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di Carooooool
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Claire. ***
Capitolo 2: *** Vicky. ***
Capitolo 3: *** Graham. ***
Capitolo 4: *** Claire II ***



Capitolo 1
*** Claire. ***


~ Claire



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Mi lavo minuziosamente le dita e cerco di rimuovere la china da sotto le unghie.
La cosa più difficile è riuscire a smacchiare la pelle.
Mi guardo le mani, tappezzate di colore sui palmi e scurite in alcuni punti dal caffè.
Mi piace da morire utilizzarlo per tingere le foto, nonostante con alcune i miei esperimenti non vadano sempre a buon fine. 
Dopo tutto il duro lavoro che ho svolto, il book fotografico di novembre è venuto benissimo.
Un senso di soddisfazione mi pervade, e mi perdo a giocherellare con l'acqua del rubinetto.
Guardo distrattamente la sveglia che sta sul mobile lì accanto e con stupore noto che sono già le 3.
Devo correre in biblioteca.
Infilo gli occhiali ed esco con passo deciso. Ha appena smesso di piovere, e l'aria profuma di temporale. 
Le persone sfrecciano sul marciapiede infagottate nei loro cappotti e avvolti nei loro maglioni. 
Mi piace guardare come si veste la gente, ne traggo ispirazione per modificare il mio stile; la maggior parte delle volte, ad esempio sulla metro, cerco di imprimere ogni individuo sulla carta.
Amo disegnare, il rumore della punta della matita o della biro sulla superficie porosa del block notes mi rilassa nel profondo.
In alternativa, quando nessuno mi vede, scatto loro delle foto. Devo farlo di nascosto, o chiederne esplicitamente il permesso, per non rischiare di immortalare qualcuno contro la propria volontà.
La maggior parte di questi scatti vengono raccolti in album, assieme a ricordi di vacanze, momenti o eventi accaduti in quel determinato mese.
Coloro che mi camminano a fianco sembrano estremamente interessanti, ma non posso soffermarmi troppo su ciò che mi circonda, non ora. 
Sistemo meglio la sciarpa e accelero il passo.
Il solstizio d'inverno è alle porte, nonostante ciò la neve non si è ancora fatta vedere, e la temperatura gira attorno ai sei gradi.
È una cosa miracolosa, in quanto tutti gli anni la città è imbiancata già da tempo.
La strada sembra sempre infinita quando si ha fretta. 
Finalmente intravedo la porta della biblioteca e mi faccio spazio tra i passanti. 
Sono in ritardo, cavoli.
Fisso il marciapiede, cercando di divincolarmi meglio.
Tutto questo dannatissimo ammasso di gente, santo cielo, spostatevi!
Proprio quando sto per aprire la porta, vado a sbattere contro una persona che stava per entrare, come me.
Il bottone del suo doppiopetto mi graffia appena sotto l'occhio destro, facendomi un male terribile.
Sento la pelle delicata scaldarsi immediatamente, bruciare e pulsare leggermente.
-Aih! - esclamo tra me e me. 'Che diamine, ma guarda dove vai' penso nervosa. 
Delle mani fredde si appoggiano sotto il mio mento, facendo segno di alzare la testa e lasciandomi dei brividi lungo la schiena.
-Mio dio, mi perdoni! Le ho fatto tanto male? Non l'avevo vista, sono mortificato. - 
L'uomo contro cui mi sono schiantata sta facendo di tutto per aiutarmi, ma sono così di fretta che cerco di liquidarlo il più velocemente possibile.
Non riesco a vederlo in faccia, con un occhio chiuso e l'altro lacrimante. 
-Non si preoccupi è solo un graffietto. Mi perdoni sono in ritardo. - farfuglio mentre spingo la porta.
Attraverso a grandi falcate l'ingresso spazioso della biblioteca, fino a raggiungere la tromba delle scale. Mi asciugo con la mano l'occhio sano, e salgo gli scalini in fretta e furia.
Judith mi aspetta al bancone, impaziente.
-Dovresti ingoiarlo quel dannatissimo orologio, almeno una volta arriverai puntuale.- esclama.
-Hai ragione scusa, uno scemo non guardava dove stesse andando e mi ha ferito l'occhio, per quello sono in ritardo- rispondo.
-Fa vedere - dice 
Apro delicatamente la palpebra destra e avvicino il viso al suo.
- È solo un piccolo taglio, Claire, nulla di grave. Forza, aiutami a sistemare quei registri.- indica la pila di fogli e cartelle cosparsa sulla scrivania, ignorando la mia espressione dolorante.
Decido di fare come lei e mi metto scrupolosamente a svolgere il compito.
Di solito vado in biblioteca principalmente per studiare, ma ogni tanto dò una mano a Judith a sistemare le scartoffie e tutto il lavoro arretrato che la sua collega Mary lascia spesso e volentieri. 
Con i soldi che ci guadagno arrotondo l'affitto, sempre più alto.
Mi immergo nelle carte fino alle cinque, quando i fogli impilati si esauriscono. 
- Abbiamo molto altro da fare oggi, ma puoi andare a prenderti un caffè qui giù.- mi concede Judith.
-Ne vuoi uno anche tu?- chiedo
Lei annuisce, intenta a battere sulla tastiera del computer.

Nella caffetteria della biblioteca aleggia un profumo delizioso di caffè, panna e brioche.
Ordino i due caffè e attendo.
Sulla sedia poco distante da me vedo appoggiato lo stesso giaccone a doppiopetto nero che mi ha colpita poco prima. 
Un ragazzo, probabilmente di qualche anno più grande di me, vi si siede, ma non riesco ancora a vedere il suo viso. 
Ha i capelli scuri leggermente mossi, lunghi fino alle orecchie. Indossa un maglione a dolcevita blu che contrasta con la pelle chiara del collo. 
Ricordo distrattamente la sensazione delle sue dita fredde sul mio mento.
- Signorina, i suoi caffè- richiama stizzita la ragazza da dietro al bancone. 
Probabilmente non è la prima volta che cerca di catturare la mia attenzione.
- Oh, sì, scusi.- dico mentre afferro i due bicchieri di carta bollenti.
Gettando un'ultima occhiata al tavolo del ragazzo, mi allontano.

Quando entro nell'appartamento, la calma della casa rimuove il tremore provocato dall'aria invernale.
Mi spoglio e apro il rubinetto della vasca. Un bel bagno spumoso è quello di cui ho bisogno. 
Mi levo gli occhiali in tartaruga e libero dall'elastico i lunghi capelli biondi.
Allo specchio posso vedere con attenzione che il graffio, lungo circa tre centimetri, ha già fatto la crosta e si sta già rimarginando. In poco tempo non rimarrà nemmeno il segno.
Mi spoglio e saggio l'acqua con un dito per sentire se è calda.
La temperatura del bagno è perfetta e disciolgo una pallina di sali profumati nella schiuma.
Lascio aperto il rubinetto in modo da riempire la vasca, e mi immergo, facendo scivolare la testa sotto la superficie di bolle.
I miei piedi nudi vengono investiti da un fiotto di acqua gelata, e in pochi secondi mi ritrovo a tremare.
Emergo annaspando e allagando la stanza con gli schizzi. 
- Maledetto- sussurro contro il pavimento.
Il signor Malloy, l'anziano proprietario che abita sotto di me, ha la brutta abitudine di spegnere la caldaia dalle 7 in poi, orario in cui va a dormire, lasciandomi con i brividi fino al momento in cui mi addormento. 
La giornata è stata stressante, i miei muscoli avevano un gran bisogno di rilassarsi e la mia testa sta andando in pallone.
 Il ticchettio della tastiera, l'odore del liquido per sviluppare le pellicole, l'ammasso compatto di persone davanti all'ingresso.
E ora pure il bagno.
Tutto ciò mi provoca una fitta lancinante alle tempie e un senso di nausea..
 Con tutto quello che gli pago, lui ha pure il coraggio di lasciarmi al freddo.
Non sono mai stata una persona violenta, ma mi scopro con le mani che prudono.
Avrei proprio voglia di mollargli un ceffone.


~ Angolo dell'autrice.
Salve a tutti. Ci tengo a dire che le foto presenti nella storia non sono mie. La modella nella foto è infatti Clair Westenberg, ed è esattamente come Claire si presenta nella mia mente.
Spero che il capitolo vi piaccia e che proseguiate nella lettura, le recensioni sono molto gradite :)
Carol.

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Capitolo 2
*** Vicky. ***


~ Vicky

'Ciaf '
Lo schiaffo arriva diretto e sonoro sul mio viso, sento la pelle tendersi e formicolare.
Così svelto che non realizzo; come quando da piccola mi levavano un cerotto. O un dente. L'unica differenza è che Sunny è terribilmente arrabbiata, mentre il dentista non lo era.
Le lacrime le si accumulano ai lati degli occhi arrossati, facendo risaltare il bellissimo blu dell'iride. Il mento le trema, e le labbra carnose sono socchiuse. Quelle bellissime labbra che fino a poco fa potevo baciare.
-Me ne vado, subito.- sentenzia sottovoce.
Questa volta l'ho fatta arrabbiare davvero. 
Faccio per allungare il braccio verso di lei ma si gira bruscamente e si dirige verso la nostra camera. Da sotto il letto tira fuori un borsone e lo riempie lanciandoci dentro i vestiti.
- Non avvicinarti! - mi urla quando cerco di raggiungerla. - Vicky, è finita!
Mi sento gelare. Molte volte ha minacciato di andarsene, ma non aveva mai pronunciato quelle parole.
- Sunny non dire così. Mi dispiace, davvero. - sussurro. Sento che sto per piangere.
Non posso fare altro che osservarla gettare i vestiti dentro alla borsa con fare rabbioso; non posso fare altro che guardarla mentre se ne va. Mi passo le mani nei capelli scompigliati. 
Quando si avvicina alla porta si ferma, in attesa che mi scosti, ma non ho intenzione di muovermi di un passo. Realizza e con rabbia scivola tra me e lo stipite della porta. Riesco a bloccarla afferrandole un braccio.
- Lasciami!- urla, strattonando via la mia mano - Vicky non capisci proprio, eh?! Sono stufa di sentirmi una merda! Ora i tuoi genitori saranno contenti di sapere che la morosa lesbica di loro figlia se ne è andata! Mi hanno sempre reputato uno schifo, un rifiuto! L'orribile causa della tua conversione! Come se essere gay fosse...un reato! Basta Vicky mi sono rotta! Rotta, hai capito!? - grida nella mia direzione.
Resto inerme come una stupida, non avendo nulla da dire. Ha ragione, è vero. 
I miei genitori, sempre stati chiusi e religiosi, non hanno mai tollerato il fatto che avessi una fidanzata, invece che il classico ragazzo che ogni parente si aspetta per la propria figlia. E quindi la incolpavano della mia omosessualità. È sempre stata delicata la questione, come se non potessero accettare che in realtà ero io ad essere gay, e che la colpa non era proprio di nessuno. All'ennesimo invito a cena rifiutato, Sunny è scoppiata.
-Sempre una scusa - continua lei - ma la verità è solo una! Che gli fa SCHIFO anche solo pensare di entrare in casa nostra! Ecco la verità! E la cosa ancora più penosa è che tu li difendi! Mai che mettessi una buona parola per calmarli, per far loro cambiare idea, mai! E mi  sono sempre trovata IO a mandare giù la pillola amara, non tu!-
È furiosa, il pianto la costringe a fermarsi a riprendere fiato, e le sue accuse vengono interrotte dai vari singhiozzi.
Non mi sono mai sentita così stupida. Ha ragione. Ha davvero ragione, non riesco a pensare ad altro. Desidero non aver mai pronunciato quelle parole: 'Sunny, avranno i loro buoni motivi. Non arrabbiarti.'
Mi sento sprofondare lentamente; non l'ho mai difesa, e quello schiaffo me lo meritavo.
Quando finisce di prendere le sue cose dal bagno, si infila frettolosamente le scarpe e apre la porta d'ingresso. La guardo inerme, mentre tira su con il naso e si asciuga rabbiosamente la guancia. 
'Prenderà freddo' penso. Indossa una semplice canotta e un paio di jeans, fuori sono già le otto e ha smesso di piovere da poche ore. I lunghi capelli corvini si muovo in onde voluminose, il viso arrossato contrasta con l'intensità degli occhi azzurri. 
- Addio, Vicky- sussurra.
- Sunny ti prego...- cerco di fermarla, ma la vedo muoversi sinuosamente scivolando oltre la porta di casa.
Il tonfo del legno contro la serratura mi fa crollare, e mi inginocchio sul pavimento.
È andata, è andata per davvero. 


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~ Angolo dell'autrice
Chiedo scusa in quanto il capitolo risulta davvero molto corto. È una presentazione generale della seconda protagonista.
Prometto che per rimediare aggiornerò prima del previsto.
Carol :)
P.s. La ragazza nella foto è Sky Ferreira, e assomiglia più o meno alla Vicky che abita la mia mente.

 

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Capitolo 3
*** Graham. ***


~ Graham


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- È andata!- mi informa Jamie dalla cucina.
- Davvero amore?- le chiedo a voce alta. Sistemo la giacca nera sull'appendiabiti e la raggiungo.
- Ciao cucciola... - le sussurro nell'orecchio quando si avvicina a me e mi bacia il collo.
Le metto le mani sui fianchi e mi stringe.
Dopo un piccolo buffetto sulla guancia si scosta e mi mostra soddisfatta la macchina del caffè.
-Guarda! Ci sono riuscita, ora al mattino il caffè sarà d'obbligo, e potrai prenderlo direttamente a casa - mi sorride.
Sembra un cagnolino scodinzolante, tanto è entusiasta. 
I capelli corti e castani sono perfettamente tagliati nel caschetto liscio che le arriva poco sopra le spalle.
Le stampo un bacio e le sorrido raggiante. - Certo- dico.
Vedo che ha già preparato degli spaghetti saltati e la cheescake è in forno. 
- Prendo le posate e mangiamo- dice. 
Apro il frigorifero e tiro fuori la birra ghiacciata. Mi rendo conto di quanto sia assetato quando sento la condensa fresca sulla mano. La sensazione è simile a quella che mi è capitata oggi, di brividi lungo la schiena, mentre...
 - È pronto! - mi richiama Jamie, interrompendo i miei pensieri.
Seduti a tavola, una di fianco all'altro, mangiamo in silenzio. Molti dicono che la convivenza smorzi il desiderio e l'amore, ma non è affatto così, almeno non nel nostro caso. Almeno credo. 
Si scosta una ciocca di capelli dietro l'orecchio, mostrando l'orecchino di perla.
- Com'è andata al lavoro?- chiedo, notando un'enorme macchia blu che si estende sul suo lobo e poco più sotto.
-Oh, abbastanza bene grazie. - risponde con sguardo assente.
- Davvero? - insisto, indicando la chiazza di colore con un movimento della testa.
- Kevin mi ha lanciato dell'inchiostro. - sorride debolmente, come a scusarsi. Il lavoro di maestra d'asilo fa si che ogni tanto torni a casa sporca di qualche pittura strana.
- Qualcosa non va?- ingoio una forchettata di spaghetti, deliziosa.
- No, solo un po' di stress credo - dice lei, posandosi una mano sulla spalla.
Annuisco, mentre finisco la cena.
Prima di andare a letto vado in bagno per lavarmi i denti. Mi vedo riflesso nello specchio; la pelle chiara sembra giallognola a causa della luce delle lampadine, e le occhiaie sono evidenziate. Passo una mano nei capelli che mi coprono in parte la fronte, sistemandone alcune ciocche. 'Sono troppo lunghi' continuo a ripetermi mentre spazzolo i denti e mi riempio la bocca di schiuma.
-Grah, quante volte devo dirti di chiudere il tubetto di dentifricio?- mi richiama Jamie.
Sputo nel lavandino e, dopo essermi sciacquato, la afferro per la vita cogliendola di sorpresa.
-Jam, quante volte devo dirti di chiudere il becco?- scherzo.
Scoppia a ridere e mi bacia, con un'espressione spensierata, come se lo stress di poco prima fosse svanito. Forse aveva solo bisogno di questo.

Quella sera facciamo l'amore. 
Jamie è sempre così perfetta, in tutto e per tutto; dal suo sorriso contagioso alla sua gentilezza. È impossibile non amarla, e non potrei immaginare compagna migliore. Il cuore mi si riempie di gioia mentre la guardo respirare piano nel buio della notte. Le bacio  delicatamente la testa, poi mi giro dall'altra parte con cautela.
Il cuscino è fresco sulla pelle sudata, lasciandomi un qualcosa di famigliare e al tempo stesso piacevole. 
È come la condensa della birra.
È come il viso freddo della ragazza bionda che si è ferita contro la mia giacca quel pomeriggio.
La fantastica sensazione di una scossa lungo la spina dorsale. 



~ Angolo dell'autrice ~
Lo so che anche questo capitolo è corto, ma dovevo in qualche modo presentare rapidamente i tre protagonisti. 
Prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi!
Grazie per il tempo che dedicate a leggere questa storia, anche se siete in pochissimi :)
Carol.
P.s. Nella foto è Alexa Chung, come Jamie.

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Capitolo 4
*** Claire II ***


~ Claire

La spina dorsale riceve una scossa. 'Fottuto pavimento freddo'. 
Dopo essermi infilata nel letto ieri sera mi sono addormentata a fatica, mentre il mio corpo era scosso da tremiti inarrestabili. Questo è davvero troppo, andrò a parlargli più tardi. Nonostante la temperatura esterna sembra essersi abbassata decido di indossare la blusa larga bianca che mi ha regalato mia madre qualche anno fa. Mi piace la sensazione che mi dà sulla pelle la mattina, come un abbraccio delicato. Decido di saltare la colazione come tutti i giorni e, dopo essermi infilata di corsa e distrattamente le scarpe, mi fiondo nella tromba delle scale. La porta del signor Malloy è di un legno scuro, grossa e dall'aria pesante, il che mi mette sempre in soggezione. Con un dito premo il campanello per qualche secondo. Non ho pensato all'ora, men che meno alla possibilità che l'anziano stia ancora dormendo. Forse avrei dovuto prestare un po' più di attenzione, infondo avrei potuto parlargliene anche più tardi. I sensi di colpa e le titubanze mi inondano, lasciando il dito incerto vicino al pulsante dorato. Attendo, ma non sento nessun rumore provenire dall'interno. Tutto ciò mi porta ad un moto di dolcezza, e immagino il povero signore anziano che si alza dolorosamente, che arranca fino alla porta d'ingresso. E se invece fosse arrabbiato e non volesse sentire le mie lamentele? E se mi minacciasse di sfratto? Non ho ancora nessuna risposta e comincio a sentirmi stupida lì impalata di fronte alla porta. Avrei riprovato poco dopo. 
Quando faccio per risalire, sento la porta muoversi e aprirsi molto lentamente. Il signor Malloy si affaccia, perfettamente vestito, sbarbato e con la pipa in bocca. Mi guarda con sufficienza, e la sua espressione mi fa capire che la mia visita è decisamente indesiderata. Tutti i pensieri dolci di prima si riavvolgono come una cassetta guasta. Era già sveglio, quel bastardo.
- Ehm, salve signor Malloy. - accenno, mentre mi sfrego le mani nervosamente.
L'uomo mi fissa in attesa di una spiegazione.
- Volevo solo avvertirla che ho notato che...- continuo incerta. Ecco, sempre così. Leone prima e coniglio dopo, quando mi blocco come ora. Inspiro profondamente.
- Ho notato che dalle ore sette, il riscaldamento e l'acqua calda si spengono, e io avrei davvero bisogno di un bel bagno caldo, ma mi risulta impossibile farlo.- dico tutto d'un fiato.
L'uomo si accarezza i baffi e si aggiusta gli occhiali.
-Oh, sì sì lo so.- risponde. -Alle sette io vado a dormire, e non posso tenere la caldaia accesa tutta la notte. - Spiega impassibile. Lo guardo, come se mi stesse tirando scema.
- Ho capito signore, ma io vorrei lavarmi con acqua calda. - insisto.
Alza le sopracciglia e muove il naso. L'impassibilità di questo uomo comincia a infastidirmi.
- E lo faccia.- dice. Mi trattengo dal roteare gli occhi. 
- No, non so se ha capito, ma io torno a casa per le sette, e se a quell'ora lei mi toglie l'acqua calda, io non posso lavarmi. Le sto chiedendo di lasciarla accesa ancora un'ora prima di chiudere il tutto. - spiego come se stessi parlando ad un bambino.
Dall'interno il telefono suona. Lui si volta lievemente ma lo ignora, e prende a fissarmi, di nuovo.
- E torni a casa prima, no? - dice in tono leggermente canzonatorio. Sì, mi sta proprio prendendo in giro . Il suono assordante e ripetitivo del telefono mi irrita sempre di più.
- Mi scusi bene, ma io le pago l'affitto tutti i mesi in anticipo. Le sto chiedendo dell'acqua calda, Cristo!- dico esasperata. 
Si volta di nuovo verso l'interno con il suo tipico fare da tartaruga.
- Mi scusi lei, sa, il telefono suona, devo rispondere - conclude, chiudendomi la porta in faccia. 'Fanculo', impreco nella mia testa. Come se non ci fossi neanche stata. La rabbia si accumula nelle mie mani come la sera prima. Arrabbiata, con lui e con me, che non mi mostro mai decisa, che mi lascio mettere i piedi in testa e poi me la prendo. Perché non mi merito questo trattamento, non con i soldi che gli dò ogni mese. Risalgo rumorosamente le scale, infilo la giacca e prendo la borsa. Devo correre a lezione, e non posso fare tardi. 

Scendo velocemente le scale della metropolitana. Sono leggermente in anticipo, e vedo altra gente che si avvicina alla fermata. Mi sposto di fianco alla parete, schiacciata dai soliti turisti. Una città caotica come New York non è affatto adatta a una persona come me, che preferisce starsene nella calma. Sopra la mia spalla vedo svolazzare un piccolo volantino con delle frange di carta attaccate sotto. La scritta 'Cerco Appartamento' cattura la mia attenzione, e pur di non stare faccia a faccia con la schiena sudata di un signore sovrappeso, decido di girarmi e leggere cosa dice. Il tutto è scritto con una calligrafia grossa e tondeggiante, a semplice biro nera. È di una ragazza che cerca un appartamento da dividere con un coinquilino, e che per maggiori informazioni posso chiamare il numero scritto sotto. La parte finale del foglio è tagliata in frange, e su ognuna è appuntato il contatto. Fisso i foglietti per alcuni secondi. Non avevo mai pensato ad un inquilino, mi avrebbe aiutato molto. Potrei spostare tutti i miei attrezzi nella camera di sviluppo, e aggiungere un divano letto. In ogni caso, l'appartamento è tanto grande quanto costoso, ed è nato come bilocale. Avevo tanto insistito per avere un posto spazioso tutto mio per il laboratorio di fotografia, ma le mie necessità sono cambiate e posso rinunciare ad una stanza e a un po' di intimità.
Sento il rumore della metro in arrivo, e l'aria spostata dal mezzo fa svolazzare le frange di carta. Senza pensarci due volte ne afferro una prima di essere spinta verso l'entrata. Mentre entro nel posto angusto schiacciata da tantissime persone, mi soffermo a fissare il piccolo foglietto tenendolo tra le dita. In ogni caso, se con lei non avesse funzionato, sarei subito corsa alla ricerca di un nuovo coinquilino. 

Il rumore dei passi sul marmo della biblioteca riecheggia in tutto il salone. Sono rilassati, abbastanza distanti, qualcuno con gambe molto lunghe. Il suono si fa sempre più vicino, e mi ricompongo, tirandomi su a schiena dritta dalla sedia con le rotelle. 
Velocemente elimino i pacchetti di cracker dalla scrivania e sistemo il disordine dei fogli da sopra il bancone. Senza farlo apposta me li rovescio maldestramente addosso, provocando un fruscio terribile. Mi piego a carponi per raccoglierli, quando i passi si fanno sempre più vicini. 
-Serve una mano?- chiede una famigliare voce maschile. Sento il mio viso avvampare al pensiero che gli sto mostrando il mio fondoschiena da sotto la scrivania. Ci penso su due volte prima di girarmi, e decido che per evitare ulteriori figuracce sarebbe meglio non mostrargli anche le mie gote color pomodoro. 
-Nono, si figuri! Sono parecchio maldestra, lasci fare a me!- mi affretto a rispondere. 
Faccio per allungare un braccio e aggrapparmi alla scrivania quando mi trovo bloccata con la testa tra la sedia e il ripiano. Una risatina sommessa proviene dal tizio che sta dietro al bancone, il che non mi aiuta affatto e mi mette ancora più in imbarazzo. La mia mente si riempie di un mare di imprecazioni, che per fortuna non raggiungono la bocca. 
-Avrei bisogno della toilette- spiega - quella del Conservatorio è guasta. 
Il suo tono di voce lascia trapelare un sorriso divertito. Respiro profondamente.
-Infondo sulla sinistra- dico.
- È davvero sicura che non le serve una mano? -chiede di nuovo.
- Sicurissima, grazie comunque.- Santo Cielo, non può semplicemente andarsene!? Finalmente sento i suoi passi allontanarsi in direzione del bagno. Quando acciuffo l'ultimo foglio, riesco ad alzarmi. Il desktop riflette il mio viso rosso incorniciato da un ammasso di capelli biondi. 
Mi sistemo velocemente pettinandoli nella solita coda disordinata e riprendo a respirare regolarmente. Dò un'occhiata ai miei skinny aderenti neri a vita alta. Sono terribilmente trasparenti quando sono tesi, e non oso immaginare l'espressione del ragazzo quando avrà notato le mutandine colorate. Affondo la faccia nelle mani con tanta violenza che mi levo la crosticina sotto l'occhio. Una piccola goccia di sangue riprende a scorrere lenta e calda lungo la guancia. La blocco con un fazzoletto appena leccato, per cicatrizzare. Le imprecazioni nella mia testa cominciano a confluire una ad una verso la mia lingua, che le lascia uscire in un leggero sibilo.
Perfetto, un'altra giornata di merda.

Sembra così piccina nascosta tra il palo e il signore alto che le sta di fianco. Digita insistentemente con le dita sottili sullo schermo del suo tablet. La sua espressione dietro agli spessi occhiali rotondi mostra tutta la concentrazione che sta mettendo in quello che fa. I piccoli occhi a mandorla si fanno ancora più sottili e le sopracciglia nere si corrucciano quando ferma le sue dita e resta in attesa. Un grande sorriso si apre sul volto della ragazza asiatica, e la sua pelle si illumina della luce dello schermo. Saluta calorosamente una sua cara amica, da quello che posso capire. Sembra così entusiasta. Probabilmente sta facendo una specie di videochiamata, nonostante in metro sia praticamente impossibile utilizzare la rete. Non posso sentire cosa la sua amica le stia dicendo, ma lei risponde con tono felice e sembra che non veda l'ora di vederla. Poi il suo viso si rabbuia, e poco dopo riprende a smanettare sul tuch screen dell'oggetto. La connessione si è interrotta. Aspetta un paio di attimi, ma infine rinuncia, scrollando le spalle.
Sul suo viso resta però la sensazione di felicità per aver trovato qualcuno che la completi; di sentirsi a casa già solo dopo aver parlato con un'amica cara, di sapere che la stessa cosa vale anche per lei. Vedo annidarsi le sue emozioni sulle labbra tese, sulle fossette, sulle palpebre chiuse. 
Non è strano che mi metta a fissare le persone sulla metropolitana. Mi immedesimo in loro, nella loro vita. Rubo pezzi di anima negli occhi dei passanti, mi innamoro di un'occhiata, di un battito di ciglia; vivo grandi dolori nei sospiri, gioisco in una risata, provo sollievo o malinconia in un sorriso mesto. 
Questa volta però è diverso, nonostante la grande felicità della ragazza cinese seduta di fronte a me, provo un senso di solitudine assoluta.
Io non ho una persona sicura, con cui mi sento a casa. Non ho una persona-rifugio, nessuna prima scelta, nessuno che sceglierebbe me per prima.
E poi arriva, come una cannonata al cuore. Io sono sola. 
Il mio sguardo scende abbattuto sulla tasca della mia giacca. Fuoriesce un piccolo angolo di carta bianco. Lo afferro distrattamente e lo faccio roteare tra le dita. Il senso di solitudine continua ad investirmi a grosse ondate, come un mare in tempesta. Non potrei proprio tornare a casa ora, sapendo che non ho nessuno che mi aspetta. 'Indipendente', penso, ricordandomi cosa continuavo a ripetere quando avevo deciso di vivere per conto mio. Ma chi voglio prendere in giro, su. Io sono fottutamente sola, porca vacca.
Metto a fuoco le mie mani, cercando di mandare giù il magone che mi cresce in gola. Il biglietto con cui giocherello si tratta del numero di telefono che ho staccato stamattina dalla metro, quello della ragazza che si offriva come inquilina. 
Come una piccola barca in mezzo ad una mareggiata, sento nascere in me un senso di speranza. Devo trovare qualcuno che funga da rifugio, che magari non sarà lei, ma almeno devo provarci. 


"Sta squillando" penso, mentre sento il famigliare 'tu-tu' del telefono. Sono immersa nella mia vasca di acqua tiepida, e aspetto trepidante che la ragazza senta la suoneria.
-Pronto? - una voce risponde. È squillante e in attesa, come me.
-Sì pronto, salve, è lei la ragazza che si offre come coinquilina?- chiedo dopo essermi schiarita la gola.
- Sì sì, sono io! - sento la speranza nel suo tono.
- Sono Claire Williams, e volevo parlarle a proposito della sua richiesta. Ho trovato un volantino stamattina, e così ho deciso di chiamarla - 
- Io sono Sunny Jackson, la ringrazio davvero tantissimo. Sarebbe disposta ad incontrarmi? Magari per un caffè e parlare con più calma, che ne dice?
- Dico che sarebbe davvero magnifico, miss Jackson. Cosa ne pensa di giovedì?- propongo. Avrei tranquillamente detto a Judith che avevo un impegno importantissimo a cui non potevo proprio rinunciare.
-Perfetto. Le va in centro, magari nel primo pomeriggio? La chiamo io poi domattina, dandole tutti i dettagli.- la sua voce è un po' tremante, e non riesco a sentirla benissimo.
-Sì, certo. Grazie mille, a domani!- saluto.
-Si figuri, grazie a lei. A domani! 
Riattacco. 
Appoggio il cellulare sul mobiletto di fianco alla vasca, e affondo dolcemente nella schiuma. 
Quando ero arrivata qui a New York due anni fa, mi sentivo con il mondo in mano. Non avevo frequentato tutto il college, dopo il secondo anno avevo mollato. I miei erano abbastanza seccati, in quanto ero sempre stata un'alunna modello. Non so come, qualcosa era scoccato in me e mi ero semplicemente ritirata. Avevo scelto giornalismo, ma ogni qual volta che potevo inforcavo la macchina fotografica e mi abbandonavo a quella meraviglia. L'università era quello che chiunque si sarebbe aspettato da me, la tipica ragazza che prendeva sempre A, ma non io. Mia madre capì, ma non fu lo stesso per mio padre, che mandò giù la cosa come una pillola amara. Le nostre disponibilità economiche non erano cattive, anzi, potevamo ritenerci abbastanza agiati. Figlia di avvocato e businessman, non potevo affatto lamentarmi.  Una volta deciso di trasferirmi qui, potevo sentirmi finalmente 'indipendente'; fuori dai voleri dei miei genitori, fuori dall'essere la studentessa modello che mi era sempre stato imposto. Avevo diversi soldi messi da parte, e così ho cominciato un corso di fotografia, seguendo finalmente la mia passione e impegnandomi al massimo per ottenere risultati eccellenti. Ha fruttato parecchio, in quanto ultimamente venda sempre più book fotografici, e ho alcuni clienti che mi cercano spesso. Per un po' ho lavorato anche come free lance. Ogni tanto vendo ancora qualche articolo, ma ultimamente sempre meno. Beh, poi c'è la biblioteca, che mi aiuta ad arrotondare a fine mese. 
 In ogni caso, mi sentirei davvero uno schifo a dover ricorrere all'aiuto dei miei genitori. 'Hai voluto la bicicletta, ora pedala!' continua a urlarmi nelle orecchie una vocina insistente ogni volta che ci penso. Non ho completato gli studi e quindi è giusto che metta tutto il mio impegno nel rendermi autosufficiente. 
L'appartamento in cui sto in affitto è molto bello; cinque stanze, due camere da letto, nonostante una sia una specie di mio studio, un salone con cucina molto spazioso, il bagno e una piccola stanza in cui preparo i miei book. Non costa molto, i mobili sono tutti miei, compresa la cucina e l'arredamento del bagno. 
È una piccola bolla felice nel caos della città. È molto luminoso, dà un senso di tranquillità in grado di sciogliere i nervi, ma anche di solitudine. 
Ripenso alla voce radiosa di Sunny, che sembrava esplodere di felicità. Era tremante, quasi grata. Tra qualche giorno non sarò più sola.
Muovo l'acqua saponosa attorno a me, mi ci immergo completamente. Espiro pian piano, lasciando che le bolle d'aria ne formino altre di schiuma. 
Chiudo gli occhi e mi cullo dolcemente.

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