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di _IWantAnIceCream_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Robbie&Penny ***
Capitolo 2: *** Immanuel&Nadiya ***
Capitolo 3: *** Charles&Ophélie ***
Capitolo 4: *** Ben&Jodie ***
Capitolo 5: *** Sasha&Iris ***
Capitolo 6: *** Lars&Penny ***
Capitolo 7: *** Thor&Lars ***



Capitolo 1
*** Robbie&Penny ***


A te, che mi sopporti sempre e comunque per tutte le mie idee pazzoidi e le mie mille paranoie.
A te, che non mi dici che ho rotto troppo le scatole anche se effettivamente non mi reggo più nemmeno io.
A te, che mi dici che mi vuoi bene sempre e comunque, nonostante sai che lo so benissimo, ma me lo ripeti lo stesso perché sai che ho bisogno di sentirlo.
A te, che sei la mia migliore amica.
Buon sedicesimo compleanno, Ire.

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Rob(ert)bie Kennedy e Pen(elope)ny Hill: "Happy Birthday, Robbie!"



 
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Caro Robbie,
 
non ho esattamente un’idea chiara del perché io ti stia scrivendo una lettera, ma, se incrociamo le dita, forse il senso spunterà sul foglio da solo fra qualche rigo – o forse non lo farà, ma sai che le cose senza senso sono, in effetti, le mie preferite.
E ce ne sono tante di cose senza senso a questo mondo. Prendi le persone, ad esempio. Le persone sono strane, perfino assurde – e con questo non voglio insultare nessuno, ovviamente, sono io la prima ad essere fuori di testa.
Ognuno, alla fine, anche il più serio, è assurdo, a modo suo: come le persone che vanno in pizzeria ed ordinano una pizza senza mozzarella. Ed io mi chiedo perché lo fanno. Beh, ho capito che ti piace così, ma cos’è la pizza senza mozzarella? – forse qualcosa di meno calorico, in effetti, è vero.
Ma non guardare me, io trangugio caramelle! E spesso tu mi fai compagnia, devo ammettere che sei un orsetto gommoso fuori e dentro.  Mi fai anche più compagnia di Thor a mangiare caramelle e guardare cartoni animati, e Thor ha quasi nove anni.
Rileggendo queste ultime frasi mi sorge un piccolo dubbio, lo devo ammettere: dici che facciamo così schifo? Secondo me siamo semplicemente fantastici, dai.
Dove li trovi un altro paio di adulti – che brutta, brutta, bruttissima parola – che si estraniano – scriverò quasi, nel tentativo di salvarci la reputazione ormai irrecuperabile – completamente dalle riunioni di quello che dovrebbe essere lavoro, per poi venire richiamati all’ordine, fissarsi per due secondi negli occhi e dire: “Pizza!” all’unisono? – quella volta è stata epica. 
Probabilmente ci siamo solo noi.
Dimostra anche che abbiamo una sorta di connessione astrale, o qualcosa del genere: ci capiamo al volo praticamente sempre – e no, la cosa non è per niente preoccupante –, forse è perché siamo abbastanza simili per avere gli stessi pensieri che ci frullano per la testa.
So che le persone possono pensare che siamo più o meno sbagliati.
D’altronde, dovremmo imparare a crescere, no? 
Che pizza, però, crescere. Me lo dicono da una vita, eppure sono ancora qui.
Ho ventisei anni scherzavo, ventisette, ma diciamo ancora ventisei, per favore per favore per favore! , ed ho una vita intera di fronte a me – ammetto che da piccola pensavo ai trent’anni come l’estrema vecchiaia, okay…e con “da piccola” intendo esattamente dieci anni fa –, penso che avrò tempo per crescere, no? E se non crescerò, beh, pazienza. Perlomeno non dovrò essere vittima delle paranoie che assillano il mondo delle persone propriamente adulte.
Penso proprio di essere l’eterna bambina, comunque, o almeno è quello che dice mio fratello Bran, e la cosa non mi dispiace per niente.
Dovresti iniziare a chiamarmi Peter Pan – o Petra Pane, se vogliamo optare per qualcosa di più femminile – quando mi vedi passare per i corridoi e raggiungerti saltellando per attaccarmi al tuo braccio!
Oppure no, se non vuoi.
Però d’ora in poi sappi che io sono quel cosino vestito di verde che vola e che insegue la sua ombra perché l’ha persa lottando contro i pregiudizi degli adulti che lo vogliono fare crescere. E che rimarrò sempre così.
Se vuoi, puoi fare la Wendy della situazione – sempre per rimarcare l’amore che nutro per te vestito da donna, ovviamente –, ma onestamente, non penso che faccia per te: ti ci vedo di più come il compagno d’avventure del cosino verde, una montagna abbracciosa che riporta il sorriso sulle lande desolate dei corridoi scolastici.
Mio figlio potrebbe perfino scriverci una favola su questa cosa, se gliene parlerò. L’idea gli piacerebbe…forse dovremmo parlargliene insieme, non so perché, ma penso proprio che sarebbe divertente. Forse Thor non è James Matthew Barrie, ma qualcosa di carino potrebbe uscirne.
E lui, come sono certa che farà, immaginerà noi due con indosso una calzamaglia ed una tunica verde dai bordi frastagliati, il tutto che fa pendant con un cappellino in testa e delle scarpette a punta, che combattiamo il mondo degli adulti con il sorriso stampato sulla faccia e senza tirar fuori nessuna spada.
So di per certo che, inoltre, correrà da me dicendomi che “Sarebbe un ottimo film!”, e ci costringerebbe a vestirci a quel modo ed a recitare per i suoi filmini, così che, quando saremo vecchi – bada bene, vecchi, non adulti, ovviamente –, potremo riguardarci e sorridere.
Spero, anche se in un certo senso lo so, che vada così: spero di averti ancora al mio fianco, anche quando sarò troppo vecchia per saltellare per la strada e sarò costretta a guardare la mia nipotina – io pretendo una nipote che mi assomigli! – che saltellerà per me – e per noi.
Se sarà davvero così, allora, beh, grazie, Robbie.
Grazie per questi due anni fantastici, che, nella mia immaginazione, sono solo l’inizio di una lunga serie.
Grazie per i tuoi abbracci da orsetto gommoso, grazie per sopportarmi quando ti chiamo così senza dirmi di smettere – perché, ovviamente, non lo faccio per farti un dispetto: dico “Sei un orsetto gommoso!”, ma in realtà è come se ti stessi dicendo “Sei il mio migliore amico.”
Le persone che mi conoscono dicono che ringrazio un po’ troppe volte, ma per me va bene così: perché non ringraziare quando si è felici, finalmente, come lo sono io? Perché non esprimere la propria gioia cercando di far sorridere gli altri? Io l’ho detto che le persone sono assurde – se non lo ricordi in questo fiume sconnesso di concetti, torna all’inizio.
Quindi grazie ancora, Robbie. Grazie per esserci e per esserci stato anche quando rompo o rompevo un po’ troppo le scatole, grazie per non avermi mai mandato via quando urlavo il tuo nome in preda al panico o alla frustrazione perché avevo bisogno del tuo aiuto – che non è, ovviamente, l’aiuto degli altri: il tuo è un aiuto speciale. Grazie per avermi abbracciato quando ne avevo bisogno e anche quando non ne avevo bisogno, tanto per sicurezza. Grazie per essere il migliore amico che ho mai avuto.
Ti voglio tanto, tanto, tanto bene.
 
-Penny.
 
Ps: Buon compleanno, Orsetto Gommoso!


Angolo autrice:

Ciao! 
Inormazioni flash, per iniziare: Robert Robbie Gregory Kennedy (Chris Hemsworth, già.) è il personaggio di Irene, e Penelope Penny Caitlin Hill (Katie McGrath) è la mia pupilla (?), o una delle tante – ma lei è speciale! 
La gif all'inizio è stata fatta da me (io ho solo unito le gif, ovviamente, sono incapace a fare altro), e serve principalmente a far vedere quanto sono fighi i nostri personaggi, sì. 
Ad ogni modo, auguri, auguri, auguri, Ire, ti voglio bene!

xAlly.

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Capitolo 2
*** Immanuel&Nadiya ***


Immanuel Harding e Nadiya Ivanova: "Beer"

 
Probabilmente, introdursi senza permesso nel suo appartamento e scolare l’ultima birra che aveva nel frigorifero non è stata esattamente un’idea brillante.
E presumibilmente s’incazzerà, pure – anche se, di solito, quella che s’incazza sei tu – ma non te ne preoccupi più di tanto: hai imparato abbastanza in fretta a trovare il modo di non farlo sbraitare – d’altronde, quello è un privilegio riservato solo a te, come lo è quello di rifilargli una gomitata fra le costole quando dice cose troppo sessiste o fa battute troppo idiote. Devi ammettere, comunque, che ti diverti, a farlo alterare, e ad alterarti, se poi le cose finiscono nel migliore dei modi – dopo che, ovviamente, nel bel mezzo della lite, tu scoppi a ridere e sospiri un rassegnato “Coglione”.
Ti piace litigare con lui, alla fine. È bello aver qualcuno con cui litigare – e con cui riappacificarsi –, di tanto in tanto. Se poi questo qualcuno ha i tuoi esatti gusti in quanto a stile di vita – siete entrambi sponsor di “pizza-birra-film-altro (non necessariamente in quest’ordine)”, per esempio –, è anche meglio.
Ti fa sorridere, a volte, averlo accanto, per quanto accanto possa essere: non siete altro che compagni di vita – o così ti piace definirvi, anche perché è decisamente complicato cucirvi un’etichetta addosso. E non vuoi che nessuno lo faccia, soprattutto: disintegrerebbe l’equilibrio quasi perfetto, per te, che si è creato.
Perché, anche se sei abituata a fare da sola, a continuare a testa alta per la tua strada tagliando tutti i rapporti, tutti gli affetti che, a dir la verità, non hai mai avuto, devi ammettere che avete creato un legame, tu e lui.
E, nonostante ti odieresti per aver naufragato anche vagamente nel sentimentale, quel legame ti piace; è una – o forse l’unica, ormai – delle poche cose che ti fanno sorridere.
“Oh, Nadiya, Nadiya, non sprofondare nel cliché.”, ti rimproveri, facendo penzolare i piedi dal bancone della cucina.
Cerchi di sporgerti, puntellandoti con i palmi aperti sulla superficie fredda, per tentare di vedere oltre la porta aperta della cucina.
“Cazzo, questa casa è un macello.”, pensi.
 Beh, non che sia diversa da com’è di solito, in realtà: un’altra cosa che tu ed Immanuel condividete è il disordine. Ma in fondo vi ci trovate bene – a parte lui che cade anche da fermo inciampandosi su una pila di vestiti a terra.
Un tintinnio di chiavi che vengono infilate nella toppa fa smettere d’improvviso il pigro oscillare dei tuoi piedi contro il duro del legno.
Fai leva con le braccia e scendi senza sforzo, tirando un piccolo sospiro; cerchi di nascondere l’oggetto incriminato – la lattina di birra – dietro la tua schiena, ferma e risoluta a fargli credere che è stato lui a finirla, e non tu – non hai esattamente idea del come, ma ti verrà qualcosa improvvisando. Raggiungi il corridoio.
Reprimi un sorriso meglio che puoi guardandolo entrare dalla porta e chiudersela alle spalle, chiedendoti se, d’ora in poi, proverai la stessa sensazione di gioia infantile, quasi, quando lo vedrai rientrare. Ti chiedi se il suo fosse un invito senza termine – l’idea ti è passata per la testa, a dir la verità, e devi ammettere che la prospettiva non è così male, alla fine: sarebbe bello addormentarti sempre con la testa sul suo torace, o con il suo mento incastrato nell’incavo della tua spalla. Scomodo, ma bello. E poi, quando tu avresti troppo caldo, e lui sarebbe stufo della tua spalla troppo ossuta invece che del cuscino, potreste semplicemente addormentarvi ognuno voltato dalla sua parte, dandovi la schiena, come le coppie bisbetiche di marito e moglie che non si sopportano più. Voi, però, avreste la consapevolezza che, fino a dieci minuti prima, stavate prendendovi per il culo a vicenda, oppure stavate fingendo di guardare un film con pizza e birra mentre questo era solamente un sottofondo a quelle che erano realmente le vostre intenzioni.
E ve lo potreste permettere, perché voi siete voi, e potreste essere una coppia bisbetica di marito e moglie il secondo prima, e diventare migliori amici per la pelle quello dopo, ed infine potreste illudervi di esservi innamorati l’uno dell’altra quello dopo ancora. E ti va bene così.
Quando alza gli occhi verso di te, alzi le sopracciglia, facendo roteare attorno all’indice il mazzo di chiavi che lui ha lasciato nel tuo ufficio senza dirti una parola, mentre non c’eri – trovarle lì è stata una sorpresa riuscita proprio bene.
Lui finge di non sapere a cosa stai alludendo – meglio, a dir la verità.
Lasci che il silenzio si faccia opprimente, quasi, in pochi attimi, poi gli rifili un mezzo sorriso. «Quindi, per la pizza chiami tu stasera.» asserisci, come a non accettare repliche, mentre gli sfili davanti, con passo marziale in slip e canotta – prima o poi ti approprierai di una delle sue camicie da boscaiolo, oltre che delle sue birre.
«Ah, comunque» nascondi meglio che puoi la lattina vuota dietro la schiena, mentre ti sdrai comodamente sul divano. «Vergognati, hai finito la birra.»



Angolo autrice:

Che dire? Aw! 
Io poi sono di parte, ovviamente, perché li adoro con tutto il mio cuoricino da fangirl, eh. Però sono due fighi 
– e lo sanno, dai.
Ecco, Ire, la seconda è arrivata (in ritardo, chiedo perdono!) 
Come per l'altra, la gif è mia (solo l'unione delle singole gif, sono un'incapace cronica, again).
Poi, (quel figo di) Immanuel è il personaggio creato, ideato e bla bla bla da Irene
, mentre Nadiya è la mia – più o meno – piccola. Ma gliela regalo volentieri.
E...e basta, direi.
Ciao! 

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Capitolo 3
*** Charles&Ophélie ***


Charles Andrew Harvey e Ophélie Ambre Doherty: "Forms of love"



 
 
Si volta per osservarlo, mentre cerca di raggiungerlo con le dita, ed intrecciarle alle sue, com’è abituata a fare. Alza un angolo della bocca, per sorridergli.
Si guardano negli occhi: non hanno lo stesso sguardo che hanno tutti i ragazzi innamorati a diciott’anni – perché loro sono diversi, superiori, o almeno è ciò che direbbero –, nemmeno lo stesso sorriso – non in pubblico, almeno.
Lei, d’altronde, è quella che deve sempre limitarsi ad un modello prestabilito dalla società che la circonda.
È quella che cammina per i corridoi e si attira gli sguardi di tutti addosso in modo completamente involontario, perché a lei non importa delle persone che stanno fuori dal suo mondo.
Quella che sa che cosa accadrà ancora prima che accada, che fa previsioni mai errate e che sa, che è convinta che ce la faranno. Che capisce la loro perfezione in ogni sfumatura, dalla più scura alla più chiara, dal nero al bianco – nonostante loro non siano né nero, né bianco, ma nemmeno il grigio che sta nel mezzo: loro sono tutto. Lei sa che i loro sogni sono realizzabili, che crede nell’amore che condividono anche se non si potrebbe dirla capace di tali pensieri.
Lui è quello che lei ha sempre avuto e del quale non sopporterebbe la mancanza.
Quello con cui lei attira gli sguardi di tutti per i corridoi, con cui non si cura di coloro che non c’entrano con la loro bolla di splendore, lasciandoli fuori a guardare.
Lui è quello con il quale lei può essere imperfetta, perché è sicura di non dover portare tutto il peso della ribalta da sola, ma di poterlo condividere con lui.
Perché, nonostante loro siano quelli che fingono i minimi gesti agli occhi dell’altro – che fanno finta di non aver sorriso dolcemente, o di non aver notato il sorriso dell’altro perché la dolcezza non fa per loro –, capiscono ugualmente, e sorridono all’interno, rimanendo impassibili all’esterno.
E non importa essere perfetti, finché c’è un noi, perché il loro noi è la cosa che lei riconosce senza la minima imperfezione, dentro e fuori, dal bianco al nero – gli altri colori non esistono, non per loro.
E non serve fingere, non con lui: con lui, lei ha il diritto di poter essere semplicemente se stessa.


Angolo autrice:

Oggi ce ne sono due perché faccio schifo, in parole povere, ed ero in ritardo ieri per via della fiera e della gente che rompe tanto le scatole.
Ad ogni modo, eccola! E...oh, la mia mini otp numero 239856928376 non in ordine di preferenza!
L'amore indiscusso che nutro per questi due mi ha portato a scrivere, e il discorso delle gif vale pure per questa. Non è esattamente una shot, ma è uscita fondamentalmente così (è forse l'unica che non ho riscritto mille volte!).
Qui, Charles è il personaggio di Irene, ed Ophélie è mia 
– e di tanta altra gente come Charles, Elijah e Océane e pure tua, Ireammettiamolo. 
Ciao!

 

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Capitolo 4
*** Ben&Jodie ***


Benjamin Lee-Hamilton e Jodie Whitemore: "America"




 
«Hey.
Devo ancora capire perché io stia esattamente facendo questa cosa, ma, onestamente, non lo so.
Probabilmente è solo una delle trecentosettantotto idee che mi passano per la testa nel giro di due secondi, e probabilmente appena avrò finito penserò di aver sprecato il mio tempo, e tu non vedrai mai questo…video.
Ho provato a scriverti una lettera, a dir la verità. Perché le lettere rendono tutto più facile a me, mentre parlare mi destabilizza. Non che c’entri qualche romantica e melensa ragione di come io mi sciolga davanti ai tuoi occhi a mo’ di neve al sole – beh, non che parlare con te mi venga particolarmente facile. Se ho deciso di registrare un video, è perché probabilmente è qualcosa che tu apprezzeresti più di una lettera – credo – e non è così distruttibile come un foglio di carta: ci sono meno possibilità che si rompa, meno possibilità che si perda…
Quindi…beh, eccomi qui!
Mi lamento sempre che nemmeno una delle mie trecentosettantotto idee non vengano prese esattamente in considerazione, giusto? Quindi lasciamo che ne prenda in considerazione una io.
Per prima cosa, ti prometto che non piangerò – che promessa stupida, okay: dovresti sapere che non lo farò. E che se lo farò sarà probabilmente quando avrai preso quell’aereo ed avrai messo piede in America, mentre io sarò qui, da sola…con Hyperion e Stella, ma hai capito perché sola, rinchiusa nella mia stanza con mia madre che vuole buttare giù la porta per sapere se “È tutto okay, Jods?”
Devo dire che sì: è tutto okay. Forse non è magnifico, ma è più okay di quanto pensavo sarebbe stato.
È – sarà, scusa: non utilizziamo il presente – strano, non incontrarti più in corridoio praticamente ogni mattina tre minuti dopo il suono della campanella, perché noi siamo due dei perenni ritardatari che non smetteranno mai di essere tali – seriamente, ti prego, nemmeno l’ultimo giorno di quest’anno ti puoi permettere di fare la differenza: dobbiamo incontrarci anche l’ultimo giorno di scuola. Okay, lo so, lo so, parlo dell’ultimo giorno di scuola come se fosse la mia…nostra…insomma, un’imminente catastrofe universale, ma so che ci vedremo anche dopo la fine della scuola, ovviamente. Probabilmente ti starò attaccata al didietro finché non partirai, potrei perfino smettere di fare kick-boxing per quest’estate, così non ti lamenteresti del fatto che ti molliamo sempre da solo.
Però poi presumo che ti verrebbe voglia di buttarti giù dall’ottavo piano di qualche palazzo – non chiedermi perché ottavo, ma otto suona figo –, perché so di essere piuttosto pesante.
Diciamo che parlo tanto. Lo so che parlo tanto. Sono maledettamente logorroica, la gente me lo fa notare. Ma è che ho tanto da dire, insomma, voglio esprimermi…però potremmo cercare di passare più tempo insieme di quanto non abbiamo fatto.
Non che non ne abbiamo passato tanto, insieme, insomma, abbiamo passato il liceo insieme, come un gruppo con Stella e Hyperion, ma…hai capito cosa intendo, giusto?
Forse ci siamo resi conto troppo tardi di…di…hai capito.
O forse non abbiamo avuto abbastanza coraggio, prima – no, non ti confermerò mai di essere una di quelle ragazzine che svenivano per te, anche perché io sono relativamente superiore alle ragazzine con una fascia per capelli al posto della gonna ed i tacchi al posto delle Converse che striscerebbero sul pavimento…per te. E no, no – sul serio! – questa cosa non è snervante, per me.
Dovremmo comunque passare del tempo insieme. Come, insomma…lo sai, no? Come ragazzo e ragazza, ecco. Come fidanzati – diamine, mi spieghi perché è ancora così difficile dirlo?!
Dicevo: è tutto okay.
Forse mi serve, continuare a ripeterlo, così da non rendermi conto esattamente di quanto deprimente sia la realtà. Non ho idea di come sarà non riuscire a vederti tutti i giorni; non sentirti lamentare perché siamo troppo impegnati; semplicemente non camminare per i corridoi della scuola assieme a te, e sentirci invincibili, in qualche modo – aumentando i motivi per cui io mi proclami come Super Jodie –, come se nessuno possa raggiungerci. È così che mi hai sempre fatta sentire, d’altronde: come se fossimo irraggiungibili da tutto e da tutti, ma allo stesso tempo come se volessimo che gli altri ci raggiungessero.
Sto straparlando, vero? Ammettiamo che è assurdo dirlo, come se non ci fossi abituato. Non ti so dire se, esattamente, rimarrà un’abitudine, quella di continuare a riempirti le orecchie con la mia voce, ma potremmo provarci, no? Il telefono, Skype, le mail, le mie amate lettere…ci sono tanti mezzi di comunicazione con cui potremmo non abbandonare le vecchie abitudini. Forse non sarà esattamente la cosa, perché non mi potrai prendere in braccio per via della mia altezza da puffola pigmea, e non potremo più salire sulla metro senza destinazione per poi farci venire a prendere da mio padre quando irrimediabilmente il mio senso di orientamento nullo fa capolino e finiamo per perderci. Non ci saranno più baci, abbracci o sorrisi complici. Non potremo più ignorare San Valentino andando insieme da McDonald’s per rimpinzarci di patatine fritte, né il ballo scolastico rimanendoci solamente mezz’ora per poi sparire nella notte e girarci mezza Londra, solo per finire a casa tua a guardarci un buon film di fronte ad una ciotola di pop-corn.
Tutto questo mi mancherà. Ma è tutto okay. È tutto okay perché, alla fine, ho capito che ti amo.
E, anche se nemmeno Super Jodie riesce a prosciugare un oceano, forse questo può bastare ad avvicinare almeno un po’ l’America all’Europa.
Quindi buon viaggio, Ben.
Ti amo.»


Angolo autrice:

Ta-daaaaaaah! In ritardo, in ritardissimo, ma ormai ho deciso di non darmi più dei tempi, se no divento matta e basta (come se già non lo fossi).
Ecco, quindi, Ben (Che è Keegan Allen aka il mio orsetto buh *-*), e Jodie, la mia piccola fuori di testa. Ben è la creazione della fantastica Irene, che sforna un personaggio più bello dell'altro.
Mi scuso tantissio per il ritardo, ma non prometto che le prossime saranno in orario, però ti do il permesso di prendermi a bastonate, aw :3
Ciao!
 

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Capitolo 5
*** Sasha&Iris ***


Alexandr Sasha Zimmermann, II e Iris Iglesias-Guerrero: "Car"




 


A volte la detesti.
È un pensiero distinto, che ti fa vibrare la spina dorsale e che ti scuote da testa a piedi.
Più che a volte. Spesso è così insopportabile, con quella sua aria da So-tutto-io-non-mi-interrompere, con quei suoi sorrisini perfino sadici e quei suoi occhi così chiari da potercisi specchiare dentro.
Aspetta: i suoi occhi mi piacciono. Adoro i suoi occhi.
Grugnisci. «Idiota.» borbotti, insultandoti – perché non c’è altro da fare, d’altronde.
Sei un grandissimo idiota, ti suggerisce una vocina nella tua testa.
Iris, però, è una grandissima stronza, ribadisci tu, con fermezza. La stronzaggine di quella mini-donna in carriera è l’unico punto fermo della tua vita – o quasi.
Ridacchi: adesso, per colpa sua, sei arrivato al punto di litigare con te stesso – ottimo, Zimmermann, sei a cavallo.
La guardi, quella macchina che sogni da quando hai dieci anni – o era prima?
Su quella macchina c’è lei, ovviamente. Perché non solo ha appena preso la patente, no, sarebbe troppo poco – quella l’hai avuta anche tu! –, il problema qui è che tu, un fottuto anno più grande di lei, la macchina non ce l’hai ancora.
Perché? Perché il mondo è un posto crudele, e perché i tuoi genitori lo sono – le uniche risposte che hai ricevuto sono state «No.» e «Arrangiati.»
Le hanno dette quasi all’unisono, quegli esseri programmati a non comprarti la macchina rovinandoti la vita, come se fossero un unico essere che porta a termine il suo compito con una crudele soddisfazione.
Hai insistito coi tuoi per un sacco di tempo – come fai sempre, d’altronde: la tua sorellina Diane, ti convinci, è arrivata perché gli hai rotto le scatole a dovere per anni, mica per…dah, fatti loro! –, eppure niente: hai quasi vent’anni e della tua macchina neanche l’ombra.
E no, ti rifiuti di farti scorrazzare in giro da Iris; tuo padre può chiamarti sessista quanto vuole – tu non sei sessista!
Il fatto è che non ti dà fastidio essere scorrazzato in giro da una ragazza – cioè, più o meno, le chiederesti se puoi guidare –, ma ti dà fastidio farti scorrazzare in giro da lei, ti irrita il pensiero di dargliela vinta – anche se, e tu lo sai, Iris l’avrà sempre vinta, non riuscirai mai a resistere stoicamente contro di lei ed i suoi occhi chiari.
Perché?
Oh, semplice: perché sei fottutamente innamorato di lei da più tempo di quanto tu voglia ammettere.
Segui con lo sguardo da cucciolo bastonato la sua auto che esce dal cancello della scuola, e scuoti la testa. «...Idiota.»




Angolo autrice:

Eccomi qua, non in ritardo, per una volta!
Questi sono i nostri piccoli part 29385629367592763, ovvero Sasha (Alexandr Zimmermann, II del suo nome e bla bla bla), che è il mio idiota di turno, ed Iris, quell'adorabile stronzetta ragazza che è creazione di Irene.
Questa volta, non c'è una gif
– perché non circolano molte gifs di Joshua Brand, quel gran figo che mi presta (?) gentilmente il suo bel faccino per Sasha – bensì un collage (= parola più sofisticata per dire "un paio di immagini messe insieme") made by me.
E...basta, ecco.
Ciao!

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Capitolo 6
*** Lars&Penny ***


Lars Eriksson e Penelopenny Hill: "Always and forever*"



 


Caro Lars,
 
a dir la verità dovrei sistemare il disastro che ho lasciato in giro prima che torni, ma è logico che, prima di iniziare, io faccia ancora più disordine ribaltando un cassetto per tirar fuori una penna ed un foglio – senza motivo, tra l’altro, visto che non ho alcuna apparente ragione per scrivere queste righe. Ci tengo, però, a sottolineare apparente: in realtà ce l’ho, una specie di ragione – tu potresti pensare che sia una delle mie solite scuse per non portare a termine qualcosa che non ho minimamente voglia di iniziare, e te lo lascerei pensare, visto che da una parte è la verità.
Però c’è un senso a questo, davvero, lo giuro. Il senso è spiegarti che il mio disordine non è disordine poi così casuale – cioè, sì, sempre disordine è, fai bene a pensarlo, sono una persona estremamente disordinata e disorganizzata (fate tutti bene ad inveirmi dietro e farmi la paternale), e tu sei il secondo miracolo che è arrivato nella mia vita per salvarmi dal caos più totale…che sarei io, meh.
Comunque, dicevo – lo so, sono logorroica, nonostante non sia comunque un genio con le parole come te, ora la smetto di divagare –, che il mio disordine è motivato.
Dalla mia mente contorta e bambinesca, lo ammetto, ma è motivato: lascio cose fuori posto per farti notare il mio passaggio. Non che io abbia paura che tu ti dimentichi di me – sono talmente brava ad attaccarmi alla gente che difficilmente ci si dimentica di me, di solito si cerca di evitarmi finché non mi stanco io, a dir la verità, quindi ti meriti una medaglia –, è solo che a volte ho paura di non dirti le cose abbastanza esplicitamente. Perché io sono fatta così: faccio tanti giri di parole, mi perdo, m’incanto (e questa è colpa tua, non posso essere condannata anche per questo!), ridacchio e non arrivo mai al punto. Però quando ci tengo lascio un segno, di solito impossibile da non vedere, con lo specifico motivo di ricordarti che ci sono.
Io ci sono, per te, quando vuoi, quando ti servo…uhm…io…sì, io ci sono. Sempre, e sai dove trovarmi. Difficile non saperlo, visto che, se ci sei,  sono praticamente sempre al tuo fianco. È solo che sento che è quello il mio posto: accanto a te, finché non ti stancherai di guardarmi mentre ti giro intorno come la Luna gira intorno alla Terra – io non giro su me stessa…non così spesso, suvvia!, e non ti giro letteralmente attorno, ma hai capito quello che voglio dire, giusto? Ma sì, sei un genio – ed io faccio mediamente schifo, ammettiamolo –, certo che hai capito, di solito riesci a seguire i miei ragionamenti contorti ed a farmi sentire meno inferiore.
Comunque, dicevo: finché non ti stancherai di vedere i miei vestiti sulla poltrona accanto al letto, di dover spegnere le luci che lascio accese per la casa quando dovrebbero essere spente, di dover raccogliere un qualcosa di poco definito sul lampadario perché io l’ho lanciato lì e da sola non ci arrivo – e tu sei molto più…montagna di me (oddio, giuro che nella mia testa era un complimento!) –, di dover convivere con le mie mille stranezze –come il fatto che è da quando sono piccola che ho i piedi gelati, perciò dormo con le calze, eppure perdo sempre un calzino, mentre l’altro rimane perennemente incastrato ai piedi del letto –, o di sentire il profumo del mio shampoo che rimane sul cuscino come una macchia che non si lava (e pure di sopportare me che non so fare la lavatrice), beh, io sono qui, anche per sempre.
Oh, sì, quasi dimenticavo: ti amo.
 
Penelope Penny.



Angolo autrice:


*"Always and forever"
è una citazione 
 che ammetto, non potevo non prendere in prestito – usata ed abusata dai telefilm The Vampire Diaries The Originals. Poi boh, magari lo dice qualcun altro, eh, ma io l'ho sentito dire a loro. Pace e amore *w*

Eccomi qua! *-*
Dopo la chiacchierata di ieri su questi due amori, aw!, la somma ispirazione si è impossessata di me, ed ho partorito questo. Ammetto che non è stato così complicato, beh, perché lei è la mia piccola preferita, quindi diciamo che so esattamente cosa pensa.
E comunque, questa è una di quelle a cui tengo di più, prevalentemente guardando solo ai personaggi, quindi mi ci sono impegnata parecchio, meh, anche se Penny ha il solito tono da rimbambita cronica bimba puccia.
Qui, Lars Eriksson (aka Henry Cavill, uno dei tanti amori della mia vita), è la creatura (?) di Irene.
Quindi, spero che ti piaccia :3

Ciao!

 

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Capitolo 7
*** Thor&Lars ***


Thor Hill e Lars Eriksson: "Superman"



 


Se c’è una cosa di cui Thor è sempre stato certo, è che giocare con i giocattoli di plastica già fabbricati è terribilmente deprimente.
Infatti, si è sempre divertito a modo suo, fingendo realtà invisibili agli occhi degli altri: inventa mondi fantastici, storie intricate con draghi da sconfiggere e principesse da salvare.
Il bambino alza gli occhi verso il soffitto, sorridendo, ed inizia a fare versi di decollo con la bocca.
Spicca il volo con la sua immaginazione, e distende le braccia di fronte a sé, come se dovesse regolare la direzione da prendere. Che, ovviamente, è avanti: la sua direzione è sempre avanti, testa alta e mantello sulle spalle.
In realtà quella stoffa rossa che ha legato attorno al collo non è altro che una coperta che ha trovato in salotto, ma nella sua immaginazione tutto cambia: per Thor, quello è il mantello di Superman.
Chiude gli occhi; ha bisogno di concentrazione per riuscire a figurare nella sua mente il suo mantello che svolazza in un turbinio di vento.
Ma, finalmente, eccola lì: Smalville.
«Il piccolo – piccolo?!, si rimprovera nella sua mente – Il grande Superman sorvola i cieli della sua città, ed ecco che atterra su un enormissimo grattacielo alto mille metri!»
Spicca un salto, arrampicandosi sul divano. «Il freddo polare si fa sentire a quota mille metri, ma Superman è perfettamente equipaggiato per resistere ad ogni tipo di problema! Il suo mantello lo avvolge come una coperta, e…» stringe i lembi del tessuto con le mani. «Ma no, che dico? Superman non ha freddo!» esclama, stizzito. «Quindi, uhm…anche se il gelo artico d’alta quota si fa sentire, Superman è un supereroe, e quindi non ha freddo. Attacca il mostro di Lochness…ha! E lo sconfigge portandolo sulla Luna…»
Con un balzo, il piccolo supereroe salta giù dal divano, ed inizia a correre verso la porta. «E così, Superman, sistemato il mostro di Lochness, vola verso Smalville per salvare Lois Lane, ma…»
Il bambino arresta la sua corsa, scontrandosi improvvisamente contro una persona, incespicando nella coperta e cadendo a terra.
«Ouch, ma Superman ha incontrato un ostacolo insormontabile.» si lamenta, accettando volentieri la mano dell’ostacolo mobile, che lo aiuta a rialzarsi.
Ridacchiando, scioglie il nodo che aveva fatto alla coperta, cercando di piegarlo come meglio può. «Scusa, stavo giocando.»
Lars sorride, facendo un senso di noncuranza con la mano.
Thor alza gli occhi, per puntarli in quelli dell’interlocutore. Cavoli, quant’è alto…, pensa, guardandolo dal basso della sua posizione. Si tira su sulle punte, per cercare di raggiungerlo, arrossendo. «Stavo giocando a Superman!» esclama, con occhi brillanti. «Sai, mio padre mi ha regalato…» si rabbuia per un secondo.
Ricorda benissimo il giorno precedente: come suo padre aveva promesso di esserci per il suo compleanno e poi “era troppo occupato”, del regalo che aveva mandato (un Superman giocattolo), e di come lui, ferito e triste, aveva deciso di non volerlo nemmeno vedere.
Thor abbassa lo sguardo. Non riesce ancora a capire perché suo padre, che l’aveva promesso, non ci fosse, mentre Lars c’era.
Lars c’era: c’è sempre stato, quando suo padre disdiceva ogni volta.
Di slancio, Thor stringe Lars in un abbraccio, con tutta la forza che riesce a mettere nelle braccia. «Grazie.» sussurra, sorridendo contro il suo torace. «P-per ieri, sai, è stato un…bel compleanno. Grazie per esserci stato.»
Alza la testa, incontrando di nuovo gli occhi dell’uomo. «Comunque, Superman è il mio supereroe preferito. Perché non si deve nascondere quando salva le persone, perché lui è già Superman. Il suo…alter ego, ecco come si dice, è Clark Kent..» sorride. «Poi, Clark Kent è un giornalista con gli occhiali, e Lois Lane lavora assieme a lui. Alla fine sono diversi, perché Superman è venuto sulla Terra da un altro pianeta, non è come Batman, che in realtà è Bruce Wayne, o Spiderman, che in realtà è Peter Parker. Superman, è Superman, no? È diverso dagli altri supereroi.» spiega la sua teoria, annuendo ripetutamente.
Poi, con un enorme sorriso, si scioglie l’abbraccio. «Comunque, ci assomigli, a Superman.» esclama, realizzando il concetto immaginandosi Lars con il mantello. Cerca di mettergli la coperta sulle spalle.
, pensa, ci assomiglia a Superman.
Thor torna a giocare, lasciando la coperta sulle spalle di Lars, il quale, con molta più probabilità di quanto a Thor piaccia ammettere, è più Superman di lui. L’ha capito da come protegge la mamma, e perfino lui stesso, e da come c’è sempre, nonostante lui non gli chieda niente. Ma, soprattutto, l'ha capito da come gli vuole bene.
Prima di andare, quindi, con una nuova consapevolezza che gli frulla in testa, si ferma di fronte alla porta, e si apre in un ennesimo grande sorriso. «Quando sono grande» afferma «voglio diventare come te.» 


Angolo autrice:

Hola! *-* 
Dopo...tanto, ma tanto, tempo (odiami, me lo merito), torno con questa cosina, e mi accorgo che toh, Lars è l'utimo personaggio dei tuoi che ho usato. Uffa! Pensavo che la shot con Lars e Penny fosse più vecchia, lo ammetto. Invece ti propongo per la seconda volta lo stesso tuo personaggio, ma visto da occhi diversi, quelli del mio piccolo Thor che, come sai, alla fine lo vede come un papà (e tu togli complessi a go-go, meh).
Chiedo ancora venia, puoi tagliarmi la testa in stile Henry VIII (sono fissata).

Ciuao!

 

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