Le Bestie

di _Polx_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Guizzando come un'anguilla, indifferente alle impervietà, agli ostacoli e alla precarietà strutturale dell'edificio, l'agente R giunge al punto di ritrovo.
Perché sia stato scelto quel luogo quale meta per gli agenti in azione è evidente: in un tempo come questo ciò che è più pericoloso diviene paradossalmente rifugio da sfruttare, poiché mai e poi mai quelle orripilanti creature di laboratorio si avvicinerebbero a un rudere prossimo al collasso. Essendo stato ordinato a R di raggiungere l'area Est per inviare un messaggio, lei ha obbedito senza esitazione.
Un telefono è attaccato al muro, collegato a chissà quale linea ancora funzionante.
R si arrampica sulle scale anti-incendio e, in bilico sul corrimano mezzo sfondato, afferra l'antiquata cornetta, premendo il numero riferitole: "qui Gemella Croft" si annuncia "ho raggiunto il punto prestabilito. Aspetto risposta" ma nulla le arriva di rimando.
Preme di nuovo i tre numeri: "qui Gemella Croft: ho raggiunto il punto prestabilito. Aspetto risposta".
Teme che il collegamento si sia disattivato e suda freddo. Comincia a soffrire un gran caldo, nonostante la morbida maglia arrotolata poco al di sotto del petto e i cortissimi jeans siano l'unico abbigliamento di cui disponga.
Le spesse suole di gomma dei suoi anfibi scivolano sulle aste d'acciaio che cigolano, sempre più infastidite dal suo peso.
Sa che deve scendere da qualla ringhiera e darsela a gambe, se non vuole schiantarsi a terra dopo una caduta di venti metri, ma se anche fuggisse dove potrebbe andare? La sua era una pura missione tattica: ciò che doveva fare era dirigersi al posto indicato, trovare il trasmettitore e attivare la comunicazione. Quel telefono è ciò che cercava, ne è certa, ma qualcosa deve essere andato storto perché, a questo punto, il centralino le dovrebbe dare risposta affermativa e inviarle un elicottero per riaccompagnarla sana e salva alla base. 
Se c'è qualcosa che ha imparato dall'inizio dello sfacelo, è che non vi è luogo sulla terra che possa considerarsi sicuro. Non strade, non abitazioni, non grattacieli, perché quelle bestie si arrampicano come scimmie indemoniate e se, fiutando l'odore, individuano un percorso per raggiungere la loro preda, questa è finita.
Non essendo nei piani lo scontro diretto con le creature da laboratorio, R ha portato con sé soltanto la sua calibro 45, che può eliminarle, certo, ma solo dopo tre proiettili in testa e lei sa bene che le munizioni non bastano mai, sebbene abbia sei o sette caricatori di ricambio nelle tasche interne dei suoi anfibi.
Non è molto, ma dovrà farselo bastare e pensa che lo spiacevole imprevisto sia ciò che una sprovveduta come lei si meriti in una situazione simile.
Se non vi è nessuno disposto a riportarla alla base, allora vi tornerà con le sue gambe, sebbene sia lontana ed estremamente pericolosa da raggiungere.
Dirà ai superiori che la missione è fallita, anche se non per colpa sua, e che dovranno trovare un altro modo per ottenere il controllo di quella parte di città e insediarvi un nuovo gruppo di protezione armata.
Il suo istinto le dice di procedere sui tetti, muoversi da un edificio all'altro, ma sa anche che, talvolta, stare coi piedi troppo lontani da terra può risultare un problema, perché più si sale più è difficile scendere, il che si trasforma spesso in una trappola.
Una cosa è certa: su quel rudere non potrebbe arrampicarsi neanche un lemure, dunque una tappa a terra le è d'obbligo.
Toglie il blocco di sicura alla pistola e scende.
Cauta come una lince sul ghiaccio, procede di stanza in stanza fino all'esterno.
Non vi è segno di vita e questo la conforta quanto spaventa: sebbene il suo cuore perda un colpo, i nervi del suo corpo sembrano tirare un sospiro di sollievo all'udire un roco grugnito proveniente da dietro l'angolo.
Camminando lentamente a ridosso della parete, si ferma con le spalle accostate allo spigolo e l'arma stretta in pugno.
Si sporge appena e scopre a pochi metri di distanza una di quelle creature: le dà la schiena e lei ne scorge solo le repellenti protuberanze della spina dorsale, culminanti nella lunga e viscida coda serpentinea.
Sta dilaniando qualcosa con gli adunchi artigli delle zampe anteriori ed R impiega qualche istante a comprendere di che si tratti. Era meglio se ne restava all'oscuro: lei conosceva quell'agente, ci aveva parlato proprio la mattina prima.
R si lascia sfuggire un singulto di stupore e attira l'attenzione della bestia famelica che, voltandosi di scatto, mette in mostra il purulento muso sfregiato e lordo di sangue. I grandi occhi carmini vagano per poco, mentre l'acuto olfatto sonda l'aria, e presto scova la nuova preda.
La bestia ruggisce, spalancando le fauci elastiche e costellate di miriadi di zanne, poi parte alla carica, veloce e caracollante come un enorme gorilla inferocito.
R punta rapidamente la pistola contro di lei e le spara due colpi in fronte, facendola stramazzare al suolo. Subito dopo, corre dal compagno d'arme, ma è palesemente troppo tardi. Dev'essere morto da molto, ormai, e se anche così non fosse, non avrebbe speranze, perché il suo ventre è completamente squarciato e le sue interiora sono state divorate dalla bestia.
Non è la prima scena di morte cui R assiste, ma è sempre difficile accettare le perdite quando si tratta di persone conosciute e lei stenta a trattenere le lacrime.
La bestia alle sue spalle si muove improvvisamente, rantolante.
R balza in piedi e torna a sparare. E più colpi le scaraventa addosso, più le si avvicina, godendo con ira selvaggia delle sue grida presto spente e della carne dilaniata dai proiettili.
Il caricatore si esaurisce, ma lei è rapida come un fulmine a estrarre dalla cintura quello di riserva e svuota anch'esso sulla creatura fin quando, premendo e ripremendo il grilletto, l'arma non dà più segni di vita.
Non può sprecare altri colpi preziosi per la sola e infantile sete di vendetta: sa di doversi accontentare.
Purtroppo, la furia le ha fatto abbassare la guardia e la sua attenzione è calata per un istante, quanto basta a far avvicinare un'altra creatura, attratta dal frastuono. Se fossero più intelligenti, queste bestie assetate di sangue imparerebbero che quei tuoni significano morte, ma sono ancor meno che animali e cercano solo vita da distruggere.
Quando si volta, R trova la bestia a poche falcate da lei, già balzata all'attacco.
Sta inserendo nella pistola il caricatore estratto dall'anfibio, quando un lampo balugina avanti ai suoi occhi e la bestia cade decapitata a terra in preda agli ultimi spasmi nervosi.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


"Agente C, il Flagello d'Oriente" afferma R, sciogliendo i muscoli e abbassando la guardia.
Tanto rapida da sembrare invisibile, l'agente C sbuca da dietro la monumentale carcassa, la lunghissima katana da lei stessa forgiata poggiata alla spalla destra.
"Un dono dal cielo, non è così?" replica la nuova arrivata.
Avvolta nella sua nera tenuta di agile guerriero orientale, non mostra il volto neppure alla sua collega. Continua piuttosto a fissarla dalla fessura del passamontagna che lascia scorgere sono due scuri occhi da felino.
"Me la sarei cavata anche da sola" afferma decisa R.
"Lo so bene, ma un grazie mi sembra d'obbligo".
"Grazie" sibila l'altra in un ghigno d'insofferenza, ed è evidente il sarcasmo nella sua voce.
"Cosa ti porta qui?" chiede poi R.
"Mi hanno mandata a cercarti per riferire che la linea cui sei stata inviata non è più funzionante, dunque è inutile provare ad attivarla".
"Non era necessario scomodarsi: l'ho già constatato di persona".
"Dunque è vero quel che si sente in giro: sei veloce quanto dicono a eseguire missioni speciali".
"E tu sei abile quanto dicono a maneggiare quell'affare" ammette R di rimando. 
"Ovviamente" e ripone la katana dietro la schiena, in un imbragatura che non è propriamente un fodero, perché le sarebbe impossibile estrarla rapidamente, data la sua lunghezza. Consiste piuttosto in una forte calamita posta dietro la spalla destra cui la lama sotto l'elsa si àncora, mentre in fondo alla schiena un semplice poggio fa da supporto alla spada, senza lacci o catene. Un modo estremamente rapido per impugnarla e rimetterla al suo posto nel minor tempo possibile.
"Comunque sia, non sono giunta fin qui solo per questo" riprende C "chiedono la nostra presenza alla base".
"Ora? E perché?".
"Perché temiamo che le bestie abbiano fatto breccia: si stanno avvicinando al nucleo".
"Cosa? Non è possibile. Non vi è nulla di più sicuro e sorvegliato del nucleo: lì vi sono tutti i nostri dati raccolti, i risultati delle ricerche e...".
"Lo so bene. Per questo ti chiedo di sbrigarci" e detto ciò si incammina sulla via del ritorno.
Attraversano mezzo isolato della città decaduta e R vede i cadaveri di bestie trucidate e dissanguate, alcune con la gola squarciata, alcune con il ventre aperto, altre tagliate in due di netto.
"Ti sei data da fare" constata senza nascondere lo stupore.
"Sfortuna vuole che io abbia incrociato un branco sul mio cammino".
"Sfortuna per loro" R accenna ai corpi scompostamente abbandonati a terra.
"Mi pare ovvio".
Procedono allo scoperto perché sanno di aver poco da temere: con tutti quei corpi in giro, le bestie avranno di che sbranare per un bel po', non preoccupandosi affatto di cosa mettono sotto i denti, sia pure questo atto di cannibalismo.
Giunte alle mura, trasmettono il codice di sicurezza ed entrano nella cittadella-fortezza, o Isola, come denominata dagli addetti ai lavori.
Ce ne sono molte come quella, disseminate qua e là, a una certa distanza l'una dall'altra, e di ciò bisogna dare merito alla rapidissima costruzione avvenuta in seguito al tragico incidente. Sono ormai trascorsi dieci anni da quel lontano ottobre.
Tutti i governi si sono sciolti, tutti gli eserciti disgregati, le alleanze dimenticate e al tempo stesso rafforzate perché, sebbene ormai ognuno pensi per sé, persino la mente più avida e infida degli uomini non s'abbasserebbe mai a scontrarsi con i propri simili. La fratellanza è l'unica cosa che rimane.
Certo non importerebbe nulla alle altre fortezze se questa Isola cadesse, ma per R, C e molti altri è divenuta una vera e propria casa, con una vera e propria famiglia.
Che tentino di far fuori loro, quelle luride bestiacce, anziché prendersela con la vita che tanto faticosamente la gente è riuscita a ricreare tra le mura di quelle precarie riproduzioni di normalità.
"Va a farti una dormita" ordina C, procedendo spedita verso la sede principale della piccola fortezza erta a Est della cittadella.
"Non ho bisogno di dormire" replica secca R.
"Ne hai viste abbastanza per oggi e ormai è calato il sole: non c'è anima viva e il tuo corpo implora pietà. Fa come ho detto, se non vuoi che spedisca un reclamo al Dux riguardo alla tua condotta indisciplinata e al cattivo esito delle tue missioni che potrebbe derivarne".
"Tremo di paura. Ma se ci tieni così tanto, allora lo farò, mammina" e devia in un vicolo laterale, dileguandosi nel buio.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Gli agenti non hanno molto tempo per frequentarsi, specialmente se assegnati a incarichi speciali, ma legano profondamente e si fidano l'uno dell'altro.
Nonostante ciò, non è permesso conoscere il nome dei colleghi. Esso viene sostituito dalla prima lettera del loro cognome e il nominativo per intero è come dimenticato.
Quella lettera, ora, è il loro nome e ha smesso d'essere considerata un codice.
Codici sono altri, come i nomignoli, talvolta bizzarri, che devono trasmettere via radio al centralino per essere riconosciuti e avere disponibile la linea telefonica.
A C il nominativo Flagello d'Oriente è stato assegnato per le sue incredibili doti nelle arti marziali. Non che provenga realmente dal profondo Est, ma la sua tecnica, il suo abbigliamento, la sua stessa figura ne danno la forte impressione.
"Flagello d'Oriente" si annuncia e lo sportello più esterno si apre. Per la porta interna è invece necessario il riconoscimento della retina e il dispositivo,  nonostante i capricci degli ultimi giorni, sembra ora funzionare bene.
C viene ricevuta dal Dux, appellativo dato al Comandante della fortezza inizialmente con intento ironico, poi rimasto tale per l'abitudine a impiegarlo.
"Salve, signore" saluta lei.
"Dove si trova la Gemella Croft?".
"Ho consigliato all'agente R di andare a riposare dopo la dura giornata trascorsa. Era evidentemente spossata".
"Dopo tutto mi basti tu. Ti lascio il compito di riferire a Gemella Croft quanto ti comunicherò ora".
"Certo, signore".
"Per quanto stupide e brutali, l'istinto di quelle bestie lavora sodo e si stanno unendo in gruppi sempre più consistenti.  È così che sono riuscite a far breccia in una falla che noi non conoscevamo. Tu sai che il nucleo è posto al centro dell'Isola in modo da essere il più protetto e controllato possibile: lì lavorano i nostri scienziati e lì risiedono i risultati di tutte le nostre ricerche. Non abbiamo però considerato le vecchie miniere che da secoli attraversano il sottosuolo di queste zone. Le bestie devono essere entrate nei tunnel e lentamente procedono verso il nucleo in cerca di prede da distruggere. Per ora sono ancora al di fuori dell'area dell'Isola, ma non oso immaginare cosa accadrebbe se ci raggiungessero".
"Cosa ci chiede di fare?".
"Allontanarle. Non mi interessa come, né con che mezzi. Tirate quelle bestie fuori da lì il tempo necessario ad abbattere i tunnel".
"Dov'è Magnum Commander?".
"Magnum Commander non è momentaneamente reperibile".
"Come possiamo portare a termine una missione simile senza l'agente F?".
"Vi dovrete arrangiare fino al suo arrivo. Ora è impegnata altrove, in un'Isola non lontana da qui".
Gli occhi di C si sgranano: "un'altra Isola? Perché lavora per estranei? Non hanno degli agenti da impiegare, invece che sottrarre uomini agli altri?".
"Avevano grossi problemi e Magnum non ha rivali nel suo campo".
"Non avrebbe dovuto accettare: è come schierarsi al fianco di un'altra patria".
"Le donne dell'Apocalisse: così vi chiamano. La squadra che miete terrore. Lavorate fianco a fianco da anni, ormai, eppure talvolta date l'idea di non conoscervi. Magnum Commander non è come te: lei è un soldato. Un mercenario. E va ovunque venga chiamata: il nemico che combatte è sempre lo stesso ed è questo ciò che le preme. Non accetterebbe mai la distruzione di un'Isola, perché le ricorderebbe i rischi che corre la sua".
"In poche parole, mi sta dicendo che, per quanto lontana si trovi ora, tornerà da noi?".
"Vi era bisogno che te lo ricordassi?".
"Certo che no, signore".
"Ovviamente, non possiamo oziare nell'attesa. Vi è qualcun'altro che può darvi assistenza".
"Sarebbe a dire?".
"La quarta".
Stanno camminando lentamente per i corridoi della fortezza, insofferenti all'idea di parlare tra le quattro pareti dell'ufficio del Dux, ma a quella notizia C si pietrifica, voltandosi a guardarlo con occhi smarriti: "l'agente V?".
"C'è forse un'altra quarta?".
"La Valchiria dell'Apocalisse è l'unica a non tenere contatti con noi. A dire il vero, non tiene contatti con nessuno".
"Appunto. Quand'è stata l'ultima volta che avete agito insieme? Non vi mancano quei momenti?".
"Devo essere sincera, signore?".
"È stato in quell'occasione che il gruppo della quattro ha ottenuto la sua massima fama".
"È una grande guerriera, signore, ma odia ogni tipo di rapporto e ricaccia con violenza chiunque tenti d'ingaggiarla".
"Per questo sto mandando te e non un agente qualsiasi delle mie forze armate: chi altri potrebbe contrastarla, se non il Flagello d'Oriente?".
"Così mi lusinga" e vi è ironia nella sua voce.
"Stai certa, agente C, che io ho grande fiducia nella sua collega, l'agente R, ma lei le ha consigliato di ritirarsi, dunque non ho altri a disposizione".
"Io sono fresca, lei necessitava di riposo".
"Nobile badare alle necessità dei suoi compagni, ma deve essere pronta a pagare le conseguenze del suo altruismo".
"Credo si sia fatto un'idea sbagliata della mia reazione: non ho paura della Valchiria".
"Ovvio: non temi enormi creature prive di senno e dedite alla pura distruzione, come potresti temere un essere umano?" non è chiaro se vi sia sarcasmo nelle sue considerazioni.
"Quando devo partire?" C si è ormai stancata del suo gioco e vuole liberarsi il prima possibile dal peso di quella scomoda incombenza.
"Poco fa".
C china il capo in segno di consenso e si dilegua.
Sa che non sarà piacevole raggiungere il covo buio e isolato in cui la Valchiria si rintana, perché è al di fuori dell'Isola, quindi bisogna immergersi nel mondo esterno.
Ma non è un problema, perché per lei situazioni simili sono all'ordine del giorno.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Per quanto agili e rapide ad arrampicarsi, le creature sono solite vagare per le strade e C non ha alcuna voglia di attirare la loro attenzione. Procede dunque a suo rischio e pericolo per i tetti dei vecchi prefabbricati di periferia finché giunge al bunker eretto nel mezzo di uno spiazzo devastato, dove le macerie cominciano già a sparire nel terreno, soffocate dalla crescente vegetazione.
Non vi è sorveglianza, né vi sono telecamere. L’intera superficie del grande igloo d’acciaio è scalfito da solchi enormi, segni della brutale azione delle bestie.
Bussa con forza alla porta: “Valchiria dell’Apocalisse, sono Flagello d’Oriente” ma non giunge risposta.
“Forza, Agente V, non ho tempo da perdere”.
Nulla si muove dall’interno e C comincia a irritarsi. Estrae la spada e ne percuote l’elsa contro l’uscio di metallo: “non farmi perdere la pazienza” ma è come parlare al vento.
Sta per andarsene, straripante frustrazione, quando un boato le fa vibrare il timpano destro: la chiusura della porta è andata distrutta e ora sprigiona lievi scosse elettriche, assieme a un sottile filamento di fumo.
C si volta, presa alla sprovvista, e trova l’agente R che, la pistola ancora puntata alla porta, sorride soddisfatta.
“Che ci fai qui?” esclama C.
“Non mi piace essere esclusa” risponde R, raggiungendola.
“Ti avevo detto di tornartene a casa”.
“E l’ho fatto. Ho anche dormito un paio d’ore: adesso sono fresca come una rosa”.
“Sei sempre la solita”.
“Smettiamola di blaterare. Chissà cosa pensano lì dentro del baccano che abbiamo fatto: sarebbe meglio mostrarsi” ma nessuno si muove.
R, che si è accostata alla porta e si guarda attorno circospetta, si accorge dei due occhi puntati su di lei.
“Credi davvero che io metta piede lì dentro?” chiede “tu sei stata spedita qui: io ti ho raggiunta per farti da spalla, nulla di più”.
“Il Dux avrebbe inviato anche te, se solo fossi stata presente”.
“Tu mi hai mandata via: devi essere pronta a pagare le conseguenze del tuo altruismo”.
C la scruta con aria fosca: “tu hai ascoltato la mia conversazione col Dux?”.
“Comodamente sdraiata sul mio letto, guardando le riprese delle telecamere sullo schermo del mio computer”.
“Come diavolo hai fatto ad attivare il collegamento? Dovrebbero essere linee estremamente riservate”.
“Per chi mi hai preso? Ti prego comunque di non far girare la voce”.
“Ho ben altro da fare che spifferare in giro i fatti altrui”.
“Bene. Ora puoi andare: ti copro le spalle” e, impugnando l’arma con rinnovata decisione, si apposta accanto all’ingresso. 
C la fissa con sufficienza.
“Se arrivassero quelle creature? Avrebbero piena libertà di accesso al bunker, ora che la serratura non è più funzionante” tenta di spiegare R “io sono qui per impedirlo”.
“Non temi creature dilaniatrici e prive di controllo, ma tremi all’idea di affrontare la Valchiria”.
“Non vi è nulla che possa farmi tremare, se non il freddo” replica l’altra, decisa “dico solo che l’agente V ha annientato molte di quelle bestie, mentre nessuna di loro è ma riuscita a scalfirla”.
C sospira: “tieni alta la guardia”.
“Come sempre” annuisce R, mentre la compagna oltrepassa la soglia e accosta la porta dietro di sé.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


L’interno è buio come la tana di una volpe, tranne che per il fascio di luce che filtra da una piccola apertura laterale, posta in modo da illuminare con precisione chiunque metta piede nel bunker.
“Ne è passato di tempo” si annuncia C.
Il lieve alone luminoso lascia intravedere il tavolo a metà stanza su cui sono poggiati due piedi svogliatamente incrociati.
“Mi avevano detto che saresti venuta” replica V.
“Abbiamo bisogno di te, all’Isola”.
“Avete una bella faccia tosta a venirmi a cercare, dopo tutto ciò che vi ho detto in passato”.
“Sono trascorsi anni. Pensavo che i tuoi capricci fossero superati”.
“Capricci?” i piedi si ritirano e il busto della donna si delinea debolmente nel buio mentre si avvicina al tavolo per poggiarvi i gomiti.
“Sì, i capricci di un bambino triste e insoddisfatto”.
“Così mi vedi?”.
“Così vedrei qualunque guerriero che pretende di abbandonare il campo di battaglia nel pieno d’una guerra”.
Un brivido percorre la schiena di C quando sente la sedia sfregare a terra e V alzarsi in piedi.
“Non è bello criticare le decisioni altrui” la Valchiria la raggiunge con passo lento e le si para davanti. La supera in altezza di almeno quindici centimetri: tutto merito dei tacchi vertiginosi che schioccano rumorosamente sulle piastrelle del pavimento.
“È insito della natura umana giudicare” replica C, guardandola negli occhi.
“Quale sarebbe il problema?”.
“Le bestie stanno raggiungendo il nucleo” e impiega ben poco a spiegarle l’intera situazione.
“Perché dovrebbe interessarmi?” chiede infine V “io non abito nell’Isola e non mi tocca in alcun modo il fatto che essa possa essere invasa dalle bestie”.
“Potrebbe causare la morte di migliaia di persone”.
“Che rilevanza ha agli occhi delle migliaia che sono già morte?”.
“La domanda giusta è: che rilevanza ha ai tuoi occhi, Valchiria dell’Apocalisse? Non hai raggiunto la tua posizione per oziare pigramente in questo buco, rimuginando sulle tue debolezze” e lo sprezzo con cui C sputa a denti strette quelle accuse è palpabile.
V la fissa per qualche istante, poi le sue labbra si dischiudono in un sorriso di sfida: "sono soddisfatta di sapere che i vecchi amici non cambiano mai" le porge la mano destra "è ovvio che combatterò con voi" e finalmente esce dall'oscurità, entrando nel fascio di luce. 
Allora C comprende che è stata tutta una farsa, perché V indossa la sua tenuta da combattente, proprio come in quell'ottobre di tanti anni prima, e fin da subito era pronta a scendere sul campo di battaglia.
"Era proprio necessario?" sospira C.
V scrolla le spalle: "sì".
Prende il suo enorme tridente dall'angolo cui è appoggiato e lo stringe in pugno. Così sembra davvero una guerriera uscita da una qualche realtà fantastica, con la divisa tempestata di gemme da cui sbucano spessi spallacci di ferro e grosse placche metalliche, gli alti e stretti stivali vertiginosi, il diadema di aculei e zanne che le cinge il volto.
Fuori dal bunker, R le attende: "non ti sei ancora liberata di quel costumino?" provoca.
"Fatti gli affari tuoi, Gemella Croft" la zittisce V.
"Sarà meglio sbrigarsi, se vogliamo tornare all'Isola in tempo" taglia corto C.
"Secondo te come sono arrivata fin qui così rapidamente?" sbuffa R, irritata dal suo atteggiamento malfidato "non percorro certo tutta questa strada a piedi come fai tu, agente C: ho un ottimo mezzo di trasporto e non ho intenzione di lasciarlo ammuffire nei garage della base".
"E dove sarebbe?" chiede C.
"L'ho lasciato in prossimità delle ultime abitazioni abbandonate, a poche decine di metri da qui".
"Vado in avanscoperta" afferma V e si allontana di corsa.
C ed R si incamminano con lei, seguendola a passo lento.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Il cielo sta schiarendo ed è già trascorsa una notte dall'incontro tra C ed R.
"Ho visto cosa stavi facendo a quella bestia" dice C a un tratto.
"Come?".
"Ieri, al tramonto. Ho visto il tuo accanimento e lo comprendo, perché l’ira che si prova in situazioni simili è insopprimibile”.
“È già smorzata e sbiadisce rapidamente. Dopo tutto ciò che abbiamo visto in questi anni, il dolore si trasforma in rassegnazione. Mi chiedo quanto dovremo aspettare prima di non sentire più nulla”.
“Augurati che ciò non accada mai”.
Sentono un gran boato nella direzione in cui si è diretta V e accorrono immediatamente.
Un gruppo di bestie ha attaccato la Valchiria non appena è scesa nella conca scavata dal tempo e dall’incuria tra i ruderi di vecchi palazzi, ma la sorpresa non è bastata a sopraffarla e ne ha già abbattuta una. R e C arrivano giusto in tempo per vederla infilzare la seconda con le lunghe lame del suo tridente. Una terza creatura non si fa attendere e, utilizzando una parete crollata come rampa, balza contro di lei con l’intenzione di aggredirla alle spalle.
Basta un rapido gesto delle dita: ruotando un sottile anello posto a metà impugnatura, V fa scattare le lame a mezza luna rimaste fino ad allora chiuse sull’asta del tridente.
Con un forte colpo laterale, come brandendo una grossa mazza da baseball, le conficca nel cranio della bestia che stramazza con un guaito.
“Accidenti a questi mostri” ringhia V e manda un cenno all’Hammer di R, completamente dilaniato dall’azione distruttiva delle bestie di laboratorio “temo che dovremo seriamente raggiungere l’isola a piedi”.
R tira un calcio a una tegola mezzo sepolta nel terreno e la fa volare via come un proiettile: “guai a me se mi faccio ancora venire in mente idee simili. Devo imparare a tenere da conto ciò che è mio” sbuffa, visibilmente contrariata.
“Ora come ora, è l’ultimo dei nostri problemi” la smorza C che, orecchie tese e occhi indagatori, sta già estraendo la sua katana.
“Che vuoi dire?” chiede R, ma non vi è bisogno di darle risposta: dall’alto della conca, una dopo l’altra, si dispongono almeno una ventina di bestie ringhianti.
Le tre si avvicinano istintivamente, mettendosi schiena contro schiena.
“Ho visto lo scempio che ieri sera hai fatto di quel branco” bisbiglia R a C “che ne dici di riproporre lo spettacolo?”.
“Erano meno della metà” replica C “cosa credi che possa fare ora?”.
“Dunque sono vere le chiacchiere che circolano” si aggiunge V “il loro modo di vivere in comunità sta evolvendo: non avevo mai visto gruppi tanto numerosi”.
“Mi spiace interromperti” la riprende R “ma non credo sia il momento più adatto per soffermarsi su simili riflessioni”.
Le creature cominciano a scendere verso di loro e partiranno alla carica da un istante all’altro.
“Non ci resta altro da fare, dunque” constata V e fa nuovamente scattare le lame che aveva chiuso sul tridente.
R estrae la sua calibro 45 e lo spettacolo ha inizio.
La katana di C trancia la pelle coriacea di quei bisonti come fosse burro mentre V ha da infilzare a volontà. Allo stesso modo, R è rapida a evitare gli attacchi e arrampicarsi persino sulle bestie che si precipitano contro di lei per ancorarsi alla loro schiena e sparargli direttamente alla nuca, dove il loro cranio è più fragile.
Ma sono troppe e le tre combattenti sentono la trappola che si stringe lentamente attorno a loro. Devono trovare un modo per scamparla e tornare all’Isola, perché se non agiscono rapidamente vi sarà ben poco da salvare e sarebbero decisamente inutili da morte… ma come fare?
Una mitragliata assordante le costringe a scaraventarsi a terra mentre le bestie, prese alla sprovvista, si fanno falciare una a una dalla pioggia di proiettili.
Pochi secondi ed è tutto finito. Le tre si mettono lentamente carponi, scrollandosi dalla polvere, e si guardano attorno disorientate: è proprio un carro armato quello appostato sul bordo della conca. La mitragliatrice sul boccaporto è ancora fumante.
La nuova arrivata solleva la visiera opaca che le copre l’intero volto e mostra un sorriso sgargiante: “serve un passaggio?”.
Le tre si guardano di sbieco prima di incamminarsi e sul viso di V si disegna persino un malcelato sorriso di sollievo.
“Sempre all’ultimo minuto, eh, Magnum Commander?” critica ironicamente R, entrando nel carro armato. L’altra ridacchia e chiude il boccaporto.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


In breve tempo sono all’Isola e vengono convocate nell’ufficio del Dux: in fila una accanto all’altra, impettite e sull’attenti, guardano fisso avanti a sé.
“Finalmente la squadra al completo” afferma lui, seduto sulla sua poltrona.
“Pronte a eseguire” esclamano le quattro all’unisono secondo la regola ufficiale.
“Sebbene non conosciamo gli ordini” ammette R con la sua solita schiettezza.
“Gli ordini sono di seguire il ritmo di F”.
Le tre voltano lo sguardo su Magnum Commander che, sentendosi fortemente presa in causa, tenta di spiegare l’affermazione del capo: “dobbiamo allontanare le bestie dai tunnel per poi distruggerle. Be’, chi di voi ha l’esplosivo?”.
Effettivamente è lei l’addetta ai fuochi d’artificio.
“Questo significa che lei e Magnum Commander avete già interloquito” constata V rivolta al Dux.
“È così” annuisce quello.
“Se permette” si aggiunge F “mentre lei mostra a loro ciò che ha precedentemente illustrato a me, comincerei il lavoro”.
“Prego” annuisce il Dux e lei si ritira con il saluto militare.
Raggiunge la porta di ferro che introduce alle gallerie e lì, come accordato, trova il carrello ricolmo e coperto da un telo di iuta.
“Guarda chi c’è” una voce prorompente la blocca un attimo prima di superare la soglia.
Lei si volta di scatto, ma non vi è nulla di allarmante: sono solo due agenti che, imboscati dietro la caldaia, chiacchierano serenamente per sfuggire all’orario di lavoro decisamente dilatato in quel momento di particolare crisi.
“Salve, gente” esclama F.
“Da un bel po’ ormai non ti facevi viva” continua quello.
“Sai com’è, tra un impegno e l’altro” lei scrolla le spalle “a proposito, scansafatiche, datemi una mano” e indica il carretto un po’ troppo pesante per due sole braccia.
“Ci penso io” si fa avanti l’altro agente e, afferrando la maniglia, spinge con quanta forza ha nelle gambe per trascinare il carico sul terreno accidentato delle gallerie.
“Che c’è qui dentro?” ansima lui.
“Un po’ di giocattoli” spiega vagamente F, tirando il carro lateralmente.
“Di che tipo?”.
“Di quelli che fanno ‘ka-boom’. Ho persino pensato d'andare sul sicuro con un po' di Astrolite, ma il caro buon vecchio c4 è più che adatto al compito: la parsimonia è ormai la nostra più cara e severa alleata”.
“Finalmente ci muoviamo: scacceremo quelle bestiacce” afferma l’agente.
“Sarà un bello spettacolo. Vi consiglio caldamente di abbandonare quest’ala della base: non sarebbe piacevole trovarsi nei paraggi quando comincerà lo show”.
“Non preoccuparti di questo: sai che, una volta spinte le bestie fuori dai tunnel, noi saremo lì ad attenderle con le mitragliatrici”.
“Tenete pronte le munizioni: non devono mancare… ma non serve certo che ve lo ricordi io”.
Sono ormai giunti alla prima deviazione e F ringrazia l’accompagnatore che può così tornare alle sue questioni e, forse, abbandonare l’ozio per cominciare i preparativi.
Finalmente, F può scoprire il contenuto del carro, abbandonando il telo a terra: “C4 a me” reclama con tono trionfale e maneggia con cautela l’esplosivo accuratamente accatastato nel carrello.
Sono porzioni che contengono una dosata miscela chimica, in modo da ottenere reazioni prevedibili e ben calcolate.
Lei sa perfettamente dove posizionare ogni pacco e, man mano che li àncora al muro, attiva i timer per il conto alla rovescia.
In pochi istanti ha terminato la distribuzione dell’esplosivo e corre nel luogo prestabilito: la cava centrale, ossia un enorme salone scavato nella roccia viva dove un tempo accatastavano tutto il materiale estratto dalle miniere. Da lì si dipartono i passaggi sotterranei principali ed è in uno di essi che un grosso gruppo di bestie si è rintanato.

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Vi è ancora una vecchia impalcatura di legno ancorata all’alta parete rocciosa. Su di essa, sono appollaiate R e C.
Come vi siano arrivate è per lei un mistero, ma ora il suo problema principale è come raggiungerle: vi sono tre bestie appisolate sull’imboccatura del tunnel ed è un’impresa davvero ardua passarvi davanti senza farsi notare.
La pistola che ha nella fondina è silenziata, ma è un calibro troppo piccolo per poter eliminare quelle creature al primo colpo senza attirare l’attenzione delle altre: servirebbero tre proiettili in piena fronte solo per ucciderne una e le granate, sebbene non siano pericolose perché troppo lievi per importunare il C4 attivato dall’altra parte delle gallerie, sono decisamente poco discrete.
Nonostante ciò, impugna la sua arma e procede cauta, cercando di poggiare silenziosamente gli alti stivali di pelle sulla terra battuta.
Le bestie scuotono la coda come gatti nervosi e grugniscono nel sonno.
F è lieta che R e C si accorgano della sua presenza e invia loro ampi gesti con il braccio, chiedendo che le venga lanciata una corda per potersi legare e arrampicare fino a loro.
R storce il naso e scuote il capo: niente corda.
F deve arrampicarsi a mani nude. Piuttosto che starsene in bella vista davanti a quelle bestie, farebbe questo e altro.
Così inizia la scalata tra un’asta di legno e l’altra. È quasi giunta in cima quando la tubatura di ferro arrugginito su cui ha messo piede sfonda il foro di legno marcilento in cui è inserita e cade a terra con un gran frastuono.
Lei si avvinghia alle aste e le bestie si svegliano di soprassalto, ringhiando fameliche in cerca della fonte di disturbo.
Quando la scovano, si avvicinano all’impalcatura e le tre agenti cominciano a temere un possibile fallimento della missione.
“Bel lavoro” urla C a F.
“Non fare la saccente” risponde quella e indica i pali di legno rotti a terra “non so come siate riuscite voi due a salire fin qui senza farvi notare, ma avete causato ben più danni di me”.
“R ha fatto più danno di te: io non ho spostato un granello di polvere” replica C.
“Vi sembra il momento?” esclama R.
L’impalcatura viene scossa da un colpo infertole da una bestia esile ma particolarmente aggressiva.
“Fai qualcosa!” urla R ed F guarda affannosamente l’orologio, pregando che il tempo scorra più rapidamente.
“È ancora troppo presto” afferma di rimando.
“Presto per cosa?” si aggiunge C.
Un nuovo schianto, stavolta più potente, e l’impalcatura traballa in modo allarmante. 
F guarda l’orologio per l’ennesima volta e finalmente esulta. Con la sua unica mano libera, impugna il bazooka ancorato alla sua schiena e spara dritto sulle tre creature, quasi a bruciapelo, considerata l’altezza cui si trova e la potenza dell’arma.
Il rinculo nonché il calore dell’esplosione scaraventano F all’indietro ed è per pura fortuna se C riesce con incredibile agilità a sporgersi quanto basta per afferrarle il braccio.
All’interno del tunnel si sente un gran trambusto: le bestie si sono svegliate.
“Che diavolo ti è saltato in mente?” urla C.
“Sta a guardare” sogghigna F.
Appena le prime creature sbucano dalla bocca nera della galleria, fameliche e ruggenti, un boato scuote le miniere, come un tuono esploso nelle viscere della terra.
Le bestie sobbalzano impaurite e inciampano l’una sull’altra nell’affanno della sorpresa.
Pochi istanti e un’immensa vampata di fuoco inghiotte il tunnel.
È la prima esplosione del C4. A essa ne segue un’altra e un’altra ancora, terremoti spaventosi che gettano le bestie selvagge nel panico più totale. Molte tentano di insinuarsi in altre gallerie, ma l’esplosivo è stato posizionato con estrema precisione e finiscono con l’essere travolte dalle pareti di roccia che crollano, sopraffatte dal contraccolpo.
Nonostante ciò, ve ne sono ancora a centinaia nel salone principale che si avvinghiano e mugolano in preda al terrore.
L’incarico di F è di farle entrare nell’unico tunnel ancora stabile, quello che conduce all’esterno. Lì, carri armati e mitragliatrici aspettano l’avanzata delle bestie per poterle attaccare e neutralizzare. Seguirà la distruzione totale delle gallerie.
“Come facciamo a spingerli là dentro?” chiede R.
Senza rispondere, F estrae le tre granate che tiene nella tracolla e le lancia una dopo l’altra. I suoi denti, stretti sulle linguette delle bombe a mano, si schiudono in un sorriso di soddisfazione mentre le bestie corrono all’impazzata, scavalcando le decine di propri simili carbonizzati dalle esplosioni o ancora agonizzanti a terra per dirigersi all’unico tunnel dell’enorme miniera immune alle detonazioni.
“Missione compiuta” sogghigna F, traboccante euforico compiacimento.
“Che ne dici di salire?” ringhia C, la cui stretta si fa sempre più tremante, sorreggendo il peso della collega.
Dandosi una bella spinta, F riesce ad arrampicarsi fino al piano su cui sono accovacciate le altre due agenti.
“Complimenti, ce l’hai fatta” annuisce R.
“Il problema è un altro” replica F e il sorriso che ora ha sul suo volto è ben lontano dall’esultanza di poco fa. È piuttosto di amara rassegnazione ed R comprende ben presto perché: le scosse e le esplosioni sono state troppo violente per le vecchie pareti scavate nella roccia e l’intera cava sta crollando in pezzi.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


“Come usciamo da qui?” urla C per sovrastare il frastuono della frana.
“Non possiamo” risponde semplicemente F.
“Cosa?” esclama R.
“Non dire idiozie” si aggiunge C.
“Non facciamoci prendere dal panico” le zittisce lei “conoscevamo i rischi del nostro mestiere, le conseguenze cui poteva portare. Per una vita ci siamo preparate a questo”.
L’impalcatura cigola e oscilla e mantenere l’equilibrio sopra di essa è ormai difficile.
“Si può sapere dov’è V?” R fa appena in tempo a terminare la frase, sopraffatta dal chiasso infernale, e il soffitto della cava si sfonda, lasciando filtrare un gran fascio di luce dall’esterno.
Le tre si coprono la testa con le braccia per ripararsi istintivamente dalla pioggia di detriti e, quando rialzano lo sguardo, vedono una scaletta a corda sospesa nel vuoto proprio avanti a loro.
Guardano verso l’alto e vedono la sagoma di un elicottero ululante oscurare i raggi del sole.
“Grazie a Dio!” urla R e con un balzo si appende alla scaletta, salendo il primo tratto con grande rapidità per permettere alle altre di fare altrettanto e mettersi al sicuro.
Così fa F e anche C si prepara al salto, ma la piattaforma cede all’ennesima scossa e comincia a scivolare verso il basso.
Lei perde l’equilibrio e solo all’ultimo riesce ad avvinghiarsi a un’asta ancora conficcata nel muro.
Le due compagne, appese alla scala, la incitano a proseguire, a sbrigarsi prima che sia troppo tardi… a non costringerle ad abbandonarla. C sa che, piuttosto che fuggire, attenderebbero il suo arrivo finché sia troppo tardi persino per loro.
Con grande spinta delle braccia, si prepara a sollevarsi sull’asta, ma uno dei pali d’acciaio ancora vacillanti nell’esile scheletro ligneo viene investito da un masso franato e la colpisce in pieno stomaco. Le sue mani cedono e precipita.
Il panico di R e F si fa solido, ma solo per un istante perché, forte dei suoi innumerevoli anni di addestramento, C riesce ad afferrare una sporgenza della roccia, per poi issarsi con slancio su un piano dell’impalcatura. La scala non è lontana, ma è comunque troppo in alto per lei. Tuttavia non vi sono ulteriori appigli da sfruttare.
È rischioso, ma non vi è alternativa se non precipitare: si pone quanto più possibile sul bordo dell’asta e corre verso la parete di roccia. Riesce a fare qualche passo in verticale e darsi la spinta necessaria per saltare verso la scala sospesa nel vuoto quanto lei, in quell’attimo di pura adrenalina.
La sua mano si protende verso la corda e sembra davvero poterla raggiungere, ma lo spirito di C esulta troppo presto: le sue dita la sfiorano appena, poi vi è solo aria. 
È grazie alla prontezza di F, che con rapidità incredibile ha incastrato le gambe nella scaletta e si è gettata all’indietro, se la mano di C trova finalmente un solido appiglio.
Tirano un sospiro di sollievo solo quando mettono piede nell’elicottero e si abbandonano sul piano di metallo come frutti troppo maturi.
“Flagello d’Oriente, ora siamo pari” bofonchia F con il fiato corto.
“E lo stesso vale per me, Magnum Commander” prorompe una voce dalla cabina del pilota.
“Valchiria!” esclama F di rimando e le corre incontro “mai come ora sono stata tanto contenta di vederti” e le tira una forte pacca sulla spalla placcata di metallo.
“Lo credo bene, ma trattieni l’entusiasmo” ironizza l’altra.
“Non credevo che una medievale mancata come te sapesse pilotare un gioiellino come questo” si aggiunge R.
“Non farti ingannare dalle apparenze” replica V, risistemando il microfono delle cuffie di comunicazione “questo abito è per me solo un simbolo, un porta fortuna, e voi lo sapete bene”.
Infatti è risaputo, almeno tra loro tre, che all’inizio del cataclisma chimico V indossasse, per motivi trascurabili, quella bizzarra tenuta ed era stato grazie al suo finto tridente di polietilene che, per puro miracolo, l’aveva scampata. Da quel momento, aveva deciso di non abbandonarlo mai e se ne era creato uno tale da potersi considerare una vera e propria arma.
Ormai quello strambo apparire è proprio della sua persona: tutti la conoscono come tale e così è il loro gruppo.
I nomi in codice di Gemella Croft, Flagello d’Oriente, Valchiria dell’Apocalisse e Magnum Commander non sono certo stati assegnati loro per caso.
L'elicottero si alza, allontanandosi dall'orda di distruzione che ancora scuote la terra.
I rulli tonanti delle mitragliatrici imperversano.

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