Let it Burn

di Sakyo_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tacchi dodici ***
Capitolo 2: *** Incognita ***
Capitolo 3: *** Particolare ***
Capitolo 4: *** Sola ***
Capitolo 5: *** Permesso ***
Capitolo 6: *** Calore ***
Capitolo 7: *** Onde rumorose ***
Capitolo 8: *** Ratatouille ***
Capitolo 9: *** Oro e smeraldo ***



Capitolo 1
*** Tacchi dodici ***


Let it Burn



1. Tacchi Dodici

L’aria fresca di settembre smuoveva le foglie verdi degli alberi che si preparavano ad affrontare un nuovo autunno. Una di queste, leggermente ingiallita, fu colpita in pieno da una folata di vento improvviso e roteò per alcuni istanti su se stessa, in una danza di commiato dal ramo che l’aveva ospitata per tutto quel tempo, prima di cadere sul duro asfalto del marciapiedi.
Bastò un passo, e la grazia del suo volo, la bellezza della sua essenza naturale e la superbia con cui poco prima osservava il mondo dall’alto svanirono per sempre. Pestata e stropicciata da una scarpa di passaggio, in quel frangente la foglia espresse pienamente il significato della parola “caducità”.
Ma nemmeno un’immagine così poetica sarebbe riuscita a smuovere i sentimenti del ragazzo fautore di quel gesto involontario, che continuò la sua camminata senza ovviamente accorgersi di aver commesso un’azione tanto misera quanto brutale.
La giacca nera di pelle gli faceva sentire caldo, ma sfilarsela avrebbe comportato un dispendio di energia non indifferente. Energia a cui avrebbe anche potuto rinunciare, se solo non fossero state le otto di mattina. La mattina significava sonno, e le otto significavano umore nero, quindi, per non alterare troppo il livello di scontento nel mondo, tutto sarebbe rimasto al proprio posto, giacca compresa.
Un sonoro sbadiglio accompagnò le note musicali che si propagavano dalle cuffie fino alle orecchie, per poi terminare il suo ciclo nelle lacrime degli occhi.
La notte precedente aveva continuato a strimpellare la sua chitarra fino alle due, ragion per cui quelle poche ore di sonno non gli permettevano di essere una persona propriamente contenta e sorridente di prima mattina, soprattutto dopo che aveva trascorso un’estate a svegliarsi all’ora di pranzo. Fortuna che non abitava in un condominio, altrimenti si sarebbe ritrovato a litigare quasi tutti i giorni con i suoi vicini di casa, insieme a un discreto quantitativo di denunce per rumori molesti.
Svoltato un angolo si ritrovò davanti una ragazza minuta, con dei corti capelli castani e due grandi occhi dello stesso colore. Era appoggiata ad un muretto e teneva le braccia incrociate. Quando vide il ragazzo il suo viso si illuminò.
«Ce l’hai fatta ad arrivare! Pensavo che stessi ancora dormendo» esclamò con un sorriso.
«Non è che sia sveglio, in realtà…» rispose il ragazzo, massaggiandosi un occhio con il palmo della mano.
«Dovresti smetterla di suonare fino a tardi» lo ammonì la ragazza.
«E tu dovresti smetterla di rompere le sc…» ma non finì la frase perché tutta la sua attenzione fu catturata da un elemento del vestiario dell’altra.
«Un momento… Quella è una gonna?» domandò in modo retorico, guardando con un’espressione incredula la ragazza, la quale in tutta risposta arrossì di colpo.
«È il primo giorno di scuola e voglio… Voglio dare una buona impressione!» balbettò con voce troppo acuta.
In realtà, il suo scopo non era quello. “Voglio essere carina per te”, era la frase giusta. Ma come ogni volta, avrebbe tenuto per sé i suoi veri pensieri.
Il ragazzo scosse la testa e riprese a camminare superandola. Lei, stando bene attenta a non far trapelare la sua delusione all’esterno, afferrò saldamente le maniche dello zaino che aveva in spalla e lo seguì in silenzio.
«Non ti sta male, Anne» disse improvvisamente il ragazzo che la precedeva «Non sembri nemmeno il solito maschiaccio»
Anne ci mise qualche secondo per realizzare che quello che aveva appena sentito era un complimento. Camuffato, ma pur sempre un complimento.
Si morse le labbra per evitare di sorridere e lo superò facendogli una linguaccia.
«Muoviti, Castiel!»

 
***
 
Al suono della campanella tutte le aule si riempirono come formicai. Il chiacchiericcio si faceva sempre più rumoroso e insistente, dato che le vacanze estive si erano appena concluse e tutti avevano molte cose da raccontare.
Anne e Castiel presero posto nella fila accanto alla finestra, lui all’ultimo banco, lei a quello subito davanti. Dalle elementari portavano avanti quell’abitudine che nessuno aveva mai interrotto. E la cosa non risultava neanche troppo strana, a pensarci bene. Ogni tanto qualcuno tentava di occupare l’ultimo banco, magari per scampare un’interrogazione o più semplicemente perché quella volta non aveva voglia di stare in prima fila sotto gli occhi degli insegnanti, ma bastava uno sguardo di Castiel a far capire al malcapitato che quell’idea non sembrava poi così geniale.
«Avete sentito? Pare che avremo un nuovo professore quest’anno»
La notizia dell’arrivo di un nuovo docente si diffuse velocemente tra gli studenti e altrettanto velocemente iniziarono a venir fuori le ipotesi su chi fosse, cosa insegnasse e che livello di cattiveria raggiungesse il suo metodo di insegnamento.
«Spero sia meno noioso del professor Faraize» disse qualcuno.
«Secondo me sarà una vecchia zitella come la Direttrice!» ribatté un altro, scatenando le risate di alcuni compagni.
Alle otto e trenta spaccate la porta dell’aula venne aperta con uno scatto secco della maniglia e tutti poterono finalmente dare un volto alla vaga immagine del nuovo professore che fino a pochi secondi prima svolazzava confusamente nelle loro menti.
Il movimento di circa trenta teste si sincronizzò con l’andatura della persona che stava raggiungendo la cattedra a passo deciso.
I tacchi dodici delle décolleté colpivano sonoramente il pavimento come una pistola semiautomatica concentrata a perforare il suo bersaglio. La minigonna in similpelle nera fasciava due gambe non troppo lunghe ma ben definite e seguiva fedelmente ogni contrazione muscolare compiuta per arrivare a destinazione. La camicia bianca aveva le maniche arrotolate fino ai gomiti e sulle estremità dei seni ricadevano lunghi capelli corvini che sfuggivano allo chignon dietro la testa. Un paio di occhiali dalla montatura rettangolare nascondevano lo sguardo tagliente di un giovane viso lievemente truccato e dai tratti volutamente severi. Una ragazza, o meglio una donna incredibilmente giovane, aveva radicalmente stravolto una classe intera riguardo la semplice concezione del termine insegnante.
Nell’aula non volava una mosca. Rimasero tutti a osservare i movimenti di quella donna con espressioni ebeti e bocche semi aperte, come intontiti.
Quando arrivò alla cattedra posò la borsa a tracolla su una sedia e si girò di spalle – gesto che comportò la deviazione dello sguardo dei ragazzi molto più in basso rispetto a dov’era puntato in precedenza – per prendere il gesso della lavagna. Scrisse velocemente a caratteri corsivi il suo nome alla lavagna, poi si voltò nuovamente verso gli studenti.
«Mi chiamo Eloise Laurent e sono la vostra nuova insegnante di storia»
Una presentazione breve ma concisa che però lasciava in sospeso molte domande. Una fra tutte continuava a tartassare la mente degli studenti che pian piano stavano prendendo coscienza della situazione: quanti anni ha la professoressa Laurent?
«All’intervallo partono le scommesse» bisbigliò un ragazzo dall’eccentrica capigliatura azzurra vicino al gemello moro, la cui attenzione era stata inverosimilmente catturata da qualcosa che non fosse la sua console.
Ma l’oggetto elettronico, benché abilmente nascosto sotto il banco, non sfuggì agli occhi attenti della professoressa. «Ti consiglio vivamente di mettere quella roba nello zaino, se non vuoi rivederla alla fine dell’anno» la sua voce non era alta ma riuscì ad arrivare chiara fino agli ultimi banchi facendo raggelare il diretto interessato.
Sistemandosi gli occhiali con la punta del dito, la professoressa Laurent aprì il registro e iniziò a fare l’appello. I nomi erano tanti, troppi per la sua memoria poco fotografica.
Analizzò con scrupolo tutti i volti dei ragazzi che chiamava, cercando di associarli ai cognomi che pronunciava lentamente.
La sua concentrazione era quasi completamente indirizzata a questo processo mentale. Quasi, perché una piccolissima parte andò a puntarsi sulla chioma scarlatta che spuntava prepotentemente dalle ultime file di banchi vicino alla finestra.
Affinando l’udito si poteva sentire un rumore pressoché impercettibile arrivare proprio da quella direzione.
Le sopracciglia della professoressa si corrugarono quel tanto che bastò a mettere in allerta Anne.
«Castiel, togliti le cuffiette» sussurrò agitata all’amico. Ma Castiel continuò a non prestare attenzione a ciò che succedeva intorno a lui, preferendo tenere gli occhi puntati fuori dalla finestra mentre picchiettava due dita sul davanzale.
Si decise a tornare nella realtà soltanto quando, con la coda dell’occhio, notò che tutti i compagni davanti a lui lo fissavano eccitati e terrorizzati allo stesso tempo.
Poi d’improvviso la musica svanì dalle sue orecchie.
La professoressa, in piedi alla sua sinistra, aveva staccato le cuffie dal lettore mp3 e lo guardava dritto negli occhi.
Dal canto suo, Castiel smise di tamburellare sul davanzale assumendo un’espressione infastidita. «Qualcosa non va?»
«Se hai il tempo di ascoltare la musica durante le mie lezioni, sono sicura che troverai anche quello per andare a fare due chiacchiere con la Direttrice» disse la professoressa con tutta la calma di cui disponeva in quel momento.
«Non sapevo che bisognasse stare attenti anche durante l’appello» osservò il rosso con fare sarcastico.
Un angolo della bocca della professoressa si piegò verso il basso, segno che la sua pazienza stava pericolosamente arrivando alla fine.
Senza staccare gli occhi da lui, sollevò il braccio a mezz’aria e indicò la porta dell’aula.
Castiel si alzò dalla sedia, rimase a fissarla per un lungo istante dall’alto della sua statura, poi, come per prendersi una piccola vendetta personale spostò lo sguardo sul seno della donna e ghignò. Compiaciuto del suo gesto, la superò e si diresse verso l’uscita.
La professoressa chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed allo stesso modo espirò. Tornò alla cattedra e finì velocemente di fare l’appello. La sua concentrazione nell’apprendimento dei nomi era andata perduta, avrebbe rimandato quell’esercizio ad un altro momento.
«Molto bene. Prendete i vostri libri di testo e iniziamo la lezione»
Anne scosse la testa e sospirò preoccupata. Non si poteva certo affermare che il suo amico avesse inaugurato il nuovo anno scolastico nel migliore dei modi.

 
***

Erano ormai le sei passate quando Eloise rincasò dal lavoro. L’appartamento in cui abitava era piccolo ma funzionale per ogni sua esigenza. Alla fine di una giornata del genere però, l’unica sua esigenza era spalmarsi sul divano e non alzarsi mai più. Prima di esaudire quel desiderio, si tolse gli abiti che indossava dalla mattina, si mise in tuta e sciolse lo chignon. I capelli ricaddero disordinati sulle spalle sottili e le ciocche ai lati del viso furono sistemate dietro le orecchie per praticità. Lo specchio del bagno rifletteva la sua immagine ora totalmente diversa. In quelle condizioni sembrava una normalissima ragazza di ventidue anni, sebbene in realtà ne avesse cinque di più. E quella che aveva da poco terminato era stata la sua primissima giornata di lavoro.
Non aveva compiuto sforzi fisici, eppure tutti i muscoli del suo corpo erano indolenziti come dopo un lungo allenamento in palestra. Con una mano si massaggiò il collo e roteò piano la testa da una parte all’altra. Lanciando un’altra occhiata allo specchio, si accorse di avere ancora gli occhiali da vista. Li tolse sperando di far riposare un poco gli occhi.
Poi si diresse in cucina, prese un trancio di pizza che aveva comprato poco prima di tornare a casa e tornò in soggiorno, dove finalmente poté buttarsi sul divano.
Mentre si gustava la cena accese il televisore per ascoltare il notiziario della sera, ma era ancora l’ora dei fastidiosi quiz televisivi quindi il suo cervello si alienò dallo schermo e iniziò ad elaborare i risultati del suo primo giorno di lavoro.
Era riuscita a nascondere discretamente l’agitazione iniziale, anche se temeva che qualcuno avesse notato il tremore delle mani quando aveva scritto il suo nome alla lavagna.
La lezione era proceduta abbastanza bene, la sua voce era stata chiara e non si era persa troppo in inutili digressioni. Aveva anche avuto l’impressione che i suoi studenti fossero attenti e la maggior di loro si era impegnata a prendere degli appunti su ciò che aveva spiegato. L’unica nota che stonava in quel resoconto quasi perfetto era... Il ragazzo dai capelli rossi. Essendo una giovane insegnante, la sua preoccupazione più grande era di non riuscire a farsi rispettare dagli studenti. Ma aveva tenacia e sangue freddo insieme alla consapevolezza della professionalità che il suo atteggiamento le conferiva.
Quel ragazzo così strafottente aveva fatto vacillare per un attimo la sua sicurezza. Non andava bene. Era un elemento che non doveva assolutamente sottovalutare.
Eppure non riusciva a ricordare quale fosse il suo nome...
Poco importava. Con la certezza che l’avrebbe imparato presto a causa della sua faccia tosta, finì di mangiare l’ultimo pezzo di pizza e abbassò il volume del televisore.
L’indomani sarebbe arrivato presto e il programma della lezione successiva di certo non aveva la capacità di scriversi da solo. Con uno sbadiglio, Eloise prese il suo computer portatile e si immerse di nuovo nel suo ruolo di professoressa.

 
***

Seduta sul bordo del letto di Castiel, una gamba penzoloni e l’altra stretta con le braccia, Anne scrutava severa il volto dell’amico.
«Prima o poi finirai davvero nei guai, sai?»
Castiel, con il plettro nelle labbra e la chitarra tra le mani, guardò Anne con aria interrogativa.
«Non puoi comportarti in quel modo con un’insegnante!» esclamò la ragazza, esasperata dalla tranquillità dell’altro.
Castiel capì a cosa si stava riferendo e roteò gli occhi facendo intendere che il discorso non lo interessava minimamente. «Ma l’hai vista? Non avrà nemmeno trent’anni... In che tipo di guai potrà mai farmi finire?»
«Sarà anche giovane, ma rimane sempre la nostra professoressa. Non essere così superficiale, Castiel»
Il rosso tolse della polvere invisibile dalla sua chitarra per poi lanciare un’occhiata alla sveglia sul suo comodino. «È tardi, va’ a casa» tagliò corto.
Anne si sentì quasi offesa da quelle parole e senza dire più nulla si alzò per mettersi la giacca. Stava per uscire dalla stanza quando si sentì tirare per il cappuccio.
«Scema»
Castiel si infilò al volo la giacca di pelle e la precedette nell’uscire.
Quel ragazzo riusciva a renderla immensamente triste e felicissima nel giro di venti secondi.
«So arrivarci da sola a casa, non ho bisogno della balia»
«Sta zitta, marmocchia»
Anne sorrise, spingendogli la schiena. La parte dell’offesa non le usciva mai bene con lui.



 
Note dell'autrice:
Chi l'avrebbe mai detto che sarei tornata così presto a pubblicare una nuova storia?
Io per prima non lo pensavo, e invece eccomi di nuovo qui.
Due o tre giorni dopo aver concluso Night and Day, mi è balenata nella mente un'idea.
Ed ora, l'inizio di quell'idea è in forma scritta nel fandom di Dolce Flirt.
Ho già buttato giù a grandi linee tutta la trama, quindi spero che uscirà un buon lavoro!
Ovviamente non posso rinunciare a Castiel, quindi è di nuovo in scena con il ruolo di protagonista maschile.
Spero che questa storia possa piacervi! Fatemelo sapere lasciando un commento :3

Sakyo

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Capitolo 2
*** Incognita ***


2. Incognita

«Ed è questo il metodo per trovare l’incognita (x). Se tutti i calcoli saranno giusti, state sicuri che riuscirete ad avere anche la giusta soluzione»
Il suono della voce del professore arrivava vago alle orecchie di Anne, impegnata a scarabocchiare ghirigori insensati sul quaderno degli appunti aperto davanti a lei.
“Un’incognita...” pensò. Il palmo della mano a sorreggere il mento, lo sguardo abbassato sul foglio pieno di scarabocchi.
Nel disegnare una grande X al centro della pagina, la penna nera smise di funzionare. Anne la rigirò tra le mani e si accorse che era finito l’inchiostro. Pescò un’altra penna dall’astuccio e ricalcò i contorni della X che aveva scritto poco prima. Non ci volle molto perché comparisse una nuova lettera, sotto a quella scritta poco prima. Una C tonda ed energicamente arcuata, a cui seguirono poi altre compagne di segno differente.
Tornò di nuovo su quelle lettere per ripassarle tutte, in modo incisivo ma meticoloso.
Un tenue raggio di sole entrando dalla finestra andò a colpire il nome che aveva preso vita grazie alle mani della ragazza.
Castiel.
I toni rossi dell’inchiostro con cui era stato scritto risaltavano visibilmente sul foglio, quasi come se volessero urlare al mondo la loro presenza, il loro significato.
«Che stai facendo?»
Una voce fin troppo conosciuta ridestò Anne dai pensieri che l’avevano estraniata dal mondo fino a quel momento.
In un istante si rese conto che il ragazzo che aveva davanti era anche il possessore del nome che troneggiava fiero sul quaderno, troppo esposto a qualsiasi sguardo. Buttandosi con le braccia sul banco, riuscì a coprire il suo segreto prima che fosse troppo tardi.
«Stretching mattutino» si affrettò a rispondere.
Castiel la guardò con un misto di scetticismo e curiosità, prima di sistemarsi nel banco dietro di lei.
Anne sospirò impercettibilmente, aprendo e chiudendo le dita delle mani per scaricare lo stress che aveva provato in quei pochi istanti passati dall’arrivo del ragazzo.
Quando si riprese, si voltò indietro lanciando un’occhiataccia a Castiel.
«Hai saltato la lezione di matematica»
«Non è la prima volta» ribatté il rosso. Lo scorso anno erano state più le lezioni saltate che quelle frequentate, e questo particolare non aveva favorito un buon rapporto con i professori.
«Castiel, non mi sembra il caso di prenderla così alla leggera. Vuoi rischiare la bocciatura anche quest’anno?»
Abituato da tempo ai rimproveri dell’amica, Castiel frugò nelle tasche dei pantaloni alla ricerca di alcune monete e si alzò dalla sedia senza risponderle.
Anne stava per aggiungere qualcosa, ma le parole le morirono in gola quando la professoressa Laurent fece il suo ingresso in aula e si trovò faccia a faccia con Castiel, che intanto era arrivato alla porta.
«Dove staresti andando?» chiese la professoressa, scrutandolo con occhi affilati.
«A prendere un caffè». Il rosso fece tintinnare gli spicci che aveva in mano e li rimise in tasca, come se cercasse di far capire un concetto molto semplice a una persona poco intelligente.
La professoressa sorrise amabilmente, lasciandolo di stucco per un momento.
Poi avanzò verso di lui e infilò una mano nella tasca dei suoi pantaloni. Ripetendo il gesto che il ragazzo aveva compiuto poco prima, fece risuonare le monete nella mano con il sorriso ancora stampato sulle labbra.
«Pare che ora le tue uniche alternative siano tornare a posto, o filare dalla Direttrice» dopodiché aggiunse piano, in modo che solo lui potesse sentirla «Ho come un déjà vu».
Castiel rimase impalato a fissarla con astio. Quella professoressa stava cominciando ad infastidirlo. Oltretutto rinunciare al suo secondo caffè mattutino stava a significare brutta, bruttissima giornata. Ma in quel caso non poteva fare nulla, quindi girò i tacchi e tornò al suo posto, sconfitto.
La professoressa Laurent soddisfatta si sedette alla cattedra ed estrasse una pila di fogli dalla borsa.
«Per verificare il livello di preparazione nelle mie materie, ho preparato un test»
Da tutta l’aula si levò un unico, forte lamento simile a quello di un animale ferito.
«Sarà senza voto?» azzardò qualcuno.
La professoressa, sistemandosi gli occhiali fece una panoramica della classe e sorrise di nuovo. «Certo che no, ragazzi»
Se fino a poco prima quella nuova, giovane, sensuale docente era sulla bocca di tutti e veniva vista quasi come una celebrità, ora aveva creato un malcontento tale da essere registrata automaticamente nella categoria degli insegnanti più severi e carogne del Dolce Amoris.
 
***
 
Dopo la pausa pranzo, Eloise si fece indicare la biblioteca da uno studente di passaggio per i corridoi. Visto che aveva tutto il resto della giornata libero, ne avrebbe approfittato per cercare un libro riguardante un argomento di storia che voleva trattare nelle prossime lezioni. A quell’ora nel liceo regnava una calma piatta, quasi surreale. Fuori da una finestra, un albero imponente faceva ondeggiare piano le sue foglie, alcune delle quali cadevano ai suoi piedi. Tra i rami passava ogni tanto un raggio di sole che illuminava il corridoio e contribuiva a rendere quella scena di una tranquillità che portava inevitabilmente il buonumore.
Un ragazzo dai capelli biondi e la cravatta troppo stretta era seduto all’ingresso della biblioteca e sembrava molto concentrato nel compilare una pila di moduli accanto a lui.
Osservandolo qualche secondo in più del dovuto, Eloise arrivò alla conclusione che se avesse avuto dieci anni in più sarebbe stato proprio il suo tipo di uomo.
«Buongiorno» esordì avvicinandosi al biondo.
Questi alzò gli occhi verso la donna e in un primo momento rimase alquanto disorientato.
Poi, come se avesse capito improvvisamente che quella non era una studentessa troppo cresciuta ma la nuova professoressa di cui tutti parlavano, scattò in piedi porgendole la mano.
«Lei deve essere la professoressa Laurent. Sono Nathaniel, il segretario delegato»
Eloise notò che nel pronunciare quelle ultime due parole, il biondino non aveva resistito a caricarle di un sentimento d’orgoglio ed esuberanza. Intenerita, gli sorrise gentilmente.
«Strano non averti incontrato prima, viste le mille pratiche che ho dovuto consegnare»
Nathaniel assunse un’espressione talmente imbarazzata e ferita che Eloise quasi si pentì di avergli rivolto quelle parole. Non aveva avuto nessun intento denigratorio, anzi credeva che potesse essere un buon modo per rompere il ghiaccio. Evidentemente si era sbagliata.
«Purtroppo sono stato colpito da una brutta influenza pochi giorni prima che riaprisse la scuola, per questo…» sembrava non riuscire a trovare le parole adatte per giustificare quell’assenza lavorativa.
Mentre pensava a come risollevare il morale del ragazzo, Eloise sentì una mano toccarle la spalla.
Il professor Faraize, col suo naso adunco e gli occhialetti in perfetto equilibrio su di esso, esternò con un sorriso raggiante tutta la sua contentezza nell’averla trovata.
«E così anche tu, Nathaniel, hai finalmente conosciuto la nostra professoressa Laurent»
“Nostra?” pensò Eloise. Dovette sforzarsi molto per non arricciare la bocca.
Quel collega era sempre troppo gentile con lei, al punto da risultare terribilmente appiccicoso e insistente. E lei non sopportava i tipi come lui. In ogni caso, doveva cercare di rimanere il più professionale possibile.
«Faraize» disse sorridendo «Se permetti, ho assolutamente bisogno di cercare un libro».
Sperò con tutto il cuore che il collega capisse il suo gentile tentativo di congedarsi da lui.
«Un libro, eh? Ma certo, ma certo. E dimmi, come si intitola? Ti aiuterò a cercarlo, Eloise»
“Eloise?! Chi diavolo si crede di essere per chiamarmi per nome?”. Lo conosceva solo da qualche giorno e già si permetteva una confidenza del genere. La lista degli individui da evitare uscì meccanicamente da un cassetto del cervello di Eloise, che scrisse il nome dell’uomo di fronte a lei senza pensarci due volte.
«Faraize» ripetè, stavolta calcando il nome con una nota aspra nella voce, «non c’è bisogno di aiutarm…»
«Suvvia, dimmi il titolo! La biblioteca è come una seconda casa per me, mia cara»
“Mia cara? Mia cara? MIA CARA?”. Ora nella testa della donna risuonavano solo quelle parole.
Intanto Nathaniel fissava i due professori allarmato. Probabilmente era l’unico ad aver notato il cambiamento di espressione di Eloise. Per due volte provò ad aprire bocca, ma alla fine non disse nulla. In realtà, non sapeva proprio cosa avrebbe potuto dire per sbloccare quella situazione imbarazzante.
Eloise invece lo sapeva bene. Prese la mano del professor Faraize, ancora appoggiata sulla sua spalla, e la abbassò. «Il titolo del libro che sto cercando è Stammi alla larga, lo conosci?» chiese gelida.
L’uomo ci pensò per qualche istante prima di spalancare gli occhi e guardare agitato la sua collega. «Non credo di conoscerlo... Forse... Forse puoi aiutarla tu, Nathaniel?»
«Vediamo cosa si può fare» rispose quest’ultimo annuendo.
Il professore si congedò in fretta e furia lasciando da soli gli altri due.
Nathaniel si trattenne dal ridere ma guardò la professoressa con ammirazione, ricevendo in risposta un occhiolino complice.
Poco dopo Eloise si ritrovò completamente immersa negli scaffali stracolmi di libri di tutti i generi. Leggere era una sua grande passione e le biblioteche l’avevano sempre stregata. Intime, non troppo illuminate, silenziose, con l’odore dell’antichità e il sapore della saggezza racchiusi in ogni pagina. Annusò l’aria per gustarsi quel miscuglio di sensi che la mandava in visibilio. Niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quel momento magico, niente e nessuno... A parte lo studente che si era beccato ben due ammonimenti nei primi due giorni di scuola.
Castiel era seduto, o meglio disteso, ad un tavolo in mezzo a due scaffali in visibile stato dormiente. Un braccio usato come cuscino su cui era poggiata la testa, l’altro proteso a coprirgli parte del viso. Da un orecchio si intravedeva, immancabile, la cuffietta dell’mp3. Le gambe aperte e stravaccate sotto il tavolo in posizione di totale relax.
Eloise alzò un sopracciglio e fece un passo in avanti. Ancora una volta l’atteggiamento di quel ragazzo la contrariò enormemente.
Castiel, come se avesse captato il pericolo, si svegliò di colpo, guardando la professoressa dallo spazio tra i capelli e il braccio.
«Trovarti in biblioteca è come trovare una mangusta in un nido di serpenti» constatò Eloise.
Il rosso non sapeva se essere più infastidito per essersi svegliato a causa della presenza di quella donna o per essere stato paragonato ad una mangusta.
Borbottò qualcosa e si mise in posizione eretta, grattandosi i capelli. Dopo aver sbadigliato senza nemmeno preoccuparsi di portare una mano davanti alla bocca, si alzò.
«Evidentemente non mi conosce bene come crede»
Eloise serrò le labbra, rimanendo in silenzio a braccia conserte. Poco dopo diede le spalle al ragazzo e si avvicinò al grande scaffale alla sua sinistra. La sezione storica si trovava proprio lì. Fece scorrere un dito sui tomi, per cercare di individuare velocemente quello che le serviva, finché non arrivò alla seconda fila sopra la sua testa. Nonostante indossasse i tacchi, dovette alzarsi sulle punte dei piedi per provare ad arrivare al libro che aveva trovato, ma non vi riuscì comunque. Riabbassandosi, sentì dietro di lei una presenza fin troppo vicina. Il calore di un petto che quasi sfiorava la sua schiena la fece irrigidire. Non si voltò perché capì subito che lo sghignazzo udito dalle sue orecchie apparteneva a Castiel. Alzando lievemente lo sguardo, vide il braccio del ragazzo sovrastarle la testa ed andare a toccare il libro che lei non riusciva a prendere.
“Questo energumeno mi sta facendo un favore?” si domandò stupita.
Ipotesi tutt’altro che esatta. Il rosso, dopo aver sfiorato la copertina del libro, rimase con la mano a mezz’aria come per lasciare un qualche tipo di suspense, per poi afferrare il libro accanto.
La donna stette ad ascoltare i passi del ragazzo che tornava al tavolo e chiuse gli occhi. L’aveva sbeffeggiata un’altra volta. Indirettamente, ma l’aveva fatto.
Con passo svelto andò a prendere la scaletta e tirò giù di fretta il libro. Lo sbatté sul tavolo dove era seduto Castiel, lo sfogliò per vedere se effettivamente era quello che cercava e dopo averlo appurato se ne andò via.
Castiel era rimasto ad osservare la scena allibito. Era bastato solo quel gesto per far scattare la professoressa Laurent? Quasi si sentiva deluso. Ma un ghigno di compiacimento si disegnò ugualmente sugli angoli della sua bocca.
Eloise tornò da Nathaniel e gli domandò perché Castiel fosse lì.
«Sta scontando una punizione. Ieri un docente l’ha mandato dalla Direttrice che ha deciso di fargli passare un pomeriggio a catalogare libri».
A quella scoperta, la donna lentamente si ricompose. Nathaniel non lo sapeva, ma quel docente era lei. Quindi era a causa sua se Castiel si trovava in biblioteca.
Sorrise astutamente. Era chiaro che non fosse nella posizione di poter fare lo spaccone. Un solo, piccolo passo falso e gliel’avrebbe fatta pagare cara.
 
***
 
«Io non so più come dirtelo, ormai»
Anne aveva ricominciato a tartassare Castiel, allungato sull’erba del cortile con una sigaretta spenta che gli penzolava dalla bocca.
«Non puoi fronteggiarla, non siete allo stesso livello»
Il rosso si voltò su di un fianco, dandole le spalle.
«Lysandre, gli dici qualcosa?»
«Lysandre, le chiudi quella ciabatta?»
Il ragazzo dai capelli argentati seduto vicino a loro, sentendosi chiamare in causa sospirò.
«Stavolta ha ragione lei, Castiel. Potrebbe diventare una questione delicata»
«Io non le ho fatto niente. Problemi suoi se è una ragazzina isterica» disse il rosso, accendendo la sigaretta.
«Tu badi troppo al suo aspetto e dimentichi che è un’insegnante» puntualizzò Anne.
Castiel si mise a sedere e inspirò lentamente il fumo.
«Il suo aspetto, eh...» disse pensieroso.
Anne rizzò le orecchie, in attesa che continuasse. Ma Castiel non disse nulla. Quando si voltò a guardarlo, vide che stava gesticolando in maniera non troppo elegante con Lysandre, il quale si limitava a sorridere.
«Castiel!» esclamò Anne.
«Non si può negare che il suo davanzale non passi inosservato» appurò il ragazzo.
«Ma ti rendi conto di quello che dici?! Lei, lei è…»
«È la nostra professoressa, sì. Me l’hai ripetuto almeno cento volte»
Castiel lanciò un’occhiata veloce al petto di Anne, per poi guardarla negli occhi.
«Non prendertela per queste cose...»
Le guance della ragazza in un batter di ciglia assunsero una palese sfumatura violacea.
Si alzò da terra e tirò uno schiaffo al rosso, lasciandolo interdetto.
«Ma che hai?!» disse, portandosi una mano sul viso appena colpito.
«Sei un coglione!» urlò Anne prima di scappare via.
Castiel, ancora sconcertato, chiese un silenzioso aiuto a Lysandre.
«In una sola giornata sei riuscito a far infuriare due donne, Cas. Sei stupefacente, davvero».



 
Note dell'autrice:
Salve a tutte! :D
Niente da dire, ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le seguite e chi l'ha messa tra le preferite.
Spero che questo capitolo vi piaccia, se vi va fatemelo sapere con un commento!
Bye bye.

Sakyo

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Capitolo 3
*** Particolare ***


3. Particolare

Eloise non aveva portato l’ombrello con sé quando aveva deciso di scendere un attimo sotto casa per comprare una nuova penna usb, dato che quella che stava usando cinque minuti prima di punto in bianco aveva smesso di funzionare senza un valido motivo.
Il negozio di articoli elettronici distava soltanto cinque minuti di camminata dal suo condominio, ecco perché nessun ombrello si trovava stretto tra le sue mani nel momento in cui il cielo decise di mandare giù un acquazzone che avrebbe fatto un certo scalpore attraverso i notiziari del giorno e i quotidiani serali. Non se ne vedevano così da mesi, ma sfortuna volle che Eloise lo beccasse in pieno e la faccia della commessa la disse lunga su come quello scherzo della natura avesse ridotto i vestiti e i capelli della ragazza.
In quel periodo non faceva freddo, anzi, si percepiva ancora un avanzo di afa estiva attaccarsi alla pelle durante le ore più calde della giornata. Per questo Eloise era scesa in strada con indosso una maglietta leggera, degli shorts e un paio di infradito ai piedi.
Mai scelta fu più sbagliata di quella. O forse si. L’ombrello mancante si aggiudicava a tutti gli effetti il primo posto nel podio della sfiga annuale.
Strusciò più volte i piedi sul tappetino all’entrata del negozio, ma più per rabbia che per asciugarseli davvero. Strizzò i capelli nel portaombrelli e cercò di sistemarseli alla bell’e meglio. La commessa, che aveva osservato tutta la scena, non riuscì a trattenere una risatina di scherno.
«Desidera?» chiese quando Eloise si avvicinò al bancone come un sub alla spiaggia.
«In questo momento avrei davvero bisogno di un qualche aggeggio tecnologico che permetta di mantenere i nervi saldi, ma credo che dovrò accontentarmi di una penna usb» dalla sua voce trapelò una certa irritazione, per cui la commessa capì che era meglio non aggiungere commenti superflui.
Ad acquisto avvenuto, Eloise fece una corsa per non incappare di nuovo nella pioggia che sarebbe potuta scendere da un momento all’altro. Pensava che la situazione non si sarebbe potuta aggravare ulteriormente, ma si sa che al peggio non c’è mai fine.
Stava prendendo le chiavi di casa dalla tasca del pantalone, quando la vibrazione del suo cellulare annunciò una chiamata in arrivo.
Lo estrasse dall’altra tasca e socchiuse gli occhi per cercare di leggere il nome sul display. Ma al posto del nome vi era solo un numero non salvato nella rubrica.
Un qualcosa dentro di lei le suggerì che forse sarebbe stato meglio non rispondere, ma alla fine, pensando che potesse essere una chiamata importante, premette il tastino verde e si portò il telefono all’orecchio.
Una voce fin troppo gioiosa si presentò in modo innaturale ai suoi timpani.
«Eloise, da quanto tempo!»
Dato che non riuscì subito a capire a chi appartenesse quella voce, rimase in silenzio per qualche istante.
«Chi è?» si decise a dire alla fine.
«Ma come, non mi riconosci? Sono Renée!»
Renée. Conosceva soltanto una persona con quel nome, e quella persona era una sua compagna di classe del liceo. Se la mente non la ingannava, dovevano essere passati più o meno sette anni dall’ultima volta che l’aveva vista.
Una sensazione simile a un blocco duro e pesante andò a farsi spazio nella parte inferiore dello stomaco.
«Reneé, certo. Come stai?» le chiese, ma la vera domanda era un’altra.
Perché mi hai chiamata?
«Una meraviglia. Sai che tra poco mi sposo? Sono così impegnata con tutti i preparativi, che quasi mi sono pentita di aver detto il fatidico sì!» seguì una risata a quella frase così triste, che Eloise fu tentata di simulare un’accidentale caduta della linea.
«Mi fa piacere, congratulazioni. Chi è il fortunato?»
«Oh, non lo conosci» disse e accantonò il discorso come se non fosse abbastanza importante da meritare altre parole. «Comunque, ti ho chiamata perché qualche giorno fa ho rivisto per caso Damien, te lo ricordi? Il tipo che ci provava con tutte in classe... Beh insomma, abbiamo pensato che sarebbe stato carino organizzare una rimpatriata tra noi compagni del liceo! Non credi? Perciò lui si è incaricato di telefonare ai ragazzi, mentre io sto chiamando le ragazze... Allora, che ne pensi?» il tutto era stato pronunciato con una tale velocità che Eloise ci impiegò un po’ per focalizzare la discussione nel cervello.
E quando finalmente si concentrò sull’informazione che le aveva dato l’ex amica, il suo cuore mancò di un battito.
Fissò un punto vuoto davanti a sé, che poco dopo fu occupato dalla signora del terzo piano che stava scendendo le scale insieme ai suoi tre cagnolini al guinzaglio. Questa sorrise amabilmente a Eloise, la quale, nonostante la stesse guardando, in realtà non vedeva nulla. Nella sua testa rimbombavano solo le parole di Reneé riguardo la cena di classe a cui era stata appena invitata.
«Pronto, ci sei ancora?»
«Sì, scusami» disse riprendendosi, «Quel... Quel giorno temo avere un impegno»
«Cosa? Ma non ti ho ancora detto il giorno!» esclamò Reneé risentita.
Il volto di Eloise si strizzò in una smorfia di disagio «Oh. È che sono in macchina e non ho capito bene...»
Il tono dell’altra si fece più cupo. «Forse ti ho chiamata in un momento sbagliato. Comunque ancora non abbiamo deciso il giorno, tu hai delle preferenze?»
«Direi di no...» si limitò a rispondere Eloise.
«In questo caso ti farò sapere quando avrò chiesto anche alle altre. Ci risentiamo, d’accordo?»
Reneé riagganciò senza aspettare nemmeno una risposta. Evidentemente se l’era presa.
Ma Eloise non si aspettava una chiamata del genere.
Con i capelli ancora gocciolanti entrò in casa. Quell’invito l’aveva scossa non poco e dire che era contenta di averlo ricevuto equivaleva ad affermare una grande, profonda bugia.
 
***
 
Lysandre non la smetteva di fissare Anne. Distoglieva gli occhi da lei solo per rivolgerli al suo taccuino su cui appuntava frettolosamente chissà quali parole.
Dal canto suo, Anne alternava sbuffi sonori a lunghi e intensi gemiti di disperazione. Quel giorno avrebbe tanto voluto rimanere a casa, ma i suoi genitori non gliel’avrebbero mai permesso senza un valido motivo. E lei non era una di quelle persone in grado di fingere un malanno recitando in modo convincente, perciò le quattro mura dell’aula la soggiogavano come una prigione.
«Lys, potresti cortesemente finirla di guardarmi come se fossi un esperimento da laboratorio uscito male?»
Il ragazzo, come tornato di colpo alla realtà dopo un’estasi mistica, assunse un’espressione dispiaciuta e chiuse il quadernino.
«Perdonami. Avevi uno sguardo così struggente che mi sono sentito di colpo ispirato»
Anne lo guardò esterrefatta. «Stavi scrivendo i versi di una canzone?»
«Esattamente» rispose Lysandre, trattenendo a stento la voglia di riprendere in mano la penna.
La ragazza non sapeva se sentirsi lusingata o ancora più affranta. Se a Lysandre era partito l’estro musicale grazie a lei, doveva vedersi bene anche all'esterno quanto stava da schifo quel giorno.
«Comunque» esordì il ragazzo con un colpetto di tosse, «non dovresti prendertela per le sue battute. Sai com’è fatto...»
«Tu lo giustifichi sempre. Non bisogna essere dei geni per capire che a volte sarebbe meglio stare zitti»
Lysandre si sistemò il foulard, poi congiunse le mani sul banco, guardando Anne negli occhi in modo penetrante.
«Sai anche che non immagina minimamente nulla di quello che provi...»
Anne arrossì. Non ne aveva mai parlato esplicitamente con Lysandre, ma ormai anche lui se ne era reso conto. L’unico a non averlo capito era proprio Castiel.
Lysandre parve esitare un momento prima di continuare. «Se non glielo dirai chiaramente, non lo capirà»
Per Anne quelle parole non furono una novità. Erano mesi che ci pensava e ripensava, ma alla fine non trovava mai il coraggio di affrontare l’argomento con il diretto interessato. Il solo immaginare l’eventualità di una possibile rottura tra lei e Castiel la faceva subito demordere dal suo intento.
“Sono una stupida” si ripeteva nella mente. Ma era più forte di lei.
Non era il coraggio che le mancava. Piuttosto soccombeva al terrore di dover rinunciare a lui anche come amico. Quello non l’avrebbe mai sopportato.
La causa di tutti i suoi pensieri fece il suo ingresso in aula senza degnare nessuno di uno sguardo. Sul viso si intravedeva ancora un lieve rossore dello schiaffo che aveva ricevuto il giorno precedente. Anne si torturò le mani, pentendosi di avergli dato quella sberla così forte. Ma non lo salutò e non fu salutata.
Rimase un po’ interdetta, perché di solito Castiel cercava di riappacificarsi con lei quando ne combinava qualcuna delle sue. Forse quella volta si era sentito ferito anche lui, dopo aver ricevuto un trattamento simile dalla sua migliore amica.
L’aria si fece particolarmente tesa.
Da una parte, Castiel, che maneggiava il suo mp3 come se volesse spaccarlo da un momento all’altro. Uno sguardo glaciale non lasciava spazio alle parole.
Dall’altra, l’aria trafitta di Anne. Un mezzo broncio celava malamente la sua malinconia.
Lysandre, accanto a loro, scosse la testa. Altre volte si era ritrovato in situazioni del genere, ma quella sembrava davvero dura da risolvere.
 
***
 
«Questo pezzo non mi piace, suona troppo sdolcinato» constatò Castiel, sdraiato sul suo letto mentre leggeva il taccuino che gli aveva passato Lysandre.
«Perché non lo leggi con il giusto sentimento...»
Lysandre si alzò in piedi, si schiarì la voce e chiudendo gli occhi, cantò piano:

 
Frugar nei tuoi misteri,
nelle onde dei tuoi occhi,
e finire ancora soli,
mentre tremi ai miei tocchi…

 
«Non so amico, mi ricorda quelle poesie un po’ sfigate... Non mi caccia fuori la giusta adrenalina per suonarla, capisci?»
«Allora proponi tu qualcosa... Non mi pare che finora abbia avuto idee così brillanti»
«Non sono ispirato, ultimamente»
«Strano, potresti prendere spunto da avvenimenti recenti. Che so... Un litigio, per esempio»
Castiel lanciò un’occhiataccia all’amico. «Se devi dirmi qualcosa, parla chiaro»
«Il tuo problema è che hai bisogno che ti venga spiegata ogni cosa»
«Che intendi?»
«Ecco, appunto...» Lysandre riprese il taccuino e lo infilò dentro la cartella «Non sarò io a dirti quello che già avresti dovuto capire da un pezzo», poi guardò il rosso con occhi seri «Sta’ attento a quello che fai».
Castiel rimase alquanto confuso da quelle parole. Non capiva a cosa si stava riferendo l’amico, ma il suo tono solenne gli suggerì che era meglio non parlare a sproposito.
Vedendo che questo si stava preparando per tornare a casa, lo fermò.
«Aspetta, Lys» Poi, non sapendo bene cosa dire, restò in silenzio.
Lysandre attese che continuasse, anche se aveva già capito cosa stava per chiedergli.
«Ho ritrovato il dvd del primo tour dei Winged Skull... Resti a cena?»
Aveva perso il conto delle serate passate a vedere quel dvd... Ormai lo conoscevano entrambi a memoria. Ma non era tanto la voglia di rivederlo, quanto quella di non rimanere da solo, che spingeva Castiel a chiedergli di rimanere ancora un po’ da lui. Lysandre lo sapeva bene, per questo accettava sempre di cenare con una birra e una pizza surgelata, nonostante i suoi gusti troppo raffinati non gli permettessero di apprezzare quel tipo di alimentazione.
Posò la cartella e sorrise all’amico. «Ma certo! Avevo proprio voglia di rivederlo»
 
***
 
Quando arrivò a scuola la mattina dopo il suo giorno libero, Eloise non aveva una bella cera. Aveva passato la notte in bianco e non era ancora al livello di concentrazione adatto per poter affrontare bene la giornata.
Mancavano cinque minuti all’inizio della sua lezione, per cui aveva tutto il tempo per prendere un caffè al distributore automatico. Per lei il caffè era sacro, e non ce n’era peggiore di quello che offriva il distributore, ma non avrebbe fatto in tempo ad arrivare al bar quindi si accontentò.
Era quasi certa di incontrare lo studente modello lì, visto che era uno dei luoghi che preferiva quando voleva saltare una lezione. Ma si sbagliò, perché di Castiel non v’era ombra.
“Probabilmente starà ancora dormendo”, pensò sarcastica mentre inseriva le monete.
Il movimento della mano nel portare il bicchiere di plastica alla bocca fu deviato dall’arrivo di un ciclone umano. Il liquido contenuto nel bicchiere finì completamente sulla sua camicia bianca, andando a formare una macchia che ad ogni secondo si allargava sempre di più.
Eloise spalancò gli occhi e voltò di scatto la testa, incontrando una Anne che definire terrorizzata sarebbe stato un eufemismo.
«Oh Dio! M-mi perdoni, professoressa! Stavo andando di fretta e...»
«E non mi hai vista» concluse Eloise per lei.
Anne, con il fiato e il cuore a mille, annuì energicamente.
«Non preoccuparti, è stato un incidente»
La ragazza credette di assistere ad un miracolo. Senza sapere come, era riuscita a non far arrabbiare la professoressa Laurent. Questa era la sola cosa importante.
«Ma ricordati che non si corre nei corridoi»
«Ha ragione, è che avevo la testa altrove...» si scusò nuovamente.
“Già” pensò Eloise, “A chi lo dici”.
«Come farà con quella?»
La professoressa seguì lo sguardo della ragazza e si ritrovò ad osservare la sua camicia macchiata. «Credo proprio di dover chiedere una tuta in prestito»
«Mi scusi ancora...»
Eloise sorrise. Vedendo scappare via quella ragazza, provò tenerezza. Non conosceva ancora bene i suoi studenti, ma Anne le era piaciuta da subito. Forse perché in qualche modo le ricordava se stessa ai tempi del liceo.
Lanciando un’occhiata al suo orologio da polso si decise che era meglio raggiungere la sua classe. Con il piede però schiacciò qualcosa a terra e quando abbassò lo sguardo, notò che si trattava di un portafogli. Che fosse di Anne?
Quando lo raccolse per portarlo al Segretario Delegato, una piccola foto scivolò via da uno scomparto cadendo sul pavimento. Di nuovo si chinò e la raccolse.
Era una vecchia foto sgualcita di due bambini in un parco. Una con due trecce castane e un enorme sorriso, l’altro con i capelli scuri e due occhi furbetti. Stavano seduti in un’area piena di sabbia, intenti a creare un castello dalle proporzioni troppo azzardate.
Eloise, guidata da un presentimento osservò a lungo quella fotografia, come alla ricerca di qualcosa.
Alla fine, un particolare catturò la sua attenzione.
Sgranò gli occhi. Il cuore accelerò di qualche battito.
No, non era possibile. Eppure...
La campanella decretò l’inizio delle lezioni. Qualsiasi pensiero si fosse insinuato nella sua testa, avrebbe dovuto chiuderlo in un cassetto. In seguito, quel cassetto sarebbe stato sicuramente riaperto.


 
 
Note dell'autrice:
Finalmente riesco a pubblicare questo terzo capitolo!
Durante tutta la sessione d'esami ho avuto una voglia matta di scriverlo,
purtroppo però ho dovuto reprimere questo istinto per cause di forza maggiore (studio matto e disperatissimo).
Ora, però, eccolo qui.
All'inizio la storia non prevedeva il personaggio di Lysandre, ma con qualche modifica ho deciso di inserirlo.
Spero che questo capitolo vi piaccia!
A presto ^^/

Sakyo

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Capitolo 4
*** Sola ***


4. Sola

Eloise si fermò davanti l’aula con una mano poggiata sulla maniglia della porta ancora chiusa. Odiava non iniziare in tempo una lezione, ma odiava ancor di più iniziarla con un’enorme macchia di caffè sulla camicia bianca.
Quel giorno aveva anche in programma l’interrogazione di storia.
Tentennò per una manciata di secondi, ma alla fine decise di andarsi a cambiare.
“In cinque minuti di certo non potranno apprendere tutto ciò che non hanno imparato per l’interrogazione” pensò, convincendosi della scelta che aveva fatto. Lasciò la maniglia e si incamminò verso la Sala Delegati. Non ne era certa, ma le sembrò quasi di sentire un profondo sospiro di sollievo giungere dall’interno dell’aula a cui aveva appena dato le spalle.
Il biondino della Sala Delegati di cui non ricordava mai il nome le disse che nello sgabuzzino al primo piano avrebbe trovato delle magliette nuove. Poteva prenderle senza problemi, ci avrebbe pensato lui a parlare con il professore di educazione fisica.
Eloise ne approfittò per lasciargli il portafogli che Anne aveva perso poco prima.
Mentre camminava per il corridoio, le tornò in mente la foto dei due bambini. Le era parsa familiare, ma forse era stata solo un’impressione. Scosse la testa, come per cacciare via ogni pensiero. La cosa più importante ora era non vedere più quella dannata macchia di caffè sulla camicetta.
 
***
 
«Che scocciatura» continuava a blaterare Castiel, diretto allo sgabuzzino degli attrezzi. Il professor Faraize lo aveva beccato a vagare per i corridoi e dopo avergli fatto una ramanzina lunga quanto il suo naso, gli aveva chiesto di andare a prendere le lenti dei microscopi per la prossima lezione di scienze.
Andare a scuola in quei giorni era una rottura. Anne non gli parlava, Lysandre passava quasi più tempo con lei che con lui, in più erano iniziate le interrogazioni.
«Ma chi me l’ha fatto fare di alzarmi dal letto, stamattina...» si lamentò mentre apriva la porta dello sgabuzzino.
Lo spettacolo che si presentò dinanzi ai suoi occhi poteva essere definito con due aggettivi: terribile e meraviglioso.
La professoressa Laurent, al buio del piccolo stanzino, era china sui tappetini blu accatastati alla parete, una camicia bianca per terra e una maglietta sportiva tra le mani, addosso solamente i pantaloni.
Meraviglioso, perché le forme rinchiuse in quel reggiseno di pizzo bianco sarebbero state difficili da dimenticare. Terribile, perché sapeva che quel suo gesto innocente avrebbe comportato risvolti drammatici. D’altra parte, gli era mai importato qualcosa della sua carriera scolastica?
La professoressa lo guardava con occhi indecifrabili. Non proferì parola, così come fece Castiel. L’atmosfera si stava surriscaldando per entrambi, ma per due motivi ben diversi.
Eloise si chiedeva perché, tra tutti gli studenti, proprio lui.
Castiel ringraziava mentalmente il destino, le coincidenze e tutto ciò che aveva permesso quell'incontro eccitante.
«Quando avrai finito con la radiografia, potresti gentilmente fare quello per cui sei venuto qui e richiudere la porta?» la voce della donna non tradiva alcuna emozione.
Il rosso ghignò, consapevole di tenere il coltello dalla parte del manico. «Ma come siamo gentili oggi, professoressa. Le manca forse qualcosa? Un po’ di sicurezza, magari...»
La giornata era iniziata male, e stava continuando peggio, per Eloise. Lentamente si alzò e con un passo azzerò lo spazio che la divideva da quello studente così arrogante che si divertiva a superare sempre i limiti. Lo sgabuzzino angusto non lasciava spazio a molti movimenti, ma Eloise, davanti a lui, indossò la maglietta in tutta comodità.
Castiel si sentì per un momento a disagio, osservando in azione quella sicurezza di cui poco prima aveva sottolineato la mancanza.
«Con permesso» Eloise gli passò di fianco, sbattendo la spalla contro il suo braccio in modo non troppo delicato.
Castiel rimase imbambolato per qualche secondo, come in trance. Non sapeva spiegare bene perché ma nonostante la situazione fosse a suo favore, si sentì irrimediabilmente sconfitto.
 
***
 
Il televisore con il volume al minimo sintonizzato su un canale musicale, la piccola stanza immersa nel buio. Un acchiappasogni attaccato al soffitto continuava ad emanare una flebile melodia. Anne, stesa sotto le coperte ad osservarlo, sperava che quell’oggetto potesse trasformare la sua realtà in un brutto sogno da cui potersi risvegliare, prima o poi.
La cioccolata calda che si era preparata ormai era diventata fredda e imbevibile. Cosa alquanto inusuale per lei, che di cioccolata ne avrebbe ingurgitata a bizzeffe tutti i giorni, se fosse stato possibile. Però, sebbene fino a poco prima ne avesse avuta una voglia tremenda, dopo aver sfogliato il suo diario lo stomaco le si era chiuso di colpo e la tazza fumante sul comodino col trascorrere dei minuti si era raffreddata completamente.
Se l’avesse raccontato a lui,  l’avrebbe presa in giro come al solito.
Come fai a bere quella robaccia con questo caldo? Se hai carenza d’affetto, basta chiedere…
Avrebbe detto sicuramente qualcosa del genere. Anne rise, pensando al suo muso lungo che si stendeva in un mezzo sorriso quando lei ne aveva bisogno. Quanto le mancava, quel sorriso che riservava soltanto a lei.
Tornò con gli occhi sulla pagina del diario che indicava il giorno seguente.
Un’altra stretta allo stomaco.
«È domani»
Aveva cerchiato più volte quella data a simboleggiare la sua importanza. L’estate passata lei e Castiel, assidui frequentatori della gelateria più famosa della città, erano riusciti ad ottenere i coupon omaggio per il maxi cono cinque gusti. Solo i clienti più fedeli avevano diritto a quel coupon, e l’indomani era proprio il giorno in cui avrebbero finalmente potuto usarlo. Più volte Castiel vedendola euforica le aveva detto che non c’era bisogno di avere tanto a cuore una stupidaggine del genere. Quel suo essere freddo e distaccato in ogni situazione la offendeva, ma sapeva anche che lui era fatto così. Lei al contrario si emozionava anche per le cose di minor importanza, per questo aveva atteso quella data con grande gioia.
Però, per come stavano andando le cose, quel piccolo sogno sarebbe rimasto irrealizzato. Ormai anche Castiel si era chiuso in un silenzio di tomba con lei, di andare insieme in gelateria nemmeno gli passava per la testa, pensava Anne, che con uno scatto secco chiuse il diario e lo posò insofferente sul comodino.
Tentava di prendere sonno per non pensare più a nulla, ma le lacrime non la smettevano di scendere giù arrivando a bagnare cuscino, stretto fino alla disperazione.
Da uno spiraglio della finestra entrava gentilmente una brezza leggera che andò ad invitare l'acchiappasogni a ballare. Danzavano e cantavano una melodia d’amore, un motivo lieve ma doloroso che arrivava delicato a bussare alle porte di un’anima innamorata.
 
***
 
Quella mattina a colazione, mentre beveva il suo tè caldo alla vaniglia, Lysandre si sentiva irrequieto. Suo fratello Leigh capì che qualcosa non andava dal modo in cui girava l’infuso nella tazza.
«Usare il cucchiaino è diventato troppo mainstream?»
Lysandre guardò interrogativo il fratello, poi abbassò lo sguardo sulla tazza che aveva in mano e si bloccò di colpo.
«Come ci è finita una penna qui dentro?» si chiese accigliato.
«Magari avevi voglia di provare un tè aromatizzato all’inchiostro...»
Leigh era abituato alle stranezze del fratello minore, ma ogni tanto riusciva ancora a stupirlo con qualche gesto totalmente inatteso e privo di senso logico.
«Allora, hai trovato qualcuna per la promozione?»
A quelle parole, Lysandre per poco non si versò tutto il contenuto della tazza addosso.
Ecco cos’era, quella sgradevole sensazione che sentiva da quando si era alzato dal letto.
Qualche giorno fa Leigh gli aveva chiesto di trovare una ragazza da portare con sé al negozio di abbigliamento in cui lavorava, dato che stava per iniziare una promozione particolare. Solo per due giorni, per ogni coppia che acquistava un capo a testa, il meno costoso era completamente gratuito.
Leigh, un po’ per farsi i fatti del fratello, un po’ perché poteva, aveva spiegato a Lysandre che se avesse portato una ragazza al negozio, entrambi gli abiti sarebbero stati gratuiti. Quindi aveva il privilegio di fare un regalo a sé stesso e alla fortunata donzella senza sborsare un centesimo.
Ma Lysandre non gli aveva ancora fatto sapere nulla.
«Quando hai detto che scade?»
«Oggi pomeriggio. Se hai intenzione di venire, dovresti sbrigarti ad avvertire la tua ragazza» lo punzecchiò il fratello.
 
***
 
La giornata scolastica era trascorsa molto lentamente per alcuni studenti. Finita l’ultima ora di matematica, Anne buttò la testa sul banco senza troppa grazia.
«Finalmente, non ne potevo più!»
«Anche io oggi ho faticato a concentrarmi» ammise Lysandre.
“Solo oggi?” pensò sarcastica la ragazza, poi lanciò un’occhiata al banco vuoto dietro il suo. Castiel aveva saltato per l’ennesima volta la lezione di matematica.
“Quello che fa o che non fa non deve più interessarmi, ormai” pensò amaramente.
Lysandre continuava a guardare Anne con una certa insistenza da un po’ di tempo.
«Ho qualcosa sul naso?» chiese lei, grattandosi.
«No, mi stavo chiedendo...» il ragazzo lasciò la frase in sospeso, come per pensare bene a cosa dire, poi continuò «Ti piacciono i vestiti gratuiti?»
«I vestiti che?»
Forse non era quello il modo migliore per chiederle di accompagnarlo al negozio del fratello. Si concentrò meglio e riprovò.
«Intendo dire, se avessi la possibilità di ottenere dei vestiti senza dover pagare nulla, cosa faresti?»
Anne inclinò la testa, sempre più confusa. «Mi stai chiedendo di andare a rubare?»
Lysandre sorrise divertito e cercò di spiegare al meglio ciò che voleva dirle.
Dopo aver ascoltato la sua proposta, Anne accettò di buon grado. Fino a qualche giorno prima non avrebbe osato prendere alcun impegno per quel giorno, ma le cose erano cambiate e doveva farsene una ragione.
Lysandre, dal canto suo, si sentiva particolarmente contento. Anne era stata l’unica ragazza a venirle in mente nel momento in cui Leigh gli aveva accennato la cosa, e il poter trascorrere un pomeriggio in sua compagnia lo metteva di buon umore.
“Ha bisogno di svagarsi un po’, ultimamente ha sempre l’aria così abbattuta” si disse, ma quel pensiero che sapeva tanto di giustificazione, non lo convinceva per niente.
 
***
 
«E così tuo fratello lavora in un negozio di vestiti... Non me l’avevi mai detto!»
«Non mi piace parlare molto di me»
Anne sorrise. «Già, ormai ci conosciamo da un po’, dovrei saperlo»
«Però, dipende dalle situazioni, ma soprattutto dalle persone»
«Questo vuol dire che io sono una persona speciale!» scherzò Anne, mentre Lysandre si fece improvvisamente serio.
«Tu sei...»
Ma il rombo familiare di una motocicletta in arrivo lo interruppe.
Castiel si fermò proprio a pochi centimetri da loro. Anne, vedendolo, si irrigidì.
«Siete ancora qui» constatò. Aveva l’aria trafelata.
Lysandre lanciò uno sguardo veloce a entrambi ed ebbe il presentimento che stesse per accadere qualcosa.
«Dov’eri finito?» chiese all’amico.
«Ho saltato matematica per andare a recuperare un po’ di sonno a casa, ma poi mi sono svegliato di soprassalto perché mi è venuta in mente una cosa» spiegò guardando Anne, sebbene la domanda non fosse stata posta da lei.
Il rosso tirò fuori un altro casco dal sellino e lo porse alla ragazza.
«Dai, sali»
Anne rimase allibita. Gli occhi, specchio delle sue emozioni, mostravano al contempo orgoglio e meraviglia. Non era lo stesso guardo di quando Lysandre le aveva proposto di passare il pomeriggio insieme. Doveva immaginarselo, ma nonostante tutto la cosa lo infastidì. Castiel aveva avuto una marea di tempo per fare pace con lei, perché proprio adesso?
Accorgendosi della cattiveria di quei pensieri, si vergognò di se stesso. Ai suoi amici si era appena presentata l’occasione per chiarirsi, l’unica cosa da fare era essere contento per loro e cercare di aiutarli come possibile.
Anne lo guardò negli occhi, provando a capire cosa stesse pensando. Lysandre le sorrise dolcemente e quello le bastò per montare in sella dietro Castiel, le braccia strette intorno alla vita di lui, il cuore euforico che batteva all’impazzata.
Il rosso mise in moto, salutando l’amico con un cenno della testa.
«Rimandiamo a domani, ok?» gli disse Anne, dispiaciuta.
«Certamente»
La moto sfrecciò via, portando con sé il suo buon umore. Lysandre lo sapeva bene: non ci sarebbe stato nessun domani.
 
***
 
Aveva deciso di andare a bere qualcosa al bar sotto casa per rilassarsi un po’ in tranquillità, ma il tipo al bancone non la smetteva un attimo di parlare. Eloise continuava a sorridere in modo diplomatico, anche se avrebbe volentieri voluto strozzarlo con lo straccio che stava usando per pulire il bancone.
Non le era mai stato troppo simpatico fin dall’inizio, quando se ne era uscito con quella tristissima battuta sull’età minima per bere alcolici. Purtroppo era l’unico bar nei paraggi, e poiché non aveva una macchina per spostarsi in luoghi migliori, doveva accontentarsi.
Sorseggiava il suo gin assaporandolo lentamente e sperando di schiarirsi le idee.
Da quando Reneé, l’ex compagna di classe, le aveva telefonato, era entrata in uno stato di agitazione che pareva non volerla più abbandonare.
Non aveva la minima voglia di andare a quella cena di classe ma se il problema fosse stato solamente quello, sarebbe bastato inventare una scusa plausibile per rifiutare l’invito.
Però... Una domanda l’assillava, da quella telefonata: ci sarebbe stato anche lui?
Eloise non ne era certa, ma conoscendolo immaginava che forse sì, lui si sarebbe presentato alla cena, nonostante sapesse che sicuramente anche lei era tra gli invitati.
Da una parte sarebbe stata curiosa di rivederlo dopo tanto tempo, dall’altra avrebbe tanto voluto spaccargli il cranio a furia di pugni.
Finì la bevanda, lasciò i soldi sul bancone e uscì dal locale sotto lo sguardo ebete del barista che aveva continuato a parlare da solo per tutto il tempo.
Ricordare i tempi del liceo le provocava sempre emozioni troppo forti a cui non riusciva ancora ad abituarsi.
Entrò nel suo appartamento e, guardandosi intorno, si sentì completamente sola.

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Capitolo 5
*** Permesso ***


5. Permesso

«Che gusti prendi?»
Anne trotterellava entusiasta da una parte all’altra dell’enorme vetrina dei gelati, gli occhi guizzavano tra le varie vaschette piene di gusti di ogni tipo e colore.
«Vuoi stare un po’ ferma?!»
Castiel la prese per un braccio costringendola a bloccarsi.
«Dai, ce ne sono così tanti che è impossibile scegliere!»
«Sei troppo esaltata, marmocchia. Mettiti in fila»
La moretta lo guardò storto. «Com’è che fuori da scuola ti viene voglia di rispettare le regole?»
Castiel non rispose. Pensava piuttosto a come fosse possibile che un semplice gelato li avesse fatti riappacificare dopo giornate trascorse nel silenzio più totale. Era la stessa cosa che si chiedeva Anne, ma in fin dei conti che importava arrovellarsi in quel momento? Aveva passato nottate intere a sperare che tutto tornasse alla normalità e quasi si era arresa all’idea che non avrebbe più parlato con lui. E invece, eccoli lì, i due amici di sempre. Nella loro gelateria preferita, a prendersi in giro come se nulla fosse accaduto.
«Allora, hai deciso?»
«Caffè» annunciò il rosso con aria solenne e soddisfatta.
«E...?»
«E cosa?»
Anne strabuzzò gli occhi. «Hai a disposizione cinque gusti omaggio e prendi solo caffè?»
«Non sono vorace, io. Immagino sceglierai qualcosa tipo cioccolato, fragola, crema...»
«...vaniglia e crème caramel» concluse la ragazza, indispettita.
Castiel schioccò la lingua. «Mi viene la nausea solo ad immaginarli tutti insieme su un cono»
Si sedettero a un tavolino, l’uno di fronte all’altra, e in men che non si dica cominciarono a parlare di tutto quello che avevano fatto, visto, scoperto in quei giorni. Eppure quella volta i loro discorsi erano scialbi, sembrava mancassero di qualcosa...
In realtà entrambi sapevano da cosa derivasse quella sensazione.
Mancavano di lei, nella monotonia del suo quotidiano.
Mancavano di lui, nello sconforto del suo amore.
«Hai un dipinto sul naso»
«Eh?»
Anne si toccò la punta del naso accorgendosi che era sporco di gelato.
Imbarazzata cercò di pulirsi con il dito ma peggiorò soltanto la situazione. Castiel ghignò, facendola inalberare.
«Sai che odio quella tua smorfia strafottente!»
Detto ciò prelevò una quantità abbondante di cioccolato dal suo cono e la spalmò ben bene sul naso dell’altro, che rimase imbambolato e con la bocca aperta.
«Così va meglio!» disse Anne ridendo, ma questo provocò un’altra reazione inaspettata, perché anche il rosso scoppiò in una clamorosa risata.
«Hai tutti i denti sporchi di cioccolato, sei inguardabile!»
In un primo momento Anne si coprì la bocca con le mani, nel panico più totale. Poi vide che il ragazzo di fronte a lei non la smetteva di sbellicarsi e fu inevitabilmente contagiata.
Quella risata era talmente rara da essere considerata un dono prezioso.
Sapeva di essere l’unica a cui lui lo concedeva, per questo non poteva che sentirsi irrimediabilmente felice.
 
***
 
La sala delegati non era un posto che le piaceva particolarmente. Qualsiasi cosa riguardasse quel luogo rimandava inevitabilmente anche al ragazzo che vi lavorava come segretario, e Anne sapeva bene quanto questo argomento fosse pericoloso quando nei paraggi c’era Castiel.
Proprio perché l’ultima cosa che voleva era alterare l’umore dell’amico, avrebbe cercato di sbrigarsela velocemente con Nathaniel, che le aveva fatto riferire da una compagna di classe di raggiungerlo lì il prima possibile.
«Avevi bisogno di me?» esordì non appena entrò nell’ufficio.
«Credo sia il contrario» rispose il biondo con un sorriso meccanico.
Anne, curiosa ma titubante, si avvicinò alla scrivania, mentre il ragazzo frugava nella cassetta degli oggetti smarriti.
«Ecco qui»
Quando ne estrasse un portafogli dalla decorazione floreale, Anne non poté trattenere un’esclamazione di sorpresa. «Ma allora era qui!»
Lo prese dalle mani di Nathaniel tese verso di lei e sorrise. «Temevo di averlo perso, grazie!»
«Non dovresti ringraziare me, ma la professoressa Laurent» spiegò il segretario.
Ripensando al giorno precedente, capì di averlo perso dopo l’incontro con la sua insegnante.
Salutò il ragazzo e uscì dalla stanza.
“Devo stare più attenta” pensò tra sé e sé. Mentre guardava il portafogli si accorse che un pezzetto di carta bianco sporgeva all’infuori rispetto a tutto il resto. Prendendolo, capì che non era un pezzo di carta.
Era la foto che ritraeva lei e Castiel da piccoli mentre giocavano in un parco vicino casa.
Non poté che sorridere alla vista di quel Castiel così piccolo e scorbutico.
Inserì bene la foto nel piccolo scompartimento dov’era riposta e si riavviò verso l’aula con uno sguardo luminoso.
I ricordi del passato sembravano proiettarsi vividi davanti ai suoi occhi, come le scene di un vecchio film mai dimenticato.
 
***
 
La notizia giunta in quel momento alle orecchie – semi ovattate di sonno – di Castiel non avrebbe potuto essere più drammatica.
Di lì a quattro giorni lo attendeva una verifica di storia che avrebbe deciso le sorti del suo futuro. Nello specifico, il futuro delle sue vacanze invernali.
La questione era molto semplice: prendere la sufficienza equivaleva a ‘trascorrere le vacanze in completa tranquillità’, il che significava accumulare la quantità giusta di energia vitale per poter svolgere attività quali dormire sul letto, suonare la chitarra sul letto, mangiare sul letto, vedere film stravaccato sul letto, giocare con Demon sul letto.
Al contrario, non passare la verifica significava dover obbligatoriamente frequentare i corsi di recupero.
«Assurdo» se ne uscì di colpo il rosso. I nuvoloni neri carichi di pioggia fuori dalla finestra non potevano competere con il suo umore.
«Cosa c’è di assurdo in una verifica?» chiese Anne, sarcastica.
«Abbiamo verifiche di tutte le materie, la prossima settimana» dichiarò Lysandre.
Castiel lo fulminò.
«Non rigirare il coltello nella piaga» disse tra i denti.
L’amico fece spallucce.
«Lysandre ha ragione, perché ti preoccupi solo di storia?»
«Forse perché quella lì mi odia?» rispose Castiel con l’atteggiamento di chi deve spiegare un concetto semplice a qualcuno duro di comprendonio.
«Anche io ti odierei, se fossi un’insegnante» asserì Anne, categorica.
«Non mi sembrava avessi paura di lei, amico»
Castiel si portò le dita alle tempie, come per tentare di rimanere calmo.
«Questo non ha niente a che vedere con la paura. Voglio solo non dover passare ogni pomeriggio delle mie vacanze a scuola»
«Allora ho la soluzione al tuo problema...» Anne riuscì a catturare tutta l’attenzione del rosso, che le rivolse uno sguardo interrogativo. «Studia!»
«Dannazione Anne, non so nemmeno che titolo abbia il libro di storia!» sbottò.
La verità in tutta la sua schiettezza uscì fuori dalla bocca di Lysandre.
«Io invece credo che tu sia talmente orgoglioso da non riuscire a chiedere ai tuoi migliori amici un aiuto per studiare»
Castiel si rabbuiò di colpo. Sapeva di non poter ribattere.
«Colpito e affondato!» esclamò Anne.
 
***
 
La pista da jogging che delimitava il quartiere non era poi tanto male, anzi, avrebbe osato definirla addirittura utile per chi, come lei, soffriva d’insonnia.
Eloise correva ormai da quaranta minuti. La fatica iniziava a farsi sentire nei polpacci, ma non aveva ancora intenzione di fermarsi. Era da tempo che non si sentiva così bene.
La treccia in cui aveva legato i lunghi capelli sobbalzava ad ogni suo passo veloce, come a tenere il ritmo di quella marcia adrenalinica. La felpa grigia le faceva sentire un gran caldo, ma se l’avesse tolta l’influenza non avrebbe perso tempo ad arrivare.
Nei pressi della fontana della zona centrale, decise che era il momento di fare una pausa.
A quell’ora del mattino la città cominciava a svegliarsi, in giro non c’era molta gente. Poggiò le mani sulle ginocchia per ritrovare un respiro regolare, poi riempì con acqua fresca la borraccia che aveva portato con se e bevve tutto d’un fiato.
«Faccia attenzione, non fa bene bere così velocemente», una voce sconosciuta la costrinse a voltarsi.
Un uomo sulla quarantina vestito in giacca e cravatta era fermo vicino a lei e sorrideva gentilmente.
Eloise fece un cenno, richiuse la borraccia e si preparò a riprendere la sua corsa.
«Non crede sia meglio fare un po’ di stretching, prima di continuare?»
L’uomo le si era parato davanti bloccandole la strada.
«Mi scusi?»
«Il fisico non deve essere sottoposto a uno stress continuo, bisogna prendersene cura in modo equilibrato» il sorriso non abbandonava quel volto così anonimo.
Eloise non capiva dove volesse andare a parare, o forse si. La sua strana gentilezza cominciava ad irritarla.
«Vede, ad esempio...»lo sconosciuto si avvicinò ancora di più e senza che lei potesse impedirlo le bloccò un braccio con una stretta salda e decisa. «Qui ci vorrebbe un po’ di allenamento...» Con l’altra mano prese a tastarle intensamente il braccio, fino ad arrivare alla spalla. Lo sguardo, che da cortese si era trasformato in languido, non lasciava presagire nulla di buono.
 
***
 
Potevano dire tutto su di lui, ma non che non fosse un uomo di parola. Insieme ai suoi amici aveva stabilito di vedersi alle otto a casa sua per iniziare un mega ripasso di tutte le materie e lui, quella domenica alle sette di mattina era in giro per la città con Demon mentre aspettava l’orario dell’appuntamento.
Continuava a sbadigliare ogni tre per due, ma il suo senso di responsabilità era più forte del sonno. Quella mattina, almeno.
Per non dormire in piedi, si concentrò sul pensiero del pranzo che avrebbe preparato Anne per tutti e tre. Quella ragazzina aveva un milione di difetti, ma con la cucina ci sapeva fare.
Il suo frigo pullulava di scatolette e roba surgelata. Ormai lo stomaco si rifiutava di continuare a ingurgitare solo quelle cose. Da quanto non mangiava un pasto decente?
Con queste riflessioni arrivò in centro e si stupì di come il mondo fosse tranquillo, a quell’ora.
Non ci fu tempo per altri pensieri, perché improvvisamente Demon prese ad abbaiare in modo feroce.
Seguendo con lo sguardo la direzione che il cane avrebbe voluto prendere, intravide due figure nascoste tra i cespugli vicino a una fontana.
«Che hai da abbaiare, tu?»
Demon non la finiva di ringhiare e la cosa lo insospettì. Accorciò di poco la distanza che lo separava da quel punto e riconobbe nella figura femminile la professoressa Laurent. Il tipo vicino a lei la teneva per un braccio, sembravano in un atteggiamento intimo.
“Sarà il suo uomo” pensò, guardandola. Ma qualcosa non tornava.
“Perché ha quella maledetta espressione scocciata anche con lui?!”
Senza ragionare affrettò il passo e si fermò solo quando fu sicuro di poter sentire cosa stessero dicendo.
«Ti do un secondo per togliere quella sudicia mano dalla mia spalla»
L’atteggiamento fermo della donna ricordò a Castiel l’incontro nello sgabuzzino. Una nuova sensazione di sconfitta si fece largo dentro di lui, come quella volta.
Nonostante fosse pronto ad aiutare la donna, era consapevole del fatto che non sarebbe servito a niente. Perché Eloise se la sarebbe cavata egregiamente, contro quel depravato.
L’avvertimento di lei non fece demordere l’uomo che, forte della sua superiorità fisica alzò la mano con l’intento di posarla sul viso della donna.
«Uno.»
Eloise fu decisamente più veloce. Prese il braccio dell’aggressore e lo rigirò con una tale potenza da fargli emettere un forte gemito di dolore. Così si mise alle sue spalle e, tenendolo ancora in pugno, alzatasi in punta di piedi gli sussurrò nell’orecchio «Ti è andata bene, sai? Oggi è una bella giornata, e non intendo rovinarmela per colpa tua»
A quel punto Castiel fece il suo ingresso in scena insieme al suo enorme scagnozzo.
La vista di quei due convinse l’uomo che la decisione più saggia fosse andare via di lì il più velocemente possibile.
Soli, nello sprazzo d'erba che circondava la fontana, Castiel ed Eloise si guardarono negli occhi.
Un qualcosa di indecifrabile passò dallo sguardo di lei a quello di lui, e viceversa.
Era come se i loro corpi fossero solo due sagome vuote in un contesto atemporale.
«Tutto bene?»
La donna tornò in sé e distolse gli occhi dal rosso.
«Non... Non dovresti essere a casa a ripassare?»
Castiel non comprese come, dopo quello che era accaduto, potesse rivolgergli una domanda del genere.
Senza aspettare risposta, si mise il cappuccio della felpa in testa e si abbassò per prendere la borraccia che era caduta.
Ma un particolare poco trascurabile non passò inosservato agli occhi indagatori di lui.
Eloise stava tremando.
Il guinzaglio di Demon scivolò via dalle mani di Castiel come conseguenza naturale dell’emozione appena nata in lui, e le sue mani si posarono così piano sulle esili spalle della donna, che tutto parve capovolgersi.
Quasi a chiedere permesso.
Quasi a voler esplorare l’inaccessibile.
Lei rimase inerme. Lui l’abbracciò da dietro. Più che un abbraccio, era un tocco leggero. Solo per farle avvertire la sua presenza.
Lei, così piccola e indifesa che non pareva possibile fosse proprio la professoressa.
In quel momento, in quel luogo avevano dato vita a qualcosa.
Qualcosa che non sarebbe dovuto essere.
Ma qualcosa che ormai, c’era.


 
 Note dell'autrice:
Niente.
Solo "perdono". A chi segue questa storia che prosegue a ritmo di tartaruga.
Se mi avete abbandonata, vi capisco.
Se non l'avete fatto, vi amo.
A presto (si fa per dire) <3

Sakyo

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Capitolo 6
*** Calore ***


6. Calore

Erano ormai quasi tre ore che avevano iniziato a studiare, ma Castiel aveva la testa da tutt’altra parte. Non riusciva a togliersi dalla mente quelle spalle così minute, così poco adatte alla figura di un’insegnante. Eppure, davanti a lui quella stessa mattina, la persona che tremava come una foglia dopo aver subito un atto di molestia senza gravi conseguenze, era proprio la professoressa Laurent.
La ragazza in tuta che faceva jogging, era la donna che spaventava per le sue insufficienze.
Quegli occhi terrorizzati erano gli stessi che gli studenti speravano di non incrociare nei giorni di interrogazione.
E la forza d’animo di cui aveva dato prova nell’affrontare quell’uomo era rimasta talmente impressa nella testa di Castiel da non permettergli di prestare attenzione a nient’altro.
«…rra
«Eh? Birra?» credendo di sentire un suono interessante, il rosso tese le orecchie.
Anne strabuzzò gli occhi, sgomenta. «Ma quale birra?! Ti ho chiesto quale fu la conseguenza dell’invasione spagnola nella Navarra
Castiel si sentì confuso, poi irritato. «Basta, facciamo una pausa. Ho fame» disse alzandosi dalla sedia e andando in cucina.
Con sguardo omicida, Anne si voltò alla sua sinistra, dove era seduto un rassegnato Lysandre.
«Forse è meglio riposarci un attimo. Dopo pranzo sarà sicuramente più concentrato»
«Ma se da quando abbiamo iniziato non è stato attento neanche cinque minuti!» abbaiò Anne, «Stiamo solo sprecando tempo…»
«Con la pancia vuota, è impossibile studiare» se ne uscì Castiel mentre tornava dai due con un pacco di patatine e qualche bevanda.
La moretta si alzò a sua volta dalla sedia e fissò entrambi con uno sguardo che non presagiva nulla di buono. «Se toccherete quella roba…» disse indicando il cibo poggiato sul tavolo «…giuro che vi taglio le mani».
I due si scambiarono un’occhiata fugace, per poi tornare a guardare la loro aguzzina.
«Adesso voi andrete a fare la spesa, ma vi rivoglio qui tra massimo mezz’ora.»
Castiel provò ad aprir bocca, ma venne fulminato all’istante.
«Dopo che avremo finito di mangiare ciò che avrò cucinato, ricominceremo a studiare finché io non deciderò che potrà bastare.»
«Ma…»
«Nessun diritto di replica. E’ un ordine. E ora, filate!»
Così, i due ragazzi si ritrovarono sbattuti fuori casa, con la lista della spesa tra le mani e un senso di sconfitta che li accompagnò fino al supermercato.
Anne intanto, stravaccata sul divano, attendeva il loro ritorno sgranocchiando beatamente le patatine con il testone di Demon poggiato sulle ginocchia.
 
***
 
La temperatura del suo corpo era aumentata sostanzialmente e la felpa le faceva provare un effetto claustrofobico. Se la tolse in fretta e la gettò sul pavimento. Con solo una canottiera indosso, si diresse in bagno. Aprì l’acqua della doccia e attese che diventasse calda, prima di entrare.
Lo scroscio d’acqua le pervase tutto il corpo, ancora scosso da quanto successo.
Eloise restò immobile sotto quel getto, in cerca di una sorta di purificazione.
Sentiva qualcosa dentro di lei, e questo la spaventava.
Approfittando dell’acqua che scivolava furiosamente su di lei, pianse.
La vergogna fu attenuata da quel caos di acqua e lacrime, e si disse che poteva piangere ancora per un po’.
Uscita dalla doccia, preparò una tisana e si stese a letto, sotto le coperte. Non si asciugò nemmeno i capelli, e qualche starnuto le fece subito rimpiangere quella scelta.
Il piumone la copriva tutta, solo qualche ciocca nera sfuggiva al caldo rifugio nel quale si era isolata.
Desiderava qualcosa e al tempo stesso non la voleva. Dopo tanto tempo aveva pianto di nuovo, ma non si sentiva affatto meglio. Indurì la mascella in segno di disappunto verso se stessa, e si promise che non avrebbe più mostrato la sua debolezza.
 
***
 
Poco prima dell’ora di cena, Anne e Lysandre avevano salutato Castiel e si erano incamminati verso la fermata del bus per tornare a casa.
Lysandre non poteva smettere di pensare a ciò che l’amico gli aveva raccontato.
L’aggressione alla professoressa Laurent l’aveva piuttosto sconvolto, ma una cosa in particolare gli dava da riflettere.
L’espressione di Castiel mentre parlava della professoressa.
Aveva notato qualcosa di strano nei suoi occhi, una luce diversa. E questo lo aveva messo subito in allerta. Doveva stare attento, si ripeteva, e tenere l’amico sotto controllo. Altrimenti, Castiel ne avrebbe sicuramente combinata una delle sue.
«Che hai, Lys? E’ da quando siamo andati via che non parli»
Lysandre osservò Anne e tornò in se.
«Scusami, ero sovrappensiero»
Anne fece una smorfia «Il tuo amico ti ha contagiato?»
«Forse sì, ma ti ricordo che la testa tra le nuvole è una mia prerogativa» disse sorridendo.
«Già, ma oggi Castiel ha dato proprio il peggio di se…»
Lysandre si bloccò, costringendo anche l’altra a fermarsi.
«Si parla sempre e solo di lui, eh?»
La domanda, seppur retorica, era stata posta con gentilezza. Un po’ troppo forzata, forse, ma la ragazza non se ne accorse e arrossì.
«E’ che mi fa così arrabbiare, a volte…» blaterò.
Lysandre socchiuse gli occhi, poi si mise di fronte a lei.
Anne fu catturata dai suoi occhi bicolore, profondi ma al tempo stesso estremamente freddi.
La mano di lui andò a sistemare il fermaglio sui capelli di lei, che si era spostato.
Quel tocco dolce e inaspettato la fece fremere appena. Non immaginava che le mani di Lysandre fossero così calde. Lei, al contrario, quasi tremava dal freddo.
«Ci vediamo domani» la salutò, sorridendo.
Anne annuì e rimase imbambolata alla fermata del bus, a guardare la sua schiena allontanarsi nell’oscurità della sera.
 
***
 
Castiel odiava i lunedì. In realtà, odiava ogni giorno di scuola, ma per il lunedì serbava un odio profondo. Il motivo era che in tutta la sua vita non c’era stata una domenica in cui non avesse fatto nottata, per cui il lunedì era impossibile carburare. In più sembrava che tutti, in quel preciso giorno della settimana, sentissero il bisogno di urtare i suoi nervi più del dovuto. La Preside lo aveva sgridato davanti a tutti per il semplice gusto di farlo, il segretario delegato gli aveva lanciato un’occhiataccia che gli aveva fatto ribollire il sangue nelle vene, Peggy, la responsabile del giornalino lo aveva tartassato per rilasciare un’intervista dal titolo “Record mondiale di assenze scolastiche: Castiel si rivela”.
Come sempre non era stato attento durante le lezioni, ma stavolta la sua disattenzione aveva uno scopo preciso. Aveva risparmiato la sua concentrazione per il pomeriggio.
«Davvero vuoi rimanere a scuola a studiare?» chiese Lysandre, meravigliato.
«Meglio oggi che durante le vacanze, no?»
«Forse volevi dire: "meglio tardi che mai"?»
Il rosso diede un pugno scherzoso all’amico che lo salutò, lasciandolo solo nell’aula.
Tirò fuori le due bestie nere, matematica e storia, e solo vedendo quegli enormi tomi minacciosi gli venne voglia di buttarsi fuori dalla finestra. Decise subito che recuperare matematica era una vera e propria utopia e la rimise nello zaino.
Non fece in tempo ad aprire l’altro libro, che qualcuno lo distrasse aprendo la porta di scatto.
Eloise entrò in aula non accorgendosi che qualcun altro si trovava lì.
Si sedette in cattedra, estrasse una pila di fogli dalla borsa e iniziò a leggere il primo.
Erano trascorsi solo due giorni dall’aggressione al parco, eppure adesso sembrava tutt’altra persona. Approfittando del momento, Castiel la osservò per bene. Indossava un maglione bianco e dei jeans chiari, ai piedi un paio di stivali marroni. Il trucco e gli occhiali da vista le donavano un’aria adulta e professionale, ma niente poteva cancellare quell’aspetto infantile impresso dentro di lui.
Gli sembrò che fosse tranquilla; probabilmente aveva superato quella brutta esperienza. Ne fu sollevato.
Da un’espressione di disappunto sul suo viso, capì che stava correggendo i compiti di un’altra classe. Notò inoltre che mentre leggeva aveva il vizio di mordersi le labbra. Fissò quelle labbra forse troppo a lungo, perché dopo un po’ iniziò a sentire un calore poco adatto al clima rigido di quel periodo.
Erano colorate di rosso borgogna per via del rossetto, ma avendola vista senza trucco, sapeva che naturalmente erano di una tonalità più tenue. Nel momento in cui i suoi denti toccarono nuovamente il labbro inferiore, più carnoso, Castiel si mosse per cambiare posizione sulla sedia. A quel punto Eloise alzò lo sguardo verso di lui e per poco non le venne un colpo.
«Che…Castiel?!»
Il rosso tentò di ricomporsi e rovistò nella mente per tirar fuori una battuta pungente dal suo repertorio, ma non se ne ricordò nemmeno una.
La professoressa si portò una mano sul cuore, visibilmente provata.
«Non credevo di avere questo effetto su di lei…» disse il rosso, un po’ in ritardo.
Eloise alzò un sopracciglio e ripresasi notò il libro aperto davanti al ragazzo.
«Ebbene, a un giorno dalla verifica hai finalmente deciso di studiare?»
Castiel sorrise sotto i baffi. Se prima lo infastidiva, adesso quello scambio di punzecchiate iniziava a piacergli.
«Potrei sorprenderla quando meno se lo aspetta»
La donna scosse la testa sorridendo, e Castiel sentì una fitta allo stomaco. Ciò che lo preoccupò è che non era affatto una sensazione spiacevole.
Passarono una ventina di minuti, durante i quali entrambi si dedicarono al loro dovere. Chi più, chi meno. La luce del sole andava via via lasciando il posto al tardo pomeriggio.
Eloise raccattò le sue cose e si mise la borsa in spalla.
Castiel non staccò gli occhi dal libro, nonostante la tentazione di alzarli verso di lei era forte. Si chiese se dopo aver lasciato la scuola sarebbe andata direttamente a casa, ma i suoi pensieri vennero interrotti di colpo.
«Ancora all’Editto di Nantes
Stavolta, era lui a non essersi accorto della presenza dell’altra.
Alzò la testa e se la ritrovò in piedi davanti al suo banco. Si rigirò la matita tra le mani, come per guadagnare tempo.
Lei bloccò quel movimento prendendogli la mano, con la sua, piccola e chiara, e gli tolse la matita. Si mise poi alla sua destra e si accucciò per avvicinarsi al libro. I suoi capelli sciolti smossero l’aria, lasciando una scia di lavanda intorno a loro.
Castiel socchiuse gli occhi e spostò poco la sua spalla per andare a sfiorare il braccio di Eloise.
«Questa data è molto importante» disse lei, sottolineando una parte della pagina con la matita «Avresti dovuto sottolinearla»
Castiel si tirò su lentamente dalla sedia e si ritrovò a sovrastare la figura della sua insegnante. Non sapeva perché l’aveva fatto, ma ora doveva giustificare quel gesto.
Il problema era che più la guardava, più il suo corpo non rispondeva ai comandi. Lei sostenne il suo sguardo tranquillamente, mentre lui si leccava le labbra secche.
Di colpo la superò per andare verso la cattedra e tornare poco dopo porgendole un foglio.
«Stava per dimenticare un compito» disse, «dovrebbe prestare più attenzione»
Eloise prese il foglio, incredula, e Castiel capì che non era l’unico ad avere poca concentrazione, in quella stanza.
Senza dire nulla, mise il foglio nella borsa e si allontanò, uscendo dall’aula.
Il rosso rimase nuovamente solo e si buttò rumorosamente sulla sedia, abbassando la zip della giacca di pelle.
Faceva decisamente caldo.
 
***
 
Le attività del club di giardinaggio richiedevano un certo impegno anche durante il periodo invernale, poiché la serra racchiudeva fiori e piante di ogni stagione.
Un po’ a fatica, Anne travasava una pianta troppo cresciuta in un vaso più grande. Fortunatamente il club era pieno di gente simpatica, quindi non ci si annoiava mai.
Un ragazzo dai capelli verdi vicino a lei si preparava a potare delle rose.
«Accidenti, non trovo più le forbici…Anne, potresti andare a cercarne un paio? Io intanto finisco il tuo lavoro»
«Va bene Jade!» Anne era più che contenta di scaricare il lavoro faticoso per andare a prendere un paio di forbici, perciò si coprì per bene e si diresse all’entrata della scuola.
A quell’ora lo sgabuzzino e la sala delegati erano chiusi, le uniche a non essere chiuse a chiave erano le aule, quindi decise di cercare innanzitutto nella sua.
Quando arrivò davanti alla porta, sentì delle voci provenire dall'interno.
Chi mai poteva essere ancora in classe a quell’ora?
Aprì quanto bastava per sbirciare e vide la professoressa Laurent che si dirigeva verso uno degli ultimi banchi dove era seduto… Castiel?
Dopo che lei gli ebbe fatto notare qualcosa sul libro, lui si alzò in piedi. Probabilmente i due non si resero conto del tempo che rimasero in quella posizione, ma Anne si. E qualcosa le diceva che una scena del genere non era poi tanto normale. Gli occhi di Castiel guardavano la professoressa in maniera quasi insistente…
Anne sentì un dolore acuto alla pancia. Voleva entrare e distrarli l’uno dall’altra, ma voleva anche andare via da lì e non vedere altro.
Scelse di andarsene, percorrendo a passi veloci il corridoio.
Il pensiero di quei due le procurava una sgradevole sensazione, ma cercò di calmarsi. In fin dei conti, erano uno studente e un’insegnante.
Non poteva esserci nulla.
Anzi, non doveva esserci nulla.

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Capitolo 7
*** Onde rumorose ***


7. Onde rumorose

Era quasi ora di cena e sembrava che tutta la città si fosse improvvisamente ricordata di dover fare la spesa.
Quando entrò nel supermercato, Eloise fu colta da un capogiro. Le luci fredde, il brusio di voci ininterrotto, i colori accecanti… Tutto era insopportabile.
Provò a camminare verso il reparto della frutta e della verdura, ma le parve un’impresa impossibile.
Passo dopo passo, il corpo le si faceva sempre più pesante. In qualche modo riuscì a mettere nel cestino alcune verdure e faticosamente arrivò alla cassa.
«Tesoro, ti senti bene?»
Vivienne, la cassiera che Eloise prediligeva e con cui faceva volentieri due chiacchiere ogni volta che si trovava lì, era visibilmente allarmata.
«Volevo fare la ratatouille, ma…»
Sentendo che le forze la stavano abbandonando, Eloise si appoggiò con entrambe le mani al tappeto scorrevole di fronte a lei.
Capendo che qualcosa non andava, Vivienne si affrettò a raggiungere la ragazza prima che cadesse. Non appena le toccò le braccia, strabuzzò gli occhi. Le bastò poggiarle un attimo la mano sulla fronte per rendersi conto che Eloise aveva un febbrone da cavallo.
«Sei bollente!» esclamò.
Intanto, alcune persone si erano accalcate intorno alle due, incuriosite.
«Non… Non preoccuparti, ce la faccio…»
«Non pensarci proprio»
Vivienne chiamò un collega e, spiegandogli la situazione, chiese di poter accompagnare la ragazza a casa.
Una volta fuori, la fece sedere su un muretto e si assicurò che fosse ancora sveglia.
«Corro a prendere la macchina, non muoverti»
Eloise chiuse gli occhi e si portò le mani sulle guance. Un violento brivido la fece sussultare. Effettivamente, la sua pelle era infuocata. Logico che non riuscisse nemmeno a stare in piedi.
Si morse le labbra pensando a quando, il giorno prima, si era messa a letto senza aver asciugato i capelli. Una scelta del genere in autunno inoltrato non poteva avere altre conseguenze che quella.
«Che idiota» mormorò tra se e se.
Poco dopo una macchina si fermò davanti a lei, ed Eloise si avvicinò alla portiera prima che Vivienne potesse scendere per aiutarla ad entrare.
«Ti porto a casa mia, va bene?» le disse la ragazza non appena l’altra salì a bordo.
«No, davvero. Sei stata fin troppo gentile ad aiutarmi, me la caverò da sola» pronunciò a fatica Eloise.
Vivienne le lanciò un’occhiata di sbieco, non troppo convinta.
Era una ragazza sui venticinque anni, alta ed eccessivamente magra. Aveva un sorriso contagioso che Eloise trovava gradevole. Sui lunghi capelli castani era presente qua e là qualche ciocca di un viola spento, che le attribuiva un’aria allo stesso tempo bizzarra e infantile. Gli occhi grandi, stanchi dopo una giornata lavorativa appena terminata, erano contornati da abbondante eyeliner nero e il mascara rendeva le sue ciglia talmente lunghe da sembrare irreali.
Arrivate davanti la porta di casa, Vivienne entrò senza troppi complimenti e si assicurò che Eloise si mettesse subito a letto. Dopodiché, guidata dalla flebile voce della padrona di casa, si fece strada in bagno e frugò nei vari cassetti alla ricerca dei medicinali per la febbre.
«Prendi questa e poi dormi» disse, mettendole una pasticca tra le mani e avvicinandole un bicchiere d’acqua.
Il tono non lasciava spazio ad obiezioni di alcun tipo. Ingurgitò la medicina e chiuse gli occhi per qualche secondo, sperando di sentirsi presto meglio.
«Ti ringrazio» disse, ma le sue parole vennero coperte da quelle squillanti della ragazza.
«Domani ti conviene chiamare il medico, anche se è una semplice influenza non si può mai sapere… Ah, chiama anche il lavoro. A proposito, che lavoro fai?»
«L’insegnante»
«Davvero?! Ma non sei troppo piccola?» Vivienne era sorpresa, e la bocca rimasta aperta dopo la domanda fece ridacchiare Eloise.
«Direi di no»
Al supermercato avevano scambiato solo qualche parola ogni tanto, ma Eloise sentiva un senso di tranquillità in sua presenza. Poteva sembrare invadente, ma la sua era semplice gentilezza. Quell’atteggiamento non la infastidiva per niente, anzi. Sentiva una particolare complicità con lei, era come se la conoscesse da sempre.
«In ogni caso, domani non azzardarti a mettere piede fuori casa» la ragazza, che non si era nemmeno tolta il cappotto, frugò nella tasca in cerca delle chiavi della macchina e una volta trovate, imitò un saluto militare causando altre risate.
«Se vuoi, posso prepararti qualcosa da mangiare» propose prima di andar via.
«Ho solo bisogno di una bella dormita»
Al suono della porta che si chiudeva, Eloise fece un respiro profondo. Aveva cercato in tutti i modi di risultare meno sofferente di quanto realmente fosse perché non voleva far preoccupare ulteriormente quella ragazza che era stata così gentile con lei. Si erano scambiate i numeri di telefono, poiché Vivienne aveva insistito affinché la chiamasse per ogni eventualità. Adesso che era andata via, diede libero sfogo ai sintomi del suo corpo febbricitante.
Controllò l’ora sul cellulare. Se avesse chiamato a scuola non avrebbe trovato nessuno, ma doveva assolutamente avvertire che il giorno seguente non si sarebbe potuta presentare al lavoro.
Si morse la lingua, pensando che aveva scelto proprio il momento peggiore per ammalarsi. L’indomani sarebbe dovuta esserci la verifica di storia.
Il suo forte senso del dovere la portò a cercare il numero privato del segretario delegato, a cui recapitò la notizia della sua assenza.
«Minacciali per bene da parte mia e dì loro che una verifica posticipata non li salverà dall’insufficienza a fine anno» si raccomandò, al telefono con Nathaniel.
«Ma, professoressa…»
Eloise scosse la testa, demoralizzata «Sto scherzando»
Riagganciò e si rigirò nel letto. Il torpore delle coperte le stava facendo venire sonno, ma la sua mente era ancora piuttosto lucida.
Aveva iniziato a sentire i primi segni di malessere quel pomeriggio a scuola, quando si era ritrovata in aula con Castiel. Scoprire che era rimasto lì dopo le lezioni per studiare la sua materia l’aveva in un certo senso lusingata. Era relativamente poco tempo che lavorava in quel liceo, ma già aveva avuto modo di capire che il rendimento scolastico del ragazzo non era affatto dei migliori. Di certo non sarebbe bastato un pomeriggio per recuperare la sua materia, ma aveva fatto un piccolo passo in avanti ed era inutile nascondere che aveva provato soddisfazione nel vederlo impegnato con il libro di storia.
Nonostante tutto, l’atteggiamento strafottente non era cambiato. Sembrava quasi che volesse mettersi alla pari con lei, sfidandola in continuazione. Quel giorno però, le era sembrato diverso dal solito. Quando le si era parato davanti, improvvisamente e senza un vero motivo, aveva ripensato al giorno precedente. Il segnale di protezione che le aveva trasmesso con quel leggero contatto nel parco aveva sortito il suo effetto. Ma le costava caro ammetterlo e percependo quei pensieri come pericolosi, aveva creato una barriera nella sua testa che impedisse a tali pensieri di prendere il sopravvento. Un tentativo che non era andato a buon fine, visto che nel momento in cui si era trovata da sola di fronte a lui la testa era subito andata a ripescarli.
Sbuffò, strizzando forte gli occhi per concentrarsi su altro. Il mal di testa aumentava sempre di più e l’unico modo per farlo passare era addormentarsi.
Quella notte sognò di costruire un grande castello di sabbia. C’era qualcuno vicino a lei, una presenza che però i suoi occhi non riuscivano a mettere a fuoco. Se avesse visto chi era quella persona, al suo risveglio avrebbe ricordato una cosa molto importante.
E di sicuro ne avrebbe sofferto infinitamente.
 
***
 
«Una Kronenbourg»
La ragazza dietro il bancone fissò inebetita i due clienti per una buona manciata di secondi e si riprese solo quando il più strambo tra i due le si rivolse in una maniera decisamente adatta alla sua figura.
«Milady, va tutto bene?»
A quel punto spostò lo sguardo su di lui e infine arrossì tutta d’un colpo. Dopo aver annuito con foga scattò di corsa verso le birre.
«Pare che tu abbia fatto colpo, vecchio mio» constatò diplomaticamente Lysandre, sorseggiando in tutta tranquillità il suo tè ai mirtilli.
«Eh?» Castiel si guardò intorno «Su chi?».
Da un paio di giorni, Lysandre stentava a riconoscere il rosso. Normalmente si sarebbe subito accorto della barista che non la finiva più di fissarlo, ma sembrava proprio che avesse la testa da un’altra parte.
«Sei strano, ultimamente»
Castiel poggiò le braccia sul bancone, pensieroso.
«La cosa veramente strana» esordì «è che una come la Laurent manchi a un compito in classe».
La barista tornò, stavolta più sicura di sé, e poggiò il boccale di birra davanti al rosso sfoderando un sorriso smagliante. Fu ignorata in modo così palese che se ne andò a servire un altro cliente con un’espressione decisamente avvilita.
«Anche i professori sono esseri umani» rispose Lysandre «probabilmente avrà avuto un imprevisto».
Castiel non rispose, prese il boccale e lo portò alle labbra, deglutendo lentamente.
«Sei preoccupato?»
Stavolta Lysandre si beccò un’occhiata fulminante.
«Perché dovrei essere preoccupato per una professoressa
L’amico assunse una finta espressione ingenua «Ah, non saprei… Forse perché prima di essere una professoressa, è una ragazza giovane e alquanto attraente?»
Castiel fece scivolare il suo sguardo altrove, ignorando le provocazioni dell’amico.
«Almeno oggi sei scampato a un’insufficienza certa»
«Mia nonna sarebbe stata più divertente di te, stasera»
Lysandre sorrise, richiamando poi la barista per chiedere se fosse possibile avere qualche biscottino al burro.
Il telefono di Castiel squillò. Lo prese dalla tasca, ma quando vide il numero sul display serrò le mascelle e lo rimise dentro.
Lysandre capì al volo la situazione e lo incitò a rispondere.
«Non puoi ignorare sempre le loro chiamate»
Il rosso sbuffò e ricacciò il telefono, portandoselo all’orecchio con fare brusco. «Che vuoi?»
Dall’altra parte si sentì una voce femminile.
«Da quando in qua ti importa di quello che faccio?»
Sentendo il tono con cui l’amico si rivolgeva alla madre, Lysandre si rabbuiò.
Passarono alcuni secondi durante i quali Castiel non disse una parola, finché non riattaccò congedandosi con un saluto glaciale.
Lysandre sapeva bene che non era per nulla facile affrontare quel discorso con lui e non voleva peggiorare l’umore dell’amico che era già abbastanza nero.
Tentò di riprendere la conversazione precedente e ricominciò a stuzzicarlo.
«Allora, pensi di andare a trovare la tua bella Laurent domani?»
A quel punto Castiel colse l’occasione per estrarre un foglietto dalla tasca della giacca. Lo mise sul bancone per farlo leggere a Lysandre. Quest’ultimo spalancò gli occhi, incredulo.
«Stai scherzando?»
In tutta risposta, un sorriso fermamente compiaciuto.
 
***
 
La minuscola chitarra di fimo stava prendendo forma tra le sue mani. Erano tre sere che vi si stava dedicando e finalmente era quasi finita.
Anne se la rigirò tra le piccole dita con espressione soddisfatta. Il giorno seguente avrebbe potuto iniziare a costruire il microfono.
Anche quell’anno per Natale, Castiel e Lysandre avrebbero ricevuto il loro regalo.
Mentre apportava le ultime modifiche al finto strumento musicale, alla ragazza tornò in mente la scena a cui aveva assistito il giorno prima.
Non sapeva spiegare il perché, ma sentiva che c’era qualcosa di sbagliato in quell’immagine.
Corrugò le sopracciglia, dubbiosa. Avrebbe voluto chiedere qualcosa a Castiel, ma non voleva fare la figura dell’idiota. Magari lui e la professoressa Laurent stavano semplicemente parlando di qualcosa inerente alle lezioni.
Però… L’atmosfera che aveva captato, era strana. Se fosse rimasta qualche secondo di più a spiare dietro la porta, avrebbe visto qualcos’altro?
Il sangue le si gelò nelle vene.
No, impossibile.
Si diede un paio di colpetti sulla testa per scacciar via quei pensieri.
«Anne, è pronto in tavola!» la chiamarono dal piano di sotto.
 Ripose con cura la chitarra in una scatolina sulla scrivania e osservandola sorrise dolcemente.
«Arrivo!»
In cuor suo, la speranza era più viva che mai.
 
***
 
Armata di pigiama a fiorellini e copertina sulle spalle, Eloise vagava per la casa senza trovare pace. Grazie alle medicine la febbre era scesa, ma il raffreddore e i dolori alle ossa la facevano sentire una vecchia nevrotica.
In televisione non c’era nulla di guardabile e non era dell’umore giusto per leggere un libro.
Si abbassò per cercare un film decente tra i vari dvd riposti nello scaffale della tv.
Niente, li aveva visti e rivisti mille volte.
Le venne improvvisamente voglia di andare in videoteca, ma in quelle condizioni non era proprio il caso. Sospirò, annoiata.
D’un tratto l’occhio le cadde su alcune vecchie cassette riposte dietro le custodie dei dvd. Ne prese un paio per leggerne i titoli e sentì una fitta al cuore.
Estate seconda liceo
Quella scritta le fece riaffiorare alla mente così tanti ricordi che la voglia di riviverli fu devastante.
Con mani instabili inserì la videocassetta nel registratore e premette play.
I pochi secondi di attesa furono carichi di aspettativa, come se Eloise avesse dimenticato che quegli eventi erano ormai incisi nella sua vita e non c’era modo di poterli cancellare.


Una giornata di luglio. Il sole cocente, il mare, un gruppo di giovani amici si gode le tanto attese vacanze estive.
Tre ragazze e tre ragazzi.
Le prime stese sugli asciugamani per abbronzarsi, gli altri rincorrono un pallone.
Tra di loro, una sedicenne Eloise. I capelli neri lunghi fino alle spalle, l’espressione allegra nell’ascoltare le chiacchiere di un’amica.
Uno zoom sul suo viso, e poi i suoi occhi al centro della telecamera.
«Simon!»
Un richiamo con tono severo ma imbarazzato.
«Sei bellissima, Ellie»
La ragazza bisbiglia qualcosa alle amiche, poi si alza dall’asciugamano e rincorre la telecamera, il viso imbronciato che occupa tutto lo schermo.
Risate, urla divertite, il sottofondo del mare e delle sue onde rumorose.
La telecamera passa ad un altro paio di mani, ora in primo piano Simon ed Ellie.
Lei si volta per sfuggire alle riprese, lui la prende dolcemente per le spalle.
«Dai, fatti vedere»
Una smorfia della ragazza e poi un bacio tra i due. Il fischio di approvazione dell’amico dietro la telecamera.
Poi, lo schermo torna scuro.

Eloise rimase immobile a fissare quel nero, il volto non tradiva emozioni.
Non c’era il tempo di pensare, perché qualcuno aveva suonato il citofono.
Si alzò dal divano e si trascinò piano alla porta.
«Sì?»
«C’è un pacco per lei» fu l’unica risposta che provenne dall’apparecchio.
Eloise aprì il portone e poi aspettò di sentire i passi del postino dietro la porta.
Il suo cervello non realizzò immediatamente ciò che i suoi occhi videro.
Ma quando lo fecero, la sua voce aumentò di svariate ottave.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?!»


 
Note dell'autrice:
A una settimana di distanza, ecco il settimo capitolo!
E' uscito fuori uno scorcio del passato di Eloise: Simon (si pronuncia alla francese, con l'accento sulla o). Come avrete capito, è il suo ex fidanzato.
Inoltre, Castiel è un bambino cattivo che risponde male alla mamma.
Chi sarà mai il falso postino che si è presentato a casa della prof?
In realtà è facilmente intuibile...xD
Fatemi sapere cosa ve ne pare!

Sakyo

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Capitolo 8
*** Ratatouille ***


8. Ratatouille

Appena la porta si aprì, Castiel lanciò una fugace occhiata alla persona che gli stava davanti e subito abbassò lo sguardo per terra, imbarazzato per l’errore.
Quella non poteva essere la Laurent.
Eppure, il cognome sul campanello non lasciava spazio ai dubbi.
Stava per aprir bocca, ma fu preceduto.
«Cosa diavolo ci fai tu qui?!»
Le orecchie del rosso percepirono a pieno il segnale. Il tono della voce racchiudeva un misto di trauma e preoccupazione, come se la donna avesse visto un fantasma.
O meglio, come se avesse appena aperto la porta di casa ad un suo studente.
Castiel tornò a guardarla, ma dovettero passare alcuni secondi prima che si abituasse a quella visione così strana.
Eloise Laurent, l’affascinante professoressa capace di incutere timore con il solo movimento di un sopracciglio era lì, davanti a lui, in una veste decisamente poco consona alla sua immagine.
«Non è poi così minacciosa…» constatò tra sé e sé, come se stesse valutando un famoso quadro a una mostra d’arte.
«Che cosa stai dic…»
Eloise non aveva la giusta dose di lucidità per riuscire ad articolare una frase sensata dall’inizio alla fine.
Come aveva fatto a trovare il suo indirizzo?
Ma soprattutto, perché era lì?!
«Passavo di qui per caso e sempre per caso ho letto il suo cognome sul citofono» si limitò a spiegare Castiel, vedendola in difficoltà.
In realtà non era andata proprio così. Il giorno prima si era ritrovato da solo in sala delegati ad aspettare che arrivasse il biondastro per riferirgli che no, non aveva ancora le giustificazioni per le assenze e che non le avrebbe mai avute, e per ammazzare il tempo aveva buttato un occhio sul registro aperto sulla scrivania. Da lì usciva fuori la scheda della professoressa, con una fototessera e tutti i suoi recapiti in bella vista. Era riuscito ad appuntarsi mentalmente solo l’indirizzo di casa, che subito dopo essere uscito dalla sala aveva scritto su un pezzetto di carta. Il perché di quel suo gesto era qualcosa su cui non aveva voglia di soffermarsi troppo.
No, non avrebbe certo potuto raccontarle la verità.
La donna sgranò gli occhi. Con quell’espressione, e soprattutto con quel pigiama faceva quasi tenerezza, si ritrovò a pensare il rosso.
L’espressione furibonda che si stava facendo spazio sul viso della donna convinse Castiel ad aggiungere velocemente: «Un mio amico abita in questo palazzo, sono passato a fargli un saluto»
La bocca ancora spalancata di Eloise e lo sguardo di chi aveva appena visto il diavolo non le permettevano di riacquistare un minimo di ragionevolezza.
«Posso avere un caffè?»
«PUOI…COSA?»
Il rosso si portò le mani alle orecchie e indietreggiò di un passo.
«Calma, calma. Scherzavo»
Era ovvio che dall’altra parte non ci fosse nessuna intenzione a continuare il dialogo, anzi, si meravigliava di come lei non gli avesse ancora sbattuto la porta in faccia.
«Castiel, vai via…»
Senza forze, Eloise stava per chiudere la porta ma il rosso fu più veloce e la bloccò con un piede.
Il tempo di guardarlo negli occhi, e la vista le si annebbiò. Quando si sorresse alla parete accanto alla porta iniziò a sentire un fischio continuo nelle orecchie.
Castiel si abbassò verso di lei e le posò una mano sul fianco, per sorreggerla.
«E’ solo un giramento…» mormorò Eloise ad occhi chiusi, ma non fece in tempo a riaprirli che si trovò sollevata a qualche centimetro da terra.
«Che stai facendo? Mettimi giù!» provò a divincolarsi dalla presa del rosso ma il tentativo fallì miseramente, sia per la sua condizione fisica, sia per quella di Castiel.
«Quanto ti lamenti…» il ragazzo con una mano le sorreggeva la schiena, con l’altra le teneva le gambe.
Il contatto con il corpo di lui la fece tremare di freddo.
«Sei bollente» constatò Castiel sbigottito.
Senza troppi complimenti avanzò nel piccolo appartamento e fece stendere delicatamente Eloise sul divano.
La febbre era salita di nuovo e anche il più piccolo movimento le risultava amplificato all'ennesima potenza. Per questo, quando Castiel le spostò una ciocca di capelli dalla fronte la mano fresca di lui le procurò un brivido che la fece sussultare.
Avrebbe dovuto reagire, avrebbe dovuto alzarsi da quel divano e intimare a quello studente così sfacciato di uscire fuori dal suo appartamento.
Ma non poteva per due motivi.
Il primo era l'evidente debilitazione fisica che in quel momento non le permetteva nemmeno di sperare che lui la stesse ad ascoltare. Con quel pigiama poi, non avrebbe spaventato una formica.
Il secondo era un pensiero che le costava caro ammettere. Castiel non doveva essere lì, ma fortunatamente c'era. Sentire la presenza di qualcuno accanto a lei, in quel momento, le infondeva una sensazione di sicurezza. Anche Vivienne, il giorno precedente, le era stata vicino e l'aveva aiutata, ma in maniera diversa. La rilassatezza che provava in quel momento con lui era riconducibile allo stesso sentimento suscitato dalla sua vicinanza il giorno dell'aggressione al parco.
Nonostante fosse soltanto un adolescente, Castiel le sembrava un uomo. La prestanza fisica del ragazzo, poi, contribuiva a rafforzare ancora di più quell'idea.
Accoccolata sul divano e con gli occhi socchiusi, lo vide dirigersi a passo sicuro verso il piano cucina.
Era strano. Al di là dell'ambito scolastico, loro due non avevano nessun altro tipo di rapporto. Eppure, quel ragazzo ribelle e un po' maldestro che faceva sempre cadere la penna nei suoi rari tentativi di prendere appunti durante le lezioni, in quel preciso momento si stava muovendo senza esitazione nella casa sconosciuta della sua insegnante, prendendo dimestichezza con i fornelli.
"Un momento... Non sarà venuto qui per appiccare un incendio? Lo farebbe passare per un incidente, così lui e i suoi compagni scamperebbero al compito in classe... Questi giovani d'oggi, farebbero di tutto pur di evitare un brutto voto" pensò, sgranando gli occhi.
Il rosso si voltò e con un coltello in mano le chiese dove fossero le cipolle.
"Oppure... Potrebbe uccidermi e nascondere il mio corpo nello sgabuzzino del liceo" improvvisamente terrorizzata, indicò il frigorifero, senza staccare gli occhi sgomenti dall'arma contundente e ricevendo un'occhiata sbigottita dal suo carnefice.
Rendendosi sempre più conto del delirio che le stava provocando la febbre, sospirò forte e provò a chiudere le palpebre e, lasciandosi cullare dal rumore di quell'innocuo coltello intento a tagliuzzare le verdure, alla fine si appisolò.
Quando riaprì gli occhi, sbadigliando, ci mise un po' di tempo a focalizzare l'ambiente intorno a lei.
Lentamente si alzò dal divano e, con una coperta sulle spalle si trascinò fino al centro del soggiorno. Sul tavolo, avvolto da una pellicola trasparente, un piatto di ratatouille ancora fumante.
Eloise si guardò intorno, come se da un momento all'altro una testa rossa potesse sbucare all'improvviso accanto a lei. Poi tornò a guardare il piatto.
Scuotendo la testa prese un cucchiaio e si sedette a tavola.
Castiel aveva detto di essere passato a salutare un amico che abitava nel suo stesso palazzo...
Una bugia bella e buona, constatò la donna. Ripassò mentalmente tutti i volti dei pochi inquilini del suo condominio e stabilì con assoluta certezza che tra di loro non vi era nessuno dell'età di Castiel. A parte lei, infatti, l'età media degli inquilini si aggirava intorno al mezzo secolo.
Fece una smorfia, sia per la conclusione a cui era arrivata, sia perché quella ratatouille aveva decisamente qualcosa che non andava.
Evidentemente Castiel aveva scambiato il barattolo del sale con quello dello zucchero e il risultato era un poco invitante minestrone dolce.
«Sarebbe stato ottimo come dessert» commentò la donna, sorridendo tra sé e sé.


***


«Ho paura di aver sbagliato qualche domanda...» la voce di Anne, seduta sul prato in cortile e intenta a tormentare un ciuffo d'erba, tradiva una certa preoccupazione. «Lys, cosa hai risposto a quella sulla guerra di devoluzione?»
«Ah, quella ha dato dei problemi anche a me» rispose Lysandre, togliendo una cuffia dalle orecchie per rivolgere l'attenzione ad Anne.
«Aspettate. Non c'era nessuna domanda sulla guerra di devoluzione» se ne uscì Castiel, un orecchio intento ad ascoltare la musica, l'altro concentrato sulle parole degli amici.
«Sì che c'era. La numero quattordici, per essere precisi» replicò Lysandre.
«Sei fuori? Le domande erano dieci in tutto» insistette il rosso.
«Castiel... Dimmi che stai scherzando» Anne si intromise, il tono di voce sempre più preoccupato.
«Ma di che state parlando?» sbottò il diretto interessato «Da dove esce fuori questa maledetta guerra, ora?!»
Lysandre scosse la testa, lanciando un'occhiata di intesa verso Anne.
«La Laurent si era raccomandata di girare il foglio anche dall'altra parte...»
A quel punto, il rosso impallidì.
«C'erano altre dieci domande, sul retro»
La musica nelle orecchie stava ormai diventando un fastidioso ronzio. Con uno scatto secco della mano si tolse la cuffia e si lasciò cadere non troppo delicatamente con la schiena sull'erba.
«Merda...» borbottò tra i denti.
«Spero davvero che tu abbia una giustificazione convincente, non come quella della paralisi alla mano che hai propinato al prof di matematica l'altra volta» inveì Anne contro di lui.
«Taglia corto»
«Guarda che lo dico per te, idiota! Continuando a prendere la scuola così alla leggera, alla fine dell'ann...»
Non riuscì a finire la frase, perché si ritrovò scaraventata a terra con le braccia ai lati della testa.
«Ehi, Anne» Castiel, a cavalcioni sopra di lei, la tratteneva sul letto d'erba tenendole le braccia strette in una morsa. «Dì un po'...» si avvicinò così tanto al suo viso che la ragazza fu invasa dall'odore pungente del profumo che aveva sul collo. «Hai bisogno di sfogarti, per caso? Ultimamente sei più acida del solito... Se vuoi un aiuto da un vecchio amico, basta chiedere...» la sfidò, pronunciando quelle parole a un centimetro dal suo orecchio.
Anne arrossì violentemente, rimanendo immobile per qualche secondo.
Lysandre, che aveva assistito a tutta la scena, scansò l'amico con un colpo non troppo delicato sulla spalla. «Falla finita, Cas»
Ancora più brutalmente fu scostato subito dopo da Anne, che si alzò e andò via senza proferire parola.
«Stavo scherzando...» si giustificò il rosso, guardandola sparire dietro la porta d'ingresso del liceo. «Perché se l'è presa così?»
Lysandre non rispose, ma serrò i pugni come per trattenere delle emozioni a cui faceva ancora fatica ad abituarsi.


 
***


I risultati del compito in classe non tardarono ad arrivare.
Il numero scritto in rosso sull'angolo in alto del foglio non lasciava spazio a repliche: quattro. Ovvero insufficienza. Ovvero corso di recupero. Oltre a quello di matematica, ora anche quello di storia.
"Tutto secondo le previsioni" pensò sarcasticamente Castiel.
Osservò la Laurent che gli dava le spalle mentre consegnava i compiti agli altri studenti.
La ragazza davanti a lui, avendo preso un otto, ottenne un sorriso compiaciuto dalla prof.
Per lui, non c'era stato nessun commento. Nemmeno uno sguardo di rimprovero, o di finta compassione.
Sbuffando, poggiò la testa sul banco. E dire che, per la prima volta dopo tanto tempo, si era impegnato per tentare di recuperare una materia. Quella materia.
Dopo qualche minuto, la professoressa riprese posto in cattedra e si schiarì la voce.
«Adesso vi comunico i nomi degli studenti che dovranno frequentare il mio corso di recupero...»
Diede un'occhiata al foglio che aveva in mano e, come ricordandosi improvvisamente di una cosa ovvia, annunciò: «Ah, sì. Sei stato l'unico a prendere l'insufficienza, Castiel»
Quest'ultimo drizzò la testa, lanciando uno sguardo torvo a chiunque osasse ridere di lui.
«Nei prossimi giorni verranno comunicati i giorni in cui si terranno i corsi, quindi non dimenticare di passare in sala delegati»
"Si è ripresa più che bene" meditò il rosso, ripensando alla settimana precedente, quando si era palesato a casa sua per un motivo ancora ignoto a se stesso. Una cosa era certa: non aveva perso tempo a preparare quella ratatouille con la speranza di essere ricambiato con una sufficienza.
Anne spostava lo sguardo dall'uno all'altra, quasi come se si aspettasse potesse accadere qualcosa da un momento all'altro. L'aver appurato che Castiel e la Laurent avrebbero passato i pomeriggi delle vacanze insieme e da soli - seppur per motivi puramente scolastici - le metteva addosso una certa agitazione.
Fece cadere gli occhi sulle sue braccia conserte sul banco.
"Perché mi sto allarmando?" indagò nei suoi pensieri "Devo solo pensare che questo gli servirà a recuperare i suoi brutti voti".
Già, ma nonostante si sforzasse con tutta se stessa a rimanere serena, quegli assillanti dubbi erano sempre più presenti dentro il suo cuore.


 
***


Uno dei posti che Lysandre più amava era innegabilmente la biblioteca. Se lo studio glielo permetteva, andava a visitare quel luogo almeno due volte la settimana. Inizialmente prendeva spesso in prestito qualche libro, ma molto meno spesso si ricordava di doverli restituire. Per questo motivo, ultimamente aveva preso l'abitudine di rimanere lì a leggere, piuttosto che farlo a casa. Così, per lo meno, non avrebbe più dovuto rendere conto dei ritardi sulle riconsegne.
Anche quella volta, il suo obiettivo era il reparto sulla storia della musica. Amava molto informarsi su tutto ciò che riguardava le sue passioni, perciò da un po' di tempo si era ritagliato delle ore, dopo le lezioni, da dedicare alla lettura della storia musicale.
«Oggi è il turno della musica classica» notificò, estraendo dallo scaffale un grosso libro impolverato.
Con aria trionfante si sedette su una poltrona dell'angolo lettura e, accavallando le gambe, si accinse ad aprire il suo tesoro.
Non fece nemmeno in tempo ad iniziare l'introduzione che sentì una voce provenire alle sue spalle.
«Anche tu hai la tessera fedeltà?»
Voltandosi vide che la professoressa Laurent lo osservava sorridendo.
«Quale onore, professoressa»
«Non è la prima volta che ti trovo qui. Cosa stai leggendo?» chiese la donna a bassa voce, avvicinandosi a lui.
Quando Lysandre le mostrò la copertina del suo libro, lei rispose con uno sguardo ammirato.
«E così, ti piace la musica»
«Diciamo che occupa un buon 90% delle mie giornate»
«Suoni qualcosa?» gli chiese Eloise, sempre più curiosa.
«Sono più portato per il canto»
«Non mi dire... Anche io cantavo, quando ero più giovane»
Lysandre trattenne a stento una risata «Mi perdoni, professoressa, ma sentirla parlare in questi termini è davvero particolare»
Anche sul volto di Eloise si stampò un sorriso. Più Lysandre la guardava e più si rendeva conto di quanto fosse giovane. Certamente il suo modo di porsi era atto a farla sembrare più grande di quanto in realtà fosse. Ma il ragazzo non faticava a immaginarsela con il pigiama a fiorellini di cui le aveva parlato Castiel... Di sicuro, vedendola vestita in quel modo, avrebbe dimenticato immediatamente il ruolo che effettivamente ricopriva. Inoltre, il fatto che fosse una bellissima ragazza era più che palese. Lysandre non si sarebbe affatto meravigliato, se qualcuno, prima o poi, avesse perso la testa per lei.
«Quindi, quella volta che ti ho ripreso mentre scrivevi durante le interrogazioni...»
Capendo dove voleva andare a parare la professoressa, il ragazzo non perse tempo a tirare fuori il suo vecchio e fidato taccuino. Lo aprì nel mezzo e le porse una pagina intrisa di inchiostro dall'inizio alla fine.
Passarono alcuni minuti, in cui lei leggeva e lui aspettava pazientemente, dopodiché la donna gli restituì il taccuino e dichiarò con voce flebile: «È meravigliosa».
Lysandre sorrise imbarazzato, non si aspettava un commento così diretto ma soprattutto così positivo.
«In realtà, io ho apportato solo alcune modifiche. L'autore di questo pezzo è Castiel»
Per Eloise quello fu come un fulmine a ciel sereno. Possibile che parole tanto toccanti fossero frutto di... Castiel?
Dall'espressione di Lysandre, pareva proprio di si.
Mai e poi mai si sarebbe aspettata un simile talento, da un tipo come lui. Sempre con quell'aria strafottente, sempre così svogliato e poco costante. Credeva che impegnarsi, per lui, fosse un termine senza alcuna valenza.
Invece adesso si era resa conto di una cosa. Lei non conosceva Castiel.
E giudicarlo dalle sole apparenze era stato un grande errore.


 
Note dell'autrice: 
Vogliamo soffermarci sula data dell'aggiornamento precedente e scoprire che risale a NOVE MESI fa?
No che non vogliamo.
So che i tempi non sono il mio forte, ma giuro solennemente che questa storia,
prima o poi, avrà una fine.
Davvero!
ç_ç

Sakyo

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Capitolo 9
*** Oro e smeraldo ***


9. Oro e smeraldo

Quando Eloise aveva chiamato Vivienne per invitarla a cena quella stessa sera, per ringraziarla di tutto quello che aveva fatto la volta in cui lei si era sentita male, mai si sarebbe aspettata di ricevere un regalo di qualsiasi tipo, figurarsi quel tipo di regalo.
«Non avevo idea di cosa potesse piacerti» cominciò a spiegare la cassiera, alla vista dell'espressione sbigottita dell'altra «Sembri quel tipo di persona che non ha bisogno di nulla... Poi mi sono ricordata che avevamo urgente bisogno di sgomberare la casa dal nuovo plotone di inquilini, quindi... Lui è Alvin» concluse, con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra.
Eloise puntò lo sguardo nella scatola di cartone che Vivenne teneva tra le mani e sgranò gli occhi quando si accorse che Alvin aveva appena lasciato una manciata di puzzolenti ricordini sulla carta di giornale, come a volersi presentare nel migliore dei modi alla sua nuova padrona.
«È
il più tranquillo, sai? I suoi fratellini sono tutti estremamente vivaci, però ho pensato che magari tu non ne hai mai avuto uno, quindi non volevo crearti problemi, ecco» spiegò allegra la ragazza dalle ciocche viola, che aspettava impazientemente di poter fare il suo secondo ingresso in casa Laurent.
«Problemi, eh?» ripeté sarcastica Eloise, osservando la palla di pelo che ora si era accoccolata in un angolino della scatola.
«Aspetta, aspetta, se hai paura di toccarlo lo prendo io» si offrì volontaria Vivienne, porgendo all'altra la scatola e prendendo tra le mani il piccolo Alvin.
«E' un coniglio nano» chiarì, avvicinandolo piano a Eloise in modo che potesse guardarlo meglio, «ma forse già lo sapevi, visto che sei un'insegnante» terminò poi con una risata.
Di storia, avrebbe voluto ribattere Eloise, ma preferì tacere per non smorzare l'entusiasmo dell'altra. Fortuna che almeno una delle due ne dimostrava un bel po'.
L'animaletto arricciò il naso odorando l'aria intorno a sé: aveva il pelo tutto bianco, fatta eccezione per le macchioline beige sull'orecchio e la zampa sinistri e una proprio sopra il musetto. Sentendosi a disagio in un luogo che non conosceva, chiuse gli occhi e si acciambellò tra le braccia calde della ragazza.
«Allora, non è un amore?» Vivienne cominciò a fare degli strani versetti in direzione del coniglio «Ovviamente puoi anche cambiargli nome, se vuoi. Io ho voluto dargliene uno perché a essere sincera mi ci sono già affezionata, ma sai, i coniugi Bunny hanno avuto ben cinque figli e di certo non possiamo tenerli tutti, mia madre è stata categorica a riguardo» espose tutto d'un fiato, lasciando Eloise ancora più interdetta.
«I coniugi... Bunny?»
«Sì, certo, Mr. e Miss Bunny, la mia coppia di conigli» specificò Vivienne con aria esageratamente seria.
A quel punto, Eloise non poté fare a meno di trattenere una risata. «Tutto questo è...» esilarante, avrebbe voluto dire, ma non finì la frase, un po' perché non voleva offendere la sua ospite che in quanto a personalità rispecchiava perfettamente quell'aggettivo, un po' perché in fondo, l'inaspettata sorpresa non era risultata poi così sgradita.
 
 
***
 
 
«E cofì, vivi da shola» indagò Vivienne, che era riuscita a trangugiare una quantità di pollo tale da rendere le sue guance simili a quelle di un criceto. Dall'inizio della cena non aveva smesso un momento di guardarsi intorno, incuriosita anche dalle più piccole cose presenti in quell'appartamento. La prima volta che era entrata lì, lo aveva fatto per cause di forza maggiore e non le era sembrato il caso di soffermarsi a curiosare nella vita di quella ragazza, come invece avrebbe fatto in un'altra circostanza.
«Proprio così» asserì Eloise, mentre si alzava da tavola per andare a prendere il contorno in cucina. «Come vedi è un posticino piccolo e a volte mi crea alcuni disagi» proprio in quel momento, infatti, aveva dovuto portar via il vassoio vuoto del pollo e il cestino del pane perché il tavolo non era abbastanza grande da poter contenere anche l'insalatiera. «Ma per una persona va più che bene» concluse, tornando a sedersi.
Vivienne annuì con fare pensieroso. «Ero convinta che vivessi con un uomo» se ne uscì d'un tratto, senza alcuno scrupolo.
Eloise rimase con la forchetta e il coltello a mezz'aria. «No, no» si sbrigò a dire, come a voler sradicare sul nascere un'ipotesi di quel tipo.
L'altra però si aspettava che la donna continuasse a parlare, e quando vide che questo non avvenne, insistette. «Quindi sei single?»
Il disagio si stava pian piano impadronendo di lei. Se fosse stato un uomo a porle quella domanda, sicuramente Eloise avrebbe reagito in modo diverso. Sapendo che ciò che spingeva Vivienne a indagare sulla sua vita privata fosse solo frutto di curiosità, oppure la semplicissima voglia di fare conversazione, non riusciva a sentirsi tranquilla.
«Sì» rivelò, cercando subito di cambiare argomento. «Ti piacciono i macarons? Ho provato a farli ieri ma non sono molto convinta del risultato»
Gli occhi di Vivienne si illuminarono. «Sai fare anche queste cose?» domandò entusiasta «Sei così bella, in più ti destreggi perfettamente tra i fornelli! Se fossi stata un ragazzo, mi sarei già innamorato di te!»
Sul volto di Eloise si fece spazio un sorriso dolce e al tempo stesso imbarazzato. Si grattò una guancia, dando un'occhiata ai piatti sul tavolo. «Non è stata poi una gran cena» ammise.
«Scherzi? Pagherei per riuscire a cucinare come te! L'ultima volta che ho provato a preparare il pranzo, ci mancava poco che mandassi a fuoco tutta la casa» spiegò allarmata. «Mia sorella dice che di questo passo non troverò mai uno straccio di fidanzato»
Eloise rise di gusto, immaginando una Vivienne in panico tra i fornelli. Quella ragazza era così genuina che la metteva di buonumore. Come la sera del suo malore, anche quella volta percepiva una complicità molto forte, sentimento attribuibile ad un rapporto consolidato da molto tempo. Eppure, fino a poco tempo prima, Vivienne era solo la simpatica cassiera del supermercato sotto casa. Ora invece era seduta di fronte a lei, intenta a blaterare riguardo un'anziana cliente che aveva il vizio di inventare promozioni e sconti inesistenti sui prodotti in vendita.
Eloise appoggiò il mento sul palmo della mano, ascoltando le storie strampalate di quella ragazza dalle ciocche viola che, seppur ignara, aveva iniziato ad allentare la morsa di solitudine che avvolgeva il cuore della giovane donna.
 
 
***
 
 
Anne si guardò allo specchio facendo una smorfia: la camicia rossa a quadri e i jeans scuri attillati le erano sembrati una buona accoppiata, ma le sue compagne di scuola presenti quella sera sembravano appena uscite da una rivista di moda e la facevano sentire al pari di un moscerino.
Si portò i capelli a caschetto dietro le orecchie e sistemò due ciuffi ribelli della frangia. Poi gonfiò le guance di aria, cosa che era solita fare nei momenti di sconforto, e osservandosi si rese conto di dimostrare al massimo tredici anni. Magari un po' di trucco avrebbe aiutato.
Ovviamente, non vi era traccia di mascara né di rossetti, nella sua borsa. Anzi, era fin troppo strano che si fosse degnata di portarla, una borsa.
Sbuffò girando sui tacchi e uscì dal bagno.
Si guardò intorno, cercando qualcuno.
"Di chi cavolo sarà questa casa?" pensò, facendosi largo tra le persone che la affollavano.
Da Castiel aveva solo appreso che era una festa organizzata da qualcuno della sua scuola in vista del Natale. Ma, a parte un triste alberello di plastica dimenticato su un bancone della cucina, di natalizio quel party non aveva proprio un bel niente.
Si avvicinò al mini abete e notò che sotto di esso, al posto dei regali vi erano decine di bicchieri pieni di birra.
«Che fantasia» disse ironica.
«Castiel!»
Una voce mai sentita arrivò al suo orecchio. Non ebbe il tempo di voltarsi, che si ritrovò accanto una ragazza poco più alta di lei, dai lunghi capelli castani e lo sguardo famelico. Guardava in direzione della porta-finestra che dava sul giardino. Automaticamente, Anne seguì lo sguardo della sconosciuta e i suoi occhi incrociarono quelli del suo migliore amico.
Castiel la squadrò per qualche istante, poi fece un cenno alla ragazza che lo aveva chiamato poco prima. Questa trotterellò felice fino a lui, portandogli le braccia al collo e uscirono fuori insieme.
Se il morale di Anne era a rischio già dall'inizio della serata, ora rasentava il limite della depressione.
Erano arrivati insieme in moto ma fin da subito Castiel aveva preferito passare il tempo in compagnia dell'alcol e di alcuni amici che lei non conosceva, abbandonandola a se stessa. Ora che ci si era messa anche quella gallina a tormentarlo, la serata di Anne poteva dirsi conclusa.
I bicchieri di birra erano ancora lì, sotto l'alberello che le stava accanto. Ci pensò su qualche istante, poi con scatto deciso ne afferrò uno e scolò il contenuto con un solo grande sorso. Dovette portare subito una mano alla bocca, per evitare brutte figure.
«Coscienza: caratteristica dell'uomo, solubile nell'alcol» dichiarò fermamente una voce, stavolta conosciuta, dietro di lei.
«Ci sei anche tu, Lys!» esclamò la ragazza con un sorriso, ritrovando un po' di serenità.
«Fortunatamente, direi. Come pensate di tornare a casa, tu e Castiel?» chiese retoricamente il ragazzo, riferendosi alle condizioni poco razionali degli amici.
Anne si rabbuiò di nuovo, mormorando dietro il bicchiere: «Io non ci torno, con quello»
Lysandre sospirò apprensivo. «Ultimamente non fate altro che bisticciare, voi due»
«Non abbiamo litigato, è solo che non voglio vederlo almeno fino alla fine dell'anno» puntualizzò lei, e fece per prendere un secondo bicchiere che aveva scelto anche qualcun'altro.
Un ragazzo alto e con un'aria da gradasso la fulminò. «L'ho preso per primo»
La stazza non la spaventò e stava per ribattere ma fu preceduta da Lysandre, che si mise davanti a lei coprendole totalmente la visuale: «Non mi sembra il caso di mancare di galanteria a una ragazza, dico bene?» il tono di voce era neutrale, ma Anne non poteva scorgere l'inquietante autorevolezza delle sue iridi bicolore, chiaro segnale che lo sconosciuto recepì seduta stante.
«Anne» iniziò il ragazzo dai capelli argentati che ancora le dava le spalle, non appena l'altro se ne fu andato «Ti va di uscire fuori?»
Avrebbe preferito fare a botte con il tizio di poco prima, piuttosto che uscire in giardino, ma non le parve il caso di declinare l'invito di Lysandre, che effettivamente l'aveva appena tirata fuori dai guai.
Le fece strada attraverso quei corpi ammatassati in uno spazio troppo piccolo, ma a furia di gomitate e spintoni provenienti da ogni dove si divisero. Anne si guardò a destra e a sinistra, la sua bassa statura contribuiva a rendere particolarmente difficoltosa l'uscita da quel labirinto.
D'improvviso, una mano avvolse la sua.
Era una mano calda e grande, dalle dita lunghe e delicate.
Lysandre l'aveva afferrata con decisione, e Anne capì di potersi rilassare totalmente. Mentre uscivano fuori da quella bolgia, le guance della ragazza si imporporarono. Forse era meglio pensare che fosse colpa della temperatura rigida, o dell'alcol che le stava entrando in circolo. Fortunatamente, le tenebre della sera avrebbero nascosto quel dettaglio non troppo irrilevante.
Dopo aver recuperato i cappotti, si sedettero sui gradini d'ingresso, facendosi spazio tra bottiglie vuote e pacchetti di sigarette accartocciati.
«Non invidio la padrona di casa...» dichiarò il ragazzo, riferendosi alla sporcizia da cui erano circondati.
«Pensavo non ti piacessero questo tipo di feste»
«Pensavo lo stesso di te»
Anne sorrise, bevendo un altro sorso di birra. Se non ci fosse stato Lysandre, a quell'ora si sarebbe sicuramente ritrovata da sola e sbronza in qualche anfratto della casa ad aspettare che quell'idiota di Castiel finisse i suoi - letteralmente - porci comodi.
Nemmeno a farlo a posta, il diavolo dai capelli rossi comparve da dietro un angolo insieme alla castana senza nome. Lui le teneva un braccio attorno alle spalle e, sussurrandole qualcosa all'orecchio, provocò in lei una risata talmente fragorosa da risultare recitata. Cessato quel teatrino, la ragazza si alzò sulle punte dei piedi per baciarlo sulle labbra. La reazione di Castiel non si fece attendere: abbassandosi un poco le mise una mano tra i capelli, stringendoglieli in una morsa non troppo elegante, e rispose al bacio.
Anne puntò gli occhi a terra, serrando le labbra. Una formichina solitaria tentava con tutte le sue forze di trasportare una briciola dieci volte più grande di lei.
Non doveva cedere di nuovo allo sconforto, non doveva farsi ancora del male.
«Etciù!»
Si volse verso Lysandre e l'immagine che le si presentò dinanzi la lasciò di stucco: il ragazzo aveva sciolto il prezioso foulard dal collo per legarselo sulla testa a mo' di cerchietto, con un fiocco rivolto verso l'alto.
«Avevo freddo alle orecchie» si giustificò con espressione impassibile.
Anne scoppiò in una risata spudorata che quasi offese il suo interlocutore. «Ma così ti rimane scoperto il collo!» esclamò, continuando a ridacchiare.
All'esterno, il clima gelido condensava l'aria che usciva dalla bocca in piccole nubi bianche.
Senza pensarci due volte, prese un lembo della sua enorme sciarpa color crema e lo fece arrivare sulla spalla di Lysandre. Avvicinandosi di più per sistemargliela sulla gola, si ritrovò dirimpetto ai suoi occhi bicolore.
L'oro e lo smeraldo la scrutavano in modo intenso: la sensazione era ben lontana dall'essere spiacevole, notò Anne. Percepì della profondità in quelle iridi particolari, a cui sì era abituata, ma che forse per la prima volta vedeva in un modo differente. Il contatto durò per un tempo che nessuno dei due seppe determinare, finché non sentirono delle grida divertite poco lontano da loro.
Con un rapido movimento Anne tornò a sedersi al proprio posto, ancora legata all'altro dalla sciarpa che aveva appena finito di sistemare.
Alzò di poco lo sguardo per vedere se Castiel fosse sempre lì, ma al suo posto trovò alcuni ragazzi intenti a fare casino.
A Lysandre non sfuggì quel cambiamento di espressione.
«Sono inconsolabile, eh?» scherzò lei, per alleggerire la tensione.
«Posso provarci io» si offrì il ragazzo.
«E come pensi di riuscirci?» chiese ingenuamente Anne.
«Vuoi davvero che te lo dimostri?»
Quelle parole lasciarono dietro di loro un pesante silenzio. Anne avvampò, indirizzando di nuovo lo sguardo per terra. Non capiva se Lysandre fosse serio, oppure stesse semplicemente scherzando.
«Ho esagerato, vero?» domandò lui, come per scusarsi.
Anne scosse la testa, appoggiandosi alla sua spalla per celare quell'imbarazzo improvviso.
«Grazie» disse piano, quasi in un sussurro.
Lui sorrise, inspirando l'odore dolce dei suoi capelli che gli solleticavano la guancia.
 
 
***
 
 
La divisa blu e gialla non gli piaceva per niente.
Arrotolò le maniche della maglia fino al gomito per camuffare almeno quegli assurdi polsini color canarino.
Raccolse con entrambe le mani lo scatolone ai suoi piedi e lo poggiò su uno sgabello d'acciaio, iniziando a tirar fuori i vari prodotti da sistemare sugli scaffali.
La testa gli pulsava prepotentemente, colpa della sbornia della sera precedente.
«Mi scusi, avete il fieno per roditori?»
La voce che giunse alle sue spalle lo sorprese. Possibile che fosse...?
Si voltò lentamente, quasi temesse di rimanere deluso se le sue previsioni non fossero esatte.
E invece eccola lì, la Laurent. Indossava un piumino blu scuro e dei jeans di una tonalità più chiara, ai piedi un paio di converse. I lunghi capelli neri erano avvolti in una treccia laterale che le donava un aspetto adolescenziale.
Quando anche lei si accorse di chi aveva davanti, rimase di sasso.
«Non avrai abbandonato la scuola?» fu la prima cosa che riuscì a dire.
Castiel la guardò stizzito. «Lavoro qui solo il sabato e la domenica»
«Ah, ma certo» convenne Eloise, rendendosi conto della domanda decisamente poco perspicace.
«Cos'è che cercavi? Fieno?» disse controllando il ripiano di fronte a lui, anche se sapeva benissimo che i prodotti per roditori non si trovavano lì.
Quell'apparizione inaspettata l'aveva mandato in confusione, ma non voleva certo darlo a vedere.
Non era la prima volta che le dava del tu, ed Eloise era quasi tentata di rimproverarlo. Aveva però il presentimento che, anche se gliel'avesse fatto notare, non sarebbe servito a nulla. D'altra parte, non poteva pretendere determinati atteggiamenti al di fuori dell'ambito scolastico. Soprattutto con quel soggetto.
«Beh, sì. Dovrebbe essere l'alimento base dei conigli, almeno credo»
Vedendola tentennare, Castiel sogghignò «Oggi la professoressa sembra impreparata...»
Eloise lo fulminò. «Prego?»
Un signore attempato e abbondantemente in sovrappeso li raggiunse.
«Ma guarda... Non sapevo avessi una ragazza, giovanotto»
Eloise stava per ribattere ma Castiel la precedette.
«Proprio così, capo»
In tutta risposta, ricevette un'occhiata torva dalla sua professoressa. «Ma cos...»
«Meraviglioso! Le avrai già detto dello sconto, vero?» chiese, per poi rivolgersi direttamente alla donna «I miei dipendenti hanno diritto a uno sconto del 20% su ogni prodotto, e possono fornirmi il nome di un amico a cui applicare lo stesso processo» spiegò, gesticolando animatamente.
Turbata, Eloise aprì la bocca ma non proferì parola.
«Probabilmente l'aveva dimenticato...» disse Castiel facendo spallucce.
«Mi raccomando, cara ragazza, approfittane senza alcuno scrupolo!» l'uomo proruppe in una vivace risata, prima di tornare al suo lavoro.
Subito dopo fu seguito da Castiel, che sparì dietro un angolo.
Eloise non sapeva ancora cosa pensare. Pochi secondi prima lo avrebbe preso a schiaffi per quell'uscita così inopportuna, adesso però non poteva che sentirsi riconoscente verso di lui. Non sapeva spiegarne il motivo, eppure quando era con lui si creavano inevitabilmente situazioni che riuscivano a farla sentire a disagio.
Il rosso tornò poco dopo. Vide Eloise tormentarsi la treccia tra le dita, con aria pensosa. Ebbe una fitta allo stomaco e l'impulso irrefrenabile di toccare quei capelli. Quando era vestita in quel modo e senza trucco, faceva una fatica incredibile a non considerarla una sua coetanea. Deglutì, passandosi una mano tra i capelli, e tornò da lei.
«Ora potrai sfamare il tuo roditore»
Eloise prese la busta di fieno dalle mani del ragazzo, senza guardarlo negli occhi.
«Zenzero» dichiarò, superandolo per andare alla cassa.
«Eh?»
«Zenzero» ripeté «Contro la sbornia fa miracoli. Un infuso sarebbe l'ideale»
Castiel rimase imbabolato a osservare quell'esile figura allontanarsi. Come diavolo lo aveva capito?
Sentendo una vibrazione nella tasca del pantalone, estrasse il cellulare, che segnava la notifica di un nuovo messaggio.
"Ieri sera è stato fantastico <3
non vedo l'ora di rivederti...
Quando sei libero?"

Lesse quelle righe frettolosamente e con indifferenza.
Senza pensarci troppo, premette l'icona del cestino ed eliminò il messaggio.
Infilò di nuovo il telefono in tasca e ricordò, con un mezzo sorriso, che mancavano solamente due giorni all'inizio dei corsi di recupero.


 
Note dell'autrice:
Sono contenta di essere riuscita a pubblicare questo capitolo a un mese di distanza dal precedente!
Sinceramente, non mi sembra vero. xD
Però voglio davvero cercare di essere più costante, perché mi sono affezionata tanto a questa storia.
Devo dire che il capitolo nove è stato un po' difficile da buttare giù, anche se non è un capitolo "impegnativo".
Diciamo che mi sono sentita frustrata, perché per circa una settimana avevo l'ispirazione al massimo ma nonostante questo non riuscivo a scrivere nulla che mi piacesse. Spero comunque che il capitolo possa piacervi, e mi impegnerò ancora di più per il prossimo. >.<
Un bacione e a presto!

Sakyo

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