipitò dal divano, crollando a terra. Michael si alzò di scatto e fu subito accanto a lei, preoccupato. - Ehi! Tutto okay, vero? - le chiese, aiutandola ad alzarsi.
- Stupido! -
- Ahahah, dai, sei tu che ti sei voluta uccidere all'improvviso, sciocca! -
- Non è vero, mi hai... spinta, scellerato incompetente! -
- ...eh...? Scellerato? - il castano esplose in una delle sue risate cretine, obbligandola ad arricciare il naso infastidita. - ma ti senti quando parli? -
- Ehi, non vi uccidete, nessuno vuole morti - intervenne Bobby, venendo in soccorso di entrambi con un bicchiere di limonata fra le mani. - Micha, il ricevimento...? - gli fece notare poi, sollevando le sopracciglia.
- Sì, bene, e allora? -
- Sono quasi le nove di ser...! -
- Oh, damn! - esclamò Michael, precipitandosi alla porta e quasi staccando la maniglia. Accidenti, come al solito Dell lo aveva distratto ancora. E che non ci poteva fare niente di niente. Lei lo prendeva, punto e basta. Fino alle ossa. Ed era più intrigante del ballo, più bella della sensazione di ballare, più intensa della musica che ti culla il corpo con la sua magia. E poi, oggi era riuscito a farla ridere, insomma... tutto sommato, un buon modo per avvicinarsi a lei. Fingersi stuipido, praticamente! - Grazie di esistere, Bobby! - concluse, per poi sbattersi la porta alle spalle con un tonfo sonoro.
- Prego, Micha! - ridacchiò Bobby, sparendo di nuovo in cucina per preparare una limonata anche per Erik, Dylan e Daisy.
Dell sprofondò fra i cuscini, sospirando.
Michael. Un giorno le sarebbe piaciuto vederlo ballare.
Anche sono un esibizione così, una di quelle robette da circo che non valgono nulla.
Anche solo per lei.
Un'acrobazia, una qualsiasi cosa. Di tutto, pur di passare ancora del tempo con lui.
 
- Ecco qua la tua limonata, Dylan. -
- Thank you very much, brother - rispose il ragazzo, annegando subito la gola accaldata nell'aspra ma rigenerante bevanda che tanto adorava. Bobby rise, sbalordito, poi si fece restituire il bicchiere, che andò a lavare.
Il ragazzo con gli occhiali lo osservò stralunato, adattando meglio la montatura blu al naso. - Scusami...? - fece poi, accigliato.
Il difensore smise di sciaquare, voltandosi a guardarlo divertito. Dylan Keith confuso diventava stranamente buffo. La sua versione preferita. Solo la faccia gli fece venir voglia di esplodere a ridere. Per questo, forse, lui e Mark erano destinati ad essere grandi amici: il suo Capitano aveva bisogno di ridere. Dylan era una fonte inesauribile di comicità, con lui i momenti tristi sparivano come nuvole sospinte dal vento... un vero amicone. - Potevi dirlo che ti piaceva fissare le persone darsi da fare... a differenza tua. -
- Io mi do da fare. Dormo per tutti voi. Intensamente. Con amore e dedizione. -
- Se se. -
- Ma ci sono le donne qui, perché non fai lavar...! -
Non l'avesse mai detto, accidenti. Uno spintone potente mille tornado lo fece quasi rovinare a terra, accidenti. Si riscosse, infastidito. Solo una, fra tutte quelle pazze ragazze strillanti, sapeva tirare fuori un'energia simile. La Greenland.
Si voltò per infamarla, ma lei era già scomparsa verso Dell, accomodandosi vicino a lei per parlare un po'. "femmine..." pensò, scuotendo il capo. Un universo fatto di vestiti e smalto che mai avrebbe capito fino in fondo. - Beh, Bobby... - continuò, sistemandosi ancora gli occhiali. - allora ti lascio lavorare solo come uno schiavo gobbo e sordo. Io me la filo. Voglio riposare, la cena oggi è stata molto pesante. -
- E direi, ti sei mangiato tutto tu. -
- Ah, davvero...? -
- Dylan, sparisci, va là. -
Dylan rise e fece per imboccare la lunga e noiosa gradinata che presto lo avrebbe portato verso la camera dei suoi sogni, quando un Mark tutto allegro e pimpante lo bloccò, sbarrandogli la strada con le sue lunghe braccia da nuotatore iper allenato.
Borbottò, sollevando il capo in aria, e il biondo piegò le labbra in un sorrisino furbo.
- Oh, Mark, dai. Sono stanco. Fammi passare, il letto mi chiama. -
- Oh, no no, fratello. I need to tell you... a fact. So... -
- No, ti prego! Non lo senti...? - Keith si portò una mano dietro l'orecchio, mettendosi in punta di piedi. - Non senti la vocina del mio letto? "Dyyylaaaan... vieni.... ti sto aspettando..." -
- Suona molto erotico. -
- Già. Ci rinuncio. -
Kruger ridacchiò, poi gli fece cenno di seguirlo fuori dalla sede, e una volta lontani dal viavai di persone si accomodarono sulle scale grigie del pianerottolo, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca della notte.
- Oggi è proprio una bella serata, eh...? - osservò Dylan, perso nell'ammirare i lontani grattacieli del centro di Los Angeles, splendenti in tutta la loro disarmante altezza di cinquanta metri e passa. Si rese conto di quanto fosse meravigliosa quella città, e di quanto fosse orgoglioso di abitarci.
- Sì, lo è... - mormorò Mark, passandosi una mano fra i capelli con fare nervoso. Aveva deciso che prima di parlarne con Esther ne avrebbe discusso con Dylan, come giusto che fosse.
Di cosa?
Del suo fidanzamento con Suzette, ovvio. Era troppo felice, doveva farlo sapere almeno a loro due, dannazione. Non stava più nella pelle. - sai, pure che questa mattina sono uscito con Suzette, no? -
- Per coprire quel terrorista di Eagle e la sua gnocca Silvia? Naturally. E...? Cosa hai combinato? -
- Niente di che. Solo... -
Dylan cominciò a turbarsi. C'era qualcosa nell'aria che aveva cominciato a stonare, forse la voce di Mark, forse il suo respiro affannoso, o come si massaggiava le ginocchia, simbolo di malcelato imbarazzo. Un ipotesi di ciò che sarebbe arrivato a spifferare quel dannato se la fece subito, ma la scacciò via anche solo prima di vederla al completo, sperando non fosse davvero così.
Ma c'entrava Suzette. Se lo sentiva dentro.
E quando lui sentiva le cose, in un modo o nell'altro si rivelavano essere sempre, SEMPRE esattissime.
Tranne nelle interrogazioni, ovvio, ma quelli erano casi particolari, fallimenti inevitabili.
Lì l'unico coi poteri diventava magicamente Mark, che le azzeccava tutte anche senza studiare, e ritornava al banco con un vittorioso 10 stampato sul diario.
"Eh, ma basta stare attenti in classe...", gli diceva sempre, scuotendo le spalle con il suo solito fare menefreghista.
Sì, sì. Certo. Attenti in classe. Quando a condividere il banco con lui quell'anno c'era stata la ragazza più sexy della scuola. Stare attenti in classe. Come no. Sempre, Mark, sempre. - Solo che...? - disse, riscuotendosi dai suoi pensieri.
- Ecco... -
- Dimmelo, c'mon! Non farmi andare a letto con questo peso. -
- Okay, brother - Mark estese le mani, facendo brillare gli occhi di un intenso turchese, ma divenne serio in volto, assumendo l'aspetto di un maledetto poliziotto sul punto di freddare un criminale con un bazuka da film di guerre interstellari. - mi sono messo con Suzette. -
- Ti sei... aspé, cos, what? -
- Mi sono messo con Suzette. Io. Con lei. Stiamo insieme. Ci... siamo baciati... e... - il biondo arrossì, sorridendo malizioso. - più di una volta, oserei dire. Eheh... già. -
La reazione di Dylan fu...
fu...
indecifrabile.
Prima rimase impassibile, e anche per un bel po' di minuti. Poi spalancò quella sua larga bocca da squalo che si ritrovava, arrancando all'aria frasi senza nessi fra loro. Infine, come ciliegina sulla torta, si alzò, ergendosi in tutta la sua mole da dinosauro.
- Whaaaaaaaat?! - strillò, gonfiando il petto.
Se avesse avuto in mano una pesante mazza da baseball, l'avrebbe rotta sulla testa di Mark, davvero. A forza di botte.
Perché sì, quel ragazzo tutto capelli era il suo migliore amico e, beh, sì, gli voleva un bene dell'anima.
Su quello, nessuna ombra di dubbio.
Ma quando voleva, sapeva essere veramente un coglione.
Si era messo... con Suzette. Suzette. Che, lo aveva capito fin da subito, con quel visino meraviglioso e quei grandi occhioni grigi era capace di cambiare ragazzo in una settimana, come voleva, e usarlo a suo piacimento per estinguere l'intera società.
- Mark, come... - sorrise comunque, cercando di non agitarlo. - come ha... wow! Come! -
- Non lo so, c'era Erik nel nostro stesso posto, e... - il numero 9 si strinse nelle larghe spalle, rimuginando un po'. - e poi boh, lei stava per voltarsi e allora io per distarla l'ho baciata. E'... stato... cool. Nice! -
- Wow! - gridò Dylan, quasi saltando sul posto. Provò ad immaginarsi Mark baciare Suzette, e si accorse di non apprezzare per niente. E fu tentato di dirglielo. Anzi, glielo disse proprio, perché era un amico sincero, non uno di quegli stupidi mille facce. - Mark, ti ci vedo con lei, per carità, but... -
- But...? -
- But... well, I thing... ehm... she is... Mark... è... inadatta a te. -
- Why? - cominciò a scaldarsi Mark, stringendo i pugni.
- Ehi, non alterarti. Voglio vivere. -
- No, sentiamo. -
- Non so... ti vedo troppo maturo... lei mi sembra ancora un po' sbandata... -
- Cazzate. -
- Dai, non ti offendere, please... e che tu prendi le cose molto seriamente, Mark. -
Il biondo squadrò l'amico, nervoso. Su quello, nulla da discutere. Lo sapeva anche lui di essere un gran bel permaloso. Si era rimproverato spesso di migliorarsi, ma mai senza trovare la voglia di farlo.
Ci avrebbe pensato in futuro.
- Non voglio che ti affezioni troppo a lei, sai... se vi doveste lasciare... - continuò Dylan, posandogli una mano sulla spalla. Lo conosceva bene, Mark. Sapeva che quando si legava a una persona e questa lo feriva, stava male.
Molto male, troppo male. Era fatto così, e quando soffriva, lui pure, inevitabilmente, e ci finivano dentro entrambi, senza riuscire a venirne fuori.
Il problema era che dopo un po' lui sapeva riprendersi, perché in fondo non erano faccende propriamente sue; Mark, ahimé, no. Ed era sempre stato difficile rasserenarlo. - ci potresti rimanere di merda. -
- Lo so, ma non credo che accadrà - annunciò Mark, sbocciando in un meraviglioso sorriso innamorato. - Mi sembra... pazza di me. E poi... insomma, sì... siamo agli inizi... -
- Certo, certo! - esclamò Dylan, ridacchiando. - Ma non potevi innamorarti di Esther, eh, anche tu... sei un baka. -
- Come, scusa. -   
- Che sei un baka. -
- No, no, prima. -
- Niente! Farfugliavo fra me e me. -
 Mark lasciò correre, fingendo di non aver sentito, poi si alzò dai gradini, provando ad immaginarsi a braccetto di Esther. No, assurdo. Lei era troppo strana e incomprensibile per lui, fatta di un carattere forte e focoso che non sapeva ancora domare del tutto. E poi, sì, era carina e quant'altro, ma non aveva quella particolare bellezza che piaceva a lui, quella bellezza elegante, raffinata, sensuale.
No, Esther era di una bellezza dolce, impacciata e maledettamente velenosa, se alterata.
Non il suo genere. Forse poteva abbinarsi bene a Dylan, ma neanche.  
- Pensi di dirglielo...? -
- A chi? - chiese, riemergendo dai suoi pensieri.
- A Esther, stupid Marky. -
- Smetti, dai. -
- Allora? -
- Beh... sì... -
Il ragazzo dalla montatura color dell'oceano esplose in una tremenda risata. - Potresti sconvolgerla! -
- Why you say that? -
- Non so, le amiche del cuore sono sempre un po' gelose, chi le capisce mai... poi lei la vedo molto protettiva nei tuoi confronti, dai... meglio se aspetti un pochino. Magari evita di scambiarti certe effusioni con Suzette davanti a lei, vacci piano... -
- Okay, don't worry... - mormorò Mark, gettando una rapida occhiata alla luna. - Rientriamo? Ho voglia di... -
- Eheh... Suzette... -
- Oh, Dylan, c'mon! -
- Ahah, sto solo scherzando, stupid Marky, ahah! -
- Non so, pensavo di guardarci un film... un po' di pop corn, coca, patatine... sprite... -
- Vodka già che ci sei... - Dylan si alzò e andò ad aprire la porta della sede, divertito. Sapeva che ben presto lo avrebbe perso. Mark con le donne si dimenticava degli altri. Adesso no, ma più in là sarebbe stato disponibile solo per Suzette. Meglio se si godeva ancora questi bei momenti di relax con lui. - Che film ci guardiamo? Ghost mov...! -
- Giammai - borbottò Mark, arrivando in salotto.
Esther e Dell si voltarono a fissarlo, smettendo di parlare fra di loro, e gli occhi della prima, alla sola vista di lui, si illuminarono di un nero intenso, arrivando a sfidare persino la lucentezza delle stelle. - Mark, sciocchino! -
- Ciao, Esth'! -
- Ciao, bellissima e tutto quanto, senti... - s'intromise Dylan, spintonando via Mark dai cavoli. - sgombra quel tuo grosso culo da lì, tesora... -
- Ripetilo sei hai coraggio, testa di caz...! -
- ci serve il divano. -
Esther allargò le narici fino a dilatarle al massimo, contrariata, ma si alzò comunque, affiancando subito quello spregiudicato di Keith. Se c'era una cosa che odiava, era venire insultata dai maschi. Specie da lui, lo stupido del team. Non lo avrebbe mai compreso troppo bene, dannazione. Con lei prima era gentile, poi cattivo, poi un mischio fra entrambi, con quel pizzico di malizia che mai guastava. Non riusciva mai del tutto a capire come doveva comportarsi nei suoi confronti, ma preferì la sua versione da mera bastarda, che di solito con quei casi disperati tutto muscoli e niente cervello funzionava sempre. - Sei uno stupido incapace perdente! Non ho il... didietro grasso... -
- Ho detto grosso... -
- E' uguale! -
- Dai, scherzavo! Era solo per farti arrabbiare! Sei sexy infuriata! Arg. -
- Ma smettila con queste cretinate, Keith! - gemette la mora, arrossendo tutta.
Mark rise, d'accordo con Dylan, e subito la fissò con gentilezza, cercando di calmarle quel tornado che l'aveva invasa tutto d'un tratto, alterandola. E che furiosa era bellissima davvero. Minimo minimo doveva saperlo pure lei, dai.
- Andiamo via, non ci ricaverai nulla parlando con questo idiota... - sospirò Dell, trascinandola lontano dai due.
Quando Esther strusciò la spalla contro quella di Mark si guardarono per un istante, ma lei distolse subito lo sguardo, mantenendo il controllo di se stessa.
Il suo profumo. Le sue iridi azzurre, così limpide e cristalline. Le sue labbra, la sua altezza, il suo collo.
Troppo vicina a lui per non gridare di gioia! Rabbrividì, lasciandosi praticamente "trainare" da Dell e la sua potenza da eroina ellenica. Possibile che anche un contatto così cretino fosse stato in grado di farla tremare tutta come una... una gelatina?
Mark doveva diventare brutto, dannato lui, o quella cottaccia sarebbe andata avanti ancora per un bel po'.
 
- Cos'è questo aggeggio...? -
- Ehm... - Silvia arrossì, congiungendo le mani poco più giù del bassoventre, poi squadrò Erik con i suoi languidi occhi verde bosco. - Ehm, Erik... -
- Dimmi. -
- Ehm, quello è... -
- Quello è un assorbente, Erik, un... dannatissimo, assorbente - venne in soccorso dei due Hellen, togliendo il salva slip dalle mani del ragazzo con fare più che brusco, ricordando tanto a se stessa i modi sbruffoni di Dell. Dopo cena, si era messa d'accordo con Silvia per aiutarla a mettere a posto i bagagli. Ma purtroppo Erik si era messo in mezzo, voglioso di dare una mano, e, ahimé, non c'era stato modo di scacciarlo per una conversazione intima fra donne, come piaceva a lei.
Anche perchè, al rientro in sede, l'aveva vista un po' stordita, triste, e forse, senza lui tra i piedi, avrebbe potuto fare qualcosa per vederla ritornare a sorridere, giustamente.
Ma no. I maschi sempre tra i cavoli, altrimenti non sono maschi.
- Ah... okay, no problem. E che... aveva una forma stran...! -
- Sì, Erik, sì! - trillò, cacciando l'assorbente in valigia con un moto di stizza. Silvia, rossa in viso, guardò l'amico ormai più che amico con ancora più intensità di prima, imbarazzata.
Non che gli dispiacesse la sua compagnia, al contrario. Si erano baciati più volte, ormai fra loro c'era una specie di attrazione speciale. Ma i vestiti erano già stati messi in valigia, e mancavano solo reggiseni e mutande.
E la cosa la stava agitando molto, ecco. Non le andava che Erik... vedesse.
Ma non sapeva come mandarlo via. Aveva paura di farlo stare male. Chiese aiuto a Hellen, che ci pensò subito, già fin troppo scocciata.
- Senti, tesoro, facciamo una cosa? -
- Cosa? -
- Perché non te ne vai a... - cercò di moderarsi. Lei era la dolce Hellen Heart, quella sempre assonnata e cucciola, quella che solo a vederla veniva a tutti voglia di stritolarla in un abbraccio. Mica la distruttrice Esther, o la mostruosa Dell. Che figura ci faceva a comportarsi in quel modo? - perché non vai a dedicarti un po' a te stesso...? Non so, guardati un film, leggi... preparati per gli allenamenti di domani, studiati una tattica... stai mettendo... - pensò un po' a quali parole usare, giusto per mantenersi sul vago. - un po' a disagio. Ecco. La tua presenza. Vai via. -
- Oh... - Erik si soffermò più del dovuto sulle mutande, poi capì. Gran bella figura del cavolo. Si voltò verso Silvia e rise, grattandosi fra i capelli, poi sparì dalla sua visuale, super in imbarazzo anche solo per chiedere "scusa".
Dannazione, non ci aveva pensato. Stava andando di testa, forse l'effetto del meraviglioso bacio che si erano scambiati sulla passerella della spiaggia cominciava a farsi sentire.
Hellen, d'altro canto, scoccò un'occhiatina divertita  a Silvia, che aveva ripreso a piegare accuratamente le sue cose. - Eh, c'è un po' di imbarazzo fra voi, ho notato... -
- Sì, ehm... solo che... non lo vedevo da tempo e... mi crea un certo nervoso stargli così vicino... -
- Certo, capisco. Siete dolci insieme! -
- Ahah, già! Ma mai quanto tu e Bobby! -
Bobby. Hellen arrossì come un peperone, sentendosi ridicola, e per smascherare il fuoco che le aveva invaso il viso prese a piegare le mutande con più velocità, come una macchina. Oggi non si erano parlati tanto, ma era evidente che ormai fra loro due ci fosse qualcosa di più che semplice amicizia.
Eppure, se prima si sentiva tanto sicura di sé, ora cominciava a voler fare qualche passo indietro. Aveva... paura, forse.
Paura di arrivare a una qualche affrettata conclusione.
Forse il giorno dell'Indipendenza l'aveva un po' stravolta. Bobby era stato molto affettuoso. Troppo. In un altro momento si sarebbe presa del tempo per pensare a ciò che stava sentendo adesso, ma non le sembrava proprio il caso: prima Silvia. - Ti ho... notata... - passò dalle mutande ai reggiseni, sempre con una cura immane nei gesti. - un po' infelice, oggi. Il motivo è... riservato o... si può sapere? -
- Ehm... - Silvia si badò bene dal mantere il segreto di Erik, quindi sviò a ciò che comunque era vero, e che in parte le pesava un po' sul cuore. - è che... mi mancherete - disse, in assoluta franchezza.
Dannazione, certo che avrebbe avuto nostalgia di loro, tutti loro. Esatto, anche Suzette. Si era divertita a passare del tempo in compagnia di quei pazzi scatenati, era stato... sorrise appena. Era stato meraviglioso. Specialmente rivedere i visi di Erik e Bobby. Dopo tutto quel tempo... chissà se li avrebbe incontrati ancora.
- Ow, quanto sei dolce, Silvia... pure tu ci mancherai... chi più di tutti nella Unicorno? -
- Penso proprio Erik e Bobby. Ci conosciamo dall'infanzia. -
- Sì, Bobby mi aveva raccontato qualcosina in tuo proposito, ahah! -
- Davvero? -
- Certo! E della Tripla C?
- Te, Hellen! -
La rosa parve stupita da quell'affermazione, e non riuscì a trattenere un dolce sorriso commosso.
- Sei stata la mia compagna di stanza, voglio dire... -
- Possiamo mantenere i contatti, se vuoi! - propose, desiderosa di non far sparire quella buffa amicizia sbocciata fra lei e una ragazza che mai avrebbe pensato di conoscere.
- Oh, certo, certo! -
Le due ragazze si scambiarono un momento i numeri di cellulare, divertite, poi ripresero ad affacendarsi anche con le ultime cose.
- Tutto fatto, direi! - notò Hellen, finalmente sgranchendosi le ossa in un bello stiracchio. - Sono molto stanca... - bofonchiò poi, lanciando una rapida occhiata al suo letto morbido morbido, il suo amore eterno, colui sempre pronto a sorreggerla nei suoi frequenti momenti di stanchezza. Sorrise, pensando quanto fosse bello dormire.
- Sì, pure io... grazie dell'aiuto, comunque. -
- Prego! Ma scherzi...? Era un bella valigia grossa, comunque. -
- Vado a lavarmi i denti! Arrivo subito. -
Hellen annuì, lasciandosi cadere sul materasso, poi sospirò di piacere, allargando braccia e gambe. - Certo, vai! Se incroci una delle mie amiche dille che io mi corico, e che non contino più su di me tranne per incendi nel bel mezzo della notte o tsunami o morte di qualcuno. -
Silvia rise, annuendo, poi abbandonò la camera e zampettò silenziosa fino al bagno, assicurandosi di non fare troppo rumore, quando, a metà corridoio, si scontrò con quel meraviglioso ragazzo che era Erik Eagle. Le cadde il dentifricio dalle mani, come una stupida, e si chinò a raccoglierlo.
- Ehi... - fece lui, con voce arrochita.
- Ehi! -
- Ehi. -
- Ehi... ehm... ahah! - ridacchiò la manager della Inazuma, stringendosi nelle spalle. - Cosa... -
- Shhh... - sussurrò lui, posandole un dito sulle labbra.
Silvia lo lasciò fare, incapace di allontanarlo, e pregò con tutto il cuore che finissero per unirsi in un altro bacio, esitante.
- Scusa per prima. -
- Oh, non... non ti devi preoccupare. -
- Sicura? Non ci ho pensato, scusa. Comunque... non mi sono fatto nessuno strano pensiero! Non... sono Dylan. -
- Ahah, no, e per fortuna! -
Erik liberò una breve risatina dalla gola, divertito, poi le passò una mano fra i capelli, sistemandole una ciocca verdolina dietro l'orecchio con fare dolce e gentile. Le sarebbe mancata, dannazione. Tanto. I suoi occhi scuri, la sua pelle candida, la sua voce... la sua bocca. Lei. Lei in tutto e per tutto, difetti e virtù. Specie ora, ora che era riuscito a dichiararle ciò che provava nei suoi confronti. - Posso darti un altro bacio? - le chiese, avvicinandosi di più.
- Certo, io... - non riuscì a terminare la ragazza che lui aveva già allacciato la sua bocca a quella mezza schiusa di lei, simile a un piccolo bocciolo di rosa. Cominciò a respirare affannosamente, lasciando che facesse tutto lui, e rimase ferma immobile a godere di quel bacio che, ne era sicura, con ogni probabilità mai più avrebbe potuto assaporare.
E forse sarebbe stato tutto più meraviglioso, se il dentifricio non le scivolò di nuovo dalle mani.
Erik si staccò dalle sue labbra, ridendo. - Ma...! -
- Sono una ragazza con le mani di pasta frolla, lo sai... -
- Però hai due labbruccie deliziose, lasciatelo dire. Meglio... di quelle di Suzette. -
- Ti amo - dichiarò Silvia, tutto d'un fiato.
Gli occhi di lui brillarono come stelle, lusingati da quelle parole. Le avvicinò la testa alle labbra, deliziato, poi le stampò un dolce bacetto sulla guancia, sorridendo appena. Quanto era bello poterle sfiorare la pelle delle gote con la bocca. Era una sensazione stupenda. - Pure io. Non dimenticarlo, per favore... -
- Figurati, come potrei... -
- Vado a vedere cosa combinano quei pazzi dei miei friends, ci vediamo domani mattina. Riposati. -
- Pure tu... ti amo, eh... - Silvia si carezzò la guancia con lo stampo del bacio del ragazzo, rossa in viso, poi lo osservò allontanarsi. Mai più si sarebbe lavata la faccia.
Non dopo tutto quel baciarsi.
Finalmente era sicura dei suoi sentimenti. Era Erik, non il folle e divertente Capitano della Inazuma.
Erik.
Lo era sempre stato. E se n'era accorta tardi, e nel peggiore dei modi.
Sarebbe stata con lui, anche se distante.
Fino alla fine.


 
   
Angolo Autrice 
ecciao, people (?). Come vedete... sono andata avanti, neh *^*.
Due in un colpo solo, AH.
*dance time*
Non mi sarei mai aspettata di arrivare a fare uno zoom generale su Dell, Michael and others. Sono felice, pensavo che non ci sarei mai riuscita, invece ecco qui ^^! Lallaaaaa, io felice, io beata *3*!
Comunque, adesso riassumiamo un po' il tutto, mi sembra lecito, no?
Esther è innamorata di Mark, che però è innamorato di Suzette, ricambiato. E ok.
Daisy (che in questo capitolo sembra scomparsa, lalla) ha una cotta per Dylan, a cui però non interessa niente. O meglio, lei gli va a genio, per carità, ma solo come amica. Vi annuncio che questa coppia verrà trattata meglio più in là. Poi vedrete. Vedreteeee... *sorride furbetta*
Dell e Michael, attratti un po' l'uno dell'altra, hanno tenuto la loro prima conversazione sensata dopo un mese di puro odio (?). Progress--
Hellen e Bobby sono zucchero e zollette da tutte le parti, ma lei comincia ad avere un po' di paura. Non parlo spesso di loro, ma dal momento che nel giorno dell'Indipendenza mi sono dilungata molto, lo riconosco, su Mark e Esther, degli altri non ho parlato, e quindi questo vi ha lasciato molta immaginazione. Beh, se considerate che questi due toppoli stanno sempre attaccati come cozze... eheh <3. Dolcezza esplosa del tutto, lol.
E io SO che un maschio quando arriva una certa ora diventa tutto miele e cannella.
Mamma mia. The boys... che mondo (?). E dicono a noi.
In quanto a Erik, lui con Silvia, ovviamente, ma sta anche male, e quindi diciamo che adesso che lei si scava dalle balllzzz (???), preferisco occuparmi più della sua salute. Io volere bene a quel paciocco, visto? Non è vero. No, scherzo, lo amo tanto. Che topino!
E nientO, insomma, io qui il mio bel lavoro di zoom sulle coppie l'ho finito. Spero che il cappy vi sia piaciuto, come vedete, ho trattato un po' di tutti (tranne Daisy e Dylan)! La prima parte con Micha e Dell fa ridere, dai (?).
A me diverte tanto. Lei è fantasticoserrima (?)! E lui, aww, tenero!
La mia seconda pair preferita di questa fic, dopo Markus e Estha, vovviavenve (???).
Shallallaaa, adesso vado, voglio sbizzarrirmi.
*accende stereo*
Tunz, tunz, tunz.
No, ok.
Sarebbe bello sperare in una qualche vostra bella recensionuccia, eh! Mi farebbe piacere sclerare un po' con voi, mi siete mancati tanto <3. E, ovviamente, anche di vedere, in caso di critiche, dove posso migliorare, chiaro, ma questo è sempre esplicito.
Now vado davvero.
Baci a tutti!
Lila chan
 
PS: chiedo ancora scusa del mio ritardo. Non so, mi dispiace davvero. Sono imperdonabile. *cuore spezzato*

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Capitolo 30
*** L'addio ***


L'ADDIO
 
Dylan Keith era un ragazzo particolarmente dotato per trovarsi sempre al posto giusto nel momento giusto, né un minuto di più né uno di meno.
Un signorino di quattordici anni e qualche mese che nel giro di una settimana, a scuola, si era accaparrato il nomignolo di "colui che tutto può", arrivando persino ad essere venerato come una chissà quale divinità. Sì, vero. Di primo impatto quella stupida affermazione poteva sembrare parecchio sciocca, ma andava presa molto seriamente.
Dylan era... formidabile. Sapeva riaggiustare cuori infranti e anime perdute, come fregare senza finire nei guai (cosa che faceva spesso, specie con quella vecchia baldracca di una tabaccaia, sì, quella sotto casa sua), come aiutare un amico, relazionarsi con le persone e stare bene in loro compagnia, come valorizzare un oggetto orribile (i suoi occhiali, per esempio) e come rallegrare la giornata a una persona semplicemente con un "ciao", perché dotato di una voce scherzosa e vivace.
Ma quando si trattava di alzarsi alle quattro di mattina, dopo una notte passata nel sonno più beato...
eh, no.
La sua essenza di "colui che tutto può" scemava all'improvviso, scomparendo negli angoli più remoti d' America.
Ed era quella, la situazione difficile che stava vivendo. Svegliarsi. O meglio... abbandonare le calde lenzuola, dirigersi in bagno, cambiarsi i boxer, vestirti e muovere le chiappe fino in sala grande, il tutto in pochissimi minuti (a detta di Mark).
Il problema era che... era un qualcosa di troppo difficile, davvero. Sprofondò con la faccia nella morbidezza del cuscino, rischiando di rimanere senza respiro, ma non fece nulla per impedire un possibile soffocamento, troppo stanco anche solo per muovere un dito. - I can't... I... can't... - bofonchiò, stringendo le fresche lenzuola stropicciate.
- Come sarebbe a dire che non puoi. -
- Mark, abbassa quella tua misera vocina, please. -
- Muoviti! - esclamò Mark, sollevando gli occhi al cielo con un moto di impazienza nei gesti fin troppo scocciati. - Silvia arriverà in ritardo se non alzi le chiappe da lì. E tu non vuoi far perdere l'aereo alle persone, vero...? No, non vuoi. Hai un animo buono, non lo faresti mai. Dico bene? -
- Ma... - Dylan lasciò andare le lenzuola e posò il braccio sul bordo del letto, che prese a far dondolare con lentezza esasperante. - ipotizziamo per un momento che io non abbia voglia di venire. Devo per forza o si può... chessò, evitare di... -
Mark strinse i pugni fino a farli pulsare e fece un passo in avanti, la pazienza ai limiti, poi puntò un dito contro l'amico, che non si sforzò nemmeno di ruotare gli occhi per guardarlo in faccia. Odiava quando Dylan si comportava in modo tanto irritante, eccome. - Dylan, no. Ti alzi, ti vesti e ci raggiungi di là. Anche tu devi salutare Silvia. -
- Dai, stupid Marky... -
- Non ci prendere l'abitudine a chiamarmi così, è un soprannome so orrible. -
- Oh, sorry, Mark... volevo dire "amoruccio cuccioloso di Suzettuccia". Ecco. Scusami tanto. -
Mark non disse nulla e mantenne il controllo di sé, passando sopra il commento senza che la parte permalosa di lui scattasse all'improvviso, mandando tutto al diavolo. - Muoviti - aggiunse infine, accendendo e spegnendo la luce per dare fastidio all'amico. - Muoviti o continuerò così in eterno. -
- Mark... -
Clic.
- Daiiiii... -
Clac.
Clic.

- Però, sei eh... -
Clac.
Clic.
Clac.

- Oh. Finiscila?! -
Clic.
- E basta! - sbuffò Dylan, alzandosi con rabbia dal letto.
Kruger sorrise soddisfatto, poi tolse la mano dall'interruttore, quasi divertito. Dylan aveva una faccia a dir poco epocale. In un altro momento lo avrebbe di sicuro immortalato, con un'espressione così assonnata e irritata ci avrebbe fatto di sicuro i miliardi. - Quindi? - chiese, sollevando appena le spalle.
- Quindi adesso vengo, happy? -
- Oh. - Mark rise. - Yeah! Finalmente. -
Il ragazzo con gli occhiali gli dardeggiò un'occhiataccia tutto meno che amichevole, poi aprì un cassetto e tirò fuori i primi vestiti che gli capitarono sotto mano, buttandoli a terra. Ecco. Era sveglio, purtroppo. Addio sogni, addio speranze. Mark era solo un terribile disturbatore, si sarebbe vendicato. - Va a tenere compagnia a Suzette e levati dalla mia vista, odioso. La pagherai. -
- Lo vedremo - concluse l'altro, sparendo oltre la soglia.
Dylan sospirò e si rigirò fra le mani la maglietta che aveva scelto, quindi corse in bagno, bestemmiando fra i denti cose poco carine e da non orecchiare nemmeno sotto tortura.
 
 
- Mark! Quindi? - chiese Daisy, già immaginandosi la faccia scocciata e disorientata di un meraviglioso Dylan spettinato fino all'ultimo ciuffo color paglierino nel sapere che doveva alzarsi e rinunciare così al dolce piacere di quello che sarebbe potuto essere un bel sonno ristoratore. Ridacchiò, forse per nascondere il rossore che le aveva completamente incipriato le gote paffute.
- Quindi si muove - rispose l'americano, lanciando un'occhiata più che maliziosa a Suzette. Avrebbe tanto voluto andare da lei e baciarla, baciarla per davvero, minimo dargliene uno sulla guancia, o sulla fronte. Ma non poteva, aveva le mani legate. Senza bisogno di parole, dal giorno dell' appuntamento con pochi sguardi erano arrivati a sugellare un accordo: nessuna manifestazione amorosa davanti agli altri.
Non per adesso, poteva essere rischioso. E irritante, per qualcuno.
Quindi si appartò accanto ad Esther, facendole notare che aveva un orecchino incastrato fra i capelli.
- Ma perché Dyl deve sempre, seeeempre fare così - si lamentò Michael, sollevando le mani al cielo. - Quante volte saremmo arrivati in ritardo per colpa sua? Quante? Cavoli, ho perso il conto. -
- Ma lascialo perdere, cosa ti spacchi la testa su questi problemi? - fece eco Dell, tirandogli una gomitata sul braccio per farlo tacere.
- Beh, l'importante è non arrivare in ritardo - notò Bobby, che come al solito di mille cose inutili veniva fuori nel sottolineare quella più importante. - giusto Silvia? -
- Giusto Bobby! - esclamò l'altra, che fino a quel momento era rimasta in disparte a parlare fitta fitta con Erik. Il difensore sospirò e si rilassò sul divano, distendendo i muscoli della schiena. Avrebbe tanto voluto essere con loro a discutere, in fin dei conti faceva o no ancora parte del gruppo? Ma non poteva. Aveva una Hellen addormentata sulla spalla sinistra, del resto, come trovare la forza di svegliarla e rompere l'incanto... provò l'assurdo istinto di passarle un braccio intorno alla vita, ma resistette alla tentazione.
Non voleva svegliarla e farla sentire a disagio. Anche perchè lei si era buttata su di lui di sproposito, senza farlo apposta, incapace di controllare la stanchezza. Probabilmente quando avrebbe di nuovo aperto gli occhi, fra un farfuglio di scuse e l'altro sarebbe arrossita tutta, e avrebbe cominciato ad evitarlo. Normale. Ma che ci poteva fare? Impedirle di essere timida?
Cambiarla? In fondo Hellen era bella proprio per questo.
Altrimenti non si sarebbe innamorato di lei così in fretta, dei suoi capelli, della sua voce, della grigia tempesta tonante che donava ai suoi grandi occhi da cucciola un aspetto sempre cupo e indecifrabile.
Le arricciò un boccolo rosato tanto per calmare il bisogno di stringerla a sé, sentendo che era l'unica cosa che poteva fare in quel momento.
- Ma quell'altro si muove o...? - brontolò nuovamente Michael, incrociando le braccia al petto con fare vanesio. - Dio, dammi la forza per non sfondare la porta del bagno, affogarlo nella tazza e tirare lo sciaquone. Dio dammela, ti scongiuro. -
Mark, dando ragione all'amico, cominciò a correre sui gradini della scala, iniziando di nuovo a spazientirsi, quando a fermarlo sul terzo fu la magica e tanto attesa comparsa di Dylan, che cominciò a scendere le scale rapido come un fulmine.
- Scusate ragazzi, Micha... - fece, aggiustandosi una scarpa di un colore diverso dall'altra. - sentivo i tuoi scleri da lassù. -
- Ah, davvero...? Possiamo andare adesso o... -
- We can go - decise per tutti Erik, aprendo la porta.
Mac e il suo super pick-up sostavano davanti alla sede, illuminati appena dal pallore della luna, e non appena i ragazzi cominciarono ad uscire a due a due (Hellen non si svegliò nemmeno così, quindi Bobby si ritrovò a prenderla in braccio), il motore dell'auto riempì il silenzio di mille ruggiti rabbiosi, disturbando la quiete del quartiere. - Bobby, Erik, Silvia e Hellen davanti. -
- Ok! -
- Gli altri tutti dietro. Vedete di starci. -
- Sure - disse Mark, assicurandosi che nessuno fosse più intorno a lui e Suzette. Perfetto. Solo un attimo per baciarla, semplicemente doveva stare attento a non farsi beccare, tutto qui. Non poteva essere poi così difficile. Afferrò la mano destra della sua amata e la spinse un momento dentro la sede, poi le prese il viso fra le mani e la baciò con dolcezza, concentrando tutto se stesso in quel piccolo ma amorevole gesto di affetto.
Quando si staccarono corsero immediatamente di fuori, dove tutto era rimasto come prima. Ottimo. Nessuno li aveva visti, nessun sospetto celato sotto qualche occhio curioso.
- Mi hai sorpresa, non me l'aspettavo... - sussurrò l'azzurra, carezzandogli una mano senza darlo troppo a vedere.
Mark le sorrise con affetto, arrivando ad essere di una bellezza ineguagliabile. Persino le stelle, per quanto brillanti e meravigliose, confrontate al bagliore incantato dei suoi occhi in quel momento, non potevano fare nulla se non guardarli, guardarli in silenzio e provare un'invidia cieca e folle. - non resistevo più... ti amo. -
- Pure io! -
Fra una parola d'affetto e l'altra, i due raggiunsero il pick-up in pochi secondi, poi, trovato spazio per sedersi, Mac partì alla volta dell'aereoporto, immergendosi nel traffico notturno della larga tangenziale di una luminosissima Los Angeles.
 
 
- Signorina... -
- Salve! - Silvia, con il prezioso aiuto di Erik, adagiò la sua enorme valigiona sul nastro trasportatore, poi portò lo sguardo su un piccolo schermo rettangolare posto sul bancone, leggendo il peso.
18 kg e qualcosa in più. Perfetto.
- Passaporto - continuò la signora, sistemandosi meglio gli occhiali da vista sul naso. - Oppure carta d'identità. -
- Passaporto... - la ragazza frugò nella borsa a tracolla, poi, estratto fuori quanto richiesto, lo posò davanti al naso della donna, che fece un rapido controllo digitando chissà quali informazioni sul computer. Alla fine annuì ancora, squadrando prima lei poi Erik. - Lei? - chiese, sorridendo appena al castano.
Eagle arrossì e tese le mani in avanti. - No, no, io... io accompagno e basta. Purtroppo. -
- Perfetto. Okay, signorina, ecco qui i suoi documenti. -
Silvia raccolse il passaporto e uscì dalla fila, seguita da un Erik più che triste.
Dannazione, i giorni passati con lei erano volati via in pochissimo tempo, incapaci di allungarsi e distorcere il tempo per rallentarlo. Come l'aveva avuta accanto, adesso la stava di nuovo perdendo. Le sarebbe mancata. Davvero.
- Fatto? - chiese Mark, sorridendo per rallegrarli.
- Sì, sì! Tutto a posto. -
- E tu che ti preoccupavi del peso, Silvia... - sopraggiunse Hellen, che da quando si era svegliata (una curva particolarmente brusca durante il tragitto l'aveva riscossa) non aveva smesso di stropicciarsi gli occhi neanche un istante.
- Già... dovrei fare più affidamento alle bilance, ahah! -
- Esatto, ahahah! Ah... ah... mamma mia, che sonno... -
- Concordo... -
Mac s'intromise nella conversazione, posando ambe le mani sulle spalle di Erik e Silvia. - Ottimo, allora spostiamoci di là... - disse, spingendoli con dolcezza - l'aereoporto non è tanto pieno, c'è posto per tutti. -
Le due squadre, insonnolite, si mossero lentamente verso il luogo dalle mille seggiole (così lo aveva soprannominato Dylan, anche lui mezzo sospeso fra il mondo dei sogni e quello reale), poi presero posto sparsi un po' ovunque, desiderosi di recuperare quel poco di sonno che avevano perso.
C'era chi, come Esther e Daisy, aveva occupato non una, ma ben due sedie, smaniose di stendere tutto il corpo e rilassarsi al massimo, chi come Hellen che usufruiva ancora una volta delle spalle altrui, e chi come Suzette che semplicemente si era stretta a Mark, abbracciandolo con forza e posando la testa sul suo petto caldo. L'americano decise di lasciarla fare. Del resto, la cosa non era dovuta solo al fatto che adesso lei, di lui, poteva fare qualsiasi cosa, ma anche a stanchezza.
Tuttavia, nella svariata lista delle posizioni da assumere in quel momento, c'era anche chi, come Dell, di dormire non ne voleva proprio sapere, nonostante il sonno, perché l'unico modo per stare comodi era posare la testa sulla spalla di Michael, e l'ultima cosa che voleva fare era concedersi tale lusso.
Il ragazzo la squadrò come si fissa un morto di fame. - Allora? Pensi di ciondolare col capo ancora per molto o...? Sai, mi dai fastidio. -
- Eh...? -
- Eh. Hai capito. -
- Ti sposti, se ti do fastidio. -
- No. Sto troppo comodo per alzarmi... poi ho già riscaldato la sedia, non mi va di dover rinunciare a questo calore. -
Dell arrossì e si voltò dall'altra parte, poi prese a fissare il tizio che russava al suo fianco, le mani strette sul dosso poco più giù della pancia. Rise, e dopo un lungo attimo di finta indecisione, ritornò con gli occhi fissi sull'amico, quasi divertita. Che schifo i maschi. - Non posso stendermi. Quel tipo occupa la sedia accanto a me. Ed è... molto concentrato su... dai. -
Michael si sporse per guardare e rise, vivacizzando il momento, poi, ritornato con la schiena contro il lucido e freddo metallo della sedia, si fece un po' di coraggio, schiarendosi la gola. Era il momento giusto... per fare la cosa giusta. Non avrebbe sprecato un' occasione simile per andare d'accordo con quella bella signorina dai capelli cobalto e gli occhi rossi, rossi e perfetti. - beh... - farfugliò, alludendo con un cenno del capo alla sua spalla libera. - puoi... insomma... questa è tutta tua. Mi farebbe piacere se la utilizzassi per dormire. Per me... no problem. Okay? -
- Davvero? Cosa hai combinato? -
- Ahm, niente... assolutamente niente. Volevo solo essere gentile. Sentiti libera di fare quel che ti pare, però. -
La ragazza si sforzò di rimanere seria, ma non ci riuscì, e finalmente gli sorrise con dolcezza, accettando la sua larga spalla maschile come cuscino. Quando ci posò la testa arrossì, portamento che non sfuggì di certo agli occhi nocciola di lui, che si permise di stringerla un po' a sé senza esagerare per non ritrovarsi schiaffeggiato e preso a pugni.
- Grazie... - sussurrò lei, chiudendo le palpebre e sprofondando nel mondo dei sogni.
 
 
- Allora, Silvia... - Mark porse la mano alla Manager della Inazuma, tirando fuori uno di quei suoi meravigliosi sorrisi carichi di lucentezza. - grazie di tutto. Per quel poco che hai avuto l'opportunità di fare, sei stata una Manager tanto tanto straordinaria. Mi auguro di poterti rivedere, anche solo per un giretto negli States. -
- E' stato un onore, Capitano. E sì, di sicuro tornerò qui! Puoi contarci. -
- Perfect! Mancherai a tutti noi. -
- Tranne a me... - sbottò piano Suzette, che da brava, dolce, carina, gentile e angelica ragazza qual'era, non si era nemmeno fatta avanti per salutare. Vero che adesso Silvia non era più un suo problema, e, ancora più vero, tanto meno le importava della sua tresca amorosa con Erik, visto che Mark aveva tutti i potenziali per poterlo sostituire. Ma non le andava di arrivare alla pace, tutto qui.
Con lei, o battaglia persa, o vinta. Non si scendeva mai a compromessi.
E comunque, le aveva soffiato comunque il fidanzato. O meglio, l'ex.
- Che fai, non ti butti? - le domandò Esther, affiancandola.
- No, non socializzo con le troiette. -
- Sei incorreggibile, eh...? -
- Che vuoi! Mi ha rubato il ragazzo sotto il naso! -
"Ahah. Parla lei. La santa." pensò subito la mora, ma si estraniò dal rinfacciarglielo per evitare di provocarla ancora di più, quindi si aggregò a Daisy e Dylan, impegnati in un'ardua conversazione su quanto dovevano stare a mollo gli spaghetti, se erano più buoni al dente o più cotti e robe simili.
Quando Mark e Mac lasciarono Silvia nelle mani di Bobby, i due giovani amici si appartarono in un angolo per parlare seriamente, attenti a non farsi sentire da Erik.
- Ti ha detto, no...? - iniziò il difensore, posandole una mano sulla spalla.
- Sì... sì. Bobby, ti prego... -
- Dimmi tutto. -
Silvia strinse i pugni e deglutì, scacciando il tremolio alla voce per apparire più sicura. - stagli dietro. Assicurati che non si stanchi troppo, impediscigli di giocare, se arriva a fare le storie. Si fa tanto il forte, ma se è ricaduto di nuovo in questo malessere fisico vuol dire che è una malattia con cui ci deve convivere, l'incidente non c'entra più niente. -
- E' quello che penso anche io, Silvia. Mi hai tolto le parole di bocca. -
- Mark e gli altri... -
- Non glielo dirò, anche se sarebbe meglio di sì, viste le circostanze. E' che... vedi, Erik mi ha chiesto il silenzio... non posso tradire la sua fiducia - le spiegò Bobby, scuotendola per farla un po' sorridere. Poverina, sentiva il suo dolore a pelle, e bruciava. Sapeva quanto cavolo ci teneva a quello sciocco di Erik, quanto lo amava e non sapeva gestire ciò che provava nei suoi confronti. Era sempre stato a conoscenza di ciò, fin dalla tenera età.
E vederla così, distrutta per lui, faceva un male allucinante.
Anche perchè... cosa poteva ancora fare? Lui era un po' l'angelo custode  di entrambi, vero, ma in quei momenti l'unica cosa che gli rimaneva da mettere in atto era sperare per entrambi.
E basta. - vedrai che si riaggiusterà tutto. Lo sai, Erik è un ragazzo ostinato. Non mollerà l'osso così facilmente. -
- Sì, sì... sì. Però questa volta potrebbe davvero arrivare a non giocare più a calcio. Me lo sento dentro. Non si salverà... -
- Lo temo pure io, Silvia. Ma la speranza è l'ultima a morire, dico bene? -
"Informiamo gentilmente che l'aereo Los Angeles-Tokio è pronto per ricevere i suoi passeggeri. Il biglietto corrisponde a..."
- Beh... - fece Bobby, sorridendo triste. - A quanto pare, ti vogliono. -
- Sì... -
- Silvia! - si aggregò Erik, prendendole il viso fra le mani.
La ragazza rimase impietrita a fissarlo, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse bello e magnetico. E di quanto gli sarebbe mancato. - Salutami gli altri... okay? Mark, Nathan... tutti. -
- Certo, lo farò... -
- E... oh, un' altra cosa! -
- Dimmi. -
Il castano prese un respiro e si fece più vicino a lei, fino a racchiuderle le labbra in un tenero bacetto a stampo, poi la abbracciò con forza, affondandole le dita fra i capelli verdolini. - I'll miss you, Silvia... neanche immagini quanto... -
- Me too, Erik... pensa a rimetterti... pensa a stare bene. Vedrai che supererai anche questa... -
- Ti amo. -
Bobby sorrise e li divise, a malincuore. - Silvia, vai adesso. -
- Sì... - la ragazza abbracciò pure Bobby (che fu costretto a chinarsi, da quanto era alto e lei bassa), poi, dopo un lieve inchino riservato solo all'allenatore della Unicorno, si avviò verso il lungo portale collegato all'aereo.
Non si voltò più, per non incrociare lo sguardo distrutto di Erik, e lui a sua volta diede di spalle alla scena, troppo triste per continuare a fissarla andarsene via.
- Beh, allora? - gli chiese Suzette, che a sua differenza sprizzava allegria da tutti i pori.
- Allora cosa, Suzette. Vai dal tuo Mark e lasciami in pace. -
- Ti sta bene, così impari a rimpiazzarmi! -
- Ehi, basta, dai - venne in soccorso di Erik Dylan, schierandosi davanti all'amico a mo' di protezione. Suzette fece spallucce e se ne andò, infastidita.
Sapeva di aver sputato una cavolata assurda, ma era arrabbiata con lui, lui che per tutto quel tempo passato al suo fianco era sempre stato innamorato di una che con lei non poteva proprio competere, né in bellezza, né in gusti, né in capelli.
Non si era mai sentita più tradita e umiliata. Però adesso aveva Mark, non doveva più dare troppo peso alla cosa, o avrebbe compromesso il loro rapporto... forse. Era troppo confusa dalla cosa per pensarci.
Scrollò le spalle. In fondo, era stato facile trovare un rimpiazzo.
Ma la guerra non era ancora finita. Perché non usare il suo attuale fidanzatino tanto angelico per ingelosirlo un po', adesso che era rimasto solo e nudo come un verme schifoso?  Niente di pericoloso, giusto qualcosa così tanto per scherzare.
E valutare, chiaro.
Ottimo, anzi geniale.




 
Angolo Autrice
salve popolo! Eeeee niente, scusate il ritardo ritardissimo, ma purtroppo i bei tempi delle medie sono finiti già da un pezzo, e il tempo per stare su EFP, almeno per me, si accorcia ogni giorno di più (senza contare i problemi al computer e tutto il resto): so, parliamo un po' degli aggiornamenti. E' da tantissimo che progetto di finire questa storia, per cui no, non la fermerò, a costo di doverla portare avanti per qualche altro annetto (cosa che dubito). Speravo di poter darci dentro questa estate, e terminarla visto che, ragazzi, strano ma vero, ormai non manca più così tanto, ma... sono stata di nuovo rimandata (evvai!) e quindi non ho il tempo, fuck. Gli aggiornamenti pertanto saranno lentini.  So che la sto portando avanti dall'estate della terza media, e ora devo andare in terza superiore, ma prometto che finirà. Cercherò comunque di fare il possibile. 
Parliamo del capitolo ora.
Come avrete capito tutti, questo è solo di transizione. Serviva just (?) per mandare via Silvia, niente di che. Non vedevo l'ora di chiudere con quella coppia, damn, uff.
Oh, e poi volevo dare uno spazietto a Dylan, naturalmente! Spero l'inizio vi sia piaciuto! Io mi sono divertita a scriverlo ;D! VAI DYLAN, per un mondo più alla Keith (???).
Volevo rubarvi un minutino solo per spiegarvi che i precedenti capitoli sono stati corretti, solo che manca la voglia di pubblicarli, e quindi quando mi salirà la voglia se mai mi salirà agirò come si deve. Inoltre ho notato anche di aver messo a tutti il canone scolastico italiano.
Uhm. Vabbé, era per non complicarmi le cose con le età XD.
Adesso vado, auguro a tutti una buona estate!
Bisiiessss (?)
Lila

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Capitolo 31
*** Kruger, ci sei? ***


KRUGER, CI SEI?
 
- Il torneo si avvicina, guys - Mark si leccò la punta dell'indice e voltò alcune pagine del calendario, rimasto indietro di un paio di mesi, poi Suzette gli passò un rossetto dalla punta color confetto e il suo bel principe azzurro, dopo aver scrutato l'utensile con aria a dir poco sconvolta, fece un cerchio intorno al 23 Luglio, passando per bene due o tre volte attento a non spezzarne la punta pastosa e profumata.
- Un evidenziatore no, eh? -
- Mica mi porto dietro l'astuccio, tesorino mio. E poi col rossetto è più chic. -
Kruger le sorrise e andò a riappendere il calendario al muro, quindi si sgranchì il collo e allargò le braccia, catturando l'attenzione di tutti i presenti.
- Guys! Andiamo al campo, vediamo di scaldarci le ossa per bene, vi voglio carichi e pronti per quando sarà il momento, chiaro. -
- Già, non ho intenzione di perdere ancora - borbottò Erik, sparendo per primo seguito da un Bobby un po' pensieroso. Se da una parte quel torneo era un evento che tante volte aveva sognato, dall'altra con ogni probabilità si sarebbe rivelato un vero incubo. E non tanto per lui, ma per il suo migliore amico, che in quel momento, lo sapeva, ancora era rimasto alle labbra di Silvia.
Come avrebbe fatto a giocare, nelle condizioni esasperanti in cui era finito il suo corpo? Era proprio un osso duro, niente da dire.
Fosse stato per lui, si sarebbe già ritirato.
Nel frattempo, in sede, Daisy era rimasta sola davanti all'uscio, in attesa che un certo Dylan Keith si muovesse ad uscire dal bagno. Aveva voglia di aspettarlo, anche perché ormai, come ben tutti avevano intuito, era completamente persa, pazza e fatta di lui.
Tutto gli ricordava la sua risata da drogato, i suoi modi poco educati, i suoi ghigni, il bagliore dei suoi occhi gialli sotto le spesse lenti color oceano, la sua voce potente. Chiudeva gli occhi ed era lì, nella sua mente, a ridere insieme a lei.
Li apriva e lo voleva vedere davvero, poterlo sentire, per sentirsi bene e proseguire la giornata senza problemi.
Non riusciva proprio a liberarsene, era un pensiero fisso, costante, come Bobby per Hellen e Dell per Micha, anche se al signorino ancora non piaceva andarlo a sbandierare in giro.
Un po' di sicurezza in più ed era deciso: si sarebbe dichiarata.
Non sapeva quando, ne di preciso come, perché ad essere sinceri con i maschi non se l'era mai cavata con successo, ma era da un po' che si era impuntata con quella cosa.
Dylan doveva sapere. Forse non sarebbe cambiato nulla, o forse tutto, chissà, ma necessitava di togliersi quel peso dal cuore.
Stava davvero impazzendo.
Non appena il caro signore dei suoi sogni decise che forse, con ogni probabilità, era ora di muovere le chiappe e onorarla della sua meravigliosa presenza da playboy, abbandonò il bagno e con un atletico salto cominciò a scendere i gradini a due a due. - Ehilà, bella! - esclamò non appena notò Daisy appoggiata al muro, per poi rubare qualcosa dalla cucina e cacciarsela in bocca con la delicatezza di un elefante circondato da vasi di cristallo puro.
Bella.
Quella parola risuonò nella testa della ragazza con una dolcezza infinita, obbligandola ad arrossire tutta e a stringersi timidamente nelle spalle.
Bella.
Per Dylan era bella.
Stupendo.
- Ciao! -
- Mhmh! - bofonchiò appena Dylan, parlando con la bocca piena. - mi hai aspettato! Gentile da parte tua. -
- Scherzi? Andiamo giù insieme? -
- Mi hai letto nel pensiero. -
I due abbandonarono la sede in mattoni della Unicorno e cominciarono a scendere le scale all'unisono, Dylan leggermente sei gradini più avanti di lei.
- Posso... -
- Puoi? - si voltò con un sorriso, facendo ancora arrossire la sua compagna di allenamento, e non appena se ne accorse assunse un'aspetto decisamente più sensuale, facendole sprofondare le gote in un rosso più intenso di quello del fuoco. Quanto gli piaceva far morire di rossore le donne in quel modo. Mark la riteneva una cosa stupida e cretina, invece per lui a volte poteva essere anche più efficace delle parole. Poi, funzionava sempre.  - Dimmi. -
- Sapere che... - Daisy fece una smorfia. Forse la domanda che gli avrebbe posto sarebbe suonata non poco stupida, ma per il giorno della dichiarazione ci teneva ad apparire perfetta, e la perfezione per lei in quel momento equivaleva solo a ciò che lui considerava eccellente. Doveva capire il suo tipo di donna. Per prepararsi. - genere di ragazza ti piace? -
- Guarda, fin quando hanno le tette mi vanno bene tutte - sputò Dylan, atterrando a piedi pari sull'erbetta del campo per poi gettare una rapida occhiata al sole e sorridere.
- Solo le tette, guardi, in una ragazza...? Pervertito. -
- Certo. E' la cosa fondamentale in una donna, per me. Come mai questa domanda così buffa? -
- Ahm... mi interessava, tutto qui! -
- Interessava a te oppure qualcuna ti ha mandata qui a chiedere, per... chessò... perché magari mi ama di nascosto e si vergogna a dirmelo di persona...? -
- No, a me e basta! -
Dylan la scrutò stranito, poi scosse con menefreghismo le spalle, facendole cenno di seguirlo a prendere un pallone per iniziare l'allenamento.
Strana domanda. In molte gliel'avevano posta, ma si era sempre trattato di semplice curiosità, visto che ormai l'America intera l'aveva etichettato come un tipo strano e indecifrabile. Daisy nel suo goffo tono di voce aveva usato tenerezza, quasi passione in quella semplice frase.
Che fosse interessata a lui?
Non era la prima, vero, e forse nemmeno l'ultima, ma se così davvero stavano le cose, avrebbero avuto seri problemi.
Esatto. Perché lui le voleva bene, ma non l'amava, e non le piaceva proprio per niente, almeno fisicamente.
L'unica ragazza a interessargli giusto il minimo lì era Esther, ma quella sciocchina tutto fisico e cervello perdeva troppo tempo dietro al suo migliore amico, niente da fare.
 
 
La pallonata che ricevette Mark in pieno viso lo fece completamente cadere a terra, frastornato.
- Oddio! - Esther gemette e corse verso di lui, poi si portò ambe le mani davanti alle labbra e lo scrutò dall'alto per assicurarsi che fosse ancora tutto intero, disperata. Era già la terza volta che Kruger finiva vittima dei suoi potenti passaggi, la terza volta in un'ora di allenamento scarso, neanche avessero fatto chissà quanta roba.
Era distratto.
E confuso. E tutto quell'ammasso di spensieratezza che gli leggeva nello sguardo significava che era successo qualcosa che a lei in quel momento sfuggiva, qualcosa di bello e speciale che lo aveva completamente sballato dalla prima all'ultima cellula del corpo. - Tutto bene, vero? - gli chiese, tendendogli un braccio per dargli una mano a sollevarsi da terra.
- Sei micidiale, Estheeer... - mormorò Mark, massaggiandosi il viso con un sospiro.
Perché Suzette doveva essere bella e perfetta anche a trenta metri di distanza? Perché teneva ancora d'occhio Erik come un rapace affamato? Perché era diventato così scemo e geloso tutto in una volta? Tutta quell'orda di emozioni lo stava distraendo dall'allenamento, e non si era mica scordato di aver giurato solennemente a Esther che l'avrebbe aiutata con la neo tecnica. Ma di quel passo, non sarebbe stato di grande utilità.
Doveva mantenere la concentrazione, non sbavare dietro alla sua cucciola.
- Ti porto un po' di acqua...? -
La voce acuta, squillante e ancora sconvolta dell'amica lo riportò al presente. Le mostrò il viso e socchiuse appena gli occhi per proteggerli dall'intensa luce del sole, potente e sfolgorante poco più su della dolce testolona mora di lei china su di lui.
- In che senso... -
- Ti bagno la zona colpita - spiegò paziente Esther, sfiorandosi il naso - poco così e ti traforavo la faccia. -
L'americano rifiutò la mano e si alzò da solo, quindi si scrollò l'erba di dosso e si lasciò trascinare in panchina dall'amica, che lo fece persino sedere con dolcezza. La osservò prendere un panno da un borsone pieno di cianfrusaglie, bagnarlo appena, accomodarsi al suo fianco e iniziare a tamponarglielo sul naso, cauta.
Una fresca sensazione gli invase i sensi, ma ora come ora non riusciva proprio a stare concentrato su ciò che gli stava accadendo intorno.
Nemmeno sentiva dolore, anzi.
Riportò lo sguardo su Suzette, incastrandolo fra le sue lunghe ciocche turchine.
Ecco. Tutto passato. Non gli serviva più nient'altro, per stare bene, adesso.
Completamente guarito.
- Non era fatto apposta, comunque, lo sai che ti voglio bene... - iniziò Esther, premendo piano il panno sul naso. - scusami. -
- Ci mancherebbe! - Mark notò che la voce dell'amica tremava appena, ma decise di non darci troppo peso. Le sorrise. - Tranquilla. -
- Comunque sei distratto. Tutto okay, no? -
- Sì, tutto okay. -
- Sicuro? -
- Sì! -
- ... - la mora continuò a tamponargli la zona colpita, in silenzio, poi riprese a parlare, desiderosa di sentire ancora la sua voce calda e debole soffiarle gentile contro l' orecchio. - è la terza volta che finisci investito dai miei passaggi, sei sempre voltato verso Erik e Suzette, non so cosa... forse ti distrae Suzette, ma è la prima volta che... -
- Scusami, Esth'. Non te la prendere. -
- Non me la sono presa, è che... beh... non vorrei arrivarti a gonfiare la faccia. Voglio solo che mi presti più attenz... Mark... -
- Eh. -
- Mark. -
- Dimmi. -
- Mi puoi guardare, mentre ti parlo? Mi sento stupida. -
Il biondo si riscosse e puntò i suoi meravigliosi occhi perlacei sull'amica, un po' frastornato. Così non andava, non andava affatto. Suzette gli stava risucchiando quel poco di intelligenza che ancora gli era rimasta nel cervello, lo stava incatenando a lei, completamente, lo stava persuadendo senza sapere di esserne capace. Quanto avrebbe dato per essere al posto di Erik, in quel momento, passare la giornata a baciarla e a godere della sua compagnia. - Perdonami... -
- Ho capito che Suzette ti piace, ma se magari mi cagassi un po' di più, forse potrei sentirmi considerata anche io, o devi onorare solo lei? - borbottò Esther, buttandogli con rabbia il panno macchiato di sangue fra le mani.
Se c'era una cosa che odiava, era venire ignorata su tutti i fronti, non importava da chi o cosa. Quando parlava voleva essere ascoltata, punto. Niente vie di mezzo.
Mark sospirò e cominciò a curarsi da solo, ignorandola. - Scusami... è la botta... -
- Sì, la botta, certo, fai prima a stare zitto, guarda... -
- Mamma che stress, che seiii, te la prendi sempre. Rilassati, dai. -
- E tu concentrati! In un'ora scarsa di allenamento non hai fatto altro che guardarl...! -
Mark si erse in tutta la sua statura, cominciando a scaldarsi, ma questo non bastò a intimorirla. Ne fu colpito, ma non disse nulla. - Mi piace. Non posso farci niente se mi sono innamorato di lei. Abituati. -
- E tu abituati a stare con i piedi per terra, dannazione! - strillò Esther, spingendolo appena per non ritrovarselo troppo vicino e impazzire per i suoi occhi, la sua chioma color miele, la sua pelle, tutto. - Voglio imparare quella dannata tecnica, hai capito? -
- Sììììì... sei assurda... -
- Mark, tu...! GUARDAMI! -
- Eh! -
- Mi hai promesso che lo avremmo fatto e lo farai! Poche storie! - sbottò Esther, girando i tacchi e andandosene tutta infuriata. Sapeva della cotta di Mark, dio se lo sapeva, anzi, era stata proprio lei a volergli offrire tutto l'aiuto possibile per far funzionare un paio di cosette in più. Ma non tollerava tutta quella poca attenzione da parte dell'amico, anche perché stava diventando seriamente gelosa, un minimo di occhiate le voleva pure lei, mica le dispiaceva poi così tanto sentirsi le sue iridi addosso. Da quando in qua poi gli occhi di Mark erano diventati solo ed esclusivamente per Suzette? Chi l'aveva deciso così d'improvviso?
Sollevò il pallone con un piede e prese a fare qualche passaggio contro il muretto che circondava il campo, imbronciata, e così proseguì decisa fino a quando l'americano non decise di venirle incontro, il naso che aveva smesso di sanguinare.
- Eccomi! Dai, fai qualche tiro in porta, Esth', vediamo cosa viene fuori. Solo allenandoti otterrai il risultato che vuoi. Forza. -
- E tu cerca di seguirmi, magari. -
- D-Dai, scusa... -
La ragazza sospirò e sorrise, accettando le scuse, poi riprese ad allenarsi sotto l'occhio non più tanto vigile del suo migliore amico, perso al di là del campo in attesa che Suzette lo notasse e gli mandasse uno dei suoi dolci baci volanti.
 
Hellen studiò ogni più singolo movimento di Bobby, attenta a non perdere la concentrazione, quindi, non appena questi provò a fregarle la palla dai piedi, si levò in aria con un balzo, stringendo bene il pallone con ambe le caviglie, poi atterrò dall'altra parte con la grazia di una farfalla e si esibì persino in un inchino, i capelli rosei lievemente spettinati dal grande slancio che aveva compiuto per librarsi in aria.
Shearer applaudì, sbalordito da tanta eleganza tutta in una volta.
- Et voilà! -
- Good job! Sei veramente atletica, Helly. -
- Una delle migliori della squadra, quando si tratta di saltare da una parte all'altra! O non l'avevi ancora capito...? - si pavoneggiò lei, ansante ma sempre perfettamente composta in quel suo metro e poco più di altezza. Il giovane difensore della Unicorno sorrise, poi si lasciò sfuggire un ansimo, dovuto probabilmente alla caluria di Luglio.
Mark e Esther si allenavano, Michael e Dell pure, allo stesso modo anche Erik (pur con cautela), Suzette, Dylan e Daisy.
Ma lui non ne poteva veramente più. Stava strafando, e la cosa peggiore era che non aveva mai provato tanta fatica.
Forse inerizia. Però doveva impegnarsi, per il torneo.
Era da quando era iniziata l'estate che non vedeva l'ora di prendervene parte, lui e Erik lo avevano sognato da tanto quel momento. Ma se non ci dava dentro con gli allenamenti, ora, che figura ci avrebbe rischiato in campo?
- Tutto bene? -
Scosse il capo e il dolce visino immacolato di Hellen lo investì con la sua eterna tenerezza, facendolo sussultare. - Ahm, sì... - farfugliò, cercando di non incantarsi troppo a fissarla dritto negli occhi. - solo che fa un caldo tremendo... che dici se facciamo una micro pausa? Ho bisogno di riprendermi! E tu pure, scommetto. -
- Va bene! -
- Perfect! - Bobby sorrise trionfante, poi le passò un braccio intorno alle spalle e insieme si diressero verso la panchina, ove poste sotto di essa si trovavano le borracce sia della Unicorno che della CCC.
Hellen cominciò ad arrossire violentemente, mentre la mano dell'amico le si stringeva bene contro la spalla. Non che la cosa le desse fastidio, solamente...
lo guardò, ma lui era troppo concentrato a non staccare lo sguardo dalle borracce.
Solamente, sentiva di star correndo troppo, e lo aveva già sentito ieri, e il giorno dell'indipendenza.
Dannazione, lei e la sua timidezza.
Si scrollò di dosso il braccio del ragazzo, lasciandolo un po' di stucco, poi ridacchiò per sciogliere la tensione, non riuscendo a reggere il suo sguardo confuso. - mi dispiace, io... -
- Tranquilla. Ho... fatto qualcosa di sbagliato...? -
- No, assolutamente! E' che sono sudata, mi facevi caldo e quindi... -
Bobby aggrottò le fini sopracciglia grigio turchino, sospettoso, ma non osò dire nulla. L'importante era non averle causato disagio in alcun modo, l'ultima cosa che voleva fare era creare del vuoto fra loro, che ormai si muovevano quasi in sintonia in tutto, che erano diventati veri amici nel giro di brevissimo tempo. - It's okay. Comunque tieni... - si allungò, afferrando la boraccia di Hellen.
La ragazza la prese e si abbeverò, nascondendo una nota di rossore nelle guance paffute.
Grandioso.
Perché mai la sua timidezza aveva deciso di venire fuori solo in quel momento?
 
- Lo sapevi che ti ho lasciato, tesoro, vero? -
- Ci sono arrivato a intuito, e smetti di chiamarmi tesoro, che è ora. -
- Che ti ho lasciato per... - Suzette assottigliò le iridi argentee e sorrise malefica, per poi allargare il petto e sputare tutta fiera il nome di Mark, decisa a vederlo sbollire di gelosia a tutti i costi.
Invece no.
Si sarebbe aspettata una scenata da film, un sussulto, o almeno un gesto nervoso, ma l'unica, sorprendente cosa che le inviò indietro Erik fu solo un lieve fischio di complimenti, prima di ritornare a palleggiare annoiato col pallone. Finalmente Mark era riuscito ad ottenere ciò che voleva, allora.
Ottimo, anzi, perfetto. Così quell'oca si sarebbe scavata una volta per tutte dai piedi. E il suo amico sarebbe stato un uomo più felice.
L'azzurra, stizzita, fece per dire qualcos'altro, ma a interrompere la conversazione fu l'improvvisa comparsa di Mark, che passandole un braccio sulle spalle la fece quasi sussultare.
- Paura...? -
- No... -
Le labbra di Kruger arrivarono svelte a scontrarlesi dolci sulla fronte, ma in quel momento era troppo concentrata a fissare in cagnesco Erik, che nel frattempo si era allontanato di qualche metro.
Mark lo notò, ma non si offese, piuttosto cercò di dissuaderla. Senza riuscirci. - Avete litigato? - domandò, scuotendola appena.
- No! No, ma lui... si comporta da apatico! -
- Lascialo in pace, piccola, avrà i suoi problemi dai. Piuttosto, volevo dirti... fra poco si fa la partita. Vuoi fare misto o sempre Unicorno e CCC? -
- Proviamo ancora una volta noi contro voi... -
- Va bene. -
A ordine del biondo le due squadre si disposero a formazione per piccola amichevole di allenamento, e ad un carico "via" strillato da Esther, subito le ragazze della Tripla C si scagliarono in aria con le loro atletiche acrobazie, i maschi sotto a guardarle imbambolati come la prima volta che le avevano viste giocare.
Il pomeriggio passò in fretta, e in fretta passò pure la giornata, che chiuse il sipario facendo calare un buio pesto sui grattacieli di Los Angeles, ritirandosi definitivamente dagli Stati Uniti per correre a dare il buon giorno all'altra parte del mondo. 



 
Angolo Autrice
pessimo capitoloo, I know, si vede che non avevo molta ispirazione-- Ma volevo solo anticipare ciò che succederà fra Dylan e Daisy... e anche un po' come cambierà il rapporto fra Mark e Esther, tutto qui.
Facciamo un attimo il riassunto delle coppie, raga:
Dylan\Daisy: lui le vuole solo bene, lei invece lo ama da impazzire e progetta di dichiararsi;
Erik\Silvia: capitolo chiuso.
Erik\Suzette: capitolo chiusooooooaaaal momento! (?), spero abbiate notato che lei, anche se fidanzata, ce l'ha ancora in testa, eheh. Questo Erikk.
Dell\Michael: ancora un po' sulle loro, ma c'è della chimica (?), vedrete vedrete... e.e.
Mark\Esther: Esther è innamorata cotta e Mark al 99.9% lo sa -wat-, ma è felicemente fidanzato con Suzette e per ora sta bene così. 
Bobby\Hellen: si amano, ma da parte di Hellen c'è della timidezza-paura di sbagliare, e comincia a tirarsi indietro. Ma, anche qui, vedrete.
Beh... vedrete per tutte le coppie, eheheh.
Il prossimo capitolo naturalmente vedrò di farlo un po' più succoso e soddisfacente, contateci. Comunque credo che... sì, dai, siamo più o meno giunti al centro della ff. Mancano giusto un paio di cosette.
ringrazio in anticipo chi recensirà, se ci sarà qualcuno tanto coraggioso e tosto da farlo, segnalatemi pure errori e incongruenze, se ce ne sono.
Grazie di aver letto!
Lila

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Capitolo 32
*** It's open! ***


IT'S OPEN!
 
23 Luglio.
Mark ancora stentava a crederci. Non poteva essere vero che dopo mesi, i Nazionali erano giunti alle porte.
Finalmente. Era da inizio estate che li aveva persino sognati, e non solo lui. Anche i suoi amici.
Quando anche l'ultimo nodo della scarpa fu ben assestato chiamò i ragazzi, che lo circondarono subito. La tensione era alle stelle, forse più in là. Si vedeva lontano un miglio che non vedevano l'ora di invadere il campo, di sfidare avversari degni del loro calibro e vincere. Non per offendere la Tripla C, chiaro. A modo loro, sapevano essere anche toste. Ma ora si faceva sul serio. Ora si giocava per un obbiettivo ben preciso. Si sudava per la gloria. - Guys... - sussurrò, stringendosi la mano intorno alla fascietta color acquamarina. - è giunto il momento di far vedere all'America di che pasta siamo fatti. Diamoci dentro... -
- ...e spacchiamo tanti culi, remember, right? - concluse il discorso Dylan, sorridendo allegro.
A quella frase tutti i ragazzi risposero con un potente "hell yeah", per poi fiondarsi in campo a velocità supersonica.
Erik volle uscire per ultimo, ombroso. Il momento era giunto anche per lui, anzi, specialmente per lui. Mettersi in gioco.
Per tutte quelle settimane non aveva fatto altro che allenarsi duramente, sopperendo fatica, dolore e scocciature varie, Suzette tra queste.
Avrebbe voluto avere del tempo per pensare a Silvia, al bacio che si erano dati. Ma non c'era stato.
Doveva darci dentro e basta, ora, per lei, per tutti. Per non deludere e deludersi.
Malato o meno.
Quando il piede destro toccò l'erba sintetica del campetto esplose un grido dalla platea. Inspirò profondamente, portandosi una mano al cuore. "Calmo e concentrato... pensa solo al pallone.", si disse, per poi raggiungere gli altri con una corsetta.
La formazione era la solita. Difesa impenetrabile, centro campo da invidia e attacco portentoso. In poche parole, imbattibili.
E avrebbero spazzato via la squadra avversaria.
 
Un fischio.
Due fischi.
Tre.
Fine partita, e l'ansia che aveva tenuto tutti i ragazzi col cuore incastrato nella gola scemò, lasciando posto alla stanchezza e allo stupore generale.
Michael si appoggiò le mani alle ginocchia tremanti, stremato fino all'ultimo. Avevano vinto. 3 a 1. Avevano vinto!
Quando il pubblico cominciò a urlare urlò anche lui, saltando in groppa alle spalle di Mark che, ridendo emozionato, tirò fuori uno dei suoi più meravigliosi sorrisoni, rivolgendosi alla Tripla C.
Ce l'avevano fatta... quale gioia più grande per un Capitano, vedere la sua squadra andare avanti? Ben presto tutta la Unicorno gli fu sopra, urlante come un branco di scimmie, e tra scappellotti e batti cinque uscirono dal campo cantando "WE ARE ONE, WE ARE ONE".
Erik si asciugò la fronte imperlata di sudore, soddisfatto. Non c'era stato il bisogno di sforzarsi poi chissà quanto, Mark aveva fatto quasi tutto. Meglio così, da una parte... di svenire davanti agli spettatori sarebbe stato troppo.
La mano calda di Bobby gli fu subito sulla spalla, rassicurante. - Allora? -
- Tutto bene. -
- Voglio che tu chiami Silvia e le racconti. -
- Che cosa...? -
Il ragazzo avrebbe tanto voluto rispondergli con un sonoro "che non sei morto", ma sviò semplicemente dicendo... - Che abbiamo vinto, che cosa altrimenti! Su! -
Il castano sorrise dolce, arrossendo. -  Ma certo che glielo riferirò. Non mi sono dimenticato della mia ragazza. -
- Sarà megl...! -
- Braviiiiiiiiiiiii, ragazziiiiiiiiiii! -
Suzette subentrò nello spogliatoio all'improvviso, spalancando la porta con un calcio da vere karateke. Mark ringraziò Dio di non essere nudo, ma non riuscì nemmeno a rivolgergli una preghiera che l'azzurra gli fu addosso, soffocandogli il respiro con un grosso e appassionante bacio a stampo. Erik non ci fece conto, facendola sbuffare.
- Bravissimo, pasticcino... -
- Grazie cucciola! - ridacchiò il biondo, togliendosela di dosso. E meno male che ci aveva pensato, perché proprio in quell'istante anche Esther fece la sua apparizione nello spogliatoio, i pugni stretti e le narici dilatate.
Sembrava un toro. Un grazioso toro pronto a uccidere.
Un paio di ragazzi risero. - Kruger! -
- Yaaa...? -
La ragazza prese la rincorsa e lo investì con un abbraccio, stringendolo forte al petto prosperoso. - Bravo, bravooooo! Sapevo che avreste vinto, non ne avevo dubbiii! -
- Era palese no? - ridacchiò Bobby, facendosi avanti. - Insomma, siamo la squadra giovanile più forte d'America. -
- Ragazzi - Mac si affacciò alla porta, bello muscoloso nei suoi abiti da motociclista. Per la prima volta sorrideva, un sorriso caldo, orgoglioso. Faceva quasi impressione vederlo così felice, ma il fatto che la sua Unicorno avesse vinto la prima partita del torneo era una grande soddisfazione anche per lui, era o non era il loro allenatore, del resto? Chi l'avrebbe detto che l'allenamento con la Tripla C avrebbe dato i suoi frutti... - vi aspetto di fuori, vi do cinque minuti, non uno di meno. -
Fece per andarsene, ma tornò subito indietro, come preso da un abbaglio. - Esther? Suzette? -
- Sì, sì, usciamo! - trillarono le due, scomparendo oltre la porta.
Quando si chiuse 17 divise macchiate di sudore caddero a terra, intrise di vittoria, e il fragore delle docce invase l’aria impregnata di gioia.
 
 
- Ehi guys, che si fa questa sera? -
A quella domanda l'intero salotto si chiuse nel silenzio più assoluto. Michael smise di indugiare sulle curve di Dell e si portò una mano sotto il mento, pensieroso. Beh, avevano vinto. Era giusto che si divertissero un po', del resto ci stava, poi erano ragazzi, e in quanto tale un po' di svago lo necessitavano.
Ma dove andare? La prima volta che erano usciti Hellen si era persa.
E no, la tragedia che scoppiò subito dopo ancora non l'aveva dimenticata.
- Io! - esclamò Esther, sollevando la mano. Si fece avanti fra i ragazzi, poi fece in modo che tutti le prestassero attenzione. - Mark... - lo chiamò, sorridendo. - ti ricordi del luna park... -
Gli occhi del biondo si illuminarono. Certo che lo ricordava. Rammentava alla perfezione quando lo aveva fatto vedere all'amica.
- Probabilmente forse l'hanno aperto. -
- Ouiiii! -
- Beh! - esclamò Dylan, interrompendoli. - Allora andiamoci, no? -
Kruger si fece ombroso in viso. L'ultima volta che erano andati in giro per Los Angeles Hellen si era persa, e Suzette si era infuriata con lui, indugiando se fidarsi o meno.
Sinceramente non gli andava che accadesse qualcos'altro di spiacevole. Suzette ora non era più una semplice amica da corteggiare, bensì la sua ragazza.
Sfiancarla così lo avrebbe ferito ancora di più.
- Mark? -
La voce di Esther lo fece riscuotere dal flusso dei suoi pensieri.
- Non so... -
- Ti supplico! - la ragazza gli posò una mano sulla spalla, costringendolo a guardarla negli occhi. Fosse stato per lei sarebbe rimasta a fissarlo per ore. Si specchiò nell'acquamarina delle sue iridi, arrossendo appena quando lui assunse un'aria stranita. - Ascolta... - distolse lo sguardo, nervosa. - so che probabilmente non vuoi rischiare un'altra volta... non ho dimenticato nemmeno io quando Hellen si è persa. Ma staremo attente. -
- Mi devo fidare...? -
Probabilmente Mark l'aveva detto senza pensarci troppo su, come la maggior parte delle volte, ma quelle parole pronunciate piano la ferirono in pieno petto. Era la sua migliore amica. Il dubbio della fiducia non sarebbe nemmeno dovuto passargli per la testa, tanto era palese. - Sì... chiaro, no... -
- E' che... - l'americano le posò le labbra sulle orecchie.
Esther desiderò morire.
- Non voglio che poi Suzette la prenda male... sai quanto ci tengo. -
- Lo so... stai tranquillo... e poi si era trattato solo di una stupida distrazione... -
- Va bene. -
- Quindi? - domandò Michael, allargando le braccia.
- Quindi... -
- Ci stiamo! - concluse Suzette, scatenando urla di gioia.

 


Angolo Autrice
eccoci!
Anche questo capitolo è andato.
Ho solo una cosa da dire: vi ricordate quando, nei primi capitoli (adesso, non proprio primi... va beh) Hellen si perde?
Va beh, questo chapter è un po' collegato a quello là, penso l'abbiate capito tutti (?). Insomma, per dirvi che la cosa del luna park non l'ho inventata.
Se mi darete del tempo per progettare la serata... vi assicuro che ne passeremo delle belle! Concluso ciò, vado.
Grazie di aver letto! Se avete voglia di recensire ne sarei più che felice. E se trovate degli errori non esitate a segnalarmelo!
Byeee

 
Lila

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Capitolo 33
*** Luna park (parte 1) ***


LUNA PARK (parte uno)
 
- Ma quanto ci mettono secondo voi? -
- Per me non escono più. Le abbiamo perse. -
Michael incrociò le braccia al petto e inchiodò gli occhi color nocciola al paesaggio buio oltre la finestra, dove una splendida Los Angeles iniziava a tingersi di mille luci e colori. Non era possibile che le ragazze ci mettessero sempre anni ed anni davanti ad uno stupido specchio. Che avevano da guardarsi? Se non era per i capelli era per il trucco, se non era per il trucco per i vestiti.
Sbuffò sonoramente, risvegliando le risate di Bobby ed Erik.
Insomma, ancora non era stato scientificamente provato che lo specchio avesse lo straordinario potere di trasformare le persone in divi di Hollywood. O si era carini come lui, o si era brutti come Dylan. Inutile stare lì a cancellare le proprie imperfezioni. Le donne... che mistero.
Dopo un’altra mezz’ora abbondante, le ragazze finalmente si decisero a farsi vive, e al loro tanto atteso arrivo l'aria della sala si impregnò subito di chili e chili di prestigioso Chanel number five. Sapevano di averci messo molto, ma ogni occasione era buona per sfoggiare la loro bellezza, specialmente in un luogo affollato di ragazzi come il Luna Park.
Hellen, che fu l'ultima a scendere, si ritrovò uno scenario assurdo: ai ragazzi mancava solo la bava ai lati della bocca. Le venne da ridere, ma si trattenne.
- Su, su! - si alterò Esther, avvampando quando l’occhio lascivo di Dylan le si andò a posare sul petto. Subito si mise a braccia conserte, nervosa.
Forse la camicetta che aveva addosso era troppo stretta, ma non ci poteva fare nulla. Le aveva, e abbondanti, e si odiava per questo. - Andiamo! - continuò, uscendo fuori per prima. Avrebbe tanto voluto che gli avidi sguardi di Keith, per un momento, fossero stati quelli gentili di Mark. Ma no. Non era ancora abbastanza, a quanto pareva. Dell la seguì, lasciandosi dietro una scia di occhi luccicosi, e piano piano tutti si trasportarono fuori.
Kruger ebbe tempo di sussurrare alle orecchie di Suzette uno sfuggente "you're beautiful", per poi portarsi a capo dell'affollato gruppo insieme a lei. Perché sì, quella sera si era davvero superata, con quel topless nero e la lunga treccia celeste adagiata con leggerezza sulle clavicole abbronzate.
Avrebbe voluto baciarla mille e mille volte ancora, ma si trattenne, e con le gote arrossate cominciò a guidare i ragazzi, le cui voci si mescolarono in allegre chiacchierate.
Chi l'avrebbe mai detto che quella convivenza sarebbe decollata così? E dire che tutti avevano presagito un disastro...
quello era il pensiero di Hellen mentre, con le mani che correvano ogni due per tre all'acconciatura anni '80, camminava lenta e a testa per aria.
Timida com'era, aveva sempre pensato che avvicinarsi ai maschi significasse solo una cosa: guerra. Morti. Dispersi. Feriti. Estizioni di massa. Genocidi. E invece no!
Fino ad ora nessun problema troppo grave da considerarsi apocalittico.
Appena lasciò cadere le mani lungo i fianchi si sentì stringere un polso. Inizialmente pensò si trattasse di un'amica, quindi si aggrappò a quelle dita, continuando a guardare il cielo stellato.
Poi arrossì come una fragola matura, tastando meglio.
No, quelle non erano mani femminili. Erano maschili.
E calde.
Bobby.
- Scusa... - azzardò lui, sorridendo appena al pallore della luna. Voleva stringerle la mano, diamine. Non aveva saputo resistere all'impulso. E poi, un po' era stata anche colpa sua se la scorsa volta Hellen si era allontanata dal gruppo, no?
Quale modo più dolce e intimo per non perderla di vista, allora?
Ma l'incanto si ruppe in mille pezzi, perché lei si scrollò dalla presa, nervosa. Lo fece gentilmente, ma si sentì lo stesso ferito. - Mi sento ancora in colpa per l'altra volta. -
- Sì, ma... - la rosa si leccò le labbra, all'improvviso fatesi secche.
- Oh, suvvia! Ahah! - ridacchiò Bobby per sdrammatizzare, ma questo non fece altro che rendere la situazione ancora più pesante. Calò un silenzio imbarazzato.
Poi Hellen si aggregò a Daisy e Dylan, incapace di reggere, e Bobby si ritirò rassegnato da Erik, che gli diede una pacca rincuorante.
La rosa sprofondò nel silenzio più assoluto, lasciandosi cullare dall'animato chiacchiericcio che si era acceso poco tempo prima sulle bocche dei due.
Che sciocca.
Perché ora quella timidezza improvvisa? Doveva imparare a sconfiggerla, perché Shearer le piaceva davvero, e se continuava così da quell'amicizia ci avrebbe ricavato solo puro disagio.
Poco più dietro di loro, Michael e Dell camminavano vicini, godendosi l'atmosfera.
- Ehi! -
- Cosa urli, scemo, ti sento... - borbottò la blu, sobbalzando.
- Hai visto quei due? - sussurrò lui, alludendo a Bobby e Hellen. Quando Dell scosse il capo si affrettò a spiegarle. - Prima si sono presi per mano. -
- E? -
Michael si accigliò. "E"?
Come "e".
Gonfiandosi di coraggio si aggrappò alle dita della ragazza, poi fissò gli occhi dinanzi a sé, gonfiando le guance.
Si aspettò uno schiaffo, un calcio.
L'impiccagione, perché no.
Invece lei gli concesse quel piccolo onore, senza però ricambiare.
Passeggiarono così, mano nella mano, un bisticcio dietro l'altro.
 
 
Esther era abituata ai grandi luna park. Osaka stessa era una città fatta di ruote panoramiche e montagne russe, ormai di parchi a tema ne aveva visti di tutti i colori.
Ma mai, e dico mai grandi quanto quello che le si presentava ora davanti. Musica sparata a mille, grida, risate, gente più lì dentro che fuori.
Grossi viali costeggiati dalle più svariate giostre, bancarelle che vendevano caramelle deliziose, zuccheri filati arcobaleno, gelati. Alcune attrazioni ti sparavano in aria, altre ti facevano girare, altre ancora ti inebriavano il cuore di adrenalina ad ogni discesa.
Tutte. Aveva intenzione di farle tutte. Si voltò verso Mark, che al contrario di lei era sbiancato.
- Non mi morire, Kruger. -
- No, no, solo che... - il biondo deglutì, ma si fece forza ed entrò, seguito dagli altri. Quelle giostre erano da ammazzarsi, letteralmente. Faceva prima a suicidarsi, che ad entrare.
Avrebbe evitato figure, sicuramente. Però da una parte doveva farlo. Era giunto il momento di dimostrare alla sua amata che era disposto a fare anche la montagna russa più alta del mondo, per vederla felice.
E fu così che accadde, infatti, perché Suzette, con un grido di gioia, lo tirò lesta per un braccio, fiondandosi in mezzo alla folla.
Esther perse di vista il suo migliore amico, vedendosi la sua occasione frantumarsi davanti agli occhi. Era felice per lui, davvero. Se Suzette gli prestava così tante attenzioni significava che stava davvero facendo breccia nel suo cuore. Ma lei? Lei che aveva sperato di passare una seratina con lui...
 
 
Dylan lo si poteva ingozzare fino a ucciderlo, e comunque non sarebbe mai stato sazio fino in fondo. Per questo appena arrivato lì si era fiondato con Daisy alla ricerca di un carretto di hot-dog, affamato come un disperso in mezzo al deserto.
No, la cena non gli era bastata. E siccome Dio gli aveva regalato un fisico degno di essere chiamato fisico, anche affogandosi di "junk food" il grasso non avrebbe avuto modo di fargli la pancia.
Che fortuna, eh? Sempre forte e atletico.
Si precipitò al primo carretto che trovò, e il giovane che vi prestava servizio dovette indietreggiare, intimorito.
- Bello, un hot-dog. -
- Okay. Con Ketchup, maionese e...? -
- Bello, con tutto quello che vuoi, fammelo pieno pieno, che ho fame. -
- E lei, signorina? - domandò poi il giovane, mettendosi subito al lavoro.
Daisy scosse il capo. Si era scordata i soldi, dannazione.
Fu come se Dylan la leggesse nel pensiero, però, perché tirò fuori il suo lato gentile e le sorrise mellifluo, sventolando in aria cinque dollari. - Posso prestarti, se ne hai bisogno, chiedi senza problemi. Per questa sera offro io. - poi si rivolse al giovane, ritornando sfottente. - Ehi, pupo. -
- Sìì? -
- Uno pieno pieno anche a lei. -
- Quando sono pronti vi chiamo. -
- Perfetto! Andiamo bellezza, il tavolo ci attende. -
Presero posto in un modesto tavolino di legno, dove la ragazza inziò a giocherellare con i fazzoletti.
Non ci poteva credere... Dylan le aveva prestato dei soldi, che carino! Questo non poteva essere che un altro segno di amore verso di lei. Ne era certa.
In più l'aveva chiamata ancora bellezza.
Più palese di così.
Gli hot-dog per fortuna non si fecero attendere, e quando il giovane se ne andò i due addentarono il panino, emettendo mugolii di piacere incontrollabili.
- Yaaaas! Questo è ciò che io intendo per delizia, tesoro! -
- Concordo con te! - esclamò lei, abbuffandosi con voracità senza dimenticarsi di lanciare qualche occhiatina innamorata a colui che già aveva etichettato come "futuro fidanzato".
 
- Voglio sparare. -
- Eh? -
- Voglio sparare! -
Michael aggrottò le sopracciglia, confuso. Che cosa intendeva Dell con "sparare"? Si sapeva che era una mestruata. Ma non pensava sarebbe mai arrivata fino a quel punto.
- E chi, di grazia? -
Dell lo guardò per attimi che parvero interminabili, poi scoppiò in una fragorosa risata. Il ragazzo arrossì fino alla radice dei capelli, chiedendosi che diamine aveva detto di sbagliato. - Il gioco, cretino. Che poi, effettivamente non sarebbe male farti saltare la testa. Ma ci penserò più in là. -
Closeout lo afferrò per un braccio (e che presa di ferro, signori, vi sto parlando di una vera e propria morsa), poi lo trascinò fino ad una bancarella dalle sgargianti sfumature arancio. Appesi in alto dondolavano grossi peluche raffiguranti teneri animali da stritolare, da dolci conigli a giganteschi orsacchiotti. Nello sfondo, cinque montagne di lattine verdi pronte per essere stese.
Da chi? Ma da lei, ovvio. Il cecchino migliore del mondo.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi venne incontro ai due ragazzi, divertita. - Scommetto che il tuo ragazzo vuole farti un peluche, eh...? Abbatti più lattine che puoi, giovanotto, e se superi l'ultimo record avrai quello più grande. -
Dell arrossì, ma non si scompose. Sarebbe stata una cosa molto carina, sicuramente. - Chi, lui il mio ragazzo? Ma se è un microbo! Ahah! Qui sono io quella che vuole sparare! -
La bionda rise, poi le allungò un fucile, che la blu caricò di palline. Michael si allontanò di poco, portandosi le mani ai fianchi con fare altezzoso come suo solito. Quella bestia di donna era un pericolo pubblico. Meglio stare a distanza di sicurezza.
E diamine, quanto amava quel suo lato da maschio.
Il primo colpo, secco, andò a vuoto, schiantandosi contro il telone.
Anche il secondo fece pena, e così pure il terzo.
Ma il quarto fu definitivo. Dell riuscì a prendere una delle lattine che sorreggevano l'intera "piramide", facendole crollare tutte per terra, e tutto quel casino fece cascare anche un'altra figura.
La ragazza sbatté le palpebre più volte, a bocca aperta, Michael invece le venne incontro urlando come un ossesso. Sapeva che non avrebbe fallito. Quella donna era un genio, punto.
- Mito! -
- Lo so, lo so! -
- Allora? - fece la donna aldilà della bancarella, sollevando la mano.
Gli occhi color rubino di Dell caddero sui peluche, uno più carino dell'altro.
Sorrise teneramente, mentre si prendeva del tempo per scegliere quello giusto. Esatto, perché lei di quei cosi imbottiti di cotone non se ne sarebbe fatta nulla.
Ma Michael forse sì. E non le importava se lo avrebbe buttato o tenuto. Le piaceva, un gesto di affetto ogni tanto ci poteva anche stare.
Fra tutti i più meravigliosi animali scelse un'orribile scimmia, poi, appena si fu allontanata dal banco, lo porse a Michael.
No, non glielo porse, glielo schiantò contro il petto. Ma cercò comunque di essere il più carina possibile.
- Cosa? - il ragazzo afferrò il peluche, stralunato. - E'... è per me? -
Inizialmente la blu mugugnò parole incomprensibili, poi si fece più chiara. - Sì - arrossì, intravedendo appena il sorriso dolce che si era andato formandosi sul viso rilassato del ragazzo. - ma se non lo vuoi, posso anche riprendermelo. -
- Certo che lo voglio. Sei gentilissima, Dell. Thank you so much. -
- Prego... -
Fra i due calò un silenzio imbarazzato. Michael avrebbe voluto abbracciarla, ma calmò l'istinto. Era stata molto dolce ad aver pensato a lui, davvero.
Non si sarebbe mai aspettato un gesto tanto affettuoso, il cuore gli si riempì di gioia. - Posso chiederti una cosa? - tentò, cercando di sdrammatizzare.
Dell annuì distrattamente, riprendendo a camminare elegante come una gatta, e lui la seguì docile.
- Come mai una scimmia? -
- Perché è l'animale che ti rispecchia di più, idiota, chiaro. -
- Ahah, spiritosa. -
- Ma è vero, cosa vuoi. -
- Troverò il modo per vendicarmi. -
- Lo vedremo... - concluse lei, per poi trascinarlo a qualche altro giochetto stimolante.

 



Angolo Autrice
eccomi qui! Come andiamo, bellissimi?
Io sto d'incanto! Ora parliamo della storia!
Questa è solo la prima parte, OBV (?). La seconda sarà più lunga, promesso! E accadranno più cose, chiaro, infatti so già come strutturarlo e vi  assicuro che sarà decisamente più succoso. Come vedete, ho suddiviso il capitolo in più parti, per dare spazio ad ogni singola coppia (ma ho ancora le mie preferenze, sì.). Insomma, per ogni frame presente, una coppia, clear?
Così sarà anche nel prossimo capitolo, altrimenti non mi gestisco bene.
Detto questo scappo!
Grazie a tutti quelli che passeranno, davvero. Se ho bisogno di migliorare in qualcosa ditelo pure senza farvi problemi!
Bacii!
 
PS: ho una domanda per voi! Avete già la vostra coppia preferita?
Sarei curiosa di sapere di chi si tratta ^-^!
 
Lila

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Capitolo 34
*** Luna park (parte 2) ***


LUNA PARK (parte due)


- Oh, shit... - Mark deglutì piuttosto rumorosamente, aggrappandosi ad un albero lì vicino con una malcelata disperazione. Le gambe gli tremavano, la voce era quasi del tutto scomparsa.
Montagne russe del diamine. Chiuse gli occhi, stringendoli forte per riprendersi, e quando li riaprì si ritrovò la faccia di Suzette a due passi dalla sua.
Lei gli strappò un bacio, ma non fu piacevole come si era aspettata.
- Tesorino? -
- Yeah...? -
- Sei pallido. -
- Ma cosa dici, sciocchina... - bofonchiò Kruger, staccandosi dall'albero con fare supplichevole. Dannazione, si era ripromesso di farsi coraggio, ma quelle stupide giostre ancora gli incutevano troppo orrore, proprio come quando da piccolo.
Ma che ci poteva fare se tutta quella velocità lo mandava in tilt?
Avrebbe preferito mille volte cavalcare uno stallone impazzito piuttosto che fare su e giù su un carrello sistemato alla bene meglio.
Si passò una mano fra i capelli biondicci, cercando di apparire solo un po' stanco. Chissà che stava facendo Esther. - Perché ora non passiamo a qualcosa di giusto più tranquillo? -
- Tipo... - Suzette se lo avvicinò con rabbia, facendolo arrossire. - ... baciarci? -
- Beh, per quello c'è tempo... oh! Che ne dici della casa dell'orrore...? A questo non puoi dire di no. -
- Perché, non vuoi baciarmi? -
Mark all'inizio oppose un po' di resistenza, cercando di rimandare il momento a più tardi, ma lei lo stava implorando con occhi da cucciola, poverina, così cedette. La strinse forse a sé, poi si perse completamente nella sua bocca, anche se una parte della sua mente ancora pensava a Esther.
Forse le sarebbe piaciuto stare un po' con lui.
Avrebbe trovato un po' di tempo per divertirsi anche con lei, poco ma sicuro.
 
 
Esther, Hellen, Bobby ed Erik avevano deciso di fare gruppo unico, e a differenza della coppietta precedente scelsero di praticare giochi più tranquilli.
Per tutto il tempo che gli altri se la erano spassata, però, la moretta della CCC era rimasta qualche passo più indietro, pensando al suo Mark, la testa bassa e le mani dietro la schiena.
A cosa faceva. Se si divertiva. Se era contento ora che era riuscito ad ottenere l’apprezzamento di Suzette… e lei? Lei era contenta…?
No, lei stava da schifo.  
Si perse a guardare il cielo stellato, nero come l’oscurità più terribile, e le sfuggì un gemito di sconforto. – Mark…- gli sfuggì dalle labbra, e il nome del ragazzo si perse in mezzo al vociferare allegro della gente e la musica troppo alta.
All’improvviso, una mano calda sulla spalla la fece sussultare. Si voltò, e sorrise quando i suoi occhi si posarono su quelli preoccupati della graziosa Hellen. – Sei silenziosa cara… - osservò la rosa, stringendo la bocca. Anche i ragazzi si erano fermati ad aspettarle, ma per privacy avevano preferito tenersi lontani.
- Non ti preoccupare Helly, sto bene, davvero. – le spiegò Esther, stringendole la piccola mano bianca. No, non stava bene affatto, ma non le andava che tutte sapessero del suo malumore. In un modo o nell’altro avrebbe finito per arrivare persino alle orecchie di Mark, ed era quello che voleva evitare. Farlo preoccupare, quando poi la colpa era sua, dannazione. Sua se si era innamorata persa di lui,dei suoi occhi, le sue labbra, il suo essere lo splendido ragazzo che è. Sua. – Sono solo un po’ stanchina, tutto qui. –
- Ah capisco… - Hellen corrucciò le sopracciglia, sospettosa, ma preferì non aggiungere altro. Era chiarissismo che Esther non aveva voglia di parlare.
- Beh… -
Si riscosse dai suoi pensieri, ritornando a guardarla interrogativa.
- Penso che andrò a prendere un po’ d’acqua, sai? Mi è venuta una sete pazzesca! – decise di punto in bianco la mora, lasciandole andare la mano.
Hellen volle accompagnarla, per tenerle un po’di compagnia, ma la ragazza preferì andare da sola, e si allontanò dal gruppo, dicendo che potevano andare avanti senza lei.
 

Camminò in mezzo a completi estranei per minuti che le parvero anni, ma di Mark nessuna traccia. Non sapeva dove si potesse essere cacciato, davvero… verso quale giostra lo aveva potuto portare Suzette? Sperava tanto avesse evitato le montagne russe, visto che ne aveva il terrore.
Si fermò tra la corrente interminabile di persone, sorseggiò un po’ d’acqua dalla bottiglietta e poi riprese la marcia, levandosi sulle punte tutte le volte che scorgeva una testa bionda in lontananza.
- Ma dove cacchio sei sparito? -
 
 
Lo trovò all’uscita di una casa stregata, nascosto dietro alcuni alberi che facevano da boschetto lì vicino. Era con Suzette, purtroppo, riusciva a scorgere le loro teste vicine ma da quella lontananza le era difficile stabilire che cosa stessero combinando. Così si avvicinò silenziosa, nascondendosi dietro i tronchi.
Fu rapida e silenziosa come una gatta, ma il suo cuore galoppava impazzito, e le sembrò quasi impossibile che non glielo sentissero.
Era fortissimo, dannazione. Come la gelosia che pian piano le stava sbocciando dentro il petto, velenosa e maledetta. Tuttavia si fece forza e la ignorò, prestando attenzione ai piccioncini.
- Sei bellissima. –
La voce di Mark, sensuale, roca per l’emozione, ruppe quel breve silenzio, facendole sobbalzare i sensi. Quel tono cauto, che riserbava dei complimenti stupendi a quell’oca, si sprecava per farla sentire meravigliosa.
E a lei mai nulla. Strinse la corteccia, livida di gelosia.
Non era giusto. Lei lo amava. Lei lo voleva… ora, a baciarla e stringerla sussurrandole parole uniche. Non era giusto tutto quello.
Osservò Sue arrossire e baciarlo sulla guancia, divertita, tuttavia questa non fece nemmeno in tempo a ritrarsi che il biondo le investì le labbra in un appassionante bacio sulla bocca, facendo schioccare le loro labbra in un suono intimo e segreto.
Un altro schiocco, poi un gemito da parte di lei.
Le pupille di Esther si rimpicciolirono per la sorpresa.
Il suo cuore smise di battere, il suo respiro si bloccò bruscamente.
Tutto si fermò, ma il sangue le vorticò in testa, facendola diventare rossa di rabbia. Sentì il bisogno di urlare a squarciagola, correre verso di loro, prendere l’azzurra per i capelli e gettarla per terra, tirare uno schiaffo sonoro a Mark, quello schiocco, che aveva preferito la Capitana a lei, e mandarlo a fanculo, dichiararsi e poi dirgli che lo odiava, perché l’aveva distrutta.
Distrutta.
Mark…
Baciava Suzette, la divorava di baci, e lei non si ritraeva per nulla al mondo…
“Stanno insieme”, realizzò con debolezza. Si vedeva dalla sicurezza con cui si stringevano, dai baci decisi, i sorrisi innamorati e il distacco affettuoso, prima di riprendere ad amoreggiare.
Stavano insieme da qualche giorno…
E lui non glielo aveva detto. Nonostante fosse la sua migliore amica, nonostante lo avesse aiutato…
Niente. Le aveva mentito, tenendole nascosto il suo fidanzamento.
Stupido.
Si sentì ferita, ogni bacio che si scambiavano le arrivava alle spalle come una pugnalata mortale. E si sentì morire, letteralmente.
Collassare, le ginocchia le tremarono, voleva stendersi a terra e piangere, ma rimase lì, rossa di gelosia, dietro quell’albero a fissare con occhi pieni di lacrime il ragazzo che le aveva rubato il cuore perso nelle attenzioni di un’altra.
Quando l’immagine dei due che si scambiano effusioni divenne sfocata per via delle lacrime si allontanò correndo. Non le importò dei passi rumorosi sull’erba, non le importò se avevano visto, se si erano staccati.
Non le fregava niente di nessuno.
Voleva solo tornare a casa.
Andare via da quel paese.
E rinchiudere i suoi sentimenti in una cassaforte impenetrabile, che poi avrebbe gettato nell’oceano più profondo di tutti: il passato.



  
 
Nda
So guys? Ve lo aspettavate?
DITEMI CHE VI HO SORPRESA.
Mi è piaciuto un sacco scrivere questa parte, voi non potete immaginare. E’ come se mi fossi tolta un peso enorme dalla schiena. Aspettavo da una vita di arrivare a questo punto della storia, e vi assicuro che manca poco alla fine, anche perché non credo che andrò oltre i 41-42 capitoli…
Scusate se non ho parlato di Hellen e Bobby, ho ancora in mente qualcosa per loro, ma voglio farlo venire fuori con un flashback da parte di lei – o lui – vedremo nel prossimo chappy.
Due novità: innanzitutto volevo fare dei ringraziamenti al mio ragazzo, che mi ha spronata a continuare questa long. Mi ha dato uno sprint enorme che da sola non avrei trovato, e ora sono determinata a finirla! Quindi grazie E <3.
Le mie giornate sono impegnative, vero, ma ogni sera dedicherò qualche ora a questa storia, cosicché non dovrà passare un altro anno incompleta.
Secondo, non l’ho ancora messo, ma mi è stato fatto un edit da una mia cara persona, e probabilmente lo aggiungerò a storia finita, in tutti i chap. E’ davvero bello, speriamo vi piacerà.
Vi invito a lasciare un commento per farmi sapere, ci terrei molto!
Grazie a tutti!
 
Lila

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Capitolo 35
*** Cambiamenti. ***


CAMBIAMENTI.
 
Hellen quella notte stranamente non era riuscita a chiudere occhio. Aveva passato le ultime ore prima dell’alba a girarsi e rigirarsi tra le coperte del letto, pensando alla splendida serata che le aveva regalato Bobby.
Ricordava l’ultimo gioco fatto insieme come se lo avesse vissuto pochi secondi fa.
Chiuse gli occhi, cercando di tirare fuori dalla mente quel bellissimo ricordo.
 
Una piscina enorme, la cui acqua cristallina brillava sotto i riflessi delle luci artificiali del luna park. Palle trasparenti che fluttuavano sulla sua superficie increspata; al loro interno, coppie che cercavano di spingere via dalla piscina quanti più sfidanti possibili, dandoci dentro di spinte e rimbalzi.
Bobby e il suo sguardo sbalordito, che poi va a posarsi su di lei.
Una domanda, “ci proviamo?”, e sono già dentro, con Erik in lontananza che li riprende col cellulare.
Cominciano a rotolare dentro questo grande pallone, a fare leva con le mani, a spostarsi verso destra, poi verso sinistra, su e giù, e con grande gioco di squadra riescono a buttare fuori tre coppie.
Poi, all’improvviso, uno schianto.
Bobby le finisce sopra per errore, le loro gambe si attorcigliano. E quasi che le labbra si sfiorano, mentre lui si sforza per non appoggiarlesi sopra il petto.
Dura poco quel piccolo, piacevole incidente, perché lei è timida e lui lo sa, e si ritira per non crearle disagio.
Ma è stato comunque bellissimo, ed entrambi lo sanno.
 
Aprì gli occhi, fissandoli contro il muro della camera su cui si erano sparse le prime chiazze di luce, soffuse, biancastre, non del tutto definite, ma che già si fiondavano all’interno delle finestre.
Era splendido poterci ripensare, aveva provato un’ emozione talmente forte che anche in quel momento, nonostante fossero passate diverse ore dall’accaduto, non sapeva come definire.
Ma di una cosa era certa…
Quel ragazzo le piaceva davvero. E se fosse stata temeraria come Suzette o Esther, lo avrebbe presto per il colletto della camicia a quadri e lo avrebbe baciato con forza.
 
 
 
Esther si era svegliata presto quella mattina. Aveva approfittato dell’ora fin troppo mattiniera per fare una rapida colazione (si era preparata un cappuccio alle macchinette) ed uscire senza che nessuno le mettesse i bastoni tra le ruote.
Raggiunse il campo velocemente, poi si mise a correre lungo tutto il suo perimetro.
Come Hellen, anche lei non aveva chiuso occhio. Ma se la rosa aveva passato la notte a mugolare di gioia per il suo Bobby, lei l’aveva passata soffocando la rabbia nel cuscino.
Tormentandosi di gelosia, un minuto prima desiderando Mark e un minuto dopo sentendo la necessità di buttarlo giù da un precipizio.
Ma, nonostante questo, di sonno non ne aveva affatto. Era frustrata, delusa. E voleva chiarimenti. Avrebbe aspettato di vederlo scendere giù per i gradini.
Poi, semplicemente gli avrebbe fatto il mazzo, sfogando tutto il suo nervosismo.
E siccome era una ragazza coerente con se stessa, aveva anche escogitato un modo per allontanarsi da lui, perché stargli così vicino, sentire il suo odore, la sua voce, i suoi occhi acquamarina… era troppo.
Troppo.
 
 
- Ehi! –
Mark fece un cenno in lontananza ad Esther, che smise di palleggiare contro il muretto, poi la raggiunse correndo. Era contenta di vederla, ma come mai sveglia già a quell’ora? Normalmente il primo a svegliarsi era quasi sempre lui. Sorrise fiducioso, scendendo i gradini con una corsa frenetica. Meglio, non sarebbe stato solo per organizzare il campo.
In più, forse era il caso di dirle di lui e Suzette… ma era anche a conoscenza dei suoi lievi sentimenti, e temeva davvero di ferirla nel profondo. Ci aveva pensato spesso, anche troppo, tuttavia farle pesare il suo fidanzamento lo considerava un gesto brutale. E lui le voleva bene. Voleva vederla felice.
Raggiunta la ragazza, si fermò accanto a lei, ansante. Poi, tirato fiato, la salutò. Stava per domandarle per quale assurda legge della fisica fosse in piedi a quell’ora del mattino, ma le parole gli morirono in gola quando la squadrò nel viso.
Niente trucco, labbra rigide, volto frustrato. Lo sguardo, poi. Non c’era più niente di glorioso, niente di forte, niente di Esther in quelle iridi nere. Solo desolazione. E tanta voglia di scagliare saette.
- Are you okay? – le domandò, preoccupato. Volle posarle una mano sulla spalla e invitarla a sedersi, ma lei lo evitò brutalmente, spostandosi verso destra.
La ritrasse, dubbioso.
- No, non va tutto okay. Non va. Tutto. Okay. – rispose lei dopo qualche minuto, cercando di trattenere la rabbia. Ma non ci riuscì, non era affatto brava a restare calma davanti a quel ragazzo. Davanti a quei meravigliosi occhi che le stavano scrutando l’anima. Era preoccupato per lei. Ma non gliene importava niente. Avrebbe voluto prenderlo a schiaffi… gli poggiò le mani sul petto e lo spinse con furia, sbalordendolo.
- Ti odio, Mark! Ti odio! –
- Esther, ma che ti prende?! Sei matta! –
Lui le ritornò vicino e cercò di farla sedere, ansioso, ma lei gli tirò uno schiaffetto sulla mano, irritata. Irritata e molto, molto arrabbiata. – Ti odio, non mi toccare, che schifo… - disse, col labbro carnoso che le tremava per la delusione.
Mark si adombrò e decise di lasciarla stare. Rimasero un attimo in silenzio, lui a guardarla e lei a fissarsi i piedi, poi il ragazzo decise che meritava delle spiegazioni, perché di essere trattato così senza motivo proprio non gli andava. – Allora? Spiegami, avanti. –
- Sei un bugiardo… -
- Ma che dici? –
- Sei un bugiardo, uno schifoso, mi menti! Credevo fossimo amici! – Esther si diresse verso di lui e gli tirò un altro spintone, ma lui le prese i polsi e la tirò a sé, cominciando ad arrabbiarsi. I loro corpi cozzarono, e la mora ebbe un brivido di piacere.
Quella storia doveva finire. Gli piaceva da impazzire, ma voleva allontanarlo il più possibile.
- Lo siamo infatti. – affermò lui con voce sicura.
- No! Dio, che voglia di sputarti in faccia! –
- Ehi! Ma come…! –
- Mark! – Esther si liberò dalla presa, arrabbiata a morte. – Pensavo fossimo amici, migliori amici! Che qualunque cosa fosse successa avresti sempre contato su di me! Io ti ho aiutato, ti ho aiutato… e tu mi ripaghi… così! Questo dimostra il cazzo che te ne frega di me, perché sei un idiota, egoista, pensi solo a te stesso…! –
Mark avrebbe voluto ribattere, ma rimase impietrito, sinceramente offeso. Bastava poco per fargli del male. E da lei mai più si sarebbe aspettato cose del genere.
In più quel “ti odio”, era stato doloroso come un pugno in faccia. Cosa le aveva potuto fare di tanto male? Non riusciva a capire…
- Ti odio! –
Ancora. Fu dura da incassare, ma in qualche modo lo mandò giù.
- Esther… -
- Che succede qui? –
Una terza voce li interruppe. Entrambi i ragazzi si voltarono all’improvviso, ed un Erik più assonnato che sveglio si ritrovò davanti al naso da una parte la faccia di Mark, delusa ma anche dispiaciuta per non si sa cosa, e dall’altra quella di Esther, livida di rabbia, i cui occhi sprizzavano lampi in tutte le direzioni.
Qui era successo qualcosa di grave, meglio interrompere subito.
Accorsero anche Bobby e Dell, che stavano scendendo i gradini poco più in là.
- Esther! – urlò Closeout, correndo verso l’amica. La strinse fortissimo, poi la guardò negli occhi. – Perché scazzata di primo mattino? –
Si voltò verso Kruger, con sguardo famelico. – Kruger, che cazzo hai combinato? –
- Mi nasconde le cose. - ringhiò Esther, carezzandosi il naso con il dorso della mano.
Mark rimase muto, gli occhi celesti fissi in quelli della sua amica. Era perso, confuso. Che avesse scoperto della sua relazione con Suzette…? Si passò una mano tra i capelli, senza smettere di guardarla. Ma no, impossibile. Erano stati bravi a fare tutto senza che nessuno se ne rendesse conto, come avrebbe potuto? Forse qualcuno glielo aveva detto, ma Erik e Dylan sapevano di dover star ben zitti. Non lo avrebbero mai potuto tradire in quel modo, specie Keith. Suo “fratello”. – Io… non lo so, Dell… - disse, deglutendo.
- Erik… - Esther si liberò dalla presa di Dell, che però le rimase accanto.
- Dimmi! –
- Potrei… fare coppia con te da oggi in poi? –
- Esther! – urlò Mark. La prese per un polso, la fece voltare bruscamente. Era ferito. Come mai non gli andava più bene, dannazione, che aveva fatto? Che aveva fatto cazzo! – Esther… perché? –
- Perché preferisco tu stia con la tua ragazza. – lo fissò negli occhi, occhi che andarono sgranandosi per lo stupore della frase che le era appena uscita di bocca, increduli. E pentiti, confusi. - Mark. –
Silenzio di pietra.
Si liberò dalla sua stretta e lo lasciò lì, immobile, a fissarla sconvolto andare verso Erik, che aveva accettato senza pensarci due volte (del resto, per lui equivaleva a liberarsi di Suzette, quindi perché rifiutare.). Lo aveva scoperto. Li aveva spiati, era stata lei quel rumore di passi che scappavano via, ieri notte. Li aveva visti baciarsi.
Le aveva spezzato il cuore. Ed era stato così stupido a non averlo capito prima… - Esther, mi dispiace, te lo avrei detto ma… - deglutì ancora. Sentiva l’amaro sulla lingua, l’amaro che provava per se stesso. Ed era difficile da mandare giù, faceva schifo.
- Avrei preferito mille volte che me lo dicessi piuttosto che tenermi nascosta una cosa del genere, Mark! –
- Esther…! –
- Tu mi piaci Mark! – strillò la ragazza tutto d’un fiato.
Fatta.
Era fatta.
– E mi hai fatto il doppio del male, primo nascondendomi la tua relazione! Secondo, spezzandomi il cuore… e non voglio più avere a che fare con te, quindi lasciami in pace per favore. -
I pochi presenti rimasero in silenzio, stupefatti, e gli occhi di Dell presero a spostarsi dall’amica al biondo, e viceversa, sconvolti.
Mark abbassò il capo, livido di vergogna. Lo sapeva. Lo sapeva che c’era dell’ interesse da parte di lei. Ma non poteva sopportare l’idea di vederla allontanarsi così, per un suo sbaglio. Erano amici, in fondo. Tutto questo gli sembrava assurdo. – Perdonami… ti prego… posso spiegarti tutto te lo giuro. C’è un motivo, io… non volevo ferirti… -
- Non voglio avere a che fare con te! Non mi interessano le tue scuse! Ora stattene con la tua ragazza, è meglio così. Per te, e per me. E per Erik. –
Il castano sorrise, ma era palesemente forzato, perché più che quello, ora gli importava dello stato di Mark. Sembrava lo avessero sparato, era diventato pallido, muoveva a fatica le labbra e la voce gli si era abbassata di diversi toni. Era chiaramente dispiaciuto a morte, ma non disse nulla per difenderlo. Era davvero meglio così, Esther aveva ragione.
- Va bene, allora… - il biondo si arrese all’evidenza, debole. Non sapeva cosa dire, cosa fare. Si sentiva svuotato di tutto. – Non so dire nient’altro… io… io… - arrossì. - Perd… -
- Suzette ne sarà contenta. Così vi potrete dare i vostri baci di merda senza darmi fastidio. – sbottò Esther mozzandogli la fine della frase, per poi girare i tacchi e ritornare in sede.
Dell la accompagnò, e non appena si furono allontanate, le fu subito attaccata per sapere che diavolo era successo ieri notte.
 
 
Suzette non sapeva cosa provare.
Quando aveva ricevuto la notizia da Mark, quella mattina prima degli allenamenti, era stata sì contenta, ma anche amareggiata. Lo aveva baciato tutta arzilla e lo aveva incoraggiato con forti abbracci, rammentandogli che Esther era solita sì offendersi, ma il giorno dopo ritornava più carica di prima, e che lo avrebbe perdonato di lì a pochi giorni.
Ma dentro pensava che non avrebbe mai del tutto separarsi da Erik, e ora solamente per quello stupido motivo, la Greenland aveva alzato un polverone ancora più fitto tra lei e l’ex.
E lei lo voleva ancora, il suo ex. Ricordiamolo bene.
Mark tuttavia non se ne accorse, e restò a godersi le coccole della sua ragazza sul muretto che circondava il campo, mentre gli occhi argento di Suzette stavano a fissare ardentemente Erik e Esther allenarsi con serietà in lontananza.
Era gelosa, molto.
E questa cosa dello scambio proprio non le era andato a genio, ma dopo un’altra buona mezz’ora di riflessione si decise che non sarebbe stata tale sciocchezza a dividerla dal suo tesoruccio. Se lo sarebbe ripreso.
Questo pensava, mentre le labbra umide di Mark si posavano sulle sue, inesperte e ingenue. 




 
Nda
Eccomi anche con questo capitolo! Ammetto che mi sono divertita come una pazza a scriverlo, perché, come ben vedete, è completamente incentrato sulla mia coppietta preferita :3
Questi giorni stavo pensando che forse riscriverla tutta dal principio in modo diverso sarebbe la cosa migliore. Cambierebbero molti aspetti della long, a partire dalla location (New York) alla costruzione sociale di Mark. Magari non lo avrei messo figlio di una modella e un politico, nono :”, ma come un semplice ragazzo di città. Ma la mia idea di quattro anni fa era così, ero piccola e piena di fantasia (?), e dunque non toccherò nulla per farmi onore da sola. Ma la tentazione è forte credetemi—
E nieeente, come vi è sembrato?
Fatemi sapere in un commento se vi aspettavate lo scambio di coppia!
Al prossimo capitolo!
Lila

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Capitolo 36
*** Dichiarazione epica finita male. ***


DICHIARAZIONE EPICA FINITA MALE.
 
Le ragazze della Tripla C, riversate in massa contro la ringhiera che separava gli spalti dal campo, saltarono di allegria e cominciarono a battere energicamente i piedi contro il pavimento, gridando di gioia per l’ennesima vittoria da parte della Unicorno.
La quarta, nel giro di due settimane nette.
Un applauso sonoro esplose subito dopo, da terra si sollevarono bandiere enormi raffiguranti la bandiera americana e poster che sfoggiavano scritte cubitali e piene di colori come:
 
“GLI UNICORNI ESISTONO DAVVERO, ORA ASSAGGIATE LA LORO POTENZA”
 
O ancora:
 
“UNICORNO, MAGICA COME SEMPRE!”
 
I vincitori si abbracciarono tra loro e uscirono dal campo in grande stile; i più coraggiosi, tentarono persino qualche bacio volante, e colei a cui veniva indirizzato il gesto donnaiolo impazziva di allegria, cadendo letteralmente in brodo di giuggiole.
Mark era soddisfattissimo di come stavano procedendo le nazionali. Aveva saputo fin dall’inizio che si sarebbero distinti tra le migliori squadre partecipanti, ma quattro vittorie in così poco tempo… contro avversari stimati e temuti in tutta la nazione… fantastic. Amazing, anzi. Inoltre, non vedeva l’ora di ricevere i complimenti da parte di Suzette. Ultimamente si era messo in testa l’idea di giocare bene solo per lei, e questo gli dava una carica di energia e voglia di vivere pazzesca.
Ma che ne poteva sapere Mark, che lo sguardo della ragazzina seguiva molto di più i passi di Eagle che i suoi.
Bobby forse era quello meno contento di tutti. Nonostante quelle gloriose vittorie, aveva scorto un Erik sì sfolgorante, ma anche piuttosto fiacco. Aveva fatto una promessa a Silvia e a se stesso: si sarebbe preso cura di lui, che lo volesse o meno.
Per cui, arrivati agli spogliatoi, Shearer gli fu subito vicino, l’accappatoio posato sui capelli umidi e il torso nudo brillante di sudore. Gli poggiò una mano sulla spalla. – Erik. –
Eagle deglutì rumorosamente. Era pallido e stanco. Ma stava bene, davvero. Stava in ottima forma, non c’era nulla di cui preoccuparsi. Sollevò gli occhi sul suo migliore amico, visibilmente preoccupato, e sorrise a trentadue denti. Voleva essere lasciato solo ai suoi problemi. – Bobby! –
- Erik… – ripeté il compagno, sedendoglisi accanto. – Forse dovremmo dirlo a Mark… non pensi che meriti di essere informato? -
- Ci ho già pensato io a inizio partita. –
- Ah sì? –
- Gli ho detto che ho un po’ di influenza. -
Bobby sospirò amaramente, poi gli tirò uno scappellotto rumoroso, facendolo ridacchiare nervoso. – Non è così che funziona lo sai. Stai male. E la stai prendendo troppo leggera. –
Il castano cominciò a scaldarsi. E gli venne in mente Silvia, la sua Silvia, a cui l’amico aveva svelato i suoi problemi fisici.
Parlava con la ragazza tutte le sere, la rassicurava dicendole che stava meglio, ma sapeva di star mentendo persino a se stesso.
- Bobby, andrà tutto bene. –
- Quando collasserai sul campo ti ricorderai di me. –
- Blablabla… you’re so noisy. –
Bobby mise fine alla conversazione alzandosi. Fu uno scatto deciso, forse anche un po’ incazzato, ma non perché lo fosse realmente: ci teneva all’amico, troppo. Ma qualcuno doveva sapere delle sue condizioni critiche, insomma Erik non poteva continuare così, piuttosto che vederselo morire davanti agli occhi avrebbe preferito mille volte che la smettesse con quel suo calcio stupido e si prendesse del tempo per guarire.
Inoltre, Silvia sarebbe stata più tranquilla sapendolo nelle mani sicure dei dottori.
Meglio prevenire, che curare, e in quel caso prevenire stava diventando sempre più urgente.
 
 
- Come sto? -
- Sei bellissima, Daisy. -
Esther le diete un’ultima passata di rossetto, poi le mostrò come fare per spalmarselo bene lungo tutta la superficie carnosa delle labbra, masticandosi la bocca dall’interno.
- E’ proprio un bel colore, Esther! - esclamò Hellen, in quel momento l’ ”addetta all’acconciatura”. Munita di spazzola ed elastici, infatti, la ragazza le stava modellando i capelli in maniera impeccabile.
Daisy sembrava davvero una principessa delle fiabe. Un’incantevole, meravigliosa principessa in sovrappeso, sì. Decisamente deliziosa.
- Mi piace l’effetto che ha su di me… mi rende… donna. - osservò il portiere della Tripla C, scrutandosi allo specchio lievemente appannato.
Non le sembrava vero. Non poteva credere che, con appena un po’ di trucco e la giusta pettinatura, potesse rappresentare l’allegoria della grazia stessa. Per tutto quel tempo si era abituata all’idea di essere una cicciona obesa mangia ciambelle. Piagnucolona e un po’ ingenua, forse tonta, poco sveglia e di certo bruttina.
Invece ora, specchiandosi con quel fare da diva tipico di Suzette, si trovò decisamente impeccabile. Una nuova Daisy! Se l’avessero vista le sue vecchie compagne di classe… sorrise trionfante, e il rossetto rosa opaco brillò illuminato dalla luce artificiale della camera. Chissà se avrebbero ancora osato prenderla in giro.
- Ecco fatto. - Hellen le ancorò le trecce con dei ferretti della stessa tonalità dei capelli – mogano -, poi la fece alzare per controllarle la salopette.
Stava davvero bene, ancora non si capacitava di quanto fossero state brave lei ed Esther a tirarle fuori tanta femminilità in solo un quarto d’ora. Anche la mora sembrava soddisfatta, e ripose i suoi trucchi come se fossero preziose armi vincenti.
E in effetti lo erano davvero, se usate nel modo giusto.
- Allora, mi raccomando Daisy - disse, accompagnandola verso la porta. - ricordati che Dylan è un maschio, dunque vacci piano con le parole e tutto il resto. Ma fa chiaramente capire a quell’americano che ti piace da matti. Vedrai che è molto più semplice di quel che sembra, e non la prenderà male! -
- Fatti forza! -
Daisy guardò le sue amiche, molto più basse di lei. Poi, con il cuore in gola, le strinse in un mega abbraccio e si avviò alla ricerca di Dylan, lasciandosi dietro di sé un dolcissimo aroma di cannella.
Sì. Finalmente il gran giorno era arrivato. Aveva temporeggiato molto nelle ultime settimane, mai del tutto sicura di ciò che provava nei confronti dell’americano. Ma poi, per fortuna aveva parlato con le amiche, che, premurose come al solito, l’avevano aiutata a fare chiarezza.
Era attratta da Dylan, e da tanto anche. Dunque, perché non dichiarare i propri sentimenti? Non c’era niente di male nel volerlo fare, ed era convinta che anche Keith provasse qualcosa per lei. 
Convintissima. Così convinta che per la prima volta nella sua vita marciava a testa alta, sentendosi adatta e perfetta nei suoi pesanti chilogrammi e la sua vertiginosa altezza.
 
 
Los Angeles, vista da lontano, pareva un diamante trafitto dai sette colori dell’arcobaleno. Sprizzava brillantezza da ogni grattacielo, affascinava le stelle invidiose e le costringeva a ritirarsi nel buio della notte.
Dylan ammirava il panorama dalle rigide gradinate del campetto. Ogni tanto, di sera, quando aveva voglia di staccarsi da tutto e tutti, si recava lì e faceva full immersion negli angoli reconditi della sua mente complessa.
Ad una prima occhiata, lo si poteva persino pensare saggio. E forse lo era, se si tralasciava il suo lato perverso e bambino.
Stava pensando a come sarebbe stato il suo primo giorno di liceo senza Mark. Niente Mark da cui copiare, niente Mark da sfottere, niente Mark da aiutare. Insomma.
Mark era insostituibile, e avrebbe fatto fatica a trovare un nuovo amico con cui instaurare la stessa intimità. Però tutto sommato, il suo carattere aperto lo avrebbe sicuramente aiutato ad inserirsi bene nel gruppo dei maschi. E a quello delle ragazze? Che universo ancora tutto da scoprire, quello femminile. Avrebbe trovato la fidanzata?
Come sarebbe stata? Bella, brutta, magra, alta…
- Dylan! -
Si voltò, e quello che vide fu magnifico: Daisy, infilata in una salopette di jeans, truccata di tutto punto e adorabilmente imbevuta di un profumo strano non ancora identificato, si stava dirigendo verso di lui, senza smettere di torturarsi le treccine. Stava davvero bene, e gli occhi le brillavano di una fierezza che non le aveva mai visto. Ma come mai si era conciata così? Non era da lei vestire tanto graziosa.
- Ehi! Oh, you’re so pretty. - le disse, alzandosi.
La notò arrossire, e vistosamente. Chissà come doveva sentirsi in imbarazzo, infilata in quella roba “succinta” così fuori dal suo stile sciatto.
Si misero a passeggiare lungo il campetto, in silenzio. Lei respirava affannosamente, forse perché aveva corso, o forse perché la rendeva nervosa tutta quella vicinanza.
Doveva giocarsi le sue carte, ora o mai più.  
- Come mai qui? Ti manda Mark? Digli che non voglio le sue ignorantissime crocchette di pollo, io a differenza sua ho un palato raffinato. -
Daisy scoppiò a ridere, anche fin troppo forte. Non sapeva come arrivare al nocciolo della questione, la situazione la premeva come una pressione esercitata sul cuore... era lì, vicino a lui, e le amiche le avevano assicurato che tutto sarebbe scorso liscio.
Di cosa aveva paura? Che non l’avrebbe presa sul serio? Che l’avrebbe derisa? No, Dylan non era di certo quel tipo di ragazzo. Doveva rilassarsi.
Dylan era attratto da lei, e lei da lui.
Prese un respiro profondo, portandosi la mano al petto. Poi si strinse le bretelle della salopette. - Io… - prese coraggio e, con dita tremanti, tolse gli occhiali al ragazzo.
Lo fece con delicatezza, come se stesse compiendo un’operazione chirurgica di precisa difficoltà.
Come se quelle semplici lenti blu contenessero la linfa della vita.
Due palpebre verde lime le si proiettarono addosso confuse, rinsavendola da tutta quella tensione. Non capiva perché il ragazzo usava spesso coprirsi gli occhi. Erano stupendi, due fanali chiari in mezzo al buio circostante, circondati da chiarissime ciglia che alla luce parevano bianche, come se fossero fatte di neve pura. Si sentì rinata, baciata e desiderata da quello sguardo perplesso e anche un po’ divertito. - Scusa… - arrossì, ancora.
- Daisy… perché mi hai tolto gli occhiali? -
- Perché… - si avvicinò di più a lui, spinta da un coraggio che nemmeno sapeva di possedere. Lo guardò ancora negli occhi, specchiandosi in mezzo a quel colore sfolgorante.
Era perfetta per lui. Adesso o mai più.
Si strinse vicino a lui fino a quando le labbra non divennero un tutt’uno con quelle di Dylan, e il bacio avvenne con naturalezza, come se lo avessero progettato per filo e per segno. Non si accorse che lui tenne gli occhi aperti per tutto il tempo. Schioccò nel silenzio del campetto, confondendosi col rombo delle auto che sfrecciavano in lontananza.
Daisy sentì di collassare. Voleva correre dalle sue amiche e sciorinare loro tutte le emozioni andanti che stava provando in quel momento.
E rivelare loro quanto fossero splendidi gli occhi di Dylan, secondi solo a quelli di Mark. O forse no.
Ma si sentiva paralizzata dalla gioia.
Aveva baciato un ragazzo… e lui non l’aveva rifiutata…
- Scusa… -
- Daisy… -
L’americano la prese per le spalle. Il bacio sembrava essergli piaciuto, eppure qualcosa non andava in lui. Sembrava… triste.
Non condivideva il suo stesso entusiasmo, e questa cosa cominciò a preoccuparla visibilmente. Il cuore accelerò di colpo, desiderando di uscire dalla gabbia toracica per il nervoso.
- Sei davvero bravissima a baciare, e… - le sfilò gli occhiali di mano, rimettendoseli. - e sei anche molto carina vestita così. Ma… tu… - Dylan si morse la lingua. Per quanto facesse male, la verità era sempre la migliore arma per salvare tutti. - tu non mi piaci, Daisy. Ecco. -
Tu non mi piaci, Daisy. Non mi piaci.
Daisy sentì il cuore esplodere in mille, piccoli, irreparabili pezzi.
Il mondo vorticò più veloce, tutto si fece confuso mentre lei si ripeteva nella testa le ultime parole del ragazzo, come un’ossessa. “tu non mi piaci, Daisy”. Era un’affermazione sicura, senza peli nella lingua.
Era una pugnalata nel cuore.
Lo guardò, implorante, e lui storse la bocca. Perché l’aveva baciata allora…? Faceva così male… si era approfittato del momento?
Non ricambiava, si era illusa, come una sciocca, per l’ennesima volta.
Un bacio suo valeva tanto quanto un bacio di una sconosciuta. Ovvero niente.
Non gli era passato niente. Nemmeno l’amore che nutriva nei suoi confronti.
Era stata una banalissima trasfusione di saliva, assurdo.
Non sapeva cosa dire. Si percepì improvvisamente ridicola, in quella salopette degna di corpi magri, non del suo, fatiscente, indecoroso, grasso. Con addosso delle treccine orribili, che la facevano sembrare una perfetta idiota agli occhi di tutti.
E quel trucco, che sul suo viso così cicciotto e infantile faceva quasi squallore.
Non era tosta come Esther, ne graziosa come Hellen.
Non era nemmeno magra come Dell e stupenda come Suzette.
Non valeva niente, non era femminile, e Dylan meritava molto di più di così.
Scappò via, ferita, ma lui la seguì.
- Aspetta! -
La mano di lui le strinse il polso decorato da braccialetti di vario colore. - Daisy. Io… sono ancora acerbo. Non sono affatto pronto per le relazioni serie, tantomeno per avere una fidanzata… non… non so fare… - le si avvicinò. Non lo aveva mai visto così mortificato in tutte quelle settimane. Faceva quasi impressione vederlo tanto sconvolto. - Non voglio che pensi male di te. Tu sei perfetta, Daisy… -
- Non è vero! Non ti piaccio! Non ho le forme di Esther, i capelli di Suzette… - le si appannò la vista, mentre il sangue le schizzava in testa dall’ansia. Voleva andare via da lì… chiudersi in camera e non vederlo per le prossime ventiquattr’ore. - …il volto di Hellen e il carisma di Dell! -
- Nessuna di loro mi piace, Daisy. Non fare paragoni. -
- E’ lo stesso, non sono bella come loro, ti ripugno!! Ecco perché non ti piaccio! -
Dylan la osservò correre via senza dire una parola. Non era affatto così. Daisy aveva una bellezza tutta particolare, a sé stante; la bellezza dell’ingenuità, il viso paffuto, gli occhi piccoli e neri, il sorriso dolce e una voce meravigliosa.
La bellezza di una ragazza ancora un po’ bambina, destinata però a fiorire negli anni a seguire, come una rosa fresca.
E il suo corpo… il suo corpo valeva esattamente come quello delle altre, niente di più, niente di meno. Era il primo a commentare quel tipo di cose con cipiglio ironico, ma anche il primo a sapere che nella realtà dei fatti nelle persone si cerca ben altro che un semplice lato b ben sodo.
Ma non gli interessava. Daisy non gli piaceva, inutile fare tante storie.
E una cosa che proprio detestava, era illudere persone come lei.
Che meritano di essere sempre felici, sempre.
Nonostante tutto.
Nonostante tutti.

 
 
Nda
Capitolo di pura e semplice transizione, mi mancava finire con questi due lol Siccome hanno avuto scarso successo - a differenza di Dell e Michael che cavolo, nemmeno io mi aspettavo potessero piacere tanto! - la loro sarà una fine piuttosto piatta. Vedrete nei prossimi capitoli, e dico "vedrete" perché sì, SIGNORI, ho finito di scrivere Disaster Movie.
Proprio ieri, alle 3 di mattina, ho messo il punto a questa grande, immensa long che ha coinvolto ben 4 anni della mia vita. 2014, 2015, 2016 e 2017.
E ci siamo, belli.
E' andata pure questa. 
I prossimi capitoli verranno presto pubblicati, intanto vi lascio! Mi sono resa perfettamente conto che a causa del ritardo ho perso molte recensioni, e questo mi dispiace, anche perché mi divertivo a vedere tanta gente così coinvolta...
però amen. Io sono soddisfatta del mio lavoro, e nonostante le enormi cazzate che ci sono in questa fiction sono contenta del piccolo successo che ha avuto.
Ora vado, a presto!

Lou

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Capitolo 37
*** Dance. ***


DANCE.
 
Dell stava consumando le sue uova strapazzate in santa pace, quando un volantino dai mille colori le svolazzò davanti al naso, finendole sulle cosce. Lo raccolse e lo lesse, curiosa.
 
“Gara di Ballo: sulle note di Michael Jackson. Giovedì 21:15, Venice Beach. Al vincitore sarà conferito un premio in 500 dollari ed una medaglia dorata come riconoscimento di miglior ballerino della categoria under 20.”
 
Si voltò, e nel vedere un Michael fischiettare proprio lì, proprio in quel momento e proprio dinanzi a lei, capì che ad averle lanciato il foglietto dall’alto era stato proprio quell’individuo. Sbuffò, fingendosi disinteressata. - E quindi? -
- E quindi… - Michael le tolse piatto e forchetta da sotto il viso e se ne approfittò per piluccarle le uova preparate con tanto amore da Bobby. Era così divertente punzecchiarla. Adorava quella ragazza e i suoi modi severi quanto dolci, e sapere di, sotto sotto, starla solo facendo divertire, lo rendeva contento. - devi esserci. -
- Oh sì. Contaci. - Dell si alzò dalla sedia con finta noia e tentò di riprendersi il piatto, ma lui le impedì di farlo, sollevando il braccio di modo che non potesse arrivarci.
- Per favore. Ho fame. -
- E io voglio che tu venga a vedermi alla mia gara di ballo. -
- Oh, Gesù. -
- Dai. Ti assicuro che sarà divertente! -
- Quando sarebbe? -
- C’è scritto sul depliant. -
- Non so leggere il vostro inglese sputato, sorry. - mentì, sorridendo di sottecchi, e lui le mandò una rapida occhiata di sfida, trattenendo la voglia di tirarle un buffetto. Era bello assaporarsi così, giocando come solo i bambini sanno fare. Finché il loro amore rimaneva sospeso in aria, potevano permettersi di fare ciò che volevano.
Ma per quanto ancora sarebbe rimasto a volteggiare sulle loro teste innamorate? Si comportava proprio come una bolla di sapone. Impossibile da afferrare, ma sempre intorno a loro. In attesa di scoppiare definitivamente.
- Posso portare qualche amica, almeno? -
- Beh, certo, guarda che l’invito mica è riservato solo a te, meh. - Michael le restituì la colazione, carezzandola sulla testa come si fa col proprio cane.
- Quanto sei imbecille. -
- A differenza tua almeno non sono egoista! -
- Taci e sparisci dalla mia vista. Ci penserò. -
Michael ridacchiò e lasciò la sala, portandosi dietro il solito bagaglio di entusiasmo e arroganza che lo rendeva un personaggio tanto affascinante quanto unico nel suo genere.
Dell si rigirò il volantino tra le mani, emozionata. Era pieno di colori, e foto di ballerini spiccavano vivide in mezzo alle scritte, mostrando volti felici e soddisfatti delle proprie prestazioni. Ovvio che sarebbe andata a vederlo ballare.
Ci teneva da morire.
 
 
 
- Capitano, ne ho uno anche per te! -
Mark afferrò il depliant di Michael e lo scrutò con fare curioso. - Woah, ce l’hai fatta finalmente! - esclamò poi, guardando il compagno con fierezza.
- A farmi notare? Ti informo che sono anni che mi tengono i riflettori addosso. Nessuno, e dico nessuno, è capace di ballare bene quanto me. -
- Beh, l’autostima alta migliora le persone, dicono. -
- Questo però vuol dire che salterò ancora gli allenamenti… -
Kruger fece un cenno a Dell di raggiungerli, e quando la ragazza si sistemò accanto a loro ne parlarono insieme. Era giusto che anche lei venisse presa in considerazione; in quanto compagna di Michael, ora che quest’ultimo necessitava di assentarsi per alcuni giorni, era urgente trovarle un “rimpiazzo”. Precedentemente era sempre rimasta da sola.
Ma ora che la Unicorno era nel pieno del torneo, era meglio che lavorassero tutti e sodo. Ad eccezione di Micha, ovviamente.
- Dunque, che si fa? -
- Potresti allenarti con una coppia a tua scelta. - suggerì Mark, e Dell sapeva che l’idea del Capitano era un semplice ordine espresso gentilmente, niente vie di mezzo. Era davvero simile a sua madre, Hanagrace. Quanto ammirava quel modo autoritario di fare tipico di entrambi… - Va bene, a mia scelta dunque? -
- Certo. - 
- Mmm… - Dell si voltò verso il campetto, riflettendo. I due Capitani era meglio evitarli, anche perché dopo l’ultima vicenda accaduta con Esther, non voleva averci molto a che fare, in particolare con Suzette. Quella ragazza non cambiava mai. Il fico del team lo doveva per forza avere, poco importava se i suoi sentimenti magari erano indirizzati ad un altro.
Tutto per moda, per farsi notare. Che individuo irritante.
Daisy e Dylan non facevano per lei, erano molto rudi e casinisti: a lei piaceva il silenzio, la calma. E Michael.
Esther ed Erik assolutamente no. Da qualche settimana si era fatta una promessa: più lontana stava dalla migliore amica, più avrebbe socializzato con le altre, dunque scartati anche loro.
Alla fine optò per Bobby ed Hellen, gli unici rimasti. Allenamenti soft, pause e dolcezza. Chissà, magari si sarebbe ammorbidita anche lei. 
Quando i due la videro arrivare, le diedero un caloroso benvenuto nel team. Dell scorse negli occhi della rosa un leggero sollievo, ed in effetti aveva intuito bene.
Stare sola con Bobby per la piccola Hellen stava diventando davvero pesante, e lei, beh, lei era sempre timida come un bocciolo schiuso troppo presto, in un’ora ed in un tempo sbagliati.
Magari con una compare al fianco avrebbe acquistato il coraggio sufficiente ad affrontare a spada tratta quel suo interesse per Bobby, anche se non era per niente sicura di farcela prima della partenza, conoscendosi.
Ecco perché accolse quel terzo incomodo come un aiuto dall’alto.
Bobby non era dello stesso avviso, ma se Hellen era felice, a lui bastava.
 
 
Giovedì arrivò veloce come un fulmine improvviso. La spiaggia che aveva ospitato l’evento si era riempita così in fretta che nel giro di breve Dell aveva perso di vista tutti i suoi compagni, ritrovandosi sola in mezzo ad una folla di completi sconosciuti.
Per l’occasione aveva scelto di vestirsi semplice. Pantaloncini di pizzo neri, calze alte e il push-up del suo costume preferito, color rosso rubino, intenso come i suoi occhi a mandorla.
Ai piedi portava delle All Stars alte fino al ginocchio, piene di lacci laccetti e laccettini vari. Uscita dalla sede si era sentita inadeguata, ma poi, dopo essersi data un’occhiata intorno, si era resa conto che era perfettamente nella norma: alcune delle ragazze lì presenti erano quasi nude. Al confronto lei pareva una monaca di clausura! Per i californiani doveva essere normale andare in giro con il 98% del corpo all’aria. Ma del resto, andava bene così.
Si sentiva sexy, quella sera. E sperava di esserlo anche per lui.
Il palco dove si sarebbe esibito Michael era allestito in modo impeccabile. Striscioni vellutati lo attraversavano da un lato all’altro, mostrando scritte dai riflessi dorati che da quella distanza non riusciva a vedere alla perfezione.
Era emozionatissima, non vedeva l’ora di vederlo e urlare il suo nome a squarciagola, libera di sbattere al vento il suo amore per lui senza timore di essere sentita.
La musica alta le avrebbe fatto da complice, quella notte, proteggendo i suoi sentimenti.
 
 
- Esther! -
Esther si sentì afferrare per il polso con forza, e si riscosse. Ebbe un brivido di piacere lungo tutto il corpo.
Mark.
Meno male, pensava di essersi persa in mezzo a tutta quella folla soffocante. Aveva dato per scontato un evento del genere, definendolo “da quattro soldi” e “tristemente inutile”, ma a quanto pare mezza Los Angeles non la pensava affatto come lei.
Sentire una voce familiare dopo minuti eterni passati a tamponarsi con gli altri per cercare di respirare un po’ fu rassicurante. Ancora di più fu che quella voce apparteneva a Mark e a nessun’altro. Si lasciò portare via, trascinata dalla sua forza.
Gli mancava, tanto… le mancavano i giorni di sole passati a parlare del più e del meno, gli abbracci, il tuffo dalla roccia, i suoi occhi, come si prendeva cura di lei…
Quegli immensi zaffiri che aveva al posto degli occhi, ora tutti per Suzette.
Senza rendersene conto fissò le palpebre nere sul collo del ragazzo.
Pessimo errore.
Quando scorse un enorme, gigantesco succhiotto viola abbassò il capo, livida di vergogna.
Che scema, ad aver pensato che potesse mancargli.
Non ci poteva credere. L’amarezza fu tale da lasciarla senza parole.
Prima Mark, ora il suo collo. Sapeva che quel ragazzo non era di sua proprietà, ma ne era innamorata, dannazione. Non poteva ignorare così il fatto che ora fosse di Suzette…
- Mark. -
Lui si voltò, felice. Gli brillavano gli occhi. - Finalmente mi parli. Mi tieni il muso da una settimana… io e te dobbiamo parlare. -
- Ti si vede il succhiotto. - Esther si portò una mano al collo, massaggiandolo, e lui arrossì come un peperone. Si sistemò i ciuffi biondi di capelli alla bene meglio, cercando di mascherarlo a tutti, ma ormai chi non doveva vederlo l’aveva visto.
Sospirò e continuò a trascinarla fino a quando uno sbocco d’uscita non comparve dinanzi ai loro sguardi. C’era della freddezza tra loro, del ghiaccio, e non riusciva ad ignorarlo. Come se si fossero distaccati e non si ritrovassero più. Sentì un alito freddo soffiargli contro la schiena; era quello dell’amicizia finita, e faceva male, tanto.
Ma non poteva farci nulla. Se lei non voleva avere a che fare con lui, meglio rinunciare.
Quando si liberarono della folla, presero entrambi una grande boccata d’aria, respirando l’aria fresca della notte.
- Ce l’avete fatta! Alleluia! - esclamò Suzette, saltando al collo di Mark. Esther si liberò della sua mano con noncuranza e si accorse con piacere che quasi tutti i membri della squadra erano lì. Bobby con Hellen, Daisy, Erik, Dylan… aggrottò le fini sopracciglia.
Mancava Dell.
- Mark? Dell l’hai persa per strada? -
Il ragazzo tentò di scrollarsi di dosso la sua ragazza, imbarazzato. Pensava ancora alla scena del succhiotto. Voleva sprofondare dalla vergogna. - Pensavo di andarla a prendere ora, ma sarà dura in mezzo a tutto questo caos… chissà dove si è cacciata… non l’ho vista nei paraggi, sarà capitata molto avanti. -
- Nessuno si aspettava questa folla. - commentò Erik, che a braccia incrociate scrutava l’orizzonte alla ricerca del testone blu di Dell.
- Chi l’avrebbe detto che Michael era così famoso? -
Risate si levarono dal piccolo gruppo di amici. Esther sorrise. Se non fosse successo nulla tra lei e Mark, sarebbe stato uno dei giorni più felici della sua vita. Non aveva mai avuto degli amici così, e realizzò che sarebbe stata dura abbandonare tutti i momenti condivisi assieme a loro.
Ma quanto sarebbe stata dura lasciare Mark…?
- La vado a recuperare! -
- No! - esclamò, e questa volta sorrise davvero, il classico, stupendo sorriso dell’ amica complice che sa anche senza sapere. - Sta bene là dov’è. Vedrete, non ve ne pentirete di averla “dimenticata” in prima fila. - disse, e con questo sperò con tutto il cuore che Dell potesse avere dei momenti sola con Michael, senza rotture da parte di niente e nessuno.
 
 
23:12.
Dell si aggiustò meglio l’orologio, poi ritornò a fissare la folla, in fermento. Lo spettacolo era finito da qualche minuto, eppure la gente si ostinava a rimanere lì, godendosi la brezza notturna. Si perse ad osservare i capelli biondi di una ragazza, quando una mano scura le si poggiò sulla schiena.
Trasalì.
Michael.
- Puzzi di sudore. Fai schifo. -
- Che strano, mi sono appena fatto una doccia. Magari sei tu che hai scordato di metterti il deodorante. -
Dell abbassò lo sguardo, affondando la punta delle scarpe nella sabbia fresca della notte. Un sorriso melanconico le scalfì il volto illuminato dalla luna, rendendolo levigato come una perla. - Stupido. -
Michael sospirò soddisfatto e si stiracchiò con gusto. Poi la guardò. E sorrise, come sorridono i campioni dopo una vittoria, o i perdenti dopo una meravigliosa sconfitta.
Dell lo scrutò confusa. - Uhm… beh? -
- Allora? Non mi dici niente? Nemmeno un complimento? - il ragazzo afferrò la medaglia e la sventolò davanti al naso della blu. Era felicissimo, orgoglioso, e si sentiva un vincente. Ma non per ciò che portava al collo, no.
E nemmeno per l’esibizione, che era andata benissimo.
La verità era che a gonfiargli tanto il cuore erano state le grida di Dell, nient’altro.
Niente che valesse di più.
Le aveva sentite, tutte. Aveva sentito come aveva scandito bene il suo nome, assaporandolo lettera per lettera. L’aveva intravista saltare, mettere le mani a forma di cuore, sorridere, emozionata, solo per lui, sperando che non la potesse udire.
E poi, un potente “mi piaci” gli era arrivato dritto al cervello, folgorandolo. E si era sentito scosso fino al cuore, la musica gli era entrata dentro e ce l’aveva fatta.
A vincere l’oro.
Grazie a lei.
- Hai fatto ancora più schifo del solito. -
- Ti ho sentita. -
Dell spalancò la bocca. - C-cos… -
- Vai Micha vaiiiii, sei fantasticoooo! -
Volle sprofondare nella sabbia.
- Oh sììì, che mossa eccitante, ti adorooo! -
Sprofondare tutta, fino all’ultimo capello blu.
- Mi piaci, Michaaaaaa, sei un figo! -
Si voltò a guardarlo. Non sapeva come giustificarsi. Aveva sperato che non si sarebbe sentito nulla, invece… invece eccola lì, sgamata ad urlare il nome di Michael come una bambina eccitata. Cominciò a giocare con il bordo delle calze, nervosa.
Michael approfittò di quel suo gesto infantile per prendersi ciò che si spettava. Dell si stava mostrando vulnerabile, a cuore aperto. Poteva essere sua, finalmente. Ora che era sicuro dei suoi sentimenti doveva giocarsi il tutto per tutto. – Comunque sei davvero sexy vestita così. -
- C’erano ragazze molto più belle di me… molto più nude di me. -
Dell si sentì afferrare il mento, e ben presto i suoi occhi furono su quelli di lui. Voleva morire. Non poteva credere che tutto quello stava succedendo a lei.
Proprio a lei.
- Grazie, Dell. Per essere venuta, per avermi incoraggiato così. Grazie. - Michael si tolse la medaglia dal collo e gliela strinse tra le mani, con sorpresa della ragazza. Lo aveva fatto senza pensarci due volte. Come se l’avesse presa solo ed esclusivamente per lei.
- Non posso accettarla. -
- Perché no? Tra poco te ne andrai. Portati un ricordo di me, così non ti dimenticherai mai di questo giorno. -
- N-non posso… Michael… - ma Dell strinse comunque la medaglia tra le mani, forte.
- L’ho presa per te. A me non interessa niente di tutto questo. - Michael si fece più vicino. - Mi interessava sapere che venivi a vedermi. Mi interessi tu, Dell. Grazie per avermi aperto il tuo cuore. Ora ti apro il mio. -
Silenzio. Il moro le passò una mano tra i capelli, dolce, e lei non trovò la forza di ritirarsi a quel tocco sensuale.
Non aveva la forza di fare nulla, nemmeno riusciva a parlare.
Lo voleva, voleva un suo bacio, voleva Michael. Voleva essere la sua ragazza e la sua musa ispiratrice. Si sentiva debole e vulnerabile… una sensazione meravigliosa, che non aveva mai provato in vita sua.
- Mi piaci, Dell. -
Non fece in tempo a prendere fiato per ribattere. Le labbra di lui furono sulle sue in un battito di ciglia, in una carezza sul viso e in un cuore che batte. Fu bellissimo, intenso e adrenalinico. La bocca di lui era morbida, calda.
E quella notte stellata la vera musica la fecero loro due, senza bisogno di amplificazioni, senza bisogno di nulla. Il loro bacio, fu la danza più sensuale ed emotiva del mondo.
Una melodia perfetta.

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Capitolo 38
*** Espulsione. ***


ESPULSIONE
 
Esther si esibì in una scivolata degna del fallo più grave, e la palla guizzò via dalle gambe di Erik, finendo qualche metro più avanti. Il ragazzo per risposta cadde precipitosamente sulle ginocchia, esausto.
Sudava, e gli tremavano i polpacci.
Non ce la poteva fare. Quel giorno i muscoli lo stavano tradendo in maniera quasi sadica, e infatti stava facendo schifo, era debole, e non riusciva a contrastare quella ragazza in nessun modo. Inammissibile, che fine aveva fatto il mago del pallone?
Esther si inginocchiò davanti a lui. - Erik? Stai bene? -
Gli poggiò una mano sulla spalla, ma quello che ricevette in cambio fu solo un silenzio cupo e alterato.
- Oggi non ne tieni una… ti stanchi spesso in questo periodo, c’è qualcosa che non va? -
- No, va tutto bene. -
Erik provò a tirarsi su, afferrando la mano di lei, ma cadde di nuovo, spingendola verso il basso. Si sentì debole, ed ebbe vergogna per se stesso. Maledetto incidente.
Gli aveva cambiato la vita, complicandogliela in peggio.
- Sicuro? -
- No, è un bugiardo. - Bobby si avvicinò ai due, aggiungendosi alla conversazione senza che nessuno gli avesse dato il permesso. Sembrava infuriato, ed in effetti ribolliva di rabbia da tutti i pori. Raccolse Erik da terra con malcelato nervoso, e lo scosse.
Il castano sibilò di dolore, ma non disse nulla.
- Stai male, cretino. Lo vuoi capire?! -
Esther si fece da parte, ad occhi sgranati per la sorpresa. Non ne sapeva nulla di quella storia, ed inoltre non aveva mai visto Shearer tanto arrabbiato.
- No, non sto male Bobby! -
- Vuoi diventare un pezzo di legno, Erik?! Vuoi ridurti a stare sulla sedia a rotelle, passivo, senza poter più nemmeno camminare per andare al bagno?! - Bobby gli prese il volto e lo afferrò. L’amico non si rendeva conto della gravità della cosa, e si stava anche prendendo gioco di Mark, di tutti, con quell’assidua insistenza nel voler tenere nascosto il suo dolore. Doveva parlare, o lo avrebbe fatto lui. A costo di litigare. - Vuoi che Silvia ti stia dietro come una badante, quando vi sposerete?! -
- Non finirò sulla sedia a rotelle! -
- No, peggio Erik, finirai sul lettino dell’ospedale, a guardare i canali dei vecchi, con le gambe che non funzioneranno più! YOU, DUMBASS! -
Erik subì la furia di quelle parole a testa bassa e occhi semichiusi. Era vero, tutto vero. Ma lui non voleva rinunciare al calcio, quello sport gli aveva cambiato la vita. Gli aveva permesso di conoscere Silvia, e degli amici che da solo, col suo carattere, non sarebbe mai riuscito a farsi.
Non voleva rinunciare a correre inseguendo un pallone, perché era come rinunciare a faticare dietro il suo sogno più grande: diventare calciatore.
Perché la sua vita doveva finire per uno stupido incidente, perché? Valeva forse meno di quella del cane che aveva salvato?
Bobby lo lasciò andare, e prima che potesse cadere, con sua sorpresa, Esther venne a sorreggerlo. La guardò, riconoscente, e lei gli scambiò un’occhiata affidabile. Aveva sottovalutato quella ragazza, pensandola la solita oca sclerotica che sbava dietro al Capitano, e invece si era rivelata una compagna valente, seria e con personalità. Non capiva perché Mark perdesse tempo dietro a Suzette.
Suzette meritava di stare sola, e basta.
- Che sta succedendo qui? - domandò Esther, preoccupata. Le parole appena sentite non le erano piaciute per niente. Erik dava l’idea di essere nei guai fino al collo in quanto a salute.
- Niente… -
- Tanti anni fa fu investito. -
- Bobby, dai… -
- Merita di sapere, no? E’ la tua compagna di allenamento! - Bobby si concentrò su Esther. Fecero appoggiare Erik sul muretto e gli portarono dell’acqua, con la quale il ragazzo si rinfrescò, poi le raccontò la realtà dei fatti, senza tralasciare il minimo dettaglio.
Dopo qualche attimo di silenzio passato a riflettere, la mora fu costretta ad ammetterlo. Mark meritava di sapere. Anzi, doveva saperlo, stop. - A Mark non piacciono le bugie, Erik. Glielo hai già tenuto nascosto una volta, durante il FFI, fossi in te non lo rifarei di nuovo. -
- Poi si preoccupa e mi taglia fuori… -
- E’ quello che meriti! - esclamò Bobby. - Tu devi smettere di giocare, Erik. –
- E tu non lo dirai a Mark, Bobby. - con quella frase Erik si alzò e tornò a giocare, solo.
Bobby ed Esther si scambiarono uno sguardo che valeva più di mille parole. Poco importava della volontà del ragazzo; dirlo al Capitano era di urgente importanza, o sarebbero arrivati problemi seri che avrebbero coinvolto non solo lui, ma tutta la squadra.
 
 
 
- Mark, potremmo parlarti un momento? –
Mark si voltò, e si trovò davanti agli occhi Esther e Bobby, visibilmente preoccupati.
- Uhm… - posò i coni sull’erba sintetica del campo. Non li aveva mai visti così tesi. - Certo. Cosa succede? -
- Si tratta di Erik. -
- Erik? - Mark sentì una speranza sbocciargli nel cuore, e sperò con tutto il cuore che Esther non volesse più fare coppia con lui. Le mancava in modo ossessivo, il carisma dei primi tempi si era spento per colpa sua, perché si era comportato da imbecille, come suo solito. Ma avrebbe dato tutto per riaverla in squadra con lui.
Ancora dovevano risolvere, del resto.
- Sì. Non si sente bene, Mark. E’ l’incidente. -
Il Capitano sgranò le iridi. Non ci poteva credere. Di nuovo? – Da quanto questo? – osò chiedere. Si sentiva stupido, sciocco.
Preso di nuovo in giro, dall’ennesima persona cara. Erik gli aveva già mentito una volta. Perché lo aveva fatto di nuovo?
Forse era lui che era poco sveglio?
Non si sentiva in grado di puntare il dito contro l’amico; la colpa era sua, tanto. Non sapeva fare il Capitano.
- Da tantissimo, Mark. E va sempre peggio. –
- Posso confermarlo anche io! – soggiunse Esther. – Quando si allena si stanca subito, terminando con delle vere proprie cadute a terra. –
Bobby annuiva, riconfermando le parole della ragazza.
- Sì, e poi non riesce più a muovere le gambe dal male. Gli si irrigidiscono i muscoli, tipo. -
Più ascoltava le testimonianze dei due, più Mark si sentiva idiota. Lui, Capitano della unicorno, grande regista, ottimo centrocampista… non era in grado di accorgersi da solo dei problemi che affliggevano i membri della squadra.
La sua, perlopiù. Abbassò il capo, maledicendosi per non essersi reso conto prima che il malessere di Erik non era una semplice influenza, come piaceva raccontare al castano, ma un vero e proprio problema.
Grave. Serio.
Che avrebbe comportato l’espulsione dalla squadra.
- Sì, io… sì. Concordo con voi. – scosse la testa. Se pensava a tutti i casini che stava combinando negli ultimi tempi, sarebbe finito in depressione. Non era il momento. – sta sera gliene parlerò. -
- Grazie, Mark. Grazie. Erik ne soffrirà, e tanto, ma te ne sarà comunque grato. -
Bobby se ne andò, ma Esther rimase a fissarlo per qualche attimo, alla luce flebile del tramonto. Si era accorta dello sconforto che lo aveva preso, ma non se la sentiva di chiederne i motivi.
Mark ricambiò l’occhiata. – Sono stupido. –
- Maddai. –
- Non sono capace di prendermi cura della mia squadra… non sono capace di fare niente. Solo casini. Ovunque. Anche con te, io… –
Esther sentì un moto di compassione per l’amico, anzi, ex amico, ma lo soffocò. Se voleva essere consolato, poteva benissimo andare da Suzette.
Rifugiarsi tra le braccia di lei e chiedere qualche coccola. No?
- Ti ho tenuto nascosta la relazione, perché… so che ti interess… -
- Non più. Non ti preoccupare. -
Mark parve rimanerci male come non mai.
Il solito credulone.
Esther in cuor suo sapeva benissimo di star spudoratamente mentendo, e prima che il ragazzo potesse accorgersene voltò i tacchi e se ne andò, fingendosi estranea alla conversazione.
Non gliel’avrebbe data vinta così facilmente, nemmeno voleva parlargli.
Se voleva blaterale, poteva farlo con Suzette.
No?
 
 
 
Mark diede appuntamento ad Erik fuori dalla sede. Il castano non si sentiva affatto calmo per quell’invito, e temeva che fosse successo qualcosa di grave, visto l’espressione severa che il Capitano gli aveva rivolto a fine discorso.
Continuava a chiedersi cosa fosse successo e perché proprio lui.
Per un attimo l’idea che Bobby avesse parlato gli accarezzò la mente, terrorizzandolo. Ma poi si disse che l’amico avrebbe sempre e comunque rispettato le sue motivazioni, e quindi tirò un sospiro di sollievo.
 
Raggiunse l’ingresso subito dopo essersi cambiato, e trovò il Capitano seduto sui gradini.
Gli si sedette accanto e gli sorrise, ma il ragazzo non ricambiò.
Non era per niente un buon segno, quello.
- Mi hai convocato, giusto? Di cosa volevi parlarmi? -
Mark si alzò di scatto, come se stare vicino a lui lo avesse urtato in qualche modo, e cominciò a camminare avanti ed indietro lungo l’ingresso.
Poi, fissò gli occhi su quelli di Erik.
Era lo sguardo di chi non ammetteva repliche, e il castano lo riconobbe bene, in quanto solo Kruger sapeva gelare in quel modo.
Era arrabbiato.
Con lui.
- Come sai… - esordì il biondo, senza smettere di guardarlo. - sono il Capitano della Unicorno. E, in quanto Capitano… - gli si avvicinò. - vengo sempre a sapere di tutto. Presto o tardi. Che a te piaccia o meno, Erik. -
Silenzio. Erik sentì la saliva accumularglisi in bocca, mentre cercava di rimanere calmo. Che avesse scoperto il suo problema fisico?
No, no, e come?
Mark era sempre stato un po’ menefreghista su quegli aspetti, prendendoli spesso e volentieri sottogamba, e Bobby… Bobby aveva giurato di non parlare.
Non capiva, non capiva proprio.
Deglutì.
Forse si trattava di un qualche sgarro in allenamento, tutto qui. Eppure Mark sembrava troppo arrabbiato per una cosa tanto banale.
- E tu lo conosci, il Capitano della tua squadra, giusto? -
- Certamente. -
- Beh, non abbastanza. Altrimenti sapresti che al tuo Capitano non piace essere preso per il culo. -
- Non l’ho mai fatto. -
- Invece sì. Di nuovo, e per lo stesso motivo. - Kruger gli si mise esattamente davanti, torreggiando sul castano con fare più minaccioso del previsto. Non era arrabbiato. Si sentiva preso in giro, schiaffeggiato dalla solita realtà di cui veniva informato sempre all’ultimo istante.
La notizia del suo malessere era stato uno sgambetto all’orgoglio, letteralmente.
Con quella scena rigida cercava dunque di farsi rispettare, sperando di incutere il dovuto timore ad Erik.
E ci riuscì, perché Eagle si fece piccolo sotto la sua ombra, confuso più che mai.
- Peccato per te che questa volta dovrò prendere misure drastiche. -
- Capitano, non comprendo, io… -
- Mi hai tenuto nascosto la tua salute. Mentendomi, dicendomi che era una semplice influenza. -
- Io… -
- E stanchezza, un mese fa. -
- Mark, io… -
- E “momento di debolezza”, un mese indietro ancora. -
- Io… -
- No, io, il fesso, a crederti. –
Silenzio.
Erik si sentì umiliato, dinanzi a quelle parole. Vero. Aveva mentito al suo Capitano, e la sua farsa era durata più del previsto.
Ma… per una buona causa. Non voleva smettere di giocare a calcio.
Possibile che solo lui sentisse vitale ed indispensabile correre dietro ad un pallone, in quella gabbia di matti scatenati?
Era opera di Bobby. Lo sapeva.
- Capitano, le mie intenzioni erano bonarie. -
- Ti sei preso gioco di me, ed assieme a me, di tutti i tuoi compagni, in particolare Bobby. -
Sentire quel nome accese in lui una rabbia ceca, mista a disperazione. Bobby, Bobby.
Lo avrebbe ammazzato. Bugiardo, traditore.
- Erik. - Mark si sedette al suo fianco. Gli poggiò una mano sulla spalla, calmandosi, ma Erik la scacciò bruscamente.
Non voleva essere toccato. Da nessuno.
Voleva solo tornare indietro, per non salvare la vita a quello stupido cane.
- Il tuo problema alle gambe ti porterà allo stremo. -
- No, Capitano. -
- Sei fuori. -
Così, senza pietà.
Sei fuori. Fuori.
- Lo dico a malincuore, ma lo faccio per il tuo bene... -
Erik non sentiva più niente. Solo il cuore pompare, il sangue ribollire dentro le vene. Era furioso. Ma in qualche modo… grato.
La rabbia di prima scemò, svanendo nell’aria.
A Bobby. Voleva strozzarlo, ma meritava tutto il rispetto del mondo, per aver parlato; gli voleva bene. Lo sentiva da qui, come si stava tormentando, cosciente di essere sia nel torto che nel giusto.
Aveva solo cercato di salvaguardare la sua salute, decidendo per lui in un momento buio come quello.
Si alzò, rassegnato, e gli occhi di Mark lo guardarono, dispiaciuti. - Erik, si tratterà solo di qualche mese. -
- Volevo giocarmelo tutto, questo torneo. Volevo che il mondo ritornasse ad amare Erik Eagle come ai tempi del FFI… ma… questo incidente… mi sta rendendo la vita impossibile… -
- Erik… la tua vita vale meno delle altre? No. Tutelala. E ti assicuro che le persone ti amano, e ti ammirano, anche. Per il tuo grande coraggio. Continuare a giocare, nonostante tutto… ti aspetteremo. -
Erik rimase in silenzio, riflettendo sulle parole del Capitano.
Continuare a giocare, nonostante tutto.
Questo era lui. Un osso duro. Uno che non molla. Si scambiarono un’occhiata di intesa, poi rientrò in sede, lasciandosi il biondo alle spalle.
Non sapeva cosa pensare, lo avevano messo a tacere usandogli contro il peggiore dei suoi  incubi: l’incidente.
Gli sembrò di riviverlo, le gomme che gli spezzano le gambe, l’adrenalina…
Le urla di Silvia, poi il buio, calato come un lugubre sipario sui suoi occhi da bambino.
Tutto era volto a fargli del bene, sì…
 
Ma allora perché sentiva così male dentro?

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Capitolo 39
*** Rotture. ***


ROTTURE.
 
Suzette non venne a sapere niente da Mark, tantomeno da Erik. Non lo venne a sapere da nessuno, perché nessuno oltre a loro due, Esther e Bobby era a conoscenza dell’espulsione del castano.
Realizzò il tragico fatto la mattina seguente, quando vide il suo grande amore alla porta della sede, con due grosse valigie a circondarlo.
- Dove vai? -
Erik parve sollevare gli occhi al cielo per quell’intrusione non voluta, scocciato. Una cosa positiva almeno c’era, in tutto quello: se la sarebbe tolta di mezzo, una volta per tutte.
Definitivamente. E per sempre.
- Sono stato espulso dalla squadra. Per cui, non posso più stare qui. - si guardò le gambe. Tremavano appena, ancora sotto shock per gli innumerevoli sforzi che il torneo aveva loro richiesto. - l’incidente ancora mi impedisce di dare il meglio di me… -
Quando la vide lacrimare si arrestò. Da quando in qua quell’essere fastidioso e ripugnante teneva così tanto a lui?
- Q-quindi non ci vedremo mai più? -
Erik sperò di sì. Ma non glielo disse. - E anche se fosse? Non stiamo più insieme. Anzi, non ti dovresti proprio preoccupare per me; piuttosto, prenditi cura di Mark. -
- Non mi interessa niente di Mark! - urlò Suzette, afferrandolo per la maglietta.
Erik sgranò le iridi, sentendosi un debole dinanzi a tanta rabbia e sconforto in una sola volta.
E in effetti era proprio così. La ragazza non voleva che Eagle ne andasse, non così, non dopo tutto il tempo passato insieme...
lo voleva, di nuovo al suo fianco, uniti e innamorati come una volta (sempre secondo lei). Non la poteva tollerare una perdita tanto grande, solamente perché aveva fallito nei suoi metodi di conquista. Lei, che non commetteva mai errori. - Rimani, ti prego! -
- Ma sei pazza, a farmi queste scenate ridicole?! Non posso rimanere! Sto male! - Erik si liberò dalla sua presa, sorprendendosi di essere riuscito, dopo anni ed anni di tentativi, a risponderle a tono. Suzette l’aveva da sempre intimorito, con il suo fare appiccicoso e possessivo, ma quel giorno proprio non voleva rotture.
Tanto meno da lei, che gli aveva reso impossibile anche solo avvicinarsi a Silvia, poterla amare in pace, liberamente. Silvia… chissà se sarebbe stata fiera di lui. Aveva accettato la sua condizione senza nemmeno fare scenate... comportandosi da ragazzo maturo, proprio come piaceva a lei. - Comportati così con Mark, leave me in peace, please! -
- Parli così perché sei geloso! -
- Geloso io?! Ma stai scherzando?! Mai stato! -
- Non te ne andare, ti prego…! - lacrime di rabbia continuavano a scendere dagli occhi di Suzette. Si sentiva frustrata, amareggiata di star perdendo il suo tesoro più grande. Per una sciocchezza, un banale dolore alle gambe.
Non lo poteva accettare. Lei, abituata ad avere tutto e tutti… che si era messa con Mark per farlo ingelosire, sperando di risvegliare i sentimenti assopiti che Erik provava nei suoi confronti…
lo afferrò per il viso e lo baciò sulle labbra, furiosa.
E in quel momento scese Kruger, assieme a Bobby.
E vide.
Tutto.
Erik però non se ne accorse, e si staccò con violenza dalla ragazza. Si pulì la bocca, scioccato. - Sei pazza!? Stai con Mark!! -
- No, io ti amo! -
- No, stupida, tu sei ossessionata da me, è diverso! Non ti ho mai amata, e mai lo farò, Suzette, mai! Io amo Silvia! AMO SILVIA! – alzò il tono della voce, quasi sperando che lei potesse sentirlo dal lontano Giappone. - Lasciami in pace! Sei pazza a baciarmi?! Mark è il tuo ragazzo, non io! –
Suzette gli prese le mani. – Sono disposta a lasciarlo per te, Erik… -
Intanto una piccola folla di persone si era radunata dietro le spalle di Kruger e Shearer, disturbata da tutto quel caos a quell’ora del mattino.
- E io che credevo di essere più pazza di lei… - mormorò Hellen, con le mani al petto.
- Non ho mai sentito urlare Erik così… - osservò Bobby, ad occhi sgranati.
Michael sembrava il più stupito di tutti. - Da quando quel coraggio da leoni, il nostro Erik? -
Mark… Mark rimase muto.
Era congelato dal dolore. Paralizzato dalla rabbia.
E perfettamente conscio di essere stato manipolato come un perfetto zerbino.
- Lasciare chi?! Sarà lui a lasciare te, quando si renderà conto di che manipolatrice, stupida, infantile ragazzina sei! Cresci, my god! –
Silenzio. Suzette non sapeva cosa dire. Non fece nemmeno in tempo a formulare un pensiero che gli altri fecero il loro ingresso in sala, dividendo i due litiganti con la sola presenza.
- Ecco Erik… - Mark cercò di svuotare la mente. Estrasse da una busta gli indumenti di Erik, la divisa in cui aveva pianto e che allo stesso tempo aveva protetto i suoi sogni da ragazzo, custodendoglieli tra le pieghe. – Vogliamo che la porti con te così com’è. –
- Sudicia e puzzosa. – commentò Dylan, ridacchiando.
Erik l’afferrò, calmandosi. Se la passò tra le mani, toccandone il tessuto macchiato. Poi se la strinse al cuore. Guardò la sua squadra, e anche le ragazze, protagoniste insieme a loro di quell’estate che, lo ammise, era stata bellissima. E li ringraziò con un semplice sorriso, perché era sicuro che se avesse parlato, avrebbe pianto.
Non sapeva cosa dire.
Bobby lo strinse forte, passandogli una carezza quasi paterna sui capelli castani. – Spero che tu non abbia rancori nei miei confronti. –
- Assolutamente… forse sì, un po’… all’inizio, io… ma io… ti ringrazio. Cerchi solo di salvarmi la vita, Bobby. Come sempre, da quando sono nato. -
- Chiama Silvia, dopo. E ogni tanto fatti sentire, per favore. -
Si sorrisero.
Poi Erik uscì dalla porta e si diresse verso il pick-up dell’allenatore, lasciandosi alle spalle amici, sogni, lotte e lacrime.
Lasciandosi alle spalle la sua vita, a testa alta, da vero uomo.
Per finire dimenticato su un lettino d’ospedale.
Di nuovo.
 
 
Suzette rimase ferma sulla soglia della porta, tremante di rabbia, sconforto e delusione per essere stata aggredita così dalle parole di Erik, e quando in diversi abbandonarono la sala per dirigersi verso le proprie stanze si fiondò verso Mark.
Ma il ragazzo la evitò, semplicemente.
Come si evita la peste.
Lo schifo.
Sgranò gli occhi, sconvolta.
- M-Mark… -
- Sei ancora innamorata di lui. – incrociò gli occhi azzurri del ragazzo, che la ferirono come mille lame. - Non è così? –
- No, affatto Mark, cosa vai a pensare! –
Provò ad abbracciarlo ma lui la schivò ancora, tenendosi a dovuta distanza.
Esther e Dylan erano rimasti a guardare la scena, senza dare troppo nell’occhio. Entrambi lo sapevano. Sapevano che sarebbe finita in quel modo, prima o poi, e sapevano anche che Kruger ne avrebbe portato i postumi per molto, chiudendosi in una cappa di dolore invalicabile.
Si guardarono. Non erano per niente dispiaciuti per ciò che stava accadendo.
- Cosa vado a pensare?! Lo hai baciato, cristo! Baciato! E solo pochi giorni fa mi hai lasciato un cancro al collo, dicendomi che ero tuo! –
- Ma Mark! L-lui è innamorato di me… mi ha baciata lui… -
- Cosa stai dicendo!? Lui ama Silvia! – la voce di Mark si ruppe, come il suo cuore. In nemmeno ventiquattro ore era stato preso in giro due volte. Prima da Erik, ma per una giusta causa, poi da Suzette.
Si sentiva inutile. Evidentemente la gente si divertiva nell’usarlo in quel modo spregevole.
- Mark… -
- Mark niente, è finita qui. –
- No! – Suzette non accettò affatto quella sconfitta. Quella fine così misera e banale. Se non poteva avere Erik, poteva avere ancora Mark. Gli venne incontro, spezzata tra l’odio per se stessa e la bruciante perdita, ma Esther si frappose tra i due.
- Scordatelo. – esordì, e il suo tono di voce non ammetteva repliche. - Non l’hai sentito? E’ finita. –
- Esther… - mormorò Mark, sollevando lo sguardo sull’amica. Anche Dylan lo raggiunse, e dopo averlo consolato con delle pacche sulla schiena lo portò ai dormitori, intimandolo che se avesse vuotato anche solo una lacrima lo avrebbe appeso al muro.
Rimasero le due amiche, che amiche in quel momento proprio non lo erano.
- Estheruccia cara, non ti mettere in mezzo. Sono questioni tra me e lui. –
- Lui non è in grado di affrontarti, adesso. – Esther schioccò la lingua. – Ti diverti tanto a giocare con i sentimenti degli altri, Suzette, vero? Ma quando oggi Erik lo ha fatto con te, non ti è per niente piaciuto. Fai male agli altri, e poi pretendi che non ti arrivi indietro. Beh, mi dispiace, ma non ti sfogherai su di Mark. Non lo userai ancora, per le tue stronzate da ragazzina. –
- Esther. –
Suzette sorrise malefica, scostandosi i capelli celesti dietro le spalle. Sembrava aver ripreso la calma, come se tutta la scenata di prima fosse stata solo una stupida farsa… un modo per farsi compatire, catturare attenzioni.
Un modo per smuovere Mark, sicuramente.
- Non cambieranno le cose, tra voi. Non ti cagherà mai, lui è cotto di me. Nemmeno ti considera. -
- Mi va bene. Ma tu stagli alla larga. - con queste precise parole Esther abbandonò la sala, raggiungendo Mark.
Suzette rimase lì, da sola. Incredula di aver fallito per ben due volte, con i due ragazzi più belli e popolari della squadra, che solo lei poteva essersi permessa di avere.
Li aveva persi. Entrambi, dannazione.
Uno, amandolo nel modo sbagliato.
L’altro, amandolo per finta.
 
 
- Posso entrare? -
- Certo Esther, una figa fa sempre… -
- Dylan… -
Dylan tacque all’ammonimento di Mark, ed Esther entrò di soppiatto, per non disturbare.
Sperò che il biondo si accorgesse di lei, ma nemmeno la guardò.
Dylan si alzò dal letto e la raggiunse, poi la prese in disparte.
- Mark è molto sensibile. Tende a fare il tragico su tutto, anche sulla minima stronzata. Ci teneva a Suzette, sarà dura ma si riprenderà. –
- Sì, lo so… - Esther lo guardò. Mark era seduto sul bordo del materasso, con la testa chinata sulle ginocchia e la schiena incurvata. Emanava dolore da tutte le angolazioni, e sospirava con rammarico.
- il solito esagerato. -
- Per cui ti chiedo di risolvere, tra voi due. –
- Come fai a sapere che abbiamo litigato? –
Dylan sorrise. – non faceva altro che chiedermi consigli su come fare pace con te. –
La mora ricambiò il sorriso. Quell’informazione le aggiustò un po’ l’orgoglio. Forse era il caso di finirla con tutta quella scenata, per il bene del ragazzo e per il bene della loro amicizia.
Agosto stava passando in fretta. Meglio raccogliere i pezzi e rimetterli insieme, il tempo correva e per Settembre sarebbero dovute tornare tutte ad Osaka.
Non aveva intenzione di andarsene senza fare pace col ragazzo, ne partire con dei rancori nei suoi confronti.
Fu dura mettere da parte l’orgoglio ferito, ma alla fine accettò, motivata dalle parole di Dylan.
- Va bene. Chiariremo. – disse.
Poi lo guardò, dispiaciuta.
Mark si faceva abbattere dalla vita come un birillo, era così debole… così fragile e ingenuo, ancora…
Uscì e si chiuse la porta alle spalle.
Quando si sarebbe un po’ ripreso avrebbero chiarito. Mentre scendeva le scale della sala trovò Suzette, affacciata alla finestra. Piangeva, sola.
Che doveva fare con lei? Andare a parlarle? Provare a capirla?
Ne aveva combinate di tutti i colori, rivelandosi una persona davvero poco affidabile, e aveva ferito Mark, cosa imperdonabile.
Alla fine scelse il silenzio, e la lasciò al suo sconforto: aveva già i suoi problemi da risolvere.
 
 
 
 
- Mark! Scusa, sono Hellen, posso entrare? -
All’udire quella voce così acuta dopo ore passate a dormire, Mark sollevò di scatto la testa dal cuscino. Sentiva la testa pesante, le membra intorpidite e tutto girava, come scosso da una giostra infinita. Gli occhi corsero alla sveglia, e quando si rese conto dell’ora balzò fuori dal letto e raccolse i vestiti da terra, in preda al panico.
Le 12:34. Quanto cavolo aveva dormito?
- Y-yeah! - balbettò, indossando la divisa in fretta e furia.
- Ciao Mark, buongiorno… - Hellen subentrò nella stanza, immersa nell’oscurità più totale, e Mark accese la luce, ond’evitare che lei provasse del disagio nel rimanere al buio con lui. - Mi hanno detto di dirti che… - fece qualche gesto con le mani, per capire se ciò che aveva appena pronunciato aveva un senso compiuto. Quando realizzò di sì, proseguì. - c’è una chiamata per te. –
- Va bene, grazie mille Hellen. –
La ragazza sgusciò via dalla camera, lasciandolo di nuovo solo. Mark scese in sala e si precipitò al telefono. Chi poteva essere alle 12:34 del mattino? Ancora non poteva credere di aver dormito così tanto. Non era da lui… si sentiva stordito, come se avesse preso una botta in testa.
Evidentemente dovevano averlo lasciato riposare. Visto l’accaduto di ieri, avevano ben pensato di non disturbarlo. “Forse è meglio così” pensò, portandosi la cornetta all’orecchio.
- Mark? –
- Mamma? –
- Ciao tesoro, buongiorno. –
Mark aggrottò le sopracciglia bionde, mentre un vago senso di ansia si appropriava del suo ego già devastato. L’ultima volta che era stato a casa era successo un caos, in particolar modo col padre, che gli aveva imposto di cambiare completamente vita per la fine dell’estate. Nuova scuola, nuova città. A tantissimi chilometri da Los Angeles. E tra tutti, solo Dylan, Erik e Bobby ne erano a conoscenza. I brividi lo percorsero. Non voleva tornare sotto quel tetto, non per agosto, almeno. – Ciao mamma. Tutto bene? –
- Sì… ti chiamo perché vorrei che venissi un momento a casa… -
Come non detto. Sospirò, sconfitto. Niente stava andando per il giusto, in quegli ultimi giorni. – Va bene… è successo qualcosa di grave? –
- No, ma ciò che dobbiamo dirti è di rilevante importanza. Puoi lasciare gli allenamenti? –
- Certo, senza problemi. –
- Va bene. Ti aspettiamo. Baci. –
Mark riagganciò. Uscì dalla sede e si diresse verso il campetto. Quando i piedi fecero il suo ingresso sull’erba sintetica ci fu un esulto divertito.
- Finalmente, dormiglione! – esclamò Michael, dandogli una spallata amichevole.
Ma il biondo non aveva voglia di ridere, quel giorno. Cercò Suzette, e la trovò seduta sul muretto. Sola.
Come un cane.
Poi tentò di localizzare Esther, e la individuò appoggiata alla rete che delimitava il campetto, che si godeva i refoli tiepidi di agosto. Anche lei era sola, ma a differenza della blu, emanava un’ aria autoritaria ed impettita, fiera. Sembrava che niente potesse scalfirla, in quella posizione.
Tuttavia pareva in attesa di qualcosa, oppure qualcuno. Forse stava aspettando lui?
Quando la ragazza si sentì osservata da due profonde iridi celesti lo guardò di rimando, accigliata.
Mark distolse immediatamente gli occhi, arrossendo.
Si sentiva stupido come non mai.
- Ragazzi, io devo andare un attimo a casa. -
Dylan si fece avanti. - Vuoi che ti accompagno? -
- No, Dylan, non ti preoccupare. Tutto sotto controllo. –
- Va bene… come stai? –
- Lascia, Dylan… -
Il ragazzo dagli occhiali non ribatté. Sapeva che quando Mark rispondeva con tanta freddezza alle sue domande significava solo che voleva semplicemente essere lasciato in pace ai suoi problemi. – Intanto io alleno questi qua. Aspettavamo tutti te, ma visto che ora devi andare, ti va se… -
- Fa quello che vuoi, fratello. – e con quella frase Mark lasciò le due squadre in mani all’amico.
Non voleva pensare più a niente, niente che lo facesse in qualche modo soffrire.
Già solo Suzette lo aveva piegato in due, figurarsi.
 
 
Arrivato a casa, la vista comprese ancor prima del cervello. Scatoloni di varie dimensioni stavano accatastati ovunque per tutta la sala, impilati in ripide torri, e diversi mobili erano stati accuratamente smontati dei pezzi, e avvolti da una coperta di nylon perché la polvere non vi si posasse sopra. Erano in attesa di essere imballati, come tutto il resto.
Si guardò intorno, e per la prima volta nella sua vita si rese conto di quanto grande fosse quella villa, sgombra di quasi tutto ciò che la rendeva degna di essere chiamata “casa”.
“Home”.
- Mark! - Marge lo intravide in piedi sulla soglia e gli venne incontro. Lo abbracciò forte, contenta. - Hai visto, Mark? Stiamo smontando tutto! Presto andremo a vivere a New York, non vedo l’ora! -
- Ma la partenza… è ad inizio settembre… non ora… non capisco… -
La madre, sentendo tutto quel vociferare, fece capolino nella sala.
Non appena vide il figlio si illuminò come una stella.
Portava una semplice maglietta bianca, over-size (evidentemente del padre), e alle gambe dei jeans sbiaditi dall’uso. Mark la osservò, sbalordito. Faceva quasi impressione, vestita come un ordinario essere umano.
- Tesoro! -
- Che sta succedendo qui? -
Hanagrace posò lo scatolone che stava tenendo tra le mani a terra, sul pavimento su cui un tempo vi stava un magnifico tappeto persiano. - Ci prepariamo per il trasloco. -
- Okay, but… è troppo presto. Partiamo verso settembre. No? -
Madre e figlia si guardarono, e Mark si sentì di nuovo all’oscuro di tutto.
Prima l’amico, poi l’ex fidanzata, adesso era la famiglia a tenergli nascoste le cose. Non ne poteva più di quel detto e non detto che intercorreva tra lui e gli altri.
- No, Mark… - Hanagrace lo fece sedere sul divano, l’unico mobile rimasto nella sala. - Tuo padre ha cambiato i piani, il lavoro lo chiama. Partiremo la settimana prossima. –
La settimana prossima. Il prossimo mercoledì. Mark sentì come se quella catasta di scatoloni gli fosse appena crollata addosso, spaccandogli la schiena.
Non era possibile una cosa del genere, decisa così, di punto in bianco.
Come poteva abituarsi all’idea di dover lasciare una vita intera in… in sette giorni di numero? Los Angeles era la sua città.
Era nato lì, aveva i suoi amici lì, la sua scuola lì, tutto lì.
Sentì mancargli il respiro. Non era pronto a cancellare tutte quelle fette di vita che lo avevano reso Mark Kruger.
Era troppo. E aveva così poco tempo…
- La settimana prossima!? Stai scherzando, mamma? – la voce si arrochì mentre cercava di non bestemmiare. - Non posso partire la settimana prossima! Non posso! –
- Mark, tuo padre ha deciso così. –
- Mamma, siamo ad inizio agosto! C’è il torneo, ho una squadra da allenare io, teniamo anche delle ragazze in sede, sono il Capitano! Cosa devo fare, mollare tutto così? Cazzo! No! -
- Mark! –
- Mamma! – sentiva di voler piangere, ma si trattenne. Aveva già versato troppe lacrime. A cosa serviva tirarle nuovamente fuori? Di certo la situazione non sarebbe cambiata solo per fargli un piacere. E lui lo sapeva bene, che frignare non sistemava mai le cose. - è improponibile. Ho una vita qui, io. Non puoi chiedermi di dimenticarmela in una sola settimana. Di a papà di usare la testa. –
- Tesoro, dobbiamo partire. –
Mark si infilò le mani tra i capelli. Era disperato. Non sapeva cosa fare, come muoversi… i ricordi avrebbero fatto troppo male, una volta sbarcato a New York. Già dolevano, al solo pensiero di dover sparire. Ma come poteva cancellarli in una settimana?
Come poteva gettare nel dimenticatoio la sua città, la sua Los Angeles… i suoi amici, Dylan… Esther… Esther nemmeno sapeva del trasloco.
Che stupido, perché non aveva parlato prima?
Perché tutto il male stava accadendo a lui?
Rimase a fissare la madre, in attesa che quest’ultima gli desse una risposta.
- Mark, non è così male… - parlò la figlia al posto suo. Hanagrace non sapeva cosa dire, perché persino lei si rendeva conto che una notizia del genere, detta sette giorni prima, in fretta e furia, faceva male come una pugnalata.
E Mark… era così diverso da suo padre… così sensibile, fragile. Avrebbe voluto abbracciarlo. Ma rimase composta, con le mani accoccolate sul grembo.
- New York è bella, d’inverno fa freddo, potremmo vedere la neve… e… non viverla così male, Mark. Sarà una bella esperienza, nonostante tutto. Io la vedo così! E infatti sono ansiosa di partire! –
- Marge. Io ho degli amici qui. Che mi hanno cambiato la vita. Ma tu sei ancora una ragazzina, cosa ne puoi sapere… -
Hanagrace li interruppe, prima che potessero azzannarsi. – Mark. Un’altra cosa. Questa settimana dovrai saltare l’allenamento. –
- W-what?! -
- Devi aiutare col trasloco, tuo padre non è mai in casa, ci serve un maschio. -
- Mamma, io sono il... - Mark non finì la frase. Avrebbe potuto mandare tutto all’aria, infuriarsi, fare scenate, scappare di casa e ritornare al campo. Eppure… dall’altra parte… non era forse meglio così?
Si sarebbe isolato dai suoi compagni, barricandosi in casa.
Si sarebbe allontanato da loro, avrebbe chiuso tutti i ponti.
A partire da domani, non sarebbe più stato costretto a pensare a loro. Si sarebbe dovuto solo concentrare su come dimenticarli, e in fretta.
Porre una distanza così brusca e netta poteva solo aiutarlo nel processo.
Non sapeva cosa pensare. - Vado a farmi una doccia. - sbottò, e si precipitò in bagno. Persino quello era stato svuotato di tutto, salvo i prodotti per il corpo. Accese la doccia, si spogliò e si precipitò sotto l’acqua. Era ancora fredda, ma non gli importava.
Doveva calmarsi. Si massaggiò la faccia, tremando sotto il getto gelido, e presto i movimenti lenti delle mani divennero veri e propri sfregamenti di rabbia.
Quando smise il viso bruciava, arrossato. Faceva così male…
Era accaduto tutto così in fretta. Non aveva nemmeno avuto il tempo di fare colazione. Tutte quelle cose orribili avevano deciso di avvenire una dietro l’altra, senza dargli tregua. Si sentiva senza fiato, anche se era fermo, anche se ancora respirava.
Prima il litigio con Esther. Per averle tenuto nascosto cose che meritava di sapere, per rispetto nei suoi confronti.
Poi, Erik aveva lasciato la squadra.
E subito dopo, Suzette aveva smesso di essere la sua fidanzata.
Liberò un rantolo soffocato.
Ora? Ora niente, tra una settimana avrebbe dovuto lasciare la sua città natale per trasferirsi a New York. Tutto normale, no?
Uno schiaffo dietro l’altro, uno più violento dell’altro. Bello come la vita si era presa gioco di lui in nemmeno due giorni.
Bello, davvero.
Non ce la faceva più a sopportare tutta quella pressione.
Rimase sotto la doccia per minuti che parvero ore, lottando con tutto se stesso contro la gigantesca voglia di scoppiare a piangere.
Alla fine non riuscì più a trattenerlo.
Implose, e lacrime calde si mescolarono all’acqua tiepida della doccia, percorrendogli il corpo e finendo giù per la grata di metallo.

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Capitolo 40
*** Where are you, Mark? ***


WHERE ARE YOU, MARK?
 
Mark fece esattamente come sua madre gli aveva imposto. Il giorno dopo non si presentò agli allenamenti, e nemmeno quello successivo, concentrando tutte le sue energie nei preparativi per il trasloco. Volente o nolente che fosse, purtroppo, doveva farlo. A cosa serviva fare il moccioso ribelle, oltre ad alterare il carattere già irritato del padre?
Una nuova vita era alle porte. Si sarebbe adattato passivamente, ecco tutto.
Dylan aveva provato a chiamarlo diverse volte, in quei due giorni di assenza, ma il biondo non aveva osato rispondere.
Anzi, gli aveva persino riattaccato. Il ragazzo inizialmente aveva pensato che l’amico volesse rimanere in pace, visto gli ultimi eventi che lo avevano coinvolto, eppure non ne era del tutto convinto.
C’era qualcosa, nell’aria, che gli puzzava.
Qualcosa di storto.
Ma ancora non se la sentiva di dar retta al suo sesto senso, e alla squadra disse semplicemente quello che sembrava a tutti la risposta più ovvia: Mark era di malumore, e voleva del tempo per riflettere.
Parvero crederci tutti.
Tutti, tranne Esther.
La sera del secondo giorno gli venne incontro, alla ricerca di spiegazioni. Era preoccupata tanto quanto lui, se non di più, glielo poteva leggere nello sguardo. - Ho provato anche io a chiamarlo. -
- Ti risponde? -
- Affatto. -
Dylan si portò una mano sotto il mento. E se Mark stesse dando buca agli allenamenti per motivi… familiari? Forse centrava qualcosa il trasloco. Forse i genitori non volevano che il figlio frequentasse la squadra, per abituarlo ad un distacco meno doloroso. L’ipotesi valeva esattamente come quella del malumore.
Solo che sembrava molto più ovvia, almeno ai suoi occhi. Insomma, perché Mark avrebbe dovuto evitare così i suoi compagni? Con quale pretesto? Era abbastanza maturo da saper fronteggiare una ex, un’ amicizia rovinata e la perdita di Erik senza dare in escandescenza, come aveva sempre fatto.
Ecco perché, secondo lui, c’era qualcosa di molto più grosso dietro.
Ma non poteva dirlo a Esther; lei non ne sapeva nulla del trasloco, e nemmeno le serviva venirne a conoscenza: del resto, se tutto andava secondo i piani stabiliti dalla famiglia di Mark, sarebbe avvenuto dopo la partenza della Tripla C. Cosa le poteva cambiare? 
- Forse non vuole rotture. -
- Lo so, ma normalmente risponde… - Esther decise di scrivergli un messaggio sul momento, e l’idea piacque anche a Dylan. Magari si vergognava di parlare a voce, o semplicemente non poteva rispondere, tutto qui.
Cominciò a digitare, e i numerosi errori di battitura fecero capire a Keith che la ragazza era tesa e agitata come una corda di chitarra.
 
 
Mark!
Si può sapere dove sei finito? Ti abbiamo chiamato un sacco di volte, perché non rispondi? Scrivimi, siamo tutti in pensiero per te.
Non farti pregare, o ti vengo a prendere per un orecchio.
Anche se non so dove abiti.
 
Esth.

 
Mark lesse il messaggio la sera successiva, dopo un’intera giornata passata a smontare mobili e riempire scatoloni. Bloccò la schermata e gettò il cellulare sul letto ancora sfatto. Non aveva intenzione di rispondere. Voleva essere lasciato in pace, dimenticato e poi cestinato, come un file inutilizzato da tempo immemore.
Del resto, anche lui stava cercando di condannare i suoi compagni a quel triste processo.
Dovevano smetterla di farsi vivi, o insistere nel cercarlo.
Non avrebbero ottenuto niente così.
 
 
 
Esther aveva atteso in una sacrosanta risposta per due giorni interi, tormentandosi i capelli ogni volta che sentiva una vibrazione, o lo squillo di un cellulare. Era preoccupata, e non solo lei. Anche Dylan si sforzava di capire, perso nei suoi pensieri.
Ma a differenza del ragazzo, lei era innamorata di Kruger. Molto. E quindi la situazione le pareva il triplo più tragica.
Fu così che una mattina decise di raggiungere la casa di Mark.
Non le importava se lui avrebbe reagito male nel trovarla sulla soglia, non le importava di niente. Doveva sapere cosa stava succedendo, sapere almeno il motivo di quell’assenza così lunga ed insopportabile.
E poi, dovevano ancora risolvere.
Per quanto ancora Kruger voleva starsene a poltrire sul letto?
Si fece dare la via da Bobby, la impostò sul telefono e questo le evidenziò il tragitto da fare, una linea gialla in mezzo a tanti, forse troppi quadrati grigiastri.
Non sembrava abitare poi così lontano, poteva farcela.
Si lasciò pilotare dalla striscia fluorescente per tutto il tempo, attenta a non perdersi o smarrire il senso dell’orientamento, e quando trovò l’abitazione rimase a fissarla sbalordita. Era immensa. Una vera e propria villa, con tanto di piscina (che, osservò meglio, era vuota). Non sapeva cosa dire, ne come spiegare tanta solennità tutta in una volta; al confronto il suo misero appartamento dai muri scrostati era uno scherzo dell’architettura. Uno sputo tra i tanti sputi abitati della periferia.
Era indecisa se entrare dalla porta o escogitare un modo furtivo per intrufolarsi direttamente in camera del ragazzo senza dover per forza passare dall’ingresso. Scavalcò il cancello (per fortuna non vi erano allarmi) e atterrò sull’erba fresca con la “delicatezza” di un elefante in una cristalleria. Cominciò a perlustrare la zona, e per sua fortuna - o sfortuna? - trovò una scala appoggiata al muro. Faceva proprio al caso suo. Prima di prenderla cercò di individuare la stanza di Mark dal basso, ma quando non la trovò si arrese all’evidenza. Sarebbe entrata dall’unica finestra aperta… poi, una volta in casa, avrebbe cercato di non farsi sgamare, e si sarebbe messa alla ricerca del biondino. Si arrampicò per la scala con agilità, e sbucò in quello che sembrava essere un… un bagno.
E che bagno, cavoli.
Era vuoto ed immenso, così freddo e bello da far invidia persino a quelli d’esposizione che si trovavano all’IKEA, sempre splendenti e tirati a lucido.
Camminò piano sulle piastrelle di marmo, poi si affacciò al corridoio esterno. Era magnifico. Il pavimento sembrava una nuvola soffice, reso tale dalla moquette bianca che si stendeva lungo tutto il suo perimetro, e una scala elegante portava al piano inferiore; aveva il manico dorato e i gradini di vetro, e sembrava così fragile, ma al contempo imponente.
“Cavoli, che lusso.” pensò, sbalordita. Lei nemmeno lo aveva un secondo piano. Sulla parete opposta alle scale si affacciavano tre stanze, due aperte ed una chiusa. Assicuratasi che nessuno fosse nei paraggi corse piano verso le camere. Per fortuna la moquette attutiva i suoi passi, facendoli appena percepire persino a se stessa. La prima mostrava un gigantesco letto matrimoniale, a baldacchino, davvero elegante. Arrossì. Era lì che i genitori di Mark lo avevano procreato?
L’altra si mostrava puramente femminile. Evidentemente doveva essere della sorella.
Dunque si fiondò su quella chiusa, e spalancò la porta con violenza.
Trovò Mark sul letto, in jeans.
E basta. Arrossì ancora di più, dilatando le narici. Non ricordava tanta bellezza.
Mark d’altro canto era scioccato, sembrava che un ladro fosse appena entrato in camera sua, con tanto di pistola puntata.
Si abbracciò come a coprirsi. Che cavolo ci faceva Esther… in casa sua?
Come aveva fatto ad entrare?
- Esther?! C-come diavolo… -
La ragazza però non rispose; stava già guardando gli scatoloni sparsi ovunque nella camera di Mark, confusa. Deglutì, notando che in uno rimasto aperto vi erano i suoi effetti più cari, insieme a libri ed altre cianfrusaglie. Un brutto presentimento la prese alla gola, seccandogliela.
Ma non voleva crederci. Non poteva essere così.
- Q-questi scatoloni? - si chiuse la porta alle spalle, come a tutelare la conversazione che presto sarebbe sbocciata tra loro. - Cambi casa? -
Mark si rimise la camicia a quadri verdi, nervoso. Non voleva dare spiegazioni. Non voleva parlare, non voleva rivelare niente. A lei, poi.
La guardò, infuriato. - Come. Diamine. Hai. Fatto. Ad. Entrare. -
- Ho usato le scale che stanno di fuori! -
Non riusciva a non smettere di fissarla, incredulo. Solo lei poteva fare certe pazzie per vederlo. - e da dove sei entrata scusa? -
- La finestra del bagno era aperta… -
- … non dovresti essere qui. - si limitò a dire, nascondendo però una certa gratitudine per quel gesto forse folle, ma tanto ammirevole. Lui? L’avrebbe mai potuta fare una cosa del genere, lui?
- Mark…! Non rispondevi alle chiamate, ai messaggi… che cosa dovevo fare? -
Al ragazzo quasi non venne da ridere. - Quindi perché non ti rispondevo ti è preso il matto e ti sei intrufolata in casa mia? Così? -
Esther sbuffò. - Vengo a nome di tutti. Siamo in pensiero per te, Mark. -
- Non mi interessa, vattene da casa mia. -
- Mi spieghi tutti questi scatoloni? -
- Sto facendo ordine in camera mia. -
- Quando menti guardi in basso. -
Mark la fissò. Era una delle poche persone che si era accorta immediatamente di quel suo difetto. Gli altri facevano fatica a capire quando raccontava balle, forse perché persino loro puntavano lo sguardo a terra, più bugiardi e peccatori di lui.
- Mark… - Esther prese posto sul letto. Le gambe le si erano fatte pesanti, ed una strana angoscia si era impossessata del suo stomaco, storcendole le interiora. Doveva sedersi. - Che succede? -
- Esther ti prego… esci da casa mia… non puoi stare qui… -
- Mi spieghi che succede? -
Il ragazzo prese ad abbottonarsi la camicia per reprimere il nervoso, e sbagliò persino due volte nell’inserire i bottoni. Non voleva affezionarsi ancora di più a lei… non voleva averla lì, nella sua camera, nella sua casa… desiderò affondare nel più profondo degli oceani, di modo che nessuno sarebbe più venuto a cercarlo.
Eppure adesso lei era lì. Sì, sul suo letto. In un modo o nell’altro era riuscita a trovarlo, a coglierlo in quel momento tanto delicato quanto doloroso.
Meritava delle spiegazioni. Prese posto vicino a lei, sospirando.
Non sapeva come guardarla.
- Trasloco. - si buttò, sentendo che non c’erano altre soluzioni per sviare l’argomento. - Nel senso che… nel senso che cambio città. Definitivamente. -
Esther non mosse labbro, ma Mark la percepì ugualmente irrigidirsi.
- Sarei dovuto partire per metà settembre… insomma, dopo la vostra partenza. -
- Perché non mi hai mai parlato del trasloco, Mark? -
- Non lo ritenevo importante… e poi… faceva troppo male anche solo pensarci, figurati… però è successo che… - Mark fissò gli scatoloni, contenenti la sua roba. Foto, libri, utensili inutili ma comunque indispensabili, in qualche modo… che avevano caratterizzato la sua stanza ed il suo mondo.
Avrebbe voluto gettarli fuori dalla finestra uno ad uno, con rabbia, e scappare via. Lontano. Con i suoi amici. Con Esther, frantumando il gelido rapporto che si era formato tra loro due.
E anche con Suzette, magari riprovarci, convincerla ad amarlo alla stessa maniera con qui lei smattava dietro ad Erik.
Dimenticare tutti quei problemi, vivere sulle ali della libertà.
Ma non poteva. New York lo chiamava, e con lei una vita del tutto nuova. Un tuffo verso l’ignoto, che lo spaventava e confondeva al contempo.
Ed irritava. Tanto.
- … è successo che il trasloco è stato anticipato di… molto, ecco… -
- Di quanto? -
- Ti prego… -
- Di quanto? -
- Tra due giorni. -
Esther ricevette quella risposta con la stessa furia di uno schiaffo sul viso, violento ed impetuoso. Come tra due giorni.
Cosa significava “tra due giorni”.
Sentì di aver sprecato un sacco di tempo dietro a delle cazzate, tempo che magari avrebbe potuto usare diversamente; per stargli accanto, essere l’amica perfetta che lui avesse mai potuto desiderare.
Curvò la schiena.
Le ore si erano come trasformate in sabbia, che il vento stava allontanando verso l’oceano.
Senza che ci fosse modo di fermarle in qualche modo, senza preavviso. Le prendeva e le soffiava via, gettandole con noncuranza verso il nulla.
Non poteva catturarle, ne bloccarle.
- E dove andresti? -
- New York. -
- … n-on voglio che vai… -
- Non è una scelta mia. - Mark parlava con distacco, perso a fissare il vuoto, forse perché “vuoto” era come si sentiva in quel momento, “vuoto” era la sua casa ora, e “vuota” sarebbe stata la sua vita appena avrebbe messo piede su New York.
Rimasero entrambi in silenzio, seduti su quel letto all’improvviso fattosi enorme.
- Quindi non verrai più al campo? -
- No, ormai siamo agli sgoccioli, devo aiutare la mia famiglia. Affiderò la fascia a Bobby, sono sicuro che sarà un ottimo capitano. - sorrise mesto, fissando la fascia celestina abbandonata sulla scrivania. - anche migliore di me. -
- Cosa dici… -
Di nuovo silenzio.
Esther lo guardò oltre la fitta coltre di ricci che le ricadeva soffice sugli occhi. Poi, col cuore pulsante in gola, si protese verso di lui e lo fece.
Lo baciò sulle labbra.
Senza pensare, senza avvisare nessuno.
E basta, sentendo che quella era la migliore cosa da fare, in un momento tanto fragile.
Mark si lasciò andare a quel bacio inaspettato con disperazione, avventandosi sulle labbra di lei. Chiuse gli occhi e le cinse il volto con le mani, per non farla scappare.
La bocca di Esther era così calda, e morbida… più forte di un abbraccio contro il freddo, più buona della bontà stessa, così perfetta, arricciata verso l’alto…
ma durò troppo poco perché potesse trasformarsi in qualcosa di più che un semplice scambio di saliva.
Si staccarono con nervosismo, e Mark ebbe lo strano coraggio di guardarla, rosso in volto fino ai capelli. Ansimava, e non capiva perché.
Era emozionato, e non capiva perché.
Ma del resto, non capiva il perché di tantissime cose.
- Scusa… - mormorò lei, facendosi piccola sotto i suoi occhi turchini.
Annuì, segno che andava tutto bene, ma dentro di lui le cose erano precipitate. Sentiva una voglia strana… la voglia di baciarla ancora, stringerla.
Tenerla con se per tutta la vita, e oltre. Accarezzarla, stenderla su quel letto e… scosse il capo. Fu come rendersi conto che la persona di cui era sempre stato innamorato in realtà era Esther, e non Suzette.
Triste come la vita a volte ti fa vivere nella menzogna.
Fu come sbattere il muso contro la realtà.
Ora lasciarla andare sarebbe stato ancora più doloroso.
- Vado, si è fatto tardi… - la ragazza si sollevò dal letto, e Mark percepì un freddo glaciale investirlo all’improvviso. Il profumo di Chanel lo abbandonò, e così il calore di quel corpo forse pieno di difetti, ma che si rese conto di trovare perfetto.
Si sentì perduto. Avrebbe voluto fermarla, tirarla per un braccio e riportarla sul letto.
E farne di quelle labbra umide e carnose il suo rifugio più intimo.
Come avrebbe fatto a dimenticare quel momento? Il cuore ancora gli batteva veloce contro il petto. Faceva quasi male, ma era così piacevole…
- Esther… -
- Sì? -
Mark si alzò, afferrò la fascia da Capitano e gliela porse. Doveva dimenticare. - Consegnala a Bobby, mi raccomando. -
- Certo… -
La accompagnò fino all’uscio della porta, assicurandosi di essere solo.
Esther fece per uscire, ma poi si voltò a guardarlo. Era così carino vestito così, nella sua bellezza fresca e semplice, che mai stanca. - Domani passa al campo… almeno datti la decenza di venire a salutare i tuoi compagni. -
- Addio, Esther. -
- A-addio?! Non puoi fingere che i tuoi amici non esistano, Mark! Solamente perhé cambi città, non significa che devi dimenticare le persone a cui vuoi bene! Non significa che devi dimenticare Dylan, Bobby, Erik, Michael… o me… ricordare non significa soffrire, non sempre. Vieni, doman… -
Mark la chiuse fuori, prima che potesse vederlo alterarsi. Poi si passò una mano sulla frangia, facendola ricadere nuovamente sulla fronte.
No, non si sarebbe fatto vivo domani.
Per cosa? Per soffrire di più?
Sarebbe stato l’ultimo giorno lì a Los Angeles, e aveva intenzione di goderselo nella sua stanza, solo.
Sforzandosi di non pensare a nient’altro che alla sua nuova vita a New York.
O il trasloco sarebbe stato traumatico.
 
 
 
- Hellen, qual è il problema? -
- Che mi blocco… mi blocco quando lo vedo, e… lui ci prova, costantemente, non so come comportarmi… sono timida, vorrei stare al gioco ma mi metto pressione da sola… -
- Dovresti buttarti. -
Hellen scrutò Daisy, timorosa. Buttarsi. Lei. Suonava tanto di cazzata. - Tu ti sei buttata, ma non è andata bene. -
- E’ andata bene… Dylan non è pronto per me, tutto qui... -
- Sicura? Non vi parlate nemmeno più… -
La castana lasciò il cucchiaino del gelato pendere dalle labbra, pensierosa. In effetti, era dal giorno in cui si era dichiarata che avevano smesso di interagire.
Ma era ovvio che vi era dell’imbarazzo tra i due. Dylan, in particolar modo, sembrava non sapere più come comportarsi. Era come se si fosse liberato di un peso, ammettendo di essere ancora troppo acerbo per qualsiasi tipo di ragazza. Ma allo stesso tempo aveva perso la sua forza, il suo carisma.
Cercava forse di non piacerle? Di creare del distacco, così da farle passare la cotta?
Si ritrovò a stringere la coppa di gelato con ansia.
Eppure, forse era meglio così.
Forse lui non meritava lei, e lei non meritava lui. Del resto, era un amore a senso unico, per quanto le costasse ammetterlo…
Certo. Avrebbe dato per piacergli almeno un po’, per essere diversa, perché sapeva che in cuor suo il corpo in sovrappeso e la faccia da mocciosa faceva il suo bello schifo. Ma non poteva costringerlo ad innamorarsi di lei. Ne costringere se stessa a cambiare per piacergli, assolutamente. In quello stava la sua prova di maturità: se Dylan voleva riavvicinarsi, lo avrebbe fatto.
Per ora meglio che l’imbarazzo tra loro scemasse. Era fastidioso, e lo aveva creato lei, a comportarsi da ingenua.
Si sentiva quasi in colpa, e sfogò il suo improvviso malessere nel gelato, mentre cercava di capire perché Hellen, bella, graziosa e piena di possibilità, non si buttasse come aveva fatto lei.
Del resto, l’atterraggio sarebbe stato morbido, tra le braccia di Bobby.
Lei non aveva avuto nessuno a prenderla.
Solo il rifiuto di Keith.
- Mark parte… -
A rompere la conversazione tra le due ragazze ci fu Esther, che si accasciò accanto a loro come un corpo morente. Era distrutta. - parte tra due giorni, e non tornerà qui. - sospirò.
- Come sarebbe a dire che parte…? -
- Non tornerà. Non ce la posso fare… non sto capendo più niente… non posso lasciarlo andare via così… -
Le braccia di Hellen e Daisy la strinsero vigorosamente, tentando di aggiustarle il cuore. Esther fu loro grata per quel gesto di affetto. Ne aveva avuto bisogno. Prese posto accanto a loro, e poco dopo le raggiunse anche Dell.
Suzette non osò nemmeno avvicinarsi, e rimase col resto del gruppo a confabulare. Sembrava quasi un estranea agli occhi delle quattro calciatrici, il loro rapporto si era completamente rovinato. Era evidente a tutte che, una volta tornare ad Osaka, avrebbero mollato la squadra.
La blu pareva aver chiuso tutti i battenti con loro, tant’è che le evitava e non le cercava mai durante le partite. Faceva tutto da sola, oppure si faceva aiutare dalle altre, con cui faceva gruppo unito. Oche. Di certo non spettava alle quattro di chiedere scusa se in soli tre mesi la Heartland si era rivelata una ragazza stupida, egoista e menefreghista.
Boh, tutto un gran casino. Forse erano cresciute, o forse no.
Chissà.
- Mark parte tra due giorni. E non vuole venire a trovarci, perché è un… coglione. -
- Ho saputo, Dylan ne stava parlando poco fa a tutti. - Dell le passò un braccio intorno alle spalle. Esther si accorse che portava addosso l’odore di Michael. Ovunque. - Pare che Mark abbia avvertito anche lui. -
Non sapeva cosa ribattere. Allora era definitivo… se lo aveva detto a Keith, stava a significare solo una cosa: non si sarebbe fatto vivo. Nemmeno per scherzo.
Nemmeno per renderla felice, niente.
Preferì non parlarne più, altrimenti si sarebbe innervosita e sarebbe andata in escandescenza. Piuttosto, si concentrò su Dell. La guardò maliziosa, dandole una gomitata. - Odori di massssschio. -
- C-che?! M-ma vah… -
- Un giorno ci dirai cosa c’è tra te e Michael? -
- Stiamo insieme. -
- E? -
- E… r-ragazze, s-stiamo insieme! Cosa devo dire…? -
- E…? -
Le tre le si avvicinarono, curiose come bambine di fronte ad un planisfero tutto da capire. Sorrise. Erano davvero fantastiche, si preoccupavano per lei più di quanto lo facesse se stessa. - eee niente, facciamo le cose che fanno i fidanzati. -
- Allora perché odori di lui? Sembri quasi Michael travestito da te. -
Dell arrossì vistosamente, ripensando agli istanti vissuti prima. Le mani di Michael sul suo corpo, a toccarle il collo e le spalle timide, dolci e inesperte. E lei sul suo letto, sognante. Ad assorbire ogni tocco, ogni sussurro, ogni bacio. - P-perché… - abbassò la voce, lasciandosi cullare da quei momenti di vita pura. - perché tutto prima stavo nella sua stanza, e… un bacio tira l’altro e… -
- Lo avete fatto!? - chiese Hellen, ingenuamente.
- N- no, però… mi accarezzava, e… niente, sono stata davvero bene. -
Le tre le si fiondarono addosso, e cominciarono ad imitare le possibili “carezze” di Michael, toccandola ovunque. - E come faceva? Faceva così? -
- Ti ha tolto i vestiti? -
- Ti ha toccato le tette? –
Eccolo, il domandone.
- Q-quasi… ci ha appoggiato sopra le mani, ma le ha tolte subito. Era imbarazzato… e boh, è così carino quando arrossisce, ragazze, non potete capire… vorrei che questa estate non finisse mai… -
- E come è stato? - domandò Esther, scioccata da tale rivelazione.
- N-non me le ha toccate come pensate voi, su… -
- O-ommioddio! MICHAEL E’ PROPRIO UN BIRBONE! – urlò Daisy.
Hellen semplicemente si portò le mani davanti alla bocca, sconvolta.
- Quel ragazzo mi ripugna ed inorridisce. Viscido. –
- Maddai, Esther! -
Scoppiarono tutte e quattro a ridere, abbracciandosi. Era davvero bello il legame che si era formato tra loro, fatto di complicità, segreti non detti e aiuto reciproco.
Un legame dapprima debole, che era aumentato sempre più col passare dei giorni, e che ora era saldo come una catena di ferro.
Rimasero insieme a raccontarsi le vicende che avevano caratterizzato tutto luglio e quei primi di agosto, tiepidi e malinconici come loro, due tiepide, le altre due malinconiche.
Ma tutte e quattro bellissime.
Suzette intanto le guardava, da lontano.
E quella visione le spezzò il cuore. Stava perdendo le sue amiche. Doveva buttarsi, almeno chiedere scusa.
Ma non ci riusciva, l’orgoglio la bloccava.
E non ci sarebbe riuscita, non subito.
Diede di spalle alle quattro, rodendosi il fegato dall’invidia.
Alla fine, senza chiedere niente a nessuno, si erano guadagnate la stima di tutti.
Dell si era persino fidanzata.
Lei invece non era riuscita a combinare niente in quei tre mesi, solo litigare con due ragazzi e chiudere i ponti con le sue amiche più care.
“Bella mossa, Suzette. Sei davvero una cretina.”

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Capitolo 41
*** Always. ***


ALWAYS.
 
Dell riposava tra le braccia scure di Michael, come un gatto assopito alla finestra. Si erano presi il posto sul divano tutto per loro, e lui non smetteva di massaggiarle il braccio candido, gli occhi nocciola persi a fissare le immagini alla televisione.
La ragazza si mosse appena, giusto per mettersi più comoda. Sarebbe voluta rimanere in quella posizione per sempre. Sempre.
Ma purtroppo i giorni in quel periodo dell’anno volavano via come il vento, e presto sarebbe arrivato quello della sua partenza. Ma non voleva pensarci. Non ora, ora che si sentiva la protagonista indiscussa della vita di lui.
Il ragazzo la baciò sulla fronte, poi cambiò canale con fare annoiato.
Aspettava Mark, come tutti i presenti in sala.
Faceva fresco quel giorno. Fuori tirava un’aria brumosa, umida, segno che ben presto sarebbe cominciato a piovere, e nessuno aveva osato mettere piede fuori dalla sede, o anche solo toccare un pallone.
Si erano rifugiati tutti in sala, e nonostante ognuno si stesse tenendo occupato in attività differenti, sulle teste aleggiava lo stesso pensiero: Mark? Dov’era Mark?
Sarebbe passato, oppure no?
Tutti erano in attesa di veder arrivare il Capitano.
Ma più i minuti passavano, più la speranza di rivederlo per un’ultima volta scemava, e la sensazione di abbandono prendeva posto nei loro cuori.
Esther era seduta in disparte, con le braccia incrociate al petto e lo sguardo inchiodato al pavimento. Stava malissimo. Non poteva credere che lui non sarebbe venuto per davvero.
Era assurdo. Possibile che nemmeno quel bacio fosse riuscito a smuoverlo? Ripensare al momento la fece avvampare, e in molti se ne accorsero. Era riuscita ad avere le labbra di Mark, e lui non aveva opposto resistenza… strano. Non era innamorato di Suzette?
Avrebbe dato per riuscire a capirlo almeno un po’. A cosa stava pensando ora Kruger? A chi? Dov’era? Stava bene, almeno?
Non aveva osato incitarlo a venire, ne cercato in alcun modo. Quella porta chiusa in faccia era stato un chiaro segnale a non dover nemmeno tentare di convincerlo, che tanto l’avrebbe ignorata.
Poteva solo continuare ad aspettare, come gli altri.
Se lo immaginò su quel letto, circondato dal vuoto, a sfogliare le foto della sua vita con dolore, prima di riporle e scendere in sala, stressato.
Eppure non riusciva a comprendere… non c’era niente di male nell’aggrapparsi ai ricordi, le amicizie e tutto il resto. Perché voleva sforzarsi di dimenticare? Era impossibile.
Impossibile.
Bobby ed Hellen stavano giocando a carte, cercando di ingannare il tempo in qualche modo. Hellen, persa a guardarlo, non si era minimamente accorta di stargli mostrando ingenuamente i numeri. Le era scivolata la mano verso il basso, senza che se ne fosse resa conto.
Il ragazzo sorrise e, cercando di non osservare le carte della ragazza, le raddrizzò la mano, stringendogliela con affetto. Hellen si riscosse al calore di quella presa ferrea, e resistette per non farla finire.
Durò poco, ma fu comunque intenso, e Daisy glielo leggeva in viso che era emozionata. Che carini, così timidi e incerti.
Almeno, lei lo era. Bobby sembrava sapere il fatto suo. La stava solo aspettando, paziente.
Suzette chattava frenetica al cellulare (forse intasava di sms Erik?), e Dylan non smetteva di fissare il movimento delle sue dita, ipnotizzato da quel ritmo tanto fastidioso quanto affascinante.
Non c’era niente da fare, senza Mark.
Ecco la verità.
 
 
 
Mark ricevette un messaggio, e quando guardò il mittente sentì l’impulso di gettare l’apparecchio fuori dalla finestra.
Suzette. Che voleva? Non le era bastato prendersi gioco di lui e dei suoi sentimenti per un mese neanche di relazione?
Nonostante fosse contrariato sentì comunque il bisogno di aprirlo, giusto per sapere per quale motivo osava farsi viva.
E per fortuna che lesse.
 
 
Ciao Mark, sono Suzette.
Volevo scriverti per dirti che qui stanno tutti male, senza te. Manchi, ad Esther in particolare.
Non smetto di guardarla, è preoccupata, vorrebbe che fossi qui con lei… io ho giocato con i tuoi sentimenti, tu non giocare con i suoi, sai per esperienza cosa si prova.

 
Mark aggrottò le sopracciglia nel leggere quell’ultima frase. Giocare con i sentimenti di Esther… si sentì un mostro. Lo aveva già fatto, mettendosi con Suzette. Non aveva intenzione di recarle ancora altro danno, ma se fosse tornato l’addio sarebbe stato doloroso… non era pronto a fronteggiare tutto quel dolore.
Non voleva. Si stava imponendo di rimanere fermo con una certa rigidità, perché se fosse stato per lui, sarebbe già corso alla sede.
 
La vedo, è seduta sulla sedia e ti sta aspettando. Dylan lo stesso. Tutti ti stanno aspettando, Mark. Non fanno altro che guardare l’orologio. Puoi non ascoltarmi, chi sono io per dirti cosa devi fare?
Ma la notizia della tua partenza immediata ha scombussolato tutti, e se te ne vai senza nemmeno salutare non credo che la prenderebbero bene… datti la decenza di presentarti, almeno.
Poi, fai come vuoi.
Io comunque ti ho avvertito.
 
Sue

 
Kruger si sollevò dal letto. Era confuso, non sapeva davvero che fare. Ma alla fine, dopo minuti passati a guardare la porta, l’amicizia vinse. Balzò dal materasso, mandando al diavolo tutto.
Tutto.
Ricordi dolorosi, amicizie soffocate per non soffrire… cazzate, le solite che era abituato a farsi.
Era diventato paranoico, quell’estate lo aveva cambiato, senza dubbio.
O forse no? Forse era sempre stato così… melodrammatico. Non aveva tempo per pensarci.
Laggiù avevano tutti bisogno di vederlo. E lui, lui stava morendo dalla voglia di passare un’ultima giornata in loro compagnia.
Si vestì in fretta e furia, una maglia verde scuro accompagna da jeans color cenere, e prima di andarsene afferrò la felpa della sua divisa, quella bella, con la cerniera, che aveva vissuto su di lui gli anni d’oro del calcio. La indossò, per proteggersi dalla frescura calata all’improvviso sui quartieri di Los Angeles. Poi uscì dalla camera. Sentiva la disperazione di vedere i suoi amici mischiarsi alla paura di perderli per sempre. Ma almeno si sentiva vivo. Come non mai. - Mamma, io esco. - non attese nemmeno risposta. Si chiuse la porta alle spalle e cominciò a correre verso il campo, respirando l’aria fredda e nebbiosa di quel pomeriggio senza sole.
 
 
Esther si era rifugiata in bagno. Si era sciacquata la faccia più volte, con frenesia, cercando di farsi passare la noia e lo smarrimento in cui era piombata da quando aveva saputo del trasloco imminente.
Era frustrata, perché si sentiva abbandonata come un libro negli irraggiungibili scaffali alti di una vecchia biblioteca.
Come poteva Mark gettare all’aria mesi di avventure insieme? Non parlava della loro storia. Parlava in generale, parlava dei giorni spesi con gli amici, spesi con Suzette e con lei.
Brutti o belli, come poteva pensare di eliminarli con tanta facilità? Era umano, e l’umano prova sentimenti.
Non riusciva a capacitarsene. Non era servito a niente essere sua amica, se ora lui pretendeva addirittura di cestinarla con tutta quella nonchalance. Come se non ci fosse stato niente tra loro.
Come se non valesse niente ai suoi occhi, ne come amica ne come persona.
Gli oggetti sigillati negli scatoloni erano diventati persino più importanti di lei… ed era orribile pensarlo, ma quella le sembrava la verità più ovvia. Surclassata dalle cose inanimate. Avrebbe dato tanto per essere uno di quegli ammeniccoli che si teneva imballato nelle scatole.
Su questo si stava lambiccando la sua povera testa, mentre si fissava allo specchio. Non aveva una bella cera, si sentiva in qualche modo tradita dal comportamento di lui.
Ma non poteva stare chiusa in bagno tutto il tempo, giusto?
Uscì, abbattuta.
E quasi senza volerlo si incrociò con Mark.
Mark.
Mark Kruger.
Era proprio lui, lo stesso che ieri aveva baciato. Si guardarono, il nero penetrò nel celeste di lui come una lama affilata.
Non sentiva più le mani dalla gioia. - Mark! - gli si buttò addosso, stringendolo con forza disumana.
Lo stritolò in una presa ferrea, annusando il suo odore da maschio mischiato a quello della pioggia, del vento fresco e dell’estate ormai al termine.
Non poteva crederci… era lì, era arrivato… finalmente…
- Mark… - gli prese il volto. Il biondo si lasciò afferrare. Sembrava quasi perplesso, e ancora ansimava per la corsa disperata che lo aveva coinvolto qualche attimo prima. Era umido e freddo. Fuori aveva cominciato a piovere. - Non puoi pretendere di andartene senza soffrire! Lo sai, questo? - lo guardò. La stava ascoltando, come un bambino. Cercava di darle ragione. - Sarà traumatico all’inizio, e i primi mesi soffrirai. Dovrai abituarti ad una nuova vita, con ritmi diversi… circondarti di persone differenti, più frenetiche, più fredde forse. Non so, i newyorkesi mi danno questa sensazione di distacco, boh. -
Mark le sorrise con dolcezza. Condividevano lo stesso stereotipo, anche lui la pensava come lei, e dentro di sé sentì il ghiaccio sciogliersi, eccitato dal calore della voce acuta e tremolante della ragazza.
- Cambierai anche i tuoi, di ritmi, per stare al passo con gli altri. E non sarà facile, specialmente per te, che hai un carattere del cazz… ehmn… troppo fragile. Ma puoi stare tranquillo che nessuno ti abbandonerà mai o ti dimenticherà come temi… tu vedi non farlo con noi. Tutti qui ti vogliono bene, Mark. -
Mark parve calmarsi, e anche gli ansimi svanirono. Sentiva freddo, ma in qualche modo quel breve discorso lo aveva rianimato. Visto con gli occhi di Esther, il trasloco non sembrava poi così male, e forse anche Marge aveva ragione, a prendere quel brusco cambio di vita con una nota di positività in più. Cosa poteva riserbargli il futuro, a New York? Quante persone avrebbe incontrato?
Si sarebbe abituato al clima freddo? Avrebbe cambiato accento, abitudini… o sarebbe rimasto lo stesso Mark di sempre?
Non ci voleva pensare.
La baciò con impeto, sbattendola contro il muro e afferrandole i polsi.
Esther lo lasciò fare, e affondò le mani tra le ciocche bionde di lui, cominciando a giocherellarci. Quelle adorate, benedettissime ciocche d’oro, seconde solo agli occhi...
gli occhi.
Gli occhi di Mark non li batteva davvero nessuno. Così chiari, così intensi… da affogarci dentro, letteralmente.
Sentiva che sarebbe voluta rimanere lì per sempre, a godere dell’amore e le attenzioni del ragazzo che tanto aveva sognato e che ora aveva, incredibile ma vero. Annusare il suo odore di maschio, saggiare la sua pelle morena con le dita.
Fece cadere le mani sul suo collo, coprendo la zona ancora violacea che qualche giorno prima Suzette aveva tenuto tra i denti.
Era accaduto tutto così in fretta, ma era tutto così bello e frenetico…
Si baciarono e carezzarono per tantissimo tempo, lasciati soli al loro mondo di “ti amo” mai detti e questioni lasciate in sospeso.
Quando si staccarono, Mark giurò che i muri si erano fatti più scuri. Ed Esther si era fatta più calda, più bella, più tutto.
- Mi piaci, Mark… -
Le sorrise, passandole una mano tra i ricci color prugna. Suonava così banale, dopo l’intenso bacio che si erano scambiati… eppure quell’ennesima dichiarazione gli gonfiò il petto di orgoglio.
E lei piaceva a lui, da sempre. Ma non glielo disse.
Aprì la cerniera della felpa, se la tolse e gliela posò sulle spalle. Esther non capiva, e arrossì quando l’odore di Mark le avvolse le narici. Perché se l’era tolta?
- E’ per te - disse lui, facendo qualche passo indietro per permetterle di indossarla.
La mora però gliela riconsegnò indietro. - Non posso accettarla. - voleva, ma non poteva, davvero.
- E perché? -
- Perché è la tua felpa, la felpa della Unicorno… è piena di bei ricordi… portatela, ti riparerà quando avrai freddo, e… -
Mark si rigirò la felpa tra le mani, gli occhi tristi nascosti dalla frangia sbarazzina.
Esther notò che il taglio era irregolare e selvaggio. I capelli gli erano cresciuti tantissimo, dalla prima volta che lo aveva visto.
Mark, era cresciuto tantissimo.
Il ragazzo rimase chino sull’indumento. Un ricordo importante lo aveva, ma di certo non riguardava il suo passato, o il FFI. Quell’indumento sapeva di lei, adesso. Di quel bacio appassionante appena avvenuto, di quello prima ancora e di tutto ciò che avevano passato insieme.
Ecco perché voleva che la tenesse. - Portati un po’ di me, quando tornerai ad Osaka. -
La mora glielo prese dalle mani e lo indossò, come se potesse mettersi addosso la sua essenza, come se potesse far entrare un po’ di Mark nella pelle.
Poi sospirò.
- Vorrei poter oppormi… - mormorò lui, sfregandosi gli occhi. Era stanco, non ne poteva più di quella situazione. E si vedeva.
- Scrivimi. - propose lei, prendendogli le mani. - Sarà come avermi sempre appresso! Potremmo mandarci delle e-mail… in cui potrai raccontarmi tutto quello che vuoi, e viceversa! Non sono mai stata a New York, pretendo una descrizione dettagliata della città, appena arrivi. Sarà davvero a forma di mela? -
- Chissà. -
- Ehi, puppies! Per quanto tempo avete intenzione di stare a bloccare l’ingresso del bagno? Qualcuno qui deve pisciare. Vorrei farvela addosso, così la prossima volta imparate. -
Mark riconobbe la voce scherzosa. Dylan. Appena arrivato alla sede si era fatto dire dove si trovava Esther ed era corsa da lei, lasciando tutti ad occhi sgranati.
Per un momento si era quasi dimenticato di loro, ma non del suo migliore amico. Gli venne incontro e si diedero un sonoro cinque.
Poi Dylan lo attirò a se e lo abbracciò fortissimo. Mark sentì di soffocare in quella morsa, e rincarò con più forza ancora. Chissà se un giorno si sarebbero spaccati la schiena, a forza di premere?
- Esther, spero tu non sia gelosa se faccio un po’ il gay con Mark. -
Rise. Il solito coglione, e dio, quanto gli sarebbe mancato.
- Non ti preoccupare, me lo limono un po’, poi te lo restituisco. -
Esther sollevò le mani e se ne andò, stretta stretta nella felpa di Mark. Sapeva di doverli lasciare soli. Dylan per lui era un vero e proprio fratello, non più l’amico stupido su cui contare nei momenti di bisogno, e meritavano della privacy.
Sapeva che il suo ragazzo sarebbe passato a darle un altro bacio, poi, prima di andarsene per sempre.
- Allora, bro? Il giorno è arrivato. -
- Anche troppo in fretta. -
- Non fare la checca senza pisello. -
Mark lo squadrò divertito. Prima il bacio di Esther, ora il sarcasmo di Dylan… il cuore gli si stava aggiustando, si sentiva stranamente bene. - Qui l’unico senza pisello sei tu. -
- Pensi che lo abbia piccolo? -
- Io di certo ce l’ho più grande del tuo. -
- Me lo farò dire da Esther, quando scoperete. -
Uno spintone fin troppo brusco, risate, poi un altro ancora. Lo avrebbe più trovato un amico del genere? No, Dylan era Dylan. Insostituibile, nei suoi difetti e nei suoi pregi.
Nel suo essere perfetto e al contempo insopportabile, nel suo essere un amico sincero, vero, protettivo e leale. - Grazie per tutti questi anni di amicizia, Dylan. -
- Ora comincia con i suoi sproloqui da uomo serio… god, you’re so booooring. -
- Cerchi di sdrammatizzare? -
Dylan sorrise, e Mark notò in quella piega carnosa una nota di malinconia, tristezza. La consapevolezza che non si sarebbero più visti, almeno per tutti gli anni del liceo; la stessa che aveva lui, ancora dura da accettare…
- Mi mancherai, MarKruga. E sono serio questa volta. -
- Anche tu, Keihlan. -
Si abbracciarono di nuovo, con più delicatezza. E rimasero così a lungo, pregustandosi il momento. - Va a salutare gli altri, sono incazzati con te, e sai che quando si arrabbiano sono capaci di bombardarti l’aereo solamente perché oggi li hai appena cagati di striscio. -
Mark non se lo fece ripetere due volte; scese le scale, e il fermento che lo accolse lo rese felice. Tutti lì, tutti contenti di vederlo. Non si era mai sentito tanto importante in vita sua.
- So, Mark? Che ti credevi, di poter sparire senza prima salutarci? Devi essere un po’ pazzo te, eh. - Le braccia di Michael arrivarono ad avvilupparlo come fa un polpo con la preda, e subito dopo quelle di Bobby, snelle e paterne. - Mi prenderò cura della Unicorno, mentre sarai via, sta sicuro che sbaraglieremo tutti al torneo. Spero tu sappia di essere unico ed insostituibile, Mark. Capitano, anzi. -
- Un giorno mi spiegherai perché non hai voluto me come tuo legittimo successore. - sbottò Dylan, incrociando le braccia al petto.
- Non sei abbastanza responsabile… - rispose Mark, sollevando il mento con fare superiore. - e poi, sei troppo basso. -
- Ammettilo che non mi hai scelto per dare un senso alla vita di Bobby, su. E’ così ovvio. -
Shearer lo freddò con un’occhiata. Pareva arrabbiato, ma si riprese subito, rimanendo al gioco. - Dylan, non credevo che i tuoi complessi di inferiorità fossero tanto gravi da scaricare la frustrazione sugli altri. -
- BOOOOOOOM! Sentilo un po’?! Bobby è in grado di scherzare? Oh my god! - il ragazzo con gli occhiali si gettò sul divano, sbuffando per una stanchezza che in realtà non sentiva. Ora sì che aveva visto tutto; poteva morire felice.
Dopo i ragazzi furono le ragazze a porgere i loro saluti. Daisy, Hellen e Dell si esibirono in un profondo inchino, come le ballerine davanti alla platea, dopo un meraviglioso saggio di danza. - Grazie Capitano! -
- Sei stato il primo a non vederci come delle pazze. -
- Ti sei sempre preso cura di noi, assecondando le nostre scelte. -
- E hai la mamma più bella del mondo. -
Mark prese nota di ciò che Dell aveva appena detto. A sua madre avrebbe fatto piacere sentirsi dire quelle parole, e sapeva persino lui che, dietro il sorriso smagliante e lo sguardo sicuro, soffriva molto il fatto di dover abbandonare Los Angeles. Magari un commento del genere avrebbe potuto risollevarle l’animo, chissà? Ma non gli andava di pensare alla sua famiglia ora. - Glielo riferirò. -
- Mark, hai un orario preciso da rispettare o…? -
- No ragazzi. - si riscosse. Quelle erano le sue ultime ore con gli amici di una vita. Aveva intenzione di godersele. - Facciamo qualcosa? -
- Io un’idea ce l’avrei… -
Tutti puntarono lo sguardo su Dylan. Il suo sorriso tradiva una certa emozione, e gli occhi brillavano fulgidi sotto le spesse lenti blu.
Doveva avere in testa qualcosa di davvero grosso.
 
  
 
- Yuuh uhh! -
Il biondo salì sulla schiena di Keith e puntò un pugno al cielo, urlando con energia, forza. Come a voler spaccare la fitta coltre di nubi che era calata sul campetto, inglobandolo in una cappa bianca e densa.
Tuonava e pioveva allo stesso tempo, forte, la solita tormenta estiva che tutti detestavano, ma loro erano usciti di fuori lo stesso.
In costume.
A fare il bagno sotto il torrente gelido sprigionato dalle nuvole, così liberi e vogliosi di vivere.
Acqua, acqua ovunque. Risate.
Sopra Dylan, Mark sembrava vedere il mondo con più chiarezza. Si sentiva bene, si sentiva volare, e avrebbe voluto rimanere sotto quella pioggia benefica per tutta la vita.
A purificarsi.
Da lassù poteva osservare tutto e tutti, senza paura.
Bobby con la pompa dell’acqua, a bagnare Michael. Dell nascosta dietro lui, libera del cappello che era solita portare, Esther, Daisy ed Hellen che si inseguivano, gridando come pazze nel sentire quanto gelide fossero le gocce di pioggia, nonostante il clima estivo.
Suzette che fissava il cielo con aria trasognata, le mani unite a formare una piccola coppa scura. Forse pensava ad Erik, o forse a lui. Chi lo poteva sapere? Forse neanche lei ne era del tutto a conoscenza. Si guardarono, e da quell’altezza le sorrise. Un sorriso sincero, leale. Quello di un amico. Doveva ringraziare anche lei, del resto. Nonostante tutto il male che gli aveva recato, aveva reso la sua estate ricca di passione, bellezza.
Da ricordare, in poche parole.
Lei ricambiò, e fu come se tutto scemasse, tra loro, estinguendosi sotto la potenza del perdono.  
- Mi spezzi la schiena Kruger! -
La voce di Dylan lo raggiunse appena, senza riuscire ad oltrepassare la barriera che il migliore amico si era creato tutt’intorno.
Era tutto così bello…
Quella pioggia che gli percorreva il corpo, la canzone allo stereo, Young and beautiful
 
Will you still love me when I'm no longer young and beautiful 
Will you still love me when I got nothing but my aching soul 
I know you will, I know you will 
I know that you will 
Will you still love me when I'm no longer beautiful

 
Esther lo guardava da lontano, orgogliosa. Mark teneva gli occhi chiusi, le braccia sollevate e i muscoli tesi, mentre Dylan camminava piano ridacchiando. I capelli gli si erano riversati sul volto, grondanti d’acqua, ed emanava un’energia pazzesca da lassù. Prendeva quella pioggia come se fosse una benedizione di dio, consapevole che sarebbe stato l’ultimo giorno lì a Los Angeles.
Non si stava beando solo dell’amicizia dei compagni, ma anche di tutto ciò che lo circondava.
Cercava di riempirsi di ogni cosa un’ultima volta, prima di andare via.
- Esther! -
Si riscosse dai suoi pensieri, e vide Mark guardarla con amore infinito, tanto da farle venire i brividi lungo la schiena nuda. Sorrideva, e i suoi occhi turchesi parlavano più di mille risate; era contento, soddisfatto di essere lì.
Soddisfatto di poterla guardare con tanto affetto, di essere sulle spalle del suo migliore amico, circondato dagli amici di una vita intera.
E loro? Sì, Mark e lei. Loro due ora che cosa erano diventati?
Stavano insieme? O si erano limitati a rimanere amici?
Non lo sapeva.
Ma di una cosa era certa.
Gli sarebbe mancato da morire.
E lo avrebbe per sempre custodito nel suo cuore, per proteggerlo, e proteggere anche quel loro piccolo, furtivo amore destinato a finire lì.
Proprio su quel campetto, sotto quella pioggia.
“Ti terrò con me per sempre, Mark.”
 
“Always, Esther.”

 
The end.



 

Nda
ee con questo ultimo capitolo vi annuncio che la storia è terminata!
Non sapete quanto sono contenta di poter mettere un punto a questa grande avventura che è stata DM per me.
4 anni a scrivere sul mio caro Mark, prima in modo banale, poi sempre più approfondito. In questi 4 anni non sono maturati solo i personaggi all'interno della long; anche io ho subito i miei cambiamenti, dalla piccola 13enne che ero alla 17enne che sono ora.
Non posso credere che finalmente sia arrivato l'epilogo di tutto.
Mark e Esther sono stati una mia creazione che ai tempi d'oro ha avuto molto successo **; non so se li riporterò in pista, ma spero davvero di poter scrivere altro su di loro.
In ogni caso, anche se non è rimasto quasi nessuno a leggersi questa long - causa rallentamenti, lo so, my fault dunque. - volevo ringraziare tutti coloro che l'hanno recensita, seguita, supportata e anche tutti i lettori silenziosi.
Grazie di cuore a tutti!
Non so che altro dire, sono troppo soddisfatta di me.
E questo capitolo è venuto molto bene, come quello prima. Sono i miei preferiti **
ora vado, ho il pomeriggio impegnato.

MIlle grazie a tutti, davvero.
Bacionissimi

 
Lila May.

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