Petrichor

di Caelien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Londra ***
Capitolo 2: *** Spleen ***
Capitolo 3: *** Tacenda ***
Capitolo 4: *** Petrichor ***
Capitolo 5: *** Lìtost ***
Capitolo 6: *** Shkoda ***
Capitolo 7: *** Ibrat ***
Capitolo 8: *** Sillage ***



Capitolo 1
*** Londra ***


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Il sole fece capolino dalle tende di pizzo della sua stanza; le sfiorò le palpebre, ancora chiuse.
Con lentezza, si mise a sedere sul letto, scostando dal corpo le lenzuola di raso bianco e stirando in alto le braccia. Con lo sguardo ancora un po' intontito dal torpore del sonno, osservò, elemento per elemento, l'arredo della camera che aveva ospitato il suo sonno per tutto quel tempo.
Abituatasi al clima della camera, si alzò in piedi per poi andare alla finestra; il viale d'entrata della casa era ricoperto da foglie dai colori autunnali e sulle vie della città le carrozze si muovevano frenetiche.
Con lo sguardo fisso sul traffico londinese, pensò che quella mattina sarebbe stata l'ultima che avrebbe trascorso al Saint Elizabeth Institute, scuola privata per poche fortunate signorine londinesi benestanti. Era qui che aveva passato i suoi anni lontana dalla stranezza e dal mistero di Moonacre. Troppo era stato lo stupore di scoprire una vita nuova, diversa, sconosciuta, che l'aveva travolta, strappata via alla sua quotidianità, anche se terribilmente noiosa.
Sentiva di dover tornare alla normalità, alle strade affollate di Londra, lontana da boschi fatati e dalla magia. 
Le sue valigie erano già pronte ai piedi del letto; una donna di servizio si era premurata di lasciarle sul baule di fianco alla porta, un sorbio abito da viaggio completo di cuffia e mantella. Perché oltre al mistero, Maria aveva lasciato a Moonacre la sua stravaganza, per dare ampio spazio ad una nuova fase della sua esistenza. 
Si sciacquò rapidamente il viso, per poi svestirsi della camicia da notte ed indossare, pezzo dopo pezzo, l'austero capo: il corsetto le costrinse il busto, quasi mozzandole il fiato. Fu il turno della crinolina, ampia e ingombrante, legata al punto vita. Indossò poi l'intero abito, in tessuto di lana verde. Qualche volants ne rompeva la severità, mentre un pizzo nero e impreziosito da qualche perla, orlava le maniche lunghe ed aderenti e lo scollo tondo.
Per indossare la cuffia, la quale le avrebbe coperto in parte i capelli ramati, si posizionò dinnanzi lo specchio, posto vicino alla finestra: era davvero lei? Maria Merryweather? La ragazzina che a quattordici anni aveva scoperto di essere una principessa legata d un'antica quanto fantastica leggenda?
Al suo posto sembrava esserci una normale, sobria, ragazza, senza niente di speciale se non un insignificante titolo nobiliare.
-Miss Merryweather! La sua carrozza è arrivata!- Sentì urlare da fuori il corridoio.
Dando un'ultima e rapida occhiata alla sua figura, coprì le spalle con la mantella damascata marrone e aprì la porta; subito una donna di servizio l'aiutò con le valigie. -Fate presto Miss, vi aspetteranno con ansia a casa!- Le disse la donna con un sorriso sincero. -Il vostro sorriso mi accompagnerà durante il viaggio, mia cara Susanne. Grazie della vostra compagnia.- Maria abbracciò la donna, la quale aveva assunto il ruolo di amica e confidente durante quei quattro anni. -Siate prudente, e prestate attenzione ai briganti!- Le gridò una volta arrivata alla porta. 
Briganti. Li aveva incontrati, durante il primo viaggio verso casa. Un'immagine, chiara, limpida, le guizzò nella mente. Dopo un momento di esitazione, Maria salì sulla carrozza per poi rivolgere un ultimo saluto a Susanne. -Addio mia cara amica! Vi scriverò!-
La strada per Moonacre sarebbe stata lunga.


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Salve a tutti; grazie di aver letto il primo capitolo di quella che sarà una short fic. Spero che, nonostante i pochi capitoli, riuscirà a catturarvi e a piacervi.
Voglio chiarire che non ho mai letto il libro dal quale il film è stato tratto: ciò che scrivo si basa unicamente su ciò che ho visto dal film.
Per ogni problema o chiarimento non esitate a scrivermi. Spero la lettura possa risultarvi gradevole! Un bacio e grazie ancora.
Crys* 

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Capitolo 2
*** Spleen ***


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Il viaggio verso casa fu impervio e tortuoso. La carrozza dovette fermarsi per qualche ora, a metà strada, poiché un violento temporale aveva reso impraticabile il tragitto.
Sostarono per qualche tempo presso una locanda, per poi riprendere il viaggio.
La mente di Maria era un'alluvione di timori e preoccupazioni. Come avrebbero reagito al suo cambiamento? Cosa avrebbero pensato, non riconoscendo più la quattordicenne esuberante e stravagante? Avrebbero accettato quell'ormai donna, seria ed impostata? Avrebbe rivisto l'unica persona che non aveva avuto il coraggio di abbandonare?
A placare le sue paure, adesso, non c'erano Miss Heliotrope e i suoi buffi sbalzi d'umore, non c'era nessun classico pizzo francese che potesse occuparle la mente.
La nebbia aveva preso il posto della pioggia, escludendo la vista di ciò che circondava la strada. Tuttavia, Maria riconobbe perfettamente dove si trovava, grazie ai dossi e al terreno più arido. Quando la carrozza si fermò, approfittò della sosta per sgranchirsi le gambe e camminare per qualche metro.
La foschia non le impedì di riconoscere i prati, i fiori, gli odori della valle di Moonacre. Riconobbe le mura di mattoni bianchi ed il cancello di ferro arrugginito. Tutto era ancora al suo posto, tutto se non fosse stato per... -Miss Merryweather! Sir Benjamin sarà in apprensione, andiamo!- La voce del cocchiere, fortunatamente, fermò il flusso dei suoi pensieri, che di sicuro l'avrebbero condotta in luoghi della sua mente pregni di nostalgia e malinconia.
Come per una sfortunata magia, la pioggia ricominciò a battere forte sui vetri della carrozza, appena passato il cancello. Questo ricordò a Maria il perché della sua fuga da Moonacre. Aveva cominciato ad odiare quelle stranezze, quegli avvenimenti che, se fossero accaduti a Londra, avrebbero scosso chiunque.
La sua vita era stata catapultata in un luogo intriso di nebbia, di figure indistinte, di significati troppo criptici. Voleva di nuovo avere paura della magia, non esserne parte.
Poco a poco, cominciò a intravedere i contorni del castello dei Merryweather, e con lui la foresta, un tempo territorio dei De Noir. Quel nome le provocò un sussulto allo stomaco.
-Miss le chiedo perdono, ma la strada è impercorribile da qui in poi! Sono costretto a farla continuare a piedi!- La voce del cocchiere la salvò di nuovo da sé stessa. Sporgendosi dal finestrino, constatò che, effettivamente, il terreno era un pantano di fango e sassi. Anche se sotto quel tempo sfortunato, una passeggiata non le avrebbe fatto male. Aveva imparato ad apprezzare la possibilità di camminare durante il suo soggiorno a Londra; la sua vita era interamente occupata dalle lezione all'istituto e dallo studio.
-Non preoccupatevi! Ecco a voi il denaro, vi chiedo solo un aiuto per prendere le valigie.- Disse lei, allacciandosi la cuffia sul capo. -Naturalmente Miss!-
Quando ebbero terminato, Maria si avviò presso il sentiero, il quale passava attraverso la brughiera.
Quando fu a qualche metro dal castello, all'improvviso non riuscì più a muovere un passo; la paura la assalì di nuovo. -Respira, Maria. È la tua casa, ti vogliono tutti quanti bene. Coraggio.- Disse a sé stessa. Alzò il viso verso il cielo, lasciando che la pioggia lo inumidisse. Dopo qualche istante, si avviò con passo deciso verso la porta.

 
*
Digweed e Marmaduke non credettero ai loro occhi. -Maria?! Siete proprio voi?!- 
I due la abbracciarono con forza, costringendola ad abbandonare la tensione per qualche momento. -Sono felice di rivedervi, miei cari amici!- Disse lei, con un sorriso forzato. -Oh, siete cresciuta così tanto! Chissà che faccia faranno Sir Benjamin e Miss Loveday!- Disse Marmaduke, allegro. -Vado a chiamarli subito!- Esclamò Digweed. Ma prima che potesse muovere un passo, Maria lo bloccò. -No, Digweed, grazie, ma preferisco fargli una sorpresa.- -Oh, molto bene allora. Si trovano in giardino!- Digweed indicò col dito verso il giardino sul retro. -Grazie mille!-
Maria trovò Benjamin e Loveday seduti sotto al chiostro ricoperto di edera. Ripensò per un attimo a quando, quattro anni prima, lei e Miss Heliotrope ne avevano piantato i semi. Con passo felino, si posizionò alle loro spalle, per poi tossire, facendoli trasalire.
-Chi siete?- Chiese brusco Sir Benjamin. Ma la risposta a quella domanda venne dagli occhi spalancati di Loveday. -Oh... Oh Benjamin, è Maria! Mia piccola Maria!- Disse lei, correndole incontro e facendole cadere la cuffia dal capo. -Sei così cresciuta, sei così bella! E questo abito, oh che meraviglia!- Benjamin si avvicinò, quasi intimorito. -Mia piccola Maria... Oh, Maria!- La strinse in un abbraccio, liberando le lacrime che fino ad allora erano rimaste latenti negli occhi gonfi.
Maria fu grata al cielo che quegli occhi che si era aspettata essere minacciosi, dubbiosi e turbati, fossero invece felici e colmi di gioia.Il mondo girava meno lentamente, il suo cuore batteva più libero.
Presto vennero raggiunti da Miss Heliotrope, la qualche si esibì in una delle sue teatrali reazioni, sfogando un pianto di gioia che risuonò in tutta Moonacre.
-Oh cielo, siete tutta bagnata bambina mia! Avete abiti di ricambio? Oh, ma che dico, certo che sì! Forza, correte a cambiarvi, vi prenderete un raffreddore!- Ad essere cambiati erano i tratti del suo volto e i suoi capelli, ormai ingrigiti, ma non il suo temperamento, pensò Maria.

*
Dopo una sostanziosa e deliziosa cena, Maria, Loveday e Sir Benjamin, si ritrovarono seduti di fronte al grande camino nel salone.
La ragazza volle sapere ogni cosa accaduta durante la sua assenza; ogni pianto, ogni risata, doveva colmare il vuoto che le straziava il cuore. Venne a sapere della serenità ritrovata in tutta la valle, grazie al suo gesto di quattro anni prima. Tuttavia, Coeur De Noir, il padre di Loveday, non si era più fatto vedere fuori dalla sua fortezza, ancora troppo segnato dall'umiliazione di aver perso le perle.
-Ma come, non aveva promesso di mettere da parte il rancore?- Chiese Maria, mentre sorseggiava del the caldo. -Mia cara Maria, mio padre è sempre stato un uomo orgolioso ed introverso. Gli ci vorrà molto tempo, sai, per rassegnarsi all'umiltà.-  Disse Loveday, con un amaro sorriso in volto. Notando la sua espressione rabbuiarsi, Sir Benjamin virò da tutt'altra parte la conversazione. -Maria, raccontaci di Londra, ti prego.-
Maria fu contenta di poter condividere la sua esperienza con lo zio. - Appena arrivata ho sofferto di insonnia per mesi. Moonacre e le sue stranezze tormentavano la mia mente. Ma i libri di storia, la letteratura, il disegno, mi hanno enormemente aiutata. Più rimettevo i piedi a terra, più scordavo della storia della Principessa della Luna, e più mi sentivo me stessa. Ho frequentato ragazze dell'alta società, ho conosciuto i loro familiari ed ho fatto molte amicizie. Ci hanno portato molte volte ad Hyde Park a passeggiare, per dipingere. Ho ascoltato i musicisti italiani e tedeschi a teatro. È stato davvero meraviglioso, ancora grazie mille caro zio, per la possibilità che mi avete donato.- La gratitudine di Maria era genuina tanto quanto lo era l'amarezza nascosta nello sguardo di Benjamin. -Offrirti la possibilità di acculturarti è stato solo che un piacere.- Loveday, che ormai conosceva Benjamin come le sue tasche, gli strinse la mano, comprendendo il suo dispiacere nel notare Maria anni luce distante da loro.
-Maria, ormai è tardi, sarai molto affaticata dal viaggio, ti accompagno nella tua stanza.- Disse Loveday, porgendole la mano. -In effetti sono molto assonnata. Chiedo scusa zio, continuerò la mia storia domattina. Buonanotte.- Maria si chinò per abbracciare lo zio. -Buonanotte mia cara.- Benjamin rispose all'abbraccio per poi guardare Maria salire le scale. 

Loveday la aiutò a svestirsi e a mettere a posto gli abiti nell'armadio. Guardò quei tessuti scuri con perplessità, ricordando gli abiti esuberanti della Maria quattordicenne.
-Come mai questo cambio di guardaroba, Maria?- Chiese con un sorriso. Maria scrollò le spalle. -Sono adulta oramai, colori troppo caldi non sono confacenti ad una giovane donna, dico bene?- Loveday venne colta di sorpresa da quelle parole. -Oh... Sì, certamente.- 
La ragazza indossò la camicia da notte di mussola bianca; prima di infilarsi a letto, guardò la valle dalla finestra. Tutto taceva, immobile, solo le lucciole rompevano la monotonia dello scenario campestre. Cominciò a pensare di nuovo a lui. A come era scappata via senza degnarlo di un saluto. Probabilmente, anzi, certamente adesso la detestava, più di quando si erano appena conosciuti. Ma non poteva rammaricarsene, ne aveva tutto il diritto; lui era l'unico motivo per cui sarebbe rimasta, l'unico pretesto per non fuggire da tanta stranezza. La mente, tuttavia, l'ebbe avuta vinta sul cuore. Lasciò a Loveday il compito di informarlo della sua partenza, ma solo quando lui sarebbe venuto a cercarla. L'idea di un sentimento diverso dall'affetto e dal desiderio la logorava, le consumava l'anima, il cuore e la mente.
Calde lacrime le scesero sul viso, mentre il palmo della sua mano toccò il vetro gelido. Loveday le si avvicinò lentamente. -Queste lacrime sono le stesse che hanno bagnato le lettere che mi hai inviato per tutti questi anni?- Chiese con dolcezza, mettendole una mano sulla spalla. Maria annuì. -Appena sarai pronta, saprai dove trovarlo.- Quando fermò i singhiozzi e i respiri affannati, Maria rivolse lo sguardo a Loveday. -Buonanotte Loveday.- Lei capì. -Buonanotte Maria.-
La ragazza si rifugiò sotto le lenzuola di lino candido, con lo sguardo rivolto sempre verso la finestra. Dopo qualche istante, il sonno si impadronì di lei.

 

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Capitolo 3
*** Tacenda ***


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Era già passato qualche giorno dal suo arrivo a Moonacre.
Il sole sembrava scomparso, mentre le nubi grige e la nebbia erano predominanti su tutta la valle. La pioggia bagnava il terreno incessantemente, diffondendo quell'odore che andava su fin dentro l'anima, di terra umida ed erba rinfrescata.
Maria guardava senza sosta fuori dalle finestre, incapace di mettere piede fuori dal castello. Aveva cominciato a credere che il sole si stesse nascondendo per lei, per non offendere la malinconia che portava dentro al suo cuore. Questo, anche se poteva essere un pensiero irrazionale ed infantile, le provocò un ancor più pesante senso di colpa.
L'accesso alla biblioteca di suo zio era ora illimitato; ciò le permise di rifugiarvisi per giornate intere. Più teneva la mente e la memoria occupate, più i cattivi pensieri sarebbero stati lontani da lei.
Leggeva di persone che non poteva essere, di vite che non avrebbe mai potuto vivere. Rifiutava i romanzi d'avventura, quelli di fantasia, mentre perferiva maggiormente storie che con personaggi i quali sarebbero potuti esistere senza modificare alcuna legge naturale, con avventimenti banali e usuali.
Ad interrompere i suoi tentativi di distrazione, vi erano Loveday e Miss Heliotrope, le quali, preoccupate, si recavano spesso a portarle qualche cosa da mangiare e da bere. Perchè, oltre che la parola, Maria sembrava aver ora perso anche la fame.
Un pomeriggio, durante il quale la pioggia cessò, Loveday e Sir Benjamin si arrischiarono a stanare Maria fuori dal suo rifugio. Attraversarono i corridoi mano nella mano, sperando, questa volta, di averla vinta sull'orgogliosa nipote.
-Maria? È permesso?- Chiese Loveday, socchiudendo la porta. Maria era seduta a terra, ancora in camicia da notte. Fece segno di assenso col capo, senza distogliere lo sguardo dal libro. -Mia cara, la pioggia finalmente ha smesso di cadere. Non vorresti fare una passeggiata?- Domandò Sir Benjamin, andandole vicino. La ragazza sembrò non avvertire alcun suono. -Maria? Insomma, ti sto parlando!- Esclamò Benjamin, spazientito. -Come? Avete detto qualcosa?- Chiese Maria, con un'espressione smarrita sul volto.
-D'accordo, adesso basta.- Loveday superò il marito, prendendo Maria per un braccio e facendola alzare con la forza. -Maria, devi uscire da questa stanza. Ti stai ammalando, mia cara, e questo non vogliamo che accada, dico bene? Quindi va' di sopra a metterti qualcosa, oggi uscirai, che ti piaccia o no.- 
Dopo qualche protesta, Maria venne accompagnata da Miss Heliotrope in camera. Loveday e Sir Benjamin erano rimasti sulla soglia della biblioteca, confusi ed amareggiati.
-Cosa può stare tediando in questo modo il suo animo? Era una bambina così... Dolce, così solare.- Disse l'uomo, prendendosi il viso tra le mani. -So cosa le sta capitando, Benjamin. Perché l'ho vissuto anche io, quando ci separammo.- Sir Benjamin sembrò non capire, inizialmente, le parole della donna. Ma dopo qualche istante, la sua mente si rischiarò. -Non vorrai dire che...- Loveday annuì amaramente. -Robin.-

                                                                                                                          *

Maria e Miss Heliotrope erano nella camera da letto. Convincere la ragazza a rinfrescarsi era stata un'ardua impresa, ma Miss Heliotrope sapeva come averla vinta.
-Allora, cosa preferisci indossare per la passeggiata? Oh, trovo che questo abito marrone damascato ti starà d'incanto, mia piccola...-  -Io non sono piccola. Non sono più una bambina, Chiamatemi Maria, mia cara Miss Heliotrope.- Maria la interruppe bruscamente, mentre stringeva i lacci della crinolina.
-Oh... Oh, certo Maria. Allora, desiderate indossarlo?- Chiese la donna, recuperando il sorriso. Maria fece segno di no con il capo. -C'è un abito blu scuro nell'armadio, vicino ad una cuffia grigia e ad un mantello nero. Andrà bene quello, Miss Heliotrope.- La donna, seppur perplessa dalla scelta, aiutò Maria a vestirsi. Passò qualche istante ad osservarla, attraverso lo specchio; era un'altra persona. Maria Merryweather non c'era più. Quella ragazza, la quale ormai aveva perduto ogni traccia di allegria e spensieratezza, aveva sì il suo volto, più maturo, ma non più la sua anima. La osservò raccogliere i capelli ramati in trecce, per poi fissare dietro il capo. Una volta, quei lucidi fili rossi, avrebbero accarezzato le sue spalle. Fu il momento della cuffia, la quale le nascondeva il bel volto, dandogli un'aria cupa.
Miss Heliotrope cercò di trattenere le lacrime negli occhi. A preparativi terminati, accompagnò Maria all'ingresso, dove gli zii la aspettavano.
-Che bello vederti sistemata, piccola mia.- Esordì Sir Benjamin. -Pronta per andare?- Chiese, con un sorriso, Loveday. -Sì, ma non verrò con voi. Preferisco passeggiare da sola, se non vi dispiace.- Loveday e Benjamin si guardarono per un momento. -Certo che no, Maria.- Le disse suo zio. -Grazie zio. Tornerò al calar del sole.- Disse Maria, prima di scomparire nella fitta nebbia.
-Pensate sia il caso di seguirla?- Chiese Miss Heliotrope. -No, Miss, non credo. Conosce la valle, non si perderà. A più tardi.- Le disse Loveday, per poi incamminarsi con Sir Benjamin verso il paese.

                                                                                                                         *
La strada verso il bosco era esattamente come la ricordava.
Scoscesa, piena di rumori che rieccheggiavano per chilometri. Il fruscio delle foglie sull'orlo dell'abito, era una musica piacevole e nostalgica nelle sue orecchie. Camminava guardando davanti a sé, osservando gli alberi con le loro fronde secche e spoglie, qualche animale fare capolino dalla sua tana. 
Non era stato facile, ma la decisione di recarsi alla fortezza dei De Noir era ora più determinata che mai. Non avrebbe potuto tenere dentro di sé il dispiacere ancora a lungo. Loveday aveva ragione: Maria si stava, lentamente, ammalando. Ogni respiro era come  un pugno sul petto ed ogni battito del cuore era uno sforzo disumano.
Aveva rimandato per troppi anni, ma adesso non si sarebbe voltata indietro.
Mentre ripercorreva quei sentieri, immagini del passato le passarono davanti agli occhi; lei che trovava Serena in una trappola, lei che fuggiva da Coeur De Noir e dai suoi cavalieri. Ma persino la memoria si tratteneva dal mostrarle quel volto, che solo nei sogni tornava ad osservare.
Aveva pensato tante volte di scrivergli una lettera, ma ogni volta che la penna e la carta erano davanti a lei, ogni frase le sembrava scontata, senza senso, inutile. Doveva vederlo, doveva fare sì che i suoi occhi, in assenza di coraggio, parlassero per lei.
Le lacrime le rigarono il volto, mentre passava ora vicino all'albero con le radici intrecciate; quello dove, anni prima, aveva trovato insieme a lui le perle della Luna.
A interrompere il suo vagabondare tra i ricordi, fu un rumore, secco e brusco. Un ramo spezzato.
Per un attimo trasalì, spaventata, ma cercò di respirare profondamente. È qualche animale, pensò. O forse...
Ad un tratto, si sentì stringere le spalle in una violenta morsa, ed un oggetto tagliente posarsi sotto al suo mento. Sapeva che urlare era inutile, nessuno l'avrebbe sentita. Cercò inutilmente di girarsi, per vedere in viso il suo aggressore, ma tutto quello che poté fare, fu constatare che le mani, coperte da guanti con le dita tagliate, erano quelle di una figura femminile. Dovette dare della stupida a sé stessa, per aver anche solo potuto pensare che potesse essere lui.
-Che cosa... Vuoi?- Chiese Maria a denti stretti, stando attenta a non sfiorare la lama del coltello con il collo. -Sta' buona Miss, o non mi sarà difficle lasciarti in una pozza di sangue.-  Mentre cercava di rimanere calma, nonostante il cuore stesse per romperle la gabbia toracica, sentì dei passi veloci avvicinarsi a lei e alla misteriosa ragazza.
-Te ne ho trovata una ricca stavolta!- Sentì dire alla ragazza, dietro di lei. D'un tratto, la sentì lasciare la presa, ma la lama del coltello le graffiò la pelle, a metà del collo.
Il sangue le colorò la pelle bianca, cadendo in grandi gocce. Si chinò sulle foglie, per riprendere il respiro, ora affannoso.
La cuffia le copriva il volto, impedendole lo sguardo davanti a lei.
-Buongiorno Miss, credo sarebbe saggio se voleste lasciarci i vostri soldi. O preferite ritrovarvi con la gola tagliata?- Era la voce di un ragazzo, a risuonare adesso. 
Una voce che conosceva fin troppo bene.Rimase paralizzata a terra, senza la forza per muovere le gambe o le braccia. Sentì un'altra lama poggiarsi all'altezza del mento. -Alzate il vostro viso, damigella!- Rise, seguito dalla ragazza. Maria tremava, ma cercò di sforzarsi. Dopo aver sfilato la cuffia, alzò, il più lentamente possibile, il capo verso di lui.
L'espressione sul viso di lei, macchiato dal sangue e percorso dalle lacrime, era pietrificata, impaurita. Il ragazzo davanti a lei trasalì; la spada gli cadde dalle mani, e gli occhi gli si spalancarono. -Rue, va via.- Disse bruscamente. -Ma cosa succede? Chi è?- Protestò lei. -Ti ho detto di andare via!- La ragazza si allontanò, indispettita, e sparì attraverso i cespugli. 
Erano soli, uno di fronte all'altra, Dopo quattro anni.
-Robin...- Disse lei, soffocando i singhiozzi per il pianto.
Non era cambiato di una virgola; il tempo sembrava essersi fermato all'ultima volta che lo aveva visto. Era ancora più alto di lei, vestito allo stesso modo, e con un nastro azzurro che spuntava dal taschino della sua giacca. Le dita di Robin le sfiorarono il viso, per poi posarsi sul taglio del collo. -Ma... Maria.-
Lo stupore lasciò presto spazio ad un espressione indignata e furiosa. Respirava con forza dalle narici. Raccolse la spada da terra, per poi voltarsi in direzione della fortezza.
-Va' via. Non farti vedere mai più.-
Maria, dopo averlo visto sparire, cadde in ginocchio.
Il suo pianto giunse alle orecchie del ragazzo anche una volta arrivato a casa. 


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Care lettrici! Grazie per aver visitato numerose i capitoli della mia storia, e grazie a chi l'ha inserita tra le seguite e le preferite! Mi rendete davvero felice!
Come vedete, i capitoli sono corti, ma densi di avvenimenti. Spero possa continuare a soddisafre la vostra curiosità!
Un bacio grande, Crys*

P.S. Tacenda: dal latino, cose che è meglio lasciare nascoste. Meglio se non vengono dette.
 
 

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Capitolo 4
*** Petrichor ***


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La corsa verso casa fu talmente rapida che Maria arrivò senza più respiro nei polmoni.
Diede numerosi pugni alla vecchia porta in legno dell'ingresso, continuando a piangere ed urlare. Quando Digweed le aprì, se la ritrovò subito tra le braccia, senza sapere come reagire. 
-Miss Maria! Che cosa vi è successo?!- Chiese lui, allarmato. Maria non riusciva a dire una parola. Troppo era l'affanno, il dolore. -Miss, la prego, cerchi di calmarsi! Miss Heliotrope! Marmaduke! Aiuto!- Urlò disperato il vecchio Digweed, incapace di reagire a quel pianto isterico.
-Che cosa succede?!- Giunse finalmente Miss Heliotrope, con gli occhiali di traverso sul viso, segno che era stata svegliata all'improvviso. -Non lo so Miss Heliotrope, Maria è arrivata in questo stato, non parla!- Il cuore della donna cominciò a battere più forte, in preda all'agitazione. Cercò di abbandonare ogni traccia della sua stanchezza, per poi avvicinarsi a Maria, ora seduta sulla poltrona di fronte al camino. 
-Picc... Maria? Maria che cosa è successo?- Non ricevendo una risposta, le allontanò le mani dal viso, le quali scoprirono il taglio sulla gola. -Oh mio dio! Presto Digweed, porta qui delle garze pulite! Oh Maria, come è potuto accadere?- Chiese Miss Heliotrope, ora più agitata che mai.
Mentre tentava di pulire la ferita a Maria, con Digweed e Marmaduke che cercavano di tenerla ferma, la donna riuscì a distinguere, tra i vari lamenti e singhiozzi, un solo nome.
Robin.

                                                                                                                                   *

Quella stessa sera, Sir Benjamin e Loveday fecero ritorno dalla loro visita al paese. 
Da quando si erano risposati, avevano ricominciato a vivere appieno le loro vite, a godere di ogni istante trascorso assieme. La lontananza da Maria fu per loro un duro colpo, ma nulla avrebbe potuto separarli di nuovo, nulla avrebbe potuto diminuire il loro amore.
Dopo aver lasciato i cavalli nelle stalle, i due rientrarono a casa con occhi e bocche sorridenti. -Mia cara, questa giornata, come tutte le altre con te, è passata fin troppo rapidamente.- Le disse Sir Benjamin, aiutandola a togliersi il mantello. Lei, di tutta risposta, gli regalò un tenero bacio sulle labbra. -Grazie Benjamin, io...- -Grazie al cielo siete qui!- Loveday venne interrotta da Miss Heliotrope, che scese le scale completamente trafelata e coi capelli arruffati. Sir Benjamin spalancò gli occhi. -Cosa succede Miss Heliotrope? Avete un aspetto terribile!- -Maria...- Sussurrò Miss Heliotrope con aria più che sconfortata. -Miss Loveday, è meglio che andiate voi. Senza offesa, Sir Benjamin!- L'uomo assunse un'aria più preoccupata che offesa. Fece un segno di assenso a Loveday che si precipitò verso la stanza di Maria.
Qualche istante dopo, la scena che Loveday trovò davanti ai suoi occhi sembrava non essere diversa da una di quelle osservate i giorni prima. La ragazza era accucciata sulla sua chaise lounge, posta davanti alla finestra. Vestita solo della sua camicia da notte e di una coperta. Con questa si nascondeva la gola, non più macchiata dal sangue, ma ugualmente infiammata. Fissava insistentemente la foresta, con lo sguardo spento.
La donna si accorse presto delle sue gote arrossate e dei suoi occhi gonfi e straziati dal pianto.
-Maria?- Disse in un sussurro. -Posso entrare?- Maria non rispose, tuttavia, Loveday si sedette sul letto, esattamente davanti a lei. -Ti va di dirmi cosa è successo? Miss Heliotrope è terribilmente angosciata.- Dopo qualche istante di silenzio, Maria voltò il capo verso Loveday. I suoi occhi erano imperscrutabili, come lo era il suo volto.
Con una voce flebile e calma, che non credeva di possedere, Maria finalmente parlò.
-Perché?- La donna non le rispose, confusa. Assottigliò gli occhi in un'espressione interrogativa. -Perché non me lo hai detto?- Una lacrima le cadde dall'occhio sinistro.
-Maria, mia cara, cosa...- Maria scattò in avanti, scoprendo il taglio sulla gola. -Robin. Perché non mi hai detto che se ne andava per la foresta con una ragazza a tagliare gole. Perché non mi hai detto che non voleva più vedermi. Non sarei tornata, Loveday, se non avessi avuto la certezza che dentro al suo cuore, Robin avrebbe avuto ancora un piccolo posto per me. Ho lasciato tutto a Londra, le mie certezze, la mia nuova vita, le mie amiche, la normalità. Ho lasciato tutto per tornare e chiedergli scusa, anche in ginocchio se fosse servito. Sarebbe stato un così sovrumano sforzo scrivermi una lettera dicendomi del suo odio irrazionale nei miei confronti?! I suoi occhi, Loveday, mi hanno guardata come se fossi stata una carogna in putrefazione. C'era l'orrore, il disgusto, la rabbia, in quello sguardo. Non una traccia di compassione, non un cenno di sollievo. Ti chiedi che cosa avresti dovuto dirmi? Di non tornare, di rimanere a Londra. Ed ora fuori di qui.-
Maria sfogò la sua ira e la sua tristezza a pochi centimetri dal volto di Loveday, pietrificata davanti al viso suo viso. -Maria...- Cercò di spiegarsi, ma la ragazza la fulminò con lo sguardo. -Vuoi la verità Maria?- Disse Loveday, ora indispettita dall'atteggiamento di Maria. -Conosco bene Robin. Quando sei apparsa a Moonacre, quando vi siete incontrati, lo hai cambiato radicalmente. Nostro padre lo aveva fatto diventare una macchina da furto, un ragazzo disonesto e cinico. Ma la tua conoscenza lo ha reso migliore, lo ha reso capace di provare amore, compassione. Quando sei partita lo ha capito subito, non è stato necessario un mio intervento. Ti ha aspettata per settimane infondo al viale d'entrata; non ha perso la speranza un solo giorno... Finché non arrivò la tua prima lettera. Il porta lettere la consegnò a lui per sbaglio e, vedendola intestata a me, credette che potesse esserci qualcosa anche per lui. Qualche riga di spiegazione, o semplicemente, un altro dei tuoi bei nastri per i capelli come regalo. È inutile dirti quanto fosse furioso e amareggiato, nel capire di essere stato letteralmente abbandonato da te. Mi chiedi perché non ti ho detto tutto questo. Credevo sarebbe stata solo una fase transitoria. Credevo che una volta capito il perché della tua fuga, si sarebbe dato pace. Non è stato così, e non ho avuto coraggio né cuore di fartene venire a conoscenza.- 
Loveday aveva ora le lacrime agli occhi, come anche Maria. Si guardavano con tristezza, ma anche con infinita compassione. Maria sapeva che non avrebbe mai voluto ferirla, ma non riusciva lo stesso a darsi pace. Si abbandonò nuovamente sulla chaise lounge, coprendosi il viso con la coperta.
-Lasciami sola, ti prego.- Disse, soffocando i singhiozzi. -Come desideri. Ma sappi una cosa Maria, e rammentala bene. Ti voglio bene. Tutti te ne vogliamo. E con tutti intendo anche Robin. Sotto quella maceria di delusione e rabbia, lui ti vuole molto, molto bene.-
Maria, a sentire di nuovo il suo nome, pianse più forte. 

                                                                                                                                 *
Continuava a rivedere i suoi occhi. 
Ovunque guardasse, a qualsiasi cosa pensasse, quell'espressione grottesca la perseguitava. Non poteva chiedere le palpebre, perché era come se quell'immagine le si fosse impressa nell'anima. Non poteva respirare, perché l'odore del bosco ancora aleggiava sui suoi capelli.
Le coperte non erano mai abbastanza calde, abbastanza accoglienti per rincuorarla e scongelarle l'anima. Dentro di sé aveva un regno congelato; il ghiaccio era ovunque, accumulato, accatastato, oscurava la luce del sole, incapace di scioglierlo.
Non aveva smesso un secondo di piangere; si passava spesso la mano sul collo, per sentire la cicatrice. Avrebbe voluto avere una possibilità di lasciarsi tutto quell'orrore alle spalle, ma la cicatrice le avrebbe ricordato sempre che era tutto reale.
In un istante in cui la tristezza lasciò spazio all'amarezza, si ritrovò a pensare alla ragazza che l'aggredì; non ricordava il suo volto, ma rammentò solo dei capelli biondi svolazzare vicino a quelli ricci e castani di Robin. Cominciò a domandarsi chi fosse, da dove provenisse. Non l'aveva mia vista alla fortezza De Noir né al paese.
Sentì nel suo petto un'onda pregna di un sentimento nuovo, fino ad allora latente o quasi assente. Quella che provava era gelosia. 
Era così; probabilmente, Robin, accecato dall'odio, aveva trovato una nuova compagna per assopire il sentimento che provava per lei. Ricordò il suo nome: Rue. Mai nessun nome le era risultato così irritante e frivolo.
Nello stesso momento in cui si diede della sciocca, per aver potuto pensare a qualcosa di così sciocco, cominciò a sentire le gocce della pioggia picchiettare sul vetro della finestra. Ancora una volta, il tempo rispettava il suo stato d'animo. Anche se ciò poteva sembrare magico, per cui sbagliato, a Maria piaceva.
La pioggia l'aveva sempre confortata, più dei raggi caldi del sole. Suo padre le aveva sempre detto che c'era chi con la pioggia si bagnava e chi invece la sentiva fin dentro l'anima. Aveva sempre amato il modo in cui profumava l'aria e come faceva risplendere i colori della brughiera. Ad un tratto, fu certa di sentire quel profumo vicino a sé. Ed insieme a ciò, sentì un respiro, profondo e caldo, vicino al suo letto.
-Avevo detto a Loveday di non fare entrare nessuno-  Disse, convinta si trattasse di Sir Benjamin o di Miss Heliotrope. Sentì le coperte scostarsi dal letto e dal corpo bruscamente. -Ma insomma! Che cosa...- Si girò di scatto verso la porta, ed anche se la luce era poca e fioca, riconobbe subito la figura davanti a sé. Saltò immediatamente in piedi, accostandosi al muro. Era la prima volta che provava terrore davanti a lui, perché nemmeno la sua prima aggressione fu così sconvolgente quanto lo era ora il suo guardo.
Robin era davanti a lei, bagnato dalla testa ai piedi, e la fissava con uno sguardo indecifrabile. Teneva le mani chiuse a pugno, e il petto si alzava ed abbassava velocemente. Nessuno dei due aveva il coraggio di aprire bocca, nessuno dei due osava rompere quel silenzio, che era ora l'urlo più potente.
Il viso di Maria si rigò di lacrime e l'adrenalina la obbligò a borbottare qualcosa di tremendamente impulsivo. -Se... Se sei venuto a finire quello che la tua amica stava facendo... Fa pure.- Disse lei, alzando il mento.
Quasi immediatamente, Robin scattò in avanti e la bloccò al muro per le spalle. La fissò qualche istante, mentre Maria lo ricambiava con un fittizio sguardo di sfida. -Fallo.- Gli disse lei a denti stretti.
Non fu un coltello a sfiorarle la gola, ma le labbra di Robin. Passarono delicatamente sul taglio obliquo, per quelli che a Maria parvero secoli. La guardò di nuovo. Dopo un momento di esitazione, le posò le labbra sulle sue, sciogliendo il regno di ghiaccio che Maria aveva dentro da quattro anni a quella parte.
Dopo quell'unico, strano bacio, Robin lasciò la presa su di lei, per poi sparire velocemente da dove era arrivato. Maria si accasciò a terra, portandosi una mano alla bocca, per assicurarsi che non si fosse trattato di un sogno.
Nuovamente, l'umido al centro delle labbra, le confermò che quella era la realtà.


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Ciao mie care!
Grazie per aver letto e, nel caso, recensito! Spero che questo capitolo possa piacervi quanto i precedenti! È leggermente più esaustivo, ma anche più intenso! 
Un saluto e ancora un ringraziamento a Joanna per il suo spronarmi e ad Assunta per le preziose informazioni!
Un bacione, CrystalDrop.

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Capitolo 5
*** Lìtost ***


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Continuava a fissare il camino, dal quale Robin era sbucato, con uno sguardo completamente alienato. Ogni tanto riportava le dita sulle sue labbra, disegnandovi 
il contorno di quelle di lui. Era bastato un attimo perché gli si imprimessero nella memoria. Calde, morbide; avevano il suo stesso odore, di muschio e corteccia 
d'albero.
Dopo ore trascorse sul pavimento freddo, alle prime luci dell'alba, Maria decise che alzarsi e rinfrescarsi sarebbe stata la decisione migliore; con passi felpati e 
lenti, quasi impaurita che Robin potesse riapparire, scese le scale della torre per recarsi alla stanza da bagno.
Nel mezzo vi era una grande vasca di ceramica con appoggi in ottone; un rubinetto nello stesso materiale era già girato, con l'acqua calda che vi sgorgava fuori. 
Come ogni mattina, Marmaduke le aveva preparato tutto il necessario per cominciare la giornata. Un debole sorriso di gratitudine le si formò sul volto.
Quando si sfilò la camicia da notte per entrare nella vasca, quasi non sentì lo sbalzo di temperatura tra il gelo della stanza e il calore dell'acqua, tanto era 
frastornata. Una volta immersa dall'acqua, il suo pensiero cominciò a vagare per sentieri che non sperava di poter più percorrere ; il suo nuovo modo di 
comportarsi lasciò spazio a pensieri che solo la Maria di un tempo avrebbe potuto elaborare. 
Immaginò come sarebbe stato se Robin fosse rimasto con lei, seduto sul pavimento. Un silenzio imbarazzante e denso di cose non dette li avrebbe avvolti come 
un vento gelido, ma che non avrebbe intaccato i loro cuori. Dopo qualche tempo, forse lui avrebbe detto qualcosa, probabilmente confuso e imbarazzato.
Lei sarebbe rimasta ad ascoltare la sua voce come una vecchia e malinconica sinfonia di un pianoforte scordato, ma che manteneva intatto tutto il suo saper 
affascinare, stregare. Avrebbe tremato come una foglia, sperando che un braccio di lui l'avrebbe stretta, dando un calcio al rancore e al risentimento.
Poi il suo cuore ebbe un sussulto, quando la sua mente le offrì, impietosa, l'immagine di un secondo bacio; questa volta non improvviso, non impaurito, ma 
voluto. Pregno di passione e di affetto.
Fu dopo quest'immagine che si alzò all'improvviso dalla vasca, schizzando acqua ovunque sul pavimento di marmo freddo, per poi avviarsi a passi veloci verso 
il paravento, dove era posato un telo per asciugarsi. Mentre scacciava dalla pelle le gocce d'acqua, scacciava dalla mente quell'ultima immagine, che le fece 
versare lacrime calde e amare.
Una nuova sottoveste era piegata e pulita sulla chaise lounge lì vicino; la indossò frettolosamente, per poi correre verso la camera, desiderosa di piangere ancora, 
di sfogare tutta la sua frustrazione. Aprì la porta con un gesto veloce, chiudendola dietro di sé facendola sbattere con forza.
Si guardò attorno, stringendo i pugni talmente forte da farle sanguinare i palmi delle mani: la stanza odorava ancora di lui. Andò alla finestra per osservare la 
foresta, ma nulla di quello che avrebbe voluto vedere si presentava davanti a lei.
La pioggia batteva fitta e violenta sui prati e sugli alberi, straziandoli. Scosse il capo, strizzando gli occhi e liberando le lacrime; si girò poi verso il letto, dove 
inaspettatamente, trovò un piccolo foglio di carta ripiegato.
Con un'espressione corrucciata lo prese fra le mani: sopra vi era scritto il suo nome. La carta era color ocra, consumata dal tempo, e la grafia del mittente era 
incerta e imprecisa. 'Ore otto in punto. Grotte sotto la foresta.' 
Un'idea le sfiorò la mente, ma non era sicura di volerle dare credito. Con uno scatto felino corse alla scrivania, dove teneva un piccolo pendolo. Erano le sette e 
quarantacinque minuti: aveva un quarto d'ora.

                                                                                                                                  *
Maria era arrivata ormai da qualche istante. 
Appena aveva realizzato di avere ormai poco tempo, aveva indossato la sua vestaglia di lana, per poi precipitarsi come un fulmine giù per il passaggio. Non badò 
al fatto di avere i capelli ancora inumiditi, né al fatto di essere a piedi scalzi.
Dovette ammettere che ricordava di averlo percorso con più facilità, gli anni precedenti. Ad aspettarla trovò scivolosi scalini di roccia friabile, radici degli alberi 
che facevano capolino dal terreno soprastante e qualche ragnatela ripugnante attaccarglisi alle vesti da notte.
Aveva percorso il passaggio col cuore in gola, ignorando ciò che l'avrebbe potuta attendere.
Per ora c'era solo lei, con la sua ansia costante e i vecchi mobili del rifugio di Loveday a circondarla. Erano tutti ricoperti da una spessa patina di polvere grigia, 
la quale aveva conferito al luogo una spettralità da Maria inattesa. Solo la porta che dava sul bosco e la brezza che ne proveniva la rincuoravano da tutta 
quell'inospitalità. Si poggiò allo stipite della porta, sentendo la pietra gelida a contatto col suo corpo; guardava fuori, attendendo che qualcuno facesse capolino 
da in mezzo i fili d'erba.
Passarono i minuti, lenti e silenziosi.
Passo mezz'ora, durante la quale aveva camminato avanti e indietro senza sosta. Insieme al tempo, però, passò anche la sua pazienza. Improvvisamente si alzò dal 
giaciglio di vecchie coperte che si era creata in un angolo e si incamminò verso il passaggio. -È ridicolo.- Sentenziò ad alta voce. -E io che credevo...- -Maria 
aspetta.-
Una voce maschile la fece voltare di scatto. Il contrasto tra la luce dell'esterno e il buio della grotta rese difficile distinguere la figura davanti a sé, mentre la sua 
voce era inconfondibile.
-...Tu?!- Chiese, con un tono sorpreso che risultò finto persino a lei, vedendo Robin camminare verso di lei. Il ragazzo, cupo in volto, annuì, per poi emettere una 
risata di scherno. -Chi pensavi che fosse?- Più che una vera e propria domanda, quella suonò come una presa in giro, alle orecchie di Maria. Tuttavia fece finta di 
non sentire.
Dovette respirare svariate volte, prima di riuscire a prendere il controllo dei propri nervi, e smettere di nuovo di tremare.
-Perché sei venuto questa notte?- Si arrischiò a chiedergli, mentre lui posava il capello su un vecchio mobile. Senza guardarla, Robin le rispose indispettito. 
-Non pensi che dovrei essere io a volere risposte, Merryweather?- Accortosi della spessa polvere, scrollò la bombetta e la rimise sul capo. -O vuoi continuare a 
fare la supponente viziata?- Maria non sapeva come reagire. Il tono della voce del ragazzo la metteva a disagio, ma sapeva, dentro di sé, che non avrebbe potuto 
aspettarsi nient'altro. Prima che potesse elaborare la giusta risposta all'accusa di Robin, lui riprese a parlarle.
-Come... Come hai potuto? Mi sono chiesto spesso che cosa avesse potuto fare di così orribile, Robin De Noir, per meritarsi prima il disprezzo di suo padre e poi quello dell'unica persona nella quale aveva riposto un minuscolo barlume della sua già scarsa fiducia. Hai la minima idea di cosa voglia dire essere abbandonati senza spiegazioni?! Senza nemmeno uno stupido biglietto, o un altrettanto stupido discorso.- Robin riprese fiato un momento, non smettendo di fissare Maria con astio. 
-Robin, io...- Provò a difendersi Maria, con gli occhi ricolmi di lacrime. 
-No! Non ci provare Merryweather. Non starò a sentire le tue scuse inventate di sana pianta. Non ce ne sono per l'errore che hai commesso, nemmeno una. E il fatto che tu sia la Principessa della Luna non cambia nulla. Dovevo capirlo dal maledetto giorno in cui ti ho dato retta, che avresti cominciato ad assumere inutili atteggiamenti di superiorità. D'altronde sei una Merryweather.- Robin pronunciò il suo cognome con un tale disprezzo, che Maria non seppe più contenere la rabbia.
-Adesso basta!- Urlò, avvicinandosi a lui e strattonandolo verso una parete. -Mi parli di venire abbandonati, di venire disprezzati. Ti sei mai domandato quanto è stato difficile per me, a quattordici anni, dover prendere coscienza di tutto questo? Di quelle dannate perle, della mia discendenza, del fatto che qui niente e nessuno sembra comportarsi come un normale essere umano. Sono stata abbandonata anche io, Robin, ho perso mia Madre quando avevo cinque anni e mio padre nove anni più tardi! E poi non sei forse stato tu il primo a trattarmi con tutto il disprezzo e il disgustato di questo dannato mondo?!- Il ragazzo, non sopportando di venire accusato, quando era convinto di essere nel pieno della ragione, afferrò Maria per le spalle, incurante del fatto che sarebbe potuto esplodere da un momento all'altro.
-Non provare a farmi sentire un verme, sai? La realtà è diversa da quella che ti sei costruita nella tua mente! Non sei migliore di me perché hai frequentato i tuoi amichetti borghesi, non sei migliore di me perché hai perso i tuoi genitori. Io non ho mai contato niente per te! Ti serviva solo un burattino in più per il tuo teatrino immaginario, fatto di cavalli bianchi, castelli con torri incantate e maestosi giardini in fiore. Mi hai gettato via, come hai fatto con tutto quello che non ti andava più a genio.- Le disse furente, a pochi centimetri dal viso.
Maria non capiva perché ci stesse mettendo così tanto per dirgli la verità. La semplice verità. Le era così difficile essere sincera con gli occhi infuocati di Robin ad incenerirla. Sentiva il corpo morire e l'anima abbandonarla. Era insopportabile assistere a quella manifestazione di odio e disprezzo da parte della persona a cui, realmente, teneva di più al mondo.
Quando lui le lasciò le spalle spingendola via, cadde a terra, cominciando a piangere davanti ai suoi occhi. -Non mi incanti con queste scenate, Maria.- 
Il fatto che l'avesse chiamata per nome, ricordò a Maria che, probabilmente, il suo pianto stava spegnendo l'incendio dentro di lui. Era già successo, tempo prima, che la sua fragilità riuscisse ad imbonirlo, seppur lievemente.
Il ragazzo fece per uscire dalla grotta, quando Maria, esasperata, gli parlò. Questa volta con calma e sangue freddo.
-Non lo sopportavo più, Robin. Essere una Principessa della Luna, avere degli oneri, dei doveri. Non ero io. Io ero Maria Merryweather, la frivola ragazzina londinese che amava il ricamo francese e le comodità della vita della città. È stato bello, sì, per poco, credere di essere speciale, sapere che le persone si aspettavano qualcosa di grandioso da me. Ma dopo poco, questa vita ha cominciato a logorarmi. Mi sentivo fuori posto, il cuore mi batteva lentamente e con fatica. Odiavo vedere la volta incantata della mia stanza, detestavo persino le sparizioni di Marmaduke e il fatto di avere un passaggio segreto nella camera da letto. Non sopportavo più la magia, il fatto che sfidasse le leggi della natura. Sapevo che dovevo andare via da Moonacre e tornare alla mia vita, quella che avevo vissuto per quattordici normalissimi anni.-
-E hai pensato bene di farlo lasciandomi qui come un perfetto imbecille, dico bene?- Chiese lui, fingendo divertimento.
-Lascia che finisca di parlare. Avevo milioni di motivi per voler sparire, lasciare per sempre questo posto. Ma ce n'era uno, uno soltanto, più potente di qualsiasi altro, che mi teneva ferma qui. L'unico che mi rendeva la scelta impossibile... Tu.- Robin la guardò, costringendosi a reprimere un'espressione sbigottita.
Maria riprese a piangere. -Sei sempre stato la mia unica ancora di salvezza qui. Da quando abbiamo abbandonato l'astio e l'indifferenza, sei stato la più piacevole delle compagnie, la persona migliore che potessi desiderare al mio fianco. A Londra ho sognato sempre e solo le nostre passeggiate nei boschi, le nostre avventure per le valli sterminate, in groppa ai cavalli. Quando mi resi conto che non avrei mai potuto abbandonare Moonacre per via del mio innegabile affetto nei tuoi confronti, ho dovuto convincere me stessa che sia io che tu non avremo sofferto. Ho convinto il mio cuore a lasciarti andare, a dimenticarti. Ma a nulla è servito il mio auto convincimento, Robin, perché anche se ero lontana chilometri, il mio cuore era qui con te.- La ragazza nascose il viso tra le maniche merlettate della veste, soffocando i singhiozzi. Lo stesso fece Robin, cercando di non farsi né sentire né vedere. Anche se la sua anima era corazzata da forza e coraggio, le parole di Maria riuscirono a perforarla, intaccandola come un dolce veleno.
-Ti prego, perdonami. Non avrei mai voluto Robin, mai.- Lo supplicò lei.
Incapace di dire qualcos'altro, Robin tirò su col naso e si asciugò gli occhi. Incerto, si accucciò vicino a Maria. Le prese il viso tra le mani, asciugandole le lacrime coi pollici. Premette le sue labbra sulla sua fronte, per un tempo che a loro parve infinito.
La guardò un'ultima volta per poi sparire, taciturno, fuori dalla grotta.

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*Lìtost. Dal cecoslovacco: il rimpianto e il rimorso, pentimento. uno stato di agonia e tormento.
Ciao care!
Ecco il nuovo capitolo, come promesso! Finalmente Maria e Robin si confrontano, anche se con non poca difficoltà!
Spero che il capitolo vi piaccia e grazie a tutte quante per leggere e recensire!
Un ringraziamento sempre ad Assunta, per le sue perle, e a Jo che mi motiva sempre! Un bacione, Crys*

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Capitolo 6
*** Shkoda ***


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Robin tornò alla fortezza De Noir prima di mezzodì.
Percorrendo i sentieri del bosco, ripensò con rimorso e frustrazione alle parole che aveva poco prima urlato in faccia a Maria, senza tenere conto del fatto che 
anche lei era, probabilmente, ferita e confusa.
Non si sentiva colpevole; voleva che Maria capisse fino in fondo il dolore che gli aveva inferto. Non poteva lasciarla impunita, per così dire. Anche se moriva 
dalla voglia di abbracciarla, di stringerla a sé come un oggetto prezioso, sapeva che perdonarla sarebbe stato troppo facile. Sentiva che la sua dignità ne avrebbe 
sofferto.
Il cinguettare dei passeri, il gracchiare dei corvi, le foglie secche che scricchiolavano sotto le scarpe, gli ricordarono le giornate passate con lei, a mostrarle tutti i 
sentieri nascosti, la differenza tra le piante pericolose e quelle innocue. Mostrare a qualcuno quello che lui conosceva e custodiva gelosamente, era un atto di 
fiducia che non aveva mai sperato di poter esternare con nessuno.
Tuttavia, in quegli anni, c'era stata Rue. 
Rue, ragazzina di famiglia modesta, viveva in una delle case adiacenti alla fortezza; aveva tentato per anni di aggiudicarsi le attenzioni di Robin. Quando lo 
vedeva aggirarsi per la cittadella, gli porgeva spesso qualcosa da mangiare o da bere, oppure gli regalava amuleti fatti di pietra, che lui puntualmente gettava via 
appena svoltato l'angolo.
Aveva sempre e solo avuto occhi per Maria, da quando l'aveva conosciuta; Rue era un diversivo per le giornate di pioggia forte, quando il bosco diventava quasi 
impercorribile ed era costretto fra le mura della fortezza.
Rue aveva ora vent'anni; era una ragazza snella e di altezza media, con capelli lisci biondi e occhi di un azzurro glaciale. Le voci nella cittadella giravano, sapeva 
di Maria e della distruzione delle perle della luna. Venne poi a conoscenza della sua improvvisa partenza e della rabbia del giovane De Noir. Rue seppe cogliere 
la palla al balzo, e sfruttò la debolezza di Robin per avvicinarglisi.
Il ragazzo imparò poco a poco a fidarsi di lei; la portò spesso con sé nella valle per derubare qualche passante o per mostrarle i modi più rapidi per allontanarsi 
dalla fortezza.
Rue aveva un carattere forte, autoritario, spesso e volentieri in contrasto con quello di Robin, ma avevano imparato a controllarsi, a calmarsi a vicenda, se 
necessario. Mentre Robin trovava nella sua compagnia un diversivo al rimanere chiuso nelle sue stanze e distruggere ogni cosa gli ricordasse Maria, Rue ne 
intravedeva la possibilità di avvicinarglisi sentimentalmente
Robin non era cieco alla sua bellezza e al suo fascino, ma non sarebbe mai riuscito a dimenticare i tratti gentili e morbidi della Principessa della Luna, i suoi 
occhi di un delicato verde e i suoi capelli che avevano il colore di un tramonto. Anche se qualche volta rimaneva imbambolato a fissare Rue concentrata nel 
costruire trappole e reti, il sentimento per la piccola Merryweather tornava a prevalere nel suo cuore.
Quando fu in prossimità della fortezza, si obbligò ad abbandonare quell'espressione triste e contrita che lo aveva accompagnato per tutto il tragitto. Quando 
arrivò davanti al portone delle mura si prese un ultimo istante per pensare. Diede le spalle alla sua casa per guardare verso la valle. Forse sarebbe tornato da 
Maria prima di quanto avrebbe potuto pensare. 
-Robin!- Una voce stridula, ma conosciuta, lo sorprese alle spalle, facendolo sussultare.
-Che diamine Rue! Mi hai fatto spaventare...- Disse lui, rabbiosamente. Il viso di Rue si rabbuiò. -È da una settimana che sembra che ti abbia morso una serpe 
velenosa. Si può sapere cos'hai?!- Chiese la ragazza, stizzita. 
-Nulla che possa interessarti. E ora torna a casa, oggi non ho voglia di fare nulla.- Dopo qualche istante in cui si guardarono con intensità, quasi con sfida, Rue 
esordì con un sorriso spavaldo. 
-È la Merryweather... Lo sapevo che non avresti avuto abbastanza fegato per dimenticarla.- 
-Rue, per l'ultima volta, non sono e non devono essere affari tuoi.- Il De Noir sembrava sull'orlo di una crisi di nervi, ma cercò di controllarsi. 
Strinse i pugni tanto forte da far diventare le nocche bianche; il suo respiro divenne irregolare. Rue non smetteva di guardarlo con sfacciataggine. Camminava 
davanti a lui avanti e indietro, quasi non volesse lasciarlo scappare da quella tormentata conversazione.
-Cos'ha la Merryweather di così speciale?! Dimmelo, avanti. Se non ricordo male, qualche tempo fa, avresti desiderato vederla morta, o meglio, sgozzata. E 
pensare che se non fossi intervenuto tu, nella foresta...- 
La ragazza si ritrovò in uno attimo a scontrare le mura di pietra con la schiena; Robin l'aveva quasi scaraventata all'indietro, esasperato. La teneva ora ferma con 
un braccio, mentre con l'altro le portava una lama sotto al mento. Il suo volto era inanimato, animale; la sua umanità era svanita per lasciare spazio a quello che 
era sempre stato prima di conoscere Maria. Un brigante e niente più. Rue spalancò gli occhi per la sorpresa e per il terrore. 
Conosceva molto bene Robin, non ci avrebbe pensato due volte ad ucciderla, se non avesse saputo controllarsi. Il loro petto si alzava ed abbassava 
freneticamente.
-Un'altra parola su di lei, una sola ancora... E giuro che ti toglierò per sempre la voglia di sputare sentenze su cose che non comprendi. Vuoi me, vuoi portare il 
mio cognome, ma non sono nient'altro che un trofeo nella tua mente. Tu, Rue Lennox, non saprai mai rapire il mio cuore.- Le disse Robin, sussurrando. La 
lasciò andare, facendola cadere per terra. -E ora vattene, non farti più vedere.-  
Rue rimase seduta per terra, completamente estraniata dalla realtà: Robin l'aveva appena uccisa psicologicamente, e non solo. La ferita dentro al suo cuore era 
più profonda di qualunque altra avesse potuto provocargli la lama di un coltello.
Il suo cuore sanguinava vendetta.
                                                                                                             
                                                                                                                          *

-Maria, in fretta, scendi!- Urlò Loveday dal salone principale.
-Benedetta ragazza, il suo aspetto sarà cambiato, ma non il suo essere perennemente in ritardo.- Sentenziò Sir Benjamin, visibilmente adirato. -Oh, Benjamin, 
non essere così duro. È già qualcosa averla stanata da camera sua.- Gli rispose Loveday.
Qualche momento dopo, Maria scese le scale allacciandosi la cuffia sotto al mento. -Scusatemi, non trovavo la mia pellegrina.- Si chinò in avanti per baciare 
sulla guancia Loveday, poi abbraccio suo zio. -Siamo diretti al villaggio, mio caro zio?- Chiese, con un lieve sorriso. -Sì, ho da discutere col fabbro per riparare 
alcuni infissi. Tu e Loveday potrete curiosare tra le botteghe, se lo desiderate.- Maria annuì allegramente. -Bene allora, Digweed ci ha già sellato i cavalli. Inutile 
dire che Pervinca non vede l'ora di incontrarti!- Le disse Loveday, prendendola sotto braccio. -Sono davvero entusiasta che ci accompagni quest'oggi!- Maria 
inspirò profondamente.
I fatti accaduti quella mattina l'avevano scossa non poco; il suo della voce rabbiosa e rancorosa di Robin le rieccheggiava nella mente come un suono 
lontano,ma fastidioso e costante. Era finalmente riuscita a spiegargli il motivo della sua partenza, il perché aveva ritenuto necessario tenerlo all'oscuro di ogni 
cosa. Ma, a differenza di quanto aveva sempre sperato, Robin non capì. Non volle farlo. Risalendo le scale verso camera sua, ebbe tutto il tempo di pensare a 
come reagire, a come continuare a vivere sapendo di aver perso l'unica persona per cui aveva saputo provare amore incondizionato. 
Decise di voler dare una scossa a sé stessa, di riprendere la routine quotidiana e di scacciare poco a poco i pensieri su Robin. Quando, quella mattina, Sir 
Benjamin le propose di uscire, non le ci volle molto ad acconsentire. Forse uscire in compagnia l'avrebbe distratta, portata via dagli angosciosi ricordi. 
-Anche io sono felice di uscire, Loveday.- Le disse, prima di montare a cavallo.
Il paese era rimasto come lo ricordava; brulicante di gente, chiassoso, ma dall'atmosfera calda e accogliente. Il profumo del pane appena sfornato e delle castagne 
arrostite riempiva l'aria, scaldandole l'anima e facendole dimenticare per qualche istante l'odore del bosco, che in quei giorni le aveva impregnato mente e vestiti.
Le persone la riconobbero immediatamente, nonostante l'abbigliamento diverso e i capelli raccolti.
-Buon pomeriggio Misses Merryweather!- -Che piacere riaverla a Moonacre Misses Maria!- Esclamavano i passanti, vedendola arrivare.
Quella così calda accoglienza la rincuorò parecchio; aveva dimenticato com'era la gente umile, sincera, abituata alla freddezza e al distacco dei londinesi 
altolocati.
Loveday la portò a visitare le nuove botteghe, compresa quella della sarta del paese, la quale cercò di convincere Maria a comprare abiti tali e quali a quelli che 
indossava una volta. La sua reticenza a farlo fece sorridere Loveday, ma indispettire l'anziana donna. -Siete cambiata Maria, eravate più disponibile e allegra 
qualche anno fa!- Le rimbrottò, mentre si allontanava. Ma non si fece condizionare da quell'isolato giudizio, e continuò la sua visita al paese.
Dopo qualche ora di passeggiata, Maria cominciò ad essere affaticata. Loveday se ne accorse immediatamente. -Cara, vuoi tornare a casa?- Le chiese, porgendole 
un piccolo mazzo di fiori comprato per lei. Maria annusò i fiori sorridendo. -Sono piuttosto stanca Loveday, ma insisto affinché tu rimanga con mio zio.- -Ma 
Maria, sono le cinque, tra poco sarà buio e...- -Mi sembra di ricordare che il mio corpi fuoco fosse stabilito alle diciannove, Loveday. Conosco le strade della 
valle, non mi perderò.- Loveday le sorrise e l'abbracciò stretta. -D'accordo, ma fa in fretta e sii prudente. Avviserò io tuo zio.- Si salutarono con un cenno del 
capo, per poi separarsi.

                                                                                                                          *

La nebbia prese presto il posto del sole, mentre Maria attraversava a cavallo i sentieri adiacenti al bosco; il silenzio la avvolgeva come una coperta congelata e la 
costringeva a pensare alle cose più disparate.
Ogni volta che il volto di Robin le tornava davanti agli occhi si costringeva a pensare alla scuola a Londra, alle contessine e alle duchessine conosciute in quel 
periodo. Alla mole di studio insostenibile, o ancora ai pomeriggi trascorsi ad Hyde Park. Ma ogni sforzo era vano, lui era sempre nella sua testa e nel suo cuore. 
Ora più che mai avrebbe desiderato vederlo fare capolino dai lunghi fili d'erba, o dagli alberi spogli; avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e chiedergli scusa 
fino a che la voce non l'avesse abbandonata. Lo avrebbe pregato in ginocchio di perdonarla, si sarebbe spogliata di ogni traccia di orgoglio, pur di vederlo tornare 
da lei.
Improvvisamente, uno stormo di corvi si fece alto nel cielo, fuoriuscendo dalla foresta; Maria sapeva che questo significava che qualcuno si stava avvicinando a 
dove si trovava. Tuttavia continuò a cavalcare, con la tachicardia irrefrenabile e con la speranza che fosse Robin.
Qualche metro più avanti, Pervinca si fermò di colpo, cominciando a nitrire e a impennare sulle zampe posteriori. Maria si aggrappò al suo collo con tutta la 
forza che aveva nelle braccia. -Pervinca, ma cosa ti prende! Ti prego, sta' calma!- Urlava, mentre il cavallo sembrava volerla disarcionare a tutti i costi. 
Doveva stare succedendo qualcosa di molto strano, Pervinca era sempre stata un animale più che tranquillo ed obbediente. Esasperata, Maria balzò giù dalla 
sella; guardò Pervinca correre via al galoppo, mentre raccoglieva da per terra la sua sacca con il denaro.
-Ferma dove sei, Merryweather.- Una voce femminile la sorprese alle spalle. La conosceva, ed era minacciosa e senza paura. Maria si alzò con estrema lentezza, 
per poi voltarsi di scatto. Riconobbe la forma delle sue mani, il colore dei suoi capelli, ma non si era mai immaginata degli occhi così freddi. Era Rue, la nuova 
amica di Robin.
-Bene bene, vedo che hai molto denaro con te. Dammelo, lo voglio.- Le disse, con un sorriso di scherno.
Maria aveva conosciuto i briganti, sapeva che discutere con loro era inutile e pericoloso. Le porse la sacca con le sterline, senza quasi respirare. Nel momento 
stesso in cui le loro mani vennero in contatto, Rue le prese con forza il polso destro, torcendoglielo. Maria cadde a terra, urlando per il dolore. Come successe 
durante il loro primo incontro, erano in un luogo più che isolato. Nessuno l'avrebbe soccorsa.
-E così ti sei di nuovo presa gioco di lui, non è vero? Piccola idiota.- Rue la guardava con occhi impietosi. -Ci ho messo anni e anni a guadagnarmi il suo 
rispetto e le sue attenzioni. L'ho visto piangere, urlare dalla rabbia. L'ho anche sentito augurarti i più tremendi dei mali, piccola Maria. E ora te ne torni qui, 
presuntuosa e altezzosa come una stupida borghese delle città, e pretendi di riavere Robin tutto per te? Oh, no. Ti sbagli di grosso.- Maria si dimenava, non 
riuscendo a liberarsi dalla morsa della ragazza di fronte a sé. 
-Che cosa vuoi da me? Ma non vedi che Robin mi odia?! Anche se gli chiedessi scusa in ogni momento della mia esistenza, non mi perdonerebbe!- Rue, 
sentendola piangere e lamentarsi, non riuscì a trattenere una risata. -Oltre che brutta sei anche stupida. Robin non è stato veritiero, quando ti ha descritta. Non so 
cosa possa trovare in una come te, ma se non te ne fossi accorta, ti ha perdonato dal momento in cui ti ha vista nella foresta.- Maria alzò il viso verso quello di 
Rue. Non ebbe timore di lasciare intravedere tutta la sua indignazione.
-Cosa pensi di saperne tu, di Robin e dei suoi sentimenti?!- Urlò. Rue le andò a pochi centimetri dal viso e le rispose con lo stesso tono di voce. -Io conosco 
Robin da prima che tu mettessi i tuoi sudici scarponcini qui a Moonacre! Io l'ho visto crescere all'ombra di suo padre! Io l'ho visto smaniare per un briciolo di 
approvazione da parte delle persone! Io l'ho visto soffrire la solitudine! Io gli sono stata accanto quando tu non esistevi nemmeno nella sua mente, e quando hai 
pensato di abbandonarlo come avresti fatto con un vecchio animale! Io mi sono presa cura di lui e della sua malinconia! Non credere di essere tu la padrona del 
suo cuore, sudicia Merryweather!- La ragazza la guardò con gli occhi fuori dalle orbite, per poi sputarle in pieno volto.
Maria non abbassò il capo, né lo sguardo; non avrebbe mai voluto abbassarsi al livello di Rue. -Tu sei soltanto rattristata dal fatto che per lui non vali niente. Sei 
fredda, gelida, senza sangue nelle vene.- Le disse con fermezza.
Rue sguainò il pugnale dalla fondina che teneva nella cintura. Sorrise alla lama, per poi fissare lo sguardo sul polso di Maria. -Oh, e suppongo che ti offrirai 
volontaria per darmene un po' del tuo, Principessina.- 
Senza che potesse avere il tempo di reagire, Maria si ritrovò il polso percorso da un taglio lineare e profondo. Il sangue schizzò fuori dalle vene in alti zampilli, i 
quali macchiarono il suo viso e le vesti di Rue. Questa rise, in preda all'isteria e all'adrenalina. Maria si alzò, cercando di ignorare il dolore ed il bruciore 
lancinanti che la sovrastavano. Cercò di fuggire, correndo più veloce che poteva e strizzando la ferita sul polso con l'orlo della manica. 
Il fiato le manco presto, ma il suono dei passi veloci di Rue inseguirla non le fece pensare in alcun modo di fermarsi. Il tempo sembrava essersi fermato; non 
sapeva da quanto stesse fuggendo,  non sapeva quanto sangue stesse perdendo. L'istinto di sopravvivenza prese il sopravvento sulle emozioni.
D'un tratto, in lontananza, sentì un cavallo al galoppo e una voce incitarlo a correre. Lo sconforto la investì con un'ondata di dolore lancinante. Probabilmente, 
Rue aveva avvertito qualche altro brigante per darle una mano. 
Maria si sentiva in trappola, abbandonata. Sapeva che quel punto esatto del bosco sarebbe stata la sua tomba, che nessuno l'avrebbe ritrovata viva. Sentì Rue 
raggiungerla, anch'ella col fiatone, e ridere come solo un pazzo avrebbe saputo fare.
-Cosa c'è, ti sei arresa? Anche su questo si sbagliava Robin. Non sei per nulla coraggiosa. Credo proprio che dovrò toglierti di mezzo e riprendermi ciò che è 
sempre stato mio.- Rue avvicinò il coltello al polso sinistro di Maria, la quale era ormai troppo affaticata anche per urlare. Sentì solo la pressione e il bruciore 
tornare a investirla violentemente.
Il cielo grigio cominciò ad offuscarsi, come il contorno degli alberi, delle foglie e del viso malvagio di Rue. I suoi attorno a lei di fecero confusi ed 
echeggianti.
Sentiva la vita abbandonarla.
-Che cosa diavolo hai fatto?!- Gli occhi le si aprirono di scatto; la vista e l'udito tornarono nitidi. Robin stava correndo verso di lei con Pervinca al seguito. Ecco 
dove era scappata. 
Quando le fu vicino le controllò i polsi, straziati da due tagli chirurgicamente perfetti. Notando l'entità dell'emorragia, sfilò dalle tasche i nastri che aveva 
sempre conservato, azzurri e di raso. Glieli strizzò frettolosamente sui polsi per poi alzarsi di scatto e correre verso Rue, la quale si stava allontanando di buon 
passo.
-Maledetta! Sei impazzita!? Cosa ti è saltato in mente?!- Le urlò Robin, quando le fu vicino. Sguainò il pugnale e glielo puntò alla gola.
-Ma come, non mi ringrazi? Stavo per farla fuori. E tu ti saresti scordato di lei.- Robin non credeva alle sue orecchie. Era furioso, fuori di sé. 
-Non potrei dimenticarla nemmeno se fosse in capo al mondo, maledetta bastarda che non sei altro! Non osare paragonarti a lei, non sei niente, niente!- Rue si 
rigò il volto di lacrime rancorose. -Dopo tutto quello che ho fatto per te...-
-Tu mi hai avvelenato il cuore, aizzato contro di lei, fuorviato la mente da quello che era giusto fare, costretto e convinto ad odiarla. Meriti tu di perdere tutto 
quel sangue, meriti tu le sofferenze che le hai inflitto. Rue, sparisci. Va' via da Moonacre e non tornare mai, e dico mai più.- -Robin, sei serio?- Chiese lei, 
sorridendo per la sorpresa. -SPARISCI RUE LENNOX.- Urlò lui, con tutto il fiato che aveva in corpo.
Mentre Rue spariva in mezzo al bosco, Robin si precipitò ad aiutare Maria, il cui volto stava diventando esanime.
-Maria resisti, ora ti porto a casa. Pervinca è venuta da me ed ho capito che eri in pericolo.- -Robin... Mi dispiace.- Gli disse, con un filo di voce. Robin le 
premette un dito sulle labbra. -Non devi. Non ora. Rimani sveglia, coraggio.- Robin la prese in braccio, portandola verso il cavallo.
-Questi sono... I miei nastri?- Chiese Maria, guardandosi i polsi con un sorriso. Robin annuì con un amaro sorriso sul volto. Non sapeva se Maria sarebbe 
arrivata viva a Moonacre Manor.
Ma di una cosa era certo; dentro la tasca non aveva portato solo il suo nastro celeste. Dentro quella tasca c'era la verità, taciuta da tempo. Ed ora più che mai si 
rese conto di quanto tale verità andasse rivelata.
Quando furono assieme sul cavallo, la strinse a sé, accarezzandole una guancia. 
-Sono qui, e non me ne andrò più.-

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*Shkoda, dal russo: un sentimento di frustrazione o disaccordo nell'aver perso qualcosa o qualcuno
Ciao carissime! Scusate se pubblico in ritardo, ma il rientro a scuola è stato davvero duro!
Ecco qui il capitolo dove si svela un po' il personaggio di Rue Lennox! Dubito sarà benvoluta, ma darà una svolta decisiva alla Fic! 
Un grazie sentitissimo a tutte! Bacioni
Crys*
 

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Capitolo 7
*** Ibrat ***


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Le urla di Robin si udirono sin dal limitare del bosco.
Se in un primo momento Digweed, Marmaduke e Miss Heliotrope non vi diedero peso, i pugni veloci e forti sulla porta d'ingresso li fecero immediatamente 
ridestare dal loro torpore.
Alla vista di Maria, dal colorito cadaverico e dai polsi gocciolanti sangue, Miss Heliotrope non poté far altro che svenire. 
-Ha bisogno di una medicazione, immediatamente!- Disse Robin, col fiatone. -Ma che le è successo?!- Chiese Miss Heliotrope, rialzandosi e osservando a occhi 
sgranati Maria.
-Non c'è tempo per spiegare adesso, mettetela distesa, io torno con delle erbe per medicarla.- Robin corse velocemente verso i prati circostanti, alla ricerca di 
erba saponaria e parietaria. 
Marmaduke, non potendo essere fisicamente d'aiuto, si catapultò verso le dispense del castello per recuperare garze e acqua limpida. Nel mentre, Miss 
Heliotrope e Digweed  avevano già disteso Maria sul letto matrimoniale della stanza per gli ospiti. Quando l'uomo scostò i nastri, ormai color porpora, dai polsi 
della giovane donna, sbarrò gli occhi, inorridito. 
-Povera Miss Maria, ma che cosa vi hanno fatto... Miss Heliotrope, presto, toglietele le vesti sporche, io correrò in paese ad avvisare i padroni.- Digweed uscì 
dalla stanza così velocemente che la donna non ebbe il tempo di rispondergli.
Maria respirava lentamente ed in modo scostante;al contrario, il suo pallore non faceva che aumentare e con esso l'entità dell'emorragia. Miss Heliotrope dovette 
respirare profondamente per rilasciare la scarica nervosa che la stava attraversando. 'Maria ha bisogno di me' pensò 'Devo farmi coraggio'. Dopo un solo istante 
di crisi, la donna si rimbocco le maniche a sbuffo della sua redingote, per poi spogliare la ragazza, lasciandole indosso solo la sottoveste di mussola bianca.
Le rimboccò le coperte sino al mento, lasciandole fuori soltanto le braccia, scoperte sino a tre quarti. Gettò i vestiti sporchi e la crinolina sulla poltrona vicino al 
letto, per poi affacciarsi dalla porta.
-Marmaduke! Robin! Qualcuno venga ad aiutarmi!- Gridò, in preda all'ansia e all'agitazione. 
Proprio quando pensava di crollare a terra un'altra volta, Robin quasi non la travolse, seguito da Marmaduke. 
-Miss Heliotrope, si sbrighi! Abbiamo bisogno anche di lei!- Disse Marmaduke, vedendola immobile contro al muro. La donna annuì impercettibilmente, 
avvicinandosi al letto.
L'uomo passò dei panni umidi sui polsi di Maria; dopo aver ripulito le ferite dallo strato di sangue e sporcizia, temettero che un'infezione potesse già aver 
intaccato la pelle viva. 
-Santo cielo, con cosa è stata colpita? Le ferite sono piene di terra e detriti...- Chiese Marmaduke.
-Con un pugnale dei nostri fabbri.- Disse Robin, esaminando i tagli.
-Un... Pugnale...?- Miss Heliotrope spalancò gli occhi e la bocca, rischiando di svenire nuovamente. Tuttavia il suo stupore venne ignorato.
Dopo un momento di esistazione, consapevole che il gesto che avrebbe ora compiuto avrebbe provocato un dolore lancinante alla ragazza, Robin strofinò le erbe 
raccolte e pulite nelle zone interessate.
Maria spalancò immediatamente gli occhi, emettendo un urlo ed un lamento agghiaccianti. La donna dovette uscire dalla stanza, esausta e inorridita, mentre Robin 
e Marmaduke tentavano di tenere la ragazza ferma nel letto.
Il ragazzo era più che mortificato; vedere Maria con i muscoli tesi e il viso contratto in una smorfia di dolore lo faceva sentire angosciato e colpevole. Se fino ad 
allora si era creduto unica vittima di tutto quel trambusto, adesso, osservandola soffrire, non poteva nascondere a sé stesso un sentimento di colpevolezza, il 
quale gli premeva contro al cuore. 
-Fa male! Basta, vi prego!- Urlava Maria, non riuscendo a controllare le lacrime.
Era lo spettacolo più angosciante al quale Robin avesse mai assistito. 
-Maria, cerca di calmarti, ti prego, ti stiamo disinfettando le ferite. Ti stiamo aiutando.- Le disse lui, cercando di sorriderle. -Come faccio a calmarmi?! Per 
l'amor del cielo... Basta...- Anche Marmaduke provò a tranquillizzarla con quale dolce parola, ma ogni tentativo fu vano.
-Maria! Maria! Ragazza impossibile, in quale altro guaio ti sei cacciata?!- La voce di Sir Benjamin risuonò in tutta la casa, minacciosa e preoccupata. Non ci 
mise molto a raggiungere la stanza, insieme a Loveday, dove tutti si trovavano.
I due coniugi furono così impressionati dalle garze insanguinate e dall'espressione di Maria, che non si accorsero di Robin fin quando non parlò.
-È stata aggredita nel bosco, non è colpa sua.- Disse lui, imbarazzato ed impaurito. Aveva visto altre volte Sir Benjamin, ma mai ne aveva auto timore come in 
questo momento.
-Robin?!- Esclamò Loveday, sorpresa. Lo stesso sentimento si dipinse sul volto di Sir Benjamin, ma presto venne travolto dall'ira, la quale lo spinse a trascinare 
Robin per il bavero e a metterlo contro a muro. Le proteste di Loveday furono sorde alle orecchie del marito.
-Tu, maledetto De Noir! Sei stato tu a farle questo?!- Chiese, a denti stretti. Robin sembrava paralizzato. Il suo sguardo saettava dagli occhi di Benjamin, 
spalancati, a quelli di Maria, chiusi in una morsa di dolore.
-Io l'ho soccorsa!- Rispose Robin, indignato. -Ho cavalcato fino a qui per salvarla! Non potrei mai farle del male!- -Benjamin, Robin dice la verità, queste sono 
ferite che solo un assassino esperto potrebbe provocare. Lui non è un assassino!- Disse Loveday, esasperata, difendendo il fratello.
Sir Benjamin lo lasciò andare con uno spintone, per poi voltarsi verso Maria. Le lanciò un duro sguardo, sotto sotto dispiaciuto: non riuscendo a sostenere la 
tensione, si diresse a grandi passi verso le sue stanze, sentendosi un perfetto stupido.
                                               
                                                                                                                        *

Il buio era calato sulla valle, irrigidendone il clima. Tutti i camini della casa, anche quelli nelle stanze vuote, vennero accesi affinché il clima non interferisse con 
la guarigione di Maria.
Erano passate diverse ore da quando Robin l'aveva riportata a casa, ma ancora non dava segni di miglioramento. La sua temperatura corporea aveva iniziato ad 
aumentare, rendendo i tentativi di farla bere e mangiare totalmente inutili. La nausea la investì tramite violente ondate, le quali la scuotevano dalla testa ai piedi.
Quando giunse la mezzanotte, Robin costrinse Loveday, unica rimasta a vegliare su Maria insieme a lui, ad andare a riposare, notando i suoi occhi sforzarsi di 
rimanere aperti. -Va' a riposare, bado io a lei.- Le disse, posandole una mano sulla spalla.
Loveday gli sorrise di rimando, prendendo la mano del fratello e stringendola. -Sei stato molto coraggioso, Robin. Sono fiera di te.- 
Come faceva strano, pensò il ragazzo, sentire qualcuno dirgli una cosa del genere. Anelava da sempre quelle parole, e mai nessuno aveva avuto occasione o 
volontà di rivolgergliele. -Se ti venisse freddo, dentro al baule in fondo al letto, ci sono delle coperte. Buona notte.- Robin le sorrise, facendo cenno col capo. 
Non era mai stato bravo con i convenevoli.
Ora che Maria dormiva, anche se non proprio tranquillamente, poté prendersi del tempo per riflettere. Dove aveva sbagliato con Rue? Si sentiva un verme a 
pensare a lei con Maria in quelle condizioni, ma voleva a tutti i costi fare i conti con sé stesso.
Come poteva averle messo in testa un'idea tanto estrema, tanto violenta? Ripensò alle loro conversazioni, quando la giovane Merryweather veniva tirata in ballo, 
ma nulla riusciva a giustificare la furia omicida di Rue.
Sapeva di essere stato motivo di attrazione per lei, sapeva che lo avrebbe voluto accanto a sé, non solo durante la caccia, ma non avrebbe mai e poi mai creduto 
che la gelosia avrebbe potuto portarla a tanto.
Ma, ad un tratto, cominciò lentamente a capire. 
Da quando Maria aveva lasciato Moonacre, aveva sempre sentito la forte necessità di fare ritornare quella parte di sé violenta, animale, istintiva, che aveva 
imparato a domare da quando si era avvicinato alla ragazza. 
Il naso cominciò a bruciargli, la gola a seccarglisi; la consapevolezza cominciava a bruciare all'interno del suo corpo. Era sull'orlo di una crisi di pianto, quando 
finalmente capì: quella parte di lui, la più malvagia e spietata, l'aveva completamente trasmessa a Rue.
Quando l'aveva conosciuta, era una ragazzina ambiziosa, prorompente, ma innocente. Ricordò all'improvviso i suoi occhi disgustati e tristi, quando uccise di fronte a lei 
un animale per la prima volta. Il suo urlo, quando colpì un brigante al volto, spaccandogli il naso.
Robin l'aveva plasmata a suo piacimento, mantenendo ciò che di buono aveva imparato ad essere, e gettandole addosso quella tempesta di frustrazione e 
cattiveria che era stato un tempo.
Quando le lacrime gli uscirono involontariamente dagli occhi, capì che era stato principalmente lui, ad aver tentato di uccidere Maria.
Immobile e silenzioso, fissò il volto della ragazza qualche istante ancora. Poi corse via, disperato e spaventato da quello di cui era adesso venuto a conoscenza.

                                                                                                                          *
-Vi ho portato i vestiti puliti Misses!- 
Con una mano, Digweed posò con delicatezza la sottoveste e il corsetto sulla sedia di fianco al letto. Con l'altra, reggeva un vassoio con una tazza e qualche 
pezzo di pane. -La colazione!- Le disse, posandole il vassoio sulle ginocchia.
Maria prese la tazza fra le mani; ne annusò il contenuto, per poi assumere un'espressione disgustata. -Ancora quell'intruglio amaro di Loveday?- Chiese, con una 
punta di ironia. -È per guarire in fretta!- Rispose il maggiordomo, ridacchiando. -Come vi sentite oggi?-
Maria era ferma a letto, ora nella sua camera, da qualche giorno, quasi una settimana. I pasti le venivano portati in camera, come anche e medicazioni e le 
medicine. 
-Molto meglio, riesco quasi a ruotare completamente i polsi!- Rispose lei, sorridendo. -Oh, è proprio una bella notizia! Gradite qualcos'altro in particolare? Un 
libro da leggere, un piccolo dolce?- Chiese Digweed, facendole l'occhiolino. -Vorrei solo chiedervi di aprire leggermente la finestra, qui dentro sembra di 
soffocare.- -Oh, Misses, sapete che non è possibile. Rischiereste di contrarre di nuovo la febbre!-
Maria sbuffò, fingendo di essere adirata. In quei giorni aveva notato quanto, tutti i suoi cari, si fossero presi meticolosamente cura di lei. Persino suo zio 
Benjamin le aveva domandato scusa per il suo comportamento inopportuno. Decise che, per qualche tempo, abbandonare il suo cipiglio austero non sarebbe 
stato poi così sbagliato. -Non preoccupatevi Digweed. Sto bene così.-
Passò la mattinata a leggere, il suo passatempo favorito. 
Aveva mentito quella mattina; persino girare le pagine le provocava un dolore lancinante. I punti di sutura le furono fatti dall'unico medico del paese, vecchio e 
tremolante, e avevano spesso rischiato di rompersi, a causa della loro scarsa precisione.
Leggeva Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, la sua autrice preferita durante il soggiorno londinese; amava sapere di Lizzie Bennet e della sua testardaggine. 
Ancor di più amava il personaggio di Fitzwilliam Darcy, tenebroso e introverso. Le ricordava terribilmente Robin, così chiuso in sé stesso e così timoroso delle 
sue stesse emozioni.
Non lo vide più, dopo il giorno dell'aggressione: non una lettera, non una visita. Tuttavia, non si fece troppe domande; sapeva che gli sarebbe servito tempo, per 
metabolizzare gli avvenimenti. Poteva dire di conoscerlo meglio di chiunque altro, sotto quell'aspetto.
Pensò tante di volte di utilizzare il passaggio del camino, speranzosa di trovarlo nella vecchia grotta di Loveday, ad aspettarla. Ma poi si dava della sciocca, 
dell'illusa. Sicuramente non voleva vederla e basta, e si sarebbe fatto vivo lui, prima o dopo.
Poco più tardi, nel primo pomeriggio, Loveday proruppe nella sua stanza, affannata e con un ampio sorriso sul volto. 
-Maria! Maria, mia cara!- Dopo esserle quasi piombata addosso, vicino al suo letto, la donna la abbracciò con attenzione, timorosa di riaprirle le ferite.
-Loveday! Che succede!- Chiese Maria, sorpresa e divertita. -Non me ne volere, ma ti ho sentita tante notti chiamare Robin, in preda al sogno.- La ragazza si 
rabbuiò immediatamente. -E questo ti provoca ilarità?- Chiese, scontrosa. -No piccola mia, affatto! Ma questa mattina è passato il porta lettere, e aveva questa 
con sé.- Loveday le porse una busta rovinata dall'acqua e dal terriccio. Sulla chiusura, vi era un marcio fatto con la cera lacca. Una D e una N. Maria comprese 
immediatamente chi fosse il mittente.
-È arrivata qualche giorno fa, ma era caduta nella sua abitazione e non ha potuto recapitarla prima. Credo sia di...- -Robin- Concluse Maria, fissando la lettera 
come fissò le Perle della Luna, la prima volta.
-Ti lascio sola, sarai curiosissima!- Come fu arrivata, Loveday sparì velocemente dalla stanza.
Maria, nell'aprire la lettera, gettò a terra il libro, nonostante avesse per lei un valore inestimabile. Respirò profondamente, con un speranzoso sorriso sul volto, 
per poi posare gli occhi sul foglio. La scrittura era indubbiamente quella di Robin De Noir.

-Maria, 
Non posso più starti accanto. Questa volta sono io ad allontanarmi da te. Non per malvagità, non per ferirti, ma per proteggerti. 
Ho riconosciuto una parte di me che credevo fosse assopita da tempo, ho compreso che per quanto io mi convinca di averla allontanata, lei torna sempre.
Quello che ti è successo è prevalentemente colpa mia. Non posso saperti ferita e malata a causa mia, non posso, non riesco ad assumermi questa responsabilità. 
Ti chiedo perdono Maria, con tutto il mio cuore. Ma per te, per la tua vita, per il nostro amore. Ti dico addio.
Tuo, sempre,
Robin.-

-Oh no. No, no... Robin, no. Oh mio dio.- Ripeteva ossessivamente Maria, bagnando la lettera con le sue lacrime. -Non devi, non puoi farlo...-
Incurante di quanto potesse farle male, Maria si alzò frettolosamente dal letto. Si tolse  la veste da notte buttandola a terra, per sostituirla con il cambio che le 
aveva portato Digweed quella mattina.
Soffocando i singhiozzi e mordendosi le labbra per non urlare dal dolore, indossò la chemisette e la crinolina. Non le importava che le mancasse il fiato, Robin 
veniva prima del suo respiro. Strinse il corsetto alla vita, cominciando a sentire i punti delle ferite saltare uno dopo l'altro; il dolore era insopportabile, il fluire 
del sangue, spaventoso.
Si fermò un istante, prima di indossare la sopra gonna e la camicia di lino: doveva farlo, se non voleva rischiare di svenire prima di aver raggiunto la fortezza. 
Sarebbe scappata attraverso il camino, non le importava di lasciare scritto dove sarebbe andata, forse Loveday avrebbe capito, leggendo la lettera di suo fratello.
-È tutta colpa mia.- Disse, fra le lacrime. Si appoggiò al pomo d'ottone del letto, per non perdere l'equilibrio. -Se non fossi andata via, tutto questo non sarebbe 
accaduto. Sei stata una sciocca, Maria Merryweather...- Cercò di tornare a respirare regolarmente. 
Si armò di tutto il coraggio che aveva dentro il cuore e tese le braccia per indossare la sopra gonna: ma un brusco movimento del polso destro fece aprire 
bruscamente i punti di sutura. Il dolore le fece mordere le guance con così tanta forza, da farle quasi staccare la carne anche da queste e non permise al suo udito 
di avvertire il rumore dei passi dietro di lei.
-Sei uscita di senno?!- 
Maria alzò il volto, e si ritrovò quello di Robin a pochi centimetri dal suo. -Perché ti sei vestita per uscire?! Devi stare a letto, razza di sprovveduta!- Le disse, infuriato. Maria era confusa; non riusciva a capacitarsi del tono disinvolto col quale Robin le si stava rivolgendo. Lo sgomento prese il posto del dolore, 
permettendole di parlare.
-Cosa significa quella lettera? Mi stai punendo per quello che ti ho fatto, non è così?- Robin parve non volerla ascoltare. -Stai ferma, ti rimetto a letto.-
-Vuoi ascoltarmi?!- Esclamò lei, perdendo le staffe. -Cosa significa che prima mi dici addio e poi spunti di nuovo qui?! Ti stai divertendo per caso? Ti sei 
accorto che ho rischiato di morire per mano della tua compagna di giochi?!-
Gli occhi del ragazzo si spostarono sulla sua lettera, posata sulle lenzuola. -L'hai aperta solo adesso.- Disse più a sé stesso che a Maria. -Intendi rispondermi?- 
Chiese ancora lei, riprendendo il suo pianto. Robin cercò di mantenere saldi i nervi.
-Maria, sono venuto a dirti...- Ma Maria lo interruppe. -Volevi dirmi addio di persona. Perché io non ho avuto abbastanza fegato per farlo, vuoi darmi il colpo 
di...- Robin non sopportò oltre. Le prese le spalle con le mani, immobilizzandola.
Le baciò le labbra, per poi posare la fronte contro la sua.
-Non sono venuto a dirti addio. Sono venuto a dirti che non me ne vado più, e tu nemmeno. Perché sono stufo di negarlo. Io ti amo, stupida Merryweather.-

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*Ibrat. Dall'urdu (lingua dell'Asia meridionale): un'angoscia derivante dalla sofferenza altrui.

Ciao ragazze!
Scusatemi tanto se non ho aggiornato prima, ma tra febbre e studio mi è risultato impossibile! Spero che il capitolo vi piaccia, che mi perdoniate per la violenza e la cattiveria di quello prima e che non vi abbia deluse ;)
Un saluto e un ringraziamento a tutte quante, in particolare a Jo e ad Assunta per i loro consigli! Un bacio a tutte!
Crys*

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Capitolo 8
*** Sillage ***


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Se fossero passate ore o minuti, nè Maria nè Robin potevano saperlo.
L'aria fresca dell'autunno e il profumo di legna arsa entravano dalla piccola finestra, aperta per metà. Il silenzio era rotto solo dai loro respiri, profondi e lenti e 
dal gracchiare dei corvi.
Robin e Maria erano uno di fronte all'altra distesi sul letto di lei. Non riuscivano nemmeno a parlare, tanto erano stanchi. Stanchi per il troppo tempo passato a 
pensare, a fare congetture errate, a dichiarare guerra al cuore e a schierarsi con la mente, fredda, calcolatrice.
Si guardavano negli occhi, cercando di parlarsi attraverso questi. Perché cosa meglio degli occhi poteva esprimere sentimenti, rivelare cose taciute da tempo. 
L'imbarazzo e la paura si erano dissolti, lasciando il posto a un desiderio irrefrenabile di colmare il vuoto, la voragine, creatasi nelle loro anime. 
Quando Maria si riprese dallo shock di sentire le parole 'ti amo' pronunciate dalla bocca di Robin, quest'ultimo la costrinse a farsi medicare le ferite sui polsi, 
ormai riaperte.
-Da quando sai rimettere i punti?- Gli chiese Maria, mentre stringeva i denti per il dolore. Robin si fermò un'istante, mostrandogli la cicatrice sul dorso della 
mano destra. -Ti ricorda niente? Se vuoi fare il brigante nel bosco, curarti da solo è la prima cosa che devi saper fare.-
Solo dopo la medicazione, Maria si distese sul materasso morbido, esausta. Robin dovette riflettere qualche momento, prima di mandare al diavolo l'istinto di 
tornare indietro. Posò la bombetta sulla scrivania, per poi posarsi lentamente sul letto.
Prima che potesse fare qualsiasi altro movimento, Maria lo trasse a sé, baciandolo sulle labbra. -Resta, per favore.- Gli chiese a fior di labbra. Robin non se lo 
fece ripetere una seconda volta.
Ora il tempo scorreva intorno a loro, lasciandoli in una bolla sospesa nel nulla.
-Sai Robin- Sussurrò Maria, rompendo quell'alienante silenzio. -Ho voluto fingere di essere cambiata, tornata a Moonacre. Ma Londra non ha fatto altro che 
incrementare la tempesta che viveva nella mia mente e nel mio cuore. Ho combattuto per inserirmi, come un lupo nel branco, ed è stato difficile. Terribilmente 
difficile. Le giovani aristocratiche non mi somigliavano, contrariamente a quanto avevo potuto pensare. Guardavano me e i miei vestiti come se fossi stata una 
fuori di senno, una nomade. Mi hanno schernita, evitata, odiata. Tutto perché ero diventata diversa, durante il mio soggiorno qui. Ho avuto il tempo di riflettere, 
durante quelle notti insonni, su quanto io fossi simile a quelle ragazze da bambina. Anche io, arrivata a Moonacre, pensavo foste tutti dei contadinotti ignoranti 
ed ingenui, vi trattavo come stracci. Sono arrivata alla conclusione che, nonostante mi abbiano rovinato i capelli intingendomeli nell'inchiostro, nonostante mi 
abbiano bruciato tutti i vestiti nel camino e obbligatami a sbrigare i loro compiti, ero contenta della mia diversità. Oh Robin, se solo tu sapessi quanto male c'è 
fuori da questa valle. E poi ho riflettuto su di un'altra cosa; se il destino mi avesse voluta a Londra, probabilmente, le cose sarebbero andate diversamente. Ho 
interpretato tutto l'inferno che ho dovuto sopportare come la giusta punizione per quello che ho fatto. Tornata a Moonacre ho finito di espiare le mie colpe. I 
miei polsi ne sono la testimonianza. Quindi Robin, ti prego, ti supplico di perdonarmi. Ciò che ho fatto è stata una barbaria nei tuoi confronti, e non c'è giorno 
che io non mi danni e non mi incolpi per questo.-
Le lacrime sgorgarono calde dalle guance di entrambe. Robin la strinse a sé, baciandole i capelli ramati, ora sciolti sul cuscino di seta.
-Maria, ti ho perdonata nel momento in cui ho incrociato di nuovo i tuoi occhi, guardato le tue labbra pronunciare di nuovo il mio nome e visto i tuoi capelli 
ondeggiare nel vento. Nella mia stanza non esisteva più un oggetto integro; la rabbia mi aveva costretto a disintegrare ogni cosa, avrei voluto distruggere il 
mondo, tanto odiavo la mia vita in quel momento. Mio padre freddo e distaccato per l'umiliazione di fronte alla tua famiglia, tu lontana da me e nessuno a cui 
potermi affiancare, a cui poter confidare i miei pensieri.- Maria lo interruppe per un istante. -Ma Rue...- -Rue è stata un errore madornale.- Robin pronunciò il 
nome della ragazza con infinito disgusto. -Era una brava ragazza, sai? È stato il mio odio a tramutarla in una macchina per uccidere, fredda e senza pietà. 
Dovevo accorgermi di questo, dovevo comprendere che stavo trasmettendo a lei la mia rabbia. È stato istinto di auto conservazione, per rimanere il Robin De 
Noir che tu mi avevi aiutato a diventare. Avvertivo una sensazione di disagio, di angoscia, solo come un sussurro, o l'ombra di un sussurro. Ma quando mi sono 
accorto di ciò che avevo creato, di che mostro avesse partorito la mia mente, è stato troppo tardi.- Finì il suo discorso prendendo fra le mani un polso di Maria, 
passando le dita sopra la benda.
-Mi hai ferito Maria, sì. Ma non puoi dire che ciò che ti è accaduto per mano di Rue possa in qualche modo essere giusto. Ho rischiato di vederti morire fra le 
mie braccia. E dopo averti vista morire già una volta, nessun dio, nessun destino avrebbe potuto strapparti via da me di nuovo. Sei la mia Maria, mia soltanto, e 
non ti voglio più lasciare.-
Maria lo guardava, incredula davanti alla fragilità del De Noir. Si sentiva lusingata, ma pur sempre in colpa. Si rifiutava di pensare a ciò che Robin sosteneva, 
non poteva capacitarsi che fosse stato lui, seppur indirettamente, a cercare di ucciderla. Formulando questi pensieri, cominciò a passare la mano destra tra i riccioli 
castani di Robin; percorreva le strade dei suoi capelli come un esploratore in una foresta oscura, ma accogliente. Non aveva mai avuto l'occasione di 
accarezzargli il capo in passato, ed ora era certa che non esistesse al mondo qualcosa di così morbido e profumato.
-Ti amo Robin.- Disse d'un tratto. -E non me ne andrò da nessuna parte a meno che non sia tu a chiedermelo.- 
Quasi automaticamente, le loro labbra si avvicinarono e schiusero, incontrandosi in un bacio che aveva mille cose ancora da dire. 

                                                                                                                      *
Quando il cielo passò dal grigio al nero della sera, i due si erano ormai addormentati uno nelle braccia dell'altra.
Fu un sonno senza sogni, poiché il vero sogno, adesso, era la realtà stessa. 
Durante quel pomeriggio nessuno entrò in camera di Maria; se fosse stato un fortuito caso o il pianto di lei a tenere lontani gli zii e Miss Heliotrope, non lo 
avrebbero mai saputo.
Il rumore della pioggia battente e il freddo del pomeriggio inoltrato svegliarono Maria; aprì prima un occhio poi l'altro e controllò immediatamente se Robin 
fosse ancora al suo fianco. Fu la mano di lui, stratta attorno al suo punto vita, a rassicurarla.
Sentiva il suo respiro caldo sul collo, accarezzarla dolcemente: forse, solo la carezza di una madre avrebbe potuto mimare la dolcezza di quel gesto. 
Improvvisamente, un accesso di tosse costrinse Maria a mettersi seduta e quindi a svegliare il ragazzo.
-Stai bene?!- Chiese Robin immediatamente. -Sì... Perdonami, ti ho svegliato.- Disse Maria, tra un colpo di tosse e l'altro. Il ragazzo si accorse della finestra 
ancora aperta; pensando fosse stato il freddo a provocarle la tosse, si alzò per chiuderla. Fissò qualche istante il paesaggio circostante; dovevano essere le cinque 
del pomeriggio, e sarebbe stato meglio tornare verso la fortezza De Noire prima di sera. -Robin...- Maria lo richiamò con un filo di voce, terribilmente in 
apprensione. Il ragazzo si voltò di scatto: Maria teneva in mano il suo fazzoletto di cotone sporco di sangue. -Oh mio dio. Maria potresti avere qualcosa di 
grave! Dobbiamo avvisare tuo zio.- Robin fece per prendere la bombetta sulla scrivania, ma venne bloccato da Maria. -No, Robin, non andare tu! Se sapesse che 
sei qui senza il suo permesso, non te lo perdonerebbe mai. È troppo protettivo.- -Ma... Al diavolo, andrò a cercare qualcosa per un infuso.- -Ma Robin, sta 
piovendo incessantemente! Sarai tu ad ammalarti!- Protestò Maria, ricominciando a tossire. -Non preoccuparti per me, so cavarmela da solo. Tu va ad avvisare 
quanto meno Loveday. Sarò di ritorno tra poco.- Mari annuì. Guardò Robin aprire il passaggio attraverso il camino e prima che potesse sparire, lo abbracciò 
stretto. -Fai attenzione.- 
Il profumo di Robin le aveva impregnato le vesti ed il cuore e rimase con lei nonostante lui fosse ora lontano.

                                                                                                                      *

Il fiatone era nulla in confronto all'urgenza di portare una cura a Maria.
Scese le scale con una rapidità tale da fargli dolere le ginocchia, per poi uscire fuori dalla grotta di Loveday alla velocità di un ghepardo.  Aveva bisogno di timo, 
passiflora e camomilla, insieme avrebbero cotituito un ottima cura per i polmoni. Mentre si affannava per le praterie, messo in difficoltà dalla pioggia e dal buio, 
un pensiero gli tornò prepotente alla memoria; ricordò quando, dopo una nottata fuori sotto la pioggia, anche Rue cominciò a tossire sangue. Rivide i suoi occhi 
celesti spaventati a morte supplicarlo di aiutarla e la sua voce stridula urlare angosciata. Sotto questo punto di vista, Rue era sempre stata infinitamente più 
debole di Maria. Se fosse stata al suo posto, qualche anno prima, pensò Robin, Rue non si sarebbe mai condannata a morte per salvare la valle. Era troppo 
egoista, troppo pavida.
Cercando di scacciare questo ricordo, cominciò ad annusare l'aria, alla ricerca delle erbe che gli occorrevano. -Maledizione a questa pioggia, dovrai smettere di 
tormentarmi, prima o poi!- Imprecò ad alta voce.
-I problemi ti tormentano finché non li risolvi.- Una voce alle sue spalle lo fece spaventare a morte. -Chi diavolo sei?!- Urlò, non riuscendo a distinguere la 
sagoma di fronte a sé. -Non mi vedi per qualche giorno e già ti dimentichi di me?- L'insolenza e la prepotenza di quella voce fecero risuonare un campanello 
d'allarme nella sua testa. Si toccò lentamente la fondina dove teneva il coltello, che fortunatamente era ancora al suo posto. Incredulo, pronunciò il suo nome. -
Rue?!- Proprio quando le nuvole si mossero nel cielo, un raggio di Luna le illuminò gli occhi celesti. -In persona.-
Il sangue di Robin divenne gelido e per un istante il cuore gli balzò in gola. -Mi sembrava di essere stato chiaro, dovevi sparire da qui.- Rue rise. -Supponi, per 
un momento, che io non voglia farlo. Cosa pensi mi succederebbe?- Robin strinse i pungi con forza. -Rue, vattene. Dico sul serio, non ti voglio più attorno, 
vattene prima che perda il senno e...- Rue scattò verso di lui, puntandogli un pugnale alla gola. -E?! Cosa, Robin De Noir? Vuoi uccidermi? Pensi davvero di 
poterti liberare così facilmente di me e tornare da quella stupida principessina? Ma guardati, sei un rammollito. Qualche mese fa mi avresti bloccato il braccio in 
un secondo.- Disse Rue, con un tocco di amarezza nella voce. -Dov'è finita la tua rabbia, il tuo odio...- -Sei tu la mia rabbia, sei tu il mio odio.- Disse Robin, 
capovolgendo la situazione. Ora Rue gli dava le spalle, col braccio armato girato verso la schiena e quello di lui stretto attorno alla gola. -Non ti ricordi com'eri 
prima? Eri una ragazza innocente, Rue Lennox, avevi paura del sangue e provavi pietà anche solo nel calpestare le formiche. È colpa mia se adesso sei così 
violenta, così fredda. Ricordati chi sei.- Più che minacciarla, Robin sembrava supplicarla. Era la sua ultima possibilità di scrollarsi di dosso quella pesante 
responsabilità. All'improvviso, la sentì tremare, poi piangere. -Uccidimi, Robin, fallo. Sono orfana, non ho nessuno ad aspettarmi. Avevo te, ma ti ho perduto 
come una sciocca. Se vuoi che io sparisca, uccidimi.Altrimenti tornerò, tornerò sempre.- Il De Noir mollò immediatamente la presa su di lei, scosso da quella 
sua abominevole preghiera. Rue si accasciò a terra piangendo, incurante del fango. Robin le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla, ma subito venne 
scaraventato a terra e bloccato dal peso di Rue. -Oltre che rammollito sei diventato uno sciocco sentimentale.- Rise lei, divertita. -Tu... Verme.- Le disse, con 
l'acido in gola. ma non ebbe tempo di dire nient'altro, pioché Rue gli assestò un pugno dritto sull'occhio sinistro. Robin imprecò, per poi scaraventarla 
letteralmente di lato. -Ora ti riconosco!- Urlò lei. Robin non la sentì nemmeno; le corse in contro, sfoderando il pugnale. Quella parte di lui doveva 
abbandonarlo per sempre: non aveva mai ucciso nessuno, ma non avrebbe avuto scrupoli questa volta. Mentre volteggiavano tra l'erba alta e bagnata, Robin 
pensò a quanto velocemente Rue avesse appreso l'arte della lotta. Era scattante e furba, non sarebbe stata un'avversaria facile da battere.
Lei tirava pugni e calci a non finire, obbligandolo tal volta ad abbassare la guardia. In compenso, Robin l'aveva già colpita numerose volte col coltello, 
graffiandole il volto e tagliandole la carne delle braccia. -Stai facendo tutto questo per una ragazzina, te ne rendi conto?- Gli urlava lei. -Io la amo Rue! Non 
potrai mai prendere il suo posto!- Le diceva lui, ferendola più in quel modo che non con mille pugnalate.
Dopo quelle che gli sembrarono ore di combattimento, sfinito ed in pensiero per Maria, si deconcentrò dalla lotta e rovinò a terra, inciampando su di un sasso.
Rue colse l'occasione al volo, mettendosi a cavalcioni su di lui e bloccandogli le braccia al terreno. Robin si dimenò nel tentativo di liberarsi, ma la presa della 
ragazza era realmente sorprendete. -Lascia perdere la Merryweather e torna con me. Giuro che la lascerò in pace.- Disse lei, a pochi centimetri dal volto di Robin.
-Mai.- Disse lui, senza esitazioni. -Non mi lasci altra scelta.- Rue lo guardò con uno sguardo disumano. Si chinò sul suo viso e lo baciò. Rialzandosi, era gelida 
in volto, con le lacrime che si confondevano con le gocce di pioggia. Rue alzò il braccio, col pugnale in mano diretto verso il cuore di Robin.
Successe tutto in un lampo; il nitrito di un cavallo risuonò assordante. Una figura scese velocemente dal suo dorso per poi scagliarsi su Rue, sbalzandola via.
Avvertì delle grida, numerose voci e poi il buio. 


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*Sillage: dal francese, la scia del profumo lasciata da qualcuno che se ne è andato.

Ciao care!
Ecco il nuovo capitolo! Vi chiedo scusa se aggiorno con poca frequenza, ma tra studio e malanni il tempo scarseggia :( Spero che questo capitolo vi piaccia e che non deluda le vostre aspettative! Come avete letto c'è un grande ritorno, non potevo proseguire lasciando che quei due se la vivessero tanto facile muhahaha ;)
Grazie sempre delle vostre recensioni e del vostro sostegno!
Un bacione, 

Crys*

 

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