100 Anime

di lyy223
(/viewuser.php?uid=150395)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 103..102..101 ***
Capitolo 2: *** L'anima in comune. ***
Capitolo 3: *** Il Rituale ***
Capitolo 4: *** 100 ***
Capitolo 5: *** 99..98 ***
Capitolo 6: *** Wraith. ***
Capitolo 7: *** Ameša ***
Capitolo 8: *** La partenza ***
Capitolo 9: *** L'inseguimento. ***
Capitolo 10: *** Gli occhi sono lo specchio dell'anima. ***
Capitolo 11: *** Amore insano. ***



Capitolo 1
*** 103..102..101 ***


103..102..101.. quante anime ancora mancavano per essere libero?
Nome dopo nome, la lista andava esaurendosi. Poche anime ancora e sarei stato libero. Mi sarei liberato di quel patto fatto più di un secolo fa. Per amore si è capaci di far tutto. Anche di vendere il proprio futuro, la propria vita e metterla al servizio di un essere crudele e meschino. Non avrei mai pensato di essermi cacciato in una cosa più grande di me. L'amore è cieco, sì è vero, e ti offusca la mente. Ti fa fare cose che non faresti mai.
Il ricordo di lei ritornava sempre più doloroso ogni qualvolta strappassi un'anima. Nella mia mente si faceva sempre più vivido l'immagine del suo viso dai tratti delicati e dallo sguardo triste per cio' che stavo facendo. Sapevo che se lei fosse stata in vita, non avrebbe accettato ciò che facevo. Avrebbe sicuramente trovato un modo per farmi uscire fuori da quella situazione.. Anche io ci avevo provato più e più volte.. Purtroppo però a quanto pare, no c'è via di scampo.
Mentre cancellavo i nomi delle ultime anime di cui mi ero impadronito, mi resi conto che mancavano solo 100 anime.
-Finalmente! Finalmente..- ripetevo ed esclamavo a bassa voce, tra me e me.
100. Quel numero mi dava sollievo. Significava che mi stavo avvicinando allo 0.
Mi misi in cammino per raggiungere casa. Ore ed ore di cammino. Non possedevo una macchina, era l'unico modo per sfuggire ai controlli. Per lo Stato, io ero morto nel 1878 in un incendio.

Mi stavo avvicinando ad Atlanta. Mentre passeggiavo sul marciapiede, osservavo la luce fioca delle stelle. Quei piccoli puntini quasi sparivano a causa dei lampioni. Le macchine sfrecciavano lungo la strada. Chissà dove erano dirette.
Mi fermai ad un incrocio, il semaforo era rosso. Anche se non ero umano, non avevo intenzione di rischiare. Non volevo fingere di essermi fatto male nel caso in cui qualcuno non mi avesse visto mente attraversavo la strada. In realtà non ero bravo a mentire. Non volevo far scoprire agli altri quale fosse davvero la mia natura. Ai loro occhi potevo anche apparire come un bel ragazzo, alto ed affascinante. Ma di certo non ero solo questo. Se solo le persone che mi scrutano con i loro occhi curiosi, sapessero quello che davvero sono e quello che davvero faccio, distoglierebbero subito lo sguardo e mi eviterebbero invece di fissarmi e di cadermi ai piedi.
Si fermò di fianco a me una ragazza, evidentemente scossa. Il dolore e la rabbia scorrevano nelle sue vene. Cercai di tranquillizzarla per quei pochi secondi in cui era di fianco a me. L'unico pregio di essere come me era proprio questo. Potevo rendere le persone felici.. e potevo anche, a mio piacimento, farle terrorizzare al punto tale da essere paralizzate.
La mia natura, sotto alcuni aspetti, poteva per molt apparire come un dono. Per me era solo un peso che mi opprimeva ogni istante il torace.

Dopo un bel po' di cammino, iniziai ad intravedere finalmente la mia casa. L'unico posto in cui i sensi di colpa mi abbandonavano. Restavano fuori dalla porta. Adoravo quella casa antica. Per me era una sorta di locus amoenus, un luogo in cui i sensi e le emozioni non sono più in conflitto. In cui per un po' posso far finta di essere una persona normale, come tante altre.

Aprii il vecchio cancelletto che cigolò. Mentre procedevo lento sul vialetto di ghiaia, improvvisamente si accese una luce dietro la grande vetrata di sinistra.
La luce delicata della luna illuminava il porticato e le scale di legno rovinato.
La porta era aperta. Entrai.
Mi tolsi il giubbotto, lo posai sull'attaccapanni di fianco alla porta.
- Perchè mi hai aspettata sveglia? Lo sai, non voglio che tu resti alzata fino a tardi, hai una certa età..-
Entrai nel salone. Era Seduta su una poltrona di stoffa rosa, stava facendo un maglione, mi dava le spalle.
-Avrai tu una certa età! Io sono ancora giovane, per gli anni che ho, me li porto bene, no?-. Mentre pronunciava questa frase, posò i ferri e la lana su un vecchio tavolino.
Mi guardava con il suo sguardo dolce ed affettuoso. Mi accarezzò la guancia, così come fa una madre con il proprio figlio.
Sorrisi.
Ctonie era l'unica persona che davvero riusciva a capirmi. Forse perchè anche lei ci era passata. Ma non era riuscita a liberarsi del tutto di quel peso.
Le mancava solo un'anima. Una sola.
Aveva deciso però di non prendere quell'ultima anima perchè apparteneva ad un neonato. Ad un neonato che aveva rapito il suo cuore con il suo sguardo dolce ed innocente. E quel neonato che l'aveva condannata, ero proprio io. Nel corso degli anni è sempre stata il mio angelo custode, anche se di angelo nella sua natura aveva ben poco.
Il suo sforzo pero' è stato inutile. Con il mio patto, Ho condannato sia me stesso che lei. E questa cosa non potrò mai perdonarmela. Forse era meglio se mi avesse privato dell'anima, almeno lei sarebbe stata libera.
-Vai vicino al camino, riscaldati. Vado a preparare il tè-.
Mi sedetti vicino al fuoco acceso. Era quella la luce che si intravedeva dall'esterno e illuminava tutto l'interno del grande salone.
Mi rilassai nel morbido divano, lasciai riposare i muscoli.
L'unico suono che si sentiva era lo scoppiettio leggero della legna.

Nota dell'autrice:
Questa è la prima storia della serie Wraith. Inizialmente avevo scritto solo una storia ma mi sono così affezionata ai personaggi, che ho voluto continuare a scrivere. Spero davvero che vi affezionate anche voi ai personaggi così come è successo a me. E spero soprattutto che vi piaccia quello che scrivo..Non sono molto brava, ma almeno ci provo!
A tutti voi,Buona Lettura!
Un bacio, lyy223!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'anima in comune. ***


"Ti amo!" mi diceva con quella sua bocca carnosa da baciare.
"Qualunque cosa succederà, promettimi che resterò per sempre nel tuo cuore" mi diceva con quella sua voce dolce.
E dopo quelle parole, lei si ammalò. Feci di tutto per salvarla. Di tutto. Ho calpestato la mia dignità per amore. Ma è stato tutto inutile.
Quei ricordi ormai non mi abbandonavano più. Facevano parte di me.

-Vuoi un po' di tè caldo per alleviare quel dolore che ti affligge Dev?-
Ctonie sapeva come prendermi. Adoravo i suoi modi di fare dolci e gentili. Era più di un secolo che vivevo con lei ed è sempre stata una seconda mamma per me.
Mi raccontava ogni sera davanti al camino in inverno o sotto le stelle in estate gli aneddoti della sua vita. Dal periodo in cui viveva in Grecia, fino al momento in cui s trasferì in

America e intraprese questa "nuova avventura".
-Dev! Allora? Vuoi un po' di tè?- mi sfiorò e mi sorrise per attirare la mia attenizione.
-Dai.. ne berrò un po'...-
-Dev, più tardi puoi farmi un po' di compagnia? Vorrei fare un paio di compere..-
-Certo con piacere-.
"Almeno faremo qualcosa di diverso" Pensai.
-E' tardi, sta quasi per giungere l'aurora, vai a dormire.. ti sveglio io- mi baciò la guancia, mi alzai. Mi abbracciò. Quel suo abbracciò era pieno di calore ed affetto.
-καληνύχτα και όνειρα γλυκά (buonanotte e sogni d'oro)-.
A me dormire non serviva a nulla, tanto non mi stancavo mai. Andavo a dormire giusto per ingannare il tempo. Andai a letto. Mi addormentai dopo un bel po'.

Ctonie Mi svegliò dopo mezzogiorno.
-καλημέρα! (buongiorno!)-
Dopo essermi preparato, decisi di scendere giù nell'ingresso. Vidi quella bella signora, con il suo cappotto più caldo, che mi aspettava con un il suo solito sorriso.
- Allora sei pronto per andare a fare compere?-
-Va bene. Andiamo-.

-Adesso tutte le signore mi invidieranno- mi disse mentre uscivamo dal vialetto.
Io mi girai confuso. -Perchè dici così?-
-Beh, le altre signore di certo non saranno in compagnia di un bel ragazzo come te, Dev-.
La fissai in malo modo. Sapeva che odiavo quelle battutine riguardo il mio bell'aspetto. Adorava stuzzicarmi.

Andammo al mercato che si teneva al centro della città. C'era tanta, tantissima gente. Chi era lì solo per fare due chiacchiere, chi invece andava in giro con le mani occupate da tante buste stracolme di verdura.
Ma tra tutte quelle persone sconosiute, riconobbi tre facce a me familiari. Feci però finta di nulla, continuando con gli acquisti.
Ctonie prima mi fissò. Poi si aggrappò al mio braccio. Quelle tre figure che si differenziavano dagli altri per la loro aurea malvagia, ci seguivano. Chiunque, anche il più stupido degli esseri umani, non si sarebbe fidato di quei tre esseri vestiti di nero.
Era preoccupata. Lo sentivo.

Dopo un po' di cammino, Ci fermammo per comprare un po' di verdura. Dopo aver deciso cosa prendere, Ctonie si allontanò da me per pagare. Qualcuno mi sfiorò il braccio.
-Dopo tutto questo tempo, non perdi affatto tono. Ho sempre adorato le tue braccia muscolose. Come va con la tua lista, Dev?-
Disse Jessie. Una ragazza tanto bella quanto perfida e malvagia, con dei capelli lunghi rossi e ondulati che le arrivavano fin sopra al sedere, con una voce angelica che

nascondeva una natura demoniaca, aveva due occhi grigi e ammaliatori.
Di fianco a lei c'erano i suoi soliti cagnolini da compagnia. I due odiosi gemelli. Biondi, occhi azzurri, egoisti e presuntuosi. Come sempre silenziosi perchè dovevano sottostare

a ciò che ordinava la loro padrona..
"Zerbini"..
- Bene-. Le risposi in modo freddo, come era mio solito risponderle.
-Sfigato, sappiamo tutti che sei come la tua cara amica greca! Non hai le palle, come lei! Non sarai capace di completare la tua lista-. Disse uno dei cagnolini. Avevo così tanta considerazione nei loro confronti che non ricordavo neanche i nomi.
-Non ti permetto di offenderla! Non sei neanche degno di parlare di lei!-. Mi avvicinai in modo minaccioso a lui. Se Jessie non mi avesse tirato per un braccio, gli avrei dato una lezione lì, davanti a tutti.
- E perchè? tu lo sei? Tu sei uguale a noi.. Se noi siamo perfidi, lo sei anche tu. Se noi siamo malvagi, lo sei anche tu. Siamo fatti della stessa pasta, ricordalo. Abbiamo venduto tutto a lui, al Signore Supremo. Non crederti migliore di noi. Amico-.
Quelle parole mi trafissero come cento coltelli affilatissimi. Il peso al petto diventò sempre più opprimente.
Ctonie ci fissava a pochi metri di distanza.
Sul suo volto dolce comparve un sorriso. Sembrava fiera di aver salvato quell'ultima anima.
-Visto? Sono riuscito a zittirti. Non trovi un risposta perchè sei consapevole della tua natura. Non puoi rinnegarla. Hai fatto la tua scelta-.
-Buongiorno! Da quanto tempo! Era da un bel po' che non vi vedevo. Come stanno andando le vostre vite misere, ragazzi?- chiese Ctonie.
Loro non le risposero. Avevano timore di lei. Ma io non riuscivo a capirne il motivo.
-Sai, io e te Dev abbiamo un'anima in comune. Vedremo un po' chi sarà colui che dovrà essere condannato a vita! E quella di certo non sarò io, promesso!- disse Jessie prima di girare i tacchi ed andarsene, seguita quei due. Scomparvero dopo poco tra la gente.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Il Rituale ***


"Sai, io e te Dev abbiamo un'anima in comune.."
Quella frase risuonava nella mia testa come se ci fosse l'eco. Quale nome avevamo in comune? Fissavo quella lista senza avere risposta. Tanti nomi, tutti uguali ai miei occhi, e nessuno di questi che attirasse la mia attenzione: Andy, Betty, Ben, Lucy.. tutti nomi comuni che a me non dicevano assolutamente nulla. Quale tra questi mi avrebbe assicurato la salvezza?
-Non pensarci-. mi ripeteva Ctonie, visibilmente preoccupata per il mio malumore che si era accentuato con quella brutta notizia. Pensare di non potermi più liberare di quella natura mi avrebbe portato alla rovina. Avrebbe portato alla rovina l'intera umanità. Ctonie sa benissimo infatti che quando sono triste, arrabbiato e deluso oltre ogni musira immaginabile, sono capace di far tutto, anche di strappare l'anima ad ogni essere innocente che io incontri sulla mia strada. Posso essere un tipo tranquillo a cui affidare i proprio figli, ma posso anche Diventare l'incubo peggiore di una persona.
"Bello e Dannato", così diceva una giornalista in tv mentre intervistava il solito attore di turno. Ogni volta che sentivo quella frase, sul mio volto compariva un sorriso. Magari gli altri sapessero cosa fosse la dannazione. Magari sapessero cosa si prova a sottostare ad una forza talmente potente, il male, da cui nessuno può scappare. Anche se girano voci che un tizio abbia trovato una soluzione per divincolarsi dal patto di sangue, anima e corpo a cui tutti della mia specie siamo stati sottoposti.
Ricordo ancora il rituale a cui abbiamo preso parte. Una stanza triangolare, al centro della quale vi era un fuoco nero da cui di tanto in tanto comparivano delle lingue rosse. Quel fuoco non era caldo, bensì freddo. Non illuminava, anzi portava il buio. L'unica luce che illuminava la stanza quella sera era quella della luna che entrava dalle grandi vetrate che davano sulla piccola cittadina dell'Alabama, ignara di ciò che stava accadendo. La maggior parte della luce veniva risucchiata dal quel fuoco che era come un buco nero, da cui nulla poteva uscire. Quel po' di luce che riusciva a contrastare la forza di quel fuoco, si rifletteva sui mantelli di seta lucente rossa dei Signori. Era come se incredibilmente ai nostri occhi in quella suggestiva e spaventosa atmosfera, loro fossero con quei mantelli lucenti, l'unica via per la salvezza. Reclutavano soprattutto ragazzi disperati, ed io ero davvero disperato. Ero solo al mondo. Avevo perso la ragione della mia vita, ero orfano e Pensavo che Ctonie fosse sparita.
Quando pensavo al rituale, la ferita sul mio polso sinistro tornava a far male. Il mio sangue che poco a poco viene risucchiato così come la luce da quel fuoco freddo. Goccia a goccia. Lento. Mentre io pativo le cosiddette "Pene dell'inferno". Spasmi per tutto il corpo. Un dolore allucinante che partiva dal polso e si propagava in tutto il corpo. Il cuore che si ferma. *tum tum. Gli ultimi battiti. La vita umana che volgeva al termine. La vita da mostro aveva inizio.
-Basta, ti prego.. Non posso vederti così...- Ctonie continuava a fissarmi. Lei con me non aveva bisogno di usare i suoi poteri. Le bastava guardarmi negli occhi, le bastava un piccolo mutamento nel mio sguardo per capire cosa stessi pensando.
-Di cosa hai paura? Sei il migliore, ti salverai-. Mi prese il viso tra le mani morbide e rugose.- Ne sono sicura caro!-.
-E se decisessi di trovarla? e se torvassi per primo quell'anima in comune?-.
-No, devi seguire la sequenza dei numeri. Lo sai, non puoi fare lo strappo alla regola. Se lo farai, dovrai iniziare tutto daccapo.. e non credo che tu ne abbia molta voglia-.
Aveva ragione. Dovevo seguire la lista. Non potevo saltare nemmeno un nome. Nemmeno un fottutissimo nome. "Maledette regole!".

Dopo un paio di ore, Salì in camera mia a prepararmi.
Dovevo iniziare il mio crudele "lavoro".
i nomi dei numeri 100, 99 e 98 diventarono rossi. Significava che in qualche modo erano collgati. Nella mia mente iniziarono ad accavallarsi le informazioni per raggiungere il luogo in cui si sarebbero trovate quelle persone da lì a qualche ora. Ero come un computer che prevedeva il futuro.
Quelle persone sarebbero andate in una discoteca. Jeans neri aderenti, Camicia bianca e giacca. Non mi appliccai molto a scegliere i vestiti, presi i primi abiti che mi sembravano un po' più eleganti, di certo non sarei andato lì per fare conquiste.
-Che eleganza! Che portamento! Che sedere! Complimenti, era da un bel po' che non ti vedevo così in tiro!- la fulminai.
Ctonie incredibilmente riusciva a sdrammatizzare qualunque situazione sgradevole. Mentre diceva quella frase, riusciva con difficoltà a trattenere le risate. Le piaceva stuzzicarmi. Le piaceva vedermi arrabbiato, perchè sapeva che in fondo lei poteva dirmi tutto. Sapeva che le volevo così bene da perdonarle qualunque battutina.
Dopo averle ripetuto di non asoettarmi sveglia, la salutai con un bacio sulla guancia.
Lentamente Mi avviai verso il locale che si trovava al centro di Atlanta. Speravo solamente che quelle persone non avrebbero fatto tante storie nel darmi cio' che volevo.


Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 100 ***


Già in lontananza sentivo la musica House ad altissimo volume. Era il giorno del ringraziamento e c'era una fila lunghissima. Ragazzi eleganti e ragazze con dei mini vestiti molto provocanti aspettavano di entrare in discoteca per scatenarsi. Mi voltai verso una macchina parcheggiata al bordo della strada. Vidi il mio riflesso nel finestrino. Notai subito che i miei occhi erano diventati rossi. E quando i miei occhi diventavano rossi i miei poteri aumentavano di forza. Dovevo stare attento, in quel luogo c'era ancora molta luce e qualcuno poteva notare quel brutto particolare. E se qualcuno li avesse notati, tutti i miei piani sarebbero saltati.
Non feci la fila. Non mi serviva, era facile influenzare i bestioni della security. Mi avvicinai al bodyguard che stava fermo davanti all'entrata.
-Ciao amico, posso entrare?-. Non lo conoscevo affatto. Misi in atto le mie abilità. Entrai nella sua mente. Gli feci credere di essere mio amico. Improvvisamente quel bestione che aveva più o meno la mia stazza, mi sorrire. Ero riuscito nel mio intento. Adoravo entrare nelle menti altrui, era semplice, un gioco da ragazzi.
-Certo Dev, puoi entrare! Sei sempre il benvenuto qui! Mi raccomando, non fare troppe conquiste! Lascia le ragazze anche agli altri!-. Si spostò per farmi entrare. Mentre gli passavo accanto, Mi diede una fortissima pacca sulla spalla. Se fossi stato umano, probabilmente con quella pacca sulla spalla sarei finito contro il muro di fronte a me, rompendomi il naso. Alcune volte mi meraviglio della forza degli umani, alcuni di loro sono davvero forti. Ma di certo non forti quanto me.

Finalmente entrai. Il luogo era poco illuminato. C'era tanta gente, troppa gente. Era difficile camminare. Iniziai a guardami intorno. Nella mia mente comparvero i volti delle
persone che cercavo. Erano tre ragazze. "Bene perfetto, sarà facile attrarle nella mia trappola!". Probabilmente sul mio volto era comparso un ghigno soddisfatto. Mi divertivo ad adescare le ragazze, non potevano resistere ad un bel ragazzo come me. Non potevano resistere ad un uomo alto e muscoloso, capelli neri e mossi, occhi grigi, volto angelico ma mento pronunciato. Ero anche vestito decentemenre quella sera. E se anche Ctonie mi aveva fatto i complimenti, significava che quella sera davvero ero un schianto.
Iniziai ad ascoltare i pensieri delle persone nel locale. Tante chiacchiere. Troppi pensieri sprecati. Tanti pensieri cattivi. Alcune volte ascoltando i pensieri degli esseri umani sembrava quasi che i demoni fossero loro.
"Jamie, stasera è mia, sono sicuro che me la farò!". Quel pensiero aveva attirato la mia attenzione. Una delle ragazze che cercavo si chiamava proprio Jamie. Speravo davvero che quella fosse la ragazza che cercavo. Non avevo voglia di cercare all'infinito quelle ragazze e perdere così troppo tempo. Il pensiero Proveniva dai salottini del primo piano.
Iniziai a salire le scale. Mi ritrovai una decina di divanetti davanti a me, fortunatamente quasi tutti vuoti perchè la maggior parte erano a ballare. Riconobbi la ragazza che
cervavo.
Una bellissima ragazza. Magra, con un vestito bianco corto, capelli lunghi nero corvino. Parlava con un ragazzo. Probabilmente era  suo il pensiero che avevo sentito.
"Che noia, ma che vuole questo tizio da me? Non capisce che deve starmi lontano?". La ragazza a quanto pare non era molto contenta delle attenzioni del ragazzo con cui stava parlando. Lui le mise una mano sulla gamba che piano piano saliva sempre più su. Lei subito dopo essersi resa conto di ciò che stava per fare il suo amico, si alzò di scatto e si avvicinò alla ringhiera che dava sulla pista da ballo, dandogli le spalle. Lui rimase seduto, perplesso.
"Non c'è nessuno di interessante stasera, tutti cessi! Che sfortuna che ho!".
Era arrivato il mio momento. Mi avvicinai a lei, con indifferenza. La guardavo con la coda dell'occhio per vedere la sua reazione. Si voltò nella mia direzione, forse sentendosi osservata.
"che bel tipo, forse l'unico che si salva. Ma mi sta guardando? No, è solo una mia impressione. Si sta avvicinando a me? Speriamo di sì!". Sentivo i battiti del cuore della
ragazza accellerare. Facevo sempre questo effetto alle ragazze. All'inizio ne ero soddisfatto, ma adesso mi serve solo per capire se posso agire.
- Ehi come va? Ti vedo un po' confusa, ti senti bene? Hai bisogno di aiuto?-. Le chiesi fingendomi preoccupato.
-No, sto bene grazie. Perchè mi chiedi se sto bene?-.
-Sei rossa come un peperone. Sicura di sentirti bene?-.
Lei distolse subito lo sguardo, fissava le sue mani. Mi appoggiai anche io alla ringhiera. Sentivo che qualcuno si stava avvicinando a noi.
-Jamie, ti sta importunando? Se vuoi gliela faccio pagare!- disse il ragazzo "che voleva farsela".
-Sto benissimo grazie. Lui di certo mi sta trattando meglio di te..- disse lei in modo diretto, fulminandolo con lo sguardo.
"Se solo sapessi cara Jamie, che lui è l'unica tua salvezza,gli presteresti più attenzione" pensai io. Iniziai a sorridere sotto i baffi.
-Vieni con me?- disse il ragazzo.
-No resto qui, vai da qualche altra ragazza. Forse qualche ragazza disperata te la darà!-. Dopo queste parole, lui girò i tacchi senza proferire parola.
"Che z******! Prima la regala a tutti e per rimediare dice di no a me. Tutte io le trovo.." pensò il ragazzo amareggiato.

Ci sedemmo sui divanetti alle nostre spalle. Iniziammo a parlare del più e del meno. Le chiesi quanti anni aveva, quale scuola frequentava, con chi era venuta. Informazioni per me superflue, ma che servivano per portare avanti la conversazione. Sembrava una brava ragazza, non riuscivo a capire perchè avesse pensato quelle cose.
E alla domanda - Sei fidanzata?-, lei rispose- No, non sono fidanzata..-.
Dopo questa domanda ci fu un minuto di silenzio. Lei mi guardava con sguardo malizioso. Iniziò ad accarezzarmi le mani. Dopo poco Iniziò a baciarmi sul collo. Adesso capivo perchè il ragazzo avesse pensato quelle cose. La ragazza era molto intrapendente. Subito Mi infilò la lungua in bocca. Pomiciammo per un po'.
-Devo andare in bagno, mi accompagni?- mi disse con voce sensuale.
Io feci sì con la testa.
Lei mi prese la mano, andammo al piano terra. Prima di entrare in bagno, passammo davanti un gruppo di ragazze che lei salutò con un cenno della mano veloce, dopo poco mi accorsi che quelle galline iniziarono a ridacchiare. Ero l'unico tra i due che aveva sentito quelle risatine, con la musica alta era impossibile agli umani sentire suoni così bassi.

-Resta qui, vedo se c'è qualcuno-. Aspettai fuori dal bagno delle donne mentre lei controllava nei bagni. Dopo poco si affacciò dalla porta.
- Dai fai presto, non c'è nessuno-.
Entrai. Lei chiuse a chiave la porta. Si mise a sedere su di un muretto vicino alla porta d'entrata del bagno. Mi tirò verso di lei.
-Allora, maschione.. Sono curiosa davvero di vedere cosa sei capace di fare-. Ci iniziammo a baciare. Poi passò di nuovo al collo.
Era arrivato il momento.
Presi dalla tasca, facendo attenzione affinchè non se ne accorgesse, un piccolo coltello con la punta di cristallo. Quel coltello mi era stato dato dopo il rituale di inizziazione. Con la mano libera le alzai il mento. Eravamo occhi negli occhi. Iniziai a fissarla intensamente.
-Ma perchè hai gli occhi ros..-.
Non ebbe neanche il tempo di finire la frase che già mi ero impadronito della sua mente. Lei era immobil. Le presi la mano sinistra. Iniziai ad incidere il simbolo sul polso. Due triangoli uno all'interno  dell'altro così che creassero una stella. All'interno di questa stella a cinque punte disegnai una saetta che andava verso il basso. La saetta era il punto focale del simbolo perchè raffigurava il Signore. Iniziò ad uscire inizialmente del sangue rosso, la ragazza era ancora sotto il mio controllo.
- Orietur in tenebris lux tua (Nascerà in mezzo all'oscurità la tua luce)-. con questa frase ebbe inizio il rituale. Mi allontanai da lei, andai dall'altra parte della stanza.
Lasciai il controllo della sua mente. Dalla ferita iniziò ad uscire una sostanza blu, era la sua anima. La ragazza era in preda alle convulsioni. Cadde in terra. Io le davo le spalle, la osservavo dagli specchi. Odiavo quel momento. Il blu iniziò a scorrere su tutto il pavimento. Velocemente si diluiva in tutte le fessure delle mattonelle. La temperatura si abbassò improvvisamente. Il volto della ragazza diventò demoniaco, mostruoso. Era simile ad un'arpia. A poco a poco il male stava prendendo possesso del suo corpo. Un forte vento preannunciava il suo arrivo. Ci fu una forte esplosione sorda. Il fuoco freddo e nero che per la prima volta avevo visto nell'iniziazione, comparve improvvisamente nel bagno. Si abbassò lentamente sulla ragazza, coprendola completamente. La stanza adesso era illuminata solo da quella sostanza blu che poco a poco veniva risucchiata dal fuoco. Finito il suo lavoro, il fuoco scomparve. La ragazza che fino a pochi istanti prima era stata sollevata dalla forza del fuoco, cadde con un grande tonfo. Dopo pochi secondi tutto tornò alla normalità. Mi girai. La ragazza era svenuta. Le girai la mano, L'incisione sul polso non c'era più. Sul pavimento non c'era più alcun residuo. Tutto era andato a buon fine.
La ragazza era un peso morto in quel momento, la presi in braccio. Le bagnai la faccia con un po' d'acqua. Sapevo che da un momento all'altro sarebbe rinvenuta.
La misi a sedere su di un water. Presi da una tasca una bottiglia di whisky, gliela misi in mano. Velocemente socchiusi la porta.  Girai la chiave della porta principale del bagno per aprirla. Uscii velocemente. Le avevo cancellato i ricordi. Dopo poco sentii delle ragazze che entrando nel bagno dissero - Ecco un'altra ubriaca, non ho intenzione di aiutare nessuno stasera..Voglio divertirmi!-. Iniziarono ad urlare ed a cantare, fregandosene di Jamie, ancora svenuta.
Gli umani posso essere tanto buoni quanto crudeli. Quella ragazza ormai, a sua insaputa, era passata dalla parte del male. Una persona senza anima è una persona vuota. Non sarebbe più stata la stessa. Ed io lo sapevo bene. Ero nella sua stessa situazione. Anche io ho scelto di essere così.
I sensi di colpa iniziavano ad invadere il mio corpo. Dovevo però cercare di tenerli a bada, avevo ancora altre due anime da prendere.


Note dell'autrice: Mi scuso con tutti i lettori per evenentuali errori (ho fatto anche la rima senza volerlo!). Ho finito di scrivere il capitolo alle 3:40 di questa notte.. I miei occhi si chiudono ma l'ispirazione è troppa! Dovevo scriverlo! Spero vi piaccia! Al prossimo capitolo! Un bacio!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 99..98 ***


Con le altre due anime tutto fu più semplice. Le ragazze si chiamavano Megan e Phoebe, erano due cubiste. Decisi allora di avvicinarmi a loro in un momento di pausa. Le due ragazze molto provocanti stavano bevendo dei drink al bancone. Erano coperte, se cosi si può dire, con abiti succinti e ricoperti di paiette e brillantini. Una aveva un vestito dorato, l’altra invece argentato. Erano completamente sudate. I ragazzi le spogliavano con gli occhi, gli sbavavano dietro. Mi rifiutavo di ascoltare i loro pensieri, non volevo ascoltare le porcate che passavamo per la testa a quei ragazzi, più comunemente definiti Maiali. Mi concentrai sulla musica, erano l’unico modo per sfuggirgli. Quei pensieri erano così potenti che venivano assorbiti dai miei poteri. Li ascoltavo senza volerlo.
Mi avvicinai alle due ragazze facendo finta di ordinare dei drink. “Che carino!” pensarono entrambe all’unisono. Si scambiarono uno sguardo di complicità. Entrambe mi squadravano dalla testa ai piedi. Sotto voce iniziarono a fare dei commenti molto spinti su di me. Dopo poco una della due si avvicinò. Io feci inizialmente finta di nulla.
-Ciao, come ti chiami?- mi disse la ragazza dal vestito dorato per attirare la mia attenzione. Probabilmente tra le due era la più coraggiosa.
-Piacere, io sono De… Andy-. Non volevo dire il mio vero nome. Fortunatamente con la musica alta non si accorsero della piccola incertezza.
-Che bel nome..- mi sorrise con fare molto malizioso, sembrava quasi che mi volesse saltare addosso.
-Io sono Megan. Lei invece è Phoebe-. Presentò l’amica in modo molto frettoloso, dandole le spalle,  senza neppure indicarla. Avevo già capito chi tra le due avesse il carattere più forte. Phoebe però non sembrava infastidita dal comportamento dell’amica, probabilmente non era la prima volta che veniva trattata così. Incredibilmente però fu proprio lei a propormi di andare in un posto più tranquillo facendomi l’occhiolino.  “ Ma le brave ragazze si sono estinte sulla faccia della terra?” pensai.
Uscimmo dalla porta secondaria del locale, quella che si trovava dietro alla console. In quel posto però c’erano ancora delle persone. Gente completamente ubriaca, alcuni erano anche fatti come una zampogna. Una ragazza seduta che sicuramente non aveva neanche sedici anni, iniziò a vomitare. Scoppiò come una bomba. Non si fermava più. Chissà quante bottiglie di vodka aveva buttato giù. Subito si diffuse nell’aria un odore di alcool andato a male. Se fossi stato umano, probabilmente avrei vomitato anche io unendomi alla ragazza. Quell’odore unito a quella visione era rivoltante. Gli amici ridevano come pazzi mentre la ragazza rimetteva anche le budella.
“Ma in che mondo viviamo? L’umanità sta andando allo scatafascio.. Quando una persona sta male, gli altri ci godono … Mi vergogno di essere ancora su questa terra”. Proprio per questo motivo, i sensi di colpa che a poco a pocoiniziavano ad affliggermi, sparirono improvvisamente. Era meglio togliere l’anima a questi esseri che infangano continuamente una cosa così pura, splendida, limpida. Ci allontanammo da quella scena.  Le due ragazze mi trascinarono in un vicoletto buio e silenzioso che si trovava vicino al locale. Mi sbattetero contro il muro, mi tenevano le braccia ferme. Potevo liberarmi facilmente ma ero davvero curioso di sapere cosa stessero tramando.
Iniziai a sorridere, quella situazione per me era molto comica.
-Che bel sorriso che hai, chissà quante ragazze conquisti con quegli occhioni grigi. Chissà quante ragazze ti sei fatto stasera-.
-Una-. Risposi.  Dopo quella parola, le ragazze restarono immobili. Dopo di che si scambiarono di nuovo uno sguardo malizioso.
- Spero davvero che quella ragazza non ti abbia sgonfiato tutto.. Sai, anche noi abbiamo bisogno di salire sulla tua giostra- disse Megan.
“Frase Squallida” pensai.
-Io invece vorrei assaggiare il tuo nettare..- Disse Phoebe.
“Di male in peggio”.
Iniziarono a toccarmi dappertutto. Non so chi mi sbottonò i pantaloni e ci infilò la mano. Prima che quella mano potesse entrare negli slip, riuscii velocemente ad impadronirmi di entrambe le loro menti. Dopo poco iniziò il rituale.
Finito il rituale, le riportai nel locale ancora svenute. Fingendomi preoccupato, Chiesi aiuto ad uno dei bodyguard. Gli dissi velocemente di averle trovate a terra. Il bodyguard chiamò un’ambulanza. Mi ringraziò. Io mi allontanai tranquillo, tanto sapevo che quelle ragazze non si sarebbero ricordate di nulla.
 
Quella sera mentre tornavo a casa non avevo per nulla sensi di colpa. Di solito mi affliggevano per tutto il tragitto. Invece quella volta era diverso. Avevo capito che quelle persone anche se avessero continuato ad avere l’anima, non avrebbero cambiato il loro modo di vivere.  L’anima è una parte della natura umana che deve essere coltivata, amata, curata. Invece, la maggior parte degli uomini la infangano, la divorano poco a poco. Per la prima volta ero felice di non essere più un essere umano.
Entrai in casa. Tutte le luci al piano terra erano spente.
“Ctonie mi ha dato ascolto? Non è possibile…”.
Salii le scale. Passai davanti alla sua camera. La vidi seduta dietro alla finestra. Il suo volto era illuminato dalla luce della luna. Aveva in mano un vecchio libro. Chiuse il libro appena si accorse della mia presenza.
-Bentornato! Immagino che tu sia soddisfatto, stai sorridendo. E’ successo qualcosa che dovrei sapere?-.
-No, non c’è nulla da sapere. E’ stato più facile del previsto, per questo sono “ felice”-.
Si alzò, mi venne in contro e mi abbracciò.
-Ti voglio bene Dev! Adesso vai a dormire, è tardi-. Mi disse accarezzandomi la guancia.
Le diedi il solito bacio della buonanotte.
Andai verso la mia camera. Dopo aver messo la tuta, mi addormentai.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Wraith. ***


Un venticello leggero mi sfiorava il volto. Un delicato profumo di fiori di ciliegio era nell’aria. Aprii gli occhi. Ero disteso sull’erba fresca di un ampio giardino. La luce del sole attraversava i rami quando questi erano mossi dal venticello. Arrivava direttamente nei miei occhi, infatti mi era molto difficile capire dove mi trovassi.
“Dove mi trovavo?”.
-Allora? Hai riposato bene?-. Mi voltai di scatto, non mi ero accorto di essere in compagnia. Vidi una figura bianca poggiata al tronco di un albero. Mi stropicciai gli occhi, mi facevano male. Dopo poco riacquistai la vista.
La vidi, era lei. La mia LEI. Aveva i suoi capelli rossi  morbidi come la seta sciolti, le gote rosse risaltavano sulla sua carnagione chiara. Quando i raggi arrivavano sul suo volto, mettevano in risalto le lentiggini, quelle lentiggini che lei ha sempre odiato ma che io ho sempre amato. Aveva un vestito leggero, morbido, bianco. Sembrava una ninfa.
-Irene, che ci fai qui?- le chiesi incredulo. Sentivo le mie guancie bagnate. Le lacrime scendevano involontariamente. Lei mi si avvicinò. Mi sorrise. E quando lei sorrideva il mondo attorno a me si fermava. Lei era l’essere più bello che avessi mai visto. Unica nella sua dolcezza, nei suoi modi di fare. Mi asciugò le guancie bagnate con una mano. Il suo tocco era simile ad un soffio.
-Perché piangi? Adesso sono qui, e non andrò mai più via-.” mai più via “ pensai io.
Eravamo faccia a faccia. Pochi centrimeti ci dividevano. A quella distanza potevo osservare i suoi grandi occhi blu. Seguivo con lo sguardo il contorno del suo viso. Mi soffermavo su ogni piccolo dettaglio del suo volto. Mi piaceva osservarla a quella distanza, lei invece lo odiava. –Lo stai facendo di nuovo, vero?- mi disse mettendomi il broncio e abbasando lo sguardo. Le spostai dolcemente un ciocca di capelli che le era finita davanti al volto. Lei mi guardò. Era l’unica che non riuscivo a decifrare. Non riuscivo a capire cosa pensasse, cosa provasse. Era come uno scrigno chiuso a chiave, lei non mi aveva dato la chiave per aprirlo. Aveva sofferto tanto,non voleva star male di nuovo. Per lei era difficile fidarsi di nuovo ciecamente di un uomo. Non riusciva a capire che per me lei era la cosa più importante della mia vita, lei era la mia ragione di vita, il mio mondo.
 Mi misi  a sedere, le presi la testa tra le mani. La avvicinai a me. Le nostre fronti si toccarono. Sentivo il suo respiro quasi impercettibile. Il battito che aumentava.
Ci baciammo.
Le sue labbra carnose toccarono le mie. I suoi baci mi mancavano. Ogni suo bacio scaturiva in me tante emozioni. Con lei ero felice. Si staccò da me, imbarazzata. Anche se stavamo insieme da molti anni, lei a causa di quei baci spesso si sentiva a disagio.
Le sorrisi.
-Nasino!- passai l’indice sul suo piccolo nasino. Cercai di smorzare il suo imbarazzo. Ci riuscii.  Lei contraccambio il sorriso.
Ci alzammo. Mano nella mano passeggiavamo tra gli alberi di ciliegio. Eravamo scalzi, l’erba ci faceva il solletico sotto i piedi. Il vento scompigliava i suoi capelli. Ad un certo punto La presi in braccio, iniziai a girare su me stesso. Lei rideva. Mi mancava la sua risata. Mi guardava. I suoi occhi erano pieni di gioia, di felicità, DI VITA.
 
Mi svegliai per davvero questa volta. Aprii gli occhi. La prima cosa che vidi era la luce forte che entrava dalla finestra. Mi ero reso conto che quella bella visione era solo un sogno. Non era possibile che lei fosse ancora qui con me. Non era più possibile per me accarezzarla, baciarla, abbracciarla. Tornò di nuovo quel senso di incompiutezza, di insoddisfazione. Un pezzo del mio cuore era morto insieme a lei in una fredda notte d’inverno. Avevo fatto di tutto per salvarla, ma fu tutto inutile. Rividi davanti ai miei occhi tutti i momenti più belli passati con lei.. ma purtroppo tornarono collegati a quelli anche i più brutti. Quella brutta malattia aveva trovato pane per i suoi denti. Lei era così delicata, avevo paura che anche sfiorandola le potessi fare del male. Quei ricordi fecero sì che Il solito peso iniziò di nuovo a comprimermi il petto. Decisi allora di alzarmi, dovevo distrarmi.
Scesi al piano terra.
-Ctonie! Dove sei?-. Nessuna risposta. La cercai in quasi tutte le stanza ma non c’era. Andai in cucina, di solito era sempre lì a preparare qualche manicaretto. Non era nemmeno lì. Mi girai e Vidi sulla porta del frigo un biglietto:
 
Sono andata a ritirare gli abiti in tintoria, torno il prima possibile!
                                                                        La tua amata e dolce vecchietta Ctonie.
“Quella donna ogni volta riesce a strapparmi un sorriso”.
Qualcuno bussò alla porta. “Si sarà dimenticata le chiavi” pensai subito.
Aprii la porta, Ma fuori non c’era nessuno. Qualcuno però aveva lasciato una busta beige davanti alla porta.
-Ma cos’è? Sarà sicuramente per Ctonie-. Ma mi ero sbagliato.
Sulla busta c’era scritto Per Dev.
Ma io non avevo ordinato nulla, non aspettavo nulla. Aprii la busta curioso. C’era un vecchio libro. Era di un verde scuro, sbiadito dal tempo. Aveva la copertina tutta rovinata. Sulla copertina, scritto in dorato, c’era il nome: Wraith. Si chiamava così.
“Wraith?” pensai. Iniziai a sfogliare le pagine del libro. Quelle centrali erano tutte bianche. Andai alla prima pagina. C’era un’immagine, sembrava fosse disegnata a mano. Raffigurava il volto di una ragazza che io non avevo mai visto. Sembrava fosse un adolescente. Aveva il volto triste.
“Ma chi è questa ragazza?”.
Qualcuno mi sfiorò la spalla. Era tornata Ctonie. Ero così immerso nei miei pensieri che non mi accorsi nemmeno della sua presenza.
-Dev, Ti ho spaventato? Eppure ho detto di essere tornata...- Si bloccò un attimo, mi guardò in faccia.
- perché hai quella faccia?-.
Le mostrai il libro. Lei sembrava conoscerlo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Ameša ***


Iniziò a fissarmi senza parlare. Stava cercando le parole giuste per dirmi qualcosa di importante, ne ero più che sicuro. Per la prima volta vidi Ctonie con un’espressione seria. Di solito il suo viso era disteso, felice, tranquillo. In questo caso invece il suo volto traspariva durezza, serietà.
-E se ti dicessi che ne ho uno anche io? Mi crederesti?-. Io restai immobile, non riuscendo a capire cosa volesse fare. Lei salì lentamente al piano di sopra, restai per un paio di minuti da solo nell’ingresso della casa. Dopo poco tornò da me con questo libro, anche il suo era vecchio e con la copertina sbiadita. Era uguale a quello che avevo ricevuto io.  Aprì l’ultima pagina scritta. –Guarda-. Mi mostrò quella pagina. C’ero io, con il libro in mano e la faccia confusa, incredula. Mi tornò in mente l’immagine della sera prima di lei con il libro in mano davanti alla finestra.
 –Ma che diavolo è questo affare?-.
-Allora Dev, è arrivato il momento di spiegarti alcune cose..-. Fece segno di seguirla, ci sedemmo sul vecchio divano di pelle rossa che si trovava all’entrata del salone.
-Arriva un momento nella nostra vita da Daeva in cui ci viene affidato questo libro. E’ una sorta di guida. Alcuni lo ricevono il primo giorno dopo il rituale, altri invece dopo anni, decenni, secoli. Non so da cosa dipenda la consegna del Wraith. Credo che dipenda solo dal destino. Forse è arrivato il momento in cui tu hai bisogno di una guida aggiuntiva. Da questo momento in poi saprai cosa ti accadrà in futuro. Le immagini compaiono pochi minuti prima che una determinata cosa accada. Ti sembrerà inutile, ma in alcuni casi serve a salvare la propria esistenza. Io una volta sono riuscita a salvarmi dall’attacco di un Amesa giusto in tempo-. Lei Aprì la pagina dedicata a quel momento. C’era Ctonie, su una rupe, forse nella foresta Amazzonica, che combatte con l’Amesa, un essere circondato da una luce fortissima, due ampie ali piumate e un viso delicato, con dei lunghi riccioli biondi che gli scendevano dalla nuca fino a sopra le spalle. Aveva un grande scudo di rame per difendersi dalla spada di cristallo che teneva in mano Ctonie.
-Amesa? Ma di che stai parlando? Cos’è un Amesa?-. Avevo già capito cosa fosse, ma volevo una conferma.
-Angeli..-. Disse subito in risposta alla mia domanda confermando ciò che avevo intuito. –Ci attaccano?-.
-Sì, potrebbero.. Ma è raro che accada, di solito quando sono trasformati in forma umana, sono troppo impegnati nel riportare gli uomini senza anima sulla retta via che non si rendono conto neanche della nostra presenza..L’unico modo per salvarsi da un angelo è quello di scappare. Io mi sono salvata grazie ad un simbolo che avevo trovato su un vecchio libro, un semplice cerchio, nulla di più-. “Un semplice cerchio?”. – Queste notizie ti sembrano superflue, questo simbolo ti sembra stupido, ma un giorno potrebbero servirti-.
-Come faccio a riconoscerne uno?-le domandai preoccupato, non sapevo che anche noi avessimo dei nemici. Avevo molto timore di questi “Amesa”.
- E’ impossibile riconoscerli quando sono in forma umana.. ti accorgi che è un angelo solo quando è troppo tardi, quando diventa quel grande pennuto che vedi su questa pagina. Però con l’aiuto del Wraith, tutto è più semplice. Stai tranquillo, non preoccuparti-. Mi sorrise. Si era accorta della mia preoccupazione dopo quella notizia. Grazie alle sue parole mi tranquillizzai. Aveva detto che era raro incontrare un Angelo. Speravo davvero di non essere io l’eccezione che confermava la regola.
Come un flash, Improvvisamente mi ricordai della ragazza raffigurata.
-Chi è questa ragazza con il volto triste?- Le feci vedere la prima pagina del mio libro.
-Non ne ho idea. Questo disegno pero’ è diverso dagli altri, guarda! Gira la pagina-. In effetti l’altro disegno che raffigurava me e Ctonie seduti sul divano sembrava stampato. Invece quello della ragazza era disegnato a matita, non aveva i contorni ben definiti.
-Stai tranquillo, lo scoprirai Dev! Probabilmente raffigura qualcosa che accadrà tra un bel po’ di tempo. Chi vivrà, vedrà! Giusto? Dai hai fame? Ti ho preparato un bel pranzetto ragazzone!.
E fu così che Ctonie per l’ennesima volta mi rese felice. Speravo davvero che quel  momento fosse vicino, ero curioso di scoprire chi fosse quella ragazza. Da quel giorno, Di quel disegno non parlammo più per molto tempo.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La partenza ***


Giorno dopo giorno la lista andava esaurendosi. Da 90, diventarono 75; da 75, diventarono 60, e così via. Mi erano capitate le persone più diverse. Avevo preso l’anima di un medico poco onesto, ma anche quella di un pompiere; passando per una mestra d’asilo, passando poi ad un gruppo di suore. Ebbene sì, anche le suore potevano essere prive di anima. Alla fine, Mi mancavano solo quattro anime.
“Quattro anime.. tutto questo sta per finire”.
Dopo aver completato la prima lista, noi demoni potevamo decidere cosa fare dopo. Alcuni decidevano di passare di grado, e quindi di diventare Daeva Medium. I Medi, questo era il loro nome utilizzato nel linguaggio comune, dovevano completare un’altra lista, ma questa volta il compito era più difficile. Le anime da prendere erano esclusivamente quelle di bambini e neonati. A prima vista questa lista può sembrare più semplice della prima, ma non è così. I bambini proprio perché sono da poco tempo sulla terra, sono ancora ingenui e quindi puri, in loro non c’è alcuna traccia di malvagità, il male non è ancora riuscito ad entrare nella loro anima.  Solo pochi Medi riescono a completare la seconda lista, ci vuole fegato perché il rituale è  più complicato.  Ctonie che era una Media, mi aveva raccontato alcune storie. Per lei era atroce vedere quei bambini sofferenti, ogni volta che faceva partire il “rituale di appropriazione”, così viene chiamato il rituale dei Medi, i bambini iniziavano ad urlare. Ma era un urlo sordo, che solo le orecchie del demone erano in grado di sentire, di percepire. Mi ha spiegato anche che per quelle povere vittime, quel rituale era una tortura. Era come se gli venisse tolto il cuore, il fegato e gli altri organi senza anestesia, a mani nude.  Minuto dopo minuto l’urlo aumentava di intensità fino a quando ad un certo punto, calava il silenzio. Un silenzio pieno di sofferenza. I bambini ricordavano solo alcune cose, piccoli dettagli, ma non erano in grado di raccontarlo agli adulti. E se mai qualcuno avesse avuto il coraggio e l’avesse raccontanto, nessuno li avrebbe creduti. Così come succedeva alla profetessa Cassandra, figura della mitlogia Greca, che non era ascoltata da nessuno.
La seconda scelta che potevamo intraprendere era quella dell’”esistenza ignota”, cioè la condanna di restare senza poteri, di vivere per sempre sulla terra e di sopportare una volta al mese la tortura causata dalla rabbia del Supremo per non aver continuato il cammino principale dei Daeva. Non so precisamente in cosa consistesse questa tortura e tantomeno volevo saperlo. Io avevo intenzione una volta finita la prima lista, di continuare per diventare un Medio. Ero deciso a fare ciò. Ma anche Jessie lo era.
“Quale di queste anime mi avrebbe fatto diventare un Medio?”. Osservando la lista, notai che gli ultimi quattro nomi avevano tutti lo stesso cognome. “Bene, sono tutti parenti. O almeno spero che lo siano”.
Cercai quelle quattro anime come un forsennato, bramavo le loro sorche anime, ma quella volta le informazioni nella mia testa non erano comparse. “Che mi sta succedendo?”. Chiesi aiuto a Ctonie, ma lei preoccupata mi disse che non sapeva cosa fare, non le era mai capitata una cosa del genere.
 – Sono sicuro che questa è tutta opera di Jessie!-.
-Non preoccuparti Dev, cercherò una soluzione, probabilmente ha utilizzato qualche formula. Salgo in biblioteca, magari trovo qualcosa. Stai tranquillo-.
Dopo un po’ mi ricordai di avere il Wraith. Lo aprii e vidi che c’era disegnata una casa. Era completamente bianca, tre piani, di legno, illuminata dalla luce del sole; era un ccottage di montagna, era circondata dalla neve e alle spalle si vedevano gigantesce montagne innevate.
-Ctonie! Ctonie!-. Urlai dalla mia stanza.
-Che succede?- mi disse lei, affannata dato che era scesa di corsa dalla mansarda.
-Guarda… Ma adesso come faccio a capire dove si trova?-.
-Da qualche parte deve esserci pur scritto un indirizzio-.
Sfogliai il libro. Osservai bene le pagine precedenti. Tornai sulla pagina dove era disegnata la casa, ma nulla; non c’era scritto nulla. Mi stavo facendo prendere dal panico. Non volevo che Jessie trovasse quell’anima prima di me, non volevo.
Per la rabbia, buttai il vecchio libro in terra. – Fermo Dev, guarda..-
Scritto sulla pagina succesica C’era un indirizzo. – Bene, si trovano nel Vermont, a Montpelier-.
-Quando parti?-. Mi chiese subito Ctonie.
-Adesso-. Le risposi io veloce.
Presi il giubbotto di pelle dall’attaccapanni, la salutai velocemente. Mi chiusi la porta d’ingresso alle spalle e partii senza pensarci due volte.
Quelle anime sarebbero state mie a qualunque costo. Non avevo intenzione di mollare.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** L'inseguimento. ***


Decisi di raggiungere Montpelier in treno. Mentre mi avvicinavo alla stazione, vidi una figura familiare. Lo Sguardo di quella figura seguiva ogni mio movimento . Era molto lontana da me, non riuscivo a capire chi fosse, ma avvicinandomi di poco riconobbi i capelli lunghi e rossi che si illuminavano alla luce del sole. Il suo sguardo era duro, freddo, ma  poco dopo su quel volto così delicato e serio comparve un ghigno soddisfatto. Sapevo che da un momento all’altro si sarebbe avvicinata a me e come sempre mi avrebbe trafitto il cuore con le sue parole taglienti. Feci finta di nulla, continuai a camminare restando indifferente, avvicinandomi all’entrata. Lei era seduta, a pochi metri dall’entrata, su una panchina di un verde rovinato posta sotto un albero spoglio. Guardando quella scena, Sembrava quasi che quell’albero avesse perso la sua vitalità e le sue foglie nel momento in cui lei si era seduta sotto quell’albero. Sembrava quasi che quella ragazza avesse la capacità di rendere triste e morto tutto ciò a cui si avvicinasse. Quando stavo quasi per poggiare il piede sul primo scalino di marmo dell’entrata, qualcuno poggiò sulla mia spalla destra delicatamente una mano facendomi voltare. Guardai per qualche istante la persona che mi era di fronte.
-E tu che ci fai qui?- dissi incredulo.
-Hai dimenticato questo.. sei stato troppo frettoloso e impulsivo, ci mancava solo che dimenticassi anche la testa!- Disse Ctonie.
 Quella signora dalla veste vivace Mi aveva seguito fino a lì. Avevo dimenticato il Wraith e lei me l’aveva riportato. Senza di lei non sarei sopravvissuto al mondo.
-Dev, devo darti un’altra cosa.. guarda, ne è arrivato un altro-. Vidi che tra le mani aveva un altro Wraith.
-Cosa?! Com’è possibile? Tu non ce l’hai già?!-
-Sì, infatti.. questo non è mio… guarda è ancora bianco… Non so di chi sia, portalo con te-. Confuso presi anche il secondo libro e li infilai nella tasca più interna del giubbotto. Ctonie aveva cucito una tasca apposta per il libro. Probabilmente sapeva che mi sarebbe servito.
-Sicuramente ci sarà una risposta a tutto ciò-.
-Anche io lo credo Dev, vediamo un po’ cosa succederà! Dai, è meglio che tu adesso vada, Άδωνης! (Adone)-. Con quelle sue parole, ogni volta mi metteva in imbarazzo.
-Sempre la solita..-
-Sì!- rispose lei fiera.
- Comunque Grazie di tutto! Ci vediamo quando torno!- Le sorrisi e la abbracciai. Mentre la abbracciavo, essendo io più alto di lei, come sempre, ero costretto ad abbassarmi e il mio orecchio si trovava all’altezza della sua bocca. Lei colse l’attimo per sussurrarmi alcune parole:- Dev, tieni gli occhi aperti. Non fidarti di nessuno. Sai bene Quella cosa è capace di fare. Confido in te, non mollare-. Pronunciò questa frase con un tono così basso, sembrava quasi un sussurro, che anche io con il mio udito sviluppato, avevo avuto difficoltà a capirlo.
 Dopo averla salutata, si allontanò veloce. Mi voltai per vedere se Jessie era ancora nel punto in cui l’avevo vista poco prima. Non c’era. “Dove sarà finita?”
Entrato nella stazione incredibilmente affollata, mi informai sugli orari del treno al box informazioni in cui c’era una giovane ragazza che appena mi vide, mi squadrò dalla testa ai piedi. Addirittura con il mio fascino ero riuscito ad acquistare sempre da questa donna dei biglietti in offerta, riservati  solo ai clienti che alloggiassero presso un determinato albergo. “Che fortuna!”
-Il treno per Montpelier che parte alle 3.30 è sul binario 2-.
“Devo muovermi, mancano solo dieci minuti”.
Mentre mi dirigevo veloce verso il binario 2 e mi facevo strada tra la folla, avevo l’impressione che qualcuno mi seguisse. Inizialmente non diedi più di tanto peso a questa sensazione. Ma quando quella sensazione acquisto forza e diventò quasi una certezza, decisi allora di fermarmi. Mi guardai attorno e notai che una delle lastre di metallo su cui di solito venivano posti i cartelloni pubblicitari, era vuota. Grazie a quel pezzo gigantesco di metallo lucido, riuscii a vedere il riflesso della grande folla. Notai di nuovo quella chioma rossa. Jessie mi stava seguendo. Questo significava che lei non aveva alcuna informazione, non sapeva dove cercare l’anima in comune. All’inizio ero soddisfatto di questo, ma questa soddisfazione scomparve all’improvviso. Non sapevo cosa fare, non sapevo come far perdere le mie tracce. Lei sarebbe riuscita comunque a trovarmi, bastava che ascoltasse i pensieri delle donne che mi passavano accanto per capire dove fossi. Per lei incredibilmente ciò non accadeva. Riusciva a sfuggire velocemente allo sguardo curioso degli uomini.
“Dev!Dev! Ti serve una mano?”. Una vocina iniziò a parlarmi. Quella voce era familiare.
 “Ma che…”.
“Sono Ctonie. Non ho mai utilizzato questo potere, sentivo che eri in pericolo.. però adesso l’ho utilizzato per te, visto? Ti sono vicina anche quando sono lontana!”.
“ Cosa devo fare?”.
“Lo sai bene.. Ci stavi pensando prima”.
“Non lo farò mai, lo sai”.
“Provaci, cosa ti costa?”.
Non potevo. Non potevo usare il Quinto Potere. Non l’avevo mai fatto, avevo timore di usarlo.  In pratica dovevo trasformarmi in una sorta di nube che gli uomini chiamano spettri. Ma io non avendo l’anima, mi sarei trasformato in una nube nera, essendo un demone non poteva essere altrimenti. Il male era entrato in me e non mi avrebbe più abbandonato.
“Provaci. Come dice il proverbio: tentar non nuoce! Forza Dev, hai affrontato prove più difficili!”. Cercai l’insegna per raggiungere il bagno degli uomini. Dovevo muovermi, mancavano solo cinque minuti alla partenza. Sapevo benissimo che Jessie mi stava ancora seguendo. Raggiunsi il bagnoi. Era vuoto. Non potevo crederci, con tutta la stazione piena, nessuno aveva voglia di fare i proprio bisogni. Non era possibile.”Che fortuna che ho! Hanno anche via libera, guarda un po’!”
 Velocemente Mi chiusi subito in uno dei bagni.  Mi concentrai sulla trasformazione. Non ci riuscivo. Ero nel panico. Non mi era mai successa una cosa del genere, per la prima volta nella mia vita mi trovavo in difficoltà.
“Riprovaci! Fai in fretta! I cagnolini da compagnia di Jessie stanno per entrare!”.
-Deeev! Dove sei?  Noi siamo tuoi amici! Vogliamo salutarti!- la voce nasale di uno dei cagnolini, che io personalmente odiavo con tutto me stesso, rimbombò in tutto il bagno. “Sei solo da prendere a schiaffi, stupido essere inutile e senza personalità..”.
BOOM! Un rumore fortissimo mi fece sobbalzare.
BOOM! Di nuovo quel rumore. Capii cos’era. I due stavano aprendo le porte del bagno con la forza. Sentivo che si stavano avvicinando. Porta dopo porta, erano arrivati alla porta del bagno di fianco al mio. “Davvero mi ero ridotto a nascondermi come un ladro in un fetido bagno della stazione?”. L’istinto di sopravvivenza e un pizzico la rabbia, fecero si che riuscissi a trasformarmi poco prima che uno dei due soldatini di Jessie aprisse con forza la porta. Di nuovo istintivamente, Con la forza del pensiero, cercai di far spegnere la luce, così che quei due non mi vedessero sottoforma di spettro. Ci riuscii. Buio Totale.
 “Adesso riesco anche a manipolare gli oggetti elettronici? Interessante..”.
Era strano muoversi in quella strana forma. Agli occhi degli uomini apparivo come una nuvola di fumo. Non sentivo più nulla. Tre dei cinque sensi principali non c’erano più. Era come se stessi volando, mi piaceva molto essere in quella forma. Mi disgregavo e aggregavo ogni volta che andassi contro un oggetto. Ma purtroppo non essendo abituato dovevo tornare normale al più presto, non sapevo quanto tempo ancora avrei resistito in quella forma. Ci voleva molto allenamento per restare in quella forma a lungo.
 Uscito dal bagno vidi Jessie impaziente ma soddisfatta. Era fiera di essere riuscita a bloccarmi nel bagno. Era fiera di aver messo con le spalle al muro l’unico demone che l’aveva rifiutata. Quando vide però che i suoi scagnozzi non erano ancora usciti dal bagno, decise di entrarci.
“Perfetto! Via libera!”.
-Treno per Montpelier, in partenza sul binario 2!-
“Maledizione! Devo muovermi!”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Gli occhi sono lo specchio dell'anima. ***


Mi muovevo veloce e leggero. Ero in ansia, non potevo perdere questo treno. Aspettare sarebbe stato troppo difficile, e soprattutto troppo pericoloso. Avrei perso quell’attimo fuggente, e si sa che quando si perde l’occasione tutto va per il verso sbagliato.
 -Treno per Montpelier in partenza sul binario 2!-.
“Cazzo! Ma dove sto andando?! E’ questa la direzione giusta?”.
Vedevo una ventina di treni fermi. Quale di quelli mi avrebbe portato a Montpelier?. Vidi i numeri grandi bianchi dei binari scritti sui cartelli. Avevo intravisto il binario 2, non era molto lontano. Dovevo però cercare velocemente un posto poco frequentato per riprendere le mie sembianze umane, di certo non potevo trasformarmi davanti agli occhi di centinaia di persone. Vidi in un piccolo angolino, una macchina per le fototessere azzura e bianca, aveva una lunga tenda, era perfetta. All’interno non c’era nessuno.  Mi avvicinai ed entrai il più veloce possibile, lentamente cercai di chiudere la tenda per non attirare l’attenzione di coloro che passavano lì vicino. Si sarebbero abbastanza impressionati vedendo la tenda chiudersi da sola. Mi trasformai e quasi non me ne accorsi. Era bello ritrovare il senso del tatto. Sentivo il tessuto della maglia e dei jeans sulla pelle. Non avrei mai pensato che mi sarebbe mancato il mio corpo umano.
Uscito, vidi un bambino che mi osservava. Notai subito il suo viso sconvolto. Le guanciotte rosse e morbide risaltavano sul suo volto dalla pelle chiara. Mi fissava con la bocca aperta. Iniziò a strattonare la mamma che era impegnata a parlare con un’amica in partenza
-Mamma, mamma! Guarda! Il signore è uscito da quella cosa! Forse Porta ad Hogwarts! Dai posso andare? Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego-.
-Stephen, smettila!- rispose la donna seccata.
Sorrisi al piccolino, mi portai un dito alla bocca, feci segno di tenere il segreto. Sul suo volto comparve un sorriso splendente, mi fece l’occhiolino.
Mancavano pochi metri al binario. Volevo correre, ma i miei muscoli non rispondevano. Mi girava la testa, ero rimasto troppo tempo sotto quella forma che mi ci volevano ancora alcuni minuti per riprendere completamente il controllo del mio corpo. Mi avvicinavo sempre più al treno. Le porte stavano per chiudersi. Con un balzo sovrumano riuscii ad entrare giusto in tempo. L’aria nel treno era calda, i sediolini erano rosso sangue, risaltavano in quell’ambiente completamente bianco. C’era poca gente. Probabilmente si trovavano già tutti sulla neve per festeggiare il Natale. Occupai uno dei sediolini che si trovavano vicino ai finestrini, adoravo guardare il susseguirsi di palazzi, alberi, immense distese abbandonate e imbiancate. Il natale, mi faceva tornare in mente alcuni ricordi della mia infanzia. Da piccolo facevo sempre gli angeli sulla neve, pupazzi, rubavo le carote per il naso dalla dispensa e il mio adorato padre non si arrabbiava mai per questo.
 Fui distratto dai miei pensieri.  Si avvicinò una ragazza bruna, alta, magra e con un paio di grandi occhiali neri che le nascondevano i grandi occhi castani.
-Posso sedermi?. Mi sorrise. –Certo- le risposi cortesemente. Si sedette davanti a me. Mi osservava di sottecchi, faceva finta di leggere un giornale di gossip. Io tornai ad osservare il paesaggio al di fuori del treno che viaggiava veloce.
-Piacere, io sono Johanna, Johanna Soul. E tu?-.
-Piacere Andrew-.
-Solo Andrew?-.
-No, sono Andrew…- dovevo inventarmi velocemente un cognome. “Perché mai voleva sapere il mio cognome?”.
-Andrew Daemon-. Sorrisi, cercando di essere convincente.
-Hai davvero degli occhi stupendi, credo te l’abbiano già detto tante persone-. Aveva ragione, Ctonie mi ripeteva sempre che avrei potuto conquistare qualunque donna con i miei occhioni grigi.
-Stavo cercando proprio un ragazzo come te, sono una giovane pubblicitaria. Nessun modello mi convinceva, cercavo qualcuno al di fuori del comune, e tu sei ciò che cercavo-.
La ragazza era molto intraprendente, si sporse verso di me. Mi osservava. Scrutava ogni piccolo particolare del mio viso, del mio fisico. Per la prima volta mi sentivo a disagio con una donna, non mi era mai successa una cosa del genere.
-Perché mi guardi?- le chiesi imbarazzato.
-Scusa, scusa se ti sto mettendo a disagio. Deformazione professionale- E’ che sei stupendo, non riesco a trovare un difetto nel tuo volto, sembra che sia stato scolpito da Michelangelo. Vorresti lavorare per me?-.
-Grazie..-.
 Non ebbi quasi tempo per rispondere, La nostra conversazione fu interrotta da una persona ancora più strana di Johanna.
Un ragazzo alto, capelli lunghi rossi, ci chiese se poteva sedersi.
-Certo!- rispose la ragazza che avevo appena conosciuto.
“Sono proprio fortunata oggi!” pensò la ragazza.
Quel tipo mi guardava. Restammo alcuni istanti a fissarci negli occhi.
-Vi conoscete?- disse Johanna pensierosa.
 All’improvviso riconobbi lo sguardo crudele e malvagio. Anche se aveva cambiato aspetto, l’avrei riconosciuta in mezzo a mille persone. E’ vero quando dicono che gli occhi sono lo specchio dell’anima. E i suoi occhi non la tradivano mai. Mi alzai senza fiatare. Ero sicuro che mi stava seguendo. Mi diressi verso il bagno, chiusi la porta senza però girare la chiave.
Sentii che qualcuno si era fermato davanti alla mia porta. Con molta forza entrò. La stavo aspettando.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Amore insano. ***


Entrò nel bagno ma non vi trovò nessuno. Naturalmente in quel bagno non le avrei potuto dare la lezione che finalmente si meritava da tempo. Velocemente, pochi istanti prima che lei aprisse la porta, ero uscito dal  piccolo finestrino con non poca difficoltà. La attendevo con ansia, attendevo da anni quello scontro. Mi era sempre stata alle calcagna, ero una fissazione per lei, ha iniziato ad odiarmi dal momento in cui l’avevo rifiutata, ben sessant’anni fa e da quel momento non mi ha più lasciato in pace. Ricordo come se fosse ieri quel momento…
Da anni oramai eravamo amici inseparabili. Lei era la mia confidente, la persona su cui potevo contare ciecamente, lei era la mia più cara Amica. E proprio quell’ultimo termine a lei non andava bene. Voleva di più. Voleva essere la mia donna. Doveva essere l’unica su cui io dovessi posare i miei occhi, voleva essere la mia unica ragione di vita. La donna a cui io avrei dovuto offrire la mia vita. Ma io quel “più” non potevo darglielo. Avevo già dato la mia vita per salvare quella di un’altra persona. Il mio cuore e la mia mente erano già stati rapiti da un’altra splendida donna.  Lei però non lo capiva. Jessie puntava sul fatto che fisicamente assomigliasse molto alla mia amata Irene. Questo era vero. Entrambe avevano i capelli rossi lunghi e mossi, il fisico snello e i modi di fare delicati. Però oltre queste caratteristiche, non c’era più nulla che le accomunasse. Il rosso dei capelli di Irene era come quello delle ciliegie mature e dolci a metà dell’estate, profumavano di fragola; le delicate lentiggini sugli zigomi erano piccoli semi che alla luce del sole si scurivano; ogni qualvolta qualcuno posasse lo sguardo sul suo volto, un’improvvisa serenità invadeva il corpo e rendeva libero l’animo. Era come un angelo, un angelo caduto dal cielo, troppo bello per restare nella grandezza del Paradiso. Jessie invece incuteva terrore e paura nelle persone che le stavano accanto. I suoi capelli erano di un rosso sangue, il suo sguardo era malvagio e crudele. Da quando la conoscevo, non era per nulla cambiata. Mi lasciai influenzare da quella iniziale maschera che mi aveva mostrato. Con me inizialmente era premurosa e tranquilla, i suoi occhi sprizzavo di gioia quando mi vedeva. Con le altre persone non era così, e proprio questo suo atteggiamento mi fece capire quali erano i suoi veri e unici obiettivi. Ctonie mi aveva sempre detto di stare attento, a quei tempi non le davo mai ascolto. Ma Quella fu l’ultima volta che non le diedi ascolto.
Ci trovavamo sulla Tour Eiffel, per molti uno dei posti più romantici dell’intero pianeta. Eravamo sul punto più alto della torre, Parigi era bellissima quella notte. Le dolci e piccole luci della città cercavano di fare a gara con le stelle luminose del cielo limpido. Un leggero venticello scompigliava i nostri capelli.
-Visto? Cosa ti avevo detto? E’ bellissimo qui! Tutti ne parlavano l’altro giorno, e tu che non volevi accompagnarmi … - disse. Pronunciò le ultime parole con fare triste, facendo finta di mettermi il broncio, così come faceva una piccola bambina che voleva a tutti i costi le sue caramelle preferite. Poi si alzò e iniziò a volteggiare, il suo vestito leggero che le arrivava fino alle ginocchia a causa di quel volteggiare si gonfiò. Sembrava quasi una nuvola azzurra che volava bassa in quella notte luminosa.
-Però alla fine ci sono venuto. Dai non fare quella faccia, lo sai che ti voglio bene, sei la mia più cara amica e cerco sempre di accontentarti-. Mi appoggiai alla ringhiera sorridente mentre lei si fermò di scatto. Mi fissava. Ci furono parecchi minuti di silenzio in cui lei non fiatava. Io lì per lì neanche me ne accorsi, ero troppo impegnato ad ammirare lo splendido paesaggio che si mostrava ai miei occhi.
Spezzò il silenzio improvvisamente:- Quindi, caro Dev, io per te sarei SOLO un’AMICA?- quando pronunciò la frase, mi voltai a guardarla. I suoi occhi erano cambiati, era ferita. Non volevo vederla così, non era mia intenzione farle del male. –Jess, ascolta.. Tu conosci fin troppo bene il mio passato. Te l’ho ripetuto più e più volte cosa provo. Lei non posso dimenticarla, non ci riesco-.
-MA E’ MORTA, STRONZO! Per la Miseria! Vivitela un po’ questa nuova esistenza! Non stare sempre a pensare a lei.. -. Si avvicinò a me, i suoi occhi quasi mi perforavano testa. Il suo sguardo era pesante. Era sempre stata invidiosa dell’amore che io provavo per Irene.
-Lei non E’ MORTA.. Lei vive nel mio cuore, nella mia mente, nei miei ricordi..di notte la sento ancora al mio fianco.. di giorno so che mi osserva dal cielo.. è sempre con me.. lei mi ha protetto e mi proteggerà per sempre…-. Stavo per scoppiare in lacrime. Gli occhi mi pungevano come non mai. Ma non dovevo piangere, non potevo. Non doveva vedermi debole. Chiusi gli occhi, mi voltai. Aspettai qualche secondo e con molta fatica ricacciai dentro quelle piccole gocce salate che con grande veemenza volevano scorrere sul mio volto e scendere sulle mie guancie incandescenti. Iniziò a girarmi attorno, mi osservava, osservava ogni centimetro del mio viso. La sentivo muoversi lenta, sentivo il suo sguardo ancora più pesante ed insopportabile. Mi si parò davanti. Io aprii gli occhi, volevo guardare il suo volto. Normalmente una persona normale dopo quelle mie parole avrebbe sofferto. Invece lei no, lei non soffriva. La gioia aveva lasciato il passo all’odio. Odio profondo nei miei confronti. Quell’odio misto alla rabbia si riversava nei suoi occhi come due fiamme incandescenti. Sembrava che da un momento all’altro potesse darmi fuoco con un solo battito di ciglia.
-… E io che pensavo di averti reso più forte, di averti cambiato in meglio. Pensavo di essere riuscita a farti diventare un vero “uomo”, uno con le palle, un uomo senza scrupoli, senza difetti. Ma sei solo un mollusco senza cervello, senza spina dorsale, sentimentale e romanticone. Sei un fallito. Un fissato. Lei non tornerà più da te, MAI PIU’!-
-MAI PIU’! MAI PIU’!M.A.I. P.I.U’.!-. Mi ripeteva, urlando quelle parole insistentemente. Qquelle parole che uscivano dalla sua bocca erano come milioni di piccoli aghi affilatissimi che si conficcavano nella pelle e arrivavano dritto ai polmoni e al cuore. Avevo difficoltà nel respirare, non mi era mai capitata una cosa del genere.
La rabbia aveva preso possesso del suo corpo. Con una forza sovrumana riuscì a sollevarmi con molta facilità. Io non ero in grado di contrastare quell’essere, ero come paralizzato e pietrificato. Ero in completa catalessi. Vedevo la scena davanti ai miei occhi, volevo reagire ma i muscoli non rispondevano. Con le sue braccia portò il mio corpo sulla sua nuca, somigliava ad un contadino che stava per buttare sul suo piccolo camioncino un sacco di patate. In quel caso il camioncino era il vuoto. Jessie voleva buttarmi giù dalla torre. Sapeva bene che sarei sopravvissuto, ma aveva pensato bene di aggiungere al dolore interiore anche quello fisico. Dopo pochi istanti la scena cambiò all’improvviso. Il mio fisico fendeva violentemente l’aria. La forza di gravità mi tirava giù inesorabilmente. Vedevo il suolo poco lontano da me. Riuscii a voltarmi di poco, vedevo il ferro della torre che passava veloce davanti ai miei occhi. Le luci della città a poco a poco scomparivano, facendo risaltare solo quelle più vicine. La zona sottostante istante per istante diventava più definita. Prima di scontrarmi con il suolo chiusi gli occhi. Un forte impatto e mi ritrovai disteso ai piedi della torre. Il suo grattugiò la pelle del mio viso. Le costole si incrinarono e premevano sui polmoni già doloranti. Non sentivo più le estremità del mio corpo. Il dolore era allucinante.
 
Il tetto del treno era l’ideale per un combattimento corpo a corpo. Mi ricordavo di tutti i film visti con Ctonie in questi anni e quando c’era un treno, era d’obbligo anche un combattimento.
-Eccoti! Cosa fai Vigliacco! Scappi? Non sono stupida come pensi, sapevo benissimo che quei due stupidi pappamolle non ti avrebbero trovato! Abbiamo un conto in sospeso io e te.. la vostra amata amica Eva, con un po’ di “incoraggiamento”, mi ha detto come far fuori un altro Demone, credevo ci volesse di più e invece è più semplice a farsi che a dirsi. Adesso voglio provare se quella vecchia zoticona mi ha detto la verità oppure no!-.
Eva era una cara amica mia e di Ctonie, era una medium. Eravamo gli unici demoni di cui lei non aveva timore. Diceva che nella nostra anima ormai marcia e putrefatta, sopravviveva ancora un pizzico di vita. Era la nostra maestra, e sarebbe stata proprio lei, dopo che io avessi completato la mia prima lista e fossi diventato un Medio, a trasformarmi in un essere semi-umano. Ci aveva provato con Ctonie, ma non ci era riuscita. Ctonie era da troppo tempo una Media e non poteva tornare più come prima.
-Cosa lei hai fatto, ripugnante donna?! Perché non te la prendi con i tuoi simili? Mi vuoi? Eccomi sono tutto tuo!-. Finite queste parole iniziò il duro combattimento. Ci muovemmo all’unisono. Aveva colto subito il mio invito.
Ci muovevamo così veloci che nessuno avrebbe notato ciò che stavamo facendo. Pugni, calci, forza, velocità, erano i punti su cui entrambi eravamo molto forti. Avevamo passato insieme molti anni in Cina per imparare tutti i segreti dell’antica pratica delle arti marziali. Quindi eravamo allo stesso livello, conoscevamo alla perfezione i nostri punti deboli. Il suo era il ginocchio sinistro, quando era ancora umana infatti dovette restare per mesi e mesi inferma a casa a causa di una brutta caduta. Il mio invece.. era una cicatrice sul fianco destro. Incredibilmente quella cicatrice ogni qualvolta venisse colpita con forza, tornava a far male. Non ricordo neanche come me l’ero procurata.
Tra un colpo e l’altro riuscii a cogliere l’attimo. Una folata di vento le fecero andare i lunghi capelli color sangue davanti al volto, io con una mossa astuta e veloce le immobilizzai la schiena e le colpii il ginocchio. Gemette dal dolore, io non avevo sensi di colpa. Se lo meritava.
-Sai bene che non puoi vincere contro di me, sono molto più forte di te. Così come sono riuscita a immobilizzarti sulla Tour Eiffel, ci riuscirò anche qui!-.
-Se avrai tempo!-.
Con forza le ruppi l’osso del collo. Quello era l’unico modo che mi venne in mente per immobilizzarla. La buttai giù dal treno, il suo corpo andò a sbattere prima contro alcuni rami, frantumandoli in mille pezzi, poi finì tra la neve bianca e candida. I suoi capelli anche a metri di distanza risaltavano in quell’ambiente luminoso e suggestivo. Dopo poche ore l’osso si sarebbe riformato e lei si sarebbe svegliata più arrabbiata e crudele di prima. Per la prima volta ero soddisfatto. Adesso eravamo uno a uno. Sapevo che lo scontro finale si sarebbe presentato a breve.


Note dell'autrice: In questo capitolo mi sono soffermata di più sul rapporto tra Jess e Dev. Volevo raccontare un po' dell'inizio di questo continuo scontro, di questo continuo tira e molla. Spero solo di non avervi annoiati. E Spero sempre con tutto il cuore che la storia vi piaccia. Recensite, se avete dei consigli sono ben accetti! Alla prossima! Un bacio, Lyy223.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2345890