Could it be any harder?

di Emily Doe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Invincibile ai miei occhi ***
Capitolo 2: *** Adesso inizi a comprendere? ***
Capitolo 3: *** E' dolce ritrovarsi ***
Capitolo 4: *** Parlami ancora ***
Capitolo 5: *** Le parole che non so dirti ***
Capitolo 6: *** Potrebbe anche piacerti ***
Capitolo 7: *** Prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più. ***
Capitolo 8: *** Dolorosamente patinato ***
Capitolo 9: *** Prendimi per mano ***
Capitolo 10: *** Perdere la presa ***
Capitolo 11: *** Irraggiungibile verità ***
Capitolo 12: *** Chi non trema ***
Capitolo 13: *** Niente di più difficile ***



Capitolo 1
*** Invincibile ai miei occhi ***




NdA: Prima di iniziare, credo sia doveroso specificare una cosa. CIBAH è una vecchia storia. E per 'vecchia storia' non mi riferisco solo alla data che vi compare - anche perché il periodo di 'postatura' è stato successivo a quello della stesura -, non mi riferisco solo al fatto che risalga in pratica ai miei 'esordi' da fanwriter. CIBAH è una vecchia storia, e presenta molteplici difetti, difetti che neppure una riscrittura potrebbe eliminare, perché riscriverla significherebbe semplicemente scrivere un'altra storia, e non 'correggere' questa. Difetti che, vista così, forse non ho il coraggio di provare ad eliminare *che ci volete fare, sono sentimentale :)*.
Sto rileggendo *e non so quando finirò* capitolo per capitolo, rabbrividendo per ogni sciocchezza XD, eliminando refusi, errori di battitura e di punteggiatura, ma fondamentalmente, CIBAH rimane lei. Volevo solo avvisare l'incauto avventore che si trovasse a voler leggere questa storia ^^.
Per il resto, ci tengo a ringraziare chiunque mi abbia lasciato un commento, mi abbia mandato una mail, mi abbia fornito consigli e pareri nel corso di anni, chiunque abbia segnalato questa storia per le Storie Scelte (cosa per cui mi vergogno ancora ^^'), etc etc, dimostrando per questa fanfiction un attaccamento ed un affetto *c'è chi capirà ^^* che mai avrei potuto immaginare, e che reputo del tutto immeritati. Grazie, davvero.
Tutto qui :)





Could it be any harder?








Capitolo 1° “Invincibile ai miei occhi”

You left me with goodbye and open arms
A cut so deep I don’t deserve


Per la settima strada del quartiere chiamato Petersfield regnava pace e calma. Era pomeriggio inoltrato, non c’era nessuno fuori, alcuni uccellini cinguettavano tiepidamente sugli alberi, nei loro nidi, in quei nidi che avrebbero abbandonato tra qualche giorno per migrare verso un paese più caldo. Non si sentivano chiacchiere o rumori molesti, la calma regnava sovrana in quel vicolo fiorito, nulla sembrava poter spezzare l’armonia di quel luogo.
Ma, paradossalmente, tutte le cose belle sono destinate a finire.
Un grido squarciò l’aria carica dei colori ormai autunnali. Il suono proveniva da una villetta di quella strada, piccola e confortevole, circondata da un modesto giardino fiorito.
Un rumore di passi affrettati. Urtando il tavolino con il telefono che si trovava nel corridoio del piano superiore, Harry si lanciò di corsa nella direzione dalla quale sembrava provenire quel grido.
Sembrava…sembrava che arrivasse dal bagno! Corse e si fermò solo quando vide una ragazza castana, dai capelli abbastanza crespi raccolti in una coda sfatta, continuare a gridare qualcosa, molto rossa in viso, premendosi entrambe le mani sugli occhi.
“Accidenti, Ron, ti sembra il modo di andare in giro?!” Strepitò istericamente voltando le spalle alla porta del bagno e facendo un passo incerto in avanti.
Allorché Harry si affacciò incredulo all’interno del bagno e vi trovò un Ron dai capelli completamente zuppi affannarsi per legarsi un asciugamano in vita. Istintivamente non seppe trattenere una risata spontanea.
“Andare in giro?! Hermione, guarda che questo è un bagno! Nel bagno ci si fa la doccia! Ed era quello che anche io stavo facendo, almeno finché non sei entrata tu come una furia!” Replicò Ron ad alta voce, ormai rosso come un peperone in zona orecchie.
Hermione si voltò feroce, ma quando vide che Ron non era ancora riuscito a legarsi in vita il telo, gridò di nuovo correndo alle spalle di Harry.
“Che diamine aspetti a coprirti?”
Ron sgranò gli occhi sempre più imbarazzato tentando, senza grandi successi, di legare l’asciugamano.
“Potevi anche bussare! Se avessi bussato ti saresti risparmiata questo spettacolo!” Urlò Ron armeggiando ora con un accappatoio preso lì accanto. “Ma no! Tu devi sempre fare di testa tua!”
Harry si voltò verso Hermione.
“Puoi aprire gli occhi, il mostro non c’è più…”
Ron gli lanciò un’occhiataccia e la ragazza scostò le mani dal viso facendo timidamente capolino da dietro Harry. Quando vide che Ron era ‘vestito’, scansò bruscamente Harry e gli andò contro a passo di marcia.
“Io faccio quel che mi pare?! Io?!” Esclamò furibonda facendo arretrare il ragazzo dai capelli rossi di due passi. Hermione solitamente era abbastanza calma, ma quando si arrabbiava c’era da aver paura di lei: aveva il viso rossissimo contratto in una smorfia di rabbia pura, i capelli le erano caduti ancora di più dalla coda che non aveva cercato neppure di sistemare, la felpa grigia -- troppo grande per lei - le copriva le mani, che Ron e Harry erano sicuri tenesse strette a pugno, come al suo solito; le gambe tese e leggermente divaricate, ben piantata sul pavimento e ben decisa a non arretrare. La sua voce, di sicuro non stridula, tuonava per tutta casa. Gli occhi sembravano aver assunto la capacità di lanciare lampi. Ron deglutì. “Sarei io quella che fa sempre come cavolo le pare?! E chi è che non ha chiuso la porta a chiave, eh? TU!” Così gridando gli puntò un dito della piccola mano sul petto, facendolo indietreggiare fino a quando il ragazzo non si trovò con le spalle contro lo specchio. “Tu, signor Ronald Weasley!” Non riprese neppure fiato. La capacità di parlare a raffica le era rimasta dall’infanzia. “Non avevamo deciso di chiudere a chiave la porta del bagno per evitare incidenti del genere?”
“Mi sono dimenticato, va bene?”
Hermione vide rosso.
“No che non va bene!” Sbraitò iraconda, brandendo un pugno davanti a sé in modo pericoloso, tanto che Harry le si avvicinò poggiandole una mano sulla spalla nel tentativo di calmarla. “Non va affatto bene, Ron! Possibile che ti comporti ancora come un ragazzino di diciotto anni?”
“Ma io ho diciotto anni!” replicò Ron ingenuamente
“Ne hai quasi diciannove, razza di…”
La situazione stava degenerando.
“Su, Herm, calmati…” Fece mite Harry lanciando a Ron un’occhiata di intesa che lui, in ogni caso, sembrò non recepire.
“Non mi calmo affatto!” Ribatté la ragazza, liberandosi dalla stretta di Harry. “Il fatto che io conviva con due ragazzi non vuol dire che ne debba vedere nudo uno! Il primo uomo nudo che ho visto in vita mia è stato… è stato il mio migliore amico!” Esclamò esasperata mentre Harry voltava lo sguardo imbarazzato e Ron rimaneva a bocca aperta, senza sapere cosa dire. Subito dopo lei si coprì la bocca con la mano, pentita di quello che aveva detto.
“Ti odio, Ronald Weasley!” ringhiò lei prima di fare dietro front e dirigersi a grandi passi giù per le scale.
Il ragazzo volse lo sguardo per un secondo verso l’amico che si grattava perplesso una tempia, con fare smarrito. Dopodiché, preso dalla rabbia e dall’offesa, corse dietro alla ragazza, si affacciò dal corrimano delle scale e, mentre lei stava prendendo qualcosa da mangiare come faceva sempre quando era nervosa, gridò a pieni polmoni.
“Nessuno ti obbliga a stare qui con noi due, puoi andartene quando vuoi! Di certo non siamo stati noi a chiederti di venire a vivere qui!”
Harry, che aveva trattenuto il respiro, temendo di udire quella frase, sospirò con gli occhi chiusi, scuotendo rassegnato la testa. La reazione di Hermione fu differente. Decisamente differente. Lì per lì rimase immobile su se stessa, con la fetta di pane ancora in mano, poi, lentamente, sollevò lo sguardo verso il ragazzo, ancora affacciato dal corrimano. Ron si era aspettato di vederla furiosa - e temeva leggermente per quello -, di vederla arrabbiata come non mai, ma si era sbagliato.
Quello che vide fu peggio, molto peggio.
Gli occhi di Hermione erano lucidi e la loro espressione regalava al mondo e a Ron, che si sentì mancare il respiro per qualche secondo, mozzato da una malinconia improvvisa, una tristezza inimmaginabile, senza confini, che solo lei poteva provare e comprendere. Senza dire una parola poggiò la fetta di pane sul tavolino lì accanto, si diresse verso la porta principale, l’aprì ed uscì senza fiatare.
I due ragazzi rimasti in casa stettero in silenzio per qualche secondo. Poi Harry si voltò rabbioso verso l’amico, che se ne stava lì in piedi, sembrava quasi… incerto… colpito…
“Complimenti, Ron, veramente i miei complimenti più vivi!”
Ron allora sembrò riprendersi, e gli rispose con espressione furente.
“Cazzo, Harry, ma hai visto come mi ha trattato?!”
“L’ho visto come l’hai visto tu! E come io so che la paura più grande di Hermione è quella di restare sola, di essere solo un peso per noi, lo sai anche tu! Quando la smetterai, veramente, di comportarti da ragazzino? Hai idea di quello che abbia provato quando le hai detto quello che le hai detto?”
“Io…”
Ma Harry aveva già preso il suo cappotto e quello di Hermione e se ne era uscito di casa sbattendo la porta con molta poca gentilezza. E Ronald Weasley rimase lì in piedi, ancora mezzo nudo, con i capelli rossi zuppi e gocciolanti, un’espressione mista tra rabbia, incredulità e tristezza. Neppure Harry, neppure il suo migliore amico l’aveva appoggiato…
Un sorriso di scherno comparve sul suo viso.
“Che mi aspettavo, dopotutto? Harry ha sempre preso le parti di Hermione…” Disse con amarezza, parlando a se stesso. “Sempre…”
Si sedette lì in terra, con la testa tra le mani, non sapendo più cosa fare.
Aveva sbagliato. Aveva fallito.
Ancora una volta.

*** *** ***

Era uscita ostentando la massima calma e razionalità, cercando - invano, lo sapeva - di non dare a vedere a Ron quanto le sue parole l’avessero ferita. Ci stava male. Tremendamente male. Male da cani. Forse in passato non se la sarebbe presa così, ma con quel clima di pericolo incombente, quel periodo di morti continue e improvvise, attacchi di Mangiamorte, erano tutti tesi, stanchi, nevrotizzati… ma la cosa che faceva più male, la cosa che spezzava letteralmente il cuore della giovane Hermione a metà, era il fatto che Ron sapesse quale fosse la sua debolezza. La paura di essere sola. Di non aver nessuno che la amasse. Di essere un peso, anche per loro, anche per i suoi migliori amici.
E se prima era uscita cercando di mostrarsi calma e decisa, ora stava correndo disperatamente senza una meta precisa, senza un’idea precisa, sentiva solamente l’incredibile impulso di correre, scappare da lui, da loro, di starsene un po’ sola, in qualsiasi posto, l’importante era che potesse sfogarsi in santa pace, versare quelle lacrime che da tanto aveva l’impellente necessità di versare ma che non aveva potuto lasciar scorrere sulle sue guance. Quelle guance che, in quel momento, erano gelate. Gelate dal vento che, a sua volta, gelava un po’ di quelle lacrime erano sgorgate dai suoi grandi occhi color nocciola.
Non le importava dove stesse andando, non le importava cosa pensasse la gente per strada, non capiva nulla, non percepiva nient’altro che il suo immenso dolore, mentre le gambe conducevano i suoi passi verso un parco, un piede davanti all’altro, sempre più velocemente, sempre più rapidamente. La gola cominciava a farle male per la corsa, per il freddo, per tutto; tutto sembrava dolerle in un modo incredibile - le parole di Ron forse non l’avevano ferita solo spiritualmente, pensò ad un tratto -, e corse, corse, corse. Si fermò solo quando i polmoni reclamarono il loro premio: una bella boccata d’aria.
Stremata, dovette appoggiarsi con una mano alla corteccia rugosa di un vecchio pino, ansimando, con una mano posta alla bocca dello stomaco, per calmare gli spasmi causati dalla mancanza prolungata di aria. Ad occhi chiusi e con le lacrime che le andavano a bagnare il collo di quella felpa troppo grande, Hermione Granger tentava di regolarizzare il respiro.
E non si accorse di aver corso talmente tanto da finire in una zona del parco che nessuno mai frequentava, perché si diceva avvenissero cose molto sospette. Solo quando udì distintamente un fruscio sinistro alle sue spalle e sentì una mano afferrarla con forza per una spalla si concesse il lusso di riaprire gli occhi, con una evidente nota di paura che cominciava ad affiorare in quell’oceano di dolore.

*** *** ***

L’aveva persa di vista. Maledizione a lui, a Ron e alla dannatissima velocità di Hermione. Maledizione all’istante in cui si era fermato a rimproverare amaramente Ron, maledizione alla goffaggine di quel ragazzo che, senza rendersene conto, era capace di ferirla più di qualsiasi altra cosa, maledizione alla testardaggine di Hermione, maledizione a tutto!
Una ragazza di diciott’anni non poteva vagare senza una meta precisa, al freddo, sotto un cielo che non preannunciava nulla di buono, in lacrime, senza bacchetta - che, sicuramente, aveva dimenticato a casa nella foga di fuggire -, soprattutto in quel periodo di lotte e di guerra.
Ora che Voldemort lo stava cercando per distruggerlo, Harry non poteva concedersi il lusso di mettere in pericolo i suoi due migliori amici. Di certo Voldemort non avrebbe esitato neppure un secondo prima di rapire Hermione o Ron per poi ricattarlo da bravo verme meschino qual era. E Harry non poteva permetterlo. Erano già successe troppe cose a causa sua, li aveva involontariamente fatti soffrire troppo, non avrebbe permesso che Hermione, Ron, o chiunque altro cui lui teneva soffrisse per la pazzia di un mago il cui unico scopo era uccidere lui, Harry Potter.
Strinse i pugni e si pulì con una manica del maglione gli occhiali appannati dal freddo, poi tornò a guardarsi intorno, stringendo gli occhi in due fessure, tentando di scorgere Hermione in lontananza. Ma di lei, neppure l’ombra.
Una morsa gli attanagliò lo stomaco: e se le fosse successo qualcosa?
Di certo non sarebbe stata la prima volta… non sarebbe stato il primo rapimento organizzato di cui si sentiva parlare in quei tempi; era già successo altre volte che un Mangiamorte, due, tre, si fossero appostati sotto casa di alcuni ‘ricercati’ (ovviamente sulla lista nera di Lord Voldemort) per poi rapirli e farne sparire del tutto le tracce. Di costoro non si era saputo più nulla, nella migliore delle ipotesi.
Riprese a correre dandosi mentalmente dello stupido poiché non sapeva assolutamente quale direzione avesse potuto prendere la ragazza. Perché non le era stato più vicino? Perché non l’aveva ascoltata tutte le volte che scappava di casa, con le lacrime agli occhi, e andava a fare la spesa, ovviamente un pretesto per non vedere Ron? Perché mai era quasi un anno che non la ascoltava veramente?
Con un senso di colpa fuori dal comune, Harry si rese conto di una cosa: lui e Ron non si erano mai occupati di ascoltare realmente Hermione. Mai. Era sempre lei ad ascoltare loro, ad elargire consigli, anche a beccarsi degli insulti da Ron; era sempre lei, e lo era sempre stata, la loro confidente numero uno… ma loro cosa avevano fatto in cambio?
Nulla.
Solo darle della secchiona, della puntigliosa, della precisina, della rompiscatole. Soltanto limitarsi ad un ‘grazie’ strascicato per i suoi consigli.
Forse era colpa della guerra…
… no. Non poteva scrollarsi di dosso questa responsabilità.
Era stata colpa loro.
Hermione non aveva mai aperto completamente il suo animo a nessuno. Ci aveva provato. Quante quelle volte in cui si avvicinava, cercando di parlare, cercando di stabilire un contatto anche minimo e quante quelle volte in cui, puntualmente, Harry finiva per non ascoltarla: troppo preso dai suoi problemi, finiva per confidarglieli, ma non si preoccupava di cosa avesse spinto lei da lui; e quante quelle volte in cui Ron finiva per litigarci a causa dell’approccio impacciato della ragazza?
Scosse la testa con violenza, come per scacciare quei pensieri.
Doveva trovarla. Trovarla e scusarsi con lei. Per tutte le volte che gli era stata d’aiuto. Per tutte le volte in cui non si era tirata indietro. Per tutte le volte che aveva sopportato le sue cosiddette manie adolescenziali e per tutte le volte che aveva seguito lui e Ron ovunque, rischiando la pelle. Per tutto quello… doveva come minimo ringraziarla.
Stava per imboccare la strada principale quando una folata di vento lo fece rabbrividire repentinamente. Stringendosi nella giacca, guardò quella di Hermione, che aveva ancora tra le mani, poi osservò il cielo: il clima stava cambiando rapidamente. Cominciava a fare decisamente freddo. L’aria odorava di umidità, il che voleva dire chiaramente pioggia. No, non pioggia. Temporale. Il cielo nero borbottava sommessamente, un lampo illuminò l’orizzonte e il parco dove si erano recati il primo giorno in cui si erano trasferiti nella nuova casa.
Gli occhi di Harry vennero attraversati da un guizzo di vitalità.
Forse aveva capito dove trovare Hermione.

*** *** ***

Si voltò di scatto, ancora ansimante, infilando subitaneamente la mano nella tasca dei pantaloni di tuta che indossava. La bacchetta non c’era… maledizione! Quale strega ben addestrata usciva di casa senza bacchetta? E tutto per una stupida, infantile lite con una persona ancor più stupida ed infantile?
Si sentì premere sulle labbra una mano fredda e decisa, scalciò per qualche secondo contro l’individuo incappucciato che la stava tenendo bloccata. Un Mangiamorte l’aveva trovata sola, indifesa, in lacrime… l’avrebbe sicuramente portata da Voldemort, lo sapeva, ne era sicura.
Con un sforzo immane riuscì a liberare una delle due mani, tenute ferme dalla salda stretta dell’altra mano dello strano individuo, e gli afferrò il polso, conficcandogli le unghie nella carne. L’uomo - anzi, no, il ragazzo, perché un ragazzo sembrava dalla corporatura - fece il grave errore di allentare di poco la presa. Al che Hermione, con una prontezza di riflessi che mai avrebbe immaginato di avere, si divincolò con una violenza dettata dalla disperazione e gli sferrò un calcio nelle parti basse. Lo vide piegarsi su se stesso imprecando a bassa voce, con quello che sembrava un ringhio furioso. La ragazza indietreggiò di qualche passo, ma si trovava in un vicolo cieco: dietro di lei c’era il laghetto del parco. L’unica via di fuga era intralciata dal Mangiamorte.
Sperando che fosse l’unico, Hermione spiccò una corsa tentando di superarlo quando era ancora inginocchiato a terra, ma lui, ancor più svelto di lei, le puntò contro la bacchetta, tirandosi in piedi non senza un altro ringhio basso, più sommesso.
Si vide costretta a fermarsi.
Il cuore in petto le batteva furiosamente, così tanto da fare male; la gola secca, la voce non voleva uscirle dalla bocca. Chiuse gli occhi, pronta ad udire le fatidiche parole. Ecco, era solo questione di secondi e il Mangiamorte le avrebbe scagliato contro una Maledizione Senza Perdono, era ovvio, scontato… lo sentì avvicinarsi di qualche passo, calpestando delle foglie secche.
Poteva sentirlo vicinissimo a sé. Ecco, stava per…
“Granger?”
Quella voce… la conosceva! Aprì gli occhi sorpresa e lo fissò perplessa.
“Come fai a sapere il mio cognome? Aspetta… io… io conosco la tua voce!”

*** *** ***

Seduto sul parquet del corridoio del piano superiore, il ragazzo dai capelli rosso fiamma se ne stava fermo, immobile, ad osservare le goccioline d’acqua scivolare lungo il suo viso e cadere con un piccolo e dolce suono, reso ovattato dal silenzio della casa, sulle assi di legno. Gli occhi azzurri, però, non sembravano vedere in realtà quella moltitudine di goccioline che dalla sua chioma correvano vivacemente, quasi con impertinenza, lungo i suoi zigomi e librarsi nel vuoto per una frazione di secondo prima di terminare la propria corsa. No, i suoi occhi rielaboravano immagini viste non molto tempo prima.
I suoi occhi… quel suo sguardo…
Gli occhi di Hermione non erano mai stati così tristi in otto anni, da che la conosceva. Mai. Ed ora lo erano, per colpa sua. Ne era pienamente consapevole, e quella consapevolezza era a dir poco straziante. Non avrebbe mai creduto di poter soffrire così per aver offeso anche se non proprio volontariamente qualcuno. Eppure con Hermione era diverso: tante volte negli ultimi anni aveva litigato con Harry, anche di brutto, tante volte si erano picchiati e tante volte si erano detti delle cose terribili… ma in fondo sapevano di poter contare sempre l’uno sull’altro.
Hermione su chi poteva contare se non su se stessa?
Alzò lentamente il capo, lo sguardo vacuo vagava per la casa; Ron, quasi inconsciamente, rivedeva le immagini che gli causavano quel dolore: Hermione al piano di sotto… si volta… e in quei suoi occhi castani, quell’espressione, quella tristezza… quel dolore… Una tristezza che è capace di attanagliare lo stomaco… di mozzare il respiro…
Prima d’ora non aveva mai creduto che un solo, singolo essere umano potesse racchiudere in sé tutta quella tristezza.
Ancora una volta, con Hermione era tutto diverso.
Quando Harry e Ron litigavano, era lei a tentare di rimanere imparziale, era lei a dargli consigli per farli riappacificare, era lei ad aiutarli, era su lei che potevano sempre contare.
E lui cosa aveva fatto? Le aveva in pratica detto che loro non la volevano lì e che, quindi, non avrebbe mai potuto contare sul loro appoggio.
In quell’istante l’immagine di una Hermione sedicenne, seduta sulla staccionata innevata di Hogsmeade, i capelli crespi e gonfi, il viso arrossato e seminascosto in una sciarpa giallo-rossa, apparve nella mente confusa del giovane Ron. Hermione se ne stava lì, a rimirare Hogwarts in lontananza, senza dire una parola, senza fare neppure il più piccolo gesto. Ferma e in totale silenzio. Harry e lui si erano fermati ad osservarla da lontano e Ron ricordò distintamente un pensiero: anche con i capelli crespi, anche con la faccia arrossata dal freddo, era…bella. Quando si erano avvicinati era sembrato ad entrambi che lei si fosse asciugata in fretta e furia gli occhi, giustificando la loro lucidità con il freddo. E loro le avevano creduto. Perché nella loro ottica superficiale Hermione Granger, la studentessa modello di Hogwarts, non piangeva, non soffriva. Era nata per studiare, per aiutare gli altri, per essere sempre pronta ad alzare la mano in classe con molto fastidio di Piton, e per essere loro amica. Senza ricevere mai nulla in cambio.
Si alzò di scatto fissando sempre dritto davanti a sé.
Hermione lo guarda ancora con quegli occhi così tristi ed amareggiati… con calma apre la porta, esce…e sparisce.
“Cosa cazzo sto facendo?” Esclamò Ron ad alta voce passandosi una mano tra i capelli ancora zuppi. “Hermione è lì fuori… devo andare a cercarla!”
Corse come un fulmine nella sua stanza, afferrò il primo paio di jeans che gli capitarono sotto tiro ed una felpa un po’ troppo piccola per lui - probabilmente era di Harry ed era anche troppo leggera per un tempo come quello, ma non ci fece caso. Scese di corsa le scale incespicando e rischiando di cadere, si infilò le scarpe da ginnastica, prese la porta ed uscì in strada. Il buio aveva cominciato a scendere, né Harry né tanto meno Hermione avevano fatto ritorno. Sbatté con noncuranza la porta senza preoccuparsi di chiuderla a chiave e corse giù in strada.
Doveva rimediare, doveva scusarsi, e stavolta l’avrebbe fatto; doveva ringraziarla per tutti quegli anni in cui ai suoi occhi lei era stata invincibile, in cui per lui non aveva mai avuto bisogno d’aiuto. E in tutto quel tempo lui aveva considerato normale l’averla accanto a sé, nel bene e nel male… uno sciocco. Ecco come si sentiva. Avrebbe sfidato il tempo, gli anni trascorsi con lei in cui l’aveva per così dire snobbata, avrebbe fatto di tutto pur di perdonarsi… ma doveva assicurarsi che stesse bene.
Sperando che potesse perdonarlo per tutti quegli anni di errori.

You were always invincible in my eyes
The only thing against us now is time



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Capitolo 2
*** Adesso inizi a comprendere? ***





Capitolo 2° “Adesso inizi a comprendere?”

Could it be any harder to say goodbye and without you,
Could it be any harder to watch you go, to face what's true


Hermione, senza neppure rendersene conto, stringeva le mani a pugno con tale intensità che sembrava quasi le si stessero conficcando le unghie nella carne. Erano soli. Loro due e nient’altro. Nessuno passava mai in quella parte del parco da quando, qualche anno prima, erano avvenute delle cose per così dire insolite. Il ragazzo incappucciato si sentiva lo sguardo di lei addosso, quegli occhi nocciola, al tempo stesso spaesati ma anche… disgustati. Fece un passo indietro, lasciandole più spazio e si appoggiò con fare stanco al tronco dove poc’anzi si era poggiata la ragazza che ora lo fissava esterrefatta senza riuscire a profferire verbo.
“Dannazione, mi hai fatto prendere un colpo…” Mormorò sfregando le mani l’una contro l’altra, nel vano tentativo di scaldarle un poco.
Hermione Granger, diciotto anni, la studentessa più brillante di tutta Hogwarts ai suoi tempi, mai avrebbe pensato di rimanere così a lungo senza parole. Dopo circa cinque minuti buoni di silenzio, un record per la parlantina che la giovane aveva sempre sfoggiato, il ragazzo si rimise in posizione eretta e si voltò con passo deciso ma elegante, deciso ad andarsene. Ma lei lo chiamò.
“Ehi, aspetta!”
Lui si fermò, quasi spazientito, e, senza voltarsi, le si rivolse in tono innervosito.
“Cos’altro c’è, adesso? Vuoi ancora prendermi a calci ? Non sapevo che voi ragazze mi aveste sempre visto così… effeminato.” E una chiara nota di disgusto vibrò nella sua voce bassa e profonda, ma con una cadenza così terribilmente familiare per Hermione.
La ragazza fece un passo in avanti, con la rapidità di un felino si chinò e raccolse un ciottolo dalle dimensioni di una palla da baseball, e si rialzò brandendolo minacciosamente davanti a sé.
“Tu…” Disse schifata.
Il ragazzo si voltò di profilo, il cappuccio ancora calato sul capo.
“Vedo che la compagnia di Potter e Weasley non ti ha impedito di ricordare i pronomi personali, Granger.” Disse in un tono ironico ma frettoloso. “Se non ti spiace dovrei andare, adesso.”
Hermione non credeva alle proprie orecchie: rinunciava così? Lasciava lei, la migliore amica di Harry Potter, illesa ed in piena libertà, nonostante fosse disarmata e, notò con disappunto, anche decisamente sconvolta? Non poteva essere… ci doveva essere un trucco, un trabocchetto… un qualcosa, diamine! In sette anni di ‘convivenza forzata’ non si era mai trovata da sola con lui senza che il ragazzo le tirasse un brutto scherzo. Offensivo. Cattivo. Perfido. Tutti gli aggettivi più spregevoli del mondo.
Ed invece in quel momento… sembrava… sembrava strano, quasi…
“Cosa… cosa?” Fu l’unica cosa che Hermione riuscì a dire, calcolando che fosse già un grande passo in avanti il fatto che il freddo non le avesse paralizzato anche la lingua.
La figura ammantata si spostò nervosamente da un piede all’altro togliendosi la neve dai pantaloni, un paio di jeans sporchi e tutto fuorché in ottimo stato, osservò con prontezza la ragazza, poi si voltò completamente avvicinandosi.
“Però noto con dispiacere che le tue facoltà mentali non sono più quelle di una volta.” Scosse il capo divertito. “E non dire che io non ti avevo avvertita: la compagnia di quei due ti avrebbe portata sulla cattiva strada.”
Hermione sentiva il freddo intorpidirle i sensi. Come diavolo le era saltato in mente di fuggire così, per una stupida lite con Ron, senza mettersi nulla addosso?
“Cosa ci fai qui?”
Il ragazzo rise sommessamente.
“Avanti, ti do una seconda possibilità: formula la vera domanda che vuoi pormi, vedrai, ce la puoi fare, nonostante gli anni trascorsi con quei due inetti.”
La ragazza deglutì.
“Perché…?”
Il ragazzo sospirò.
“Perché non ti ho fatto nulla? Perché non ti ho uccisa, sventrata, tormentata o anche semplicemente violentata?” Proseguì, assumendo un tono di voce annoiato. “È questo che vuoi realmente sapere, vero?”
Senza pensarci e sentendosi immensamente stupida, Hermione annuì. Lui rimase a fissarla con il viso ancora nell’ombra del cappuccio, poi sembrò sorridere quando un ultimo pallido raggio di sole gli illuminò per un istante il viso appuntito. Hermione non diede segni di sorpresa: non si era sbagliata, aveva intuito proprio bene. Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille.
Stava scendendo la sera.
“Perché mai pensi che dovrei farlo?” Le domandò lui ricominciando a sfregarsi le mani.
Hermione rimase in silenzio.
“Te lo dico io perché. Perché nella mia famiglia è sempre stato così. Dico bene? Tutti la pensano così.” La ragazza fu certa di cogliere una nota particolare nelle sue parole, quasi di malinconia. “… È sempre stato così e così sempre sarà, giusto, Granger? Beh, lasciami dire una cosa: credevo che una persona intelligente come te non credesse a queste… cose.”
In quel momento Hermione si sentì punta sul vivo e si affrettò a parlare.
“No! Non è come pensi! Io… ecco…”
“Lascia che ti spieghi cosa pensi realmente di me e della mia famiglia.” La interruppe lui, assumendo un’aria più aggressiva. “Tu pensi che io debba assolutamente fare quelle cose perché mio padre le ha fatte.”
“No! Io…”
“E voi Grifondoro sareste quelli sempre pronti ad aiutare tutti? Sareste voi quelli privi di pregiudizi e che non sfoggiano mai alcuna ombra di atteggiamento razzista? Siete voi i buoni, giusto? Dico bene?” Così dicendo le si era avvicinato senza rendersene conto ed ora lei si trovava con le spalle contro un albero mentre lui, notevolmente più alto, le stava vicinissimo. Poteva sentire il suo respiro leggermente affannato, come fosse raffreddato, percepiva il calore del suo corpo accanto al suo. “Bene. Ascoltami con attenzione, Granger: questo è razzismo. Condannare ogni singola persona per quello che qualcun altro ha fatto. Mai chiedersi ‘potrà essere diverso?’, esatto, Granger? Perché non può essere… no che non può: esce dai vostri schemi, schemi di eroi perfetti che vivono in un mondo altrettanto perfetto con i loro pregi e difetti, perfetti anch’essi, in cui l’unica macchia siamo noi, sempre noi, perennemente noi.” Non prese neppure respiro. “Ma non vi ponete mai il problema fondamentale del vostro schema perfetto. Quale? Quale sarebbe?” Qui si fermò per un secondo, fissandola dritta negli occhi. “Perché dovremmo essere tutti uguali?”
Hermione era a dir poco sconvolta, non sapeva cosa dire, né tanto meno cosa fare. Non avrebbe mai sospettato di trovarsi in una situazione del genere con lui e sentirlo dire certe cose.
“Ho indovinato, vero, Granger?” Riprese lui, allontanandosi deciso dalla ragazza con una smorfia di disgusto.
Lei non rispose, folgorata dalla cruda realtà della sua affermazione: aveva perfettamente ragione. Era sempre stato così e sarebbe ancora stato così, per l’eternità, nel caso nessuno avesse sconvolto quella orrenda tradizione.
“Lo sapevo. Dentro di me sapevo che niente mai sarebbe cambiato.”
Si voltò e si incamminò verso un vialetto del parco, delle gocce cominciarono a cadere dal cielo nero e saturo di tuoni pronti a scoppiare in tutta la loro potenza. Hermione lo guardò allontanarsi non trovando le parole per una situazione come quella. Il fatto era che… non c’erano parole. Aveva ragione su tutto quello che le aveva appena detto.
“Malfoy!” Esclamò lei involontariamente, mentre il ragazzo stava per scomparire in quel vialetto.
Malfoy si voltò lentamente mentre Hermione si malediceva per averlo chiamato: perché l’aveva fatto? Che senso aveva la cosa? Era stato come se una forza dentro di lei l’avesse costretta a chiamarlo, a parlare con lui… ad avere un contatto qualsiasi con quell’individuo. Quasi come dovesse sfogarsi di alcuni complessi di colpa maturati nel corso degli anni. Non capiva realmente cosa stesse accadendo dentro di lei, ma sapeva che doveva dirgli qualcosa, non sapeva ancora cosa, ma doveva succedere qualcosa. Doveva parlargli. Ma non capiva. Non ancora.
“Malfoy, ecco… io…”
“Lascia stare, Granger. Non vale la pena perdere tempo con gente subdola e schifosa come me.”
E sparì nel buio del vialetto.

**** *** ***

Harry stava disperatamente correndo per il bosco, al buio che nel frattempo era calato, rabbrividendo.
Di Hermione nessuna traccia. Doveva trovarla assolutamente, non poteva in alcun modo permettersi che le accadesse qualcosa di male. Se solo qualcuno avesse provato a torcerle anche solo un capello… lui non avrebbe più risposto delle sue azioni. Hermione era ed era sempre stata la sua migliore amica, e non avrebbe permesso a nessuno di farla soffrire. Si fermò per riprendere fiato asciugandosi il sudore dalla fronte con una manica.
“Harry!”
Il ragazzo si voltò con un’espressione furiosa.
“L’hai trovata?”
Ron non fece in tempo ad aggiungere altro che l’amico gli si avventò contro mollandogli un destro in pieno viso. Non ebbe neppure il tempo di realizzare cosa stesse accadendo, avvertì un dolore fortissimo al naso e si sentì scaraventato all’indietro. Rimase stordito, seduto a terra per qualche istante. Si toccò il naso: sangue. Alzò gli occhi blu verso l’amico.
Harry se ne stava furioso, con i pugni alzati in posizione di lotta, sembrava poter far andare a fuoco chiunque guardasse.
“Harry…” Fece Ron. “Ma che cazzo fai?!”

*** *** ***

La durezza di quella realtà l’aveva fatta rimanere letteralmente scioccata. Era come se la tristezza e l’amarezza di quelle parole, di quella verità, del suo viso le fosse crollata addosso tutta assieme. Ed era terribile. Mai avrebbe sospettato che un… Serpeverde, soprattutto Draco Malfoy, potesse provare qualcosa del genere.
“Ha ragione… io ho sempre pensato a lui come ad un Serpeverde, non come ad un ragazzo qualsiasi…” Non si preoccupò delle tenebre che l’avevano avvolta completamente. “Forse… forse lui ha sofferto per questo…” Sussurrando si trovò a camminare in circolo. “Anche se mi risulta difficile pensare a Malfoy in questa chiave.”
Sembrava quasi che una parte dell’amarezza che quel ragazzo aveva implicitamente mostrato si fosse attaccata al suo cuore, e Hermione non poteva sapere che quella era solo la più minima parte dell’amarezza che Draco Malfoy provava ed aveva sempre provato.
Sconvolta dalle parole del ragazzo, non si era accorta del fatto che ora era completamente sola, in quel parco.
All’improvviso, continuando a riflettere quasi ossessivamente sulle parole di Draco, come se le avessero dovuto rivelare qualcosa di importante, sentì dei passi dietro di lei. Voltandosi si era aspettata di vedere uno dei suoi due migliori amici, ma davanti a lei c’era solamente un uomo sulla quarantina, barcollante e zuppo di quella pioggia che stava per inzuppare anche lei. Istintivamente Hermione fece un passo all’indietro.
“Desidera?” Chiese con un fil di voce.
L’uomo barcollò fino a lei.
“Ma che bellezza…” Mugugnò con voce impastata dall’alcol. “Vieni un po’ qui che ci divertiamo…”
“Cosa?”
Senza aggiungere altro afferrò una Hermione ancora sorpresa sia per l’inconsueto incontro di poco prima, sia per l’arrivo dello strano individuo, scaraventandola con violenza contro un albero.
“Mi lasci! Mi lasci stare, per piacere!” Disse chiaramente la ragazza, tentando di svincolarsi dall’abbraccio dell’uomo. “Mi lasci, ho detto!”
“Sai che sei proprio una bella ragazza?” Mugugnò ancora quello, il suo alito puzzava fortemente di vodka. “Vedrai che non rimarrai delusa…”
Hermione si sentì ghiacciare il sangue nelle vene: sola. Al buio. Senza bacchetta. Inchiodata ad un albero. Con l’unica compagnia di un ubriacone. Non poteva sperare che fosse troppo ubriaco: se non lo fosse stato? Cercò ancora di divincolarsi dalla sua stretta, senza però ottenere alcun risultato soddisfacente. Mormorava parole sconnesse tra loro, sempre più angosciata, ad un tratto si sentì addosso le mani dell’uomo, che cominciò a toccarla spudoratamente.
“Lasciami andare, lurido maniaco!” Gridò lei mollandogli uno schiaffo in pieno viso.
Tornando ad osservare l’espressione dell’uomo cominciò a pensare che avrebbe fatto meglio a non picchiarlo: sembrava terribilmente furioso. Infatti le strinse una mano attorno al collo, mozzandole il respiro, e la schiacciò ancora di più contro l’albero colpendola con violenza in viso.
“Brutta stronzetta, tanto lo so che vuoi solo quello!” Biascicò a fatica, ma con ira crescente. Hermione non riusciva a respirare, figuriamoci a gridare. Quando sentì che l’uomo, con la mano libera, le stava letteralmente strappando di dosso i pantaloni, chiuse gli occhi abbandonando l’inutile tentativo di scalciare. Le mancava l’ossigeno, non aveva più alcuna forza, sentiva tutti i suoni come ovattati, le girava la testa…
Stupeficium!
Quella voce…
Improvvisamente era libera. Si accasciò a terra, ancora stordita dal colpo e dalla prolungata mancanza d’ossigeno, e si rintanò dietro il tronco dell’albero al quale era stata appena inchiodata. Socchiuse gli occhi piano piano, respirando affannosamente.
“Che cazzo vuoi, moccioso?” Grugnì l’uomo, rimettendosi in piedi a fatica, e dirigendosi, sempre traballante, verso il ragazzo che gli stava di fronte puntandogli contro una bacchetta
“Lasciala stare.” Disse gelidamente lui, senza scomporsi minimamente.
L’ubriaco rise sguaiatamente, rischiando anche di perdere l’equilibrio.
“Perché? Se no che mi, hic, fai?”
Il ragazzo alzò ironicamente un sopracciglio, ma nessuno dei due presenti poteva saperlo, dato che aveva ancora il nero cappuccio del mantello calato sul capo.
“Tornatene a casa.”
Detto ciò, il ragazzo si voltò verso Hermione e fece per raggiungerla. L’uomo rimase in silenzio per qualche secondo, dopodiché sguainò dalla tasca dei pantaloni quello che sembrava un coltello e si lanciò in piena corsa contro il suo avversario.
“Attento!” Riuscì a gridare Hermione con il poco fiato che aveva recuperato.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, con grande agilità ruotò rapidamente su se stesso e si abbassò appena in tempo per schivare quello che sarebbe stato un colpo mortale; rialzandosi fulmineamente gli rifilò un pugno allo stomaco. L’uomo si piegò su di sé tossendo, allora il giovane gli ghermì un braccio torcendoglielo senza pietà. Il coltello cadde in terra e l’uomo si lasciò sfuggire un gemito di dolore tra i colpi di tosse. Il cappuccio gli scivolò giù dal capo, rivelando capelli biondissimi, leggermente scarmigliati, un viso un po’ troppo affusolato, ma regolare ed occhi dello stesso colore della tempesta.
“Questo è giocare sporco,” Sussurrò sfoderando un freddo sorriso che andò ad increspare le sue labbra finemente cesellate. “non me lo farò ripetere due volte.”
Gli puntò contro la bacchetta una seconda volta, osservando con soddisfazione l’espressione terrorizzata e confusa dell’uomo. Bastò una semplice parola sussurrata per far cessare tutto.

*** *** ***

“Che cazzo stai facendo, Harry!?” Fece Ron alzando notevolmente il tono della voce e tornando a fissarsi la mano sporca del suo stesso sangue. “Ma ti ha dato di volta il cervello?!”
Harry si avvicinò furioso e lo afferrò per la felpa, tirandolo in piedi con una forza che mai Ron avrebbe sospettato potesse avere.
“Mi deve aver dato di volta il cervello, sì, quell’organo che tu non hai mai avuto!” Ringhiò furioso Harry spingendo con violenza Ron, nonostante questi fosse notevolmente più alto di lui. Ron era ancora così sorpreso che non capiva assolutamente cosa stesse accadendo al suo migliore amico.
“Non capisco…”
Harry lo colpì allo stomaco, costringendolo a piegarsi leggermente. Il ragazzo strabuzzò gli occhi per un istante.
“Non capisci? Non hai mai capito nulla! Nulla di lei!” Fece per colpirlo nuovamente, ma Ron stavolta reagì strattonandolo lontano da sé.
“Ma cosa vai blaterando, Harry?”
Il ragazzo moro ringhiò sommessamente scagliandoglisi ancora una volta contro, ma Ron aveva i riflessi pronti e si scansò all’ultimo momento.
“LA VUOI PIANTARE?!?!” Gridò esasperato. “Almeno dimmi cos’è successo!”
Harry si fermò e fece una smorfia di disprezzo.
“Che è successo? Che è successo?! Ma non te ne rendi conto neppure adesso?”
Ron cominciava a spazientirsi.
“Senti, se non hai di meglio da fare, io vado a cercare Hermione…”
“È lei il punto! L’hai fatta soffrire… Hai presente quanto le abbiano fatto male le tue parole?”
“Ah, è per questo che stai tentando di spaccarmi la testa?”
“Esattamente. Sei un egoista, Ron! Non te ne è mai fregato un emerito cazzo dei suoi sentimenti.” Si scrocchiò le dita. “Mai.”
Ron proruppe in una risatina nervosa che fece arrabbiare ancor di più il suo amico.
“Io? Ed invece tu?” Domandò pulendosi il sangue con una manica. “Tu cosa hai fatto in tutti questi anni? L’hai capita? L’hai compresa?” Si avvicinò pericolosamente all’amico, con un sorriso sfrontato sulle labbra. “Sei stato migliore di me, Harry?”
Il ragazzo rimase in silenzio, quasi spaesato, colpito dalle sue parole, e Ron smise di sbandierare quell’odioso sorrisetto.
“Hai sbagliato anche tu, Harry, non puoi scaricarmi addosso anche le tue colpe. Ne ho già a sufficienza.”
Neppure questa volta ottenne una replica alle sue esaurienti parole.

If I only had one more day

*** *** ***

L’uomo giaceva immobile in terra, sembrava morto. Draco aveva armeggiato a lungo accanto al corpo disteso sul terreno senza fiatare. Hermione era rimasta nascosta, per così dire, dietro il tronco di quell’albero, tremando per il freddo, la paura, la sorpresa, la voglia di scoppiare in lacrime, il dolore intenso che provava allo stomaco e in zona viso. Dopo una buona manciata di secondi, il ragazzo si alzò, si voltò e si diresse verso di lei. Non appena l’ebbe raggiunta, questa si allontanò gattonando disperatamente all’indietro, la paura negli occhi castani. Il ragazzo inarcò un sopracciglio inginocchiandosi di fronte a lei.
“Guarda che non l’ho mica ucciso…” Disse semplicemente, senza smettere di fissarla negli occhi.
La ragazza tremava violentemente, ormai.
“Cosa… cosa gli hai fatto?”
Draco abbozzò ad un sorriso sarcastico.
“Non vi fidate mai di un Serpeverde, vero? Logico.” I suoi occhi paralizzavano. “Un semplice incantesimo della pastoia. Poi gli ho modificato la memoria… Babbano.” Constatò accennando al corpo alle sue spalle.
Hermione, seduta sul terreno gelido, si sentì inspiegabilmente sollevata, ma anche in imbarazzo: aveva dato prova ancora una volta di esser soggetta a pregiudizi. Il ragazzo la osservava ancora con tale intensità da farla tremare ancor più di quanto non lo stesse già facendo. Lo vide alzarsi lentamente e togliersi di dosso il lungo mantello nero, un po’ logoro in vari punti, per porgerglielo senza dire nulla. Anche lei rimase in silenzio, immobile come una statua.
“Avanti, mettilo. So che non è il massimo, ma questo è ciò che passa per il convento, Granger: rassegnati.”
Lei distolse lo sguardo, come attraversata da una scossa elettrica, da un flusso di energia troppo forte per esser sostenuto, causato dallo sguardo di lui. Lo sentì fare qualche passo, calpestando delle foglie secche che si sbriciolarono sotto il suo peso.
“Perché?” Domandò Hermione, forse per la centesima volta, quella sera.
Lui non si fermò, continuava ad ispezionare l’ambiente circostante, accertandosi di non aver lasciato tracce o cercando di scovare eventuali ulteriori aggressori nascosti tra gli alberi.
“Credo che dovrai allontanarti da Potter e Weasley per ottenere nuovamente il pieno delle tue facoltà mentali. Secondo te perché ti do il mio mantello? Mettilo, stai tremando come una foglia.” Si fermò e la osservò da lontano. “Ti senti male?”
La ragazza si affrettò a scuotere la testa con decisione, ma non poté sfuggirle di notare il fatto che Draco, nonostante si fosse fatto un ragazzo alto e non fosse più il ragazzino mingherlino che era stato a dodici anni, sembrava essere a digiuno da molto tempo. Si copriva di una semplice felpa nera non proprio esattamente pulita, che contrastava con la sua carnagione pallida ed i suoi capelli, ancora biondissimi, ed un paio di jeans logori e sporchi di terriccio. Indossava un paio di scarpe da ginnastica dall’aspetto poco invitante, doveva averle usate a lungo… ma tutto ciò non nascondeva il fatto che fosse un bel ragazzo.
Cosa sto pensando?!? Devo essere ancora sotto shock…
Il ragazzo, sentendosi osservato, si voltò nuovamente.
“Cosa c’è, Granger? Ti meraviglia vedere un Malfoy vestito di stracci? Non sarò vestito come un gentleman, ma ti assicuro una cosa: non ho le pulci, quel mantello puoi anche metterlo.”
Hermione abbassò lo sguardo, rendendosi conto di essere stata troppo insistente nel fissarlo… le aveva letto tutto in faccia. Si mise lentamente il mantello sulle spalle, allacciandoselo sotto la gola e sentì un odore del tutto nuovo, quello di Draco…
Devo essere veramente stanca… o sconvolta. Non capita tutti i giorni di essere salvate da uno stupratore ubriaco nientepopòdimeno che da Draco Malfoy…

“Non intendevo quello…” Mormorò, alzandosi e poggiandosi incerta all’albero che finora era stato il suo ‘nascondiglio’.
Il ragazzo sbuffò e le si avvicinò rapidamente, facendole passare un braccio attorno alle sue spalle. Era più alto di Hermione e la ragazza si vide costretta ad alzarsi leggermente sulle punte dei piedi, nonostante lui si fosse inchinato.
“Ti credevo più forte, Granger. Ti ha fatto male?”
Hermione non osò guardarlo negli occhi, temendo di arrossire come aveva poc’anzi fatto.
“No.”
Un secondo sbuffo di Draco la costrinse a dire la verità.
“Un pugno allo stomaco ed uno in viso, credo…”
Draco le sollevò il viso con delicata fermezza e le osservò l’occhio nero, fino ad allora nascosto dai mossi capelli cespugliosi.
“A questo si può rimediare.” Riprese la sua bacchetta e la poggiò delicatamente all’angolo esterno dell’occhio di Hermione, che non poté impedirsi di sobbalzare. “Non voglio cavarti un occhio. Se avessi voluto farlo, o se avessi voluto farti del male, non credi che non mi sarei sporcato le mani inutilmente ed avrei lasciato quest’onorevole compito al nostro amico?” Lei osservò di sfuggita l’uomo che aveva tentato di abusare di lei ed annuì, sentendo dentro di sé un sentimento nuovo, che mai aveva provato verso Malfoy… fiducia. Non totale, ma, comunque, pur sempre fiducia. Draco mormorò qualche parola e ripose la bacchetta in silenzio. Hermione avvertì una sensazione di sollievo all’occhio colpito e si portò una mano al viso, titubante.
“Purtroppo non posso intervenire sul colpo allo stomaco.” Aggiunse Draco prendendo a camminare, senza smettere di sorreggerla. “Basterà un po’ di riposo.”

*** *** ***

Harry era rimasto in silenzio, seguendo il degno esempio di Ron, mentre camminavano per un buio vialetto, le sole ed uniche interruzioni del loro tacito cammino erano stati dei richiami a gran voce.
“Hermione! Hermione, ti prego, rispondi!”
Erano ormai tre quarti d’ora buoni che i due ragazzi erano alla ricerca dell’amica; cominciavano a scoraggiarsi, ma non intendevano abbandonare l’impresa. Per lei, questo ed altro.
Si fermarono ad un bivio.
“Dividiamoci. Avremo più possibilità di trovarla.”
“Ron…”
Il ragazzo si voltò, cupo.
“Mi dispiace per prima.”
“Lascia stare. Siamo tutti troppo nervosi per quel gran bastardo di Tu-Sai-Chi. Ma ora dobbiamo trovare Hermione.”
Harry annuì.
“A dopo.”
“A dopo…”
Ron andò a sinistra, mentre Harry proseguì la sua strada verso destra.

*** *** ***

Draco si fermò improvvisamente osservando un qualcosa che non poteva vedere, a causa del buio che li incalzava; aguzzando la vista e l’udito, rimase in silenzio, i muscoli tesi come quelli di un cane da caccia che ha appena fiutato la preda… o il cacciatore. Hermione non parlò, intuendo la concentrazione del suo soccorritore.
“Non hai sentito niente?” Le chiese in un soffio il ragazzo, senza abbassare la guardia.
Hermione socchiuse gli occhi tentando di concentrarsi.
“No, non mi pare…”
“Di qua.” Disse fermamente Draco tirandola con sé tra gli alberi.
“Shh!” Le fece segno di rimanere in completo silenzio.
La ragazza, provata dai precedenti avvenimenti, non se lo fece ripetere due volte e tacque all’istante. Il silenzio era assoluto, quasi surreale, e poteva quasi palparlo, toccarlo con mano, tanto era pesante. Passavano i secondi, i minuti… con sorpresa si accorse di riuscire a sentire il respiro lento e regolare di Draco, sembrava tuttavia un po’ raffreddato, ma il suo ritmo le infondeva comunque una strana sensazione di tranquillità. Si sorprese ad ascoltare quel dolce suono ovattato come se fosse l’unica cosa esistente al mondo e sbatté più e più volte le palpebre per cercare di tornare alla realtà, quando Draco le mise una mano sulla testa e la costrinse a nascondersi meglio dietro al cespuglio che avevano usato come protezione.
“Cosa sta succ…”
Ma il ragazzo si portò repentinamente il dito indice alle labbra, senza smettere di fissare il vialetto che attraversava quel tratto di parco dove si erano trovati fino a poco prima. La ragazza, curiosa, si avvicinò al piccolo varco che Draco si era creato con le mani, tra le foglie, per poter osservare ciò che accadeva, e per poco non rimase a bocca aperta quando vide quelli che sembravano cinque Mangiamorte camminare svelti e con aria sospetta.
Trattenne il respiro e sentì Draco fare lo stesso. Impossibile… si stava nascondendo da loro?
“È passato di qui, ne sono certo.” Disse uno con voce bassa.
I cinque si fermarono e si guardarono intorno, muovendosi con scatti nervosi.
“Ne sei proprio sicuro? Sai cosa rischiamo, vero?” Gli chiese un altro scetticamente.
“Ti dico di sì, l’ho visto con i miei occhi! Non mi credi?” Rispose il primo, irato.
Alla discussione se ne aggiunse un terzo, uno leggermente più basso degli altri.
“Non è questo il momento di litigare! Non fate i ragazzini!” Abbassò la voce “Abbiamo ben altro da fare, adesso!”
Gli altri due annuirono, senza sembrare troppo convinti. Con sommo orrore dei due giovani nascosti dietro il cespuglio, i cinque cominciarono a cercare tra gli alberi. Hermione sentì il battito del proprio cuore accelerare a dismisura, e si voltò istintivamente verso Draco che le fece segno di star ferma. L’uomo più basso, quello che doveva essere il capo di quella pattuglia di Mangiamorte, si stava avvicinando pericolosamente al loro nascondiglio; nonostante si sforzasse di sembrare calmo ed impassibile, Hermione percepiva alla perfezione la paura di Draco, accanto a lei. L’uomo sporse una mano guantata verso il cespuglio, stava per scostare le foglie quando un grido catturò l’attenzione di tutta l’allegra combriccola.
“Hermione! Hermione, ti prego, rispondi!”
La ragazza in questione credette di soffocare: quella era la voce di Ron! Cosa ci faceva Ron lì? Rischiava grosso, veramente grosso! Guardò implorante nella direzione di Draco: dovevano fare qualcosa! Ma il ragazzo biondo si limitò a tenerla bloccata lì trattenendola per un polso. Hermione si augurò che avesse avuto un buon motivo per fare ciò, perché se anche solo lontanamente fosse accaduto qualcosa a Ron, lei…
“C’è qualcuno! Presto, andiamo!” Disse l’uomo accanto al loro nascondiglio, cominciando a correre nella direzione opposta dalla quale proveniva la voce.
Quando i passi felpati dei Mangiamorte si furono dileguati, Draco riprese a respirare normalmente. Ma Hermione era ancora terrorizzata.
“Cosa… cosa volevano?”
Lui la guardò di sfuggita.
“Davvero non ci arrivi? Volevano, anzi, vogliono me.”
Lei scosse la testa, incerta.
“E… e perché mai?”
Draco la osservò scettico.
“Mio Dio, Granger, vogliono catturarmi! È così semplice da capire!”
Hermione era ancora più confusa di prima.
“Ma… perché?”
A quel punto il ragazzo si alzò, senza produrre quasi alcun rumore se non il fruscio di alcune foglie, e le porse una mano, come sostegno.
“Diciamo che… non ho seguito la corrente, la via che qualcuno aveva da sempre marchiato a fuoco per me sulla mia stessa pelle.” La aiutò ad alzarsi, ma si trovavano vicini, troppo vicini: Hermione si sentì mozzare il respiro per via di quegli occhi. “Non chiedermi altro, Granger.”
E lei si decise ad ascoltarlo, almeno per quella volta.
Lentamente tornarono sul vialetto, giusto in tempo per vedersi venire incontro un Ron letteralmente sconvolto. Zuppo esattamente come loro, in una felpa troppo piccola per lui, li guardò per qualche istante, nei suoi occhi la sorpresa più totale. Dopodiché impugnò la bacchetta e la puntò contro Draco.
“Mollala immediatamente, lurido verme!”
Draco non reagì in alcuna maniera, si limitò a scostarsi di poco dalla ragazza. Hermione però cercò di intervenire.
“Aspetta, Ron, non è come sembra!”
Ma Ron non l’ascoltava proprio, reso cieco da una rabbia crescente.
“Avrei dovuto immaginare che un viscido serpente come te vagasse ancora per le nostre strade! Tieni giù le tue subdole zampacce da lei o giuro che non rispondo più delle mie azioni!”
“Ron, smettila!” fece Hermione implorante
“Lascia stare, Granger.” Interloquì Draco passandosi una mano tra i fini capelli biondi, scompigliandoli leggermente. “Non preoccuparti, Weasley, io qui ho finito.”
“Che cosa?!” Ron strabuzzò gli occhi, osservando gli abiti strappati di Hermione sotto il mantello nero e logoro. “Brutto porco! Giuro che ti ammazzo!”
Fece per scagliarsi contro il ragazzo biondo, ma Hermione si intromise tra i due. Ron non aveva la minima intenzione di lasciarsi fermare, ma lo sguardo disperato di Hermione ed i suoi occhi lucidi lo fecero placare.
“Non è come pensi, Ron… per favore…”
“Hermione…” Mormorò lui, fissandola negli occhi.
Draco sorrideva, ma il suo era un sorriso alquanto sprezzante.
“Vi lascio soli, Giulietta e Romeo…” Disse senza alcuna enfasi.
Hermione però si girò di scatto.
“Malfoy!”
“Cosa c’è ancora?” Sbottò lui scocciato.
“Lascialo stare, Hermione, cosa puoi aspettarti da un lurido Mangiamorte come lui? Dopotutto è un Serpeverde.” Ringhiò Ron, con i muscoli tesi.
Hermione guardò sconsolata il ragazzo biondo che si voltò lentamente. Si sarebbe aspettata di vedere rabbia, rancore, furore nei suoi occhi… ed invece venne colpita dal suo sorriso. Un sorriso da cui traspariva un’amarezza incredibile, una tristezza assoluta, una malinconia a dir poco struggente.
“Malfoy…” Sussurrò Hermione cominciando a piangere.
Forse erano stati gli avvenimenti appena accaduti, in effetti non tutti i giorni si litigava col proprio migliore amico, si faceva un incontro particolare che rivelava fatti e sentimenti ancor più particolari, si scampava ad un tentativo di violenza carnale e si sfuggiva ad una pattuglia di Mangiamorte… eppure la ragazza era sicura che la tristezza e l’amarezza di quel sorriso avessero contagiato anche il suo cuore. Negli occhi di Draco, il riflesso di un raggio di luna fece capolino tra le nuvole per pochi brevi istanti. Il sorriso sul suo viso sembrò ancora più amaro, ma nascondeva un qualcosa di… dolce.
“Cosa c’è, Granger? Cominci a capire? Dopo tutti questi anni…” Il raggio di luna svanì dal cielo e dagli occhi grigi del ragazzo. “Adesso inizi a comprendere?” Scosse la testa, quasi con una sorta di amara rassegnazione. “Ormai credo sia troppo tardi.”
Nessuno di loro aggiunse altro. Draco Malfoy, senza mantello, completamente bagnato, si allontanò a passi lenti nel buio del viale. Neppure quando li sorpassò i ragazzi dissero qualcosa.
“Non piangere, Hermione… è tutto passato…”
Ron la cinse con le braccia, stringendola delicatamente a sé, e carezzandole leggermente la schiena.
Ma le lacrime di Hermione non erano facili da placare. Quello sguardo… e quel sorriso… erano devastanti. Una tale disperazione non l’aveva mai vista altrove.
Si concesse di piangere liberamente tra le braccia del suo migliore amico, senza preoccuparsi del fatto di essere arrossita, al ricordo di tutto quello che era successo quel giorno e di quel sorriso triste.

If I only had one more day


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Capitolo 3
*** E' dolce ritrovarsi ***





Capitolo 3° “È dolce ritrovarsi”

Could it be any harder to say goodbye and without you,
Could it be any harder to watch you go, to face what's true


Per la strada c’erano solamente due ragazzi. O meglio, tre. Uno di loro, o meglio, una di loro se ne stava raggomitolata sulla schiena del più alto dei due giovani, ad occhi chiusi. Il respiro lento e regolare, tipico di un sonno profondo, le mani strette a pugno sulla felpa dell’amico che la trasportava pazientemente, cercando di non farla svegliare.
“Cacchio, Harry, sbrigati ad aprire quella porta! Anche se non sembra, Hermione pesa… penso che stramazzerò in terra!”
Harry armeggiava freneticamente con l’apertura della porta; imprecò a bassa voce.
“Non farti sentire, Ron, potrebbe offendersi.”
Ron sorrise ironicamente.
“Come sei divertente, amico!”
“Di nulla, amico… vai, entra!” Replicò soddisfatto Harry spalancando la porta e facendo un teatrale gesto, seguito da un inchino scenografico, invitando Ron ad entrare. “Non ti facevo così mollaccione, Ronald Weasley!” Lo schernì divertito.
Ron lo fulminò con lo sguardo, ma non si negò un sorrisetto, felice per essersi riappacificato con il suo migliore amico, anche se dopo una bella rissa, ed adagiò con estrema delicatezza Hermione sul divano del salotto.
“Prova tu a trasportare la nostra Herm fino a qui dopo aver corso zuppo sotto la pioggia, anzi, no, sotto la tempesta, affamato e…”
“Ma sì, ma sì!” Un brillio divertito negli occhi verdi. “Da oggi in poi sarai il mio eroe!” Lo canzonò l’amico, gettandoglisi ai piedi e tirandolo per una caviglia. “Ti prego! Rivelami come diventare come te!”
“I segreti del mestiere non si svelano, mi spiace.”
“Hnn…” Il mugolio di Hermione li fece zittire, ed entrambi si chinarono sulla ragazza.
Non sembrava affatto tranquilla, anzi, si agitava ed il suo viso tradiva angoscia, persino nel sonno.
“Cosa le sarà successo?” Chiese Harry sedendosi sulla poltrona lì accanto. “Non ha parlato fino a che non si è addormentata…”
Ron sospirò.
“Li hai visti i suoi abiti? Le è successo qualcosa, ne sono sicuro. Spero solo che non sia stato quel bastardo di Malfoy.”
“COSA?!” Harry strabuzzò gli occhi sistemandosi poi gli occhiali sul naso. “Era con Malfoy?!”
Ron annuì, sembrava sconsolato.
“E tu… non hai fatto nulla?” Harry sembrava sconvolto oltre ogni limite.
Ron lo fissò con un’espressione così sincera che lo fece rimanere senza parole.
“Credimi, Harry, l’ho dovuto lasciare andare. Per non so quale motivo Hermione mi ha pregato di farlo… tu non hai visto i suoi occhi. Hermione non mi aveva mai guardato a quel modo.” Sospirò ancora. Nessuno può rifiutarle qualcosa, quando ti guarda con quegli occhi, pensò.
Harry rimase in silenzio, colpito dalle parole dell’amico, che ora fissava serio Hermione, ma sembrava pensare a qualcosa di grave.
“Non so cosa avrei fatto senza di lei, è una persona troppo importante per noi. Ci rendiamo conto delle cose veramente importanti solo quando queste se ne vanno…” Nella mente di Harry, un’immagine di ragazza dai lisci capelli rossi ed una simpatica manciata di lentiggini in viso. “Se ce ne vorrà parlare, noi saremo qui.” Disse volgendosi verso l’amico, il quale annuì.
“E se non vorrà… non la forzeremo. Verrà il momento in cui tirerà tutto fuori. Ognuno ha i suoi tempi.” Si alzò. “Senti, io mi vado ad asciugare i capelli, a cambiarmi ed a prepararmi qualcosa di caldo… così rischio di ibernarmi! Brr! Tu vuoi qualcosa?” Domandò sfregandosi furiosamente le mani, cercando un po’ di calore.
Ron annuì accendendo il fuoco nel caminetto.
“Direi che…”
“Ron?” Hermione aveva socchiuso gli occhi e se ne stava raggomitolata sotto la coperta che Ron le aveva sistemato addosso. “… sei tu?”
Ron sorrise ed in un secondo fu accanto a lei, inginocchiato, in modo che i loro visi fossero paralleli.
“Ehi…” Disse dolcemente.
“… Ehi,” Rispose Hermione abbozzando uno stanco sorriso.
“Vi lascio soli,” Disse Harry, sorridendo con l’aria di chi ha compreso tutto. “vado a preparare tre belle tazze fumanti di cioccolata calda.”
Nessuno dei due sembrò averlo ascoltato, ma il ragazzo non se la prese. Era palese che tra quei due ci fosse qualcosa che andava oltre una semplice amicizia, anche se molto profonda: c’era sempre stato qualcosa tra loro. Era ora che anche i diretti interessati se ne rendessero finalmente conto, anche se quei due sembravano veramente ottusi, riguardo a certe questioni. Il legame speciale tra loro due si intuiva dagli sguardi, dai gesti, dalle parole…
Dalla cucina, con un barattolo di cacao in mano, si sporse: Ron accarezzava piano i capelli a Hermione, che sorrideva timidamente, rossa in viso – non che Ron fosse da meno –, e le parlava piano piano. Harry sorrise raddrizzandosi gli occhiali sul naso e riprese a darsi da fare con i fornelli.
Ma dopo quella scena non poteva far altro che pensare ad un’altra persona…

*** *** ***

Could it be any harder to say goodbye and without you,
Could it be any harder to watch you go, to face what's true


“Ginevra Weasley!” Tuonò la signora Weasley affacciata dalla cucina della Tana. “Dove pensi di andare a quest’ora?”
La ragazza dai lisci capelli rosso fuoco si immobilizzò e sbuffò con rassegnazione. Charlie, lì di passaggio, la guardò e ridacchiò brevemente, memore delle scappatelle notturne che anche lui ed i suoi fratelli avevano fatto.
“Sto aspettando una risposta.” Disse imperativa Molly, portandosi con decisione le mani sui fianchi.
Ginny avrebbe voluto sprofondare: come poteva mentirle e sperare che credesse alla sua frottola, vestita a quel modo? Era imbacuccata esattamente come una perfetta eschimese, un cappello di lana le copriva buona parte delle orecchie, lasciando liberi i capelli rossi sulla schiena, le lentiggini risaltavano ancor di più sul viso leggermente arrossato per il freddo. Richiuse la finestra che aveva appena aperto.
“Mamma…”
“Ginny, non so più cosa fare con te.” Fece esasperata mamma Weasley, scuotendo la testa. “Non avrei mai pensato che saresti diventata così… così… così simile ai tuoi fratelli! E pensare che da piccina eri così dolce ed obbediente…”
Ginny alzò gli occhi al cielo all’espressione sognante e commossa della madre, immersa nei ricordi.
“Mamma, non sono più una bambina! Ho diciassette anni e mezzo, ormai!”
“Diciassette e cinque mesi!” Precisò Charlie ridacchiando sotto i baffi, passando nuovamente per il corridoio.
“Charlie!” protestò Ginny battendo un piede in terra
“Non è questo il punto, piccola mia…”
La ragazza sbuffò togliendosi il capello di lana e rigirandoselo tra le mani.
“Sì, sì, lo so… per te e papà sarò sempre la piccola Ginny…” Come se fosse una cosa di cui vantarsi…
Ma Molly scosse la testa e Ginny notò che aveva gli occhi lucidi.
“Mamma…”
“Non si tratta di quello…” Esitò. “Beh, non solo.” E Ginny sorrise spontaneamente. “Il fatto è che sai in che brutto periodo siamo, dobbiamo stare attenti! Secondo te perché hanno chiuso Hogwarts?”
Ginny abbassò lo sguardo, con un’espressione rattristata.
“Perché Tu-Sai-Chi è tornato in auge… neppure la mia scuola era più sicura…”
Molly si avvicinò e l’abbracciò.
“Oh, piccola mia!” Fece, commossa. “So quanto hai sofferto per l’aver dovuto lasciare i tuoi amici, gli studi…”
E Harry…
“… e Ron, Hermione e Harry…” Proseguì mamma Weasley come se le avesse letto nel pensiero. “Da quanto quei tre si sono trasferiti nella Londra Babbana, tu non sei più la stessa.”
Per forza! L’unica persona che ami è lontana da me, mio fratello anche e la mia migliore amica… idem con patate!
“Ma loro devono nascondersi perbene, almeno finché non avranno completato l’addestramento da Auror e gli studi speciali, lo sai…”
Certo… Harry e Ron presto diventeranno Auror, è questione di settimane, oramai, e Hermione entrerà a far parte di una speciale squadra di scienziati che collabora con loro. Manca pochissimo, ma… e io? Qualcuno si ricorda ancora di me?
Molly si staccò dalla figlia che si sistemò una ciocca di capelli color fiamma dietro l’orecchio sinistro. La osservò per un po’.
“Lo so che ormai sei grande, sei maggiorenne… potresti fare quel che ti pare, ma non posso permetterti questo. Lo sai, Ginny.”
La ragazza non la guardava. Gli occhi nocciola, identici a quelli della donna che aveva di fronte, fissi sul pavimento leggermente sporco di neve, quella neve che era riuscita a penetrare in casa quando lei non era riuscita a fuggirne.
Non cambierà mai…
“Vado in camera mia.” Disse la giovane senza sembrare particolarmente entusiasta dell’idea. “Non chiamarmi per cena, non ho fame…”
“Ma… Ginny…”
Niente cambierà mai…
Mamma Weasley la vide salire tristemente le scale, poi udì l’ aprire ed il chiudersi di una porta. Ginny si era isolata nuovamente. Una mano le si poggiò sulla spalla.
“Cara…”
Molly si voltò verso il marito e scoppiò in lacrime.
“Oh, Arthur, non so più che fare! Non mangia, non esce… non fa più niente! E’ come se le fosse passata la voglia… di vivere…”
“Non dire così… è una ragazza sensibile, lo sai, e questi ultimi avvenimenti non hanno giocato certo a suo favore… ma io sono sicuro che si riprenderà.”
“Io non credo.”
Charlie se ne stava in piedi all’entrata della cucina, appoggiato allo stipite della porta con fare serio.
“Papà, mamma… non credo che Ginny tornerà quella di prima se non la lasciate libera di fare ciò che vuole. Ormai ha diciassette anni, vuole solo stare con il ragazzo di cui è innamorata da quasi otto anni, con la sua migliore amica ed il fratello con cui ha sempre condiviso tutto…” Si fermò per un secondo osservando le espressioni dei due genitori. “Non vi sto chiedendo di farla diventare un Auror: non potrebbe, non ha ricevuto l’addestramento adatto, vi chiedo solo di permetterle di stare con Ron, Harry e Hermione.”
“Ma…” Lo interruppe Arthur.
“No, papà, fammi finire. Io stesso so che potrebbe essere pericoloso. Lo so benissimo, esattamente come lo sapete voi. Ma cosa ci guadagna Ginny a stare qui? E cosa ci guadagnate voi? Solo vedere vostra figlia deprimersi sempre più, non mangiare, non uscire… è diventata l’ombra di se stessa, ormai. E poi, scusate se ve lo faccio notare, ma… aprite gli occhi! Quei tre stanno per entrare nel mondo degli Auror. Ron e Harry lo diventeranno molto presto! Non si diventa Auror tutti i giorni e non tutti diventano Auror, e lo stesso vale per Hermione. Cavoli, nessuno ha una testa come la sua. Evidentemente ne hanno le capacità. Non credete che sarà più protetta con due Auror ed una scienziata che qui con voi?”
Molly ed Arthur si fissarono per un secondo che parve interminabile.
“Dobbiamo pensarci…”

*** *** ***

“Mi spiace disturbarvi,” Disse Harry sorridendo dolcemente a Hermione. “ma se non beviamo la nostra cioccolata, dubito che rimarrà calda a lungo.”
Porse una tazza fumante a Ron, aiutò Hermione a mettersi seduta e le pose delicatamente in mano la sua tazza di cioccolata. Si sedette accanto a lei, senza fissarla: non voleva che si sentisse in dovere di raccontar loro quanto fosse successo, anche se sarebbe stato un bene, perché almeno i due ragazzi avrebbero saputo come regolarsi. Sorseggiava lentamente la sua bevanda calda, sorridendo alla vista di Ron che balzava in piedi e imprecava per essersi ustionato la lingua, ma notò con piacere che l’amico non si era allontanato neppure fisicamente da Hermione. In quel momento più che mai, la ragazza aveva bisogno di loro. I due erano come legati da un tacito accordo: non avrebbero più commesso il loro grave errore del passato. Hermione non avrebbe più dovuto contare solo ed unicamente su se stessa, preoccupandosi per loro due.

*** *** ***

Senza fare nulla, se ne stava stesa sul suo letto, fissando il soffitto, in realtà senza vederlo. Quel letto… aveva dormito per quasi diciassette anni e mezzo in quel soffice letto, aveva vissuto una vita intera in quella casa. Okay, non era bella, non era ricca, ma era pur sempre casa. La sua casa. Socchiudendo appena gli occhi, sentì una fitta al cuore: nel suo animo si contrastavano sentimenti opposti. Amava quella casa, la sua famiglia, più di qualsiasi altra cosa, ma voleva anche imparare a cavarsela da sola. Non tanto, o meglio, non solo per far vedere a tutti che non era solo la piccola e dolce, la brava ed obbediente Ginevra Weasley, ma che sapeva arrangiarsi, poteva essere forte come gli altri, esattamente come suo fratello, Hermione e… Harry. Più che altro doveva dimostrare tutto ciò a se stessa in prima persona. Era conscia di non essere più una bambina, ma non era neppure un’adulta. E la ricerca di prove concrete che potessero rivelare a lei ed agli altri che, ormai, era cresciuta, stava diventando un’ossessione. Amava quel luogo e le persone che lo abitavano (ormai solamente Molly ed Arthur, ma il pensiero della giovane corse celermente ai tempi in cui abitavano tutti assieme, tempi ormai passati… gli occhi di Ginny si inumidirono), ma temeva che avrebbe potuto cominciare ad odiarlo se l’avessero costretta a rimanervi.
Aveva bisogno della sua indipendenza.
Si voltò su di un fianco e l’occhio le cadde sulla foto che teneva sul comodino: in primo piano un Ron trionfante, con un cappello troppo grande per lui calato quasi sugli occhi ed una enorme palla di neve in mano, poco più in là una Hermione dall’espressione indecifrabile, a metà tra l’arrabbiato ed il divertito, con il cappotto vermiglio coperto di neve. Hermione era sempre stata così: nessuno aveva mai capito cosa le passasse realmente nella testa. E questo, forse, non era un bene. Accanto a lei Harry, ridendo, indicava la persona che stava scattando la foto (Colin Canon) e… lei. Ginny Weasley in versione sedicenne, con le mani che stringevano leggermente la sciarpa rossa e gialla che aveva al collo, il viso arrossato dal freddo, ed un sorriso dolce sul viso… i suoi occhi, tuttavia, tradivano le emozioni del momento: erano rivolti verso Harry.
Come sempre.
Sorridendo con amarezza, Ginny aprì la cornice e sfilò la foto, poggiandola con estrema cura sul cuscino, poi tornò a fissare la cornice non ancora vuota: sotto quella foto aveva nascosto un’altra fotografia, scattata per errore. Ricordava perfettamente la faccia di Colin quando lei stessa l’aveva scongiurato di darle le foto venute male che intendeva cestinare. Represse a stento un risolino. La foto era decisamente venuta male: il soggetto non era stato inquadrato bene ed era leggermente sfocata, tuttavia Ginny riusciva perfettamente a vedere le espressioni di quei due giovani volti. Nonostante la comicità del momento, esprimevano tutto ciò che a parole non avevano mai saputo esprimere. In terra c’era Ginny, scivolata all’indietro, seduta nella neve, che porgeva timidamente la mano a Harry, curvo verso di lei; un sorriso, e quel gesto di aiuto… negli occhi verdi un qualcosa di misterioso, qualcosa che Ginny non era mai riuscita a capire, un segreto che non aveva mai potuto far suo.
Cos’è quella luce nei tuoi occhi, Harry? Cos’è quell’emozione, quel mistero che fugacemente, ogni tanto, attraversa i tuoi pensieri?
Non poteva illudersi, Ginny Weasley, non poteva sperare che fosse qualcosa che va oltre l’amicizia.
Non poteva sperare fosse quello che lei provava per lui.
Non poteva sperare fosse amore.
Era persa nei suoi pensieri a tal punto da non essersi resa conto del fatto che qualcuno avesse aperto la porta e la stesse fissando appoggiato allo stipite, anzi, se ne accorse solo quando questa persona emise un debole colpo di tosse per richiamare la sua attenzione. Sobbalzando spaventata, la ragazza nascose di corsa la foto dietro la propria schiena.
“Charlie?!” Disse in un soffio, sentendosi arrossire, il cuore stava lentamente riprendendo il normale ritmo dei suoi battiti.
Per un secondo, per un solo secondo, aveva creduto di vedere Harry lì, come il giorno in cui si erano trovati da soli nella Sala Comune e lei era quasi riuscita a rivelargli i suoi sentimenti. Ma no. Quelli erano tempi passati. Le immagini catturate da quella macchina fotografica erano volate via un anno prima.
“Non ti hanno detto che si bussa prima di entrare nella stanza di una ragazza?”
Il ragazzo le si avvicinò e lei infilò la foto sotto il cuscino, fingendo noncuranza.
“Devo farlo anche se la ragazza in questione è la mia sorellina?”
Ginny annuì, sperando di sembrare decisa.
“A maggior ragione!”
Charlie inarcò un sopracciglio, divertito.
“Cosa stai nascondendo?”
La sorella arrossì furiosamente.
“N-niente, che ti salta in mente?”
Con un movimento fulmineo Charlie riuscì a prendere la foto da sotto il cuscino, osservandola brevemente.
Lui è niente?” Disse sorridendo con dolcezza.
Ginny fece per controbattere, ma, stanca di negare, sospirò e fece spazio al fratello che si sedette accanto a lei. Sentiva come l’impulso di buttare tutto fuori, tutto quello che provava, tutto quello che l’aveva fatta soffrire in tutti quegli anni… ed ora che non c’era Hermione, con lei…
“Lui… non è niente. Lui è tutto.” Rispose meravigliandosi di come, per la prima volta, riuscisse a dire tali parole. Certo, non era Harry quel ragazzo davanti a lei, ma confidarsi con qualcuno che non sapesse già tutto, come Hermione, era un bel passo avanti.
Charlie le passò un braccio attorno alle spalle.
“Ci stai proprio male, eh, Ginny?”
“Ci sto come ci sono sempre stata,” Ribattè debolmente lei. “solo leggermente peggio.”
“Perché non puoi soffrire, non puoi piangere perché lui non ti vede, avendolo sotto i tuoi occhi, giusto? Non puoi commiserarti vedendolo ogni giorno… e questa mancanza, questa lontananza ti distrugge lentamente, vero? Anche se avresti sofferto ugualmente avendolo accanto a te, percepisci come un vuoto incolmabile, dico bene?”
La ragazza sgranò gli occhi, stupita.
“Come…?”
“Come faccio a saperlo?” Ridacchiò il suo fratellone. “Anche io ho avuto diciassette anni, Ginny. E, lo ammetto anche se lo negherò fino alla morte se qualcun altro verrà a saperlo, anche uno come me ha avuto problemi con le ragazze.”
Ginny sorrise.
“Non ci credo! Charlie Weasley era innamorato di una ragazza che non lo guardava neppure? Quel Charlie Weasley?”
Lui sospirò divertito.
“Ebbene sì. Josephine Hamilton, settimo anno, Tassorosso. Era più grande di un anno, non mi guardava neppure…” Poi le mise il dito indice sulle labbra. “Però non devi dirlo a nessuno, promesso?”
Negli occhi di Ginny un lampo guizzò repentino.
“Solo se tu prometti di non dire a nessuno quello che hai visto e sentito oggi.”
“Affare fatto,” Concluse il fratello. “anche se ormai lo sanno già tutti.”
La ragazza si alzò di scatto seguendo il fratello che si avviava verso la porta della stanza.
“Vuoi dire che è così evidente?”
Charlie si voltò per qualche secondo e rise incredulo.
“Ginny, lo vedono anche i muri che ce l’hai stampato in faccia!” La guardò per qualche attimo ancora, poi parlò di nuovo. “A proposito di Harry, credo che mamma e papà ti debbano dire qualcosina…” E le fece un occhiolino fin troppo chiaro.
Il viso di Ginny si schiarì improvvisamente, come un fiore che rialza il capo verso il sole, godendo appieno dei suoi raggi.
“Vuoi dire che si sono decisi a…”
Il fratello sorrise.
Ginny corse ad abbracciarlo e, poco prima di scendere in cucina per parlare con i suoi genitori, gli gridò.
“Ti adoro, fratellone!”

*** *** ***

Could it be any harder to say goodbye and without you,
Could it be any harder to watch you go, to face what's true


Harry fissava con sguardo vacuo il vuoto davanti a sé, ascoltando le leggere chiacchiere di Ron che cercava di far distrarre Hermione da qualsiasi cosa le fosse accaduta poco prima, ma ciò che riusciva a scorgere era tutt’altro che il vuoto. Una figura piccola e minuta, per la sua età, dei lunghi capelli rossi e due occhi castani in cui avrebbe potuto perdersi per sempre.
Ginny…
Scosse il capo con violenza: non poteva. Non poteva pensare a lei in quel modo, rischiando di metterla in pericolo. Già era troppo che i suoi due migliori amici dovessero combattere quello che era un pazzo omicida che voleva distruggere la sua vita, non poteva permettere che anche lei, lei che era quasi tutto per lui, rischiasse di rimetterci la pelle. Era dura. Era molto, molto dura fingere di non provare nulla per lei, ripetersi ossessivamente di non pensarla, di non sognarla, quando lei riviveva in ogni suo sguardo, in ogni suo gesto, in tutto. Era frustrante e faceva male. Ma era necessario.
Eppure…
Eppure c’erano momenti come quello, in cui Harry Potter avrebbe desiderato solamente di poterla osservare, anche da lontano, anche senza parlarle, di far suo ogni piccolo gesto della ragazza, per poterlo riavvolgere e rivedere come una videocassetta Babbana, fino alla nausea, fino ad una nausea che non sarebbe mai arrivata, per imparare a memoria ogni suo piccolo particolare, che probabilmente già sapeva.
E c’erano momenti in cui Harry Potter rimpiangeva di non averle mai detto nulla, neppure ai tempi di Hogwarts, quando lei era nella sua vita ogni giorno.
Lei è ancora nella tua vita, in ogni tuo giorno, Harry…
Ma era ancora nella sua vita ogni giorno, solo che era lontana…
E quella era una lontananza che faceva male, troppo male.

*** *** ***

Il fuoco nel caminetto scoppiettava dolcemente diffondendo il suo confortevole tepore in tutto il salotto; le lingue fiammeggianti creavano curiosi giochi di luce sulle pareti bianche della stanza, illuminando tre giovani volti; nessuno parlava, fuori si sentiva qualche auto Babbana passare. Hermione dormiva sul divano, ma la sua espressione non appariva più calma di prima, Ron era seduto distrattamente sul bracciolo di una poltrona fissando inutilmente il fondo della sua tazza dove giaceva ciò che restava della sua cioccolata calda, Harry era accanto alla finestra, osservando la neve che cadeva incessantemente, delicatamente. Il suo sguardo, riflesso solo di sfuggita dal vetro trasparente della finestra, trasmetteva una forte malinconia. Il fuoco poco a poco iniziò a spegnersi, così Ron si alzò ed andò a riattizzarlo. Alzandosi lanciò un’occhiata al suo migliore amico che, come per un tacito segnale ricevuto, si voltò lentamente.
“Dobbiamo stare attenti.” Disse piano. “Dobbiamo stare ancora più attenti.”
Ron gli si avvicinò ed osservò il cielo nero della notte passandosi stancamente una mano tra i capelli rossi.
“Me lo sento.” Aggiunse Harry, abbassando lo sguardo sulla tazza che l’amico aveva poggiato sul davanzale della finestra. “È strano…”
“Lo sento anch’io.” Lo interruppe Ron, facendolo voltare incuriosito. Al che il ragazzo sorrise brevemente. “Oh, no, nel mio caso non si tratta di cicatrici che bruciano, sogni orribili o atroci mal di testa… è qualcosa di più profondo, ma anche più vago. Credo sia istinto.” Si grattò una tempia, leggermente perplesso dalle sue stesse parole. “Mi sa che sto cominciando a…”
Harry però si allontanò e fece un rapido giro della poltrona dove poc’anzi era stato seduto l’amico, sembrava pensieroso.
“Ed invece potrebbe essere!” Esclamò mentre Ron gli faceva segno di abbassare la voce indicando con il capo Hermione, avvolta nella sua coperta di lana. “Dico… potrebbe essere che l’allenamento da Auror ci abbia acuito l’intuito!”
“Può essere…” Rispose Ron lanciando di sfuggita un’ultima occhiata alla finestra. “Può essere.”
Harry prese il suo cappotto e se lo infilò di corsa avvicinandosi al caminetto acceso.
“Ne vado subito a parlare con Silente e gli altri, potrebbero dirci qualcosa di utile e magari potrebbero anche svolgere delle indagini nel parco, lì dove hai visto Malfoy.”
L’amico annuì.
“Tu resta qui con Hermione…” Harry gli sorrise. “Ha bisogno di te più che di me.”
Ron inarcò perplesso un sopracciglio, ma non ebbe il tempo di replicare all’affermazione del ragazzo occhialuto esigendo migliori spiegazioni, perché questi aveva preso una manciata di Polvere Volante e stava accingendosi a lanciarla nel caminetto, quando una lingua di fuoco verde fiammeggiò più alta delle altre, si udì un’imprecazione sommessa e Harry venne letteralmente travolto da qualcuno.

*** *** ***

Un tonfo improvviso, rumore sordo seguito da un breve ed acuto gridolino, un’esclamazione soffocata fecero destare Hermione dal suo tiepido sonno febbrile; la ragazza aprì gli occhi lentamente, batté le lunghe ciglia nere un paio di volte, forse tre, e si guardò intorno con aria affaticata; tuttavia, nonostante la febbre che si sentiva addosso, il sonno e la stanchezza, non potè fare a meno di scattare a sedere spalancando gli occhi, riprendendosi totalmente dalla sonnolenza che l’aveva investita fino a quel momento. La scena che le si presentava davanti agli occhi era decisamente inusuale in casa loro… non doveva verificarsi una cosa del genere! Hermione, seduta sul divano, spostò lo sguardo su Ron, con la bocca semiaperta per lo stupore, che le restituì uno sguardo altrettanto sorpreso.
In terra si trovava disteso Harry che, puntellandosi con i gomiti sul parquet del salotto, fissava sbalordito la ragazza dai capelli rossi che gli era letteralmente piombata addosso. Quei capelli, quel profumo… avrebbe potuto riconoscerli tra mille, ma non poteva essere… non doveva essere! Eppure…
“Cosa ci fai tu qui?!” Riuscì a balbettare Ron, sempre più incredulo, mentre Hermione si alzava lentamente.
Harry guardò ancora la ragazza sopra di lui, che alzò timidamente lo sguardo nei suoi occhi. Non notò la pallida carnagione leggermente rosata tingersi di un rosso acceso, né le numerose lentiggini che le cospargevano simpaticamente le gote: quegli occhi… non si era sbagliato. Quegli occhi, in cui avrebbe voluto perdersi liberamente senza però poterlo fare, potevano essere solamente suoi.
Ginny…
Solo allora notò, riuscendo solo con molta fatica a celare un sorriso di tenerezza, il suo rossore; la ragazza scattò subitaneamente all’indietro, allontanandosi il più possibile da lui, rischiando quasi di finire nuovamente nel caminetto acceso, motivo per cui Harry si affrettò, rapido come era sempre stato, essendo stato un Cercatore, ad afferrarla per un polso ed a trarla con decisione verso di sé.
“Attenta,” Disse, piano, trovandosi il viso di Ginny a pochi centimetri di distanza dal proprio. “Il… il fuoco.” Aggiunse poi accennando al caminetto.
Un paio di occhi verdi ed un paio di occhi castani rimasero fissi l’uno nell’altro, come intrecciati, come legati da un sottilissimo file invisibile a tutti, anche a loro, solamente percepibile dai loro cuori. Bastava stare in silenzio, contemplarsi a vicenda, e scattava quella sensazione speciale…
“Oh mio Dio!” Esclamò Hermione avvicinandosi di scatto, tanto che Ron le corse accanto temendo di vederla crollare da un momento all’altro. “Ginny! Tu… non dovresti essere qui!”
Solo allora i due distolsero lo sguardo, sembrando alquanto imbarazzati.

*** *** ***

Ginny capitombolò proprio addosso alla persona che meno avrebbe voluto incontrare a quel modo. Non era possibile… capitavano sempre tutte a lei?
Perfetto! Perfetto, Ginny, bella figura. Adesso sì che Harry ti vedrà in chiave diversa!
Lui non si muoveva, Ginny poteva percepire il suo profumo di pulito, il suo respiro leggermente affannoso per la caduta e la sorpresa; non osava riaprire gli occhi e trovarsi addosso al ragazzo che aveva sempre amato e col quale stava facendo l’ennesima figuraccia.
È mai possibile che riesca sempre a combinare pasticci? Non so neppure usare la Polvere Volante! Mio Dio, ma perché proprio adesso? Perché proprio con… lui?!
Eppure sentiva il cuore batterle forte, esattamente come nell’attimo in cui, poco prima di cadergli addosso rovinosamente, aveva visto lo scintillio di quei suoi occhi verdi; si sentiva stranamente euforica, anche se tremendamente imbarazzata.
“Cosa ci fai tu qui?” Fece l’incredula voce di suo fratello Ron, il suo amato fratellone che, in certe situazioni, avrebbe potuto risparmiarsi certe domande cretine e cercare di venirle in aiuto
Grazie mille, fratellino!
Alzò titubante lo sguardo e scattò rapidamente all’indietro, accorgendosi solo troppo tardi di essersi pericolosamente diretta verso l’imboccatura del caminetto acceso. Vide Harry allungare prontamente una mano verso di lei, il cuore prese a battere sempre più violentemente nel suo petto.
Harry…
Lui l’afferrò saldamente per un polso e l’attirò accanto a sé, evitandole qualche brutta ustione.
“Attenta,” Disse quasi in un sussurro, i loro visi vicinissimi. “Il… il fuoco.”
Ed allora accadde ciò che Ginevra Weasley aveva sempre sperato e temuto allo stesso tempo: incrociando lo sguardo di Harry, non riuscì a separarsene, quasi vi fosse incatenata da una qualche forza esterna, quasi lei stessa fosse incapace di intendere e di volere… anzi, no! Una cosa la sapeva: avrebbe voluto rimanere a fissare quegli occhi per sempre, così, e sentirlo vicino, non solo mentalmente, anche fisicamente, avrebbe voluto dirgli tutto quello che le palpitava ferocemente nel cuore tutte le volte che lo vedeva, che costituiva la sua atroce ma dolce maledizione…
Adesso l’incanto finirà… adesso distoglierà lo sguardo, come sempre, da me…
Questi pensieri sconnessi vagavano faticosamente nella confusa mente della giovane adolescente, eppure Harry non accennava a smuoversi di lì: se ne stava semplicemente immobile, fissandola negli occhi.
Ti prego, smettila! Smettila… smettila o non riuscirò più a staccarmi da qui. No… non smettere, ti prego, continua a guardarmi… per una volta nella mia vita, guardami veramente per quello che sono… Dio, ti prego, fa che questo istante non finisca mai…
“Oh mio Dio!” Ginny e Harry videro con la coda dell’occhio Hermione avvicinarsi di scatto e Ron correrle accanto, preoccupato. In effetti, notò la ragazza più giovane, l’amica sembrava non stare molto bene. “Ginny! Tu… non dovresti essere qui!”
Nello stesso preciso istante, sia Harry che Ginny distolsero lo sguardo, imbarazzati, cercando di guardare altrove, cercando di vedere tutto eccetto l’altro, con il quale si era appena spezzato quel sottilissimo legame speciale.

*** *** ***

Hermione era seduta sul divano accanto a Ginny, che se ne stava tutta silenziosa in disparte, ogni tanto lanciava occhiate interrogative a Harry che, tuttavia, teneva lo sguardo basso; non sembrava voler incrociare né il suo, né tanto meno quello della ragazza appena arrivata, ancora avvolta nel suo cappotto e con ancora il suo berretto di lana calzato sul capo. A dirla tutta, Harry non sembrava neppure esattamente il ritratto della felicità. Se ne stavano tutti e tre in silenzio, Harry seduto sulla poltrona di fronte a loro, ascoltando distrattamente la voce di Ron che, nella stanza attigua, parlava al telefono – aveva finalmente imparato ad utilizzare quello strumento Babbano senza causare sordità improvvise al destinatario della telefonata ed a chi si trovava nei paraggi. Pochi minuti dopo, che sia a Ginny che a Harry sembrarono un’eternità, lo videro rientrare con un’espressione indecifrabile dipinta sul viso ancora arrossato dal freddo preso quella stessa notte, al parco.
“Allora?” Fece Harry, evitando accuratamente di voltarsi nella direzione di Ginny.
Ron si sedette sul bracciolo del divano accanto a sua sorella, si passò stancamente una mano tra i capelli.
“Mamma e papà hanno permesso a Ginny di venire qui con noi. Non è scappata di casa, questa volta.” Le lanciò un’occhiata. “Pensano che sarebbe più al sicuro con noi che con loro.”
Ci fu una pausa breve. Hermione comprese tutto nel giro di qualche secondo, sorrise e mise comprensivamente una mano sulla spalla dell’amica.
“Sentivi la nostra mancanza, vero, Gin?” Le fece un rapido occhiolino che solo lei poté vedere. Ginny sentì un calore diffondersi per tutto il suo corpo: aveva ritrovato la sua amica, Hermione Granger, la sua migliore amica, colei che le era stata sempre vicina e che, ne era certa, lo sarebbe sempre stata. Aveva ritrovato colei che sapeva comprenderla.
Grazie, Hermione.
“Oh, Herm! Mi sei mancata tantissimo!” Fece lei, scoppiando a piangere all’improvviso ed abbracciandola con tale impeto che Hermione stessa, poco incline a questi gesti affettivi, rimase per qualche secondo perplessa. “Voi eravate sempre lontani, e io non potevo fare nulla per aiutarvi… mi sentivo così inutile…” Proseguì la giovane Weasley tra i singhiozzi. “Mi siete mancati tanto!”
Soprattutto Harry…
Hermione le carezzò il capo e sorrise con dolcezza.
“Va tutto bene, Ginny, ora siamo di nuovo tutti insieme.”
Grazie, Hermione, per non aver fatto capire a Harry che era soprattutto lui a mancarmi…

*** *** ***

“Non doveva andare così!” Sbottò Ron facendo sussultare sua sorella. “Ginny, tu non dovresti essere qui! Sei in pericolo, lo capisci?”
Ginny si alzò, leggermente rossa in viso, i mani sui fianchi, la voce più alta del normale.
“Lo so benissimo, Ron! Ma ormai ho diciassette anni, sono maggiorenne, posso scegliere da sola! Quando la smetterai di considerarmi sempre la solita bimbetta con le treccine che non può dormire senza la sua bambola preferita e senza il suo fratellino nel letto accanto?”
Ron sembrò leggermente colpito da quelle parole.
“Quando la smetterai di cacciarti nei pasticci. Lo sai che così facendo hai cacciato nei guai anche me, Harry e Hermione?”
“Ah, sì? E perché mai?”
“Perché dobbiamo proteggerti.”
Ginny si bloccò all’istante, Ron si voltò nella direzione dalla quale proveniva quella voce: all’entrata della cucina, dove stavano animosamente discutendo i due fratelli, stava, leggermente cupo, Harry, le mani nelle tasche dei pantaloni; poco dietro di lui, Hermione, pallida e tremante, avvolta in una coperta di lana.
“Dobbiamo proteggerti, non possiamo permetterti che ti accada qualcosa di male. Dobbiamo proteggerti perché Voldemort cercherà di colpire le persone cui io tengo di più, e tra queste ci siete Ron, Hermione e te, la sorella del mio migliore amico…”
Sono solo ancora la sorellina del tuo inseparabile amico. Niente cambierà mai…
“Io non voglio che ti accada qualcosa di male, Ginny.” Proseguì Harry, la voce calda e bassa.
Non vuoi… Harry…
Ginny alzò lo sguardo verso di lui, si sentì arrossire, ma non interruppe il contatto visivo.
“Lo so, Harry. Però non sono più la ragazzina di undici anni che si lascia ingannare da uno stupido diario stregato… sono venuta con la ferma intenzione di proseguire i miei studi e di non intralciare in alcun modo il vostro lavoro. Per favore, permettetemi di rimanere con voi… giuro che non farò nulla di avventato! So anche difendermi abbastanza bene!” Esitò e fissò Harry con più veemenza. “Ti prego, Harry…”
Non mandarmi via, Harry, impazzirò in quella casa… non posso sapervi lontani da me. Non posso saperti lontano ed in pericolo… almeno lasciami affrontare questo pericolo, insieme a te, per quanto mi è possibile… ti prego…
Lui sospirò.
“Va bene, Ginny, ma mi devi promettere una cosa.”
Ginny per la gioia avrebbe voluto saltare e gridare al cielo quanto fosse felice, ma non lo fece anche perché Harry le si era pericolosamente avvicinato e la fissava nuovamente negli occhi, come a ristabilire il precedente contatto speciale andato perduto.
“C-cosa?”
Diamine, ma perché devi balbettare ed arrossire quando lui ti parla?!
“Promettimi che seguirai un corso di Difesa Personale presso il nostro Quartier Generale. Non è un corso difficile, anche Hermione lo frequenta.”
“Oh beh, grazie, Harry!” Fece Hermione, fingendosi offesa, e strappando un sorrisetto sia a Ron che all’altro amico. “Giusto per saperti più protetta. Potrai andarci insieme a Herm e poi tornare a casa mentre lei svolge il suo lavoro… che ne dici?”
Ginny annuì con un sorriso che Harry non avrebbe mai dimenticato.

*** *** ***

Stesa sul suo morbido letto, ripensava agli avvenimenti accaduti in giornata: la lite con Ron, un incontro veramente molto strano, un’aggressione, una lotta, una scampata cattura da parte di alcuni Mangiamorte e l’arrivo della sua migliore amica lì, in quella casa. Comprendeva benissimo i sentimenti di Ginny, ma non avrebbe mai osato parlarne con Harry, non finché l’amica non si fosse sentita pronta.
Sospirò ed un flash improvviso balenò nella sua mente… un paio di occhi grigio tempesta… si alzò a sedere.
“Dove sarà adesso?” Sussurrò osservando la neve fitta che cadeva fuori della finestra e udendo i rombi dei tuoni.
Qualcuno bussò alla porta.
“Sì?” Fece Hermione voltandosi verso l’entrata della sua camera.
La porta si aprì piano piano e ne spuntò fuori un Ron in un pigiama troppo piccolo per lui, che teneva in mano quella che a prima vista sembrava una fumante tazza di qualcosa e che si grattava il capo, con fare imbarazzato, con la mano libera.
“Posso entrare, Herm?” Disse, incespicando sulle parole.
Hermione lo osservò leggermente stupita e sorrise: quel modo di fare, quell’atteggiamento, quell’imbarazzo, quella goffaggine… tutto, persino il suo pigiama troppo corto, la riportava a pensare ai tempi di Hogwarts. Ron era ancora lo stesso, e ciò le procurava un inspiegabile piacere.
“Beh, ormai l’hai fatto…” Rispose ironicamente, accennando al fatto che Ron si fosse già avvicinato al suo letto.
“Ehm, sì, già…” Ammise lui, sempre più impacciato. “Senti, Herm, io volevo…” Poggiò distrattamente la tazza fumante sul comodino di lei e la ragazza, nella penombra, lo vide arrossire. “Scusami per oggi. Non volevo dirti quelle cose, io…non le penso realmente.” Lo sguardo basso. “Sai che non penserei mai neppure lontanamente certe cose di te, Hermione. Lo sai, vero? Tu sei sempre stata una dei miei due migliori amici; io non ho mai pensato che fossi…” Un secondo di pausa, Ron alzò lo sguardo incrociando gli occhi castani di lei, un brivido lungo la schiena, la sensazione di non riuscire più a respirare. “… un peso per me… per noi…”
La ragazza lo osservò brevemente, seduta sul letto, e Ron si rese conto, stupendosi di se stesso a quel pensiero, che era bellissima nonostante il pigiama troppo grande che indossava, i capelli scompigliati, gli occhi lucidi per la febbre. Le labbra rosee… cosa avrebbe dato per poterla baciare anche solo una volta?
Dio mio, Ron, che fai?! Lei è la tua migliore amica! Non puoi sperare di baciare Hermione! Hermione Granger, la tua migliore amica!
Scosse la testa come a voler cacciare quei pensieri, scrollandoseli di dosso con violenza, ma senza ottenere grandi risultati. Hermione, rimasta in silenzio fino ad allora, abbozzò un timido sorriso.
“Non fa niente, Ron, anche io ho esagerato. Lasciamo stare, è acqua passata.”
“No, aspetta, voglio che tu sappia che… per qualsiasi cosa, io ci sono. So di non essere esattamente la persona più affidabile del mondo, ma ci metto la buona volontà, perlomeno.” Non udendo alcuna risposta, alzò lo sguardo e vide Hermione con gli occhi lucidi, stavolta non per l’influenza; il suo cuore sembrò rallentare i battiti e saltarne addirittura alcuni. “Oh… ho… ho detto qualcosa di male?”
La ragazza scosse la testa in segno di diniego, asciugandosi frettolosamente le lacrime che principiavano a scenderle giù per le gote arrossate dalla febbre.
“Grazie…”
Sorridi più spesso, Hermione, perché solo quando sorridi, sapendoti felice, posso esserlo anch’io.
Ron sorrise, non dimenticandosi tuttavia di arrossire vistosamente.
“Ti ho portato una camomilla calda, so che ti piace berla quando hai l’influenza…”
“Te ne sei ricordato?”
Lui alzò ironicamente un sopracciglio sedendosi sul letto accanto a lei, che gli fece spazio.
“Vorrei ricordarle, signorina Granger, che a Hogwarts ero sempre io a portarle la camomilla quando stava male.”
Hermione ridacchiò brevemente, nonostante un brivido di tristezza avesse attraversato, lei ne era sicura, l’animo di entrambi, nel sentir pronunciare il nome della loro scuola.
“Guarda che a portarmi la camomilla erano tutt’al più Harry, Ginny o Luna, tu ti limitavi a rovesciarmela puntualmente addosso o, nella migliore delle ipotesi, addosso a Calì Patil!”
“Però ricordo esattamente la tua espressione soddisfatta quando Calì cominciava a gridare perché le avevo rovinato l’acconciatura!” Replicò lui, sorridendole sornione.
Hermione si sentì avvampare.
“Eh già,” Ammise distogliendo lo sguardo. “Erano bei tempi quelli…”
“Vedrai che torneranno.”
La ragazza lo guardò nuovamente, incurante delle guance che le andavano letteralmente in fiamme, come alla disperata ricerca di un appiglio, di un qualcosa per cui tirare avanti in quel periodo di guerre, lotte, distruzioni, uccisioni ed atrocità.
“Dici davvero?”
Lui le poggiò una mano sul capo, assumendo un comportamento maturo e responsabile, quasi protettivo, che Hermione non avrebbe mai creduto potesse assumere. E con amarezza, ma anche una sensazione di cupa dolcezza, si rese conto che i tempi erano cambiati. Ron stava crescendo, ma era ancora il suo amico pasticcione e goffo di sempre.
“Assolutamente.”
Rimasero in silenzio per un pochino, fissandosi negli occhi come fosse la prima volta dopo anni ed anni che si vedevano. Alla fine Hermione, accaldata e rossa in viso, distolse lo sguardo iniziando a sorseggiare con cautela la sua camomilla e Ron si grattò una tempia.
“È dolce ritrovarsi ancora tutti insieme…” Mormorò il ragazzo, osservando i candidi e soffici fiocchi di neve scendere dal cielo nero della notte.
Nella mente di Hermione ancora l’immagine di quel ragazzo, quel sorriso struggente… lui non aveva ritrovato nessuno. Forse non poteva sapere cosa potesse significare una cosa del genere, Draco Malfoy… gli occhi le si inumidirono.
“Stanotte sono successe tante cose…” Disse in un soffio, sperando che Ron cogliesse il suo desiderio di sfogarsi con qualcuno, ma non qualcuno qualsiasi… con lui.
E Ron lo colse.
“Vuoi parlarne?”


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Capitolo 4
*** Parlami ancora ***





Capitolo 4° “Parlami ancora”

I lie down and blind myself with laughter
A quick fix of hope is what I'm needing


Le due ragazze camminavano lungo il marciapiede innevato, il vento sferzava gelido i loro volti e smuoveva disordinatamente i loro capelli.
“Sono distrutta…” Mormorò la ragazza dai capelli rossi, producendo con le sue parole una nuvoletta bianca che si dissolse rapidamente nell’aria. “E poi, ovviamente, con la fortuna che abbiamo, cosa becchiamo? Una tempesta in piena regola.” Si accigliò leggermente. “Cosa potrei chiedere di più, dopotutto?”
La ragazza accanto a lei sorrise.
“Avanti, Ginny, non è poi così terribile, è solo questione di allenamento! Sei solamente alle prime lezioni, è ovvio che ti senta affaticata: non sei abituata.”
“Sono semplicemente stravolta, Herm…” Brontolò ancora la ragazza. “Non so come tu faccia a seguire questi allenamenti già da un anno, dico veramente… e sei anche decisamente in gamba! La mia migliore amica non solo è un genio, ma sa anche difendersi perbene.” Le diede una pacchetta sulla spalla. “Sono orgogliosa di te, Hermione Granger.”
Hermione ridacchiò schernendosi ed il pensiero le corse nuovamente a quella notte, quando Draco Malfoy l’aveva salvata dalle grinfie di quell’ubriacone… era passato un mese da allora e lei si era ritrovata a pensare troppo spesso all’espressione che aveva dipinta in volto il giovane Serpeverde; non riusciva a cancellarsela dalla testa, era come marchiata a fuoco dentro di lei. Cosa voleva dire quell’immensa tristezza? Cosa avevano voluto comunicarle, quella notte, quegli occhi color tempesta?
“Hermione? Ci sei?”
La ragazza riemerse dai suoi ricordi distrattamente.
“Eh? Dicevi, Gin?”
Lei sorrise maliziosamente fermandosi davanti all’insegna di una caffetteria da cui proveniva un invitante profumino di ciambelle appena sfornate.
“La mente della razionale Hermione Granger è occupata per caso da un ragazzo?”
Hermione si sentì arrossire.
Come aveva fatto a capirlo?
“Cosa? Come…?”
“Come ho fatto?” Rise Ginny. “Hermione, sei la mia migliore amica da non so quanti anni, certe cose le capisco al volo! Diciamo… intuito! Comunque sia, non è difficile capire che è un ragazzo ad occuparti i pensieri, sai? Sguardi confusi e languidi, atteggiamento distratto… non è da te.” Concluse sorridente.
L’amica emise un piccolo sospiro confuso.
“Né Harry né tanto meno Ron sembrano essersene accorti, però.”
Ginny alzò gli occhi al cielo.
“Andiamo, cosa ti aspettavi da quel tontolone di mio fratello, Hermione? Sai benissimo che non è fatto per questo genere di cose. È un ragazzo, in fondo! E poi… come pretendi che Harry si accorga di qualcosa del genere quando non si è mai accorto di…” Si bloccò, titubante.
“Di te?” Ginny annuì tristemente. “Io non ci metterei la mano sul fuoco, Gin. Ci sono volte in cui Harry mi sembra così diverso da noi, da Ron… Harry ha sofferto molto in passato e questo lo sappiamo; ciò lo rende enigmatico, spesso… ma c’è un qualcosa, un sesto senso che mi dice che non sei invisibile per lui…”
“Lasciamo stare, guarda, non sono proprio in vena di parlare di Harry. Piuttosto, questo ragazzo…” Hermione arrossì sempre più, non capendone la motivazione. “Ti piace?” … mi piace?! … come può piacermi Malfoy? Mi ha fatto tante di quelle cattiverie in passato che… erano solo un gesto per attirare la nostra attenzione… l’attenzione di noi che non lo capivamo. Da quello che mi ha detto non deve avere un rapporto molto buono con suo padre… che strano, non l’avrei mai detto…
… quante cose non avrei mai pensato se non me le avesse accennate lui…
… come ho potuto essere così cieca da non capire?
Le sue parole mi hanno aperto gli occhi su molte faccende, compresa quella sulle case di Hogwarts, la più importante… mi sento un verme…

“Piacermi?” Esitò, la voce incerta. “No… no, figurati.”
La ragazza la guardò di sottecchi, non del tutto convinta.
“Ne sei sicura, Hermione? Allora perché lo stai pensando? Non è la prima volta che ti trovo immersa tra le nuvole… prova a fare chiarezza dentro di te.”
Già… perché lo sto pensando?
“A proposito, io ho una fame da lupi! Che ne dici di entrare qui? Sembra un posto carino.”
“Sì… sì, andiamo…”
Perché continua a tornarmi in mente? Perché i suoi occhi e le sue parole mi tormentano? Quando mi sono sfogata con Ron non gli ho detto cosa ci facessi con Malfoy e lui non ha insistito, eppure c’è un dubbio che continua a lacerarmi la mente… cosa voleva dirmi? Quale implicito messaggio non sono riuscita a cogliere? C’è qualcosa che non comprendo, che mi sfugge, che ho sulla punta della lingua ma non riesco a dire perché qualcos’altro l’adombra costantemente… cos’è questa cosa? Cosa volevi dirmi, Draco Malfoy?
… Io devo capire! …

Hermione si bloccò.
“Ginny… mi dispiace, scusami tanto, ma mi sono ricordata di una commissione importante da sbrigare… ci vediamo a casa!”
Ginny Weasley non ebbe il tempo di replicare che vide l’amica schizzare via come un fulmine, come quando, a scuola, aveva un’illuminazione ed andava a cercare qualche bel librone polveroso e voluminoso in biblioteca.
Hermione Granger non sembrava esattamente la stessa, c’era qualcosa in lei di diverso.
… Io devo capire! …

*** *** ***

I lie down and blind myself with laughter

Era tornato sul luogo dell’incidente per cancellare totalmente le proprie tracce, fin troppo evidenti visto che si era dovuto dar da fare per aiutare una ragazza, e per cercare qualche indizio che potesse fornirgli anche la minima idea di dove si fossero diretti i Mangiamorte. Sapeva benissimo che suo padre era furioso con lui: aveva sguinzagliato al suo seguito i suoi colleghi. Stava camminando silenziosamente, sua peculiarità, osservando attentamente il terreno attorno a sé quando, colto da un improvviso formicolio, si poggiò con le spalle contro il tronco ruvido di un albero, portandosi stancamente una mano alla fronte. I capelli biondi del tutto scompigliati, i vestiti ancora più laceri. A dire il vero Draco Malfoy non sapeva esattamente come mai avesse deciso di tornare proprio lì. Forse era stato guidato dalla rabbia, forse dall’intuito, quell’intuito che più volte l’aveva tirato fuori dei guai appena in tempo, o forse era stato semplicemente guidato dalla disperazione. Sì, Malfoy era disperato. Draco Malfoy, il ragazzino viziato dei tempi di Hogwarts era letteralmente caduto nella disperazione più totale. Sospirò avvertendo una fitta al fianco sinistro, si piegò un poco su se stesso, portando una mano livida dal freddo sulla parte dolorante mentre il suo fiato si condensava rapidamente nell’aria pungente. Imprecando a bassa voce, il giovane alzò lo sguardo verso il cielo: ovviamente non c’era mai limite al peggio, e quelle nuvole grigie non presagivano decisamente nulla di buono. Qualche fiocco di neve già scendeva leggiadro dal cielo grigiastro adagiandosi con delicatezza, estenuante agli occhi stanchi di stare all’erta del ragazzo, su tutto ciò che lo circondava.
Neve o no, fatto era che si trovasse nuovamente in quella radura, senza alcuna ragione particolare, perlomeno nessuna ragione particolare che fosse comprensibile alla sua mente appannata dal sonno arretrato, dalla fame, dalla stanchezza. Stanchezza di tutto, di fuggire, di combattere, di lottare… perché? Perché affannarsi tanto? Era così stupido…s apeva che, prima o poi, suo padre avrebbe messo le mani su di lui ed allora non ci sarebbe più stato nulla da fare… allora perché soffrire così? Una persona stanca avrebbe solo bisogno di riposare, e quella neve cominciava a sembrare così soffice… così delicata… persino quel suo mantello logoro sembrava fornire un minimo di conforto mentre sentiva il suo corpo accasciarsi lentamente in quella bianca distesa. Qualcuno, quando era piccolo, gli aveva raccomandato di non dormire in mezzo alla neve, di non abbassare le proprie difese di fronte al freddo… perché? Chi glielo aveva detto? Non ricordava, tutto era così lontano… da quando il mondo aveva cominciato a girare lentamente su se stesso, fino a raggiungere una discreta velocità tanto da dare un sottile senso di nausea? … che strano, non si sentiva così dall’ultima sbornia, più o meno un anno prima… ora l’oscurità scendeva, piano… allungò una mano davanti a sé, in una tacita ed indecifrabile richiesta d’aiuto, ma le sue dita incontrarono solo il vuoto.
Come sempre.
Mai nessuno lì con lui, mai nessuno lì per lui. A chi chiedere aiuto?
… ma era in grado di chiedere aiuto? Era solo il suo orgoglio a bloccarlo o anche qualcos’altro?
… ma in fondo… perché chiedere aiuto? Era tutto così dannatamente inutile.
Tutto così maledettamente uguale.
Come sempre.

La neve dal cielo aumentò d’intensità trasformandosi in una piccola – per ora – bufera, il vento soffiò lontano da lui il mantello, slacciatoglisi dal collo; il freddo impietoso creava dei piccoli, trasparenti cristalli sui capelli di quel ragazzo, abbandonato nella neve.
… e con questo ho chiuso…

*** *** ***
“Avanti, avanti!”
Si sentì sfregare le mani con forza, l’aria fredda gli pungeva nuovamente il viso. Era strano. Era come se fosse partito per un breve viaggio ed ora fosse malvolentieri tornato, anzi, era come se qualcuno l’avesse brutalmente ripreso per i capelli e trascinato, contro la sua volontà, al punto di partenza.
“Forza, apri gli occhi…”
Una voce decisa vibrava nell’aria, unico suono che riuscisse a sovrastare il vento ed i tuoni ruggenti, tuttavia in quella voce una nota di incertezza, di un sentimento strano… quasi… quasi disperazione. Sentì una sensazione di calore, tenue, molto tenue, ma pur sempre calore, cominciare a diffondersi nelle sue mani, ebbe l’orribile sensazione di credere di precipitare nel vuoto fino a che non avvertì il terreno sotto di sé, freddo e duro. Con un gemito sommesso aprì di poco gli occhi, giusto per capire cosa stesse succedendo.
“Oh, mio Dio, meno male!”
La voce di prima gli fece voltare il capo verso destra, ma la vista ancora velata non gli permise di distinguere i tratti somatici della persona che stava parlando. Quella voce, però, aveva qualcosa di familiare. Cercò di alzarsi senza ottenere grandi successi; sentì qualcuno aiutarlo, e quando fu seduto si rese finalmente conto di quanto ancora facesse freddo. Ma non gli importava. Non gli importava più nulla. Un solo pensiero nella mente confusa: non ce l’aveva fatta. Non era riuscito neppure a chiudere.
Non era riuscito neppure a tagliare i contatti.
Aveva fallito.
Di nuovo.
“Su… coraggio, alzati…”
Cosa vuoi da me? Lascia… lascia qui, lasciami stare, qui… solo… io non ho niente… e sono stanco.
“Non puoi mollare così!” Fece la voce, acquisendo una nuova forza, una nuova convinzione. “Fatti forza, avanti! Appoggiati a me.”
Lo sorreggeva a fatica, lui senza capire cosa stesse facendo fece forza sulle ginocchia stanche e riuscì, con grande fatica, a rimettersi in piedi; aggredito dalle vertigini barcollò violentemente, sorretto nonostante tutto da quella stessa persona.
Chi sei? Chi in una simile situazione aiuterebbe uno… uno come me?
“Ecco… bravo, così… su!” Fece una pausa e con i suoi sensi affinati dalla necessità, Draco sentì la persona frugare nel suo mantello alla ricerca di qualcosa. “… dannazione, ma dov’è finita?”
Sembrava la voce di una ragazza, ma non avrebbe potuto dirlo con certezza. Le orecchie gli fischiavano terribilmente, non capiva nulla.
“Ah, eccola.” Gli passò qualcosa di remotamente tiepido sulle spalle. “Ecco… vieni, fai solo due passi…”
Senza neppure domandarsi ‘Perché fare due passi?’ obbedì come un automa; il freddo penetratogli nelle giunture delle ossa faceva dolere tutti gli arti, non sentiva bene né le proprie gambe, né il proprio viso, sapeva solo che doveva star battendo i denti a giudicare dal gelo che sentiva attorno a sé. E non solo.
“Bene… bravo…” Una mano prese la sua, rigida e gelida.
Udì distintamente qualcuno pronunciare l’incantesimo di Smaterializzazione ad alta voce. Una voce chiara oltre la tormenta, oltre la tempesta. Per un secondo svanì il fischio del vento, svanì il rombo del tuono, svanì persino quell’orrendo freddo agghiacciante e ci fu un silenzio tiepido, un tepore nuovo nell’aria, il ticchettio della pioggia, pioggia mista a neve per esser precisi, su una qualche superficie, i minacciosi suoni della tempesta attutiti.
E così era di nuovo lì. Di nuovo in gara per la vittoria. E quella gara era la sua vita. Non c’era un premio in galeoni, non c’era un premio in fama e notorietà, l’unico premio che si poteva duramente conquistare era la sopravvivenza. Solo quella. Perché non esisteva felicità nel suo mondo. Poteva solamente sperare che il suo cuore continuasse a battere, tuttavia certo che andando avanti così, privo di qualsiasi calore diverso dal calore di un fuoco, si sarebbe ghiacciato del tutto, fermandosi per sempre. E forse, allora, sarebbe stato veramente libero.
Draco Malfoy non si lascia sconfiggere. È lui a decidere.
Ma visto che la sua gara per la vittoria seguitava implacabilmente, non poteva arrendersi. Sopraffatto da un’ondata dell’antico ed usuale orgoglio, impegnò tutte le sue esigue forze rimanenti nel tentare di rimanere perlomeno in piedi.
Draco Malfoy non è mai caduto. Non di fronte a qualcuno.
E quello non sarebbe stata l’eccezione che avrebbe confermato la regola. Sforzandosi oltre ogni limite riuscì a mantenere un equilibrio precario, stava lentamente riacquistando la sensibilità dei muscoli facciali, in un gesto di orgoglio alzò il capo, sentendolo pesante come non mai.
E non cadrà.
Vide molto confusamente una stanza non molto illuminata, una poltrona rossa, un divano dello stesso colore… un tavolo… dei fogli di pergamena… di fronte a lui riuscì a scorgere solo due occhi profondi fissarlo con un’espressione che egli stesso, testimone di quell’evento, non avrebbe saputo descrivere: paura? Disperazione? Sollievo, forse? Ma che importava, in fondo? Quello che la gente pensava di lui era chiaro, lo era sempre stato, fin dai tempi della sua infanzia. Era un Malfoy ed i Malfoy non potevano costruirsi una propria reputazione: i Malfoy avevano la Reputazione. Da difendere, da onorare, da non macchiare. Reputazione di razzisti, di subdoli, di meschini, di voltagabbana. Reputazione di Mangiamorte, in poche parole. Il Male fatto persona, al costante - più o meno, a seconda del livello di lealtà raggiungibile, nel caso della sua famiglia decisamente scarso - servizio del Male Supremo.
“Guarda come sei conciato…”
Era preoccupazione quella che percepiva nella sua voce? Non poteva capirlo, Draco Malfoy, da troppo tempo disabituato al fatto che qualcuno si preoccupasse per lui.
Avvertì il tocco leggero di una mano che, al contatto con la sua guancia gelida, sembrò calda. La sua vista cominciava lentamente a riprendere le sue solite mansioni, certo non ad uno stato ottimale, ma pur sempre ad un livello basilare.
Draco Malfoy si meravigliò non poco scoprendosi per nulla sorpreso una volta scoperta l’identità della persona che era corsa in suo aiuto.
E sono di nuovo qui, in gara per la mia ‘vittoria’.
Socchiuse gli occhi dello stesso colore della tempesta che infuriava là fuori scuotendo il capo con cautela, cercando accuratamente di non procurarsi un ulteriore attacco di vertigini.
“Granger.”
La sua non era una domanda né un’esclamazione sorpresa. Era una pura e semplice affermazione, come se vedersela davanti, come se scoprire che aveva rischiato una polmonite per salvarlo, facendogli indossare anche il proprio mantello, fosse quello che più si sarebbe aspettato.
Solamente un tono di vaga stanchezza aleggiava nella sua voce. Ma questo non l’avrebbe mai ammesso.

*** *** ***

Tra le sue mani la cioccolata calda fumava invitante, i suoi occhi erano persi nel vuoto, immersi in pensieri del tutto suoi. Fuori aveva cominciato a scatenarsi una tempesta, come purtroppo era diventato frequente in quegli ultimi giorni; sperava solo che Hermione non avesse fatto mosse avventate e si fosse messa al caldo, al riparo da qualche parte. Okay, Hermione, la Hermione Granger che tutti loro conoscevano, non era propriamente il tipo da lasciarsi andare in azioni avventate, ma quella non era precisamente la Hermione Granger che conoscevano da anni. In lei c’era qualcosa di strano, qualcosa di diverso. Da quando era arrivata a casa loro aveva avuto modo di stupirsi del comportamento dell’amica: era spesso distratta, con la testa tra le nuvole, quando le si parlava a volte perdeva il filo del discorso, inseguendo sue idee; la si trovava spesso a fissare con sguardo indecifrabile fuori dalla finestra, specialmente quando c’era brutto tempo… non era riuscita neppure a finire quel libro di Incantesimi e Formule Arcane che Harry era riuscito a rimediarle presso la libreria di Silente! C’era decisamente qualcosa che non andava, decisamente… ma non capiva cosa…
Forse c’entra in un qualche modo questo misterioso ragazzo che ha conosciuto…
Ma no, sembrava strano: Hermione che perdeva la testa per un ragazzo che neppure conosceva bene… e poi… Ginny aveva sempre personalmente creduto che l’amica avesse un debole per suo fratello. Non ne aveva mai parlato con nessuno, perché non riteneva giusto parlare di affari personali di Hermione, però le era parso di capire, tramite le occhiate che Harry le rivolgeva a Hogwarts, quando Ron e Hermione si lanciavano nelle loro appassionate ma non appassionanti liti (ormai ci avevano fatto tutti l’abitudine), che anche lui la pensasse esattamente così. E non era neppure difficile capire che Ron fosse stracotto di Hermione, l’amica dall’intelligenza eccezionale che aveva sempre avuto al fianco dagli undici anni in poi. Il corso dei pensieri di Ginny sviò e si ritrovò a sorridere ripensando alle litigate che quei due si erano fatti.
Erano sempre stati vicini, si erano sempre aiutati… beh, più o meno, visto che era sempre stata Hermione a cacciare fuori dai guai suo fratello… però anche Ron era sempre stato pronto a partire in quarta quando qualcuno la offendeva, qualcuno tipo Malfoy, tipo la Parkinson… tipo tutte quelle sciocche persone che se la prendevano con Hermione semplicemente perché figlia di Babbani.
La ragazza storse il naso a quel pensiero, scostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso arrossato dal freddo.
Hermione e Ron erano sempre stati insieme, sempre uno al fianco dell’altra… praticamente erano cresciuti assieme. Nessuno conosceva Ron meglio di Hermione, Ginny stessa spesso stentava a comprendere la psicologia del fratello… ma lo stesso non si poteva dire di Ron. Ron era infantile. Tremendamente infantile. Suo fratello, tale Ronald Weasley, detto Ron, certe volte sembrava veramente ottuso: possibile che non avesse mai capito Hermione? Hermione che si rifugiava nei voti da capogiro per nascondere persino a se stessa la propria insicurezza, Hermione che piangeva di nascosto, con lacrime magari non materiali, ma spirituali, Hermione che si faceva in quattro per loro, Hermione che si infastidiva quando lui si mostrava troppo attento alle ragazze e si mostrava troppo insensibile rispetto a lei. In fondo, anche Hermione era una ragazza.
Ed è questo che le piacerebbe che quel cretino di mio fratello notasse. No, lui l’ha notato eccome, è solo che… solo che ha paura. Ha paura dei suoi stessi sentimenti.
Era decisamente l’ora che Ron si desse una svegliata e che Hermione decidesse di uscire un po’ più dal suo guscio, senza paura di essere ferita. Perché aveva una tremenda paura di non essere all’altezza delle aspettative degli altri, ma specialmente delle sue. E Dio solo sa che sofferenza dovesse essere per una ragazza che aveva sempre convissuto con tale problema. Bevve qualche sorso dalla tazza, gustando appieno la cioccolata, riscaldandosi.
Ron e Hermione si conoscevano da otto lunghi anni in cui ne avevano passate di tutti i colori ed il loro legame era speciale. Un pensiero attraversò la mente della giovane strega, mentre si alzava ed andava a pagare.
Harry.
Ron e Hermione non esistevano senza Harry. Erano sempre stati il trio, il Magnifico Trio, il trio indistruttibile. Rare volte era capitato che quei tre litigassero e si era sempre trattato, stando a quanto Ginny potesse ricordare, di liti tra Ron e Hermione o tra Ron e Harry. Hermione e Harry non avevano mai litigato. Mai. Nonostante spesso Harry fosse stato nervoso e non poco sgarbato con lei e Ron, Hermione non se l’era mai presa eccessivamente con lui. In passato Ginny era stata gelosa del trio, era stata profondamente gelosa del legame che c’era tra quei tre, dal quale si sentiva inesorabilmente esclusa. In passato Ginevra Weasley era stata tremendamente gelosa di Hermione e c’era stata malissimo. Ginny voleva un bene dell’anima a Hermione, era sua amica, anche se da non molto era diventata la sua migliore amica, e dentro di sé non avrebbe voluto sentirsi così… non avrebbe voluto invidiarla, esserne gelosa… eppure non aveva potuto fare a meno di farlo: Hermione era sempre con Harry e lei era anche arrivata a pensare che fosse innamorata di lui. Ma poi aveva preso coraggio e ne aveva parlato a quattr’occhi con la diretta interessata che aveva negato tutto. Ed era ovvio: Hermione non era innamorata di Harry, ma di Ron, anche se non l’avrebbe ammesso per nessuna cosa al mondo.
E da quel giorno Hermione Granger e Ginny Weasley erano diventate grandi, grandissime amiche. Ginny si era sfogata e confidata con Hermione, le aveva sempre chiesto consigli e la ragazza si era sempre considerata un’amica preziosa, la migliore… ed a volte Ginny si sentiva strana, come se non l’avesse mai ricambiata adeguatamente. In effetti Hermione non si era mai sfogata realmente con lei. Né, per quanto lei ne sapesse, con qualcun altro. Sì, le aveva parlato delle liti avute con Ron, dei suoi malumori per i professori, ma erano tutte cose stupide… insomma, non si era mai aperta, non aveva mai parlato dei suoi veri sentimenti nei confronti di suo fratello, né le aveva mai parlato di quel senso di angoscia e di insicurezza che l’attanagliava sempre.
Hermione aveva sempre assunto un ruolo cardinale nella loro vita: l’amica, la migliore amica, sempre pronta ad aiutare, a consigliare, anche a cacciarsi in qualche pasticcio per star loro vicino.
E basta. Semplicemente questo. Troppe volte loro non avevano pensato a quanto lei potesse star male sotto quella scorza di ragazza intelligente, iper razionale e troppo attaccata ai propri risultati scolastici.
Hermione era la migliore amica di Ginny.
Hermione era la migliore amica di Harry.
Hermione era la migliore amica di Ron. E non solo…
Hermione era sempre stata un’amica splendida, ma loro… loro avevano saputo ricambiarla? La ragazza non aveva mai chiesto nulla indietro… perché?
Una voce la distrasse, una voce conosciuta.
“Ciao, Ginny.”
Voltandosi un po’ intontita per aver vagato troppo con il pensiero, si trovò davanti un Harry con un timido sorriso abbozzato sulle labbra.
Oh mio Dio… non devo arrossire!
Fu del tutto inutile: Ginny Weasley arrossì, come sempre.
“C-ciao Harry…”
Ma certo, ci mancava che balbettassi! Che splendida figura. Possibile che solo quando c’è lui divento così imbranata?!
Solo quando c’era lui era così imbranata, ma solo quando c’era lui sentiva quel miscuglio di sensazioni tremendo e meraviglioso allo stesso tempo… quello sfarfallio nello stomaco, come se fosse sottosopra, quel calore improvviso in viso… quei brividi per la schiena e, sì, anche e soprattutto quell’accelerazione incontrollata dei battiti cardiaci.
“Che fai qui? Stai andando da qualche parte?” La sua voce era calma e dolce. La ragazza si guardò attorno perplessa scoprendosi in mezzo al marciapiede. Era così immersa nei suoi pensieri che non si era neppure accorta di essere uscita dal bar. Ed ora era sola con Harry… dopotutto nessuno decideva di andarsene in giro con quel tempaccio.
Sola con Harry…
“Ecco…” Mormorò in subbuglio. Ti prego, fa’ che non spari qualche cretinata come al solito!
“… io stavo andando… al parco!”
Harry inarcò entrambe le sopracciglia in un’espressione alquanto sorpresa, guardò il cielo e la neve sul marciapiede.
“Con questo tempo?” Domandò perplesso.
Come volevasi dimostrare.
“Sì… cioè, no! No, no… prima volevo andare al parco, adesso…” Si stava tormentando le mani. “… stavo tornando a casa.”
Harry sorrise e rabbrividì.
“Allora ti accompagno, anche io stavo rientrando da una riunione del… ehm… di lavoro.”
Accompagnarmi? Vuole fare la strada con me?
Non poteva parlare liberamente dell’Ordine e Ginny lo sapeva bene.
“Oh… sì, certo. E… com’è andata la riunione di lavoro?”
Lui fece spallucce.
“Come sempre, nessuna novità.” Presero ad incamminarsi. “Ron è stato trattenuto per parlare con il nostro… direttore… di una cosa che dice di aver visto la scorsa notte.”
“Cos’ha visto?” Aveva ripreso un minimo di sicurezza.
Osservò il profilo di Harry, i suoi occhi scrutavano lontano.
“Dice di aver trovato Hermione nella radura del parco accanto casa nostra… con Malfoy. Ed hai visto anche tu com’era ridotta.”
“Con Malfoy?” Esclamò Ginny sgranando gli occhi.
“Non me ne parlare,” Replicò Harry agitando una mano davanti a sé, come a voler scacciare il pensiero del ragazzo. “tuttavia dice che non le ha fatto assolutamente nulla. Ha parlato con Ron di ciò che è successo: un’aggressione, ma non da parte di Malfoy… lui l’ha semplicemente incontrato lì per caso.”
“Immagino che tu non credi che fosse lì per caso, giusto?”
Harry la osservò brevemente sentendosi inspiegabilmente felice, nonostante l’argomento trattato.
“Esatto. Ma io e Ron ci fidiamo di Hermione.” Sospirò. “Piuttosto, come va l’allenamento?”
“Oh, bene… più o meno. È piuttosto stancante.”
“Ci farai l’abitudine, credimi.”
“Se lo dici tu…” Sorrise appena.
Continuarono a parlare del più e del meno tornando a casa.
Da sola con Harry… come se fosse un appuntamento…
Non c’era Hermione, non c’era Ron, eppure Harry le si era avvicinato lo stesso… allora forse… forse Ginny aveva cominciato ad essere meno trasparente, per lui!
Passando davanti alla vetrina di un negozio, sprofondando con i piedi nella neve, osservò il suo riflesso notando di non essere effettivamente trasparente. Poi si diede mentalmente della stupida per l’ingenuità del gesto.
Sono felice.
Harry le sorrideva e le parlava, tutto il mondo sembrava scomparso.

*** *** ***

“Granger.”
Con un tono di semplice e pura affermazione, senza neppure troppa sorpresa, Draco Malfoy si guardò le mani, fino a poco tempo prima fredde come ghiaccioli, ora leggermente meno pallide e sì, anche più calde. Dopodiché alzò quegli occhi grigi che sapevano celare ma mostrare qualsiasi emozione elevandola alla massima potenza, facendo sentire chi li osservava non poco in disagio, come avessero la capacità di calamitare l’attenzione su di sé, sulla ragazza davanti a lui. Il suo viso, fin dai tempi dell’infanzia, aveva avuto la straordinaria facoltà di non lasciar trapelare le sue reali emozioni, tuttavia in quel momento, con un mal di testa tremendo e tutte le ossa doloranti, Draco Malfoy sembrò sinceramente sorpreso alla vista dell’aspetto di Hermione: tutto ciò che si concesse fu un’alzata di sopracciglia, controllata, lenta, con un’aria insopportabilmente fredda.
“Come sei conciata?” Domandò ironicamente, il fianco ricominciava a fargli un male dannato, ma non doveva mostrarsi debole.
Hermione era zuppa dalla testa ai piedi e completamente sporca di fango che aveva raccattato in una corsa sfrenata verso la radura dove aveva sperato di rincontrarlo – per quale motivo poi? Era così confusa… -, aveva i pantaloni stracciati all’altezza di un ginocchio, risultato di quando si era inginocchiata accanto a lui ed aveva tentato di tirarlo su, aveva le mani arrossate dal freddo, la felpa che indossava aderiva completamente al suo corpo per quanto era bagnata. Si sentiva un po’ stordita dagli avvenimenti, ma stava bene. Sbuffò e gli lanciò un’occhiataccia.
“Scusa tanto, Malfoy, se non sono vestita a festa! Sai, ero un tantino occupata a tirare qualcuno fuori dai guai.” Poi il suo sguardo sembrò ammorbidirsi. “Guarda come sei conciato… dai, vieni di là…”
Gli si avvicinò per offrirgli appoggio e lui la ghiacciò con lo sguardo.
“Oh, è vero, Draco Malfoy non accetterebbe mai l’aiuto di una mezzosangue.” Esclamò cupa, facendogli strada. “Come ho fatto a dimenticarlo?”
Al suono di quelle parole Draco sembrò colpito, ma la ragazza non poteva rendersene conto, dato che era davanti a lui; facendosi forza - il che era tanto, vista la forza che gli era rimasta, cioè niente - la seguì pensando che dopo quei pochi metri si sarebbe potuto sedere un secondo, poggiandosi le mani sul fianco dolorante, senza fiatare. Rimase ad osservarla mentre lei frugava nel grande armadio presente in un angolo della stanza.
“Dov’è finita? Ah, eccola…” Estrasse la testa castana dall’armadio osservando compunta una coperta colorata.
Dall’aria calda ed invitante, si costrinse ad ammettere Draco.
La ragazza si voltò decisa e gliela porse.
“Aspettami qui, vado a cercare il kit per le medicazioni.”
Rimanendo ancora nel più assoluto silenzio, il ragazzo la attese pazientemente, probabilmente troppo stanco per parlare o anche semplicemente riflettere. Chiuse gli occhi, respirando lentamente, le mani ancora premute sul fianco dolorante. Aveva una sete tremenda, conseguenza della cospicua perdita di sangue che aveva subito; il fianco gli bruciava con aggressiva violenza, aveva ancora quelle maledette vertigini, ma preferì godersi il rumore, ormai lontano, dei tuoni e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, il calore di una vera casa. Tutto infatti in quella casa sembrava trasmettere una sensazione di affetto, di calore umano, di appagamento… proprio quello che lui non aveva mai conosciuto. Non erano solo e semplicemente le numerose foto della Granger e dei suoi due amici, compresa la sorella minore di Weasley, non era semplicemente il fuoco che la ragazza aveva acceso magicamente nel caminetto, poco prima di uscire dalla stanza, non era semplicemente la coperta che si era limitato a poggiarsi sulle spalle, dato che il dolore al fianco aveva preso il sopravvento e gli impediva qualsiasi altro movimento… era qualcosa di diverso, che Draco Malfoy non comprendeva appieno e che, quindi, non avrebbe saputo neppure spiegare. Era qualcosa di grande, di immenso… qualcosa che lo sconvolgeva, gli intorpidiva i sensi, ma gli faceva anche piacere; era come respirare un’aria nuova, come essere in un paese straniero dalla bellezza incredibile e non saper capacitarsi come tutto ciò sia possibile. Non è possibile spiegare a parole qualcosa del genere, ma lì, ad occhi chiusi, Draco pensò quasi di aver compreso cosa significasse la parola ‘calore’ e cosa la gente comune intendesse per ‘calore umano’.
Il senso di nausea non era ancora passato quando Hermione Granger fece ritorno.
“Ecco…” Disse bloccandosi subito dopo. “… ma…?”
Draco Malfoy, l’arrogante ragazzino viziato dei tempi di Hogwarts, era seduto sul divano, dove lei stessa gli aveva detto di accomodarsi, con il capo leggermente reclinato all’indietro, gli occhi chiusi, i capelli bagnati ancora appiccicati sulla sua fronte. Il suo torace si alzava e si abbassava ritmicamente, in sintonia con il suo respiro, che sembrava essersi fatto sottile e leggero; delle gocce di acqua erano scivolate dal viso lungo il collo dalla pelle candida. Sembrava realmente un angelo, nonostante l’aspetto ancora un po’ sinistro.
Improvvisamente aprì un occhio e fissò accigliato la ragazza che lo stava osservando sulla soglia, inarcò poi le sopracciglia con fare enigmatico e rialzò il capo.
“Che hai da guardare, Granger?”
Se solo fosse così angelico anche nella vita di tutti i giorni…
“Niente.” Ribatté lei con finta decisione, chinandosi davanti a lui e frugando nella cassetta dei medicinali, pregando affinché i suoi capelli bagnati coprissero a quegli occhi di tempesta il rossore che le aveva imporporato le gote. “Sei ferito?” Domandò senza alzare lo sguardo.
“No.” Mentì in risposta lui.
La ragazza allora lo guardò negli occhi, ancora qualche traccia di rossore sulle guance.
“Fammi vedere…” Mormorò poggiandogli una mano sotto il mento e voltandolo con delicatezza prima a sinistra, poi a destra. “Sembrerebbe di no, ma sei così pallido… più del solito.”
“Grazie.” Commentò sarcasticamente lui.
Hermione si rialzò in piedi poggiando la cassetta per le medicazioni sul divano, al fianco del ragazzo.
“Fai meno il sarcastico, Malfoy,” Esordì sfoderando placidamente la bacchetta e puntandogliela contro. “Non mi piace il sarcasmo fuori luogo.”
“Non ti è mai piaciuto.” Replicò lui calmo.
La ragazza si concesse un debole sorriso ed un’ironica alzata di sopracciglia.
“Esattamente.” Mosse di poco la bacchetta, ancora puntata contro il viso del giovane. “Intendi collaborare?”
“Non avresti mai il coraggio di usarla contro di me, Granger, non è nell’indole di voi Grifondoro: come potreste mai attaccare un ragazzo ferito e bisognoso del vostro aiuto?” Quella nota sarcastica vibrava ancora nel suo tono, nei suoi occhi una rabbia sorda ed attutita dal dolore fisico – e non solo –, tuttavia mista ad un certo divertimento. “Scommetto che non potresti…”
La ragazza non lo lasciò terminare, fece un rapido movimento con il polso della mano. “Revelo.” Sussurrò.
Draco istintivamente socchiuse gli occhi: aveva capito male o Hermione Granger lo stava attaccando? Quando però riaprì gli occhi assunse un’espressione mista tra rabbia e sorpresa: un alone di luce rosa acceso volteggiava nell’aria all’altezza del suo fianco destro ed attorno al suo piede sinistro.
“La prossima volta parla meno ed agisci di più.” Disse Hermione, con un sorrisetto furbo sul viso.
“Che razza di scherzo è questo?” La sua voce era bassa e nonostante fosse accigliato non sembrava veramente arrabbiato.
“Avanti, Malfoy, non prendertela. Non volevo spaventarti, è un semplice incantesimo che indica dove sei stato colpito. Di solito si usa con le persone prive di senso per poterle medicare, ma dato che tu non collabori…”
L’unica risposta che ebbe da lui fu un cupo “Sarò io a spaventare te, Granger, se non farai sparire questo fumo entro cinque secondi.”
Hermione non si scompose minimamente, anzi, iniziò a trafficare con delle bende all’interno della tanto famosa cassetta per le medicazioni e si avvicinò al ragazzo; quando gli fece cenno di togliersi tutto ciò che impediva la visita della ferita, lui rimase impassibile a fissarla con i suoi occhi glaciali. Un Malfoy non si sarebbe mai e poi mai fatto aiutare da una ragazza. Figuriamoci da una ragazza Grifondoro… non una Grifondoro qualsiasi, ma Hermione Granger, la petulante secchiona di Hogwarts che non aveva altri amici se non quei due deficienti di Potter e del suo sguattero Weasley!
“Non costringermi a farlo, Malfoy.”
“Non ho bisogno del tuo aiuto.”
“Questo dobbiamo ancora vederlo.”
Poggiò le bende sul cuscino del divano e prese con fermezza un lembo della felpa che indossava il ragazzo, dopo aver scostato la coperta ed il mantello ormai ridotto come uno straccio.
Ovviamente la reazione di lui non tardò ad arrivare, con la conseguenza che una tirava da una parte, uno dall’altra, nonostante Draco fosse sempre più dolorante per via della ferita.
“Molla, Granger!” Ringhiò lui alzandosi in piedi a fatica: il suo orgoglio era capace di vincere qualsiasi ostacolo, di abbattere qualsiasi barriera.
“No, molla tu, Malfoy!” Protestò Hermione accigliata, cercando di alzargli la felpa a tradimento. “Non fare il bambino!”
“E tu fatti gli affari tuoi!” Con un gesto brusco si riabbassò la felpa in tempo perché la ragazza non potesse scorgere la ferita. “Piantala!”
“Sei peggio di Ron!” Mugugnò Hermione cercando di coglierlo alla sprovvista. “Che vuoi che ti costi sfilarti questa benedettissima felpa e farmi vedere la ferita?”
Così dicendo afferrò il lembo opposto a quello trattenuto dal ragazzo, la cui mano ‘libera’ era occupata a trattenere il braccio sinistro della sua ‘avversaria’, e lo sollevò con uno strattone fiero e deciso; Draco si voltò di scatto cercando di riabbassarsi la felpa, ma così facendo urtò Hermione che cadde in terra trascinandoselo dietro.
E certo mai Hermione si sarebbe aspettata di trovarsi distesa in terra, con sopra di sé Draco Malfoy.
Senza volerlo, si trovò a rimirare quel viso appuntito con troppa attenzione…
Non ho mai fissato nessuno così. Ma che mi prende?
… a guardare in quegli occhi grigi e profondi…
… questi occhi…
… si sentì arrossire senza poter fare assolutamente nulla per impedirselo.

*** *** ***

I due ragazzi camminavano parlottando sul vialetto innevato, i loro piedi lasciavano una dolce e lunga traccia di passi nella neve candida alle loro spalle; avevano entrambi le guance arrossate per il freddo, per il vento, e le labbra leggermente livide… eppure i loro occhi esprimevano tutt’altro. Esprimevano una sensazione di calore fino ad allora sconosciuta, o quasi. La ragazza, abbassando lo sguardo come sempre, quando si sentiva in imbarazzo, si sistemò una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio sinistro.
Questa sensazione è nuova, per me… non ho mai provato qualcosa di simile e non voglio smettere di provarla per nulla al mondo. Vorrei che questi momenti potessero durare per sempre.
Harry si fermò, imitato dalla ragazza che si voltò ad osservarlo ancora leggermente imbarazzata.
“Ginevra?”
Il mio nome detto da lui… suona così dolce…
Ginny lo guardò perplessa.
“Sì?”
“Sono contento che tu sia rimasta con noi.”
… oh.
Dalle labbra di Ginny non uscì una singola parola, il suo corpo non fece il minimo gesto lì per lì, sul momento. Vide solo l’immagine di Harry offuscarsi leggermente e chinò il capo, con vergogna, per non fargli vedere quelle lacrime di felicità.
Il ragazzo in un secondo le fu nuovamente vicino, poggiandole una mano sulla spalla tremante, i suoi occhi verdi sembravano preoccupati.
“Che succede, Ginny? È stato qualcosa che ho detto?” Domandò chinando leggermente il viso verso di lei.
La ragazza scosse la testa, il volto ancora nascosto tra le piccole mani infreddolite.
Dev’essere un sogno.
“No, scusami, Harry… è che io…”
Devo dirglielo, ora o mai più… devo fare qualcosa! Okay, ce la posso fare…
Fece il grande errore di sollevare lo sguardo, incrociando ancora una volta quello dolce del ragazzo. Si era sentita quasi sicura di quello che stava per dire come mai nella sua giovanissima vita, ma quando si trovò davanti al fatto compiuto sentì le sue sicurezze sgretolarsi, crollare, cadere come un castello di carte scosso da un alito di vento più forte di loro; avrebbe tanto voluto dirgli qualcosa, anche una piccola cosa che gli facesse intuire quanto lui significasse ancora per lei, eppure non riusciva ad emettere alcun suono, le gambe sembravano intorpidite ed il fatto che una mano del ragazzo fosse ancora sulla sua spalla non aiutava di certo.
“… Io…”
Non ce la faccio, io non ci riesco…
Sentì gli occhi bruciarle per la delusione, le lacrime spingevano prepotentemente per uscire, nonostante Ginny stesse facendo del suo meglio per impedirlo.
“Io…”

Maledizione, Ginny, smettila di ripetere ‘io’ come una deficiente! Sei una stupida!
Si asciugò gli occhi con la mano destra, il capo reclinato nuovamente, nuove lacrime sulle guance.
Non capì più nulla di quello che stava succedendo attorno a lei quando sentì le braccia di Harry attirarla leggermente verso di lui e stringerla dolcemente al suo petto. Strinse con una mano la giacca del ragazzo, bagnata di neve, singhiozzando sia per la delusione verso se stessa, sia per quella fortissima emozione, per quel gesto che mai Harry le aveva rivolto, per quel gesto che significava così tante cose tutte assieme.
“Calma, Ginny… non è successo niente, shh…” Sussurrava Harry con gli occhi socchiusi, sentendo dentro di sé un tepore e sapendo che, finché fosse rimasto con lei, quel tepore non si sarebbe mai estinto, né tanto meno alleviato. “Non è successo niente, sei solo un po’ nervosa per tutto quello che è successo…”
“Mi dispiace, Harry…” Sussurrò lei tra i singhiozzi. “… sono solo un peso per voi…”
Il ragazzo prese a carezzarle dolcemente il capo.
“Non è vero, non sarà mai così…” Mormorò lui candidamente. “Io ti voglio bene, noi ti vogliamo bene…”
… io ti amo, Harry…

*** *** ***

I due si separarono impacciati, entrambi rossi in viso, cercando di non incrociare gli sguardi, rimasero in silenzio per un poco.
“Ehm…” Fece Harry, dopo un po’, grattandosi la testa e scompigliando così i suoi capelli già abbastanza scompigliati per natura. “… andiamo a casa?”
Ginny poteva ancora percepire quell’ondata di calore.
“S-sì…”
Mentre camminavano verso casa, Ginny Weasley, diciassette anni, pensò che, nonostante il ragazzo dei suoi sogni non avesse detto di essere innamorato di lei, ma di volerle semplicemente bene (Semplicemente? Per Ginny era una cosa eccezionale!), le cose cominciavano finalmente a non andare poi così male.

*** *** ***

Sapeva benissimo che le sue guance erano andate in fiamme e questo la rendeva ancora più arrabbiata, tuttavia non riusciva a distogliere lo sguardo da quegli occhi di ghiaccio che avevano la capacità di paralizzare, quegli occhi che un mese prima l’avevano sconvolta per la sensazione di tremenda tristezza che trasmettevano, quegli occhi cui non aveva mai fatto caso finché era stata a Hogwarts e che ora, ironia della sorte, sembravano in grado di trasmettere emozioni così forti da impedire a chi li osservasse di poter ribattere ad una qualsiasi osservazione: l’intensità delle emozioni trasmesse da quegli occhi grigi, strani ma bellissimi, esprimevano perfettamente il dolore che quel ragazzo neppure diciannovenne aveva ricevuto nella sua vita. In quel momento gli occhi del ragazzo erano fissi in quelli di lei, né spalancati per la sorpresa, né socchiusi.
Ma che cavolo fa? Perché non si sposta?!
“Complimenti, Granger, guarda che hai combinato…” Disse improvvisamente il ragazzo biondo mentre alcune gocce scivolavano lentamente dai suoi capelli sul viso di Hermione.
Mi sta prendendo in giro?
La ragazza riacquistò la forza d’animo che l’aveva sempre rappresentata ed incrociò le braccia sul petto, in segno di intransigente attesa.
“Ti spiacerebbe spostarti?”
“Nessun problema…” Rispose lui, però spostandosi avvertì una fitta più forte delle altre al fianco e dovette poggiarsi con la schiena al divano, gli occhi chiusi, la bocca leggermente incurvata in un’espressione di dolore
Hermione si mise seduta, portandosi i capelli bagnati dietro le orecchie, sperando che il rossore dal suo viso fosse sparito, ma quando tornò a fissare accigliata il ragazzo si dimenticò di tutto: la felpa che aveva in mano e che apparteneva al giovane era intrisa di sangue sulla parte destra e Draco, sempre con gli occhi chiusi, quasi a volersi concentrare per eliminare o alleviare almeno in parte la sofferenza, si teneva le mani premute su di una zona più sopra del fianco, più o meno all’altezza della vita, dove la sua pelle candida si macchiava con prepotenza di rosso.
“Oh mio Dio…” Sussurrò avvicinandoglisi con cautela. “Chi ti ha ridotto così?”
“Secondo te?” Fece lui con voce bassa, intimandole con lo sguardo di stare lontana.
“Non ci posso credere… sono stati i Mangiamorte dell’altra volta?” Continuò Hermione, imperterrita.
Draco richiuse gli occhi, colpito da un’altra fitta.
“Con l’aiuto di mio padre,” Precisò. “ma già che hai combinato tutto questo casino, che ne dici di fare qualcosa per aiutarmi?” Ringhiò poi lanciando un’occhiata alla valigetta del pronto soccorso.
Hermione seguì lo sguardo del ragazzo e prese la valigetta tra le mani.
“Giusto… però credo che dovresti andare all’ospedale…”
Draco irruppe in una risata sarcastica, molto trattenuta, a dire il vero, perché la ferita bruciava da impazzire.
“Certo, per poi essere schedato come Mangiamorte nella migliore delle ipotesi ed essere spedito ad Azkaban! Oppure potrei farmi direttamente schedare, ricoverare e scoprire così da mio padre e i suoi amici… come ho fatto a non pensarci prima? Granger, tu sì che sei un genio!”
“Ma tu non sei un Mangiamorte… no?” Ribatté la ragazza ostinatamente, memore del ‘discorso’ che avevano avuto al parco un mese prima. “Perché dovrebbero schedarti come tale?”
Lui aprì gli occhi lentamente e quelle sue iridi grigie sembrarono trapassarla da parte a parte, e questa volta fu il ragazzo a distogliere lo sguardo.
“Io non lo sono. Ma per loro sì. Sono un Malfoy, ricordi?”
Hermione scosse il capo.
“L’avevo dimenticato…” Mormorò iniziando a medicarlo con cautela e riuscendo con la magia e fermare l’emorragia, arrendendosi a quelle sue motivazioni più che logiche e convincenti.
Lui fece una smorfia di dolore solo quando fu certo che la ragazza non potesse vederlo, dopodiché, dopo un breve ma intenso silenzio, parlò.
“Perché sei venuta a cercarmi?”
Hermione si bloccò istantaneamente.
“I-io?”
“No, tua sorella gemella.” Sbottò lui, mentre Hermione riprendeva il suo lavoro. “Certo che mi riferisco a te, Granger!”
La ragazza scosse impercettibilmente il capo, facendo dondolare di poco i suoi capelli castani.
“Non ero venuta a cercare te.” Mentì.
“Ah no?” Fece lui con le bionde sopracciglia inarcate fino a fargli assumere un’espressione di puro ed estremo scetticismo. Sembrava aver ripreso le sue forze… doveva essere abituato ad attacchi del genere. “E che ci facevi con quel tempo, al parco, da sola? Andavi a cogliere funghi? Di questa stagione, poi, la vedo difficile…”
Hermione sollevò il viso, stavolta non era arrossita.
“Il tuo sarcasmo comincia a stancarmi.” Dichiarò diplomaticamente. “E comunque ero venuta per riportarti il mantello che mi avevi prestato… l’altra volta.” Parlò velocemente, quasi come a voler nascondere un qualcosa.
“Oh.” Fu l’unico commento del ragazzo.
Si fissarono in silenzio per una manciata di secondi, i grigi occhi di Draco sembravano poterle leggere dentro… non diceva nulla, non faceva nulla, eppure quel suo semplice sguardo metteva a nudo la sua anima e così, senza saperne il perché, Hermione si trovò a sussurrare.
“E…”
“E?”
Lei deglutì incerta e decisa al tempo stesso, lacerata da questi due sentimenti così contrastanti, così diversi tra loro, opposti.
“Parlami ancora.”
Sul viso di Draco nulla cambiò, ma un qualcosa sembrò passare in quegli occhi ormai non più così gelidi, ma così pieni di emozioni, così ricettivi…
“Parlami ancora… perché io devo sapere cosa abbiamo sbagliato in tutti questi anni.” Aggiunse Hermione, sentendosi improvvisamente rilassata quando notò un’ombra di sorriso sulle labbra del ragazzo. “Dimmi cos’altro non ho saputo vedere… fammi capire il tuo punto di vista, in modo che io possa correggere i miei errori e non commetterne più.”
“Va bene, Granger.” Dichiarò lui mettendosi seduto e finendo di sistemare con la magia e le forze recuperate la bendatura che la sua ‘salvatrice’ aveva lasciato a metà. “Forse anche tu potrai insegnarmi qualcosa.”
Stavolta il suo viso fu letteralmente illuminato da un sorriso un po’ beffardo, un po’ aggressivo, ma insicuro e stranamente conciliante al tempo stesso. Un sorriso bellissimo.
Quello era decisamente un sorriso, non semplicemente un’ombra di sorriso.

I lie down and blind myself with laughter
A quick fix of hope is what I'm needing



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Capitolo 5
*** Le parole che non so dirti ***





Capitolo 5° “Le parole che non so dirti”

I lie down and blind myself with laughter
A quick fix of hope is what I'm needing


I suoi enigmatici occhi grigi sembravano essersi impadroniti di quelli della ragazza che, in assoluto silenzio, lo osservava come se da quella mancanza di dialogo potesse scaturire un qualcosa di speciale che lei riusciva in un qualche modo ad intuire, a comprendere. Hermione Granger voleva veramente parlare ancora con Draco Malfoy, voleva così intensamente rimediare agli errori del passato e capire come tutto potesse essere andato storto. Rimproverandosi mentalmente di non essersi mai soffermata a pensare sulla situazione del ragazzo e senza riuscire a distogliere lo sguardo da quegli occhi, lo sentì parlare con calma e precisione.
“Devo dire che ormai avevo perso tutte le speranze, Granger.”
Hermione si accigliò leggermente con perplessità.
“Che intendi dire?” domandò cautamente.
Il ragazzo sorrise brevemente senza smettere di fissarla negli occhi: quello sguardo era così penetrante da risultare persino indisponente, gliel’avevano detto spesso, ne era perfettamente cosciente.
Indisponente in una situazione qualsiasi e con una persona qualsiasi… molto spesso mi è capitato di sentirmi dire che il mio sguardo mette a disagio, eppure Granger non sembra provare questa sensazione…
“Non credevo più che qualcuno potesse anche semplicemente voler provare a capire.” Rispose con voce bassa, ma sempre imperturbabile.
E d’un tratto Hermione capì la natura di quello sguardo che a Hogwarts - e non solo, immaginava - aveva suscitato tanti sospiri, sì, ma anche tante lamentele: per tutti si era sempre trattato di uno sguardo provocatorio, aggressivo ma nel contempo freddo e distaccato, estremamente indagatore ed indisponente. Ma adesso Hermione ne capiva la vera natura: era uno sguardo di rimprovero. Rimprovero verso tutti, verso tutti quelli che non avevano neppure mai tentato di capire, che si erano fermati alle apparenze, che l’avevano lasciato scivolare giù, sempre più giù, in quel baratro senza fondo che odorava terribilmente di tenebra. Ancora una volta la ragazza avvertì una stretta all’altezza dello stomaco: senso di colpa. Quello era senso di colpa.
“Io lo voglio.” Disse, sforzandosi di non manifestare più di tanto quella sensazione di ansia che la attanagliava.
Draco si sistemò una ciocca di capelli biondi che gli era scivolata davanti agli occhi e respirò profondamente, sempre con la solita calma, quasi esasperante per Hermione che si sentiva così piena, così carica di emozioni contrastanti. Un’altra occhiata di quelle sue solite, travolgenti, piene di emozioni. Erano particolari: non erano solamente piene di emozioni proprie di Draco Malfoy, ma erano anche piene di quella stranissima ed a volte scioccante capacità di far nascere emozioni così terribilmente forti e prepotenti nell’anima di chi riceveva tale sguardo.
“Non sia mai che sprechi un così esplicito gesto di buona volontà.” Replicò con quella calma invidiabile.
Ci fu una pausa silenziosa, una lunga pausa silenziosa in cui i due giovani rimasero ad osservarsi negli occhi senza produrre il minimo rumore; gli unici suoni presenti erano il placido scoppiettare del fuoco nel camino, il ticchettio della pioggia sui vetri delle finestre che, persino all’orecchio di Draco, sembrava essere ormai dolce e non più freddo e terrificante, e quello dei loro respiri: quello un po’ pesante di Draco, affaticato dalla lotta appena sostenuta e dalle ferite da poco medicate (tant’è che Hermione, in un lampo di lucidità mentale, si stupì di come riuscisse ancora a rimanere padrone dei propri sensi e non perdere conoscenza), quello leggermente accelerato di Hermione, sempre più nervosa. Ma in quella pausa c’era un qualcosa di accomodante, avrebbero giurato i due ragazzi, qualcosa di rassicurante e persino tranquillizzante: nessun imbarazzo, nessuna sensazione di disagio, nessuna assurda convinzione di dover dire a tutti i costi qualcosa, finendo poi col dire cose estremamente sciocche. No, niente di tutto questo: era come se una vecchia coppia di amici si fosse finalmente ritrovata dopo tanto, tantissimo tempo; due amici che si conoscevano, si capivano, due amici per i quali le parole erano gingilli superflui, quasi fastidiosi, da utilizzare solo in caso di estrema necessità… e, Dio, quant’era semplice e bello poter rimanere così in silenzio senza sentirsi imbarazzati, anzi, persino con la sensazione di essere stranamente compresi e di comprendere a propria volta. Non una comprensione superficiale, un qualcosa di profondo, qualcosa che senti dentro il cuore, dentro l’anima, qualcosa che se esaminata bene ti fa venire i brividi e la pelle d’oca: com’è possibile? Tutti si chiederebbero come possa essere concepibile – e soprattutto possibile - che qualcuno a questo mondo riesca a provare i nostri stessi sentimenti. E questo era esattamente ciò che stavano pensando entrambi. Com’era possibile che da quei pochi, e per di più insoliti, incontri l’uno potesse aver compreso l’altra? E come poteva essere possibile riuscire a trasmettere tutto ciò tramite un semplice sguardo?
In un pianeta così vasto, in un mare di persone così differenti tra loro… io ho incontrato qualcuno che prova i miei stessi sentimenti anche se in termini diversi, quasi le mie stesse paure…
Hermione scosse la testa con decisione a quel pensiero.
“No…” Mormorò inconsciamente.
Draco inarcò un sopracciglio, gesto tipico della sua personalità dalle mille sfaccettature delle quali Hermione riusciva ad intravederne appena qualcuna: quanto poteva essere complesso un essere umano? E quante persone diverse poteva saper essere Draco Malfoy? Fino a quanto e fino a quando avrebbe seguitato a sorprenderla in tal modo? Quel tono di voce usato fino a poco prima… quegli sguardi… quell’atteggiamento in sé e per sé… non erano assolutamente quelli che Hermione aveva avuto modo di conoscere e disprezzare lungamente ai tempi di Hogwarts. Draco si era dimostrato un ragazzo coraggioso ed in un certo senso altruista (anche se Hermione si sentiva ancora strana al pensiero di associare le parole ‘Draco Malfoy’ e ‘altruista’, pur sapendo di sbagliare… ormai era questione di intuito), ma era stato anche freddo, duro e cinico; quella sera, ancora, aveva mostrato (anche se sfuggevolmente) il suo lato insicuro (Hermione l’avrebbe giurato: in quel mare di amarezza si nascondeva un’anima molto insicura), triste, addolorato… ed ora questo qui. Questo Draco comprensivo, conciliante. Con quel tono di voce caldo, profondo, che sfiorava terribilmente il dolce, in un miscuglio dal complessivo retrogusto agrodolce. Da dove spuntava fuori?
Chi sei veramente, Draco Malfoy?
“No?” La voce del ragazzo interruppe con una certa delicatezza il flusso disordinato dei pensieri di Hermione che distolse in fretta lo sguardo. “Mi sfugge il senso di quel ‘no’…” Continuò Draco, senza però sembrare innervosito o alterato, anzi: sembrava terribilmente a suo agio.
“Era solo la fine, l’epilogo di un pensiero formulato tra me e me che è venuto alla luce.” Rispose Hermione, soppesando le parole senza alcun motivo apparente.
“L’epilogo di un pensiero…” Rifletté lui, alzando lo sguardo verso il soffitto. La ragazza seguitava a starsene seduta in ginocchio davanti a lui. “Che genere di epilogo?”
Hermione abbozzò un mezzo sorriso.
Incertezza.
“Decisamente scoordinato e fastidiosamente enigmatico.” Rispose.
Incertezza. Esattamente lo stesso, per me.
Queste poche parole attraversarono la mente del ragazzo biondo in quella manciata di secondi che gli ci volle per registrare il discorso della sua interlocutrice.
“Ed anche piuttosto indisponente, giusto?” Domandò con un sorriso ironico. Lei tornò ad osservarlo e stavolta si sentì misteriosamente più leggera. E sorrise.
“Esattamente.”
Anche tu hai sorriso, adesso.
E non era uno di quei sorrisi con i quali erano stati soliti schermarsi negli anni passati. Dopo di lui, dopo che Draco aveva abbandonato quell’ombra di sorriso per adottarne uno in piena regola, anche Hermione Granger si scioglieva in un semplice e casto sorriso. Draco aveva molto intuito, l’aveva sempre avuto: sotto quella veste di ragazza intelligente e iper razionale si nascondeva qualcosa, qualcos’altro, qualcosa che la tormentava e probabilmente l’aveva sempre tormentata, qualcosa che, prima o poi, sarebbe venuto alla luce e se Hermione Granger non avesse imparato a controllarla ed a fare qualcosa per se stessa, questo qualcosa avrebbe potuto avere conseguenze a dir poco disastrose sia su lei, in primis, sia sul rapporto che aveva con le altre persone. Anche a scuola la personalità apparentemente ‘semplice’ di Hermione Granger (che tutti consideravano una le cui priorità erano lo studio, i voti, le regole) l’aveva sempre incuriosito, non che l’avesse mai dato a vedere, figuriamoci!, eppure dietro quei libroni polverosi, dietro quella parlantina dalla velocità pressappoco insostenibile, lui percepiva che si dovesse nascondere qualcosa. Ancora quel qualcosa che forse era proprio lei a voler nascondere.
Vivere con le orecchie tappate, gli occhi chiusi, non voler sentire né vedere, specialmente i nostri punti deboli. Precisamente quello che faccio io.
“Questa dev’essere la giornata delle sorprese: io e te siamo sulla stessa frequenza d’onda.” Aggiunse Draco, cercando di sondare l’eventuale reazione della ragazza, reazione che non tardò ad arrivare.
Lei non arrossì, né trasalì a quel pensiero. Semplicemente sorrise ancora, con aria distratta, come se quello, il fatto che Hermione Granger e Draco Malfoy si trovassero d’accordo in tutto e per tutto su di un argomento, fosse una cosa ormai logica, appurata, quasi scontata.
“Eh già. La stessa frequenza d’onda…” Ripeté lei, immersa nei propri pensieri. “E pensare che abbiamo passato sette anni sotto lo stesso tetto, senza mai renderci conto di questo.” Un sorriso amaro e dolce allo stesso tempo. “Che spreco.”
Forse è questo ciò che la gente chiama ‘fato’, forse è per questo che la gente non si capisce e arriviamo al punto di pensare che nessuno possa capirci, arriviamo a quel doloroso punto di rottura e cominciamo a non credere più in nulla.
“Tutte quelle liti saranno state uno spreco?” La domanda di lei lo prese in contropiede.
“Uno spreco?” I suoi occhi si soffermarono sulle proprie mani. “No. Non credo. A qualcosa sono serviti.”
La ragazza inclinò leggermente il capo a sinistra.
Sì. Sono serviti a farci intuire tutto questo e quanto tutto quello fosse sbagliato.
“Concordo.” Replicò Hermione senza battere ciglio. “Ancora una volta.”
“La cosa comincia a farsi sospetta, Granger.” Ironizzò lui, appoggiando la testa all’indietro sullo schienale del divano dove ancora si trovava.
Fu allora che Hermione realizzò e registrò con stupore il fatto: Draco Malfoy non l’aveva ancora chiamata ‘Mezzosangue’ e, sinceramente, non sembrava intenzionato a farlo (non che da lui non ci si potesse aspettare un repentino e sconvolgente cambio d’umore, come quando, dopo il salvataggio dal molestatore ubriaco, avevano incontrato Ron). Non c’era stato qualcosa che le aveva fatto scattare la molla, la scintilla nella testa, non c’era stato nulla che le aveva fatto collegare l’attuale situazione a quella passata, in cui lui le rivolgeva sempre parole piene di disgusto, e lo stesso faceva lei. Semplicemente le aveva catturato l’attenzione.

*** *** ***

Quel silenzio imbarazzato che aveva tanto temuto era sceso su di loro e Ginevra Weasley si trovava a camminare dietro il ragazzo nell’agitazione più completa. Il silenzio non le piaceva. Ovvero, le piaceva, ma non in quella situazione, non con quella persona!
Sentiva come la strana necessità di parlare… e sapeva bene perché. Oh, eccome se lo sapeva! Sentiva la necessità di parlare per il semplice fatto che era perfettamente conscia di non essere riuscita a dire o fare nulla che gli facesse capire quali ancora fossero i suoi reali sentimenti. Ora che ci pensava, non l’aveva neppure ringraziato. Non aveva fatto nulla.
Che razza di pappamolle…
E così si limitava a camminare leggermente più indietro rispetto a lui che seguitava ad andare, con le mani in tasca, sembrando imperturbabilmente calmo. Poi Harry si voltò di profilo per vedere dove fosse la ragazza e lei poté intravedere ancora quello sguardo, quella luce nei suoi occhi smeraldini. Fu allora che Ginny si rese conto di quanto invece potesse essere bello quel silenzio.
Camminare insieme senza l’obbligo di dirsi nulla, eludendo la paura di dire qualcosa di strano o di sbagliato che avrebbe potuto incrinare se non addirittura rompere definitivamente la magia di quel momento, limitarsi a concentrare le proprie attenzioni sui propri pensieri, sui propri sentimenti, niente di più. Perché in fondo la cosa importante era stare insieme. E Ginny sorrise, rendendosi conto di essere in un certo senso cresciuta: non si sentiva più a disagio con Harry, si sentiva semplicemente agitata, ma agitata in modo felice, quando lui le era vicino, e quel batticuore inarrestabile, quel nodo alla gola, quella sensazione di leggerezza e di tranquillità nel senso più profondo del termine… era semplicemente il frutto dell’amore che provava per lui. E, sì, decisamente poteva accettarlo. Fino al giorno in cui non avrebbe trovato il coraggio di dichiarargli tutto l’amore che provava, avrebbe assaporato questa magica sensazione che sentiva tutta sua, esclusivamente sua, sognando il momento in cui, finalmente, il suo cuore si sarebbe aperto e tutto sarebbe venuto alla calda luce del sole.
Per ora va bene così, va bene così… io e lui, niente di più. Ancora per un po’ posso custodire per me le parole che non so dirti.
Accelerando di poco il passo si accostò al ragazzo che si voltò nuovamente ad osservarla. Inutile dire che Harry si sentì caldamente gratificato quando la vide voltarsi a sua volta e regalargli uno splendido sorriso. Un sorriso timido, okay, sempre con quel suo tipico rossore in viso, ma un sorriso interamente per lui.
Rispose al sorriso e rimase a godersi il silenzio e l’intimità di quegli attimi.
Le parole che non so dirti.

*** *** ***

Un passo dopo l’altro, mossi con una decisione dettata dal freddo, dalla grande voglia di tornare a casa, in quella casa così calda ed accogliente; Ron Weasley stava tornando a casa dopo una dura giornata ‘di lavoro’. In realtà era stato convocato dal suo superiore per parlare di una questione particolare, di strani avvenimenti che si stavano verificando in città, nel loro stesso quartiere, stranamente nei pressi del parco dove, qualche tempo prima, aveva trovato Hermione in compagnia di Malfoy: si diceva che da quel luogo ogni tanto, di notte, provenissero suoni sinistri e luci innaturali, anche se flebili, e che qualche volta la gente scomparisse, entrandovi. Certo, non si poteva fare totalmente affidamento sulle testimonianze dei pochi passanti (perlopiù barboni, spesso e volentieri brilli) dato che lì attorno, nelle più immediate vicinanze, non c’erano case, eppure Ron sentiva che ci doveva essere qualcosa di strano.
Poteva chiamarlo intuito, poteva chiamarlo sesto senso, ma percepiva chiaramente quella particolare sensazione che si percepisce quando si sa, in un certo modo, che qualcosa sta andando storto. Ron aveva quasi diciannove anni e non poteva vantarsi di un’adolescenza all’insegna della perspicacia e della prontezza; tutti ancora lo ricordavano come il Ron ingenuo, semplice e proprio per questo simpatico, dei tempi di Hogwarts, ma dentro di lui era cambiato qualcosa di importante: da quando era scoppiata la guerra, aveva preso sulle proprie spalle molte incombenze. Non che gli fosse stato chiesto ciò, ma si sentiva in dovere di farlo. Di fare cosa? Di proteggere sua sorella minore, di vivere autonomamente senza pesare inutilmente sui propri genitori, di proteggere i suoi stessi genitori (ed era per quello che non passava giorno senza che li sentisse, che non passava settimana senza che li andasse a trovare) e da qualche tempo si era aggiunto il nuovo sentimento di proteggere ed aiutare anche un’altra persona, forse la più importante della sua vita.
Se lei avesse sentito questi miei pensieri anche solo due anni fa, sono sicuro sarebbe scoppiata a ridere.
Un sorriso distratto si distese sulle sue labbra, pallide per il freddo. Non si sentiva obbligato a proteggerla, non obbligato da qualcosa: lui voleva con tutto se stesso riuscire ad esserle accanto, ad essere sempre presente qualora lei ne avesse voluto bisogno; Ron voleva con ogni fibra del suo essere riuscire a diventare un punto fermo per lei, una persona su cui contare, con cui potersi sfogare… voleva riuscire a ripagare Hermione per tutti quegli anni di errori e di amicizia mal ricambiata.
Voleva che Hermione contasse su di lui, in tutto e per tutto.
“So che è una pretesa egoista…” Mormorò tra sé e sé immerso nei suoi pensieri. “… però mi piacerebbe che mi considerasse speciale, diverso da tutti gli altri.” Si fermò sospirando, ancora quella sensazione. “… Vorrei essere l’unico, per lei.”
Quella sensazione strana che si impossessava di lui ogni qualvolta pensava a Hermione la conosceva, ormai, fin troppo bene e l’amava e la detestava al tempo stesso perché quella stessa sensazione nascondeva in sé la solita paura, facendo crollare tutte le sue speranze, tutti i suoi buoni propositi di farsi coraggio come un fragile castello di carte. Non temeva l’amicizia tra Harry e la ragazza, né qualsiasi altra amicizia, ma aveva paura che qualcuna di esse potesse diventare più di quel che era… allora si diceva sempre: forza e coraggio, Ronald, fatti avanti!
“Deficiente.” Si disse.
Erano almeno tre anni che si ripeteva quella frase eppure… eppure quando lei gli era vicino, c’era sempre qualcosa a bloccarlo: poteva essere il suo sguardo, poteva essere il suo profumo, poteva essere anche il semplice suono della sua voce. Aveva paura, sì, esattamente. Paura di rovinare tutto. Hermione era una ragazza fantastica e lui… lui cos’era? A scuola non era mai stato una cima, anzi; con le ragazze non aveva avuto molte esperienze, qualche semplice avventura, sì, ma mai niente di serio perché il pensiero di Hermione aveva sempre aleggiato nella sua anima, e lui non era mai riuscito a dimenticarla, perché non avrebbe mai voluto farlo… in più era sempre stato un ragazzo immaturo e pasticcione. Questo era stato uno dei motivi che l’aveva spinto ad intraprendere il duro apprendimento da Auror, l’aveva fatto anche perché voleva dimostrare a lei - e non solo - che non era poi così inutile. C’erano stati dei miglioramenti, ma la situazione con Hermione era rimasta sempre la stessa: lui stravedeva per lei, avrebbe fatto qualsiasi cosa per farla sorridere eppure riusciva solo a litigarci. Farla arrabbiare, farla innervosire, farla scocciare, farla stancare: tutto ciò che gli riusciva. E Ron ci stava tremendamente male, ma quando c’era lei si sentiva sempre stranamente impacciato, non all’altezza della situazione e finiva sempre per comportarsi come un ragazzino di quattordici anni, finiva sempre col farsi riprendere da lei, dalla quale chiedeva solo un’occhiata di ammirazione.
Non è il momento di crogiolarsi nell’autocommiserazione, Ron. Non ti eri impegnato a diventare un punto fermo e stabile per lei? Il suo punto di riferimento? Avanti, fatti forza… almeno per una volta, vedi di raggiungere i tuoi obiettivi. Va’ da lei.
“Andiamo a casa.” Si ripeté, ritrovando un sorriso.
Custodirò con cura le parole che non posso ancora dirti, finché, quel giorno, potrò scandirle pienamente ad alta voce.

*** *** ***

Era strano vedere su quel viso un sorriso che non fosse quello abituale di scherno, in sette anni non aveva visto altro e si era quasi auto-convinta che quell’individuo non potesse concepire un qualcosa di diverso da ciò che gli era sempre stato insegnato.
Che sciocca… come se non si potesse cambiare…
“Malfoy…” Disse ad un tratto, con una leggera esitazione.
… come se non ci si potesse pentire …

Il ragazzo fece una smorfia quasi impercettibile al suono del proprio cognome: tutto ciò che gli aveva rubato la vita, un’adolescenza ed un’infanzia mai vissute.
“Hn?”
… come se una persona potesse nascere marcia, macchiata, contaminata.
“Perché?” La sua voce ebbe un fremito, sentiva improvvisamente freddo: non riusciva a capacitarsi di come avesse potuto portare avanti quella ‘scena’ per quasi diciannove anni. Com’era umanamente possibile?
“Perché cosa?”
Come se non si potesse decidere della propria vita. Non è un nome o un’idea… è quello che deciderai di fare di te stesso, dei tuoi sentimenti, che decide l’individuo che sarai. Ed a volte può non essere così facile come sembra. Mai giudicare.
… che sciocca…
Io che per prima mi arrabbiavo con chi mi giudicava senza conoscermi o senza cognizione di causa, proprio io…
Sono nauseante.

“Perché hai deciso proprio ora di ribellarti?”
Draco si voltò osservando il fuoco nel caminetto acceso, il riflesso rossastro delle fiamme giocherellava sfavillante nei suoi occhi grigi madreperlacei, e questa volta Hermione avvertì ancora più freddo. Quella era paura. Negli occhi di Draco Malfoy, nonostante il sorriso malinconico che ostentava guardando lontano, aleggiava il terrore, un’irrequietezza che, evidentemente, ancora non l’aveva lasciato in pace.
Non avrei dovuto domandarlo…
Era come se un vento gelido si fosse insinuato nel locale.
“Scu-scusa, io…”
Allora lui si voltò prendendo un profondo respiro.
“Non farmi domande a cui ora non so rispondere.” Disse, adottando un tono di voce così profondo e carico di emozione repressa che la ragazza se ne sentì totalmente avvolta. “Non pormi domande alle quali, adesso, non riesco a rispondere.”
Sono penoso.
Erano passati anni, anni che erano sembrati un’eternità dalla prima volta che aveva provato quella sensazione, eppure non aveva ancora imparato ad ignorarla; non c’era stato nulla da fare, tutte le volte, a quel pensiero, a quella sua paura, il suo grande punto debole, il suo tallone d’Achille, sentiva il gelo stringersi attorno a lui e l’aria venire a mancare, lo scoppio di quella devastante sensazione di sensi di colpa – ma perché, poi? -, di quell'asfissiante disgusto per se stessi e di quella congelante consapevolezza di non avere nessuno al mondo e di non esistere per nessuno… gli impediva di ragionare a mente lucida, cosa che era sempre in grado di fare. E ciò non poteva che innervosirlo e farlo arrabbiare con se stesso.
Dio, sono patetico oltre ogni limite.
“Va… va bene, mi dispiace, scusa. Io non volevo… avrei dovuto pensarci, sono stata una stupida.”
Lui le si avvicinò con una rapidità resa incredibile dalla morbidezza dei suoi lineari e perfetti movimenti, quasi come li avesse perfettamente calcolati tutti, la luce nei suoi occhi non si era tuttavia spenta.
Forse sapendo che non sono solo, forse…
E per l’ennesima volta Hermione rimase paralizzata, persa in quell’oceano di dolore, malinconia, dolcezza, orgoglio… in quell’oceano di sentimenti che quegli occhi potevano trasmettere. Quegli occhi, quel corpo, quella vicinanza, quel respiro, quell’essere presente – in senso metafisico -, quell’esistenza.
Sta diventando un’abitudine… non dovrei, no…
Eppure non riusciva ad interrompere quel contatto, semplicemente perché non poteva. La comprensione andava oltre gli umani limiti, e la comprensione tra due esseri umani che per anni erano stati fraintesi sembrava una cosa così sensazionale, così profonda che riuscire a spezzare il sottile filo dorato tra i due sembrava fisicamente impossibile.
Qualcuno così simile a lui, qualcuno così simile a lei, nel contempo così diversi tra loro… era come se, trovato un semplice puntino in comune, avessero scoperto di averne miliardi da condividere, ormai radicati nel profondo di loro stessi.
“Arriverà il giorno in cui potrò spiegarti le parole che, al momento, non so dirti.”
“Io sarò pronta ad ascoltarle.” Rispose lei, intuendo inconsciamente la ricerca spasmodica del ragazzo di trovare un punto di riferimento esterno, esterno al suo mondo interiore.
Forse, forse.
Si ripeté con un altro sorriso il ragazzo, meravigliandosi e godendo assieme a lei della profondità di quel contatto fino a che un rumore non fece trasalire entrambi.
“Herm?”
La ragazza in questione trasalì balzando in piedi, sbiancata totalmente in volto.
“Oh Dio… Ron!” Sibilò spaesata, il suo sguardo cadde su Draco, seduto lì vicino. “Devi nasconderti!”
Il ragazzo fece una smorfia.
“Lo so, lo so, me ne vado.”
Così dicendo si alzò e fece per dirigersi verso la finestra quando, improvvisamente, Hermione lo afferrò saldamente per un braccio tirandolo indietro con forza.
“Herm, ci sei?” Fece ancora la voce al piano inferiore.
“Non ci pensare nemmeno!” Sibilò Hermione, stringendo le mani sul mantello che Draco si era buttato sulle spalle frettolosamente. “Dove hai intenzione di andare, conciato così?”
Gli occhi di Draco avevano assunto un’altra luce, una luce calamitante che Hermione non aveva ancora sperimentato in lui, ma solo in un’altra persona, persona che in quel momento avrebbe dovuto essere in tutti i posti possibili del mondo tranne che in quello.
“E cosa vorresti fare? Farmi dormire in camera tua?” Mormorò in tono malizioso, sembrava divertirsi nel metterla a disagio in quel senso.
Difatti quando la ragazza arrossì, alzò con aria eloquente un sopracciglio.
“Malfoy, smettila di provocarmi se non vuoi trovarti Schiantato tre isolati più in là. Non è questo il momento di litigare come due ragazzini!” Borbottò osservando ansiosamente la porta chiusa e ringraziando il cielo per aver scelto di materializzarsi al piano superiore della casa piuttosto che a quello inferiore.
Il ragazzo sorrise.
“Mi scusi, signorina Granger, avevo dimenticato: lei non sopporta, anzi, detesta l’ironia, specialmente se fuori luogo.”
“Mi stai prendendo in giro?” Si accigliò.
“Fai un po’ te…” Seguitava ad ostentare quel fastidioso sorrisetto.
“E comunque io odio l’ironia solo se fuori luogo.” Puntualizzò poco prima di lasciare il suo braccio. “Aspettami qui! Mi raccomando, aspettami qui, non ti muovere, non fare gesti avventati, okay?” Fece una breve pausa. “Me lo giuri solennemente sul tuo onore di uomo, vero?”
Senza attendere risposta di alcun tipo, si precipitò al piano inferiore. Draco Malfoy respirò lentamente per qualche secondo, dopodiché cercò la propria bacchetta e rimase in silenzio, come pensando a cosa fare. Poi la puntò, svogliatamente, verso l’alto, tenendola all’altezza degli occhi, e si Smaterializzò nel silenzio interrotto dal parlottio ovattato dei due ragazzi al piano inferiore.

A quick fix of hope is what I'm needing

*** *** ***

La squadrò perplesso con cipiglio: era zuppa dalla testa ai piedi, era pallida e tremante e persino i suoi vestiti non sembravano, anzi, non erano nella migliore delle condizioni. Che cos’era successo?
“Ron?” Fece ancora lei, dopo essersi scapicollata al piano inferiore. “Oh… Ron!”
Il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia.
“Ehm… sì?”
Solo allora Hermione sembrò svegliarsi da un qualche strano torpore che l’aveva avvolta.
“Oh, sì, Ron!” Esclamò.
“Herm, stai bene? Che ti è successo?”
Fece un passo verso di lei.
“Cosa? Ah, no, niente! Non ti preoccupare… sono… sono semplicemente scivolata mentre tornavo a casa… vedi? I pantaloni si sono anche strappati.” Rispose lei con un sorriso che aveva un che di forzato, di teso. “Scusa se non ho risposto subito, ma mi ero addormentata di sopra.”
Ron continuava ad osservarla indeciso: c’era qualcosa che non andava, decisamente qualcosa che non andava, qualcosa fuori dall’ordinario svolgersi delle loro giornate.
“Sei sicura che sia tutto okay?”
Lei scosse una mano con fare svelto.
“Sì, stai tranquillo Ron.” Si strizzò i capelli bagnati cercando di guadagnare tempo e sperando che Draco, al piano di sopra, trovasse un nascondiglio adeguato “Ehm… Harry?”
“Non è ancora tornato? Si sarà fermato per strada. Sai com’è, sono stato trattenuto e gli ho detto di precedermi. Piuttosto… Ginny dov’è?”
Oh mio Dio, Ginny! L’ho lasciata lì da sola, in mezzo alla strada… mi era proprio passato di mente!!
“Ehm… stavamo tornando insieme, poi però mi sono ricordata di una cosa e ci siamo separate…”
Ron sgranò gli occhi azzurri.
“L’hai lasciata sola?”
Hermione socchiuse gli occhi, pronta al ripetersi della scena che si svolgeva abitualmente da quando Ginny si era trasferita lì da loro. Ron cominciava già ad agitarsi, parlottava freneticamente tra sé e sé e, dopo essersi nuovamente infilato il cappotto che aveva lasciato sull’attaccapanni all’ingresso, fece per uscire.
“Ron, Ginny non è più una bambina, ha quasi diciotto anni!”
“Hermione, è mia sorella.”
“Non ricominciare con quella storia, eh!” Sbottò lei, innervosita dal fatto che Ron non lasciasse mai sufficiente spazio alla sorella minore. “Sarà anche tua sorella, ma ciò non significa che sia una sprovveduta ragazzina! Sa cavarsela anche da sola, non puoi starle sempre col fiato sul collo! Questa situazione non giova né a te, né a lei.”
Il ragazzo si voltò incupito in viso.
“E allora che dovrei fare? Lasciarla sola per strada, aspettando che qualche Mangiamorte la rapisca per minacciare Harry?”
Anche Hermione cominciava ad accigliarsi.
“Ti assicuro, Ron, che i Mangiamorte non attaccherebbero Ginny nella via principale della città, proprio dietro la caserma dove vi allenate, che sanno essere sorvegliata da una trentina di Auror esperti, rischiando la cattura o, peggio, la vita. Sai che Silente ha fatto disporre adeguati sistemi di sicurezza in città, credimi, non avrei mai abbandonato Ginny nel pericolo! Per chi mi hai presa?”
“Ed allora com’è che avete visto una truppa di Mangiamorte nel bosco del parco?” Cominciava a farsi rosso in zona orecchie.
“Ma cosa c’entra? Quello è successo a me perché mi sono, lo ammetto, inoltrata in una zona sospetta, ma Ginny in quella via è praticamente circondata da Auror! E poi, diamine, vuoi lasciarle un minimo di autonomia? Okay, d’accordo le misure di sicurezza e tutto il resto, ma non possiamo vivere segregati in casa. Siamo in una fase calma della guerra, la gente sta lentamente riprendendo ad uscire liberamente e… dove stai andando?”
Afferrando la maniglia della porta, egli rispose velocemente:
“A prendere mia sorella.”
Hermione sbuffò e corse verso la porta, vedendolo sparire nella pioggia.
“Sei proprio uno stupido, Ronald Weasley…”
Forse… forse non avrei dovuto lasciarla sola, però non l’avrei fatto se non fossi stata sicura.
Alzò lo sguardo nella direzione in cui si era avviato l’amico e sospirò stancamente.
Non riuscirò mai a dirti quelle parole che da tanto aspetto di poterti dire…


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Capitolo 6
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Capitolo 6° “Potrebbe anche piacerti”

And how I wish that I could turn back the hours
But I know I just don't have the power


“Sei sicura di stare bene?” Domandò Harry con preoccupazione, aiutandola a rialzarsi.
“S-sì, credo…” Mormorò lei in risposta, ancora scombussolata dalla caduta e dall’accaduto.
I due rimasero a fissarsi per qualche secondo: improvvisamente erano comparsi, da dietro l’angolo della via secondaria che avevano scelto come scorciatoia fino a casa, quattro figuri incappucciati che non avevano perso tempo e li avevano attaccati. Mai e poi mai Harry si sarebbe aspettato un attacco nei pressi della via principale!
“Sicura? Ti fa male qualcosa?” Fece, apprensivo, ripetendosi che non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa di male a causa sua.
Ginny alzò lo sguardo smarrito su di lui, i limpidi occhi vibrarono leggermente. Era sporca di fango, aveva le calze strappate e le ginocchia scorticate, ma eccetto un livido sullo zigomo sinistro sembrava star relativamente bene.
“S-sì, Harry.” Replicò, tentando di non far tremare la voce.
Con sorpresa lo vide guardarsi attorno sospettosamente; la prese per un braccio in fretta e furia, estrasse la bacchetta magica dalla tasca e con un fluido movimento del polso si Smaterializzò.

*** *** ***

Perché non provava confusione? Perché non si sentiva frastornato mentre, un passo dopo l’altro, affondava leggermente nella neve - i fiocchi di quella semplice, fredda e fragile sostanza dal colore così puro danzavano in modo impertinente attorno alla sua figura -, avanzava verso una direzione che neppure lui conosceva? Verso un destino che – ed odiava ammetterlo – non sapeva più prevedere? Perché non si sentiva arrabbiato, triste, contento?
Perché nella sua mente tutto tornava in un freddo calcolo matematico, come se fosse stata la cosa più ovvia e semplice di questo mondo?
E perché non riusciva ad esternare un qualsiasi sentimento?
La sua testa era una tabula rasa, niente, il nulla. Eppure era pienamente consapevole di essere sottoposto alla pressione di sentimenti contrastanti tra loro… di questo era certo: lui stava provando dei sentimenti diversi dal solito. Ma cos’erano? Era come se la rabbia di una vita non vissuta si fosse fusa con l’amarezza, la paura di quel cambiamento così radicale – paura che, non l’avrebbe ammesso neppure sotto Imperius, lo soffocava lentamente - … ma perché non riusciva ad esternare nulla?
Ormai non conosceva più quei sentimenti, forse non li aveva mai conosciuti e per questo non sapeva, non poteva riconoscerli.
Fermandosi, portò all’altezza degli occhi le proprie mani, rese secche e ruvide dal vento: eppure quelle mani erano sempre le stesse, quelle mani erano sempre quelle che… erano sempre irrimediabilmente macchiate di sangue…
Perché? Perché?!
“Perché non ci riesco?” Si disse con un fil di voce. “Perché non do a vedere neppure a me stesso quello che provo?”
… perché non ne sono capace?
La sua infanzia. La sua adolescenza. Le pressioni.
Il sangue su quelle mani, inutile lavarle, inutile non guardarle: l’odore, l’odore acre e pungente del sangue lo percepiva comunque, eterna dannazione, era addirittura certo di poterne assaporare con disgusto crescente – che ironica contraddizione! – l’effluvio metallico ed agrodolce.
Nessuna valvola di sfogo per quei sentimenti, nessun foro d’uscita, una pressione interna in costante aumento, il petto ormai andava stretto al cuore ed all’anima… un peso che da dentro minacciava di sopraffarlo da un momento all’altro. Improvvisamente, ricordò una frase di suo padre: gli uomini non piangono. Mai.
Cosa poteva esserci di tanto speciale, di tanto singolare in semplici gocce leggermente salate? Cosa dava loro quella sorprendente – e nauseante, aveva sempre creduto senza poter ricordare cosa veramente si provasse – capacità? Come poteva la gente affermare che quelle stupide gocce potevano alleviare la sofferenza? Non capiva.
Non sono sicuro… non ricordo se ho mai…
Alzò i chiari occhi tempestosi al cielo, grigio di nubi.
Pianto.

*** *** ***

I fiocchi cadevano ancora soffici dal cielo, qualcuno riusciva a penetrare furtivamente in casa, attraverso la porta rimasta semichiusa, per morire lentamente sul tappeto all’ingresso; soffocando avvolto dal calore della casa, si liquefaceva inesorabilmente in pochi secondi, esattamente come il cuore di Hermione Granger, diciotto anni, in piedi con la schiena poggiata contro la parete. Una mano tra i folti capelli castani, gli occhi chiusi, sospirò.
“Non è possibile.” Mormorò stancamente. “Non cambierà mai. Non cambierà mai…” Si ripeté scuotendo la testa non esattamente con delicatezza.
Con un leggero colpetto del piede destro richiuse la porta e se ne stette in silenzio giusto un paio di secondi, ascoltando il proprio respiro – profondo – e, sì, sentendosi anche un po’ in colpa per aver ‘abbandonato’ Ginny, la sua migliore amica, lì da sola. Deglutì, pensierosa. È vero, erano mesi che non si registrava un solo, singolo attacco da parte dei Mangiamorte di Voldemort, com’era altrettanto vero che Ginny ormai era cresciuta, ed era perfettamente in grado di cavarsela da sola. Più che altro, ne aveva bisogno. Aveva bisogno di dimostrare a se stessa prima che a Ron, o a Harry, o alla stessa Hermione, che sapeva vivere. Che non era semplicemente la settima di sette fratelli, l’unica femmina, da coccolare e viziare. Con un sorriso, ricordò che Ginny non era mai stata così: aveva sempre detestato essere la più piccola, per di più l’unica femmina, perché tutti credevano di poter decidere cosa fosse o non fosse il caso di fare – al posto suo! -, tutti credevano di dover preoccuparsi continuamente della povera, piccola, indifesa Ginny Weasley – semplicemente perché non aprivano gli occhi! – e, cosa ben peggiore, nessuno credeva veramente nelle sue capacità. E se qualcuno lo faceva, beh, non lo dava certo a vedere! – Errore madornale! Ahi, ahi…-
Ginny Weasley aveva sempre avuto un bel caratterino e Hermione credeva fermamente in lei.
Però…
Come dimenticare che comunque, qualsiasi cosa si faccia, si dica o si pensi, c’è sempre quella stramaledettissima congiunzione: però.
E con lei il crollo delle convinzioni.
Okay, va bene: Hermione credeva in Ginny, forse anche più di quanto la stessa Ginny pensasse, ma rimaneva pur sempre la sua migliore amica. La sua migliore amica con alle spalle appena qualche giorno di addestramento. Nel bel mezzo dell’occhio del ciclone.
Quella calma surreale che segue il putiferio, inganna, inganna sempre… e lascia spalancate le porte sull’inferno. Pensò mordendosi il labbro inferiore con veemenza.
Una traccia ancora umida sul pavimento fino alle scale le ricordò un ospite.
“Oh, Dio!” Esclamò, portandosi una mano alla bocca. “Malfoy!”
Afferrando un maglione che Harry aveva distrattamente lasciato poggiato sul tavolino lì accanto alla porta d’ingresso, corse su per le scale con addosso una strana ansia, quasi un presentimento: era tutto troppo silenzioso. Va bene che aveva detto di nascondersi, di non farsi sentire – ma comunque non credeva che Draco Malfoy potesse ubbidire così docilmente -, ma ora che Ron se n’era andato, poteva anche dare un segno di vita! Affacciarsi, vedere come stanno le cose – perché le voci dei due ‘litiganti’ erano sicuramente arrivate fino al fine, acutissimo orecchio che Draco Malfoy aveva sempre sfoggiato a Hogwarts, carpendo ghiottamente qualsiasi pettegolezzo potesse risultare nocivo a lei, Harry e Ron -… chiedere, insomma… insomma, sì!
Chiedere se va tutto bene!

Perché mai dovrebbe farlo?
In fondo lei l’aveva raccolto dalla strada e portato in quella casa – quella casa dove abitava il suo nemico, il famoso Harry Potter – ed in quegli occhi dalle sfumature madreperlacee lei aveva visto il desiderio di farla finita.
Era stato proprio per questo che, dopo il loro primo incontro, era tornata a cercarlo, presa da quella strana sensazione che ora, anche se in maniera più leggera, stava attanagliando nuovamente il suo cuore.
Però mi avrebbe fatto piacere se si fosse… no. No. Oh, no! Non che… no, non…
Aprì di colpo la porta della propria camera, lì dove aveva lasciato il biondo ex-Serpeverde giusto venti minuti prima.
Inutile dire che, come prevedibile, la stanza era più vuota che mai.
Non posso credere di… di aver pensato…
“Perché…?” Sussurrò mentre sentiva l’irrefrenabile bisogno di piangere. “Perché nessuno fa mai quello che dico? Perché sono…”
… che mi avrebbe fatto piacere se fosse rimasto qui con me. Che si fosse interessato anche a qualcosa di stupido che mi riguardi.
“Perché sono di nuovo sola?” Mormorò lasciandosi scivolare seduta in terra, rannicchiata contro una parete “Così sola…?
Che si fosse interessato a ciò che provo.
Lasciò che due lacrime solcassero le sue guance.
Come questa sera.
Spinse il viso tra le braccia. E pianse.
Perché lui, per la prima volta, è stato quella persona che ha saputo vedere oltre le mie apparenze.
E mi sarebbe piaciuto che l’avesse fatto ancora. Mi sarebbe anche potuto piacere.

“Oh, Dio…” Un sussurro flebile si perse nel silenzio pesante.

*** *** ***

And how I wish that I could turn back the hours

“Non è vero, sai? Le lacrime sono il più chiaro segno di sensibilità; nella giusta misura sono il rimedio migliore per qualsiasi malattia dell’anima.”

Aprendo gli occhi, il ricordo si dissolse nella fredda aria notturna e nella pallida luce lunare che, con timida e dolce prepotenza, aveva usurpato il trono alle nubi cariche di pioggia. Sentiva un peso sullo stomaco, eppure non toccava cibo da giorni.
Ovvio, non poteva trattarsi di una cosa così sciocca.
Narcissa.
Gli sembrò di sentire nel vento il sottile profumo, fresco, il profumo di fiori che aveva sempre costituito il suo unico punto di riferimento, riportandogli alla mente, anche ad occhi aperti, il ricordo di poco prima.
Madre…
Si tirò su stancamente, lasciando apertamente che un amaro e malinconico sorriso prendesse posto sulle sue labbra.
Mamma.
Se solo avesse potuto, se solo avesse immaginato… e come non aveva potuto? Come non aveva potuto capire che quella richiesta era un semplice, sciocco e banale diversivo? Per allontanarlo. Il tempo necessario, esatto, il tempo necessario per spegnere quella piccola luce che l’aveva sempre guidato fin dall’infanzia, il tempo necessario – oh, questione di un’oretta a malapena! Un’ora per porre fine alla vita che ha condiviso gran parte della tua… inconcepibile – per quello. Quando era tornato con le informazioni che quell’uomo – perché rifiutava qualsiasi parentela con lui – gli aveva richiesto, sua madre non c’era più. E non sarebbe mai più tornata.
Con una morsa allo stomaco ed uno strano retrogusto amaro in bocca, ricordava con esattezza le proprie emozioni. Disperazione in principio… rabbia, dopo. Una rabbia assoluta, cieca.
Narcissa Black era stata promessa in sposa a Lucius Malfoy a soli diciannove anni – nessuna scelta le fu concessa, nessuna libertà. Semplicemente il suo destino, la sua via era già stata tracciata -, si erano sposati, ma probabilmente mai amati – dopotutto un essere come quell’uomo non aveva mai amato nessuno all’infuori di se stesso -, avevano dato vita e respiro ad un unico fragile essere, cresciuto in balia degli assurdi insegnamenti del padre, cresciuto nella paura di non essere all’altezza, cresciuto nella convinzione di essere nulla, di poter essere qualcosa – per gli altri e per suo padre – solamente seguendo le orme del genitore, un essere che troppo tardi aveva trovato il coraggio di seguire il consiglio della madre:
“Promettimi una cosa, Draco.” In quegli occhi limpidi ancora quel terrore. Oh, no… non terrore per ciò che aspettava lei, ma terrore per la creatura che aveva partorito e che aveva amato più di qualsiasi altra cosa o persona esistente al mondo. “Promettimi che non permetterai mai a nessuno di decidere per te.” Come aveva fatto a non capire? “Guardami negli occhi, Draco.” Se solo avesse capito che quella notte lei sarebbe… “Ti ho dato la vita perché tu la viva pienamente, non ti ho fornito un cuore, un cervello per essere la marionetta o lo schiavo di qualcuno. Ti ho dato una vita perché ti amo e voglio che tu la viva. Tu. Non qualcun altro. “ … morta. Scomparsa, perduta… per sempre. “Mi capisci, Draco?” Fin troppo bene. “Un giorno… un giorno promettimi che lo farai, che prenderai in mano le briglie della tua vita e che correrai lontano, lontano, verso un mondo dove ancora brilla una piccola luce nel buio.” Te lo prometto. Te lo prometto. “Credici, Draco, non abbandonarti mai alla disperazione. Non aver paura di niente, chiudersi in se stessi non serve a nulla… non temere nulla. Non lasciare che il mondo si faccia temere, sarai tu a farti temere per la tua decisione ed il tuo desiderio di vita. Anche se adesso ti sembra strano, potrebbe anche piacerti… anzi, ti piacerà, credimi. Ti piacerà la vita.” Quell’ultimo sguardo, carico di tutti quei sentimenti che… che solo in lei aveva potuto riscontrare. “Ce la farai, amore mio, ce la farai. Cerca la tua luce, la troverai.”
Non riusciva a piangere neppure il suo ricordo. Eppure avrebbe voluto.
Potrebbe anche piacerti vivere.
Avrebbe voluto come non mai, lì, al buio, da solo, dove nessuno poteva scorgerlo. Avrebbe voluto piangere per la prima volta nella sua vita.
Se solo ricordassi come si fa…
Non sapeva esattamente dove i suoi piedi lo stessero conducendo, eppure l’istinto lo guidava. Quando si trovò davanti alla casa da cui era fuggito qualche ora prima, alzò lo sguardo verso la finestra che era nella stanza dalla quale era ‘fuggito’ – in un lampo quegli occhi castani, così disperati, così tremendamente bisognosi di qualcosa, così simili ai suoi.
Un’unica, tremolante luce brillava oltre i vetri della finestra.

But I know I just don't have the power

*** *** ***

“Harry… Harry…” Gemette Ginny socchiudendo gli occhi, mentre lui correva a perdifiato lungo la via nella quale si erano appena Materializzati, proprio la via in cui abitavano, tenendola stretta per mano. “Harry!”
Solamente quando furono davanti alla porta di casa, Harry sembrò accorgersi del fatto che Ginny l’avesse chiamato.
“Eh?”
La ragazza lo osservò negli occhi: non l’aveva mai visto così spaventato. Mai. O forse solo una volta: quando aveva visto Sirius andarsene. Per sempre.
Si guardava attorno ansiosamente, senza allentare di un millimetro la presa attorno al sottile polso di lei – cominciava anche a farle un po’ male, ma quel contatto le risultava più dolce e gradito del miele -, il fiato condensato turbinava vorticosamente appena fuori delle sue labbra – perfette, a detta di Ginny -, poteva quasi sentire il suo cuore battere all’impazzata, per la folle corsa, per la paura.
“Calmati, Harry… li abbiamo seminati.”
Il ragazzo la guardò solo di sfuggita, senza in realtà vederla, ed armeggiò nervosamente con la bacchetta, lasciandosi sfuggire un’imprecazione sommessa, sulla serratura della porta di casa.
Alohomora!” Esclamò infine, senza aver neppure il tempo di sorprendersi per il fatto che Hermione non aveva apposto alla serratura i soliti incantesimi di controllo (altrimenti qualsiasi Mangiamorte sarebbe entrato come nulla fosse!).
Quando la serratura scattò ubbidientemente, Ginny lo vide tirare un sospiro di sollievo.
“Avanti, entriamo!” Sibilò lanciandosi nell’ingresso e trascinando con sé la ragazza.
Quando la porta fu finalmente richiusa dall’interno, Harry si fermò a riprendere fiato, con la schiena poggiata sulla parete ed una mano tra i folti e sempre scompigliatissimi capelli neri che piano piano scivolò lungo il suo viso, storcendogli anche gli occhiali sul naso.
Ginny rimase in perfetto silenzio per qualche minuto, cercando di regolarizzare il proprio respiro, cercando di capire se quello fosse stato un sogno o cos’altro... Un sogno misto ad un incubo. Anzi, un incubo misto ad un sogno: dopo l’improvviso attacco dei Mangiamorte – rabbrividiva al solo pensiero ed al semplice ricordo di quando uno di loro l’aveva afferrata per i capelli, gettandola in terra con violenza – Harry… Harry…
Harry Potter, il ragazzo di cui era pazzamente innamorata da lunghi, lunghissimi anni, l’aveva protetta e difesa con tutto se stesso. Con tutto il suo cuore. L’aveva letto nei suoi occhi, in quello sguardo fiammeggiante che aveva lanciato contro i loro nemici.
E non sapeva se Harry avrebbe agito alla stessa maniera con un’altra persona qualsiasi, sapeva solamente che quello sguardo era valso mille e più parole.
Qualcosa dentro di lei la induceva a credere che forse quel gesto era stato per lei, solamente per lei, interamente per lei.
Ma… no. Non poteva. Non poteva permetterselo: non poteva permettersi il lusso di illudersi.
Avrebbe semplicemente aumentato la sua sofferenza.
Deglutì a vuoto, la bocca secca per l’emozione, la paura, la confusione. Tornò ad osservarlo.
E non le fece mai tanta tenerezza.
“Harry…” Mormorò avvicinandoglisi piano piano.
Nonostante cercasse di mostrarsi forte e risoluto, Ginny poteva sentire dentro di sé la sua irrequietezza.
Almeno questo. Almeno questo concedimelo… ormai sei parte di me.
Il ragazzo alzò lo sguardo negli azzurri occhi di lei.
E non sempre è un male.
“G-Ginny,” Fece lui con voce arrochita dalla fatica e dallo sforzo. “Scusa.” Si accorse solo allora di tenere stretto nella sua mano destra il delicato polso della ragazza, ed arrossendo un pochino la lasciò. “Devo averti fatto male.”
“No, anzi.”
Si osservarono ancora, senza che nessuno dei due avesse il coraggio e la sicurezza di spiegare quell’affermazione o di richiederne spiegazione.
Non mi hai fatto male. Tutt’altro.

*** *** ***

“Harry! Ginny!” Esclamò una voce impastata, dall’alto.
Trasalendo appena, Ginny vide Hermione in cima alle scale con gli occhi gonfi ed ancora leggermente lucidi.
“Hermione?” Fece con preoccupazione.
Non ebbe il tempo di aggiungere altro che si ritrovò avvolta nell’impetuoso abbraccio dell’amica, della sua cara, carissima migliore amica.
“Perdonami!” Sussurrò lei, la voce un po’ tremante. “Non avrei mai dovuto lasciarti lì da sola! Ti prego, scusami…”
Ginny incrociò lo sguardo di Harry; sorrisero entrambi.
“Ma cosa dici, Herm?” Fece dolcemente Ginny, carezzandole piano la testa. “Non devi neppure pensarlo. Io non sono venuta qui per essere un peso. E so cavarmela da sola.”
… o quasi.
No!” Esclamò la ragazza castana con voce resa alta e quasi stridula dal nervosismo. “Ron ha ragione: non avrei dovuto lasciarti lì da sola!”
“Ron?” Replicò la sorella dell’interessato, accigliandosi. “Ancora?”
Hermione si concesse uno sguardo in direzione di Harry che, cercando di riprendere il completo self-control, abbozzò un sorriso.
“Ginny ha ragione. Non devi preoccuparti, lo sappiamo tutti com’è fatto Ron…”
“E’ fatto male!” Esclamò Ginny sfilandosi la giacca in un gesto di stizza. “Non è possibile! Non può continuare a trattarmi come se…”
La porta si aprì all’improvviso.
“Parli del diavolo e spuntano le corna.” Commentò pungente la ragazza dai lisci capelli rossi, osservando con astio il fratello – dall’aria sconvolta – sulla soglia di casa.

*** *** ***

Draco osservò ancora la luce oltre quella finestra.
In piedi, da solo.

*** *** ***

“Co… co…” Boccheggiò per qualche secondo. “COSA?!
Lanciò uno sguardo stupefatto a sua sorella.
“No… noo, non può essere.” Riprese con una risata forzata. “Non può essere vero. Avevo sentito di un attacco alla via principale, ma credevo fosse una scaramuccia, o la fantasia della gente che aveva trasformato una semplice lite tra Babbani in un epico scontro tra titani…”
Nessuno degli altri tre profferì verbo.
“Quindi… quindi è vero. Siete stati attaccati da un gruppo di Mangiamorte…” Le sue orecchie cominciavano a farsi paonazze. “…”
“Perlomeno sappiamo che non verremo attaccati nuovamente tra poco. Hanno bisogno di tempo per riorganizzarsi, sanno che ora siamo all’erta.” Disse Harry cercando di allentare la tensione.
Hermione smise di mangiucchiarsi le unghie della mano sinistra.
“Io…”
Ron non la guardò; si limitò a scuotere il capo fissando il pavimento.
“Mi dispiace…” Mormorò lei.
A passi veloci si diresse verso l’attaccapanni, afferrò il proprio cappotto ed uscì in fretta e furia.
“Hermione!”
“No.” Harry trattenne per un polso – ancora quella dolce sensazione – Ginny. “Ha bisogno di stare da sola, adesso.”
“Ma…”
“Credimi, la conosco.” Ripeté il ragazzo lasciando lentamente, quasi a malincuore, la mano di lei.

*** *** ***

Stupida, stupida, stupida!
Non sapeva esattamente cosa volesse. Sapeva semplicemente che non voleva rimanere con loro tre. Non in quel momento. Sì, avrebbe voluto restare sola.
E allora cos’era quella sensazione di freddo non dovuto alle condizioni atmosferiche?
Cos’era quel sentimento di malinconia? E quel senso di mancanza di qualcosa?
Non avrebbe trovato una risposta eloquente e comprensibile alla sua mente fin troppo razionale neppure se non fosse stata agguantata alle spalle e qualcuno non le avesse messo una mano calda sulla bocca, soffocando qualsiasi protesta.
“Ehi,” Fece una voce familiare. “Cerca di stare più attenta quando cammini: mi stavi per venire addosso.” Una breve pausa, la presa si allentò. “E poi dovresti anche stare più all’erta. Sai che se fossi stato un Mangiamorte avrei potuto tranquillamente Schiantarti?”
Grazie al cielo.
“Grazie al cielo ci sei tu a sollevarmi sempre il morale, Malfoy.” Disse la ragazza, voltandosi e trovandosi faccia a faccia con lui. “Avevi promesso che non ti saresti mosso di lì!” Soffiò cupamente.
“Se ricordi bene, non mi hai dato il tempo di rispondere.” Replicò placido lui con un mezzo sorriso ed un’aria quasi divertita. “Io non ho promesso nulla.” Concluse mentre la sua voce si perdeva nel silenzio ovattato della notte.
“Avrei dovuto prevederlo.” Mormorò all’improvviso la ragazza, non riuscendo a trattenere una risata che andò ad infrangersi nell’aria fredda e pungente, suonando tremendamente nervosa, forzata, quasi un modo per scaricarsi della tensione accumulata. “Me lo sarei dovuto aspettare da te!”
Smettendo di ridere, tornò a fissarlo con un’insistenza mista ad una tacita richiesta di qualcosa, la richiesta di qualcosa molto simile ad un piccolo aiuto.
E solo allora Draco si rese conto delle lacrime ancora impigliate tra le sue ciglia.
“Ah,” Fece Hermione, cercando di asciugarsele. “… no, non è niente. Lascia stare.”
Non lo fare.
“Non è vero, non può essere niente.”
Non cercare di dimenticare come si pianga.
“Non ti chiederò nulla.” Aggiunse il ragazzo poco dopo.
Non compiere il mio stesso errore.
Prese un profondo respiro. Ricordarla gli avrebbe fatto solamente male. Ma era necessario.
Non te lo permetterò.
“Conosco… conoscevo,” Si corresse velocemente il ragazzo, nella sua voce vibrava un pizzico di qualcosa tremendamente simile alla malinconia. “una persona che diceva: ‘le lacrime sono la cosa più bella del mondo’.”
Hermione si passò una mano sugli occhi, e tirò appena appena su con il naso. Si sentiva la testa pesante, gli occhi stanchi. Lei era stanca.
“Evidentemente quella persona non aveva mai pianto.”
Non notò l’occhiata che Draco rivolse alle stelle, ma avvertì il tono amaro e triste delle sue parole. Non c’era rabbia… perlomeno non verso di lei, non verso Hermione Granger. C’era qualcosa di diverso. Lei lo poteva sentire anche solo standogli accanto.
“Oh, credimi, lo fece eccome. Fin troppe volte. Sapeva esattamente cosa volesse dire piangere.”
La ragazza, dopo un breve silenzio, si stropicciò l’occhio sinistro.
“E tu?”
Draco si voltò ad osservarla, producendo un rumore ciottoloso sulla ghiaia: quella ragazza lo fissava, più stanca che mai, eppure si ostinava a voler avere un contatto più profondo con lui. Si ostinava con insistenza eccezionale a non volerlo lasciare in pace. A non volerlo lasciare solo. Perché sapeva che se l’avesse fatto, non sarebbe più tornato. Voleva a tutti i costi accogliere in sé anche una piccola parte di Draco Malfoy, un piccolo pensiero, una piccola sensazione, qualsiasi cosa, purché riuscisse a stabilire quel contatto che tanto – più o meno inconsciamente – i due andavano cercando.
Un’ulteriore lite, un’ulteriore incomprensione. E si è nuovamente soli, per un motivo o per un altro.
Due solitudini potranno mai fare una persona completa?
“Avanti, Granger… niente discorsi seri, per questa sera. Stai morendo di sonno o sbaglio? Guarda che se credi che ti prenda in braccio e ti conduca fino a casa, ti stai sbagliando di grosso. Ho pur sempre un onore da mantenere.” Ghignò beffardo Draco, facendo un mezzo passo in avanti.
Quando però osservò nuovamente gli occhi di lei, non poté fare a meno di reprimere un brivido caldo lungo la schiena: ancora quello sguardo, ancora quella sensazione, ancora quel desiderio di non lasciarlo solo.
E – diamine, dannatamente forte! – il desiderio di non essere lasciato solo.
Nei suoi occhi castani, espressivi, caldi nonostante le tracce di stanchezza, non c’era più ombra di sonno.
Non ti lascerò andare. Non ti abbandonerò.
“Dico sul serio, Malfoy.” Scandì lentamente lei, senza interrompere il contatto visivo. “Tu? Tu sai cosa voglia dire piangere?”
Il ragazzo ebbe un esitazione – minima, sì, ma pur sempre un’esitazione. Si voltò di altri quarantacinque gradi circa e si avvicinò a lei. I loro respiri condensati si incrociavano e si scontravano, mescolandosi in una folle danza in quella disperata notte; Hermione poteva sentire il cuore divertirsi a martellarle il petto mentre la mano del ragazzo le scostava una ciocca di capelli ribelli dal viso, sfiorando appena la pelle della sua guancia. Quegli occhi grigi, quella sera, avevano saputo trasmettere un’ulteriore emozione.
Grazie. Fu il pensiero di entrambi.
“E’ ora di dormire, adesso.” Mormorò lui lievemente, ma con voce profonda e calda, mentre il viso di Hermione andava letteralmente a fuoco ed il suo cuore si lanciava in una folle corsa contro qualcosa che non avrebbe mai potuto vincere.
Quando si accorse che lui le stava puntando gentilmente sulla fronte la propria bacchetta magica – in un gesto che trasmetteva una delicatezza sorprendente nonostante le apparenze, sorrise.
“Sapevo che l’avresti fatto. Pur di farmi tacere faresti di tutto.” Sospirò senza il minimo timore.
Draco accennò un breve sorriso in risposta.
“Questa volta no.” Respirò piano contro il suo viso. “Questa volta si tratta di un favore. Niente brutti sogni questa notte, promesso.”
Diciamo un ringraziamento per questo tuo tentativo di restare con me, in tutti i sensi.
I loro sguardi rimasero come incatenati l’uno all’altro.
Nessuno ci era mai riuscito prima d’ora.
Mormorò le parole dell’incantesimo che tante e tante volte Hermione aveva utilizzato su Harry, Ron o Ginny quando non riuscivano a prender sonno a causa della tristezza, della paura, del nervosismo o chissà che altro. Era l’incantesimo che, però, non aveva potuto salvarla da tante notti insonni – colme di tristezza – perché non aveva effetto come ‘autoincantesimo’.
Lui l’aveva capito. Aveva capito che le sarebbe bastata una piccola attenzione.
Sentiva la terra girarle sotto i piedi, la testa si era fatta troppo pesante, gli occhi troppo stanchi. Appena prima di abbandonarsi a quel sonno ristoratore, udì la voce un po’ roca di Draco.
“Stai attenta, Granger, perché potrebbe anche piacerti.”
Non capì cosa, perlomeno fino a quando non vide il viso perfetto del ragazzo così vicino che non riusciva più a capire se stesse sorridendo o cosa. Troppo vicino. Sentì le sue labbra premere con delicatezza sulle proprie ed una mano dalla decisa gentilezza sostenerla mentre, più confusa che mai, si lasciava vincere dall’incantesimo.
Draco la osservò per qualche istante: il respiro lento e profondo, gli occhi chiusi, le labbra rosate, solo un po’ pallide per il freddo. Finalmente un po’ di serenità su quel viso. Dormiva. Prima o poi avrebbe avuto serenità anche nello sguardo.
“Chi deve stare attento sono io.” Si disse con un sorriso ironico e sarcastico. “Perché tutto questo potrebbe anche piacermi.”
Le scostò qualche ciuffo castano dal viso.
“… non posso, non ancora…”
Potrebbe decisamente piacermi.


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Capitolo 7
*** Prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più. ***





Capitolo 7° “Prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più.”

Could it be any harder to say goodbye and without you,
Could it be any harder to watch you go, to face what's true
If I only had one more day

Oh-mio-Dio.

Ginny Weasley si nascose fulmineamente dietro l’angolo che aveva appena svoltato, con un groppo sul cuore ed il respiro affannato: semplicemente non poteva credere ai suoi occhi.
“Non è possibile.” Si disse, cercando – invano – di calmarsi. “Non può essere. Ginny, hai visto male.” Eppure la sua voce era molto poco convinta, sottile e quasi impercettibile nel gelo tagliente della sera.
Doveva aver avuto un’allucinazione per la stanchezza o per la paura subita quello stesso pomeriggio. Perché… sicuramente non era successo ciò che a lei era…s embrato (“Sembrato, Ginny, sembrato! Non ne sei affatto sicura! O no?”) di vedere. Si guardò con circospezione alle spalle, sapendo perfettamente che sia Harry che Ron erano già sulle sue tracce: questione di pochi secondi e l’avrebbero raggiunta. Era così scombussolata da non avere neppure il tempo – tanto meno la razionalità – di arrabbiarsi per il fatto che a Hermione fosse stato permesso di uscire senza alcun problema – certo, lei faceva parte della squadra di supporto, era molto ben allenata e quella zona era tenuta sotto stretto controllo, visto l’attentato di cui lei e Harry erano state vittime quel pomeriggio, da una trentina di Auror tra i migliori della città – mentre lei non poteva allontanarsi neppure di due passi senza che uno dei due cominciasse a preoccuparsi. È vero, in passato si era lasciata impossessare da Voldemort, ma in fondo a quei tempi aveva avuto solamente undici anni! A pensarci bene, tutta quella storia puzzava di bruciato… puzzava decisamente di bruciato.
Ma, com’è chiaro e lampante, in quel momento nella mente di Ginny vagavano a velocità supersoniche tutt’altri pensieri, tutt’altre immagini. Poggiando – cercando di non far rumore con le scarpe da ginnastica sull’asfalto bagnato di neve sciolta – le mani sul muro davanti a lei e facendo una leggera pressione sulle punte dei piedi si sporse di pochissimo, appena appena due centimetri circa, giusto lo spazio sufficiente per chiarirsi le idee. Ma rimase molto delusa quando non vide assolutamente nulla.
“Ma cosa… ?”
Uscì definitivamente dal suo ‘nascondiglio’ muovendo qualche passo nervoso ed incerto – a causa del ghiaccio che ancora persisteva in alcuni tratti di marciapiede – verso il punto in cui – ne era quasi certa! Anche se aveva tentato di negarlo, era sicura che ci fossero due persone! Ed una di quelle somigliava terribilmente a Hermione, mentre l’altra… era strano, tutto così strano, però sembrava orribilmente simile all’ultima persona che avrebbe voluto vedere sulla faccia della terra, per di più assieme alla sua migliore amica – aveva catalizzato tutta la sua attenzione. Girò rapidamente su se stessa, confusa.
“Eppure mi era sembrato proprio che…”
Una scossa di adrenalina pura l’attraversò da capo a piedi.
“Chi c’è?” Esclamò cercando di dimostrarsi sicura di sé, dopo essersi voltata di scatto nella direzione opposta.
Aveva la pelle d’oca ed i brividi – non solo per il freddo -, era sicura che ci fosse qualcuno lì, ne poteva quasi avvertire la presenza. A dire il vero questa era sempre stata una cosa di sé che non aveva mai avuto modo di capire, neppure in minima parte: molto spesso si era ritrovata a percepire presenze – che fossero umane (ma in casi decisamente particolari) o no (il che tornava molto utile quando Mirtilla Malcontenta decideva di spiarti mentre tu, nel bagno, cercavi in santa pace di nascondere quell’orribile brufolo che ti era venuto proprio sulla punta del naso). I sintomi erano sempre gli stessi: forte scossa di adrenalina, segnalata subito prima da un brivido gelido e rafforzata immediatamente dopo dalla pelle d’oca e quell’insistente sensazione di freddo. C’era qualcosa nella sua mente che scattava, un ingranaggio sottile, all’apparenza fragile – ma in realtà robusto e, soprattutto, perfettamente efficiente – che si metteva in moto con un leggero rumore soffocato, quasi uno schiocco prodotto in qualche parte lontana, lontana da lei mille e mille miglia. E Ginny sapeva.
Così come in quel momento sapeva con snervante esattezza di non essere sola.
“Chi… chi c’è?” Ripeté stringendosi nella giacca, con molta meno sicurezza rispetto a prima. “Vieni fuori! Giuro che se è uno scherzo, Ron, non sei affatto divertente!”
No, non poteva essere Ron. Nel modo più categoricamente assoluto. Perché? Non pensava ci fosse una causa precisa, ma con Ron non le era mai successo. Queste percezioni erano sempre causate da una presenza particolare… non era mai successo con Hermione, né con la mamma, il papà o i suoi fratelli. Succedeva invece – molto spesso, forse anche perché Ginny era ormai assuefatta alla sua presenza – con Harry. Com’era successo con quei Mangiamorte quello stesso pomeriggio. E com’era successo al suo secondo anno quando Lucius Malfoy era venuto a Hogwarts, quando al suo terzo anno aveva scorto – anche solo da lontano – il cadavere del povero Cedric Diggory o quando al suo quarto anno si era lanciata in quella pericolosa missione con Harry e tutti gli altri.
Quando udì dei passi soffocati dalla neve, lenti, quasi misurati, dietro di sé, chiuse gli occhi rabbrividendo: le sue percezioni – assai strambe, veramente – non avevano di certo il potere di metterla al sicuro. Fu abbastanza prudente da non dare a vedere al suo presunto aggressore la mano che scivolava nella tasca interna della giacca ed impugnava spasmodicamente la bacchetta, tremando non poco, ma sforzandosi di rimanere ferma ed impassibile. Tentativo, ovviamente, inutile.
“Confondermi con Lenticchia, Weasley… questa offesa potrei non scordarla facilmente.” Dio, come conosceva quella voce strascicata ed arrogante – per non dire irritante, snervante ed altri epiteti vari! Era appartenuta – ed a quanto pare apparteneva ancora – ad una delle persone che Ginny Weasley avesse mai odiato maggiormente nel corso dei suoi neppure diciotto anni di vita.
Ti prego, no. Dimmi che non è vero. Qualcuno faccia qualcosa, vi prego…
Si voltò lentamente dopo aver sfilato la mano dalla giacca ed averla nascosta diligentemente dietro la sua schiena, pronta a scagliare un qualsiasi incantesimo offensivo o difensivo che fosse.
“Malfoy…” La sua voce era quasi un ringhio, pronunciò quell’unica, semplice, singola parola con un disgusto assoluto ed alzò lo sguardo sul viso del ragazzo quasi come fosse un insetto fastidioso da eliminare il prima possibile – peccato non credesse di esserne in grado.

*** *** ***

In un posto sconosciuto ai ‘non addetti ai lavori’, un uomo incappucciato, seduto su di una poltrona assai simile ad un trono in legno intarsiato con motivi di serpenti – alcuni avviluppati su loro stessi, altri non -, parlava con voce melliflua ed una fredda dolcezza, che male si addiceva sia al suo aspetto che al suo passato e, infine, al suo presente. E di sicuro tale dolcezza non si addiceva neppure al suo futuro, visto cosa aveva in programma di fare.
“Allora?” Domandò addirittura quasi gentilmente ad un giovane uomo inginocchiato con reverenza di fronte a lui. “Avete preso la nostra chiave?”
L’uomo inginocchiato sembrò rabbrividire sotto il suo nero mantello, scosse il capo esitante e parlò con voce nervosa, isterica.
“Mi dispiace, noi…”
Si interruppe da solo, troppo spaventato per proseguire. Seguì qualche secondo di silenzio, poi l’uomo incappucciato parlò nuovamente. E quella nota di fredda, falsa dolcezza stonò come non mai alle orecchie del giovane terrorizzato.
“Non avrei voluto farlo, Livingstone, ma non mi dai scelta.” Profferì scandendo piano ogni parola.
Livingstone – tale era infatti il nome del giovane uomo inginocchiato – alzò lo sguardo, nei suoi occhi un terrore che superava qualsiasi limite, un terrore che non si può capire se non lo si ha provato.
“No, vi scongiuro, mio Signore!” Esclamò in fretta, quasi mangiandosi le parole, assumendo un tono di voce reso stridulo e ridicolmente acuto dalla paura che lo assediava. “Le assicuro che la prossima volta non fallirò! Glielo assicuro! La prego, mio Signore, mi dia un’altra possibilità!”
L’uomo incappucciato si alzò con leggiadria indescrivibile e raggiunse Livingstone.
“Ah, mio giovane, ingenuo, incapace Livingstone,” Disse, poggiandogli una bianca, affusolata, gelida mano sotto al mento .“un’altra possibilità, dici? Mi chiedi un’altra possibilità.” Cominciò a girargli lentamente attorno, il giovane ora teneva lo sguardo fisso sul pavimento, incapace di qualsiasi reazione, che fosse essa di spavento, di rabbia o di disperazione. “Potrei anche concedertela. Lo sai, in fondo non sono così malvagio e tremendo come dicono.” Il ragazzo aprì bocca, ma non emise alcun suono. “Ma la necessità fa virtù. Mi capisci, vero? In questo momento non posso permettermi altri fallimenti e tu, di certo, non sei nella rosa dei miei servitori più efficienti.”
“La prego…”
Qualsiasi persona avrebbe apprezzato e stimato il coraggio di quel ragazzo che, in un momento come quello, aveva saputo vincere la sua invincibile paura ed osare proferire verbo.
Qualsiasi persona. Ma non lui. In fondo, Lord Voldemort non era ‘qualsiasi persona’, né tantomeno ‘una persona qualsiasi’.
“So che mi capisci, giovane Livingstone. Lo sai benissimo. Lo capisci: ora non mi servi più.”
Un uomo dai lunghi capelli di un pallido biondo lunare ed un paio di occhi grigi assolutamente privi di qualsiasi espressione fece il suo ingresso nella stanza fiocamente illuminata da un semplice paio di torce, bloccandosi sulla soglia con fare annoiato proprio mentre il giovane, dopo atroci urla strazianti, si accasciava a terra, privo di vita. Sul muro le ombre delle fiamme, agitate dall’incantesimo e dall’aura maligna di Voldemort, si placarono una buona manciata di secondi dopo.
“Ah, Lucius.” Fece Voldemort dirigendosi nuovamente verso il suo trono, mentre due Mangiamorte provvedevano a far pulizia nella sala, portando via di peso, malamente, il corpo di Livingstone. “Vieni, entra pure.” Seguitò cordialmente.
L’uomo, sul viso un’espressione di pura noia, eseguì quello che, in realtà, era un ordine.
“Mio Signore.” Salutò inchinandosi profondamente. “Mi avete fatto chiamare?”
“Sì.” Confermò Voldemort senza entusiasmarsi .“Ho bisogno di un favore.”
“Ordinate pure.”

*** *** ***

Could it be any harder to say goodbye and without you

“Merda!” Imprecò il ragazzo dai folti e spettinati capelli neri scostando con violenza un uomo mezzo ubriaco che gli era venuto addosso, spuntando improvvisamente da un vicolo.
“Ehi, brutto ragazzino! Hic…” Protestò flebilmente quello, prima di accasciarsi a terra in preda agli effetti della sbornia.
Harry continuò a correre velocemente sul marciapiede innevato con Ron, al suo fianco.
“Ma dove cazzo si sono cacciate?” Ruggì Ron mentre svoltavano in un vicolo secondario e saltavano agilmente, facendo perno sulle mani poggiate su di una vecchia cassa trovata lì per caso, un cassonetto della spazzatura.
Poco dopo l’uscita di Hermione di casa, mentre i due si organizzavano per andarla a cercare facendo in modo che almeno uno di loro potesse rimanere con Ginny, senza dire niente a nessuno, nel silenzio assoluto, Ginny si era dileguata, defilata. Sicuramente era andata in cerca di Hermione.
Ed aveva addirittura avuto l’accortezza di cancellare magicamente le proprie tracce.
“Altro che due Auror!” Esclamò Ron asciugandosi rabbiosamente il sudore che gli si congelava sulla fronte. “Siamo due stronzi, ecco cosa siamo! Lasciarci sfuggire una ragazzina… così! Come se niente fosse!”
“Ron,” Fece Harry spazientito, urtando con una spalla una pila di scatole poste lì in mezzo al vicolo chissà per qualche motivo. “Ginny non è più una ragazzina. Non è per quello che la stiamo cercando, ricordi? Si tratta… diamine, si tratta di un motivo dannatamente più serio! Prova pensando a questo a capire come Ginny possa esserci sfuggita: siamo così presi dal progettare piani per difenderla che la perdiamo totalmente di vista! E poi è cresciuta in una casa con sei fratelli maggiori, dove credi che abbia imparato a defilarsi silenziosamente?” Aggiunse pungente. “Non avremmo dovuto lasciarla lì sola in salotto… lo sapevo! Lo sapevo! Quella ragazza è così maledettamente ostinata…!” Nella sua voce, tuttavia, non vibrava, assieme alla paura, una vera e propria nota di rabbia nei confronti della sorella di Ron, anzi.
Ron gli lanciò un’occhiata di sbieco, perplesso. All’improvviso avvertì un colpo secco al cuore, le gambe molli.
Hermione…” Sussurrò. “Hermione!” Esclamò poi sentendo nuova forza nelle gambe ed accelerando. “È sempre così, Harry! Non cambia mai niente, è sempre così! Siamo sempre i soliti stronzi!”
Harry seguì con lo sguardo la bacchetta che, in equilibrio, sospesa sul palmo della sua mano, indicava loro la direzione presa dall’intraprendente Weasley – dopotutto erano due Auror, qualche trucchetto lo conoscevano anche loro.
“Che cosa?” Domandò perplesso, cercando di risparmiare fiato e chiedendosi mentalmente come Ginny potesse distanziarli di così tanto… che avesse imparato qualche trucco capace di ingannare i metodi degli Auror? No, impossibile.
Ron emise un basso verso, simile ad un ringhio sommesso.

Could it be any harder to watch you go, to face what's true

“Harry abbiamo sbagliato tutto, è come è sempre stato: Hermione è di nuovo sola.” Tacque per una frazione di secondo, sufficiente perché anche Harry registrasse con orrore la veridicità di tali sue parole, volatilizzatesi nell’aria notturna. “L’abbiamo lasciata ancora da sola…”
Come diamine ho fatto a non rendermene conto? Era così strana in questi giorni! Perché sono sempre il solito idiota?

If I only had one more day


*** *** ***

“Qual buon vento, Weasley?”
La ragazza indietreggiò di un passo.
“Ti giro la domanda, Malfoy.” Ribatté duramente, cercando di guadagnare tempo. Draco Malfoy sorrise sdegnosamente – Ginny aveva quasi dimenticato quale odio potesse comunicarle quel sorrisetto altezzoso e sprezzante, che le ricordava quanto miserabili e pezzenti, oltre che patetici, fossero tutti loro Weasley, indegni della sola vista di un Malfoy – e si fermò, distando da lei appena un paio di metri.
“Non credo che la cosa ti riguardi.” Rispose annoiato. “E a dirla tutta, non m’importa neppure cosa tu stia facendo qui. Voglio semplicemente sapere da quanto tempo sei qui.”
Ginny deglutì: cos’era quella luce nei suoi occhi grigi? Rabbrividendo, si assicurò che la stretta delle proprie dita sul legno tiepido della bacchetta fosse abbastanza sicura.
“Cosa… ?”
Malfoy sbuffò, sempre più insofferente ed annoiato.
“Avrei dovuto ricordare che da un Weasley non ci si possono aspettare facoltà intellettive degne di un normale essere umano, anche se di bassa intelligenza.” Commentò sarcasticamente, come sempre perfettamente calmo e padrone di sé, con quella sua sicurezza arrogante ed irritante oltre ogni limite umanamente sopportabile.
La giovane avvertì un’ondata di rabbia invaderle il corpo e salirle fino al viso.
“Tu, lurido…” Ringhiò.
“Sì, sì.” La interruppe il ragazzo con un vago cenno dell’affusolata mano sinistra, come a voler dire ‘certo, certo, sei troppo stupida per capire’ oppure ‘lo so, lo so, so perfettamente cosa vuoi dire’. “Lurido figlio di un Mangiamorte, schifoso Serpeverde razzista, feccia della natura, sudicio e codardo servo di Voldemort,” Ginny emise un gemito soffocato al suono di quel nome, ma Draco sembrò non rendersene conto, seguitando imperterrito ed imperturbabile nel suo elenco. “uhm, vediamo… che altro? Ah, sì, certo! Come ho fatto a dimenticare: bastardo voltafaccia, voi Malfoy siete tutti pezzi di merda della stessa fatta, meriteresti solo di morire, sarebbe stato giusto che fossi morto alla nascita, anzi, ancora nel grembo di quella sgualdrina di tua madre,” A questo punto a Ginny sembrò di scorgere un lampo di qualcosa assai simile alla rabbia, nel suo sguardo… probabilmente si era sbagliata, Draco Malfoy era imperturbabile. Come sempre… no? “e non trascurare, mi raccomando, questa: fottutissimo stronzo, spero che un giorno qualcuno ti uccida lentamente e crudelmente, perché solo questo meriti: il massacro.”
La ragazza era ammutolita, confusa: cosa stava dicendo? Cos’era quella strana intonazione della sua voce? Sembrava di nuovo una leggera, leggerissima venatura di rabbia, una sfumatura - delicata ma aggressiva allo stesso tempo - di risentimento, un qualcosa che riusciva ad intuire, ma non a capire.
Dopo appena due secondi di silenzio Draco tornò ad osservarla placidamente con i suoi taglienti occhi grigi, quasi come volesse tagliarla a metà con quel solo, semplice, dannatamente indisponente sguardo, frugare nella sua mente e poi lasciarla lì, senza prendersi la briga di rimettere assieme i pezzi.
“Che dici? Ho dimenticato qualche epiteto? Ah, non sono esperto come voi Weasley in questo.”
“Che cosa vuoi da me?” Soffiò nel vero senso della parola Ginny, lanciando un’occhiata alle spalle del ragazzo e sperando che qualcuno si decidesse a venirla a salvare – che cosa singolare e, in altre situazioni, persino comica, divertente: come era veloce l’essere umano a cambiare opinione!
Draco Malfoy ridusse gli occhi a due fessure.
“Te lo ripeterò: da quanto tempo sei qui?”
Allora… allora… allora non mi sono sbagliata! Pensò Ginny con un sussulto mal mascherato. Allora ho visto bene! Come si spiega altrimenti questa sua domanda? Oh Dio… allora Malfoy era veramente qui con… con Hermione! Hermione! Hermione Granger! No… e… ed ho visto veramente accadere ciò che ho visto…
Alzò lo sguardo su di lui.
“Oh, Dio, allora è vero…” Mormorò atterrita.
Il ragazzo, nel giro di un secondo, assunse un’espressione talmente aggressiva che Ginny credette che stesse per attaccarla da un momento all’altro. Una raffica di vento gelido li sferzò molto poco gentilmente, la ragazza dai capelli rossi non si premurò neppure di rabbrividire.
“Non una parola.” Sibilò Draco avvicinandosi improvvisamente, con ampie e decise falcate. “Non una singola parola con Potter o tuo fratello, Weasley. Non una singola, dannata parola.”
Ginny, rapidamente, gli puntò contro la propria bacchetta magica, ma egli fu più veloce e, con uno dei suoi soliti, tipici movimenti rapidissimi, silenziosi e stranamente permeati di eleganza – in qualsiasi situazione Draco Malfoy si trovasse – la colpì ad un polso facendogliela volare lontano.
Ginny mugolò, arrabbiata e spaventata.
“Pensi che sia così semplice ingannarmi, Weasley?”
“Stammi lontano!” Sibilò Ginny, appellandosi a tutte le sue forze per non voltare le spalle e fuggire – verso morte certa dato che: opzione A) l’avrebbe colpita alle spalle con qualche bella Maledizione Senza Perdono; opzione B) sarebbe stata prima catturata e torturata felicemente dai suoi schifosissimi amici Mangiamorte e poi fatta fuori. Ma Draco non poteva permettersi una cosa del genere, non poteva permettere che Potter o Weasley venissero a conoscenza di ciò che era poc’anzi accaduto. Non poteva, assolutamente. Non aveva le idee chiare, non sapeva neppure cosa avesse provato quando l’aveva baciata – come può una persona che non ha mai saputo amare (fatta eccezione per l’amore materno, cosa totalmente differente dall’amore per una ragazza o un ragazzo) capire di stare amando?
Non permetterò che succeda ancora. Non permetterò che quei due incompetenti la lascino ancora da sola, e che lei si perda per sempre… non mi permetterò mai di perdere l’unica persona che mi ha capito, ancora una volta.

Could it be any harder to say goodbye and without you


Vagamente sorpreso da tali pensieri, ma all’occhio esterno ancora perfettamente sicuro di sé, si rese solo confusamente conto di porre in Hermione Granger, la ragazza – e ragazzina, ai primi anni di Hogwarts – che a scuola aveva tanto offeso e tormentato, nella sua gelida ed ardente – antitesi perfettamente reale – rabbia dell’incomprensione e forse intuendo un vacuo, ancora debolissimo, lontano, quasi inesistente legame con quella persona, un’importanza che lo avrebbe sconvolto addirittura – mai fidarsi di qualcuno, mai amare qualcuno. Non amare più nessuno. Più ami e più soffri quando tale persona scompare… e non voglio che lei scompaia a causa mia – se solo il suo corpo non avesse reagito meccanicamente all’esigenza di chiudere la bocca alla fastidiosa sorella di Lenticchia Weasley.
“Non… non ti avvicinare!” Gemette lei , spaventata.
“Chiudi quella bocca, Weasley.” Sibilò Draco estraendo veloce la bacchetta e puntandogliela in fronte.
Non scomparirà più nessuno a causa mia. Mai più!
Ginny spalancò gli occhi inorridita. Un luogo comune dice che nel momento della morte ci si vede passare davanti l’intera vita. Lei invece vide solamente i momenti vissuti con Harry.
Non ancora! Non posso! Non ho ancora rivelato ad Harry i miei sentimenti!
Draco socchiuse appena le labbra, pallide per il freddo e lo sconvolgimento interiore.
Non è giusto! Non è giusto!! IO NON POSSO MORIRE COSI’!
La giovane chiuse gli occhi con foga disperata e Draco si piegò in due gridando per il dolore. Davanti agli occhi della mente di Ginny tanti, tanti cadaveri… sangue ovunque… un odore acre, penetrante, nauseante… e tanto odio dentro e fuori di sé. La figura di un uomo, un uomo incappucciato, e quell’orrenda sensazione di paura… l’aveva già provata. L’aveva provata, ma non ricordava esattamente quando e come!
Riaprì gli occhi terrorizzata, emettendo un gridolino convulso; Draco piegato su se stesso la fissò con un solo occhio aperto – l’altro chiuso per il dolore -, sorpreso, eppure ebbe la prontezza di puntarle ancora contro la bacchetta.

Could it be any harder to watch you go, to face what’s true

Oblivion!”
Ginny sentì vorticare il terreno sotto i piedi ed avvertì una forte sensazione insinuarsi nella sua mente, quasi come ghiaccio allo stato puro. Non aveva ancora terminato di eseguire l’incantesimo, quando Draco si vide scaraventato lontano.
Come ultima cosa, Ginny vide Harry, in piedi con la bacchetta in mano, furioso. Poi cadde a terra, priva di sensi.
“LURIDO PEZZO DI MERDA!”
Draco, stordito, si rimise in piedi barcollante, schivando solo per un pelo il pugno che Ronald Weasley gli stava per scagliare in viso. Lanciò un’occhiata alla bacchetta distante dal proprio piede appena mezzo metro.
“Non ci pensare.” Fece Ron, rosso in volto per la rabbia colpendolo con un calcio, mettendo in pratica gli insegnamenti per il suo allenamento da Auror .“Cosa hai fatto a mia sorella?”
“Niente che la renda più stupida di quanto già non sia.” Replicò gelidamente Draco, rifilandogli un pugno in pieno stomaco. Ron tossì violentemente.
“Modera le parole, stronzo!”
Il ragazzo biondo non ebbe il tempo di voltarsi né di elaborare mentalmente una qualsiasi reazione che un dolore forte e violento lo colpì in pieno viso. Indietreggiò imprecando per il pugno di Harry Potter che, come minimo, gli aveva rotto il naso.
“Chiudi quella bocca, Potter!” Ringhiò seppur con un ghigno: indietreggiando si era comunque avvicinato alla sua bacchetta magica e con un movimento fulmineo se ne riappropriò. “Non è leale attaccare un avversario alle spalle. Che ne è dei nauseanti valori di Grifondoro?”
Harry storse la bocca, arrabbiato come non mai.
“Sta’ zitto, Malfoy!” La sua voce contratta in un rauco, forte ringhio. “Non potevi fare cosa peggiore che attaccare Ginny, pezzo di idiota!”
Draco sorrise ironicamente, in una pungente auto ironia che di certo né Harry, né tantomeno Ron potevano intuire.
“Ohh, Potter si è innamorato!”
Hermione Granger davanti ai suoi occhi. E le sue labbra dolci sulle proprie.
Prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più.
“Adesso ti chiudo quella sudicia bocca, bastardo!” Sbraitò Ron scagliandoglisi contro.
“No!” Esclamò Harry. “Lascialo a me,” Aggiunse. “Vai a cercare Hermione, tu!”
Ron sembrò osservare Draco Malfoy con il crescente desiderio di spaccargli qualcosa – sarebbe andata bene qualsiasi cosa – ma il ricordo di Hermione, della sua Hermione, con gli occhi lucidi, ancora triste e sola, vinse tutto il resto: si voltò, ordinò alla sua bacchetta di scovare Hermione e corse nella direzione indicata.
“Uno contro uno, Malfoy.” Ringhiò Harry, furibondo al solo pensiero che avesse osato torcere anche un singolo capello a Ginny, stesa in terra lì accanto, ancora irrimediabilmente incosciente. “Giuro che questa te la faccio pagare.”
Un rumore di voci alle spalle di Harry, delle sagome cominciarono a comparire in lontananza.
“E questo ti sembra un duello leale, Potter?” Fece Draco, sprezzante. “Hai chiamato i tuoi amichetti Auror, vedo.”
Harry fece il terribile – e sciocco – errore di voltarsi. Draco non lo colpì. No. Peggio.
“Il nostro duello è solo rimandato. Solo rimandato.” Sentì dire da Malfoy poco prima di voltarsi e non trovare più nessuno davanti a sé.
Alla frotta di Auror appena giunta disse che erano arrivati troppo tardi: Draco Malfoy, sospettato di omicidio plurimo, sicuro Mangiamorte, si era appena Smaterializzato.

If I only had one more day


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Capitolo 8
*** Dolorosamente patinato ***





Capitolo 8° “Dolorosamente patinato”

La testa era tremendamente pesante e sentiva le gambe e le braccia non poco indolenzite, tuttavia, dopo circa tre mesi di incubi, per la prima volta aveva dormito bene. Dire che avesse fatto un brutto sogno sarebbe stato sbagliato, perché così non era stato; dire che non avesse sognato affatto sarebbe stato cadere in un altro errore, ma anche dire che fosse stata vittima di un dolce e bel sogno sarebbe stato ambiguo, perché Hermione Granger non ricordava tutto con esattezza. O meglio, con esattezza sì – anche troppo – ma qualcosa continuava a sfuggirle, ogni volta che allungava il pallido braccio e distendeva le dita su quel globo argenteo e luccicante che sembrava rappresentare la chiarezza totale – che tanto sarebbe stata utile nelle sue idee -, questa sfuggiva sempre più in là, sempre più in là, dispettosamente; quasi a farlo apposta, ogni volta Hermione le era sempre più vicina, la poteva sentire sempre più sua, ma appena si arrivava al momento critico del contatto, la sfera schizzava lontano dalla sua portata e lei, stanca, non riusciva a raggiungerla. E così perdeva la sfida. Ma quella notte… quella notte, per la prima volta, era riuscita a sfiorarla, aveva toccato con mano – anche se fuggevolmente – la sua consistenza incerta, fatta di morbidezza e durezza, di tepore ed una sfumatura di brezza gelida, una consistenza fatta di dolcezza ed amarezza. La verità. Le era stata così vicina che quasi le era sembrato di non respirare più, e probabilmente per la tensione e la concentrazione aveva realmente smesso di respirare per qualche secondo. Le era stata così vicina che i suoi occhi si erano inspiegabilmente fatti lucidi per l’emozione, le era stata così vicina che tutte le sue altre percezioni erano state annullate. Le era stata così vicina che le era parso che il velo opaco, ricoprente la sua visuale da troppi anni, ormai, si fosse scostato di un poco; quello stesso velo opaco che avvolgeva la sua vita impedendole una visione chiara ed oggettiva, quella visione puramente razionale che lei tanto amava e tanto aveva amato, quello stesso odiato velo che la catapultava in un mondo, in un universo a lei alieno, fatto di emozioni palpitanti, di sentimenti così forti da fare quasi paura, da mozzare il fiato, da lasciare completamente, totalmente smarriti. Ma era durato tutto poco: un semplice soffio di vita tra le sue dita leggere ed emozionate; la sfera argentea aveva prodotto solo quello, sfuggendole ancora una volta. Ed allora il velo si era lentamente, dolcemente richiuso. Odiava. Lo odiava. Odiava quel velo, lo detestava con tutto il suo essere, odiava specialmente quel suo chiudersi dolcemente – terribile ipocrisia in confronto alle reazioni tutt’altro dolci che in lei poteva suscitare: aveva sempre detestato non essere perfettamente padrona di una situazione, aveva sempre odiato non poter avere in mano le redini di una situazione, figuriamoci della sua! Ed ora… ora trovarsi immersa fino al collo – o forse anche oltre – in quella strana atmosfera velata in cui la mente pensava una cosa ed il cuore ne faceva un’altra, in cui l’istinto sembrava prevalere sulla ragione – cosa impensabile per una ragazza dello stampo di Hermione Granger. Impossibile. O no? - le faceva paura. Non era quella paura che ti fa battere velocissimo il cuore, che ti gela il sangue nelle vene, che ti fa venire la pelle d’oca su tutta la superficie del corpo e ti lancia, impietosa, una gelida scarica di adrenalina su per la spina dorsale. Era tutt’altra paura. Era una paura più profonda, più radicata, una paura capace non di mozzarti il respiro del tutto, ma di attutirtelo quasi completamente, in modo che tu possa ancora fare uso di una piccola parte di aria e possa disperatamente renderti conto di quanto la normalità ti stia mancando, di quando vorresti respirare come tutte quelle altre persone che vedi camminare sulla tua strada, che vedi sorridere alle stesse persone cui sorridi tu, ogni santissimo giorno. È una paura subdola e tenebrosa, che ti lascia quel misero soffio vitale semplicemente perché tu possa renderti amaramente conto di quanto lei possa pesare su di te, sulle tue spalle; è quella paura che fa sì che non il gelo, ma il ghiaccio vero e proprio ti avvolga del tutto schiacciandoti, comprimendoti, rendendo insensibile qualsiasi parte del tuo misero corpo di umano, che nulla può nei suoi confronti. E questa era la cosa che più la spaventava: effettivamente Hermione nulla poteva contro la paura. La paura era radicata nel suo cuore, nel suo animo e nella sua mente, dipendeva quasi essenzialmente ed unicamente da lei. Se non imparava a combatterla, come poteva sperare che si attenuasse almeno di poco? Che scomparisse, poi, era una barzelletta. Quella paura, una volta che ti ha attanagliato, ti lascia una tremenda sensazione dentro: non potrai mai più essere felice. Hermione sapeva perfettamente di doverla combattere. Ma come fai a combattere qualcosa che non vedi veramente? Qualcosa che non capisci? E questa sua paura incomprensibile derivava proprio dalla mancata comprensione della sua realtà. A Hermione oramai sfuggiva il controllo dei propri sentimenti e degli avvenimenti che, imperterriti, seguitavano a susseguirsi implacabili attorno a lei; a Hermione era sfuggita quella comprensione perfetta e precisa della sua vita che da sempre aveva avuto.
E questo la terrorizzava.
Ancora una volta, quella notte, il globo argenteo tanto ambito – ormai era un desiderio quasi febbrile quello di prenderlo e capire finalmente tutto – le era scivolato tra le mani, nel vero senso della parola, dietro le sue palpebre chiuse, dietro la finta ed in ogni caso precaria protezione di una coperta soffice e calda. Eppure quella notte qualcosa era cambiato: era riuscita a sfiorarla per la prima volta. Anche se dopo era scivolato su di lei, facendole quasi ricadere delle ciocche di capelli sul viso, quel velo. E tutto era tornato dolorosamente patinato.
Un ricordo nitido ma non propriamente comprensibile di quella notte: un paio di occhi grigio tempesta, un viso dalla carnagione diafana, qualche sottile filo di capelli di un colore così chiaro da sembrare quasi etereo, di un biondo dal pallore lunare e, più che ogni altra cosa, delle labbra. Delle labbra sulle sue. Avevano avuto un tocco gentile e delicato, che tuttavia non aveva saputo trattenere un qualcosa di deciso. Risultato: una sensazione di ferma dolcezza. E quell’ultimo sguardo, proprio mentre la sua vista cominciava ad appannarsi per effetto dell’incantesimo – possibile che avesse sempre e comunque una visione distorta di quello che le accadeva? -, quello sguardo… quello sguardo era stato, ancora una volta, uno sguardo nuovo, che Hermione in lui non aveva mai visto. Qualche parola dalla roca dolcezza poco prima del contatto, poi una sensazione di tepore e di leggera sicurezza aveva turbinato in ogni sua cellula fino a che una spaventata consapevolezza l’aveva indotta a pensare: perché? Ma più che la razionalità poté la dolcezza.
Hermione aveva chiuso gli occhi, l’ultima cosa di cui si era resa conto erano state ancora quelle labbra non prepotenti ma neppure servizievoli, non galanti ma neppure brutali. Un bacio comunque casto.
Eppure non era riuscita a chiedersi perché.
Quel velo persisteva. E vedeva ancora tutto dolorosamente patinato, anche e soprattutto in quella pseudo-certezza: Draco Malfoy l’aveva baciata.
Strizzò gli occhi debolmente, prima di aprirli su di un mondo a lei non familiare: non c’era il suo lampadario di legno appeso al soffitto, quello che aveva preso con Ron e Harry durante il viaggio che avevano fatto appena un anno prima; non c’era la sua amata finestra, sulla sinistra, dalla quale, ogni mattina, un sottile raggio di sole si faceva largo tra le sottili tendine bianche fino a colpirle delicatamente il collo, lasciandole una sensazione come di calda carezza; non c’era il suo comodino alla sua destra, ma un mobile bianco, lineare, semplice ed informale. Anzi, decisamente da ospedale. Batté le palpebre una, due volte, poi una terza: decisamente un ospedale. Appoggiò tutto il proprio peso su di un gomito sollevando il torace, fece per sollevarsi a sedere quando la visione di qualcosa, o meglio, qualcuno poggiato sul bordo del letto di fianco al suo, la fece bloccare.

*** *** ***

Dannazione!
Correva disperatamente per quel vicolo buio che sembrava senza fine, tenendosi con una mano il naso grondante di sangue e stringendo nell’altra la propria bacchetta.
Ironico notare come la sua vita fosse una corsa continua.
Il cuore martellava violentemente nel petto mentre il giovane dai capelli biondi svoltava un angolo, sperando con tutto se stesso che quei maledettissimi Auror non lo avessero già rintracciato – erano capaci di fare di tutto. Si lasciò cadere di spalle contro il duro e freddo muro mattonato, la mano che aveva fino ad allora tenuta premuta sul naso, abbandonò la sua postazione e scivolò lentamente davanti ai suoi occhi: impregnata di sangue.
Tsk.
Tese le orecchie, i muscoli indolenziti ma vigili, e pronti a scattare nuovamente: nessun rumore. A quanto pareva gli Auror avevano rinunciato a seguirlo, forse si era Smaterializzato appena in tempo.
Il sangue risaltava, scarlatto, sulla pelle pallida della sua mano.
Storse la bocca infastidito più che altro per i ricordi non propriamente piacevoli che quell’immagine gli avrebbe sicuramente ricordato – se non ora, più tardi. Più tardi, quando meno te lo aspetti, quando tutto è più doloroso e meno facilmente sopportabile –, che per il comunque acuto e stordente dolore che avvertiva nel centro esatto del suo viso. Sollevò l’altra mano, quella che stringeva ancora convulsamente la bacchetta magica, e si maledisse come non mai per non aver mai prestato attenzione a tutte le volte in cui Madama Chips, a Hogwarts, aveva sistemato qualche osso a qualcuno. Se solo l’avesse degnata di una semplice occhiata o di cinque dei suoi preziosi, preziosissimi minuti, allora quel dolore sarebbe scomparso – più o meno. Forse avrebbe potuto fare qualcosa, ma… no. Lui non era Hermione Granger, non lo era mai stato.
Socchiuse gli occhi per la sensazione fastidiosa che il dolore stava avendo sulle sue cellule cerebrali: si sentiva leggermente stordito. Forse era per via dei pugni che aveva incassato – vergognosamente, avrebbe potuto difendersi molto meglio se solo non fosse stato colto in un momento di debolezza: prima regola di Draco Malfoy: non amare. Mai più… tzè! Se solo fosse riuscito… se solo avesse potuto proteggerla… e se solo quella notte non fosse caduto nella trappola, nessuno sarebbe scomparso per causa sua, nessuno. Lui non poteva permetterselo. Non poteva permettersi di amare qualcuno. Era totalmente, inevitabilmente fuori discussione. – o forse era per via dello Schiantesimo che gli era stato lanciato. Forse, anzi, sicuramente anche a causa del fatto che quando aveva incontrato Granger non era nelle migliori condizioni…
… forse era per tutto questo, forse era per qualcos’altro, fatto sta che gli tornarono in mente le giornate a Hogwarts.
Ancora quella maschera…
Quando indossava ancora quella maschera pesante e raccapricciante sul proprio volto. Quando si doveva circondare di persone scelte da qualcun altro. Quando poteva solamente invidiare da lontano chi poteva liberamente scegliere di essere qualcosa che lui avrebbe voluto poter essere, ma che non avrebbe mai potuto, legato, vinto com’era dalle catene gelide e quasi taglienti del suo cognome.
Ma che faccio? Mi metto a pensare a quella stupida scuola?
Le aule di Hogwarts, i professori… Piton, quell’arpia della McGranitt… le noiosissime spiegazioni, Weasley che si cacciava nei guai, Potter che si lagnava perché veniva continuamente preso di mira – che fosse afflitto da complessi di persecuzione? – da qualcosa o qualcuno… ed una mano alzata. Una petulante, infastidente, odiosamente saccente mano alzata. Non aveva mai avuto bisogno di abbassare i propri freddi – e nascostamente tristi – occhi grigi o anche solo alzarli dall’oggetto che stava precedentemente fissando, per scoprire che si trattava della geniale ed acida Hermione Granger, il piccolo genio di Grifondoro. Non ne avrebbe avuto bisogno, perché sapeva che si trattava di lei, eppure lo aveva fatto. Più volte si era sorpreso a voltare lo sguardo verso di lei – che avrebbe dovuto essere sua acerrima nemica in quanto alleata di Harry Potter, l’Eroe -, usando come schermo protettivo, come scusa, il fatto che avesse alzato la mano; usando come difesa all’apparenza incrollabile, dietro ogni superficialità indecisa e traballante, il prenderla in giro per qualsiasi cosa. Quando in realtà aveva voluto degnarla di uno sguardo. Perché lui sapeva, aveva cominciato a capire da molto, molto tempo. Lo sapeva che in fondo loro due non erano poi così differenti.
Così terribilmente opposti per molte cose, così irrimediabilmente uguali per altre.
All’improvviso scosse il capo con forza, stringendo gli occhi: no. Non poteva. Se l’era ripromesso. Non avrebbe mai, mai più amato qualcuno, non poteva più rischiare che qualcun altro scomparisse a causa sua.
Cosa mi è saltato in mente di fare?
Il fatto era che quando si trovava in sua presenza, non sapeva non pensare a quanto fossero simili e differenti al tempo stesso – cosa che li univa come non mai, perché gli opposti si attraggono, ma i simili spesso si comprendono -, non sapeva non pensare a quanto fosse diverso essere finalmente guardato non come un Mangiamorte, non come il figlio di Lucius Malfoy, ma come un ragazzo per così dire qualsiasi – di lì ad essere definito ‘un ragazzo qualsiasi’ ce ne passava, oh, eccome se ce ne passava!. Quando era con lei quella tiepida sensazione di comprensione cancellava con ardente impeto la paura di essere solo per sempre – come era sempre stato da quando non aveva potuto fare nulla, per lei… se solo avesse capito cosa aveva intenzione di fare suo ‘padre’, se solo fosse tornato poco prima… -. E nonostante il suo cinismo e l’apparente autocontrollo impeccabile, totale, Draco Malfoy doveva ammettere, perlomeno con se stesso, che Hermione Granger, per la prima volta nella sua vita, faceva sì che le sue azioni, i suoi pensieri e, peggio che mai, i suoi sentimenti non fossero sotto il suo completo controllo – da quando aveva iniziato a sentire qualcosa nel suo cuore? Da quando quel cuore, che egli aveva sempre ritenuto ormai troppo piccolo per le frequenti delusioni, troppo crepato dai troppi dolori per poter provare pienamente un qualsiasi sentimento, si rivelava capace di battere così forte da far quasi male? Perché dopo tanto tempo, da quando con fatica era riuscito ad estraniarsi da ogni qualsiasi sentimento per difendere il proprio Io in un freddo, impassibile vetro protettivo - vetro tuttavia opaco, che non lasciava trasparire ciò che era ed era veramente stato, un vetro che filtrava tutto come dolorosamente patinato -, perché proprio allora aveva sentito quasi il preciso istante in cui il suo cuore aveva preso a scandire quel ritmo regolare e profondo?
Nell’esatto istante di quel bacio.
Aveva iniziato ad intiepidirsi da quando aveva notato uno sguardo differente nei profondi occhi della ragazza, però…
… io l’ho quasi sentito fisicamente, è stato in quel momento… in quel preciso istante…
Quando le loro labbra si erano appena sfiorate.
Non va bene. Non va affatto bene.
Evitò accuratamente di osservare anche solo di sfuggita la propria mano ricoperta di sangue ed inspirò profondamente, mentre avvertiva il freddo della notte avvolgerlo come una fredda, strana coperta, contrastante con il calore che aveva appena ricordato.
Non poteva andare così. Ma cosa poteva fare? Come poteva reagire?
Come poteva impedire a Hermione Granger di impossessarsi dolcemente ma inesorabilmente – e probabilmente anche involontariamente – delle sue azioni e delle sue reazioni?
Non accadrà mai più.

*** *** ***

Bastò quel semplice movimento a metterlo all’erta: il ragazzo spalancò i grandi occhi celesti, e con uno scatto nervoso sollevò il capo dagli arruffati capelli rossi, né corti né lunghi; la osservò intontito per qualche attimo fino a quando la luce nei suoi occhi cambiò, dischiuse le labbra pallide per la stanchezza e fece quello che a Hermione parve uno splendido sorriso.
“Hermione!”
La ragazza notò le occhiaie scure sotto i suoi occhi ed il viso più pallido del solito.
“R-Ron? Ma cosa… cosa…?” balbettò disorientata mettendosi a sedere con il ragazzo che si alzava con un balzo e le sistemava i cuscini dietro la schiena – cosa che la imbarazzò non poco.
“Grazie al cielo ti sei svegliata! Temevo che quel verme ti avesse fatto un incantesimo, uno di quelli... di quelli che giusto lui e quei suoi luridi Mangiamorte possono utilizzare…”
Quel verme? Oh Dio, allora Ron ha visto Draco ieri notte!
“Avanti, Ron, non esagerare.” una voce proveniente dalla loro destra li fece voltare: Harry era in piedi sulla porta, poggiato con una spalla allo stipite ed un mezzo sorriso sulle labbra. Sembrava non aver dormito almeno quanto Ron non l’aveva fatto. “I Medimaghi ci hanno detto che sicuramente si trattava di un incantesimo innocuo, perché le pulsazioni e le onde cerebrali erano perfettamente nella norma. A sentirle raccontare da te, le cose sembrano sempre più catastrofiche ed angosciose.”
Hermione sorrise. Si sentiva stranamente felice nell’averli lì entrambi, tanto che si dimenticò del fatto che Ron sembrava aver visto Draco quella sera stessa.
“Harry!” esclamò con un sorriso.
Ron grugnì scherzosamente in risposta, fingendosi offeso, ed aprì le tende della stanza della ragazza, mentre Harry le si avvicinava e le poggiava un leggero bacio sulla guancia.
“Ben svegliata, Hermione. Penso di non averti mai vista dormire così tanto, sai?” ridacchiò, sedendosi accanto al suo letto. “Sicura di stare bene?”
“Benissimo.” confermò lei socchiudendo gli occhi beata, godendosi ancora il sorriso e la presenza dei suoi due migliori amici.
Ron, appoggiato di spalle alla finestra, li osservava sorridendo: era sempre stato così.
Hermione era sempre stata la loro migliore amica, ma con Harry aveva sempre avuto un rapporto differente da quello che, al contrario, aveva sempre avuto con lui. Con Harry, Hermione sembrava più sciolta; era sempre Harry a darle un innocuo bacio sulla guancia quando si rivedevano dopo tanto tempo ed era sempre Harry quello che Hermione abbracciava dopo una lunga vacanza o una pericolosa avventura in cui se l’erano scampata per il rotto della cuffia; Ron era sempre quello che veniva salutato con un sorriso impacciato. Per anni si era tormentato per questa situazione, senza voler ammettere neppure a se stesso il fatto che fosse terribilmente, tremendamente spaventato al solo pensiero che Hermione potesse essere innamorata di Harry. Un giorno, però, Harry stesso, notando questo suo stato d’animo – perché tutto quello che pensava riusciva sempre a trasparire al di fuori? – nonostante Ron negasse anche l’innegabile, gli aveva detto una frase che gli era rimasta impressa nella mente, marchiata a fuoco:
“Apri gli occhi, Ron. Hermione non guarda me come guarda te. Ma prova a fare un po’ d’attenzione a come guarda te, e poi pensa a come guarda me. Non puoi non accorgerti della differenza.”
All’inizio aveva pensato che Harry gli stesse stranamente tirando uno scherzo di cattivo gusto o che, comunque, si trattasse di una sua stupida impressione, da qualche tempo in là, tuttavia, si era sorpreso a ripensare a quella frase ancora più spesso di quanto non facesse in precedenza. E forse aveva anche sperato che. Sperato che. Sperato che potesse essere veramente così, che Harry non si sbagliasse. Ormai era abituato a quella differenza di trattamento, ma si era reso conto del fatto che, ultimamente, nonostante i litigi – era sempre così tremendamente infantile con lei! Perché non riusciva a crescere, nonostante se lo fosse posto come obiettivo principale? Forse perché gli faceva paura? Forse crescere gli faceva paura? – Hermione gli si fosse avvicinata. Per sfogarsi, quella sera in cui lui le aveva portato la camomilla, aveva scelto proprio Ron, l’amico pasticcione. E questo era solo un esempio, ma gli sembrava quasi che qualcosa fosse cambiato negli sguardi della Hermione che conosceva da quasi otto anni. Qualcosa che li avvicinava ma qualcos’altro che li aveva anche leggermente distanziati. C’era quel qualcosa che aveva notato già qualche tempo prima nei suoi occhi, quel qualcosa che non sapeva spiegarsi.
Che le fosse successo qualcosa di male?
“Vero, Ron?”
“Eh?” la voce di Harry lo fece tornare alla realtà. “Scusa, come hai detto?”
Harry e Hermione si fissarono brevemente, la ragazza ridacchiò.
“Lo vedi? Stavo appunto dicendo che non hai chiuso occhio per stare qui con lei, ti stavo facendo i complimenti e tu che fai per rovinare tutto? Dormi in piedi?”
“Oh, piantala Harry!” replicò il rosso ridendo e minacciando, con un rapido gesto del braccio, di tirargli un cuscino appena afferrato dal letto lì accanto.
“Ginny…” mormorò piano Hermione, ricordandosi solo allora dell’amica. “Dov’è Ginny?” chiese con un velo di preoccupazione dovuto neppure lei sapeva bene a cosa.
Harry si rabbuiò un poco.
Giusto. Lei non sa cos’è successo…
“Hermione, prima di dirti cos'è successo a Ginny…”
“Sta male? Che le è successo?” fece la ragazza castana allarmata, scostando rapidamente le coperte. “Parlate!”
“No, ecco… diciamo che adesso sta riposando nella stanza qui accanto…” mugolò Ron con gli occhi bassi, fissando un punto indefinito alla sua sinistra.
Hermione sembrò ben poco tranquillizzata da tali parole.
“Ginny… Ginny è in ospedale?”
“Calmati, Herm. Sta solo dormendo, i medici hanno detto che dobbiamo aspettare il suo risveglio. Per ora non è nulla di grave.” le rispose Harry, poggiandole una mano sul braccio per placarla.
“Che vuol dire ‘per ora’? Io… io… io non capisco!”
“Prima di spiegarti tutto...” proseguì Harry con sguardo cupo che fece venire un brivido alla ragazza. “prima di spiegarti tutto, devi dirci cos’è successo stanotte, Hermione.”
Oh.
Giusto. Io e Draco.
Draco…
E… e adesso?


*** *** ***

Dove… dove sono finita?
Voltò lentamente il capo a destra, poi a sinistra; batté perplessa le palpebre, ma quel che vedeva – o meglio, che non vedeva – proprio non ne voleva sapere di scomparire… forse proprio perché non era una sottospecie di illusione come lei stessa aveva intensamente sperato, forse proprio perché si trovava effettivamente in un luogo a lei sconosciuto e decisamente poco rassicurante. Tenebre dappertutto.
Lo confermava la fredda sensazione del contatto della nuda e gelida roccia sulle sue gambe nude dal ginocchio in giù, lo confermava quel pesante odore di umidità, muschio e terriccio… un attimo! Le sue gambe… nude dal ginocchio in giù?
Ginny abbassò tremante lo sguardo.
“Oh Dio,” mormorò spaventata.
Era sicura al cento per cento di aver indossato un paio di jeans proprio perché era appena stata all’allenamento con Hermione, eppure… eppure…
“Que-questa è la gonna della divisa di Hogwarts…” la sua voce si affievolì gradualmente, fino a spegnersi morbidamente nel silenzio umido di quella stanza completamente immersa nel buio pesto.
Uno strano sesto senso si impadronì di lei: sentiva di conoscere quella ‘stanza’ – o quello che era, viste le tenebre che l’attorniavano -, sentiva di esserci già stata. Sperando che si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto di qualcuno dei suoi amici, si alzò in piedi, ma crollò nuovamente in ginocchio, scoprendo con un gemito di orrore misto a paura di non riuscire più a controllare le proprie gambe.
Ma che sta succedendo?
Un lento rumore di passi alla sua destra, un sibilo inquietante.
“Ci rivediamo, piccola Ginevra Weasley.”
Quella voce…
“Chi… chi sei?”
Così come la voce, i passi si avvicinavano sempre di più.
“Ma come,” fece. “mi hai già dimenticato?”
Ginny si sentì afferrare dal terrore più assoluto, un sentimento convulso che le strinse il petto mozzandole il respiro; senza sapere il perché si trovò a voler scappare, voler fuggire con tutta se stessa, come mai poteva aver voluto in vita sua – forse solo una volta, forse solo quella volta. Non potendo fare alcun affidamento sui propri arti inferiori – oramai gelidi ed immobili – si voltò e prese a trascinarsi disperatamente con le mani sulla pietra, strusciando dolorosamente le gambe quando invece del pavimento incontrò una superficie aguzza e tagliente, come quella delle rocce, degli scogli sui quali giocavano lei e Ron da piccini, quando la mamma ed il papà riuscivano a portarli per un giorno al mare. Strinse gli occhi ignorando il dolore e con un basso, roco gemito tentò di accelerare, finendo con le mani in una pozzanghera d’acqua sollevò qualche schizzo che la colpì gelido sulle gote.
“Ehi, piccola, non devi avere così tanta paura, sai?”
La ragazza tentò di avanzare, ma si trovò davanti ad un muro; piano piano anche il controllo sulle sue braccia si stava affievolendo. Con gli occhi lucidi si costrinse a non voltarsi, non voleva vedere il volto del possessore di quella voce stonata, stonata perché risultava ambiguamente dolce, quando nel profondo si avvertiva la presenza di qualcosa di cattivo, di perfido, di maligno, del male. Era un totale controsenso. Si costrinse a non voltarsi, non voleva vedere; dentro di lei, in ogni singola fibra del suo corpo, ancora il riflesso condizionato del fare attenzione a non fissare negli occhi – sempre attenta a non incrociare per errore lo sguardo di quell’orrenda creatura che si aggirava quasi indisturbata nel castello, il Basilisco -, dal tempo di quel suo orribile primo anno ad Hogwarts. Serrò le palpebre senza sapere cos'altro poter fare.
“Avanti, non fare così. Apri gli occhi, non sei curiosa di rivedermi?”
“No. No, lasciami stare… no…” Ginny mormorò in risposta parole tra di loro sconnesse.
Improvvisamente avvertì un tocco gelido e bruciante sulla guancia sinistra, che la costrinse ad alzare un poco il capo che aveva lasciato crollare tra le proprie scapole; le mani puntellate ancora nella pozza d’acqua. Un tocco così freddo da bruciare nel vero senso della parola.
“Su, fai la brava bambina, apri gli occhi.”
Le sue palpebre si alzarono contro la sua volontà e quella che vide riflessa nella pozza d’acqua, non fu la Ginny quasi diciottenne che era abituata a vedere.
“Oh mio Dio!” riuscì ad esclamare flebilmente.
Le restituì lo stesso sguardo terrificato una Ginny appena undicenne, una Ginny al suo primo anno alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, una Ginny che la ragazza non vedeva riflessa nello specchio da ormai sette lunghi, lunghissimi anni.

*** *** ***

Ginny! Ginny!
L’immagine prese a vorticare rapidamente, regalandole l’indesiderato senso di nausea che ora sentiva vivo come non mai in gola ed all’altezza della bocca dello stomaco.
Ginny, svegliati!
Si avvertì inspiegabilmente afferrare da miriadi di mani, bollenti se messe a confronto con la sua pelle dalla temperatura oramai bassa, troppo, troppo bassa. Cercò di portarsi le mani alle tempie e di gridare, gridare per la paura, la disperazione, il dolore, quel senso di sconvolgimento e, più forte degli altri, la sensazione che qualcuno stesse tentando di entrare nella sua testa, spaccandola in due metà perfette.
Ginny! Apri gli occhi, Gin! Siamo qui! Noi siamo qui!
Non riuscì, come previsto, a governare le proprie mani, così dischiuse le labbra con la ferma intenzione di gridare e dare sfogo a tutte quelle sensazioni sgradevoli che la colmavano fino all’orlo; avrebbe voluto semplicemente urlare con tutta se stessa senza curarsi di chi le stava attorno, straripando come un fiume in piena dalla terribile violenza, la violenza di quei sentimenti che tiranneggiavano dentro di lei, ma quello che udì fuoriuscire dalla sua bocca tremante fu un unico, orrendo, terrificante e lieve sibilo.
Per l’amor del cielo, fate qualcosa! Fate qualcosa!
Cominciò a tremare con violenza, nella sua mente vorticavano immagini di luoghi e persone; le orecchie fischiavano, sembrava non esistere più per lei né lo spazio né tanto meno il tempo, sembrava proiettata in un burrone senza fine in cui poteva solo precipitare in eterno, schiacciata da quella consapevolezza.
… Ginny ascoltami: sono qui. Sono qui con te.
Aveva freddo, così tanto freddo da non sentire più neppure il proprio viso. Era come un’entità senza corpo che ondeggiava nel vuoto, anzi, che veniva scaraventata sempre più in basso, sempre più in basso, verso l’incognito, verso una fine sconosciuta, ma che in ogni caso non prometteva nulla di buono. Sapeva solo di star tremando.
Una mano bollente sulla sua fronte.
Ginny. Guardami, apri gli occhi!
Conosceva quella voce, conosceva quel tocco. Così diversi da quelli che quell’essere le aveva fatto sperimentare poco prima. Conosceva quella persona, conosceva chi stava invocando disperatamente il suo nome, avvertiva la tensione nella sua voce. Si sentì investita del suo odore, nella confusione più totale un solo pensiero, un solo nome: Harry.
GINNY!

*** *** ***

“Mio Dio, ti prego, Ginny! Apri gli occhi! Guardami, apri gli occhi!”
La voce di Harry suonava disperata nella bianca stanza dell’ospedale, mentre i medici si affannavano attorno al letto della ragazza e Ron fissava la sorella come fosse un fantasma: gli occhi sbarrati, la bocca socchiusa, sembrava decisamente sconvolto.
“Gi-Ginny…” mormorava semplicemente.
Un medico alto e giovane scostò bruscamente Harry ponendo sul viso della paziente una mascherina per aiutarla a respirare – cosa che attualmente sembrava non star facendo; il ragazzo si scansò di poco, lasciando la mano di Ginny che aveva fino ad allora tenuta stretta.
Un’infermiera alzò lo sguardo verso il collega che era appena arrivato di corsa, collegando Ginny ad uno strano macchinario.
“Dottore,” esclamò l’infermiera, i suoi lunghi capelli castani dai riflessi rossastri ricordavano vagamente quelli di Ginny. Ron distolse lo sguardo. “la stiamo perdendo.”
Tutto sembrò rallentare a poco a poco. Harry vedeva i medici darsi da fare per tentare di salvarla, gli infermieri e le infermiere correre a destra e manca con una lentezza quasi esasperante; lo stesso Ron, che si era voltato di scatto, inorridito, stringendo violentemente i bordi d’acciaio del letto della sorella, si muoveva ad una velocità incredibilmente rilassata. Chiuse gli occhi ad una fitta di dolore intenso ed acceso che gli attraversò la testa.
Il ricordo di Ginny accarezzò lievemente la sua mente. Ginny che giocava con loro a palle di neve, nel giardino di Hogwarts, ad appena tredici anni; Ginny che parlava allegramente con Hermione a colazione… avrà avuto sì e no quindici anni; Ginny che distoglieva lo sguardo dai suoi occhi in quel giorno… quel giorno in cui si erano dovuti salutare poiché Harry e Ron avevano fatto il loro ingresso nella squadra degli Auror… Ginny che capitombola fuori dal caminetto acceso della casa che lui e Ron condividevano con Hermione; i loro sguardi che restano legati, intrecciati tra loro come due fili dorati sottilissimi. Ginny che gli sorride… Ginny che lo abbraccia. Quella stessa sera, poche ore prima. La consapevolezza del suo corpo esile e tremante, il suo calore, le sue lacrime.
Non poteva finire tutto così…
Aprì gli occhi e la osservò: quella non era la sua Ginny. La sua Ginny aveva gli occhi castani e non vitrei; la sua Ginny aveva la pelle rosea, non grigia come una statua di cera, immobile, senza vita; la sua Ginny aveva le labbra rosse, non livide. La sua Ginny era viva e con lei viveva tutto il suo mondo, il mondo di Harry.
Fatela tornare. Fatela tornare da me, ve ne prego!
Era come se avvertisse che l’essenza stessa di Ginny Weasley, la ragazza che lui aveva amato ed amava con tutto se stesso, si fosse allontanata dal suo corpo e fosse imprigionata da qualche parte, lontana da lui. Lui che aveva sempre potuto avvertire la sua presenza - erano sempre stati legati da quel sottilissimo filo dorato, così fragile a prima vista, ma anche così persistente -, lui che aveva sempre sentito Ginny dentro di sé, ora non la sentiva. Non riusciva più a sentirla.
“GINNY!” gridò, sapendo perfettamente che questo suo gesto non l’avrebbe salvata.
Eppure capì come potesse star sbagliando solamente quando la vide serrare e riaprire gli occhi un secondo dopo. Quegli occhi erano color nocciola. Quegli occhi erano dolci, allegri, anche un po’ timidi. Quelli erano gli occhi di Ginny. Quella era la ragazza che amava.
“… Ginny!” esclamò prendendole il viso tra le mani. Lei lo fissò assente per un paio di secondi, quando parve riconoscerlo aprì la bocca per dire qualcosa, ma perse conoscenza. “Ginny, no!”
Un infermiere lo allontanò dalla ragazza mentre il medico sistemava l’ago di una siringa nel braccio della paziente e controllava attentamente il monitor sul quale si stagliavano linee apparentemente senza senso: il battito del cuore di Ginny e le sue onde cerebrali. Dopo un periodo – troppo breve per aver causato danni, avrebbe assicurato poi il dottore – che sia a Harry che a Ron parve interminabile, il cuore della ragazza aveva ripreso a battere con un ritmo più o meno normale, e le sue onde cerebrali erano tornate a farsi vive su quello schermo scuro.
“Lasciami andare, cazzo!” imprecò Harry divincolandosi agilmente dalla stretta dell’infermiere – in fondo era pur sempre un Auror. “Calmati.” disse il dottore voltandosi lentamente, alle sue spalle Ron era più pallido di un cencio appena lavato. “Adesso è fuori pericolo. Ha solamente perso conoscenza dopo la crisi convulsiva, è normale, anzi, è un bene: ora il suo corpo potrà riposarsi e recuperare almeno in parte le energie perdute. Devi solo lasciarla riposare.”
Harry lasciò cadere le braccia, inerti, lungo i propri fianchi, e si sedette sfiancato sulla sedia accanto al comodino della ragazza che ora se ne stava immobile tra le candide lenzuola del letto. Ron si abbandonò sfinito contro un muro e scivolò lentamente in terra, portandosi le mani tra i capelli. Rimasero tutti in silenzio, compreso il dottore, finché le infermiere e gli infermieri, sistemati i macchinari attorno al capezzale della giovanissima paziente, uscirono dalla stanza. Il dottore prese una sedia e si sedette a sua volta.
“Cosa… cos'è successo?” chiese flebilmente Ron, ora di un colorito quasi verdastro. “Cos’è successo a mia sorella?”
Il giovane dottore inspirò, sembrava assorto.
“Vi dirò la verità,” disse. “era un bel po’ che non mi capitava un caso del genere. Ne ho visti un paio solamente in qualità di tirocinante e purtroppo il mio ‘insegnante’ è scomparso due anni fa…” fece una piccola pausa, Harry alzò lo sguardo verso di lui, si sentiva terribilmente sfibrato, svuotato di qualsiasi energia. “Mi avete detto che è stata attaccata, giusto? Da un Mangiamorte. A volte capita che persone che sono state molto vicine a Voi-Sapete-Chi possano essere facilmente controllate da lui… e tu lo sai bene, Harry.” fissò intensamente il giovane dagli occhi smeraldini e stanchi: lo conosceva sin da quando era entrato a far parte della squadra degli Auror tirocinanti e lui stesso sapeva di essere considerato il medico più bravo e più famoso tra tutti gli Auror della sua divisione, per questo si era sempre personalmente occupato di Harry Potter e dei suoi amici, sotto esplicita ed accorata richiesta di Albus Silente. “Però non vedo come possa accadere questo con lei. Insomma, i sintomi sono quelli: convulsioni, stato totale di assenza dell’anima, quasi come se un Dissennatore l’avesse risucchiata via, temperatura corporea quasi nulla e via dicendo. Eppure questa sera questa ragazza non ha avuto un contatto diretto con Voi-Sapete-Chi…”
Ron gemette sconsolato ed il medico lo osservò attentamente.
“C’è forse qualcosa che non so?” domandò.
Harry distolse lo sguardo ed osservò distrattamente la figura di Ginny nel letto, i suoi capelli color fiamma sparsi disordinatamente sul cuscino.
“Sì, c’è.” rispose cautamente. “Sette anni fa, Ginny è stata manovrata direttamente da Voldemort, a Hogwarts.”
Il medico annuì con lentezza e prese ad osservare anche lui la sagoma della giovane paziente.
“Al tempo degli attacchi del Basilisco…” mormorò tra sé e sé.
“Esatto.” confermò Harry, cupo. “Pensa… pensa che si stia avverando?”
Il dottore si voltò e lo osservò tristemente, senza dire nulla.
“Ciò di cui abbiamo sempre avuto paura si sta avverando, quindi… è così?”
“No…” sussurrò Ron.
“Ragazzi, io non posso dare nulla per certo, specialmente in una situazione così delicata… però, se volete che sia sincero fino alla fine, io… sì, penso che sia così. Penso che Ginny Weasley abbia dentro di sé una cicatrice. Una cicatrice diversa dalla tua, Harry, perché mentre tu sei il vero obiettivo di Voldemort, lei per quell’essere è solo un mezzo per arrivare a te. E mentre tu sei protetto da quell’amore di cui ti ha parlato Silente tanti anni fa, come tu stesso mi hai raccontato, l’amore di tua madre che è morta per salvarti… lei è totalmente priva di qualsiasi forma di difesa. Dentro di lei è rimasto qualcosa di latente da quel giorno, qualcosa che può costarle caro.”
Harry e Ron si scambiarono un’unica occhiata spaventata e demoralizzata.

*** *** ***

Hermione li fissò sconvolta, finito il racconto di come si fossero svolti i fatti.
Non poteva crederci. Non poteva essere.
“Voi… voi state scherzando, vero?”
“Credi veramente che potrei scherzare su di una faccenda del genere?”
Solo allora la ragazza si rese conto dell’amarezza nel sorriso di Harry, dell’inquietudine nei suoi occhi ed in quelli di Ron.
“Perché non le avete mai detto nulla? Perché non mi avete mai detto nulla? Era un nostro diritto, specialmente suo! Come avete potuto nasconderle la verità per tutti questi anni?”
“Calmati, Herm,” disse dolcemente Ron, sedendosi sul bordo del letto. “L’abbiamo saputo solo l’anno scorso…”
Hermione sembrò volerlo fulminare con lo sguardo. Solo l’anno scorso?” sibilò, i suoi occhi saettavano pericolosamente. “E vi sembra normale? Vi sembra corretto, per caso? Non pensate che Ginny si sarebbe potuta difendere meglio, nel caso avesse saputo tutta la verità? Non pensate che anche io avrei potuto dare una mano?”
“No.” rispose seccamente Harry, alzandosi ed avvicinandosi alla finestra dove poc’anzi era stato il suo migliore amico, che ora evitava accuratamente di incrociare lo sguardo di Hermione. “È stato meglio così. Innanzitutto tu non avresti potuto fare nulla, esattamente come non puoi fare nulla adesso, e poi sapevo, anzi, sapevamo che avresti reagito così.”
Hermione osservò costernata prima Ron, poi nuovamente Harry.
“Ma…”
“Credi che Ginny sarebbe vissuta serenamente se avesse avuto il terrore e la consapevolezza di essere costantemente in pericolo, di essere un varco aperto, per Voldemort, per raggiungere me? Credi veramente che sarebbe stata meglio tormentandosi per una cosa, di cui non sapevamo neppure la certezza, del genere? Credimi, Hermione, io ci sono passato e so per certo che non è affatto piacevole né tanto meno gratificante sapere che Voldemort può entrare in te mentre dormi, mentre non sei all’erta. E poi, come ti ho già detto, per Ginny è diverso. Ginny non ha avuto a che fare con lui ogni anno a Hogwarts, non l’ha mai incontrato da neonata, non è abituata come posso relativamente esserlo io. Ginny è più fragile e solo Dio sa quanto vorrei fare a cambio con lei, darle la mia ‘forza’…” e rise con aria di scherno verso se stesso. “Dio solo sa quanto vorrei che quel pezzo di merda la lasciasse stare e venisse a cercarmi direttamente. Dio solo sa quanto… quanto…” la sua voce si spezzò.
“Harry…” mormorò Hermione alzandosi – neppure Ron osò protestare per questa sua irresponsabile decisione, dopo l’agguato di quella notte – e raggiungendolo. “mi dispiace, probabilmente hai ragione tu. Hai ragione tu: io non so cosa si possa provare, e spero di non saperlo mai. Però sai quanto io abbia sempre cercato di esserti vicina. E sai anche che lo farò con Ginny, che è la mia migliore amica. Non ti stavo rimproverando, Harry, era solo… era solo che sono stata colta alla sprovvista.”
“Lo so,” rispose Harry, evitando che Hermione e Ron notassero i suoi occhi lucidi. “Lo so. Però è così difficile vedere i tuoi amici costantemente minacciati a causa tua…”
Sentì Hermione abbracciarlo da dietro e Ron poggiargli amichevolmente una mano sulla spalla.
“Sai come la pensiamo, Harry.” disse il ragazzo. “Tu non c’entri nulla.”
Harry decise di non replicare. Era troppo stanco.

*** *** ***

Ormai il sole tinteggiava le nuvole dei suoi raggi rossastri, dolci, contrastanti con l’atmosfera di quell’ospedale; ormai il globo infuocato cominciava, leggermente offuscato, ad inabissarsi oltre l’orizzonte, quando Ginny aprì piano piano gli occhi e vide Harry, seduto accanto a lei, osservare un punto che solo lui poteva vedere, oltre i vetri di quella finestra.
Cercò di fare mente locale: cos’era successo?
Ricordava solo quelle sgradevolissime sensazioni e la voce di Harry, il suo viso prima di svenire. Ma prima? Sentiva che prima era successo qualcosa, qualcosa di importante… ce l’aveva sulla punta della lingua, eppure non riusciva proprio a ricordare. Sapeva che era per strada e che c’era anche Hermione, ma non ricostruiva alcuna scena, né sembrava capire come Hermione potesse riguardare quei ricordi smarriti o in che modo li avesse influenzati.
Lentamente mosse una mano, e la percepì. Si sentì invadere da una sensazione assoluta di sollievo ed alzò una mano fino a toccare la guancia in cui quel gelo l’aveva bruciata: un segno rosato mostrava ancora l’ustione da freddo – che i Medimaghi avevano prontamente curato in modo che non ne rimanesse traccia – e numerosi tagli sulle sue gambe doloranti avvaloravano quella dimostrazione: non era stato un sogno.
Si voltò di lato osservando il profilo di Harry, chiedendosi se quello, invece, fosse un vero sogno. Quel movimento attirò l’attenzione del ragazzo dai folti e scarmigliati capelli corvini, che si voltò. Si fissarono in silenzio per qualche secondo, alla fine Harry si chinò e le diede un leggero bacio sulla fronte – ora calda -, lasciandola senza parole e rossa come un’aragosta, completamente dimentica del pallore che fino a poche ore prima aveva campeggiato sul suo dolce viso.
“Ciao.” disse semplicemente.
Aveva le occhiaie e sembrava distrutto.
Ginny allungò le braccia, gli cinse il collo e l’abbracciò, stringendolo a sé tra quelle lacrime di sfogo che sembravano finalmente fresche e confortanti.

*** *** ***

“Ho paura. Ho paura che Voldemort cerchi ancora di usarla come arma, di usarla per arrivare a me. Non mi perdonerei mai una cosa del genere.”
Hermione aveva sospirato preoccupata a queste parole di Harry.
“Stando a quel che ho capito, Ginny è quella che i Mangiamorte hanno definito ‘la Chiave’, perché può condurre a te per molteplici motivi: uno è il fatto che vive assieme a te. Il secondo è il fatto che è cresciuta bene o male assieme a te. Il terzo è il fatto che sa quanto tu le sia affezionato.”
Il ragazzo annuì.
“Ecco perché non volevamo assolutamente che rimanesse sola, ed ecco perché ci hanno attaccati, questo pomeriggio. L’ho notato subito, miravano a lei, non a me. Miravano a lei perché io so difendermi fisicamente e lei ancora no, quegli stronzi!”
“Cosa si può fare per lei?” domandò la ragazza castana, preoccupata.
Osservò Ron stropicciarsi stancamente un occhio prima di risponderle.
“Poco e niente. Dobbiamo solo evitare che Ginny entri in contatto con altri Mangiamorte, perché quando si trova in loro presenza, avvertendo l’essenza di Voldemort, quindi del male, si indebolisce ed è proprio quello che richiama l’attenzione di quel bastardo e che gli permette di vincere le difese di Gin per entrare nella sua mente.” espirò l’aria che aveva in corpo, trasmettendo una sensazione di depressione e demoralizzazione profonda. Hermione gli sfiorò una mano con la sua. “Possiamo solo starle vicini.”
“Ed è quello che faremo.” rispose fermamente Harry voltandosi verso i due, nei suoi occhi una determinazione senza pari.


*** *** ***

“Adesso, però, capisci perché è di fondamentale importanza che tu ci dica cosa sia successo questa sera.”
Hermione abbassò lo sguardo deglutendo lievemente.
“Ti abbiamo detto cos’è successo a Ginny proprio per questo, Hermione,” insistette Harry, cercando di incontrare lo sguardo della ragazza, senza alcun successo. “… per capire.”
“Io…”
Non posso mentir loro! Ma non posso nemmeno parlare di Draco! Non capirebbero mai…
“Cosa ci facevate voi due con Malfoy?”
“Ecco, io… ero scappata dopo la lite con Ron, e penso che Ginny mi avesse seguita. Non ricordo bene cosa sia successo, so solo che mi sono svegliata qui…”
“Logico: quello stronzo ti ha aggredita, poi ha aggredito Ginny e siamo arrivati noi. Chissà per quali loschi motivi girava da quelle parti! Quel bastardo, sicuramente è al servizio di…”
No!
I due giovani si voltarono verso Hermione, in piedi davanti a loro con i pungi stretti lungo i fianchi e gli occhi lucidi.
“Cosa?”
“Ho detto che non è così. Non potete pensare sempre che sia uno come suo padre semplicemente perché porta il suo stesso cognome, non potete. Che ne sapete di lui? Che ne sapete? Che ne sapete di quanta tristezza io abbia visto nei suoi occhi?”
“Hermione, sei solo tanto stanca…” mormorò Ron toccandole un braccio.
“No che non lo sono!” alzò la voce lei, scansando bruscamente l’amico. “Non potete far finta di niente! Tutte le volte, tutte le volte avete fatto così, anche con me! Non va bene far finta di nulla, e lo sapete. Vi dico che Malfoy non mi ha aggredita e… e sono sicura che non abbia aggredito neppure Ginny.”
“Hermione, l’ho visto io stesso puntarle la bacchetta contro.” replicò Harry.
“Io non posso assicurarvi niente, vi chiedo solo di fidarvi!”
“Come possiamo fidarci di un assassino?”
“Vi sto chiedendo di fidarvi di me!”
“Ma non capisco! Come…” Ron venne interrotto dal suo cercapersone che suonava, lo prese e dopo pochi secondi guardò i suoi due amici. “La squadra sta per partire alla ricerca di Malfoy, attualmente sospettato di nove omicidi. Chiedono il nostro aiuto.”
Hermione sbarrò gli occhi.
“No! No, non potete farlo! Se lo troveranno, lo uccideranno di sicuro, non gli crederanno mai! Lo consegneranno ai Dissennatori che eseguiranno su di lui il Bacio!”
“Herm,” disse Harry con voce strana. “io non so perché tu abbia cambiato idea riguardo Malfoy, né perché ti ostini tanto a volerlo difendere, ma non posso fare a meno di pensare che tu ti sia lasciata traviare dalle sue parole e dalla tua stanchezza. Non posso credere a ciò che dici, così come non posso rifiutare il mio appoggio e sostegno alla mia squadra. Mi dispiace, ma sappiamo quel che facciamo.”
La ragazza li vide correre via entrambi – poiché non era permesso Smaterializzarsi in un ospedale, altrimenti sarebbe potuto entrare chiunque.
No. Non sapevano assolutamente cosa stessero facendo.
Aveva ragione Draco, l’aveva sempre avuta: non sarebbe mai cambiato nulla.
Improvvisamente, così, come dal nulla, quel velo, questa volta pesante come non mai, le cadde addosso, non solo davanti agli occhi. Così come Harry e Ron vedevano Draco in un’ottica distorta ed opaca, così lei ora, fuggendo di nascosto dalla propria stanza, eludendo miracolosamente la sorveglianza, mossa da sentimenti così forti da gettarla nel panico, vedeva tutto, ancora una volta, dolorosamente patinato da quell’incomprensione che regnava tra tutti loro e, principalmente, in ognuno di loro, preso singolarmente. Quello che li faceva soffrire, tutti quanti.
Ma non avrebbe permesso che accadesse ancora, non avrebbe permesso che quello che era stato un gesto di fiducia verso qualcuno – quel bacio, ma non solo… quei suoi sguardi, le sue parole, l’aver confessato il fatto di non riuscire a piangere… di non saper piangere… l’esserle stato comunque vicino, a suo modo. E solo ora Hermione capiva che Draco Malfoy le era stato consapevolmente e volontariamente vicino. Lei avrebbe ricambiato. – fosse gettato al vento, svanisse nel nulla. Anche se sembrava difficile, anche se tutto sembrava ancora irrimediabilmente patinato, dolorosamente patinato.


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Capitolo 9
*** Prendimi per mano ***





Capitolo 9° “Prendimi per mano”

Well, I'd jump at the chance,
We'd drink and we'd dance
And I'd listen close to your every word


Non sarebbe stato il freddo agghiacciante di quella mattina uggiosa – fitte nubi nere, tipiche di quella zona dell’Inghilterra, avevano presto detronizzato il sole e quel tenue, quasi inesistente calore che aveva diffuso nell’aria -, non sarebbe stato il fatto di essersi ricordata di essere in camicia da notte, con la sola compagnia di un semplice giubbotto, inadatto a quelle condizioni atmosferiche, non sarebbe stata neppure la consapevolezza di essere sola a correre per i vicoli del quartiere accanto all’ospedale in cui si era svegliata, non sarebbe stata tanto meno la penombra soffocante a cancellarle o semplicemente attenuarle quel pensiero nella mente. Era ancora molto presto, i negozi erano ancora quasi tutti chiusi ed il buio della notte lasciava le sue tracce in quella stessa penombra – che regnava grazie alla presenza di nuvole nere, cariche sicuramente di pioggia, neve o qualche altra cosa decisamente poco piacevole -, ma non si sarebbe fermata. Nonostante non vedesse ancora tutto chiaro – anzi -, nonostante sentisse crescere nella parte razionale della sua anima quella tanto odiata sensazione di paura - paura nei confronti di qualcosa di sconosciuto: quei sentimenti che riuscivano a governarla, la perdita quasi totale della capacità di agire razionalmente -, nonostante si sentisse anche tremendamente in colpa nei confronti dei suoi due migliori amici – probabilmente, pensò con ansia e dispiacere, a quell’ora Harry e Ron erano già giunti al quartier generale e stavano per iniziare a rastrellare, perlustrare, setacciare ogni singolo angolo della città e, se necessario, anche dell’intero stato, alla ricerca di Draco Malfoy – non poteva tornare sui propri passi. Eppure questa volta c’era qualcosa di diverso… qualcosa di curiosamente – e fastidiosamente, nell’ottica di Hermione – differente che la gettava in uno stato in cui si trovava a navigare nei sensi di colpa: questa volta non era il suo corpo a non voler rispondere. No, questa volta, la prima in assoluto, in tutta la sua vita, Hermione era conscia di star agendo in tale modo e, nonostante sapesse benissimo anche che non sarebbe in ogni caso riuscita a fermarsi, non aveva intenzione di non farlo.
So di non poter fare una cosa del genere a Harry e… e Ron…
Il suo cuore fece un salto, Hermione attribuì erroneamente tale singolare reazione alla fatica per la corsa. Fortunatamente si sentiva alquanto rinvigorita grazie all’incantesimo di Malfoy.
… però non posso neppure permettere che lo prendano.
Al solo pensarci le sembrava quasi di sentirsi addosso quegli occhi di ghiaccio, capaci, tuttavia, di sciogliersi e di far sciogliere in pochi, pochissimi istanti. Istanti nei quali Hermione si era sentita diversa.
So già cosa ne farebbero, e non voglio.

Istanti in cui Hermione Granger si era sentita osservata nel senso fisico e metafisico del termine. Osservare non vuol dire semplicemente guardare distrattamente la figura di una persona, gettare un’occhiata frettolosa al suo viso, alle sue gambe o al fondo schiena… osservare significava fare attenzione. Osservare significava annullare il mondo esterno e concentrare la propria attenzione sulla persona in questione, cercando di capirla, cercando di aiutarla; osservare voleva dire vedere con gli occhi del cuore l’anima di tale persona.
Non posso lasciare che subisca un’altra volta quel trattamento.
E lui… lui. Lui sì che l’aveva osservata. Non aveva solamente tentato di farlo, ci era proprio riuscito. E con eccezionale facilità, destando grande sorpresa e, sì, confusione nell’animo della ragazza.
Io finalmente ero riuscita a capirlo… finalmente ero quasi riuscita a capirlo…
Lui l’aveva ascoltata, aveva ascoltato con attenzione, quasi sentimento – anzi, sicuramente sentimento: si vedeva dalla lucente emozione che vibrava nei suoi occhi; per Hermione era facile ricordare… come avrebbe potuto dimenticare quegli occhi? -, aveva voluto aiutarla, aveva intuito, senza bisogno di parole, che aveva bisogno d’aiuto. Ed aveva cominciato – anche se solo remotamente – ad aprirsi un poco.
Quel bacio…
Scosse la testa, sempre correndo: non poteva mettersi a pensare alle sue labbra dolci ma decise, delicate ma sicure. Così tremendamente forti, confortanti e misteriose, capaci di gettarti in una marea, in una tempesta senza fine in cui, al posto delle onde, del vento, sono le tue emozioni a sballottarti a destra e manca, a sferzarti il viso costringendoti a socchiudere gli occhi, a pervadere ogni tuo senso di lui. Sentiva il suo odore, poteva ancora sentirlo, quasi come ogni singolo capello, ogni fibra di sé ne fosse rimasta impregnata, conosceva il suo sapore – anche se il bacio era stato così innocente e delicato -, avrebbe saputo riconoscere tra mille il singolare tono della sua voce, il suo profondo e caldo timbro vocale, la capacità di quella voce vellutata di assumere una gamma di sfumature dall’ampiezza sempre sorprendente ed incalcolabile, poteva vederlo: lo vedeva ovunque ed in qualsiasi momento, le bastava chiudere gli occhi per trovarsi a rimirare – ignobilmente, a suo avviso – i suoi fini, lisci capelli biondi dal pallore lunare, per trovarsi a scorrere dolcemente lungo ogni tratto del suo viso leggermente appuntito ma per lei – da quando aveva cominciato a pensarla così? - bellissimo, per trovarsi a scivolare languidamente lungo l’osso della sua mandibola per poi risalire dolcemente su sul suo zigomo delicato ed il suo naso perfetto, di lì fare una piccola, candida scalata fino all’attaccatura delle sopracciglia, chiare e fine, alla sua fronte spaziosa, ma non troppo… a dire il vero non aveva bisogno di chiudere gli occhi per vederlo: sembrava quasi che nella retina dei suoi occhi – sì, proprio lì dove si materializza l’immagine che si sta osservando – si fosse impressa indelebilmente, marchiata a fuoco la sua figura. A voler essere totalmente sinceri, poi, la cosa che maggiormente imbarazzava ed infastidiva la ragazza era l’insistente ricordo di Draco Malfoy a torso nudo che continuava a tornarle alla memoria ogni volta che ricordava il suo tocco delicato, signorile, ma sempre incredibilmente fermo, irremovibile – era singolarmente affascinante come cose così diverse potessero convivere in lui -, al tocco delle sue mani, al tocco delle sue labbra… il suo tocco? Aveva già citato mentalmente olfatto, gusto, udito e vista. Cosa mancava? Oh.
Oh.
Il tatto. Non si poneva neppure il problema di poter o non poter dimenticare il suo tocco. Quelle mani avevano bruciato attraverso le vesti come un nuovo sentimento, sconvolgente proprio perché sconosciuto, poi avevano rinfrescato, nell’istante subito successivo, la sua pelle delicata e disabituata a tale sensazioni. Dimenticare? Impossibile. Cicatrici. Il suo tocco lasciava cicatrici invisibili ma sensibili, aveva lasciato su di Hermione qualcosa che se ad occhio nudo non si vedeva, nel cuore di Hermione bruciava costantemente creando un tepore confortante e rassicurante in ogni sua misera cellula.
I-io…
Hermione Granger aveva avuto paura, aveva avuto timore. A diciannove anni, Hermione Granger si era lasciata travolgere, sommergere, sconvolgere e riempire troppo rapidamente da sentimenti, sensazioni, intuizioni così forti e così intense da rimanerne inevitabilmente scioccata. Inutile negare che non lo fosse: il bacio della sera prima sembrava molto più che un ricordo e lei era ancora disorientata, ma quel qualcosa di diverso la spingeva ad ignorare questo disorientamento seguendo l’istinto, la richiesta che pulsava con violenza nelle sue vene, scorreva rapidamente assieme al suo sangue, assieme al suo ossigeno, raggiungeva ogni fibra del suo corpo e sembrava esser divenuto il suo chiodo fisso: raggiungerlo. Trovarlo, aiutarlo.
Se solo si ripetesse qualcosa come quelle avvenute a Hogwarts…
Essere lì con lui, anche nell’amara consapevolezza di essere inutile.
… se solo si ripetesse ancora tutto, come sempre è stato…
Riuscire a fargli capire che c’è sempre qualcuno.
… si perderebbe per sempre.
Che anche se non sembra, anche se tutto appare irrimediabilmente oscuro e schiacciante, anche se tutti sembrano contro di te, anche quando vorresti semplicemente chiudere gli occhi e non riaprirli, dormire un unico sonno, più lungo del solito, più lungo degli altri… qualcuno c’è sempre.
Nei suoi occhi… nei suoi occhi quell’ultima volta sono sicura di aver visto qualcosa di diverso.
Qualcuno che sappia tenderti una mano mentre tu, pressappoco agonizzante nella tua disperazione, giaci raggomitolato in un angolo buio, sporco ed umido, pieno di lividi, graffi, ferite della vita, di gente che non ha saputo apprezzarti, di persone che non hanno saputo riconoscere ciò che sei, di falsi amici di cui ricorderai solo il loro averti sfruttato fino a spolparti di ogni energia, di ogni buona intenzione, di gente, di tanta, tanta gente – perché la gente così non finisce mai. Come l’erba cattiva, anzi, peggio. – che ti ha nauseato al punto da privarti di ogni sentimento, di ogni fiducia e lasciarti arido. Arido e sofferente. Arido, sofferente e soddisfatto. E con quelle altre ferite che tu stesso ti sei inflitto.
Le sue parole… ‘Questa volta no. Questa volta si tratta di un favore. Niente brutti sogni questa notte, promesso’ le sue parole, io ne sono certa… come i suoi occhi… come il suo sguardo…
Anche se non sembra c’è sempre qualcuno disposto ad afferrare la tua mano, qualsiasi cosa ne derivi. C’è sempre qualcuno disposto a lavarti via la sporcizia che questo mondo ti ha gettato addosso – e che sempre, immancabilmente, ti sei gettato addosso da solo. E non vorrà per forza che tu lo ricambi.
… esprimevano qualcosa che si avvicinava sorprendentemente ad un ringraziamento.
La giovane irruppe nella strada principale e si guardò rapidamente attorno; il vento si stava alzando e le sferzava le gambe nude dal ginocchio in giù, gonfiando morbidamente la sua camicia da notte. Nessuno in vista.
‘Stai attenta, Granger, perché potrebbe anche piacerti’.
Potrebbe anche piacerti.
Hermione adocchiò la via a lei più congeniale ed utile per raggiungere un certo determinato luogo. Non sapeva perché, né come, eppure stava correndo verso un luogo preciso. Qualcosa dentro la sua testa, come un pizzico stimolante e sempre presente, senza parole, in una muta ma straordinariamente forte consapevolezza, la guidava.
Potrebbe anche piacermi.
Le scarpe da ginnastica producevano un rumore gommato ed attutito sull’asfalto scuro della strada. Non poteva neppure utilizzare incantesimi perché la sua bacchetta magica era rimasta nella casa che divideva con Ron, Harry e Ginny fin dalla sera precedente, quando era fuggita dopo la lite con Ron.
Io ho tentato. Ho provato a dirmi che no, non poteva essere… eppure non ci sono riuscita.
Le doleva solo un pochino il fianco sinistro, fortunatamente era ben allenata.
Aveva ragione lui. Non sono riuscita ad impedirlo. È vero che non sono riuscita a capire veramente, come ancora non ci riesco ora, però…
Oltre l’alto scivolo di un parco divertimenti per bimbi, vide le chiome degli alberi del parco, ora grigie per l’ottenebrante assenza di luce. Lì. Lei doveva andare lì.
… però non sono riuscita neppure ad impedirlo. Non sono riuscita a governare questa situazione.
Arrivata di fronte al sentiero principale del parco lanciò una rapida occhiata alla panchina appena dentro il viale alberato, lì dove spesso si era seduta con Ron a chiacchierare e bisticciare attendendo che Harry li raggiungesse. Sentì una morsa ferrea allo stomaco, ma distolse lo sguardo.
Quel ringraziamento era anche in quel bacio. Non posso distruggere così il sottile e precario strato di fiducia che è riuscito ad accettare con tanta, tanta fatica.
Quello era stato un vero bacio, sì. Ma per lui… per lui cosa aveva significato?
Una rapida successione di flash: i suoi occhi grigi, i suoi sguardi, il suo respiro caldo sul viso, le sue parole, i suoi piccoli ed eleganti gesti, il suo profumo naturale, il suo tocco rovente, la sua voce vibrante, carica d’emozione. Il suo sapore… il suo sapore.
La ragazza strinse i pugni, deglutendo.
“Non posso tornare indietro.”
Lanciandosi di nuovo in una folle corsa, producendo il ritmato rumore dei passi veloci sulla ghiaia del vialetto, un pensiero le saettò nella mente: poco prima di perdere conoscenza, giusto pochissimi istanti prima di assopirsi sentendosi dolcemente protetta, delicatamente sicura, le era parso di sentire la sua voce sussurrare qualcosa. Ma proprio non aveva capito cosa.
‘Chi deve stare attento sono io. Perché tutto questo potrebbe anche piacermi.’
Nella confusione totale – quel bacio… cosa aveva significato per entrambi? I loro discorsi? Le loro parole? Cos’era quella sensazione? Perché aveva voluto trovarlo anche poco prima del bacio, perché aveva sentito il desiderio enigmatico di averlo accanto a sé? – sfrecciò lungo un vialetto secondario.
Chi deve stare attento sono io. Perché tutto questo potrebbe anche piacermi.
Raggiunse il piccolo spiazzo che conosceva fin troppo bene, l’albero lì dietro era sempre allo stesso posto, l’odore di natura era lo stesso.
Perché tutto questo potrebbe anche piacermi.
Non aveva più fiato in corpo, non ragionava ormai lucidamente – come già da un po’ non riusciva a fare -, per questo le uscì di bocca fu un semplice sussurro attutito dal vento.
Tutto questo…
“Draco…”
Per la prima volta in vita sua si era rivolto direttamente a lui chiamandolo per nome. Per la prima volta aveva pronunciato il suo vero nome ad alta voce. Sorrise appena, sentendosi immensamente sciocca mentre gli occhi le si facevano leggermente lucidi alla rassicurante vista di un ragazzo dagli occhi sorprendenti che si voltava,con espressione indecifrabile, verso di lei.
“Tu…?”
… potrebbe decisamente piacermi.
Immobile per qualche secondo, Hermione rimase con lo sguardo fisso in quello del giovane.
Certo non era nelle migliori condizioni, ma era ancora sano e salvo. Era arrivata per prima.
Arrivata per prima nel luogo in cui si erano incontrati veramente – perché in tutti quegli anni a Hogwarts non si erano mai veramente incontrati – per la prima volta.
Nel luogo in cui lei aveva cominciato a capire.
Nel luogo in cui lui aveva iniziato a vedere un barlume di luce in lontananza, anche se piccolo, anche se tremolante, anche se incerto, insicuro almeno quanto lui, ma pur sempre un barlume di quella che, lo sapeva, sarebbe stata una luce splendida, luminosa e purissima.
Draco fece un mezzo passo verso di lei, interdetto, ma Hermione perse il controllo delle gambe e si ritrovò a corrergli incontro.
Stai attenta perché potrebbe anche piacerti.
Senza respiro, senza più nulla in corpo o in testa gli afferrò una mano stringendola convulsamente con le sue, più piccole, poggiandoci contro la fronte accaldata per la folle corsa. Il ragazzo osservò la sua figura rabbrividire nel vento e tremare, forse non solo per il freddo, ma anche per quell’insieme di sensazioni sconvolgenti che li animava entrambi.
“Granger,” mormorò, utilizzando l’altra mano per sollevarle delicatamente il viso, poggiandogliela dolcemente sotto il mento.
Tutto questo potrebbe anche piacermi.
Respingendo a fatica l’impulso di abbandonarsi tra quelle braccia così forti e sicure nonostante l’aspetto di un diciannovenne nella norma, la ragazza alzò nuovamente lo sguardo verso di lui.
Che - i suoi occhi tempestosi sembravano assumere ora una nuova espressione, Draco Malfoy stava mostrando un’altra delle sue mille e mille sfaccettature, fragili e forti al tempo stesso – le sorrise con dolcezza. Con una dolcezza che Hermione non avrebbe mai associato a lui e che probabilmente lui stesso non sapeva di possedere e sfoggiava solo in alcune circostanze. Il troppo stroppia, ma quel dolce sorriso, come quel bacio, era dimostrazione di… fiducia.
Non voglio che tu ti perda.

Solo il rumore del vento.
Non lo voglio più, non voglio che ogni luce sia spenta, come avevo voluto qualche settimana fa.
Non voglio perdermi, non più.

Per la prima volta, senza alcuna remora, dopo tanto tempo, sorrideva dolcemente e sinceramente a qualcuno. Finalmente. Finalmente riusciva nuovamente a farlo. Anche se non avrebbe mai dovuto. Non avrebbe dovuto perché non poteva permetterselo: non poteva permettersi ancora di amare né, tanto meno, di perdere la persona amata… non poteva permettersi una seconda volta questo tragico errore, non poteva permettere che a causa sua qualcuno da lui amato soffrisse ancora.
… amato…
Anche se non voglio rischiare di costituire un pericolo per te…
Ancora solo il fruscio del vento tra le fronde degli alberi.
… anche se non voglio rischiare di farti del male, non riesco ad impedirlo.
Draco Malfoy le stava sorridendo. E dolcemente.
Potrebbe anche piacermi.

And I'd listen close to your every word


*** *** ***

Well, I'd jump at the chance,
We'd drink and we'd dance
And I'd listen close to your every word


Poggiando i piedi sulle mattonelle azzurre del pavimento, si concesse una smorfia dovuta al brivido che le aveva attraversato il corpo. Istintivamente ritirò le gambe e si infilò in fretta e furia di nuovo sotto le calde coperte, fissando svogliata la distanza che la separava dalla porta della sua stanza. Storse ancora il naso pensando che non avrebbe potuto trascorrere l’intera mattinata lì sopra, si passò i lisci capelli rossi dietro le orecchie e, scostando di scatto le coperte, scese dal letto procedendo con passi piccoli e velocissimi fino alla meta, dove poté finalmente infilarsi in quello che era un paio di calde, morbide e confortevoli pantofole. Da ferma si rese conto di non possedere un equilibrio sicuro: le gambe ancora doloranti tremavano leggermente sotto il suo comunque modesto peso. La ragazza si incupì a quel pensiero: cos’aveva significato quel sogno? E perché aveva sognato proprio quella cosa? Andando ad intuito ricollegava il tutto, stranamente, a quelle singolari percezioni che solo lei sembrava avere in determinate situazioni, proprio come quando, la sera prima, aveva incontrato… già, chi aveva incontrato? Ricordava perfettamente di essersi spaventata ed essere stata colta di sorpresa da qualcuno, ma… di chi si trattava? Hermione? No. No, Hermione era una parte del ricordo, ma non quella. Poteva ancora sentire nella testa quel pizzico, quello scatto, quel qualcosa che le aveva fatto capire di non essere sola, che le aveva fatto scoprire la presenza di qualcun altro. Le era capitato molto spesso, da una certa età in poi; forse dai suoi undici, dodici anni. Le era spesso capitato di percepire presenze singolari.
Ne dovrei parlare con Harry…
Harry. Solamente il suo pensiero riuscì a strapparle un dolce sorriso: Harry era rimasto a vegliare su di lei fino a quando non aveva ripreso conoscenza; Harry le aveva sorriso, le aveva poggiato un lieve bacio sulla fronte, dolce, sincero, puro.

Well, I’d jump at the chance,
We’d drink and we’d dance


Lei l’aveva abbracciato. Ancora non si capacitava di come fosse riuscita a farlo, quando in tanti anni davanti a lui si era sempre trasformata in un’imbranata timidissima e decisamente molto, molto impacciata. Con un altro sorriso, si rese conto del fatto che fosse arrivato il momento giusto.
Forse è arrivato il momento in cui saprò dirti quelle parole… le parole che finora non ho saputo dirti.

And I’d listened close to your every word


Sentendosi carica di energie positive, decise di farsi forza e scacciare l’ansia, il timore: finché ci fosse stato Harry accanto a lei, non avrebbe dovuto aver paura. Finché ci fossero stati Harry, Ron e Hermione, sarebbe sempre riuscita a farsi forza ed a controbattere qualsiasi colpo della vita, anche incassando, anche soffrendo, ma pur sempre riuscendo a controbattere. Trasse un concentratissimo respiro ed aprì delicatamente la porta della stanza in cui era stata sistemata.
Dove sarà finito Harry? Devo parlargli di questa cosa particolare, è stato lui stesso a raccomandarsi: ‘Fammi sapere qualsiasi cosa. Qualsiasi cosa. Qualunque cosa ti sia sembrata anormale, particolare o semplicemente solo leggermente fuori dagli schemi. Ginny, è importantissimo.’. Chissà perché? Non ha voluto dirmelo… saranno affari interni all’esercito degli Auror, ma sono convinta che mi spiegherà tutto.
Il corridoio era vuoto e la ragazza procedette lentamente, sempre usufruendo dell’appoggio che le forniva la parete alla sua destra, fino a raggiungere il banco informazioni. L’infermiera la osservò distrattamente per poi riprendere a leggere con attenzione la cartella medica di chissà quale paziente, pochi secondi dopo però, con un repentino scatto del capo, tornò a fissarla sgranando i grandi occhi blu, per una metà sorpresa, per l’altra incredula.
“Cosa ci fai tu in piedi?”
Ginny si staccò dal muro, le gambe le tremavano ancora un po’, ma non l’avrebbe dato a vedere.
“Non dovresti essere qui! Su, torniamo in camera!”
L’infermiera le prese gentilmente un gomito e, cingendole con un braccio le spalle, cominciò a sospingerla con delicatezza nella direzione inversa, nuovamente verso la sua bianca stanza.
“Mi scusi... ha visto un ragazzo dai capelli scuri e gli occhiali?” domandò la paziente voltandosi come aspettandosi di vederlo fare capolino da dietro l’angolo del corridoio lì in fondo.
“Oh, quel bel ragazzo dagli occhi verdi?” fece la donna in risposta, sorridendo allegramente. “Sì, certo. È rimasto accanto a te fino ad una ventina di minuti fa quando ha ricevuto una chiamata urgente ed è dovuto scappare via di corsa, assieme ad un ragazzo che ti somiglia molto: ha i tuoi stessi capelli rossi e lineamenti simili… s iete fratelli?”
Ron? Cosa ci faceva Ron qui?
In un flash rivide una bacchetta puntata contro la sua fronte, e le sembrò di sentire delle grida. Harry con la bacchetta fumante in mano, il suo aggressore scaraventato più in là, Ron poco più indietro che digrignava i denti, furibondo.
Certo! C’erano Harry e Ron. Ma chi era l’aggressore? E Hermione che ruolo ha avuto in tutto questo? Perché non riesco a ricordare, diamine?
“S-sì,” rispose brevemente, lasciandosi spingere nuovamente a letto.
“Comunque sia, il ragazzo dagli occhi verdi mi ha detto di dirti che sarebbe tornato presto e che gli dispiaceva non poter essere presente al tuo risveglio, come ti aveva promesso.”
Ginny arrossì furiosamente ricordando le parole che Harry le aveva bisbigliato all’orecchio prima che lei si addormentasse:
“Harry, ho paura. Ho paura che dormendo potrei finire nuovamente in… in…” gli aveva parlato del sogno, ed il ragazzo era stato così serio da farla preoccupare seriamente: cosa stava succedendo?
“Non aver paura, io sono qui. Ci sarò sempre. Quando aprirai gli occhi, ci sarò io con te.” e le aveva sfiorato una guancia con il dorso della mano, lasciandole addosso una sensazione di freschezza e delicatezza.

“Trovo che sia una bellissima cosa vedere due fidanzatini così affiatati!” proseguì gioviale l’infermiera, aprendo di poco un’anta della finestra per far prendere aria alla stanza.
Ginny s’infiammò ancor di più in viso, se possibile.
“Ah? N-no, noi…” mormorò, interiormente divertita.
“Oh!” esclamò la donna improvvisamente, sbirciando il proprio orologio. “Come passa il tempo! È ora di controllare la paziente della stanza qui accanto.”
Ginny era ancora con la testa fra le nuvole, dando sfoggio di un sorriso estasiato al pensiero ‘Harry & Ginny = fidanzati’, quando le parole della spensierata infermiera la fecero destare dal sogno ad occhi aperti.
“A proposito, conosci anche lei? Tuo fratello ed il tuo ragazzo sono passati anche in camera sua, sembravano ottimi amici. Dicono sia stata aggredita dallo stesso Mangiamorte che se l’è presa anche con te… povere piccole, fortunatamente non vi è successo nulla di così grave…”
Hermione?!
La giovane avvertì una morsa allo stomaco e sgranò gli occhi: Hermione era in ospedale? Cosa poteva esserle successo?!
Un grido fece sussultare entrambe.
“La paziente della stanza quattordici è sparita!”
Un fascio di luce che solo lei poté vedere: lo stesso aggressore… una strada fiocamente illuminata dalla luce dei radi lampioni, un muro freddo dietro il quale si era nascosta… Hermione poco più in là. Non era sola. Assieme a lei un giovane smagrito, capelli fini e biondissimi, occhi di ghiaccio e lineamenti vagamente appuntiti. Quegli occhi… il timore che sapevano incutere… poteva trattarsi solo di una persona, solo di lui…
Draco Malfoy!
Hermione Granger e Draco Malfoy.
Non… non è possibile. Ora ricordo…!
Hermione Granger e Draco Malfoy. E ciò che mai si sarebbe aspettata da loro due.
Un bacio.
Hermione Granger, Draco Malfoy ed un bacio.

*** *** ***

Well, I’d jump at the chance

“Ron… Ron?” si sentì scuotere con energia. “Ron!”
“E-eh??”
Il suo migliore amico, con addosso l’uniforme mimetica che utilizzavano durante le spedizioni come Auror di livello avanzato – quello che poi erano –, lo stava squadrando con cipiglio e le labbra piegate in una strana angolatura.
“Cos’è quella smorfia, Harry?” brontolò cupamente Ron, infilandosi uno stivale ed allacciandolo rapidamente.
Il ragazzo moro distolse per un secondo lo sguardo controllando che le reclute si stessero sbrigando – inutile dire che erano già tutte pronte, perfette - e notando che la prima faglia era già pronta per uscire in missione. Da quando era stato eletto capitano dello squadrone di difesa doveva fare molta attenzione ai propri subordinati. Un capitano così giovane non era stato mai visto. Poco dopo di lui, Ron era stato promosso al grado di co-capitano dello squadrone di attacco – che utilizzava anche e soprattutto la forza fisica per controbattere gli attacchi dei Mangiamorte e dei nemici. Ancora una volta Harry era stato migliore di lui, si era detto all’inizio. Ma poi aveva finito per non farci più caso: quando si è abituati ad una situazione da otto lunghi, interminabili anni, si finisce per farci – per così dire – il callo, volenti o nolenti. In più, quello di Ronald Weasley era un sentimento contrastante: era ovviamente e sinceramente molto legato a Harry, il suo migliore amico da tempo immemorabile, eppure non riusciva ad accettare il fatto di essere sempre e solo il suo migliore amico. A Hogwarts era stato ‘il cagnolino di Potter’, del grande, grandissimo, super Harry Potter. No, dire che non riuscisse ad accettarlo sarebbe eludere gran parte della verità: Ron lo accettava come lo aveva sempre accettato, anche molto passivamente – quando avrebbe dovuto semplicemente, come diceva sempre la saggia e razionale Hermione, pensare un po’ meno a Harry e concentrarsi interamente sulle proprie capacità, perché lui non era da meno del grande Harry, solo che non lo ammetteva. Per insicurezza. -, ma ci stava male, male da cani. Il ragazzo dai capelli rossi alzò mestamente lo sguardo – seguendo quello dell’amico - verso quelli che erano i suoi diretti subordinati: stavano ancora parlottando emozionati per la loro prima spedizione, molti erano anche più grandi di lui dal punto di vista anagrafico. Poggiando i gomiti sulle cosce mentre si infilava i guanti della divisa, disse:
“Squadrone, sull’attenti!” si udì un confuso rumore di panche di legno che si spostano e di decine di piedi muoversi, con un rumore stridente e gommato, sulle piastrelle del pavimento: ora erano tutti sull’attenti, fissandosi emozionati e perplessi. “Cosa pensate di fare standovene lì a cincischiare come ragazzine nel pieno di un’adolescenziale cotta impossibile?” sbottò alzandosi in piedi, dando sfoggio del suo fisico slanciato, saldamente piantato a terra. “Avanti, darsi una mossa! Non siamo qui per divertirci, chiaro? Il nemico non starà lì a partecipare alla vostra emozione infantile quando sarete faccia a faccia!”
“Signorsì, capitano!” esclamarono all’unisono decine di voci maschili – le donne si cambiavamo, come è logico che sia, nello spogliatoio accanto.
Improvvisamente tutti velocizzarono i tempi, i gesti, i movimenti. Ron lanciò un’occhiata da sopra la spalla sinistra a Harry, dietro di lui.
“Adesso va bene?” domandò con strafottenza.
“Molto meglio, capitano Weasley.”
“Co-capitano.” lo corresse Ron, scansando un ragazzo per raggiungere qualcosa sull’attaccapanni.
Harry sorrise scuotendo il capo.
“Oggi l’altro capitano non c’è, ergo sei tu l’unico capitano della missione di attacco.”
“Sentito, soldati? Oggi si sgobba!” esclamò scherzosamente Ron, suscitando sorrisi a destra e manca.
Il suo migliore amico gli rifilò uno scappellotto, poi uscì per andare a ricevere ordini.
Ron passò davanti ad uno specchio ed osservò di sfuggita la propria immagine riflessa: da quant’era che il suo camminare con lo sguardo basso era stato sostituito con una fiera camminata dal passo deciso ed intransigente, mentre dentro era più insicuro di prima? Da quanto tempo era che riusciva ad assumere un tono così deciso e sicuro quando dentro di lui regnava tutto tranne decisione e sicurezza? Da quando era che…
Inutile proseguire nella sequela di domande: avrebbero avuto tutte un’unica risposta.
Da quando mi sono ripromesso di proteggerla.
Senza dire nulla uscì dallo spogliatoio seguito dai suoi soldati, diretti verso il luogo di ritrovo dei vari squadroni.

We’d drink and we’d dance

Da quando, un anno fa, ho deciso di diventare un Auror.

Quando si mise sull’attenti con un rigido ma agile movimento, i suoi occhi erano quelli di un comandante fiero e sicuro. Sicuro di fare di tutto per proteggerla.
Da quando ho deciso di far di tutto per proteggere Hermione.

And I’d listen close to your every word

Preparati, Malfoy, perché Ron Weasley sta venendo a prenderti.

Dentro di sé aveva capito che Hermione era cambiata, stava come passando un momento di difficoltà e sebbene lui non avesse voluto impicciarsi – era giusto che Hermione combattesse da sola le proprie guerre, dopotutto sapeva di poter contare su di lui, sempre – aveva intuito che se qualcosa non fosse cambiato, l’avrebbe persa. Per sempre.

As if it’s your last, well I know it’s your last

Era una consapevolezza sbiadita, la sua, qualcosa che si può definire istinto o sesto senso ciò che lo spingeva a pensare che Draco Malfoy c’entrasse qualcosa con quel cambiamento di Hermione. Lo sentiva dentro di sé. Probabilmente Hermione avrebbe capito tale singolare sensazione: era sempre stato così. Era sempre stato come se tra loro due ci fosse stato un legame speciale, particolare, un legame fatto proprio su misura per Ron Weasley e Hermione Granger. E questo legame non poteva sbagliare, non avrebbe sbagliato come non l’aveva mai fatto. Tutti loro stavano perdendo Hermione ed in questo aveva un ruolo particolare Malfoy.
Ron stava perdendo Hermione e non poteva permettere che ciò accadesse.
Quando scesero in campo, Ron Weasley era un uomo, non più un semplice ragazzino di diciannove anni, come spesso era stato definito – anche e soprattutto dalla stessa Hermione, durante le loro liti furibonde. Ron era un uomo ed avrebbe lottato per Hermione.
Per non perderla.

Cause today, oh, you’re gone

*** *** ***

Quel sorriso.
Forse non aveva il diritto di rivolgerle tale gesto.
No. Perché non le aveva ancora detto tutta la verità.
Per paura che non potesse capire.

*** *** ***

Il vento non accennava a placarsi, non era eccezionalmente forte, ma pur sempre freddo e spiacevole sulle gambe della ragazza mentre, senza muovere un solo, singolo muscolo, senza osare interrompere quel momento di intensa felicità – dovuta neppure lei sapeva esattamente a cosa, tutto era sempre più confuso, vorticoso e lei, piccola stella nella tempesta buia e cupa, non sapeva di costituire l’unica luce, l’unica via di fuga, l’unica salvezza per quel ragazzo che ora costituiva la sua ancora: nonostante fosse lui la causa efficiente e scatenante di tutto quello sconvolgimento interiore, l’essergli vicino, il saperlo sano e salvo, il poterlo sentire e non solo percepire nei ricordi, le permetteva di non essere trascinata via da quella stessa tempesta che si permetteva l’arrogante proposito di voler stappare una piccola, insicura stella – ma lucente più che mai – al suo luogo predestinato: il cielo. Immenso come lei, immenso come i suoi sentimenti, bello e misterioso, dolce e tenebroso. Esattamente come loro due. – rimaneva con la mano del ragazzo stretta tra le sue ad osservare quel bellissimo, nuovo sorriso che aveva avuto il privilegio di veder sbocciare sul suo pallido viso. Un po’ tirato, sì, ma quello dipendeva dal fatto che non era più abituato a sorridere, non in quel modo, non veramente… quel sorriso stupefacente, capace di renderla dimentica – anche solo per poco, ma quel poco sembrava a lei un’immensa eternità – della confusione che fino a quel momento l’aveva tormentata, dei problemi che si erano andati creando, di tutto il resto. Vedeva semplicemente quel sorriso fantastico e si lasciava naufragare docilmente – senza tentare di riprendere il controllo della situazione, anche perché, lo sapeva, non ci sarebbe mai riuscita – nei suoi occhi.
Draco Malfoy.
Draco Malfoy poteva essere un’immensità, poteva racchiudere in sé, in quel corpo di diciannovenne, una varietà così contrastante di sentimenti da stupire in ogni istante. E la cosa più bella, quella che sapeva trasmettere emozioni così forti era il fatto che in lui quei sentimenti apparissero così limpidi, così puri, così forti da raggiungere l’altra persona – se dotata di una certa sensibilità, se poteva vantarsi di aver creato un certo feeling con lui – e lasciarla spiazzata: migliaia di schegge di sentimenti differenti si mischiavano in quegli occhi, in quella voce, in quella postura, giungendo proprio al cuore di Hermione – forse l’unica capace di notare tutto questo, gli altri si limitavano a bollarlo come ‘individuo inquietante e pericoloso’ - quasi violentemente – non aveva mai creduto, prima d’allora, che qualcuno potesse provare e trasmettere emozioni così forti, così assolute – tanto che a fatica Hermione seppe trattenersi dal compiere l’istintivo gesto di aggrapparsi al braccio di lui, avendo quasi la sensazione di vacillare, attorniata e poi colpita da quelle schegge di puro cristallo. Che potevano appartenere solamente a lui.
Probabilmente erano passati solo pochi secondi – che ai due naufraghi (che fossero ancora o stella continuavano pur sempre a naufragare l’uno nell’altro) sembrarono una splendida vita –, quando la voce di lui ruppe il silenzio quasi rarefatto per la presenza di emozioni talmente forti.
“Granger,” la sua voce profonda, il suo tono enigmatico. “perché sei qui?”
La ragazza credette che potesse udire il furioso battere del suo cuore nel petto.
“Tu non lo sapevi, vero?” disse improvvisamente, con un fil di voce.
Il giovane alzò leggermente un raffinato sopracciglio biondo.
“Non sapevi che attaccando Ginny sarebbe accaduto tutto quello, vero? Dimmi che è così, ti prego!”
Draco rimase immobile.
“Non l’ho attaccata, per prima cosa. Era un semplice incantesimo di memoria. E poi… cosa le sarebbe accaduto?”
Fu sorpreso nel vedere Hermione sorridere felice e, lasciando la sua mano, passarsi le dita sotto gli occhi, asciugando qualche lacrima.
“Lo sapevo… lo sapevo.”
“Devo ammettere che mi è tutto molto chiaro.” disse lentamente lui, con la sua solita vena di pungente sarcasmo, osservandola però sorridendo, felice che anche lei riuscisse finalmente a sorridere. “La tua capacità di spiegazione, Granger, è a dir poco entusiasmante.”
Il sorriso si spense lentamente sul viso di Hermione che, rinnovando la stretta sulla sua mano, lo guardò piena di ansia e paura.
“Devi scappare. Devi scappare, via, lontano! Non devono trovarti!”
“Chi?” gli occhi di Draco rabbuiati.
Lo sguardo di lei trasmise una sensazione di pura fiducia.
“A te posso dirlo.” a quelle parole Draco si limitò a ricambiare quello sguardo, perfettamente conscio del fatto che non servissero parole: gratitudine. Qualcuno si fidava di lui. Quanto era stata capace di fare Hermione Granger… aveva saputo accendere una candela, una piccola luce ed ora stava riuscendo, poco a poco, a restituirgli un briciolo di calore. “Ieri sera io e Ginny siamo state portate in un ospedale. Harry e Ron mi hanno detto solo ora che Ginny è in pericolo: Voldemort la sta cercando per giungere a Harry. Come sai, Harry è riuscito varie volte scamparla con lui per vari motivi che non perdo tempo a spiegarti, ma… è stato scoperto che dopo essere stata posseduta da Tom Riddle, al suo primo anno a Hogwarts, dentro di Ginny è rimasto qualcosa di latente che la tiene in contatto con lui. Venendo attaccata da un Mangiamorte si indebolisce, e per Voldemort è più facil…” la ragazza si interruppe portandosi una mano alla bocca.
Il ragazzo, che aveva distolto lo sguardo, sorrise mestamente fissando un punto imprecisato davanti a sé.
“Prima o poi l’avresti scoperto.” disse semplicemente, scostando la mano da quelle di Hermione.
Lei si limitava a fissarlo con occhi sbarrati e lucidi.
“Vuoi… vuoi dire che tu…”

And I’d listen close to your every word

“Vuoi la prova? Eccola.” con fare deciso e svelto scostò il mantello che svolazzò al vento e si arrotolò la manica della camicia fino alla spalla. “Mi è stato fatto due anni fa, a diciassette anni. Quando sono diventato maggiorenne.” aggiunse quasi in tono neutro, mentre al contrario, dentro di sé, si macerava dal timore che quell’unica luce si spegnesse, per sempre.

As if it’s your last, well I know it’s your last

Gli occhi castani e grandi della ragazza indugiarono sul nero tatuaggio che campeggiava sinistramente sporcando la candida pelle del braccio di Draco. Privandolo della purezza dell’innocenza.
Il tatuaggio dei Mangiamorte.

Cause today, oh, you’re gone

*** *** ***

Scivolò agilmente dietro un albero, mettendo mano alla propria bacchetta magica. Lanciò una furtiva occhiata a sinistra, intravedendo la sagoma di Ron procedere rapidamente a zig-zag attraverso i tronchi, producendo incredibilmente il minor rumore possibile; quando il ragazzo si fu fermato, si voltò verso Harry facendogli un cenno affermativo.
Harry allora puntò cautamente la bacchetta verso l’alto che, al comando di qualche sua parola ovattata, esalò una sottilissima colonna di fumo nero. Il segnale: erano sulla pista giusta.
È proprio in questo parco che l’ho visto per la prima volta, con Hermione.
Ron scosse il capo freneticamente concentrando di nuovo ogni suo senso sulla sua missione.
E bisogna dire che svolgesse il suo lavoro con estrema perizia.
Si sistemò ben nascosto mentre Harry si allontanava, dopo averlo avvertito, per controllare la zona adiacente.

Cause today, oh, you’re gone

*** *** ***

“Cosa fai ancora qui, Granger?” sbottò aggressivamente lui, voltandosi e cominciando a camminare in direzione opposta.
Hermione si sentiva svuotata, rivoltata e completamente svuotata, come una vecchia sacca inutile: com’era possibile? Com’era possibile che Draco Malfoy fosse un Mangiamorte?
“Tu non puoi essere…”
Lui si voltò, i suoi occhi puro ghiaccio.
“Cosa c’è, non ci vedi? Sono un Mangiamorte, esattamente! Non riconosci il tatuaggio?”
Quell’aggressività stonava con l’atteggiamento freddo che Hermione aveva sempre collegato a lui, prima, quando, a Hogwarts, lo credeva un Mangiamorte. C’era qualcosa che le puzzava. I suoi occhi… i suoi occhi erano sempre stati sconvolgenti, sì, ma sinceri. Non riusciva neppure a pensare all’eventualità che Draco avesse fatto la propria entrata nella schiera del nemico, non poteva essere. Tutte quelle parole, erano state uno scherzo di cattivo gusto per abbindolarla ed avvicinare Ginny, per arrivare, infine, a Harry? Quegli sguardi, quegli atteggiamenti… erano stati tutti una mera, subdola mossa strategica? Una schifosa finta?
“Avanti, vattene.” continuò il ragazzo voltandosi – non poteva permettere che qualcuno vedesse il tremore nei suoi occhi. “Vattene prima che qualcuno di loro mi scopra.”
Non avrebbe dovuto cedere ai sentimenti. Se ne pentiva come non mai: era oramai abituato ad ignorarli, ma quella volta erano stati così potenti, così veri che si erano infiltrati in lui poco a poco, ma con una prepotenza ed una forza inaudite, mai sperimentate prima. Ingenuamente aveva sperato che tutto sarebbe potuto essere diverso, differente, differente da quella volta… da quella volta in cui l’unica persona da lui veramente amata… da quella volta in cui sua madre, Narcissa Black in Malfoy, era stata freddamente liquidata da suo padre.
Assassinata.
Uccisa con spaventoso sangue freddo, con terribile indifferenza mentre lui era lontano, proprio perché costituiva un ostacolo: solo lei poteva avere un certo ascendente su Draco, solo lei riusciva a restituirgli un minimo di fiducia nella vita, solo lei separava il ragazzo da una sicura vita di omicidi e misfatti al seguito dell’Oscuro Signore. Così Lucius Malfoy non si era fatto troppi scrupoli – come del resto non se ne era mai fatti – e l’aveva spenta per sempre, sperando che così Draco perdesse la sua unica luce e diventasse docile, ammaestrabile – mostrava infatti da tempo segni di ribellione. E se per una cosa aveva avuto ragione – la luce di Draco si era estinta in una tenebra profonda e senza fine. Un eterno, assoluto buio. Terrificante. –, per un’altra si era praticamente dato la zappa sui piedi: fu proprio quella l’occasione in cui suo figlio prese tutto il coraggio che fino ad allora aveva tenuto sopito in qualche angolo di sé e si ribellò.
Da quel giorno – poteva ricordare le ferite fisiche e morali, poteva ricordare la disperazione, la fatica, la paura, solo sensazioni negative – non si erano più visti e Lucius Malfoy aveva cominciato a dargli la caccia, una caccia spietata, ignobile, con un unico scopo: quello di ucciderlo.
Ucciderlo per il tradimento, ucciderlo perché lui, Draco, era l’unica macchia sull’onore della famiglia Malfoy.
Proprio per questo aveva tentato di non cadere in quel vortice di sentimenti: a causa sua Hermione sarebbe stata in pericolo. Suo padre – che non si era fatto scrupoli per sua moglie, figuriamoci una ragazzina qualunque, per di più filoauror e di origini completamente Babbane – avrebbe agito con una rapidità eccezionale: Hermione sarebbe stata utilizzata come esca, come arma per arrivare a lui. E poi sarebbe stata, ovviamente, uccisa. Prima di lui, così che il suo dolore, il dolore del giovane Draco, sarebbe stato doppio. Prima sua madre, la sua grande luce bianca e pura, poi Hermione, la sua piccola, dolce stella lucente. Poi, finalmente, sarebbe arrivata la sua ora – finalmente perché non avrebbe resistito a lungo con una duplice ferita del genere nel cuore, nell’animo, stillante sangue color rubino che andava a macchiare le sue mani già abbondantemente sporche di sangue umano.
Ma lui aveva osato sperare. Ah, che sciocco.
“Ti ho detto di andartene, Granger!” sibilò Draco osservandola con la coda dell’occhio, anche se le sue lacrime facevano più male che qualsiasi altra cosa. “Hai proprio il grande desiderio di lasciarti prendere dai Mangiamorte del gruppo di mio padre?”
No. C’era decisamente qualcosa che stonava con tutto il resto: perché i Mangiamorte di suo padre avrebbero dovuto rapirla? Forse li aveva avvertiti lui? No, impossibile: Hermione aveva visto come l’avevano conciato, l’aveva visto fuggire da loro con i suoi stessi occhi.
“Sono sulle tue tracce?” disse con voce tremante.
Lui assaporò amaramente il silenzio per un breve lasso di tempo.
“Vai via, Hermione. Vai via, te ne prego.”

Well, I’d jump at the chance

Hermione.

Era la prima volta in tutta la sua vita che sentiva Draco Malfoy pronunciare quella parola, il suo nome. E suonava terribilmente carico di emozioni represse.

We’d drink and we’d dance

“Ho capito cosa vuoi dirmi: gli Auror mi stanno per raggiungere. Poco male, meglio loro che mio padre. Sì, sono ancora sulle mie tracce, lo sono sempre stati. Io non ho scelta, ma tu… tu… per favore, è la prima volta che chiedo un favore a qualcuno. Per favore, Hermione, salvati almeno tu.”
“No!” singhiozzò lei, ed in pochi passi gli fu accanto afferrandolo per un polso, ma senza farlo voltare, rimanendo a fissare la sua pallida nuca su cui qualche ciuffo chiaro di capelli sembrava giocherellare, spettinato.
“Sì.” replicò lui, tentando di mantenere la calma, il sangue freddo. Lo faceva da una vita, eppure in quella situazione tutto sembrava terribilmente difficile. “Vattene. Non vale la pena morire per una cosa del genere, per uno come me.”
Il tocco della ragazza bruciava le vesti, infiammando la sua carne.
“Tu non sei una cosa.” sussurrò lei con voce rotta di pianto.

And I’d listen close to your every word

Draco sorrise malinconicamente, dandole ancora le spalle. Ancora quel calore nel cuore.
Voleva gustarlo ancora, solo per qualche secondo.
Lasciatemi almeno questo. Lasciatemi assaporare questo calore ancora per poco, ancora per pochissimo tempo…

As if it’s your last…


“Grazie.” mormorò voltandosi finalmente a guardarla, perché ne sentiva il bisogno, aveva sete di Hermione, aveva fame di Hermione, non poteva farne a meno, non in quel momento. Bastava il suo sguardo, bastava la sua voce, bastava il suo tocco delicato, bastava il sussurro quasi impercettibile del suo respiro, bastava vederla ancora un’ultima volta. L’ultimissima volta.

… well I know it’s your last

“Ti prego, vieni con me. So dove nasconderti. Ti prego…”
Lui alzò una mano verso il mento della ragazza e lo prese delicatamente tra il pollice e l’indice, sfiorandolo prima con una lieve carezza; i loro occhi si incrociarono: quelli di Hermione lucidi, bagnati, spaventati; quelli di Draco tremanti, incerti, spaventati anch’essi. Ma solo per lei. Di se stesso non gli importava più nulla da così tanto tempo, ma lei… a lei non sarebbe potuto accadere nulla. Lui non l’avrebbe permesso.

Cause today, oh, you’re gone

“Non posso.” aprì la mano accogliendo dolcemente la parte sinistra del viso di Hermione. “Non chiedermelo ancora, perché potrei anche cedere, ma solo per saperti sana e salva. Eppure so che non potrebbe mai essere così: con me tu sei in pericolo. Quindi non chiedermelo ancora, ti prego.”
“Io non posso lasciarti andare! Non posso lasciarti perdere l’ultima speranza!”
“Forzati e fallo. Non puoi farlo, devi. È il mio ultimo desiderio, va bene?”
“I-io…”
“Ascoltami bene, perché non avrò il tempo né l’occasione di ripetermi una seconda volta: con me sei in pericolo. Dimenticami, cancella il mio ricordo dalla tua mente. Altrimenti potresti fare la stessa fine che ha fatto mia madre. Ricordi quando ti parlai di quella persona che considerava le lacrime la cosa più bella del mondo? Beh, era lei. È stata assassinata da mio padre perché per me era l’unico punto di appoggio. E tu… beh, tu potresti subire la sua stessa fine.” i suoi occhi si addolcirono, con il pollice asciugò le gocce stillate dagli occhi della ragazza. “Perché nonostante abbia cercato di impedirmelo, non ho potuto evitare che tu diventassi la mia luce.”
Con le lacrime che scivolavano calde sulle sue gote, Hermione osservò il ragazzo allontanarsi.

Cause today, oh, you’re gone

Per quale motivo quell’anima non aveva mai potuto conoscere pace? Né pace, né la dolcezza piena dell’amore – sua madre era ormai morta -, né serenità, né, tanto meno, felicità. E neppure tante altre belle cose. Per quale motivo quel giovane uomo aveva dovuto accogliere in sé solamente una valanga di cose brutte e sporche, sporcando anche se stesso? Per quale motivo doveva morire così, senza aver mai veramente vissuto una vita piena e felice? Per quale motivo doveva spegnersi da solo, senza alcuna speranza?
Per quale motivo doveva andare tutto così?
“Perché?” quell’unica parola appena mormorata si spense nel vento appena scivolata via dalle labbra di Hermione.
“Perché?” ripeté tristemente Draco, senza voltarsi a guardarla – non sarebbe poi stato in grado di allontanarsi da lei. “Perché hai dimenticato una cosa fondamentale, Hermione: io non posso essere felice.”
Quelle parole la ghiacciarono da capo a piedi, gettandola in un tunnel buio.
Quanto doveva aver sofferto quel ragazzo… non poteva neppure immaginarlo, riusciva solamente a sentirsi schiacciata da quel mare di lacrime e dolore.
Lacrime, dolore e sangue.
“Io non lo merito. Queste mani… queste mani non sono meno sporche di quelle di mio padre o dei suoi amici. Queste mani, Hermione, hanno ucciso. Reciso vite innocenti. Prima che scappassi, ho ucciso. E le mie mani sono totalmente ricoperte di sangue. Non merito che qualcuno mi tenda una mano per aiutarmi. Non lo merito e non posso accettarlo, ecco perché. Perché io non ho il diritto di essere felice. Non ci può e non ci potrà mai essere, come mai c’è stato, qualcuno disposto ad afferrare una mano così sporca, così colpevole… non ci sarà mai nessuno che accetterà di afferrarla e tirarmi fuori da questo tunnel senza via d’uscita. Posso solo rimanere nel mio buio sporco di sangue.”
Avvertì la piccola mano di lei insinuarsi dolcemente, ma con fermezza, tra il suo braccio ed il suo fianco, scivolando verso il suo polso.

*** *** ***

Osservava con gli occhi sbarrati la scena che si stava svolgendo davanti a lui.
“Non interveniamo,” risolse infine Ron sussurrando tra sé e sé, tentando di mantenere la calma – ci aveva visto giusto, allora! – con grande sforzo. “potremmo coinvolgerla.”
Hermione…
Nonostante ardesse dalla voglia di spaccare il muso a Malfoy, decise fosse meglio non coinvolgere direttamente Hermione: già il suo stato d’animo non era dei migliori, in più lui avrebbe potuto usarla come scudo, o come ostaggio, chissà di cosa erano capaci quelli come lui! Con grande fatica rimase in silenzio, invaso da una strana sensazione: cominciava a ripensare alle parole della ragazza su di lui – possibile che fosse innocente? – e si sentiva così confuso da non riuscire ad agire lucidamente. Quando alzò lo sguardo i due non c’erano già più.
Cazzo!
Ron era silenzioso. Dentro di lui ancora quel senso di inquietudine, più forte che mai.

As if it’s your last, well I know it’s your last

La stava perdendo.

Cause today, oh, you’re gone

*** *** ***

“Non è vero.” la udì mormorare. “Non è come dici. Per quanto le tue mani possano essere sporche di sangue, di qualsiasi cosa… ci sarà sempre qualcuno pronto a prenderle, a stringerle. Ci sarà sempre qualcuno che di sua spontanea volontà verrà e ti prenderà per mano, conducendoti a piccoli passi fuori da quel buio che mai più sarà tale, verso una luce, una qualsiasi luce, magari anche piccola e tremolante, ma comunque luce. Non dubitare di questo, Draco, non perdere mai la fiducia; ho imparato a farlo io, puoi riuscirci anche tu. Non ti lasciare andare.” il ragazzo chiuse gli occhi sentendoli bruciare, la mano di lei esitava ancora sul suo polso, non osando disobbedire alla preghiera di poco prima – Non chiedermelo ancora, ti prego. “Qualsiasi cosa accada, in qualsiasi circostanza tu vada a trovarti, ci sarà sempre qualcuno pronto a prenderti la mano.”
Senza alcun preavviso, vinto da quell’emozione sconvolgente che lo legava stretto stretto tutte le volte in cui si trovava con lei, Draco si voltò stringendola disperatamente a sé. La ragazza ebbe appena il tempo di vedere nei suoi occhi un nuovo sentimento, ed una lacrima sul suo viso sciupato.
“Per favore… per favore…” la sua voce roca. “Prendimi per mano.”
La mano calda di Hermione scivolò in quella gelida di Draco, stringendola.

*** *** ***

Da quando erano tornati si erano comportati in maniera decisamente strana: Ron si era subito chiuso in se stesso, non aveva aperto bocca né con Harry, né con sua sorella, Ginny. Nei suoi occhi un miscuglio indecifrabile di sentimenti. Del tutto inutili erano state le pressanti domande dei due, non aveva spiccicato parola – per parola non si può intendere qualche scomposto grugnito – prima di andare a prendersi una birra – aveva detto –, e la sorella sapeva che quando diceva così, qualcosa lo aveva fatto innervosire o deprimere decisamente molto: neppure Ron era capace di bersi una birra alle sette del mattino.
Ginny imputò comunque la sua reazione al fatto che non fossero riusciti a scovare Malfoy – Harry le aveva raccontato della spedizione – che, con abilità a dir poco stupefacente – solo due o tre persone tra gli scienziati che lavoravano per gli Auror erano in grado di fare una cosa del genere… proprio nel reparto in cui lavorava Hermione, erano solo in due a saperlo fare -, era riuscito a Smaterializzarsi eludendo il sistema di difesa e ricerca che gli Auror avevano attuato, un sistema capace di rivelare ovunque la presenza di una Smaterializzazione: luogo di ‘partenza’ e destinazione inclusi. Ma tale sistema era stato fatto andare in tilt grazie ad un’abile manovra di qualcuno – probabilmente, secondo Ginny, lo stesso Malfoy – che aveva utilizzato l’incantesimo per la Smaterializzazione su di una Passaporta, facendo in modo che, afferrandola, ci si Smaterializzasse e non si venisse semplicemente trasportati da qualche altra parte. Una volta Hermione le aveva parlato di un trucco del genere, conosciuto solo a pochi – e che sarebbe dovuto rimanere segreto -: la scomposizione molecolare del corpo di chi veniva quindi Smaterializzato si spandeva nella terza dimensione aperta dalla Passaporta, confondendosi con sostanze non bene identificate ed impedendo non solo l’identificazione del mago o della strega in questione, ma anche la direzione che il flusso di energia aveva preso – e da dove aveva avuto inizio.
Dopotutto anche Harry sembrava particolarmente pensieroso, e la stessa Ginny aveva quasi paura a parlargli, temendo di interrompere qualche importante decisione. Ma alla fine fu lui a vincere la sua preoccupazione:
“Allora, Gin, come stai?”
La ragazza sorrise.
“Bene. Senti, Harry… c’è una cosa che devo dirti…”

*** *** ***

And I’d listen close to your every word

Era stata sul punto di rivelargli i suoi veri sentimenti, quando si era detta: meglio togliersi prima di torno le preoccupazioni. Così aveva deciso di parlargli di quelle strane sensazioni, di quelle percezioni che aveva avuto per anni. Non si sarebbe aspettata grande felicità da Harry a tale rivelazione, ma non avrebbe neppure mai creduto che potesse aver fatto una cosa del genere!
“Tu…” esclamò eccezionalmente pallida in viso. “mi hai nascosto tutto questo per così tanto tempo! I-io… non posso crederci.”
E così lei era la Chiave. Che bella notizia! Praticamente quindi un gruppo di Mangiamorte capeggiati – pare – da Lucius Malfoy le stava dando la caccia per via della traccia latente che Voldemort aveva lasciato in lei da quando l’aveva posseduta al suo primo anno a Hogwarts. E non solo! Lo facevano per arrivare a Harry. Perfetto, veramente perfetto. Ah, e quelle strane percezioni derivavano proprio da questo: quella sua parte latente le faceva avvertire inevitabilmente la presenza di persone che avevano avuto a che fare con Voldemort, sia che fossero state da lui uccise – per vie dirette ed indirette: le era capitato anche con Mirtilla Malcontenta, di fatti -, sia che fossero suoi seguaci. Ora ricollegava quella sensazione di paura folle provata nel sogno – Voldemort stava tentando di impossessarsi nuovamente di lei in quel preciso istante: se non si fosse svegliata, le avevano detto, sarebbe stata persa per sempre – e poco prima di incontrare Malfoy: era la stessa paura che l’aveva raggelata quando Tom Riddle aveva preso possesso del suo corpo, quella stessa paura che l’aveva stordita e le aveva mozzato il respiro…
Nessuno le aveva mai detto nulla, né suo fratello Ron, né tanto meno Harry… non poteva crederci!
“Cerca di capire, Ginny, l’ho fatto per il tuo bene! Non eravamo neppure sicuri che fosse così, non potevo lasciare che ti macerassi nel dubbio e nella preoccupazione!”
“Cerca tu di capire me, Harry! Ti rendi conto? Io sarei dovuta essere la prima a saperlo, proprio per rendermi conto della situazione, per non essere così un peso per voi… adesso capisco perché eravate così ossessionati dal fatto di non lasciarmi sola! Io non volevo essere un peso, Harry. Perché non mi avete detto tutto? Anche io sono capace di darmi da fare... perché non mi hai dato un minimo di fiducia?” i suoi limpidi occhi nocciola andavano colmandosi di lacrime.
Lo stomaco di Harry si contorse rabbiosamente a quella vista.
Perdonami, Ginny.
“Io ho fiducia in te, Ginny. So quanto vali, so che sai essere una persona forte, e non sei mai stata un peso per noi.”
Lo sguardo di lei era, in quel momento, la cosa più difficile da sostenere. Tanto più che la ragazza sembrava seguire un flusso di pensieri del tutto suo, ma era comprensibile: non solo era ancora sotto shock per l'attacco subito la sera precedente, ma era appena venuta a sapere che la sua migliore amica era stata ricoverata in ospedale per poi fuggirne – era stato impedito a Harry e Ron di andare a cercarla: loro avrebbero dovuto fare rapporto della spedizione. Stavano cercando Hermione i loro superiori: dopotutto anche Hermione era parte di quella grande organizzazione, una parte importante – e, per concludere in bellezza, dopo aver saputo che un pericoloso criminale come Draco Malfoy vagava ancora libero per le strade, le era stato detto che per uno sfortunato caso del destino rischiava di essere rapita da un momento all’altro. Il resto – torture e varie tecniche di uccisione – era facile da prevedere.
Strinse i pugni lungo i fianchi, abbassando lo sguardo, sofferente.
“Quindi anche quella passeggiata sotto la neve, quel giorno che mi hai abbracciata… era tutta una finta, vero?”
Il ragazzo avvertì una fitta in una qualche indefinita parte nella zona sinistra del petto.
“Co… cosa?”
“Era solo una finta per ingannarmi e rendere più facile e veritiero l’imbroglio. È così, vero?” singhiozzò la ragazza, il capo sempre basso, addolorata come mai l’aveva vista né sentita Harry. “In realtà non hai mai pensato quelle cose di me. Non mi hai mai voluto bene... è stato tutto uno schifosissimo imbroglio...”
“Ginny, ma che stai dicendo?”
“La verità! Quella che tu ti sei rifiutato di dirmi fino ad adesso! Mi hai ingannata, Harry, mi hai tradita! Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da te, io… io…”
“Io non avrei mai fatto una cosa del genere!”
“Lo credevo anche io! Invece non si finisce mai di sbagliare, eh?” il labbro inferiore aveva preso a tremarle. “Io mi fidavo di te, e tu te ne sei infischiato…come hai potuto prenderti gioco di me in questo modo? Tu lo sai… lo sai quanto male mi hai fatto? Lo puoi immaginare…?”
Credimi, Ginny, lo stesso male che fanno a me queste tue parole e queste tue lacrime.
“Aspetta, Ginny…” fece Harry sfiorandole una spalla.
“No,” gridò lei, allontanandosi. “non mi toccare.”

As if it’s your last, well I know it’s your last

“Ginny…”
“Voglio stare da sola.”

Cause today, oh, you’re gone

“No.”
Il tono risoluto e forzatamente calmo di Harry risuonò greve in tutta la stanza. Ginny stava trattenendo a stento le lacrime che, dispettosamente, le scivolavano bollenti sulle gote arrossate.
Era sembrato tutto così bello… avrebbe dovuto immaginarsi qualcosa che avrebbe mandato tutto a rotoli. Harry che l’abbracciava, Harry che le diceva di volerle bene, Harry che le sfiorava la fronte con un bacio, Harry che stava con lei quasi sempre, che vegliava su di lei. Dopo tutti quegli anni, Harry si accorgeva finalmente di lei; dopo tutte quelle lacrime versate perché non aveva gli occhi di Cho, il viso di Cho o di qualsiasi altra ragazza che poteva aver interessato Harry, Ginny si trovava scaraventata in un baratro senza fondo. Era stato tutto finto… si era sentita così felice, si era sentita serena, rilassata, aveva persino preso la dose di coraggio necessaria per confidargli i suoi veri sentimenti, quell’amore dolce e duraturo che alimentava il suo cuore da anni, riscaldandolo. Ed ora tutto era andato ad infrangersi contro uno scoglio spigoloso, lasciando come tracce di quel bellissimo sogno solo qualche sporadico spruzzo, salato ed amaro. La mente di Ginny era vuota: voleva semplicemente essere lasciata sola, ma non sapeva per fare cosa, dato che la capacità di ragionare sembrava essersi presa una duratura vacanza, e quella di analizzare e formulare discorsi e concetti sembrava essersi autodistrutta nel giro di un’arida manciata di secondi.
“No.” ripeté Harry, osservandola con intensità tale che la ragazza si sentì trapassata da parte a parte. “Hai ragione, devo dirti la verità. Ti chiedo scusa per non avertela mai detta, ma ora è decisamente arrivato il momento di dire la verità. Tutta la verità.”


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Capitolo 10
*** Perdere la presa ***





Capitolo 10° “Perdere la presa”

Could it be any harder?

Se il suo tocco aveva la proprietà di perpetuare la sua delicata e viva fermezza per ore ed ore – anche giorni – su di lei ed in lei, il suo abbraccio le mozzava letteralmente il respiro. Forse era il fatto che la stava stringendo forte, quasi con disperazione, forse era proprio quell’essere appena lucidamente conscia dell’esigenza vertiginosa che quell’abbraccio poteva significare per lui, forse era anche il fatto che probabilmente tale significato affettivo – e non solo – quel gesto lo aveva anche per lei, forse si trattava di un misto di tutte queste cose a far sì che Hermione sentisse un doloroso nodo alla gola che le impediva di inghiottire – la sua bocca, comunque, era troppo asciutta perché potesse farlo -, che le impediva di formulare verbo, che le impediva quasi di respirare. Una mano ancora stretta in quella incredibilmente gelida del ragazzo, la fronte premuta contro il suo torace, un po’ più in basso delle spalle, avvertiva con un brivido di emozione il respiro di lui – forse per la prima volta accelerato, rotto dall’emozione, quasi affaticato, proprio come se anche lui stentasse a ricavare ossigeno dall’ambiente circostante – infrangersi sul suo collo, solleticandole la pelle. Perlomeno, in quell’occasione, non era solo il suo cuore a lanciarsi in una sconclusionata corsa verso l’infinito: quello del ragazzo, a quanto pareva, le avrebbe fatto compagnia. Lo sentiva battere furiosamente, con prepotente decisione, con cupo rimbombo, così forte che – ne era sicura: l’aveva sperimentato tante volte su se stessa – faceva male.
Con la mano libera – forse guidata dal suo infallibile istinto, dato che il cervello sembrava aver deciso di andarsene in vacanza per un po’ in quel luogo dove le emozioni possono tutto, dove le emozioni sono tutto – prese la sottile bacchetta magica, pronunciò qualche leggera parola – sperava solo di aver utilizzato quelle giuste, dato che non solo la testa, ma anche il senso dell’udito era avvolto da una cortina fumosa, ovattata, sleale nell’insinuarsi in lei nei momenti meno opportuni. Quella che comunemente viene detta confusione totale -. Soltanto quando ebbe la certezza che il vento non le sferzasse più i polpacci nudi ed indolenziti, soltanto quando ebbe il remoto sentore dello stesso vento che, infuriato per aver perduto le proprie prede, fischiava, sibilava sinistro all’esterno di una costruzione, lasciò cadere in terra il sottile bastoncino che produsse appena un tic acuto e che decise di rotolare più in là, lasciandoli soli, andando a fermarsi contro l’orlo consunto di un tappeto che da troppo tempo non prendeva più aria.
Strinse poi nel pugno la felpa del ragazzo – quella stessa felpa che gli aveva sfilato a forza qualche tempo prima nel tentativo di controllare la sua ferita – schiacciandosi quanto più possibile contro di lui. Lui che, come lei, sembrava sull’orlo dell’asfissia, per il terribile bisogno di quel contatto.
Dio, ti prego, fallo respirare!
Farlo respirare. Respirare veramente, per la prima volta in diciannove lunghi anni.
Per tutta risposta la stretta attorno alla sua mano si allentò, le dita fredde di lui si intrecciarono a quelle sottili e delicate di lei.
Per favore… per favore…
… quella richiesta posta con tale voce, quella disperazione, quella rassegnazione che gli aveva letto negli occhi… era stato tutto come il giorno in cui l’aveva salvata da quel maniaco, al parco. Era stato come una stilettata al cuore: breve, impercettibile all’inizio, sconvolgente quando ti rendi conto di quanto quella apparentemente piccola ferita sappia trascinarti con sé fino alla morte, fino a quando non ti senti svuotato di qualsiasi cosa.
… prendimi per mano.
“C’è sempre qualcuno pronto a prendere la tua mano… basta che tu la tenda.” sussurrò senza curarsi di star bagnando la felpa di lui con le proprie lacrime, senza essersi neppure accorta che – chissà come – Draco non indossava più il suo mantello, che ora era sulle spalle di Hermione. “Io non ti lascio.”
Lo sentì voltare il viso e chinarlo contro la propria pelle, nascondendolo nell’incavo tra il collo e la spalla, tremante. La schiena di Hermione si irrigidì a quel contatto, un fremito sulla pelle e su per la schiena, la sensazione di improvvisa debolezza nelle gambe; lei socchiuse gli occhi espirando piano piano quell’ansia che le aveva congelato tutto dall’interno. Senza più parole per la sorpresa di tale singolare reazione e per la girandola di sentimenti che si agitava freneticamente in lei, donandole l’indesiderato senso di ansia e di confusione, lasciò che la sua mano scivolasse con delicatezza fino alla nuca di lui e lo accarezzò con dolcezza, con quella dolcezza di cui lui non aveva mai – o quasi – potuto godere.
Dietro le sue palpebre chiuse poteva vedere quasi a portata di mano quel globo argenteo, quella verità che seguitava a sfuggirle, ogni volta. Era così luminoso, così misterioso… allungò mentalmente la mano intrecciata a quella di Draco verso quell’essenza ingannevole e fuggiasca.
Per la prima volta il globo non sgusciò via, non subito. Con le lacrime impigliate tra le lunghe ciglia nere, Hermione poté avvertirne il calore tra le dita. Qualche secondo dopo, l’argentea sfera svanì lentamente con un tintinnare leggiadro: l’unica cosa che Hermione teneva ancora nella mano era il calore di quella del ragazzo, non più gelida.
Inconsciamente sorrise; prima o poi quel momento sarebbe arrivato. Non ora. Era ancora troppo presto.
Draco alzò delicatamente il viso fissandola con quei suoi occhi di ghiaccio, bruciante per quanto sa essere gelido, e le cancellò le lacrime dalle guance, osservando i piccoli, puri, lucenti diamanti incastonati tra le ciglia di lei.
Lui, dopo tanti anni, aveva versato un’unica lacrima. Ma le altre erano quelle che Hermione aveva pianto per lui.
“Grazie per aver pianto al posto mio.” mormorò con voce vellutata.

*** *** ***

Could it be any harder?

Evitare di fissarlo negli occhi ed attenuare così quell’asfissiante sensazione d’ansia e preoccupazione sarebbe stata una buona, anzi, ottima idea. Se solo ci fosse riuscita. Con un misto di rabbia e disperazione, si accorse di non poter distogliere lo sguardo da quegli occhi verdi, puri, che mai aveva visto più decisi. Mai. Si sentiva come se tutto il sangue del suo corpo le fosse affluito al cervello, sovraccaricandolo ed ottenendo due risultati – l’uno più spiacevole dell’altro: per prima cosa aveva il fastidioso, irritante sentore di essere arrossita – ancora -, in secondo luogo questo non poteva darle noia più di tanto, perché le sinapsi del suo amato cervello sembravano essersi definitivamente scollegate. In poche parole, Ginevra Weasley, un’allegra e dolce ragazza di diciott’anni, aveva prematuramente – e, sperava, momentaneamente – perduto la capacità di ragionare con lucidità.
Sei una stupida,si disse distrattamente, naufragando irrimediabilmente negli occhi di Harry. dovresti esserci abituata. È stato così… è sempre stato così. Da sempre.
Da quando eravate così piccoli che... Da quando ti ha guardata per la prima, dolcissima volta, con quel viso da bambino.

Il ragazzo era rimasto in silenzio ad osservarla, sulla sua guancia guizzava, ogni tanto, un muscolo; sembrava estremamente concentrato, come se stesse raccogliendo il coraggio e la decisione necessari per attuare tale delicata manovra: dire tutto. Aprire la bocca, vuotare quel sacco vecchio di anni ed anni, ormai saturo, colmo fino all’orlo di sentimenti, di pensieri, di sensazioni, di emozioni che non potevano più essere taciute. Altrimenti sarebbe scoppiato. Ed inconsciamente, lo sapeva, avrebbe fatto del male anche a Ginny; questo, di certo, non poteva permetterselo. Ginny aveva il sacrosanto diritto di sapere la verità, di sapere tutto; l’aveva ferita a sufficienza da piccola, quando non si era reso conto della sua cotta o aveva preferito ignorarla – maledetta sensazione di insicurezza, maledizione al suo timore di non essere in grado di proteggerla! -, l’aveva ferita a sufficienza quando le aveva comunicato che lui, suo fratello e la sua migliore amica l’avrebbero lasciata sola per andare a vivere nella Londra Babbana, rischiando la vita ogni giorno per combattere quella che, amaramente, appariva da ogni angolazione una lotta disperata dalle esigue probabilità di vittoria, lasciandola indifesa, senza neppure Hogwarts a confortarla – era stata di fatti chiusa poco dopo il sesto anno di Ginny, per un inspiegabile attacco subito da parte dei nemici. L’aveva ferita oltremodo – e mai se lo sarebbe perdonato – nascondendole la verità. Non una verità qualsiasi, una verità che riguardava proprio lei. Ginny in quanto Ginny. Ma che la collegava a lui. Ed era, ancora una volta, tutta colpa sua.
“Scusami.”
La voce vibrante di Harry le giunse come disturbata da un rumore sordo e continuo – il sangue che le pulsava nelle tempie.
Spiazzata, Ginny tacque.
Il giovane distolse per un breve istante lo sguardo, stringendo il pugno sopra il proprio ginocchio. Lei osservò con rapita assenza – solo apparente – anche quel piccolo gesto, come le nocche di Harry sbiancassero ed il sangue defluisse rapidamente ad altre zone delle dita.
Dentro di sé sapeva cosa stava per succedere. Avete presente quando nel vostro cuore avvertite una strana ansia, una sensazione particolare che vi rende sicuri di sapere con certezza quasi assoluta ciò che sta per accadere? Bene. Solo che Ginny non voleva ammetterlo neppure con se stessa. Dopo tanti anni di attesa soffocata, dopo tanto tempo di lacrime ed amori che si potrebbe definire superficiali, mirati allo scopo di dimenticarlo, dopo tutto quel tempo – poteva avvertirne la pesantezza sulle proprie ormai fragili spalle, ogni anno, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno…-, inaspettatamente, la situazione aveva preso quella piega. E lei non era pronta. Era ignobilmente impreparata.
Non voleva che si trattasse di un’ulteriore illusione, non voleva trovarsi poi cosparsa di scottante amarezza nella dura consapevolezza di aver inutilmente sperato, semplicemente sperato, stupidamente sperato che qualcosa potesse cambiare, come troppe volte era stato.
Scosse con decisione il capo, i lisci e lunghi capelli rossi le scivolarono giù dalle spalle, dondolando un poco; decise di ignorare quel campanello d’allarme che sembrava trillare acutamente dentro di lei – chissà dove – e che la induceva a notare la diversità di tale situazione. Harry era cresciuto, era maturato, era diventato un giovane uomo. Le sue parole sembravano ferme e decise, così come la sua voce, i suoi occhi. Non avrebbe mai, mai saputo spiegare cosa fosse a trasmetterle quell’idea, ma qualcosa nell’aria tra loro le faceva captare tanti piccoli segnali, le faceva formulare nella mente quattro semplici, agognate parole: è arrivato il momento.
Adesso poteva sentirsi schiacciata da ogni ora, ogni minuto, ogni secondo di tutto quel tempo in cui aveva scioccamente sperato, pur sapendo di non avere alcuna speranza – lui era troppo, per lei.
E’ arrivato il momento? È arrivato il momento…
Non seppe mai – o forse le venne detto solo in seguito – della luce implorante, spaesata dei suoi occhi, mentre tornava a fondere il proprio sguardo con quello del ragazzo che le stava di fronte.
“Scusami,” ripeté lentamente Harry, scandendo bene ogni misera lettera. “scusami per tutto.” disse. Le palpebre di Ginny presero a tremare, così come le sue mani, piccole, delicate, infreddolite. “Scusami per non aver mai capito. Scusami per averti lasciata sola. Scusami per non essere riuscito a starti vicino. Scusami per non averti detto prima la realtà delle cose, nonostante ti toccasse in prima persona.” qui si fermò: con una sorpresa resa vaga dal furioso agitarsi di quell’unico, grande sentimento, si rese conto che ormai non aveva più paura, non aveva più timore. Il suo sguardo si addolcì improvvisamente, così come il tono della sua voce e la sua postura, mentre sul viso gli andò a sbocciare come un fiore un sorriso dalla struggente, malinconica dolcezza. “Scusami per non essere l’uomo che meriteresti di avere accanto.”
E’ arrivato.
Ormai era una certezza dalla forza devastante.
Ginny perse anche la facoltà di respirare, ma acquisì la certezza che dopo quel colpo il suo cervello – vogliamo parlare forse del suo cuore? - non avrebbe mai più ripreso a funzionare normalmente.

*** *** ***

Could it be any harder?

Vide il suo riflesso sul vetro semi appannato della finestra, lo vide sorridere con amarezza, con una certa nota di auto ironia, auto disprezzo; lo vide socchiudere gli infiniti occhi grigi ed osservare un orizzonte lontano lontano, impossibile da vedere ad occhio nudo a causa della nebbia, del vento, della neve. Respinse a stento l’impulso di poggiargli una mano sul braccio, delicatamente, per sapere, attraverso quel contatto solo apparentemente superficiale, se lui era ancora lì, se era ancora lì con lei… perché i suoi occhi sembravano immersi in un’altra dimensione, la dimensione dei ricordi, una dimensione di orrori.
“Che cosa si può immaginare di più ridicolo di questa creatura miserabile e meschina che non è neppure padrona di sé, esposta alle offese di tutte le cose, che si dice padrona e signora dell’universo, ma che non ha la facoltà di conoscere neppure la minima parte di esso e tanto meno di comandarla?”
La voce bassa, un po’ roca, del ragazzo si diffuse con chiarezza nell’ambiente, spegnendosi pochi secondi dopo, ma continuando a risuonare vivida come non mai nella mente di Hermione.
“Montaigne.” rispose semplicemente lei. “Questa è la visione dell’uomo da parte di quel filosofo Babbano francese, Montaigne.”
Draco rimase in silenzio, un sorriso amaro sul viso.
Era tutto tremendamente vero.
Sapeva che lei, la geniale Hermione Granger avrebbe subito capito.
L’uomo da sempre si era proclamato padrone e signore dell’universo, quando sin dall’alba dei tempi era bastata una semplice epidemia, un’inondazione per ucciderlo violentemente. Qualsiasi piccola – oltre che grande - cosa del creato poteva costituire per lui un pericolo. Ma più che altro, l’uomo era un pericolo per se stesso. ‘Homo homini lupus’, avrebbe detto Hobbes – filosofo inglese vissuto tra il Cinquecento ed il Seicento.
Possibile che nessuno avesse mai capito?

“Non sapevo avessi studiato filosofia.” la voce di Hermione, piccola e timida, faceva capolino, con dolcezza, nella mente del ragazzo.
“Interesse personale.” replicò lui, voltandosi a guardarla.
Possibile che tutti si ostinassero a non capire? A non capire che il più grande pericolo per l’uomo è l’uomo stesso? Chi altro poteva aver causato tutto quel dolore? Sia in grande che nel piccolo. L’esempio lampante era proprio lui, erano proprio...
...
... loro due.
Loro due da soli e loro due insieme.
...
Loro due. Insieme.

Peccato. Colpa.
Co-cosa mi succede?
“Sei cinico.” disse semplicemente Hermione, battendo lentamente le palpebre.
“Lo so.” ammise tranquillamente il ragazzo, in risposta.
“Tuttavia hai tralasciato un punto di fondamentale importanza.” sussurrò lei, osservandosi brevemente le piccole, candide mani per poi tornare con i propri caldi occhi fissi in quelli non più gelidi di lui. “L’uomo è grande poiché si riconosce miserabile.” Draco abbozzò un sorriso quasi divertito alla pungente osservazione di lei. “Si è quindi miserabili perché ci si riconosce miserabili, ma è essere grandi il riconoscersi miserabili.” lui le si avvicinò di un passo, Hermione abbassò lo sguardo. “Non dovresti dimenticarlo…”
Avvertì un movimento alla propria sinistra ed intravide solo l’ombra della mano del ragazzo avvicinarsi alla sua fronte e scostarle, in un gesto quasi inconscio, un ciuffo di capelli che le era scivolato davanti agli occhi.
“Blaise Pascal.” constatò lui, colpito dalla citazione del famoso filosofo francese. “Sarà davvero un pregio il saper riconoscere il fango che ci contamina da sempre? La nostra colpa?” le chiese lui quasi in un sussurro.
La ragazza teneva lo sguardo basso per paura che, sollevandolo, non sarebbe – nuovamente – più riuscita a spezzare il legame visivo con quegli occhi dalle sfumature di pura madreperla, appena visibili nel grigio avvolgente.
“Saper riconoscere i propri errori è il punto di partenza per chiunque. Io e te…” il ragazzo era vicinissimo a lei, poteva sentirne il respiro lento e controllato sulla fronte. “Io e te abbiamo iniziato proprio da lì.”
Non perdere mai la speranza.
“Hai ragione.” ammise improvvisamente lui con voce lineare; Hermione lo osservò, stupefatta da tale ammissione di errore. “Per questo ti chiedo scusa. Scusa per averti offesa quando eravamo a Hogwarts, scusa per averti attaccata senza motivo. Posso dire solamente questo: riconosco il mio errore e ti chiedo scusa. Sii ne lusingata, è la prima volta che mi scuso con qualcuno.”
Lei sorrise.
“Ne sono oltremodo onorata.”
Il silenzio ovattato sembrò avvolgerli, le dita leggere di Draco andarono a sfiorare lievemente le labbra della ragazza, Hermione socchiuse inconsapevolmente gli occhi, con il cuore che le palpitava frenetico nel petto, sbattendo impazzito contro le costole doloranti per il freddo e la corsa come un uccellino in gabbia, un uccellino che brama la libertà più di qualsiasi altra cosa e che, seguendo il proprio cuore, quel desiderio impresso a vita nel suo leggero animo di animale semplice e piccolo, si lancia incontro al dolore, incontro alla morte per sfinimento, si lancia verso qualcosa che, lo sa, gli è impossibile raggiungere... ma lui si ostina a battere il capo sulle sbarre, a cadere a terra, a riprovare. Due dita pallide e sicure le carezzarono il labbro inferiore, Hermione dischiuse gli occhi giusto quel minimo per osservare la pelle del suo collo, candido, palpitare lievemente per opera del sangue pompato nelle vene, sollevarsi appena appena e tornare alle dimensioni originarie seguendo ogni suo singolo respiro; improvvisamente, però, lui si voltò e si diresse di nuovo alla finestra.
Non posso.
“Draco…” mormorò inconsciamente, quella domanda che le premeva sulle labbra dall’interno, da quando tutto era cominciato, da quando quello era successo…
“Ti ascolto.” la voce controllata, gli occhi quasi socchiusi mentre la osservava. La pelle candida, perfetta, macchiata dall’ombra di quello che doveva essere stato sangue. Tanto, tanto sangue. E non solo quello versato da lui stesso – la stessa Hermione aveva provvidenzialmente rimediato con un incantesimo al suo naso rotto.
“Draco,” ripeté lei in un insicuro sussurro, un brivido lungo la colonna vertebrale al ricordo di quel bacio intorpidito dall’incantesimo della sera prima.
Vorrei. Lo vorrei disperatamente, disperatamente come l’aria...
“Intendi parlare dell’altra sera.” pura constatazione della sua voce, bassa e stranamente piatta in quel momento.
... ma non posso. Non voglio che qualcun altro soffra a causa mia... esclusivamente mia...
Hermione rimase in silenzio, limitandosi ad un semplice, breve cenno del capo. I capelli bagnati gocciavano lentamente in terra, un rumore costante, sordo, sul parquet consumato della vecchia baita. Plic... plic... plic...
E… e adesso?

Con un brivido freddo saettante per la sua spina dorsale, vide il ragazzo adombrarsi improvvisamente, perdere quella momentanea serenità – o quasi – che sembrava aver acquisito nel corso di quel dialogo. I suoi occhi di un grigio cristallino scintillavano ombrosi dietro le ciglia scure, come a volersi proteggere da qualcosa o da qualcuno. Le labbra si irrigidirono, in un gesto decisamente forzato. Si voltò di poco, e disse senza alcuna espressione:
“Dimenticalo.”
Fu come se avesse ricevuto un pungo in pieno stomaco: Hermione si sentì improvvisamente pesante, troppo pesante per le sue gambe, che cominciavano a tremare – ora leggermente, col passare dei secondi, ne era certa, il tremore sarebbe aumentato – sotto quel peso abnorme che sembrava esserle caduto improvvisamente sulle spalle, troppo esili per sorreggerlo. Deglutì a vuoto.
“Dimenticalo, Granger.”
Non posso. Non posso permettermelo.
“Dimenticalo e basta.”
Non posso permettermi di amare. Non più.
“Be… bene.” rispose lei, cercando di non dar mostra di quell’assurdo sentimento che l’aveva penetrata e la stava lentamente conducendo sull’orlo delle lacrime.
Te lo saresti dovuto aspettare, Hermione! Si gridò mentalmente. Avresti dovuto immaginarlo, era tutto così… strano, diverso… è tutto troppo difficile per due come noi…
Lo sapeva, l’aveva sempre saputo… eppure com’era che sentiva un bruciore assurdo lacerarle l’anima ed il cuore? Com’era che le lacrime, amare, premevano per uscire allo scoperto, lontano dagli occhi castani, scivolare sulle guance arrossate dal freddo di quella disperata fuga, lanciarsi in una folle corsa lungo il suo pallido collo e morire soffocate dalla stoffa del mantello che indossava?
Il mantello di Draco, che lei stava indossando, per la precisione.
Perdonami, Hermione, probabilmente non puoi capire… non puoi capire che per due come noi…
“A-allora io… vado. E… ci vediamo.” balbettava, maledicendosi per tutto, per le stupidaggini che andava mormorando, per quell’incertezza, per quel dolore che aveva afferrato lei, nolente, per essersi inconsciamente illusa, per essersi lasciata trasportare a largo da quelle onde, troppo grandi per lei, fatte di pure emozioni
… che per due come noi, a causa degli altri, a causa del mondo, a causa delle nostre stesse paure… l’amore non potrebbe essere concepibile.
L’amore...

“Granger…”
Non la chiamava neppure per nome. Era accaduto quasi miracolosamente che l’avesse chiamata ‘Hermione’, ma era comunque accaduto… cosa significava quel tornare indietro? Era realmente un tornare indietro? O poteva costituire un tentativo – ma la giovane non poteva saperlo – di resistere, bloccato dalla sua più grande paura?
Era veramente arrivata a parlare di amore?
La ragazza, di spalle, raddrizzò la schiena, fingendosi disinvolta e per nulla toccata da tale argomento. Se solo avesse voltato il viso verso di lui, se solo avesse visto la luce cupa nei suoi occhi, quella luce che ormai stava per spegnersi, avrebbe capito quanto potesse essere difficile, anche e soprattutto per Draco.
“Non c’è bisogno che tu aggiunga altro.” rispose sfilandosi il mantello e lasciandolo sull’attaccapanni, afferrando la propria bacchetta magica.
Sì, era decisamente arrivata a parlare di amore. E di questo non sapeva se rallegrarsi – c’era apparentemente ben poco per cui farlo – o maledirsi.
In un battibaleno scomparve, lasciando come unico ricordo di sé un semplice crack! che si dissolse nell’aria nel giro di due secondi.
Perdonami, Hermione, non puoi capire che...
Draco chiuse piano gli occhi, senza profferire verbo, senza fare nulla, rimanendo semplicemente lì, in quella stanza, in piedi. Come una statua di marmo – sperando che anche il suo cuore potesse assumerne tale insensibile consistenza, cosa che non fu.
Che per due come noi non potrebbe esserci qualcosa di più difficile.

Could it be any harder?


*** *** ***

Could it be any harder?

Una particolare sensazione la fece indugiare con la mano sopra la maniglia d’acciaio della porta, quasi come ne avesse ricevuto una piccola scossa. Hermione deglutì, ringraziando il cielo – non senza essere sospettosa - di non essere ancora stata scoperta. Chissà cos’era successo all’ospedale… avrebbero pensato che se ne era volutamente andata? Avrebbero creduto alla storia che avrebbe raccontato? Avrebbero creduto al suo semplice, candido racconto? – Se ne era andata perché non ne poteva più e si era recata a casa, niente di più… niente di… diverso.
Tenne lo sguardo basso, amareggiata: da quando era arrivata al punto di mentire ai suoi migliori amici?
Sei una persona orribile, Hermione Granger. Lasciatelo dire.
Orribile ed irrimediabilmente illusa.

Strizzò gli occhi cercando di allontanare quei sensi di colpa – una tra le cose che più detestava nella sua intera esistenza – almeno per un poco, giusto per il tempo necessario a riordinare le idee. Cosa che le sarebbe piaciuto moltissimo fare, se solo quella sensazione di forte nausea all’imboccatura dello stomaco non le avesse ostruito faringe e laringe; cosa che avrebbe volentieri tentato di fare, se solo quell’orrendo sentore di malessere fisico non la stesse costringendo a cercare continuamente un appoggio fisico. Era come se le sue gambe non reggessero più: tremavano. E non per il freddo, non per la fatica della corsa. Non solo.
Aveva inalberato il suo atteggiamento più altezzoso ed indifferente – l’aveva collaudato così tante volte -, aveva mantenuto il passo fermo, la schiena dritta – Ron ne sarebbe stato orgoglioso… lui e le sue fissazioni sulla postura inculcategli dagli Auror. Ron… -, il mento alto, ma ora tutta quella tensione sembrava schiacciarla come un macigno di granito. Duro e pesante. Oltremodo duro e pesante.
“Stupida,” si disse, dopo aver pronunciato l’incantesimo di riconoscimento per poter aprire la porta d’ingresso della casa che divideva con Harry, Ron e, da qualche tempo, con Ginny. “sei solo la solita stupida, Hermione.”
Quelle parole l’avevano colpita come neppure lei avrebbe mai e poi mai voluto ammettere; quelle parole l’avevano raggiunta, gelide, e ferita sottilmente, subdolamente, come il vento che si insinua tra le pieghe dei vestiti: aveva ripiegato la sua anima, aveva tentato di nascondere i propri sentimenti, aveva sopportato, aveva soffocato il proprio dolore, ma nulla aveva potuto contro quella dura voce che, implacabile, aveva vinto ogni sua difesa – da tempo superflua. Avrebbe dovuto saperlo, avrebbe dovuto rendersene conto dal momento in cui quegli occhi l’avevano imprigionata. – ed aveva raggiunto l’obiettivo: il suo cuore. E la cosa più dolorosa era il modo in cui l’aveva letteralmente fatto a pezzi: non era stato un assalto aggressivo, violento, improvviso. No, niente di tutto questo. L’aveva percepita distintamente, nella sua lenta atrocità, mentre si avvicinava al luogo proibito – quel cuore che aveva quasi anestetizzato del tutto, rendendolo impassibile a quasi qualsiasi cosa. Almeno in apparenza. -, mentre lo circondava delicatamente; morbidamente vi era scivolata sopra come un fazzoletto di pura seta può scivolare su di una sfera di cristallo, l’aveva ricoperto del tutto. Quella era stata la fine, perché piano piano aveva cominciato a stillarvi la sua linfa letale, placida nella sua sicura vittoria contro quel debole muscolo – purtroppo non atrofizzato – e poco a poco l’aveva stretto sempre più, sempre più, con la stessa morbida, delicata fermezza con cui le sue mani avevano stretto lei, quella stessa mattina. Oramai Hermione si sentiva piena di rabbia, di amarezza, di qualcosa che neppure lei avrebbe saputo descrivere. Ancora una volta senza parole. Solo per colpa sua.

Could it be any harder?


*** *** ***

Could it be any harder?

Dopo che fu riuscita a raggiungere la via dove si trovava la propria abitazione senza essere sorpresa, materializzandosi nel vicolo lì dietro e dirigendosi di soppiatto verso la propria casa, cominciò a pensare che ci fosse qualcosa sotto. Insomma, non tutti i giorni una ragazza di appena diciannove anni, attaccata da un Mangiamorte e ricoverata perché totalmente priva di sensi, fuggiva di soppiatto, spariva per un giorno intero – un giorno? Era... era passato così tanto da quando...? Aveva passato così tanto tempo con... lui? Possibile che il tempo fosse volato via, così? Possibile che il tempo, con lui, si fosse addirittura annullato? Avesse smesso di essere quel continuo andare avanti, quel continuo avvicinarsi della fine? – e ricompariva dal nulla, dopo aver fatto perdere totalmente le proprie tracce grazie ad un incantesimo che solo poche persone tra gli Auror più esperti potevano conoscere, senza essere sorpresa da alcuno, senza che nessuno le dicesse nulla. Senza che nessuno la stesse aspettando? Si guardò brevemente alle spalle: niente. Il corridoio era deserto. Erano ormai le dieci di sera; la giovane aspettò qualche secondo. L’unico rumore percepibile era il suo respiro lento e cauto ed il lontano rombo di una moto. Era tutto strano. Molto strano. I suoi sensi erano all’erta. Temendo qualcosa che neppure lei avrebbe saputo identificare, girò lentamente la maniglia dopo aver pronunciato a mezza voce le parole magiche dell’incantesimo che apponeva sempre sull’intero uscio di casa; spinse con molta poca decisione la porta in legno e gettò un’occhiata esitante all’interno. Era tutto buio. Probabilmente sia Harry che Ron erano ancora in ospedale con Ginny – di sicuro lei non era fuggita. Hermione stessa si sorprendeva di come, in quel momento, avesse agito seguendo il puro, purissimo istinto, senza pensare.
Meglio così...
“Sì, meglio così...” si sussurrò per convincersi ad entrare, bloccata da una strana sensazione.
Ed allora cos’era quella strana morsa allo stomaco?
Si morse il labbro inferiore, respirando profondamente.
Cos’era quella morsa che le rendeva difficile respirare?
Abbassò gli occhi sui propri piedi, le scarpe sporche di fango e neve corrotta da chissà quale e quanta sporcizia raccolta per strada.
Lei lo sapeva cos’era.
Sentì la pelle d’oca sulle braccia, un’ondata di ansia attraversarla.
Oh, eccome se lo sapeva!
Si era sempre sentita così, sempre, quando Harry e Ron... non si accorgevano che anche lei aveva bisogno di aiuto, quando... quando, senza volerlo, pensavano a loro stessi, lasciandola da parte. Si sentiva sempre così, quando si sentiva sola, quando aveva paura di aver perso tutto, quando si sentiva abbandonata.
“No.” si disse bruscamente. “Sei patetica. Ora basta.”
Alzando nuovamente lo sguardo, aprì maggiormente la porta; mise dentro un piede, poi l'altro, avvertì la sensazione di familiare calore avvolgerla come una soffice coperta, come un vestito che le calzava a pennello – l’unico – mentre lei buttava via quegli altri vestiti – le altre situazioni – che la facevano sentire a disagio, che non si modellavano alla perfezione al suo corpo; richiuse lentamente la porta rimanendo per qualche secondo con entrambe le mani poggiate sul legno tiepido. Quello era l’unico calore? Era veramente l’unico calore capace di farla sentire completa, appagata? Solamente Harry, Ron e Ginny potevano farla sentire così?
Non era vero. Non al cento per cento.
La sua presenza, pensò Hermione senza accorgersi di star trattenendo il respiro, le trasmetteva un calore singolare, del tutto particolare, un calore unico che eguagliava in tutto e per tutto quello che poteva assaporare in quell’esatto momento.
Si portò la mano sinistra all’altezza del petto: che strano... le era quasi sembrato di sentire un dolore acuto ma persistente, una specie di pizzico, una sorta di scossa elettrica dolorosa ed indisponente proprio lì, in una qualche parte – più o meno remota – nella zona sinistra del suo torace. Inspirò profondamente, chiedendosi per quale dannatissimo motivo la sua mano destra stesse ostinatamente tremando, e nel buio strinse i denti. Poco a poco il tremore sciamò e la giovane torno a respirare normalmente; la stanza era buia e tiepida – piacevole – e forse proprio grazie a quel buio Hermione Granger non vide – o fece finta di non vedere – il velo sottile che le rendeva meno nitida la visuale. Con una lentezza del tutto surreale, si tolse la giacca, senza neppure meravigliarsi nel constatare che indossava ancora la camicia da notte dell’ospedale; le gambe nude, arrossate dal freddo e dal vento, ora, per lo sbalzo di temperatura, bruciavano come fossero state ustionate – e non erano l’unica cosa. Anche dentro, anche dentro di lei qualcosa bruciava. In vari modi ed intensità, che vanno dalla disperazione, alla rabbia, alla rassegnazione, al dolore, alla disillusione, alla rabbia, al dolore, alla rabbia, al dolore e... l’aveva già pensate rabbia e dolore?
Mosse qualche passo senza avere un’idea precisa; forse voleva semplicemente adagiarsi su una di quelle morbide poltroni così invitanti e riposare, finalmente. Sì, forse... sì, decisamente era quello che voleva. Niente fuoco acceso nel camino – il suo calore, la sua luce avrebbero ricordato troppe parole, troppe frasi, troppi sguardi -, nessuna luce mattutina a penetrare dalle finestre – aveva sempre odiato la luce mattutina. Le era sempre sembrato qualcosa di freddo, di, in un certo senso difficile da comprendere per i più; più distante. E di certo il suo amore per quella luce, in quel momento, non aveva cominciato la propria scalata verso il successo.
Sì. Una bella poltrona morbida e confortevole... sì, era... era quello che ci voleva.
Ma proprio sulla poltrona che tanto adorava, era riposto qualcosa. Dietro quel velo fastidioso – un globo argenteo tremolava incerto nel buio – non riusciva bene a distinguere cosa fosse... forse il cappotto di Harry. Dio santo, quel ragazzo era così disordinato. Formulando quindi pensieri sconnessi ed inutili, con gesti meccanici allungò una mano verso il presunto cappotto di Harry che sembrò accennare ad un movimento.
La giovane alzò il sopracciglio sinistro sfregandosi gli occhi castani, ma quel velo, dannazione!, non se ne voleva proprio andare. Il cappotto di Harry era nuovamente immobile.
I cappotti non si muovono.
“Bentornata, Hermione.”
Una voce terribilmente familiare, solitamente calda e semplice, spesso impacciata, in quel momento roca, bassa, strascicata. Quasi a parlare fosse stata una persona decisamente alticcia.
I cappotti non parlano.
E tanto meno si ubriacano.

Fu allora che il cappotto di Harry si alzò su quelle che, che strano, sembravano proprio due gambe... e le si avvicinò. Era decisamente un cappotto molto alto. Forse troppo, per essere un cappotto, per di più di Harry, che un watusso non era. Hermione rimase perplessa a fissarlo, sentendosi tanto un baccalà, con le sopracciglia corrugate e la bocca appena socchiusa.
E fu solo quando vi si trovò davanti che si rese conto che, in realtà, il cappotto di Harry non era il cappotto di Harry.
O meglio, quel cappotto di Harry non era altri che Ron.

*** *** ***

Could it be any harder?

“No!”
Il ragazzo la fissò tentando di non lasciar trapelare alcuna emozione o impressione sul proprio viso.
“Scu-scusa?” disse con voce incerta.
Lei scosse veementemente il capo ed i capelli rosso fuoco le si sparpagliarono poi nuovamente sulle esili spalle.
“Sta’ zitto!” ripeté senza guardarlo in viso. “Non dire un’altra parola.”
Harry rimase in silenzio per una manciata di secondi fissandola con i suoi bellissimi – e dannatissimi! – occhi verdi; con i capelli corvini arruffati – più del solito, il che era tutto dire -, i tondi occhiali storti sul naso e quell’espressione stupita – oh, per quanto avesse provato, non sarebbe mai riuscito a rendersi impenetrabile a lei, Ginevra Weasley, che conosceva ogni minima luce dei suoi occhi ed ogni più insignificante variazione espressiva di quel viso dall’aspetto sveglio che, alla fin dei conti, non rispecchiava più di tanto la realtà – sul volto... sembrava un bambino. E forse era questa una di quelle cose che Ginny, col passare del tempo, aveva scoperto in lui ed aveva imparato ad amare: Harry aveva sempre conservato dentro di sé quella parte di eterno bambino, quell’ingenuità innata e il candore a volte esasperante col quale si poneva di fronte al mondo. Eppure il discorso che le aveva fatto era giusto e, diamine!, calzava alla perfezione alla parte di Harry adulto. Un discorso così maturo, un discorso così... bello, così pieno di emozioni nei suoi confronti, che Ginny non poteva fare a meno di rifiutare. No. Non poteva accettare tutto quello dopo anni ed anni di sofferenza. Non che non lo volesse – perché, santo cielo, se lo voleva... -, ma il suo cuore, questo era ciò che temeva, non avrebbe retto. Le aveva dimostrato, al contrario delle sue aspettative, che lui aveva sempre pensato a lei e quell’errore – l’ennesimo, okay, ma pur sempre in buona fede – commesso proprio in quegli ultimi mesi, quell’omissione di verità... era scaturito solamente dall’immenso affetto che egli provava per Ginny stessa. E mentre Ginny si preoccupava e si adoperava per non essere un peso per lui, lui agiva in maniera opposta per il puro e semplice terrore di poter rappresentare un peso, o meglio, un pericolo per lei.
Tutto per lei, Ginevra Weasley.
Non era abituata. Perché? Perché proprio dopo tutti quegli anni?
No. Non voleva sentire. Non sapeva bene neppure lei perché, ma dopo quella frase l’aveva tacitato con un ‘NO!’ secco e ben piazzato.
Il silenzio aleggiava da ormai un paio di minuti nella stanza.

“Scusami per non essere l’uomo che meriteresti di avere accanto.”

Volente o nolente, non poteva non percepire la moltitudine di impliciti significati che quella frase celava solo in apparenza, come una fragile costruzione di cristallo che, ad un soffio solo un po’ più deciso di vento, si sarebbe incrinata e sarebbe inesorabilmente crollata su se stessa, producendo un rumore pressappoco insignificante, ma lasciando manifestamente scoperto il proprio prezioso tesoro, custodito, in precedenza, nel suo stesso cuore.
Eppure sentiva una sensazione fredda, dentro, un qualcosa che la bloccava.
“Ginny...” la sua voce era bassa, insicura.
E quella sensazione, quel qualcosa era paura.
“Harry, no... non è il momento. Anzi, è il momento che ti potrebbe far dire certe cose, quindi... non le dire. Non mi pare il caso, perché poi cambieresti idea ed io non sono sicura di ciò che penso che potrebbe accadere e...” si zittì, rendendosi conto di stare affastellando frasi senza alcun senso logico e di star adducendo delle scuse non plausibili. “io...”
Il ragazzo la fissava ancora, facendole andare il viso ed ogni minima particella del corpo in fiamme.
“Non vuoi neppure sentire cosa ho da dire?” le chiese.
Ginny aprì la bocca ma tacque per qualche istante, incerta.
Sei sicura, Ginny? Sei sicura che non vuoi ascoltarlo?
Sentiva i suoi occhi fissi sulla propria figura rannicchiata sul letto; con le mani torturava nervosamente il lenzuolo immacolato dell’ospedale. Sentiva freddo, eppure si sentiva ardere da dentro.
Sai che un momento come questo non si ripeterà mai più.
Persa questa occasione, avrai perso anche lui. Per sempre.

Poteva percepire l’immobilità di Harry come qualcosa di fisico che andava a sconvolgere il suo equilibrio.
“No. Non... non voglio.”
Idiota.
Si alzò e si mise sulle spalle la coperta di lana che Ron le aveva premurosamente lasciato sulla sedia accanto alla finestra.
“Sono stanca.”
Harry si alzò senza dire una parola e si avvicinò alla porta, aprendola lentamente. Nel suo viso si leggeva chiaramente il dolore, la delusione, la mortificazione cui Ginny l’aveva sottoposto. Gli occhi sembravano aver assunto un taglio triste e malinconico – gli occhi di Harry, sempre così vivi, sembravano avere la capacità di modificare il proprio taglio in uno più, per così dire, languido, quando si sentiva veramente giù di morale. O si sentiva dannatamente male, precisò Ginny a se stessa, non senza una fitta di dolorosa colpa nel petto. -, eppure non disse nulla. Non insistette, non domandò spiegazioni. Nulla.
Pulito, educato, ingenuo come sempre.
Così dolce, premuroso, affidabile, candido...così odiosamente ma adorabilmente Harry.
Io... i-io...

Ginevra Weasley alzò appena lo sguardo verso di lui, osservandone la schiena dritta che oscillava lievemente al suo incedere lento ma deciso.
Non lasciarlo andare.
Sei un’idiota, Ginevra Weasley.

“Ha... Harry...”
Lui si bloccò, non si voltò.
“Sì?”
Non lasciarlo andare via!
“Io ho...” qualcosa continuava a frenarla, a tenerla ancorata al passato. “i-io non...”
Dannazione, Ginny, diglielo!
DIGLIELO!

Inutile a dirsi, la facoltà oratoria sembrava averla abbandonata facendo ‘bye bye’ con la manina, ed aggiungendo ‘io con una stupida masochista come te non voglio avere nulla a che vedere’.
Harry rimaneva in completo silenzio, fissando la propria mano poggiata sulla fredda maniglia ferrea della porta.
“Io...”
Come faccio a dirti che ti amo da impazzire ma ho paura del mio stesso sentimento?
“No, niente,” concluse alla fine, stringendo forte i pugni sulle lenzuola, rabbrividendo nonostante la coperta le tenesse, dal punto di vista scientifico, un caldo ragionevole. “... niente.”
Harry aprì la porta e se la richiuse alle spalle, sempre nel più completo silenzio.
Forse quel silenzio era la cosa che faceva più male.
E Ginevra Weasley rimase nella sua stanza d’ospedale, infreddolita, seduta su un letto bianco e stranamente freddo, a fissare un qualcosa di indefinito davanti a sé, sentendo i lenti e calcolati passi di Harry allontanarsi.
Probabilmente quel silenzio era la cosa che più faceva male.
Non le importava di ferire se stessa, ma non si sarebbe mai, mai perdonata l'aver ferito Harry.
E quel silenzio pesava come non mai.

Could it be any harder?

*** *** ***

Could it be any harder?

Harry camminava per il banale corridoio senza alcuna idea in testa, producendo un rumore di passi assolutamente banale, osservando facce irrimediabilmente banali ed inalando respiri che più banali non potevano essere.
I respiri potevano essere banali?
Certo.Tutto era banale.
Che strano.
Eppure prima non gli era sembrato. Prima tutto sembrava avere un colore, una forma, un sapore, un odore... un qualcosa. Ora, invece, sembrava di vivere in un ambiente informe e non meglio identificato, dove tutto è un qualcosa di puramente formale senza alcun contenuto, dove tutto, in poche parole, è niente.
I suoni risultavano ovattati come ronzii fastidiosi di insetti insignificanti.
Voleva solo... a dire il vero neppure lui sapeva cosa volesse.
Sapeva solo che l’entusiasmo, la forza e la decisione, che pochi secondi prima gli avevano riempito l’animo, erano evaporati nel giro di una manciata di secondi. Orribili secondi, se proprio vogliamo descrivere le cose con il loro nome.
Era come se si trovasse a camminare in una dimensione a lui completamente estranea, in un universo che non lo riguardava neppure in minima parte – quindi perché preoccuparsene?. Avete presente quando vedete, sentite e parlate ma vi sentite la mente eccezionalmente leggera, tanto che vi sembra di non essere realmente lì in quel momento? Di essere solo un corpo che continua a muoversi ed a vivere solo e semplicemente secondo quella che gli studiosi che i Babbani definivano illuministi avrebbero definito una visione meccanicistica e materialista della natura? Ecco. Prendete quella sensazione, fatela vostra. Poi moltiplicatela per mille. Come vi sentite?
Male. Malissimo. È qualcosa che, proprio per la sua indescrivibilità ed inafferrabilità, risulta orribilmente odiosa. Qualcosa che non si riesce a comprendere, ma che, quando ci sembra di aver capito, ci sfugge dalle mani come una bolla di sapone.
E così si sentiva Harry.
Dopo una trentina buona di passi, un pensiero lucido – l’unico – attraversò la confusione che dettava legge nella sua testa:
Un attimo.
Non ha senso camminare.
Che significa tutto questo?
Che vuol dire?

Si bloccò, e nello stesso istante una porta, alla fine del corridoio, si spalancò con impeto.
Come fossimo stati sempre legati da un filo dorato, indissolubile.
Voltò il capo scorgendo con la coda dell’occhio quello che non aveva bisogno di vedere, poiché l’avrebbe sentito dentro.
Solo noi due.
In tutta quella confusione di quelle due anime impaurite e frementi nella propria incertezza, in quell’ignoto che li circondava, in quel dolore, in quella lacrimosa malinconia, in tutto quello... Harry vide una ragazzina dall’aspetto minuto, una ragazzina dagli spauriti occhi velati di lacrime e dalle fragili spalle che non potevano, non riuscivano più a sopportare il peso di tante cose. Non da sole.
Solo io e te.
E la sua voce, tremante per l’emozione che ormai non poteva più reprimere, lo raggiunse come un lampo a ciel sereno, penetrandogli la testa, il cuore, l’animo.
“Non volevo sentire perché ho paura di perdere la presa!”
Il corridoio desolato le donò una brevissima, quasi inudibile eco.
Perdere la presa da te.
Harry si voltò del tutto e qualcosa parve sciogliersi nel suo cuore, riscaldandolo da capo a piedi. Un sorriso – probabilmente molto stupido, visto dall’esterno – affiorò sulle labbra e nell’animo vibrante d’emozione.
“Perché ho paura di non poter più gestire quello che provo! Perché ho paura di costituire un pericolo per te! Perché, Harry, non voglio perdere la presa da te! Io voglio esserti vicino, sempre. E voglio stringerti la mano senza aver paura di scivolare via, di perdere la presa,” il discorso ormai rotto dai singhiozzi. “Perché è tutto troppo bello per essere vero. Perché, Dio santo, Harry, perché io ti amo ancora così tanto come ti ho sempre amato... ed ho paura dell’intensità delle mie emozioni.”
Ginny si strofinò gli occhi sentendosi il viso bagnato di lacrime indescrivibili: di felicità, di paura, di sorpresa, di piacere, di tristezza, dell’improvvisa consapevolezza di essere riuscita a dire a lui quello che da anni teneva strettamente e gelosamente custodito dentro il suo cuore, che per la sua debolezza non era mai riuscita a tirare fuori.
Perché ormai...
E quasi non fu sorpresa di vedersi Harry davanti con uno splendido, innocente, dolce e felice sorriso dipinto sul volto. Le aveva lasciato dire quelle parole che da tanto avrebbe voluto pronunciare. Non l’aveva interrotta né l’aveva abbracciata o cos’altro prima che avesse finito di parlare. Lui l’aveva capita. L’aveva sempre capita e non se ne era mai resa conto. Che stupida...
Perché ormai...
“Ho paura di perdere la presa... di farti del male,” mormorò lei tra le lacrime irrefrenabili, la mano di Harry sulla testa in un gesto dolce e tenero.
“Non potresti mai farmi del male, Ginny. Tu sei e sarai sempre la mia salvezza.” le sue parole, dopo quel silenzio terribile, suonavano calde ed avvolgenti, come una boccata d’aria per Ginny, che le aveva sognate tante di quelle volte da temere che fosse tutto un ennesimo, deludente sogno. Deludente in quanto sogno, appunto. Un semplice sogno. Ma la sua mano sulla sua testa, il calore del suo corpo e quegli occhi verdi così limpidi e vivi... Ginny lo sentiva, non poteva essere solo un sogno. Ed allora sorrise, sentendosi stupida almeno quanto lo si era sentito poc’anzi Harry, e quel sorriso irradiava una sensazione di amore così profonda da far tremare la stessa mano di lui. “Perché ormai ci siamo solo io e te.”
Perché ormai siamo solo noi due.
La mano di Harry scivolò sulla sua nuca con una dolcezza tipicamente sua, un candore che nulla aveva del sensuale, ma tutto del passionale; Ginny sorrideva ancora quando si sentì attrarre leggermente a lui, con una pressione educata e per nulla invadente, sorrideva ancora quando le loro labbra si incontrarono, in un bacio dal sapore del sale, in un bacio dal sapore delle lacrime – che sicuramente sarebbe stato, a discapito delle apparenze, un ottimo inizio – e della felicità; Ginevra Weasley sorrideva ancora quando diventava tutt’uno con il ragazzo che sempre aveva amato.
Anche se un tutt’uno lo siamo sempre stati.
Ginny sorrideva ancora quando, contro la bocca di lui, sussurrava:
“Siamo solo io e te.”
Perché ormai siamo solo io e te.

*** *** ***

Could it be any harder?

Rimase immobile, come se al suo cervello servissero una manciata di minuti – neppure secondi! – per realizzare che la persona che aveva davanti era quella che meno avrebbe voluto incontrare in quel momento, in quelle condizioni. Il senso di smarrimento sembrava prolungare la sua presenza nella sua testa, anzi, sembrava addirittura farsi più radicato. Si sentiva allo stesso tempo incredibilmente leggera ed incredibilmente pesante, come una creatura sperduta che non sa se il suo regno è il cielo o la terra. Che non sa dove sia la sua casa.
Che non sa dove – e se – potrà essere felice.
Come lui.
Ron era in piedi, diritto, emanava quasi un’aura tale di decisione da far barcollare la giovane, come se le onde diffuse dal corpo del ragazzo potessero invisibilmente colpirla – e non solo fisicamente – e lasciarla priva di un qualsiasi punto d’equilibrio.
Ron.
Ronald Weasley, il suo migliore amico.
Lo fissava stupefatta, sorpresa e, specialmente, senza ben capire quella situazione.
Fu Ron allora a parlare, e la sua voce suonò ancora strascicata, pesante; la lingua gli si arrovellava su ogni parola, sembrava quasi ubriaco.
“Bentornata, Hermione.” ripeté con calma irreale.
Avrebbe potuto pensare che Ron fosse arrabbiato perché se ne era andata dall’ospedale senza dire nulla, avrebbe potuto pensare che fosse furibondo per non essere stata attenta quella sera, così come avrebbe anche potuto pensare che Ron, che conosceva da una vita, fosse semplicemente confuso per la loro ultima lite. Eppure Hermione Granger non pensava nessuna di queste cose.
Così come sapeva che Ron non era arrabbiato, non era furioso, non era tanto meno confuso.
Era semplicemente sconvolto.
Non c’era bisogno di parole, di sguardi o di gesti perché Hermione riuscisse a capire una cosa del genere, in fondo lei aveva sempre capito Ron. Era sempre stata lei a spiegare a Harry, le rare occasioni in cui quei due avevano litigato sul serio, che per Ron, insicuro cronico, era davvero dura avere sempre a che fare con lo stereotipo di eroe infallibile che Harry, seppur nolente, rappresentava. Era sempre stata lei a rammaricarsi perché, in fin dei conti, se Harry era lo stereotipo dell’eroe infallibile, lei stessa era quello della ragazza dall’intelligenza fuori del comune – era difficile non notare lo sguardo di Ron quando qualcuno chiamava Harry e Hermione l’Eroe ed il Genio, mentre lui rimaneva solo il semplice Ron, semplice ragazzino di quattordici, quindici, sedici anni... era al massimo Lenticchia. O peggio, perché subdolamente caustico, il Re -, aveva capito con amarezza che anche lei in quanto Hermione rappresentava per Ron una sofferenza. Ed era stata sempre lei che, per quello stesso motivo, aveva tentato di non dare a vedere le proprie qualità – quando era stata abbastanza grande da comprendere il dolore di Ron, un dolore che comunque era difficile da estirpare, perché partiva proprio da lui. Era un qualcosa che lo faceva fuori dentro, che lui per primo considerava insuperabile. E finché non fosse riuscito a superarlo, a prendere un po’ di coraggio ed a saltare, non ne sarebbe mai uscito. Neppure con l’appoggio di lei e Harry.
Niente da fare, Hermione aveva sempre quasi inconsciamente percepito le reali emozioni di Ronald – come tendeva a chiamarlo quando dialogavano di qualcosa di serio o si lanciavano in una di quelle loro tipiche guerre fredde, fatte di frecciatine e battute sarcastiche, che poi sarebbero scoppiate in liti furibonde e tempestose come, prima tra tutte, quella del quarto anno e del sesto.
Ron era una persona passionale, ovvero una persona agitata da emozioni che potevano raggiungere livelli molto, molto intensi, una persona che il più delle volte, agli occhi dei più – e quindi di tutte quelle persone estremamente superficiali -, trasmetteva apertamente, quasi fanciullescamente, ciò che provava. Ed era considerato uno ‘stupidotto’. Eppure Hermione sapeva che non era così, che spesso Ron mascherava il suo dolore più profondo, la sua malinconia più atroce con un sorriso o una battuta infantile, con un bisticcio da quattro soldi, proprio perché lui, in prima persona, credeva che non sarebbe riuscito a sostenere quel dolore, quella malinconia, quella tristezza. E così mascherava i suoi veri sentimenti anche a se stesso, peggiorando la situazione, perché una ferita che ci si tiene dentro, che non viene curata, che non viene condivisa – nel caso delle ferite spirituali – con qualcuno che sappiamo ci è amico e di cui siamo certi di poterci fidare, una ferita che viene volutamente mascherata ed ignorata, alla fine si infetta. Diventa doppiamente dolorosa. Diventa un qualcosa di grave, di estremamente serio, qualcosa che è a tutti gli effetti quasi impossibile da curare. Un qualcosa che comunque lascerà per sempre una cicatrice.
Se Hermione aveva capito tutto ciò oramai da anni – da piccola, quando aveva appena tredici anni, queste cose le intuiva, ma, logicamente, non riusciva a farle proprie – non poteva non capire lo stato d’animo di Ron in quel preciso istante. Era lampante.
Ron era sconvolto.
“R-Ron,” riuscì a balbettare dopo qualche secondo, la sua voce suonava leggermente più alta del solito e si incrinava nelle incertezze.
Il ragazzo si esibì in tutta risposta in una strana smorfia che, secondo i bene allenati sensi di Hermione, sarebbe dovuta essere un sorriso sardonico.
“Risparmiati la farsa, Hermione.” disse improvvisamente, con tono brusco. Lei si sentì gelare. “So cosa hai fatto.”
Sconvolto e disperato.
Di colpo le sembrò che il sangue le fosse affluito alla testa tutto assieme, tutto così di fretta che si sentì sbilanciare e dovette poggiarsi alla parete accanto a sé per tener testa alla vertigine che l’aveva colpita.
O forse più che il sangue, erano state quelle ultime parole di Ron a disorientarla maggiormente.
Parole dette con amarezza, parole dette con la fredda aggressività di una rabbia a malapena repressa, celata, e sorta dalla delusione, una delusione fortissima. Parole gettate fuori dalle labbra, fuori dall’animo, quasi come a voler ferire. Con una carica aggressiva che in realtà nascondeva il desiderio di difendersi da una ferita oramai già inflitta.
Hermione dischiuse le labbra sgranando gli occhi, ma non riuscì a dire nulla.
Ron le si fece vicino con passo incerto, sembrava quasi che ogni movimento gli costasse uno sforzo sovrumano in concentrazione ed equilibrio; si poggiò con una spalla a quella stessa parete di cui l’amica aveva appena usufruito come sostegno. Essendo più alto della ragazza di una trentina buona di centimetri, lei fu costretta ad alzare lo sguardo per poterlo osservare negli occhi.
Almeno quello glielo doveva. Dopo quel che aveva fatto, doveva trovare il coraggio di guardarlo negli occhi. In quegli azzurri occhi, buoni e puri. Anche se faceva dannatamente male.
La vista di Hermione si era oramai semi abituata all’oscurità della casa, eppure non riusciva ancora a scorgere la luce negli occhi di Ron, la luce che sempre li aveva fatti brillare. Forse perché aveva il viso in ombra, leggermente chino verso di lei. O forse semplicemente perché quella luce non c’era più.
Per colpa mia...
Richiuse la bocca, qualsiasi parola sarebbe stata inutile.
Ron si distaccò momentaneamente dalla parete per frugare nella tasca dei jeans, ed afferrata la bacchetta magica la puntò verso di lei sussurrando un incantesimo. Dopo un breve spruzzo di scintille dorate, nell’esiguo spazio che riempiva l’ancor più esigua distanza tra i due si materializzò un’immagine, o meglio, una proiezione.
Hermione Granger e Draco Malfoy. Abbracciati.
Come in un’orribile moviola, Hermione vide il ripetersi di quegli ultimi momenti con Draco, fino al momento in cui lei stessa aveva utilizzato l’incantesimo – che lei sola e quelli dell’equipe in cui lavorava potevano sapere – che avrebbe impedito la loro localizzazione. Fino al momento in cui erano scomparsi.
Sollevò lentamente lo sguardo fino ad incrociare nuovamente quello di Ron.
“L’audio te lo risparmio,” sussurrò lui con voce roca. “anche perché non ne avresti bisogno.”
Ed allora Hermione si rese conto che Ron Weasley, oltre ad essere sconvolto e disperato, era anche ubriaco fradicio, di prima mattina.
E sempre per colpa mia...
Il ragazzo aveva preso da qualche anno la stupida quanto difficilmente arrestabile tendenza di affogare i propri dolori nell’alcol, disperatamente, ma fino a quel giorno, con l'aiuto di Harry e Ginny, lei era riuscita, non senza fatica, a tenere la cosa sotto controllo, per impedirgli di farsi del male.
“Hai bevuto?”
Fu solo questo ciò che Hermione riuscì a dire.
Ed allora, impetuoso, il pugno di Ron colpì con forza inaudita – quanto potevano essere serviti quegli estenuanti allenamenti da Auror, Hermione lo sapeva bene – la parete, producendo un botto sordo che echeggiò per qualche secondo nell’ambiente, fondendosi al tonfo di un quadro che, poco distante, per le vibrazioni provocate dal colpo inferto era rovinato in terra.
Lei distolse solo allora lo sguardo: non ce la faceva a sostenere quello del giovane.
In compenso, non sentiva più nulla, non provava più niente. Tutto era come appartenente ad un’altra dimensione – tutto eccetto Ron. Lui era sempre stato una parte di lei, in fondo. Come Harry, ma in maniera diversa. -, si sentiva come proiettata in un incubo terrificante in cui – lo sapeva – stava perdendo, anzi, aveva perso la persona più importante della sua vita assieme all’altra persona – Draco -, che comunque aveva poco prima perduto, ed alle altre due – Harry e Ginny – che, inevitabilmente, avrebbe perso in un futuro davvero molto prossimo.
E questo era peggio della confusione di prima.
Il nulla è la fine di tutto.
E la peggior cosa che possa capitare.
“Stronzate!” ruggì Ron rischiando di perdere l’equilibrio.
Il nulla è dimenticanza.
Il nulla è oblio eterno.
Il nulla è mancanza di amore, ma anche mancanza di rabbia, di delusione... di tutto.
È come cominciare a svanire piano piano, senza che nessuno se ne accorga – o se ne curi.

Cause today, oh, you're gone

“I-io… Ron, posso spiegarti,” balbettò Hermione, che nel suo nulla più totale non sapeva neppure perché quelle lacrime le stessero nuovamente bagnando le guance fredde e pallide.
Ron le si piazzò allora davanti, l’odore dell’alcol così forte da far quasi girare la testa, e la bloccò inchiodando saldamente le mani al muro accanto a lei, intrappolandola davanti a sé.
“Spiegarmi cosa?” biascicò con rabbia. “Quello che ho visto è abbastanza. E questa non è rabbia, Hermione, tu lo sai bene, dovresti saperlo bene...” Hermione avvertì una stretta al cuore: per la prima volta Ron accennava ai suoi veri sentimenti, alle sue vere emozioni. Al suo vero dolore. “Lo sai bene,” confusione. “... e quello che ho visto io, Hermione, non eravate te e Malfoy abbracciati. Non era il tradimento della ragazza con cui ho vissuto quasi dieci anni... lo sai cos’è, Hermione?”
Lei scosse il capo, impercettibilmente.
Una mano di Ron le prese tra due dita il mento e glielo sollevò con una delicatezza che nessuno si sarebbe mai aspettato in un momento del genere, con Ron in uno stato simile.
Ma Hermione, si sa, era sempre stata il suo punto debole.
“Quello che ho visto, Hermione, ero io che perdevo te.”

Cause today, oh, you're gone

Hermione tentò di voltare il viso, ma lui le impedì ogni movimento con leggera fermezza nella mano ed uno sguardo penetrante, che sembrava entrare nella sua testa, nella sua anima e sconvolgere tutto, gettare tutto a terra, distruggere, per poi andarsene lasciandosi dietro solo il caos più totale, come un uragano, un tornado dall’inarrestabile potenza.
Quel globo argenteo che le era sembrato più vicino, sembrò schizzare via, guizzare con una scintilla e sparire nel buio. Dietro quella patina di dolore.
Che lei stava costringendo tutti a sopportare.
Lei, Ron, Harry, Ginny... e lui.
Quell’opacità da dolorosa era divenuta annientante.
“Ero io che perdevo la ragazza che amo...” la sua voce ormai era così bassa da poter benissimo essere scambiata per un sussurro sordo.

Could it be any harder?

Il nulla implose, ripiegandosi su se stesso liberò una quantità di energia, emozioni così forti da non poter essere descritte; tutto stava accadendo così velocemente da risultare sconvolgente, eppure, nonostante ciò, Hermione non mancò di captare le ultime parole impastate, disperate, sussurrate dal ragazzo che, tremante – forse scosso da singhiozzi che aveva celato tante volte ed avrebbe voluto continuare a celare -, le aveva poggiato la fronte sulla spalla, chino su di lei, le mani strette a pungo, nuovamente sulla parete.
“Ero io che perdevo la presa.” mormorò ancora, eppure la sua voce non era rotta da alcun singhiozzo. Quel tremore era il pianto di un’anima, non il pianto fisico di una persona comune. “Avrei voluto proteggerti. Solo questo. Non chiedevo altro, non chiedevo amore... sarei vissuto solo per te e per saperti felice. Eppure... eppure ti ho persa. Non sono stato in grado di tenerti per mano, perché la tua mano... la mano di quella ragazzina saccente con cui litigavo sempre, una mano piccola e calda... è scivolata via. Perdere la presa...” Hermione chiuse gli occhi, il respiro mancante, avrebbe voluto sussurrare parole di scuse sia per non avergli spiegato cosa le stesse succedendo, sia per non averlo capito fino in fondo come credeva d’aver fatto, sia per averlo fatto soffrire fino a tal punto, ma riusciva solamente a piangere, a serrare gli occhi, a maledirsi per l’egoismo dimostrato e per l’interno calore che provava davanti al discorso di Ron, che come sempre rispecchiava il suo grande altruismo. Che nulla aveva preteso da lei, solo che gli permettesse di esserle accanto, nel bene e nel male. Cosa che lei aveva impedito. Celandogli l’accaduto, allontanandolo. E facendogli del male. Ancora. “Perdere la presa è la cosa peggiore. E io ti ho persa, Hermione...”

Could it be any harder?


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Capitolo 11
*** Irraggiungibile verità ***





Capitolo 11° “Irraggiungibile verità”

Anestesia.
Anestetizzato.
Sembrava tutto orribilmente anestetizzato, ovattato. In primo luogo le sue gambe e la sua trachea.
Respirare era diventata come una cosa nuova, mai fatta prima e risultava fastidiosamente rugginoso e faticoso anche il solo tentare.
Improvvisamente, dopo quelle parole, aveva sentito come una vertigine; con gli occhi sgranati, le labbra socchiuse, le mani mollemente abbandonate lungo i propri fianchi – a vederla da fuori sarebbe sembrata letteralmente sotto shock. E forse lo era. – era rimasta in silenzio, le lacrime che continuavano a scorrere sulle gote pallide senza pausa. Senza tregua. Come il dolore graffiante che sembrava lacerarle il cuore, ormai inutile perché pressappoco immobile – non un battito, non un sussulto, nulla di nulla. -, da qualche parte, lì, sperduto nella zona sinistra del suo petto.
Ammesso e non concesso che ancora ne avesse uno.
Ero io che perdevo la ragazza che amo...
Le gambe, incerte già da tempo, cedettero.
Avrei voluto proteggerti. Solo questo. Non chiedevo altro...non chiedevo amore...
La ragazza scivolò silenziosamente, solo il fruscio dei vestiti contro la parete alle sue spalle, in terra.
Amore.
Chinò piano il capo, nascondendo il viso tra le mani tremanti, desiderando con tutta se stessa mormorare qualcosa, fargli sentire che c’era e che percepiva il suo dolore, le sue emozioni, eppure quelle sue stesse emozioni, quel suo dolore lancinante la lasciavano senza alcuna parola da mormorare, senza alcuna parola da sussurrare. Né un grazie. Né uno scusami.
Sarei vissuto solo per te...e per saperti felice...
Era un mostro. Un autentico, orribile mostro.
...eppure ti ho persa.
Il respiro era pesante, percepiva l’odore di alcol. E di Ron.
Quello era inconfondibilmente l’odore di Ron.
...perdere la presa è la cosa peggiore.
Era come se tutto attorno fosse un quadro colorato con i pastelli, colori tenui, teneri, delicati; basta una sola goccia a rovinarne il dolce risultato. Ed un’onda si era abbattuta sul suo quadro.
Ed io ti ho persa, Hermione.
Un leggero spostamento d’aria le indicò che il ragazzo si era appena inginocchiato di fronte a lei; i singhiozzi non volevano fermarsi. Avvertì appena, nella confusione totale, una pressione leggera all’interno del suo polso e tra gli occhi appannati di lacrime e disperazione vide la mano di Ron, tiepida, scostare le sue dal suo viso, con delicatezza, quasi con la paura di rompere o rovinare qualcosa di estremamente prezioso.
Amore.
Anestetizzata e paralizzata, poté solamente rimanere immobile nel suo dolore mentre Ron si chinava appena a sfiorarle, quasi in un soffio, le labbra tremanti.
Avrei voluto proteggerti.
Dentro di sé sapeva che non avrebbe mai potuto trovare la forza ed il coraggio di non lasciarglielo fare. E per questo, si sentiva ancora peggio.
L’immagine di due ragazzi, opposti tra loro nel carattere e nell’aspetto fisico, galleggiava prima lenta, poi in un vortice impetuoso non nella sua mente, ma nel suo cuore. Nella sua coscienza.
Solo questo.
“Scusami.” lo sentì mormorare poco prima di alzarsi, aprire la porta e svanire per le vie mattutine
Non chiedevo altro.
Lui
si era scusato. Lui che per tutta una vita le era stato accanto e l’aveva vista come la più preziosa delle cose, la più importante delle persone.
Non chiedevo amore. E lei, presa nella morsa dei forti sentimenti che provava per due persone distinte, non aveva neppure trovato il coraggio di chiedergli perdono.
Perché non lo meritava. Lei non meritava neppure il suo perdono.
Era solo una persona orribile.
Non si era mai accorta dei suoi sentimenti – nonostante fossero la cosa che più aveva sperato lungo tutto l’arco di tante notti insonni, stesa su quel letto freddo a guardare il soffitto illuminato di una pallida e candida luce lunare -. Lo aveva ferito. Lo aveva ferito ancora.
Deglutì a fatica poggiando la testa contro il muro.
Fu solo allora che un lungo sibilo, quasi come un lamento prolungato, si liberò dal suo essere.
E solo allora le lacrime divennero sangue.

Could it be any harder?
Odiando tutto, odiando tutti, ma specialmente odiando se stessa, Hermione Jane Granger giunse ad una decisiva constatazione.
Come mai aveva amato nessuno in tutta la sua vita; in un modo così intenso e profondo da risultare soffocante, doloroso, un dolce, agro dolore a cui non era riuscita a rinunciare, neppure per il bene di chi le era stato vicino...di chi lei amava...con un’intensità di emozioni tale da spaventarla, annullare tutto il resto, cancellare qualsiasi minuscola parte di razionalità rimasta, una vertigine profonda nel mezzo del petto che sconvolgeva i cardini della sua vita e quelle che fino ad allora erano state le sue convinzioni, un vortice che convogliava nel proprio baricentro tutte le cose esistenti, privandole di un qualsiasi equilibrio...con il sangue che ribolle e brucia di passioni contrastanti, scorrendo ustionante nelle vene azzurrine dei polsi, del collo, di tutto il corpo, degradato oramai ad un unico fascio di nervi sensibile solo a quell’emozione...con la confusione dei pensieri che caratterizza solo chi non credeva di essere in grado di raggiungere tale livello di emozioni, una confusione meravigliosamente consapevole di sé – dopo tanto tempo di ignoranza non voluta e non richiesta – eppure maestosamente e terribilmente senza alcuna via d’uscita, Hermione Jane Granger si rese conto di ciò che aveva rincorso disperatamente per anni e negli ultimi tempi più che mai.
Improvvisamente le balzò davanti, con movimenti fluidi, eleganti, rapidi, quel globo argenteo che tante volte aveva sfiorato e mai era riuscita a toccare pienamente, assaporandone la consistenza e sperimentandone il significato. Appariva vicino come mai era stato e nella confusione che regnava dentro e fuori di lei, Hermione seppe di dover allungare la mano, ancora una volta, verso quella che, inconfondibilmente, rappresentava la verità. Per tanto tempo si era ritrovata a tendere il braccio verso la sfera sfuggente, a distendere le dita sperando di raggiungerla e sempre, tutte quelle volte, si era ritrovata a respirare affannosamente, come dopo una lunga corsa, con il cuore che batteva all’impazzata, minacciando di balzar fuori dal petto in qualsiasi momento, tendendo al cielo così come fanno le fiamme del fuoco. Ma quella volta era diverso. Ed il bello era che non se ne meravigliava neppure.
Era come se avesse saputo che quel momento sarebbe arrivato, era come se da tutta una vita non avesse vissuto altro; il cuore e quel globo come un unico battito, appena appena pulsante, il respiro stranamente regolare ed una sensazione di realizzazione interiore fino ad allora sconosciuta. Vedeva nel buio totale la sua pallida mano afferrare quell’odiato velo patinato che l’aveva sempre tenuta lontano dalla verità – che consistenza stranamente leggera aveva, adesso -, vedeva la sua mano, incredibilmente sicura, scostarlo senza difficoltà alcuna.
Ed allora bastò un solo passo.
Piccolo, insignificante passo.
Il globo argenteo, la verità, dritta davanti a lei.
Una lacrima scivolò giù per il suo viso, tuffandosi nella stoffa della leggera giacca che indossava.
Adesso capiva.
Come dopo un lungo e travagliato viaggio il pellegrino giunge finalmente a destinazione, così la giovane diciannovenne sfiorò con dolcezza la superficie liscia e levigata di quella sfera dalla consistenza né liquida, né gassosa, né solida.
Adesso capiva.
Adesso capiva tutto.
Inspirò profondamente prendendo tra le mani il corpo a lungo agognato.
Hermione Granger capiva l’unica cosa che fino ad allora non aveva compreso.
E poteva finalmente guardare in faccia la realtà. La verità.
La sfera smise di pulsare lievemente, così come fece il suo cuore. In quella situazione di stasi completa ed assoluta, la vide brillare appena una frazione di secondo – il suo cuore ebbe un fremito – e sparire gradualmente, sbiadendo prima un poco ed infine perdendo qualsiasi consistenza – impossibile da descrivere – avesse mai avuto. Semplicemente, scomparve. Nel nulla.
Adesso Hermione capiva, in quello stesso nulla dove la sfera l’aveva appena lasciata.
E il dolore tornava a farsi sentire, la disperazione tornava a perpetuare i suoi duri colpi. Perché spesso quello che desideriamo è la realtà, ma la verità è che non siamo pronti ad accoglierla. Nei momenti di difficoltà speriamo e confidiamo nell’arrivo di un qualcosa di migliore che identifichiamo con la verità, con una verità più o meno idealizzata che prima o poi contiamo di raggiungere e vivere perché ci sembra non sia giusto essere destinati ad una realtà più dolorosa, meno allettante, in poche parole quella che viviamo normalmente. Così ci rifugiamo nell’attesa di un’altra verità, che indiscutibilmente è verità, ma va osservata e vissuta con una certa maturità che non sempre riusciamo a far nostra, è una verità fatta di bene e male, migliore della precedente perché rappresenta noi che siamo riusciti a superare i nostri primi, veri ostacoli, è una verità che è giusto aspettare, desiderare, ma quando essa arriva e si mostra nella sua completezza – buoni e cattivi aspetti – rimaniamo sempre sorpresi, impietriti dalla prospettiva di dover combattere e lottare ancora una volta.
Le lacrime avevano lasciato il posto alla soffocante consapevolezza del fatto che quella era la sua realtà, quella che a lei e solamente a lei era stata destinata.
Una strana commistione di sentimenti differenti si aggirava guardinga nel suo corpo, scorrendo nelle vene fino al cuore e da lì sospinta in ogni organo, dove pervadeva ogni singola cellula. Spaziava dal disperato, all’addolorato, ad una leggera sfumatura di speranza, come un piccolo spiraglio di luce in una notte piovigginosa. Perché, speranza? Perché soffriva. Sì, soffriva e così come soffriva lei, soffrivano tutti, anche chi le stava a cuore. Anche Harry. Anche Ginny. Anche Ron. Anche Draco. Eppure in quella sofferenza, vigeva un sottofondo dal retrogusto agrodolce.
Come se sapesse, inconsciamente, che la sua verità si risolverà. Anche se non tutta rosa e fiori.
La sofferenza è tanta, sembra demolire qualsiasi sentimento positivo una persona riesca a provare o anche solo a ricordare, ma allora dov’è questa speranza?
Nell’aver capito.
Stava male e si sentiva orribile.
Ma almeno adesso capiva. E forse sapeva come combattere.
Sapeva come lottare.
Ancora una volta.
Sapendo che non sarebbe stata l’ultima, ma che comunque sarebbe stata la sua prima, vera, importante lotta.
Adesso Hermione capiva e poteva almeno tentare di combattere, anche se non sapeva se ne sarebbe stata in grado.
Non poteva essere più difficile: capire e dover ignorare la sofferenza, per andare avanti. E cancellarla. Nonostante l’insicurezza, nonostante la certezza quasi piena di non potercela mai, mai fare. Non lo si può capire se non lo si ha provato almeno una volta, pensò Hermione.
Con un sorriso disperato sul viso bagnato di lacrime salate, respirava lentamente.
Ecco. Era quello che aveva sempre tentato di capire.
E non avrebbe potuto trattarsi di qualcosa di più difficile, di più duro.
Capiva, si sentiva una persona orribile, eppure adesso sapeva.
Hermione Granger sapeva cosa la legava a Ron Weasley e Draco Malfoy.

Could it be any harder?

Amava.

Could it be any harder?

E quella era la sua verità.
Quella che era parsa impossibile anche solo da sfiorare e che pareva assolutamente irrealizzabile.
Quasi come irraggiungibile.
Perché non poteva esserci qualcosa di più difficile.

Could it be any harder?

*** *** ***

Could it be any harder to live my life without you?

Scomparire nel nulla non sarebbe servito a niente.
Con tutto il dolore che provava, con tutto il freddo che sentiva attorno a sé, percepiva dentro il suo corpo, dentro il suo cuore, dentro la sua mente, da qualche parte, come un piccolo lume che brillava incerto, eppure eterno, che, ne sei certo, nessuno potrà mai estinguere, per quanto possa sembrare precario, combatterà tutto e tutti per rimanere lì, dove sta, dove è sempre stato, dove ha sempre bruciato...sentiva la certezza che lui non l’avrebbe mai abbandonata. Era diventata un po’ come la sua droga: per quanto avesse potuto sbagliare, per quanto avesse potuto ferirlo, lui sarebbe rimasto al suo fianco, per proteggerla. Avrebbe magari urlato, avrebbe probabilmente gridato, sicuramente si sarebbe sbronzato come ormai era solito fare, ma alla fine di tutto, lui, l’immaturo e perenne ragazzino Ronald Bilius Weasley, sarebbe stato per la prima volta un uomo. Dopo qualsiasi cosa, lui ci sarebbe ancora stato. Ancora, dopo tutto quello, ancora una volta. Come sempre.
Si sarebbe limitato a stringere i denti. Semplicemente stringere i denti, deglutire – un po’ a fatica – e far finta che non sia nulla, che tutto scorra, che sia solo un puntino in un’immensità, quando per te l’immensità è proprio quel puntino che ti causa tutto quel dolore, quel senso di disfatta totale. Ma a cui non puoi e non vuoi rinunciare.
Una droga. Esattamente. Dipendenza totale ed assoluta. Una droga magnifica, tiepida e delicata, che sa trasmetterti un senso di appartenenza e di completezza unici al mondo; una droga terrificante, che sa aggredire, graffiare, difendersi ed attaccare; una droga che causa confusione, perché confusione è il suo secondo nome, perché dalla confusione prende spunto, di confusione è fatta, e nella sua stessa confusione naviga verso lidi in cui stenti a seguirla.
Una droga confusionaria e confusa, che in quel momento era approdata su di una spiaggia così lontana, avvolta dalle nebbie, da risultare vaga ed indefinita. Nessuna certezza, ormai.
Solamente essere consci del fatto che lei, quella tua stessa droga che è parte di te, si è definitivamente allontanata. E non sai come raggiungerla. Non sai come toccarla.
Più tendi la mano verso di lei, più sbagli. Più protendi il viso per vederla, più la sua immagine va sfocando in un fumo bianco perlaceo, sprigionato dal nulla, che si alza in leggere nuvolette, vorticando appena attorno al tuo corpo.
Un corpo che non senti neppure più. Totale annullamento, totale annientamento.
Morire come qualcosa e rinascere in un’altra forma.
Non è successo una sola volta: tu sei morto e rinato in lei, in quella tua unica speranza, forse una mera illusione; tu, in lei e con lei, muori e risorgi di continuo. Un ciclo che mai avrà fine, che mai avrà tregua; sfibrante, ma rinvigorente, contraddittorio...che non sai far smettere. Che non vuoi abbandonare, perché la tua vita è stata interamente così. Contraddistinta da quel ciclo, da quell’essenza che è lei.
E per quanto possa far male, per quanto dicano ‘lascia stare’, sarai eternamente attratto da quel polo magnetico che al centro di quel vortice ha la sua sede fissa ed immutabile; trascinato, inesorabilmente, vieni sballottato qua e là, senza quasi alcun ritegno, in un avvicendarsi di emozioni, parole, sguardi, gesti, profumi, tocchi, sussurri che non sai ordinare in un senso compiuto.

Could it be any harder?

Forse perché un senso compiuto non ce l’hanno.
...Forse perché quel senso compiuto è confuso come loro.
Perché il tuo senso compiuto è lei.

I’m all alone

*** *** ***

Could it be any harder?

Scomparire nel nulla era l’unica soluzione accettabile. Ed utile, specialmente.
Sparire per sempre, dileguarsi nel nulla, fingere di non essere mai esistito...fingere di non essere mai stato nulla per lei. Fingere di non aver sorriso per il suo sorriso, fingere di non aver trattenuto il respiro per un suo leggerissimo soffio, liberato lievemente tra quelle labbra rosate, delicate, dettato da una sensazione di totale abbandono e...e non sai più neppure cosa.
Fingere e basta. Tornare a fingere.
La tua vicinanza non avrebbe portato altro che dolore e distruzione, come sempre era stato.
Ci sono persone nate amare. Ci sono persone nate per sognare. Ci sono persone probabilmente nate per soffrire.
E ci sono persone nate per non avere un proprio posto.
Perenni ed eterni nomadi nel cuore, nello spirito, anche nel fisico. Non avere un luogo da cui partire, non avere alcun luogo a cui far ritorno. Un eterno, infinito viaggio senza meta né punto di partenza, accompagnato semplicemente da quel senso di vuoto che senti dentro e che ti fa ronzare appena le orecchie quando, nel silenzio più assoluto, nella desolazione più totale, non sai più neppure cosa sia o come suoni all’udito una voce umana.
Lui era uno di quelli.
Un nomade, come era solito definirsi.
Non avrebbe mai dovuto sperare di trovare un punto di riferimento, soprattutto non in lei. Come era stato tempo prima per sua madre, tutto ciò a cui lui si avvicinava appassiva e sfioriva lentamente; non poteva permettersi di ripetere lo stesso errore. L’aveva capito nell’esatto momento in cui lei gli aveva parlato dell’attacco subito dalla sorella di Weasley, poche ore prima. Lì per lì non era riuscito a trovare la forza d’animo – e la forza fisica, perché staccarsi da lei risultava deleterio anche per il corpo – necessaria per allontanarsi dalla persona che stava diventando sempre più il suo punto di riferimento, quel punto fisso che tutti hanno e che lui non aveva mai avuto. Quella certezza solitaria che non ti abbandona neppure quando tutto il resto sembra andare in distruzione, che non ti lascia solo e non perde il suo valore certo – di certezza, appunto – neppure quando ti senti instabile, barcolli, tremante tenti di appoggiarti a qualcosa e tutto sfugge, tutto fugge lontano da te, non ti abbandona neppure quando con la mano incerta cerchi un appiglio. Non chiedi poi molto: non hai mai avuto niente. Eppure quell’appiglio è la cosa più difficile.
Non c’è niente di più difficile.
Per me.
Non c’è niente di più difficile che trovare il tuo appiglio. E lo sai, ne sei certo.
Allora perché...
Ma quella certezza, nell’istante – velocissimo a passare, quasi impossibile da cogliere – in cui le gambe non reggevano più il tremore esasperato ed il respiro minacciava di collassare da un momento all’altro , quella stessa certezza che mai avresti sospettato che esistesse, ti afferra la mano tremante.
Allora perché...
La mano tremante, sporca di sangue, sola, disabituata a stringere qualcosa, perché nulla è stato mai veramente suo, fin dal principio, da quel maledetto e lontano principio.
Allora perché...
E quella certezza ti tiene per mano in ogni momento, lo fa da quando ti ha sfiorato per la prima volta; conduce il tuo cuore dove non vorresti fosse condotto, perché sai che non è né sarà mai un bene per nessuno dei due.
Invade la tua anima e ti fa – detesti ammetterlo, anche perché farà male - completamente...
...allora perché...
...interamente...
...allora perché sei diventata tu il mio appiglio?...
...inesorabilmente suo.
Ed adesso è un’altra la cosa più difficile.
Oltre a trovare un appiglio, in realtà, la cosa più difficile è lasciarlo.
Quando fa male, quando brucia, quando ti squarcia da dentro eppure il tuo sangue, come quelle lacrime che non piangerai mai e che qualcuno – lei. Lei, lei, sempre, confusamente e totalmente lei. – ha pianto per te, non è visibile a nessuno; quando il respiro torna a rallentare, si assottiglia e si fa così esile da non esistere quasi più, sai che devi lasciarlo. E’ quello il momento.
Che devo lasciarla.
Per il suo bene. Del tuo non ti importa – tu non puoi vivere il bene, te lo sei detto e ripetuto miliardi di volte...perché sei stato così idiota da credere il contrario? Perché lei.
Semplicemente perché è lei. -, ma lo hai giurato e non permetterai mai che quello che è stato il tuo appiglio, anche se brevemente, muoia nel fango, fine indegna per una cosa così preziosa e così pura.
Per la quale tu, lo stesso uomo – ma puoi definirti tale? – che aveva dimenticato cosa fosse un’emozione, un battito, uno sguardo vero, ha provato sentimenti così chiari e nitidi da risultare un’inaspettata ed insperata novità per chi, come te, quello stesso ragazzino – e puoi definirti così, invece? – costretto ed abituato a sguazzare nell’apatia, non sapeva neppure di essere in grado di sostenere qualcosa di così grande, così forte.
Oseresti definirlo immenso, se non fosse per il fatto che il tuo orgoglio – dannazione.
Ridi aspramente, amaramente divertito. – ancora adesso non te lo permette.
Per tua fortuna.
Se solo non avessi in questo momento la forza di partire...
Se solo non trovassi in questo istante il coraggio di lasciarti scivolare via da me, di sentire la tua mano piccola e calda sfuggire – forse riluttante? – dalla mia...
...saresti la sua distruzione.
...se solo non trovassi la forza d’animo di lasciare la tua mano e di perderti nel buio, nella soffocante oscurità...
...sarei la tua fine. Sarei il tuo dolore, sarei le tue lacrime.
Sarei la tua distruzione.
Sarei semplicemente me.
Ciò che – nomade – sono stato finora.
Ciò che tu hai saputo vedere e
rivelare – principalmente a me stesso – in una luce differente.
E non puoi, non vuoi permetterlo.
Sorridi appena, non senti più il freddo gelido infiltrarsi tra i tuoi pensieri sconnessi eppure estremamente chiari e comprensibili a te stesso; sorridi appena, respiri piano.
Sorridi appena.

Could it be any harder?
Sorridi. Lo fai ancora. Un’ultima volta.
Per merito suo.
Per merito tuo.
Sorridi.

Could it be any harder to live my life without you?

Sorridi appena.
Se non fossi così orgoglioso, forse ti ringrazierei una seconda volta.
Sorridi appena mentre volti le spalle alla tua certezza, mentre constati ancora che per te...
...che per due come voi...

…Could it be any harder?

...che per te, fondamentalmente...

I’m all alone

...non potrebbe esserci qualcosa di più difficile.

I’m all alone

*** *** ***

Could it be any harder to live my life without you?

In quell’abbraccio caldo e dolce sembrava che tutti i pensieri si dileguassero con rapidità eccezionale e tendessero a non tornare. Solitamente odiava quando non aveva nulla a cui pensare perché cominciava a tormentarsi sulle piccole cose, sui piccoli problemi...in quel momento no, però. Tra quelle braccia forti e sicure, contro quel petto che si alzava e si abbassava ritmicamente, con il suo respiro che le solleticava appena una guancia e le scostava con leggerezza uno o due capelli, si sentiva come quietamente cullata; tutto sembrava così lontano, dall’attacco dei Mangiamorte all’episodio di Hermione e Malfoy, fino al fatto che sia la sua migliore amica che suo fratello fossero scomparsi. Non che non ci volesse pensare, semplicemente non riusciva a concepire altro concetto al di fuori di lui.
Harry.
Un concetto dalla potenza vincolante.
Esattamente come aveva detto lui poco prima: adesso ci siamo solo io e te.
Siamo solo io e te.
Recava ancora dentro di sé qualche traccia di incredulità. Insomma...Harry! Harry Potter! Il ragazzo che aveva amato per anni ed anni...l’unico ragazzo di cui fosse mai stata realmente innamorata...era lì! E non era semplicemente lì...la stava abbracciando! E l’aveva appena baciata! Non poteva essere...no, non poteva. Ecco, era un sogno. L’ennesimo bellissimo incubo, incubo perché alla fine, quando si svegliava e scopriva ancora una volta che nulla era stato vero, faceva male. Tanto male.
Tanto quasi da soffocare.
Non poteva essere.
Harry Potter. Proprio lui.
“Non può essere...” mormorò contro il suo petto, con un sorrisetto divertito ed incredulo dipinto sul viso pallido
Lo sentì inspirare lentamente e passarle una mano dietro la schiena, in una lenta, dolce, sentita carezza.
“È.” la voce del ragazzo vibrava appena se la si ascoltava con un orecchio poggiato al suo torace, come Ginny stava facendo
È...è possibile?
“E non dovrebbe...?” chiese improvvisamente lei, come colta da un dubbio
Harry tacque per una manciata di secondi, appena qualche istante, intervallo di tempo che parve un’infinita e tesa eternità.
“Non dovrebbe.” rispose infine in un lungo sospiro tremante, lasciando scivolare fuori di sé quelle che erano state fino ad allora le sue maggiori preoccupazioni
Ginny si irrigidì appena, non osò alzare lo sguardo ed incrociare gli occhi di lui.
“Sapevo che avresti risposto così.” ammise, la sua voce risuonò stranamente un po’ metallica, quasi gracchiante
Qualcosa si stava facendo strada nel suo petto, qualcosa di acuto e pungente; fastidioso eppure così piccolo che ti viene spesso la tentazione di ignorarlo, di far finta che, no!, tu non l’hai visto...non esiste nulla del genere, di che stiamo parlando...? Eppure...eppure quando meno te lo aspetti torna a farsi sentire. Quel dolore minuto e persistente, pizzico dopo pizzico irrita ed invade ogni cellula del tuo organismo fino a che non riesce ad impedirti di avvertire altro. È esattamente quello il momento in cui viene assalito dal dubbio, da ciò che non dovrebbe essere stato, che non dovrebbe essere...e che forse è...che sicuramente è. Un dubbio che hai volutamente ignorato a lungo – anche quando ritenevi che per lui fossi poco più che una ragazzina, la sorellina di Ron e nient’altro – e per cui ora paghi lo scotto.
Torna a riscattare la sua antica valenza, torna a ricordarti che, anche se l’hai ignorato, lui c’è sempre stato, ha agito in sordina, nascostamente, e, subdolo, ha preso possesso di te.
Detestava i dubbi, in quel momento, con tutta se stessa, così come li aveva sempre detestati. Le cose per lei dovevano sempre essere messe in chiaro, spiegate, analizzate nei minimi particolari; Ginny Weasley era una che andava a fondo nei problemi fino a raggiungere una stabilità più o meno certa. Amava la chiarezza e la stabilità, esatto.
Eppure con lui questa stabilità non c’era mai stata. Per un motivo o per un altro, Ginny non era mai riuscita a raggiungere una posizione di equilibrio accanto a lui. Con Harry era tutto così diverso, tutto così coinvolgente e pieno di emozioni, tutto così assolutamente unico.
Inaspettatamente Ginny sorrise, si allontanò appena dal ragazzo e lo fissò dolcemente negli occhi, scostandogli dalla fronte una ciocca di capelli corvini e sfiorando senza volerlo la cicatrice che l’aveva reso famoso in tutto il mondo magico.
“Sapevo che avresti risposto così.” ripeté lentamente, percorrendo con la mano, come in una carezza, la gota ed il collo del giovane “Perché sei Harry.” lui la fissava con quei suoi occhi verdi, puri e sinceri, come sempre, come poteva ricordarli dalla prima volta in cui l’aveva incontrato: era cresciuto, era maturato, aveva vissuto numerose esperienze dolorose e qualcuna felice, ma i suoi occhi, fondamentalmente, erano sempre gli stessi. Identici. Unici. “Unico nel tuo genere.”
Quella sua unicità valeva più di qualsiasi altra cosa, era esattamente ciò che lo rendeva ‘Harry’ e di conseguenza ciò che l’aveva fatta innamorare di lui: lo stesso fatto di essere così. Di essere Harry.
Unicamente Harry.
Il ragazzo socchiuse appena le labbra, le richiuse e le strinse per un attimo, come titubante.
“Ho paura, Ginny.” gli occhi fissi in quelli di lei non tremavano neppure un po’ “Ho paura per te.”
Lei allentò un po’ l’abbraccio, abbassando lo sguardo, ma senza smettere di sorridere. Era un sorriso dolce, ma anche un po’ amaro. Un sorriso che troppe volte, ora che provava a ricordare, Harry aveva visto su quel viso che tanto aveva desiderato anche solo sfiorare.
“Sapevo anche questo, Harry.”
Ti prego, non sorridere ancora in quel modo...
“Gin...”
...non posso sopportarlo...
Lasciò scivolare la mano lungo il braccio esile della giovane fino a che non incontrò la sua.
Intrecciate, strette, come a cercare inconsciamente supporto fisico e morale l’uno dall’altra.
...non posso sopportare il fatto che la causa di quel sorriso sia io!...
La vide sollevare le palpebre che aveva tenuto abbassate, i suoi limpidi occhi tornarono lentamente a lui, ingenui, ma decisi, come sempre erano stati.
Adorava gli occhi di Ginny: erano di un colore splendido, un azzurro chiarissimo, limpido come l’acqua di un vivace ruscello di montagna, in più erano sempre stati speciali. Avevano sempre avuto la proprietà di provocare in lui sentimenti contrastanti e di mostrargli, allo stesso tempo, la doppia natura della loro proprietaria: incerta, dubbiosa, eppure anche così forte e decisa, all’occorrenza. In più sembrava fossero sempre in grado di vedere ciò che altri non riuscivano neppure ad intuire. Come se con un semplice sguardo lei fosse sempre riuscita a comprendere la parte più profonda e nascosta di quell’Harry Potter che tanti volevano conoscere, ma che nessuno intendeva realmente comprendere. Di quell’Harry Potter che, escluse poche eccezioni – Ron e Hermione, più che altro – che appunto confermavano - come sempre avevano fatto - la regola, ai più interessava solo per il cognome e la cicatrice che portava.
Come marchi indelebili. E detestati.
...non posso sopportare l’idea di non riuscire a renderti felice! Di causarti solo preoccupazioni e dolore...di non essere ancora una volta l’uomo che meriteresti lì, a fianco a te...
“Sono semplicemente terrorizzato dall’idea che ti possa accadere qualcosa di male. A causa mia. Lo sai, Ginny: con me sei in pericolo. Volente o nolente il pericolo mi insegue, l’ha sempre fatto e continuerà a farlo fino a che questa guerra non subirà una svolta decisiva. Se lo farà in bene, okay...ma se...se lo farà in male?...Io sono un pericolo, una mina vagante. Sai benissimo che Voldemort usa le persone, senza alcuno scrupolo perché di scrupoli non ne ha come non ne ha mai avuti, diamine...per arrivare ai suoi scopi. Ti ha già usata una volta e risenti ancora delle conseguenze di tanti anni fa...e tu, Ginny, non sai quanto questo mi faccia male. Perché già una volta non sono riuscito a proteggerti...e perché, cazzo!, sono stato io la causa scatenante di quella tua sofferenza! Vivere nel pericolo...attacchi come quello a cui siamo appena scampati...io non voglio che sia questo il tuo futuro!”
Lei strinse forte la mano nella sua.
“Io sì.” nei suoi occhi ardeva una decisione che non aveva mai visto prima, non in quello sguardo, non in lei “Io voglio con tutta me stessa che questo sia il mio futuro, il mio destino. Che sia fatto di pericoli, di attacchi, di ferite, anche di sogni persecutori...lo desidero con tutta me stessa. Quella volta, tanti anni fa, Harry...quando la Camera dei Segreti fu aperta, te lo ricordi no?...Certo che lo ricordi, che stupida...beh, Harry...sei stato tu a salvarmi, ma non sei stato tu a coinvolgermi. Quella è stata unicamente colpa mia. Colpa mia e del mio cuore che già da allora batteva per te e per te solo. Se non mi fossi perdutamente innamorata di te, Harry, Vol...Voldemort...non mi avrebbe usata, non avrebbe visto in me alcuna utilità, anche se, come sappiamo, Lucius Malfoy aveva fatto in modo che il diario di Riddle giungesse esattamente nelle mie mani di ingenua undicenne. Se in realtà io non fossi stata completamente assorbita da ciò che provavo per te, non sarei stata di alcun aiuto per i suoi scopi, nella sua ottica. Non sarebbe mai giunto a te se io non fossi stata innamorata di quell’Harry Potter che tanto andava cercando. Capisci? E non dire che anche questa è colpa tua. È forse colpa tua se esisti? Io amo la tua esistenza. Amo il fatto che esisti, che ci sei, che posso...diamine, che adesso posso addirittura toccarti, baciarti...e parlarti in questo modo, senza più alcun timore. Ringrazio ogni giorno il cielo e chi di dovere per avermi mandato una persona come te, che mi fa sentire completa ed appagata come nessun altro potrebbe mai fare...” quella luce...quella luce, nei suoi occhi...era bellissima... –“Tu vivi nel pericolo, l’hai detto tu stesso poco fa...possibile che non capisci che proprio per questo voglio esserti ancora più vicina? Se il pericolo è il tuo destino, allora sarà anche il mio. Lo voglio affrontare insieme a te, Harry, mano nella mano, esattamente come ora.” sollevò appena le loro mani, ancora unite strettamente “Se il pericolo è il tuo destino, Harry, io non rinuncerò a te. Non più. Non posso pensare di lasciarti solo in questa lotta...magari non sarò di grande aiuto...anzi, questo è certo, ma...Harry...io ti amo. Ti amo da impazzire. Pretendi quindi che possa accettare di mettermi in disparte e vederti fare tutto da solo? Io lo vedo nei tuoi occhi...lo vedo che fa male. Posso sentire le tue ferite, le tue cicatrici come fossero le mie. Ma non affronterai più tutto questo da solo. Oltre a Ron e Hermione, questa volta ci sarò anch’io e questo è un dato di fatto. Non tentare neppure di persuadermi del contrario: non ci riuscirai. Così è e così sarà. Semplicemente perché il mio destino sei tu.”
Il cuore perde un battito che va a vuoto, echeggiando sordo ed avvolgente nel tuo petto senza respiro.
Il ragazzo chiuse gli occhi, stringendola a sé.
“In tutto e per tutto. Nel bene e nel male. Sempre.” disse ancora lei, con una vocina sottile ma sicura
Gli passò le braccia attorno al busto, tentando – se possibile – di farsi ancora più vicina, come un’unica vibrante anima, un unico palpitante respiro.

Could it be any harder?
“Non posso dirti di no. Non posso vietartelo. Non sarebbe giusto.” per la prima volta, la sua voce bassa sembrava tremare un pochino “Ma giurami che starai attenta e che non farai pazzie. Giuramelo.”
Le sollevò il mento con due dita, delicato come sempre.
Come se avesse avuto tra le mani il più bello e prezioso dei fiori.
Ancora uno sguardo, il suo sguardo.
“Giurami che questo non sarà il nostro ultimo bacio.”
Nei suoi occhi la paura di perderla, in quella frase simbolica tutto l’amore che aveva per lei e l’ansia che gli provocava il solo pensiero che potesse trovarsi in pericolo.
E senza attendere risposta alcuna, si chinò piano su di lei, suggellando quel giuramento nello stesso istante in cui le loro labbra si incontravano.

*** *** ***

Could it be any harder to live my life without you?

Scomparire nel nulla era esattamente ciò che nessuno dei due avrebbe dovuto fare in quel momento. Eppure entrambi i ragazzi sembravano essersi volatilizzati. Correva disperatamente per le umide strade della città, vuote perché ancora molto presto, l’aria carica di pioggia premeva opprimente su tutto, oggetti, persone, respiri.
Doveva assolutamente trovarli. Era un compito, qualcosa che si era prefissata e che, dannazione, non avrebbe lasciato cadere nel nulla...almeno questo lo doveva, ad entrambi. Doveva loro una spiegazione, doveva loro un chiarimento, doveva loro tutte quelle parole che non era mai riuscita a dire. A loro che in un modo o nell’altro le erano stati accanto nei momenti difficili.
A Ron, che da anni era la sua ombra e vigilava costantemente su di lei. A Ron che l’aveva amata di nascosto, senza osare esporsi sempre per quella sua incredibile insicurezza, per quel suo assolutamente discutibile senso di inferiorità; Ron che per tutti quegli anni, ogni mese, ogni settimana, ogni giorno...ogni ora...ogni secondo...ogni istante...l’aveva guardata come nessun altro fino ad allora aveva mai fatto. Ed aveva sofferto, forse anche più di lei, per il loro comportamento da ragazzini immaturi, le loro stupide liti, le loro sciocche incomprensioni, qualcosa di così piccolo ed insignificante rispetto al sentimento che provavano da far ridere.
Ridere.
Hermione rallentò appena il passo, con un sorriso incredulo sul viso.
Piccoli particolari, per cui le persone mandano per aria grandi cose. E grandi amori.
E grandi amori.
Ron che dopo tutto quello che era appena successo, aveva avuto la forza di tornare da lei, tornare a cercarla, come si cerca la propria piccola luce, luce che da un certo senso di sicurezza che in te, lo sai, non troveresti. E sbagli. Perché è esattamente in te tutto quello di cui hai bisogno.
Perché Ron era un ragazzo meraviglioso e si ostinava a non volerlo vedere, a vivere nella scia di ‘grandi’ persone, mascherando la propria esistenza per paura di sbagliare, di cadere, senza esporsi mai in prima persona, ma rischiando, soffrendo ed essendo sempre presente per le persone a cui tiene. Soffocando lentamente in quello che non ha il coraggio di essere e di mostrare.
Soffocando.
Ron che dopo ciò che aveva visto...Ron che non era riuscito a capire...Ron che era rimasto ferito più di chiunque altro...Ron che non riusciva a comprendere, ma che in questa sua confusione, in quel suo male, in quel suo respiro rotto, spezzato – di continuo – da lei, era tornato. Le era rimasto ancora accanto, come sempre aveva fatto, vegliando più o meno nascostamente sulla sua persona, come qualcosa di estremamente prezioso e, sì, anche fragile.
Eppure lui stava soffocando...
Ron che si faceva del male. Ron che beveva disperatamente fino a sentirsi male, fino a rischiare l’ospedale, Ron che affogava nell’alcol quello che non sapeva dire a parole.
Soffocato.
Ron che le aveva dichiarato i suoi più intimi sentimenti, esattamente quello che nessuno aveva mai direttamente saputo...Ron che si era forzato a tirare fuori quella parte di sé, nascosta per anni, delicata, solo ed esclusivamente per lei.
Ron che si fa del male.
Ron che si uccide di superalcolici per poter momentaneamente dimenticare, per non essere di peso, per non mostrare le sue vere debolezze. Per essere, alla fine dei conti, di nuovo, ancora, con lei. Fianco a fianco. Anche se lei non l’avesse mai degnato di uno sguardo, lui l’avrebbe seguita senza fiatare, totalmente assorto da lei e da ciò che per lui rappresentava, avrebbe sfiorato la sua mano nel momento del pericolo, l’avrebbe afferrata nel momento della caduta.
Soffocato...
E ci sarebbe sempre stato. L’avrebbe sempre fatto.
Ron.
Doveva la verità. Ad entrambi.
A Ron. Ed a Draco.
A Draco. Quello stesso Draco Malfoy che l’aveva per anni derisa, mascherando il suo desiderio disperato di attenzione dietro insulti e minacce, lo stesso Draco che non aveva esitato a ribellarsi alla sua stessa famiglia, al suo sangue, a ciò su cui aveva sempre fatto affidamento e che aveva costituito l’unica ‘certezza’ della sua vita.
Draco che aveva gli occhi grigi come la tempesta, pieni di emozioni contrastanti, capaci di suscitare sensazioni così profonde, complete, coinvolgenti da spaventare e far sentire spaesati, del tutto.
In balia dell’immensità.
Draco che l’aveva ascoltata, a modo suo. E Draco che l’aveva compresa.
Un concetto così grande ed infinito che è difficile raggiungerlo veramente.
Draco che aveva aperto una piccolissima parte di sé, come mai era stato abituato a fare, solo a lei, solo per lei. Che le aveva detto quelle parole, che le aveva fatto comprendere quelle sottilissime verità che per anni le erano sfuggite – ed erano sfuggite in parte ad entrambi. Draco che aveva rivelato in parte le parole che non sapeva dire con un semplice sguardo, un semplice gesto, Draco che le aveva aperto gli occhi su parecchie questioni – specialmente sui suoi stessi sentimenti. Draco che le aveva puntato contro una bacchetta per il suo bene, per farle momentaneamente dimenticare tutte le ferite, tutti i problemi che la lambivano di continuo.
Draco che le aveva rivolto quel suo mezzo sorriso colmo di tutto. Semplicemente di tutto.
Immenso nella sua infinita immensità.

Che l’aveva fatta piangere – e che le aveva fatto bene.
Draco che le aveva sfiorato appena le labbra con le proprie. Piano.
Immensità...
Draco che se ne era andato una volta, allontanandosi per non ferire.
Draco che le aveva dimostrato la sua realtà corrotta, il simbolo di ciò a cui lo avevano destinato fin dalla nascita, quel maledetto simbolo che, nero come la pece e scuro come l’oscurità, campeggiava sul suo avambraccio sinistro, indelebile. Incancellabile segno di un passato che è stato e che non puoi dimenticare. Draco che aveva cercato ancora di allontanarla da sé, quasi con una sorda rabbia disperata.
Draco che l’aveva pregata. L’aveva pregata di non chiedergli ancora di restare, di non andare.
...immensa. Immensa immensità.
Lo stesso enigmatico ragazzo che aveva stretto la sua mano, freddo per paura e sentimenti contrastanti; che aveva implicitamente rivolto un’unica richiesta d’aiuto proprio a lei. Proprio lui che non aveva mai domandato nulla a nessuno...
...per favore...
...aveva ritenuto lei, la sua mano, come ciò che di più importante si potesse trovare al mondo.
...per favore...
Draco.
Quale immensità...
Che l’aveva abbracciata.
...era stato, per lei.
Che le aveva affidato una piccola scheggia di quella immensità che sapeva essere.
...Prendimi per mano.
Che aveva asciugato le sue lacrime, più di una volta.
E che l’aveva ringraziata.
Semplicemente per essergli stata accanto, per aver pianto al posto suo.
Draco...
Il ragazzo che poco dopo l’aveva ancora allontanata, le aveva detto di dimenticare, di far finta di nulla.
Come se fosse possibile...
Solo ed unicamente per il suo bene.
Lui che non aveva mai visto altro che sangue sulle sue mani, che non aveva mai scorto altro che fango, sporcizia, male e dolore in se stesso, aveva saputo donarle una verità così pura e cristallina – eppure così complicata -, una verità magnifica, da brividi. Quei brividi che partono dalla base della tua colonna vertebrale e si irraggiano, propagandosi come un’onda d’urto dalla dolce e devastante potenza, per tutto il tuo essere, confondendoti, avvolgendoti senza lasciarti via di fuga alcuna. Perché poi una via di fuga non la vuoi.
Prendimi per mano.
Che aveva rinunciato. L’ennesima volta. Per non fare del male.
Per non fare del male a lei. Quando avrebbe potuto farle solo del bene.
Draco.

Could it be any harder?


Assolutamente. Doveva delle spiegazioni ad entrambi. Doveva in qualsiasi modo mettere in chiaro quella situazione, anche se non aveva ancora idea di come farlo. Non avrebbe potuto rinunciare a nessuno dei due perché entrambi erano parte di lei. Non avrebbe potuto abbandonare nessuno dei due. Dopo tutto quello che avevano fatto solo per lei, doveva loro chiarezza.
Per quanto le fosse possibile concepire chiarezza in quella situazione, non poteva permettere che entrambi rimanessero nella penombra di ciò che non è stato detto, di ciò che non è stato visto, di ciò che si è solo percepito ma a cui non è mai stata data una forma precisa. Perché l’incertezza è ciò che di più distruttivo possa esistere, si infiltra nei pertugi con i suoi mille, sottili e velati dubbi, minando piano ma costantemente ciò in cui credevi e ciò in cui potresti credere, facendoti perdere il senso della realtà ed ogni punto fisso che nella vita tu abbia mai potuto avere.
E loro avevano sofferto abbastanza; avevano sopportato a sufficienza in tutti quegli anni perché qualcun altro potesse recargli un’ulteriore ferita alla quale forse non avrebbero resistito.
Apertamente o nascostamente, sarebbero crollati, spezzati, ripiegandosi su se stessi nel constatare ancora una volta che tutto è come è sempre stato e solo gli sciocchi osano sperare.
Sperare in un qualsiasi cambiamento.
Dietro quell’aggressività, debolezza.
Soffocata immensità.
Dietro quello sguardo glaciale, debolezza.
Immensità soffocante.

Could it be any harder?


Una debolezza dapprima piccola, che con il passare degli anni si è amplificata sempre più fino a raggiungere una posizione decisamente precaria; debolezza che entrambi si rifiutano di ammettere, ma che li tiene saldamente in pugno. Rischiano di cadere da un momento all’altro, scivolare in terra. Rotti.

Could it be any harder?

E lei...Hermione Granger, non avrebbe mai permesso a nessuno – meno che mai a se stessa - di essere la causa della loro frattura. Per la prima volta dopo tanti anni – forse la prima volta in una vita intera – aveva questa idea estremamente limpida, certa e sicura, nella mente: chiarezza. Fare chiarezza perché tutti hanno bisogno di chiarezza: non si può andare avanti a tentoni per sempre, alle lunghe diventa deleterio, sfibrante, assottiglia la tua forza, il tuo cuore, rendendoti come un fuscello in balia della tempesta.
Chiarezza. Per Ron. Per Draco. Per entrambi.
E forse, appena un pochino, anche per lei.
Anche se quella chiarezza si sarebbe rivelata l’ennesima impossibile verità.
Impossibile da raggiungere compiutamente...impossibile da realizzare...
L’ennesima irraggiungibile verità.

Could it be any harder...?


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Capitolo 12
*** Chi non trema ***




Capitolo 12° “Chi non trema”

Could it be any harder to live my life without you?

Dopo quella che era sembrata un’interminabile serie di giornate tempestose – metaforicamente e nel vero senso della parola – la (forse apparente) quiete che regnava per le strada risultava strana, più precisamente angosciante. Certo, il sole non splendeva alto nel cielo, ma non tirava un alito di vento e la pesante cappa d’umidità, tipica di quei luoghi e di quella stagione, gravava sulla città ed opprimeva tutto: oggetti, persone e sentimenti. Il cielo era coperto d’una fitta coltre di nubi grigiastre, il freddo sembrava meno insistente, prepotente e doloroso del solito, attutito dall’aria stagnante del momento, quando in realtà, subdolo, si infiltrava ovunque, quasi di nascosto, quasi come un pensiero indesiderato, non voluto che, tuttavia, continua a tormentarti la mente, il cuore e l’anima, gelando la pelle, gli arti, le ossa.
Ma non le emozioni.
Quelle continuano, come sempre, a confonderti maggiormente, intorpidendoti e facilitando il lavoro al pensiero indesiderato ed al gelo che ne consegue. Si succedono senza logica alcuna, affastellandosi le une sulle altre, colmando ogni spazio del tuo cuore eppure riuscendo sempre a trovarne altro per stillare la propria essenza – lentamente - nella tua anima.
Rabbrividì appena. Alzò lo sguardo al cielo per un solo momento: lo sentiva dentro, quell’apparente calma non sarebbe durata a lungo. E non si riferiva solamente al quadro metereologico. Tutt’altro.
Non si fermò, continuò a correre sapendo – eppure non capiva in quale modo – dove dirigersi; passo dopo passo, respiro dopo respiro cresceva in lei una straziante sensazione di ansia, di angoscia. Di paura. Paura di ciò che era avvenuto – fuori e, specialmente, dentro di lei, lì, nel profondo, in quella piccola eppure così sconfinata zona in cui hai sempre racchiuso e rinchiuso i tuoi sentimenti, le tue emozioni, custodendole, proteggendole...quella stessa zona su cui hai sempre creduto di avere un totale controllo e che, nonostante questo, quasi come una punizione per quel tuo pensiero curiosamente presuntuoso (di cosa puoi veramente avere il controllo completo?), ti è sfuggita dalle mani. Una zona che non riesci più a raggiungere, che non sai più gestire né comprendere. -...paura di ciò che era avvenuto, sì, ma anche paura di ciò che stava avvenendo e, soprattutto, paura di ciò che stava per avvenire. Quella strana situazione in cui ti trovi in procinto di vivere qualcosa che, dannazione, non sai cosa sia, cosa comporti...quella situazione singolare in cui non sai effettivamente nulla, niente, in cui il passato è già passato ed il presente sta seguendo la stessa sorte...esattamente quella situazione, quel momento, quell’attimo rapidissimo in cui capisci che stai per vivere l’avvenire, ciò che deve ancora accadere e che, per quanto ti possa sforzare, non puoi conoscere né tanto meno prevedere...ecco, quella situazione di instabilità ed incertezza Hermione Granger l’aveva sempre detestata. Perché spaventava. Perché agitava.
Perché ti sbatteva violentemente in faccia quella che è la realtà. Non la tua realtà, ma una realtà che è anche tua. Una realtà umana, per così dire.
La realtà che non puoi nulla.
Non puoi nulla nei confronti di molti eventi che stanno per verificarsi.
E ciò dimostrava anche, in un certo senso, l’insita forza del genere umano: nonostante questa convinzione, molti continuano a voler credere con tutti se stessi che qualcosa, certe volte, si può fare. Non si siedono, non si placano, continuano a correre con tutti coloro che la pensano allo stesso modo verso quella che sarà una conclusione a cui avranno partecipato a tutti gli effetti.
Quella sarà, allora, davvero la loro conclusione.
E raggiunta quella, si siederanno per appena un istante, per poi rialzarsi e proseguire il cammino verso un’altra nuova e sconosciuta conclusione.
Nello stesso identico modo, Hermione Jane Granger sapeva che molto probabilmente le sarebbero sfuggite di mano – come già avevano ampiamente fatto – molte cose, eppure sentiva dentro, come un brivido profondo che ha l’eccezionale particolarità di non passare, di perpetuare il suo effetto laggiù, sempre in quella famigerata zona in cui giacciono assopiti i sentimenti per poi svegliarsi con forza e prepotenza, Hermione Granger sentiva e sapeva che non si sarebbe fermata. Avrebbero dovuto sbarrarle la strada, bloccarle i movimenti, impedirle il pensiero ed annullarla del tutto, perché lei potesse fermarsi. E nessuno, fino ad adesso, era stato in grado – né lo sarebbe stato in un futuro abbastanza prossimo – di farlo. Aveva vissuto fin troppo a lungo senza poter prendere il controllo degli avvenimenti che si avvicendavano attorno a lei ed alle persone che amava. Sapeva che probabilmente non avrebbe potuto fare nulla, ma questa volta – più per loro che per se stessa – non avrebbe rinunciato.

*** *** ***

La debole luce illuminava fiocamente la natura circostante, le luci artificiali, accese in strada proprio per la scarsa visibilità, non riuscivano a rischiarare quella morbida ombra che si distendeva in quella piccola radura, abbracciando prima un ramo, poi quel sasso, fino ad inglobare il tutto in un’uniforme quanto stranamente accogliente penombra.
Illuminazione babbana. Dispendiosa quanto inefficace.
Non che la cosa gli dispiacesse più di tanto. Anzi, ad essere sinceri, non gli dispiaceva affatto. Non aveva bisogno di luce, non in quel momento. Non aveva bisogno di quella luce. La luminosità cui anelava, sotto i gesti razionali e freddi, calcolati anche nel minimo particolare, era ben diversa. Era vera, era tiepida, era viva e sapeva avvolgerlo interamente, senza quasi che lui se ne rendesse conto.
In fondo, la luce non era davvero necessaria. Tutt’altro. Quale luce può bramare un essere che è sempre stato costretto a vivere nell’ombra? Un essere che, di per sé, non è mai stato né luce né ombra? Penombra. La sua culla, luogo in cui rifugiarsi dal sole accecante di quell’insensato quanto confuso viaggio che era stata la sua esistenza. Luogo di dannazione, allo stesso tempo, per chi proprio lì era costretto a nascondersi da tutta una vita. Ma no, era davvero meglio così.
Concludere come si era iniziato. Cosa? Tutto. Quel tutto.
Sei patetico.
La triste realtà era che essendosi ormai abituato a quel punto stabile della sua vita, un punto né bianco né nero, né buono né cattivo, difficilmente – eppure un sorriso divertito gli illuminò le labbra, a questo pensiero – ne avrebbe potuto fare a meno. Draco Malfoy, colui che si era sempre – da quel giorno, dal giorno della perdita della sua prima luce, Narcissa Black – dichiarato indipendente da qualsiasi cosa e da chiunque, a distanza di pochi anni si trovava indissolubilmente legato alle due cose cui mai avrebbe sospettato di poter far sue. E queste due cose erano semplici nella loro complicatezza, inesorabilmente disarmanti nella loro profondità. Una, già citata, era proprio la penombra – tonalità che rappresentava in pieno il suo essere -, l’altra era lei.
Orgogliosa quanto bisognosa. Luminosa quanto buia sotto quella fitta coltre di apparenze. Intelligente quanto terribilmente acuta, di un’acutezza talmente tagliente da poterlo esplorare in un tempo relativamente breve, considerando quanto spesse fossero – grazie ad anni di esercizio – le sue difese, innalzate ancor prima di conoscerla, per impedire che chiunque potesse venire a contatto con il suo interno.
Un altro sorriso, ancora un poco infastidito.
Forse perché volevi preservarti da qualsiasi cambiamento che dipendesse da qualcun altro.
Eppure, quando lei l’aveva raggiunto e gli aveva sfiorato quella mano insanguinata ed ormai gelida, il dolore non era stato così forte, quanto di un’agrodolce malinconia. Dolorosa perché intrusiva – come lei, come la sua mano, come i suoi occhi, la sua voce, la sua pelle -, agrodolce perché terribilmente allettante, eppure irraggiungibile. Gli erano stati concessi pochi momenti, questo era vero, ma doveva essere così. Ne era consapevole. Perché non avrebbe mai potuto tenerla vicino a sé per un lasso di tempo appena più lungo, l’aveva sempre saputo, anche quando, sulle prime, aveva tentato di resisterle, in quanto l’addio sarebbe stato ancora più lacerante nel fisico e nell’anima.
Perché potrebbe anche piacermi.
Soffice e dura realtà.
Non ho voluto fare sufficientemente attenzione.
Perché non ci sarebbe stato niente di più difficile.

Eppure quel singolo istante, il momento in cui le sue dita avevano sfiorato il suo polso irrigidito, il secondo in cui aveva stretto nella sua mano piccola e fragile e calda quella che non era più la mano di Draco Malfoy, ma lui stesso, non solo simbolicamente – in quanto il suo fisico aveva avvertito quel contatto con violenza stupefacente -, quel semplice quanto complicato momento – per tutto ciò che c’era e c’era stato dietro, tutte le parole non dette, tutte le cose rivelate solo grazie ad un collegamento all’inizio debole, poi sempre più forte, tra le loro coscienze -, quel singolo istante era valso tutta una vita.
Draco Malfoy poteva dire di aver vissuto per tre cose, più precisamente, per tre tipi di sorriso: il sorriso di una madre, il sorriso di una donna – il suo e quello di nessun’altra, il sorriso della vendetta. Aveva guadagnato i primi due, ma per riscattarli – l’uno in quanto ormai spento, l’altro in quanto in pericolo di essere brutalmente cancellato, per lo stesso motivo per cui il primo era stato fatto svanire – doveva ottenere il terzo. Non come vendetta semplice – non più, quanto come consapevolezza di aver fatto qualcosa per un sorriso ormai perduto e di aver dato ancora più luce e la speranza di poter brillare – perché questo faceva, nel suo bagliore accecante, in quella luminosità che era stata per lui lei – ancora per molto tempo al sorriso che aveva saputo giungere nel punto più freddo e più distante e più irraggiungibile che un essere umano avrebbe mai potuto celare nella sua immensità. Nella fattispecie, un individuo non poco complicato come lui.
In fin dei conti, erano tre sorrisi d’amore.
Sto diventando sdolcinato.
Ed il sorriso della vendetta era esattamente ciò che concludeva quella triade, esattamente ciò che stava andando a conquistare con la forza.
Per sé.
E per te.

*** *** ***

Like sand on my feet,
The smell of sweet perfume


Scivolata via da lui, dalla sua mano, dalla sua protezione. Persa.
E quella dannata voglia di gridare. E quella maledetta incapacità di farlo, soffocato dalla consapevolezza di ciò che aveva appena smarrito.
Che non avrebbe ritrovato.
Non perché lei glielo avesse detto, né perché lo avesse pensato.
Semplicemente, lui lo aveva visto.
In quei suoi occhi.
La luce di una comprensione fugacemente raggiunta, la presa di coscienza che qualcosa è andato storto e niente potrà mai più essere come prima.
Non importava che Hermione lo amasse o meno, lui aveva visto nel suo sguardo – una volta caldo, sorridente e pieno di vita – che lei sapeva che se ne sarebbe andata.
E la cosa più dolorosa era sapere che, questa volta, non avrebbe potuto far nulla per tornare indietro e cambiare le carte in tavola.
E di lei sarebbe rimasta solo una scia, come la sensazione remota di un profumo una volta così familiare.

You stick to me forever, baby

Ron si accasciò a terra, le mani fortemente premute sugli occhi, i gomiti poggiati sulle ginocchia. Non ho saputo amarla come uomo, ma solo come ragazzino.

And I wish you didn’t go

Aveva aperto gli occhi troppo tardi.
Non sono riuscito a proteggerla.

I wish you didn’t go

Una voce familiare giunse alla sua mente ormai ottenebrata, come un sussurro lontano.
“Ron? Ron, santo cielo, che succede?”
“Appena abbiamo saputo che Hermione era scomparsa siamo…”
“Ron…hai visto Hermione?”
Una stretta più dolorosa al cuore.

I wish you didn’t go away

“L’abbiamo persa.”
“Co-cosa?”
La voce di Harry era troppo fredda, meccanica, chiaramente terrorizzata. Nella mano serrava quella più piccola di una Ginny oltremodo spaventata.

To touch you again with life in your hands

“Perché nelle nostre vite non c’è mai stato niente di più difficile…” la voce di Ron era bassa e arrochita dal freddo, priva di qualsiasi espressione, come se lui stesso fosse stato svuotato di tutto.
Ginny si portò una mano alla bocca reprimendo a stento un singulto.
Harry serrò la mascella.
La Guerra che aveva portato loro via tante cose era riuscita a prendersi anche il sorriso della loro Hermione.

It couldn’t be any harder

*** *** ***

Si portò di colpo la mano al cuore, sentendo una fitta acuta e penetrante da qualche parte nel petto, ma non si fermò a riprendere fiato. Correva come mai aveva corso in vita sua, correva come se da quello dipendesse la sua stessa vita. Non che la verità fosse poi molto lontana da ciò.
Muovendo un passo dopo l’altro, senza più aria e sentendosi polmoni e gola in fiamme, l’unica cosa cui riusciva a pensare era il terrore che stava provando. Quella sensazione attanagliante che le stringeva da giorni la bocca dello stomaco e che le dava continue scariche di adrenalina per tutto il corpo, una sensazione che non si poteva ignorare, alla quale continuava a pensare quasi ossessivamente ogni minuto, ogni secondo, perché sapeva che anche volendo non avrebbe realizzato alcun altro pensiero di senso compiuto. A dire il vero quel terrore non era logicamente compiuto, era come un miscuglio agitato di sentimenti che vorticavano dentro di lei, ormai tanto densi da risultare non solo impenetrabili ma anche inscindibili, lasciandole solo una scia sensibile, un’aura, un qualcosa di talmente vago – e quasi inconscio – da essere percepito solo a tratti, in quella paura infinita, pur essendone la diretta causa. Quella sensazione, quel sesto senso le diceva che lo stava per perdere. Che lui stava per perdersi.
Definitivamente.
Fu solo quando il penetrante odore dei pini la avvolse dolcemente e quando udì i suoi piedi correre ormai su un sentiero di terra battuta che si rese conto di essere ancora lì. Ancora. Sì, ancora una volta. Come in quel momento che, nella memoria, sembrava così remoto da essere percepito dalla mente come smussato dal tempo, eppure vivo e pungente per il cuore. Quella contrastante sensazione di familiarità nella dolcezza del ricordo e di agghiacciante consapevolezza di un qualcosa che sta sfuggendo al tuo controllo – o che forse sotto al tuo controllo non è mai stata – le avvolse il cuore dolcemente, con tenera crudeltà, mano invisibile la cui carezza si trasforma in una stretta micidiale senza che te ne possa rendere conto in tempo. Con quella fitta al petto, dolce e straziante, si guardò brevemente attorno. Se non fosse stato per la mancanza di quel bianco accecante persino nell’oscurità – neve, neve ovunque, anche negli occhi e nel respiro -, le sarebbe sembrato di essere tornata a quel momento di tanti mesi prima.
Quanti? Quanto tempo era passato? Un anno? O meno? Confusa, si portò una mano alla tempia, esercitando una leggerissima pressione, provando un deciso senso di colpa nel riconoscere che parte di quel batticuore – un pulsare profondo che coinvolge il sangue di tutte le vene – era dovuto a quella morbida tensione di quegli attimi lontani.
Il vento sibilava appena tra le fronde, pungente ed ammonitore; improvvisamente si fermò, senza essersi resa conto di aver continuato a camminare. Alzò il viso, impercettibilmente.

You stick to me forever, baby

Era solo una macchia scura in lontananza, flebile e quasi indistinta nei contorni.
Lei sfiorò con la mano destra la ruvida corteccia di un albero e vi poggiò il proprio peso.
Contorni indefiniti, a tratti come fossero stati evanescenti, come ciò che rappresentavano: qualcosa di certo, di fermo, di corporeo, eppure inafferrabile o difficilmente comprensibile.
Inspirò a fondo, un rumore stranamente roco che si spense l’esatto istante successivo a quello in cui aveva preso vita.
Si scostò dall’albero che le aveva offerto momentaneo supporto – e forse anche rifugio, chiuse lentamente gli occhi e li riaprì avvertendo una lacrima calda scivolarle lungo il viso.
Contorni indefiniti nelle lacrime di un’incertezza forse precaria: il non voler sapere cosa accadrà, il sentimento esattamente contrario e la confusione dei sensi e dei sentimenti alla vista di lui.
Contorni indefiniti nelle lacrime, ma una presenza così definita nel suo cuore.
Camminava lentamente, i passi impercettibili, eppure lui alzò una mano.
Presenze così definite in entrambi i loro cuori.
“Ti prego, no.”
Lei continuò a camminare, scuotendo il capo piano, senza sapere effettivamente il motivo per cui lo stesse facendo.
“Per favore.” un’affermazione bassa e decisa, eppure arrochita da una sfumatura di dolcezza latente “Per favore…”
Si fermò solo quando a separare i loro corpi furono solamente qualche manciate di centimetri. La sua figura alta, ben impostata e quel mantello lacero, scuro. Solo i capelli biondo pallido a farla risaltare quasi con luminosità.
Sollevò il braccio e gli sfiorò la spalla, quasi senza toccarlo.
Un brivido caldo che scivola per la schiena.
Draco si voltò, il viso pallido, solo le labbra arrossate dal freddo e dal vento, gli occhi di ghiaccio ammorbiditi da un’espressione dolce ed addolorata. Afferrò la mano di lei prima che ricadesse nel vuoto.
Non andartene.
Così tante parole in un semplice gesto, così tanti sentimenti che alcun bisogno hanno di essere espressi, perché le parole li sminuirebbero e li infangherebbero. Solo quella vibrante emozione che trasparendo dalla semplice presenza dell’altro, trafiggeva l’anima; un piacere in fondo doloroso di un dolore vivo, pulsante, avvolgente e quasi aggressivo.
Strinse la propria mano su quella di lei in una presa leggera, morbida; i suoi occhi madreperlacei colmi di una sensazione agrodolce; quel contatto tanto agognato ora sembrava bruciare sulla pelle come un marchio ben più profondo di quello di un Mangiamorte, sembrava imprimere la propria presenza, quasi il proprio profumo – un leggero sentore così familiare, piccola eppure grande rassicurazione in una confusione tanto immensa -; Hermione sentì salirle un singhiozzo che tanto aveva della disperazione. La sensazione di angoscia era sempre più penetrante, il contatto tiepido e dolce della sua pelle contro quella di lui era una tortura talmente piacevole da non riuscire a sottrarsene, eppure prendeva a tratti la natura di un qualcosa di definitivo, di lacrime versate ed ancora da versare, dell’aroma del caffè che si spegne dolcemente in una tiepida mattina primaverile, di un saluto che nessuno vuole dare perché esserci ed essere insieme è la cosa più importante; aveva la natura sottile dello stanco languore che pervade le membra degli amanti, del bruciore ovattato che si infiltra negli arti dopo un lungo pianto, eppure la stessa sottile – ma non per questo meno presente – essenza di vuoto incolmabile, della sensazione che ormai non c’è nulla da fare.

You stick to me forever, baby

Inconsistenti fiocchi di neve cominciarono a scendere lentamente dal cielo, depositandosi lievi sulle loro spalle e sul terreno.
Draco alzò lo sguardo al cielo e con un mezzo sorriso sulle labbra si rivolse nuovamente verso Hermione, come a voler constatare l’ironia di quella situazione. Lei era del tutto incapace di concepire altro pensiero che non fosse un’agonizzante richiesta, agonizzante perché sapeva che lui, per natura e per bisogno, non avrebbe mai potuto esaudirla.
Non si sorprese neppure a notare il flusso di emozioni e sensazioni che la invasero del tutto, questa volta senza che lei opponesse alcuna resistenza mentale – anche se in altri casi era stata davvero minima -, se ne lasciò avvolgere interamente, assaporando la mano di lui attorno alla propria, la sua pelle, quelle sue labbra che aveva incontrato direttamente una sola volta ma che le erano familiari come se avessero fatto parte di lei da sempre. Quel suo mezzo sorriso, intrappolato tra ciò che può essere e ciò che non è mai stato, imprigionato nel sottile confine che c’è tra dolcezza e dolore.
E quegli occhi.
Lo specchio infranto di un’esistenza tormentata, ogni cui frammento rispecchia – e rivela, ad occhio attento, ovvero quasi a nessuno – qualcosa di diverso, una differente frazione – nonché visione – di mondo, di quel mondo. Racchiuso unicamente nel suo sguardo.
Sguardo morbido eppure letale, in quella sua stretta ferrea, fredda, implacabile, ma avvolgente, setosa, delicata.
“Dobbiamo salutarci, Granger.”
La voce bassa, leggermente roca, si spense contro di lei, come un’onda invisibile, mozzandole il respiro.
Un’affermazione può avere il potere di crollarti addosso, pesante più di un macigno e di rivelarti con certezza quello che avevi intuito, gettandoti in un tunnel in cui qualsiasi pensiero tu elabori e qualsiasi parola tu dica sembra ormai priva di qualsiasi senso? Inutile, solo uno spreco di energie, quando tu vorresti startene da parte, lasciarti scorrere tutto quello addosso, non sentire nulla. La sensazione di esserci eppure di non potere nulla, di non avere niente in mano con cui contrastare loro, te stesso e ciò che ti circonda.
“No.”
Voce rotta di paura e di tristezza, di un’amarezza così grande che solo altro dolore potrebbe cancellarla. Nessun punto di riferimento verso cui voltare lo sguardo, solo un immenso, grigio caos lì, proprio davanti a te. Tendi la mano, lo afferri. Piano.
Lo vide e lo sentì sollevarle la mano, ancora stretta nella sua, sfiorandone il dorso con le labbra. L’indugio di un secondo o forse di un secolo. Pungente, bruciante, da quel punto si diffondono ondate di sensazioni infinite – così tante che è impossibile classificarle…al bando la razionalità, per una volta, perfino Hermione Granger se lo concede – per poi lasciare lì, sulla pelle, il sentore di quel tocco, perenne cicatrice.

And I wish you didn’t go

Le lasciò dolcemente la mano, guidandola nuovamente lungo il suo fianco.
“No.”
Distolse lo sguardo da quella visione troppo dolorosa, fece per voltarsi, ma all’ultimo sembrò ricordarsi di qualcosa.
“Io…ti ringrazio.”
Non andartene.
“Non dimenticherò.” aggiunse poi.
La staticità che precede il grande cambiamento terrorizza. A volte senza alcun motivo.
Eppure lei quel motivo riusciva a sentirlo gridare da ogni sua cellula, da ogni sua fibra.
Guardarlo sembrava l’unica cosa possible nell’incredulità che quello stesse realmente accadendo. Era lì, davanti a lei, spalle dritte, capelli spettinati e lineamenti fieri.
Non può essere l’ultima volta…
I suoi occhi non erano persi come quella volta.
Non può essere.

I wish you didn’t go

“Non può essere un addio…” riuscì solo a mormorare con fatica.
Draco inclinò un poco il capo.
Un senso di soffocamento.

And I wish you didn’t go

“Non mi piacciono gli addii.” si rese conto solo dopo del sorriso disperato che le si era disegnato sulle labbra
No. Non è possibile.
“Ti chiedo solo un ultimo favore.” i suoi occhi grigi indagarono brevemente in quelli di lei, con il dorso del dito indice le carezzò lievemente il mento, un tocco così leggero da poter essere benissimo scambiato per il vento o confuso con esso, ma che lasciava dietro di sé una scia di sensazioni, emozioni e significati inconfondibili ed ineliminabili “Non sono ancora riuscito a seguire il tuo insegnamento. Ricordi quando mi dicesti che piangere faceva bene?” quel sorriso malinconico, dannatamente struggente, la stava devastando, semplicemente. Come devastava lui. Un sorriso devastante in un ragazzo devastato dalla sofferenza. “Non ne sono ancora capace...per cui, ti chiedo solo un piccolo favore, niente di che...questa sera, quando ti sveglierai, piangi per me un’unica lacrima. Piangi ancora una volta al posto mio, per me. Non accadrà mai più. Un’unica lacrima andrà bene, non ne merito altre, così come non vorrei versarne di più. Tutto il resto è dentro di me e tu lo hai compreso come nessun altro. Tutte le altre cose, tutto ciò che sono io, tutto ciò che resta...non hai bisogno di parole o lacrime per comprenderlo. Non c’è bisogno di esprimerlo, tienilo per te. Ciò che non ti ho mai detto, cerca di dimenticarlo. Non di cancellarlo, ma di andare avanti, di vivere una vita diversa, ricordandomi magari, con un sorriso appena un po’ malinconico, ma solo tra tanto...tantissimo tempo.” sul suo viso comparve un’espressione stranamente divertita a quell’idea, che stonava orrendamente con la situazione, l’atmosfera...con tutto. Tutto il resto. “Non merito di più, Granger. Quello che non ti ho mai detto non voglio che ti condizioni, mi basta rimanga dentro di te. E cerca di sorridere. Mi risulta difficile come non mai ammetterlo, ma sei molto più bella quando sorridi.”
Quella confessione...la forza che aveva dovuto fare a se stesso per pronunciare quelle parole, per esternare quei sentimenti, quella sua visione delle cose...
“No...” una disperata richiesta, un animo invaso dal dolore e dalla certezza che qualcosa sta per accadere, qualcosa che vuoi fermare con tutta te stessa, tutto il tuo essere
Non mi piacciono gli addii!
“Consideralo un arrivederci, Granger.”

I wish you didn’t go

No...no...no...
Il grido inespresso e doloroso la attraversò saettando, distruggendo ogni sua cellula, anche la più piccola parte di lei annientata da quel male inestinguibile.
“NO!”
Stordita dalle mille emozioni, dalle lacrime, dalla paura, dal dolore sordo e devastante che avvertiva dentro di sé, fu troppo lenta. Draco Malfoy afferrò per primo la propria bacchetta, la puntò contro di lei con un gesto rapido, quasi impercettibile, fluido ed elegante come sempre.
Nei suoi occhi un’espressione mai vista prima.
Ancora una volta, si dimostrava un’eterna sorpresa.
Un memorabile, profondo caos.
Sulle sue labbra un mezzo sorriso, di quelli da brividi, che solo lui sapeva fare, un po’ come una scusa, un po’ come a volerle trasmettere ciò che provava, un po’ come a volerla incoraggiare a non fermarsi. A non voltarsi indietro. Mai più.

I wish you didn’t go away

“Stupeficium!”
Si sentì scaraventata lontano, qualcosa premeva inesorabile contro di lei, come a volerla schiacciare, proprio poco prima di perdere completamente i sensi, ebbe un’ultima, vorticosa visione di quello che era stato il suo più profondo caos. La sua verità, per metà. Ma che poteva considerare a pieno titolo una verità a sé stante. Irraggiungibile, forse anche sbagliata. Ma pur sempre verità. Il mantello nero che volteggiava austero nell’aria, quei capelli fini, di un pallido biondo lucente, la carnagione diafana e, in un lampo, quegli occhi. Grigi come la tempesta, taglienti come lame, dalle mille sfaccettature, dalle mille emozioni. Meravigliosi.
E la neve, ancora una volta, come quel giorno, che ormai appariva lontano, in cui lei l’aveva raccolto, ferito ed indebolito, nel parco. Esattamente come quel giorno, anche lui.
Con la forza ed il coraggio di chi ha tremato. E di chi non può né vuole più farlo.
Con lo sguardo e la fierezza di chi non lo fa.
Di chi non trema.

To touch you again

“Arrivederci, Hermione.”

With life in your hands

Buio totale.









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Se c’è ancora qualcuno che si ricorda di questa storia, beh…mi scuso con lui/lei ^^ ho ricevuto parecchie e-mail con richieste su quello che sembrava un ormai improbabile aggiornamento di questa storia, eppure la sto aggiornando a più di un anno di distanza. Che dire? Sono imperdonabile ^^ semplicemente…ad onor del vero, sono ancor più che imperdonabile, in quanto la fic era già pronta nella mia testa da quando iniziai a scriverla e ho terminato di scriverla verso settembre-ottobre dello scorso anno…solo che per immensa pigrizia e blocco del fanwriter (esisterà? Mah xD), non mi decidevo mai a buttare giù le righe mancanti (proprio appartenenti a questo capitolo :p)…vi chiedo immensamente scusa ^__^…avete perfettamente ragione. Sono imperdonabile, è che non riuscivo a trovare il coraggio di postarlo (non che ora l'abbia trovato ^^') però vi consoli sapere che questo, ebbene sì, è il penultimo capitolo di CIBAH? ;D State sicuri che non passerà un altro anno prima che possiate avere notizie di Hermione, Draco, Ron, Harry e Ginny…in quanto è già tutto pronto ^_^ (fa una certa impressione dirlo xD)…che altro dire? Ovviamente sono sempre poco convinta di tutto ciò che scrivo, ma…questa storia è nata così quando avevo diciassette anni e così deve essere. Non è bella, non è ben scritta né organizzata, questo sta a voi giudicarlo…però è stata davvero un pezzetto di me.
Mi farebbe davvero piacere se qualcuno di voi mi perdonasse e lasciasse un commento…ne sarei davvero contenta ^^
Che altro dire? L’ultimo capitolo lo pubblicherò a settembre, quando tornerò dalle vacanze...e stavolta nessun ritardo, promesso ^^
Il “memorabile, profondo caos” riferito a Draco proviene dalla recensione di una ragazza di tanto tempo fa, non ricordo chi, che così descrisse il Draco della mia storia…grazie :)

RINGRAZIAMENTI
Un grazie particolare alla Donna Scarlatta per eccellenza, ovvero Kit_05, che ha avuto il coraggio di leggersi questi ultimi due capitoli appena scritti e di incoraggiarmi (XD) alla pubblicazione…per cui, per qualsiasi cosa, prendetevela con lei ^___^ *angelicamente* (E’ così che ti ripago, ghgh :mrgreen:). Lei è l’unica adulta (??? Vegliarda xD) in grado di gareggiare in “Chi vedrà per prima Harry Potter e l’Ordine della Fenice” xD. Anche per questo va ricordata xD (Fatto sta che non hai vinto tu! :medio :medio *cavaliere medievale, non gestaccio xD*)
Un grazie speciale a quelle sante anime che hanno commentato il capitolo undicesimo :) quindi a lalla86, JulyChan (nel tuo commento leggo forse “RON FOREVER”? *_* Sto forse convertendo le genti all’adorazione di quel povero ragazzo? *.*), ithil (wow, che recensione lusinghiera, ma credo di doverti citare per eresia *_*;; non merito di essere citata nella stessa frase in cui compare la Divina), ginny85, Harrydipendente (onorata :D), dhesia, Illmatar_Luonnotar (un grazie per quel commento così bello ^^), ashara, Kit_05 (che essendo colei che mi stressa sessanta secondi su sessanta – fino a costituire minuti, ore, giorni e mesi :mrgreen: - non meriterebbe alcun ringraziamento, neppure per quel commento chilometrico…anche se le ricordo che la fic la leggeva da tempo immemore ed ancora non aveva scritto uno straccio di commento :@ Donna Scarlatta che altro non sei!), CameliaBianca (non avrei potuto dire che non avevo intenzione di finirla ^^;…), Sora Hearty 2.
Grazie ancora a tutti ;) graziegraziegraziegrazie…anche a tutti coloro che hanno questa fic tra le proprie preferite…grazie.
Grazie a chi ha seguito questa strana storia fin dall’inizio. ^^
Non smetterei mai di ringraziarvi…
Emily


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Capitolo 13
*** Niente di più difficile ***




Capitolo 13° “Niente di più difficile”

MATTINA, ORE 8:32

Un dolore ovattato alla testa la fece gemere sommessamente. Non era pienamente cosciente della situazione in cui si trovava né del suo corpo, eppure sapeva che nessuno avrebbe mai potuto udire quel gemito, frutto di un dolore apparentemente fisico che, tuttavia, sembrava quasi radicato in lei. Un senso di stordimento le pesava addosso e le opprimeva ogni pensiero, impedendole di formularne, almeno per quei primi minuti, qualcuno che effettivamente avesse senso compiuto. Nei primi istanti riusciva a pensare solamente alla neve.
Ed al freddo.
Era la neve ad esser fredda, ovvio, dopotutto fino a qualche istante prima sotto quella candida sostanza si era trovata, sotto ad un cielo puntellato da quegli strani fiocchi che a contatto con la pelle si scioglievano dopo una breve resistenza.
Eppure dopo quei primi istanti di smarrimento, lo sentiva ancora.
Era un freddo particolare, non pungente, ma doloroso. Qualcosa che hai dentro, che non proviene dall’esterno. Non era neve, decisamente.
Provò ad aprire piano gli occhi, ognuna delle due palpebre pareva pesare tonnellate e tremava notevolmente sotto quello che in quell’istante appariva uno sforzo incredibile.
Hermione Granger inspirò profondamente e finalmente riuscì a socchiuderle, muovendo lentamente le lunghe ciglia scure contro la visione appannata della realtà che i suoi occhi le permettevano. L’unica possibile, in quel momento, a dire il vero.
Si mosse appena e si scoprì stesa in un letto, avvolta in un considerevole numero di coperte. Coperte, comunque, del tutto incapaci di fornire una sufficiente barriera contro quel freddo che sentiva e che le sembrava di sentire da sempre, di aver sempre sentito. Era come se partisse direttamente da dentro, da qualche zona del suo corpo – o, molto più probabilmente, del suo animo – che sembrava essere irrimediabilmente collassata. E la cosa strana era che non percepiva quel gelido dolore come un qualcosa di nuovo. Le sembrava di conoscere non bene, ma perfettamente quella sensazione, come se esistesse – forse celata – in lei da parecchio tempo.
Perché quello che la stava lentamente distruggendo – lo sentiva, anche se non lo capiva – partiva proprio da quello che lei era.
Da ciò che era stata, da quello che aveva visto, dalle persone che aveva conosciuto.
Dalle persone che nel bene o nel male, volenti o nolenti, si sono affacciate nella mia vita...anche solo per qualche istante...
Un brivido più lungo, più intenso degli altri.
C’era qualcosa che non aveva colto appieno. C’era qualcosa che le era sfuggito.
O forse qualcuno.
Spostò lo sguardo confuso su tutto ciò che la circondava, in un gesto del tutto insensato, cercando un appiglio, un punto di appoggio o, meglio ancora, un punto di fuga. Sollevò una mano tremante, tentò invano di deglutire. Non poteva essere vero. Non poteva essere.
Non poteva.
Lo rifiutava. Infantilmente, si rifiutava di pensare. Di ricordare.
Come se questa sua futile presa di posizione avesse potuto avere il potere di cambiare qualcosa.
Quel caos.
Ignorò del tutto Ginny che le si avvicinava lentamente, gli occhi lucidi, con un giornale tra le mani. Non aveva bisogno di prove, di testimonianze di alcun tipo. Lei sapeva.
Scosse la testa, dapprima lievemente, poi sempre con maggior impeto; scostò con un gesto febbrile le lenzuola ed ebbe la singolare sensazione di aver abbandonato il proprio corpo. Non era fisicamente lì, ma non era in alcun altro luogo. Senza tregua, si aggirava nel vuoto.
Non poté neppure sorprendersi del fatto di come non avesse provato dolore fisico come conseguenza di quel dolore infinito che l’annientava dentro. Quella mancanza di sofferenza carnale le era sembrata, poco prima, un’ingiustizia, una mancanza di rispetto nei confronti di tutto ciò che la circondava.
Com’era possibile che dentro si sentisse morire e quel dannatissimo corpo non ne risentisse minimamente?

Could it be any harder?

La sua essenza, la sua stessa esistenza le era sfuggita, questa volta in maniera così violenta da risultare lacerante, si sentiva come sospesa in un nulla in cui, paradossalmente, tutto risultava attutito, mentre percepiva chiaramente l’urlo infinito di dolore e le lacrime bollenti che il suo corpo, da qualche parte, in qualche luogo che non riusciva assolutamente a ricordare e che probabilmente non avrebbe mai voluto riconoscere – non in quella situazione, scaraventava violentemente fuori di sé, nell’invano tentativo di allontanare ciò che purtroppo era.
Gridava. Impotente. Da qualche parte, il suo corpo gridava senza fine.
Un suono insopportabile.
Perché racchiudeva in sé quel dolore atroce, quella rabbia rovente e quel senso di perdita infinito che erano la naturale e dannata conseguenza di un addio prepotentemente imposto.
Al quale era arrivata impreparata.
Al quale, in ogni caso, non si sarebbe mai potuta preparare.

Could it be any harder?

*** *** ***

Ginny Weasley distolse lo sguardo dalla sua amica, la vista offuscata da un lieve velo di lacrime, mentre quella che era stata considerata la razionalissima Hermione Granger si teneva le mani premute contro il viso, scuotendo la testa come in preda ad un violento attacco di follia, gli occhi serrati a non voler vedere ciò che sarebbero stati per sempre costretti a vedere.
E quell’urlo disarmante, troppo chiaro in ciò che esprimeva per essere messo a tacere, quell’urlo violento ed atroce che le veniva da dentro, quell’urlo che probabilmente le stava portando via tutto, quell’urlo che era l’urlo di ogni sua singola cellula, quell’urlo disperato che invadeva tutto, non lasciava scampo neppure alla più piccola cosa e faceva tremare le ginocchia, rendeva deboli le gambe per l’infinita disperata ed inascoltata protesta che gridava contro il mondo intero e contro nessuno.
Si morse piano il labbro inferiore sentendosi mancare il respiro e poggiò sul tavolo lì accanto il giornale di quella mattina.
Tenne lo sguardo basso, percependo la presenza di Harry, poco distante, incrinata dal dolore della sua migliore amica.
Quel grido era ferita aperta nella carne.
E sarebbe stato per sempre un’indelebile cicatrice.
Si forzò a fissare quell’insieme ordinato di fogli di carta che aveva appena depositato.
La carta del giornale era giallastra, al tatto sarebbe risultata ruvida e porosa.



ATTACCO A SORPRESA IN UN PARCO DI LONDRA:
TRADIMENTO E RISCATTO

(A cura di Mirabella Sketch)

Questa notte i residenti del quartiere di Petersfield sono stati svegliati all’improvviso da un immenso e fragoroso boato, apparentemente proveniente dal parco della zona, in cui già da mesi andavano manifestandosi episodi sospetti.
A nulla è valsa la sorveglianza degli Auror, incrementata specie dopo un attacco ai danni di un loro collega e di una civile, tempo addietro: un nutrito gruppo di Mangiamorte è riuscito ad infiltrarsi nel fitto del boschetto, probabilmente attratti in una trappola – come sostengono gli esperti della scena del crimine che da quando hanno ricevuto notizia dell’avvenuto stanno portando avanti le proprie indagini – da quello che sembrerebbe essere stato uno di loro.
Un cognome purtroppo ben noto. Un ragazzo di vent’anni, con il marchio di Voi-Sapete-Chi sull’avambraccio destro, ha teso un attacco a sorpresa a quelli che erano stati suoi colleghi, sterminandoli e coinvolgendo perfino suo padre, evaso da Azkaban giusto un anno prima. Draco Malfoy, Mangiamorte sospettato di numerosi omicidi, è deceduto questa stessa notte nella potente esplosione da se stesso provocata, forse in cerca di un riscatto. Ha portato con sé il più forte e persistente nucleo di seguaci del Signore Oscuro, cosa sulla quale si basa il capo della Divisione Auror locale nel sostenere che i Mangiamorte debbano essere stati notevolmente indeboliti da questo avvenimento e che avranno bisogno di tempo per riorganizzarsi. Che questo inaspettato sacrificio potrebbe aver donato una nuova speranza all’esercito degli Auror, ora in grado di cogliere il nemico in un momento delicato, [...]
(Segue a pagina 17)





Ron era immobile contro la parete immacolata, chiuso in un rispettoso e sinceramente addolorato silenzio. Quell’urlo ormai sfiatato sarebbe stato per sempre la sua punizione, testimone ed indicatore di quella macchia nera nella sua coscienza. Nera perché non le aveva dato ascolto. Nera perché nella confusione e nel dolore dei suoi stessi sentimenti, non era riuscito a proteggerla.
La voce le mancava, tuttavia quel grido era ancora presente, vivo e fiammante in tutti loro.
Hermione Jane Granger tacque per una frazione di secondo. Scostò le mani dal viso e guardò davanti a sé un punto, un qualcosa, forse un pensiero, un ricordo o qualcuno che solamente lei sembrava poter vedere. Sconvolta.
Il ricongiungimento con il suo corpo – che credeva di aver ormai perduto - fu violento e doloroso. Questione di un istante, tremò visibilmente da capo a piedi, strinse una coperta tra le mani con violenza tale da sbiancare le nocche.
E l’ombra di un sorriso si fece strada sul suo volto.
Un sorriso distrutto dal dolore, deformato dal ricordo, dalla consapevolezza.
Rovesciò la testa all’indietro e sentì nuove lacrime correrle incandescenti, rapide ma non per questo meno dolorose, sulle sue gote, le sentì valicare l’osso della mandibola, ed avvertì quelle appena fuggite dai suoi occhi scivolare vicine alle tempie ed alle orecchie per la posizione che aveva assunto. Le sentì addirittura spiccare il salto nel vuoto. Quel salto che qualcun altro, quella stessa notte, senza tremare aveva spiccato.
In quel pianto soffocante cominciò a ridere, una risata flebile, disperata, acre e roca.
Batté più volte le palpebre, la visuale andava sfocando sempre di più, ma dentro di lei quel qualcosa che le era sempre sfuggito acquistava mano a mano una sempre maggior chiarezza.
Ed era disarmante.
Disarmante nella sua semplicità.
Perché era vero.
Non c’era nient’altro da dire, qualsiasi parola sarebbe stata un orpello: superficiale, fastidioso.
Era semplicemente così.
Negli occhi la confusione, nelle orecchie la propria patetica risata, nel cuore la chiarezza e nella mente quel ricordo che mai avrebbe perduto.
“Diamine...sei incredibile...” mormorò tra le lacrime, singhiozzi e singulti
Vide chiaramente i suoi occhi di tempesta, poté quasi sentirli su di sé e fu certa di percepirli nel profondo del suo animo.
Sei terribile...
“...avevi ragione tu.” scosse piano il capo, rassegnata, sul volto le lacrime e quel terribile sorriso di dolore “Non c’è niente di più difficile...”
Chiuse gli occhi e lo rivide: immagine talmente nitida da sembrare presente e reale, avvolto in quel mantello nero, con quei finissimi capelli biondi appena scompigliati dal vento.
Con quello sguardo dalle mille emozioni.
E quel mezzo sorriso sul viso.

Perché per due come noi non potrebbe esserci nulla di più duro. Nulla di più arduo.

Il viso di chi non trema.

Perché non c’è niente di più difficile.

Di chi non ha tremato.

It couldn’t be any harder

*** *** ***

QUELLA NOTTE, 03:16 AM

L’aria era fredda e limpida, un lieve soffio di vento notturno diffondeva la fresca fragranza di pini. L’atmosfera tersa e quasi pulita di quell’ora della notte gli era sempre risultata più che gradevole. Abbassò il braccio, rinfoderando – anche se solo per il momento – la bacchetta.
Osservò la ragazza che aveva appena Schiantato giacere tre metri più in là, sull’erba ma lontana dalla neve – non l’avrebbe mai abbandonata nel suo gelo, poiché sapeva quanto potesse essere terribile, nei momenti di sconforto. Lo aveva testato sulla propria carne ed era stata proprio lei, quella volta, a salvarlo -, riversa su di un fianco, i boccoli castani sparsi disordinatamente a terra, gli occhi castani, una volta caldi, ora – e per fortuna, pensò, solo momentaneamente – vitrei, sbarrati sul terrore della consapevolezza che aveva raggiunto pochi istanti prima.
Mosse qualche passo nella sua direzione e sentì le vecchie scarpe da ginnastica produrre un rumore soffocato, affondando appena nella neve. Si chinò piano su di lei, quasi con delicatezza, come temendo di svegliarla da un sonno tranquillo e ristoratore, allungò la mano candida verso il suo viso e le chiuse piano gli occhi. Il suo sguardo scivolò inconsapevole su quelle labbra che aveva baciato, tanto tempo prima, oramai, candidamente; le accarezzò lentamente la fronte e percorse con la punta delle dita la sua gota, sfiorando piano con il pollice il suo zigomo.
Il respiro gli mancò, ma solo per un istante.
Era per il suo bene. Non si sarebbe mai permesso di costituire per lei un pericolo – era ormai chiaro che solamente ciò sarebbe stato per la giovane, da quando suo padre aveva scoperto come lei fosse diventata la sua piccola, giovane luce.
Un ultimo contatto fisico, la sensazione della sua pelle liscia e calda sotto le dita, per l’ultima volta.

To touch you again with life in your hands

E si sentiva come se quello sarebbe stato il suo ultimo vero contatto con il mondo.
Si sfilò il mantello liso e lo distese sopra di lei, con premura.
Fu a fatica che si rialzò e si discostò dalla ragazza, facendo un passo indietro.
Ma quel passo significava tutto.
Lo avrebbe fatto per lei.
Quel passo era un’immensa, impercorribile distanza.
Si voltò e respirando lentamente si avviò in direzione opposta, lì dove avrebbe lanciato nell’aria il segno dei Mangiamorte, là dove avrebbe portato a termine quella che ormai da tempo considerava come la sua unica vera missione. Sapeva che non avrebbe potuto poi molto, contro di loro, ma gli sarebbe bastato intralciarli, rallentarli.
Ed annientare lui.
Quello che in passato aveva avuto il coraggio di definirsi suo padre.
Colui che aveva brutalmente ucciso Narcissa Black Malfoy e che presto si sarebbe scagliato contro lei.
Ecco, quello era il suo obbiettivo. Rallentarli ed impedire loro di raggiungerla.
Nessuno avrebbe mai spento quella luce, anche se tremolante.
Lui non l’avrebbe mai permesso.
Da qualche parte, un cumulo di neve cadde da un alto ramo, provocando un soffice tonfo ed un leggero scricchiolio.
Il buio non sembrava poi così buio quando Draco Malfoy si fermò e si voltò di profilo per lanciarle un’ultima, fugace occhiata.
Per ricevere l’ultima visione, l’ultimo essenziale barlume di luce.
Di quella luce che era diventata la sua speranza.
Il respiro gli si mozzò in gola, ma solo per un secondo.
Ormai era solo una macchia lontana, eppure fu come se la vedesse ancora di fronte a sé, con i suoi occhi caldi e profondi, il suo viso fiero eppure comprensivo. Probabilmente l’unica persona che lo avesse veramente visto e che lui stesso avesse completamente sentito.

To touch you again with life in your hands

La fissò ancora per qualche attimo.
E quello fu l’ultimo suo vero minuto di vita.

Non potrebbe mai essere stato più difficile.
Per due come loro.
Per lui.


Chiuse gli occhi e li riaprì con lentezza tornando a guardare innanzi a sé, con un controllo della situazione e di ogni suo più piccolo movimento che mai avrebbe creduto di possedere in quel momento.

Né lo sarà mai.

Distese le labbra.
Quel sorriso, il primo che le aveva rivolto.
Per lei, quell’ultimo mezzo sorriso.

Perché non c’è niente di più difficile.

E riprese a camminare.

It couldn’t be any harder













Fine










Ringraziamenti: Grazie a chi ha commentato il capitolo precedente…qualcuno che si ricorda ancora di questa storia ;D (grazie) e qualche nuova new entry. Per coloro che mi hanno scritto varie volte per gli aggiornamenti…e per tutti gli altri che attendevano la fine…scusate, è stata colpa mia…è passato così tanto tempo ^^’ spero che prima o poi leggiate queste righe. E mi facciate sapere cosa avete pensato di CIBAH, fino alla fine. Quindi grazie agli ultimi commentatori: Kit_05 (sempre più scarlatta :p grazie per la pazienza, comunque ;D e l’incoraggiamento…posso chiamarlo così? XD Lo sai che ora pretendo un commento coi fiocchi, vero? :p), shizuka (che invece di ringraziarmi per aver scritto questa cosa dovrebbe prendersi i miei, di ringraziamenti, per l’attaccamento sempre dimostrato a questa storia ^^), MartyTorsy e ChibiChibi.


RINGRAZIAMENTI FINALI
Ok, sono pronta al linciaggio generale, ma prima lasciatemi dire che sono emozionata.
Scrivere la parola “Fine” a questa storia...mi ha davvero emozionata.
Effettivamente non so il perché, né mi va di pensarci.
So solo che la prima cosa di questa storia ad essermi venuta in mente era proprio l’immagine finale (accompagnata nella mia mente dalle parole: to touch you again with life in your hands), per cui ho sempre saputo che questa sarebbe stata l’unica fine di “Could it be any harder?”.
(Se vi ho illuso, perdonatemi! ;_;)
(Perdonatemi anche per l’articolo – se così possiamo definirlo – della Gazzetta...io e lo stile giornalistico non andiamo molto d’accordo, temo xD non tanto perché non l’ho mai sperimentato, quanto per il fatto che io tendo ad essere prolissa ^^’...*ride imbarazzata*)
Mi dispiace se qualcuno di voi ne sarà rimasto deluso, ma non riesco a concepire altro epilogo per questa storia, che ho sentito davvero dentro, dalla prima all’ultima parola. Per più di tre anni.
E’ nata così e così è finita.
Così doveva finire.
Ragazzi, mi hanno tremato le mani alle ultime righe! (Anche scrivendo dell’ultima scena di Hermione! Sono pazza, sì! Ma la sua risata mi ha angosciata terribilmente ._. che mente contorta ho...)
Ho iniziato a scrivere CIBAH nell’ormai lontano 8 luglio 2004 (e se leggo i primi capitoli ancora oggi sono sempre più perplessa ;D) e dire che non mi mancherà sarebbe...incredibilmente falso.
Ricordo ancora i commenti ai primi capitoli (quando le Draco/Hermione erano ancora rare xD): “Ti prego, fa' che non sia una Draco/Hermione! Non li posso proprio vedere insieme quei due!” oppure “Hermione è solo di Ron è___é chiaro?!” ^___^...e probabilmente sono legata a questa storia così tanto perché è stata la prima Draco/Hermione che abbia mai scritto (ok, è una Draco/Hermione/Ron...ma alla fine non è neppure questo, visto? ;D CIBAH è questo e niente...sembrerebbe un grosso groviglio di emozioni, spero che alla fine queste emozioni si siano chiarite almeno un po’ ^^), è stata questa mia storia ad introdurmi nel meraviglioso mondo Leather & Library.
E va bene, finisco qui, altrimenti...^^
Vi ringrazio infinitamente, davvero.
Voi che state leggendo queste parole, voi che avete letto questa strana storia da poco, voi che l’avete letta da qualche tempo e specialmente voi che la seguite fin dal principio...grazie.
Spero che questa fanfiction, anche se un po’ particolare, vi sia piaciuta almeno un pochino. Mi farebbe molto piacere che lasciaste un commento (corto, lungo, come volete voi ^^) per farmi sapere cosa ne pensate.
Con questo, possiamo finalmente dire di essere giunti alla Fine. ^_-
E cala il sipario su questa storia strampalata *commossion*
Emily Doe





© La canzone “Could It Be Any Harder” appartiene ai The Calling.
I personaggi qui citati appartengono di diritto a J.K.Rowling ed alle rispettive case editrici. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, non si ritiene infranto alcun copyright.

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